MOONLIGHT STONES - The light in Grey Day (Grey Day in Darkness series)

di BigMistake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione: Fragole e mele! ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO I: Scaramucce coniugali. ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO II: Figli, Genitori, Nonni. ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO III: Imparare a crescere. ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO IV: In debito. ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO V: Decisione di branco. ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VI: Benvenuti in Alaska! ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VII: Irresponsabilità. ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO VIII: Natura contro Natura ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO IX: Nemici? ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO X: Accordi. ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XI: L’Angelo, la Stella, il Dio. ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XII: Chi? Come?Dove? ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO XIII: Chi o cosa sono? ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO XIV: Foto ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO XV: Ricominciare daccapo! ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO XVI: Errore? ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO XVII: Rivoglio la nostra vita. ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO XVIII: Una lunghissima notte. ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO XVIII: Scappati? ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO XIX: Rimanere svegli! ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO XX: Ritrovarmi? ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO XXI: 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1 ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO XXII: Adesso. ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO XXII: Ritrovarti! ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO XXIII: Chi sei? ***
Capitolo 27: *** II PARTE - INTRODUZIONE: Cinque anni! ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO I: Piccole canaglie crescono. ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO II: Primo giorno di scuola! ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO III: Fragile. ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO IV: Nemiche/Amiche. ***
Capitolo 32: *** CAPITOLO V: Scossa. ***
Capitolo 33: *** CAPITOLO VI: Guerra e pace? ***
Capitolo 34: *** CAPITOLO VII: In Frantumi. ***
Capitolo 35: *** CAPITOLO VIII: Un cuore in trasformazione. ***
Capitolo 36: *** CAPITOLO IX: Rari no. Unici. ***
Capitolo 37: *** CAPITOLO X: Ama la verità ma perdona l’errore (Voltaire) ***
Capitolo 38: *** CAPITOLO XI: Curioso? ***
Capitolo 39: *** CAPITOLO XII: πάντα ῥεῖ - Panta Rei os potamòs (Tutto scorre come un fiume Eraclito) ***
Capitolo 40: *** CAPITOLO XII: Routine. ***
Capitolo 41: *** CAPITOLO XIII: Inutili cerimonie. ***
Capitolo 42: *** CAPITOLO XIV: Niente ci separerà. ***
Capitolo 43: *** CAPITOLO XV: Metabolizzare. ***
Capitolo 44: *** CAPITOLO XVI: Tracce invisibili. ***
Capitolo 45: *** CAPITOLO XVII: Destinazione definitiva. ***
Capitolo 46: *** EXTRA JACOB: Nel buio. ***
Capitolo 47: *** CAPITOLO XVIII: Stirpe regale, vecchia e decadente. ***
Capitolo 48: *** CAPITOLO XIX: In trappola. ***
Capitolo 49: *** CAPITOLO XX: La fine di tutto. ***
Capitolo 50: *** EPILOGO: Le Moire non taglieranno i nostri fili. ***



Capitolo 1
*** Introduzione: Fragole e mele! ***


GREY DAY IN DARKNESS SERIES

(avvertenza: questa storia è il continuo di Grey Day in Darkness mia personale creatura! leggere prima quella! )

  

MOONLIGHT STONES – The light in grey day.

 

PRIMA PARTE: I miei ricordi.

INTRODUZIONE: Fragole e mele.

POV Jacob

Ritenermi un uomo fortunato era davvero riduttivo. Avevo un lavoro in una piccola officina di mia proprietà alla riserva, uno stipendio sicuro, una casa lussuosa che non avrei mai neanche sognato, una moglie bellissima, due figli che con lei condividevano l’amore per il sangue,  una famiglia di vampiri alle spalle che ci aiutavano sia materialmente che moralmente ed ero circondato da fratelli che avrebbero fatto carte false pur di difenderci. Ogni volta avevo la certezza che  girando quella curva, prendendo la diramazione a destra  sarei tornato al mio sogno reale nella nostra piccola alcova, dove trovavo la mia gioia, le mie ragioni di vita, e mi chiedevo, prima ancora di arrivare, cosa stavano facendo, se la loro giornata era andata bene o male, se avevano qualcosa di nuovo da raccontarmi. Vedevo in loro quello che ero riuscito costruire, e finalmente mi sentivo un uomo, non più un ragazzino egocentrico innamorato della sua migliore amica, ma un vero e proprio adulto. Sarah, EJ e la mia dolce Nessie, coloro che mi avevano fatto rinascere dalle ceneri come una fenice. Ma quel giorno arrivando al vialetto vi era uno strano silenzio. Troppo. Di solito c’erano risate, schiamazzi, intimidazioni anche contemporaneamente. Invece silenzio. Scesi dalla macchina cercando di percepire almeno un lamento, i cuori addormentati, la tv, una qualsiasi cosa che indicasse la loro presenza in casa. Sembrava proprio che non ci fosse nessuno. Entrai. Buio. Iniziai ad avere uno strano presentimento, un misto tra paura e speranza che fosse un piano architettato da quella donna capace di farmi impazzire con poco, sia nel bene che nel male. Una volta accesa la luce una cosa attirò la mia attenzione. Un biglietto in bella vista, con il profumo della mia Nessie e  un bacio stampato con un rossetto rosso.

< Da quando usi il rossetto? > La curiosità era troppa per continuare ad esitare.

Lupacchiotto, tutti i nodi vengono al pettine! So che ti stai chiedendo cosa mi passa per la testa e che forse ho definitivamente perso ogni sanità mentale ma ti ricrederai. Non preoccuparti i bambini sono dalla mamma. Ora passiamo a noi.

Indovina indovinello: Se il tuo tesoro vuoi trovare, attraverso gli indizi dovrai cercare. Quella favola non è reale, perché il mio lupo non può far male.

La caccia è iniziata!

La cosa si prospettava infinitamente intrigante ed eccitante. La mia mostriciattola aveva un diavolo per capello, mai affermazione fu più adatta su di quella donna. D'altronde con Nessie non potevo aspettarmi una vita diversa, ricca di sorprese e di magia. Anche solo la sua presenza, rendeva l’atmosfera magica. Forse oltre ad essere una mezza vampira, era anche un po’ strega, i nostri destini intrecciati da un incantesimo che non aveva più ragione di esistere; l’amavo, e non era una semplice questione di leggenda ma solo ed esclusivamente cuore contro cuore, il mio ed il suo uniti per un sentimento puro ed indissolubile. La mia dolce ed eterna condanna, che scontavo ogni giorno con piacere, una condanna dai capelli ramati e dagl’occhi color cioccolata. Tornai alla realtà per  riavere la mia mostriciattola. Cominciai a rileggere le parole. Un favola non reale perché il mio lupo non può far male. Favola. Il libro delle favole di Nessie. Quante volte da bambina mi guardava con gli occhi lucidi e con quel libro in mano per farsi raccontare una storia, già da allora sapeva come trasformarmi in un burattino. Andai velocemente nella camera dei miei figli e nella libreria spiccava il libro con la copertina di cuoio rosso. Scorsi velocemente l’indice. Cappuccetto rosso. Il lupo cattivo. Nella sua favola il lupo era buono, ero io. Ed ecco un nuovo biglietto con stampato sempre il solito bacio.

Non te la caverai tanto facilmente: Il prossimo indizio si trova dove tutto è iniziato. Dove il mostriciattolo ha capito, che il tuo  cuore aveva rapito? Ricorda per rispettare la tradizione familiare, dalla finestra dovrai entrare.

Eravamo nella sua camera, mi aveva chiesto della promessa del suo bracciale ed attraverso la mia spiegazione aveva capito di essere il mio imprinting. Avevo il cuore a mille, sentivo il profumo della sua pelle attirarmi come se fossi paglia di ferro e lei il polo magnetico di una calamita. Pensare al suo desiderio così tangibile, visibile ai miei occhi, mi aveva fatto completamente oscurare il presente: non sapevo più chi ero, cosa ero e soprattutto dove ero. Dopo anni di attesa la mia Nessie finalmente mi voleva,  non solo come fratellone acquisito, ma come vero e proprio compagno di vita. Mi aveva scelto. Era lei che aveva cercato il significato del bracciale, era lei che aveva sofferto pensando di perdermi, era lei che richiamava le mie labbra con ardore. Era lei che aveva scoperto di essere la mia anima gemella, la madre dei miei figli la mia unica ragione di vita. La mia mente e la sua correvano al di là delle azioni, tanto che già sentivo la sua esile figura compressa contro la mia divorarmi con la passione che ci accomunava. E proprio mentre tutto stava per accadere arrivò il suo caro paparino.

< Bello smacco Cullen, adesso me la sono sposata! >

La  sua vecchia camera. Iniziai a correre velocemente verso villa Cullen, guidato soprattutto dalla mia impazienza di trovarla. Le piaceva parlare della sua giornata e la sera prima che si addormentasse. Dopo che Bella le augurava la buonanotte, mi arrampicavo sull’albero vicino alla sua finestra per poi intrufolarmi nella sua camera. Bells ed Edward non potevano protestare per quel nostro piccolo segreto, sarebbe stato ipocrita da parte loro, non contando che il succhiasangue scandagliava come un radar russo, le nostre teste durante tutte le mie visite. Un giorno Bella mi chiamò appositamente: dopo scuola si era rinchiusa in camera ad ascoltare la musica con le cuffiette, cosa che Edward non sopportava perché era come avere uno stereo a tutto volume dentro il cervello e lo costringeva ad escludere la mente della figlia. Quando mi aveva detto che non voleva parlare con nessuno nemmeno con l’ossigenata isterica, sentì il mio sangue ribollire. Ripercorrevo tutte le possibili cause: interrogazione andata male, impossibile, professore che l’aveva umiliata, poteva succedere solo il contrario, ragazzo che l’aveva importunata, plausibile. Tremai di rabbia, tanto che le mie dita si stamparono sulla cornetta ma dovevo calmarmi. Quando arrivai la trovai seduta a terra, cuffie dallo stereo, gambe incrociate e libro alla mano. Brutto segno quando si nascondeva dietro la letteratura. Le tolsi un auricolare per poterle parlare, era talmente concentrata nel leggere e nel non farsi leggere che nemmeno si era accorta che le stavo accanto, e dopo lo spavento iniziale si alzò e mi disse che non dovevo preoccuparmi che aveva solo bisogno di un po’ di spazio per se. La rispettai, andandomene e facendomi gli affari miei. Nonostante dentro stessi rodendo dalla curiosità, le dissi solo che per qualsiasi cosa e in qualsiasi ora io ci sarei stato. Le strappai anche un sorriso quando precisai che per qualsiasi ora intendevo del giorno e non della notte. Il mattino seguente venne a la Push con la colazione, non voleva  rivelare cosa in realtà l’aveva turbata, desiderava solo stare con il suo migliore amico. Già il suo migliore amico. Da quando aveva cominciato ad essere una giovane donna quel ruolo era diventato una tantino stretto, detestavo essere il fratellone che non poteva avere. Mi ricordava molto la situazione con la madre e sinceramente non volevo essere l’eterno secondo. Alla fine il destino, si era deciso a farmi diventare il primo, l’unico, il solo e per l’essere più speciale esistente in natura. Ed ora con lei condividevo tutto, una casa, la vita e due incantevoli figli. A proposito. Nella sua camera mi aspettavo di trovarci i nostri figli addormentati ed invece era vuota. Aveva pensato proprio a tutto. In compenso il solito biglietto attaccato sul battente con il consueto stampo. Ecco perché dovevo entrare dalla finestra per trovarmi di fronte alla porta e vederlo.

Vedo che i tuoi ricordi sono vividi: Son passati tanti anni, ma quelle son cose che non vanno dimenticate, dove le nostre labbra per la prima volta si sono incontrate?

Come dimenticarlo. Io avrei voluto fare una di quelle dichiarazioni che Via col Vento doveva sembrare un film di azione, ed invece la mia Nessie mi aveva preceduto in tutto dicendo lei per prima che mi amava, arrivando persino a chiedermi di sposarla. Io ero il suo sole, quante volte me lo aveva detto in tanti anni. Lo dissi anche a sua madre: non avrei mai potuto nulla contro un’ eclissi. Se avessi saputo allora che in quell’eclissi avrei visto la mia luna riflettere la mia luce, non avrei nemmeno tentato di fare qualcosa. Lei, la mia luna, la mia Renesmee. Il mio satellite splendente che ha rischiarato la notte buia del mio spirito, che mi ha permesso di irraggiare nuovamente una vita priva di senso, solo grazie alla sua esistenza. Perché io e lei eravamo Sole e Luna. Dovevo vederla al più presto, stringerla a me, rinnovare quella promessa d’amore. L’indizio. Il nostro primo bacio. La mia prima vera tentazione. Si era infuriata perché ero restio nel concedermi. Avevo ancora paura che potesse pentirsi, che non fosse sicura di quello che stavamo per intraprendere. E lei sbraitava perché io ero la sua scelta, mi voleva al suo fianco. Ed era così bella mentre mi inveiva contro spiegando le sue sensazioni nei miei confronti. Dieci anni. Dieci anni ad aspettare per dichiararmi e alla fine tutto si era capovolto. Lei aveva detto di amarmi, lei mi aveva chiesto di sposarla. Quanto potevo resistere mentre mi stava offrendo il suo cuore, i suoi sentimenti e anche il suo corpo? Niente a che vedere con tutto quello che avevo mai provato. Averla tra le mie braccia tremante, sentire il sapore delle sue labbra, sentirmi ancorato a lei era tutto nuovo, inesplorato ed inconscio. Ci appartenevamo da sempre. Ma non doveva andare così, non potevo possederla lì guidato da solo un istinto animale sopito nell’attesa che i tempi fossero maturi, e soprattutto non potevo rischiare di farmi uccidere dalla sanguisuga leggi pensieri proprio quando l’avevo trovata. L’albero spezzato vicino al ruscello. Mi inoltrai nel cuore della foresta sapevo bene dove dirigermi aiutato anche dalla sua inconfondibile scia. Proprio lì, sul tronco dove lei si era poggiata dicendomi che dovevamo parlare, c’era l’ indizio successivo. Era una vera ed autentica pazza ma sapeva come farsi desiderare la vampirastra!

Ma bene, bene!Non riesco a trarti in inganno! Adesso dimmi: dove mi potrei fare un bel bagno?

< E no, mostriciattola questa è troppo facile!  >

La Push, First Beach. Non potrei mai sbagliarmi. Da bambina come da adulta adorava la spiaggia di La Push. D'altronde non potendo essere seguita dai suoi parenti nella riserva, era uno di quei posti dove si sentiva veramente libera, per questo l’amava. Non c’erano pensieri che non poteva fare, parole che non poteva dire, atteggiamenti poco opportuni. Qualche volta l’ho lasciata anche troppo sfrenata, rischiando di farmi staccare definitivamente la testa dai suoi genitori. Quando rientravamo a casa dalla riserva a qualsiasi età sapevo benissimo cosa mi aspettava, ovvero amica inferocita con stermina - fauna a seguito, pronti con la ramanzina. Suo padre stava sempre in agguato a captare ogni nostro pensiero: con lei il suo potere era ridotto dalla sua capacità di glissare un qualsiasi ricordo con qualche inno nazionale tradotto in una lingua alternativa ma con me, era tutt’altra faccenda. Contenere anche solo minimente una qualsiasi cosa la riguardasse era praticamente impossibile. Ma quello che bruciava a Cullen più di tutto era il discorso di essere sul mio stesso piano. Con Bella era uno scalino sopra ma con lei, stavamo alla pari. Non pretendevo che amasse più me che lui, sarebbe stato sciocco da parte mia anche solo pensare una cosa del genere, però nutriva due sentimenti diversi e di pari intensità che potevano coesistere. E una delle persone più importanti per Cullen, amava me quanto amava lui e mi riteneva importante suo pari. Me l’ero meritato d’altronde. Basta. Dovevo affrettarmi, perché sentivo che sarei arrivato al punto presto. Corsi così velocemente che sembravo essere alle calcagna di qualche succhiasangue. In breve mi trovai alla spiaggia ed  in mezzo alla sabbia vi era un biglietto.

Sono molto vicina lupacchiotto! Questa sarà l’ultima traccia: sono sull’orlo ma non voglio saltare, voglio solo con te rimirare il mare! Vieni amore che ti sto aspettando! La tua Mostriciattola.

Amore. Non ci chiamavamo mai amore, troppo banale e poi adoravo essere il suo lupacchiotto, lupastro o in qualsiasi altro modo in cui poteva storpiare la mia specie. Quelle poche volte in cui mi chiamava amore, era solo per ottenere qualcosa, come se fossero necessarie certe moine. Solitamente bastava un cenno per diventare il suo personale schiavo. Corsi per un lungo tratto, ma poi decelerai per non farmi vedere ansioso e trafelato. Mi sistemai la maglia, respirai a fondo e percorsi gli ultimi alberi con calma. Una visione sublime apparve ai miei occhi come in un sogno. Era stranamente una serata priva di nubi e la luna splendeva alta nel cielo irradiando quel viso dipinto da delle mani divine. Perché il mio cuore nonostante erano sette anni che l’avevo sposata, finiva sempre per rischiare l’infarto? Aveva i capelli sciolti, che le ricadevano in ordinate spirali lungo la schiena, la pelle di madreperla faceva da sfondo a i suoi lineamenti perfettamente disegnati sul suo viso, occhi profondi ed intensi in cui annegare, e quel naso sbarazzino che guidava lo sguardo sulle sue labbra rosee e carnose ma non esagerate. Il clima era rigido ma stranamente non umido visto l’insolita giornata che aveva deciso di apparire da sotto le nubi. Stava seduta su di una coperta con accanto un cestino da pic-nic. C’erano due candele con la fiamma traballante al vento, incastrate in altrettante bottiglie segnando piccole guglie bianche intorno al vetro ambrato. Tra le mani teneva due calici con dentro probabilmente champagne ed una ciotola con delle fragole era posata poco lontano da lei. I rumori delle onde che si infrangevano sulla scogliera facevano solo eco al battito del mio cuore.

“Ciao lupastro! Ce ne hai messo di tempo!” mi porse uno dei due calici. Io lo presi e mi accomodai lì vicino. Lei fece tintinnare il cristallo, brindando a non  so che cosa.

“Mi spieghi some mai questa sorpresa? E lo champagne? Da quando tu hai ripreso a bere?” non potevo dirle quanto mi sentivo assolutamente in visibilio. Avrei perso tutta la mia dignità da uomo: già la perdevo ad ogni ronda con il mio branco, mancava solo che la perdessi con lei.

 “Diciamo che c’è un’occasione particolare per cui lo champagne è d’obbligo, ed ho fatto un’eccezione per la mia astemia! Ti è piaciuta la caccia al tesoro?” aveva quello sguardo vispo e furbetto si chi aveva completato con successo un piano. E pensare a come si lamentava di Alice in genere, nemmeno si rendeva conto di quanto le somigliasse senza essere una parente diretta.

“È stata molto divertente devo ammetterlo! Ma è ancora oscuro il perché di tutto questo!” cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore con quell’espressione capace di far uscire fuori di testa chiunque.

“Ho scoperto una cosa un paio di giorni fa …” pausa. Poi diceva a me che usavo in modo molesto la suspense.

“Cosa?” incalzai cercando di farla parlare. Mi aveva dannatamente incuriosito. Non so se fosse l’imprinting o qualsiasi altra stregoneria Quileute a rendermi creta nelle sue mani. Penso che se in un momento di pazzia mi avesse chiesto di donarle il mio sangue lo avrei fatto senza esitare.

“Oggi è un giorno importante …”

“Ovvero?”

“Il 14 gennaio!” era riuscita a scoprire il mio compleanno. Non lo festeggiavo più da tempo, mi sembrava stupido dal momento che non sarei più cambiato, non sarei più invecchiato.“Non fare quella faccia!”

“Quale faccia?”

“Quella adesso ammazzo Bella che le ha detto il giorno del mio compleanno! L’ho barattato con una serata con i nostri figli! Sono una madre orribile, ma che dici, ne è valsa la pena?” e mentre diceva queste parole indicava il nostro  banchetto, come rispondere se non con un bacio appassionato in quella che si prospettava una notte tutta nostra. Cominciammo a mangiare, a ridere, a baciarci. Per un attimo mi sembrò di essere tornati fidanzati. In fondo da quando i nostri figli nacquero ci concedevamo pochi momenti veramente nostri. Non mi dispiaceva per una volta fare il marito piuttosto che il padre.

“Perché non vuoi più festeggiare il tuo compleanno?” si era posata con il mento sul mio petto, come quella mattina a Parigi. Era bellissima.

“Perché festeggiarlo, io non posso invecchiare!”Adoravo giocherellare con quel boccolo ribelle che si posava sul suo viso costantemente. Mi divertivo ad incastralo fra le dita e a far risplendere i suoi riflessi ramati alla luce della luna.

“Anch’io non posso invecchiare, però il mio lo festeggiamo sempre!”

“Ma il tuo è più importante!” ed ecco quel lampo passionale attraversarle lo sguardo. Quando una cosa non le andava giù tornava impetuoso in quel castano universo trasparente.

“Non dire scemenze Jacob Black! Il tuo compleanno è importante al pari del mio!”

“Ma in realtà festeggiare il tuo è come festeggiare il mio!” l’avevo presa in contropiede. Ero riuscito ad incuriosirla. Presi la sua mano ed intrecciai le nostre dita teneramente. Lei mi continuava a guardare con quella vena interrogatoria.

“Non fare il lupastro enigmatico con me! Sai che non lo sopporto! Cosa vuoi dire?” sorrisi contento di averla interessata tanto da farla arrabbiare.

“Prima di te il mio cuore era morto, deluso. Credevo che non sarei più riuscito ad amare. Ma poi sei nata e ha ripreso a battere, sono tornato a respirare” presi il suo palmo e lo portai al petto dove con fortissime ripercussioni il tamburo aveva preso un’assordante martellare, solo per lei “Nessie, Renesmee tu mi hai fatto rinascere nel momento in cui sei venuta alla luce!” appena finì di parlare mi avvolse con le sue labbra, in un bacio dolce come lo era lei. Dio quanto l’amavo.

“Io senza di te sono solo una parte incompleta! Platone diceva che un tempo gli uomini erano esseri perfetti non mancavano di nulla, contenevano sia la parte maschile che la parte femminile. Erano talmente completi e felici  da suscitare invidia persino tra le divinità … ” mi piaceva tantissimo imparare da lei cose nuove, anche se in realtà già conoscevo quella storia. Era perfetta sul discorso imprinting. “ Un giorno gli dei li tagliarono in due parti, come se fossero una mela, creando l’uomo e la donna.” Sciolse le dita che ancora giocavano insieme, prese due fragole e le tagliò a metà. Una parte la diede a me una la tenne tra le mani, e le altre due le posò sul tovagliolo. “Da allora ognuno di noi è intento nella perenne ricerca della felicità …” mentre diceva così fece combaciare la metà che aveva tra le mani con una di quelle sul tovagliolo, non erano uguali “… della sua completezza …” prese la seconda parte  e la fece aderire ma anch’essa non era uguale “… della sua metà mela! La mia ricerca è finita!” le nostre due parti erano perfettamente collimate.

“Ma queste sono fragole, non sono mele!” cominciò a ridere di gusto, nonostante le avessi rovinato il suo momento romantico.

“Allora sei la mia metà fragola! E sai quanto mi piacciono, quindi attento che potrei mangiarti vivo! Ti amo da morire!”

“Ripetilo!” mi guardò accigliata come se non capisse cosa intendessi. Ma lo sapeva bene cosa volevo dire.

“Cosa? Che sei la mia fragola?” faceva la faccina della finta sempliciona, anche se i suoi occhi la tradivano e se non l’avesse smessa di guardarmi in quella maniera così provocante penso che avrei dato sfogo a tutti i miei istinti animali.

“No!” la mia voce lasciava trapelare una certa trepidazione. Il mio desiderio che si era acceso al primo biglietto aveva cominciato a diventare scalpitante.

“Che potrei mangiarti vivo?”

“No, è una cosa macabra e soprattutto potrebbe succedere realmente! Decisamente no!”

“Calmo non ti scaldare più di quello che già sei! Certo che un assaggino me lo potresti anche dare …”

“Stai scherzando vero?”

“Certo che si, sarai anche grande e grosso lupo alfa, ma sei un po’ troppo ingenuo!” non ero ingenuo era lei che offuscava ogni mia razionalità  “È rimasto solo che ti amo da morire!” avvicinai il suo viso al mio tanto che potevo sfiorarle le labbra.

“Ripetilo …” sentì il suo corpo sussultare quando i nostri respiri si scontrarono.

“Ti amo!” la sentii fremere. Delicatamente la feci sdraiare sulla sua schiena rimanendo sempre a quella distanza infinitesimale, volevo sentirlo nuovamente. Era dura resistere a quei due petali vermigli che si muovevano contro la mia bocca al suono della sua voce.  

“Ripetilo ancora … ” quella mia richiesta era ormai diventata un sospiro in cui le parole erano soltanto una vibrazione involontaria. Sentirle dire quanto mi amava mi catapultava il cuore in gola, mi sembrava così assurdo che una donna come lei bella ed intelligente avesse scelto proprio me. Invece era mia. Quella che una volta credevo la mia sfortuna, non era altro che la mia fortuna più grande. L’unione tra Bella ed Edward aveva dato vita alla creatura più straordinaria esistente.

“Ti amo da morire Jacob, sei la mia vita!” non potevo più starle lontano, dovevo sentire il suo sapore, dovevo averla lì, con testimone solo la luna. Non riuscivo a credere ancora di poterla stringere a me, di tenerla fra le mie braccia senza dovermi porre i freni, di poterla amare a pieno e nella piena coscienza di ciò che eravamo. Una cosa sola.

 

 

Note dell'autrice: ma ben trovate lettrici e lettori! Scusate ma mi è presa la meyerite e qindi ho dovuto scrivere un continuo. Sapete cosa è successo: stanno uscendo fuori due parti!!!E già proprio come Grey Day in Darkness. Come da titolo la prima parte sarà tutta incentrata sui ricordi, sul rapporto nonni, genitori e figli e su quello moglie e marito e ci sarà un mio piccolo escamotage per raccontare alcune cose che volevo raccontare poi vedrete!. Mentre per la seconda ancora in fase di stesura, sarà tutta incentrata sui gemelli e sul loro rapporto molto particolare, e su una conflittualità, quale? lo scoprirete poi! Ci saranno diversi cambi di punti di vista, ma saranno solo ed esclusivamente Jake e Nessie per la prima, Nessie, Sarah ed EJ per la seconda.  

Allora vi è piaciuta la sorpresa di Nessie? Per quanto riguarda il momento in cui fa combaciare le metà fragole,  ho preso ispirazione da una scena di un film (in realtà lì usava delle mele e c'erano più persone) e non mi ricordo assolutamente il titolo (anche perchè era un film cretino che aveva solo quella scena veramente bella) se qualcuna di voi lo conosce ditelo così inserisco il rif nella storia! Baci!

Passiamo ai ringraziamenti:

Ai 30 preferiti per la prima parte di GDD un hip hip hurrà!

Ai 25 preferiti per la seconda parte di GDD un hip hip hurrà!

Ai 7 preferiti di Falling in love hip hip hurrà!

Alla mia nuova recensionista non che collega di scrittura Hope Valentine un hip hip hurrà!

Alle 5 che l'hanno messa tra le storie ricordate un hip hip hurrà!

UN MEGA RINGRAZIAMENTO A CHI MI HA MESSO TRA GLI AUTORI PREFERITI:

bumby,  Ebbi,  FraZanna, maecla,  moira_chan, never leave me,  noe_princi89, Rocxy, _iLaRiA_

vi adoro!

Un ringraziamento speciale a  SINEAD!

Vi auguro una buona lettura!

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Capitolo 2
*** CAPITOLO I: Scaramucce coniugali. ***


CAPITOLO I: Scaramucce coniugali.

Sembrava decisamente stupido che con una comoda camera elaborata appositamente per me, rimanessi sul letto a studiare, creando un’ampia scrivania sul materasso. Effettivamente la mia vita di normale aveva ben poco: quante persone possono dire di aver frequentato l’università con i genitori e con il proprio migliore amico? Papà aveva deciso di prendere la terza laurea in medicina. Voleva aggiornarsi, almeno così diceva. Io pensavo che volesse controllare me e la mamma. Gab invece iniziò a seguire i corsi di Architettura. La passione di Esme l’aveva ispirato in tal senso, e la mia cara nonnina era assolutamente entusiasta di questa scelta. Io di mio canto non pensavo di poter desiderare di tornare tra i banchi di scuola, ed invece ora ero una assidua studentessa di Letteratura Straniera del North Seattle Community College assieme alla mia mamma. Stavo scrivendo un elaborato sulla letteratura inglese per il professor Anderson. Ormai i miei bambini mostravano intorno agli otto anni o qualcosa meno, ed avevano abbastanza baby sitter per potermi dedicare alla mia vita scolastica. Nella stanza ad orecchie umane si poteva sentire solo il picchiettare della tastiera. Ma il mio udito era proteso nella camera accanto, dove i loro cuoricini e i loro respiri mi facevano compagnia.

“Stai ancora lavorando alla tua tesina?” alzai per un momento lo sguardo  dallo schermo. Jake mi guardava sorridente mentre si stava spogliando per venire a letto. Il mio lupastro era appena tornato dalla riunione del branco, che ormai era diventata solo un’occasione settimanale per ingurgitare montagne di cibo, bere litri di birra e poi alla fine decidere un paio di cose riguardante noi vampiri. Avrei voluto frullare tutto, i fogli e il computer, per godermi le sue coccole, ma avevo un impegno e non potevo redimermi dall’eseguirlo. Non dovevo farmi incastrare da quei grandi pozzi neri e dal suo sorriso, quindi tornai di malincuore al mio schermo. “Sai c’è una novità, Rachel è di nuovo incinta!”

“Ottimo!” dissi con noncuranza anche se m’interessava parecchio la questione.

“Dovresti staccare un po’! Ti stanno venendo gli occhi rossi!” si stese accanto a me e il suo profumo era così invitante che mi fece prudere il naso per quanto desideravo stare fra le sue braccia. Mi voltai un secondo andando ad incontrare quel suo corpo eccezionale, poco coperto dove i miei occhi disegnavano le pieghe scolpite nel bronzo della sua pelle, il suo viso preoccupato della mia stanchezza, le sue tenebre lucenti che amavo da impazzire.

< Pensiamo al professore così passano tutte le fantasie! >

“Lo so Jake, ma se non la consegno entro due giorni mi toglie il mio posto da assistente! Sai che ci tengo!” mentre io cercavo delle scuse plausibili per terminare il mio lavoro, si era messo a darmi teneri baci sulla spalla e sulla scapola.  Ma perché deve sempre attirarmi in qualche trappola?

“Basta che non si fa bello con il tuo lavoro come sempre! A me sembra che se ne approfitti di te!E non sono il solo a crederlo anche tua madre lo pensa!” aveva vinto. Quando faceva il premuroso coinvolgendo la sua spia di fiducia, ovvero la mia mamma, diventavo burro nelle sue mani. E contando che la sua temperatura era in media di quarantadue gradi, voleva dire che ero pronta per essere impastata. Cominciai a stiracchiarmi, salvai il mio operato e spensi tutto in un manciata di secondi.

“Nessie, l’essere mitologico un po’ umana, un po’ vampira e ormai anche un po’ computer!” mi lasciai scappare una piccola risata tra le nostre labbra. “Come è andata oggi?”

“Siamo stati a casa dal nonno, giornata matematica per i bambini!” presi tutti i fogli che avevo sparpagliato nel mio lato e li sistemai in una pila disordinata sopra il computer che avevo chiuso. Mi alzai lentamente per portare il mio materiale nello studio collegato alla nostra camera da una piccola porta a scrigno.

“Immagino la loro contentezza!”

“Ad EJ sembra interessino le materie scientifiche, Sarah invece è proprio portata per quelle umanistiche, divora i libri proprio come me!” presi una lieve rincorsa e mi buttai a peso morto sul letto. Il mio lupo odiava quando lo facevo infatti fu immancabile il suo rimprovero.

“Lo distruggerai prima o poi, se continui a saltarci sopra in questa maniera!” mi distesi lungo il suo corpo bollente. Sentì la sua pelle d’oca innalzarsi sotto il leggero solletico che gli stavo facendo sulla spalla. 

“L’altra notte non ho protestato con te quando hai rischiato di distruggere la testiera!” mi piaceva da morire provocarlo, era un modo tutto mio di mettere un po’ di pepe in quel miele che caratterizzava il nostro rapporto.

“Anche quella è colpa tua, sei tu che mi fai perdere il controllo!” ormai che mi serviva rispondere con le parole quando c’era un bel bacio pronto ad aspettarmi. Non impiegò molto a scendere sul mio collo infiltrando la sua mano sotto l’informe felpa in cui ero avvolta  “Ci vuole molto allenamento per imparare a gestire l’autocontrollo, potremmo iniziare da subito, che dici Nessie?” la proposta era allettante, ma sapevo cosa mi aspettava il giorno seguente.

“Jake, sono un po’ stanca mi dispiace ma …” sbuffò con le labbra sulla clavicola non lasciandomi finire nemmeno la frase. Cominciava a seccarsi dei miei rifiuti. Non che non lo desiderassi, sarebbe una bestemmia dire una cosa del genere. Ma la nostra vita era difficile e sfiancante, soprattutto per i mille impegni in cui ero finita.

“Nessie, ti voglio, non riesco più a resisterti! Ti prego …” posò un lieve bacio da dove mi stava parlando “ … ti prego …” un altro bacio sul collo “ … ti prego!” ed un altro sulle labbra, mordicchiando quello inferiore. Basta ero finita nella sua trappola senza neanche troppi indugi. Scivolai lentamente sotto di lui e ricambiai il bacio con passione. Le sue mani lambivano la mia pelle e le mie curve avide. In effetti era da parecchio che non facevamo l’amore, era impossibile resistere oltre. Ma poi uno dei due cuoricini aveva preso il suo ritmo regolare e dei teneri passetti sembravano diretti verso la nostra camera. Ci staccammo svogliatamente sfiorando i nostri nasi “ … Tre … Due … Uno” ci aspettavamo un piccolo vampirello ed invece “Sarah, cucciola, che ci fai in piedi?” la nostra bambina si stropicciava gli occhietti insonnolita. Ultimamente EJ stava prendendo l’abitudine  a voler dormire con noi, e c’era una regola ben precisa che ne io ne tantomeno Jake riuscivamo a far rispettare. Ma Sarah non lo faceva quasi mai.

“Papà ho fatto un incubo, posso stare qui con voi?” aveva un espressione imbronciata così amorevole, da far cedere chiunque.

“Solo finché non ti addormenti, pulce!” le feci immediatamente posto e lei si buttò sul materasso facendo sbuffare il padre. Certe brutte abitudini gliele avevo insegnate io. La mia dolce e forte bambina. Adoravo i miei impegnativi figli, adoravo il mio premuroso marito, anche se i momenti intimi con lui si erano talmente ridotti da essere diventati più unici che rari. Ma come potevo dire di no a due occhi supplichevoli e teneri?

“Vuoi che la mamma scacci via il tuo brutto sogno?” annuì rannicchiandosi contro ilo mio petto  ed io presi ad accarezzarle i capelli per poi posarle una mano sul viso. Immagini colorate ed allegre, presero immediatamente vita. Mille sfumature, giochi di luci astratte. Sapevo che a lei piaceva da morire quando le mostravo quello spettacolo pirotecnico fantasioso. Jacob lentamente si era avvicinato, cercando con il suo calore di tranquillizzarla ancora di più. Dopo un po’ di tempo i suoi occhi si spensero nel sonno, il suo respiro si fece pesante e il suo cuore prese a battere più leggero.

“Siete meravigliose!” mormorò sottilissimo quasi fosse un pensiero sfuggito. Mi appoggiai anch’io sul cuscino continuando ad infondere alla mia bambina la serenità che le era stata strappata.

 

La mattina entrava dalla finestra, filtrata dal vetro. Alzandomi, mi accorsi di essere leggermente indolenzita all’altezza delle reni. Mi voltai e trovai il piccolo EJ che puntellava il suo ginocchio sulla mia schiena mentre la dolce Sarah stava rannicchiata tra le braccia del padre. Sembrava così piccola in confronto a lui, eppure era una bella bambina alta per la sua età. Un momento.

< E tu quando sei arrivato? > succedeva sempre. Solitamente EJ dimostrava di avere in comune con il padre oltre che la fisionomia, anche la capacità di diventare un masso mentre dormiva. Ma se la sorella si alzava anche solo per bere un bicchiere d’acqua, la seguiva come se qualcosa gli dicesse che non era più nella stanza assieme a lui. Certi momenti sembrava addirittura che avessero gli stessi bisogni contemporaneamente. Adoravo guardarli dormire insieme le mie tre gioie, avevano lo stesso modo di raggomitolarsi o di spaparanzarsi. E poi successe l’impensabile. Jacob aprì un occhio senza minacce e senza sevizie. Brutto presagio.

“Buongiorno! Sono tutto incriccato!” feci un cenno invitandolo ad andare in un’altra stanza a parlare visto che c’erano due angioletti ancora nel mondo dei sogni. Sistemammo la coperta sopra di loro, per evitare che prendessero freddo e silenziosamente uscimmo dalla camera.

“Ma quando è arrivato EJ nel nostro letto?”

“Dieci minuti dopo che vi siete addormentate! Ha detto che si sentiva solo e l’ho lasciato dormire con noi! Lo sai che non so resistere quando mi parlano con il tono lamentoso, che usavi anche tu quando eri bambina …  ” non potete immaginare quanto potesse assomigliare ai figli quando accampava scuse.

“Tranquillo, hai fatto bene, c’era Sarah ed è meglio evitare gelosie inutili! Poi quando si svegliano spieghiamo loro che è stata un eccezione e che da oggi si torna nei loro lettini!” cominciai a sfiorare le sue labbra ed invece mi coinvolse in uno di quei baci effetto sauna, che solo lui era capace di donarmi. Prima che me ne potessi accorgere mi aveva sollevato per i fianchi ed appoggiato  sul tavolo del living, sistemandosi fra le mie gambe.

“Riprendiamo il discorso di ieri sera?”

 “Jake i bambini si sveglieranno presto, non è il caso di traumatizzarli che dici?” un pesante soffio sul mio collo per poi staccarsi definitivamente.

“Nessie possibile che non mi desideri? Io non riesco nemmeno a guardarti senza pensare che ti voglio sempre e ovunque! E più passa il tempo e peggio è!” ovviamente con quelle sue lusinghe non faceva altro che alimentare il mio ego. Non pensavo di poter essere femminile e risultare attraente agl’occhi di un uomo, o meglio non per mio volere. Gli diedi un buffetto sulla spalla.

“Non dire sciocchezze, io ti desidero sempre e ovunque proprio come fai tu. È solo che devo rendere conto ad altro  non solo agl’ormoni!”

“E ci rimetto io!” non c’era bisogno di dire che in quel momento mi stavo alterando. Incrociai le braccia al petto opponendo un’altra barriera tra di noi. “Ok, ok mi arrendo!”  

“Lo senti anche tu quest’odore?” stava ancora con le mani in alto in segno di resa mentre io ponevo la mia domanda.

“Quale scusa?” non potevo fare a meno di portarmi immediatamente fuori, aprì la porta e quello che si parò di fronte a me era uno spettacolare scenario bianco e algido, sospeso sotto il manto che tanto amavo “La neve!” non riuscì a bloccarmi e affondai subito i miei piedi nella coperta lattea.

“Nessie ma sei impazzita, sei scalza e mezza nuda mettiti almeno le scarpe!”

“Corri Jake, fai alzare i bambini e falli venire a giocare è bellissimo!” non mi importava nulla delle sue obiezioni volevo solo stare lì. Per questo il mio caro lupo intervenne prendendomi in braccio e guardandomi con quello sguardo che usava quando combinavo un guaio.

“Prima, brutta mostriciattola, ci dobbiamo almeno mettere le scarpe e ci vestiamo un po’ di più, altrimenti ti congeli! Non voglio che diventi un ghiacciolo, ci sono già troppi parenti gelati nella nostra famiglia! E non fare quella faccia!”

“Quale faccia?” non avevo assunto nessuna espressione definibile nemmeno a me stessa.

“Non devi mettere quel broncio impercettibile di quando sai di aver sbagliato e non t’interessa averlo fatto! Forza entriamo!” Jacob era incredibile. Con me diventava uno di quei professori che attraverso le microespressioni del viso, capiscono gli stati d’animo anche quelli più reconditi.

“Jacob sai che mi ricorda la neve?” lo sapeva perché appena dissi quelle parole, gli angoli della sua bocca si allargarono nello splendido sorriso capace di far tremare la terra. Gli accarezzai la guancia e mentre gli sfioravo le labbra lasciai scorrere il ricordo della sua proposta di matrimonio, le mie emozioni, il mio desiderio di lui. Lo sentì rabbrividire e lasciai il suo viso cercando di capire cosa gli stesse accadendo.

“Jacob hai freddo?” una risata leggera s’ increspò sul suo meraviglioso viso.

“No, mostriciattola di Loch Ness!”

“Allora perché hai avuto un brivido?”

“Fa sempre un certo effetto provare i tuoi sentimenti, il tuo potere è fantastico! Ma ora basta chiacchierare andiamo a metterci qualcosa di più pesante!” il mio potere fantastico? Io pensavo solo che fosse una valida alternativa alla parola, non lo avevo mai considerato fantastico. Ma mio marito aveva la tendenza ha farmi sentire sempre al di sopra delle mie capacità.

 

“Prendi questo EJ!” non c’era nessuna lezione e nessun lavoro che teneva. Una neve improvvisa bloccava le strade e ci ‘costringeva’ in casa per almeno una giornata. Non mi dispiaceva affatto visto che potevo passare un po’ di tempo in più con la mia famiglia a giocare, o meglio con i miei figli. Jacob ci guardava da sotto al portico storcendo il naso. Non gli piaceva proprio la neve, e questo mi spingeva sempre di più ad attirarlo in qualche diavoleria con i nostri bambini. Però il mio lupo era all’erta si aspettava una mia mossa. Dovevo architettare un piano ben congeniato dove l’elemento sorpresa era di fondamentale importanza. Su cosa era più sensibile Jacob? Idea! Giocando con i piccoli lasciai trapelare il mio pensiero cercando di non farmi scoprire da quel lupacchiotto che continua ad osservarci sbieco. Poi iniziammo a correre l’uno dietro l’altra, i nostri schiamazzi si potevano sentire da chilometri. Ad un tratto scivolai buttandomi con la schiena a terra. Rimasi stesa ma lui non arrivava. Per attirarlo nella mia trappola cominciai ad allentare il mio cuore ed il mio respiro per alcuni secondi.

“Nessie … ” quando il lupo giunse in mio soccorso, lo afferrai per la maglietta e lo scaraventai nella neve cominciando a riempirlo ovunque. Il ghiaccio si scioglieva repentinamente a contatto con la sua pelle rovente, diventando praticamente un gavettone. Eppure non pareva divertito piuttosto arrabbiato, sconvolto, spaventato. Spaventato? La cosa mi lasciò di stucco. Si alzò seduto prese i miei polsi ancorando i nostri sguardi. Tremava talmente forte da farmi quasi paura, non l’avevo mai visto così sconvolto “Ti ho vista a terra, sembrava che avessi battuto la testa e non ti sei rialzata! Se provi a rifarlo un’altra volta ti ammazzo io con le mie mani!” solo ora mi ero accorta della voce spezzata, del suo respiro corto, del suo cuore accelerato, l’avevo realmente atterrito.

“Papà, la mamma stava solo scherzando lo aveva detto a noi!” intervenne EJ scosso anche lui per la sua reazione. Lasciò i miei polsi e si alzò ancor più furioso, tanto che entrando dentro casa sbatté la porta. “Mamma perché papà si è arrabbiato così?”

“Papà si è spaventato, ha pensato che la mamma si fosse fatta tanto male! Però tranquillo amore, non c’è l’ha con voi!” gli carezzai il viso, anche Sarah si era avvicinata e mi guardava smarrita. “Rientriamo?” mi alzai velocemente e entrai dentro casa. Aiutai i bambini a cambiarsi gli abiti umidi e poi raggiunsi Jacob dentro la nostra camera. Stava disteso sul letto con le braccia incrociate sotto la testa guardando il soffitto.

“Jake scusa se ti ho spaventato non era mia intenzione!”

“Sono cose su cui non dovresti scherzare Renesmee, soprattutto davanti ai nostri figli e coinvolgendoli in questi giochi cretini! Che razza di esempio dai?” si era alzato dalla sua posizione e stava assumendo il tono da lupo alfa dei miei stivali. E poi quella cos’era un accusa sul mio modo di fare la madre?

“Vacci piano Jacob! Non ti permetto di farmi una lezione su come si fa la madre! Era un gioco, un semplice gioco, non ti scaldare troppo! Ti ho chiesto scusa non mi sembra il caso di farne un dramma!” sinceramente mi stava facendo uscire fuori dai gangheri.

“Ti sei comportata come una ragazzina, non come una madre!”

“Sai che ti dico rimani qui a contemplare il soffitto io adesso vado a sbollire!” stavolta fui io a sbattere la porta.

 

Erano tre giorni che non ci rivolgevamo la parola. Il nostro massimo era un ciao di cortesia e dove sono i bambini. Non condividevamo nemmeno il letto visto che lo avevo spedito sul divano. Mi sentivo in collera con lui non solo perché stava facendo un dramma di una stupidata, ma soprattutto per avermi eletto a cattivo esempio per i miei figli, che io veneravo e custodivo gelosamente.

“Nessie, tesoro io capisco che Jacob abbia esagerato ma tu hai fatto veramente uno scherzo orribile! Va bene la caduta ma hai anche abbassato la tua frequenza cardiaca! Mettiti nei suoi panni gli sarà preso un colpo!” avevo bisogno di una riunione al femminile di donne Cullen. Dovevo trovare una soluzione quindi approfittai delle lezioni di Sarah ed  EJ per parlare con le mie confidenti di fiducia.

“Nonna gl’ho chiesto subito scusa, sapevo di aver sbagliato! Però addirittura ad accusarmi di essere un cattivo esempio? Era comunque un gioco!” mi infastidiva che tutte dessero ragione a Jacob, esclusa Rosalie ovviamente.

“E poi dice che siamo noi vampiri i tragediografi!”

“Comunque posso dirvi per certo, che in questo vostro bisticcio ci sono due persone che ne soffrono più di voi!” intervenne mio padre dalle nostre spalle.

“Edward è una riunione tra donne! Tanto Bella ha alzato lo scudo non puoi entrare nelle nostre teste, quindi smettila di origliare!”

“Cosa intendi papà?” la sua affermazione aveva acceso la mia curiosità, non che la mia preoccupazione.

“Sarah ed EJ. Loro si sentono in colpa per quello che sta succedendo! Dovreste parlare e spiegargli che la causa della vostra discussione è solo la vostra stupida ostinazione!”

“Mi hai tolto le parole di bocca fratellino!” zia Alice si avvicinò a mio padre e gli diede il cinque. Non me la sentì di arrabbiarmi visto che avevano assolutamente ragione. In quei giorni non avevo fatto altro che pensare a noi due, alle parole che mi avevano ferita, alla causa di chi e per come. Invece avevo i miei due angeli che soffrivano a vedere i genitori in disaccordo.

 

Note dell'autrice: Buonasera! Ragazzuole ho deciso di complicare un po' la vita alla nostra coppia. Perchè? In effetti con i figli, il lavoro, lo studio, gli impegni di branco è normale ad un certo punto trascurare la coppia. Le priorità cambiano, il sesso scarseggia (secondo me fra due persone sposate è importante quest'aspetto, non dico fondamentale ma nemmeno da restare in astinenza a vita) e i nostri due piccioncini litigano per una stupidaggine facendo soffrire i figli che si colpevolizzano senza motivo. Poveri cuccioli, con nonno Edward che dà contro all'adorata figlia pur di salvaguardare i nipoti. Scusate se posto solo ora ma ho avuto molto da fare oggi.

noe_princi89: ma ciao cara! Ci saranno molti momenti romantici e nostalgici! Sono contenta che ti piaccia! 

SONDAGGINO: sperando che mi rispondiate, avevo in mente due One Shot divertenti sull'addio al nubilato di Nessie e Jake, sempre relativo a Grey Day.  Vi interessa?

Ringrazio le ragazze che mi seguono e che mi preferiscono! Baci! 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO II: Figli, Genitori, Nonni. ***


CAPITOLO II: Figli, Genitori, Nonni.

Le strade finalmente erano libere, per quanto sporadiche nevicate continuassero ad imperversare sull’allegra e solare Forks. Giusto in tempo per la consegna della mia tesina, malvolentieri e con lo spirito gioviale di chi stava con i mitra puntati con il proprio marito. Ogni misero istante passato all’interno della stessa stanza con Jake mi faceva saltare i nervi. Nonostante quello che aveva detto mio padre, non ero riuscita a scambiarci nemmeno una parola. Per quanto volessi smetterla con quella sceneggiata, il suo mutismo non permetteva di andare oltre a qualche verso strano. Ero pronta a scoppiare da un momento all’altro. Delusa, stanca ed amareggiata. Quanto poteva continuare quella solfa? Ma cosa eravamo: adulti o bambini? Consegnai il mio lavoro al professore che subito appose la sua firma sul mio elaborato.  Approfittarsi di me sembrava il suo sport preferito. Jacob mi aveva avvertita. Il mio lupo dolce e premuroso. Mi mancava. Aspettai l’ora di pranzo per incontrarmi con la mamma e sedermi a mensa con lei.

“Renesmee, sei ancora sul piede di guerra con Jake?”  

“È così evidente?” l’aria di casa mia era diventata insostenibile, se non altro per l’opprimente senso di colpa dei miei figli. Prima che a me stessa dovevo rendere conto a loro. Noi li stavamo costringendo in un clima di tensione difficile e per cosa poi? Una stupida questione di orgoglio. Troppo ostinati e testardi per ammettere i nostri reciproci errori. “Bella” gestire la mia abitudine era difficilissimo, per me quella era mia madre, non mia cugina come tutti pensavano “Come la risolvo questa cosa? Quell’uomo è peggio di un mulo!” ero talmente nervosa che giocherellando con la forchetta l’avevo piegata. La sua mano algida ed esangue si posò sulla mia che ormai aveva ridotto ad un groviglio informe quel pezzo di metallo.

“Lo so, ma anche tu non sei da meno. Non pensi che sia il caso di affrontarlo?”

“Si ma ogni mio tentativo di parlargli, diventa un’impresa! Mi risponde a monosillabi! Pagherei per avere una frase completa!” le sentivo erano lì pronte ad uscire da un momento all’altro. Ma non era il caso di piangere per una cosa del genere. Avevamo sopportato di tutto: vampiri sadici e maniaci, minacce, controversie, dolore. Ed ora un semplice alterco ci stava separando con una facilità inaudita. Quando una piccola gocciolina di tristezza e frustrazione inumidì la guancia, mi affrettai ad asciugarla con la manica della giacca. Le bastò fissarmi per qualche secondo negl’occhi, per farmi intimidire e rivolgere il mio viso a terra.

“Sai di cosa hai bisogno?” s’avvicinò al mio orecchio allungandosi con eleganza sopra il tavolo, che ci separava. Mi era difficile pensare che la goffaggine di cui alcune volte ero preda, le appartenesse “Una bella caccia!” il suo sussurro rimase percettibile solo ad un udito sovrannaturale come il mio “E penso che anche i bambini gradirebbero! Ti aiuterebbe ad infonderti un po’ di coraggio non contando l’elemento sfogo che è molto importante!”

“Hai proprio ragione, sono convinta che l’uccidere qualcosa mi sarà di grande aiuto! E poi sono quasi tre settimane che non riesco a scaricarmi in nessun senso!” alla parola scaricarmi tracciai in aria virgolette immaginarie, scordandomi per un secondo che la ragazza con cui stavo parlando era la mia mammina.

“Mi stai dicendo che non fate sesso da tre settimane?” la conversazione era scivolata in campo decisamente minato. Non avevo segreti con la mamma, ma parlare di sesso con lei era come farlo con papà. Imbarazzante. Colpa di quell’ultracentenario che mi aveva insegnato a intimorirmi di fronte a certi argomenti. Di solito se avevo qualche problema pratico ne parlavo a zia Alice, l’unica in grado di non ringhiare, strozzarsi, infartarsi, disgustarsi, ecc. mentre se avevo qualche curiosità a livello medico ne parlavo con nonno Carlisle, sempre molto professionale e distaccato. Presi la bottiglietta d’acqua e l’ingerii tutta. “Renesmee, ti ricordo che io sono nata nel 1987, più di ottanta anni dopo tuo padre. Posso parlare di sesso con mia figlia senza morire di autocombustione! Sei sposata con figli, so come vengono concepiti i bambini!” i nostri toni si erano fatti fini come fili di seta, e la mia risata nevrotica, apparentemente non giustificata, attirò alcuni sguardi su di me. Cercai di calmarmi per distogliere l’attenzione che avevo catturato per riprendere a parlare.

“Lo so, ma è difficile parlare con te dei problemi sessuali che ho con mio marito!” non c’è mai un becchino quando serve, per scavare una bella fossa dove avrei volentieri trascorso il resto della mattinata.

“Fai finta che davanti a te hai Alice!”

“Ma tu come fai a sapere …”

“Che tua zia è la tua confidente in tal senso? Sono andata per esclusione, con qualcuno dovevi parlarne: tuo padre è escluso a priori, Emmett è decisamente l’ultima persona con cui potresti parlare, finiresti per esserne più confusa, non contando la sua pazza gelosia nei tuoi confronti, Jasper lo vedresti arrossire anche se non può farlo, Rosalie sicuramente si rifiuterebbe  di sentire della sua preziosa e delicata nipotina con un cagnaccio puzzolente in atteggiamenti focosi, per Esme nutri un rispetto referenziale, con Carlisle ne parlerai solo a livello medico quindi le uniche due rimaste siamo io e tua zia Alice!” ragionamento ineccepibile. Sospirai ormai messa completamente con le spalle al muro e con il viso in fiamme.

“Sai com’è gl’impegni, i figli che dormono quasi sempre con noi, il branco, la stanchezza, i miei e i suoi doveri. Non è facile gestire tutto quanto, per quanto cerchiamo di dividerci i compiti, mi sento sempre più oberata! Non riusciamo quasi mai a ricavare uno spazio dove poter stare da soli!” calò il silenzio. Temevo il suo giudizio più di ogni altra cosa, quella era pur sempre mia madre.

“Come inizio può andare, smetto subito d’imbarazzarti!” al suo tocco di ghiaccio mi sentì ristorata, le mie gote si spensero del loro rossore ed io ripresi a sguazzare nel suo oro liquido “Oggi quando torniamo prendiamo tuo padre ed i bambini ed andiamo a fare una bella gita!”

 

 

Guardare mio padre farsi raggirare da Sarah era sempre uno spasso. Bastava poco per farlo cadere nelle sue trappole: occhi spalancati, voce supplichevole ed in casi estremi una lacrimuccia latitante sulle ciglia. Ed Edward Cullen da vampiro tutto d’un pezzo, diventava praticamente plastilina nelle sue mani. Ma se papà ha sempre avuto una predilezione per la piccola, lei di suo canto nutriva un amore smodato verso Edward. Un giorno gli ha persino chiesto di sposarla. Mio padre ovviamente aveva declinato l’invito, dicendo che innanzitutto era già coniugato e poi due parenti di sangue non si possono unire in matrimonio. Così la piccola andò da Gabriel chiedendo la sua di mano, visto che non era un parente diretto. Jacob a quel punto diventò verde e se lo avesse potuto sbranare lo avrebbe fatto volentieri.

“Nonno, ti prego solo un’altra volta! Per favore!” da quando eravamo tornate quella era la terza volta che rimettevano la musica. Claire de Lune. La storia si ripeteva. Moglie, figlia, nipote.  Per fortuna che i vampiri non risentono della stanchezza e non provano dolore altrimenti mio padre avrebbe avuto entrambi i piedi atrofizzati.

“Sarah, questa è l’ultima volta! Poi dobbiamo andare a caccia!” un po’ mi infastidiva tutto questo essere amore e cuoricini di entrambi. Lo amavo ma allo stesso tempo mi ingelosiva. È assurdo dirlo, ma mio padre non era mai stato così con me. L’integerrimo vampiro che mi sgridava e non si lasciava imbambolare facilmente. Avevamo molti momenti intimi e nostri come quando suonavamo, sapeva essere dolce, comprensivo. A parte con la mamma io non lo avevo mai diviso con nessuno. Lui era il mio papà sempre. Ed ora era anche il nonno di Sarah ed EJ.

 

 

Era superlativo osservare come raffinassero le loro tecniche di caccia, praticamente mischiando le carte avevamo raggiunto la perfezione come predatori. Silenziosi, agili, più veloci di me e di Jake. Oltre ad essere svelti e furbi, erano in due e questo non facilitava le cose.  Seguirli era diventato ancora più arduo, anche se come me, avevano la necessità di ristorarsi. Era un momento di calma. Giocavano con dei sassi in un ruscello in parte ghiacciato, ne lui ne loro risentivano del freddo provocato dalla neve di quei giorni. Io e mia madre eravamo sedute poco lontane ad osservarli. Li sentivo borbottare e ridere, vedevo Edward entusiasta ad ogni sciocchezza, rivolgere sorrisi che io non avevo mai avuto. Non so se la situazione con Jacob influisse sul mio stato d’animo. Ma più tentavo di convincermi che fosse sbagliato, più sentivo l’invidia usurare il cervello. L’invidia non dovrebbe esistere. Ti logora dentro e più cerchi di combatterla più s’insinua e si espande. Guardai mia madre, che con un’espressione beata ma allo stesso tempo assente, continuava ad osservarli.

“Mamma?” era assorta in un torpore sereno, da cui cercai di destarla.

“Credo che in questi anni non te l’abbia mai detto. Grazie!” alzai la testa guardando quello sguardo aureo che non si staccava dai miei due gioielli intenti nel far impazzire Edward.

“Per cosa mamma?”

“Per averci dato loro!” mentre pronunciava quelle parole le vidi un sorriso alzarsi dall’angolo della sua bocca. Mi sbagliavo. Lei non era la più bella stella del cielo, lei era il cielo stesso. “Con te è stato tutto così rapido, ero talmente preoccupata a farti crescere bene, cercare di insegnarti il più possibile che sei diventata subito grande. Invece con loro è così diverso. È come se fossero i miei figli ma non ho quella smania di sbagliare, perché sono fiera di quello che tu sei diventata! È tutto così …”

“… consapevole, come se le vostre mosse fossero già scritte? L’avevo notato mamma … ” abbassai lo sguardo con un groppo in gola, quel senso odioso ed innaturale che stavo covando da un po’ si faceva sentire come una spina puntata sul cuore.

“Piccola c’è qualcosa che non va?” stavolta i suoi occhi erano puntati su di me.

“Nulla!”  come avrei potuto nasconderle quello che stavo provando? Anch’io ero madre, sapevo esattamente cosa significasse conoscere così a fondo i tuoi figli da poter percepire la minima variazione del proprio umore.

“Ne sei sicura? È per la situazione con Jake o c’è qualcos’altro? Sai che con me puoi parlare, non tenerti tutto dentro!” le parole uscirono velocemente senza che io potessi più gestirle. Partì in quarta, lasciando che tutto scivolasse verso di lei.

 “Mamma, hai visto papà come si comporta con Sarah? Con lei è come se non avesse paura di essere la persona amorevole che in realtà è. Invece con me era sempre serio, mi dava tanto affetto certo, ma prima di tutto era un educatore e come tale in ogni suo gesto c’era sempre una morale, un insegnamento, quel qualcosa che lo rendeva il papà docente! Non so, credo che mi sarebbe piaciuto essere al posto di mia figlia …” non riuscivo a guardare mia madre ma potevo sentire le mie gote arrossarsi. Mi vergognavo enormemente.

“Guarda che tuo padre fa esattamente lo stesso con loro! Ma come  hai detto tu stessa, ormai sappiamo già come muoverci abbiamo imparato ad affrontare quelle piccole difficoltà che si presentano nella vita di un genitore. In realtà  non vorresti essere al posto di lei, ma al posto di lui! Desidereresti già aver raggiunto quel modo conscio di rapportarti con loro! Ma tesoro, sei solo all’inizio, devi ancora imparare tanto e non credere che noi abbiamo smesso. È vero siamo diventati nonni, ma il nostro compito di genitori non finirà mai!” mi accarezzò il viso costringendomi a guardarla negl’occhi. In quel suo mondo personale prezioso potevo scorgere le sue parole. Era la mia mamma, e mi stava dando una lezione di vita, non aveva terminato il suo compito di genitore, lei aveva la possibilità di essere la mia guida per sempre. I miei figli probabilmente mi avrebbero sempre vista come io guardavo lei, o comunque lo speravo. Mentre ancora stavamo parlando, si avvicinarono tutti e tre con  le mani dietro la schiena. Avevano lo stesso sguardo birichino di chi aveva qualcosa da nascondere. Ci alzammo in piedi e loro ci risposero con un risolino.

“Cosa ci state nascondendo?” intervenne mia madre con il sorriso sulle labbra. Mio padre si chinò all’altezza dei bambini, gli sussurrò qualcosa attento a non farsi udire e poi si rialzò in piedi fissandoci tutto contento. Cosa avevano combinato?

“Chiudete gli occhi ed aprite le mani! Non dovete riaprirli finché non ve lo diciamo noi!” in contemporanea alzammo il sopracciglio contrariate all’ordine di papà “Niente domande e fate quello che dico!” ci guardammo per un attimo e poi ubbidimmo.

< Papà se ha più di sei zampe, sei morto! >

< Tua madre mi ha appena comunicato una cosa simile! >

Non riuscì a trattenere una risata. Poi sentì sulla mia mano un oggetto freddo non troppo pesante, liscio. Sembrava quasi di toccare la pelle dei miei.

“Potete riaprirli ora!” avevo tra le mani una pietra quasi trasparente con dei riflessi tra l’azzurro e il bianco. Era bellissima e rimasi senza fiato. Mi voltai verso mia madre che aveva la mia stessa aria stupita.

“Il nonno ha detto che queste sono le pietre di luna!” intervenne EJ costringendoci a guardarli.

“Appena l’abbiamo viste, abbiamo pensato la stessa cosa: dobbiamo darle alle nostre lune!” diede un bacio a fior di labbra a mia madre che come me se ne stava ancora, era il caso di dirlo, impietrita.

“Mamma a te non è piaciuta?” mi era piaciuta troppo, ma il solo pensare di aver ricevuto dai miei piccoli angeli un regalo, il loro primo vero regalo, senza una ricorrenza come motivazione, mi aveva totalmente distaccata dalla realtà. Mio padre mi guardava impensierito e lo vedevo contrito nella ricerca di un qualche mio pensiero. Ma ero ancora stordita dalla rivelazione che avevo avuto. I miei cuccioli mi amavano più di quanto potessi credere possibile. Riuscì a disincantarmi e a prendermi quelle coccole che mi attendevano fra le loro gracili braccia.

“Mi è piaciuto parecchio!” dissi nelle loro orecchie e loro rabbrividirono al mio soffio leggero. Alzai gli occhi e mio padre aveva alzato l’angolo della sua bocca in quel caratteristico sorriso. Ma una piccola sorpresa si trovava sul volto di mio figlio. Quella tipica smorfia appartenuta sempre a mio padre e raramente a me, si trovava nel dolce volto del mio bambino.

“Riprendiamo la caccia?” annuirono contenti.

“EJ ora tocca a me stare sulle spalle del nonno!” subito la piccola si attaccò alla gamba di papà con quella faccina da impertinente che avevo visto solo ad un lupo di mia conoscenza.

“Sarah no, ci stai sempre tu!” litigavano costantemente per chi dovesse correre assieme ad Edward. Lui era il più veloce di tutti, per questo diventava molto appetibile in quel senso.

“Nonno diglielo che lui c’è stato tutto il tempo e che ora tocca a me!” mio padre non riusciva assolutamente a resistere alla vocina implorante di Sarah, ma si rendeva conto che per non creare disparità doveva accontentare anche EJ. La mia lupacchiotta tendeva, in effetti, a monopolizzarlo, cosa in cui mio padre ci sguazzava come un’oca in uno stagno.

“Nessie, Bella mi vorreste aiutare per piacere?” disse in un fil di voce cercando di non farsi accorgere.

“No, voglio vedere come si districa da solo!” mia madre mi aveva preceduto.

< Siete perfide! > gli lanciai un bacio in aria vedendolo in difficoltà. Ma ormai avevo deciso di vedere se riusciva a risolvere la gelosia dei miei figli.

< Hai voluto fare il nonno, adesso beccati questo! > intanto Sarah aveva cominciato a sgranare gli occhi. Tirava fuori le armi pesanti, la piccola.

“Sarah, ti ho portato quasi tutto il giorno in spalla all’ultima caccia, non credi sia il turno di EJ?”le carezzava dolcemente la testa, si vedeva che avrebbe ceduto di lì a poco.  Altro che armi pesanti stava tirando fuori il repertorio completo compreso di lacrimuccia latitante e labbro tremulo.

“Hai visto che anche lui mi da ragione!”intanto EJ cominciava seriamente a spazientirsi. Mio padre andò a cercare nel mio sguardo un ancora di salvezza: da un lato sapeva che era giusto dedicarsi all’altro nipote ma dall’altro Sarah aveva la capacità di sfilargli le calze senza togliergli le scarpe. In quel momento la mia invidia era completamente passata. Non volevo essere al suo posto.

“Sarah, cucciola lasciamo che i due maschietti se la sbrighino da soli! Sarà anche più veloce tuo nonno ma noi siamo in tre possiamo tranquillamente batterli!” all’intervento di mia madre la piccola si staccò immediatamente dalla gamba di mio padre e ci venne incontro, grande idea spingerla sull’orgoglio femminile e sulla competizione.

< Te la sei scampata stavolta, ringrazia tua moglie! >

 

Note dell'autrice: Ma ciao ragazzuole!!! Eccoci al capitolo dove abbiamo visto un Edward e Bella nonni. Vi sono piaciuti? bhè lo spero! Nessie e Jake ancora non si sono confrontati ma non temete! Presto vedremo se la cosa continuerà a trascendere o se si risolverà? E come faranno la pace?

Rocxy: Non ti scusare di nulla! l'importante è che ti sia piaciuta. Mi fa comunque piacere che apprezzi anche il seguito.

SONDAGGINO: rinnovo la domanda, avevo in mente due One Shot divertenti sull'addio al nubilato di Nessie e l'addio al celibato di Jake, sempre relativo a Grey Day.  Vi interessa?

 

Ringrazio le 100 persone che sono passate di qui (incredibile in così poco tempo) le 4 preferite e le 8 seguite. Andate e moltiplicatevi per usare una citazione biblica!

Ringrazio poi:

FedericaR che mi ha aggiunta tra gli autori preferiti!

noxy2004it la mia nuova recensionista e collega!

Baci e al prossimo capitozzolo!

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Capitolo 4
*** CAPITOLO III: Imparare a crescere. ***


CAPITOLO III: Imparare a crescere.

Quella sera, Jacob aveva il raduno settimanale con il branco per organizzare le ronde e quant’altro servisse per mantenere alta la protezione. Incredibile ma per la prima volta dalla discussione avevo la rabbia a zero e avrei voluto riabbracciare mio marito, indipendentemente dai muri e dai fossati che si era costruito. Ero decisa che al ritorno avrei parlato di come i nostri figli stessero digerendo male la situazione che si era venuta a creare, dovevamo finirla con quella pagliacciata dei musi lunghi. Basta, era arrivato il momento di far vedere a mio marito di che pasta ero fatta. Portai a letto i miei cuccioli la loro giornata passata a caccia era risultata molto stancante. Stavo ripercorrendo mentalmente le fiabe possibili quando la vocina di Sarah interruppe ogni mia qualsiasi congettura.

“Mamma, ci racconti una fiaba nuova” la mia dolce lupetta si sistemò sotto le sue coperte abbracciando il suo inseparabile Eddy. Era incredibile. Adorava quel pupazzo a forma di maiale fin da quando era nata, lo aveva addirittura chiamato come il nonno per quanto lo amava. Quando un giorno lo raccontai in casa ho visto per la prima volta zio Jasper sganasciarsi tanto da doversi sedere per riuscire a contenersi, un comportamento così me lo sarei aspettato da Emmett, ma da Jazz era difficile vederlo piegato letteralmente in due per le risate. Non tardò ad arrivarmi netto il ricordo. Era lì nascosto tra l’intrigo della mia materia grigia che aspettava solo di riaffiorare nel momento più opportuno. Lieto e gioioso. Uno dei più bei pomeriggi mai passati durante la mia brevissima infanzia. Mi annoiavo da morire, nessuno sapeva come farmi passare il tempo. Ad un tratto Alice ebbe una folgorazione. Aveva tirato fuori una cesta dove tenevo i miei peluche preferiti, ne avevo una quantità smisurata ma quei cinque mantenevano il posto d’onore. Erano un leone, una fatina paciosa, un orsacchiotto, un lupo regalo di Jake di cui ero gelosissima e un pupazzo a forma di maiale. Alice li prese e li distribuì ad Emmett, Jasper e a mio padre a cui capitò il maiale. ‘Nessie, ti va di assistere ad uno spettacolo spettacolare!’ mio padre era diventato ancor più pallido e nei suoi occhi topazio distinguevo un velo di terrore. Si stava per dileguare ma prima che lui potesse scomparire mi avvicinai con aria supplichevole e con lo sguardo alla Bambi, pregandolo di esibirsi nello spettacolo che la zia stava organizzando. Passarono più di un’ora dietro al divano improvvisando una scenetta. Per me era diventato Edward il maiale.

“Una fiaba nuova dici?” tutte le sere o io o Jake ci sedevamo a terra tra i loro letti, a gambe incrociate dove solitamente posavamo il libro di turno che accompagnava i sogni delle mie due canagliette.

“Si mamma, non quelle che ci hai già letto, le sappiamo a memoria!” intervenne EJ scambiandosi uno sguardo complice con la sorellina. Avevano uno strano modo di comunicare in alcune occasioni, non sembravano avessero bisogno di parole, come fra me e mio padre. In alcuni momenti, anche a distanza li sentivo pronunciare le stesse frasi. Avevano un filo che li legava.

“Io  conosco una favola molto bella!” dissi cominciando ad intrecciare le mie dita “Allora c’era una volta una donna che aveva due figlie, una si chiamava Leah … ”

“Come la zia?”

“Si tesoro come la zia, ma non era simpatica come la zia, era molto odiosa e il suo aspetto non faceva altro che esternare il suo animo crudele!” avrei chiesto perdono a Leah, non eravamo di certo diventate amiche ma almeno ci rispettavamo e non ci saltavamo al collo, ma pensando ad una persona antipatica era stata la prima a venirmi in mente “ la madre era un’arpia, proprio come lei per questo andavano molto d’accordo …”

“Come si chiamava la mamma?”

“Si chiamava Alice! E come vostra zia comprava mille abiti, scarpe e gioielli per la sua amata figlia, la coccolava e la viziava.” Vendetta tremenda vendetta nanerottola pazza! “Entrambe odiavano a morte, la sorella di Leah. La poverina era molto dolce e gentile, ed aveva un animo buono e sincero. Il suo nome era Esme!” sentì i miei bambini ridacchiare da sotto le loro coperte. In effetti non era difficile associare a bontà e gentilezza la nonna. “La costringevano a cucinare enormi quantità di torte di mele … ”

“No mamma, quella sei tu!” disse quella piccola impertinente stretta ancor di più a quel pupazzetto.

“Sarah non interrompermi!” mi schiarì la voce cercando di tornare seria “Dicevo: la costringevano a cucinare un’enorme quantità di torta di mele e a fare tutte le faccende di casa anche quelle che andavano al di sopra delle sue forze!”

“Ma la nonna non può stancarsi!” borbottò EJ.

“Bambini, sono io che racconto e in questa storia i vampiri possono stancarsi! Se mi interrompete perdo il filo e rischio di confondermi! Non vorrete che faccio arrivare il lupo cattivo …”

“Il lupo cattivo non esiste, esistono i vampiri cattivi! I lupi sono tutti buoni!”

“ Questo lo dice vostro padre Sarah, ma avrei qualcosa in contrario a proposito. Insomma ci sarà qualche lupo che ruba le caramelle in qualche angolo sperduto del mondo no? Ecco ora non mi ricordo più dov’ero rimasta!” finsi un po’ di irritazione, in realtà non mi ero mai divertita tanto.

“Esme che doveva fare tutte le faccende!”

“Ah già! Dicevo che era costretta a fare tutte le faccende. Persino doveva andare due volte al giorno ad attingere acqua al pozzo …”

 “Non potevano usare quella del rubinetto?” domanda lecita da parte di una ragazzina sveglia ed intelligente.

“No perché mamma Alice per riempirsi di inutile abbigliamento spendeva tutto il suo denaro e non poteva pagare le bollette! Posso continuare senza essere bloccata?” sentì solo uno sghignazzare divertito da parte delle mie birbe come assenso. “Un giorno mentre Esme si trovava al pozzo, una vecchina di nome Sue, si avvicinò alla ragazza e le chiese gentilmente se le poteva porgere da bere …”

“Anche la vecchina non pagava le bollette?” anche il ragazzino non era uno sciocco, mi dovevo aspettare che intervenisse.

“D’ora in poi niente domande, primo perché vi state rendendo troppo attivi ed invece dovreste dormire secondo perché se ogni volta mi fate domande perdo il filo!”

“Va bene mamma!”

“La dolce Esme, si affrettò a sciacquare la brocca e a riempirla per darla alla vecchina che subito dopo aver bevuto si trasformò in una bellissima vampira incantata, era uguale uguale a zia Rose. ‘Dolce ragazza, tu sei tanto buona, bella, brava ed intelligente’ Esme la guardò accigliata per poi dirle di tutta fretta ‘Scusi vecchina vampira incantata, non per metterle fretta, va bene l’effetto speciale della trasformazione le giuro che mi è piaciuto tantissimo, ma le spiace venire al punto in breve, perché a casa ho una madre nana e pazza e una sorella odiosa, se non porto loro l’acqua pretenderanno che io faccia da porta buste a vita!’ la vecchina si schiarì velocemente la voce udendo il tono assolutamente spaventato e capendo la situazione tragica della ragazza …”

“Nessuno vuole fare da porta buste a zia Alice!”

“Appunto! Dicevo che capendo la situazione tragica della ragazza si affrettò a parlare ‘Ti voglio fare un bel regalo!’ la ragazza non abituata a ricevere regali si insospettì e disse ‘Sei per caso un Volturo? Vuoi in cambio qualcosa?’ ‘No, ma cosa ti salta in mente? Io sono molto giovane! E no mi è bastata l’acqua!’ ‘Scusa, non  volevo offendere è che non sono abituata a ricevere regali!’” i miei piccoli ridevano a quello scambio di battute che dicevo alternando due tipi di voce. “ ‘Scusa accettate, cara. Ad ogni parola che dirai dalle tue labbra usciranno fiori e pietre preziose’ a quello che la vampira incantata disse la ragazza impallidì visibilmente ‘Cosa c’è adesso?’ ‘Non c’è il rischio che mi strozzi?’ ‘Hai ragione a questo non avevo pensato! Facciamo così che usciranno dalle tue labbra e in più non ti strozzerai!’ e detto così scomparve in una nuvola rosso Valentino. Tornando a casa, trovò la madre fuori la porta con la posizione stile nonna Bella quando si arrabbia!”

“Braccia conserte, piede picchiettante e sopracciglio alzato?”

“Si, si proprio quella!”

“Poverina allora!”

“Infatti si affrettò subito a spiegare le cause del suo ritardo ‘Mamma, aspetta prima di sbottare, lasciami spiegare!’ alla vista di tutte le pietre preziose che spuntavano a destra e a manca Alice strabuzzò il suo grande sguardo dorato e disse ‘Mi sbaglio o con quelle ci possiamo fare gioielli?’ ‘A occhio e croce …’ disse Esme in un sussurro”

“Mamma la nonna non parla come te!”

“Shh! Mia la narrazione, mia creazione! Dicevo alla vista di tutte quelle pietre preziose Alice pensò che con due figlie poteva raddoppiare la sua fortuna. Si fece spiegare per filo e per segno il modo in cui Esme era riuscita ad ottenere il suo dono, prese accurati appunti su un grande raccoglitore fucsia tutto tempestato di porporina viola, fece la bella del suo piano ed andò da Leah che stava mangiando l’ultima torta di mele che Esme aveva fatto. ‘Devi andare alla fonte!’ ‘C’è già chi lo fa per me perché dovrei farlo io?’ ‘Vai alla fonte!’ ringhiò Alice alla figlia che prese il foglio e s’incamminò alla fonte. ‘Allora, brocca: portata; acqua: ci siamo; dobbiamo solo aspettare la vecchina con gli effetti speciali’ ripercorreva gli appunti lasciatele dalla madre. Ad un tratto si avvicinò una bellissima ragazza che le chiese da bere. ‘Io non do da bere alle sanguisughe!’ allora la bella ragazza, che altri non era che la fata di prima, fece apparire una fitta nuvola blu cobalto, perché il rosso le sbatteva troppo, di risposta Leah si tramutò in un gigantesco lupo ‘E no!’ sbottò la fata ‘Tu sei veramente una screanzata, ti meriti una punizione dalla tua bocca usciranno solo ragni e scorpioni e ti ci strozzerai pure!’ ” dicendo così rabbrividì, mi faceva schifo anche solo pensarli quei cosi. La favola originale parlava di rospi e serpi perché avevo tirato fuori i miei acerrimi nemici? “ Dopo aver squarciato il silenzio con un ululato partirono tre quattro abomini dalla sua bocca! Spaventata corse alla velocità della luce verso casa dove Alice dopo aver appurato che invece di gioielli le uscivano fuori quei cosi schifosi si voltò verso Esme e disse ‘È tutta colpa tua!’ ‘Mia io che centro?’ ‘Tu centri sempre! Vattene da casa mia’ ringhiò profondamente mentre accarezzava Leah che aveva deciso di rimanere in forma di lupo. La dolce Esme fuggì a tutta velocità trovando ristoro in una grande villa nel cuore della foresta. Di lì passò un giovane alto, bello, luminoso. ‘Povera fanciulla, perché piangi?’ ‘Mia madre mi ha cacciata perché aveva la luna storta!’ a quelle sue parole uscirono rubini e rose, il giovane la guardò stupito ‘Che cosa interessante, sai io sono un medico famoso, sono il dottor Cullen ma tu puoi chiamarmi Carlisle!’ ‘Mi piace Carlisle!’ ‘Affascinante! Senti facciamo così: sposami, unisciti alla mia grande famiglia, adottiamo dei super vampiri con i più svariati poteri e rendiamo felici i nostri nipotini!’ ‘Certo hai uno smoking con te?’ ‘Lo indosso già!’ e dicendo così si levò il camice mostrando un abito degno di un principe, prese tra le sue braccia Esme e la condusse nella prima chiesa libera. E tutti vissero felici e contenti in un grande e lussuosa villa bianca in mezzo alla foresta di Forks!” (ndr rif: Le fate di Carlo Collodi) mi ero talmente persa nella mia favola che non avevo notato i miei cuccioli addormentati. Andai da Sarah sistemandole le gambe sotto le coperte, le baciai la fronte e le carezzai la testa. Quando invece mi avvicinai ad EJ lui aprì gli occhietti, guardandomi con quello sguardo sfavillante lucido di lacrime. Aveva la tendenza a caricarsi dei problemi degl’altri e farli propri, assorbendo quello che lo circondava ed esternandolo raramente. Come mi ricordava mio padre, che si è sempre preoccupato per tutti escluso che per se stesso. Mi ci sdraiai accanto e come sempre quando era inquieto si carezzava le labbra con il dito.

“Cos’hai piccolo? Non ti è piaciuta la favola?”

“Mamma, tu e il papà state per divorziare?” dritto al punto senza giri di parole. Temeva che divorziassimo per una stupidaggine. Quanto eravamo stati sciocchi a far vivere loro le nostre tensioni e per cosa poi. Cominciai a giocherellare con i suoi capelli scuri, mi sembrava di farlo al padre li portavano alla stessa maniera.

“No tesoro! Come ti è venuta in mente una cosa del genere?”

“Non dirlo a Sarah che te l’ho detto,  anche lei lo pensa ma non vuole che ve lo dica, mi uccide se lo viene a sapere. Due giorni fa ha visto in una delle soap di zia Rose, due persone che smettono di amarsi e divorziano. Poi litigano per chi deve stare con i figli! Voi due stavate sempre appiccicati, adesso non vi parlate neanche! Io non voglio scegliere, voglio stare con entrambi!” con il dito si accarezzava le labbra, come per calmarsi. Il mio dolce piccolo EJ. Stava soffrendo davvero tanto, creandosi una visione sbagliata dei nostri futili problemi.

 “Cucciolo, non dovresti avere paura!Non credo che io e papà divorzieremo mai! Vedi purtroppo quando si è grandi si finisce per confondere delle sciocchezze per cose serie. Noi ci amiamo tanto, e amiamo tanto voi due!La tua mamma ti promette che adesso risolverà tutto ! Adesso dormi amore mio!” chiuse gli occhietti leggermente rincuorato, io gli baciai la testa rimboccai le coperte e mi accorsi della porta di casa che si era chiusa. L’odore di Jake era molto presente ma lui non c’era. Probabilmente stava ascoltando. Andai dietro la sua scia. Lo trovai fuori seduto sotto al portico con una bottiglia di birra in mano. Raramente Jake beveva da solo.

“Possiamo parlare?” mi avvicinai lentamente, lui non mi degnò nemmeno di uno sguardo, continuando a sorseggiare la sua birra. Rimaneva ad osservare la neve che cadeva, illuminato solo dalla luce del piccolo lampioncino alle mie spalle. “Jake ti prego per quanto mi terrai il muso? Io non posso proseguire ancora per molto, nemmeno i nostri figli, basta fare i bambini cerchiamo di comportarci da adulti!” mi avvicinai e gli carezzai il viso costringendolo a guardarmi. Sguardo languido e voce dolce all’attacco.

“Renesmee, quando ho sentito il tuo cuore rallentare, mi si è appannata la vista e non ci stavo più con il cervello! Non potevo andare nel panico perché c’erano i bambini, ma il solo pensiero che ti fosse successo qualcosa mi ha fatto letteralmente impazzire!” le prime parole dopo giorni. Nonostante la sua voce tremante, la sua apparente indifferenza mi sembrava di ascoltare il suono più melodioso esistente in natura. Mi era mancato incredibilmente. Jake era indispensabile per me, almeno quanto io ero indispensabile per lui.

“Lo so e ti ho chiesto subito scusa! Non è giusto che tu mi abbia accusato di essere una cattiva madre!” lui distolse lo sguardo e riprese a bere la sua birra. Non potevo crederci. Pensava seriamente che per un errore io fossi una cattiva madre. La cosa mi feriva e non poco. Io che avevo messo a repentaglio la mia stessa esistenza per loro,  che donerei la mia anima a Satana pur di vederli felici una cattiva madre perché avevo fatto uno scherzo e li avevo coinvolti? Non ero arrabbiata, ma delusa. Non riuscivo a rispondere, avevo solo un lungo e profondo sospiro. Mi voltai per potermi allontanare ma mi strattonò a sé, adagiandomi sulle sue gambe. Riamasi interdetta da quel comportamento ma poi iniziò ad accarezzarmi il viso e tutto il mio rancore venne spazzato via da quel calore. Sentivo di essere persa senza di lui. Non volevo più fare stupide questioni di orgoglio. Mi accoccolai sulla sua grande mano, felice di aver ritrovato le sue attenzioni.

“Io non penso assolutamente che tu sia una cattiva madre, sei splendida con loro e hai rischiato la tua vita pur di salvarli! Quando ti ho detto quelle cose ho sbagliato, ma devi capire che ero realmente scosso ed ho reagito malissimo! Parlavi a mezza bocca, mi hai spedito sul divano e ci sono rimasto malissimo!"

"Io parlavo a mezza bocca? Invece tu eri loquace come zia Alice in una giornata di saldi!"

"Diciamo che siamo stati un po' troppo testardi tutti e due!" con la punta delle dita carezzò le mie labbra, come se non aspettasse altro che farle sue. Un fremito percorse la mia schiena finendo ciò che il feddo aveva iniziato "Ti amo Nessie, non riuscirei a vivere senza di te! E poi tu sai raccontare le favole come nessun altro! Alice da mamma perfida ce la vedo proprio!” avevo anche ottenuto il suo sorriso offusca pensieri.

 “Ti è piaciuto il mio adattamento?”

“Mi è piaciuto soprattutto come te la sei cavata con le risposte per quelle due menti perverse almeno quanto la tua! Sei un’avversaria tenace!” la sua mano, dapprima intenta in dolci carezze, mi attirò  in un bacio che attendevo con ansia. Lasciai che la mia bocca si dischiuse assaporando a pieno il mio Jacob.

“Mmm … sai di birra!” dissi fra le labbra che non avevano nessuna intenzione di staccarsi, dovevano recuperare il tempo perso.

“Non ti piace?” ripresi a baciarlo ancor più intensamente. Se uno deve fare la pace la deve fare per bene. Poi cominciai a sentirmi strana, osservata. Alzai lo sguardo continuando a restare legata a lui e notai quattro piccoli bagliori verdi fissarci per poi scomparire dietro la tenda.

“Siamo stati spiati!” Jake si voltò e mi sorrise. Mi stampò un lieve bacio a fior di labbra e mi fece alzare. “Sarà meglio rimetterli a letto! Mi aspetti in camera?” gli chiesi mentre con le unghie imitai il gesto di strappare la maglietta all'altezza del petto, mordendo il mio labbro inferiore involontariamente esternando un desiderio che non avevo più provato da tempo.

“Niente divano per me?” emise una voce roca, arsa dalla voglia che avevo scatenato con pochi semplici gesti. Finalmente nel petrolio dei suoi occhi, trovavo l'amore, e non la rabbia. Era giunto il momento di giocare.

“Sai Alice mi ha consigliato un piccolo indumento da indossare per far assolvere le mie colpe …” il mio tono malizioso e il mio sguardo ammiccante lasciavano intendere tutto.

“Non so perché ma ho un’unica domanda che mi viene in mente: quanto è piccolo questo indumento?” s'avvicinò alle mie labbra come attratto da una forza ingovernabile. Io indietreggiai lasciando sospeso in aria con gl'occhi socchiusi.

“ Abbastanza … Ci sono parecchie cose di cui mi devo far perdonare! Il divano sarebbe troppo … troppo … troppo … scomodo!” lasciai un lieve bacio a punto della mia frase e lui rabbrividì notevolmente.

“Sia benedetta Alice e le sue idee!” peccato che i nostri figli non fossero d’accordo sul modo di fare la pace che volevamo adottare e pretesero di dormire con noi.  Quando rientrammo li trovammo già sotto le coperte del nostro letto. Il primo tentativo d'imporgli la loro camera venne subito combattutto infilando il dito nella piaga del rimorso. Come potevo negarglielo dopo che li avevamo fatti patire per un’idiozia?

 

Note dell'autrice: La favola spero sia piaciuta. Era la mia fiaba preferita da bambina, ho il libro consumato in quel punto. L'ho leggermente riadattata per la nostra Nessie, visto che lei non è mai banale. Hanno fatto pace!!!Evviva! Non proprio come avrebbero voluto ma effettivamente dopo che i figli avevano sofferto in quella maniera come potevano negare loro la gioia di condividere il letto. La complicità di un uomo e di una donna si costruisce anche nelle piccole difficoltà giornaliere.

noe_princi89: cara hai visto? hanno fatto la pace, ci è voluta una settimana ma si sa sono cocciuti!

kekka cullen: Ciaooo!!! Benvenuta! grazie per avermi messa tra gli autori preferiti! E si Eddy e Bells li vedo molto più come nonni che come genitori. Non lo so perchè sinceramente ma io ho sempre pensato che la nascita di Nessie li ha colti impreparati, come nella vita normale ma con lei era ancora più difficile perchè la sua crescita repentina non permetteva di rimediare agl'errori. Oltretutto l'hanno letteralmente divisa con tutti, Jake, gli zii, i nonni. Quindi i nipoti se li vogliono godere il più possibile magari facendo quelle cose che con Renesmee non hanno avuto tempo! Spero che ti sia piaciuto il capitolo!

Never leave me: Finalmente! Sei qui! Ti aspettavo impaziente! Spero che la riconciliazione Nessie e Jake sia stata di tuo gradimento! Lo spaevo che l'introduzione ti sarebbe piaciuta: intrigante, romantica insomma una scena da te! Non temere che ce ne sarà per il tuo palato, e questo non sarà il primo scontro a cui andranno incontro. Crisi del settimo anno che sfocierà in un evento particolare ! Incuriosita? Non dico di più bocca cucita!

 

Ringrazio gli 11 che mi hanno messa tra le seguite e i 5 tra i preferiti!

Recensite!

SONDAGGINO: Raccolgo ancora le firme per le One shot sull'addio al nubilato di Nessie e quello al celibato di Jake. Chi le vuole apponga la sua impronta!!!

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Capitolo 5
*** CAPITOLO IV: In debito. ***


CAPITOLO IV: In debito.

Casa di Sam non è mai stata una reggia, ma se dentro ci infili stipati cinque omaccioni tra il metro e novanta e i due metri, diventa ancor più piccola. Per fortuna che noi ragazze lupo (ormai mogli lupo, io peggio moglie lupo/ mezza vampira) siamo piccoline e ci serviva poco spazio, giusto un angolo dove poter chiacchierare in pace, mentre gli uomini gestivano il barbecue parlando di cose da lupi. La prole si era invece sparpagliata al piano superiore, maschietti da un lato a giocare ai videogame e femminucce dall’altro. Ormai il branco poteva contare su una buona discendenza: c’era Nate, Sarah, EJ (anche se sembrava più un vampiro che un lupo), Crystal, Billy ed un nuovo arrivato Alexander, il figlio di Jared e Kim. Strano che il secondo ad avere l’imprinting fosse stato l’ultimo a sposarsi e a figliare.

“Nessie mi sbaglio, o hai fatto innamorare un altro lupacchiotto?” stavamo tutte intorno all’isola della cucina a pulire il granturco fra una risata e l’altra. Io in realtà avevo le braccia occupate dal piccolo Alex, che sembrava nutrire una certa inclinazione per me. Si era accanito con il mio ciondolo e sembrava divertirsi, mostrando il suo sorriso sdentato. Mi mancava un po’ quel periodo della loro vita, quando ogni piccolo gesto era di puro amore. I miei figli avevano cominciato un po’ troppo presto a rispondermi male e a rispondersi male. Ormai ero più un paciere dell’ONU che una vera e propria mamma. “Li attiri come mosche al miele! Non è che ci rubi i mariti?”

“No guarda non ci tengo per niente, e non ho proprio il tempo! Tuo fratello e i tuoi nipoti mi impegnano a sufficienza!”  il piccolo intanto aveva spostato la sua attenzione ad un boccolo sfuggito alla mia treccia. Lo studiava nelle sue manine, lo tirava, cercava di staccarlo. Se fossi stata umana probabilmente avrei urlato.

“Ed io che volevo chiederti da farmi da baby-sitter!” sgranai gli occhi terrorizzata, mi mancava solo da badare al piccolo Billy ed al futuro piccolo o piccola “Dai scherzavo, cognatina!”

“A proposito Rachel, hai fatto l’ecografia che t’hanno detto?”

“Sarà un altro maschio …” lo disse tutta sconsolata. Rachel l’aveva detto più volte desiderare una femminuccia. La mia dolce amica avrebbe voluto una bella bambina con cui comprare una bella casa delle bambole a quattro piani, vestitini rosa, pupazzetti colorati. Insomma una bambolina calma e tranquilla che non doveva recuperare dalla cima di un albero o che in spiaggia non doveva sgolarsi.

“Sembra che i soldatini di tuo marito abbiano preso troppo seriamente la storia della discendenza!” la battuta di Emily ci fece sganasciare tutte. Quando vidi Alex sbadigliare ed appoggiare la testolina pelosa sull’incavo del gomito, però mi placai scemando la risata, adagiandolo teneramete tra le mie braccia, dondolando pianissimo in un lieve cullare. Il mio cuore batteva molto velocemente e questo provocava una sorta di rumore sordo e continuo proprio all’altezza del suo orecchio imprimendo una ninna nanna naturale. Stentava a tenere aperte le palpebre e quei due begl’occhietti scuri stavano per cedere alla stanchezza.

“Vuoi che lo porto di là Kim? Magari il troppo rumore lo infastidisce!”

“No tranquilla, a lui piace la compagnia pensa che se sto da sola in casa devo tenere la TV accesa come sottofondo!” ormai aveva le ciglia serrate la bocca che cercava di suggere aria. Intenta com’ero ad osservarlo, non mi accorsi della madre che prendeva il piccolo tra le braccia infilandogli il ciuccio tra le sue labbra dischiuse formando un cuoricino. Un dolcissimo moto di nostalgia mi portò a ripensare alle mie notti insonni, al dolce suono del loro delicato respiro, alla prima volta che EJ mi aveva chiamata mamma, l’emozione che provai quando mi dissero in coro ‘Ti vogliamo tanto bene’. Cose irripetibili, momenti meravigliosi. “Nessie mi sono sempre scordata di ringraziare Jake per aver esentato Jared dalle ronde in questi mesi, lui mi è stato veramente d’aiuto!” stava di spalle a noi sistemando la cappottina della carrozzina, in modo che la luce non lo infastidisse troppo.   

“No,  è giusto! Quello è una specie di congedo paternità che hanno tutti per i primi mesi!” presi una pannocchia ed iniziai a pulirla, ma poi una domanda mi sovvenne “Kim, davvero Jared ti da una mano la notte con Alex?”mi guardarono come se fossi un’aliena.

“Certo Nessie, perché me lo chiedi? Jake non ti aiutava?” era tornata al suo posto trascinando con se il passeggino dove riposava il lupacchiotto.

“Di giorno prendeva l’Oscar per il miglior padre protagonista, ma la notte meritava solo tante bastonate! Penso di aver dormito per il primo anno circa due ore a notte, una per figlio, poi il resto del riposo lo distribuivo durante la giornata! Tutte le sere mi ripeteva che si sarebbe alzato lui, ma al momento della verità dovevo correre io, visto che se uno piangeva dopo qualche secondo avrebbe iniziato l’altro, è stato un  periodo decisamente distruttivo!” ed io ero decisamente sconsolata.

“Io avrei chiesto il divorzio se fossi stata in te!” stavo per ridere ma il cigolio della porta ci fece voltare tutte in sua direzione.

“Guardate che vi sentiamo! Emily non mettere strane idee in testa a mia moglie!” tuonò Jacob affacciandosi in casa e facendomi l’occhiolino a cui risposi con una linguaccia.

“Tu torna di fuori!” Rachel lanciò una parte degli scarti addosso alla porta  che si chiuse repentinamente “Questa faccenda del super udito è veramente fastidiosa! Non trovate?” mi lasciai scappare una risatina visto che anche io avevo la fortuna di possedere certe abilità. E comunque non ero solo io la nervosa quando ero incinta, Rachel era veramente isterica certi momenti. Però il suo aspetto era meraviglioso, la pancia appena accennata da sotto il golfino bianco, la pelle ancora più setosa, i capelli lucenti le ricadevano sopra le spalle morbidi i suoi occhi trasmettevano una felicità assoluta.  “Cosa ci trovi di divertente?” si ma il suo carattere era decisamente peggiorato con la gravidanza.

“Nulla cognatina!” borbottai ancora fra le risa scandendo l’ultima parola. “Senti un po’ avete pensato ad un nome?”

“A Paul piace Ethan o Simon, ma io non ne sono molto convinta! Pensandoci bene lui non conta molto, penso che lo chiamerò Ephraim come il nostro antenato anzi stasera glielo dico!” e Jacob si lamentava di me, Rachel sembrava avere una multi personalità, passava da isterica a docile in meno di un nanosecondo. Forse era a causa dei loro geni lupeschi, insomma se un normalissima umana reagiva così figuriamoci la nemica per natura.

“Ragazze, ma avete visto Claire come guarda Quil? Io credo che sia ora che le parli, insomma ormai è una giovane donna!” momento gossip. Ultimamente la questione centrale delle nostre riunioni era proprio Quil e Claire: la ragazza sembrava aver cambiato atteggiamento già da un po’, un bel po’, ed il ragazzo non si era ancora fatto avanti, ma si sa gli uomini su certi argomenti sono proprio tonti.

“Se non si sbriga rischia che qualcuno la porti via!” se non sembravamo in quella circostanza delle pettegole di paesino, non so in quale altra occasione potevamo esserlo.

“Vi siete già scordate la questione super udito?” non mi sembrava molto carino parlare in quella maniera sapendo che ci stavano ascoltando. E per fortuna che la diretta interessata non poteva ascoltare altrimenti avremmo rovinato il povero Quil, che già immaginavo di uno strano colorito bordò.

“Meglio, magari si da una mossa quel testone! Ma che gli serve un invito scritto! È peggio di mio fratello!”

“Vi sentiamo!” ecco il coretto di lupi che latravano le loro proteste.

“Voi non ascoltate!” continuammo con quelle chiacchiere per parecchio finché non venne a mancare la luce. Eravamo totalmente avvolti nel buio pesto, Emily prese prontamente una candela da un cassetto e l’accese. Ne cercò delle altre ma sembrava non trovarle.

“Hai delle torce Emily? Vuoi che le vado a prendere?” a me l’oscurità non dava eccessivamente fastidio. Potevo muovermi tranquillamente senza inciampare, ovviamente sempre che i geni maldestri di mia madre stessero in qualche isola tropicale in villeggiatura. Non mi preoccupavo nemmeno per i miei figli visto che c’era Claire con loro.

“Ci sono delle torce nel ripostiglio al piano di sopra! Vuoi portarti la candela?”

“Non preoccuparti! Vista più che sviluppata!”  cominciai ad intraprendere il mio percorso e le scale. Sembrava proprio che la mia sbadataggine avesse preso il volo, magari era andata all’isola di Esme. Mentre dicevo così, all’ultimo scalino traditore, proprio quando avevo la vittoria in tasca, inciampai rovinosamente finendo a terra. Dovevo immaginarmelo che il mio lato vampirico non poteva nulla contro la potenza dell’ereditarietà di mia madre. Dove era atterrata? Non sembrava il pavimento, era troppo morbido e troppo a forma di licantropo. La mia faccia era finita probabilmente tra il suo collo e la sua spalla, così da non poterlo riconoscere immediatamente. Cominciai a tastare il suo viso prima di riuscire ad alzare lo sguardo.

“Quil, ma tu non stavi di sotto?”

“Quando è andata via la luce sono venuto a controllare che andasse tutto bene! Comunque potrei farti la stessa domanda Nessie!”

“Io dovevo cercare le torce,mi stavo affidando al mio lato sovrannaturale, ma evidentemente non può nulla contro quello umano!”

“Meglio o puzzeresti come i tuoi parenti!” mentre la nostra conversazione continuava senza alcun problema rimanendo stesi a terra, l’elettricità ritornò. Alzando lo sguardo vidi una Claire sconvolta. Mi affrettai a sollevarmi da quella posizione così fece anche Quil. “Claire cos’hai?” i suoi occhi erano lucidi, le labbra sussultavano.

“Tu … tu … sei sposata, come … come hai potuto?” il pianto le si stava smorzando in gola con le parole che le uscivano a stento.

“Aspetta piccola, c’è un equivoco grosso almeno quanto lui … ”indicai lo stupido lupo che era rimasto attonito dalla reazione della ragazza. “Quil riprenditi e dille qualcosa anche tu!” cercai di incitarlo ma sembrava che avesse preso una botta in testa e fosse caduto in una sorta di coma vigile.

“Voi … voi …” comunque era leggermente esagerata, stavamo per terra quindi il discorso sono inciampata su di lui era più che plausibile. Ma si sa in amore nulla è ragione, si viene solo trasportata dai sentimenti e dall’ondata di emozioni da cui si viene travolti. Mentre cercavo di spiegarmi con un lupo rincitrullito che riusciva solo a balbettare qualcosa di poco comprensibile, Claire scoppiò in lacrime e corse via. Diedi un pizzicotto sul braccio di quel grosso licantropo che sembrava completamente rimbambito e mi lasciai scappare un ringhio profondo.

“Vai a parlare con lei! Magari riesci a sbloccare questa situazione!” finalmente, scosso dalle mie affermazioni si mosse iniziando a rincorrere la splendida ragazza che aveva appena dimostrato la sua gelosia. Scesi velocemente anch’io incontrando tutti gli sguardi increduli dei presenti la maggior parte avevano assistito alla conversazione e alla sfuriata di Claire. Il mio lupo appariva parecchio stranito.

“Mi devo preoccupare? Claire era disperata e con le lacrime agl’occhi, abbiamo sentito tutto, posso sapere che stavate facendo?” aveva la voce alterata, geloso come era chissà cosa si era immaginato. In effetti appena percettibile il tremore cominciava a farsi sentire.

“Mi ricordi che io prima di essere metà vampira, sono l’erede di sangue di Isabella Marie Swan in Cullen? Dovevo solo arrivare al ripostiglio e prendere le torce, invece sono inciampata e  atterrata su Quil di cui non mi ero assolutamente accorta! Claire si è fatta praticamente un film e magari questo disastro si sta trasformando nel ‘datti una mossa stupido testone’ che dicevamo prima!” nel mio sproloquio a rotativa, sputato e gesticolato a più non posso per cercarmi di spiegare al meglio, il mio lupo rimaneva perplesso. Però come gli donava la confusione a Jacob nessuno se lo può immaginare. Le sue bellissime fattezze descrivevano un’ espressione crucciata, molto seria. Si metteva con le braccia incrociate al petto estendendo ancor di più i suoi bicipiti e i suoi pettorali. Avrei sinceramente preferito che non ci fosse nessuno, per potermi godere a pieno mio marito.

< Smettila Nessie, c’è una tragedia amorosa in atto e tu pensi a quanto sia attraente Jake! > altro che cinquanta ave Marie, ne avrei dovute fare almeno duecento ed imparando una lingua supplementare per redimermi dai miei peccati. Pensati, ma pur sempre peccati. Intanto perché la mia punizione iniziasse, cominciai a mordere il mio povero e tormentato labbro inferiore.

“Non ho capito niente!”

“C’avrei giurato! Dai non importa!” sinceramente con tutto quello che stava accadendo non avevo nessuna intenzione di cercare di far ragionare il lupastro e della sua di gelosia mi importava poco.

“Ragazzina non ti permetto di …” abbassò leggermente gli occhi continuando però a fissarmi. Ma come poteva pensare Claire che io tradissi quell’uomo capace di farmi impazzire anche solo con uno sguardo?

“Jake, ti fidi di me una buona volta?”

“Ma cosa è successo Ness? Vorremo saperlo anche noi povere mortali!” incalzò Emily.

“Ragazzi, ce l’hanno fatta si stanno baciando!” nessuno si era accorto che Rachel aveva il naso appiccicato alla finestra a spiare i due colombi. Tutte si fiondarono assieme a lei mentre con il branco eravamo rimasti a guardarci sgomenti. Essere curiosa si, tempestare di domande Quil e Claire al loro rientro ero molto d’accordo, ma assistere alla loro riappacificazione e al loro primo bacio mi sembrava veramente eccessivo. Anche se devo ammettere che saperli insieme mi riempiva di soddisfazione.

“Mi sembra di essere tornata a casa Cullen!” mi sfuggì quel commento che ci riempì la bocca di risate. Un momento. Nodo allo stomaco. Quil avrebbe presto parlato a Claire della sua natura, di tutta la problematica di vampiri e mutaforma con annessi e connessi. Sapeva che non eravamo normali, ma non conosceva esattamente la nostra diversità e quanto io e la mia famiglia potevamo essere letali. E se non mi avesse accettata? Se avesse cominciato ad odiarmi? Proprio mentre pensavo queste cose sentì la mano di Jake afferrare la mia. Mi guardava come se avesse intuito i miei tormenti. Non dovevo preoccupare nessuno e mi imposi un sorriso rassicurante, ma non ero stata molto convincente, visto che le mie stelle scure non si staccavano tanto da costringere i miei occhi a volgersi da qualche altra parte. Per fortuna che di lì a poco rientrarono Quil e Claire mano nella mano attirando l’attenzione di tutti, compresa quella di mio marito.

 

La serata continuò tra chiacchiere ed un profondo imbarazzo da parte della nuova coppia, finchè l’ora tarda costrinse anche noi adulti a cedere alla stanchezza. Eravamo in macchina in via del ritorno, i bambini dormivano sul sedile posteriore una sopra all’altro in un groviglio che sarebbe stato difficile districare.

“Come faremo a portarli a letto secondo te?”

“Non lo so sei tu la vampira con l’intelligenza sovrasviluppata!”

“Solo mezza vampira, e guarda che io stasera ho unito involontariamente un licantropo con il suo imprinting! Quindi merito un po’ di rispetto!” avevo il tono fiero di chi ha compiuto una buona azione e ne era cosciente.

“Tu hai il mio rispetto per molte cose Renesmee, però vorrei capire perché ad un tratto ti sei oscurata, avevi il pensiero lontano, cosa ti ha scosso?” posai la mia mano sulla sua che si trovava sul cambio.

“Nulla solo che quando Claire saprà tutto forse avrà paura di me e della mia famiglia e questo mi lascia un po’ triste, niente di preoccupante!”

“Sei incredibile, Nessie! Hai sempre paura del giudizio degl’altri, non so se te ne sei accorta che prima di essere per metà vampira sei una persona fantastica! Claire ti adora, e ti adorerà ancora di più sapendo che stai andando anche contro la tua natura per essere migliore!” prese la mia mano e la baciò delicatamente. Quanto poteva amarmi, per accettarmi così incondizionatamente per quello che ero e a cosa appartenevo? E se non ci fosse stato l’imprinting? La domanda che non mi ero mai posta. Se quel ormai lontano 10 settembre la sua magia non avesse avuto luogo, Jacob mi avrebbe amata lo stesso? “Nessie … Dove sei andata adesso?”

“Da nessuna parte, amore!” come diavolo me ne ero uscita? Era come dire: sai ho qualcosa che proprio non va! Non credo che il tuo amore sia sincero! Sapeva benissimo che se me ne uscivo con il nomignolo banale, voleva dire o che nella mia testa ronzava qualche elucubrazione, o che volevo ottenere qualcosa a tutti i costi.  Maledetto cervello troppo pensante che mi ritrovo! Come se non bastasse, nonostante stesse guidando sentivo i suoi occhi indagatori su di me, voltai velocemente il viso.

 “Che ci fa la macchina di Carlisle nel nostro vialetto?” vidi mio padre sulla porta attendendo la nostra venuta. Che cosa stava succedendo? Per entrare nella nostra casa venendo in macchina per giunta, non mi aspettavo nulla che non fosse assolutamente terribile.  La mamma ci venne incontrò e mi aiutò a districare per portare a letto i bambini. Non chiesi nulla, ma potevano percepire tutti cosa stavo provando.

“Nonno, cosa è successo?” chiesi io molto preoccupata. Avevano la copia delle mie chiavi di casa per le emergenze. Le nostre urgenze di solito rasentavano le catastrofi, quindi la mia inquietudine era più che giustificata.

“Nessie, Jacob sedetevi!” disse con un gesto della mano indicando il divano vicino alla poltrona dove si trovava lui. Jacob ubbidì, ma io cominciavo ad essere un po’ troppo turbata.

“No, finché non mi dite cosa sta succedendo! Visto la tendenza ad attirare le nefandezze peggiori non ho voglia di sedermi!” cercavo di trasmettere la mia agitazione, ma senza esagerare per non svegliare i bambini.

< Nessie, calmati! >

Mia madre si avvicinò carezzandomi le spalle. Sapeva che dopo tutto quello che nella mia vita mi era capitato quella situazione poteva solo che pormi nella più assoluta agitazione.

“Sono qui perché ho ricevuto una chiamata da Tanya, del Clan di Denali, hanno bisogno del nostro aiuto, o meglio del vostro!” fu la prima volta che notai una cosa. Carlisle era il nostro referente, il capostipite di noi Cullen, la nostra guida. Non avevo mai paragonato il nonno a Jake, ma in quell’occasione mi apparve evidente la loro somiglianza. Quando si toccavano certi tasti assumevano lo stesso tono autoritario, la stessa espressione seria. Lui era il nostro capobranco, se così si può definire.

“Cosa intendi con il nostro aiuto, Carlisle?” mi avvicinai istintivamente a Jake posando la mia mano sulla sua spalla.

“Sembra che sia giunto nel loro territorio, un branco di mutaforma intenzionato a dichiarare guerra! Vorrebbero evitare inutili spargimenti di sangue. L’unico modo in cui si sono aperti a trattative è stato grazie al racconto di voi due, un mutaforma capobranco e una discendente di una delle famiglie più potenti di vampiri, uniti in matrimonio. Sapere della nostra convivenza pacifica ormai pluridecennale e della nascita dei vostri figli li ha incuriositi! Vogliono una prova che voi esistiate davvero e che non sia una favola per le trattative di pace! Vogliono conoscervi! Tutti!”

“Cosa vuoi dire? Dovremmo portare Sarah ed EJ con noi?” annuì soltanto. Non sapevo come viverla, mi trovavo divisa tra il Tigri e l’Eufrate. Non ero totalmente capace di vederla con occhio critico ed obbiettivo: se una mia parte diceva attenta è pericoloso, l’altra diceva tutto qui? Il tremore di Jake poi non faceva altro che alimentare i miei dubbi.

“Io ho delle responsabilità Carlisle, non posso prendere e partire per l’Alaska su due piedi, e poi chi ci assicura che arrivati lì non cerchino di distruggerci per un qualsiasi motivo, anche solo per disprezzo? Non è detto che tutti i mutaforma siano come noi, questi sembrano addirittura aggressivi!” strinsi la spalla di Jacob involontariamente, Jake per calmarmi posò la sua mano sulla mia, carezzandola dolcemente.

“Jacob capiamo le tue motivazioni, ma tu mettiti nei nostri panni, Tanya non ha mai esitato, soprattutto per aiutare Renesmee, loro sono come noi non si nutrono di sangue umano! Se deciderete di partire io e Bella verremo con voi,  non vi lasceremo soli!” era combattuto soprattutto perché temeva di mettere in pericolo la sua famiglia. Eppure non si sentiva di lasciare in difficoltà i nostri familiari. Si perché per noi Tanya, Kate, Carmen e tutto il Clan era parte della famiglia. Avevano preso le mie difese contro i Volturi, ci avevano spalleggiato durante la rivolta, erano presenti durante il nostro matrimonio. No aveva ragione il nonno, era nostro dovere aiutarli. Non ci stavano chiedendo di fare da scudo in un guerra. Dovevamo solo presenziare ad un trattato di pace. Quanto poteva essere difficoltoso o pericolo in fondo?

“Non so …” man mano che io mi convincevo Jake sembrava più reticente. Lo capivo. Troppe volte eravamo incappati in situazioni più grandi di noi. Ed ora c’erano i nostri bambini di mezzo. Ma perché tutte a noi?

“Jacob, non pretendo una risposta immediata! Mi rendo conto che dovete pensarci, non voglio mettervi fretta ma allo stesso tempo bisognerà agire il prima possibile. Sappiate che rispetteremo ogni vostra decisione!”

 

Note dell'autrice: Ragazze scusate il mio enorme ritardo (ovviamente per i miei standard! Chi mi conosce lo sa!) Oggi ho avuto una giornata d'inferno, mi hanno trattenuta al lavoro fino a sera e riesco a pubblicare solo ora.  Allora Allora, capitolo di passaggio per farvi capire anche il ruolo delle ragazze all'interno del branco. Non so io le ho sempre immaginate come una parte importante, ma data la natura fragilmente umana solo di puro sostegno, cosa che invece distingue Nessie. Poi vedrete cosa ha combinato il mio cervello malato. E poi la scena di Quil e Claire, insomma mi faceva ridere e così l'ho buttata giù carina? Spero che vi sia piaciuta! Poi il Clan di Denali chiede aiuto ai Cullen. Giusto che dite? I Cullen in fin dei conti hanno sempre chiesto il loro aiuto e ce l'ho messo nel calderone. Ma cosa decideranno Jake e Nessie, partiranno o no? Ovviamente se decino di partire Edward e Bella non potevano non accompagnarli, insomma sono i nonni e sono in grado di proteggerli non contando che da quello che vi ho lasciato intuire loro stravedono per i nipotini. Soprattutto Edward. Scusate ma per me lui in particolar modo che non si aspettava di avere tanto si è ritrovato con moglie figlia e pure nipoti che tra l'altro gli assomigliano. Che dite?

PS: scriverò la One shot sull'addio al nubilato di Nessie e già sto cominciando a ridere. Vi premetto che lei non lo voleva ma poi ...

Noe_princi89: hanno fatto la pace! hanno fatto la pace! E si Sarah ed EJ sono teneri ma anche due pesti bubboniche senza dubbio avranno un ruolo rilevante soprattutto nella seconda parte dove vedremo il loro rapporto da un punto di vista privilegiato. Anche se qui delineremo meglio i loro aspetti caratteriali.

Fra Zanna: Amicuzzola mia! Ti aspettavo anche a te! Allora questo capitolo finale? io lo sto aspettando vedi che puoi fare altrimenti vengo in qualsiasi parte d'italia dove ti trovi e ti faccio scrivere con la frusta. Scherzi a parte, hai visto che ti ho accontentata! Anche se a dirti la verità serviva più a me scrivere che altro. Gioia si o gioia no? Eh eh non  potevo lasciare in pace i nostri due piccioncini che ci vuoi fare sono nata per complicare la vita ai personaggi!

 

Ringrazio tutti coloro che mi stanno seguendo, a chi mi prefrisce, a chi mi segue, a chi mi ricorda, a chi mi legge, a chi mi recensisce.

Grazie di cuore non merito tanto!

Baci la vostra Malice!  

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Capitolo 6
*** CAPITOLO V: Decisione di branco. ***


CAPITOLO V: Decisione di branco.

Ormai Carlisle ed i miei genitori erano tornati a casa da qualche ora, donandoci del tempo per riflettere. Mi giravo e rigiravo nel letto agitata praticamente da allora, domandandomi quanto fosse giusto o sbagliato pensare di aiutarli. I miei figli, era giusto gettarli nuovamente in un mondo pieno di pericoli? Tanya era sbagliato abbandonarla? Pace o guerra? Chi ero io per decidere i chi e i come? E il nonno, che solitamente mi consigliava, che aveva sempre la parola giusta al momento giusto, l’unica cosa che mi aveva detto prima di salutarmi era ‘È  una vostra decisione’. Divisa in un cruccio divenuto pesante da prima di essere esposto. Mi alzai ed andai nel bagno. Aprì il rubinetto lasciando scorrere l’acqua per qualche secondo. Mi serviva gelida. A grandi manate la passai sul viso e senza volerlo mi trovai di fronte ad una me stessa diversa. Ero io quella che si rifletteva nello specchio? Quanto ero cambiata? Un’ingrata, una codarda? Se fossi stata da sola tutte le mie decisioni sarebbero state prese sul posto senza riflessione. Vedevo il viso di Carmen mentre si preparava alla battaglia contro i Volturi. Vedevo Tanya, Eleazar, Garrett,Kate pronti a capovolgere il mondo per cosa, per chi. Io. Avevano fatto troppo per noi, per me. Volevo sdebitarmi da sempre ed ora ne avevo l’opportunità. Chiusi l’acqua ed asciugai le perle umide che accompagnavano quella decisione. E poi non avevo mai visitato l’Alaska, ed ero curiosa di vedere il rifugio di mio padre. Li avrei avuti con me. I miei amati genitori, i loro amati nonni ci sarebbero stati accanto in quella che speravo si potesse rivelare una buona esperienza. Per la prima volta di fronte al pericolo, mi sentivo positiva, come se realmente potessi cambiare le cose. Forse perché si trattava di dimostrare come la convivenza fra due nemici naturali fosse possibile. Io condividevo il letto con la mia nemesi, lo amavo, avevo dei figli con lui. Noi due totalmente diversi ma allo stesso tempo completamente uguali. Avevo le armi più potenti dalla mia. Non servivano fenomenali poteri cosmici per trovare la pace, dovevamo solo dimostrare la nostra felicità. La mia vita con il mio Jake. Ero utile. Non ero la causa, ero la soluzione. Volevo con tutto il cuore partire per l’Alaska, andare da Tanya e soprattutto aiutare Carmen. Con lei il mio rapporto era davvero diverso. Non ho avuto mai il privilegio di avere una sorella. Avevo zii, nonni, amicizie fraterne. Ma con Carmen, nonostante i chilometri che ci separavano, mi sentivo vincolata da un legame di sangue viscerale, come se fosse reale. Era una sensazione che avevo avvertito da bambina. Dovevo andare da lei, non dovevo permettere che si battesse e che perisse in una battaglia che potevo eliminare. Ritornai seduta sul ciglio  letto decisa ad affrontare il mio lupo. Doveva capire, comprendere il punto di vista.

“Jake?” mi dava le spalle, il suo cuore era rallentato da un po’ ma speravo che non fosse ancora entrato nella fase REM, cosa molto difficile.

“Mmm …” risposta semi immediata. Stavo per perderlo.

“Jake, dormi?” solo un altro mugugno sempre meno percettibile. Dovevo trovare un qualcosa di shoccante per farlo rinvenire. “Jake, sono incinta!” si voltò verso di me di scatto con gli occhi sbarrati ed io strisciai verso di lui. “Non è vero, volevo solo attirare la tua attenzione!”era meglio non nutrire false speranze, soprattutto perché il suo cuore aveva perso qualche battito.

“Non è uno scherzo divertente …”disse con ancora la voce tremante.

“È così un problema se io rimanessi incinta?” mi sentivo leggermente indispettita dalla sua reazione. Sinceramente non mi sarebbe dispiaciuto avere un altro figlio, soprattutto dopo aver tenuto fra le braccia il piccolo Alex. In me era riaffiorato tutto l’istinto che avevo nei loro primi anni di vita, la voglia di vedere un nuovo piccolino in giro per la casa, di far impazzire Esme a creare un’altra cameretta, di vedere mia zia Rose trotterellare allegra per la casa.

 “A parte che con la frequenza con cui facciamo l’amore ultimamente sarebbe un miracolo! Inoltre ne abbiamo già due, che ci impegnano per quattro, un’altra peste come te non la reggerei! Ti ricordi poi, come eri durante la gravidanza? Soprattutto l’ultimo periodo? Un paio di volte Rachel ha dovuto ospitarmi perché credevo che mi avresti assassinato nel sonno! Per fortuna che hai la gestazione accelerata ed è durata solo cinque mesi, uno di più e sarei o morto o impazzito …”

“Ok, ok recepito il messaggio!”  non volevo andare oltre. Mi bastava sapere che lui non lo voleva. In quel momento non avevo quasi più voglia di parlare, chiusi il mio sguardo sulla testiera del letto crepata in due punti. Lasciai che rimanesse il tono scherzoso con cui era iniziata, non volevo spaventare mio marito per il mio bisogno materno di avere un altro figlio.

 “Dai Nessie dimmi perché mi hai svegliato!”

“Non riesco a dormire … ”

 “Vuoi che ti racconti una favoletta?” me l’ero meritata, sarcasmo e tono acido di accompagnamento, mi stavo praticamente lagnando come una bambina piccola. Se lo svegliavo proprio mentre stava per prendere sonno diventava quasi intrattabile. E aveva anche ragione.

“No Jake! Scusa ma se non ne parliamo subito non credo di riuscire a riprendere sonno!” mi accoccolai sulla sula spalla lasciandomi cingere dal suo braccio.

“Aspetta” non ero preparata, alzò la testa dal cuscino come se stesse ascoltando qualcosa poi si rivolse a me con un ghigno particolare, cosa aveva in mente? “ I bambini dormono profondamente nei loro letti, noi due siamo entrambi svegli, potremmo impiegare il tempo in un’altra maniera invece che parlare! Quando ci ricapita!” non so esattamente come, ma mi trovai a cavalcioni su di uno stupido lupo che baciava il mio collo cercando di condurmi in una trappola stile Jacob, di quelle che improntano allo stordimento di ogni mia capacità di raziocino.

“Jake …” sospirai, stavo già diventando una sua succube. I vampiri saranno seduttivi per natura, ma i licantropi non sono da meno. Aveva puntato al mio collo con lievi morsetti e piccoli baci. Mi teneva stretta a se, cercando di carezzarmi la pelle, scorrendo le sue mani sulla parte bassa della schiena e sui fianchi. Quanto avrei resistito in quella maniera, dovevo ribellarmi almeno a parole. “Dai, Jake così … perdo la testa … ” stavo decisamente per cedere. Se avesse insistito altri quattro minuti lo avrei sicuramente assecondato.

“Mmm … bene …” forzò la presa afferrandomi il collo, mentre io cercai di allontanarmi alla riconquista della lucidità.

< Su Nessie, non lasciarti abbacinare, come direbbe tua madre! Su su, sei una Cullen tieni a bada gli orm … Cavoli, sono una Cullen e anche un po’ Swan, io gli ormoni ce l’ho nella metà sbagliata e soprattutto dopati dall’imprinting! Un ultimo sforzo altrimenti al diavolo tutto! >

“È una cosa seria …” non sembravo molto convinta.

“Anche questa …”

“Vuoi che usi qualche minaccia dai miei doveri coniugali per parlare con te?”

“Come se già non l’applicassi!”

“Jacob Black, vedi di non giocare con il fuoco altrimenti rischi che la tua astinenza pegg…”  avevo poggiato le mani ai fianchi in segno di irritazione.

“Dio ce ne scampi!” con un sorrisino di vittoria lo guardavo soddisfatta mentre lui s’arrendeva troppo in fretta  “Ti dispiacerebbe scendere? Non credo di rimanere lucido a lungo con te sopra, con solo questa sottovestina …” schiaffeggiai la sua mano che tentava di toccarmi e scesi dalla mia posizione, stendendomi accanto a lui “Di cosa dobbiamo discutere?” si girò sul lato per permettersi di guardarmi in viso.

“Del viaggio in Alaska, penso che sia giusto aiutare Tanya ed i suoi!” era completamente inutile girare intorno all’argomento. Meglio andare dritta al punto della questione.

“Invece io sono di tutt’altro parere!” non fu necessario nemmeno parlare mi ero già espressa con la mimica della mia faccia “Renesmee sono il maschio alfa, non posso partire senza nemmeno consultare il resto del branco! Per non contare la paura di esporvi a rischi inutili, se non si dovessero convincere alla pace tu e i bambini finireste nel mezzo di una vera e propria guerra!”

“Ma non è detto che ci finiamo,  non possiamo voltare le spalle a coloro che pur di salvarmi la vita, hanno affrontato i Volturi per ben due volte!” mi ero posizionata seduta con le braccia incrociate al petto. Lui teneva una mano sotto la testa mentre con l’altra carezzava la mia gamba piegata a farmi da seduta.

“Sai che ho molte responsabilità con il branco, ma non solo!” con il dorso di due dita disegnò il contorno della mia guancia “Il mio compito principale è proteggere te e i nostri figli! Sono combattuto, non lo nascondo, vorrei aiutare i vostri alleati ma …”

“Nostri”

“Come?”

“Devi dire nostri alleati, oppure ritieni sia irrilevante che abbiano salvato la vita di tua moglie, più di una volta? Che fra di loro c’è una delle persone che più adoro, non t’interessa ciò che provo io? ” protestai acida. Ma avevo pienamente ragione e lui lo sapeva. Si attirano più mosche con il miele che con l’aceto. Rabbonì subito il mio tono cercando invece una soluzione alternativa. “Perché non parliamo con i ragazzi ! È giusto che dicano la loro, in fin dei conti siete un branco e questo riguarda tutti non solo te!” era buio fondo, ma potevo guardarlo benissimo in volto e leggere quella sorta di contentino che si apprestava a darmi.

“Va bene ne parleremo con gli altri, ma se mi diranno di non partire non lo faremo, non ho nessuna intenzione di andare contro l’intero branco!” non potevo chiedere di più. Lo avevo convinto almeno a prendere in considerazione la faccenda. Quella notte non facemmo l’amore, ne continuammo a parlare. Rimasi solo fra le sue braccia contemplando la mia scelta e la sua. In cosa mi stavo gettando questa volta?

 

Avevo lasciato i bambini a casa Cullen, non dovevano ascoltare la nostra conversazione. La riunione con il branco sarebbe avvenuta nella nostra casa, in modo che mio padre potesse essere presente. Mi serviva qualcuno che sostenesse la mia teoria, e se quel qualcuno fosse stato in grado di leggere nel pensiero e di comunicare con me mentalmente, era perfetto. Decisamente utile per convincere sei enormi lupi a lasciar partire il loro capobranco e famiglia per l’Alaska. Sedevamo intorno al nostro tavolo da pranzo, sistemato nel living. Il cottage era davvero cambiato dopo la ristrutturazione della nonna, anche le mura esterne erano diventate totalmente diverse. Lo aveva tramutato in una vera e propria minivilletta. Quando lo avevo visto per la prima volta pensai che fosse una villa Cullen in miniatura. Aveva creato un in unico ambiente al pian terreno cucina, sala da pranzo e salotto diviso da un piccolo restringimento con le scale per l’accesso al piano superiore, dove si trovavano due camere, lo studio e i due bagni. Non mancavano le innumerevoli finestre che servivano a dare aria e luminosità a tutta la casa rendendo lo spazio ancora più ampio. Era decisamente una fortuna che ci trovassimo nel mio nido, dove mi sentivo più sicura, la mia piccola alcova. Adoravo i ragazzi del branco ma erano pieni di congetture e pregiudizi, soprattutto nei confronti della mia specie. Temevo di dover ingaggiare una vera e propria battaglia capitana sicuramente da una Leah contraria a prescindere ad aiutare quelli come noi. Ma poi che significava come noi. Cosa c’era di diverso se non nella consistenza della nostra pelle e nella temperatura? Non lottavamo entrambi per le persone che amavamo? Forte del mio spirito e delle mie convinzioni, decisi che era il momento di iniziare a combattere.

“Abbiamo ricevuto una chiamata dai nostri cugini a Denali, serve il nostro aiuto! Come diciassette anni fa loro hanno testimoniato per me contro i Volturi, ora serve che noi andiamo da loro in Alaska per comprovare la possibile alleanza fra due nemici naturali!” il primo colpo era stato sparato. Quanto avrei voluto possedere un po’ di saggezza alla Carlisle, avere anche solo una parte della sue esperienza del suo riuscire a gestire qualsiasi cosa. Quanto avrei voluto essere come lui.

“Nessie, Jacob ci ha già accennato alla vostra diciamo missione, ma non abbiamo capito molto bene cosa dovreste fare esattamente! Voi vampiri siete molti complicati certe volte!” Quil aveva un non so che di preoccupato.

< Papà cosa senti? >

< Seth ed Embry approvano, gli altri sono indecisi solo Paul e … >

< Leah è contraria, come immaginavo! >

< Mi spieghi a cosa ti servo? > mi lasciai scappare una risatina al pensiero di mio padre. In effetti l’avevo coinvolto io in quella riunione anche per non essere completamente da sola con il branco di lupi.

“Noi dovremmo partire per l’Alaska,il tempo verrà stabilito dall’evolversi delle cose” prese parola Jacob con il suo tono grave da alfa “Dobbiamo incontrarci con il branco di mutaforma che sta minacciando i loro alleati …” con il mento indicò in direzione di me e mio padre, cosa che mi stava dando decisamente sui nervi.

“Nostri alleati …” precisai con uno sguardo omicida verso quel lupastro. Mi ricambiò con la stessa moneta. Non so perché ma la situazione ci irritava avvicendevolmente.

< Nessie, stai sfidando il cane? Attenta che morde! >

< Mi sto chiedendo anch’io a cosa mi servi! Ah già, a complicarmi la vita e farmi diventare ancor più isterica! >

“ E con noi dovrebbero venire anche Sarah ed EJ! Ed è questo che ci lascia più perplessi!”

“Perché anche loro, non è pericoloso?” chiese spontaneamente Seth.

“Rappresentano il connubio delle specie, sono sul filo di ben tre mondi: umani, mutaforma e vampiri allo stesso tempo. ” disse mio padre, finalmente rendendosi utile a qualcosa “Sono la dimostrazione vivente che un’alleanza è possibile!” stavamo l’uno accanto all’altra quasi esclusi dalla cerchia, come di fronte ad un tribunale pieno di giudici. Non mi piaceva affatto essere in quella situazione, rendeva il tutto così formale con i ragazzi con cui, fino a due sere prima, ridevo e scherzavo.

“Non puoi andartene per non si sa quanto e lasciarci senza una guida! Hai delle responsabilità, io voto NO! E per chi, per delle sanguisughe di ghiaccio, che fanno il bello e il cattivo tempo con voi?” Leah aveva sbottato quasi immediatamente. Sapevo che sarebbe successo. Il mio mulino a vento.

 “Secondo me invece può anche andare, ultimamente il consiglio ha detto che non ci sono grandi movimenti!” Seth ricevette un profondo ringhio dalla sorella, tanto che abbassò lo sguardo intimorito. Odiavo come si faceva mettere sotto da lei. Cercai di intervenire in supporto del mio amico.

 “Seth ha ragione! Da quando i Volturi hanno ripreso a dettare legge non riceviamo più grandi visite! Leah tu potresti prendere il posto di Jake finché stiamo via e … ” oltre al ringhio sommesso di mio marito si aggiunse il latrato della simpatica Leah.

< Non vorrai mica diventare tu l’alfa? Almeno lasciami il tempo di avvisare tuo zio prima che vi azzuffiate! >

< Zitto per piacere, fai tacere la tua testa! >

“Cullen … ” la mia cara amica  faticava a chiamarmi per nome, meglio il mio cognome da nubile che magari qualche altro epiteto poco carino “ … te e quella maleodorante sanguisuga non dovreste essere nemmeno qui! Cerca di fare la brava e startene buona in un angolo!” il terzo colpo era stato sparato ed andava a colpire il mio orgoglio:  in casa mia si metteva a dettare legge?

“Leah, fuori da quella porta sarai la beta di Jake e potrai fare la dittatrice come più ti aggrada ma ti ricordo che questa è casa mia, non ti permetto in alcun modo di offendermi!” un minimo di rispetto lo pretendevo. Mi alzai in piedi rincarando il mio rimprovero.

“Fastidio, eh? ” aveva quell’espressione stramaledettamente strafottente che mi stava facendo uscire fuori da ogni controllo, cominciai a ringhiare “Come io devo rispettarti qui, tu non devi ficcare il naso in faccende che riguardano il nostro branco!” si alzò anche lei incrociando i nostri sguardi. Non avevo nessuna intenzione di cedere.

“Leah, Renesmee sedetevi! Non tirate fuori sciocche questioni di orgoglio!” alla ramanzina di Jacob mio padre iniziò a ridere di gusto.

< Cosa c’è di divertente! >

< Sono d’accordo con tuo marito! Sembrate due primedonne che litigano per il ruolo da protagonista! > nacque uno scambio di sguardi: dapprima fulminai Jacob e di conseguenza lui incenerì mio padre che dopo essere tornato nei ranghi riprese a sorridere a mezza bocca rimanendo in piedi appoggiato con la schiena sull’isola della cucina.

“Io sono curioso!” Embry cominciò a dondolarsi sulle mie preziose sedie, con le mani intrecciate dietro la nuca “Quando ci ricapita di poter incontrare un altro branco di mutaforma, non mi sembra che il mondo sia così pieno di gente come noi!” il suo sorriso beffardo non fece altro che contagiarmi, mi voltai verso Jake che invece rimaneva ancora serio.

“Paul, Jared siete gli unici che non avete espresso un parere” però vederlo fare il capobranco da umano era realmente affascinante, ecco perché Sarah non muoveva un muscolo senza avere l’approvazione del padre. Quel tono che usava più roco e profondo del normale, quella sua impostazione impettita che sembrava alzarlo di parecchi centimetri anche da seduto incuteva una certa deferenza e un timore referenziale degno di nota.

“Sinceramente io credo che tu possa partire … ”

“Paul, io pensavo che tu …”

< Pensava che fosse d’accordo con lei! Ne avevano parlato prima di venire qui, ma ha cambiato idea quando tu hai parlato della calma che ormai c’è a Forks! Secondo lui è anche merito nostro ma non lo ammetterà mai! >

“Leah so che ti avevo detto di non volere che Jake partisse, ma non ci sono pericoli impellenti e tu sei una beta molto valida puoi prendere il suo posto in sua assenza!”

“Si, poi noi abbiamo i succhiasangue buoni dalla nostra, ci potremmo far dare una mano da loro nelle ronde!” intervenne Jared “Il dottorino può aiutarci a gestire la situazione in caso di difficoltà e poi dai non è una tragedia! Mica parte per la guerra si tratta solo di far vedere quanto è felice con la sua strana mogliettina  e poi torna da noi a romperci le scatole con i suoi ordini!” si era alzato aiutandosi con dei gesti esagerati nel suo ragionamento.

“Se la cosa vi stare più tranquilli, un paio di voi potrebbero seguirci!” rincarai la dose. Devo ammettere che sarei stata più serena anche io sapendo che con noi ci fossero almeno due del branco, ma Jake invece cominciò a tremare. La mia uscita non gli piacque. Il suo volto tradiva la rabbia che stava provando nei miei confronti, cosa di cui ne ebbi una certezza quando anche mio padre trasalì come se avesse letto in mio marito la seria intenzione di saltarmi addosso, e non nel senso piacevole del termine.

“Fico! Io ci vengo in Alaska! Comprate un biglietto anche per me!” Embry fece scendere la sedia dal suo dondolio con un tonfo sordo e secco. Sembrava decisamente esaltato dalla situazione.

“Ehy, no aspetta anch’io voglio vedere questi strani mutaforma di ghiaccio! Io ci sto!”

“Seth ti sei del tutto rincoglionito! Non è una gita di piacere è una cosa seria smettila di fare il ragazzino!”

“Leah, tu smettila di trattarmi da tale! So benissimo che è una cosa seria, che non è un gioco per questo voglio andare con Jake e Nessie in Alaska! Pensi che mi faccia piacere andare via da Forks anche solo per un giorno, lasciare te, la mamma e Crystal? È proprio perché non sottovaluto nulla che non lascio da solo il nostro alfa ed un nostro compagno!” non avevo mai visto Seth tenere testa alla sorella. Doveva decisamente farlo più spesso. Leah lo guardò stupita.

“Fai come c***o ti pare Seth, l’osso del collo è il tuo!” l’ultime cose dette in quel modo freddo fecero male persino a me. Uscì sbattendo la porta di casa con una forza inaudita che fece trasalire quasi tutti i presenti. Seth guardava a terra sconsolato, come se gli fosse caduto addosso il mondo. Mio padre afferrò la sua spalla cercando di confortarlo con quel gesto amichevole. Aveva sempre nutrito un profondo rispetto per il piccolo, che ormai tanto più piccolo non era, Seth. Lo vedeva come un’anima pura, non contaminata dai cattivi sentimenti. Anche lui non sopportava il modo di Leah di trattare il fratello, come se fosse un ingenuo e credesse a tutto per la sua infinita bontà. Invece io lo vedevo solo come un ragazzo con il cuore grande e sincero, una rarità. Il suo modo di vedere sempre del buono in tutti mi faceva ben sperare nel futuro.

“Edward, Renesmee la faccenda è diventata più complicata del previsto, dobbiamo parlarne tra fratelli, andiamo!” sapevo cosa volessero dire le parole di mio marito. Dovevano trasformarsi ed escludere il resto del mondo dalla loro decisione.

 

L’alba aveva cominciato da qualche minuto a primeggiare sull’oscurità rischiarata dai deboli raggi della falce di luna padrona del cielo notturno.  Mi trovai a casa dei miei, per stare anche con i miei figli. Dormivano beati nei loro lettini. Forse tutto quello a cui stavo obbligando la mia famiglia era totalmente sbagliato. Che stessi mettendo a repentaglio la loro vita per un mio capriccio, per sentirmi appagata. In fin dei conti era per un puro sentimento di gratitudine che volevo accorrere in soccorso, era per sentirmi finalmente in pace con la coscienza verso chi si era dimostrato pronto a sacrificarsi per me. Ed ora ero pronta io a sbandierare i miei figli, i miei piccoli gioielli, mostrando al mondo quanto io fossi stata brava. Possibile che il mio ego fosse così sconfinato?

“Guarda che l’aria da pensierosa non ti si addice ragazzina!” mi voltai andando ad incontrare lo sguardo dorato dello zio Emm. Chiusi la porta alle mie spalle per non disturbare il sonno dei miei due angeli.

“Zio, secondo te sto sbagliando? Li sto mettendo in pericolo per alimentare la mia smania di estinguere un debito personale? Mi sento un po’ egoista!”

“Ragazzina non ti permetto di parlare così della mia nipotina preferita!” le sue labbra s’incresparono in un lieve sorriso “Senti, a parte gli scherzi, come puoi pensare di essere egoista quando sei pronta a partire insieme alla tua famiglia per andare dall’altra parte degli Stati Uniti solo per aiutare i nostri cugini, non ti sembra assurdo?” cercai di abbassare lo sguardo, perché in fondo avevo avuto un dubbio decisamente puerile,  ma non feci in tempo che lo zio prese il mio viso fra le sue grandi mani e mi schioccò un rumoroso bacio sulla fronte. “Senti Fido …”

“Lo chiamerai mai per nome?”

“Perché non si chiama Fido? Ma no proprio ora che stavo facendo incidere la targhetta per il collare!” mi lasciai sfuggire una risata leggera “Comunque è tornato, sembra che abbiano contattato pure gli anziani del consiglio e che abbiano un verdetto!” seguì Emmett fino al salotto. Da quello che potei percepire in casa era entratati solo Jake, Leah, Embry e Seth. Probabilmente essendo quelli coinvolti in prima persona erano gli unici che potevano darci la notizia. La mia famiglia era distribuita per il salotto, nell’attesa snervante del giudizio finale. Allora compresi di non essere la sola a voler aiutare i nostri cugini.

“Ci siamo tutti” prese immediatamente parola il nonno appena io e lo zio cominciammo a scendere le scale di accesso del salotto “Jacob siete giunti ad una conclusione?” negl’occhi di mio marito potevo leggere una tenue irritazione nei miei confronti ma non capivo la vera motivazione di una cosa del genere.

“Come già vi ho detto abbiamo parlato anche con il consiglio, vi aiuteremo ma ad alcune condizioni!”

“Quali?” intervenni io. I suoi occhi si lanciarono come coltelli su di me, cosa avevo fatto per farlo arrabbiare così?

“Con noi verranno Embry e Seth, in caso la situazione dovesse degenerare …” tornò a guardare mio nonno “ … Leah prenderà il mio posto fino al mio ritorno,  ma i Cullen dovranno aiutare con le ronde il branco! Carlisle qualsiasi cosa servirà mi devi garantire che gli offrirai la tua completa disponibilità!”

“Certo Jacob, non ci tireremmo mai indietro lo sai!” si strinsero la mano. I due pilastri di Forks avevano suggellato un patto. “Grazie per il tuo aiuto, per il vostro aiuto!”

“È giusto così!” io ancora in cima alle scale guardai negl’occhi mio marito, ch rimase fisso su di me come se l’avessi costretto. In realtà io ero il suo imprinting, sua moglie potevo vantare un bel po’ di diritti. Ma non ero così meschina da condizionarlo in una scelta difficile con le mie pretese di consorte frustrata. O forse già lo stavo facendo? Quando nel letto lo avevo indotto alla discussione, mi sembrava abbastanza contrario eppure aveva ceduto. E dire che il mio Jacob si era sempre mostrato un gran testone, in certi momenti era anche peggio di me in campo cocciutaggine. Mi sentivo come se fossi nella posizione da strega ammaliatrice. Non volevo essere così ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Imprinting cosa voleva dire: amore o condizione? In entrambi i casi io ne stavo uscendo vincitrice. E se vincere avesse significato perdere nel peggiore dei modi quello che ero riuscita a guadagnarmi con tanta fatica?

 

Note dell'autrice: Bhè ragazze cosa dire tutti pronti per l'Alaska! Preparate le valige? no? allora cosa aspettate?

never leave me: cara mia non offendere la mia favola preferita e riadattata! Non è vero che non ha ne capo ne coda, è solo molto ben nascosto ma se leggi bene c'è! Non è vero non ce l'ha ma che ti aspettavi da me? ^^ Capirai ancora meglio la posizione di Jake più in là, anche perchè ci saranno alcuni capitoli con il suo punto di vista. E nel prossimo un pov nuovo e difficile ma molto corto per raccontarvi una scena praticamente centrale. Per quanto riguarda il branco io me li sono sempre immaginati come una vera e propria comitiva, un po' come io con i miei amici. E poi nel momento in cui subbentra la figlianza si diventa ancora più uniti, per scambiare consigli e parlare della vita 'normale'. Comunque spero che ti sia piaciuto il capitolo! Sempre molto di passaggio ma per far capire le posizioni e la situazione a Forks. Comunque dal prossimo Nessie avrà occasione di arrabbiarsi di nuovo vedrai!

noe_princi89: e no non possono avere un attimo di pace, soprattutto se dietro ci sono io!ghghgh spero comunque che ti piaccia il loro altalenare perchè non finisce così!!! (calcola che è il tomo con più capitoli!)

Fra Zanna: no niente capitoli pieni d'amore se non all'inizio e alla fine, non li posso lasciare tranquilli! Poi si annoierebbero, soprattutto la mia brontolona! Iperattiva! Grazie mille per i complimenti, me prostra ed inchina! Riceverne soprattutto da chi scrive fa un enorme piacere.

Ringrazio sempre chi mi preferisce, chi mi segue, chi mi ricorda, chi mi legge, chi mi sdegna! grazie a tutte siete fantastiche!

 

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VI: Benvenuti in Alaska! ***


CAPITOLO VI: Benvenuti in Alaska!

Non ricordavo che Embry avesse così tanta paura di volare. Era divertente. Stava al posto accanto a Jake, teneva i braccioli del sedile talmente stretti che di lì a poco si sarebbe strappata la stoffa. Aveva gli occhi chiusi e ad ogni vuoto d’aria tirava fuori la prima parolaccia che gli tornava in mente. Non la urlava, ma noi la potevamo sentire compresi i miei figli. Questa era la cosa meno simpatica della faccenda, benedì comunque la velocità dei miei genitori che tappavano le loro innocenti orecchie.

“Dove  siamo no … zia?” avevamo imposto ai bambini di chiamare i nonni, zii e noi per nome. Il nostro aspetto di ragazzi adolescenti, non ci permetteva di essere i genitori di bambini di dieci anni e soprattutto i miei non potevano essere considerati nonni. L’aereo non era popolato di immortali. Menzogne, odiose menzogne. Capivo lo stato d’animo dei miei quando ero costretta a chiamarli per nome, piuttosto che papà o mamma. Soffrivano tantissimo ed anch’io provavo lo stesso.

“Edward, siamo sopra il confine del Canada, giusto?” stavano uno dietro l’altro con i bambini che guardavano fuori dall’oblò verso l’esterno. Io sedevo accanto alla mamma ed a EJ, ascoltando le loro domande curiose. Il primo viaggio in aereo dei bambini ed erano totalmente affascinati dalla novità.

“Guardate bambini, qui non ci sono le nuvole e si vede di sotto!” mio padre in certi momenti sembrava più esaltato di loro. Ogni minimo cambiamento, ogni nuvola, ogni sobbalzamento era un occasione per lui di mostrare qualcosa e di esporla con l’eccitazione di un  bambino la mattina di Natale. Erano adorabili.

“EJ guarda un campo di broccoli, la tua vera famiglia!” perché mia figlia doveva assomigliare così tanto al padre?

“Sarah! Guarda uno stormo d’anatre le tue vere sorelle!” e perché EJ doveva assomigliare così tanto a me? Già temevo uno scontro, di quelli in cui avrei tanto voluto non incappare ed invece si guardarono attraverso i sedili per un po’ ed alla fine scoppiarono a ridere. Quelli erano i miei figli? Niente zuffa?

“Scusate, signori!” uno stuart si era avvicinato al sedile di mio padre, mostrando la sua dentatura bianca e perfetta da rivista per dentisti “Ci chiedevamo se ai bambini potesse piacere una visita alla cabina di pilotaggio!” Sarah aizzò subito il suo sguardo d’attacco verso mio padre. La sua naturale curiosità la spingeva alla ricerca di cose nuove, ed EJ non era da meno. Entrambi avevano gli occhi adoranti per la proposta appena fatta, praticamente non aspettavano altro. Mio padre era compiaciuto da tutto l’interesse che mostravano in ogni cosa, la riteneva un’ottima caratteristica. Sondò la testa di Sarah per qualche secondo con quel sorriso a mezza bocca, disegnato sulla sua pelle del viso. Si voltarono entrambi verso di noi ed EJ contemporaneamente con la sorella supplicò un:

“Possiamo?” appena accennai ad un si i bambini con i miei genitori furono già in piedi pronti per quella nuova piccola avventura.

“Vi accompagno, scusate ancora ma in prima classe è difficile vedere dei bambini ed i vostri sono così educati che hanno catturato la nostra attenzione!” sorrisi perché l’affermazione dell’assistente di volo mi riempiva di orgoglio. Intanto mi ero spostata nel sedile occupato precedentemente da Bella. Anch’io in fin dei conti ero una curiosona ed amavo guardare fuori mentre sorvolavamo la terra.

< Quante creature puoi contenere? Sei un piccolo pianeta in confronto all’universo che ti circonda, eppure la varietà dei tuoi abitanti è infinita. Ogni astro del nostro sistema è troppo lontano, troppo vicino, troppo caldo o troppo freddo. Tu invece sei perfetto nella posizione che ti consente di pullulare di  vita e di morte. Microrganismi, insetti, animali, umani, vampiri, mutaforma. Cosa hai riservato per me questa volta?> finché non mi trovai praticamente sola, non avevo potuto fare i conti con me stessa. < Potrò mai vivere la mia vita in maniera tranquilla, è proprio necessario accanirsi su di e sulla mia famiglia in questa maniera? È questo lo scotto da pagare per essere speciali? > quanto non avrei voluto angustiarmi in quella maniera, eppure non riuscivo a togliermi quello strano peso che si era posizionato esattamente alla bocca dello stomaco. La riluttanza di mio marito mi aveva condotta a pensare che tutto quello che stavo facendo fosse sbagliato, io stessa mi sentii sbagliata. Di nuovo. Ma stavolta non per colpa di una natura che non potevo cambiare, ora avevo la sensazione di essere inadeguata al ruolo di figlia, di moglie, di madre. Stavo portando la mia famiglia nel centro esatto dell’inferno per la mia personale redenzione. Mi vergognavo come persona. Avevo provato di tutto negl’ultimi mesi: rabbia contro un marito che cercava solo di proteggermi, invidia verso i miei figli che avevano avuto successo in un mio fallimento, superbia perché mi ero creduta di essere la migliore in ogni campo. Cosa mi stava accadendo? Perché l’insicurezza diventava padrona del mio cuore nel momento decisivo, proprio sull’orlo del baratro in cui mi stavo tuffando a braccia aperte?

“Al ritorno voglio te al posto accanto, oppure lasciamo Embry in Alaska! È veramente insopportabile, lui e la sua paura fottuta dell’aereo!” non mi ero accorta del mio lupo nel lato vampiri. Purtroppo in quei giorni venimmo totalmente assorbiti dalla partenza e forse quella era la prima vera volta che parlavamo al di fuori del semplicistico lato organizzativo. Comunque dai toni di Jake percepii che aveva decisamente sbollito da quella sera “Ehy, ma dove sono andati Pena e Panico? (ndr. Rif: Hercules Walt Disney)”

“Stanno visitando la cabina di pilotaggio!” Jake prese posto sul sedile di fianco, baciandomi la fronte. Mi aggrappai al suo braccio. “Non è che a Embry adesso prende un infarto?” chiesi seriamente preoccupata per la salute del mio amico. Non avevo intenzione di averlo sulla coscienza addirittura prima della battaglia.

“No ha il cuore forte! E poi c’è Seth con lui!” Seth sembrava molto esaltato al viaggio. L’unica volta in cui erano usciti da Forks, fu per salvarmi a Volterra. Anche Embry risultava abbastanza contento di partecipare ad una missione fuori la riserva, anche se la questione aereo era veramente stressante per il povero lupo. Una volta rassicurata dalle sue parole, mi accoccolai sulla sua spalla. Non aspettavo altro che sentire il mio porto sicuro vicino per poter attraccare al suo fianco. A cosa ti stavo costringendo? Perché mi sembrava così sbagliato e allo stesso tempo così giusto? Dio che confusione. Una fitta lancinante attraversò il mio cervello, provocandomi un leggero malessere. Cercai di schermarmi dalla luce che sembrava la fonte primaria del mio disagio.

“Nessie, ti senti bene?”

“Si è solo la pressione mi da un po’ fastidio alla testa! Sto bene!” tolsi subito la mano dal viso, il dolore era passato, ma Jake sembrava ancora preoccupato. Presi la palla al balzo per cambiare argomento, era inutile soffermarsi su di un malore passeggero “Lupastro posso chiederti una cosa?” la sua mano era praticamente il doppio della mia, quando incastravo le dita tra le sue sembrava quasi scomparire. Distinsi le sue calde labbra posarsi sulla mia testa.

“La sera della riunione ero arrabiato con te!”  mi scostai appena, in una reazione involontaria dovuta dallo stupore per quello che aveva appena detto  “Guarda che ti conosco da quando sei nata e soprattutto conosco questa testolina piena di apprensione!” come quando ero bambina, batté con le nocche in un delicatissimo pugno sul mio cranio. Io per rispondere a quella piccola provocazione, strizzai un occhio come se mi avesse fatto male. “Comunque, ero stizzito perché mentre stavamo a casa nostra con gli altri, ti sei comportata  esattamente come se fossi il capobranco, hai proposto ai miei fratelli di seguirci senza chiedermelo prima, e mi sono sentito un pochino spodestato del mio ruolo!” ma che razza di discorso era? Non l’anno mille era passato da un pezzo, il periodo in cui la donna doveva stare al suo posto e l’uomo provvedeva alla gestione delle faccende importanti non esisteva più se non nell'immaginaio di qualche esaltato. Ma a che era servito il femminismo e tutte le lotte per la parità dei sessi? Dovevo consultarmi con lui per esporre una mia opinione?

“Scusa se ho minato alla tua virilità di maschio alfa degli stivali!” non mi distaccai ma ero ben attenta a far percepire tutta la mia demoralizzazione.

“Mi sono comportato da idiota vero?” dovrebbe scrivere un manuale su come fare infuriare una moglie e farla sfuriare subito dopo con una frase.

“L’importante è che lo sai!”

“Comunque, mi sono accorto quasi immediatamente, che le mie sensazioni non erano giustificate, dopotutto non siamo una cosa sola io e te? Non contando che ho trovato la tua proposta intelligente e sensata!” a quel punto aveva decisamente riacquistato tutti i punti marito persi. “Preferisco avere due amici fidati al mio fianco, per proteggere te e le nostre pesti!”

“Io mi sento molto protetta con te!” sfregai un poco la mia testa sulla sua spalla, cercando di farmi da sola le carezze. Sembravo veramente un gattino in cerca di coccole.

“Non ci sono sempre riuscito alla perfezione …” il suo tono amareggiato mi fece alzare lo sguardo. Notai che osservava la appena visibile cicatrice che avevo sul collo. Il veleno spurgato, non aveva cancellato completamente le tracce del mio incontro con Heidi. Spesso lo avevo sorpreso ad osservare la mezzaluna, con rammarico. Si sentiva profondamente in colpa per quell’incidente, nonostante mi avesse letteralmente salvato la vita. Sistemai i capelli in modo da coprirla il meglio possibile e mi accoccolai nuovamente sulla sua spalla.

“Non è vero tu ci sei sempre stato! Sei il mio angelo custode …”cercai di rassicurarlo, e a quanto pare c’ero riuscita vista l’espressione gongolante che aveva assunto. Alzai gli occhi rimanendo ancora sulla sua spalla “Jake, grazie per quello che stai facendo!” era doveroso che esprimessi la mia riconoscenza. Sapevo che quel viaggio se lo sarebbe volentieri risparmiato. Ma la sua vita girava intorno alla mia. Io, il suo imprinting, desideravo poter aiutare i nostri cugini. Ed ogni mio desiderio è un ordine, e quella magia che ci legava lo obbligava ad esaudire ogni mio capriccio. Mi domandavo se questo imprinting fosse veramente una cosa positiva. Lo privava del libero arbitrio, lo privava del diritto di amare chi voleva, lo privava di una vita normale perché lo aveva incatenato ad un essere speciale. Un’altra volta il dolore trapassò la mia testa ma cercai di non darlo a vedere.

“Nessun grazie, avevi ragione! Siamo entrambi in debito con loro. Ci sono stati sempre per proteggere la ragione della mia vita, era il minimo che li aiutassi!” sfiorò delicatamente le mie labbra proprio mentre un piccolissimo e quasi impercettibile soffio fuoriuscì dalla mia bocca  “Perché sospiri?” non potevo tener nascosto quel mio dubbio, lui l’avrebbe intuito. Poco prima aveva indovinato una mia domanda senza che proferissi parola, quanto avrebbe impiegato a scoprire il mio attuale tormento?

“Non so! Jake, ti amo, ti amo sul serio! Ma mi chiedo quanto l’imprinting influisca nelle tue decisioni … ” sentì i suoi muscoli contrarsi, tanto da destarmi nuovamente dalla mia posizione. Lui mi guardava severo, sembrava irritato dalle mie parole.

“Io ragiono con la mia testa! Non ti permetto di dirmi che sono sotto l’influsso di qualche magia! Chiudiamo qui la faccenda, perché non voglio che mia moglie, la donna che IO amo, pensi che non sia libero di decidere per conto mio! Siamo intesi?” rimasi interdetta da quel cambio repentino di umore come se l’avessi insultato. E forse era così. Sperai che nei miei occhi si potesse leggere quanto fossi dispiaciuta. L’unica cosa che mi distolse dal fissarlo, furono i nostri figli che, tornando dalla cabina di pilotaggio, si buttarono sopra le mie gambe.

“M …” Sarah si morse il labbro per smorzare la parola che stava per pronunciare “Nessie …” sospirai, non c’era nulla di più brutto che essere sorella di mia figlia “Ho deciso che da grande voglio fare il pilota d’aereo!”

“Ma tu sei femmina!” la mia lupetta si era rabbuiata all’affermazione del fratello.

“EJ, Sarah potrà fare quello che vorrà da grande, noi possiamo decidere di essere ciò che vogliamo nessuna natura può scegliere per nostro conto! Che dicevi piccola?” nessuna natura può scegliere per nostro conto. Carlisle, le sue parole si adattavamo a molte situazioni: quando combattevo contro la mia bestia, per il desiderio di una bambina di diventare ciò che le piace, per un lupo che ha trovato la sua anima gemella. Il mio Jake poteva decidere da solo. E tutto risiede sempre lì, negli insegnamenti della mia guida, del mio mentore, del mio dolce nonno.

“ È tutto pieno di pulsanti e di lucine e poi ogni volta che muove il volante …”

“Si chiama cloche, no volante! Cominci proprio male Sarah!” la piccola si voltò di scatto e cominciò a ringhiare.

“Stai zitto!”

“Ehy voi due che vi avevo detto? Niente litigi!” s’intromise il poliziotto cattivo. Incredibile, nel nostro ruolo di genitori io ero quella buona e permissiva, lui era l’autoritario e protettivo, perfettamente in armonia. Al contrario di quando ero io la bambina. Jake era sempre stato quello comprensivo.

“Scusa!” dissero in  coro i bambini.

“Si avvisano i signori passeggeri che siamo in fase di atterraggio, vi preghiamo di mettervi ai vostri posti e di allacciare le cinture di sicurezza …”

 

 

“Embry, tutto a posto?” ormai avevamo superato tutti i controlli e il suo incarnato stava riprendendo colore. Durante tutto il viaggio aveva preso una leggera sfumatura verdastra. Quella disarmonia creata dal suo aspetto da duro e quel viso completamente smarrito mi spingeva in un moto di tenerezza quasi materna nei suoi confronti.

“Ora che sono sulla terra ferma, sto decisamente meglio! Vado ad aiutare Jake e Seth con i bagagli” mi lasciai scappare una piccola risata, stava male si ma era veramente buffo.  Una voce familiare, che avrei riconosciuta fra mille, arrivò al mio orecchio. 

“Mi amor, ¿cómo estás? Te extrañé, mi estrella! | Amore mio, come stai? Mi sei mancata mia stella!|” Carmen ci venne incontro e ci abbracciammo strette.  Non la vedevo dal mio matrimonio, anche se ci scambiavamo mail spesso ed avevamo mantenuto costantemente i contatti.

“Carmen estoy bien yo, he echado de menos también! |Sto bene Carmen, Mi sei mancata anche tu|” ci discostammo appena per permetterci di guardarci negl’occhi. Carmen con me parlava sempre in spagnolo, cosa che ovviamente urtava la mamma.

“Usted es siempre más bella niña, pero ¿dónde está tu querido perro? | Sei sempre più bella bambina mia, ma dov'è il tuo amato cagnolino? |” la rimproverai con lo sguardo.

“Carmen …es mi marido, y la precisión es un lobo, no un perro! | è mio marito, e per l'esattezza è un lupo, non un cane! |”

“¿Cuál es la diferencia? | Che differenza c’è? |” sospirai rassegnata, in fin dei conti era solo uno scherzo divertente che non potevo fermare. Continuammo a rimiraci per qualche secondo quando qualcosa alle mie spalle attirò l’attenzione della mia amica. Una splendida folgore attraversò lo sguardo dorato di Carmen come se alla vista di quello che l’aveva colpita, si fosse illuminata di una luce nuova.

“¿Son sus hijos, mi amor? |Sono i tuoi figli, amore mio?|” mi voltai e vidi mio padre con in braccio Sarah seguito dalla mamma che invece teneva per mano EJ. Annuì contenta della sua reazione. “Son hermosos! Mirar como usted y también para el perro! | Sono bellissimi! Somigliano a te e anche al cagnolino!|”

“Voi due la smetterete mai di escludere il resto del mondo dalle vostre chiacchiere? Ciao Renesmee, sono felice di rivederti!” Eleazar ci raggiunse ed assieme a Garrett. Il vampiro si soffermò ad un tratto ad osservare i bambini. Conoscevo cosa stavo facendo, il suo potere, capace di distinguere le capacità degl’esseri speciali come noi.

“È EJ?” chiesi in un sorriso, pensando che il suo sguardo mirasse a lui.

“Non solo …” s’interruppe, quella risposta mi lasciava decisamente troppo perplessa.

“Non solo? Cosa vuoi dire con non solo?” chiesi invitandolo a continuare.

“Nulla!” mi stava decisamente nascondendo qualcosa. Solo allora notai che si era fossilizzato su Sarah. Cosa aveva visto in lei? Qualche abilità particolare? “Andiamo Tanya e Kate ci aspettano a casa!” si voltò ed io lo afferrai per un braccio, nonostante fosse più forte di me assecondò il mio movimento tornando ad incontrare i miei occhi.

“Se ci fosse qualcosa di preoccupante me lo diresti, sono i miei figli ho il diritto di sapere!” non rispose se non con un piccolo sorriso. Cosa aveva visto? Me ne avrebbe mai parlato?

 

“Non state più nella vostra vecchia villa?” 

“No, era diventata troppo piccola ce ne serviva una più grande e al riparo da sguardi indiscreti!” ascoltavo distrattamente la loro conversazione. Ero finita in macchina con papà, Sarah, EJ e Carmen al posto di guida. I miei piccoli cominciavano a risentire della stanchezza del viaggio e si erano accoccolati sulle mie gambe.

“Ma ci stiamo dirigendo all’interno del parco nazionale, come avete fatto a …”

“Edward, no para pedir tonta! | Edward, non fare domande sciocche!|” percepivo nettamente la scocciatura di mio padre mentre Carmen rispondeva alle sue domande con risposte inconcludenti.

< Questa è un’altra bella vendetta per me! > papà si voltò di scatto visto che me la stavo spassando alle sue spalle.

< Trattami con rispetto sono pur sempre tuo padre! > risi di gusto al suo risentimento.

“Carmen, cosa ha visto in Sarah, Eleazar?” se non ottieni nulla da uno prova con l’altro. Con i miei funzionava sempre anche se prendere in disparte uno dei due era un’impresa epica.

“Tesoro, non lo so! Ricorda che il suo potere è chiaro solo con i vampiri, probabilmente è solo molto confuso con lei, in cui il sangue umano è prevalente a differenza del vampirello che a quanto pare a preso tutto da te Edward, ti somiglia parecchio! Taciturno, riflessivo ed affascinante!” Eleazar vedeva le capacità sovrannaturali, ma Carmen leggeva le persone dentro. Era bastato uno sguardo, un solo sguardo per determinare che io non ero una minaccia, non ero pericolosa, non ero una bambina immortale. Ero innocente, le accuse che mi erano state mosse contro non mi appartenevano. E da allora separarci non era stato possibile, nemmeno con chilometri di distanza. La mia amica era sempre lì per me a qualsiasi ora, per parlare, per scriverci. Legate indissolubilmente da un affetto fraterno, la sorella che non avevo avuto “Mis amores, estamos!| Miei amori, siamo arrivati!|” la sua voce mi destò dai miei pensieri, attirando la mia attenzione verso l’esterno. Rimasi letteralmente a bocca aperta. Dire reggia era riduttivo. Una costruzione enorme incastrata perfettamente nella vegetazione del parco, forse ad occhio umano non sarebbe nemmeno parso reale, per quanto era in sintonia con l’ambiente circostante. Sembravano sezioni appartenenti ad un tutto uno con la natura, dalle dimensioni immisurabili. Non ci sono parole per descrivere in altro modo la loro abitazione, o il loro reame o qualsiasi altro termine fosse adatto.

“Benvenuti a tutti!” la bellissima Tanya ci aspettava  fuori insieme a sua sorella Kate. Per fortuna che Esme non c’era, altrimenti conoscendola avrebbe ristrutturato casa Cullen per farla diventare alla sua altezza. Jacob mi venne vicino mentre ancora io rimanevo in piedi totalmente spaesata.

“Le sanguisughe sono sempre troppo esagerate per i miei gusti!” sussurrò al mio orecchio facendomi riprendere dallo stato di trance in cui ero caduta.

“La voglio!” mi lagnai come una bambina con sguardo supplichevole verso mio marito.

“Stai scherzando?” non riuscì a restare seria alla sua preoccupazione. Non ero mai stata una persona di grandi pretese, quindi risultava ovvio che stessi scherzando. Ad un tratto sentì il rumore tonfo di un gomito contro il torace di un vampiro, mi voltai di scatto verso i miei genitori e vidi mio padre leggermente piegato che si massaggiava all’altezza dello sterno.

“Edward sono felicissima di vederti, Bella sei sempre più deliziosa!” alla voce di Tanya mi risultò tutto più chiaro; mia madre era molto gelosa delle attenzioni della vampira nei confronti di mio padre, immancabilmente Edward si trovava qualche parte del corpo della mamma contundente in una porzione del suo torace tanto per ricordargli che ora  poteva benissimo farlo a pezzettini e se avesse pensato qualcosa di sconveniente non mi sarei mai lasciata sfuggire l’opportunità di ricattarlo e volgere la situazione a mio favore. C’era da dire che oltre ad essere dotata di un’innata bellezza Tanya, aveva un fascino fuori dalla norma persino per un vampiro.  Ci venne lentamente incontro andando a cingermi in un delicato abbraccio, appena sciolta allargò un dolcissimo sorriso verso di noi, dimostrando con il suo viso una sincera gratitudine  “Renesmee, Jacob, non vi ringrazierò mai abbastanza per l’aiuto che ci state dando! E questi dovrebbero essere i vostri incantevoli figli! ”s’inchinò poi all’altezza dei miei cuccioli, che oltre ad essere un po’ storditi, sembravano intimiditi da tutte quelle attenzioni. Tendenzialmente erano molto diffidenti. Cosa che non dispiaceva a nessuno di noi. “Vi chiamate Sarah ed EJ se non mi sbaglio, io mi chiamo Tanya, piacere di conoscervi!” allungò una mano. Sarah rimase per un attimo ad osservarla, poi guardò il padre come se aspettasse il suo consenso. Già sapeva a chi rivolgersi, era proprio una lupetta. Appena Jake asserì con la testa lei la strinse. EJ invece rimaneva ancorato a me, senza scomporsi.

“EJ non ti vuoi presentare a Tanya?” cercai di invogliarlo, si avvicinò appena guardandola intensamente negl’occhi per qualche secondo.

“Sono come quelli della nonna!” disse quasi in un sussurro come se cercasse una conferma di potersi fidare. Tanya sorrise contenta e allungò nuovamente una mano in sua direzione ed a quel punto anche EJ la strinse. Entrammo in casa e se dall’esterno sembrava enorme, dentro era immensa, sconfinata. Quasi tutte le pareti erano costeggiate da finestre rendendo l’ambiente talmente luminoso da farti sentire ancora fuori, in mezzo alla foresta. L’arredamento minimalista, moderno elegante nella sua semplice perfezione. Tutto sembrava rispecchiare l’aspetto esteriore, in una comunione assoluta con il paesaggio. Si distribuiva in diversi livelli assecondando la parete rocciosa a cui era ancorata la costruzione. Molti salottini, stanze da letto, una cucina (spesso avevano avuto ospiti umani per questo tenevano un luogo adibito a cucina), caratterizzato da pavimenti di marmo bianco lucidi e mobili neri o color latte o verdi muschio.

 “Venite vi mostro i vostri alloggi!” Tanya e Carmen ci guidavano nel giro turistico. “Questa stanza è per i nostri ospiti Seth ed Embry, giusto?” aprì una porta una bella camera bianca, intonsa arredata ovviamente in maniera semplice.

“È più grande di casa mia! Se non fosse per l’odore disgustoso verrei a vivere qui!” disse candidamente Seth mentre Embry era rimasto senza parole.

“Penso che vogliate darvi una rinfrescata e riposarvi! Vi lasciamo soli! Seguitemi ragazzi!” Tanya era veramente un ottima padrona di casa, aveva un eleganza unica. In realtà tutta la famiglia era sorprendente, visto che avere ben tre licantropi dentro la propria casa, sapendo il disgusto e la repulsione che provavano verso la loro specie, non doveva essere facile. “ Vi spiace se abbiamo adattato la veranda a vostra camera, Renesmee?” negai non sapendo nemmeno cosa intendesse. Quando però apri la porta di quello che sarebbe stato il nostro alloggio ebbi un lieve mancamento. Una camera divisa in due ambienti senza porte, dove probabilmente in precedenza vi erano divani e librerie. Adesso vi avevano sistemato un gigantesco letto matrimoniale nella parte di fondo sopraelevata da tre scalini in legno dove si stendevano una serie di finestre lungo una curva, delineando la parete perimetrale della stanza. Lo scenario visibile da quelle finestre era meraviglioso: si vedeva una piccolissima cascata naturale completamente immersa tra felci e conifere. Nell’anticamera vi erano due lettini singoli per i bambini e da una porta aperta potevo notare un bagno.

“Avete adattato? Questa stanza è da sogno!” le parole uscirono spontanee, non potevo trattenerle.

“Te gusta mi amor? | Ti piace amor mio?|” Carmen mi abbracciò le spalle ed io annuì rimirando incantata fuori la finestra. L’acqua del piccolo ruscello che cadeva nella roccia poco sotto i mie piedi, gorgogliava in un suono appena percettibile. Sembrava che ci stesse parlando che ci stesse salutando. Benvenuti in Alaska!

  

Note dell'autrice: Ragazze benvenute in Alaska! Allora premetto una cosa per le frasi in spagnolo mi sono rivolta a un traduttore on line quindi probabilmente ci sraanno degli errori anche grossolani, visto come traducono dall'inglese all'italiano. Se qualcuna di voi riscontra degl'orrori vi prego di comunicarmelo sarei molto grata! Anche tramite mail con il tastino contatta. Vi ringrazio anticipatamente.

Passiamo a noi, ebbene vi piace la casa di Denali, meno male che non volevano dare nell'occhio. In realtà mi sono ispirata ad una casa già esistente. E' un'opera di Frank Lloyd Writgh grande architetto contemporaneo. La casa si chiama Fallingwater house. Io la amo da quando l'ho conosciuta. Nel mio racconto l'ho resa più grande e ancora più inglobata nella natura in armonia con l'Alaska che ho in mente io. Di seguito vi inserisco il link ad un immagine molto grande che per non appesantire la pg non inserisco nel documento.

http://www.wright-house.com/frank-lloyd-wright/fallingwater-pictures/large-fallingwater-photos/high-resolution/falling-water-fall-house-L.jpg

Per rendervi conto dell'ambientazione siamo nei primi di aprile in piena primavera, anche se l'Alaska mantiene climi rigidi durante tutto l'anno. Però non c'è neve se non qualcosina di sporadico e ghiaccio qua e là. Da quello che ho capito io Denali è interno ed è uno dei posti più acclimatati. Scusate ma come al solito mi ero scordata un capitolo di mezzo sarà il prossimo dove la nostra Nessie si arrabbierà e ci sarà il pov diverso.

never leave me: ma no che non l'hai offesa! io scherzavo ovviamente! E' vero che è la mia favola preferita, ma questo non implica che debba piacere a tutti. Comunque la sua trama stava bene con il riadattamento di Nessie. Il discorso della cocciutagine hai ragione. Per me sia Nessie che Jake sono dei gran testardi ed è quello che li fa scontrare più di tutti. E poi hai visto che c'hai preso? In effetti alla fine era proprio una questione di orgoglio e per giunta maschile. Oltretutto lui ha una gran smania di proteggere Nessie ed i bambini, quasi in maniera esasperata. La mia scelta di dipingere uno Jake in questo modo ad un certo punto della sua vita era necessaria. poi capirai cosa intendo. E tu non preoccuparti, te l'ho promesso che ci sarà qualcosa per il tuo palato! E spero che ti piacerà perchè è sempre descritta con il mio solito e noioso stile.

Rocxy: ebbene l'ho detto che c'è aria di maretta! mi dispiace ma al settimo anno ce la dovevo infilare la crisi o no?  comunque non ti scoraggiare io adoro Jake e Nessie e loro si adorano. Tu continua a seguirmi!

noe_princi89: lo so sinceramente l'idea di far cicciare fuori un altro pargoletto mi era passata ma sinceramente complicherebbe il rapporto Sarah ed EJ che voglio affrontare in maniera autonoma. Comunque chissà vediamo come si svolgerà la seconda parte.

Vi ringrazio sempre tutte! Vi adoro!

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Capitolo 8
*** CAPITOLO VII: Irresponsabilità. ***


CAPITOLO VII: Irresponsabilità.

Eravamo arrivati solo nel pomeriggio ed i bambini crollarono per la stanchezza del viaggio. Sonnecchiavano tranquilli nel loro letto dopo mille parole che esprimevano la loro contentezza. Quella per loro era una semplice gita di piacere, un andiamo a trovare i nostri parenti in Alaska. Ignari di tutti quello che era un contorno fondamentale. Dovevamo sapere a cosa andavamo incontro e soprattutto a quali pericoli stavo esponendo i miei figli. Infatti la sera stessa ci riunimmo per parlare con tutto il Clan. Non potevo essere impreparata. Jacob sembrava quasi rilassato ma allo stesso tempo manteneva quell’aurea inflessibile e solenne. Non resistetti e mi accostai a lui. mi bastava sentire il suo calore, per sentirmi più protetta. Lui mi sorrise e tutto scomparve nel mio sole personale. Ora ero pronta a conoscere il mio destino più prossimo.   

“Quanti membri conta il branco?”

“Da quello che abbiamo capito sono in tre, la femmina alfa e due maschi, di cui non conosciamo il nome. Non sono come voi sembrano addirittura più forti!” Kate aveva uno strano sguardo. Era una donna altera, fiera, raramente si spaventava eppure sembrava realmente impensierita dalla circostanza.

“Sono giunti qui da qualche settimana, appartengono alle tribù Inuit del nord ma in realtà si spostano per tutto il paese. Si sono autoeletti i cavalieri erranti protettori dell’Alaska. Non sono assolutamente come voi! Il loro è un legame instabile, uniti solo dagl’ordini dell’alfa che sembra l’unica in grado di ragionare! L’ha incuriosita soprattutto Renesmee, sapere che esiste un essere metà vampiro e metà umana, l’ha decisamente interessata!”   Tanya avrebbe voluto una sorta di alleanza come quella  fra i Cullen e Quileute, anche se ormai la nostra non era solo una semplice coalizione: eravamo diventati una vera e propria famiglia.

“Se non fosse stato per Carmen avremmo intrapreso una vera e propria guerra!” Eleazar baciò la sua compagna teneramente sulla testa. In effetti le abilità diplomatiche della mia amica erano considerevoli.

“Cosa intendete che non sono come noi?” Seth così serio non l’ho visto nemmeno nelle occasioni più disperate. Forse era la sua curiosità che lo faceva sentire così.

“Non sono lupi, come voi! Noi vi abbiamo visto, siete giganti ma loro sono ancora più grandi … ”

“Carmen, basta!” il tono perentorio della vampira fece tremare un po’ tutti.

“Katrina, perché non vuoi che ci spieghi a cosa dobbiamo andare incontro?” mi venne naturale porre una tale domanda. Inoltre se avessi dovuto portare i miei figli al loro cospetto, volevo sapere con chi avrei avuto a che fare.

“Non possiamo rivelarvi troppo, fa parte dell’accordo che abbiamo stipulato con loro! Dovrete conoscerli senza la nostra intromissione!”

“Pensate che ci attaccheranno?” aveva assunto la sua tipica inflessione da alfa.

“Non lo sappiamo Jacob, noi speriamo che si possa risolvere il tutto con il vostro arrivo!”

“Ma in che modo? Non potrebbero pensare che è una messa in scena?” alla domanda di Embry tutti ci voltammo verso Tanya. Aspettavamo impazienti una risposta. Era un dubbio che ci aveva toccato tutti in un modo o nell’altro.

“Per questo vogliono vedere i loro figli, è evidente la loro unicità, come è palese per Renesmee. Ci auspichiamo di riuscire a risolvere le nostre divergenze grazie solo a degli accordi verbali, senza ricorrere alle armi! Non ho alcuna intenzione di finire in battaglia e non voglio perdere membri della mia famiglia inutilmente!” lentamente si avvicinò a me e a Jake che stavamo in piedi l’uno accanto all’altra “Ma vi garantisco che qualsiasi cosa accada, non  permetterò che succeda nulla a nessuno di voi, soprattutto a Sarah ed EJ!” sembrava di sentire le rassicurazione del nonno. aveva quel tono controllato e tranquillo, di chi nel tempo ha imparato a dominare il proprio istinto senza lasciarsi trasportare. Jacob invece sembrava terribilmente preoccupato. Ma non era la situazione ad angustiarlo sembrava ben altro. In effetti il discorso intrapreso in aereo, non aveva avuto una fine.

 

Incredibile. Cosa ci dovevano fare dei vampiri con un bagno del genere nella veranda? Era tanto lussuoso da far sembrare la nostra suite della luna di miele, una bettola di motel. Jake certe cose nemmeno le notava, anzi le detestava in un certo qual modo. Sembrava infastidito dal troppo sfarzo. Per questo Esme si era molto contenuta nella ristrutturazione del nostro cottage. A parte qualche exploit, come lo schermo quarantasei pollici con la TV via cavo, apprezzato sia dal mio Jake sia da tutto il branco, e la nostra cabina armadio (colpa di zia Alice), non aveva dato sfogo alla manie di grandezza tipiche dei Cullen, non a pieno per lo meno. Aveva giusto giusto ampliato il progetto di base e reso ancor di più una casa che un rifugio. Lo abbracciai da dietro mentre si stava lavando i denti, con solo i pantaloni grigi della tuta addosso (l’Alaska aveva una temperatura rigida persino per un licantropo).  Scomparivo completamente dietro la sua mole.

“Sei ancora arrabbiato?” mugugnò per negare con lo spazzolino ancora in bocca, non era molto convincente “Sicuro?” sospirò pesantemente, sorseggiando il gran bicchiere d’acqua per poi sciacquarsi ed asciugarsi. Si voltò verso di me cingendo i miei fianchi.

“Lo pensi sul serio che io sia sotto l’influsso di qualche sortilegio che non mi permette di ragionare per conto mio?” colpita ed affondata per l’ennesima volta.

“Lo so, ma è normale che mi chieda quanto questa cosa influisca sulle tue decisioni! Sarebbe stata così la nostra vita se non ci fosse stato l’imprinting?” soffiò infastidito dalla mia domanda “Jake, ti prego non fraintendermi. Io sono felicissima di avere una garanzia soprannaturale sul nostro rapporto, ma devi mettere in conto che per quanto mi sforzi non è facile comprendere a pieno il suo meccanismo … ” dovevo essere sincera, visto che la mia macchina della verità non si lasciava sfuggire nulla.

“Nessie, io sono seriamente innamorato di te, imprinting o no, mi ferisci quando pensi certe cose!” aveva sciolto le sue mani dai miei fianchi.

“Ma tu avresti realmente scelto di non invecchiare, di rimanere per sempre accanto ad un ibrido di vampiro, di rinunciare ad un eventuale erede a suo tempo e di diventare fratello dei tuoi figli poi? Stare con me è una condanna, non una passeggiata! Dopo tutto quello che hai passato non avresti sinceramente preferito una vita calma e tranquilla, accanto ad una ragazza normale?” oddio sembrava di stare a sentire mio padre! Mendel non aveva niente di meglio da fare che sperimentare l’ereditarietà genetica sulle piante di piselli? A parte il sarcasmo (visto che ormai i miei ormoni erano pienamente appagati, avevo un altro imperatore di Nessie ed era giusto che il mio caro amico prendesse il loro posto), l’amarezza di quello che mi passava  ultimamente per la testa era rilevante, non avrei mai potuto non condividerla con lui. Non sia mai che riesco a godere di un aspetto della mia vita  senza farmi domande sui miei meriti!

“L’unica cosa che veramente desidero sei tu! Non voglio più sentire mettere nuovamente in discussione i miei sentimenti e il mio libero arbitrio, soprattutto da te!” mi voltai, quel suo modo di fare autoritario mi aveva decisamente rattristato. Non volevo che si arrabbiasse, avrei soltanto voluto solo che spazzasse via le mie insicurezze, invece con quell’atteggiamento aveva sortito l’effetto contrario. Sembrava come se avessi toccato un tasto che lo infastidiva, forse perché rispecchiava una realtà scomoda. “Nessie, non te ne andare …”

“Jacob, la tua reazione sembra un’ammissione di colpa … ” era inutile dirgli che era tutto a posto e poi magari sbottare in un altro momento, e tirare nuovamente fuori l’argomento quando non sarebbe stato opportuno.

“Se per colpa intendi che sono innamorato da sempre della più stupida e pazza mostriciattola del pianeta, si è un’ammissione di colpa! Tu e i bambini siete la mia vita! Se io venissi da te e ti dicessi che tu mi ami solo per l’imprinting, come ci rimarresti?”spiazzata. Mi aveva letteralmente spiazzata. Non avevo pensato per nulla a come si potesse sentire. Quando mi girai mi venne incontro, prendendo il mio viso tra le mani sfiorando delicatamente le mie labbra “Non hai ancora risposto …”

“Lo sai già!”

“No, come ci rimarresti?”

“Male, ci rimarrei male! Sei antipatico quando fai il papà con me!” arricciai il naso seccata. Ne baciò la punta, per poi passare alla bocca.

“Non posso essere tuo padre, non puzzo come lui e mangio cibo normale! E poi non poteri fare questo!” carezzò dolcemente le mie labbra non nascondendo un sorriso in quel bacio.

“ Potresti finire in galera lo stesso visto che io non sono ancora maggiorenne!” ultima parola che si trova lì, sempre e comunque, che lingua che mi sono ritrovata.

“Ti amo! Brutta mostriciattola cocciuta!” mi diede un lievissimo pugno sulla testa. Ma ero nuovamente prigioniera della sua immensa oscurità, in quel buio incastonato nel suo viso che mi aveva fatto cadere nella sua trappola.

“Anch’io ti amo da impazzire, lupastro da strapazzo!” baciai la sua grande mano che avvolgeva teneramente la mia guancia “Comunque tutto questo discorso non toglie il fatto che esaudiresti ogni mio desiderio, vero?” anch’io avevo dei piccoli trabocchetti per farlo cedere alle mie lusinghe.

“Io voglio solo che tu sia felice, preferibilmente con me! Ma se serve che io realizzi qualche tuo sogno basta che tu lo dica ed io andrò anche a prendere la luna!” giocherellava con un boccolo ribelle sfuggito al provvisorio chignon che avevo. La sua spirale scendeva lungo il mio viso sfiorando il mio mento.

“Io voglio che tu faccia una cosa per me, ma non temere, non è nulla di complicato …” cominciai a mordermi il labbro inferiore, tamburellando le dita sul suo petto. I suoi battiti aumentarono, appena avevo gettato l’amo.

“Dimmi quello che vuoi ed io lo farò!” la sua voce era roca, spezzata.

“Vorrei farmi un bella doccia bollente, ma ho qualche problema a lavarmi la schiena, mi aiuteresti?” fingevo quell’innocenza che avrebbe fatto perdere la testa a chiunque.

“Cosa odono le mie orecchie? Sogno o son desto?”

“Ok lascia perdere, mi arrangerò!” stavo per andarmene quando mi sentì arpionare e caricarmi tra le sue braccia. Sapevo che non mi avrebbe abbandonata!

“Mamma!” il lieve lamento del mio bambino, con un tempismo mirabile arrivò giusto per interrompere il nostro breve incontro romantico. Il mio lupo abbandonò il suo volto sbuffando sul mio collo, con quel soffio bollente che indicava il disappunto per il contrattempo creatosi.

“Vai che la peste bubbonica, ti acclama!”

 

POV Bella

Nulla di quel lontano giorno mi avrebbe fatto sperare in meglio. Magari avrei preferito che io e mia figlia non  fossimo dei parafulmini viventi di disgrazie, però quando per la prima volta, in quell’aula vidi Edward non pensavo che avremmo dato origine a tale meraviglia. Guardavo mio marito e non vedevo più il tormento ed il dolore. C'era gioia, felicità creata da un futuro finalmente presente. Quel futuro basato su fondamenta di puro amore. Il mio, il suo, il nostro.  

“Edward sei certo che sia sicuro?”

“È uno spettacolo unico, voglio che Sarah ed EJ lo vedano, magari non ne avremo più occasione e non è da tutti i giorni poter rimirare l’aurora boreale!” come era diventato strano Edward da quando nacquero i nostri nipoti. Se con Renesmee era rinato, con loro sembrava essere tornato un bambino. Anch’io sinceramente mi sentivo assolutamente diversa. Non poteva essere altrimenti. Con loro potevo vedere Edward, il mio Edward tornare umano. Il suo sguardo. Mio marito mi aveva conosciuta prima di diventare un immortale come lui, sapeva esattamente come ero. Invece io non avevo alcuna speranza di vedere la sua anima. Ma la trovai riflessa nei loro visi, i piccoli gioielli di mia figlia. Pensare di essere al principio di tale miracolo mi rendeva migliore di quello che avrei mai immaginato. Renesmee, Sarah ed EJ erano la prova vivente del mio successo, e l’avrei potuto rimirare per tutta la mia eternità.

“Aspettami qui però, controllo che non interrompiamo un momento d’intimità!” stavo per voltarmi ed andare quando mi prese per il braccio strattonandomi a se. Mi trovai a pochi centimetri dal suo viso contorto in una smorfia dolente, avevo toccato un tasto che odiava. Ma ciò lo rendeva solo più affascinante di quanto già fosse. Diciassette anni da immortale non erano assolutamente bastati per affievolire il desiderio che provavo verso mio marito. Ogni volta che mi sfiorava sentivo di essere tornata la Bella impacciata, quella che si scioglieva al semplice contatto con la sua pelle di marmo. Ma ora la potevo sentire tiepida e soffice come seta. Stavo per baciarlo ma incredibilmente il suo parlare mi scosse e mi fece tornare in me. 

“Non farebbero niente con i figli nella stanza e poi finché sono sotto il mio stesso tetto il cane non la deve sfiorare!”

“Disse il fuhrer! Edward sono sposati da sette anni, Renesmee non è più una bambina sarà libera di … ” tappò la mia bocca con una mano, sentivo il suo petto vibrare in un ringhio soffocato. Per lui era difficile accettare che la nostra piccola brontolona era diventata una donna, nonostante avesse due figli che non aveva trovato sotto un cavolo e non erano stati portati dalla cicogna.

“Evitiamo di toccare certi argomenti, Bella!” alzai gli occhi al cielo. Era noioso questo suo modo antico di trattare il sesso, per me invece era una cosa così naturale, solo l’atto d’amore fisico capace di completare quello sentimentale. Andai silenziosamente verso la camera di nostra figlia accostando l’orecchio alla porta, in un gesto spontaneo ma non necessario.  I loro cuori battevano lenti e i loro respiri erano appesantiti. Dormivano profondamente. Sembrava un’ode musicale e rimasi incantata ad udire le loro differenti funzioni vitali. Il cuore di Nessie, mentre era sopita, batteva come uno normale, quello di Jake rispondeva con un ritmo leggermente più lento, i bambini sembravano un coro di echi di entrambi. Chiusi gli occhi assaporando la loro vita: quei cuori pulsavano anche per conto del mio. La mia vita scorreva in ogni goccia di sangue che percorreva il loro corpo. L’avevo abbandonata per loro, senza rimpianti.

“Dormono?”

“Si!” continuai ad ascoltare quell’ incantevole melodia. Nemmeno le mani esperte del pianista che avevo di fronte avrebbero potuto riprodurre tale armonia. Sentì la mano di Edward accarezzarmi la testa, mentre ancora ero intenta a godermi il rumore sommesso del loro petto.

“È bellissimo vero?”

“Cosa?”

“Il battito del cuore, il respiro pesante, il sapere che il loro sonno è alimentato da sogni che non possiamo più avere!” parlava con quell’intonazione nostalgica e sensibile. Quando ero ancora umana, Edward adorava starmi accanto mentre dormivo, ascoltare i miei ritmi. Non lo capii finche per la prima volta mi colsi inaspettatamente a spiare mia figlia che dormiva. Erano passati due anni dalla mia trasformazione da poco non ero più preda degl’istinti da neonata. Cominciavo a capire quello di cui mi parlava Edward, la sua paura di privarmi della possibilità di fare tutte quelle cose che rappresentavano semplicemente un’abitudine come ad esempio il mangiare o l’alternanza sonno veglia. L’impossibilità di crescere di cambiare. Ma ne avevo realmente bisogno? No se avevo quel qualcuno che lo faceva per me, a cui avevo donato tutte le caratteristiche che mi vennero a mancare nella mia nuova non vita. Ed in più, rispetto agl'altri vampiri io potevo sognare. Non era necessario chiudere gli occhi. Bastava prendere la sua mano e posarla sul mio viso, riscoprendo così le sensazione che avevo scelto di abbandonare. “Adesso andiamo altrimenti rischiamo di perderla!”alzai gli occhi ed aprì la porta delicatamente attenta a non provocare troppo rumore. Nel buio non avevo problemi a muovermi, ormai ero diventata elegante, raffinata e finalmente non ero più la goffa e scoordinata Bella. Fui bloccata però da un profondo e sordo latrato proveniente dalle mie spalle “Alza lo scudo!” mi ero completamente dimenticata. Chissà quale fantasia o quale desiderio aveva percepito. Allargai il mio elastico raggiungendo Jake e Nessie che stavano abbracciati teneramente al centro del grande letto. Edward però continuava a ringhiare, sembrava un vecchio motorino a scoppio. Sembrava il mio vecchio pick-up.

“La finisci!” avevo praticamente mosso solo le labbra per quanto avevo parlato piano.

“Tu non hai visto la mente di nostra figlia! E poi perché deve dormire con quelle sottovesti così corte, siamo in Alaska non sarebbe più appropriato un bel pigiama di pail?” poteva passare cento anni e lei sarebbe sempre stata la sua bambina.

“Siamo in Alaska ma lei dorme vicino ad una stufa umana! Invece di focalizzare l’attenzione su tua figlia e il suo consorte, pensa ai nostri angelici nipoti quando vedranno l’aurora boreale!” stavo per ottenere nuovamente la calma, quando Renesmee si rannicchiò ancor di più tra le braccia del marito, bofonchiando nel sonno il suo nome. La mano di Jake scivolò malauguratamente sulla natica di nostra figlia e Edward cominciò con il suo solito lamento. Gli presi il mento costringendolo a guardarmi e gli intimai “Andiamo!” non era del tutto convinto ma dovette desistere. I nostri angeli dormivano teneramente accucciati su un fianco, nella stessa identica posizione. Io mi sedei sul ciglio del letto di EJ mentre Edward si occupava di Sarah.

“Cucciolo, svegliati! I nonni vi vogliono portare a vedere una cosa speciale!” sussurrai al suo orecchio sicura che non avrebbe funzionato. Il piccolo di notte finiva sempre in una sorta di catalessi. Cominciai ad accarezzare i suoi capelli neri, facendo il solletico dietro l’orecchio. Dopo insistenti tentativi, un leggero sorriso si increspò e i suoi smeraldi presto tornarono a brillare. Ci sbrigammo a vestirli ben coperti. Avevano la temperatura intorno ai quaranta gradi, ma all’esterno il clima era ghiacciato, non volevamo che sentissero troppo freddo. Lasciai un biglietto in bella vista, sperando che il nostro rapimento non venisse scoperto. C’era un piccolo rialzo naturale poco lontano dalla villa dove potevamo rimanere seduti a rimirare il nastro di luce che si era venuto a creare sopra le nostre teste. Percorremmo in breve la distanza. I bambini sembravano divertiti da quella sortita di soppiatto in cui li avevamo coinvolti. Ovviamente Sarah non si staccava dal nonno, si era realmente innamorata di Edward. In questo somigliava a me, totalmente attratta dal mio bel vampiro che in lei rivedeva il ricordo sfocato della madre naturale. Quando arrivammo in quello spazio i loro occhi si spalancarono in preda alla più forte eccitazione mai provata. Sentivo i loro cuoricini accelerare e vedere quei giochi luminosi riflessi nel verde delle loro iridi.

“Nonno cos’è?” solo EJ aveva la forza di parlare. Sarah era sempre rimasta affascinata dalle luci colorate.

“Questa è un’aurora boreale piccoli! Sono delle particelle dei raggi solari che rimangono intrappolate nell’aria e con il buio cominciano a brillare!” i drappeggi cangianti, fluttuavano sopra di noi come se mossi da un vento invisibile ed impalpabile.

“Fooorte!” i bambini iniziarono a scorrazzare cercando di prendere i lembi di luce che sembravano avvolgerci. Io ed Edward ci abbracciammo lasciandoli liberi di giocare come meglio credevano.

“Nonni non farete come mamma e papà, che si sbaciucchiano di continuo!” di tutta risposta Edward mi sfiorò le labbra lasciando che un gridolino di disgusto riecheggiasse tra le nostre risa. Poi uno strano suono, un fischio armonico come originato da uno strumento particolare, subito ancorammo i bambini alle nostre spalle osservando gli alberi da cui proveniva quella strana musica. 

Aqsarniit | aurora boreale | danza al ritmo di cuore puro. Due cuori suonano ritmo!”  un forte odore di pelo bagnato, misto a quello di una fogna a cielo aperto invase il mio olfatto costringendomi ad indietreggiare, nemmeno i ragazzi del branco avevano un olezzo così disgustoso. Ben presto quell’odore divenne un uomo. Era molto alto, aveva un petto ampio, muscoli sviluppati e forti.  Ad un primo impatto sembrava più grosso di Jake. Rimanemmo immobili, temendo che un’azione avventata potesse scatenare una reazione sconsiderata da parte di quel misterioso figuro.

“Chi sei?” eravamo pronti a fuggire se fosse stato necessario.

“Mio nome è Jussa, devo controllare ospiti!”  Le domande si accavallarono nella mia testa. Chi era? Cosa voleva? Perché doveva controllarci?

“Da quanto ci osservi?”  solo Edward aveva la freddezza di parlare con lui. Io invece in un innato istinto materno pensavo solo a come poter portare al più presto in salvo i bambini.

“Non importa, io devo andare!” non avemmo il tempo di replicare che era già sparito nella vegetazione. Guardai Edward spaventata.

“Era uno di loro!”

 

POV Nessie

Ero furibonda, arrabbiata, mi sentivo un aspide morsa da una tarantola a cui avevano iniettato via endovena della cocaina. La velocità con cui il mio cuore batteva si aggirava attorno ai trecento chilometri orari. Jacob aveva cercato di calmarmi, ma era un po’ difficile.

“Io vorrei sapere cosa vi è venuto in mente? Voi due siete i miei genitori, non dovreste essere così sconsiderati!” avevano svegliato i miei bambini e li avevano trascinati al freddo senza nemmeno chiedere il nostro permesso, sapendo che c’è un branco nemico pronto a sbranare il Clan di Tanya.

“Renesmee, calmati eravamo poco lontani da qui e non è successo niente!” tentava di spiegarsi in tutti i modi, ma più parlava più io andavo su tutte le furie.

“Calmarmi, papà? Tu non puoi fare come ti pare! Se vi avesse attaccato? Come vi sareste spiegati?” ero a pochi centimetri dal suo viso, mia madre stava in un angolo guardandomi seriamente mortificata.

“Edward ha ragione, avremmo almeno dovuto avvertirla ! Scusaci Renesmee! Scusateci entrambi!” ecco la voce della mamma. Dimostrava la sua costernazione, ma io non mi lasciai intenerire tanto facilmente. Allungai un braccio in sua direzione continuando a fissare lo sguardo di mio padre che invece era totalmente cristallizzato, non voleva cedere non voleva darmi ragione.

“Papà, questo voglio sentire, una stramaledettissima scusa e un minimo di pentimento! Sei tu il padre, non posso metterti in punizione perché sei stato un completo irresponsabile, ma almeno cerca di essere reale con te stesso ed ammettere che hai sbagliato!” se prima avevo un tono semplicemente alto, adesso toccavo decibel che rasentavano gli ultrasuoni.

< Hai ragione ho sbagliato a non avvertirti! Ma non ho fatto nulla di male! > tutta la discussione si stava decisamente tramutando in una questione di principio. Mio padre non voleva confessare il suo errore davanti a tutti. Ma non poteva cavarsela così.

“Certo, non sei capace di dirlo a voce, sai comunicare solo con il pensiero!”

“Renesmee, adesso smettila, non ti basta che ti ho chiesto scusa!” aveva iniziato ad urlare anche lui. Era molto raro vedere sbraitare Edward, lui era il tipo mi arrabbio e te lo faccio capire con uno sguardo. Al massimo ringhi e soffi. Ma gridare e sbattere le porte non era da lui.

“No, non mi basta! Ti sei comportato come un ragazzino e ti tratto come un ragazzino! Devi chiedermi scusa davanti a tutti, non cercare scorciatoie Edward Anthony Cullen!” quale momento migliore per sfoggiare la mia posizione da mamma in piena crisi collerica, piede picchiettante, sopracciglio sinistro alzato e braccia a brocca in attesa di una risposta. In più per completare il quadro il suo nome detto per esteso. Ma il suo pentimento non  arrivò, anzi alzò i tacchi mi superò ed andò verso le sue stanze, da cui riuscì ad udire solo il tonfo sordo della porta che fece tremare anche le pareti, tale era la violenza con cui l’aveva chiusa.

“Jake, mi ricordi di non farla mai arrabbiare!” la voce di Embry da dietro le mie spalle provocò uno dei ringhi più profondi che avevo mai avuto. Ogni mio muscolo tremava, ribollivo in ogni misero centimetro della mia carne.

“Bella, se vi azzardate un’altra volta a prendere i nostri figli senza dirci niente ti giuro che vi sbrano! Non sto scherzando!” sentivo la voce di Jacob colta dal mio stesso fremito. Non aveva detto nulla durante tutta la discussione. Mi voltai ad incontrare quel suo sguardo carico della rabbia che a volte lo porta a non contenersi. Dovevo calmarmi, per lui non volevo che si trasformasse.

“Mamma cerca di far ragionare papà!” cercavo di mitigare la mia voce con respiri profondi mentre mi avvicinavo a Jake che stava progressivamente smettendo di tremare.

“Abbiamo agito a fin di bene, volevamo far vedere l’aurora boreale ai bambini, era solo una piccola escursione innocente, stavamo veramente a pochissimi metri da qui, non volevamo svegliarvi e non vi abbiamo avvertito! Ci dispiace!”  la mamma era realmente affranta. Non riuscivo a serbare rancore nei loro confronti.

“Va bene, basta scuse! Ti ripeto cerca solo di far ragionare papà!” cercai il suo abbraccio dando concretezza al mio pensiero. Tanya irruppe nella stanza dei capovolgimenti.

“Scusate se vi disturbo, ma siamo stati contattati da Anouk, ci vuole vedere domani! Il vostro incontro ha suscitato un notevole interesse!” guardai Jacob preoccupata. Cosa aveva incuriosito tanto la mutaforma?

 

Note dell'autrice: Avete presente quel momento della vostra vita quando i vostri genitori sbagliano e voi glielo fate notare ma sono troppo orgogliosi per ammetere di aver sbagliato? Dato che a me è capitato mille volte ho descritto esattamente una scena della mia vita. Che adesso rimpiango.

Le parole in corsivo sono parole Inuit realmente esistenti, sperando che siano corrette ma delle mie fonti sembra proprio di si. Gli Inuit sono delle tribù di Eschimesi native dell'America del nord. Molto simile agl'indiani. Al prossimo capitolo ci sarà l'incontro e poi... ebbene si non sarà così facile come si pensava! Staremo a vedere! Io spero solo di continuare ad emozionarvi con il mio racconto di non diventare stucchevole e noiosa.

never leave me: gli uomini quando si parla di figli s'impanicano, per loro è completamente diverso. Una madre ha un istinto che le dà coraggio, un padre si sente quasi sempre inadeguato. Per questo Jake non vuole un bambino, perchè si sente in difficoltà già a gestire la sua vita con Nessie e due piccoli. E questo influisce anche sull'umore di Jake. Lui vuole proteggere la sua famiglia ma si trova una come Nessie che se c'è un guaio c si butta a capofitto. Inoltre ha i doveri di padre e di capobranco, non contando quelli verso la sua tribù, di cui sente un forte senso di appartenenza, e quelli come uomo. Insomma io lo capisco ma non lo giustifico e capirai andando avanti con la storia. Insomma ho snervato il lupacchiotto mica poteva reggere sempre?

noe_princi89: non è proprio gelosia è più un ricordare ad Edward quanto può essere fatale. Comunque piaciuto il momento tenero?

 

Ringrazio nuovamente tutti! 

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Capitolo 9
*** CAPITOLO VIII: Natura contro Natura ***


CAPITOLO VIII: Natura contro Natura.

Io e mio padre non ci guardavamo nemmeno in faccia. Ecco da chi avevo ripreso il mio orgoglio. Tenevo tra le braccia EJ, in quel pomeriggio inoltrato, Sarah invece mi camminava di fianco tenendomi per mano. Strano che non stesse appiccicata ad Edward, stile figurina ed album.

“Ma non sei troppo cresciuto per stare in braccio alla mamma?” allacciò ancor più stretto al mio collo alla domanda divertita di Garret che scompigliò i suoi capelli.

“Non infastidire mio fratello!” Sarah aveva appena difeso EJ? Cosa ci aspettava? Guardai per un secondo Jake, che invece sembrava soddisfatto. Lui non sapeva che nel mio sangue scorrono anche i presagi divini tipo zii sentimentali, padri irresponsabili e mariti che si svegliano senza averli neanche toccati.

“Che bel caratterino! Renesmee, è proprio tua figlia!” ci scappò a tutti una risata, che spezzò l’aria resa pesante dall’incontro che ci aspettava. Compreso a quel musone vampiro leggi meningi di mio padre.

< Ah ma allora non sei definitivamente diventato una statua! > sapevo che mi avrebbe letto. Sentivo che mi scrutava da quando avevamo litigato durante la notte.  Smise di ridere, lanciandomi uno sguardo fulminante. Possibile che lui fosse arrabbiato con me? La situazione aveva dell’assurdo. Proprio mentre io ancora mi contorcevo nel cercare di sciogliere il bandolo della matassa, vidi Jake, Embry e Seth pararsi di fronte a noi. Un forte odore arrivò al mio olfatto: sapeva di corteccia, di ghiaccio, di muschio. Era così diverso da tutto quello che avevo mai sentito. Lontanissimo da quello dei vampiri ma vicino a quello di Jake. I tre grandi licantropi, non mi permettevano di vedere nulla oltre loro le loro spalle. Avevo chiuso gli occhi per capire meglio e distinguere attraverso tutti i sensi che non erano stati esclusi quello che stava accadendo. Ad un tratto una calda mano carezzò il mio braccio.

“Tutto bene Ness?” Embry. Non so per quale motivo ma si era sempre mostrato molto apprensivo nei miei confronti. Annuì cercando di rassicurarlo per poi tornare ad ascoltare ciò che mi circondava.

“Siete venuti!” una voce maschile, quasi fosse attutita dall’eco di pareti rocciose, con uno strano accento.

“Ne dubitavate?” Eleazar aveva risposto quasi risentito. Le parole erano solo lame fendenti che incidevano la forte tensione che aleggiava fra tutti. Anche i bambini la sentivano. Sarah stringeva molto forte la mia mano e cercava di intravedere attraverso le gambe dei tre colossi che si ergevano in nostra difesa.

“Siete degl’animali intelligenti!”

“Senti chi parla di animali, Oso! |Orso|”

“ Ake! Basta!” il capobranco. La sua voce era femminile, molto profonda. Avevo già sentito in Jake e in Leah quel inflessione, sapeva di ordini impartiti, di comando, di alfa. Lei doveva essere Anouk. “Allora Tanya, chi sono questi tuoi amici che hanno stabilito una pace con gli angeli della morte?” mi scappò da ridere. Chissà perché mi aspettavo qualche epiteto tipo sanguisuga o succhiasangue, angeli della morte mi faceva molto drammaticità eccessiva. Jake si voltò incenerendomi, con i suoi tizzoni neri. Mi scusai con il solo movimento delle labbra.

“Anouk, questi sono i Cullen, del Clan di Olympia. Vi avevo raccontato di Isabella e di Edward … ”

“Loro hanno già conosciuto Jussa, ma non ci interessano! Dov’è lei?”lasciai scivolare EJ a terra, intimando ai miei figli di rimanere coperti fino a nuovo ordine. Raggirai Jake e i ragazzi, ed avanzai fino a palesarmi ai tre mutaforma.

“Parli di me?” lo stesso stupore, si era impadronito di tutti. I tre mutaforma avevano la stessa stazza di Jacob, tanto che Embry e Seth sembravano piccoli a loro confronto. Ovviamente avevano fisici statuari, muscoli forti e ben scolpiti, coperti appena da sottili maglie e pantaloni. La loro carnagione era tinta dei caldi colori della terra, di poco più chiara di quella dei Quileute, lineamenti marcati ma taglio degl’occhi più sottili, rispetto a quelli dei miei amici. Solo Anouk aveva quello stesso sguardo penetrante che caratterizzava Jacob. Si avvicinò tanto a me che, per continuare a tenere fisse le mie iridi alle sue, alzai il mento. Cominciammo a studiarci. Sapevo come trattare un capobranco, anche se non disponevo dello stesso armamentario che avevo con il mio Jake. Proprio mentre ci stavamo ancora analizzando posò una sua mano sul mio petto, il suo calore mi risultava molto familiare. Non mi scostai dimostrando non solo temerarietà ma anche una fiducia inaspettata. Contemporaneamente tutti iniziarono a ringhiare e a tremare. Alzai la mia mano intimando di fermarsi, non stava facendo nulla di male ed io non avevo nessuna paura.

“Il tuo cuore batte e la tua pelle è calda!” inspirò profondamente dai miei capelli “Non sei come loro … Hai un odore strano!”

“Anche tu!” rimase sbalordita dalla mia asserzione. Ma poi un lieve sorriso che divenne presto una risata a sei polmoni prese il suo posto.

“Cosa sei?” intervenne uno dei due componenti del branco. Entrambi si portarono dietro Anouk e mi guardavano meravigliati.

“Sono un ibrido, metà umana e metà … ” l’angolo della mia bocca si alzò nel sorriso sghembo di mio padre “ … angelo della morte!”

“Di cosa ti nutri, ibrido?”

“Sia di sangue, sia di cibo umano! Ed ho un nome, mi chiamo Renesmee!” dovevo fargli capire che non  ero uno strano esperimento, ma una vera e propria persona. Cercavo di mantenere la calma, mentre tenevo il mio simposio sulla natura degl’ibridi.  “Ascoltate, Tanya e la sua famiglia, hanno aderito allo stile di vita vegetariano ideato dal nostro capofamiglia. Dovete capire che non sono pericolosi, come non lo siamo noi …”

“Queste sono solo parole, ibrido!” uno dei due maschi avanzò verso di me, come in segno di sfida costringendomi ad indietreggiare. Conoscevo il fremito che aveva colto il suo corpo lo avevo visto molto spesso in mio marito, nei miei amici e alcune volte anche in mia figlia. Jake immediatamente, prese la mia spalla spingendomi dietro di lui e dietro a mio padre che era pronto a saltare al loro collo se mi avessero attaccata. Anouk allungò un braccio cercando di far indietreggiare il suo sottoposto.  

“Ake, devi stare calmo! Siamo qui per parlare giusto?” si rivolse a noi rimarcando il giusto. Mi ispirava simpatia la Inuit.  Sarà che con gli alfa ho sempre avuto un buon rapporto.

“Giusto, ma dobbiamo stare ognuno al proprio posto!” al tono tremante di Jacob, Anouk cominciò a studiare mio marito. Ora mi stava meno simpatica, meglio marcare il territorio. Lo affiancai e presi la sua mano.

 “Tu devi essere il mutaforma che si è mischiato al loro sangue!”

“Non mi sono mischiato a nulla, non parlare in questa maniera di mia moglie!” fremeva parecchio Jake, se io o i nostri bambini venivamo anche solo lontanamente offesi, era capace di uscire fuori da ogni controllo. Serrai ancor di più la mia mano attorno alla sua, sperando che con quel contatto trovasse il sangue freddo. Non mi ero accorta che Embry e Seth avevano seguito Jacob. Li sentivo ringhiare impercettibilmente da dietro le nostre spalle. Controllai i miei figli che stavano con mia madre, Eleazar e Garrett nelle retrovie. Il mio cuore era con loro ma sapevo che al minimo accenno di pericolo li avrebbero portati in casa dove potevano proteggerli.

“Evitiamo discussioni inutili! Fate le domande che volete, vi risponderemo senza dare in escandescenza, vero Jacob?” Carmen si intromise cercando ulteriormente di calmare le acque. Jake cominciò lentamente a diradare il respiro, ritrovando il controllo perduto.

“Non siete come noi … ”

“Cosa vuoi dire?” era incredibile quanto si assomigliassero. Non cedevano mai, si esaminavano con la stessa espressione severa sul viso.

“Voi cosa diventate?”

“E voi?” si stavano praticamente sfidando come se entrambi vantassero gli stessi diritti. Prendevano parola solo i due alfa, ma anche gli altri avevano lo stesso atteggiamento.

“Ibrido” intervenne Ake “Dove sono i misto sangue?” si stava riferendo ai miei figli, con quel tono sprezzante di chi prova disgusto o incredulità. Odiavo sentire parlare così dei miei gioielli, ma dovevo trattenermi, e nello sforzo sentì soltanto un lieve gorgoglio salirmi nella gola.

“Non li farò avvicinare troppo, non devono rischiare sono solo dei bambini innocenti!” indicai con appena un gesto il punto dove si trovavano.

“Di cosa hai paura che possiamo smascherare questa messinscena, eh ibrido!” il suo tono si stava alterando si era fatto ancor più avanti la sua stazza imponeva un certo timore, ma io non ero il tipo da farmi intimorire facilmente.

“Accontentati di affidarti ai tuoi sensi, mutaforma! Ascolta e annusa da lontano perché loro non si avvicineranno mai a te!”  rispondevo alle sfide con altrettante sfide.

“Ake, basta!” intervenne il suo capobranco e lui di malavoglia indietreggiò “L’ibrido ha ragione si sente anche da lontano che quei bambini non sono come lei, ne come noi, ne come loro!” chiuse gli occhi ed inspirò profondamente “Hanno il vostro odore, tuo e …” portò il suo sguardo dietro le mie spalle dove si trovava il mio lupo “ … il suo, il loro cuore batte, sono completamente diversi da qualsiasi altra cosa abbia mai sentito!”

“Anouk!” il capobranco venne richiamato da quello che a quanto avevo capito si chiamava Jussa. Cominciarono a parlare in una strana lingua, nemmeno i nostri cugini capivano bene cosa si stessero dicendo. Ake continuava ad osservarci, attizzando le orecchie alla conversazione che stava avvenendo tra i suoi compagni. Tornarono ad osservarci.

“Perché l’hai presa con te? Lei è per metà una di loro cosa ti ha spinto a volerla?” se mi stava leggermente simpatica ora aveva perso tutto il suo charme. Ma che ero un cocker spanish che mi apostrofava come un cagnolino da compagnia?

“Scusa ma non sono un animale domestico, non mi ha preso con lui! Io sono la sua compagna, abbiamo deciso insieme di percorrere la nostra strada, quindi magari evitiamo di farmi sembrare il suo cane da salotto!” dopo un primo istante di esitazione scoppiarono in una risata molesta, anche il mio vecchio amico Seth ridacchiò sotto i baffi. Avrei avuto modo di vendicarmi.

“Allora cosa ha fatto incrociare le vostre strade? Il vostro legame sembra molto più profondo di qualsiasi altra cosa abbia mai visto in vita mia! E vi posso assicurare che la mia vita è stata molto più lunga di quello che appare!”

“Siamo stati legati dal destino!” bella frase ad effetto, poi detta da Jake, il mio Jake mi fece uscire un’espressione inebetita da pesce lesso.

< Renesmee, riprenditi o ti faccio fare una doccia gelata! >

Rimprovero di papà con effetto garantito, ovvero ripresa delle facoltà mentali in pieno regime. Anni di matrimonio inutili, bastava poco per farmi sentire una ragazzina innamorata.

Singuuriq | Stella polare |, lei tua Singuuriq!” Jussa sbottò incredulo. Ma cosa diavolo voleva dire? Almeno se mi diceva lei è il tuo barboncino, sapevo cosa volesse dire.

“Scusatelo, lui è il più ancorato alle nostre tradizioni!” Anouk aveva visto il mio volto contrariato.

“Quali tradizioni?” ero decisamente curiosa di sapere a quali altre leggende appartenevo. Magari potevo tentare un record: mezza vampira imprinting di un licantropo con figli a carico ed evidentemente appartenente ad una leggenda mutaforma Inuit.

“Si dice che una volta che s’incontra la stella più splendente del Nanurjuk | Orso polare | non può più vivere senza di lei, solo la sua Singuuriq diviene la sua ragione di vita! Io ed  Ake, pensiamo sia solo frutto della fantasia popolare, ma Jussa è di tutt’altro parere! ” imprinting. Diverse parole ma stesso significato. Era lui. Lo avrei riconosciuto fra mille. Anche i ragazzi sembrarono giungere alla mia stessa conclusione. Possibile che fossero così simili?

“Non è una leggenda, è reale!” dissi quasi in automatico. Rimasero immobili come se quello che avevo detto fosse una blasfemia, tranne Jussa che mi guardava speranzoso, in fondo gli stavo fornendo l’opportunità di trovare la propria anima gemella.

“Non vi permetto di riempire la testa dei miei fratelli, con queste sciocchezze!”

“Non sono sciocchezze Anouk!” lasciai involontariamente la mano di Jake ponendomi in posizione di attacco. Detestavo che si denigrasse il legame con mio marito ed istintivamente mi stavo preparando a saltarle al collo. Certo che contraddizione vivente. Fino a poche ore prima ero pronta a mettere in discussione il mio legame con Jacob a causa dell’imprinting, ed ora ero pronta a difenderlo a spada tratta. Ma stavo convincendo me stessa che quello spostarsi del centro dell’universo fosse solo un’insegna che indica l’esatto punto in cui si trova il tuo compagno di vita? Lo speravo. No, lo credevo. Dovevo essere convinta io ero la sua luna e lui era il mio sole. Non poteva accaderci destino diverso. Uniti per sempre da una magia, ma saldati da un sentimento. Ed ora dovevo difendere il principio della mia nuova vita.

“Cerchiamo di mantenere la calma …” stavo per scattare ma qualcuno si era interposto. Osservavo le iridi fulve di mio padre, trovando in esse l’autocontrollo necessario. Se non fosse intervenuto avrei sicuramente dato un motivo al branco di Anouk di attaccare Tanya, non potevamo permettercelo. Rilassai i muscoli del corpo e del viso. Se davvero voleva conoscermi la mutaforma io possedevo un modo unico per presentarmi.

“Vuoi veramente conoscere la nostra storia, la mia storia?” mi avvicinai lentamente, sentivo crescere i latrati da entrambe le schiere. Ad un cenno dell’alfa allungai la mia mano verso il suo viso, ma mentre stavo per toccarla fui sbalzata via da una potente spinta. Al posto di Ake era comparso un enorme orso bianco. Era almeno il doppio di Jacob sottoforma di lupo, le sue fauci erano spalancate verso di me, in un ruggito spaventoso. Ad ogni suo passo, la terra era scossa mentre correva in mia direzione. Mi alzai velocemente proprio mentre due lupi altrettanto enormi si avventarono sull’orso. Edward si portò su di me, al posto dell’oro aveva la pece. Nel trambusto non avevo notato di aver ricevuto un colpo, con una lesione profonda ma non eccessivamente. Sul mio ventre erano evidenti i segni della zampata che mi aveva sospinta lontano e i brandelli della mia felpa erano intrisi del mio sangue.

“Sei ferita?” caddi sul ginocchio, mi sentivo stanca.

“Non preoccuparti papà, è superficiale!” puntai verso i miei figli, sperando che mia madre si fosse già allontanata. Invece no. Nutrivo talmente tanta apprensione verso di loro, che non mi accorsi nemmeno che l’orso puntava nuovamente a me. Edward si alzò in piedi pronto ad attaccare, ma non  fu necessario. Una forza invisibile respinse la montagna bianca che scivolò sul terreno provocando una gigantesca fossa. Il piccolo EJ era sfuggito alla presa di ben tre vampiri pur di salvarmi. Da poco cominciava a controllare il suo potere, ma non avrei mai pensato che potesse respingere un attacco in quella maniera. Jacob ed Anouk si erano trasformati a loro volta impartendo la loro volontà di alfa ai loro sottoposti. Solo Jussa era rimasto in forma umana. Abbracciai mio figlio, alzandomi in piedi. Non volevo che rischiasse ulteriormente. Controllai Sarah che invece era ancora tremante tra le braccia della mamma. Quando il mutaforma si avvicinò a me e a mio figlio ringhiai profondamente indietreggiando. Dietro di me la legione di vampiri che si era venuta a formare era pronta all’attacco. I due orsi e i tre lupi rimanevano immobili  nelle due schiere contrapposte.

“Non ti avvicinare!” intimai all’orso che non sembrava aver capito l’antifona. Stavolta di mezzo non c’ero solo io, ma anche il mio bambino.

Singuuriq, no fare male!” indietreggiai ancora. Sembravamo congelati aspettando la prima mossa. “Fai vedere me, io poi fare vedere loro!” dovevo sbloccare la situazione. Passai EJ nelle braccia di mio padre che indagava nella sua mente. Riconoscevo il suo sguardo vitreo perso nel cervello dell’orso.

< Cosa leggi in lui? >

< Sembra sincero, ma stai comunque attenta! > gli lanciai uno sguardo più eloquente più di mille parole o pensieri, e mi avvicinai a Jussa. Mi osservava in un modo strano, sorpreso, spaventato, speranzoso. Ricordava molto Seth, aveva la sua stessa ingenuità e la sua stessa purezza. Presi il suo viso fra le mani e lasciai che i miei ricordi fluissero in lui. Attraverso il mio dono mostrai tutto dalla mia nascita, al momento in cui mi innamorai, le nostre battaglie fianco a fianco con Tanya e i Denali contro i Volturi, il mio matrimonio, la lotta contro Joyce per i miei figli. Tutto quello che ritenessi utile. Aspettai con impazienza che riaprisse i suoi occhi. Rimase per lunghissimi secondi a guardarmi non realizzando a pieno cosa fosse realmente successo. Si voltò velocemente e mentre andava incontro ai suoi compagni si trasformò in quello che si rilevò il più enorme dei tre. Era leggermente più scuro rispetto ai candidi manti che ricoprivano gli altri due orsi. Era quasi platino e sulle quattro zampe superava l’altezza di Ake.

“Papà riesci a sentire i suoi pensieri?”

“Sta ripercorrendo i tuoi ricordi!” il tempo e lo spazio si fermarono nuovamente nel freddo clima in cui ci stavamo ritrovando. Avrei voluto avere anch’io la capacità di leggere tutti, non solo la sua mente. Continuavo ad osservare gli orsi e poi lui che continuava a cercare di leggere il più possibile.

“Papà, qualche problema?”

“Parlano la loro lingua, non la comprendo, è frustrante!” il suo sguardo fisso vuoto perso nel tentativo d decifrare il loro codice linguistico, ma con scarsi risultati. Il loro fortissimo ruggito riecheggiò in tutta la radura costringendoci tutti ad attutire il loro roboante richiamo, coprendoci le sensibili orecchie. D’un tratto le tre montagne cominciarono a correre con il loro pesante passo lontano da noi. Cosa significava quel comportamento?

 

Note dell'autrice:

Salve quella che vi scrive è Nessie, non quella pazza maniaca che ha deciso di prendere in mano la mia vita e farmi diventare un giocattolino. Mi ha stancato. Prima mi fa litigare con tutti, poi mi ha fatto ubriacare, tradire, ridotta alla fame, muinacciata in più occasioni, ustionare ed adesso mi ha fatto anche ricevere una zampata da un orso. E' troppo.

Vorrei fare una raccolta di firme per istituire un ente protettrore dei personaggi letterari. Quindio se avete a cuore i diritti miei e di tutti i miei amici vi prego non esitate a scrivere a: salvateilsoldatonessie@protezionepersonaggi.com

 Brutta ingrata! Non ti appropriare mai più della mia tastiera e scrivere male di me! Chiaro! Sei sposata con un licantropo strafigo alto due metri e che ha talmente tanti muscoli che mi viene l'acquolina in bocca al sol pensiero,  hai due figli bellissimi ed adorabili, una famiglia di vampiri stupendi e pretendi che non ti faccia patire? Sei o non sei la figlia di Bella?

Guarda te i personaggi che prendono vita e fanno come gli pare. Tze. (Oggi sono stranamente goliardica quindi permettetemi questo sclero momentaneo)

noe_princi89:noto con piacere che il ruolo Edward nonno risulta come me lo sono immaginato. Ovvero un Edward che si riscopre ancor più umano. Nel capitolo successivo ci sarà ancor di più una chiarificazione sul rapporto con la figlia. Basta non dico altro!

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI CON UN GRAN BACIONE!Mally!

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Capitolo 10
*** CAPITOLO IX: Nemici? ***


CAPITOLO IX: Nemici?

Sentivo le mie membra intorpidirsi, cedendo alla stanchezza e al mancato riposo che ormai da quando partimmo era diventato raro e soprattutto tormentato. Non avrei mai voluto che il mio lato umano mi raggiungesse, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto farci i conti. Avevo appena poggiato la testa su di un cuscino del divano, solo un minuto, per cercare di riprendermi e mi ritrovai nel buio. Gocce fredde tra i miei capelli. No. Non gocce. Dita. Dita che scorrevano per tutta la loro lunghezza districando i mie boccoli scompigliati. Non emisi alcun suono se non uno di piacere in quella dolce coccola. Poi cominciai a distinguere il suo profumo, quello che era sempre presente nei mie ricordi d’infanzia, quel misto di lavanda e fresia. Le mie palpebre si aprirono a fatica, il mio respiro si riverberava sul gelido viso di mio padre che se ne stava appollaiato accanto al divano continuando ad accarezzarmi.

“Buongiorno!” mi parlava in appena un sussurro, la sua voce era soave al pari delle melodie che forgiava sotto le sue dita. Era da tempo che non avevamo un momento così nostro. Forse mi stavo solo illudendo, forse era solo un sogno e se lo era avrei continuato a dormire. Raccolsi le mie mani sotto alla mia guancia e mi rannicchiai ancora di più riducendo lo spazio che occupavo “Mi dispiace svegliarti ma devo controllarti!” non avevo la forza di parlare ero ancora intorpidita dal sonno che in realtà era finito troppo presto.

< Quanto ho dormito? > persino i miei pensieri erano impastati. Dovevo riprendermi assolutamente.

“Praticamente tutto il giorno, eri molto stanca piccola mia e il tuo processo di guarigione è direttamente proporzionale al tuo riposo!” tutto il giorno quindi ore. Eppure mi sembrava essermi addormentata solo qualche secondo prima. Sentivo ancora la sua mano immergersi nella matassa scomposta dei miei capelli. Aprì svogliatamente gl’occhi per poi sedermi. Accanto alle sue ginocchia sulla moquette, notai una canottiera ed una felpa pulite. In effetti non mi ero neanche cambiata, indossavo ancora i resti dei miei indumenti intrisi del mio sangue. 

“Sarah ed EJ?”

“Giocano con Carmen ed Eleazar”

“Jake?”

“Sta perlustrando la zona con i ragazzi, vogliono assicurarsi che per ora non attacchino …” tra le mani teneva una pinza con una garza sterile con cui puliva ed estraeva i piccoli pezzetti di stoffa incastrati nell’unghiata. Teneva lo sguardo basso concentrato ma riuscì a vedere quel mezzo sorriso, stamparsi sulla sua bocca. Per un attimo fugace lo rivolse a me, giusto il tempo per percepire la mia curiosità “Sono costretti a fare le ronde anche in Alaska, sinceramente sembra essere tornati a diciassette anni fa …” ovvero alla mia nascita quando Jake sorvegliava la nostra casa per impedire a Sam di uccidere me e la mamma. Certo che noi due insieme riuscivamo veramente a calamitare ogni sorta di disgrazia nel raggio di chilometri.

“Papà?” inclinò solo la testa, non mi serviva un invito migliore per continuare a parlare “Credi che io abbia sbagliato a trascinare Jake e i bambini qui?” scosse appena la testa lasciando ondeggiare i capelli di cui una piccola ciocca ricadde sulla sua fronte pallida, allungai una mano cercando di sistemargliela.

“No,  hai fatto la cosa giusta!” non so perché ma nemmeno la risposta di mio padre detta nella maniera più convincente possibile, riusciva a togliermi dalla testa quello stramaledettissimo dubbio che ormai aveva cambiato domicilio dall’angolo più remoto nella sala centrale del mio cervello. Mio padre mi leggeva bene anche senza bisogno del suo dono, e poi il sospiro risultò molto più eloquente di una risposta vera e propria “Prima ho parlato con Carlisle, per chiedergli un consiglio, e lui mi ha detto di affidarmi completamente al tuo giudizio!” alzai gli occhi verso quell’iridi topazio che non mi avevano mai guardato con tanto amore in tutta la mia vita, cercavo in lui quella menzogna detta a fin di bene per rincuorarmi ed invece trovai solo il suo affetto smisurato. Era fiero di me? Cominciai a scrutare la sua testa alla ricerca della telefonata, ripercorsi gli ultimi attimi che avevano caratterizzato la sua vita durante il mio riposo e lo trovai. La voce di mio nonno attraverso il cellulare che parlava con lui. 

- Carlisle, disturbo?- mi era mancata da morire la sua guida – Veramente stavo per chiamarvi io, purtroppo le visioni di Alice non vi riescono a monitorare a causa della presenza dei mutaforma e di Nessie, abbiamo solo dei flash. Esme è molto preoccupata, cosa è successo?- seguì tutta la spiegazione di mio padre che raccontata da lui sembrò come se io fossi un’eroina amazzone che si era eletta a protettrice della pace –Come dobbiamo comportarci?- seguì una lunga pausa – Nessie cosa pensa?- il mio nome, il nonno voleva sapere la mia opinione –Lei è convinta che Jussa sia sincero, dai suoi pensieri anch’io lo avevo intuito, in realtà è il capobranco che non riesco a capire è molto combattuta! Ma la nostra piccola brontolona crede che voglia la pace almeno quanto noi … - sentì un leggero sorriso del nonno, - Nessie ha un forte istinto ed un’intelligenza al di sopra della norma, affidatevi alle sue sensazioni è raro che si sbagli nel leggere qualcuno, se lei ha visto del buono nel capobranco quasi sicuramente avrà ragione – la telefonata poteva anche terminare lì.

“Hai trovato ciò che cercavi?”

“Papà, pensi che il nonno faccia bene a fidarsi così di me, in fin dei conti sono una persona testarda, sciocca, avventata, che attira la sfortuna come solo Bella sapeva fare e soprattutto sono dannatamente impulsiva …” per quanto io avessi smorzato quel lato di me, era preponderante nel mio carattere. Io e sarei sempre rimasta irriflessiva, una persona che prima di agire non pondera le sue idee portandosi ad uno sbaraglio che nella nostra natura era assolutamente imprudente.

“Sarebbe più adatto dire istintiva piuttosto che impulsiva”

“Che differenza c’è?” parlavamo. Nessun pensiero. Stavamo usando la parola. Diretto, chiaro, limpido. Non potevamo nasconderci perché le nostre menti erano spalancate, ma allo stesso tempo potevamo sentire quel suono non ovattato dalla barriera cranica.

“ L’ istinto spesso è guidato dalle intuizioni che a loro volta derivano dall’intelligenza. Ti voglio dire una cosa, ma promettimi che non parlerai mai con nessuno!” marcai una piccola croce sul cuore, suggellando la mia promessa con quel segno infantile “Riconosco che è un po’ scorretto da parte mia rivelarti delle riflessioni recondite e personali, però sono anche convinto che sia giusto che riconosca quanto in realtà tu sia valente!” ero realmente incuriosita, mi vedevo attraverso i suoi occhi: palpebre spalancate agl’umori del mio mare cioccolata velato dalla commozione, bocca socchiusa per il respiro mancato a quella rivelazione di un mondo fragile e duraturo, fibrillazioni nervose perché forse temevo un parere ostile “ Ognuno di noi ti ritiene più che speciale, da quando sei arrivata la nostra esistenza è cambiata, hai riempito i vuoti, li hai colmati con la tua vitalità, ci hai resi migliori. Tutti nessuno escluso, persino quel folletto irritante con cui discuti in continuazione. Ma c’è uno in particolare, che ti vede come la punta di diamante della nostra famiglia: Carlisle. Ho sempre percepito una devozione assoluta e sconfinata che nutre nei tuoi confronti, quando osservava le tue capacità, quando gli rivolgevi anche solo un sorriso contenta, quando per la prima volta è riuscito a convincerti a mangiare una pappina. Lo interrogavi, imparavi e lo facevi sentire ancora più utile di quanto noi avessimo mai fatto. Soprattutto grazie ai tuoi strabilianti risultati, non solo in campo di studio ma anche come persona.  In te vedeva i suoi insegnamenti prendere consistenza, diventare reali. Lo sentivo ringraziare il Cielo, me e tua madre ogni giorno per averti con noi. Ed io ero profondamente invidioso …” non potevo assolutamente crederci. Quella frase trovava spazio nella mia testa  da mesi, eppure ora la riconoscevo nella bocca di colui che ne era la causa primaria. Io ero invidiosa come figlia e come genitore. Volevo il loro rapporto in entrambi i sensi, ma in realtà sentendo Edward parlare di Carlisle in quei termini mi risultava assurdo e ridicolo. E quanto poteva risultare assurda la mia gelosia? Era sorprendente come riuscissi a percepire le mie stesse sensazioni attraverso Edward, padre e gemello in molti aspetti, non solo per i caratteri somatici, poco indicativi del nostro filo conduttore , ma anche scorrendo il nostro io più profondo. Carlisle era la mia guida, ma Edward era il mio cuore. Su una cosa aveva ragione: mi nutrivo della sua saggezza, fondata di radici piantate in un’epoca antica, anche se sfioravo solo le fronde di quel immenso albero formato da lettere e parole costruite in una mente dai mille risvolti. Non servivano chilometri a separarci, non necessitavamo nemmeno  di comunicare attraverso invenzioni tecnologiche inutili. Riusciva a percepire le mie insicurezze a diffondermi quella fiducia che io perdevo ogni qualvolta mi ponevo di fronte ad un problema etico. Proiettava tutto ciò che avrei voluto essere. Carlisle aveva un gran potere, molto più forte di qualunque altro avessi mai visto. Lui era la vera luce, era la nostra coscienza quella che sa quando sbagli e ti pone di fronte all’errore ma che allo stesso tempo confida nei nostri pregi solo per migliorare i difetti che comunque ci appartengono. Nella sua cieca ed incredibile fede che riponeva in ogni membro della sua famiglia, riusciva anche a distanza a creare quel bagliore sullo scoglio, indicando la rotta della salvezza. Ma lo specchio che aiutava quella luce a brillare in quella oscurità in cui alcune volte ero incappata, era il papà dolce ma severo, pronto ad essere lambito la lingue di fuoco, a rinunciare ad avermi con lui pur di sapermi felice, lui che mi faceva ballare sui suoi piedi e che lo aveva fatto anche durante il mio matrimonio, quando ormai quella che aveva davanti era una donna. Dove l’avevo lasciato quel ricordo? Perché non l’avevo fatto riaffiorare quando avevo iniziato a sentire l’irsuto aculeo del livore puntellarmi l’animo? Ed ecco che l’immagine di noi due nel ballo padre e figlia. Lui che mi guardava senza proferire alcun suono ed alcun pensiero se non quello di una bambina dai lunghi capelli ramati che danzava con i piedi nudi sul dorso dei suoi. Mi liberai velocemente dalle scarpe lanciandole verso zia Alice che mi osservava con disappunto soprattutto dopo la scenetta con Jake. Tornai al suo volto dove con soddisfazione avevo fatto alzare l’angolo della bocca, con quel sorriso a metà. La mamma mi aveva detto che l’altra metà l’aveva lasciata a me, ed io l’avevo passata ad EJ. Mi sollevò per i fianchi, permettendomi di salire sui suoi piedi proprio come quando ero piccola con la differenza che potevo posarmi sul suo petto. “ … ero invidioso che alcune volte preferivi lui, Jacob o uno dei tuoi zii. Avrei tanto voluto essere l’unico e il solo, un pensiero profondamente egoista, ma anche profondamente umano. La seconda donna capace di risvegliare in me le sensazioni umane, tu che porti sul tuo viso i suoi occhi, che cerchi i guai anche se non li attiri, tu che sei uguale a me e uguale a lei. Il martellare del tuo cuore è il suo, ma l’infinitesimale silenzio fra l’uno e l’altro  battito, è il mutismo che giace nel mio petto da più di cento anni ormai! Non dovevo essere geloso perché tu sei una parte di me e nessuno potrà mai portarti via, come nessuno potrà mai strapparti quella parte di te costituita da Sarah ed EJ! Ti amo piccola Edward!” avevo smesso da tempo di stampargli i baci sulle labbra ero diventata troppo adolescente per farlo, ma in quel momento finalmente nostro non riuscì a farne a meno raccogliendolo poi in un abbraccio. Non volevo più parlare, era riuscito senza che io glielo chiedessi a togliere alcuni dei dubbi del povero e macchinoso cervello, che aveva avuto la malaugurata sfortuna di collaborare con me.

“Mi spieghi come fai?”

“A fare cosa?”

“Ad intervenire sempre nel momento opportuno!”

“Ragni radioattivi!” prese una garza mentre io rimasi assolutamente spiazzata da quella sua risposta.

< Ma che significa? E poi proprio i ragni, non era meglio un pipistrello!>

“Fattelo spiegare da tua madre un giorno …” ridacchiava ancora tra se e se ma io lasciai correre. Avevo percepito l’odore di Jacob, era rientrato. Mi focalizzai sul suo cuore e sul suo respiro, sembrava agitato. Dopo poco comparve nella stanza, la sua tensione si poteva tastare. Le sue spalle erano rigide, il suo corpo trasmetteva lo stesso stato d’ansia che avevo percepito da quando era entrato in casa, non incrociava mai i suoi occhi con i miei. Continuava ad osservare inespressivo i movimenti di mio padre.

“Come sta?” la sua voce lasciò trapelare tutto quello che avevo intuito, il suo modo di rivolgersi a terzi mentre ero presente era un’evidente punizione. Mi stavo irrigidendo anch’io dallo sguardo che mi lanciò mio padre che stava sistemando una garza sulla mia ferita.

“Bene!” dissi con fermezza catturando la sua attenzione. Forse quel mio affronto lo aveva scosso e fatto finalmente scoppiare. Intanto mio padre sistemava gli strumenti nella piccola cassettina del pronto soccorso con cui mi aveva medicato.   

“Sei un’incosciente, cosa ti è saltato in mente?” era partito all’attacco.

“Jake, io non ho fatto nulla di male, volevo solo mostrare la nostra alleanza tutto qui! Non sapevo che una carezza potesse significare guerra aperta!” ad ogni mia parola era distinguibile la sua collera salire come mercurio in un sottile cilindro di vetro. Sinceramente non riuscivo a concepire il suo stato d’animo: potevo capire la preoccupazione ma da lì ad essere addirittura arrabbiato ci passava un oceano.

“Jacob, calmati!” intervenne mio padre, che sembrava d’accordo con me “Sono quasi del tutto guarite Nessie! La loro cicatrizzazione è in stato avanzato, tieni la garza per un paio d’ore! ” si alzò porgendomi la canottiera, la felpa che aveva accanto che io indossai prontamente.

< Fuori ci sono dei cerini e dell’alcool. Evitate scenate plateali, cercate di non farvi sentire dai bambini! > pensò mio padre prima di uscire. Aveva pienamente ragione, ma era proprio la ragione che ci stava abbandonando. Quando entravamo nel campo emozioni io e Jacob rischiavamo sempre di lasciarci travolgere senza poter opporre resistenza.

“Quanto ancora dovrai ferirti prima di stare calma senza dover fare sempre di testa tua? Dovevi solo rimanere dietro di me zitta e buona, ed invece tu ti sei gettata tra le prime file per fare l’eroina!”

“Non so se l’hai notato ma so badare a me stessa!” so che era sconvolto, ma la zampata l’avevo presa io, come al solito, non mi sembrava il caso di fare il momento della disgrazia alla Jacob perché la mia incolumità era stata seriamente minata. Su certe cose Rose aveva proprio ragione: tragediografo, era un tragediografo.

“Sei proprio cocciuta, non capisci che tutto quello che faccio o che dico è solo ed esclusivamente per proteggerti!” il suo accento rabbioso non faceva altro che montarmi e nonostante avessi imparato da tempo a dominarmi quella volta avevo perso ogni facoltà di pensare lucidamente.

“Jacob, se il tuo significato di protezione è rinchiudermi hai sbagliato persona! Io so difendermi …”

“Lo vedo!” applicò una forte pressione sul mio ventre dove ormai le ferite erano quasi del tutto guarite ma che a quel gesto avevano provocato un lieve malessere.

“Sono stata presa alla sprovvista! È stato solo un incidente!” precisai stizzita.

“Quanti altri incidenti devono capitarti, prima che venga a raccogliere i pezzi? Renesmee voglio solo che tu prima di agire ragionassi e magari ti consultassi con me!”

“Quindi il mio povero cervello di piccola e fragile mezza umana non può avere idee senza che subiscano la tua approvazione!”

“Se le tue idee sono infilare una mano nella bocca dell’orso si hanno decisamente bisogno della mia approvazione!”

“È ridicolo Jacob!” sembrava un duello, dove le nostre parole erano proiettili.

“Possibile che sia così difficile capire quanto sia vitale per me saperti il più possibile al sicuro! Sei troppo importante, non ho nessuna intenzione di premetterti di fare cose sconsiderate o soprattutto di buttarti in situazione suicide!”

“Stai facendo nuovamente un melodramma per un non nulla! Ti ricordo che l’ultima volta che hai avuto questo irrefrenabile e soffocante senso di protezione, sono fuggita e sono stata ridotta alla fame dai Volturi!” lo ammetto. In tutto il mondo ero l’unica persona capace di portare all’esasperazione Jacob e farlo imbestialire con una sola ed unica frase. Per gli altri serviva più impegno. Io sapevo esattamente quali argomenti affrontare per farlo trasalire e rischiare una zampata perfino da lui. Bastava ricordare i suoi errori come guardia del corpo e lui diventava una vera e propria furia. Il mio soggiorno in Alaska si era presentato come il più difficile di tutta la mia vita: avevo avuto due accesissime discussioni con i due uomini della mia vita, mio padre e Jacob. Adesso sembravo mia madre!

< Devo ricordare al nonno di cancellare la genetica dal programma di studi di Sarah ed EJ! > Presi velocemente i brandelli di stoffa reduci dell’attacco dell’orso, per bruciarli e cominciai ad incamminarmi verso l’esterno.

“Dove vai adesso?” senza voltarmi agitai i miei abiti cercando di fargli capire quanto l’equazione casa di vampiri e sangue non fosse accettabile. Raggiunsi il giardino sperando che il tutto finisse il prima possibile. Invece da dietro di me un grosso lupo aveva deciso di non arrendersi.

“Ti deciderai mai a non fiondarti nel pericolo ogni sacrosanta volta!”

“Che fai mi segui? Non hai qualcosa da capobranco da fare?” lo esortai ad andarsene. Stavo decisamente trascendendo. Il suo comportamento avrebbe dato sui nervi a chiunque ed io sinceramente volevo dare retta alla raccomandazione di mio padre.

“La sto facendo, sto redarguendo un elemento ribelle!” frase che sinceramente doveva risparmiare. Da quando in qua io ero un suo scagnozzo?

“Io non faccio parte del tuo branco!”

“Solo quando ti fa più comodo vero, Renesmee? Leah ha ragione! Sei proprio una ragazzina viziata!” quello scambio di battute aveva portato un potente schiaffo sulla sua guancia che lasciò un evidente segno rosso sul suo viso. Digrignai i denti lasciando fuoriuscire un ringhio profondo puntando il mio indice contro di lui.

“Non ti permetto di insultarmi in questa maniera Jacob, solo perché sei mio marito non puoi prenderti certe libertà!” quella era la prima volta da quando ci eravamo sposati che io e lui ci scontravamo così duramente. Stavolta mi sentivo davvero offesa. Lo sfidavo con lo sguardo e lui mi ricambiava senza distoglierlo mai. Scansò con violenza la mia mano, il segno rosso sulla guancia stava  passando, ma quello morale era invece molto forte. Ero già pentita di averlo colpito, ma per orgoglio non lo avrei mai ammesso. Nei suoi occhi leggevo una rabbia che non gli avevo mai visto nei miei confronti ma sinceramente non importava, lui mi aveva appena oltraggiato dicendomi che ero una ragazzina viziata, ed era una cosa che non tolleravo. Tornai alla mia operazione ‘togliamo il sangue di mezzo’ visto che avevo talmente oltrepassato il limite con Jacob che se n’era andato sbattendo la porta della camera, esattamente come una sera prima aveva fatto mio padre. In realtà quello era un atteggiamento più da Jacob che da Edward.

< Devo appuntarmi anche di tenere lontano quei due per un po’, ma non si odiavano una volta? >

Inzuppai di alcool la maglietta e la felpa buttandole successivamente a terra. Provai con il primo cerino ma per il troppo nervoso, si spezzò tra le mie mani e così successivamente per gli altri cinque tanto che alla fine sbottai infastidita dall’universale congiura che si era accanita contro di me.

“Posso darti una mano?” Embry si era affacciato. Sapevo benissimo perché, doveva controllarmi mentre il signor lupo alfa sbolliva la rabbia. Ma visto che c’ero gli porsi la scatola di fiammiferi che stava quasi per finire scagliata in un punto non precisato del parco. L’afferrò prontamente e al primo cerino diede fuoco finalmente ai miei indumenti.

“Nessie, sai che Jacob vuole solo il tuo bene?”

“Embry, per favore non ti ci mettere anche tu …” era decisamente ufficiale. C’era un complotto cosmico: ed io che pensavo di arrivare, fare la pesca sul ghiaccio, incontrare gli orsi e tornare a casa. Se sapevo che sarei arrivata, i miei genitori avrebbero rapito i miei figli mettendoli in pericolo, avrei preso una zampata in pieno stomaco, tanto per non smentirmi mai, avrei litigato con mio marito e mio padre, e poi mi sarei presa la ramanzina da uno dei suoi lupi me ne sarei rimasta volentieri a casa.

“Tu hai ragione, certe volte esagera! Ma sai è difficile per quelli come noi, pensare di avere accanto una donna capace di combattere al tuo fianco.”

“Dici che dovrei chiedergli scusa solo perché sono in grado di cavarmela da sola?” il discorso di Embry era ancor più ridicolo di quello di Jake.

“Non dico questo, però cerca di capirlo: tu sei indipendente, forte ed intelligente. Lui vorrebbe proteggerti a tutti i costi ma per come sei fatta ti lanci in battaglia senza un briciolo di paura!”

“Continuo a non seguirti …”

“Mettiamola così: prova a metterti nei suoi panni …”

“No, mi stanno larghi!”

“Dai Nessie, è una cosa seria!” cercava di mantenersi il più possibile sostenuto ma si vedeva che tratteneva a stento una risata, alzai gli occhi al cielo come assenso “Pensa di avere accanto una persona, avventata e con una personalità incredibile, e questa persona la ami immensamente. Se tu non riuscissi a stare al suo passo e non riuscissi mai ad arrivare in tempo perché se c’è un pericolo una minaccia lei ci si butta a capofitto senza pensare alle probabili conseguenze, ti sentiresti inutile, un fallito!”

“Jake non è assolutamente un fallito è assurdo che ci si senta!”  

 “Quante volte tu sei andata incontro alla morte ultimamente?”

“Innumerevoli!”

“Quante volte lui avrebbe voluto che tu non ci finissi?”

“Spero mai!”

“Appunto, capisci perché reagisce così!” non avevo decisamente calcolato il senso d’impotenza che Jacob provava di fronte alla mia impulsività.

“Mi togli una curiosità Embry?”

“Dimmi!”

“Sei per caso imparentato alla lontana con Jasper, di solito è lui a farmi calmare e ragionare!” cominciammo a ridere di gusto allentando il nervosismo che ormai era quasi del tutto svanita.

“Sei una forza Nessie!” prendendomi alla sprovvista, mi abbracciò ed io solo dopo aver realizzato cosa stava facendo ricambiai. Embry con me era stato gentile fin dal principio anche quando non tutti accettavano di buon grado quello che allora era profondo affetto con il mio Jake. Lui e Seth mi avevano accolto da subito come se fossi stata una loro sorella. Per quanto riguardava Seth era naturale che nutrisse una certa simpatia con me, lui d'altronde voleva bene a tutti, adorava mio padre, gli era persino amico, quindi era inevitabile che mi accettasse senza riserve. Da Embry invece non c’era da aspettarcelo. Evidentemente mi vedeva un po’ come se stesso. All’inizio i rapporti con il branco per lui erano tesi, per la problematica discendenza che lo vedeva come figlio illegittimo di uno dei padri dei suoi compagni. Poi il tutto è andato scemando con i rapporti d’amicizia che si erano venuti a creare. “Jacob è stato fortunato ad aver avuto l’imprinting con una testa calda come la tua!”

“Possiamo evitare la faccenda imprinting?” lo sentì ridere stretto ancora in quell’abbraccio confortante. Poi s’irrigidì e tremò. Dopo qualche secondo si pose di fronte a me ringhiando verso gli alberi. Aizzai anche i miei di sensi. No non poteva essere.

 

Note dell'autrice: Piaciuto il momento padre figlia? Scusate ma per me Edward x Nessie sono molto importanti. E poi mi serviva per farle capire quanto la sua gelosia fosse stata sciocca. Ci sono talmente tanti modi di amare. E si le è passata con il padre senza un vero confronto perchè? Perchè succede spesso, si litiga ci si azzuffa si affronta un momento difficile e poi si dimentica senza un vero bisogno di spiegazioni. Edward ha capito il suo sbaglio e con la dichiarazione d'amore che fa alla figlia insomma chi non lo perdonerebbe sempre e comunque! E poi Carlisle che la guida anche da lontano. Insomma io adoro questo personaggio e ce lo dovevo mettere soprattutto per i discorso figlio genitore nonno.

E poi vai con un'altra zuffa con Jacob  ed Embry che cerca di spiegare come si sente Jake nei confronti di Nessie.Devo ammettere che questo è uno dei miei capitoli preferiti.Mi piacerebbe che fosse commentato quindi spero di trovare recensioni a più non posso!ghghgh!

Ed ora chi comparirà da dietro la vegetazione?

 

kekka cullen: ma ciao! Certo lei è molto coraggiosa ma anche piuttosto avventata cosa che fa andare in tilt il povero Jacob. Comunque dal prossimo capitolo capirai ancora meglio sarà esplicativo per i comportamenti di tutti i personaggi.

kandy_angel: grazie mille!! Mi hai scritto solo due paroline e mi hai fatto battere veloce veloce il cuore. Spero che anche questo ti faccia dire waow bellissimo!

 

Ringrazio sempre tutti e tutte! VI STRAADORO!^^

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Capitolo 11
*** CAPITOLO X: Accordi. ***


CAPITOLO X: Accordi.

Guardai attentamente attraverso la vegetazione, il  tramonto aveva appena iniziato il suo lento decadere oscurando in parte i miei sensi che si dovevano abituare alla luce, ancora indebolita dalla ferita che ormai era quasi del tutto guarita. Dalle fronde odorose, una figura antropomorfa e scura iniziò a delinarsi rendendosi chiara soltanto ad una decina di metri da noi. Il mio amico proteggeva il mio corpo facendomi da scudo con il suo, tendendo un braccio dietro di sé affinché io ne fossi circondata. Lo sentivo fremere e ringhiare intimandogli di stare lontano anche solo con il suo atteggiamento.

“Jussa? Come hai fatto a superare la pattuglia di Seth?” Embry era pronto a spingermi lontana e a trasformarsi. Anche Jake assumeva quella posizione quando fiutava un pericolo.

“Io conoscere bene bosco,  non voglio fare del male, voglio solo parlare Singuuriq!” il tono titubante marcato dal suo accento e dalle sue parole stentate mi intenerirono. Superai il lupo limitandomi a toccargli un braccio per trasferirgli il mio pensiero.

“Nessie …” proferì tra i denti Embry, mi voltai repentinamente cercando di tranquillizzarlo.

< Non preoccuparti ma stai all’erta! Ad un mio cenno trasformati e richiama gli altri! >  mi mostravo calma e fredda. Sapevo una cosa certa sui licantropi: per quanto esperti siano le loro trasformazioni sono dettate e sospinte dalle emozioni. Embry sapeva controllarsi ma se m’avesse visto agitata avrebbe potuto non dominare la sua natura selvaggia e rischiare di ferire sia me che il mutaforma “Cosa vuoi, Jussa?”

Singuuriq, io ha capito cosa unire voi e loro! Voi cuore puro tu e piccoli strani. Quando arrivare qui  Aqsarniit cominciare la sua danza nel cielo. Buono auspicio! Io ha spiegato ad Anouk e Ake. Ake non ha capito! Ake non vuole capire, Ake vuole uccidere tutti voi, crede che tu essere strega che ha fatto incantesimo su di loro!” indicò Embry come rappresentate della sua specie “Anouk vuole la pace, non vuole battaglia! Vuole ancora provare ma senza Ake. Lui non riesce a capire …” le sue parole mi preoccuparono alquanto. Ake mi dava l’idea di essere la miscela esplosiva fra l’antipatia di Leah, l’impulsività di Paul e la forza di Jacob. In più il suo scetticismo su di una possibile alleanza lo rendeva ancor più temibile. Ci disprezzava, il suo pregiudizio superava le barriere ed i confini, gli precludeva la mente al dialogo civile.  Ma noi non eravamo mostri, noi lottavamo per non esserlo. Ed Ake, il mutaforma di ghiaccio, sembrava non conoscere parole se non dettate dalla morte di quelli come noi. Conosceva la guerra non la pace.

“Cosa pensate di fare Jussa?” chiesi quasi istintivamente. Di sicuro Anouk non poteva allontanarlo dal branco. Questo avrebbe significato non sondare la sua mente , non poter impartire ordini che sarebbero stati rispettati inequivocabilmente. Sarebbe equivalso a lasciare a briglia sciolta una bestia ferita ed arrabbiata senza alcuna possibilità di sedarla. Per un attimo mi sovvenne un dilemma. E se avessero pensato di sopprimerlo? No questo io non potevo permetterlo, per quanto Ake mi incutesse timore, per quanto il suo modo sprezzante e irrispettoso mi infastidisse non potevo permettere che gli venisse tolta la vita. E non era una eventualità troppo lontana. Jake ed i ragazzi erano così diversi, amici prima ancora di essere fratelli di branco. Fra loro tre invece regnava quasi l'indifferenza, come se l'unica cosa che li legasse fosse il destino comune di trasformarsi. "Non penserete di ucciderlo?"

“No, non uccidere nessuno!" mi soffermai sui suoi occhi. Sembravano velati dal tempo e il suo modo di fare mi riconduceva ad una mente quasi primordiale "Ake è solo molto giovane, lui deve imparare ancora molto. Con Anouk camminare vicini da molto tempo , lui nonconosce bene il mondo!" parlava come un padre che giustica il figlio, solo per la sua avventata giovinezza, lo sguardo che nel parlare del acerbo Inuit era fino ad allora perso sul terreno si alzò improvvisamente su di me "Singuuriq, me stanco di errare, io volere pace io volere una Singuuriq! Noi fare un patto come hanno fatto loro! Non toccare umani, non venire in alcuni punti, noi non attaccare se loro non attaccare!” era esattamente quello che voleva Tanya.

“Come convincerete Ake?” a quel punto l’unico ostacolo sarebbe stato lui.

“Ordine Anouk non può andare contro!” mi voltai verso Embry che aveva smesso di tremare ed era attento alla nostra conversazione, lui annuì come a confermare la veridicità delle sue parole. Il lupo conosceva bene come l'imposizione di un'alfa possa condizionare la vita di un membro del branco “Ma potrebbe cercare di impedire patto! Io sorveglia lui ma paura che non riuscire! Voi aiutare!” venni richiamata dal mio amico che mi afferrò per un braccio portandomi accanto a se per parlare al mio orecchio in una conversazione che di privto aveva ben poco.

“Questa cosa puzza di agguato! Forse ci vogliono dividere per indebolirci parliamone con gli altri!” aveva ragio ed in più volevo rispettare la dinamica di  branco insinuata nella sua testa. Ogni decisione doveva essere presa in collettività come era stato per il viaggio, non potevamo arrogarci il diritto di decidere per tutti, e soprattutto non potevo surclassare Tanya a capo del Clan. Alzai la mia mano indicando ad Embry di aspettare.

“Jussa, dobbiamo parlarne con Tanya!” cercavo di spiegarmi il più lentamente possibile onde evitare fraintendimenti che avrebbero peggiorato la situazione, appena lui annuì.

Singuuriq, posso chiedere te un favore?”chiese avanzando di un passo ed io di risposta per mantrenere le virtuali distanze che intercorrevano tra noi, indietreggiai.

“Dipende dal favore!”

“Usa di nuovo tua magia! Tu fare vedere me ancora la tua storia!” sentivo la stretta del licantropo aumentare sul mio braccio come se volesse trattenermi dal fare una sciocchezza. Io sinceramente ero un po’ stordita da tale richiesta. Ma i suoi occhi erano lucidi sembravano quasi sull’orlo della vera commozione. Possibile che quello che gli avevo mostrato significava così tanto per lui? “Supplico!” si avvicinò incontrollabilmente verso di noi quasi fosse attratto da me o dal mio dono. Embry prontamente mi tirò di nuovo dietro di sè per porteggermi. Contemporaneamente in un attimo sentì delle ventate gelate circondarci mentre una freccia rossa assieme ad una color sabbia si gettarono addosso all’Inuit che rimase letteralmente bloccato. Eleazar e Garrett gli stringevano le braccia mentre Jake e Seth mostravano i loro denti intenti nello sbranarlo il prima possibile.

“No!” urlai vedendo che lo stavano attaccando “Non stava facendo nulla di male!” attirai su di me l’attenzione di tutti compresa quella dei due lupi che non smisero di ringhiare. “Voleva solo parlarmi! Sono decisi a stringere un patto con voi, vi prego non rovinate tutto!” nella mia scongiura mi scapparono anche due lacrime, soprattutto quando incontrai gli occhi del mio Jake, che nonostante fossero sul suo volto di lupo, sembravano rimproverarmi come aveva fatto in precedenza. Tanya, rimirava il terreno persa nelle sue riflessioni. “Ti prego ascoltami, il problema è solo Ake, lui non vuole questo patto ma una volta stipulato Anouk userà la sua autorità di alfa per farglielo rispettare!” mi liberai dalla presa di Embry e le andai incontro prendendo il viso tra le mani per mostrarle il nostro colloquio. Il ricordo scorse velocemente e prima che potesse riaprire gli occhi mi avvicinai al suo orecchio, volevo parlare da sola con lei "Tanya era questo quello che volevi, non vanificare i nostri sforzi!" sollevò le palpebre e la loro zavorra d'oro. L'intensità con cui rimase a scrutare dentro di me mi diede il coraggio di affrontarla a viso aperto. Accarezzò la mia guancia e poi sollevò la testa verso Jussa che ancora immobilizzato non accennava a muovere un solo muscolo.

 “Jussa di ad Anouk che sono disposta da incontrarla! Garrett, Eleazar lasciatelo andare!” ” appena finì di impartire il suo ordine i due vampiri lasciarono l’orso. Ma Jacob e Seth continuarono ad essere minacciosi iniziando a digrignare i denti ancor più rumorosamente.

“Jake, finiscila!” più che essere implorante ero scocciata.

< Non si fida! > intervenne mio padre che poteva leggere nel suo pensiero. Dovevo fare assolutamente qualcosa o sarebbe finita male, molto male. Se avesse attaccato senza un evidente motivo Jussa, probabilmente avremmo dato una motivazione per scatenare un conflitto. Il nostro scopo era un altro. Mi spostai velocemente mettendomi tra Jussa ed i due lupi. Seth immediatamente smise di ringhiare rizzò le orecchie alzando una zampa da terra come per arretrare, invece Jake continuò a mostrarmi i suoi canini aumentando il volume del suo latrato.

 < Vuole che ti sposti! > mio padre continuava a comunicare il pensiero di mio marito.

“Che farai altrimenti? Mi attaccherai, Jake? Vuoi fidarti del mio giudizio?” chiesi indispettita da quel suo comportamento intimidatorio che sembrava intensificarsi “Smettila, non capisci che i tuoi problemi con me non puoi rifletterli sulla situazione! Stai rischiando di far saltare tutto!” stavo decisamente urlando sperando che la mia irritazione gli arrivasse dritta dentro quella testa piena di peli.

< Ha detto che se non ti levi di mezzo, ti travolgerà! > il lupo dal muso color della sabbia si avvicinò guaendo ma ad un  ringhio molto più forte fu costretto ad arretrare abbassando le orecchie.

“Ci deve solo provare!” assunsi la posizione di attacco “Jussa vai da Anouk, ti copro le spalle!” esitava “Vai!” gli urlai, Jacob si piegò sulle zampe cercando di superarmi saltando, ma io lo anticipai e lo sospinsi in aria lontano da Jussa che era riuscito a scomparire nella boscaglia. “Non intervenite è una questione fra me e lui!” il mio lupo si rialzò frastornato dalla mia reazione, doveva imparare la lezione e l’unica che poteva impartigliela ero io. Mi gettai su di lui che se ne stava scuotendo il muso, lo presi fra le mani e incatenai i nostri sguardi. “Jake perché non riesci a fidarti del mio istinto?”

< Ha paura!  >

“Di cosa hai paura Jake, dovresti essere felice che hai accanto una donna che può aiutarti invece che appoggiarsi solo a te?”

< Teme che la tua spavalderia ti porterà nuovamente a rischiare la vita! Ha una tremenda paura di perderti! >

“Jake, ma tu non mi perderai io sono forte almeno quanto te, e come tu vuoi proteggere le persone che ami anch’io voglio farlo!”  mi rispose con un guaito, avrei tanto voluto parlare con lui da umano ma sapevo che non si sarebbe trasformato a breve, ci eravamo entrambi feriti con i nostri atteggiamenti “So che la mia indipendenza, la voglia di dimostrare la mia forza ti fa male, perché spesso mi porta faccia a faccia con il pericolo, per te è difficile starmi accanto, ma  devi capirmi, se mi ami realmente devi anche lasciarmi libera di difendermi da sola! Io non sono un passerotto sono un’aquila non puoi tarparmi le ali ed impedirmi di volare … ” sembrava dispiaciuto ma si vedeva che non voleva cedere. Sentì la glaciale presenza di mio padre comparire alle mie spalle, non me lo aspettavo e mi lasciò completamente spiazzata. “Ti prego amore mio, ascoltami: io non riuscirò mai a cambiare, sarò sempre la solita testarda, sconsiderata e cocciutissima Nessie che conosci altrimenti non sarei la figlia di Bella. Non sono nata per stare buona dietro di te aspettando che mutino gli eventi, devo esserti accanto, sono combattiva, ho sempre lottato per quello che volevo e per chi amavo e non  ho nessuna intenzione di rinunciare a farlo! Jake, ti amo tantissimo! Ti prego accettami così come sono altrimenti finiremo per distruggerci a vicenda …” baciai il suo muso tra i suoi occhi e vi posai la mia guancia. Quando una piccola lacrima scese sul suo pelo si divincolò. Guardai i suoi occhi sofferenti, non si era arreso. Si gettò tra la boscaglia seguito da Seth, doveva riflettere e sapevo che il mio amico non gli avrebbe permesso di fare sciocchezze. Anch’io soffrivo con lui, avrei voluto di nuovo mio marito, il mio amico, il mio confidente ed invece avevo solo lame e coltelli in una sfida perpetua che mi stava togliendo tutte le energie. Lui con la sua smania di protezione, ed io con la mia voglia di affermazione al mondo.

 

 

Incredibile come spesso trovavo la risoluzione dei miei problemi in una radura. Il poco tempo che era trascorso da quando ci avevano contattato non era sufficiente  per cercare un luogo neutro dove poter parlare, costringendoci a ripiegare su di un posto già conosciuto e poco lontano dalla casa.

< A corto di fantasia signor Destino? >

Camminavo tra Jake e mio padre. Jussa controllava Ake, che era stato allontanato con una scusa e con lui da lontano c’erano anche Embry e Seth che telepaticamente avrebbero raggiunto il mio lupo se fossero sorte delle  complicazioni. I bambini erano rimasti con la mamma, Carmen ed Eleazar. Avevano decisamente conquistato il loro cuore, ricordavano molto Emmett e Rose. Quanto mi mancava la mia famiglia, persino le battutine acide della zia su Jacob. Desideravo con tutta me stessa tornare a casa, nonostante fossero passati solo quattro giorni. Il tutto era amplificato dalla situazione pesante che si era venuta a creare. Le mie mani ciondolavano lungo i fianchi fiaccamente, quasi fossero sovraccaricate da quello che stavo pensando. Cercai stancamente di allungare una mano al mio lupo, che invece di prendere la carezza si scansò sprezzante. Ritrassi la mano sconsolata, stavolta era davvero infuriato e non sarebbero bastati occhi dolci e quattro moine per farlo tornare in sé .

“Non c’è nessuno!” quello che riuscivo a percepire io era solo una scia lasciata probabilmente il giorno del nostro primo incontro. Finché il mio lupo non drizzò le orecchie annusando l’aria.

“Arriva!” mio padre dava voce ai pensieri di Jacob. Movimenti di piante, tutti ci mettemmo in posizione di difesa. Temevamo un’imboscata ed eravamo pronti a tutto. Ma dai cespugli comparve solo la capobranco. 

“Scusate per il ritardo!”

“L’importante è che tu sia venuta!” Tanya che fino ad allora si era tenuta dietro di noi, avanzò fino ad arrivare a quattro metri dalla mutaforma. “Vogliamo cominciare?”

“La tregua ci sarà Tanya, Jussa mi ha parlato di quello che ha visto e mi ha spiegato che l’ibrido l’ha protetto quando non è stato creduto. Voglio ripagare la sua fiducia, ma il patto sarà limitativo! Non possiamo proteggervi come fanno i lupi e ne possiamo mischiarci con il vostro gelo!”

“Nessuno vuole una cosa del genere, dimmi le condizioni affinché non ci attaccherete e le rispetteremo!”

“Non potrete accedere al nord, dove risiedono le nostre tribù …” questa l’avevo già sentita.

“Non vi accederemo!”

 “Non potrete in alcun modo mordere gli essere umani, ne per nutrirvi ne per trasformarli, nemmeno se per loro richiesta!”anche questa l’avevo già sentita. “Per noi è tutto, voi avete richieste?”

“Non ci attaccherete e non rivelerete a nessuno della nostra natura!” ennesima frase sentita, questa faccenda si stava rivelando più noiosa del previsto. “Allora possiamo dire la faccenda conclusa!”

“Aspettate prima voglio che l’ibrido mi mostri quello che ha visto Jussa!” ti pareva che non venivo tirata in ballo, dovevo aspettarmelo. Jake immediatamente si accucciò e cominciò a ringhiare ferocemente. Conoscevo la sua disapprovazione, non voleva che mi avvicinassi pericolosamente a loro. Mi staccai da lui, ma prima di avanzare gli diedi l’ultimo sguardo per rassicurarlo. Il suo labbro si abbassò ma lasciò di sfondo un sottile rantolo. Camminai verso Anouk. Era una donna molto alta, poco più di un metro e novanta, il suo corpo era un fascio di muscoli torniti ed allungati che rivestivano le sue ossa come se fossero una barriera protettiva. Avevo già percepito il suo calore al nostro contatto, ma ora mi sembrava essere aumentato, non avevo potuto osservare con attenzione i suoi occhi. Neri, oscuri, familiari. Ma avevano un qualcosa che non riuscivo ad interpretare, come se le sue parole andassero sempre al di là del loro mero significato. Mi voltai verso mio padre che monitorava la sua mente cercando il minimo passo falso. Tornai a lei e ripresi a guardarla negl’occhi. Alzai le mie mani lentamente, verso il suo viso e dopo un attimo di titubanza, trovai la pelle bollente che le ricopriva la mascella marcata. Iniziai a letteralmente a rivivere l’attimo in cui incontrai per la prima volta lo sguardo di Jacob. Quando ancora tra le braccia di Rose presi coscienza dove si trovava il mio sole, il centro del mio sistema. Eravamo attratti entrambi come calamite ed io nonostante fossi ancora in fasce capivo esattamente che non avrei mai potuto separarmene. Il mio Jacob, amico e fratello a quel tempo.  Mi trovai catapultata in un ricordo d’infanzia. Avevo circa sei anni all’apparenza. Era dovuto partire, non volevano dirmi il perché ma io ero abbastanza arguta per capire che c’era di mezzo qualche pericolo. Rimasi ad aspettarlo per tutta la sua assenza. Guardavo fuori sperando che uscisse dalla vegetazione per due giorni, rifiutando di mangiare e di dormire. Tutti erano in apprensione cercando di convincermi che non sarebbe servito a nulla, ma la mia natura ostinata non permetteva di arrendermi. Lo notai giungere attraverso gli alberi da quasi tre chilometri di distanza e cominciai correre a perdi fiato tanto che stentavo le parole quando lo raggiunsi. Ma appena l’aria gonfio i miei polmoni il fiume strabordò cominciando ad uscire in tutta la sua potenza.  Come una pellicola indelebile nella mia testa tornai a quando con la mia crescita cominciavo a somigliare ad una ragazza. I miei tratti si erano sfinati, il collo lungo da cigno e morbide forme appena accennate. Il giorno del matrimonio di Rachel e Paul. Avevo un vestito rosa antico privo di spalline e la gonna svasata dal tulle, con una fascia nera di raso che mi stringeva la vita delineando un fisico a clessidra che non credevo di possedere. I capelli raccolti in uno chignon le cui forcine mi facevano prudere la cute a cui era ancorata una rosa nera di organza uguale a quelle sulle ballerine che detestavo. Mi sentivo una Barbie, una di quelle fatte in serie nelle fabbriche. Quando Jacob  entrò nella mia camera rimase letteralmente di stucco. Pensai che ero realmente ridicola, soprattutto perché mi avevano costretta ad imbellettarmi il povero viso che non faceva altro che chiedermi pietà.  In realtà era la prima volta che assomigliavo più ad una donna che ad una ragazzina. Lo capì solo molto più tardi. Ero arrivata a quel giorno in spiaggia, quando mi accorsi di essere innamorata di lui. Il mio Jacob, il mio fratellone giocoso e complice era diventato altro per me. Passai alla mia prigionia, all’agonia a cui mi avevano costretta nel tentativo di rendermi schiava del sangue, alla mia unica ancora di salvezza riposta nel pensiero di chi avrei deluso. Il suo profondo senso d’impotenza quando Jane mi stava schiacciando lo sterno, il mio tentativo di salvarlo sacrificandomi e il suo intervento quando stavo per essere aggredita dal vampiro. Eravamo entrambi pronti a morire per noi. E poi il nostro matrimonio. Mutaforma e vampiri. Tutt’insieme a festeggiare l’unione non solo di due anime ma anche di due specie. Le risate, la gioia, gl’imprinting dei nostri amici. La gravidanza, il loro cuore contro la mia pelle, i lividi e le fratture piccolo prezzo per un grande dono. La nascita dei bambini, la loro crescita le piccole battaglie quotidiane. Il tenerli fra le braccia, la loro risata quando baciavo l'ombellico scoperto, l'infuriarsi per i litigi. La perpetua lotta con Jake per la mia forza. Tutto. Ero confusa. Sentivo le gambe tremare. Era come se mi stessi letteralmente svuotando. Poi un ricordo che non mi apparteneva. Non potevo esserci, era nitido ma lontano. Un’eco di qualcuno. No, non qualcuno. Dell’unico che poteva. Mio padre. Il suo ricordo. Carlisle. Esme. Rosalie. Dal loro abbigliamento sembrava essere negl’anni trenta.

“Il patto …” stavo rivivendo il patto. Vedevo Carlisle parlare con un uomo. Ephraim Black. Il bisnonno di Jacob. Aveva la sua stessa pelle olivastra, il suo stesso vigore espresso sia dalla prestanza fisica sia da quello sguardo nero e penetrante. Era lui. Era come lui. Parlavano, non sbraitavano. Le mani. Ghiaccio e fuoco che s’incontravano. Caldo e freddo, passione e razionalità. Ragione e sentimento. Il mio cuore si contrasse in una stretta che mi fece spirare. Il mio potere. Si stava esaurendo lo sentivo sempre meno prevaricante come se tutto quello che dovevo dire era più forte di me. Non riuscivo più a controllare nulla. Immagini confuse che si sovrapponevano confondendosi, staccai le mani e mi sentì mancare. Fredde stampelle mi sollevarono la schiena che per poco finiva a terra. Respirai. Fatica. Respirai ancora. Realtà. Finzione. Ricordi. Dove ero? Cosa mi stava succedendo? Chi ero? Ombra, tenebra, oblio.

 

Note dell'autrice: Ma salve salvino! Buongiorno e buona domenica. Oggi aspettatevi più di un capitolo mie care ho del tempo libero da dedicarvi! Ok Nessie ha detto che mi sta letteralmente detestando! Cosa le ho fatto stavolta?

Bocca cucita su tutto!

sinead: sapevo perfettamente che il capitolo precedente ti sarebbe piaciuto! Io Eddy lo adoro da papà e Carlisle lo adoro come nonno. Mi affascinanano ed adoro scrivere di loro e del loro rapporto con Nessie che ora è una donna a tutti gli effetti. Per quanto riguarda la parte in spagnolo: come sai amo il fatto che i Cullen sappiano tante lingue. Sono tutti di un epoca molto antica in cui sapere più di due lingue alla perfezione era sinonimo di nobiltà e ricchezza cosa che nei Cullen si rispecchia. Oltretutto loro sono dei personaggi che la cultura se la mangiano ed io confido molto nella cultura perchè è un valore che si è perduto nel tempo. Quindi la mia Nessie non poteva essere tanto diversa e il rimarcare queste sue capacità mi intrigava parecchio. 

noe_princi89: brava vedo che hai capito a pieno lo spirito delle problematiche che ho fatto insorgere. Nella vita per quanto una coppia si ami e sia unita ci sono degli ostacoli e delle incomprensioni che faticano ad essere recuperate. Ti devo confidare che questa cosa della crisi in realtà è solo il racconto romanzato di alcune mie vicende (ovviamente non sono Nessie e lui purtroppo non è Jake) diciamo che ho affrontato un percorso simile al loro.

never leave me: O MIO DIO! tu così mi fai morire, troppi complimenti e mi sciolgo come un ghiacciolo al sole.  Il fatto che tu abbia riletto le frasi della conversazione Eddy NEssie mi fa solo che inorgoglire. Ci tenevo molto a questa scena, non sto qui a spiegarti il perchè ma sappi che dentro c'è molto di me. Il rapporto con il padre è di fondamentale importanza l'ho rimarcato più volte credo con il mio scritto e ci sarà occasione per ricordarlo.  Passiamo agl'inuit : c'hai preso! Ake rappresenta l'ostilità lo scoglio da superare. Jussa la saggezza. Anouk (in realtà è un nome Inuit che significa orso polare quando l'ho scoperto ho cominciato a saltellare di qua e di là per metterlo nella mia storia pensando a Chocolat, poi tesoro verso la fine avrai una scena che spero ti faccia ridere  che riguarda proprio Jhonny Deep che quando l'ho scritta mi sono detta che te l'avrei dedicata quindi preparati) è a metà tra Ake e Jussa. Loro sono andati via solo per evitare altri scontri visto la difficoltà di controllare Ake. Comunque ora continua a seguire che la storia si complica e presto ci sarà qualcosa solo per te. Cuoricini!

RINGRAZIO SEMPRE CHI MI SEGUE, CHI LEGGE, CHI MI RICORDA, CHI MI PREFERISCE! Voi siete la mia forza anche solo vedendo che le visite aumentano di continuo! Vi adoro e vi ringrazio con un bacio ad ognuno di voi!

Sappiate che mi fa sempre piacere che mi dite la vostra, quindi se volete tirare un po' di pomodori io sono qui!

Mally

 

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Capitolo 12
*** CAPITOLO XI: L’Angelo, la Stella, il Dio. ***


CAPITOLO XI: L’Angelo, la Stella, il Dio.

Buio. Ero nel buio completo. Oscurità impenetrabile a cui non riuscivo ad abituarmi. Come se fossi in una stanza vuota, con le pareti nere, senza finestre che lasciassero filtrare uno spiraglio di luce. Nero. Nero assoluto. Confortante nero. Non vedevo nulla nemmeno il mio corpo. Corpo. Ero un corpo o una figura evanescente? Mi toccai. Trapassai. Cos’ero? Una sola presenza. Una voce. Lontana. Lontanissima. Si spostava.  “Nessie …” < Seguila! > un’altra voce. < Vai, ora! > mi mossi temendo di sgretolarmi. Non sapevo nemmeno cosa mi stava dicendo eppure seguivo quel nome. Nessie. Esalato più e più volte. Qualcosa. Memoria. Un mostro. Un posto. Un lago. Scozia. Loch Ness. Nessie. Il mostro di Loch Ness. Che significava? Dovevo essere una strana creatura se come estasi mistica immaginavo una voce che parlava del mostro di Loch Ness. < Non ora, seguila! > non ora per cosa? < Niente sarcasmo! > Sarcasmo. Ironia. Ancora di salvezza contro il mostro che alberga. “Nessie, svegliati! Abbiamo bisogno di te!” passi lenti e cadenzati verso quel suono. Sembrava più vicino. Materia. Diventavo materia. Passi. Dovevo accelerare, diventare reale. “Torna da me, amore mio!” amore. C’era qualcuno che mi amava dietro quella voce. < Vai da lui! > lui. Dovevo andare da lui. Ma chi era lui? Chi ero io? Dovevo scoprirlo. < Corri! > Come?  < Le tue gambe! Una davanti all’altra, veloci, corri! > dovevo andare. Correre. Alternanza degl’arti inferiori. Destra. Sinistra. Uno. Due. Uno. Due. Veloci. La falcata aumentava, e il buio stava scomparendo. “Ti prego, torna da me!” Vicino. Vicinissimo. Lo stavo raggiungendo. Un punto. La luce che cercavo. La notte, rischiarata da una stella. Non una la stella. Il sole. < Raggiungilo! > Reale. Massa corporea composta da epidermide, muscoli, organi, ossa. Capelli, occhi, naso, bocca. Prendevo forma, diventavo reale. E correvo verso il sole. Luce. Stanza, letto. La mia mano, avvolta in un caldo abbraccio di dita roventi. Non ero sola. Lui. “Nessie?” la voce. Lui. Volevo chiedere. Le corde vocali si stavano conformando. Le palpebre. Alzarle per guardare lui, la voce che mi guidava nell’oblio. Odore forte, fortissimo. Sale. Muschio. Corteccia. Bosco. Trovai ad ogni parola la sua figura. “Nessie, ti sei svegliata!” si l’avevo fatto. Un volto a quella voce. Un volto scultoreo, dagli zigomi marcati, labbra carnose scolpite nel bronzo di un epidermide liscia, priva di alcuna imperfezione, in cui erano incastrati due onici scuri ed intensi su cui erano scritte mille parole. Un Angelo Custode ma nessun nome.

“Dove sono?” lingua contro il palato riecheggiando la mia parola che trovava forma anch’essa. Ero di nuovo un io di cui non sapevo niente, dovevo scoprirmi, dovevo sapere dove mi trovavo.

“Sei nella casa a Denali, hai deciso di farmi morire di qualche malattia cardiaca vero mostriciattolo?” cercai di sedermi ma venni bloccata da una lingua di fuoco sulla spalla. “Non ti sforzare,  riposa vado a chiamare Edward ti vorrà visitare …” dolce tono roco, speranza, gioia turbine di emozione che mi facevano capire di essere importante per lui. Si allontanò lasciandomi sola. Cominciai a guardarmi intorno, per studiare l’ambiente. Ero sul lato sinistro di un grande letto, sentivo lo scrosciare di acqua alle mie spalle. Una stanza semicircolare delimitata da ampie finestre. Davanti a me una zona quadrata con due lettini. Di nuovo, un odore fortissimo, si mischiava a quello del ragazzo che avevo incontrato.

“Nessie! Piccola brontolona … ” una giovane di una bellezza inverosimile mi guardava attraverso ipnotici occhi dorati. Lunghi capelli scuri le incorniciavano il viso esangue a forma di cuore. Meravigliosa, una Stella del Cielo ma nessun nome. Si spostò ad una velocità allucinante, per venirmi ad abbracciare. Non poteva essere reale. La pelle fredda e dura come una lastra di marmo, mi avvolgeva con una forza soffocante nonostante le sue fattezze gracili. E dietro di lei un’altra visione. L’angelo accompagnato da un ragazzo anch’egli dalla pelle di ghiaccio e dagl’occhi di miele, con soffici capelli ramati. Sembrava una statua del classicismo greco, se non fosse per l’espressione crucciata che aveva distorto i lineamenti del suo viso. Un Dio greco, ma nessun nome.

< Chi sono? >

“Bella, aspetta!”

< Chi è Bella? > le sue sopracciglia si alzarono rivelando un gran stupore, ma cosa lo sorprendeva tanto?

“Cosa sta succedendo, Edward?” la Stella si staccò da me per voltarsi verso loro. La raggiunse ad una lentezza calcolata. La invitò a spostarsi per prendere, il suo posto. Forse lui poteva aiutarmi a capire.

“Edward?” anche l’Angelo sembrava sconvolto. Ma non potevo distogliere lo sguardo da quel fulvo oceano che mi studiava con la mia stessa curiosità.

“Ti chiami Edward?” lo sbalordimento regnava sovrano, aleggiava nell’atmosfera che avevo costruito con la mia semplice domanda.

“Si, il mio nome è Edward …” sembrava rassegnato, come se avessi dato la conferma di una sua triste teoria. Doveva aiutarmi.

“Sai il mio nome?” chiesi al Dio che adesso aveva un nome.

“Nessie … ” l’Angelo con il volto trasfigurato dal terrore,  aveva perso un po’ del suo colore “Cosa significa?” Edward alzò una mano chiedendo il silenzio.

“Il tuo nome è Renesmee!” non aggiunse altro. Rimase solo lunghi minuti a fissarmi negl’occhi. Baciò la mia fronte. Le sue labbra algide, si posarono sulla mia pelle e ne rimasi pietrificata. Come potevano essere così fredde ed innaturali? Mi invitò a riposare ed insieme all’angelo e alla stella uscirono. Avevo saputo il mio nome. Renesmee.

 

Il giorno seguente non fu esplicativo del mio passato. Cominciavo ad avere dubbi persino sulla mia natura. Riuscivo a percepire suoni lontani, vedevo oltre le semplici capacità di chiunque, sentivo gli odori ad una notevole distanza. L’Angelo mi stava sempre accanto, confermando il mio sospetto che fosse un custode. Sentivo il vociare sommesso da dietro la porta. La sera c’era stata una notevole discussione su due persone che mi volevano vedere a cui evidentemente non potevano nascondermi ancora a lungo soprattutto se dovevamo tornare a casa.

“Quindi questa non è la mia casa?” chiesi all’Angelo. Mi guardava seduto sul letto mentre osservavo l’esterno dalla finestra.

“No, questa non è la tua casa!”

“Perché rispondi in maniera evasiva?” m’incuriosiva quel loro modo di comportarsi. L’ Angelo, il Dio e la Stella rispondevano solo alle domande dirette senza fornire spiegazioni ulteriori. Si alzò e mi venne vicino, terribilmente vicino.  Il suo contatto mi dava delle strane sensazioni; il suo odore mi ubriacava disorientandomi, i suoi occhi entravano nei miei e mi incatenavano a lui come se le nostre anime fossero comunicanti. Ma la mia risposta fisica più strana apparteneva al mio cuore che accelerava e si bloccava istantaneamente. Voleva dirmi di più ma non poteva frenato da non si sa quale paura. La stessa probabilmente che ogni volta che finivamo così accostati lo respingeva in quella maniera quasi repulsiva. Ed ogni volta che si allontanava sentivo un dolore fortissimo che leggevo anche nel suo sguardo. “Chi sono Sarah ed EJ, di cui parlavate ieri?”

“Non posso dirtelo, Nessie!” non era la prima volta che mi appellava a mostro, non solo con il nomignolo di una leggenda scozzese, anche con quel epiteto giocoso che avevo sentito solo al mio risveglio. Non mi dispiaceva affatto, ma faceva parte di un passato sconosciuto che volevo conoscere.

“Il mio nome non è Renesmee? Perché mi chiami Nessie?” volevo sapere. Magari sarei riuscita con qualche via traversa a trovare risposte esaurienti per il mio passato. Mi aspettavo di tutto ma non di vedere quel volto straordinario illuminarsi con un sorriso. Magnetico, immenso, coinvolgente. Il mio cuore mancò nuovamente un battito. Nel mio sonno oscuro l’avevo visto come un sole, ma solo allora ne ebbi la seria certezza. Un sole capace di scaldarti con un semplice e dolce gesto. Alzare gli angoli della bocca. Non riuscì a resistere, allungai una mano ed accarezzai la sua guancia come se fosse la cosa più naturale che potessi fare. Chiuse gli occhi sviluppando un forte sospiro. Cercavo di capire ogni sua reazione, volevo sapere cosa lo legava a me, cosa ci legava.

“Non ti piace che ti chiamo così?” cercava di combattere contro qualcosa, lo vedevo, lo sentivo quando tremava ad ogni mio tocco.

“Mi piace, anche se non capisco il motivo …” sorrise nuovamente e mi sentì galleggiare. Quel sorriso era un’epidemia sana, altamente contagiosa, che poteva coinvolgerti e stordirti rendendo chiunque suo schiavo. “Dovresti sorridere più spesso!” non pensavo di avere una reazione tale, l’angelo sembrò soffrire di quello che avevo detto, uscendo velocemente dalla mia camera.

 

Il Dio e la Stella. Personaggi di una leggenda che sembrava non trovare una trama nella mia testa. Gli inseparabili giovani dagl’occhi topazio che mi guardavano preoccupati ogni giorno. Il Dio, inverosimilmente bello, serio, affettuoso. Aveva uno strano vezzo, labbra che si contorcevano sghembe mozzando ogni respiro. La Stella, la sua voce dolce lasciava solo trasparire il suo cuore sconfinato. Mi focalizzai proprio su quest’ultimo. Rimasi in silenzio. Sentivo solo quel frenetico battito del mio ma null’altro.

“Dov’è?”  

“Cosa, piccola?”

“Il vostro cuore, non lo sento! Il mio lo sento, il suo lo sento, ma il vostro no, perché?” si lanciarono uno sguardo eloquente e capì che anche a quella domanda non avrei avuto risposta. Non volevo continuare ad esaminare, avrei solo trovato domande su domande di cui le risposte non potevano essermi portate a conoscenza. “Vi tolgo dall’imbarazzo, lasciate stare!” la rabbia non l’avevo provata fino a quel momento dal mio risveglio.

“Dai tempo al tempo!” la Stella si sedeva accanto a me e cercava di carezzarmi il viso. Non volevo ero stanca dei loro misteri.

“Renesmee ti va di incontrare gli altri?” si dissero parole che non valevano la pena essere pronunciate. Non serviva. Avevano la capacità di parlare in silenzio. L’assurdità stava nel mio saperli leggere, ascoltare quel tacito silenzio e capirne il significato con la semplice osservazione dei loro gesti. Si stavano chiedendo se era opportuno. Come avrei reagito. Se avrei capito. Mille interrogativi a cui non c’erano repliche.

“Si” dovevo porre fine alle loro domande. Mi alzai e per la prima volta uscì dalla stanza in cui ero rinchiusa. Camminai lungo tutta la casa osservando attenta ogni particolare, nel tentativo di riconoscere qualcosa, di trovare le risposte negate. La Stella e il Dio mi sorreggevano le  braccia temendo che potessi cadere da un momento all’altro. Arrivammo ad una stanza. Tre donne e due uomini giovanissimi e bellissimi, della stessa lastra del Dio e della Stella erano occupati in diverse attività: lettura, pittura, cucina. Avevano odori diversi e loro cuori non cantavano come il mio. Sembrò fermarsi il tempo, congelandosi nell’istante in cui mi videro. Guardavano me, loro e poi tornarono a me. Ad un tratto la donna con i lunghi capelli scuri si avvicinò. Ci fissavamo occhi negl’occhi, ma in me aveva letto lo smarrimento nel cercare di rammentare.

“Querida, ¿no te acuerdas de mí? | Cara, non ti ricordi di me? |” il significato di quelle strane parole non mi era nuovo, sapevo esattamente cosa indicassero e sapevo pronunciarle anch’io. Prendeva lentamente forma di pensiero nella stessa maniera in cui l’avevo sentite.

“Yo no recuerdo nada, lo siento! | Non ricordo proprio nulla, mi dispiace! |” notai il loro stupore dalla mia risposta.  Una fitta. Rapida attraverso il cranio, trapassato da una freccia lancinante. Portai due dita alla base del naso, cominciando a premere per diminuire il dolore. Funzionò. Volevo la mia vita in quel momento, la volevo ad ogni costo. Mi guardai spaesata intorno cercando di riconoscere le facce dei presenti. Nulla. Tutti avevamo lo stesso stato confusionale, anche se il mio era dettato dalla condizione di vuoto a cui era costretta la mia mente. Non sapevo come ne quando ma io avrei dovuto ricordare. Rivolevo la mia vita.

 

Note dell'autrice:

"E no adesso pure l'amnesia!Basta mi licenzio!" "Non puoi licenziarti!" "E chi lo dice?" "Il contratto!" "Maledetta burocrazia!" "Senti sei diventata di mie proprietà quindi bando alle ciance e torna al tuo posto Nessie!" "Va bene va bene uff !"

Scusatela ma sapete i malcontenti dei dipendenti vanno sedati dal principio. Insomma insomma, Nessie non ricorda nulla della sua vita passata, che ve ne pare? Non dico altro altrimenti anticiperei troppo! Però dato che lo stile in cui ho fatto riprendere conoscenza a Nessie è moooolto particolare, vorrei sapere se vi è piaciuto e se soprattutto vi siete sentite come lei smarrita!

never leave me: Cosa tu vai a procacciare Jhonny senza di me, peccato che io non sono a Venezia ti avrei accompagnata volentieri. Cacchio io adoro Jhonny da Don Juan de Marco maestro d'amore (se non hai mai visto quel visto guardalo te lo consiglio visto che interpreta un seduttore che ti fa elettrizzare anche i capelli). Per tornare alla tua recensione: allora Jussa praticamente crede nelle leggenda ma si trova di fronte due persone che invece gli hanno sempre detto che sono tutte fandonie, un po' come Jake quando racconta  a Bella delle leggende Quileute. Poi arriva Nessie che è la prova di come invece sia tutto reale donando una speranza. Non contando che l'aurora boreale ha danzato al loro arrivo. Nella tradizione Eschimese (a quanto pare è una leggenda che esiste realmente) si dice che l'aurora boreale danzerà al ritmo del fischiare di un cuore puro.Per questo ho specificato che il nostro amico era molto attaccato alle tradizioni. Parliamo di Jacob: il nostro caro lupacchiotto diciamo che è esasperato. Ha praticamente subito una sorta di crollo nei confronti di Nessie perchè lei fa sempre di testa sua e lui non riesce a raggiungerla mai. Ha paura che gli sfugga che lui non sia più necessario, e questo lo sconvolge perchè la paura più grossa di Jake è di essere rifiutato come uomo e come compagno di vita, di essere preferito ad un altro come è successo per Bella. Ma il bisogno che Nessie sente nei confronti di Jake va oltre il bisogno di protezione. Lei è una che sta al fianco non dietro come già ho detto ma questo non significa che voglia affrontare da sola le problematiche che le si presentano. Lei vuole essere la sua donna, vuole aiutarlo a sorregere tutti i carichi di responsabilità. Vuole la sua protezione ma vuole anche proteggerlo. Dividere i compiti come si dovrebbe fare nella vita quotidiana. Del genere io cucino e apparecchio tu sparecchi e lavi i piatti. Non so se mi sono spiegata. ^^

noe_princi89: vale quello che ho detto anche per never leave me.  Sono molto contenta che ti sia piaciuto il ripercorrere dei ricordi. D'ora in poi diventerà un elemento centrale della mia narrazione. Mi dispiaceva non poter raccontare la vita di Nessie prima di tutto quello che le ho combinato, quindi ho inventato tutto sto ambaradan per poter descrivere tutto ciò.

Kandy Angel: mannaggia hai visto che le ho combinato alla povera Nessie, menomale che è domenica e non può iscriversi alla cgil! Sennò mi farebbe un vertenza lunghissima!

Ringrazio sempre tuttissimi! Bacibaciotti!

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Capitolo 13
*** CAPITOLO XII: Chi? Come?Dove? ***


CAPITOLO XII: Chi? Come?Dove?

Ormai conoscevo tutti i loro nomi. Quello a cui mi ero affidata nelle ore restanti non aveva più senso di appartenermi. Bella, la Stella. Edward, il Dio. Jacob, l’Angelo. Cancellai quasi immediatamente quei soprannomi, seppur gli appartenevano. Mi portarono su di un aereo con cui avrei raggiunto la mia vera casa, dove avrei potuto ricordare chi e cosa ero in passato. Dovevo procacciare ovunque, ogni angolo remoto del mio cervello. Dovevo scandagliarlo come un radar per trovare cosa era scomparso. Forks, stato di Washington. Qui era il mio trascorso. Altri due ragazzi irreali ci accompagnarono nel cuore della foresta. Uno alto, bruno, con le spalle larghe aria sbruffona ma un velo di mestezza che copriva le iridi dorate. L’altro magro slanciato, con una folta chioma leonina ad incorniciare il viso alienato.  Attraverso un vialetto arrivammo una villa immersa nella vegetazione nascosta al mondo concreto. Certo, nessuno poteva accettare la nostra natura bizzarra. Loro esseri glaciali senza un cuore, dalla pelle di diamante e con gl’occhi dell’ambra. Ed io minuta fanciulla dotata di una forza immane e dai sensi evoluti.

“Dove siamo?” chiesi al ragazzo che si trovava alla guida accanto a Jacob, che non aveva alcuna intenzione di lasciarmi sola. Incrociai il suo sguardo attraverso lo specchietto, in quell’espressione imperturbabile era passata una stilettata.

“Questa è la casa dove sei nata e cresciuta!” da come ne parlava forse non vi abitavo più. Allora perché mi stavano conducendo lì? Forse avrei scoperto qualcosa di nuovo? Lasciai cadere l’argomento, non volevo incappare nelle vacuità delle reminiscenze che non riuscivo a costruire. Scesi dall’auto. Venni travolta da una morsa gelida che mi fasciava il collo. Una ragazzetta bassa mi stava abbracciando. Mille parole a raffica.

“Nessie, non posso credere che tu non ti ricordi! Siamo noi la tua famiglia, ti prego dimmi che è uno stupido scherzo …” si discostò giusto lo spazio per guardarmi, ma quello che trovò scritto fu solo frustrazione, caos, subbuglio, vuoto.

“Alice, dov’è Carlisle?”

“È nel suo studio, vi sta aspettando Jake …” quanti nomi da imparare. Carlisle, Alice. Il ragazzo che guidava la baciò a fior di labbra, avevano entrambi un’espressione sconvolta e preoccupata.

“Vieni …” Jacob aveva afferrato la mia mano. Era stupefacente come riuscisse a capire il momento esatto in cui intervenire, donandomi quella sicurezza che avevo totalmente perso assieme alle mie memorie passate. Mi condusse attraverso la casa. Muovevo incerta i passi tra i vari ambienti, spaventata dal persistente nero che non faceva riaffiorare nulla.

“Vi dispiacerebbe lasciarci soli?” un uomo alto dall’aspetto avvenente ci aspettava all’entrata di una stanza che profumava di cellulosa. Quell’odore mi dava un senso di pace non indifferente. Alzai la mia testa e proprio dove me l’aspettavo trovai una croce in legno. Un coltello fendente l’immagine ripercossa nella mia mente e poi di nuovo il nulla. Esaminai la stanza, il suo stile era sobrio e professionale con parecchi scaffali colmi di libri alcuni dall’aspetto prezioso ed antiquato, altri sembravano manuali più moderni che davano l’idea di essere trattati di medicina. Tra il legno ed il bianco imperante notai una parete ricoperta da tantissimi quadri. Uno però attirò la mia attenzione in maniera particolare: una tela coloratissima con una cornice semplice bianca dove vi erano impresse mani come mille farfalle variopinte di diverse dimensioni; somigliava ad una fantasia infantile ed allegra totalmente diversa dal resto molto più altisonante e antico. Serrai la mia mano in quella del mio Angelo, lo imploravo con lo sguardo, di non lasciarmi. La mia luce nelle tenebre.

“Non ti preoccupare, aspetterò qui fuori!” baciò la mia fronte. Il contatto con le sue labbra bollenti fece partire una forte scarica elettrica che attraversò il mio intero corpo. Poco dopo scomparì dietro la porta lasciandomi sola. O quasi. Quel ragazzo distinto continuava a studiarmi. Come tutti coloro avevo incontrato fino ad allora la natura lo aveva dotato di sembianze che rasentavano la perfezione, ma con un qualcosa di totalmente diverso. Una dolcezza infinita, un profondo rispetto, un aspetto indecifrabilmente umano, in un universo che di umano ne aveva ben poco. Mi ispirava fiducia.

“Tu devi essere Carlisle immagino!” decisi di rompere il ghiaccio forse lui mi avrebbe dato qualche indizio in più. Ma il mio modo freddo di parlare faceva male persino a lui. Scrutava le mie mosse, con una nota di amarezza che sembrava ferirlo. La stessa che nutrivo io sentendo gl’altri agonizzare per la mia lacuna. Incrociai le braccia al petto riparandomi dal suo sguardo indagatore, che distolse quasi immediatamente vedendomi sulla difensiva.

 “Si, sono Carlisle, Renesmee!” il tono calmo, pacato, sofferente ma allo stesso tempo rassicurante. C’era di più che una semplice apparenza ed io dovevo andare oltre. Mi guardai attorno cercando di capire attraverso ciò che lo circondava il suo ruolo. Mi soffermai su di un appendiabiti su cui vi era un lungo camice bianco. Lo studiai a fondo notando una strana sagoma attraverso la tasca. Sembravano degli auricolari, con un oggetto circolare. Un oscilloscopio.

“Sei un medico?” si era voltato mi dava le spalle mentre sollevava le maniche della camicia fino ai gomiti. Alzò per un attimo i suoi occhi verso di me per poi passare al camice che stavo guardando. 

“Sei un’arguta osservatrice …” aveva un sorriso angelico, che rendeva il suo aspetto ancora più gradevole.

“Voglio solo sapere chi sono e cosa mi è successo!” dissi ferma e seria. Quello era il mio scopo e non avevo intenzione di ritirarmi dalla mia battaglia personale.

“Anch’io, piccola mia. Vieni accomodati!” indicò un lettino dove presi posto. Come Edward e Bella, le sue mani erano ghiacce donavano una piacevole sensazione di formicolio. Le posizionò sotto la mia mascella all’altezza delle ghiandole salivari, tastando con delicatezza la mia pelle. Spostò la mia testa da un lato e dall’altro “Senti qualche dolore in particolare?”

“Come ho già detto ad Edward a parte uno strano  mal di testa non ho niente, perlomeno niente di fisico …” prese una penna che invece si rilevò una piccola torcia, con cui misurò la reattività pupillare.

“Puoi spiegarmi meglio il tuo malessere?”

“All’inizio era un dolore continuo che si acuiva nei momenti in cui provavo a ricordare, ora invece è un semplice fastidio che diventa una fitta lancinante ogni volta che mi sforzo di ricordare” la visita generale continuò per qualche minuto alcune cose più consuete altre meno. Mi spiegava ad ogni passo l’esame di turno ed il perché me lo stava applicando con parole semplici. Mi toccava ed io non sentivo che un freddo tepore familiare. Era come se tutto quello che stavo facendo rappresentasse un’abitudine.  Poi al controllo fisico seguì quello psicologico. Poche domande giuste lasciandomi libera di parlare. Si vedeva che era un ottimo medico. Sapeva mantenere un contegno professionale unico ma al tempo stesso non intimoriva, anzi mi metteva a mio agio. E così, senza neanche rendermene conto, mi trovai a raccontare la mia corsa extracorporea attraverso l’oscurità, come la voce di Jacob mi aveva guidato fino alla luce, il mio risveglio.

“Quindi non ricordi cosa ti è accaduto prima di perdere conoscenza?”

“Vorrei ricordare ma non riesco! Nemmeno un flash, nulla buio assoluto!” ero decisamente affranta. Tenevo la mano a reggere una testa vuota ma allo stesso tempo piena di una pesantezza immane.

“Capisco …” sedevo sulla poltroncina davanti alla scrivania mentre scriveva su di un taccuino appunti che mi riguardavano. Immagino che la mia condizione dovesse risultare interessante se non  eccitante per un dottore, invece sembrava decisamente distrutto. Chiuse l’elegante penna e l’abbandonò sui fogli distrattamente. Poggiava i gomiti sui braccioli della seduta e congiungeva le mani con le prime falangi in segno di riflessione scoraggiata. “Credo di avere un quadro generale, di quello che ti è accaduto!” si alzò elegantemente superando la scrivania. “Ma per ora penso che tu abbia solo bisogno di riposare! Alice!” come avrebbe potuto sentirlo stava parlando ad un tono infinitesimale. Ma la porta si aprì e la brunetta si affacciò sorprendendomi alquanto.

“Si, Carlisle?”

“Fai accomodare Renesmee nella camera di Edward e Bella! E fai venire qui Jacob devo parlargli!” Alice si spostò velocemente venendomi accanto e prendendomi le spalle mi invitò fuori. Ero stordita, confusa ancora di più.

 

Era da un po’ che mi giravo e rigiravo nel letto, tutto quello che stavo vivendo mi sembrava fittizio. Eppure io ero una ragazza con un passato a me oscuro per non si sa quale ragione, con persone che mi amavano di cui non ricordavo nulla, che sentiva di avere milioni di legami che però non potevo vedere. Maledetto vuoto che aveva deciso di cogliermi. Dovevo trovare una soluzione. Quel bel ragazzo biondo, mi aveva detto che ero cresciuta in quella casa. Casa, riduttivo definirla tale, meglio dire villa extralusso. Dovevo essere molto ricca. Osservai la stanza, dal mio materasso potevo vedere una grande cabina armadio dei quadri appesi alla parete, un bagno personale. Una lieve immagine saettata. Dei macchinari medici che segnavano con un ripetuto e velocissimo rumore il monitoraggio di qualcuno. Le tempie iniziarono a pulsare violentemente, ma la loro sofferenza terminò con la mia brevissima visione. Mi alzai dal letto, il solo osservare una stanza mi aveva concesso seppur breve, un ricordo. Dovevo trovarne altri, tra quelle mura io avevo vissuto il mio passato. Cominciai a gironzolare per i corridoi.

< Dio, se solo gli oggetti fossero animati e potessero parlare! >

Il colore predominante: bianco. Ogni camera era un piccolo specchio di chi ci viveva, regnava un ordine quasi maniacale. Cercavo in ogni dettaglio quello che si nascondeva. Ma non si stava ripetendo l’esperienza di prima, e così mi ritrovai a girovagare sempre più freneticamente fra le stanze ma nulla. Probabilmente chi aveva scelto i mobili doveva essere un arredatore o un architetto, perché lo stile era indiscutibilmente impeccabile. Aveva l’aria di una di quelle case che si vedono sui cataloghi di alto livello.  Arrivai in una grande sala quadrata. Sembrava essere posticcia rispetto la pianta originale, come se ricavata aggiungendo in un secondo momento. Era ampia costeggiata da molte finestre a metà parete, leggermente infossata rispetto al livello 0. Al suo centro un maestoso pianoforte a coda si ergeva in tutto il suo splendore, lustro, nero circondato da divanetti e poltrone. Entrai sospinta da una forza che nemmeno io saprei come interpretare. Ero attratta magneticamente da lui ma prima di raggiungerlo mi guardai attorno. Il pianoforte non era l’unico strumento: ad un angolo vi era una rastrelliera dove erano sistemate delle chitarre ed accanto due custodie nere. A giudicare dalla forma dovevano essere una viola ed un violino. Ero totalmente incantata da quello sfarzo regale di suoni. Mi avvicinai alla rastrelliera ed afferrai il fodero più piccolo. Adagiandolo a terra lo aprì delicatamente. Un odore fortissimo di lucido per legno arrivo alle mie narici disorientandomi con il suo intenso profumo. Afferrai tra le mani il suo leggero peso, bilanciato alla perfezione. Presi l’archetto ed analizzai i crini ben tesi. Non so come ma conoscevo esattamente le condizioni in cui doveva essere. Dopo poco guidata dal semplice impulso naturale, lo posai sotto il mio mento pizzicando le corde. L’archetto scivolò lentamente su di esse, emettendo uno dei suoni più soavi che mai si possono udire.

<  Solo la voce di un Angelo del buon Dio, di cui parla sempre il nonno … > nonno? Una fitta molto forte attraversò la mia testa bloccandomi dal suonare. Ma come sapevo farlo? Non m’interessava. Ripresi a muovermi appena il dolore si dissolse. Tornai alle note melodiose che uscivano dirette dal centro del petto dilatandosi lungo i miei arti diventando quella musica armoniosa. Non ero sola. Al piano qualcuno aveva iniziato ad accompagnarmi con la mia stessa strabiliante capacità. Edward illuminato solo dalla grigia e flebile luce del giorno che penetrava dalle finestre era seduto con le mani intente sui tasti d’avorio e d’ebano nel produrre quell’ incanto. Mi avvicinai continuando a suonare con una semplicità innata, come se era quello che facessi da sempre. Non avevo nessuna intenzione di fermarmi, chiusi gli occhi ascoltando il nostro duetto, travolta dall’effetto sublime che suscitava nel profondo della mia anima. Ero estasiata da noi, da quello che riuscivo a fare. Ma come era iniziato tutto finì. Le palpebre si alzarono lentamente e mi ritrovai alle sue spalle, entrambi riflessi nella vernice lucida come specchio. Lasciai cadere le mie braccia e l’archetto per potermi toccare il viso, non credevo a quello che vedevo. La nostra somiglianza rasentava due sosia di diverso sesso. La mia bocca appena socchiusa in un gesto di palesato stupore.

“Noi due …” non riuscivo a parlare lucidamente ma il confronto era così lapalissiano da spaventarmi “… siamo identici!” mosse appena visibilmente la testa, in un si indistinto “Siamo fratelli?” alla mia domanda affievolita, negò con un cenno lieve “C- Come è possibi … le!” cadde anche il violino dalle mie mani, dedicate solo a stringere il capo dolente. Mille aguzzi spilli appuntati sul mio cervello che faceva scorrere veloci le immagini di Edward che mi accoglieva tra le sue braccia, di una me bambina che salivo sui suoi piedi, il violino tra le mie mani mentre suonavo con lui che mi guardava sorpreso. Non poteva essere. Avevano al massimo vent’anni entrambi, lui non poteva essere …

“Papà …”

< Nessie che ti succede? > le ginocchia cedettero stavolta il dolore fu straziante e il mio corpo non resse. L’urlo agghiacciante che ne trassi da tutta quella sofferenza era disumano ed io non riuscì più a sentire altro la sua voce melodiosa netta dritta dentro la mia mente. E poi più nulla.

 

 

POV Jacob

Non ricordava assolutamente nulla. Non ricordava i genitori, gli zii, i figli , me. Ogni volta che mi guardava smarrita mi sentivo morire. Mi mancava il coraggio persino di ascoltare cosa si stavano dicendo nello studio, mi ero allontanato proprio per quello. Stavo fuori nel patio, in cui lei giocava a scacchi con lo zio. L’avevo spiata così tante volte mentre inveiva contro Jasper, sapevo benissimo quanto l’irritava il suo modo di fare enigmatico. Ed ora tutto apparteneva ad un passato scomparso. Cosa avrei dovuto fare? Forse dovevo stare accanto ai nostri bambini, cercare di fargli pesare il meno possibile la mancanza della madre. Ma come potevo abbandonarla, quando prima mi aveva guardato con quello sguardo immenso e spaventato pregandomi di restare. Ero in limbo bianco. La sentivo piccola e fragile come non mai.  E pensare che avevo desiderato di averla così per sempre, dipendente dalla mia presenza in quella maniera assoluta. Invece ora avrei voluto la mia bella e combattiva Renesmee, quella che non prega nessuno che non aveva bisogno di me. 

“Jacob, come stai?” non mi ero accorto della presenza di Gabriel, troppo assorto nei miei pensieri. Mi teneva una mano sulla spalla, cercando di dare un conforto che non avrei trovato neanche con il potere di Jasper.

“Uno schifo, grazie comunque …” mi seccava averlo vicino. Nemmeno con sette anni di matrimonio e un debito di vita ero riuscito a superare la sua corte spietata verso Nessie. Sinceramente lo ritenevo ancora troppo appiccicoso, e m’insospettiva il suo modo svenevole di rapportarsi a mia moglie. “Dove sono gli altri?”

“A casa vostra con i bambini, ma Edward sta tornando. Jake mi dispiace tanto per quello che state vivendo!” sembrava sincero, ma la sua costernazione non mi faceva sentire meglio. Abbozzai un sorriso solo per lei, perché sapevo quanto ci tenesse ai nostri buoni rapporti.

“È dura!” ci raggiunse anche l’emotivo. A quel punto la mia irritazione superava i limiti. Non solo per la loro asfissiante presenza, ma soprattutto per i nervi a fior di pelle che avevo da quando Renesmee si era svegliata.

“Non sai nemmeno quanto …”

“Lo so invece. La mia era un affermazione non una domanda! Ti ricordo che sento ogni cosa state provando: il suo stordimento, il tuo terrore, l’angoscia di tutti. Convivo con le vostre sensazioni dilatando le mie! E non riesco a capire questo tuo forte senso di colpa che ti opprime …” la sua voce era spezzata, sicuro se avesse potuto sarebbe scoppiato a piangere. Deve essere terribile assimilare le emozioni altrui, cercando di domare le proprie soprattutto in situazioni drammatiche come quella che stavamo vivendo.

“L’ultima volta prima che perdesse la memoria io ho scansato la sua mano, avevamo litigato di brutto perché lei si gettava a capofitto in situazioni suicide …” non so cosa mi spinse in quella confidenza, ma con qualcuno avrei dovuto parlare prima o poi e forse era giusto sputare fuori quel che sentivo visto che nel tempo avevo imparato che reprimere le proprie sensazioni conduce alla distruzione.

“Sai che Nessie è fatta così, non è nata per essere la donzella in difficoltà da salvare! Lei è combattiva …” questi erano i tipici interventi di Gabriel. Appena io commettevo un errore arrivava ‘faccino delicato’ sputando sentenze di condanna e rimarcando in cosa avevo sbagliato, soprattutto se l’argomento era la mia Nessie. Detestarlo era il minimo visto che faceva il saccente su di una persona che, fra parentesi, avevo cresciuto. La conoscevo da sempre, lui da solo sette anni. Era arrivato il momento di sfogare le mie frustrazioni su di un mezzo vampiro impertinente ed impiccione. Iniziai a sgranchirmi le nocche, pronto a trasformarmi e ad azzannarlo quando Jasper, intervenne:

“Gabriel, evita!” mi sorprese che fosse in mio favore, e mi calmò nonostante non stesse usando il suo potere. La cosa destabilizzò anche il povero vampiro mancato, ma mentre la situazione stava degenerando, Alice arrivò alle nostre spalle attirando la nostra attenzione.

“Nessie come sta?” Jasper anticipò la mia domanda.

“L’ho lasciata nella stanza di Edward e Bella È molto confusa e spaventata! Vorrei tanto aiutarla!” scuoteva il capo rattristata, Jasper la prese fra le sue braccia ed iniziò a baciarle la testa. Che strano vederlo tanto affettuoso. “Jacob, Carlisle vuole vederti!” riponevo una gran fiducia nel dottore lui era l’unico a conoscere bene Nessie sotto l’aspetto medico. Speravo che lui avesse le risposte, magari sapeva perché il suo passato era scomparso e mi sentii impaziente di conoscere il verdetto della sua visita. Corsi per raggiungere la porta del suo studio, ma bussai discretamente e solo al suo permesso entrai. Guardava fuori non si era nemmeno voltato per guardarmi. Carlisle, il vampiro con un’anima, rispettoso ed educato non mi aveva salutato se non con un profondo sospiro. Lui che non aveva bisogno di respirare, sospirò a pieni polmoni.

“Jacob, è più grave di quello che immaginavo!” le sue parole mi colpirono come un pugno in pieno stomaco, violento e potente, di quelli che lasciano una sensazione di nausea e di  stordimento dopo averli incassati.

“Cosa vuoi dire?” una potente scossa, travolse il mio corpo nella sua interezza, investito completamente dall’ondata di terrore che mi stava sovrastando. Carlisle finalmente si voltò ma lo stato d’inquietudine in cui ero piombato non faceva altro che alimentarsi con il suo volto sbattuto ed afflitto.

“Si può associare ad un’amnesia psicogena acuta, dovuta ad un trauma da stress, ma a differenza di una normale perdita di memoria, sembra abbia cancellato tutto quella che la collega alla sua parte sovrannaturale, noi, te i suoi figli. Esattamente quello che la fa essere per metà un vampiro, ed è strano. Non mi sono mai imbattuto in una amnesia che prendesse una zona spazio-temporale così ampia ma che riguardasse solo un aspetto. Pensa di essere un umana, come se fosse una normale ragazza! Da quello che mi ha raccontato Edward ha perso i sensi dopo aver usato molto intensamente i suoi poteri e al suo risveglio aveva dimenticato tutto, giusto?” annuì semplicemente, sembrava come se si stesse arrendendo e questo era più straziante che vederla nel letto “Mi preoccupa alquanto! Sembra come se si fosse svuotata trasmettendo i suoi ricordi, sinceramente non so proprio dove mettere le mani …”

“Cosa possiamo fare?”

“Aspettare!”

“Aspettare? Come aspettare? Non è possibile Carlisle, ci deve essere un modo per farle tornare in mente tutto! Maledizione!” la voce era incontrollata, sentivo un forte tremore in ogni millimetro dei miei muscoli, l’aria entrava a fatica nella cassa toracica che si stava espandendo. “ Il suo cervello, non può essere stato semplicemente resettato” la scossa tremenda che mi stava invadendo non accennava a placarsi, ma dovevo cercare di mantenermi, di restare lucido, non volevo rischiare di trasformami e di ferire il dottore che era l’unico in grado di aiutarmi “Ci sarà una medicina, qualcosa, non possiamo arrenderci così!” sentì Jasper ed Alice irrompere nella stanza pronti ad intervenire se avessi perso il controllo, ma Carlisle li bloccò con un cenno della mano.

“Ho consultato un mio amico psichiatra prima che voi tornaste. Mi ha detto che con qualsiasi tipo di amnesia è utile aiutare a ricordare con foto, riproponendo situazioni, partendo dalle cose più vecchie a quelle più recenti!” tutto era portato all’esasperazione. Ed ecco un forte senso di pace raggiungere il centro del mio petto, dove il tremore era più forte, placandolo notevolmente. “Penso sia meglio che rimanga qui, dove ha il maggior numero di ricordi … ”

“Dovremmo trasferirci qui?” ero pronto a dividere il letto con Emmett se fosse stato necessario.

“Si, ma non credo che sia necessario che anche tu …” lo bloccai prima che continuasse.

“Taci dottore, io non mi separo nemmeno per un minuto da lei!” non l’avrei mai abbandonata.

“E Sarah ed EJ? Cosa dovremmo fare con loro?” il folletto aveva ragione.

“Cosa sanno Jacob?”

“Per convincerli a partire con Embry e Seth prima di noi, gli ho detto che Nessie non stava bene e che saremmo tornati due giorni dopo!” abbassai lo sguardo perché mi vergognavo non solo per avergli mentito ma per non aver nemmeno avuto il coraggio di affrontarli, di non riuscire a trovare le parole per spiegare tutto quello che stava accadendo alla loro mamma. Dove era finito il lupo forte e coraggioso pronto ad affrontare milioni di sanguisughe? Perso nella paura di non ritrovare la donna che aveva sposato. Ero un misero fallito. Dovevo spiegare loro come stavano realmente le cose ma come potevo dire ai nostri figli che la madre non si rammentava di noi? E se non avesse mai ricordato, come avrei fatto da solo a crescerli? Il ghiaccio della mano di Carlisle lo sentivo attraverso la maglietta sulla mia spalla.

“Non preoccuparti Jacob, non sei solo! Vogliamo tutti riavere la nostra Nessie e se sarà necessario spiegheremo come stanno le cose ai piccoli insieme! Loro sono molto intelligenti capiranno e ci saranno di grande aiuto ma …”

“Ma?” alzai lo sguardo e trovai quello compassionevole del vampiro.

“Ma per il momento sarebbe meglio lasciarli nella vostra casa,  alternandoci per accudirli. Loro appartengono al passato attuale di Renesmee, quando lei comincerà a riprendersi li reintrodurremmo nella sua vita a dosi crescenti, ma temo che buttarli a capofitto con una mamma che stenta a riconoscerli sia deleterio sia per lei che per loro! ” avrei voluto che risolvesse tutto e subito, quasi in un miracolo invece sembrava anche lui scoraggiato. Ad un tratto tutti venimmo catturati dal suono armonioso del suo violino, stava suonando. Quel misero barlume di speranza si accese e lo notai anche negl’altri “Vai da lei!” guardai nuovamente Carlisle che tolse la sua mano dalla mia spalla “Da quello che ho potuto vedere, nonostante non ricorda, il suo sentimento nei tuoi confronti  non è mutato, stalle accanto, sei e sarai sempre essenziale!” non avrei mai potuto fare altrimenti. Stavo per uscire dalla stanza quando il dottore mi fermò nuovamente “Jacob, stai accanto anche ad EJ e Sarah, avranno bisogno di te!” non mi voltai. Non c’era bisogno di raccomandarmi una cosa del genere, erano i miei figli, non li avrei mai trascurati, ma in quel momento Nessie aveva bisogno di me e dovevo essere con lei.

 

Note dell'autrice: Ebbene Nessie ha una malattia umana. Già. Le amnesie psicogene esistono sul serio. Diciamo che l'ho un po' adattata alla situazione e l'ho resa più appropriata all'ambientazione fantasy. Possono accadere dopo un forte stress o dopo traumi fisici. Si tende solitamente a cancellare il fatto o qualche evento precedente, ma Nessie è speciale e la sua malattia non poteva essere da meno e quindi reset di tutto e soprattutto si blocca ogni volta che prova a ricordare qualcosa sta molto male questo sta ad indicare un forte blocco psicologico. Me diabolica! Sarah ed EJ non sanno nulla di preciso e per un po' non ci saranno, non temete saranno coinvolti anche loro. Casa Cullen sarà spesso molto vuota proprio perchè dovranno stare accanto ai bambini quindi si alterneranno per accudire madre e figli. Il POV di Jake inizia da quando praticamente lascia Nessie nello studio di Carlisle e finisce a quando inizia a suonare il violino. Il prossimo capitolo inizierà con un POV Jacob e finirà con un POV Nessie.

never leave me: nuuuuuuuuuu! non si capisce? mannaggia! Il Dio è Edward e l'Angelo è Jacob. Uffi! Provo a siegarmi meglio: Lei lo definisce angelo perchè lo sentiva accanto a sè quando era incoscente.  Mentre si sveglia sente delle dita calde che le tengono la mano e vede il volto dall'epidermide bronzea che capisce essere l'Angelo dalla voce che l'ha guidata fuori dall'ombra. Lo interpreta come tale perchè sembra essere il suo personale custode. Comunque c'è solo una cosa che forse ti ha tratto in inganno dimmi se è quella così eventualmente la cambio. Per casoè il momento in cui non sente il cuore di Bella ed Edward? Quando dice Sento il mio sento il suo e non sento il vostro? Perchè lì in effetti non viene menzionato Jacob e sembra come se fosse presente in stanza. Dimmi dove ti ho confusa me prostrata e chiede perdono pechè pensava di essere chiara! Così correggo e lo faccio diventare più fluido.

 Comunque se lo trovi al nostro Jhonny tramortiscilo, nascondilo e aspettami! Mission impossibile!

noe_princi89: ebbene si non ricorda nulla. Spero che con questo capitolo si sia capito un po' di pù comunque ho cercato di spiegare anche nelle note cosa è accaduto.

 kandy_angel: nu nu nono è stata la mutaforma. A proposito per quanto riguareda loro verrà spiegato in seguito cosa è accaduto dopo che Nessie perde conoscenza.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO XIII: Chi o cosa sono? ***


CAPITOLO XIII: Chi o cosa sono?

POV Jacob

Ancora una volta costretta su di un letto. Teneva gli occhi chiusi da quasi un’ora, ma ogni minuto che passava per me era un supplizio e stava assumendo un senso dilatato del termine tempo. Vegliavo su di lei costantemente, ascoltando ogni minimo cambiamento. Il respiro si stava regolarizzando, anche se sembrava affaticato,  si muoveva agitata contorcendosi nel dormiveglia in cui era caduta. Sognava qualcosa. Avrei voluto entrare nella sua testa, cercare il suo passato e farlo riaffiorare io stesso. Avrei voluto il potere di Edward Cullen. Lui aveva visto cosa le stava accadendo, aveva visto la sua immagine nei ricordi d’infanzia che erano riemersi. Lui poteva entrarle dentro, cercare di capire nel profondo cosa la bloccasse, esaminare approfonditamente il problema e risolverlo. Io invece. Io ero qui a guardarla soffrire senza poter far nulla per lei, perché l’unica cosa che sapevo fare era la guardia del corpo e non riuscivo bene nemmeno in quello. Non avevo lauree in medicina, un linguaggio forbito, non sapevo suonare il pianoforte per condividere con lei una passione viscerale. Si riduceva tutto lì con quel suo involontario spingermi verso il senso di inferiorità che nutrivo nei confronti di Cullen. Lui era sempre un gradino sopra, un passo avanti, persino con lei che mi aveva scelto. Non potevo fare altro che starle vicino, ma ciò non toglieva il senso d’impotenza che stava decisamente prendendo il sopravvento su tutte le altre emozioni. Ed i miei figli ora si trovavano rinchiusi in una bugia, avvolti dalla aurea di mistero che nella mia famiglia non avrei mai voluto se non per mascherare agl’umani cosa in realtà fossimo. Adesso come non mai sentivo la loro mancanza. Avrei voluto anche il dono dell’ubiquità, stare con loro e con lei contemporaneamente. Desideravo ardentemente giocarci assieme,  portarli a caccia, raccontargli le favole. Ma la mia dolce piccola Nessie, stava male ed io non potevo allontanarmi e lasciarla sola. No. La mia Nessie aveva bisogno di me ed io le avevo promesso di proteggerla e di accudirla, da quando i nostri occhi s’incontrarono la prima volta. Ma quando l’avevo vista perdere conoscenza nuovamente con Edward, quel urlo che mi aveva lacerato il petto e Gabriel che l’afferrava a pochi centimetri da terra il mondo intorno a me aveva presa un’altra piega, era diventato oscuro, privo di ogni futuro. L’amavo così tanto da aver perso la testa ed ora che la sentivo lontana mi sembrava che una voragine si fosse aperta nel centro esatto dell’universo e che il suo buco nero stesse risucchiando tutto.  Mi sentii veramente stupido. Stupido per tutto quello che le avevo detto, per le ragioni che mi avevano condotto a volerla fragile e bisognosa di me. Ed ora che lo era, ora che aveva l’aria di un cucciolo indifeso e spaurito, mi accorgevo di essere di fronte ad una persona che non era la mia Nessie. La mia aquila dagl’artigli d’acciaio non s’arrendeva di fronte a nulla, non era spettatrice passiva ma una protagonista, l’attrice principale di quella giostra chiamata vita. La mia Nessie non abbassava la testa, la teneva alta guardava dritto negl’occhi il suo nemico, lo sfidava e lottava. Ed era questo che mi spaventava più di tutto. Il vederla pronta a sacrificarsi, come se io non fossi sufficientemente importante per invogliarla a non rischiare, come se io non fossi la ragione per proteggersi. Come se io non fossi abbastanza per lei. Non mi stavo accorgendo che più la tenevo rinchiusa più mi stava sfuggendo. Più cercavo d’imporre il mio pensiero patriarcale ed arcaico, più lei diventava sfocata. Ma come potevo essere necessario se lei sapeva fare benissimo il mio lavoro? A cosa servono due maniscalchi in una bottega? Che ruolo avrei dovuto ricoprire io nella sua vita?La volevo dipendente da me perché io stesso ero dipendente da lei. Dipendente della sua presenza, dipendente del suo spirito, dipendente anche del suo corpo, quasi ad esserne un ossessionato. Ossessionato dalla paura di scendere dal suo treno, di non poter viaggiare con lei ad essere surclassato da qualcuno migliore di me. Perché lei era perfetta, una donna da sempre, ed io invece ero soltanto un ragazzo che giocava a fare l’uomo da quando aveva sedici anni. Adulta fin da bambina. Quando sarei realmente cresciuto? La stavo perdendo. E per cosa, per la voglia di primeggiare su di lei. Pensavo che fossero gli altri a volermi mettere in difficoltà, invece ero sempre stato io : con Edward quando mi credevo innamorato di Bella, con Gabriel quando aveva tentato di portarmela via, con Nessie quando aveva cominciato a sobbarcarsi delle mie responsabilità perché io ero troppo impegnato a conquistare un cuore già mio. 

“Jacob …” presi la sua mano che lei strinse, aggrappandosi disperatamente.

< Mi cerchi, amore mio? Sarò sempre qui perché questo è il mio posto accanto a te! >

 “Sono qui, Nessie!” aprì gli occhi, i suoi dolci occhi color del cioccolato. Sembrava veramente una ragazzina spaurita. Si alzò lentamente ancora frastornata e, da seduta, piegò il ginocchio per sorreggere il braccio che teneva la testa.

 “Cosa è successo?”

“Edward ha detto che nella tua tes …” mi sorgeva spontaneo parlare con lei dei poteri, ma non sapeva non conosceva i nostri segreti, non ancora ed il dottore mi aveva detto che non ricordava nulla di tutto quello  che riguardava le nostre diversità.

“Cosa? Come fa a sapere cosa stava succedendo nella mia testa? E quei ricordi non potevano essere reali, io … io … non ci capisco più nulla …” era sconcertata, non deve essere stato facile assimilare certe notizie, come avere un padre adolescente e dovevamo aspettarcelo che non credesse nemmeno al suo stesso pensiero. Carlisle come al solito aveva ragione, tutto in maniera progressiva. Ricordo dopo ricordo. Ma quanto avrebbe atteso la sua natura a farsi sentire? Bisognava distrarla darle una parvenza di normalità, tranquillizzarla per quanto fosse possibile.

“Probabilmente hai cercato di ricordare, ma appena la tua mente si forza il tuo corpo non regge!”

“O mio Dio, questo vuol dire che non riuscirò mai a riavere il mio passato vero?” la mia Nessie scoraggiata. Non era giusto che tutto questo capitasse a noi, che il suo dolore fosse così enorme da non poter essere nemmeno contenuto. Vederla sconfitta, arresa in quella condizione mi spaventava e allo stesso tempo mi spingeva a trovare una soluzione. Dovevo smettere di piangermi addosso e frignare, cominciare ad agire. La sua testa mopn doveva essere reclinata, verso il basso doveva stare eretta come l’asta di una bandiera, doveva guardare davanti a sé e camminare, non abbandonarsi sul ciglio della strada. Il suo sospiro tiepido s’infranse nel mio petto in cui l’avevo accolta, non l’avrei mai lasciata sola. L’avrei accompagnata fino alla fine della via del ritorno.

“Lo riavrai, piano con calma … io non sono un medico, ne uno psicologo ma credo che bisogna fare un passo alla volta evitando di sovraccaricarti! Ricostruiremo il tuo passato, insieme. Io, i tuoi amici e la tua famiglia …”

“La mia famiglia … ” si sentiva sconfitta le tremava persino la voce mentre pronunciava la parola famiglia  “Jacob, Edward non può essere mio padre, si e no avremmo la stessa età e non capisco, eppure quello che ho visto, quello che ho sentito era … Maledetta emicrania!” era così agitata che le parole si sovrapponevano le une con le altre, parlava come se fosse una mitraglietta con carica automatica. La strinsi ancora di più sentendo  le mie mani toccare il mio torace per quanto era piccola in mio confronto.

“Shh! Stai tranquilla ci sono qui io, qualsiasi cosa accada!” quanta verità c’era in quello che dicevo. Non mi ero staccato un attimo da quando l’avevo vista tracollare tra le braccia di Tanya per la prima volta. Eravamo tutti allibiti, non ci aspettavamo che svenisse in quella  maniera, il suo potere non l’aveva mai portata ad avere un danno fisico e vederla esanime ci aveva reso tutti delle statue, immobili, sgomenti. Non notai immediatamente che anche la mutaforma era inginocchiata ancora cosciente, ma probabilmente scossa per le sensazioni di malessere che sicuramente aveva avvertito dal suo contatto. Ricordavo tutto indelebilmente: il suo viso trasfigurato dallo stupore per quello che le aveva mostrato, la chiamata di Seth ed Embry che mi avvertivano dell’orso sfuggito al loro controllo. E i pochissimi attimi che trascorsero prima che Ake si avventasse su Tanya e Nessie lo stesso lasso di tempo che trascorse perché io mi parassi di fronte a loro per proteggerle. L’intervento fondamentale di Jussa che scaraventava l’orso lontano, la nostra lotta fianco a fianco per fermare la follia del mutaforma, che s’inferociva ogni secondo di più. Solo quando si intromise Anouk, ripresa dallo shock, con roboante ruggito, Ake si placò determinando definitivamente la pace. La femmina alfa mi guardò per un attimo interminabile dicendomi con quello sguardo di prendermi cura di lei. Come se la capisse, come se sapesse che in realtà avesse bisogno di me. La issarono sulla mia groppa quasi immediatamente e corremmo a casa. Non m’interessava delle ferite che avevo, non importava quanto fossero profonde o se si sarebbero infettate. Nemmeno volevo sapere se gli orsi se ne erano andati oppure no. Volevo solo portarla in luogo sicuro dove cercare di capire cosa le fosse accaduto e perché non riuscisse a riprendersi. Che ore terribili. Pensai di averla persa per sempre, che la sua testardaggine era riuscita a portarmela via. Mi maledissi per aver ceduto alla sua preghiera. E i giorni a seguire furono strazianti. Il suo respiro così leggero che si poteva percepire solo accostando uno specchio alla sua bocca e lei che non accennava ad alcun movimento. Edward non si dava pace, era la seconda volta che sua figlia si trovava incosciente su di un letto e lui non sapeva che fare oltre che camminare continuamente dalla camera al salotto. Non vedeva nulla nella sua mente se non il buio. E mentre lui tentava con il suo potere io provavo con quello di mia moglie tenendole la mano e portandola più volte al viso. Ma chiudendo gli occhi non vedevo immagini, non sentivo la sua dolce voce sfumata di quando trasmetteva il suo pensiero. Non avrei voluto ma pensare all’angoscia provata nell’attesa che si svegliasse mi debilitava  a tal punto che trattenere anche solo quella lacrima pungente mi era diventato impossibile.

“Voglio ricordare Jacob, voglio ricordarti!” la scostai da me per consentirmi di guardarla in viso. Lo so non era un buon momento per pensare a quanto fosse bella ma non potei farne a meno. La pelle d’alabastro su cui spiccavano i suoi amabili occhi da cerbiatto, le labbra rosa morbide, non eccessivamente carnose ma abbastanza da poterle mordere, i boccoli disordinati che dalle spalle guidavano lo sguardo fino sotto il seno. Quel corpo esile che riuscivo ad avvolgere completamente sentendomi in grado di schermarla ed estraniarla dal mondo. Ma mentre io mi perdevo nella sua contemplazione sentii la sua tiepida mano disegnare una linea sulla mia guancia cancellando quel segno di debolezza e sorprendendomi ancora una volta.  Il dottore aveva detto che il suo sentimento per me non era cambiato. Lo sentiva nel profondo, giaceva lì nel suo cuore, mi cercava. Desiderava che le stessi accanto “Quando ero incosciente, la tua voce mi guidava …”

< Non rinuncerò mai a te! > “Cosa intendi?”

“Mi sentivo un ectoplasma, completamente immateriale, pura essenza. Ero nel buio. Poi ti ho sentito, mi dicevi che dovevo tornare da te, che ne avevi bisogno!” per un attimo dimenticai la sua amnesia. Accarezzavo il suo volto con il dorso della mano, seguivo la linea della mascella vellutata, fino al suo collo candido, per poi salire alla sua bocca. Carezzai il suo labbro inferiore, quanto volevo baciarla. Serrai delicatamente il suo mento sottile tra l’indice ed il pollice e mi mossi istintivamente verso di lei per togliermi quel desiderio e prendere quei petali che mi appartenevano. Con sofferenza e riluttanza deviai il bacio sulla punta del naso, applicandomi così una delle più atroci violenze che potessi farmi. Era troppo presto. Ancora non sapeva di possedere il mio cuore e la mia anima fin dalla nascita. Mi ritrovavo nuovamente ad attendere, come sette anni prima, ad aspettare il momento opportuno. “Cominciai a riprendere forma, a tornare una persona ed ho iniziato a correre seguendo la tua voce, mi hai fatto trovare la luce! Voglio sapere cosa ci lega Jacob, voglio scoprire perché se non ci sei mi sento soffocare, perché mi elettrizza anche solo la tua vicinanza … cosa siamo l’uno per l’altra, Jacob?”

< Due corpi, una sola anima! >“Lo capirai Nessie, non preoccuparti!” un gorgoglio allo stomaco. Il mio.

“Hai fame? Da quanto non mangi?” si preoccupava per me. In effetti non facevo un pasto completo da giorni. Io il licantropo alfa Jacob non mangiavo perchè a forza di litigare con mia moglie mi si era chiuso lo stomaco.

< Cosa mi hai fatto mia dolce e testarda metà! > “Da un po’! Tu hai fame?” alzò solo le spalle come se non le importasse. Che io ricordassi invece non toccava cibo da prima di partire. Non ne aveva mai bisogno, non sentiva i morsi della fame. Il suo alimentarsi normalmente era un assecondare peccati di gola o un far finta di essere umana. Ma sia io che Carlisle fin da bambina l’avevamo abituata a pasti regolari necessari anche a gestire la sete che sembrava essere più controllabile con lo stomaco pieno.  “Che dici se cerchiamo qualcosa da mettere sotto i denti?”

“Non ho molto appetito …” aveva abbassato lo sguardo, e si era allontanata da me, avvolgendo le ginocchia con le braccia. Non era cambiata di molto. Lo  faceva spesso da piccola, quando s’impuntava, come se chiudendosi a riccio nessuno potesse continuare ad infastidirla. Ma oltre ad una famiglia instancabile, nel senso letterale del termine, aveva un amico testardo almeno quanto lei.

“Fammi compagnia! Spizzichi qualcosa, non devi farti fuori l’intera dispensa, per quella basto io!” prenderla sul ridere aveva sempre funzionato, infatti i denti che mordevano il labbro inferiore, smorzando il sorriso che le stava nascendo, ne erano una prova inconfutabile.

“No, davvero non sono affamata …” mi sembrava di essere nuovamente a quindici/sedici anni prima, quando non voleva mangiare ed io provavo in ogni modo a convincerla. Con il tempo avevo elaborato un metodo infallibile, giocando su un suo aspetto caratteriale.

“Guarda che se non mangi nulla, faccio lo sciopero della fame!” mancava solo Barbie con la sua battuta ‘Come se fosse possibile!’ e il quadro sarebbe stato completo. Avrebbe fatto di tutto pur di nuocere a me, e sapendo che in campo ostinazione siamo alla pari cedeva facilmente ai miei piccoli ed innocenti ricatti. Edward era molto più subdolo. Le sue erano vere e proprie coercizioni applicate al subconscio della figlia. Cercava di evitare di guardarmi negl’occhi, scorreva le sue perle di cioccolata da una parte all’altra combattuta sul darmela vinta o meno.

“E va bene, però sei uno sporco e sleale ricattatore!” contento per aver vinto presi la sua mano e l’aiutai ad alzarsi.

“È per questo che mi …” no. Non sapeva ancora cosa ci legava, doveva scoprirlo da sola. Lasciai morire quella frase con sofferenza, avrei tanto voluto che lei tornasse ad amarmi come prima.

“Che ti?” chiese vedendomi probabilmente rabbuiato. Stampai un sorriso forzato, il più possibile convincente per quanto potessi mentirle.

“Nulla, dai andiamo!” la trascinai in cucina prima che potesse ribattere e la feci accomodare sullo sgabello  come se fosse una principessa, scimmiottando un inchino. Volevo a tutti i costi un sorriso sincero nonostante la situazione tremenda in cui eravamo finiti. Quando mi rialzai, vidi l’espressione allegra che speravo e ne fui assolutamente soddisfatto. “Allora vediamo di trovare qualcosa” Dal forno proveniva un profumo sospetto.  Mi spostai velocemente dall’altra parte dell’isola ed apri il portello. Come immaginavo. Esme aveva preparato la torta di mele. Non poteva fare a meno di viziare la sua nipotina neppure se si trovava a distanza.

“Tadan!” esclamai fiero della mia conquista. Ancora fumava, probabilmente perché l’aveva preparata poco prima che arrivassimo.

“Ehy ma sei velocissimo a cucinare!” finalmente sentì la sua risata leggera. Se almeno potevo farle ricordare tutto ed immediatamente, avrei cercato di renderla spensierata, fossi anche stato costretto ad infilarmi uno di quei nasi rossi da pagliaccio e a fare le capriole. Tutto per la mia Nessie.

“Sai cosa ci sta bene con una fetta calda di torta di mele?” scosse la testa. Era da tanto ormai che insieme non ci divertivamo senza poi finire a parlare delle nostre grane. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Aveva il viso disteso e rilassato come da tempo non lo vedevo, nemmeno prima della sua amnesia. Ultimamente sorgevano continuamente piccoli problemi e a detta dei miei amici era assolutamente normale. Per Paul, l’ultimo con cui avrei mai pensato di parlare dei miei problemi coniugali, la quotidianità era composta anche dalle difficoltà che il matrimonio e i figli comportavano, per quanto due persone potessero amarsi  lo scontro rientrava nello stress da affrontare inevitabilmente nella vita di coppia. E ormai ero abituato a sentire i suoi nervi a fior di pelle, la sua agitazione, a vedere il suo volto intento nelle infinite occupazioni con cui si doveva riempire la giornata, ed io di certo non le rendevo le cose facili. Doveva essere madre, moglie, donna di casa, studentessa, figlia, nipote, amica. Il suo sorriso era raramente pieno come lo vedevo ora.  Andai all’enorme cella frigorifera ed aprì lo sportello del freezer. Cercai per un po’ e poi ne estrassi una confezione di gelato alla vaniglia, sapevo che non poteva mancare. Presi due piattini con due forchette, un coltello e il cucchiaio iniziando la spartizione.

“Quella non è la mia porzione, vero?” indicava la mia abbondante fetta che stavo tagliando con un leggero velo di terrore.

“Certo che no! È mia!”

“Ma non è un po’ troppo, rischi di mettere su la pancetta e addio fisico atletico!” il suo lato ilare non era scomparso. Tutti gli aspetti che la facevano tornare la Nessie di un tempo, mi donavano quel briciolo di speranza utile a farmi rivivere vecchie sensazioni. Così presto mi trovai a chiacchierare con la mia vecchia amica Renesmee, l’adolescente spensierata, brillante ed intelligente quella di cui ero segretamente innamorato, a cui sarei appartenuto per sempre in qualsiasi veste m’avesse desiderato ed io ero tornato il ragazzino sbruffone che pendeva dalle sue labbra, che temeva ogni minuto che il suo sentimento prevaricasse sulla ragione e che si copriva con la maschera del suo migliore amico.

“Faccio talmente tanta attività fisica che posso benissimo mangiarla tutta senza ingrassare, ma visto che è il tuo dolce preferito …”

“Davvero?” la sensazione amara di quella domanda mi scosse parecchio, ma non dovevo assolutamente darlo a vedere. Presi il gelato e ne sistemai due belle palle da un lato e le porsi il piatto con la fetta più piccola.

“Bon Appétit!” una delle poche cose in francese che avevo imparato dal nostro viaggio di nozze e dalle lezioni che mi ripeteva da ragazzina per far contento il padre. Contemporaneamente mi appoggiai con la schiena al bordo del lavabo continuando a fissarla.

“Merci Monsiuer!” i suoi gesti rimanevano sempre così raffinati, persino il portare alla bocca una forchetta risultava essere un rito elegante. Sembrava come se anche lei provenisse da un’epoca lontana. E il suo aspetto rinascimentale non faceva altro che aumentare quella sensazione di essere di fronte ad una nobildonna del seicento. Ma appena mise in bocca la forchetta con la torta, fece una smorfia disgustata agitando la mano davanti al suo viso. Mi sbrigai a tenderle una salvietta su cui sputò il boccone.

“Sarai anche veloce a cucinare ma non ti sei accorto di un ingrediente avariato!” si puliva le labbra, con ancora la faccia schifata. Strano Esme si sarebbe accorta di qualcosa di guasto. Annusai la torta ma non mi sembrava rivoltante, anzi il suo profumo era decisamente allettante. L’assaggiai e il suo sapore era squisito come me l’aspettavo. Per esserne completamente certo degustai anche la sua, con lo stesso sapore delizioso. E poi una folgorazione. Se sentiva disgustosa la torta di mele poteva significare solo una cosa. Mi avvicinai velocemente prendendo il suo viso tra le mani.

“Ti brucia la gola?”

“Si, sarà un po’ d’influenza. Ma tu come fai a saperlo?” sembrava sorpresa. Controllai meglio i suoi occhi spostando leggermente il suo volto verso la luce e li vidi appena percettibili due piccolissimi tagli neri nell’iride sinistro. La sete. Ed io non sapevo come spiegarle che quello che sentiva era il suo bisogno fisico di sangue. Il mio terrore era arrivato.

“Merda!”

 

POV Nessie

Non capivo lo strano comportamento di Jacob. In fondo era solo un po’ di mal di gola dovuto ad un probabile colpo d’aria. Non pensavo che si preoccupasse così tanto da dover correre da Carlisle. E imponendomi di non muovermi da dove mi trovavo. Dopo qualche minuto cominciai a dondolare impazientemente le gambe dallo sgabello. Mi stavo annoiando. Cominciai a guardarmi intorno, non trovando nulla con cui poter passare il tempo nell’attesa che Jacob tornasse. Con un piccolo slancio scesi dallo sgabello. Mi guardai intorno. Distavo dal seggiolino almeno tre metri. Eppure non mi ero protesa così in avanti. Ero decisamente fuori dal comune. Cominciai ad analizzare al meglio tutto l’ambiente, riprendendo la convulsa ricerca di indizi. Molto elegante, sobrio con prevalenza del bianco come in tutta la casa. Arrivai alla grande porta vetrata. Era semi aperta e si poteva scorgere la vegetazione che circondava l’intera villa. La scostai ulteriormente. Chiusi gli occhi involontariamente. Il mio olfatto e il mio udito si amplificarono escludendo la vista. Percepivo lo sciabordare di un corso d’acqua ad una distanza non eccessiva. Immaginavo quel fiume scorrere, infrangersi sulla roccia che provocava quella variazione di note superarla e riprendere il suo andamento. M’inoltrai cercando qualcos’altro. Volevo capire quanto i miei sensi si potessero spingere lontano. Le fronde di un albero, probabilmente di  un abete dal mondo in cui frusciavano, scosse da una folata passeggera. Il battito d’ali di un uccello. No, più leggere. Una farfalla, posata su di un fiore. Il gocciare della condensa da una felce. Il soffio di vento si fece più vicino, sempre più vicino, mi aveva raggiunto. Un odore completamente nuovo, stranamente seducente come se fosse il canto di una sirena ed io l’Ulisse non legato all’albero maestro della mia nave. Aspirai a pieni polmoni l’inebriante essenza, in modo che ogni cellula godesse di quell’aroma eccitante. Spalancai le mie palpebre. Ero scivolata fuori. Stavo con le mie scarpe immerse nella terra del giardino. Osservai il salto che avevo appena compiuto e me  ne sorpresi ulteriormente. Non ebbi il tempo di meditare sulla mia natura di supereroina che di nuovo il profumo raggiunse le mie narici stordendomi, entrava attraverso di loro ma invece di andare verso l’apparato respiratorio saliva al cervello battendo fortemente affinché lo seguissi. Cominciai a camminare. I miei passi si muovevano come automi indipendenti accelerando progressivamente all’avvicinarmi a quell’ aroma delizioso che aveva nascosto persino il sapore disgustoso di rancido della torta. Mi sentivo come se un’onda fredda mi avesse travolto, schiaffeggiandomi il volto brutalmente. Sentii la gola avvampare violentemente ogni qual volta quella fragranza giungeva più forte, tanto che mi massaggiai il collo senza riuscire a provocare alcun sollievo. Continuai a camminare a lungo, non potevo fermarmi, finché non riuscii a percepire un lieve crepitio aggiungendo a quel profumo l’essenza di legna bruciata. La mia vista non risentiva nemmeno della luce che stava progressivamente diminuendo. Nulla aveva senso se non la scoperta della provenienza di quel dissetante effluvio. Mancava poco. Pochissimo. Una decina di metri. Un piccolo fuoco accanto ad una tenda. Un uomo era seduto su di uno sgabello di stoffa e puliva un fucile. Un cacciatore. Inspirai profondamente sentendo che quella fragranza era prossima, cercando di distinguerla da tutti gli odori che vi si sovrapponevano. Corteccia, resina, legna, bruciato, cotone, pelle, ossa, organi, sangue. Un fiotto di saliva inondò la mia bocca al pensiero di quello che volevo. Io non c’ero più. Non ero più una persona. Ragionavo come una bestia, come un predatore. Analizzavo le sue mosse calcolavo i modi per arrestare una sua eventuale fuga e della ragazza che stavo imparando a conoscere non vi era più nulla nascosta dietro a quel pensiero che si era formato nella mia testa. Il solo immaginare di bere dal suo collo, spegneva il fuoco della mia gola che si riaccendeva quando mi rendevo cosciente di aver idealizzato una fantasia. Sangue. Scorreva lento all’interno del suo corpo e mi attirava come se fosse il ciondolare ipnotico di un medaglione. Seguì il mio impulso di muovermi verso di lui ma prima che potessi muovere un passo di più, delle forti e gelide braccia mi avvolsero da sotto le spalle, bloccando il mio incedere. Provai in tutti i modi a divincolarmi ma senza successo. Mi avevano immobilizzato. Quando mi accorsi che mi stavano allontanando dall’unica cosa che sembrava placare il subbuglio interiore cominciai a non rispondere più delle mie azioni. Mi dibattevo sempre più furiosamente, percuotevo le gambe come posseduta da uno spirito maligno, soffiavo attraverso i denti ferocemente, emettevo versi bestiali, i muscoli si contorcevano ferini. Mi sentivo una belva pronta ad attaccare, volevo prendere quel sangue era mio e me lo stavano impedendo. Mi trascinarono sempre più lontana ed io urlai disperata perché mi stavano strappando dalla mia preda.

“Lasciami, è mio! È MIO!” le parole mi uscivano senza che riuscissi a governarne alcuna mia parte. La lingua si dibatteva indemoniata nelle urla incattivite da quell’ istinto che ripudiavo. L’aria mi mancava, respiravo a fatica perché lontana dall’unica vera cosa che poteva darmi alleviamento. La gola pizzicava, puntata dal ricordo di quella fragranza paradisiaca “LASCIAMI!” il cuore correva velocissimo ero pronta ad azzannare chiunque mi si fosse parato di fronte.

“Calmati Renesmee! Bambina mia ti prego …” una donna bellissima, con capelli soffici, lunghi del colore del grano in agosto, labbra morbide e rosse e occhi d’ambra e felini, m’imprigionava il viso con una mossa delicata e vigorosa, cercando la mia anima stravolta dall’ ardente desiderio di uccidere. Posò la sua fronte sulla mia. Il mio respiro si diradò molto lentamente mentre io stavo tornando in me “Shh! Brava così, calmati, è tutto passato!” la sua voce calda e melodiosa mi avvolgeva teneramente, entrava ben oltre che il padiglione auricolare, finiva dritta al cuore che era tornato al suo solito trotto. Chiusi gli occhi, il pensiero di stare per aggredire qualcuno di ignaro urtava più che l’essere stata strappata al mio pasto “Ti senti meglio?” annuì semplicemente mentre due lacrime di mortificazione rigavano il mio viso “Emmett lascia la presa!” sentii i miei arti liberarsi intorpiditi dalla posizione immobilizzante. Mi carezzai le spalle, riparandomi da quello che era successo.

“Torniamo a casa, ragazzina!” le stesse braccia che mi avevano fermata ora mi circondavano le spalle protettive. Mi stavano guidando verso la salvezza, quella lontana dalla perdizione.

 

La grande villa illuminata a giorno. Il manto notturno aveva rivestito il tempo, celando con le sue tenebre la mia fuga clandestina ed inconscia. Dei fremiti percorrevano tutto il mio corpo ma non di freddo, di paura perché la mia reazione era stata a dir poco spaventosa. Non facevo altro che chiedermi chi ero, o meglio cosa ero. Guardai con circospezione Carlisle in compagnia di Edward e Bella. Qualunque fosse stata la risposta alle mie domande loro non me l’avevano data fino ad allora. Mi ero riservata freddezza ed ostilità per imporre la mia volontà di sapere. Ma quando Bella si lanciò al mio collo stringendolo fortemente non riuscii a redimermi dall’ accarezzarle la schiena dolcemente. Non so cosa ci fosse nei suoi abbracci ma sortivano un effetto estremamente confortante, gradevole, freddo e caldo allo stesso tempo. Chinai la testa sulla sua spalla beandomi di quell’odore dolciastro che emanava, così lontano da quello attraente dell’uomo nel bosco. Forse perché in lei non batteva un cuore e quindi il sangue non poteva scorrere.

“Jacob,  dov’è?” sussurrai ovattando la mia voce sul suo petto. Lei baciò la mia testa, percorrendo con le dita la lunghezza dei miei capelli. Di tutti forse era l’unico veramente normale o quello che più si avvicinava ad una parvenza di ordinarietà. In quel momento di confusione avrei voluto averlo accanto.

“È  venuto a cercarti, sta ritornando qui piccola mia!” mi distaccai da lei, dovevo disincantarmi per porre le domande che necessitavano di risposte. Perché ho sentito il bisogno di bere da lui? Perché sentendo il suo cuore ho desiderato bere il suo sangue? Cosa ero io in realtà? Ma proprio quando stavo per aprir bocca la voce di Edward m’interruppe.

“Emmett, Rosalie grazie!” così i due ragazzi che mi avevano fermata dal compiere quella che si stava rivelando una sciocchezza si chiamavano Emmett e Rosalie. Mi voltai ad osservarli e per puro caso incrociai gli occhi del ragazzone bruno. Non so per quale motivo, ma quell’espressione triste mi risultava discordante con i suoi lineamenti.

“Non devi ringraziarci, io farei di tutto per Renesmee!” rimasi in silenzio quando Rosalie prese la parola, lei invece sembrava dura ed inflessibile quasi oserei dire arrabbiata “Carlisle, deve nutrirsi stava per attaccare un umano!”

“Rosalie!” al rimbrotto di Edward che evidentemente voleva ancora tenere nascosta la verità su di me, non ci vidi più.

“Ha ragione, stavo per avventarmi su di lui!” quello che ne uscì fuori fu detto quasi tra i denti, come se li mostrassi per spaventare chi avessi di fronte, sembravo davvero un animale “E vorrei tanto sapere il perché, basta con parole a mezza bocca. Voglio la verità adesso! Perché desideravo prendere il suo sangue?” era arrivato il momento non potevano tirarsi indietro, dovevo avere delle spiegazioni plausibili o altrimenti sarei scoppiata e tutta la forza che mi ero accorta di possedere sarebbe esplosa. E mentre ancora sentivo montarmi dai miei istinti, il tono placido del dottore giunse alle mie orecchie con le parole che volevo sentire.

“Siediti Renesmee, dobbiamo spiegarti alcune cose!”

 

Note dell'autrice: Capitozzolo un po' lunghetto in cui si spiega un po' la posizione di Jake. Spero di essere riuscita a rendere onore a quello che fino ad ora avevo anticipato con le siegazioni. E' giunto il momento delle spiegazioni per Nessie. Mi dispiace ma d'ora in poi niente più anticipazioni! 

Spiegazione tecnica: Nessie all'odore del sangue umano reagisce così proprio, perchè non sa quello che sta facendo. Lei non ricorda la sua metà vampirica, ma il bisogno fisico di sangue si fa sentire. E si sa quando il sangue umano chiama il fisico risponde. Solo che se sai di essere per metà un vampiro combatti contro l'istinto, ma se tu non sai nemmeno che esistono bhè allora è tutt'altra faccenda.

Fra_Zanna: Ma Cher! Diciamo che il fatto che Nessie e Jake hanno decisamente un momento no è collegato con la sua amnesia. Basta basta non dico più nulla che rischio di anticipare qualcosa. Anch'io trovo che le amnesie incutono un certo timore, mi straziano dentro perchè non sapere le tue radici è una cosa che mi ha sempre terrorizzata. Quindi tu continua a seguirmi che vedrai come evolvo la faccenda!

noe_princi 89: sotto pressione è la parola adatta, ma magari tutta questa storia può diventare un occasione per ritrovarsi non credi?^^

VI RINGRAZIO SEMPRE A TUTTI GLI 8 PREFERITI, I 13 SEGUITI, L'UNICO RICORDATO E RINGRAZIO LE OLTRE 400 VISITE SILENZIOSE!

E ALLE MIE RECENSIONISTE MILLE BACI!!! ^^ 

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Capitolo 15
*** CAPITOLO XIV: Foto ***


CAPITOLO XIV: Foto.

Mi ritrovai nuovamente nella camera ,  totalmente sconvolta dalle rivelazioni che avevo avuto. Ero scappata a gambe levate da quello che mi avevano detto, non credevo, non volevo crederci. Più ci ripensavo più mi sentivo di essere stata catapultata in un universo parallelo ai confini della realtà. Con il senno di poi sarei rimasta tranquillamente nella mia beata ignoranza. Perché dovevo essere curiosa, perché avevo aperto la finestra liberando la mia vera natura? Vampiri. Immortali deturpatori della vita altrui. Come potevo accettare una realtà, anche solo simile a quella che mi si prospettava? Sapevo che c’era qualcosa di diverso in loro, ed io non ero da meno: uno strano incrocio tra un vampiro ed un’umana. Spiegati i sensi super sviluppati, la forza notevole e l’agilità, gl’istinti da predatore e la brama incontrollata di sangue. Per questo mi sentivo attratta dall’uomo, cos’ ero allora un maledetto mostro? Era tutto così assolutamente assurdo, inconcepibile e altamente rischioso. Ma rimanevano dei dubbi. Perché avevo quei ricordi di Edward? E come riusciva a leggere la mia mente? Cosa era successo? Non trovavo risposte ne me ne volevano dare. Avevo ottenuto solo una spiegazione tecnica sul nutrimento e regole di vita dei Cullen, e a parte la coscienza di essere un mezzo vampiro, di me non conoscevo praticamente nulla. Tempo al tempo. Ormai ne era passato parecchio ed io cominciavo seriamente a stancarmi di tutto quel mistero di cui si fregiavano i vampiri tenebrosi. Memoria distante che non accennava a ritornare. Perché dovevo trovarmi impelagata in una situazione simile, con troppo domande e scarse risposte? Era forse un modo per punirmi di essere una creatura orribile? E stavo lì, al buio, con le gambe piegate al petto a dondolarmi nervosamente ripetendomi che tutto quello che mi stava succedendo fosse solo un brutto sogno. Jacob dov’era? Avevo bisogno di lui e non c’era. Sentivo da dentro una strana sensazione di costrizione allo stomaco, che aggiunta alla gola arsa e al mal di testa mi facevano diventare più simile ad un cencio. Continuavo a ripetermi ‘Questo è un incubo! Questo è un incubo!’  ma perché allora non mi destavo, perché non riuscivo a svegliarmi.

“Posso entrare?” non avevo notato la porta aperta se non dopo un delicato bussare. Una ragazza, o almeno apparente tale, inverosimilmente bella e con un’aria dolce al pari del suo profumo, stava in piedi aspettando solo il mio consenso per accedere nella stanza. Tra le mani teneva uno strano libro dalla copertina trapuntata, di un particolare colore rosa antico.

“Prego, tu saresti?” temevo di risultare scortese, ma non riuscivo a trattenere lo stato di malessere che mi avevano lasciato. Ottenni un sorriso amaro ma pieno di affetto.

“Sono Esme, tesoro scusa se disturbo torno più tardi!”

“Entra pure!” non so cosa mi spinse a rabbonirmi, in realtà era quel suo tono gradevole e cordiale, colmo di un’anima che in realtà aveva perso chissà quanti anni prima. E poi quel suo sguardo che del miele non aveva solo il colore ma anche una sincera emotività che trapelava ovunque si posasse. Spontaneamente le feci posto accanto a me spostandomi al centro del letto dov’ero seduta. L’osservavo attentamente , la studiavo senza capire bene cosa cercare in lei che non andasse, era così irreale eppure così vera da far tremare. Non disse nulla mentre mi raggiungeva posando quel libro di fronte alle mie gambe, legate da un intreccio complicato da sciogliere ma comodo.

“Cos’è?” ero molto interessata da quello che mi stava offrendo, ed ero decisamente a mio agio in sua presenza. Non rispose immediatamente, bensì spostò la copertina del libro e la prima pagina bianca, mostrandomi una scritta impressa con caratteri in oro: Renesmee. Notai allora che il suo nome era contenuto nel mio. Fatalità o caratteristica voluta? Chi era allora questa Esme? E perché sentivo di potermi fidare? Perché anche il solo guardarla mi donava un profondo senso di pace e tranquillità? E perché mi stava mostrando questo libro? Cosa voleva ottenere?

“Questo è il tuo personale album di fotografie. Tutta la tua rapida infanzia è stata raccontata attraverso le immagini che sono custodite in questo raccoglitore …” era la prima volta dalla mia amnesia, che qualcuno mi poneva di fronte le prove tangibili del mio passato “Questo potrebbe migliorare come potrebbe peggiorare la situazione, sei pronta ad affrontare una di queste evenienze?” trovavo un non so che di rassicurante in quella figura, che mi stava accanto guidandomi nel viaggio che volevo fare dall’inizio.

 “Non chiedo altro!” per quanta audacia sentissi di avere, le mie mani iniziarono a tremare trasmettendo a tutto il corpo il mio stato d’animo. Sul volto della ragazza si aprì un’amabile sorriso che diventò un bacio sulla  fronte, gesto che apprezzai e mi fece sentire piccina. Allungò una mano avvolgendo con il braccio il mio fianco. Mi stava rassicurando, qualsiasi cosa sarebbe accaduta mi sarebbe stata affianco e non mi avrebbe lasciata. Il mio Virgilio, che stava per accompagnarmi attraverso i gironi dell’ Inferno, aiutandomi a scalare la montagna del Purgatorio per portarmi alle porte del Paradiso dove avrei continuato da sola perché a quel punto mi sarei riappropriata del mio passato. Avevo l’opportunità di capire, di riuscire a superare gli scogli senza scivolare. Fissandola dritta negl’occhi, con un nuovo coraggio  nato dal profondo iniziai a sollevarmi le maniche. Non importava quanto tutto quello che mi apprestavo a conoscere fosse deleterio, quanto avrebbe costretto il mio corpo a soccombere. Ormai vi ero dentro fino al collo e non avrebbe avuto senso arrendersi allora.

“Cominciamo?” solo dopo la mia conferma girò la prima pagina e una bella immagine di una bambina con il viso di porcellana, labbra a cuore, una cascata di boccoli ramati che ricadevano sulle spalle, due grandi occhi castani, occupava quasi interamente la facciata. Sorrideva fuori campo e tra le mani teneva quello che precedentemente doveva essere un cucchiaino “Questa sei tu, ad un paio  settimana dalla tua nascita …” un paio di settimane? Non poteva essere, avrò avuto si e no quattro mesi se non di più. “Crescevi talmente in fretta che dovevamo cambiare il tuo guardaroba ogni settimana, per la gioia delle tue zie; questo era uno dei mal capitati cucchiaini della mia argenteria!” ne parlava come se non fosse stato né il primo né l’ultimo. All’immagine di una bambina di pochi mesi che distruggesse del metallo cominciai a sorridere. Avevo avuto tanta paura per niente?  

“Poverino non era abbastanza forte per le mie forti grinfie!” scherzai ma quello che mi stava dicendo rimaneva comunque altamente incongruente.

“Non sei mai stata una semplice bimba, hai sempre dimostrato una grande forza, mentale, fisica e un cuore grandissimo, proprio come tua madre!” si percepiva dalle sue parole il forte sentimento che la legava a me. Sentivo la sua mano gelida di tanto in tanto accarezzarmi i capelli scostarmeli, sistemarli ed era molto piacevole. Le pagine successive furono un susseguirsi di mie foto che documentavano ogni momento, che a detta di Esme corrispondeva alla mia crescita istantanea nel vero senso del termine. I primi passi, la prima pappa, il primo gelato, un gioco nel fango. Tutte fotografie che mi rappresentavano da sola, accompagnate da una didascalia elegante in cui si spiegava la situazione in cui ero coinvolta. Le scorsi abbastanza velocemente fino a quando una mi colpì in particolare. La prima neve. Sembravo una bambina di un paio d’anni, ero avvolta in un cappottino lilla e in una sciarpa panna. La foto mi ritraeva praticamente in primo piano sdraiata a terra, risaltando quel barlume felice dei miei occhi e un sorriso totalmente perso nella gioia del momento.

“Ti è sempre piaciuta moltissimo la neve, quel giorno quando ti hanno portato fuori sei praticamente impazzita, correvi contenta da una parte all’altra. Mi ricordo di non aver mai sentito tanta allegria nella mia casa come allora! Le tue risate si potevano sentire a chilometri! Eri semplicemente meravigliosa!” un sorriso spontaneo nacque tra noi in quel ricordo nostalgico e spensierato che raccontava. E poi un’immagine attraversare come una cometa lasciando il bruciore nella mia testa: il ragazzone bruno che mi teneva in braccio osservando insieme due angeli disegnati nel manto bianco, uno gigante l’altro praticamente minuscolo. Cercai di trattenere il dolore. Avevo la certezza che guardare quelle fotografie mi aiutasse, quindi avrei dovuto resistere qualsiasi conseguenza comportasse tale decisione. Voltai nuovamente pagina e un’altra scritta in oro riportava le parole ‘La mia famiglia’. Ed all’improvviso dalla spensieratezza passai all’inquietudine. Non avevo capito un bel niente sulla faccenda famiglia e ritenevo ancora assurdo che Edward potesse essere mio padre. Ma mentre il mio sguardo vagava su quella parola come se cercasse nelle sue lettere vergate il suo vero significato, sentii afferrarmi la mano. Alzai lentamente il viso, continuava a sorridermi premurosa ed attenta al mio equilibrio.

“Questa parte l’hai curata tu direttamente, sei pronta?” deglutii nervosamente, gettando praticamente benzina sulla mia povera gola che pulsava bollente di fiamme invisibili. Per un momento tutta mia temerarietà venne meno. Le mie dita sussultanti, accarezzarono quella parola. Volevo conoscere e quello era il modo migliore. Esme capì immediatamente il mio desiderio, che avrei affrontato qualunque verità si fosse parata di fronte ai miei occhi, bella o brutta che fosse. Prese il raccoglitore e lo girò per mostrare al meglio il riquadro orizzontale di tutte le persone che avevo incontrato fino ad allora. Sembravano statue dalla bellezza folle, come poteva essere possibile una cosa del genere? “Questi siamo noi, i Cullen, siamo una famiglia molto unita, almeno lo spero! Questi sono Alice”  la ragazza bassina  stava seduta a terra con le gambe incrociate un’espressione divertita sul volto ai piedi di una poltrona su cui era seduto il ragazzo biondo che mi aveva accompagnato dall’ aeroporto “Jasper, Emmett” accanto vi era il bruno che invece mi aveva trascinata nella foresta e vicino a lui la bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi “Rosalie” al centro del riquadro una Esme raggiante stava posava il suo viso nell’incavo del collo del dottore, alla loro sinistra c’era lui “Edward i nostri figli, miei e di Carlisle” indicava le persone nella foto come se mi stessero davanti e li stesse presentando. Ed io li rividi ad uno ad uno, il modo in cui si rapportavano a me, le espressioni sofferenti quando dimostravo di non ricordarmi di loro. Un momento, aveva detto figli?   

“Figli? In che senso? I vampiri possono avere figli?” ormai nulla sembrava stupirmi più di tanto. In un attimo però un’idea mi balenò in testa.

< Se per figli s’intendesse la trasformazione in vampiri? E se con figlio s’intendeva la trasformazione perché io somigliavo in quella maniera impressionante ad Edward? E come facevo ad esserlo solo per metà? Chi era mia madre? > proprio mentre pensavo a questo una pellicola indelebile passò attraverso di me e vidi il volto di Bella non come sempre, era più emaciata, occhiaie marcate e vedevo sangue. Sangue ovunque. La mia bocca iniziò a seccarsi a tal punto che la lingua grattava contro il palato. Nemmeno la mia amnesia poteva nulla contro la brama che provavo nei confronti del rosso fiume di vita, la mia droga, quella per cui ero disposta a farmi ladra ed assassina. Venni percorsa da un tremito ma con un gesto naturale mi voltai verso Esme che teneva ancora la mia mano ma stava stranamente con gli occhi chiusi. Le sue ciglia batterono due volte prima che ignorasse il mio comportamento strano, riprendendo indifferentemente la nostra conversazione.  

“Li abbiamo adottati, ma li amiamo realmente come se fossero figli nostri!” si sentiva la profonda sincerità con cui parlava, il pieno affetto con cui circondava l’atmosfera. Con lei portava un alone di amore e tenerezza che non avevo mai visto in nessuno. Ma c’era ancora un aspetto che non avevo capito.

“Allora non li avete fatti diventare voi dei …”  nonostante nella mia testa ripercuoteva altisonante quel sostantivo, non riuscivo pronunciare ad alta voce vampiri. Forse temevo che dicendolo tutto diventasse ancora più reale di quello che pareva.

“Non tutti …” forse quella condizione non piaceva nemmeno ad Esme che si oscurò nel rispondermi. Non meritava di stare male, lei che finalmente mi mostrava la verità con spontaneità e schiettezza. Passai ad una domanda che l’avrebbe fatta sentire più lieta sicuramente.

“E lei? Lei non è vostra figlia? E perché non è uguale ad adesso?” l’avevo notata fin dal principio. In un angolo, tra le braccia di Edward c’era Bella, ma non aveva l’aspetto di ora nemmeno quello della mia visione. La sua pelle sembrava di un rosa pallido, i suoi capelli erano setosi e più chiari e gli occhi erano identici ai miei e quello sulle gote era un lieve velo d’imbarazzo caratterizzato da una polvere rossastra che le imporporava. Guardava in macchina ma si vedeva che era a disagio, come se quella fosse una cosa che non gradiva gran che.

“Lei è nostra figlia come gli altri, ma è un pochino più speciale per questo aspettavo a parlarne …” voltò nuovamente pagina e vi era una foto di una Bella timida, sempre tenuta tra le braccia di Edward con quella sua aria mistica e fascinosa.  Indossavano entrambi un abito da cerimonia, ed erano di una bellezza travolgente. In realtà la piccola e fragile Bella sembrava meno sicura, e con quell’aria da ragazzina impacciata e tremendamente umana. Eppure in lei leggevo quello stesso barlume felice che avevo io mentre giocavo in mezzo alla neve.

“Sono sposati, come Alice con Jasper e Rosalie ed Emmett ma …” sposati? Lasciò in sospeso la frase voltando nuovamente la pagina e ne rimasi sbalordita ancor prima di aver visto quello che mi si sarebbe prospettato “ … loro ci hanno donato la gioia di una nipotina, la nostra piccola e dolce Renesmee!”

“Vuoi dire che …” in quel preciso istante, sentii un nodo alla bocca dello stomaco come se un gancio mi avesse arpionato, presa e ricondotta dove la mia origine aveva avuto luogo trascinandomi verso di loro, quell’immagine di me tra le braccia di mia madre, con mio padre dietro di noi che ci cingeva con uno sguardo felice e colpevole per un motivo assolutamente sconosciuto.  

“Sono i tuoi genitori, bambina mia!” allora era vero, tutto vero: l’incredibile legame che sentivo con loro, l’assoluto senso di protezione che percepivo, il forte amore che provavo nei loro confronti, le visioni di un Edward padre con cui suonavo il violino, era tutto dettato dal legame di sangue diretto che avevo. Continuai a girare le pagine, con foto che ritraevano noi tre come la famiglia perfetta delle pubblicità di biscotti sperando. La voglia di riappropriarmi di quel passato cresceva ad ogni foto, ad ogni ricordo, ad ogni descrizione di Esme, mia nonna.

“Lui chi è?” un uomo normale. Davvero normale: sulla cinquantina o qualcosa di meno, con dei bei baffi, capelli corti scuri leggermente brizzolati e occhi castani dello stesso taglio di Bella. Gli ero in braccio stringendomi al suo petto, si vedeva che nutrivamo affetto reciprocamente. Nessuno dei due guardava in macchina, eravamo impegnati nel farci le coccole e qualcuno probabilmente aveva scattato di soppiatto quella foto.

“Questo è il tuo nonno materno, Charlie il padre di Bella …”

“È umano?” l’avevo capito ma volevo esserne sicura.

“Si, piccola è umano!” sorrise gentile continuando ad osservare la foto “Questa foto è una rarità, Charlie è un tipo che non ama queste cose, sfuggiva ad ogni macchinetta fotografica nel raggio di tre metri. Alice in tutto sarà riuscita a ritrarlo in sei o sette, ma questa è di gran lunga la più significativa!”  ‘nonno mi fai il solletico ’ una voce di bambina, un ricordo d’infanzia, la mia? Come una giovane fonte appena nata iniziò a sgorgare un ruscello di parole. Non capivo bene da dove provenissero, ma le sentivo dentro di me, nelle ossa, nel petto, nel cuore.

 “Mi dava sempre i bacetti sul collo con i baffi ed io ridevo. Mi piaceva da matti, e poi giocavamo a fare gli indagatori. Si preparava un giorno prima mettendo indizi per tutta la casa ed io armata di una bella lente d’ingrandimento dovevo trovare il sacchetto di liquirizie rosse che aveva nascosto. La nostra caccia al tesoro poliziesca, le avrei trovate anche solo con il fiuto ma mi divertiva vedere cosa aveva ideato ogni volta …” era nitido, chiaro. Ricordavo lui che mi seguiva e mi aiutava a decifrare le tracce. ‘Io Sherlock e tu Watson ’. Nessun mal di testa, nessuna fitta dolorosa. Perché? Osservai Esme entusiasta di quello che era successo, allargai anch’io il mio sorriso. Forse stava tornando la mia memoria e magari mi stavo liberando di quelle cefalee nevralgiche. Con ancora più trasporto riprendemmo a girare le pagine.

 “Perdonami ma qui c’è la mia parte preferita, non ti ricordi questo?” sembrava realmente emozionata vedendo quella foto che rappresentava una scena davvero buffa: tutti completamente pieni di vernice con le mani imbrattate, e i vestiti luridi di colore “Mi avevi chiesto aiuto, perché volevi regalare un quadro a tuo nonno,  ma non sapevi assolutamente cosa disegnarci sopra. Ancora ricordo il tuo visino luminoso e i tuoi occhi brillanti, quando arrivò tua idea! Obbligasti tutti, nessuno escluso ad imprimere le proprie mani più e più volte sulla tela, disegnando farfalle. Penso di non aver visto mai così commosso Carlisle in vita mia, nemmeno quando mi ha chiesto di sposarlo!” il quadro nello studio. Quello che stonava con il resto dell’arredamento. Lo ricordavo benissimo, aveva da subito attirato la mia attenzione il primo giorno che misi piede in quella stanza. Tornai alle foto osservandole con più concentrazione, mentre un’immagine sfocata di una risata mentre imbrattavo la faccia di …

“Emmett …” presi le mie tempie al dolore  lacerante che tagliò nuovamente il mio cervello, non potendo nemmeno soffocare un gemito sofferente. Mi ero protratta forse troppo a lungo. Persino un elastico se tirato, cede alla tensione spezzandosi.

“Tesoro, stai bene?” avevo imparato che quando uno dei miei ricordi arrivava l’implacabile spasimo lo potevo sedare cercando di regolarizzare il mio respiro affondandolo nei polmoni. Annuì appena ripresi a  connettere il resto del corpo nella lenta ripresa delle mie normali funzioni. Rimase solo un sottile e pungente fischio nei miei timpani ad accompagnarmi in quel gioco straziante della scoperta di un passato a quanto sembrava splendido, ricco di amore, affetto, gioia, allegria, fierezza e mille sentimenti positivi. Trovai un sorriso più o meno rassicurante e cercai di farne mostra ad Esme che sembrava seriamente preoccupata.

“Tranquilla  sto bene, però da quando ho perso la memoria ho un fortissimo dolore alla testa, come se ci fosse un coltello che bloccasse il mio cervello ogni volta che provo ad andare avanti, e che spingendo non facesse altro che penetrarmi più a fondo nella carne!” avevo questa strana fiducia cieca verso di lei, quasi incomprensibile, ma sentivo di potermi aprire di spiegarle tutti i miei problemi “Sai che c’è, non m’interessa! Se questo è il passato a cui mi sta allontanando non ho intenzione di soccombere al dolore, andiamo avanti!” volevo dimostrarle la mia tenacia, che anch’io ero in grado di combattere.

“Sei sicura, se vuoi riprendiamo domani dopo che hai riposato un po’? ” il suo tono amorevole  mi spingeva ancor di più a riappropriarmi di quello che avevo perduto, non avevo nessuna intenzione di smettere in quel momento. Presi i lati dell’album e lo portai tra le mie gambe intenta nel continuare.

“Questa era la tua prima partita a baseball di famiglia, eri diventata abbastanza grande per poter partecipare senza farti male …” a prima vista avevo la corporatura di una ragazzina di tredici anni, indossavo un cappellino da dove fuoriusciva una coda morbida e riccia, con un completino sportivo. La bella ragazza che mi aveva salvato dall’attaccare il cacciatore, Rosalie, cingeva le mie spalle con un sorriso raggiante. Seguirono altre foto riguardanti la partita, ma in nessuna di esse c’era tristezza solo ed esclusivamente gioia. Ce ne era una in cui il ragazzo dalla chioma leonina, mi indicava qualcosa ed io molto concentrata l’ascoltavo, un’altra in cui stavo aggrappata al ragazzone bruno e grattavo con le nocche sulla sua testa.  La pagina accanto ve ne erano due riguardavano la ragazza bassina, in una sequenza che aveva probabilmente un’ ordine temporale: la prima probabilmente stava cercando di sistemare i miei capelli ed avevo una faccia totalmente insofferente, guardandola nacque spontaneo  un sorriso, la seconda eravamo a terra ruzzolate per qualche motivo ma completamente invase dalle risate. L’ultima era una nuova foto di gruppo, probabilmente scattata a fine di quella giornata. mi trovavo al centro in piedi su di una jeep bellissima con accanto Bella ed Edward. La mia testa era abbandonata sul suo petto mentre la mia mano stringeva quella di lei, gli altri erano intorno come se fossero l’insieme del mio passato colmo di affetto. Quanto amore potevano provare dei vampiri? Voltai nuovamente pagina e trovai qualcosa di particolare. Una sezione completamente dedicata a ‘Il mio Jacob’  pagine intere che raccontavano i nostri momenti insieme, foto di noi, in spiaggia, in casa, nella foresta praticamente ovunque scandendo tutti i momenti della mia vita.

“Lui c’è sempre stato!” non era possibile. Avevo sentito il suo cuore, la sua cute era bollente e scura. Non poteva essere anche lui uno di loro. Ma come poteva esserci stato quando io ero una bambina con lo stesso identico aspetto di adesso? E perché sembrava così affezionato a me anche allora? La convinzione che lui potesse essere il mio compagno allora era solo un’illusione? Continuai a guardare quelle ultime foto, in silenzio ascoltando solo i commenti di Esme sulle circostanze che rappresentavano, ma tutto quello che avevo dentro erano solo altre domande che si andavano ad aggiungere al mistero Jacob. Avevo la strana sensazione che l’unico modo per tornare alla mia vecchia me stessa era attraverso di lui. Speravo che come nel buio mi aveva guidato verso la luce, riuscisse a accompagnarmi verso il mio trascorso a farmi tornare dalla mia meravigliosa famiglia che non aspettava altro che me.

 

La compagnia di Esme mi aveva consentito di ricollocare molte tessere. Il puzzle che rappresentava il mio passato ora aveva la cornice ma la confusione che vorticava attorno ad una persona in particolare non aveva fatto altro che aumentare. Avevo ricevuto molte risposte alle domande che  ponevo, eppure ne erano nate altrettante su quella che io pensavo che fosse una certezza: Jacob, o meglio il mio Jacob. Riflettevo su di noi, su cosa rappresentavamo.  Perché mi era sempre e costantemente accanto? Perché lo definivo mio? Perché non voleva rivelarmi cosa fossimo in realtà l’una per l’altro? Era così difficile il nostro rapporto? Mentre pensavo a un modo per estorcere la verità anche da lui la porta si aprì di scatto.

 “Non dovevo lasciarti sola! Scusami!” pensi al diavolo e spunta Jacob. Entrò e si gettò su di me abbracciandomi. Al contrario di Bella la sua temperatura era estremamente bollente, ma non fastidiosa. Mi dava delle sensazioni uniche, oserei dire eccitanti. Ed il suo profumo. Aveva un qualcosa di diverso, qualcosa che mi pizzicava e mi seccava ancor di più le fauci, come se la sua vicinanza aumentasse la siccità desertica che stava logorando l’esofago. Il suo collo così vicino, la sua vena pulsava la percepivo attraverso la pelle, attraverso il sottile cotone della maglia e mi sarebbe bastato così poco. Dovevo solo aprire la bocca ed affondare i miei denti nella sua carne. No. Non avrei mai potuto. Lui mi assisteva, era importante per me. Lo scostai con violenza mostrandomi adirata. Non ero arrabbiata con lui, ma dovevo mascherare in qualche modo quell’impulso di azzannarlo.

“Dove sei stato fino ad ora?” cercai di giustificare con la mia stizza, il mio comportamento.

“Ho dovuto sistemare alcune cose, ma ora sono qui, con te!” s’accostò cercando di sfiorarmi il viso, ma indietreggiai, allontanandomi dal suo gesto. Un’altra folata del suo aroma prelibato, arrivò verso di me sentii il mio viso contorcersi in una smorfia combattuta.

< Se solo tu lo volessi, lo prenderesti tranquillamente, si fida di te! Non pensa che gli faresti del male, invece tu prendi quello che è tuo di diritto, bevi da lui nutriti ne hai bisogno! > sembrava la mia voce eppure non lo era.  Massaggiai i miei occhi attraverso le palpebre. Dovevo smettere di vederlo come un banchetto. Quello che avevo di fronte a me era un uomo. Si chiamava Jacob, aveva un  nome, una famiglia, persone che gli volevano bene ed io non ero Dio che potevo arrogarmi il diritto di togliergliela.

“Nessie, c’è qualcosa che non va?” la sua voce spezzata mi fece tornare in me, non stavo cedendo non avrei dovuto. Dovevo distrarmi ed avevo delle domande a cui lui doveva rispondere. Riaprii i miei occhi e con sommo stupore notai che la voce assieme alla voglia di suggere il suo sangue erano miracolosamente scomparsi.

“Tu sapevi che sono vampiri?” cercai di mantenere il più possibile il tono freddo. Il suo volto cambiò radicalmente, si fece serio ma aveva quel tocco di tristezza che lo rendeva incantevole. Assentiva solo con piccoli accenni di testa. “E che io sono per metà una di loro?”

“Si, lo sapevo.”

“E sapevi che mi devo nutrire di sangue?”

“Sapevo anche questo, Nessie!”

“Allora tu cosa sei? Un qualche strano incrocio tra un  vampiro e una stufa elettrica?” avevo uno strano tono acido, ma la mia battuta gli aveva procurato un ghigno divertito che non mi rendeva meno irritata.

“No, sono molto lontano da un vampiro, però una volta mi hanno utilizzato come stufa!” mi venne spontaneo incrociare le braccia al petto ed alzare un sopracciglio, dimostrando apertamente l’insoddisfazione scaturita dalla replica  poco esauriente. “Vuoi delle risposte?”

“Sarebbero gradite, si!”

“Ti confermo che non sono un vampiro, se questo ti rincuora!”

“Ok, questo l’avevo capito!Allora cosa sei? E non dirmi che sei un semplice ragazzo si vede lontano un miglio che non è così!” a quella mia stizzita affermazione lui iniziò a ridacchiare. Non pensavo che il mio sopracciglio avesse una tale estensione.

“Si vede così tanto?” costrinsi i miei occhi a fessura dimostrando ulteriormente che non avevo nessuna intenzione di scherzare “Come te lo spiego è un po’ difficile …” sembrava imbarazzato, si passava ripetutamente la mano dietro la nuca sui suoi capelli cortissimi. Aveva un’espressione infantile, da bambino colto con le mani nel sacco.

“Inizia, per esempio, dal principio!” prese le mie mani e mi portò a sedermi sul letto. So che sembrerà assurdo, ma quella vicinanza mi fece per un attimo perdere il senso di quello che stava accadendo. Non sapevo cosa provassi, se era paura, emozione o qualsiasi altro sentimento esistesse. So solo che i nostri respiri si confondevano rendendo estremamente difficile ogni ragionamento. “Ti hanno spiegato che non tutti i vampiri sono diciamo, ‘buoni’ come voi” annuivo cercando di riprendermi “Alcuni attaccano gli umani!”

“E tu cosa centri?”

“Come per tutto, esistono dei nemici naturali dei vampiri, in grado di distruggerli!”

“Oh mio Dio! Non me lo dire! Tu sei un ammazza vampiri! Oh Santo Cielo! ” alle mie esclamazioni esasperate, cominciò a ridere con gusto “Non c’è nulla di divertente! Quindi che fai conficchi paletti nel cuore e li respingi con le croci?”

“Quelle sono solo leggende, in realtà per uccidere un vampiro c’è solo un metodo: squartarlo e bruciarne i resti prima che si ricompongano!”

“Ma è disgustoso!”compresi dalla sua faccia che forse avevo assistito in passato ad una cosa del genere. Decisi che fosse meglio glissare l’argomento.

“Ed è difficilissimo, i vampiri sono dotati di una forza sovrannaturale e di una velocità allucinante, come hai potuto notare!”

“Immagino che ti devi mantener in forma per questo!” lo avevo detto, e così apertamente da far tingere leggermente le sue gote di un rosso diverso da quello della sua carnagione. Ma che si aspettava che fossi cieca? Il fatto che avesse un fisico da foto di calendario, era palese e lampante. Riflessione sulla bellezza dei suoi pettorali a parte avevo un interrogatorio da concludere “Insomma, il risultato genetico di tutto questo discorso è?”

“Che io ed i miei fratelli di branco, siamo lupi!” lo disse tutto d’un fiato.

“Intendi lupo, lupo? Zanne, artigli e tutto il resto?” lo guardavo un po’ incredula, non mi sembrava esattamente un lupo, piuttosto un ragazzo. La coda poteva nasconderla ma altri dettagli dove li avrebbe messi?

“O meglio, ci possiamo trasformare in lupi …” si corresse ed io allora collegai tutti i punti.

“E ti trasformi con la luna piena e puoi morire solo con le pallottole d’argento?”

“No, no.” disse agitando le mani come se avessi pronunciato una blasfemia.  “Vedi in realtà noi non siamo realmente licantropi, siamo dei mutaforma. che altro ci definiamo tali per comodità e per abitudine! Ma è un puro caso che ci trasformiamo in lupi, potevamo diventare qualsiasi altro animale ...”

“Complimenti per la scelta! Non ci vedevo proprio una marmotta ad uccidere un vampiro! E poi il lupo è un classico, e come tale non è mai fuori moda!” una cosa che avevo capito su di me, era il mio lato sarcastico e cabarettistico, che permetteva alla mia testa di non esplodere. Le battute mi uscivano fuori  con una naturalezza non indifferente. In effetti anche Jacob apprezzava molto quest’aspetto, visto che rideva a crepapelle “Va bene licantropo, continua!”

“ In realtà i licantropi veri e propri …”

“Ah, quindi esistono …”

“A detta di Edward, si! Mi fai una cortesia? Le domande a fine frase. Già è difficile per me questa situazione se m’interrompi di continuo perdo il filo del discorso!” feci il gesto di cucirmi la bocca e lo invitai a continuare “Dicevo, i licantropi veri e propri si trasformano con la luna ed uccidono  senza uno scopo preciso, noi invece cerchiamo di proteggere gli esseri umani!”

“E perché tu allora stai così a contatto con dei vampiri? Mi sei sempre vicino ma non sembri ostile come dovresti …”

“Questa è una storia lunga e complicata, non è il caso di raccontarla ora! Magari un’altra volta! ” in effetti tutte quelle informazioni nuove non fecero altro che alimentare il mio disordine. Mi venne naturale sbuffare e prendermi la testa fra le mani. “Ho detto qualcosa che non andava?”

“No, anzi finalmente sei stato schietto ed aperto ma …” presi una pausa “… ma tutte queste storie di vampiri, licantropi. Che ci manca per completare il quadro da film dell’orrore di quart’ordine? La mummia, Frankestein e il mostro di Loch Ness?” cosa avevo detto?

“In realtà il mostro di Lochness c’è, sei tu!” spinse il mio naso con il dito in gesto di sfida. Ma ormai era troppo tardi, lo spinsi con la schiena sul materasso ed iniziai a fargli il solletico quasi in automatico.

“Non ti permetto di darmi del mostro, licantropo!” mi trovai a cavalcioni su di lui che si dibatteva cercando di bloccare le mie velocissime e piccole mani che stuzzicavano i fianchi. La sua risata grossa riecheggiava nella stanza, m’implorava di smettere, quando ad un tratto ribaltò le nostre posizioni. Avevamo il fiato corto, cercare di tenere fermo un ragazzo quasi quattro volte me, mi era costata parecchia fatica. Bloccò le mie mani sul petto e rimase per qualche secondo a guardarmi dritto e fisso negl’occhi. Il respiro, invece che calmarsi, si affannò diventando sempre più pesante. L’aria attorno a noi si fece elettrica. Mi trovai colta da un desiderio diverso, che aveva preso il mio ventre e lo aveva attorcigliato su sé stesso. Avevo quelle meravigliose labbra a pochissimi centimetri dalle mie, ma che dico millimetri.Volevo sentire il suo sapore sentirle ovunque sul mio corpo. Volevo lui non come preda ma come uomo. Ma proprio mentre allungai il collo per raggiungerlo allontanò il viso, come se non volesse. Cosa stavo facendo? Ero diventata anche una molestatrice? “Scusa no … non capisco che mi è preso … ” balbettavo con la voce strozzata dalla voglia irrefrenabile di essere sua. Si staccò velocemente e fu come se mi strappassero una parte del mio corpo, stavo provando un intenso dolore fisico e spirituale.

“Sei tu che devi perdonarmi, non dovevo avventarmi su di te in quella maniera!” non sembrava molto convinto. Eppure quella scena non era nuova. Una fortissima fitta alla testa che mi appesantiva le tempie, i miei polmoni si contrassero senza più espandersi ed un flash veloce nella mia testa. Notte, foresta  e le sue stesse parole. ‘ … non dovevo avventarmi in quella maniera su di te’  risate, gioia, complici, un bacio veloce sfumato da un rumore. Io dietro di lui e l’oscurità solita della mia mente. Il dolore cessò di esistere con il ricordo appena riaffiorato, piccola speranza scomparsa. Mi tenevo ancora il cranio ma sentivo lo sguardo preoccupato di Jacob. Una calda mano mi toccò la schiena facendomi sussultare. Nella testa era rimasto solo un sibilo appena percettibile e ripresi a respirare regolarmente. Inghiottivo l’aria come se fosse qualcosa di palpabile e reale.

“Nessie, tutto bene?” cercai di rassicuralo con una smorfia che doveva assomigliare ad un sorriso.

“Si, solo un leggero mal di testa! Mi sono sforzata molto nel tentativo di recuperare la memoria!”

 “Ma oggi sei riuscita a nutrirti, di sangue intendo?” avvampai improvvisamente. Il pensiero di nutrirmi di sangue non mi faceva andare su di giri, ma forse era realmente necessario avevo sentito il suo richiamo così forte che l’istinto mi guidava spontaneamente verso la mia natura.

“No, non ho cacciato …” guardai per un attimo fuori rivolgendomi a quella piccola falce di luna che ci spiava dalla finestra con i suoi timidi raggi “ Jacob  non credo di sapere come si fa!” non so che sguardo avesse se scettico o sconcertato. Probabilmente prima della mia amnesia dovevo essere un’ ottima predatrice.

“Domani mattina, vestiti comoda! Ti insegno nuovamente a cacciare!”

“Nuovamente?” allargò le labbra in uno splendido sorriso mostrandomi i suoi denti, dolcemente mi baciò la punta del naso e uscì dalla camera lasciandomi sola ed interdetta.

 

Note dell'autrice: Ragazze buondì! Allora allora non l'ho revisionato molto il capitolo non mi convince un gran chè però mi piacevano le scene e spero comunque di averle rese. Ebbene il nostro Jake con la nostra Nessie andranno a caccia! Scusate ma l'ultima parte del capitolo è venuta molto parlata ma per come me la immaginavo io doveva sembrare quasi un momento cabarettistico con uno scambio veloce di battute. Proprio da Nessie! Acqua in bocca sul resto!

noe_princi89: lui soffre è vero ma almeno così sta ricostruendo il rapporto che stava lentamente lacerandosi. E si sta accorgendo che tutto quello che desiderava era solo un po' di egoismo. Gliela dovevo far sudare o no questa vita matrimoniale?

kandy_angel: Ma grazie ancora! i tuoi Woaw bellissimo sono sempre molto graditi!

RINGRAZIO SEMPRE I PREFERITI I SEGUITI I RICORDATI I LETTORI I RECENSIONISTI!

TUTTISSIMI! SMACKINO!

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Capitolo 16
*** CAPITOLO XV: Ricominciare daccapo! ***


CAPITOLO XV: Ricominciare daccapo!

La luce del giorno irrompeva in quella camera, sporcata solo dalla mia presenza. No, non ero sola. Per tutta la notte avevo sentito piccoli rumori, un vociare sommesso e luci accese. I vampiri non dormono. Ma io che di vampiro avevo solo una parte, dormivo ed anche molto spesso. Il riposo mi permise di togliere quella tremenda e stridente stilettata che mi trapassava il cervello. Ma dovevo capire chi mi stava sorvegliando, chi aveva deciso di tenermi compagnia nella notte tetra. Mi alzai di scatto senza riuscire nel mio intento. Sentii solo la porta chiudersi placidamente e uno strano profumo di fiori di campo, erbe aromatiche. Fresie. Lavanda. Chi c’era nella mia camera e cosa voleva? Rimasi interdetta ad osservare l’uscio della mia camera comne se da un momento all’altro potesse rispondermi. Tic. Tic. Tic. Un rumore come di un unghia su di un vetro, attirò la mia attenzione distraendomi dalle mie solite domande. Scesi dal letto cercando di ritornare il più possibile lucida, rimanendo per qualche secondo seduta. Tic. Tic. Tic. Chiunque stesse provando a farmi affacciare aveva anche piuttosto fretta. Mi alzai e mi concessi uno stiracchiamento prima di raggiungere la finestra.  Il mio cuore in tumulto, sussultò alla visione di Jacob che allargava le braccia come per dirmi ‘Era ora!’. Aveva quello strano effetto su di me, bastava un minimo accenno per farmi cadere in un mondo fatto di panna e nuvole. Allora ero questo? Semplicemente una ragazzina innamorata di un licantropo che ad ogni sua smorfia diventava neve al sole? Eppure sapevo che tutto non poteva fermarsi lì. Mi sentivo come se appartenessi ad un tutto, come se io ne fossi solo una piccola parte. Avrei dovuto raggiungerlo al più presto. Dovevo vestirmi comoda. Già. Diedi un occhiata intorno nella stanza per vedere se c’era qualcosa per potermi cambiare e notai sul comodino accanto al letto una foto in una elegante cornice in argento. Ero sicura che il giorno precedente non ci fosse, l’avrei notata. Era una fotografia che riguardava me ed i miei genitori coetanei.  Tutto questo modo di fare era decisamente sospetto. Avevo capito che quella era la mia famiglia ma ancora non sapevo bene cosa aspettarmi da loro. Certo fino ad allora mi avevano riempito di premure, ma non sapevo che tipo di ruolo ricoprivo al suo interno, perché fossero così concentrati su di me sul recupero delle mie facoltà mentali che sinceramente scarseggiavano. La presi fra le mani e la fissai per qualche secondo. Guardavo Bella, guardavo Edward e guardavo me. assomigliavo tremendamente ad entrambi eppure non mi davo pace, non riuscivo a comprendere .

< Come potete essere i miei genitori naturali? >

< Ogni cosa a suo tempo! > una voce, strana come rinchiusa in un batuffolo d’ovatta eppure vicina, quasi interna a me stessa. Forse l’incursore era rientrato. Mi voltai velocemente pensando di trovare qualcuno. Invece ero sola nella stanza. E come se non bastasse il molesto ticchettare mi ricordò che non avevo tempo di meditarci sopra. Fu allora che vidi sul letto una tuta viola con una maglietta e dell’intimo sportivo erano ben accomodati sul letto. Si decisamente le mie facoltà mentali avevano fatto un bel viaggetto lontane. Ora anche gli spiriti ci si mettevano. Mi vestii velocemente, altrimenti avrei rischiato alla grande con il lupo che mi aspettava, e raccolsi i capelli in  una coda. Stavo per uscire dalla porta ma mi bloccai. Mi sovvenne come il giorno precedente avevo saltato dalla finestra senza nemmeno accorgermene. Morsi il mio labbro e la guardai alternando il mio sguardo più e più volte, indecisa se tentare o meno. Preso il coraggio a due mani andai verso la vetrata, la spalancai. I profumi del bosco m’invasero ma una fragranza in particolare mi colpì. Era morbida e vellutata, si sposava con l’ambiente ma allo stesso tempo ne spiccava violenta. Sapeva di vita, di sangue ma non mi attirava come la sera precedente. Mi elettrizzava.

“Ehy pigrona, sbrigati che abbiamo da fare!” Jacob mi destò dai miei pensieri.

“Si, si arrivo!” mi accucciai e con tutta la decisione che avevo in corpo mi gettai da quell’altezza. Percepivo i miei muscoli tesi, pronti ad ammortizzare l’atterraggio. Quando i miei piedi si ancorarono al suolo, le mie ginocchia si piegarono. Alzai lo sguardo e notai di essere praticamente genuflessa ai piedi di Jacob. Purtroppo i miei occhi si scontrarono con la vista paradisiaca del suo corpo fasciato da solo un paio di jeans sdruciti, ma che addosso a lui sembravano un capo di alta moda. Solo quando raggiunsi il suo sorriso beffardo e contento di vedermi in difficoltà, mi ripresi da quella probabile faccia tonta che avevo assunto.

 “Che c’è?” mi elevai impettita ed indisposta, spolverando le mie gambe dalle foglie secche che avevo catturato con la trama dei pantaloni. Non volevo dargli a vedere quanto in realtà condizionasse i miei umori.

“Niente mostriciattola, andiamo?” stavo per ribattere all’epiteto poco carino con cui mi definiva, però il suo odore intenso mi bloccò all’istante. Non mi attirava perché non lo sentivo così vicino. Entrava prepotente in me, assorbiva ogni neurone fino a farli convergere dritti nel centro del dolore dove l’impulso di far ardere la mia gola era diventato di ordine primario. Ci inoltrammo per parecchio senza proferire parola, mi vergognavo di desiderare Jacob a doppio senso. Quando era la gola a parlare sentivo la voglia di prendere la sua vita di farla mia rendendolo un misero pasto di una creatura orribile, ma quando era il ventre a prender fiato la cocente sensazione di volere le sue labbra su qualsiasi parte di me, si faceva strada. E non solo le labbra “Sarà meglio correre verso sud - ovest, mi diceva Jared che c’è un branco di cervi un po’ troppo popolato, sta poco fuori il confine della riserva sarà meglio correre …” per un attimo sembrò che mi stesse parlando in una lingua sconosciuta.

“Confine? Riserva? Correre?”

“Si, perché sei già stanca, oppure hai paura?”

“Io non ho paura!” non sopportavo quel tono strafottente che aveva assunto. Raccolsi subito la sfida puntando con i miei occhi ai suoi, con una scintilla di competizione che sinceramente non sapevo di avere. Sorrideva come se la mia stizza lo divertisse in un crescendo che aumentava solo la voglia di stracciarlo sul campo. Mi sentivo notevolmente aggressiva e pensare che poco prima avrei voluto ben altro. Ma poi una cosa strana ed assolutamente imbarazzante si portò le mani al jeans e si slacciò il primo bottone sorridendo. Che la storia della caccia fosse stata solo una scusa per saltarmi addosso?

“Cosa diavolo stai facendo?” si fermò al secondo bottone guardandomi paonazzo. Da quello capì che non era un violentatore. Insomma non si era mai visto uno stupratore o un’esibizionista sentirsi a disagio colto sul fatto.

“Scusa … è che … vedi io e te … no scusa … mi ero dimenticato che tu … aspetta …” corse verso un cespuglio e scomparve dietro la vegetazione. Devo ammettere che mi incuriosiva parecchio questo suo comportamento,  prima si stava letteralmente denudando incurante della mia presenza e poi si era andato a nascondere per non si sa quale motivo. La mia timidezza teneva le mie gambe ben salde ma la mia curiosità diventò presto impetuosa portandomi a spiare cosa stesse combinando. Si trovava di spalle e come prima, armeggiava con i jeans. Dopo qualche secondo se li lasciò scorrere lungo le gambe ed io mi voltai prontamente con le guance sicuramente tinte di un bel rosso scarlatto. Peccato che un piccolo diavoletto appoggiato sulla mia spalla mi diceva di dare una sbirciatina, che non mi sarebbe ricapitato forse mai più, di rivedere un fondoschiena come quello. In fondo il Discobolo di Mirone non indossava mica biancheria intima, e diciamo che i canoni della scultura sul suo fisico si adattavano perfettamente. Mi voltai incerta cedendo al mio lato demoniaco.

< Altro che Discobolo, qui c’è tutta la squadra di atletica leggera!Ehy ormone, datti una calmata! > ma in un attimo, in un battito di ciglia, le sue ossa del torace si espansero  assumendo una forma diversa, gli arti si allungarono e del pelo folto color della ruggine prese il posto della pelle. Indietreggiai spaventata. Un conto era immaginarle certe cose, un conto era assistere ad una vera e propria  trasformazione di un uomo in lupo gigantesco. Stavo per scappare, correre via lontana. Ma la mia ritirata venne tradita da un piccolo ramo spezzato sotto la mia scarpa, provocando un crack sommesso ma udibile alle nostre sensibili orecchie. Voltò il suo muso in mia direzione, ed io scattai nel senso opposto. D’un tratto venni superata da una freccia rossa che sbarrò la mia strada. Da vicino le sue dimensioni erano assolutamente mastodontiche: alto come un cavallo se non di più, il suo muso era enorme come le sue zanne e i suoi artigli, le sue zampe imprimevano nel terreno grandi orme in cui entravo completamente con il piede. E proprio una delle sue impronte affondata nella fanghiglia, mi fece scivolare di schiena. Solo dal basso notai che tra le fauci teneva qualcosa. Arretrai con i gomiti cercando di trascinarmi, ma più io cercavo di retrocedere più il lupo si faceva avanti. Raggiunse i miei piedi e lasciò cadere quel qualcosa che teneva tra i denti. I suoi jeans. Rimasi immobilizzata, finché con il suo tartufo li spinse ancor di più verso di me. Mi ritrovai faccia a faccia con lui, i suoi occhi penetranti mi fissavano. Erano identici alla sua forma umana. Avevano quello sguardo dolce, intenso ed estremamente adorabile. Erano gli occhi di Jacob, era sempre lui solo un po’ più peloso.  Cercai rialzarmi notando di essere diventata un tutt’uno con la boscaglia: avevo fango sparpagliato su tutta la tuta, tra i capelli c’erano foglie secche e aghi, la felpa era lacerata ed un suo lembo svolazzava ad ogni mio movimento. Sentì il lupo guaire come se si stesse preoccupando che stessi bene, che mi fossi ripresa.

“Scusa Jacob, non dovevo spiarti e soprattutto non dovevo spaventarmi così ma mi hai preso alla sprovvista, la prossima volta avvertimi!” raccolsi i jeans da terra “Immagino che questi li debba tenere io?” mi avvicinai al muso che sfregò contro di me facendomi traballare “Questo credo sia un si!” legai le gambe dei pantaloni alla vita. erano talmente lunghi che riuscì a farci il doppio giro. Il lupo si sdraiò a terra e comincio a latrare e a borbottare come per dirmi qualcosa. “Che significa?” abbassò la testa “Non vorrai mica che salga sulla tua groppa! Scordatelo!” rispose solo con un ringhio, del genere ‘fai quello che dico senza troppe storie’. Decisi che non era il caso di non obbedire ad un lupo capace di mangiarmi in un sol boccone. Cominciai a studiare il modo migliore per salirgli sulla schiena. Non c’erano staffe, ne tantomeno una sella a cui potermi aggrappare. Dovevo affidarmi alle mie capacità che ancora non sapevo governare al meglio. Presi una leggera rincorsa e mi trovai sopra il suo dorso, illesa. Temevo sinceramente di mancarlo e finire con la faccia a terra. Si alzò lentamente ed io mi ancorai al suo collo, ma non sufficientemente bene per oppormi alla forza d’inerzia che mi spinse all’indietro quando iniziò a correre, tornando così in mezzo al fango. I lupi sanno ridere? Non so se lo lessi nel suo sguardo o dai versi che emetteva o dalle due labbra che lasciavano intravedere i canini, ma potrei giurare che quello che aveva sul muso era un riso sarcastico. “Smettila di fare la iena e aiutami!” la caccia era cominciata malissimo. Prese delicatamente con i denti il cappuccio e mi sollevò da terra come se fossi un cucciolo instabile. Me la doveva pagare. Guardai le mie mani sporche di fango e le nascosi dietro la schiena voltandomi verso di lui con un sorrisetto angelico. “Riproviamo!” quel mio atteggiamento da santarellina lo insospettì ma non si fece pregare a lungo per sistemarsi e farmi salire. Ripetei i gesti fatti precedentemente, ma prima di stringermi molto più forte  proferii al suo orecchio “Guarda che mani sporche e che bel pelo pulito, quasi quasi … ” spalmai il fango dove capitava, e non gli rimaneva altro che borbottare infastidito. Abbracciai il suo collo e soddisfatta dissi “Adesso possiamo andare!” dopo qualche secondo ero lanciata in una folle corsa verso il confine. Sentivo l’aria sferzarmi il viso, l’umidità aderire alla mia pelle, gli odori frustarmi e segnarmi l’animo che ora stava godendo della piena e assoluta sensazione di libertà. Libertà. Ero libera da ogni pensiero, libera da ogni preoccupazione, libera di un passato che non tornava, libera dal mondo. Le sue zampe arpionavano la terra in slanci sempre più veloci, il suo cuore batteva al pari del mio accelerando di pari passo con lo sforzo, i suoi muscoli tesi contro l’epidermide calda, scattavano ad ogni ostacolo. Era tutto assolutamente divino. La situazione, il lupo, il ragazzo, io. S’incastrava tutto in una perfetta composizione, come se mi spettasse da sempre. Non so se durò minuti o ore, ma quando si fermò ad annusare l’aria e drizzando le orecchie puntute non riuscì a fare a meno di esprimere il mio dissenso con un lieve mugugno infantile. Si abbassò a terra invitandomi a scendere.

“Devo proprio?” il ringhio con mostra di canini era un’evidente si. “Peccato c’avevo preso gusto! Al ritorno però lo rifacciamo!” avrò avuto vent’anni a giudicare dal mio aspetto, e mi comportavo come una bimba. Scesi molto lentamente e prima che si rialzasse, grattai dietro al suo orecchio, cosa che sembrò provocargli un immenso piacere, da come la sua testa seguiva il mio movimento. Se solo avessi immaginato che per ringraziarmi avrebbe leccato la mia faccia, non l’avrei fatto. Inaspettatamente avvicinò pericolosamente il suo muso al mio volto. All’inizio pensai che volesse darmi un’altra leccata, ma poi m’immobilizzai terrorizzata al pensiero che avesse cambiato idea. Per quanto fino ad allora si era comportato egregiamente, sapevo sulla mia pelle come l’istinto di un predatore diventa ingovernabile di fronte ad un probabile e succulento pasto. Sentivo il suo fiato caldo infrangersi contro il viso ma poi scese verso la mia vita e con i denti slegò chirurgicamente i suoi pantaloni. Ero talmente paralizzata che non mi accorsi nemmeno che il lupo se ne era andato lasciandomi sola come uno stoccafisso.

“Ti è piaciuta la corsa!” con quel tono derisorio, alquanto indisponente, mi ridestò giusto il tempo per potergli rispondere.

“Si mi è piaciuta, a parte la caduta e la leccata finale in pieno viso!” mi trovai avvolta da una nuvola profumata di sangue e fango, la sua vicinanza diventava pericolosa, ora che non ero più io una possibile preda, ma lui. Il mio sguardo si schiantò sul suo petto dove una macchia sporca seguiva le sue pieghe fino alla clavicola nascondendosi dietro il collo. La giugulare rispondeva al suo battito come se sentisse il mio richiamo. Bloccai il mio respiro il tempo necessario a riprendermi. Non volevo finire preda dei miei istinti ma Dio come era invitante. Mi sarebbe bastato poco davvero molto poco, due moine, qualche smanceria. E lui mi avrebbe offerto tutto.

“La mia era un’affermazione non una domanda! La caduta è stata esilarante e la leccata era una piccola vendetta per avermi insudiciato con il fango e per avermi trattato da cane! Ho una certa dignità da mantenere!”mi guardava contrariato ed imbronciato, ma quella sua espressione non fece altro che provocarmi una grassa risata distogliendomi nuovamente dal pensiero del suo corpo privo di vita sotto le mie fauci. Ma quanti corpi vuoti sarebbero rimasti dopo che ne avrei depredato l’esistenza? Uno? No due, il mio e il suo.  

“Ok, ok signor lupo niente più grattini! Però sembrava che ti piacessero …”

“Le coccole sono sempre gradite, soprattutto da una bella ragazza! Ma le preferisco da umano!” ed eccolo di nuovo il desiderio diverso, quello che rispondeva alla chiamata dell’attrazione. Sentirlo con quella sua calda voce roca indirizzata per un complimento nei miei confronti,  mi provocò un brivido freddo come se le sue dita sfiorassero la mia schiena. Credo che passò circa un minuto in cui i nostri occhi non si staccarono, cercando qualcosa di diverso dal semplice battibeccare. Non so come spiegarlo, lo tenevo dentro latente ed usciva ogni qual volta lui si trovava lontano da me. Un filo. Un filo d’acciaio intrecciato alle nostre vite, come se fossimo legati da un cordone ombelicale invisibile, in un destino comune. Nemici eppure amici. O qualcosa di più? Cominciai a sperarlo seriamente, ma poi qualcosa attirò la mia attenzione. Chiusi gl’occhi affinando gli altri sensi come avevo fatto il giorno precedente. Odore di sangue. Non come quello di Jacob, meno invitante sotto certi punti di vista ma conosciuto come se non fosse la prima volta che lo incontravo.  Era leggero quasi irrilevante ma la sentivo pugnalare i miei recettori nervosi, come se tutto il mio corpo fosse spinto da una forza disumana verso qualsiasi cosa lo contenesse.

“Questa è una scia …” ero così assorta che Jacob si era posto alle mie spalle sussurrando al mio orecchio. Il suo aroma si sovrapponeva a quello quasi stomachevole che avevo percepito poco prima. Se mi fossi voltata l’avrei potuto cogliere alla sprovvista, saggiare quel sapore che si prospettava prelibato, sentire caldo affluire da me a lui. Ma la sua voce intervenne appena in tempo a ricordarmi che quello alle mie spalle era un uomo, che cercava di aiutarmi a sopire la bestia destata in me  “… saranno passati da qualche ora guarda …”lo assecondai, aprii le palpebre e vidi la grande mano di Jacob indicarmi un’impronta di zoccolo. “ … la primavera è vicina tornano verso il nord. Ora inspira profondamente fai entrare dentro di te ogni informazione utile a capire la loro posizione …” aprii i miei polmoni e la scia si estese per qualche metro. In quel modo riuscì ad estromettere Jacob dal mio istinto, esclusi il suo effluvio da quello del cervo lo divisi e lo gettai alle spalle dimenticandolo “… ascolta ogni rumore, distingui, cerca, trova …” ad ogni sua parola la distanza della scia aumentò ancora di più finché all’olfatto, s’aggiunse l’udito. Foglie mosse dal vento, un ruscello, un uccellino, denti che ruminano corteccia. “… cosa senti?”

“Sento un corso d’acqua …”

“Quanto dista?” tornai a stringere ancor più fortemente le palpebre cercando di calcolare l’effettivo distacco, per un attimo i miei sensi furono rapiti dalla fragranza di Jacob che si era accostato ancora di più al mio orecchio e aveva afferrato i miei fianchi ruotandoli di poco per farmi tornare alla traccia. Ed ancora il mostro tornò a bussare ma stavolta avevo puntellato la porta. Non poteva entrare, ero sbarrata dentro di me. Tentava di sfondarla mi ripeteva che ero io a volerlo, che non potevo negarmi il piacere immenso che scorreva in lui. Invece potevo perché io non ero una belva. Io non sarei stata un mostro. “Nessie, quanto dista?”

“Credo un centinaio di metri …”

“Spostati vai oltre …”

< Concentrati su quella che sarà la tua preda! Ci sei riuscita una volta fallo ancora, prendi la tentazione e cancellala! >  “Un cuore … ” sentivo la mia gola infiammarsi sempre di più, come se stessi bevendo dell’acido corrodendo ogni singolo cerchio dell’esofago. Provai a deglutire a fatica i zampilli di saliva che invadevano la mia bocca ma invece che provocare sollievo accrescevo il bruciore.

“Brava, adesso concentrati pensa alla strada che devi percorrere, a come accerchiarlo senza farti accorgere, prendilo di sorpresa …”

< Avresti preso lui di sorpresa se solo avessi voluto! > era già passata. Si era arresa la fiera che puntava al quel collo ambrato, adesso cercava solo quell’ignara bestiola che poteva sacrificarsi al posto di qualche vittima innocente. Stavo vedendo la scena attraverso tutti i sensi che avevo attivato. Vedevo il cervo intento a nutrirsi, ignaro di stare per diventare lui stesso un pasto. Aprì gli occhi meccanicamente come se dovessi scattare da un momento all’altro  

“… vai ora!” cominciai a correre come avevo appena fatto nella mia testa, superai gli ostacoli con un’agilità unica, non mi ero accorta nemmeno di aver percorso in una manciata di secondi la spazio necessario a raggiungere la mia preda. Mi acquattai dietro un rovo da dove potevo studiare la scena. Come immaginavo. Un cervo, maschio, adulto strappava piccole porzioni di corteccia per cibarsene. Stava all’erta. Povera piccola preda, il suo istinto di sopravvivenza la spingeva a mangiare con un occhio aperto. Prenderlo di sorpresa. Aspettai il momento esatto in cui aveva alzato il muso per sfamarsi, quell’esatto istante in cui doveva necessariamente abbassare la guardia. Superai il cespuglio spinoso e mi avventai su di lui costringendolo a terra, con una forza sovraumana. Cercava di divincolarsi dalla mia morsa. Le sue gambe scalciavano correndo a mezz’aria, la sua testa si spostava nervosamente cerando di colpirmi con le corna, ma ogni tentativo fu vano. Le mie mani diventarono spire che serravano ogni suo movimento, arrivando persino a spezzargli la spina dorsale. Respirava ancora ma rimase paralizzato attendendo solamente la sua fine. Mi avventai sul suo collo ed affondai i denti proprio sulla vena più vicina alla fragile pelle della povera bestia che aveva avuto la sfortuna di incontrarmi. Alla prima goccia iniziai a suggere sempre più voracemente. Il sangue entrò, ma prima di raggiungere lo stomaco era già arrivato alla mia testa provocando in me una frenesia animalesca che mi spingeva a risucchiarne il più possibile. Ogni minima parte del corpo traeva beneficio in quell’atto feroce e vitale, ed andai ben oltre a quello che mi serviva. Quando venni scossa dal mio stato di trance attaccai quella qualunque cosa mi avesse interrotta. Tenevo stretto il suo collo contro un tronco e mostravo i denti. Non m’interessava chi o cosa fosse, non avrebbe mai tolto quello che avevo ottenuto con tanto sforzo.

“Nessie … son … sono … io, Jac … Jacob …” non riuscivo rientrare in me una mia parte gridava a gran voce di fermarmi, ma non potevo ormai; mi aveva raggiunta, la porta era stata sfondata e l’odore del suo sangue aveva cominciato a sortire l’effetto elettrizzante e brutale che mi spingeva con  l’istinto a nutrirmi di lui. Il mostro si stava mostrando. Troppo allettante, troppo umano. Tentai di azzannarlo ma mentre mi stavo avventando riuscì a spingermi lontana con tutta la forza che aveva. Andai a sbattere contro un altro albero poco distante, che urtando la mia schiena sembrò infrangersi e scuotersi come se mosso dal decimo grado della scala Mercalli. L’impatto mi aveva si creato una sofferenza immane, ma almeno ero fuoriuscita dalla possessione del demone che non voleva più lasciarmi. Alzai lo sguardo e Jacob ancora con il fiatone si gettò su di me.

“Perdonami!” avevo solo un filo di voce ma era abbastanza per rendermi il più prostrata possibile. Lo vedevo, lo sentivo; era profondamente amareggiato a causa mia. Mi sentì uno schifo, non ero riuscita a comportarmi da umana ed avevo lasciato sopraffarmi dalla belva. “I- Io mi sono comportata come un mostro, ti prego perdonami!” non meritavo quel sorriso dolce con cui mi stava accogliendo come se non importasse, io avevo attentato alla sua vita. Non meritavo la sua comprensione.

“Dai non è niente! Ci sono abituato ad essere attaccato dai vampiri completi e non!” sorrisi alla sua affermazione e poi al dolore già lancinante che percorreva la mia schiena si aggiunse la mia testa, ed era molto più forte di quello che già sentivo. Rimasi costretta a premermi il cranio.  Era il preambolo di un ricordo, il segno indelebile che la mia mente sapeva il mio passato anche se me ne mostrava solo spezzoni. Due immagini sovrapposte una di Bella che attacca Jacob per alcuni secondi, un’altra di lei che avanza con lui che indietreggia e poi nulla, il buio imperante. “Cos’hai?” la sua voce preoccupata forzò il sorriso sul mio volto.

“Credo di aver battuto la testa, ma la schiena mi fa male da morire!” cercai di enfatizzare il dolore meno preoccupante, solo per sviare il vero problema.  I ricordi andavano e venivano confusi, se gli avessi detto che avevo anche solo la minima percezione di affacciarmi al mio trascorso forse lui si sarebbe lasciato cogliere da una speranza che con il tempo poteva rivelarsi falsa e traditrice. Non volevo ferirlo più di quanto fosse.

“Fa vedere!” mi voltai lentamente mentre le sue dita sollevavano la mia  maglietta e la mia felpa in realtà quasi del tutto distrutte. La sua mano calda passò delicatamente sul punto più indolenzito  “Hai solo un brutto livido, ma sta già regredendo chiederemo a Carlisle di visitarti quando torniamo!”

“Non credo che ce ne sia bisogno, sto già meglio!” mi alzai in piedi cercando di mantenere l’equilibrio il più possibile, cosa resa difficile dall’improvviso capogiro che avevo. Non era stata una grande idea sollevarmi di botto, dopo la collisione con l’albero e l’emicrania. Se non fossi stata sorretta da Jacob probabilmente sarei stramazzata rovinosamente.

“Vedo come stai meglio! Hai un livido allucinante! Ma guarda che ti ho fatto …” quello era rammarico? Dopo che l’avevo aggredito? Non meritava di sentirsi in colpa. Lo guardai dritta negl’occhi, non volevo che si pentisse di un reato non commesso.  

“Ti sei solo difeso e poi io non dovrei farmi male giusto? Pelle di diamante, guarigione immediata …”

“La tua pelle e dura come il diamante, hai una guarigione istantanea, ma i tuoi organi sono alimentati da sangue e da vene più fragili rispetto al resto. Quindi se colpita da un vampiro o da uno di noi puoi ferirti!”se non fosse stata per l’incredibile vicinanza probabilmente avrei trovato il modo di rispondere a tono. Invece non riuscì ad avere nemmeno il tempo di replicare che lui mi aveva preso fra le sue braccia. “Andiamo a casa!”

 

Note dell'autrice: Piaciuta la caccia? Cosa dice sempre la mamma: non disturbare il cane mentre mangia che ti si rivolta contro! Comunque per un po' Nessie non avrà bisogno di nutrirsi di sangue. Mannaggia, ma ora cosa succederà ? Anticipazioncina ina: Ora due capitoli pov Jakobuccio! Eh già! Ed in uno torneranno Sarah ed EJ, che poverini sono quasi del tutto all'oscuro. Come staranno reagendo alla mancanza dei genitori?

Rocxy: Io ho postato ho postato ho postato! Piaciuto questo chapter? Per quanto riguarda la memoria eh bhè ne vedremo delle belle!

noe_princi89: vorrei ben vedere che non fosse attratta, insomma come dice Ness i canoni della scultura si adattano benissimo su Jake! A parte gli scherzi, a prescindere dalla memoria i legami lei li sente molto forti per questo l'attrazione fisica con Jacob la sente molto forte. E poi Jake è Jake!

never leave me: nuuuu! niente Jhonny! mannaggia! Ed io che già me lo pregustavo! va bhè la mia proposta rimane sempre quella tu tramortisci e tienine un po anche per me! per parlare della tua recensione multipla: in effetti volevo far vedere al nostro Jake che la Nessie di cui si è innamorato è quella forte ed intraprendente. Quello che voleva da lei era solo puro egoismo, però sai fra tutti e due non si sa chi è più "de coccio" come si dice a Roma. Comunque si lei è come se fosse tornata un po' bambina ma è anche vero che la personalità di Nessie è molto forte e non mancherà occasione di dimostrarlo. A livello tecnico stilistico la sua amnesia è stato anche un modo diverso per raccontare episodi della sua infanzia, per conoscere una Nessie precedente a quella che ho raccontato.

 

Ringrazio sempre tutti ed è inutile ma ve lo dico lo stesso: VI ADORO! Mally!!!

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Capitolo 17
*** CAPITOLO XVI: Errore? ***


CAPITOLO XVI: Errore?

POV Jacob.

Le avevo fatto del male. L’avevo tramortita contro quell’albero. Che stupido ad avvicinarmi mentre stava ancorata alla sua preda. Nessuno mi aveva assicurato che non reagisse al mio sangue, era perfettamente normale che ne fosse attratta. Da bambina ovviamente per me era più facile contenerla ma la sua forza ora era centuplicata e il suo autocontrollo era regredito. La sua schiena era segnata da un bel livido scuro che, fortunatamente, stava scomparendo. Colpa mia, sempre e solo mia. Non contento, come se l’amnesia non bastasse, le avevo fatto battere la testa. Non avrei mai voluto essere violento con lei. Ma avevo rischiato di brutto, mi stava azzannando con lo sguardo omicida che di solito riservava solo per le sue prede.  Tentai di spostarla, di liberarmi dalla presa sul collo, ma lei aveva in mano parecchio sangue umano e questo non poteva fermarla. Ero stato costretto. Ma se non l'avessi scostata, se avessi pazientato non l'avrei mai condotta all'aggredirmi. Non ero stato stupido, ma un vero e proprio c******e!

 “Dove sei andato?” ero così assorto che non mi ero accorto di stare in silenzio da quasi venti minuti.

“Sono sempre qui con te!” l’unica risposta vera e sensata che potevo darle. Ero da sempre e per sempre con lei, anche in quell’avventura sconvolgente in cui temevo tremendamente di perderla. In realtà la mia Nessie non era molto cambiata, era la piccola testarda combina guai che scivolava e cercava in tutti i modi di mascherarsi pur di non far preoccupare le persone che ama. Sempre che mi amasse ancora, che ricordasse il sentimento che provava. Certo che i suoi sguardi eloquenti, il suo atteggiamento la sera precedente quando si era avvicinata così nocivamente a me, il suo modo di accarezzare la mia pelle provocando quella tremenda sensazione eccitante e struggente, lasciavano ben sperare. Non sapeva chi era, non ci conosceva neppure. Eppure i suoi legami erano al di là dei ricordi. Confidavamo nella sua intelligenza sperando che quello che sentiva nel cuore la aiutasse a capire ciò che la univa ad ognuno di noi.

“Jacob, adesso posso camminare da sola …” non ricordava ma già sapeva come ottenere da me quello che voleva. Quando l’avevo redarguita con uno sguardo, aveva subito tirato fuori quell’espressione dolce da cerbiatta sbattendo ripetutamente quelle lunghe ciglia. Nessie, la mia Nessie capace di annichilirmi con nulla e di rendermi un burattino con un sorriso. “Grazie!” appurai che le sue gambe reggessero e a che punto si trovasse la regressione del livido. Al suo posto vi era solo una macchia giallognola. “Come va dottor … non conosco il tuo cognome …”

“Black!” < È anche il tuo di cognome Renesmee Carlie Cullen in Black, mia moglie, la mia ragione di vita, madre dei miei figli! > quel pensiero lo avrei voluto gridare a piena voce.

“Allora come procede la convalescenza dottor Black?” mi stava prendendo in giro. La solita Renesmee.

“Direi bene signorina, è quasi completamente scomparso!”

“Saranno le sue mani calde da guaritore, ma non crede di approfittarne un po’ troppo …” non mi ero accorto di accarezzarle insistentemente la schiena, che avrei voluto baciare. E mi stava nuovamente incastrando con quel suo fare finto ingenuo che la contraddistingueva, maledettamente provocante senza saperlo, i vestiti stracciati, la pelle pallida esposta in più punti facendomi stordire con quel suo corpo dalle forme snelle e forti, sensuale in ogni mossa. Da quanto non la desideravo così? Sempre troppo occupati con i nostri doveri, maledetta quotidianità che non ci permetteva più di vivere il nostro amore come avremmo voluto. Io e lei spesso troppo stanchi, bambini che invadevano il letto, caccia veloce per tornare a casa, sesso saltuario, frettoloso  e silenzioso per non farci scoprire, e tutto scorreva troppo rapidamente non accorgendomi che la mia fortuna stava li in quel corpo perfetto. Lo schiocco delle dita davanti al mio naso. “Buongiorno bell’addormentato, sognavi ad occhi aperti?”

< Si > “No!”

“Camminiamo prima di correre a casa? Almeno parliamo un po’ …” di nuovo quel modo di fare tremendamente ammaliatore. Avevo sperimentato con il tempo che non ero il solo a cadere sotto l’influsso Renesmee. In realtà l’unico a sembrarne un tantino più immune, sempre con  riserve, era il paparino che leggendo i suoi pensieri, riusciva a capire i suoi modi da strega incantatrice. “Allora noi cosa siamo? Amici? Parenti alla lontana? Fidanzati?” dritta al punto. Non le erano mai piaciuti i giri di parole, quindi me l’aspettavo una domanda diretta. E poi cos’era quell’ultima parola marcata? Una speranza?

“Tu cosa hai dedotto?”

“Non credo che siamo parenti, non tanto per le differenze fisiche, ma dal modo in cui ti comporti sembri tutt’altro che uno zio apprensivo …” teneva ben saldo il suo sguardo altrove mentre io continuavo ad osservarla mentre ragionava, soprattutto per quel rossore dovuto alla sua timida sfrontatezza “ Però non puoi essere un semplice amico, anche se la confidenza con cui mi parli fa pensare il contrario, non lo so mi confondi! In realtà vorrei capire un po’ di tutti i legami, sono tentata di mettere un bel foglio fuori dalla porta con scritto : PRIMA DI ENTRARE SPECIFICARE NOME E GRADO DI PARENTELA!” mentre diceva queste ultime parole indicava un cartello immaginario in aria. Trova sempre la voglia di scherzare, pur non sapendo chi è e cosa è, rimanendo sempre la solita Nessie.

“Quindi potrei essere una sorta di amico fratello ragazzo?” riassunto in poche parole: tutto. Anche se essere il suo ragazzo, in realtà non lo ero mai stato. Dopo il primo bacio mi aveva chiesto di sposarla ed era diventata subito la mia fidanzata ufficiale e dopo pochi mesi eravamo già sposati. Non che la cosa mi dispiacesse, in fondo l’avevo aspettata per dieci anni ed avevo agonizzato ad ogni suo minimo interesse per un altro, diciamo che mi ero meritato un fidanzamento lampo, però devo ammettere che un po’ ero dispiaciuto di non avere l’esperienza adolescenziale dello stare insieme.

“Stai per caso girando la frittata, Jacob?”

“Un pochino …” dissi con somma soddisfazione di averla irritata ed aver scatenato in lei quella luce travolgente e passionale che tanto amavo. Si morse il labbro inferiore e prima che potessi fermarla mi stava picchiando selvaggiamente la spalla. Riuscì a raggirarla e a bloccarle i polsi.

“Non vale, tu sei più forte!”

“Povera, bambina imbronciata!” prima avrei baciato quel piccolo muso che metteva quando si offendeva e faceva i capricci. Ma ora mi dovevo assolutamente trattenere. Anche se le sue labbra diventavano sempre più prossime e bastava veramente poco per poterle avere sulle mie.

“Ti va una sfida?” non era per niente cambiata “Solo per testare le mie abilità!”

“Che tipo di sfida?” si allontanò di qualche passo, mordendosi più voracemente il labbro inferiore come se quel suo cervello stesse macchinando qualcosa di veramente diabolico.

“Tu sei un lupo forte, agile e scattante non ti sarà difficile …” e si riavvicinò sempre con quell’espressione furba e maliziosa a cui ho sempre stentato a resistere “ … provare a prendermi!” scattò fulminea tra la vegetazione, le lasciai un po’ di vantaggio, la sua velocità era praticamente pari alla mia da umano. Decisi quindi di non trasformarmi o l’avrei battuta senza problemi. Per una volta almeno alla pari, la vecchia Renesmee non l’avrebbe mai voluto. Nessun favoreggiamento. Seguì la sua scia correndoci dentro finché una risata argentina riempì nuovamente ogni parte di me. Era da tempo che non correvo senza trasformarmi. Non c’era pelo a barriera tra me e l’aria, il fresco della natura sull’epidermide, sensazioni che avevo decisamente dimenticato. Accelerai di gran passo, dovevo raggiungere la mia fata dei boschi che leggiadra e terribilmente veloce, volava tra le fronde. La affiancai in breve, ma lei non si diede per vinta. Piegò le ginocchia e si elevò in un salto particolarmente alto raggiungendo il ramo di un albero. Anch’io contrapponevo i miei salti al tronco ed ai rami man mano che lei sui spingeva più in alto, nel tentativo di raggiungerla. Il suo modo aggraziato di muoversi  contrastava con il mio fortemente virile. Ma lei era pur sempre la figlia di Bella, me lo dovevo immaginare che avrebbe messo un piede in fallo e sarebbe scivolata rischiando di schiantarsi a terra se non le avessi afferrato prontamente la vita. Riuscivo a sorreggermi sia con i piedi che con il braccio libero ad un ramo sopra le nostre teste.

“Presa!” le dissi vittorioso mentre si era avvinghiata al mio collo, visibilmente spaventata. “Non devi preoccuparti, ci sono io che ti tengo!” la feci sistemare in modo potersi sorreggere praticamente da sola, senza mai togliere il braccio dai suoi fianchi più per un piacere personale. No, anche perché la sua sbadataggine riaffiorava spesso e volentieri.

“Mio Dio Jacob! Guarda!” non mi ero accorto che tra la caccia, la corsa, le chiacchiere la giornata era praticamente finita. Da lontano un sole tagliato da cumuli nuvolosi, sottili come lame di ceramica moriva nel mare. Si vedeva  la lingua di sabbia bianca di La Push, mangiata dall’alta marea provocando un sottile strato d’acqua a specchio che rifletteva il crepuscolo appena alla sua nascita. Tra la foschia lontana si riusciva a scorgere la sagoma aranciata  di James Island, mentre le onde s’infrangevano sulla scogliera scenario di molte nostre avventure. Spontaneamente la strinsi a me, ma non sembrava respingermi. Rimaneva affascinata dallo spettacolo che la natura ci stava offrendo, forse era un modo concessoci per innamorarci di nuovo “Non lo trovi bellissimo?” parole semplici, ma piene di significati tremanti dall’emozione.

“Diciamo non è la sola cosa bellissima che vedo …”

“Cos’altro vedi? Io scorgo solo la spiaggia!” allungò il collo come a cercare un qualcosa oltre l’orizzonte che stava soccombendo alla luce del giorno per dar voce alla notte.

“Non  si trova in spiaggia, perché la sto ammirando tra le mie braccia!” spostò lentamente il suo volto verso il mio e c’incatenammo come una volta, con i nostri sguardi e quel silenzio pieno del nostro amore. Un’altra cosa attirò la nostra attenzione. Tornammo ad osservare il mare. Una lieve collina scura si spostò attraverso il pelo dell’acqua, e poi uno sbuffo d’acqua alto un paio di metri.

“Quella è una …”

“Si è una balena, di tanto in tanto si possono avvistare! Siamo stati fortunati!” il suo sguardo eccitato e immensamente felice mi fece sentire come in passato aspettavamo per giornate intere di avvistarne una: appagato, in pace con l’universo. La mia dolce e curiosa bambina.

< Perché ti ho data sempre per scontata? Pensavo che la nostra vita insieme sarebbe stata perfetta. Non dovevo. La perfezione non esiste, nemmeno per due anime complementari come noi … >

“Che peccato, non si vede più … ” si voltò nuovamente con quel suo sguardo affranto e supplichevole come se io potessi riportarla indietro.

“Kwop Kilawtley! | Rimani con me per sempre | ” l’avevo detto ad alta voce, non ero riuscito a trattenerlo e speravo che nei meandri dei suoi ricordi non ricordasse il significato delle parole che le avevo appena sussurrato. O forse si. Odiavo enormemente stare in disparte. Ad un tratto la sua bocca, quella che desideravo ardentemente da sempre era sulla mia, in quel bacio che più mi era mancato. Dolce, lento, delicato. Fantasia e realtà si confondevano in quel sogno che rappresentava la mia piccola Nessie.

“Sapevo che non eri un semplice amico!” sorrisi in quelle parole pronunciate tra le nostre labbra strette nella nostra comune voglia. Lei mi amava, lo sentivo e lei lo sentiva. Non avrei dovuto, stavo giocando con il fuoco, gettandomi dalla scogliera ad occhi chiusi. Stavo correndo in un campo minato e  dove lei mi stava aspettando. Cristo, se ne valeva la pena! Mi sarei scottato, schiantato e sarei esploso pur di poter avere anche solo un assaggio di mia moglie. Sbagliavo o no a volerla? E a prenderla? La stavo costringendo a scegliermi di nuovo?

 

 

L’avevo riportata a casa, rispettando un religioso silenzio per tutto il tragitto, aiutato dalla mia trasformazione. L’avevo baciata. Se fosse successo una settimana prima sarebbe stata una cosa naturale non un vero e proprio delitto. Era come approfittarmi di lei della sua confusione, ma il suo corpo tremante, richiamava il mio lo sentivo dalle risposte che ricevevo ad ogni suo gemito, ad ogni suo sospiro.

“Non c’è nessuno …” casa Cullen vuota? Probabilmente sapendo che l’avrei portata a caccia, avevano approfittato anche gli altri che non si nutrivano da parecchio. Non contando chi si occupava dei nostri figli. Mi accovacciai lasciandola scendere. Accarezzò delicatamente il mio muso e vi pose un bacio tra gli occhi, era una cosa che faceva sempre da bambina. Le piaceva da morire toccare il pelo in quel punto, a sua detta era il più morbido, e, devo ammetterlo, era un piacere godere delle sue attenzioni in forma animale. “Vorrei farmi una doccia e darmi una sistemata. Ti trasformi e mi raggiungi?” raggiungerla in una casa vuota dopo quel bacio? Non sarebbe stata una grande idea. Ma come poterla lasciare sola?

< Dannazione Jacob, sei un uomo, non un ragazzino di sedici anni,  saprai pure contenere i tuoi istinti no? Si ma lei … e noi non da … ho perso il conto, è veramente troppo che non … ed io … > non mi ero accorto di cominciare a guaire. Riportai i miei occhi in sua direzione, ed ecco la mia piccola vampirastra subdola che faceva gli occhioni da cerbiatto spaventato. Bella non li sapeva usare così bene.

< Tre, due, uno. Fregato > la invitai ad entrare sospingendola con il muso. Con un sorriso smagliante scomparve dietro la porta lasciando i mie jeans poco lontano da me. “Ti aspetto dentro!” lo conoscevo troppo bene quello sguardo. Lo aveva sempre quando otteneva qualcosa. E al povero Jacob che succedeva? Mi piantavo un’espressione da imbecille sul viso, totalmente perso in quella sua piccola gioia. Mentre rientravo sistemando i pantaloni notai che aveva già iniziato a farsi la doccia.

< Bravo Jake pensala nuda sotto l’acqua calda, così li calmi i bollenti spiriti! > dovevo chiedere il divorzio dalla mia coscienza, anche se aveva tremendamente ragione. Avrei dovuto trovare un modo per distrarmi come per esempio togliermi il fango da dosso in un altro dei numerosi bagni della bella villa bianca. Con un bel getto gelato, in modo da ricordarmi che non avrei dovuto sfruttare quella comoda e suntuosa casa stranamente deserta, perché per la pecorella smarrita era troppo presto ed io prima di essere un lupo ero un uomo. Mi guardai allo specchio mentre mi asciugavo.

“Ce la puoi fare Jake! Hai resistito per mesi senza toccarla, puoi farlo per qualche ora!” lo ripetevo a me stesso ma non sembravo convincermene. Era già difficile resisterle quando non sapevo cosa si provava, adesso mi sembrava praticamente impossibile. Mi abbandonai nell’osservazione del pavimento intonso e pulito. “Maledizione!” e poi la udii e ne rimasi soggiogato. Stava cantando. La sua voce cristallina, mi guidò fino alla porta del bagno della camera da letto di Bella. Scivolai sulla parete accanto alla porta, rimanendo ad ascoltare la sua soave voce intonare una canzoncina infantile.

“You are my sunshine
My only sunshine
You make me happy
When skies are gray
You'll never know dear
Just how much I love you
Oh, please don't take
My sunshine away ...... ” [Neil Diamond]

La nostra canzone. Quando da bambina l’ aveva scoperta mi aveva detto che la trovava perfetta, come se l’avessero scritta per me. Ancora ricordo la sua esaltazione, saltellava contenta come un grillo continuando a cantare come un fringuello e fu una delle prime volte che notai l’influenza di Alice nel suo comportamento. Ogni momento in cui ero triste o arrabbiato, arrivava  la sua voce da angelo, ricordandomi di essere il suo raggio di sole portandomi ad un passo dal cielo. Cominciai a canticchiare con lei, niente a che vedere con la melodia argentina che proveniva limpida da quella stanza. Perso nei miei pensieri non mi ero reso conto nemmeno che l’acqua aveva smesso di scorrere e lo scampanellio delle sue corde vocali si era fatto flebile come una riflessione. La storia si ripeteva. Quel corpo, quello sguardo, quel profumo. Solo un asciugamano, un misero lenzuolo di panno latte e me la trovai di spalle a recuperare i vestiti che aveva lasciato sul letto per cambiarsi. Come quel giorno, in casa di mio padre, ad un centimetro da lei, ad un passo dalla follia e dal paradiso infernale a cui mi avrebbe condotto il suo corpo. Tutti i buoni propositi andarono a farsi benedire nel momento in cui i miei occhi si erano posati sulle sue curve.  Arrancai cercando di sollevarmi, cosa che riuscì solo grazie alla parete. Urtai un quadro che piombò a terra e si frantumò. Lei si voltò di scatto spaventata per il rumore e quello che vidi non fu di nessun aiuto. I suoi occhi erano sbalorditi ma non accennavano a distaccarsi dai miei. Aveva lasciato cadere i vestiti rimanendo immobile per alcuni secondi. Il nodo al petto iniziò a muoversi impaziente assecondando il suo respiro affannato calamitando il mio sguardo in un punto propriamente erogeno come il suo petto.

< Calma, sangue freddo. Non devi, non puoi. > peccato che il mio corpo aveva deciso di muovermi contro un insubordinazione coi fiocchi. Non potevo nulla contro il magnetismo che si accaniva su di noi. Era come chiedere ai pianeti di non compiere il loro moto di rivoluzione attorno al sole. La mente viaggiava già in lidi che non avrebbe dovuto toccare, mentre il tempo si era fermato nell’esatto istante in cui avevo letto in lei la mia stessa voglia. Non riuscivo in alcun modo a togliermi di testa i miei errori. I problemi, le difficoltà non dovevano essere occasione di discussione ma di crescita, e noi ci eravamo lasciati sopraffare da tutte quelle sfide che si presentavano di giorno in giorno diventando nemici e non complici, nella dimostrazione di chi era il più forte. Lei mosse un passo e a quel tacito consenso riempì la distanza afferrando il suo fianco con foga. Pregai che Nessie mi discostasse, mi rifiutasse. Non c’erano bambini a poterci interrompere, non c’erano urgenze di cui parlare, patti da rispettare o licantropi impazienti. Solo lei poteva allontanarmi e rimettermi al mio posto.

< Jacob, riprenditi non puoi approfittarne così! Anche se è tua moglie non ricorda nulla, comportati da uomo … >altre mille frasi simili, pesavano nella mia testa cercando di convincere un me stesso a fermare le azioni dettate soltanto dall’impulso animale di possederla. Le presi le labbra, divorandole nel vortice di un nuovo amore, più sentito e maturo di quanto non lo fosse mai stato. La stringevo combattendo tra l’istinto e la ragione che sembrava soccombere al mio polo, il centro assoluto del mio universo. La mia colonna portante. Cosa stavo facendo? Mi staccai lentamente imponendomi che sarebbe stato meglio fermarsi.  Tremai con un’espressione sofferente, quello a cui mi stavo obbligando era una vera e propria brutalità. E la tortura fu peggiore di quello che non potessi pensare: la guardavo dall’alto della mia statura mentre con le sue esili e pallide dita iniziava a percorrere il sentiero della perdizione. Iniziò con il pomo d’Adamo scendendo al centro del petto, lentamente fino agl’addominali, sfiorando con una carezza leggera il basso ventre. Ne uscì un lamento gutturale, lacerato da quello che sembravo strapparmi dal petto.

“Jake, non ti fermare … ti prego! Non farlo … ” avrei dovuto farlo molto prima. Ora che le mie preghiere, quelle che io dovevo fare a lei per concedermi un minimo delle sue attenzioni, erano le sue non sarei più riuscito a raggiungere il controllo. Sapevo che voleva dire degustare il suo corpo e godere a pieno della nostra intimità. Ma era come se fosse inesplorato, mai vissuto: mi sentivo impacciato, impaziente, anelante, esattamente come la prima volta. E forse era la nostra seconda prima volta. Io assolutamente vergine per la sensazione di estraneità dal mio essere, lei totalmente svuotata da ogni ricordo ma con la coscienza inconscia di amarmi. Le sue dita risalirono di nuovo fino a giungere ai miei capelli dove con forza prese la mia nuca traendomi a lei, con impeto aumentando la mia eccitazione già ormai arrivata alle stelle. Se mi fossi contenuto ancora sarei esploso. Mi spinse su quel nostro improvvisato talamo d’amore, che aveva già visto i peccati di altri ma non i nostri. Il bacio da passionale divenne di fuoco. Con un braccio le avvolgevo la schiena e con la mano contraria cercavo il nodo dell’asciugamano aspettando il suo consenso. Con gesti rapidi mi aiutò a sfilarlo e lo lanciai andando ad accasciarsi in un angolo non identificato, rivelando il perlaceo colore della sua carnagione. Le afferrai i fianchi e la gettai sul materasso di schiena. Tracciai il suo candido collo con le labbra, il sapore della sua pelle agro dolce, il suo tiepido fresco, mi facevano letteralmente impazzire. Seguivo con baci tormentanti il lato ubriacandomi con il suo profumo delizioso, reso ancora più acuto. Di tanto in tanto ero costretto a fermarmi e respirare, placando l’affanno che avevo nel petto per poi riprendere il mio dissetante pasto, continuando il sentiero pericoloso che avevo  iniziato: sfiorai la clavicola sporgente, i seni morbidi e sodi che si modellavano perfettamente alle mie mani, giungendo fino al ventre liscio, baciandola ovunque degustando quel sapore d’ambrosia della sua pelle di velluto. Rimasi un interminabile minuto ad osservarla, finalmente il suo corpo acclamava il mio, mi voleva, mi desiderava. Come non avrei potuto risponderle. Era bellissima. Cristo, se era bella! Ed era troppo tardi. Vederla supplichevole, sussultante, sensuale guardarmi ardente di quel desiderio che sentivo prepotente crescere ogni istante, non permetteva al sangue di affluire al cervello dove era giusto che si trovasse. La sentii armeggiare con la patta dei jeans appena risalii verso la sua bocca, non potevo negarle il mio aiuto, quasi me li strappai di dosso. Distendendomi su di lei fui trascinato dai piaceri della carne, resa ancor più debole dalla situazione. Era mia, lo era sempre stata. Finalmente mi sentivo completamente libero, abbastanza lontano da orecchie innocenti e menti esaminatrici. Potevo amarla e potevamo godere insieme la nostra intimità. Il suo piccolo piede nudo, carezzava dolcemente la mia gamba risalendo lungo il polpaccio più e più volte in un tacito invito, finché ogni esitazione divenne vana. Un mugugno profondo accompagnò il suo sospiro di piacere quando, ormai giunto al limite dell’eccitazione, affondai in quel calore superiore persino alla mia temperatura. Mi sentii avvolgere dalla più sublime delle sensazioni, ed in quel momento abbandonai ogni incertezza, ogni timore perché in lei mi sentivo completo. Era giusto fonderci, unirci, essere una cosa sola anche fisicamente. Il semplice sesso, tornò ad essere amore. Non che fosse cambiato ma ad un tratto della nostra vita tutto era diventato un bisogno, un accontentarsi del tempo a disposizione, senza ritagliarlo appositamente per noi. Le braccia si contrapponeva al materasso, attento a non sopprimerla con il mio peso, ma non c’era una parte di me che non oscillava in quel pazzesco ed intenso momento, intensificato dai suoi gemiti estasiati. Sfogai la mia forza sotto i miei palmi contro il cuscino. Sapevo che quando il limite stava per giungere, potevo rischiare di farle male. La gola cominciò a seccarsi, il respiro affannato non permetteva di far riprendere una salivazione normale. Il ritmo aumentava e con esso ogni sensazione si mescolava alle altre confondendosi: udito, olfatto, gusto, tatto. I suoi sospiri con i miei gemiti, il suo profumo con il mio odore, i nostri sapori, le nostre epidermidi a contatto. Se avessi urlato quanto avrei voluto probabilmente tutto il branco sarebbe accorso spaventato, cercai di trattenermi ma dovevo chiamarla dovevo farle sapere che era solo lei a farmi uscire di testa. Il mio grido rimase sullo sterno, uscendo in un’invocazione roca del suo nome. Le sue gambe si contorsero  stringendo il mio bacino, e i suoi polpastrelli intenti in un solletico stimolante della mia schiena si piegarono facendomi percepire le unghie. Non avrei mai voluto che finisse ma ero giunto ormai al punto di non ritorno. Quell’ istante di nero assoluto, in cui smetti di esistere, dove la tua coscienza si perde nell’amplesso che stai vivendo,  in cui tutto di te muore per tornare a nuova vita in quello che era stato il più forte piacere mai provato. Insieme.

Note dell'autrice: Se siete andate a fare una bella doccia fredda mettere una firma! Allora allora ai nostri due piccioncini capita una scena simile a quella di Grey Day, ma stavolta mangiano la mela del peccato e chi ce lo racconta è il nostro Jake che non ce la fa proprio più! Ma neanche Nessie! SE RITENETE CHE IL RATING DEBBA CAMBIARE DA ARANCIONE A ROSSO DITELO.

La frase Quileute che dice Jake a Nessie è quella che nel film di New Moon Jake/Tay (che Dio l'abbia in gloria) dice a Bella prima del suo quasi bacio. L'ha usata anche la mia cara collega FraZanna nella sua di FF sperando che non si offenda, ma se fosse così basta che lo dici ed io la tolgo subito(ho provato a contattarti per mail ma non hai fatto in tempo a rispondermi scusa).

noe_princi89: sono proprio contenta che ti appassioni la mia storia, temevo di annoiarvi ed invece vedervi pronte a leggere e recensire mi fa tanto tanto piasere. Quindi regalino e doccia fredda!

never leave me: AMORA! Allora com'è? T'è piaciuto ha stuzzicato il tuo palato e la tua fantasia? questo è tutto per te tesora che so che apprezzi le scene d'amour!!!Spero di essere stata tenera e provocante come la nostra Nessie! Oddio aspetto il tuo giudizio con ansia perchè non lo so è stato difficilissimo mettermi nei panni di un uomo quindi aspetto di sapere se dalla mia critica di queste scene sono riuscita a rendere giustizia alle sue emozioni. Me paura. (Mi sono dimenticata nel cap precedente di dirti che io sono molto appassionata di Dante soprattutto della Divina Commedia; pensa che ho visto anche l'opera a teatro superlativa!!!) 

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Capitolo 18
*** CAPITOLO XVII: Rivoglio la nostra vita. ***


CAPITOLO XVII: Rivoglio la nostra vita.

 POV Jacob

L’osservavo distesa lungo il mio fianco. Dormiva, come ultimamente faceva spesso, ma questa volta era tranquilla. Respirava placidamente, senza fatica, senza dolore sul viso, stringendosi forte sul mio petto. Con il braccio le cingevo le spalle passando sotto il capo, protettivo. Ma da cosa l’avrei dovuta proteggere? Da me. Non riuscivo a capacitarmi di quello che avevo fatto. Non sono un’ipocrita, era stato una delle volte più belle, libera, senza preoccuparci di nulla nemmeno delle conseguenze. Appunto conseguenze che io non avevo calcolato. Piccola, indifesa, fragile, ingenua, dolce, confusa ed io meschino, sciocco, stupido, insensato, approfittatore. Era l’unico modo in cui potevo riferirmi a me stesso. Non avrei dovuto. E come avrei affrontato la sua famiglia, quel padre che ora come non mai la vedeva una bambina? Mi divincolai dall’intreccio di braccia. Mi sarebbe piaciuto continuare a rimirare quel suo volto beato, felicemente perso, rilassato e disteso come ogni volta che facevamo l’amore. Ero mortificato, ma anche stranamente felice. Ed appagato. Forse perché mi stavo convincendo che era legittimo, che non mi ero approfittato come credevo, che era quello che desideravamo entrambi. Era così sbagliato essere talmente coinvolto dalla propria moglie da non riuscire a resisterle in un momento di debolezza? Appena uscii dal lenzuolo che ci avvolgeva, la mia mostriciattola si lamentò stringendo il cuscino su cui ero precedentemente adagiato ed ancora intriso del mio tepore. Le baciai la fronte prima di vestirmi ed andare verso la cucina; dopo la caccia e quello che era successo avevo decisamente bisogno di calorie. Mi ritrovai a fischiettare ‘You are my sunshine’ aprì lo sportello del frigo sperando che ci fosse un qualche rimasuglio della cena dell’italiano. Viste le quantità che Esme produceva sapevo che l’uccellino non riusciva mai a finire le sue porzioni. D’altronde a Volterra lui non era mai stato costretto a mangiare se non per attirare le comitive di turisti a far da portata principale per il loro banchetto. Ed il dottor Canino e signora, come con Renesmee, cercavano di abituarlo al cibo normale in modo da gestire la sua sete nel migliore dei modi. Ma si sa che l’abitudine è dura a morire. Rovistai qualche secondo e trovai un contenitore gigantesco d’insalata di patate ed una bella ciotola di salsa che aveva un aspetto invitante. Se ci fosse stata Barbie sicuramente mi avrebbe deriso, dicendomi che ero utile almeno a spazzare via gli avanzi da bravo cagnolino. Sorrisi. In fin dei conti eravamo un bel duo comico. I Cullen sarebbero stati troppo perfetti senza la mia compagna di giochi.

“Prego fai come se fossi a casa tua!” convivevo con loro ormai da una vita, ma non mi sarei mai abituato a quel silenzio che aleggiava in una stanza quando vi entravano. Mi prese alla sprovvista e sbattei la nuca sul ripiano del frigo trattenendo a stento un’imprecazione. Ancora con la testa dolorante mi voltai e proprio l’ultimo vampiro che avrei voluto incontrare stava con la spalla poggiata al muro con la condanna pronta stampata sulla faccia di pietra.   

“Ehy amico non eravate a caccia?” il suo petto gorgogliava come un bollitore,  non potevo dargli torto mi ero comportato come un poppante in piena tempesta ormonale. Aveva l’affanno nonostante non avesse bisogno di respirare. Mi detestava ed aveva ragione: le immagini del mio misfatto non cessavano di scorrere nella mia testa da quando tutto era finito. La sua rabbia fece bussare nuovamente i miei dubbi: avevo sbagliato o quella era semplicemente la gelosia di un padre?  

“Jacob, posso parlarti?” non risposi sistemai solo una porzione d’insalata di patate con la salsa e mi posai con la schiena contro il lavabo, ma non riuscivo nemmeno a guardarlo in viso. Una parte di me diceva che era in torto marcio, che quello che avevo fatto era giusto, che il nostro amore andava al di là della memoria. Ma dall’altra, quella che aveva cominciato a prevaricare, mi reputava un ragazzino che non era capace di tenere a bada gli ormoni. Odiavo perdere con lui, di nuovo. “Vorrei sapere cosa ti è saltato in testa, sciocco di un cane!”

“Non lo so!” o meglio lo sapevo. Ma quello che avevo davanti era suo padre cosa potevo dirgli? Che non toccavo mia moglie da praticamente un mese e quando l’ho vista mezza nuda gli sono saltato addosso? La cosa più demoralizzante era che più cercavo di distrarmi, più tornava in mente la mia Nessie, nella versione in cui un padre non la dovrebbe vedere. 

“Che vuoi dire con non lo so?” nei suoi occhi si rispecchiava la notte buia, il veleno provocato dalla collera che provava nei miei confronti aveva inondato il suo sguardo. Si avvicinò minacciosamente fermato solo dall’isola della cucina, puntando il dito inquisitorio verso di me “Cosa diavolo avevi in mente di fare? Sai che il suo equilibrio è precario, non ricorda nulla e la costringi a … Oddio non riesco nemmeno a dirlo!” con il pollice e l’indice iniziò a premersi la base del naso come per riacquistare la calma che tardava ad arrivare. Ma quell’accusa, non la potevo accettare. Io non avrei mai costretto Renesmee a fare nulla contro la sua volontà, nulla. Avevo sicuramente delle colpe, che si limitavano a non essere rimasto al mio posto ma non l’avevo di certo sedotta. Era successo per caso.

“Un momento sanguisuga! Stiamo comunque parlando di una persona consenziente, abbiamo fatto tutto in due!”  < Al diavolo, lui e le sue credenze da vecchia ciabatta! > l’avevo pensato ma equivaleva ad averglielo detto in faccia. Che potere seccante che aveva! Alzò i suoi occhi neri come la pece verso di me ma io non mi scomposi. Mi sentivo di non essere l’unico ad essere in errore: mi stava praticamente giudicando senza neanche cercare provare a capirmi. E poi avrei tanto voluto vedere  ‘mister perfezione Cullen’, se ci si fosse trovato lui nella mia situazione, con una moglie che non ricorda nulla, nemmeno i suoi figli, che ti implora di fare l’amore con lei come ultimamente non accadeva quasi mai, come avrebbe reagito. Non credo che sarebbe rimasto fermo, immobile a guardare, soprattutto se l’avesse casualmente vista con addosso solo l’asciugamano.

 “Dovevi controllarti lurida bestiaccia!  E smetti di pensare a quello che è successo, altrimenti smetto io di controllarmi e faccio diventare mia figlia vedova!” soffiò tra i denti, inspirando inviperito. Il colloquio stava prendendo una piega sbagliata. Il fremito giunse ai miei nervi non appena il ghiacciolo aveva iniziato a sbraitare. Sentivo i miei muscoli scuotersi e le mie ossa gracchiare impazienti di sfogare la forte irritazione accumulata nell’ultimo periodo. C’era un’ultima cosa che potevo fare per evitare uno scontro fisico ed era quello di rispondere alle sue accuse tramite le parole. Lanciai il piatto nel lavello con una tale energia che si spaccò in due, distesi le mie mani sul pianale a cui era appoggiato anche il vampiro, guardando dritto in quegl’occhi scuri. Ero stanco del suo atteggiamento da padre iperprotettivo, stanco del suo modo di pensare all’antica che valeva solo per Nessie, stanco del suo impicciarsi di faccende che non lo riguardavano più perché sua figlia era cresciuta ed era padrona delle sue azioni.

“P***a  P*****a  Edward, sono un uomo non un santo! Possibile che tu non riesca a capire quanto tutta questa situazione mi stia distruggendo? Non posso fare un c***o,  non posso dirle che è mia moglie! Non posso dirle che ha dei figli a casa che l’aspettano! Le devo tenere nascosta la fede, le devo tenere nascosto il passato per non sovraccaricarla come dite voi! Ma maledizione, lei lo sente dentro che siamo legati, ha continuato ad amarmi, ha continuato a volermi ed adesso non puoi venirmi a fare la morale quando io non ho fatto altro che assecondare un stramaledetto nostro desiderio, se tu sei un completo pezzo di ghiaccio non significa che io lo sia!”

“E ti sembra normale comportarvi come due animali che non sanno gestire gl’istinti! Jacob dici di essere un uomo comportati da tale!” non stavamo urlando ma la tensione era resa evidente dall’ elettricità che aleggiava nella distanza che intercorreva fra i nostri due corpi. Il gelido e freddo vampiro contro il caldo e passionale mutaforma. Completamente diversi ma completamente uguali. Una cosa avevo imparato nella convivenza forzata a cui fummo costretti:  io ed Edward avevamo più punti in comune di quello che si potesse pensare. C’era solo un modo per far diventare il distaccato vampiro una vera furia, ovvero toccare la moglie o la figlia. Era quello che succedeva a me se o Nessie o i bambini venivano anche solo largamente sfiorati. Per un attimo il mio pensiero volò a Sarah: come mi sarei sentito io nella situazione di Edward? Cominciai a tremare pensando qualche viscido e lurido verme con le  mani addosso alla mia bambina. Ma io ero suo marito, non un bastardo qualsiasi, quanto poteva esserci di sbagliato nel volerla amare a pieno? Dio che confusione!

“Potevi evitare di guardare, Cristo è mia moglie avremo il diritto di avere nostri momenti d’intimità senza che tu ci spii …” ero esasperato, ne avevo piene le tasche di venir rimproverato per un mio diritto.

“Nel mio letto Jacob?  Vuoi dei momenti d’intimità nel mio letto? Almeno questo potevi risparmiartelo!” colpito ed affondato. Questa era la cosa a cui non sapevo proprio ribattere. Non solo avevo fatto l’amore con la sua adorata figlia, avevo utilizzato il suo letto quello che lui non usava di certo per dormire. Come avrei potuto dargli torto ma non riuscivo a scusarmi. Insomma in quel momento poteva anche esserci una folla a guardarci ed io non me ne sarei accorto. Figuriamoci andare a cercare il posto più opportuno. Non era mio volere mancargli di rispetto. Stavo per ribattere ma venni interrotto da qualcuno d’inaspettato.

 “Edward basta!” la voce della Bionda arrivò velocemente al nostro udito, ci ascoltava non si sa da quanto tempo. Mi aspettavo che cominciasse ad inveire contro di me, che mi dicesse che ero un maiale e che avevo in mente solo una cosa. Insomma mi preparai alla mia mezz’ora peggiore. “Non possiamo litigare e dividerci Renesmee ed i bambini hanno bisogno di ognuno di noi, e nostro malgrado anche del cane!” cos’era comprensione quella che vedevo in lei? Dopo quello che avevo commesso? Un attimo, aveva detto i bambini?

“Sarah ed EJ? Stanno bene? È successo qualcosa?” scorrevo velocemente lo sguardo dall’uno all’altra, alla ricerca delle risposte che cercavo. Il mio cuore aveva cominciato a scalpitare dentro il mio torace battendo ripetutamente contro le costole. Ero convinto che fossero al sicuro tranquilli tra le mura di casa.

“Stanno bene, ma sentono la vostra mancanza. Rivogliono il loro papà e la loro mamma!” s’avvicinò a me, il buio che imperversava nella stanza non avrebbe mai fermato nessuno di noi come se fossimo illuminati da un lampione. “Chiedono di continuo di voi, vai da loro. Non sanno cosa pensare e si sentono abbandonati, devi spiegargli cosa sta accadendo!” si sentivano abbandonati. I miei bambini, i miei figli, li stavo praticamente trascurando. Non avrei mai dovuto sparire da loro, non avrei mai dovuto lasciarli soli senza un perché. Più cercavo di sistemare le cose, più sembravano andare a rotoli. La mia vita era in balia di un naufragio, l’amavo e la stavo perdendo assieme a Nessie. Sfregai le mie dita contro le palpebre cercando di levarmi quella sensazione di pesantezza che padroneggiava nella mia testa.

“Nessie, dorme di sopra resterete voi con lei?”

“Certo!” ad Edward non era ancora passata. Mi aveva risposto ringhiando. Io avevo decisamente cose più importanti a cui pensare. I miei figli. Era nel mio dovere di padre parlare con loro. Prima che potessi uscire fui bloccato nuovamente da Barbie.

“Jacob!” cosa? Il mio nome? Mi voltai lentamente temendo che tenesse tra le mani un fucile a pompa e sperando che non avesse la voglia di uccidermi  “Per la prossima volta cerca di tenere la patta dei pantaloni chiusa e soprattutto fai affluire il sangue alla testa non in mezzo alle gambe, altrimenti provvederò io stessa a renderti innocuo in tal senso!” non mi sbagliai di molto, ma non mi preoccupavo della minaccia di Yogurt al limone, volevo solo andare dalle mie due pesti.

 

Percorsi lentamente la breve strada che intercorreva tra la villa e il cottage. Speravo che la notte riuscisse a portarmi consiglio. Non sapevo da dove cominciare, cosa dire loro, il perché della nostra assenza. Avrei dovuto dirgli una bugia? No. Loro come Nessie non sopportavano le menzogne, almeno fra le mura di casa. Avrei dovuto indorargli la pillola? No. Se c’era una cosa che detestavo io erano le verità dette a mezza bocca. Rimaneva solo una soluzione. L’assoluta verità. Non avevo il tempo di pensare al modo più indolore di dirgli che la madre, non si ricordava di noi. Sentivo già dall’esterno le loro risa. Che schifo di padre: non  sapevo chi avrei trovato in casa, ogni cognizione di chi viveva dove, era stata persa da parecchio ormai. Rovistai  nella tasca. Dopo qualche secondo presi la vera incastrata nel piccolo moschettone che avevo ancorato al mio jeans da caccia, per essere sicuro che non si perdesse mai. Mi serviva la sicurezza di quel simbolo, anche se lei non indossava la sua. Non aveva voluto inciderci i nomi né la data, che per noi in realtà non aveva importanza: ‘L’amore è eterno ’  la frase che aveva il presidente Lincoln nella sua fede. Mi sovvenne ancora quel giorno in cui Alice e Nessie mi avevano trascinato  a Seattle per sceglierle. Solo in una occasione, la mia mostriciattola si lasciava coinvolgere dalla folletta di buon grado: quando c’era la tappa gioielleria. Incredibile a dirsi, visto che non indossava nessun monile a parte il ciondolo dono dei suoi genitori e l’anello nuziale, ma la mia dolce e piccola vampirastra aveva sempre avuto un debole per le cose luccicanti. Due battiti di ciglia, un labbro un po’ sporgente e dispiaciuto e a breve mi ritrovai seduto tra le due più testarde vampire esistenti a cercare di sedare gli animi. Passarono centinaia ‘no questo è troppo pacchiano’, ‘questo è troppo semplice’, ‘questo così’, ‘questo si ’, ‘questo te lo scordi’ per poi scegliere una normale fede piatta in platino con un filo d’oro rosso su di un lato e nella sua un brillante. Splendida, duale come noi, e con una piccola stella sulla sua mano. Rappresentava esattamente il nostro modo di essere. E quando lessi la frase che vi aveva fatto incidere in gran segreto, me ne convinsi ancora di più.

“Papà!” ero rimasto così tanto a pensare a noi che la mia lupetta aveva percepito la mia presenza. Arrivò praticamente volando tra le mie braccia, un piccolo angelo dalle ali invisibili. Mi erano realmente mancati, lo sentivo dall’emozione che provavo nel sentire il battito del loro cuore. I lunghi capelli solleticavano il mio braccio che la teneva stretta “Come sta la mamma? Perché non torna?” non le risposi, non così, ancora fuori al freddo. Mordicchiava nervosamente la punta del pollice, il suo modo di esternare l’apprensione che provava. Staccai lo sguardo dal suo visino contrito dalla preoccupazione e trovai EJ sulla porta che mi guardava con aria di sfida. Non capivo quell’atteggiamento, sembrava furioso con me. Bella lo raggiunse posando le mani sulle sue spalle, che scrollò prontamente come se non volesse essere calmato. Entrai lasciando scendere Sarah, seguito da Bella che non rispondeva alla mia tacita domanda di cosa avesse mio figlio.  Alice raccoglieva dei fogli sparsi a terra,  Jasper ed Emmett erano impegnati in una partita ai videogame. EJ li raggiunse e prese il posto che evidentemente aveva lasciato da poco.

“Continuiamo!” il suo tono rendeva esplicito ciò che avevo percepito al mio arrivo. Non so cosa avesse, lui era sempre calmo e gentile al contrario della sorella che invece era impulsiva e facilmente irritabile. Quell’atteggiamento mi stava letteralmente lacerando dentro.

“Sarah, EJ vi devo parlare della mamma!”dovevo decidermi, dovevo spiegare cosa stava accadendo. La piccola mano di Sarah afferrò prontamente la mia cercando la sicurezza che negl’ultimi giorni probabilmente era venuta a mancare, EJ invece non si mosse rimaneva fisso al televisore fermo alla schermata che scorreva in pausa. Carezzai delicatamente la testa di mia figlia ed andai da lui accucciandomi per poterlo guardare negl’occhi. Appena incrociammo i nostri sguardi cominciò a mantenerlo fisso sul mio, forte, fiero, furente. Il mio stesso modo di sfidare gli altri attraverso lo sguardo.  Stabile su chi avevo intenzione di uccidere. E ci stava riuscendo. Era proprio da loro che non volevo vedere quella colpa che mi aveva colto, non volevo leggere in loro la delusione di non aver protetto la loro mamma. Emmett affondò la sua mano gelida sulla spalla ma io non mi voltai.

“Noi andiamo a casa, per qualsiasi cosa rimane Bella qui fuori!” annuì senza distogliermi da mio figlio che attuava ancora quella sua protesta silenziosa. Quella barriera la dovevo abbattere io.

“Ometto, come mai quel muso arrabbiato! Ho fatto qualcosa?” Sarah intanto si era avvicinata sedendosi accanto al fratello. Raramente li avevo visti così uniti, si tenevano la mano cercando conforto fra di loro. Nessuno dei due trovava il coraggio di parlare come se temessero una mia reazione.

“Cosa vi abbiamo fatto?” non capivo quella domanda detta in un sussurro da Sarah che aveva abbassato gli occhi un istante prima di rialzarli verso il fratello, che induriva ogni secondo in più la sua espressione del viso.

“Avete smesso di amarci vero?”

“Cosa stai dicendo EJ, come ti vengono in mente queste cose?” stava combattendo contro le sue stesse lacrime. Una ne uscì vittoriosa rigando la pelle pallida del viso regolare. Questo no, non potevo permetterlo. Smettere di amare i figli è una cosa impensabile. Era in virtù di quell’amore che non avevo il coraggio di affrontarli. Volevo il meglio per loro, volevo la felicità assoluta. Li avrei voluti avvolgere in un velo rosa da cui trasparivano soltanto le cose migliori del mondo. “Ci avete spedito a casa con Embry e Seth due giorni prima, non siamo stupidi …”

“ … e tu sei sempre triste papà, da quando siete tornati non siete mai venuti a casa, non siete mai stati con noi, non ci avete nemmeno salutato. Come dovremmo sentirci secondo te?” si alternavano come se se si fossero preparati, come se già sapessero cosa dirmi. Ed io invece ero completamente incapace di dare loro una spiegazione verosimile per quello che stava accadendo a loro insaputa. Annaspavo alla ricerca delle risposte adatte, ma non ne trovavo di abbastanza indolori. L’ultima cosa che volevo è che soffrissero. Invece come al solito mi ero macchiato di un orribile reato: li avevo feriti. Li avevo lasciati praticamente da soli.

“ Non stanno così le cose …” cercai di afferrare le loro mani ancora legate,  le chiusi in un piccolo scrigno create tra le mie. Erano così diverse che le contenevo tranquillamente. Non riuscivo più a sostenere il loro sguardo e fui costretto ad abbassare il mio viso per evitare il confronto. Ma due dita sottili si allungarono sotto il mio mento alzandolo nuovamente.

“Come stanno allora? Perché noi non capiamo papà!” gli occhi verdi di Sarah erano velati di una strana aria dolce. Lei che aveva il vero spirito amazzone, con quella forza d’animo con cui non mostrava mai compassione. Il mio piccolo lupo già dalla nascita, era improvvisamente diventata calma e pacata. Stava crescendo.

“Posso sedermi fra di voi?”

“No!”

“EJ, lascia che ci spieghi!”

“È un po’ tardi per spiegarci, non credi Sarah?”

“EJ, basta è nostro padre, merita una possibilità!” sembrava di essere in presenza dei tormenti di adulti imprigionati nei corpi di bambini di otto anni. Assomigliavano tanto alla mia Nessie, sempre matura. Dopo alcuni momenti di titubanza ed una silente conversazione tra i due Sarah si scansò. Presi posto fra di loro, che continuavano a fissare il pavimento ansiosi e spaventati. E pensare che avevo giurato di proteggere tutti e tre. Ed ora. Ora non potevo evitargli il dispiacere di una madre che non sapeva di loro. “Papà, cosa è successo in Alaska? Sta ancora male?”

“Sta talmente male che noi non la possiamo nemmeno vedere, è costretta in un letto che non ci può salutare!” la voce di EJ era dura, granitica come il corpo dei nonni. Non avevo mai sentito il mio piccolo emotivo così. Non sapevo come spiegarlo, inciampavo nelle mie stesse parole, cercando appigli razionali che non c’erano per noi, figuriamoci per loro. La mancanza di Nessie la sentivo ancora di più in questi momenti. Aveva sempre la parola giusta al momento giusto. Sapeva illustrare delle problematiche complesse con parole semplici e comprensibili, come quando EJ le aveva chiesto se stavamo per divorziare.

“Non sta male con il fisico! Lei non ricorda più nulla …”

“E come sarebbe successo …”

“Non lo sappiamo! Ma stiamo facendo di tutto per farla guarire!” Li guardavo alternando lo sguardo. Sarah si accostò ancora di più, posando il suo viso sul mio petto. Non aveva mai staccato i denti dal pollice, che continuava a mordere nervosamente. Le accarezzai i capelli, baciandole la testa. Dovevo farle sentire che se anche non c’ero fisicamente, ci sarei stato sempre con lo spirito.   

“Perché non può venire da noi?” la domanda di mio figlio, mi spezzò il cuore. Sarah si stinse ancora di più a me, come se lo stare solo a contatto le servisse per sorreggersi.  

 “Presto tornerà a casa ma prima dovrà stare per un po’ con nonno Carlisle, per curarla …”  allargai il braccio in direzione di EJ per invitarlo a stare con noi, ma si alzò di scatto e si portò ad un palmo da me.

“Tu non dovevi permettere che accadesse una cosa del genere!” parlava tra i denti inspirando con forza l’aria. Si tratteneva dall’urlarmi in faccia, ma si vedeva che avrebbe voluto.

“EJ, non è il caso di fare scenate!” Sarah sollevò immediatamente la testa verso il fratello che la guardava sorpreso. Quella era la mia bambina? così matura e capace di discernere i momenti, non trasportata dalle emozioni che stava vivendo?

“Sei d’accordo con lui, allora? Non è riuscito a proteggerla ed aveva giurato di farlo …” rimasi frastornato dalla loro discussione. Se la stava prendendo con me ed ora anche con la sorella. Quanto male gli stavo procurando?

“Non credi che anche papà sta soffrendo? Dovresti essere più comprensivo!”

“Certo tu ti preoccupi solo di papà, non pensi mai alla mamma, non le vuoi veramente bene! Rivoglio mia madre! Vi odio! VI ODIO ENTRAMBI!” quella frase detta in un crescendo di volume, squarciò definitivamente il mio petto. Non riuscì a reagire a quello sfogo esagerato, avrei voluto dirgli che non sarebbe uscito dalla sua camera per sempre, che non doveva permettersi di rivolgersi a me e  alla sorella in quella maniera, che aveva maledettamente ragione. Anch’io mi colpevolizzavo fin dal principio. Ero rimasto così shoccato  che non dissi nulla e da quella mia mancata risposta EJ si sentì ancor più offeso. Corse nella sua stanza sbattendo la porta. Ed io non potevo far altro che prendermi la testa tra le mani e disperarmi, perché mio figlio mi odiava ed aveva ragione nel farlo.

“Scusalo, è solo sconvolto papà! Non le pensa realmente certe cose! Credimi io lo so! Lui è molto attaccato alla mamma e teme soltanto che non si ricordi di noi! Anch’io voglio che torni ma so anche che non serve a nulla prendersela con te! Gli andrò a parlare …”  in EJ si sentiva la rabbia, l’orgoglio, la paura. Sentivo la mia Nessie nei momenti duri. Con Sarah invece vedevo il suo sguardo di un colore diverso ma comprensivo e dolce come quello di mia moglie, le labbra a disegnare un sorriso mesto e la testa leggermente inclinata da un lato cercando di guardarmi meglio. C’era lei in loro. Far soffrire quei due piccoli angeli equivaleva ferire la mia Renesmee. Equivaleva a triplicare la mia colpa e la mia inettitudine. Le accarezzai il viso, non riuscendo ancora a riprendermi. Mi diede un bacio sulla guancia e s’avvicinò al mio orecchio “Ti voglio bene papà, so che la riporterai da noi!” detto questo andò da EJ senza aspettare una risposta che in fondo conosceva.

< Vi voglio bene anch’io Sarah, vi amo più della mia stessa vita, come amo vostra madre e non avrei mai voluto trovarmi di fronte a voi, non avrei mai voluto farvi vivere tutto questo. Non volevo essere l’ambasciatore di un tale supplizio, nessuno di voi lo meritava, nessuno. > mi meritavo tutto questo amore incondizionato, o era meglio che mi odiasse come stava facendo il fratello?  Erano chiusi nella loro stanza, li sentivo al piano di sopra che a stento trattenevano il pianto. EJ cercava di soffocarlo con il cuscino, non voleva essere sentito, non voleva mostrarsi debole. Stavano davvero crescendo.  Rimasi seduto sul divano a fissare il pavimento per un tempo indeterminabile, nemmeno scalfito dall’odore di vampiro che aleggiava accanto a me. Forse in quel momento non serviva l’autocommiserazione, ma l’aiuto di una amica. Mi stava aspettando di fuori sul portico, mentre osservava l’oscurità. Mi affiancai a Bella che subito passò una mano sulla mia schiena. La situazione era improvvisamente capovolta. Lei che consolava me. Il mio cuore sanguinava, mia moglie non ricordava praticamente nulla, mio figlio mi detestava perché non riuscivo a riportarla, mio suocero e sua sorella mi avevano appena promesso l’evirazione. Che situazione da schifo!

“Lo sai che se ci vede mio marito ci stacca la testa?” cercava di farmi ridere.

“Lo sai che prima dovrà prendermi?” la mia maschera da buffone, ma non avrebbe retto a lungo soprattutto con lei.

“Sbruffone!”  quelle carezze si tramutarono in uno buffetto sulla spalla, aveva la stessa delicatezza di Nessie in certi momenti. Ci scambiammo qualche sorriso triste per poi tornare al silenzio “Non lo pensa sul serio …”

“ L’ho deluso ha tutte le ragioni per farlo! Io stesso mi sto odiando per aver mancato l’ennesima volta di proteggerla”

“Ricordi quella sera l’avventura alcolica di tua moglie e la sua crisi mistica sulla sua natura?” eccome se la ricordavo. Stavo a casa nella mia camera al buio dal giorno in cui mi aveva detto di non volermi più vedere. Non volevo crederci, mi sentivo ad un passo ad averla, vedevo nei suoi occhi crescere il suo amore nei miei confronti e quella s*****a  di Leah stava rovinando tutto. Sapevo come si sentiva e sapevo anche quello che stava cercando di fare. Con Emily e Sam non aveva potuto nulla, entrambi erano adulti quando si sono incontrati ed innamorati. Ma con me e con Nessie, tutto era più semplice. Separarmi dal mio imprinting che ancora non sapeva di amarmi. Sarebbe stata una sorta di vendetta nei confronti di quella magia che le aveva strappato la gioia e l’amore. La sera stessa la presi da parte e parlammo per quasi tutta la notte. Dovevo capire perché si comportava in quella maniera perché era sempre così scontrosa, tanto che quasi nessuno voleva stare di ronda con lei. L’invidia, un acido che ti corrode dall’interno portandoti lentamente a raggiungere il fondo. Da quel giorno scomparì per un po’, lasciando un Seth molto triste ed amareggiato. E alla chiamata di Bella l’ho voluto al mio fianco. L’affetto che nutriva per Nessie era forte, era la piccola del branco, spodestandolo finalmente da quel ruolo che gli era sempre appartenuto. Mi aiutò a seguire le tracce, come Leah anche lui era un ottimo segugio, e ci trovammo in quel bar. Quando entrai e la vidi in piedi sul bancone che si muoveva in quella maniera serpentina assecondando le curve di un corpo che guardavo di rado proprio per evitare reazioni avventate, il mio cuore si fermò di colpo. Per un attimo il resto del mondo era scomparso, la vedevo estremamente eccitante, come se stesse ballando solo per me, con quella grazia e leggiadria incredibile, tipiche della sua specie. Solo al commento di Seth ripresi conoscenza ed identificai il suo stato. Era visibilmente ubriaca. Non si era mai comportata in quella maniera, e non riuscivo a capire il perché lo facesse. Dopo la sua reticenza la presi in spalla e la portai a casa dove l’attendevano  sul piede di guerra. Quante parole dure aveva dedicato a tutti, agli zii, alla madre, a me. Ma che io ricordassi con il padre c’erano stati solo sguardi feroci e uno schiaffo. “Quando lei è scappata dentro casa Edward era rimasto impietrito, te ne sei accorto?” io ero fuggito a mia volta, dovevo sbollire la rabbia di non esserci stato, di averle fatto inconsapevolmente del male, di essere stato io la causa scatenante della sua crisi. “Sbraitavo e parlavo con mio marito ma lui non muoveva un muscolo. Ad un tratto lui disse solo ‘Mi odia!’. Cadde sulle ginocchia e chiuse il suo volto fra le mani. Edward, il vampiro razionale che raramente mostra i suoi sentimenti, disperato.  Tu ce lo vedi?”

“Decisamente no, ma sai che Nessie è capace di tirare fuori i sentimenti anche ad un pezzo di marmo! Con il succhiasangue sarà stato un gioco da ragazzi!” cercavo di scherzare ma si sentiva che era tutta una farsa.

“Dopo qualche minuto riuscì ad estrapolare la loro conversazione silenziosa” Bella ha sempre odiato il modo intimo e personale dei due di comunicare lo si sentiva dal tono acido con cui definiva  il loro potere e dalle virgolette immaginarie che disegnava sempre in aria “L’aveva accusato di essere la causa della sua mostruosità! Ad Edward, capisci? Che la cosa che odia di più è essere un vampiro ed aver trascinato sia me che lei nel suo inferno!” in effetti non era stata molto tenera.

“Questo cosa centra con il sottoscritto?”

“I figli sanno come ferire i genitori! Vedrai che gli passerà, probabilmente si è già pentito di averti detto certe cose!”

“Bella, rivoglio la mia Nessie, rivoglio mia moglie. La voglio accanto fiera e combattiva come sempre! Ho fatto tutte quelle storie solo perché avevo paura di perderla ed ora cosa mi rimane?”

“Jake, non sarai mai solo sono qui apposta. Ma mi devi aiutare perché anch’io rivoglio mia figlia e sinceramente non sono pronta ad arrendermi!” osservai attentamente quelle iridi color dell’oro fuso e per un attimo mi sembrò di rivederle del loro colore originale. Quasi automaticamente Le strinsi la mano, dura e fredda come il marmo ma fragile come il cristallo, cercando un conforto che non riuscivo nemmeno ad ottenere da me stesso. Superai ogni barriera che ci stava dividendo: temperatura, odore sgradevole; volevo solo la mia amica quella con cui facevo le torte di fango, con cui passavo pomeriggi interi a chiacchierare eludendo lo studio, lei che mi aveva regalato la mia anima gemella. La mia migliore amica, che per un caso fortuito era anche mia suocera ed era un vampiro. La mia Bella. Rumore di foglie calpestate. Ci voltammo di scatto.

“Jacob. Bella.” Leah. Serata di visite. Non avevo notizie del branco da quando ero partito per l’Alaska.

“Leah.” Disse Bella nascondendo il tono dispregiativo con cui le usciva il nome solitamente. Non aveva mai superato il modo in cui se la prendeva con la figlia solo perché sprezzava lei. “Jake io torno alla villa, se hai bisogno di qualsiasi cosa sai dove trovarmi!” sussurrai un grazie e dopo un sorriso dolce, scese i tre scalini che la portarono ad incrociarsi con Leah. Si lanciarono uno sguardo gelido prima che Bella sparisse tra la vegetazione.

“Problemi con il branco?”

“Sempre la solita lagna, non succede più molto da queste parti!” Leah era veramente una bella ragazza se solo avesse voluto esserlo, invece sembrava che facesse di tutto per assomigliare ad un uomo, indossava camice a quadri informi, jeans logori. Forse in quella maniera si sentiva meno isolata “Non sono venuta qui in veste di tua beta, ma come amica! Seth ed Embry ci hanno detto cosa sta succedendo a Renesmee” ora si stava veramente volgendo ai confini della realtà. Leah aveva accettato Nessie, ma non per questo era sua amica. Si tolleravano a vicenda nulla di più. Ma dal tollerarsi a chiamarla per nome ci passavano fiumi sotto i ponti. Fra di loro c’era un rapporto molto simile a quello fra me e la bionda con la differenza che non sarebbero mai finite imparentate. “Siamo molto preoccupati per te … per voi!” aveva superato gli scalini del portico e mi stava vicina guardando la porta di casa da dove si sentiva il lamento dei miei figli. Una caratteristica che avevano era una grande capacità di confortarsi nei momenti difficili.

“Lo sanno tutti?”

“L’ assenza del capobranco in consiglio deve essere giustificata, non poteva rimanere solo fra noi!” non la stavo accusando ma si sentiva in dovere di discolparsi. “Puah politica! Comunque vorremmo aiutarvi per quanto ci è possibile!”

“State già facendo abbastanza nel non farmi pressioni per tornare!” non avevo più la forza di parlare in quella giornata era successo di tutto se non di più. Ed io mi sentivo stanco, non in grado di affrontare nuovamente i miei figli. Avevo voglia di urlare. 

“Senti Jake, so che i super succhiasangue staranno già sperimentando tutte le maniere possibili per far tornare la baby sanguisuga quella di un tempo, ma credo che ti serva staccare un po’. Cominci a somigliare a loro, puzzi pure come loro!” un sano e genuino sorriso.

“Più del solito?”

“Si, più del solito!” sotto quella scorza da dura in fondo lo aveva anche lei un cuore. Per un attimo mi trovai a ripensare alla Leah di allora, quella che sorrideva alla vita che vedeva il lato positivo, alla donna che era un tempo. Donna che aveva sofferto e patito per colpa delle nostre leggende, che le avevano strappato l’amore, che le avevano strappato la possibilità di dare la vita. Pensare a quanto Nessie avesse patito per il solo sospetto di essere sterile,  mi diede modo di sentirmi più vicino a lei. Mi ritrovai ad abbracciarla stretta. Non disse nulla ma sentivo una goccia calda scivolarmi sulla maglia. Poi un odore familiare, delizioso, due occhi che ci osservavano.

“Cosa? MERDA!”

  

Note dell'autrice: mi scuso in anticipo per il linguaggio colorito del nostro Jake! Ma si sa lui è un po' più terreno, di solito si trattiene con Nessie perchè lei come il padre non gradisce però adesso insomma situazione disagiata e tutto il resto la parolaccina se la fa scappare. E a parte quella finale ho provveduto debitamente a censurare i suoi sfondoni.

Passando al capitolozzolo! Momento dei confronti prima con il padre, poi con i figli e poi con due amiche, ma chi avrà fatto scattare Jake? Immagino che lo sappiate già!

Si accetano scommesse!

Emmett per favore lascia la mia tastiera! Scusate ma i miei personaggi talvolta sono incontenibili! Che succederà?

 

noe_princi89: certo che uno come Jake non passa inosservato, tutte abbiamo gli occhi per guardare immagina Nessie che se lo ritrova sempre mezzo nudo tra i piedi. W Jake!

Fra_Zanna: lo so lo so ma per far tornare la memoria a Ness devono succedere altre cosuccie. Piano piano comincerà a ricordare. Il problema principale è scoprire cosa la blocca. Come farà la nostra piccola brontolona?

never leave me: per quanto riguarda il tuo dubbio sulla frase di Jake, ho fatto a mio tempo alcune ricerchine su internet. Anch'io pensavo che dicesse Kuk Laule, ma poi andando a sbirciare qua e là ho trovato più di un  articolo in cui il regista svela 10 segreti di new moon. ti metto uno dei link.

http://www.vivacinema.it/articolo/new-moon-dieci-cose-che-non-sapete/13803/

Così andando a sbirciare ancora di più ho trovato alcune teorie interessanti sul fatto che Kuk Laule sia la pronuncia della frase Kwop kilawtley (ma non ne sono molto convinta). Per quanto riguarda il significato. Praticamente sembra (metto il sembra perchè il Quileute lo parlano in 5 sulla faccia della terra è una lingua quasi del tutto estinta) che il significato letterale si quello che ho scritto, ovvero resta con me per sempre (e se me lo dice Jake non me lo faccio ripetere!) ma che si usa come un ti amo.

Spiegazione tecnico pratiche a parte: nuuuuuuuuuu! non mi odiare non lo sopporterei! La scelta di essere un po' più esplicita in questa descrizione è nata dal fattpo che è Jake a raccontarla quindi necessitavo di dirle in maniera più sfrontata. Comunque sono contenta che tu l'abbia definita perfetta, la temevo molto questa scena. Il discorso sesso è molto importante in una coppia e può diventare un sintomo di crisi nel momento in cui scarseggia. Magari non è necessario approfittare ogni angolo però insomma ricavare del tempo per coltivare il rapporto fra moglie e marito è quasi fondamentale. E dai non  sei fissata mica! Questa è una storia in cui l'erotico entra solo di striscio e manco tanto eppure ti piace e ne sei appassionata. Quindi se volevi commentare di più non c'era alcun problema!

Ovviamente anche io adoro l'inferno, soprattutto il canto del Conte Ugolino, ma in generale lo trovo tutto fantastico. In effetti il Paradiso è un pochino il più noioso però quando parla della Beatitudine e l'ultimo canto è da far venire i brividi. Come non poter amare il padre della letteratura italiana, del dolce stil novo. Dante my love! Una domandina tu apprezzi le interpretazioni di Benigni! Io sinceramente le amo, le spiega in maniera molto vicina e naturale. Anche se quando ha trattato il Paradiso  l'ho trovato un pochino stucchevole ma sempre bravissimo.

RINGRAZIO SEMPRE TUTTISSIMI! BACIONI LA VOSTRA PSEUDO SCRITTRICE MATTA!

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Capitolo 19
*** CAPITOLO XVIII: Una lunghissima notte. ***


CAPITOLO XVIII: Una lunghissima notte.

Il suo profumo, avvolgente accompagnato dalla percezione di essere distesa su di un letto di sabbia e muschio, ma una strana sensazione di freddo avvolgeva il mio braccio scoperto. Lo allungai andando a cercare il tepore di un lupo, ma il vuoto del letto ancora segnato della sua presenza mi sorprese. Continuai a tastare il materasso sperando che le mie proporzioni intorpidite dal  sonno fossero sbagliate.

“Jacob?” lo chiesi sperando che fosse in bagno o che si fosse solo alzato. Dove era finito? Mi guardai attorno ma non c’era. Non mi preoccupai, magari era al piano di sotto, a mangiare qualcosa. Il mio Jacob. Che meraviglia poterlo dire con cognizione di causa. Eccome era mio! E che amante! Di certo avevo capito di essere fortemente attratta, ma lo sentivo che non poetva fermarsi a quello. Un sogno? Realtà? Ero la sua compagna allora? Perché aveva fatto l’amore con me? Piccole domande che non volevano avere risposte immediate ma che le richiedevano. Io ero perdutamente e follemente innamorata di lui. Se all’inizio era solo un sospetto, ora era una certezza. Mi trovai a guardare il soffitto sorridente: sembrava che nonostante l’incidente della memoria i pezzi si stessero ricomponendo e che stessi trovando la mia strada. Però che strano che era andato via, di solito si staccava raramente da me. Raccattai i vestiti accasciati al suolo e mi vestii il più in fretta possibile. Solo pochi minuti e già mi mancava. Saltai come un grillo, sembravo impazzita. Mi correggo: ero completamente impazzita. Da quando mi ero svegliata avevo avuto la certezza che Jacob fosse più di quello che appariva ed era così. Mi sentivo impaziente di conoscere la nostra storia, di sapere come ci eravamo conosciuti, dove e quando c’era stata la prima carezza, il primo bacio, la prima volta. Dopo quello che avevamo vissuto non poteva più nascondersi ed io ero insaziabile di conoscenza. Un brusio di chiesa però attirò la mia attenzione e mi fermò prima delle scale di accesso al salotto. Riuscivo a sentire le voci ben distinte come se fossi presente eppure al riparo dai loro sguardi.

“Non mi sembra così grave, Edward!”

“Secondo te non è grave che si approfitti di lei, Alice?Jacob l’ha combinata grossa!”approfittarsi? Cosa voleva dire con approfittarsi? Un potente nodo allo stomaco prese posto delle farfalle. Lui non si era approfittato, eravamo entrambi coscienti di quello che stavamo facendo. Non stava abusando della mia buona fede. O si. Magari tutti i voli pindarici che mi ero costruita erano solo deboli castelli di carta. Proprio mentre il tarlo del dubbio si era insinuato in me la porta si aprì ed un profumo dolce, intenso e conosciuto entrò in casa.

“Bella dov’è Jacob? Dovrei dirgli due paroline da vampiro a licantropo!”

“Emmett …”

“Jacob è rimasto con i suoi figli …” non ascoltai oltre. I suoi figli. Suoi figli. Aveva dei figli e non ne aveva parlato. Aveva fatto l’amore con me e non mi aveva parlato dei suoi figli. Per me era stato amore ma se per lui fosse stato solo sesso? Di solito dei figli comportano una madre. Cosa significava tutto questo? Panico fino al midollo. Quello che avevo commesso era un errore di valutazione? Non poteva sparire. Dovevo trovarlo, pretendevo delle spiegazioni. Cominciai ad analizzare il suo odore era forte e persistente. Era così diverso da tutto quello che mi circondava: spiccava in quel mare dolciastro di vaniglia e lavanda prevalente in tutta la casa, assorbito dai mobili. Seguii ogni sua sfumatura che si faceva più intensa verso l’esterno. Non avevo voglia di vedere nessuno se non la persona che mi aveva abbandonata senza nessuna spiegazione. La finestra. Gestivo il mio corpo alla perfezione e il salto fu scandito da un atterraggio perfetto. L’oscurità notturna escludeva l’inutile vista, affinando l’udito e l’olfatto. Non era facile scernere gli odori silvani, dalla scia di Jacob che si mimetizzava perfettamente con l’aria selvatica della foresta. Ma quella nota salmastra non poteva confondersi, era quella su cui mi dovevo focalizzare. Iniziai a percorrere la strada lastricata dall’essenza di mare sperando che tutte le mie supposizioni fossero solo mie fantasie dettate dalla paura di perdere l’unico punto fisso. Un cuore, veloce potente tamburo. Non uno, due. E poi quello che vidi mi fece tremare le gambe tanto da cadere ed arrancare sul terreno umido. Era lì tenendo stretto a sé una donna così simile, così giusta per lui. Non sua nemica. Capelli corti, lineamenti marcati e pelle bronzea. La sua donna, la sua compagna, la probabile madre dei suoi figli, davanti ad una casa che sembrava costruita per loro. Dovevo andare via, fuggire dall’essere una semplice concubina. Un’amante di un uomo che non si era nemmeno degnato di dirmelo approfittando della mia amnesia per fare i suoi porci comodi.  Un’ avventura extraconiugale. Ero stata decisamente una sciocca ad essermi concessa in quella maniera, senza nemmeno conoscere i nostri rapporti. Ma avevo già avvertito quell’impulso in precedenza, prima che me lo trovassi come un cucciolo impressionato davanti alla porta del bagno. Lo desideravo come l’aria per respirare, lo volevo e non potevo trattenermi. E se avessi avuto un qualsiasi dubbio, sicuramente sarebbe scomparso in qualche maniera nel momento in cui i nostri corpi poco vestiti avevano cominciato ad aderire come la riflessione simmetrica delle nostre anime. A quel punto fermarsi non avrebbe più avuto senso. Il tutto avvenne in una maniera così naturale, che sembrava gli appartenessi da sempre. Allora forse era questo che non volevo ricordare, quello che la mia mente rifiutava. Un Jacob di un’altra che non ero io, il suo scomparire per ore.  Maledetto bastardo doppiogiochista. Mi faceva schifo. Mi facevo schifo. 

“Nessie, ti prego …” la sua voce era solo una pugnalata, le mie lacrime di rabbia non potevano essere più amare del fiele. Mi alzai velocemente, volevo solo allontanarmi e prima che si potesse avvicinare m’inoltrai nella foresta sperando che lui tornasse da lei come era giusto che fosse.

< Questo mi stavi dicendo mente? Volevi che io sapessi quando sporca e meschina era la mia vita? Allontanare un padre dai propri figli, allontanarlo dalla sua famiglia! Se questo è il messaggio che volevi darmi, l’ho capito e ti giuro che se mi ridarai la memoria, non sarò più meretrice, non diventerò di nuovo la sua personale cortigiana! Mi allontanerò da lui, non lo desidererò. Taglierò questo filo che mi lega a Jacob per sempre! >

Sentivo che si stava avvicinando. Non sapevo come far perdere le mie tracce, ma in compenso mi trovavo attenta a non toccare gli alberi e le piante, onde evitare di impregnare ulteriormente l’aria con il mio odore. Gli alberi. Vi ero riuscita con una grande facilità nel pomeriggio prima del nostro bacio. Ed ora sarebbero stati il sepolcro del mio cuore. Il nostro amore nato in un tempo che non ricordavo e morto ad un tempo che avevo cominciato a vivere. Mi nascosi fra i rami, il più in cima possibile sperando che non se ne fosse accorto.

< Notte accoglimi nel tuo ventre, consigliagli di andare da lei, consigliagli di lasciarmi sola! > Il cielo iniziò il suo melanconico pianto ad accompagnare il mio lamento, cancellando il mio passaggio. L’acqua lavava il mio odore, lavava me, lavava lui.

“C***O!” lo distinguevo appena al suolo, con la testa fra le mani disperato. Aveva urlato come se non distinguesse più la mia direzione. Finalmente tornò indietro. Rimasi su quel ramo per un po’ fino a che la mia vista mi concesse l’ultimo sguardo alla sua schiena.

< Non essere disperato è giusto per tutti, per noi, per lei, per i tuoi figli! Addio passato, fuggi via da quello che è sbagliato! Ti amo Jacob, ma non potevamo tornare ai nostri errori >

 

Quanto avevo corso? Amore, rabbia, frustrazione di una me sbagliata che stava ferendo gli altri. Era iniziata come una fuga dal passato ma stava diventando una ricerca di me stessa. Era quello che volevo? In fondo la mia mente mi aveva già avvisata rimuovendola e provocandomi un’indicibile dolore ogni qual volta tentassi di riappropriarmene. Basta era ora di finirla di fare e farmi del male. Ero stanca. Stavo torturando il mio spirito e il mio corpo con la smania di cercare e trovare. Non mi ero mai fermata, da quando avevo aperto gli occhi dalla prima volta nella mia nuova vita. Presi a correre più velocemente, non sapevo dove mi trovavo, non interessava volevo solo scappare dal masso che rotolava alle mie spalle. La vista si era appannata, lacrime amare solcavano il mio viso tagliato dal freddo. Mi sentivo sopraffatta dalla responsabilità di riconquistare il trascorso che non volevo. Disperazione. Era arrivata. Sentì la terra sotto i miei piedi sfuggirmi ed improvvisamente mi trovai a terra, con le mani immerse nella melma a chiedermi il perché del mio comportamento, se quello da cui stavo sfuggendo era realmente la voglia di non riavere la mia vita oppure se fosse solo uno scappare vigliaccamente dai problemi. Mi stavo comportando da codarda, mi nascondevo dietro un lacuna mentale per giustificare la mia fottuta paura di affrontare me stessa. Dovevo accettarlo,dovevo accettarmi. Se sarebbe stato necessario sarei andata contro persino al mio corpo avrei combattuto per quello che in realtà c’era di positivo ed avrei limato l’aspetto nero della mia esistenza, avrei eliminato Jacob.  Cercai di rialzarmi, appesantita dal fango e dall’acqua che incessante continuava il suo ormai fragoroso abbattersi. Guardai attorno non riconoscendo il posto dove ero arrivata. Mi ero persa, ora che sarei voluta tornare mi ero persa. Ironia del Destino.  Non potevo nemmeno affidarmi ai miei sensi, l’acqua scorreva incessantemente intorpidendo ogni qualsiasi mia capacità. Se prima ero smarrita mentalmente adesso lo ero anche fisicamente. M’incamminai nella direzione da cui ero venuta ed il risultato ne fu un girare intorno, stessi alberi, stesse rocce, stessi cespugli. A quel punto non restava che fermarmi e chiedermi se la mia scia non fosse stata cancellata del tutto dalla pioggia battente, se il battito del mio cuore sempre più debole non si confondesse con l’ ininterrotto scrosciare. Presa dal panico iniziai a correre, temendo di congelare se mi fossi fermata. La sensazione di girare intorno non cessava, stavo sempre nello stesso punto. Nell’impeto impulsivo di trovare la via di casa incappai in una radice, scivolando a lungo sul terreno fangoso fino  a trovarmi alla fine di un burrone mi aggrappai al ciglio con le gambe che ciondolavano nell’enorme vuoto che avevo sotto di me ma le mie mani non riuscivano ad afferrare nulla che non fosse viscido. Le mie dita ad una ad una, si staccavano in un conto alla rovescia che forse avrebbe significato la mia fine. Ma quando stavo definitivamente abbandonato la presa mi sentì afferrare ai polsi.

“Sarah, ci sei? La tieni?” la voce di un bambino dolce come uno scampanellare allegro. Due ragazzini terribilmente somiglianti fra loro. Perchè se ne stavano al buio, in giro per la foresta sotto la pioggia? Come mi avevano trovata?

“Si, la tengo ma il terreno è scivoloso!” realizzai solo allora che si stavano sforzando di sorreggere il mio peso, con non poche difficoltà dovute alla pioggia e allo scarso attrito. Se avessi continuato a stare a peso morto li avrei trascinati giù e questo non potevo permetterlo. Con le punte dei piedi cercai di arpionarmi ad qualche incavo della parete che avevo di fronte. Era franabile e si sgretolava ad ogni mio tentativo di oppormi alla forza di gravità che mi spingeva a fondo. A quel punto sapevo che per salvare loro avrei dovuto sacrificarmi. Non potevo permettere che quei due angeli perissero per me, fedifraga e sporca mezzo sangue che non sapeva tenere tirati  i suoi freni inibitori.

“Lasciatemi, vi prego!” l’implorai con tutta la voce che mi era rimasta.

“Non dire stronzate, noi non ti lasceremo mai!” cosa stavano dicendo? Perché mi avevano così a cuore da rischiare la loro giovane vita per me? Allora ero morta e tutto quello che stavo vivendo era forse solo un’illusione aleatoria di quello che avrei voluto.

“Papà non vuole che usi certe parole!”

“Adesso non è il momento!” che strano tono aveva assunto, sembrava più profondo, più austero come se le provenisse da dentro i polmoni, da una gola di roccia situata tra le due sacche d’aria della gabbia toracica “Ascoltami, appena noi tiriamo tu cerca di spingerti verso di noi!”

“No,  è pericoloso dovete lasciarmi andare …”

“Al mio tre tu spingi, e non si accettano repliche!” anche volendo non  avrei potuto, poi si rivolse al ragazzino  con quel suo fare autoritario“Al mio tre tira con …”

“Non sono scemo ho capito!”

“Allora al mio tre, pronti?” sistemò meglio la presa sul mio polso “Uno, due e … ” vidi i suoi piedi sistemarsi per far leva e sollevarmi, contemporaneamente anche il ragazzino fece la stessa cosa “TRE!” nonostante la mia tenuta sfuggisse alla parete, sollevai il mio corpo il più possibile, mentre vedevo i loro volti contratti dallo sforzo nel tirarmi su. Ad un tratto il piede della bambina scivolò cadendo con il fondoschiena a terra, mentre le sue mani si strinsero ancora di più.

“Ancora un piccolo sforzo sorellina!” il mio ginocchio finalmente trovo il piano dove sollevarmi definitivamente. Con il fiato ancora corto ci abbracciammo stretti. Non volevamo separarci, niente nemmeno l’acquazzone che battente si riversava su di noi riusciva a scalfire quell’unione di sangue ed acqua. Lo sentivo nello stomaco, nel petto e nelle vene l’amore che provavo. Poi una voce lontana, il mio nome ripetuto nel pianto del cielo e dal muro d’acqua comparve una figura scura, alta. Un ragazzo coperto inutilmente dal cappuccio di una felpa.

“Finalmente vi ho trovati sani e salvi!” mi accolse anche lui in un abbraccio che non potevo rifiutare, sapeva di amicizia anche se non sapevo chi fosse. Chi era quel ragazzo? Un altro retaggio del passato?

“Hai visto zio Gab, l’ abbiamo salvata!Non siamo così piccoli ed ingenui come pensate!” si chinò per arrivare alla loro altezza, io mi sentivo sconnessa, non riuscivo nemmeno a parlare.

“Ma chi salverà voi da una famiglia arrabbiata? Sono tutti molto in pensiero, non dovevate scappare!” scappare? da chi erano scappati?

“E tu pensi che ci avrebbero permesso di venirla a cercare? Loro che sarebbero capaci di rinchiuderci pur di saperci al sicuro? Ti devo ricordare come sono fatti il nonno e papà?” la ragazzina sembrava molto sicura di sè. Mi erano venuti a cercare. Questo significava che mi conoscevano. La confusione aumentava di minuto in minuto. Mi avevano salvata rischiando la loro vita, io ero pronta a sacrificarmi pur di no fargli rischiare la loro. Sentivo di doverli proteggere, sentivo che erano miei proprio come Jacob. Ma Jacob, non era mio. Quello che avevo letto sul mio raccoglitore, era falso. Il mio sesto senso non funzionava affatto, e se si era sbagliato una volta lo stava facendo anche quella occasione.

“Preferiamo affrontare le conseguenze, piuttosto che stare con  le mani in mano!” 

“Bene, allora adesso torniamo a casa e senza fare storie! Prima che vi prendiate un malanno!”

 

Restavo immobile nelle retrovie. Ogni passo mi avvicinava alla gogna di quello che in realtà ero. Ma con chi ero arrabbiata realmente? Con me stessa, o con lui che mi aveva usata? Quella situazione stava diventando sempre più complessa e distruttiva. L’acquazzone aveva lasciato il posto ad una pioggerellina tagliente. I due bambini che mi avevano salvata trotterellavano allegri raccontando al bel ragazzo l’accaduto come se fosse una specie di film visionario.

“Non lo so cosa mi ha condotto in quel punto ma sentivo che si trovava esattamente lì, era come se avvertissi il suo essere speciale!Zio capisci?” era esaltata, quasi oserei dire sorpresa. Non si aspettava di trovarmi con tanta facilità. Ma si vedeva che era speciale. Aveva un viso straordinario con la pelle quasi dorata, occhi verdi e vispi, che esprimevano una grande intelligenza con la loro vitalità. Invece il bambino sembrava studiarmi. Si voltava ogni tanto cercando di capire cosa stessi pensando. Mi faceva male vederlo così affranto, non era giusto che soffrisse qualsiasi fosse la ragione.  Abbassai lo sguardo in soggezione nei suoi confronti, cosa che non tardò a fare anche lui riprendendo a seguire la conversazione tra il ragazzo e l'altra bambina.

“Sarah, non camminare all’indietro!” Sarah. Quel nome non mi era nuovo. Ma dove l’avevo sentito?

“È  più brava di zia Leah a seguire le tracce, è davvero un mito! Adesso anche lei ha una specie di potere!” un potere? Cosa voleva dire con un potere?  Tornai a guardarli incuriosita ma attimo i due bambini incrociarono fra di loro lo sguardo ,come se si stessero leggendo dentro ed insieme esclamarono “Ficooo!”

“No ragazzini non c’è niente di fico! Siete scappati e questo non vi lascerà nessuno scampo da una bella punizione con i fiocchi, conoscendo vostro padre!” proprio in quel momento, un forte ululato squarciò il cielo. Il ragazzo mi guardò sorridendo come se, se l’aspettasse da un momento all’altro. Io sapevo cosa volesse dire. Tramutai il suo sorriso in una distensione delle labbra, lo feci diventare serio.

“Eccolo!” mi voltai in direzione del suo sguardo e quello che vidi fu spaventoso. Quattro lupi giganteschi, grandi come cavalli si muovevano veloci verso di noi. Venimmo accerchiati in un lampo tanto che io non seppi distinguere quegl’occhi scuri di mia conoscenza, che ora mi scrutavano intimoriti.

< Jacob! > rimasi a fissarlo, non sapevo dove andare ma di una cosa ero certa non lo volevo tra i piedi. Allungai il passo e lo superai, ma lo sentivo che mi stava seguendo con lo sguardo. Guaiva. < Ho capito, non fare finta di nulla Jacob non ho nessuna intenzione. Quella è stata l’ultima volta che mi sono concessa a te! > Camminai senza curarmi di chi mi lasciavo alle spalle, ero solo dispiaciuta di non aver ringraziato a dovere quei due angeli che mi avevano salvata. La terra tremò sotto il peso delle loro zampe ed io ebbi la conferma di non aver più il suo fiato sul collo. Che si stesse arrendendo. Il ragazzo che ci era venuto a cercare si avvicinò a me. Era strano ma mi faceva sentire stranamente a casa. Non disse nulla mi accompagnò solamente senza proferire parola. Si era reso conto che non volevo parlare. Mi condusse a casa mentre io continuavo nel mio perpetuo mutismo.

 

“Piccola, o mio Dio sei gelata! Vieni ti ho preparato un bagno caldo …” la bella Rosalie mi accolse appena arrivata mi prese per le spalle e mi portò nella camera in cui ormai risiedevo stabilmente. Non notai gli sguardi preoccupati, l’assordante voglia di chiedermi cosa m’avesse spinta a scappare. Mi sentivo una stupida ingenua e cominciavo a dubitare di chi mi stava intorno. Persino della mia famiglia. Quante menzogne roteavano attorno a me? La vasca era stata riempita con spumosa schiuma bianca profumata. Rosa mi aiutò a spogliarmi e ad immergermi. Io rimasi immobile cingendo le mie gambe con le braccia e lo sguardo fissa nel vuoto, con l’immagine di Jacob che teneva stretta a sé un’altra. Ero ferita arrabbiata, volevo rinunciare a tutto. Rinunciare a quella vita che immaginavo accanto a lui, rinunciare alla famiglia che cercava di farsi ricordare, rinunciare. Sentivo la spugna passare sulla mia schiena nell’intento di lavarmi, ma come poteva levare il senso di svendita che sentivo sulla pelle. Ma c’era qualcosa che non andava. Perché se io ero una semplice avventura Jacob era così attaccato a me? Ero la tradita o la traditrice?

“Rosalie, qualcuno è entrato in camera!” avevo sentito la porta aprirsi e dei passi pesanti superarne l’uscio. Sapevo chi era. “Ti prego non voglio vederlo mandalo via!” posai la fronte sulle ginocchia. Lei non rispose posò solo la spugna sul bordo della vasca ed uscì.

“Dov’è Nessie? Devo parlarle!” la sua voce tremava al pari delle mie mani. Non avrei voluto sentirla e se fossi stata una persona normale di certo le pareti spesse avrebbero attutito quella lama fendente. Invece la mia corazza era frantumata a terra, era crollata. Guardavo i suoi pezzi sparpagliati senza più speranza che si ricongiungessero. La mia vita non era fatta solo d’amore e d’affetto. Stavo di fronte ad una bugia e ne ero la vera responsabile.

“Non so cosa sia successo ma ora è meglio che tu vada, è molto sconvolta!” Rosalie mi stava proteggendo e non l’avrei mai ringraziata abbastanza. Se avessi visto anche solo una volta i suoi occhi sarei ricaduta fra le sue braccia. E non potevo strappare quel padre, quel marito alla sua vita solo per un capriccio d’amore. Mi sembrava così assurdo che fossi caduta in quest’errore. Non poteva essere stato solo il frutto della mia immaginazione. Lui era lì accanto a me tutti i minuti, come si sarebbe giustificato con sua moglie. Un momento. La sera precedente mi aveva detto che aveva delle cose da sistemare. Magari dirle che era impegnato che so con il lavoro, o con qualsiasi altra scusa che tira fuori un uomo infedele. Digrignai i denti fino a farmi male. Non volevo essere questo.

“Tu non puoi impedirmi di vederla!”

< Non dovevi tornare amore mio, io non volevo perderti ma non posso essere un sollazzo della domenica. Devo essere tua, tua per sempre. Non riesco a dividerti e tu non puoi dividerti dalla tua famiglia, mi dispiace torna da lei!  >

“Non sono io non volerlo, me lo ha chiesto lei!E non ho nessuna intenzione di lasciar fare qualche altra sciocchezza che la possa turbare quindi a meno che tu non abbia la voglia di batterti con me è meglio che te ne torni a casa tua e pensi ai tuoi figli … ”

< … e a tua moglie! > sentii solo un rumore, un tonfo, un tremore della parete che s’infrange su delle nocche. Poi lo sbattere della porta seguito dal rientro di Rosalie che riprese le mie abluzioni. Rispettò il mio volere senza che glielo chiedessi, rimanendo in silenzio ascoltando solo i miei singhiozzi che non tardarono a venire.

Note dell'autrice: Eh si! Nessie sta dando di matto! Pensa di essere l'amante di Jacob questo perchè: A lo vede con una ragazza più simile a lui B è un po' confusa e arriva alle conclusioni sbagliate C ha sentito solo poche parole e s'è fatta un film. Praticamente si sta incartando da sola, ma non preoccupatevi le cose si sistemeranno al più presto. Ora seguirà il racconto pov Jake per dirvi invece come l'ha vissuta lui questa situazione. E poi riuscirà a chiarirsi Jake con Nessie?

noe_princi89: Si quello era triste ma questi non sono da meno. Quindi prepara i fazzolettini!

never leave me: EJ è molto attacato alla madre, sono simili anche caratterialmente. Se ti ricordi in Grey Day quando Joyce entra in casa di Nessie lei accusa Jake di non averli protetti. Sarah invece compensa, si mantiene più lucida nelle situazioni critiche ora che sta crescendo. Lei è una vera Leader e ci sarà occasione di dimostrarlo. Ovviamente le ffinità con i genitori sono ben marcate ma nella seconda parte di Moonlight stone  sarà ancora più evidente. Edward in realtà è infastidito più dall'immagine della figlia che fa sesso. Un padre vede sempre la propria bambina come un giglio purissimo, ma non  per questo significa che lo sia. Sai come si dice occhio non vede cuore non duole. Un conto è saperlo un conto è vederlo. Poi dove? nel suo letto. Insomma è uscito fuori! Pobero! Si il toto scommesse è stato vinto. Lo so che era scontato che fosse lei però spero che le conclusioni a cui arriva non siano state scontate. Un po' matte si ma scontate no!

Guarda non l'avrei mai detto che ti piacevano i Lussuriosi!^^ Paolo e Francesca sono personaggi così contrastanti con il contesto. Loro si amano a differenza degl'altri che abitano nel girone. Pensa che io mi sono messa con il mio ragazzo in Quarto liceo ed ogni volta che la mia prof di italiano ci incontrava ci chiamava "Quei due che sempre insieme vanno"!!!

kandy_angel: in effetti era proprio lei. Si come al solito ha agito d'impulso ma avranno occasione di chiarirsi non preoccuparti!

giulia_cullen96: EJ è comunque molto attaccato alla mamma, ma anche al padre. Sai com'è le femmine sono sempre un po' più indipendenti e sanno gestire meglio le emozioni. Lo vedo spesso con i miei due nipotini un maschio ed una femmina. Un po'mi sono ispirata a loro, a quelle caratteristiche contrastanti in diverse circostanze. Comunque sono contenta di essere riuscita a rendere anche il Jake padre. Non sono un genitore, ma mettermi nei panni di una mamma mi è naturale. Ma un padre è difficile da interpretare soprattutto con uno come Jake per il quale è importante tutta la famiglia a pari livello.

VI RINGRAZIO TUTTI! LE OLTRE 600 PEOPLE CHE MI HANNO LETTO IN QUESTA NUOVA E PAZZA AVVENTURA! 

I 10 PREFERITI

I 2 RICORDATI

I 18 SEGUITI

VI ADORO UN BACIO E AL PROX POV JAKE! Mally

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Capitolo 20
*** CAPITOLO XVIII: Scappati? ***


 CAPITOLO XVIII: Scappati?

POV Jacob

Sembrava che il destino mi avesse voltato le spalle, oppure che si stesse divertendo con me. Farmi trovare abbracciato con un’altra donna proprio la sera stessa in cui avevamo fatto l’amore. Cristo Santo, si stava proprio accanendo. Non bastava avermi privato della gioia della mia vita, ora me la stava  mettendo contro. La rincorsi ma era dura starle dietro. Avevo il cuore a mille, l’adrenalina scorreva veloce mentre il mio corpo fremeva impaziente per trasformarsi e raggiungerla. Ma non potevo. Lei non leggeva nel pensiero, se avessi ceduto alla forma animale avrei commesso l’ennesimo errore. Dovevo spiegarle che quella era solo una mia amica che non era come pensava. Ma poi che c’era da pensare, la stavo solo abbracciando. Distava di me parecchi metri, ma guadagnavo terreno ogni secondo.

“Nessie, ti prego …” la sua chioma di fuoco scomparve dalla mia vista ma avevo ancora la sua scia dalla mia. La seguii fino al punto in cui era sparita ma poco dopo un lampo ed un tuono irruppero nel cielo buio. Quello che si preannunciava mal tempo divenne un temporale, cancellando ogni possibilità di rintracciarla. Per quanto fosse forte, Nessie rischiava a trovarsi da sola nel bosco, di notte confusa e spaventata. Le poteva succedere di tutto: inciampare, incontrare la scia di qualche umano e non resistergli, incontrare un vampiro malintenzionato. Qualsiasi cosa, e lei era indifesa. L’angoscia iniziò a divorarmi. Iniziai a girare su me stesso cercandola ovunque, provando a percepire un qualsiasi indizio che mi indicasse dove si fosse diretta. Non vedevo nulla, l’acqua offuscava la mia vista, rendeva insensibile il mio olfatto, confondeva il mio udito.  “C***O!” urlai tutta la mia disperazione, non riuscivo più a sostenere quello stava ciondolando sulle nostre teste. Mi serviva aiuto. Leah. L’avevo lasciata a casa mia, sotto il portico senza nessuna spiegazione. Ripresi a correre verso il cottage il più celermente possibile. Fui così rapido che non mi accorsi nemmeno di essere arrivato dopo una manciata di minuti.

“Leah aiutami!” erano anni che non mi sentivo affaticato. Mi mancava l’aria ma non era lo sforzo. La stavo perdendo sul serio. Nessuna paura fittizia, nessun pericolo di vita. Io la stavo perdendo a causa mia. E con lei stavo perdendo i miei figli. A quel pensiero il respiro si mozzò in gola, il cuore stava per scoppiarmi nel petto.

“Jake ma che è successo? Ti ho sentito gridare!” Leah mi raggiunse uscendo da sotto il portico mi piegai sorreggendomi sulle ginocchia. Stavo avendo praticamente un attacco di panico. Mi girava la testa, non riuscivo a parlare. Che tempismo, il mio fisico aveva deciso di arrendersi nel momento meno opportuno. “Sei pallido, cerca di respirare!”il suo aiuto permise al mio respiro di diradarsi con lentezza. Sentii l’ossigeno arrivare al cervello cominciando a riconnettere.

“Nessie, ha visto che ci abbracciavamo!”

“E che c’è di male?” la fulminai con lo sguardo. Leah invece sembrava veramente stupita. Non ci sarebbe stato nulla di male se io non l’avessi baciata e se non avessi fatto l’amore con lei. Nel vedermi con un’altra in atteggiamenti intimi, ero sicuro che avesse pensato la peggior cosa possibile: un tradimento. Non avevo mai pensato ad un’altra donna nell’attesa che lo diventasse lei, ed era impensabile che io le fossi infedele. Ma lei la mia Nessie era così impulsiva, meravigliosamente impulsiva. Ed avventata. A quel punto avevo raggiunto la consapevolezza di doverla trovare al più presto, potevo recuperare ai miei falli e riprendere in mano le nostre vite. Mi destai verso Leah. Avevo bisogno del mio branco se volevo ritrovarla, mi serviva la mia beta.

“Chi c’è di ronda stasera?” tornai ad essere il capobranco, l’alfa, quello in grado di ragionare lucidamente nei momenti di crisi. Stavo trovando la forza per rivoltare il destino e farlo volgere dalla parte giusta. Nessie c’era riuscita più di una volta, aveva sempre piegato il fato al suo volere, ed io non sarei stato da meno.

< Non dovevo combatterti, dovevo imitarti! Nessie, vita mia! Ti troverò ovunque tu sia andata! >

“Paul e Seth, ho capito Jake mi trasformo ed avverto i ragazzi!” la mia beta era molto più leale di quello che si potesse immaginare. Detestava mia moglie, odiava profondamente la sua specie eppure  non mi stava abbandonando quando avrebbe potuto benissimo dirmi ‘sbrigatela da solo’. Leah era migliore di quello che lasciava trasparire. Le volevo bene, quasi come un fratello e desiderai in quel momento, con tutto me stesso che anche lei potesse trovare la pace con qualcuno che l’amasse sul serio che la rendesse felice. La guardai sparire mentre si stava sbottonando la camicia quando udii la voce di Bella, probabilmente allarmata dalle mie urla.

“Jake dimmi che Renesmee è qui!” strinse con forza le mie spalle scuotendomi per invogliarmi celermente a risponderle ma credo che il mio sguardo facesse già abbastanza. Si erano accorti anche loro della sua scomparsa.

“Ness l’ho vista scappare! Ho provato a seguirla ma mi ha seminato nella foresta grazie alla pioggia …” lasciò la presa su di me ed andò ad incastrare le dita fra i capelli appiccicati sulla fronte dall’acqua. Sembrava anche lei avesse un attacco di panico.

“Da quanto è successo Jacob?” c’era anche Edward. Bella mi aveva praticamente travolto non permettendomi di avvertire la presenza di suo marito. Era serio e risoluto pronto all’organizzazione. Questo suo lato freddo e razionale l’avevo sempre apprezzato.

“Praticamente ora, ho già mobilitato i ragazzi di ronda e Leah. Mi serve che voi rimaniate con i bambini, avvertite Alice, Jasper, Emmett e Gabriel! Devono battere le zone ad Est, noi penseremo a tutto il resto. Rosalie deve rimanere a casa se Nessie decidesse di tornare!” Edward dapprima annuì poi mi guardò bieco rivedendo la scena che non smetteva di scorrere nella mia testa.

< Lo so ma non è il momento di salire in cattedra! >

“Voglio venire con te!” Bella stava cedendo alla paura, non poteva crollare proprio ora che io ero riuscito a reagire. La scrollai delicatamente cercando di farle capire quanto mi servisse saperla accanto ai miei figli.

“No Bella, dovete stare con Sarah ed EJ! Loro hanno bisogno di voi!” osservai per un attimo Edward che mi rassicurò con un cenno della testa. Prese la moglie per un fianco indirizzandola verso la porta di casa. Ma Bella continuava a guardarmi sperando che invece la invitassi a seguirmi.

“Trovala Jake, sarà spaventata ed è da sola al buio nel bosco! Lei non sa ancora di cosa è capace, potrebbe fare qualcosa di stupido!” un sorriso aspro, verso la madre del mio amore eterno, che mi chiedeva di salvarla.  Stavolta non avrei fallito

 

 

I ragazzi del branco setacciavano con me ogni angolo della foresta. La pioggia non ci stava aiutando, cancellava ogni traccia, copriva gli odori e così da un po’ la sua scia era diventata ancora più vaga. Ci tenevamo in contatto aspettando una qualsiasi possibilità di ritrovarla.

< Jake smettila di auto commiserarti e vieni qui!Penso che qui ci sia una traccia raggiungimi, ore sette da dove ti trovi! > Leah mi aveva richiamato. La migliore nel seguire le piste. Cominciai a correre in sua direzione, sentivo le zampe affondare il terreno limaccioso afferrandolo con gli artigli, trovando maggior appiglio. Dopo breve affiancai il piccolo lupo grigio che continuava ad annusare alcune felci.

< Hai trovato una traccia di Nessie? >

< La tua vampira sembra molto furba, è stata attenta a non toccare nulla e … > non avevo decisamente la voglia ne tantomeno il tempo di perdere tempo.

< Leah sei sempre la solita rompipalle! Io ho da fare non mi frega niente se hai trovato la scia di qualche succhiasangue! DEVO TROVARE MIA MOGLIE! > ne avevo piene le scatole della sua voglia di prendere a calci ogni cosa, non sopportava i Cullen, non sopportava Nessie, alcune volte mi rimproverava pure su come educavo i miei figli, per lei stavano troppo a contatto con i vampiri e poco con il branco.

< Hai finito? Smettila di fare il bambino e senti qua! > avvicinai il tartufo alla foglia ben nascosta. < Non è casuale! La pioggia in quel punto non può lavare via il suo odore! >

< Merda! Merda! Merda! > iniziammo a correre seguendo le tracce. Sfrecciavamo velocemente tra le fronde. Era tutto ben calcolato: piccoli pezzi di stoffa legati ai rami, gocce di sangue a macchiare le foglie, anche un ciuffo di capelli. Non poteva essere vero.

“Jacob!” Edward da poco lontano ci aveva rintracciato. Il nostro legame, sua figlia, gli permetteva di sondare i miei pensieri quasi come se fosse uno del branco. Sapevo esattamente cosa era venuto a dirmi.

< Sarah ed EJ, sono scappati! >

“Hanno acceso lo stereo nella loro camera dicendo che l’aiutava a rilassarsi, quando ho provato a scrutare nelle loro teste vedevo solo il letto e la musica. Ci hanno mascherato il loro battito in modo che non ci accorgessimo immediatamente della loro fuga!” ci aveva raggiunti e mi guardava sollevando la testa “Ci avranno sicuramente sentiti!”

< Cosa significa secondo te? > io esattamente cosa significava: che appena sarebbero tornati a casa li aspettava una di quelle lavate di capo degne di Edward Cullen. Erano scappati a notte inoltrata nel bosco, sotto la pioggia. Questa volta, per quanto le loro intenzioni fossero nobili non l’avrebbero passata liscia.

< Stanno cercando Nessie! > però quei due bambini erano dei geni. Non è da tutti i giorni, raggirare la sorveglianza di due vampiri e riuscire a seguirne una a metà. < Seguiremo le tracce che ci hanno lasciato, Edward tu torna a casa ed avverti i tuoi fratelli, al branco ci penso io! > il vampiro si mosse velocemente e scomparve in un lampo. Richiamai Paul e Seth con un potente ululato. Presto la terra tremò sotto le zampe di due grandi lupi che ci raggiunsero quasi immediatamente.

< Contrordine dobbiamo seguire le tracce di Sarah, ci ha lasciato una pista! > Ci alternavamo nella testa della battuta di ricerca,  a seconda di chi trovava qualche indizio. L’ululato di Paul e da dietro il muro di pioggia che andava scemando, comparve una figura scura, indistinta, che prendeva forma man mano che s’avvicinava. Gli andammo incontro e li vidi: fradici, sporchi, Sarah aveva la maglietta strappata in più punti, Gabriel con EJ accanto e lei, la mia Renesmee se ne stava poco dietro con le braccia al petto come a proteggersi dall’esterno. Aveva lo stesso sguardo di Edward mentre mi rimproverava per il mio comportamento. Quel barlume dorato che in lei era scuro. S’avvicinò al mio muso ma non allungò una mano in una carezza, nessun gesto d’affetto. Mi superò semplicemente, con indifferenza. Se prima era solo un  sospetto, in quel momento ne ebbi la certezza. Si sentiva tradita.

“Non so cosa hai fatto ma sembra che ce l’abbia con te!” Gabriel aveva appena segnato la sua condanna a morte. Gli mostrai i canini per indicargli gentilmente il posto in cui doveva stare, ovvero dove poteva farsi tranquillamente gli affari propri. “Va bene Jake, no te la prendere meglio che li riporti a casa, io penso a Nessie!” non aveva capito l’antifona. Lui doveva stare al suo posto o meglio lontano dalla mia Nessie. Avanzai con un zampa sovrastandolo in altezza ma in quel momento il viso stanco di EJ e lo sbadiglio di Sarah mi fece tornare alla realtà. Dovevo pensare a loro.

 

 

Arrivammo a casa nostra dove Alice ci accolse immediatamente con una tazza calda di thé e vestiti asciutti. Ci aspettava anche Bella, l’orso, l’emotivo ed Edward. Barbie serial killer invece si trovava alla villa per la mia Nessie. Mai mi ero sentito così unito con dei vampiri, nemmeno quando contro l’esercito di neonati ci trovammo a combattere fianco a fianco.

 “Voi due siete nei guai più neri! Vi aspetta una bella punizione con i fiocchi”

“No papà, in fondo abbiamo ritrovato la mamma! E poi dai cosa vuoi che ci accadesse con il bosco pieni di lupi nostri parenti, bastava fare un piccolo urlo e avremmo avuto tutto il branco pronto a proteggerci!” la capacità di girarsi la frittata era una mia eredità. Se ci aggiungi l’intelligenza sopraffina, la battaglia era persa in partenza soprattutto senza Nessie come mia spalla. Per ora dovevo accontentarmi di quattro succhiasangue.

“Non importa, avete comunque disobbedito” cercavo di tenere la mia testa con una mano sulla fronte, era dura combattere contro quelle due canaglie “EJ niente Play, Sarah niente scorrazzate extra con il nonno! Per due settimane!” EJ nemmeno mi guardava. Era ancora arrabbiato e non aveva nessuna intenzione di sciogliersi.

“Due settimane, sono troppe! Una settimana!” Sarah era la più difficile da convincere in genere. Soprattutto se toccavo Edward. Incredibile come quasi tutte le mie donne, amassero quel vampiro in maniera maniacale.

“Volete farle diventare un mese? Vi accontento!”

“Sarah fa così, perché è solo invidioso! Noi siamo riusciti a trovare la mamma e lui invece girava intorno per tutta la foresta!” lo sguardo strafottente di EJ mi ammutolì, provocando in tutti la stessa mia reazione. Mi guardava con sufficienza, provocandomi, come se cercasse di impartirmi una lezione. E come poco prima non trovavo parole per rispondergli. Fu la nanetta ad interrompere quel pesante silenzio ricaduto nella stanza.

“EJ, ma perché dici queste cose a tuo padre? Non è carino!”

“No Alice lascialo parlare!” era giusto che si sfogasse. Aveva appena visto sua madre ridotta uno straccio, senza ricordi. Sapevo esattamente cosa provava. Io non avevo molti ricordi di mia madre. Ma quello più impresso, era anche il più shockante : sfuggito alla presa di Rebecca, ero riuscito ad intrufolarmi in terapia intensiva, proprio poco prima che la coprissero con il lenzuolo. Ero talmente piccolo che di quel momento tenevo solo le emozioni. Paura, rabbia, odio.

“Vuoi che parli? Ora t’interessa cosa pensiamo? Sai sono io che non ho voglio parlare con te vado a dormire! Buonanotte!” lo disse freddamente. Si stava trattenendo e questo non volevo permetterlo. Ma prima che potessi riprendere la discussione con mio figlio Edward mi prese per un braccio guardandomi negl’occhi. Fece cenno di seguirlo da parte. Con riluttanza nel lasciare in sospeso l’argomento, gli andai dietro raggiungendolo nel living.

“Cosa vuoi, non so se l’hai notato ma mio figlio sta cominciando ad odiarmi ed io non il potere di leggere nella sua mente, quindi …” lo dissi stizzito in modo che capisse quanto fosse stato inopportuno.

“EJ adesso ha bisogno di stare un po’ per conto suo, obbligandolo a parlare peggioreresti solo la situazione!Piuttosto volevo parlarti di Sarah …” la mia lupetta? Non che non mi preoccupassi di lei, però con la lotta fra me ed EJ, e vedendola in grado di gestire le emozioni, non mi ero troppo impensierito. Stavo sbagliando ancora. Non bisognava mai sottovalutare nulla, dovevo farmi sicuramente sentire più presente, non potevo lasciarla in disparte perché più forte. Aveva bisogno di me ed io mi stavo negando. Sicuramente il nonno avvertiva molto potendo leggere nella sua testa, lui era la chiave per poterla aiutare.

“Sarah? Cos’ha? Sta male?”

“No ma, vedi avevo avvertito il pensiero di Eleazar, il giorno che siamo arrivati a Denali” rispose in un sussurro “Aveva visto queste potenzialità in Sarah, ma non era sicuro dato che il suo sangue oltre ad essere composto da una parte umana e da una parte di vampiro, è anche mutaforma!” potenzialità? Che aveva visto la sanguisuga nella mia bambina?

“Di cosa state parlando Edward?” intervenne Jasper che insieme ad Emmett si erano uniti alla nostra conversazione.

“Sembra che Sarah, abbia le caratteristiche di un segugio …” Sarah. La mia piccola e coraggiosa Sarah un segugio. Lei aveva le peculiarità di un vampiro segugio, come la sanguisuga di Volterra.

“Wow, ci mancava alla combriccola, ora ce li abbiamo proprio tutti! Veggente, leggi pensieri, scudo mentale, scudo fisico, trasmetti pensieri, un manipolatore di menti ed un segugio! Peccato che il caro Aro sia morto sai come sarebbe stato invidioso!” sempre il solito Emmett, non riusciva a stare serio in nessuna situazione. Anzi, più era agitato e più tirava fuori frasi cretine sul momento.

“Emmett, per favore non è il momento di scherzare e ricorda che Sarah è ancora una bambina!” all’affermazione di Edward nacque un irreale silenzio e dal sorriso beffardo dell’orso capì che stava pensando qualcosa “Ti giuro Emmett che tu sei l’unico capace di far venire un esaurimento nervoso ad un vampiro!” la cosa mi stava decisamente scocciando.

“Ci rendete partecipi per piacere, visto che stiamo parlando dei miei figli o preferite che mi trasformi qui e distrugga gli amati mobili di Esme!” punto debole di tre vampiri uomini: coinvolgere la madre. Non erano poi così diversi dagl’umani.  

“Ho solo pensato che i bambini ci hanno fregato come adulti, hanno già affrontato la loro prima missione e hanno salvato la madre! Quindi a mio avviso, li potremmo cominciare a coinvolgere un po’ di più” io e mio suocero ci guardammo perplessi condividendo il pensiero che Emmett fosse totalmente pazzo, e quella era una delle più grandi scemenze che avesse detto negl’ultimi anni.

“Magari allenarli come abbiamo fatto a suo tempo con Renesmee, iniziando così presto i risultati sarebbero ottimali!” Jasper sembrava un po’ troppo eccitato, certo si parlava praticamente di potenziare il suo esercito.

“Fermatevi un attimo! Prima di tutto evitate di parlare di Sarah ed EJ come dei personal trainer esaltati OK?” stavo cominciando a spazientirmi “Secondo sono ancora troppo piccoli e solo quando io e Renesmee riterremmo opportuno cominceranno ad allenarsi!” già la mia Nessie non sarebbe mai stata d’accordo su una cosa del genere. Mi serviva il suo appoggio. Ero stanco dei metodi da vampiro. Sotterfugi, omissioni, intrighi di corte. Basta. Era giunto il momento di dirle tutto.

 

Mi fermai un secondo davanti alla porta della villa. Affaticato per la lunghissima notte appena intrapresa, ma libero. Finalmente il prigioniero aveva ricevuto il condono, poteva uscire non solo per l’ora d’aria. Erano finiti i giochi da vampiro. Si cominciava a parlare da umani. Le avrei ridato la sua fede che portavo al collo in attesa di questo momento, le avrei rivelato che io Jacob Black, ero il suo legittimo marito, che le ero devoto ai confini dell’adorazione, che insieme avevamo una famiglia splendida e due figli fantastici. Entrai in casa sapendo esattamente dove dirigermi. La porta di quella che era momentaneamente la sua camera, era socchiusa ma di lei c’era solo il profumo invischiato a quello della Bionda psicopatica che subito comparì dal bagno dove probabilmente la mia Nessie si trovava.

“Dov’è Nessie? Devo parlarle!” pura retorica. Sapevo esattamente dove fosse.

“Non so cosa sia successo ma ora è meglio che tu vada, è molto sconvolta!” come si permetteva di intromettersi. Sapevo che fra noi non c’era mai stato buon sangue, ma da qui a cercare di rovinare il mio matrimonio no. Cercai di mantenermi calmo, ma sentivo già il tremore invadere il mio torace.

“Tu non puoi impedirmi di vederla!” quasi spirai questa frase. Mi stavo trattenendo a stento in una reazione sicuramente esasperata.

 “Non sono io non volerlo, me lo ha chiesto lei!E non ho nessuna intenzione di lasciar fare qualche altra sciocchezza che la possa turbare quindi a meno che tu non abbia la voglia di batterti con me è meglio che te ne torni a casa tua e pensi ai tuoi figli … ” mi ero fermato a me lo ha chiesto lei. Lei non voleva vedermi. No, no. Il mio peggiore incubo si concretizzava di nuovo. Non era giusto che accadesse a noi, non era giusto che accadesse a me. Quante persone che amavo dovevo perdere? Sfogai la mia rabbia sul muro cozzando il mio pugno. Quando staccai la mia mano, portai via piccoli pezzi d’intonaco. Nella conca della parete di mattoni avevo lasciato una piccola macchia di sangue. Non mi voltai a guardare Rosalie che sicuramente stava con una faccia soddisfatta. Adesso più che mai avrei avuto bisogno di lei, dei miei figli. Ero solo. Inesorabilmente solo.

 

Note dell'autrice: Allora questo è il famoso pov Jacob dei momenti in cui Ness scappa e lui si ritrova a doverla cercare. Non immagina cosa sta pensando Nessie perchè lui sa che lei è il suo unico amore. Cioè come si può immaginare la conclusione della zuccona. E poi Sarah ha un potere. In realtà non è un potere. Lei propende verso il gene licantropo ma nelle sue vene c'è anche del vampiro. La sua parte vampirica amplifica quella del licantropo invece di andare in contrastro rendendola più efficiente di un licantropo normale (l'imprinting in teoria punta al proseguimento del gene e a renderlo sempre più forte con Sarah addirittura lo potenzia ficooo!). Quindi praticamente lei diventa una specie di segugio, più brava di Leah addirittura. Sente da lontano se c'è qualcosa che non va. Questo è il mio pensiero che spero lo condividiate!^^ Spero di essere riuscita a ricreare la frenesia che prende quando si sta cercando qualcuno di smarrito nel bosco e la capicità di Jacob di reagire.

never leave me: mi hai scritto la recensione mentre stavo riguardando le ultime righe. Pù subito di così si muore! Sarah ed EJ sono una forza della natura, io me li immagino come un Jake e Nessie all'ennesima potenza sono esplosivi. Comunque prenderanno anche dai nonni e dagli zii che vedremo più in là.

La confusione di Nessie nasce dall' ignoranza sulle sue radici. Una pianta senza radici muore, in questo caso si autodistrugge incappando nelle incomprensione. Ma vedrai cosa le ho combinato Jake avrà occasione di dirle cosa è realmente lei e sarà in un momento difficile.

noe_princi89: immagino che il vedere un Jake sofferente faccia comunque molta tenerezza. quindi i fazzolettini servono eccome!

kandy_angel: ed invece si eccome!!!Grazie per i tuoi complimenti! Segui segui che non durerà ancora a lungo.

 

VI RINGRAZIO SEMPRE CON UN CALOROSO ABBRACCIO A TUTTI I MIEI FANfiction !!!

PS: oggi cercherò di postare 3 capitoli in modo da non lasciarvi senza nei giorni di festa! E poi cioccolata a gogò!

 

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Capitolo 21
*** CAPITOLO XIX: Rimanere svegli! ***


 CAPITOLO XIX: Rimanere svegli!

Due giorni da incubo. Non riuscivo a perdonarlo. Non riuscivo a perdonarmi. Volevo restare in solitudine, sempre in una casa con molti vampiri che s’intrufolano nei momenti di distrazione, possa esistere la solitudine. Mi lasciavano vestiti puliti, vassoi con del cibo che riponevo intatti fuori dalla porta. Quarantotto interminabili ore lontano da lui e mi sentivo divisa come un foglio di carta stampato. Non riuscivo a distendermi. Rimanevo seduta in un angolo su di una poltrona, in modo che la posizione scomoda non permettesse di sopirmi. Ero stanca ma appena chiudevo gli occhi il suo viso tornava a tormentarmi. Ripercorrevo la nostra caccia il modo complice di condividere ogni sciocchezza. Ci appartenevamo, magari ero arrivata tardi nella sua vita, quando già un’altra donna occupava il mio posto. Che ingenua a pensare che lui potesse amarmi incondizionatamente. In fondo cosa eravamo: cane e gatto. Antitesi di un mondo irreale dove realtà e fantasia si uniscono per creare l’assurdità nella sua più pura essenza. Quindi era questo il nostro destino. Stare lontani, sicura che almeno due bambini sarebbero stati felici.

< Come vorrei aiutarti a diradare quella nebbia che ti affligge, piccola mia. Sento i tuoi pensieri lontani affievolirsi giorno per giorno, come se quel filo conduttore stesse svanendo insieme alla speranza di riaverti … > cosa mi stava accadendo? Ero sicura di essere sola,  almeno nella stanza. In casa erano tutti molto silenziosi. Eppure quel ronzio, quel sussurro attutito diretto nella mia testa non filtrato da i miei padiglioni auricolari, continuava incessantemente. Pura poesia composta dalla voce famigliare che risultava lontana. Edward. Finalmente avrei potuto parlare con lui, confrontarmi con un padre della mia stessa età. Come potevo trovarlo? Quella voce non aveva una provenienza, non sembrava identificarsi in una parte precisa della casa.

< … ti osservavo accanto alla porta. Osservavo la piccola Bella che viveva in te. Tornavo a quei giorni quando il respiro di tua madre scandiva l’inesorabile percorrere del tempo, che mai aveva acquistato importanza come allora … > l’udito non mi avrebbe aiutato troppo stordita dal quel continuo e costante rumore di fondo che imperversava nella mia mente. Dovevo affidarmi agl’altri sensi. Annusai l’aria impregnata di quelle fragranze diverse ma simili. Dolci, invitanti. Miele, vaniglia, lavanda. Mescolati insieme. Ma la caccia con Jacob mi aveva insegnato a distinguere le scie, a dividere rumori e odori, associarli. Fruscio di carta che sfoglia. La punta di una penna che scorre disegnando lettere, parole frasi e il bisbiglio che ronzava continuo nella mia testa. Mossi i miei passi ad occhi chiusi, non temevo d’inciampare ogni oggetto aveva una collocazione precisa disegnando una mappa virtuale nel mio cervello. Ero sicura e decisa. La colonnina da evitate. Una fitta. Traballai. Fu così repentina e forte che il mio respiro venne rotto da quel dolore. Dovevo ritrovare la forza affidarmi ai miei sensi ma ero totalmente priva di difese. Appoggiai la schiena al muro affidando ad un ritmo musicale il controllo delle mie funzioni vitali. Un, due, un, due. Rimasi così per qualche secondo. Il metodo che avevo imparato per la sopportazione del dolore e per il ripristino  della padronanza di me stessa, funzionava egregiamente. Ripresi a salire le scale raggiungendo l’ultimo piano. Il profumo era molto più intenso e il rumore quasi invadeva quello delle parole che scorrevano nella mia testa. Allungai il passo arrivando in una piccola biblioteca. Di spalle un Edward assorto nella scrittura, continuava a pronunciare parole che io non riuscivo a distinguere ad orecchio. Sembrava sempre che stesse in un’altra stanza, come se ci separasse una parete di piume.

< … Se ripenso a te, a tutte le volte che ti ho vista su di un letto inerme ed incosciente, l’angoscia mi assale ed  il mio cuore paralizzato  muore di nuovo. La mia dolce principessa, la mia redenzione, la mia bambina dagl’occhi di cerbiatto. Ti spio da lontano ripensando ai giorni in cui io ero il tuo eroe e non me ne accorgevo, quando mi chiedevi attenzione in ogni piccola cosa che facevi. E poi. Sei cresciuta e diventata grande, le mie attenzioni non erano più necessarie ed io non sono riuscito a farmi realmente da parte, perché a quel punto ero io ad aver bisogno di te. Il tuo amore doveva esserci solo per puro egoismo paterno, solo perché la tua vicinanza mi permette di sperare in un qualcosa di migliore. Perché tu, mia dolce figlia, sei la cosa migliore che io abbia mai fatto. Adesso ti vedo stordita e sento il peso dei miei centoventidue anni come una zavorra, ancorata al mio collo. Quanto ancora dovrò vederti soffrire? Quanto dovrai ancora espiare i miei peccati? Se io in quel giorno nefasto non avessi  … > quanto soffriva per me? Edward, mio padre. Non mi potevo lasciar scoraggiare da una paura, dovevo rivolere la mia vita se non per me, non per Jacob, per chi mi amava veramente. La dovevo volere per mio padre Edward, per mia madre Isabella.  

“Quale giorno?” lo avevo colto di sorpresa. Da quando avevo avuto l’incidente del violino non l’avevo più visto. Percepivo la sua presenza nascosta ma era come se non volesse affrontarmi.

“Il giorno del patto a Denali …” sembrava come se si fosse pentito di qualcosa ma non capivo cosa. Mi avvicinai e presi il suo volto fra le mani. Disegnai il profilo del naso e delle labbra. Era ghiacciato, ma il freddo della sua pelle era piacevole. Percorsi con le dita le sopracciglia, la fronte, spettinai i capelli imponendo la mia mano in quel bronzo che mi apparteneva. Uguali, quasi gemelli. Stava avvenendo quello scatto, quello che mi doveva permettere di andare avanti. Presi le sue mani e lo invitai ad uscire con me. Ero guidata non dalla volontà ma dall’istinto. Con un balzo mi inoltrai nella foresta, dopo poco ero sulle sue spalle a sfrecciare tra la vegetazione raggiungendo una radura. Teneri boccioli di campo sbucavano dall’erba verdeggiante e timidi raggi di sole illuminavano quello spiazzo fatato. Scesi dalla sue spalle e naturalmente, quasi non fossi guidata dalla ragione, mi spinsi sotto uno dei tanti fasci luminosi. Allungai la mano ed Edward senza dire nulla si avvicinò avvolgendosi anche lui con quel bagliore. Mille diamanti incastonati nelle sue parti scoperte iniziarono a brillare accecandomi ad un primo impatto inaspettato. Le sue fattezze complici di cotanta bellezza diventavano ancor più sublimi illuminate al sole. Stavo per sfiorargli la guancia quando notai che quel bagliore si rifletteva sulla mia pelle in una maniera più debole. Ero illuminata da lui.

“Papà …” sussurrai come se temessi di dirlo. Non era semplicemente un auto convincimento. Ero sicura di quello che stavo pronunciando. “Mi portavi qui, te lo chiedevo quasi tutti i giorni …”

“Mi supplicavi di portarti a giocare con il sole …” non avevo mai notato quell’angolo della bocca alzato in quel modo particolare, in un sorriso timido che temeva di essere scoperto, ma che non poteva resistere dal trattenersi. “Era una di quelle cose speciali che facevamo insieme, avevi dei piccoli rituali con tutti …”

“Leggere …” la sua espressione cambiò radicalmente come se la sorpresa fosse iniziata con un pizzico di curiosità “ … con la mamma leggevo tutte le sere prima di addormentarmi, creavamo dei finali alternativi …” ed eccolo immancabile il dolore. Quello di quando mi spingevo troppo oltre ma non avevo nessuna intenzione di fermarmi, ora che ricordavo alcuni episodi, non potevo svenire in preda agli spasmi. Dovevo rimanere lucida. “… parlami!”

“Nessie, sarà meglio ritornare a casa!”

“No, aiutami a rimanere sveglia, non devo perdere conoscenza …” ed una fitta più forte colse il mio cervello lasciando che le mie ginocchia cadessero a terra.

“Ti prego Nessie non essere testarda, non è necessario che ti sforzi in questa maniera …”

“Non capisci se non supero questa barriera non recupererò mai tutto il mio passato … AHHHHH!” le mille immagini vorticavano intorno a me. Se superavo quella crisi provocata da un ricordo avrei potuto ricercarne degli altri senza soffrirne. “Papà devo riuscire a non …”  il respiro smorzava le mie parole senza che potessi andare oltre. Il suo tocco gelido sulla fronte che io cercavo di alleggerire sorreggendo il mio cranio dolente, mi diede un lievissimo sollievo, ma che tracollò immediatamente dopo quando altre immagini invasero gli occhi della mia mente. Era impossibile distinguerle come se fossero diapositive passate velocemente più e più volte ripetendosi.

“Ti stai facendo solo del male Renesmee! Mio Dio stai sudando freddo!”

“No, io … devo … ricordare!” l’uragano che invadeva la mia coscienza si bloccò inaspettatamente. Mi trovavo in un posto buio, caldo, accogliente. Mi sentivo come sommersa in un liquido viscido ma non mi sentivo soffocare, non avevo bisogno di riemergere per respirare. Allungai una mano per cercare in cosa ero finita e trovai una  strana membrana, fredda e dura che mi avvolgeva. Fu allora che distinsi il mio arto minuscolo, con dita paffute. Nacque in me una curiosità spontanea ed iniziai ad analizzare tutto intorno a me. Quello che sapevo era diventato nuovo, non conoscevo bene i nomi delle cose ma tentavo di scoprirle. Toccavo, guardavo e pensavo. Si, pensavo. Non potevo parlare perché avrei ingurgitato quel fluido in cui ero immersa. Mi portai in basso e lì proprio nel mezzo della mia pancia notai un lungo tubo che spariva nel buio.  E poi le loro voci che rimbombano nella stanza in cui mi troavo, quelle di Bella ed Edward.

“Cosa … sto … ?”

< Non riesco a crederci … > “ Il nostro primo incontro!”

“Gli piace la mia voce” “Certo che gli piace, hai la voce più bella dell’universo. A chi non piacerebbe?” (cit. Breaking Dawn- Stephanie Meyer)

“Io … potevo sentirti … ero nella pancia della mamma, ma vi sentivo!”

“Ma no, Renesmee è troppo strano?” “No, mi piace. È bellissimo. E unico, quindi perfetto!” (cit. Breaking Dawn- Stephanie Meyer)

“Zia … Rose c’era anche lei?”

“Si tesoro!”

“Io vi amavo tantissimo … già da allora, vi amavo! AHHH!” la scarica più forte, questa volta barcollai cadendo a terra. Senza nemmeno accorgermi ero stata presa in braccio e fluttuavo attraverso la foresta. Stavo appellando a qualsiasi grammo di forza avessi nel corpo, cercando in tutti i modi di reggere quel dolore insostenibile che mi trovavo a subire mio malgrado. Ma quella mia reticenza allo svenire mi permetteva di analizzare la mia vita che finalmente stava riaffiorando. Dovevo trattenere le urla, o … mio padre ne avrebbe risentito. Le immagini tornavano, talvolta nitide, talvolta confuse.

“Edward, cosa è successo? Abbiamo sentito le urla da casa!” la voce di mia madre. La bella e melodiosa voce dei miei ricordi, quella che da bambina aiutava le mie fantasie a realizzarsi nei miei libri preferiti. Mia madre colei che aveva rinunciato alla sua umanità, a cui avevo rotto costole, fatturato il bacino e spina dorsale ma che continuava ad amarmi seppur la facessi soffrire. “Dio mio RENESMEE!” stava soffrendo, non voleva vedermi in quella maniera.

“Dalla a me!” Jacob, c’era anche lui allora non mi aveva abbandonata. Edward mi strinse a se come se non volesse cedermi. Ma io volevo sentire il suo calore, non so cosa mi stesse accadendo ma una forza invisibile mi spingeva a volerlo ancora di più. Per quanto cercassi di distaccarmi da lui non potevo, ed ora fragile com’ero il bisogno di sentirmelo accanto era di vitale importanza. Smise d’importarmi dell’eticità del nostro rapporto, smise d’importarmi di tutto. Avevo bisogno di Jacob, come dei miei genitori. I ricordi continuavano a riaffiorare ed io non riuscivo più a gestirmi. Alzai debolmente lo sguardo verso di lui, cercando di allungare una mano.

“Non voglio giacere là tutta sola; possono seppellirmi a quattro metri di profondità, la chiesa intera può crollarmi addosso, ma non avrò pace se tu non sarai con me... mai!” (cit: Cime Tempestose/ Emily Brontë) lo sussurrai cercando di contenermi per non dar sfogo al dolore.

“Cime tempestose … Renesmee …” ecco quel modo carico di apprensione che avvertivo quando nel mio nome si sentiva il tono rotto e sospirato. La presa di Edward si fece ancora più impalpabile, sostituendosi a delle forti e calde braccia. Passai dal solstizio d’inverno a quello d’estate in un battito di ciglia. Il suo profumo mi assalì al collo tradendo il forte dolore che provavo con un gemito strozzato.

“Jake …” mi strinsi al suo collo, affondando il volto nel suo petto.

“Tranquilla bambina, ti porto a casa …”

“Aiutatemi a restare sveglia non devo addormentarmi!”

 

Mi ostinavo a non volermi sdraiare. Non dovevo cedere all’ agonia, dovevo superarla. Carlisle ed Edward discutevano sulla dose di sedativo da darmi per farmi sopire. Io cercavo in tutti i modi di oppormi. Se avessi chiuso le mie palpebre anche solo per riposare il vortice di ricordi avrebbe smesso facendomi tornare nell’oblio da cui stavo sfuggendo.

“Per l’amor del Cielo Renesmee, devi lasciarti sedare, se il dolore aumenta potresti risentirne per sempre!” Jacob se ne stava accucciato di fronte a me accarezzando dove il mio corpo nella sua posizione scomposta concedeva qualche libertà. Notai solo allora, che sull’ anulare della sua mano sinistra c’era un anello, ben assimilabile ad una fede.

“A … Allora è vero … sei sposato … ” fremevo e non accennavo a smettere di farlo. Al dolore nella testa si stava aggiungendo una forte nausea e dei forti conati di vomito. Ma da sotto la cascata di boccoli scomposti vidi il bel lupo guardarsi la mano, cominciando a sorridere.

“Si”  si stava prendendo gioco di me?

“Dovresti tor … tornare da … tua moglie …” ero una combattente: stavo esprimendo la mia frustrazione e la rabbia provata per un suo comportamento in un momento per me drammatico “Ti sei preso quello che volevi .. . ora torna da lei …” in alcuni momenti non potevo tenere a bada i miei miagolii. Ogni volta che dalle mie labbra ermetiche usciva un rantolo o un gorgoglio, Jacob s’irrigidiva.

“Nessie, ti stai sbagliando …” rovistò nel collo della sua maglietta dopo breve ne lasciò uscire un laccio di caucciù dove pendeva una vera identica alla sua tranne per un piccolo brillante incastonato. “Dovevo aspettare che tu recuperassi un po’ di memoria, ma alla luce di quello che sta succedendo è inutile tenerlo ancora nascosto!” slacciò la piccola cordicella e lasciò scivolare la fede. Prese la mia mano sinistra nella sua speculare, posandovi delicatamente le labbra. Baciò poi l’anello e con lentezza lo infilò al mio dito. “Tu sei mia moglie, Nessie! Ti amo, ti amo fino al midollo e ti amerò sempre! Anche se tu non ricordassi mai chi sono e cosa abbiamo costruito insieme, sei e sarai sempre la padrona assoluta di questo …” prese una delle mie mani, ancora impegnata a sostenere il fardello del cranio, e la posò sul suo petto.  L’ultima immagine da una finestra dove osservavo un Jacob in un abito da cerimonia splendido immerso tra amici e parenti, ed io di fronte ad uno specchio fasciata da un abito bianco con un tralcio di cristalli rossi.  E poi io che tenevo tra le braccia un fagottino azzurro, stesa su di un letto con accanto Jacob che invece teneva un fagottino rosa. Due bambini splendidi con la pelle quasi come la mia ma i lineamenti del bel ragazzo che avevo accanto. Il dolore aumentava e non  accennava in alcun modo a diminuire. Si stava concentrando alla base del naso. Ad un tratto sentì un forte odore di ferro, ruggine, ne sentì il sapore nella bocca. Una strana sensazione di bagnato scivolò dalla mia narice. Alzai la mano per capire cosa stesse succedendo. Una macchia rossa sporcò le mie dita.

“Nessie, stai sanguinando! Porca p*****a, CARLISLE! EDWARD!” non potevo inspirare ed espirare bene con l’abbondante epistassi che occludeva le vie aeree superiori. La scarsa aria che tentava di farsi spazio nel mio petto cercava in tutti i modi di sorreggermi.

“Dobbiamo sedarla in qualche modo, Carlisle!”

“Pa .. pà …”

“Ti prego Nessie non resistere troppo a lungo se il tuo corpo dice di dormire assecondalo!” mugugnai, il sangue scendeva a fiotti sia fuori che all’interno di me. Gorgogliava nella mia gola, lo sentivo bagnare quel leggero fuoco innescato dal suo stesso odore

“Ci penso io …” Di chi era quella voce? Cosa voleva fare? Obbligarmi a dormire? Come poteva riuscirci? Ormai la mia vista non riproduceva immagini fedeli ma solo offuscate realtà che mi circondavano. Una figura alta, scura si avvicinò a noi mentre delle mani tiepide mi avvolgevano delicatamente la mandibola. Le difese erano crollate, l’ultima emozione era stata troppo forte e il mio corpo non aveva retto. Lasciai le mie membra cedere al supplizio a cui mi stavo costringendo. Dolore e sangue, emozioni, ricordi. Ora volevo solo dormire.

 

POV Jacob

Carlisle era in quella stanza da ore con Edward e Nessie. Ci avevano cacciato. Cosa diavolo le stava succedendo? Si ostinavano a tenermi all’oscuro. La sua riluttanza, le sue emicranie, tutto ci doveva far pensare che non dovevamo sforzarla in quella maniera. Era tutta colpa nostra. Avevo convinto Bella a portare i bambini a casa Cullen. Mi ero decisamente stufato dei sotterfugi da vampiro per proteggerli. La madre stava male, molto male ed io li volevo accanto. Avevo già in passato rischiato di perdere tutto per le loro omissioni, non volevo più il disprezzo dei miei figli. Negl’ultimi due giorni d’inferno avevo cercato di ricucire senza successo i rapporti con EJ. Mi muovevo nervosamente da una parte all’altra del grande salotto quando fui fermato da una mano gelida. Barbie mi porgeva una maglia pulita, probabilmente del marito. L’oro dei suoi occhi era stato sostituito dal nero pece. Mi accorsi di essere completamente ricoperto di sangue.

“Prendila non vorrai farti vedere dai bambini in quello stato!” la ringraziai con un gesto. Mi sarei aspettato da tutti una cosa simile ma da lei questo moto di compassione mi aveva completamente spiazzato. Mi sfilai velocemente la maglia per sostituirla con quella che la bionda mi aveva portato “Sembra che abbia avuto un’emorragia, il quadro clinico è complesso ma a quanto pare si è fermata nel momento in cui ha perso i sensi. È una donna tenace non si lascerà abbattere da un po’ di sangue dal naso!” spostai lo sguardo alle mie spalle e mi accorsi di essere circondato da tutti.  Gabriel si trovava appoggiato in un angolo picchiettando nervosamente il piede a terra, Emmett non aveva più uno sguardo se non puntato al vuoto. Le ciglia non si muovevano in quella abituale smania di assomigliare ad un umano. Alice e Jasper erano sul divano accoccolati, cercando conforto e la forza per superare l’ennesimo momento tragico. Li invidiavo. Li invidiavo perché anche io volevo abbracciare la mia piccola Nessie. Volevo la mia forza accanto a me. Volevo mia moglie. Negl’ultimi giorni nel tentativo di farle ricordare avevo fatto riaffiorare piccole inezie, gesti quotidiani che reputavo insignificanti ma che ora trovavo necessari per riuscire anche solo a respirare. Quando ci lavavamo i denti insieme prima di andare a dormire, la lotta continua a chi aveva il monopolio del rubinetto, alle nostre serate passate davanti ad un film a mangiare cinese, o la pizza, o qualsiasi cosa di malsano passasse sotto le nostre grinfie, quando preparava le uova bruciacchiate la mattina cercando di improntare una sottospecie di colazione, a quando mi dava i calci la notte perché russavo troppo forte. Avrei voluto rivederla giocare con Sarah ed EJ, una volta li avevo trovati con la musica a tutto volume che saltavano sul nostro letto. Mi mancava la Renesmee moglie, donna e madre. Il mio mondo che lei custodiva gelosamente.

“Mi manca!” sussurrai lasciando che il mio pensiero si realizzasse in una frase. Rimasi sconvolto quando la Bionda psicopatica arricciando il naso si avvicinò a meno della distanza di convenienza posando la sua mano sul mio viso.

“Ti capisco, se mi fossi trovata al posto tuo mi sarei sentita persa e confusa! Sono contenta che invece in un modo o nell’altro hai cercato di reagire!”

“Bionda ti sei drogata?” non rispose. Iniziò solo a ridere sommessamente. La porta si aprì e la mia impazienza trovò un minimo di pace. EJ e Sarah, i nostri angeli, i nostri miracoli. Non c’era bisogno nemmeno di una parola, loro erano coscienti di quello che stava accadendo. La villa era stata preclusa loro da quando erano tornati. Ci guardammo per alcuni secondi il tempo che i vampiri sparissero e che leggessero nei miei occhi il vero significato della parola terrore.

“La mamma sta male vero?” ero bloccato. Non volevo nemmeno pensarlo. Fino ad allora il termine diretto, quello che io ritenevo concreto, non lo aveva pronunciato nessuno. Tutte parole come emorragia, quadro clinico complesso. Tutti modi di dire che in realtà Nessie stava male. Ed ora invece mi trovavo di fronte a mio figlio, con gli occhi lucidi che aveva riportato a me la verità: Nessie era grave. “Sta morendo?” stavano fermi poco lontani dall’uscio, a qualche metro da me sperando che nelle mie parole ci fosse una risposta sincera, e non quelle bugie dette per tranquillizzarli.

“Combatte” cos’altro potevo dirgli? La mia piccola guerriera, aveva lottato sempre e contro tutti, pur di ottenere la vita che desiderava. Quante volte il suo spirito battagliero l’aveva spinta in campi minati? Ed io come uno stolto non avevo colto quel suo lato come positivo, anzi lo vedevo pericoloso, spaventoso. La gabbia in cui l’avevo costretta non la poteva più contenere. Dovevo lasciare che il passerotto si rivelasse un’aquila, dispiegasse le ali e volasse libera di stare al mio fianco non solo come compagna di vita ma anche di battaglia. Mi inginocchiai per trovarmi alla loro stessa altezza. Ero nato per essere un leader, il capobranco, ma di fronte a loro in quella circostanza mi sentivo assolutamente un bambino. La prima a muovere un passo fu Sarah. Aveva incatenato il suo sguardo al mio e se fosse possibile mi sentivo ancora più piccolo di fronte alla sua forza. Il fratello teneva i pugni chiusi lungo i fianchi. Era percosso da violenti scosse, tremava in ogni muscolo. Aveva chiuso gli occhi, sentivo che la sua rabbia stava montando.

“Sarah vai dalla nonna, resta con lei …” gli andai incontro dovevamo parlare da uomo a uomo. Avevo tardato anche troppo. Afferrai la sua spalla che scrollò per spostare la mia mano. “EJ, credi che alla mamma farebbe piacere che tu ti comportassi in questo modo!” non rispose girò la faccia scontroso. “Che ne dici di uscire un secondo? Vieni …” appena cercai di superare la porta sentì finalmente la sua voce.

“No, non ti seguo non ne ho nessuna intenzione! Non sono come te, io non scappo, io non tengo nascoste le cose! Io resto qui con Sarah e con la mamma!” finalmente tutto il suo rancore covato non velatamente stava uscendo fuori. Dovevamo confrontarci era giunta l’ora. Ma non accettavo quel modo di colpevolizzarmi. Non lo biasimavo per la rabbia che nutriva, ma allo stesso tempo non doveva rendermi il responsabile di tutto, non lo meritavo e soprattutto anch’io soffrivo.

“Allora è questo il tuo problema pensi che io sia scappato, pensi che mi sia divertito a non parlarvi della situazione fino a qualche giorno fa?”esisteva solo un’altra persona che mi aveva detestato per un motivo praticamente uguale: Renesmee. Figlio della madre. “Ti sei mai chiesto perché prima di sputare sentenze?” lo so che quello che avevo davanti era un bambino di quattro anni con l’intelligenza e l’aspetto di uno di otto, ciò nonostante mi sentivo abbastanza irritato dal suo modo di fare. Primo cenno di comprensione. Teneva lo sguardo basso allentando la presa delle braccia al suo petto. Cautamente mi avvicinai al suo orecchio, genuflettendomi accanto a lui. “Non volevo farvi soffrire EJ, non sai quanto sono stato male in tutto il tempo in cui non potevo parlarvi apertamente. Volevo avervi accanto fin dal principio!” carezzai la sua guancia con il dorso della mano, era umida. Non voleva farsi vedere piangere. Il mio ometto. “Ti manca?” non si trattenne a quel punto scoppiò in un pianto liberatorio gettandosi al mio collo. Poteva fare il duro, far finta che ce l’avesse con il mondo, ma restava pur sempre un bambino che sentiva la mancanza della mamma.

“Papà, ce la farà vero?” se c’era una domanda a cui non volevo rispondere era proprio questa. Avrei dovuto mentirgli? Rimasi in silenzio aumentando la stretta. Il mio piccolo vampirastro aveva solo un’incredibile paura di perderla. Come me d'altronde. Erano sensazione più che conosciute. La paura di perdere Renesmee l’avevo vissuta così tante volte che ero arrivato alla più completa esasperazione. E nel profondo ero contento che fossi stato il suo sfogo, il punto su cui far confluire i suoi sentimenti negativi, il suo pungiball emozionale. Significava che mi vedeva abbastanza forte per sorreggere anche il suo di dolore. Lo tenni fra le mie braccia per un bel po’, ora che avevo capito mio figlio mi sentivo in grado di aiutarlo, mi sentivo realmente utile. Perché se non ci fosse stata lei, io ci sarei stato. Io ero l’altra faccia della medaglia. Io ero un padre a cui i figli si dovevano appoggiare. Non potevo più deludere le loro aspettative, non potevo più nascondermi dietro Nessie. Finalmente avevo un percorso definito ed una compagna di viaggio splendida, che io amavo infinitamente.     

 

Mi avevano permesso di entrare a vederla. Stesa sul letto imbottita di morfina stava raggomitolata, in una posizione fetale che la faceva apparire ancor più piccola ed esile. Il suo volto inespressivo come non lo era mai stato a causa dell’effetto dei farmaci. Cercai di sistemarle i capelli che le scendevano sul viso. Era molto più pallida del solito e le occhiaie le segnavano con dei bei cerchi lividi gli occhi eppure era bellissima. Le accarezzai la guancia, quanto mi era mancato il contatto con lei. Solo due giorni di distanza e già sentivo bruciarmi la pelle. Ma lei non bruciava, ne era la solita temperatura poco più bassa della mia. Era quasi fredda. . Dormiva, troppe volte l’avevo vista in quelle condizioni in poco tempo. Distrutta, con il corpo che si ribellava alla voglia di riavere la sua vita. Adoravo osservarla dormire, la rendeva così indifesa e bisognosa, al contrario di quando era cosciente. Diventavo necessario. Dio. Bella ipocrisia. Chi potevo ritenere responsabile? Lui, il Destino, il Padre, Carlisle, me stesso. Non riuscivo a scrollarmi di dosso il senso d’impotenza. Il mio centro dell’universo stava svanendo, la gravità perdeva il suo peso e lei mi sfuggiva come spirito.

“Come sta Carlisle?” la teneva sotto costante controllo seduto in disparte alle mie spalle. Vedere Carlisle così preoccupato mi faceva sentire ancora più perso. In qualsiasi occasione si era sempre dimostrato lucido e controllato, padrone di ogni circostanza. Invece rimaneva in disparte cercando ancora di comprendere come affrontare tutto quello che le stava capitando.

“Non saprei dirti Jacob, di certo bisogna capire perché la sua mente si sta rifiutando di ricordare il suo passato …” la sua voce era morbida ma forzatamente rassicurante. La amava davvero tanto. Ma chi non amava Renesmee? Con quel carattere tenero e coinvolgente, un’eterna bambina che diventava adulta nelle situazioni opportune. La vera erede di Carlisle era lei. Per quanto volessi negarmelo, per quanto volessi pensarla fragile, rimaneva pur sempre un’autentica forza della natura.

“Potrebbe essere collegato ai suoi poteri? In fin dei conti è successo tutto mentre li stava usando molto intensamente!”

“Può essere tutto e può essere niente! Per ora non ci rimane che pregare!”

“ La mamma mi diceva sempre da bambino di pregare per le persone a cui volevo bene” ed io non volevo altro che la mia Nessie si riprendesse. Non pensavo quasi mai a mia madre, anche se in quegl’ultimi giorni, vedendo i miei figli sofferenti per lei non avevo potuto schermare il suo ricordo. Io avevo perso entrambi i genitori in due momenti totalmente differenti della mia vita, con due gradi di coscienza diversi. Mia madre da un lato la potevo ritenere fortunata: non aveva visto morire Billy, non l’aveva visto costretto su quel letto in ospedale. Lei aveva avuto la fortuna di andarsene prima, niente saluti niente di struggente ad accarezzarle l’animo. Un coma e lei non soffriva più, lasciando noi su questa terra a patire le pene dell’inferno, a crescere da soli. Questo non era giusto non doveva accadere anche ai miei figli, non dovevo avere lo stesso destino di mio padre.

“Tua madre deve essere stata una donna molto saggia …” andai ad incontrare lo sguardo di quell’uomo eternamente giovane, sapiente ed assennato, forse come io non lo sarei mai stato nemmeno raggiungendo i suoi quattrocento anni.

“Non ho molti ricordi, l’ho persa che ero poco più che bambino. Una vita stroncata da un ubriacone al volante di un automobile” e la mia Nessie da cosa sarebbe stata stroncata? Dalla sua stessa esistenza? Dalla sua natura? Da una patologia umana che in lei si era trasformata? Cosa me la stava portando via? “Possiedo solo qualche flash, qualche consiglio che mi ha dato prima di lasciarci come quello di pregare! Ma comincio a dubitare che Dio mi ascolti …” mi sedei sul bordo del letto continuando ad osservarla.

“Scusami se sono indiscreto, posso chiederti perché pensi che non ti ascolti?” solo allora notai che teneva fra le mani un libro, che aveva tutta l’aria di essere un testo religioso. Stava leggendo la Bibbia, lui uomo di scienza che si affidava alle superstizioni arcaiche dell’umanità alla speranza di un qualcuno che tutto può e che tutto osserva. La speranza voltata alla possibilità che un giorno ti guardi e che faccia avverare il tuo miracolo. Tornai a guardare la mia Nessie. Quasi del tutto immobile se non fosse stato per le spalle che si alzavano al ritmo del respiro profondo come il suo sonno indotto. Se ripensavo a quante volte l’avevo visto diventare affanno: quando correvamo per i boschi, quando mi guardava furente dopo una presa in giro, quando mi avvicinavo alle sue labbra, quando le sfioravo il corpo o le baciavo il collo.  

“Non lo vedi?”

“Le vie del Signore sono infinite! Sicuramente ci sarà …”

“Non lo dire Dottore!” sapevo che se usciva quel discorso mi sarei inalberato per quanto non lo meritasse “Non può esserci un motivo abbastanza plausibile! A cosa può servire tutto questo?” trattenevo la mia voce cercando di non esplodere, in un sussurro adirato. Non rispose. Si alzò solo in piedi fissando i miei occhi. Riuscì a sostenerlo finché non  fui costretto a distoglierlo. Mi aveva praticamente spogliato, mi stava leggendo nell’anima estrapolando ogni mia emozione. Scavava nel mio subconscio. Non potevo tenergli nascosta a lungo la mia sofferenza.

“Jacob, talvolta la fede può essere d’aiuto. Capisco che tu ti senta distrutto. Quello che ti sta accadendo non lo augurerei nemmeno al mio peggior  nemico, figuriamoci a te, che ti considero come un figlio!” non me l’aspettavo. Essere considerato come un figlio dal dottore era solo un onore, nonostante non avrei mai ammesso una cosa simile. Ma di certo non c’era poi tanto da stupirsi. Mi aveva sempre accolto in casa loro, mi aveva curato quando necessario, e sua moglie non faceva altro che viziarmi con succulenti pasti e con l’ospitalità di una vera famiglia. Carlisle ed Esme. L’anima e il cuore. Cos’altro si dovrebbe aspettare un buon essere umano? I vampiri umani. Strano a dirsi. Quasi stonata come cosa, ma chi li conosce sa quanta verità possa risiedere in tale affermazione. “Non voglio che tu diventi un uomo di chiesa, ci mancherebbe altro! Vorrei solo che non pensassi di essere stato abbandonato. Hai avuto una vita ardua, me ne rendo conto, costellata di difficoltà ma guarda dove ti hanno condotto e cosa sei diventato. Jacob io ti conosco ormai da quasi vent’anni e ti ho visto diventare un uomo, un padre, ti ho visto affrontare con un coraggio mirabile, avversità all’apparenza insormontabili. Non pensare che non  ci siano ragioni in quello che accade, c’è sempre un motivo, una lezione o un significato. Devi essere molto più forte, per i tuoi figli e per lei che stavolta non può mostrarci a pieno quello di cui è capace!” lo disse in un sorriso orgoglioso e fiero, ed io distolsi lo sguardo perché se c’era una ragione o una lezione da impartirmi era quella che già avevo imparato.

“Non so se ci riesco, senza di lei è tutto troppo difficile …”

“Puoi riuscirci Jacob, puoi farlo devi avere molta più fiducia in te stesso!” non mi diede i tempo di replicare che era già uscito dalla stanza lasciandomi solo con la mia piccola Nessie.  Quante volte Bella mi aveva tirato qualcosa quando la chiamavo Nessie. Alla fine avevo convertito anche lei.  Non la chiamava con il soprannome che le avevo dato, però non sbraitava più. E poi alla mia mostriciattola piaceva, glielo avevo dato io. Forse non era così sbagliato quello che mi aveva detto il dottore. Tutto quello che avevo vissuto mi aveva portato a lei e di conseguenza a Sarah e ad EJ. Forse il suo occhio non era completamente distratto, magari mi stava osservando sottecchi aspettando solo che io mi appoggiassi a Lui. Ormai cosa mi rimaneva?

< Dio, non so se ci sei o se puoi sentirmi. Non so nemmeno cosa io possa aver fatto, ma ti prego non punire lei. È pura e semplice, nutre un profondo rispetto per qualsiasi cosa la circondi. Non devi permettere che accada una cosa del genere ad un tuo Angelo. Ti prego, prendi me al suo posto, toglimi tutto ricordi, passato anche la vita se vuoi ma fai tornare Nessie come prima! Ti supplico Dio, aiutaci! Sei la mia ultima spiaggia! > cercai la sua mano, giocando con la fede che era tornata al suo anulare “Ti amo amore, i tuoi figli ti amano, ti stiamo aspettando ti giuro che torneremo ad essere una famiglia, cercherò di essere più comprensivo, di renderti felice ancor di più quanto abbia mai fatto! Ma tu mi devi garantire che sarai di nuovo con noi, ok mostriciattola?” bussarono ma non feci in tempo a voltarmi che una testolina scura era sbucata da dietro la porta.

“Possiamo, papà? Vogliamo vedere la mamma!” le feci segno di entrare, era giusto, lo meritavano e soprattutto le avrebbe fatto bene. Ne ero certo, il richiamo del sangue sarebbe stato più forte di qualsiasi diavoleria vampirica e medica. Così era stato con il padre, così sarebbe stato con i figli. Quando si sarebbe svegliata le avrei presentato i nostri figli e le avrei mostrato la nostra casa, le avrei descritto la nostra vita. Sarah si arrampicò sulle mie gambe ma prima che potesse raggiungermi la sollevai portandola seduta comoda. EJ salì invece dalla parte opposta del letto sgusciando silenzioso verso il corpo della mia Nessie. Era lo stesso modo con cui la madre strisciava verso di me nelle sere più fredde.

“Sta dormendo?” chiese tremante. Aveva gli occhi enormi carichi di tutte le emozioni che un bambino di qualsiasi età non dovrebbe mai provare. Gli carezzai la nuca delicatamente e baciai la testa della mia principessa. Con loro sentivo di poter andare avanti, diventavo fiducioso perché una madre per i figli è pronta a superare qualsiasi ostacolo.

< E tu sei una madre fantastica quindi ritornerai come prima! > “Si campione, il nonno l’ha fatta dormire per farle passare il mal di testa!” non si mentiva più, non si ometteva più. Verità fra noi, pura e semplice verità.

“Possiamo aspettare con te che si svegli?” Sarah, che fino ad allora non aveva lasciato trasparire nulla se non fermezza, cominciò a sussultare, giocando nervosamente con la mia mano che la reggeva. La strinsi poco di più, senza farle male, per poi poggiare la guancia sulla sui suoi capelli di seta.  

“Non vi vorrei da nessun’altra parte! Dovete stare qui, perché alla mamma serve il nostro aiuto!” EJ si voltò verso di me con quello sguardo talmente triste da diventare disarmante.

“Si ricorderà di noi?” aveva paura di farmi quella domanda, tremava come una foglia in attesa della mia risposta. Ma non potevo mentirgli, creargli delle inutili aspettative.

“Non lo so EJ!” non sopportavo la loro delusione. Faceva male alla mia anima, al mio cuore. Avevo comunque una piccola possibilità d’infondergli un po’ di fiducia  “In compenso possiamo cercare di farle tornare i ricordi, per esempio potrete raccontarle qualche episodio o qualche piccola avventura che avete vissuto assieme! Magari possiamo fare quelle cose che ci piacevano tanto … ” a quelle mie parole vidi negl’occhi di Sarah una nuova luce, verde come il colore che la rappresenta: speranza.

“Tipo i pic-nic alla radura, oppure le gite in spiaggia, o anche guardare i film con le schifezze? Possiamo ricordarle della volta che non ti ha parlato per tutta la mattina, perché ti eri addormentato vedendo il suo film preferito ed hai russato talmente forte che siamo stati costretti ad interromperlo a metà!” sorrisi a quel ricordo, erano tre notti di fila che avevo la ronda, mi sentivo un morto che camminava ma i miei figli necessitavano di un po’ della mia attenzione quindi li avevo accontentati per la serata film-schifezze. Mi misi seduto e mi svegliai la mattina direttamente con una Nessie infuriata che mi lanciava saette con gli occhi, bella da morire “Hai capito EJ? Anche noi possiamo aiutare la mamma!” per un attimo sorrise verso la sorella, forse per non spegnere il suo entusiasmo. Il sorriso sghembo di Edward. Incredibile quanto di noi, di tutti noi si potesse vedere in quelle due creature. La somiglianza era lampante con me e con Nessie, ma in certi momenti sembrava di combattere nuovamente con la sanguisuga complessata e la ragazza maldestra ed impacciata. Ad un tratto la piccola mano di Sarah si allungò verso il fratello afferrando prontamente la sua. “Qualsiasi cosa accada, la affronteremo insieme, capito EJ?” lo scosse per farsi dare una risposta. Lui annuì soltanto. “Noi siamo una famiglia non lo scordare mai, la mamma se si trovasse al posto nostro farebbe di tutto, ma non  si abbandonerebbe mai allo sconforto! Lei è una con le palle!”

“Ehy, signorina ma che linguaggio è! Da chi hai imparato a parlare così?” non avrei dovuto scandalizzarmi, anche perché sapevo quale era la fonte. C’era puzza di licantropi.

“L’ho sentito dire allo zio Embry!” mi appuntai mentalmente quante ronde extra avrebbe dovuto fare per aver usato un linguaggio inappropriato davanti a mia figlia.

< Ok ha ragione Nessie quando dice che sto troppo a contatto con mio ‘suocero’! >

“In che occasione l’hai sentito dire una cosa del genere? Senza dire le parolacce non sta bene su di un fiorellino come te!” ero riuscito a strapparle un sorriso con un leggero solletico sulla pancia, il punto più debole anche della madre.

“L’ha detto mentre parlava con lo zio Paul.” c’avrei giurato che c’entrava anche quel cretino di mio cognato “Parlavano del viaggio in Alaska, ed ha  detto che tu sei fortunato  e che pagherebbe per avere una come lei …”

“ … Sexy, bella e con le …”

“EJ non ti ci mettere anche tu!” lo guardai sbieco prima che ripetesse qualche scempiaggine. Rimase in silenzio sospendendo la sua frase. Si era distratto, nonostante no sprizzasse gioia da tutti i pori, si vedeva che era felice nel parlare della madre. Ma cosa aveva detto Embry? “Lo zio ha detto che vostra madre è sexy?”

“Si, si ha detto pure che se non fosse sposata con te, un pensierino ce lo farebbe!”  Embry si era appena conquistato il Jackpot delle ronde extra il sabato sera, per gli apprezzamenti su mia moglie. Paul purtroppo godeva dell’immunità diplomatica dovuto all’aver sposato quella rompi scatole  spaventosa di sorella che mi ritrovavo.

“In realtà era stato un po’ più volgare, ma tu non vuoi che parliamo così!” alzò le spalle in maniera candida, da angioletto con le corna. Un momento.

“Ma voi li avete per caso origliati?” li guardai in cagnesco. Vero che per loro era difficile non ascoltare le conversazione visti i sensi misti di mutaforma e vampiro, ma una delle regole imposte nella nostra casa era cercare di focalizzare l’attenzione verso un’altra cosa nel momento che stava avvenendo una conversazione privata. Era un modo per tutelare anche noi.

“Non l’abbiamo fatto apposta! Loro parlavano a voce molto alta abbiamo cercato di distrarci, ma alcune cose le abbiamo sentite!” incredibile come la loro innocenza mi aveva fatto dimenticare per un po’ quanto stava accadendo.

“Ormai il danno è fatto! Cos’altro avete sentito?” tanto valeva sapere tutto. Chissà ne avrei potuto ricavare qualche altra informazione interessante.

“Papà, anche io sono bella da far schiantare la gente sui pali?” Embry si era conquistato una bella lapide. Capii perché evitava le ronde con me. Me l’avrebbe certamente pagata cara il ragazzetto.  “In realtà questo l’ha detto lo zio Paul” Paul?  Si stavano scoprendo più altarini di quelli che pensavo “Ma ha precisato che zia Rachel non la batte nessuno!” salvato in calcio d’angolo il lupo. Chissà cosa avrebbe detto Rachel degli apprezzamenti sulla cognata da parte di quel debosciato di suo marito, ora che è intrattabilmente incinta? Ma cosa mi aspettavo mica erano ciechi i ragazzi e Nessie era talmente bella che non passava di certo inosservata.

“Sarah, tu sei bellissima e non farai schiantare nessuno fino a trent’anni!”< Perché ti chiudo in un convento di clausura, visti i soggetti che girano! > al mio pensiero sentì nettamente la risatina soddisfatta di Edward dal piano di sotto. Stava sicuramente con i sensi aizzati nella stanza aspettando la più piccola mossa della figlia. La mia dolce e pura bambina invece mi guardava accigliata non capendo il mio ragionamento. Ma mentre ancora stavamo parlando, la nostra attenzione fu catturata da un respiro che si stava alleggerendo e da un cuore che aveva preso a battere come le ali di un colibrì.

“La mamma si sta svegliando!”

 

Note dell'autrice: Finalmente EJ è tornato ad essere il dolce bambino di sempre. Era semplicemente sconvolto ma appena il padre ha abbattuto i muri si è lasciato andare. Alla fine ho voluto un pochino alleggerire la situazione con la conversazione più allegra. Talvolta l'ingenuità dei bambini può aiutare meglio di qualsiasi medicina. L'ho vissuta sulla mia pelle.

noe_princi89: si Sarah è sicuramente molto speciale, ma EJ non è da meno. Poi vedrai cosa ti combina nella seconda parte. Non dico nulla o potrei anticipare qualche particolare.

Ringrazio sempre tutti e se non faccio in tempo a pubblicare un altro capitolo vi  AUGURO BUONA PASQUA!

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Capitolo 22
*** CAPITOLO XX: Ritrovarmi? ***


CAPITOLO XX: Ritrovarmi?

Ero circondata da uno strano calore. Un sonno buio, senza sogni. L’ultima immagine. Jacob che mi infilava la fede al dito. Prima di aprire gli occhi con il pollice della mano sinistra andai a confutare se quello che avevo fatto era stato il mio sogno. La rigirai più volte incredula, la sentivo calda ed era lì sul mio anulare, dando bella mostra di sé. Era giorno. Lo percepivo dall’essenza grigiastra che copriva la mia vista. Gli occhi erano molto impastati così come la mia bocca che serbava ancora il sapidità del mio sangue. Cercai di umettare le labbra ma la secchezza delle mie fauci non mi aiutava. I muscoli li sentivo intorpiditi, affaticati come dopo una lunga corsa. Allungai le gambe ma mi andai a scontrare contro qualcosa di morbido. Mi sentivo stranamente ancora stanca, ma stranamente tranquilla. Strofinai le mie palpebre ma la vista ci impiegò qualche secondo per riprendere il pieno regime della sua funzionalità. Una mano sulla mia caviglia e poi lo riconobbi.

“Jacob …” non riuscivo ad articolare bene le parole, la lingua sembrava non distaccarsi dal palato, avevo una strana sensazione, avevo bisogno di qualcosa di fresco, di dissetante  “ … ho bisogno d’acqua …” mentre tutto prendeva un po’ più forma sentii solo un leggero spostamento d’aria e poi la bambina con i lunghi capelli neri che mi aveva salvata quella notte nella foresta apparve al mio fianco con un grande bicchiere ricolmo.

“Bevi piano, a piccoli sorsi!” la sua mano sollevò delicatamente la mia testa posando il freddo vetro sulle labbra donami un leggero alleviamento dalla loro aridità. Lasciai che il liquido scorresse senza esagerare. Dopo qualche piccola boccata distesi nuovamente la mia testa sul cuscino, pesava moltissimo e la sentivo annebbiata.

“Come ti senti?” alla mia destra c’era anche l’altro bambino che intanto aveva afferrato la mia mano. In un gesto istintivo presi ad accarezzare il dorso della sua con il pollice.

“Stanca …” non so perché ma quella situazione con Jacob e quei due bambini mi donava un forte senso di pace e tranquillità. “ … ma sono felice!” rispose al mio sorriso con uno altrettanto sincero. Molto lentamente il mio corpo si stava riprendendo dal torpore e cercai di sedermi.

“Non ti sforzare se non te la senti!” la sua voce, bassa e profonda, calda come la sua mano che ancora era posata sulla mia caviglia. Annuii debolmente, tornando ad arrancare con i gomiti per potermi sollevare. Fui aiutata dalla bambina che sorresse la mia schiena.

“Grazie, Sarah giusto?” spalancò i suoi occhi incredula e mi sentii sprofondare in un mondo luminoso. Osservai con attenzione i loro sguardi complici e stupefatti. Dovevo essere molto importante per quei bambini, di certo dentro di me sentivo che loro per me erano vitali. Vedere anche solo un piccolo barlume di gioia, mi aveva allargato un sorriso immenso. Li adoravo anche se li avevo visti per poco.

“Si, ti ricordi di me?”

“Mi avete salvata la notte in cui sono scappata …” quando dissi così i loro occhi si abbassarono, vidi spegnersi la loro speranza con una piccola frase. Sentivo la voglia crescente di abbracciarli, ti tenerli stretti contro il mio petto e dirgli che andava tutto bene che mi sarei ricordata di loro il prima possibile. L’istinto suggeriva al mio orecchio di sporgermi ma anche con il minimo movimento temevo di romperli, di renderli ancor più fragilmente instabili. Non volevo che soffrissero perché significava farmi del puro male. Li dovevo proteggere da me, almeno finché non avessi avuto ulteriori certezze oltre a quello che si prospettava come un amore che superva persino le barriere della memoria. Simile a quello che sentivo per Jacob ma totalmente diverso, più grande e più incondizionato. Un amore che ti prende allo stomaco che ti aggancia e ti porta ovunque loro si trovino. Accarezzai il mio ventre involontariamente e mi focalizzai sul loro viso. Avevano dei tratti molto marcati e li riconobbi. Erano quelli di Jacob. Chiusi la mano sulla stoffa, impugnandola con forza.  

“Sarah, EJ vi dispiace lasciarci soli un momento?” ubbidirono senza proferire alcuna parola. Li osservavo in ogni gesto, in ogni movenza.  Chiusero la porta e incontrai il suo sguardo scuro dolcemente posato su di me, con fare apprensivo e spaventato. “Stai meglio ora?”

“Se per meglio intendi sentirmi come se fossi finita sotto uno schiacciasassi, si sto meglio!” accennai ad un sorriso ma a quella mia battuta lo splendido viso di Jacob si rabbuiò, diventando triste. Osservava il basso evitandomi, lasciando piombare nello sconforto anche me. Detestavo vedere quell’ atteggiamento scoraggiato su chiunque, specialmente sul mio Jacob. Mi abbracciai le spalle. Ultimamente quel mio modo di fare era diventato consuetudine. Ma in quel gesto la mia attenzione si spostò nuovamente al delicato anello che avevo all’anulare. Alzai le mie dita e sentii nascere un sorriso naturale. “Allora non era frutto della mia immaginazione …” lui non capì immediatamente se non alzando il suo sguardo per andarlo a posare su di me che continuavo ad osservare la mia fede. Mentre ancora contemplavo quel simbolo d’amore il suo peso si sollevò dal materasso e per un attimo venni posseduta dal terrore che si stesso allontanando, girai di scatto la testa e con mio sommo piacere, vidi che si era semplicemente spostato più vicino a me per potermi afferrare la mano sinistra per cominciare lui a giocherellare con la mia vera.

“È un sogno, il mio …” rimasi basita ed immobile quelle parole non trovavano spazio se non in mille emozioni confuse. Jacob non mi aveva mai parlato apertamente dei suoi sentimenti: ci eravamo baciati, avevamo fatto l’amore ma da quando tutta questa storia era iniziata questa era la prima volta che mi stava parlando di cosa provava, cosa sentiva i miei confronti. Era stato tutto un gioco di supposizioni che mi avevano evidentemente condotta sulla strada sbagliata, quella lontano da lui “ … un sogno che sogno non è, e l’ho capito solo ora. Ero seriamente terrorizzato, temevo  che sarebbe svanito, che tu mi avresti lasciato spezzandomi nuovamente il cuore …” gli occhi mi bruciavano, non avrei voluto piangere aumentando quella sua angoscia, difficile da gestire per me che ne ero solo una spettatrice. Ed invece con il dorso della sua mano forte e delicata, asciugò le due grandi lacrime che rigavano il mio viso “… mi sembrava impossibile che tu mi amassi realmente e questa mia profonda insicurezza mi ha portato a credere che prima o poi saresti scappata per qualcuno che potesse offrirti qualcosa di meglio che una piccola riserva in una città di provincia. Tu sei tutto per me, rappresenti il nostro mondo, sopporterei da chiunque un abbandono, ma da te mai!” come poteva dire una cosa del genere? Il solo pensiero che potesse essere di un’altra mi aveva fatto letteralmente delirare, nel mio glossario non c’era la voce abbandono e mai avrei contemplato una cosa del genere “Sono stato uno stolto perché pensavo che meritassi di più. Ed è vero tu meriti di più di un ragazzo che può donarti solo ogni cellula del suo corpo, tu meriteresti agi e sfarzi degni delle regina che sei, ma in realtà non è quello che vuoi, e per quanto incredibile e fuori da ogni possibilità, sia tu desideri me ed è sempre stata l’unica cosa che conta. Renesmee, me lo hai fatto capire, nonostante la tua amnesia mi hai continuato ad amare. Non sapevi chi fossi, cosa fossi e non ti è importato! Ti amo Renesmee e …”  non lo lasciai continuare per quanto mi sentissi indebolita mi aggrappai al suo collo ed iniziai a baciarlo voracemente. Avevo sentito la sua mancanza e quello che adesso sapevo mi spingeva a chiedergli scusa. Mi ero comportata da pazza gelosa, avevo tirato le somme senza conoscere gli addendi. Lo amavo, lui mi amava ed eravamo sposati. Solo questo contava. Ci staccavamo solo ed esclusivamente per riprendere aria e per riprendere il bacio da un’altra prospettiva. Spostava i miei capelli, mi accarezzava mi traeva a sé. Si trasformava da dolce a passionale in più occasioni finché ad un tratto, per quanto ne potessi essere sazia, posai la mia fronte sulla sua con gli occhi chiusi inspirando a pieni polmoni il suo profumo delizioso e famigliare.

“Scusa, non ho saputo resistere …” il respiro era affannato ma non mi dispiaceva avere il fiato corto a causa sua. Lui sorrise dolce, contento, sollevato. Mi baciò nuovamente a fior di labbra più e più volte, come se quello che avessi fatto fosse lo sparo ad una corsa campestre.

“Ti amo, ti amo, ti amo … non mi stancherò mai di dirtelo! Ti amo, ti amo …” e continuò a ripeterlo talmente tante volte che io persi il conto. Le sue labbra ripreso ad approfondire la loro esplorazione. Le sentivo morbide muoversi sulle mie dischiudendosi e mescolando i nostri sapori che insieme diventavano una miscela perfetta.

“Ti amo Jacob, ti amo davvero tanto ho avuto così tanta paura!”volevo dirlo, volevo urlarlo, volevo che il mondo intero fosse cosciente di quello che vivevo “Non  sopportavo di saperti di un’altra, non sopportavo di averti trovato e averti perso! Sono scappata per fuggire da questo ma non volevo farti soffrire. Senza di te sono persa completamente, non potrei sopravvivere …”

“Non ci lasciare, Amore mio non ci lasciare più!” aveva sofferto e questo io non lo volevo. Ma aveva usato il plurale, cosa intendeva con non ci lasciare?

“Ci Jacob?” lui sorrise e mi riempì il cuore. Vederlo sorridere era una delle cose più belle che potesse capitare a chiunque. Era splendente ed altamente contagioso, un’arma perché sapeva annientare ogni titubanza, ogni dubbio. Ma mentre mi diceva così, posò un dito sulle mie labbra indicandomi di tacere. Si morse il labbro facendomi l’occhiolino. Io lo assecondai stuzzicata e divertita da quel suo comportamento improvviso. Si alzò silenzioso come un gatto e s’accostò alla porta che aprì velocemente lasciando capitombolare i due bambini che finirono rovinosamente a terra.

“Hai visto EJ, te l’avevo detto che ci avrebbe scoperto!”

“Renesmee, permettimi di presentarti i nostri disobbedienti e curiosi figli! Sarah ed Edward Jacob meglio conosciuto come EJ!” i nostri figli, nostri figli. Certo con tutto l’accaduto non avevo pensato ai figli di Jacob. La discussione di quella sera, i due bambini a cui mi sentivo profondamente legata, loro che avevano fatto di tutto per salvarmi. Ora tutto assumeva un senso, tutto sembrava incastrarsi. I miei figli. Mi sentivo letteralmente esaltata,  tanto che nemmeno i sedativi che mi avevano iniettato avevano più alcun effetto su di me. Allargai le braccia e realizzai quello che fino ad allora avevo solo immaginato. Arrivarono come una folata di vento su di me e li strinsi forte. Non avevo ricordi legati a loro se non la visione che avevo avuto poco prima di perdere i sensi. Li baciai, li accarezzai e verificai che fossero reali. Li amavo più di ogni altra cosa e di questo ero totalmente consapevole. Adesso più che mai avrei voluto conoscere ogni particolare della mia vita. Ma come già era successo in precedenza un dolore alla mia testa, forte come quello alla radura ma allo stesso tempo più sopportabile. L’immagine vivida come mai l’avevo avuta comparve nella mia testa ed iniziai a rivivere quel ricordo.

“Jake, fermati!” si trovava di fronte a me un grande lupo con il pelo ruggine che camminava precedendomi di alcuni passi.  Trovai un piccolo punto per ristorarmi sorreggendo la pronunciata pancia che si presentava sotto il mio seno. La mia gravidanza. Il lupo al mio richiamo si voltò immediatamente, aveva lo sguardo preoccupato e con piccoli passetti  s’avvicinò a me, che intanto mi sedevo tra due radici che spuntavano dal terreno. Avevo i suoi jeans legati come durante la caccia di qualche giorno precedente, che gli porsi indicandogli di trasformarsi mentre ancora accarezzavo il mio grembo abbastanza grande da essere notato. Neanche il tempo di vestirsi che già il mio dolce compagno si era chinato su di me.

“Tutto bene Nessie? Ti senti male?Qualche problema con il bambino?” gli accarezzai la guancia. Mi ricordavo esattamente cosa stessi pensando. Lui era così attento e premuroso da farmi un’immensa tenerezza. Era così diverso diventare mamma. Io mi sentivo largamente consapevole ed ero cosciente di ogni minimo cambiamento. Invece il mio Jacob si spaventava di ogni sciocchezza, più per paura dell’ignoto che per altro.

“Sono solo un po’ stanca, credo che per me sia giunto il momento di lasciar perdere la caccia …” mi sentivo fortemente amareggiata. Non solo per il piacere che provavo nella prova fisica della mia attività prediletta, ma anche perché interrompere la caccia significava cominciare a  nutrirmi di sangue umano e non volevo. Ma per il bene del nostro bambino avrei fatto di tutto e sarei andata anche contro i miei principi.

“Sei sicura Nessie?” annuì guardano alla mia pancia finché anche la mano di Jake si unì alla mia “E tu sei d’accordo?” di tutta risposta sentii un leggero movimento.

Il ricordo svanì ed io avvertì un forte capogiro, come se non avessi respirato per alcuni secondi. Non avevo subito fortunatamente perdite di sangue ma non volevo rischiare di spaventare nessuno.

“Mamma …” EJ. Il mio piccolo fagottino azzurro. La sua voce, il suo modo di chiamarmi. Mi aveva detto mamma, mi ricercava come tale ed era in mio dovere non destare la sua inquietudine. Gli sorrisi e Jacob capì immediatamente la mia difficoltà.

“Ragazzi, la mamma …” detto da mio marito non poteva risultare più dolce “… deve riposare ancora! Venite andiamo dagl’altri … ”  non avrei mai voluto che  mi lasciassero ma sapevo che uno spettacolo come quello che avevo già fatto vivere ai miei genitori e al mio compagno, non sarebbe mai dovuto avvenire di fronte a loro. Dalla mia amnesia una nuova consapevolezza tornò a regnare nel mio io, ancor più radicata, ancor più profonda: dovevo conoscere ogni aspetto della mia vita, ogni singolo istante per l’ultimo ed più importante tassello. I nostri figli.

 

Tre giorni ed ero leggermente ristabilita. Ma del mio passato ancora nulla. I mal di testa però non mi avevano abbandonato e la memoria non era tornata se non qualche frammento qua e là. Sapevo solo dei miei sentimenti verso la mia grandissima famiglia. Nessuno permise che io alzassi nemmeno un dito. Dopo quello che era avvenuto Carlisle voleva accertarsi che il mio fisico non stesse risentendo dei miei sforzi eccessivi, quindi avrei dovuto affrontare alcune analisi di routine che però richiedevano macchine presenti solo in un ospedale. Almeno la mia immobilità mi consentì di conoscere meglio i miei figli. Erano veramente emozionati, mi raccontavano di episodi di famiglia, di piccoli incidenti e finalmente il sorriso di Jacob tornò a splendere sincero, per pochi istanti, quando la mia emicrania non si riaffacciava ricordandomi che non dovevo eccedere. I nostri figli, che cosa meravigliosa. Dolci, teneri e miei. Come per Jacob la sensazione di appartenenza era molto forte. Loro erano i miei figli. Non poteva essere altrimenti. Quando li vedevo sentivo un piccolo crampo nello stomaco, come se qualcosa si stesse agganciando e mi stesse trascinando verso di loro. Li avevo visti, li avevo sentiti ancor prima di incontrarli.

“Mamma!” la piccola Sarah si fiondò letteralmente sul letto dove ero costretta, mi piaceva sentirmi chiamare da loro mamma, adoravo quei bambini e saperli miei mi spingeva a combattere ancora di più. “Nonno Carlisle ha detto che puoi tornare a casa!” seppur sorridente la mia espressione esprimeva la mia nota interrogativa. Alzai lo sguardo e notai Jacob sul limitar della camera con EJ accanto. Entrambi estremamente contenti, ma io restavo perplessa. Quella non era la mia casa? “Non ricordi mamma? La nostra casetta in mezzo al bosco?” scorrevo lo sguardo tra i tre che s’affrettarono a preparare le mie borse mentre io rimanevo ancora interdetta sul letto. Possibile che venivo così largamente ignorata?

Una villetta inglobata nella boscaglia. Aveva la parete frontale  del piano terra in pietra e tre scalini all’ingresso. Magnifica. Forse la più bella che avessi visto fino ad allora. Sembrava una bomboniera, una miniatura della villa in cui risiedevo. Rimasi a bocca aperta a fissare la facciata per qualche minuto, finché non venni trascinata al suo interno da Sarah ed EJ che mi facevano visitare la casa indicando le stanze come se fossero guide turistiche.

“Questa è la tua cabina armadio!” Sarah aveva una splendida luce negl’occhi. Cabina armadio?

“Ma ha anche le uscite di emergenza? Non è un po’ grandina?” la loro risata squillante si mischiò a quella profonda di Jacob, alla fine coinvolse anche me.

“È  la stessa cosa che hai chiesto a quella nana, vampira pazza di tua zia Alice quando l’hai vista la prima volta.” Il tempo trascorse veloce mentre assaporavo racconti della nostra vita da genitori. La vera portavoce era solo una: Sarah. Il piccolo EJ era taciturno, come se quella situazione gli pesasse enormemente ma non volesse darlo a vedere, soprattutto a me.

“Papà perché stasera non guardiamo un film e mangiamo schifezze? Dai ti prego è da tanto che non lo facciamo, tutti insieme!” la ragazzina sapeva come ottenere quello che voleva. Si era aggrappata al braccio con occhi imploranti e voce smaniosa a cui nessuno avrebbe saputo resistere. Infatti con un sorriso luminoso Jacob rivolse uno sguardo ad ognuno di noi  per poi tornare alla nostra bambina.

“Va bene, andate a scegliere il film e le schifezze da mangiare!”

 

La serata trascorse tranquilla. Guardare la televisione consentì al mio cervello di distrarsi e di placare il suo costante attanagliarsi. I bambini si addormentarono spalmati su di noi. Avevo una splendida famiglia, fortemente unita. Eppure la mia mente non voleva ricordare, non mi faceva accedere ai cassetti che contenevano tutta quella felicità che avevo avuto. Il dubbio. Il dubbio era forte, volevo sapere cosa mi stesse accadendo, volevo conoscere il vero motivo per cui io continuavo a non ricordare bene tutto il mio trascorso. Portai io stessa i bambini nei loro lettini e poi andai nella nostra camera. Mia e di Jacob. Passando davanti al letto mi fermai in preda al rossore. Chissà quante volte avevamo fatto l’amore sul quel materasso, e i ricordi caddero su quella sera, dopo la caccia. Mentre mi stavo perdendo tra le mie fantasticherie un rumore mi attirò verso la porta accanto alla cabina armadio. Da essa trapelava una luce vivida e forte. Mi accostai e vidi Jacob in piedi davanti al lavabo, con un pennello da barba che si spargeva la schiuma sul mento.

“Dormono?” alla sua domanda risposi con un si della testa. Ero rimasta incantata. Se fosse possibile il mio Angelo era ancora più bello, il volto concentrato in quello che stava facendo sembrava rilassato, il suo petto nudo risaltava attraverso le ombre create dall’illuminazione artificiale. Indossava ancora i bermuda che ricadevano sui fianchi scolpiti creando una piega invitante sulla sua pelle che si congiungeva agl’addominali. Deglutii  cercando di togliere il groppo che si era creato nel vederlo in quella situazione così intima, ma rimase lì fisso come se fosse fatto di pietra.

“Posso aiutarti?” lo dissi con naturalezza. Sentivo di sapere come muovermi, forse era una cosa che facevo spesso, come era stato per lo spagnolo. Lui mi sorrise con solo metà guancia sporcata dal sapone. Prese uno sgabello da un angolo e si sedette porgendomi il pennello. Avanzai lentamente cercando di collocare prima ogni mia azione, in modo da essere più che preparata. Presi la ciotola con la schiuma con la mano sinistra ed il pennello con la mano destra collocandomi con le gambe divaricate, in piedi sopra di lui in  modo da essergli più vicina. Iniziai cospargendola con piccoli cerchi sulla gota pulita, passando per tutto il mento. Jacob mi guardava fisso negl’occhi tanto che mi sentivo quasi imbarazzata. “Sto facendo qualcosa di sbagliato?”

“No, sembra che ti ricordi perfettamente come si fa!” passai la schiuma uniformemente ovunque ed appena finì mi accertai di aver coperto con cura ogni lembo di pelle. Non volevo rischiare di ferirlo con la lametta e magari di attaccarlo. Ma la mia espressione doveva esprimere la mia muta domanda “Lo hai sempre fatto tu …” lo disse mentre stavo posando la ciotola con il pennello sul piano d’appoggio alle mie spalle. Parlava piano rendendo così la sua voce ancor più calda e sensuale.

“Cosa?” spontaneamente avevo anch’io il tono arrochito e basso. In fin dei conti in casa regnava quasi un assoluto silenzio. Avendo conosciuto una realtà dove nessuno dorme era difficile abituarsi ad una tale situazione.

“La barba, i capelli … se ci fosse tua zia direbbe che stai facendo la toletta al cane!” trattenne a stento un risolino. Afferrai il rasoio ed iniziai a passarlo molto piano sulla sua pelle, con una precisione quasi maniacale sotto il mento. Sentivo i piccoli puntoni di barba grattare al passaggio della lama.

“Mia zia è molto simpatica!” sorrisi ma senza deconcentrarmi. La mia paura più grande era ferirlo ed attaccarlo con l’odore del suo sangue che già mi aveva attirato. Mi voltai e sciacquai la lametta, picchiettando rumorosamente contro la ceramica del lavandino. “Jacob?”

“Mmm?” non poteva rispondermi onde evitare che la pelle di distendesse o si piegasse troppo.

“Eravamo veramente così felici?”

“Si, nonostante i piccoli e grandi screzi, siamo sempre stati felici!” afferrò la mia mano distogliendomi momentaneamente dalla mia mansione ed ebbi l’occasione di perdermi nuovamente nel suo oceano. Quante cose mi venivano dette attraverso quel mare, amore, dedizione, dolcezza, paura. Potevo individuare ogni sua emozione solo incrociando quella notte rischiarata da una luna che speravo risiedesse in me. “Nessie vorrei tanto che tutto questo non fosse mai accaduto, vorrei darti tutto quello di cui hai bisogno per consegnarti quel passato che non trovi!” raggirai la sua presa e portai la sua mano al mio petto, dove il mio cuore aveva preso a martellare incessantemente per quel contatto.

“Non ricordo quasi nulla, eppure questo è l’effetto che mi fai! Se c’è una cosa di cui sono sicura sono i miei sentimenti, l’ affetto e l’amore sono gli unici due punti fermi di questa continua tenebra, e poi …” abbassai lo sguardo sapendo cosa stava succedendo sul mio viso “… mi piace il buio!” prese il mio mento teneramente, carezzando con il pollice la mandibola. Notai allora il suo sopracciglio inarcato tradendo una domanda silenziosa di spiegazione. “I tuoi occhi, sono molto scuri mi fanno pensare al buio!”

“Come siamo romantiche!”il suo tono canzonatorio non poteva scalfire il momento. Lo baciai a fior di labbra sporcandomi con la schiuma da barba che lui prontamente levò da sotto il mio naso sorridendo divertito probabilmente dalla mia faccia buffa. Ma poi tornai seria, volevo che sapesse che quello che mi apprestavo a dirgli era fondamentale, rilevante. Non volevo assolutamente che venisse sottovalutato in alcun modo.

“Jacob, farò di tutto per riacquistare il mio passato ma qualsiasi sia la mia sorte vi voglio al mio fianco …” attendevo una sua risposta tremante, sapevo che lui ci teneva enormemente a me, me l’aveva dimostrato in ogni gesto e se quello che dovevo affrontare mi avesse soprafatta doveva esserne cosciente.

“Ci saremo sempre, amore mio, sempre … ”

 

Note dell'autrice: E dopo la Pasqua ecco un capitolo assolutamente di passaggio. Ma nel prossimo vi dico solo che della prima parte sarà uno degl'ultimi. Chissà se Nessie recuperà la memoria e soprattutto come? Per ora vi ho lasciato un po' d'amore e di affetto ci stava tutto! E Sarah ed EJ sono sempre più dolci e forti. Si sono un piccolo Jake e una piccola Nessie.

Fra_Zanna: Illegale? Buahahaha! Mi hai fatto tanto ridere quano ho letto quella cosa! Comunque vedrai che in un modo o nell'altro la cosa si va risolvendo!

noe_princi89: ora la Nessie si è svegliata. Sapere che ha dei figli con Jake la spinge ancor di più a volere il suo passato. Io penso che l'amore di una madre supera davvero confini invalicabili.

Sapete ragazze siamo arrivate GREY DAY IN DARKNESS  a 35 preferiti per la prima parte e a 30 per la seconda. Quindi un applauso per la mia vecchia storia! hyp hyp hurrà

In più ringrazio le costanti visite che sono sempre più numerose.

Ringrazio Karol 95 che mi ha inserita tra gli autori preferiti facendo salire la quota a 12

Mando sempre un ringraziamento speciale a SINEAD.

Baci a al prossimo capitolo che se tutto va bene lo revisiono e posto stasera!

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Capitolo 23
*** CAPITOLO XXI: 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1 ***


CAPITOLO XXI: 10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1

Guardavo fuori dal finestrino dell’automobile controllando l’esterno. Vedevo lentamente il diradarsi degl’alberi diventando una colata di asfalto e cemento. Da quando avevo deciso di ricorrere a qualsiasi mezzo per riacquistare la memoria non facevo altro che farmi analizzare da qualsiasi punto di vista. Non bastavano più i controlli giornalieri di Carlisle, era arrivato il momento di approfondire i miei problemi, scavare e trovare il dosso che aveva deciso d’impedirmi ad andare avanti. Quel continuo studiarmi, però mi stava stressando. I miei nervi cominciavano seriamente a risentirne. Il sentirsi bloccata nonostante tutti gli sforzi non faceva altro che scoraggiarmi. Odiavo quella situazione e più mi sentivo responsabile più continuavo a non ricordare. Ora mi toccava anche sottopormi all’ennesimo esame invasivo. Avevo fatto di tutto a seconda di quando si potevano usare i vari strumenti di tortura con discrezione. Arrivavo all’ospedale ogni sacrosanto giorno da una settimana a quella parte e cominciavo con mille prelievi di sangue standard per controllare emocromo, markers tumorali ed altri numerosi nomi di altrettante malattie che potevano provocare un’amnesia a lungo termine. Ero diventata una piccola cavia da laboratorio, sulla cui pelle si stava sperimentando l’impossibile.

< Pensa per chi lo fai, pensa che ci sono Sarah ed EJ che non aspettano altro che la tua memoria … >

“Davvero non ricordi nulla?” avevo completamente dimenticato il ragazzo che guidava accanto a me. Di solito era Jacob ad accompagnarmi ma purtroppo aveva avuto un contrattempo e si era trovato incastrato con dei problemi di branco, lasciandomi per quel giorno nelle mani del bel giovane, dai tratti delicati, viso privo d’imperfezioni caratterizzato da un incarnato perlaceo ma gli occhi. Gli occhi sembrava li avesse dipinti ispirandosi al colore dell’oceano in tempesta, blu oltremare con piccole screziature verdi. Capelli d’ebano disordinati portati non eccessivamente corti. Bellezza significativamente sovrannaturale. Ma domande decisamente urtanti.

“No, mi diverto a vedere l’effetto delle mie stramberie! Certo che non ricordo nulla!” dissi sarcastica e decisamente irritata. Non solo ero diventata una cavia da laboratorio ma ora venivo schernita e presa come lo zimbello di tutti.

“Scusa … no … non volevo offenderti!” l’improvviso cambiamento del suo atteggiamento mi sorprese. Strano, molto strano ma non so per quale arcano motivo mi fidavo di lui.

“Scuse accettate!” non mi ricordavo tra le foto di Esme di aver visto il suo volto. Un’altra cosa che avevo imparato di me era la dominante ed insistente curiosità. Un piccolo tarlo che non cessava di rodermi all’interno. “Mi puoi dire gentilmente che ruolo hai nella mia strana esistenza?”

“Io mi chiamo Gabriel …” non mi bastava, volevo capire di più un semplice nome non poteva spiegarmi chi era per me.

“Fai parte della famiglia Cullen?”

“Da poco in realtà, sono stato adottato da Carlisle ed Esme da sette anni!” sorrise guardandomi di sfuggita per tornare ad osservare la strada. Notai con stupore che il suo cuore pulsava, indice di sangue che scorreva nelle sue vene. Mi concentrai ancor di più sul suo odore. Era completamente diverso da tutti quelli che avevo incontrato, ne umano, ne vampiro, nemmeno licantropo. Assomigliava molto al mio anche se la sua nota dolciastra si avvicinava più al profumo del gelsomino, piuttosto che alla vaniglia. Inspirai profondamente e mi entrò dentro stuzzicando il mio palato. Era molto invitante. Forse troppo. Questo voleva dire solo una cosa.

“Sei come me?” certo lui non era un vampiro completo ma un mezzo sangue. Troppe cose lo accumunavano a me al mio modo di essere.

“Non ricorderai nulla ma non sei cambiata tanto! Sempre molto perspicace te lo concedo!” alternava lo sguardo tra la strada e me in una maniera quasi imbarazzante. Solo allora mi accorsi di fissarlo per studiare le sue reazione e carpirne informazioni. Voltai velocemente il capo nascondendo il rossore che stava di certo colorandomi le gote. “Comunque per rispondere alla tua domanda si sono come te, un ibrido …” in un attimo mi trovai di fronte a lui e a Jacob che si guardavano intensamente pronti ad azzannarsi da un momento all’altro. Subito dopo l’immancabile spasimo della mia testa, che mi costrinse a tenermi la fronte ansimando più forte del previsto.

“Tutto bene, Nessie?” il suo tono era decisamente cambiato. All’inizio trovava tutta la situazione spassosa ma ora vedendomi in difficoltà sentivo che si stava preoccupando. Alzai solo la mano indicandogli di aspettare. Avevo bisogno di qualche secondo per riprendermi con un sorriso appena accennato.

“Perché ti stavi per battere con Jacob?” continuai il mio interrogatorio anche se i rimasugli del dolore continuavano a battere sulle mie tempie. Avevo già percepito dell’astio fra i due ma non capivo bene il perché. Quando si era offerto di scortarmi, il mio Jake aveva cominciato a ringhiare contrariato ed aveva borbottato per tutta la sera. Sembrava a dir poco geloso.  

“Dissapori!” ma che razza di risposta era? Ovvio che non andavano d’accordo ma dal non andare d’accordo alla zuffa ci passava un mare.

“Sei sempre così criptico?No per saperlo perché io ora vorrei tanto sfogare la mia frustrazione su di un ibrido poco chiaro!” per una persona con la cefalea non era il massimo cercare di scervellarsi con un tipo strano che aveva tutte le intenzioni di farmelo aumentare.

“Memoria o no, hai sempre il tuo solito caratteraccio!” un profondo ringhio cominciò a gorgogliare nel petto indicando la mia crescente seccatura. Sapeva come diventare una spina nel fianco.

“Sembra che tu non ci tenga alla tua vita!” stava superando ogni limite soprattutto quando aveva preso a sganasciarsi dalle risate. Però era veramente carino, nulla a che vedere con il mio tipo ovvero alto, ben piantato ed abbronzato. Ma gli occhi ce li avevo eccome, ed era sicuramente un tipo molto affascinante ed accattivante. “Tu non hai una compagna o una moglie?” la riprova che era come me: notai un lieve strato colorato ad imporporare le guance. Divertente!

“N – no, per … perché me lo chiedi?” stentava le parole, decisi che era il momento di fargli scavare la fossa.

“Notavo che sei davvero un bellissimo ragazzo, alto, bel viso, begl’occhi …” ed ora fissai il suo viso pronta a ridere a crepapelle per la reazione a quello che stavo per dire “ … bel sedere!” colpito e affondato. Il suo incarnato diventò da lattiginoso ad infuocato, i suoi occhi scorrevano nervosi sulla strada ben attenti a non voltarsi verso di me.

“I – io … speriamo che Jacob non …” balbettava, quel ragazzo non era strano. Di più. Però era esilarante metterlo in difficoltà, soprattutto se avveniva con una certa facilità. Era giunto il momento di dargli il colpo di grazia.

“Era solo un innocente complimento, non ti ho chiesto mica di venire a letto con me!” ero totalmente soddisfatta di come avevo capovolto la situazione, da oggetto di scherno ad aguzzina. Ora si che sembrava una lampadina da ribalta.

“Se osassi anche solo pensare una cosa del genere verrei ucciso almeno da un vampiro e da un licantropo! Già ho rischiato una volta e non eri nemmeno sposata …” portò una mano sul fianco come se il ricordo di quello che era successo faceva riaffiorare qualche cicatrice derivante dallo scontro.

“Cosa vuoi dire?”immediatamente il mio ragionamento creò un’equazione inequivocabile “Ah, i dissapori! Tu ci hai provato con me!”

“Non la metterei in questa maniera semplicistica!” ormai ero partita in tromba, non lo ascoltavo nemmeno più. Ridevo soltanto. E non una risata di quelle forzate. Di quelle che ti lasciano senza fiato per qualche secondo “Ah, Ah, spero che ti stia divertendo!” calmai la mia risata rimanendo però ancora con qualche strascico di rimando.  

“Non sei stato molto intelligente, Jacob è un armadio! O meglio la tua prestanza è sicuramente notevole ma il mio Jake è veramente enorme!”  invece lui sembrò diventare serio, offeso come se il mio comportamento lo infastidisse parecchio. Ma non m’interessava fino a qualche istante prima mi aveva preso per i fondelli, a quel punto toccava a me.

“Guarda che se io voglio posso metterlo fuori combattimento con poco, mi basta toccarlo!” il suo tono altezzoso tradiva un lato orgoglioso e fiero del suo carattere. Si stava praticamente pavoneggiando come un ragazzino in piena pubertà che tenta di farsi bello agl’occhi della sua comitiva.

“In che senso, scusa?”

“Poteri …”

“Quali?”

“Basta domande, siamo arrivati!” si era adombrato improvvisamente e la sua affermazione venne rimarcata dalla frenata dell’automobile. Eravamo di fronte al Northwest Seattle Hospital. L’ospedale dove lavorava il “nonno”, ovvero Carlisle. Non sapevo cosa mi attendesse. Entrammo girando per i diversi corridoi, attraverso il loro labirinto. Una volta incontrato Carlisle ed espletato tutti i convenevoli burocratici e non, mi ritrovai con una sottile vestaglia di carta ad affrontare l’esame del mio cervello. Rumore di un vecchio treno merci. Guardavo il tunnel dalla mia posizione supina, vivendo una paura claustrofobica di entrarci. Non potevo assolutamente muovermi. Ma chi mi avrebbe grattato lo stinco che aveva deciso di prudere nel momento meno opportuno? Allungai lentamente il mio santo piedino cercando il più possibile di non far accorgere nessuno quando subito sentì la voce microfonata di un tecnico qualsiasi impormi l’assoluta immobilità.

“Abbiamo finito signorina, può rivestirsi!”

 

“Sembra che almeno fisicamente tu stia bene!” Carlisle comparì da dietro la porta dell’ambulatorio in cui mi aveva chiesto di aspettare. Con la tac con liquido di contrasto avevo terminato la lunga ed interminabile lista di esami. Il fatto che fisicamente non avevo alcun problema mi rincuorava, però voleva dire che quello che avevo non potevamo scoprirlo facilmente come speravamo. Se uno ha una patologia, si scopre che tipo di malattia è e come curarla. Invece nel campo del psichico era decisamente un paio di maniche. Guardai Carlisle che cercava di mascherarsi dietro la cartella che stava consultando. Pareva imperturbabile ma leggevo che dentro di lui c’era qualcosa in più di quello che mi stava dicendo.

“Cosa mi nascondi?” la mia stessa mente celava passi importanti, non ero disposta ad essere circondata da omissioni anche se volute per il mio bene. Avevo colpito nel segno. Si era voltato pensieroso, cercando di nascondere ai miei occhi quello che già avevo percepito poco prima.

“Ho contattato nuovamente il mio amico psichiatra, per parlargli della tua situazione Nessie …”

“Ebbene?” quindi era questo quello che mi voleva nascondere. Magari le speranze che io potessi recuperare la memoria erano sfumate in una telefonata ad uno specialista.

“Abbiamo discorso a lungo, e l’unica soluzione è riuscire a capire quale è stato la causa della tua perdita di memoria. Mi ha suggerito di sottoporti ad una cura , ma non sono certo che possa funzionare …”

“Se c’è una cura dobbiamo provare tu non credi Carlisle?” l’ansia ed il nervoso avevano cominciato a prendere il sopravvento.

“Piccola mia, non è così semplice! Dovremmo entrare in un ambito sconosciuto ed oscuro in cui io non ho mai messo piede, non sarà facile e soprattutto potremmo scoprire cose che invece che riportarti da noi potrebbero distruggerti!” quando non aveva coraggio di guardarmi e si perdeva nella contemplazione dell’esterno, mi irritava. Di cosa aveva paura che io peggiorassi? Io non stavo peggiorando, non stavo migliorando. Mi trovavo assolutamente ferma in un punto e non avevo intenzione di rimanerci. Avrei piuttosto preferito fare tabula rasa, e ricominciare di nuovo. Meglio cadere tentando che non provarci affatto.

“Sicuramente meglio della condizione in cui sono ora, non credi?” stava solo tentando di aiutarmi ma quel suo modo di nascondere pur di evitare i rischi mi dava decisamente alla testa.

“Ho solo paura di non potercela fare!” non so cosa mi spinse a farlo ma mi avvicinai a lui cingendo da dietro i suoi fianchi.

“Io mi fido di te, dimmi cosa si tratta prima di partirne sconfitto!” mi sentivo libera di mostrare il mio affetto. Abbassò la testa guardando le mie mani incatenate alla sua vita, le carezzò con trasporto.

“Nessie, saresti disposta a sottoporti ad …” il suo inutile sospiro mi ridestò da quelle riflessioni, gli pesava rivelarmi la vera natura delle sue preoccupazioni. Si voltò lasciando che la presa del mio abbraccio si sciogliesse, mi fissò dall’alto e rimase così alcuni secondi. “Ipnosi?”

 

 

Dalla nostra conversazione mi ritrovai nel suo studio alla villa, sdraiata su di una chaise long , la sera stessa, che regalava la penombra necessaria all’atmosfera mentre un metronomo segnava il lento scorrere dei secondi. Jacob non era ancora tornato e nessuno, solo Gabriel, sapeva del nuovo esperimento a cui mi stavo per sottoporre. Se non fosse stato per quel petulante ticchettare, probabilmente il silenzio più assoluto sarebbe perpetuato. Carlisle si era seduto accanto a me, con la sua solita quiete tradita da solo il muovere nevrotico del suo tallone distaccato da terra.

“Sei pronta?” accennai ad un si muovendo appena le labbra “Bene chiudi gli occhi e rilassati …” nuovamente silenzio “ascolta le mie parole e segui le mie istruzioni attentamente … devi concentrarti sul tuo respiro … segui il ritmo del metronomo … ” con tutta la forza mentale che avevo, iniziai a sincronizzare i mie polmoni con il rumore lento. Inspiravo. Espiravo … “Ora conterò alla rovescia da dieci, quando te l’ ordinerò aprirai gli occhi e cominceremo a scoprire cosa ti sta accadendo … dieci … nove … otto … sette … sei … cinque”  il progressivo scandirsi dei numeri, defluiva lentamente. Lo sentivo scorrere sulla mia pelle gelido e fluido come mercurio in un termometro “… quattro … tre … due … uno … zero …” il mio corpo ora mi era estraneo. Non mi apparteneva rimaneva lì inerme sorretto solo da fili invisibile provocati dalle parole del dottore “… Renesmee, ora apri gli occhi!” le mie palpebre risposero al suo comando. “Dove ti trovi ora?”

 

Seduta, con le ginocchia tra le braccia, non avevo voglia di guardarmi intorno. Sentivo un venticello scuotermi i capelli, degl’uccellini in lontananza. Ma io rimanevo chiusa in quel piccolo universo di sapone che mi ero costruita tra i miei arti. Torridi raggi solari scaldavano la mia pelle ed un’ intenso profumo di lavanda invadeva le mie narici. Non sapevo dov’ero e cosa stavo facendo. Ad un tratto delle risate.

“Sei troppo vecchio!” una vocina melodiosa, risuonava come campane a vento, trillava in preda all’allegria di un momento sicuramente gioioso della vita della sua padrona.

“Non  è vero, ho solo vent’anni!” contrapposta ad essa una voce più calda ed adulta ma con tonalità fanciullesche e giovanili di un ragazzo.

“Da quanto tempo hai vent’anni zio?” zio e nipote. Ero io quella bambina?

“Piccola ragazzina impudente, la prossima volta che mi chiedi di farti fare un giro in spalla ti giuro che …”

“Non importa, perché tanto lo chiedo a Jacob! Lui è più alto di te di ben due centimetri!” parlavano di Jacob, il mio Jacob. Alzai la testa cercando di capire dove fossi e da dove sentivo tutto quel baccano.  Ero su di un albero, poco lontana dalla casa, di fronte ad una finestra che dava su di una cameretta. Vi era un letto a baldacchino con delle lenzuola rosa confetto, una libreria ed un’enorme cassapanca. A terra erano riversati mille giocattoli. Spinta dalla curiosità entrai e cominciai a studiare l’ambiente e la circostanza.

“Renesmee Carlie Cullen!” la voce di Bella mi stava chiamando. Mi precipitai dentro casa e la seguì fino a raggiungerla all’uscio. Stava con le braccia conserte, il suo piede s’infrangeva ripetutamente sul terreno e sul viso il sopracciglio sinistro era alzato contrariato. Guardava verso l’esterno e sembrava non accorgersi della mia presenza. Dal bosco Emmett comparve tenendo tra le spalle la bambina delle foto: io. Stavo rivivendo un ricordo forse ero riuscita a spingere la mia mente oltre quello scoglio “Renesmee Carlie Cullen, ti avevo detto che non potevi andare a giocare con Emmett, finché non  mettevi a posto la tua cameretta!” l’avevo fatta decisamente arrabbiare. Quale mamma non sarebbe arrabbiata della disobbedienza della figlia?

“Ma mamma …”

“Nessun ma mamma! Ora fili in camera tua, sistemi i tuoi giocattoli e poi ne riparliamo!” non l’avrei mai contraddetta. La sua dolcezza era infinita ma poteva essere altrettanto feroce.

“Dai Bella non essere così severa!”  cominciai a ridere all’espressione fulmini e saette che aveva dedicato all’omone intimorito da una mamma adirata che latrava cercando di trattenersi dallo staccargli il collo. Osservandola meglio notai qualcosa di diverso dalla Bella che conoscevo. I suoi occhi. Non avevano quello splendido colore dell’oro fuso, non del tutto per lo meno. Una tinta cremisi invadeva la dolcezza del loro miele con grandi striature evidenti.

“Hai sentito qualcosa?” si voltò verso di me ma il suo sguardo sembrò attraversarmi. Ero come un fantasma per loro, una spettatrice del passato che guardava dall’esterno. Emmett e la me bambina si guardarono attorno disorientati.

“Cosa Bella io non ho sentito niente!”

“Renesmee vieni rientriamo …” il suo tono era cambiato totalmente, sembrava in apprensione come se si volesse sbrigare per paura di essere seguita. Anche Emmett annusò l’aria per un po’ ed aizzò i sensi come avevo fatto io nella foresta  per trovare la mia preda. Li seguii ma proprio mentre entravo da pomeriggio divenne mattina e non ero più nell’atrio ma nello studio. Una ragazza con le mie stesse fattezze ma evidentemente più giovane, stava china su di un libro sulla grande scrivania battendo con una penna sulle sue labbra. Una ventata gelida, Carlisle si trovò subito accanto a lei osservando il suo operato.

“Sei in difficoltà?” teneva fra le mani un libro. Di solito mentre svolgevo degli esercizi lui preparava la lezione successiva che poteva vertere dalla letteratura alla fisica quantistica.

“Non mi convince …” ero assorta pensierosa. Cogitavo ripetutamente sulla stessa riga da molto. Sapevo il perché.

“Cosa non ti convince?”

“Vedi questo passaggio?” indicavo un qualcosa con la penna sul libro “Secondo me è sbagliato, guarda nonno …” tirai fuori, da sotto il tomo che stavo consultando, un quaderno usurato e carico di appunti che avevano aumentato il volume delle pagine per una scrittura troppo marcata. Iniziai a scrivere velocemente per pochi secondi “Se io qui applico questa formula invece che questa, il legame diventa stabile e non tende alla scissione. Non trovi che sia giusto?” mentre spiegavo alternavo la penna indicando l’uno e l’altro. Carlisle seguiva attento ed alla fine prese fra le mani il quaderno.

“Sai hai ragione! Pensa come ci rimarrebbe l’autore del libro sapendo che una bimba di quattro anni è riuscita a trovare un errore sul suo manuale di chimica!”

“Io non sono una bimba!” arricciai le labbra riducendo gli occhi a fessure taglienti. Poi il tutto si sciolse in una grassa e luminosa risata. Non sarò stata una bimba ma in quel momento mi ci stavo comportando.

“Dai continua a studiare piccola donna!” era bello guardare dall’esterno quello che avevo vissuto. Le immagini che stavo vivendo assumevano tonalità frammentarie nelle prime parti per poi diventare nitide e chiare man mano che il ricordo assumeva forma. C’erano delle informazioni che avrei potuto soltanto archiviare, come ad esempio lo sguardo fiero di mio nonno nel momento in cui avevo demolito un luminare della chimica. Rimasi ancora ad osservare quella scena per un po’ senza che qualcos’altro di realmente rilevante accadesse.

“ZIO JASPER!!!” le urla di una bambina dalla voce cristallina mi attirarono fuori dello studio. I suoi passi veloci e leggeri come una dardo di piume, quasi non mi permisero di percepirla mentre saliva le scale per accedere all’ultimo piano. La vidi  bussare su di una porta di legno ripetutamente. Quando l’insistente rumore provocato dalle nocche della bambina diventò insopportabile, la porta si aprì di scatto rivelando uno Jasper sconvolto “Zio, ti prego aiutami!!!” nemmeno il tempo di finire quella frase che la bambina si trovava già penzoloni sul suo collo. Cercò di sistemarla per tenerla in braccio.

“Che cos’hai Nessie? Sei terrorizzata!” dopo poco arrivò anche Alice con in mano un paio di forbici.

“Vuole tagliare il braccialetto che mi ha regalato Jacob! È mio non voglio che me lo tolga e lei è più forte, solo tu puoi fermarla, ti prego!” per un attimo mi guardai il polso e notai di averne uno anch’io ma non era logoro ed usurato, non almeno quanto avrebbe dovuto essere.

“Perché Alice? Sai che ci tiene!” era un rimprovero di quelli che si fanno alle bambine dispettose. In effetti guardandola bene dava proprio l’idea di essere un piccolo elfetto molesto. Alla constatazione di Jasper, subito si era eretta in tutta la sua altezza, che poi tanto altezza non era, con fare saccente.

“Primo” con le dita ondeggiò un uno tanto per rimarcare il concetto “ Il bracciale va tolto altrimenti finirà che la sua manina vada in cancrena perché non le passa più il sangue! Secondo” e fu la volta di sfoggiare una bella V, che non solo determinava il suo ordine numerico, bensì comprendeva un senso di vittoria “Non potrà tenerlo per sempre ! Te la immagini fra qualche anno, vestita di tutto punto alla festa più in di Seattle con indosso un bracciale di cuoio sbiadito? Sii realistico!” pensando di non poter essere più attaccata stava già avventandosi su di me che invece mi riparai abbracciando più stretto Jasper.

“Non Voglio! Non voglio! Non voglio!”

“Alice non tutti sono attenti come te a queste cose! Però dobbiamo allargarlo su questo hai ragione!” entrarono tutti e tre nella stanza, anch’essa era uno studio più piccolo di quello di Carlisle e dall’aria più moderna “Ti fidi di me, Nessie?” mi posò a terra delicatamente accucciandosi e sorridendo affabile. Prese fra i denti il nodo del bracciale. Dopo breve lo aveva sciolto e lo stava sistemando più lento. “Visto ora ci potrai crescere dentro un altro po’!”

“Grazie zio! Zia facciamo così, se non attenti più al mio bracciale ti prometto due intere giornate da tua bambolina, affare fatto?” allungò una mano che la zia prese velocemente trascinando la bambina via ed urlando:

“A cominciare da ora!” era divertente nonostante la faccia atterrita della bambina. Le seguì per la casa fino a perderle di vista un secondo da dietro l’angolo, affrettai il passo e mi trovai al piano di sotto dove si trovava Esme immersa nella cucina a trafficare con pentole e pentolini.

“Nonna! Che profumino ho una fame da lupo!” ed eccomi nuovamente più grande fiondarmi sull’isola, strofinando le mani soddisfatta.

“Si fame da lupo! Ma se becchi come un uccellino!” mi voltai e da dove ero arrivata, giunse Jacob. Era splendido, meglio perfino di come lo ricordavo. Aveva la sua solita tenuta d’ordinanza composta da bermuda e T-shirt.  Mi guardava come se fossi un piccolo oggetto fragile, ma non come adesso con un affetto fraterno.

“E tu mangi come un orco! Attento lupo che a giocare troppo con il fuoco ci si scotta!”  ero davvero contrariata stavo quasi per continuare quando Jake mi fu addosso donandomi un affettuoso buffetto sul naso.

“Jacob, ti fermi a mangiare qualcosa? È l’ora di pranzo e ne ho preparato abbastanza anche per te …” l’intonazione di Esme tradiva il suo meraviglioso istinto materno. Con me, con Jacob, quando l’avevo sentita rapportarsi  con gli altri. Il suo cuore non batteva, ma non era necessario. Era ben altro che un misero organo quello di cui era capace di donare.

“Esme non vorrei disturbare!”

“Non dire sciocchezze questa è anche casa tua!”

“Non temere nonna, se ne è accorto!” esageravo solo per donare la giusta enfasi alle mie parole.   “ Non l’hai visto come si svuota il mio frigorifero!”

“Nessie, non essere scortese!” al rimbrotto di Esme incrociai le braccia la petto sbuffando vistosamente, più per la sconfitta nei confronti del lupo che per altro.

“Io lo so perché sei così scorbutica!” fece girare lo sgabello in modo da potermi guardare negl’occhi  “Ti  ho finito il gelato alla vaniglia!”subito dopo aver lanciato il sasso,  prese posto accanto alla me-ragazza, che intanto stava tremando visibilmente arrabbiata. Poi un rumore di sottofondo, un vociare sommesso dal piano di sopra. Irresistibilmente cominciai a salire le scale. La camera piena di giocattoli che avevo visto all’inizio. Emanava un alone giallognolo mentre la sera prendeva il sopravvento. I bisbigli si facevano più insistenti diventando delle voci ben distinte.

“Jake smettila di fare il ciuchino  e stai attento!” mi affacciai nella camera e trovai uno spettacolo direi originale.

“Sei peggio del mio insegnante di letteratura! Uahhhhh!” finì la sua frase con un sonoro e plateale sbadiglio, che non fece altro che alimentare la mia irritazione.

“Non posso crederci! È una semplicissima relazione sulla Teatro Elisabettiano  e tu non riesci a mantenere l’attenzione fissa su di un argomento per più di dieci secondi! Basta non  ti aiuto più!” ed eccomi di nuovo, stavolta con un età molto vicina alla mia ed il volto accigliato, in mezzo al letto completamente cosparso di fogli e foglietti, un libro chiuso tra le gambe e le braccia conserte ad indicare il mio disappunto. Jacob ancorato sulla sedia di fronte alla scrivania con il computer aperto e fermo su una pagina bianca.

“Facciamo così, schiavista! Una pausa e ci rimettiamo al lavoro, ok?”

“Non mi sembra che tu stia lavorando!”

“Quanto sei pallosa! Te l’avevo detto io, era meglio che me la facessi tu, ti saresti risparmiata il fegato e la fatica di farmi da maestrina!” non l’avevo mai visto così strafottente. I suoi stati d’animo coprivano un ampia gamma di emozioni, ma in versione ragazzino borioso non l’avevo mai notato.

“Non è per questo che sei tornato a scuola Jacob Black!” assunsi un’aria solenne per dare importanza a quello che stavo dicendo“ Non sarebbe giusto, sei vuoi un aiuto io sono ben disponibile ma non mi chiedere di farti i compiti quello non lo farò mai!” per essere solo una ragazza mi rivelavo sempre molto matura  “E poi dai mancano pochi mesi gli esami e sarai finalmente diplomato …”

“Potevo benissimo cominciare a lavorare, anche senza il diploma!” ormai eravamo nel vivo della discussione. Lui aveva preso a fissare i miei occhi, con quelle due perle d’onice che cercavano la mia debolezza per far desistere le convinzioni radicate in me.

“L’istruzione è importante Jacob! Almeno un diploma ai giorni nostri è giusto che tu lo abbia! Pensa a me che ho appena cominciato e devo ancora attendere tre anni prima di potermi liberare di questo supplizio!”

“Non riesco ancora a capire come avete fatto te e tuo padre a convincermi a riprendere gli studi!” si era finalmente arreso. Lui era tenace ma io come osso duro ero imbattibile. Ma non sembrai soddisfatta, anzi avevo assunto una strana aria affranta, dispiaciuta. Triste.

“Benvenuto nel mio mondo in cui tutti riescono a farti fare quello che vogliono loro!”  quelle parole erano dette con una delusione molto forte tanto che Jacob si alzò per andarsi a sedere vicino all’altra me. Gli bastava poco per capirmi anche allora. Quando si parla di due corpi ed un’anima penso ci si riferisca a questo. Essere sempre in grado di comprendere l’altro, non abbandonarlo mai, pronti per qualsiasi evenienza.

“Ehy c’è qualcosa che non va?” la testa si chinò sul libro come a coprire il volto con i boccoli ribelli. L’altra me riprese a cercare tra le pagine un qualche argomento per evitare la conversazione. Jacob non poteva demordere così facilmente. Scostò il muro di capelli portandoli dietro la spalla, continuando a scrutarmi ed aspettando pazientemente che io rivelassi ciò che mi affliggeva.

“No, no è solo che ho avuto un piccolo screzio con papà. Sono tre giorni che parliamo poco, sai quanto odi il silenzio con i miei genitori!” non era solo questo. La parte realmente scottante riguardava l’argomento per cui avevo discusso. Jacob. Lo ricordai appena quell’immagine diventò vera. Mio padre, prima che potessi comprenderlo io stessa, aveva capito che quel qualcosa fra me e lui era più profondo dell’amicizia fraterna. Non mi aveva detto direttamente cosa lo turbasse del nostro rapporto, che lui definiva al limite del morboso, mi aveva soltanto gentilmente imposto di diradare i nostri incontri. E dopo avermi invitato a pensare prima a me e poi assecondare i suoi desideri io gli avevo indicato la direzione per andare all’inferno.  Di solito mi ero mostrata ubbidiente e cercavo, nei limiti del possibile di assecondarlo. Ma il suo discorso era assurdo visto che non mi sarei staccata dal mio Jacob per nessuna ragione al mondo, nemmeno se me lo avesse chiesto in ginocchio o in punto di morte. Per quanto quello che allora ci legava fosse solo un affetto molto profondo, io non avrei rinunciato all’aria che respiravo solo per le sue manie. Il suo modo di punirmi per quello che gli avevo detto fu un religioso e rabbioso silenzio, che io ripagai con una chiusura mentale decantando ogni genere di inno nazionale, poesia e composizione musicale. Come facevo a ricordare un particolare del genere? “Lasciamo perdere, è stata una stupidaggine, di quelle che trascendono per amplificarsi in una guerra inutile e senza fine!”

“Sai che per qualsiasi cosa io ci sarò sempre vero?” c’era sempre stato, come aveva detto Esme. Lui era lì e non mi avrebbe mai lasciata sola.

“Certo lupastro ma credo che la pausa sia finita. Mettiti al lavoro che la relazione non si scrive da sola!”

“Agl’ordini mio capitano!” un’altra risata proveniva da fuori, piena gioiosa. Attraversai la stanza sfiorando con la mia mano involontariamente il braccio di Jake lui si voltò di scatto rizzandosi in piedi trovandoci così faccia a faccia. Lo sentivo respirare affannato, come se fosse pronto a scattare da un momento all’altro. Ero sicura che non mi vedesse l’avevo già appurato, ma in quel momento cominciai a dubitarne. I suoi occhi scavavano all’interno dell’essenza delle cose, potevano scrutarmi nel mio viaggio?

“Jake, cosa c’è?” rimase in silenzio per qualche secondo continuando a guardarmi per poi  tornare alla me stessa visibilmente preoccupata.

“Nulla Nessie, continuiamo a studiare …” tornò al suo posto riprendendo a scrivere. Continuai a camminare verso la finestra dove le risate sembravano non finire.

“Novantotto, novantanove e cento! Ora sono come le principesse!” la bella ragazza bionda, Rosalie. Di nuovo una me bambina vestita leggera in una giornata di sole. Seduta fra le sue gambe a pochi metri dal fiume, mentre spazzolava i miei capelli ridendo e scherzando.  Scesi dalla finestra per gustarmi al meglio la scena. Mi prese fra le braccia e mi fece roteare in aria. Le nostre risa felici si potevano udire dappertutto. Poco lontano Emmett seduto a terra ci osservava. “Temo che lo zio sia ammalato! Hai visto com’è serio?” Rosalie si fermò guardando verso il vampiro.

“Emm, cos’hai?” scosse solo la testa. Un piccolo fulmine si gettò sul suo collo con un sonoro schiocco sulla guancia, seguito più lentamente da Rosalie che gli stava riservando uno degli sguardi di una dolcezza mai vista.

“Smetti subito di tenere questo broncio!” ero proprio una ragazzina volitiva, avevo appena ordinato con una vocina insolente ad un vampiro alto e grosso di smettere di essere triste “Mi basta Jazz come serio in famiglia, non ti ci mettere anche tu che poi questa casa diventa una noia immortale!”

“Come con me non ti diverti?”intervenne Rosalie con un sorriso allegro.

“Si zia! Io mi diverto con tutti, ma lo zio è lo zio!” a quel punto il ragazzone si alzò in piedi sollevando la bambina per tutta la lunghezza delle braccia che intanto rideva gioiosa.

“La mia piccola mezza vampira!” anche Rosalie contagiata dalla situazione iniziò a sciogliersi dalle risate.

“Papà!” la vocina acuta della me bambina lontana di parecchi metri. Andai velocemente incontro a quel rumore di passetti leggeri sul manto boschivo. Una coda boccolosa ciondolava sulle spalle, con indosso una maglia lilla su dei jeans che mi facevano sentire più grande, riflettendo la mia gran voglia di crescere. Una casetta di pietra, un cottage in mezzo al bosco ed un ragazzo dai capelli con i riflessi rossi e dalla pelle rilucente attendeva quel velocissimo scricciolo a braccia aperte  “Papà sei tornato dalla caccia, finalmente! Dov’è la mamma? Mi siete mancati così tanto! Che avete preso? Hai trovato i puma? ” parlavo a raffica ad un Edward stordito da una tale e chiassosa accoglienza.

“Calma piccola mia, piuttosto hai fatto colazione pulce!” un piccolo buffetto sul naso, per poi guardarmi torvo come se la mia smorfia di disgusto fosse un diniego. “Nessie, lo sai che devi mangiare anche cibo normale!”

“Non mi va papino!” affondai con la testa sul suo collo riuscendo ad ottenere con il mio tono lagnoso qualsiasi cosa. Mi assecondò in quel capriccio, eravamo molto simili stesse espressioni, stesso modo di guardarci, stesso sorriso sghembo.

“Ti sei divertita con gli zii?”  improvvisamente  cominciai a rabbuiarmi. Lo ricordavo, lo ricordavo, lo ricordavo. Sapevo esattamente ogni minima sensazione che stavo provando. Angoscia, frustrazione, tristezza.  “Cos’hai Nessie? C’è qualche problema?”

“Papà perché lo zio Jasper mi odia?” Edward a quelle parole sobbalzò, non se lo aspettava. Era comunque difficile trovarsi di fronte a me che captavo qualsiasi loro cambiamento fin da quando ero in fasce.

“Renesmee, tuo zio non ti odia!” era molto serio mi fece scendere dalle sue braccia e ci trovammo seduti davanti la porta di casa l’uno accanto all’altra. Presi un piccolo ramoscello ed iniziai a disegnare piccoli cerchi sul terreno.

“Allora perché evita di stare solo con me, appena mi avvicino si allontana!”

“Hai presente quando cacciamo?” la me bambina annuiva mentre continuava a scrivere sul terreno con lo sguardo fisso su quello che stava facendo “Tu senti l’odore del sangue e hai voglia di berlo. Lui ha solo paura di non resistere al tuo profumo e di farti del male!”

“Ma se voi ci riuscite perché lui non dovrebbe?”rimase spiazzato dalla mia risposta tanto che non riuscì a rispondermi. Avevo un coraggio degno di un leone non temevo un vampiro assetato di sangue. Quando poi le nostre espressioni cambiarono capii esattamente cosa stava succedendo avevo avuto un’idea stavo per esporla anche a voce quando un urlo irruppe nella foresta, corsi velocemente in sua direzione sprecando tutto il fiato che avevo in corpo. Annusai l’aria. Un debole nastro del mio odore si intrecciava ad uno più intenso e dolciastro. Vampiro. Continuai a correre e a correre seguendo quella scia. Ero a terra ed una donna vestita di rosso si stendeva sopra la mia figura. I suoi occhi, tinti di un orribile amaranto mi studiavano vogliosi come se fossi il più succulento dei pasti in cui stava per affondare i denti. Non riusciva a lacerare la carne bianca se non recidendola, sfregando violentemente le sue lame taglienti contro la mia pelle. La mia mano si portò dove i denti stavano affondando. La cicatrice gonfia pulsava al ricordo riaffiorato in quel frangente. Stavo morendo. Mi sentivo stanca, come se insieme al mio corpo la mia anima stesse abbandonando la vita. Caddi a terra a pochi metri da dove la fiera si nutriva della sua preda. Delle fiamme cominciarono a divampare all’interno del mio cranio rendendomi prigioniera della mia stessa morte fisica. Abbandonai la mia testa in mezzo alle foglie ed incontrai i miei occhi. Si stavano lentamente svuotando. Sull’iride erano comparsi delle fenditure cupe, che risaltavano il loro aspetto dilatato e spento. Ed ecco il dolore più forte mai provato in vita mia. Le mie tempie martellavano ripetutamente il mio cervello sembrava trafitto da lance acuminate.

“Uno … Due  … Tre …” la voce di Carlisle “Quattro … Cinque … Sei … Sette … Otto” il suo volume aumentava come lo spasimo del mio cervello “ Nove … Dieci … Nessie torna tra noi!”

 

Note dell'autrice: Ebbene si ipnosi ragazze siamo arrivate all'ultima spiaggia! Il nostro caro Carlisle sarà riuscito o no a trovare la soluzione alla malattia di Nessie? E cosa comporterà questo nuovo modo  di farle riaffiorare i ricordi? Indovinate un po' si saprà tutto nei prossimi capitoli. Spero vi sia piaciuto e che vi continui a piacere la mia storia.

noe_princi89: ragazza mia ci vorrà ancora perchè recuperi la memoria sempre che la recuperi completamente, chissà me crudele!

Fra_Zanna: nuuuu! non denunciarmi ti prego sto cercando di far risolvere la cosa ma come tutto c'è bisogno di tempo e fatica! Brava Fra diglielo tu che non mi deve martorizzare in questa maniera, senti ho istituito un ente a protezione dei personaggi letterali, potremmo fare un gemellaggio ... Nessie taci o ti rispedisco nella parte più remota del mio cervello! Chiaro! Scusala ultimamente sta inoltrando una protesta continua perchè dice che l'ho maltrattata ecc.ecc.  Tornando a noi ci sarà occasione di avere momenti teneri. Gli epiloghi non servono a questo?

Vichy90: Grazie mille per i complimenti li prendo e li conservo gelosamente! Diciamo che io per Jake ho nutrito sempre una profonda tenerezza, e quello che ho descritto è solo il Jacob che immagino una volta diventato marito e padre. Spero sempre di non discostarmi troppo dal Jacob che ci siamo immaginate, ma anche trasformandolo dal momento in cui finalmente ha trovato l'amore della sua vita. Di certo leggendo le prime due parti ti accorgerai di molti spoiler contenuti in questa. Spero che ti piacciano anche le mie due bimbe precedenti! Fammi sapere!

Ringrazio sempre tuttissimi!

Baci ed abbracci!Mally 

 

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Capitolo 24
*** CAPITOLO XXII: Adesso. ***


CAPITOLO XXII: Adesso.

La sua voce era riuscita a farmi fuoriuscire da quel delirio. Quei ricordi confusionari alimentavano soltanto il mio malessere fisico. Sentivo sempre meno distintamente le labbra di Heidi appropriarsi della mia vita. Il suo corpo di pietra svaniva così come si stava dissolvendo gli alberi che s’innalzavano imponenti sopra di noi. La mia prospettiva cambiò radicalmente mentre una nuvola bianca creò il soffitto che ora osservavo. Tossii annaspando ossigeno che cercavo in ogni particella d’aria che mi circondava, quasi non avessi respirato da minuti inghiottita e sommersa da un vortice d’acqua. Il primo volto che incontrai fu quello di Gabriel, stava asciugando la mia fronte con un panno. Mi girai su di un fianco per poi mettermi seduta, placando il singulto che scuoteva il mio petto. Stavo china con la testa quasi fino alle ginocchia. Appena ripresi il pieno controllo alzai lo sguardo verso il ragazzo bruno che mi guardava con infinita apprensione.  

 “Adesso so esattamente come ci si sente dopo essere stati falciati da un tir!” cercai di rimarcare la mia battuta con un sorriso verso di lui che invece spostò per lo sguardo dietro di se, dove si trovava un Carlisle trepidante, affascinato e  al tempo stesso molto preoccupato.

“La tua emicrania?” non mi ero concentrata sulla mia testa fino a quel momento. In effetti sembrava essersi affievolita, non di molto ma abbastanza per accorgemene ad un esame più attento. Appena me ne resi conto spalancai le palpebre incredula, forse c’era davvero una nuova speranza.

“Va … meglio!”

“Sembra che abbia funzionato!” la luce dorata dei suoi occhi venne però subito spenta. Un piccolo passo in avanti non poteva significare aver raggiunto il traguardo. Lo capivo e smorzai la mia eccitazione che aveva iniziato decisamente a scalpitare “Da quello che ho potuto capire hai ripercorso alcuni episodi della tua infanzia, fino ad arrivare a sette anni fa all’attacco di Heidi” portai una mano al collo. Avevo percepito nettamente i suoi denti affondare nella mia carne e come riprova, sotto alle mie dita, il rilievo della mezzaluna bianca diventava concreto.

“Quindi quello che ho visto, l’ho vissuto realmente nel mio passato?” avevo assunto il suo stesso tono serio e riflessivo. Non mi stavo lasciando trasportare dall’emozione, ma stavo solo constatando che c’era la possibilità di ritrovare tutto quello che avevo perso.

“Esattamente! La cosa migliore è che non hai subito conseguenze eclatanti!” spense un piccolo registratore dove probabilmente aveva inciso la mia seduta di terapia ipnotica. Rimasi in silenzio mentre Carlisle si appuntava e sistemava meticolosamente alcuni fogli, tutti con sopra scritto il mio nome. Non mi ero nemmeno accorta che Gabriel aveva preso posto accanto a me vedendomi forse un po’ adombrata.

“Cosa succede? Non sei contenta che forse riuscirai a recuperare la memoria?” prese la mia mano e la strinse posandola sulle sue gambe. Quel atto insulso quasi m’infastidì, sentendo un fremito alla base del collo . Stavo per distaccarmene ma mi resi conto che la mia discostanza lo avrebbe potuto ferire. Cosa stava facendo in fondo? Cercava solo di confortarmi. Superai quella sensazione strana e non disdegnai la sua presa.

“Non è così, non voglio solo gridare vittoria troppo presto!” Carlisle s’avvicinò a noi con il suo fare elegante e d’altri tempi attirando così la nostra attenzione.

“Hai ragione Nessie, la fretta non ha mai aiutato, però questa è solo una prima tappa del percorso che affronteremo! Ed essendo positiva possiamo aver fiducia nella sua buona riuscita!” gl’angoli della sua bocca si alzarono in un sorriso disteso e caldo. Gli risposi con uno meno convinto. Per quanto volessi nutrirmi di speranza, non volevo illudermi crearmi aspettative sbagliate. Presi di nuovo il mio capo poco prima che bussarono alla porta dello studio.

“Avanti!” non mi sarei voltata se solo il profumo intenso di bosco non avesse invaso la stanza, con la sua preponderante presenza. Adesso si unì un ringhio quando il suo sguardo scuro si posò sulle mie dita intrecciate con quelle di Gabriel. Ritirai prontamente la mia mano, quasi fossi stata colta su di un fatto che in realtà non persisteva. “Jacob …”

“Che ci fai tu qui!” soffiò tra i denti verso il mio pari razza. Mi alzai per affiancarlo ed afferrare la sua di mano. La sensazione che provai fu totalmente diversa. Con lui accanto potevo affrontare tutto, mi rasserenavo, mi rafforzavo e sarei riuscita probabilmente a scalare una montagna. Attraverso quel contatto avvertii un fremito percorrere i suoi muscoli.  

“Jacob” non rispose, rimanendo fisso sul ragazzo che aveva preso a rispondere al suo sguardo intimidatorio con uno altrettanto di provocazione. ghermii il suo mento e lo sospinsi verso di me. Sembrò di rivivere un Deja Vù. “Jacob, mi stava solo aiutando!” perché aveva così paura che mi toccasse? Si calmò non appena incrociò i suoi occhi con i miei, aiutandosi con un sospiro. Posò la sua fronte sulla mia bisbigliando uno scusa appena percettibile.

“Jacob” intervenne Carlisle “Vorrei parlarti in privato se non ti spiace poi potrai tornare con Renesmee a casa!” mi baciò sulle labbra leggero e venni accompagnata fuori da Gabriel che intanto si era alzato.

 

Sapevo che c’erano i miei figli ad attendermi, come ogni giorno dopo le mie visite di cortesia all’ospedale. In effetti la scena si svolse esattamente come me l’aspettavo: non avevamo neanche infilato la chiave nella toppa che la porta si spalancò rilevando un’impaziente Sarah con a seguito Bella che evidentemente era la baby sitter di turno.

“Come è andata?” non parlai, non risposi. Rimasi muta di fronte al viso di mia madre. Avevo uno strano presentimento. Mi sentivo vicina al raggiungere il traguardo eppure in quell’ultimo passo vedevo di lontano il nastro dell’arrivo e temevo di attraversarlo. Il noto per l’ignoto. Cosa avevo scoperto fino ad allora se non quello che importava? Ci stavamo accanendo con delle semplici idee, piccoli frammenti che rappresentavano solo la più piccola parte dell’eternità che si prospettava di fronte a noi. “Mi sembri stanca! Vai a stenderti piccola mia!” prese il mio mento per trarmi a sé e posare l’algide labbra sulla mia fronte. Un amore, un gesto materno ed affettuoso. La guardai negl’occhi e trovai in lei quello stesso amore incondizionato che avevo sentito io stessa.

“Va bene mamma …” si fermò. Non respirò. Non batté ciglio. Si immobilizzò. Quanto tempo era passato da quando avevo perso la memoria? Tre settimane, tre lunghissime settimane in cui quella parola non aveva trovato spazio sulle mie labbra se non nei profondi sentimenti che nutrivo per quella donna, la cui immagine l’avevo associata ad una stella. Un vampiro assetato di sangue, rimasto attonito di fronte a due semplici sillabe. Mamma. Perché chiamarla in quella maniera mi concedeva la vicinanza a quel mondo che si stava rifiutando di comparire. La superai andando a baciare i miei figli che nel viso lessero l’enorme peso di tutto quello che stavo facendo. Piccoli adulti rivestiti di un età lontana dalla loro maturità. Non insistettero che io restassi, non mi obbligarono. Ripresero le loro attività con apparente indifferenza, nascondendomi quello che invece sapevo per principio. Quando entrai nella camera non accesi la luce ma aprii la tenda rossa che copriva l’ampia finestra. Una luce pallida e lattiginosa di una luna crescente penetrò nella stanza invadendo con i suoi raggi l’intera stanza. Un piccolo cumulo scuro la tagliava. Le nubi cominciavano a diradarsi cedendo lo spazio a bel tempo sempre meno occasionale, ma rispetto al mai anche un centesimo di secondo sarebbe da definire frequente. Ero spossata. Avevo come la sensazione di essere sovrastata da un pesante drappo di velluto, che mi schiacciava contro il terreno ed io non riuscivo a sollevarmi, a diventare Atlante sorreggendo il cielo sopra la testa dell’umanità.

“Non mi piace vederti triste sai?” mi sentii avvolgere dalle sue calorose braccia placando minimamente il mio senso d’inquietudine. “Carlisle mi ha detto che la seduta di ipnosi ha dato buoni risultati, dovresti essere contenta …”

“Questa l’ho già sentita!” mi sciolsi dal suo abbraccio e nostri occhi s’incrociarono per un momento in cui no riuscii a nascondere nulla. Mi buttai sul letto chiudendomi come un riccio. La mia posizione prediletta ultimamente. Lo sentii posarsi accanto a me ma c’era qualcosa di diverso. Odore di legno secco, grezzo. Uscii dal mio guscio e notai una scatola rettangolare di fronte ai miei piedi, non eccessivamente grande. Sopra vi era inciso un lupo in rilievo, molto realistico. Improvvisamente lo trovai ad accarezzarlo.

“È arrivato oggi era una sorpresa per te e per tua madre, io ed Edward l’avevamo ordinato prima che succedesse tutto …” mi guardava aspettando una reazione che tardava ad arrivare “La scatola l’ho incisa io ma il suo contenuto l’ho dovuto affidare a qualcuno che conoscesse meglio le cesellature”

“È bellissima!” rimasi sempre più interdetta finché non mi decisi ad aprirla. Un ciondolo di raffinata fattura, in oro bianco a giudicare dal peso e dalla temperatura, descriveva due semi orbite ovali attorno ad una pietra bianca dalle striature azzurre con quattro piccoli diamanti a fermare le estremità. Era splendido. Guardai più attentamente la  pietra ed improvvisamente un dolore lancinante prese la mia testa. C’erano Sarah ed EJ mi guardavano contenti ed avevo quella pietra tra le mani.

“Il nonno ha detto che queste sono le pietre di luna!” “Appena l’abbiamo viste, abbiamo pensato la stessa cosa: dobbiamo darle alle nostre lune!”

Tenni il naso all’attaccatura che divideva gli occhi con una forte pressione. Jacob mi parlava ma io non riuscivo a distinguere alcuna parola. Il fischio era insopportabile ma andava via via calando. L’immagine svanì e con essa il dolore si dissolse. La mano di Jacob mi aveva afferrato le spalle e mi scuoteva invitandomi a rispondere.

“Scusa non volevo spaventarti!” non disse nulla mi prese solo fra le sue braccia baciandomi la testa. Allungai anch’io le braccia e cinsi i suoi fianchi di ferro. Rimasi al sicuro in quell’abbraccio per tutta la notte, cancellando lo sconforto che avevo avuto fino a pochi attimi prima.

 

Per il bosco si diffondevano tutti gli odori tipici della primavera. Erano ormai passati quasi quindici giorni da quella famosa seduta d’ipnosi ed avevo ripetuto l’esperienza soltanto due volte senza gli stessi risultati. La mia amnesia sembrava bloccata ancora più di prima. In compenso le mie nevralgie erano diminuite di quantità e di qualità. Probabilmente l’abituarmi al mio stato aveva contribuito ad una sorta di implicita accettazione da parte sia della mia mente che del mio corpo. La mia famiglia cercava di aiutarmi in tutti i modi, apprezzavo molto il loro modo discreto, per alcuni di estrapolarmi ricordi alcune volte con successo, altre volte senza. Quella domenica eravamo stati invitati ad un pranzo di branco, così l’aveva definito Jacob, a casa di Sue e Charlie. Era la prima volta che vedevo i famosi licantropi di La Push con relative compagne, di cui avevo sentito tanto parlare. In merito non avevo nemmeno uno straccio di ricordo a cui aggrapparmi, quindi risultava tutto estremamente nuovo, stressante ed angosciante. Non feci in tempo a scendere dall’auto che delle forti braccia mi avevano agguantato le spalle.

“Ciao piccola Nessie!” ricambiai titubante cercando di capire con chi avevo a che fare.

“Zio Seth, lasciala in pace la mamma è confusa!” grazie all’intervento di Sarah venni rilasciata quasi immediatamente e nello sguardo del bel ragazzone lessi tutto il rammarico e la delusione di quell’abbozzo curioso di sorriso che probabilmente avevo.

“Allora è proprio vero che non ricordi nulla!” annuì infilando le mani nelle tasche dei mie jeans, cercando di proteggermi. Dopo poco fui affiancata da Jacob e da EJ ed entrammo in casa. Ero praticamente la star assoluta e mi sentivo decisamente a disagio. Tutti puntavano sulla povera pecorella smarrita, che non conosceva la strada di casa. Mi abbracciarono in molti persino alcuni ragazzini che mi chiamavano zia. E poi l’uomo con i baffi della foto del mio album, uguale ad allora se non fosse stato per i capelli più brizzolati. Charlie. Il padre di Bella. Il nonno umano. Quello degl’indizi. Non si accostava, mi studiava di lontano come se temesse di parlarmi. Era a capotavola mentre davanti a noi passavano quantità di cibo dall’aspetto e dal profumo molto invitante. Chiacchiere inutili, mentre io e quell’uomo continuavamo nel nostro scrutarci. Il pranzo era giunto alla fine, con i bambini che scorrazzavano ovunque e le donne indaffarate nel rigovernare cucina e sala da pranzo. Ma io puntavo sin dall’inizio ad un confronto. Volevo parlare con lui. Stava solo in disparte, come se la situazione gli pesasse. Gli tesi la mano afferrando dolcemente la sua spalla. Non si spaventò, ne si allarmò l’accarezzò silenziosamente soffiando attraverso quei baffi.

“Anche tu hai dei super poteri?”

“Solo un grande spirito d’osservazione! Deformazione professionale!” si girò e finalmente potei osservarlo in volto. Qualche piccolo accenno di me, troppo della Bella di quella fotografia che la ritraeva tra le braccia di un Edward nel suo aspetto perfetto ed impeccabile di sempre. Tratti più duri e maschili ma occhi grandi e pieni, di un caldo colore del cioccolato al latte. I miei occhi color cioccolato. Rimanemmo così incatenato per un minuto, cercavo qualcosa un barlume, una speranza, un minimo segno che dicesse andrà tutto bene mi riprenderò.

“Tu sei l’unico ricordo che non mi fa male!” il suo sguardo accigliato mi fece intuire la mia poca chiarezza. “O meglio, quando ho ricordato di come nascondevi le liquirizie ed il gioco da detective in cui mi coinvolgevi, non ho avuto le fitte al cervello!”

“Ne sono lusingato!”

“Non sei di molte parole!”

“Da cosa lo hai notato?”

“Spirito d’osservazione!” volevo che mi guardasse, ma era sfuggente quasi intimorito. Tutto il tempo non aveva fatto altro ma ora di fronte a me non osava alzare il volto da terra. “Non riesco a capire come sia possibile, Charlie!” una smorfia, un misto fra un sorriso ed uno sbuffo tra il dissenso e il divertimento. “Lo trovi divertente?”

“Mi hai chiamato Charlie!”

“Ho sbagliato, non ti chiami così?” eppure ricordavo benissimo che il suo nome fosse quello possibile che mi ero sbagliata?

“No, vedi quando mi hanno parlato de …”

“Del nostro modo di essere?”

“Già!” le sue guancie sporcate di una polvere irta ed ispida per la barba di un giorno, si colorarono leggermente non per il freddo dovuto agli spifferi gelati che di tanto in tanto avvertivo, ma per il tremendo imbarazzo in cui stava precipitando “Quando mi hanno spiegato che tu eri la figlia biologica di Bella ed Edward, e quindi eri mia nipote di sangue tu eri molto contenta di essere ancora più libera di chiamarmi nonno!”

“Quindi non ti piace che ti ho chiamato Charlie!”

“In realtà ho sempre detestato essere chiamato per nome da Bella, quindi la tua voglia di chiamarmi nonno mi fece solo piacere!” lo sentivo il velo nostalgico che lo stava avvolgendo, non deve essere stato facile per lui perdere una figlia; una cosa sola avevo capito dell’essere vampiro: il non poter stare troppo attaccata agli umani. Avevo come un piccolo campanello d’allarme, una vocina che mi diceva della loro volubile esistenza. Noi eterni, loro aleatori come un soffio su di una fiammella. Eppure nel mio cuore, sentivo quanto più di sbagliato c’era in quel fossato che ci divideva. Gli volevo bene, volevo bene a tutti quei ragazzi e ragazze, ma erano fugaci come il loro respiro, li avrei persi.

“Mi parli di quel giorno?” e per la prima volta non fugò il mio sguardo lo ricercò e lo costrinse a lungo tenendolo a se cercando di non discostarsi più. “Mi aiuterebbe …”

“Non c’è molto da dire !” bofonchiò qualcosa e poi riprese a raccontare con non curanza cercando di celare il suo stato d’animo evidentemente turbato dalla mai domanda “Alla tua nascita non volevo sapere nulla di più di quello che già Jacob mi aveva rivelato con cotanto di dimostrazione pratica!” il suo modo di storcere la bocca in una smorfia di disgusto era molto buffa “Passò un po’ di tempo, facendo finta di niente come se tu crescessi in maniera normale e tua madre fosse quella di sempre” ancora quella smorfia che però stavolta era rivolta a me “Un giorno decisi di sposare Sue e con lei abbracciai il mondo che coinvolgeva i figli! Dovevo conoscere più aspetti visto che era parte integrante del consiglio degli anziani della tribù. Così Billy, Jacob e Bella vennero qui portandoti con loro e mi spiegarono  cosa era diventata mia figlia e cosa eri tu in realtà. Penso che solo la tua reazione felice mi salvò dall’infarto!” in un attimo mi trovai di nuovo quella scena di fronte agl’occhi. Un uomo sulla sedia a rotelle che mi teneva sulle sue gambe giocando alla lotta dei pollici, Bella seduta di fronte ad un Charlie più giovane, Jacob in piedi alle spalle dell’uomo sulla sedia a rotelle con le mani nei jeans che mi osservava adorante e quella donna, Sue seduta accanto a Charlie che gli carezzava la schiena mentre lui stava con i gomiti sulle ginocchia ad osservare il pavimento.

“Mi state prendendo in giro …”

“Charlie, purtroppo no, non ti stiamo prendendo in giro!” alle parole dell’uomo dai lunghi capelli neri io mi voltai verso Charlie. Lo vidi affranto, quasi disperato. Guardai Billy e scesi dalle sue gambe avvicinandomi molto lentamente a mio nonno. Gli presi il viso e lo sollevai costringendolo a guardarmi dritto negl’occhi.

“Adesso ho una ragione in più per chiamarti nonno!”  ed ecco l’immancabile  dolore, fendermi il capo come un’alabarda di fuoco. Fuori dall’ipnosi ricordare era davvero difficile “Ti senti male?”

“Malessere passeggero!” tornai a guardarlo cercando di mascherare il più possibile quel ronzio che non faceva altro che tormentarmi. “Ho solo bisogno di un bicchiere d’acqua vuoi scusarmi!” fece solo un cenno ed io come se conoscessi quella casa da sempre presi un bicchiere dalla credenza in cucina e lo riempii. Mi poggiai sul lavabo umido con le spalle alla finestra che dava sul prato.

“Come va?” non avrei mai voluto origliare la loro conversazione, fu solo un puro caso trovarmi li in quel momento. Quell’uomo Sam, credo si chiamasse, parlava con Jacob e porgeva lui una bottiglia ambrata, probabilmente birra. Ero lontana da loro parecchi metri eppure riuscivo a sentirli nitidamente come se fossi presente. Avevo testato più e più volte i miei sensi ma non riuscivo ad abituarmi a pieno delle mie capacità di forza e destrezza.

“Cerchiamo di risolvere il problema!” l’avevo notato quel suo sguardo. Lo vedevo ogni giorno perdere in speranza. Più i miei ricordi rimanevano immobili nel loro stato più lo sentivo soffrire. Ma era quello che si meritava realmente il mio Angelo?

“Non è una bella situazione, fa male vederla così! Che dice il dottor Canino? Pensa che i suoi ricordi torneranno quelli di un tempo?”

“Crede che sia un blocco inconscio, dovuto a qualcosa che ha vissuto e che la sua mente ha deciso definitivamente di rifiutare facendole scordare tutto …” si lanciarono occhiate curiose per poi scoppiare a ridere in tonanti risate. Simili, molto simili.

“Certo che a stare con i vampiri parli come loro, che farai ora? Comincerai a bere sangue?” era bello vedere Jacob rilassato, disteso in una conversazione che seppur riguardava un problema lo stava divertendo. Con me non riusciva, non poteva perché ogni volta sentiva il mio disagio, la mia voglia di raggiungere di nuovo quell’inafferrabile e sfuggevole passato che non riusciva più a riaffiorare. “A parte gli scherzi Jake, che pensate di fare con i Cullen, c’è qualche medicina o qualche sortilegio vampiresco per farle tornare la memoria?”

“Per ora sembri che funzioni solo l’ipnosi, anche se le ultime due sedute non hanno dato buoni frutti!”

“I tuoi figli come l’hanno presa? Ho saputo da Rachel che all’inizio EJ ti ha incolpato di tutto … ”

“Sarah si è mostrata molto forte, si è eletta a paladina e cerca in ogni modo di aiutare Renesmee, EJ invece sembra che soffra tantissimo, ha paura, come me del resto. Per quanto ci sforziamo di imporci che va tutto bene, non va affatto tutto bene. Ogni volta che le devo spiegare qualcosa è una pugnalata! Sto male Sam e non credo di riuscire più a sostenere questa situazione!” il bicchiere che avevo tra le mani cadde a terra e si ruppe con un fragoroso chiasso. Le lacrime pizzicavano i miei  bulbi oculari stentando a scendere. E se Jacob soffriva così, i bambini sicuramente la stavano vivendo peggio. Guardai il ciondolo che portavo al collo. Nei suoi riflessi vedevo loro tre che avevano contribuito a renderlo ancora più speciale, più prezioso del semplice lato economico. Raccolsi velocementi i frammenti del bicchiere e li buttai prima che un Sam e un Jacob allarmati potessero raggiungermi e chiedermi qualcosa. Mi affrettaia scomparire dalla cucina e reincontrai mio marito solo quando stavamo per tornare a casa.

 

 La strada scorreva veloce attraverso il finestrino. Dovevo fare qualcosa al più presto. Avevo fatto trenta era ora di eleggere il trentunesimo cardinale. Mi stavo abbandonando allo sconforto solo ed esclusivamente per puro egoismo, solo perché il mio corpo era stato violato più e più volte da aghi e punture, la mia mente era stata analizzata in tutti i modi. Il non sentirmi in potere di fare nulla per gli altri stava tramutando in una spinta verso l’unica cosa che poteva riconsegnarmi loro.

“Jacob, vai alla villa non mi sento bene, voglio che Carlisle mi visiti!”

 

Le sue mani algide come ghiaccio, ormai esploravano il mio stato di salute in una consuetudine conosciuta. Mi osservava affranto, dispiaciuto, colpevole. Espressione che leggevo in troppe persone. Una situazione che non era colpa di nessuno se non del destino che crudele si era abbattuto su di me.

“Riproviamo?” interruppe la sua attività, incredulo della mia richiesta. Non era una supplica ma un’ affermazione, dovevo togliere quel punto di domanda, rendere esplicita la mia volontà “Riproviamo!”

“Preparerò tutte le cose per domani …”

“No, ora!”

“Nessie, il tuo fisico è comprovato non so se sia il caso …” presi le sue mani che armeggiavano inquiete gli strumenti sul tavolino. Ero decisa, dovevamo tentare e subito.

“Carlisle, Adesso!” costrinsi l’ambra dei suoi occhi a soffermarsi nei miei se non trovava conferma nelle mie parole doveva trovarle nel mio animo. Il silenzio fu interrotto solo dal bussare alla porta.

Note dell'autrice: Allora allora altro capitolino di passaggio, diciamo che chi vive una malattia e viene girato come un pedalino alla fine si stanca per questo Nessie era un po' incerta sul continuare. Ma ora vuole andare avanti e scoprire il suo blocco. Se fino ad allora temeva quello che poteva celarsi adesso si trova con un coraggio da leone. E chi ha bussato. Allora all'ultimo capitolo della prima parte a cui seguirà un epilogo. 

Kandy_angel: i tuoi waaaaa bellissimo mi fanno sbellicare dal ridere, non lo so perchè ma quando li leggo mi nasce spontaneo.

noe_princi89: nella realtà l'ipnosi nelle amnesie viene usata. Molto spesso il subconscio percepisce cose che nella realtà non captiamo e magari ci bloccano. Per questo viene usata in questi casi. Certo che con Nessie le cose cambiano un po'!ghghgh

Vichy_90:si in effetti fa un po' Xmas Carol. ma non ti preoccupare il fantasma ce lo mettiamo. Comunque quando Nessie è sotto ipnosi entra dentro la sua stessa testa. Quello che vive è solo frutto della sua immaginazione. Il fatto che sia Bella che Jacob la percepiscono è solo un gioco della sua mente, un suo essere legata enormemente a queste due persone che supera ogni barriera persino del suo subconscio. Gabriel è un personaggio molto particolare lo scoprirai nelle mie due storie precedenti sono sicura che quando le leggerai capirai molte cose.

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI E A PRESTO CON I DUE ULTIMI CAPITOLI DELLA PRIMA PARTE! (la seconda la posterò sempre qui senza che apro un altro racconto quindi per chi vuole continuare a seguire non cancellatemi subito subito aspettate perchè prima di postare la scrivo tutta)

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Capitolo 25
*** CAPITOLO XXII: Ritrovarti! ***


CAPITOLO XXII: Ritrovarti!

POV Jacob

Nessie era stata silenziosa per tutto il viaggio di ritorno, mi aveva chiesto di andare da Carlisle. Avevo lasciato i bambini a casa con Alice e Bella. Io invece aspettavo da alcuni minuti fuori osservando la foresta quando una Chevrolet Camaro SS grigia metallizzata giunse nel vialetto della villa. Non aveva gusto nel cibo ma in fatto di macchine Eddy era un gran intenditore. Quel gioiellino faceva veramente un gran bel ruggito.

< Sarebbe bello guidarla! >

“Solo quando sarò morto!”

“Tecnicamente” chiuse la macchina ed un attimo mi si fece accanto, con la consueta velocità di cui sono capaci le sanguisughe “tu sei già morto!”

“ Sembra che alla riserva distribuiscano un bel po’ di umorismo di quart’ordine!” e il volto di Mr Perfezione si deformò in un sorriso a metà. Era in quel momento, quando l’orgoglio e la permalosità toccava il suo animo evanescente, che vedevo la mia Nessie riflessa in quel viso di ghiaccio.   

“No sei tu che m’ispiri!” potevano passare gli anni, poteva avermi donato la luce della mia vita ma non mi sarei mai dispensato dall’irritarlo con qualche battutina.  

“ Invece di dilettarti con l’ilarità scadente ti spiacerebbe spiegarmi perché stai di nuovo appestando casa mia? Non eravate da Charlie ?”  la semplice scusa di Nessie del non sentirsi bene non mi aveva convinto nemmeno un po’, ma non avevo tanta voglia d’indagare. Soprattutto un controllo extra non l’avrebbe cacciata in qualche ulteriore guaio. “Jacob, è successo qualcosa?”abbassai lo sguardo e lo vidi concentrarsi per leggermi la testa, odiavo quando lo faceva ma in quell’occasione non c’era molto da vedere. Avevo espresso il mio rammarico a Sam, la mia frustrazione. Ero stato costretto a tenermi tutto dentro e non incontravo il mio vecchio alfa praticamente dalla sera della cena prima del viaggio in Alaska. Le gerarchie erano cambiate da parecchio, io avevo ereditato il suo posto ma lo ritenevo sempre un gradino sopra. Lui c’era nelle ore successive alla prima trasformazione, mi aveva spiegato cosa mi stava accadendo, mi aveva aiutato ed accolto fra le sue file ed io l’avevo contrastato più volte. Per quanto in alcune cose non fossi d’accordo, per me rimaneva pur sempre un punto di riferimento. Un fratello. Poi uno sguardo perso vuoto, simile a quello di Alice nel momento in cui aveva una visione.

“Carlisle, vuole che lo raggiungiamo nel suo studio!” trasalii alle parole di Edward che mi guardava con gli occhi sgranati. Aveva qualcosa di molto più sconvolgente del solito.

“Renesmee, sta bene?” non rispose si limitò ad indicarmi a seguirlo mentre si stava togliendo la sua inutile giacca. E di nuovo mi sentii inadeguato. Non avevo chiesto a Nessie perché voleva andare da Carlisle, l’avevo solo accompagnata non curandomi di lei. Mi ero rivelato un marito pessimo oltre che un padre non all'altezza. Ora cosa era successo? Perché voleva la nostra presenza?

 

Edward non aveva risposto alla mia domanda. Non era la prima volta che ci trovavamo sul fronte comune per salvarla. Quando però più di sette anni fa ero partito per l’Italia, sapevo a cosa andava incontro, conoscevo il pericolo che stavo per affrontare. Ma ora cosa avevo davanti, se non l’ignoto. Mi sentivo come Nessie, di fronte ad un buio intenso senza appigli. E lei nello stesso identico pericolo se non peggiore.

“Prima di entrare Jacob, ti devo avvertire” il mio cuore aveva smesso di battere nell’esatto secondo in cui aveva detto la prima parola “Carlisle ci chiede di assistere, io come medico e padre di Nessie, tu come suo punto di riferimento. Sarà una seduta d’ipnosi, ma non come quelle solite, mio padre la dovrà guidare ed è una cosa completamente nuova” può un vampiro aver bisogno di respirare? Da come lo sentivo ansimare avrei giurato che volesse una boccata d’aria “Dovrò monitorare il suo fisico ma tu dovrai tenerle la mano sperando che il suo potere si disinibisca assieme al suo subconscio, dovrai tenere la sua mente aperta! Quello che vedrai non sarà facile da digerire potrebbero affacciarsi ricordi che non ti piaceranno o che ti faranno soffrire, ma dovrai sempre mantenere la calma, io mi fido di te Jacob, so che la ami, ma devi essere preparato per quello che andrai ad affrontare. Non possiamo permetterci di fallire! Sei pronto?”

“Per lei farei di tutto, lo sai Edward!” mi diede una pacca sulla spalla, era il suo modo per dirmi da tempo che io e lui, volenti o nolenti, eravamo alleati. Un gesto, semplice, scontato eppure con quel significato nascosto. Il mio rapporto con Edward aveva coperto ogni stato d’animo, avevo nutrito nei suoi confronti ogni sentimento possibile: invidia, rancore, odio, astio, compassione, comprensione. Ed adesso eravamo addirittura parenti, legati dal frutto inaspettato dei suoi lombi. Aprì la porta senza aspettare risposta. Nessie seduta sul lettino stava tenendo le mani a Carlisle, in una richiesta taciturna che le si vedeva in volto. Non disse nulla, come se sapesse per qual motivo ci trovassimo lì. Si alzò semplicemente preparandosi a quello che l’aspettava. La collegarono ad un macchinario che segnava la sua attività celebrale. Trovai posto accanto a lei prendendole la mano. Continuò il suo mutismo ma per rassicurarmi fece l’occhiolino, sentiva la mia tensione. Le risposi abbozzando un secondo sorriso beffardo, come a dirle che sarebbe stata una bazzecola un gioco da ragazzi. Armeggiarono ancora con i macchinari ma poi quell’irreale pace venne interrotta dal dottore.

“Iniziamo!” Carlisle fece partire un aggeggio strano che avevo visto usare a Nessie qualche volta per suonare il pianoforte. “Chiudi gli occhi e rilassati …” non avevo mai sentito il dottore parlare in quella maniera: sembrava avesse anche lui un doppio timbro “ascolta le mie parole attentamente …  concentrati sul tuo respiro … segui il ritmo del metronomo … ” posai per un attimo lo sguardo su di lei che intanto aveva chiuso gli occhi, il suo petto si alzava ed abbassava in un respiro lento e cadenzato ascoltavo il suo cuore che stava rallentando la sua corsa somigliando sempre più al mio “Ora conterò alla rovescia da dieci, quando te l’ ordinerò aprirai gli occhi … dieci … nove … otto … sette … ” la presa sulla mia mano si stava indebolendo con il progressivo scorrere dei numeri   “ sei … cinque … quattro … tre … due … uno … zero … Renesmee, ora apri gli occhi!” come un automa aprì gl’occhi. Non era il suo sguardo vispo ed allegro, ma vuoto e spaventato. Non mi piaceva affatto, non volevo vederla così. “Dove ti trovi ora?”

“Sono a casa … no fuori in riva al fiume … leggo …” non era la sua squillante ed armoniosa voce di sempre. Era meccanica, artificiale sembrava che ci stesse parlando attraverso un  tubo di ferro. “Sento … un soffio scaldarmi la spalla … io mi spavento torno ad essere normale solo quando lui azzanna il mio libro per togliermelo dalle mani … ”

“Chi?”

“Il mio Jacob!” la stretta sulla mia mano aumentò e in un attimo mi trovai nei suoi occhi, ero dentro di lei, nel suo corpo, nel suo passato. Non avevo mai visto i pensieri di Renesmee così offuscati, come se ricoperti da una patina grigiastra. Mi stava di fronte guardandomi perplessa mentre io, con le zampe anteriori piegate in avanti ed il libro ancora tra i denti, scodinzolavo per invogliarla a seguirmi.

“Jake restituiscimi il libro!” teneva una mano posata sul suo fianco morbido, un’espressione crucciata dolcissima e l’altra mano con il palmo proteso verso l’alto. Ma io invece che cedere mi accucciai ancora di più quasi a toccare con il muso per terra “Poi non te la prendere con i miei familiari che ti chiamano cane! Guarda come ti comporti!” il mio sguardo si fece improvvisamente buio, fintamente offeso. Con qualche saltello la superai andando a nascondermi tra i cespugli per potermi trasformare. E mentre lei mi cercava urlando il mio nome a squarciagola, le sbucai alle spalle. Per sbaglio inciampò su di una radice rischiando di cadere di schiena. La presi al volo afferrandola per i fianchi.

“Scusa ti ho spaventata?” mi ero guadagnato un pugno a cui ne seguirono molti altri. La mia dolce Nessie, quell’episodio non era molto lontano. Da quello che ricordavo era poco dopo la mia proposta di matrimonio.

“Tu che dici Jacob Black? Ti sembra questo il modo, comparire alle spalle di una fanciulla indifesa!” le bloccai i polsi . La mia Renesmee, racchiudeva tutto quello che un uomo desidera in una donna. La bellezza,l’allegria,  la tenacia, l’intelligenza, il coraggio, la costanza. Tutte quelle doti che io non avrei mai sognato di avere.

“Fanciulla indifesa un corno! L’ultima volta mi hai fracassato la spalla o te ne sei dimenticata?” lussazione della spalla sinistra, tre giorni di convalescenza per me che avevo una guarigione miracolosa.

“Almeno hai imparato la lezione! Mai incitare una Cullen alla violenza, potresti pentirtene!”  la lasciai libera e ci sedemmo uno accanto all’altra. “Mi sbaglio o non mi hai salutata in un modo decente?” non era per nulla cambiata, persino allora risultava accattivante con un solo sguardo. E lo sentii il mio bacio sulle sue labbra, il suo nodo allo stomaco, la forte eccitazione. Vivevo le sue emozioni che non discostavano dalle mie. Era da poco che avevamo deciso di trasformare il nostro rapporto ed io finalmente da amico ero passato ad un gradino più alto, ero diventato il suo ragazzo, anzi meglio il suo fidanzato ufficiale. Potevo evitare di inebriarmi del suo profumo di nascosto, potevo evitare di fingere indifferenza quando qualche ragazzo le guardava il sedere e lei non se ne accorgeva, potevo baciarla e stringerla fra le mie braccia ogni qual volta io lo volessi. Lei era finalmente mia.

“Meglio fermarsi!” dove era finito il mio autocontrollo quella sera? “Che leggevi? Qualcosa per la scuola?”

“Già, letture natalizie! Vuoi farti una risata?” prese il libro dalle mie mani mostrando la copertina, non ricordai quel particolare se non quando iniziai a ridere. “Mi sono sempre rifiutata di leggerlo, non ho mai visto tante stupidaggini in vita mia!” è sempre stata una cosa che non  tollerava, le leggende idiote sui vampiri e di conseguenza l’icona per eccellenza della categoria: Dracula.

“Che tu sappia potrebbe essere un lontano parente?”

“Ma anche no! I vampiri non sono così scemi! Noi non ci trasformiamo in pipistrelli, l’aglio puzza ma puzza anche per gli umani, mio nonno, vampiro doc,  ha una gran bella croce nel suo studio, prega e recita il rosario, in famiglia tutti ci facciamo la doccia, i paletti di frassino non scalfirebbero nemmeno le pellicine delle nostre unghie e soprattutto i vampiri non bruciano al sole, al massimo brillano ed accecano chi gli sta vicino!” era letteralmente infuriata, aveva gettato il libro in terra spazientita. Tenera, dolce, buffa. Aveva un orgoglio molto simile al mio riguardante la sua specie, ancorata come lo ero io alle sue origini. “E poi scusa un morso di licantropo ci uccide ma per favore!”

“Un solo morso no, ma parecchi si! Ti ricordo che io ho già eliminato indistruttibili vampiri!”

“Ma se sei un cucciolotto adorabile!” mi stava dando pacche consolatorie sulla testa, come un cagnolino.

“Vedi cosa ti farà, questo cucciolo se non la smetti di trattarmi così!”

“Uh che paura il cucciolo è arrabbiato!”

“Smetti di chiamarmi cucciolo, mostriciattola!”

“Perché non vuoi essere il mio cucciolo?” ma ero davvero soggiogato in quel modo da lei? Si era avvicinata ad un millimetro da me ed io non avevo risposto per le rime a quelle provocazioni. Me ne stavo intontito ad una distanza infinitesimale, attratto come una lucciola con la sua lanterna. Ero lì a pochi millimetri, la stavo per baciare.

“Renesmee, ascoltami seguimi!” Carlisle? Fu allora che mi sforzai ed uscii dalla sua mente ritrovandomi nel suo studio con un Edward che trafficava con i fogli che uscivano da sotto quegl’aghi,  accovacciandosi sul pavimento ai suoi piedi. Ci scambiammo solo uno sguardo, più eloquente di molte parole.

“Onde Alfa e Theta nella norma Carlisle,  puoi proseguire!” sussurrò più al dottore che a me visto che non avevo capito un’acca di quello che stavano dicendo. Cose da medici, quello che io non avrei mai potuto fare per lei e poi un lamento e la sua stretta tornò ad essere forte.

“Dove mi stai portando?”

“Ti devo far conoscere una persona Nessie!” e quello era qualche tempo prima dello sfiorato scontro con i Volturi. Lei una bambina ma sempre con quello sguardo, quei meravigliosi occhi nocciola curiosi ed indagatori. Mentre cresceva sentivo che il mio destino non avrebbe trovato una strada migliore.

“Chi Jake?”

“Ti fidi di me?” allargò  uno di quei sorrisi pieni che dedicava a me e alla madre, di quelli che ti facevano alzare la mattina solo per incontrarli, di quelli che ogni giorno mi fanno ringraziare la mia migliore amica per avermi concesso il regalo più grande: lei. Era così piccola in confronto a me sembrava veramente una pulce saltellante mentre mi teneva la mano. La casetta rossa nella riserva. Il giorno in cui il mio piccolo imprinting incontrò mio padre. Non l’aveva accettato da subito di buon grado, o perlomeno si manteneva delle riserve visto che per per la sua natura avversa. Per questo avevo desiderato che la conoscesse. Volevo che capisse quale creatura superlativa fosse, al di là dell'essere per metà una vampira.  Entrai e prima che potessi parlare la sua dolce vocina prese il posto della mia.

“Questa è la tua casa Jake?” le era bastato così poco al suo sguardo attento per capire che io vivevo lì. Sempre talmente perspicace da spaventare anche l’orda di vampiri che le ruotava attorno. “Che bello! Non posso crederci ora so dove vivi!” le indicai di aspettare e di tacere, nonostante la sua reazione esagitata mi avesse fatto toccare il cielo con un dito.

“Vecchio sei in casa?” udii solo il cigolare della sedia dalla sua camera spostarsi lentamente. Ad ogni giro affaticato, il mio cuore aveva preso ad accelerare. Oltre a tenere molto alla sua approvazione in quanto genitore, volevo che mettesse una buona parola come membro del consiglio. Doveva conoscere per chi io mi sarei gettato tra le fiamme dell'inferno, perchè io pur di saperla libera e al sicuro sarei stato pronto a morire.

“Jacob, se urli un po’ più forte farai tremare le pareti!”

“Papà …” Nessie si nascose dietro la mia gamba aspettando solo che io la invitassi ad uscire allo scoperto. “Volevo presentarti una mia piccola amica!”

“Ehy io non sono piccola!” saltò fuori posizionandosi pronta ad attaccarmi, incredibile come il suo orgoglio sconfiggesse anche la sua timidezza. Rimase a fissarmi inviperita per qualche secondo finché la risata grassa di mio padre, che evidentemente era rimasto sorpreso e divertito, interruppe quel minuscolo esserino pestifero.

“Immagino che tu sia Nessie!” si asciugò una lacrima gioiosa che scendeva sulla sua guancia. Allentò subito la posizione, legando le mani dietro la schiena e lasciando che un’adorabile rossore le tingesse le morbide gote. Ed in quell’istante vidi lo sguardo di mio padre cambiare completamente. Diventò serio, la studiò per un po’ e poi sorrise allungando una mano in sua direzione. “Piacere io mi chiamo Billy!” sapevo che la piccola poteva incantare chiunque e mio padre non fu da meno. Giocò con lei tutto il pomeriggio finché non la riportai a casa. Da allora si definì nei suoi confronti come il secondo Black a cui aveva rapito il cuore.

“Renesmee, ora dovrai andare più avanti, guarda ancora più in là arriva a giorni vicini al presente!” allungai le dita che cominciavano ad intorpidirsi. Nel rivivere con lei quelle scene mi smarrivo nei meandri dei suoi pensieri e spesso rimanevo affascinato come di fronte un bel film, in cui i protagonisti eravamo noi.

“Non ci siamo!” intervenni vedendo nella sua testa quel nuovo ricordo.

“Non interrompere il flusso lascia che scorra libero!” chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dal turbinio d'immagini che invadevano ormai entrambi.

Casa nostra. Lei in cucina a scaldare la cena preparata da Esme ed io di ritorno dal lavoro. Il nostro sogno, la nostra vita. Stringerle i fianchi davanti ai fornelli, un piccolo spicchio di normalità che venne interrotto dalla voce tonante di una Sarah inferocita.

“EJ, dammi il mio diario!” solita scena. EJ rincorso da Sarah che sventola un suo oggetto, un modo per attirare l’attenzione della sorella.

“Da quanto va avanti?”

“Abbastanza da farmi abituare ed ignorarli completamente!” si voltò verso di me catturandomi in un tenero bacio a fior di labbra.

“Non ti chiedo come è andata?” negò con un cenno della testa quando arrivarono quei due tornado dei nostri figli. Presi il quaderno rosa tra le mani di EJ e lo restituii a Sarah che soddisfatta fece la linguaccia al fratello.

“Sei un cretino EJ!”

“E tu sei innamorata di Jhonny Deep!” mi aspettavo una sfuriata ed invece la mia piccola lupetta si stampò un’aria soddisfatta e saccente, con cotanto di smorfia da saputella.

“Che c’è di male anche alla mamma piace!” la mia Nessie, quella che ad ogni soubrette in televisione mi tirava uno scappellotto, neanche avessi sbavato, faceva dei commenti sconci con tutte le sue comari su di un attore?  “A quanto pare è l’unico umano con cui un vampiro ci farebbe un pensierino ! Lo ha detto anche la nonna e le zie! E anche nonna Esme!” se la mia mostriciattola avesse potuto sotterrarsi in quel momento l’avrebbe fatto volentieri.

“Sarah ed EJ smettetela di blaterale ed andate a lavarvi le mani che è pronto!” brandiva il mestolo come a mascherare il suo imbarazzo con quel gesto poco sicuro. Appena gli schiamazzi e le proteste si allontanarono, riprese ad affaccendarsi con i fornelli evitando il confronto. Quella rivelazione era scottante almeno quanto la mia pelle in una giornata d’estate.

“E così un attore, sarebbe l’unico umano su cui ci fareste un pensierino, bene, bene!”

“Ma no, io non lo penso stavo solo assecondando Rose ed Alice, sai quanto possano essere petulanti!” non si voltava. Ma io potevo leggere ogni sua reazione anche se fosse stata coperta da un muro.

“Quindi non ti piace Jhonny Deep, giusto?”

“Lo trovo un discreto attore, un bel ragazzo niente di più!” negare, prima ammissione di colpa, ma la mia vampira era molto furba. In pochi secondi afferrai dall’armadietto un DVD che sapevo le avrebbe fatto confessare le sue colpe.

“Allora non ti dispiacerà se butto questo!” si voltò di scatto. I suoi occhi tradivano l’agitazione e lo sconcerto per quello che minacciavo di fare.

“Non oserai!” si avventò su di me mentre estendevo il braccio per non farle raggiungere il tanto agoniato disco. Saltellava di fronte a me cercando di afferrarlo, mentre io la bloccavo grazie solo ad una mano.

“Ma scusa, non hai detto che è solo un discreto attore e un bel ragazzo? Perché t’interressa tanto?” abbassavo la custodia come per fargliela prendere e l’allontanavo, giocando con quello sguardo un misto tra il disperato e l’adirato. Semplicemente meravigliosa.

“Si ma quella è la versione introvabile con le scene tagliate di Chocolat! Ti prego Jacob restituiscila non fare sciocchezze!” era arrivata addirittura alla supplica, ma io la volevo molto più in basso di così.

“Vediamo la restituisco solo se mi dici una cosa …”

“Va bene” si fermò a braccia conserte dondolando la testa come una bambina costretta a chiedere scusa “Jacob Black, sei l’uomo più sexy del pianeta, i miei ormoni sono tutti espressamente elettrizzati solo e soltanto da te! Adesso restituiscimelo!” cercò di prenderlo ma io allontanai nuovamente il braccio mandando il suo tentativo a vuoto.

“Non così in fretta mostriciattola!E …”

“E sei il più forte, il più alto, il più muscoloso! Manca qualcosa?” aveva messo quel musetto offeso e strafottente che faceva da bambina quando Emmett le faceva uno scherzo.

“Manca la cosa più importante!”

“Cosa?” ed eccola tirare fuori tutto il suo repertorio per farmi imbambolare. Occhi maliziosi, vicinanza nociva, le mani sul mio petto.

“Non hai detto che mi ami da morire!”

“Ma lo sai che ti amo!”

“Tu dillo!”

“Ti amo lupastro crudele!Adesso me lo ridai?” soddisfatto della mia vittoria lo restituì alla legittima proprietaria, che appena lo prese  lo abbracciò e lo carezzò.

“Jhonny non preoccuparti quel bruto non ti farà più del male!”

“Nessie!” ero in un misto di divertimento e rabbia, lei mi guardò con quei suoi grandi occhi scuri come se non capisse la mia reazione “Corri!” ed in un attimo la nostra cena finì bruciata, i nostri figli vennero coinvolti nella lotta e quella sera andammo alla tavola calda in città.

“Renesmee, ora dovrai seguire attentamente le mie istruzioni …” Carlisle, subentrò al ricordo appena finì, lo scorrere veloce del macchinario, uno sguardo verso Edward che ci rassicurò per poi tornare a lei il mio angelo incosciente con gli occhi sbarrati “Stiamo cercando un momento preciso, devi tornare a qualche settimana fa, a Denali!” un gemito, e tutta la sua forza si concentrò nella mia mano. Vidi scorrere le immagini veloci come da un finestrino di un treno. Il forte dolore che mi provocò la sua ferrea morsa non mi permise di continuare ad assistere.

< C***o, che male! Resisti Jake, devi resistere per lei stupido lupo! >

“Ci sei Jacob?” annuì a Cullen anche se sentivo un lieve rigolo di sudore scendere dalla mia tempia e raggiungere fin sotto la mia mascella.

“Renesmee, sei a Denali?” accennò solo un no con la testa, si muoveva in  roboticamente, con le palpebre spalancate e le pupille talmente dilatate da far diventare i suoi occhi neri. Osservandoli meglio non erano le pupille, ma era il loro colore. Erano totalmente invasi di nero, non avevano mai raggiunto una tale intensità d’onice, nemmeno durante la sua prigionia a Volterra.  “Dove sei?”

“Sull’orlo della scogliera …”

“Perché ti trovi lì?” non rispose si contorse come a trovare una posizione migliore e tornò al silenzio.

“Le onde Gamma sono alle stelle, ci stiamo avvicinando …” Edward e Carlisle si lanciarono l’ennesimo sguardo complice. La cosa stava diventando molto complessa ma non temevo per me, temevo per la mia mostriciattola era come tutto quello le stesse facendo male fisicamente.

“Come ti senti?” era arrivato il momento della verità cosa la stava bloccando? Quale era il motivo per cui lei non voleva ricordare?

“Ho paura?”

“Di chi?”

“Di  Jacob!” saltammo tutti a quella affermazione. Perché aveva paura di me? Quella era l’unica domanda che risultava sensata e spaventosa, la domanda che avrebbe sciolto ogni dubbio, ogni stramaledetto nodo creatosi a causa di qualcosa che avevo fatto.

“Perché hai paura di lui?”

“Non ho paura di lui!” cosa? “Ho paura per lui!” cominciò ad agitarsi, mugolò, e cercò di divincolarsi come se non volesse andare oltre ma una forza al di là del suo conscio non glielo permetteva costringendola a parlare.

< Che sta succedendo? Cristo! Perché piange? > ero terrorizzato, non importava se avesse riacquistato la memoria non volevo che si affliggesse. Tutto tranne questo.

“Nessie, perché hai paura per Jacob?” un attimo, un improvviso rumore di ossa che si fratturarono e da me un urlo disumano di dolore. Mi aveva stretto così forte che il mignolo aveva ceduto spezzandosi. Tutto scomparve nel momento in cui la trovai alla scogliera di la Push. Una nebbia talmente fitta da oscurare persino la nostra vista se non fosse per la sua sagoma longilinea sull’orlo del precipizio. Il vento scuoteva i suoi capelli che morbidi le cingevano il corpo fasciato da un abito bianco. Nei suoi occhi le stesse lacrime reali le stavano bagnando il viso. Era addirittura disperata.

< Perché amore mio, non devi … >

“Perché Jacob?” io l’avevo solo pensato e lei mi aveva ascoltato mi stava facendo entrare nella sua testa mi stava permettendo di aiutarla “È colpa mia! Me lo hai ripetuto più volte, io mi getto a capofitto mettendovi in pericolo, io rischio costantemente la nostra vita! Se essere me stessa, se essere speciale significa perderti allora non voglio esserlo!” gridava in preda ad un panico sordo e cieco, che nasceva dal suo profondo io. Non aveva mai risolto i suoi problemi. Stritolò nuovamente la mia mano e questa volta a prescindere dal dolore mi trovai nuovamente in lei.  E vidi tutte le nostre discussioni, le preoccupazioni, il suo dolore di quando Joyce mi aveva attaccato, ogni ferita che mi era stata inferta per proteggerla, i nostri figli. Le immagini vorticavano prepotentemente nelle nostre teste.

< Non devi cambiare Nessie, non per me! > era arrivato il momento di mettere in chiaro le cose < Tu sei perfetta così, la ragazza, la donna di cui mi sono innamorato è quella pazza e sconsiderata, ti prego torna con noi con tutto il tuo passato, forte come prima! >

“Mi dispiace Jacob, è troppo tardi qualsiasi cosa tu mi dica o che tu faccia io ho preso la mia decisione!” era terribilmente seria si voltò ed io ero proprio dietro di lei a pochissimi passi. Stava proiettando la mia immagine di quella sera a Denali che le parlavo con tutta la rabbia che avevo in corpo, la paura che si ferisse o che addirittura morisse mi aveva completamente accecato. E poi la mia espressione cambiò si fece sorridente, divenne distesa, rilassata mentre lei mi accarezzava il viso dolcemente “Non voglio più vedere l’astio, non voglio più discutere con te, se io salto diventerò la donna calma e tranquilla che desideri! Cancellerò la mia indole impulsiva, cancellerò la mia parte sovrannaturale e diverrò normale, per te …” si voltò dirigendosi verso il precipizio. Ma io non lo volevo e la dovevo fermare.

< No > al mio pensiero le labbra della mia immagine si mossero in differita provocando un eco nella sua mente, era lei a vedermi ma io le inviavo le informazioni < Io non ho mai desiderato che tu cambiassi. Ero solo accecato dalla paura di non essere alla tua altezza. Nessie io ti voglio come prima. È stato proprio qui che mi hai detto che siamo due metà uguali e la mia metà non è normale ma speciale come lo sei tu. Renesmee tu sei la mia metà torna in te ti prego! > si voltò nuovamente e tese la mano. L’afferrai e l’allontanai dal baratro in cui stava per buttarsi. Singhiozzava come una bambina stretta fra le mie braccia mentre le accarezzavo la nuca. Cosa le avevo fatto? Ero stato io con la mia apprensione, con la mia smania di proteggerla a ridurla in quello stato. Aveva cancellato il suo essere speciale per rendersi più umanamente fragile. Non potevo farle questo, non potevo annullare Renesmee perché io l’amavo così com’era. Amavo il suo essere totalmente avventata, il suo essere singolare, il suo coraggio nell’affrontare ogni situazione. Amavo la mia Nessie e la rivolevo. Tutto scomparve immediatamente ed io tornai nello studio del dottore. Edward mi guardava stupito, aveva assistito alla scena. Aveva le mani in aria a sorreggere dei fogli che probabilmente gli erano sfuggiti, gli occhi vacui e stanchi di chi non riesce a sostenere il dolore di una figlia. Ed arrivò il mio di dolore quello fisico della mano e quello dei sentimenti che risiedeva nel senso di colpa.

“Carlisle puoi farla tornare …” lo sussurrai appena ma risuonò come una sentenza. Non sapevo cosa mi aspettasse al suo risveglio per ora persisteva nell’ agitarsi e muoversi in preda alla sua lotta interiore. Non potevo essere più con lei perché mi stava escludendo. Doveva prendere la sua decisione, da sola. E se quell’abbraccio fosse stato solo un addio della vecchia Renesmee?  Se si fosse gettata sparendo per sempre la donna di cui mi ero innamorato?

 “Renesmee ora conterò fino a dieci, appena avrò finito tornerai cosciente!” continuava a contorcersi, le palpebre ancora sbarrate, la schiena inarcata in una posa contorta “Uno … Due … Tre …” i lamenti diventavano sempre più, tenui pigolii, i dorsali si rilassarono “Quattro … Cinque … Sei … Sette …” la mano rilasciò la mia ricadendo inanimata lungo il fianco “Otto … Nove … Dieci! Nessie torna fra noi!” in quel momento sbatté più volte le ciglia. Strappò velocemente i fili che la collegavano alla macchina. Fermò il suo sguardo su ognuno di noi, non riuscivo a decifrare il suo stato: spaventato? Confuso?

“Cosa è successo?”

 

Note dell'autrice: Proprio perchè si fa tutto per amore Nessie non voleva ricordare per non rischiare di tornare ai ferri corti con Jake, unita con la situazione esasperata e i suoi poteri ha creato tutto questo ambaradan di amnesia. Spero vi sia piaciuto, è stato arduo ma l'ho partorito!

Never Leave Me: il pezzo con il DVD di Jhonny  Deep è dedicato a lei, la scelta di Chocolat non è stata casuale (mi riferisco ad una tua recensione della prima parte di Grey Day in Darkness capitolo 18 in cui tu stavi per andare a vedere quel film)  spero che ti abbia fatto sorridere. E si Jhonny è il sogno persino delle vampire!

Vichy_90: ho dissipato i tuoi dubbi? Diciamo che io fra tutti i personaggi della Meyer non ce ne è stato uno che non ho adorato(Forse Nahuel, ma è stata un'antipatia a pelle)Quindi Charlie con il suo fare un po' da struzzo mi è sempre piaciuto. Sinceramente ho immaginato che entrando a far parte della vita di Sue e di conseguenza di Seth e Leah lui dovesse venir a conoscenza di tutto il mondo che lo aveva circondato. 

noe_princi89: ma guarda un po' è stato proprio Jake a ridurla così. Me Crudelia Demon! Muhahahah! Ora il nostro lupachiotto come si sentirà?

RINGRAZIO TUTTISSIMISSIMI!

Un ringraziamento a gioia 101 che mi ha aggiunta fra gli autori preferiti diventando la tredicisima (hai vinto tanti bacini!XOXO)

Baci e all'ultimo capitolo della prima parte

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Capitolo 26
*** CAPITOLO XXIII: Chi sei? ***


CAPITOLO XXIII: Chi sei?

Osservavo la luce proveniente dal salotto venirmi incontro nonostante fossi io stessa a spostarmi. Vedevo le ombre muoversi convulse e le voci degl’abitanti della casa conversare distrattamente in attesa del responso che da tempo aspettavano. Il nervosismo tangibile e concreto si stanziava in ognuno di loro. Avanzai un altro passo ed un altro ancora sperando che una volta superato l’uscio le domande non piombassero su di me come una pioggia torrenziale. Non sapevano quello che mi stava accadendo e sicuramente la curiosità troneggiava indiscussa nei loro pensieri. Erano lì ad attendermi con gli occhi puntati su di me che cercavo le parole con cui cominciare a spiegarmi. Tutti assolutamente immobili nelle loro pose come statue di cera e pietra pronte a sopportare il fardello che rappresentava la mia amnesia. Uno mi colpì in particolar modo. Il ragazzo biondo dalla capigliatura folta che intrecciava le sue dita tra i capelli a sostegno della sua testa ripiena dell’emozioni dei presenti. Provai ad immaginare le sue sensazioni. Dover gestire la paura, il terrore, l’angoscia moltiplicato per nove, diventare una spugna ed assorbirne ogni diversa sfumatura dettata dalla personalità di chi la possedeva, ma anche una spugna diventa satura e comincia a far defluire tutto il suo contenuto soprattutto se le mie emozioni sbucano all’improvviso nella folla. Lasciò la presa voltando i suoi topazi osservatori verso di me senza lasciar trapelare nulla che potesse indicare il mio stato d’animo. Un’altra paralisi ben più forte della precedente colse ogni singolo membro della mia famiglia aspettando che tra il nostro scambio si percepisse cosa era accaduto. Si alzò dal divano in cui era sprofondato, continuando a fissarmi. L’apparente quiete che aleggiava fra di noi era interrotta solamente dal costante ed affaticato battere di quattro cuori e dai nostri respiri necessari alla sopravvivenza. Indagò nel mio profondo, osservò ogni minima sensazione, penetrò nel mio io scindendo ogni percezione per determinare cosa stesse dominando nel mio cuore. E ciò che sentiva era diverso da tutto quello che poteva percepire dagl’altri. Avanzò con grandi passi verso di me accelerando in mia prossimità, prese i miei fianchi e mi fece roteare in aria per stringermi poi in un abbraccio caloroso, che venne reso fortissimo da un’Alice sovraeccitata che ci avvolse con la sua figura minuta.

“Ricorda, ricorda!” gridava allegra, non mi stava nemmeno lasciando l’occasione di parlare con gli altri. Adesso le mie sensazioni potevano confondersi non erano più singole ma accompagnate da quelle dei presenti perché se in loro l’angoscia aveva il sopravvento, ora era la gioia ed il sollievo di una buona notizia a governare i nostri cuori.

“Si zia, ricordo! E soprattutto ricordo il tuo tentativo di farmi credere un’appassionata di shopping, sei stata una vera teppista! Approfittarti così della mia amnesia!” l’ammonì severa, lasciando lo zio Jazz a sganasciarsi. Ma lei senza smentirsi, mise le mani legate dietro alla schiena, passando dalle punte ai talloni in un dondolio molesto. Il nostro folletto dispettoso.

“Su non fare la tragica!” non potevo resistere a quello sguardo che conoscevo. Furbo, vispo, gioioso. Si lo conoscevo bene e sapevo esattamente a chi apparteneva. A Mary Alice Cullen, la mia zia nana e pazza, sposata felicemente con Jasper Hale mio zio, il leone combattente, entrambi fratelli adottivi di mio padre Edward Cullen.

“Finalmente tesoro!” ricevetti mille baci sul viso da nonna Esme, la dolcezza fatta persona, anzi fatta vampiro. Mamma adottiva di mio padre, moglie di Carlisle Cullen, che mi aveva salvato dal vuoto. Voltai il mio sguardo e trovai lei. Non avevo bisogno di parole, non le volevo. La mia seconda mamma Rosalie Lilian Hale, la sua commozione era concreta anche se non poteva palesarsi con lacrime. Mi strinse al suo petto, ed io mi beai di quel freddo contatto così famigliare da essere speciale.

“Nipotastra, meno male che sei tornata in te, questo posto stava diventando deprimente!”

“E tu chi sei?”

“Co-come … non ti ricordi di me?” scossi la testa in segno di diniego. Come descrivere la sua faccia: terrore allo stato puro. Gli occhi spalancati sgomenti, la bocca semichiusa alla ricerca di aria non necessaria, i muscoli tesi e tremanti. Non resistetti a lungo a tenere la mia posizione, e sbottai in una fragorosa risata.

“Zio Emm dovresti vedere la tua faccia!Adesso vieni qui e stritolami in uno dei tuoi abbracci asfissianti!” non se lo fece ripetere. Cinse  forte la mia vita sollevandomi da terra e dondolandole mie piccole gambe come un bambolina. E mentre ero ancora appesa a lui mi avvicinai al suo orecchio  “Come potevi pensare che dimenticassi proprio di te!” non potevo dimenticare Emmett Cullen, lo zio orso marito di Rosalie Hale.

“Bentornata ragazzina pestifera!” mi adagiò  non molto delicatamente con lo sguardo perso e felice. In lui c’era la sincerità di un bambino, quella che ti lascia di stucco e ti blocca il respiro. Scompigliò i miei capelli affettuosamente come era solito fare. Poi passai in rassegna i restanti volevo che tutti mi dedicassero un abbraccio di quelli che adesso ricordavo, di quelli che potevo dire di aver ricevuto da sempre e per sempre.

“Gab tu non mi vieni a salutare?” lo sguardo blu del mio amico andò dietro le mie spalle dove ci aspettavamo il ringhio di un lupo geloso, che non arrivò stranamente  “Dai un abbraccio non ha mai fatto crescere le corna a nessuno!” si lasciò andare forse rincuorato dal fatto che Jacob non fosse presente.

“Sono contento di riaverti amica mia! Per fortuna che non hai fatto quello scherzo con me, io posso morire d’infarto!” con quella battuta si era guadagnato un bel amichevole pugno sulla spalla. Ed in un attimo mi trovai persa nel suo oro liquido, in quel mare biondo che aveva preso il posto del cioccolato che mi aveva donato alla mia nascita. Aveva sofferto in silenzio trovandosi a diventare genitore dei miei figli. Le ero grata, perché mi aveva sostituita ma non rimpiazzata. La mia mamma. Isabella Marie Swan in Cullen datomi alla luce da umana, morta e rinata per me.  Ci scambiammo uno sguardo felice, non c’erano abbracci, non c’erano baci da dare. Solo pura felicità, di quella che ti sconquassa dentro, che ti lascia immobile a fissarti per ore. Eppure a me non bastava. Mi aggrappai al suo collo e la strinsi con tutte le mie forze.

“Mamma, tu sei sempre il mio punto fermo lo sai?” non rispose accarezzava solo la mia nuca dolcemente come quando da ragazzina cercavo le sue attenzioni. E poi mancavano loro. I miei piccoli cuccioli. Li cercai con gli occhi per un po’ fino a trovarli seduti sul divano bianco stavano immobili tremanti. Mi avvicinai a loro e m’inginocchiai alternandomi l’uno all’altro.

< Non dovete avere più paura > “Ragazzi, sono tornata …” nei miei occhi si erano condensato delle grandi lacrime che brillavano anche sulle ciglia di Sarah Elizabeth Black ed Edward Jacob Masen Black, i figli nati dall’amore con Jacob Black il mio meraviglioso marito. “Sto bene, vedete sono in forma!”  la mia lupetta allungò una mano sul mio viso toccando con la punta delle dita la mia pelle. Ma io non resistetti la presi e la strinsi fra le mie braccia ed afferrai anche il mio vampirastro che ci avvolse entrambe.

“Mamma …” la voce di Sarah scaldò il mio cuore, riempì con un calore irradiato dall’interno, come se stessi per esplodere nelle stesse emozioni che non avevano mai smesso di battersi dentro di me. Perché io potevo scordarmi di tutto ma non di amare loro. I miei piccoli, così uguali a tutti noi con il carattere forte e testardo che ci contraddistingueva. Ne avrei voluto ancora ed ancora presi a baciare i loro visi ovunque, sul naso, sulla fronte  sulle guance. Non desideravo altro che averli ancora con me con ogni loro ricordo a partire dalle prime parole fino all’ultimo quello di loro che mi sollevavano dal burrone. Sollevai lo sguardo e trovai Edward e Carlisle osservarmi fieri e contenti dell’ennesima prova superata con successo.

“Dov’è Jacob?”

< È rimasto nello studio, piccola era molto strano, nei suoi pensieri leggevo molta tristezza …  > abbracciai il mio papà Edward Anthony Cullen, lui che mi aveva aiutata, lui che mi cullava da bambina, lui che mi aveva condotto alla radura costringendomi a ricordare ed abbracciai il dolce nonnino che non si era dato per vinto, che aveva combattuto assieme a me i miei demoni, che con la sua saggezza aveva risolto i miei problemi. Carlisle Cullen, il vampiro con un’anima. Baciai nuovamente i miei figli, i miei piccoli miracoli. Avevo un’ultima persona con cui confrontarmi, con cui parlare. Conoscendolo il rimorso lo stava logorando dall’interno, ogni minimo grammo del suo essere stava per trasformasi in un ammasso di muscoli e sensi di colpa. Li lasciai in salotto senza dare spiegazioni. Non erano necessarie, non per la mia famiglia che mi conosceva meglio di quanto io potessi conoscere me stessa.

 

C’avrei messo la mano sul fuoco, sapevo che l’avrei trovato in posizione pensatore a cogitare su quello che era avvenuto. Lo guardi fermo immobile, seduto sulla chiase long dove ero sdraiata, con la mano fasciata a penzoloni e gli occhi persi nel vuoto. Il mio  Jacob. La porta era aperta e ciò mi concesse di rimirarlo in tutto il suo disperato splendore. Bussai con il mio dito a gancio per non disturbarlo troppo. Alzò la testa e si voltò incrociando il mio sguardo per un istante. Lo vedevo sofferente più di quando io stavo male.

“Jake?” no disse nulla  posò la sua mano dietro la schiena e girò il viso in modo da distogliere il suo sguardo dal mio. Entrai quasi in punta di piedi e mi sedei di fronte a lui in modo che potessi guardarlo meglio. “Non mi piace vederti triste sai?” nascoste una lacrima con un sorriso. Io ero l’unica a poter affermare di aver visto il viso di Jake solcato dalle rarissime lacrime. Con gli altri ricacciava il pianto dentro, lo nascondeva e lo trasformava in rabbia. Invece con me sfogava la sua tristezza, viveva i suoi stati d’animo per quelli che erano.  Quanto aveva accumulato in quel periodo, quanto si stava amplificando per quello che avevamo vissuto?

“Mi dispiace …” presi il suo mento e lo alzai. Volevo guardarlo con i miei occhi, i miei veri occhi non coperti dal velo che la mia mente m’aveva imposto. Lo volevo guardare e riconoscerlo nel mio passato quando tra le braccia di Rose lo vidi per la prima volta, quando mi aiutava a cacciare quando mi aveva detto che mi amava, quando per la prima volta mi aveva sfiorata. Volevo il Jacob dei miei ricordi, il beffardo e goliardico ragazzo che non aveva fatto altro che proteggermi sfinendosi.

“Non hai nessuna colpa …”

“Non dire questo” aveva la voce spezzata ed arrochita, grattata dal pianto che aveva smorzato nella sua gola “Sei libera di arrabbiarti ne avresti tutte le ragioni, se io non fossi stato così …” lo bloccai premendo il polpastrello dell’indice sulle sue labbra infuocate. Scivolai lentamente verso di lui avvicinando i nostri nasi ad un palmo continuando ad osservarlo intensamente nei suoi pozzi neri, quelli in cui avrei voluto perdermi durante tutta la mia eternità.  

“Così avventata non ti avrei portato a volermi proteggere fino a diventare asfissiante … Diciamo che sia io che te ci abbiamo messo del nostro!”

“Ciò non toglie che ti ho trattata da schifo e tu non lo meriti!” scossi la testa sconsolata, la sua testardaggine era sempre viva e presente persino nei sensi di colpa. Presi le sue mani. Il nonno aveva steccato il mignolo solo per farlo saldare nella posizione corretta, la mattina seguente sarebbe stato come nuovo.”Non ti biasimo se ce l’avessi con e non …” lo stava per dire ma per fortuna si trattenne. Lo stava per pronunciare. Lo vedevo dal lieve tremore dei suoi muscoli, a quanto lo facesse soffrire tanto da lasciarlo senza parole. Stava per dire se io non l’avessi voluto più al mio fianco. Io che lo ritenevo l’ossigeno, io che lo ritenevo importante più della mia stessa vita. Dire di volerlo più al mio fianco sarebbe risultato sgradevole come una bestemmia in chiesa, stridente come unghie sulla lavagna. Non volevo nemmeno che lo pensasse.

“Mi sono vendicata abbastanza …” lo volevo vedere sorridere “Guarda che t’ho combinato alla tua povera mano, bacino e passa tutto!” depositai piccoli baci sulle sue dita, ottenendo  così un piccolo accenno del mio scopo. Non mi bastava. Sfiorai la sua mascella nerboruta e l’attirai in un dolce bacio. Sapeva di casa, d’amore, sapeva di Jacob. Eravamo due pezzi simmetrici, combaciavamo alla perfezione, ad ogni nostro tocco le nostre parti del corpo si disegnavano in sincrono rendendosi perfette l’une per le altre. Le nostre bocche danzarono insieme per parecchio finché non mi distaccai.

“Si ma io …” non lo lasciai continuare, ripresi a baciarlo evitando che continuasse con l’auto commiserazione. “Posso …” ad ogni sua parola la mia replica era un bacio sempre più corto “… dire una …” un altro bacio a cui lui non riusciva a non rispondere “ … cosa?” e prima che io riprendessi possesso della sua bocca lui mi bloccò con una sua mano. “Ti amo Nessie!”

“Anch’io ti amo e tanto forse troppo …”

“Io mai abbastanza …”

“Più di ieri e meno di domani?” non mi aveva evidentemente seguito. Sorvolai l’enorme punto interrogativo che aveva stampato sul suo bellissimo viso e mi abbandonai fra le sue braccia. “Voi due potete uscire allo scoperto!” li avevo sentiti da qualche minuto. Il loro cuore batteva ad un ritmo inconfondibile ed il loro profumo invadeva anche la benché minima particella d’aria. Un passo ed EJ fu il primo a comparire seguito da Sarah che ci guardavano come se avessero visto degli alieni. Quella era la mia famiglia, quella a cui non avrei mai rinunciato quella piena di noi.

 

Epilogo

 

Un  mese, da quella seduta d’ipnosi. Un mese da quando ero tornata a respirare. Un  giorno in cui First Beach era una vera spiaggia. Il sole si rifletteva sul candore della sabbia ed io con la mia pelle che risplendeva appena, un lieve rossore sulle guance rimanevo in disparte, ascoltando a ripetizione Claire de Lune, rileggendo Cime Tempestose  ad osservando uno splendido lupo che giocava con i suoi cuccioli, i nostri cuccioli. Il mio dolce e piccolo EJ che scuoteva la mano contento in mia direzione, a cui risposi con un bacio volante e  la mia tenera ma forte Sarah, che già ad otto anni apparenti irradiava così tanta bellezza da far tremare le gambe. E anche di paura. Lei che meglio incarnava il fascino dei vampiri, il vigore dei licantropi e la fragilità umana. Cosa sarebbe accaduto quando sarebbe stata adolescente? Ed EJ, il mio ometto? Presto sarebbero diventati grandi, io l’avevo visto con gli occhi di chi cresceva no di chi seguiva la crescita ed adesso sapevo cosa provassero i miei genitori anche se la loro era molto meno frenetica come corsa.

“Sei troppo asciutta per i miei gusti!”

“Jake no, cosa fai ! Attento l’I-pod! Ahhh!” riuscì a scaraventare il mio preziosissimo lettore sul telo appena in tempo per essere gettata in acqua con tutta la maglia bianca, per fortuna che era di Jake. Non riemersi immediatamente ma sentivo il mio lupo agitarsi per cercarmi. Lo raggirai e gli feci cedere la gamba affogandolo a mia volta.

“Così impari brutto lupo da strapazzo!” a breve venimmo invasi da numerosi schizzi e dalle loro risate allegre. Ingaggiammo una guerra degna delle più alte lotte, onde anomale che sollevava Jake, bambini gettati in tuffi olimpionici, finché stanchi non ci gettammo in attività più calme.

“Sarah vieni ne ho trovata un’altra!” io e la piccola  eravamo intente nella ricerca di conchiglie per una collana, mentre i nostri due uomini stavano costruendo un castello di sabbia. “Ragazze che ne dite?”

“Mamma. Sarah venite a vedere quanto siamo stati bravi!” insieme mano nella mano ci avvicinammo al loro castello, castello era a dir poco riduttivo. Fortezza, visto che mancavano solo i coccodrilli nel fossato.

“Ma non è un po’ troppo lussuosa per te, Jake?”

“Noi ci siamo ispirati a casa Cullen, vero EJ?” i bambini si erano uniti nel sistemare le ultime rifiniture dell’imponente costruzione al centro della spiaggia. Le loro piccole discussioni su cosa era meglio o su cosa era peggio, era il suono melodioso da sfondo a quella vita serena momentaneamente tranquilla. “Sguardo sognante, sorriso splendido, a che pensi?” il caldo della sua mano sfiorò la mia guancia carezzandomi delicatamente, mi accoccolai fra le sue braccia.

“Penso che ho due figli meravigliosi e un marito da favola! Siete la mia vita!”

“Sai Nessie, quando tu eri preda dell’amnesia, ho temuto seriamente di perderti, più del solito, se non avessi ricordato …” lo zittì con un bacio. Non volevo che continuasse.

“Jake, non pensiamo al passato anche perché non ho fatto altro ultimamente, adesso godiamoci questa di pace, sai che con i miei geni attira sfortuna sono capace di richiamare un meteorite da un momento all’altro! Io e mia madre insieme non siamo un arma di distruzione di massa, potremmo definirci delle armi futuristiche in grado di far esplodere i pianeti!” allacciai le braccia al suo collo possente “Anzi perché non pensiamo al futuro, fra trenta giorni avremmo definitivamente superato il settimo anno con relativa crisi che ne dici di festeggiare?”

“Cosa avevi in mente?”

“Pensavo ad un bel viaggio io e te soli soletti, sull’isola d’Esme!” mi guardò perplesso alzando la testa per controllare i nostri figli e poi tornare nuovamente a me.

“Ma non avevi detto che non volevi andarci perché sarebbe stato …”

“Come fare l’amore sul letto dei propri genitori, si l’ho detto ma ti devo ricordare cosa è successo? Ormai il danno è stato fatto, quindi tanto vale andare a conosce il luogo della perdizione di tutti i Cullen, facciamola diventare anche un po’ dei Black …” ed ecco il mio sole sorridere, abbagliandomi con quel suo modo di essere assolutamente fantastico. Il mio sole, ma quello degl’altri che fine aveva fatto? Forks era sempre la solita cittadina uggiosa, non poteva smentirsi con un’intera bella giornata. Aprii il palmo e su di esso timide goccioline vi si depositarono. Annusammo l’aria carica d’acqua dolce ed il passo ad acquazzone fu breve.

“Presto bambini torniamo a casa!” e così noi quattro carichi del nostro amore più che di altro ci trovammo a correre verso la macchina, regalo di papà che non voleva i suoi nipoti ne su di una vecchia Volvo, ne su di una vecchia Jeep. Noi quattro, per sempre insieme.

 

FINE DELLA PRIMA PARTE ( AVVERTENZA in attesa della seconda che verrà postata qui quindi se volete continuare tenetela fra le seguite Bacini)

 

Note dell'autrice: Ragazze non è finita!!! la stesura della seconda è appena iniziata e come ho già anticipato sarà incentrata sui figli di Nessie e sul rapporto fra fratello e sorella in cui qui l'abbiamo potuto soltanto intravedere. Non nascondo che i geni attira sfortuna attireranno come al solito molti guai. non li potevo lasciare tranquilli. Ovviamente Nessie e Jake saranno sempre molto importanti ma assumeranno un ruolo meno preponderante. Insomma penso di avervene dato abbastanza in questo o no?

Come ad ogni fine di parte voglio il super sondaggione: Cosa vi è piaciuto di più, cosa di meno, cosa vi piacerebbe che si sviluppasse nella seconda parte (prenderò in considerazione ogni vostra opinione anche se la trama è tutta nella mia testolina)

noe_princi89: Inanzitutto grazie per spendere sempre una parolina per me! Alla fine comunque Jake la prende bene, si perchè se Nessie è felice lui è felice ed è questo quello che conta e poi Eddy l'aveva avvertito ed in un certo senso era preparato. Ci mancava solo una crisi mistica di Jake e poi davvero la Meyer mi faceva vertenza per stalker sui personaggi letterari.

Vichy90: non posso crederci già te l'ho scritto sulla recensione. Tu sei l'autrice di Becoming Bella. Una delle mie ff prefrite, la leggo sempre con gran piacere ed è fantastica consiglio vivamente a tutte di leggerla. Grandissima. Spero che continuerai a seguirmi e che leggerai anche le altre due che sono le mie due prime bambine e se vorrai magari ci lasci anche un commentino che a me fanno sempre piacere. Comunque si Nessie gli ha sfracellato una mano però dai è la punizione ideale per un marito un po' troppo asfissiante non trovi? me crudelerrima!Sono contenta che la scena della scogliera ti sia piaciuta ero un po' dubbiosa.

karol_95: non preoccuparti anche se è solo la prima potrai lasciarne tante altre nella seconda parte. Si Si lo so che mi hai aggiunta ti avevo ringraziato al capitolo 22 (nella numerazione quella che ho dato io è il XX:Ritrovarmi?) ^^ La cosa di Jhonny Deep è nata all'inizio dai continui battibecchi con il mio ragazzo su il suo sbavare davanti alle veline e poi al mio continuo sbavare davanti agli attori, poi ho pensato al mio mito personale ed è uscita fuori così. Comunque gli episodi servivano a rendere un po' più leggera la situazione non vi potevo lasciare con il magone continuo dovevo metterci un minimo di sorriso.  Sto seguendo anche la tua ff  quasi dall'inizio e la trovo molto carina. Quindi pubblica presto!!!

Fra_Zanna: Tesoro hai visto che la mamma aggiusta tutto! Non ti preoccupare che il diavoletto che risiede sulla mia spalla ha in mente gran bei modi di complicare la vita dei nostri beniamini. Però te lo prometto niente più amnesie vorrei tornare alla sana e vecchia azione! Spero che continuerai a leggermi e non denunciarmi per questo ti sono molto grata! Non so se esiste il DVD con le scene inedite di Chocolat ma se c'è io lo troverò e lo terrò gelosamente nella mia teca. Devo ammettere che mi piacerebbe molto di più Jhonny che me lo recita dal vivo! Baci e a presto con la seconda parte.

 

RINGRAZIAMENTI:

Recensioniste: grazie per aver speso ogni secondo del vostro tempo a esprimere la vostra opinione. noe_princi89, Rocxy, never leave me, kekka cullen, sinead, Fra_Zanna, kandy_angel, Vichy90, karol95

Preferiti: ringrazio le 13 persone che hanno inserito questa storia nei preferiti

Seguite: ringrazio le 22 persone che l'hanno inserita nelle seguite

Ricordate: ringrazio le 2 persone che l'hanno inserita nelle ricordate

Ringrazio le oltre 900 visite a Moonlight stones

Ed in più ringrazio a chi mi ha fatto l'onore di inserirmi fra gli autori preferiti

Ringrazio chi incuriosito da Moon ha letto Grey Day aumentando di tanto i preferiti e i seguiti in pochi giorni non che le visite (la prima parte sta per raggiungere la soglia dei 2000)

Vi continuo a ringraziare ancora ed ancora e vi aspetto per la seconda parte (per chi non mi conosce io scrivo tutto e poi pubblico in modo che non vi lascio troppo a lungo senza)

Vostra pseudo scrittrice Malice

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Capitolo 27
*** II PARTE - INTRODUZIONE: Cinque anni! ***


SECONDA PARTE: Le Moire non taglieranno i nostri fili.

INTRODUZIONE: Cinque anni!

Quanto poteva durare. Erano quasi cinque anni che le acque non si muovevano. Cinque anni in cui la mia vita risultava incredibile. Tutto sembrava assolutamente preciso e perfetto, amavo la mia famiglia, amavo i miei amici (soprattutto se non  c’era lo sport), amavo le mie scelte. Finalmente sembrava che fossi riuscita a stabilire un trattato di pace con il Destino, che manteneva il mio equilibrio stabile. Con il crescere dei miei bambini ero riuscita a ricavare un po’ di tempo per me e terminare i miei studi diventando una dottoressa in Storia e Letteratura Straniera, come mia madre che alla cerimonia stava nella fila poco più indietro. Stranamente la nostra copertura non era mai saltata e noi risiedevamo stabilmente a Forks, senza bisogno di trasferirci. Il nonno riusciva tranquillamente a lavorare a Seattle dove aveva aperto uno studio privato con mio padre che alla sua terza laurea in medicina e dopo la grande prova di resistenza subita con mia madre, decise di riprendere la sua attività. Jake aveva la sua officina alla riserva dove nessuno si chiedeva perché il suo aspetto non mutasse. Vigeva un’omertà mafiosa riguardo il branco che rasentava la venerazione. I miei zii, avevano deciso di prendersi una pausa dal fingersi umani. Volevano godersi i miei figli e vivere la loro vita scorrazzando nella foresta di Forks. Gabriel dopo essersi laureato, contribuiva a portare i soldi a casa diventando un ottimo architetto, lavorava in casa dove una Esme sovraeccitata l’aiutava nei progetti. Guardavo ai giorni che passavano con una serenità mai avuta eppure sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare una delle tragedie più gravi della crescita dei miei figli: la loro adolescenza. EJ non era mai stato molto problematico. Aveva ripreso la parte migliore della mia allegria  e l’aveva mescolata con quella solarità tipica di Jacob. Un problema grave era la sua arroganza che mandava su tutte le furie chiunque gli stesse accanto. Se voleva sapeva essere pungente come un ago ed avendo una notevole arguzia riusciva a mettere a disagio la persona oggetto della sua contestazione. Ma quest’aspetto era mitigato dalla riflessività tipica di mio padre. Pensava e ripensava alle cose prima di agire e si trovava sempre pronto ad ogni evenienza. Invece Sarah sembrava sempre più irritabile con  un grave problema di gestione della rabbia. Il suo umore che fino a quando era bambina risultava altalenante era diventato esclusivamente idrofobo. Più si avvicinava alla trasformazione, più io assumevo la connotazione della sua nemica. Era come se io fossi la sua antinomia, forse dovuto alla reazione alla mia metà vampirica e alla tipica competizione madre figlia. Jacob non si preoccupava più di tanto, diceva che dopo la prima mutazione, le sarebbe passato. Sta di fatto che ogni cosa diventava un conflitto dalla più piccola alla più grande. Soprattutto con me.  Se io dicevo A lei arrivava e diceva no è B, e poi si finiva con tutto l’alfabeto, lei che tremava, il padre che cercava di calmarla, arrivava il fratello, la provocava e si ricominciava da capo. Alla fine ne risultavamo talmente stremate entrambe da non avere la forza di chiarire. Mai. E questo silenzio che s’avverava dopo ogni battaglia mi feriva profondamente. Era come se io e mia figlia non riuscissimo a comunicare se non urlando.

“Che ho fatto di sbagliato Jake?” l’ennesimo scontro, l’ennesima lotta. C’era sempre qualcosa che si sbagliava. In fondo ero un genitore da soli nove anni e loro erano cambiati dal giorno alla notte con il passare del tempo. Volevo solo che frequentassero la scuola, che saggiassero per qualche anno, esattamente come avevo fatto io, la vita da umani. Inoltre avevano una fortuna immensa. Di poter condividere questa esperienza, non solo fra fratello e sorella, anche con un amico che conosceva la loro natura: Nathan il figlio di Sam che ormai aveva diciassette anni. Io ero stata sola, completamente sola. L’unico amico che avevo trovato  si era rivelato un traditore assetato di sangue. Non avrei mai voluto imporglielo ma era diventata una questione di principio. Nella mia famiglia c’era la tendenza a viziare la mia piccola Sarah. Giustamente, non lo metto in dubbio. Con lei erano molto accondiscendenti mentre per me era necessario non cedere ad ogni suo capriccio. Anche questo contribuiva al già precario rapporto che si era stillato fra di noi. E la fine di ogni sacrosanta volta era la ricerca di conforto in mio marito, sperando che, almeno lui, riuscisse a comprenderla meglio di come potessi io.

“Nulla, è solo un momento particolare le passerà!”  non riuscivo mai a trattenermi. Non avevo mai pianto in tutta la mia vita come durante quel periodo. Faceva assolutamente male sentirsi odiati dai propri figli. E così l’immancabile gocciolone sostava per pochi secondi sulle mie ciglia solcando lentamente il mio viso dove Jacob andava a posarci il suo dito per asciugarlo.

“Da piccola non volevo che si trasformasse, adesso lo aspetto con ansia! Ho paura che se continua così la perderò per sempre … ”

“Tu non la perderai, ti ama sei sua madre!” lo disse con una sicurezza tale, che per un attimo mi aveva convinto. Per un attimo, perché la mia parte Swan, tornò velocemente a suonare i campanelli di allarme della mia sfiducia.

 

“Sono una pessima madre, Jake!” ero convinta di quello che dicevo anche se il mio lupo mi guardava sorridente, cercando di abbattere la mia opinione. Ma per scalfire una mia convinzione ci voleva ben altro che un sorriso caldo e rassicurante. Erano necessari picconi ed asce, bisognava entrare in me e cercare di scavare a fondo per trovare il centro della mia incertezza.

“No, non lo sei!” nonostante i suoi tentativi mi sentivo sempre più costernata ed amareggiata. Scorreva nel mio midollo, nel mio essere. Soprattutto quando il campo indicava i miei figli in cui il ruolo principale era ricoperto dal mio terrore di cadere nell’errore.

“Si lo sono, non riesco a superare il muro che ha costruito!”

“Solo perché ci vuole del tempo e tu sei un tipo impaziente!” mi baciò la fronte e con quel gesto mi sciolsi definitivamente avvinghiandomi a lui. Tutto quello che avevamo passato c’era tornato estremamente utile. La nostra complicità era accresciuta, spesso arrivavamo a pensare anche le stesse cose a detta di mio padre. “Non devi essere preoccupata, ricorda che io sono dalla tua parte!”

“Non dovrebbe essere una battaglia!”

“Quale genitore non vive l’adolescenza dei propri figli come una battaglia?” alzai il viso per guardarlo negl’occhi. In alcuni momenti stentavo a riconoscerlo.

“Da quando sei diventato così saggio?”

“Da quando le donne della mia vita hanno bisogno di una mano!” un bacio a fior di labbra. E tutto spariva per un infinito istante. Quello che non capiva allora, per lui era diventata una ragione. Adesso camminavamo fianco a fianco, mano nella mano cercando di superare gli ostacoli che ci si paravano di fronte. Ora eravamo sempre più una cosa sola.

 

Note dell'autrice: Vuelà sono tornata! Una breve introduzione alla seconda parte a mio parere molto bella, o per lo meno a me è piaciuto da morire scriverla. Come vi avevo promesso ci sarà un ampio spazio per i gemelli e il loro rapporto, ma non sarà totalmente su di loro. Jacob e Nessie sono sempre i miei protagonisti quindi visto che ho fatto crescere i pargoli mi sembrava giusto introdurli nel mondo genitori Vs Adolescenti. In realtà quest'aspetto riguarda di più il rapporto fra Nessie e la figlia, conflittuale ma che poi si rivelerà molto profondo. In più vi sarà anche un po' di un mio personaggio originale, chissà chi è. 

Ed ora passiamo ai ringraziamenti ed ai festeggiamenti:

Grey Day in Darkness ha superato le 2000 visite! e siamo arrivate a 40 preferiti!

Poi volevo ringraziare le 19 (dico 19) persone che mi hanno inserita tra gli autori preferiti di cui vi fornisco un bell'elenco:

annaritaa86,  bumby,  cinderella, Ebbi,  FedericaR, FraZanna, gioia101, iF Leila, JessikaXD, kamura86,  karol95, kekka cullen,  Lione94,  maecla,  moira_chan,  never leave me,  noe_princi89,  Rocxy,  _iLaRiA_ .

Ed ora spazio alle recensioni per l'ultimo capitolo della prima parte:

Karol 95: eccomi qui come promesso, placata la tua ansia? Sono tornata, sono tornata.

noe_princi 89: mi fa piacere sapere che ti piace leggere dei miei personaggi quindi ci siamo!

never leave me: quando ho aperto le recensioni e ho visto la tua mi è preso un colpo; dimmi ti sei proporzionata alla lunghezza dei miei racconti? scherzi a parte mi lusinghi sempre troppo ti giuro che i tuoi commenti mi innorgogliscono e come io riesco ad emozionarti con sommo piacere, anche tu riesci sempre a commuovermi. Spero che anche questa parte ti piaccia, ci vediamo al primo capitolo spero!^^

Vichy90: Ciao cara, volevo sapere se hai letto anche le altre due sono curiosa di sapere che ne pensi. Davvero ti ho fatto piangere? Wow, mi piace emozionare perchè è quello che voglio ottenere, quindi aprite il cuore gente!

Fra_Zanna: colleguzzola eccomi sono tornata, speriamo che non ti angosci anche con questa parte, insomma qui sono tornata alla sana e vecchia azione, vedrai cosa combina la mia testolina malata.

Lione94: Wow una nuova recensionista che si è mangiata le mie storie! Calcola che ti adoro!^^ Jake e Nessie ci sono certo e saranno importanti almeno come la prima. Benvenuta!

Ed ora angolino pubblicità:

Ho scritto la One Shot sull'addio al nubilato di Nessie: si chiama GOODBYE SINGLE LIFE vi metto il link per chi è curioso, e mi farà piacere sapere cosa ne pensate!

Bacissimi XOXO Vostra autrice scema Malice! 

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Capitolo 28
*** CAPITOLO I: Piccole canaglie crescono. ***


CAPITOLO I: Piccole canaglie crescono.

POV Sarah

 “EJ per piacere vuoi abbassare il volume!”  mio fratello si dondolava sulla sedia, con quella orribile consolle portatile, producendo rumori davvero irritanti, ma al primo accenno di fastidio della mamma obbedì immediatamente, come un cagnolino fedele, nonostante da circa un'ora gli chiedevo di spegnere quell'aggeggio. Ma si sa, io non ero la mamma e la mia voce non era più importante del ronzio di una zanzara. La sua faccia indifferente poi, mi stava facendo saltare ancora di più i nervi come se non bastasse ad aggravare il mio umore non proprio alle stelle. Io e la mamma, le solite protagoniste della serata, esercitavano il loro show:  erano ore che discutevamo senza riuscire a risolvere un bel niente. Non avevo nessuna intenzione di fare una cosa del genere. Andare a scuola in mezzo a ragazzini egocentrici ed opportunisti, che non  avrebbero fatto altro che importunarmi, ragazze civette ed esibizioniste, che pensavano solo a come le doppie punte fossero il male del secolo. Non era giusto generalizzare, però era facile in quel momento pensare solo ai lati negativi per rafforzare la mia teoria. Non volevo, non volevo, non volevo. La mamma se ne stava lì, con la base del naso costretta tra le sue sottili dita, cercando una calma che io non le avrei concesso facilmente. In quanto a testardaggine fra me e lei, di sicuro ero io la vittoriosa.

“Perché non posso continuare a studiare con il nonno? A te neanche piaceva la scuola!”

“Sarah, ne abbiamo già parlato! Non potete studiare per sempre in casa, il diploma l’abbiamo preso tutti anche più volte e persino tuo padre!” a quell’affermazione provenì uno sbuffo agitato da papà, ben comprensibile visto che gli stava dando dello svogliato “È  giusto che affrontiate la scuola e gli umani! Sarà anche un modo per imparare a gestire i vostri istinti!” ne era troppo convinta, odiavo che prendessero decisioni sulla mia vita senza consultarmi. Insomma non ero più una bambina, avevo il diritto di dire la mia.

“Non voglio andare in mezzo a tutti quei stupidi ragazzi, che non faranno altro che giudicarci solo perché siamo diversi!” avevo cominciato ad alzare la voce. Mia madre spostò le mani alle tempie massaggiandole. Temevo che da un momento all’altro sarebbe scoppiata inesorabilmente, stava crollando come ad ogni nostra litigata. Ogni volta che io mi rivolgevo a lei a gran voce, sembrava che la uccidessi. Soffriva e ne ero orribilmente compiaciuta in principio. Si, perché almeno significava che anche io avevo un posto all’interno della mia famiglia. Troppo speciale e troppo perfetta per una come me.

“Nessuno vi reputerà diversi, Sarah!” se mio padre interveniva voleva dire solo una cosa: stavo esagerando e dovevo darmi una calmata. Non ero però una persona che faceva marcia indietro facilmente. Non la facevo affatto piuttosto mi sarei andata a schiantare su di un palo, pur di far valere il mio torto o la mia ragione. Tutto per dire che io contavo nelle scelte che mi riguardavano.

“Con la mamma se ne sono accorti subito che era diversa, è stata perfino rapita da un suo compagno!” e con quello mi ero sicuramente guadagnata una punizione. L’argomento equivaleva ad una pugnalata in pieno petto. Già non sopportava in alcun modo che venisse tirato fuori, dopo anni ancora la ferita era aperta ed io da brava adolescente non mi lasciavo sfuggire l’occasione per metterla in difficoltà.

“Joyce non centra nulla, è storia passata! Sarah smettila di fare i capricci, abbiamo deciso, da domani si va a scuola e fine della discussione!” sapevo che l’avrei sfinita e avrebbe tirato fuori la carta della patria potestà. Stavo per ribattere ma a quel punto anche mio fratello subentrò alla discussione ed in una maniera che si poteva decisamente risparmiare.

“Ma che ci sarà di tanto terribile, magari ti trovi un ragazzo e smetti di essere isterica!” fui più svelta, persino del ringhio di papà che non fece in tempo a formarsi. Calciai l’instabile zampa della sedia, costringendolo rovinosamente a terra. Stavo per avventarmi su di lui ma quel suo maledetto scudo mi fece sobbalzare dall’altra parte della stanza in un secondo.

“EJ questa volta sei morto!”

“Basta smettetela entrambi!” stava usando il doppio timbro. Avevamo raggiunto il limite, se mio padre ricorreva alla sua autorità di alfa, che inspiegabilmente funzionava benissimo con noi, neanche fossimo già parte integrante del suo branco. La mia collera a quel punto sbollì e mi trovai a guardare mia madre che sconsolata aveva chiuso gli occhi con la testa abbandonata verso il basso. Avevamo esagerato e me ne stavo rendendo finalmente conto  “La regola niente scontri in questa casa, ancora non vi è chiara? In camera vostra e di corsa, e questa è veramente la fine della discussione!” non era il suo aspetto gigante ad incuterci timore, né il suo tono ‘questa è casa mia e qui comando io’. Rispettavo da sempre gli ordini di papà perché con lui non avevo forza di combattere, era irremovibile, e non si lasciava ferire tanto facilmente. Gli potevo gridare tutto quello che volevo, era come se capisse il mio punto di vista e mi frenasse nel momento in cui oltrepassavo la linea di confine tra ragione e sentimento. Per quanto me lo volessi negare la mamma aveva la capacità di pormi di fronte alle mie debolezze, sviscerarle, ed in me scattava quel senso di rivalsa difficile da controllare. Poco dopo mi ritrovai confinata nella mia camera perché incapace di controllarmi. Sembrava un copione già scritto. Tutta colpa di EJ come al solito mi aveva provocata ed io l’avevo aggredito quasi con ferocia. Ma dovevo avere per forza un fratello all’ortica, per quanto era irritante?

“Lizzie, posso parlarti?” vendetta, tremenda vendetta. Lo sapevo che avrebbe cercato in qualche modo di chiarire. Era tipico di EJ. Detestava che io gli tenessi il muso e questo lo portava a sgattaiolare da me ogni volta che c’era una discussione in famiglia. Io invece puntavo a dargli una lezione e quindi preparai tutto quello che avevo a disposizione per fargliela pagare.

“Vieni!” lo invitai come se non stessi ordendo alla mia rappresaglia. Appena la faccia di EJ comparve da dietro la porta gli tirai tutti i cuscini e i pupazzi che avevo sul letto.  

“Smettila, smettila!” era proprio una femminuccia quando ci si metteva, cercava di schivare, ma i mie lanci erano meglio di una mitraglietta automatica, qualche peluche volò dall’altra parte della camera ma la maggior parte erano ormai andati a segno “Se papà scopre che gli ho disubbidito mi ammazza! Vuoi un fratello morto?” mi fermai un secondo facendo finta di pensare per poi riprendere a lanciargli tutto quello che mi capitava sotto mano. Mi stavo decisamente sfogando di tutto, anche della litigata con la mamma.

“Si ti voglio morto almeno la smetterai di rompermi con il tuo modo di fare!” esaurite tutte le scorte lo lasciai entrare cercando di fargli capire che ancora non era del tutto passata “Allora cosa vuoi?” mi ero calmata ma non volevo darglielo a vedere. Come se non mi conoscesse bene. Fin da bambini avevamo una capacità strana. Nessun potere se non quello della genetica. Noi due abbiamo sempre avuto una forte empatia, cosa non rara fra i gemelli.

“Senti Lizzie mi dispiace averti detto quelle cose, ma non sopporto che ti rivolgi così alla mamma! Lei è sempre dolce e tu sei sempre …” gli feci uno di quei ringhi che se lo sarebbe ricordato per tutta la sua vita, non c’era occasione in cui rimarcava il concetto di quanto lui e la mamma andassero d’amore e d’accordo, mentre io facevo di tutto per allontanarla.  “… sei sempre nervosa, Non se lo merita che la tratti così!” ripresi a ringhiare ancor più profondamente, ma più per la rabbia che provavo nei miei confronti che verso EJ. È vero. La mamma con me era sempre comprensiva, io le rispondevo male e la facevo inalberare. Ma poi il mio orgoglio non mi permetteva mai di tornare indietro e così riprendevamo la nostra vita lasciando qualsiasi discussione in sospeso. Odiavo avere un rapporto conflittuale con lei. Non so il motivo, ma era l’unica persona che facesse uscire il mio lato peggiore. Forse perché con lei mi sentivo libera di sfogare tutte le mie frustrazioni, che in realtà non avevano ragione di esistere avendo tutto quello che si poteva desiderare: una bella casa, una stupenda famiglia, un bell’aspetto. Forse ero semplicemente invidiosa di lei, della sua vita così perfetta. Mio padre e mio fratello la adoravano nel vero senso della parola, la nostra famiglia di vampiri la tenevano su di un piedistallo, la famiglia di licantropi la consideravano quasi al pari di mio padre. Ed io invece ero la ragazzina viziata che non vedeva al di là del suo naso, incapace di dominare la collera. Volevo diventare come lei, la perfetta Nessie, ed invece mi ritrovavo ad essere l’imperfetta ed irascibile Sarah.  “Liz, sento la tua agitazione quasi fosse la mia, e più tu sei stressata e più io ne risento! Dovresti cercare di controllarti se non lo vuoi fare per te, fallo per me!” non avevo mai visto EJ con quell’espressione. Lui di solito era sempre allegro, gioioso, non riusciva a fare un discorso serio nemmeno nelle situazioni più estreme. Mio padre diceva che stava troppo a contatto con lo zio Emm, lo credevamo un po’ tutti in famiglia. Se prima mi sentivo in colpa dopo le sue parole mi sentivo sottoterra. Mi distesi sul letto dando le spalle ad EJ ed abbracciando il mio Eddy, lui era l’unico peluche che risparmiavo ogni qual volta dovevo uccidere mio fratello sotto una valanga di gomma piuma. Non mi andava di incontrare il suo volto con la sua espressione stile papà deluso. “Torno in camera mia! Ah Sarah, avremo la fortuna di stare insieme e con noi ci sarà anche Nate visto che andremo alla vecchia scuola di papà! La mamma quando è andata al liceo si è dovuta nascondere ed ha dovuto affrontare tutto da sola! Vedrai che non sarà terribile come la sua di esperienza!” sentì solo la porta chiudersi. Aveva centrato il punto. Il discorso scuola mi spaventava proprio perché temevo di viverla male, come l’aveva vissuta lei. Eppure le sue parole non furono di conforto, mi avevano solo posto di fronte ad una realtà che mi faceva ancor di più infuriare con me stessa. Avrei solo voluto avere metà della forza d’animo di mia madre, nel riuscire ad affrontare le sue paure ed i suoi problemi.

 

“Ti avevo detto di restare in camera tua!” bello farsi accogliere con un ringhio rabbioso del proprio padre ma d'altronde era quello che meritavo.

“Volevo scaldarmi un po’ di latte e metterci del miele, magari mi aiuta a calmarmi! Nonna Esme mi ha detto che è un buon rimedio contro il nervosismo … ” mi avvicinai al frigo prendendo del latte e mostrandolo a mio padre, tanto per rafforzare la mia teoria . < Chissà se a Forks esistono le cisterne di latte e miele? > in realtà avevo voglia di parlare con la mamma ed avevo trovato una scusa per  incontrarla, poco credibile, ma era pur sempre una scusa. “Dov’è la mamma?”

“È andata da Bella, aveva bisogno di stare un po’ con tua nonna.  Stavolta l’hai fatta veramente incazzare, Sarah tua madre non si merita che la tratti così … ” avevo acceso la piastra sotto il pentolino con il latte ma mi voltai di scatto verso di lui che se ne stava a braccia conserte al di là dell’isola.

“La morale me l’ha già fatta EJ!” gli occhi di papà avevano la tendenza ad entrarti dentro, era così franco in certi momenti, che tu  non potevi nascondergli più nulla. E così mi ritrovavo sempre di fronte ai miei errori, alle mie ‘nefandezze’, con un padre schietto e sincero capace di tirarti fuori la verità con la semplice imposizione dello sguardo.

“Ciò non toglie che vorrei capire perché ce l’hai così tanto con lei! Morirebbe per te e la ferisci quando le rispondi in  quella maniera così rabbiosa …” non aggiunse che ferendo lei ferivo anche lui e tutta la famiglia di cui lei ne era il fulcro.

“Non ce l’ho con lei papà, è solo che, non lo so quando mi parla mi mette di fronte ai miei limiti lei è così … ed io così …” tornai al mio latte che intanto aveva formato una lieve patina. Ascoltando le mie parole mi sembravano così assurde e confuse che non riuscivo a continuare.

“Piccola, ti insegno un trucco. Prima di dare in escandescenza quando senti di non controllarti prova a contare fino a dieci!”

“Papà, è una cosa vecchia, non farla passare per tua!”

“Tu però provaci, prima di far uscire una valanga di parole conta e vedrai che funziona!” mio padre era incredibile. Lui, a dispetto di mia madre, riusciva a tirare fuori il lato migliore di me. Sembrava l’unico che mi capisse realmente. Ma forse era proprio così: eravamo molto simili noi due. Mi aveva raccontato dei suoi problemi prima della trasformazione. Io ero quasi certamente destinata ad essere un lupo, ma tardavo a diventarlo oggettivamente.  Nathan aveva già avuto la sua prima mutazione, però lui aveva diciassette anni effettivi, io solo nove, anche se sembravamo coetanei. Cominciai a dubitare di possedere il gene L, come diceva Emmett. Tutti erano speciali nella mia famiglia, tranne io. EJ assomigliava alla mamma forse per questo mi urtava in quella maniera averlo tra i piedi, mio padre era un capobranco, mia madre era mia madre, ed io non avevo ancora nulla di speciale se non un’innata capacità di seguire le piste. Rimasi sola nella mia camera con la mia tazza fumante, abbandonata sul materasso nella contemplazione del soffitto. Avrei voluto parlare con lei, ma era andata via a causa del mio modo di fare. Mi sentivo uno schifo. Uno schifo.

 

Note dell'autrice: Salve a tutte ragazze!!! Scusate ma la fine del campionato mi ha portato via quasi tutto il pomeriggio, già me povera tifosa della Magica Roma, ha pianto per un pomeriggio. Pianto proprio no, però c'ho sperato poco poco! Andiamo al capitolo -> allora vi spiego ci saranno delle alternanze dei punti di vista almeno per i primi sette capitoli fra Sarah EJ e Nessie (i pov di Nessie non vengono specificati perchè lei è la narratrice principale). EJ vi avverto è un mammone cosa normalissima, ho due fratelli maschi e guai a chi tocca la mamma! Avrete notato che EJ chiama Sarah Lizzie o Liz. Vi ricordo che il secondo nome di Sarah è Elizabeth più in là si spiegherà il perchè di questa scelta. La chiama con il primo nome è solo nei momenti difficili o quando è estremamente serio, insomma quando si arrabbia. Questi primi capitoli introdurranno i nostri figlioli quindi sono abbastanza di passaggio, per conoscerli meglio e vi assicuro che le sfaccettature che assumeranno saranno molteplici. Sinceramente li ho immaginati molto complessi visto i genitori e la famiglia che si ritrovano.

ANGOLINO DELLA PUBBLICITA' :  GOODBYE SINGLE LIFE One Shot sull'addio al nubilato di Nessie (divertente ^^ !)

Rispostine alle recensioni: BENTORNATE A TUTTE !!!

never leave me:  *.*  contenta di averti conquistata. Sarah è diventato un personaggio ancor più particolare, questo perchè noi ragazze viviamo la crescita in maniera molto più complessa rispetto ai ragazzi. In più lei sta per diventare un licantropo e questo non deve essere facile, non dico altro... Ovviamente anche EJ è un tipetto tutto pepe ( anche se il personaggio di Sarah ha un rilievo maggiore vista la personalità molto interessante che è nata) bhè insomma sono o non sono i figli di Jake  e Nessie ^^ Sai non credo che rilascerò avvisi in generale, non mi piace per niente e da lettrice lo odio. Certo in caso di estrema necessità lo farei anch'io per carità però sono molto restia ai capitoli avviso. Bando alle ciance e ci vediamo al prossimo capitolo!

kekka cullen: spero di non deluderti, io personalmente mi sono appassionata a scriverla ovviamente ho approfondito parecchi aspetti interiori e poi ci sarà da sudare. Si si vecchia azione all'arrembaggio!

noe_princi89: Ciao cara!^^ Già Jacob è diventato saggio, dopo tutto quello che hanno passato è normale, così come Nessie ovviamente.

karol95: proprio in fretta no, ci ho messo parecchio perchè mentre scrivevo sono riuscita a complicare ancor di più la storia di come l'avevo pensata! Me pazza!Muahahaha!

Lione94: Sono contenta che ti piaccia lo scontro genitori vs figli, anch'io lo trovo interessante anche perchè la mia Nessie non aveva un rapporto conflittuale con i genitori, anche se ha avuto i suoi momenti di crisi.  Mi sono ricordata di una tua domanda in un'altra recensione, perchè ho scelto Sarah come licantropo. Nella costruzione dei personaggi di Sarah ed EJ ho pensato molto ai loro genitori. In effetti è stato un modo per farla assomigliare ad entrambi i genitori. Il discorso figli verrà ripreso ovviamente durante la mia narrazione. Grazie per seguirmi ci vediamo al prossimo capitolo.

 

OVVIAMENTE IL MIO PARTICOLARE RINGRAZIAMENTO VA A TUTTE VOI CHE MI SEGUITE! SEMPRE! UN ABBRACCIO FORTE FORTE! Malice

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Capitolo 29
*** CAPITOLO II: Primo giorno di scuola! ***


CAPITOLO II: Primo giorno di scuola!

POV EJ

Cercare di dormire era un’impresa ardua. Soprattutto dopo quello che era successo la sera precedente. Le litigate di Lizzie stavano diventando sempre più pesanti e l’aria che si respirava in casa sapeva di tempesta. Lei non era così. O meglio non così tanto. La conoscevo bene e quella degl’ultimi tempi era un ragazza diversa. Magari sbraitava, s’infuriava ma riusciva sempre a mantenersi lucida e ragionevole nei momenti di vera crisi. Invece sembrava totalmente fuori di sé e scattava per un non nulla. Liz era stata veramente una bisbetica con la mamma, odiavo quando la trattava così. Lei era mia sorella, la adoravo, certe volte la invidiavo per tutte le attenzioni che riusciva a catturare con il suo modo di fare problematico, ma era un suo dovere trattare con rispetto la donna che stava per morire pur di salvarci. Rimuginando di continuo ero riuscito ad addormentarmi praticamente alle prime luci dell’alba e neanche troppo profondamente. Cosa che mi permise di sentire quella svitata di mia zia starnazzare per tutta casa. Solo lei riusciva a svegliarmi con una tale facilità.

“Largo fare largo, tenuta scolastica d’eccezione made in Alice! Ma dove sono i due studenti?” lei era fatta così. E mi piaceva. Davvero. Non sempre, ma la trovavo una grande. Trascinandomi come uno zombie, sbadigliando con la bocca spalancata, con le ossa rattrappite e cigoanti dal sonno poco riposante raggiunsi il piano di sotto, dove una raggiante Alice era imbottita di stampelle piene di abiti, sicuramente per mia sorella, seguita da un Jazz con solo una mano occupata.    

 “Che cos’è questo baccano? È arrivato un uragano e non me ne sono accorto?” e c’era lei. La mia mamma. Stava in un angolo ad osservare con una strana e buffa espressione Alice che invece sembrava non curarsene. Come ogni mattina la salutai con un sonoro bacio sulla fossetta, anche se, dopo la sera che avevamo passato, non c’era. Il suo sorriso era poco più che accennato e mi rivolse soltanto un delicato saluto. Detestavo vederla così. La stavo per abbracciare, cercando di rassicurarla ma poi la nostra  attenzione si fissò sulla zia. Mi stava squadrando muovendo la testa sbarazzina a destra e a sinistra, descrivendo un no in aria.

“Tu nipotino, o ti rendi più presentabile la mattina o non arrivi  davanti a me in boxer e maglietta!” in boxer maglietta? Abbassai lentamente lo sguardo sperando che non stesse dicendo sul serio. Un fortissimo fuoco invase le mie guance. Le sentii divampare arse dalle fiamme dell’imbarazzo. Lo zio cominciò a ridacchiare percependo le mie emozioni e mi venne incontro invitandomi a seguirlo in camera mia mentre  Alice andò da Sarah trotterellando con  la grazia della Fracci.

“Io vado a svegliare la bella addormentata, sono o non sono Serenella!” percepii a malapena il suo discorso, mentre lo zio tirava fuori dei jeans firmati ed una maglietta con dei disegni strani. Non ci capivo assolutamente nulla di moda, ma ero molto accondiscendente, soprattutto perché se c’era qualcuno che s’impegnava a vestirmi non l’avrei dovuto fare io e questo alimentava la mia pigrizia.

“Nessie e Sarah hanno discusso di nuovo?” sapevo che sarebbe uscito fuori quel discorso. E lo zio ne stava approfittando perché ero rintanato nel bagno a  lavarmi. Jasper era un po’ lo psicologo, della casa con quel suo potere gli risultava facile. Non che ci fosse molto da scrutare in mia madre. Lei era un libro aperto in condizioni normali, da quando Lizzie era diventata un aspide, le si leggeva in faccia che stava male. La situazione le stava prosciugando entrambe e con loro io e mio padre. Ci trovavamo sempre fra due fuochi. Da un lato capivamo mia sorella, per la quale la gestione della rabbia era di vitale importanza, non solo per la trasformazione, ma anche per la sua parte di vampiro che sembrava quasi completamente sopita. Ma io sapevo bene sulla mia pelle che in noi le nostre parti convivevano e in un certo qual modo s’influenzavano l’una con l’altra. L’avevo sentito più volte la natura di licantropo affacciarsi a reclamare la sua porzione di EJ. I tremori, la forza, il fisico che ad un certo punto si era sviluppato come un pasto liofilizzato bagnato. I vestiti che la zia aveva scelto per me mi calzavano perfettamente disegnando ogni piccolo muscolo. E così uscii dal bagno trovandomi di fronte Jazz che aspettava ancora che gli rispondessi. Annuii soltanto. Jasper con la sua solita sensibilità, lasciò correre ed insieme ci avviammo di nuovo nel salotto dove ci stavano aspettando per partire alla volta della scuola. La scena che mi si presentò di fronte era la solita e sdolcinata. Mia madre avvinghiata alle spalle di mio padre, mentre si divoravano cercando di battere il record mondiale di apnea. Che schifo!

 “Vi prego certe cose fatele in camera vostra!” da un lato però ero contento. Vedere i miei genitori tubare come due colombi in amore mi dava la sensazione di unità e calore famigliare. Non contando il discorso che mia madre si sentiva meglio quando veniva coccolata da uno di noi. “Allora che ve ne pare non sono un gran bel ragazzo?” feci una bella giravolta per mostrare ogni eventuale sbavatura. Dapprima un raggio di sole, un dolce sorriso da parte della mamma. Poi presto si rabbuiò diventando pensierosa e osservandomi da capo a piedi quasi arrabbiata. Cosa avevo fatto?

“Mettiti un felpa o sentirai freddo!” freddo? Quella non sembrava per nulla una semplice raccomandazione materna. Sembrava più un’imposizione. Rimasi letteralmente a bocca aperta cercando di capire cosa potesse significare. Quando i nostri sguardi s’incrociarono lei addolcì la sua espressione. Forse era una piccola forma di gelosia, la mia mamma non avrebbe mai smesso di trattarmi come il suo piccolino. “Comunque tu non sei un bel ragazzo! Sei mister universo!” mi venne incontro leggiadra come una ninfa dei boschi, ed alzandosi sulla punta dei piedi mi schioccò un bel bacio sulla guancia.

“Davvero mamma? Pensi davvero che sto bene? Comunque se vuoi mi vado a mettere la felpa immediatamente!” avrei fatto di tutto pur di accontentarla, soprattutto ora che si trovava ai ferri corti con mia sorella; negò fino all’arrivo di una nanerottola pazza, troppo somigliante ad un diavolo della Tasmania, che lasciò un solco sul pavimento della nostra casa puntando il dito contro il naso di mia madre completamente sconvolta con i suoi grandi occhi dorati ridotti a fessura.

“È tutta colpa degli Swan!” schizzò poi fuori trascinando il povero ed ignaro Jasper. E che centravano gli Swan? Lo capimmo solo quando Liz ci raggiunse cosa intendesse. Indossava una semplice camicia ed un paio di jeans.

“Sono contento che abbia ripreso da te! Andiamo che stiamo facendo tardi!” detto questo mio padre riprese a respirare. Temeva fortemente che Alice riuscisse  convincere la mia sorellina ad infilarsi qualche miniabito sconcio. Lo temevamo un po’ tutti. Io in primis visto che avrei avuto il dovere di spaccare qualche muso, se solo si fossero azzardati a darle fastidio. Il fatto che ci sarebbe stato anche Nate a farle da lupo da guardia, mi sollevava parecchio. Ed ora mi sentivo pronto ad affrontare il liceo. Ero realmente impaziente di cominciare a studiare in una vera scuola e con Nate poi. Il figlio di Sam era divertentissimo, anche se non mi piaceva come guardava la mamma, una volta l’avevo anche minacciato. Insomma era una donna sposata, con prole aggiungerei, e lui sembrava che la vedesse come un gran bel boccoccino. Da un lato era difficile biasimarlo, ma dall’altro gli avrei volentieri voluto staccare la testa a morsi. Le mie donne non si toccano! In macchina se non fosse stato per me ci sarebbe stato un silenzio allucinante.

“Papà, quand’è che butti via questa robaccia e ascolti vera musica?” cercavo un cd ma in macchina dei miei era come cercare un ago in un pagliaio. Per lo più musica classica o retrograda, stile era mesozoica o età della pietra al massimo.

“Potrei farti la stessa domanda … ” guardai dietro. Stavano entrambe con il viso rivolto verso fuori. Se la litigata era fulmini e saette, il dopo era sempre una cosa assurda. Troppo orgogliose per fare il primo passo e tutto nelle loro virtuali scazzottate  rimaneva in sospeso. Penso di non averle mai viste chiarire in nessuna occasione. Dovevo prendere in mano la conversazione, il silenzio mi urtava rompendo il mio idilliaco umore.

“Mamma, dopo il liceo vorrei frequentare il college, mi piacerebbe diventare un medico come il nonno e Carlisle!” un sorriso, finalmente. L’argomento istruzione unito al suo mentore non poteva far altro che scatenare in lei una reazione benevola.

“Basta che tu sia cosciente delle tue scelte EJ! Fare il medico sarà comunque dura, starai al contatto con il sangue umano tutti i giorni, devi avere un forte autocontrollo!” alzai le spalle incurante della sua obiezione. L’autocontrollo non era mai stato una complicazione, solo un paio di volte mi aveva pizzicato alla  gola il sangue umano, ma non avevo avuto alcun tipo di problema a resistergli. Stavo pronto a ribattere quando notai che la macchina si era arrestata. Finalmente eravamo giunti nel cortile che brulicava della gioventù Quileute. Forse Liz non aveva tutti i torti, eravamo così diversi da quei ragazzi. La nostra pelle era molto più chiara della loro, non pallida ma nemmeno abbronzata, i nostri occhi chiari spiccavano in quel mare di pece che era puntato su di noi. Mia sorella lanciò uno sguardo eloquente. Mi stava dicendo ‘Te l’avevo detto!’.

“Ehy Black allora mio padre non è del tutto rincoglionito!” Nate arrivò portando con solo una spalla lo zaino, mia madre scese dall’auto e lui subito si paralizzò strabuzzando gli occhi “Ops!” disse riferendosi all’uso inappropriato di parole scurrili in sua presenza, arrossì per quello che la mia vista riuscì a percepire sulla sua pelle olivastra “Scusate!” 

“Nate! Ciao amico!” virili strette di mano e pacche sulle spalle, tanto per ricordargli che potrei distruggerlo. La mamma ci disse una volta che assomigliavamo un po’ troppo ai nostri padri quando ci salutavamo. Certo che il mio amico poteva evitare di abbracciare mia madre, davanti a mio padre in quella maniera.

< EJ calmati, non essere stupidamente geloso! >

 Riprendendo l’entusiasmo di cominciare, salutai velocemente i miei per dirigermi alla segreteria. Lizze continuava a seguirci sbuffando, latrando, quanto era noiosa. Possibile che non vedeva il lato positivo. Oltre alla nostra famiglia e con il branco non avevamo grandi contatti con l’esterno. Ho sempre voluto girare il mondo, fare esperienze, esplorare continenti. Ma prima di muovere grandi passi andavano fatti dei piccoli passi. Quindi il liceo era un gran bel punto di partenza.

“Questa è la segreteria, dovete parlare con la signorina alla reception vi darà dei fogli da far firmare ai professori con i corsi che volete seguire! Ci vediamo Blacks!” Nate era andato alla sua classe. Mi aveva detto quali lezioni seguiva in modo che magari potevo farle combaciare con le sue. Così vagliando la bella lista  che mi trovai davanti, presi a sbirciare quella di mia sorella anche se sapevo che i suoi gusti intellettuali non combaciavano per nulla con i miei.

“Non trovi che sia emozionante Lizzie?”

“Assolutamente no!” il solito tono da zitella acida.

“Sei più che noiosa sorellina, non vedo l’ora che ti trasformi magari riesci a calmarti!” non sono mai riuscito a tenermele certe considerazioni per me. Aveva cominciato a ringhiare spaventando alcuni ragazzi che ci passarono accanto. “Smettila Liz che spaventi la gente!”

“Meglio così mi staranno alla larga!” alzai gli occhi al cielo. Per fortuna che non ero io il lupo, o sarei finito con il chiedere la separazione da me stesso. La trovavo veramente insopportabile. Esisterà il divorzio tra fratelli? Ci assegnarono gli armadietti, avevamo scelto le lezioni e dovevamo andare in classe. Ovviamente io avevo preso quasi tutte materie scientifiche e Sarah quasi tutte umanistiche. Almeno l’avrei avuta tra i piedi il meno possibile. Papà  mi aveva chiesto, o meglio ordinato, di tenerla d’occhio, ma sinceramente il suo cattivo umore stava rovinando quella che io ritenevo una bella esperienza.

 

Su una cosa aveva enormemente ragione mia madre. Dopo una lezione con Carlisle, tutte le altre sembrano inutili. Ufficialmente ero entrato nel mondo ‘Che noia la scuola!’. Tutto già visto e sentito, ero più avanti io con il programma che tutto il complesso scolastico. In compenso dopo quella tortura, avevo conosciuto un paio di ragazzi simpatici. Mi chiesero se praticavo sport per il mio fisico ed ho anche iniziato un’interessante discussione sul campionato. Certo che se avessero saputo la verità, del genere ‘Sapete la mia forza è derivata da mio padre licantropo ma sono più propenso verso i vampiri’, avrei perso totalmente il mio fascino. Comunque la mattinata era proceduta lenta come una processione, e a parte l’aver ringraziato mio padre almeno quattordici volte per le occhiate che le ragazze mi lanciavano, non c’era molte altre cose stimolanti. Gli sguardi eloquenti degl’altri non lasciavano molto spazio all’immaginazione, non contando i bisbigli continui. La nostra unicità non sarebbe mai passata inosservata, ma per ovviare a tale fastidio, avevo deciso di focalizzare la mia attenzione solo su quelli curiosi e evitando i più discriminatori che mi scivolavano addosso. E su questo davo ragione a zio Emm. Dava una grande soddisfazione essere ammirati. Povero zio costretto ad andare a scuola con Rosalie, fosse stata una donna tenera. Me la immaginavo con un taccuino a segnarsi tutti gli sguardi, assegnando ad ognuno una punizione corporale da dare a casa. Era giunta finalmente l’ora di pranzo, sinceramente non avevo molta fame ma la mamma si era raccomandata di mangiare qualcosa per sembrare il più umano possibile. Ero così fiero di non esserlo, mi dispiaceva dovermi nascondere. Le regole sono regole e quindi era il caso di obbedire a ch prima di me c’era passato. Comunque mi incontrai con Lizzie, che sembrava essere la copia sbiadita di uno zombie. Non ricordavo nella nostra breve vita di averla mai vista così pallida e seccata. Dato della categoria mostri non occupavamo abbastanza caselle, aveva assunto il colorito verdognolo dei morti viventi per completare il quadro. Giusto, meglio essere eterogenei non sia mai che non ci contraddistinguessimo!

“Che faccia!” cercavo di punzecchiarla per farla reagire, sempre meglio la versione Liz arrabbiata che quella panno sbattuto.

“Bella la tua EJ!” la sua voce mi fece rizzare i recettori nervosi. Mi aspettavo di vederla arrabbiata ed annoiata, no intristita.

“Che ti è successo?” mi stavo preoccupando e la sua reticenza al rispondermi alimentò la mia inquietudine. La presi per un braccio e la scossi “Dimmelo Sarah!” non usavo quasi mai il suo primo nome. Mi piaceva ma amavo moltissimo il nome Elizabeth e mi sembrava ingiusto lasciarlo completamente inutilizzato. Eravamo bambini. Ancora ricordo il suo viso sorridente quando per la prima volta l’avevo chiamata Lizzie. Era felice e quando lo zio Seth per sbaglio aveva usato il mio soprannome, si era infuriata sbraitando che era il mio modo speciale di chiamarla e solo io potevo permettermi di utilizzare il suo secondo nome.

“Lascia perdere, puoi evitare di parlarmi mi urta anche solo la tua voce!” era tornata la Liz acido profumato al limone. Non volevo lasciare in sospeso l’argomento soprattutto perché si stava chiudendo a riccio ponendosi sulla difensiva come se io fossi uno qualunque, come se io non la conoscessi abbastanza bene per non sentire a pelle il suo disagio. Mi bastava davvero poco per capirla e era sufficiente ancor meno per istigare il mio istinto protettivo nei suoi confronti. Ma Nate si sbracciava da un tavolo dove non era solo. Mia sorella stava ferma impalata, come uno stoccafisso. Ormai era diventata una questione di principio. Dovevo migliorare il carattere di mia sorella, in modo o nell’altro era diventata una vera e propria missione renderla una persona socialmente abile. La presi per un braccio e la trascinai al tavolo. L’unica ragazza presente, lasciò cadere il budino che teneva fra le mani quando arrivammo. Riuscì a notare come Lizzie alzava gli occhi al cielo sbuffando, assomigliando in un qualche modo al nonno.

“Ragazzi, vi presento EJ e Sarah si sono trasferiti da poco qui, sono amici di famiglia! Questi sono Elijah!” indicò un  ragazzo presente al tavolo, che ci fece cenno con la mano, aveva la bocca piena non poteva parlare. Capelli scuri e lunghi fino alle spalle chiusi in una coda, i tipici tratti da nativo. Non era da considerarsi brutto ma nemmeno una bellezza, insomma un ‘tipo’  “Abigail …”

“Potete chiamarmi Abby … ” che strana, aveva un sorrisino ebete stampato sulla faccia e mentre parlava le uscito fuori una specie di squittio. Due belle e pesanti trecce le incorniciavano il viso gentile e a punta, dove aveva due grandi occhi scuri coperti dalle lenti di occhiali da vista. Sembrava essere completamente rapita da me. 

< Grazie papà! > quindici. Altra tacca sulla cintura come diceva il vecchio zio Emm.

“… e Damian!” quest’ultimo, dopo aver staccato gli occhi da mia sorella, altrimenti lo avrei fatto io cavandoglieli, cominciò a scrutarmi dall’alto in basso. Mi metteva fortemente a disagio. Anche lui aveva l’aspetto tipico dell’indiano d’America, ma rispetto a tutta la scuola, che non aveva nessun ‘viso pallido’ a parte noi due,  possedeva una particolarità che lo faceva sicuramente risultare il più attraente in assoluto: occhi chiari, celesti su di un’ incarnato leggermene più chiaro rispetto a quello di Nate o di mio padre. In un certo senso era un ibrido come noi, ma penso che il suo cocktail genetico non fosse vasto al pari del nostro.  

“Ehy Nate! Ti leveranno lo scettro di Mr Olympia, lui è più grosso di te!”  decisamente invidioso. Aveva assunto quel modo di fare da bulletto con quell’aria da capetto despota assoluto. Doveva essere brutto per uno che si crede di essere il più bello, venerato per la sua unicità, trovarsi spodestato dall’ultimo giunto. Stavo per rispondergli per le rime, quando successe qualcosa d’inaspettato.

“Te invece che scettro ti danno: quello di Mr Simpatia?”

< Liz che prende le mie difese? Oddio la fine del mondo è decisamente vicina! > Comunque  nel boato che si era creato per l’affronto mosso da mia sorella, potei scorgere un lieve sorriso di soddisfazione nel viso della bisbetica che forse sarei riuscito a domare. Ci sedemmo uno vicino all’altra.

“Siete parenti? Vi somigliate parecchio!” Abby lo disse più come una speranza che come una vera e propria domanda.

“Siamo fratelli gemelli, pensavo si notasse di più!” forse era meglio che stesse zitta.  

“Da dove venite ragazzi?” domanda da prenderci uno zero per quanto ero impreparato. La storia da raccontare me l’avevano detta credo intorno alla cinquantina di volte, ma diciamo che in percentuale ne avevo ascoltato l’1% il resto risultò tutto come un bla bla bla.  Memoria da vampiro del piffero!

“Dall’ Alaska, i nostri genitori viaggiano molto ed hanno preferito lasciarci in pianta stabile presso un cugino di nostro padre e sua moglie!” per fortuna che la copertura la sapeva Lizzie.

“Qui a Forks, nella riserva? Non è stata una scelta brillante!”

< A prescindere Damian che l’unica cosa a Forks di poco brillante sei tu! Io amo questo posto e non lo cambierei per nulla al mondo! >

“La scelta è stata più che brillante perché è meglio Forks che un continuo spostarsi, non contando che nostro cugino è come se fosse nostro padre!” anche Liz sembrava contrariata dalle affermazioni dell’idiota borioso. Lo conoscevo da poco ma già mi risultava antipatico.

“Come si chiama vostro cugino? Lo conosciamo?” chiese Abby sovraeccitata. Nel suo modo di fare vedevo molto Alice. Quindi mi stava decisamente simpatica.

“Jacob Black!” a quel nome tutti si ammutolirono. In effetti mio padre era un membro di spicco della tribù, il nostro cognome era una sottospecie di garanzia, di pedigree di razza, non contando il discorso  omertà  sul branco. Altro che mafia russa.

“Ragazzi, venerdì stavamo organizzando un falò a First Beach, con tuffo di mezza notte per i più coraggiosi. Volete venire?” Elijah non si nutriva solo, parlava! Eppur si muove!

“Non so, noi … ” lo sapevo sempre la solita guastafeste, stavamo riuscendo a sintonizzarci con persone normali, ci avevano persino invitato, ma Lizzie no! Subito a mettere i fossati, fra lei e la gente. Quando faceva così la mettevo al pari degli sguardi discriminatori, era ingiusto quel suo essere restia nei confronti degl’altri, essere speciali non significa essere né superiori né inferiori. Significa solo avere un argomento in più per fare conversazione, nei limiti del possibile, un po’ come chi ha una propensione, un qualche talento che sfoggia nel momento in cui viene ascoltato.

“Sarah non fare la difficile! Venite oppure vi obbligo io!” Nate stava tentando di fare il simpatico, imitando il doppio timbro ( era un modo nostro per prendere in giro i nostri padri ) oppure aveva deciso di porre fine alla sua esistenza? Mia sorella non era capace di accettare nessun tipo di battuta, figuriamoci un’imposizione. Sentii il suo corpo vibrare, si stava decisamente inalberando.

“Se i nostri tutori sono d’accordo, verremo volentieri!” Lizzie si avvicinò al mio orecchio con fare minaccioso, cosa che a me non incuteva alcun timore.

“Venerdì devo andare a caccia con chi sai bene tu, vuoi che ti uccida?” disse fra i denti in un sussurro che lasciava intuire, neanche tanto velatamente le sue intenzioni omicide. Sinceramente il rovinarle i piani di quella cotta, era il mio personale scopo di vita. Da quando si era invaghita di quel pappamolle non faceva altro che riempire il suo diario con mille cuoricini ed il suo nome. Cosa ci trovasse poi.

“No Sarah, voglio solo uscire con dei nostri amici senza che quel rompiscatole si metta in mezzo, potrai andare sabato a caccia!” le risposi restituendo al mittente la minaccia con i miei toni.

“Allora è deciso! Venerdì tutti al grande falò!” l’unico che avrebbe potuto ascoltare la nostra conversazione: Nate.

 

La giornata riprese e così, anche le infinite ed implacabili ore, che ci condussero alla fine delle lezioni. Liz per suo conto, in quei pochi corsi in cui avevamo la sfortuna d’incontrarci, non mi rivolse nemmeno uno sguardo. Aveva un muso che le cadeva a terra per quanto era lungo. Aprii il mio armadietto e notai un bigliettino. C’era solo scritto ‘Chiamami’ ed un numero di telefono. Bene con questo erano ventuno ringraziamenti a mio padre ed alla sua eredità. Accartocciai il foglietto e lo infilai svogliatamente dentro lo zaino. Mia sorella intanto sistemava i suoi libri mantenendo la sua rigida posizione arrabbiata.

“Hai intenzione di avercela con me ancora per molto?” non rispose ma prese un quaderno ed iniziò a scrivere nervosamente. Poi lo voltò di fronte a me e lessi ‘A VITA!’. Quando faceva così diventava proprio una bambina.

“Sarah sei proprio stupida!” non ero mai riuscito a tollerare quel suo modo di punirmi. Il muso potevo sostenerlo, le zuffe anche, ma la protesta silenziosa equivaleva ad un dolore fisico. L’indifferenza da parte sua era una vera e propria tortura, tra l’altro reciproca. Sbattei con forza moderata l’armadietto, alla fine c’era riuscita mi aveva contagiato con il suo malumore. Ero letteralmente ed ineluttabilmente infuriato con lei. Ci avviammo verso l’uscita senza nemmeno guardarci più in faccia. Il nostro silenzio permise alla mia attenzione di vertere ad altro e così notai il vociare sommesso che voltava ad un solo argomento: la ragazza dai boccoli rossi, con la bella macchina grigia nel cortile della scuola. Mia madre. Non bastava Sarah e la discussione ci volevano proprio i commenti sconci su mia madre, la donna più pura d’animo dell’universo. Era da sola, se c’era mio padre, avrei voluto vedere chi avrebbe osato accerchiarla. Appena alzò lo sguardo dalla sua lettura mi rivolse un sorriso che si spense appena la faccia scura di Sarah tornò a turbarla. La doveva decisamente finire.

“Yankee!” lo sapevo a chi apparteneva quella voce fastidiosa, non poteva essere dell’unica persona oltre a mia sorella, che aveva contribuito a rovinarmi la giornata “Non mi dire che quello schianto è la tua ragazza?” Damian, il gran simpaticone amico di Nate, che intanto se la rideva beatamente, rimbombando con quel suo tono greve e baritonale che sfondava il cristallo. In effetti non avevo mi pensato che mia madre potesse sembrare una nostra coetanea, anzi. Lei era la mia bella mamma sempre giovane.

“Quella è nostra cugina e stalle alla larga! È sposata e suo marito è piuttosto geloso!” < Ed io posso anche mangiarti a colazione, capito? > evitai di dare voce a quel pensiero.

“Sappi che mi hai appena spezzato il cuore” imitò una voce spezzata malamente indicandosi il centro del petto, gli occhi piegati con gli angoli bassi derisori “Certo” disse diventando più riflessivo “Che spreco! Così giovane e già sposata!” si riaccese di speranza avvolgendo il mio collo come se fossimo amici da sempre “Ehy se dovesse ripensarci, dalle il mio numero mi piacerebbe tanto fare due chiacchiere con lei!” riuscì persino a darmi una forte pacca sulla spalla, ovviamente forte per i suoi canoni. Dopo quello che era stato capace di dire, volevo decisamente vedere di cosa sapesse il sangue di un giovane Quileute dagl’occhi celesti. Mi voltai lentamente con un ringhio sommesso, nessuno doveva permettersi di parlare rivolto a mia madre in quella maniera e soprattutto lui. Rimase a fissarmi come se non avesse paura di me, oltre stupido anche sciocco.

“EJ, lascialo perdere! Damian datti una regolata!” Nate intervenne con il suo istinto da lupo aveva sentito che io avevo una strana voglia di farlo fuori. 

“È sua cugina mica sua madre, chi credeva che se la prendesse così tanto! E poi scusa l’hai vista come è sexy?” la presa del mio amico sul mio braccio si fece più forte tanto che mi allontanò di qualche centimetro. In tutto quel trambusto non avevo notato lo sguardo di mia madre che preoccupata controllava il mio stato d’animo, fu solo quello che riuscì a ripristinare la calma che avevo completamente perduto. Salimmo in macchina in religioso silenzio, in fondo avevo appena dato spettacolo di me, mia sorella non voleva parlare con nessuno dei due ed io mi sentivo in colpa per non essermi controllato. Mia madre guidava controllandomi dallo specchietto retrovisore, sapevo di averla delusa in un momento in cui si sentiva fragile e non potevo sostenerla. Così presi a guardare fuori, proprio come Sarah che invece se ne stava zitta nel sedile del passeggero accanto a quello del guidatore.

“È stato così tremendo ragazzi?” spezzò il silenzio e mi ritrovai a sorridere come uno scemo. Bastavano semplici parole per spazzare via ogni titubanza. Stavo per rispondere quando invece una certa testa dura intervenne.

“Pensavo peggio!”

 

Note dell'autrice: Buonaseeeeera carissime! ecco a voi il nostro vampirastro, da come avete capito lui è molto solare ed allegro,  curioso, ama l'avventura ed ancora fortemente infantile. Ma non nasconde un profondo lato protettivo: ricorda qualcuno?  Però sa diventare irrascibile anche se basta un sorriso della mamma e per lui è tutto più sereno!

noe_princi89: ciao cara, si il rapporto fra Nessie e Sarah è difficile ora soprattutto con la trasformazione imminente, però il loro antagonismo sfocerà in qualcosa di produttivo, già! vedrai!

kandy angel: eccoti!^^ i tuoi complimenti sono sempre molto diretti e mi piacciono! ben tornata!

kekka cullen: certo ho giocato molto sul loro essere 'nemiche per natura' fra donne c'è sempre una forte competizione soprattutto con due caratteri come quelli di Sarah e Nessie, se in più ci mettiamo vampiro vs licantropo le cose si complicano alquanto.

Lione94: Non ti sei sbagliata, io penso che ogni ragazza di fronte all'adolescenza si sia sentita fortemente insignificante soprattutto quando siamo bombardate da immagini costanti di donne straperfette in una società che ti pretende in una maniera precisa risultando inadatta anche quando nessuno pensava che dovessi cambiare. Ho immaginato che una come Sarah, nipote di Bella il personaggio letterario più insicuro dell'universo, con una famiglia di gente dai poteri soprannaturali nel momento in cui non ha nessuna grande peculiarità si senta decisamente inferiore. Senza ragion veduta. Per quanto riguarda Jake, lui è maturato ( diciamo che con un calcolo approssimativo dovrebbe avere 40 anni anche se è sempre un ragazzino d'aspetto) ovviamente l'avere accanto Nessie l'ha cambiato gli ha dato quella pace che gli ha permesso di diventare un uomo ha dovuto affrontare spesso le sue responsabilità ed i suoi errori. Ciò non toglie che è sempre lui, quindi non perderà occasione di dimostrarcelo. Guarda io generalmente aggiorno molto velocemente anche perchè la storia è finita e scritta sul mio computer interamente quindi si tratta solo di reavisionare e pubblicare, tranquilla!!!^^

 

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI VOI E LE PERSONE CHE LENTAMENTE SI STANNO ACCODANDO ALLE SEGUITE, ALLE PREFRITE E ALLE RICORDATE! ANDATE E MOLTIPLICATEVI!!! XD

Ringrazio infine HOPE VALENTINE mia collega scrittrice per avermi aggiuta fra gli autori preferiti, è un onore!

VI ADORO xoxo!Malice

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Capitolo 30
*** CAPITOLO III: Fragile. ***


CAPITOLO III: Fragile.

Avevo voglia di canticchiare. Reazione sciocca ed infantile eppure era quello che mi aveva provocato il parlare con Sarah, senza urlare o sbraitare o prendersela. Semplicemente era tornata ad essere Sarah, la mia tenera  bambina o un’illusione di quella che una volta era. Peccato che non fosse filato tutto estremamente liscio, non che mi aspettassi la loro entrata in società su di un tappeto rosso, però speravo in cuor mio che almeno EJ si potesse divertire a pieno, lui sembrava veramente entusiasta del liceo invece si era già scontrato con la stupidità dei pregiudizi e dei pensieri leggeri. Questa era la condanna orribile di essere troppo maturi rispetto alla media, lo era stato per mia madre da umana, per mio padre da immortale e per me. L’essere sempre un passo avanti rispetto agl’altri non aiutava granché la vita pubblica, soprattutto con la grondante uniformazione delle masse attuata dalla società moderna. Ripensando al mio primo giorno di scuola, ebbi un brivido gelido. Nonostante le raccomandazioni e gli avvisi non ero preparata a tutto quello che poi dovetti realmente affrontare. Al mio ingresso divenni immediatamente il centro gravitazionale degli sguardi famelici di pettegolezzi: una nuova orfanella Cullen, fu il primo commento che rimbombò dal bisbiglio di una ragazza evidentemente in vena di frecciatine. Avevo una grande avversità per quello che riguardava i riflettori puntati sulla mia persona ed essere il fulcro principale dell’interesse non era mai stata la mia aspirazione. Non mi interessavano gloria e popolarità, io volevo solo passare la mia vita scolastica nella maniera più indolore possibile. Dopo le prime tre ore di occhi, bisbigli, rimproveri, occhiatacce perché avevo risposto troppo eruditamente ad una domanda mi ritrovai a piangere nel bagno. Mi ero data della stupida per aver accettato le condizioni dei miei. Se eri brava a scuola diventavi una secchiona, se t’interessavi solo a scarpe e tatuaggi alla moda eri frivola, se ti piaceva un ragazzo eri una facile. Il tutto condito dalla sensazione d’inadeguatezza che avevo in ogni posto in cui mi trovavo. Poi incontrai Joy e tutto cambiò. Era entrato nel bagno delle ragazze per sfuggire agli scherni dei ragazzi che se la prendevano con lui. Rimasi immobile ancora con le ginocchia  incatenate al petto e le braccia legate intorno alle gambe, a guardarlo per qualche secondo finché non si accorse della mia presenza. ‘Non preoccuparti bambina, non ho nessuna intenzione cattiva!’ il modo in cui lo disse, la maniera buffa in cui si muoveva, il suo cuore affaticato dalla corsa, tutto di lui mi ispirava fiducia. Una fiducia ripagata con il mio sangue, dopo essere stata venduta, quella battuta non l’avrei mai dimenticata in vita mia. Eppure in quel momento fui lui a salvarmi a sollevarmi da terra, a superare quella giornata in cui tutti, forse spinti dall’istinto evoluzionistico della sopravvivenza, mi vedevano come una nemica. L’uomo che segue ‘virtute e canoscenza’ viene spedito all’inferno tra i superbi, la considerazione dell’ignoranza per molti era la sola ancora di salvezza in un mondo fatto di serie ed operazioni meccaniche, in cui il nuovo e il diverso rimane pur sempre un campo accidentato, sconosciuto ed infinitamente pauroso. Sta al diverso riuscire a reagire e a cambiare il resto, adattandolo al proprio corpo come un vestito troppo largo, questo glielo dovevo. Joyce mi aveva insegnato ad affrontare i pregiudizi e a buttarmeli dietro le spalle, a non chiudermi nella mia cerchia. Legai subito con una persona speciale, ma non abbastanza per la sua piccola e volubile mente. Mi tradì, lasciandomi sola. Esperienza, orribile eppure significativa e forgiante, di un carattere inciso ormai con il fuoco. Non toglieva però il dolore infinito che provavo nel ripensare a lui, alla sua voglia di uccidermi, al suo malsano desiderio alimentato dall’invidia, alla sua morte. Avevo bisogno di Jake, lui ovviamente era al lavoro. Le cinque del pomeriggio, mancava ancora un oretta e mezza alla chiusura, gli avrebbe fatto piacere una mia visita. Sarah era nella sua camera, non alzavo mai i miei sensi quando lei era lì sola. Mi sentivo come se l’invadessi troppo, e volevo lasciarla libera di creare i suoi spazi, soprattutto se in un futuro prossimo, li avrebbe completamente persi. Bussai alla sua porta senza attendere risposta, più per un gesto automatico, sicura che non la disturbassi. Possibile che non me ne fossi accorta? Quando vidi Gabriel rimasi molto sorpresa, non mi aspettavo di trovarlo in casa. Guardai entrambi e poi l’occhio cadde sulla porta finestra spalancata del balconcino. Non mi piaceva, non mi piaceva affatto. Era una brutta abitudine di famiglia quella di non usare le porte per eludere la sorveglianza dei genitori. Ma d'altronde come potevo arrabbiarmi. Io avevo fatto la stessa cosa. Avevo sposato il miglior amico nonché ex amore di mia madre,  come poteva mia figlia differenziarsi.

“Mamma io …” stava tentando di scusarsi. Se fosse stata in un’altra circostanza probabilmente mi avrebbe sbattuto la porta in faccia e mi avrebbe urlato contro. Invece, di fronte a lui non dava in escandescenza sembrava come sedata. Se la presenza di Gab la rendeva così mansueta, l’avrei appoggiata. L’importante era che fosse felice null’altro.

“Ciao Gabriel non sapevo che fossi qui!” i loro volti preoccupati si rilassarono istantaneamente, quando con tono confidenziale  avevo cominciato a parlare “Comunque se vuoi venire a trovare Sarah, non è necessario che passi dalla finestra puoi sempre bussare!” raggiunsi la vetrata e la chiusi velocemente con gesto secco e preciso.

“Nessie sono entrato dalla finestra solo per fare prima!” che stesse cercando di nascondere un interesse per mia figlia, con quell’indifferenza? La storia sembrava ripetersi, ma d'altronde tale madre, tale figlia.

“Ero semplicemente venuta a dirti che EJ è da Nathan a studiare ed io sto andando da tuo padre in officina, hai bisogno di qualcosa?” la mia bambina era cresciuta. Si stava innamorando. Lo vedevo da come le sue iridi brillavano, dalle sue labbra sorridenti, dalla sua calma nervosa, non quella che ostentava con me ma quella che nascondeva con lui. Come avevo sempre affermato Gabriel era un ragazzo estremamente affascinante, non che una persona in grado di proteggerla in ogni caso. E soprattutto non avrebbe fatto nulla per farla soffrire.

“No, mamma grazie!”  le diedi un veloce bacio sulla guancia ma proprio mentre mi stavo per allontanare, ero anche uscita dalla sua camera in procinto di scendere al piano di sotto, ma la sua mano calda mi bloccò repentinamente sulle scale  “Mamma, posso chiederti un favore?” le sue guance avevano un delizioso tono rosato che mi portò a sorridere.

“Dimmi tutto!” mi avvicinai a lei in modo che i nostri toni infinitesimali non potessero giungere alle dotate orecchie di Gabriel. Una confidenza madre e figlia come non l’avevamo mai avuta.

“Non dire a papà di Gabriel per favore …” l’osservai attentamente la sua risposta del corpo era molto eloquente: il cuore le batteva veloce, emozionato anche al sol pensiero ed aveva paura delle reazioni di un padre geloso. Il mio sguardo bonario si posò su di lei, mentre le accarezzavo la guancia. Per una volta non venni scostata, non era troppo grande per una carezza dalla sua mamma.

“Ti piace davvero tanto …” annuì e le sue guance avvamparono molto di più. Non le avrei mai tolto nessun diritto “Non spetta a me di parlare della tua vita privata con lui, cercherò di fare il possibile!” ero stata un’adolescente innamorata anch’io, con un padre che poteva leggere ogni mia mossa. Non potevo in alcun modo avere segreti, tanto ad una mia minima distrazione ne sarebbe venuto a conoscenza, quindi era meglio svelargli tutto, anticipando l’inevitabile. Jake presto o tardi avrebbe avuto accesso alla mente della figlia, non avevo nessuna intenzione di scoprire le sue carte prima del necessario. Era giusto che lei potesse gustarsi la sua riservatezza finché il destino non si fosse deciso a strappargliela di dosso.

“Grazie mamma!” mi aprì un sorriso enorme e lieto. Per una volta mi stavo comportando da amica e la cosa non mi dispiaceva. Avevo l’aspetto di una ragazzina e per non far prendere troppe libertà ai miei figli, mi ero irrigidita con il passare del tempo. Non volevo che mi considerassero una loro coetanea, non volevo che denigrassero la mia autorità. Ero pur sempre la madre e dovevo essere una guida, come i miei genitori lo erano stati per me. Ma quel pomeriggio non me la sentii di andarle conto, di dirle che lasciare entrare un ragazzo nella propria camera di nascosto poteva risultare sconveniente. Sarebbe stata una bella ipocrisia da parte mia, non che un dimostrarle che non avevo fiducia in lei e questo non era vero. Stava per tornare da Gabriel nella sua stanza quando fui io a bloccarla ancora.

“Tesoro, io mi fido molto di te so che non prenderai decisioni affrettate ma …” < Campo minato! > la mia mente continuava a ripetermelo, ma la mia razionalità diceva comunque di chiederle quel favore.

“Mamma, non mi starai facendo quel discorso?” si, lo stavo proprio facendo e stavo usando le stesse parole che aveva usato mia madre. Qualsiasi cosa ti dice il tuo corpo cerca di controllarti. Ma lei mi guardava con i suoi smeraldi spalancati e confusi, accentuando il momento imbarazzante.

“Cerca solo di stare attenta!” sfuggì dalla mia presa e scomparve dietro la porta della sua camera. Era felice. Ed io lo ero con lei.

 

Parcheggiai la moto dello zio davanti all’officina di Jake afferrando la busta della tavola calda, come se non bastasse la mia presenza a renderlo felice. Mio marito se ne stava con la musica tutto volume, chinato dentro il cofano di una macchina. Con le mani cercava di sistemare dei piccoli pezzi con una accuratezza inaudita, quasi la loro dimensione non contasse per quel che stava facendo. Era stupefacente come tanta forza poteva essere sostituita da così tanta delicatezza, e non solo con le auto. Non si accorse che stavo alle sue spalle contemplando i suoi perfetti dorsali e il suo fondoschiena.

“Che bel panorama!” pronunciai con tono accattivante e seducente. Si voltò di scatto e mi guardò da capo a piedi osservando il mio corpo con un desiderio e passione. Amava le sorprese, soprattutto se contemplavano la mia presenza strizzata da una maglietta aderente e del cibo.  

“Potrei dire la stessa cosa!” si soffermò un momento sulla vettovaglia e cominciò a ridere sommessamente scuotendo la testa. Ed era bellissimo anche così sporco di grasso ed affaticato dal lavoro. Anzi la mia mente si sentiva più ispirata da quella visione.

“Stai parlando di me o del cibo?” dissi mentre la mia mano libera si poggiò sull’anca per mostrarmi fintamente offesa del suo improvviso interesse.

“Entrambi!” mi venne incontro cercando di sbirciare nella busta ed io lo schiaffeggiai prima che potesse raggiungerla.

“No hai le mani luride!”

“Cosa hai preso?”

“Doppio cheeseburger con salsa barbecue e patatine! Doppia porzione!” posai il tutto sul pianale pulito e rovistai al suo interno prendendo un mazzetto di patatine. Intanto il mio lupo seguiva l’ondeggiare delle mie anche a tempo di musica, quasi ipnotizzato dalle mie movenze. Mi portai accanto a lui e le portai alla sua bocca “Ti aiuto io!” sorrideva sornione mentre io lo imboccavo. D’un tratto mi guardò accigliato, sembrava incuriosito da qualcosa “Che c’è?” continuò a studiarmi deglutendo il boccone.

“Come mai così allegra, tra ieri sera e stamattina sembravi tornata da un funerale!” lo baciai leggera sulle labbra e gli porsi altre patatine, tanto per sviare la domanda ed evitare di tradire mia figlia a cui avevo promesso che non avrei parlato con il padre, alias l’indagatore dell’incubo. Ma lui non l’addentò continuò a fissarmi, lo sapevo che avrebbe capito “Che è successo con Sarah?”

“Sarah che centra Sarah?” lo dissi quasi squittendo. Ero fregata.

“Nessie, sei totalmente incapace di mentire esattamente come tua madre!” addentai io le patatine, almeno con la bocca occupata non avrei rischiato di parlare, e mi allontanai per sedermi su di una pila di copertoni sistemati apposta per chi volesse accomodarsi. Incrociai le gambe e continuai a masticare sviando la sua domanda con un sorriso falso, talmente falso che in confronto una carta di credito fotocopiata in bianco e nero sarebbe passata per vera “Se la montagna non va da Maometto …” stava già componendo il numero di casa nostra quando io lo precedetti gettando a terra le patatine rimaste, e agganciai il telefono.

“Ti prego Jake non … chiamare a casa!” mi aveva sconfitta, sapeva esattamente che il mio cercare di celargli qualcosa. Posò la cornetta e incrociò le braccia al petto. Non potevo nascondermi a lungo. Optai per una mezza verità “Vedi amore” la mia colpevolezza era palesata da quel nomignolo tirato fuori come se dovessi ottenere qualcosa “ … io ho una specie di trattato con nostra figlia per cui non posso dirti cosa so e ti prego non costringermi a parlartene!” sbuffò rumorosamente e spazientito. Poggiò entrambi i pugni sul ripiano respirando più e più volte con lo sguardo basso. “Jake, tutto a posto?”

“Chi è?” perché mio marito doveva essere così perspicace? Incespicai aria cercando un modo convincente di essere indifferente.

“Chi è chi?” non c’ero riuscita. Cominciò ad ansimare sempre più nervoso il mio atteggiamento lo stava facendo scattare.

“Chi è, Nessie?” si stava cercando di controllare. Se con me era geloso, con Sarah tutto si elevava all’ennesima potenza. Inspirava ed espirava profondamente, dalla sua pelle si vedevano le vene battere nervose mentre il solito tremore lo stava cogliendo inesorabilmente.

“I - io non posso dirtelo, amore …” ingoiai l’impasto di saliva che si era creato, mi spaventava la sua reazione “ … Jake non agitarti” alzò lo sguardo verso di me e si concentrò nei miei occhi, non so cosa cercava ma era assolutamente disarmante il modo in cui mi scrutava.  

“Quindi un qualcuno c’è di mezzo, ed immagino che quel qualcuno sia di sesso maschile! Maledizione!” era sempre più carico come un aquilone in mezzo alla tempesta con le mie frasi come fulmini. Più io cercavo di non parlare più lui si seccava, più lui s’innervosiva più io m’agitavo. Eravamo piombati in un circolo vizioso in cui l’unico che ci poteva rimettere era il rapporto con mia figlia. Dovevo cercare di calmarlo.

“La nostra bambina è cresciuta Jake …” era ancora chinato sul pianale non del tutto in sé, accarezzai le sue spalle e baciai la sua pelle salata e deliziosa rimanendo appoggiata con le labbra su di essa.

“E la nostra bambina cresciuta e in  piena crisi ormonale è da sola con la possibilità di far entrare il diretto interessato in casa, ed io dovrei far finta di niente?” riprese a fremere lasciando scrocchiare le nocche contro il legno e con il cuore che correva impazzito. Su una cosa ero certa. Sarah era una ragazza molto intelligente e non avrebbe mai fatto nulla che le mettesse contro il padre, per cui nutriva un profondo rispetto. E poi da quello che avevo potuto comprendere in quel momento era qualcosa ancora allo sboccio, forse Gabriel nemmeno sapeva della cotta di nostra figlia, sarebbe stato presto fasciarsi la testa.

“Dobbiamo darle fiducia Jake!” si stava arrendendo forse proprio perché io e lei eravamo sul filo si un rasoio e quel piccolo segreto fra di noi poteva aiutarci ad appianare le divergenze ad essere anche un po’ sorelle come io lo ero stata con mia madre.

 “Almeno posso sapere se lo conosco?” bella domanda, che richiedeva una risposta elusiva.

“Hai una domanda di riserva?” posai il mento sulla sua spalla sorridendo, cercando di mascherare con un po’ di ilarità la situazione tesa.

“E come tu ne sia venuta a conoscenza?” cominciai seriamente a pensare ad un futuro di Jake nella polizia. Aveva questa capacità di fare le domande più azzeccate e, allo stesso tempo, sbagliate degne delle migliori puntate di CSI.

“Avanti la prossima!”

“Renesmee!” disse il mio nome ringhiando e scandendo ogni lettera.  

 “Ti prego non farmi fare un torto a Sarah, mi è già nemica lascia che sia lei a parlartene!” avevo le lacrime agl’occhi. Possibile che mi fossi ridotta alla supplica perché non riuscivo a gestire il rapporto con mia figlia? “Per una volta non mi ha urlato in faccia, non mi ha offesa. Per una volta voglio lasciarla libera di scegliere!” ed in un attimo mi trovai seduta di nuovo sui copertoni con Jake che mi guardava spaesato per la mia reazione. Era decisamente arrivato il momento di sfogarmi e scrollarmi di dosso tutto.

“Nessie …” si girò verso di me sorreggendosi con le mani al bordo del ripiano, si era calmato ma rimaneva ancora serio e rigido, con i nervi a fior di pelle “Sai che  presto o tardi, e che lei lo voglia o no, ne verrò comunque a conoscenza …”

“Lo so, ma lei ha ancora l’opportunità di avere una vita sua senza che tu possa invaderla completamente” puntai i miei occhi nei suoi, volevo che mi leggesse, che comprendesse il mio punto di vista a pieno e quale migliore mezzo se non lo specchio umano dell’anima “Non voglio dirti nulla e non voglio che tu le faccia scenate. So cosa vuol dire avere un padre che ti legge il pensiero e ti assicuro che finché potrò, cercherò di preservare la sua riservatezza!” il suo viso quasi immediatamente s’addolcì ed io abbassai lo sguardo osservando i suoi piedi muoversi verso di me ed accucciarsi in modo da essere alla mia altezza.

“D’accordo Nessie cercherò di fare finta di niente! Solo per voi due e per il vostro rapporto!” stava per abbracciarmi ma io lo bloccai imprimendo la forza contro il suo petto. Arcuò il sopracciglio non comprendendo il mio comportamento.

“Non mi toccare Jake! Sei ancora sporco di grasso!” guardò le sue mani e poi, con un ghigno furbo e malizioso si avventò su di me mentre io starnazzavo per non farmi prendere, cosa complicata visto l’instabile pila di copertoni su cui ero pericolosamente appollaiata. In pochi istanti mi ritrovai con la faccia completamente imbrattata. “Grazie Jake, ora vado dal mio avvocato a chiedere il divorzio!” mi divincolai dalla sua presa fingendo di andare via ma lui mi strattonò a sé e mi avvolse con le sue labbra, in un bacio caldo, coinvolgente di quelli che ti tramortiscono e che vorresti non si fermassero lì.

“Non ti permetterò mai di chiedere il divorzio!” aprii gli occhi ancora stordita, probabilmente avevo il viso stravolto perché Jake se la ridacchiava soddisfatto di avermi annebbiato il cervello. E poi era mia figlia con gli ormoni impazziti!

“Ah no?” stentai, ero decisamente contraria ad usare le nostre bocche per parlare.

“No, perché sei mia, mia, mia!” riprese a baciarmi e poco dopo mi trovai schiacciata contro il muro con le sue mani rapite nella lotta contro i bottoni della mia camicetta. Eravamo dimentichi di tutto dell’officina aperta, di Sarah e la sua infatuazione, dei nostri problemi famigliari.

“Cavatemi gli occhi vi prego!”  nulla ci avrebbe fermato. Nulla esclusa la voce di EJ, che era l’ultima cosa che mi aspettassi insieme alla risata di Nate, dovevo essere di uno strano colorito paonazzo dato il calore concentrato sul mio viso. Ci voltammo entrambi in simultanea ed appena realizzai di come stavamo dando bella mostra della nostra attività, cercai di ricompormi sentendo le mie guance di una gradazione ben superiore alla norma. Jake si pose di fronte a me come a ripararmi dai loro sguardi mentre io cercavo di chiudere i quattro bottoni che erano slacciati.

“Dai EJ non è così scandaloso, i miei sono anche peggio!”

“Senti bastano i miei genitori a traumatizzarmi, non farmi pensare a zio Sam e alla zia Emily in atteggiamenti poco ortodossi!” l’imbarazzo aumentò quando affiancando mio marito vidi il mio bambino che non aveva ancora tolto le mani da davanti agl’occhi mentre Nate se ne stava con quel suo atteggiamento sicuro e spavaldo.

“Ma è sempre così esagerato?”

“Anche peggio!” Jake aveva un buon rapporto con tutti i ragazzi, generalmente confidenziale. Qualcosa mi diceva che non solo il suo aspetto era rimasto ai vent’anni.

“EJ guarda che puoi riaprire gli occhi!” intervenni io. Prima di scansare le mani aprì uno spiraglio attraverso due dita per assicurarsi che io fossi completamente coperta. Certi momenti era così tenero che sembrava ancora un bambino. Il mio bambino. Ed invece ora era un bellissimo ragazzo. La sua pelle luminosa sembrava dorata, né pallida né scura, di una tonalità che faceva risplendere il verde intenso dei suoi occhi e i suoi capelli scapigliati e neri, che gli donavano quell’aspetto ribelle. I tratti dolci ma ben marcati, stavano diventando quelli di un giovane uomo, il fisico formato ed asciutto, alto ma non come il padre (che se l’avessero dotato di una scaletta non avrebbero fatto  un torto a nessuno). Era bello, anche troppo. E come la mattina sentii nascere un forte moto di gelosia. Cosa avrei fatto con tutti gli sguardi di ragazzine febbricitanti sul mio piccolino? Ma sapevo di doverlo placare così come avevo fatto per la sorella. Perché la vita prevede che un giorno gli uccellini lascino i nido, perché i figli non sono di nostra proprietà, e devono godere della libertà di scegliere, di imparare dai propri errori. 

“Zio ma è tua quella R6(Yamaha), parcheggiata fuori?” Nate sembrava che avesse trovato un biglietto della lotteria vincente. Aveva gli occhi che brillavano e dovevo immediatamente spegnere il suo entusiasmo.

“No Nate è di Jasper!” stava sicuramente per chiedere a mio marito di farci un giro ed io volevo evitare  una decapitazione da parte di Jazz e da parte di Emily per la stessa ragione, ma indirizzata una alla moto l’altra al ragazzo. Conoscendo Jake avrebbe dato immediatamente il suo consenso sui motori si comportava come  un bambinone troppo cresciuto.

“Ah ok!” entusiasmo zero, Jasper era pur sempre un vampiro spaventoso nessuno avrebbe toccato le sue cose, tranne io che invece godevo di una certa immunità “Ti saluto EJ ci vediamo domani a scuola, grazie per l’aiuto in biologia! Fosse la volta buona che non prendo una D! Ciao zio!” dalla sua piccola cotta per me quando aveva cinque anni, mi salutava sempre con un abbraccio e mi chiamava per nome. Non riusciva a vedermi come una zia e da un lato lo potevo capire, però io lo ricordavo sempre come il piccolo Nate che mi regalava mazzetti di fiori di campo e tanti disegni. “Ciao Nessie!” aveva portato i capelli lunghi fino a qualche mese prima. Era un peccato che si li fosse tagliati a causa della mutazione ma mi rendevo conto che un lupo stile levriero afgano non poteva essere facile da gestire. Stavamo andando via anche noi ma prima di partire con la moto scrissi un messaggio.

Stiamo tornando tutti a casa. Ci vediamo fra un po’.

 

Note dell'autrice: Ragazzuole buonaseeeera! con i piedini che gridano pietà stanchi postiamo un altro capitolo! Ebbene si a Sarah piace Gabriel, ma sarà amore o una semplice cotta? Già e Gabriel ricambia? Ci saranno un po' di risposte nel capitolo successivo, dove sapremo cosa fa la piccolina a casa da sola con lui. Per una volta Nessie si sta comportando d'amica piuttosto che da mamma, già! Basta non dico altro altrimenti vi svelerei troppo!

kekka cullen: tesoro ho risposto alla tua domanda con il capitolo! Te lo aspettavi? Come si suol dire la storia si ripete o no? staremo a vedere!hihihi! Comunque EJ è diciamo il più positivo tra i due di certo, o per lo meno è quello che vive in maniera traumatica la sua esistenza, immagino che Emmett abbia avuto la sua influenza per questo!hihihi ^^

noe_princi 89: si si proprio il cocco della mamma, ed è estremamente geloso, come Nessie dopotutto. 

Lione94: In efffetti ho sempre pensato che tutti sanno e non sanno, non collegano alle leggende della tribù però ci sono cose tabù tipo i bambini immortali per i vampiri. Vietato farsi domande se un giovane Quileutte esplode e diventa alto due metri, estremamente muscoloso e si muove in collettività! Sarah era stranita per tutta la situazione, lei non voleva andare a scuola e la sua insicurezza la fa agire come un'aspide. Se nessuno ti ronza intorno nessuno può farti del male, o no? Si Damian è il tipico rompiscatole già!

Vi ringrazio sempre tutti ed un ringraziamento speciale a ROSIECULLEN che ha fatto salire la mia lista di lettrici che mi hanno scelta come autrice preferita a 21!

XOXOXO Malice ! Notteeee !!!

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Capitolo 31
*** CAPITOLO IV: Nemiche/Amiche. ***


CAPITOLO IV: Nemiche/Amiche.

POV Sarah

Non avevo intenzione a continuare per molto a tenere il muso, non aveva più senso. Sapevo più di lei che mi serviva un po’ di contatto con l’esterno della famiglia, la mia incapacità a socializzare mi stava costringendo ad una vita isolata e non era giusto. Ovviamente avevo amici, il branco, la famiglia. Di certo se volevo ricavare degli spazi completamente miei dovevo distaccarmi da loro, almeno quel tanto che mi servisse per conquistare un minimo d’indipendenza. L’ammissione degl’errori era dura d’affrontare, per quanto me lo negassi, avevo sbagliato completamente e su tutta la linea. Ma come dire a mia madre ‘ho torto’? Avrei dovuto abbassare la testa ma ogni volta che mi trovavo di fronte a quegl’occhi dolci e candidi, veri capaci di annientarti con un solo fluttuare di ciglia mi sentivo divampare. Perché io non sapevo essere come lei? Erano così lampanti le differenze tra di noi? Cosa era più semplice ammettere di aver sbagliato o tacere rimanendo con ogni posizione in sospeso? Certamente la seconda, se non per la mamma, per me, per il mio orgoglio. Con la mamma era sempre così. Baruffa e poi niente, sorvolavamo il problema. Io facevo finta di nulla e lei ignorava il tutto. Era arrivato quel momento. Dovevamo tralasciare la litigata e riprendere a parlarci come se nulla fosse. Chiacchiere inutili tra madre e figlia, solo per riempire quei vuoti di silenzio, solo per strapparle quei rari sorrisi nei miei confronti. Volevo la sua approvazione e non riuscendo a conseguirla le andavo contro come un pirata che attacca una baleniera arraffando il bottino che non otterrebbe mai se non diventando un misero ladro. Volevo essere lei, e non mi era permesso. Volevo essere speciale. Mi sentivo nuda, sciocca, assolutamente inadatta. La ragazza diventata donna ed io bambina diventata ragazza. Figlia, moglie e madre impeccabile. Ed io stavo fallendo già come figlia. Lei che per proteggermi sarebbe stata disposta a vendere l’anima al diavolo. Lei che pur di permettermi di crescere stava per morire. Lei che mi aveva amato prima ancora di sapere che era incinta. Io che per puro egoismo la facevo soffrire. Io che per la rabbia di essere troppo normale lasciavo che una pioggia artificiale di tubature e ferro, mascherasse le sue lacrime. Io che per semplice invidia cercavo di distruggere le sue sicurezze. Non reggevo il confronto con mia madre, slealmente le mettevo i bastoni fra le ruote rendendola imperfetta facendola sentire un fallimento. Ogni mio gesto di stizza, ogni mio rimprovero era un grido d’insulto ‘Con me hai fallito, sono imperfetta!’. Ma ero imperfetta a causa sua, o ero io a rendermi tale? Abitavo in una camera così infantile che solo la mia stoltezza poteva eguagliarla. Ad un tratto mentre ancora sfogliavo le ultime pagine del mio diario sentii il rumore del vetro contro le nocche. Qualcuno era alla mia finestra, non potevo sbagliarmi di molto. Ogni piccolo istante che mi separava dal rivederlo era scioccante, sconvolgente, coinvolgeva ogni parte del mio fragile essere. Dovevo calmare il mio cuore, nessuno era capace di farmi provare certe sensazioni. Nessuno che non fosse quel mezzosangue affacciato sul mio piccolo balcone di ferro battuto. Aprii la porta finestra, mal celando la mia impazienza. Il suo odore invase i miei polmoni colmando l’aria che mi mancava dal pomeriggio precedente. Tutto scomparve in quel mare in tempesta, in quel volto pallido e livido. Il vociare della mia chiassosa metà, il canticchiare allegra di mia madre che con la mia parola aveva ritrovato la pace. Uno zio che zio non era, un amico che non doveva essere, un amore celato solo aspettando il momento giusto per rivelarmi perché tutto faceva pensare che mi corrispondesse. Le sue premure, il suo essere così romantico con piccoli regali, fiori, le poesie che mi recitava in italiano in riva al fiume, la sua cavalleria.

“Ciao Gabriel, che ci fai qui?” mi sorrise ed in quel momento, in quel preciso istante il cuore fece un salto e si fermò diventando di pietra come quello dei miei nonni. Il suo invece galoppava velocemente in una folle corsa, ripercuoteva ritmicamente lo stantuffo del motore del suo fisico, correndo velocemente di vita pura. Così naturalmente accelerato che mi piaceva pensare che lo fosse per me.

“Volevo sapere come è andata scuola e soprattutto se avevi fatto pace con tua madre!” come un incanto troppo breve svanì il risultato dei miei sentimenti. Quella strana premura, mi tormentava, mi bloccava, mi stordiva.  

“Riprovo: ciao Gabriel, sei venuto a non chiedermi della scuola e della mamma?” risposi sarcasticamente. Non volevo parlare di lei. Non volevo vedere quella maledetta luce nei suoi occhi accendersi, ogni qual volta il nome di Nessie Cullen venisse pronunciato.

“Da come canticchia si direbbe che avete ignorato come al solito la vostra discussione!” si sedette sul letto ed io di fronte a lui sopra la scrivania abbracciando il mio Eddy, in cui trovavo conforto. Ma come poteva vedermi diversamente se rimanevo attaccata ad un peluche per proteggermi piuttosto che affrontarlo!

“Se sei venuto a farmi la morale puoi anche tornare a casa! Il posto del grillo parlante è già stato occupato da EJ! Quindi puoi … ” ma proprio mentre stavo per rispedirlo al mittente visto che come al solito prendeva le difese di mia madre, lei, proprio lei, bussò ed entrò, senza attendere che io rispondessi. Era troppo eccitata per collegare le azioni con le reazioni. Mi sarei dovuta infuriare, diventare la solita isterica ed invece mi sentii inaspettatamente colpevole. Nella mia testa cercavo mille scuse, le parole adatte a spiegare cosa ci facesse un ragazzo nella mia stanza senza che ne fosse al corrente. Ci studiò a lungo cercando di capire cosa stesse accadendo. In realtà non c’era nulla, o almeno speravo che presto ci sarebbe stato.

“Mamma io …” lo sentivo, stavo per balbettare come una scema. Lei era lì con quegl’occhi profondi ed intensi e mi studiava. Sfarfallavano da me a lui, con una velocità palesemente improntata alla conferma delle giuste teorie che si era posta. Aveva capito non c’erano dubbi, ma cosa mi sarei dovuta aspettare? Che lei così intelligente e perspicace non capisse che ero follemente innamorata del suo migliore amico? Io invece, misera ed imperfetta, non riuscivo ad interpretarla, non sapevo assolutamente cosa pensasse e temevo la sua condanna. Mi immaginavo lei su di un piedistallo, osservarmi severa battendo con un martelletto di legno ed indicandomi con un dito accusatore. Sulla mia fronte a lettere scarlatte la parola Colpevole si stava disegnando. Ero una stupida adolescente innamorata, ed era una sensazione strana, bellissima ma terribile. Sconosciuta ed incomprensibile. Non la capivo, non era chiara neppure a me stessa, eppure sapevo che c’era e non me ne vergognavo finché lei non ne era a conoscenza. Era quindi questo l’amore. La capacità di domare un lupo, che dorme e giace dentro lo spirito amazzone di una ragazza destato dalla propria madre, antagonista e sorella. E dopo attimi interi d’incertezza le sue labbra si dischiusero, emanando un lieve sospiro. Cos’era? Nulla di quello che avevo velocemente elaborato nella mente troppo rapida per la mia stessa confusione equiparò la sorpresa alla sua reazione.

“Ciao Gabriel non sapevo che fossi qui!” era calma, tranquilla, forse troppo come se avesse calcolato ogni conseguenza a quello che mi avrebbe detto e valutato ogni possibile variabile, come se non ci fosse nulla di sbagliato nel farlo entrare in camera mia. Anche in quello mi stava superando, mi stava dimostrando ancora la sua perfezione se così si può definire. Era troppo avanti, era troppo e basta. Ed io ero un moscerino in confronto alla sua estreme capacità diplomatiche. Andò velocemente alla porta finestra e la chiuse. Si voltò elegantemente, aveva studiato ogni mossa in un arco di tempo così infinitesimale da far sembrare un istante eterno.  “Comunque se vuoi venire a trovare Sarah, non è necessario che passi dalla finestra puoi sempre bussare!” la frecciatina l’avevamo meritata entrambi ma lei mi rivolse quello sguardo, quello che io avevo visto da bambina quando decidevamo di condividere qualcosa, qualche segreto fra donne, quando ancora lei era una ragazza e non la signorina Rottenmeier. Più io mi avvicinavo alla sua eterna adolescenza e più lei era diventata rigida ed intransigente. Era cambiata totalmente, aveva voltato le carte divenendo meno tollerante ai nostri capricci, severa e rigida; con lei anche mio padre modificò il suo ruolo ammorbidendo il suo rigore seppur mantenendo inflessibile molte delle sue regole. Come non poterli invidiare? Si completavano persino nei cambiamenti. Ma la speranza di raggiungere anche io quella felicità era sempre più vicina, magari con l’Arcangelo più bello della volta celeste.

“Nessie, sono entrato dalla finestra solo per fare prima!” faceva l’indifferente, magari per mascherare un interesse verso di me a mia madre. Forse erano solo vane speranze che il mio cervello creava. Non importava, accanto a lui mi sentivo bene. Ma c’erano due occhi scuri che saettavano curiosi tra di noi, dove leggevo una sorta di connivenza. Sapeva tutto mi aveva letta e riletta in quel minimo frangente ed avevo come la percezione che finalmente non avevo più un’estranea di fronte a me.

“Ero semplicemente venuta a dirti che EJ è da Nathan a studiare ed io sto andando da tuo padre in officina, hai bisogno di qualcosa?” il suo sorriso ammiccante era molto di più di quello che avrei chiesto in ogni caso.  

“No, mamma grazie!” mi diede un bacio spontaneo, fresco come le  sue labbra ma mentre stava per andarsene, al primo scalino la bloccai “Mamma, posso chiederti un favore?” quella era la nostra occasione, quella che aspettavamo da tempo, era il nodo per bloccare il filo e ricucire il nostro rapporto che con la mia temperanza si stava letteralmente lacerando. Come lei avevo capito che forse la chiave per tutto si ritrovava nell’essere complici

“Dimmi tutto!” anche lei lo aveva percepito. C’era ancora una speranza fra me e lei.

“Non dire a papà di Gabriel per favore …” non volevo che sapesse prima ancora che non fossi sicura io stessa dei miei sentimenti, visto come non sopportava proprio Gab e non riuscivo a comprendere il perché. Insomma era bello, dolce, protettivo. E non era asfissiante come il resto dei Cullen.  

“Ti piace davvero tanto …” il sangue affluì velocemente sul mio viso, non mi ero sbagliata aveva capito tutto. Mia madre se ne intendeva delle faccende di cuore  “Non spetta a me di parlare della tua vita privata con lui, cercherò di fare il possibile!”

“Grazie mamma!” ma prima che potessi tornare dal mio cuore mi sentii afferrare al braccio. Voleva dirmi qualcosa e glielo concessi, se lo meritava.

“Tesoro, io mi fido molto di te so che non prenderai decisioni affrettate ma …”

< Questo non è quel discorso? Ma se non sa neanche che sono innamorata di lui, pensare a quello! Non che non ci avessi pensato però non ho mai neanche dato il primo bacio … > si può tartagliare nei pensieri? Io lo stavo facendo e parecchio “Mamma, non mi starai facendo quel discorso?” lei sorrise triste nascondendo per un momento il suo sguardo rivolgendolo al pavimento poi tornò su di me e in un sussurro delicato disse:

“Cerca solo di stare attenta!” mi stava dando la sua piena fiducia. Non le importava che io fossi da sola in casa, con il ragazzo di cui era innamorata. Sapeva che io non avrei fatto nulla di stupido, solo perché si fidava di me. Come potevo deludere l’opportunità che mi stava offrendo di mostrarmi migliore? Tornai allegra da Gabriel che intanto aveva preso a giocherellare con Eddy in una maniera tenerissima. Quando però notò che io ero ritornata lo posò sulla scrivania imbarazzato.  

“Scusa io non volevo …”

“Non preoccuparti! Ha resistito a ben nove anni di mio fratello!” non so cosa mi spinse così vicina a lui, eppure mi trovai ad una distanza davvero limitata. Le mie gambe tremarono, lo stomaco in subbuglio fu invaso dal battito veloce di mille farfalle, il mio cuore smise di pulsare. Incontrai quel blu intenso ed infinito e mi sentii come il vecchio ed il mare, mi persi in lui e navigai alla ricerca di quel sentimento. Attendevo come il vecchio Santiago che abboccasse al mio amo e che lo potessi trascinare con me come nei miei sogni.

“Sarah, ti senti male?” se qualcuno avesse scavato una fossa io mi ci sarei sotterrata volentieri. Che figuraccia che avevo fatto, mi ero imbambolata come un pesce lesso, con una faccia da rimbambita molto simile a quella di papà quando la mamma gli sussurra qualche cosa all’orecchio, come se noi non potessimo sentirli.

“Si, sono un po’ stanca!” mi allontanai cercando di riprendere le mie facoltà mentali.

“D’accordo allora ti lascio riposare, torno alla villa!” non lo potevo permettere, avevo la possibilità di stare con lui senza che nessuno si mettesse in mezzo. Lo fermai , afferrando con foga il suo polso che mi apparve quasi freddo, nonostante la nostra temperatura praticamente uguale, tanto che il suo blu oltremare mi fissò da sotto le folte sopraciglia come per chiedermi cosa avessi in mente. La sua bellezza raffinata e composta era veramente incantevole, dolorosa perché quando mi guardava con quegl’occhi mi sentivo esattamente come se mi avessero dato un pugno nello stomaco “Che c’è Sarah?” ero stordita, sopraffatta dalla sue essenza racchiusa nello specchio della sua anima. Cercai di riprendermi scuotendo il capo con un gesto estremamente rapido.

“Non vorrei rimanere da sola in casa … e … mi chiedevo …” non trovavo una strategia adatta per chiedergli di restare, mi guardai attorno e sullo scaffale vidi tre DVD uno sull’altro. Bingo. “ se ti va di farmi compagnia con un film!” sorrisi e dopo qualche secondo di titubanza accettò. L’ampia gamma della collezione dei miei ci fornivano molti spunti a partire dalle trame impegnate a quelle della commedia rosa. Ma io puntavo ad un film romantico, giusto per creare l’atmosfera. Moulin Rouge. Perfetto, sensuale, allegro, commovente ed estremamente romantico. Rimasi a guardarlo seduta accanto a  lui sul divano e con la tentazione di accoccolarmi sulla sua spalla, per quasi tutto il tempo del film, quando ad un tratto lo sentii sbuffare. Io volevo che trasportati dalle note e dal romanticismo diventassimo i protagonisti, no che lui si annoiasse. Misi in pausa e rimasi a fissarlo delusa per un interminabile minuto “Non ti piace!” affermai con tale dispiacere, da sorprendere anche me.

“Lo so che ti piace tantissimo questo film ma …” era adorabile quando cercava di arrampicarsi sugli specchi, abbassava e rialzava lo sguardo continuamente scontrandosi con i miei occhi. Ogni volta che succedeva mi dimenticavo di respirare e finivo in apnea “… è assurdo!” la nota amara non mi era sfuggita, quale visione pessimistica creava tanta acrimonia nei confronti di quel musical? Come se avesse potuto udire quei dubbi sputò con tutto il fiato che aveva “Guardala: lei è una cortigiana, vende il suo amore per un po’ di spiccioli, poi arriva il giovane e bello scrittore in erba, rinnega tutta la sua vita, si fa una bella cantata e siamo tutti innamorati!Ma dai, l’amore non è affatto così semplice anzi spesso si devono accettare compromessi molto ardui, se si vuole rimanere accanto alla persona amata!” se mi fosse caduto un macigno in testa sarebbe stato meno pesante. Io non riuscivo a pensare ad eventuali compromessi in qualsiasi cosa, figuriamoci in amore. Per me esistevano solo il bianco o nero, con una visione assolutistica della vita.

“Non pensi che bisogna combattere contro tutto e tutti per amore?” ero visibilmente incuriosita dalla sua visione di quel sentimento, in fondo ero alle prime armi mi piaceva venirne a conoscenza.

“No, piccola Sarah!” carezzò la mia testa come si fa con una bambina capricciosa, detestavo il suo modo di fare così paternalistico “Penso che di fronte a cose troppo grandi per la nostra comprensione sia meglio accettare ciò che viene e cercare di coprire il più possibile quello che si può avere!”

“Ma i film sono fatti per dare una versione rosa e per farci sperare che forse da qualche parte del mondo ci sia qualcuno che con un balletto ed una cantata s’innamori sul serio! Servono a farti sognare che tutto può essere possibile persino un amore impensabile, come quello fra una meretrice e uno scrittore squattrinato!” voler inculcare la propria visione era un’impresa ardua ma con me avevo un buon espediente “E poi come fai a resistere a questa canzone …” mi alzai in piedi e riavviai il DVD. Le note di Come What May iniziarono ad invadere la stanza ed io intrapresi a canticchiarle. Presi le sue mani e lo feci alzare. Cominciammo a dondolare lentamente sul posto. Il mio primo lento con qualcuno che non era mio nonno, l’unico ragazzo che avrei voluto e con la musica perfetta. Il mondo scomparve mentre sentivo la sua mano cingermi il fianco e muoversi con grazia ed eleganza, vivendo in un intenso momento il film. Mi sentii felice, tranquilla come non lo ero mai stata. C’era ancora la musica in sottofondo ed io rimasi fissa nei suoi occhi per un tempo indescrivibile. Quello era il momento adatto, quello il ragazzo perfetto. Le mie palpebre socchiuse mi permettevano di pregustare le sue labbra sulle mie, aspettavo solo l’attimo di coraggio necessario per sporgermi verso il suo viso quando un trillo dal mio cellulare ci fermò. Guardai l’ora e collegai improvvisamente chi potesse essere. Il messaggio di mia madre che preannunciava il loro ritorno. Se mio padre avesse visto a casa nostra Gabriel da solo con me, non avrebbe tardato a fare due più due.

“Gab stanno tornando!” sorrise ed io mi sciolsi, mi baciò la guancia lentamente prendendo il mio mento e carezzando la mia pelle con il pollice.

“Adesso è meglio che vada, conoscendo tuo padre potrebbe azzannarmi!” ed un gesto, che odiavo perché mi faceva sentire una ragazzina. Scompigliò i miei capelli “Grazie per la canzone e per il ballo, per un attimo ho pensato di essere finito nel film!” rimasi immobilizzata. Mille messaggi contrastanti, prima mi stringe ballando, poi mi tratta come una bambina. Ma io avevo smesso di essere una bambina da tempo, io stavo diventando una donna. Perché nessuno sembrava accorgersene? No una persona c’era. Mia madre. Lei mi aveva avvisata, mi aveva detto che stavano per tornare per darmi il tempo di spruzzare il deodorante per la casa ed evitare le scenate di papà. Finalmente mi sentivo compresa, finalmente sapevo che potevo contare su di lei. E forse mi avrebbe potuto guidare, aiutarmi a capire il mio cuore ed i miei sentimenti, sapevo di avere una confidente che non era EJ ancora troppo ragazzino per condividere con me le mie problematiche. Una persona esperta che mi conosceva molto di più di quanto mi conoscessi io. Non eravamo nemiche. Ma amiche.

 

Note dell'autrice: Bonsoir madamoiselle! Ecco il punto di vista di Sarah, che combina la nostra piccola adolescente, lei stessa è molto confusa. C'è una cosa da precisare, rispetto a Nessie la maturità di Sarah ed EJ non si ha ancora a pieno, mentre la piccola brontolona era adulta da subito, loro seguono in parte le leggi naturali, ovvero sono dei ragazzi estremamente intelligenti e perspicaci ma ancora non del tutto adulti. Stanno affrontando tante cose nuove, crescono ma non in fretta come lei quindi ci saranno delle fasi di vita che invece Nessie ha surclassato. Questa è una vera e propria adolescenza!!! Spero comunque di aver trasmesso quella strana confusione che prende alle prime esperienze con sentimenti forti come l'amore e l'astio.

kandy angel: Odiooooooooo Grazieeeeeeee! mi piacciono sempre i tuoi commenti e mi fanno nascere spontaneo un sorriso! ^^

noe_princi89: Per quello bisognerà aspettare, vedremo più in là prima le cose si complicheranno! Segui segui!^^

Lione94: Jacob è molto geloso, ultimamente sto rileggendo Breaking Dawn, ti ricordi la scena di quando trova Seth con il braccio intorno a Bella? Ecco diciamo che quello è esemplificativo del suo carattere. Hihihi! Comunque avrà modo di combattere la sua gelosia e di dimostrarci ancora... basta non ti dico altro! Il problema più grave di Sarah, risiede nel senso d'inferiorità nei confronti della madre, ma nel momento in cui lei cerca di aiutarla capisce che sta sbagliando, purtroppo i rapporti sono un pochino altalenanti come ogni adolescente, un giorno detesti i tuoi genitori e il giorno dopo li adori perchè ti accontentano. Poi quando cresci vai a finire per ringraziare quei no che ti hanno permesso di accettare i no della vita. Per sapere se Gabriel ricambia ci vorrà ancora un po' cara, mi dispiace!Spero che tu sappia attendere^^

kekka cullen: contenta di averti sorpresa, sinceramente pensavo che la scelta di Gabriel fosse ovvia, invece noto con piacere che non ve l'aspettavate. Si EJ è dolcissimo, qualcuno che apprezza anche lui, evviva! Purtroppo è andato un po' in ombra dato il carattere prorompente della sorella.  

 

OVVIAMENTE RINGRAZIO SEMPRE TUTTI! XOXOXOXOXOXO Malice

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Capitolo 32
*** CAPITOLO V: Scossa. ***


CAPITOLO V: Scossa.

POV EJ 

I miei genitori avrebbero dovuto imparare a controllarsi. Potevo sopportare il loro continuo appiccicaticcio morboso, i loro irrefrenabili sguardi languidi, i commenti estremamente piccanti come se non esistesse niente e nessuno, ma vederli in procinto di fare sesso, quello proprio no. E dove poi? Nel bel mezzo dell’officina ancora aperta come se fossero in vetrina e davanti a Nate, che così aveva l’occasione di fantasticare ancora di più su mia madre e sul pizzo verde petrolio che spiccava dalla camicetta sbottonata. Poi pensandoci bene, Nate non poteva pensare troppo alla mamma dato che era parte integrante del branco di papà. Magari un giorno lo avrei trovato con una bella cicatrice sul suo didietro a forma di denti di lupo. Quell’immagine per un attimo sciolse quella delle due murene avvinghiate nell’officina. Ed avevano anche la faccia tosta di criticare i nonni, proprio loro. Avevo un strana sensazione. I miei pensieri viaggiano molto velocemente, troppo ed io mi sentivo come quando si parla a raffica e si arriva a non avere più fiato.

“EJ, respira non c’era niente di scandaloso in quello che hai visto!” avevo dimenticato di respirare, spiegato tutto quello che sentivo “È naturale per due persone che si amano, provare certe cose …” l’imbarazzo non era solo il mio. Bene , meglio battere il ferro finché caldo. Era giunto il momento di fare il genitore dei miei genitori. Per fortuna che eravamo soli in macchina, la mamma ci seguiva con la moto, se ci fosse stata anche lei allora si che avrei volentieri nascosto la testa sotto la sabbia. Sinceramente il modo di controllarla di continuo dallo specchietto retrovisore era decisamente urtante. Mi concentrai su quel modo di fare di papà, sembrava una chioccia eccessivamente protettiva.

“Se fosse successo in un posto meno in evidenza sarebbe stato di sicuro meno scandaloso!” stava camminando a poco più di settanta chilometri orari. Sembrava di essere dietro ad un corteo funebre. E sapevo benissimo perché lo faceva. Così la mamma avrebbe evitato di correre, almeno finché non si sarebbe sufficientemente stufata. La cosa non la gradiva nemmeno lei. Vedevo le sue dita segnare nervosamente il tempo sulla manopola del gas, non potevo vederle il viso a causa del casco salva apparenze che indossava, ma sapevo che sbuffava e teneva il muso imbronciato come una bambina scontenta. Ma perché avevo queste fisime nevrotiche e una timidezza disarmante? Li avevamo visti in tempo perché non fosse troppo tardi, mamma era abbastanza vestita, papà non lo era praticamente mai, cosa c’era di male? Ragionandoci con un po’ più di calma, non m’infastidiva il loro modo adolescente di coinvolgersi in avventure erotiche, ma che il mio amico avesse assistito ad uno dei loro imbarazzanti siparietti. Osservai mio padre; se ne stava con lo sguardo praticamente fisso allo specchietto, abbassando ancora la velocità. Era così lui, troppo tremendamente protettivo! Però era abbastanza bravo nel suo lavoro, riusciva a gestire bene le sue diverse vite: quella di uomo, di lupo, di capo eletto, di padre. Magari in quella di padre c’ero io che gli davo qualche problema di compatibilità. Ci volevamo bene, ma troppo spesso non riuscivo a comprenderlo, ritrovandomi a criticare le sue scelte. Salivo in cattedra, come diceva lui. Certo in confronto a Sarah e la mamma, il nostro era un rapporto meraviglioso, fatto per lo più di un virile silenzio. Per noi era difficile proprio il canale comunicazione e a nessuno dei due sembrava troppo pesare, se non fosse stato per la necessità di sistemare le cose all’interno della nostra famiglia.

“Allora EJ che mi dici della scuola?” stava cambiando il discorso, meno si parlava dell'officina meglio mi sentivo.

“Non male, le lezioni sono noiose ma per il resto mi piace! Ho incontrato parecchie persone interessanti e qualche scemo che ha fatto dei commenti poco apprezzabili sulla mamma …”

“Cosa?”  allarme rosso. Mio padre poteva diventare pericoloso sull’argomento gelosia. Io ero uguale a lui, soprattutto se di mezzo c’era qualche membro della mia famiglia, come la mamma o mia sorella o le nonne o le zie. Si insomma un po’ tutte le donne Cullen/Black e qual dir si voglia, ma in particolar modo con la mamma e con mia sorella. Le nostre intoccabili.

“Non preoccuparti, ho già segnato il territorio!”

“Lasciamo perdere non voglio sapere!” già me lo immaginavo che veniva a scuola a ringhiare a chiunque si avvicinasse a più di un metro. Però ero quasi tentato di aizzarlo contro Damian, papà sapeva essere estremamente intimidatorio. Nemmeno un pazzo sconsiderato come il mio carissimo amico si sarebbe messo contro un uomo alto due metri e con due spalle giganti. “Incontrata qualche ragazza interessante?” altro allarme rosso, ondata di argomenti imbarazzanti in arrivo.

“In realtà sono più le ragazze interessate a me che io a loro! Sai com’è ho il senso della bellezza un po’ alterato!” e per un attimo nell’abitacolo della macchina si poterono udire solo i nostri cuori ed i nostri respiri. Ma poi una risata forte e piena ci colse entrambi, in effetti non era normale avere una famiglia piena di vampire bellissime ed una mamma diciassettenne.

“Invece tua sorella è interessata a qualcuno?” ecco dove voleva andare a parare. Il suo era solo un modo subdolo di sapere se mia sorella si voleva vedere con qualcuno. Gelosia territoriale da lupo alfa. Non potevo criticare, visto che ero anche peggio. E se avesse saputo che quella scema si era invaghita di Gabriel, avremmo avuto mezzo vampiro per cena. Altra tentazione, lo ammetto. Peccato per quel maledetto sentimento d’amore che provavo per mia sorella, non l’avrei mai tradita, anche se Gab se la meritava una lezione. Sarà stato per proprietà transitiva, ma non mi piaceva per nulla come gironzolava attorno a Sarah, ne tantomeno alla mamma. Erano molto amici ma qualcosa mi puzzava e di brutto. Chiamatelo istinto, intuito o fiuto, ma avevo uno strano presentimento e tutto proveniva dalla presenza di Gabriel. Ogni volta che era con la mamma la cosa mi metteva a disagio. Somigliava eccessivamente alla gelosia territoriale da figlio del lupo alfa. E mentre le mie elucubrazioni prendevano sempre più possesso della malaugurata mia povera mente, sentivo lo sguardo di papà posarsi preoccupato su di me. Se avessi continuato a tacere sarebbe giunto alle conclusioni giuste, cosa che non potevo permettere a causa del rispetto che nutrivo verso quella sconsiderata di Liz.

“No, papà sai com’è Lizzie, una gran rompico …” aggrottò le sopracciglia come se lo infastidisse quello che mi stava per dire.

“EJ, non dire parolacce, chi se li sente tua madre e tuo nonno poi se la prendono con me!”  generalmente non lo infastidiva se dalla mia bocca usciva una parola scurrile. Non ci credeva, spiegata l’espressione scettica al suo rimbrotto. A lui non interessava granché del mio linguaggio, l’importante era che mi rivolgessi con rispetto alle persone che lo meritavano. Ma alla mamma si che interessava, influenze ultracentenarie nell'educazione. Qualche volta mi stupiva che non prendesse il thè alle cinque come le signirine da solotto londinese del settecento, o come un romanzo di Jane Austen che lei tanto amava. Stavo per ribattere, ma la mamma perse la pazienza per la lentezza a cui stavamo andando. Un roboante suono di motore accellerato ed una saetta azzurra superò mio padre. Una volta davanti prese a salutarlo con un cenno della mano, deridendolo sicuramente. Non ci capivo assolutamente niente di motori, per la disperazione di mio padre, però quel trabiccolo era davvero veloce ed aveva una gran capacità di guidarla. Conoscevo mia madre, moriva sicuramente dala voglia d'impennarla, ma non l'avrebbe mai fatto nè davanti a me, per non insegnarmi ad essere spericolato, nè davanti a papà, per non sentire le sue lamentele per giorni e giorni. Peccato per  la non curanza con cui intraprendeva i 220 in poco tempo. Semplice abitudine. Non avevamo mica sensi ipersviluppati per niente. Ed al povero Jake non restava che sfruttarli e a spingere quello stramaledetto acceleratore. Era divertente avere due genitori adolescenti per sempre.

 

“Brucia la sconfitta Jake?” ci stava aspettando proprio al centro della diramazione tra villa Cullen e casa nostra. Incredibile come Esme riuscisse a  far convergere in un modo o nell’altro la nostra famiglia sempre in un punto. Dai racconti del nonno il vecchio cottage non poteva essere raggiunto con la macchina, ma quando decise di ristrutturarlo come regalo di nozze per la mamma l’aveva dotato di tutte le peculiarità di una vera abitazione compresa la strada per potervi accedere che si convergeva con quella della casa dei nonni poco più a valle. Ci permetteva si rimanere assieme senza essere di peso l’uno per l’altro, come se vivessimo nello stesso condominio.

“Non stavamo gareggiando Nessie e dovresti stare più attenta con i mezzi a due ruote …” in certi momenti faceva il papà pure con la mamma, anche se lei non aveva mai avuto bisogno di essere protetta e guidata. Era uno spirito libero, vitale ed indipendente. E mia sorella non era da meno. Nessuno riusciva a spiegarsi perché erano arrivate a quel punto, tantomeno io. Sentire mia madre soffocare il pianto con il cuscino, quando mio padre non c’era in casa, vedere mia sorella costantemente in collera verso di lei mi straziava, e non comprendevo il senso d’inferiorità che nutriva nei confronti di nostra madre. Così testarde, così forti, così uguali ed estremamente diverse. Spesso studiavo il loro linguaggio del corpo mentre discutevano e vedevo molte più similarità di quante se ne potessero vedere con me. I piccoli vezzi che presagivano la rabbia montante dell’una e dell’altra erano gli stessi. Le piccole smorfie, il modo in cui si osservavano ed inveivano. Possibile che Sarah non vedesse quanto le somigliasse? Perché coglieva tutto come una sfida? Era dura vivere con il suo nervosismo, condividere con lei quei sentimenti contrastanti di amore e odio. Sentivo ogni suo turbamento scorrere lento e defluire in un flusso che non m’influenzava all’esterno, ma carezzava la mia anima rendendomi partecipe di tutto, lasciandomi vivere come spettatore della sua vita.

“EJ, tutto bene?” ed anche per lei era così. Noi due eravamo stati accolti nel suo grembo. Eravamo cresciuti sfamandoci con la sua bocca, rompendo le sue costole, nutrendoci del suo sangue. Sapeva cosa ci affliggeva ancor prima che lo sapessimo noi. “Io vado a riportare la moto a Jazz e a prendere la cena!” continuava a fissarmi tenendo la sua mano sul finestrino abbassato e con il casco posato sulla manopola. Ad un tratto la sua attenzione si rivolse a mio padre. Si tolse il guanto e gli sfiorò la guancia. Cosa gli stava dicendo? Perché non voleva che ascoltassi? Il suo comportamento era strano, troppo strano. Lei non aveva segreti. La sua eccessiva onestà la rendevano una pessima attrice. Vidi la mano di mio padre stringere con forza il volante, la gomma che lo rivestiva cominciava a dare segni di cedimento. “Jake, me lo hai promesso!” lui non rispose se non con un sonoro sbuffo. Provai a chiedere ma a parte uno sguardo sottile come una lama per invitarmi a tacere non  ottenni null’altro. Entrando poi ebbi la certezza che le stranezze non sarebbero finite: mia sorella era seduta in salone godendosi un film. Nulla strano, se non fosse stato per l’odore di deodorante per ambienti fortissimo, insieme a quello del gelsomino. Inconfondibile e mio padre di certo lo sentiva. Stavo con il cellulare pronto per chiamare la mamma e gli zii fermandolo dall’uccidere mia sorella, quando invece, la salutò con un bacio sulla testa forzandosi un sorriso ma non di quelli solari tipici di mio padre, ma quelli tesi voltati a mascherare la sua curiosità o la sua voglia di farci pasteggiare con sangue di mezzo vampiro. Tutto venne sorvolato soprattutto quando arrivò la mamma. Mangiammo in silenzio. Strano a dirsi. Se ci fosse stata la televisione in sottofondo potevamo sembrare una normale famiglia in cui non ci si parla se non del più e del meno. Le mattine seguenti cercai di far finta di niente per non smuovere troppo le acque ma non volevo lasciar correre in quella maniera sapevo che l’avrei dovuta affrontare. Avevamo in comune la lezione di trigonometria. Il professor Matthew era un vero spasso. Era totalmente stempiato se non fosse stato per quel povero ciuffo riportato sullo scalpo ed era uno dei pochi professori ancora motivati che vedeva nell’insegnamento il futuro dei poveri ragazzi della riserva. Aveva dei grandi occhiali che gli cadevano sulla punta del naso facendo diventare il gesto di risistemarseli un tic simpatico. Il suo volto magro e il suo fisico smilzo lo rendevano ancor più impacciato e vestiva sempre scoordinato, e quando si sedeva si vedeva che aveva i calzini di due colori diversi. Zia Alice probabilmente avrebbe storto il naso tutta la lezione. Era intento nello spiegare la differenza tra tangente e cotagente ed aveva riempito la lavagna con mille segni confusionari. Tendenzialmente iniziava in un punto e si perdeva in tutt’altro con il risultato di mescolare le carte in tavola più di quello che già erano. Era nel pieno della concitazione mentre continuava a scrivere da una parte all’altra completamente rapito da un mondo completamente suo. Guardando tra i ragazzi c’era persino qualcuno che si grattava la testa. Noi ovviamente sapevamo già tutto quindi non avevamo grande bisogno di seguire. Scrissi sul quaderno che passai alla mia vicina di banco nonché sorella gemella.   

Mi devi delle spiegazioni Liz!

Stava prendendo inutili appunti, lo guardò di sguincio e continuò ad ignorarmi. Le diedi un amorevole calcio sullo stinco che la fece sobbalzare e ringhiare come un cane attirando così l’attenzione del professore su di noi.

“Signori Black, cortesemente potreste prestare attenzione qui stiamo svolgendo una lezione!” si sistemò gli occhiali e riprese la sua spiegazione parlando a se stesso, visto che quasi nessuno riusciva più a seguirlo.

Perché la mamma è così strana? Cosa nascondete?

Fatti gli affaracci tuoi EJ! Non ti devo nessuna spiegazione! Sei peggio di papà!

Sei mia sorella, questi sono affari miei! Si morse il labbro riflettendo su quale insulto probabilmente era il più adatto, poi prese nuovamente il quaderno e scrisse per qualche secondo. Mi aspettavo di tutto ma non la risposta alla mia domanda. . Per quanto scontrosa e acida, la carta della fratellanza era sempre quella che vinceva su tutto.

La mamma ha scoperto che sono innamorata di Gabriel e mi sta appoggiando.

Cosa? La mamma era dalla parte di Lizzie? Ma come poteva? E poi quella parola, addirittura innamorata. La cancellai e disegnai una freccia dove indicai la vera natura dei suoi sentimenti per faccino delicato scrivendo a caratteri cubitali. È SOLO UNA COTTA. Roteò gli occhi al cielo ma con un sorriso da scema.

 

Tutto rimase in sospeso fino alla sera quando finalmente era giunto il fatidico falò. Ovviamente non era uno di quelli a cui partecipavamo i miei, più una di noi ragazzi che imitavamo i grandi. Una sorta di prova generale per quando ci sarebbero toccati i falò di branco.  Alla fine anche mia sorella si era convinta un pochino esortata da Mr Italia, che le aveva detto che sarebbe stata una bella esperienza.  

< Certo se lo dico io è una scemenza, se lo dice lui è la verità scesa in terra! > Come sempre avevo il solito compito di tenere d’occhio mia sorella. Sia io che Nate, eravamo i diretti responsabili di ogni sua sciocchezza. Come se Sarah avesse bisogno di protezione. Piuttosto avremmo dovuto proteggere gli altri da quell’arpia. Arrivammo alla spiaggia quando l’imbrunire aveva tinto di calde tonalità rosa aranciate la lingua umida di sabbia, mentre il grigio sfumava su di un sole appena coperto. Alcuni ragazzi stavano sistemando la legna mentre alcune ragazze preparavano le vettovaglie. Come il primo giorno di scuola avevamo gl’occhi puntati su di noi. I visi pallidi Quileute. C’erano almeno una decina tra ragazzi e ragazze, tra cui riconobbi Elijah, con quel suo sguardo assente, ed Abby, che appena ci vide da lontano cominciò a sbracciarsi come un’ossessa.

“Guarda EJ la tua fan più sfegatata!” prima che potessi rispondere una immensa massa in bermuda e felpa si parò di fronte a me.

“Finalmente siete arrivati ragazzi! EJ vieni ci serve una mano a trasportare la legna!” come al solito Nate aveva intrapreso la sua personale battaglia nel farci integrare con il suo gruppo di suoi amici. C’era un pick up della Ford parcheggiato poco lontano la spiaggia dove vi erano accatastati dei tronchetti da ardere, Altri due ragazzi stavano aiutando per il trasporto ma uno mi colpì in particolare. Era s*****o ed aveva gli occhi celesti.

“Evviva sono arrivati i Black!” aveva tra le braccia quattro tra i più voluminosi e pesanti pezzi di legna. Voleva dimostrare quanto fosse forte, peccato che se solo avessi potuto, l’avrei tranquillamente e bellamente schiacciato. Iniziai a caricarmi anch’io e tanto per far sgonfiare sua maestà, mi riempii come un tacchino il giorno del ringraziamento. Seguii il sentiero che conduceva sulla sabbia umida, continuando a scambiare occhiatacce con Damian, che cercava in tutti i modi di farsi bello con le ragazze. Spocchioso e borioso, miscela perfetta per rendersi detestabile.

“Attento EJ che la battaglia al testosterone più forte non la puoi vincere tu!” aveva notato i nostri rispettivi carichi, sicuramente aveva capito cosa stavo cercando di fare. Dopo un’oretta circa, quando tutto era sistemato, il falò acceso e Damian e la sua congrega di mononeuroni erano miracolosamente scomparsi, ci sedemmo di fronte al fuoco assieme agl’altri. Incredibile a dirsi ma la serata nonostante le premesse si prospettò veramente piacevole. C’erano ragazzi che suonavano la chitarra, qualcuno con piccoli tamburi. Ci raccontammo miti e leggende, compresa quella dei freddi. Nate cercò di deviare l’argomento senza riuscirci ma si rilassò appena vide i nostri volti sereni. Nostro padre ci aveva raccontato già tutto, per noi era come rileggere lo stesso libro. Poi un trambusto, risa sguaiate, una puzza nauseabonda pungente. Guardai Sarah che stava anche lei arricciando il naso, Nate invece si teneva la testa tra le mani come se fosse una cosa che sperasse non accadesse. Erano in tre, stupidi che ondeggiavano con il loro camminare incerto. Tutti ci ammutolimmo per quello che stava sicuramente per diventare un guaio.

“Ragazzi è mezzanotte! Chi ha il coraggio di fare il tuffo dalla scogliera?” il belloccio della tribù si aggrappò con il suo peso barcollante alle spalle di mia sorella, a cui schioccò un sonoro bacio sulla guancia.  Il suo alito pizzicava i miei recettori olfattivi, mi sentivo come se m’avessero passato dell’aceto caldo sotto il naso, così oltre ad infastidirmi come persona, mi disgustava anche come odore che potevo sentire a distanza di qualche metro.

“Damian non penso che sia il caso con tutto quello che ti sei bevuto!” avrei aggiunto che era l’unico cretino ad aver introdotto dell’alcool che nessuno di noi aveva voluto, escluse le pecore del suo gregge.

“Sai piccola Sarah mi tufferei volentieri anche fra le tue gambe!” credeva che quel sussurro nessuno di noi lo potesse udire, ma quanto si sbagliava. Improvvisamente il mio istinto fece spazio fra i miei ragionamenti. Nella mia mente tutto divenne annebbiato, un calore nuovo ed intenso, iniziò a percorrere la mia schiena salendo fino alla nuca dove si espanse inghiottendo con fiamme di lava la mia testa. Guardavo al suo collo calcolando esattamente quanto affondo potevo mandare i miei denti e quanto sarebbe stato necessario prima che la sua vescica dalla paura, riversasse tutto il suo contenuto sui suoi pantaloni. Non volevo la sua morte, volevo la sua completa umiliazione. Una vibrazione forte ed incontrollata del mio petto, iniziò a muoversi grattando la gola, trattenendo a stento un ruggito crudele. I miei movimenti diventarono rallentati come un giaguaro acquattato nella macchia erbosa aspettando che la preda sia sufficientemente distratta. Sarah non reagiva. Stava ferma impietrita, guardava il vuoto con occhi aberrati e  di fuoco. I miei muscoli s’irrigidirono tesi e pronti, bastava un semplice comando, e quel misero ammasso di pelle ed ossa, sarebbe diventato poltiglia.  Scattai ma una ferrea presa calda mi tenne ancorato da dove mi trovavo.

“EJ è diverso! È molto peggio …” non era la prima volta che ci trovammo in una situazione simile. Il perdere la calma di Sarah, scaturiva spesso in reazioni solo vagamente simili a quella che si stava prospettando. Si trovava sull’orlo della trasformazione ma ad ogni sua crisi sembrava bloccarsi, come se non riuscisse a compiere il passo per esplodere definitivamente. Il sempre peggio, era una parola piccina se paragonata a quello che ogni volta si creavano, non solo per la sua crescente irascibilità che stava letteralmente distruggendo la nostra famiglia perché le lasciava un segno indelebile come costole incrinate, lussazioni ed in alcuni casi anche fratture. Come se la sua mente fosse pronta ma il suo corpo ancora non avesse capito come rispondere, o il contrario. C’era una lotta in lei forte molto più della mia: in lei vampiro e licantropo sembravano non essere compatibili. Il fremito che l’aveva colta aveva una connotazione diversa rispetto al solito. Era più simile ad una scossa di terremoto proveniente dal centro esatto della Terra. Il dondolio molesto della piattola dagl’occhi azzurri mascherava l’atteggiamento di Sarah.  

“E guarda sono lucidissimo!” Damian non sapeva minimamente il rsichio che stava per correre, ma per un semplice gioco di fortuna, si alzò allontanandosi di un passo per provare a toccarsi il naso dondolando come un fuscello d’erba in balia del vento. Quando sollevò la gamba oscillò vistosamente cadendo in mezzo alla sabbia bianca ridendo come un pazzo. Tutti erano preoccupati per il cretino sdraiato a terra ma io e Nate, approfittando della momentanea distrazione, ci concentrammo su Sarah, che non accennava a calmarsi anzi. Sembrava montare sempre di più. Teneva i pugni chiusi contro il terreno, gli occhi sempre più infuocati e rossi, la testa completamente svuotata se non con un unico sentimento ribattente. Rabbia. La cosa assurda è che io sentivo la sua confusione. Ed era indomabile. Il lupo era pronto ad uscire, ma cosa la bloccava seriamente, cosa era necessario affinche quest’agonia terminasse? Ad un tratto il rumore sordo simile ad una stecca di legno spezzata proveniente dl torace di mia sorella ed una smorfia di dolore sul mio viso. Avevo sentito dolore ma Sarah sembrava impassibile. Solo il suo respiro affannato e il suo cuore in tumulto sembravano le voci che potevano risuonare nel vento. Riuscivo a leggere ancor più nitidamente di come non avessi mai fatto, cosa ci stava accadendo? Nathan prese in mano la situazione trascinandoci lontani da sguardi indiscreti. C’inoltrammo nel bosco mentre tutti ancora cercavano di convincere Damian a non buttarsi in acqua.

“Sarah calmati! Cerca di respirare!” Nate cercava di farla riprendere, io sinceramente avevo esaurito le scorte di forza. Vederla ansimante, in preda ai tremori e totalmente spaurita, mi angosciava parecchio, sentivo  esattamente tutto quello che provava. Non so come spiegarlo, ma se Sarah era nervosa io mi sentivo nervoso, se era arrabbiata io mi sentivo arrabbiato, se era tranquilla io ero tranquillo. Mi ricordo che quando eravamo bambini, avevo come la sensazione di essere attaccato a lei da un filo. Se si spostava sapevo esattamente dove si trovava. La cosa ancor più incredibile era quando succedeva al contrario, raramente perché tra i due lei nutriva le emozioni più forti e spesso le mie venivano travolte. Niente a che vedere con allora: l’annebbiamento di ogni capacità di raziocino, l’innalzamento delle difese, forse anche un pensiero, ma ero sicuro che fosse solo un’impressione, un legame dovuto al semplice fatto di essere gemelli. La fissavo e lei fissava me con la sua cassa toracica ancora sconvolta ed agitata. Non mi accorsi fino a quel momento che anche io stavo ansimando.

“EJ, ti senti bene?” Nate mi riportò in terra. Annuì leggermente per tornare ad osservare mia sorella che si stava riprendendo e dio con lei. La mia probabilmente era solo apprensione.  “Ce la fai a restare un po’ da sola, voglio scambiare due parole con tuo fratello!”

“Si, i tremori sembrano passati. Grazie Nate!” appena disse così Nate si alzò e mi guidò in un  piccolo spiazzo in disparte. Aveva il volto contrito dall'ansia.

“La situazione di Sarah è strana! Sembra molto più dolorosa di quanto lo sia stato per noi!" stava parlando di un noi, questa era la mentalità di branco una totalità completa ed io non potevo entrarvi. "Ne ho parlato con mio padre, dopo le ultime crisi!"

"Ne hai parlato con lui e non con me?" assottigliai lo sguardo, ma la mia espressione doveva essere sofferente come quella di un cane a cui hanno conficcato un coltello nel costato. Sentivo le palpebre assotigliarsi e vedevo Nate sfuggirmi.

"I miei erano solo sospetti, avevo bisogno di conferme prima di parlarti, scusa EJ!"

"Forse hai ragione, Nathan!" posai una mano sulla sua spalla, sembrò rincuorato da quel mio gesto "Che ti ha detto Sam?" 

"Anche lui è preoccupato, teme che se non si trasformerà al più presto tutto questo la distruggerà!” Cosa? Mi sentii lacerare il petto da quelle parole. Potevamo litigare, annientarci, cercare di ammazzarci, ma pensare di perderla, no  questo no. Sarah era l'altra faccia della medaglia, io non potevo permettere che soffrisse. Per un attimo mi sentii totalmente perso, con il cervello annbbiato e le lacrime pronte a scender. No lei era quella forte, io non potevo restare con le mani in mano, dovevo aiutarla, ma come? Nathan prese le mie spalle e mi scosse energicamente. Tenevo lo sguardo puntato su di lei la mia metà perfetta. La mia sorellina quelle a cui per tutta l’infanzia avevo fatto mille dispetti solo per farmi guardare. Ero sicuro che se le fosse successo qualcosa io ne avrei risentito più di tutti. "EJ, mi stai ascoltando?"

“Che - che ..." mi mancavano le parole, non volevo sapere come sarebbe andata a finire questa storia, per svolgere una tesi bisogna conoscere l'ipotesi. Presi tutto il minimo coraggio che mi ritrovavo e con il fiato che mi rimaneva sputai fuori quella odiata domanda "Che vuoi dire con distruggerla?”

“Hai visto come si riduce quando non è capace a controllarsi, sembra come se volesse esplodere e non ci riesce! Sta diventando una bomba ad orologeria!”

“Avete in mente qualche soluzione?” la voce mi tremava non sapevo sinceramente cosa fare. Continuavo a ripetermi 'non è possibile, lei è come la mamma, è tosta, non può distruggersi per una cosa che le dovrebbe venire naturale'. Mi sentivo confuso ed amareggiato, soprattutto ero totalmente impotente.

“Sarà meglio che ne discutano i nostri genitori! Adesso riportiamola a casa chiamo mio padre per farci venire a prendere!”

Note dell'autrice: Salve salvino, il capitolo parla da solo che dire, nel prossimo ci saranno le sorprendenti teorie di Sam (sapete come la Meyer mi piace dare la spiegazione scientifica, hihihi il perchè questo il perchè quello si si mi piace proprio.) sul fatto che sarah ancora non si trasformi! Probabilmente riuscirò a postarlo stasera il tempo di fare un pisolino e revisionare il capitolo.

noe_princi 89: già proprio il film giusto, pensa che questa scena l'avevo pensata per dei ricordi di Nessie nella parte precedente poi però l'ho vista più su Sarah che così ha dimostrato un lato romantico. Si è cotta, ma sarà realmente amore? basta non dico altro ...

kekka cullen: ma ciao! Grazie sempre per i complimenti! Scusa ma per sapere di più di Sarah e Gabriel devono scorrere fiumi e fiumi di parole ma Cher!!!

kandy angel:grazie anche a te per i complimenti ovviamente!!! Vedremo poi cosa accadrà a questa coppia che ancora non è una coppia, vedremo vedremo tu segui ...

VI RINGRAZIO SEMPRE TUTTI, A CHI PREFERISCE, CHI RICORDA, CHI SEGUE, CHI RECENSISCE!

XoXoXo Malice

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Capitolo 33
*** CAPITOLO VI: Guerra e pace? ***


CAPITOLO VI: Guerra e pace?

Una sera da soli, non era male come idea. Sinceramente avevo prospettato una serie di giochi romantici ed intimi, nella nostra confortevole casa, quindi mi apprestavo a trascorrere comodamente le successive ore. I ragazzi erano andati al loro primo falò con gli amici, trasportando con loro innumerevoli nostri ricordi. Quante volte Jake mi aveva portato a La Push la sera a mangiare costolette e a sentire le leggende Quileutte raccontate da Billy? Quante volte aveva ringhiato a Seth quando mi abbracciava le spalle?  Quante volte mio marito aveva rischiato la testa portandomi ben oltre il coprifuoco? Neanche a dire ai miei genitori non aspettatemi alzati. Emily si era offerta di ospitarli in casa, nonostante non possedessero una villa era preferibile che il futuro della tribù non si arrischiasse eccessivamente con strade buie e notturne per la foresta. Dopo il viaggio all’isola d’Esme per il nostro ottavo anniversario, era la prima volta che restavamo totalmente soli per una notte intera. Ciò comunque non mi distraeva dalle tipiche preoccupazioni di una madre. Aspettavo Jake di ritorno dal lavoro. Ero sola in casa e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii veramente serena Nella mia vita avevo letto molto, forse troppo, ma quella sera necessitavo di riprendere una mia vecchia lettura. Un piccolo libro poche pagine ma che racchiudevano una verità essenziale. Non aveva una copertina altisonante né un aspetto antico. Di cartoncino leggero, lucido e dalla grafica moderna, cromaticamente disegnato da sfumature azzurre, dove in negativo era impressa la sagoma di un gabbiano bianco, il protagonista di quella storia. Me ne stavo seduta sul divano, scorrendo ancora le prime parole quando un profumo di muschio e mare, misto ad uno più dolce e vellutato, invase i miei sensi. Fiori. Rosa. Carezzò delicatamente la mia guancia, un bocciolo scarlatto, come il sangue, come la passione. Rosso come il pericolo, come l’aumento dei battiti che provoca quel colore. Rosso come la scia di fuoco che tracciava sul mio collo.

“Sei molto eccitante quando sei concentrata!”  il libro cadde a terra al suo sussurro avvolgente, arroventando la porzione di pelle dietro l’orecchio. Mi stava alle spalle, dietro allo schienale del divano su cui ero accomodata.

“Anche con i capelli raccolti e in tenuta domestica?” una rovente esplosione si sprigionò nel mio grembo, brividi di freddo si alternavano alla sua calda mano che cingeva il mento, a scoprire il mio niveo collo.

“Potrei azzardare a dire che lo sei anche di più!”

“Non sei molto …” non riuscii a trattenere un sospiro carico di eccitazione, mentre con la rosa continuava ad accarezzare il mio braccio allungato dietro la sua testa assecondando i suoi baci “ … convincente!” con un gesto delicato guidò il mio volto verso di lui ad un centimetro dalle sue labbra. Ne disegnai i contorni con lo sguardo per  poi salire e ritrovarmi nel buio intenso dei suoi occhi. Rimasi fissa, soggiogata come sotto l’effetto di un incantesimo. Conoscevo molte persone con gli occhi scuri ma nessuno poteva averli come quelli di Jake. Erano confortevoli come una casa dalle mura rosse nella riserva, sicuri e dolci. Potevano essere duri e dirti crudeltà ma si pentivano appena io ne soffrivo. Potevano amarti solo posandosi su di te e donarti tutto, strapparti dallo sconforto. Erano lì sempre pronti ad accogliermi a rasserenarmi. In loro c’era tutto il mio Jake. Volevo i suoi baci e le sue carezze. Avvicinai le mie labbra alle sue ma con un dito mi scostò appena di qualche millimetro.

“Aspetta!” aggrottai la fronte perplessa, cosa c’era d’aspettare? “Volevo fare una cosa stasera …” le sorprese non erano mai una cosa gradita. Però ero sinceramente curiosa di sapere cosa stesse architettando. Troppo presa dalla voglia intima e pazza di lui non avevo notato che indossava una giacca, con camicia e denim scuri, evidentemente di marca. Aspetto casual elegante, proprio come piaceva a me. Ma il suo essere troppo vestito aveva tutta l’aria di uno zampino pestifero, basso e sbarazzino. Questo voleva dire solo un’altra cosa. “Indossa questo, Alice mi ha assicurato che sarà perfetto!” mi porse una scatola bianca, contenente un vestito viola non eccessivamente lungo ed elegante. Ma come io mi aspettavo rilassante bagno con successivo massaggio alla schiena, e mi ritrovavo ad uscire. Potevo tenare una piccolissima opera di convincimento. Posai lievissimi baci sul suo collo, premendo la mia mano contro la mascella e trasmettendo le immagini di noi due immersi nella schiuma bianca della vasca. Mentre con le labbra percorrevo il collo fin dietro l’orecchio il suo respiro prese ad accelerare. Stava per cedere o per lo meno lo credevo. Con fatica e riluttanza prese le mie spalle discostandomi per guardarmi negl’occhi “Non fare la bambina cattiva, dopo faremo tutto quello che vuoi ma adesso vestiti!” aveva ancora la voce tremante, sgranai gli occhi improntando un’espressione da cerbiatto per sfinirlo. Sbuffò chiudendo le palpebre per evitare di guardare la mia espressione supplichevole e rimarcò un “Dopo!” perentorio. Mi sistemai al meglio, con il bel vestito, un filo di trucco ed i capelli raccolti. Dopo poco mi ritrovai bendata in auto e neanche le mie ripetitive domande riuscirono ad estrapolare un’informazione. Quando mi levai la benda rimasi atterrita. Non potevo crederci dove mi stava portando.

“Jake, io non so che dire!” lo spettacolo era finito da circa un ora, ci ritrovammo a passeggiare mano nella mano per le strade di Seattle. Che stupida che ero stata a non voler uscire, era stato così romantico, dolce. E che incredibile sforzo aveva fatto.

“Quando hai letto sul giornale che a Seattle ci sarebbe stato, i tuoi occhi hanno brillato, era d’obbligo che ti ci portassi!”

“Jake, ma questo … è … è … balletto! Non è il tuo genere … e tu eri lì con me … e non ti sei addormentato …” mentre sparavo a raffica tutti i sacrifici che aveva fatto per portarmi a vedere il ‘Romeo e Giulietta’ il meraviglioso balletto musicato da Prokofiev, agguantò la mia vita e prese le mie labbra in un caldo bacio per zittirmi. Poi si discostò da me guardandomi negl’occhi e persi nuovamente i contatti con la realtà.

“Ti posso confessare una cosa?” sussurrava dolce al mio orecchio, rendendo ancor più magico quel momento.

“Mh, mh!” non riuscivo bene ad articolare altro.

“Non ho guardato molto lo spettacolo …” le mie labbra si piegarono involontariamente in un sorriso in risposta alle sue parole intervallate da quella splendente mezzaluna descritta dalle sue labbra felici. “Non ho fatto altro che fissare il tuo viso tutto il tempo. Eri così bella che non ne ho potuto fare a meno: ogni tuo cambiamento con lo svolgere della storia, la tua commozione, quella lacrima che scendeva lenta. Eri felice davvero, e non ti ho vista così da un po’!” lo baciai non con fame, non con urgenza. Era timido, dolce quasi stessi esplorando le sue labbra di nuovo.

 

La superstrada schizzava ai lati dei finestrini, volevamo tornare a casa per concludere quella splendida serata. Chiusi la porta con forza e mi schiacciò contro di essa liberandosi dalla giacca senza mai staccarsi da me. Percorreva il mio collo, il mio petto, con le mani scivolò dalle spalle verso il basso, cercando la cerniera dietro la mia schiena. Inavvertitamente se ne ritrovò una metà in una mano e la restante parte svolazzava leggera fino al pavimento. Lasciandomi in quella fine biancheria intima che sicuramente stava accendendo ancora di più il suo desiderio. Ci scambiammo uno sguardo interdetto e malizioso. Più volte guardai la stoffa nella sua mano e poi lui.

“Ops!” esclamai con un sorriso furbetto “Alice non sarà contenta!”

“T’interessa?” chiese riprendendo  baciare il mio collo. Il suo calore era aumentato, mi faceva sentire come se fossi in un deserto in pieno Agosto e con addosso un maglione di lana. Ormai il mio potere era completamente fuori controllo, ad ogni mio tocco scorrevano immagini che illustravano pienamente le mie intenzioni. Lo sentivo sogghignare felice mentre il mio desiderio accresceva nel suo. Solo l’ultimo sbottonò definitivamente lasciandoci sconvolgere dalla passione con cui avevamo iniziato.

< Ti amo e ti voglio! > mi trovai avviluppata a lui. Allacciai le mie gambe attorno alla sua vita. Finalmente eravamo soli ed io non ero tesa e stressata. C’era aria di pace, aria di speranza. Non riuscimmo nemmeno ad arrivare alla camera da letto. Avvenne più volte: contro una parete in preda al più profondo istinto animale, sul divano, a terra . Avevo bisogno di sfogo e quale migliore sfogo se non sfruttando il proprio marito. Ero sfinita da un lato, ma felice ed inevitabilmente appagata. Jacob si stava facendo una doccia. Fare l’amore con lui era sublime ma decisamente stancante e soprattutto turbinoso, visto che c’erano brandelli di stoffa che intercorrevano la breve distanza dalla porta d’ingresso al divano. Indossavo la sua camicia, non per pudore ma per mantenere ben saldo il suo odore su di me. Per non sembrare Cucciolo avevo arrotolato le maniche sul mio avambraccio, comunque la sua lunghezza mi copriva quasi fino al ginocchio. Stavo infilando l’ultimo bottone utile nell’asola quando notai in terra, il libro che il pomeriggio stavo leggendo.  Per la sorpresa e la fretta me ne ero dimenticata. Era scivolato quasi completamente sotto il divano, si vedeva solo un angolino. Lo presi fra le mie mani ed un sorriso, nuovo nostalgico nacque spontaneo. Quello era il regalo di mio padre dopo il nostro primo vero litigio, quando per la prima volta avevo deciso di impormi nei suoi confronti, quando lo avevo mandato al diavolo con i conseguenti tre giorni di assoluto silenzio. Lo trovai sul mio cuscino due sere dopo essermi ribellata a lui. Ricordavo tutto di quel momento: aprii la copertina e non mi sorprese di non trovarci scritto ‘Scusami perché … ’ ma bensì una serie di numeri, che indicavano delle pagine non in ordine progressivo. Andai subito a cercarle e vi trovai sottolineate delle frasi ed, al piede delle facciate, delle annotazioni:

Non dar retta ai tuoi occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda col tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola.

-Osserva non guardare distrattamente. La tua mente è più grande di quello che puoi pensare, studia il contorno e trova quel che cerchi-

Puoi arrivare da qualsiasi parte, nello spazio e nel tempo, dovunque tu desideri.

-Io posso solo indicarti la strada, accompagnarti se mi vorrai al tuo fianco, di certo non posso legarti e trascinarti dove io penso sia giusto, spero solo che vaglierai i miei consigli e che li prenda in considerazione-

Ed egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare.
Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano.

-Noia interrotta quando tu e tua madre entraste nella mia esistenza, paura che io non fossi abbastanza per seguirti, rabbia per essere stato spodestato, vita che è diventata breve nel momento che ti stai scoprendo donna ed indipendente-

Ci solleveremo dalle tenebre dell'ignoranza, ci accorgeremo di essere creature di grande intelligenza e abilità.
Saremo liberi!
Impareremo a volare! 

-E tu sollevata dalla ignoranza sarai libera di dispiegare le tue ali, sarai sempre libera di volare!- (Citazioni da Il gabbiano Jonathan Livingston/ Richard Bach)

E ad ogni parola una lacrima perché con la sua poesia esprimeva il suo amore nei miei confronti. Quando finii di leggere quel suo biglietto di scuse apparve alla porta della mia camera dicendo che se volevo potevo cancellare le sue annotazioni. Non l’avevo fatto e non me ne pentii mai. Ed ora potevo riutilizzarlo. Volevo che Sarah leggesse quel libro. Volevo che si rispecchiasse anche lei in Jonathan, che vedesse come si può raggiungere la vetta solo grazie alla propria forza di volontà. La mia piccola e forte Sarah. Doveva imparare a crescere e a diventare migliore. Stavo lentamente librandomi in aria, sorvolando il cielo ed il mare alla ricerca della planata perfetta quando il mio lupo avvolto da solo un telo legato alla vita scese le scale asciugando i suoi capelli neri con un altro. Era bello, indiscutibilmente bello. E forse io non meritavo così tanta devozione.

“Ehy, stavi leggendo ti ho disturbata …”  baciò la mia guancia, subito dopo essersi seduto accanto a me, ed io negai scuotendo la testa. Incuriosito alzò la copertina dalle gambe per osservarla concentrato “Ma questo non è il regalo tuo padre, con le sue scuse, per ‘non saprò mai’ quale discussione?” mi accoccolai crogiolandomi fra le sue braccia. Stavo stretta con il viso posato sul suo cuore ad ascoltare ogni minimo battito. La sua mano passava fra i miei capelli. Amava compiere quel gesto. Sprigionava tutto il mio odore, come quando in primavera una brezza leggera scuoteva i pollini liberandone il potere procreatore.

“Si, mi piacerebbe che anche Sarah lo leggesse!” i suoi battiti accelerarono ed un leggero gorgoglio partì inesorabile. Erano giorni che parlando di nostra figlia lui subiva quella reazione. Ma come biasimarlo. Con lei aveva un rapporto speciale, condividendo una natura affine, sapendo perfettamente il percorso che avrebbe intrapreso. Il non conoscere un aspetto della figlia lo faceva ribollire di rabbia e gelosia. Sapere che c’era un qualcuno che le facesse battere il cuore, lo corrodeva fino alle ossa.

“Perché?” stavo per rispondergli quando però il rumore di un auto diversa dal solito catturò la nostra attenzione. Sollevai la testa udendone meglio le sfumature di quel rombo stentato ed affaticato, una macchina stanca che ne aveva viste parecchie “La macchina di Sam?”

“Cosa ci fa qui?” appena realizzai presi i vestiti a terra e mi ricomposi come meglio potevo affrettandomi. Lo stesso fece Jacob “O mio Dio! Sarah ed EJ” Mi precipitai alla porta prima ancora che potesse suonare. I ragazzi scesero dai sedili posteriori con Nate e Sam. C’era qualcosa di strano, qualcosa che mi stava profondamente spaventando. Cosa avevano combinato per richiedere l’intervento di Sam? Osservai i miei figli. EJ circondava le spalle della sorella che sembrava proteggersi con le braccia al petto. “Cosa sta succedendo?” guardai negl’occhi Sam che non accennava a staccarli da Jake alle mie spalle.

“EJ portiamo Sarah nella sua stanza!” io stavo letteralmente scoppiando. Non riuscivo a capire ma sapevo che erano coinvolti i miei figli. Sapevo che di mezzo ci stava andando Sarah. Scambiai velocemente uno sguardo con lei che invece guardava solo in basso osservando il terreno.

“Sam cosa sta succedendo?”avevo persino dimenticato le buone maniere, non l’avevo invitato ad entrare, non volevo mi premeva solo sapere cosa l’aveva spinto ad arrivare fino alla nostra casa. Stavamo in piedi sull’uscio di casa osservandoci intensamente.

“Dobbiamo parlare di Sarah!”  un tuffo nell’ignoto. Un salto nel vuoto che rivolta lo stomaco e lo fa diventare solo una poltiglia informe. E sprofondai, perché le sensazioni di una madre che sente un proprio amico con quell’intonazione che vuole parlare della figlia non lasciava spazio al sollievo. Angoscia. Paura. Terrore. Ed era sempre più un crescendo. Da quanti secondi non respiravo? Mi poggiai allo stipite della porta, in preda alla mancanza d’ossigeno, sentivo la testa vorticare. “Nessie, tutto bene?”

“No, finché non mi spieghi cosa ci fai qui!” e lo dissi con rabbia e frustrazione.

“Renesmee …”

“No, Jacob ha ragione!” Sam avanzò di un passo ed un altro ancora fino a raggiungermi “Entriamo!” non mutava più da quando quella notte di oltre dodici anni prima mi aveva salvata, eppure, nonostante stesse invecchiando Sam aveva ancora quel calore da lupo. Ormai era stabile ma tendeva a non avvicinarsi a casa nostra dove i vampiri erano a pochi metri di distanza, risvegliando il suo lato animale. Afferrò le mie spalle conducendomi in casa, non riuscii a sedermi rimanendo accanto a Jacob era ancora in silenzio, non accennava a parlare come se già sapesse cosa ci stesse per dire “Sono preoccupato per la tardata trasformazione di Sarah. All’inizio pensavamo …”

“Pensavamo?”

“Nel consiglio ne stiamo parlando da tempo!” da quando Sam aveva ceduto la gestione del branco a Jacob, riunendo le due fazioni in una unica era entrato a pieno regime a far parte del consiglio. Molti ragazzi della riserva erano riusciti a ritornare alla normalità abbandonando la vita da licantropo. Con la tregua stabilita e la mia famiglia lontana dalle terre Quileute, il branco si ridusse drasticamente fino a sette elementi. I più forti fra tutti. Quil, Embry, Seth, Jared, Paul, Leah e il mio Jacob. L’assenza di ostilità permetteva di tener sottocontrollo il risveglio del gene e le breve apparizioni di vampiri durante il regno dei Cullen in attesa dei nuovi Volturi, non fornì il tempo necessario per scatenarsi con la stessa potenza di quando era appena una bambina. Per questo la discendenza dei membri attuali era di vitale importanza diventando argomento centrale delle discussioni in consiglio. Quando i nostri figli sarebbero stati pronti, la vecchia guardia avrebbe smesso. I primi a lasciare i loro posti sarebbero stati Jared e Paul, sostituiti da Nate e Sarah. Ma Sarah tardava a trasformarsi. “Pensavamo che fosse dovuta alla sua età anagrafica, ma osservandola abbiamo capito che il suo corpo è pronto, ma c’è qualcosa che la blocca!”

“Pensate che il sangue di vampiro che circola nelle sue vene la stia bloccando?”

“Aveva ragione Billy. L’imprinting conduce al rafforzamento del gene. Non a caso il nipote di Ephraim Black ha avuto l’imprinting con una mezza vampira. Sarah ha dei sensi impareggiabili, un’agilità ed una forza unica nel suo genere superiore ad entrambe le specie, con una estrema capacità di gestire le emozioni cosa che le permetterà di mutare senza rischiare di ferire qualcuno di non essere sopraffatta dagl’istinti …”gli aveva tremato la voce impercettibilmente, vedevo nei suoi occhi gli artigli forgiare il viso di Emily disegnare quel’angolo dell’occhio in una smorfia triste. Quanto rammarico si poteva leggere in lui, quanto dolore poteva avergli provocato il ferire la sua anima gemella.  “Ma la sfera razionale che riguarda la sua sfera da vampiro non le permette di sfociare in un’emozione abbastanza potente per consentirle la prima trasformazione! Nemmeno la presenza di qualche sangui … vampiro sembra condurla alla mutazione!” non potevo crederci. Noi la credevamo eccessivamente agitata, invece era solo eccessivamente controllata. “Il problema più grave sta nella lotta che sta avvenendo al suo interno. Il corpo sta rispondendo al richiamo, le sue emozioni no. E questo la ferma ad un bivio. Ma deve uscirne, deve trasformarsi!”

“Con i suoi tempi Sam!”

“I tempi sono maturi, Jake Sarah si deve trasformare o rischierà di auto distruggersi!” nessuna tranquillità, nessun semplice problema di quelli che potevamo superare. Di nuovo quelle maledette leggende a determinare il mio destino ed ora quello di mia figlia. Mi mancò il respiro e mi ritrovai seduta con la testa fra le mani. La mia bambina. La mia bambina. La mia bambina. Per la prima volta mi sentii stanca, incapace di reagire. Sulla mia pelle avevo segni del mio vissuto: sangue, dolore, paura e morte erano stati solo il principio di quello che avevo affrontato. Ma quando di mezzo c’era la cosa che hai di più caro al mondo, tutto si sgretola e diventa vano. Jake se ne accorse, vide in me lo sconforto vide in me l’abbandono delle forze e prese in mano la situazione.

“Cosa pensate di fare?”

“Dobbiamo far prevalere l’emozioni, lasciare che s’abbandoni completamente l’istinto, farle provare della rabbia del risentimento …” una fonte di rabbia e risentimento ero io. Proprio nel momento in cui sembrava che stessi appianando i miei problemi con lei li dovevo far riemergere e provocarla. “ … anche la presenza di qualche vampiro potrebbe essere d’aiuto!”

“Quelli non ci mancano!” scherzava Jake, scherzava io non ne avevo alcuna voglia. Ma ero troppo assorta nei miei pensieri, troppo presa dal nuovo compito che mi era stato assegnato.

 

Avevo provato in tutti i modi a prendere sonno. Ma il risultato era sempre uno. Attorcigliarmi nel groviglio di lenzuola che aveva deciso di intrappolarmi come le spire di un boa. Jacob si era prodigato in breve tempo a svegliare e riunire il branco per affrontare il frangente Sarah, poco dopo essersi accertato che stavo bene. L’urgenza era imminente e la gravità della situazione, seppur mascherata da un’ombra di sicurezza che cercava d’imprimersi, mi destabilizzava. Mi alzai districandomi con difficoltà dalla stoffa che mi avvolgeva. Mi sentivo assolutamente debilitata, spossata ma il riposo tardava a raggiungermi. C’era sempre qualcosa che doveva andare storto ed il prezzo era troppo alto per ignorare il tutto. Di nuovo uno dei miei figli in ballo. Di nuovo io a dover risolvere la situazione. Il futuro di mia figlia era sempre più oscuro e più provavo a guardare oltre e più la mia sensazione d’impotenza si rendeva presente. Avevo bisogno di respirare di sentire il fresco della notte che in ogni teoria presente e passata avrebbe dovuto portarmi consiglio. Ma perché invece nutriva solo i miei dubbi? Odiavo la mia di cecità, come Alice odiava la sua nei nostri confronti. L’ignoranza e il non saper per me era sempre stata causa di una fortissima ansia. Nel mondo l’ottenebrazione della mente aveva permesso il dilagare della stupidità e della cupidigia, elargendo periodi storici tenebrosi come l’inquisizione, il periodo del terrore, Salem. La paura dell’ignoto aveva scosso i deboli cuori degli umani trasformandoli loro stessi in mostri, così che i veri mostri passassero inosservati. Bel periodo per i vampiri che potevano contare nella distrazione dei nostri coinquilini, deviando la loro attenzione con false scuse di eresia. Tutto era nato solo ed esclusivamente per una semplice paura di ciò che non si conosce. Un’epidemia, un raccolto andato a male, un incidente. Il semplice destino  diventato l’estenuante ricerca di un capro espiatorio dubbio, ricreando nell’immaginario collettivo l’idea di streghe, maghi e folletti figli del demonio, partoriti e generati sono nelle menti di persone ingenue e facilmente malleabili. Persino mio nonno era caduto nella tela dell’ignoranza in quel tempo, finendo intrappolato nel nostro mondo. Ma era poi così giusto indurla in una condizione che avrebbe significato solo una serie di rinunce? E a quali conseguenze avrebbe portato? Non mi accorsi di essere seduta sul portico fuori di casa, talmente sovrappensiero che solo le mani di Jake, così differenti dalla temperatura  esterna mi consentirono di tornare con i piedi per terra permettendomi di distinguere la voce di mio marito. Sentivo le sue dita bollenti accarezzarmi dolcemente le spalle, addosso tenevo solo la sottoveste di seta che utilizzavo per dormire coprendo appena il mio busto ed ero scalza.

“Nessie, sei gelata, perché non rientri?”

“Cosa hanno detto i ragazzi del branco?” ogni decisione in collettività. Più menti in una ed in questo lo ammiravo tantissimo. Lui sapeva gestire i suoi sottoposti senza far prevaricare il suo giudizio. E pensare che non si sentiva pronto a diventare l’unico alfa, ora invece sembrava nato per fare quello. Anzi era nato per esserlo e così Sarah.

“Hanno tutti a cuore la salute di nostra figlia, l’aiuteranno a mutare!” lo vidi vacillare e sorreggersi al sottile pilastro accanto agli scalini. Sospirò a pieni polmoni, qualcosa era andato storto.

“Cosa è successo?”

“Leah …” a quel nome sussultai “ … non vuole che Sarah muti!”

“Perché?” lo sapevo già e comprendevo ,a avevo bisogno di spiegazioni.

“Non vuole perché la mutazione per una donna pregiudica la possibilità di avere dei figli, perché ha paura che diventi come lei! La vede come una condanna e quando ha saputo che la sua estrema razionalità blocca la mutazione, ci ha pregato di non forzarla, di lasciarla libera anche per tutta la vita, di darle la possibilità di crescere il più normalmente possibile!” posò la sua spalla come se il peso del suo corpo gravasse eccessivamente sul suo equilibrio, la maschera di sicurezza che mi aveva mostrato stava definitivamente crollando “Ma il consiglio …”

“Avete già contattato il consiglio?” ero impietrita e assolutamente stupita.

“Sarah in un futuro prenderà il mio posto, la sua salute e la sua mutazione è di vitale importanza, sono stato costretto ad indire una riunione del consiglio anche in piena notte!”  più passavano gli anni e meno riuscivo a capire tutte le regole che riguardavano il rapporto tra branco e consiglio. Anzi mi annoiavano, perché io dovevo già guardare le numerose regole del mio di mondo, non potevo dedicarmi anche a quelle di mio marito. Sapevo che era una cosa orribile, ma Jake era stato comprensivo e in pochissimi casi mi aveva coinvolta nelle questioni politiche. “Comunque il consiglio pensa che sia meglio indurla alla trasformazione, nessuno vuole verificare se le teorie di Sam sono esatte o meno!”

“Leah ha ragione!” mi trovai a vagare con lo sguardo nel buio, completamente smarrita e con la vista appannata “Sarà costretta a vivere una vita fatta di rinunce, Dio Jake! Cosa le dovrò fare? Cosa succederà a Sarah? E poi come la indurremo a diventare un lupo? Come? Dovrò tornare proprio ora a discutere e litigare come non facciamo da giorni?” la voce mi tremava, ero terrorizzata non tanto per la sua di sofferenza quanto per la mia. Se io l’avessi provocata avrei distrutto tutto quello era riuscita a costruire. Me la sarei resa definitivamente una nemica. Le avrei strappato le ultime speranze di una vita che di normale avrebbe avuto ben poco, ma che almeno sarebbe stata minimamente semplificata rispetto alla sua natura.

“Non è necessario che tu sia presente! Non devi essere tu ad indurla a trasformarsi!”

“Ah no Jake?” avevo alterato la voce, stava raggiungendo parecchi decibel sopra la media “Con chi Sarah esprime tutta la sua rabbia,Jacob? Con chi sbraita ed urla? Con chi mostra il suo lato aggressivo?” ed a ogni domanda lo spingevo allontanandolo di pochi millimetri. Lui non mi fermava lasciava solo che io lo strattonassi e lo colpissi“Con chi è sempre pronta a ribattere anche se non è nella ragione?  Jacob chi può far uscire il peggio di lei? La vuoi la risposta Jacob? Io, io sempre io!” un fiume in piena, una brocca ricolma e mi ritrovai a prenderla con lui che mi prese nuovamente fra le sue braccia cercando di calmarmi. Mi conosceva così bene che già sapeva come comportarsi e dopo il mio sfogo fisico cominciò ad accarezzarmi dolcemente per calmarmi. Affondai il viso sul suo petto e mi abbandonai completamente.

“Shh, stai calma mostriciattola! Vedrai passerà tutto!”

“E se ti sbagli se tutto questo la conducesse ad odiarmi ancora di più?” mi scostò lentamente per permettergli di guardarmi negl’occhi sollevando il mio viso verso di lui.

“Non mi sbaglio! Ed adesso prendiamo in mano questa situazione e risolviamola!”

“Come fai a restare così calmo?” mi baciò delicatamente sulle labbra e sul naso come si fa con una bambina.

“Ti ricordo che io ci sono passato. Il periodo prima della trasformazione è duro e pericoloso, sia per se stessi sia per gli altri! Non sarete da sole, con voi ci siamo tutti! Io, EJ tutte le sangui …!”

“Jake …”  

“Finalmente un vero sorriso!” si ce l’aveva fatta, con la sua solare spontaneità “Posso ritenermi soddisfatto!” poi improvvisamente si fece serio mi osservò intensamente con le sue perle d’onice ed io ne rimasi abbagliata “Ti prometto che non succederà nulla!”

 

Note dell'autrice: Eccoci al Pov Nessie, che si gode una serata romantica con Jake e poi arriva la mia personalissima mazzaroccata sulla testa. Ora non vi dico come continua o rischio di dirvi troppo. nu nu! me malefica. Si Sarah non riesce ad esplodere, ho voluto dare un po' di spazio alle dinamiche di branco in questa parte rispetto ai ruoli dei vampiri. Comunque non temete fra un paio i nostri amati Cullen torneranno. 

SPIEGAZIONE TECNICA: Nelle citazioni le parti in grassetto sono le annotazioni di Edward!

kekka cullen: grazie mille per i complimenti! Spero che un minimo dei tuoi dubbi siano stati diradati. Comunque il prossimo sarà uno dei centrali, già già!

Lione 94: Carra mia! Il problema essenziale non è il dolore ma il blocco. La trasformazione è stata sempre descritta come un'esplosione ma se il contenitore cerca di resistere come ne risulta? distrutto. Questo può essere un vantaggio ma uno svantaggio per chi non sa ancora gestire la propria natura. Ewan McGregor e Nicole Kidman sono fantastici in moulin rouge, le musiche le canzoni, le cover tutto fantastico. E poi è romanntico fino al midollo cosa chiedere di più? ^^ anch'io lo adoro, comunque in questa parte ho messo molto della mia variegata cultura, dalla filosofia ai cartoni animati quindi aspettati citazioni come per esempio in questo capitolo le scuse di Edward a Nessie per la loro famosa litigata per via di Jake quando era ancora una ragazzina (per intendereci il ricordo di quando lei aiuta Jake a studiare capitolo XXI della prima parte di moon e gli dice che ha litigato con Edward) .

never leave me: ti aspettavo!!!^^ senti c'è un postio libero nella stanza delle mie adulazioni se vuoi! scherzi a parte: Dante è stata una parte importante della mia formazione, l'ho amato e lo amo tutt'ora quindi mi piace riportare anche la parte della mia cultura che influisce molto anche sul mio modo di scrivere (ho letto troppo nella mia vita =_='). Si in effetti fra di loro è avvenuto il contrario, quello che avrebbe dovuto creare astio le ha appianate ma per poco perchè ora dovranno affrontare molti più problemi tra cui anche la trasformazione. Al prossimo capitolo!bacissimi!

Ringrazio sempre tutti, vi adoro!

Malice

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Capitolo 34
*** CAPITOLO VII: In Frantumi. ***


CAPITOLO VII: In Frantumi.

POV Sarah

Non avevo staccato le orecchie un secondo dalla loro conversazione. Avevo ascoltato ogni parola di Sam, il suo allarme, la sua angoscia. La cosa più tremenda era mia madre. Per lei era ancor più dura. Papà mi parlava mi capiva, ma per lei voleva dire tutto o niente. L’unica certezza risiedeva nel fatto che, se non mi fossi trasformata al più presto, ne sarei stata distrutta. EJ e Nate mi avevano sconsigliato di origliare, ma la mia curiosità era enorme.  In fondo stavano parlando di me, della mia vita. Perché doveva essere così complicato? Invidiavo mio fratello. Sapeva esattamente cosa fosse. Aveva una precisa collocazione negl’equilibri del nostro universo parallelo. Si trovava benissimo in mezzo ai lupi come se fosse uno di loro, con il suo istinto da predatore impeccabile. Forte come un lupo, preciso come un vampiro. La sintetizzazione delle due specie. Era perfetto. Ed io invece. Mi trovavo ad essere troppo licantropo per un vampiro e troppo vampiro per essere un licantropo. Nate era tornato a casa con lo zio Sam, lasciandoci soli nella mia stanza. EJ sedeva accanto a me sul letto avvolti solo dalla luna, bianca pallida come la nostra pelle. Sembrava di essere sommersi da una nebbia di luce, fioca, debole come lo ero io. L’ostentata sicurezza non c’era più, io stessa non c’ero più. Dov’era la Sarah, dolce e forte che tutti ammiravano? Che fine avevo fatto? Mi guardavo allo specchio e non c’ero più. Non mi riconoscevo, non avevo un’ubicazione, mi sgretolavo piano, piano.

< Aventi non fare la piagnucolosa non è da te! > me lo ripetevo ogni minuto, tanto per sentirmi in forze. Niente la mia spavalderia era finita dritta nel cesso! Mi restava solo la speranza che nessuno tirasse lo sciacquone, non permettendomi di risalire. Portavo ancora sulla pelle l’odore della salsedine, come uno schiaffo doloroso di quello che mi stava accadendo. Mordendomi il labbro ne sentii anche la sapidità del mare. Se m’avesse visto il nonno compiere con tale naturalezza questo gesto, sarebbe impazzito. Forse lui mi avrebbe potuto aiutare, o per lo meno consigliare. Tutto di me gridava aiuto, tutto tranne il mio orgoglio che mi sussurrava mellifluo ‘non ti serve l’aiuto di nessuno, fai vedere di che pasta sei fatta, fai vedere che sai essere alla sua altezza’.

“Sarah …” EJ, era la prima parola che diceva da ore ormai. Non mi guardava teneva lo sguardo dritto verso la parete con la bocca semichiusa come se volesse esprimersi ma ne avesse paura. Mi aveva chiamato con il mio primo nome, era preoccupato. Povero EJ. Tra i due lui era quello che più risentiva della tensione sicuramente era confuso a dover prendere il mio ruolo per una volta, a dovermi sostenere. Non volevo caricarlo, ma lui era necessario, questa volta mi serviva che fosse pronto a sostenermi.

“EJ!” affermai decisa, lui voltò lentamente il viso continuando a mantenere socchiuse le palpebre “ EJ, ho tanta paura!” non rispose immediatamente. Prese solo la mia mano  sospirando. E finalmente mi concesse i suoi occhi, quel verde che era anche il mio solo un po’ più chiaro. Con la sete che avanzava si scoprivano piccole pagliuzze nere e diventavano ancor più intensi.

“Ti ricordi quando la mamma perse la memoria?” la sua domanda retorica non necessitava di risposta. “Tu mi hai detto che qualsiasi cosa fosse accaduta l’avremmo affrontata insieme, sarà così anche questa volta! Con la differenza che ora sono io quello che ti deve sostenere!”

“Ce la farai!”

“Per te non mi tirerei mai indietro lo sai!” in quel momento il sorriso di papà inondò la sua faccia mentre due piccole fossette come quelle della mamma si scavarono nelle gote pallide “Sarah, ti voglio bene! Anche se sei una gran rompiscatole isterica! Sei la mia sorellina non riuscirei ad abbandonarti nemmeno se lo volessi!” non mi trattenni e dopo tanti anni mi ritrovai ad abbracciare EJ. Mi teneva stretta a sé e mi sentii al sicuro “Non sei sola sorellina ci saremo tutti!” e quella notte io e mio fratello dormimmo nello stesso letto come quando da bambini o io o lui facevamo un brutto sogno, quando il divieto di andare nel lettone dei nostri genitori era diventato imperativo. Il mio fratellino. Era nato esattamente quattro minuti dopo di me con molta più fatica. Carlisle mi aveva raccontato più volte della nostra nascita. Io ero nella posizione giusta, EJ non aveva fatto in tempo a girarsi e stava per nascere podalico. Dopo la mia uscita lui si era posizionato nella maniera corretta evitando così un eventuale cesareo d’urgenza, che sarebbe stato piuttosto complicato vista la placenta di marmo che ci proteggeva. Pronto a sistemare i miei pasticci già dal principio. Come quando stavo quasi per azzannare Damian. Lo aveva sentito ed avaeva sentito il dolore che la mancata trasformazione mi stava causando. Eravamo esattamente due corpi un anima. Il nostro rapporto era decisamente difficile da spiegare. Certo come tutti i fratelli ci azzuffavamo di continuo, ma sapevo che se fosse stato necessario eravamo pronti a sacrificarsi l’uno per l’altra.

 

La caccia con Gabriel. L’avevo programmata per il giorno seguente e sinceramente me ne ero dimenticata. Dovevo nutrirmi comunque e con quello che stavo vivendo era meglio che mi tenessi in forze. Peccato che EJ facesse parte del pacchetto. Lo accettai ma senza prima avergliele promesse, soprattutto per nostro padre, per farlo stare più tranquillo. In realtà sapevo perché ci avevano mandati a caccia. Discussioni da adulti, i ragazzini fuori con il baby-sitter di turno. Peccato che l’argomento in questione ero proprio io. Forse non avrei acconsentito così di buon grado se ad accompagnarci non fosse stato Gabriel, sempre con quella zavorra di EJ tra i piedi. Gliene avrei date tante al nostro ritorno, che se le sarebbe ricordate per un’eternità. Tra di noi c’era un silenzio spinoso, nonostante correvamo ognuno per conto proprio alla ricerca di qualche scia, si sentiva che quell’aria divisa per tre era decisamente pesante. Decisi allora di abbandonarmi ai miei sensi, bloccandomi bruscamente accanto ad un albero. C’era odore di pelo bagnato. Girai attorno ad esso e vidi dei gambi di fungo recisi da denti ruminanti. Inspirai profondamente ogni particella d’aria e ne suddivisi il loro sentore. La selvaggina stava andando in letargo anticipatamente, i grandi predatori scarseggiavano mi sarei dovuta accontentare di quel cervo che stava mangiando gli accenni autunnali del bosco. Dovevo trovare il suo sangue. Corsi velocemente verso quel drappo salino, quell’odore di ruggine corrosa nelle vene. La mia visuale fu occupata da una cerbiatta, dal profumo dolce. Arrestai la mia corsa ed i suoi occhi mi colpirono come una schiaffo in piena faccia. Per un attimo il volto di mia madre passò alla mia vista per poi scomparire lasciando il posto all’istinto. Mi avventai su di lei e con un morso chirurgico recisi la carotide. Fece due passi decisi, al terzo barcollò e cadde inerme. Dal suo collo zampillava del sangue. Dodici secondi. I dodici secondi più lunghi di tutta la sua esistenza. I dodici secondi che separano la vita dalla morte. Il mio metodo di uccisione era il più indolore di tutti. Un morso netto sulla gola e poi l’animale si trovava esanime a terra. Non amavo giocare con le mie prede, certo con i puma e gli orsi era più difficile, loro combattevano non scappavano. Per loro la morte era di almeno centoventi secondi, il tempo di spezzargli la trachea. Quale lasso di tempo era il migliore? Dodici secondi un intervallo accettabile per morire. Di certo migliore di una lenta agonia. Non volevo pensare alla mia morte, non volevo perché sentivo il suo sguardo vuoto pronto ad accogliermi. Vedevo il suo teschio bianco osservarmi con i denti esposti in un ghigno perenne. Meglio i dodici secondi da cerbiatto o la lotta di centoventi da puma?

“I centoventi …” sussurrai fra me e me, sicura che l’unica ad ascoltarmi fossi io. Non lasciai che niente venisse sprecato e ne bevvi avidamente il contenuto  sentendomi rinvigorita. Il richiamo del sangue per me non era forte, mi bastava poco per stare immediatamente meglio. Preferivo di gran lunga nutrirmi di cibo normale, a differenza di EJ che se  poteva lo evitava come la peste. Non gradiva affatto mangiare come un umano, ma a detta del nonno anche la mamma era così e per abituarla ci vollero le azioni combinate di squisiti dolci di Esme, le prelibatezze di Sue e le squisite leccornie di Edward o di Bella all’occorrenza. Non contando i ricatti di mio padre anche se non potendo resistere alle richieste della mamma, si mangiava metà delle sue porzioni fingendo che fosse stata lei a finirla.

“Principessa, hai finito con la cerbiatta?” piccoli raggi di sole s’infrangevano nel mare blu dei suoi occhi, con  riflessi che lo rendevano ancor più affascinante. In quelli di mia madre o di EJ quelle piccole e momentanee pagliuzze d’oro sembravano essere parte del colore delle loro iridi ma nei suoi spiccavano come una macchia di colore su di una tela vergine. Secondo Carlisle erano dovute alla presenza nel loro sangue di una parte di veleno, anche se mia madre non era velenosa e nemmeno EJ che da neonato non aveva fatto altro che mordere chiunque con pelle tenera gli capitasse a tiro. Io per certo non ne avevo, troppo licantropo per essere vampiro. Ma al contempo sentivo la sete ed ero aggraziata e razionale, non concedendomi a delle emozioni  che mi avrebbero permesso la trasformazione. Troppo vampiro per essere licantropo. “Tutto a posto Sarah?” ero così persa nei miei pensieri che Gab si era avvicinato tremendamente a me. Il mio cuore aveva cominciato a balbettare, la mia testa a sragionare ed improvvisamente mi trovai senza aria, sospesa nel suo profumo inebriante. Mi toccava raramente e in brevissimi momenti, per via del suo potere che si trasmetteva solo al contatto. Ma non sapeva che non sarebbe servito perché io mi sentivo già sua. L’amavo e glielo avrei gridato presto perché non potevo più tenere dentro di me un tale sentimento. Troppo umana per  essere entrambi.

“EJ?” chiesi farfugliando.

“Ha seguito una scia verso Ovest ed ha oltrepassato il confine è nel territorio Quileute io non l’ho potuto seguire!” il patto. Nonostante Gabriel non fosse un vampiro completo, non gli era permesso entrare in territorio Quileute. Se mio padre gli avesse dato il suo consenso non ci sarebbero stati problemi, ma non era per niente intenzionato a lasciare Gab in giro per la riserva. E si ritornava a quell’astio senza fine che non riuscivo a comprendere. “Comunque non c’è da preoccuparsi la zona è controllata ci dovrebbe essere qualcuno di ronda, cominciamo ad avviarci verso casa?”

“Va bene!” avevo squittito come un topolino, emozionata di passeggiare fianco a fianco a lui. Camminando notai ancora una volta come era veramente bello. Con quei suoi capelli color dell’ebano che gli ricadevano sulle spalle e quegl’occhi capaci di stregarti. Il naso greco impresso sul marmo lunense  (ndr marmo di Carrara) e quelle labbra sanguigne da osservare muoversi mentre parlava, mentre sorrideva, immaginarle sulle mie. Un potente brivido mi percorse destando la sua preoccupazione.

“Hai freddo?” lo disse in maniera scettica, Negl’ultimi tempi la mia temperatura era salita fino a quarantatre gradi cosa che faceva ben sperare in una trasformazione imminente.

“Non dire sciocchezze!”

“Cosa significa centoventi?” lo guardai storta, mi aveva sentita? “Prima di mordere la tua preda hai sussurrato centoventi …”

“Nulla …” < Significa che combatterò, non mi arrendo facilmente! > rimase in silenzio per qualche secondo guardandosi attorno. Poi si spostò di fronte a me bloccandomi la strada, prese le mie spalle ed io soffrii improvvisamente una forte mancanza di aria.

“Allora ti decidi a dirmi cos’hai?”

“Niente!” lo dissi troppo in fretta per non far insospettire una persona perspicace come lui. Si fermò ed io avanzai di qualche passo fingendo di non capire.

“Sarah è da un po’ che sei molto strana, c’è qualcosa che non va?”

“Mi sembra ovvio che c’è qualcosa che non va Gabriel …” non volevo dirglielo così su due piedi, in una circostanza non del tutto libera, con la mente offuscata da mille preoccupazioni e timori.

“No, no c’è qualcos’altro! È da un po’ che sei cambiata da prima troppo prima perché centri la trasformazione …” era arrivato il momento che mi terrorizzava, che mi stava attanagliando l’anima da troppo ormai. Dovevo aprirgli il mio cuore. Tanto era inutile tenermi ancora dentro un peso che non faceva altro che aggravare le mie angosce. Basta, ero decisa. Dovevo dirgli che ero totalmente pazza di lui, che il suo solo respirare mi faceva gioire e perdermi di felicità assoluta. Che avevo bisogno di lui sempre e comunque. Ma un conto era pensarle certe cose, un conto era esprimerle a gran voce. Ed era in questi momenti che avrei voluto il dono della mamma e del nonno, insieme. Ti risparmi tante scocciature quando puoi sentire le menti degli altri e puoi trasmettere i tuoi pensieri.

“Gabriel io …” < Ti amo! > banale. < Ti ritengo la perfezione incarnata nell’angelo più splendente dell’universo! > smielata. < Sei tutta la mia vita! > esagerata. < Senza di te sono incompleta! > non del tutto reale.

“Ehy bambina!” e con il ‘bambina’ mi ero giocata ancor di più quel briciolo di sicurezza che mi era rimasta “Sai che ti adoro, con me puoi parlare di tutto!” mi adorava. Se Gab non fosse stato così vicino da stordirmi con il suo profumo, da far tremare le mie gambe, da farmi impazzire avrei iniziato a saltellare come una pazza o come zia Alice. Ma lui alzò una mano spostando i miei capelli dietro un orecchio lasciandomi nuovamente rabbrividire di piacere ma allo stesso tempo di terrore.

“D - devo confessarti una cosa …” ormai tremavo come se colta da una folata di vento gelida.

“Shh … tranquilla! Se non te la senti ne parleremo un’altra volta!” era quello il momento ora che riuscivo a gestire il mio umore. Involontariamente mi strinsi al suo petto cercando conforto ed il coraggio di confessargli il mio amore.

“Gabriel io …” presi una boccata intensa del suo profumo e mi fermai. Le parole mi stavano sgorgando direttamente dal centro del mio torace unendo i miei battiti all’aria necessaria per parlargli. “ … credo …” mia madre aveva affrontato vampiri e mutaforma ed io non riuscivo a dichiararmi. < Avanti Sarah diglielo e togliti questo peso > “ … credo di essermi innamorata …” < un ultimo sforzo > “ … di te!” non poteva non aver sentito nonostante l’avessi praticamente detto sottovoce. C’era un silenzio irreale quasi fosse un sogno, quasi che l’attesa di quella risposta la stesse aspettando persino la vita della foresta e così mi trovai a contemplare le foglie mosse da una leggera brezza. Ascoltavo il suo cuore correre all’impazzata, ma poi ad un tratto i suoi muscoli s’irrigidirono, le sue braccia che mi stringevano le spalle caddero molli lungo i fianchi. Ed io mi paralizzai. Stava prendendo le distanze. Alzai lo sguardo verso il suo perso nel vuoto. Non brillava come aveva fatto poco prima, era spento, inespressivo e stava diventando sempre più vacuo. “Gabriel?” la voce tremava al pari del mio corpo, attesi ma nulla venne proferito dalla sua bocca “Gabriel, ti prego dì qualcosa!”

“Andiamo a casa!” era duro, ferreo non lasciava trasparire alcuna emozione. E questo poteva far male ancor più del suo odio. L’indifferenza era ancor più difficile da digerire.

“Perché Gabriel ti comporti così?” fino ad un attimo prima era dolce e gentile, e dopo che io gli avevo donato me stessa lui mi stava sprezzando come immondizia. No, questo non glielo avrei concesso esigevo spiegazioni.

“Non sono la persona adatta a te, Sarah!”mille frecce mi stavano trapassando il petto, come puntelli acuminati che feriscono il cuore rimanendo all’interno della debole carne. Sentirlo riferirsi a me in quella maniera aspra, asettica mi fece spirare, intraprese qualche passo e mi superò dandomi le spalle. Io cercai di seguirlo con gl’occhi già appannati da una nebbia di pianto. La gola mi doleva a tal punto che anche il solo respirare mi stava facendo male. “Non vorrei spezzarti il cuore ma io ti voglio bene, come se fossi una sorella o come se fossi una … figlia!” rimarcò quest’ultima parola lacerandomi ancor di più.

“Cosa vorresti dire che in tutto questo tempo tutte le volte che sei venuto da me di soppiatto, tutte le volte che siamo andati a caccia, i casti baci e gli abbracci erano solo …”

“Affetto molto profondo, nulla di più piccola Sarah !”

“Non chiamarmi piccola!” ed il dolore era ancor più straziante se a quello la rabbia lo inondava con del petrolio grezzo, appesantendolo fino a farlo stramazzare al suolo. Non so cosa sorreggesse ancora le mie gambe, ma mi sentii barcollare e la testa ruotava attorno al mio corpo dall’esterno. Mi poggiai ad un albero. Illusa. Non poteva amarmi. Mi aveva vista crescere e non tutti potevano avere la fortuna della perfetta Nessie la quale era riuscita ad incastrare il suo baby sitter ed amico. Sicuramente se fosse stata lei, con quei suoi caldi occhi color del cioccolato a quest’ora sarei stata fra le sue braccia ad assaggiare le sue labbra. “Io ti ho aperto il mio cuore, hai lasciato che m’innamorassi di te ed ora … mi vieni a dire che sono come una figlia!”

“Si, ti ho sempre considerata tale …” il suo tono era cambiato, si era addolcito io invece sentivo che la collera cominciava a corrodere il dolore “ … e non ti nascondo che mi sarebbe piaciuto essere davvero vostro padre!”

“Ho già un padre, non me ne serve un altro!” ed a quel punto si voltò nei suoi occhi vedevo, disperazione. Non me lo aspettavo assolutamente. Un momento.  < No, non è possibile > ‘avrei tanto voluto essere tuo padre’. < Come avevo fatto a non capirlo! > ‘come una figlia’ < La mamma non lo sa, come aveva fatto a tenerlo nascosto a tutti compreso a zio Jazz e al nonno! > “Tu sei innamorato di mia madre!” e ora non solo dai miei occhi sgorgavano lacrime una lenta scivolava sulla guancia illuminandosi a contatto con la sua pelle ed io morii con lei sulla bocca < EJ dove sei? Ho bisogno di te! > “Come hai fatto a ... ”

“Nascondermi?” abbassò lo sguardo era dura per lui parlare di questo “Tua madre lo sapeva, o meglio ne era a conoscenza prima che si sposasse con tuo padre. L’ho ingannata!Le ho fatto credere di aver superato la sbandata per lei, che quello che provavo non fosse amore ma affetto ed invece, non era cambiato niente, io l’ho amata e l’amo tutt’ora! Venni anche alle mani con tuo padre, nemmeno la missione in Australia è stata in grado di chiarirmi le idee!” si voltò nuovamente.  Ero rimasta di sasso. Non sapevo che la sua missione in Australia avesse assunto questo significato “Pensavo che abbandonando Forks per sempre, sarei sopravvissuto alla sua mancanza, magari nel mondo esisteva una donna capace di sostituirla. C’ho provato lo giuro, ho tentato di soffocare i miei sentimenti. Ma il risultato era solo un giocare con le altre, non potevo immaginarmi per sempre di avere lei tra le braccia quando quel posto era occupato da un altra. Mi odiavo per non riuscire a costruirmi una vita senza di lei, mi odiavo perché ero patetico, mi odiavo, perché non le avrei mai potuto vivere accanto senza danneggiarla, mi odiavo perché non volevo diventare uno sporco manipolatore …”

“Volevi …” tentennai, quella forse era la cosa più difficile da dire. Pensare che se solo avesse voluto sfiorandola poteva imporre la sua volontà farla diventare sua, per sempre. Il suo potere era molto forte e con il tempo era riuscito a far si che gli bastava un semplice tocco per renderlo indelebile, soprattutto se era una cosa che desiderava immensamente.

“Sono stato tentato, si ma non le avrei mai fatto una cosa simile, mai …” questo era troppo. Mi trovai seduta con le gambe incrociate per terra. Lui restava in piedi di fronte a me. Non riuscivo più nemmeno a parlare  “Quando terminai la mia missione, chiamai a casa Cullen per ringraziarli ed informali che avrei continuato a viaggiare e a vagabondare. Tempismo mirabile oserei dire …” di nuovo un sorriso amaro “ Chiamai e non rispose nessuno, non so per quale motivo aspettai circa una settimana per richiamare. Praticamente la mia prima telefonata era il giorno del funerale di tuo nonno, di Billy. Carlisle mi spiegò cosa era accaduto, che tutta la famiglia era in lutto e che Jacob non tornava a casa da parecchi giorni!” inghiotti qualcosa, veleno forse dalla smorfia di disgusto che fece “Sono un vile, qualche volta mi sento di assomigliare troppo a mio padre …”

“Cosa stai dicendo?” non capivo realmente il senso della sua ultima frase.

“Tuo padre non tornava a casa. Immaginai Nessie, sola disperata, con un posto vacante accanto a lei! Che schifo …” c’era disgusto in quello che aveva pensato “ Mi vergogno di me stesso ancora oggi, combatto ogni giorno per non diventare come lui, ma quando la tentazione è vicina, tanto vicina che mi basterebbe allungare una mano ho come l’impressione di sentire la sua voce diabolica che mi spinge a macchiarmi dei suoi stessi misfatti. Partii il giorno stesso con la speranza di conquistarla, ed invece …” il suo pomo d’Adamo si mosse dall’alto al basso, le sue sopracciglia si avvicinarono alla base del naso creando tre pieghe precise sulla sua fronte piana, i muscoli sulla mascella s’irrigidirono serrandosi quasi a mordere l’interno delle guance “Era disperata, troppo, non l’avevo mai vista così, nemmeno durante il suo soggiorno a Volterra, non le importava di soffrire se Jacob stava bene, per lei ci sarebbe stato sempre e solo tuo padre. Non potevo competere con un amore così smisurato, e tutti i miei propositi svanirono completamente lasciando posto ad una nuova consapevolezza. Preferivo rimanere nell’ombra di restare un suo amico, di far parte della sua vita e di vederla felice, anche con un altro. Non importa! Il mio unico desiderio è che lei possa vivere la sua vita al meglio e nella maniera più serena. La amo, non posso vivere senza di lei e voglio solo il suo bene, ed il vostro!” si era fermato  a guardarmi negl’occhi rimarcando la fermezza del tono con lo sguardo, ma poi fu costretto riabbassarlo e capii quel gesto solo dopo che iniziò a parlare. Per quel solo misero momento provai pietà per lui, che era costretto a guardare la donna che ama tra le braccia di un altro senza avere alcuna possibilità che si tramutasse in qualcosa di diverso, costretto a poter vivere il suo amore solo nell’immaginazione per aver incatenato il suo cuore ad una persona che mai gli avrebbe potuto donare di più di un’amicizia, un eterno palcoscenico dove lui era soltanto una comparsa sullo sfondo e lei la regina accanto ad un re che non potrebbe mai essere Gabriel. “Qualche volta vorrei con tutto me stesso che Renesmee mi guardasse come guarda tuo padre, che mi parlasse con la passione che prova per lui …” strinse i pugni lungo i fianchi. Guardai le mie mani anch’esse strette in un pugno che poteva esprimere tutto o niente. Ira, odio, comprensione. Perché sapevo esattamente come si sentiva. L’effetto più strano era la mia voglia di consolarlo. “Non avrò questa fortuna purtroppo, non m’interessa davvero … Evidentemente le colpe dei padri ricadono sui figli, Aro ha procurato talmente tanto male, che suo figlio non potrà mai provare le gioie del vero amore! È giusto così! Ma non è giusto che tu soffra Sarah, spero che tu mi possa capire, spero che supererai tutto …” la botta era stata forte, forse troppo per me. Ma perché mi sembrava di capirlo in un certo senso? Cristo, io dovevo odiarlo, perché non ci riuscivo? E come diavolo faceva a nascondere i suoi sentimenti in una casa con un empatico ed un lettore della mente? Non considerando che nonno Edward non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Ero in preda alla confusione più nera.

“Ma il nonno e lo zio …”

“Hanno capito ed hanno rispettato la mia posizione, dopotutto era una mia scelta ed io ho deciso di sacrificarmi per darle quello di cui aveva bisogno ovvero un amico fidato!” sorrise nuovamente mesto e sconsolato, come la battuta di un pierrot, un pagliaccio con una lacrima sul viso “Non potrò avere l’imprinting ma gli effetti sono stati gli stessi su di me …” mi sentii sprofondare. Iniziai a piangere sempre più copiosamente, singhiozzando disperata. La cosa che temevo in assoluto era un confronto diretto con mia madre, ebbene lo avevo perso in partenza. Io non potevo competere con lei. Mi fu vicino sfruttando le sue capacità e prese il mio viso stravolto “Principessa, sono mortificato che tu abbia frainteso, non avrei mai voluto vederti soffrire in questa maniera soprattutto a causa mia! Puoi perdonarmi?” ancora fra le lacrime alzai gli occhi e lo vidi. Nel suo sguardo ora vedevo chiaramente i suoi sentimenti, vedevo tutto quello che provava e per chi lo provava. Vedevo Renesmee la ragazza, o meglio la donna per cui provava un amore disperato ed io la figlia che non avrebbe mai avuto. Perché io ed EJ avremmo potuto essere suoi figli, i suoi e di Nessie. Ed un indicibile moto di rabbia con un urlo mi colpii. Lo spinsi con talmente tanta forza che andò ad abbattersi su di un albero che sollevò da terra una radice inclinandosi pericolosamente. Vedevo rosso, il mio respiro faticava a contenersi la mia parte razionale era completamente andata. Lui scuoteva la testa tramortita  mentre io mi avvicinavo sempre di più.

“Liz cosa diavolo è successo ti ho … sentita ur…lare!” EJ giunse alle mie spalle, su di un tronco poco più in alto rispetto al terreno; i suoi occhi si fermarono su di me per terra e poi su di lui, un ringhio feroce, infuriato carico di astio “Gabriel!” il suo nome pronunciato in un soffio. Mai ero stata più contenta di vedere mio fratello che mi fu accanto con un salto, pronto a cingermi protettivo ed a calmarmi, quando ormai dei tremendi scossoni lasciavano che il mio corpo venisse mosso come sotto epilessia. Per quanto desiderassi una vita lontana da EJ ogni secondo che passava mi rendevo sempre più conto che senza di lui ero solo una parte, che potevamo litigare per un’eternità ma che non potevamo abbandonarci. Lui non avrebbe mai lasciato quel posto accanto a me per un’altra persona. Eravamo speculari, ci rispecchiavamo, potevamo sentire le sensazioni l’uno dell’altro, come stava succedendo. Non era stato semplicemente il mio urlo ad attirarlo. No. Non ci avrebbe impiegato così poco tempo. I miei tumulti, la mia invocazione aveva acceso il suo campanello d’allarme e lo aveva ricondotto alla strada di casa. “Sorellina, torniamo a casa!”

“EJ, lasciami spiegare …”

“No!” mentre Gabriel si stava avvicinando una forza invisibile lo sospinse di un metro, senza concedergli di spiegarsi. Lo fece solo per amor mio a dosare lo scudo, ma so che avrebbe voluto riservagli una battuta alla Joe DiMaggio.  “Stalle alla larga!” ringhiò nuovamente EJ. E per la prima volta mio fratello si tolse quell’aria bonaria e cordiale, ed assunse la maschera spaventosa da vampiro. In quel momento somigliava in maniera incredibile al nonno. Un angelo vendicatore. Lo sguardo fiero e crudele, la lingua sibilante tra i soffi cattivi. Il suo corpo pronto ad azzannarlo. E questa volta ero io a percepire le sue sensazioni, le avvertivo sulla pelle, nelle vene, nel tremolio che si aggiunse ai già presenti spasmi, nelle costole gracidanti ed impazienti. Ma non m'illusi. Non era più forte di quello che avevo provato con Damian. Era anche più debole. Delusa. Ed ero talmente sotto shock, che non riuscivo a reagire, come se, in alcuni momenti la lucidità venisse sbalzata da dei salti di corrente che si alternavano tra rabbia e frustrazione, tristezza, pietà. Lui era così innamorato di mia madre, la donna perfetta, che pur di non starle lontano l’osservava accanto ad un altro uomo e ne era amico. Si la mia era pietà.

 

Note dell'autrice: Non sono bene accetti i pomodori! Non fatemi del male, mi serviva per smuovere Sarah! Scusatemi se ho ridotto in frantumi la coppia prima ancora che si creasse! Complimenti a kekka cullen che aveva già intuito qualcosa nel capitolo Nemiche/Amiche. Brava ben venuta nella decodifica del mio povero cervello malato. Certo gli indizi c'erano tutti persino nella prima parte di moon ... ^^ Allora spero che nonostante tutto vi sia piaciuto e spero che andiate al di là delle apparenze. Il problea rimane uno: come reagirà Sarah davanti a Nessie? E i Cullen? E come reagirà Nessie? Lasciamo aperte molte porte ... ^^ Spero che v'invogli a continuare a seguire anche perchè più in là ci sarà una bella dose di action movie ... Ci voleva una bella delusione d'amore o  no? Insomma mancava tra le mie pagine che dite?

never leave me: certo sarà ancora più destabilizzante di quello che pensavi visti gli sviluppi. Comunque Jacob non smetterà di mutare, Nessie è eterna ed è il suo imprinting quindi non può farlo. Però non potrà sempre far parte del branco insomma, con Sarah si garantisce la pensione. Soprattutto se un giorno sarà costretto a lasciare Forks. Io sono riuscita a farli resistere molto però prima o poi succederà e si spera che per allora Sarah possa prendere il suo posto. Non credo che approfondirò quest'aspetto, ho Forks nel cuore e non ci voglio pensare. ghghgh! Per quanto riguarda EJ ... non ti dico nulla muahahahahah! Me crudelerrima! Mi sono scordata di chiederti una cosa: perchè nella scena Nessie Jake dell'officina ti sei messa a ballare la macarena? ^^ baci e spero a presto

kekka cullen: rinnovo i miei complimenti per l'intuizione! brava ci vuole a entrare nella mia povera testa ingarbugliata!!ghghgh! Spero che ti sia piaciuto l'evolversi progressivo della scena. Baci!

kandy angel: Sempre tante grazieeeeeeeeeee!

noe_princi 89: hai visto che ho combinato! peggio di beautifull! Sarà abbastanza per scatenare il lupo di Sarah?

Lione94:Sono contenta che ti piacciano Jake e Nessie, insomma temevo che scrivendo ancora fiumi di parole su di loro vi annoiaste ma sai sono una che si scrolla difficilmente dalle abitudini e per me rimangono il perno essenziale della storia. Non posso ancora rispondere alla tua domanda su EJ, pazienterai un po'? ^^ Comunque grazie sempre per la tua costanza! un bacio!

Ringrazio sempre tutti compresi i lettori silenziosi che subito si vanno a leggere il capitolo facendo salire vertiginosamente le visite in pochi minuti! Vi adoro tutti!

XOXO

Malice

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Capitolo 35
*** CAPITOLO VIII: Un cuore in trasformazione. ***


CAPITOLO VIII:  Un cuore in trasformazione.

Avevo bisogno di un consiglio. Avevo bisogno del loro aiuto. Gabriel aveva portato i ragazzi a caccia. Ringraziai il Cielo il programma prestabilito si Sarah che sembrava impaziente di andare a caccia per la prima volta nella sua vita. Quella era l’occasione perfetta per parlare con la mia famiglia. Per quanto gli costasse ammetterlo, tutto il branco aveva appoggiato il fondamentale intervento dei Cullen. Mio padre ed il nonno potevano assicurarsi della salute fisica, e la loro natura di vampiri, era utile a scatenare il gene dei Protettori. Non persi tempo, agendo la sera stessa. Dopo che il branco ed il consiglio aveva espresso la sua opinione, li avvertii, indicendo una riunione l’indomani mattina, approfittando della loro assenza. Come di consueto era lo studio di Carlisle ad accoglierci. Somigliavamo tremendamente ad uno dei quadri appesi sul muro, esposti in maniera fredda e controllata, immobili come una rappresentazione di noi stessi in una raffinata composizione del Botticelli . Non c’erano respiri se non il mio e quello di Jacob l’unico a dare segni di vita, muovendosi per la stanza con le mani nelle tasche dei jeans. Esme mi sedeva accanto premurosa come suo solito, preoccupata del mio malessere che si presentava con evidenti occhiaie scure ed un deperimento visibile dalle mie scapole ancor più sporgenti. Mia madre, dal lato opposto, mi teneva la mano cercando di trasmettermi la sua dolcezza e la sua fermezza. Mio nonno mi stava di fronte mentre mia zia con le gambe incrociate se ne stava in un angolo concentrandosi invano su mia figlia, premendosi le tempie. Jasper l’osservava poco lontano, accanto ad Emmett che invece sembrava perplesso. Rosalie non faceva altro che fissarmi impensierita. Mio padre monitorava i miei pensieri, temeva fortemente i miei sensi di colpa.

“Alice non puoi vedere il futuro di Sarah, così finirai per ritrovarti con il mal di testa!” interruppe quel silenzio troppo pesante la nonna con quella giusta osservazione.

“Si Alice, non sforzarti troppo non porta a niente!” confermò Jasper rincarando la dose sull’inutilità del suo impegno.

“Magari, un piccolo flash, qualcosa di sfocato …” rispose la zia, continuando a tenersi la testa “Sto provando a concentrarmi sul suo terzo vampiro, come faccio con Nessie … con lei qualcosa di quello che le sta intorno lo vedo, forse anche con Sarah …” era veramente in difficoltà. I suoi occhi dorati ed ansiosi si guardavano attorno come se cercasse di carpire nell’etere qualche informazione.

 “No, Alice è totalmente inutile! Se anche riuscissi a concentrarti sulla sua minima parte di vampiro, non ne caveresti nulla, il suo futuro è legato a quello del branco …” le piccole braccia di Alice caddero sulle gambe, la testa si spostò all’indietro, volgendo gli occhi al soffitto per poi tornare a noi come a scrollarsi di una fatica eccessiva.

“Come odio essere cieca!” lo disse quasi urlando con un verso stridente. Odiava davvero essere cieca, come se ne fosse la causa.

“Alice non ti abbattere non è colpa tua!” cercai di confortarla seppur a dividerci c’era quasi l’intera stanza. Il mio sguardo saettò a Carlisle. Soppesava le teorie di Sam da qualche minuto ormai, da quando avevo rivelato ogni particolare. Potevo quasi sentire la sua immobilità, quel suo modo di chiudersi a ragionare, quasi diventasse un tutt’uno con il mobilio. C’era solo un suono che proveniva da lui, ed era l’assurdo suono del silenzio. Non lo sopportavo, mi stordiva e se c’era una voce di cui avevo bisogno era proprio la sua “Nonno ti prego dimmi cosa ne pensi …” un battito di ciglia come a disincantarsi, il secondo per riprendere le redini della razionalità, il terzo per tornare a me che lo guardavo come se dalle sue labbra dipendesse la mia stessa vita. Aspettavo la sua opinione di medico con ansia, ma ancor di più aspettavo un’indicazione, un segno, un qualcosa che mi aiutasse a venirne a capo.

“Sono d’accordo con Sam!” lo sospettavo, ma speravo che alla fine lui mi potesse dire, ‘non preoccuparti Nessie possiamo ovviare’ “E devo ammettere che lo sospettavo da tempo, da quando gli sbalzi d’umore di tua figlia sono diventati così pressanti!”

“Perché non ne hai mai parlato, dottor Canino? Non credi che forse io e Renesmee avevamo il diritto di sapere?”

“Purtroppo Jacob, le mie erano solo teorie, nulla di più. Con esseri speciali come Sarah ed EJ, non può esserci nulla di certo. Ragionandoci le supposizioni che ha elaborato, sono molto valide. Quello che ci contraddistingue in maniera netta da ogni altra specie è il volume di informazioni e stati d’animo che la nostra mente può contenere …” il suo strettamente professionale riempiva i vuoti lasciati precedentemente.

“Una cosa che ricordo di appena trasformata, era la sorprendente capacità della mia testa!” intervenne mia madre “riuscivo a provare astio e gratitudine, nello stesso istante ed ad indirizzarlo ad un solo soggetto!” guardò Jacob, come se lui sapesse di cosa stesse parlando.

“ Riuscire a provare sentimenti contrastanti contemporaneamente, è una prerogativa tipica dei vampiri, invece per quanto riguarda voi Jacob, le emozioni giocano un ruolo ben diverso. Servono a far scattare il processo di mutazione e quelle forti come rabbia, risentimento, odio devono essere prevalenti sulle altre. Nel momento in cui riuscite ad equilibrarle diventate padroni delle trasformazioni!” per me quello era un discorso inutile ed anche per Jacob che vedevo sempre più impaziente, con gli occhi colmi di angoscia ed ansia.

“Ma cosa pensi riguardo alla questione che ha sollevato Leah? Sappiamo tutti qui cosa significa diventare sterili …  ” Sarah non era sterili di certo, visto che aveva avuto il menarca a sei anni quando ne dimostrava praticamente dodici. Non ce l’aspettavamo in alcuna maniera ed invece lei era diventata una signorina a tutti gli effetti. Si vergognava tantissimo, aveva anche tirato fuori due lacrimucce. Ma aveva una squadra di donne pronta a festeggiare l’evento. Con  Rachel, Emily, Kim, Claire, Sue, Leah e tutte le donne Cullen organizzammo una festicciola in casa nostra, solo ed esclusivamente al femminile dove le spiegammo tutto in maniera semplice in modo che non ne rimanesse sconvolta. Ed ero contenta, molto contenta perché almeno nel suo sviluppo era una normale ragazza.

“Si, non è giusto strapparle questa possibilità …” intervenne Rose, lei più che mai s’opponeva alla trasformazione di Sarah.

“Psyco vedi di chiudere il becco, Ok!” il mio sguardo si portò immediatamente alle mani di Jake. Tremavano, sapevo dove quella discussione stava portando. I suoi occhi erano costretti ad una fessura se avesse potuto l’avrebbe immediatamente azzannata.

“Certo Fido qui, vuole un erede al suo trono di cagnaccio puzzolente, esistono cose più importanti!” anche Rose cominciava a scaldarsi si era avvicinata minacciosa a sei passi da lui, con un gorgoglio feroce nel petto.

“Come ad esempio la salute di Sarah?” Jake avanzò di un passo, Emmett si mise alle spalle di Rosalie pronto ad interporsi, nel caso degenerassero. Era da molto che loro due non si scontravano così duramente. “Cos’è la tinta biondo plastica, ti ha ossigenato pure l’unico neurone che avevi? Il tuo bisogno di essere una mammina proiettato su chiunque abbia ovuli fecondi non ti fa vedere le cose come stanno!” era duro, crudele e grezzo. Detestavo il lato di Jake così animale, con così poco tatto. Ma non sapevo se concedergli completamente il torto. Ma poi vidi Rosalie ed il suo splendido viso trasformarsi, cedere la maschera dura ad un’altra. Gli angoli degl’occhi caddero verso il basso la bocca tesa in una linea dritta tremò, un debole singulto arrivò alla sua gola. Era dura per lei non poter avere figli. Emmett accorse subito accogliendola fra le sue braccia, osservando truce mio marito. L’aveva ferita. Un altro singhiozzo mi fece sobbalzare. Era alla mia destra ed era su dell’unico vampiro che mai avrei voluto vedere triste. Esme. Possibile che si fosse dimenticato quello che avevo patito io pensando ad una mia probabile sterilità? Tutta la situazione, Jake così spietato Rosalie ed Esme sconvolte, mi trovai a scattare.

“Jake, chiudilo tu il becco!” mi alzai tranquillamente avanzando verso Rose. Aveva smesso di singhiozzare ma quell’espressione non le si sarebbe mai cancellata. Invece, mio marito sembrava seriamente stupito.

“Renesmee, ti rendi conto che qui stiamo parlando della vita di Sarah, è nostra figlia, Cristo, io non voglio rischiarla solo perché forse potrebbe non avere figli è assurdo!” il suo tono non era adirato semplicemente deluso.

“Jacob, tu non puoi capire!” ed io ero dura come prima lui lo era stato con Rose.

“Certo solo perché non faccio parte del club dell’utero?” il suo cinismo era decisamente fuori luogo.

“Smettila!” dissi in un ringhio con uno sguardo truce nei suoi confronti che forse non glielo avrei mai riservato, se non fossi stata così tesa. Dal suo stupore passò  immediatamente allo sconforto. Si voltò verso la porta tremante, lo avevo condotto al limite.

“Sapete che c’è andate al diavolo tutti …” aprì la porta con un gesto violento, quasi la volesse strappare e con altrettanta forza la chiuse con un tonfo rintronante. Per un attimo alzai una mano in aria come se la distanza la potessi coprire con il pensiero, sapevo che la sua opposizione era semplicemente per la salute di nostra figlia, ma quello che diceva Rose era altrettanto giusto e riapriva una ferita, seppur sanata, ben evidente ed ancora pulsante. Volevo chiedergli scusa, spiegarmi ma mio padre mi fu vicino, aveva percepito ogni nostro pensiero, ed abbassò la mia mano negando con un gesto della testa.

< Lascialo un po’ da solo, deve calmarsi … >

 “Anche volendo evitare la sua trasformazione Rosalie, non penso sia possibile a questo punto!” ora che le acqu si erano un po’ calmate, il nonno riprese a parlare “Il suo gene di lupo viene risvegliato da noi tutti, da EJ, da te Nessie ed anche da se stessa!”

“Cosa?” fu la domanda all’unisono scaturita a più voci di cui distinsi solo quella della mamma.

“ Sono sempre e solo pure teorie, ma credo vivamente che sia lei stessa ad istigare la mutazione. Agisce in doppio senso: da un lato la stimola ma dall’altro le blocca la parte emotiva rendendola eccessivamente razionale. Anche se ci allontanassimo tutti, il suo corpo reagirebbe ugualmente, è così complicato che neanche io ci capisco molto!” ammise infine con una sorta di sorda delusione.

“Questo è terribile, povera Sarah!” la nonna era davvero costernata, difficile da digerire quella situazione. Ed io mi sentivo assolutamente impotente.

 “Comunque per quanto riguarda la sterilità, non possiamo sapere se il suo corpo avrà la stessa reazione di quello di Leah, Sarah è ancora più unica di quanto lo sia tu Nessie, anche solo il fatto che abbia avuto uno sviluppo normale, come quello di un’umana, nonostante crescesse velocemente quasi tuo pari mi rende perplesso su quello che le potrebbe accadere!” quante carte in tavola avevamo cambiato durante quegl’anni confondendo una mente eletta come quella di Carlisle. Se non fosse stato così calmo e pacato avrei creduto di trovarlo a cercare di sfondare le mura della casa con la testa. Stava comunque impegnandosi nella ricerca di una soluzione. “Di sicuro questa situazione di stallo è deleteria per lei e per te Nessie!” ero rimasta boccheggiante a chieder un po’ d’aria, sentendo la pressione degl’occhi dei presenti sulla mia figura. Non mi ero soffermata a  pensare alle conseguenze, né a cosa stesse causando tutto questo stress sulla mia pelle.

“Per me?” di me non m’importava granché, ma volevo sapere cosa li preoccupava. A me interessava solo ed esclusivamente il bene di mia figlia.

“Ti sei vista ultimamente?”  sorprendentemente fu Emm a parlare “È difficile riconoscerti, sembri un fantasma, sei sempre tirata, vi sentiamo litigare praticamente ogni sera!” mentre parlava si concitava sempre di più ed io invece posta di fronte a quella che sembrava essere diventata la mia vita sprofondai, interrompendo la staticità che avevamo assunto. Iniziai a piangere a dirotto, singhiozzando come una bambina e nascondendo il mio viso contro il petto di mia madre che mi aveva raggiunta“Se non fosse stato per Rosalie alcune volte sarei entrato a casa tua per dire a tua figlia di portarti rispetto! Io adoro Sarah ma non mi piace per nulla come si comporta con te!” sempre diretto, senza troppe cerimonie lo zio era fatto così.

“Non era colpa sua Emmett!” la nonna aveva assolutamente ragione. La mia bambina sapeva essere molto dolce. Quante volte l’avevo coccolata perché voleva la mia vicinanza, quante volte mi ero persa nel profumo dei suoi capelli, quante volte l’avevo tenuta stretta a me solo per farle ascoltare il mio cuore.

“Forse io posso essere d’aiuto!” tutti ci voltammo verso Jasper. Persino Alice si distolse dalla sua concentrazione. “Vi ricordo che posso manipolare l’umore!” certo come non averci pensato prima. Noi l’avevamo sempre visto come una sorta di sedativo, ma in realtà lo zio poteva tramutare le emozioni anche in negativo, inoltre poteva monitorare mia figlia e me. Ma proprio mentre stavamo per iniziare la nuova discussione sentii una strana fitta all’altezza del petto. Avevo come la sensazione che presto le cose sarebbero cambiate, che stava per arrivare una tempesta come se nere nubi si fossero condensate all’orizzonte. Mi tenevo una mano stretta sulla maglia.

“Cara ti senti male?” alla domanda di nonna Esme la risposta arrivò da Jake che aprì la porta con veemenza. Non era più in collera, piuttosto sembrava preoccupato.

“Venite in giardino presto!” in un istante tutti ci trovammo di fronte a Sarah che camminava barcollando sorreggendosi alle spalle del fratello.

 “Sarah …” mi stavo per precipitare da lei, volevo sostenerla aiutarla ma due grandi mani calde mi fermarono.

“Aspetta …” sussurrò al mio orecchio. Non  sapevo cosa fare, ero sempre più disorientata. Mi guardai intorno e vidi i miei famigliari disporsi intorno ai miei figli. Mio padre s’irrigidì. Provai a leggerlo ma non vidi nulla, se non un buco. Con il tempo avevo imparato che quando lui ascoltava i pensieri degl’altri la nostra eterna comunicazione s’interrompeva. Era come se io avessi l’esclusiva con lui e non  potessi in alcun modo entrare nella testa degl’altri.

< Papà cosa è successo? > lui non rispondeva continuava solo a sgranare i suoi grandi occhi di miele verso Sarah ed EJ. Poi si voltò di scatto e dopo breve comparve Gabriel. In un attimo collegai lo stato di mia figlia con lui. Teneva lo sguardo colpevolmente basso e si manteneva a distanza da tutti. < Papà, è successo qualcosa con lui?  > ed io non seppi più trattenermi mio padre non rispondeva, simbolo di assenso, come se mi stesse nascondendo qualcosa. E fu il mio momento di tremare. Comincia  a ringhiare e a divincolarmi dalla presa di Jacob che si fece più salda. Ma quanto si può trattenere una madre che vede soffrire la figlia? Non importava chi fosse per me Gabriel, per quanto gli volessi bene, non sopportavo che avesse fatto del male a Sarah. Cercai di diradare il mio respiro e a distendere la mia tensione.

“Sono calma Jake puoi lasciarmi!” stavo giocando d’astuzia e il momento confusionario mi aiutava nei miei intenti. Dopo qualche secondo di titubanza sentii le mani di Jacob lasciarmi e nello stesso istante mi trovai a stringere il collo di Gabriel tra le mie dita, dopo averlo atterrato. Sentivo il vociare degl’altri che m’intimavano di fermarmi, ma il ghigno di soddisfazione proveniente dal centro era l’unico in grado di distrarmi. EJ. Gabriel non reagiva, anche se solo avesse voluto mi avrebbe scaraventata lontana.

“Cosa le hai fatto?” ero una madre e stavo difendendo la mia cucciola, con gli artigli protratti e i denti esposti, soffiando tra di loro ogni parola con la lentezza e la freddezza di una predatrice. Jasper tentava di calmarmi ma non poteva assolutamente ed in alcun modo riuscirci. Ero letteralmente fuori di me. Jacob era interdetto non si aspettava una reazione simile da parte mia. Cominciai a distinguere le varie voci ed una diretta alla mie sinapsi.

“Edward ti prego dille qualcosa …”

< Fermati, lui le ha solo detto che non possono stare insieme! >

< Non importa … > lo liquidai velocemente.

< Renesmee, lui la ama come una figlia niente di più  … >

< Non importa, l’ha ferita … >

< Lui ama un’altra donna … > allentai la presa. Come un’altra donna? Chi e perché non me ne aveva mai parlato? Cosa mi nascondeva ulteriormente? < Ama te Nessie! > mi fissai incredula nei suoi occhi e mollai definitivamente il suo collo. Non potevo crederci. Tutto quel tempo passato lontani per capire cosa provasse per me e non era amicizia? Ero attonita quando una spinta furiosa mi aveva allontanata dal corpo del mezzo sangue. Sarah.

“Smettila immediatamente!” la scena si svolgeva al rallentatore “Tu sei sempre un gradino sopra mamma, sarai sempre la perfetta Renesmee! Vero?” era sconvolta, quindi aveva saputo. Non sapevo assolutamente come reagire, non avevo la lucidità necessaria per pensare cosa risponderle. Le idee si affastellavano le une sulle altre, niente di valido niente di concreto. Cercai soltanto di rialzarmi ma l’impatto con il terreno era stato tremendo. “È colpa tua …” i suoi pugni chiusi stringevano l’aria tenacemente, le nocche impallidirono ed il suo volto divenne di fuoco. La bomba era pronta a scoppiare, aveva iniziato il countdown. Ma la botta ancora mi stordiva, dovevo elaborare un piano e di corsa. Non potevo lasciare che penasse ancora.

“Jasper …” la voce di mio padre prese il sopravvento su quel brusio di accordi e gestione del momento “ … è ora!” si , era troppo tardi; il rimestare delle innumerevoli emozioni contrastanti contenuti in quel fisico longilineo e muscoloso, nelle sue iridi verdi accese dalla scintilla del livore stavano iniziando il processo che a me sarebbe toccato terminare.

 “Sarah calmati, ti prego!” EJ era rimasto impietrito allo spettacolo che stava scandagliando di fronte a se. Io ancora a terra iniziai a preoccuparmi per lui, era realmente spaventato. Dovevo reagire, mi guardai attorno e notai tutta la mia famiglia pronta in caso la situazione fosse sfuggita di mano esclusa Esme ed Alice che avevano allontanato Gabriel. Meglio, avrei ragionato ancor meno lucidamente con lui nei paraggi e con la mia voglia assassina di farlo fuori.

“No EJ lasciala libera!” Jacob si avvicinò a nostro figlio fermandolo dall’intervenire. Mi alzai in piedi finalmente trovandomi occhi negl’occhi con lei. Da quanto covava tutto quell’astio?

“Tu mamma sei tanto brava, tutti ti amano, tutti ti apprezzano e a noi cosa rimane? Siamo e saremo sempre solo i figli di Renesmee” mi diede una spinta ma io non caddi, indietreggiai vistosamente “il marito di Renesmee” un’altra spinta e mi mantenni più ferma “la famiglia di Renesmee! Saremo sempre insignificanti davanti a te mamma!” ancora uno spintone più forte a cui cercai di rispondere togliendole le mani dal mio petto, allora puntò il suo indice contro di me alzando notevolmente i toni “Rubi il palcoscenico a tutti! Mi hai persino defraudato dell’amore!” non mi ferivano le sue parole ma il suo atteggiamento non l’avevo mai vista così rabbiosa, nemmeno nelle discussioni più cruente “Sei speciale e a noi cosa rimane se non i pezzetti della tua gloria? Nulla! Ti odio mamma!” cercavo di trattenermi, di sfidarla con lo sguardo, ma più inveiva contro di me, più mi sentivo fragile e sull’orlo di una crisi di pianto, che trattenevo a stento.  

< Non è lei a parlare, Renesmee, Jasper sta aumentando la sua rabbia! > ne ero cosciente ma allo stesso tempo sapevo che il potere di Jasper non era il solo a farla parlare. C’era ben altro sotto. Qualcosa che conoscevo come conoscevo lei. Qualcosa che l’avrebbe fatta scattare. Non era stato il rifiuto di Gabriel, no. Era una ragazza troppo intelligente da lasciarsi condizionare da una semplice cotta. Era il perché l’aveva rifiutata. Io, ero il suo problema. Se prima l’avevo percepito e deliberatamente ignorato ora non potevo più farlo. Quello stramaledetto senso d’inferiorità che sentiva nei miei confronti. Certo come poteva sentirsi inferiore nei confronti di altre, quando era talmente speciale da non potersi confondere con la massa?  Doveva puntare il suo dito incerto su qualcuno, e chi meglio di una madre eterna ventenne e con doti soprannaturali, poteva essere il capro espiatorio di tali insicurezze? Ed ora toccava a me ferirla, toccava a me giocare su quel suo aspetto, toccava a me farla esplodere. Jasper aveva riempito la granata di polvere da sparo, io dovevo solo togliere la sicura e lasciarla cadere. Non l’avrei lanciata semplicemente avrei mollato la presa, sperando che lo scoppio con i  detriti mi travolgessero. Toccava a me darle il colpo di grazia.

“Ora basta Sarah stai esagerando! ” stavamo giungendo al limite, aveva iniziato a tremare in ogni centimetro del suo corpo il suo respiro era diventato affannoso e stentato “Stai facendo i capricci perché i riflettori non sono puntati su di te? Bene figlia mia, impara a comportarti da adulta e vedrai che riuscirai ad essere un po’ più come me!” < Ti amo piccola mia, ti prego perdonami! > ma a quel punto aveva iniziato il rapidissimo processo che l’avrebbe condotta definitivamente nel paranormale.  Ascoltai ogni parte di lei. Il sangue si mesceva con impeto nei vasi quasi fosse un onda, le ossa stridevano impazienti tenendo saldi i muscoli frementi. Ma il cuore, quello che più di tutti risentiva della sua imminente mutazione, aveva preso a scalpitare come un cavallo al trotto. Un susseguirsi rapido di battiti, aumentava la sua frequenza fino a diventare assordante. Quello era l’unico rumore che odiavo, l’unico che mi stava distaccando da mia figlia, quello che avrebbe segnato per sempre la sua vita rinunciando all’unica speranza di una normale esistenza. Quello era il battito di un cuore in trasformazione (ndr rif Breaking Dawn). Jacob prese le mie spalle allontanandomi < No, no! > gridava la mia mente, volevo che mi prendesse, volevo che mi azzannasse. Dovevo portare i segni di quello che l’avevo costretta a fare, ma non riuscii ad emettere alcun suono se non quello del pianto che fino ad allora avevo trattenuto. Si piegò convulsamente, le dita delle mani si contorsero ed in un attimo pezzetti di stoffa si trovarono in balia dell’aria, volteggiando come coriandoli in un carnevale. I suoi splendidi occhi ora si trovavano su di un lupo dal pelo lungo. Snello ed alto più di una persona. Il colore del suo manto era quasi completamente candido come la neve ma una grande porzione scura le copriva la testa unendosi come la punta di un cuore sotto il petto. Le zampe sottili e forti piegate in avanti le orecchie all’indietro minacciose, la sua maestosità era veramente ineguagliabile. Nemmeno Jacob in forma animale incuteva così tanta riverenza e rispetto. Un lupo bianco e nero dagl’occhi verdi come le foglie d’estate. Quella era l’immagine della fine della normalità.

“Cosa c***o sta succedendo!” il grido di EJ catturò tutti non ce l’aspettavamo. Si teneva le mani alla testa, gli occhi strizzati verso il basso le ginocchia piegate che stavano lentamente soccombendo ad un peso più forte di lui. Ad occhio umano nessuno avrebbe notato quel lievissimo tremito delle labbra, sussurrava qualcosa d’incomprensibile a tutti fino a quando fu mio padre a sgranare gli occhi verso di lui accennando ad un no con la testa.

“Non è possibile …”

 

Note dell'autrice:

questo capitolo lo dedico alla recensione numero 100 ovvero quella di never leave me! (so che non è molto che il capitolo non è il massimo, se potessi ti regalerei una serata a tu per tu o con Jake o con Jhonny a tua scelta anche con entrambi ... va bhè basta ... però è il massimo che posso offrirti spero che sia comunque gradito)

Buon week end a tutte! Ebbene si come regalino la trasformazione di Sarah, ma cosa sta succedendo ad EJ e cosa ha percepito nonno Eddy? come commento non dico nulla vi lascio in sospeso sperando che fra oggi e domani riesco a revisionare il capitozzolo successivo che sarà ancora Pov Nessie (ragazze d'ora in poi si tornerà quasi sempre al suo punto di vista se non mi sbaglio ci saranno solo altri due capitoli POV sarah e uno POV EJ ). Certo che la prospettiva di Sarah comincerà decisamente a cambiare. PS: Jacob non ha capito un tubo perchè Sarah è scattata, sa solo che centra Gabriel per il resto è stato tutto un gioco di pensieri quindi non ha potuto sentire niente. Non sa ancora della figlia con il mezzo sangue e della moglie ed al momento gli interessa solo che la figlia e la moglie stiano bene.  

kandy angel: ti ringrazio per i tuoi commenti sempre molto graditi, spero che la storia ti appassioni sempre di più!^^

never leave me: [ tira fuori la bottiglia di champagne e la stappa bagnado tutti nei paraggi ] Questa è stata la recensione numero 100!!! *.* e sono strafelice che sia stata la tua! Ora bando ai convenevoli e rispondiamo. Secondo me il discorso valido per i vampiri vale anche per i mezzi, una volta che un evento sconvolge la loro sempiterna esistenza come l'innamorarsi di una persona non possono cambiare, così è stato per Eddy e così l'ho fatto diventare per Gabriel. Comunque nel prossimo ci sarà modo di dare qualche spiegazioncina in più. Per quanto riguarda il senso d'inferiorità verso la madre, l'ho visto come un passaggio naturale. Un pochino si è visto nel capitolo queando Nessie cerca di darne una spiegazione a se stessa: Sarah è molto più avanti rispetto alle altre e di questo se ne rende conto, è insicura si ma sa che ha qualcosa in più. Non è da tutti invece avere una madre praticamente coetanea ammirata da tutti, ed irresistibile secondo me è normale sentirsi una perdente nel confronto anche se assolutamente sbagliato. Per questo se la prende con lei, è un po' la sindrome da prima donna portata anche dal sangue di puro alfa che scorre nelle sue vene che la spinge a primeggiare in un certo qual modo, tranne che con EJ e questo lo vedremo nel prossimo capitolo il perchè. Baci e a presto.

kekka cullen: felice di aver descritto bene la scena, in effetti puntavo proprio a farvi sentire l'esatto momento in cui le si spezzava il cuore. Visto a cosa a portato alla fine? Spero che anche questo ti sia piaciuto.

Lione94: Bonjour! Il perchè abbia realmente deciso Edward di far rimanere Gabriel ed abbia accettato queste condizioni lo spiegherò con il prossimo capitolo, la cosa che mi piace di più nelle mie lettrici, compresa te, è il crearvi domande a cui non posso rispondere perchè già sono contenute nella storia. Mi piace perchè vuol dire che l'ho analizzata dalla prospettiva giusta e l'ho decisamente completata, questo mi spinge a pensare anche nei momenti di sconforto che la storia funziona. Quindi mi dispiace ma dovrò tenerti sulle spine anche per la reazione di Jacob, che come ho detto ancora non ha idea di quello che ha scatenato realmente Sarah, impegnato più che altro a gestire la situazione tra lei e la moglie. Chi penserebbe alla mezza sanguisuga se la moglie e la figlia rischiano di azzannarsi?

noe_princi89: Gabriel non ha proprio giocato con i sentimenti di Sarah, o perlomeno non l'ha fatto intenzionalmente. Per lui stare accanto ai figli di Nessie ed a Nessie stessa era di vitale importanza, non pensava di assumere atteggiamente equivoci con Sarah, l'ha dimostrato nel momento in cui Sarah si è dichiarata ha preso immediatamente preso le distanze. Spero che comunque ti piaccia ancora l'evolversi delle faccende. Baci!

 Volevo ringraziare di cuore le 14 persone che mi hanno messa tra i PREFERITI, le 3 tra le RICORDATE e le 32 tra le SEGUITE.

GRAZIE DI CUORE! questo è tutto per voi!

Baci Mally vostra scrittrice pazza scocciata!

 

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Capitolo 36
*** CAPITOLO IX: Rari no. Unici. ***


  

CAPITOLO IX: Rari no. Unici.

Immobili. Non c’era altro aggettivo con cui poterci descrivere. Immobili. Solo il ringhio furioso di Sarah ed il balbettio di EJ erano presenti per il resto tutto si era fermato. Il cielo, l’aria, gli astri, noi. Tutto rimaneva in sospensione sopra le nostre teste, senza spostarsi. Interruppi io stessa quello stato aleatorio che si era creato, quel silenzio innaturale che ribatteva in ogni presente.

“Cosa …” avanzai di un passo incerta nella direzione di quel bel lupo bianco che si atteggiava ostilmente nei miei confronti. Non importava se mi avesse presa, uccisa. Me lo meritavo, anche se avevo detto tutte quelle cose con la coscienza di provocarla, non riuscivo a perdonarmi.

“NO!” chi altro avevo contro? No, non lui. Non il mio bambino che sempre mi aveva amata e difesa anche da sua sorella. Ma come pretendevo di averlo dalla mia parte, anche solo che mi comprendesse, quando avevo così ferito Sarah?  Si era subito parato di fronte a me spingendo le mie spalle per farmi indietreggiare di qualche metro “Ti prego mamma, non ti avvicinare!” mi trovai ad osservare i suoi occhi per un infinito istante con ancora quella staticità che aveva impregnato l’aria poco prima. “Sarah ha paura di farti del male …” cosa? Non riuscivo a capire, perché mi stava dicendo tutto questo e come faceva a sapere quelle cose della sorella? Si conoscevano così bene? Tentavo di parlare ma avevo come un pesante masso sopra la lingua, non mi permetteva di porre quelle domande. EJ mi teneva ben ferme le spalle, io non mi divincolavo restavo lì impietrita ad osservarlo. Ad un tratto spostò la testa dirigendola verso Sarah alle sue spalle. Si scambiarono uno sguardo, un solo, unico ed interminabile sguardo. Poi la grande lupa alzò le orecchie come se ad un tratto si fosse avveduta dell’accaduto e si fosse vista in uno specchio. Si guardò attorno percependo che la sua prospettiva era decisamente cambiata. Ma non era la prospettiva ad essere mutata, era lei stessa. Osservava l’ambiente attorno a sé e ad ognuno dei presenti per poi soffermarsi sul fratello che continuava ad osservarla con un velo di terrore negl’occhi.

“Si Sarah, quella sei tu!” affermò mio padre come a rispondere ad una domanda silenziosa, ma come aveva fatto Sarah a vedersi? Non c’erano superfici riflettenti nei pressi.

“Cosa Edward, cosa stai blaterando …” la sicurezza di Jacob era improvvisamente sparita.

“Sarah si è vista riflessa nei pensieri di EJ!” di nuovo il mutismo, Jacob gli dedicò uno sguardo scettico e poi guardò me con la fronte corrugata in un’espressione crucciata “No, Jacob non sono impazzito! Riescono a sentire i pensieri l’uno dell’altra!” l’intervento di mio padre lasciò tutti sbalorditi, e Jake era il più attonito. Non  distoglieva il suo sguardo da i nostri figli sballottando le sue perle d’onice dall’uno all’altro come se cercasse di vedere il collegamento. C’era una strana alchimia nell’aria, costretta fra loro tre che io non riuscivo a captare. La mia testa rischiava letteralmente di scoppiare: i loro sguardi e il loro modo silenzioso di comunicare.

 “Come è possibile Edward?” chiese Rosalie alle spalle di mia madre. Mi ritrovai a guardarla con comprensione. Lei aveva vissuto la stessa cosa che provavo io ed ora sapevo quanto potesse essere demoralizzante venire esclusi dalla tua stessa famiglia.

“È lo stesso tipo di comunicazione del branco, pensiero in collettività …” disse sicuro, i suoi occhi si spostarono su Jacob che intanto era rimasto a bocca aperta “Ci sono Jared e Seth di ronda, giusto? Riescono a sentire anche loro!” mosse la testa impercettibilmente per indicare un si.  

“Questa cosa è assolutamente strabiliante!” il nonno aveva una nuova luce negl’occhi, era emozionato come ogni volta poteva dire di sapere qualcosa di nuovo “ Le menti dei gemelli sono affascinanti anche se solo semplici umani, sembrano sempre fare parte di un tutt’uno, completa solo con l’altra. EJ non è un lupo ma Sarah si e questo basta a farli appartenere allo stesso branco! Questo rivoluzionerà nuovamente tutte le dinamiche, è così affascinante!” mentre cercavano le loro spiegazioni scientifiche Sarah era totalmente spaventata. La coda spazzava il terreno con un gesto secco da una parte all’altra, si guardava spaesata attorno muovendo il muso in maniera nervosa. Sbuffò con un verso simile ad un lamento e con una zampa segno il terreno fangoso, descrivendo tre solchi profondi con le unghie. Stava studiando il suo corpo. EJ continuava a guardarla fissamente. Mi ritrovai a chiedermi cosa si stessero dicendo, se lui riusciva a calmarla, se lei si rendesse conto di cosa era diventata. Le mie risposte non tardarono ad arrivare quando si gettò verso la foresta correndo all’impazzata. Stava scappando. Da cosa? Da noi? Da me? Da se stessa? Per quello che potevano dirmi, per quello che era successo non potevo lasciare Sarah sola in quel momento: mia figlia aveva bisogno di me.

“EJ, riesci a comunicare con Seth e Jared?” lui annuì ancora scosso, aveva smesso di tremare, probabilmente non si sarebbe trasformato “ Bene digli di trasformarsi e di uscire dalla testa di Sarah, anche tu cerca di controllarti! Prova come quando escludiamo il nonno dalle nostre teste!” mi voltai verso la casa, non c’era bisogno di urlare mi avrebbe ascoltata comunque “Alice prendimi dei vestiti!” giusto il tempo di finire la frase, che mia zia mi porse uno zaino contenente una tuta per Sarah. Appena lo infilai alle spalle Jake prese la mia mano.

“Vado io!”

“No, Jake va a chiamare Leah!” si era la più giusta.

“Io sono il capobranco, non Leah! E Sarah è mia figlia!”

“Ed è mia sorella, voglio venire anch’io!” si scambiarono uno sguardo complice. Ma io non potevo permetterlo. Non volevo che vivesse la sua prima trasformazione in maniera ancor più traumatica, di quanto già stesse avvenendo.

“Si è tua figlia Jake e tua sorella EJ!” cercavo di mantenere il più possibile la calma, non era facile per come mi sentivo  “ Ma è anche una donna, ed è la sua prima trasformazione …”

“Cosa centra questo con …” ringhiai, insomma non era così difficile da capire.

“Quando si trasformerà si troverà di fronte suo padre e suo fratello e lei sarà completamente nuda come un verme, vuoi che ti spieghi ulteriormente con un disegnino o preferisci che io aiuti nostra figlia prima che superi il confine con il Canada?” Jacob abbassò lo sguardo così come EJ. Sapevano che avevo pienamente ragione: la nudità non sarebbe stata un problema se quella che aveva di fronte a se, non fosse stata sua figlia. Non si faceva problemi a vedere nuda Leah o gli altri ma Sarah, poteva costituire una grande fonte d’imbarazzo “Va a chiamare Leah!” dissi infine secca, non ero intenzionata a continuare. Non volevo perdere ulteriormente mia figlia ed ero pronta a seguirla in capo al mondo se necessario.

 

Continuavo a correre incontro alla scia di Sarah. Sapevo benissimo dove si sarebbe diretta. Come me amava quel posto e come tutte le eredi Swan ne era affascinata. Leah non mi aveva ancora raggiunta ma sapevo che per lei la velocità non era di certo un problema. Nella mia mente ripercorrevo ogni istante passato a sperare che non si trasformasse, ogni minima paura, ogni sensazione contrastante.

< Ti prego Sarah perdonami! > questo era il grido del mio subconscio. Mi sentivo così colpevole che volevo solo una giuria in grado di condannarmi. A breve sentii lo smuoversi del tappeto boschivo. L’emergenza non mi fermò dal frenare bruscamente alla percezione del piccolo lupo dal manto argenteo alle mie spalle.

“Grazie, Leah!” lei latrò, sapevo benissimo cosa significasse. Era un ‘non lo faccio per te, lo faccio solo per Sarah!’ ma non chiedevo di meglio, io volevo il bene di mia figlia “Lo so Leah, ma tu sei l’unica che la può aiutare!” stavo per riprendere la corsa quando mi voltai nuovamente “Sono contenta che ci sia anche tu nel branco con lei …” non so se per il trasporto con cui pronunciai l’ultima frase o per il significato che gli avevo dato, ma Leah ne rimase decisamente stupita. I suoi occhi rimasero qualche secondo a fissarmi per poi avanzare di qualche passo indicando con la testa di seguirla. Con una pesantezza nuova nei piedi la raggiunsi, le toccai la scapola sporgente, lasciando fluire un pensiero che sperai fosse arrivato anche a Sarah < Tu sola puoi capirla realmente, a volte i ragazzi sanno essere veramente ottusi! > emise uno strano versetto come di una risata soffocata alzando gli angoli della bocca “Stalle vicina, ti supplico!” ripetei ad alta voce. Lei mosse il muso dall’alto verso il basso, in un movimento quasi impercettibile riprendendo successivamente a correre. Continuammo a lungo, fino dove gli alberi si diradavano rendendo la vegetazione meno fitta, sbucando poi ad un prato che ergeva dell’erba smeraldo con incastonati mille fiori selvatici dai mille colori. Al centro raggomitolata su se stessa una lupa bianca e nera, che emetteva deboli guaiti, singhiozzando un pianto canino. Leah si avvicinò sfregando il suo muso contro quello di Sarah. Io non avrei mai potuto avere un rapporto simile. Mi sovvenne improvvisamente il pensiero di quella sera quando, ancora in preda all’amnesia, avevo visto Leah e Jacob abbracciati. Perfetti. La loro pelle, i loro visi, i loro tratti, il loro destino comune. Come poteva dire Sarah che io ero perfetta se avevo fallito proprio con la cosa più preziosa che avevo? Io ero imperfetta perché non essendo come lei, non l’avrei mai potuta capire a pieno. Mai come Leah, o  Emily o chiunque avesse potuto assicurarle una vita normale. Potevano parlare attraverso la mente, poteva starle vicino anche in quella forma. Si la stavo affidando alla persona giusta, più del padre che sicuramente l’avrebbe aiutata. Ma Leah possedeva una sensibilità diversa, per quanto il suo carattere il suo modo di essere era così duro a volte, sapevo che poteva assisterla. Quelle che per loro erano parole per me risultavano versi, guaiti, piccoli abbai. Come potevo pretendere di essere una brava madre quando avevamo due linguaggi opposti? Dopo centoventi secondi che io contavo nella mia testa, centoventi secondi in cui io non potevo far altro che aspettare, il lupo bianco tornò ad essere la mia bambina, nuda, indifesa e sdraiata sull’erba. Di fronte a lei anche Leah aveva ripreso sembianze umane ed era subito accorsa ad abbracciarla. Mi apprestai velocemente a porgere i vestiti ad entrambe. Zia Alice, non era semplicemente una preveggente. La sua delicatezza andava ben oltre il suo dono.

“Mamma …”non mi aspettavo che mi chiamasse, con quel tono poi. Temevo l’odio, il disprezzo, non quel tremolare delle parole come se avesse paura di affrontarmi. I capelli scompigliati le coprivano il viso, gli occhi persi. L’aiutai a vestirsi cercando di rassicurarla come meglio potevo, dicendole che qualsiasi cosa avesse detto non importava, lei stava bene e questo solo contava, ed implorai quasi a mani giunte il suo perdono. Lei scuoteva solo la testa, come se le dicessi cose senza senso. Nonostante la trasformazione eravamo ancora su due lunghezze d’onda differenti. Non m’interessava, avrei preso il minimo solo per lei. Cercai di sistemare le ciocche ribelli che le invadevano la faccia. Il suo sguardo vagò dalle mie mani al viso di Leah “I miei bei capelli, dovrò tagliarli … ” ed in quel momento mi sovvenne una Sarah bambina, quando chiedeva a Rosalie di spazzolarle i capelli come le principesse. Cento colpi di spazzola. In quel momento di estrema confusione la sua preoccupazione cadeva su di una vanità, piccola e sciocca agl’occhi di tutti. Ma forse non così tanto. Guardai Leah temendo che dopo l’affermazione di Sarah assumesse un atteggiamento indignato, visto la frivola preoccupazione che l’aveva colta, eppure non lo fece. Si stampò un sorriso bonario. Si era quella la sensibilità che avrei voluto che fosse riservata a mia figlia.

“Con il tuo viso potresti rimanere calva ed essere comunque bellissima!” Leah mi aiutò a sollevarla da terra, per quanto fossi forte, Sarah rimaneva più alta di me. “Torniamo dalle sanguisughe! Sono curiosa di sapere se senti la loro puzza o se sei immune al loro odore stomachevole!”

 

Si era addormentata da ore ormai e con lei EJ, a casa dei nonni. La mia vecchia stanza era stata progressivamente trasformata per accompagnare la crescita dei miei bambini; dalla stanza di mio padre era diventata la mia ed ora apparteneva ai miei figli con due letti posti su due piani differenti. C’erano tante domande da fare e a cui rispondere. Jake e Leah si erano dileguati per avvertire i ragazzi, probabilmente avrebbero organizzato un falò per dare il benvenuto ai gemelli. Si perché anche EJ faceva parte del branco. Lui non si trasformava, ma riusciva a percepire i pensieri di chi era in forma di lupo nel momento in cui la sorella si trasformava. Spiegato il cambiamento fisico che aveva assunto nell’ultimo anno. E noi che pensavamo fossero gli ormoni della crescita, invece era il gene del lupo. Due specie che esistono solo per distruggersi in loro convivevano e si potenziavano fino a diventare praticamente eccezionali. Sarah era una mutaforma sin dalla nascita, perfetta predatrice, grande segugio, dai sensi ancor più sviluppati, con la pelle dura come il marmo ed il carisma ed il fascino di un vampiro. EJ era scaltro, veloce e preciso come solo la nostra razza concede, ma al contempo forte e saldo come uno scoglio, con il sole negl’occhi, una grande intelligenza ed un potere di schermatura fisica. Per molto tempo ci siamo chiesti perché non venivamo più attaccati. Pensavamo che fosse semplicemente per l’ampiezza e i legami molto forti della nostra famiglia, in realtà era per gli elementi che la componevano. Le catene si possono spezzare se fatte con anelli di ferro, ma se il materiale fosse una lega di titanio e piombo, lo spezzarla diventerebbe praticamente impossibile. E come se non bastasse la nostra famiglia non si chiudeva con le capacità dei Cullen. Avevamo un branco di mutaforma pronti a fronteggiare con noi i nemici, con i miei figli come raccordo. Li scrutavo da appena si erano addormentati. EJ era tranquillo, il suo sonno non si smuoveva nemmeno con delle cannonate e con tutta la stanchezza accumulata non poteva essere altrimenti. Invece Sarah, lei si contorceva nel letto di sotto e nel buio della stanza si poteva captare la sua voce debole ed impastata.

“Mi … mi dispiace!” dormiva ne ero sicura. Aveva il vizio di parlare nel sonno. Io non avevo mai fatto sproloqui, qualche volta avevo mormorato parole qua e là, per lo più il nome di Jacob o dei miei familiari, niente a che vedere con i soliloqui di mia figlia.  

“Quella era una cosa di tua madre da umana! Anche lei parlava nel sonno!” ero talmente persa nell’ osservazione dei miei figli che mi era stato impossibile sentire mio padre avvicinarsi.“Scusa, ti ho spaventata?”

“Non è colpa tua sono io che ho la guardia bassa!”

“Dovresti riposare anche tu!”

“Posso resistere papà!” lo dissi con fierezza cercando di fregiare con una maschera beffarda, il mio dispiacere. Ero proprio sua figlia, non c’era che dire. Un aspetto che avevo ereditato il complessarmi continuamente in ogni situazione. “Volevi dirmi qualcosa?”

“Come stai?”

“Come vuoi che stia?” ero irritata da quella conversazione. Sempre pronti a preoccuparsi per me. “Ti prego papà lasciami in pace, ho ben altro a cui pensare! E poi tu e Jasper dovrete fare i conti con me! Vivete con Gabriel e non mi avete detto niente?”

“Era una sua scelta, ha preferito rimanerti accanto come amico piuttosto che starti lontano, non lo biasimo per questo!”

“Certo non biasimiamo il povero Gabriel che ha spezzato il cuore di mia figlia dichiarandosi per la seconda volta innamorato di me!” si allungò chiudendo la porta dei ragazzi. Non voleva che i miei toni alterati disturbassero ulteriormente i suoi nipotini.

“Nessie, se io fossi stato al suo posto avrei fatto la stessa identica cosa!” era strana la piega che aveva preso il discorso. “Quando tua madre era in bilico fra me e Jacob, nel caso lei non avesse scelto me io avrei cercato in tutti i modi di sorvegliarla anche a distanza e di rimanerle accanto!”

“Quindi tu ritieni che i suoi sentimenti siano sinceri?” annuì semplicemente “Jacob ha capito qualcosa di quello che è successo?”

“No, durante quel trambusto non era molto preoccupato dei perché, voleva solo assicurarsi che voi due stesse bene!” io presi la mia testa incastrando le mie dita fra i capelli. 

“Quando Jake lo scoprirà vorrà ucciderlo!”

“Cercheremo d’impedirglielo!” mi appoggiai al muro sbuffando, avrei tanto voluto un piccolo fulmine su di me, giusto per farmi stare in coma un paio di settimane senza preoccupazioni. Nel frattempo avevo iniziato a ripercorrere la Bibbia traducendola in spagnolo. Non mi andava di essere ispezionata come un rospo a biologia. “A cosa pensi?”

“Alla Bibbia di Guttemberg!”

“A cosa pensi realmente? Questa della Bibbia mi è nuova da parte tua!” iniziò a sorridere sbieco, cercando di abbacinarmi con quel suo fare ammaliatore. Peccato che quello fosse anche un mio trucco.

“Sto inventando nuove e mirabolanti traduzioni da usare con te!” si abbandonò ad una risata sommessa.  

“Come vuoi Nessie, ma sai che non potrai eludermi tanto facilmente!” si toccò con l’indice la tempia.

“Sei insopportabile!”

“Potrei dire la stessa cosa!” mi stava stuzzicando come faceva con la mamma, l’odiavo il suo momento da adolescente, lo preferivo da antico ultracentenario. Stavo per andarmene quando mi fermò ad un passo da lui. “Aspetta, c’è qualcuno che vuole parlarti!” e quel qualcuno era proprio colui che volevo evitare. “Vi lascio soli!” < Jacob non sa nulla per ora Nessie, era preoccupato per voi e non ha intuito cosa stava accadendo ma quando si trasformerà con Sarah lo verrà comunque a sapere, cerca di parlargliene prima!  > come se non avessi già abbastanza cosa da preoccuparmi. Mio padre si allontanò ma quello che leggevo nei confronti di Gabriel era un irritante comprensione.

“Nessie posso spiegarti?” la sua voce tremava, era affranto e sconsolato. Ma come potevo essere tenera con una persona che per più di dieci anni mi aveva preso in giro.

“No, è tardi per le spiegazioni!”

“Ti prego amica mia …” a quella parola non ci vidi più. Mi avvicinai al suo viso ad una spanna ed iniziai ad inveire contro di lui solo con lo sguardo. Rimasi con l’odio negl’occhi ad osservarlo per indecifrabili secondi e poi sentenziai con un secco e stizzito.

“Hai un bel coraggio, Gabriel!”

“Non voglio assolutamente che cambi fra di noi!”

“Cosa dovrebbe cambiare Gabriel?” ero infuriata. Nella sua messinscena ci stava andando di mezzo la mia famiglia e soprattutto mia figlia. Come potevo soprassedere e far finta che tutto andasse bene? “Fra me e te non c’è stato nulla, hai capito?” lo spintonai proprio come Sarah aveva fatto con me “N-U-L-L-A!” marcai ogni lettera cercando di infilarle in ordine in quella testa di rapa.

“No, qualcosa c’è stato, l’unica cosa che poteva esserci, per quanto io volessi!” stavo per mollargli un ceffone ma lui bloccò la mia mano afferrandomi il polso. Mi trovai a volerlo ascoltare ad essere più calma.

“Stai usando il tuo potere su di me?”

“Voglio solo che mi ascolti, Nessie nulla di più!” non lasciò la mia mano ma l’abbassò lungo il fianco. Eravamo vicinissimi occhi negl’occhi, ma mentre nei miei c’era rancore e disprezzo, nei suoi c’era devozione e rimorso. “Il mio amore sarà sempre e comunque vivo in me, ma ho deciso di rinunciarvi di diventare ciò di cui tu hai bisogno ovvero di un’amicizia importante come quella nostra!” liberò il mio polso ed accarezzò con il dorso della mano la mia guancia, avrei voluto strattonarla via ma non potevo in alcun modo muovermi, ero completamente condizionata dal contatto prolungato “Sei speciale Nessie, sei unica ma sei sua, non mia! Non lo pretendo, mi basta solo rimanere nella tua ombra! Non chiedo altro!”

“Ma come pretendi che io ti guardi con gli stessi occhi sapendo che  quello che provi per me è diverso da quello che m’aspettavo? E sapendo che stai facendo soffrire mia figlia? ”

“Se potessi tornerei indietro!” lasciò improvvisamente la presa sul mio polso e si separò da me. Non distaccava mai il suo sguardo dal mio, perscrutava ogni mia reazione. Ed in quel mare intriso di dolore, provai infinitamente pena. Quanto poteva essere doloroso guardare la persona che ami condividere la sua vita con un altro?

“Sai che Jacob lo verrà a sapere molto presto!”

“Non importa, ho accettato che tu sia …” ingoiò fiele. Lo vedevo che si stava riversando nella sua bocca, inondando il suo animo. “ … sua …” abbassò il volto ed una lacrima cadde sul pavimento. Soffriva tacitamente da anni.

“Non la prenderà bene!”

“Quello che pensa lui è irrilevante!” disse freddamente alzando nuovamente il viso verso di me “Io voglio solo che tu mi permetta di continuare a starti accanto!” c’era sprezzo nel suo tono, non era mai passato buon sangue fra i due.

“Non lo so Gabriel sono combattuta! Non vorrei perderti come amico, ma allo stesso tempo so che per te sono di più e questo ferirebbe mio marito!” presi una pausa “Non posso permetterlo. Mi rimetterò a quello che vuole Jacob!” sarebbe stato lui a decidere perché era giusto così. Lui era il mio tutto, non potevo lasciarlo corrodere dalla gelosia.

“Se questo è quello che vuoi! Ma voglio chiederti un piacere …”

“Quale?”

“Voglio parlargliene io! Prima che si trasformi con tua figlia, voglio potermi spiegare prima che mi assalga immediatamente!” rimasi interdetta non sapevo più come comportarmi.

“Non ti lascerà spiegare!”

“Tentar non nuoce!” disse sardonico, accennando ad un sorriso.

“E sia! Ma non voglio scontri!” con la mia ultima sentenza entrai nella camera dei miei figli. Avevo solo voglia di abbandonare il mondo reale e dormire accanto a Sarah. La mia bambina s’agitava nel letto borbottava e parlava sommessamente. Stava avendo un incubo e da quello che capii ripercorreva il pomeriggio appena trascorso. Mi allungai accanto a lei e posai una mano sul suo viso. Smise di agitarsi appena iniziai a proiettare nella sua mente mille immagini colorate. < Non posso darti delle risposte concrete ma posso regalarti almeno la tua fantasia preferita > nacque in lei un sorriso, tenero ed amabile. Un sorriso per me.

“Mamma …” sussurrò nel sonno. Finalmente non più amarezza o brutalità nei suoi toni, solo dolcezza. Le baciai la fronte mantenendo le mie mani salde alle sue calde gote. Passarono ore tanto che l’alba apriva al nuovo giorno. Mi scuotevano e l’urlo terrorizzato di Sarah che implorava a qualcuno di fermarsi. Pensai ad un incubo ma l’insistenza con cui stava avvenendo non tracciava un netto confine fra realtà e fantasia.

“Presto Nessie!” ero ancora sull’orlo del sonno, non riuscivo a distinguere bene le parole di Alice “Svegliati!”

“Zia cosa c’è?”

“Jacob!” mi bastò sentire quel nome per reagire. Compresi immediatamente ciò che stava avvenendo. Mi sciolsi dalle coperte rischiando d’inciampare e cadere se non fosse stato per la Zia che prontamente afferrò il mio braccio trascinandomi al piano di sotto. Rose, Emmett, EJ e mio padre erano sull’uscio di casa a godersi lo spettacolo, Carlisle invece si trovava nel mezzo fra Jacob e Gabriel cercando di placare gli animi,  entrambi ringhiavano e si contorcevano dalle rispettive prese di mia madre e di Leah. Jasper da un lato si teneva la testa concentrandosi su mio marito usando il suo potere, forse grazie a lui Jacob non si era ancora trasformato. Sarah se ne stava tra le braccia di Esme spaventata.

“Buongiorno mamma, ti sei persa il meglio!” all’affermazione di EJ notai il labbro sporco di sangue di Gabriel.

“Lasciami Bella, prima mia moglie poi mia figlia, io lo AMMAZZO!”

“Brucia vero?” guardai torvo mio padre che ormai aveva preso a ridere con quella sua faccia soddisfatta e il sorriso sghembo d’ordinanza. Si lanciava sguardi d’intesa con EJ che aveva la stessa identica espressione l’uno appoggiato con la spalla allo stipite l’altro contro il muro.

“Non è successo nulla con tua figlia, NULLA!”

“Cosa? Solo da quella tua faccia tosta poteva uscire una cosa del genere!” i toni si stavano elevando “L’avevo capito che c’eri di mezzo tu!”

“Calmatevi vi prego, figli miei!” implorò Esme come se stesse strozzando il pianto che non poteva versare. Eravamo tutti suoi figli. Anche Gabriel, che fra di noi era il più bisognoso. Quale diritto avevo di separare una madre da un figlio? Esme amava enormemente Gabriel, con quello spirito artistico e introspettivo simile al suo.

“Papà ti prego, BASTA!” l’urlo di terrore di mia figlia mi riportò alla realtà “È vero ho fatto tutto da sola, ti … ti prego non fargli del male io non lo sopporterei!” cadde sulle ginocchia ed Esme s’inchinò accanto a lei carezzandole dolcemente la schiena, mentre Sarah si teneva la testa disperatamente, incastrando le dita pallide tra i capelli “Lui non ha fatto nulla, non mi ama se non come …” Jacob si placò osservando la nostra bambina così abbattuta , ma la mamma non mollò la presa perché sapeva che alla rivelazione più scottante non si sarebbe più trattenuto. Anche mio padre e zio Emmett si alzarono dalla loro posizione e si prepararono ad intervenire. “… una nipote. Lui non può amarmi, il suo cuore è di … un’altra” il volume andò via via calando, diventando poco più di un sussurro. Un nuovo fremito colse i suoi muscoli, mi avvicinai a lui sfruttando le mie capacità di vampiro e posai le mie mani sul suo petto, come dodici anni prima avevo già fatto in un’occasione.

< Nessie è pericoloso! >

< Papà, è mio marito non mi farà del male! >

“Jake?”non rispondeva tremava, i suoi polmoni annaspavano aria alla ricerca di un controllo che non sarebbe arrivato facilmente, ma nel suo sguardo leggevo solo ed esclusivamente sconcerto. Aveva capito tutto “Jake, rispondimi!” presi il suo viso tra le mani, ansimava sempre più forte ed il suo tremore aumentava progressivamente. “Jacob, calmati tua figlia ha bisogno di te!”

“T – Tu lo sapevi!” sputò tra i denti, Jasper era sempre più affaticato  e per una volta era Alice a doverlo assistere. Non potevo rispondergli abbassai solamente lo sguardo “Tu lo sapevi?” rincarò muovendo un passo verso di me. Mio padre si affiancò alla mamma aiutandola a tenere Jacob, ed EJ si pose dietro di me pronto anche ad usare il suo potere per difendermi.

“Papà calmati! Non vorrai farle del male?”

“TU LO SAPEVI?” alzò ulteriormente i toni. Per la seconda volta mi trovai di fronte ad un licantropo totalmente fuori da ogni controllo.

“Bella lascialo andare!”

“Ma Edward …”

“Bella!” appena mia madre lasciò le sue braccia  mio marito s’inoltrò nella foresta, uno squarcio di vestiti ed un ululato. Stava soffrendo, il mio Jacob si sentiva tradito.

 

La scogliera. Quanti bei ricordi da collegarci, quanti brutti, quanti nostalgici. Avevo aspettato tutto il giorno per cercarlo. Non volevo affrettare i tempi, ma anch’io avevo bisogno di mio marito. Una matassa di pelo ruggine era aggrovigliata accanto ad un masso sporgente, sembrava dormisse. Il suo grande muso era adagiato sulle sue zampe anteriori incrociate, lo alzò un momento in mia direzione appena una leggera brezza scosse i miei capelli invadendo con il mio odore il suo olfatto per poi riposizionarsi di nuovo come in precedenza, sospirando a pieni polmoni. Il mio lupo. Nonostante fosse arrabbiato, quella situazione mi fece sorridere. Da quanto non condividevo con lui la sua forma animale?

“Ciao lupastro!” mi accucciai accanto al suo torace, cingendo con il mio braccio il dorso e poggiando la mia guancia contro il morbido pelo. Tornai ad essere un po’ bambina. “Jacob …” affondai la mano nel suo manto e lo lasciai scorrere tra le dita, donandoci un piacere immisurabile. Amavo tutto di mio marito, anche il suo essere lupo “… Jacob …” lo sussurrai praticamente al suo orecchio che si mosse come a scacciare una mosca, solleticato dal mio fiato caldo “ … ti amo!” il suo torace si riempì e tutta l’aria catturata venne sbattuta fuori in un sospiro carico di tristezza. Guardavo alla sua nuca ancora accucciata fra le zampe, la brezza marina proveniente da Est, scuoteva il suo manto  piuttosto lunghetto a dire il vero “ … dobbiamo tagliare un po’ i capelli!” un verso che doveva somigliare ad un lamento “Non fare i capricci, non vorrai diventare un cagnolino da esposizione! Sai che Rose non aspetta altro che metterti qualche fiocchetto per schernirti!” alzò il suo testone con una smorfia contrariata e tremendamente buffa. Si stava sciogliendo. All’inizio ero divertita ma poi un altro pensiero giunse nella mia testa e lo sconforto prese il sopravvento “Anche Sarah dovrà tagliarsi i capelli …” presi a guardare al di là dell’orizzonte cercando un qualcosa che mi potesse distogliere dal dispiacere che mi provocava la sua sofferenza. Una lacrima come un aratro solcava la mia guancia segnando con una piccola stella grigia la roccia. A cosa avevo indotto la mia bambina? Mi ritrovai costretta contro il terreno. Con le zampe mi bloccava le spalle, nonostante non opponessi alcuna resistenza. In un istante il suo manto divenne da ruggine a bronzeo e le sue mani avevano preso ad accarezzarmi il viso, sdraiato su di me senza pesarmi.

“Renesmee …” un sorriso mesto, dolce e delicato si disegnò sul suo volto “… era destino sapevamo che sarebbe successo!”

“Jacob è a causa mia …”

“No!” il suo tono si alterò alquanto “Tu non c’entri!”

“Non incolparlo!”

“Ah no?” quando le parole non esistevano, quando io non potevo esprimermi, tra le mie mani si trovava un metodo infallibile per comunicare. Ma prima che posassi i miei palmi sulla sua mascella Jake girò il viso posando le sue labbra su quello destro. Chiuse gli occhi e vide tutto quello che ripercorrevo da un giorno. “Ed insisti nel dire che non centra!” aveva ancora gli occhi chiusi ma esprimeva totalmente il suo dissenso.

“Jake ti prego cerca di capire!”

“Capire? Capire cosa, Nessie? Che quel bastardo  non fa altro che sbavarti dietro come, tra l’altro, dico da sempre? Che ti vorrebbe come posso averti solo IO!” rimarcò quell’io con parecchia intensità  “Che desidera giacere …” gli tappai la bocca con la mano bloccando la sua schiena in modo da non allontanarsi.

“Lo so Jake, non è facile da capire, io non so davvero come comportarmi ma se tu deciderai che non devo più vederlo se ne andrà, devi solo dirmi quello che vuoi ed ogni tuo desiderio sarà esaudito! Non voglio che tu risenta di questa situazione orribile, voglio solo la tua serenità …” stavo per continuare ma un’altra domanda ripercuoteva il mio poco sano cervello “Un momento, hai detto giacere?” i nostri occhi rimasero a studiarsi per qualche secondo. Dimentichi di tutto iniziammo a ridere come pazzi. Posò il suo volto sul mio petto, ancora scosso in maniera disordinata ed ilare. La mia unica medicina contro tutto: contro il dolore, la tristezza, la rabbia. Lui, il mio lupo, il mio Jacob.

“Non mi sembrava elegante dire che vorrebbe infilarsi nei tuoi slip!” rideva ancora ma io mi arrestai di colpo accarezzando la sua testa. “Nessie, cosa c’è?”

“Jacob, non ridurrei tutto ad un solo desiderio sessuale!” sollevò la sua testa proprio come  in forma di lupo, mi scrutò con i suoi tizzoni neri “Se fosse stato così, né Jasper né tantomeno papà l’avrebbero accettato. Mi rispetta, quello che prova per me è davvero amore …”

“E tu cosa senti per lui?” era stranamente tranquillo, non temeva la mia risposta non perché mi giudicasse scontata ma per l’assoluta fiducia che riponeva in me.

“Adesso come adesso provo pena per lui …” passai la punta delle dita dietro l’orecchio lasciando un leggero brivido di piacere percorrere il suo corpo “ma gli voglio enormemente bene, come ad un fratello! Ormai lo conosco da tanto, abbiamo condiviso tutto, mi ha anche salvato la vita più di una volta …” in un movimento repentino mi ribaltò portandomi a cavalcioni su di lui, che contemporaneamente si era seduto. Non riuscirò mai a capire come faccia a girarmi come fossi una bambola. “E poi mi dispiacerebbe fare un torto ad Esme!”

“Cosa centra Esme?”

“Per la nonna Gabriel è come un figlio, anzi è il figlio più bisognoso e il suo allontanamento significherebbe ferire anche lei! Ma metterei da parte tutto, persino l’amore per i miei genitori, se questo ti facesse seriamente soffrire! Non mi importa la scia di cadaveri che lascerà il suo passaggio, tu sei più importante di tutto e tutti, ed anche Sarah se uno di voi due dovesse soffrire lo spedirei al confine con un unico calcio!” l’ultimo frammento del mio monologo ci fece sorridere me poi restammo così a guardarci negl’occhi per un po’. Mi stava leggendo, lo sentivo,  sapeva cose di me che io non conoscevo affatto, persino i pensieri che ancora non si erano formati. Dopo qualche istante, abbassò lo sguardo sospirando con forza.

“No!”

“Cosa vuoi dire con ‘no’ ?”

“Vuol dire che sono impazzito del tutto, ecco cosa vuol dire!” quello era sarcasmo? “Senti prima che il mio cervello faccia marcia indietro ascoltami senza interrompermi, ok?” annuii sempre più curiosa, io mi aspettavo che sbranasse Gabriel o che mi dicesse una volta per tutte di mandarlo all’inferno, invece dalle premesse sembrava tutt’altro “Prima c’ho pensato e sinceramente so quanto l’amicizia con Mr Italia conti per te, e per quanto io vorrei spaccargli la faccia, Dio solo lo sa quanto vorrei …” per tutto il tempo non mi guardava girava gli occhi, ma sull’ultima frase indugiò con la coda dell’occhio sul mio viso “ … la mia preoccupazione principale è rendervi felici, tu ed i nostri figli. Non è giusto che decida io della tua amicizia con quell’ameba è una cosa tua ed io mi fido di te, totalmente, sarebbe stupido non farlo. Sappi solo che qualsiasi cosa tu decida io l’accetterò!”

“Davvero?” chiesi davvero sbalordita.

“Si, spero solo che questa improvvisa Cullenite mi passi, odio essere magnanimo con uno che per la seconda volta si è dichiarato a mia moglie! Ma come faceva Edward a sopportarmi e a mantenere tutto quell … come si dice?”

“Aplomb? ”

“Qualsiasi cosa significhi, quello che hai detto tu!” mi ero già aggrovigliata al suo collo. La sua comprensione era assolutamente stupefacente. Ogni giorno mi dimostrava il suo amore, i suoi sentimenti, ma con quel gesto magnanimo stava praticamente urlando con il cuore il mio nome. “Però ho le mie dovute riserve!” non potevo pretendere che non ci fossero condizioni, probabilmente le avrei poste io se non avesse messo lui stesso dei paletti “Le distanze di sicurezza aumenteranno, e non deve in alcun modo toccarti, non voglio che con quel suo potere possa influenzarti e spingerti ad andare via da me!” baciò il mio naso, si divertiva quando lo arricciavo dopo che me lo accarezzava con le su labbra roventi.

“Cosa ho fatto per meritarti? Sei fantastico!” stavo per prendere nuovamente le sue labbra ma venni fermata dal suo dito posato su di esse.

“E dovrà stare lontano da Sarah, molto lontano da Sarah!”

“Hai paura che possa ripensarci o che so, avere l’imprinting con lei?” alzai un sopracciglio aspettando una risposta contrariata almeno quanto il cipiglio che aveva assunto con il suo viso.

“Lontano!” il suo tono perentorio mi fece alzare le braccia sconfitta.

“A proposito di Sarah, cosa hanno detto i ragazzi …” i suoi occhi si accesero di una luce nuova. Jacob aveva combattuto a lungo contro la sua natura da ragazzo, almeno fino al nostro imprinting. Con la mia venuta al mondo i lati positivi avevano sostituito quelli negativi fino alla sua completa accettazione. Anzi era esaltato dalla sua natura mista, che gli consentiva un’eternità con me.

“Sono tutti contentissimi di averla con noi, poi hai visto che muta? Degna figlia di suo padre! Sarà un magnifico capobranco!” sentivo la fierezza, la gioia, per lui quello era un grande traguardo. In una famiglia normale, c’erano diplomi, lauree, il ballo delle debuttanti. Per noi i riti di passaggio erano la muta, la caccia e il primo vampiro ucciso. Tutto quell’essere speciali quanto costava? A cosa stava rinunciando la mia bambina? Decisi di glissare l’argomento, non volevo rattristarlo visto i sorrisi contenti che elargiva. “Ed EJ, Wow! Non me l’aspettavo, è grandioso insomma, non può diventare un lupo ma può ascoltare i nostri pensieri! Quindi è della combriccola anche lui, anche se  è vincolato alla mutazione della gemella!” quelle cose da maschio che non capirò mai, risiedevano nell’eccitazione che Jacob metteva nel momento in cui aveva scoperto che anche il suo ometto era dei loro. A me non poteva nasconderlo aveva sempre desiderato che anche EJ fosse un licantropo, “I nostri figli sono decisamente unici, mio padre aveva ragione, con Sarah ed EJ è doppiamente rafforzato! EJ che mantiene la sua forma umana, la sua capacità di ragionare, Sarah che è forte ed intelligente, sono perfetti!”

“Se gridi ‘Eureka!’ sembri Archimede quando ha scoperto la legge della spinta nei liquidi!” baciò teneramente le mie labbra ma a me non bastava volevo di più. Le dischiusi appena invitando anche Jacob a fare lo stesso. Le sue mani vagavano sulla mia schiena scoprendo una porzione di pelle ed iniziando una invitante stimolazione dei miei sensi. Salivano con i polpastrelli lungo la spina dorsale per poi scendere fino al limitare dei mie jeans. Lo desideravo moltissimo ed era sempre un buon modo per concludere una conversazione. Ma purtroppo in un momento di lucidità si discostò lasciandomi mugolare di dispiacere “Nessie, sono nudo …”

“Che problema c’è?” ero così abituata al suo corpo che vederlo senza alcun vestito non mi creava imbarazzo. Ricordavo ogni muscolo ed ogni cicatrice tanto che se avessi chiuso gli occhi e mi fossi allontanata le avrei elencate alla perfezione.

“Fra qualche minuto riprenderanno le ronde Nessie …”

 

Note dell'autrice: Ce l'ho fatta, il capitolo più lungo in assoiluto anche se molto ricco di dialoghi. Affronta molte cose devo dire lascio a voi i commenti. Vi pongo solo una domanda: Vi aspettavate un comportamento del genere da parte di Jacob? C'è da dire che Nessie davvero non sa che fare con Gabriel, quindi non sappiamo se continuerà o no a stare a casa Cullen. Altra domandina piaciuta la Cullenite? io quando l'ho pensata sono stata un quarto d'ora a ridacchiare come una scema.

noe_princi89: si il capitolo finiva sul più bello perchè apriva le porte a questo più conclusivo e lungo. Spero di averti ripagato della suspense!

Lione94: Non si è trasformato EJ, adesso posso rispondere alla tua domanda su di lui di due recensioni precedenti. In effetti in Sarah ed EJ si ha una bella mescolanza di geni. Ho pensato che con Nessie e Jake come genitori potesse venirne fuori una cosa unica ma allo stesso tempo distinta. Hai presente le informazioni contenute nei cromosomi? Praticamente geneticamente noi abbiamo scritto tutto a partire dal colore dei capelli a finire alla nostra morte biologica. Le caratteristiche possono essere dominanti (ovvero quell che si manifestano) e recettive (ovvero latenti quelle che se accoppiate ad un dominante non si vede ma rimane pur sempre nel nostro patrimonio genetico) . In EJ la dominante è quella di vampiro ma quello del licantropo esiste anche se recettivo, così come per Sarah il contrario. Dato che però loro sono esseri assolutamente speciali a differenza degli umani i loro caratteri recessivi li manifestano come hai potuto ben vedere. Ho cercato di spiegarlo nella maniera più semplice spero di essere stata chiara (a dirtela tutta non mi sono capita tanto nemmeno io, mi sento molto come luca laurenti in questo momento =_=''') Ah spero che la tua curiosità ti abbia tenuto in piedi!

kandy angel: si si è possibile cara mia, ecco qui tutte le spiegazioni possibili ed inimmaginabili! Baci grazie ancora per i tuoi commenti!

IloveJacob: Sinceramente non sono molto d'accordo nel mettere immagini che descrivano i personaggi mi piace più lasciarvi liberi di immaginare come se leggeste un libro. Però comunque penso di poter accontentare la tua richiesta. In realtà c'è un attore che potrebbe assomigliare a EJ diciamo che è quello che più si avvicina è Drew Fuller (Chris di Streghe), per Sarah ho trovato una foto di una ragazza che non ha nome però diciamo che la mia coppia di gemelli dovrebbe essere questa:

  Spero di averti accontenta, continua a seguirmi ^^!!!Baci e a presto!

VOLEVO RINGRARE TUTTI SEMPRE E COMUNQUE!

Besos chicos!

Mally!

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Capitolo 37
*** CAPITOLO X: Ama la verità ma perdona l’errore (Voltaire) ***


CAPITOLO X:  Ama la verità ma perdona l’errore  (Voltaire)

 POV Sarah

Erano passate delle ore dallo scontro fra mio padre e Gabriel ed entrambi erano scomparsi, l’uno per calmarsi l’altro per riflettere. Detta così, sembrava di ripercorrere la lotta della mia trasformazione, vampiro contro licantropo, ragione e sentimento. Ripensare a quello che avevo vissuto solo poche ore prima mi faceva sentire nuda, indifesa, incontrollata. Le mie ossa riportavano ancora gli strascichi di quello che avevo vissuto, indolenzite dalle modifiche che il mio corpo aveva subito. Il fuoco che dal centro del petto aveva lentamente invaso ogni parte di me, attraversando i muscoli i tendini, i vasi, il cuore tanto da sentirmi arsa dall’interno, bruciava ancora sulla mia pelle che aveva raggiunto il culmine della sua temperatura. Al dolore prettamente fisico si aggiungeva l’incontrollato stato di collera che provavo nei confronti di chi non meritava. Ero una bomba con un timer che scattava i suoi ultimi secondi esplodendo come uno strappo ad un vestito troppo stretto. Avevo sentito ogni mia costola ampliare la circonferenza del mio torace, i muscoli allungarsi, la testa scoppiare. I miei occhi non erano più semplicemente due. Non ero più io, sola: vedevo la foresta muoversi mentre i pensieri si affastellavano disordinati. Le visioni cambiavano velocemente, spostandosi in più di un’occasione ed alla fine ero nella mente di EJ. Guardava ad un gigantesco lupo bianco e nero che si trovava esattamente dove mi trovavo poco prima. Riconoscevo il letto del fiume alle mie spalle, quel piccolo gomito che confinava con la proprietà dei Cullen, dove un piccolo masso si era incastrato creando una sorta di piattaforma di dimensioni ridotte. Collegai il lupo, alla posizione, alle voci, alla sensazione di avere la mente affollata. Finalmente mi ero trasformata e nonostante fossi preparata non riuscivo ancora a capacitarmene. Non riuscivo ad accettarmi.  La mia stanchezza era stata sostituita da un nuovo vigore, rafforzata da una prospettiva completamente diversa, non solo visivamente ma anche mentalmente. Ed ero completamente terrorizzata. Non sapevo gestire la mia nuova forza e temevo l’ondata contrastante di sentimenti che continuavano a fluttuare in me. Mi sovvennero le cicatrici di zia Emily, il piccolo rituale che zio Sam effettuava su di esse baciandole una ad una. Impiantai quelle cicatrici sul volto di  mia madre. Provai a parlare per fermarla ma non riuscii ad emettere altro che un verso animale. Ma EJ che aveva ascoltato ogni mia supplica la bloccò, salvandoci entrambe. Con un moto irrefrenabile mi trovai a scappare nel folto della foresta lì dove spesso da bambini con i miei nonni giocavamo al campeggio passando accampati in quello spiazzo anche intere notti,  raccontando come in un romanzo la sua storia con nonna Bella: la radura. Sentivo la voce degli zii implorarmi di continuo di stare calma, di non agitarmi, che tutto sarebbe passato finché non intervenne EJ che riuscii a farli tacere scomparendo dalla mia mente anche lui. Non sapevo più che fare e mi trovai al centro esatto del prato verde come un gioiello. Avevo solo voglia di urlare, ma l’unica cosa fu un lamento grezzo, che non aveva nessun significato. Odiavo non potermi esprimere, desideravo con tutti i mezzi possibili di tornare umana ma più provavo più la mia angoscia cresceva. Il mio pianto era solo un guaito spento, ormai rassegnata. Mi raggomitolai su me stessa come un fuco. Sentivo tutte le parole che mia madre mi aveva appena pronunciato e mi risultavano soltanto giuste. Andavo predicando di essere cresciuta, di non essere più una bambina, e poi mi ritrovavo a fare dei capricci per il giocattolo rubato. La mia forma di lupo mi stava concedendo il tempo di comprendere cosa veramente stessi provando. Dopo poco giunse una nuova voce. Era familiare, femminile conosciuta. La zia Leah. Non era invadente come le altre, mi dava solo piccoli suggerimenti sul da farsi e concise rassicurazioni, giustificando il mio disorientamento, spiegando come era possibile invertire il processo. La vidi in forma di lupo, stupita per il collegamento con mio fratello e mi sentii felice di avere accanto una persona con cui condividere questa condanna. Lentamente mi aiutò a distinguere le mie emozioni a scinderle, a porre in evidenza le cose felici. “Sarà sempre così?” il mio pensiero rantolato come una supplica ad una risposta negativa, venne seguito da una risposta che mi straziò “Per te sarà più facile” per lei non lo era mai stato. Solo quando mia madre, la donna che avevo accusato di essere la mia rovina si era chinata su di noi per porgerci dei vestiti aiutandomi ad indossarli capii cosa intendeva. Non ero sola, avevo lei, avevo papà, avevo EJ. Non contando tutti i ragazzi del branco e la mia famiglia strampalata di vampiri pronti a sostenermi. Il mio fratellino. Che strano pensare che  alla fine anche lui era coinvolto. Non era da tutti essere uno strano incrocio tra vampiro umano e licantropo e diventare un membro di un branco mutaforma senza trasformarsi. Ed anche questa cosa, che sembrava essere solamente mia, l’avremmo affrontata insieme. Strano a dirsi ero rincuorata dal  cambiamento di programma. Forse l’aspetto che più mi angosciava della trasformazione era proprio la possibile mancanza di EJ, ma in cuor mio sapevo che non mi avrebbe abbandonata nemmeno in questa nuova e strampalata avventura. Decisamente fuori dal comune. Ma cosa c’era di comune nella nostra famiglia? Popolavamo la casa dei nonni da quasi quarantotto ore ormai; il giorno era agli sgoccioli e la mamma aveva deciso di andare a cercare mio padre per farlo tornare a casa. L’amore fa schifo. Tutti pensavo che Gabriel avesse confuso il sentimento per la mamma, che quello che provava fosse solo affetto, molto forte ma pur sempre affetto. Ed invece. Quello che covava era ben altro. La desiderava come una compagna, come donna della sua vita, ma non potendola avere in quelle vesti preferì prendere tutto quello che gli era concesso, un’amicizia fraterna. Doveva essere frustrante osservare la persona che ami guardare con gli occhi dell’amore qualcuno che non sia tu. Eppure io non sentivo dolore quando Gabriel osservava la mamma. Anzi. Potevo dire di sentire compassione, tenerezza, invidia. Ma dolore e frustrazione non c’erano. Forse tutto quello che provavo era semplicemente un miscuglio inaspettato di sensazioni dovute al trasporto per la mia trasformazione, ed adesso sapevo che assieme al mio corpo anch’io ero mutata. Molto di quello che pensavo di provare e sentire era sfumato, placato o addirittura scomparso. Avrei tanto voluto parlare con la mamma, esprimerle tutto il mio rammarico per le cattiverie che le avevo sputato con veleno addosso ma lei era così preoccupata per papà che non avevo avuto il coraggio di sobbarcarla con i miei sensi di colpa.

“Sarah, come mai qui da sola?” la mamma mi raccontava sempre da bambina come i vampiri ereditano i loro doni grazie alle caratteristiche che avevano da umani. Così lo zio Jasper, giovane uomo carismatico, diventò un empatico plasmando a suo piacimento le emozioni, nonno Carlisle persona dalla grande prestanza spirituale, era dotato di una compassione unica nel suo genere. Mio nonno invece, aveva una grande sensibilità e quindi, nella sua seconda vita, poteva entrare nella testa della gente.

“Sto aspettando mamma e papà!” ero davanti alla porta di casa Cullen osservando il buio progressivo che mangiava le sagome degl’alberi. Se prima i miei sensi erano ottimi ora erano praticamente perfetti. Avevo avvertito la presenza del nonno ancor prima che si palesasse alle mie spalle ed avevo sentito il suo muoversi come se rallentato rispetto alla solita velocità. Me lo ritrovai seduto accanto a me a guardare la foresta. “EJ?”

“Indovina!” alzò un angolo della bocca voltandosi verso di me. Più i miei occhi l’osservavano e più mi accorgevo quanto di lui risiedesse in mia madre “Si sta allenando con Emmett e Jasper, ha detto che deve sgranchirsi le ossa!”

“Sempre il solito EJ!” il mio fratellino, quanto odiava questa cotta, come la chiamava, solo perché temeva che ne soffrissi. Anche lui come il nonno dimostrava una forte percettibilità e una importante sagacia, forse troppa. Carpiva molto bene i comportamenti altrui a differenza mia che invece travisavo i significati che avrei dovuto attribuire.

“Già, il solito …”

“C’è qualcosa che non va nonno?” il suo tono così strano, lontano dal giovane nonno a cui ero abituata, il suo sguardo scintillante perso, puntando la sua luce a terra.

“Le conseguenze di quello che avvenuto tra ieri ed oggi si ripercuoteranno negl’equilibri della nostra famiglia che noi lo vogliamo o no, e questo mi spaventa …” mi volse i suoi occhi ed il suo sorriso sghembo che tanto piaceva  alla nonna, ma che riusciva a far soccombere anche me al suo fascino “E poi tu cresci troppo in fretta!” mi scosse i capelli arruffandoli e costringendomi a soffiare con forza contro una ciocca che si era andata a posare birichina sul mio naso.

< Non ne sono così sicura … > per qualsiasi persona, nel vedere noi due seduti in terra a parlare normalmente, ci avrebbe preso per dei compagni di classe che si scambiavano consigli su come passare i foglietti durante le verifiche. Ma noi non eravamo delle persone. Un vampiro e un ibrido complesso. Due creature mitiche che si atteggiavano ad esseri umani, parlando dei problemi adolescenziali di crescita.

“Perché pensi di non essere abbastanza matura, Sarah?”

“Sono tremendamente stupida, nonno!” un pizzico di malumore caratterizzò la mia voce “Insomma guarda cosa ho combinato, con la mamma, con EJ, con …” sospirai. Non avevo più pronunciato quel nome dalla mattina, nonostante nella mia testa vorticavano le immagini con lui come protagonista principale “ … Gabriel …”

“Sarah posso farti una domanda indiscreta?” voltai il mio sguardo poggiando l’orecchio sulle braccia allacciate alle gambe.

“Certo, sai che non ho segreti con te!” < Anche volendo … >

“Insomma questa cosa di Gabriel ce l’hai tenuta nascosta abbastanza bene, nemmeno Jasper se ne era accorto!” non sembrava arrabbiato, piuttosto divertito “Comunque, volevo chiederti cosa provi realmente per lui …”

“Perché non lo sai?” chiesi un po’ scettica.

“Questo non serve a me, ma a te. Prova ad analizzare quello che provi!”

“Se devo essere sincera, dopo la trasformazione è cambiato un po’ tutto …” presi le mie ginocchia e mi chiusi nel mio mondo fatto di arti aggrovigliati. “Non ho più ben chiaro cosa provo per chi, so solo che sono affranta per le parole che ho detto alla mamma …” spostò le mani dietro la schiena allungando un po’ il busto. Un suo sospiro caricò l’aria attorno a noi come se soppesasse le parole da dire.

“Non mi preoccuperei se fossi in te, lei ti ha già perdonata!”

“Dici?”

“Si, dico!” alzò un angolo della bocca, sapevo che quelle mie incertezze gli ricordavano la mamma.

“E papà, non deve aver preso bene tutta la storia, già non sopportava Gabriel ora chissà che non lo voglia definitivamente uccidere!” al nonno scappò una risata leggera per poi rabbuiarsi quasi infastidito, storcendo il naso.

“Non mi preoccuperei nemmeno per lui. È sempre il solito bambinone  troppo cresciuto, esaltato per un nuovo gioco: la tua trasformazione, EJ …” lo disse con uno strano vezzo, alzando il sopracciglio come se non gli andasse a genio la sua reazione. “Invece di pensare alle conseguenze di ciò che fa agisce d’impulso, non ha provato nemmeno per un minuto ad ascoltare le motivazioni di Gabriel, so che non deve essere facile, ma in fin dei conti non ci è passato anche lui? Non lo so tutto questo modo di fare da gran uomo, mi da ai nervi! Sembra ancorato all’età della pietra in certi casi: questa è la mia donna e uccido tutti quelli che la vogliono!”

 “Sai can che abbaia non morde!”  gli anni passavano, e il romanzo che li coinvolse era giunto sempre alla parola fine. Eppure fra di loro un antagonismo pungente, non tardava mai a palesarsi. Strinsi forte il suo collo, in un abbraccio che per un umano sarebbe risultato soffocante. “Nonno tu mi adori?” era stranamente sorpreso da quel mio sospiro detto con eccessivo trasporto.

“Certo Sarah, sai che ti adoro!”

“E sai che adoro papà?”

“Non capisco dove tu voglia arrivare …” la sua aria perplessa espressa da una smorfia contraria mi portò a non tirare il discorso troppo a lungo.

“Per sillogismo aristotelico, non dovresti cercare di andare d’accordo con lui solo per il mio bene?” e con questo il vampiro Edward Cullen, era ufficialmente sconfitto. Aveva ragione la mamma quando mi diceva che ero capace di voltarlo come una frittata.

“Mmm … ” lo baciai sulla guancia, quando uno strano turbine di braccia e gambe sfilò di fronte a noi ed un Emmett piegato in due dalle risate barcollava sorreggendo il suo grembo ancora scosso. Se fosse stato umano avrebbe sicuramente versato qualche lacrima. Poco dopo dall’imperscrutabile vortice, emerse la figura di Jasper ed EJ.

“Zio preso!” in una mossa fulminea EJ si ritrovò con le braccia bloccate dietro la schiena, completamente immobilizzato guaendo come un cagnolino. EJ era abile ma anche molto inesperto.

“Non direi EJ!” anche il nonno cominciò a ridere sommessamente mentre ormai Emm si era sdraiato per terra grattando con la schiena sul suolo. Mi aspettavo che da un momento all’altro si alzasse e cominciasse a cantare ‘Lo stretto indispensabile’, con zia Rose nel ruolo di Bagheera che lo guardava sconsolata, bofonchiando il suo malcontento (rif: Il libro della giungla/ Walt Disney). A quella scena il nonno iniziò a sganasciarsi letteralmente dal ridere.

“Sarah, le immagini che la tua mente creano sono anche più spassose e vivide di quelle di Nessie!Oddio …” ed ancora risate su risate ed io non riuscii a controllarmi, coinvolgendomi in quell’ilarità crescente. “ … Rosalie, Ah,Ah, Ah!” non ci eravamo accorti degli sguardi perplessi dei tre presenti e nemmeno come ci accerchiavano. Jazz sogghignava influenzato dal nostro divertimento.

“Scusate non …” disse fra un singhiozzo allegro e l’altro “ … non riesco a fermarmi …” dopo un po’ di resistenza si unì anche lui accucciandosi accanto al nonno che non avevo mai visto così allegro.

“Io odio questi vampiri con poteri speciali!” e alla battuta di Emmett le risate aumentarono ulteriormente.

“Sembrano strafatti di marijuana!” esclamò sconsolato EJ calamitando i nostri sguardi su di lui. 

“E tu che ne sai EJ?” nonno Edward divenne serio, così come Emmett e Jazz che lo squadravano in maniera inquisitoria. Io invece ero decisamente spiazzata, insomma se avesse fatto una cosa simile l’avrei saputo, o no?

“I-io, non è come pensate!” farfugliava incredulo.

“Ah e come la pensiamo EJ?” era scattato in piedi ed ora lo fissava negl’occhi. Anch’io mi ero alzata ma più per guadagnarmi un posto in prima fila.

“Non ho mai provato, né i miei amici né io, ho letto i libri di medicina del nonno e c’erano alcuni capitoli che riguardavano le sostanze stupefacenti e vi giuro che non l’ho mai provata e …” non finì nemmeno il suo sproloquio balbettato che il nonno aveva ripreso a ridere e con lui anche gli zii.

“Si EJ lo sappiamo , se ti fossi anche solo avvicinato alla marijuana avremmo sentito l’inconfondibile odore!” alla spiegazione di Jazz il viso contratto di EJ, si rilassò diventando il solito sfrontato ragazzo, sicuro di sé.

“Siete decisamente divertenti! Grazie Dio per averci dato Bella e le sue conseguenze!” all’ultima affermazione Emm, alzò le braccia al cielo in un gesto platealmente esagerato. Questa era la normalità nella mia famiglia. Trasformazioni, scontri all’ultimo sangue e poi risate a concludere una giornata faticosa.

“Non credo che devi ringraziare Dio per avermi in famiglia ma quel pazzo di tuo fratello che ha deciso di sposarmi!” a completare il quadro era arrivata nonna Bella che dopo aver salutato con un bacio il nonno mi volse un dolce sguardo comprensivo. “Esme ha preparato la cena!”

“Bene io muoio di fame!”

“Anch’io!” quella complicità unica nel nostro genere ci rendeva in grado di comunicare con semplici sguardi, come quando da bambini decidevamo di combinarne qualcuna delle nostre “A chi arriva primo EJ?” era già partito con una corsa a dir poco umana solo per permettersi di dirmi:

“Chi perde cede la sua porzione di dolce!”

 

Tornammo a casa, assieme ai nostri genitori. La mamma non aveva detto nulla, ma la vedevo serena e questo mi bastava. La presenza di mio padre era fondamentale, sedava il suo animo e quietava i suoi tumulti. Forse era questo quello che ricercavo in Gabriel, un rapporto come il loro o come quello dei nonni. Un rapporto illimitato, duro e simbiotico come le stalattiti e l’acqua. Piccole gocce liquide a creare un’imponente struttura solida. Tutte le mie riflessioni non mi allontanavano però da quella maledetta rivista che zia Alice mi aveva dato. Cercavo di distrarmi di rimandare il mio incontro con lei osservando la mia situazione e tutti i suoi risvolti. Ma comunque quello che non volevo affrontare era un’irrisoria lagnanza infantile. Avevo sempre ammirato i miei splendidi e lunghi capelli neri, lisci e luminosi. Possibile che la cosa che più mi preoccupava era una stupida vanità come quella? Ero una mutaforma, che probabilmente non avrebbe più potuto avere figli e che si preoccupava solo di perdere la sua folta chioma. Abbracciavo il mio Eddy forte, seduta sul letto e fissavo il mio nemico: una rivista di tagli corti, di quelle che si usano dal parrucchiere. Le sue inequivocabili scritte in francese non lasciavano il benché minimo dubbio della provenienza europea ed il suo odore di cellophane mi fece pensare che fosse pervenuta da pochissimi giorni. Sempre la solita e previdente Alice. La foto in copertina ritraeva una donna dalla pettinatura stravagante con i suoi spuntoni biondi che ricadevano su di un viso spalmato di trucco. Non sarei mai stata così. Voltai il mio piccolo peluche che mi guardava con i suoi occhioni scuri e il suo naso schiacciato.

“Ti piacerò lo stesso con i capelli corti, Eddy?” la sua espressione impassibile rimase inalterata come c’era d’aspettarsi. Mio piccolo e muto confidente. Quante notti avevo passato abbracciata a quel pupazzo, quante volte avevo cercato il coraggio di affrontare il buio assieme a lui, confessando le mie paure, le mie gioie solo per rendermi più forte agl’occhi degl’altri. Il mio amico silenzioso pronto ad ascoltarmi senza repliche. Ma quanto ancora i miei segreti potevano essere custoditi da un insieme di stoffa e pelo sintetico? Non più ormai. Forse perché troppo grandi per essere semplicemente sussurrati, troppo maturi per non necessitare di una risposta. Stavo crescendo ed entravo, contro ogni mio volere, nel mondo degli adulti. Accarezzai la mia treccia, quella che usavo per dormire. In fin dei conti erano solo capelli, se proprio non mi piacevo avrei potuto farli ricrescere infischiandomene del pelo lungo. Stavo per trovare il coraggio di aprire la rivista quando ad un tratto sentii le loro voci. Mi alzai ma non feci in tempo a poggiare l’orecchio alla porta, quasi venni travolta da EJ che entrava nella mia camera chiudendola alle sue spalle.

“Lo s*****o  è qui!” ero un po’ stordita da quello che mi stava per dire, sapevo a chi si riferiva il ringhio e l’astio erano inconfondibili. Gabriel era venuto per parlare, probabilmente con i miei, il profumo di gelsomino che lo accompagnava era penetrato con una folata dolorosa  “Sarah ti prego aiutami o gli salto al collo!”

“EJ, perché fai così?”

“Sarah …” soffiava fra i denti. Somigliava a me poche ore prima quando stavo per esplodere. Avvertii il suo agitarsi continuo crescere in me, sentivo lo stomaco in subbuglio ed un dolore sotto il costato. “… mi chiedi perché?” alzò lo sguardo su di me ed era irriconoscibile “Perché lui ha fatto del male a te!” non me l’aspettavo assolutamente. Di solito quell’atteggiamento lo riservava alla mamma, a me colpiva di striscio poi si riprendeva con qualche battutina acida e crudele, con le mie risposte velenose di contorno. Ma in quell’occasione mi voleva proteggere.

“Oh, EJ!” incontrollata come una busta vuota trascinata dal vento abbracciai mio fratello,  quello vero, pronto a sfidare un mezzo vampiro facente parte un tempo della guardia dei Volturi, solo perché mi aveva ferita. Inspirò profondamente sul mio collo cercando di calmarsi con il mio avvolgerlo calorosamente.

“Sorellina …” sospirò ancora bloccato. Non ascoltavamo quello che stava avvenendo nell’altra stanza. Per quello che contava c’eravamo solo noi due. Io ed EJ. Nessuno. Alzai il mio volto ed incontrai i suoi occhi identici ai miei. Prese ad accarezzarmi la testa dolcemente forse come non aveva mai fatto in nove anni.

“EJ?” chiesi con un po’ d’imbarazzo a velarmi le guance “Mi daresti una mano a scegliere il mio nuovo taglio di capelli? ” sorrise e si lanciò a peso morto sul letto come se avesse definitivamente trovato la maniera più adatta per distrarsi. Era così il mio fratellino. Un momento pronto ad uccidere e l’attimo dopo subito sorridente a sfogliare una rivista, mostrandomi i tagli più stravaganti per prendermi in giro. Passarono minuti in cui alla fine non ne stavamo ricavando un ragno dal buco. Ma non eravamo gli unici.

“È strano …”

“Cosa Lizzie?” rispose mentre cercava di capire il verso della foto sulla rivista, girandola in più direzioni con la punta della lingua che toccava il labbro superiore troppo preso dalla concentrazione surreale che ci stava mettendo.

“Non si sentono urla, gridi, trasformazioni!” catturai finalmente la sua attenzione “Di cosa staranno parlando?”

“Del classicismo Greco!” la sua vena sarcastica non svaniva nemmeno con l’irritazione “Secondo te, di cosa stanno parlando? Certe volte penso proprio che tu sia tutta scema!” per fortuna che l’interpretazione di un taglio di capelli lo teneva impegnato a tal punto da non accorgersi dell’improvvisa valanga di peluche e cuscini che si era abbattuta su di lui, facendolo capitombolare a terra. Fischiettavo soddisfatta lustrandomi le unghie sulla maglia “Divertente!”

“Visto che tanto su quella rivista si trovano solo nidi d’uccelli tropicali che dici di origliare come quando eravamo bambini?”

“No Lizzie, se io vedo quella faccia da imbecille giuro che l’ammazzo!”

“E dai EJ, per piacere!” mi inginocchiai al letto con occhi imploranti ed il labbro inferiore sporgente e tremulo, appoggiando il mento sul suo ginocchio come un cagnolino che mendica dalla tavola dei padroni. “Ti prego voglio sapere che sta succedendo di sotto!”

“Certo che sei proprio ostinata!” scuoteva la testa contrario. Intensificai il tremolio del labbro e imitai un ‘ti prego ’  muovendolo a stento. “Va bene!” presi la sua mano e lo trascinai al primo scalino dove ci sedevamo per ascoltare meglio le conversazioni dei nostri genitori, anche quelle che non volevano renderci presenti. Non se ne erano mai resi conto sempre troppo coinvolti in quello che stavano facendo. Rimanevamo al piano di sopra da dove si potevano ascoltare i nostri cuori ed i nostri respiri, in modo da confonderli soprattutto quando erano impegnati in qualche affare importante da adulti. L’unica cosa che eravamo in grado vedere, erano le tre ombre proiettarsi sul bianco pavimento del living.

“Questa cosa è assurda …”  la voce di mio padre era decisamente alterata. La sua tensione era percepibile perfino a quella distanza ed era visibile dalla buia figura che si rifletteva ai piedi delle scale. Abbandonò le mani intrecciate dietro la testa lungo i fianchi, con uno schiocco della sua pelle.

“Jake per favore, cerca di stare calmo!”la mamma invece sembrava pienamente padrona e controllata. Certo senza l’intervento di Jasper doveva stare molto attenta a non scatenare l’ira funesta di papà. Con quelli come noi era come camminare sulle uova con dei ramponi da scalata.

“Ci sto mettendo tutto l’impegno possibile per stare calmo Renesmee!”

“Jacob io non ho nessuna intenzione di interferire con tua moglie, o l’avrei fatto molto tempo fa, quando di mezzo non c’erano figli …” fu EJ il primo a cedere di noi due, iniziò a ringhiare rumorosamente tanto che fui costretta a tappargli la bocca ed il naso per attutire il suo fragore.

“Li mpf zzie … Sopfoco!” io non mollai la presa sussurrando al suo orecchio di calmarsi altrimenti l’avrei lasciato così per l’eternità. Lui chiuse gli occhi sbuffando. Appena il tremore cessò allontanai la mia mano e lui prese una profonda boccata d’aria tossicchiando. Si meritò uno scappellotto abbastanza forte dietro la testa.

“Ahi!Ma sei matta?” rispose con un bisbiglio, massaggiando la  nuca. Io posai solo un dito sulle mie labbra in un gesto che imponeva silenzio. Per fortuna la nostra scenetta non ci aveva fatti scoprire anche perché mio padre aveva leggermente alzato i toni.

“Che vuoi dire che se non ci fossero Sarah ed EJ tu avresti provato a portarmela via …”

“N –no, cosa hai capito … Io intendevo quando tuo padre … non è questo il punto …” non avrei voluto sapere i come ed i perché. Iniziai a mordere con i denti la punta del pollice, EJ percependo il mio stato di nervosismo accrescere, prese la mia mano e la strinse a sé. Ci scambiammo un breve ma intensissimo sguardo, quel che bastava a comprenderci, un unico lampo fatto di silenzio e null’altro. “Non voglio allontanarmi  dalla nostra famiglia,  ti prego Nessie non mi negare quel poco che posso avere da te, non negarmi il calore che mi ha fatto tornare a vivere!” aveva detto nostra famiglia?

“Hai detto nostra …” la mia stessa domanda sulla bocca di mia madre.

“Ti scongiuro te lo chiedo in ginocchio  non farmi rinunciare a tutto questo, io mi sento finalmente a casa …” e lo vidi quel riflesso scuro abbassarsi cadendo genuflesso, umiliato solo per un mio capriccio. Non volevo questo, non volevo far del male ad altri.

“Gab, ti prego alzati!” era lei, la sua voce cristallina diversa, stonata sul suo volto fanciullesco e gaio, capace di una forza che io avrei solo potuto sognare, guardavo le sue mani prendere l’ombra e sollevarla da terra, tutti allo stesso livello perché nessuno aveva colpa di quel girotondo di sentimenti in cui il piccolo Puc si divertiva posando il nettare del fiore vermiglio di Cupido sui nostri occhi, incastrando le nostre anime nel gioco sadico dell’amore. Istintivamente posai la testa sulla spalla di EJ, il mio supporto quello a cui nessuno mi poteva strappare, il mio compagno di giochi “Non è necessario che tu ti inginocchi o che m’implori. Non sarò io a decidere di allontanarti, sei una persona libera e se sei disposto a vivere una vita fatta di sacrificio e sia! Per quanto questo mi faccia male, il nostro rapporto sarà totalmente diverso, non ci sarà più quella confidenza e quella fiducia che vi era prima. E poi c’è una questione molto più pungente, Sarah” dell’amaro liquido salino, si sciolse da me scivolando sulla maglia di mio fratello  “Mia figlia non deve soffrire in alcun modo!” la dolcezza scomparsa, solo aspra e crudele nel difendermi, come sempre e per sempre. Quanto ero stata terrificante, quanto l’avevo fatta soffrire io, eppure il suo pensiero primario rimaneva sempre la mia protezione.

“È molto giovane e forte, le passerà ne sono certo!” non sembrava così sicuro come le sue parole cercavano di essere.

“Sarà meglio per te, sappi che se solo vedrò una minima parvenza di disagio in lei, sarò io stesso a cacciarti da Forks spedendoti in Italia dentro una bara!” vidi il suo passo minaccioso, e quasi come in un sogno la sua sagoma tramutò in un’altra più complessa dal folto pelo e dalle orecchie puntute ed il povero Gabriel scomparve sotto le sue zanne senza difendersi. Scossi la testa cacciando via quella visione, non era la mia vista ad inviare quell’immagine. Il nostro istinto. Il mio istinto di lupo, quello che separava ciò che ci dettava l’impulso e quello che ordinava la mente. Diventava sempre più chiaro sempre più facile da interpretare e da riscontrare.

“Jake …”

“Non ho nessuna intenzione di ferire nessuno, né  tua moglie, né  tua figlia” alzai il capo da EJ preoccupata, il repentino botta e risposta diventava il preludio di qualcosa che non doveva sussistere.

“Troppo tardi mezza sanguisuga!”

“Vi devo ricordare una regola fondamentale di questa casa?” decisiva, risolutiva lei era così, non si limitava ad osservare  “Non contando quello che entrambi mi avevate promesso, niente scontri!”entrambi? “Direi che la nostra discussione si sia dilungata in maniera eccessiva, Gabriel non voglio assolutamente che tu lasci Forks e la nostra famiglia, ma devi darci del tempo per accettare …”

“Capisco, prendetevi tutto il tempo che volete io so aspettare!”

“Basta che aspetti le cose giuste!”

“Forse è meglio che me ne vada!”

“No Gabriel ti preg … non …” e con quelle ultime battute ricordai le parole del nonno, tutto sarebbe cambiato, gli equilibri della nostra famiglia non sarebbero stati più gli stessi. Gabriel era diventato importante, nessuno lo voleva perdere. Ma questo costava ad ognuno di noi un sacrificio. A lui stesso, alla mamma, a me. Ma forse quanto sarebbe importato a me ora che ogni mia sensazione era stata strappata e resa incerta?

“Roma non è stata costruita in un giorno Liz!” guardai EJ e come se percepisse ogni mia sfumatura allungò il braccio e mi strinse forte a sé “Ricordati sempre che il principio dei vasi comunicanti è valido anche per la vita, non devi preoccuparti, tutto cambierà ma niente ci dice che possa peggiorare per forza …” con tutto il suo corpo gridava ci sono e ci sarò sempre, con la sua calma mi sussurrava quanto mi amasse. Eravamo questo io e lui. Due eterne facce della stessa medaglia, i due aspetti discordanti di un mondo a cui appartenevamo. Lui vampiro ed io licantropo, ma con un po’ dell’uno nell’altro. Il freddo e laconico  Yin, l’autunno della vita, il nord, il ventre buio dell’animo umano rischiarato da un punto di luce dello Yang che dall’altro lato della collina sorride al sole seppure con una parte oscura di lui nascosta agl’occhi di chi non guarda, alle orecchie di chi non ascolta, agl’animi che non esistono. La perfezione. L’equilibrio. Perfetti e completi solo se insieme. Ma dovevo risolverla, dovevo cercare di sistemare le cose almeno in parte. Mi alzai di scatto sicura che EJ non potesse fermarmi. Mi sorpresi della mia nuova forza e rapidità, con uno scatto fui fuori dalla finestra. La scia di gelsomino e fiori d’arancio era netta. Quell’odore particolarmente buono, carico del suo sentore triste e malinconico di una vita fatta della più grande rinuncia a cui l’uomo può  sottoporsi. La rinuncia all’amore, la rinuncia al calore di una donna, al condividere con lei ogni parte della vita. Una rinuncia che da silenziosa era diventata chiara e limpida, una rinuncia alla luce del sole, alla luce dello Yang. Giunsi a quella figura che correva verso il fiume. Per me fu talmente semplice superarlo e bloccargli la strada che quasi non me ne accorsi.

“Gabriel …” dissi in un sussurro.

“Sarah, va a casa farai preoccupare i tuoi genitori!” il suo sguardo freddo e distante solo per estromettermi, per non confondermi. Io non ero pronta ad arrendermi, non ora.

“Non andare via …”

“Non dipenderà da me!” cerco di raggirarmi ma io, ben più veloce, mi parai nuovamente di fronte a lui. “Sarah, non costringermi …”

“A fare cosa? Ad usare il tuo potere?”gemette come se l’avessi ferito, come se le sue capacità lo scaraventassero nel girone dei dannati senza il giusto processo “Gabriel …” avanzai di un passo e lui indietreggiò ponendo le sue mani davanti, come un muro. Non voleva che mi avvicinassi “… non voglio che sia così fra noi!”

“È troppo tardi, ormai il vaso si è rotto!” ogni frase piombava su di noi come un masso da un precipizio “Mi resta solo di incollarne i pezzi e cercare di nascondere le sue incrinature!” non guardava mai dritto nei miei occhi, vagava sul terreno come un angelo a cui avevano appena strappato le ali. Una foglia cadde dall’alto, persino l’aria non le opponeva resistenza, lenta ed inesorabile, volteggiava fino ad arrivare alla sua tomba sul terreno umido ed ancora segnato dal verde di un’estate cessata definitivamente.

“Mi dispiace …” lui non aveva paura di mostrare le sue emozioni, non temeva il giudizio degl’altri, non temeva le risate di Emmett e di mio padre. Lui piangeva e si contorceva nel dolore e non per questo era meno maschile.

“Non dispiacerti, non potevi sapere, non potevi …” i suoi pugni serrati e stretti, in una morsa glaciale, le sue nocche sbiancate dall’affluenza sempre più rada di sangue e il suo cuore, ferito e grondante che stentavo a riconoscere per la sua fiacchezza. Stava praticamente morendo con il suo sentimento.

“Devi perdonarmi …” il mio sottile filo di voce, uscii flebile e tremulo.

“Voltaire diceva: ama la verità e perdona l’errore …” sorride caldo e dolce come un fratello, il primo da un paio di giorni “Non c’è nulla da perdonare, era giusto che prima o poi tutto questo uscisse fuori, tutti ora sanno, ho un peso in meno da sopportare non ti pare! Spero solo che possa ritornare la quiete …”  

“Sai cosa mi ha detto Leah per farmi tornare umana …” i suoi occhi smisero il loro percorso, nell’attento esame della terra sotto i nostri piedi e finalmente tornò a me, non trovai quel mare in tempesta, non trovai quel meraviglioso blu scuro che tanto amavo. Erano slavati e spenti. Erano grigi. “Ero completamente invasa da emozioni contrastanti, non riuscivo a riordinare la mente, trasportata dalla mia trasformazione,” un passo e riuscii a riempiere un po’ di quella distanza che ci divideva “ Mi stava ascoltando, dal momento in cui si era trasformata, aveva ascoltato ogni  mio singolo lamento, ogni mio problema si era mostrato nella sua mente …” un altro passo e fui ancora più vicina “Se non avessi superato quello che mi scuoteva, non avrei invertito il processo, aveva iniziato con il dirmi che essere confusa è normale, la paura è normale, ed anche se noi non lo siamo, è umano avere delle debolezze ed io sono ancora molto giovane e volubile!” ancora un passo e finalmente mi trovai sotto di lui senza che mi respingesse “Non stava denigrando quello che provavo, non stava dicendo che i miei sentimenti fossero solo fumo. Cavoli!” esclamai rassegnata come se riuscissi a vedere meglio cosa mi stesse accadendo “È la prima volta che mi scontro con delle sensazioni così forti e forse non sono riuscita in maniera lucida ad analizzarle!” decisi di accarezzargli il viso ma ero tremante e temevo che quel gesto l’avrebbe interpretato come un tentativo di circuirlo. No. Volevo solo dargli conforto. Allungai la mano e la ritrassi incerta. Lui continuava a fissarmi. Non distoglieva il suo sguardo severo, non mi regalava dolcezza cercando di mantenere ferma la sua posizione dura ed inflessibile. Mi feci ancor più coraggio e con i polpastrelli percorsi i lineamenti delicati che il suo viso offriva alla vista  “Il tempo guarisce anche le ferite più profonde, ma deve scorrere. Conceditelo, rimani con noi, non fare del male alla nostra famiglia … ” lo vidi chiudere gli occhi. L’uso del nostra era più che voluto “… non fare del male a te! Se non vuoi che io soffra, che la mamma soffra tu devi rimanere qui!” si discostò e mi superò balzando al di là del fiume e riprendendo il suo cammino verso casa. Ero sola nel cuore della foresta a pochi passi da villa Cullen e dalla mia. Nel mezzo. Con una risposta non ricevuta.

 

Note dell'autrice: Avrete notato una certa fissazione per i capelli. Vedete io porto da sempre i capelli lunghi, non me li taglierei per nessuna ragione al mondo. In fondo Sarah è ancora un po' bambina e insomma si fissa su questa cosa; per i ragazzi portare i capelli corti non è un trauma ma penso che per una ragazza è una cosa un po' diversa, visto che comunque sono un icona prettamente femminile. Tra l'altro se ne rende conto anche lei che una cosa sciocca, però non può fare a meno di pensarlo. E' un piccolo capriccio che prevarica su tutte le varie problematiche, visto che comunque c'era preparata a differenza del padre e del resto del branco. E poi ha il super autocontrollo stile Bella, e una volta trasformata si rende conto che molto di quello che sentiva e provava era amplificato dalla trasformazione. A proposito di Sarah bambina ecco a voi il nostro Eddy, il peluche che ama Sarah appartenuto a Nessie (quello dell'introduzione di Grey day prima parte):

Eddy scusate ma è troppo Suino!

noe_princi89: Buonaseraaaa! Per ora Sarah si appoggia alla persona che più le sta vicina ovvero il fratello, lei non sarà mai sola ha una bella famiglia numerosa pronta ad aiutarla, quindi potrà tranquillamente aspettare per dedicarsi all'amore quello vero! Gabriel ci dovrà pensare, con Nessie sarà tutto diverso e come ha detto Eddy gli equilibri saranno alterati. Ma sai le vie del Signore sono infinite, e il mio cervello colmo di fantasia, cosa accadrà?

kekka cullen: Ma ciaooo! allora grazie per i complimenti sempre gratitissimi! Si EJ è abbastanza sorprendente ma anche lui ha dei limiti.Basta non dico più nulla!

Lione94: Allora immagino che in questo ci siano il Sarah ed EJ che ti piacciono dico bene? ^^  Certo Jake ci è andato veramente vicino a prenderlo a calci, però è anche vero che ha imparato a fidarsi ciecamente di Nessie, per questo la sta lasciando fare rimettendosi ai suoi desideri. In più è sicuro ormai che Nessie è soltanto sua, non la priverebbe mai di un rapporto ch ein fondo le è necessario. Tu ti chiederai perchè è così necessario? Per questo dovrai aspettare il prossimo capitolo!Muhahahahahah!Ho un'immagine che assomiglia molto all'idea che ho del Sarah-Lupo, da cui mi sono ispirata: per come me la immagino io il dorso è completamente bianco.

lupo

 La metafora dello Yin e dello Yang daltronde è nata proprio dalla decisione di fare Sarah bianca con una macchia nera. Rendeva bene il suo avere un minimo di vampiro in se stessa. Comunque grazie per seguirmi sempre e con tanto interesse!Baci e al prox

Colgo l'occasione per ringraziare sempre tutti coloro che mi preferiscono, che mi seguono, che mi ricordano, che mi leggono sia in Moonlight Stones, sia nelle due parti di Grey Day in Darkness, sia per le mie due one-shot Goodbyesingle life e Falling in love.

 

XOXOXO

Malice

 

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Capitolo 38
*** CAPITOLO XI: Curioso? ***


CAPITOLO XI: Curioso?

Erano giorni, o meglio settimane, che non andavo alla villa, per la paura d’incontrarlo. Per il momento non era deciso a partire, anche se Rosalie mi aveva confidato che era seriamente intenzionato a porre fine a questa situazione assurda con probabilmente l’unica soluzione. I miei genitori, gli zii, i nonni si preoccupavano ogni ora di più. Avevo provato, Dio solo sa se c’avevo provato, ma appena muovevo un passo verso casa Cullen, mi ritrovavo a voltarmi e a fare marcia indietro: il mio coraggio non fece altro che scemare diventando praticamente irrisorio. Non so cosa temevo di più in realtà se ferire Sarah, Jacob, Gabriel o me. Sarah. Quella che alla fine si era rivelata una tremenda cotta, sembrava non tangerla più di tanto. Stava a fatica superando tutto, aveva persino incontrato nuovamente l’oggetto della sua prima delusione d’amore senza disperarsi. Non che non le importasse più nulla, ovviamente, ma aveva talmente tante altre cose per la testa che il fossilizzarsi su di un aspetto le sarebbe risultato controproducente. Si concentrava sul resto della sua anormale vita, prendendo coscienza della trasformazione e degl’obblighi a cui era vincolata. Come c’era d’aspettarsi dimostrava un grande talento e tutto il branco ne era fiero ed assolutamente entusiasta. Tranne Leah, che da un lato ancora ci rimproverava per averla introdotta quasi a forza in quello schifo di mondo. Ci veniva a trovare spesso a casa da quando Sarah era diventata un lupo. Io stessa desideravo che le due mantenessero un rapporto così profondo non solo per mia figlia ma anche per lei. Iniziarono gli allenamenti e le ronde, con la scuola e gli impegni le loro giornate divennero piene, permettendo alle loro teste di dimenticare quei giorni. Cosa che a me non era concessa. Loro erano veri e propri adolescenti e come gli adolescenti aveva grandi risorse per riprendersi. Ma io non lo ero mai stata. Adulta da sempre. Io non potevo dimenticare. Il nostro rapporto dopo che aveva vomitato tutto quello che provava, si stava lentamente ricostruendo, le nostre divergenze sembravano appianarsi. Riusciva abbastanza bene a gestire la sua rabbia, e soprattutto aveva riscoperto una sorprendente capacità dialettica senza per forza sfruttare tutta la potenza dei suoi polmoni. Anche io, di mio canto, avevo accantonato la figura di mamma dura e severa, concedendo loro molte più libertà, sempre nei limiti dell’accettabile. Ogni giorno, riuscivo a comprenderli meglio, ad ascoltarli ed a essere ascoltata. Ciò nonostante  avevo ancora il viso stravolto di Sarah davanti ogni volta che chiudevo gli occhi, tenevo le sue parole fisse nelle mia memoria ed un sogno mi perseguitava, quasi ogni notte svegliandomi di soprassalto.

“Nessie!” una mano calda indugiò sulla mia schiena per catturare la mia attenzione  “Ehy Ness, tutto bene?” il mio corpo era madido, su tutta la mia pelle piccole gocce si riflettevano nel buio, le gambe stanche. Non mi voltai, passai solo una mano sulla fronte stranamente ghiacciata. Avevo sudato freddo. Ma dentro, sentivo che qualcosa bruciava. Aspettava il momento in cui le mie difese erano a zero, in cui la mia mente si scioglieva liberandosi delle sue muraglie, s’incendiava e lingue di fuoco cominciavano a tormentarmi.

“Solo un brutto sogno Jake, torna a dormire!”

“Mi è un po’ difficile con te che scalci come un cavallo …” azzardai a voltarmi un secondo, lo sentivo come se il suo sguardo fosse una piuma che accarezzava le mie spalle  “ … ti sei agitata, parecchio!” da quando avevo iniziato a sognare non dormiva come un sasso, pronto ad essermi accanto nel caso mi svegliassi. Nemmeno con i nostri figli era stato così vigile. Anzi non lo era proprio stato. Sempre a fare i conti con i miei problemi. Tutta la faccenda di Sarah, che si stava via via risolvendo, Gabriel. Di fiducia ne riponeva, ma in me. Era il suo potere ad essere spaventoso per il mio Jacob. Restava lì, accanto, pronto a raccogliere i pezzi, pronto a tirarmi su come sempre del resto. Accarezzai il suo viso, mi sentivo in colpa per non fargli fare una dormita decente da troppo ormai.

“Scusami non volevo disturbarti …” nel buio ci incontrammo come guidati dall’istinto “Riprendi a dormire non è nulla di preoccupante!” la sua mano mi spinse sul suo petto dove mi ritrovai rannicchiata, accarezzata e baciata.

“Da quando Sarah si è trasformata la prima volta, fai sempre lo stesso incubo, vero?” ufficialmente Jacob mi conosceva troppo bene. Non bastava finire le mie frasi, ora riusciva addirittura ad entrare nella mia testa. Mi girai con la pancia verso il materasso ed i gomiti a tenermi sollevata, in modo da poterlo guardare. Involontariamente dondolai con le gambe come una ragazzina in vena di confidenze. Il problema restava che la mia vena di confidenze, era completamente fuori uso. Con l’indice ed il medio iniziai a percorre il suo braccio imitando delle piccole gambe.

“Non preferisci fare qualcos’altro invece che pensare ai miei incubi?” lo so, non si fa. Non si dovrebbe usare il sesso per deviare l’argomento di una discussione. Però Jake era così contento, mi dispiaceva rovinare il suo momento di gloria. Ultimamente aveva sempre la sua espressione da bambino gioioso con il sorriso stampato sulle labbra, così gratificato dai nostri figli. Non mi andava di angustiarlo con le mie preoccupazioni, prettamente materne e prive di significato.

“Mmm …” strizzò gli occhi inquisitorio “No!”

“Non mi vuoi quindi …” ero arrivata al suo petto inclinando la testa con aria da finta innocente.

“Ti voglio, ma non me la racconti giusta e poi non puoi approfittare così delle mie debolezze! Sappi che stanotte non mi attirerai, in nessun genere delle tue trappole!” lo disse troppo convinto, avevo solo una possibilità: arrendermi! Ritrassi la mano guardandolo torvo.

“Quindi non posso circuirti in alcun modo? Nemmeno con quel nuovo completino intimo, che Alice mi ha costretto a comprare …” ero diventata davvero una sfacciata, lasciai trapelare un'immagine sfocata di me in vesti succinte, giusto un secondo per accendere la sua curiosità, non pensavo di riuscire ad apprendere così bene le tattiche di Rosalie.

“Quale compl …” boccheggiò per poi riprendersi quasi subito “No, ho detto no è no! Non ci provare!”negò con la testa, marchiando un dolce sorriso smagliante.

“Perché noi due finiamo sempre di notte a letto a parlare di cose importanti?” cercai di sdrammatizzare, sbuffando scocciata.

“Perché è l’unico momento in cui siamo veramente soli …” sembrava la risposta più ovvia “Avanti sputa il rospo!” cercava d’incitarmi sollevandosi sul gomito. Io sinceramente non riuscivo a descrivere a parole quello strano sogno che, ogni giorno si arricchiva di un particolare. All’inizio ricordavo solo la corsa ed una figura che si muoveva davanti a me. Non era ostile anzi sembravamo giocare assieme. Misi una mano sulla sua fronte cercando di ricordare il più possibile. Dopo diverse notti quella figura si era rivelata  Sarah: la rincorrevo nel fitto del bosco, ed ogni volta accelerava sempre di più il suo incedere, fino a quando non riuscivo più a starle dietro. Ripetevo il suo nome ma lei non si voltava. E mentre cercavo di richiamarla mi accorgevo che la voce non usciva, come se fossi completamente muta. Toccando la gola sentivo la mia pelle completamente fredda, gelata come quella di un vampiro. D’un tratto mi trovavo a correre da sola senza nessuno davanti a me. Non so per quale istinto ma voltandomi mi riscoprivo rincorsa. Scappavo da qualcuno, ma non avevo paura ero determinata come se cercassi di raggiungere un punto preciso senza essere seguita. Non vedevo facce ma sentivo i loro piedi affondare leggiadri sul terreno. Ne contavo otto paia. La mia famiglia, senza ombra di dubbio. Poi notavo una grata, dove precipitavo in una pozza piena di melma. Alzando gli occhi  verso l’alto potevo solo vedere una luce blu, costruire un fascio all’interno di quella umida prigione. Quella notte il sogno non era terminato lì con me che cercavo di capire dove fossi ed il perché mi trovassi reclusa. Sentivo un peso fra le mani, qualcosa di ghiacciato ed ingombrante. Un cadavere. Il cadavere di Gabriel. La sua maglia sporca di sangue, come le mie mani e il mio viso. La mia bocca. L’avevo ucciso io. Fu allora che mi svegliai in preda al panico. Discostai il mio sguardo, vergognandomi di quel vaneggiamento onirico. Non era facile sfuggire a Jake. Quasi immediatamente venni calamitata, i nostri occhi si cercavano sempre, si rincorrevano ovunque. Se si fossero ritrovati in uno stesso luogo, gremito di gente, separati da un mare di folla loro avrebbero saputo perfettamente dove posarsi.

 “Cosa significa?” chiesi timidamente. Sospirò alzando gli occhi verso il soffitto, allacciando poi le braccia sotto la sua testa come per prendere tempo e riflettere. Un commentino acido, sicuro dall’angolo che la sua bocca stava descrivendo.

“Secondo me, assomigli troppo ai tuoi genitori!” tornò a guardarmi ma con il viso perplesso ed il sopracciglio alzato,  a rimarcare il concetto di quanto fossi matta con la sola imposizione dello sguardo “Veramente sei peggio di loro! Sei a metà tra la sanguisuga complessata, che si vede come il mostro dell’armadio … ” sollevò le mano posizionandole come artigli terrificanti “ … e quella pazza maniaca di Bells, capace d’incolparsi anche del buco dell’ozono, che pensava di ripetere la leggenda della Terza moglie diventando la Quarta! Non nascondo che voi due siate il polo nero della negatività, però dovresti smettere di torturarti, Sarah si è calmata ha capito i suoi errori, sembra non dispiacerle la vita da lupo e soprattutto ha smesso di compararsi a te!” prese il mio mento incastrandolo tra il pollice e l’indice alzando il mio volto, per guardarci occhi negl’occhi “Guardami!” era imperativo, risoluto ma estremamente dolce, non potei fare a meno di ubbidire “Fermati Nessie, non devi più rincorrere nessuno!”

“Non è tanto la prima parte del sogno che mi angoscia …”

“Mr Italia …” ogni volta che si cadeva sull’argomento Jacob emetteva un verso tenerissimo, come quando si cerca di propinare uno sciroppo amaro ad un neonato “Ahhh, se l’è cercata, non sei tu che gli hai spezzato il cuore è lui che ha fatto tutto da solo! Quindi smettila di vederti come la sua assassina non lo sopporto!” affondai il mio viso nel cuscino, sbattendo i piedi sul materasso come una bambina capricciosa.

“Basta, basta, basta!” iniziai a lagnarmi soffocando la mia voce lamentosa con il guanciale mentre Jacob se la ridacchiava.

“Ehy, che ti succede?” riemersi dal cuscino, soffiando una ciocca per spostarla da davanti alla faccia per tre volte prima di riuscirci.

“Mi sono stancata, questa storia che io ho ripreso ogni mio singolo difetto da Bella ed Edward mi fa impazzire!” e in un piccolo lasso di tempo mi ritrovai le sue labbra avvinghiate alle mie, la mia bocca invasa da lui in un intenso bacio passionale.

“In molte cose sei migliore di loro, per esempio anche se sei goffa hai la pelle resistente, tua madre faceva certi ruzzoloni pazzeschi, e si feriva con una media di un giorno si e l’altro … pure! Sempre piena di lividi e sbucciature, era un vero tormento girarle attorno!” non mi piaceva il paragone con la mamma, sapevo che avrebbe portato a cose spiacevoli “E devo ammettere che baci molto … ” primo grado d’irritazione “ … molto meglio di lei!” secondo grado d’irritazione che lasciò il posto al terzo con quella sua faccia soddisfatta e sorridente. Avrei tanto voluto farglieli saltare tutti i denti dopo quello che aveva detto. Seriamente Jacob alcune volte sembrava essere rimasto un po’ lupo, con quel suo tatto animale.

“Ora ti concedo un avvertimento, Jacob Black!” e a quella premessa deglutì rumorosamente come se preannunciassi la sua mezz’ora peggiore “Non mi devi ricordare MAI” sottolineai quel ‘mai’ con una certa importanza “Che tu hai baciato la mamma, evita di farlo se non vuoi ritrovarti a dormire sullo zerbino di casa! Siamo intesi?” forse l’aveva capito, ma si sa Jake è orgoglioso almeno quanto me. “O magari comincio a fare anch’io paragoni!” il materasso vibrò tantissimo.

“Hai baciato un altro prima di me e non me l’hai mai detto?” penso che fosse la seconda parte quella che più lo infastidiva.

“Ti ricordi quel giorno che mia madre ti chiamò perché mi ero rinchiusa in camera, con lo stereo a palla sparato nelle orecchie, per non farmi leggere da papà?” era ora di rilasciare l’elastico, al bimbo non piaceva sapere che il giocattolo era stato già usato “Allora si chiamava …” mi portai un dito sul mento per aiutarmi a ricordare “ … Brandon, ero alla fine del mio primo anno del liceo. Lui era dell’ultimo, mi voleva portare al ballo ma non diede il tempo di rifiutare il suo invito, che mi trascinò nello sgabuzzino delle scope baciandomi!” rabbrividì. Era una delle scene del liceo che volevo proprio dimenticare. “Sinceramente non ricambiai, gli dissi solo che era uno scemo e che poteva andare al diavolo!” pensavo che con l’ultima frase, mi ero salvata invece sembrava decisamente sconvolto.

“E tu non me l’hai mai detto?” no, non era sconvolto, era veramente incazzato. Di brutto.

“Primo: non mi è assolutamente piaciuto! Secondo: io ti venivo a dire che uno mi aveva baciata contro la mia volontà? Ti conoscevo troppo bene allora e adesso! Avresti fatto qualche sciocchezza delle tue!” ringhiò spazientito, era giunta l’ora di giocare la carta vincente “E poi niente stupide gelosie, tu hai baciato mia madre questo batte tutto mille a uno!” non gli diedi il tempo di rispondere, mi voltai di schiena riprendendo il cuscino per nascondere la faccia sotto di esso ed opponendo un’estenuante resistenza al tentativo di togliermelo di Jake. Poi una strana calma ed uno strano silenzio. Stava macchinando qualcosa, il lupastro malefico. Alzai lentamente un lembo della federa,  ed in quel momento partì il suo attacco. Solletico. Maledetto, solletico. Sui fianchi, sulla pancia. Io mi dibattevo e ridevo a tutta voce. Quella sensazione di essere tornata una ragazzina si stava realizzando ed anche lui accompagnava quelle risate con altre risate. Provai a divincolarmi e a fermare le sue mani , ma nella lotta ci trovammo a ruzzolare a terra provocando un gran fracasso. La porta si aprì di soprassalto rivelando una Sarah ed un EJ completamente allibiti.

“Mamma, papà cosa sta succedendo?” arrancavamo entrambi cercando di alzarci ma senza successo, ormai le risate si ripercuotevano sui nostri petti con continui singhiozzi “che pal …”

“EJ … ” un risolino, insomma la situazione, il solletico, tutto era esilarante “… niente parolacce!”

“E voi niente giochini erotici rumorosi, per piacere noi due domani avremmo scuola! Abbiamo bisogno di dormire!” alla contestazione  di Sarah il mio sguardo si posò su di lei. Ormai portava i capelli corti, poco sotto l’orecchio, una sorta di caschetto irregolare e sfilzato, il limite accettabile per non sembrare un maltese. Mi sovvenne il giorno in cui Alice l’aveva trascinata dal parrucchiere a Portland, quando le fece la lunga treccia per poi tagliarla di netto. Le scivolò una lacrima. Avevo deciso di conservarla come cimelio della sua umanità come io stessa lo ero per mia madre. Era chiusa in una scatola, conservata in una busta di plastica, in fondo ad uno dei cassetti della cabina armadio.

“Appunto c’è scuola domani quindi filate a letto!” intervenne Jacob con lo stesso tono gioviale con cui ci stavano trascinando prima.

“Certo prima ci svegliano e poi sembra che sia colpa nostra … ” si scambiarono un gesto d’intesa. La sensazione che comunicassero anche al di fuori della mutazione era sempre più viva. Sin da piccoli dimostravano di essere assolutamente in sintonia, anche nei movimenti. Immagino che il fattore gemelli avesse influito, e soprattutto fosse diventato ancora più ampio date le loro capacità.

“Siete decisamente incorreggibili e soprattutto poco discreti! Che strazio avere due genitori ragazzini!” che strazio essere sgridata dai propri figli! Jacob si alzò velocemente, un minimo di dignità genitoriale ce la dovevano e i miei bambini scapparono celermente nelle loro stanze. Bambini. Mi ostinavo a chiamarli bambini dentro di me. In realtà ormai erano ragazzi, erano grandi. Quante volte io scocciata avevo specificato a mio padre che non ero una bambina, quante volte mi ero affermata al mondo degl’adulti durante i miei primi dieci anni. Ed ora loro erano grandi, non potevo più considerarli miei. Gli sarei stata sempre accanto ma davanti a loro c’era una strada da percorrere, a cui avrei solo dovuto assistere, non dovevo più interferire. Non potevo più.

 

Ma potevo esimermi dal girare per negozi? Purtroppo no. Io, o meglio la mia famiglia, le stavamo regalando l’abito. Rachel e Kim  avevano letteralmente mollato i poveri Billy, Cristy, Ephry e Alex, a Nate ed EJ. La loro faccia era qualcosa di impagabile,  di solito era Sarah l’addetta al baby – sitting, ma oggi era giornata di sole donne. L’organizzazione era precisa e assolutamente calcolata.  La suddivisione constava di due macchine: io, Alice e Sarah nella mia macchina, Emily, Kim, Leah e Claire nella macchina di Sam, sequestrata per l’occasione. Praticamente eravamo in pellegrinaggio ad Olympia, con tanto di carovana. Dovevamo visitare un  importante Atelier. Indovinate chi era l’ artefice di tutto questo? Alice. Ovviamente non si era fatta sfuggire ‘occasione per poter mettere bocca, anche se non possiamo venire al matrimonio’. Nana pestifera. Claire era più che contenta di avere l’appoggio di mia zia, anche se purtroppo la sua testa vagava a destra e a sinistra, tranne che sul terreno. La capivo io prima del mio matrimonio sembravo una libellula, maldestra come un bradipo, ma almeno cercavo di fluttuare. Finalmente anche Claire e il fortunatissimo Quil, erano pronti per convolare a giuste nozze. E guarda un po’, ero la damigella d’onore. Ovviamente c’era stata una di quelle riunioni di branco, proprio come la sera in cui scontrandomi con Quil i due avevano deciso di camminare insieme come compagni. Andai ad abbracciarla mentre tutti esultavano ed era partito la scarica di botte su Quil, quando mi discostai vidi quello sguardo furbo che mi rivolgeva da ragazzina quando mi coinvolgeva in qualcosa che non volevo. “No” le dissi prima che potesse continuare “Oh Si!” e continuammo praticamente per mezz’ora, scatenando le risate delle altre ragazze e attirando su di noi gli sguardi attoniti di tutti. Alla fine avevo ceduto solo alla condizione che potessi comprarle io il vestito. Questo però significava coinvolgere la più tremenda ed assurda vampira che esistesse. Appena le nostre macchine parcheggiarono Claire scese di corsa guardando l’insegna della Boutique che avevo scelto.

“No!” mi disse ferma e convinta.

“Oh si!” le risposi come se niente fosse e con un ghigno soddisfatto.

“Non puoi spendere così tanto!” cercava di convincermi. Ma la mia famiglia aveva aperto dei conti a mio nome e possedevo una lucente carta platinum con cui fare quello che volevo. Zia Alice diceva che la trattavo malissimo, si era tutta impolverata nel mio portafoglio, estremamente inutilizzata.

“Invece si!” trillò Alice saltellandoci vicino e volteggiando come se fosse all’Opera di Parigi, interpretando Odette. Si fermò ad un passo da noi strizzando l’occhio in mia direzione.

“Ma questo è l’Atelier dove …”

“Dove sognavi di venire sfogliando quella stupida rivista da spose ed incantandoti su quei tre abiti!” intervenni notando uno sguardo stupito di Alice.

“Fai caso a queste cose Nessie?”

“Per gli altri si!” la trascinai sotto braccio fino all’ingresso, dove una signorina magra e molto avvenente ci accolse con un sorriso. Ci descrisse esattamente come il nostro appuntamento si sarebbe svolto. Dato che dovevamo ancora scegliere, due commesse ci avrebbero aiutato indicando alla felice sposina gli abiti più adatti per la sua corporatura, carnagione, occhi, fisionomia e gusti, dopodiché seguendo le indicazioni nostre e di Alice, avrebbero preso quelli che volevamo vedere. Risultato di quell’intrico di menti: le commesse ne portarono cinque a cui si aggiunsero Alice con sette abiti, più i nostri per un totale di quindici abiti. Le grandi capacità matematiche servono nell’organizzazione di un matrimonio e per fortuna essere dei clienti facoltosi ci permettevano di passare l’intero pomeriggio a provare. Iniziò la sfilata. Passarono cose stravaganti, vaporose gonne a meringhe ed un cilindro con velo stile anni ottanta  abbinato ad un vestito corto, troppo simile ad un tutù, con spicchi neri nell’organza bianca, colpa di Sarah per prendere in giro Claire per tutta la vita con relativa foto, si era organizzata alla grande.

“Cosa diavolo fai Sarah?”

“Non hai capito un tubo, questa serve per depistare Quil!” mia figlia era un genio. La guardai pensando che forse tutta quell’intelligenza non poteva provenire da me e da Jake, perché io non avevo avuto un’idea simile con quel lupo ficcanaso. “Lascia queste foto in modo che possa vederle appena la sua curiosità diventerà incontenibile e quando sarà verde saprai che si è impicciato! ”

“Sei decisamente un mito!” disse una sorpresa Rachel.

“Certo è la mia nipotina!” concluse Leah con fare materno. In fondo stava diventando un po’ come la zia Rose per me e questo mi faceva immensamente piacere. La giusta pace anche per lei.

“Guarda Leah che Sarah è nipotina anche mia!” Alice ormai era in piena fase wedding planner, nessuno l’avrebbe contraddetta, gironzolava leggiadra tra gli espositori con in testa un diadema ed il velo. Era buffa, estremamente buffa. “Claire comincia a provare quello che ho scelto con il mio infinito buongusto, che intanto vedo cosa ci offrono gli accessori!” indossò tantissimi abiti, qualcuno ci convinceva altri meno ma nessuno, le donava la scintilla negl’occhi, quella che avevo avuto io quando avevo visto il mio per puro caso. L’abito che ti avvolge e ti fa volare fino a quel giorno, e ti  trasforma in una zia Alice svampita come Renèe. Ma quando uscì con l’ultima chance, con quel bagliore illuminante, gli occhi di tutte noi si velarono di commozione. Era splendida nel suo fisico asciutto con quel corpetto senza spalle a cui si appoggiava un drappo di stoffa avorio morbidissima di chiffon, un nastro verde muschio di velo percorreva il suo corpo segnando la diagonale dal seno sinistro e la spalla al fianco destro, congiungendosi con una cinta dello stesso materiale in un elaborato fiore di raso sempre verde.

“Sei perfetta!” Alice gridò felicissima battendo le mani, iniziò a sistemare tutto il fiocco, la fascia le raccolse i capelli per decidere se lasciarli sciolti o raccolti. Mia zia era fatta così. “Mi piacciono gli abiti con un po’ di colore vero Nessie?”

“Oh, se potesse vederti tua madre!” strinsi la mano di Sarah che sorrideva emozionata. Claire meritava tutte le gioie, tutto l’amore. Era una ragazzina speciale. Ed ora era una donna. Gli anni erano volati e la vita aveva svolto il suo corso trascorrendo in maniera assolutamente normale. Per noi immortali il tempo quasi non aveva importanza, era solo un modo per scandire le nostre giornate, ma gli umani erano esseri finiti. Tutto era un rincorrere velocemente ogni istante, cercando in ogni modo di non rendere vana la propria esistenza, chi segnando il terreno con impronte anonime chi urlando il proprio nome ai quattro venti. E noi sempre lì ai lati della vita vera a guardarli cambiare, crescere e morire, a fingere di essere come loro. Alla madre di Claire era stato diagnosticato un carcinoma benigno al seno destro, piccolo non grave a detta dei dottori. Aveva nove anni io non la conoscevo ancora. Una notte poco prima del matrimonio della sorella di Jake, si spense nel letto di casa, senza un vero motivo. Emily aveva cercato in ogni modo di farle pesare il meno possibile la mancanza della madre, tenendola quasi tutti i pomeriggi a casa con lei, aiutando il padre e Quil a regalarle un pianoforte di seconda mano custodendolo in casa sua solo per vederla sorridere. Si vedeva che in quel momento sentivano entrambe la mancanza della mamma di Claire. Guardai Sarah che intanto mi aveva stretto la mano. Anche se era ormai completa nel fisico, preservava un lato ancora fanciullesco. Lei come EJ sarebbero rimasti in quei corpi, o almeno Carlisle così prevedeva, nulla era sicuro, tutto assolutamente sconosciuto. Da un lato volevo averli sempre accanto, ma dall’altro sapere che i miei figli avrebbero vissuto il nostro destino, avrebbero visto i nostri amici morire avendo come sola costante solo ed esclusivamente noi, mi procurava un forte dolore. Non era il momento di cose tristi e lasciai alle spalle quel terribile pensiero. Tornai con lo sguardo a Claire che si ammirava allo specchio mentre Alice, Emily e Rachel la consigliavano proponendole velo diadema ed altre piccole inezie, beltà inutili sulla sua bellissima figura, che già disadorna era meravigliosa. Magari un giorno quella sul piedistallo sarebbe stata lei, la mia Sarah quella che si addormentava fra le mie braccia mentre le canticchiavo la ninna nanna del nonno. Mi mancava. Avrei voluto poterli tenere fra le mie braccia, coccolarli, osservarli dormire nei loro lettini, ascoltare il loro respiro come un tempo. Amarli e proteggerli, sentirli bisognosi di me e delle mie attenzioni. Si, ero decisamente troppo uguale a mio padre.

“Neeessie …” il sussurro languido di mia zia mi fece rinvenire come da un sogno; il suo sguardo maligno ed aguzzo, era decisamente spaventoso aveva qualcosa con troppa stoffa che le pendeva da dietro la schiena dello stesso verde degli ornamenti di Claire.

“No!” cercai subito di chiarire che oggi la mia modalità Barbie era chiusa per ferie.

“Su fammi vedere se la damigella d’onore starà bene con la sposa!”

“Si Nessie, facci vedere se il vestito va bene almeno su di te!” implorò Emily. Odio le persone che riescono a farmi cedere ai ricatti di Alice. Presto detto ci ritrovammo io e Claire a fare da bamboline mentre Leah e Sarah ridevano come pazze di Alice che aveva trovato delle ottime alleate. Odiose. Tutte. Riuscimmo ad uscirne a buio praticamente inoltrato. Ordinai il vestito, le cui modifiche sarebbero state apportate da Alice. Claire non smetteva di ringraziarmi, di elogiarmi, di sorridere ed adesso volteggiava assieme ad Alice come una trottola. Stavamo per dirigerci alle macchine Quando Sarah iniziò ad annusare l’aria ed a tremare.

“Entrate in macchina, presto!”  disse Leah tutto d’un fiato come se le passasse attraverso i denti “Abbiamo visite!” annuì con un cenno del capo e ci voltammo in un lampo. La strada era deserta escluso l’odore persistente dolce come il miele che invadeva l’aria. Non era fortissimo ma andava sempre più accrescendo come se fosse liberato apertamente.

“Sarah, sali alla guida appena ti do il segnale portale via chiama tuo padre e tuo nonno e digli di venire qui!” le lanciai le chiavi ed un misto di collera e stupore la colse. Lei voleva combattere.

“Ma mamma io …”

“Non discutere Sarah, dai retta a tua madre!” rincarò Leah. Salì in macchina con le lacrime agl’occhi per la rabbia.

< È ancora presto non sai cosa si prova a porre la fine di una vita, sia pure quella di un mostro! >

“Alice riesci a vedere qualcosa?” cercava nel vuoto un segno qualcosa. Le sue ciglia tremavano per lo sforzo, le palpebre batterono più volte negava con la testa.

“La vostra presenza mi rende cieca …” un ringhio da parte di Leah appena la scia divenne più forte, sia io che Alice ci posizionammo pronte all’attacco. Stavamo per scattare ma presto l’odore si allontanò diventando solo una nuvola dolciastra. “Speriamo che fosse solo un curioso! Andiamo ad avvertire gli altri!”.

 

Note dell'autrice: capitolo di passaggio per spiegare cosa è successo nel frattempo e per introdurre la nuova possibile minaccia... acqua in bocca amiche mie! ^^ E già ci sarà la buona vecchia azione mi mancavano le scene con un po' di movimento! Americanate a go-go!

L'abito di Claire è ispirato ad uno della collezione di Vera Wang del 2008, è splendido. Bicolore come quello di Nessie, ma verde come il colore della natura. Insomma un piccolo collegamento per lei con la comunione con madre natura ci stava tutto.ghghgh!

INFO: ho aggiunto una piccola introduzione nella presentazione di Moonlight stone per la seconda parte niente di che a parte un estratto già pubblicato e due paroline per introdurre la storia.

kandy angel: grazieeeeee! mi prendo i complimenti e me li metto in tasca per portarli ovunque con me!^^ ciao e al prossimo!

kekka cullen: O MIO DIO! addirittura un capolavoro! ti ringrazio per la definizione ma io penso che la mia storia sia molto più umile di un capolavoro, insomma è semplicemente una ff, niente di più che una piccola passione. Certo Sarah ed EJ sono entrambi speciali, ma non potevamo aspettarci nulla di diverso da due genitori come Nessie e Jake! non trovi? baci e a presto!

Grazie sempre a tutti i miei lettori, a chi mi segue sempre anche senza commentare! siete magnifici!

Baci XOXOXO Mally

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Capitolo 39
*** CAPITOLO XII: πάντα ῥεῖ - Panta Rei os potamòs (Tutto scorre come un fiume Eraclito) ***


CAPITOLO XII: πάντα ῥε - Panta Rei os potamòs (Tutto scorre come un fiume Eraclito)

Io ed Alice eravamo alla guida, lei alla mia macchina ed io in quella di Sam. Ci servivano spostamenti rapidi e sensi attivi per controllare che nessuno ci seguisse. Avevo Emily al posto accanto al mio che sentivo rigida, un po’ per la velocità, che forse la vecchia auto non avrebbe retto, (ad un curva pensai che la vernice andasse dritta) ed un po’ per la paura. Le riportai ognuna alla propria casa aspettando che i compagni le raggiungessero in modo da poterli avvertire ed iniziare lo stato di allerta. Anche se fosse stato soltanto un curioso, non volevamo rischiare. Magari era uno come James e la nostra reazione aveva scatenato in lui ancor di più la voglia di prendere le quattro umane che erano con noi, o Sarah. A quel pensiero mi sentii ribollire.

“Nessie!” Paul mi scosse riportando i miei piedi per terra. Rachel gli era ancora aggrappata al collo e mi guardava spaesata. Per loro non doveva essere facile. Conoscevano ogni cosa dei vampiri, ma gli unici che mai avessero visto da vicino erano della mia famiglia, che di pericoloso aveva ben poco. 

“Abbiamo soltanto sentito l’odore, non si è fatto vedere, probabilmente è uno solo!” in effetti se fosse stato un vampiro assetato, la fortuna non era decisamente dalla sua. Nel nostro gruppo c’era una vampira, una mezza, un licantropo e dulcis in fundo un licantropo mezzo vampiro. “Non sembra che ci abbia seguito ma per ora è meglio sorvegliare, la nostra reazione potrebbe averlo spaventato come incuriosito, non voglio correre rischi!”

“Va bene che facciamo?” Paul che chiedeva consiglio a me. Ebbene si. La mia autorità era accresciuta dal momento che ero la moglie del capobranco. Detta in maniera scientifica ero la femmina alfa. Ci mancava solo che costringessi le altre a non avere ‘cucciolate’ ed ero perfettamente  in sintonia con il comportamento del lupo animale.

“Leah è andata a casa mia con Sarah ed Alice ad avvertire i Cullen, io devo portare ancora Claire ed Emily, chiama Quil e digli di andare da Sam!” presi un po’ di fiato, per quanto fossi riuscita tranquillamente a salvarle il mio stato d’animo aveva acceso una campanella d’allarme “Per stanotte Jacob, Seth, Embry e Leah saranno di ronda voi tutti dovete restare nelle vostre case a sorvegliare le vostre famiglie!” Paul annuì, con ancora la piccola Rachel tremante tra le sue braccia. Le sorrisi cercando di trasmetterle un po’ di sicurezza “Rachel, tiene a portata il cellulare” avevo fatto la stessa richiesta con tutte le ragazze “Se succede qualcosa, mandami un sms con scritto 911, con tutta la mia famiglia saremo qui ad aiutarvi in pochissimo tempo!” dopo una piccola titubanza, mi abbracciò forte, per quanto io potessi sentire la forza della sua fragile esistenza umana.

“State attenti vi prego!” sussurrò al mio orecchio, pensando di non essere sentita da Paul che invece rideva guardando la mia espressione beffarda.

“Ehy è solo uno, abbiamo affrontato di peggio tranquilla!” la discostai appena guardandola negl’occhi con un sorriso da signorina del meteo, quando mi ci mettevo d’impegno diventavo anche una buona attrice. Risalii in auto e partii sgommando. Claire era tranquilla, forse un po’ affranta ma sembrava l’unica a non essere agitata. “Tutto bene piccola?” l’osservavo dallo specchietto retrovisore.

“Si, sono solo un pochino irritata ecco!” con le braccia conserte, guardava fuori. Nel momento in cui si comportava così mi ricordava le nostre lezioni di piano, io che le insegnavo le scale e che le facevo vedere come eseguirle e lei che se sbagliava mezza nota subito s’infuriava sbuffando e incrociando le braccia. Quando era contrariata faceva una smorfia strana con le labbra, arricciandole di lato storcendo la bocca in un modo innaturale. Ovviamente Quil la trovava deliziosa, io decisamente bizzarra. “Era il mio giorno, mi sto per sposare, sono andata a vedere il mio abito da sposa, arriva uno sconosciuto vampiro e mi rovina tutto, ah! Se lo avessi tra le mani penso che lo stritolerei!” stringeva un pugno come se volesse uccidere. Non so se sia più spaventosa una donna a cui è stato appena rovinato lo shopping più importante della sua vita o se un vampiro assetato.

“Senti Wonder Woman! Prendi il mio cellulare e manda un messaggio a Jake, digli che fra meno di mezz’ora sarò a casa!” non potevo aggiungere che avessi tardato sarebbe stato per intrattenere il nuovo sconosciuto ospite.

“Nessie, sei sicura di voler attraversare la foresta di notte?” chiese apprensiva Emily. Aveva una sorta di aurea femminile e materna particolare, in qualche modo mi ricordava molto Esme. “Sam potrebbe accompagnarti …”

“Emy, non preoccuparti, non mi spaventa attraversare il bosco da sola!” cominciai a ridacchiare come una scema mentre le due mi osservavano spaventate “Al massimo posso temere il lupo cattivo!” con quella battuta tutta la tensione si era allentata, finendo decisamente nel dimenticatoio.

 

Ascoltavo i miei passi decisi, scattare nel terreno. Vedevo in lontananza le luci del vialetto per raggiungere villa Cullen. Ero concentrata all’ambientazione oscura che mi circondava, non tanto per la mia vista ormai completamente abituata al buio. Contavo i miei passi, respirando profondamente con grandi boccate. Un, Due. Un, Due. Da troppo non mi concedevo una corsa sola con me stessa, da troppo avevo sempre qualcuno pronto a farmi ragionare, con cui condividere tutte le mie paure ed insicurezze. Eppure l’unica voce che non avevo ancora ascoltato era l’unica che contasse realmente. La mia. Cosa sentivo in me realmente? Cosa mi stava tenendo così lontana? Da quanto non entravo più nella mia casa d’origine?  Più del dovuto, persino per una persona a cui il tempo non importava. Eppure le mie radici erano quanto di più importante possedessi e le stavo deliberatamente calpestando. Riflettevo sul mio comportamento riportandolo sugl’altri: come mi sarei sentita nei loro panni? Sconsolati? Delusi? Traditi? Forse no. Forse avrei compatito, come stavo facendo con me stessa. Come si fanno con quelli troppo codardi per affrontare una situazione. Non volevo essere compatita, non volevo fare a nessuno pena. Io ero una donna sempre molto forte non avevo nessuna intenzione di abbandonare la mia famiglia, e quale momento migliore se non di fronte all’emergenza per affrontare il mio problema personale?

< Sono una stupida! Non posso scappare per sempre! > certo, ma la questione ancora più spinosa era come affrontarlo: a viso aperto, dolcemente, lasciarlo parlare o parlare io inveendo contro di lui perché con le sue fantasie aveva creato questa situazione, oppure per aver illuso mia figlia obbligandola ad un ulteriore confronto con me? La fretta e l’attenzione puntata nel captare ogni minimo rumore sospetto non mi permisero di ascoltare immediatamente le voci concitate dei miei figli. Sarah ed EJ fremevano dall’impazienza di battersi per la prima volta, ma per quanto la loro forza superasse quella di molti rispetto a vampiri e licantropi, la loro inesperienza era ancora troppa. Salii i gradini del garage in gran fretta e raggiunsi il salotto immediatamente. Jacob non era ancora partito per la pattuglia, Leah, Seth ed Embry lo aspettavano ai lati della stanza mentre i nostri figli gli stavano di fronte. Mia madre teneva una mano sulla spalla di Sarah mentre Esme cercava di trattenere EJ con le parole. Minaccioso, puntava agl’occhi del padre, che impietrito con le braccia conserte, rimaneva completamente eretto in tutta la sua immane statura. Era una torre scura dalla grandezza imponente, fiera che scruta l’orizzonte alla ricerca del nemico per difendere la cittadella.

“E se incontrassimo un vampiro durante una delle ronde solite, anche lì ci ordineresti di tornarcene a casa oppure glielo diresti a lui, magari con la scusa che non siamo ancora pronti ad affrontarlo?” poche volte potrei aver detto quanto EJ assomigliasse a Jake, ma in quel caso sembravano due gocce d’acqua. La stessa impudenza, lo stesso cinico sarcasmo, la durezza che mettevano in ciò che dicevano.

“EJ, per piacere cerca di calmarti!” implorò Esme.

“Quale parte di ‘Dovete rimanere a casa!’ non vi è chiara ragazzini?” stava usando il suo tono da alfa, quello con cui metteva tutti in riga eppure sia EJ sia Sarah sembravano sempre più contrariati. Per un attimo ebbi la sensazione che facessero riemergere il loro spirito di capobranco, come a suo tempo aveva fatto Jake con Sam. “Nemmeno Nathan verrà con noi! Non è una cosa per novellini!”

“Novellini? Anni di allenamenti e noi saremo i novellini?” intervenne Sarah “Non paragonarci a Nathan papà! Cacciamo da quando siamo nati, abbiamo iniziato ad allenarci già da tempo ed ora ci vieni a dire che siamo semplicemente dei principianti?” non aveva tutti i torti, ma non sapevamo esattamente chi avevamo davanti, preferivo di gran lunga le motivazioni di Jacob, preferivo i miei figli a casa “Se lo incontrassimo sapremmo benissimo come fronteggiarlo. Abbiamo combattuto contro lo zio Jazz, Emmett persino contro il nonno! Tu invece papà? Eri preparato come noi ad affrontare i vampiri ostili quando ti è successo la prima volta?” ed eccola l’intelligenza che ti poneva con le spalle al muro, quella che li distingueva, che sapeva abbindolarti con una semplice frase. Era giunto il momento d’intervenire perché a Jake mancavano le parole.

“Pensate di riuscire tranquillamente a vincere contro un vampiro, sono d’accordo voi siete in grado, forse in questa stanza siete i più preparati!” intervenni con tono tranquillo e pacato, sui loro volti apparve un’espressione vittoriosa vedendo che avevo espresso un parere favorevole “Vi sentite pronti giusto?” loro annuirono quasi in sincrono, rilassando i muscoli delle braccia “ Vi credete così preparati da saper reggere, anche le conseguenze di uno scontro all’ultimo sangue?”

“Guariamo in fretta!” disse risoluto EJ, nei suoi occhi divampava quella stessa smania che leggevo in Jake quando si trattava di proteggere la propria famiglia. “E non è detto che riesca a ferirci!”

“Certo non lo metto in dubbio, non ho assolutamente paura che voi possiate sopraffare un vampiro qualunque, senza procurarvi alcun graffio, non vi chiedevo di quell’aspetto … ” tutti voltarono l’attenzione su di me “Volevo piuttosto sapere se siete abbastanza maturi a porre fine alla vita di essere senziente, decapitandolo e squartandolo?” a quel punto erano decisamente curiosi. In Sarah vidi scorrere una lieve incertezza ma EJ, era duro a demordere “ Facciamo un patto: se dopo quello che vi mostro, avrete ancora il sangue freddo necessario, andrete con vostro padre …”

“Nessie cosa?” fulminai Jacob con lo sguardo.

“Lasciami fare Jake!” tornai immediatamente ai miei figli che attendevano la mia mossa “Altrimenti pazienterete qui a casa! Siete d’accordo?” si scambiarono un segno d’assenso fra di loro prima di rigirarlo a me. Due secondi e le mie mani si posarono sulle loro guance. Le immagini che ne uscirono avrebbero lasciato di strucco chiunque, anche le menti più preparate, io stessa ne risentii. La prigionia di Volterra, lo sguardo di Aro che toglieva la vita a quella ragazza usata come tentazione, il suo modo cruento di ucciderla. Quello era lo sguardo animale di un assassino spietato, iniettato dallo stesso sangue che stava bevendo da lei. Avevo cercato spesso di rimuovere dalla mia testa quello spettacolo raccapricciante, lui che affondava con i denti nella sua epidermide candida, mentre la povera ragazza cercava con tutte le sue forze di lottare contro l’immane destino. Non gli bastava, fluiva troppo lento come se tentasse di bere del gelato da una cannuccia troppo sottile, i rasoi grattarono la pelle ed scavarono la carne esponendo i muscoli ed i tendini del collo. la sua bocca che s’immergeva sempre più nella ferita aperta di cui i brandelli erano a portata della mia vista. Quel piccolo lembo di sangue e tessuto, che accompagnava le urla di terrore. Morirono assieme a lei.

< Avete vissuto con una realtà completamente diversa, io so quello che succede, so cosa si prova, è questo a quello a cui andrete incontro! >

L’uccisione di Renata nei sotterranei della Torre di Volterra. I lupi che si avventarono sul suo corpo troppo debole per sostenerli, le zanne di Leah che con ferocia strappavano la testa dal collo. Il rumore stridente di lamiere strappate e l’odore come di calce forte che si mescolava a quello di acqua stagnate. Mi disgustava ma non quanto la visione di quello che vi era all’interno. I vampiri hanno gli organi bianchi come la loro pelle, in loro circola solo il veleno e fluidi simili, che possiedono un’esalazione dolce quasi nauseabonda, simile a quella di una cassetta di frutta andata a male. Il sangue di cui si era nutrita scivolò dal suo stomaco strappato da uno dei lupi, ne sentivo il sentore di ruggine mescolato con quello del veleno, dal collo della polvere sbuffò, mentre le braccia e le gambe erano completamente divise. La gamba lacerata che strisciava in mezzo all’acqua tentando di ricongiungersi al resto del corpo. Il forte conato che avevo sentito indirizzarsi alla mia gola. Un lieve tremore da parte di Sarah e mi distaccai immediatamente. Il loro cuore si soppresse in un tumulto, batté ancora ed ancora sempre più velocemente  per poi placarsi con altri due rintocchi e riprendere. Si apriva e si contraeva aritmicamente, come se alle immagini che io gli avevo mostrato dovesse dimostrare ciò che provavano. Non ebbi risposta ma allentarono le posizioni abbassando il volto a terra. Non avrei mai e poi mai voluto fargli del male, ma era giusto che capissero il perché non li volessi lì sul campo almeno per ora.

“Come immaginavo …” dissi freddamente, ero stata tremendamente dura ed avevo lasciato sbalorditi tutti i presenti di cui mi ero completamente dimenticata. Dapprima le mie iridi seguirono il profilo dell’occhio poi tutta la testa si voltò verso i licantropi che attendevano sull’uscio di casa “Penso che possiate andare, non credo che per ora Sarah ed EJ vogliano prendere parte ad una molto probabile scena come quella che gli ho mostrato!” Jake annuì mimando con le labbra un grazie, come sempre era giusto essere in due per poter domare, se così si può dire, l’indole intemperante dei nostri figli. Erano alla porta quando richiamai mio marito, prima che mettesse un  piede fuori casa “Jake!” gli corsi incontro e lo baciai leggera, ponendo anche a lui una mano sul viso.

< State attenti! > lui sorrise e mi baciò a fior di labbra accarezzando la mia guancia con il dorso della mano.

“Stai tranquilla!” mi fece l’occhiolino e poco dopo sparì nel folto della vegetazione. Tornai indietro Sarah ed EJ erano immobili come statue, la mia lupetta aveva persino le lacrime agl’occhi. Mi si spezzò il cuore, ma talvolta con i figli non serve solo miele. Bisognava avere polso, fargli capire con la fermezza quando c’è qualcosa di assolutamente sbagliato. Liberi di fare i propri sbagli ma al contempo indirizzati verso la cosa giusta.

“Nessie …” mia nonna mi chiamò distogliendo il mio sguardo da Sarah ed EJ “… raggiungi gli altri nello studio di Carlisle!” cominciai ad incamminarmi incrociando mia madre a cui posai la mano sul mento.

< Pensateci voi a loro, non hanno visto un bello spettacolo! >

Salii lentamente le scale e percorsi il corridoio che portava alla croce sopra alla porta dello studio. Come sempre quando l’aprii, trovai tutti disposti in perfetto ordine, compreso l’unico che cercavo di evitare da tempo ormai. Gabriel. Mi era mancato e molto. Quante volte in quello studio io e lui ci eravamo soffermati alla ricerca di qualche nuova lettura? Quante volte avevamo giocato alla lotta o pranzato insieme? Quante volte mi ero confidata, spiegandogli i miei problemi con Jake, con Sarah, con EJ? Quante volte io avevo aperto il mio cuore? E lui era sempre pronto ad ascoltarmi. Ero stata io ad insegnargli il controllo, io a spingerlo a migliorare la sua vita, io a volerlo con noi più di tutti. Lui era il mio amico e lo stavo perdendo. In fondo non è una sorta di amore l’amicizia? Poteva la sua essere soltanto considerato un modo diverso di essermi amico? Forse qualcosa la potevo ricucire, forse non tutto era perduto. Gli feci un debole sorriso che lui non ricambiò, anzi distolse lo sguardo che sembrava stanco. Da quanto non dormiva sogni tranquilli?

“Nessie, vieni stavamo parlando di quello che vi è successo oggi!” Jasper era molto perplesso, contrariato quasi. Guardava Alice come se le avessero fatto del male, come se ci avessero attaccato e lei fosse ferita. Rosalie invece era ferma, con tutta la sua determinazione pronta ed agguerrita. Emmett e mio padre invece non c’erano. Carlisle era comunque calmo e gentile, sembrava non essere spaventato da tutto questo.

“Allora, avete qualche idea più precisa?”

“Sinceramente credo che sia stato un semplice curioso,  dubito fortemente che qualche avventato si inoltri nelle nostre zone!” la sua sicurezza calmò persino me, apprensiva per natura. Colpa sempre dell’ereditarietà di mia madre.  

“Probabilmente è da solo, vedendovi in tre avrà evitato di avvicinarsi a voi!” constatò Jasper.

“Ha un buono spirito di sopravvivenza, senza dubbio!” scherzò Alice che stava tranquilla a gambe incrociate sulla poltroncina del nonno.

“Dobbiamo comunque tenere un occhio aperto, questo significa che sorveglieremo la foresta fino al confine per tutta la settimana, compresi i lupi!” precisò Rose, osservando la cartina delle zone boschive dello stato di Washington dispiegata sulla scrivania. A lei non piaceva affatto che qualcuno invadesse i nostri territori ora che riuscivamo da parecchi anni a mantenere il nostro anonimato e a mascherarci ai comuni mortali rimanendo stabili a Forks. “Noi potremmo rimanere qui ad Est, i lupi guarderanno la parte della riserva e tutti i confini ad Ovest, dove non possiamo accedere!” indicava con enfasi porzioni di mappa con il dito.

“Praticamente ci divideremo il lavoro come al solito con la Carica dei 101?” la battuta di Alice spezzò definitivamente la tensione, tutti ci scaldammo in una risata ilare e solare. Ero definitivamente tranquilla.

“Come ci divideremo?” dissi ancora sorridente.

“Organizziamo delle coppie, Edward ed Emmett sono già partiti stasera, Nessie e Gabriel domani, io e Bella poi, Alice e Jasper per sabato. Carlisle, tu ed Esme rimarrete a casa a coordinarci!” ero rimasta fissa con gli occhi su Gabriel. Sapevo esattamente cosa stava facendo Rosalie. A lei dispiaceva enormemente che il rapporto con Gabriel si fosse rovinato, più per la mia sofferenza che per altro. Quelle settimane in cui io mi ero rifiutata di andare in villa, mi aveva espresso l’estremo disagio a cui stavo conducendo tutti. Per quanto volessero bene al mio amico, io ero sempre sangue del loro sangue, se non nel senso letterale del termine, in quello affettivo e con la mia reticenza lo stavo costringendo ad andarsene. Era necessario che io chiarissi, ma temevo di farlo senza che fraintendesse. Ormai era questo il livello d’imbarazzo con lui. Dentro di me c’era una lotta forte, tra la paura di ferirlo e il terrore di essere nuovamente delusa. Non mi fidavo più. Ma con quella mossa forse sarei riuscita a riprendermi la mia amicizia perduta.

“Ripeteremo la rotazione fino a quando le acque si saranno definitivamente calmate! Per ora credo sia tutto, potete andare!” Carlisle ci diede il via libera ed Alice sciolse le gambe alzandole vistosamente e scendendo con grazioso saltello dalla sua seduta. Jasper negava con la testa porgendole la mano con fare galante da gentil uomo del Sud. Mentre stavo per uscire venni inchiodata dalla freddezza di Gabriel, non aveva parlato mi superò senza guardarmi, e da un lato ne rimasi quasi scottata. Forse con il mio atteggiamento indifferente l’avevo offeso, me ne dispiacqui. Pensavo e ripensavo a come l’avrei potuto affrontare quando finalmente un’idea balenò nel mio cervello. La mamma, lei sicuramente mi avrebbe aiutata, carica della sua esperienza precedente. Corsi velocemente alla camera dei miei figli dove sapevo l’avrei trovata.

“Davvero ha visto quelle cose, oppure era solo un modo per farci desistere?” era EJ a chiederlo, Sarah ormai sapeva bene che non le avrei fatto vedere nulla che non fosse stato altro che la verità. L’aveva vissuto su se stessa, se arrivavo a ferirli o a traumatizzarli ci doveva essere per forza un motivo. Non le diedi il tempo di rispondere, entrai nella stanza e il silenzio piombò improvvisamente tra tutti. Erano terrorizzati, da me.

“Mamma posso parlarti?” lei comprese subito, quale argomento volessi affrontare. S’alzò dando un bacio sulla fronte a Sarah ed una carezza sul viso ad EJ.

“Buonanotte, ragazzi!” il loro ‘notte, era poco più che sussurrato. Sicuramente la mattina sarebbe tornato tutto normale ma in quel momento era meglio non calcare la mano e richiusi la porta della loro stanza. Volevo l’aria fresca della notte ad aiutarmi e così la condussi fuori, nel giardino dove il gorgogliare del fiume faceva da eco ai nostri respiri, così diversi dalla ragione per cui esistevano. Il mio per portare l’ossigeno nel sangue, il suo per assaporare ogni fragranza fornita da Madre Natura, come piccolo spintone involontario a quella che una volta era un’abitudine necessaria alla sua sopravvivenza. “Ho bisogno di un tuo consiglio …”

“Io ci sono sempre per te, lo sai!” l’oscurità ci avvolgeva come se fosse la tacita confidente di entrambe. Sovvenne alla mia testa come i vampiri fossero considerati creature della notte dalle leggende folkloristiche, solo perché si pensava alla mortalità del sole. Invece il suo splendere sulla nostra pelle ci rendeva più preziosi, mostrandoci fragili come il cristallo, ma duri come un diamante allo stato puro. Io non risplendevo, la mia pelle si colorava di una lieve luce pragmatica, niente di eccessivamente eclatante.

“Voglio risolvere le cose con Gabriel mamma, non so come fare sinceramente!” ci sedemmo sulla riva del fiume, incuranti degli schizzi d’acqua trasportati dal vento. Non potevamo sentire freddo e, come per lavarmi la stanchezza tolsi le scarpe e ripiegai i miei jeans fin sopra il ginocchio,per immergere le gambe nell’acqua. “Tu come ci sei riuscita …”

 “Credi che la mia situazione prima di sposare tuo padre, fosse simile alla tua di adesso ma ti sbagliavi tesoro mio! Per quello che ricordo è assolutamente diversa …”la lasciai continuare senza interromperla “Ho ben poche cose chiare di quel periodo, più che altro quello che mi fa ricordare tuo padre. Di una cosa sono assolutamente certa: ero innamorata di Jacob, meno di quanto provassi per tuo padre. Una parte di me, a cui io non diedi retta per molto, lo desiderava più che come un amico e lui non si dava per vinto, lui non voleva rinunciare a me ed ha tentato in tutti i modi a conquistarmi. Per quanto facessi soffrire sia tuo padre che Jake, non riuscivo a fare a meno di lui, lo cercavo, tentando in ogni maniera di avere un rapporto con lui imponendomi un’amicizia che non poteva sussistere perché io lo amavo e lui amava me! Con il senno del poi, credo che tutto quello che provavamo allora, fosse solo ed esclusivamente a causa tua!” sorrise. Non mi sorpresero negativamente le varie declamazione sui loro sentimenti reciproci ma ero un po’ perplessa su quell’ultima parte.

“A causa mia?”

“Sentivo uno strano senso di appartenenza come se Jake fosse mio … Ti ricorda qualcosa?” involontariamente emisi un piccolo ringhio che fece fare una sorta di risolino a mia madre “Era come se scatenasse il mio istinto protettivo, quello che stai avendo tu adesso ma molto meno amplificato …” mi placai immediatamente, quella era pur sempre mia madre, non avrebbe mai fatto nulla per nuocermi “Che con la gravidanza aumentava ogni giorno di più, sembravo quasi ossessionata e dipendente dalla sua presenza, cosa che svanì completamente alla tua nascita, mutando in quello che c’è oggi! La forza dell’imprinting è sbalorditiva, per quanto l’ho odiata all’inizio adesso la ringrazio, non avrei potuto sperare in un futuro migliore per noi!” baciò la mia testa teneramente “Voi due vi siete amati prima ancora che tu venissi concepita, niente potrà cambiare questa cosa, per quanto assurda possa sembrare! Anche se il suo vantare diritti su di te certe volte mi fa scattare i nervi!”

“A che ti riferisci?” ormai ero nel pieno del racconto come una bimba che sta ascoltando una fiaba nuova.  Conoscevo molto bene la storia, quasi nei minimi dettagli, dopo l’eclatante rivelazione di Leah al mio decimo compleanno e la successiva riappacificazione con Jake, volli conoscere a pieno la storia in modo da sapere bene cosa in realtà celava il passato dei miei e del mio Jacob. Sentita da quel punto di vista, comunque risultava nuova e tenera in un certo senso.

“Sai che quando vuole Jake, sa essere realmente seccante!” iniziò a sogghignare divertita, era esilarante “Metteva bocca su ogni decisione che ti riguardasse, attuava piani diabolici per farci fare quello che voleva e sentenziava sui nostri errori come genitori! Un paio di volte ho temuto che tuo padre lo volesse seriamente uccidere! Già dovevamo combattere con gli altri quattro genitori acquisiti, ci mancava solo il nostro futuro genero!” si riferiva ai miei zii, soprattutto a Rosalie ed Emmett. Che strana e meravigliosa famiglia. “Tornando sulla tua situazione, tu non ami Gabriel se non come un fratello, e lui ha rinunciato già a te ed è disposto starti accanto come tu lo vorrai, io credo che lentamente, a piccole dosi puoi riprendere a vederlo come un amico, e potrai fidarti nuovamente di lui. E a dirtela tutta mi dispiacerebbe che voi vi separaste del tutto!” rimasi letteralmente a bocca aperta “Sei così diversa da noi, la tua natura è di difficile comprensione. Siamo diversi da te e tu non hai mai avuto nessuno con cui confrontare le tue problematiche. Io ho una bella schiera di vampiri con cui confidarmi, Jake ha il branco, Sarah ed EJ si aiutano a vicenda ma tu avevi lui. Per quanto mi scoccia in un certo qual senso può capire a pieno ciò che provi perché lui stesso lo vive sulla sua pelle, la sua amicizia è importante, non voglio che tu la perda!” consiglio da madre, questo era il nostro mutevole modo di confrontarsi. Eravamo mamma e figlia sempre e comunque, ma da quando ero entrata a pieno nel mondo degli adulti, il nostro modo di rapportarci era cambiato, maturato assieme alla mia esperienza e quindi diventato sempre più confidenziale ma restando ancorato a quella gerarchia famigliare che mi vedeva sempre un po’ bambina. Un attimo prima eravamo a sparlare dei nostri compagni come se fossimo compagne di stanza al college, l’attimo dopo mi trovavo con il mio bagaglio appesantito da un suo suggerimento.

“Zia Rosalie è tremenda, mi ha messo le ronde con lui!”

“Sono sicura che l’ha fatto per il vostro bene!” quel vostro, mi colpì come quando lo stesso Gabriel aveva usato nostra famiglia. Era parte di noi, di me. Avrei fatto di tutto per superare quel muro che si era eretto tra di noi. Non avrei permesso all’imbarazzo di rovinare una parte della mia famiglia, era giusto aiutarlo a superare quello che si era stabilito, glielo dovevo.  Dondolai leggermente le gambe ancora immerse nel fiume che continuava a fluire nonostante la mia piccola incursione. Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l'uomo né le acque del fiume sono gli stessi. Non avevo mai riflettuto sulla teoria del filoso di Efeso, nonostante ci toccasse molto da vicino. Per natura i vampiri erano esseri stabili, che mutavano raramente la loro vita e gli atteggiamenti, così come il loro corpo, restavano identici al loro aspetto di partenza, conducendo un’esistenza oserei dire abitudinaria. Per questo i cambiamenti, le emozioni forti come l’amore o l’odio, influivano su di noi in una maniera sconvolgente e permanente. Come se improvvisamente un enorme masso scivolasse proprio all’interno del fiume che stavo guardando. Dapprima sarebbe stato spostato dalla corrente, sistemato, fino ad incagliarsi stabilmente e diventare parte del suo letto. Rimarrebbe per sempre nella stessa posizione, a meno che una potente pioggia non aumenti la forza del gigante, spostandolo nuovamente e cambiando la sua posizione o la sua forma. Così Bella Swan, tenera e timida umana dalla mente protetta, aveva sconvolto la vita di Edward e della sua famiglia, entrando a farne parte. La mia vita invece aveva un’altra connotazione. Il mio era un papiro scritto, già inciso da un destino preciso, che mi avrebbe condotto esattamente dove stavo continuando a dirigermi, con accanto la stessa persona per sempre. Eppure quel destino, che spesso giudicavo come crudele, era estremamente mutevole ed ogni volta che bagnavo il mio corpo in esso, l’acqua che lo lambiva era completamente diversa. E tutto continuava a cambiare, io stessa non ero più quella di prima. Dalla piccola Renesmee mi ero trasformata, maturata, diventata una donna ed una madre. Adesso ero la guida dei miei figli, il loro punto di riferimento. Dovevo insegnare loro i valori che io avevo acquisito dalla mia famiglia e dalla mia esperienza di vita. Eravamo ognuna immersa nei suoi pensieri, mia madre con gli occhi chiusi. Ventidue anni da immortale, una giovanissima immortale. Amava ancora mettere alla prova i suoi sensi, annusare l’aria e distinguere i diversi odori assaggiandone ogni sfumatura. Rimaneva pur sempre una novità. Lei quante volte si era immersa nel fiume della vita? E quante volte poteva vantare di essere sempre la stessa? Mai, ogni volta che s’immergeva era diversa. Forse la vita dei vampiri poteva essere più mutevole di quello che si pensasse.

“Ho notato che Sarah porta il ciondolo che ti regalai il tuo primo Natale …” una nota di dispiacere nacque in me, come se le avessi fatto un torto. Ma lei rimaneva tranquilla con le palpebre serrate. Di cosa ero realmente colpevole? Sarah era mia figlia ed il significato inciso su quel piccolo monile, assumeva lo stesso significato che le aveva dato lei. Presi allora la sua mano per parlarle nella maniera più diretta possibile, attraverso il mio stesso cuore. “Ma questo è il regalo della nonna, non posso tenerlo io è troppo importante per te, mamma non posso accettarlo …” il viso di mia figlia passò nella sua mente, era imbarazzata, sorpresa da quel gesto. Dopo tutto quello che era successo fra noi non volevo che rimanesse tutto in sospeso. Desideravo solo  farle sapere che l’unica cosa importante era lei e la sua felicità. Chiusi il suo pugno attorno alla catenina, dandole un bacio sulla fronte “Plus que ma même vie! | Più della mia stessa vita! |”

“È giusto …” sospese la frase con un sorriso dolce sul suo viso perfetto, con il pollice aveva preso ad accarezzarmi il dorso della mano “ Potrebbe diventare una sorta di ereditarietà da madre a figlia!” si voltò verso di me guardandomi con tenerezza.

“Se sarà possibile, sarebbe carino, si!” ero stata contagiata dalla sua serenità.

“E poi noi abbiamo le nostre pietre di luna!” con un gesto elegante tirò fuori il suo ciondolo identico al mio, dal collo della sua t-shirt. Quelle pietre trovate dai miei figli, nel ruscello e fatte diventare uno splendido monile dalle persone che più amavamo. Le nostre pietre di luna. Anch’io presi il ciondolo dalla maglietta lasciandolo scivolare fuori,lo mostravo a quei piccoli raggi lunari che s’infiltravano attraverso le nubi a curiosare della nostra conversazione. “Stavo pensando … ”  interruppe il continuo flusso di pensieri che si formavano negl’ingranaggi della mia testa“domani perché non adiamo a trovare Charlie! Gli farebbe piacere!”

 

Note dell'autrice: Bonsoir, madame et monsieur! Lo so, lo so un altro capitolo di preparazione c'è ancora un pochino da tribolare però mi sembrava giusto un minimo d'introspezione ed una lettura più approfondita dell'uccisione di un vampiro. Una cosa che mi ha molto colpito in Eclipse è stato quando Edward ammazza Vittoria e Bella non batte ciglio, non gliene pò fregà di meno e quello devo dire è una cosa che non mi ha mai quadrato. Secondo me indipendentemente da i chi e per come, per quanti nervi saldi si riesca a mantenere è pur sempre vero che due tipi vengono squartati davanti ai tuoi occhi e lei è trullalero trullalà, insomma in questo capitolo ho voluto far veder quanto comunque sia crudele una cosa del genere a prescindere dalle ragioni, e ho trasmesso quel senso di rispetto della vita che condivido pienamente con Carlisle (vedi che in Twilight lui era restio a far fuori anche James).

Detto questo passiamo ad altro:

kandy angel: ehy sei quasi sempre la prima a recensire, praticamente a qualsiasi ora! Grazie mille! Un bacione gigante!

kekka cullen: snif, snif! Mi hai fatta emozionare, sapere che riesco a trasportarti in quelllo che è diventato un pochino anche il mio di mondo mi rende molto orgogliosa, grazie veramente di cuore, è meraviglioso sentirsi dire certe cose con così tanto trasporto ed a me fa sempre un grandissimo piacere. Certo non pretendo di essere la Meyer, nè tantomeno di diventare una scrittrice, anzi di solito con le parole sono una frana, da brava grafica pubblicitaria, mi riesce più semplice comunicare con le immagini! Sono solo una pseudo scrittrice con la Meyerite (e con il licantropo cn la Cullenite siamo a due malattie rare!^^) Ti ringranzio veramente tanto di cuore pe rle tue parole e sono stracontenta che la mia storia ti coinvolga, perchè è proprio quello che voglio! Sin da Grey Day il mio più grande tentativo era quello di far riscoprire un po di me e di voi nei personaggi che ho deliberatamente preso in prestito, quindi grazie grazie grazie. E se non l'hai capito Grazie!

Lione94: Chissà chissà chissà, chissà chi mai sarà! Certo quella poveraccia di Nessie si ritrova una eternità incastrata nell'adoloscenza sposata a Jake O.o (Ufficialmente voglio essere lei) ho pensato che fosse molto realistico e carino che i figli riprendessero i genitori, anche perchè nella realtà spesso accade persino Bella da umana riprendeva la madre come fosse una ragazzina! Già Claire e Quil, dopo cinque anni di fidanzamento ci sarebbe stato tutto il matrimonio, insomma è ora di mettere a posto la testa e cominciare a sfornare un po' di eredi anche voi su su! ^^

noe_princi89: grazie cara, seguimi sempre un bacione!

Ed ora vi auguro una BUONA NOTTE grande come una casa e vi ringrazio sempre tutti!

XOXOXO Mally

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Capitolo 40
*** CAPITOLO XII: Routine. ***


CAPITOLO XII: Routine.

Quella che una volta era la casa di Charlie e Bella, adesso era la casa di Charlie e Sue, mentre Seth e Leah erano rimasti alla riserva. Visto che Charlie non se la sentiva di prendere il posto di Harry, il trasferimento di Sue era sembrato un ottimo compromesso. Nessuno, nemmeno i figli se la sentirono d’interferire in quella coppia. O meglio nemmeno Leah che si era ritrovata una sanguisuga come Bella per sorellastra, aveva avuto da ridire sulla decisione di sua madre. L’unica cosa che importasse a tutti era la loro felicità, alla fine era un modo per supportarsi vicendevolmente, in quel mondo strano in cui si erano ritrovati. Sapevo molto bene come la mamma aveva vissuto nel terrore della solitudine del nonno causata dalla sua scelta di non vita, prima che si realizzasse. Fra di loro solitamente c’erano grandi silenzi, discorsi non detti, frasi anche solo accennate . Eppure in tutta quella quiete sussisteva il più grande amore: quello di un genitore per il proprio figlio. E mia madre, gli assomigliava troppo per non volergli ancora più che bene. Charlie era in pensione da qualche anno e finalmente poteva coltivare tutti i suoi hobby a tempo pieno ed iniziarne anche uno nuovo se solo avesse voluto. In realtà si annoiava a morte, ma almeno aveva Sue a fargli compagnia. Al posto di capo della polizia era stato assunto un ex sceriffo di una contea del sud, ed ogni volta che il nonno diceva questa cosa fischiettava la tipica colonna sonora degli spaghetti western di Sergio Leone. Per tutti rimaneva sempre lui il capo Swan. Stava raccogliendo il giornale mentre noi parcheggiavamo nel vialetto, sempre con la solita camicia a quadri ed i jeans, con quel grigiore che prendeva sempre  più spazio su i suoi capelli scuri. Appena notò la mia macchina gli occhi gli si illuminarono, prevedendo una nostra visita. Anche Sue si affacciò per vedere chi fosse: aveva tra le mani uno straccio con cui si stava asciugando le mani e dal grembiule sporco di farina accompagnato dal profumo di mirtilli dedussi che stava preparando i muffin.

“Ragazze, non vi aspettavamo che piacevole sorpresa!” abbracciò prima mia madre un po’ di sfuggita, poi prese a baciarmi insistentemente le guance stringendomi con tutta la sua forza. “Siete sempre più belle, venite stavo preparando i muffin ai mirtilli!”

“Si lo so!” sicuramente stavo facendo una smorfia da bambina impaziente.

“Come mai siete venute?” disse Charlie mentre ci accomodavamo sul divano.

“Volevamo solo farvi un’improvvisata, era da tanto che non ci vedevamo!” per un pomeriggio eravamo umane. Niente vampiri, niente licantropi, niente minacce. Si parlava solo dell’imminente matrimonio, della scuola di Sarah ed EJ. Con il nonno era così, non perché fosse uno struzzo, nascondendo la testa sotto la sabbia. Per quanto il suo atteggiamento lo inducesse a pensare, era più che comprensibile non volerlo riempire di dettagli inutili alla sua vita, che per quanto scossa, si svolgeva il più del tempo tranquilla.

“Sue, mi pare di aver sentito il timer del forno!”

“Oh già i muffin!” di corsa la mia nonna acquisita si alzò zampettando fino alla cucina. Inaspettatamente il nonno attirò la nostra attenzione.

“Ok, cosa è successo?”

“Che vuoi dire, papà?” il famoso spirito d’osservazione degli Swan, non poteva tradire.

“Bella, hai la faccia di quando c’è puzza di problemi, la vostra visita inaspettata, l’improvviso impegno di Seth e Leah e Nessie che sembra le sia passato un caterpillar sulle spalle, sono vecchio ma non scemo!” ed avrei aggiunto terribilmente serio.

“Siamo solo un po’ stressati per la novità con Sarah, e per qualche  piccolo problema di famiglia …”  ripresi il mio succo di frutta, a cui mi aveva obbligata Sue, sorseggiandola fingendo una falsa indifferenza, ma la vocina stridula che ne uscì e il mio osservarmi attorno con fare guardingo, tradivano ogni mia emozione. Il nonno alzò un sopracciglio contrariato, con le braccia legate sul petto ed il suo sguardo indagatore puntato su di me.

“Non c’è nulla papà, davvero, niente oltre alla solita routine!” la mamma aveva imparato a raggirare la nostra onestà, con le famose mezze verità.

“Tua figlia è un’attrice peggiore, di quanto lo sia mai stata tu Bella!” lo sapevo che l’anello debole fra le due ero io, ma insomma sbattermelo in faccia così.

“Papà, ti ho detto che non c’è nulla di cui preoccuparsi!” in un certo senso nell’usufruire del suo fascino vampirico, la mamma sembrava ancora impacciata come se non s’aspettasse che potesse davvero funzionare. Titubava nel poggiargli una mano sul ginocchio ma poi, armata di un po’ di sicurezza, si decise, osservandolo intensamente negl’occhi “Fidati di me!” rimasero in silenzio per qualche secondo e mentre sul viso gelido di mia madre si allargò un solare sorriso, Charlie sbuffò sonoramente. Neanche lui era immune al nostro irresistibile modo di fare.

“Ecco i muffin! Attenzione che sono ancora caldi!” per fortuna che Sue interruppe la nostra conversazione. Per quanto il nonno prima o poi si sarebbe arreso ad indagare, quell’intervento fu provvidenziale, posizionò un bel vassoio ricolmo di profumatissimi dolcetti ed alcuni piattini. Il nonno subito si affrettò a prenderne uno e Sue gli schiaffeggiò la mano “Charlie secondo te, perché ho portato i piatti!” erano divertenti insieme. La parte più buona dei muffin di Sue, era la leggere crosticina che sapeva di bruciacchiato di quelli che si trovavano in fondo alla teglia. Il forno non distribuiva in modo omogeneo il calore e quindi tendeva a cuocerne di più alcuni. Ed erano buonissimi. Certo anche nonna Esme li preparava, ed erano talmente gustosi da sembrare usciti da una pasticceria di alta classe. Ottimi, fatti con amore, ma pur sempre poco umani. Quelli di Sue avevano qualcosa in più. Erano imperfetti. Ne presi uno, quello oserei dire più ‘abbronzato’. Addentai avidamente quel dolcetto. A dir la verità la mia fame era sospinta solo dalla gola. Avrei tranquillamente fatto a meno di mangiare. Però quando vedevo qualcosa di zuccheroso o estremamente fritto, non sapevo resistere. Masticai la prelibata pietanza lasciando che le mie papille descrivessero alla perfezione la sensazione che mi provocava: la dolcezza dell’impasto si sposava alla perfezione con il sapore leggermente acre  dei mirtilli e la sua soffice consistenza era gustosa.

“Sono buonissimi Sue!”

“Non prendermi in giro Nessie, ho sentito come cucina Esme!” all’inizio Sue, non era a suo agio con la mia famiglia, ma come sempre l’ospitalità di Esme e l’eleganza di Carlisle avevano fatto breccia nel suo cuore. E poi era felice per Charlie, perché per quanto sua figlia fosse cambiata, era di nuovo con lui. “Certo è vero che dispone di attrezzature degne del più rinomato ristorante però …”

“Però questi sono buonissimi e se lo dico io che sono un palato molto sopraffino, puoi starne certa!” l’allusione era indirizzata al branco di lupi, che erano il più delle volte soliti a trangugiare più che a mangiare. Continuammo a parlare del più e del meno, mentre il nonno cercava con domande argute di captare qualche notizia in più sul mio stato di angoscia. E mentre stavamo ridendo di una frecciatina di Sue su Charlie, voltai lo sguardo alla finestra che dava sul bosco. Non avevo uno scopo preciso, era più una cosa di sfuggita, uno spostarmi i capelli con un colpo della testa che però portò alla mia attenzione un luccichio strano tra il fitto della vegetazione. Era abbastanza lontano da non potere essere ben distinto. Un luccichio che aveva solo un significato. Presi la mano della mamma invitandola a guardare fuori. La sua vista era sicuramente più acuta della mia.

< Ci ha seguite? > le chiesi mentalmente, lei annuì accennando con un cenno della testa.

“Eh no! Adesso mi dite cosa sta succedendo?” non poteva sfuggirgli, in fondo mia madre doveva aver preso da qualcuno. Il suo eccessivo modo di notare i dettagli era anche piuttosto pericoloso. Fummo salvate dalla porta che si aprì rivelando uno sbadigliante Seth ed una Leah praticamente stanchissima. Dalla sera erano le dieci e probabilmente avevano coperto tutta la penisola Olimpica, visto l’orario tardo di rientro. Di mio canto ero tranquilla vedendoli rincasare con il sorriso sulle labbra, come una normale pattuglia del lunedì. Ma quel luccichio che avevamo notato, non poteva che gettare un’ombra scura sui miei pensieri.

“Sento un profumino di muffin …” Seth era sempre il solito, solare e limpido ragazzo, Jacob spesso e volentieri lo chiamava ancora moccioso “Ciao piccola Nessie!” mi diede un bacio sulla guancia poi passò a Bella al mio fianco “Ciao Mamma!” diede un baio anche a lei rubando un muffin dal centro del tavolo. Leah rimase in disparte appoggiandosi al muro. Dovevo parlare con lei ma senza far insospettire di più il nonno. Seth, senza volerlo, era riuscito a distrarre un po’ tutti anche con l’intervento della mamma. Presi il piattino dove avevo mangiato, quello del nonno ed il mio bicchiere ormai vuoto.

“Oh no Nessie, non ti preoccupare ci penserò io dopo!”

“Non è un peso!” e detto questo dopo aver lanciato uno sguardo di intesa a Leah, andai nella cucina. Percepii il suo calore giusto il tempo di non attirare su di sé l’attenzione. Mi asciugai le mani dopo aver riposto le stoviglie nel lavello e le presi il viso mostrandole la mia intuizione.

“No, l’avremmo percepito prima di venire qui!” sussurrò in modo da non farsi sentire. Non volevamo mettere alla prova la loro resistenza alle stranezze.

“E se lui vi avesse percepito prima e si fosse allontanato?” bisbigliai impercettibilmente ad orecchio umano, nel momento in cui si era affiancata al lavello.  

“Avremmo comunque avvertito l’odore, tranquilla Cullen!” prese il bicchiere che era ancora da lavare. Dal salotto provenivano risate, Seth era intento nel fare il buffone ed anche Charlie sembrava coinvolto. “Comunque terremo un occhio aperto, ma dovrai dire ai tuoi di controllare questa zona. Forks è di vostra competenza!” la sicurezza di Leah infuse un po’ di tranquillità, ma non cancellò il mio stato di allerta.

“Stanotte è il turno mio e di Gabriel, quindi non c’è problema!” iniziammo a lavare i piatti, c’erano anche qualcosa della sera precedente che probabilmente Sue non aveva fatto in tempo a rigovernare. Lei insaponava ed io sciacquavo e asciugavo. Sembravamo quasi sorelle. Strano con Leah non ero mai stata così vicina.

“Cos’è? Vi hanno messo nello stesso turno così diventate una sanguisuga per intero?” seppur sedata la vena antipatica non le passava mai. Ma io non avevo voglia di risponderle, accennai solo ad un sorriso sbieco, senza nessuna ironia o scherno. Sentivo i suoi occhi posati sulla mia espressione “Scusa non volevo essere acida!” scossi la testa negando, non doveva chiedere scusa ormai la conoscevo e sapevo come era fatta. “Ed ora chi lo sopporterà Jacob sapendoti con il mezzo succhiasangue da sola ed indifesa? Per fortuna che non puoi vedere i suoi pensieri, quando gli prende il momento del guaito facile. Ti vede con lui in certi atteggiamenti, vede come siete simili ed altre menate varie. Certe volte è veramente seccante …” le stesse parole della mamma ed indirizzate alla stessa persona.

“Che c’è da ridere?” chiese anche un po’ infastidita.

“La mamma mi ha detto le stesse cose su Jacob con le tue stesse parole, lo trovo divertente! Scusa!” ridacchiai ancora un po’, imponendo nuovamente il silenzio. Di sfuggita le osservai il viso. L’avevo notato più di una volta come fosse rilassato. Dopo anni non la vedevo così serena, anzi penso di non averla mai vista così. La presenza di un’altra donna all’interno del branco giovava ad entrambe non c’era che dire. Sembrava cambiata da quando Sarah era diventata una di loro, le aveva donato nuove speranze, una nuova amica, una persona con cui poter condividere i suoi pensieri e soprattutto che non scopriva a rimuginare sulle sue nudità come i restanti fratelli.

“I miei figli non saranno mai soli …” quella verità, indirizzata solo ed esclusivamente a me, rendeva il tutto ancor più reale. Ed ero felice, perché per quanti pericoli io corressi, per quanto la mia vita e la mia sfortuna potesse farmi incappare in qualche disgrazia irreparabile, sapevo ed ero cosciente che qualcuno ad aiutarli ci sarebbe sempre stato.

“Hai detto qualcosa …”

“Nulla …”

 

Ritornammo a casa che la sera stava sopraggiungendo ed, assieme ad essa, il vero momento del confronto con Gabriel si avvicinava. Erano ore ormai che nella  mia testa cercavo un modo valido per poter allacciare il discorso.  Mio padre mi aveva chiesto gentilmente di farne a meno cosa praticamente impossibile. Con la mamma avevamo deciso di lasciar correre su quello che avevamo intravisto nel bosco, pensammo che forse un po’ condizionate dalle incalzanti domande di Charlie ci fossimo sbagliate. Come sempre casa Cullen era gremita di gente, mio padre e lo zio erano tornati e stavano parlando con Gabriel su cosa fare e quali parti coprire. Durante la notte c’era stata calma piatta, il branco non aveva avvistato nessuno e non c’erano tracce evidenti di altri vampiri. Ero pronta. Il nostro percorso copriva tutto il perimetro Nord-Est fino a Sud, percorrendo il confine di Forks. Avevo praticamente tutta la notte per parlare, ma nessuno dei due aveva il coraggio di iniziare. Il silenzio che regnò per le prime due ore era opprimente, pesante. Qualche momento dovevamo correre altri ci fermavamo analizzando qualche strano sentore per poi riprendere a correre e saltare. La cosa più assurda sembrava che Gabriel fosse arrabbiato con me. Mi sentii improvvisamente irritata, dopotutto non era stato lui a complicare le cose?

“Si può sapere perché sei tu ad avercela con me?” all’ennesima risposta a mezza bocca ed annoiata, come se la mia presenza fosse di troppo, sbottai. E tutti i discorsi sull’amicizia e sul volersi bene, erano andati a farsi benedire. “Non ritieni sia più opportuno il contrario?” schioccò la lingua sul palato come un bambino offeso che non vuole parlare con chi gli ha rubato le caramelle. Questo superava ogni limite di pazienza.

“Fermo, fermo, fermo!” dissi ad una velocità tale che le tre volte che l’avevo ripetuto sembravano una sola parola con diversi accenti. Mi misi di fronte a lui opponendo le mie mani al suo petto per farlo fermare ed indietreggiare. Il suo sguardo severo era qualcosa d’inconcepibile “Si sta capovolgendo il mondo e non me ne sono accorta? Scusa ma ti devo ricordare che sei tu quello innamorato di una donna sposata che fino a qualche settimana fa era la tua migliore amica? Oppure pensi che sia giusto che tradisca mio marito con te?”

“Non dire idiozie!” mi superò scappando da quella conversazione, come io mi ero decisa e lui se ne andava.

< Eh no, signorino questo non te lo permetto! > “ Allora perché stai facendo ostruzionismo al mio tentativo di chiarimenti?” strinse i pugni lungo i fianchi, voltandosi verso di me, arrivata all’ennesimo livello di malumore.

“Non sto facendo ostruzionismo!”

“E le risposte monosillabiche, le ritieni una forma concreta di normale comunicazione? Sappi che non stai dimostrando tutta la tua forza esplicativa  per farmi capire di cosa mi stai punendo!”

“Se non lo capisci da sola, non vedo come io possa aiutarti!”

 “Prova con lo spiegarti!” aprii i palmi delle mani di fronte a me, come se fossi pronta ad accogliere tutto il suo veleno.

“No, ho già fatto abbastanza danni!”

“Direi!” caricai la dose, lui mi guardò stizzito per schioccare ulteriormente la lingua. Non so quale Santo lo stesse assistendo o quale mano Divina spingeva la mia pazienza ben oltre il limite accettabile, ma solo un altro atteggiamento avverso e probabilmente avrei messo da parte tutta la mia diplomazia e avrei preso la sua testa per frantumarla contro il tronco più prossimo. C’era una cosa di Gabriel assolutamente pazzesca del suo carattere: era urticante quando s’arrabbiava, peggio di EJ ed Emmett messi insieme. Se non aveva abbastanza confidenza o se non credeva di essere nel pieno della ragione, cominciava a balbettare e a scusarsi. Non era quello il caso. “Senti …” sprofondai un respiro gonfio, chiudendo gli occhi, come se fossi ad una seduta di yoga alla ricerca del Nirvana “ È evidente” sottolineai l’ultima parola “che non ci stia capendo molto, quindi gradirei delle spiegazioni da parte tua! Perché diamine ti senti offeso?”

“Non è per come ti comporti con me, se t’interessa!” la sua voce carica di ostilità mi fece sussultare.

“E allora per chi?” chiesi praticamente esasperata andandogli incontro con gli occhi al cielo in una religiosa preghiera.

“E te lo chiedi? Quante settimane sono che non venivi alla villa, lo vuoi sapere Renesmee?” odiava chiamarmi con il mio nome per esteso, un po’ come Jake “Tre settimane, tre!” mi stava sfidando, faceva passi minacciosi verso di me “Avevi bisogno di tempo per me, non per la tua famiglia!” perché aveva detto tua non nostra come l’ultima volta?

“Gabriel …” esalai il suo nome era come una dichiarazione di presa di distanze.

“Esme soffre per la tua lontananza, il fatto che io e te non riusciamo a comunicare fa male a tutti e non è giusto!” forse non tutto era perduto, si preoccupava per noi. Per Esme soprattutto, che vedeva come la madre che non poteva più avere. La mia era viva, mi amava mentre lui non avrebbe niente se non fosse stato per noi. Per questo se la prendeva allora? Perché non apprezzavo ciò che avevo disdegnandoli per un problema che avevo con lui? O perché con il mio nascondermi, mi stavo comportando come una ragazzina viziata?

“È difficile per me Gab, io ho solo paura che tu possa fraintendere …”

“Fraintendere? Ti ho già detto che ho deposto le armi, che altro devo fare? E come te lo devo ripetere, in qualche lingua morta?” usava il sarcasmo, allora qualcosa da me l’aveva imparata. “ L’ha accettato Sarah, l’ha accettato tuo padre, persino Jacob è disposto a tollerarmi!” ed avrei aggiunto anche che era pronto alla beatitudine, perché nessun uomo sarebbe stato disposto ad un tale compromesso “Perché tu non riesci a resettare il tutto e cercare di tornare come prima? O perlomeno abbi il coraggio di mandarmi al diavolo perché io non ci riesco!” era disperato, troppo disperato. Mi fece stringere il petto, forse non respirai alcuni secondi perché sentii la mia testa fluttuare. Mi appoggiai ad un albero e presto le sue braccia mi intrappolarono, contro di esso “Nessie” il tono era cambiato, s’era addolcito “la metà più forte in me è quella di vampiro, l’unica che abbia mai conosciuto. Tu sei cresciuta con una famiglia eterogenea, con le componenti diverse, sai essere un’umana, sai essere un vampiro, sai perfino essere un licantropo! Io invece no, sono come loro nella maggior parte dei casi, per questo la mia vita era fatta di perfette consuetudini a cui adempivo senza lamentarmi. Tutta la mia esistenza era un lago calmo, la cui superficie era solo lo specchio del cielo che vi si rifletteva. Ma poi sei arrivata tu come un sassolino che rompe la tensione provocando cerchi concentrici sempre più ampi, l’acqua si è increspata, smossa ed io ho cominciato a sentire la mia parte umana e a conoscerla fino ad assecondarla. Il seme in me è rimasto ed è fiorito. Un seme che era destinato ad appassire o rimanere in boccio, come speravo. Se tu non supererai questo sentimento, non ti costringerei mai e poi ma a scegliere. Io sono parte della famiglia da dodici anni ma tu Nessie sei parte di loro da quando sei nata!” alzai lo sguardo, mi sovrastava con il suo corpo. Il suo metro ed ottanta superava la mia statura, e quei sedici centimetri li sentivo tutti sotto di lui. Nemmeno con il mio gigante buono, avevo quel senso di oppressione.

“Non esiste una scelta, Gabriel! Sei un Cullen, come lo sono gli zii, mio padre, io stessa, lo sei e lo sarai sempre! E sono stata una stupida ad aggravare il peso che porti nel cuore!” posai una mano sul suo petto e lo sentii sussultare. Un tenero soffio come un fiore che sbucava dalla neve, un debole speranza che s’innalzava dalla desolazione del gelo procurato dalla mia codardia. Me lo negavo da sempre, ma la mia paura più grande era ferirlo con un rifiuto, per quanto volessi il mio affetto per lui mi conduceva a volerlo proteggere da me stessa. Il suo dolore si ergeva fiero ed impettito come un soldato vittorioso, tutto racchiuso in un gesto spontaneo in una amicizia macchiata da gocce di rassegnazione. Ed ero egoista, si. Perché io lo volevo per me. Lo stavo seppellendo in una voragine buia e fredda, solo per assecondare un mio bisogno “L’unico che può scegliere sei tu! E sono disposta a non vederti più se questo ti fa male!”

“Ti amo, questo non lo cambierà niente e nessuno” la mia testa cadde come un vaso scivolato dalle mani; cadde ma non fece rumore perché l’unico suono che si poteva udire era quello di un cuore spezzato, uno strappo silenzioso composto da rintocchi frenetici, sbalzi ed infine una sorta di pace che finalmente aveva trovato sfogo uscendo da me.  “Non la lontananza, non le minacce di tuo marito, neanche il tuo nasconderti” Egoista. Egoista. Egoista. Questo mi stavo gridando. “Soffro a vederti di un altro” Ed ancora continuavo a ripeterlo. Egoista. Perché il mio pensiero era stato egoismo, non amicizia. Io mi ero nascosta con la scusa di non ferirlo, ed invece ero io a non voler essere delusa nuovamente da quello che si era rivelato altro. La mia testa era china sempre più offuscata da quella parola che assumeva le voci di chi mi aveva perseguitata. Non meritavo tutto questo da parte sua. “Ma soffrirei di più sapendoti lontana, con la paura di non vederti felice,  abbandonarti di nuovo, il terrore di lasciarti senza poter essere qui per poterti aiutare a chiudere le falle che si possono creare. Ho bisogno della tua presenza ed adesso anche di quella degl’altri!” era diverso. Si. Jacob aveva lottato fino all’ultimo per mia madre. Gabriel aveva rinunciato. Aveva deposto le armi ancor prima di estrarle. Il soldato fiero si era prostrato ad un nemico più potente, un amore che non aveva confini di tempo e spazio, un amore nato prima che io vedessi la luce, quello che veniva rappresentato come valore assoluto, l’eterna condanna di un lupo che non poteva sopravvivermi. “Ti amo, ma l’amore può essere visto sotto tante forme ed io sarò qui accanto a te e diventerò quello che tu desideri Nessie, perché nulla per me è più importante che vederti sorridere!”

“Oh Gabriel …” mi distaccai dai miei ruoli, in quel momento c’eravamo noi due. Non ero più la madre premurosa, non ero la moglie di Jacob o la figlia di Bella. Mi ritrovai ad abbracciarlo a sentire il suo corpo aderire al mio, ad essere con lui. Nessuna tensione, nessun rammarico. Solo amore. Ma diverso da tutto quello che avevo provato. Ed era la prima volta che mi trovai di fronte ad un vero sentimento di amicizia. Non l’avrei mai capito, non ci sarei mai arrivata. Finalmente avevo veramente un amico, forse come non lo era mai stato. Non c’erano più segreti e mura che ci dividevano. Un amico, un fratello.

“C’è qualcuno!” in un attimo mi trovai dietro le sue spalle come se volesse proteggermi. Scorsi solo dopo cinque sagome scure, la notte senza luna, coperta dalla perenne coltre di nubi, non aiutava. Da Gabriel provenne un ringhio furioso che sapeva di manaccia, voleva rimarcare il nostra pericolosità urlare di non essere un semplice umano. Ma le figure non retrocessero, avanzarono. Feci un calcolo approssimativo. Jacob con il suo branco si trovava già dall’altra parte dello stato probabilmente. Se riuscivo a delimitare il nostro territorio lo avrei potuto tranquillamente rivendicare. Ragionavo profondamente concentrata sulle parole diplomatiche da poter utilizzare quando Gabriel allentò la posizione rilassando i muscoli del braccio che aveva contratto. I cinque vampiri erano disposti a punta di diamante, tutte indossavano un mantello scuro con sollevato il cappuccio per poter celare le loro identità. Non camminavano semplicemente, muovevano i loro passi sorvolando la terra su cui sembravano non posare i piedi, una marcia inconfondibile, una marcia che aveva l’odore della morte solo vent’anni prima.

“Marcus?”

 

Note dell'autrice: Bonjour, guardate un po' chi ci è venuto a trovare? Già, già ci sono i Volturi, chissà cosa vogliono dai Cullen. Non vi dico nulla volglio lasciarvi in sospeso per un po' muahahahahah! E il vampiro che seguiva Nessie fa parte della guardia! Ragazze nel prossimo ci saranno un paio di spiegazioni ma non temete c'è ancora molto da raccontare! Dovrebbero essere in tutto diciasette capitoli più un diciottesimo di epilogo! Per un totale di quasi 500 pagine formato libro! Spero di riuscirvi a tenere incollate allo schermo!

Lione94: Carpe Diem! si lo dico anche io! Orazio è il mio autore latino preferito, devo ammetterlo, adoro la sua ironia bonaria: pensa che ho fatto la tesina per l'esame di stato che s'intitolava SATIRA, CARICATURA E FUMETTO ed era praticamente quasi tutta incentrata su di lui. Per quanto riguarda Gabriel, lui non è arrabbiato con Nessie per come lo tratta ma per come lei si comporta con la famiglia. Del genere se vuoi che rimanga ignorami ma cerca di restare accanto ai tuoi famigliari. Da un lato lui vorrebbe andare via ma dall'altro non ce la fa, perchè con loro ha trovato finalmente una casa. Nessie invece sente che ha bisogno accanto a sè di una persona così simile a lei, un amico ma è stata tradita così tante volte che ha paura di scottarsi di nuovo. Uno stramaledetto circolo vizioso. In fondo l'amicizia è una forma di amore, quindi basta solo cercare di soffocare una parte di quello che già prova per poterle rimanere accanto, perchè tanto come c'ha già provato non può sostituirla. Gli basta solo una parte. Sinceramente è un rapporto ancora più contorto di quello che c'era fra Jacob e Bella, simile ma allo stesso tempo diverso. Spero solo che con i miei capitoli riesca a far emergere lo spirito romantico e platonico di Gabriel che alla fine è molto più bravo di quello che si possa pensare.

kandy_angel: grazie tante, continua a seguirmi!^^

kekka cullen: Il rapporto genitori e figli è una cosa molto particolare, fatta di alti e bassi, in cui c'è una costante. Per quanti errori si possano fare i genitori agiscono  esclusivamente per il bene dei figli. E se serve dirgli sei un cretino e sia! Per questo li ha fattio scontrare con la sua di esperienza, in modo che concepissero le loro ragioni. Io ho sempre pensato che fra  le ragazze lupo si capissero e cercassero in qualche modo di tenersi sollevate, visto l'angoscia di  vivere in un mondo sovrannaturale dove tu non sei altro che una pedina. In esso si contraddistingue Nessie, che in realtà entra praticamente a pieno titolo a far parte del branco in qualche modo rassicura anche le povere ragazze con la sua forza. Sono contenta che ti piaccia! Baci!^^

Ringrazio sempre tutti coloro che mi seguono e mi leggono! Grazieeeeeee! ^^

XOXOXO

Malice 

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Capitolo 41
*** CAPITOLO XIII: Inutili cerimonie. ***


CAPITOLO XIII: Inutili cerimonie.

Aro amava le collezioni di talenti. Marcus no, di questo ne eravamo certi. Ma conosceva bene dove cercare, dove agire e contro quale legame combattere. Con la semplice diplomazia aveva quasi raggiunto il precedente numero della guardia, anche se ancora doveva lavorare molto per ricostruire la potenza dei Vecchi Volturi. La loro presenza a Forks si poteva definire una semplice visita di cortesia, se per ‘visita di cortesia’ ci s’includevano quattro guardie del corpo. Con lui era venuto ovviamente Demetri, che non aveva fatto altro che osservarmi con uno strano ghigno schifato stampato sulla faccia di pietra. Riconobbi anche la vampira castana, che anni addietro si trovava sul secondo trono accanto al suo. Di quando la vidi nella sala centrale a Volterra, ricordavo solo la sua bellezza travolgente, ma niente sapevo di lei tranne che forse Marcus aveva trovato una nuova compagna. Mi sbagliavo. Si chiamava Jaele ed era stata trasformata a trent’anni, anche se ne dimostrava molti meno, poco dopo la nostra rivoluzione. Alcuni vampiri durante la battaglia erano sfuggiti. Santiago era uno di questi. Dopo pochi giorni fu trovato in un parco nazionale in una regione vicina, credo che si trattasse dell’Abruzzo.  Jaele era una giovane ricercatrice che si trovava nel bosco per la scoperta più importante della sua carriera. L’osservazione di non so quale animale rarissimo ed in via di estinzione, nel suo habitat naturale, e forse una possibile cucciolata. Partita per la svolta della sua vita, improntata sul lavoro, e condotta alla conclusione più tragica: da scienziata, rimirata e venerata stava per diventare un pasto di un vampiro assetato e braccato. Marcus trovò Santiago appena in tempo. Per combattere lasciò la sua preda in vita, con i deboli battiti del cuore ancora a scandire lo scadere del suo tempo. Era bastato. Il veleno entrò in circolo immediatamente, iniziando il processo di trasformazione. Ricordava ancora abbastanza di quel momento, ma la sua memoria più chiara, mentre si contorceva dal dolore, era la visione della magnanimità del Volturo. Lo aveva visto come un angelo dalle ali nere, quando offrì a Santiago di unirsi a lui oppure di essere contro di lui. “Un angelo benevolo che  potrebbe diventare la vera ira di Dio”  queste le sue parole esatte. Marcus quando la vide rimase di sasso. Era bellissima persino da umana ed i suoi occhi traboccavano di saggia sapienza, in un qualche modo ricordava la sua Dydime. La portò a Volterra, lasciando che si trasformasse. Dopo tre lunghissimi giorni il processo era completo e Jaele era pronta per entrare nella sua casata. Riuscii ad abituarsi abbastanza celermente alla vita da vampiro e presto divenne la sua seconda, una figlia, perché questo vedeva in lei. Non una compagna, come io avevo erroneamente dedotto. Quel posto poteva essere occupato da una persona sola, che non esisteva più se non nelle pennellate di Francesco Solimena nelle sue stanze, ma quella ragazza lo faceva sentire bene, possedeva la stessa l’aura di felicità della moglie, almeno per lui. Lo interpretò come un segno, come se lei benedisse quella vicinanza. Non aveva un potere in particolare, ma sfruttava un grande acume ed intelletto, sicuramente come retaggio della sua vita umana. Oltre a loro tre vi era Santiago, che ovviamente rappresentava la guardia del corpo nel puro senso del termine, data la sua mole mastodontica e l’uso esclusivo della forza come arma. Alla fine aveva optato per la vita, promettendo, come Demetri, fedeltà a Marcus. Ma il più interessante era il quarto vampiro che li accompagnava, molto antico dai racconti che fece, millenario anche più dello stesso Marcus. Non aveva la pelle trasparente, era normale come quella del nonno, questo indicava un suo continuo muoversi ed errare. Era Massimo, Massimo Caelio Calvino per l’esattezza. Ci teneva a specificare il suo nome per esteso. Di aspetto si presentava non molto alto ed con capelli scuri, ma non neri che risaltavano sulla sua pelle candida e palpabile, come se su di essa ci fosse un sottile strato di polvere di marmo rosa, tipico delle sculture ellenistiche classiche . Il suo corpo era ben piantato e forte, aveva dei muscoli evidenti, asciutti ma turgidi e gonfi, simbolo di una gran forza precedente alla sua trasformazione e di una gran capacità di lotta. L’aspetto più particolare erano gli occhi. Non cremisi, non rossi scuro ma di un rosso quasi arancione, un colore che non distingueva quale fosse la sua pura alimentazione. Possedeva un dono, molto più che speciale: era a metà fra quello offensivo di Alec e lo scudo difensivo della mamma. Praticamente si rendeva i invisibile ai sensi di chiunque creandosi una sorta di aura, in cui poteva includere chi desiderasse. “Essere uno dei speculatores probabilmente mi ha reso un vampiro invisibile” Era stato lui in quei giorni a tenerci d’occhio e a seguirci, più per sicurezza di Marcus che di certo lo aveva scelto come sua personalissima vedetta. “Non penso che la mia vita precedente fosse tanto diversa da quella che conduco ora, ero una spia allora e lo sono tutt’ora!” Non ricordava nulla della sua vita da umano se non di essere appartenuto ai servizi segreti all’epoca di Adriano. Sembrava davvero interessato a conoscerci, ed ovviamente, il suo sguardo acuto si era indirizzato subito ad esseri singolari ed unici come me ed i miei figli, quasi esaltato dal nostro incontro. Devo ammetterlo, anch’io trovai molto piacevole ed istruttiva la sua compagnia. Intrapresi con lui un interessante conversazione sul diritto Romano, sull’età imperiale, e sull’apporto che i romani diedero all’architettura, ‘utilitas, firmitas e venusta’ | utilità, solidità e bellezza, Vitruvio | che lui aveva adottato come filosofia di vita. Le sue citazioni in latino non lasciavano molti dubbi sulla sua origine molto più che antica, eppure così vivida da farmi sentire davvero insulsa a non aver vissuto così tanto. Certo, il mio bagaglio era ricco, ma come competere con più di 2000 anni di approfondimenti? Sarah pendeva letteralmente dalle sue labbra, soprattutto quando aveva iniziato a parlare della sua vita dopo la trasformazione per le strade dell’antica Roma. Ci fornì passeggiate attraverso Villa Adriana, potemmo visitare con i suoi occhi i Fori Imperiali, sentire le conversazioni nelle Basiliche, sentire l’odore delle pergamene delle due grandi biblioteche che racchiudevano tutto il sapere più illuminante greco e latino, ai lati della Colonna Traiana dove riuscimmo a leggere la storia della Battaglia dei Daci attraverso il papiro di pietra che l’avvolgeva , fino a vedere l’imponente costruzione del Pantheon prendere vita e diventare la più grande e ingegnosa opera architettonica mai esistita nella storia. Ed ogni cosa attraverso le sue descrizioni sembrava rivivere “Ho visto Roma e la sua gloria, l’ho vista spezzarsi, l’ho vista soccombere ad un nuovo Dio, ma ogni traccia di lei è permeata nel tempo e nello spazio, come me ed posso dire c’ero quando le sue rovine erano rivestite di bianco marmo, io c’ero e continuo ad esserci!”.

“Siete una famiglia molto interessante devo dire!” per quanto quegl’occhi erano rossi, seppur diverso da qualsiasi altra cosa avessi mai visto, il suo sguardo guizzava ed era vivo come l’argento. Massimo era un personaggio particolare, interessato molto alla ‘cultura’ dei Cullen, come definiva il nostro stile di vita, l’incuriosiva il nostro essere evoluti, non bestie, la nostra unione così profonda. La sua mente così arguta ed aperta, concedeva degli spazi sconfinati da riempire con nuove nozioni. Ed io lo trovavo tremendamente stimolante. Eravamo nella grande sala da pranzo con Sarah ed EJ che spizzicavano la cena. O meglio Sarah mangiava ed EJ le riempiva il piatto dopo due forchettate alla sua pasta al forno preparata da Esme. Il vampiro sedeva con noi, non disgustato dall’odore del cibo. “Dopo che sei passato vicino ad un orinatoio in Agosto nulla più può turbare il naso, per quanto sensibile sia!” ne avremmo riparlato al rientro di Jacob e dei ragazzi del branco “Anche molto dotata e variopinta! Mi piacerebbe capire meglio questo meccanismo, come avete detto che si chiama? ”

“Imprinting, si chiama imprinting!” rispose EJ molto interessato anche lui, a quel nuovo amico. Massimo aveva notato immediatamente la loro diversità, rimanendone totalmente rapito; appena appreso la loro reale natura di licantropi mezzi vampiri, iniziò a chiedersi come fosse possibile che un nemico naturale si fosse unito ad una persona appartenente alla nostra specie, non con disgusto ma con la curiosità tipica dei bambini. Non mi sentii di negargli quella spiegazione, dopo che mi aveva fornito un’impeccabile visione della storia. Sarebbe stato come negare a Carlisle di leggere e studiare quello che lo circonda.

“Auguri!” gli dissi finita la tentata spiegazione da parte mia e di EJ cercando di portare la conversazione ad un livello più ilare “Io dopo dodici anni ancora non ho capito bene come funziona!” presi i piatti ormai vuoti per sparecchiare, ormai ero entrata nella modalità perfetta donna di casa “Aspetta mio marito, con i suoi amici, probabilmente loro sapranno darti una spiegazione semi accettabile, meno confusionaria di quella che hanno dato a me!”

“Sono molto curioso di conoscere questi mutaforma, purtroppo ho avuto solo il piacere di incontrare autentici figli della luna! E non è stato poi così piacevole devo dire, qualche segno lo porto ancora ora!” si massaggiò un braccio probabilmente indicando un punto dove era stato morso. Quel pensiero mi fece leggermente rabbrividire. Le analogie con Jasper erano molte più di quelle che si potessero pensare. Una carriera militare promettente alle spalle, perpetuata nel tempo, cicatrici di battaglie, un’importante dono di cui portare il fardello. Le sue abilità gli consentivano di muoversi come uno spettro, era terribilmente letale, ma con noi, assolutamente innocuo.

“Gabriel, c’è andato vicino a portare i miei di segni!” EJ si dondolò sulla sedia sbuffando sonoramente. Si comportava esattamente come il padre in alcuni momenti, ovvero da pazzo geloso e sbruffone.

“Basta EJ!” gl’intimò Sarah con un ringhio, mentre il fratello roteava gli occhi al cielo imitando con il movimento delle labbra la voce della sorella. Quel piccolo battibecco stava iniziando nella solita maniera e preveda sicuramente un loro scontro.

“O mio Dio! Ci risiamo!” mi lamentai mentre Sarah diede uno scappellotto al fratello che cadde in avanti  massaggiandosi la nuca, dopo qualche secondo lui si alzò e le prese la testa iniziando a grattare con forza con le nocche sui suoi capelli.

“Chiedimi scusa!” urlava.

“Mai!” rispondeva la sorella che nel cercare di liberarsi si era alzata dal tavolo lasciando cadere la sedia a terra con un gran fracasso. Io non avevo più la forza di dividerli, insomma dimostravano sedici/diciassette anni, ma in alcuni momenti erano ragazzini di nove, proprio come la loro età anagrafica. Il nostro ospite trovava la scena parecchio divertente, infatti rideva ed io, ben conscia che nella mia vita non avrei mai incontrato un vampiro minimamente normale ( sempre che l’aggettivo normale possa essere associato ad un vampiro ), decisi di riprendere il mio compito domestico di lavare i piatti, o meglio di sciacquarli e metterli nella lavastoviglie, andando in cucina. Tanto prima o poi si sarebbero stancati.

“Очи черные | Oči čёrnye ( Oci ciornie ) – Occhi neri |” mi voltai di scatto non sentendo arrivare nessuno, la voce alle mie spalle mi colse di sorpresa. Era Demetri  che se ne stava in un angolo ad osservarmi sempre con la sua faccia schifata. Non capivo quell’atteggiamento così maldisposto nei nostri confronti. Era come se non vedesse di buon occhio la mia presenza, m’incuteva timore ma allo stesso tempo mi dava fastidio.

“Demetri” risposi freddamente. Sapevo pochissime parole in russo e nemmeno tanto bene, il cirillico non faceva per me e non lo inclusi mai nello stuolo di lingue da sapere. Quello che aveva pronunciato lo ricordavo solo grazie ad una canzone ed un vecchissimo film che vidi con il nonno. Lui mi spiegò che in Russia gli occhi scuri sono una rarità e quindi un simbolo di bellezza, a differenza mia, che invece li ritenevo assolutamente comuni. Quello praticamente era una sottospecie di complimento, ma detto con la smorfia di chi non apprezza realmente ciò che sta guardando.

“Ti trovo bene!” per quanto fosse stranamente gentile, quella voce morbida e vellutata mi ustionava la gola. Avrei voluto tirare fuori tutto l’arsenale d’ improperi a mia disposizione, ma decisi di essere gentile, ricambiando le sue assolutamente finte cortesie.

“Grazie!” nonostante i miei sforzi, dai miei toni si poteva percepire tutto il disagio che mi creava la sua presenza.

“Anche i tuoi figli, sono interessanti … ” non so un piccolo campanello d’allarme che risuonava costantemente, forse perché lo collegavo con la mia prigionia ma alla fine cercavo di farlo tacere. Ci aveva aiutato con Joyce ed ora era arrivato per avvertirci di qualcosa. O per controllarci? Ecco la puzza di bruciato su quella visita. Vero che i Volturi avevano cambiato strategie e capi, ma chi ci assicurava che non fossero ancora dei collezionisti di rarità? E se volevano in qualche modo approfittare della nostra fiducia? Cercare di annettere tutti noi? Vero che la guardia era tornata ad essere ben fornita, con ottimi elementi non costretti a restare con loro e quindi fedelissimi, anche grazie alla buona guida di Marcus. Ma nessuno impediva loro di essere spaventati da un gruppo come il nostro,  potente e, come diceva lo zio Emmett, quasi invincibile grazie alla nostra stretta collaborazione con il branco di La Push. Che la smania di potere avesse colpito anche lui?

“Grazie!” cercai di fare l’indifferente, volevo capire cosa volesse con domande mirate “Hai bisogno di qualcosa Demetri?”

“No, piccola Cullen!” spesso i vampiri che conoscevano la mia famiglia mi identificavano come la piccola Cullen. Praticamente venivo presa in considerazione per la mia metà che più gl’aggradava. Non mi ero accorta di quanto l’utilizzo di quel soprannome, mi desse tedio fin quando non si posò sulla bocca del segugio di Volterra.

“Sai Demetri il mio cognome è Black, non più Cullen dal momento che sono sposata!” non era un rinnegare la mia vecchia famiglia, ma affermare quella nuova.

“Già, sposata con un cane bastardo!” lo disse parlando fra i denti, carico del disprezzo che fino ad allora aveva malcelato.

“Non ti conviene parlare male di mio marito in casa mia …” lo stavo ripagando con un tono strafottente ed irrisorio “ … potresti pentirtene!” chiusi il portello metallico della lavastoviglie con un colpo secco e violento, quel tanto da far tintinnare le stoviglie al suo interno per buoni trenta secondi. Mi poggiai incrociando le braccia al petto contro il ripiano, rimanendo ben attenta ad ogni suo movimento. Mi derise come se io non fossi presente, doveva vedermi come un cucciolo di gattino che cerca di soffiare, peccato illudersi. Io ero una tigre.

“Non lo metto in dubbio!” rideva ancora della mia arroganza “Ho saputo che tua figlia è una specie di segugio e che tuo figlio ha sviluppato i suoi poteri!” ogni sua parola era irriverente “Se il tuo invischiarti con degl’esseri così repulsivi …”

“Attento, ti ho già avvisato!” per mantenere la calma afferrai il bordo del ripiano descrivendo l’impronta sul marmo, che tenero come burro divenne quasi la loggia delle mie dita “Non offendere la mia famiglia, non vorrei doverti fare aspettare fuori di qui il tuo padrone!” al suono del padrone emise un ringhio. Non gli andava a genio di essere un sottomesso ancora, ma troppo c’era in gioco per ribellarsi. Quasi istantaneamente riprese il controllo del suo umore, ritornando a quell’espressione insolente e dispregiativa.

“Non puoi aspettarti che tutti accettino tranquillamente, questo …” si fermò dal continuare, indicando con il palmo rivolto verso l’alto l’area di fronte a sé, in un gesto quasi teatrale, come un triste comico che presenta il suo pubblico.

“Questo cosa, Demetri?  sputavo le parole a raffica, cominciavo a temere il punto a cui voleva arrivare, ma lui non rispose, indugiò con un sorriso crudele tra le labbra “Cosa ho chiesto?” fino ad allora avevo cercato di non lasciare trasparire il nervosismo a cui mi stava conducendo, ma iniziava a farsi strada. Forse voleva solo provocarmi.

“Che un fiore raro e prezioso come te, sia stato colto da delle mani sudice e indegne!” indietreggiai con il busto come se le sue parole mi avessero spinta all’indietro “Sicuramente uno della nostra specie o uno della tua sarebbe stato un miglior partito …” un vento gelido percorse le mie vene, mentre una vampata di calore arrivò alla mia testa e quasi mi trovai a scattare in sua direzione con un pugno alzato presso la sua faccia, fermandomi appena in tempo dallo sferrarglielo.

“Ne stai facendo una questione di razzismo?” ero fredda, laconica con un messaggio diretto, stavamo percorrendo una strada molto accidentata. Non volevo rischiare di farlo vincere. A quel punto ne ebbi la certezza, voleva che reagissi in maniera violenta. Per lui ero un semplice passatempo, io ero come gli umani che si divertiva a cacciare. Ero da disprezzare per la mia scelta ed ero irascibile su certi argomenti. Tutto condito da una antipatia reciproca. Non volevo stare al suo gioco e serrai la mascella provocando uno schiocco dei denti. Si avvinò pericolosamente all’isola con quell’aria arrogante ed il sorriso di chi ha la situazione in pugno.

“No, ne sto facendo una questione di spreco!” il suo sussurro languido e lascivo, fece scorrere un fiotto di sangue ai miei occhi. Cominciavo a soccombere all’istinto di cambiargli i connotati.

“Bene vai a fare le tue questioni di spreco da un’altra parte se non vuoi girare per tutta Forks alla ricerca della tua capacità di procreare!” in un lampo superò l’isola, prese il mio viso con una mano tenendo saldo il mio mento, bloccando le braccia dietro la schiena con l’altra. “Dovresti imparare a giocare di meno con il fuoco!Potresti finire incenerito!” la sua presa divenne più salda tanto da farmi male. Provai a trattenere un gemito ma debole vibrò come un respiro represso. “Ti devo ricordare dove ti trovi, qui non sei a Volterra, Demetri!”

“Il tuo profumo è sempre molto invitante piccola Cullen, anche se contaminato da quel puzzo orrendo!” contrasse le labbra scoprendo i denti affilati come lamette, sentivo il riverbero algido del suo fiato attraversare l’epidermide del mio collo. E per un attimo cominciai a temere che la mia lingua mi avesse cacciato in un serio guaio.

< Aiuto! >

“Toglile le mani di dosso!” la voce del mio salvatore entrò contemporaneamente al rilascio dei polsi sbiancati dalla sua presa ferrea. Jasper era sulla porta, guardava con odio puro Demetri che aveva gli angoli della bocca alzati in un riso maligno. “Non osare mai più minacciarla!” il corpo dello zio era completamente teso, i muscoli inturgiditi dal desiderio di balzargli al collo. Gli occhi iniettati di nero. Ma una rissa, per quanto iniziata per il tentativo di difendermi, non sarebbe stata utile a nessuno.

“Non la stavo minacciando!” quel parassita tirò fuori un nuovo falso sorriso. “Stavamo solo ricordando i bei vecchi tempi! Non è vero piccola Cullen?”

“Si, come no!” risposi con un cenno di sarcasmo. Mi massaggiai i polsi indolenziti, un livido rosso segnava la porzione di pelle poco inferiore alla mia mano, nel giro di un’ora sarebbero scomparsi, ed andai accanto a Jasper che manteneva la posizione d’attacco.

“Renesmee, vieni in salotto Carlisle ci vuole parlare e tu” sputò quel tu con sprezzo, lo stesso che aveva usato il Volturo per mio marito “farai bene a tenere le mani a posto d’ora in poi!” affiancai lo zio che avvolse con il suo braccio le mie spalle. Sanciva un limite, un valico insuperabile. Ero intoccabile fra le mie mura e nel mio territorio. Quando entrai in salotto eravamo tutti riuniti. Guardai mio padre scambiarsi uno sguardo eloquente con Jasper. Probabilmente era stato lui a seguire tutta la scena e sapendo che non avrebbe mai mantenuto il sangue freddo, per evitare uno scontro aveva mandato lo zio. Mia madre al suo fianco, gli accarezzò la spalla per calmarlo ma praticamente ogni persona aveva notato quel cambio in lui, anche Jacob che prima era in riunione con il nonno e con Marcus. Lentamente lo raggiunsi, prendendo la sua mano, aveva sicuramente intuito che qualcosa era successo ed ormai sapeva leggere il linguaggio del corpo di mio padre quando un pensiero che non lo aggrada lo sfiora. Il nonno prese presto la parola, l’aria che si era caricata in  maniera negativa non si sarebbe mai smorzata se lui non avesse iniziato al più presto . Vidi Demetri occupare la sinistra di Marcus in attesa delle parole del nonno.

“Marcus è venuto qui a Forks per chiederci un piccolo favore, in virtù dell’amicizia e della collaborazione che già in passato ha funzionato egregiamente. ” l’aria che si respirava nella stanza aveva dei toni solenni, quasi cerimoniosi. Fintamente cerimoniosi. “Ovviamente non mi sarei mai mosso senza il consenso del branco di La Push per questo Jacob è qui con noi.” stava giustificando la sua presenza con i nostri ospiti?  Sarah ed EJ sembravano divertiti, d'altronde per loro questo non aveva gran senso, le macchinazioni politiche non gli appartenevano, io stessa faticavo ad accettarle.

“Per quanto la casata dei Volturi abbia ripreso a pieno regime il controllo delle leggi, ancora molti tumulti scuotono l’Europa” prese la parola Marcus, cercando di spiegare la sua posizione “Ed ancora in molti vogliono quel potere che troppo ha già infettato!” Sarah sghignazzò cercando di coprirsi la bocca e Jasper la trucidò con uno sguardo, lei alzò una mano scusandosi ma io sorrisi, quella messinscena assumeva dei toni tragicomici non indifferenti “Ci sono stati degli strani movimenti in Canada, vorremmo che Massimo si potesse muovere abbastanza liberamente sulle vostre terre, senza essere attaccato, come ha rischiato ad Olimpia quando si è imbattuto in Renesmee, Alice e Leah!”

“Già la piccola Sarah ha una gran dote, nemmeno Demetri era mai riuscito a percepirmi con tale facilità! Mi ha sorpreso così tanto che sono uscito allo scoperto!” l’intervento di Massimo fu degno di nota, strizzò l’occhio in direzione di Sarah che fiera e sorridente s’impettì orgogliosa, mentre EJ le scompigliava i capelli. Lei era davvero speciale.

“Quindi ufficialmente chiedo a voi ed ai vostri alleati, il permesso di attraversare lo stato di Washington escluso ovviamente il territorio dei lupi! E chiedo esclusivamente a te ed alla tua famiglia un appoggio nel caso di necessità da parte di Massimo in modo che abbia comunque n punto di riferimento qui oltreoceano!”

“Per noi non ci sono problemi basta che rispettiate gli accordi!” disse il nonno per poi guardare in nostra direzione “Per voi Jacob?”

“No, se resta lontano dalle persone di qui non ci sono problemi!”  lo diceva con una morsa nel petto, l’importante per lui era proteggere la riserva e noi.

“E sia quindi, permesso accordato, sono sicuro che farete buon uso della nostra fiducia Marcus!” si strinsero la mano per finire quella buffonata. Sembrava di essere all’Entaconsulta del ‘Signore degli anelli’ , solo che al posto di alberi parlanti c’erano vampiri millenari. Per un attimo immaginai la faccia di Marcus e Demetri impiantata su degl’alberi. Ebbene il risultato fu un risolino di mio padre che si guadagnò la seconda occhiataccia di Jazz. 

“Bene noi ripartiremo questa notte stessa, come promesso, Massimo s’attarderà e partirà domani durante la mattina gli basteranno poche ore per attraversare il confine!” ci furono pochissime ultime battute qualche convenevole d’uopo ed infine una bella minaccia a Demetri da parte di mio padre, che invece se la rise. Prima di andarsene Marcus venne da me per congratularsi. Elogiò la mia famiglia e si sorprese dell’incredibile legame creatosi fra me e Jacob.

“Lo vedo chiaro, forte. Sembra la stella polare, risplende d’oro!”  mi sentii in dovere di ringraziarlo. Baciò la mia fronte come un padre premuroso si comporta con sua figlia per poi lasciare la nostra casa abbracciato dalla notte.

 

Note dell'autrice: ebbene si i Volturi hanno chiesto solo un permesso ai Cullen, e voi direte tutta sta cosa per un inutile cerimonia? già sapete come sono fatti. comunque a prescindere da ciò non vi dico il perchè di questo capitolo in realtà mi serve per poi. In compenso ho introdotto un nuovo personaggio che io personalmente adoro: Massimo!!! è un mito e più in là capirete perchè. Tutto più in là ragazze mi dispiace ma ora stiamo entrando negli eventi clou quindi non posso spiegarvi granchè! Me malefica!

Chi odia Demetri alzi le mani! Io ho sempre immaginato che non tutti vedessero di buon occhio l'unione di Renesmee con Jacob, e come esternarlo se non con lo scimmione maleducato!

kandy angel: oddioooooo! ti ringrazio!!!^^

kekka cullen: alla fine non volevano grandi cose i Volturi, ma in un qualche modo entreranno nella storia. Oddio adirittura un piccolo genio, temo cosa tirerai fuori per quello che ho scritto in seguito, cioè è molto più colpo scenoso dei volturi. Segui segui che la trama s'intrica!

noe_princi 89: eh eh, ormai i Volturi sono fra parentesi dei buoni, per lo meno non farebbero mai del male ai Cullen che sono degl'alleati preziosi. Marcus non è uno stupido, sa che a Carlisle non interessa il dominio del mondo, lui vuole la pace quindi meglio tenerselo come amico piuttosto che come nemico, altrimenti la seconda rivoluzione dei Cullen in action!^^

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI COLORO CHE MI SEGUONO!

XOXOXO

Malice

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Capitolo 42
*** CAPITOLO XIV: Niente ci separerà. ***


CAPITOLO XIV: Niente ci separerà.

POV EJ

“Lizzie vuoi darti una mossa se facciamo tardi questa volta papà ci ammazza!” la visita di Marcus era passata praticamente da un mese. Penso che in vita mia non avevo mai assistito a niente di più comico, dopotutto non eravamo più nell'anno mille e c'era bisogno di fare tutto quel trambusto solo per chiederci il permesso? Ridicolo. Almeno potevamo vantare di aver conosciuto Massimo, un vampiro una sagoma. Dopo qualche giorno, quando erano definitivamente sicuri che il Gladiatore avesse passato il confine, c'era un'altra cerimonia da compiere. Il branco decise di fare un gran falò per darci il Benvenuto, o meglio avevano trovato la scusa per fare baldoria come ragazzini. C’erano più o meno tutti, compresi i piccoli, che ovviamente non  sapevano esattamente il perché di quella festa ma si divertivano a giocare sulla spiaggia di sera, era una novità dopotutto. Quando poi era giunto il momento della nanna tutti i membri anziani del branco e i membri del consiglio si schierarono e ci fecero giurare, come se fossimo dei soldati dell’esercito che promettono fedeltà alla patria. A me venne consegnato un polsino di cuoio con un simbolo particolare e a Lizzie un ciondolo, che avevo già visto nel portagioie della mamma ed aveva lo stesso disegno che si trovava sul mio polsino. Mi ricordo di aver pensato solo a quanto mi sentissi importante in quel momento e per la prima volta mi sentivo veramente appartenente alla sfera di mio padre. Invidiavo molto Liz per come riusciva ad essere sempre sulla sua lunghezza d’onda, fra di noi invece c’era una sorta di muretto che impediva ai nostri piedi di raggiungerci. Gli stavo offrendo l’opportunità di essere finalmente fiero di me, ed anch’io avevo una nuova speranza, quella di assomigliargli più e di sentirlo più vicino. Dopo il falò, avevamo ripreso il normale svolgere delle nostre attività. Fino alla fine della scuola potevamo partecipare  alle ronde con due membri anziani, solo il week end, alternandoci con Nate, in modo da impratichirci con il giro da compiere, imparare le dinamiche di branco e bla bla bla. Non mi serviva molto ascoltare, dopotutto avevo Lizzie che lo faceva anche  per me. Quella sera era il turno di papà e Leah. Purtroppo eravamo costretti a stare insieme, visto che potevo comunicare con il branco solo ed esclusivamente se lei si trasformava. Noi eravamo unici, ma in coppia, come i supereroi dei fumetti. Una sorta di Batman e Robin, ma senza calzamaglia per fortuna.  E quindi dopo la pancia della mamma ci trovavamo a dover condividere anche la nostra vita di branco, che cosa complicata. Fatto stava che era praticamente mezz’ora che Lizzie non scendeva e di certo il nostro capobranco non ce l’avrebbe fatta passare liscia “Liz ti dai una mossa!” mi stavo sgolando a forza di urlarle di sbrigarsi. Ma lei era così, tirava fino all’ultimo visto che tanto papà se la sarebbe presa con me non con lei. E poi io odiavo essere in ritardo, invece la mia cara sorellina sembrava goderne.

“Eccomi, eccomi non ti scaldare troppo!” scese le scale mentre si legava i capelli in una coda di cavallo, buttandosi davanti al frigorifero, per prendere il cartone del succo d’arancia e scolarne praticamente metà. Se l’avesse vista il nonno o la mamma gliene avrebbero dette quattro, ed avremmo perso altro tempo, per fortuna che entrambi erano alla villa dei Cullen. Non avevo notato che indossava solo dei miseri short ed una canottiera.

“Dove vai conciata così?” m’infastidiva quando si vestiva in modo troppo succinto, più che altro non mi andava di uccidere qualche scemo che faceva il cascamorto con lei.

“Che importa tanto dopo dovrò spogliarmi!” prese un pezzo di pizza avanzata dalla sera precedente. Si poggiò al ripiano ed iniziò a mangiarlo con una lentezza esasperante. Me lo faceva apposta, sorrideva mentre lo portava alla bocca morso dopo morso, pezzettino dopo pezzittino.

“Te lo faccio ingoiare io?” le intimai con un bel sopracciglio alzato mentre la pazienza aveva deciso di abbandonarmi. Ridacchiò masticando, poi infilò il pezzo restante in bocca interamente dicendo un confuso ‘Andiamo’ che interpretai più dal suo gesto che dalla sua voce.  Per mandare giù il boccone mastodontico, si diede un colpetto sul petto con il pugno dopo aver bevuto due altri sorsi di succo. Ormai era diventata un pozzo senza fondo. La guardai atterrito per come si era ingozzata con quella fetta disumana e dalla mia smorfia schifata, lei mi chiese con un gesto della mano cosa volessi “Sei disgustosa, andiamo che è meglio!”

 

Correvamo l’uno accanto all’altra, giungendo al limite del perimetro con almeno mezz’ora di ritardo, Lizzie si era trasformata appena ci trovammo al riparo nella vegetazione. Non sentivamo i pensieri di papà, era troppo incazzato per rendercene partecipi. Quando si trattava di sgridarci preferiva farlo di persona. L’unica cosa che aveva sibilato era un ‘Muovetevi!’. Nostro padre e Leah ci aspettavano impazienti al confine con la riserva. O meglio nostro padre era impaziente, Leah se ne stava beatamente sdraiata con il muso a terra mentre il grosso lupo color ruggine camminava borbottando con versi strani ed ansimando con sbuffi caldi che si condensavano in dense nuvole bianche. Arrivammo e il lupo argento sollevò il suo muso e le sue orecchie, oscillando la coda visibilmente contenta che fossimo arrivati. Papà invece ci accolse con un ringhio furioso alzai le mani subito in mia difesa, prima della serie d’insulti bonari con cui mi stava per sommergere.

“Non guardare me è sua la colpa!” ancora non mi ero abituato a comunicare con il pensiero, anche se era un canale decisamente privilegiato.

< Brutto traditore! Vedrai che ti faccio quando rientriamo a casa! >

< Si come no Lizzie, prima dovrai prendermi! > incrociai le braccia al petto ed assottigliai lo sguardo verso mia sorella che ugiolava come un uccellino. Mi stava prendendo in giro.

< Basta entrambi! Siamo già in ritardo, dovete diventare più responsabili, non potete fare tardi, che succede se per una vostra negligenza entra una sanguisuga a Forks ed uccide qualcuno, magari che conoscete? > Leah guaì ma non rispose al duro rimprovero che ci stava facendo.

< Si papà, scusaci! > fu il nostro pensiero in sincrono perfetto, come quando da bambini ci rimbrottava per qualche guaio. Ci trovammo a camminare a rombo, mio padre in testa Leah e Liz dietro di lui ai lati ed io poco più indietro all’altezza di mio padre. Eravamo in silenzio, se silenzio era concepibile nelle nostre teste.  Era così diverso quando era solo nonno Edward a potermi leggere. Era sempre un costante ronzio, le immagini che scorrevano erano strane, variopinte. C’erano i sentimenti, i pensieri, la vita di ogni persona. Non potevano esistere segreti fra di noi, nulla rimaneva nascosto nemmeno le riflessioni più profonde. Un branco, una mente. Concezione pratica di collettività. Così sapevo tutto su Quil e Claire, su Paul e Rachel (ed ancora non mi capacitavo come mio padre non avesse mai spaccato il naso allo zio), e cosa ben peggiore di tutti, conoscevo ogni cosa intima dei miei genitori, per quanto si sforzasse non riusciva a contenere le sue fantasie. Non mi bastava doverli sentire in casa, me lo dovevo pure ritrovare in testa. Lui non ci badava, probabilmente era abituato ad avere qualcuno che guardava alla sua vita personale con un caleidoscopio. Un momento.

< Con questa storia delle menti in comune, vuol dire che tutti vedono quello che la loro mente depravata di eterni diciassettenni partorisce EJ, ci sei arrivato bravo! Allora non sei proprio del tutto scemo! > Lizzie rispose al mio piccolo commento mentale.

“Ma è … è …” non riuscivo a trovare le parole.

< Invadente? Scandaloso?  Abituati, e sappi che se sbirci mentre mi trasformo, lo vengo a scoprire! Sarah tu sei fortunata, nessuno oserebbe provarci piuttosto si caverebbero gli occhi! Oppure si suiciderebbero prima che tuo padre possa azzannarli! > cercò di aiutarmi senza successo Leah.

< Già e un’altra cosa ben più orribile, io non potrò avere un ragazzo se non fra dieci anni! >

< Facciamo quindici! > ringhiò mio padre rivolgendosi alla sua sinistra <  Potremmo sorvolare sulla questione e riprendere seriamente a fare la ronda? >

< Si capo! > papà si voltò verso Leah che aveva alzato gli angoli della bocca lasciando penzolare la lingua giocosa. Lui invece digrignò i denti, mostrando minaccioso i canini per la seconda volta.  < Un’altra cosa che dovete imparare è che se volete far incazzare Jacob, chiamatelo capo! Ancora non lo digerisce! > le ronde alla fine erano divertenti per questo. I battibecchi da parte dei suoi fratelli che lo prendevano in giro come se fosse un giullare, erano decisamente la miglior cosa che potesse capitarmi. In forma umana erano di certo meno sfrontati.

< Ora capisco quando la sanguisuga parlava di pensieri urlati, ti prego fai tacere la tua testa EJ! > questa era la frase tipica del capobranco nei miei confronti.

“È colpa di tua moglie se penso troppo!”

< No, è colpa della tua idiozia fratellino! > sentii uno strano soffio, un latrato non di paura ma di gioia. Guardai in direzione di Leah che si rotolava a terra sbellicandosi come un lupo.

< Secondo voi, è troppo chiedere un po’ di serietà? >

< Dai papà non sembra ci sia nulla anche questa sera, sciogliti un po’! >

< Lo sapevo io, che fare il capobranco è una grande fregatura! >

< Dai Jake non è poi così male! Così fai sfiduciare i pargoletti! >

< Leah invece di sparare a raffica cavolate, perché tu e Sarah non coprite l’altro lato del perimetro? >

< Si dai Sarah, vediamo chi fa prima? > la lupa grigia, come una freccia protrasse il corpo nella direzione opposta. Era tesa e scattante, con una zampa sollevata pronta ad affondare il primo passo.

< Certo Lee Lee! Vedrai stavolta non mi batti! >

< Lo vedremo cucciola! > Leah era già scomparsa, lasciando un turbinio di foglie al suo passaggio. Sarah non se lo lasciò ripetere prese a correre più velocemente possibile.

< Ehy, io non sono una cucciola! > la lupa bianca caricò le zampe posteriori, piegandole quasi fino a toccare il terreno, stava per scattare ma si congelò, fermandoci tutti dall’emettere un solo pensiero. Guardai poco più avanti Leah stava tornando indietro, eretta sulla difensiva osservando il buio alle nostre spalle. Nella mente di Sarah, prese vita una riflessione, ci trovammo in quattro a sentire quei bassissimi scricchiolii. Un odore fortemente dolciastro s’impadronì dei nostri sensi, mio padre ci ordinò quasi immediatamente di proteggere i fianchi me non riuscimmo nemmeno ad riavvicinarci che un lieve spostamento d’aria catturò la mia attenzione spostando il viso verso Leah. Qualcosa era passato vicino al mio orecchio e dopo poco il lupo con il manto grigio, cadde inerme a terra. Mio padre stava per andarle incontro, ma gli toccò la stessa sorte. I successivi secondi furono un susseguirsi di venti gelidi che fermarono Sarah e me. Avevano usato dei dardi drogati, che sicuramente su di noi sarebbero rimbalzati, visto la nostra pelle troppo resistente. L’incredulità, la sorpresa, la paura. Ci avevano colto di sorpresa. Mi trovai contro naso e bocca un panno imbevuto di un qualche liquido che sapeva di piscina pubblica. Provai a dibattermi, tentai anche di usare il mio potere, ma la mia mente offuscata e il non vedere i nostri aggressori non permise lo sfogo del mio scudo. Il rilassamento dei muscoli mi fece cadere ed afflosciarmi come ad una marionetta a cui tagliano i fili. L’ultima immagine fu di quattro figure oscure avventate su mia sorella e l’ultima cosa che riuscii a pronunciare era il suo nome.

“Sarah …”

 

Mi risvegliai legato con cavi di una lega particolare che segavano senza successo la pelle dei miei polsi, come in  un vecchio film piratesco, viaggiavo nel retro di un furgone blindato, di quelli che usano le banche. L’umidità dei vestiti ormai aveva superato la carne, giungendo alle ossa stanche ed indolenzite. Avevo tentato più volte di rompere i lacci con cui ero immobilizzato ma senza nessun successo, sembrava che li avessero confezionati pronti per la nostra forza. C’erano piccoli fenditoi che permettevano all’aria di passare, erano sottilissimi. Sgusciai come un verme fino alla parete di freddo metallo ed aiutandomi con essa cominciai a sollevarmi da terra. Quelle minuscole fessure non permettevano un largo raggio di veduta, non potevo capire dove stavamo andando. Riuscivo a vedere solo alberi e strade sterrate. Dietro il mio altri tre furgoni come quello in cui ero stato rinchiuso, viaggiavano. La testa mi stava praticamente scoppiando. Era un palloncino pieno d’acqua. Guardai meglio il simbolo ovale riportato  accanto alla targa: CND.  Il fatto che usassero un furgone per ognuno, mi fece sperare che, rapimento a parte, stavano tutti bene e ci volevano vivi. Il pensiero volò a mia madre a cui probabilmente sarebbe preso un colpo. Dalla leggera luce che aleggiava probabilmente era l’alba. Erano furbi molto furbi. Cominciai a ragionare, dovevo capire onde evitare la totale pazzia. La ronda era iniziata da pochissime ore e non saremmo mai tornati prima delle nove del mattino. Nessuno si sarebbe allarmato. Per Leah e papà avevano utilizzato una forma molto pesante di anestetico, probabilmente qualcosa da Safari per gli elefanti, per noi invece che avevamo la pelle come un vampiro, impenetrabile, dello stupido cloroformio, come in un film giallo scadente. Una buca e il mio momentaneo mezzo di trasporto sobbalzò,  scaraventandomi sulla parete opposta, facendomi schiantare con la schiena e la nuca contro il freddo e duro metallo.  Rantolai, per il dolore con cui avevo battuto il mio corpo. Ero a pezzi, forse dovuto all’anestetico che non mi aiutava. Ma come avevano fatto a sorprenderci così? Sicuramente ci conoscevano molto bene, sapevano già come ci saremmo mossi, qual’era il nostro giro e potevano aspettarci ad una distanza tale da non poterli immediatamente scorgere con la guardia bassa. Il vento. Il vento era contrario. Erano molto più che furbi. Erano rimasti sottovento ed mettendo fuori gioco i più forti per primi a distanza. La maledetta velocità dei vampiri. Avevano agito così in fretta che il passaggio tra l’uno all’altro era più breve di un battito di ciglia. Un gioco da ragazzi sopraffare un gruppo in minoranza.  Sobbalzai per minuti interminabili calciando contro la portiera con tutta la mia forza. Ne ricavai un indolenzimento alla caviglia, in cambio di qualche ammaccatura. I miei sensi erano ancora intorpiditi, non riuscivo a distinguere bene cosa mi avesse provocato. Quando accettai l’inutilità dei miei tentativi disperati,  mi sentii totalmente spossato. La sensazione d’impotenza era troppa ed avevo come la sensazione che mi avessero strappato il cuore dal petto. Sarah. Il mio pensiero era totalmente incentrato su di lei. Avevo paura. Per lei. La mia sorte assumeva tutt’altra importanza sapendo che era in pericolo. Separati come mai lo eravamo stati, mi sentivo come perso, mi mancava una parte troppo importante per essere ignorata. Era nel convoglio che si stava trasportando in chissà quale posto, in quale prigionia. Quante volte dovevamo essere l’oggetto di un brama di potere?  Ma il convoglio contava quattro furgoni! Avevano preso anche mio padre e Leah! Questo voleva dire solo una cosa: eravamo letteralmente nella merda.

< Sarah ti prego, sii forte! > era l’unica cosa che però era costante, non avrei sopportato di sopravviverle. E con quel pensiero, quella preghiera gridata solo dentro la mia testa sperando che potesse ascoltarmi, ancora coperta dal suo candido manto mi addormentai. Ma non era un sonno ristoratore. Il mio dormiveglia era caratterizzato, dall’immagine mia e di mia sorella ancora bambini. Tutte le nostre litigate, i miei continui dispetti, tutte le volte che mi sentivo come se mi avessero tagliato qualcosa quando non c’era. Fra i due era lei quella più indipendente, la più forte. Per questo mi sentivo così possessivo. Il tremolare del furgoncino cessò ed uno stridulo rumore dei freni accompagnò il tacere del motore. Nonostante le pareti spesse riuscii a sentire le portiere chiudersi ed due passi leggeri.

“Il bastardello si è svegliato”  le portiere, dopo varie serrature scattate, si aprirono e lasciarono entrare una luce strana. Era solare ma non stavamo all’aperto, ogni mossa veniva risposta da un eco metallica. La sinuosa forma del muso di un piccolo aereo, un jet, sbucava dall’apertura delle lamiere che ci circondava, di sfondo della sterpaglia rada e comprovata da piccoli cumoli di neve. Ci avevano trascinati in un hangar desolato probabilmente al nord visto che ci trovavamo ancora in ottobre. Venni afferrato con forza dalle funi che avvolgevano il mio fusto e scaraventato fuori in terra, come mi era già accaduto provai a ribellarmi, non ero pronto ad arrendermi, piuttosto li avrei fatti danzare sulle mie ceneri. Non ero ancora del tutto lucido, ma potendo vedere finalmente i miei aggressori lanciai il mio scudo. Uno di loro cadde semplicemente a terra. Ero allo strenuo delle forze, se avessi avuto a pieno le mie facoltà mentali probabilmente sarebbe volato per chilometri. Ringhiai mostrandomi minaccioso, ma quei vampiri non si spaventarono, anzi sembravano divertiti dalla situazione. Gli altri tre furgoni si erano parcheggiati di fianco a quello a cui avevo  viaggiato io. Vidi tre masse di diversi colori essere trascinate per le zampe legate come un vitello ad un rodeo, il muso bloccato ben stretto. Il pelo bianco di Sarah fu l’ultimo che riuscii a notare. Ero sbigottito spaventato, li avevano drogati molto più di quanto ero stato drogato io. Di nuovo passarono il panno imbevuto di cloroformio sulle mie narici e  m’imposero lo stato d’incoscienza che aveva caratterizzato il nostro poco piacevole viaggio. Cosa volevano da noi?

 

 La t-shirt che indossavo assomigliava ad uno straccio. In un’altra occasione  avrei pensato ad un modo per sfuggire ad Alice, dopo aver rovinato un capo Armani, maledicendola con tutte le parolacce delle terre emerse. E quanto avrei voluto che fosse stato così. C’era una disgustosa puzza di muffa, pungente. Corrodeva fino alla gola e grattava. Tossii come primo impatto aspettando di abituarmi, con ancora gli occhi chiusi. Ero sdraiato sulla pietra nuda. Sentivo la sua umidità e la sua superficie ruvida e porosa sulle porzioni di pelle scoperta. I Jeans si erano strappati sul ginocchio, a forza di essere trascinato come un sacco di patate. Le mie palpebre si alzarono lentamente.  Ad accogliermi c’era solo una fioca luce traballante. Mi guardai intorno sollevandomi, tossendo ancora per cacciare l’irritazione della mia gola, vidi solo uno scenario degno delle prigioni dell’inquisizione spagnola. Ero stato rinchiuso in una cella, dalla parvenza antica ma dalle sbarre decisamente nuove affondate nella pietra del pavimento; le mura che mi circondavano erano di notevole spessore non avrei potuto buttarle giù con una spallata. Comunque provai a rompere le sbarre ne afferrai due, ed allungai più volte le dita in modo che la mia presa non sfuggisse. Espirai tutta l’aria che avevo in corpo e cercai di allargare il piccolo spazio che intercorreva tra di loro. La forza che cercai d’imprimere era quasi furiosa, le vene del collo s’ingrandirono pulsando freneticamente sotto la pelle.

“È inutile!” una voce calda, mi colse alle spalle, mi voltai lentamente temendo che fosse solo un sogno. La conoscevo bene, era l’unica che avrei voluto sentire “Ho già tentato!” Sarah. Se ne stava nuda in un angolo tremava, non di freddo. Il suo corpo era scosso da degli spasmi fortissimi, si teneva le ginocchia rannicchiate al petto. Nonostante la sua statura sembrava piccolissima. Mi avventai su di lei pronunciando più volte il suo nome, cercando di assicurarmi che stesse bene. Mi tolsi velocemente la maglia e gliela feci indossare le andava quasi  come un vestito visto le nostri differenti corporature. Sembrava così indifesa.

“Stai bene? Sei ferita?”

“Sto bene, ma sono intontita, sono stata drogata con delle pasticche strane, mi hanno obbligata ad ingerirle dopo che avevano circondato voi altri, dovevo proteggervi, dovevo ribellarmi ma avevo paura! È tutta colpa mia!” un singhiozzo e si nascose tra le braccia. La presi e la cullai, odiavo vedere proprio lei così fragile. Le baciai la testa cercando di rassicurarla.

“Non preoccuparti sorellina, non è colpa tua, ci stavano minacciando, erano almeno quattro per ognuno di noi non potevi saperlo, tranquilla non piangere!” le accarezzavo le parti dove potevo posarmi. Sentivo ogni singhiozzo ripercuotersi nel mio petto, ogni singolo tremito diventava il mio. Soffrivo non solo per la situazione ma ero tremendamente  sconvolto per lei. Ma mentre cercavo di farla riprendere due figure scure avvolte in dei begl’abiti eleganti, con giacche che fasciavano il loro corpulento fisico chiudendosi fino al colletto alla coreana, si pararono di fronte a noi lanciando con sdegno una sorta di tuta per mia sorella, ringhiammo entrambi.

“Vestiti piccola bastarda, ci saranno visite!” disse con sprezzo quello più basso. Sarah ruggì più profondamente ed io con lei, mentre ogni sua parte si trovava coperta dai tremori forti espletazione della sua volontà di strappare quella lingua biforcuta. “Fai come vuoi noi di certo ti preferiamo nuda!” in un attimo guidato semplicemente dall’istinto mi fiondai su quello più vicino alle sbarre, soffiando come una tigre infuriata, presi il suo collo ed inizia a stringere, mentre se la ridevano.

“EJ calmati! Non siamo nella posizione di ribellarci!” nel trambusto non avevo notato che si era vestita e mi stava ad un passo parlandomi all’orecchio cercando di calmarmi. “Per ora!” precisò con mia soddisfazione. Lasciai con sdegno il muso di quell’animale dagl’occhi vermigli, ed indietreggiai affiancando mia sorella. Loro ridevano ancora come se la mia rabbia non facesse altro che accrescere la loro ilarità.

“Hai grinta ragazzo ed una bella stretta!” si massaggiò il collo compiaciuto. Non mi trattenni. Rilasciai la membrana che mi avvolgeva con un’onda. Stavolta la potenza era ben più forte, l’effetto della droga stava completamente svanendo e  la mia mente ora era occupata dalla sola preoccupazione. Non ero nel pieno ma abbastanza per scaraventarli a metà corridoio. Da lì si sentirono delle forti risate. Ci trovavano divertenti.

< Bene, ride bene chi ride ultimo! >  se ne andarono ed io abbracciai nuovamente Sarah che cinse i miei fianchi. Ero pur sempre il più alto.

“Dove sarà papà? E Leah, Sue si starà disperando! La mamma o mio Dio, la mamma, starà dando di matto? Riusciremo ad uscire da qui?” le sue domande mi penetrarono come coltelli. Non potevo risponderle, non sapevo assolutamente come fare. L’unica cosa che potevo dirle era una.

“Affronteremo tutto noi due, niente ci separerà!” le presi le spalle e la scossi perché volevo che nei suoi occhi leggesse la mia stessa sicurezza, nell’unica cosa certa “Insieme sorellina, giusto?” le porsi la mano di taglio con il terreno. Il nostro rito fin da bambini quando dovevamo combinare qualcosa che nessuno della nostra famiglia voleva che noi facessimo. Sorrise mesta. Poi schioccò  il suo palmo contro il mio, cozzando dopo i nostri pugni.

“Adesso e per sempre, fratellino!”

 

Note dell'autrice: Bonjour! Visto che forse oggi pomeriggio non potrò postare faccio stammattina! ghghgh!^^ Allora siamo entrate in fase action e questo è l'ultimo POV EJ, salutino al nostro piccoletto! Ebbene ragazze mancano quattro capitoli alla fine già già e vi giuro che sarnno intensissimi, una cosa veramente allucinante, pensate che mentre li scrivevo dovevo tenermi una bottiglia d'acqua accanto in modo da bere ogni sei minuti. Sono tornata alla vecchia e sana azione (devo ammetterlo a me piace tantissimo scrivere delle scene d'azione anche se non sono così pratica ^^) Non dico più nulla a parte che l'ultimo prima dell'epilogo sarà un POV Sarah, era giusto terminare con lei. Spero che vi piaccia la conclusione adrenalinica che ho deciso per tutti noi!

noe_princi89: i Volturi ...mmm... saranno stati loro a rapire i figli di Nessie? ^^

Lione94: bonjuor carra mia! misto di spagnolo e francese! E' mattina abbiate pietà! decisamente l'avrebbe voluta spaccare la faccia di Demetri! Anche io volevo che lo facesse, ma insomma, io l'ho sempre visto come quello che si crede chissà chi solo perchè fa parte dei volturi per questo mi sta antipatico e lo rendo antipatico. Massimo sarà un personaggio importante per lo svolgersi della conclusione, essenzialmente mi serviva per questo il capitolo. Però non dimenticare è sempre un Volturo ...

kekka cullen: felice di averti ancora sorpresa! Vedremo Massimo cosa combinerà, non a caso l'ho introdotto in maniera così plateale!

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI

XOXOXO

mally

 

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Capitolo 43
*** CAPITOLO XV: Metabolizzare. ***


CAPITOLO XV: Metabolizzare.

Le undici. Chissà cosa era successo, Jacob non tardava mai dalle ronde più del dovuto. Pensai ad un piccolo contrattempo o magari ai gemelli con le loro solite litigate da cane e gatto. Certo potevano avvisare del ritardo anche solo per farmi stare tranquilla. Le undici e due minuti. Quando si contano i minuti vuol dire che si è arrivati al limite. Si, al limite della pazzia. Da quando ero diventata peggio di una mammina ansiosa ed isterica?

< Cervello te lo giuro ti lascio in pace! Inutile starmi ad agitare per un po’ di ritardo! Si saranno fermati a caccia, o da Sue, si magari gli ha preparato la colazione e non hanno resistito … se è così quando rientrano li torchio, mi bastava anche un semplice sms, che li hanno inventati a fare i cellulari se non li usano! > quelle che sentivo erano semplici sensazioni di disagio dovute alla mia eccessiva apprensione. Cercai di mantenere fede alla promessa fatta alla mia materia grigia. Non mi piaceva restare la notte da sola, per questo ero rimasta alla villa che, con la sua quiete, offriva una sorta di sedativo naturale. C’era come al solito un tempo bigio e questo m’ispirava un po’ di sana musica. Da parecchio non mi esercitavo al piano e a mio padre avrebbe fatto sicuramente piacere. Guardai un po’ gli spartiti che avevano la pura funzione di catalogo ormai, sia io che mio padre li conoscevamo a memoria. Mozart. Proprio quello ci voleva, una bella scarica, una melodia veloce ed allegra. Iniziai quasi immediatamente, le mie dita volavano sui tasti leggere e rapide cadenzando ogni nota con notevole maestria, mai quanto mio padre ovviamente. Per lui i tasti cantavano come il sangue di mia madre. Il mio era solo un diletto, il primo approccio con la musica. Lo potrei paragonare alla danza classica per una ballerina di contemporaneo, la giusta base per imparare. Il mio unico amore sarebbe sempre stato il violino, adoravo il suo suono, l’odore del legno sotto le mie narici, amavo persino i gesti. Ma ciò non toglieva la mia tendenza a saper suonare anche il piano. Ero così assorta che non mi accorsi di aver terminato e con, altrettanta sorpresa, trovai mio padre seduto accanto a me sullo sgabello ad osservarmi.

< Sensi da mezza vampira mal funzionanti! >

< No solo estraniazione sensoriale, dovuta dal trasporto! > “Rondò alla Turca?”

“Già!” risposi con un tono lontano quasi a mascherarmi. Non mi andava di essere psicoanalizzata, l’avevo promesso. Ci guardammo seri, in silenzio per qualche istante, poi l’angolo della sua bocca si alzò in un sorriso sghembo delizioso. L’amore per quel vezzo, che tanto piaceva a mia madre, era triplicato quando per la prima volta EJ ne aveva fatto uno tremendamente uguale. Il mio splendido piccolo Edward Jacob; il suo nome lo rispecchiava in pieno. I tratti più riflessivi di mio padre sulla sfrontatezza e la solarità di mio marito. Chissà perché con noi la natura aveva sconvolto le sue leggi. Forse proprio per concederci la possibilità di rimirare un miracolo. I miei piccoli miracoli, ormai grandi e pronti per la loro eternità. Guardai i lineamenti perfetti del profilo di Edward, segnati dalle ombre dovute dalla luce grigia che filtrava dalle finestre, l’appena accennata curva della fronte, la linea dritta e marcata del naso, la bocca alzata in un angolo preciso che deformava amabilmente la sua guancia con una piccola ruga di espressione. Posò la mancina sul piano rivolgendo il suo sguardo d’oro alla tastiera. Era in quei momenti che dimenticavo tutti i miei doveri, dimenticavo di chi ero e che cosa ero. In quei momenti tornavo ad essere semplicemente sua figlia. Quello, era un nostro momento.

< Destra tu e Sinistra io? > mi s’illuminarono sicuramente gli occhi. Era una cosa che mi piaceva da matti seppure era parte delle lezioni di musica impartite da Edward. Per imparare a coordinare le mani, mi faceva suonare gli accordi di una delle due,una cosa praticamente impossibile per delle persone normali. In quella maniera oltre a separarle e renderle indipendenti, dovevo prestare un’estrema attenzione ai tempi. “Cosa ti va?” anche lui era visibilmente emozionato, era parte del repertorio Eddy/Nessie, quello che nessuno ci poteva portare via.

“L’adagio della Sonata al Chiaro di Luna  di Beethoven, va bene?” annuì ed iniziammo a suonare quasi con timore. Sentivo nei suoi pensieri il conto del tempo e mi regolai su di esso. La mia mano suonava leggiadra gli arpeggi, la sua gli accordi. Sembravano le mani del medesimo artista, ma la nostra comunione di menti ci rendeva praticamente una cosa sola. Mi trovai con la mano libera a prendere la sua, adagiata sulla sua coscia mentre continuavamo a suonare. Una piccola folla di vampiri si era radunata alle nostre spalle, ascoltando la nostra melodia. Piaceva a tutti ascoltarci suonare. Quando ero poco più che fanciulla, zio Jasper ci chiedeva sempre di assistere alle lezioni, per rilassarsi leggendo o semplicemente per deliziare il suo udito, come diceva lui. Anche Rosalie, nonostante fosse l’altra musicista della famiglia e poteva vantare di essere un ottima insegnante, non aveva mai intaccato quello che per lei doveva essere soltanto compito di mio padre e spesso si metteva in silenzio in un angolo ad ascoltarci.  La mamma, invece ogni volta sembrava come se delle lacrime invisibili le rigassero il viso. E tutta la famiglia apprezzava questa passione che condividevo con mio padre. Un delicatissimo applauso ci costrinse a girarci incontrando ogni singolo membro della famiglia sistemato come in un quadro settecentesco. Quale migliore occasione per non smentirmi.

“Possibile che in questa casa non ci sia un minimo di privacy?” mio padre sorrise mentre Alice si alzò in piedi con le sue mani a stringere i fianchi ed un’espressione buffa sul viso.

“La causa primaria della mancata privacy di questa casa è seduta al tuo fianco!” agitava il piccolo ed esile indice verso mio padre che strabuzzò gli occhi come per dire ‘da che pulpito viene la predica’.

“Parla la piccola vampira che si mette in mezzo prima che tu possa attuare un tua decisione!” un attimo di silenzio assoluto. Sguardi che scorrevano dall’uno all’altro senza proferir parola. E poi una grande risata da parte di tutti. Quella rappresentava una normale mattinata in casa Cullen.  Anche Gabriel era sereno. Le cose fra noi si erano sistemate, per quanto comunque i rapporti si erano notevolmente raffreddati. Molte libertà che in precedenza mi prendevo ora venivano limitate da me stessa, ma sapevo che per qualsiasi cosa lui ci sarebbe sempre stato. Jacob pur di vedermi felice era disposto ad accettare la sua vicinanza, sempre con le solite distanze di sicurezza ed i suoi divieti. Li accettavamo entrambi, erano più che giustificati. Guardai l’orologio al polso del nonno mentre ancora battute su battute volavano a destra e a manca. Le undici e quaranta. Il ritardo cominciava ad essere troppo. EJ portava sempre con se il cellulare, forse sarebbe stato il caso di chiamarlo. Almeno gliene avrei dette quattro. A quel punto ero quasi certa che si fossero fermati da Sue, mai mettere davanti al viso di un licantropo del buon cibo. Non ci capiscono più nulla e si dimenticano di avere una moglie ed una madre ad aspettarli.

“Tieni!” mio padre mi stava porgendo il suo telefono ed un velo di preoccupazione stava coprendo anche lui. Come un’epidemia tutti avvertirono il nostro stato di tensione. Sul display c’era una foto di me e la mamma di qualche anno prima. Non la voleva cambiare assolutamente. Digitai velocemente il numero. Uno squillo, due squilli. Dovevo solo aspettare e sentire il suo tono allegro dirmi ‘Mamma ti preoccupi inutilmente!’ Tre squilli, quattro squilli. Continuava. Quando il numero toccava i dieci cominciai ad agitarmi sul serio. Forse non aveva il cellulare a portata di mano, forse era con il silenzioso. Mi alzai innervosita dall’attesa. Digitai il secondo numero da cui forse potevo ricavare qualche notizia.

“Sue?”

“Nessie, dimmi che Jacob è a casa e che Leah sta tornando?” il suo tono era concitato, agitato, mi aveva quasi assalito sentendo la mia voce, sembrava in piena crisi di panico.

“Nemmeno Leah è tornata?” cominciai a tremare, le gambe si sentirono improvvisamente stanche. La mia testa era piena di fumo, come se un afflusso di sangue troppo precipitoso si fosse impadronito del cervello. Il  mio stomaco si infeltrì ed un rigolo acido di bile attraversò tutto il mio apparato digerente. Sentivo i battiti del mio cuore accelerare in gola, le tempie pulsavano frenetiche tanto che fui costretta a premerle con le dita. I miei polmoni cominciarono a risentire del respiro che era venuto a mancare, lentamente stavano collassando. Non sapevo più dove mi trovavo, avevo come una sensazione di estraneità dal mio corpo.

“Seth li sta cercando, pensava che mi stessi facendo prendere dal panico inutilmente, ormai è partito più di due ore fa! Prima mi ha chiamato, non li trova, se Jacob non è tornato a casa, o mio Dio! Cosa possiamo fare? Dove possono essere finiti? Perché … ” parlava a raffica, non la comprendevo. Non sapevo più cosa stesse accadendo, mi sentivo solo stanca, tanto stanca. Voltai le spalle adagiandole sulla parete che mi sostenne per un po’.

“Leah, non è tornata …” ripetei con l’ultimo filo di voce rimasto, mentre scendevo fino a terra sfinita. Ogni minima parte del mio fisico si stava paralizzando, come un malato di distrofia che attende solo che arrivi solo al cuore. Il mio volto nel vuoto e le immagini che scorrevano davanti ai miei occhi. Edward prese il cellulare. La mia vista si era appannata e le voci apparivano lontane come se fossi immersa in un vasca piena d’acqua trasparente. Avevo sentito il mio nome ma non riuscivo a rispondere di me. La strana sensazione paranoica che avevo avuto la mattina appena sveglia si stava concretizzando. Non solo i miei figli anche Jacob. Tutta la mia famiglia era scomparsa. Sentivo il potere di Jasper provare a controllare il mio stato d’animo ma era poco più di una puntura dolorosa ancor più di quello che stava avvenendo nel mio subconscio. La paralisi aveva appena raggiunto lo stomaco, colto da piccole contrazioni che sancirono con uno spasmo definitivo la sua chiusura. E poco dopo toccò al mio cuore.  Qualcuno mi aveva preso il polso, cercavano di farmi reagire.

“Vado a cercarli!” la voce di Gabriel la compresi solo perché era riferita a loro.  Loro, la mia vita. Dove erano? Perché non tornavano?

“Vengo con te!” quello doveva essere Emmett.

< Nessie ti prego rispondimi! > ci provavo ma non potevo riuscirci aspettavo solo che mi dicesse guarda sono qui, ed era una voce calda e confortante quella a cui volevo rispondere. Provai ad aprire la bocca per chiedere ma niente rispondeva più agl’impulsi della mia volontà. Quanto tempo passò non seppi definirlo, sentivo solo le persone cercare di scuotermi senza risultato. Il mio stato catatonico non trovava sfogo, né in lacrime né in altro. La mia disperazione era così radicata che mi aveva completamente annullata. E le pungolate del potere di Jasper peggioravano solo la situazione. Il nonno tentava di obbligarmi a respirare ma io, non avevo più la mia aria, i miei figli, mio marito. Sentivo come se tutto fosse perduto, come sempre. Stramaledettamente sfortunata.  Era passata qualche ora perché accanto c’erano solo i miei genitori. Li sentivo non li vedevo. Mia madre aveva poggiato la sua testa sulla mia spalla mio padre tentava di parlarmi con il pensiero. Sulla mia vista apparve un velo nero, ero praticamente cieca. Qualcuno mi prese e mi portò sul divano in salotto. Era importante che io reagissi ma come potevo fare, nono riuscivo a smuovere nulla. Niente rispondeva.  

“Renesmee, ti prego sono tua madre rispondimi, così non risolvi nulla ti prego!” i suoi amorevoli sussurri erano soltanto un ritorno di suoni confusi.

“Ci lasciate soli un momento?” non capivo, non capivo. Cosa poteva essere successo? Delle mani fredde,glaciali presero ad accarezzarmi il viso. Davanti a me solo una macchia bionda. Jasper. Non disse nulla, non provò a persuadermi nel reagire come tutti stavano cercando di fare. Lui prese solo le mie mani, che sentivo come una pezza bagnata nel ghiaccio e ne accarezzava il dorso. Ad un tratto sentii una nuova invasione della mia psiche, un brivido che correva lungo la mia spina dorsale veloce, rapido come un piccolo impulso elettrico che si fiondava alla base della mia nuca. Era tristezza. Era sofferenza. La mia. Il ricordo di mio marito invase la mia testa con un ondata di dolore ben più forte. Iniziai a boccheggiare, gli occhi ripresero a muoversi, bruciavano le lacrime che avevo ritratto erano rimaste componendo una patina offuscata su di essi.  In poco tempo mi ritrovai in un pianto attraversato da urla senza fiato, tentando di assumere tutta l’aria possibile. Ci vollero ancora parecchi minuti per potermi riprendere, ma solo ed esclusivamente a camminare. Mi chiusi in una camera la prima che trovai a disposizione e mi sotterai con le coperte non volevo altro.

 

Non c’erano lacrime, non c’era più nulla. Gli occhi erano gonfi ma dopo aver superato quella fase non avevo niente per cui continuare. Ancora una volta ero messa alla prova, ancora una volta la mia famiglia era in pericolo. Non riuscivo a sopportare tutto questo, ancora ed ancora. Più cercavo di riemergere, più il peso gravava sul mio corpo portandomi a sprofondare nel nero baratro dell’inferno. Non era concessa la pace per quelli come me, per gli esseri sul filo di due mondi. Non esisteva. Ed io ero condannata.

“Da quanti giorni è rinchiusa lì dentro?”  Embry. Si trovavano fuori dalla mia porta per vedere mio padre che non smetteva di sorvegliarla con la speranza che uscissi. Il branco era in fibrillazione, aveva perso ben quattro membri. La parola giorni riaprì la ferita che non smetteva di sanguinare. Una lacrima si posò sulla federa.

“Da quando è successo, i suoi pensieri sono così duri che fatico ad ascoltarla, ma non posso allontanarmene sembrano praticamente urlati!” povero papà costretto a condividere con me questo maledetto fardello. Ogni tanto provava ad entrare nella mia testa dicendomi di alzarmi dal letto, ma la mia risposta rimaneva equa sul vuoto che si stava impadronendo di ogni mia cellula.

“Per lei deve essere difficilissimo, più che per noi. C***o sono scomparsi i suoi figli e suo marito, come si può biasimarla!”

“Seth, come sta?” la mente più pura di tutti, il piccolo Seth dimostrava sempre la sua incredibile sensibilità, per questo probabilmente andava così d’accordo con mio padre, erano due anime comuni.

“Non smette di cercarli, l’abbiamo convinto a riposarsi ieri ma non ha resistito più che un paio d’ore, poi è tornato alla carica, non è fatto per stare con le mani in mano!” un rantolo di dispiacere mi colse, in fondo anche lui aveva qualcuno d’importante coinvolto. Seth, povero Seth. “Comunque sono venuto qui per un altro motivo …”  il verso che fece fu simile ad un guaito, come se l’avessero ferito e stesse provando a camminare “Abbiamo trovato questo!” la sentenza fra le mani del lupo, quel piccolo e sottile artefatto tecnologico e lo schermo distrutto. Il cellulare di EJ. Gli occhi di mio padre permisero ai miei di vedere la prima vera traccia da tre giorni. In un attimo mi trovai accanto alla porta per ascoltare meglio. Per chiunque l’avesse presi, lo scopo era sicuramente mantenerli in vita, non gli sarebbe interessato lasciare il cellulare in tasca ad EJ se lo volevano uccidere. Forse era una falsa speranza quella che si era accesa in me o forse era arrivato davvero il moment di agire. Sgattaiolai fuori della villa andando alla mia casa, attenta a non farmi percepire da nessuno. Ero diventata un’ottima escapologa, riuscivo ad evadere facilmente nonostante i miei sorveglianti fossero vampiri. Entrai con la chiave di riserva nascosta in una delle pietre della parete, cercando di provocare meno rumore possibile. Sapevo bene quello che volevo fare e la mia famiglia sarebbe stata solo d’intralcio, non permettendomi di agire come meglio pensassi. Non potevo permettermi errori e rallentamenti. Mi affrettai ad entrare  presi uno zaino e vi stipai dentro dei cambi, cinque mazzette di contante del valore di circa diecimila dollari, ed il mio passaporto. Avevo come l’impressione che avrei dovuto superare il confine se non altro per chiedere a Marcus cosa li aveva spinti fino da noi. Ero quasi certa che i movimenti in Canada centrassero con la sparizione della mia famiglia. Se non fossero stati proprio i Volturi sicuramente loro sapevano qualcosa. Non volevo che mi rintracciassero finché non ero sicura di sapere dove fossero, una volta trovati li avrei ricontattati e chiesto il loro aiuto. Ma in quel momento, l’agire da sola mi avrebbe persino permesso di passare inosservata. Insomma, un gruppo di dieci vampiri che gira senza dare nell’occhio non si è mai sentito, e ne ero certa che prima di fare una qualsiasi cosa sarebbero partiti altri e non io. No. Io potevo muovermi con il sole, potevo mangiare e confondermi con gli esseri umani. Ero la più adatta per qualsiasi spedizione. E dovevo essere in prima linea, dovevo avere il controllo della situazione. Era difficile per me escluderli,  ritrovarmi completamente sola, tanto che mi sentii colta da un’inaspettata nausea. Ma ero cosciente che questa era la soluzione migliore. Se poi c’erano di mezzo i Volturi cosa avrebbero fatto avendo a portata di mano mio padre, mia madre, Alice, Jasper. Magari la mia era solo la paura di rivivere un incubo già avuto, le farneticazioni stanche della follia incombente. Forse davvero i Volturi non c’entravano niente. Di certo non potevo andare in Italia a puntare il dito contro Marcus senza uno straccio di prova o la qualsiasi. Prima dovevo rintracciare qualcuno da torchiare per avere più informazioni. E c’era un nostro ospite non troppo lontano che si trovava ad osservare dei strani movimenti, che in un caso o nell’altro potevo ragguagliarmi sui fatti. Cercai nella cabina armadio la piccola tenda istantanea di Sarah ed EJ, occupava pochissimo spazio da chiusa e non  pesava eccessivamente, anche se il peso per me non era un problema.

“Dove stai andando?” come non detto. Gabriel si era accorto della mia piccola fuga.

“A cercare la mia famiglia!” la risposta fu fredda e distaccata.

“Vengo con te!”

“Da sola sarò più veloce, cerca di trattenere i tuoi pensieri con mio padre almeno per una giornata, OK?” lo superai per uscire dal retro ma lui mi bloccò trattenendomi per un braccio.

“Tu non vai da nessuna parte da sola! Vengo con te!” i suoi occhi erano puntati sui miei, non ammettevano alcuna replica eppure non stava usando il suo potere erano rimasti del loro colore originario. In fondo un compagno solo di viaggio non avrebbe nuociuto a nessuno. Non avevo molto tempo per riflettere, la rapidità era necessaria non potevo combattere con lui e sicuramente non sarebbe stato facile scrollarmelo di dosso. Ed anche se ci fossi riuscita, mio padre non avrebbe tardato a leggere della mia fuga nella sua testa. Rimaneva solo una decisione da prendere.

“Va bene Gabriel, ma se mi rallenti ti giuro che ti rispedisco a Forks a pedate! Prendi qualcosa di Jacob e hai qualche documento con te?” la pazzia era evidentemente una dote di famiglia. Anche lui aveva con sé il passaporto che mi mostrava battendolo sulle labbra.

“Ti ho sentito uscire ed ho subito capito cosa volevi fare! ” preparando un secondo  piccolo zaino infilai altri soldi “Se ci fermano ci prenderanno per spacciatori!” lo guardi torva, tutta questa sua voglia di scherzare non mi piaceva.

“I cellulari lasciamoli qui, compreremo un palmare con copertura satellitare e GPS fuori da Forks, non voglio che ci rintraccino immediatamente, ci bloccherebbero!”

“Certo non tutti sono pazzi come te! Ma sai si dice che il genio è follia!” era più o meno tutto pronto, dura da dire quando è la fretta a dettare le proprie azioni. Avremmo attraversato il bosco seguendo le tracce. Prima tappa sicura: Canada. Se Massimo si trovava ancora lì probabilmente aveva visto o sentito qualcosa. Certo non sarebbe stato facile scovare un vampiro invisibile ai nostri sensi ma dovevo tentare. Ormai ero pronta ed al mio fianco avevo un amico fidato. Stavo per uscire ma mi scontrai con la porta della camera di Sarah spalancata. Sul letto sfatto erano riversati i suoi vestiti. Odiavo quando lasciava in disordine la sua stanza. Nemmeno l’impellenza di quello che dovevo fare. Entrai con due passi. Presi la sua maglia e la portai al mio viso. Il suo profumo era buonissimo, dolce ma con un piccolo sentore di borotalco. I miei occhi caddero sulla cassettiera. Sopra di essa c’erano piccoli soprammobili, foto, una confusione tutta sua. Da un lato c’era un oggetto che serviva a tenere i gioielli, un intricato groviglio rappresentante un tralcio di rose, quasi totalmente spoglio tranne che per un paio d’orecchini, regalo di mio padre appartenuti ad Elizabeth Masen, inconfondibile nel loro stile sobrio ed antico, ed la collanina con il simbolo del branco Quileute. Più spostato pendeva un’altra catenina con il ciondolo ovale portafoto. Uno spiffero lo fece tintinnare contro la piccola struttura di metallo ed io tremai. Le mie labbra erano dischiuse appena e mi trovai a ripetere le stesse parole incise su di esso.

Plus que ma même vie!lo afferrai e velocemente lo indossai sul mio collo. Dovevo andare.

 

Non preoccupatevi per noi, da soli saremo più veloci e ci muoveremo inosservati. Perdonatemi se non vi ho detto nulla. Vi contatterò io stessa. Non cercatemi. Starò bene. Nessie

Avevo lasciato solo un biglietto, con poche parole. Più per la fretta che per altro. Non era il momento di tira e molla drammatici, o di lacrime non versate, rabbia repressa e tutto quello che ne sarebbe conseguito la mia scelta di partire per cercarli. Seguii  la scia lungo il perimetro della ronda vedendo che cambiava circa a metà dove un intenso odore di vampiri si univa a quello dei miei figli. C’erano anche piccole tracce di cloro. Non pensavo che bastasse così poco per far cadere Jacob in trappola. No. Lo avevano sicuramente seguito da un po’, solo chi conosce bene le mosse dei lupi può tentare di catturarli. Corremmo per molti chilometri ed interminabili ore fino a superare il confine. Dovevamo assicuraci un’ottima distanza, presto si sarebbero accorti della nostra assenza e, contando le nostre limitazioni fisiche, probabilmente saremmo stati raggiunti in pochissimo tempo. Non era il momento delle raccomandazioni, ed avevo bisogno di essere libera di muovermi senza le loro continue paranoie. Gabriel mi capiva, o forse era solo accecato dal suo stesso sentimento. Mi appoggiava ed averlo accanto mi regalava un pochino di sicurezza che sinceramente stava calando. Eravamo finalmente al confine con il Canada, Vancouver era a soli pochi chilometri. Stavamo per superarlo quando un guaito mi fece voltare. Un gigantesco lupo biondo, color della sabbia più precisamente, stava dietro di noi.

“Seth!” ugiolò triste, mi avvicinai a lui e presi quel grande muso tra le mani. Il suo corpo snello, era decisamente di una portata inferiore rispetto a quella degl’altri lupi, sempre mastodontico, ma con la muscolatura più sottile. Poco importava, lui era comunque molto forte. “Li troverò Seth, troverò Leah …” spalancò gli occhi come sorpreso, sapevo cosa voleva “No Seth, tu devi rimanere qui con Sue, ho bisogno di muovermi libera! Ti prego, se puoi cerca di non farti scoprire …” baciai il suo pelo proprio al centro fra gli occhi, ed in quel momento un dolore ben più forte colse il mio petto ed una lacrima scese lenta su di lui. Poco dopo sentii la mia mano umida accompagnata a dei guaiti che assomigliavano a dei lamenti, anche Seth stava piangendo. “Ehy moccioso, non vorrai fare la figura della femminuccia!” scossi il suo testone tra le orecchie, lui chiuse gli occhi tristemente ma con una nuova speranza negl’occhi. Si fidava di me. “Adesso vai, quando puoi ritorna umano nel frattempo cerca di non pensarci! Mi basta un giorno di vantaggio …” il biondo muso si mosse dall’alto verso il basso, in un tacito consenso.  Lanciò uno sguardo a Gabriel, non lo capii. Subito dopo mi sospinse con la testa verso il confine, ci fissammo per qualche secondo prima di attraversarlo. Riprendemmo a correre senza fiatare, lasciandocelo alle spalle. Nei suoi occhi leggevo il dolore di affidarsi completamente nelle nostre mani, il non poter combattere per la giusta causa. Quale più giusta causa, di quella di salvare la propria sorella? Avevamo molto in gioco noi due, troppo. Soprattutto io. Non avrei più permesso a nessuno di farci del male, giurai a me stessa che chiunque fosse stato, che fossero potenti vampiri, demoni, draghi o quant’altro la fantasia del Fato avesse creato per distruggermi un’altra volta, l’avrebbe pagata cara. Per tutto.

 

Note dell'autrice: Ebbene si sono accorti che i Black mancano all'appello, non mi dilungo in spiegazioni visto che comunque il capitolo parla da solo. Solo che siccome non l'ho potuto revisionare completamente qualcosa verrà cambiata in mattinata se ho cinque minuti al lavoro lo rileggo e lo finisco di sistemare.

Non posso rispondere alle recensioni ma ringrazio le mie care  noe_princi89, kekka cullen, kandy angel e Lione 94. Grazie per avere sempre una parolina per me.

Ringrazio anche gli altri besos chicos!

Mally

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Capitolo 44
*** CAPITOLO XVI: Tracce invisibili. ***


CAPITOLO XVI: Tracce invisibili.

Il confine era stato superato con il vantaggio di almeno un giorno, al massimo un giorno e mezzo. Il tempo cominciava ad avere sempre meno importanza. Ci trovavamo nei pressi di Vancouver, dove presi un atlante dei boschi Canadesi ed un palmare con GPS e collegamento ad internet, intestandolo ad una certa Cathy Brown. Il potere di Gabriel si era rivelato molto utile soprattutto nel convincere il commesso a fare un contratto senza documenti ed anche per scambiare i nostri vestiti con quelli di una coppia alla fermata del pullman. Non bastava mitigare il nostro odore con quello intenso della folla di gente accalcata in quello spazio ristretto della stazione. L’idea di viaggiare per un po’ con mezzi di locomozione pubblici fu estremamente intelligente. Ci consentiva non solo il tempo di riflettere sulla meta successiva ma anche di confonderci con la massa. Avevo preso anche un giornale per vedere le previsioni meteo che però promettevano soltanto nubi e pioggia. Il Destino non voleva assisterci? Bene, io ero più testarda di lui.

“Questo Pullman ci porterà a Mission, dove prenderemo la coincidenza per  Hope …” ci stavamo organizzando con le coincidenze in modo da cambiare spesso mezzo. Il primo posto dove ci saremmo accampati era il Jasper National Park, presso le Rocky Mountain, devo ammettere che il nome mi aveva ispirato. Era perfetto abbastanza lontano per poterci riposare ed da dove iniziare le nostre ricerche. Da lì avremmo continuato a piedi fino a Calgary per poi prendere un treno ed arrivare a Saskatoon dove avremmo preso un aereo per arrivare a Sandy Lake. Durante le conversazioni con Massimo, era uscito questo nome come possibile meta di alcuni appostamenti. Non si era molto sbilanciato, quando si trattava di parlare di una missione corrente non si sbottonava e stava ben attento dal tradirsi, per quanto fra noi era nata una simpatia reciproca. Non ero così certa di trovarlo, anzi sembrava piuttosto un appiglio disperato, però almeno avevo un punto di partenza.

 “Una volta a Sandy Lake come faremo a trovarlo secondo te?” era il problema principale.

“Seguiremo l’istinto!”  stavamo camminando in mezzo a quella nuova foresta consultando il GPS come cartina “A parte gli scherzi Gab, penso di cercare nella foresta, hai notato i suoi occhi? Quelle sue strane tinte arancioni?”

“Ora che mi ci fai pensare, si le ho notate, mi sono anche chiesto perché erano così chiari …” alzai un momento lo sguardo, lui restava assorto nelle sue riflessioni mentre io cercavo ancora di seguire la mappa virtuale sul palmare.

“Vedi lui non fa differenza fra umani ed animali, si ciba di quello che ha all’occasione!”

“Davvero?” chiese quasi sconcertato.

“Uno dei pochi ricordi che possiede da umano è quello di essere rimasto nascosto in una stiva di una nave per tre settimane, dove si è nutrito di insetti e topi, quando è in missione non lo schifa adattarsi certo non per questo disdegna un bel collo candido!” era visibilmente stupefatto, in effetti Massimo era un bel personaggio stravagante “Ma deve comunque nutrirsi, cercheremo fra i giornali, vedremo se ci sono strane morti per dissanguamento o scomparse improvvise. Se non troveremo niente andremo alla ricerca delle carcasse degli animali!”

“Si ma così, non è detto che lo troverai …” lo sentivo il suo scetticismo crescere assieme al mio.

“Almeno sapremo di certo che è stato lì, poi potremmo seguire le tracce o avere qualche certezza in più!” non ero molto sicura, in realtà mi sentivo piuttosto ridicola. Gabriel si fermò dal camminare ed io mi arrestai con lui, il suo viso era concentrato cercando di comprendere le mie farneticazioni. Poi alzò una mano e prese la sua fronte come a scacciare un mal di testa, massaggiandola ripetutamente. La passò su tutta la faccia prima di tornare a guardarmi.

“Ok, non mi sembra un buon piano, posso dirtelo?” io non l’avevo mai detto che era un buon piano, non lo credevo. Purtroppo l’impazienza non mi aveva permesso di ragionare ed elaborarne uno migliore.

“Hai ragione non lo è, ma è anche l’unico, se avremo altre idee con un senso vagamente logico le applicheremo! Accampiamoci qui …” cambiai argomento, finalmente la stanchezza aveva deciso di avere la meglio sul mio corpo. L’incuria che mettevo di me stessa, era diventata quasi patologica. Non mangiavo e non riposavo seriamente da quattro giorni. Dovevo crollare in almeno una delle due. Potevo ascoltare in lontananza lo Sheep River, scrosciare con i ripetuti avvallamenti, massi e piccoli dossi. Gorgogliava inquieto raggiungendo una piccola cascata dove un rumore più fragoroso prendeva il posto dei semplici borbottii delle rocce erose dal tempo e dai suoi movimenti “C’è un fiume poco lontano, ci potremmo dare una rinfrescata …”

“Se vuoi vai, io intanto preparo la tenda ed accendo un fuoco almeno ti asciugherai più in fretta…” sfilò lo zaino dalle spalle e lo mise a terra dove ne tirò fuori un sacchetto più piccolo. Papà l’aveva comprata per i bambini, si divertiva a giocare al campeggio con loro. Li portava insieme alla mamma alla radura, con quella tenda tre posti e una torcia. Per loro era una bella avventura da condividere con i nonni, un occasione per stare lontani dai loro genitori ed adoravano quelle piccole gite, anche se ne facevano di ben più fruttuose. Iniziai a camminare per non pensare a loro, ma il risultato fu solo un rimbombante senso di angoscia. Non era giusto che per l’ennesima volta noi ci trovavamo in difficoltà, per cosa poi? Il potere. Si perché solo la smania della tragica conquista del mondo poteva portare a fare del male. L’avevo vista logorare troppo spesso gl’animi, sia essi vivi sia morti. Il potere, quello che tutti bramano, quello per cui tutti sono disposti a distruggere, a noi non tangeva. Proprio noi , che spaventavamo per le nostre capacità, per il nostro modo di essere giusto ed equo, noi che se volevamo potevamo avere il mondo soprannaturale ai nostri premi, lo avevamo disdegnato ben più di una volta. Forse proprio per questa estrema voglia di non combattere che venivamo presi di mira, troppo fiduciosi dell’altro. Da un lato noi spaventavamo, per la fora e la determinazione, ma dall’altro potevamo risultare dei facili bersagli. Superai alcuni arbusti, con ancora in mano i miei vestiti di ricambio quando la mia maglia si impigliò cadendo a terra. Mi chinai per riprenderla, e nel compiere tale azione mi scontrai contro un qualcosa. Il rovo pendeva da un grande cespuglio arrampicato in parte sul fianco del tronco, appesantito dal grappolo rigonfio dei succosi frutti di bosco tardivi. Quando ero bambina con Jake ne coglievamo cesti interi, per far fare alla nonna la confettura, o per lasciarle a macerare nello zucchero. Era uno dei tanti modi per convincermi a mangiare qualcosa di umano. Quando dopo una lunga giornata in mezzo a spine ed insetti, e soprattutto passata a fermare Jacob dal finirle prima di arrivare a casa, mi ritrovavo a godere del frutto del nostro lavoro, ero talmente soddisfatta da mangiare anche tre fette di pane con il burro e la marmellata, un record per me.  Ne raccolsi una e la portai alla bocca, non avevano lo stesso sapore di quelle di Forks, d'altronde il terreno era diverso meno salino. Però il colore che rilasciava sulle dita, quel rosso porpora era sempre quello. Quante volte schiacciavo fra due dita una mora cominciando a piagnucolare come se mi fossi fatta male. E Jacob correva senza nemmeno curarsi che quello fosse sangue o semplicemente uno scherzo sciocco. Mi aveva rimproverata centinaia di volte per quello stupido scherzo, ma forse il più stupido era lui che offuscato dal volermi proteggere ci cascava sempre.

< Jake, proteggili come hai sempre fatto con me … > proseguii verso il rumore del fiume sempre più vicino tanto che piccoli schizzi si percepivano nell’aria.  Dopo pochi passi mi ritrovai di fronte ad una vegetazione più fitta, saltai un abete inclinato dal vento e bloccato da un altro albero poco lontano, ancora qualche cespuglio e di fronte avevo lo scenario spettacolare che avevo immaginato. Una lussureggiante spuma bianca scorreva lungo intense rocce scure attirata dal bacino tormentato del fiume, l’acqua limpidissima si fermava paziente in uno slargo placato per poi riprendere il suo corso in un’insenatura. Il mio primo impulso era quello d’immergermi in quell’acqua perfetta e lavarmi dalla fatica, dallo stress. Volevo immergermi nell’acqua e rimanere sommersa con le orecchie occluse dalla pressione. Mi spogliai velocemente rimanendo con addosso soltanto la canottiera nera e gli slip. Buttai il tutto su di un ramo e poi mi lanciai nello specchio d'acqua  e nuotai al di sotto del pelo per minuti interminabili. La sensazione fresca della mia pelle a contatto con l’acqua ghiacciata, la forza della corrente che mi sospingeva verso la foce per un attimo mi spinse ad abbandonare la mia opposizione. Chiusi gli occhi proprio mentre il respiro cominciava a faticare. Arrivai al limite, ma non riemersi fino a che l’ultima bolla d’aria rimasta arrivò alla superficie. Avevo il fiatone, recuperai tutta l’aria che mi serviva, ma in cuor mio quel gesto portato al limite serviva a ripulirmi, a disintossicarmi.

“Nessie!” girai lo sguardo di soli quarantacinque gradi e lo trovai sulla riva con gli occhi sgranati. La sua pelle ramata era viva e palpitante ai deboli raggi del sole sempre più morente, i suoi pozzi neri, profondi, brillavano come dei tizzoni incandescenti. Se ne stava fermo ad osservarmi come quando facevo qualcosa di estremamente pericoloso e lui se ne accorgeva.

“Jake …” sussurrai appena il suo nome, non volevo battere le ciglia, non volevo che sparisse in una nuvola di fumo, non volevo terminare il mio sogno.

“Nessie!” pronunciò nuovamente il mio nome ma la voce non era la sua. Era più leggera, più intonata in un certo senso. Gli occhi mi bruciavano, l’acqua aveva lavato via anche le lacrime naturali per renderlo umido. Ero costretta ma non volevo che quella visione terminasse. Chiusi sconsolata le palpebre e le riaprii quasi immediatamente. L’immagine di Jacob era scomparsa, non c’era come avevo immaginato. La pelle diafana aveva preso il posto di quella ruggine, ed  tizzoni erano un mare in tempesta “Scusa non volevo disturbarti, ma ho visto che ti attardavi e cominciavo a preoccuparmi …”

“Tutto a posto Gabriel … stavo per uscire!”

 

Il fuoco illuminava il mio viso. Purtroppo non avevo portato una spazzola con me e tentavo di districare i miei ricci. Il mio intimo l’avevo steso in un complesso artefatto composto da tre bastoni. Non soffrivamo il freddo e questo consentiva un bagaglio ancor più leggero rispetto a quello di semplici umani partiti per un campeggio.

“Posso farti una domanda …” Gabriel era impegnato nel mantenere il fuoco vivo. Volgeva piccoli sguardi in mia direzione, mantenendo attivo il divieto numero tre. ‘I tuoi viscidi occhi non devono soffermarsi su mia moglie per più di dieci secondi’. Sorrisi al pensiero ed asserì con un mugugno. “Sono solo curioso promettimi che non la prenderai male!” disegnai una croce sul cuore, come facevo sempre per suggellare un patto.“Non ti è mai venuto il dubbio, che quest’imprinting sia un po’ come dire costrittivo …” sbuffai, quella domanda se l’era posta anche la mia famiglia a suo tempo. Abbandonai la mia attenzione su di una fiamma. Descriveva una piccola spirale sulla punta, s’avvolgeva e si scioglieva rilasciando piccolissime scintille che si libravano in aria e  si spegnevano.

“No, non per me almeno …” quel dubbio ce l’avevo avuto ma solo nei confronti di Jake, durante il viaggio in Alaska “Io ho saputo dell’imprinting solo dodici anni fa, dopo essermi innamorata di Jake. ”mi persi in quel ricordo, il suo viso soddisfatto, il bracciale che tutt’ora tenevo al polso, tutto un turbine che lasciò una smorfia sofferente sul mio volto “L’ho pensato, devo ammetterlo, non accettavo che lui dovesse in qualche modo vedere i miei bisogni prima dei suoi, ma poi ripensandoci non è quello che facciamo quando siamo innamorati … Le priorità cambiano, diventano altre, l’imprinting serve solo ad indicarti la persona giusta niente di più, fa accelerare il processo di devozione che si acquista con anni di vita di coppia …”

“Si, ma non ti da molta scelta … ” vagai il mio sguardo a terra per poi guardare di nuovo Gabriel che ora era fisso su di me. Aveva superato i dieci secondi e questa cosa mi portò ad un sorriso.

“Nonostante tu non sia vincolato dall’imprinting, hai vagliato solo una scelta! E ben più dolorosa …” lui abbassò lo sguardo sconfitto, non c’era altro da dire in fondo “Andiamo a dormire, domani ci aspetta una lunga giornata!”

Non riuscii a chiudere occhio per più di tre ore di seguito, mi giravo più volte tentando di addormentarmi ma nulla. Stavo per alzarmi e notai di essere bloccata dal braccio di Gabriel che mi cingeva poco sotto il seno. Era così diverso da Jacob. Quando mi afferrava nel sonno mi stringeva a sé, in una maniera quasi esasperata, possessiva. Invece lui era delicato, come un petalo di rosa volato su di un pavimento.

< Io non esagererei se fossi in te! > presi la sua mano cercando di sollevarla per potermi alzare, ma non appena tentai di divincolarmi mi strinse più forte. < Speriamo che questo ricordo non riaffiori mai con Jake! > una fitta atroce al centro del petto dove si era aperta una voragine di dolore. Lui, Sarah ed EJ erano la mia vita. Cosa avrei fatto senza di loro? Se li avessi persi per sempre, cosa avrei fatto? Riuscii definitivamente ad uscire da quel provvisorio anfratto costruito sul momento. Aprii la cerniera della tenda e ne uscii silenziosa come una pantera. La notte era molto più oscura di quello che mi aspettassi. Le nubi coprivano la piccola falce lattiginosa sopra la mia testa, sancendo la vigilia della luna nuova. Non ce l’avrei mai fatta a sopravvivere, a cominciare dalla reazione che avevo avuto quando seppi della loro scomparsa. La mia vita non avrebbe più avuto un significato ed avrei semplicemente rincorso alla morte. Li avrei seguiti ovunque, in qualsiasi posto, compreso l’al di là. Ad un tratto una scena si presentò ai miei occhi. Io disperata di fronte a Gabriel che mi strappavo la carne dal collo invitandolo a cibarsi di me e lui con una nuova furia negl’occhi che mi prendeva affondando i suoi rasoi nella ferita che mi ero procurata.

“Nessie!” uno scossone ed aprii gli occhi. Mi ero addormentata quella era solo un sogno o un desiderio represso? “Che ci facevi qui? Ti ho disturbata stanotte?” era arrossito sulle guance.

“No, ero io che non riuscivo a dormire! Anche se …”

“Non dirmelo ho parlato nel sonno!” in quel momento sarebbe volentieri sprofondato. Mi ci voleva una risata e farlo imbarazzare mi divertiva tanto.

“Peggio!” dissi con gusto “Mi hai abbracciato tutta la notte!” il suo incarnato passò in una frazione di secondo dal rosso pompeiano al giallo pastello, per poi diventare di uno strano bianco cadavere. Erano queste le reazioni che mi piacevano di più in Gabriel, quando tornava ad essere impacciato. Quelle che aveva quando non sapevo che era innamorato di me.  

“Ok, sono morto! Appena Jacob lo viene a sapere …”cominciò ad agitarsi preoccupato, ma sul mio volto ogni divertimento era passato. Non era colpa di Gabriel. L’aveva detto con spontaneità, come se fosse ogni altro giorno della nostra vita. Ma non lo era. Erano le ore che si susseguivano inesorabili verso una fine sempre più prossima. Erano le ore senza di loro.

“Speriamo che ci sia questa possibilità!” contemporaneamente alzammo il viso scontrando gli occhi l’uno nell’altra. Il silenzio spezzato solo dalla vita della foresta che ci circondava, sembrava creato appositamente per la mia interpretazione tragica, per quell’urlo tacito sofferente che voleva dire cosa stavo rischiando.

“Nessie, non perdere mai la speranza! Li troveremo e li salveremo!” tutta la mia determinazione, tutta la voglia che avevo di riabbracciarli, cominciava ad essere troppo insistente per non essere soddisfatta. Ero come un affamato di fronte ad una vetrina di dolci, dopo giorni di digiuno. Li guardavo famelica, li sentivo nella mia bocca, il mio cervello mandava gli impulsi per sollecitare le sensazioni tattili del gusto. Ma quel vetro mi divideva. Un vetro di cui non sapevo lo spessore, la resistenza. Non sapevo nulla se non che dovevo cercare un vampiro invisibile, che sicuramente aveva lasciato tracce invisibili in una nazione sconfinata come il Canada.

“Gabriel, ti devo chiedere un piacere che so ti costerà molto!” deglutì nervosamente, mi conosceva ormai da troppo sapeva già cosa riguardava la mia richiesta. Posai la mia mano sulla sua fronte, dove il contatto permetteva il fluire di immagini nitide come quelle di un film in una sala cinematografica. Mostrai il mio sogno, le sue labbra sul mio collo, i suoi occhi iniettati di sangue, le sue mani che stringevano il mio corpo sempre più stanco al suo ed io che mi abbandonavo completamente alla morte per sua mano.

“No!” gridò scansandomi la mano bruscamente “Non lo farò mai!”

“Tu sei l’unico che può farlo, nessuno della mia famiglia potrebbe tu si!” quasi lo urlai con rabbia. Non poteva abbandonarmi.

“No!” fu ancor più fermo. Le sue mani tremavano e i suoi occhi stavano per cambiare colore, diventando lentamente più celesti. Voleva cercare di dissuadermi con la forza. Anche Jake lo avrebbe voluto, anzi lui mi avrebbe scongiurato, mi avrebbe implorato di continuare a vivere. Ma se lui non ci fosse più stato, se i miei figli avessero oltrepassato i cancelli dell’Ade, chi m’impediva di raggiungerli se non la mia immortalità?

“Se mi ami davvero dovrai farlo!” avevo iniziato ad urlare anch’io.

“No! Non devi pensare ad una cosa del genere!”alla sua risposta un altro grido, sempre più disperato. Gli stavo chiedendo una delle cose più ingiuste, ma anche tra le più giuste. Per me, doveva farlo per me.

“Preferisci vedermi nello stato catatonico in cui ero caduta? Io no! Se i miei figli dovessero …” non riuscivo a dire null’altro “Vorrò raggiungerli al più presto, se non lo farai tu troverò qualcun altro contento di esaudire questo mio desiderio! Volere è potere Gabriel!” i miei toni non si placarono, anzi iniziai ad alberarmi. Come poteva farmi una cosa del genere? Come poteva negarmi il suo aiuto?

“Volere è potere, quindi cerca di volerli sani e salvi! Non sono ancora morti, non devi, non puoi … ” quelle parole mi colpirono profondamente, ma  ero ferma salda nella mia convinzione che se il mio destino si fosse incrociato nuovamente con la Morte, questa volta l’avrei accolta a braccia aperte. Non l’avrei sfidata, sarebbe giunto il suo turno di prendermi con sé.

 

Il viaggio in treno da Calgary a Saskatoon, fu il più duro in assoluto. La scelta della classe economica della linea più scadente, non era stata delle migliori. Soprattutto per i nostri sensi. Probabilmente ad olfatto umano il miscuglio dell’odore pungente di un vomito pulito nel migliore dei modi, mischiato quello della moquette sintetica e del disinfettante, di pochi giorni prima, non sarebbe risultato così nauseabondo. Questo era niente. Potevamo ascoltare ogni cigolio, ogni sferragliamento, ogni minimo giro di rotaia con le sue sospette anomalie. Temevo che da un momento all’altro deragliasse. Certo noi non ci saremmo feriti tanto facilmente ma se il disastro ferroviario fosse stato eclatante e noi due ne fossimo usciti incolumi, sicuramente, avremmo attirato l’attenzione. Con Gabriel per smorzare, iniziammo a scherzare sulla situazione. Per lui dovevamo sgattaiolare fuori dalle lamiere come vermi, strisciare nella vegetazione e continuare a piedi. Per fortuna l’aereo fu meno traumatico del treno e in un giorno e mezzo ci ritrovammo a Sandy Lake. Non era una cittadina molto grande, fredda ma accogliente. In un certo qual modo ricordava Forks ma con un clima più rigido. Purtroppo con noi non avevamo portato cappotti o maglioni e questo non ci consentiva di girare propriamente inosservati. Comunque non avevo il tempo di fossilizzarmi su certe inezie e la prima cosa che feci, fu quella di comprare ogni genere di giornale, quotidiano o quant’altro che riportava notizie e necrologi. Con Gabriel passammo quasi l’intera mattinata a sfogliarli alla ricerca di qualche morto dissanguato, morto azzannato, morto rapito dagli alieni, sparizioni di animali. Ma niente. Quella ricerca non aveva portato praticamente a niente. Approfittai di una pausa per comprarci dei cappotti e due maglioni. Nel negozio mi sentivo osservata come se qualcuno mi stesse guardando insistentemente, con la sensazione di essere seguita ma non gli diedi peso e pagando mi feci spiegare il modo di raggiungere l’internet point più vicino.

“Cosa cerchiamo ora?” Gabriel si era seduto con lo schienale della sedia contro il suo petto, ad un certo punto della giornata era diventato un bambino impaziente. Si annoiava ma cercava in un qualche modo di non darlo a vedere.

“Non lo so, credo qualche notizia trash di cervi sgozzati da sette sataniche, sembra una copertura molto in voga ultimamente!” bisbigliai ben attenta a non farmi sentire da altri. Purtroppo la ricerca continuò invano per ore, fino al sopraggiungere della sera. La signorina alla cassa era cambiata, probabilmente c’era stato il cambio turno mentre noi eravamo alla ricerca dell’ago nel pagliaio. Le diedi i soldi mentre lei era impegnata a scrivere una fattura, quando alzò gli occhi rimase impietrita ma non folgorata dalla bellezza sovrannaturale dei nostri lineamenti. Era come se avesse visto un fantasma. Con Gabriel ci scambiammo uno sguardo molto eloquente.

“E- ecco a voi …” balbettava, sentivo il suo cuore leggermente accelerato, le mani le sudavano dal repentino contatto fra le nostri pelli. E proprio quando il mio calore la sfiorò, lei riprese a respirare. Quella ragazza era una specie di gotica, non estrema solo un trucco pesante a marcare occhi e bocca, capelli scuri e con un bracciale di borchie.

“Ti chiami Katia” intervenne Gabriel guardando il budge appuntato sulla maglia a righe bianche e nere. La ragazza batté le ciglia nervosa rimanendo fissa su di lui come incantata  “So che potrà sembrarti strana la mia domanda, ma hai già visto una persona simile a noi … pelle bianca, capelli scuri, occhi con un colore particolare …”

“S-si in realtà è stato qui tre quattro giorni fa, una persona così non si dimentica sembrava provenire da un universo parallelo …” aveva senso, molto senso. Era lo stesso motivo per cui io non avevo usato il palmare ma ero ricorsa ad un internet point. La banda di connessione è estremamente facile da rintracciare, ma gl’indirizzi IP sono praticamente gli stessi. E poi a chi verrebbe di cercare un vampiro in un luogo anche solo simile? Massimo doveva in qualche modo comunicare a Marcus i suoi spostamenti doveva cercare contatti con Volterra. Aveva  troppo senso.

“Ha usato un computer di qui?”

“Si, quello dove c’è quel signore!” c’era un uomo capelli lunghi e neri, spalle ampie, giacca di daino. Si voltò anche lui osservandoci quasi in sincrono. Era un nativo americano, nel suo sguardo leggevo odio, paura, ignoranza. Ci aveva già classificati. Si sbrigò a raccattare le sue cose e si alzò per uscire pagando velocemente con un tremore delle mani. Non me ne interessai e con Gabriel andammo a quel computer. L’odore era debole macchiato da tanti sentori diversi, ma c’era e lo sentivo dolce, come il mughetto. E debole. Tremendamente debole. Gabriel collegò il cavo del computer con il palmare. Fra i due lui era sicuramente il più esperto in campo informatico. Iniziò a digitare, con una velocità tale che nessuno si accorse cosa stavamo facendo. Dopo un paio d’ore aveva praticamente copiato tutta l’attività del computer degl’ultimi cinque giorni. Con altrettanta rapidità pagammo il nuovo tempo impiegato e ci ritrovammo di fuori dove quell’uomo ci stava aspettando. Era poggiato al muro accanto alla porta e ci fissava. D’un tratto si avvicinò al mio orecchio, Gabriel stava per intervenire ma io lo bloccai. C’era qualcosa di strano, qualcosa che forse poteva dirci.

“Cavalier King Charles …” sussurrò per poi allontanarsi come se semplicemente ci fossimo scontrati in mezzo alla folla. Quell’incontro doveva significare qualcosa, doveva esserci un perché di quello strano comportamento. Impressi le tre parole nella mia mente. Cavalier King Charles.

 

Per tutta la notte continuammo a cercare fra dati, schede e quant’altro potesse indicarci un qualcosa che avesse a che fare con un eventuale messaggio a Volterra. Ero arrivata ad un tizio che aveva pubblicato un articolo in un forum su di una razza di cani. Un momento.

“Gabriel, guarda qui …” iniziai a scorrere l’articolo, anche lui strabuzzò gli occhi.

“Pensi che centri qualcosa …” annuii. Certo che centrava. La razza era il Cavalier King Charles.

“Guarda qui queste lettere sono scritte in maiuscolo …” Iniziai a comporre la frase riferendomi alle lettere in maiuscolo, continuando ad osservare il paragrafo. Era una frase in italiano e questo confermava i nostri dubbi. Il re si trova al borgo. Apparentemente non aveva nessun senso.

“Cosa significa secondo te?” chiesi a Gabriel che sicuramente aveva una conoscenza dell’italiano migliore della mia.

“Non saprei!” cominciai a riflettere sul significato che poteva nascondersi. Feci una breve ricerca su internet abbinando le parole di quella frase, sperando che ne uscisse fuori una cittadina Canadese. La tradussi in francese ed in inglese. Niente il risultato era sempre lo stesso. Perché quell’uomo ci aveva detto quella frase? Cosa l’aveva spinto ad aiutarci? Perché mi aveva detto Cavalier King Charles? King Charles. Il re. Il re si trova al borgo.

“Prova a scrivere Charles e borgo …”

“Bingo!” esclamò Gabriel sovraeccitato “Charlesbourg è una città del Quebec!”

“C’è un aeroporto?”

“Si, andiamo presto prima che cambi di nuovo città!” Era ora di partire di tornare a salvarli. Dovevo esserne convinta al cento per cento, loro erano vivi e aspettavano solo che li salvassi. Avrei salvato la mia famiglia ad ogni costo.

< Tenete duro, presto torneremo insieme! >

 

Note dell'Autrice: Prossima tappa Charlesbourg! Allora ragazze i luoghi qui raccontati esistono davvero. Mi sono messa Atlante alla mano ed ho costruito il viaggio di Nessie e Gabriel. Il prendere mezzi pubblici è utile per far disperdere le loro tracce. Mi dispiace un po' per l'eccessiva presenza di dialoghi ma per serrare il ritmo erano necessari.

noe_princi89: io penso che dopo aver passato una vita a cercare di difendere la tua famiglia, se ti trovi senza di loro e senza un perchè reagirei esattamente come nessie nell'annullamento. però lei è forte ed è riuscita a reagire!

Lione94: Nel prossimo capitolo fornirò molte spiegazioni. Comunque Nessie non era proprio tipo di rimanere ferma ad aspettare ma sicuramente la sua famiglia le avrebbe impedito di partecipare alla spedizione, come hanno già fatto in Grey. La vedono come più debole da un lato essendo solo per metà un vampiro. Bhè si sbagliano lei è la più forte di tutti! muahahahah!

Kekka cullen: Mally zompetta allegra perchè non può rispondere a nessuna delle domande di Kekka! Me malefica!

Kandy angel: grazieeeeeeee!

Ringrazio sempre tutti per seguirmi siete favolosi.Un besos enorme Smackisssimo!^^

Baci Malice  

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Capitolo 45
*** CAPITOLO XVII: Destinazione definitiva. ***


CAPITOLO XVII: Destinazione definitiva.

Era una settimana che ci ritrovavamo a viaggiare per il Canada. Una settimana che avevamo disperso le nostre tracce, nessuno era riuscito a mettersi alle calcagna. L’utilizzo dei mezzi pubblici si era rivelata l’arma vincente, ogni nostro movimento era stato come vapore freddo in una cava sulfurea. Avevamo impiegato circa due giorni per raggiungere Charlesbourg. Praticamente si trovava dall’altra parte dello Stato e l’aereo che dovevamo prendere faceva scalo a Thunder Bale. Due giorni. E quello era anche il tempo esatto di veglia quasi sempre continua. La nostra destinazione si presentava come un posto molto carino, semplice, con piccole costruzioni e dai colori pastello. Ricordava molto lo stile europeo ed aveva chiari riferimenti dell’architettura francese, tra l’altro unica lingua parlata dagli abitanti, per quanto anche l’inglese era compreso nel linguaggio ufficiale. Gabriel ovviamente non aveva problemi di lingua, come me era stato educato ad essere un poliglotta. Poco lontano dall’aeroporto c’era un piccolo e grazioso Bed & Breakfast dove riposare, cosa che per me era necessaria. Sembrava un casolare immerso nella campagna, con i mobili pastello e le tendine in tinta. Avevamo decisamente bisogno di un letto e di una doccia, riuscivo a stento a tenermi in piedi. Rimasi interdetta dalla proprietaria una dolce signora dall’aria tremendamente cortese che sembrava aver subito il fascino del mio amico. Per fortuna riuscimmo ad ottenere due camere separate dove finalmente ero libera si poter essere sola. Gabriel non era mai stato invadente, ma la situazione ci costringeva a vivere a stretto contatto, nonostante il mio impellente bisogno di riflettere. Di avere del tempo per piangere; non l’avevo più fatto da quando Embry aveva consegnato il cellulare a mio padre. Non c'era il tempo, dovevo pensare ed agire quasi contemporaneamente. La stanchezza, il peso che ormai mi portavo ovunque, la consapevolezza di aver inflitto un supplizio ai miei genitori. Mi mancavano.  Dio se mi mancavano. Avevo sempre avuto bisogno di loro, come di Jake. Erano i miei centri gravitazionali, i miei punti di riferimento sempre e comunque. Jake, papà, la mamma. Sapevo esattamente cosa stessero facendo, me l’immaginavo come se fossi ancora in casa Cullen. Mia madre stava sicuramente impazzendo e mio padre ... mio padre stava cominciando a darsi la colpa di tutto, perché non mi aveva sentita, per come ero riuscita a scappare ancora e tutte le sue repentine elucubrazioni di quando si sentiva un genitore fallito. La coppia più complessa che sia mai esistita, quando si parla di spiriti affini. Ma d'altronde, chi meglio di me potevo parlare di anime gemelle. Io avevo Jacob. Avevamo così tanti punti in comune da poterci quasi definire quasi due gocce d'acqua. Stesso orgoglio, stessa caparbietà, stessa voglia di proteggere le persone che si amano. Avevo la sicurezza che lui si trovava con loro, almeno uno di noi due poteva proteggerli. Lo sentivo erano ancora in vita. Dovevo sentirlo, me l’ero imposto per continuare a respirare, per continuare a sopravvivere nell’attesa di riabbracciarli. Perché di sicuro ci saremmo ritrovati, dovevo esserne assolutamente convinta, altrimenti lo sconforto avrebbe preso di nuovo il sopravvento riconducendomi nell’immenso vuoto in cui mi era sentita piombare quando appresi la notizia della loro scomparsa. Se fossi stata immersa nell’acqua, non avrei cercato di risalire per prendere aria? Ecco il perché del mio gesto, il perché quel giorno nel fiume ho sentito di dovermi trascinare affondo per poi risalire proprio quando il limite era giunto. Dovevo riprendere la mia aria. Dovevo riavere i miei figli. Dovevo riprendermi il mio Jacob. Dovevo liberare Leah anche lei coinvolta nelle nostre sciagure. Per quanto mi costasse ammetterlo, lei era preziosa non solo come membro del branco, ma anche come persona. Si era dimostrata un’ottima guida per i miei figli, e forse aveva cominciato attraverso di loro a scongelare almeno una parte del suo cuore. L’arcigna Leah stava lasciando il posto alla vecchia Lee Lee. E l’apprezzavo, tanto, troppo. E volevo assolutamente riportarla da Seth e da Sue che la stavano aspettando. Quando era poco più di una fanciulla, usavo un piccolo trucco per addormentarmi. Strinsi forte il cuscino, plasmandolo sul mio corpo vestito di sola biancheria e lasciai che la mia strada onirica mi guidasse fino da loro. Tutta la notte fu un susseguirsi d’immagini, strane. Ripresi il sogno che poco tempo prima avevo iniziato. Correvo cercando di non farmi seguire, correvo e correvo ancora nascondendomi. Il vento mi tagliava il viso con la sua fredda atmosfera, i rami degli arbusti mi frustavano. Normalmente non avevo mai avuto graffi, ma invece la mia pelle si lacerava veniva recisa anche dalla più piccola spina. Continuavo a procedere a grandi falcate sfruttando tutta la lunghezza della gamba. Alternavo a passi sempre più veloci e rapidi grandi salti. Il sangue che usciva dalle piccole ferite, iniziò a disegnarmi la pelle come una rappresentazione macabra di me stessa. Correvo, correvo ancora ma ad un tratto la foresta terminò e per poco non mi andai a schiantare su di un muro di porfido. Sembrava infinito. Alzando lo sguardo non si poteva scorgere la sua estremità, come limite invalicabile della mia corsa. Ero arrivata al punto. Fine dei giochi. Mi svegliai quando il sole era già alto nel cielo. Non avevo ottenuto sufficiente ristoro ma mi sentivo meglio rispetto alle solite dormite in tenda o sui sedili si turno. Ci ritrovammo nella sala dove veniva servita la colazione, ci serviva mangiare normalmente per placare un’eventuale sete incombente. Era da tanto che non ci nutrivamo e questo poteva esserci d’ostacolo. Eravamo seduti a cercare di ingoiare una povera e martoriata brioche, che assumeva sempre più il sapore della spazzatura. Gabriel mi guardava torvo, non mi avrebbe mai perdonato di quella costrizione a cui lo stavo sottoponendo. Per lui era già molto complesso magiare normalmente, se i sapori erano alterati dalla sete la cosa diventava una vera tortura. Avremmo cacciato solo ed esclusivamente dopo aver torchiato Massimo. Sempre che fossimo riusciti a trovarlo. Non avevo alcuna idea di cosa cercare, sapevo solo che con ogni probabilità si trovava ancora a Charlesbourg. Non che fosse una metropoli sconfinata, ma un vampiro che può nascondersi ai tuoi sensi non è un bersaglio facile. Cercando di inghiottire l’ennesimo rivoltante boccone, iniziai senza un vero motivo, ad ascoltare distrattamente le conversazioni dei commensali. La clientela non si limitava ai semplici avventori, bensì anche alla popolazione. In effetti non sarebbe stato molto astuto aprire un open bar a Charlesbourg visto la popolazione limitata. C’era una donna che stava bevendo il suo caffè ascoltando ‘Let it be’ dei Beatles nelle cuffiette di un vecchio lettore mp3, due ragazzi che molto probabilmente erano sposi novelli visto i rumori sospetti che si potevano udire al di là del piano per tutta la notte, le cameriere che invidiose cercavano qualche difetto su di me per potermi denigrare e rendere il loro ego un po’ meno invidioso, solo perché il ragazzo che mi sedeva accanto era attrattivo come la luce per una falena. Ma una conversazione invece mi prese alla sprovvista, rimanendo impietrita. Un uomo piuttosto attempato e sempliciotto era seduto con un suo amico a parlare dei problemi di vacche e capre.

“Le vieux Gaude a trouvé un autre mouton mangé, le dixième en six jours! | Il vecchio Gaude, ha trovato un’altra pecora sbranata, la decima in sei giorni! |” non era una certezza, non era nemmeno una conferma ma il periodo corrispondeva esattamente. Sembrava troppo palese, istituiva un dubbio forte e prepotente. Dieci animali uccisi in sei giorni. Perché si sarebbe nutrito così tanto e così allo scoperto prendendo degli animali domestici che sicuramente avrebbero attirato l’attenzione? Dovevo approfondire la questione. Anche Gabriel aveva ascoltato e dalla sua espressione conveniva con me che probabilmente di mezzo c’era qualcosa, ma il cosa ci rimaneva ancora oscuro. Andai a pagare per la notte trascorsa dalla signora. Avevamo un punto di partenza. Il signor Gaude.

“Madamoiselle Brown, J'espère que votre séjour fut de courte de son choix! | Signorina Brown, spero che il soggiorno sia stato di vostro gradimento! | ” disse affabile la donna osservando ancora Gabriel con occhi sornioni. Il mio amico la guardò sorridendo, poi con tono suadente e con tutto il suo charme si allungò a prendere la ricevuta. La donna ebbe un tremito ed io alzai gli occhi al cielo. Era un atteggiamento tipico dei vampiri quello di ottenere tutto con un po’ di moine.

“Excusez-moi Madame, que nous recevons de M. Gaude, pouvez-vous nous montrer le chemin? | Mi scusi signora, vorremmo andare dal signor Gaude, sapreste indicarci la strada?| ” il cuore della donna accelerò in una maniera animale, temevo seriamente che presto sarebbe svenuta se non avesse ripreso a respirare. Non era anziana ma nemmeno tanto giovane, di sicuro se avesse parlato con quella voce ad una ragazza avrebbe perso i sensi. Il modo in cui si sporgeva in avanti in un invito implicito, lo smuovere dei capelli con una mano, lo sguardo lascivo accompagnato dal piccolo vezzo di umettarsi le labbra. Erano trucchi che io odiavo e che tra l’altro usavo anch’io.

 

“V- Vuos” balbettò come se non riuscisse a compiere una frase di senso compiuto senza sbagliare “Etes-vous proches? | Siete suoi parenti? | ” la stavamo per perdere perché al sorriso dolce e tenero di Gabriel la donna parve sull’orlo di un attacco cardiaco. Il suo cuore non smentì la mia convinzione, ebbe un tremito e poi tacque per qualche secondo. Ripresi anch’io a respirare quando udii altri due velocissimi battiti. Quelle aritmie erano pericolose. Con estrema rapidità, mentre la signora era distratta, diedi una gomitata sul costato di Gab, con sguardo di ammonimento per accompagnare. Insomma, gli umani sono persone mica burattini. È scorretto comportarsi in questa maniera, approfittarsi in maniera eccesiva. In fin dei conti gli bastava un battito di ciglia e quella donna sarebbe stata sua. Al mio rimprovero Gab alzò gli occhi al cielo e diminuì la sua aurea seduttrice con toni leggermente più freddi.  

“Petits-enfants à distance! | Nipoti, alla lontana! |” affermò con tale sicurezza da crederci anch’io, bene almeno uno dei due era un gran attore e questo non guastava. La donna si aprì in un grande sorriso, come se le avesse detto ‘Sposiamoci che ho il frac in macchina’. Superò il bancone cominciando ad avviarsi verso la porta per indicarci la direzione da prendere.

“Oui, oui Sûrement  | Si, si certamente! | ” spiegò la strada ad una velocità tale e con un entusiasmo non indifferente, da far impallidire persino un vampiro. Gabriel la salutò con un baciamano che se la signora non si fosse sorretta alla parete, probabilmente sarebbe crollata a terra infartuata.

< Esagerato! > se ne stava tranquillo e beato, camminando accanto a me, con un’espressione ambigua. Aveva solo rischiato di far morire d’infarto una donna e lui se ne stava calmo. Quelli erano i momenti in cui avrei tanto voluto spaccargli la faccia. Non si gioca così con gl’altri anche se subiscono in maniera positiva il nostro fascino. Era pur sempre un approfittarsi e non mi piaceva.  

“Perché mi guardi a quel modo?” e faceva pure l’ingenuo. La sua sfacciataggine a volte lo rendeva troppo simile al padre biologico.

“Stava per stramazzare al suolo, era così necessario tutto quel sex appeal vampirico?” chiesi veramente adirata. Lui sorrise e provò le sue armi su di me. Peccato che mio padre a forza di cercare d’impormi le cose con ammiccamenti e vocina da angelo, mi aveva reso immune a certe macchinazioni psicologiche.

“Meglio giocare sul sicuro!” soffiò ad una spanna dal mio orecchio, solo per convincermi a non essere più inesorabilmente furiosa con quella sua esagerazione.

“Si certo come no! Stava per avere un infarto e tu giochi!” mi urtava quell’atteggiamento perché era lo stesso che usava Jake per convincermi a fare qualcosa.

“Abbiamo ottenuto quello che volevamo no?”

“Potevi usare il tuo potere ed evitarle i futuri problemi cardiaci che avrà dopo le aritmie che le hai causato!” sembrava una mamma che sgrida il suo bambino per aver messa troppa marmellata sul pane.

“Così era più divertente e poi dai, ti ho visto quello che fai con Jacob …” questa mi sorgeva nuova. Cosa facevo io con Jake? “Se vuoi qualcosa ti metti una magliettina più attillata e con lo scollo a V che lascia intravedere più del solito, poi cominci a sussurrare al suo orecchio come se foste da soli ed infine come ciliegina inizi a chiamarlo amore …” rimasi ferma impalata ad osservarlo con le mani sui fianchi quasi totalmente annebbiata per l’attenta analisi comportamentale che aveva effettuato “ … per non parlare di quando sgrani i tuoi begl’occhioni da cerbiatta, fluttuando le ciglia come fossero ventagli …” iniziò ad ondeggiare le dita caricando con enfasi la sua frase “ … a quel punto tuo marito diventa praticamente plastilina e potresti farci quel che vuoi!” uno spiffero intercorse lo spazio fra di noi, fermi ad aspettare. Poi la sentii, quella sensazione strana di quando non riesci più a trattenerti. Iniziò dalla bocca dello stomaco, giungendo ai polmoni che si gonfiarono come palloncini, fino a scoppiare tra le mie labbra. Sbottai a ridere come una pazza, dapprima cercando di contenermi, poi sempre  più in crescendo ed alla fine incapace di controllarmi, piegata sulle ginocchia continuai la mia risata isterica che ormai mi faceva singhiozzare privandomi dell’aria necessaria per respirare. Anche Gabriel si trovò a ridere come un pazzo. Eravamo due folli e sciocchi mezzi vampiri.

“Dai andiamo altrimenti ci facciamo notte!” dissi ancora tra i singulti asciugando una lacrima per le risate. Erano giorni che non riuscivo a far altro che tormentarmi, cercare la forza, disperarmi. Ma mai ero riuscita a fare una grassa e liberatoria risata. Per la prima volta mi sentii davvero meglio anche se quella era stata una semplice illusione. Avrei convissuto volentieri per un po’ con quella finta gioia scaturita dal momento. Ma presto la realtà voleva il suo riscatto ed era giunto il momento di trovare Massimo.

 

La fattoria di Gaude si trovava a qualche chilometro di distanza. Era una costruzione non molto grande dalle pareti bianche, con il tetto a punta per impedire alla neve di accumularsi. Ai lati vi erano staccionate e recinti che segnavano i confini di una proprietà molto grande. Ci addentrammo nel viale d’ingresso dove un uomo era intento nel dispiegare un telo verde sul retro di un furgoncino. Osservai attentamente la forma prona, con le zampe distese ed il corpo immobile. La pecora ma che coperta dal telo poteva essere un qualsiasi quadrupede. In quell’istante la mia vista fu offuscata da un flash. Un lupo enorme bianco con le zampe perpendicolari al corpo rigido e freddo, il muso spalancato con la lingua esanime  riversata sul terreno. Un lieve sussulto ed un singhiozzo strozzato, nella speranza di ricacciare quell’immagine lontana lontanissima da me. Non potevo permettere che questo accadesse.

“Ehy, tutto bene, vuoi che ci parli io?” Gab aveva notato il mio improvviso cambio e si stava preoccupando. Scossi la testa con ancora quel tumulto scuotermi il petto, presi un respiro molto profondo e mi avvicinai cercando di trovare il mio più sincero e benevolo sorriso.

“Bonjour monsieur, excusez-moi, je peux vous poser une question? | Buongiorno signore, mi scusi, posso farle una domanda? |” stava per  borbottare stizzito, forse c’era anche qualche malevolo improperio, ma appena si voltò il mio aspetto mise il moto il meccanismo di incanto. Era così, risultavo irresistibile in quella mia aura innocente, dolce e tenera, da cucciola indifesa. Era quella la mia arma che mai avevo sfruttato. Non a detta di Gab, visto che mi aveva accusata di plagiare mio marito.

“Oui madamoiselle, Que puis-je aider? | Si signorina, in cosa posso esserle utile? | ” il suo tono divenne rapidamente affabile e gentile. Addirittura prese il cappello e se lo tolse con un gesto di rispetto di fronte ad una signora. Azzardò perfino un sorriso tra la barba incolta ed ispida macchiata di bianco  cercando di far riemergere la normale salivazione.

“Quelle est votre mouton mort? | Di cosa è morta la vostra pecora? | ” mi sorpresi persino della mia voce svenevole al punto giusto, e si, iniziai a battere le ciglia con molta enfasi.

“A plusieurs blessures, mais il semble avoir été saigné! | Diverse ferite, ma sembra sia stata dissanguata! |” in quel momento persi tutto, la barriera che mi era costruita per ottenere quell’informazione, crollò e diventò cenere di fronte ad una certezza.

“Il ya la mort d'autres?| Ne sono morte altre? | ” chiese Gabriel vedendo che io avevo perso la facoltà di parola. Avevo iniziato a farneticare nella mia testa, a fare conti, non riuscivo più a parlare. Non potevo credere di essere così vicina al mio obbiettivo, quando non avevo mai avuto nessuna speranza.

“Dix, toutes les plaies et saigné! | Dieci tutte ferite e dissanguate! | ” poi d’un tratto cambiò il suo atteggiamento divenne diffidente e subito tornò ad essere scortese “Pourquoi êtes-vous intéressé? | Perché vi interessa? | ” indossò il cappello nuovamente osservandoci con occhi pieni di sospetto.

“Merci Mousier, a bientôt! | Grazie, a presto!| ” Gabriel percependo il cambio repentino di umore prese le mie spalle ed mi condusse verso l’esterno della proprietà borbottò un qualcosa di quasi incomprensibile a voce alta. Forse voleva delle spiegazioni ma il linguaggio che usava, sembrava più un dialetto per me difficile da comprendere. Nella mia testa comunque continuavo a percorrere i giorni e le ore che avevano preceduto quell’incontro. Stavo ancora ragionando che non mi accorsi che Gabriel mi camminava accanto, cingendo le mie spalle, come se fossimo una coppia ma non ebbi la forza di discostarmi. Dopo tutto quello che stava facendo per me e la mia famiglia, non avevo voglia di interrompere quel contatto intimo al punto giusto per non essere frainteso, ma allo stesso tempo sufficientemente confortante.

 “E poi sarei io quello che ha usato in maniera sproporzionata il mio fascino, ci mancava solo la bava alla bocca!” risi di quella sua affermazione ma non ribattei. Se Massimo era ancora nei dintorni probabilmente dovevamo sbrigarci. Ci inoltrammo nel bosco, sicuramente era il posto migliore dove nascondersi. Da lì iniziammo a seguire qualche scia sospetta. Ma era difficile tremendamente difficile e spesso ci ritrovavamo di fronte ad un muro fatto di odori e supposizioni. Il GPS ci forniva le informazioni per non perderci, ma il nostro continuo cercare, muoverci, correre mi procurava solo un forte senso di smarrimento. Stavamo girando in tondo, non sapevamo cosa seguire, quali punti di riferimento prendere. E forse lui stava usando il suo scudo per non palesarsi.

“Non si deve essere allontanato troppo, immagino che sia nei dintorni riparato dalla vegetazione, deve essere per forza nei paraggi!” indicavamo possibili soluzioni, cercavamo i posti più probabili osservando la cartina sul GPS. Ero stanca ed avevo bisogno di tempo per riflettere sulla mossa giusta da effettuare. In più il mio istinto mi spingeva sempre più a spingermi incontro a qualche scia disorientandomi ulteriormente. La sete stava diventando decisamente un problema, anche per Gabriel che aveva quelle piccolissime pagliuzze nere a segnargli le iridi blu oltremare. Ci trovavamo seduti ai piedi di un grande masso  quando una terza persona si aggiunse a noi indicando un punto del GPS.

“Secondo me dovreste provare qui!”  alzai lentamente lo sguardo e quasi ne rimasi folgorata. Se Maometto non va alla montagna la montagna va da Maometto. Massimo era davanti a noi beffeggiandoci. Con tutta la forza che avevo caricai un calcio e impressi la suola della mia scarpa sul petto facendolo volare per cinque metri. Rapidamente piombai su di lui prendendolo per il collo della maglietta e sollevandolo da terra, e scontrandolo contro il tronco di un albero che cigolò e lasciò cadere le sue poche foglie rimaste. Ero  esclusivamente guidata dall’adrenalina ed agii talmente velocemente che Gabriel non fece in tempo a fermarmi  “La vostra famiglia sta mobilitando mezzo mondo per trovarvi, ieri Marcus mi ha detto di tenere gli occhi aperti ma non  pensavo di trovarvi qui!” era calmo, troppo per essere minacciato da una madre totalmente fuori controllo.

“Ti stavamo cercando Massimo!” dissi immediatamente in un soffio con tutto l’odio di cui ero capace “I Volturi mi devono molte spiegazioni!”

“Nessie, non possiamo parlarne qui …”

“Il mio nome è Renesmee …” dissi con una nuova rabbia crescere e diventare la padrona indiscussa di me. Il ritmo era serrato, le mie parole uscivano come sibili di una vipera, il fiele divenne sangue, io divenni un’assassina. Sentivo i miei muscoli crepitare, ed avevo la tremenda voglia di uccidere qualcuno “ Dove preferisci parlare, ad un bel falò Massimo?” avvicinai il mio viso al suo mostrando i miei denti come preludio di una minaccia ben più dura di quelle fatte in precedenza.

“Prima che voi mi trovaste stavo tornando a Forks, probabilmente so perché siete venuti ma mi devi dare il tempo di spiegare!” Stavo tornando a Forks. Stavo tornando a Forks. Stavo tornando a Forks. Questa frase era diventata un ritornello nel mio cervello.  Lasciai la presa e i piedi di Massimo toccarono terra. Tutto quello che avevo provato scomparve lasciando il posto all’impazienza di sapere. I miei occhi scorrevano da Gabriel a Massimo spaesati, ad un tratto il Volturo prese il mio braccio guardandomi intensamente.

“Anche gli alberi hanno orecchie piccola Cullen!” e senza accorgemene mi ritrovai fra le sue braccia a sfrecciare tra la vegetazione del bosco.  Gabriel poco più dietro ci seguiva A differenza della penisola Olimpica, l’umidità non dava quel carico senso di salsedine, c’era solo un fortissimo odore di pino, così diverso da casa mia. Giungemmo ai piedi di una cascata dove lo riversarsi delle acque nel piccolo corso d’acqua creava un frastuono non indifferente, mentre Massimo ci parlava in toni infinitesimali nelle nostre orecchie. Il suo fare guardingo, il fatto ce stava per tornare a Forks ma era stato bloccato dalla mia fuga ed aveva iniziato ad aspettarmi lasciando mille indizi su dove si trovava. Certo non poteva essere altrimenti. Quell’uomo, quel nativo che mi aveva indicato quale pagina cercare, le troppe pecore uccise così allo scoperto. Erano le bricioline di pane che mi avevano condotto a lui. Ecco perché si era presentato a noi dopo averci percepiti. Era tutto un modo per condurci a lui senza insospettire chiunque avesse preso la mia famiglia. . Non so cosa mi spinse ad essere fiduciosa in quell’eterno antico ragazzo.Credo che fosse la semplicistica forza della disperazione. Ma ora avevo davvero una nuova speranza.

“Tu ci hai lasciato degl’indizi appositamente per farti trovare!” la mia rivelazione era così aperta che anche Gabriel ebbe un trasalimento ed una grande perplessità, che venne preso sostituita da un ragionamento veloce come il vento. Le domande che ci eravamo posti fino ad allora trovavano spiegazione solo in quello. Massimo annuì per poi fissare i miei occhi.

“Si, è stata dura convincere quell’uomo a Sandy Lake, non voleva avere a che fare con un vampiro …” sollevò le spalle con un gesto di non curanza “ Comunque non è questo l’importante! Prima di tutto vi devo rilevare il vero motivo della mia missione in Canada” il suo tono era calmo, in quel momento ricordava molto Jasper quando spiegava delle strategie di guerra, c’erano molte affinità tra due: un passato militare alle spalle, una gran capacità nel combattimento ed un’ottima freddezza anche nei momenti peggiori.  “Tutto è iniziato subito dopo la vostra rivoluzione dodici anni fa, quando la Casata dei Volturi si stava ricostruendo,” eravamo vicinissimi, piccole gocce fredde arrivavano al mio viso concedendomi di rimanere ben vigile “La storia stava volgendo il suo corso e molti volevano approfittare del momentaneo Knock out del Clan più potente, seppure ben sostituito dalla vostra famiglia, qualcuno in particolare voleva riprendere un potere che aveva sempre asserito essere il suo” ebbi un fremito ed un flash attraversò la mia testa. All’improvviso ritornai ad essere una bambina con la minaccia dei volturi che incombeva su di noi e ricordai la pelle trasparente praticamente di pietra, due vampiri uno biondo l’altro scuro vestiti di nero che non volevano farsi toccare da me e che mi costringevano a parlare. Mille immagini di come pensavo che fossero tremendamente affascinanti, di quanto assomigliassero alla vera leggenda, mia madre che non voleva che ci fosse troppo contatto. E poi la loro stizza quando il conflitto si risolse con un semplice dibattito e non con una guerra, il loro andarsene, il voltare delle spalle. Toccai entrambe le braccia dei due ragazzi ai miei lati, mentre ancora con la mente vagavo a quei ricordi.

 “Si Renesmee, loro!” rispose Massimo alle immagini che scorrevano ancora nella mia testa e passate attraverso la mia mente alla loro.

“Ma cosa centra questo con noi?” chiesi ancora sconvolta da quello che avevo percepito.

“Avevano sempre uno sguardo su Forks, visto come più volte avevate fronteggiato i Volturi e vinto, volevano trovare la vostra arma vincente!” il suo tono seppur infinitesimale racchiudeva una forte saggezza “L’hanno vista nella vostra alleanza con i licantropi, e devo dirlo avevano pienamente ragione!” guardava Gabriel come se anche lui sapesse benissimo di cosa parlava.

“Certo era la stessa cosa che pensava Aro, e Caius era spaventato a morte dai mutaforma! Per questo ti hanno catturata dodici anni fa: una volta informati del matrimonio fra te e Jacob, si sono affrettati a rapirti facendo più di un passo falso, sancire la definitiva pace tra mutaforma e vampiri per loro sarebbe stata comunque una condanna! ” rifletté Gabriel.

“Anche loro avevano capito che per rafforzarsi dovevano fare affidamento ad altre razze, ma la loro priorità era ed è togliere di mezzo i Volturi! Da quando sono entrato nella guardia, Marcus mi ha affidato il compito di controllarli, loro non sapendo della mia esistenza non si sono mai creati troppi problemi a nascondersi, anche se stavano ben attenti a non essere eccessivamente espliciti nell’esporre le loro intenzioni, anzi erano piuttosto criptici!” ascoltavo sempre più interessata “Per organizzarsi crearono parecchi vampiri, essendo di vecchia scuola non puntarono su personaggi con poteri in particolare ma su persone con una bella prestanza fisica, anche perché fronteggiare un licantropo non è facile, soprattutto se si lo vuole mantenere vivo!” a quella parola i miei occhi guizzarono su di lui. Vivo, li volevano mantenere vivi. Lo sapevo, lo sentivo ma con quella frase mi sentii improvvisamente leggera. Loro erano vivi, perché così li volevano. Massimo fece un mezzo sorriso, quasi a rassicurarmi e poi riprese a raccontare

“Sai di li tengono e dove si trovano ti prego Massimo non tenermi troppo sulle spine … ” ero così diversa da pochi minuti prima. Ora lo imploravo, lo pregavo come fossi una devota al tempio del proprio Dio.

“Dalle mie informazioni hanno acquistato il  famoso Castello di Bran, e credo che ora sia la loro base!”

“Discreti!” constatai con una certa ironia. Ironia della sorte quello era proprio il vecchio Castello di Dracula, messo in vendita per una cifra esorbitante.

“Sono anni che l’hanno chiuso al pubblico, in fondo è un gran ricordo dei vecchi tempi! Non contando le sue capacità strategiche …” sentivo la stizza nella voce “È abbastanza isolato, poco fuori la città di Brasov perfetta per la riorganizzazione! I sospetti che stessero tramando qualcosa di ben più losco nacquero poche settimane fa, quando cominciarono a creare un hangar qui a Charlesbourg troppo vicino a voi e a Denali, per questo Marcus mi ha inviato in missione per spiare i loro movimenti! Non pensavamo di incrociare il vostro cammino, i Volturi non volevano allarmarvi avete sofferto troppo e meritavate un po’ di pace, ma forse avremmo fatto meglio ad avvisarvi del pericolo imminente …”

“Vieni al punto Massimo, cosa vogliono esattamente da noi?” ero impaziente e questa storia non faceva altro che accelerare il mio tempismo metabolico.

 “I vostri punti di forza!” disse con freddezza, pietrificandomi sul posto “La tua progenie Renesmee, ed i tuoi amici mutaforma! poco meno di una settimana fa ho visto tuo figlio con tre lupi giganti sedati e legati, stavo per tornare a Washington ad avvisarvi ma tu mi hai preceduto e sei venuta qui come immaginavo, l’avevo capito che eri molto intelligente! Però mi devi le dieci pecore che ho dovuto mangiare, mi ci vorranno due fan …” stava evitando di dire fanciulle giovani vergini sacrificali per rispetto al mio credo “… Orsi … ” il massimo che potevo chiedergli “ … Per togliere quel saporaccio dalla bocca!”

“Cosa pensi che dobbiamo fare?” chiese Gabriel a quel punto, io avevo perso ogni capacità di ragionare pensavo solo a come salvare i miei figli. Macchinavo piani impossibili, io che andavo allo sbaraglio dentro il castello uccidendo chiunque mi capitasse a tiro.

“Avviserei prima di tutto la tua famiglia, il loro aiuto in un eventuale scontro sarà di fondamentale importanza!” ci guardò con uno strano ghiribizzo negl’occhi come se nella sua mente un piano ben congeniato stesse prendendo sempre più forma, qualunque cosa sarebbe stato meglio della supereroina di un telefilm noir di fine secolo che c’era nella mia testa “Intanto per non perdere tempo partiremo per la Transilvania, sono sicuro che con i nostri poteri potremo ricavarne qualcosa come ad esempio maggiori informazioni e, perché no, potremmo anche salvarli!” stette in silenzio qualche secondo poi con un sorriso enorme, quasi sfociante in una risata si rivolse ad entrambi “Certo che è imbarazzante come questi due cerchino di far parte della vera leggenda non trovate?”

“La miglior maschera è quella più ovvia, nessuno crede realmente alle leggende ai giorni nostri!” rispose Gabriel. Risero ma io non riuscii ad unirmi a loro, avevo solo in mente una cosa, l’ultima tappa, l’unica cosa che volevo: Brasov, dove la mia famiglia mi stava aspettando.

 

Il viaggio non fu per nulla rilassante. L’angoscia più tremenda era chiamare i miei genitori. Il volo copriva l’arco delle ventuno ore con scalo ad Amsterdam per i rifornimenti dell’aereo su cui volavamo. Mentre rimanevo Massimo si spostava da un negozio all’altro del duty-free Gabriel invece sedeva con me su una delle panchine del terminal aspettando solo che trovassi il coraggio di alzarmi ed andare ad una di quelle cabine a telefonare.

“Ti capiranno, vedrai!” me lo ripeteva da quando ci stavamo imbarcando per Montreal. Certo io ero ormai indipendente, un’adulta ma in quel momento mi sentivo come se fossi stata la ragazzina scappata da casa dopo aver litigato con i genitori. Forse avevo sbagliato a non coinvolgerli, magari ci sarebbero stati d’aiuto. Probabilmente si sentivano traditi, affranti per quel comportamento irrazionale che avevo assunto “È inutile che continui a rimuginarci, meglio togliersi il dente no?” non mi ero accorta di come mi stringeva la mano, in quel contatto tutta la mia apprensione era passata a lui. Sospirai alzandomi dalla mia panchina. Presi la cornetta e inserii la tessera, l’indice con cui composi il numero del telefono di mio padre tremava. Rimasi in silenzio ad ascoltare gli squilli che segnavano il tempo in cui avrei dovuto rispondere. Poi la sua voce persa, non soave come la ricordavo vuota in un certo senso mi prese alla gola bloccando ogni mia facoltà.

“Pronto?”aprii le labbra cercando di parlare ma quello che ne uscii fu solo un debole respiro “Renesmee?” aveva intuito che fossi io non riuscivo ancora ad articolare una frase di senso compiuto, per quanto io fossi ormai una donna indipendente avevo sempre bisogno del loro appoggio “Renesmee, per piacere rispondi dimmi dove sei!” conoscevo quel tono che usava, si stava sicuramente premendo l’indice ed il pollice alla base del naso per mantenere la calma, me lo immaginavo come se fosse lì. Ogni suo sospiro, ogni suo gemito mi descriveva lo stato d’ansia in cui l’avevo costretto. Gabriel aveva percepito la mia difficoltà, il tormentare con una morsa ferrea il filo a spirale, che teneva agganciata la cornetta all’apparecchio. Prese le mie spalle scuotendole delicatamente.

“Papà …” sospirai e con me lui come se fosse solo la conferma che stesse aspettando, dall’altro capo sentii la voce di mia madre che invocava il mio nome pregandomi, il brusio di tutta la mia famiglia “Dove siete?”

“A Sandy Lake dove hai lasciato pochissime tracce, tu dove sei piuttosto?” era passato il suo terrore, ora era freddo impassibile, mi stava punendo. Mia madre intanto lo pregava di passarmi.

“Ora ad Amsterdam, ma sto per ripartire!” soffiai nella cornetta, tutti si ammutolirono ascoltando la nostra conversazione compresa Bella, che sentivo singhiozzare a vuoto “Dobbiamo arrivare a Bucarest, per andare a Brasov, abbiamo scoperto i rapitori di Jake ed i ragazzi …” ingoiai un rospo di saliva ancora non riuscivo a sincerarmi di quanto male potesse fare perdere un figlio e di quanto ero disposta a perdere pur di averli di nuovo sani e salvi.

“No, non ti muovere da lì non fare un solo passo! Ti raggiungeremo ovunque tu sia ed affronteremo insieme questo problema, non puoi da sola, non puoi!” la mamma aveva strappato sicuramente il telefono dalle mani di mio padre, doveva parlarmi convincermi ad aspettarla, tratteneva a stento i singhiozzi ma in fondo mi capiva, in  gioco non c’era tutta la mia esistenza.

“Non sono sola!” tagliai corto. Sentire mia madre così scossa mi distruggeva tanto che con una mano afferrai il bordo della cabina abbandonando la testa in avanti. Sul mio viso una smorfia di pura sofferenza. “E non c’è tempo, ci incontreremo a Brasov!”

“C’è Gabriel, con te?”

“Non solo lui, ho trovato Massimo e ci aiuterà fino al vostro arrivo! Ricordatevi: Castello di Bran, Brasov sono lì! Qualsiasi cosa non portate il branco, ne va della loro esistenza!”  la chiamata si chiuse così, l’ultima cosa l’avevo detta sottilissima impercettibile persino per Gabriel che mi stava accanto. Temevo fortemente di essere scoperta.

“Sei stata bravissima, Ness tu sei una forza!” era sincero accarezzai la sua mano che ancora latitava sulla mia spalla. Poi l’avviso che il nostro volo stava per ripartire. Massimo si presentò, invitandoci a sbrigarci. Era quella la nostra ultima tappa, quella sarebbe stata l’unica che contava davvero. Non avrei mai permesso a nessuno di usarli e di fare loro del male, mai. Stavo cercando in tutti i modi di mantenere la mia promessa. Li dovevo proteggere, c’ero riuscita con Joyce e ce l’avrei fatta anche contro  i vampiri che ci minacciavano. Mi sentii avvampare da un fuoco nuovo, denso come lava che partiva da dentro. L’istinto era la mia unica guida, l’odio l’unico sentimento rimasto in piedi. Per la prima volta avevo desiderio di vendetta e di sangue, ma non rosso, bianco come la polvere. Desideravo sentire il rumore delle lamiere contorcersi nelle mie mani i loro corpi bianchi diventare carbone, bramavo renderli un  esempio per gli altri. Quest’ultima battaglia doveva essere un grido per il mondo intero: nessuno tocca i Cullen, nessuno tocca i Black, nessuno tocca la mia famiglia!

 

Note dell'autrice: Ah ah, avete visto chi è tornato! Si si sono proprio loro lo avete capito! E sono i terribili vcercatori del potere. Allora ora come faranno ad subbentrare nella fortezza... ragazze c'è un capitolo in più perchè questo l'ho dovuto suddividere per la lunghezza.

Per le frasi in francese se ci sono errori fatemi sapere, purtroppo il francese è molto arruginito non mi ricordo praticamente nulla!

Kandy Angel: sempre tante grazie, sono contenta che sei sempre pronta a recensire...

kekka cullen: purtroppo ho troppa fantasia sono arrivata ascrivere un tomo gigante, sta diventando la fabbrica di S. Pietro. Ti è piaciuta la spiegazione ed ora action la parte più serrata della storia i prossimi due capitoli saranno battaglia aperta! Baci ed al prossimo.

never leave me: Ciao bella! Evviva sei tornata, me molto contenta del tuo ritorno, spero che stia risolvendo tutto quello che ti angoscia ... ! Mi ha sorpreso il discorso del punto morto perchè c'ho pensato anche io. Praticamente avendo scritto tutto come se fosse un libro ci sono delle parti di passaggio che nella pubblicazione delle ff può risultare più pesante ma risolutive ai fini della storia. Purtroppo rimane questa sorta di limite visto che si possono pubblicare e leggere pochi capitoli alla volta (non come ho fatto con BD che l'ho letto in una giornata) quindi magari si finisce con l'annoiare a causa dell'attesa visto i tempi più lunghi di quando si legge su carta stampata. Detto ciò, avendo un impostazione più o meno classica, arrivo ad avvalermi di più capitoli di passaggio dove vado a spiegare situazioni e cose che poi diventano basilari per la parte conclusiva, visto che comunque la storia ha una trama complessa e già strutturata. Spero solo che non ti abbia annoiata troppo visto che comunque ho cercato di rendere tutte le parti di passaggio estremamente introspettive, ho voluto dare più spessore ai sentimenti che conoscevamo e che ancora dovevamo scoprire (come quello fra EJ e Sarah).  Passando ad altro, si in effetti Nessie versione sherlock ce la vedo proprio e poi insomma è o non è la figlia di Bella, e nipote dell'ex capo della polizia. Nessie super detective all'attacco! Sclero a parte, bhè si un pochino l'idea era quella, anche se io all'inizio ne avevo un'altra per lo svolgere della storia ma che poi è completamente cambiata quando ho deciso questa nuova soluzione! Comunque piaciuta la sorpresa di EJ? Non si è trasformato ma lo spirito del lupo si è fatto sentire! ghghgh!^^ A presto forse anche in giornata!Besos

noe_princi89:  ah ah hai visto! I Volturi non erano loro! Ed ora vedremo se la prossima sarà la destinazione definitiva!

Scusate, cambiamento dell 14.09: volevo ringraziare Nessie 90  per il complimento molto lusinghiero che ha mi ha fatto per il primo capitolo che mi ha fatto due giorni fa e che me ne sono accorta solo ora. Grazie mille, ma non credo che posso arrivare a fare concorrenza a lei, è pur sempre vero che lei è la mamma dei personaggio anche se io ne ho creati di nuovi ... baci!

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI E VI PREGO RECENSITE! Mi fa piacere saprere cosa pensate! Baci!

Mally

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Capitolo 46
*** EXTRA JACOB: Nel buio. ***


Note dell'autrice:  Questo non è un capitolo ma un piccolo extra, dove Jacob si abbandona ai suoi pensieri durante la prigionia. In realtà c'è un piccolo spoiler ma è molto mascherato quindi non vi do altri indizi. Nella trama originale non era contemplato (totalmente ispirata l'ho scritto oggi pomeriggio), però dato che mi è stato gentilmente chiesto ho pensato di farvi capire cosa gli è successo e cosa pensa.

Questo lo dedico a NEVER LEAVE ME, che mi ha ispirato questo estemporaneo extra,  diciamocelo questo è il vero regalo per la centesima recensione. Quindi spero vivamente che ti piaccia anche se non è molto lungo.

Alle recensioni risponderò al prossimo capitolo e se volete continuate a commentare quello precedente.

 

EXTRA JACOB: Nel buio.

< Come non riuscire a non pensarti. Non sono solo, ma neanche lei riesce a parlare. Non rivedremmo mai la luce del giorno, costretti in questa nera prigionia, tra gli stenti, drogati, pestati come criminali. Non è giusto. Eppure un crimine l’ho commesso, mia Stella. Non sono stato capace di proteggere la cosa più importante per noi e li hanno presi. Vili sanguisughe! Li vogliono costringere con un ricatto cruento, rendere schiavi, come volevano fare con te. Approfittano delle porcherie che ci iniettano ogni giorno, per sopraffarci. Ebbene, ne avranno da fare. Conosco bene i nostri figli e so anche quanto ti somiglino. Non riusciranno a piegarli. Ed io non voglio che rinuncino alla loro libertà. Li vedo di rado, quel poco che intercorre tra una seduta di rieducazione e il narcotico del giorno. Loro sono lì e ci guardano, mentre fanno di noi carne da macello, ma cerco di resistere. Finché non muoio, saranno immuni alle percosse, non si accaniranno su di loro. Ma dubito fortemente che se io smetto di respirare, si trattengano da usare la forza contro i nostri figli. Anche Leah ne è consapevole e resiste al di sopra di ogni umana forza. Non permetterebbe mai che facciano del male a loro due. Oggi è il suo turno. Mantengono un buon ritmo, nemmeno la nostra capacità di guarigione riesce a fare nulla contro la loro velocità. Se guardo al mio torace sento ancora ogni calcio, ogni bruciatura. Ieri ci sono andati pesanti. Hanno sputato veleno su di una ferita aperta e sono stato male per ore. Ci spingono a trasformarci spesso e volentieri, alterano ogni nostra percezione per indurci a diventare aggressivi per poi sedarci e colpirci. Vigliacchi! Come quel giorno nella foresta. Facile prendersela con chi non può difendersi. Eppure mio piccolo mostro, posso farcela anche quando mi sento d’impazzire. Posso farcela. Me lo ripeto e me lo dico. Tu sei così forte, non posso essere da meno. Ad ogni pestata, ogni calcio, pugno, scarica elettrica io penso a te mia Stella. Ti vedo. Forse è solo un modo della mia mente di schermarmi dalla violenza, con cui si accaniscono questi bastardi senza scrupoli. Ma ti vedo, sei lì con me e mi dai un appiglio per continuare. Oh amore mio, quanto starai soffrendo? Non sai dove siamo, chi ci ha presi. Nemmeno noi conosciamo i nostri carcerieri. Sappiamo solo della loro voglia di avere dei cani da guardia. Peccato che un lupo non sia molto ammaestrabile, avremmo avuto una vita più facile. Non devi piangere, amore mio, voglio solo che tieni duro, perché sono sicuro che ne usciremo in un modo o nell’altro, sempre che la droga mi lasci un minimo di lucidità per sortire da questo tugurio umido. M’immagino il tuo viso perfetto, tumefatto da tutte le lacrime che starai versando per  la paura di perderci. Quei lineamenti non sono fatti per essere inumiditi, no, mia piccola Stella. Sei nata con il sorriso e le fossette che scavano le tue guance. Impossibile che io non pensi a te o ai nostri figli. Sei il mio punto lucente, hai rischiarato con la tua esistenza la mia e mi hai reso ancor più felice quando ci hai onorato del nostro miracolo inaspettato. Ancora ricordo quella notte in cui abbiamo concepito i nostri figli, quando mi hai ripreso da quel fosso creato dalla mancanza di mio padre e mi hai risollevato, nonostante il tuo fisico sia un quarto del mio. Di nuovo. Sei totalmente inconsapevole di tutto quello che mi hai dato. Potrei paragonarti ad una spugna che lava via il dolore e la sofferenza e lo fai ad ogni tuo respiro con passaggi leggeri, che diventano belle pennellate quando sorridi. Ripenso spesso a quella notte che ancora brucia sulla mia epidermide con cicatrici piacevoli. Sento le tue mani percorrere ogni muscolo della schiena, il mio bisogno di averti molto più che accanto, con il mio corpo che scalpitava per unirsi a te. Era già a conoscenza di quello che ne sarebbe nato prima ancora che ce ne rendessimo conto noi stessi. Ricordo il riflesso della tua pelle alla luce della luna, che illuminava la nostra stanza mentre strappavo i vestiti che ti coprivano, non per un brama violenta di possederti, ma la voglia indicibile di sentire la tua pelle fondersi con la mia. E quel desiderio di completezza si colmò con la comunione di ogni cosa di noi e da quello nacquero i nostri piccoli miracoli. Il mio pensiero vola a te, non ti ho potuta nemmeno salutare, picchiato e scaraventato in questa cloaca, mia prigione. Non ho potuto implorare il tuo perdono per aver mancato di nuovo la mia promessa e stavolta, forse, qualcuno di più in alto ha deciso che la debba pagare con la vita. Ogni tanto mi trovo a sussurrare un ‘Mi dispiace’ ma tu sfumi, appena le mie parole ti arrivano. Amore mio, come vorrei che quell’illusione di averti davanti fosse reale. Aprono la chiavica sopra la mia testa, forse a quindici venti metri da dove mi trovo a cercare di riprendermi. È una cella piccola ed alta, e solo quella grata circolare è l’unico accesso di questa stanza sotterranea. Se non fosse per quella luce blu che crea un fascio nel buio, non ci sarebbe null’altro. Quando vengono a prenderci calano una scaletta di metallo che ci obbligano ad usare. Per quanto riusciamo a saltare in alto non possiamo raggiungere la grata e le pareti lisce non hanno appigli per arrampicarsi. Ma quando ritorniamo, ci lanciano da quell'altezza, incuranti se atterriamo o meno sulle gambe o sulle zampe. Oggi si sono stancati presto di torturare Leah. La mente mi gioca bruttissimi scherzi, vedo cadere più di una figura. Si, amore mio, sono impazzito o forse sto per morire. Ti sento. È la tua voce la riconoscerei ovunque. Ma tanto lo so è solo un’illusione, un processo mentale che svanirà appena mi rendo conto che per fortuna non sei qui. Ma permettimi illusione, permettimi di dirle che l’amo più della vita che continuerò a farlo pure quando io soccomberò all’ennesima botta. Le sarò accanto persino dall’aldilà. Oggi sei più presente illusione, come mai? Allora sei venuta realmente a prendermi nei panni del mio Angelo Salvatore. Spero solo che non scomparirai presto mia dolce e testarda metà … >

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Capitolo 47
*** CAPITOLO XVIII: Stirpe regale, vecchia e decadente. ***


CAPITOLO XVIII: Stirpe regale, vecchia e decadente.

La roccaforte che avevano scelto per la loro stupida e vecchia non vita, era una scenografia mozzafiato, medievale, di gran gusto visto la teatralità con cui si presentava: il sole picchiava forte sulle pareti bianche e sbiadite del castello, le tegole rosse si ergevano come fuoco innalzandosi verso il cielo in coni sempre più alti, quasi a voler raggiungere Dio. Ma nessuna creatura che abitava in quel tetro recesso poteva raggiungere altro se non l’inferno. Torri e torrette sovrastavano la verde campagna, mentre la costruzione più massiccia, evidenziava i plurimi  piani di cui era composta. L’imponente massa di pietra e calce rimaneva silenziosa e crudele ed imponeva con il suo sguardo severo, un timore giustificato per chi non vive delle vittime della schiavitù del sangue. Avvertiva i nemici di non provare ad abbatterlo, perché avrebbe resistito ad ulteriori secoli di battaglie ed intemperie. Il gigante parlava con il suo tono baritonale e cercava di sconvolgere il proprio avversario con un grido muto di battaglia. Ma io non ero un nemico impressionabile. Davide contro Golia. La storia insegna che le dimensioni non sono poi così importanti se si hanno i giusti mezzi e la capacità di utilizzarli. Ed io ero molto capace.

“Ho perlustrato la zona!” Massimo  piombò alle nostre spalle, sul tettuccio dell’auto che avevamo noleggiato con nomi falsi. Sobbalzammo entrambi poggiati sul cofano in sua attesa. Aveva indossato la mantella ed il cappuccio per ripararsi dal sole ed evitare di brillare, facendosi scoprire. “ La fortezza è ben sorvegliata anche con una giornata di sole!” prese un bastone ed iniziò a disegnare  a terra una rudimentale pianta. “Ci sono quattro guardie ad entrata che si trovano qui” ed indicò con un cerchio un lato “qui” indicando un altro punto “e qui! Sulle mura di vedetta vi sono almeno altre quattro guardie, una per torre!”

“C’è quindi un modo per entrare?” chiese Gabriel.

“Ovviamente si, ma solo Renesmee ha la fisionomia giusta per passare!” annuì velocemente invitandolo a continuare “In questo punto c’è un canale di scolo delle acque piovane il suo diametro è poco più di un metro, sia io che te rischieremmo di rimanerci incastrati ma lei è perfetta!”

“Una volta entrata che devo fare?”

“Cerca di raggiungere la torre a Est, troverai una guardia di vedetta, puoi sopraffarla tranquillamente con le tue conoscenze di lotta! Da quello che ho capito questi vampiri hanno solo la forza bruta dalla loro parte, un po’ come tuo zio Emmett, ma con meno esperienza, afferrato il concetto?” annuì ancora, ero sempre più impaziente di agire “Quando sarai in cima ci farai un segnale e noi ci arrampicheremo lungo le mura, una volta entrati andremo nelle segrete sotto la torre ovest! Ci sono molte guardie, immagino che sia proprio lì che tengono la tua famiglia Nessie!” stavo per dire qualcosa ma improvvisamente mi sentii sospesa, come se la mia testa si fosse improvvisamente disconnessa  “Agiremo subito io posso espandere il mio scudo sensoriale su di una persona ma potrei perderti, finché riesco a seguirti sarai abbastanza coperta! Stai comunque attenta fra tutti i sensi la vista è quello che riesco di meno ad escludere per colpa del suo approccio eccessivamente diretto, cerca di rimanere sempre nascosta! Questa purtroppo è la mia limitazione!” si fermò nella sua spiegazione guardando il mio stato confusionale, tenevo una mano stretta sulla stoffa della camicetta all’altezza del petto dove il mio cuore aveva preso a battere in maniera spasmodica “Ehy tutto bene piccola Cullen?”

“Si, si!” mascherai al meglio il mio stato d’angoscia, non era per la paura di morire no, ma per la paura di fallire e condannare i miei figli ad ulteriori torture “Solo un po’ di ansia da prestazione!”

“Stai tranquilla, riusciremo a salvarli inoltre i tuoi saranno qui massimo domani all’alba loro ci potranno aiutare e da Volterra stanno arrivando i rinforzi! Persino Marcus si è mobilitato, vedrai se qualcosa dovesse andare storto c’è il piano B!” ovviamente cercava di rassicurarmi, ma lui non poteva sapere quanto io avevo in gioco “Se comunque non te la senti possiamo aspettare loro!”

“No, agiamo tempestivamente! Potremmo giocare il fattore tempo a nostro favore!” presi le redini della mia forza le tirai e me ne feci un capo saldo “Se non avrete un mio segnale vuol dire che mi hanno presa!” mi alzai dal cofano ed osservai Massimo dritto negl’occhi con tutta la determinazione che potevo dimostrargli attraverso i miei. Lui sogghignò soddisfatto della mia reazione. “Andiamo, mostrami da dove devo entrare!”

“Sai, ai miei tempi saresti stato un ottimo speculatores! Grinta, rabbia e determinazione!” La nostra corsa durò poco più di un’ora. Ci acquattammo su di un albero da dove vedevo la piccola grata. Il suo spazio angusto incuteva una certa sensazione claustrofobica, ma non m’interessava. Quello che volevo era soltanto rivedere Sarah ed EJ, Jacob, Leah.  Lo scudo di Massimo ci copriva tranquillamente, ma per espanderlo gli serviva moltissima concentrazione soprattutto per la vastissima area che avrebbe dovuto rivestire. Scoprii una nuova analogia con lo scudo della mamma: se in più di una persona veniva avvolta dalla sue estraneazione, all’interno di quest’aurea la sua schermatura si annullava, nonostante non riguardasse il raggio di azione ma la persona fisica.

“Ora vai!”  percorsi il breve tratto di strada di corsa assieme a Gabriel che mi aiutò a scardinare l’inferriata, la puzza di fogna era tremenda e vomitevole arrivò diretta al mio stomaco e sentii il sapore della bile riversarsi nella mia bocca. Mentre stavo per entrare Gabriel mi guardò intensamente e prima che potessi dire una qualsiasi cosa sfiorò le mie labbra con le sue, non era un bacio violento e passionale, ma delicato, dolce, fugace, quasi volesse dirmi addio. Durò pochi istanti. Ma il suo sapore rimase per dei secondi in più. D’un lato mi sentivo completamente infuriata, approfittarsi di me in quella maniera ma da un lato lo capivo.

“Scusami, dovevo farlo!” scossi solo la testa e mi chinai per entrare nel cunicolo stretto e buio che aveva la parvenza di una bara cilindrica “Stai attenta!” annuì ancora confusa non era tempo di ribattere dovevo solo buttarmi nella mischia come avevo sempre fatto. Lo spazio angusto no permetteva nemmeno lo spostamento necessario a voltarmi. Potevo solo sentire il richiudersi della grata ed il suo allontanarsi a nascondersi con Massimo. Ora ero sola e dovevo sbrigarmi. Il Volturo attraverso un analisi della pianta aveva dedotto una specie di strada da fare, ma le sue erano solo supposizioni. Prima svolta a destra. La puzza era tremenda, acre  e penetrante, sembrava putrescente ed il cadavere di un ratto mi diede ragione. L’osservai per un istante. La carcassa in decomposizione si stava logorando nel tempo, le mosche gli ronzavano intorno segno che le pupe che si erano create su di essa si stavano sviluppando. Le ossa del torace erano ben in mostra ed i denti aguzzi quasi completamente scarnificati. Superai quello spettacolo raccapricciante, sperando di non diventare anch’io un pasto per vermi. Seconda svolta a sinistra. Camminavo carponi, con le mani appoggiate alla parete viscida di melma per sedimentazione. Sentii ad un tratto il lento muoversi di zampe sulla mia spalla ero paralizzata, non me l’aspettavo. Il mio cuore correva all’impazzata, Le mani tremavano mentre gli occhi sbarrati guardavano l’eleganza delle lunghe otto zampe che stavano per raggiungere il mio collo. Lo stomaco si strinse ed un violento conato spinse la bile al di sopra della gola. Con uno slancio di terrore e coraggio lo presi con una mano e lo scaraventai dietro di me lanciando un gridolino che subito smorzai. Corsi più velocemente con le lacrime agl’occhi la melma ovunque sul viso, sulle mani. Un bivio non previsto. Avrei dovuto continuare dritta ma invece davanti avevo solo un muro. Stavo per accasciarmi ed abbandonarmi allo sconforto. Maledette bestie ad otto zampe. Odiavo quel sensazione di malessere incontrollabile, quella paura inconscia che non riuscivo a governare. Poi un cambio di luce, di una quasi impercettibile tonalità più tenue in fondo al corridoio di sinistra, l’uscita. Sperai intensamente che non fosse solo un gioco della mia mente, un crudele modo per tenermi ancora alla flebile speranza di uscirne. Percorsi in breve tempo l’ultimo tratto del condotto. No, non era la mia immaginazione. Lo sgradevole odore della fogna venne presto sostituito. Tulipani, rose, gardenie. Erba tagliata, marmo. Un giardino curato. Un piccolo chiostro con una vasca a simulazione di uno stagno. Alcune ninfee galleggiavano al suo interno e per gridare vittoria assaporai ogni sfumatura del buon odore che mi stava ristorando. Una violenta ventata fredda e mi ritrovai nello stagno. Lo scudo di Massimo mi aveva persa, come una sciocca avevo dirottato il mio percorso ed ora mi trovavo allo scoperto. Emersi dallo stagno e l’energumeno che mi si presentava di fronte aveva tutta l’aria di uccidermi.

< Troppo presto morte, io ho ben altri piani! >

Guardai il mio nemico come un gatto che osserva un cane legato giusto alla distanza che gli permette di essere vicino al muso per graffiarlo, ma abbastanza lontano da non finire tra le sue fauci. Il cane abbaia, si dimena mentre il collare lo strozza ma il gatto non si muove. Ed io così stavo ferma con un ghigno di soddisfazione con pochi salti agevoli ritrovai l’aurea di Massimo. Lui scrutava il vuoto, inerme e disorientato mentre il gatto si divertiva a prenderlo in giro.

< Vieni a vedere dove sono finita! > mi dicevo < Avvicinati, bastardo! > un passo ed era a mia portata. Gli presi la testa e con una torsione del busto lo scaraventai addosso alla parete di marmo bianco creando un gigantesco solco.

“Cosa diavolo sei, brutta megera?” risi senza lasciarmi scoprire mi divertii molto ad essere un fantasma per i suoi sensi ma come aveva detto Massimo la vista aveva delle falle e finii a breve di nuovo scoperta. Cominciammo a lottare, la mia esperienza contro la sua forza, era una dura danza letale, io agile e scattante, lui greve e nerboruto. Schivavo facilmente i suoi colpi improntando il mio attacco sulla difesa. Cercò di sferrare un pugno contro il mio stomaco, io mi scansai abbassandomi sulle sue gambe che feci cedere con un colpo secco sulle ginocchia. Mi avventai sulla sua testa avvinghiata saldamente  per mantenerlo  il più possibile fermo. Cercava di divaricare le mie gambe strette sul busto contrapponendo le braccia, sforzandole verso l’esterno mentre io avevo preso a mordere la sua carne di calce rompendone i tendini. Come un piccolo strappo sulla stoffa la lacerazione si propagò lungo tutto il collo staccandola definitivamente. Il suo corpo cadde a terra immobile, tenendo ancora la testa fra le mie mani. Era la prima volta che uccidevo sul serio. La prima volta ma non sentivo altro che una strana euforia primordiale, la furia di una bestia ferita da degli animali molto più crudeli. Stavo ancora gioendo della mia vittoria quando venni accerchiata da quattro velocissimi vampiri. Due tolsero la testa del loro compagno dalle mie mani e presero il suo corpo, gli altri mi avevano immobilizzata pronti a squartarmi come un capretto nei giorni di Pasqua. Il trambusto che avevo creato, la mia esitazione mi aveva condotta alla fine. Confidai in mia madre, mio padre il resto della famiglia per salvare la loro vita, la mia sarebbe stato solo il minimo prezzo per averci provato.

“Fermi!” gridò qualcuno di provvidenziale “Prima di uccidere questa intrusa dobbiamo portarla al cospetto dei nostri signori assieme ai nostri nuovi ospiti!” ecco cosa era successo per questo la falla era stata così grande, per questo non ero più coperta dallo scudo di Massimo. Anche loro erano stati presi. Era finita. Si era decisamente finita.

 

I due pallidi dalla pelle trasparente come una sfoglia di cipolla, si muovevano poco e nulla. Guardavano soddisfatti il loro nuovo bottino. Gabriel era malconcio, il suo cuore batteva a stento il corpo coperto di graffi e lividi scuri. Massimo era dall’altra parte della sala immobilizzato con gli occhi coperti da tre bende scure. La sala contava una ventina di vampiri, con un aspetto da culturisti. La forza bruta. Nei numeri conta. Forse Davide se si fosse trovato di fronte un esercito di Golia non sarebbe stato così sicuro di sé. Io non ero Davide, e non tentennai. Il mio sguardo ferino si posava sui vecchi e decadenti personaggi della letteratura irlandese. Dracula uno e Dracula due. Vampiri di un tempo indecifrabile, con alle spalle millenni probabilmente, magri coperti entrambi da un completo nero di fine fattura, con due spille speculari che rappresentavano fiamme le stesse che tingevano gli occhi di quei mostri.

“Eccoti qui, Renesmee! È il caso di dirlo: chi non muore si rivede!” i maledetti Vladimir e Stefan, i due tremendi vampiri del regime del terrore precedente a quello dei Volturi.

“È da tanto che non ci vediamo, più o meno vent’anni! Sei cresciuta magnificamente e la tua discendenza è il degno risultato di cotanto splendore! A quanto vedo il giacere con un infimo cane … ” quell’ultima parola uscì come un sibilo tagliante “… ha dato i suoi frutti!” Vladimir s’alzò e si avvicinò in maniera tale da potermi accarezzare il viso. Non era molto alto, magro con quei suoi capelli scuri ad incorniciare il viso, gli occhi bordeaux di un colore simile al zampillante sangue venoso.

“Non osate toccarla!” gridò Gabriel furente, tentava di divincolarsi ma tutto era vano. Le sue iridi erano cambiate si distinguevano nell’oscurità per il loro chiarore. Ma i vampiri che lo afferravano tenacemente per le braccia, portavano dei guanti. Ci stavano aspettando e conoscevano ogni nostro trucco.  

“Quanti ibridi interessanti esistono! Siete una specie superlativa, una risorsa preziosa!” il moro si spostò verso Gabriel dall’altra parte della sala iniziando a studiare il suo viso sempre più trasfigurato dalla rabbia, digrignava i denti ed un terribile gorgoglio proveniente dal suo petto gli faceva vibrare le labbra, in un ringhio di sfida “Questo assomiglia troppo ad una nostra vecchia conoscenza! Non trovi Stefan?”  il vampiro interpellato si spostò rapidamente a pochi millimetri dal suo naso soffiando gelidamente contro il suo volto.

“Vedi piccolo insulso mezzo sangue, il tuo caro paparino ci ha dato tanti problemi, mi piacerebbe tantissimo far provare alla tua pelle la sensazione di dolore ma …” il suo tono suadente tradiva l’efferatezza del suo proferire “Ci sarai più comodo da vivo!”  i capelli canuti appena apprezzabili per il finto splendore che emanavano, si mossero scivolando verso il basso, Stefan rimaneva il più inquietante per il modo di parlare.

“Cosa volete da noi?” ero accecata dall’ira, volevo solo staccare quelle vecchie teste e farle ruzzolare a terra a segno di rovina della loro gloria, come una vecchia stirpe regale decaduta e piegata al volere del popolo.

“Penso che tu l’abbia già capito, vi abbiamo studiato bella Renesmee e vogliamo con noi qualche cagnolino da compagnia sai ci sentiamo così soli!” rise come cercando di contenersi della sua stessa battuta.

“ È ora di sterminare questa stramaledetta feccia italiana, e devo ammettere che proprio voi ci avete donato l’ispirazione! I cani sono la chiave per riprendere il nostro potere!” strinse un pugno all’altezza del suo naso come se stesse già accaparrando quello che per lui era un diritto.

“Le vostre faccende non ci riguardano!” ero completamente accecata volevo solo vederli soccombere “Non vogliamo avere niente a che fare con la vostra sete di vendetta! Perché non prendete dei figli della luna e ci lasciate in pace!” risposi con il veleno negl’occhi, lo sentivo ribolliva quella piccola parte di me intrisa del sangue di mio padre.

“I figli della luna non sono ammaestrabili, i vostri amici invece si!” rispose cordialmente il moro. “ E poi tu ci hai offerto due cucciolotti interessanti: più forti dell’una e dell’altra specie, meraviglioso! Magari potresti sfornarne qualcun altro, sarebbe fantastico!” con un gesto d’intesa si osservarono l’un l’altro. Cosa volevano che facessi, che procreassi un esercito per loro? Mai! Quel pensiero era disgustoso, nauseante, depravato.

“Non ti scordare, Vladimir con noi abbiamo anche la lupa femmina, chissà se con il mezzo sangue sia compatibile!” e questo era ancora più assurdo.

“Maledetti!” l’urlo di Gabriel si propagò in tutta la sala quadrata dove risiedevamo  “State parlando di persone vi rendete conto? Non siamo le vostre cavie!”  persino le tessere dei mosaici a terra tremavano di quel suono: chiamato in causa aveva perso le staffe.

“Cosa ne vuoi sapere tu, figlio di Aro? Tuo padre non faceva altro che sperimentare su esseri umani, distruggere i clan più potenti con tutti i loro averi per annettere qualche preziosità alla sua collezione di talenti!”gli occhi di Stefan divennero paonazzi e completamente sconvolti. L’argomento aro era l’unico che poteva smuovere le acque. Un sentimento forte come la rivalsa era di vitale importanza per i vampiri, li guidava fino alla completa follia. Ma c’era una collera che stava montando, un’ira che sicuramente non avevano mai visto  “Impara a tenere a freno la tua lingua o preferisci che la diamo in pasto a qualche animale del bosco che tanto ti piacciono, piccolo rinnegatore!”

“Voi non farete mai degli esperimenti sui i miei figli schifose sanguisughe non ve lo permetterò!” stavo per partire volevo ucciderli, non dovevano permettersi quelli erano i miei figli. “Volete essere come i Volturi ma al massimo siete la loro squallida imitazione, siete solo le rovine su cui è stato costruito un nuovo impero, meglio che impariate a perdere con stile!” man mano che la sua collera saliva io mi sentivo soddisfatta “Eravate dei fossili, deve essere stato molto facile per Aro distruggervi, a forza di essere serviti vi siete dimenticati di come si combatte, vero? Scommetto che vi siete circondati di questi body guard solo per la paura che qualcun altro prenda a calci le vostre chiappe polverose!” l’influenza di Jake era utile in certi casi, ma spesso era troppo deleteria.

“Smettila emerita sgualdrina, dopo tutto quello che abbiamo fatto per te!” la mano di Stefan vibrò sulla mia guancia ed io volai per tre metri sul pavimento liscio. La sua voce aveva assunto dei toni pazzeschi si era trasformato liberando il folle maniaco che era in lui. Il suo volto crudele era ad un centimetro da me con la mano  cercava di soffocarmi mentre la tentazione del mio sangue prendeva strada in lui, i suoi occhi cominciarono a macchiarsi di nero come una goccia d’inchiostro sulla carta porosa della pergamena. Gli ringhiavo, se mi avesse ucciso lo avrebbe fatto combattendo.

“Stefan, non vorrai far saltare il nostro piano sarebbe sconveniente non trovi?” a quelle parole tolse le sue mani dal mio collo. Gabriel guardava esterrefatto la scena, Massimo era stato trascinato via cosa che capitò ben presto anche a noi.

 

Il posto in cui venni gettata assieme a Gabriel e  a Massimo,  era una prigione sotterranea, l’accesso era concesso da un largo tombino a terra. Caddi sulla schiena a pochi passi dal mio amico e guardando in alto vidi le guardie sorriderci e salutarci con un gesto della mano. Il buio intenso che avvolgeva l’intero spazio era interrotto soltanto dalla luce bluastra che proveniva dalla grata in alto. L’aria era intrisa d’umidità e la condensa gocciolava con un assordante rumore. Mi alzai in piedi e sentii un guaito alle mie spalle. No, non un guaito. Un gemito. Il buio era troppo condensato, sembrava composto di pigmenti neri che lentamente si spostavano accendendosi come delle piccole spie. Una grande sagoma scura prendeva sempre più forma diventando sempre più chiara. Avanzai di un passo verso quel buio, quello stramaledetto fascio di luce non mi permetteva di abituarmi all’oscurità. L’avevo già distinto ma temevo che quello fosse un sogno.  La sua testa si sollevò stanca, riuscivo a distinguere il suo corpo smagrito appena coperto da informi pantaloni. Gli occhi brillarono nel buio. Erano di un’oscurità più intensa di quella che ci circondava, imperscrutabili nel loro essere in comunione con me. Non potevo crederci.

“Jacob?” un attimo un suono sordo e poi l’unica cosa che avrei voluto ascoltare fino alla fine dei miei giorni.

“Renesmee?” la sua voce era flebile, poco più che un roco sussurro. Intrapresi un altro passo affondando in una pozza che con il suo agitarsi rimbombò ripercuotendo sulle pareti un eco dei suoi schizzi contro la mia scarpa. Sollevò il busto un secondo gemito che passò inosservato, trovandosi genuflesso ai miei piedi. Era lui, una parte della mia vita forse l’unica cosa che non mi sarei aspettata.  Mi abbassai anch’io al suo livello e i jeans si intrisero dell’umidità della pietra, diventando fradici. Eravamo viso contro viso, increduli entrambi con la paura e l’impazienza tra le mani. Non volevo toccarlo per credere che fosse solo un’illusione “O mio Dio, Nessie sei tu, non sei un’allucinazione!” allargò le braccia ed io mi trovai ad abbracciarlo con tutta la forza che avevo. Baciai gli zigomi, le labbra, il naso, le guance, il collo. Era lui, non potevo crederci e mi ricambiò facendo altrettanto. Ci stavamo studiando, riscoprendo “Mi dispiace amore mio, mi dispiace, non dovevo farmi cogliere impreparato ti prego non odiarmi se puoi!” non avrei potuto mai odiarlo. Nemmeno volendo, nemmeno ritenendolo responsabile, per una volta c’era un gigante più grande di noi.

“No, non ti posso perdonare, perché non c’era nulla che tu potessi fare!” lo strinsi ancor di più a me, ma mi bloccai quando gemette nuovamente di dolore. Allontanandomi di poco vidi le ferite che ricoprivano il suo corpo: graffi, lividi, forse c’era anche qualche costola incrinata. Aveva anche dei segno di bruciatura da teaser. Ero inorridita da una tale dimostrazione di violenza gratuita, disgustata dal tenebroso spettacolo che ogni segno mi offriva. Il sangue incrostato era contaminato da quello più fresco che sgorgava dalle lesioni più nuove. Con delicatezza passai le mie dita più fresche della sua temperatura su alcune di esse. Lui continuava a fissarmi in viso ancora accertandosi che io fossi reale.

“Cosa ti hanno fatto?” ero praticamente senza fiato ancora stordita dalle torture raccontate dalle piaghe che ricoprivano ogni centimetro scoperto.

“Non vorresti saperlo!” la sua serietà mi fece tremare. Se avevano riservato a lui questo trattamento cosa avevano fatto ai miei figli?

“Perché?” non mi rispose prese solo il viso fra le mani  e chiuse gli occhi, posando la sua fronte sulla mia. Iniziò ad inspirare a fatica, ma la debolezza che lo aveva caratterizzato fino ad allora lo stava via via abbandonando. “Jacob cosa hanno fatto a Sarah ed EJ?” si morse il labbro e la sua bocca si contrasse esprimendo l’amarezza di un pensiero “Jake, Cristo rispondimi dove sono Sarah ed EJ, cosa gli hanno fatto?” presi le sue spalle e cominciai a scuoterlo con il terrore che improvvisamente si sostituiva alla gioia di essere nuovamente fra le sue braccia.

“Loro stanno meglio di me, credo!” parlava a stento, il mio Jacob quello a cui le parole uscivano come un uragano non riusciva a spiccicare una frase completa “L’imbottiscono con della robaccia che li tramortisce, si ribellano!”

“Si ribellano a cosa, Jake?”

“Li obbligano ad assistere!” abbassò lo sguardo. Dio mio! quella era una tortura psicologica. Li stavano costringendo a vedere i loro cari soffrire, torturati fino alla perdita dei sensi, drogati e picchiati. Io non sarei sopravvissuta più di qualche secondo. Era ancor più grave di quel che pensassi. “Qualsiasi cosa vogliano da loro, la stanno cercando di ottenere con la violenza! A turno ci torturano drogandoci con non so cosa  …” tremai ancor di più e mi trovai avvolta da quel calore indefinibile e rassicurante, il mio mondo era con me ed ora mi sentivo più sicura.

“Maledetti è questo il loro piano, ora che hanno anche noi sarà più facile convincerli a collaborare!” solo allora intervenne Massimo, aveva lasciato lo spazio per salutarci, ma ogni cosa sembrava ormai portata allo stremo. Jake sollevò la testa e finalmente si accorse anche degl’altri due prigionieri.

“Cosa vogliono dai nostri figli?” la sua voce tuonò nella cella che ci racchiudeva come sardine in una scatola di metallo. Avvolse con ancor più impeto il mio corpo, come se proteggendo me proteggesse anche loro.

“Li vogliono dalla loro parte, li vogliono nel loro esercito per una marcia verso Volterra!” la voce di Massimo vacillò da sotto quella nube bluastra che illuminava i loro visi in una maniera spettrale “Vogliono i lupi, vogliono il branco, vogliono i Cullen. Vi stanno attirando tutti qui per ridurvi in schiavitù!” l’urgenza ora era diventata primaria, se non altro dovevamo porre i miei famigliari in una posizione di vantaggio. Se noi fossimo riusciti a scappare almeno non saremmo rimasti nella loro morsa di morte ed sopra ad ogni cosa dovevo permettere a Sarah ed EJ di fuggire. In quella impellenza non mi ero accorta di una presenza mancata. Leah non c’era. La terra sotto i miei piedi tremò.

“Leah dov’è?” sapevo già la risposta ed il suo irrigidirsi ne fu la conferma. “Lo stanno facendo ora …” ingoiai un groppo di saliva acre come l’aceto.

“Ma voi come siete arrivati qui?” affondai la testa nel suo petto ma lui mi discostò capendo che forse avevo tentato una pazzia “Dov’è la tua famiglia, Nessie?” abbassai gli occhi cercando di non incontrare quel rimprovero pronto sul suo viso, quella rabbia che riaffiorava quando mi buttavo a capofitto in un’impresa.

“Stanno arrivando …”

“Cosa?” mi scansò delicatamente tenendo le mie spalle, per guardare il viso quasi completamente oscurato “Avete agito da soli, ma siete impazziti? Sei sempre la solita incosciente che volevi fare suicidarti?” non avrei mai potuto dirgli che c’era questa possibilità, purtroppo era contemplata se non fossi arrivata in tempo.

“Jacob, se posso permettermi, prima che tu dia in escandescenza,  penso che ora dobbiamo solo provare ad agire e sperare che quello che ho in mente funzioni!” quel minimo barlume di speranza si riaccese in me guardai Gabriel curiosa, aveva preso parola e tutti ci eravamo ritrovati ad ascoltarlo con attenzione. Bene se c’era anche solo una sottospecie di piano l’avremmo attuato. Massimo scambiò uno sguardo complice con Gabriel era come se avesse capito più o meno cosa aveva in mente “Sperando anche che i rinforzi arrivino al più presto!”.

 

Note dell'autrice: Buonasera a todos! Gabriel ha una sottospecie di piano speriamo che funzioni questa volta! Quello precedente era stato smascherato ed ora si trovano imprigionti nelle segrete mentre Sarah ed EJ stanno nella sala delle torture con Leah. Il prossimo sarà il penultimo capitolo e quello finale sarà la vera parola fine di tutto. La serie Grey Day in darkness si concluderà definitivamente. Si metterò una fine fine. dio che brutto pensarci ora a due capitoli.

Va buon passiamo alla risposta delle recensioni:

kandy angel: tesoro grazie per entrambi i capitoli! Un bacione!

Lione 94: Capitolo: Massimo è un personaggio che io personalmente amo. lo vedo come un Carlisle più vivace, ma buono come Marcus. Anche un po' avventuriero, insomma una mente brillante per questo era uno dei servizi segreti romani. Peccato che il piano non sia andato proprio come speravano però ora Jake e Nessie sono insieme e possono combattere fianco a fianco. Vedremo cosa ho combinato con la mia mente malata.

Extra: ohhhh mamma! i tuoi complimenti mi fanno tremare, grazie! E poi hai indovinato lo spoiler ma non so se avevi capito che erano stati presi anche loro ... me malefica quando si tratta di complicare le cose sono un asso.

never leave me: ehy tranquilla capisco che sia un momento particolare! allora spero che tu riesca a recensire domani che posterò praticamente il capitolo finale! In bocca al lupo (è il caso di dirlo) per la tua verifica e fammi sapere come è andata, ovviamente! Povero Massimo, è vero esistono i cellulari ma lui non li usa per via della rintracciabilità, il suo potere è molto più efficace per non farsi scoprire.  Ci sono orecchie dappertutto e si è visto. Li stavano praticamente aspettando. Aspetto anche il tuo commento all'extra che ti ho dedicato. Un bacione ed ancora in bocca al lupo, in culo alla balena, speriamo che non caghi e che nessuno faccia l'onda (piccolo rito propiziatorio che io faccio sempre prima di un esame mi guardo allo specchio e mi faccio gli socngiuri da sola =_='')

noe_princi89: Grazie mille cara per i tuoi complimenti sia nel capitolo precedente che nell'extra. Un bacione!!!

kekka cullen: o mammina saura ti ho fatto piangere, devo ammettere che anch'io mi sono sentita commossa nello scriverlo. L'ho fatto poi ascoltando Solo per Te dei negramaro giusta colonna sonora per una cosa simile. Dracula 1 e Dracula 2 sono micidiali, mi ha sempre colpito il fatto che loro erano più tremendi dei volturi e quindi li ho sempre immaginati crudeli e tremendi, senza troppe cerimonie anche se ci provano ad essere un pochino come Aro, ma poi si rilevano i soliti Mignolo col Prof. Comunque ci avviciniamo alla fine, quindi prepara i fazzoletti. Io già singhiozzo come una scema.

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI QUELLI CHE MI SEGUONO, CHE MI LEGGONO, CHE MI RICORDANO, CHE MI PREFERISCONO!

XOXOXO

Mally

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Capitolo 48
*** CAPITOLO XIX: In trappola. ***


CAPITOLO XIX: In trappola.

 POV Sarah

Ogni giorno quella poca luce delle prigioni sembrava sempre più fioca. Faticavo persino a vedere EJ, nell’angolo sudato e quasi completamente incosciente. Da circa un’ora si era addormentato tranquillo. Tutta quella robaccia che ci iniettano di continuo, ha cominciato a dare segni collaterali su di lui e spesso smania, sta male. Io gli sono accanto, sempre, per quanto mi è possibile, quando l’effetto su di me svanisce per un po’. Per EJ la dose era sempre doppia, il suo potere spaventava i nostri carcerieri e ne avevano avuto abbastanza assaggi da quando ci portarono in questo posto.  Dopo la prima volta quando mio fratello aveva alzato lo scudo, lasciandoli lontani per ore dal corpo inerme di mio padre la nostra sorte era stata quella di essere drogati oltre ad ogni ‘seduta di rieducazione’, così le chiamavano.  Io preferivo definirle torture e coercizioni morali. Conoscevano bene le dinamiche della mia famiglia, il forte senso di sacrificio che ci accumunava. Non so esattamente quanti giorni fossero passati, dalla nostra cella non era permesso vedere il giorno. Ma ogni volta ci prendevano di forza e ci obbligavano ad assistere alle torture che applicavano a mio padre, a Leah. L’ultima seduta mentre ancora si accanivano su di lui, venne fuori il vero motivo per cui ci tenevano dietro le sbarre: ci volevano come ‘alleati’. Peccato che non avessimo nessuna intenzione di diventare degli sporchi assassini. Ma nonostante tutto, quando iniziarono a minacciarlo molto più crudelmente, stavo quasi per dargliela vinta Lo avevo sulla lingua, lo sentivo che mi stava uscendo insieme alle lacrime che non avevo mai versato fino ad allora. Tenevano ferma la sua testa e le sue zampe, mentre un terzo vigliacco teneva pericolosamente i suoi denti intrisi di veleno puntati sul suo corpo. Purtroppo il più grande insegnamento che avevo ricevuto dalla mia famiglia era quella di non cedere mai ai ricatti. C’era troppo orgoglio nel mio sangue per diventare una schiava della loro sete di vendetta. La loro impazienza divenne eccessiva e quel bastardo sputò sulla sua ferita lacera provocandogli una sofferenza bruciante. Era passato abbastanza tempo, presupponevo che presto ci sarebbero venuti a prendere di nuovo. Chissà se la nostra famiglia si stava muovendo, se ci stavano cercando in ogni angolo del mondo, se sarebbero stati loro a prelevarci. Quanto poteva essere dura per la mamma vivere l’incubo di aver perso figli e marito. Forse si stava disperando, tra le lenzuola  a versare fiumi di lacrime e a contorcersi nel dolore. No. La conoscevo troppo bene per sapere che stava sicuramente cercando di architettare qualcosa, e non mi sarei sorpresa di trovarmela davanti da un momento all’altro. Forse era solo una speranza vana. Un desiderio, la voglia matta di uscire da questo inferno. EJ si mosse emettendo una specie di guaito. Si stava per svegliare, presto sarebbero intervenuti per infilargli nuovamente un ago nel braccio e farlo tornare ad essere uno zombie. E pensare che comunque durante le sedute riesce persino a parlare ed a inveire contro gli aguzzini di turno. Eccoli, li sentivo aprire il primo cancello. Mi avvicinai ad EJ e cercai di asciugargli la fronte con il lembo della maglia con cui ero vestita.

“Shh, EJ cerca di stare il più fermo possibile, forse stavolta non t’imbottiranno come al solito se vedono che sei ancora incosciente!” mugugnò un qualcosa, aveva la  bocca impastata. Cosa avrei dato per un sorso d’acqua per lui. Erano arrivati al secondo cancello. EJ si girò su di un fianco, posando la testa sulle mie ginocchia, raggomitolandosi in una posizione  fetale. Il terzo cancello. Presto sarebbero giunti qui.

 

“Basta, basta lasciatela stare, non prendetevela con lei!” scariche elettriche, pestaggio selvaggio, frustate con ganci. Ed era solo una minima parte quello che stavano infliggendo da ore al minuto lupo grigio. Leah era confusa, guaiva, non riusciva nemmeno a reggersi in piedi, non poteva reagire. Eravamo nella sala delle torture, io ed EJ completamente immobilizzati e drogati. Entrambi con un tranquillante da stendere un cavallo, coscienti ma allo stesso tempo inibiti di ogni potere. Sia papà che Leah ci avevano intimato di non arrenderci mai, ma era difficile quando dosi di Metadone viaggiavano nel corpo, persino la loro scorza dura stava per cedere.

“Così la ucciderete!” aveva detto debolmente EJ. Era più irrequieto ed allora il tranquillante iniettato era in un dosaggio maggiore. Una proporzione perfetta, odiose sanguisughe. Avrei volentieri visto come in una lotta alla pari se la sarebbero cavata contro il branco.

“Ehy  Edmund, hai sentito che ha detto il bastardello?”

“Si, ma sai non ci interessa della vostra sorte soprattutto di quella di questa cagna in calore!” con un calcio la gettò al muro accanto a me.

“No!” urlai con tutto il fiato che avevo in corpo. Si stavano accanendo sul debole corpo di Leah martoriato dalle torture quando un forte odore d’incenso penetrò nella stanza. Un debole fumo appena visibile sorpassò la fenditura tra la porta e il pavimento. Sentii solo lo scricchiolare del legno poi un colpo secco e forte che rintronò nella stanza. Mille schegge volarono irrequiete sopra le nostre teste, tanto che per evitarle fui costretta a voltare il mio viso. Una grande massa color della ruggine si avventò sul primo vampiro che tentava di afferrare il suo corpo per stritolarlo. Ma proprio mentre stava per prenderlo, alle spalle del vampiro comparve una piccolo fulmine dai boccoli ramati, che con forza strattonò la sua testa all’indietro recidendola dal collo con un taglio netto dei denti. Dall’altra parte invece altri due angeli si stavano occupando del secondo. Un angelo di morte, dai capelli neri e gli occhi azzurri era lì per salvarci. Erano riusciti a bloccare l’energumeno poco più piccolo di mio padre in forma umana e tenevano salde le sue braccia pronti a strappagliele, tenendo un piede sul fianco per stabilizzare il baricentro ed applicare una leva maggiore. Tutto accadde troppo velocemente per la mia mente annebbiata, vidi solo pezzi di vampiro che volavano a destra e a sinistra e ben presto divennero una pira in fiamme.

“EJ! Sarah!” sopra la mia testa il rumore di chiavi che aprivano le manette indistruttibile a cui ero agganciata e due occhi azzurri densi ed impenetrabili mi sorressero dal cadere in terra. Guardai alla mia destra. La mamma aveva staccato EJ che ciondolava su di lei a peso morto, tanto che fu costretta ad indietreggiare un passo per riuscire a sorreggerlo per poi adagiarlo sulle sue ginocchia. Io invece riuscivo stare in piedi tranquillamente, gli effetti stavano di poco svanendo.

“Mamma?” tentennò EJ, la voce impastata era molto debole ma riuscì a prendere una lacrima che scendeva sul suo viso “Sei veramente tu?”

“Si cucciolo, sono la mamma!” lo cullava stringendolo a sé come da bambino ed io li guardavo da lontano. Ma quella piccola mano candida si sollevò quasi istantaneamente, invitandomi ad andare da loro. Gabriel mi aiutò ad arrivare fino da loro, dove mi inginocchiai abbracciandole le spalle. Sentivo il dolore, la sofferenza, l’ansia la vidi in preda al panico, la vidi determinata, il suo viaggio tutto quello che l’aveva condotta a noi. Cosa era riuscita a fare con solo la sua forza di volontà come arma? Quanto amore c’era in quell’abbraccio ritrovato? Era pronta a morire per noi come sempre. “Vi amo, vi amo tantissimo!” ci ripeteva mentre calde lacrime cadevano sulla mia testa. Un tartufo umido si posò sulla mia spalla. Il pelo rossiccio del suo muso era inconfondibile, mio padre voleva partecipare anche lui all’abbraccio così ci trovammo intrecciati gli uni con gli altri. Finalmente insieme.

“Nessie, dobbiamo andare!” alzò lo sguardo verso Gabriel annuendo, a me non interessava nulla. Sarei solo voluta rimanere fra le sue braccia. Mio padre si scostò e Gabriel aiutò la mamma a issare sulla sua groppa EJ incapace di camminare. Notai anche Massimo tenere fra le sue braccia Leah avvolta da una specie di giacca rubata a qualche sanguisuga. Negl'ultimi spazi della sua lucidità, erano riusciti a farla tornare in forma umana e più facilmente trasportabile.

“Sali su tuo padre, Sarah!”

“No mamma sono in grado di camminare!”

“Non basta tesoro, dobbiamo essere molto veloci! So che sei coraggiosa, conosco bene la voglia di non rimanere in disparte …” con lo sguardo saettò a mio padre che attendeva con il suo muso attento “… ma tu sei ancora troppo debole piccola mia! Ti prego cerca di capire! ” le sue parole mi convinsero anche perché la mia mente offuscata non mi dava molta forza per ribattere e non permetteva grandi spostamenti senza cadere a terra sfinita. Prima di uscire dalla stanza baciò mio padre tra gli occhi e poi ci trovammo in una folle corsa dentro il dedalo di corridoi che presentavano le segrete del castello. Non avevo mai visto mia madre combattere seriamente, esclusi i momenti di allenamento. Ne rimasi sconvolta: i vampiri che ci venivano incontro erano praticamente giganti in confronto al suo metro e sessantacinque ma lei si muoveva fulminea rapida, puntava alle debolezze studiando il suo avversario. Fulminea, rapida e fatale. Bastava un piccolo errore che i vampiri si trovavano in fiamme e Gabriel era ancora più letale, una serpe velenosa che si muoveva celere contro i suoi avversari. Ogni mossa era elegante, composta, sopraffina ed aveva una capacità di uccidere unica. Il suo stile era paragonabile ad una mantide per la rapidità dei gesti con cui induceva il suo nemico ad arrendersi ad un inevitabile destino. Usava persino il suo potere. Aveva costretto un vampiro a strapparsi il braccio ed un altro a gettarsi nelle fiamme. Ma per quanto forti, non potevano resistere a lungo da soli. Finché a venirci incontro erano piccoli gruppi, con l’ausilio dei poteri di Gabriel e di Massimo che cercava di mantenere il più possibile stabile la sua aura sensoriale, riuscivano tranquillamente a distruggerli. Ma quando ad ogni ondata i vampiri cominciavano ad aumentare, dato l’allarme che si era creato nella fortezza, iniziarono le difficoltà. Ogni speranza di riuscita della nostra impresa disperata terminò nel momento in cui, eravamo finiti in un vicolo cieco con le spalle al muro. L’armata finale, che contava circa sette vampiri, ci aveva chiuso in un angolo. Ormai non importava più a nessuno che ne uscissimo vivi. Con la nostra fuga avevamo dato un  messaggio ben preciso. Meglio morti che schiavi. Ma loro non sapevano quanti e quali rinforzi avevamo coinvolto. Dovevamo solo resistere almeno fino a quando non sopraggiungessero in nostro soccorso. Anche la semplice resistenza si stava rivelando una chimera. Vedevo mia madre guerreggiare ancora strenuamente, Gabriel dietro di lei continuava, riparandosi le spalle a vicenda. Mio padre ci aveva lasciato in un angolo coperti da Massimo e dal suo potere. Restava in piedi a di fronte a noi pronto a combattere se qualcuno osava anche solo avvicinarsi, ma si vedeva che fremeva per lottare anche lui. EJ si stava lentamente riprendendo, era con me con la testa abbandonata all’indietro contro il mio petto. Il nostro sangue circola veloce e il suo calore permetteva alle sostanze che avevano usato, di distruggersi molto più rapidamente nonostante le continue e forti dosi a cui era stato sottoposto. Leah aveva ripreso i sensi e tentava in tutti i modi di trasformarsi ma la droga che ancora aveva nelle vene, non le permetteva la giusta concentrazione. Il tempo sembrava trascorrere a rallentatore, vedevo tutti i loro colpi e il tentativo di ripararsi. Ad un tratto un piccolo lupo grigio si unì alla battaglia accostandosi a mio padre sulla destra coprendo il fianco. Insieme riuscirono a sterminare ben quattro vampiri, agivano in perfetta sincronia, come in una coreografia. Afferravano strappavano, dilaniavano ed un rumore di lamiere ripiegate, invase tutti i sotterranei. Ma mentre sembrava che stessero per avere la meglio, un altro stuolo di vampiri sopraggiunse a noi. Gabriel e la mamma avevano il fiatone, avevano combattuto senza esclusione di colpi ed avevano dato fuoco ai resti di quei sette vampiri, con i loro stessi fluidi che fungevano da combustibile. Ed aveva ragione mia madre. Lo spettacolo era raccapricciante. Sentivo un forte senso di disgusto che unito all’odore pressante d’incenso non riuscivo più a controllare. Se avessi avuto qualcosa nello stomaco probabilmente l’avrei vomitato. Ma possedevo anche uno strano senso di rivalsa, una sorta di appagamento nel vedere quei vermi strisciare ed implorare la nostra pietà. Questo era quello che la violenza provoca: genera altra violenza incuneando un meccanismo circolare che finiva per infonderti una malsana voglia di far provare tanto dolore ai tuoi aguzzini, una violenza dettata dalla necessità oggettiva di voler vivere senza costrizioni. Ed era per quello che i miei stavano combattendo. La nuova schiera di vampiri si sistemò in due file ordinate di sei membri ciascuna. A differenza degl’altri avevano la parvenza di essere più preparati e pronti ad usare ogni arma. Dalla nostra parte i lupi si trovavano ai lati più esterni mia madre era al centro mentre Gabriel e Massimo, erano al suo fianco. Noi restavamo in disparte ancora coperti,  dietro quella colonna  spettatori impotenti della loro disfatta perché questo sarebbe accaduto. Ci furono istanti di silenzio poi un grido e la grande massa di vampiri si gettò come un onda contro il piccolo gruppo che stava difendendo la nostra evasione, la nostra indipendenza.  Tenere testa a tutti era praticamente impossibile, ed ogni minuto di più si vedeva la fatica correre nei loro occhi. La sconfitta era sempre più vicina: un nemico sfrecciò verso mia madre, caduta in terra, con i denti esposti pronto a morderla. Il grande lupo rossiccio cercò di liberarsi dai vampiri che lo stavano attaccando ma solo dopo l’intervento di Leah, che praticamente aveva preso il suo posto, si precipitò con due grandi falcate verso di lei. La rapidità con cui si mosse era pari a quella di un battito di ciglia ma mentre stava per raggiungerla Gabriel interruppe la sua traiettoria. Uno schiocco, come di vetro infranto diverso da quello metallico che avevosentito fino ad allora. Il vampiro non si staccava da sotto la sua spalla ed aveva iniziato il suo banchetto. Provò a divincolarsi ma la sua mano apparve immediatamente debole cadendo dietro la sua schiena.

“No!” al mio grido una forte scossa sopraggiunse, una calda lingua di tremori s’irradiò dal centro del mio stomaco e mi trovai ad azzannare la sua pelle di ghiaccio. Rotolammo per qualche metro prima che lui si trovasse in piedi ed io pronta allo scatto di fronte a lui. Ingaggiammo una lotta senza pari. Lui era indiscutibilmente più forte ma io avevo dalla mia una grande intelligenza ed una prospettiva allargata dalla visione di mio padre. Ci contorcevano l’uno con l’altra entrambi con le bocche pronte ad assaggiare il sapore dell’altro. Un secondo vampiro intervenne poi una figura magra muscolosa, forte li respinse lontani per poi crollare di fronte a me. Solo allora notai come i nostri avversari si trovarono a debita distanza. EJ era a terra, con le braccia perpendicolari al pavimento per tenersi in posizione eretta. Manteneva saldo il suo di scudo non appena qualcuno provava ad avvicinarsi veniva scaraventato via. Stava cercando di mantenerlo attivo, ma lo vedevo troppo debilitato. Quanto poteva reggere? Le sue braccia tremavano, i suoi splendidi occhi verdi erano persi nella concentrazione. Mi avvicinai mettendo il mio muso sotto il suo braccio. Lui si aggrappò a me e si sollevò in piedi e rafforzò il suo scudo. Dall’altra parte di esso, ruggiti di frustrazione, rabbia per non capire cosa stesse accadendo. Ero divertita dalla difficoltà degl’ultimi sei vampiri, ed iniziai a latrare soddisfatta dell’ottimo lavoro di EJ. Una goccia era caduta sulla mia zampa, non ci feci immediatamente caso, all’inizio l’avevo solo guardata distrattamente ma poi distinsi il suo odore dolce, invitante e salino. Era sangue, sangue che stava colando dal suo naso.

< EJ, mi senti? Rilascia lo scudo prima che ti distrugga! > non rispose ma lo ampliò ancora di più. Quella sua impalpabile membrana ci coinvolgeva tutti nessuno escluso. Ma più lo teneva alzato più il suo corpo risentiva dello sforzo. E poi rumori, rumori inconfondibili di battaglia venivano da dietro l’angolo del corridoio da cui eravamo sbucati. Chi erano? Sentii una strana voce ordinare di serrare i ranghi, non era di mio padre, non era di Leah, ma era nella mia testa, inconfondibile.

< Zio Paul! >

<  Tenete duro ragazzi stiamo arrivando! > C’erano tutti, Paul, Embry, Seth, Nate, Quil, nessuno escluso. I loro pensieri ribadirono i piani di battaglia. Stavano per arrivare, l’alleanza più potente che fosse mai esistita nel mondo sovrannaturale. La nostra famiglia unita e schierata solo per proteggerci. Tutto si svolse in un istante incapace di realizzare al meglio ciò che accadde, la droga annebbiava ancora le mie capacità. I vampiri indietreggiarono ai ruggiti furenti dei nostri parenti. Il gioco del Fato si era ribaltato ed il vicolo cieco nostra condanna era diventata la loro. Vedevo ogni cosa attraverso di loro: un’ armata ben più forte si era schierata a nostro favore di semplici vampiri, un’armata di esperti combattenti. Seth, Nate e Quil erano disposti a triangolo ed avanzavano tra i vampiri come se fossero solo degl’arbusti seccanti. Erano come uno spazzaneve e mentre loro squarciavano i corpi dei malcapitati, gli altri gli davano fuoco. Creavano un muro con la loro imponente mole e quando li potei vedere sul serio realizzai di essere finalmente in salvo. EJ si rilassò accasciandosi sul mio fianco, mentre Jasper, Alice ed Edward li superarono con un salto altissimo prendendo gli ultimi vampiri ed ingaggiando con loro battaglia. Mi resi conto di non aver mai visto tanta abilità, finché non vidi quel versante combattere. Erano i tre pezzi complementari del perfetto guerriero: esperienza, grazia e perfezione. In loro c’era questo e molto di più. I sei corpi finirono dilaniati in pochi secondi e le loro ceneri potevano scoppiettare assieme al fuoco che avevano appiccato sulle loro carni.

“Ehy, ragazzi! Vi abbiamo fatto aspettare troppo?” disse Alice con un sorriso smagliante sulle labbra sottili. Quel piccolo folletto pestifero iniziò a volteggiare allegra mentre Jasper ed Edward vennero a prendere EJ per sollevarlo da terra. Tutti gioivano, esultavano, si preoccupavano.

< Che vi hanno fatto? > s’inalberò zio Paul quando mio padre gli aveva mostrato il ricordo delle nostre torture. Il suo ululato adirato catturò il silenzio con un gran fracasso, fece scuotere le pareti. Il roboante suono della rabbia si stava facendo largo fra tutto il branco, ancora ed ancora, e presto ci ritrovammo nel mezzo dei tuoni della tempesta più forte mai avvenuta. Anch’io alzai la mia voce da lupo, Leah accanto a me fece lo stesso. I nostri musi puntati al cielo alla luna che probabilmente stava sopra di noi.

“Stupefacente …” sussurrò Jasper ascoltando quel grido. Il baccano procurato da noi, distrasse solo da quello che stava per avvenire. Fu un attimo. Il nonno girò il viso alle sue spalle, verso mia madre chinata sul corpo di Gabriel scosso da estenuanti convulsioni. Il veleno era entrato in circolo e lo stava invadendo. Boccheggiava come se i polmoni fossero collassati, le sue labbra esangui si aprivano e si dischiudevano quasi continuamente. Il suo volto era molto più che pallido, cereo di una tonalità quasi grigiastra. Il nonno mi aveva parlato di quando la mamma era stata morsa. Era subito rimasta incosciente e dopo tre giorni in cui sembrava si stesse trasformando era riuscita a spurgare il veleno. Lui no, lui stava morendo.

“Renesmee, NO!” gridò nonno Edward gettandosi da lei mentre Alice afferrava prontamente EJ.

< No! >

“No!” il pensiero in sincrono con la voce di mio fratello. Il sangue, il veleno tutto le avrebbe fatto rischiare troppo. Gabriel in preda ad uno spasmo afferrò la mano di mia madre osservandola con gli occhi di un intenso blu. Si guardarono con una complicità particolarmente invidiabile. Solo allora il suo sguardo di cioccolato si rivolse a mio nonno e tutto sembrò rallentare nel momento in cui stava per raggiungerla. Non ci concesse il tempo di fermarla, nessuno di noi ce l’avrebbe fatta. I suoi denti penetrarono la ferita poco sotto la spalla destra. La vidi cambiare era diventata improvvisamente feroce, l’odore del sangue di Gabriel aveva intriso l’aria. Tutti l’accerchiarono ma nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi, era una fiera che stava assaporando la sua preda preferita, rischiavano di essere attaccati godeva di quel contatto, non riusciva a distaccarsi.

“Edward, aiutala!” gridò Alice preoccupata delle conseguenze di quello che sarebbe accaduto se non si fosse fermata.

“Ci sto provando, ma non mi ascolta, Renesmee non c’è! Non la sento …”  era terribile sentire Edward arrendersi, lui che poteva ascoltare ogni segreto di mia madre, era privo di ogni arma. Un battito più lento scivolava nell’abisso dell’eterno riposo, mia madre prese il corpo di Gabriel sollevandolo con una forza mai vista prima. Lo avvolgeva in un abbraccio di morte come se fosse un soffice cuscino di piume, nei suoi occhi vedevo delle lievissime sfumature rossastre, Gabriel di risposta prese la sua nuca con una mano come ad accarezzarla con le restanti energie. La stava perdonando, se non fosse riuscita a fermarsi. Non potevo crederci che nessuno si stava facendo avanti, lei sarebbe morta se avesse posto fine alla vita di Gabriel. Due forti braccia sottili la presero. Le mie braccia. Mi ero trasformata incurante di essere nuda, incurante degli spettatori. La costrinsi contro il petto, le mani bloccate mentre l’allontanavo strusciando in terra cercando di trattenerla. Emise solo un grido feroce, gli occhi rotearono diventando bianchi, tremava ma non voleva farmi alcun male, non cercava nemmeno di voltarsi. Stava combattendo dall’impulso di berne ancora, lo vedevo lei andava contro la sua natura, ne era in grado l’avevo visto talmente tante volte che avevo perso il conto.

“Shh, calmati mamma, è tutto passato!” gemeva come un gattino abbandonato, il respiro affannoso di chi lotta contro sé stessa, non era solo il sangue ma anche il veleno che nel suo corpo dava strani effetti, sconosciuti in parte. Edward si assicurò della situazione, visitando Gabriel auscultando il cuore. Il suo corpo era immobile, esanime, gli occhi socchiusi quasi ermeticamente. I capelli neri erano riversi a terra e dalla bocca non sembrava emettere alcun respiro. Le braccia molli distese lungo i fianchi. Non riuscivano a sentire nulla di lui a differenza del cuore di mia madre. Le controllavo i battiti fin da principio, aveva subito un’impennata clamorosa, come se stesse applaudendo del premio definitivo, il suo puro terrore di poter far del male alle persone che amava, l’inesistenza di un istinto omicida in un predatore, una tigre che ritrae gli artigli. Libera. Libera dalle superstizioni, libera  dai pregiudizi, libera da regole ed affanni. E così mi aveva resa, libera finalmente.

“Ha estratto tutto il veleno, il suo cuore batte ancora …” la mamma gemette e cercò di liberarsi della mia stretta, ma io la tenni più salda.

“Calmati, ci sono qui io!” con una mano le tenevo le sue così piccole a confronto, con l’altra costringevo la testa all’indietro contro la mia spalla. Le gambe lungo le sue che scalciavano a terra qualcosa d’invisibile, cercando di allontanare quel mostro che si trova negl’armadi dei bambini. Incontrai gli occhi di EJ che si unì a tenerla ferma per quanto fosse ancora troppo debole. Avrebbe fatto di tutto per me. Per la mamma. Non era così diverso da papà come tutti pensavano. Quella passione che lo guidava, era la stessa che mio padre aveva in ogni mossa ed in ogni sentimento. Forte e protettivo, riusciva a trasmetterti sicurezza.   

“Sarah …” pronunciò la mamma mentre ancora tremava con la sua voce e gli occhi le rotearono rendendosi bianchi “ … EJ … tenetemi …” le orbite tornarono normali “ … stretta!”  stava lentamente tornando normale, placava la bestia che era in lei. Le gambe si cominciavano a rilassare come il suo cuore, che aveva ripreso il consueto battito leggero e veloce. Le mani allungarono le dita dagl’artigli pronti a graffiare, ma gli occhi rimanevano screziati di un minuscolo pulviscolo rosso. Stava tornando in sé e lo stava facendo per noi.

Note dell'autrice: Ragazzuole, sono riusciti a liberarsi! In realtà di questa battaglia ne sapremo di più al prossimo capitolo quanto sarà Nessie a parlare di nuovo e poi l'epilogo! snif snif! E la conclusione! Ovviamente apprezzo con molto piacere i vostri commenti.

kekka cullen: In realtà per sapere cosa succederà a Dracula 1 e Dracula 2 devi aspettare the last one. Non ce la faccio sto per abbandonare questa storia ed i personaggi... ahhhhh! Diciamo che comunque un assaggio la Meyer ce l'aveva dato. Loro erano terribili, dicono ad una bambiana di voler cavare gli occhi ai loro nemici e di non essersi mai mascherati da santi come marcus. Ho pensato che visto l'evolversi della mia storia e la debolezza dei Volturi che per quanto passino gli anni ancora non hanno il pienissimo regime ci stava tutta la riorganizzazione e la prova definitiva di riconquista del potere. Per ora non lo so se farò altre ff, certo che comunque con l'opportunità che la saga di twilight concede mi piacerebbe scrivere qualche one shot ancora su di esso. Poi vedremo!^^

Lione94: Benvenuta nel club delle pazzoidi! Prego prendere la tessera invisibile! Meno male allora non sono una potenziale serial killer, o almeno non sono l'unica. Alla fine tentano il tutto per tutto ma per sapere del missing moment tra quando Gabriel espone la sua idea e l'entrata in scena nella sala delle torture devi aspettare l'epilogo! muhahahahah!

never leave me: nuuuuu! non ti odio è solo che prima o poi doveva finire! Che ci posso fare! tornando al capitolo: niente merce di scambio tentano di scappare, il modo in cui sono riusciti ad uscire però lo sapremo solo ed esclusivamente all'ultimo. Per ora vi faccio tirare l'agoniato sospiro di sollievo rendendovi partecipi del lieto fine e dell'arrivo dei Cullen e del branco. Proprio perchè ora sa la verità decide di agire immediatamente. sa cosa stanno facendo ai suoi figli, cosa sanno facendo a Leah e attuanano una sorta di fuga nell'aspettativa che giungano al più presto i rinforzi. Peccato che i Rumeni non avessero calcolato un intervento fondamentale. Comunque molte delle domande che questo capitolo pone trova le proprie risposte nel prossimo ghghgh! E poi l'epilogo ... snif! Altre ff per ora non ne ho in programma anche perchè diciamolo in questa ho messo tanta carne al brodo. Forse qualche one shot qua e là più che altro missing moment o qualcosa su Nessie da bambina. Ti volevo infine ringraziare per le splendide parole e per i complimenti che mi fai ogni volta,  mi emozionano. Insomma mi ripaghi con la stessa moneta! Un bacione! ^^

Visto che ci sono ed è il penultimo capitolo faccio un pochina di pubblicità alle mie one-shot sempre della nostra amata serie Grey Day:

FALLING IN LOVE: parla del momento esatto in cui Nessie si scopre innamorata di Jake

GOODBYE SINGLE LIFE: parla dell'addio al nubilato della nostra eroina.  

se non vi pesa lasciate due paroline anche lì che mi fa un sacco piasere!!!

OVVIAMENTE RINGRAZIO SEMPRE TUTTISSIMI! VI ASPETTO ALLA FINE DI TUTTO!

XoXoXo

Malice vostra pseudo scrittrice sadica e pazzoide!

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Capitolo 49
*** CAPITOLO XX: La fine di tutto. ***


CAPITOLO XX: La fine di tutto.

“Alice, Jasper portate Gabriel da Carlisle, allontanatelo da qui …” tutto diventava puro riflesso. Quello che io stavo provando, il mio cercare di togliere le catene che m’impedivano di muovermi, la mia voglia di altro sangue, il suo sapore caldo lungo la mia gola ancora infuocava la mia sete, mi rendeva schiava. E il profumo invitante che mi attorniava non mi aiutava. Il mio cuore mi diceva di placarmi, calmare il tumulto generato da quel dolce nettare così dissetante “Sarah, lasciala …” fuoco e ghiaccio si trovavano a contatto con la pelle dei miei polsi entrambi pronti.

“No, non la lascio nonno!” il fuoco mi strattonò a sé rendendo la mia schiena ancora più incandescente, sentivo il suo crepitio diffondersi in tutta me stessa, mentre ascoltavo il battere frenetico sulla mia scapola ben più nocivo per la mia voglia d’impadronirmi del suo pulsare sfinendolo, risucchiandone ogni goccia che passava attraverso di esso. La mia gola arse impaziente, una fiamma perpetua che divampava ad ogni pensiero rivolto al sangue. Sangue. Sangue. Sangue. Ormai stava dilagando il suo impero al mio interno. La ragione dominava ancora, ma per quanto avrebbe resistito la dama bianca?

“Sarah, tua madre sta resistendo ...” < Focalizzati sulla mia voce, Nessie cerca di mantenere il controllo! > “ … ma la tua vicinanza le sta procurando un dolore fisico, non solo psicologico! Non ti farebbe mai del male ma sarà più semplice se tu e tutti coloro che hanno del sangue si tenessero a distanza per un paio d’ore!” il ghiaccio riprese il controllo sentivo il suo freddo avvolgere farsi sempre più presente. Pensai a quello sopra le fiamme vive nella mia gola e nella mia testa.

“Lizzie, ascolta il nonno!” il fuoco restò ancora vincolato alla stretta ferrea che mi teneva avvinghiata al suo corpo, ma si fece progressivamente più fiacco fino a diventare quasi del tutto nullo, sostituito dalla morsa algida del ghiaccio.

< Ok, tutto a posto Nessie! Ora stai calma! Si è risolto tutto, ce l’hai fatta hai salvato la tua famiglia! > “Andate fuori con il resto del branco, vi vogliono tutti riabbracciare, soprattutto vostra nonna Bella, vi aspetteranno fuori!” avevo quell’odore impregnante su ogni parte di me, lo sentivo sui miei vestiti, sulla mia pelle, lo sentivo su di me. Dovevo solo cercare di ricordare tutto il mio lato umano, ma i miei occhi iniettati di sangue mi costringevano a volerne dell’altro. Non passò molto tempo che finalmente trovai un minimo di lucidità. Il veleno ormai non aveva più alcun effetto su di me: quel morso mi aveva resa completamente immune, era stato come un vaccino. La gola iniziò a placarsi ora che l’aria era intrisa solo dal profumo di fresie e lavanda, che mio padre emanava. La mia mente riusciva a scindere l’istinto dalla ragione, facendo prevalere quest’ultima.

“Papà!”

< Bentornata bambina mia! > le sue labbra si posarono sulla mia testa e solo allora mi accorsi di essere completamente avvolta tra le sue braccia e rannicchiata contro il suo petto.

“Vi stavate per perdere il meglio!” scherzai con un timbro sarcastico ancora spezzato dalle ultime ripercussioni del sangue che avevo appena bevuto. Alzai lentamente il viso e lo trovai che mi osservava intensamente con gli occhi dorati visibilmente commossi. Poi si fece serio, severo. S’irrigidì allentando le manette costruite dalle sue dita freddissime. Socchiusi la bocca per chiedergli cosa fosse accaduto, quando lui mi precedette.

“Non farci mai più una cosa del genere!” era duro, quel suo modo di rivolgersi a me privo di ogni intonazione aveva un solo significato. Ce l’aveva a morte con me.

< Scusami, papà! Ma se dovessi tornare indietro lo rifarei altre mille volte! >

 < Lo sapevo che mi avresti risposto così! > si alzò in piedi aiutandomi a seguirlo, sapevo da un lato era felicissimo di vedermi sana e salva, ma dall’altro me l’avrebbe fatta pagare per tutta la pena a cui l’avevo costretto. “Andiamo!” camminai affianco a lui in silenzio, senza sensi di colpa se non quello di avergli fatto provare una sofferenza raddoppiata rispetto alla mia. L nostra andatura era più veloce di una camminata ma meno di una normale corsa. Ci trovammo a breve nella sala centrale dove avevo incontrato le persone che avevano cercato di rovinare la mia vita. Bell’impresa. Se nemmeno loro c’erano riusciti, avevo la quasi certezza che nessuno avrebbe potuto.

< Cosa è successo? >

< Noi siamo arrivati in contemporanea con Marcus, abbiamo formato un esercito, fra la guardia noi e il branco. Ci siamo divisi, due squadre per cercarvi nei sotterranei e una per colpire al cuore! > al centro dell’enorme stanza quadrata se ne stavano i due Rumeni, Vladimir tenuto da Jaele, vestita di nero e con una alta treccia lunga che scendeva sul suo petto, Stefan, il temibile e crudele Stefan invece si trovava con un ringhio fra le labbra tenuto saldo da Demetri e Santiago.

“Non ci siamo mai finti dei santi Marcus, conosciamo bene la nostra natura non la rinneghiamo, ne facciamo finta di farlo! Siamo sinceri non come te!” gridava tracciando la parola fine al delirio in cui si era gettato a braccia spalancate sperando che gli crescessero le ali.

“Non siete dei Santi, ma nemmeno Dio Stefan!” rispose pacato il Volturo osservandolo negl’occhi intrisi di odio che trasudavano tutta l’ acredine provata per la mancata vendetta. Intorno a quella scena altri vampiri erano disposti ad accerchiarli. Massimo si trovava alla sua destra ringhiando contro i due crudeli assassini di anime.  Tra tutti quei vampiri la mia famiglia non era presente sicuramente impegnata con Jake, i ragazzi e Gabriel “Aro aveva peccato di superbia, e per quello ha pagato a caro prezzo. Vi predicate diversi ma appartenete alla sua stessa specie assetata di potere e macchiati di avidità! Ma c’è una giustizia a cui dovete rendere conto ben superiore della mia, che ora vi troverete ad affrontare!” sollevò lo sguardo alle due guardie ai lati ed in un sussurro quasi infinitesimale evocò i loro nomi “Demetri! Santiago!” erano facenti di un ordine prestabilito, ma lo scimmione antipatico si bloccò osservando oltre la spalla di Marcus andando ad incontrare i miei occhi.

“Marcus!” lo chiamava per nome non mio signore, come era solito fare con i tre Volturi, strano “Non spetta a noi, porre fine a questi esseri insignificanti!” la folla riunita puntò il suo sguardo incuriosito in mia direzione. Marcus per ultimo si voltò rimanendo in silenzio per un po’ come se soppesasse l’invito di Demetri. Io ne ero rimasta spiazzata.

“Renesmee, vuoi avere tu l’onore?” si scansò liberando la visuale verso Stefan che ora rivolgeva a me il suo disprezzo. Per un interminabile minuto nel silenzio, si poterono udire solo i miei passi incerti verso di lui. Ad ognuno di essi avevo associato un sentimento che avevo vissuto negl’ultimi giorni. Primo passo, agonia. Secondo passo, terrore. Terzo passo, rancore. La mia sete di vendetta era forte, portata fino all’esasperazione ed ora mi scuoteva gli arti, il cuore, le sensazioni. Ero stata travolta da un’ondata forte ed impetuosa, che si scagliava contro ogni aspettativa contro la riva dimostrandomi tutta la mia fredda furia. Quarto passo, odio. Presi le mascelle tra le mani con dolcezza in un primo momento. Ma mentre lui stava per liberarsi io lo presi con più forza. Il suo collo crepitò, contro i miei palmi.

“Voglio che il mio viso sia il tuo ultimo ricordo!” sussurrai al suo orecchio. Santiago e Demetri tenevano le sue braccia pronte ad un mio cenno per coordinarci e strappare quelle membra insulse da quel corpo decadente. Ero pronta volevo la sua morte, volevo solo una cosa “Marcisci all’infe …” ma un paio di occhi ambrati pieni di rammarico, liquidi e solari mi guardavano spaventati. Non era necessaria la sua presenza fisica per sapere che non avrebbe approvato. L’avrei deluso, era più forte di me non riuscivo in alcun modo a scrollarmi quel profondo senso di giustizia che sentivo radicato in me. Non ero così, non lo ero mai stata. Quegl’occhi così diversi da tutti gli altri, così umani più di un umano stesso. “No – non posso!” lasciai la sua testa “Marcus concedigli clemenza …” lo pregai prima di tornare tra le braccia di mio padre che mi condusse in un attimo fuori in una macchina e mi portò lontano.

 

“Tu!” non avevo neanche fatto in tempo ad entrare nella suite a Bucarest, che una piccola nana pestifera e completamente pazza si era messa di fronte a me puntando il indice inquisitorio sollevandosi sulla punta dei piedi. “Se provi a farci uno scherzo del genere un’altra volta, nessuno e dico nessuno ti risparmierà dalla mia ira! Chiaro!” ma io non risposi l’abbracciai soltanto in fin dei conti mi era mancata terribilmente e non avevo così tante speranze di poterlo rifare “Non te la caverai così a buon mercato, lo sai!” mi aveva afferrato la vita stringendo fortissimo “Come minimo mi devi tre settimane no-stop di puro e sano shopping!”

“Tutto quello che vuoi!” sciolse l’abbraccio non prima di non avermi dedicato uno dei suoi sorrisi. Tutti nessuno escluso aveva da dire la sua. Emmett aveva anche tentato di soffocarmi, la nonna si era assicurata che avessi ogni cosa al mio posto così come Rosalie che mi rimproverò quattro volte alternando a stati di preoccupazione a momenti d’ira irrequieta. Carlisle non disse quasi nulla se non, ‘sono fiero di te’ . Lui era l’unico ad aver veramente giustificato il mio modo d’agire e forse se l’aspettava da parte mia un comportamento simile. Arrivai a mia madre, ci scambiammo un fugace sguardo che venne subito distolto dal momento in cui lei uscì sul terrazzino adiacente.  Nella mia vita ne avevo combinate tante, ma stavolta era diverso. Io avevo rischiato il tutto per tutto. Le nuvole coprivano il sole che non accennava a presentarsi mentre lei con le braccia distese sul parapetto, guardava di sotto.

“Mamma?”

“Tu hai la minima idea di quello che ho passato?” ecco cos’era quel ‘farci’ che mio padre aveva detto nei sotterranei di Bran. Era riferito a loro, ai miei genitori, sul momento non l’avevo notato, ma ora che sentivo la voce tremante e carica della mamma mi rendevo conto di quanto li avessi distrutti.

“Mi dispiace!” la mia testa cadde in avanti, non ero pentita ma con lei era ancora più dura mantenere la mia posizione.

“Ti dispiace, è solo questo che sai dire Renesmee, ti dispiace?” con uno scatto si girò “Ho vissuto per una settimana con il terrore che tu ti sacrificassi in qualche impresa folle, ed è così che è stato maledizione! La tua vita non vale meno degl’altri Renesmee, non bastava che fossero scomparsi Jake ed i ragazzi, anche tu dovevi metterci del tuo, volendo fare tutto da sola!” non si stava controllando, stava sfogando tutte le sue perplessità con fatica, in maniera praticamente umana.

“Tu non avresti fatto lo stesso, non avresti tentato il tutto per tutto per me?” i suoi occhi si fissarono nei miei. Una debole folata di vento intercorse fra di noi. Le avevo appena prospettato l’unica obiezione che non poteva negare. Non riuscì a sostenermi tanto che si voltò ulteriormente perché sapeva che con quella domanda ero riuscita a cogliere nel segno. La risposta era Si. “Mamma, so che ti ho fatto stare in ansia e mi dispiace veramente, ma lo rifarei nella stessa identica maniera! Non è quello che mi avete insegnato! E poi mi avreste davvero permesso di attuare il mio piano?”

“Il tuo stupido, folle ed assurdo piano!”

“Già, ma mi ha permesso di arrivare a loro, mamma!” le sue spalle si mossero in un singhiozzo ed io mi avvicinai a lei prendendole le palle e voltandola verso di me. Le sue mani si legarono dietro la mia schiena. L'abrracciai mentre ancora veniva scossa dai singulti senza lacrime che le animavano il petto. “Ora siamo insieme è questo che conta!”

 

Quanto era passato non lo saprei dire. Avevano preso una stanza solo per me, Jake ed i ragazzi. Ero così impaziente di riabbracciarli come si deve. In  tutto quel trambusto avevamo avuto poco tempo per stare insieme. Ormai la mia voglia di sangue era completamente scomparsa, avevo ben altri pensieri smaniosi a cui rendere conto. Mi muovevo avanti ed indietro come un padre in sala d’aspetto del reparto maternità. Tormentavo le mie dita e mordevo insistentemente il labbro inferiore.

“Ahhh, ma quanto ci mettono!” non ero mai stata una persona paziente, però in quel caso avevo il diritto ad essere così nevrotica. In fondo si trattavo solo di scollarli dal branco, contentissima che si fossero riuniti però insomma io stavo aspettando da quanto? Tre, quattro ore. Un po’ di rispetto per chi aveva cercato di salvarli, o no. Stavo ancora camminando su e giù per la stanza, quando mi sentii strattonare ed avvolgere da un qualcosa di estremamente caldo e confortante. Le sue labbra febbricitanti divoravano le mie con l’urgenza che avevo anch’io. Dischiusi la bocca ed assaporai tutto quello che mi stava donando in quel bacio. L’amore, la paura di non poter più provare certe sensazioni a contatto con lui. La mia mano guidata dal semplice istinto s’incastrò tra i suoi capelli, mi teneva i fianchi stretti a sé quasi volesse diventare un tutt’uno con me. Per quanto però potevamo resistere, dovevamo respirare anche se io avevo tutta l’aria che desideravo ora che Jake era con me. Posò la sua fronte sulla mia. Mi sorpresi a ridere come una sciocca, con gli occhi chiusi ermeticamente. Il suo fiatone caldo m’inondava la faccia, come una deliziosa corrente tropicale ed esotica.

“Scusa mi sei mancata, troppo!” il mio sorriso si allargò quasi in una maniera nervosa e mi trovai a riprendere il bacio da dove l’avevamo interrotto. Presi più e più volte quelle morbide labbra tra le mie, quasi me le volessi mangiare. Carezzando la sua schiena sollevai un po’ la maglia che indossava, e tra le dita riconobbi un segno della sua pelle che rovinava il guanto di velluto che l’avvolgeva. Una cicatrice che per sempre sarebbe rimasta a ricordargli il nostro incubo. Ma raramente le ferite lasciavano segni su di lui “Ti amo!”

“Anch’io ti amo, Jake!” mi rabbuiai con ancora quella piega innaturale della carne tra le dita, che passavo ripetutamente su di essa. Lui se ne accorse il mio modo flemmatico di spostarmi era inequivocabile, con delicatezza e allo stesso tempo con rammarico per non essere arrivata prima. “Perché è così …”

“Ehy, Nessie è solo una delle tante, non pensarci è tutto finito mostriciattola, è tutto finito!” il suo bisbiglio detto come un segreto inconfessabile, baciò la mia fronte, il naso e poi riprese a baciarmi la bocca. Troppo passionalmente. Dopo tutto quello che avevo passato non poteva il mio pensiero finire sempre in quel punto preciso.

“E basta! Possibile che dopo tutto quello che abbiamo affrontato voi state appiccicati come due ventose, che schifo! Vi prego, cosa volete fare prosciugarvi!” per un attimo calò il gelo. Vedevo EJ sulla porta e Sarah dietro di lui. Il suo volto che poco prima era sofferente malconcio, ora sfoderava un sorriso degno dei più smaglianti di Jacob. Sarah invece sembrava ancora un po’ tesa.

“Ne riparliamo quando anche tu avrai una ragazza!” rispose Jake ma io non pensavo più al loro battibecco. Volevo solo tenerli stretti a me fino a soffocarli. Planai su di loro ad una velocità inaudita e li raccolsi a me.

“Non permetterò mai più a nessuno di farvi del male, ve lo giuro! Piuttosto dovranno passare sul mio cadavere!”

“Ok, basta mamma ci stai soffocando!” li lasciai liberi di respirare e poi cominciai ad analizzarli, cercando le stesse ferite di Jake ma a parte qualche piccolissimo livido sull’incavo del gomito non c’era praticamente nulla.

“Come state, che ha detto Carlisle?”

“Ci ha somministrato un antagonista di qualcosa, sai che quando si perde nelle spiegazioni smetto di ascoltare …” iniziò EJ gesticolando con le mani per rafforzare le sue parole.

“Comunque ci deve tenere sotto controllo, ma per il resto siamo in ripresa!” Sarah era intervenuta cercando di tranquillizzarmi.

“Come potrebbe essere diversamente in voi c’è puro sangue licantropo!” Jake diede un pugno amichevole sulla spalla di EJ, iniziando a punzecchiarsi come due compagni di stanza del college che non si vedono da tempo. Io e Sarah li ammirammo per un po’.

“Sapevo che saresti arrivata da un momento all’altro!” mi disse affondando il suo viso sulla spalla. La condussi su di un divanetto sedendoci l’una accanto all’altra. La guardai sorridendo e lentamente portai le mani dietro il collo facendo scattare il moschettone della catenina. La sua catenina. L’avevo riportata di nuovo a lei, ed ora gliel’avrei riconsegnata rinnovando la mia promessa. La sistemai sul suo collo mentre lei sollevava le punte dei capelli dalla nuca per non incastrarli nella chiusura.

Plus que ma même vie! Ricordalo sempre Sarah, voi siete tutto per me!” lei sorrise accarezzando il ciondolo e poi puntò quegli splendidi smeraldi nei miei occhi.

“Anche tu sei molto importante mamma …” aprì il ciondolo rotondo che le cadeva sul petto e mi mostrò la foto che aveva introdotto. Era una miniatura mia e di Jake, di qualche anno prima, del nostro matrimonio. Il mio stomaco si mosse, si contrasse ed una lacrima involontaria scese lenta ed inesorabile. Sarah l’asciugò con il pollice e poi  inaspettatamente prese le mie spalle e mi abbracciò come non aveva quasi mai fatto se non quando era ancora una bambina.

“Ehy, aspetta così me la consumi tutta ne voglio un po’ anch’io!” ed ecco EJ fiondarsi con la testa sulle mie ginocchia. Jake si sistemò ai piedi di Sarah. La notte passò così, nel rinnovo di quell’amore sempre più forte al di là del tempo e dello spazio. Guardavo Jake sorridere felice, i miei figli finalmente sereni. Era quello per cui avrei lottato per sempre. Per loro.

 

Note dell'autrice: Allora siamo giunte all'ultimo capitolozzolo. Per allungare un po' il brodo l'ho separato dall'epilogo conclusione di tutto. Cioè sto ritardando la fine fine. Mi sento praticamente vuota non si può fare nono!

noe_princi89: grazie cara, lieta che ti sia piaciuto una cosa bella di azione era giusto finire con una bella americanata! Ci vediamo all'epilogo!

kekka cullen: carissima! Ebbene si si doveva arrivare ad una fine fine, pure perchè se la tiravo un'altro po' finivate per stancarvi di me e della mia storia! Grazie mille per i tuoi complimenti sempre molto graditi.

lascio i ringraziamenti finali all'epilogo che posterò stasera mettendo quella maledetta crocetta sulla parola completa e sancendo definitivamente la fine di GDD.

Besos

Mally  

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Capitolo 50
*** EPILOGO: Le Moire non taglieranno i nostri fili. ***


EPILOGO: Le Moire non taglieranno i nostri fili.  

Rimaneva solo una cosa che ancora mi tormentava. Bruciava di rimorso, anche se gli avevo salvato la vita. Gabriel. Mentre lo stavo lentamente accompagnando all’inferno, le parole che mi aveva sussurrato continuavano a stare nella mia mente martellando le mie remore e la mia coscienza, che in quel momento era praticamente scomparsa, soppressa da un bestia benpiù grande di lei.

“Questa è la morte che mi sarei scelto, Ti amo!” ed era allora che un minimo di razionalità prese il sopravvento; sapevo che dovevo staccarmi che lo stavo uccidendo, ma ad ogni misera goccia del suo sangue morbido e dolce intriso dell’aroma delle arance nel pieno della loro maturazione, io perdevo ogni possibilità di farlo. Era buono, molto più caldo e con un sapore puro rispetto a quello bevuto dal calice a Volterra contaminato dagl’anticoagulanti, vellutato come un petalo di una rosa, si rifrangeva contro il mio palato la mia lingua attraversava ogni stadio del gusto,  il dolce, il salato, l’amarezza per il gesto che stavo per compiere. Lo sentivo penetrarmi nello stomaco e nelle ossa come un ricostituente, mi rinvigoriva, mi rendeva invincibile e poco o nulla della Renesmee umana era rimasto. La ragione venne spodestata del suo ruolo, scacciata e sopita in un angolo. Il mostro aveva battuto i suoi ultimi rintocchi, gridava vittoria mentre io avevo miseramente fallito. Se non fosse stato per l’intervento delle persone che più amavo, rischiando di essere attaccati da me che di Me avevo ben poco se non la Bestia che giaceva mansueta nel mio Io, avrei finito nella tragedia più oscura la nostra ultima sciagura ed avrei capovolto un lieto fine. Avevo imparato a mie spese che per quanto si possa dominare l’istinto da predatore, quando esso è librato, nulla potrebbe fermaci dall’uccidere qualunque cosa ci stesse accanto. Eppure non avevo neanche tentato di ribellarmi, mi ero lasciata staccare con cautela e forza. Ero riuscita a scindere ragione e sentimento e finalmente anche la prima poteva tentare una rivalsa contro la seconda. Totalmente concentrata su chi avevo dietro le mie spalle cominciai a contare i secondi. Dovevo solo attendere un pochino, solo quel tanto che bastava   I miei Sarah ed EJ, sapevano che non me lo sarei mai perdonato, continuavo a non perdonarmi nemmeno se tutto era finito per il meglio.

“Avanti!”sentivo la sua voce ancora stanca al di là della porta. Tentennai sulla maniglia prendendola tra le mani per poi lasciarla, ogni tanto la mia vigliaccheria tornava a farsi sentire. “Nessie so che sei tu, non ti mangio puoi entrare!”

< Lui no, ma io … > ormai mi aveva scoperta. Percorsi con la punta delle dita il legno della porta fino all’ottone della maniglia. Tentennai ancora impugnandola molto leggermente quasi non fossi ancora sicura di quello che stavo per fare.

“Ehy, Ness mi sta crescendo la barba!” almeno il suo buon umore non l’aveva perduto. Afferrai la maniglia violentemente e con uno scatto aprii la porta. Gabriel era sdraiato, coperto da un lenzuolo fino al bacino e sulla spalla una benda leggermente macchiata di rosa. Sopra la sua testa la sacca delle trasfusioni penzolava ed un tubicino con del liquido scuro arrivava fino al suo polso. Solo il nonno riusciva ad infilarci degl’aghi, non avevo mai capito come fosse possibile.  

“Ciao!” mi stavo comportando come una ragazzina scema.

“Che vuoi il dessert?”a quelle sue parole io rimasi a bocca aperta. Non sapevo che rispondere mi sentivo così in colpa. Mi tremarono le palpebre e lo sentivo,  il pianto che premeva sulla gola. Gabriel rimase a guardarmi serio, inflessibile, quasi con disprezzo se non fosse stato per  quel sorriso naturale che gli era spuntato improvvisamente diventando una buffa risata. Mi sentii confusa e non riuscii a reagire fino a che Gabriel non mi tirò un cuscino in piena faccia, che io abilmente schivai. “Dovresti vedere la tua faccia!” e giù un’altra risata. La mia vista si appannò cominciai a vederci nero e sono sicura che il mio viso avesse una bella tonalità rosso pompeiano, tanto per dimostrare il fuoco della rabbia che mi stava divorando.

“Brutto, figlio …” mi trattenni dal dire il continuo però come ero tentata in quel momento “Te lo insegno io a prendermi in giro!” in quel momento dimenticai tutto: flebo, dissanguamento, ferite. Mi gettai su di lui per giocare come due leoncini ma prima che potessi fare una qualsiasi cosa bloccò i miei polsi. Solo allora mi accorsi di essermi messa a cavalcioni su di lui. Poco tempo prima non sarebbe stato un problema, quando ci allenavamo nel corpo a corpo potevano capitare le posizioni più disparate ed ambigue. Ma ora con quello che sapevo di lui, mi sentii profondamente in imbarazzo.

“Ecco la vera Nessie!” disse lui con un ghigno soddisfatto “Ce ne hai messo di tempo ad uscire fuori!” scavallai le gambe dal suo busto e le incrociai a farfalla accanto alle sue ginocchia, imponendo così una giusta distanza. “Nessie, ti posso chiedere un favore, solo per oggi poi da domani torniamo a tutte le regole e divieti che ci siamo imposti!” non risposi, cominciai a capire quanto fosse interessante l’analisi del pulviscolo intorno a noi “Stenditi qui accanto a me, lasciati abbracciare. Ti prego!” continuai ad ignorarlo “Me lo devi!” disse con più fermezza. E bravo Gabriel che aveva imparato a giocare sporco sui miei sentimenti di compassione. Sbuffai tutta l’aria che aveva in corpo ma lentamente mi ritrovai distesa lungo la sua destra con un braccio sotto il mio collo ed il mio viso sul suo petto. Lui non fece altro che chiudere le sue mani su di me e con la testa si posò sopra la mia.

 “Pensi che dopo tutto quest’aiuto, Jake diminuirà la distanza di sicurezza a cinque metri?” e con quella battuta finalmente mi sentii un pochino più sollevata. Poco, pochissimo ma sempre meglio di niente.  

“Non lo so potresti provare a contrattare!” risposi quasi di getto “A che quota siamo ormai? Ho perso il conto!”

“Di cosa, Nessie?”

“Quante volte mi hai salvato la vita!”

“Allora se non sbaglio dovremmo essere ad un buon punteggio …” mugugnava come per sforzarsi a ricordare, io ridacchiai. Mi sembrava di essere tornata a pochi mesi prima quando tutto questo faceva parte della mia vita, la nostra complicità, il nostro modo di scherzare. In qualche modo mi ricordava molto il Jake amico che avevo, quando ero ancora una ragazzina. Forse era questa mia tendenza a circondarmi di persone che mi ricordava lui in un aspetto o nell’altro “La prima è stata Volterra …”

“Ma dai quella non può contare, se non ci fosse stata la mia famiglia …”

“Ti devo ricordare chi si è schierato contro chi?” stava facendo lo stizzito. Feci segno di cucirmi la bocca sollevando la testa per farmi vedere, lui sorrise ed io tornai a posarmi sul suo petto “Poi con Joyce, lì ho salvato anche tuo marito quindi conta doppio! E siamo a tre!”

“Voglio il punteggio separato da Jake, non vale così!” diedi un piccolo colpetto sul petto mentre lui mi redarguiva con lo sguardo.

“Zitta, io calcolo come mi pare il punteggio!” riprese a contare mentalmente “Ed infine con l’ultima parte della nostra scombinata esistenza, siamo a quota sei!”

“Perché sei?”

“Questa volta ho salvato tutta la tua famiglia merito tre punti, che dici?” ci fu un attimo di silenzio. Io ero affranta, e sentivo il rimorso corrermi lungo la schiena, lo stomaco si strinse e sentii il preponderante desiderio di sangue irrompermi di nuovo nei pensieri. Non potevo fare a meno di pensarci. “Però non ho messo in conto alcuni aspetti che vanno ad annullare alcuni miei punti …” quella sua affermazione mi aveva incuriosita, alzai la testa ed iniziai ad osservarlo “… per prima cosa mi hai salvato anche tu la vita, togliendomi il veleno che avevo in circolo!”

“Non ti scordare che ti ho quasi ucciso!” non  mi bastava il suo perdono che mi aveva elargito con trasporto quando ancora sotto di me era in fin di vita. No. Io dovevo trovare il perdono per me stessa, e vederlo sul letto, a causa mia, con la spalla fasciata e la flebo di sangue che ricordava il mio ritorno da Volterra, non mi aiutava in questo.

“Nessie, hai fatto la cosa giusta, tu non sei velenosa! Chiunque altro avesse provato a spurgare il veleno probabilmente avrebbe aggravato la mia situazione! Senti superala perché io sono felice che sia stata tu per mille motivazioni che non ti sto qui a spiegare!” prese il mio mento, sollevandolo con la mano libera dalla flebo “Vuoi sentire la ragione che più di tutti azzera il tuo debito con me, quella che in assoluto è la più importante?” annuii rimanendo ancorata a quello sguardo magnetico incollato al mio “Tu mi hai consentito la gioia di riscoprire una vera famiglia, adesso ho dei veri genitori e degli autentici fratelli e sorelle, e poi ho te, Sarah, EJ, e veri amici. Questo è il più grande regalo che tu potessi farmi!”iniziai a mordermi il labbro. Non volevo piangere, avevo versato talmente tante lacrime che non ero sicura di averne ancora. Però quelle parole mi avevano colpita dritta al cuore.

“E quanto vale a livello di punti questo regalo?”  scherzai per nascondere malamente la mia reale commozione. La voce mi aveva tremato ed una lacrima ce l’aveva fatta a superare la barriera che mi ero imposta.

“Vale abbastanza che se dovessi passare la mia eternità a cacciarti fuori dai guai, io sarei ancora in debito con te!”  

 

Ripartimmo appena Gabriel e i ragazzi si sentirono meglio, praticamente il nostro soggiorno durò poco più di quarantotto ore. Volevamo affrettarci per mettere kilometri di oceano tra noi e Bucarest con l’incubo che avevamo vissuto. Al ritorno a Forks, ci ritrovammo immersi nel preparativi di un matrimonio anticipato. Claire dopo le nostre vicissitudini aveva deciso che non voleva in alcun modo perdere altro tempo. I ragazzi del branco si erano tutti complimentati con me, Embry come al solito si era guadagnato un ringhio furioso da Jake che non faceva altro che abbracciarmi e marcarmi come un terzino di calcio. Paul e Quil, concordi entrambi, mi avevano confessato di non volersi assolutamente mai battere con me e, come cosa più assurda, non scherzavano. Jared anche era rimasto affascinato dal mio modo di combattere e mi aveva chiesto qualche lezione sulle mie tecniche, come aveva fatto Jasper in passato. Seth non smetteva mai di ringraziarmi. Quando riuscii ad incontrarlo, lui in una forma più adatta alla parola ed io dopo la mia razione no stop di figli e marito, mi disse ‘ottimo lavoro’ dopodiché mi abbracciò per restare così praticamente quasi un quarto d’ora. A forza di stare con i vampiri il piccolo Seth, aveva acquisito la loro immobilità. Anche Leah mi ringraziò, ma a modo suo di sottecchi in un momento in cui tutti non ci stavano guardando, per poi dirmi ad alta voce ‘che se non fossi arrivata sarebbe evasa di lì a poco’, solo per non smentirsi davanti agl’altri. Per quello mi aveva anche chiesto scusa dicendo che doveva mantenere una certa facciata altrimenti si sarebbero tutti rivoltati al caporale di ferro. Al nostro rientro mi regalò un piccolo bracciale di cuoio, con gl’intrecci e i colori profondamente diversi rispetto a quello di Jacob, così come il suo significato: fiducia. Quella era la vera dichiarazione di pace fra noi due. Finalmente potevamo coesistere senza cercare di prevalere l’una sull’altra, in armonia. Con Sarah il suo rapporto era perfetto, dopo tutto quello che avevano vissuto erano diventate davvero sorelle. E così la vita aveva ripreso più o meno il suo corso. I miei genitori non mi avevano ancora del tutto perdonata, almeno così cercavano di dare a vedere. Volevano fare i sostenuti, peccato per i miei immensi occhi da cerbiatto che li fecero uscire allo scoperto. Rosalie ed Alice mi obbligarono alle famose tre settimane di shopping, che con l’avvento del matrimonio erano diventate il loro gioco preferito, ovvero vestiamo la bambolina Nessie. Esme invece, per smorzare la tensione, si lanciò in un nuovo progetto con Gabriel, volevano ampliare la villa e la mia casa, mandando ai pazzi sia me che la mamma. In più, cucinò per due giorni interi; per non sperperare l’industriale quantità di cibo, i lupi non si sprecarono in molti complimenti, ed impiegarono meno di tre ore per spazzolarsi il tutto. Carlisle deviò il suo viaggio e rimase per qualche giorno a Volterra con Marcus, prima di tornare. Forse era andato in Italia per stabilire qualche nuova legge o regola da rispettare affinché una cosa simile non accadesse più. Non seppi quale fu il destino di Vladimir e Stefan e nemmeno m’importò. Il nonno era intenzionato a dirmelo ma io come una ragazzina mi tappai le orecchie e non volli ascoltare. Preferivo non sapere. L’unica cosa di cui fui informata fu che loro non avrebbero più in alcun modo nociuto alla mia famiglia. Emmett e Jasper vollero sapere ogni minimo dettaglio. Lo zio rimase visibilmente sorpreso delle mie doti, e concordò con Massimo su come io sarei stata davvero un ottimo agente segreto. I giorni passarono e quella brutta avventura ormai apparteneva all’album di famiglia. Ogni ricordo di quella tremenda giornata era vivido, scolpito sulla pietra della mia memoria infallibile. Nonostante tutto fosse volto ad un lieto fine, dentro di me la paura e l’angoscia che potesse ricapitare era sempre viva. Troppe volte avevamo abbassato la guardia, troppe volte la nostra sicurezza ci aveva arrischiati. Troppe volte la calma piatta era il prologo della tragedia. La sera prima di addormentarmi osservavo quella cicatrice dietro la schiena di Jake. Ed ogni volta mi sentivo morire, perché non ero pronta ancora ad affrontare di nuovo un ostacolo anche solo lontanamente simile. Un peso, che comprime e si espande dall’interno, ti prende e ti sbatte appena pensi che sia finita. Ora ero tranquilla tra le braccia della mia eternità, ma il domani? Il domani era vicino ed assolutamente sconosciuto, per esseri come noi non esistevano preveggenze o miracoli. Per noi esseri rari c’era solo l’ignoto, il terrore di rivivere l’ agonia di una vita tormentata, fatta soltanto di pura lotta per la sopravvivenza. A cosa avevo condannato i miei figli mettendoli al mondo?

“Non me la racconti giusta, tu!” ero tra le sue braccia, dondolando con la testa  sul suo petto mentre una musica dolce vibrava nell’aria di gioia e festa del matrimonio di Quil e Claire.  Sarah poco più lontana stava ballando con Nathan, il sorriso sulla bocca felice e rilassato. EJ parlava invece con una ragazza, aveva le guance rosse, all’inizio pensai che fosse accaldato ma poi fece una mossa che riconobbi subito. Iniziò a passarsi una mano dietro la nuca sui suoi capelli. Jake lo faceva sempre soprattutto quando io lo mettevo in imbarazzo. La ragazza era molto carina i capelli biondo scuri con qualche riflesso color caffè, magra ma non eccessivamente, piccolina di statura, portava un bel vestito rosa antico, ai piedi delle scarpe con un bel tacco a sopperire ciò che la natura non le aveva donato in altezza. Sul suo incarnato pallido due begl’occhi scuri, color del cioccolato fuso ed ad ogni suo sorriso due fossette spiccavano sulle gote rosate. Chissà perché …

“Che intendi?”

“Stai ancora pensando all’ultima battaglia!” forse all’inizio era così, ma poi vedendo i miei figli ogni cattivo pensiero era stato scacciato.

“Veramente stavo pensando a chi fosse la ragazza, con cui EJ sembra essere tornato un bambino impacciato!” indicai dietro le sue spalle, dove i suoi bellissimi occhi si andarono a posare.

“Credo che sia un’amica di Claire!” rispose tornando a guardarmi ed a studiarmi “Non so, sinceramente ero troppo impegnato a notare come ti doni essere una damigella! Sei bellissima, mostriciattola!” mi donò uno sguardo malizioso, poi molto lentamente avvicinò le sue labbra al mio orecchio, sussurrando caldo all’interno di esso “Sai cosa si dice del testimone con la damigella?” tremai quasi violentemente, ma mi imposi una faccia sconvolta; quanto mi piaceva giocare con lui.

“Signor Black, non mi starà facendo una proposta indecente!”

“Sarebbe indecente non provarci!” sorrise sornione cercando di baciarmi ma io allontanai il viso rifiutandolo.

“Non ti facevo così tipo da cliché!”  prese il mio braccio lo sollevò facendomi fare una giravolta per poi farmi tornare fra le sue braccia.

“Sai che forse con qualche lezione potresti diventare un buon ballerino!” baciò le mie labbra leggere sfiorandole due volte ed io mi sciolsi, persa nella contemplazione di quell’infantile rotondità sul mento, percorrendo la piega delle labbra, la sporgenza del naso e perdendomi in quegl’infiniti pozzi neri, in quello sguardo sicuro e strafottente con una nota di esperienza accresciuta insieme.

“Non esageriamo, nella nostra famiglia ci sono già abbastanza damerini che sanno ballare il minuetto!” quel nostra mi colpì ancora una volta. Non era la prima volta che Jake includeva la mia famiglia nella sua, però mi fece uno strano effetto. Forse il pensare che erano nemici giurati che la sua esistenza era destinata a farne un assassino di quelli come noi, rendeva la nostra unione ancor più speciale. Tutto quello che ci aveva portato a quel punto era perfetto sia gli orrori a cui avevamo partecipato, sia le cose belle. Non poteva succedere altro, non potevamo vivere in maniera diversa troppo speciali per essere normali. Troppo speciali per non far gola a qualche pazzo con le manie di protagonismo.

“Ehy, che succede? Ti sei improvvisamente rattristata!” infatti avevo abbassato lo sguardo senza accorgemene. Non avrei voluto guardarlo negl’occhi ma in fondo cosa potevo realmente nascondergli.

“Pensavo quante volte dovremmo rischiare la vita prima che possiamo tirare un sospiro di sollievo!” lo stesso buio che mi aveva invaso, ora si trovava sul suo volto. I nostri movimenti erano diventati sempre meno evidenti, quasi fermi sul posto, non ascoltavamo nemmeno la musica.

“Ultimamente ci pensavo anch’io!”  si volse a Sarah, bellissima nel suo abito corallo che le lasciava una porzione di schiena scoperta, attirando gli sguardi dei ragazzi sulla sua figura longilinea, ma con Nate vicino nessuno provava ad avvicinarsi “Purtroppo sono giunto ad una conclusione spiacevole; non ci lasceranno mai in pace!” stava praticamente spezzando tutte le mie speranze di una vita normale “Siamo oggetto d’invidia, non siamo speciali solo per il mondo comune, anche per quello non comune, ti ricordi cosa disse il biondone di Denali allo scontro con i Volturi?”

“Stai parlando si Garrett?”

“Si!” guardai Jacob curiosa di sapere dove voleva andare a parare “I Cullen spaventavano i Volturi perché erano una famiglia, non un semplice Clan, c’erano dei legami troppo forti fra di voi!” tornò a guardarsi intorno scorrendo lo sguardo ad uno ad uno con i suoi fratelli. Seth e Leah giocavano con Crystal la bellissima figlia di Sam ed Emily, impegnati sulla pista a ballare persi l’uno nell’altra. Embry con la nuova ragazza di turno si stava pavoneggiando con Paul e Jared, sull’orlo di una sfida mentre la povera Rachel  stava cercando di far mangiare Ephraim che non ne voleva sapere, e pensare che prima o poi sarebbe diventato un lupo e non avrebbe più fatto tante storie. Alexander giocava con il piccolo Billy con delle carte, sotto lo sguardo attento di Kim. Tutti in una perfetta armonia. Un armonia che aveva una data d’inizio, ma non una di fine “Poi ai Cullen ci siamo uniti noi, licantropi, nemici mortali dei vampiri questo ci ha resi più forti, collaboriamo da troppo ed  abbiamo creato l’anello di congiunzione tra le due specie! Questo mi terrorizza di più, far rivivere a Sarah ed EJ le nostre esperienze, quanto possono far gola alle sanguisughe senza scrupoli? La storia si ripete sempre, evolve e continua! Passa da padre in figlio come il mio essere lupo, o il tuo essere per metà vampira …” tornò a guardarmi negl’occhi e per un secondo si perse nei miei, era così con lui ogni cosa era intensa e vissuta fortemente, persino la semplice attesa dei cambiamenti costanti che la nostra frenetica esistenza ci concedeva.

“Però tutti noi saremo sempre pronti per proteggerli!”

“Tu sei la cosa migliore che gli potesse capitare!” quell’affermazione mi colse di sorpresa e forse si vedeva sul mio viso quello che provavo “Hai attraversato mezzo mondo pur di salvarli …”

“Avresti fatto lo stesso anche tu!”

“Si, lo avrei fatto ma non sarei stato così freddo e così geniale!”

“Non dimenticare Gabriel …” alzò gli occhi al cielo odiava enormemente ammettere quanto fosse stato cruciale il suo intervento, soprattutto quando simulando una lotta fra loro due eravamo riusciti a fuggire dalla nostra cella. Senza volerlo gli feci rivivere quel momento, glielo mostrai.

“Sei solo un bastardo, Jacob non sai nemmeno proteggere la tua famiglia!” lo sguardo soddisfatto di mio marito che finalmente poteva sfogarsi sulle ossa di Gabriel. Iniziarono con una serie d’insulti e di urla attirando così le nostre care amiche guardie. Quando passarono al vero combattimento le minacce dei vampiri non furono più sufficienti e per cercare di dividerli furono costretti ad aprire la grata calare la scala per dividerli. Certo anche io avevo messo del mio piangendo e implorando ai secondini d’intervenire. L’affermazione fondamentale fu proprio rivolta ai loro cari padroni.   Brutto errore. Continuammo a fare baccano, Jacob si era addirittura trasformato. Appena misero piede in terra Massimo  ci coprì con il suo scudo facendoci diventare dei fantasmi. Vladimir e Stefan dovevano imparare ad istruire meglio le proprie guardie sui prigionieri, c’erano caduti come dei pesci lessi. Per poter entrare ed eliminare la guardia della torre ad Est, avevo nascosto un accendino a benzina dentro il calzino utile quando hai dei pezzi di vampiro da bruciare. Per fortuna che la loro perquisizione era stata piuttosto sommaria. Non volevano sporcarsi troppo le mani con una come me. Da lì in poi era solo storia.

“Ok, il mezzo ha fatto un buon lavoro, sono contento che sia riuscito a proteggerti e ad accompagnarti ma è meglio che non ci faccia l’abitudine! Altrimenti gliele spezzo davvero le ossa!” le divergenze tra i due si erano decisamente appianate. I divieti erano stati revisionati e corretti, le distanze leggermente ridimensionate e Sarah poteva finalmente rivolgere la parola  a Gabriel. Questo permise anche di chiarire fra i due, che finalmente tornarono ad essere un po’ amici.

“Sai mi sorprende che tu non sia tremendamente geloso, lui in fondo si è apertamente dichiarato innamorato di me!”

“Dopo tutto quello che abbiamo passato non credo che ci possano più separare! Nemmeno un mezzo vampiro belloccio che ci prova spudoratamente da quasi dodici anni!” un tempo non avrebbe mai preso con così tanta leggerezza la sua estrema vicinanza, ovviamente gli avevo parlato anche della tenda a cui non aggiunse altro che un grugnito simile ad una motosega. Stava realmente diventando molto più saggio “Non riesco a non dirtela tutta …” ridacchiò in maniera buffa attirando la mia curiosità  “Tuo padre mi ha garantito che se fa anche solo un pensiero fuori posto su di te o su Sarah me lo porta legato ed imbavagliato! Sto decisamente più tranquillo con super - Cullen - radar attivato e dalla mia parte!”

“Ti fidi ciecamente di mio padre?” mi ritrovai a chiedermi se Vladimir e Stefan fossero davvero sotto chiave. Dopo questo come minimo un meteorite si sarebbe abbattuto su di noi. Ed era il minimo. Come massimo la fine del mondo era molto vicina, sarebbe scoppiato nuovamente il big bang e la Terra si sarebbe trasformato in pulviscolo intergalattico.

“Incredibile ma vero, si!” sorrise donandomi un lieve bacio sulle labbra. “Io e la sanguisuga leggi pensieri, chi l'avrebbe mai detto!” ma mentre ancora stavamo tubando come due piccioni, la faccia di Embry sbucò dalla spalla di Jacob con un sorrisone furbo. Cosa avevano in mente?

“Scusa Nessie ma mi serve il mio collega testimone qui presente, per fare una piccola conversazione privata con lo sposo, ci vuoi scusare?” li scrutai perplessa troppi sotterfugi e chiamate vaghe, stavano organizzando qualcosa dal pomeriggio precedente, cosa sarebbe toccato al povero Quil?

“Non temere mostriciattola, tornerò a breve!” disse baciandomi le labbra, appena sfiorandole.

“Basta che rimaniate tutti interi! Tutti, nessuno escluso!” mi rivolsi ad Embry ormai appeso sulla spalla di Jake come una scimmia “Te lo posso affidare?”

“Certo, capo!” affermò con una mossa militare verso di me. Sconsolato Jake scosse la testa mentre io ed il suo amico ci scambiavamo un occhietto complice. Andai a sedermi da una parte iniziando a sfilarmi le scarpe giocherellando con le dita dei piedi. Se m’avesse vista Rosalie o Alice chissà quante me ne avrebbero dette. Per quanto avessi una forza sovraumana non riuscivo a portare un paio di tacchi per più di tre ore, ne risentivo immediatamente. Pensandoci bene avrei infilato i miei bei piedini volentieri nel cestello del ghiaccio.

“Ahi che male!” anche Sarah sembrava non sopportare quel malefico strumento di tortura, utile solo a sembrare più alta per un puro vezzo estetico. Si era seduta accanto me ed si era sfilata le scarpe. Tale madre, tale figlia.

“Ciao piccola, hai smesso di ballare?”

“Già il mio cavaliere si è dileguato assieme a tutti gli uomini del branco!” forse mi ero fermata incantata a guardare i suoi lineamenti, la somiglianza con Jake era evidente, ma ora che sul suo viso i tratti di una donna prendevano forma rimarcando i begl’occhi chiari, acquosi in un certo senso, liquidi e solidi nelle sue espressioni, aveva qualcosa anche di me. Ed era bella, molto più bella di quanto fossi mai stata io. Soprattutto era mia. “Ho qualcosa fuori posto?” sorrisi ripensando a quante volte anche io vedendo che qualcuno mi fissava, mi sentivo a disagio pensando a qualche cosa che non andava, certe cose non possono cambiare.

“No, stavo solo pensando che sono fiera si te!” la mia frase terminò con il suo sguardo basso come se le avessi detto qualcosa che la stava offendendo.

“Non puoi essere fiera di me, mamma …” smorzò un singhiozzo, la mia bambina forte e coraggiosa che non si spaventava di fronte a nulla, nemmeno quando era piccina, non piangeva quasi mai. Ed ora quella goccia solitaria e trasparente si gonfiava incontrollata al limitare delle sue ciglia. “Non mi sono comportata bene con te, ti ho offesa, invidiata, insultata anche solo con i miei modi, non merito il tuo orgoglio!” le presi le spalle attirandola sul mio petto. Non esisteva offesa che una madre non poteva sopportare, non esistevano problemi che io non avessi superato. Quella fra le mie braccia era mia figlia, sarei sempre stata orgogliosa e fiera di averla avuta, ogni giorno avrei continuato ad amarla, ogni istante sarebbe sempre e solo dedicato al suo respiro. Tutto in funzione della loro felicità, tutto per loro anche se mi avessero calpestata, non mi sarei mai tirata indietro.

“Tu non sai neanche cosa significhi avere figli splendidi come voi due, io non potrò mai provare nulla di diverso se non gioia ed orgoglio, mia piccola Sarah! Vi ho desiderato, vi ho sognato, vi ho avuti e solo questo e sufficiente a rendermi estremamente felice, perché se c’è qualcuno che deve qualcosa quella sono io, non preoccuparti si può sbagliare, non  saresti mia figlia se fossi perfetta, ti amo e ti amerò sempre perché sono nata per questo!” baciai i suoi capelli e la sentii la sola piccola lacrima cadere sul mio petto, commossa dalle mie parole. Non c’era niente di falso, nulla poteva cambiare quello che provavo per loro, nulla poteva dividerci perché io stessa non avrei permesso a nessuno di farlo. L’avevo dimostrato, ed ero pronta a rimarcare il concetto se fosse stato necessario. Certo non avevamo fatto i conti con un branco di lupi goliardici che si muovevano in massa verso Claire impegnata in una conversazione con Emily. Jacob era al centro ed aveva un vassoio coperto da un tovagliolo. Tutti si ammutolirono in sala escluse le risatine trattenute a stento dai nostri lupacchiotti.

“Claire, questo è per te!” prese la parola EJ con il sorriso a mezza bocca di mio padre stampato sulla faccia. Claire titubante, alzò il lembo del tovagliolo sbirciando al di sotto di esso. Aveva iniziato a ridere così tanto che non riuscì a scoprire cosa celavano con tanto sospetto. Tutti i ragazzi la seguirono, ma la curiosità era a mille. Quando i singhiozzi divertiti della mia amica scemarono tolse il tovagliolo mostrando così i vestiti di Quil ben ripiegati  e disposti sul vassoio. “Tocca a te rivestirlo! Quil, ti aspetta in bagno!” poveretto lo avevano denudato il giorno del suo matrimonio ed abbandonato in bagno. Dopotutto con loro era sempre così, uno scherzo continuo una risata tira l’altra. Sembrava di aver a che fare con eterni ragazzini. Mi correggo, avevamo a che fare con eterni ragazzini e noi eravamo questo in fondo e lo saremo stati per sempre. Centenari adolescenti proprio come l’origine di tutto. Edward e Bella. Jacob aveva ragione. Non potevamo non far gola a chi aveva  sete di potere. Noi senza ricercarlo lo avevamo raggiunto e non ne abusavamo. La nostra eternità sarebbe stata sempre costellata di prove, ma niente avrebbe potuto dividerci persino la morte si tirava indietro di fronte a noi. Figli eterni dell’immortalità, avremmo oltrepassato  le porte del tempo e dello spazio, valicato l’enorme montagna delle difficoltà. Il Fato aveva scatenato tutto la sua forza distruttrice, eppure non aveva scalfito alcun che. Eravamo forti, uniti e questo ci rendeva perfetti. Le Moire non potevano tagliere dei fili d’acciaio intessuti in un ordito troppo fitto per essere distinti e districati, le nostre vite non assumevano miglior connotazione del metallo duro e resistente. Non eravamo semplici fili d’acciaio ma un vero tessuto. Avremmo goduto per sempre di noi, accompagnandoci nell’infinita giostra della nostra vita. Per sempre, assaporando ogni istante che la nostra eterna giovinezza ci offriva. Insieme.

 

FINE.

 

Note dell'autrice: Eccola lì maledetta e corta. Dopo un po' di mesi che mi avete accompagnato in questa avventura l'ho scritta e stavolta è proprio definitiva. Grey Day non avrà altri seguiti, almeno non in un futuro prossimo. Non so magari mi viene in mente qualcosa, ma per ora ho definitivamente esaurito ogni risorsa. Che dire. Spero che la conclusione con la festa (si è capito che a me piace finire con una cosa allegra tipo festa!) vi sia piaciuta e che sia stata all'altezza dei vostri complimenti che fino ad ora sono stati il vero carburante per migliorarmi in quello che è un semplice diletto. Mi sono emozionata, ho combattuto, ho superato i miei momenti difficili grazie a questa piccola passione nata per caso. Ho una bella lacrimuccia che ha deciso di rimanersene lì sulle mie ciglia.

 OVVIAMENTE AVVIO SEMPRE IL SUPER SONDAGGIONE, VOGLIO SAPERE COSA VI è PIACIUTO DI PIù COSA DI MENO, SE C'è QUALCHE ARGOMENTO DA APPROFONDIRE MEGLIO, VEDETE VOBIS!

Va buon passiamo alle recensioni.

kekka cullen: Che dirti se non grazie! è una parola semplice ma spero che lo prenderai con il suo significato completo. Il mio scopo quando scrivo è proprio quello di trasmettere tutta me stessa e nella mia Nessie c'è una grande parte di me. Mi somiglia, come se fosse un mia sorella ed ora voglio che sia anche vostra. Grazie mille per il graditissimo jake elegante (la mia tastiera ringrazia un po' meno a causa della bava). Fa gola non c'è che dire! Una curiosità concedimela: mi piacerebbe sapere su quali aspetti ti sei scoperta a riflettere sempre che non sia una domanda indiscreta, senza ricadere sul personale, magari sono gli stessi che mi hanno spinto a scrivere un determinato capitolo o un determinato argomento e così per pura conoscenza, mi piacerebbe sapere. Onorata di averti avuta come lettrice!Grazie

kandy angel: grazie mille per la tua costanza! Un bacione ed ancora grazie.

noe_princi89: ed eccoci qui alla fine finissima, io sono triste tanto questa storia ha significato molto per me. Grazie mille un bacione!

Passiamo ai ringraziamenti:

Ringrazio le 19 persone che hanno inserito Moonlight stones tra le preferite, le 2 tra le ricordate, le 35 tra le seguite.

Ringrazio infinitamente SINEAD che mi è sempre stata vicina e mi ha appaggiata in questa pazzia.

Ringrazio con particolare attenzione NEVER LEAVE ME.

Ringrazio NOE_PRINCI89, LIONE94, KANDY ANGEL, KEKKA CULLEN, per aver sempre donato anche solo una parolina per me. Grazie mille.

Un particolare ringraziamento va ai lettori silenziosi quelli che passano anche solo a curiosare. Grazie tante!

Ringrazio anche tutti coloro che hanno seguito la serie, a chi si è perso per strada a chi ama questa storia quanto la amo io. Continuate a sognare!

Insomma  un GRAZIE enorme soltanto per tutti voi, perchè non esiste scrittore senza lettore.

Un bacio grande.

La vostra pseudoscrittrice folle

Malice

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