Lullaby in bloom

di nainai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lullaby in bloom ***
Capitolo 2: *** Per tutte le cose che ho perduto. Helena ***
Capitolo 3: *** Per tutti i giorni in cui non ti ho avuto. Cody ***
Capitolo 4: *** Per tutte le mie paure che hai dissipato. Brian ***



Capitolo 1
*** Lullaby in bloom ***


Attenzione: il presente scritto ha per protagonisti persone realmente esistenti e personaggi di pura fantasia. Le vicende narrate sono frutto dell’immaginazione dell’autrice. Non s’intende dare alcuna rappresentazione veritiera di persone, fatti o luoghi. Nessun intento offensivo o lesivo dell’immagine altrui. Nessuna pretesa di veridicità o verosimiglianza. Tutti i diritti riservati appartengono ai rispettivi titolari.
 
Partecipante al “Dodici Mesi di Fedeltà” Contest
 
Lullaby in Bloom
 
“Assenzio in fiore”
 
Nessuno ti insegna a fare il padre.
È una frase fatta, lo so da me. Per di più di quelle che, per tutta una vita, ho tentato di tenere lontano, di quelle che ho disprezzato per la banalità e per la stupidità con cui mille padri prima di me le hanno portate in trionfo.
Ci ho costruito un’esistenza intera nel disprezzare cose come questa. Nell’ostinarmi a rifiutare di seguire i passi segnati da ogni padre, ogni madre, ogni uomo ed ogni donna prima di me.
Quello che non ti insegnano…che si dimenticano di dirti quando nasci e che impari da solo e solo dopo tanto tempo che cammini nella stessa direzione - compiendo gli stessi errori di sempre - è che è nel codice di ogni essere umano diventare padre, madre, uomo o donna. È nel codice di ogni essere umano vivere una vita che passi inevitabilmente per queste strade e veda inevitabilmente queste albe e questi tramonti.
Le stesse albe e gli stessi tramonti che vedrai tu, Cody, e che io, scioccamente, non ti ho indicato quando sei venuto al mondo perché ero troppo impegnato a rinnegare me stesso ed a rinnegare la natura di ogni essere umano. Perché ero troppo impegnato ad essere diverso per accettare di voler essere come tutti gli altri. Quei mille padri da cui ho imparato la sola lezione che si possa apprendere: nessuno ti insegna a fare il padre. Sei solo, con tuo figlio tra le braccia, e tutte le domande del mondo a farvi da corollario nell’assioma della vita.
Le scoprirai tu. Una alla volta – qualcuna già me l’hai posta, per le altre non so nemmeno se sarò qui ad ascoltarle…e se tu avrai voglia di farmele – le vedrai riflesse nel mondo stesso ed il mondo si rifletterà nei tuoi occhi. Sarà la meraviglia dell’ordinario, quello splendore che gli adulti sono troppo cechi per poter cogliere ancora e che per i bambini è una fiaba nascosta in tutti gli angoli.
…io non ricordo le mie favole. Non ricordo quasi nulla di quello che ho provato nell’essere bambino. Ma una cosa la ricordo, perché è immutabile nel tempo ed è il Tempo a darle un senso. Le domande restano, Cody, le stesse che ti facevi allora ed altre ancora, che ora non immagini neppure. Le domande restano sempre e non c’è mai il tempo, davvero, per dar loro una risposta.
Il tempo, Cody, ha uno scopo diverso. Darti fiato. Darti forza. Darti coraggio. Attraverserai le meraviglie del mondo e spero davvero, per te e per chi ti accompagnerà in questo viaggio, che nei tuoi errori tu sia più saggio di come sono stato io.
O di come è stato mio padre prima di me.
E prima di lui, suo padre, ed il padre di suo padre…
 
Il tempo, Cody, ti darà la capacità di sopravvivere ma nessuna risposta alle tue domande.
 

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Capitolo 2
*** Per tutte le cose che ho perduto. Helena ***


“Per tutte le cose che ho perduto”
Helena
 
Lo osserva divertita da lontano. Lui tentenna, si guarda attorno nervosamente – le gambe accavallate, gli occhiali da sole immancabili, il cappello calato sulla fronte – tira fuori una sigaretta dal pacchetto e ci batte il ritmo della sua impazienza, picchiettando sul dorso della carta traslucida e della plastica protettiva trasparente. Poi la appoggia tra le labbra – con un sospiro, le è parso – prende l’accendino dal tavolo, sbuffa il fumo del primo tiro.
Brian odia aspettare, e lei è in ritardo.
Brian odia gli imprevisti, e la sua telefonata ha già il sapore di uno spiacevole incidente.
Brian odia vedere le proprie brevi vacanze rovinate dai contrattempi, e lei sta per rovinargli tutto per intero il suo weekend londinese.
Si sistema sulle spalle la chioma scura, setosa, in un gesto di civetteria involontaria, un condizionato riflesso che la porta ad assicurarsi che le pieghe della gonna cadano dritte sulle gambe snelle e che la camicetta di seta sia in ordine intorno al busto sottile. Allunga un passo, sicura sui tacchi altissimi, attraversa la strada e si gode gli sguardi ammirati degli uomini seduti ai tavolini del caffè.
Nel sole lei è colorata come il caramello, dorata e calda.
Poi lui la vede.
-Brian.- saluta affabile, raggiungendolo e posando la borsa su una delle poltroncine in vimini. Ne scosta un’altra e ci si accomoda, elegante e delicata come sempre, stendendo davanti a sé le braccia nude ricoperte di braccialetti tintinnanti. Sfila via gli occhiali, in un invito silenzioso al proprio interlocutore, e gli sorride con tutto l’affetto che quei due anni di distanza non sono riusciti a cancellare.- Ti trovo bene.- lo lusinga.
Lui sorride in risposta, sanno entrambi che lei lo avrebbe detto anche se non fosse stato vero, ma sanno anche che è vero. E tanto basta.
Schiaccia la sigaretta nel posacenere e si toglie gli occhiali da sole.
-Buongiorno, Helena, sei uno splendore.- modula amabilmente.
E nel suo caso non è così scontato: Brian Molko difficilmente tiene per sé ciò che pensa degli altri, indipendentemente dagli effetti che questo può avere.
È lui a voltarsi per richiamare una cameriera, perfetto cavaliere esattamente come se lo ricordava, gentile ed educato con la ragazzina di colore che gli si avvicina prontamente. Per Helena è un piacere da riscoprire lasciarsi coccolare per un istante dai toni morbidi della sua voce, ma quando lui torna a guardarla lei è pronta a servirgli quel “contrattempo” con tutto il candore – spavaldo – che la convivenza le ha insegnato a sfoderare in momenti come quello.
-Allora.- esordisce allegramente appena la ragazza sparisce con le loro ordinazioni, il sorriso che si allarga.- È inutile che ci giriamo intorno, Brian, ed anche se ho sempre adorato il modo in cui ti sai perdere in convenevoli...- Lui ridacchia qualcosa a mezza voce, ma lei non gli lascia il tempo di prendere la palla al balzo e strapparle l’iniziativa.- credo sia il caso di mettere subito in chiaro perché ti ho chiesto di incontrarci.
-Mh.- concede lui, nient’affatto preoccupato.
Se non lo conoscesse tanto bene quanto lo conosce, ci cascherebbe con tutte le scarpe nella sua sicurezza ostentata. La verità è che gli da un fastidio terribile che lei gli abbia ingiunto di vedersi e che lui sia stato costretto ad accettare, anche se presumibilmente quell’incontro scombina buona parte dei suoi piani per i blindatissimi due giorni di permanenza in città. Per un istante – brevissimo, sì, ma decisamente fuorviante – Helena prova un piacere immenso all’idea che lui non sappia ancora quanto intende scombinarglieli, quei piani. Poi si ricorda che non è una facile – inconcludente – vendetta quella che sta cercando e mette a tacere il rigurgito di un orgoglio che la sua intelligenza di donna adulta le ha insegnato da molto tempo a tenere a bada quando può essere controproducente. Non si va molto lontano nel “gioco dell’egoismo” con Brian Molko come compagno, e non serve a granché nemmeno quando lui è comunque il padre di tuo figlio.
-Si tratta di Cody.- mette avanti Helena.
Brian ha un moto di fastidio che proprio non riesce a nascondere, probabilmente sarà il fatto che cody è la parolina magica con cui lo ha trascinato in più di una spiacevole situazione da quando la loro storia è finita. E lei no, non è proprio quel genere di donna che usa il figlio come arma contro l’ex famoso e ricco – e poi di soldi non ha proprio bisogno! – ma non è nemmeno il genere di donna che accetta di crescere quello stesso figlio da sola, fingendo che il padre sia morto in guerra ed aspettando che il ragazzino compia diciotto anni per tirare fuori una verità da copertina di rotocalco. Quindi, alla reazione dell’altro, lei risponde con calma.
-Non fare quella faccia.- lo rimprovera cambiando appena il tono. Una punta meno affabile, abbastanza perché lui le lanci un’occhiata sospettosa e renda evidente che la sta ascoltando.- È ancora tuo figlio, sai Brian?- ci scherza su con un’ironia tutt’altro che gentile.
Vede la risposta acida di Brian lampeggiare nel suo sguardo quando si volta a fronteggiarla, ma lui è attento a non pronunciare alcunché ad alta voce e lei accetta quell’armistizio riponendo le armi a propria volta. Sorride di nuovo, appena più sincera e disponibile.
-E poi non ti sto chiedendo certo la luna. Dovrai solo tenerlo con te questo fine settimana.
Per un momento Brian boccheggia, spalancandole addosso due occhi che sono enormi proprio come li ricordava – come quelli di Cody – e che stanno quasi per strapparle una risata che lui non apprezzerebbe affatto. È che certe volte è così infantile! Arriva la cameriera a salvarlo in corner dal dire qualcosa di terribilmente stupido, posa le ordinazioni sul tavolo tra loro e Brian viene distratto abbastanza da riprendere il controllo della situazione. Quando la ragazzina si allontana, lo stupore ha lasciato il posto all’indignazione di un uomo irritato da un fastidioso imprevisto.
-No.- risponde, come se lei avesse lasciato intendere la possibilità di una contrattazione al riguardo. Helena sospira, sfila il tovagliolo da sotto il piattino degli antipasti e lo apre sulle gambe.- Ho degli impegni a Londra, Helena!- argomenta Brian. Mentendo, pensa lei continuando a non guardarlo, o meglio…i suoi impegni sono di tipo tale da poter essere rimandati tranquillamente per amore di Cody.- Non puoi chiedermi di fare la balia ad un bambino per due giorni! Significa mandare a monte tutti i programmi che avevo fatto! Lunedì ripartiamo e lo sai!
-Sì, certo che lo so.- concorda pacata. Anche perché è la prima cosa che lui ci ha tenuto a precisare quando si sono sentiti per telefono.- Proprio per questo e per il fatto che dopo mancherai fino ad autunno inoltrato, questo fine settimana terrai tu Cody.- ritorce asciutta.- Anche perché io non ci sarò, Brian, ho un impegno di lavoro in Germania e non posso proprio rimandarlo. E tu non vuoi che io mi rivolga ad un giudice tutelare per dirgli che siamo dei cattivi genitori per Cody. – aggiunge alzando gli occhi ad incastrarli nei suoi.
Helena ha imparato bene ad affrontare lo sguardo di Brian, non c’è quasi più nessun trucco che quegli occhi possano utilizzare con lei e lei ha smesso da tempo di esserne affascinata, intimorita o semplicemente distratta.
 
Stefan Olsdal non è particolarmente stupito di trovarlo lì quando apre la porta, dopo aver spiato la sua presenza – e quella del bambino bruno che gli dà la mano – dallo spioncino del battente. Non è nemmeno particolarmente spiazzato nel ritrovarseli entrambi, Brian e Cody, pronti e pimpanti fuori della soglia di casa che lo guardano sfoggiando un sorriso affascinante – e niente affatto rassicurante - il primo, ed un musetto gorgogliante bollicine di saliva nonché uno sguardo vivacemente perplesso, il secondo. Stefan è un uomo che ha imparato a gestire bene gli imprevisti - è una cosa che impari quando hai come compagno di band il Re delle Trovate Impreviste - quindi non lo spiazzano e non lo allarmano più. E sa che - se lo stesso Brian che lo ha salutato scendendo dall’aereo con un “a mai più rivederci fino a lunedì, Olsdal”, adesso è lì - significa che un imprevisto è proprio ciò che gli è capitato tra capo e collo.
E presumibilmente ha anche la consistenza del bimbetto gorgogliante che si sta infilando il dito in bocca in questo momento.
-No, Brian.- ci tiene a specificare.
Ma sa già che quel “no” sarà messo a durissima prova e non dubita di sentirlo trasformare in un “sì” in tempi da manuale.
Questo nemmeno quindici anni di lavoro assieme glielo hanno insegnato.
-Sei pessimo, Stefan. Non ci fai nemmeno entrare? Cody è stanco, è stato a ruzzolare nel parco fino ad ora.
Sospira, ogni concessione è una rinuncia sul terreno di battaglia ma si sposta dalla porta e viene premiato da un gridolino divertito e soddisfatto di Cody, che si libera dalla mano del padre e rotola dentro a tutta la velocità che le gambette tozze gli concedono. Non fosse un pupo tanto grazioso, Stefan immagina che troverebbe più facile cacciarlo fuori con quella serpe che si trova per padre.
Padre che, intanto, ha preso possesso di casa sua con tutta la flemma padrona che lo contraddistingue nell'invadere lo spazio vitale altrui.
Non crede di averlo mai visto introdursi discretamente nell'esistenza di qualcuno, Brian preferisce di gran lunga le entrate ad effetto e gli scoppi accesi.
-Stef, chi è?- chiede una voce dalla cucina.
-Oh, ma c'è anche Dave!- trilla allegro il bruno, svolazzando in direzione dell'altro ospite della “magione”.
“Ah, sì che c'è David, Brian”, formula pigra la mente di Stefan mentre lui lascia il battente perché si richiuda con un tonfo, “viviamo assieme!”
Non si spreca a farlo notare. Tanto sarebbe inutile quanto tutte le decine di volte precedenti in cui il suo cantante - e migliore amico - ha preferito ignorare quella verità fastidiosa per continuare entusiasticamente a violare la loro privacy senza neppure prendersi la briga di annunciarsi.
Ovviamente il suddetto David è affatto felice nell'affacciarsi alla soglia ad arco della cucina per ritrovarsi a meno di mezzo metro da quello che sta assumendo velocemente i contorni di un incubo ad occhi aperti, come comunica il suo sguardo che si sposta rapido ed implorante verso il compagno in cerca di un sostegno che Stefan non si sente di dargli. In piedi a braccia conserte dietro la schiena, Stefan Olsdal si sente tanto un traditore della patria e sicuramente un gran vigliacco.
-Brian...- constata a mezza voce David.- Che accidenti ci fai qui?
-Cosa vuoi che ci faccia?!- ritorce con il proprio peggiore candore il cantante.- Certo che ne fai di domande strane, David! Piuttosto, c'è del caffè in questa casa?- s'informa dribblando elegantemente l'altro per entrare di prepotenza in cucina a caccia di quanto richiesto.
In salotto Stefan intercetta il dito accusatore che il suo compagno gli sta puntando addosso e si limita a stringersi nelle spalle in un chiaro “cosa ti aspetti che faccia?! lo conosci!”, che non sortisce affatto l'effetto sperato. David gira rabbiosamente sui tacchi all'inseguimento dell'intruso, abbandonando bassista e bambino a vedersela da soli in salone, ed intercetta Brian un istante prima che cominci ad armeggiare pericolosamente con la macchina del caffè. Quando lui non oppone alcuna resistenza nel cedergli il bricco trasparente per accomodarsi in attesa all'isola centrale, David ha quasi la tentazione di romperglielo in testa. Desiste solo perché si ritroverebbe senza un lavoro e, presumibilmente, senza un ragazzo. E non vuole davvero scoprire che Stefan tiene comunque più a Brian che a lui...
-Beh, in ogni caso io ero lì a farmi una paccata e mezza di cazzi miei, mh?- inizia a raccontare il bruno, come se il discorso stesse proseguendo da sempre e tutti loro dovessero essere, quindi, perfettamente in grado di capire a cosa si stia riferendo. David lancia una seconda occhiata a Stefan proprio mentre lui fa il suo ingresso nella stanza con Cody appeso al collo che strillacchia felice di aver raggiunto nuove “altezze”.- Ed Helena mi chiama e mi fa “dobbiamo incontrarci!”, in tono così categorico che voglio vedere voi a dirle di no!
-Non mi sognerei mai di dire di no ad Helena, Brian, lei ed Alex rientrano in quel novero di donne che mi hanno convinto che essere gay sia una soluzione più che accettabile!- ci scherza su Stefan, sistemando Cody sullo sgabello di fianco al padre nonostante le sue manifestazioni di disappunto al riguardo.
David accenna una risatina ma non interviene e non si volta, così che non vede lo sguardo minaccioso di Brian che, palesemente, non ha nessuna voglia di scherzare, al di là del finto tono giocoso/casuale che sta sfoggiando per quella discussione. Come se loro due - David e Stefan - avessero davvero bisogno di una spiegazione per sapere dove andrà inevitabilmente a parare.
Il bricco trasparente s'incastra con un leggero scatto proprio sotto il bocchettone della macchina, David la accende e torna all'isola, appoggiandosi al ripiano, in attesa, rassegnato al finale di quella parodia insulsa.
-Allora capirai che non ho proprio potuto rifiutarmi di tenere Cody con me questo fine settimana.- “Bingo!”, pensa David intercettando la medesima allocuzione nello sguardo divertito del compagno.- Anche perché lei ha cominciato tutta una trafila sul fatto che deve andare all'estero per lavoro e che non saprebbe proprio come fare...Insomma, non ve la faccio lunga, ha avuto il barbaro coraggio di insinuare che siccome non la aiuto a tenere il bambino, allora lei sarebbe stata costretta a rivolgersi agli assistenti sociali!- esclama concitato.
-Agli assistenti sociali?- ripete Stefan, sinceramente sorpreso.
Brian annuisce vigorosamente, scandalizzato.
-Figuratevi se voglio che degli assistenti sociali si impiccino di mio figlio!- sbotta rabbioso.- Che poi voglio dire, non capisco davvero perché la faccia tanto lunga. Mia madre ha cresciuto me e Barry completamente da sola e non mi pare che nessuno di noi due ne abbia mai risentito.
-Sul punto avrei delle obbiezioni, Vostro Onore.- commenta David sarcastico.
-Brian, tua madre non ha lavorato un solo giorno in tutta la sua vita e tuo padre, in ogni caso, viveva con lei, a parte i viaggi di lavoro.
-Con questo che vorresti dire?- ritorce Brian storcendo il naso.
-Che non è la stessa cosa.- esplicita sbrigativo David, prima di voltarsi per recuperare tazze e caffè.
-A grandi linee.- ammette Stefan davanti allo sguardo del proprio migliore amico.
Cody si tuffa, mani avanti, sulla prima delle due tazze che David posiziona davanti a loro e suo padre reagisce in modo asettico ed istintivo, sfilandogliela da sotto il naso prima che possa raggiungerla ed assicurandosi poi che il bambino non cada dallo sgabello traballante.
-Solo perché io ho un lavoro più impegnativo.- ci tiene a precisare. E Stefan evita di fargli notare che nell'immaginario collettivo (per carità! con ogni considerazione del caso, eh!) si ritiene molto più impegnativo dirigere una grande Banca che non saltellare sui palchi di mezzo mondo con canzoni pop-rock di discutibile successo - Ma non mi pare di essermi rifiutato di aiutarla nei limiti del possibile! Non avrei accettato di tenere Cody con me, altrimenti, nonostante questo sconvolga tutti i miei piani.
-Siamo in dirittura di arrivo!- commenta David prima di affondare il naso nella propria tazza.
Brian gli tira un'occhiata trasversale di puro disappunto che lui ignora.
-Non ne dubito, Brian.- concorda Stefan serafico.- E, quindi, visto che sei consapevole dei tuoi doveri di padre e che il tuo senso di responsabilità ti ha correttamente indicato la strada del sacrificio per amore di tuo figlio, come mai sei qui a rompere le palle di venerdì sera?
 
-Consolati, almeno la giornata si è completamente guastata.
-Spero che si bagni fino al midollo, che gli venga una bronchite e che stavolta ci resti secco.
Stefan ride, consapevole di quanto David stia esagerando una stizza che prova solo in parte.
Intanto lo ha visto, prima, buttato sul tappeto dello studio a giocare con Cody ed un mucchio di penne colorate! incurante del fatto che quelle stesse penne stessero ampiamente contribuendo a ridisegnare i suoi amati pantaloni nuovi molto più di quanto non stessero facendo per la formazione artistica del piccolo.
Il gioco si è trasformato presto in una travolgente lotta indiani contro cowboy che ha visto Stefan nella parte di un improbabile Clint Estwood e si è conclusa con un pupo sfinito e sonnecchiante sul divano in soggiorno. Lui ne ha approfittato per uscire in terrazza a fumare una sigaretta e David per concedersi una doccia ed un cambio abiti veloci. Al rientro di entrambi nella stanza, il bambino è di nuovo sveglio ed attivo e si guarda attorno con aria famelica e sguardo fin troppo vigile.
Stefan è ancora impressionato da quanto, a parte per i colori, Cody possa somigliare a suo padre con quegli occhi enormi e quell'aria da monello furbetto.
-Non capisco come tu possa averglielo permesso.- riprende David in un mugugno insofferente.- Santo Cielo, Stefan! è venerdì e siamo chiusi in casa a fare da baby sitter!
-Guarda il lato positivo della cosa, sappiamo entrambi che se gli avessimo mandato a monte la serata avremmo pagato le conseguenze del suo malumore per eoni.- ribatte seraficamente il bassista, raggiungendo Cody che, saltato giù dal divano, si sta incamminando mezzo a gattoni e mezzo a balzelli in un improvvisato percorso di guerra tra i divani ed il tavolino del salotto.- Dove vai, signorino?- s’informa sorridendo al bambino, che gorgoglia in risposta.
-…mamma…?- borbotta con fare interrogativo Cody.
-Mamma, sì. Mamma è al lavoro, amore.- gli confida Stefan sollevandolo in braccio prima che provi a dare la scalata ad un vecchio cassettone sistemato tra il muro ed il divano.- La vedi lunedì, la mamma. Questi due giorni stai con papà, lo zio Stef e lo zio David.
-…evid.- ripete meccanicamente Cody, già distratto dalla consapevolezza che, a quell’altezza, il lampadario sembra immensamente facile da raggiungere…
-Sì, zio David che ora va a preparare la cena, perché non so tu, piccola pulce, ma io e lo zio Stef abbiamo fame!- annuncia David.- Stefan, attento a non farlo morire fulminato, sono quasi certo che per questo “tuo marito” potrebbe ucciderti.
-Mamma.- ripete convinto il bambino mentre Stefan segue il consiglio di David portandolo lontano dalle fonti di illuminazione elettrica.
-Uhm...Cody, sarà meglio che tu ti arrenda all'idea che tua madre non verrà a salvarti per i prossimi due giorni.- gli confida lo svedese osservando il visetto perplesso del bambino.- E sai, per quanto capisca perfettamente la bontà delle sue ragioni, non sono del tutto certo che sia davvero la scelta migliore per te.- aggiunge con un sospiro.
-...mh!- sbotta il bimbo, annuendo vigorosamente come avesse capito.
Stefan sorride, gli dà un bacio sulla guancia, a cui Cody risponde con un gorgoglio felice ed un sorriso enorme, e poi lo rimette a terra perché possa riprendere le sue esplorazioni della casa. Quando David li raggiunge per annunciare che la cena è pronta, Stefan e Cody stanno giocando a nascondino tra il letto e la porta dell'armadio e le risate del bambino e lo scalpiccio dei suoi passetti caracollanti riempiono casa in un modo che fa sorridere il ragazzo nell'affacciarsi alla soglia della stanza.
-Tana per Stefan nascosto dietro la cassettiera!- strilla David indicandolo tra gli urletti di Cody, che parte subito in quella direzione per cascare tra le braccia pronte dello svedese.- Sei troppo alto! La testa non ti ci sta mica lì dietro.- argomenta con convinzione il suo compagno.
-Ma non mi dire!- sbuffa sarcastico Stef, sollevando Cody in braccio.- Andiamo a fare la pappa?
-Bruuuugh- gorgoglia lui.
-Lo prenderò per un sì.- gli concede divertito l'uomo, avviandosi alla porta.
Non ha il tempo di uscire però. Cody comincia ad agitarsi con la convizione ostinata dei capricci infantili, scalciando e dimenandosi tanto da fargli credere che possa cadere da un momento all'altro. Stefan si affretta a rimetterlo a terra, solo per vederlo acquietarsi appena acquista consapevolezza della consistenza del pavimento sotto i piedini.
-Ehi...cucciolo...- mormora lo svedese, scostandogli i ricci scuri dal viso per studiare la sua espressione disorientata. Cody si mordicchia il pugno e si guarda attorno.- Che ti prende...?
Quando tira via le braccia, lasciandolo camminare incerto verso la fonte della sua attenzione, lo vede barcollare instabile sulle gambine fino alla porta della stanza. Cody si appende al battente per scostarlo via dalla propria traiettoria e David, perplesso quanto il compagno, si affretta ad aiutarlo. Dietro il legno il bambino scopre l'oggetto misterioso della sua curiosità: il  legno liscio e colorato di una vecchia chitarra che ha visto tempi migliori. Cody si siede lì davanti, allunga una mano verso le corde spesse e le aggancia malamente con l'indice ed il medio nel tentativo vano di tirare fuori un suono.
Quando la chitarra resta muta, Stefan e David lo vedono girare gli occhi verso di loro con un interrogativo silenzioso negli occhietti svegli. Sorridono.
-P...pa...p-pà?- domanda incerto.
Il sorriso muore sulle labbra di Stefan e David mentre si guardano.
-...e ora chi glielo dice a Brian?- mormora David.
 
David si è portato Cody a dormire. Stefan è entrato in camera da letto e li ha visti, abbracciati tra cuscini e coperte, ronfare beatamente, il piccolo pancia all'aria e l’altro attento a tenergli un braccio attorno alla vita per evitare che rotolasse giù dal materasso. La stizza di David, del resto, si è sciolta davanti ad un Cody starnazzante quell'unica parola come un mantra tutta la sera. Sembra che appena imparato a dirlo, “papà” - in tono sempre più alto e sicuro - sia diventato la formula magica di un incantesimo dalla riuscita improbabile. Papà non è apparso alle invocazioni di Cody, ma lui ha preso la cosa con uno stoicismo ammirevole, trasformando la litania in un sottofondo rumoroso dei propri giochi, finché il sonno non lo ha fatto crollare di nuovo sul divano in soggiorno.
Brian è educato come sempre - quando vuole - si annuncia al cellulare per non disturbare, con uno squillo breve, e Stefan si avvia alla porta per aprirgli, fa scattare il portone e poi la serratura nell'ingresso. Pochi minuti e lo sguardo brillante e sorridente dell’altro è lì davanti a lui.
-Potevi lasciarlo qui stanotte, se volevi.- gli dice.
-Oh, no. Non volevo disturbarvi oltre.- borbotta il cantante.
E Stefan sa che sta mentendo perché si sta già guardando attorno alla ricerca del bambino e la smania con cui perlustra la stanza gli dà la misura di quanto si sia pentito della scelta fatta. Sorride amareggiato, chiudendo la porta e facendolo soffrire un altro po’.
-Com'è andata la serata?- s'informa colloquiale.
-Uhm? Oh...bene...- sminuisce Brian scrollando le spalle.- Cody è stato buono?- chiede, ma la risposta non lo interessa e prosegue quasi immediatamente con l’ennesima frase di circostanza, mentre lo segue in cucina.- Mi spiace davvero di aver bloccato te e David in casa, contavo sul fatto che non aveste impegni ma effettivamente non ve l'ho chiesto...
Stefan avrebbe voglia di scoppiare a ridere ma si trattiene, nascondendosi nel frigorifero con la scusa di cercare qualcosa di fresco da bere.
-Grazie del pensiero!- lo prende in giro tornando a voltarsi per trovarlo già accomodato al bancone dell'isola centrale. Preleva due flute dal lavello e li posa sull'isola insieme con una bottiglia di vino bianco.- Non cambierai mai.- afferma, occhi nei suoi e sorriso garbato.
Brian ricambia con una risatina imbarazzata, offrendosi di stappare la bottiglia e porgendo la mano perché Stef gliela consegni insieme al cavatappi.
-A cosa brindiamo?- chiede poi osservando compiaciuto l'etichetta, prima di versare.
Stefan si accomoda sullo sgabello ed alza il bicchiere, fronteggiandolo da sopra un sottilissimo strato di bollicine trasparenti.
-Al mio migliore amico,- esordisce lentamente, strappando all'altro un'espressione sottilmente soddisfatta. Brian alza il bicchiere, ma prima che possa farlo tintinnare contro il suo Stefan prosegue apatico - che è uno degli uomini più impegnati che io conosca.- afferma piatto.- E poi al primo “papà” detto da Cody.
La faccia di Brian, mentre Stefan beve e lo osserva di nascosto, è una maschera di cera.
Il bicchiere rimane intatto sul tavolo della cucina.
 
Sebbene ci metta tutta l'attenzione del mondo, Cody si sveglia comunque. Brian gli posa un bacio leggerissimo sulla tempia, cullandolo per convincerlo ad appoggiare nuovamente la testolina ricciuta contro il suo petto, al riparo del giubbotto di pelle che lo protegge dalla fitta pioggerellina inglese. Il bambino sospira, il suo respiro caldo contro il collo fa sorridere Brian, gli posa una mano sulla guancia, delicatamente, per assicurarsi che l'acqua non lo raggiunga mentre attraversano la strada in direzione della jaguar parcheggiata contro il marciapiede.
Brian sa che Stefan li sta guardando da sopra il terrazzo; apre lo sportello e sistema il bambino sul sedile, rimboccandogli il giubbotto attorno al corpicino mentre ancora si muove in cerca di una posizione più comoda e poi sistemando la cintura perché lo protegga nel breve tragitto fino a casa. Quando ha finito, si gira e solleva una mano in direzione della figura scura ritta sullo sfondo della notte. Stefan ricambia e resta lì mentre anche lui sale in macchina e si allontana.
Ed è il loro modo di perdonarsi un po’ tutto, scambiarsi quel saluto silenzioso prima di lasciarsi. Ed anche se Brian lo sa che ha ben poco da perdonare a Stefan – la “cattiveria” di quella sera non è davvero tale, ma il solito rimprovero da amico paziente che lo svedese non manca mai di fargli, con tutta la delicatezza ma anche la determinazione che gli sono proprie – Stefan sa, invece, quanto per lui possa essere difficile accettare di aver sbagliato. E, quindi, sì, è necessario anche quel saluto e dirsi che da domani tutto torna alla normalità di sempre.
Una normalità dal sapore strano. Brian guarda Cody sul sedile di fianco, ora del tutto sveglio, che osserva il mondo con quegli occhi troppo grandi spalancati come potessero inghiottire il buio e ridargli luce in cambio. Sorride. La colpa è sua se quella parola si è persa per sempre e non avrà mai più lo stesso sapore; pensa che è ridicolo, perché lo aveva messo da conto che “non ci sarebbe stato” e che Cody avrebbe detto “papà” ad un immagine trasmessa da uno schermo.
Invece no. Invece non c’è stato, ma la colpa è solo sua. E se, già generalmente, la normalità ha il sapore dello straordinario nella sua vita, per una volta tanto non è nemmeno uno straordinario così eccezionale. È solo la mancanza di un padre distratto.
Cody si ribella alla cintura, le manine afferrano la portiera e Brian fa scattare la sicura centralizzata, mentre il bambino si arrampica con le braccia ed il viso fino al vetro, e rallenta l’auto gettandogli uno sguardo di tanto in tanto per assicurarsi che non si tiri in piedi sul sedile. Ma Cody resta buono con il naso incollato ad un finestrino coperto di gocce piccole che scivolano in basso e le segue con il dito, il fiato che si condensa sulla superficie trasparente.
-Quella si chiama “pioggia”.- dice Brian lento.
Cody lo guarda e poi torna a schiacciare il viso al vetro.
-…ghia!- trilla con convinzione.
 
Nota di fine capitolo della Nai:
 
Nuovo esperimento, indotto, stavolta, dalla volontà di far piacere un personaggio alla cara Keiko – giudice del terzo round del “Dodici Mesi di Feldetà” Contest.
Lei odia Brian Molko, la sottoscritta ama Brian Molko e, quindi, con l’arroganza che sempre la contraddistingue in questi casi, spera di riuscire a far piacere il personaggio anche a chi legge con tutti i “pregiudizi” del caso.
 
A parte questo, la storia non ha grandissime pretese – oh, invece sì, ma nella realizzazione pratica si sono perse praticamente tutte! XD – e confido solo che possa divertirvi, piacervi o intenerirvi soltanto.
Io sarò felice di qualsiasi attenzione possa suscitare da parte vostra.
Con affetto,
MEM

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Capitolo 3
*** Per tutti i giorni in cui non ti ho avuto. Cody ***


 Per tutti i giorni in cui non ti ho avuto”
Cody
 
È magrissimo. Sottile come dovesse spezzarsi da un momento all’altro. Ed arruffato. I capelli troppo lunghi, spettinati, raccolti in una coda disordinata che lascia libere ciocche sporche, appena ricciute, decisamente troppo lunghe. A vederlo sembra una ragazza: ha gli occhi troppo grandi con le ciglia troppo lunghe, i tratti del viso troppo morbidi – gli zigomi alti ma le guance tonde – e delle labbra disegnate e piene, la pelle liscia con una punta di caramello che si mescola al marrone scurissimo degli occhi. Anche se il colore in sé sarebbe banale, ha lo sguardo intenso, che trapassa chi lo osserva, e poi è reso folle dall’alcool e dal fumo e quando ride – e ride spesso, anche se senza divertimento – gli occhi luccicano, come fossero dei fari puntati nel buio della notte.
Si tira in piedi all’improvviso. Il resto del gruppo rimane dov’è, lo guardano soltanto, annebbiati, con una domanda solitaria e svogliata che aleggia senza trovare forza. Lui li ricambia con disprezzo, ma non è così diverso da loro, sgangherato ensamble di pezzi di pessima orchestra. C’è una ragazza “vera” che però sembra un brutto ragazzo, sgraziata e sudicia, vestita di stracci neri e rossi; poi ci sono altri due tizi, che sono troppo fatti anche solo per concentrare su di lui un’attenzione concreta, ed un altro, che lo studia come se si aspettasse di vederlo ricadere al proprio posto da un momento all’altro.
Invece lui barcolla ma resta ostinatamente in piedi. Anzi, quando trova un minimo di equilibrio sulle gambe, ricambia trionfante lo sguardo del tizio, in un palese invito a sfidarlo – “o sfidare la forza di gravità”, si domanda quello. Scioglie i capelli scuri e torna a legarli in un groviglio che ridiventa in fretta disordinato com’era. Manco fossero vivi.
-Mi sono rotto le palle di stare qui.- annuncia secco ad una platea indistinta.
A dargli retta è ancora lo stesso tizio. In realtà non è che dica qualcosa, ma sposta lo sguardo per armeggiare con la stecca di fumo che nasconde nello zaino e le cartine che ha in tasca.
-Insomma, volete sprecare tutta la nottata in questo cesso?!- ringhia indispettito da quell’indifferenza generalizzata.
La ragazza sbuffa infastidita dal suo tono, si preme le mani contro le orecchie e lo guarda di sottecchi.
-Ah, ma vaffanculo, Cody! Cazzo dovremmo fare?!- gli ritorce contro, calciando l’aria perché non arriva fino a lui e spostarsi le costerebbe troppa fatica.
-Lenore è andata!- ride uno dei due strafatti, nemmeno fosse una gran battuta, e l’altro gli va dietro quasi subito.
-Cosa vorresti fare?- chiede il terzo in modo appena più accondiscendente. Rolla lo spinello e lo appoggia tra le labbra, scavando nuovamente la tasca alla ricerca dell’accendino.
Cody arriva fino a lui, evitando l’intreccio di gambe che i due tizi e la ragazza hanno creato al centro dello stanzino. Quel posto è davvero un cesso, ma è fuori dal giro della polizia e loro ci vengono quando vogliono stare tranquilli e fumare senza il rischio di farsi prendere. Si lascia cadere accanto all’altro che gli allunga lo spinello in automatico, sbuffando il fumo in una nuvola davanti a loro; Cody fa un tiro e si sistema all’indietro, spalle al muro, la maglietta si tira sulla pancia e scopre la carne nascosta sotto i vestiti troppo stretti.
-Se andiamo giù al negozio di Brad?- risponde al tipo.
-Ha già detto che non ce lo vende, l’alcool, ha già detto che gli sbirri gli hanno rotto il cazzo l’ultima volta e che lo tengono d’occhio.
Cody fa una smorfia ed un altro tiro. Il tipo inizia a rollarsi una seconda canna.
-Allora andiamo a prenderci da bere da soli!- sbotta Cody, contrariato.
-Sì, certo!- lo prende in giro l’altro senza nemmeno guardarlo.
-Non hai le palle, Artie?- interroga Cody, con un sorriso sghembo che non piace affatto al tizio.
Lo squadra da sotto in su, rabbiosamente, lascia andare lo zaino e lo allontana con un calcio. Il secondo dopo è già in piedi – senza barcollare, lui! – e lo guarda a braccia conserte, aspettando.
-Lo muovi quel culo, principessa?- gli sibila addosso.
 
L’uomo li ha visti arrivare ed ha sbuffato, infilandosi in fretta dietro il bancone proprio mentre loro entravano, un coro di risate volgari e sgangherate in un parossistico incedere a zig zag lungo una strada già tracciata dal fumo. Quando sono fatti a quel modo dicono guai e lo sa. Li conosce – ce li ha tra le palle almeno tre volte la settimana, quei mocciosi di merda! – e sa che c’è poco da discutere se arrivano a quel modo.
Come sempre è Cody a farsi avanti. Il nome lo ha scoperto per caso, a differenza degli altri lui non va a sbandierarlo in giro e probabilmente è perché un po’ deve vergognarsi di quel nome da bravo ragazzo – da cagnolino della buona borghesia. Lo inquieta più di tutti gli altri, pure se è il più giovane di loro, perché ha tutto un altro modo di fare e nessun motivo per farlo. Cody è ricco, gli ha detto Artie e Lenore ha confermato e ribadito “molto ricco”, ed ha una famiglia, gli hanno detto i gemelli. C’è da chiedersi perché diavolo non se lo riacchiappino per la collottola e lo sbattano in qualche comunità di recupero di quelle superlusso, ha aggiunto Artie. Ma non è solo questo che lo inquieta di lui. Brad ne ha visti tanti di mocciosi, di tutti i tipi, passare dal suo negozio in cerca di uno sballo veloce e Cody è l’unico che gli mette addosso quell’ansia di vederlo sparire. Anzitutto è troppo bello – quelli belli così fanno la fine peggiore, lui lo sa – ed avercelo davanti che fa come sta facendo adesso…
Cody si butta a peso morto sul bancone, braccia sotto il mento, culetto in fuori e faccino che dondola sulle mani conserte. Brad lo guarda accigliato mentre lui gli sorride sornione come un gatto.
-Ciao, Braddy.- miagola sbattendo le ciglia.
-Sparite.- grugnisce l’uomo.
Il coro dietro Cody si rimette a ridere e lui stesso accenna una risatina.
-Andiamo, non fare lo stronzo!- scorcia tirandosi dritto.- Tanto alla fine ce la dai vinta lo stesso.- afferma con una sicurezza che fa venire all’altro una gran voglia di prenderlo a schiaffi.
-Bene.- concede a denti stretti, invece.- Allora servitevi, pagate e levatevi dalle palle!- lo apostrofa.
Artie arriva al banco con le braccia già cariche, le bottiglie cozzano sinistramente quando le appoggia sul ripiano.
-Certo, bello, non preoccuparti.- lo rabbonisce scavando in tasca alla ricerca dei soldi.
Cody si disinteressa in fretta, si allontana da loro vagando distratto per il negozio e tra gli espositori. Sente le risate di Lenore provenire da un punto preciso, e poi i gemelli che bisbigliano pesanti apprezzamenti alla ragazza. Sorride, aumenta il passo fino ad arrivare alle spalle del terzetto, nascosto dalle file ordinate di barattoli di passata di pomodoro, si accuccia e sbircia negli spazi vuoti. Uno dei gemelli ha già infilato le mani sotto la gonna e nelle mutande di Lenore, la faccia premuta contro il collo della ragazza fino a scomparire, come fosse una bocca spalancata a divorargli l'identità. L'altro li guarda ed un pò ride, un pò si passa la lingua sulle labbra secche, affamato.
Cody fa un passo indietro raddrizzandosi, prende le misure con la scarpa e poi tira un calcio all'espositore facendolo oscillare violentemente. I barattoli cadono a terra con un frastuono che solo le grida di Lenore e dei due ragazzi riescono a coprire. Brad bercia al loro indirizzo un «piccoli figli di puttana!» che fa presagire il peggio e Cody ride e scappa via, correndo tra gli espositori in cerca dell'uscita ed afferrando con la coda dell'occhio l'immagine di Artie che acchiappa le bottiglie ed i soldi dal bancone.
In strada ci arrivano da soli, loro due, dei gemelli e di Lenore nessuna traccia ma non si fermano ad aspettare. Artie riprende la testa della loro fuga, gira due vicoli che Cody non conosce, s'infila dietro una porta che protesta violentemente quando lui la spalanca con un calcio e scende una scala che sembra uscita da un film horror. Cody gli va dietro fino in fondo allo scantinato buio che Artie attraversa con sicurezza e poi fuori, dall'altro lato e su per la strada, di nuovo. Il più grande si lascia cadere a terra contro la serranda di un negozio, Cody si accuccia lì vicino, sull'asfalto del marciapiede, incrociando le gambe sotto il sedere e giocherellando lungo cerchi invisibili che traccia a terra con le dita, l'euforia di un istante prima già scomparsa.
Artie gli allunga una bottiglia di birra già stappata che lui prende in automatico.
-Che cazzo ti è venuto in testa...- commenta aspro senza guardarlo.
Cody incassa il rimprovero con l'indifferenza di sempre, scrolla le spalle e beve a canna, troppo velocemente, così la birra scorre lungo il mento ed il collo e gli bagna la maglietta. Abbassa la bottiglia e scosta la maglia per scrollare via l'umido.
-Tu sei tutto bacato.- constata Artie disinteressato, attaccandosi anche lui al collo della prima bottiglia.
-Assenzio.- sussurra Cody senza nessun legame.
Artie abbassa il wiskey e lo fissa interrogativo. Ma Cody non lo guarda, si lascia andare all'indietro sui gomiti, sorridendo stupidamente a qualcosa che vede solo lui e che sta da qualche parte tra la striscia ultima del nastro stradale ed il soffitto di cielo opaco che copre la città. Artie gira attorno gli occhi a cercare quell'immagine, ma li riporta su di lui quasi subito. Vuoti.
-Annebbiare i sensi per percepire una realtà nascosta sotto tutto il mondo.- spiega intanto Cody.- Lo bevevano i poeti decadenti della fine dell'Ottocento...
-Ah, è una roba di quelle che impari nella tua scuola per fighetti.- svilisce Artie perdendo subito interesse e ricominciando a bere.
-Lo sai che è una bugia? L'assenzio non ti fa percepire proprio nessuna realtà nascosta, la Fatina Verde esaudisce i desideri e fa scomparire questo, di mondo.- continua senza dargli peso. E poi il tono si fa evocativo e nostalgico - Così non avverti nessuna solitudine. Se non sei, non puoi desiderare di riconoscerti nell'abbraccio di qualcun altro.- mormora.
-Parli troppo complicato per me, Cody. E poi se quello schifo ti fa questo effetto, meglio che non te ne dia!- ride.
Cody si rimette a sedere, posa la bottiglia quasi vuota di fianco a sè e si sistema distrattamente la maglietta ed i jeans. La domanda cade allo stesso modo casuale e distante.
-Secondo te l'assenzio fiorisce?
-...che cazzo ne so?!
La luce della torcia elettrica dei poliziotti gli si pianta dritta in faccia, così come la voce metallica che la segue.
-Fermi dove siete, ragazzini.
 
Brian ha delle difficoltà oggettive nel riconnettere il suono a qualcosa di reale, decisamente essere svegliato nel cuore della notte dal telefono è un concetto che non gli appartiene più da tempo. Non esistono molte persone abbastanza folli da arrischiarsi a fare una cosa del genere, quelle che esistono hanno acquistato saggezza nel corso del tempo e, comunque, hanno tutte il suo numero di cellulare e, se proprio avessero bisogno di lui, non farebbero la stupidaggine di cercarlo a casa. In effetti, se si sveglia abbastanza da aprire gli occhi, riconoscere il suono e decidere che è il caso di assecondarlo, è solo perché la sua compagna di letto lo fa prima di lui, gli tira una manata poco gentile sulla faccia e lo spintona verso il bordo del materasso con un borbottio incomprensibile a fior di labbra in cui riconosce solo ed esclusivamente il proprio nome.
Sospira. Stizzito. Si leva di dosso la manina piccola ed artigliata della tizia e si mette a sedere tra le coperte, sollevando il cordless dalla basetta sul comodino.
-Pronto?!- sbuffa nella cornetta.
Riconosce con facilità la voce preoccupata del portiere ed il modo disgustosamente ossequioso con cui si ostina a rivolgerglisi, nonostante gli abbia chiarito più di una volta di non gradire affatto quei salamelecchi.
-Sig. Molko, sono davvero costernato di svegliarla a quest’ora!- esclama l’uomo concitato.- Se non fosse una cosa estremamente importante non mi permetterei mai, lei lo sa bene…
-Sì, appunto.- scorcia Brian, massaggiandosi il naso alla radice e cercando di scacciare il mal di testa che già si affaccia. Che diavolo di ora è?! - Quindi, visto che è importante, potrebbe cortesemente dirmi di che accidenti si tratta?- lo invita secco.
-Ah sì, certo certo!- attacca prontamente l’uomo. - E’ una cosa un po’ delicata, sa, insomma…non so se sia il caso…ma proprio…- Evidentemente no, non può limitarsi a dirgli di che si tratta. Il secondo sospiro è abbastanza alto e forte da far sussultare il suo interlocutore.- C’è la Polizia qui, Sig. Molko!- sussurra a voce talmente bassa che per un momento Brian crede di aver capito male.- Hanno…portato…suo figlio.- tentenna.
…no…non ha affatto capito male.
Purtroppo.
 
La faccia di Cody, quando apre la porta e se lo trova davanti tutto sorrisi e brillio degli occhi, è il ritratto di ciò che suo padre deve aver visto in lui quando, a sedici anni, si è presentato per la prima volta a casa ubriaco e truccato come una puttana. E no, non è affatto felice di averlo pensato.
-Buonasera, Sig. Molko.- esordisce il poliziotto che lo tiene per la spalla e lo spinge avanti come fosse un pacco bomba da restituire al mittente.
Beh, è la cosa che più ci si avvicina. Solo che non è lui il mittente.
Brian comincia a credere che sospirare pazientemente sarà la sua attività preferita quella notte.
-Buonasera, agente.- risponde, spostandosi dalla soglia per lasciarli entrare.
Sistema brevemente i lembi della vestaglia corta mentre li precede in cucina, Cody che ridacchia soddisfatto e l’agente che lo scrolla con aria di rimprovero. Brian vorrebbe dirgli che è inutile, ma sarebbe inutile farlo.
-Immagino che lei non possa bere in servizio.
-No, infatti. Ma la ringrazio.
È sempre l’agente a mettere Cody a sedere sulla prima sedia libera che trova attorno al tavolo. Brian apre il frigo e ci infila la testa alla ricerca di qualcosa di abbastanza forte; fa una smorfia quando realizza che si dovrebbe accontentare della birra. Beh, almeno di sigarette ce ne sono ancora, ragiona prendendo il pacchetto dal ripiano accanto ai fornelli.
-Che ha combinato?- chiede appena la prima boccata di nicotina lo rassicura sul fatto che può intrattenere una conversazione normale. Nonostante l’orario, nonostante la mancanza di alcool, nonostante la faccia di suo figlio e la voglia di prenderlo a ceffoni.
-…furto di liquori,- inizia l’agente, evidentemente a disagio. Deve suonare decisamente strano anche a lui che un ragazzino che vive in un appartamento come quello vada in giro a rubare! – vandalismo…e poi non può bere, è minorenne…
-Non mi dica!- esclama Brian fingendosi scandalizzato. L’agente rimane un attimo interdetto e lui ne approfitta per prendere una nuova “boccata d’aria” dalla sigaretta. Sbuffa il fumo in una nuvola indolente e torna a guardarlo.- Cody non vive con me.- specifica.
L’uomo sembra spiazzato, si volta a cercare lo sguardo del ragazzino ma lui si ostina a rifiutarglielo.
-Immagino che sia stato lui a chiedervi di portarlo qui, comunque.
-In ogni caso, lei è il padre.- osserva l’agente in tono di rimprovero.
A Brian non piace, ma si lascia scivolare la cosa addosso.
-Sei ubriaco?- interroga dopo aver studiato attentamente la faccia del ragazzino.
-Parlo solo in presenza del mio avvocato.- ritorce Cody asettico ed arrogante.
-Sig. Molko…
-Hai anche fumato?- s’informa ancora Brian, braccia conserte sul petto.
-Accidenti che acume!- sbotta Cody, occhioni sgranati in un’espressione di autentica meraviglia.
-Questa discussione sarebbe meglio che non la teneste in mia presenza.- interviene ancora la voce del poliziotto.
Brian lo guarda con un sorriso storto. E stanco.
-E perché? non mi ha forse riportato un figlio minorenne arrestato mentre rubava e faceva il vandalo per le strade di Londra?!- ribatte sarcastico.
-Sì, ma…- inizia conciliante l’uomo.
-Dovrei dartene tante da non fartele dimenticare più finché campi, Cody.- lo redarguisce Brian, puntandogli il dito – e la sigaretta – contro.
-Mi sta minacciando, signor agente, lo ha sentito anche lei!- rimarca petulante il ragazzino, sfoggiando il suo miglior visino infantilmente terrorizzato.
-Se fossi stato mio figlio, invece di minacciarti te le avrei già suonate da un pezzo!- commenta aspro il poliziotto.
Cody si accuccia sulla sedia, abbracciandosi le ginocchia e mettendo su un musetto contrito e spaventato che non convince nessuno dei due adulti.
-Che brutto mondo quello in cui viviamo!- sospira.
-Piantala.- lo rintuzza suo padre secco e breve.- Insomma, chi è il tizio che ha derubato?
-Perché me lo chiede?
-Così può comprare il suo silenzio.- spiega Cody diligentemente.
-Quel ceffone ti sta ancora aspettando.- lo informa Brian, gentile, e Cody si zittisce di nuovo.- Vorrei parlargli e vedere se si può sistemare la cosa.- ammette con il poliziotto.
L’uomo pare valutare le sue parole, osserva di sottecchi Cody per nulla persuaso dall’improvvisa docilità che mostra di fronte al padre. Scuote la testa.
-Credo sia meglio che venga domani a parlarne direttamente al distretto.- afferma poi, preparandosi ad andarsene.- Mettiamola così: il fatto che glielo abbiamo riportato a casa è stato uno “strappo alle regole”.
-Infatti Artie ve lo siete tenuti in guardiola.- mormora Cody.
Ma il commento cade nel vuoto all’arrivo di una nuova presenza che si affaccia timidamente alla porta della cucina catturando l’attenzione di tutti.
Brian si maledice mentalmente per averle permesso di rimanere a dormire lì. La ragazza se ne sta ferma sulla soglia, una camicia non sua a coprire appena il corpo nudo, tonico e bellissimo, i capelli lunghi che si arruffano attorno ad un visetto assonnato. Avrà all’incirca la metà degli anni di suo padre, stima Cody gettandole un’occhiata astiosa; lo irritano profondamente i tratti orientali, quella delicatezza da bambola dagli occhi a mandorla a cui sembra che il suo vecchio genitore non riesca a fare a meno.
-Oh, e tu saresti…Kioko?- ipotizza con velenosa allegria.- O magari Lyn?- prova ancora, senza darle il tempo di rispondere.- No, scusa!- piagnucola subito dopo battendosi la fronte.- che idiota! Tu devi essere Sachiko! O Mary Lee! O magari potresti essere Katrin, perché no? Laurie? Satine? Evereth…?
-Cody!- arriva implacabile la rabbia di suo padre.
Lui si zittisce, uno sguardo di fuoco che si pianta in quello altrettanto furente dell’altro.
A disagio, il poliziotto e la ragazza tacciono finché non è il primo a rompere il silenzio con una domanda decisamente ingenua.
-Lei…non è tua madre, vero?
-Mia madre non è mica una puttana!- è il commento trionfante di Cody.
Giusto un momento prima che suo padre gli tiri uno schiaffo.
Gli occhi del ragazzino hanno un’espressione di stupore genuino, adesso. Bocca aperta, Cody si tiene la guancia ed il suo sguardo è brillante dell’orgoglio ferito e la rabbia che cova silenziosa, resa muta dall’indecisione e dall’affanno. Respira a scatti, Brian non sembra impressionato dal trovarsi davanti una piccola fiera, affronta la cosa con tutta la delusione che prova.
-Vai in camera tua.- ordina.
E Cody ubbidisce, ma a Brian non serve che qualcuno aggiunga qualcosa per rivedersi in quelle spalle magre che escono a passo di carica dalla stanza, vittoriose nell’aver infranto una volta di più gli schemi del “buon” pensiero altrui.
Cody sente la voce del padre rivolgersi alla ragazza bruna accanto a cui è passato senza degnarla di un secondo sguardo, la stessa che impietrita e gelida lo ha lasciato sfilare in uno scontro tra rancori diversi.
-Scusalo, Karine.
Nessuna spiegazione a giustificare il suo comportamento. Solo una pretesa di “scuse” non ufficiale.
 
Talis pater, talis filius.
Cody lo ripete come un mantra quando fa qualcosa di sbagliato.
A volte a Brian verrebbe voglia di dare in testa ad Helena per questa grande trovata di iscrivere il figlio ad una scuola dove gli insegnano brocardi latini! Poi, generalmente, realizza che non è un vecchio proverbio di uso comune il suo…il loro problema, ed a quel punto mette da parte la stizza contro la madre di suo figlio e cerca di scendere a patti con Cody. Senza alcun risultato apprezzabile.
Karine se n’è tornata a letto. Era furibonda, Brian lo sa anche se lei è stata sufficientemente educata da evitargli scenate alle quattro del mattino e con un agente sulla porta di casa che li salutava. Domattina pretenderà ben più delle due paroline dolci che le ha concesso per tenersela buona. Dopo quattro mesi di relazione, qualsiasi donna pretende di più di due paroline dolci per stare buona. Forse per questo evita di arrivarci ai cinque mesi. Brian ha infilato il corridoio, rimboccando nuovamente i lembi della vestaglia che continua ad aprirsi sul petto nudo facendogli sentire un freddo per il quale non mancherà di protestare con l’amministrazione dello stabile: con quel che paga, si aspetta di poter girare in mutande anche a Dicembre, figuriamoci in un Marzo appena più freddino del solito. La stanza di Cody sta dall’altro lato della casa rispetto alla sua camera da letto, è diventato indispensabile spostarla lì quando lui ha cominciato ad essere troppo grande per continuare a presentargli ogni sera una “zia” o uno “zio” diversi. Nonostante questo, Brian non ci ha messo molto ad interpretare il suo silenzio quando ha smesso di chiedergli chi fossero quelle persone ed ha cominciato a chiudere la porta ogni volta che lui se le portava a casa. Da dietro il battente sprangato arriva musica a volume decisamente troppo alto per l’orario e, per giunta, del classico tipo che ti fa capire che tuo figlio non ha alcuna voglia di provare ad intrattenere una conversazione con te. Bene. Nemmeno lui vuole una conversazione, lui vuole solo chiarirgli che no, non gli permetterà di presentarsi lì ed usare casa sua come scudo contro le ire della madre.
In ogni caso, bussa. Chiaramente gli risponde solo il silenzio. Brian afferra la maniglia e la ruota facendo forza contro la serratura, ma nulla. Chiusa a chiave, ovviamente. Un copione che non gli piace, soprattutto visto che lo costringe ad alzare di nuovo il tono della voce dopo aver già infranto – con uno schiaffo! – tutti i suoi principi in materia di educazione.
Quale educazione?”, sarebbe il commento cortesemente sarcastico di Helena se fosse qui. Sentire la sua voce come presente lo fosse davvero è dannatamente fastidioso.
-Cody, apri!- ingiunge battendo un colpo alla porta chiusa. Quando a rispondergli è di nuovo il silenzio delle chitarre a tutto volume, l’irritazione raggiunge livelli preoccupanti.- Ragazzino! ti ho mandato in camera tua perché volevo punirti e questo non ti autorizza a chiuderti dentro!
…e poi lo sente.
Il ticchettio basso che sta proprio sotto alle chitarre e che è irregolare solo quel tanto che basta a fargli capire cosa sia. Picchia appena, picchia come fosse sulla sua spalla ed invece è più distante ed inafferrabile.
Brian si gira, torna a guardare il corridoio che finisce con una finestra e solo ora nota che è aperta.
Fa paura.
Ha paura!
Scatta da quella parte ad una velocità che non credeva nemmeno di possedere, spalanca il vetro e si affaccia al tetto spiovente su cui la pioggia batte con tutta l’insistenza tipicamente inglese. A lui non interessa, si sporge avanti con le mani, scivolando sulle tegole bagnate e rischiando di sbilanciarsi troppo, volta la testa alla ricerca di qualcosa che riconosce solo dopo qualche minuto.
La figurina scura e piccola sta seduta a meno di mezzo metro da lui, le ginocchia al petto e le braccia incrociate a sostenerle. Non lo guarda, non lo fa nemmeno quando il respiro che Brian tira – forte e chiaro – spezza la costanza del rumore della pioggia.
Cody è bagnato fino al midollo, arruffato e sporco, ma sano e salvo sebbene in equilibrio precario sopra il mondo battuto dalla pioggia.
-…Cody…- inizia Brian con fatica, passandosi una mano sul viso ad occhi chiusi, in un gesto che denota tutta la sua stanchezza e tutta in una volta. È completamente disarmato adesso.- …dannazione, Cody…torna dentro.- sussurra appena.
Dal ragazzo non viene nessuna risposta. Brian lo guarda di nuovo e lo trova esattamente come lo ha lasciato, immobile contro lo sfondo plumbeo del cielo che piove.
-Cody!- prova a scuoterlo.
E poi lo sente. Il miagolio spaventato di un gattino bagnato.
-…l’assenzio fiorisce?
Brian è senza fiato adesso. Vorrebbe allungare una mano ed afferrarlo perché ha davvero paura e non ne ha mai provata così tanta in vita propria. Poggia le mani ai lati della finestra, fa leva sulle braccia mentre posa cautamente un piede nudo contro il davanzale e poi l’altro sulle tegole. La sensazione dell’acqua a diretto contatto con le piante dei piedi è strana…quasi piacevole. Brian si avvicina a Cody con circospezione, studiando le sue reazioni in attesa di un rifiuto che lo terrorizza per le implicazioni che potrebbe avere.
Quando riesce a sederglisi accanto tira un sospiro di sollievo puro, ma non ha abbastanza coraggio per sfiorarlo.
-Cody.- lo chiama ancora, dolcemente, carezzevole.- Entriamo in casa. Sei bagnato e stanco. Ci dormiamo su e domattina ne parliamo, ma non è successo niente. – lo rassicura.
-Sarebbe come dire che è il bisogno a poter dare dei frutti. Ed è assurdo, non credi? L’assenza non può generare niente, può solo risucchiare quello che c’è.
-Cody.
Allunga una mano, gli sfiora la fronte, le guance, tira indietro i capelli fradici. È riscoprirlo sotto quel tocco: Cody è morbido e delicato come non ricordava più, ed è anche fragile. Per cui abbracciarlo diventa istintivo...apprezzare il fatto che lui lo lasci fare e si abbandoni con un sospiro contro il suo petto e sentirsi immensamente sollevati da questo.
-Andiamo a dormire.- gli dice piano. Gli bacia la fronte, lo culla un po’.
E lui dice di sì.
 
Forse doveva immaginarlo da sé che non sarebbe durata.
A colazione ci arriva lo stesso Cody che ha sprangato la porta della sua stanza la notte prima, solo più frastornato per il post “sballo” e decisamente di umore esecrabile. Brian ringrazia il cielo che abbia quanto meno avuto la decenza di farsi una doccia e mettersi dei vestiti puliti. L'occhiata di Karine non fa presagire niente di buono, comunque. Cody si abbatte sulla prima sedia che trova entrando in soggiorno, senza degnarsi nemmeno di salutare e buttandosi immediatamente a peso morto sulla tavola apparecchiata. Brian non commenta ma Karine sta per farlo ed è solo il suo netto diniego a fermarla.
-Cody, più tardi chiamiamo tua madre, così le dici che ti sei fermato a dormire da me e che può passare a riprenderti.
-Devi andare al distretto.- ricorda stringato il ragazzino, senza guardarlo in faccia.
-Credo sia meglio che ci vada tua madre. Mi farà sapere lei con chi devo parlare e sistemeremo questa cosa.- spiega Brian.- In fondo è lei che si occupa di queste...pratiche amministrative... di solito.
-...certo...con tutte le volte che mi hanno arrestato prima di oggi...- commenta sardonico Cody, scrutandolo da sotto in su con un sorrisetto divertito.- Mamma è pratica di queste cose.
-Non è quello che ho detto, ho solo detto che...
-Te ne lavi le mani come al solito.- finisce per lui Cody.- Mi spiace, ma credo che mamma abbia altro per la testa ora come ora. Magari potresti mandarci...Karine? a fare le tue commissioni.- suggerisce collaborativo dedicando all'oggetto della battuta una lunga occhiata di palese scherno.
Quando lei non gli fa la cortesia di prendersela, ma invece lo ricambia con un largo sorriso, Cody ingoia a vuoto ed abbassa gli occhi sulla propria tazza di latte.
-Che schifo!- è il commento disgustato che accompagna il primo sorso della giornata, con una smorfia appropriata.
Brian sospira e si tira in piedi, avvicinandosi a lui con la propria tazza in mano. Sfila dalle dita del figlio il latte e lo sostituisce con il caffè nero che stava bevendo.
-Questo va decisamente meglio per il tuo mal di testa, ma non sperare di non vomitare.- gli annuncia asettico. Poi tira uno sguardo alla sua faccia pallida ed alle occhiaie pronunciate ed aggiunge sarcastico - Se non lo hai già fatto.
-Comunque sono certa che la cosa si potrà risolvere con facilità.- interviene Karine colloquiale, guadagnandosi dal ragazzino un'espressione di fastidio e sorpresa.- Hai meno di sedici anni, se il tizio che avete derubato ritira la denuncia, si sgonfierà tutto in una bolla di sapone.- argomenta, ignorandolo.
-Amen.- constata Cody, bevendo il caffè.
Brian sospira. Torna a sedersi al proprio posto ed intercetta per tempo il secondo sguardo di fuoco che la ragazza rivolge al figlio. Un altro “no”, deciso e silenzioso, Karine freme, esita solo un momento e poi si solleva di colpo dalla sedia, con un rumore urtante di legno che striscia il legno. Cody recita mentalmente il requiem del parquet paterno e sorride sotto i baffi, nascosto al sicuro della tazza. Poi lei esce in uno svolazzare indecente della camicia che ancora indossa come pigiama, accompagnata dallo sguardo interessato del ragazzino.
Quando lui e suo padre tornano a guardarsi lo sa già cosa dirà.
-Chiamo tua madre.- afferma, infatti, Brian. Prevedibile come sempre.
-Non verrà a prendermi.- ritorce Cody atono, mentre l'uomo si sta già alzando per raggiungere il cellulare posato sul pianoforte in un angolo. Brian gli da retta solo a metà, cercando il numero nella rubrica.- Ha altro a cui pensare.- ribadisce Cody con forza, guardandolo dritto negli occhi.
Tanto che lui capisce che è davvero così.
Quello che non arriva a capire è cosa Cody stia provando esattamente a comunicargli. Rimette a posto il cellulare e fa un passo indietro, braccia conserte.
-E va bene, Cody.- esordisce pazientemente.- Cosa diavolo sta succedendo?
-Prego?- ritorce lui con un sorrisetto scettico.
-Piantala.
-E' la cosa che ti riesce meglio dirmi!- nota.
-Cody!
Si morde le labbra a sangue, arricciandole strette come a volersi impedire di parlare ancora. E' davvero arrabbiato ma, sopra ogni cosa, è completamente disorientato.
Poi glielo sputa in faccia.
-La mamma si sposa.- annuncia.
 

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Capitolo 4
*** Per tutte le mie paure che hai dissipato. Brian ***


Per tutte le mie paure che hai dissipato”
Brian

 Nebbia. Nebbia grigia che rende grigi i suoi occhi. Nebbia inconsistente che copre il mondo e toglie spessore alle cose. Vorrebbe gridare, ma non ha voce.
La nebbia si è presa anche quella.
Cody sta appoggiato al finestrino della macchina, il viso quasi incollato al vetro, il fiato che si condensa in una macchia più opaca ancora della realtà fuori dall'auto. Non ha detto più nulla da quando sono scesi da casa. In realtà, non ha detto più nulla da quando lui si è alzato da tavola – dopo quell’annuncio buttato al vento – è uscito dalla stanza, ha raccattato Karine ed ha fatto quello che aveva in progetto di fare da settimane, ormai. L’ha buttata fuori. Fisicamente. Tra le proteste di lei, le recriminazioni che non si è preso il disturbo nemmeno di ascoltare e gli insulti a cui ha fatto un’abitudine che gli rende impermeabile la pelle.
Cody era seduto allo stesso posto quando è tornato in sala vestito e con il cappotto già addosso, le chiavi della macchina in una mano ed un giubbotto leggero per lui, uno di quelli che deve avergli lasciato in casa in una delle innumerevoli visite “mordi e fuggi” a cui lo costringe sua madre.
-Alzati.- gli ha detto soltanto, allungandogli l’indumento senza una parola di più.
Se lo è infilato con tutta la rassegnazione di un copione già visto e di battute già scontate. Prima ancora di salire in macchina sapeva dove erano diretti e non ha fatto domande di cui non voleva sentire la risposta. È come se dopo averla confessata, il peso di una verità fastidiosa sia riuscito finalmente ad abbattere le spalle di Cody, di un ragazzino ostinato in lotta contro la propria vita.
Per cui il viaggio in macchina passa nel silenzio della nebbia e di Londra che sfila via in fretta da sotto le ruote e lungo l’asfalto.
E’ Brian il primo a scendere, dopo aver parcheggiato in fondo al vialetto ordinato. Non ripete l’invito al figlio, lui spalanca la portiera, mette i piedi a terra e recupera dal fondo della macchina lo zaino sgualcito in cui sono infilati i suoi vestiti della notte prima, quelli che portano ancora l’odore di una bravata che gli costerà cara. Si avvia a passo lento dietro l’adulto che lo precede.
Brian non si volta per assicurarsene, sosta sotto il porticato della villetta e preme il campanello, guardandosi attorno con sospetto.
Saranno in tutto quattro le volte che è venuto fin lì in sei anni, ed ancora non riesce ad abituarsi all’idea che Helena possa essersi arresa a vivere così. Lei che è un animale sociale molto più di quanto sia lui, lei che è abituata a respirare la confusione della City, ad immergercisi con la fierezza e l’eleganza di un animale metropolitano… Condannata senza appello – e da sé stessa – ad un esilio volontario fatto di casette a due piani, giardini assettati, silenzi bucolici e tendine fiorite alle finestre. Storce il naso involontariamente, la fila composta di case gli ricorda un’altra “caserma” analoga, in un altro luogo d’Europa, un altrettanto ordinatamente piatto Lussemburgo in cui la sua adolescenza è stata sprecata a contare paletti uniformi lungo steccati di giardini tutti uguali.
Poi la porta si apre ed il carnefice delle aspirazioni di Helena si affaccia sulla soglia.
Patrick è come sempre: preciso come un’aiuola in boccio. Ed altrettanto insulso.
-…Brian…?- mormora.
Il suo sguardo è catturato quasi subito dal ragazzino che arriva alle spalle dell’altro. Brian, invece, non si gira, mette su una faccia inespressiva e comincia a sparare a zero le banalità convenzionali del caso.
-Buongiorno, Patrick, mi spiace piombare così all’improvviso.- sciorina incolore, per proseguire senza soluzione di continuità.- Helena è in casa?
Cody si fa strada tra di loro, spintona via il padre con indifferenza e Patrick con una punta di fastidio che gli riserva ad un’occhiata di sbieco. I due adulti registrano la cosa e passano oltre. Mentre Cody si arrampica sulla scala che porta al piano di sopra, abbandona lo zaino al proprio fianco e siede sui gradini, Brian scivola elegantemente all’interno della casa, spiazzando Patrick abbastanza perché faccia un passo indietro e gli lasci campo libero del tutto.
-Brian, ci hai colti un po’ impreparati…- ci tiene comunque ad informare. Il suo interlocutore non lo ascolta, sfila il cappotto dalle spalle ed entra in salone inseguito dal sorriso impacciato e rigido che lui rivolge alle sue spalle.- Sei ci avessi avvisati che saresti venuto…
-Sì, mi rendo conto.- scorcia Brian asettico, guardandosi attorno con attenzione.
Quattro volte, ed ognuna di quelle ha sempre avuto la stessa sensazione di disagio, rimandata indietro amplificata da milioni di atomi compatti: quelli dei mobili di legno tirati a lucido, dei pavimenti profumati di cera, dei servizi di porcellana in mostra nella vetrina di fianco allo sparecchiatavola e dei cuscini imbottiti con la federa di cotone grosso, bianco e spesso come quello che si usava un paio di secoli fa. Sia lode alla Morte delle Aspirazioni.
Sbuffa nel lasciarsi cadere a sedere sul divano, rigorosamente ricoperto da un telo ricamato tono su tono, accavalla le gambe, punta gli occhi su di lui e sfila le sigarette dalla tasca della giacca.
-Credimi, - inizia affabilmente. – non fosse una cosa importante, non vi disturberei in un momento delicato come questo. Tra l’altro… – continua colloquiale, interrompendosi il tempo che gli serve a posare la sigaretta tra le labbra e prendere la mira con la fiamma sottile dell’accendino.
Patrick freme appena. Scocca ancora un’occhiata in direzione di Cody perché ha intuito da dove arriverà il problema, ma il ragazzino lo ricambia con un’indolenza indifferente che lo lascia disarmato. Così torna al proprio avversario, incrocia le braccia al petto e cammina fino a trovarsi di fronte al divano.
-Intendevate dirmelo, prima o poi, che avete intenzione di sposarvi?- sorride sornione Brian, sbuffando soddisfatto il fumo.
La nuvola spessa ha il tempo di dissiparsi prima che Patrick decida esattamente come vuole reagire a quella situazione. Quando torna ad avere gli occhi dell’altro puntati addosso è comunque a disagio, gli ricambia il sorriso con ancor meno convinzione e si gratta nervosamente la testa, passando le dita distratto tra i capelli biondi e corti.
-…Brian…è stata una decisione un po’ affrettata, lo ammetto. Diciamo che le circostanze erano tali per cui…- inizia a borbottare.
-Sì, vi deve essere sfuggito.- scocca impietoso l’altro, fissando con attenzione la punta della sigaretta. Un nuovo tiro, il tempo di assaporare il tabacco, poi quella domanda che viene espirata assieme al fumo.- Dov’è Helena?
-Temo che sia impegnata.- si affretta a spiegare Patrick- Ci hai davvero beccati in contropiede!- ribadisce allegramente- Sai, siamo piuttosto presi dai preparativi e…
-Cody è stato arrestato dalla polizia stanotte.- riferisce Brian senza ascoltarlo.- Furto di alcolici e vandalismo. E pensa un po’, me lo ritrovo fuori dalla porta con questo agente alle spalle che mi fa “ha chiesto lui di essere portato qui”.- riassume spiccio, sollevando gli occhi in faccia a Patrick.- Dici che Helena li trova due minuti?
La faccia di Patrick è uno spettacolo. Cody deve trattenere una risata e nascondersi frettolosamente nel giubbotto quando si volta a guardarlo, pallido come un cencio e con un misto di disgusto e sgomento sul viso. La cosa più bella, però, è vederlo annaspare nell’indecisione, mentre tenta di stabilire in un tempo congruo l’ordine delle priorità: buttare fuori Brian, afferrare il ragazzino per il colletto e scuoterlo fino a che non pianga lacrime di sangue, afferrare per il colletto anche la propria futura moglie e farle una lavata di capo su “quanto avevo ragione io a dirti che sarebbe venuto su come un delinquente!”. Ha appena finito di mettere in fila quei pensieri che Brian riprende la parola.
-Credevo che i patti fossero chiari.- scandisce lento.
Patrick si volta come se lo avesse schiaffeggiato. Si gonfia, come un orso in assetto da combattimento, ed è…davvero…enorme a confronto con la calma mingherlina e serafica di Brian, seduto tra i cuscini della nonna come un sovrano sul trono.
-Patti?!- ripete istericamente. Quando sente il tono della propria voce stridere e graffiare si contiene, riprende fiato e si rimette composto.- Di quali “patti” stai parlando, Brian?- interroga secco e deciso.- Del tuo accordo con Helena circa il fatto che ti saresti lavato le mani di Cody e della sua educazione? Non mi pare che ci sia mai stato un patto al riguardo, quanto più la buona volontà da parte nostra di farci interamente carico di tuo figlio.- ritorce asciutto, riacquistando fiducia man mano che parla.- E stai sicuro che non mi tirerò indietro proprio ora. Anzi! – ci tiene a precisare, scoccando uno sguardo sferzante al destinatario mediato di quelle parole. Cody aguzza le orecchie.- Ti posso assicurare che una volta che io e sua madre saremo sposati, sarà mio preciso compito quello di fare in modo che Cody diventi una persona per bene. E per prima cosa, ragazzino,- minaccia puntandogli un dito contro.- aspetta che la cerimonia sia finita e fai i bagagli, c’è una bella scuola militare che ti aspetta!
-Co…!?- inizia indignato Cody.
Ma è la risata di Brian ad interrompere sia la sua protesta che la tiritera di Patrick. L’uomo si volta a fissarlo, sgranando gli occhi offeso da tanta insolenza, ma Brian non si lascia spiazzare, si allunga verso il tavolino da caffè, preleva il posacenere in cristallo e lo appoggia sulle gambe con tutta l’accortezza del caso, scuotendo la cenere all’interno mentre prende tempo a discapito della pazienza dell’altro.
-Una scuola militare?- ripete quando vede che, ormai, Patrick è al limite ultimo della propria sopportazione.- Andiamo!
-Andiamo?!- è lo scatto irato dell’altro.- E’ un piccolo…deliquentello!
-E’ mio figlio.- lo corregge Brian bruscamente.- Non ti permettere.- avvisa poi.
-Di fare cosa? Io e sua madre abbiamo cercato disperatamente di inculcargli un po’ di buon senso e tutto quello che abbiamo ottenuto cos’è stato? Che inevitabilmente seguisse il tuo esempio e…
-Cosa vorresti dire?!- sibila Brian interrompendolo e sollevandosi di scatto dal divano.
È uno scontro un po’ grottesco, si ritrova a considerare Cody, rannicchiato sul gradino, suo padre è basso e magro e Patrick è un uomo imponente, eppure...
-La verità, Brian, ho sempre detto ad Helena che frequentare te non avrebbe portato nulla di buono a Cody!- gli grida contro Patrick.- E se lei si fosse decisa prima a diventare mia moglie, io avrei potuto…
-Cosa?! avresti potuto cosa, Patrick?!- ringhia Brian ferocemente.- Sai, mi spiace svegliarti dal tuo bel sogno, ma Cody è figlio mio e di Helena! Tu non sei compreso nel pacchetto!
-Oh, spiace a me svegliarti dal tuo bel sogno, Mr. Superstar! – ghigna Patrick in risposta, cattivo - Helena è incinta di mio figlio ed è me che sta sposando! Fine dei giochi, Brian, non sei più il centro del suo universo, né tu né il vostro bastardello selvaggio!
Ed è una doccia gelida. Cody vede suo padre incespicare sotto il peso di quella rivelazione, ritrarsi un attimo, spalancando sull’altro quello sguardo troppo grande che è rimasto il suo marchio di fabbrica anche ora, quando ormai è solo ridicolo e patetico sul viso di un uomo fatto e finito. Forse avrebbe dovuto dirglielo, prepararlo tutto per intero a quella verità. O forse ci sperava anche di vederlo abbattuto…una volta tanto.
Peccato non sia poi così divertente come credeva.
Si aggrappa con le dita al corrimano, appendendo le spalle fino a sentirle far male, e si concentra su quello, sul dolore fisico, per ricacciare indietro le lacrime che sente pungere agli angoli degli occhi.
…poi però suo padre dice l’ultima cosa che si aspetterebbe.
-…come ti sei permesso di chiamare mio figlio?
Patrick esita. Ha ripreso a sufficienza il controllo da voler rimangiare quelle parole, si volta ancora a cercare i suoi occhi e Cody non gli nega quel contatto, in attesa senza sapere nemmeno di cosa.
-…noi…vogliamo bene a Cody…- biascica, quasi a mo’ di scusa.
E’ vero?
Il pugno di Brian nemmeno lo sente, con tutta probabilità. Lo incassa con uno sbuffo, si piega sullo stomaco ma poi è in piedi come se niente fosse.
Solo che a Brian non interessa. Non lo ha colpito per fargli male, lo ha colpito per altro, per chiudere una pratica aperta da troppo tempo – cazzo, sono sei anni che quel pugno aspetta di trovare il proprio bersaglio! – gli ha dato le spalle l’istante successivo, nessuna rabbia, solo la delusione di quegli stessi sei anni a pesargli addosso e lo schifo. Ma nemmeno per lui.
Cody sente la mano abbattersi sul suo braccio, Brian lo stacca di peso dal corrimano, lo rimette in piedi a forza e lo sta già spingendo fuori senza neppure dargli modo di prendere lo zaino da terra. Inciampa, inforca la porta più per errore che per reale volontà e fissa sorpreso la faccia stravolta di suo padre.
-Brian?!- li insegue la voce di Patrick, allarmata. Cody lo vede arrivare dietro di loro, suo padre lo butta fuori casa e si volta di scatto a fronteggiarlo.- Che stai combinando?- chiede ancora lui, pressante.- Che intendi fare?
-Non ci resta un secondo di più in questa casa.- puntualizza Brian asciutto, puntando un dito ad indicarlo. E Cody crede di aver capito male e resta immobile, arricciato ed indeciso sull’uscio della villetta.- Non ti azzardare ad aprire bocca, non ti azzardare nemmeno a guardare nella sua direzione. Se ti vedo girare intorno a casa mia, ti denuncio. E ci si rivede in tribunale.- elenca pianamente.
-…sei pazzo.- è la constatazione asettica di Patrick.- Io ti rovino, Brian.
-Tu – sottolinea freddamente – non avrai mio figlio.
Gli gira le spalle. Afferra Cody per il braccio un’altra volta, se lo trascina vicino, avvolgendolo così stretto che per un momento lui si sente quasi soffocare e se non protesta è solo perché suo padre sta tremando e questo a lui fa una paura fottuta. Lo segue docile, in silenzio, voltandosi solo quando sente la voce di Patrick inseguirli furente.
-E’ che ti rode troppo che io sia già riuscito ad avere la tua donna, vero?!
Nessuno dei due sente Helena. Nessuno dei due è abbastanza vicino.
Nessuno, solo Patrick quando si volta e se la trova davanti.
Avvolta nel vestito da sposa che stava provando, i capelli raccolti nell’imitazione alla buona dell’acconciatura che porterà il giorno della nozze e quel sorriso disincantato sul viso color caramello.
-Vedi. – sussurra dolcemente - La differenza tra te e lui, Patrick, è che Brian nemmeno ci ha provato ad avermi. Ed è per questo che sarà sempre migliore di te.
-…Hel…Helena…- mormora strozzato, deglutendo a vuoto quel groppo che sente alla gola.
 
-Brian! Aspettami!
Si volta che sono già alla macchina. Cody sorride nel riconoscerla, lui no.
Helena viene verso di loro, veloce, traballando incerta sui tacchi bassi delle scarpe di raso quando s’incastrano nei ciottoli sconnessi del vialotto. È la cosa più diversa dall’immagine di una Helena sposa novella che avrebbe mai potuto formarsi nella sua mente – se pure ha mai permesso alla sua mente di farsi una simile idea – ha i capelli raccolti, la veletta, un vestito bianco con lo strascico… Dio! lo strascico! Vorrebbe ridere.
Lei gli si ferma davanti. Lascia cadere la coda dell’abito e si sistema dritta e compita come una scolaretta davanti al maestro. Gli viene voglia di scuoterla forte per una spalla, ma si limita ad inarcare un sopracciglio davanti al suo sguardo sornione. Helena ha sempre avuto questa cosa che, quando è incinta, risplende. E lui proprio non riesce a resisterle.
-Aspetto un bambino,- annuncia- ed amo un uomo che non è il padre di mio figlio.
Non si aspetta niente. Proprio niente. Nemmeno il gridolino entusiasta che Cody si lascia scappare e che poi nasconde frettolosamente dietro una mano quando loro due – entrambi – si voltano con aria di rimprovero – ed un sorriso identico negli occhi.
Ed è questo non aspettarsi niente che fa la differenza, lo sanno, è sempre stato questo.
È sempre stato il fatto che, semplicemente, c’erano, ci sono stati e ci saranno.
-Non mi sembra un gran problema.- afferma Brian.
 
Cody, per dispetto, aveva detto che era certo che suo fratello avrebbe avuto un nome orribile. Una cosa tipo “Berthold” o “Geoffrey”... Sarebbe stato meglio, molto meglio, per lui se Patrick, alla fine, avesse deciso di prendersi le proprie responsabilità ed avesse riconosciuto il bambino.
-Barry Molko.- chiama la donna, allungando il collo da sopra la massa di bimbetti seduti nell’autobus, alla ricerca di una testina bionda in particolare.
Il bambino salta giù dal proprio posto, squillando un “eccomi!” entusiasta e ruzzolando in corsa verso la donna e la portella del bus, già schiusa per lui su un Lussemburgo colorato di tutti i toni dell’estate.
-Grazie, Miss Pringle.- saluta Cody nell’afferrare al volo il fratello che gli si lancia tra le braccia con un urletto felice.
-Grazie, Miss Pringle!- gli fa l’eco il bambino, scattando sull’attenti e strappando alla donna una risata divertita.
-A domani, Barry.- lo saluta a mano aperta.- Cody.
-A domani!- trilla il bambino.
E poi si incammina in marcia davanti al fratello, allungando i passi il più possibile e muovendo rigido le braccia nude come un bravo soldatino.
-Ma ti piace così tanto il campo estivo?- chiede Cody andandogli dietro con più flemma, una smorfia, mani nelle tasche dei jeans e sguardo scettico.
Barry annuisce.
-Ci fanno fare un sacco di disegni e di esperimenti e poi ci portano a vedere gli animali della fattoria che sta vicino alla casa di nonno.- argomenta dettagliatamente.
-Uhm…dovremmo dire a Miss Pringle che, allora, può pure lasciarti dal nonno invece di costringermi a venire a ripescarti fin qui tutti i giorni.
Barry si volta a lanciargli un’occhiata offesa, fermandosi di scatto ed incrociando le braccia al petto.
-Sei uno stronzo!- sbotta.
E suo fratello pensa bene di tirargli uno scappellotto dietro la nuca.
-Bada di non farti sentire da papà mentre dici una di queste belle paroline qui, ché poi lo so che pensa che te le insegni io!- lo redarguisce malamente.
-…infatti me le insegni tu.- osserva Barry perplesso.
Cody avvampa e riprende a camminare a passo rapido, costringendo il bambino a trotterellargli di fianco per stare al passo.
-Ma quando mai?!- protesta intanto.- Non ti ho mai detto niente del genere!
-No, ma lo hai detto dopo che Judith ti ha chiamato ieri sera!- esclama Barry prontamente.
-Ascolti le mie telefonate!?- ribatte indignato il più grande. Barry ride e corre via prima che lui possa prenderlo.- Barry, ascolti le mie telefonate?!- lo interroga ancora Cody andandogli dietro.- E’ inutile che scappi, a casa te ne do tante che te le ricorderai per tutta la vita!
-Ed io mi nascondo fino a quando non te ne torni all’Università!- strilla il bambino facendogli la linguaccia- E poi dico a Judith che hai la foto di Christine ancora nel cassetto del comodino! E che ti sei visto con Amelia l’altro giorno e…
-E sei una piccola peste!- sbuffa Brian quando Barry gli rimbalza addosso entrando nel vialetto di casa.
Il bambino ride e solleva lo sguardo su di lui.
-Ciao, papà!- saluta scompigliandosi nervosamente i capelli.
-…che state combinando tu e tuo fratello?- indaga Brian, sforzandosi di mantenere un tono semiserio.
-Giochiamo ad “indovina chi uccide Barry oggi”.- risponde Cody arrivando alle spalle del più giovane e gettandogli uno sguardo tutt’altro che rassicurante.
Barry strilla e ricomincia a correre in direzione della casa, mentre Helena, da sotto il porticato, lo guarda venirle incontro e sorride.
-Brian, tuo fratello ha detto che siamo pronti per andare a tavola.- annuncia pacatamente, accogliendo il figlio più piccolo in un abbraccio quando cerca rifugio tra le sue gonne.
Brian passa un braccio attorno alle spalle di Cody e s’incammina da quella parte.
-Riguardo a Judith…- inizia in tono affabile.- avrei due o tre cosette da suggerirti.
E Cody rabbrividisce e lo fissa implorante.
 
“Lullaby in bloom – Assenzio in fiore”
MEM 2010
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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