Lullaby in bloom di nainai (/viewuser.php?uid=11830)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lullaby in bloom ***
Capitolo 2: *** Per tutte le cose che ho perduto. Helena ***
Capitolo 3: *** Per tutti i giorni in cui non ti ho avuto. Cody ***
Capitolo 4: *** Per tutte le mie paure che hai dissipato. Brian ***
Capitolo 1 *** Lullaby in bloom ***
Attenzione:
il presente scritto ha
per protagonisti persone realmente esistenti e personaggi di pura
fantasia. Le
vicende narrate sono frutto dell’immaginazione
dell’autrice. Non s’intende dare
alcuna rappresentazione veritiera di persone, fatti o luoghi. Nessun
intento
offensivo o lesivo dell’immagine altrui. Nessuna pretesa di
veridicità o
verosimiglianza. Tutti i diritti riservati appartengono ai rispettivi
titolari.
Partecipante
al “Dodici Mesi di Fedeltà” Contest
Lullaby
in Bloom
“Assenzio
in fiore”
Nessuno
ti insegna a fare il padre.
È una
frase fatta, lo so da me. Per di più di quelle che, per
tutta una vita, ho
tentato di tenere lontano, di quelle che ho disprezzato per la
banalità e per
la stupidità con cui mille
padri
prima di me le hanno portate in trionfo.
Ci ho
costruito un’esistenza intera nel disprezzare cose come
questa. Nell’ostinarmi
a rifiutare di seguire i passi segnati da ogni
padre, ogni madre, ogni uomo ed ogni
donna prima di me.
Quello
che non ti insegnano…che si dimenticano di dirti quando
nasci e che impari da
solo e solo dopo tanto tempo che cammini nella stessa direzione -
compiendo gli
stessi errori di sempre - è che è nel codice di
ogni essere umano diventare
padre, madre, uomo o donna. È nel codice di ogni essere
umano vivere una vita
che passi inevitabilmente per queste strade e veda inevitabilmente
queste albe
e questi tramonti.
Le
stesse albe e gli stessi tramonti che vedrai tu, Cody, e che io,
scioccamente,
non ti ho indicato quando sei venuto al mondo perché ero
troppo impegnato a
rinnegare me stesso ed a rinnegare la natura di ogni essere umano.
Perché ero
troppo impegnato ad essere diverso
per accettare di voler essere come tutti gli altri. Quei mille padri da
cui ho
imparato la sola lezione che si possa apprendere: nessuno ti insegna a
fare il
padre. Sei solo, con tuo figlio tra le braccia, e tutte le domande del
mondo a
farvi da corollario nell’assioma della vita.
Le
scoprirai tu. Una alla volta – qualcuna
già me l’hai posta, per le altre non so nemmeno se
sarò qui ad ascoltarle…e se
tu avrai voglia di farmele – le vedrai riflesse
nel mondo stesso ed il
mondo si rifletterà nei tuoi occhi. Sarà la
meraviglia dell’ordinario, quello
splendore che gli adulti sono troppo cechi per poter cogliere ancora e
che per
i bambini è una fiaba nascosta in tutti gli angoli.
…io
non ricordo le mie favole. Non ricordo quasi nulla di quello che ho
provato
nell’essere bambino. Ma una cosa la ricordo,
perché è immutabile nel tempo ed è
il Tempo a darle un senso. Le domande restano, Cody, le stesse che ti
facevi
allora ed altre ancora, che ora non immagini neppure. Le domande
restano sempre
e non c’è mai il tempo, davvero, per dar loro una
risposta.
Il
tempo, Cody, ha uno scopo diverso. Darti fiato. Darti forza. Darti
coraggio.
Attraverserai le meraviglie del mondo e spero davvero, per te e per chi
ti
accompagnerà in questo viaggio, che nei tuoi errori tu sia
più saggio di come
sono stato io.
O di
come è stato mio padre prima di me.
E
prima di lui, suo padre, ed il padre di suo padre…
Il tempo, Cody, ti darà la
capacità di
sopravvivere ma nessuna risposta alle tue domande.
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Capitolo 2 *** Per tutte le cose che ho perduto. Helena ***
“Per tutte le cose che ho
perduto”
Helena
Lo
osserva divertita da lontano. Lui tentenna, si guarda attorno
nervosamente – le
gambe accavallate, gli occhiali da sole immancabili, il cappello calato
sulla
fronte – tira fuori una sigaretta dal pacchetto e ci batte il
ritmo della sua
impazienza, picchiettando sul dorso della carta traslucida e della
plastica
protettiva trasparente. Poi la appoggia tra le labbra – con un sospiro, le è parso
– prende l’accendino dal tavolo, sbuffa
il fumo del primo tiro.
Brian
odia aspettare, e lei è in ritardo.
Brian
odia gli imprevisti, e la sua telefonata ha già il sapore di
uno spiacevole incidente.
Brian
odia vedere le proprie brevi vacanze rovinate dai contrattempi, e lei
sta per
rovinargli tutto per intero il suo weekend londinese.
Si
sistema sulle spalle la chioma scura, setosa, in un gesto di civetteria
involontaria, un condizionato riflesso che la porta ad assicurarsi che
le
pieghe della gonna cadano dritte sulle gambe snelle e che la camicetta
di seta
sia in ordine intorno al busto sottile. Allunga un passo, sicura sui
tacchi
altissimi, attraversa la strada e si gode gli sguardi ammirati degli
uomini
seduti ai tavolini del caffè.
Nel sole lei è colorata come il
caramello,
dorata e calda.
Poi
lui la vede.
-Brian.-
saluta affabile, raggiungendolo e posando la borsa su una delle
poltroncine in
vimini. Ne scosta un’altra e ci si accomoda, elegante e
delicata come sempre,
stendendo davanti a sé le braccia nude ricoperte di
braccialetti tintinnanti.
Sfila via gli occhiali, in un invito silenzioso al proprio
interlocutore, e gli
sorride con tutto l’affetto che quei due anni di distanza non
sono riusciti a
cancellare.- Ti trovo bene.- lo lusinga.
Lui
sorride in risposta, sanno entrambi che lei lo avrebbe detto anche se
non fosse
stato vero, ma sanno anche che è vero. E tanto basta.
Schiaccia
la sigaretta nel posacenere e si toglie gli occhiali da sole.
-Buongiorno,
Helena, sei uno splendore.- modula amabilmente.
E nel
suo caso non è così scontato: Brian Molko
difficilmente tiene per sé ciò che
pensa degli altri, indipendentemente dagli effetti che questo
può avere.
È lui
a voltarsi per richiamare una cameriera, perfetto cavaliere esattamente
come se
lo ricordava, gentile ed educato con la ragazzina di colore che gli si
avvicina
prontamente. Per Helena è un piacere da riscoprire lasciarsi
coccolare per un
istante dai toni morbidi della sua voce, ma quando lui torna a
guardarla lei è
pronta a servirgli quel “contrattempo” con tutto il
candore – spavaldo – che la
convivenza le ha insegnato a sfoderare in momenti come quello.
-Allora.-
esordisce allegramente appena la ragazza sparisce con le loro
ordinazioni, il
sorriso che si allarga.- È inutile che ci giriamo intorno,
Brian, ed anche se
ho sempre adorato il modo in cui ti sai perdere in convenevoli...- Lui
ridacchia qualcosa a mezza voce, ma lei non gli lascia il tempo di
prendere la
palla al balzo e strapparle l’iniziativa.- credo sia il caso
di mettere subito
in chiaro perché ti ho chiesto di incontrarci.
-Mh.-
concede lui, nient’affatto preoccupato.
Se
non lo conoscesse tanto bene quanto lo conosce, ci cascherebbe con
tutte le
scarpe nella sua sicurezza ostentata. La verità è
che gli da un fastidio
terribile che lei gli abbia ingiunto
di vedersi e che lui sia stato costretto
ad accettare, anche se presumibilmente quell’incontro
scombina buona parte dei
suoi piani per i blindatissimi due giorni di permanenza in
città. Per un
istante – brevissimo, sì, ma decisamente
fuorviante – Helena prova un piacere
immenso all’idea che lui non sappia ancora quanto
intende scombinarglieli, quei piani. Poi si ricorda che non
è una facile –
inconcludente – vendetta quella che sta cercando e mette a
tacere il rigurgito
di un orgoglio che la sua intelligenza di donna adulta le ha insegnato
da molto
tempo a tenere a bada quando può essere controproducente.
Non si va molto
lontano nel “gioco dell’egoismo” con
Brian Molko come compagno, e non serve a
granché nemmeno quando lui è comunque il padre di
tuo figlio.
-Si
tratta di Cody.- mette avanti Helena.
Brian
ha un moto di fastidio che proprio non riesce a nascondere,
probabilmente sarà
il fatto che cody è la
parolina
magica con cui lo ha trascinato in più di una spiacevole
situazione da quando
la loro storia è finita. E lei no, non è proprio
quel genere di donna che usa
il figlio come arma contro l’ex
famoso e ricco – e poi di soldi non ha proprio bisogno!
– ma non è nemmeno il
genere di donna che accetta di crescere quello stesso figlio da sola,
fingendo
che il padre sia morto in guerra ed aspettando che il ragazzino compia
diciotto
anni per tirare fuori una verità da copertina di rotocalco.
Quindi, alla
reazione dell’altro, lei risponde con calma.
-Non
fare quella faccia.- lo rimprovera cambiando appena il tono. Una punta
meno
affabile, abbastanza perché lui le lanci
un’occhiata sospettosa e renda
evidente che la sta ascoltando.- È ancora tuo figlio, sai
Brian?- ci scherza su
con un’ironia tutt’altro che gentile.
Vede
la risposta acida di Brian lampeggiare nel suo sguardo quando si volta
a fronteggiarla,
ma lui è attento a non pronunciare alcunché ad
alta voce e lei accetta
quell’armistizio riponendo le armi a propria volta. Sorride
di nuovo, appena
più sincera e disponibile.
-E
poi non ti sto chiedendo certo la luna. Dovrai solo tenerlo con te
questo fine
settimana.
Per
un momento Brian boccheggia, spalancandole addosso due occhi che sono
enormi
proprio come li ricordava – come
quelli
di Cody – e che stanno quasi per strapparle una
risata che lui non
apprezzerebbe affatto. È che certe volte è così
infantile! Arriva la cameriera a
salvarlo in corner dal dire qualcosa di terribilmente stupido, posa le
ordinazioni sul tavolo tra loro e Brian viene distratto abbastanza da
riprendere il controllo della situazione. Quando la ragazzina si
allontana, lo
stupore ha lasciato il posto all’indignazione di un uomo
irritato da un
fastidioso imprevisto.
-No.-
risponde, come se lei avesse lasciato intendere la
possibilità di una
contrattazione al riguardo. Helena sospira, sfila il tovagliolo da
sotto il
piattino degli antipasti e lo apre sulle gambe.- Ho degli impegni a
Londra,
Helena!- argomenta Brian. Mentendo,
pensa lei continuando a non guardarlo, o meglio…i suoi
impegni sono di tipo
tale da poter essere rimandati tranquillamente per amore di Cody.- Non
puoi chiedermi
di fare la balia ad un bambino per due giorni! Significa mandare a
monte tutti
i programmi che avevo fatto! Lunedì ripartiamo e lo sai!
-Sì,
certo che lo so.- concorda pacata. Anche perché è
la prima cosa che lui ci ha
tenuto a precisare quando si sono sentiti per telefono.- Proprio per
questo e
per il fatto che dopo mancherai fino ad autunno inoltrato, questo fine
settimana terrai tu Cody.- ritorce asciutta.- Anche perché
io non ci sarò,
Brian, ho un impegno di lavoro in Germania e non posso proprio
rimandarlo. E tu
non vuoi che io mi rivolga ad un giudice tutelare per dirgli che siamo
dei
cattivi genitori per Cody. – aggiunge alzando gli occhi ad
incastrarli nei
suoi.
Helena
ha imparato bene ad affrontare lo sguardo di Brian, non
c’è quasi più nessun
trucco che quegli occhi possano utilizzare con lei e lei ha smesso da
tempo di
esserne affascinata, intimorita o semplicemente distratta.
Stefan
Olsdal non è particolarmente stupito di trovarlo
lì quando apre la porta, dopo
aver spiato la sua presenza – e quella del bambino bruno che
gli dà la mano –
dallo spioncino del battente. Non è nemmeno particolarmente
spiazzato nel
ritrovarseli entrambi, Brian e Cody, pronti e pimpanti fuori della
soglia di
casa che lo guardano sfoggiando un sorriso affascinante – e niente affatto rassicurante - il primo,
ed un musetto
gorgogliante bollicine di saliva nonché uno sguardo
vivacemente perplesso, il
secondo. Stefan è un uomo che ha imparato a gestire bene gli
imprevisti - è una
cosa che impari quando hai come compagno di band il Re delle Trovate
Impreviste
- quindi non lo spiazzano e non lo allarmano più. E sa che -
se lo stesso Brian
che lo ha salutato scendendo dall’aereo con un “a mai più rivederci fino a
lunedì, Olsdal”, adesso è
lì - significa
che un imprevisto è proprio ciò che gli
è capitato tra capo e collo.
E
presumibilmente ha anche la consistenza del bimbetto gorgogliante che
si sta
infilando il dito in bocca in questo momento.
-No,
Brian.- ci tiene a specificare.
Ma sa
già che quel “no” sarà messo
a durissima prova e non dubita di sentirlo
trasformare in un “sì” in tempi da
manuale.
Questo
nemmeno quindici anni di lavoro assieme glielo hanno insegnato.
-Sei
pessimo, Stefan. Non ci fai nemmeno entrare? Cody è stanco,
è stato a ruzzolare
nel parco fino ad ora.
Sospira,
ogni concessione è una rinuncia sul terreno di battaglia ma
si sposta dalla
porta e viene premiato da un gridolino divertito e soddisfatto di Cody,
che si
libera dalla mano del padre e rotola dentro a tutta la
velocità che le gambette
tozze gli concedono. Non fosse un pupo
tanto grazioso, Stefan immagina che troverebbe più facile
cacciarlo fuori con
quella serpe che si trova per padre.
Padre
che, intanto, ha preso possesso di casa sua con tutta la flemma padrona
che lo
contraddistingue nell'invadere lo spazio vitale altrui.
Non
crede di averlo mai visto introdursi discretamente
nell'esistenza di qualcuno, Brian preferisce di gran lunga le entrate
ad
effetto e gli scoppi accesi.
-Stef,
chi è?- chiede una voce dalla cucina.
-Oh,
ma c'è anche Dave!- trilla allegro il bruno, svolazzando in
direzione
dell'altro ospite della “magione”.
“Ah,
sì che c'è David, Brian”, formula pigra
la mente di Stefan mentre lui lascia il
battente perché si richiuda con un tonfo, “viviamo
assieme!”
Non
si spreca a farlo notare. Tanto sarebbe inutile quanto tutte le decine
di volte
precedenti in cui il suo cantante - e migliore amico - ha preferito
ignorare
quella verità fastidiosa per continuare entusiasticamente a
violare la loro
privacy senza neppure prendersi la briga di annunciarsi.
Ovviamente
il suddetto David è affatto felice nell'affacciarsi alla
soglia ad arco della
cucina per ritrovarsi a meno di mezzo metro da quello che sta assumendo
velocemente i contorni di un incubo ad occhi aperti, come comunica il
suo
sguardo che si sposta rapido ed implorante verso il compagno in cerca
di un
sostegno che Stefan non si sente di dargli. In piedi a braccia conserte
dietro
la schiena, Stefan Olsdal si sente tanto un traditore della patria e
sicuramente un gran vigliacco.
-Brian...-
constata a mezza voce David.- Che accidenti ci fai qui?
-Cosa
vuoi che ci faccia?!- ritorce con il proprio peggiore candore il
cantante.-
Certo che ne fai di domande strane, David! Piuttosto, c'è
del caffè in questa
casa?- s'informa dribblando elegantemente l'altro per entrare di
prepotenza in
cucina a caccia di quanto richiesto.
In
salotto Stefan intercetta il dito accusatore che il suo compagno gli
sta
puntando addosso e si limita a stringersi nelle spalle in un chiaro
“cosa ti
aspetti che faccia?! lo conosci!”, che non sortisce affatto
l'effetto sperato.
David gira rabbiosamente sui tacchi all'inseguimento dell'intruso,
abbandonando
bassista e bambino a vedersela da soli in salone, ed intercetta Brian
un
istante prima che cominci ad armeggiare pericolosamente con la macchina
del
caffè. Quando lui non oppone alcuna resistenza nel cedergli
il bricco
trasparente per accomodarsi in attesa all'isola centrale, David ha
quasi la
tentazione di romperglielo in testa. Desiste solo perché si
ritroverebbe senza
un lavoro e, presumibilmente, senza un ragazzo. E non vuole davvero
scoprire
che Stefan tiene comunque più a Brian che a lui...
-Beh,
in ogni caso io ero lì a farmi una paccata e mezza di cazzi
miei, mh?- inizia a
raccontare il bruno, come se il discorso stesse proseguendo da sempre e
tutti
loro dovessero essere, quindi, perfettamente in grado di capire a cosa
si stia
riferendo. David lancia una seconda occhiata a Stefan proprio mentre
lui fa il
suo ingresso nella stanza con Cody appeso al collo che strillacchia
felice di
aver raggiunto nuove “altezze”.- Ed Helena mi
chiama e mi fa “dobbiamo
incontrarci!”, in tono così categorico che voglio
vedere voi a dirle di no!
-Non
mi sognerei mai di dire di no ad Helena, Brian, lei ed Alex rientrano
in quel
novero di donne che mi hanno convinto che essere gay sia una soluzione
più che
accettabile!- ci scherza su Stefan, sistemando Cody sullo sgabello di
fianco al
padre nonostante le sue manifestazioni di disappunto al riguardo.
David
accenna una risatina ma non interviene e non si volta, così
che non vede lo
sguardo minaccioso di Brian che, palesemente, non ha nessuna voglia di
scherzare, al di là del finto tono giocoso/casuale che sta
sfoggiando per
quella discussione. Come se loro due - David e Stefan - avessero
davvero
bisogno di una spiegazione per sapere dove andrà
inevitabilmente a parare.
Il
bricco trasparente s'incastra con un leggero scatto proprio sotto il
bocchettone della macchina, David la accende e torna all'isola,
appoggiandosi
al ripiano, in attesa, rassegnato al finale di quella parodia insulsa.
-Allora
capirai che non ho proprio potuto rifiutarmi di tenere Cody con me
questo fine
settimana.- “Bingo!”, pensa David intercettando la
medesima allocuzione nello
sguardo divertito del compagno.- Anche perché lei ha
cominciato tutta una
trafila sul fatto che deve andare all'estero per lavoro e che non
saprebbe
proprio come fare...Insomma, non ve la faccio lunga, ha avuto il
barbaro
coraggio di insinuare che siccome non la aiuto a tenere il bambino,
allora lei
sarebbe stata costretta a rivolgersi agli assistenti sociali!- esclama
concitato.
-Agli
assistenti sociali?- ripete Stefan, sinceramente sorpreso.
Brian
annuisce vigorosamente, scandalizzato.
-Figuratevi
se voglio che degli assistenti sociali si impiccino di mio figlio!-
sbotta
rabbioso.- Che poi voglio dire, non capisco davvero perché
la faccia tanto
lunga. Mia madre ha cresciuto me e Barry completamente da sola e non mi
pare
che nessuno di noi due ne abbia mai risentito.
-Sul
punto avrei delle obbiezioni, Vostro Onore.- commenta David sarcastico.
-Brian,
tua madre non ha lavorato un solo giorno in tutta la sua vita e tuo
padre, in
ogni caso, viveva con lei, a parte i viaggi di lavoro.
-Con
questo che vorresti dire?- ritorce Brian storcendo il naso.
-Che
non è la stessa cosa.- esplicita sbrigativo David, prima di
voltarsi per
recuperare tazze e caffè.
-A
grandi linee.- ammette Stefan davanti allo sguardo del proprio migliore
amico.
Cody
si tuffa, mani avanti, sulla prima delle due tazze che David posiziona
davanti
a loro e suo padre reagisce in modo asettico ed istintivo,
sfilandogliela da
sotto il naso prima che possa raggiungerla ed assicurandosi poi che il
bambino
non cada dallo sgabello traballante.
-Solo
perché io ho un lavoro più impegnativo.- ci tiene
a precisare. E Stefan evita
di fargli notare che nell'immaginario collettivo (per
carità! con ogni
considerazione del caso, eh!) si ritiene molto più
impegnativo dirigere una grande Banca che non saltellare sui
palchi di mezzo mondo con canzoni pop-rock di discutibile successo - Ma
non mi
pare di essermi rifiutato di aiutarla nei limiti del possibile! Non
avrei
accettato di tenere Cody con me, altrimenti, nonostante questo
sconvolga tutti
i miei piani.
-Siamo
in dirittura di arrivo!- commenta David prima di affondare il naso
nella
propria tazza.
Brian
gli tira un'occhiata trasversale di puro disappunto che lui ignora.
-Non
ne dubito, Brian.- concorda Stefan serafico.- E, quindi, visto che sei
consapevole dei tuoi doveri di padre e che il tuo senso di
responsabilità ti ha
correttamente indicato la strada del sacrificio per amore di tuo
figlio, come
mai sei qui a rompere le palle di venerdì sera?
-Consolati,
almeno la giornata si è completamente guastata.
-Spero
che si bagni fino al midollo, che gli venga una bronchite e che
stavolta ci
resti secco.
Stefan
ride, consapevole di quanto David stia esagerando una stizza che prova
solo in
parte.
Intanto
lo ha visto, prima, buttato sul tappeto dello studio a giocare con Cody
ed un
mucchio di penne colorate! incurante del fatto che quelle stesse penne
stessero
ampiamente contribuendo a ridisegnare i suoi amati pantaloni nuovi
molto più di
quanto non stessero facendo per la formazione artistica del piccolo.
Il
gioco si è trasformato presto in una travolgente lotta
indiani contro cowboy
che ha visto Stefan nella parte di un improbabile Clint Estwood e si
è conclusa
con un pupo sfinito e sonnecchiante sul divano in soggiorno. Lui ne ha
approfittato per uscire in terrazza a fumare una sigaretta e David per
concedersi una doccia ed un cambio abiti veloci. Al rientro di entrambi
nella
stanza, il bambino è di nuovo sveglio ed attivo e si guarda
attorno con aria
famelica e sguardo fin troppo vigile.
Stefan
è ancora impressionato da quanto, a parte per i colori, Cody
possa somigliare a
suo padre con quegli occhi enormi e quell'aria da monello furbetto.
-Non
capisco come tu possa averglielo permesso.- riprende David in un
mugugno
insofferente.- Santo Cielo, Stefan! è venerdì e
siamo chiusi in casa a fare da
baby sitter!
-Guarda
il lato positivo della cosa, sappiamo entrambi che se gli avessimo
mandato a
monte la serata avremmo pagato le conseguenze del suo malumore per eoni.- ribatte seraficamente il
bassista, raggiungendo Cody che, saltato giù dal divano, si
sta incamminando
mezzo a gattoni e mezzo a balzelli in un improvvisato percorso di
guerra tra i
divani ed il tavolino del salotto.- Dove vai, signorino?-
s’informa sorridendo
al bambino, che gorgoglia in risposta.
-…mamma…?-
borbotta con fare interrogativo Cody.
-Mamma,
sì. Mamma è al lavoro, amore.- gli confida Stefan
sollevandolo in braccio prima
che provi a dare la scalata ad un vecchio cassettone sistemato tra il
muro ed
il divano.- La vedi lunedì, la mamma. Questi due giorni stai
con papà, lo zio
Stef e lo zio David.
-…evid.-
ripete meccanicamente Cody, già distratto dalla
consapevolezza che, a
quell’altezza, il lampadario sembra immensamente facile da
raggiungere…
-Sì,
zio David che ora va a preparare la cena, perché non so tu,
piccola pulce, ma
io e lo zio Stef abbiamo fame!- annuncia David.- Stefan, attento a non
farlo
morire fulminato, sono quasi certo che per
questo “tuo marito” potrebbe ucciderti.
-Mamma.-
ripete convinto il bambino mentre Stefan segue il consiglio di David
portandolo
lontano dalle fonti di illuminazione elettrica.
-Uhm...Cody,
sarà meglio che tu ti arrenda all'idea che tua madre non
verrà a salvarti per i
prossimi due giorni.- gli confida lo svedese osservando il visetto
perplesso
del bambino.- E sai, per quanto capisca perfettamente la
bontà delle sue
ragioni, non sono del tutto certo che sia davvero la scelta migliore
per te.-
aggiunge con un sospiro.
-...mh!-
sbotta il bimbo, annuendo vigorosamente come avesse capito.
Stefan
sorride, gli dà un bacio sulla guancia, a cui Cody risponde
con un gorgoglio
felice ed un sorriso enorme, e poi lo rimette a terra perché
possa riprendere
le sue esplorazioni della casa. Quando David li raggiunge per
annunciare che la
cena è pronta, Stefan e Cody stanno giocando a nascondino
tra il letto e la
porta dell'armadio e le risate del bambino e lo scalpiccio dei suoi
passetti
caracollanti riempiono casa in un modo che fa sorridere il ragazzo
nell'affacciarsi
alla soglia della stanza.
-Tana
per Stefan nascosto dietro la cassettiera!- strilla David indicandolo
tra gli
urletti di Cody, che parte subito in quella direzione per cascare tra
le
braccia pronte dello svedese.- Sei troppo alto! La testa non ti ci sta
mica lì
dietro.- argomenta con convinzione il suo compagno.
-Ma
non mi dire!- sbuffa sarcastico Stef, sollevando Cody in braccio.-
Andiamo a
fare la pappa?
-Bruuuugh-
gorgoglia lui.
-Lo
prenderò per un sì.- gli concede divertito
l'uomo, avviandosi alla porta.
Non
ha il tempo di uscire però. Cody comincia ad agitarsi con la
convizione
ostinata dei capricci infantili, scalciando e dimenandosi tanto da
fargli
credere che possa cadere da un momento all'altro. Stefan si affretta a
rimetterlo a terra, solo per vederlo acquietarsi appena acquista
consapevolezza
della consistenza del pavimento sotto i piedini.
-Ehi...cucciolo...-
mormora lo svedese, scostandogli i ricci scuri dal viso per studiare la
sua
espressione disorientata. Cody si mordicchia il pugno e si guarda
attorno.- Che
ti prende...?
Quando
tira via le braccia, lasciandolo camminare incerto verso la fonte della
sua
attenzione, lo vede barcollare instabile sulle gambine fino alla porta
della
stanza. Cody si appende al battente per scostarlo via dalla propria
traiettoria
e David, perplesso quanto il compagno, si affretta ad aiutarlo. Dietro
il legno
il bambino scopre l'oggetto misterioso della sua curiosità:
il legno liscio e
colorato di una vecchia
chitarra che ha visto tempi migliori. Cody si siede lì
davanti, allunga una
mano verso le corde spesse e le aggancia malamente con l'indice ed il
medio nel
tentativo vano di tirare fuori un suono.
Quando
la chitarra resta muta, Stefan e David lo vedono girare gli occhi verso
di loro
con un interrogativo silenzioso negli occhietti svegli. Sorridono.
-P...pa...p-pà?-
domanda incerto.
Il
sorriso muore sulle labbra di Stefan e David mentre si guardano.
-...e
ora chi glielo dice a Brian?- mormora David.
David
si è portato Cody a dormire. Stefan è entrato in
camera da letto e li ha visti,
abbracciati tra cuscini e coperte, ronfare beatamente, il piccolo
pancia
all'aria e l’altro attento a tenergli un braccio attorno alla
vita per evitare
che rotolasse giù dal materasso. La stizza di David, del
resto, si è sciolta
davanti ad un Cody starnazzante quell'unica parola come un mantra tutta
la
sera. Sembra che appena imparato a dirlo,
“papà” - in tono sempre più
alto e
sicuro - sia diventato la formula magica di un incantesimo dalla
riuscita
improbabile. Papà non
è apparso alle
invocazioni di Cody, ma lui ha preso la cosa con uno stoicismo
ammirevole,
trasformando la litania in un sottofondo rumoroso dei propri giochi,
finché il
sonno non lo ha fatto crollare di nuovo sul divano in soggiorno.
Brian
è educato come sempre - quando
vuole
- si annuncia al cellulare per non disturbare, con uno squillo breve, e
Stefan
si avvia alla porta per aprirgli, fa scattare il portone e poi la
serratura
nell'ingresso. Pochi minuti e lo sguardo brillante e sorridente
dell’altro è lì
davanti a lui.
-Potevi
lasciarlo qui stanotte, se volevi.- gli dice.
-Oh,
no. Non volevo disturbarvi oltre.- borbotta il cantante.
E
Stefan sa che sta mentendo perché si sta già
guardando attorno alla ricerca del
bambino e la smania con cui perlustra la stanza gli dà la
misura di quanto si
sia pentito della scelta fatta. Sorride amareggiato, chiudendo la porta
e
facendolo soffrire un altro po’.
-Com'è
andata la serata?- s'informa colloquiale.
-Uhm?
Oh...bene...- sminuisce Brian scrollando le spalle.- Cody è
stato buono?-
chiede, ma la risposta non lo interessa e prosegue quasi immediatamente
con
l’ennesima frase di circostanza, mentre lo segue in cucina.-
Mi spiace davvero
di aver bloccato te e David in casa, contavo sul fatto che non aveste
impegni
ma effettivamente non ve l'ho chiesto...
Stefan
avrebbe voglia di scoppiare a ridere ma si trattiene, nascondendosi nel
frigorifero con la scusa di cercare qualcosa di fresco da bere.
-Grazie
del pensiero!- lo prende in giro tornando a voltarsi per trovarlo
già
accomodato al bancone dell'isola centrale. Preleva due flute dal
lavello e li
posa sull'isola insieme con una bottiglia di vino bianco.- Non
cambierai mai.-
afferma, occhi nei suoi e sorriso garbato.
Brian
ricambia con una risatina imbarazzata, offrendosi di stappare la
bottiglia e
porgendo la mano perché Stef gliela consegni insieme al
cavatappi.
-A
cosa brindiamo?- chiede poi osservando compiaciuto l'etichetta, prima
di
versare.
Stefan
si accomoda sullo sgabello ed alza il bicchiere, fronteggiandolo da
sopra un
sottilissimo strato di bollicine trasparenti.
-Al
mio migliore amico,- esordisce lentamente, strappando all'altro
un'espressione
sottilmente soddisfatta. Brian alza il bicchiere, ma prima che possa
farlo
tintinnare contro il suo Stefan prosegue apatico - che è uno
degli uomini più
impegnati che io conosca.- afferma piatto.- E poi al primo
“papà” detto da
Cody.
La
faccia di Brian, mentre Stefan beve e lo osserva di nascosto,
è una maschera di
cera.
Il
bicchiere rimane intatto sul tavolo della cucina.
Sebbene
ci metta tutta l'attenzione del mondo, Cody si sveglia comunque. Brian
gli posa
un bacio leggerissimo sulla tempia, cullandolo per convincerlo ad
appoggiare
nuovamente la testolina ricciuta contro il suo petto, al riparo del
giubbotto
di pelle che lo protegge dalla fitta pioggerellina inglese. Il bambino
sospira,
il suo respiro caldo contro il collo fa sorridere Brian, gli posa una
mano
sulla guancia, delicatamente, per assicurarsi che l'acqua non lo
raggiunga
mentre attraversano la strada in direzione della jaguar parcheggiata
contro il
marciapiede.
Brian
sa che Stefan li sta guardando da sopra il terrazzo; apre lo sportello
e
sistema il bambino sul sedile, rimboccandogli il giubbotto attorno al
corpicino
mentre ancora si muove in cerca di una posizione più comoda
e poi sistemando la
cintura perché lo protegga nel breve tragitto fino a casa.
Quando ha finito, si
gira e solleva una mano in direzione della figura scura ritta sullo
sfondo
della notte. Stefan ricambia e resta lì mentre anche lui
sale in macchina e si
allontana.
Ed è
il loro modo di perdonarsi un po’ tutto, scambiarsi quel
saluto silenzioso
prima di lasciarsi. Ed anche se Brian lo sa che ha ben poco da
perdonare a
Stefan – la
“cattiveria” di quella sera
non è davvero tale, ma il solito rimprovero da amico
paziente che lo svedese
non manca mai di fargli, con tutta la delicatezza ma anche la
determinazione
che gli sono proprie – Stefan sa, invece, quanto
per lui possa essere
difficile accettare di aver sbagliato. E, quindi, sì,
è necessario anche quel
saluto e dirsi che da domani tutto torna alla normalità di
sempre.
Una
normalità dal sapore strano. Brian guarda Cody sul sedile di
fianco, ora del
tutto sveglio, che osserva il mondo con quegli occhi troppo grandi
spalancati
come potessero inghiottire il buio e ridargli luce in cambio. Sorride.
La colpa
è sua se quella parola si è persa per sempre e
non avrà mai più lo stesso
sapore; pensa che è ridicolo, perché lo aveva
messo da conto che “non ci
sarebbe stato” e che Cody avrebbe detto
“papà” ad un immagine trasmessa da uno
schermo.
Invece
no. Invece non c’è stato, ma la colpa è
solo sua. E se, già generalmente, la
normalità ha il sapore dello straordinario
nella sua vita, per una volta tanto non è nemmeno uno
straordinario così
eccezionale. È solo la mancanza di un padre distratto.
Cody
si ribella alla cintura, le manine afferrano la portiera e Brian fa
scattare la
sicura centralizzata, mentre il bambino si arrampica con le braccia ed
il viso
fino al vetro, e rallenta l’auto gettandogli uno sguardo di
tanto in tanto per
assicurarsi che non si tiri in piedi sul sedile. Ma Cody resta buono
con il
naso incollato ad un finestrino coperto di gocce piccole che scivolano
in basso
e le segue con il dito, il fiato che si condensa sulla superficie
trasparente.
-Quella
si chiama “pioggia”.- dice Brian lento.
Cody
lo guarda e poi torna a schiacciare il viso al vetro.
-…ghia!-
trilla con convinzione.
Nota di fine capitolo della Nai:
Nuovo esperimento, indotto, stavolta, dalla
volontà di far piacere un personaggio alla cara Keiko
– giudice del terzo round
del “Dodici Mesi di Feldetà” Contest.
Lei odia Brian Molko, la sottoscritta ama
Brian Molko e, quindi, con l’arroganza che sempre la
contraddistingue in questi
casi, spera di riuscire a far piacere il personaggio anche a chi legge
con
tutti i “pregiudizi” del caso.
A parte questo, la storia non ha grandissime
pretese – oh, invece sì, ma nella realizzazione
pratica si sono perse
praticamente tutte! XD – e confido solo che possa divertirvi,
piacervi o
intenerirvi soltanto.
Io sarò felice di qualsiasi
attenzione possa
suscitare da parte vostra.
Con affetto,
MEM
|
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Capitolo 3 *** Per tutti i giorni in cui non ti ho avuto. Cody ***
“Per
tutti i giorni in cui non ti ho avuto”
Cody
È
magrissimo. Sottile come dovesse spezzarsi da un momento
all’altro. Ed
arruffato. I capelli troppo lunghi, spettinati, raccolti in una coda
disordinata che lascia libere ciocche sporche, appena ricciute,
decisamente
troppo lunghe. A vederlo sembra una ragazza: ha gli occhi troppo grandi
con le
ciglia troppo lunghe, i tratti del viso troppo morbidi – gli
zigomi alti ma le
guance tonde – e delle labbra disegnate e piene, la pelle
liscia con una punta
di caramello che si mescola al marrone scurissimo degli occhi. Anche se
il
colore in sé sarebbe banale, ha lo sguardo intenso, che
trapassa chi lo
osserva, e poi è reso folle dall’alcool e dal fumo
e quando ride – e ride
spesso, anche se senza divertimento – gli occhi luccicano, come fossero dei fari puntati
nel buio della notte.
Si
tira in piedi all’improvviso. Il resto del gruppo rimane
dov’è, lo guardano
soltanto, annebbiati, con una domanda solitaria e svogliata che aleggia
senza
trovare forza. Lui li ricambia con disprezzo, ma non è
così diverso da loro,
sgangherato ensamble di pezzi di
pessima orchestra. C’è una ragazza
“vera” che però sembra un brutto
ragazzo,
sgraziata e sudicia, vestita di stracci neri e rossi; poi ci sono altri
due
tizi, che sono troppo fatti anche solo per concentrare su di lui
un’attenzione
concreta, ed un altro, che lo studia come se si aspettasse di vederlo
ricadere
al proprio posto da un momento all’altro.
Invece
lui barcolla ma resta ostinatamente in piedi. Anzi, quando trova un
minimo di
equilibrio sulle gambe, ricambia trionfante lo sguardo del tizio, in un
palese
invito a sfidarlo – “o sfidare la forza di
gravità”, si domanda quello.
Scioglie i capelli scuri e torna a legarli in un groviglio che
ridiventa in
fretta disordinato com’era. Manco fossero vivi.
-Mi
sono rotto le palle di stare qui.- annuncia secco ad una platea
indistinta.
A
dargli retta è ancora lo stesso tizio. In realtà
non è che dica qualcosa, ma
sposta lo sguardo per armeggiare con la stecca di fumo che nasconde
nello zaino
e le cartine che ha in tasca.
-Insomma,
volete sprecare tutta la nottata in questo cesso?!- ringhia
indispettito da
quell’indifferenza generalizzata.
La
ragazza sbuffa infastidita dal suo tono, si preme le mani contro le
orecchie e
lo guarda di sottecchi.
-Ah,
ma vaffanculo, Cody! Cazzo dovremmo fare?!- gli ritorce contro,
calciando
l’aria perché non arriva fino a lui e spostarsi le
costerebbe troppa fatica.
-Lenore
è andata!- ride uno dei due strafatti, nemmeno fosse una
gran battuta, e
l’altro gli va dietro quasi subito.
-Cosa
vorresti fare?- chiede il terzo in modo appena più
accondiscendente. Rolla lo
spinello e lo appoggia tra le labbra, scavando nuovamente la tasca alla
ricerca
dell’accendino.
Cody
arriva fino a lui, evitando l’intreccio di gambe che i due
tizi e la ragazza
hanno creato al centro dello stanzino. Quel posto è davvero
un cesso, ma è
fuori dal giro della polizia e loro ci vengono quando vogliono stare
tranquilli
e fumare senza il rischio di farsi prendere. Si lascia cadere accanto
all’altro
che gli allunga lo spinello in automatico, sbuffando il fumo in una
nuvola
davanti a loro; Cody fa un tiro e si sistema all’indietro,
spalle al muro, la
maglietta si tira sulla pancia e scopre la carne nascosta sotto i
vestiti
troppo stretti.
-Se
andiamo giù al negozio di Brad?- risponde al tipo.
-Ha
già detto che non ce lo vende, l’alcool, ha
già detto che gli sbirri gli hanno
rotto il cazzo l’ultima volta e che lo tengono
d’occhio.
Cody
fa una smorfia ed un altro tiro. Il tipo inizia a rollarsi una seconda
canna.
-Allora
andiamo a prenderci da bere da soli!- sbotta Cody, contrariato.
-Sì,
certo!- lo prende in giro l’altro senza nemmeno guardarlo.
-Non
hai le palle, Artie?- interroga Cody, con un sorriso sghembo che non
piace
affatto al tizio.
Lo
squadra da sotto in su, rabbiosamente, lascia andare lo zaino e lo
allontana
con un calcio. Il secondo dopo è già in piedi
– senza barcollare, lui!
– e lo guarda a braccia conserte,
aspettando.
-Lo
muovi quel culo, principessa?- gli
sibila addosso.
L’uomo
li ha visti arrivare ed ha sbuffato, infilandosi in fretta dietro il
bancone
proprio mentre loro entravano, un coro di risate volgari e sgangherate
in un
parossistico incedere a zig zag lungo una strada già
tracciata dal fumo. Quando
sono fatti a quel modo dicono guai e lo sa. Li conosce – ce
li ha tra le palle
almeno tre volte la settimana, quei mocciosi di merda! – e sa
che c’è poco da
discutere se arrivano a quel modo.
Come
sempre è Cody a farsi avanti. Il nome lo ha scoperto per
caso, a differenza
degli altri lui non va a sbandierarlo in giro e probabilmente
è perché un po’
deve vergognarsi di quel nome da bravo ragazzo – da cagnolino della buona borghesia. Lo
inquieta più di tutti gli
altri, pure se è il più giovane di loro,
perché ha tutto un altro modo di fare
e nessun motivo per farlo. Cody
è
ricco, gli ha detto Artie e Lenore ha confermato e ribadito
“molto ricco”, ed
ha una famiglia, gli hanno detto i gemelli. C’è da
chiedersi perché diavolo non
se lo riacchiappino per la collottola e lo sbattano in qualche
comunità di
recupero di quelle superlusso, ha aggiunto Artie. Ma non è
solo questo che lo
inquieta di lui. Brad ne ha visti tanti di mocciosi, di tutti i tipi,
passare
dal suo negozio in cerca di uno sballo veloce e Cody è
l’unico che gli mette
addosso quell’ansia di vederlo sparire. Anzitutto
è troppo bello – quelli belli
così fanno la fine peggiore, lui lo sa – ed
avercelo davanti che fa come sta
facendo adesso…
Cody
si butta a peso morto sul bancone, braccia sotto il mento, culetto in
fuori e
faccino che dondola sulle mani conserte. Brad lo guarda accigliato
mentre lui
gli sorride sornione come un gatto.
-Ciao,
Braddy.- miagola sbattendo le ciglia.
-Sparite.-
grugnisce l’uomo.
Il
coro dietro Cody si rimette a ridere e lui stesso accenna una risatina.
-Andiamo,
non fare lo stronzo!- scorcia tirandosi dritto.- Tanto alla fine ce la
dai
vinta lo stesso.- afferma con una sicurezza che fa venire
all’altro una gran
voglia di prenderlo a schiaffi.
-Bene.-
concede a denti stretti, invece.- Allora servitevi,
pagate e levatevi dalle palle!- lo apostrofa.
Artie
arriva al banco con le braccia già cariche, le bottiglie
cozzano sinistramente
quando le appoggia sul ripiano.
-Certo,
bello, non preoccuparti.- lo rabbonisce scavando in tasca alla ricerca
dei
soldi.
Cody
si disinteressa in fretta, si allontana da loro vagando distratto per
il
negozio e tra gli espositori. Sente le risate di Lenore provenire da un
punto
preciso, e poi i gemelli che bisbigliano pesanti apprezzamenti alla
ragazza.
Sorride, aumenta il passo fino ad arrivare alle spalle del terzetto,
nascosto
dalle file ordinate di barattoli di passata di pomodoro, si accuccia e
sbircia
negli spazi vuoti. Uno dei gemelli ha già infilato le mani
sotto la gonna e
nelle mutande di Lenore, la faccia premuta contro il collo della
ragazza fino a
scomparire, come fosse una bocca spalancata a divorargli
l'identità. L'altro li
guarda ed un pò ride, un pò si passa la lingua
sulle labbra secche, affamato.
Cody
fa un passo indietro raddrizzandosi, prende le misure con la scarpa e
poi tira
un calcio all'espositore facendolo oscillare violentemente. I barattoli
cadono
a terra con un frastuono che solo le grida di Lenore e dei due ragazzi
riescono
a coprire. Brad bercia al loro indirizzo un «piccoli figli di
puttana!» che fa
presagire il peggio e Cody ride e scappa via, correndo tra gli
espositori in
cerca dell'uscita ed afferrando con la coda dell'occhio l'immagine di
Artie che
acchiappa le bottiglie ed i soldi dal bancone.
In
strada ci arrivano da soli, loro due, dei gemelli e di Lenore nessuna
traccia
ma non si fermano ad aspettare. Artie riprende la testa della loro
fuga, gira
due vicoli che Cody non conosce, s'infila dietro una porta che protesta
violentemente quando lui la spalanca con un calcio e scende una scala
che
sembra uscita da un film horror. Cody gli va dietro fino in fondo allo
scantinato buio che Artie attraversa con sicurezza e poi fuori,
dall'altro lato
e su per la strada, di nuovo. Il più grande si lascia cadere
a terra contro la
serranda di un negozio, Cody si accuccia lì vicino,
sull'asfalto del
marciapiede, incrociando le gambe sotto il sedere e giocherellando
lungo cerchi
invisibili che traccia a terra con le dita, l'euforia di un istante
prima già
scomparsa.
Artie
gli allunga una bottiglia di birra già stappata che lui
prende in automatico.
-Che
cazzo ti è venuto in testa...- commenta aspro senza
guardarlo.
Cody
incassa il rimprovero con l'indifferenza di sempre, scrolla le spalle e
beve a
canna, troppo velocemente, così la birra scorre lungo il
mento ed il collo e
gli bagna la maglietta. Abbassa la bottiglia e scosta la maglia per
scrollare
via l'umido.
-Tu
sei tutto bacato.- constata Artie disinteressato, attaccandosi anche
lui al
collo della prima bottiglia.
-Assenzio.-
sussurra Cody senza nessun legame.
Artie
abbassa il wiskey e lo fissa interrogativo. Ma Cody non lo guarda, si
lascia andare
all'indietro sui gomiti, sorridendo stupidamente a qualcosa che vede
solo lui e
che sta da qualche parte tra la striscia ultima del nastro stradale ed
il
soffitto di cielo opaco che copre la città. Artie gira
attorno gli occhi a
cercare quell'immagine, ma li riporta su di lui quasi subito. Vuoti.
-Annebbiare
i sensi per percepire una realtà nascosta sotto tutto il
mondo.- spiega intanto
Cody.- Lo bevevano i poeti decadenti della fine dell'Ottocento...
-Ah,
è una roba di quelle che impari nella tua scuola per
fighetti.- svilisce Artie
perdendo subito interesse e ricominciando a bere.
-Lo
sai che è una bugia? L'assenzio non ti fa percepire proprio
nessuna realtà
nascosta, la Fatina Verde
esaudisce i desideri e fa scomparire questo, di mondo.- continua senza dargli peso.
E poi il tono si fa evocativo e nostalgico - Così non
avverti nessuna
solitudine. Se non sei, non puoi
desiderare di riconoscerti nell'abbraccio di qualcun altro.- mormora.
-Parli
troppo complicato per me, Cody. E poi se quello schifo ti fa questo
effetto,
meglio che non te ne dia!- ride.
Cody
si rimette a sedere, posa la bottiglia quasi vuota di fianco a
sè e si sistema
distrattamente la maglietta ed i jeans. La domanda cade allo stesso
modo
casuale e distante.
-Secondo
te l'assenzio fiorisce?
-...che
cazzo ne so?!
La
luce della torcia elettrica dei poliziotti gli si pianta dritta in
faccia, così
come la voce metallica che la segue.
-Fermi
dove siete, ragazzini.
Brian
ha delle difficoltà oggettive nel riconnettere il suono a
qualcosa di reale,
decisamente essere svegliato nel cuore della notte dal telefono
è un concetto che non gli appartiene più da
tempo. Non
esistono molte persone abbastanza folli da arrischiarsi a fare una cosa
del
genere, quelle che esistono hanno acquistato saggezza nel corso del
tempo e,
comunque, hanno tutte il suo numero di cellulare e, se proprio avessero
bisogno
di lui, non farebbero la stupidaggine di cercarlo a
casa. In effetti, se si sveglia abbastanza da aprire gli
occhi,
riconoscere il suono e decidere che è il caso di
assecondarlo, è solo perché la
sua compagna di letto lo fa prima di lui, gli tira una manata poco
gentile
sulla faccia e lo spintona verso il bordo del materasso con un
borbottio
incomprensibile a fior di labbra in cui riconosce solo ed
esclusivamente il
proprio nome.
Sospira.
Stizzito. Si leva di dosso la manina piccola ed artigliata della tizia
e si
mette a sedere tra le coperte, sollevando il cordless dalla basetta sul
comodino.
-Pronto?!-
sbuffa nella cornetta.
Riconosce
con facilità la voce preoccupata del portiere ed il modo
disgustosamente
ossequioso con cui si ostina a rivolgerglisi, nonostante gli abbia
chiarito più
di una volta di non gradire affatto quei salamelecchi.
-Sig.
Molko, sono davvero costernato di svegliarla a quest’ora!-
esclama l’uomo
concitato.- Se non fosse una cosa estremamente importante non mi
permetterei
mai, lei lo sa bene…
-Sì,
appunto.- scorcia Brian, massaggiandosi il naso alla radice e cercando
di
scacciare il mal di testa che già si affaccia. Che diavolo
di ora è?! - Quindi,
visto che è importante, potrebbe cortesemente dirmi di che
accidenti si
tratta?- lo invita secco.
-Ah
sì, certo certo!- attacca prontamente l’uomo. -
E’ una cosa un po’ delicata,
sa, insomma…non so se sia il caso…ma
proprio…- Evidentemente no, non può
limitarsi a dirgli di che si tratta. Il secondo sospiro è
abbastanza alto e
forte da far sussultare il suo interlocutore.- C’è
la
Polizia qui, Sig. Molko!-
sussurra a voce talmente bassa che per un momento Brian crede di aver
capito
male.- Hanno…portato…suo figlio.- tentenna.
…no…non
ha affatto capito male.
Purtroppo.
La
faccia di Cody, quando apre la porta e se lo trova davanti tutto
sorrisi e
brillio degli occhi, è il ritratto di ciò che suo
padre deve aver visto in lui
quando, a sedici anni, si è presentato per la prima volta a
casa ubriaco e
truccato come una puttana. E no, non è affatto felice di
averlo pensato.
-Buonasera,
Sig. Molko.- esordisce il poliziotto che lo tiene per la spalla e lo
spinge
avanti come fosse un pacco bomba da restituire al mittente.
Beh,
è la cosa che più ci si avvicina. Solo che non
è lui il mittente.
Brian
comincia a credere che sospirare pazientemente sarà la sua
attività preferita
quella notte.
-Buonasera,
agente.- risponde, spostandosi dalla soglia per lasciarli entrare.
Sistema
brevemente i lembi della vestaglia corta mentre li precede in cucina,
Cody che
ridacchia soddisfatto e l’agente che lo scrolla con aria di
rimprovero. Brian
vorrebbe dirgli che è inutile, ma sarebbe inutile
farlo.
-Immagino
che lei non possa bere in servizio.
-No,
infatti. Ma la ringrazio.
È
sempre l’agente a mettere Cody a sedere sulla prima sedia
libera che trova
attorno al tavolo. Brian apre il frigo e ci infila la testa alla
ricerca di
qualcosa di abbastanza forte; fa una smorfia quando realizza che si
dovrebbe
accontentare della birra. Beh, almeno di sigarette ce ne sono ancora,
ragiona
prendendo il pacchetto dal ripiano accanto ai fornelli.
-Che
ha combinato?- chiede appena la prima boccata di nicotina lo rassicura
sul
fatto che può intrattenere una conversazione normale.
Nonostante l’orario,
nonostante la mancanza di alcool, nonostante la faccia di suo figlio e
la
voglia di prenderlo a ceffoni.
-…furto
di liquori,- inizia l’agente, evidentemente a disagio. Deve
suonare decisamente
strano anche a lui che un ragazzino
che vive in un appartamento come quello vada in giro a rubare!
– vandalismo…e
poi non può bere, è minorenne…
-Non
mi dica!- esclama Brian fingendosi scandalizzato. L’agente
rimane un attimo
interdetto e lui ne approfitta per prendere una nuova
“boccata d’aria” dalla
sigaretta. Sbuffa il fumo in una nuvola indolente e torna a guardarlo.-
Cody
non vive con me.- specifica.
L’uomo
sembra spiazzato, si volta a cercare lo sguardo del ragazzino ma lui si
ostina
a rifiutarglielo.
-Immagino
che sia stato lui a chiedervi di portarlo qui, comunque.
-In
ogni caso, lei è il padre.- osserva l’agente in
tono di rimprovero.
A
Brian non piace, ma si lascia scivolare la cosa addosso.
-Sei
ubriaco?- interroga dopo aver studiato attentamente la faccia del
ragazzino.
-Parlo
solo in presenza del mio avvocato.- ritorce Cody asettico ed arrogante.
-Sig.
Molko…
-Hai
anche fumato?- s’informa ancora Brian, braccia conserte sul
petto.
-Accidenti
che acume!- sbotta Cody, occhioni sgranati in un’espressione
di autentica meraviglia.
-Questa
discussione sarebbe meglio che non la teneste in mia presenza.-
interviene
ancora la voce del poliziotto.
Brian
lo guarda con un sorriso storto. E stanco.
-E perché?
non mi ha forse riportato un figlio minorenne arrestato mentre rubava e
faceva
il vandalo per le strade di Londra?!- ribatte sarcastico.
-Sì,
ma…- inizia conciliante l’uomo.
-Dovrei
dartene tante da non fartele dimenticare più
finché campi, Cody.- lo
redarguisce Brian, puntandogli il dito – e
la sigaretta – contro.
-Mi
sta minacciando, signor agente, lo ha sentito anche lei!- rimarca
petulante il
ragazzino, sfoggiando il suo miglior visino infantilmente terrorizzato.
-Se
fossi stato mio figlio, invece di minacciarti te le avrei
già suonate da un
pezzo!- commenta aspro il poliziotto.
Cody
si accuccia sulla sedia, abbracciandosi le ginocchia e mettendo su un
musetto
contrito e spaventato che non convince nessuno dei due adulti.
-Che
brutto mondo quello in cui viviamo!- sospira.
-Piantala.-
lo rintuzza suo padre secco e breve.- Insomma, chi è il
tizio che ha derubato?
-Perché
me lo chiede?
-Così
può comprare il suo silenzio.- spiega Cody diligentemente.
-Quel
ceffone ti sta ancora aspettando.- lo informa Brian, gentile, e Cody si
zittisce di nuovo.- Vorrei parlargli e vedere se si può
sistemare la cosa.-
ammette con il poliziotto.
L’uomo
pare valutare le sue parole, osserva di sottecchi Cody per nulla
persuaso
dall’improvvisa docilità che mostra di fronte al
padre. Scuote la testa.
-Credo
sia meglio che venga domani a parlarne direttamente al distretto.-
afferma poi,
preparandosi ad andarsene.- Mettiamola così: il fatto che
glielo abbiamo
riportato a casa è stato uno “strappo alle
regole”.
-Infatti
Artie ve lo siete tenuti in guardiola.- mormora Cody.
Ma il
commento cade nel vuoto all’arrivo di una nuova presenza che
si affaccia
timidamente alla porta della cucina catturando l’attenzione
di tutti.
Brian
si maledice mentalmente per averle permesso di rimanere a dormire
lì. La
ragazza se ne sta ferma sulla soglia, una camicia non sua a coprire
appena il
corpo nudo, tonico e bellissimo, i capelli lunghi che si arruffano
attorno ad
un visetto assonnato. Avrà all’incirca la
metà degli anni di suo padre, stima
Cody gettandole un’occhiata astiosa; lo irritano
profondamente i tratti
orientali, quella delicatezza da bambola dagli occhi a mandorla a cui
sembra
che il suo vecchio genitore non
riesca a fare a meno.
-Oh,
e tu saresti…Kioko?- ipotizza con velenosa allegria.- O
magari Lyn?- prova
ancora, senza darle il tempo di rispondere.- No, scusa!- piagnucola
subito dopo
battendosi la fronte.- che idiota! Tu devi essere Sachiko! O Mary Lee!
O magari
potresti essere Katrin, perché no? Laurie? Satine?
Evereth…?
-Cody!-
arriva implacabile la rabbia di suo padre.
Lui
si zittisce, uno sguardo di fuoco che si pianta in quello altrettanto
furente
dell’altro.
A
disagio, il poliziotto e la ragazza tacciono finché non
è il primo a rompere il
silenzio con una domanda decisamente ingenua.
-Lei…non
è tua madre, vero?
-Mia
madre non è mica una puttana!- è il commento
trionfante di Cody.
Giusto
un momento prima che suo padre gli tiri uno schiaffo.
Gli
occhi del ragazzino hanno un’espressione di stupore genuino, adesso. Bocca aperta, Cody si tiene la
guancia ed il suo sguardo è brillante
dell’orgoglio ferito e la rabbia che cova
silenziosa, resa muta dall’indecisione e
dall’affanno. Respira a scatti, Brian
non sembra impressionato dal trovarsi davanti una piccola fiera,
affronta la
cosa con tutta la delusione che prova.
-Vai
in camera tua.- ordina.
E
Cody ubbidisce, ma a Brian non serve che qualcuno aggiunga qualcosa per
rivedersi in quelle spalle magre che escono a passo di carica dalla
stanza,
vittoriose nell’aver infranto una volta di più gli
schemi del “buon” pensiero
altrui.
Cody
sente la voce del padre rivolgersi alla ragazza bruna accanto a cui
è passato
senza degnarla di un secondo sguardo, la stessa che impietrita e gelida
lo ha
lasciato sfilare in uno scontro tra rancori diversi.
-Scusalo,
Karine.
Nessuna
spiegazione a giustificare il suo comportamento. Solo una pretesa di
“scuse”
non ufficiale.
Talis pater, talis filius.
Cody
lo ripete come un mantra quando fa qualcosa di sbagliato.
A
volte a Brian verrebbe voglia di dare in testa ad Helena per questa
grande
trovata di iscrivere il figlio ad una scuola dove gli insegnano brocardi latini! Poi, generalmente,
realizza che non è un vecchio proverbio di uso comune il
suo…il loro problema, ed
a quel punto mette
da parte la stizza contro la madre di suo figlio e cerca di scendere a
patti
con Cody. Senza alcun risultato apprezzabile.
Karine
se n’è tornata a letto. Era furibonda, Brian lo sa
anche se lei è stata
sufficientemente educata da evitargli scenate alle quattro del mattino
e con un
agente sulla porta di casa che li salutava. Domattina
pretenderà ben più delle
due paroline dolci che le ha concesso per tenersela buona. Dopo quattro
mesi di
relazione, qualsiasi donna pretende di più di due paroline
dolci per stare
buona. Forse per questo evita di arrivarci ai cinque mesi. Brian ha
infilato il
corridoio, rimboccando nuovamente i lembi della vestaglia che continua
ad
aprirsi sul petto nudo facendogli sentire un freddo per il quale non
mancherà
di protestare con l’amministrazione dello stabile: con quel
che paga, si
aspetta di poter girare in mutande anche a Dicembre, figuriamoci in un
Marzo
appena più freddino del solito. La stanza di Cody sta
dall’altro lato della
casa rispetto alla sua camera da letto, è diventato
indispensabile spostarla lì
quando lui ha cominciato ad essere troppo grande per continuare a
presentargli
ogni sera una “zia” o uno “zio”
diversi. Nonostante questo, Brian non ci ha
messo molto ad interpretare il suo silenzio quando ha smesso di
chiedergli chi
fossero quelle persone ed ha cominciato a chiudere la porta ogni volta
che lui
se le portava a casa. Da dietro il battente sprangato arriva musica a
volume
decisamente troppo alto per l’orario e, per giunta, del
classico tipo che ti fa
capire che tuo figlio non ha alcuna voglia di provare ad intrattenere
una
conversazione con te. Bene. Nemmeno lui vuole una conversazione, lui
vuole solo
chiarirgli che no, non gli permetterà di presentarsi
lì ed usare casa sua come
scudo contro le ire della madre.
In
ogni caso, bussa. Chiaramente gli risponde solo il silenzio. Brian
afferra la
maniglia e la ruota facendo forza contro la serratura, ma nulla. Chiusa
a
chiave, ovviamente. Un copione che non gli piace, soprattutto visto che
lo
costringe ad alzare di nuovo il tono della voce dopo aver
già infranto – con uno
schiaffo! – tutti i suoi
principi in materia di educazione.
“Quale
educazione?”, sarebbe il commento
cortesemente sarcastico di Helena se fosse qui. Sentire la sua voce
come presente
lo fosse davvero è dannatamente fastidioso.
-Cody,
apri!- ingiunge battendo un colpo alla porta chiusa. Quando a
rispondergli è di
nuovo il silenzio delle chitarre a tutto volume,
l’irritazione raggiunge
livelli preoccupanti.- Ragazzino!
ti
ho mandato in camera tua perché volevo punirti e questo non
ti autorizza a
chiuderti dentro!
…e
poi lo sente.
Il
ticchettio basso che sta proprio sotto alle chitarre e che è
irregolare solo
quel tanto che basta a fargli capire cosa sia. Picchia appena, picchia
come fosse
sulla sua spalla ed invece è più distante ed
inafferrabile.
Brian
si gira, torna a guardare il corridoio che finisce con una finestra e
solo ora
nota che è aperta.
Fa paura.
Ha paura!
Scatta
da quella parte ad una velocità che non credeva nemmeno di
possedere, spalanca
il vetro e si affaccia al tetto spiovente su cui la pioggia batte con
tutta
l’insistenza tipicamente inglese. A lui non interessa, si
sporge avanti con le
mani, scivolando sulle tegole bagnate e rischiando di sbilanciarsi
troppo,
volta la testa alla ricerca di qualcosa che riconosce solo dopo qualche
minuto.
La
figurina scura e piccola sta seduta a meno di mezzo metro da lui, le
ginocchia
al petto e le braccia incrociate a sostenerle. Non lo guarda, non lo fa
nemmeno
quando il respiro che Brian tira – forte e chiaro –
spezza la costanza del
rumore della pioggia.
Cody è bagnato fino al
midollo, arruffato e
sporco, ma sano e salvo sebbene in equilibrio precario sopra il mondo
battuto
dalla pioggia.
-…Cody…-
inizia Brian con fatica, passandosi una mano sul viso ad occhi chiusi,
in un
gesto che denota tutta la sua stanchezza e tutta in una volta.
È completamente
disarmato adesso.- …dannazione, Cody…torna
dentro.- sussurra appena.
Dal
ragazzo non viene nessuna risposta. Brian lo guarda di nuovo e lo trova
esattamente come lo ha lasciato, immobile contro lo sfondo plumbeo del
cielo
che piove.
-Cody!-
prova a scuoterlo.
E poi
lo sente. Il miagolio spaventato di un gattino bagnato.
-…l’assenzio
fiorisce?
Brian
è senza fiato adesso. Vorrebbe allungare una mano ed
afferrarlo perché ha davvero
paura e non ne ha mai provata
così tanta in vita propria. Poggia le mani ai lati della
finestra, fa leva
sulle braccia mentre posa cautamente un piede nudo contro il davanzale
e poi
l’altro sulle tegole. La sensazione dell’acqua a
diretto contatto con le piante
dei piedi è strana…quasi piacevole. Brian si
avvicina a Cody con circospezione,
studiando le sue reazioni in attesa di un rifiuto che lo terrorizza per
le
implicazioni che potrebbe avere.
Quando
riesce a sederglisi accanto tira un sospiro di sollievo puro, ma non ha
abbastanza coraggio per sfiorarlo.
-Cody.-
lo chiama ancora, dolcemente, carezzevole.- Entriamo in casa. Sei
bagnato e
stanco. Ci dormiamo su e domattina ne parliamo, ma non è
successo niente. – lo
rassicura.
-Sarebbe
come dire che è il bisogno
a poter
dare dei frutti. Ed è assurdo, non credi?
L’assenza non può generare niente,
può solo risucchiare quello che c’è.
-Cody.
Allunga
una mano, gli sfiora la fronte, le guance, tira indietro i capelli
fradici. È
riscoprirlo sotto quel tocco: Cody è morbido e delicato come
non ricordava più,
ed è anche fragile. Per cui abbracciarlo diventa
istintivo...apprezzare il
fatto che lui lo lasci fare e si abbandoni con un sospiro contro il suo
petto e
sentirsi immensamente sollevati da questo.
-Andiamo
a dormire.- gli dice piano. Gli bacia la fronte, lo culla un
po’.
E lui
dice di sì.
Forse
doveva immaginarlo da sé che non sarebbe durata.
A
colazione ci arriva lo stesso Cody che ha sprangato la porta della sua
stanza
la notte prima, solo più frastornato per il post
“sballo” e decisamente di
umore esecrabile. Brian ringrazia il cielo che abbia quanto meno avuto
la
decenza di farsi una doccia e mettersi dei vestiti puliti. L'occhiata
di Karine
non fa presagire niente di buono, comunque. Cody si abbatte sulla prima
sedia
che trova entrando in soggiorno, senza degnarsi nemmeno di salutare e
buttandosi immediatamente a peso morto sulla tavola apparecchiata.
Brian non
commenta ma Karine sta per farlo ed è solo il suo netto
diniego a fermarla.
-Cody,
più tardi chiamiamo tua madre, così le dici che
ti sei fermato a dormire da me
e che può passare a riprenderti.
-Devi
andare al distretto.- ricorda stringato il ragazzino, senza guardarlo
in
faccia.
-Credo
sia meglio che ci vada tua madre. Mi farà sapere lei con chi
devo parlare e
sistemeremo questa cosa.- spiega Brian.- In fondo è lei che
si occupa di
queste...pratiche amministrative...
di solito.
-...certo...con
tutte le volte che mi hanno arrestato prima di oggi...- commenta
sardonico
Cody, scrutandolo da sotto in su con un sorrisetto divertito.- Mamma
è pratica
di queste cose.
-Non
è quello che ho detto, ho solo detto che...
-Te
ne lavi le mani come al solito.- finisce per lui Cody.- Mi spiace, ma
credo che
mamma abbia altro per la testa ora come ora. Magari potresti
mandarci...Karine?
a fare le tue commissioni.- suggerisce collaborativo dedicando
all'oggetto della
battuta una lunga occhiata di palese scherno.
Quando
lei non gli fa la cortesia di prendersela, ma invece lo ricambia con un
largo
sorriso, Cody ingoia a vuoto ed abbassa gli occhi sulla propria tazza
di latte.
-Che
schifo!- è il commento disgustato che accompagna il primo
sorso della giornata,
con una smorfia appropriata.
Brian
sospira e si tira in piedi, avvicinandosi a lui con la propria tazza in
mano.
Sfila dalle dita del figlio il latte e lo sostituisce con il
caffè nero che
stava bevendo.
-Questo
va decisamente meglio per il tuo mal di testa, ma non sperare di non
vomitare.-
gli annuncia asettico. Poi tira uno sguardo alla sua faccia pallida ed
alle
occhiaie pronunciate ed aggiunge sarcastico - Se non lo hai
già fatto.
-Comunque
sono certa che la cosa si potrà risolvere con
facilità.- interviene Karine
colloquiale, guadagnandosi dal ragazzino un'espressione di fastidio e
sorpresa.- Hai meno di sedici anni, se il tizio che avete derubato
ritira la
denuncia, si sgonfierà tutto in una bolla di sapone.-
argomenta, ignorandolo.
-Amen.-
constata Cody, bevendo il caffè.
Brian
sospira. Torna a sedersi al proprio posto ed intercetta per tempo il
secondo
sguardo di fuoco che la ragazza rivolge al figlio. Un altro
“no”, deciso e
silenzioso, Karine freme, esita solo un momento e poi si solleva di
colpo dalla
sedia, con un rumore urtante di legno che striscia il legno. Cody
recita
mentalmente il requiem del parquet paterno e sorride sotto i baffi,
nascosto al
sicuro della tazza. Poi lei esce in uno svolazzare indecente della
camicia che
ancora indossa come pigiama, accompagnata dallo sguardo interessato del
ragazzino.
Quando
lui e suo padre tornano a guardarsi lo sa già cosa
dirà.
-Chiamo
tua madre.- afferma, infatti, Brian. Prevedibile come sempre.
-Non
verrà a prendermi.- ritorce Cody atono, mentre l'uomo si sta
già alzando per
raggiungere il cellulare posato sul pianoforte in un angolo. Brian gli
da retta
solo a metà, cercando il numero nella rubrica.- Ha altro a
cui pensare.-
ribadisce Cody con forza, guardandolo dritto negli occhi.
Tanto
che lui capisce che è davvero così.
Quello
che non arriva a capire è cosa Cody stia provando
esattamente a comunicargli.
Rimette a posto il cellulare e fa un passo indietro, braccia conserte.
-E va
bene, Cody.- esordisce pazientemente.- Cosa diavolo sta succedendo?
-Prego?-
ritorce lui con un sorrisetto scettico.
-Piantala.
-E'
la cosa che ti riesce meglio dirmi!- nota.
-Cody!
Si
morde le labbra a sangue, arricciandole strette come a volersi impedire
di
parlare ancora. E' davvero arrabbiato ma, sopra ogni cosa, è
completamente
disorientato.
Poi
glielo sputa in faccia.
-La
mamma si sposa.- annuncia.
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Capitolo 4 *** Per tutte le mie paure che hai dissipato. Brian ***
“Per tutte le mie paure che hai
dissipato”
Brian
Nebbia.
Nebbia grigia che rende grigi i suoi occhi. Nebbia inconsistente che
copre il
mondo e toglie spessore alle cose.
Vorrebbe gridare, ma non ha voce.
La nebbia si è presa anche quella.
Cody
sta appoggiato al finestrino della macchina, il viso quasi incollato al
vetro,
il fiato che si condensa in una macchia più opaca ancora
della realtà fuori
dall'auto. Non ha detto più nulla da quando sono scesi da
casa. In realtà, non
ha detto più nulla da quando lui si è alzato da
tavola – dopo quell’annuncio
buttato al vento – è uscito dalla stanza, ha raccattato Karine ed ha fatto quello che
aveva in progetto di fare
da settimane, ormai. L’ha buttata fuori. Fisicamente. Tra le
proteste di lei,
le recriminazioni che non si è preso il disturbo nemmeno di
ascoltare e gli
insulti a cui ha fatto un’abitudine che gli rende
impermeabile la pelle.
Cody
era seduto allo stesso posto quando è tornato in sala
vestito e con il cappotto
già addosso, le chiavi della macchina in una mano ed un
giubbotto leggero per
lui, uno di quelli che deve avergli lasciato in casa in una delle
innumerevoli
visite “mordi e fuggi” a cui lo costringe sua
madre.
-Alzati.-
gli ha detto soltanto, allungandogli l’indumento senza una
parola di più.
Se lo
è infilato con tutta la rassegnazione di un copione
già visto e di battute già
scontate. Prima ancora di salire in macchina sapeva dove erano diretti
e non ha
fatto domande di cui non voleva sentire la risposta. È come
se dopo averla
confessata, il peso di una verità fastidiosa sia riuscito
finalmente ad abbattere
le spalle di Cody, di un ragazzino ostinato in lotta contro la propria
vita.
Per
cui il viaggio in macchina passa nel silenzio della nebbia e di Londra
che
sfila via in fretta da sotto le ruote e lungo l’asfalto.
E’
Brian il primo a scendere, dopo aver parcheggiato in fondo al vialetto
ordinato. Non ripete l’invito al figlio, lui spalanca la
portiera, mette i
piedi a terra e recupera dal fondo della macchina lo zaino sgualcito in
cui
sono infilati i suoi vestiti della notte prima, quelli che portano
ancora
l’odore di una bravata che gli costerà cara. Si
avvia a passo lento dietro
l’adulto che lo precede.
Brian
non si volta per assicurarsene, sosta sotto il porticato della villetta
e preme
il campanello, guardandosi attorno con sospetto.
Saranno
in tutto quattro le volte che è venuto fin lì in
sei anni, ed ancora non riesce
ad abituarsi all’idea che Helena possa essersi arresa a
vivere così. Lei che
è un animale sociale molto
più di quanto sia lui, lei che è abituata a
respirare la confusione della City,
ad immergercisi con la fierezza e l’eleganza di un animale metropolitano… Condannata
senza appello – e da sé stessa – ad un
esilio volontario fatto di casette a due piani, giardini assettati,
silenzi
bucolici e tendine fiorite alle finestre. Storce il naso
involontariamente, la
fila composta di case gli ricorda un’altra
“caserma” analoga, in un altro luogo
d’Europa, un altrettanto ordinatamente piatto Lussemburgo in
cui la sua
adolescenza è stata sprecata a contare paletti uniformi
lungo steccati di giardini
tutti uguali.
Poi
la porta si apre ed il carnefice delle aspirazioni di Helena si
affaccia sulla
soglia.
Patrick
è come sempre: preciso
come un’aiuola
in boccio. Ed altrettanto insulso.
-…Brian…?-
mormora.
Il
suo sguardo è catturato quasi subito dal ragazzino che
arriva alle spalle
dell’altro. Brian, invece, non si gira, mette su una faccia
inespressiva e
comincia a sparare a zero le banalità convenzionali del caso.
-Buongiorno,
Patrick, mi spiace piombare così all’improvviso.-
sciorina incolore, per
proseguire senza soluzione di continuità.- Helena
è in casa?
Cody
si fa strada tra di loro, spintona via il padre con indifferenza e
Patrick con
una punta di fastidio che gli riserva ad un’occhiata di
sbieco. I due adulti
registrano la cosa e passano oltre. Mentre Cody si arrampica sulla
scala che
porta al piano di sopra, abbandona lo zaino al proprio fianco e siede
sui
gradini, Brian scivola elegantemente all’interno della casa,
spiazzando Patrick
abbastanza perché faccia un passo indietro e gli lasci campo
libero del tutto.
-Brian,
ci hai colti un po’ impreparati…- ci tiene
comunque ad informare. Il suo
interlocutore non lo ascolta, sfila il cappotto dalle spalle ed entra
in salone
inseguito dal sorriso impacciato e rigido che lui rivolge alle sue
spalle.- Sei
ci avessi avvisati che saresti venuto…
-Sì,
mi rendo conto.- scorcia Brian asettico, guardandosi attorno con
attenzione.
Quattro
volte, ed ognuna di quelle ha sempre avuto la stessa sensazione di
disagio,
rimandata indietro amplificata da milioni di atomi compatti: quelli dei
mobili
di legno tirati a lucido, dei pavimenti profumati di cera, dei servizi
di
porcellana in mostra nella vetrina di fianco allo sparecchiatavola e
dei
cuscini imbottiti con la federa di cotone grosso, bianco e spesso come
quello
che si usava un paio di secoli fa. Sia lode alla Morte delle
Aspirazioni.
Sbuffa
nel lasciarsi cadere a sedere sul divano, rigorosamente ricoperto da un
telo
ricamato tono su tono, accavalla le gambe, punta gli occhi su di lui e
sfila le
sigarette dalla tasca della giacca.
-Credimi,
- inizia affabilmente. – non fosse una cosa importante, non
vi disturberei in
un momento delicato come questo.
Tra
l’altro… – continua colloquiale,
interrompendosi il tempo che gli serve a
posare la sigaretta tra le labbra e prendere la mira con la fiamma
sottile
dell’accendino.
Patrick
freme appena. Scocca ancora un’occhiata in direzione di Cody
perché ha intuito
da dove arriverà il problema, ma il ragazzino lo ricambia
con un’indolenza
indifferente che lo lascia disarmato. Così torna al proprio
avversario,
incrocia le braccia al petto e cammina fino a trovarsi di fronte al
divano.
-Intendevate
dirmelo, prima o poi, che avete intenzione di sposarvi?- sorride
sornione
Brian, sbuffando soddisfatto il fumo.
La
nuvola spessa ha il tempo di dissiparsi prima che Patrick decida
esattamente
come vuole reagire a quella situazione. Quando torna ad avere gli occhi
dell’altro puntati addosso è comunque a disagio,
gli ricambia il sorriso con
ancor meno convinzione e si gratta nervosamente la testa, passando le
dita
distratto tra i capelli biondi e corti.
-…Brian…è
stata una decisione un po’ affrettata, lo ammetto. Diciamo
che le circostanze
erano tali per cui…- inizia a borbottare.
-Sì,
vi deve essere sfuggito.- scocca impietoso l’altro, fissando
con attenzione la
punta della sigaretta. Un nuovo tiro, il tempo di assaporare il
tabacco, poi
quella domanda che viene espirata
assieme al fumo.- Dov’è Helena?
-Temo
che sia impegnata.- si affretta a spiegare Patrick- Ci hai davvero
beccati in contropiede!-
ribadisce allegramente- Sai, siamo piuttosto presi dai preparativi
e…
-Cody
è stato arrestato dalla polizia stanotte.- riferisce Brian
senza ascoltarlo.- Furto
di alcolici e vandalismo. E pensa un po’, me lo ritrovo fuori
dalla porta con
questo agente alle spalle che mi fa “ha
chiesto
lui di essere portato qui”.- riassume spiccio,
sollevando gli occhi in
faccia a Patrick.- Dici che Helena li trova due minuti?
La
faccia di Patrick è uno spettacolo. Cody deve trattenere una
risata e
nascondersi frettolosamente nel giubbotto quando si volta a guardarlo,
pallido
come un cencio e con un misto di disgusto e sgomento sul viso. La cosa
più
bella, però, è vederlo annaspare
nell’indecisione, mentre tenta di stabilire in
un tempo congruo l’ordine delle priorità: buttare
fuori Brian, afferrare il
ragazzino per il colletto e scuoterlo fino a che non pianga lacrime di
sangue,
afferrare per il colletto anche la propria futura moglie e farle una
lavata di
capo su “quanto avevo ragione io a
dirti
che sarebbe venuto su come un delinquente!”. Ha
appena finito di mettere in
fila quei pensieri che Brian riprende la parola.
-Credevo
che i patti fossero chiari.- scandisce lento.
Patrick
si volta come se lo avesse schiaffeggiato. Si gonfia, come un orso in
assetto
da combattimento, ed è…davvero…enorme
a confronto con la calma mingherlina e serafica di Brian, seduto tra i
cuscini
della nonna come un sovrano sul trono.
-Patti?!- ripete istericamente.
Quando
sente il tono della propria voce stridere e graffiare si contiene,
riprende
fiato e si rimette composto.- Di quali “patti” stai
parlando, Brian?- interroga
secco e deciso.- Del tuo accordo con Helena circa il fatto che ti
saresti
lavato le mani di Cody e della sua educazione? Non mi pare che ci sia
mai stato
un patto al riguardo, quanto più la buona volontà
da parte nostra di farci
interamente carico di tuo figlio.- ritorce asciutto, riacquistando
fiducia man
mano che parla.- E stai sicuro che non mi tirerò indietro
proprio ora. Anzi! –
ci tiene a precisare, scoccando uno sguardo sferzante al destinatario
mediato
di quelle parole. Cody aguzza le orecchie.- Ti posso assicurare che una
volta
che io e sua madre saremo sposati, sarà mio preciso compito
quello di fare in
modo che Cody diventi una persona per bene. E per prima cosa,
ragazzino,-
minaccia puntandogli un dito contro.- aspetta che la cerimonia sia
finita e fai
i bagagli, c’è una bella scuola militare che ti
aspetta!
-Co…!?-
inizia indignato Cody.
Ma è
la risata di Brian ad interrompere sia la sua protesta che la tiritera
di
Patrick. L’uomo si volta a fissarlo, sgranando gli occhi
offeso da tanta
insolenza, ma Brian non si lascia spiazzare, si allunga verso il
tavolino da
caffè, preleva il posacenere in cristallo e lo appoggia
sulle gambe con tutta
l’accortezza del caso, scuotendo la cenere
all’interno mentre prende tempo a
discapito della pazienza dell’altro.
-Una
scuola militare?- ripete quando vede che, ormai, Patrick è
al limite ultimo
della propria sopportazione.- Andiamo!
-Andiamo?!-
è lo scatto irato dell’altro.- E’ un
piccolo…deliquentello!
-E’
mio figlio.- lo corregge Brian bruscamente.- Non ti permettere.- avvisa
poi.
-Di
fare cosa? Io e sua madre abbiamo cercato disperatamente di inculcargli
un po’
di buon senso e tutto quello che abbiamo ottenuto
cos’è stato? Che
inevitabilmente seguisse il tuo esempio e…
-Cosa
vorresti dire?!- sibila Brian interrompendolo e sollevandosi di scatto
dal
divano.
È uno
scontro un po’ grottesco, si ritrova a considerare Cody,
rannicchiato sul
gradino, suo padre è basso e magro e Patrick è un
uomo imponente, eppure...
-La
verità, Brian, ho sempre detto ad Helena che frequentare te
non avrebbe portato
nulla di buono a Cody!- gli grida contro Patrick.- E se lei si fosse
decisa
prima a diventare mia moglie, io avrei potuto…
-Cosa?!
avresti potuto cosa, Patrick?!-
ringhia Brian ferocemente.- Sai, mi spiace svegliarti dal tuo bel
sogno, ma
Cody è figlio mio e di Helena!
Tu non
sei compreso nel pacchetto!
-Oh,
spiace a me svegliarti dal tuo bel
sogno, Mr. Superstar! – ghigna Patrick in risposta, cattivo -
Helena è incinta
di mio figlio ed è me che sta sposando! Fine dei giochi,
Brian, non sei più il centro del suo universo, né
tu né il vostro bastardello
selvaggio!
Ed è
una doccia gelida. Cody vede suo padre incespicare sotto il peso di
quella
rivelazione, ritrarsi un attimo, spalancando sull’altro
quello sguardo troppo
grande che è rimasto il suo marchio di fabbrica anche ora, quando ormai è solo
ridicolo e patetico sul viso di un uomo
fatto e finito. Forse avrebbe
dovuto
dirglielo, prepararlo tutto per intero a quella verità. O
forse ci sperava
anche di vederlo abbattuto…una volta tanto.
Peccato
non sia poi così divertente come credeva.
Si
aggrappa con le dita al corrimano, appendendo le spalle fino a sentirle
far
male, e si concentra su quello, sul dolore fisico, per ricacciare
indietro le
lacrime che sente pungere agli angoli degli occhi.
…poi
però suo padre dice l’ultima cosa che si
aspetterebbe.
-…come
ti sei permesso di chiamare mio figlio?
Patrick
esita. Ha ripreso a sufficienza il controllo da voler rimangiare quelle
parole,
si volta ancora a cercare i suoi occhi e Cody non gli nega quel
contatto, in
attesa senza sapere nemmeno di cosa.
-…noi…vogliamo
bene a Cody…- biascica, quasi a mo’ di scusa.
E’ vero?
Il
pugno di Brian nemmeno lo sente, con tutta probabilità. Lo
incassa con uno
sbuffo, si piega sullo stomaco ma poi è in piedi come se
niente fosse.
Solo che
a Brian non interessa. Non lo ha colpito per fargli male, lo ha colpito
per
altro, per chiudere una pratica aperta da troppo tempo – cazzo, sono sei anni che quel pugno aspetta di
trovare il proprio
bersaglio! – gli ha dato le spalle
l’istante successivo, nessuna rabbia,
solo la delusione di quegli stessi sei anni a pesargli addosso e lo schifo. Ma nemmeno per lui.
Cody
sente la mano abbattersi sul suo braccio, Brian lo stacca di peso dal
corrimano, lo rimette in piedi a forza e lo sta già
spingendo fuori senza
neppure dargli modo di prendere lo zaino da terra. Inciampa, inforca la
porta più
per errore che per reale volontà e fissa sorpreso la faccia
stravolta di suo
padre.
-Brian?!-
li insegue la voce di Patrick, allarmata. Cody lo vede arrivare dietro
di loro,
suo padre lo butta fuori casa e si volta di scatto a fronteggiarlo.-
Che stai
combinando?- chiede ancora lui, pressante.- Che intendi fare?
-Non
ci resta un secondo di più in questa casa.- puntualizza
Brian asciutto,
puntando un dito ad indicarlo. E Cody crede di aver capito male e resta
immobile, arricciato ed indeciso sull’uscio della villetta.-
Non ti azzardare
ad aprire bocca, non ti azzardare nemmeno a guardare nella sua
direzione. Se ti
vedo girare intorno a casa mia, ti denuncio. E ci si rivede in
tribunale.-
elenca pianamente.
-…sei
pazzo.- è la constatazione asettica di Patrick.- Io ti
rovino, Brian.
-Tu – sottolinea
freddamente – non avrai
mio figlio.
Gli
gira le spalle. Afferra Cody per il braccio un’altra volta,
se lo trascina
vicino, avvolgendolo così stretto che per un momento lui si
sente quasi
soffocare e se non protesta è solo perché suo
padre sta tremando e questo a lui
fa una paura fottuta. Lo segue docile, in silenzio, voltandosi solo
quando
sente la voce di Patrick inseguirli furente.
-E’
che ti rode troppo che io sia già riuscito ad avere la tua
donna, vero?!
Nessuno
dei due sente Helena. Nessuno dei due è abbastanza vicino.
Nessuno,
solo Patrick quando si volta e se la trova davanti.
Avvolta
nel vestito da sposa che stava provando, i capelli raccolti
nell’imitazione
alla buona dell’acconciatura che porterà il giorno
della nozze e quel sorriso
disincantato sul viso color caramello.
-Vedi.
– sussurra dolcemente - La differenza tra te e lui, Patrick,
è che Brian
nemmeno ci ha provato ad avermi. Ed
è
per questo che sarà sempre migliore di te.
-…Hel…Helena…-
mormora strozzato, deglutendo a vuoto quel groppo che sente alla gola.
-Brian!
Aspettami!
Si
volta che sono già alla macchina. Cody sorride nel
riconoscerla, lui no.
Helena
viene verso di loro, veloce, traballando incerta sui tacchi bassi delle
scarpe
di raso quando s’incastrano nei ciottoli sconnessi del
vialotto. È la cosa più
diversa dall’immagine di una Helena sposa novella che avrebbe
mai potuto
formarsi nella sua mente – se pure
ha mai
permesso alla sua mente di farsi una simile idea –
ha i capelli raccolti,
la veletta, un vestito bianco con lo strascico… Dio! lo
strascico!
Vorrebbe ridere.
Lei
gli si ferma davanti. Lascia cadere la coda dell’abito e si
sistema dritta e compita
come una scolaretta davanti al maestro. Gli viene voglia di scuoterla
forte per
una spalla, ma si limita ad inarcare un sopracciglio davanti al suo
sguardo
sornione. Helena ha sempre avuto questa cosa che, quando è
incinta, risplende. E lui proprio
non riesce a
resisterle.
-Aspetto
un bambino,- annuncia- ed amo un uomo che non è il padre di
mio figlio.
Non
si aspetta niente. Proprio niente. Nemmeno il gridolino entusiasta che
Cody si
lascia scappare e che poi nasconde frettolosamente dietro una mano
quando loro
due – entrambi
– si voltano con aria
di rimprovero – ed un sorriso
identico
negli occhi.
Ed è
questo non aspettarsi niente che fa la differenza, lo sanno,
è sempre stato
questo.
È sempre stato il fatto che,
semplicemente,
c’erano, ci sono stati e ci saranno.
-Non
mi sembra un gran problema.- afferma Brian.
Cody,
per dispetto, aveva detto che era certo che suo fratello avrebbe avuto
un nome
orribile. Una cosa tipo “Berthold” o
“Geoffrey”... Sarebbe stato meglio, molto
meglio, per lui se Patrick, alla
fine, avesse deciso di prendersi le proprie responsabilità
ed avesse
riconosciuto il bambino.
-Barry
Molko.- chiama la donna, allungando il collo da sopra la massa di
bimbetti
seduti nell’autobus, alla ricerca di una testina bionda in
particolare.
Il
bambino salta giù dal proprio posto, squillando un
“eccomi!” entusiasta e
ruzzolando in corsa verso la donna e la portella del bus,
già schiusa per lui
su un Lussemburgo colorato di tutti i toni dell’estate.
-Grazie,
Miss Pringle.- saluta Cody nell’afferrare al volo il fratello
che gli si lancia
tra le braccia con un urletto felice.
-Grazie,
Miss Pringle!- gli fa l’eco il bambino, scattando
sull’attenti e strappando
alla donna una risata divertita.
-A
domani, Barry.- lo saluta a mano aperta.- Cody.
-A
domani!- trilla il bambino.
E poi
si incammina in marcia davanti al fratello, allungando i passi il
più possibile
e muovendo rigido le braccia nude come un bravo soldatino.
-Ma
ti piace così tanto il campo estivo?- chiede Cody andandogli
dietro con più
flemma, una smorfia, mani nelle tasche dei jeans e sguardo scettico.
Barry
annuisce.
-Ci
fanno fare un sacco di disegni e di esperimenti
e poi ci portano a vedere gli animali della fattoria che sta vicino
alla casa
di nonno.- argomenta dettagliatamente.
-Uhm…dovremmo
dire a Miss Pringle che, allora, può pure lasciarti dal
nonno invece di
costringermi a venire a ripescarti fin qui tutti i giorni.
Barry
si volta a lanciargli un’occhiata offesa, fermandosi di
scatto ed incrociando
le braccia al petto.
-Sei
uno stronzo!- sbotta.
E suo
fratello pensa bene di tirargli uno scappellotto dietro la nuca.
-Bada
di non farti sentire da papà mentre dici una di queste belle
paroline qui, ché
poi lo so che pensa che te le insegni io!- lo redarguisce malamente.
-…infatti
me le insegni tu.- osserva Barry perplesso.
Cody
avvampa e riprende a camminare a passo rapido, costringendo il bambino
a
trotterellargli di fianco per stare al passo.
-Ma
quando mai?!- protesta intanto.- Non ti ho mai detto niente del genere!
-No,
ma lo hai detto dopo che Judith ti ha chiamato ieri sera!- esclama
Barry
prontamente.
-Ascolti
le mie telefonate!?- ribatte indignato il più grande. Barry
ride e corre via
prima che lui possa prenderlo.- Barry, ascolti le mie telefonate?!- lo
interroga ancora Cody andandogli dietro.- E’ inutile che
scappi, a casa te ne
do tante che te le ricorderai per tutta la vita!
-Ed
io mi nascondo fino a quando non te ne torni
all’Università!- strilla il
bambino facendogli la linguaccia- E poi dico a Judith che hai la foto
di Christine
ancora nel cassetto del comodino! E che ti sei visto con Amelia
l’altro giorno
e…
-E
sei una piccola peste!- sbuffa Brian quando Barry gli rimbalza addosso
entrando
nel vialetto di casa.
Il
bambino ride e solleva lo sguardo su di lui.
-Ciao,
papà!- saluta scompigliandosi nervosamente i capelli.
-…che
state combinando tu e tuo fratello?- indaga Brian, sforzandosi di
mantenere un
tono semiserio.
-Giochiamo
ad “indovina chi uccide Barry oggi”.- risponde Cody
arrivando alle spalle del
più giovane e gettandogli uno sguardo tutt’altro
che rassicurante.
Barry
strilla e ricomincia a correre in direzione della casa, mentre Helena,
da sotto
il porticato, lo guarda venirle incontro e sorride.
-Brian,
tuo fratello ha detto che siamo pronti per andare a tavola.- annuncia
pacatamente, accogliendo il figlio più piccolo in un
abbraccio quando cerca
rifugio tra le sue gonne.
Brian
passa un braccio attorno alle spalle di Cody e s’incammina da
quella parte.
-Riguardo
a Judith…- inizia in tono affabile.- avrei due o tre cosette
da suggerirti.
E
Cody rabbrividisce e lo fissa implorante.
“Lullaby
in bloom – Assenzio in fiore”
MEM 2010
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