FLAVOUR OF LOVE di keska (/viewuser.php?uid=65097)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Problema ***
Capitolo 2: *** Sconvolta ***
Capitolo 3: *** Basket ***
Capitolo 4: *** Ricerca ***
Capitolo 5: *** Porto sicuro ***
Capitolo 6: *** Distrazioni ***
Capitolo 7: *** Nuovo Arrivato ***
Capitolo 8: *** Ricordi ***
Capitolo 9: *** Tutto o niente (prima parte) ***
Capitolo 10: *** Tutto o niente (seconda parte) ***
Capitolo 11: *** Interruzione ***
Capitolo 12: *** Verità ***
Capitolo 13: *** L'ultima bugia ***
Capitolo 14: *** Chi sono? ***
Capitolo 15: *** Natura Ragione Amore ***
Capitolo 16: *** Veterinario ***
Capitolo 17: *** Luce ***
Capitolo 18: *** Respira ***
Capitolo 19: *** Morire ***
Capitolo 20: *** Nuotare ***
Capitolo 21: *** Ammissioni ***
Capitolo 22: *** Piccoli gesti ***
Capitolo 23: *** «Vivo» ***
Capitolo 1 *** Problema ***
Persi il mio quaderno dal banco e uscii dall’edificio, lo zaino in
spalla
Persi
il mio quaderno dal banco e uscii dall’edificio, lo zaino in spalla.
Quel
giorno, ero ancora più invisibile del solito. Bene, meglio così, almeno non si
sarebbero accorti di me. E del mio problema.
Tutti
erano agitati e in fibrillazione per l’arrivo dei nuovi ragazzi. Non che io
potessi definirmi una veterana della scuola, ero arrivata solo da due mesi a
Forks.
Sospirai,
entrando nel mio pick-up e accendendo la radio a tutto volume.
Quella
era una giornata no. Da quando mi ero separata da mia madre, ed ero andata a
vivere con mio padre Charlie, avevo assunto una nuova prospettiva di vita. E
così, il mio problema, era diventato un’abitudine.
Mi
capitava spesso di vivere giornate in cui ero particolarmente malinconica, ma
poi, lo facevo.
E
con l’aiuto di quello che mi mancava, come una droga, riuscivo a stare di nuovo
meglio. Allora diventavo una ragazza estremamente solare.
Però
poi mi pentivo inevitabilmente del mio sbaglio e tutto ricominciava di
nuovo.
Ma
ormai, la maggior parte dei ragazzi si era stancata dei miei sbalzi d’umore. Ormai
c’erano solo tre persone che potevo considerare “amiche”.
Mike
e Jessica, mi parlavano di solito, quando ero felice, la loro compagnia era
piacevole e quando invece, come oggi, mi sentivo depressa, non facevano caso al
fatto che io rimanessi semplicemente in silenzio e così sfogavano i loro
pensieri con me, come un fiume in piena che non si preoccupa su quali scogli va
a sbattere. La compagnia di Angela, invece, mi era molto gradita. Lei rimaneva
in silenzio, ad ascoltare le mie parole mute, e quando ero felice, anche lei si
adattava naturalmente al mio modo d’essere.
Tutto
sommato stavo bene. Avevo solo bisogno di quello. Ormai, ne dipendevo.
Una
volta soddisfatto il mio bisogno, sarei stata meglio, ne ero certa. O forse,
no.
Camminavo
a passo spedito, verso il mio bisogno, accecata solo da quello.
Inaspettatamente,
mi scontrai contro qualcosa di duro e freddo, cadendo a terra. Pensavo di essere
sbattuta contro una colonna del muro, ma quando sollevai lo sguardo, lo
spettacolo che mi si presentò dinanzi fu ben altro.
Un
ragazzo alto, dai capelli rossicci e lo sguardo luminoso, mi fissava dall’alto.
I suoi occhi erano chiarissimi. Dorati, quasi gialli. Era bellissimo. Non avevo
davvero mai visto qualcosa del genere, mi sembrava quasi inumano.
Lo
vidi fare un’espressione strana: crucciò le sopracciglia, come pensieroso, poi
immediatamente, il suo sguardo mutò, come se si fosse dimenticato di fare
qualcosa.
-Ti
sei fatta male?- chiese, porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Appena
lo toccai, la mia mano fu attraversata da una scossa. Era freddo.
-N…no…-
balbettai, non appena mi tirai su, fissandolo poi furente, afferrando la mia
borsa e correndo ancora verso la mia meta, sotto il suo sguardo
sorpreso.
*
-Bella?-
mi chiamò Jessica, mentre me ne stavo tornando in classe.
-Si?-
la chiamai, contenta, quasi estasiata. Bene, faceva ancora effetto. Questa
volta, ne avevo preso di più. La vista di quel ragazzo mi aveva scombussolata
troppo, era questa la motivazione che mi ero data. Non mi dovevo sentire in
colpa. Quando trovavo una motivazione, dopo, ero anche più felice del solito
quando lo facevo.
-Ho
visto che hai parlato con il nuovo arrivato, Edward Cullen…- disse lei con tono
civettuolo.
Scoppiai
a ridere. -Cosa Jess? Hai le allucinazioni?-
Le
mi guardo un’ po’ offesa. -No che non ho le allucinazioni.- Poi sospirò, non
badando quasi, come ormai era abituata a fare, al mio repentino cambiamento
d’umore rispetto a quella mattina.
-E
allora quando ci avrei parlato?-
Sul
suo volto si aprì un sorriso -Beh, ci sei praticamente andata a sbattere
contro…-
Oh.
Allora era lui, il nuovo arrivato.
Come
avevo fatto a non pensarci prima?
Beh,
prima ero troppo presa dal mio problema.
-Oh…
allora è lui…-
-Si,
proprio lui. Ma lo sai che hai avuto una fortuna sfacciata? Né lui, né nessuno
della sua famiglia, ha rivolto la parola a nessuno! Allora che ti ha detto?- mi
chiese trepidante.
Ritornai
a concentrarmi sulla mia amica. -Nulla- dissi scrollandomi le spalle -mi ha
solo chiesto se mi fossi fatta male…-
-E
tu?- fece lei, curiosa.
Mi
sembrava ovvio -E io gli ho detto di no e me ne seno andata!-
Lei
parve delusa da quella mia risposta. -Oh… beh dai raccontami i particolari, che
parole ti ha detto, precisamente?-
-Oh,
Jessica, non ricordo, ora devo andare, sono in ritardo!- mi liberai dalla sua
presa, facendole la linguaccia e correndo in classe.
Non
era per nulla vero. Ricordavo ogni singola sillaba, ogni oscillazione dei suoi
capelli, ogni espressione del suo viso. Mi erano rimaste impresse. Chissà
perché. Eppure, quando l’avevo incontrato, ero distratta.
Entrai
nell’aula di biologia. Era il corso che mi piaceva di più. E poi,
fortunatamente, non avevo compagni di banco… Come non detto. A fare bella
mostra di sé, Edward Cullen.
Di
solito mi sarei sentita enormemente infastidita, ma… così non fu. Ero quasi più
contenta. Era la prima volta dopo tanto tempo, che una cosa che non fosse quello,
mi desse felicità.
Mi
sedetti tranquilla accanto a lui, che mi squadrò, con lo stesso strano sguardo
che gli avevo visto fare anche quella mattina. Respirò piano, come se stesse
cercando di controllarsi o controllare qualcosa.
In
silenzio, lo osservai, tentando di non farmi vedere, e cominciai a seguire la
lezione.
Rimase
per tutto il tempo teso. Crucciato. Era strano… Mi… mi ricordava qualcosa di
familiare.
Mi
ricordava me. Nei momenti no.
-Noi
due ci siamo già incontrati, vero?!- mi chiese inaspettatamente, verso la fine
della lezione.
-S…si…-
balbettai.
Si
mise a ridere. -A parte i monosillabi sai dire qualcos’altro?-
-Si!-
dissi, ridendo anch’io e facendogli la linguaccia. Anche lui rise ancora.
-Mi…
mi dispiace per questa mattina…- dissi riferendomi al mio sguardo sgarbato
-andavo di fretta- mi mordicchiai il labbro, in imbarazzo.
-Non
ti preoccupare, facciamo così. Come se non ci fossimo ancora conosciuti.- mi
porse la mano -Piacere, Edward Cullen…-
La
strinsi nella mia, titubante, trovandola di nuovo fredda. -Isabella Swan. Ma tu
puoi chiamarmi Bella.-
-Bene
Bella, io ora devo proprio andare…- mi sembrava di nuovo teso. Era… come se non
respirasse. In un attimo fu fuori dalla classe. Mi accorsi che non c’era più
nessuno.
Un
po’ sorpresa, afferrai le mie cose e mi diressi in palestra. Nessuno era venuto
ad importunarmi, erano tutti in fibrillazione per l’arrivo dei Cullen,
fortunatamente. Neppure Mike, che da quando mi ero trasferita non ne poteva
fare a meno di accompagnarmi da tutte le parti come un cagnolino da compagnia
scodinzolante, era lì con me. Risi a quel mio pensiero. Ero ancora felice,
ancora sotto l’effetto di quello.
Entrai
nello spogliatoio femminile. Non c’era nessuno, dovevo essere in ritardo. In
fretta, mi cambiai e entrai in palestra.
Lezione
di pallavolo quel giorno. La mia avversione verso quella materia, superava
persino quella che avevo contro la trigonometria.
Poi,
un nuovo dettaglio, mi fece cambiare idea. Sentivo che quell’ora sarebbe stata
più piacevole del solito, con lui. Era stupendo anche in tuta da ginnastica. Subito
dopo aver formulato questo pensiero me ne pentii. L’avevo fatto di nuovo, ero
felice per qualcosa che non fosse quello, e non potevo permetterlo.
Notai
che oltre a lui, c’era un’altra nuova ragazza. Una ragazzina minuta, con i
capelli corti, neri, sistemati in una graziosa acconciatura. Era bella anche
lei, oltre che molto aggraziata. Doveva essere una delle sorella di Edward. In
un certo strano modo, gli somigliava, anche se avevano molto di diverso.
Nessuno
dei miei compagni stava loro vicino, nessuno gli parlava, anche se tutti gli
gironzolavano intorno, come mosche al miele. Era strano.
Titubante,
presi il mio posto accanto a Mike, che mi sorrise con un ghigno. Io sollevai la
mano per salutarlo, non rendendomi conto che la palla mia stava arrivando in
faccia a tutta velocità. Non feci in tempo a fare nulla, sentii solo una voce
melodiosa che diceva -Mia!- e poi una mano stretta a pugno deviò la traiettoria
della palla, facendola ricadere con precisione nel campo avversario e segnando
un punto.
Mi
voltai di lato, verso il possessore di quella meravigliosa voce. Edward Cullen
mi fissava con un sorrisetto, un po’ tirato.
-Ci
rincontriamo, vedo.- Dal tono con cui lo disse, sembrava quasi se ne stesse
facendo una colpa.
-Già…-
balbettai solo. -Gr…grazie…-
Non
fece in tempo a rispondermi, che fu il turno di cambiare le posizioni, così, mi
ritrovai troppo lontana per parlargli ancora. Non che volessi farlo. O forse
si. Sentivo nascere dentro di me sentimenti contrastanti.
Per
tutta la durata della partita, lo osservai giocare. Non pareva molto concentrato
sulla palla, la maggior parte delle volte lo sorprendevo a guardare nel vuoto,
o a crucciare le sopracciglia come se si stesse sforzando di fare qualcosa.
Oppure… come se si stesse sforzando di non farlo.
Era
incredibile, ancora una volta lessi nel suo meraviglioso viso, il mio stesso
tormento, il mio stesso bisogno.
Non
poteva essere… E se anche lui fosse… No, decisamente.
Quando
uscii dallo spogliatoio femminile, mi trovai bene e a mio agio nei jeans. La
felicità perdurava ancora in me.
D’un
tratto, mi accorsi che Edward mi stava venendo incontro.
-Ciao-
dissi, piuttosto sicura, contenta.
-Ciao…-
mi salutò lui evasivo, fermandosi però, a circa due metri da me. Abbassai lo
sguardo, ma sapevo che mi stava ancora fissando, avvertivo i suoi occhi
concentrati su di me.
Mi
decisi a parlare, non volevo sempre starmene lì a balbettare e inoltre, volevo
rompere quel silenzio imbarazzante -Ti sei trovato bene oggi? Intendo… nella
nuova scuola… M…magari hai qualche problema con il programma…- mi mordicchiai
il labbro inferiore.
Sul
suo volto comparve un sorriso, come se avessi appena detto una battuta
sarcastica. -Oh, no, tutto bene. Grazie del tuo interessamento, comunque…- mi
rispose educatamente.
-Beh,
allora ci vediamo domani ok?!- disse poi salutandomi e avviandosi verso il
corridoio.
-C…ciao!-
dissi, sbracciandomi per salutarlo. Mi accorsi che stavo sorridendo, ero
praticamente euforica, felicissima. Rimasi per un attimo immobile, appoggiata
ad una colonna.
Ero
scioccata. Quel ragazzo appena conosciuto stava minando la mia fragile
stabilità. Ora, mi aveva fatto sentire felice, troppo, stavo sbagliando, e non
potevo permettermelo. La felicità che provavo adesso, avrebbe solo significato
più tristezza per dopo. Non potevo permetterlo, no, niente avrebbe rotto il mio
precario equilibrio.
Mi
asciugai la lacrima che mi era scesa dagli occhi e mi promisi che non l’avrei
più visto. Né tanto meno, ci avrei parlato. Me lo dovevo imporre.
Infatti,
come avevo previsto, era successo. Ora, ero nuovamente nello sconforto più
totale, come quella mattina.
Fui
costretta a farlo di nuovo.
Afferrai
le chiavi del mio pick up e corsi via sotto la pioggia, stringendomi nel
giaccone. Avevo un solo obbiettivo, e sapevo cosa fare per non far insospettire
nessuno.
Premetti
a fondo col piede, dando gas e sfrecciando per le strade di Forks. Avevo
freddo, ma non mi curai di accendere il riscaldamento, avevo un bisogno da
soddisfare necessariamente.
Inchiodai
di fronte al grande edificio e scesi dal mio mezzo per fare i miei acquisti.
Non
più di cinque pezzi, non più di cinque pezzi. Controllati Bella, controllati. Era fondamentale per il mio piano. La discrezione.
Non potevo permettere che scoprissero tutto.
Feci
i miei acquisti e pagai velocemente in contanti, non potevo usare la carta di
credito, sarei stata fin troppo rintracciabile.
Uscii
velocemente, guardandomi intorno con discrezione e nascosi la busta sotto i
sedili del pick up. La tentazione era forte, ma dovevo resistere ancora un po’.
Misi nuovamente in moto e mi diressi verso la mia seconda meta. Di nuovo
ripetei la stessa operazione, comprando questa volta però, sei pezzi. Non ero
riuscita a trattenermi. Mi sentii ancora peggio, perché questa volta nessuna
scusa sembrava poter reggere e la tentazione delle due buste nascoste sotto i
sedili cresceva sempre più. Un’altra meta ancora, di nuovo gli stessi gesti,
con la stessa discrezione. Lo feci ancora due volte, poi, mi dissi che poteva
anche bastare.
Non
ce la facevo più ad aspettare, il desiderio morboso di prendere ciò che avevo
nascosto sotto i sedili, mi stava distruggendo.
Ancora
un po’. Pensavo. Ancora un po’.
Parcheggiai frettolosamente nel cortile di casa, prendendo le varie buste con
me e entrando alla svelta in casa, senza farmi vedere.
Potevo
stare tranquilla, quel giorno oggi mio padre era di servizio.
Venti
minuti dopo, me ne stavo stesa sul pavimento del bagno, distrutta.
Mai
più avrei rivolto la parola a Edward Cullen, mai più.
Con
le lacrime agli occhi, mi sollevai, fino a mettermi seduta. In un gesto
abituale, mi tirai su i capelli, infilandomi un dito in bocca e vomitando tutto
il cibo che avevo ingurgitato, tra le lacrime.
Spero che
vi piaccia…
Spero che
possa trasmettere le stesse emozioni, ma soprattutto, gli stessi messaggi che
mi pongo da trasmettere io.
Questa
ff, infatti, non è nata per dirci “oh, guardate, poverina Bella, ora Edward
l’aiuta”. No. Certo, c’è anche quello, come darvi torto.
Non
voglio neppure fare la moralista, e dirvi, no ragazze, non si fa. Perché io non
sono nessuno rispetto a voi, per dirlo.
Voglio
solo trasmettere poche informazioni. Semplici e banali e sperare che questa
storia non comunichi effetti contrari a quelli auspicabili, causa l’emulazione.
Penso che
la maggior parte di noi, almeno una volta abbia, anche solo lontanamente
pensato, di fare ciò che Bella fa in questa fan fiction. Non è così facile come
può sembrare. Non lo si fa, solo per sentirsi belle o affascinanti. Il cibo può
diventare una droga e minare lentamente la personalità di una persona.
Ma, quanto ti accorgi che hai sbagliato, che è troppo tardi per tornare
indietro, compi la sciocchezza. Ma non te ne liberi. No. Così facendo, cadi
solo nella trappola che sin dall’inizio ti attendeva.
Non
fatelo mai ragazze. La bulimia, porta alla morte.
Non
è un gioco. Una volta cominciato, è difficile smettere.
Questa
fan fiction non è stata scritta da un medico, pur contenendo documentazioni
valide di medicina, quindi non basatevi totalmente su quanto scritti in queste
pagine.
Ringrazio
la crucci, per la collaborazione e per avermi aiutato a ordinare tutte le idee.
Grazie cru.
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Capitolo 2 *** Sconvolta ***
Il giorno dopo, non mi sentivo più tranquilla
Il
giorno dopo, non mi sentivo più tranquilla. L’agitazione non mi era passata,
neppure dopo aver mangiato quell’enorme quantità di cibo del giorno prima. Avevo
preso un decisione, questo era vero, ma mi sentivo comunque troppo vulnerabile.
Non avevo idea di come avrei reagito, alla vista di… quel ragazzo, che ormai
non osavo nominare neppure nei miei pensieri.
Non
dovevo parlargli. Non dovevo guardalo. E non dovevo pensarlo. Lui, per me, non
doveva esistere.
Presi
il mio zaino, riempito con la mia roba, e il mio cibo. Nascosi la carta della
barretta che avevo appena mangiato nel cruscotto. Ce ne erano molte altre.
Appena uscita da scuola, avrei dovuto svuotarlo, in un cassonetto lontano dal
centro.
M’incamminai
verso la scuola, attenta a non guardare nulla in particolare, e nascondendomi
il volto tra i capelli.
Camminavo
velocemente, dritta verso la mia meta. M’infilai, facendomi largo tra la folla
di ragazzi e entrai in classe.
Diedi
una rapida occhiata in giro. Non c’era, bene.
Emisi
un sospiro rilassato e mi andai a sedere al mio solito posto.
Era
l’ora di inglese, e qualche minuto più tardi, il professore entrò in classe.
Quel giorno, ci sarebbe stata una lezione che io avevo già seguito a Phoenix, e
purtroppo, non catturò la mia attenzione adeguatamente.
Il
mio problema con il cibo, era nato esattamente un anno e mezzo fa, quando mia
madre Reneè, aveva cominciato a frequentare Phil. Non avevo per nulla vissuto
bene quel momento, nel mio animo, covavo la profonda speranza che i miei
genitori tornassero insieme. Ma non era quella la cosa peggiore. No, quello
l’avrei superato, ce la potevo fare.
Il
vero problema, quello che in nessuno modo riuscivo ad affrontare, era che
acconsentendo al matrimonio, mi sembrava di tradire mio padre. Al contempo
però, non approvando, avrei spezzato il cuore a mia madre.
Passai
circa un mese, a covare in me il dolore, tentando di non mostrarlo né a mia
madre, né a mio padre. Interiormente, cresceva sempre più, come una goccia di
acido che piano piano corrode e scava, in profondità, facendo aumentare sempre
più la sofferenza, l’angoscia, il disprezzo per se stessi e io, non riuscivo a resistere
ancora, così, un giorno, crollai.
Ricordo
perfettamente quel pomeriggio, mia madre era uscita insieme a Phil, dopo che il
giorno prima le aveva fatto la proposta di matrimonio.
Ero
distrutta, non volevo piangere, ma il giorno in cui avrei spezzato il cuore a
mia madre o a mio padre, era sempre più vicino. Così, frugando nella credenza,
trovai la mia ancora di salvezza, il cibo. Cominciai a mangiare, di più, sempre
di più, sfogandomi di tutta la rabbia e il dolore represso.
Ma
poi, quando mi accorsi del mio errore, mi sentii male. Strana. Sbagliata.
Malata.
Quella
fu, la prima volta che vomitai. Non fu così facile come si potrebbe pensare.
Me
ne stavo seduta sul pavimento del bagno. Il mio dito tremava, non volevo, non
volevo farlo. Lo avvicinavo al mio viso, lentamente, aprendo piano la bocca, ma
poi, vinta da un moto di moralità, lo allontanavo. Ma poi pensavo ai miei
enormi problemi, troppo grandi per me, e crollavo ancora, avvicinavo la mano,
poggiando le dita sulle labbra chiuse, ma a quel contatto, come scottata, mi
allontanavo ancora. Era come se infondo, dentro di me, sapevo che non l’avrei
mai fatto.
Avevo
fremiti per tutto il corpo, tremavo e piangevo. Pensavo ai miei genitori, a mia
madre e mio padre. Gli stavo facendo un torto. Ma era meglio quello, che farli
soffrire direttamente.
Codarda,
codarda. Mi dicevo, mentre ancora
piangevo.
Era
sbagliato. Me l’avevano insegnato. A scuola, a casa. La bulimia è una cosa
sbagliata. Me l’avevano sempre detto. Ma chi lo diceva non poteva capire il
dolore che stavo provando in quel momento. Non poteva, non poteva.
Piansi,
ancora, più forte. Odiavo le mie lacrime, odiavo il suono dei miei singhiozzi,
odiavo me stessa. Non ce la facevo neppure a smettere ormai, e mia madre
sarebbe tornata di lì a poco e non poteva vedermi così sconvolta.
Così,
una volta per tutte, misi a tacere le lacrime.
Quando
sollevai la testa, non ero stranamente pentita di ciò che avevo fatto. Almeno, non
per il momento. Come se mi fossi liberata dal peso di una decisione. Non
lo farò mai più, mi dissi, e tutto sembrò tornare al suo posto.
Avevo
trovato in quello, un modo per sfogarmi, per evadere. Dopo averlo fatto, ero,
dopo tanto tempo, ancora felice. Ma purtroppo, quella felicità, non durò tanto
a lungo quanto sperassi, così, fui costretta a rifarlo. La seconda
volta, fu leggermente più facile della prima. Tanto non lo rifarò, mi
dicevo. Questa è l’ultima volta.
Ma
ogni volta, i momenti in cui ero felice erano di meno, sempre meno. E io
tentavo, mi aggrappavo con le unghie alla vana consapevolezza, che avrei
potuto smettere da un momento all’altro, se solo avessi voluto, ma mi
giustificavo dicendo, che in quel momento ne avevo troppo bisogno.
Non
andavo certo orgogliosa di quello che facevo, e nei momenti più tristi piangevo
e piangevo la disperazione che mi causavano quei momenti sconsiderati. Ma la
disperazione enorme che provavo, mi portava solo a rifarlo, per tentare in
tutti i modi di sentirmi meglio.
Nessuno
era a conoscenza del mio problema. Non ero mai stata una brava attrice, ma
riuscivo comunque a tenere per me i miei veri sentimenti. E poi mia madre era
così felice e così presa da Phil, che non avrebbe mai potuto rendersene conto. Non
la biasimavo, povera donna, era stata costretta a crescermi da sola per
diciassette anni.
Tuttavia,
il cibo non mi faceva quasi più effetto, e la mia disperazione aumentava sempre
più, scatenando nuove reazioni a catena e facendomi sempre più cadere nel
baratro profondo in cui stavo scivolando.
Proprio
quando quasi pensavo di non potercela fare più, il giorno dopo il matrimonio,
mi venne l’illuminazione.
Così,
partii per Forks, da mio padre.
Ebbi
una lieve ripresa, ma quando tentai di ritornare alle mie normali abitudini
alimentari, non ce la feci più. Ormai, ne ero troppo presa, e le chiamate di
mia madre, preoccupata per me e che mi supplicava a ritornare, non erano
d’aiuto.
A
quel punto, la bulimia divenne un’abitudine, a cui non riuscivo più a
sottrarmi. Mangiare non era più un gesto fatto per vivere, o per il gusto di
farlo. Mangiavo per sopravvivere, enormi quantità di cibo, senza neppure
rendermene conto, dal momento in cui cominciavo a masticare.
Mio
padre, non si era accorto di nulla. Almeno, io credevo e speravo fosse così.
Ogni tanto, dopo mangiato, si fermava volontariamente a parlare più del dovuto
con me. Non so se volesse evitare che andassi in bagno a vomitare. Secondo me
no, perché lo faceva anche prima di mangiare o dopo la partita.
Probabilmente
aveva intuito il fatto che io avessi un problema, ma non aveva capito di che
natura fosse e ora, credo si stesse abituando anche lui ai miei sbalzi d’umore.
-Signorina
Swan?- mi sentii chiamare dal professore -capisco che Otello sia commovente, ma
fino al punto di piangere!-
Mi
accorsi di avere le guance completamente bagnate. -Mi scusi…- feci una risatina
isterica, mentre intanto dentro mi sentivo morire. In fretta, mi asciugai le
lacrime, nervosamente.
Avevo
fatto un grossissimo errore a lasciarmi andare a quei ricordi dolorosi, e tutto
per quell’insignificante ragazzo, che cominciavo ad odiare sempre più. Ora,
conoscevo un solo modo per poter stare meglio. Ma l’orario della mensa era
troppo lontano e io non avrei resistito ancora così a lungo, prima, sarei
crollata e non potevo permettermelo, in nessun caso.
La
campanella, che decretava la fine della prima ora di lezione, suonò e io presi
in fretta il mio prezioso zaino, avviandomi per i corridoi.
Conoscevo
la mia meta. Era uno stanzino usato sai bidelli, ma ormai non ci entravano
tanto neppure loro, perché ne avevano uno nuovo e più grande. L’avevo scoperto
per caso in uno dei miei momenti di debolezza, e poi ci ero stata altre cinque
o sei volte. Non importava più ormai, ora che tutto era diventato un’abitudine,
avevo perso il conto di quante volte lo facevo.
Purtroppo
però, sulla mia strada lo incontrai. Era ancora lontano da me, ma per arrivare
alla mia meta, ci sarei dovuta per forza passare accanto, nel corridoio. In
compagnia di due ragazzi troppo simili a lui per non identificarli immediatamente
come suoi fratelli, bellissimi, ma mai quanto lui.
Come
il giorno precedente, notai che gli altri studenti non ci parlavano. Anzi, a
dire il vero, non li guardavano neppure, come se fossero trasparenti. E lo
stesso trattamento usavano loro verso gli altri ragazzi.
Mi
resi conto che lo stavo fissando troppo, troppo, ma i miei pensieri, ancora una
volta, erano sfuggiti alla mia volontà, segno che avevo urgente bisogno di cibo.
Non
dovevo guardarlo. Non dovevo pensarlo. Lui per me non esisteva. Non potevo
permettergli di rovinarmi ancora una volta la vita.
Quando
gli passai accanto, la faccia nascosta dai capelli e dal giaccone, si voltò
verso di me, sorridendomi. Non capivo perché. Insomma, tutti gli altri erano
trasparenti per lui, perché doveva guardare proprio me?!
-Ciao-
mi disse, con voce melodiosa e cordialità.
Non
rispondere, non rispondere, non rispondere. Riuscii nel mio compito e lo sorpassai, non degnandolo di uno sguardo.
Volevo
voltarmi, a controllare la sua espressione per quella mia reazione, ma riuscii
a resistere ancora e non lo feci.
Arrivata
a destinazione, sfilai il cibo dallo zaino e iniziai a mangiare senza
controllo. Arrivata a quel punto, non me ne sentivo più neppure in colpa. E
comunque, non me ne sarei mai sentita in colpa in quel momento. Era… era come
se perdessi per qualche istante il controllo di me stessa. “Ma si, che male mi
può fare… Che vuoi che sia… Mangia e basta, non ti fare di questi problemi…
Basta, ora non me ne importa più nulla!” mi dicevo le prime volte. Ora, neppure
quello. La frenesia mi annullava completamente.
Almeno
finché poi non dovevo correre in bagno a vomitare.
Arrivai
leggermente in ritardo a lezione di trigonometria, appena due minuti forse, ma
il professore, che mi stava antipatico sin dal primo giorno, lo dovette far
notare a tutti, distruggendo una consistente fetta del buonumore che ero
riuscita a racimolare.
Mi
sedetti in silenzio accanto a Jessica. Lei mi lanciava occhiate furtive, voleva
evidentemente dirmi qualcosa.
-Che
c’è?- sbottai a bassa voce, quando quelle occhiatine si fecero ancora più
insistenti.
Si
vece più vicina, così che potessi udire i suoi sussurri -Ieri ti hanno vista
parlare con Edward Cullen- sentir pronunciare quel nome, mi causò un fremito
-sia a lezione, che dopo la palestra…-
-E
con questo?- sbottai fra i denti, a bassa voce.
-Nessuno
dei Cullen ha parlato con un altro studente!- Le mie osservazioni, allora, si
rivelarono fondate. Perché quel ragazzo parlava solo con me? Sentii nel mio
cuore, emergere un nuovo sentimento. Conforto, lusinga. Contemporaneamente
però, mi sentii spezzare. Stava accadendo di nuovo, quel ragazzo mi stava
causando nuovamente felicità.
Notai
che Jessica mi stava ancora fissando con impazienza, probabilmente in attesa di
dettagli o di chissà quale reazione.
Feci
spallucce, con ostentata noncuranza. Non volevo pensare a Edward Cullen.
-Allora,
cos’hai da dire?- chiese insistente.
-Basta,
Jessica!- il mio buonumore era nuovamente scomparso. -Basta!- dissi severa.
Lei
si girò dall’altra parte, risentita, ma almeno rimase in silenzio fino alla
fine della lezione.
Le
due ore successive, passarono serenamente, in presenza di Angela, che a
differenza di Jessica, sapeva mantenere il silenzio e adattarsi ai miei umori.
Riacquisii
un minimo di lucidità, che mi aiutò ad arrivare alla mensa con la dovuta
discrezione e tranquillità.
Presi
il vassoio con il cibo, in una quantità normale, non superiore alla media. Se
l’avessi riempito, troppe persone se ne sarebbero accorte in una cittadina così
piccola come Forks. Tanto poi, una volta al tavolo avrei aggiunto le mie cose,
che stavano nel mio zaino.
M’incamminai
verso l’angolo più nascosto della mensa, dov’era il mio tavolo. Vuoto, ovviamente.
Poggiai
il vassoio e sistemai la borsa, in modo da coprire maggiormente la visuale.
I
primi due giorni, Jessica e Mike avevano insistito per farmi sedere al loro
tavolo. All’ennesima insistenza, ero esplosa, arrabbiandomi. Ora pranzavo sola.
Bene.
-Cosa
mangi?-
La
sorpresa, fu l’unica cosa che provai in quel momento. Sorpresa, nel sentire
quella voce melodiosa, lì dietro di me, e sorpresa, perché realmente non sapevo
cosa avessi tra i denti. Insomma, non mi curavo più da ormai troppo tempo di cosa
mangiavo.
Subito
dopo la sorpresa, spuntò l’irritazione. Nessuno. Nessuno mi interrompeva mentre
mangiavo.
Tuttavia,
sorprendentemente, quando mi voltai, la mia furia si sciolse come neve al sole.
Aveva un sguardo così gentile, e dolce.
-Scusa,
che maleducato, non ti ho chiesto se posso sedermi…- si scusò gentilmente.
No,
dì di no. Non lo fare Bella, non lo fare. -Si…- sussurrai. Stupida, stupida. Non avevo idea di cosa mi
stesse accadendo. Provavo un sentimento che non riuscivo, per quanto mi sforzassi,
a definire. Ero… come imbambolata.
Con
un movimento elegante, si sedette accanto a me.
-Allora,
cosa mangiavi?- insistette. Mi sorpresi a guardare un pezzo di pizza tra le mie
mani, avevo smesso di mangiare.
-Pizza…-
sussurrai, lasciandola cadere nel piatto. Non mangiavo davanti agli altri.
-Stai
bene?- mi chiese. Sussultai a quella domanda, fissandolo poi curiosa, così lui
aggiunse -stamattina mi sei sembrata… strana…-
Ripensai
allo sguardo carico d’odio che gli avevo lanciato quella mattina. Non ci
riuscivo più. Ero pervasa da un melenso fiume di appannamento che non mi faceva
rimanere lucida.
-Scusa…
avevo mal di testa…- mi affrettai a rispondere, quando mi accorsi di aver fatto
passare troppo silenzio. Lui fece un cenno, come a darmene atto. Abbassai lo
sguardo, frastornata. Nel vassoio era rimasto solo un pezzo di pizza mezzo
mangiucchiato.
-Come
mai te ne stavi qui tutta sola?- mi chiese curioso, dopo un po’.
Mi
morsi un labbro, risollevando lo sguardo -Pensavo…-
-A
cosa?- m’incalzò con rinnovato interesse. I suoi occhi, non so come fosse
possibile, mi sembravano anche più chiari del giorno precedente, e quando mi
guardava, era come se il loro contenuto liquido m’ipnotizzasse.
Mi
accorsi che avevo smesso di mangiare. Mai, o quasi mai, da quando il mio
problema aveva preso il sopravvento, durante un’abbuffata smettevo di mangiare.
Segno che le mie abitudini stavano cambiando e questo, non andava affatto bene.
Afferrai
il mio zaino e me lo misi in spalla, scuotendo la testa come a cancellare il
mio annebbiamento.
-Scusa,
ora devo andare.- dissi, allontanandomi e riprendendo coscienza di me stessa,
mentre la testa mi girava per il turbine di pensieri che mi scuoteva.
Probabilmente
mi salutò, ma non risposi, né, sentii ciò che mi disse.
Non
avevo più fame. Male, malissimo. Sbagliato.
Uscii
dalla mensa di corsa, avviandomi verso il mio pick up. Una volta arrivata,
gettai lo zaino sul sedile, e mi stesi, nascondendomi da occhi indiscreti.
Arrivata
a quel punto, lasciai che le lacrime cadessero. Odio, mero odio, provavo per
quel ragazzo. Eppure, rievocando anche solo un attimo il suo sorriso dolce, il
suo sguardo educato, i suoi modi gentili, non potevo fare a meno di sentirmi
confortata, ma per questo anche più triste e depressa.
Perché,
perché doveva giungere quell’ulteriore dettaglio a sconvolgere la mia vita!
Non
sapevo cosa fare, come comportarmi, ero sconvolta, e questo non andava bene.
Piansi,
piansi, sempre più forte, fino a sentire il suono dei miei singhiozzi. A quel
punto mi bloccai. Basta.
Con
un gesto automatico, mi misi a sedere. Guardai la mia immagine riflessa nello
specchietto retrovisore. Ero sconvolta, avevo le occhiaie e gli occhi gonfi e
arrossati.
Mi
affettai a cancellarmi i solchi lasciati dalle lacrime. Presi una salvietta dal
cruscotto e mi pulii per bene la faccia.
Ad
un occhio attento non sarebbe certo sfuggito il fatto che avevo pianto, ma
considerando che gli unici che facevano caso a me erano Mike, Jessica e Angela,
avrei potuto evitarli.
Ma
poi, mi ricordai di lui. No, meglio non andare a lezione di biologia.
Non avevo mai saltato le lezioni, ma… Se si fosse accorto di qualcosa?
Non
fui presa dal solito moto di paura dell’essere scoperta, di deludere i miei
cari, di portare loro il tormento, ma… dalla vergogna. Certo, quando
pensavo che mio padre l’avrebbe potuto capire, provavo anche quella, ma non
come sentimento preponderante, come in questo caso.
Ma
non volevo saltare un’ora, e dare un’altra possibile causa di dispiacere a mio
padre.
Decisi
di andare in segreteria, a farmi fare una giustificazione, dopotutto, l’aria
strapazzata ce l’avevo, e avevo anche detto a… Edward, facevo fatica a pensare
quel nome, di avere mal di testa.
Così,
scesi dal pick up e mi avviai verso la segreteria. Il cielo era nuvoloso, ma a
differenza del solito, la nebbiolina che mi circondava, mi dava piacere. Mi
cancellava il torpore, dovuto alle lacrime, e impediva la vista chiara del mio
viso.
Improvvisamente,
sentii la sua voce, mentre parlava con un altro ragazzo dalla voce
melodiosa.
Erano
appena sotto il portico, dietro l’angolo.
-Non
riesco a capire, ieri non mi sembrava così… Ha detto di non sentirsi molto
bene…- Era ansia quella che sentivo nella sua voce?
-Che
ti prende, Edward? Non ti ho mai sentito in questo modo. Riesci a capire cosa
ti stia succedendo?-
Un
sospiro.
-No…
Sento… Che c’è qualcosa di sbagliato. Un problema. Mi… mi sento in dovere di
aiutarla… io… non so perché. Non si spiega, non proprio lei.-
Trattenni
il fiato.
-Vedrò
che posso fare, fratello.-
-A
distanza Jasper- doveva essere quello il nome dell’altro fratello -Voglio che
stia tranquilla, voglio pensarci io a starle accanto.-
A
quel punto, tutto fu troppo per me. M’infilai in segreteria, sbattendo la
porta.
La
signorina Cope non mi chiese troppe spiegazioni, evidentemente il mio viso
tormentato, fu abbastanza eloquente.
-Vuoi
fermarti un attimo in infermeria, cara?-
-No,
preferisco andare a casa, è solo un forte mal di testa, grazie di tutto…- dissi
evasiva, mentre la vedevo lanciarmi una strana occhiata. Mi misi lo zaino in
spalla e mi avviai di fretta fuori dall’ufficio, ansiosa di riordinare i miei
pensieri.
Purtroppo,
sbattei nuovamente contro qualcosa. No, ti prego, non lui.
-Ci
incontriamo sempre così, eh?!- disse la sua voce melodiosa. Alzai lo sguardo.
Mi stava fissando, gentile.
-Stai
bene?- mi chiese quando non risposi, troppo persa nel suo sguardo.
Mi
accorsi che mi era caduto lo zaino e il contenuto ne stava uscendo fuori. Lui
si piegò sulle ginocchia, tendendo una mano per aiutarmi a metterne di nuovo
dentro il contenuto.
-No!-
dissi, troppo velocemente e con troppa veemenza. -Lascia.- ordinai perentoria,
riemergendo dal mio annebbiamento.
Lui
sembrò sorpreso dalla mia reazione, ma allontanò immediatamente le mani,
tirandosi su.
Sistemai
tutto alla bell’e meglio, mi cacciai lo zaino in spalla, e ignorai la sua mano
pallida che voleva aiutarmi a tirarmi su. Facendo forza sui talloni mi sollevai
e, senza degnarlo di un ulteriore sguardo, corsi via.
Ok,
ragazze. Premetto una cosa. Circa tre ore dopo la pubblicazione di questa
storia, stavo piangendo come un disperata perché mi avete detto tutte che
sarebbe stato difficilissimo, e che era un argomento molto impegnativo. Grazie
per la fiducia -.-
:D A
Parte scherzi, non ho proprio pianto, ma devo dire che mi ha preso un moto di
preoccupazione e ansia, e ho rotto le scatole alle crucci (grazie cru) finché
non mi ha calmata dicendomi che io scrivo per me stessa soprattutto e che ci
dovevo comunque provare a mettermi in gioco. Com’è saggia la cru, vero?! u.u
Quindi,
un po’ più calma e tranquilla, mi sono rimessa al lavoro, analizzando pian
piano quello che volevo scrivere. Spero di essere riuscita almeno un pochettino
nel mio compito, altrimenti, quel che sarà, sarà. Se ho sbagliato qualcosa,
ditemelo, non me la prenderò. L’importante è che io mi sia sentita soddisfatta
nello scrivere questa storia, e anche se non vi dovesse piacere, continuerò,
per me, tentando sempre di correggere i miei errori.
Grazie a
tutte.
azaz
grazie
cuore! Aspettavo con ansia il tuo verdetto! ;) Si, in effetti ho cambiato, e
non poco, argomento… ^^ Ti ringrazio per tutti i complimenti, ma devo dire che
mi è venuta davvero tanta paura! Adesso tutti si aspettano qualcosa da me, hanno
cacciato un coltello e mi hanno rinchiusa in una stanzetta buia, e ora io devo
trovare l’uscita d’emergenza!!! Help me! E cmq, non poteva essere cleptomania,
perché, proprio per non ingannarvi, ho scritto che pagava in contanti! Ti devo
dire, una delle cose che m’incuriosisce maggiormente di questa storia è il
rapporto tra Edward e Bella, è… diverso dal solito, ecco. E’ strano, vero? Sono
curiosa di sapere come si comporteranno in futuro, che cosa farà Edward
soprattutto… Ops, scusa, mi sono lasciata un po’ andare… Ora dirai, “ma se non
lo sai tu, chi lo sa che succederà?”, eh, in effetti, no, non lo so, sono i
personaggi che lo decidono… Non so se hai capito, non è facile da spiegare. E…
come se prendessero vita. Man mano che scrivo, partecipano ai miei fatti e
assumono atteggiamenti differenti… Ecco, no, non mi fare internare! XD
cloe
cullen No!!! Non ti ci mettere anche tu a dire che il tema è difficile,
perché praticamente me l’hanno già detto tutti! T.T Mi sto scoraggiando, sai…
Forse non è proprio una buona idea…
samara28
Oh,
wow, sono sconvolta! Cioè, praticamente in realtà non avevo capito bene neppure
io cosa volevo fare. Perché, in pratica, non mi ricordo se tu scrivi, si lo
fai, quindi sai come ci si sete no, le emozioni, le sensazioni, si mettono nero
su bianco per trasmetterle. Poi, diciamo, dopo tre o quattro capitoli, si
capisce cosa si vuole fare e il messaggio è chiaro anche allo scrittore. Ok,
diciamo che tu hai accelerato i tempi. Grazie della bella recensione J
Lau_twilight
ho
fatto prestissimo, visto?! E l’ho fatto anche di una lunghezza decente stavolta…
J Spero che la tua
fiducia non sia stata mal riposta…
_la sua
bella_ oh, beh, grazie mille, e spero di aver aggiornato abbastanza in
fretta! Cullen’s Love è La fan fiction. Questa è una fan fiction, non ci posso
mettere lo stesso impegno, perché questa è già di per se più impegnativa da
scrivere…
IsAry
beh,
si, l’idea era proprio quella, mantenere il mistero fino alla fine! J Spero ti piaccia, per
me è davvero importante…
barbyemarco
sono
contenta che ti piaccia e, certo che la continuo!!! E’vero è diversa da
Cullen’s Love, l’avevo detto! ;)
ale03
sospettavo
già che ci sarebbe stato qualcuno che si sarebbe sentito più intimamente preso.
E’ un problema molto, molto diffuso, inutile chiudere gli occhi. Complimenti se
sei riuscita a uscirne…
pinkgir
certo,
si, grazie per il consiglio. In realtà ho voluta lasciarla così, almeno per i
primi tempi, per un puro artifizio linguistico… Come hai notato infatti, nel
primo capitolo si mantiene il mistero fino all’ultimo rigo. Ma d’ora in poi lo
scriverò, onde evitare malintesi…
crucci
grazie
cru, te l’ho già detto che ti adoro! Senza di te in questo momento starei in
piena crisi isterica!
patu4ever
beh,
grazie. Si, me l’avete detto tutte che ho scelto un argomento difficile, ma mi
sentivo pronta ad affrontarlo, dopo l’esperienza che ho fatto, quindi… questo è
quanto.
m_aljen
no
figurati. Anzi sai che ti dico, questa è la prima recensione negativa che mi
viene fatta in… cinque mesi?! Finalmente! Ho sempre spronato tutti a dirmi ciò
che pensano veramente, anche il “lato negativo”, ma non l’ha mai fatto nessuno,
chissà perché forse non c’era realmente o semplicemente non volevano dirmelo.
Comunque, tornando a noi. Prima di tutto, ti ringrazio di cuore per avermi
detto che la storia è scritta bene. Secondo, passiamo alla parte “dolente” J. Non sempre fantasia
vuol dire felicità. Capisco che Twilight faccia parte di un genere fantasy, ma
è anche un romanzo, ti sembrerà un eresia, molto realistico. Per questo, non ci
trovo nulla di male, nel tentare di esprimere ciò che c’è dentro l’animo umano.
Proprio quando si trova in momenti di difficoltà. Ecco perché ho scelto questo
come tema. Infine, il punto d’incontro che c’è tra Edward e Bella, sta proprio
nel loro anelare a qualcosa, in questo caso al cibo, e non riuscire a
controllarsi, finendo per ferire addirittura se stessi. Comunque non sarai
obbligata a seguire questa storia, ma sono contenta che mi abbia espresso il
tuo pensiero. A presto, se vorrai, Francesca.
Luna95
già,
emm… la “disintossicazione” non è una cosa facile, ma tinei conto che accanto a
lei c’è Edward quindi… tutto è diverso…
Wind
eheh,
ti dico che è ancora all’inizio e che mi piacciono tantissimo le sfide
difficili. Quindi, a noi due, storiella mia!
luisina
certo,
ti capisco cuore. Grazie davvero tanto dei tuoi apprezzamenti, sono contenta di
essere riuscita nell’impresa di raccontare l’”ossessione” di Bella. E ti dico
anche congratulazioni, devi essere una persona davvero forte se ce l’hai fatta
con le tue forze… J
Confusina_94
lo
sapevo io! La mia amica mi aveva detto che dall’introduzione si capiva cosi! XD
Nono, proprio dorata no, però io cibo può diventare una droga…
mazza
ciao
piccoletta! ^^ Anche qui vedo, eh! Sono contenta… Beh, sono anche contenta del
fatto che tu non abbia di questi, problemi, ma l’ho già detto, non derivano
solo da quello… E cmq ti prometto che non ti farò usare troppi fazzoletti, ok?!
J
AmorePsiche
ciao,
grazie! J Beh, spero continui a
piacerti…
Questa
fan fiction non è stata scritta da un medico, pur contenendo documentazioni
valide di medicina, quindi non basatevi su quanto scritti in queste pagine.
Questa
fan fiction è CONTRO la bulimia.
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Capitolo 3 *** Basket ***
Nonostante tutto, la confusione, l’ansia, l’angoscia che provavo, sapevo
di non potermi concedere momenti di totale annebbiamento, dovevo tentare
comunque di rimanere lucida, anche solo pensando all’idea del cibo che mi
attendeva una vota tornata a casa
Nonostante
tutto, la confusione, l’ansia, l’angoscia che provavo, sapevo di non potermi
concedere momenti di totale annebbiamento, dovevo tentare comunque di rimanere
lucida, anche solo pensando all’idea del cibo che mi attendeva una vota tornata
a casa. Ma non potevo permettere che mi scoprissero, non dopo tutto quello che
avevo fatto per nasconderlo.
E
poi quel ragazzo, e le sue parole…
Dovevo
magiare qualcosa, la necessità era troppo forte.
I
pensieri, caotici, mi si affollavano in testa mentre sfrecciavo alla velocità
massima consentita dal mio pick-up, per la strade di Forks.
Entrata
in casa, lanciai il mio zaino sul tavolo della cucina e mi avventai sul frigo.
Compivo
gesti irrazionali, non programmati, mi volevo solo sfogare. Aprivo con veemenza
le ante della credenza, cercando quello, solo quello; non mi controllavo, né
sentivo la necessità di farlo. Niente mi saziava, tutto era semplicemente cibo
nelle mie mani. Non c’era latte, né cerali, né frutta o brioche, solo qualcosa
da mangiare e la fame che non si placava mai.
Sentivo
il rumore della ante che sbattevano, della roba che cadeva per terra, il ronzio
del frigo, acqua, il lavandino, la cerniera dello zaino, la sedia che raschiava
il pavimento.
D’improvviso
mi bloccai.
Lo
zaino era vuoto. La cucina, era irriconoscibile. Un momento di lucidità mi
bloccò immobile al mio posto.
Il
cartone del latte, aperto, rovesciato sul ripiano della cucina, versava in suo
contenuto sul pavimento, su dei biscotti che mi erano caduti in terra. Pezzi di
torta erano sparsi ovunque e la panna macchiava un anta della credenza con
l’impronta delle mie mani. La busta dei cereali era rotta e i pezzettini di
avena erano ammucchiati nella credenza e sul ripiano della cucina. Carte di
merendine erano ovunque e alcune erano schiacciate, morse, spezzate e lasciate
lì.
In
bocca, avevo ancora qualcosa, ma non finii di masticarlo. Mi sembrava
nauseabondo e io mi sentivo sbagliata, un mostro.
Io avevo fatto tutto questo.
Corsi
in bagno, e senza neppure il bisogno di provocarmi il vomito rigettai. Mi era
già successo altre volte, non troppe, ma abbastanza.
Mi
lasciai scivolare sul pavimento del bagno, il respiro corto, ansante, poggiando
la fronte contro una piastrella fredda, nel tentativo di riacquisire lucidità.
Tuttavia, man mano che la razionalità s’impadroniva di me, i miei pensieri
corsero inevitabilmente proprio dove preferivo stessero lontani.
Ripensai
alla conversazione che avevo origliato e alle parole pronunciate da Edward.
Anche solo pensare il suo nome, mi scatenava un fremito, così, mi strinsi di
più su me stessa, tentando di trovare un riparo dalla mia stessa mente.
Ovviamente
stava parlando di me. Non ero mai stata una persona egocentrica, ma io ero
anche l’unica con cui lui parlava e le occhiate inquisitorie che mi rivolgeva
di tanto in tanto non mi erano certo sfuggite. Non mi era sfuggito neppure il
tono con cui aveva detto “proprio lei”. Perché proprio io? Non
aveva senso… che cosa avevo di particolare? Per quanto mi sforzassi, non
riuscivo a capire il senso di quelle due parole.
E
poi non riuscivo a spiegarmi il tono ansioso con cui parlava di me. Pochissime
volte l’avevo sentito usare, da mio padre più che dalla mia svampita mamma. Lei
era agitata, spesso, ma non ansiosa.
Infine,
aveva detto che avevo un problema. Che voleva aiutarmi…
Sentii
un forte conato di vomito e mi piegai ancora sulla tazza del water.
Quando
mi misi stesa, ancora, sul pavimento del bagno sentii un fastidio infiammarmi
lo stomaco.
Mi
sollevai dal pavimento e mi accorsi di poggiare la testa su una piccola pozza
d’acqua ghiacciata. Avevo pianto.
Mi
asciugai le lacrime e andai al lavandino. Quello che vidi allo specchio fu il
mio volto pallido, con un insana sfumatura verdastra. Gli occhi erano rossi e
gonfi e i capelli cadevano scomposti ai bordi del viso.
I
miei pensieri corsero immediatamente a mio padre e allo stato della cucina. Non
potevo lasciare tutto così com’era, mi sarei curata più tardi dei miei
problemi.
Afferrai
il pettine e tentai di sistemare i nodi dei miei capelli. Erano più o meno
presentabili, ma decisi comunque di legarli in una coda, mi davano un aspetto
più limpido e sicuro.
Mi
lavai il viso con foga, facendo attenzione a sciacquarmi i denti e usare un
collutorio.
Mi
osservai. Erano un po’ gialli sui bordi, così, li risciacquai con il bicarbonato.
Ora
ero decisamente più presentabile. Certo, le occhiaie permanevano, e il colorito
era sempre molto pallido, ma potevo usare come scusa per mio padre la stessa
che mi aveva costretta ad uscire due ore prima da scuola. D’altronde a Forks
non si potevano avere segreti e sarebbe comunque venuto a saperlo.
Mi
avviai in cucina a ripulii tutto in fretta, usando la candeggina. L’odore
pungente lavò via quello dolciastro e nauseabondo prima presente.
Quando
ebbi terminato, non si notavano quasi le tracce del mio passaggio, a parte il
cibo mancante, certo. Quello costituiva un piccolo problema, anche se mio padre
non era mai così attento da potersene accorgere.
Di
solito non cucinavo mai io. Troppo rischioso per me, e troppo spaventoso per
mio padre. Nei primi giorni, in cui aveva insistito per vedermi ai fornelli,
gli avevo cucinato una pasta con quasi tutti i sughetti surgelati presenti in
frigo, arricchita di condimenti a tal punto di risultare nauseabonda. A lui,
certo.
Quindi,
dopo quel giorno, mangiavamo sempre o sandwich o cibo della tavola calda o
pizza. E comunque di solito non mangiavo con lui, avendo preso come abitudine
di farlo appena tornata da scuola. Mangiavo il cibo che avanzava da lui dal
giorno prima e considerando che me ne lasciava sempre un bel po’, di solito mi
bastava o comunque lo integravo col mio che prendevo quando andavo a fare la
spesa.
Non
era così… automatico. Non c’era un quantità fissa. Era come una frenesia, che a
volte si placava prima, a volte solo quando finivo tutto. Ma non riuscivo mai a
sentirmi sazia e quando mangiavo faticavo a mantenere il controllo di me, e mi
sentivo a disagio se qualcuno mi osservava.
Charlie
non replicava, era abituato a mangiare da solo e considerava il cenare prima,
sola, come una mia abitudine. Solo a volte insisteva un po’ di più e io
l’accontentavo per non destare sospetti.
-Bells?-
mi sentii chiamare, subito prima che la porta dell’ingresso si chiudesse con un
piccolo tonfo.
-Si
papà, sono qui.- gli dissi serena dalla cucina. Corsi a mettere a posto la
candeggina e lo straccio e quando ritornai il cucina lui era seduto e su una
sedia e si sgranchiva le gambe.
-Fra
un po’ arriva la cena, mangi con me?-
Mi
avvicinai e gli schioccai un bacetto sulla guancia, facendolo arrossire. -No
papà, ho già mangiato, salgo un po’ su a fare i compiti e poi mi corico.-
-Oh-
rispose solo. Lo vidi stropicciarsi le mani e fingere di interessarsi a un
quotidiano. Voleva sicuramente dirmi qualcosa di cui si sentiva a disagio.
Onde
evitare figure imbarazzanti, mi girai e mi rivolsi verso le scale, tentando la
fuga.
-Bells?-
mi chiamò frettoloso.
Tentativo
inutile. Mi rigirai piano, sforzandomi di mostrare un espressione serena. -Si
papà?-
Era
completamente rosso e si fissava i piedi -Tutto bene? Sai… forse… dovresti
chiamare qualche tuo amico per uscire la sera…- incespicava con le parole.
-Oh.
Mhh, si certo.- risposi evasiva e corsi su per le scale gridando un -sta
tranquillo papà.-
Lo
sentii borbottare qualcosa, ma mi ero già richiusa la porta alle spalle.
Feci
tre respiri profondi, per calmarmi.
In
quegli istanti, decisi che avrei dovuto risolvere il mio problema, affrontarlo,
dovevo capire come comportarmi con Edward.
Tuttavia,
prima optai per una doccia rilassante, dovevo avere la mente lucida e
riordinarmi le idee. Afferrai il mio beauty-case e corsi in bagno.
L’acqua
calda della doccia mi aiutò a non pensare e a sciogliere la tensione dei
muscoli. Poi, mi misi il pigiama, lavai ancora i denti e m’infilai sotto le
coperte, lasciando che i miei pensieri avessero la meglio.
Edward
Cullen voleva aiutarmi. Voleva darmi il suo aiuto, perché? Mi accorsi
che avevo le sopracciglia aggrottate a un’espressione dura sul volto. Tentai di
rilassarmi.
Aveva
detto di aver’intuito che io avevo un problema. E voleva per questo aiutarmi.
Ma io volevo il suo aiuto?
No,
certo che no. Di questa risposta ero certa, non volevo l’aiuto di nessuno
perché non volevo né che qualcuno lo scoprisse, né tanto meno cambiare le mie
abitudini. Quindi non volevo il suo aiuto, e di questo ne ero estremamente
certa. Tuttavia questa risposta mi lasciò insoddisfatta.
Non
volevo il suo aiuto, questo era chiaro, ma volevo anche che mi stesse lontano?
A
questa domanda fu molto più difficile rispondere. Avevo tentato tutto il giorno
di evitarlo, ma riportando scarsissimi risultati. In realtà, quindi, dovetti
ammetterlo. Era un no, non volevo stargli lontano.
Ma
questo significava che volevo stargli vicino? O che lui volesse stare vicino a
me?
Ripensare
ai suoi occhi ambra liquido, al suo sguardo magnetico, al sorriso mozzafiato mi
faceva sentire nuove strane emozioni. Rabbrividii a quei pensieri, e li
accantonai immediatamente, perché sentivo che dentro di me quelle domande
avevano delle risposte che non potevo accettare.
Tentando
di tirare le somme di quei miei ragionamenti venne fuori che non volevo che lui
mi aiutasse, ma non volevo neppure trattarlo con odio o come un emarginato.
Quindi
in conclusione… l’avrei trattato come una qualsiasi altra persona e avrei
reagito di conseguenza ai suoi comportamenti e a quello che il caso mi avrebbe
riservato, magari, dimostrandogli di non avere nessun problema. Ma dovevo stare
molto attenta a non farmi scoprire, più scrupolosa del solito. Gli avrei
dimostrato di non aver bisogno d’aiuto. Si, questo poteva andare. E
soprattutto, mi piaceva.
Mi
rigirai nel letto e mi addormentai, il sorriso sulle labbra.
Il
mattino dopo, al mio risveglio, sentivo una strana euforia, una grande voglia
di sapere cosa il caso mi stesse riservando.
Mio
padre notò la mia allegria e fu leggermente più rilassato riguardo alla breve
conversazione del giorno precedente.
Afferrai
del cibo confezionato e lo misi nello zaino, misurando i gesti, senza
esagerare.
Mio
padre sorrise di fronte al mio buonumore, era sempre agitato per via del mio
comportamento lunatico e ogni mattina sondava il terreno.
-Di
buonumore Bells?- mi disse con un ampio sorriso, che gli faceva distendere le
guance e formare profonde fossette ai lati della bocca.
Annuii,
chiudendo la cerniera dello zaino. -Ciao papà, io vado, ci vediamo stasera!- lo
salutai, uscendo.
Lo
sentii rispondermi qualcosa del tipo -vai piano!-
Ovviamente,
come tutte le mattine, ero in anticipo di almeno mezz’ora, così, sapevo che
avrei trovato la scuola deserta e inoltre, avrei potuto fare le mie soste.
Lanciai
lo zaino sul sedile accanto al mio e cominciai a mangiare quello che c’era dentro,
mentre guidavo diretta al bar vicino alla scuola. Presi due brioche e mangiai
anche quelle, mentre mi avviavo nel parcheggio, poi, entrai nella sala mensa,
seguii il lungo corridoio adiacente e mi fermai ai distributori automatici. Lì
potevo prendere tutto il cibo che volevo, non c’era nessuno a controllarmi. Ne
misi una discreta quantità nello zaino e mangiai una barretta. Gettai le cartacce
accumulate nel grande bidone nero e mi diressi verso il bagno.
Uscii
dall’edificio e andai di nuovo nel parcheggio, verso il mio pick up.
Lo
facevo tutte le mattine, non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Il
parcheggio, come prevedibile, era già pieno, così, mi nascosi tra la folla e sgattaiolai
vicino al mio automezzo, con disinvoltura.
-Bella!-
mi sentii chiamare. Sussultai al suono di quella voce melodiosa, portandomi una
mano al petto.
-Oh,
scusa, ti ho spaventata?- mi chiese Edward quando mi voltai verso di lui,
sgomenta. Deglutii. I suoi occhi dorati, ipnotici, mi fissavano allegri. Calma,
tranquillità e disinvoltura.
-Oh,
Edward, che piacere rivederti.- speravo che la voce mi fosse uscita davvero
tranquilla e che non si sentissero forzature.
Fortunatamente,
il suo sorriso si allargò, ammaliandomi. -E’ un piacere anche per me.- Sembrava
sincero. -Che lezione hai alla prima ora?-
Mi
sembrò quasi strano di parlare di un argomento così futile. -Inglese, poi
trigonometria…-
Evidentemente
sul mio viso doveva essere comparsa una smorfia, per spiegare il suo sguardo
divertito. -La trigonometria non sembra piacerti molto- constatò.
-E’
così evidente?-
Ridacchiò.
-Abbastanza-
Feci
un'altra smorfia, quasi a sottolinearlo.
-Edward!-
lo chiamò da lontano un ragazzo alto, biondo e molto bello. Da tono di voce lo
riconobbi come suo fratello Jasper.
-Arrivo!-
disse di rimando lui, per poi voltarsi ancora verso di me.
Mi
fissava, come se mi stesse squadrando. Io mi lasciai esaminare, tentando in
tutti i modi di apparire serena, disinvolta e soprattutto, senza problemi.
-Come
stai?- alla mia espressione dubbiosa, chiarì la domanda -ieri hai detto che non
ti sentivi molto bene…-
-Oh,
si- mi affrettai a rispondere -tutto bene, era solo un mal di testa, nulla di
che…- dissi tranquilla.
Lui
parve rasserenarsi. -Va bene, allora io andrei, ci vediamo a mensa?-
-No!-
risposi, con troppa foga. Stupida Bella, stupida. Niente problemi, eh? -No
è che dovrei studiare per un test, sai com’è…- mi corressi con più calma.
Il
suo sguardo mi parve quasi… dispiaciuto. Mi meravigliai della mia voglia di non
ferirlo e del senso di colpa immenso che provavo per averlo fatto. Di solito
quando mi arrabbiavo con qualcuno, e a volte mi accadeva spesso, non mi sentivo
mai in colpa. O almeno, non subito, ci pensavo dopo a scontare i miei peccati…
-Ma
possiamo vederci dopo, a biologia, vero?- gli chiesi titubante, morsicandomi il
labbro.
Lui
parve illuminarsi ancora -Certo, a dopo allora!-
-Ciao!-
lo salutai anche con la mano, mentre si allontanava.
Mi
stupii della mia improvvisa cordialità nelle ore successive. Jessica si guardò
bene di chiedermi altri dettagli su Edward Cullen e così potemmo parlare
tranquillamente di altre frivolezze. O meglio, lei parlava e io annuivo. Non
era in collera con me, era abituata ai miei sbalzi d’umore e oramai non ci
faceva più caso.
Tuttavia,
le ore passavano molto lentamente, sentivo come la necessità di girare la molla
all’orologio per far velocizzare il tempo, ma non per l’ora della mensa, no.
Per quella di biologia.
Per
un istante mi chiesi se mi potessi permettere quel pensiero e poi, conclusi che
andava bene così. La biologia mi era sempre piaciuta, mentii a me stessa.
Edward
mi salutò quando entrai nella sala mensa e io con un sorriso timido, mi diressi
verso il mio tavolo isolato.
Non
cambiai la routine degli altri giorni, e fui rasserenata dalla facilità con cui
ripresi a fare i miei gesti abituali. Mi sentivo serena, mi sembrava di avere
tutto sotto controllo, e questo era decisamente un bene. Tutto stava andando
per il meglio.
Fuori,
tra le nuvole, era anche uscito un bel sole brillante, e il sole mi metteva
sempre allegria.
Quando
entrai nell’aula di biologia ero decisamente sorridente. Tuttavia, il mio
sorriso si trasformò presto in un broncio, quando, dieci minuti dopo l’inizio
della lezione, Edward non era ancora arrivato.
Era
andato via?
Allora
forse, mi stavo semplicemente illudendo, forse, a lui non importava niente di
me. Avrei dovuto essere sollevata da quel pensiero, lo sentivo, da una vocina
che mi parlava da dentro il cervello, ma così non fu. E questo mi condusse in
una disperazione ancora più profonda. Non potevo essermi affezionata a lui, non
era possibile! Lo conoscevo da appena tre giorni!
Forse
mi aveva solo presa in giro, voleva prendersi gioco di me. Mi sentii ancora
peggio a questo pensiero. Non poteva essere, no, non potevo davvero
permetterlo.
Da
dove nasceva tutta quella mia irritazione? Forse dal fatto che lui mi aveva
detto chiaramente che ci saremo rivisti a Biologia? Mi stavo comportando in
maniera puerile?
Si,
Bella sei puerile. Mi risposi. Cosa
ti fa credere che sia mancato per te, sei così egocentrica?
Già,
forse non era a causa mia che mancava, ma mi sentivo comunque così triste…
L’ora
successiva, avevo ginnastica.
-Ehi
Bella!- mi chiamò Mike, raggiungendomi con facilità il mio passo strascicato
nel corridoio.
-Mike-
lo salutai, senza un minimo d’entusiasmo, mordicchiando la merendina che avevo
sotto i denti.
Lui
non parve troppo sorpreso dalla mia reazione. -Sei giù perché il sole è andato
via, vero?-
-Cosa?-
dissi guardandomi intorno. In effetti dalle finestre filtrava molta meno luce.
-Oh, si certo…- mentii automaticamente.
-Su,
non essere triste, ora c’è palestra!- disse come se fosse una notizia di cui
dovevo essere felice -oggi giochiamo a basket!-
Tentai
di nascondere la mia repulsione. -Oh…-
Mike
mi accompagnò fino allo spogliatoio femminile e se non gli avessi chiuso la
porta in faccia, credo che mi avrebbe seguita volentieri anche dentro.
Mi
cambiai senza quasi pensare ai miei gesti, in silenzio, con il broncio.
Accanto
a me notai la ragazzina che l’altro giorno faceva palestra nella mia stessa
ora, quella bassina e con i capelli corvini che avevo identificato come sua
sorella.
Se
ne stava da sola in un angolo, l’aria allegra e serena. Forse avrei potuto
chiederle del fratello…
No,
era da escludere. Non mi dovevo avvicinare a lui più del lecito, anzi era
meglio così. Se mi fosse stato automaticamente lontano, non ci sarebbe stato
bisogno d’ostentare nulla. E poi, l’avevo promesso a me stessa: lasciare tutto
al caso.
Entrai
nella palestra, di malavoglia, osservandomi i piedi e le scarpe da ginnastica.
Quando il professore mi chiamò, e io sollevai lo sguardo, ciò che vidi mi
piacque più del lecito.
Edward
Cullen, in tutta la sua bellezza, in una tuta, mi fissava con un mezzo sorriso.
Improvvisamente però il suo sguardo si fece preoccupato e due secondi dopo
sentii qualcuno urlare il mio nome, e un forte dolore che m’infiammava il
labbro.
Istintivamente
mi portai una mano alla bocca e la sentii bagnata. Poi, alle mie narici arrivò
un fastidioso odore ferroso che mi stordì.
Vidi
delle persone che venivano verso di me, preoccupate, e mi chiedevano come
stessi. Sentivo un fastidioso ronzio nelle orecchie e i contorni delle stanza
cominciarono e tremare.
Ma
tutta la mia attenzione in quel momento era per Edward, che mi fissava torvo e
veniva spinto via, verso l’uscita sul retro, da sua sorella Alice. Sembrava
quasi che lei lo stesse trattenendo con la forza e lui mi fissava come se gli
avessi fatto qualcosa di male, qualcosa per scatenare la sua ira.
Per
un istante, troppo breve per darmi una risposta, mi chiesi il perché del suo
comportamento.
Poi,
vidi tutto girare e le ginocchia mi cedettero.
Qualcuno,
il professore forse, mi afferrò, ma dal quel momento la mia visuale di Edward
fu coperta dagli altri studenti che mi sovrastavano.
Ragazzuole
mi quelle! Ma quanto vi vuole bene la Keska?
Ok,
questo è un modo come un altro per dire “scusate il ritardo”. :P
Allora…
la crisi depressiva che mi ha costretta a sospendere un po’ la storia è
scomparsa, ma vorrei spiegarvi come mai sono andata in depressione così
facilmente.
Innanzitutto,
grazie a Tutte, per aver espresso il vostro parere, positivo, o negativo che
sia.
Io, non ho
voluto fare la bimba capricciosa, che alle prime critiche cade in depressione o
cose del genere. Ma, capitemi quando vi dico, che per questa storia mi sono
esposta molto, anzi moltissimo. Vorrei riportare, per farvelo capire, alcune
parole della Meyer. “Uno scrittore, così come un’artista, per far vedere quello
che prova dentro di sé, deve essere fatto di vetro. Ma quando il vetro si
rompe, non c’è modo di ripararlo”. A me è successa la stessa cosa, sto usando
un vetro troppo sottile, e anche le vostre piccolissime pietruzze mi fanno
male.
E poi,
provate anche a caricare il vetro con mattoni da10, 15, 20 kg. E’ troppo pesante, e non riesco a reggerlo.
E’ vero.
Ho scelto un argomento difficile, complesso, complicato e forse anche inadatto
per il mondo della fantasia. Ma l’ho scelto. Questo, è un dato di fatto. Non
intendo tirarmi indietro, per me ormai, costituisce una sfida.
Ho voluto
la bicicletta e ora pedalo, ci sono le ruote sgonfie, la catena arrugginita, i
raggi spezzati, poco male, la riparo, e pedalo.
Questo è
quanto.
E quindi
fanciulle, finalmente sono in piena vacanza e penso che me ne andrò a
saltellare sui monti come le caprette di heidi! XD No scherzo, da me non ci
sono neppure i monti scema, solo piatta pianura e taaanto mare! ^^
Beh spero
che il capitolo vi sia piaciuto, in realtà doveva succedere qualcos’altro, ma
poi ho deciso di fare così per insinuare un po’ il seme del dubbio in Bella. O
meglio, per darle qualche indizio. E quindi… vi prometto che dal prossimo cap
Bella e Edward cominceranno ad approfondire il rapporto! Ora rispondo alle
vostre recensioni, ciau care!!!
Noemix
Grazie
cuore, è bello sapere che su di te posso contare… Cmq, si, è irascibile solo in
alcuni momenti, che ho spiegato nel primo capitolo, solo quando sente il
bisogno del cibo. Sente questa forte voglia dentro, ma sa che è sbagliata e che
tuttavia non può farne a meno. Al contempo sa che non deve farsi vedere, deve
nascondersi, non deve farsi scoprire, pur sperando dentro di se che qualcuno la
scopra. Tutte queste emozioni le vive dentro di se, nel suo profondo, nella sua
dimensione, mentre tutto attorno le scorre troppo velocemente. Questi due ritmi
troppo diversi, la fanno impazzire e diventare irascibile. Tutto chiaro ora? J
Bella_Cullen_1987
grazie
^^ mi hai fatto ridere per un po’ XD Il pianeta Edward Cullen… XD tu spera bene
e vedrai che tutto si sistemerà! J
Amalia89
Si,
non ti preoccupare, tanto è un parere diffuso, più che una goccia, ormai si può
parlare di pozzanghera, anzi, di ruscello o torrente addirittura. J Innanzitutto grazie
per avermi detto che apprezzi il mio stile di scrittura. Per quanto riguarda il
tema, difficile, complesso, inadatto… Si, è vero. E forse sai che c’è, ho
peccato di presunzione e leggerezza affrontando questo tema. Ma ormai sono in
gioco, e non ho intenzione di tirarmi indietro, anche a costo di farmi
insultare (e non dico che tu l’abbia fatto, anzi) da tutti. Anche a costo di
farmi dire che sono una stupida ragazzina moralista. Non ho intenzione di
tirarmi indietro. Perché non sono degli errori grammaticali, stilistici o
formali che posso correggere. E’ la trama, la Mia trama. Quindi, andrò avanti comunque, grazie mille di avermi dato il tuo parere, anche se negativo.
Sakuno
grazie
^^ Allora spero che continuerai a leggerla. Si, il tema è difficile, ma, come
dici tu, non m’importa, anzi, spero che l’aria si alleggerisca un po’ nei
futuri prossimi capitoli. Non vorrei poi diventasse troppo pesante…
patu4ever
no,
scusa, è tutta colpa mia! L Ho riletto ora la risposta che ti ho dato e in effetti il tono
può sembrare un po’ brusco, ma ti posso assicurare che non era nelle mie
intenzioni! Non mi sono affatto arrabbiata con te, scusami ancora. E comunque
io non mi sono arrabbiata affatto, con nessuno, era solo una questione MIA,
personale, un sentimento che provavo io, mi sentivo un po’ sottopressione,
tutto qui… Ti prego, non fraintendere quello che volevo dirti…
luisina
grazie,
per tutto e per il consiglio che mi hai dato. In effetti si, che anche un altro
motivo per cui Bella diventa bulimica. E’ un motivo quasi inconscio che
spiegherà poi a Edward, più avanti nei capitoli. Ero molto ansiosa di capire
come potesse pensare una persona che soffre di questa malattia, quindi ho
tentato di immedesimarmi, ma la mia ansia nasceva dalla paura di poter
sbagliare. E se sbaglio, in questo caso, ho paura di, quasi insultare, persone
come te che hanno vissuto davvero questi momenti. Mi capisci?! E’ da questo che
deriva la mia ansia. Non voglio ferirvi…
Grazie
comunque di tutto! Grazie…
JessikinaCullen
grazie!
Anch’io sono molto più libera ora che è finita la scola e voglio dedicare
proprio la mia estate per la stesura del mio vero libro… Ora che finisco una
delle ff! Chissà quando! Per tornare alla scrittura, uno dei miei primi scopi e
proprio trasmettere emozioni, anche a discapito della trama magari… Spero di
sentirti ancora presto allora, e ciao! J
azaz
okok,
allora visto che siamo in due, quelle non in piana facoltà mentale, ci facciamo
internare insieme, almeno ci facciamo compagnia! E poi magari, chissà, forse
incontriamo Alice! J In effetti, per quanto riguarda le domande, in questa storia, a
differenza delle altre, in personaggi sono più… Miei. E questo li fa diventare
più, Non Miei. Ok, mi spiego. Nelle altre ff, devo tenere i comportamenti dei
personaggi sotto controllo e indirizzarli continuamente nella direzione che le
nostra ara Meyer vuole che prendano. In questa invece, i personaggi sono miei e
quindi non mi preoccupo di farli andare verso una direzione predefinita, ma
lascio che liberi, si adattino a quello che scrivo. Per questo mi metto un po’
anche nei panni della spettatrice! XD Per quanto riguarda Edward, devo dire che
in questo caso non sarà come nelle altre fan fiction. Peggio. Più puccioso e
coccoloso! J E cmq d’ora in poi me ne starò tranquilla sapendo che qualcuno
che mi legge c’è sempre! J Ciao cuore, a presto!
ale03
grazie!
Io tento di immedesimarmi, di scrivere come se so stessi vivendo, ma ho paura
di sbagliare, paura che in ogni singolare caso si abbiano dei pensieri diversi
e tento di mettermi nella testa della mia Bella… Insomma, tento di far
diventare tutto realistico!
m_aljen
ma no,
non ti preoccupare, non sei stata tu a buttarmi giù, davvero. Sono state le
altre mie lettrici, quelle veterane delle altre storie che hanno cominciato a
dire “oh, ma è troppo difficile!” In realtà si preoccupavano solo, secondo me,
del fatto che potessi rallentare con la scrittura dell’altra storia… Non mi
devi delle scuse, affatto. Non posso capire i tuoi problemi, e non ti chiedo di
dirmeli, ma posso comunque comprenderti. E comunque era un tuo pensiero e tu
l’hai espresso, hai fatto benissimo. Grazie ancora per i complimenti.
damaristich
XD
devo dire che sei davvero simpatica! J Grazie per il tuo apprezzamento, ma lo sai
benissimo anche tu che la tua storia è nella MIA di top five! J
cullengirl
grazie!
J A qualcuno,
giustamente, sono gusti, non è piaciuto questo mio tentativo di immettere nelle
fantasia surreale un pizzico, anzi una manciata direi, di vita reale in più… E
questo nuovo rapporto che si instaura tra Bella e Edward è un po’ particolare…
Volevo far sentire anche un po’ Edward nei panni di chi tenta di afferrare
l’aria, di conquistare qualcosa di effimero, leggendario nel caso di Bella,
problematico nel caso di Edward…
barbyemarco
beh…
ecco… diciamo che mi sono immedesimata… e che ci sono andata molto vicina…
Grazie dei complimenti, sei sempre un tesoro! J
cloe
cullen Non ti preoccupare non è stata colpa tua! J O almeno, non
totalmente, è stata la somma di tutte le recensioni che mi stava facendo
diventare pazza! E io mi dimostro spesso come persona forte coraggiosa, ma in
realtà sono molto insicura, fragile, sensibile, emotiva… Quindi sono andata in
paranoia… Soprattutto non riesco a sopportare il fatto che qualcuno si aspetti
qualcosa da me… Mi mette inquietudine! ^^ Grazie della recensione cmq… J Posta presto… (Ok,
questa è una costante XD)
lory_lost_in_her_dreams Ciao! J La storia è solo agli
inizi, come vedi, e poi Bella, non è che “odia” Edward… Le ha sconvolto
l’equilibrio poverina! Ma ti prometto che d’ora in poi tutto andrà meglio, vedrai!
J Grazie mille per tutti
i complimenti!
IsAry
con i
sospetti ci siamo, ma la verità… beh, quella è ancora lontana… E comunque, per
ora basta che sia così premuroso, poi si vedrà! ^^
Cullenuzza
Grazie
mille! Beh, non è da molto che l’ho pubblicata… ^^ Spero che argomento
difficile o meno piaccia anche solo un po’ a qualcuno, e soprattutto che
nessuno abbia “attese” particolari… Odio sentirmi sottopressione…
mazza
e si
lo so… … Ma tu devi considerare che non è la stessa cosa. 1.A te la critica era
solo una, la mia. :D come al solito mi faccio riconoscere eh… 2.Non è che mi
sia dispiaciuta la critica, più che altro sembrava che nessuno riponesse
fiducia in me!!! Tutte dicevano “argomento difficile, vedremo…”, ecco, io a
quel vedremo diventavo blu, crisi respiratoria… Mi sento sempre agitata
quando mi sento sotto controllo! PS. Grazie dei complimenti…
_la sua
bella_ grazie! J Ma no dai, anche le altre ripongono fiducia in me, sono io che
sono paranoica! ^^ E cmq grazie, è bello sapere che c’è almeno qualcuno di cui
mi posso fidare sicuramente! Grazie ancora & Ciao… :*
crucci
cru,
hai fatto un macello!!! Ho dovuto leggere la recensione tre volte prima di
estrarne un significato logico, però poi, quando l’ho capito… beh… grazie cru
*.* Hai visto che con le cose che ho aggiunto si capiva di più? u.u
Wind
si
infatti è proprio quello che mi ha detto la mia amica crucci! J E io ho seguito il
consiglio, spero solo di non aver combinato macelli! ^^
Lau_twilight
grazie!
Almeno qualcuno che ce l’ha! J Questo capitolo serviva proprio come spiegazione di tutta la
“baracca” eheh… e poi non è che lo respinge, perché ogni volta che lo vede se
ne sta imbambolata a fissarlo!
Hanairoh grazie mille! ^^ In
questa fan fiction, infatti, sento di avere molto più controllo linguistico,
rispetto a quando ho cominciato a scrivere, sarà l’esperienza. Anch’io ho
familiarità con persone bulimiche, ed è stato questo fatto a spingermi a
scrivere. Non vorrei passare come una moralista però, è pur sempre fantasia…
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Capitolo 4 *** Ricerca ***
«Bella
«Bella!» mi sentii chiamare, quando riposi il vassoio
della mensa.
Sapevo perfettamente a chi appartenesse quella voce, e
mi sarei fermata volentieri a parlarci. Volevo chiedergli spiegazioni, per quello
che era successo in palestra, ci avevo pensato per tutto il week-end. Ma in
quel momento avevo qualcos’altro di importante da fare.
Mi voltai e feci per andarmene diritta verso il bagno,
ma lui fu più veloce e si piazzò di fronte a me, sbarrandomi la strada con un
sorriso. «Beh, come va il labbro, tutto bene?».
Feci per morsicarmelo, in un abituale gesto di
nervosismo, ma incontrai l’impedimento di due punti e una piccola fitta di
dolore.
Edward sorrise della mia smorfia. «Se la smetti di
torturartelo, magari andrà meglio…» sghignazzò, poi cambiò espressione. Tese
una mano a mezz’aria, avvicinandola piano alle mie labbra, come se fosse
incerto se continuare o meno. Sul suo volto non c’era più il sorriso, sembrava…
concentrato. Sentivo il cuore battermi con una furia pazzesca nel petto. Con la
stessa lentezza arrivò fino a sfiorarmi il labbro nel punto leso e poi si
ritrasse, come scottato. Il suo tocco, era stato gelido.
Era stato come se il tempo si fosse fermato. Un attimo
magico. Che sciocchezza. Recuperai un minimo di lucidità e mi ricordai che
avevo qualcosa di importante da fare e l’irritazione per quel ragazzino che mi
stava trattenendo vinse sull’annebbiamento. «Perché te ne sei andato Venerdì?»
sbottai.
Lui sembrò disorientato e sorpreso dalla mia domanda,
ma in breve tempo nascose quelle emozioni e la sua voce assunse un tono
dispiaciuto. «Scusa, è che sono un po’ sensibile alla vista del sangue…».
«Oh» dissi solo. Anch’io parvi sorpresa dalla sua
risposta, come se mi fossi aspettata tutto meno che quello. Mi sembrava troppo…
banale. «E… come mai… non sei venuto a biologia?» chiesi tentando di cambiare
argomento.
Scoppiò in una breve risata. «Scusami… è che sembra
che tu mi stia facendo un terzo grado».
Arrossi per le sue parole. «Hai ragione, scusa, devo
andare» disse saettandogli accanto.
«No, Bella, scusami, non volevo…!» sentii dire, ma ero
già troppo lontana.
Mi fiondai in bagno, senza neppure badare a scansare
chi mi stesse intorno.
Quando mi sciacquai il viso sentii un dolore, più
forte e distinto, appena sotto il diaframma. Era una cosa da nulla, ne ero
certa. Assurdo. Respirai piano una boccata d’aria, aspettando che la fitta si
calmasse. Osservai l’orologio: ero già in ritardo! Presi la bottiglia d’acqua
dallo zainetto e ne bevvi un lungo sorso e senza pensare a quel fastidio, mi
avviai di fretta verso l’aula di biologia.
Edward era seduto al suo posto, ma il professore non
era ancora arrivato. Mi avvicinai accanto a lui e mi sedetti sul mio sgabello
abituale, tentando di assumere un’aria indifferente e concentrandomi sui miei
gesti. Sistemai il quaderno degli appunti e misi in perfetto ordine la penna e
la matita.
«Bella» mi sentii chiamare ancora.
Cercai di ostentare disinvoltura, voltandomi verso di
lui. «Si, Edward?».
Sembrava titubante e triste. «Scusami per prima, non
volevo offenderti…». I suoi occhi ambra da cucciolo splendettero di nuovi
riflessi. Era così… tenero. Provai una gran voglia di consolarlo.
«Oh, non ti preoccupare» la mia mano scivolò con
naturalezza sulla sua, sempre ghiacciata, e lo sentii fremere. «Non me la sono
presa».
Sfoderò un sorriso brillante, ritraendo con
delicatezza e disinvoltura la mano dalla mia. «Bene, meglio così».
Gli restituii il sorriso, un po’ in ritardo forse,
appena mi ripresi dall’annebbiamento.
In quel momento il professore entrò in classe con un
mucchio di cartelline blu sbiadito in mano.
«Bene ragazzi» disse passando fra i tavoli e consegnando
una cartella per banco «aprite la cartella e leggete l’argomento che vi è stato
assegnato. Voglio una bella relazione sull’argomento che vi è stato assegnato»
Il professore si bloccò un attimo per far scemare le lamentele degli studenti.
«Dovrete produrre una relazione scritta accompagnata da un lavoro creativo, se
possibile un cartellone o un disegno o ancora meglio sarebbe un video. Oh,
ovviamente è un lavoro da fare a coppie, con il proprio compagno di banco…».
Sgranai gli occhi. Lavoro di gruppo col compagno di
banco? Oh, no. Voltai lentamente il capo, tentando di non tradire nessuna
emozione, fino a incrociare lo sguardo allegro di Edward.
«E così siamo in coppia collega!».
«Già» dissi, tentando di ostentare entusiasmo.
Lui rise. «Sbaglio o non ne sei tanto contenta?».
Cercai immediatamente di assumere un tono più allegro.
«Oh no no, è ecco che… beh si, avremo più lavoro da fare a casa, tutto qui…»
per nascondere il mio patetico tentativo di scusarmi, tentai di cambiare
argomento «Che argomento ci è capitato?».
«L’interferenza dei funghi sul ciclo vitale delle
piante. Beh, sembra un argomento interessante, vero?! Forse dovremmo andare
a fare un piccola gita nella foresta…».
Storsi il naso in una smorfia.
«Non ti piace la foresta, eh!?» sghignazzò. «E non ti
piace la trigonometria e non credo neppure che ti piaccia la palestra…»
concluse sorridente indicando la mia piccola ferita.
Sorrisi mesta «E’ così facile comprendermi…».
Lui sembrò farsi serio. «Oh, no, al contrario, per me
sei molto difficile da leggere». Sulle sue labbra ritornò un piccolo sorriso
«Perciò, per evitare di scervellarmi, potresti dirmi cos’è che invece ti
piace?».
Tu, mi piaci tu.
Cosa? Fui sorpresa dalla mia stessa risposta mentale. «Emm… difficile dirlo
sai? Mi… mi piace il caldo, e il sole…» ammisi, ripensando al luogo in cui ero
cresciuta.
«E come mai allora ti sei trasferita a Forks?»
Sembrava sinceramente curioso.
Sobbalzai a quella domanda. «Ehi, adesso sembra che il
terzo grado me lo stia facendo tu…».
«Giusto, scusa. Avremo modo di parlarne stasera,
possiamo cominciare la nostra ricerca… Ti va bene se la facciamo a…».
«A casa mia!» lo interruppi. Meglio giocare in casa…
Dopo un attimo di esitazione sembrò d’accordo con me.
«Certo, va bene».
«Bene a stasera allora, alle cinque va bene per te?»
Dovevo avere il tempo di fare tutto il resto.
Lui sembrò un po’ sorpreso dall’orario tardo, ma
acconsentì senza dire nulla.
Il professore ci richiamò all’ordine per darci
ulteriori delucidazioni sulla relazione da svolgere. L’ora passò velocemente e ogni
tanto mi sembrava che Edward guardasse nella mia direzione, ma io mi vedevo
bene dal controllare. Sentivo che quando parlavo con lui era semplice dire ciò
che pensavo, anche troppo. Dicevo tutto quello che mi andava con naturalezza e
mi accorsi che la sua felicità mi stesse particolarmente a cuore. Era come se
fossimo in sintonia perfetta. Mi sembrava troppo strano, lo conoscevo da così
poco tempo e non avevo mai provato nulla di simile con nessun’altro.
Fortunatamente non dovetti andare in palestra - avevo
un certificato medico dopo l’incidente del venerdì -, sfortunatamente non avrei
visto Edward. Che pensiero sciocco. Visto che ero uscita un’ora prima ne
approfittai per andare a fare la scorta di generi alimentari nei ai minimarket,
tavole calde e supermercati di Forks. Tornata a casa sistemai in giro, in vista
della visita che attendevo, e mangiai.
Anche questa volta, dopo aver vomitato, sentii quello
spiacevole fastidio sotto il diaframma. Mi accorsi, stupendomi di non averlo
fatto prima, che il dolore si faceva presente quando cominciavo a mangiare. Era
davvero assurdo. Si insomma, io non provavo dolore, non mi era mai capitato,
non era da me. Aspettai qualche minuto che si calmasse, convincendomi del fatto
che fosse una cosa da nulla, ma il dolore non accennava a diminuire. Erano già
le quattro e mezza, Edward sarebbe arrivato di lì a poco, così, feci qualcosa
che non avevo mai fatto.
Andai in cucina e presi dall’armadietto dei medicinali
l’antiacido che usava ogni tanto mio padre. Non ero sicura che potesse fare
effetto, ma non mi restava altro che tentare.
Mi appoggiai al tavolo della cucina e con il mento
sulle braccia.
Edward era davvero molto gentile con me. Nessuno lo
era mai stato. Forse era per questo che con lui mi sentivo a mio agio, ma poi
pensai che io a nessun altro avevo dato la possibilità di essere così gentile
con me. Mi faceva sentire così a mio agio, me stessa. Non pensavo quasi a miei
problemi quando ero con lui. Lui forse… si magari avrei dovuto dargli
l’opportunità di diventare mio amico. Lo volevo davvero al mio fianco, anche
più del lecito.
Mi accorsi di stare meglio, non sapevo se fosse stato
per l’effetto del medicinale o per il semplice passare del tempo, ma il dolore
si affievolì fino a lasciare solo un piccolo dolore fastidioso.
Decisi di chiamare mio padre per informarlo del fatto
che Edward sarebbe venuto a casa.
«Capo Swan».
«Papà?».
«Bells è successo qualcosa? Ti sei fatta di nuovo
male?». Dopo la storia della palestra Charlie era diventato iperprotettivo e
decisamente troppo attento per i miei gusti.
«No no papà, non è successo niente. Solo… beh un mio
amico sta venendo qui perché dobbiamo fare una ricerca insieme, ti dispiace?».
«A no Bells, va bene non ti preoccupare» sembrava davvero
contento «Avevo intenzione di andare da Bill stasera quindi non ci sono
problemi, fai pure…».
In quel momento il campanello suonò.
«Arrivo» gridai, coprendo con una mano il microfono
della cornetta. «Ti devo lasciare, è arrivato».
«Ok, mi raccomando, fate i bravi!».
Riattaccai e andai ad aprire la porta. Edward mi
aspettava con lo zaino in spalla, i capelli umidi e scuriti dalla pioggia. Una
visione assolutamente ammaliante.
«E…entra o ti prenderai un raffreddore» balbettai
quando riuscii ad acquistare un minimo di controllo di me stessa.
Lui sorrise, come se avessi appena fatto una battuta
sarcastica, ma non disse nulla e entrò.
Lo invitai a sistemarsi sul tavolo in cucina e andai
di sopra, in camera mia, a prendere i libri che avevo abbandonato nello zaino.
Feci tutte le scale di corsa e all’ultimo gradino, come prevedibile, inciampai.
Ma, anziché finire stesa a terra, mi ritrovai sorretta dalle braccia di Edward.
Strano, non l’avevo visto arrivare.
Con un movimento fluido e disinvolto mi aiutò a
rimettermi in piedi. Scrutai il suo volto in attesa di trovare il suo sorriso
divertito, ma tutto ciò che vi lessi era una maschera di concentrazione e
serietà. Senza dire nulla ritornò in cucina. Io lo seguii con altrettanto
silenzio, confusa dai suoi gesti.
«Da dove vuoi cominciare?» chiesi sedendomi di fronte
a lui.
Piano prese un respiro, ed ebbi l’assurda sensazione
che prima non stesse respirando. «Prima di tutto vediamo che dice il libro di
biologia, tu puoi sottolineare da pagina venti in poi, io faccio quelle che
stanno prima, va bene?».
«Si certo».
Cominciammo a lavorare in silenzio. Il tempo scorreva
e io sentivo solo il rumore della penna sul foglio.
Avevo però addosso, lo strano presentimento che Edward
mi stesse nascondendo qualcosa. Riconoscevo bene - in me stessa -, il suo
atteggiamento evasivo, il mutare incostante del suo carattere lunatico e tanti
altri piccoli dettagli di stranezza. Che anche lui avesse il mio stesso problema?
«Edward… ti andrebbe uno spuntino?» chiesi tentando di
dare una risposta ai miei pensieri.
Lui sollevò il viso concentrato dal foglio,
sorridendomi «No, grazie».
Nello stesso istante in cui mi sorrise, malgrado le
sue parole suggerissero il contrario, cambiai idea. I suoi denti erano bianchissimi.
I miei non erano affatto simili. Lui non poteva avere il mio stesso problema, o
perlomeno, non proprio.
Ricominciammo a lavorare, ancora una volta in
silenzio. Allora chissà cosa poteva nascondere, ammesso che nascondesse
qualcosa. Ripensai a come fosse evasivo e freddo nei confronti di tutti gli
altri studenti. Anche Jessica l’aveva detto. Ma poi, pensai a un dettaglio che
non avevo precedentemente valutato. Anche la sua famiglia era evasiva e tendeva
ad isolarsi. Chissà da che città o paese veniva. Se l’avessi chiesto a Jessica
sicuramente lei avrebbe saputo darmi una risposta, senza però riservarmi dal
chiedere indiscrezioni.
«Come mai tu e la tua famiglia vi siete trasferiti
qui?»
Parve sorpreso dalle mia domanda e mi fissò
accigliato.
Mi mossi imbarazzata sulla sedia. «Scusa… Non devi
dirmelo per forza…»
«No, figurati» disse lui, sorridendomi e facendo
andare il mio cuore a mille. «Ci siamo trasferiti qui da Denali, in Alaska,
perché mio padre - il dottor Carlisle Cullen - ha ottenuto un posto
all’ospedale di Forks».
«Oh…» dissi, come se dalla sua storia mi aspettasi
qualcosa in più «e i tuoi fratelli, come si chiamano?».
Lui rise. «Facciamo così, io ti racconto qualcosa di
me e tu mi racconti qualcosa di te, d’accordo?».
Sussultai. «No… io non parlo mai di me…» borbottai a
mezza voce, impossibile che mi sentisse. Mi voltai verso la finestra, da cui si
notava lo scrosciare della pioggia, tentando di controllare il magone.
«Scusami, avrei dovuto tenere la bocca chiusa…».
«No Bella, va bene non ti preoccupare». Sentii un
contatto freddo su una mano e sussultai. Lui ritrasse la sua dolcemente e
cominciò a raccontarmi, guardando il vuoto come per concentrarsi. «Mia madre,
Esme, non può avere figli e così lei e mio padre Carlisle ci hanno adottati,
tutti e cinque». Fui sorpresa dalle sue parole. «Rosalie, la ragazza bionda, e
Jasper, il ragazzo alto e biondo, sono gemelli e sono in affidamento. Emmett, è
quello alto e grosso, con i capelli scuri, io, e Alice, la ragazzina minuta con
i capelli corvini, siamo stati adottati fin da piccoli» Ritornò con lo sguardo
su di me, sorridendomi con aria cospiratoria. «E ora preparati alla parte più
succulenta della storia, Alice e Jasper, Rosalie e Emmett stanno insieme».
Avvertii chiaramente la sensazione di sollievo quando
capii che lui non era impegnato. E poi, la sorpresa per quella sensazione. «I
tuoi genitori devono essere davvero delle brave persone».
Lui annuì. «Lo sono, ma speravo rimanessi più colpita
dall’ultima parte del racconto» sghignazzò.
«Oh, ma lo sono!» dissi fingendomi sorpresa e
interessata «Questa si che è una notizia, se lo scoprisse Jessica… brr».
Lui rise e in breve mi unii anche io. Da tantissimo
tempo non mi sentivo così sollevata e spensierata. Me stessa.
«Sei davvero simpatico sai?» dissi di getto,
arrossendo poi subito dopo.
Lui parve contento di quelle mie parole. «Grazie,
anche tu».
Si passò una mano fra i capelli bronzei,
ravvivandoseli, e mi riscoprii a fare lo stesso gesto.
«Che cos’hai lì?» mi chiese curioso, guardando il mio
dito indice.
Osservai il segno scuro alla base del dito. «Oh, emm…
niente di che… Quando ero a Phoenix portavo un anello e mi è rimasto il segno
dell’abbronzatura…».
Lui mi fissò accigliato, ma non disse nulla. Continuammo
il nostro lavoro in silenzio, interrotto da gradevoli battutine e scambi di
pareri.
«Finito» disse a un certo punto, mostrandomi il foglio
su cui, in bella calligrafia, aveva riportato il riassunto di quello che diceva
il libro.
«Uffa, io sono solo a metà. Ma come fai ad essere così
veloce?».
Lui ridacchiò e venne verso di me. «Dai, ti aiuto»
Prese una penna e si mise con una sedia alle mie spalle.
Il suo odore mi arrivò forte alle narici. Era dolce e
buono, meraviglioso. Mi irrigidii un attimo, per quella sensazione di
stordimento, e dopo qualche istante riuscii a lasciarmi andare, piano, sulla
sedia, un muscolo alla volta. Speravo che lui non si fosse accorto di nulla.
Mi passò vicino con una mano, senza però toccarmi in
alcun modo, e cominciò a sottolineare in silenzio. Ma non era lo stesso
silenzio gradevole che c’era stato prima. Eravamo tutti e due tesi, lo sentivo,
e nell’aria c’era elettricità.
Ricominciai a scrivere sul mio foglio il riassunto di
ciò che stava sottolineando, cercando di concentrarmi sulle parole da scrivere.
Respiravo piano, con la bocca, e non sentivo il suo fiato sul mio collo. Dopo
un tempo che mi parve un eternità, ma che doveva essere stato davvero breve,
finimmo di lavorare. Lui andò a sedersi di nuovo al suo posto, di fronte a me,
e riprendemmo facilmente la conversazione.
«Allora, come intendi svolgere la parte creativa?».
Ci pensai un attimo, ma non mi venne niente in mente.
«Non so, non ho buone idee, tu che ne dici?».
«Beh, se ti va potremmo davvero fare una piccola gita
nei boschi…» Ad una mia occhiataccia ridacchiò e poi continuò. «Sul serio
Bella, abbi un po’ di fiducia in me e vedrai che ti divertirai tantissimo. Ti
fidi di me?» chiese guardandomi di sottecchi.
Mi immobilizzai sul posto, perdendomi nei suoi occhi
ambra ipnotici. Come potevo dire di no a quello sguardo così intenso? «Va bene»
gli concessi infine, con un sospiro.
Sul suo volto comparve un sorriso luminoso.
Alzai un dito a mo’ di avvertimento. «Ma ti informo, a
fare trekking sono una frana, sono lentissima, e non ho il senso
dell’equilibrio.».
Lui fece spallucce. «Correrò il rischio».
Affinai lo sguardo. «Bene, ma non dire che non ti
avevo avvisato».
Lui scoppiò a ridere, e io lo seguii subito dopo.
«Quando ci rivediamo?» chiesi poi.
«Domani non posso, vado a fare escursioni con la mia
famiglia quindi non ci sarò» In quel momento ebbi un insano moto di delusione.
«Ma già dopodomani rientro e ci potremmo vedere mercoledì».
«Perfetto, sempre alle cinque a casa mia, va bene?».
«Anche prima se vuoi».
Mi rabbuiai e presi ad osservarmi le mani. «Emm, no,
meglio di no, prima ho un impegno…».
Sentii un dito freddo sotto il mento e alzando gli
occhi incrociai lo sguardo di Edward che mi fissava incuriosito. «C’è qualcosa
che non va, Bella?».
«No!» risposi subito, forse con troppa veemenza. «No,
nulla. Lascia stare Edward, nulla… davvero».
«Mi sorridi?» chiese lui, spiazzandomi.
«Come scusa?» chiesi disorientata.
Lui sorrise e ripose la domanda. «Mi sorridi? Per
favore…».
Feci come mi diceva, facendo comparire sulle labbra un
sorriso timido.
Parve contento. «Sei davvero bella quando sorridi, non
ti rattristare per favore».
«O…okay» risposi stordita, arrossendo per il
complimento.
Tolse il dito da sotto il mio mento. «Bene, direi che
è ora di andare» disse cominciando a raccogliere le sue cose. «Dovrai cenare e
non ti voglio far fare tardi…».
«Oh, no, anzi scusami se non ci ho pensato, ti vuoi
fermare per cena?» chiesi titubante, mordicchiandomi il labbro.
Lui ridacchiò. «No, non ti preoccupare, ho già
mangiato».
«Anch’io» risposi in fretta. «Vuoi fermarti a…» cercai
nella mia mente un qualsiasi modo per trattenerlo «Vedere un film? Non è poi
così tardi e mio padre stasera è fuori, quindi dovrei rimanere sola…».
Lui mi scrutò in viso, pensieroso. «Sicura che vuoi che
resti?».
«Certo» risposi contenta, con un sorriso.
Fece spallucce. «Va bene, mi fermo ancora un’oretta,
però fammi chiamare a casa per avvisare, va bene?».
«Oh sisi, fa pure!».
Intanto che lui telefonava, io, contentissima, corsi
in soggiorno a sistemare il videoregistratore e a prendere le cassette, poi lo
invitai a sedersi sul divano e a scegliere il film e andai in cucina a
preparare i pop-corn.
Mi bloccai un attimo, valutando se fosse saggio
mangiare di fronte a lui. Ci pensai un po’ e infine decisi che si poteva fare,
mi sarei concentrata e ce l’avrei fatta.
Mi avviai nel soggiorno con la ciotola in mano e mi
sedetti sul divano accanto a lui.
«Scelto il film?» chiesi posando la coppa dei pop-corn
sul tavolino di fronte al divano.
«Si certo, spero che tu ti fidi dei miei gusti».
«Ma certo!» risposi contenta.
Il film era davvero carino, sentimentale e romantico,
ma anche con una giusta punta d’azione. Non sapevo che mio padre avesse film di
quel genere.
La serata passò piacevolmente, e ridendo e scherzando
sui protagonisti del film e sugli effetti speciali scadenti.
Mi accorsi di essermi addormentata, solo quando mi
risvegliai, al buio, nel soggiorno, coperta dal giaccone di Edward.
Lo presi fra le mani e ne inspirai il profumo.
Delizioso, come al solito. Rimasi qualche secondo a crogiolarmi nel suo
profumo, poi mi alzai e andai ad accendere la luce. Mio padre non doveva essere
ancora tornato, erano ancora le dieci e mezza. Mi stiracchiai e l’occhio mi
cadde sulla coppa dei pop-corn vuoti.
Come un lampo nella mia mente saettò il ricordo
dell’immagine di me che mangiavo. Edward non aveva toccato cibo.
Improvvisamente colta da un violento attacco di nausea
corsi in bagno a vomitare. Quando mi sollevai notai che sul bordo del labbro
avevo tre minuscole gocce di sangue e il dolore allo stomaco tornò bruciante.
Impossibile, ancora una volta, che provassi quel
dolore. Impossibile.
Sdraiata sul freddo pavimento del bagno, non riuscivo
a capire come potesse essere successo così velocemente, all’improvviso. Non era
da me provare dolore. O perlomeno, dargli ascolto. E non era possibile neppure,
che il dolore si facesse sentire già così acuto. In così breve tempo.
Improvvisamente, ebbi una rivelazione.
Non era il dolore ad essere aumentato. Ero io, ad
essere cambiata. Se prima non lo ascoltavo, o mi crogiolavo nel dolore, ora
invece, che non volevo più averne a che fare, lo percepivo.
E tutto era cominciato quando avevo conosciuto Edward.
Ok,
ragazze, l’approfondimento è questo qui…
Il
rapporto si sta intensificando, ma non vorrei correre troppo con i tempi
quindi… andiamo con cautela… Si conoscono praticamente solo da una settimana!
Quindi…
prossimo capitolo mmm… ho una certa idea e vediamo come la metterò in pratica.
Ah, e per favore, niente allarmismi!!! Ok?! Bene…
Oggi ho
così poco da dire, di solito mi devo contenere, ma non oggi… forse perché ho
semplicemente fretta di postare! Forse si…
Ok, ciao
care, a presto!
PS. In
bocca al lupo e chi ha la maturità e grazie di tutte le recensioni, i preferiti
e i seguiti e anche ai semplici lettori!
patu4ever già! Anche se qui da me
il tempo è pazzerello… sembra Marzo… un po’ fa freddissimo un po’ si muore di
caldo! Prometto di non farti preoccupare più giurin giurello! E di continuare
magari a trasmettere qualche emozione… J
twilight_the best grazie! E cmq, non può
esserci felicità se prima non c’è tristezza! ;) Quindi ti prometto che presto la
felicità arriverà! (mi sa tanto di massima cinese… :P) XD
bigia grazie, ma ormai è
passato tutto! La decisione è stata presa e sento che ora che la posso fare.
Certo, l’impegno dovrà rimanere costante, se non crescere sempre più, ma ti
assicuro che ce la metterò tutta!
azaz Ciao! Tesorina! sisi,
ormai la depressione è solo un brutto ricordo! Ora mi posso fare internare in
una stanza bianca, con le pareti imbottite ma soprattutto… con un pc con la
connessione a internet!!! Oh, che belle vaita sarebbe! *.* Beh, magari se mi
passassero sotto banco anche qualche libro… e magari qualche dose di metadone…
oh si ecco, sarebbe la mia vita ideale! No, ok, sto scherzando… Troppa fantasia
fa male, ma io l’ho detto che sono un po’ pazza… Si è già un po’ intravisto il
carattere puccioso di Eddy? Che carino che è no? Si è comportato proprio bene!
E cmq dai, si stanno avvicinando adesso e con il problema del vampirismo ci
sarà qualche problemuccio direi… eheh ma poi vedrai che sarà tanto bello quando
Ed caro l’aiuterà! *.* E poi si la gelosia con Mike è bella perché è infondata,
ma quella con Jacob non la sopporto invece… Perchè quella è fondata invece e
non dovremmo essere così!!! Mh. Il mio odio per il cagnaccio trapela sempre...
ogni volta che leggo le recensioni aspetto sempre con ansia la tua! J
cullengirl si è vero è proprio una
brutta cosa… Però la vera natura di Edward… Mmm… diciamo che ci sarà un
problema per scoprirla… vedrai… J
luisina Ciao carissima! sto facendo del mio
meglio per tentare di non sbagliare niente e di immedesimarmi! Dico “cosa farei
se fossi io nella sua stessa situazione?” e poi penso a com’è il carattere di
Bella e com’è quello di Charlie e mi dico “si, ok, può andare!”… Mi devo
scervellare un po’, ma farei questo ed altro pur di scrivere bene questa storia
che si sta rivelando la mia odissea! Spero di superare la maga Circe e Ciclope
di andare avanti nonostante tutto! J E spero che l’ “approfondimento” ti sia
piaciuto! XD
Lau_twilight grazie! E io marcerò
decisa e sicura per la mia strada a fronte alta come un bravo soldatino! Dico
davvero! XD No, ok… prometto di non adagiarmi sugli allori perché con questa
storia devo stare sempre all’erta!
barbyemarco mmm… guarda che l’altro
non è stato molto lungo… cioè, per i miei canoni di enorme
prolissità… non so neppure se si dice
prolissità… si ok, word non me l’ha sottolineato quindi si dice! ^^ E comunque,
in sostanza volevo dirti che sono contenta di non averti annoiata!
Losch oh… ho letto la prima
frase e sono crollata, poi con il resto mi sono ripresa! ^^ Si, so che è una
cosa molto complicata e che si soffre molto quando si ha accanto una persona
che la vive in prima persona! Grazie di tutto, a presto!
IsAry Grazie! Non mi sono
fatta attendere molto, vero?! Sono sempre un po’ in ritardo! ^^ Scusate!!! E
cmq ora Edward sarà molto più vicino a Bella, visto, no?!
MartinaCullen Grazie. Di tutto.
Tanto, per i complimenti, ma soprattutto, per quello che mi hai detto. Perché
se so che la mia storia può aiutarti anche solo minimamente a non fare ciò che
hai pensato o cominciato a fare, allora, sono davvero contenta, ho raggiunto il
mio scopo. C’è un motivo per cui sto scrivendo questa storia, più profondo di
quello che si possa credere, ma non lo dirò ora, no, non ancora. O forse mai.
Forse all’ultimo capitolo svelerò qualcosa in più su di me, ma non ancora. Nel
frattempo, solo grazie. Non prendertela con chi mi fa le critiche, è giusto che
sia così, essere criticati aiuta a crescere e a migliorarsi e io voglio farlo,
con tutta me stessa. Ti auguro di vivere la tua vita con semplicità e serenità,
goderti ogni istante dei tuoi anni e di non sprecarla con questi problemi.
Spero davvero che tu possa riuscirci. Grazie ancora di tutto, e ciao.
Wind grazie allora, davvero.
Giuro che non mi demoralizzerò più, e andrò avanti per la mia strada
impegnandomi sempre di più e non dando mai nulla per scontato. E’ una sfida, e
la voglio vincere. Ad ogni costo. Grazie ancora di tutto.
Cullenuzza Sisi, posterò più
spesso promesso, parola di Francesca! ^^ In effetti la parte più difficile
dovrebbe essere passata ma non me la sento ancora di “abbassare la guardia”,
non sia mai che sbaglio qualcosa! E poi l’altra volta ci ho impiegato di più a
postare perché ho pubblicato due capitoli dell’altra storia. Ecco la
confessione! :P Non vi abbandonerò più, promesso!
Miky1991 Devo dire che tu, ma
soprattutto la tua coscienza siete molto simpatiche! Forse di più tu, va… si mi
sa di si… XD Beh, cosa dire di questa magnifica recensione, grazie! Devo dire
che quando ho cominciato, non scrivevo affatto così, tutto merito
dell’allenamento e delle critiche che mi hanno formata. Quindi, le critiche, mi
serviranno anche questa volta, e io saprò affrontarle, usarle e andare avanti.
Come non so, ma so che lo farò. E ti prometto che Edward le starà sempre
accanto e che l’aiuterà moltissimo e quando tutto questo finirà saranno davvero
bene insieme! Fidati… ;)
mazza sisi l’idea delle
caprette me l’hai data tu piccoletta, mi è rimasta impressa nella mente e ho
deciso di lanciarti una piccola “frecciatina” ;) Grazie per la fiducia, almeno
so di poter contare sicuramente su qualcuno! E questo mi rende molto più
tranquilla… ^^ Spero di non averti impressionata troppo, non vorrei turbarti! L’importante
è che la storia ti piaccia e che io riesca a comunicarti qualcosa… si insomma,
emozioni, sensazioni, pensieri, qualsiasi cosa! XD
Noemix Oh, ok, si wow, era
proprio ciò che volevo scrivere! Esatto, Bella sente che tutto le scorre
attorno troppo velocemente e non sa controllarlo. Giusto. Perché Alice spinge
via Edward?! Ma come, non hai capito che Bella stava sanguinando? Sai, Edward
tende ad avere qualche problema a controllarsi con il sangue di Bella,
soprattutto ai primi tempi! ^^
lory_lost_in_her_dreams
Grazie!
Beh si, in effetti sono una persona che soffre molto quando deve prendere una
decisione, ma una volta che l’ha presa, la segue e non demorde. In questa
storia ho deciso di far vedere tutto il lato più gentile di Edward! E hai
indovinato alla perfezione sia per la pallonata che per il sangue! Brava ;)
Amalia89 Ok, grazie, si non ti
preoccupare, l’avevo capito che ti stavi riferendo alla trama e non al mio
stile di scrittura, infatti mi sembrava di averti comunque ringraziata e se
non l’ho fatto, lo faccio adesso. Apprezzo molto che tu mi abbia detto quali
sono i sintomi che compaiono… Ecco, si, ho cercato molto in giro e il problema
di Bella è anche piuttosto avanzato e grave. Infatti, si, ho accennato nello
scorso capitolo a dei problemi di Bella e con il chiaro intento di posare un
mattone per tutti i problemi futuri e alla grave situazione in cui si troverà
nel giro di pochissimo tempo. Grazie comunque per avermelo detto. E scusa, le
la mia risposta è lunghissima, ma ti voglio spiegare tutto. Bella evita il suo
dolore. In un certo senso è anche un po’ masochista, crede di meritarselo, per
questo non ci fa caso, ma comunque la sua situazione è più grave di quello che
pensa. Il motivo di questo suo sentirsi in colpa si capirà con il tempo. PS.
Non ti prendo affatto per una “so tutto io”! ;) Non ti preoccupare di dirmi ciò
che pensi, ma ti assicuro che mi sono documentata. Mi rendo conto che la
situazione di Bella è davvero grave, ma ti chiedo, se ancora vorrai continuare
a seguire la storia di aspettare qualche capitolo e se avrò sbagliato qualcosa,
ti prometto che tenterò di sistemarlo! PPS. Non ti preoccupare per dove hai
messo la recensione! J
JessikinaCullen non ti preoccupare,
tutto si chiarirà… Non subito, ma fra un bel po’, comunque si chiarirà! E poi
ora ormai la sfida è cominciata, mi sono armata di cinturone, tuta mimetica,
fascia ecc ecc… Sono pronta, militari, fatevi avanti! XD Grazie di tutto, a
presto…
Bella_Cullen_1987 XD beh allora dimmi
dove si trova perché ci voglio andare anch’io!
midnightsummerdreams
grazie!
^^ Beh, si in effetti mi sono documentata tantissimo e ho tentato di entrare
nella testa di Bella per capire cosa potesse pensare! Non è stato tanto facile,
stavo per ritornare normale, meglio rifugiarsi nella follia! :P
Luna95 beh, si era facilmente
intuibile che avesse preso una pallonata! O no?! XD E per quanto riguarda la
farmacia, a cosa ti riferisci? Che mi ricordi non ho mai scritto che andasse in
farmacia… Forse ti riferisci a quando è andata al supermercato a comprare del
cibo… al primo capitolo?
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Capitolo 5 *** Porto sicuro ***
Angosciata, mi avviai verso la mia classe, non potendo fare a meno di
divorare nel frattempo una stecca di cioccolata
Angosciata, mi avviai verso la mia classe, non potendo
fare a meno di divorare nel frattempo una stecca di cioccolata. Ora, solo ora,
mi ero resa conto dei problemi che la bulimia portava con sé, e tutto questo
per colpa di Edward Cullen.
Appallottolai la carta e la buttai per terra,
prendendo un’altra barretta, aprendola con foga e mangiando anche quella.
Ma non pensavo affatto di smettere. No. Quello
assolutamente fuori discussione e non mi era passato neppure per la testa. E
poi… Non poteva essere così grave. Vero?! Al diavolo!
Sbattei la porta dell’aula, entrando di gran passo e
lasciandomi cadere al mio posto, in silenzio. Nessuno disse nulla, neppure il
professore. Ormai mi conoscevano abbastanza bene da evitare il mio
comportamento lunatico quando ero in fase scontrosa.
E poi… Non capivo da dove venisse tutta quella rabbia,
quella frustrazione che sentivo dentro. Accidenti! Sarei dovuta essere
spaventata forse, preoccupata. E invece no. Ero solo arrabbiata… e anche
triste. Ma non riuscivo, non potevo imputarlo all’assenza di Edward.
Per tutto il tempo rimasi in silenzio, per tutte le
ore di lezione, senza fiatare. Solo… quando arrivai all’ora di biologia,
vedendo il banco accanto al mio vuoto, scoppiai in lacrime. Era una cosa
irrazionale, stupida, e infantile diamine! Infondo era solo andato in campeggio
con la sua famiglia!
«Bella?» mi chiamò il professor Banner, preoccupato
«ti dà fastidio la vivisezione delle rane? Vuoi uscire?».
Alzai lo sguardo e notai che tutti mi osservavano. Mi
voltai nuovamente verso il professore e annuii vigorosamente.
«Vuoi che qualcuno ti accompagni?».
«N…no» balbettai.
Lui mi sorrise, rassicurante. «Bene, vai pure
allora…».
Mi sollevai dal posto, facendo grattare la sedia
contro il pavimento, presi il mio zaino e uscii dalla stanza, quasi di corsa.
Mi rifrugai negli spogliatoi della palestra, dove non
c’era nessuno. Presi una busta di patatine dello zaino e cominciai a mangiare. Il
fastidio questa volta arrivò quasi subito, mentre mangiavo, ma masochisticamente
lo ignorai e finii tutto il pacco. Poi presi qualcos’altro e mangiai anche
quello.
Il bisogno di Edward. Solo quello riuscivo a sentire. Mentre
mangiavo, seduta con le gambe incrociate sulla lunga panchina, mi dondolavo
avanti e indietro con la testa. Davanti ai miei occhi vedevo un sorriso
splendente, degli occhi ambrati e dei capelli bronzei. Perché? Perché pensavo
costantemente a lui?
Mi accorsi che quel fastidio appena sotto lo sterno,
si era trasformato in qualcosa di molto più simile al dolore. Mi alzai in piedi,
e già mi sentii meglio. Corsi in bagno e vomitai. Mi sentivo un vero schifo,
così bevvi un’intera bottiglietta d’acqua. Misi in bocca una chewingum alla
menta e cominciai a masticarla; quella fu davvero una pessima idea. La sputai
in men che non si dica e mi misi a sedere nuovamente sulla panchina negli
spogliatoi.
Notai che fuori c’era il sole. Assurdo. Di solito,
quando c’era il sole me ne accorgevo sempre, erano così rare quelle giornate a
Forks. E proprio per questo, mi stupii ancora di più. L’assenza di Edward aveva
cambiato le sorti di una giornata come quella.
Negli spogliatoi iniziarono ad entrare ragazze, che
uscivano e entravano. Di malavoglia, indossai la tuta e mi avviai in palestra.
Jessica, che se ne stava in un angolo, a chiacchierare
con Lauren e Tyler mi fece segno con la mano di avvicinarmi. Strabuzzai gli
occhi. Era forse impazzita? Io non mi avvicinavo mai a chiacchierare, tanto meno
quando era in compagnia di altri che non fossero Mike o Angela e per giunta
quando ero di cattivo umore.
Incerta, non potei far altro che avviarmi verso di
lei, anche solo per metter fine ai suoi fastidiosi richiami, che spostavano
l’attenzione di tutti gli studenti su di me.
«Che c’è Jess?» chiesi dondolandomi sui talloni e
lanciando occhiate furtive agli altri due, che mi fissavano un un’aria strana.
Iniziò a parlare come un fiume in piena. «Bella!
Senti… sappiamo che stai facendo una ricerca con Cullen, è per questo che ieri
è venuto a casa tua, vero?».
«Ma certo» aggiunse Lauren, come a sottolineare che
quello poteva essere l’unico motivo per cui potesse essere venuto a casa mia.
«Si» dissi solo, arrossendo.
«E quindi?» incalzò. Mi sembrò assurdo che mi
chiedesse ancora informazioni sui Cullen, dopo il modo con cui avevo reagito
alle sue domande la prima volta che me le aveva poste.
«Jess…» dissi sbalordita.
Non sembrò affatto curarsi della mia reazione. «Dai
su, dimmi qualcosa, qualche informazione! Ti avrà sicuramente parlato di lui,
della sua famiglia…».
Mi strofinai una mano sulla fronte, nervosa.
Lauren mi incenerì con uno sguardo strano. «Non credo
sappia nulla…».
«S…senti… i…io devo andare…» balbettai confusamente,
allontanandomi da loro e andando verso la professoressa.
Durante tutta l’ora di palestra, li vedevo parlare,
sussurrare rivolti verso di me, e ogni volta che i loro sguardi si incontravano
con i miei si voltavano, ridendo, e lo stesso facevo io, diventando però completamente
rossa.
Dopo un po’ non ci feci più caso: l’irritazione, la
frustrazione e l’ansia erano giunte all’apice. Non mi davano fastidio in sé,
per il loro atteggiamento, ma odiavo le loro attenzioni. E anche questo per
colpa di Edward Cullen. Quel ragazzo mi stava sconvolgendo la vita. Assurdo,
non lo sopportavo.
Arrivata a casa, con l’umore peggiore di quello del
mattino, gettai le chiavi del pick up sulla consolle e mi avviai verso la
cucina alla disperata ricerca di cibo.
M’immobilizzai, raggelandomi, quando vidi Charlie
seduto su una sedia della cucina.
«Papà» sussurrai scandalizzata «che ci fai qui?».
Lui sollevò lo sguardo dal giornale che stava
leggendo, accorgendosi finalmente di me. «Oh Bells, sembra quasi che non ti
faccia piacere vedere il tuo vecchio!».
«No… Ma che dici» biascicai togliendomi la tracolla e
mettendola sulla sedia «è che… sono sorpresa… tutto qui… come mai sei già a
casa?».
Mi sorrise. «Oggi ho il pomeriggio libero. Avevo dei
giorni di vacanza arretrati e volevo per una volta mangiare con te».
«Oh» dissi sgranando gli occhi. No! Non oggi, non
oggi!
Sulla sua fronte comparve una ruga in più. «Non ti fa
piacere?».
«Si… però vedi papà… proprio oggi…» pensai in fetta ad
una scusa credibile, quel giorno non sarei mai riuscita a mantenere il
controllo di fronte a lui «è che mi fa un po’ male la pancia… non ho tanta
voglia di mangiare…».
Mio padre sembrò preoccuparsi e cominciò a guardarmi
con una luce diversa. «Oh. In effetti sei un po’ pallida Bells, non hai un
bell’aspetto. Non mi preoccupo abbastanza di te» si rimproverò scuotendo il
capo.
«Ma no… Non ti preoccupare… Ora vado in camera mia e
mi corico un po’, poi vedrai che starò meglio» mi sfregai la pancia, quando
sentii nuovamente il fastidio e in un attimo passò com’era venuto.
Mio padre mi scrutò. Chissà che vedeva. «Forse dovrei
chiamare un medico, sembra una cosa seria…».
«No!» esclamai, forse con troppa veemenza, ma non
dovevo permettere in nessun caso che chiamasse un medico. «Lascia stare papà,
sto bene, non ti preoccupare, non ti dispiace se non mangio con te vero?»
dissi, ostentando innocenza.
«No no Bells, figurati, vai pure!» disse mio padre un
po’ perplesso, seguendomi con lo sguardo mentre salivo le scale.
«Grazie» urlai quando fui in camera mia.
Mi richiusi la porta alle spalle, girai due mandate di
chiave e scoppiai in lacrime. Mi precipitai verso l’armadio, scavai sotto i
vestiti e trovai le mie scorte di cibo…
Tutto andò a finire molto dolorosamente, con me stesa
per terra, in lacrime, in mezzo alle cartacce. In quel momento pensai: come
vorrei che Edward fosse qui con me. Scacciai immediatamente quel pensiero,
dandomi della stolta. Edward non doveva scoprire il mio segreto e già il
rischio che sospettasse qualcosa mi faceva venire i brividi.
Mi trascinai sui gomiti fino alla porta, poi, mi
cancellai le lacrime dagli occhi e mi sollevai in piedi. Controllai da dietro
la porta che non ci fosse nessuno nei paraggi, sgattaiolai in bagno e rigettai
quello che avevo mangiato.
Mi guardai allo specchio. Non capivo cosa avesse
colpito particolarmente mio padre… certo, ora avevo gli occhi un po’ rossi e
gonfi per il pianto, ma nulla di mostruoso. Si, insomma, ero io. Ero sempre
stata così… Scuotendo il capo, per scacciare quel pensiero, mi lavai i denti,
tentando di coprire le tracce a mio padre e aprii con cautela la porta del
bagno.
Sussultai, trovandomelo di fronte.
«Oh… papà…» biascicai.
«Bells» disse, sfiorandomi una guancia, con aria
ansiosa «mi sembra che tu stia davvero male…».
«N…no… Davvero papà, non è nulla di che…», scostai lo
sguardo dal suo volto, imbarazzata per il suo intenso sguardo indagatore. «Vado
a stendermi un po’», dissi infine, quando il silenzio diventò troppo denso.
«Va bene…» disse mio padre.
Andai in camera mia e mi affrettai a mettere apposto
tutte le cartacce. Le misi in una grande busta della spazzatura e aprii
nuovamente la porta con cautela. Sentii mio padre parlare concitatamente al
telefono. Bene, era impegnato. La buttai in fretta e ritornai in camera mia,
mettendomi il pigiama e sistemandomi sotto le coperte.
Tuttavia in quella posizione ritornò il dolore alla
pancia, così mi misi seduta sul letto, appoggiandomi alla testiera. Indossai le
cuffie facendo partire un CD di musica spacca-timpani. Non so quanto tempo
rimasi così, ma mi sembrò che ogni secondo andasse peggio. I miei pensieri
andavano tutti verso Edward. Non lo sopportavo, eppure una parte di me fremeva
per rivederlo. Ma quando mi consolavo con l’idea che l’indomani l’avrei incontrato,
la mia ragione prendeva il sopravvento e mi diceva che quella era una cosa
sbagliata e che Edward Cullen non era un bene per me e per il mio segreto. Alla
fine, mi accorsi che oramai si era fatto buio.
Perché tormentarmi? Domani l’avrei rivisto. Basta. Non
volevo assolutamente pensare a nient’altro. E non dovevo sentirmi in colpa, no,
non dovevo sentirmi in colpa del fatto che volessi rivedere la persona che mi
stava sconvolgendo la vita. Forse volevo solo vederlo per dirgli quanto non lo
sopportassi. No. Basta! Mi strappai le cuffie dalle orecchie e le richiusi nel
cassetto.
In quell’istante mio padre entrò in camera. «Bells,
come ti senti?».
«Va meglio, non fa più tanto male…».
«Bene» disse, restando comunque preoccupato e
posandomi una mano sulla fronte. La tolse, leggermente rassicurato. «Vuoi
qualcosa di caldo? Un brodino, una cioccolata?».
Ridacchiai, nervosa, tentando di toglierli certe idee
dalla testa. «Perché, da quando sai cucinare papà?».
Lui arrossì, imbarazzato. «Giusto. Ora stenditi un
po’, ok?»
«Okay». Mi tirò su la coperta e uscendo dalla stanza
mi spense la luce.
Sospirai, nel buio della mia stanza.
Un attimo dopo, sentii il telefono squillare.
Incuriosita, mi alzai a andai alla porta, aprendola leggermente per sentire chi
fosse.
«…no, non stava molto bene, però ora va meglio, così
dice.» una pausa. «Oh, si, il ragazzo della ricerca…» un’altra pausa. «Non
saprei, si è appena messa a dormire».
A quel punto intervenni «Papà?» lo chiamai dalle
scale.
«Oh ecco è sveglia», si rivolse a me, alzando la voce
«Bella, c’è Edward Cullen al telefono, vuole parlare con te!»
Fremetti, improvvisamente entusiasta. Reazione idiota.
Io avrei dovuto odiare Edward Cullen! Forse sentendo la voce… «Va bene, prendo
la chiamata dall’altro telefono». Staccai la presa del telefono dal corridoio
di sopra e lo misi in camera mia, richiudendomi la porta alle spalle per
concedermi un po’ di privacy.
«Pronto?» dissi, impaziente di sentire la sua voce.
«Bella, sei tu? Ciao…». Come mi era mancata quella
voce melodiosa…
«Ciao…» risposi trasognata. Addio a tutti i miei
propositi d’odio.
«Beh, come stai? Ho saputo che non ti sentivi bene…».
Arrossii di imbarazzo. «Oh, no, non era nulla di che,
davvero…» poi mi bloccai un attimo, perplessa «scusa ma tu come l’hai saputo?».
«Tuo padre era preoccupato per te, così ha chiamato al
mio».
«Oh…» sospirai. Questa cosa non andava affatto bene… Charlie
che si preoccupava per me e che cominciava a chiamare i medici non era mai una
bella notizia. «Mio padre si preoccupa troppo…» dissi solo.
«Beh, meglio così, no?!» ridacchiò. Com’era bella la
sua risata!
«Già» risposi incantata. Dovetti riscuotermi un attimo
prima di rispondere. «Hai lasciato qui il tuo giaccone…».
«Oh, si, non ti preoccupare, lo prenderò domani quando
verrò per la ricerca, sempre che tu stia abbastanza bene».
«Ma si, certo! Non vedo l’ora!», altra frase idiota.
«Come scusa?».
Arrossii, imbarazzata per le mie stupide parole. «Non
vedo l’ora di fare la ricerca…».
«Oh, si anch’io» sembrava divertito.
Volevo dire qualcosa, fargli una domanda, solo per il
gusto di sentire la sua voce. Che cosa stupida… Perché non riuscivo a odiarlo?
Avrei dovuto… Ma non volevo riattaccare, e neppure lui lo faceva.
«Ti dà fastidio la vivisezione delle rane?» chiese
curioso.
Sgranai gli occhi. «Emm… come…?».
Scoppiò in una fragorosa risata. «Nulla Bella…».
Mi mordicchiai il labbro, imbarazzata. «Senti… vorresti
fermarti anche domani a vedere un film?» In quel momento stavo esattamente
remando contro la corrente che con forza m’imponeva la ragione, guidata solo
dall’istinto. Ma perché gliel’avevo chiesto?
«Certo, scegli tu il film».
«S-si, okay!» dissi sbalordita e contenta.
«Bene, ora è meglio se ti lascio riposare. Rimettiti
presto, sogni d’oro Bella!». Com’era dolce!
«G-grazie» balbettai, poi, quando sentii il suono
della chiamata chiusa, rimasi qualche istante con la cornetta in mano.
Che cosa avevo detto esattamente in quella
conversazione? Non ricordavo quasi nulla, l’unica cosa di cui riuscivo a
rendermi conto, era il mio cuore palpitante, le mie guance arrossate e un coro
d’angeli al posto del cervello. Sospirai, riponendo la cornetta.
Mi addormentai completamente rilassata, felice e
sognante. Possibile che una sola telefonata mi facesse quell’effetto?
Il giorno dopo ero davvero allegra. Mio padre fu
felice della mia immediata ripresa, così non mi fece altre domande.
Appena nel parcheggio, vidi Edward venirmi incontro. Se
il giorno prima la sua voce era stata salubre, la sua vista ebbe un effetto
decisamente più potente. E anche questa volta addio ai pensieri d’odio. Come
faceva ad annullare così tutte le mie difese?
«Edward!» lo chiamai con un enorme sorriso sulle
labbra.
Mi sorrise, quando finalmente mi fu accanto. «Ciao
Bella, ti vedo bene… Sei guarita».
«Già» alzai gli occhi al cielo «mio padre si preoccupa
sempre troppo!».
Lui mi sorrise rassicurante. «Allora, ci vediamo a
biologia?».
Fui lieta del fatto che non mi avesse chiesto di
incontrarci a mensa. «Certo, niente defezioni?» chiesi con un sorriso
sarcastico.
Lui rise. «No, niente defezioni».
E in effetti, arrivata nell’aula di biologia, lui era
lì con il suo sorriso rassicurante.
«Scelto il film?» mi chiese sottovoce, sporgendosi
verso di me dallo sgabello.
«Oh» mi scompigliai i capelli «accidenti, me ne sono
dimenticata!».
Lui ridacchiò. «Non ti preoccupare, se vuoi posso
prenderne uno io…».
«No no, ci penso io, passo dalla videoteca prima di
andare a casa». Il professore ci lanciò un’occhiataccia, così tacemmo per
qualche istante.
Dopo un po’ lui ricominciò a parlare. «Ma non avevi un
impegno?» mi chiese sollevando un sopracciglio.
Arrossii. Come faceva a ricordarlo? «Non ti
preoccupare, faccio in tempo».
«Bene», disse appena prima che il professore si
fermasse proprio di fronte al nostro banco.
Non so come, ma feci in tempo a fare tutte le riserve
di cibo che dovevo e a passare dalle videoteca in fretta. Afferrai il primo
film che mi trovai davanti, la copertina mi ricordava un manifesto che avevo visto
un giorno da qualche parte.
Mangiai in macchina, lungo il tragitto, perché ero già
in ritardo, ma purtroppo il dolore allo stomaco si fece sentire anche questa
volta. Entrai di corsa in casa e vomitai, e fui costretta a prendere un altro antiacido.
In quel momento, mentre me ne stavo stesa con busto
lungo il tavolo, la ragione prese il sopravvento. E così anche la frustrazione
per il mio comportamento sconsiderato. Sapevo che quel dolore era colpa di
Edward Cullen. E anche tutta l’ansia provata il giorno precedente. E anche
l’attenzione degli studenti della Forks Hight School. Tutto colpa sua. Bevvi un
bicchiere d’acqua e poi lo gettai nel lavello. Accidenti a lui… perché era così
complicato odiarlo?
Lui arrivò appena tre minuti dopo, e ancora avevo dolore
allo stomaco.
«Edward, entra…» mormorai, sfregandomi la pancia.
Fortunatamente quella volta, forse perché non lo guardai negli enormi occhi
magnetici, riuscii a mantenere un minimo di lucidità.
Lui mi guardò in modo strano, ma non mi disse nulla.
Ci sedemmo intorno al tavolo della cucina e cominciammo a lavorare in silenzio.
«Preso il film?» mi chiese dopo qualche minuto.
«Si» risposi laconica, riconcentrandomi sulla ricerca.
Stupido, stupido di un Cullen. Non era giusto che provassi quel dolore. Non era
giusto. E poi lui… lui mi aveva abbandonata.
«A che punto sei con la ricerca?» mi chiese ancora.
«Mmm…» feci. Perché invece sentivo il bisogno che lui
mi parlasse? Perché non ne potevo fare a meno? Irritata e tormentata, mi alzai
dal posto, grattando con la sedia sul pavimento.
Presi un altro bicchiere d’acqua e aspettai in piedi
di fronte al lavello, consumandomi nel mio dolore. E più pensavo a Edward e al
fatto che in realtà non dovevo guardarlo, più il dolore aumentava, perché
volevo guardarlo. Ma al contempo sapevo che quel dolore era tutta colpa sua.
«Bella?» mi chiamò preoccupato, facendomi sussultare
per la vicinanza della sua voce. Stava dietro di me, non l’avevo sentito. «Che
hai?».
Non resistetti un secondo in più, mi voltai, abbracciandolo,
e scoppiai in lacrime.
Sentii tutti i suoi muscoli irrigidirsi e non avvertii
il movimento del suo petto che ne mostrava il respiro.
Esattamente quindici secondi più tardi, smisi di
respirare anch’io, dandomi della sciocca per il mio gesto avventato. Ma proprio
quando mi stavo per separare da lui, sentii le sue braccia fredde stringermi
rassicuranti al suo petto.
Mi lasciò piangere per tantissimo tempo, senza dirmi
nulla, ma cullandomi e lasciando che gli inzuppassi il maglioncino beige
d’acqua salata. In quel momento, nonostante tutta l’ansia, l’angoscia e il
turbamento con cui stavo vivendo, mi sentii al sicuro. Come se non ci potesse
essere posto al mondo in cui potessi essere più protetta. Non conoscevo la
natura delle mie lacrime. Forse ero frustrata, o forse, semplicemente non
volevo accettare quel conflitto che era nato dentro di me, perché in quello
stesso istante, da quando Edward mi aveva accolta fra le sua braccia, avevo
trovato la soluzione. Mi sentivo in un porto sicuro, e non ero disposta ad
abbandonarlo. Poi, d’un tratto, sentii le sue labbra, titubanti, che scendevano
a baciarmi i capelli.
Sollevai il viso fino a incontrare i suoi occhi ambra
che mi fissavano con dolcezza. «Scusa…» biascicai, la voce arrochita dal
pianto.
Mi accarezzò le guance, cancellandomi le lacrime. A
quel punto mi staccai da lui, imbarazzata, e mi andai a sedere sulla sedia.
Edward prese un altro bicchiere d’acqua e me lo porse.
«Grazie» gli dissi, prima di bere.
Lui si sedette in silenzio accanto a me, guardandomi negli
occhi apprensivo e restando in silenzio per alcuni istanti. «Vuoi continuare a
fare la ricerca o vuoi vedere il film?» disse poi, in tono leggero.
Sgranai gli occhi, sorpresa del fatto che non mi
chiedesse spiegazioni e esitai titubante.
Sul suo volto si accese un’altra emozione, la
tristezza. «O… vuoi che me ne vada?».
«No…» dissi facendo scendere altre lacrime «no, no, ti
prego, non te ne andare…»
«Va bene Bella, va bene…» mi prese la mano,
accarezzandomi una guancia con l’altra «non me ne vado, rimango qui quanto
vuoi…».
«Grazie» dissi solo, cancellandomi le ultime lacrime
che erano cadute. Lo feci alzare, tenendolo per mano, e lo condussi fino al
divano nel soggiorno.
Lì mi sedetti, con le gambe incrociate, e feci sedere
lui accanto a me.
«Allora, tutto bene il campeggio?» cominciai, giusto
per dire qualcosa.
Lui fece una smorfia strana, che non capii, ma poi mi
rispose sereno.
Rimanemmo a chiacchierare diverso tempo, ridendo e
scherzando, come se nelle ore precedenti non fosse successo nulla. Poi, ci
rendemmo conto che si era davvero fatto tardi.
«Mi dispiace, non abbiamo neppure visto il film» dissi
mentre lui indossava il suo giaccone.
«Sarà per un'altra volta. Tanto ci vediamo domani per
la ricerca, vero?».
Fui presa da un moto di ansia e tristezza. «Veramente
domani dovrei andare a togliere i punti al labbro…» dissi toccandomi il punto
leso.
«Oh» sospirò, riducendo gli occhi a due fessure.
Lo fissai malinconica. Non mi andava di non stare con
lui.
«Se per te non è un problema, posso venire con te» propose
infine, con tono disteso. «Sicuramente ci sarà mio padre all’ospedale, e
potrebbe toglierteli lui i punti, così facciamo in fretta è dopo vediamo il
film. Che ne dici?» mi chiese contento.
Sorrisi anch’io. «Dico che è un’idea stupenda!».
Ohi
mammina bella!!! Ho preso troppo sole, sono mezzo abbrustolita e mi fa male la
testa!
Allora.
Originariamente questo capitolo non era così, perché c’era una scena che poi
non ho messo, ma che, per motivi di lunghezza, ci sarà al prossimo capitolo,
sperando che tutto vada bene!
Mi fa
male la testolina, il criceto si è abbrustolito, ha preso troppo sole!
Scusate
se ho fatto un pochino di ritardo, ma in un modo o nell’altro c’era sempre
qualcuno che rallentava la scrittura della storia.
Ora,
chiarisco una cosa. Eddino nel precedente capitolo aveva forti sospetti, ma non
è facile individuare una malattia insidiosa come la bulimia, quindi le cose per
lui si sono chiarificate quando ha chiesto aiuto ai suoi fratellini magici, ma
questa cosa verrà alla luce dopo.
Quindi in
questo capitolo già lo sa…
Hhh… Che
mal di testa! Hhh…
Dicevo…
Io ho trovato questo capitolo molto tenero, soprattutto verso la fine e la
parte della telefonata, ma ditemi voi se vi è piaciuto, ok?! J Ciao a tutti e grazie!!!
Grazie a
chi legge, commenta e mette la mia storia fra preferiti/seguiti o chi mi ha
messo fra gli autori preferiti. Grazie.
cloe
cullen Concordo in pieno, non studiare troppo e datti all’edonismo!
Vabbè, non esageriamo, ma cmq vivi una vita allegra e senza troppo studio, ok?!
E magari ogni tanto ricordati di noi che ti aspettiamo qui! *.* Il rapporto
Edward Bella è una cosa molto complessa e per ora sono loro, non io, che
decidono! Ora il loro rapporto si sta approfondendo ancora… ^^
Dan Ok… Oh, wow, beh
grazie! Sono contenta che tu ti sia ricreduta sulla mia storia e ti devo dire
che all’inizio, subito dopo aver postato il primo capitolo mi ero pentita,
quasi sentita in colpa di averlo scelto. Invece ora… beh ora vedo tutto da una
prospettiva diversa. Sarà che finchè non sono completamente penetrata nella
mente di Bella bulimica, consono quasi riuscita a capacitarmi di quello che
stavo facendo. Era come tenere un piede in due scarpe. Ma ora, ci sono
completamente dentro e il bello è che posso entrare e uscire come voglio.
Grazie di tutto il commento, davvero, mi hai resa felice…
Cullenuzza
No,
mia sorella ha fatto la maturità, io sono più piccola di lei di due anni… Ok
tutta questa perifrasi per dire che ho diciassette anni… XD In effetti Edward
ha già capito qualcosa, anzi, più che qualcosa, ma ancora non ne è del tutto
certo sai? Perché tende cmq a fidarsi di Bella e… beh beh… insomma… per quanto
riguarda la durata della ficcy… mmm, non vorrei farla troppo lunga, penso che
non durerà più di venti o venticinque capitoli… Altrimenti bisognerebbe
aspettare, in modo che io “farcisca” i capitoli con qualche evento in più… per
ora le bozze contengono solo i fatti in sé, ma questo non vuol dire nulla
perché le idee mi vengono anche mentre scrivo! ^^
mazza
ok, mi
piace molto questo modo di… “comunicare” A) Io sono praticamente troppo fissata
con le caprette di Heidi ^^ B) Grazie piccoletta è bello sapere che posso
contare su qualcuno! ^^ C) Beh, si, magari apro una scuola per corrispondenza!
XD D) E’ vero, è nato proprio per questo! Perché infondo si comprendono, hanno
entrambi problemi con il cibo! ^^ E si devono trattenere entrambi… E) La
malattia di Bella dura da un anno. Per quanto riguarda i sintomi, cambiano di
persona in persona e dipendono dall’assiduità con cui si vomita, dalla
predisposizione fisica e anche dal caso. Bella vomita molto, tutti i giorni e
anche più volte al giorno, quindi ora il suo caso è piuttosto grave… F) No, non
l’ho ancora spiegato, e verrà spiegato più avanti, cmq è il segno che si fa con
i denti sul dito quando si provoca il vomito… E’ un segno che hanno tutti i
bulimici che vomitano in questo modo…
gentile
di Edward! E hai indovinato alla perfezione sia per la pallonata che per il
sangue! Brava ;)
lory_lost_in_her_dreams
Grazie
tanto, sei davvero molto dolce… Si, si sono avvicinati ma purtroppo non può
tutto essere rose e fiori, nonostante l’infinita dolcezza di Edward si faccia
sempre più presente! Ma sono sicura che insieme riusciranno a conquistare i
loro momenti di felicità!
azaz
Ciao
cuore! Giusto, la pazzia è una buona cosa. Figurati, che in mia difesa, ho
anche recitato la parte della stessa, con le parole di Erasmo da Rotterdam,
prese dall’elogio alla follia… “Se ogni umano si dispensasse da qualsiasi
rapporto con la saggezza, la vecchiaia neppure esisterebbe / La natura, madre e
creatrice del mondo, si è dispensata di spargere ovunque un pizzico di follia!”
Beh, direi allora che con noi ha un po’ abbondato, ma non me ne rammarico
affatto! E mi rallegro anche di vedere che commenti le mie storie alle 4 e
mezza di notte! XD E’ vero, Bella vive un po’ sulle montagne russe, ed è
proprio di questo che aveva paura: quanto più in alto si sale, tanto più in
basso si può scendere, ma non sa ancora, che Edward le offrirà un biglietto di
sola andata per i cieli; Certo, all’inizio ci sarà qui e là qualche discesa, ma
la risalita sarà sempre e comunque fantastica! ;) Che spoiler metaforico che mi
è venuto fuori! E la strada verso il cielo, sarà sempre più mielosa e
zuccherosa! *.*
luisina
Ok,
non ti preoccupare di non esserti dilungata, mi fa comunque piacere sentirti.
Sono contenta che ti sia piaciuto e che sia riuscita a descrivere bene “i
sintomi” di Bella. Mi sono documentata davvero tanto, ovunque e spero di
riuscire nei miei intenti per quello che possa servire in una funzione
letteraria. Grazie di tutto e a presto…
Wind
lo sai
che sospetto 1. Che tu mi legga nella mente come fa Edward 2. Che tu abbia
acquisito il potere di Alice e vedi cosa scriverò 3. che tu a furia di leggere
le mie storie sappia come la penso e cosa scriverò 4. Che io sia troppo
prevedibile. Ora, siccome la 1 e la 2 sono un po’ troppo surreali e la 4 non mi
piace granché, spero sia la 3! J
Noemix
No no,
Bella non si sta affatto riprendendo… Ecco, questa cosa l’hanno detta in
parecchi non vorrei aver creato false illusioni perché non è così! ^^ Lei non
ci pensa minimamente a cambiare le sue abitudini per Edward, non ancora almeno…
Ma forse si è capito meglio in questo capitolo!
JessikinaCullen
eh già
e non credo che il fatto di capire che la cosa sia stata positiva sia tanto
semplice! Lei amava il dolore… Quando ci fai l’abitudine sa essere così confortevole
e cambiare può portare dei momenti molto tristi e il rischio di esporsi può far
provare il Vero dolore, quello dei sentimenti… Ok, mi sa che sono entrata un
po’ troppo nella testa di Bella! ^^
Amalia89
Ok,
bene, e io ne sono davvero contenta! Speriamo di sistemare un po’ se e dove ho
sbagliato e di continuare al meglio! Grazie di tutto e a presto! ;)
ale03
ok,
bene ne sono contenta! ^^ Già Edward sta dimostrando una grande tenacia, oltre
che un immenso affetto, una grande dolcezza e un caloroso, meraviglioso,
scintillante sorriso! *.*
lisa76
Grazie,
e speriamo che il tatto continui a non mancarmi, perché sono carente di vista e
in quel caso mi ritroverei seriamente menomata! XD Ok, era un battuta, non so
se si era capito… ;)
__TiTtA__
Allora
ti posso dire che si, ci sarà, e da quel momento in poi, non così semplicemente
come si può credere, ma con forza e costanza, la nostra Bella riuscirà a venir
fuori dai suoi problemi! ^^ Con l’aiuto sia di uno che dell’altro! Se li
abbiamo tutti e due, perché non approfittarne! ;)
patu4ever
io
vivo in un paesino del Salento, in provincia di Lecce… eh, beh allora noterai
anche il cambiamento che è avvenuto in questo capitolo… purtroppo la vita di
Bella è fatta di alti e bassi e questo non sarà né il primo, né l’ultimo…
damaristich
in
bocca a Jake anche a te allora! XD Si, in effetti ho deciso di “ampliare le mie
vedute” e vedere un po’ la tipologia di romanzo che mi è più adatta… Questo
diciamo che è più vicino alla realtà… Gli altri,… beh quelli erano
completamente diversi!
IsAry
Si si,
il rapporto s’intensifica sempre più e manca poco che da una scintilla nasca un
piccolo fuoco e dal fuoco un bel falò! Ma prima ne dovranno passare delle belle
direi! ^^
barbyemarco
no,
non è che ero triste, semplicemente non avevo nulla da dire e per me che sono
tanto prolissa, logorroica e loquace è una cosa un po’ strana, ma avevo la
testa da un’altra parte, è per questo che ero distratta! ^^ Beh si Edward è
quasi del tutto certo del problema di Bella, ma penso che creda che “un impatto
frontale” non sarebbe una buona cosa per lei! ^^
Bella_Cullen_1987
come
zona privata?! O.O No no non è possibile, io ci voglio andare, non puoi mica
avere l’esclusiva?! Altrimenti lo attiro fuori con la minaccia di fare fuori
Bella e mi faccio trasformare in vampira! :P
lady cat
mi fa
molto piacere che il tema ti piaccia e che tu on lo consideri fuori luogo per
una coppia come Bella e Edward. E’ che ho pensato che ponendoli come mezzo di
comunicazione sarebbe stata più semplice la penetrazione del messaggio. Quello
che ha Bella è un ulcera esofagea… Mi sono informata tantissimo sulla patologia
e spero di non sbagliare… quello che ha adesso si dovrebbe chiamare “esofagite
peptica”… Il segno sul dito è un segno caratteristico delle persone bulimiche
che si fanno con i denti quando si causano il vomito. Grazie a TE, che leggi la
mia storia, non c’è motivo per cui tu mi debba ringraziare… J
cullengirl
diciamo
che nello scorso capitolo sospettava fortemente della bulimia, e cmq Bella
ancora non vuole, per nessun motivo, ancora, cambiare idea sul suo
comportamento… Questa è una consapevolezza che arriverà in seguito e anche
molto dolorosamente…
Lau_twilight
già
devo dire che quel momento è anche il mio preferito… In questa fic sta venendo
fuori il carattere più premuroso e dolce di Edward, quello che tra l’altro amo
e di cui non potrei fare a meno! *.* Com’è sensibile!!!
|
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Capitolo 6 *** Distrazioni ***
«Quindi sei sicura di voler andare con quel ragazzo
«Quindi sei sicura di voler andare con quel ragazzo?»
mi chiese Charlie, distogliendo lo sguardo dalla Tv e fissandomi con un
sopracciglio alzato.
Arrossii. Detta così sembrava più di quanto non fosse,
tipo… un appuntamento. Un appuntamento in ospedale? Scacciai quel pensiero per
rispondere a mio padre, «Si, si papà».
Mi fissò ancora scettico qualche secondo «Sicura? Se
vuoi posso accompagnarti io…».
«Ma no…» mi affrettati a dire presa dalla paura che mi
padre mi accompagnasse in ospedale e gli venisse in mente qualche strana idea…
«E poi il padre di Edward è il dottor Cullen, te l’ho detto no?! Mi toglierà i
punti lui così farò più in fretta…».
Sentii un clacson suonare. Era Edward, quella mattina
mi aveva detto che sarebbe passato a prendermi con la sua macchina, un giorno
più tardi del previsto, perché giovedì suo padre era stato impegnato in un
convegno. Non lo volevo ammettere, ma fremevo dalla voglia di vederlo, così,
quando sentii quel suono sulle mie labbra comparì un sorriso entusiasta.
Mio padre parve finalmente rilassato, e mentre lo
salutavo correndo verso la porta mi disse ad alta voce per farsi sentire
«Ricordati che quando tornerai non ci sarò, tornerò domani a mezzogiorno, mi
raccomando, fate i bravi!».
«Ok, ciao!» urlai di rimando, sbattendo la porta.
Di fronte ai miei occhi, nascosta dalla pioggia
sottile che cadeva intorno a me, c’era un auto grigio metallizzata, una Volvo,
a giudicare dalla forma. Mi riscossi dopo qualche secondo e con una corsetta
veloce mi avviai verso l’auto.
Il finestrino elettrico della portiera del passeggero
sibilò elegantemente, abbassandosi. «Ciao Bella, entra, svelta, o ti bagnerai
tutta!».
Non me lo feci ripetere due volte e entrai di fretta
nell’auto. «Ciao» gli dissi, contenta di vederlo.
Anche i suoi occhi parevano scintillare di felicità,
anche se mi parevano diversi dall’ultima volta che l’avevo vista. «Allora,
partiamo?».
«Certo» misi la cintura di sicurezza «non vedo l’ora
di togliermi questi punti!».
Lui ridacchiò. «Andiamo».
Arrivammo velocemente all’ospedale, ma non mi accorsi
neppure della sua guida spericolata finché non fummo in prossimità del pronto
soccorso. Avevamo chiacchierato tutto il tempo, mi sentivo spontanea e libera
quando stavo accanto a lui.
«Rallenta!» gridai divertita.
Anche lui rise. «Scusa, ma ho già decelerato, te ne
sei accorta solo adesso a che velocità stavo andando?» mi chiese con un
sopracciglio alzato.
Feci spallucce. «Vuol dire che sei bravo a distrarmi!»
lo accusai scherzosamente.
Ridemmo insieme.
Quando entrammo nel pronto soccorso e sentii l’odore
forte di disinfettante feci una smorfia.
«Tutto bene?» mi chiese Edward.
Annuii. «E’ solo che non sopporto l’odore del
disinfettante, tutto qui» mi scrollai le spalle. «Sai, l’ospedale non è proprio
il mio posto ideale, anche se forse è quello che frequento più spesso…».
«Come mai?» mi chiese sinceramente curioso, per poi
voltarsi e dire ad un’infermiera che si era avvicinata che stavamo cercando suo
padre. Quella rispose che sarebbe andata a chiamarlo.
Cominciai a rispondere alla domanda che mi aveva
posto. «Beh… forse non te ne sei reso conto, ma so essere piuttosto goffa…».
«Davvero?» chiese con la stessa strana curiosità che
aveva messo nella domanda precedente. Era senza secondi fini, sembrava
semplicemente curioso di scoprire qualcosa su di me, di comprendermi. «No, non
me ne sono mai reso conto…».
Ma non riuscì a finire la frase perché, dandogliene
dimostrazione, inciampai sui miei piedi e gli caddi addosso. Ridacchiai.
«Scusa, ma dov’eri quando ti sono caduta addosso le ultime… tre volte?»
«Giusto» disse, aiutandomi a rimettermi dritta. Lo
sentii farfugliare qualcosa di incomprensibile, con tono scettico, del tipo “vuol
dire che sei brava a distrarmi…”.
Non ci diedi peso e mi concentrai sull’infermiera che stava
ritornando da noi.
«I dottor Cullen sarà qui fra poco» poi si rivolse a
Edward «Edward, potete andare ad aspettarlo nel suo studio. Deve solo togliere
i punti, vero?».
Io annuii, ma lei continuò a guardare Edward. Non ci
feci troppo caso, era mia abitudine ignorare e essere ignorata.
«Si si, solo i punti, grazie Clarissa» le disse con un
sorriso, avviandosi verso un corridoio e facendomi segno di seguirlo.
Edward aprì una porta infondo al corridoio e mi invitò
a entrare, da vero gentiluomo.
Gli sorrisi «Grazie».
Entrò anche lui e si richiuse la porta alla spalle.
L’ufficio era di medie dimensioni, ma sembrava
confortevole. C’era un separè, dietro al quale s’intravedeva un lettino con una
carta ruvida. Alle pareti erano appesi vari quadri e diplomi incorniciati e sulla
scrivania c’era un vaso con dentro dei fiori freschi e profumati. Non si
sentiva quasi l’odore di disinfettante.
Mi rigirai le mani, nervosa. Sapevo che era una
pratica indolore, e la preferivo di gran lunga a quella di mettere i
punti, soprattutto perché sapevo che mi sarei liberata da quell’impiccio, ma…
«Nervosa?» mi chiese Edward, come se mi avesse letto
nel pensiero.
Non dissi nulla, ma mi mordicchiai il labbro inferiore
irritandomi per la presenza dei punti. Non risposi, e gli feci un’altra domanda.«Tu…
tu resti con me, vero?» sussurrai piano, imbarazzata per quella mia debolezza.
Sentii un contatto freddo e mi accorsi che mi aveva
preso una mano. «Certo che resto con te». Sollevò l’altra mano, piano, fino a
sfiorarmi la guancia e provocarmi una scarica elettrica.
«Grazie» bisbigliai, quasi muta.
Mi sorrise e abbassò la mano. Nello stesso istante la
porta dello studio si aprì e entrò un giovane uomo. Somigliava a Edward e i
suoi fratelli in maniera strana. Però aveva i capelli biondi e i tratti somatici
non corrispondevano affatto, a parte… il colore degli occhi, la pelle pallida
e… la bellezza. Mi diedi della sciocca. Edward era stato adottato.
«Ciao, tu sei Isabella Swan, vero?» disse sollevando
lo sguardo dalla cartelletta e sorridendomi. Anche il sorriso era lo stesso. Rassicurante.
«Bella» lo corressi io, «il dottor Cullen?».
«Si, sono il padre di Edward. Ma chiamami pure
Carlisle» mi disse gentile.
Sorrisi. «Va bene, Carlisle».
Lui posò nuovamente lo sguardo sulla cartella che
aveva in mano. «Ti sei ferita il labbro inferiore durante l’ora di ginnastica a
causa di una pallonata?» mi chiese, risollevando lo sguardo.
«Si» dissi, imbarazzata.
«Era un pallone da basket» aggiunse Edward, divertito.
Carlisle sorrise e fece il giro dietro la scrivania,
prendendo un paio di guanti di lattice. «Te la sei cavata bene, solo due punti».
Sentii il calore invadermi le guance. «Beh… non
avevamo ancora cominciato a giocare…».
Lui ridacchiò. «Ah beh, allora…». Poi si avvicinò
invitandomi a sedermi sul lettino e si sedette davanti a me su una sedia con le
ruote. Lanciò un’occhiata strana a suo figlio. «Edward, tu resti?». Era strano
il modo in cui si guardavano, non mi convinceva affatto.
Edward annuì piano, senza mai staccare gli occhi dai
suoi.
Poi Carlisle si voltò verso di me, con disinvoltura, e
mi guardò sereno, osservando i punti e poggiando due dita sulla ferita. «Hai
avuto dolore, si è mai gonfiato, o infiammato?». Anche attraverso i guanti
potevo avvertire la bassa temperatura delle sue mani, proprio come quella di
Edward…
Scossi il capo. «No, niente del genere» risposi quando
ritirò la mano.
Lui annuì. «Ti hanno fatto l’antitetanica quando sei
venuta?» chiese lanciando uno sguardo incuriosito alla mia cartella e prendendo
dal cassetto un oggetto metallico.
Ebbi un fremito, e Edward mi prese la mano. Lo
ringraziai con lo sguardo. «No, non l’ho fatta. Non ce ne era bisogno perché
l’ho fatta un mese fa…» dissi imbarazzata.
Lui fece scorrere lo sguardo sul foglio e controllò.
«Vedo…» disse, continuando a guardare ancora più in basso, visionando tutti i
miei incidenti. A Phoenix avevano un fascicolo solo per me. «Ti capita spesso
di cadere?» mi chiese sollevando le forbici all’altezza del labbro.
«Si, ho… qualche… problema di equilibrio…» confessai
imbarazzata.
Annuì e mi disse «non parlare e apri un po’ le labbra,
non farà male, ma visto il punto sensibile sarà un po’ fastidioso».
«Lo so» sussurrai prima di fare come mi diceva.
Strinsi maggiormente la mano di Edward, nervosa, e lui rispose alla mia stretta
posandomi una mano sulla spalla, rassicurante.
Sentii il rumore della forbici e la sensazione
orripilante del filo che scorreva via.
«Fatto» disse Carlisle poggiando le forbici. «Ti fa
male? Prova a muoverlo…».
Feci come mi diceva e me lo sentii un po’ strano, la
sensazione che ci fosse qualcosa di diverso. Mi ero abituata ai punti. «No,
tutto bene».
Mi posò una mano sul labbro e controllò nuovamente
come aveva fatto prima, tastandomi con due dita.
«Non si vede neppure la cicatrice» mi assicurò Edward.
«Bene, non dovrebbe accadere, ma se si gonfia mettici
del ghiaccio e torna qui» Carlisle si mosse sulla sedia con le ruote facendola
andare verso un tavolino che stava di lato e prendendo una penna e un foglio,
poi si avvicinò di nuovo a noi e prese la mia cartella. «Sei allergica a
qualcosa? Intollerante?».
«No» risposi titubante. Non capivo il senso della sua
domanda.
Osservai Edward, perplessa per quelle domande, ma
aveva lo sguardo concentrato su suo padre.
Lui scrisse qualcosa sulla mia cartella. «Hai mai
fatto qualche operazione, sei stata ricoverata?».
«N…no, solo… solo dei punti e… qualche frattura…»
balbettai.
Edward e Carlisle mi osservarono stralunati, entrambi
con un sopracciglio alzato. Il “qualche frattura” doveva fare uno strano
effetto. «Sempre l’equilibrio…» tentai di giustificarmi.
Carlisle scosse la testa con noncuranza e si rimise a
scrivere. «I tuoi genitori soffrono di qualche malattia ereditaria…?»
Finalmente sollevò lo sguardo dalla cartella e vide la mia espressione
esterrefatta. Fece un sorriso di scuse. «Scusami, non ti ho spiegato cosa sto
facendo, l’ospedale dopo dieci interventi d’ambulatorio compila una cartella
personale con i dati del paziente».
Rimasi stupita da quella risposta banale, ma mi
rilassai.
Le domande continuarono per un bel po’, mi stavo anche
divertendo: ogni tanto Edward e Carlisle facevano qualche battutina sul mio
equilibrio. Mi avevano messa a mio agio.
«Gruppo sanguigno?».
«Zero negativo».
Edward ridacchiò. «Molto fortunata, eh?».
«Già…» alzai gli occhi al cielo, poi incuriosita, gli
feci una domanda «perché il tuo qual è?».
Non so se fu semplicemente una mia impressione, ma
sentii Edward irrigidirsi e scambiarsi una strana occhiata con Carlisle. «Non
lo ricordo» disse infine, con voce serena. «Papà?».
Carlisle ridacchiò, stemperando definitivamente
l’atmosfera che sembrava essersi creata. «Io lo ricordo perfettamente invece:
AB positivo, sfacciatamente fortunato».
Tutti e tre scoppiammo a ridere.
Poi Carlisle continuò serenamente, ponendomi però una
domanda che mi mise in crisi «Peso?».
Mi raggelai sul posto, con gli occhi sgranati. Ci misi
un po’ per riprendermi, e balbettai qualcosa solo quando sentii due paia di
occhi fissi sul mio viso. Non sapevo se dire una bugia, o la verità. Alla fine
optai per la verità. «Emm… Non lo so… E’ un po’ che non mi peso…».
«Rimediamo subito» mi disse sereno Carlisle,
indicandomi una bilancia alle sue spalle.
Se possibile, sbiancai ancora di più. Non volevo
pesarmi, ma non volevo neppure essere scortese. In qualsiasi altra situazione
avrei detto semplicemente di no, ma non mi sarei mai permessa di rispondere
male a Edward o a Carlisle.
«Bella?» mi chiamò gentilmente Edward, facendomi
voltare verso di lui «tutto bene?» mi chiese inclinando il capo da un lato.
«S…si» balbettai.
Mi aiutò a scendere dal lettino e prendendomi per mano
mi guidò fino alla bilancia.
Deglutii, poi ci salii sopra.
Carlisle prese prima l’altezza e mi disse, scherzando
«Guarda Bella: un metro e sessantadue, se vorrai potrai entrare in accademia».
Feci una risatina nervosa, e tentai di concentrarmi un
volto rilassato e rassicurante di Edward, mentre Carlisle accendeva il display
della bilancia. Trattenni il fiato, e prima di guardare in basso, osservai le
espressioni di Edward e Carlisle. Edward aveva le sopracciglia aggrottate, ma
non sembrava sorpreso, Carlisle invece era rilassato e disinvolto.
Guardai in basso. “46 kg” diceva il display. Sospirai piano. Era aumentato rispetto all’ultima volta…
Nessuno dei due fece commenti, e Carlisle registrò
anche questo dato sulla cartella. «Bene, direi che abbiamo finito» disse poi,
allontanandosi con la sedia verso lo stesso cassetto da cui aveva preso la
penna.
«Tieni», mi disse lanciandomi un oggetto arancione che
non identificai subito «direi che te la sei meritata…».
Non riuscii a prenderla e al posto mio lo fece Edward,
che la prese tra le mani e me la porse. Era una lecca-lecca. Ridacchiai e
Edward insieme a me.
«Forse sono un po’ cresciuta per questo genere di
cose…» scherzai divertita.
Carlisle si alzò dalla sedia, ridendo anche lui e
avviandosi verso la porta. «Ora vi devo lasciare ragazzi» si rivolse verso di
me «Bella, è stato un piacere conoscerti».
«Piacere mio» dissi sincera.
Ci salutò e uscì dalla porta e noi con lui.
«Beh, mangiala no?» mi disse Edward lanciandomi
un’occhiata e distogliendo l’attenzione dalla strada.
«Pensa a guidare!» gli dissi divertita.
«Facciamo così: io guido, tu mangi» mi propose.
«Mi sembra una buona idea».
Arrivammo a casa mia in men che non si dica e fummo
costretti a correre per evitare l’acquazzone. Quando entrammo in casa scoppiai
a ridere: Edward aveva i capelli zuppi, anche se sembrava lo stesso divino.
Anche lui rideva, guardandomi.
«Siamo completamente bagnati!» esclamai, osservandomi
allo specchio. I capelli stavano appiccicati a ciocche sulla mia fronte e la
mia maglietta era zuppa su entrambe le spalle. Edward invece aveva bagnato solo
i capelli e le goccioline d’acqua rimanevano sul suo viso come rugiada.
«Vieni» dissi, prendendolo per mano e conducendolo nel
bagno. Ci asciugammo i capelli con gli asciugamano e io mi asciugai la
maglietta con il phon.
Lo osservai mentre si frizionava i capelli, scuriti a
causa della pioggia. Ogni suo gesto era composto e aggraziato e, per una volta,
desiderai di essere io l’asciugamano che si muoveva fra i suoi capelli bronzei.
«Che c’è?» mi chiese lui, divertito, riscuotendomi dal
mio sogno ad occhi aperti.
Arrossii per i miei pensieri. «Niente, niente…».
Lui sorrise ma non mi chiese ulteriori spiegazioni.
Tentai di cambiare argomento. «Allora, guardiamo il
film?».
«Certo, o vuoi mangiare prima?».
Ripensai al mio stomaco vuoto e mi stupii del fatto
che non stavo pensando al cibo. Per tutta la giornata precedente avevo preso in
considerazione l’ipotesi di dover mangiare di fronte a lui, e, dopo averci
rimuginato a lungo, mi ero detta che non sarebbe andata come l’ultima volta,
che questa volta ce l’avrei fatta. Mi riscossi dai miei pensieri per
rispondergli. «Certo, mangiamo prima».
Lui fece una risatina. «No, io non mangio».
Rimasi perplessa. «Come non mangi?».
Si avvicinò tranquillo, lasciando cadere l’asciugamano
che aveva in mano nella cesta che gli avevo mostrato. «No, non ti preoccupare,
io ho già mangiato. Diciamo che ho un’alimentazione… un po’ particolare».
«Oh…» dissi, ma non aggiunsi altro. Immaginai che fosse
allergico o intollerante a qualcosa, così non investigai.
Durante la cena riuscii a concertarmi sul cibo e sui
gesti che compivo. Fortunatamente Edward non mi distrasse, così riuscii a
mangiare solo quello che avevo davanti e che mi ero prefissata di mangiare. Fu
molto più difficile di quanto immaginassi, ma mi dissi che per una volta potevo
fare quello sforzo.
Il dopo cena fu molto più difficile, perché mi ritornò
il bruciore allo stomaco e sentii la forte necessità di andare in bagno a
vomitare.
«S…scusami Edward… vado un attimo in bagno…» dissi,
facendo per sollevandomi dalla sedia su cui mi trovavo.
«Oh… Puoi aspettare un attimo?».
Mi voltai a fissarlo, esterrefatta e confusa per
quelle sue parole. Lui aveva un’espressione serena.
«E’ che vorrei chiederti una cosa sulla ricerca e ho
paura di dimenticarmene…» disse innocentemente.
Mi guardai intorno, in difficoltà. «Veramente io…».
Mi fece un’espressione così tenera, innocente e
sincera, che non potei dirgli di no.
«Va bene…» mi arresi infine. Strinsi un attimo i denti
quando il bruciore si fece sentire più forte.
«Qualcosa non va?» mi chiese Edward, con un velo di
preoccupazione.
Gli sorrisi, alzandomi in piedi. Mi sentivo già
meglio. «No, no, tutto apposto. Dicevi?».
«Oh, si, per la ricerca…».
Mi chiese dei dettagli su come volevo svolgerla, sui
libri che aveva preso alla biblioteca e sulla parte grafica. Volevo che si
sbrigasse, il bagno mi sembrava sempre più lontano.
«Per la gita allora?» mi chiese poi, distogliendomi
dai miei pensieri.
«Oh si, ricordati le premesse: non sei obbligato».
Si mise a ridere, squillante e limpido «Sono molto
paziente, cosa credi?» Ridemmo insieme. «Allora, il prossimo sabato?».
«Per quando è la consegna?».
«Lunedì».
«Faremo in tempo?».
Sorrise. «Certo, so essere molto veloce».
Sghignazzai. «Paziente, veloce, sei proprio un ragazzo
virtuoso eh?».
A quel punto scoppiò a ridere. «Già, e ancora non hai
scoperto tutto di me».
Feci spallucce, sarcastica «Mi impegnerò!».
Insieme andammo sul divano in soggiorno a vedere il
film.
«Che film è?» mi chiese osservando la copertina e
inserendo il dischetto nel lettore.
«Non so… mi sembrava di aver visto la copertina su un
poster da qualche parte».
«Bene, guardiamolo allora».
Partirono i titoli di testa con una musichetta
malinconica di sottofondo. Inizialmente c’erano due bambini, fratelli, che si
tenevano per mano e camminavano sulla spiaggia, poi entrarono in una villa che
torreggiava sulla baia. Era una villa ricoperta di verde e abbandonata.
Non ricordo quando cominciai a urlare, forse quando la
bambina fu strattonata nell’armadio da due mani rugose e cadaveriche, o quando
comparve una vecchia con gli occhi iniettati di sangue che recise la gola la
bambino con un’unghia, con un gesto secco.
Sentii freddo. Solo in quel momento mi accorsi di
essermi stretta a Edward, tremante di paura. Lui, dal canto suo, mi stringeva a
sé rassicurandomi.
L’apice del terrore fu quando i due bambini,
miracolosamente ricomparsi ancora vivi, scoprivano in realtà di essere morti da
sempre, e che quella era la casa in cui venivano richiamati tutti i morti.
«Bella…» sussurrò Edward, asciugandomi le lacrime che
copiose mi cadevano dagli occhi. Interruppe il film e si voltò verso di me.
«Stai bene?» mi chiese preoccupato, accarezzandomi la
guancia.
«S…si…» dissi tremante, fra un singhiozzo e l’altro,
stringendomi al suo petto.
Lui mi accarezzò i capelli, cullandomi. «La prossima
volta sarà meglio che lo scelga io il film!» scherzò, tentando di farmi
sorridere, e in effetti ci riuscì.
Mi asciugai le ultime lacrime e mi allontanai da lui.
Lui mi fissò, con uno sguardo tenero, poi si riscosse,
alzando leggermente le sopracciglia e disse «sarà ora che io vada, vorrai
andare a dormire…».
Ebbi un fremito e presi la sua mano fra le mie,
mordicchiandomi il labbro e abbassando lo sguardo. «P…per favore…puoi… puoi
rimanere qui?» Osservai le mie mani che frenetiche si muovevano sulla sua.
«Ho…ho paura…» balbettai.
«E tuo padre?» chiese lui, abbassando la testa in modo
da incontrare i miei occhi.
«Non tornerà prima di domani a mezzogiorno, è andato a
fare campeggio sul fiume» dissi tutto d’un fiato, incontrando i suoi occhi
ambra. «Non… non lasciarmi sola… ti…ti prego…».
Mi fissò intensamente negli occhi per alcuni
lunghissimi istanti. Il suo sguardo era profondo e sembrava stesse tentando di
leggermi dentro. Mi diedi della stupida e della patetica per quello che gli
stavo chiedendo. Era stata una richiesta assurda, stavo approfittando della sua
bontà, e decisamente il mio bisogno di lui era cresciuto troppo. Era una cosa
sbagliata…
Non appena aprii bocca per dare fiato ai miei pensieri
mi rispose, sorridendomi.
«Va bene Bella, fammi chiamare a casa».
Sorrisi anch’io, gettandogli le braccia al collo.
«Grazie, grazie Edward!».
Lui ridacchiò, e mi resi conto che aveva i muscoli
contratti. «Va bene, ma non mi strozzare Bella, lasciami avvisare a casa
prima».
«Oh, scusa!» dissi allegra, scostandomi da lui «vado a
prendere le coperte!».
Ci sistemammo nel soggiorno: io sul divano e lui sulla
poltrona reclinabile di Charlie. Avevo insistito a lungo per fare il contrario,
ma lui era stato più bravo di me, e non aveva voluto sentire ragioni.
Mi addormentai allegra e rassicurata dalla presenza di
Edward a pochi metri da me. Il bisogno e l’affetto che nutrivo per lui,
crescevano velocemente di giorno in giorno e neppure riuscivo a rendermene
conto.
Quando mi svegliai, il giorno dopo, sentii il vento
fischiare contro le ante della finestra. Solo in quel momento, mentre mi
rintanavo fra le coperte, mi resi conto che il giorno prima non ero poi andata
in bagno. Ero stata… distratta.
Sospirai e mi volsi a fissare Edward, che beatamente
dormiva sulla poltrona accanto.
Ragazze,
vado di fretta, anzi no, di frettissima! Questo capitolo l’ho scritto tutto
d’un fiato, ed è stata proprio una passeggiata farlo, mi sento sempre più in
simbiosi con questa storia!! Bene, spero sia di vostro gradimento e ciao, ecco
le risposte!
PS. Penso
di postare Cullen’s Love mercoledì, perché martedì il server è chiuso!
azaz
XD E’
si Bella qui ci soffre davvero tanto poveretta, ed è soprattutto anche molto
confusa… Ma hai ragione, Edward sta già sistemando tutto. Certo, da un lato è
una cosa un po’ destabilizzante, però poi tutto andrà per il meglio! E si
Edward ha sfruttato ben benino il potere di Alice, ma anche il suo di vampiro e
un po’ quello di Jasper… Insomma, se fosse stato umano non credo che l’avrebbe
mai scoperto! E in effetti si, Bella sta sviluppando una sorta di nuova
ossessione, che sarebbe Edward, ma sicuramente è molto più sana rispetto a
quella che aveva precedentemente… Non so se ci saranno dei pov Edward… Forse
alla fine farò un capitolo riassuntivo di tutta la storia in pov Edward, chi lo
sa… Hai spiato nella risposta di una altra ragazza??? Io lo dico sempre che
faccio troppi spoiler… hhh… Mi sa che devo cambiare qualche rispostine qui, ma
anche soprattutto in Cullen’s Love… Io m’illudo del fatto che non leggerete le
risposte delle altre, ma così non è… E cmq sappi che a te do più spoiler di
tutti! Il malore di Bella non è affatto psicologico e temo che peggiorerà
sempre più. Il fatto che lei inizialmente lo ignorasse era psicologico… Beh,
baci cara, e non spiare le altre risposte! ;*
luisina
Beh,
in effetti, proprio quella parte, in cui scoppia in lacrime, l’avevo immaginata
tanto tempo fa. E’ stato come un flash, un lampo di genio! Mi è venuta
l’ispirazione e ho scritto… La relazione con Edward… si, sta diventando
ossessiva, ma con il tempo ci penserà lui a farla diventare “sana”…
Wind
vabbè,
la risposta non la immagino, ma spero sia la 3! A furia di leggere le mie
storie, conosci il mio stile… Sono contenta di essere riuscita a scrivere
qualcosa di giusto sulla bulimia! ^^ Con tutto il tempo che ci ho messo a
documentarmi! XD
Amalia89
Grazie.
J Edward sta già
reagendo. Si vuole mostrare aperto e disponibile nei confronti di Bella, in
modo che lei si fidi di lui e poi possa aiutarla. Per ora la sta aiutando senza
farsi notare…
cullengirl
si,
l’affetto si sente, ma come dici tu appunto, non voglio correre troppo, non
voglio che sia troppo presto… Deve essere una cosa graduale, prima di tutto
Bella deve ammettere di avere fiducia in Edward e poi si devono ancora
conoscere meglio… No, la bulimia non è niente affatto una bella cosa, e ancora
non ho manifestato tutte le conseguenze che porta con sé…
ale03
e
penso che andando avanti odierai ancora di più Jessica, credo che in questo
frangente ci saranno un po’ di problemi sai?! Hai visto che dolce Ed?! E’ vero,
è stato molto gentile a non chiederle nulla, almeno all’inizio… Sta adottando
una strategia…
lady cat
già,
infatti Edward se ne è potuto accorgere solo perché è un vampiro… E cmq, adesso
anche Charlie sta cominciando a sospettare qualcosa, anche se temo che in
questo frangente le cose non andranno a finire tanto bene…
mazza
grazie
piccoletta, sono contenta di informare! ^^ Come sempre i tuoi complimenti non
fanno bene al mio ego, ma fanno bene a me! xD A) Si, Bella sta male, ma ti dico
solo che questo è solo l’inizio, sarà molto peggio B) Edward sospetta fortemente.
Prima di tutto per il comportamento di Bella, poi ti ricordo che è un vampiro,
con l’olfatto sviluppato, a anche per un umano è facile individuare l’odore di
chi vomita. Poi c’è il segno al dito e infine una sorella veggente e un
fratello che legge gli stati d’animo. Come se tutto questo non bastasse, c’è un
padre medico e due lauree in medicina. C) Beh, è così… E’ la manifestazione più
evidente, ecco perché adesso si usa vomitare anche con l’acqua e sale… D) Si,
me l’hai detto… xD Ma ormai Bella si è arresa all’idea di odiarlo,
fortunatamente! E) grazie, un bacio! :*
__TiTtA__
Mi
piace molto il tuo modo di pensare. J Forse perché è così simile al mio! ^^ Sisi,
la scena dell’ospedale, com’era nei miei piani, c’è… E poi io adoro tanto anche
Carlisle, quindi non potevo non metterla! Sono contenta che tu abbia capito che
Edward sapeva, significa che io ho fatto il mio compito come scrittrice e tu
come lettrice! J Per quanto riguarda gli aggiornamenti, ti posso dire
approssimatamene, ma non precisamente perché i capitoli li scrivo man mano e
non ho idea di quanto tempo ci metto a scriverli! ^^ Quelli che lo fanno hanno
i capitoli già pronti…
lory_lost_in_her_dreams Grazie! Si in effetti sto
concentrando tutta la dolcezza possibile in questa storia! Edward sta già
reagendo, anche se non si vede, non è evidente, ma lui pensa che questo modo
d’agire sia più giusto e adatto per Bella…
Noemix
Si mi
sono abbrustolita! XD Emi sono presa anche una mezza insolazione! Ma adesso
sono di nuovo integra con tutti i neuroni apposto! Senti Edward distante? Mmm…
no, io olevo ottenere proprio l’effetto contrario. Tipo, quando lei lo
abbraccia, Edward della Meyer si sarebbe scostato e basta. Qui lui rimane un
po’ pietrificato però poi l’abbraccia. Quindi…
Dan A me Bella lunatica
ricorda tanto ME! Perché io sono completamente, pazzamente, lunatica! XD Anche
i tuoi gridolini impazziti mi piacciono, infondo anch’io faccio così! :P Come
Alice?! Eheh, si, quando deve convincere Bella a farsi organizzare il
matrimonio! XD Dagli da mangiare un po’ a quel criceto però! Io il mio l’ho
guarito, l’ho portato da Carlisle e l’ho fatto curare… a dire la verità dopo
voleva berselo, ma io gliel’ho impedito!
damaristich
sisi,
Edward lo sa già, ma non lo dirà a Bella. Aspetterà che sia lei a
confessarglielo, capito?! E’ una cosa un po’ complessa, ma Edward si vuole
muovere con cautela. J
Anija
Oh,
beh… Grazie. Sono contenta che ti piaccia! J
JessikinaCullen
sisi,
io entro sempre nel personaggio! ^^ Si, Edward ha chiesto ad Alice e a Jasper
poi tieni conto che lui fa affidamento sui sensi extra dei vampiri e ha anche
un padre medico, quindi… Per quando riguarda il suo comportamento in cucina,
si, credo che anche lui non avrebbe detto nulla, pur non sapendo del problema
di Bella. Infatti non è che non ha chiesto nulla perché lo sapeva già, ma
perché in questo modo lei si sentirà libera di aprirsi con lui e magari di
rivelargli i suoi problemi. Infatti non l’ha neppure invitata a mensa…
barbyemarco
si,
magari sarebbe un’idea! XD Ma forse è meglio che tu l’abbia letto in questo
capitolo, altrimenti non sarebbe stato brutto un capitolo di 9 pagine e uno di
3? Così adesso abbiamo fatto 6 e 6 e tutto è apposto! ^^ XD Grazie di tutto…
Bella_Cullen_1987
questa
storia non mi piace… -.- Edward mi difenderà fino alla morte, anche se io sono
ancora umana, proprio come ha fatto con Bella! :P
Lau_twilight
grazie!
:D Si, in effetti anch’io adoro quando Edward è così dolce, per questo ho
deciso di concentrare TUTTO questo suo lato in questa fic. Qui non c’è spazio
per la freddezza, per il tormento, per l’angoscia. No. E’ solo Edward tenero,
dolce, gentile, premuroso. Hhhh… Tutti i suoi lati positivi insomma!
IsAry
Sono
contenta che ti sia piaciuto, anche per me i capitoli teneri sono i miei
preferiti! *.*
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Capitolo 7 *** Nuovo Arrivato ***
Tin tin tin tin tan
Tin tin tin tin tan. Tin tin tin tin tan.
Ascoltavo il rumoroso ticchettio della pioggia. Una
goccia, superstite dell’ultimo acquazzone, continuava a cadere dalla finestra
semi aperta. Mi dava un fastidio immenso, ma per questo l’avevo aperta.
Perché mi sentivo confortata. Sapevo che quella era la
cosa sbagliata, come il dolore che stavo provando in quel momento, dopo essere
appena uscita dal bagno, ma la volevo fare. Perché io non volevo cambiare e
quello che era successo in presenza di Edward era stato un cambiamento. Non
andava affatto bene.
Tin tin tin tin…
maou…
Maou?
Sollevai il capo di scatto, attirata da quel suono insolito. Sull’enorme albero
di fronte alla mia finestra c’era un gattino, col pelo pezzato, bianco, marroncino
e caramello, mezzo affogato d’acqua.
Mi fissò negli occhi, con la sue iridi verde smeraldo.
«Maou» fece, come se mi stesse chiedendo aiuto.
Mi sollevai in piedi, aprendo completamente la
finestra.
«Micetto, scendi dall’albero…» lo chiamai.
Quello miagolò ancora, tremando. Aveva freddo il
povero cucciolo.
«Vieni, vieni qui» lo chiamai ancora, ma non si mosse,
continuando a miagolare. Allora cominciai a sbracciarmi, facendo segni con la
mano e contemporaneamente chiamandolo, ma nulla, rimase immobile.
Ero tentata di richiudere la finestra e andare a farmi
una doccia, ma quel gattino, solo, impaurito, sperduto, tremante. Mi ricordò
tanto qualcuno che aveva bisogno d’aiuto.
Così scesi le scale di gran corsa presi il cartone del
latte e ne versai un po’ in un piattino di plastica. Salii, attenta a non
rovesciarlo e lo misi sul davanzale, porgendolo al micetto.
Quello si sporse, come ad osservare, poi si ritrasse
un po’, starnutì, e miagolò. Mi rivolse uno sguardo strano.
«Vieni piccolo, vieni qui, c’è tanto buon latte».
Piano, timoroso, cominciò a muoversi sul ramo, posando
e ritraendo la zampetta per trovare dei punti d’appoggio fino ad arrivare ad un
metro da me. A quel punto mi sporsi e riuscii ad afferrarlo.
Ma persi l’equilibrio e rischiai di cadere di sotto
con tutto il gatto.
Mi bilanciai nuovamente indietro aiutandomi con il
braccio libero. Sospirai, rilassata per lo scampato pericolo.
Il micetto, stringendosi al mio petto, miagolò.
«L’abbiamo scampata bella, eh?».
Lo lasciai andare sul pavimento e gli misi accanto il
piatto di latte.
Quello cadde, sedendosi sul sedere e starnutì.
«Sei un gatto proprio strano sai?» gli dissi mezza
scioccata «I gatti di solito riescono a rimanere sulle quattro zampe».
Quello miagolò ancora, e si alzò sulle zampe.
Barcollando come una papera si avvicinò con il muso al latte, lo annusò,
bagnandosi i baffi. Scrollò la testa e mi fece ridere.
«Sei proprio buffo» dissi ridendo.
Quello si sedette ancora a terra con il sedere e
miagolò.
«Bevi il latte» lo esortai «non ti piace?».
Mi fissò negli occhi, osservandomi.
«No, non ti piace, ho capito».
Persi il micetto in braccio e quello si accoccolò sul
mio petto senza contestare. Con l’altra mano presi il piattino e mi diressi al
piano di sotto. Posai il piattino sul ripiano della cucina, presi una notevole
quantità di carta da cucina e mi diressi in bagno. Dapprima tentai di
asciugarlo, ma il pelo lungo rimaneva bagnato. Ora che ci facevo caso, era
davvero piccolissimo e il suo pelo somigliava più a una peluria morbida.
A un certo punto mi resi conto che ero sporco di fango
e decisi di lavarlo. Misi una vaschetta nella doccia e feci scendere
un’abbondante dose d’acqua. Poi presi il gattino e lo immersi dentro. Ciò che
mi stupì e che non si lamentò affatto. Sembrava quasi gli piacesse l’acqua
calda.
Cominciai a strofinarlo. Il pelo lungo dava
l’impressione che fosse più grande, invece era ancora più piccolo.
Miagolò.
Presi del sapone, attenta a non farlo andare negli
occhi del gattino. Poi lo cacciai dalla vaschetta, e lo misi sul pavimento dove
avevo sistemato la carta e cominciai ad asciugarlo con il phon.
Avevo quasi paura che volasse via quando il getto
caldo lo investì, considerando come si sbilanciò indietro, ma poi cadde a
pancia in su e lo asciugai anche lì, ridendo.
«Sai micetto, sei proprio bello… Ma mi sa che non ti
posso tenere» miagolò «e no, sei di qualcuno?» cercai una possibile piastrina
che mi fosse sfuggita all’attenzione o un cip o un tatuaggio sotto l’orecchio,
ma non trovai nulla. Sospirai «Beh, non ti posso tenere comunque».
Quello miagolò, quasi dispiaciuto.
Lo presi ancora in braccio e lo portai in cucina.
Già, anche a me stava simpatico. Era buffo, e non
aveva nulla a che fare con gli altri gatti. Non aveva senso dell’equilibrio,
non gli piaceva il latte e non si lamentava quando faceva il bagno. Un gatto
decisamente anormale insomma. E soprattutto, con quegli occhi verdi grandi, e
quell’aria mezza affogata… mi sembrava tanto bisognoso d’aiuto.
Ma non avrei mai potuto tenerlo, Charlie non me
l’avrebbe sicuramente permesso. Avrei sempre voluto avere un animale domestico,
ma mia madre Reneè era allergica al pelo e quindi… Ora la casa era piccola.
Certo, avrei potuto tenerlo con cura dentro casa ma… No, era impossibile.
Avrei dovuto affiggere degli avvisi con la foto del
gatto in modo che lo ritrovassero.
Mentre cercavo nel frigo qualcosa da mangiare per il
micetto, notai che si allungava sul bancone della cucina, annusando il latte
che avevo depositato prima. Allora lo poggiai a terra, ma quello fece come
prima, lo annusò e si scrollò i baffi. Presi il piattino e lo misi nel
microonde poi lo riposi al gattino. Quello ripeté la stessa scena di prima.
«Micetto, che devo fare con te?» Gli chiesi
osservandolo, piegata sulle ginocchia.
Lui mi osservò e miagolò gemente.
Misi il dito nel latte e glielo avvicinai al muso.
Quello allora si avvicinò ad annusare e cominciò a
leccare, facendomi il solletico. Allora capii, non era ancora svezzato, forse
avrei dovuto procurarmi un biberon… No, sarebbe stato inutile, presto l’avrei
ridato indietro.
In quel momento bussarono alla porta, così andai ad
aprire.
Un ragazzo alto con gli occhiali e le spalle
leggermente ricurve mi sorrideva.
«Scusa, ho perso un gattino e mi chiedevo se…».
Proprio in quel momento, fra i miei piedi fece la
comparsa il gattino, miagolando.
«Oh, si, è proprio lui!».
Arrossii, imbarazzata. «Si, l’ho trovato qualche ora
fa su un albero. Ho cercato targhette e cip, ma non ne ho trovati, scusami,
volevo fare dei volantini…».
Ora che gli avevo ritrovato il padrone mi dispiaceva
enormemente separarmene. Si stava strusciando fra i miei piedi, facendomi il
solletico. Poi si allungò sulla mia gamba, chiamandomi, così lo presi in
braccio, sorridendogli.
Il ragazzo di fronte a me mi fissò sbigottito,
arricciando le folte sopracciglia. «C…come hai fatto? Non sono mai riuscito a
prenderla in braccio».
Sorrisi mesta. «E’ una femminuccia?». La gattina mi
leccò la guancia, facendomi ridere.
Lui annuii. «Si, è nata tre settimane fa. Beh, in
effetti questa gattina non è proprio mia…» il ragazzo si contorse le mani,
arricciando la bocca «è che la madre è morta, quindi la dovrei dar via ma non
so proprio a chi…».
Proprio in quel momento nel vialetto parcheggiò l’auto
della polizia. Mio padre scese dalla macchina e mi fissò in modo strano,
nuovamente indagatore.
«Bells, di chi è quel gattino?» mi chiese tranquillo,
venendomi accanto, mentre la gatta mi leccava e mordicchiava la punta della
dita.
«Capo Swan» lo salutò il ragazzo. «Sua figlia ha
ritrovato il gattino ma io… non so proprio a chi darlo e a sua figlia sembra
così affezionata…».
Mi padre mi rivolse un’altra occhiata indagatrice,
corrugò la fronte, si lisciò il mento. Passò qualche istante di silenzio poi mi
chiese «Lo vuoi tenere?».
Rimasi sbigottita. «Posso?» chiesi con gli occhi
sgranati.
Lui mi sorrise. «A condizione che ti occupi totalmente
di lui, io non ne voglio sapere!».
«Grazie papà!» dissi, saltellando di gioia.
Lui arrossì e entrò dentro casa borbottando qualcosa,
imbarazzato.
«Bene, direi che allora è tutto apposto» disse il
ragazzo di fronte a me, con l’aria soddisfatta di chi si è tolto di mezzo un
impiccio.
«Sicuro che per te non è un problema?» chiesi gridando
visto che se ne stava già andando di gran passo per il vialetto.
Mi salutò con la mano e io ricambiai, tenendomi
stretta il gatto, anzi, la gatta con l’altra.
Poi sorridendo mi incamminai in casa.
«Bells, io sto andando a la Push…» disse imbarazzato mio padre. «Forse… non ti dovrei lasciare sola, ultimamente…».
Gli sorrisi, lasciando andare il gatto, che atterrò
nuovamente di sedere sul pavimento. «Non ti preoccupare, sta per arrivare
Edward». Nonostante tutto, non mi ero per nulla dimenticata di quell’impegno che
mi faceva sorridere anche solo pensandoci.
Mio padre si accigliò, fissandomi sarcastico «Appunto,
ultimamente…».
Io arrossii terribilmente.
Lui lasciò cadere il discorso lì predendo le sue cose
e avviandosi alla porta. «Ciao Bells, divertiti, mi raccomando…».
Io annuii a vuoto, incapace di proferire parola. La
gattina mi chiamò.
Esitante, mi avviai verso il frigo e cominciai a
mangiare di tutto, senza freni, sentendomi nuovamente libera. Poi corsi in
bagno e vomitai, scivolando poi sul pavimento, ansante. Sentivo nuovamente
dolore alla pancia, ma non me ne curai per un po’. Il dolore era confortevole,
mi faceva sentire quasi protetta, ero… abituata. Mi stupii di quella mia stessa
conclusione. Avevo vissuto mesi nel dolore, senza neppure rendermi conto
di provarlo, e poi… poi era arrivato Edward, e la consapevolezza di me stessa
mi aveva sopraffatta e così anche il dolore.
Mi sentii chiamare dal gattino e così il fastidio per
il dolore ritornò. Stava accanto alla mia faccia, esitante.
«Scusa micio» gemetti, stringendomi la pancia e
mettendomi seduta. Ma il dolore non accennava a diminuire.
La gattina cominciò a leccarmi le dita delle mani.
Mi sollevai dal pavimento e andai in cucina, dove presi
un antiacido di mio padre.
Poi suonarono alla porta. Mi sollevai a fatica dalla
sedia su cui mi ero accoccolata, sospirando e tentando di darmi un contegno.
Andai ad aprire. Edward mi fissava sorridente.
«Ciao Edward!» tentai di metterci tutto l’entusiasmo
che realmente provavo.
Tuttavia non dovetti riuscirci granché, perché mi
chiese «Qualcosa non va?».
«No no, tutto apposto…» ma non feci in tempo a rispondere
che sentii miagolare e la gattina mi saltò in braccio.
Poi, inaspettatamente, si voltò verso Edward e alzò il
pelo, sfoderando gli artigli e tentando in qualche modo di ringhiare. Era
davvero buffa.
Mi chiesi il perchè di quella reazione e, lisciandole
il pelo provai a calmarla. «Micettina, che hai?» feci a Edward cenno di entrare
con una mano e cullandola la portai in cucina.
«Hai preso una gattina?» mi chiese Edward, curioso.
«Si, ti piace? E’ così bella… E’ anche buffa sai? Adora
l’acqua, le piace essere coccolata, non ha senso dell’equilibrio, ed è tanto
bisognosa d’aiuto!» dissi amabilmente. Adesso la gattina si era accoccolata e
faceva le fusa.
«Come te allora».
Mi voltai di scatto verso Edward.
Parve in imbarazzo. «Intendevo… per l’equilibrio».
Decisi di non badarci e mi ricordai di una cosa. «Ho
bisogno di andare a comprare un biberon».
Lui inarcò le sopracciglia.
«Per la micetta» spiegai «non è ancora svezzata…».
«Oh, va bene, andiamo con la mia macchina?» mi chiese,
mantenendo comunque le distanze.
«Mmm…» esitai titubante «e la gattina? Mica la posso
lasciare sola…».
«Portiamola con noi» disse lui.
«Scherzi? In macchina? E se per caso rimane
traumatizzata?» esclamai sconvolta.
Mi sembrava che lui stesse tentando di reprimere una
risata. «Non ti preoccupare, non accadrà. Se vengono abituati da piccoli i
gatti non hanno paura delle auto e poi hai detto che questo non ha senso
dell’equilibrio…».
Alla fine riuscì a convincermi e ci ritrovammo di
fronte al negozio di articoli per animali domestici. La gattina era rimasta
stranamente tranquilla durante il viaggio in auto, fortunatamente.
Comprai il biberon, la lettiera e dei croccantini per
quando si fosse fatta più grande.
Poi Edward richiamò la mia attenzione, a qualche
scaffale di distanza. «Guarda» mi disse «non è bellissima?».
Lo raggiunsi e osservai una cuccetta per gatti, di
vimini, rivestita all’interno da un cuscino bianco e con tanto merletti. A
sovrastarla una bellissima tenda di tulle.
«Si, hai ragione…Bellissima».
Anche la gattina miagolò in assenso.
«Ok, prendiamola» disse Edward, afferrandola.
Non volle sentire ragioni e pagò lui tutto quanto. Non
potevo oppormi, ma decisi che un giorno o l’altro gli avrei fatto un regalo.
Mentre Edward metteva tutti i pacchetti nella sua auto
io mi misi a sedere con la gattina in grembo, accarezzandola. A un certo punto
mi resi conto che non si muoveva più e chiamai Edward spaventata.
«Edward! Edward!».
«Che c’è?» mi chiese ansioso, comparendomi accanto e aprendo
la portiera.
Osservai la gattina immobile, terrorizzata, poi mi
voltai verso Edward, che mi stava guardando preoccupato. «Non si muove» dissi
sgomenta.
Lui sospirò, abbassando le spalle e rilassandosi. Si
avvicinò al gattino, lo tastò e disse «Sta solo dormendo».
«Povera piccola, era stremata…». La accarezzai.
In breve arrivammo a casa e io sistemai tutte le cose
nei loro rispettivi posti, mettendo la cuccetta della gatta in camera mia, con
la gattina adagiata sul cuscino.
Edward si aprì in un sorriso quando entrò in camera
mia. «E così questa è la tua camera…».
«Si» dissi arrossendo e sedendomi atterra accanto alla
cuccetta.
Gli feci segno di sedersi di fronte a me, e così lui
fece, con un movimento fluido e elegante.
«Dovresti trovarle un nome» mi disse Edward.
«Oh, è vero, non ci avevo pensato…». Tentai di
scorrere il pensiero fra alcuni possibili nomi. «Tu che dici?» chiesi poi.
«Io?» disse lui, sorpreso che glielo stessi chiedendo.
«Certo tu…».
«Non sono bravo in questo genere di cose…».
«Oh, perché io si? Ti devo ricordare l’ultimo film che
ho scelto…».
«No no, per carità» disse lui e poi scoppiammo a
ridere.
A quel punto mi venne in mente una cosa «Come hai
detto che si chiama tua sorella?».
«Rosalie?» chiese lui «Alice?».
«Si, Alice…Ma ora che ci penso non credo sarebbe
contenta di cedere il suo nome a un gatto… E’ quella con i capelli neri e
bassina, giusto?».
Mi sorrise. «Si, il folletto».
Sorrisi anch’io per quel nomignolo. Le calzava a
pennello. «Sembra simpatica, dovrai presentarmela un giorno o l’altro».
Lui rise. «Sai, anche lei sembra ansiosa di
conoscerti…».
«Chissà che nome…» fantasticai, intrecciando quasi
inconsapevolmente le mie dita a quelle di Edward.
A quel punto la gattina si svegliò, stiracchiandosi
nella cuccia, miagolando e venendomi in braccio. Quando si rese conto della
vicinanza con Edward però, ebbe la stessa reazione della prima volta che
l’aveva vista. Si gonfiò tutta, e corse via. Questa volta però mi graffiò la
mano, facendo cadere due gocce di sangue da una minuscola ferita. Posai lo
sguardo sulla gattina tremante, per distrarmi dall’odore del sangue.
«Oh, mi ha graffiata… Chissà perché, è sempre stata
così buona. Forse gli stai antipatico» dissi per scherzare, risollevando lo
sguardo su Edward.
Lui stava rigido di fronte a me, immobile e più
pallido del solito. Gli occhi erano sgranati e neri, come se avesse avuto le
pupille completamente dilatate. Mi sembrava che non stesse respirando. Un
brivido mi attraversò la schiena.
«E…Edward… s…stavo scherzando».
Lui non si mosse. Allora seguii la direzione del suo
sguardo, fino ad incontrare la piccola ferita.
«Oh, scusami» dissi, alzandomi in piedi. «Me l’avevi
detto di essere sensibile al sangue, scusa, me ne ero dimenticata».
Uscii dalla stanza, ma Edward non mi seguì. Allora
andai in bagno e mi lavai la ferita. La gattina mi raggiunse dopo pochi
istanti, appena riuscì a scendere tutte le scale senza ruzzolare di sotto.
La ferita aveva già smesso di sanguinare e non appena
misi la mano sotto il getto d’acqua le gocce che erano uscite furono lavate
via. Allora Edward comparve misteriosamente al mio fianco.
«Edward, come stai?» chiesi trafficando nella cassetta
di pronto-soccorso per trovare un cerotto.
«Scusami» sospirò, avvicinandosi e esaminando la mia
ferita «questa domanda avrei dovuto fartela io…».
«Non è nulla Edward, davvero, solo due gocce…».
Lui non sembrò quasi badare alle mie parole e prese il
disinfettante e un pezzetto di cotone idrofilo. «Rischia di infettarsi» mi
spiegò «quando hai fatto l’ultima volta l’antitetanica?».
Tremai di paura, pensando all’ago. «Sono coperta!»
dissi in fetta.
Lui ridacchiò.
«Che c’è?».
Rise ancora. «Dovevi edere la tua faccia, sei
sbiancata!» se la rise ancora un po’ «Sono coperta!» disse piegandosi in
due dalle risate.
Dapprima incrociai le braccia al petto, fingendomi
offesa, poi, mi unii a lui.
«Hai paura degli aghi?» mi chiese curioso non appena
riprese fiato.
Arrossii imbarazzata. «Già…» ammisi.
Lui ridacchiò ancora.
Poi la micetta reclamò l’attenzione.
«Minush» decretò Edward, osservandola e beccandosi un
altro ringhio.
Mi voltai verso di lui, soddisfatta. «Mi piace!», poi
mi rivolsi alla gattina, chiamandola. «Minush».
«Maou» mi rispose quella.
«Beh, direi che piace anche a lei!» dissi contenta.
Tuttavia il gattino miagolò ancora e ancora e ancora.
«Che ha?» chiesi rivolgendomi a Edward.
Lui scrollò le spalle «Credo abbia fame».
«Oh!» esclamai.
Preparammo il latte, riscaldato, poi ci sistemammo sul
divano nel salotto.
Presi in braccio Minush e cominciai a farla bere. Sembrava
proprio un neonato, ciucciava e apriva e richiudeva le zampe sul biberon.
Appoggiai il capo sulla spalla di Edward, che mi
strinse a se accarezzandomi i capelli. Non so descrivere la sensazione di
immensa pace che provai. La calma s’infuse in me come un balsamo che lava via
ogni ferita.
«Vuoi provare tu?» gli chiesi, indicandogli la
gattina.
«Oh, no, no, mi sa che avevi ragione tu, non le sto
molto simpatico…» scherzò.
Mi sembrò quasi che la gattina lo fissasse truce.
«Hai ragione, chissà perché… A me sei così simpatico…»
pensai ad alta voce.
«Grazie» disse lui, aggiungendo «tu sei molto più che
simpatica, sei speciale…».
A quel punto arrossii.
Minush aveva finito tutto il latte, e mi si era
accoccolata in grembo. Sbadigliò, e io con lei, socchiudendo gli occhi e
riappoggiandomi con il capo alla spalla di Edward.
«Hai sonno?» mi chiese, osservandomi.
Annuii, senza riaprire gli occhi.
A quel punto mi sentii sollevare da terra, e mi
ritrovai fra le braccia di Edward, che mi portava al piano di sopra.
«Edward, lasciami!» gridai «sono pesante!».
Anche Minush, fra le mie braccia, miagolò.
Lui rise e non badò alle mie proteste, portandomi in
camera mia.
A quel punto risi anch’io.
Ok,
eccomi qui… Scusate per questi ultimi due capitoli un po’ di pausa, ma direi
che già nel prossimo succederanno un po’di macelli, beh forse non nel prossimo,
ma in quello dopo… non so… Eheh…
Lo so che
vi ho un po’ scocciato, infatti ho notato che l’attenzione è un po’ diminuita,
ma poco poco, ok sono io che sono melodrammatica, ma spero che con il prossimo
mi farò perdonare, in tutti i casi.
Ho notato
con piacere che alcuni di voi l’hanno capito. In effetti, le domande di
Carlisle non erano affatto casuali, ma premeditate e ben pensate! Diciamo che
si era messo d’accordo con Edward. Un’altra cosa. Non so… Forse non l’avete
notato… Ma con 46 kg si è sottopeso con l’altezza di Bella. Non è una magrezza
mostruosa, ma è sottopeso e con la bulimia il peso può o rimanere fisso o
oscillare molto velocemente.
Mmm… ah
si, in questo capitolo si dovrebbe essere notato. Bella non ha nessuna
intenzione di cambiare, ma proprio nessuna ancora!
Ah, il
tempo sta passando un po’ così… cioè questo non è il giorno dopo dell’altro, è
un giorno indefinito… ok… sto dicendo cose stupide che neppure dovrei dire…
Ciao…
Fatevi
sentire…
Peace
and Love…
Ps. Il
gatto è vero! Cioè, era il mio gatto, ed era fatto esattamente così… ^^
Equilibrio e affettuosità compresi e anche la cosa dello svezzamento…
azaz
Va
bene va bene, diciamo che ti è caduto l’occhio… XD Subissata di impegni? Ma
cosa mi racconti?! No no, d’estate non si può essere subissate di impegni,
bisogna essere libere, godersi le vacanze e leggere le mie storie! XD No no
dai, scherzo… Beh, si Eddino è tanto dolce e procede spedito nella sua opera
“salviamo la Bella in via d’estinzione della penisola Olimpia”. XD Già, in
effetti direi che il tuo potere speciale sensitivo è ritornato, perché nella
visita con Carlisle era proprio quello che volevo far notare! Cara!!! Che bello
che mi capisci sempre alla perfezione!!! Si si in effetti fra un po’ si agirà
in quel senso… beh, fra un bel po’… c’è ancora qualche capitolo prima… Il film
horror ti è piaciuto vero?! Muahahah… Beh, in effetti essere consolate da
Edward è decisamente il massimo!!! J Per questo l’ho messo, perché stavo guardando
un film horror e mi sono detta “se adesso ci fosse Eddy” e ding, mi si è
accesa la lampadina! J
luisina
Già,
io praticamente non saprei come fare senza Carlisle, se non ci fosse Edward il
mio preferito sarebbe senza dubbio lui, lo adoro praticamente, ma penso si sia
notato, vero?! Ho tentato di renderlo “medico” in tutti i sensi, quindi molto
professionale, infatti la questione della lecca-lecca avrei voluto evitarla… XD
Si, è stata Alice e anche Jasper, le due lauree in medicina e i super sensi di
vampiro! Direi che hanno collaborato tutti quanti… Qualcosa sta cambiando in
lei… mmm… forse, ma non credo che la ripresa sarà così facile come sembra…
lilly95lilly
Grazie
mille. No, Jacob non comparirà, non lo sopporto, mi farebbe esplodere la testa
per scrivere una storia in cui c’è anche lui… No no, per carità, mi basta quello
che ho già scritto su di lui. Grazie di tutti i complimenti e in effetti si, mi
hanno già informata degli errori d’ortografia, penso che dovrò andare indietro
a correggere. Spero che questa storia abbia nobili scopi, ma anche se così non
fosse, spero che sia una lettura piacevole. Ciao, Francesca.
__TiTtA__
Si!!!
Brava brava, hai indovinato perfettamente. Edward si è messo d’accordo con
Carlisle per farle le domande e per capire meglio la sua malattia… che non è
facile né da individuare né da catalogare perché ci sono così tante differenze
da un caso all’altro…
IsAry
Brava!
Sei la 4° che ha capito che le domande di Charlie non erano casuali… vi sto
contando per capire quanto sono brava io a farvelo capire e quanto siete
perspicaci voi a capirlo!
lady cat
come
tonto??! Povero Charlie… XD Si, anche Carlisle ovviamente sa, perché si è messo
d’accordo con Edward per farle tutte le domande, ecc… quindi…
mazza
A) Si,
in effetti non è tanto romantico, ma funzionale direi! ^^ B) Diciamo che Edward
aveva in mente solo due spauriti occhi marroni che lo fissavano C) E chi non ci
proverebbe! xD D) Eh già… xD Però mica potevo farlo andare via, giusto?! E) XD
XD Si, direi che c’entra l’ammirazione per il suo mestiere, ma c’entra anche
che è un gran pezzo di… emm *colpetti di tosse* F) ehh si… la sincerità tarderà
ancora un bel po’ ad arrivare… G) Invece io si… ma a me non dà fastidio, invece
certe persone non lo sopportano… chissà perché… H) Brava brava! Sei la 3° ad
averlo capito! I) su quello di Bella sono sicura, quello di Edward l’ho
inventato! J) Tu pesi 43 kg?! O.O piccoletta, mi preoccupi… K) XD divertente
vero?! XD L) Già… vorrei essere IO l’asciugamano! M) Già, pratica comune
comunque… N) Già! ^^ A Edward gli fa un baffo! XD Non ti preoccupare x la
lunghezza, visto quante cose ti ho scritto?! Oddio… XD
ale03
si
bravissima! Sei la seconda che ha capito che le domande di Carlisle non erano
poste a caso! Menomale che c’è qualcuno che mi comprende ogni tanto… J Brava brava,
complimenti! ^^
barbyemarco
XD
grazie mille… dai la prossima volta ne scrivo uno più lungo… ;)
cullengirl
eheh,
il film di paura non era proprio the others, però era parecchio ispirato!
Perché in pratica è l’unico film di paura che ho visto… diciamo che non è
proprio il mio genere l’horror! XD In effetti si, quello era l’intento di
Edward, distrarla, ma non stupirti, è una pratica comunque che suggeriscono gli
psicologi…
daniciao
grazie
mille! Si, in effetti in questa storia ho tolto un po’ di tocco fantasy! ^^
Spero continuerai a seguirmi, ciao!
Noemix
Ciao
Noe! Grazie! Io adoro la medicina, già mi vedo in giro per i corridoi con il
camice… Pensa che la cosa che mi piace di più quando scrivo il capitolo è
proprio documentarmi… Poi guardo sempre le medical division e sto sempre
attenta quando si parla a casa di medicina con annessi e connessi… J
JessikinaCullen
si,
anch’io adoro Carlisle, dopo Edward è il mio preferito, si vede no?! Brava! Sei
stata la prima che ha capito che le domande di Carlisle non erano fatte a caso!
Brava brava… E’ vero, Bella ha fatto un piccolissimo passo avanti, ma ora tutto
è già tornato come prima. Non illudiamoci, queste non sono cose che cambiano
dall’oggi al domani, sarà tutto molto più graduale…
Miky1991
Grazie
mille, che bella recensione! ^^ Si, in effetti in questa fan fiction ha
concentrato tutto il carattere dolce e premuroso di Edward, e tutto quello
fragile di Bella! Tu dici che lei sta per guarire? Credimi, per il passo avanti
che ha fatto ce ne saranno molti indietro… La strada non è affatto così facile
come sembra! Ma con l’aiuto di Edward… beh, io dico che se la caverà…
ellylovestwilight
Grazie!!!
Si, in effetti ho deciso di concentrare tutte le caratteristiche positive di
Edward in questa ff, ma spero di non creare una Mary Sue, anche perché più
avanti il nostro Edward commetterà un bell’errore…Si, ma sa che purtroppo il
dolore aumenterà, ma non fasciamoci la testa rima di essercela rotta! J
Dan Allora è un criceto
grasso! XD Portalo da me il giorno della cuccagna! J Ci penso io a dargli
qualche morsetto! Sisi, Edward ci sta andando per il sottile adesso, ovviamente
poi ci sarà la svolta fra un po’… Bella non lo può baciare! Ancora deve capire
di amarlo, figurati…
BellaJey
grazie!
Scusami se non ti ho risposto all’altra recensione, ma non ho fatto a tempo,
scusami! Cmq, grazie, si Edward è dolcissimo! *.*
Bella_Cullen_1987
Edward
è mio… grr… sono pronta a difenderlo con le unghie, con i denti e anche con il
sangue!!! Muahahah!
Lau_twilight
grazie
cara! Si, anche a me piace l’Edward dolce e premuroso, infatti in questa fic
vedrai solo questo! Certo, ci sono altre cose negative, tipo una Bella davvero
fragile e in difficoltà, ma con un po’ di carta e colla vinilica tutto si
sistema! Oddio che sto dicendo… Scusami, sarà il caldo!
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Capitolo 8 *** Ricordi ***
«Bella
«Bella!» mi sentii chiamare appena scesa dal pick-up.
Mi voltai fino a fissare Edward che mi veniva incontro,
in tutta la sua radiosa bellezza d’un sorriso. Da quando l’avevo conosciuto,
causa assidua frequentazione con lui, ero stata costretta a cambiare
leggermente le mie abitudini. Non potevo più avere gli stessi orari e metodi,
ma ne avevo trovati altri che calzavano a pennello con gli incontri con Edward
e che mi premettevano di non cambiare le mie abitudini alimentari.
«Ciao Edward» lo salutai leggermente sottotono.
Lui ridacchiò, mettendomi una mano sotto il mento e
facendomi sollevare lo sguardo che nel frattempo si era concentrato su una
lastra di ghiaccio ai miei piedi. «Sei in pensiero per Minush, vero?».
Feci un mezzo sorriso. Come al solito mi capiva
perfettamente. «Già» biascicai.
«Non ti preoccupare, vedrai che starà bene, è un
gattino in gamba se la sa cavare da solo».
Lo guardai fisso negli occhi, esprimendogli la mia
preoccupazione. «No invece, le devo dare da mangiare io, e stamattina le ho
fatto fare colazione, ma sono in pensiero per il pranzo, le ho lasciato una
ciotola di latte ma non ce la fa a berlo da sola, insomma, ci è riuscita solo cinque
volte! E se per caso si affoga?!» il ritmo delle mie parole si era fatto sempre
più incalzante e agitato. Ero preoccupata per la gattina, ero preoccupata per
quello che mangiava. Di solito la facevo mangiare e lei mi faceva compagnia
mentre mangiavo, era una cosa che mi faceva piacere, il fatto di non dovermi
nascondere davanti a lei. Tra di noi si era creato un ottimo rapporto. A
differenza di quello che aveva con Edward, che sembrava non sopportare…
«Bella» mi chiamò lui, interrompendo il flusso dei
miei pensieri. «Starà bene, quella gattina è in gamba, se la caverà. E poi i
gatti hanno abitudini diverse dalle nostre, non devono per forza mangiare in
orari prefissati».
Le sue parole, e il tono dolce con cui le disse, mi
rincuorarono. «Già, forse hai ragione Edward» gli dissi abbracciandolo.
Lui rispose all’abbraccio contento. Mi sembrava che
gli piacesse quando lo chiamavo per nome. Dopo un po’ si staccò da me,
prendendomi per mano per guidarmi all’interno dell’edifico scolastico. Ad un
certo punto si fermò. «Guarda» mi disse, indicando un manifesto color rosa
antico «domani c’è il ballo scolastico, forse non potremmo andare a fare la
nostra gita nei boschi…».
«Oh, no!» esclamai. «Andiamo, andiamo pure a fare la
gita!», poi mi resi conto della sua faccia sbigottita «sempre che tu, ecco… non
voglia andare al… al ballo con… con qualcuna…» balbettai abbassando lo sguardo
e prendendomela con me stessa per il desiderio di possessione che stavo
nutrendo nei suoi confronti.
Lui scoppiò in una risata cristallina, che mi fece
alzare lo sguardo verso il suo viso. «Sembra…» cominciò, quando riuscì
nuovamente a parlare «Sembra che tu odi i balli ancor più delle gite nei
boschi!».
Arrossii terribilmente. «Beh si… con i miei problemi
di equilibrio… e poi non saprei con chi andarci» ammisi, imbarazzata.
Lui sollevò un sopracciglio «Pare che metà della
scuola ti stia facendo la corte».
Sbiancai «C…cosa?». Non avevo notato nessuna
attenzione particolare, né la volevo, e mi auguravo che non sarebbe mai
arrivata. «Io non… non voglio… non ci voglio… non… non voglio… nessuno…»
balbettai e sentii il mio fiato farsi sempre più corto.
Sentii due mani fredde sulle spalle. «Ehi Bella,
calma, calmati. Non è niente, okay?» mi disse serio Edward, guardandomi negli
occhi.
Io annuii, specchiandomi nel suo sguardo dorato e
riprendendo a respirare normalmente.
«Vieni qui» mi disse, abbracciandomi.
Inspirai il suo odore dolce sul suo petto.
«Non permetterò a nessuno di avvicinarsi, ti
proteggerò io, al costo di portarti io stesso al ballo» mi promise, in tono
leggermente divertito.
Mi strinsi maggiormente a lui. «Grazie Edward».
Mi baciò la fronte e mi prese nuovamente per mano.
«Vieni, andiamo, o arriveremo in ritardo».
Le ore trascorsero tranquille, e come sempre ora
mangiavo prima della mensa, di nascosto, per poi potermi sedere al tavolo più
lontano insieme a Edward, a chiacchierare.
Anche biologia passò in fretta, e il professore ci
ricordò la scadenza della consegna della relazione, fissata per lunedì. Sabato
avremmo fatto la nostra gita e girato il filmato e scattato le foto da usare
come materiale integrativo. Non volevo ammetterlo neppure a me stessa, ma ero
ansiosa che arrivasse l’indomani.
Edward ripose i suoi libri e si voltò verso di me. «Bella,
i miei fratelli mi stanno aspettando, mi devono dire qualcosa» il tono in cui
lo disse, e la ruga di serietà che aveva in fronte mi sembrarono alquanto
sospetti.
Sulla soglia dell’aula vidi tutti i figli della
famiglia Cullen. Avevano tutti espressioni neutre, forse un po’ crucciate.
Quando incrociai lo sguardo di Alice, quella che Edward chiamava “il folletto”
mi rivolse un sorriso. Buffo. Lo restituii timidamente, allora Edward si volse
a guardarla.
Poi, prima che il mio sguardo si posasse sull’unica
persona che non avevo ancora osservato attentamente, Rosalie, Edward mi si
piazzò dinanzi, impedendomi la visuale. «Farò un po’ tardi in palestra, ci
vediamo lì, va bene?».
Un po’ spiazzata annuii comunque, riconcentrandomi con
lo sguardo sul suo volto. «Si si okay, va pure».
Lui mi sorrise, prese la sua borsa e uscì dall’aula.
Rimasi un attimo ferma. Ero sola. Sentii un brivido
lungo la schiena: che sensazione spiacevole! Eppure non desideravo alcuna
compagnia, né mai l’avevo desiderata, a parte… beh, a parte Edward, ovvio.
Presi un grosso respiro e con lo zaino in spalla mi
avviai verso gli spogliatoi femminili. In un attimo fui affiancata da Mike e
Tyler, che camminavano ciascuno su ogni mio lato.
«Ehi Bella» mi salutarono all’unisono, per poi
scambiarsi un’occhiataccia.
«Ragazzi» dissi, mordicchiandomi il labbro e
abbassando lo sguardo.
Camminammo in silenzio, rotto solo dal rumore dei
nostri passi. I miei si facevano sempre più veloci e sfuggevoli. Ero in
completo panico e imbarazzo, e sentivo l’aria carica di tensione. Giungemmo
nel corridoio con i porticati, che dava sul cortile, dove gruppetti di ragazzi
chiacchieravano qua e là.
«Allora Bella…» iniziò Mike, richiamando la mia
attenzione su di sé.
«Si?» dissi, voltandomi verso di lui.
A quel punto intervenne Tyler «Niente Bella, non lo
ascoltare, senti piuttosto…».
«No, non ascoltare lui» replicò l’altro, facendomi
voltare nuovamente «Senti…».
«No senti me!» esclamò Tyler, prendendomi la faccia
con una mano per girarmi.
Rabbrividii a quel contatto.
«Vieni al ballo con me» più che una domanda, più che
una proposta, suonava come un’affermazione.
Venni presa alla sprovvista. «Io…» balbettai.
«Bene, allora è deciso» disse lui, illuminandosi.
Mike mi prese per il busto e mi strattonò verso di
lui. Me ne stavo immobile tra le sue braccia, angosciata, preoccupata. «Non è
deciso proprio niente, non ti ha detto di si».
«Lei verrà al ballo con me», replicò l’altro,
prendendomi per un polso.
«Ma, io…» riuscii a farfugliare ancora.
«Invece no,» replicò Mike, strattonandomi ancora e
facendo aumentare la presa del rivale sul mio polso. «Lei verrà con me…».
«Ragazzi io… veramente…».
Iniziarono a tirarmi dalle due parti opposte,
scambiandosi insulti. Non ci capivo più nulla, tutto era così veloce, agitato,
tentavo di dirgli che non ci sarei affatto andata al ballo, e che quel litigio
non aveva motivo, ma loro non mi ascoltavano e gli strattoni si facevano sempre
più forti.
«Le verrà con me».
«No, gliel’ho chiesto prima io».
«Ma glielo stavo chiedendo prima io».
«L…lasciatemi…» mormorai, quando iniziai a farmi male.
Ma loro non mi ascoltavano, il volume delle loro voci
cresceva sempre più e il tono si faceva più aspro.
«Basta, lasciala a me!» gridò Mike, sollevandomi da
terra per il busto.
«No, mai» disse l’altro, stringendo la presa e
torcendomi il braccio per tirarmi dalla sua parte.
«Ahh!» urlai, quando sentii un sonoro crack al
polso, seguito da un dolore acuto.
«Lasciatela» ringhiò una voce nota, melodiosa.
Silenzio. Mike e Tyler abbandonarono
contemporaneamente la presa e io crollai a terra, raggomitolandomi su me
stessa, mentre mi tenevo il polso con l’altra mano, gemendo di dolore. Mi sentivo
ignorata, calpestata, angosciata, incompresa. Perché non mi avevano ascoltata,
perché?! Tutto intorno a me si era creata una piccola folla di curiosi che mi
fissavano immobili nelle loro posizioni. Ricambiai i loro sguardi con occhi
terrorizzati. Perché nessuno mi aiutava?
Poi, un volto angosciato comparve tra la folla, più
vicino degli altri. Edward. Mi accorsi che era inginocchiato accanto a me,
preoccupato. Sollevandomi leggermente sulle gambe malferme mi lanciai immediatamente
fra le sue braccia. Scoppiai in lacrime, stretta nel suo abbraccio.
Edward sollevò leggermente la testa, rivolgendosi ai
due ragazzini, che se ne stavano immobili, pallidi, assistendo impauriti alla
scena. «Siete due idioti! Guardate cosa le avete fatto! Le avete rotto il polso!»
il tono basso di Edward sembrava estremamente minaccioso «Stupidi».
«Ma insomma, com’è possibile…» sussurrò Tyler sgomento
«Non si può essere rotto…».
«Invece si» mi sembrò che dal suo petto provenisse un
suono basso simile a quello che faceva Minush quando ringhiava, ma molto più
potente «mai sentito parlare del concetto di “fragile”?! Siete stati a bisticciare
su chi dovesse accompagnarla al ballo, ma se l’aveste ascoltata vi sareste resi
conto che lei non ci voleva affatto venire, con nessuno di voi due!».
«Allora verrà con te?» chiese Mike, leggermente più
spavaldo.
«Idiota» ringhiò ancora Edward.
«Io…Io non ci voglio andare al ballo… Non ci voglio
andare… Non ci voglio andare al ballo… No…» singhiozzai sconnessamente.
Sentii la presa di Edward farsi più forte, mentre mi
accarezzava i capelli. «Shh shh, nessuno ti costringerà,» mi scostò dal suo
petto per guardarmi negli occhi arrossati di lacrime «vieni qui Bella, andiamo
via da questo posto, va bene?» mi disse in tono gentile, totalmente diverso da
quello che aveva usato poco prima.
Con la coda dell’occhio vidi che tutti mi stavano
osservando così annuii vigorosamente, gettandomi nuovamente sul suo petto e
continuando a singhiozzare.
Lui mi prese fra le sue braccia e mi condusse nel
cortile. Si sedette sul muretto e mi fece sedere sulle sue ginocchia,
continuando a cullarmi. «Bella, piccola» mi asciugò le lacrime, sfregandomi le
guance con i pollici «mi fai vedere cos’hai al polso?».
Tentando i frenare i singhiozzi mi asciugai gli occhi
con il braccio illeso, poi, tremante sollevai l’altro per farlo esaminare da
Edward.
Lo prese delicatamente fra le dita fredde e lo tastò
piano.
Gemetti di dolore.
«Scusami, riesci a muoverlo?» mi chiese dolcemente.
Ci provai, ma il movimento mi causò un’intensa ondata
di dolore «ahh, no…» gemetti, scatenando altre lacrime.
«Dannazione» mormorò Edward, furioso «quegli idioti ti
hanno rotto il polso».
A quelle parole scoppiai nuovamente in lacrime,
tenendomi il polso con la mano.
«Bella, ti porto al pronto soccorso, nessuno ti farà
più male» poi abbassò lo sguardo e notai che era evidentemente dispiaciuto
«Scusami se non sono arrivato prima, avevo promesso di proteggerti, di
aiutarti…».
Calmai i singhiozzi e mi asciugai le lacrime,
posandogli una mano sul volto «No… non fa niente, mi… mi puoi aiutare a… adesso»
la voce era arrochita per via del pianto e ancora scossa dai singhiozzi.
Lui sollevò poco lo sguardo e mi sorrise mesto «Hai
ragione, andiamo» disse prendendomi in braccio.
Non protestai e poggiai comodamente la testa sulla sua
spalla, lasciandomi andare alle lacrime. Anche in macchina, mi tenne sempre il
polso con la sua mano e benché mi stupissi sempre della sua temperatura
corporea, quel contatto fu salutare.
«Ti fa male?» mi chiese Edward preoccupato quando ancora
non avevo smesso di piangere.
In realtà forse si, ma non era quello il motivo del
mio pianto. No. Quello era tutto dovuto a quello che era successo. Alle parole
di Mike e Tyler, a come mi ignoravano, agli sguardi degli altri ragazzi. Mi
strinsi maggiormente a lui senza rispondergli, e lui l’interpretò come un
assenso.
Arrivammo in pochissimo tempo al pronto soccorso e
Edward mi venne ad aprire la portiera. Nonostante le sue insistenze preferii
camminare con le mie gambe, seppur stretta a lui.
Subito Carlisle ci venne incontro. «Mi ha chiamato
Alice» spiegò e mi lanciò una strana occhiata apprensiva. Chissà che aspetto
avevo.
«Ti ha raccontato tutto?» chiese Edward.
Lui lo guardò intensamente «Più o meno».
«Le ho controllato il polso, temo che sia rotto».
Mi lasciai quasi trascinare fino all’interno
dell’ambulatorio. Mi sentivo intontita e stordita a causa delle molte lacrime.
Avevo la testa pesante.
Edward mi issò fino a farmi sedere sul lettino. Fece
per allontanarsi ma io lo trattenni prendendo il lembo del suo maglioncino e
tirandolo verso di me. Rimase dov’era, consentendomi di posare la testa sulla
sua spalla e si posizionò in modo da non intralciare suo padre, col quale si
scambiò una strana occhiata.
«Clarissa» chiamò Carlisle, facendo comparire da
dietro la tenda un’infermiera «prenota una radiografia al polso per la
signorina Isabella Swan, abbiamo la cartella». Poi si rivolse a me. «Vediamo»
mi disse, indicandomi il polso.
Glielo porsi e lui l’esaminò con la stessa delicatezza
del figlio. «Si è gonfiato e si è illividito. Si, quasi sicuramente è rotto,
riesci a muoverlo?».
Prima che potessi farlo rispose per me Edward «No».
Carlisle annuii. «Va bene, facciamo le radiografie».
Edward mi prese nuovamente in braccio. Faci le
radiografie e andai nuovamente in ambulatorio con Edward, aspettando che
Carlisle ci raggiungesse.
«Dai Bella, basta piangere» mi disse dolce Edward,
accarezzandomi i capelli. «pensa al lato positivo, è il polso destro, non farai
i compiti a casa per almeno una ventina di giorni» scherzò, facendomi sorridere
debolmente.
«Già, questo si che è un problema» borbottai leggermente
divertita, ma con un tono forzato dalle molte lacrime versate.
«Non ti preoccupare, ti aiuterò io» mi disse lui, e mi
parve molto contento, come me d’altronde, alla prospettiva di dover passare i
prossimi venti pomeriggi insieme.
Lo guardai negli occhi, cancellando definitivamente le
lacrime «Davvero lo faresti?».
Lui annuì, con un sorriso. «Certo, e se non stessi
così antipatico alla tua Minush le darei anche da mangiare».
Ridacchiai. «Già, povero micio».
«Povero micio?» disse lui, fingendosi scandalizzato
«povero me!».
Risi di gusto. Incredibile come fosse riuscito a
distrarmi. Però poi un pensiero mi passò in testa e mi rabbuiai. «Senti Edward,
per domani…».
Lui mi anticipò. «Non ti porterò nel bosco in queste
condizioni, non preoccuparti».
«Ma… per la ricerca?» chiesi titubante.
«Non ti preoccupare, ce la caveremo comunque».
Appoggiai la testa sulla sua spalla, stanca,
sospirando e tentando di non pensare al dolore al polso.
Poco dopo Carlisle ci raggiunse nell’ambulatorio con
il referto.
«Bella, avevi già rotto questo polso?» mi chiese
quando arrivò.
Delle immagini lontane mi colpirono in modo
improvviso.
Una bambina, di circa quattro anni, se ne stava
raggomitolata sulle scale, con un vestitino di raso nero. Si sentiva stanca,
aveva pianto tantissimo quel giorno, e sentiva ancora nelle orecchie il suono
del pianto straziato dei suoi genitori.
Le loro urla giungevano fino a lei.
«Ora basta! Mi sono stancata di questa situazione!».
«Certo perché ora che è morta mia madre non c’è più
nulla che ti trattiene qui, vero? Non è questo?!» urlò Charlie.
Mi strinsi maggiormente nel mio vestitino.
«Ma cosa dici, ti rendi conto?!» ribattè Reneè,
furiosa «Io ho bisogno di trovare i miei spazi, di realizzare i miei sogni!
Guardami Charlie, e guardati, non siamo felici, non abbiamo niente di tutto
quello che volevamo!» gridò la mamma.
Singhiozzai: mi mancava la nonna.
«Non è colpa mia!!!» sbraitò mio padre.
«Certo, ma magari se non avessimo avuto Isabella!!!».
«Ma invece c’è e noi non ci possiamo fare nulla,
anzi…».
Non sentì e non volli più sentire le sue parole, mi si
gelò il cuore, smettendo di battere nel piccolo corpicino. Tutta colpa mia. Mi mancò il fiato e caddi dalle
scale, stordita. I miei genitori attirati dal frastuono vennero e mi videro a terra,
singhiozzante.
Mia madre mi prese subito tra le braccia. Aveva le
occhiaie e gli occhi gonfi di lacrime, così come mio padre.
«Bella, Bells che hai?» chiese mia madre cullandomi
convulsamente, tentando di calmare il pianto disperato.
«E’ caduta di nuovo, incredibile quanto sia goffa»
borbottò papà, accarezzandomi i capelli e tentando di trovare il motivo del mio
pianto.
Mia madre mi strinse al suo petto, tentando di strattonarmi
via da lui. «Non parlare così di mia
figlia capito?!».
Mio padre divenne rosso in viso e mi prese il braccio
che mi faceva male con una mano, con delicatezza e allo stesso tempo
determinazione, sollevandolo senza stringere troppo e mostrandolo a mia madre. «Visto
che è tua, portacela tu al pronto
soccorso, si è rotta un polso!».
«Certo, la porto io, e non torno più!!!» urlò mia
madre, ricominciando a piangere.
Poi il suono della porta che sbatteva e più nulla.
«Bella, Bella hai sentito?» mi chiedeva Edward.
Mi riscossi, guardandolo negli occhi.
«Ti sei già rotta questo polso?» mi chiese lentamente
mentre Carlisle appendeva la radiografia al display luminoso.
«Si» sussurrai, ricacciando indietro i ricordi
dolorosi che mi avevano travolta. «Avevo quattro anni…» mormorai stanca,
facendomi accarezzare i capelli da lui.
«Allora Bella» mi disse Carlisle richiamando la mia
attenzione su di sé «purtroppo la frattura non è netta ed è anche leggermente
scomposta» disse indicandomi la lastra. «Ho sentito un ortopedico e dice che
sarebbe meglio che portassi il gesso per venti giorni per poi poter valutare se
sarà necessario intervenire chirurgicamente, va bene?».
Annuii stancamente, allora lui mi venne accanto,
sedendosi con la sedia di fronte al lettino. Mi fissò intensamente. «Hai
dolore?».
Annuii, facendo vagare lontano il mio sguardo per la
stanza.
«Come stai Bella?».
Mi strinsi maggiormente a Edward. Sapevo che quella
domanda non equivaleva alla precedente. «Bene» sussurrai, quasi atona.
«Non intendevo quello. Hai pianto molto e, mi chiedevo
se ne volessi parlare».
Scossi il capo in segno di diniego.
«Hai bisogno di un calmante?» mi chiese gentile.
«No…» mormorai, stanca.
Lui annuì «Va bene, ma non esitare a chiederlo»
schiacciò un pulsante accanto a me poi si voltò nuovamente a guardarmi. «Mi
vuoi dire precisamente quello che è successo?».
Lo fissai, presa alla sprovvista dalle sue parole, poi
Edward mi accarezzò e annuì, infondendomi coraggio. «Io…» deglutii «stavo
camminando da sola per il corridoio, stavo andando in palestra. Poi… si sono
avvicinati, stavano litigando, hanno… hanno detto che dovevo andare al ballo
con loro… ma io non… non ci volevo andare… io glielo dicevo ma loro non mi
ascoltavano… e… allora hanno cominciato a tirarmi… e… urlavano… e… io… io non
volevo… non volevo andarci…a…al ballo…» le parole si erano fatte sempre più
veloci, rotte da singulti sempre più frequenti, finché non ero scoppiata
nuovamente in lacrime.
«Va bene Bella, basta così» mi disse Carlisle,
gentilmente.
Edward mi prese fra le sue braccia, per poi sedersi
sul lettino con me poggiata sulle sue ginocchia.
In quell’istante nello studio del dottor Cullen entrò
una giovane donna aggraziata, molto bella, con i capelli mossi color caramello.
Si avvicinò a me, sorridendomi cortesemente. «Povero tesoro, che ti è
successo?».
«Mamma, lei è Bella» disse Edward.
Il suo sguardo s’illuminò e la sua bocca si aprì in
una “o” muta. Così quella era la madre di Edward. Ovviamente: bellissima come
lui.
«Bella, li vuoi denunciare?» mi chiese Carlisle,
riprendendo il precedente discorso.
Mi riscossi immediatamente dal pianto, allarmata.
«C…cosa? No» dissi con determinazione.
«Ma Bella, insomma… guarda che ti hanno fatto…»
intervenne Edward, contrariato.
«No… non voglio. Insomma Edward, mio padre è il capo
della polizia, non se la caverebbero neppure con dieci anni di reclusione. E
poi… loro non l’hanno fatto apposta…» dissi abbassando lo sguardo.
«Ma Bella, ti hanno rotto un polso, se la
meriterebbero la reclusione!» sbottò Edward duro, irrigidendosi e facendomi
sussultare spaventata.
Carlisle lanciò un’occhiata al figlio. «Edward, stai
calmo. E’giusto che sia Bella a decidere, non la possiamo obbligare».
Dopo qualche istante interminabile sentii Edward
sospirare e tutti i suoi muscoli rilassarsi contemporaneamente «Si, va bene.
Scusami se ti ho spaventata Bella, non era mia intenzione, davvero» disse
contrito.
Mi strinsi a lui, strofinando una guancia sul suo
petto freddo. Non mi sfuggì l’occhiata amorevole che ci lanciò Esme, facendomi
avvampare.
Prima che potessi staccarmi da Edward nello studio
entrò l’infermiera con un carrellino e degli oggetti sopra, seguita da un uomo
alto e con una barbetta a punta.
Carlisle si alzò dalla sedia, andandogli incontro.
«bene, vi lascio nelle mani dell’ortopedico, il dottor Stavenson. Bella,
Edward» ci salutò, andandosene insieme a Esme che mi sorrise.
L’uomo attraversò la stanza in silenzio, poi analizzò
la lastra e annuì.
«Le devo chiamare un infermiere?» chiese quella che mi
sembrava si chiamasse Clarissa, l’infermiera.
«Ci sono io» disse Edward.
«Sicuro che riesci a tenerla ragazzino?» chiese il
medico voltandosi verso Edward.
Capendo di cosa stavano parlando sbiancai.
«Si, sono sicuro».
«Va bene» disse il medico, ritornando ad esaminare le
lastre.
L’infermiera, ancora un po’ titubante, annuii e se ne
andò con passo incerto, richiudendosi la porta alle spalle.
L’uomo si avvicinò, lanciando un ultima occhiata alle
radiografie e prendendomi poi il polso fra le dita.
Tremavo, e sicuramente Edward lo sentiva. Sapevo
benissimo, a causa della mia esperienza personale in quel campo, del dolore che
di lì a poco avrei provato.
Edward già si era messo in posizione, bloccandomi il
busto con un braccio e l’avambraccio con l’altro.
«Allora cos’è successo signorina?» mi chiese
l’ortopedico.
Capii perfettamente cosa stava tentando di fare,
distrarmi, ma, a differenza di quello che aveva fatto Edward poco prima, non ci
riuscì.
Non risposi, e l’uomo fece un cenno col capo a Edward,
che serrò maggiormente la presa, fissandomi dispiaciuto.
«Edward» singhiozzai, distogliendo lo sguardo dal mio
polso per posarlo nei suoi occhi. Subito dopo urlai, scoppiando in un pianto
disperato e vedendo il dolore comparire di riflesso sul suo volto.
«Shh, shh, non faccia così, ho già finito signorina,
ora facciamo una bella ingessatura e tutto passa» mi disse l’uomo, come se
avesse ripetuto quella frase a un centinaio di persone.
Edward mi tenne sempre stretta a sé, cullandomi e
coccolandomi. Mi aiutò a fissarmi la benda intorno al collo che serviva per
sorreggere il braccio.
Poi il medico mi diede degli antidolorifici, che,
complici delle lacrime versate, mi intontirono completamente. «Se ha disturbi,
o vede che il braccio diventa freddo non esiti a tornare. Cerchi di tenerlo
sollevato, anche quando dorme, va bene?».
«Vuoi che ti accompagni a casa?» mi chiese gentile
Edward.
«Si, grazie» sussurrai, mentre sentivo che gli occhi
stavano per chiudersi: ero esausta.
Mi perse fra le braccia e mi portò fino all’auto,
sistemandomi stesa sul sedile posteriore e mettendomi il suo giaccone a mo’ di
coperta.
Il cielo era scuro, era il crepuscolo.
«Mio padre?» chiesi debolmente.
Lui si voltò leggermente verso di me, pur rimanendo
concentrato sulla guida. «L’ha avvisato mia madre». Ebbi un fremito e lui lo
notò. «Tranquilla, ci sta aspettando a casa. Sa solo che sei caduta».
Mi rilassai, sospirando. «G…grazie… di tutto».
«Figurati Bella» mi disse, poi fece una pausa «ti va
di dirmi come hai fatto a romperti il polso a quattro anni?» vidi dallo specchietto
che mi fissava curioso.
Mi irrigidii nuovamente, ma ripresi quasi subito il
controllo di me. «Magari un’altra volta» sussurrai.
Lui sorrise «Certo, un’altra volta».
Mi ero quasi addormentata, guidata dal metodico ed
elegante rombare dell’auto di Edward e dalla luce chiara dei lampioni che ci
accompagnava costante lungo la strada.
Sentii solo dei sussurri e un miagolio.
«Bella, cos’ha?» era mio padre.
«Non è nulla Charlie, non si preoccupi, sta solo
dormendo. Ha un polso rotto…».
«Bells, c’è qui il tuo papà adesso, ti voglio bene
piccola mia».
Sorrisi. Forse.
Ancora il miagolio.
«Minush…» biascicai.
«Le ho dato da mangiare io Bells, sta tranquilla»
disse mio padre, accarezzandomi la fronte.
Sentii ancora freddo e poi il tepore del mio letto mi
avvolse.
«Buona notte Bella» sussurrò Edward, lasciandomi un
bacio sulla fronte.
Care
tesoreeeee!!! *.*
Allora…
scusate il ritardo, perché ho tardato un po’ in effetti ^^ Ma il capitolo l’ho
scritto tutto in due giorni, la prima parte è stata facilissima, la seconda…
beh, un po’ meno. Ma ho fatto una cosa che di solito non faccio mai: l’ho
modificato, anche stravolgendo alcune cose, finché non ho ottenuto il risultato
desiderato.
Ora, voi
ce l’avrete con due gruppi di persone: i ragazzini scemi e i genitori di Bella.
Con i
ragazzini scemi prendetevela pure, sono tutti vostri, fategli fare incontri nel
Colosseo con le belve, insomma, non mi interessa…
Per
quanto riguarda i genitori… Capite la loro posizione: era appena morta una
persona. Capite che Bella NON ha ascoltato una parte della frase di Charlie,
ok?! Bene. Perché dopo si capirà meglio tutto di questa situazione.
Ok, vi
avevo promesso un capitolo movimentato e… spero di non avervi deluso! J
PS. Nel
ricordo si passa dalla terza persona alla prima persona, non è un errore, è
fatto apposta! :P Perché i ricordi ci giungono in maniera irrazionale e spesso
nei sogni, come nei “sogni a occhi aperti” passiamo dal guardarci a una visuale
esterna a una interna e quindi per Bella è come un avvicinarsi e ricongiungersi
man mano al sogno. Ok?! J
cullengirl
sisi,
sto curando soprattutto il loro rapporto per ora, perchè poi con la trama vera
e propria sono andata un po’ avanti in questo capitolo! J
ale03
che
bello che hai i genitori infermieri!!! *.* Forse non si è capito, ma la
medicina è la mia passione!!! Io ce l’avevo un gatto così, pensa che non
riusciva a dormire se non lo prendevo in braccio e appena mi vedeva mi saltava
addosso… J
azaz
Ahh!
No no, io esco si la sera e mia madre mi trascina a mare ogni tanto, ma il più
delle colte riesco a ritagliarmi uno spazio per scrivere e poi si che mi sento
ahh… in paradiso! J Davvero? No no, questa è proprio la perfetta descrizione della
mia gattina con tanto di nome, problemi di svezzamento, equilibrio e coccole!
Non so, forse perché era stata abituata a piccola, ma non riusciva a dormire se
non la tenevo in braccio e la cullavo. Hai ragione, i rapporti fra Edward e la
micetta si sistemeranno in seguito a un evento un po’ particolare… J E menomale che tu te
ne sei accorta che 46 kg sono pochi!!! Menomale… pensavo di aver sbagliato io…
o.O E si si, ti ho promessole montagne russe infatti ecco qui una bella
discesa! J Piaciuta, vero? Dai,
ormai ti conosco troppo bene! XD
Confusina_94
Certo,
non mi dispiace affatto, ecco qua (francino_92@yahoo.it) Mi fa molto piacere
sentirti, grazie per i tuoi complimenti. Si, ancora Bella non ha intenzione di
cambiare, ma presto vedrai che lo farà… Beh, non proprio “presto” xD
daniciao
Si?
No, la mia invece l’aveva regalata una mia amica e quando me l’ha data non era
ancora svezzata, per questo quando la prendevo in braccio mi leccava tutta e mi
faceva i succhiotti! XD Che gattina stupida… bel nome molecola… ;)
__TiTtA__
Grazie
tesoro! Sono contenta che apprezzi quello che scrivo e come lo scrivo davvero,
anche sapere di donarti felicità è una cosa meravigliosa, una sensazione
davvero stupenda, grazie mille, davvero! ^^ Non ti preoccupare, parti pure, io
sarò qui ad aspettarti e al tuo ritorno ti potrai leggere con calma tutti i
capitoli! Ciao! :*
Wind
sisi e
in effetti era stato fatto proprio per quello, per creare l’idea di una
famigliola felice! XD
Dan Nooo! Mordicchio è
mioo! Gnam… mmm, che buono… Sisi, l’avevo capito che intendevi che l’avresti
baciato tu, era per scherzare un po’ XD Anche per me il gatto è il mio animale
preferito… e in effetti no, non aveva problemi di equilibrio perché era
piccolo, forse perché mi è caduto dal terrazzino… a 5 metri d’altezza… ed è atterrato di pancia… emm… si, ok fai finta che non ti abbia detto nulla… ^^
luisina
Carino
il micio vero? Si, avevo in mente di fargli fare qualche storia in più a
Charlie, ma poi ho deciso di no… Perché mi è venuta una certa idea, tipo che
Charlie sta notando qualcosa e quando lei è felice tenta di accontentarla,
perché la vede sempre triste… questa era l’idea… J
Amalia89
Sii!
In realtà ho preso l’idea da un film, in cui suggerivano che il paziente si
prendesse cura di qualcuno, in modo che così riuscisse a prendersi cura di se
stessi… Lì c’era una pianta, a me è venuta l’idea del gatto! ^^
Noemix
Sisi,
pensa che la mia micetta aveva un po’ le gambe a x ed era strana come una
papera quando camminava! E si addormentava solo se la tenevo fra le braccia e
la cullavo… Grazie mille di tutti i complimenti… Piaciuta la cosa del “come
te”? Eh XD E beh, si, ci saranno altre fregiatine come questa direi!! E poi
fra un po’ di capitoli tutto si sistemerà… J
Miky1991
quel
“mi raccomando” mi suona un tantinello minaccioso, sai?! Eheh ^^ Giusto si,
faranno un’azione combinata direi… Gatto+Edward=Bella+felice!!! Che bella
equazione, no?! XD Sisi è vero, è una speranza, ma questa cosa le sta portando
altri problemi… e cmq Edward non se ne andrà mai e non succederà nulla di
brutto, lo giuro! J PS. Sempre e per sempre W i micini!!! J
midnightsummerdreams
grazie
mille, ti prometto che Edward sarà ancora più tenero d’ora in poi! J Sempre di più!!!
Vichy90
gatto
realmente esistito, lo giuro! Se vuoi ti mando anche la foto e il filmato!!! J
JessikinaCullen
nono,
figuarti se mi preoccupo, davvero, forse è che sono abituata con l’altra
storia… :P Sono contenta che anche i capito tranquilli ti siano piaciuti, ma
adesso facciamo accadere qualcosa, eh?! Un po’ di movimento ci sta benone… J Sisi che avevo una
micetta così… pensa che non riusciva ad addormentarsi se non la prendevo in
braccio!!!
lady cat
sisi è
vero, sembra proprio una famiglia in miniatura… come sono teneri, vero?! Io mi
sento di dire qualcosa per difendere Charlie, forse perché in futuro avrà un
certo ruolo, ma povero!!! Meglio? Mh… no, ancora non si può dire questo… nono…
IsAry
Siii!
Ti dico, è la perfetta descrizione della mia gatta, quando camminava ondeggiava
con il sedere come gli aristogatti quando emulano le papere! Una cosa da ridere
davvero! Ovviamente la gatta è dotata di istinto animale e quindi capisce il
pericolo che c’è dietro Edward… J Cmq io preferisco i gatti, i cani mi stanno antipatici!
damaristich
si, ma
tu te l’immagini una cosetta piccina così che ringhia?! Un’amoreee! *.* E’
successo davvero quando ho preso la gattina avevo un gatto più grande… quello
la snobbava e lei gli andava davanti e ringhiava! Che tenera…
BellaJey
si!
Non sembrano tanto una famigliola in miniatura?! Ma in questa ff non credo che
scriverò della gravidanza di Bella… e me so scocciata! XD Nono, però saranno
insieme e pucciosi, promesso! J
ellylovestwilight
No,
no, no, non ti preoccupare, non se ne andrà, non poteri mai! Lui fa una cosa
per… proteggerla e lei non la prende molto bene diciamo! XD Tenera la gattina,
vero?! Già, proprio come la mia!!! Ahhh… Più avanti saranno ancor più
tenerosiii! *.*
barbyemarco
già!
Non sembrano una piccola famiglia in miniatura??! *.* Come sono tenerosiii! Si
si, non poteva accadere nulla, perché attaccarla va proprio contro l’istinto di
Edward di proteggerla… eheh… Però volevo un po’ ricordare il suo “lato
vampiro”!
Lau_twilight
sisi,
per fortuna, altrimenti se la mangiava per cena… Beh, a parte quello, questa
cosa mi serviva per un’altra cosa, per far capire una differenza che ci sarà in
futuro. J Sono dolci, verooo? In
questo chappy ancor di più! ;)
mazza
A) Sisi,
la somiglianza con Bella si nota eccome! Infatti dopo lo dice ^^ E poi secondo
me miao non riproduce bene il suono! B) E già già, io invece ne ho due sai?
Però sono antipatici… Sono gemelli, siamesi e se ne stanno per fatti loro…
gatti scemi… C) Ma è normale, lei non se ne rende conto… Anzi, ora tenta di
migliorare le cose… E’ cos’ si scatenano nuove dipendenze… D) Oddiooo ora
correggo… E) E non è colpa sua… E’ l’istinto naturale della micetta… però poi
diventeranno amici, promesso… F) Ma sii! Infatti l’ho scelto io! U.u In effetti
si, Edward è adorabile, come sempre… J G) No no, per carità, ma volevo “puntare i
riflettori” su Edward vampiro insomma… H) Io sono alta 1.54… -.- E io peso 50
kg… -.- Non sei affatto bassa, perché altrimenti lo sono anch’io!!! Capito?! Quindi
non sei bassa. Mh.
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Capitolo 9 *** Tutto o niente (prima parte) ***
Edward mi raggiunse al nostro tavolo della mensa con un sorriso e una
mano dietro la schiena
Edward mi raggiunse al nostro tavolo della mensa con
un sorriso e una mano dietro la schiena. Era davvero un tesoro. Da quando
portavo il gesso era sempre dolcissimo con me. Beh, più del solito. «Guarda
cos’ho per te?» mi chiese raggiante, mostrandomi l’oggetto che mi nascondeva.
All’inizio non capendo cosa fosse osservai un po’
scettica il pezzo di stoffa colorata che aveva tra le mani. Non ci trovavo
nulla di particolare e non capivo a cosa servisse. «Che cos’è?».
Gli scappò una risata allegra poi disse «Dammi il
braccio». Ovviamente intendeva quello rotto. Glielo tesi e lui con delicatezza
fece passare la stoffa elastica sopra l’ingessatura, sistemandola sui bordi.
«Adesso questa» disse, prendendo un’altra fascia della
stessa fantasia, ma di una stoffa molto più resistente.
Sollevai i capelli con la mano sana, per permettergli
di sistemarmi la fascia.
«Ecco qui, adesso metti il braccio» disse facendo
passare il braccio e sistemando dei gancetti. «Ecco». Finì con un sorriso.
Mi osservai. Era qualcosa di davvero insolito, ma… era
carino. Molto carino. «Grazie, è bellissima» dissi con un sorriso, arrossendo
un po’.
Lui sorrise compiaciuto. «Non devi ringraziare me, è
stata opera di mia sorella Alice».
Sgranai gli occhi, sorpresa e perplessa. Perché mai
quella ragazza doveva avermi fatto un regalo del genere se neppure mi
conosceva? Certo, era stata carina con me, mi aveva sorriso e aveva avvisato
Carlisle di quello che era successo a scuola ma… non ne capivo il motivo.
Eppure mi ispirava un’immensa fiducia.
«Vorrei ringraziarla…» mormorai, diventando
completamente.
Edward mi accarezzò la guancia calda «Non è necessario
Bella…» poi il suo sguardo si fece lontano.
Un brivido mi pervase la schiena. Lo faceva spesso, e
mi dava fastidio non comprenderne il motivo. A volte era così… freddo. Freddo e
assente. A momenti. E quella cosa non mi faceva affatto piacere. Era come avere
a che fare con due persone distinte. Era davvero strano a volte…
Mi sorrise, scrollandosi le spalle. «Mia sorella sa
essere un po’ esuberante… e anche molto espansiva».
Non volli insistere, anche perché non rientrava nelle
mie priorità stringere nuove amicizie, così feci cadere il discorso senza dire
nulla.
«Maoo».
Mi voltai con il viso verso il gatto. «Minush… adesso
mi alzo… dammi un secondo» mormorai schiacciando la guancia sul pavimento
freddo. Stavo aspettando che passasse il bruciore allo stomaco. Forse era tutto
sbagliato, insomma, sentire il dolore non era normale. Ma… non volevo smettere.
Ci pensavo ogni tanto. Mi dicevo che prima o poi mi avrebbero scoperta
continuando così. Tuttavia questi pensieri andavano via così velocemente come
arrivavano.
«Maoo».
«Va bene, va bene…» feci leva sugli avambracci,
cacciando un lieve gemito «ecco, mi sono alzata, contenta?» dissi quando
finalmente fui in piedi.
In risposta miagolò ancora.
Con uno sbuffo la presi fra le braccia, dove si
accoccolò. La portai nella sua cuccetta. «Ora tu rimani qui. Capito?».
Mi fissò intensamente negli occhi.
«Bene» dissi soddisfatta, scendendo i gradini.
«Bella?» mi chiamò mio padre dal fondo della scala.
«Si papà?».
«Io sto uscendo, volevo avvertirti che devo andare a
Seattle per lavoro, quindi mancherò per l’intero pomeriggio».
«Oh, va bene». Mio padre che mancava era sempre un
bene.
Lo vidi gettare un’occhiata al mio gesso. «Che hai
lì?» mi chiese diffidente, indicando la stoffa a fantasia colorata che
avvolgeva l’ingessatura.
«Me l’ha regalata Edward…» borbottai arrossendo «anzi,
sua sorella…».
«Oh…» disse, con una strana espressione in viso.
«Viene anche stasera?».
Abbassai lo sguardo, afflitta. Quella era la cattiva
notizia che tutt’a un tratto mi aveva dato quella mattina. Un attimo prima era
felice, l’attimo dopo mi aveva detto con un’espressione truce che quel
pomeriggio non sarebbe venuto. Ovviamente non potevo obbligarlo, lui faceva già
troppo per me, ma ci ero rimasta malissimo. Anche perché non mi aveva dato
nessuna spiegazione. «No…» mormorai infine.
Mio padre mi osservò a lungo, scrutandomi. Mi dava
davvero fastidio quando faceva così. «Sei strana ultimamente…».
Sussultai, risollevando lo sguardo su di lui. Che
avesse intuito qualcosa?
Mi fissò ancora per qualche istante. Poi sospirò, mise
il giaccone di pelle, prese la pistola e uscì, salutandomi.
Io ero rimasta praticamente pietrificata sulle scale.
Non ci voleva. Presi dei grossi respiri, tentando di calmarmi, ma non ci
riuscii. Allora capii che c’era una sola possibile soluzione.
Mi fiondai in cucina, spalancando gli sportelli della
dispensa. Non c’era nulla. Nulla di nulla, vuoto. Negli ultimi giorni ero stata
distratta per tutti i pomeriggi dalla presenza di Edward, così non avevo auto
il tempo di rifornirmi di cibo. Frustrata e afflitta, salii le scale di corsa.
Aprii con veemenza le ante dell’armadio e cercai sotto i vestiti. Nulla,
neppure lì. Tutte le scorte erano esaurite. Urlai disperata e delle lacrime di
rabbia salirono agli occhi.
In quel momento ricordai. Nel pick-up. Corsi
velocemente giù dalle scale, inciampando sull’ultimo gradino. Mi sbucciai un
palmo, ma non ci badai, mi sollevai sul braccio sano e ripresi a correre,
spalancando il portone e precipitandomi nel vialetto. Corsi fino al pick-up, ma
quando provai ad aprirlo mi accorsi che era chiuso a chiave. Diamine, come
avevo potuto dimenticarmene!
Gemetti, esasperata, correndo nuovamente in casa per
prendere le chiavi. Ma proprio in quell’istante una forte folata di vento fece
richiudere il portone di casa. Mi precipitai comunque sul pianerottolo e spinsi
forte sulla porta. Chiusa! Ero rimasta chiusa fuori! E senza la possibilità di accedere
a una qualsiasi fonte di cibo.
Urlai, serrando i pugni lungo i fianchi. Perché?
Perché?!
Sconsolata e afflitta ritornai al pick-up. La busta di
cibo era sotto il sedile, la vedevo, vicina, ma non potevo farci nulla, non
potevo prenderla. Le lacrime presero a sgorgare brucianti sul mio viso. Ero
affamata. Disperata e affamata. Mi accasciai su un fianco del pick-up. La fame
si era scavata in me come una necessità ormai, non mi potevo più tirare
indietro. Mi sentivo male, come se fossi una drogata in crisi d’astinenza. Mi
sentivo accaldata, sudavo e mi girava la testa.
Inaspettatamente in quel momento sentii miagolare.
Abbassai lo sguardo a vidi Minush ai miei piedi, che si reggeva a stento sulle
zampette a causa del vento forte.
«Minush! Ma come hai fatto a uscire!» le urlai,
asciugandomi le lacrime.
Lei mi fissò, inclinando il capo di lato. Poi miagolò.
Sbuffando la presi in braccio e mi osservai intorno.
Il cielo era annuvolato e scuro e un fortissimo vento scuoteva le fronde degli
alberi.
Accidenti, accidenti, accidenti! Ero senza cibo, in
piena crisi e chiusa fuori di casa. E mio padre era a Seattle.
Minush miagolò, tremando sul mio petto. Aveva freddo.
La strinsi e me, mettendola sotto la giacca in cui era
nascosto il braccio con il gesso.
Poi mi ricordai di una cosa. Avevo diciassette dollari
nella tasca dei pantaloni. Leggermente rincuorata, mi diressi a passo spedito
verso la mia nuova meta. Il minimarket di Forks.
Calpestavo con i piedi il marciapiede, tentando di
eliminare la mia rabbia e di concentrarmi sul mio obbiettivo. Il cibo.
Tuttavia, quando fui davanti alle grandi porte a vetri
notai un cartello giallo fosforescente. Era chiuso, dannazione! Quella era
decisamente una delle giornate peggiori della mia vita. Arrabbiata, frustrata,
irata, ripresi a camminare senza meta.
Muovermi e camminare mi aiutava a dimenticare la fame.
O almeno speravo. Comunque, dovevo sfogarmi in qualche modo. Certo, se ci fosse
stato Edward… ma lui non c’era. Non c’era perché mi aveva detto che quel
pomeriggio non avrebbe potuto esserci. Sentii crescere dentro di me il
risentimento nei suoi confronti. Non sarebbe successo, forse, se non mi fossi
trovata in piena crisi d’astinenza.
Poi, si udì un forte tuono e tutt’a un tratto iniziò a
diluviare. Mi guardai intorno, ma non trovai nessun posto dove ripararmi. Così,
ignorando completamente la pioggia che cadeva, inzuppandomi i vestiti e i
capelli mi diressi verso il parco e mi sedetti su una panchina, lasciandomi
cadere, stizzita.
Non c’era nessuno intorno a me. La cittadina era
deserta.
Il bello, in quel momento, era che avrei potuto
tranquillamente piangere, perché la pioggia incessante che mi cadeva addosso
avrebbe mascherato le mie lacrime.
Il brutto, era che lottavo con ostinazione per
reprimerle, accrescendo la mia rabbia, e facendo diventare i miei occhi rossi e
gonfi.
Minush miagolò.
Sollevai leggermente la giacca, attenta a non far
bagnare il gesso, anche se oramai la pioggia aveva inzuppato anche quella.
Presi ad accarezzare la gattina che mi osservava spaurita e con occhi curiosi.
Almeno lei era rimasta asciutta. Mi portai le gambe al petto, stringendola
maggiormente a me per tentare di contrastare il freddo e l’umido che mi
penetrava nel corpo. Mi sentivo come un pulcino bagnato, se mi fossi fatta una
doccia con i vestiti addosso probabilmente sarei riuscita a rimanere più
asciutta.
Avevo un’enorme quantità di rabbia e risentimento nel
mio corpo, ma non sapevo come sfogarla. Stringevo i denti e contenevo i gemiti
di frustrazione che mi divoravano il petto.
D’un tratto sentii un auto sgommare sull’asfalto inondato
di pioggia scrosciante. Ci misi qualche istante per metterla a fuoco,
attraverso le ciglia bagnate. Era un’auto grigio metallizzata. Una Volvo.
Sgranai gli occhi, sorpresa. Per un istante, brevissimo, dimenticai la fame. La
stessa espressione aveva Edward quando scese dall’auto venendomi incontro.
«Bella?!» esclamò quando mi fu davanti. Non aspettò
che rispondessi, si tolse il giaccone e me lo mise sulle spalle, poi mi cinse
la vita con un braccio e mi guidò fino alla sua auto, ficcandomi sul sedile del
passeggero.
Mi lasciai trascinare inerme e fui immediatamente
sollevata dall’assenza della fastidiosa pioggia scrosciante.
Un istante dopo mi ritrovai Edward al fianco, sul
sedile del guidatore. «Mi spieghi che cosa ci facevi sola, seduta su una
panchina, sotto la pioggia battente?» chiese con i suoi occhi stranamente
scuri, neri, con un tono … arrabbiato?!
Smisi di respirare. Non mi aveva mai fatto domande del
genere. Era la prima volta, da quando l’avevo conosciuto, che mi metteva così
apertamente in difficoltà. E poi… non mi si era mai rivolto con quel tono.
Lui lo notò. Si passò una mano sulle occhiaie scure
che gli marcavano il volto e mise in moto, accendendo al massimo i
riscaldamenti con movimenti veloci e decisi. «Scusami» disse in un sospiro.
Mi accorsi che stavo tremando visibilmente, un po’ per
il freddo, un po’ per le sue parole, un’ po’ per lo sforzo di reprimere la fame.
«Allora» disse con un tono leggermente più smorzato
«mi dici che ci facevi sola sotto la pioggia?».
Minush sbucò fuori dalla mia giacca e miagolò,
ringhiando e sottolineando la sua presenza.
«Scusa» borbottò lui, sarcastico «con la micetta
impertinente qui presente…».
Lei si rigirò sul mio petto, nascondendosi meglio.
Mi sentivo frastornata e confusa. Era difficile
scacciare via una tale rabbia, e allo stesso tempo vederla andare via a causa
di Edward mi destabilizzava. «S…sono» deglutii, per fermare i balbettii e
regolarizzare il respiro «sono rimasta chiusa fuori casa…».
A quel punto Edward scoppiò a ridere. Quei suoi
cambiamenti di umore mi facevano girare la testa. Un attimo prima era scontroso
e freddo, e ora invece con la sua risata mi aveva sciolto il cuore.
Non riuscii più a contenere la frustrazione che
imperversava in me. «Non avevi un impegno a pomeriggio?» chiesi stizzita, per
bloccare le sue risate sfacciate.
Lui fece una smorfia, ritornando serio. «Già. Lo avevo».
Lo potevo prendere a sberle?! Emisi un grugnito
stizzito.
«Cos’hai?» mi chiese lui.
«Niente» risposi laconica.
Sollevò un sopracciglio.
A quel punto esplosi, sfogandomi di tutta la rabbia
accumulata. Serrai i pugni lungo i fianchi e mi voltai verso di lui «Nessuno ti
hai chiesto aiuto! Potevi startene dove stavi e… e occuparti del tuo impegno!».
Il tono di voce si era piegato nei vari punti in cui era stato più difficile
contenere il magone che mi bruciava la gola.
Parve completamente sbigottito per le mie parole. Poi
si voltò verso la strada, sospirando e riassumendo il suo tono neutro. «Scusa,
davvero, non era mi intenzione recarti questo disturbo». Poi aggiunse
qualcos’altro, sottovoce, parlando tra sé e sé.
Mi voltai da un lato, indispettita, e mio malgrado starnutii.
«Ti sei presa un bel raffreddore…» constatò
freddamente.
«Già…» borbottai. In quel momento notai che ci stavamo
muovendo. «Dove stiamo andando?» chiesi, palesemente curiosa, starnutendo
ancora.
Lui mi fissò in modo strano. «A casa mia».
M’irrigidii sul sedile, e Minush con me. «M…ma…ma io…»
balbettai.
«Non ti aspetti mica che ti lasci per strada facendoti
prendere una polmonite, vero?!» mi disse passandomi dei fazzolettini.
«Grazie» biascicai, soffiandomi il naso. «Ma… Edward…
non vorrei disturbare…».
Lui ghignò in modo strano. «Non ti preoccupare, e poi
credo che Minush abbia fame…» sghignazzò indicando la gattina che mi stava
leccando il decoltè scoperto come se stesse bevendo il latte dal biberon.
Immediatamente la staccai da me, avvampando e
facendola miagolare contrariata. Notai che mi aveva lasciato un segno rosso.
«Minush!» la rimproverai sgomenta.
«E’ normale Bella, la tua gattina non era ancora
svezzata e cerca istintivamente il contatto con la mammella della madre» disse
Edward con gli occhi fissi sulla strada.
«Già…» borbottai. «Sai sempre un sacco di cose»
aggiunsi sarcastica.
Lui si passò una mano fra i capelli, ritornando
completamente la statua di ghiaccio che mi spaventava.
«Edward, davvero, io…» mormorai, quando lui mi aprì la
portiera per farmi scendere dall’auto.
Lui mi fece un cenno secco. «Su Bella, appena torna tuo
padre ti riporto a casa».
Ebbi un attimo di esitazione. Io non gli avevo detto
che mio padre non era in casa, come faceva a saperlo? Non dissi nulla e
sbuffando uscii dall’auto. Edward aveva parcheggiato direttamente in garage.
C’erano diverse altre auto, tutte stupende, tirate a lucido.
«Vieni» mi chiamò freddamente, sfiorandomi una mano e facendomi
strada verso una piccola porta di servizio.
Appena fummo nel salotto di casa Cullen rimasi
sbalordita. Tutto era armoniosamente arredato con colori chiari e spendenti e
l’ampio spazio era illuminato dalla luce naturale della vetrata. Sentivo tutto
il peso di quel luogo incombere su di me e mi sentivo fragile e vulnerabile.
«Edward» lo chiamò una voce vagamente familiare.
Mi voltai verso la sua fonte e vidi Esme, la madre di
Edward, insieme a Carlisle. Istintivamente mi nascosi con metà busto dietro a
Edward, timorosamente, mordicchiandomi il labbro.
«Mamma» la salutò lui. «Lei è Bella, l’hai già
conosciuta, vero?».
«Ciao» mi salutò cordialmente Carlisle, scoccando
un’occhiata strana al figlio, che rimase immobile dinanzi a me.
Esme mi sorrise, affettuosa, venendomi incontro.
«Certo che me ne ricordo, ma cosa ti è successo cara? Sei tutta bagnata…»
constatò amorevolmente.
Quasi a sottolinearle le sue parole starnutii ancora.
Sulle scale comparvero Rosalie e Emmett, i fratelli
più grandi di Edward. Emmett mi fissò divertito, mentre lessi nello sguardo di
Rosalie qualcosa di inspiegabile e strano. Non riuscii a comprenderlo
pienamente, perché Edward mi si parò dinanzi, con un espressione fredda e vacua
e senza guardarmi davvero.
«Perché Isabella è qui?» chiese Rosalie, facendomi
rabbrividire.
Edward venne in mio soccorso spiegando risolutamente la
situazione. «Bella» e rimarcò il mio abbreviativo «è rimasta chiusa
fuori di casa sotto la pioggia» spiegò poi senza particolari inflessioni.
Starnutii ancora, diventando rossa di vergogna. Tremavo,
mi sentivo addosso uno strano disagio. In quel momento Minush miagolò,
spaventata, rabbrividendo contro il mio petto. L’accarezzai. Era completamente
terrorizzata.
Intervenne Carlisle. «Bella, mi sembra tu ti sia
raffreddata, sono certo che Esme ti darà volentieri qualcosa di asciutto da
metterti».
«Certo tesoro» disse lei, circondandomi le spalle con
un braccio e guidandomi verso le scale «Lascia pure il tuo gattino in camera di
Edward, vieni con me».
«Io… non vorrei disturbare…» balbettai facendomi
trascinare.
«Nessun disturbo» mi disse Esme con un sorriso «fa
come fossi a casa tua».
Rivolsi un’occhiata supplichevole a Edward che mi fece
un cenno secco con il capo.
Mezz’ora dopo mi trovavo nella meravigliosa camera di
Edward, con una camicetta rosa e un paio di jeans di sua madre addosso. Accanto
a me, sul grande divano nero di pelle, c’era una grossa scatola di clinex e Minush
leccava timorosa il suo latte in un piattino posto sul tappeto dorato.
Starnutii ancora, con gli occhi lucidi. Presi un altro
fazzolettino e mi soffiai il naso.
Edward mi mise una coperta intorno alle spalle,
andandosi a mettere dall’altro lato della stanza. «G-g-grazie» dissi fra i
denti tremanti. Nonostante tutto, stavo morendo di freddo. Sentivo ancora
addosso il disagio per essere a casa di estranei e nonostante Edward fosse con
me non riuscivo a calmarmi.
In camera entrò Esme, seguita a ruota da Carlisle. «Ti
ho portato qualcosa di caldo» disse lei, porgendomi un tazzone di cioccolata
fumante.
«G-grazie…» balbettai io, rannicchiandomi maggiormente
sul divano e abbassando lo sguardo, imbarazzata. Non potevo davvero permettermi
tutto quello in quel momento «sei davvero gentile… ma… non mi va…».
«Su cara, non fare complimenti» mi disse con un
sorriso, porgendomi la tazza.
Sussultai e i miei occhi diventarono ancora più
lucidi. Mi sentivo incastrata, non potevo rifiutare senza sembrare scortese. Presi
un breve respiro con le labbra, tentando in ogni modo di sopprimere le lacrime
che minacciavano di scendere.
Proprio quando pensavo di non avere più speranze
intervenne Edward. «Mamma» disse, attraversando la stanza e prendendo la
cioccolata calda dalle sue mani, «dai a me, Bella la berrà più tardi se ne avrà
voglia». La posò su un mobiletto lì accanto e si sedette sul lungo divano, più
lontano possibile da me.
Esme lo guardò un attimo, poi sussultò, sbattendo le
palpebre. «Oh. Oh. Si certo…» disse con un sorriso di scuse, uscendo
dalla stanza.
Starnutii.
«Bella» disse Carlisle «posso visitarti?».
Mi raggelai nuovamente. Ero stata da sempre
consapevole che venire a casa di Edward avrebbe significato tutto quello. Prima
sua madre con la cioccolata, ora suo padre che mi voleva visitare… Volevo
tornare a casa mia.
«Voglio solo assicurarmi che tu non abbia la febbre, o
qualcosa di grave, nulla di che…» mi rassicurò con un sorriso.
Annuii timidamente. Dopotutto non potevo rifiutarmi e
non avrebbe potuto così facilmente sapere del mio problema.
Lui scomparve e ricomparve poco dopo con la sua borsa
da medico in mano. Mi lasciai posare una mano sulla fronte. Mi sorrise, poi si
accovacciò davanti a me. Mi tastò sotto il mento, sulla gola. Mi fece inspirare
ed espirare, passandomi lo stetoscopio sui polmoni. Poi prese una paletta di
plastica, sigillata in una confezione di carta, l’aprì e mi chiese di aprire la
bocca.
Avevo paura di quello che Carlisle avrebbe potuto
trovare. Strinsi inconsapevolmente la mano di Edward, che dopo pochi istanti si
defilò gentilmente dalla mia presa, sollevandosi in piedi.
Era stranamente silenzioso e notai che non si
avvicinava più del necessario. Non mi aveva ancora mai abbracciata né dato
confidenza, come invece faceva di solito. Era freddo e scostante e il suo volto
sembrava… stanco.
Desolata, aprii piano la bocca e Carlisle mi guardò
con una lucina.
«Non hai nulla» disse infine, sorridendomi e
raccogliendo le sue cose «è solo un comunissimo raffreddore, curabile con tanti
bei fazzoletti e un po’ di calore, domani sarai come nuova. Fortuna che
l’ingessatura non si è bagnata…».
Detto questo, raccolse le sue cose e uscì dalla
stanza.
Edward non disse nulla, rimanendo freddo come era
stato per la maggior parte del pomeriggio. Non capivo perché facesse così. Non
capivo perché ogni tanto, periodicamente, si comportasse a quel modo, ma mi
scoprii ad avere paura. Non sapevo perché, considerando che con tutte le altre
persone con cui mi rapportavo non mi facevo di questi problemi. Se loro erano
freddi con me, io non ci badavo più di tanto e mi limitavo a non parlarci più,
come sempre avevo fatto.
Ma con lui era diverso. Non mi sentivo disposta a
perderlo. Quel suo comportamento mi feriva terribilmente. Capì che Edward
significava molto di più per me, non era affatto una persona come tutte le
altre, no, lui era diverso. Non lo potevo considerare un comune conoscente.
Tuttavia, non potevo neppure permettermi di continuare
così…
Ragazze!
Quando si dice “questo capitolo non s’ha da fà…” Allora, prima di tutto l’ho
lasciato per un po’ di giorni cominciato e non concluso! I’m sorry, ma
l’ispirazione era scomparsa… Poi, rimettendomi pian piano a scrivere è man mano
ricomparsa. Finchè non sono arrivata a pag 7 e ancora mi mancava la parte più
lunga e importante del capitolo… Allora mi sono detta “domani scrivo l’ultimo
pezzo e al massimo taglio il capitolo in due”. Poi mi si è rotto il pc (infatti
adesso sono clandestina su quello di mio padre non vi dico che ho dovuto fare
per recuperare i file). Quindi, siccome non ho un pc per scrivere la fine del
capitolo accontentatevi della prima metà. Lo so che non succede nulla, e che la
cosa sarebbe molto più completa con l’altra parte, perché succede tutto in
quella, ma… Meglio l’uovo oggi della gallina domani. Spero solo di non averlo
rovinato dividendolo in due perché questo è un capitolo davvero molto
importante per me. E’ un capitolo di svolta. Si capirà meglio la prossima
volta. Spero di riuscire a postare abbastanza in fretta.
Ringrazio
tutti coloro che hanno commentato il capitolo avviso, vi ho risposto qui giù
insieme alle altre risposte! ^^
bea_s Se avrai pazienza finché mi riparano il
pc lo scoprirai presto, promesso! ;)
ClaryCullen grazie! No, in effetti
non posso bloccare la storia proprio qui, ma è colpa della mia mente, non mia…
e cmq in un modo o nell’altro l’avrei conclusa… J
ilariaechelon che è “pota”? XD Non
capisco cosa significhi, comunque grazie!
silvia16595 Grazie mille per
l’affetto che mi dimostri ogni volta! J Spero di riuscire a scrivere velocemente
Cullen’s Love, il capitolo ce l’ho già in mente, il problema è che non ho il
pc! T.T
bigia grazie, davvero… In
effetti, si, non avrei potuto rinunciarci mai, scrivere è troppo importate e
questa storia fa ormai parte di me e finché non sarà conclusa non avrò pace!
Oddio, sembro un fantasma! XD
daniciao si si, ora è passato
tutto… ho capito che mi è troppo difficile rinunciare a questa storia!
Lena89 purtroppo su di me
sembra non facciano effetto neppure le sedute di yoga… XD Sono riuscita a
sbloccarmi scrivendo…
mieme
Grazie
mille! Si, in effetti all’inizio è stato un po’ complesso, però poi con il
tempo mi sono abituata a entrare e uscire dalla testa di questa Bella… J
daniciao
Si è
vero, il continuo piangere di Bella è un po’ eccessivo, concordo. Volevo
mettere in risalto il suo carattere fragile e debole, e non dimentichiamoci
comunque che lei ha un grosso problema psicologico. Ovviamente i Cullen hanno
intuito qualcosa, tutto! J Ma per la denuncia per il polso rotto… no, quella no. E’ una
prassi ospedaliera, fidati J E’ una cosa denunciabilissima…
ale03
Allora
sei proprio circondata! Che fortuna! Gli idioti sono sistemati, ma sono idioti
è vero, non ci possiamo fare proprio nulla! ^^ hhh…
luisina
Siii!
Ma io dico, mi posso lasciare sfuggire uno come Carly!? *.* No, io non credo,
lo adoro, letteralmente, hhh… Lo sai che quasi quasi lo preferisco a Edward?!
E’ il mio idolo indiscusso! E poi… con quel camice… mamma com’è sexy! *Q* Okay,
okay, finiamola qua con questo delirio…
lady cat
Ok,
allora glieli faremo guadagnare questi punti… spero… o mamma mia, penso che lo
odierai più di quanto tu non faccia ora. Bella può rimettere anche con il polso
rotto, con l’altra mano o anche con altri metodi… tipo acqua e sale o bere
qualcosa di disgustoso… o anche in altri modi, non sarà questo a fermarla…
Miky1991
Grazie,
grazie mille! Eh eh, magari fossi un vampiro, magari fossi sposata con Carlisle
*.* Ahh… Carly, mio adoratooooo!!! Bellina è sempre stata fra le braccia di
Eddy e dopotutto… chi non vorrebbe?! Hhh… Eddy caro! I due scemansi si
meriterebbero una punizione ben peggiore, insieme a quell’arpia della loro
amica là… -.- Sono contenta che tu non odi Charlie e che tu abbia capito le sue
motivazioni! Vi immaginavo già tutti con l’ascia di guerra in mano a marciargli
contro, invece no! J Beh, penso che quella tua ideuzza possa essere molto fondata se è
quello che penso tu stia pensando… o.O Che giro di parole! Ok, ok, non era una
minaccia e ci tengo alla tua salute mentale! ;) Bacio, ciao Fra.
cullengirl
eh
beh, direi che prima cono passati alla fase di amicizia dichiarata, poi
passeranno a quella di fiducia reciproca e poi a quella di amore! Il processo è
molto graduale! ^^
mazza
Già,
un segreto, shh A) Caro vero?! J E perché è buffo che Bella si preoccupi delle abitudini
alimentari della gattina! XD B) Nono, Bella preferisce non andarci per niente e
non sarà Edward a farle cambiare idea! Sai che l’accontenta sempre! C) Certo
cara XD E’ facilmente intuibile, *Rosalie* hai presente? I problemi di Bella… D)
Giusto giusto, l’ho fatto proprio per questo, col carattere fragile che ha non
lo sopporterebbe… E) Mmm, beh, però a Port Angeles avevano intenzioni molto
peggiori direi… F) Si l’ho sognato di notte ^^ La notte porta consiglio XD G) Correggo
subito! J H)Questa cosa te l’ho
già spiegata su msn, non vorrei farti rabbrividire ancora ^^ I) Sisi, ho messo
qualche miagolio J Grazie mille, menomale che non sei bassa ;)
Dan No che non lo volevo
uccidere! Lo stavo calcando di sotto con una corda e lei ha deciso di uscire
dalla busta! Cmq è rimasta un po’ a terra, poi si è alzata e mi è corsa in
braccio! :D Ok, direi che ti lascio mordicchio, va bene? Mh… Eddy è uno
zuccherino vero?! *.* Caro tesssoro!!!! Per quanto riguarda Rosalie sisi, hai
pienamente ragione, l’ha fatto proprio per quello, per evitarle il suo sguardo
di fuoco. J Esme era contenta e
dedicava le sue attenzioni a Bella perché vedeva il comportamento con lui!
Certo sa anche dei suoi problemi, nella famiglia Cullen non ci sono segreti! J
Amalia89
eheh,
purtroppo non credo, al massimo si può fare con la sinistra o in altri modi…
Temo che non sarà un gesso a fermarla! Forse la gattina l’aiuterà e le farà un
po’ compagnia, chissà… J
IsAry
Concordo,
anch’io non sopporto proprio per niente gli insetti! Mi stanno profondamente
antipatici! Soprattutto le vespe, devi vedere come urlo quando ne vedo una ^^
eheh, che cosa imbarazzante…
BellaJey
si si,
infatti è stato un trauma che poi si è ripercosso con il tempo su di lei quando
la madre si è sposata… J Era per spiegare le motivazioni del comportamento di Bella J I ragazzi, gli uomini
in generale, sono sempre stupidi -.- a perte Eddy, ovvio! *.*
Wind
no che
non puoi! Ho menzionato questo gruppo?! No. Allora non puoi. u.u Si, fa
malissimo rimettere apposto l’osso e quei cretini non ti fanno neppure
l’anestesia. Grr… è.é ma perché dico io?!
Vichy90
già,
ma fidati, è solo posticipata! XD Bello Eddy vero?! *.* Beh come sempre!!!
Noemix
eh,
magari fammelo conoscere questo bel fustacchione! XD Nono, io ne conosco uno
tutto mio e per ora mi basta lui XD XD In effetti durante la storia forse no,
ma quando scrivo queste risposte dissemino ovunque errori di battitura!
Purtroppo non ho tempo per correggerle e quindi rimangono così! XD Tu hai il
primato dei “blocchi” XD
Confusina_94
Grazie
si! Una bella dose di zuccheri arriva sempre, speriamo solo di non esagerare
troppo o ci verrà il diabete! XD che metafore stupide che dispenso… XD
lisa76
Grazie,
grazie mille! ^^ contenta che ti piaccia il mio stile e che in non risulti un
po’ “indelicata”, ora ci riconcentriamo sulla patologia di Bella J
barbyemarco
Sono
contenta di sia piaciuto! Si, perché in pratica Bella quasi subconsciamente
credeva fosse colpa sua ed è come se ora si fosse ricordata (ed espresso al
lettore J) la causa scatenate
della sua malattia e del suo senso di colpa. J
ellylovestwilight
Si,
infatti volevo far vedere che il rapporto si era molto approfondito e poi come
scattava la fase di amicizia… Spero solo di non essere stata troppo frettolosa!
xD Si, i ragazzini sono due scemi, altro che il nostro maturo Eddy! *.* Il
passato di Bella sarà analizzato con… un aiuto esterno… hihi, basta, ho detto
anche troppo! xD
Lau_twilight
si,
sono due stupidotti scemini! J Infatti Edward è molto più maturo e dolce e adorabile e tenero e
bello *Q* Ecco ora sbavo!!! xD Comunque ho paura di farlo troppo dolce in
questa storia non so… non è che poi stufa? (grazie di avermi aspettata :*)
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Capitolo 10 *** Tutto o niente (seconda parte) ***
L’indomani mattina, come previsto da Carlisle, il raffreddore era solo
un brutto ricordo
L’indomani mattina, come previsto da Carlisle, il
raffreddore era solo un brutto ricordo. Edward mi aveva silenziosamente
riportata a casa quella sera stessa. Non avevamo parlato durante tutto il
tragitto e lui era rimasto sempre freddo e scostante. Ci stavo davvero male.
Non potevo permettere che qualcosa mi facesse soffrire così, o per me sarebbe
stata la fine.
Mi trascinai stancamente fino all’interno dell’edifico
scolastico, sconsolata e pensierosa, sciaguattando con gli stivali sul terreno
bagnato. Quella notte non avevo dormito. Dovevo prendere una decisione, ma
qualsiasi cosa pensassi mi sembrava troppo dolorosa.
Se decidevo di stare accanto a Edward e di diventare
veramente sua amica, vedevo davanti a me un mondo di fragilità, di esposizione,
di dolore, ma anche di affetto e di felicità. Se invece decidevo di non vedere
più Edward, un dolore troppo grande mi tagliava il fiato. Era un dolore fisico
anche solo immaginarlo, ma così poi, in futuro, sarei sicuramente stata meglio.
Niente esposizione, niente dolore, niente rischio di farsi scoprire. Questa era
la decisione più giusta. Ma… faceva troppo male.
Ero giunta a un punto di non ritorno, mi ero lasciata
coinvolgere troppo. Buttai via la carta della barretta che stavo mangiando e mi
diressi verso l’aula della mia prima lezione.
Tutt’a un tratto Edward mi spuntò davanti, con un
sorriso a trentadue bianchissime denti e i suoi luminosi occhi color ambra
chiaro.
«Ciao Bella! Passato il raffreddore? Come sta
Minush?!» non c’era neppure l’ombra del ragazzo freddo del giorno precedente. Sprizzava
ilarità e contentezza da tutti i pori, il viso era rilassato, sereno, e
meraviglioso come sempre.
Come potevo pensare di non vederlo più? Ne avevo
bisogno… era una necessità, come il cibo.
«Io e Minush stiamo bene» borbottai passandogli
accanto e lasciandolo fermo in mezzo agli altri ragazzi che ci passavano
accanto. «Grazie per il pensiero…» mormorai, quando fu troppo lontano per
udirmi, e cancellandomi una lacrima che era riuscita a sfuggire ai miei occhi.
In classe, durante le lezioni, rimasi silenziosa,
intenta a leccare le mie ferite ancora aperte. Fortunatamente quella mattina
ero riuscita a passare dal minimarket per rifornirmi ampiamente di cibo. Chissà
in che stato sarei stata altrimenti in quel momento…
Vederlo così contento e felice, così diverso dal
giorno precedente, non aveva fatto altro che destabilizzarmi ancor di più, e
rendere ancora più difficile la mia scelta. Nei suoi confronti nutrivo una
necessità di affetto, ma prima di costruire qualcosa, mi dovevo accertare che
fosse sicuro per me. Come con il cibo. Era sicuro, non mi avrebbe mai tradito.
Invece le persone erano così instabili…
Mi diressi silenziosamente alla mensa, con il capo
chino e la giacca, che nascondeva il gesso da occhi indiscreti, stretta sulle
spalle.
Inaspettatamente urtai contro qualcosa, cadendo a
terra. Non poteva essere, non ancora… Infatti, sollevando lo sguardo, non
incontrai gli occhi ambrati di Edward, che nonostante tutto anelavo a scrutare.
Davanti a me c’erano Lauren Mallory e Jessica Stanley
che mi guardavano con odio dall’altezza della loro posizione eretta.
«Guarda dove metti i piedi, imbranata! Hai già
combinato abbastanza guai» mi accusò malevola Lauren.
Mi si bloccò il respiro. Non capivo il suo tono e il
suo risentimento nei miei confronti, ma non potevo permetterle di trattarmi
così. Tuttavia quando aprì bocca per parlare la parole mi uscirono meno decise
di quanto desiderassi. «Io… io…».
Jessica ridacchiò, facendomi morire le parole in gola.
Anche lei…
«Io io, cosa?!» chiese ridacchiando Lauren «lo
sai che per colpa tua Tyler e Mike sono stati sospesi per una settimana?! Mh,
lo sai?!».
Cosa? Io avevo detto a Edward di non volerli
denunciare, com’era stato possibile? «No… io… no… io non sapevo niente…»
sussurrai.
«Certo, come no! Per colpa tua siamo dovute andare al
ballo senza cavalieri! Hai chiesto al tuo amichetto Cullen di andare a
raccontare tutto… Stupida bambina viziata… » mi accusò, piegandosi su di me e
puntandomi un dito contro.
Nonostante tutta la resistenza che stavo facendo su me
stessa un singhiozzo mi squarciò il petto.
«Oh, piccola, piange» disse con amaro sarcasmo,
rimettendosi in piedi «fatti consolare da Edward Cullen, sempre che ti voglia
ancora fra i piedi considerando quanto sei insopportabile… Stupida…» sibilò
ancora.
Edward… ed ecco che anche lì c’entrava lui. Se non lo
avessi conosciuto tutto quello non sarebbe mai successo. Eppure… in
quell’istante avrei tanto voluto che fosse lì con me. No. Scossi la testa per
scacciare quei pensieri. Lui non doveva vedermi sempre così fragile, io me la
sapevo cavare anche da sola.
«Non è colpa mia, sono stati loro» protestai
debolmente e in quell’istante la giacca a vento si spostò lasciando vedere
l’ingessatura al braccio.
Jessica e Lauren si guardarono un attimo stupite, poi
quest’ultima si voltò verso di me con aria di sfida. «Ma guardati! Sei malata,
fatti curare!».
Trasalii, aprendo la bocca per riprendere il fiato che
mi stava mancando. Era stata come un doccia gelata in pieno inverno.
«Malata! Ecco perché Edward Cullen sta sempre insieme
a te!» esclamò andandosene con la sua compagna «prova pena per te!».
E mentre il mondo mi crollava addosso con tutto il suo
peso, non potevo fare nulla per contrastarlo. Era troppo, troppo per me. Mi
opprimeva, mi schiacciava, mi toglieva il fiato. Niente potevo fare, oltre che sentirmi
morire. Come un fiore congelato, che riesce a mantenere intatti i suoi petali
sopportando il freddo pungente. Io ero quel fiore congelato, non più al freddo
e al riparo, ma esposta all’illusorio tepore che mi stava uccidendo.
Raccolsi tutte le mie cose, mi sollevai sul braccio
sano e corsi via in bagno, in lacrime. Sospinta da una forza invisibile, l’auto
conservazione. Ricercavo ancora la mia unica protezione. Il caro e familiare freddo
doloroso.
Mi accasciai sul water e vomitai, senza neppure il
bisogno di forzarmi. Uscii nell’antibagno e mi sciacquai il viso, ricadendo
indietro con la schiena, scivolando lungo le piastrelle e aspettando che
tornasse il confortevole dolore.
Vedevo la mia immagine allo specchio. Vedevo le mie
membra abbandonate scomposte lungo il mio corpo e sul pavimento. Vedevo il
collo, magro e pallido, muoversi velocemente al ritmo della respirazione. E
vedevo i miei occhi. I miei occhi lividi che risaltavano con innaturale
mostruosità sulla pelle trasparente. Facevo schifo.
Mi sollevai sulle ginocchia. A carponi entrai in un
bagno per vomitare ancora. Poi tornai nella stessa posizione di prima e lì lo
sentii.
Sentii dolore. Dalle labbra mi uscì una lenta risata,
lugubre. Io non ero masochista. Volevo solo che tutto ritornasse com’era prima.
Questa volta il dolore era leggermente più forte, ma l’avrei sopportato. Avrei
sopportato tutto pur di far tornare le cose com’erano prima. Prima che
incontrassi Edward e che mi stravolgesse la vita.
Nel dolore familiare ritrovai la lucidità. Avevo preso
la mia decisione. Non sarei tornata indietro, ma quella era l’unica cosa giusta
da fare.
In quell’istante la porta del bagno si aprì, rivelando
la figura di Edward che mi guardava preoccupata. «Bella? Bella? Ma cosa è
successo?» chiese entrando e inginocchiandosi accanto a me.
Sospirai, voltandomi da un lato. «Esci» dissi,
cercando di imprimere un tono di autorità nella mia voce debole.
Lui mi guardò perplesso. «Come?» chiese incredulo.
«Esci Edward, esci da qui. Vai fuori» ripetei, con un
tono più convinto, alzandomi in piedi.
Lo stesso fece anche lui, venendomi dietro. «Bella ma…
io non capisco…» disse con le sopracciglia aggrottate.
Poggiai una mano sul suo petto, e ignorando il brivido
che mi scosse, lo spinsi oltre la porta. In realtà se lui non mi avesse
assecondato non credo si sarebbe mosso.
«Come fai a non capire?» dissi acquistando finalmente
un tono sereno. «Aspettami fuori, tu non ci puoi stare nel bagno delle ragazze»
conclusi chiudendogli la porta in faccia. Presi un grosso respiro e mi diressi
verso i lavandini.
Mi sciacquai il viso e la bocca. Poi presi una
compressa di antiacido per eliminare il dolore allo stomaco e aspettai circa
dieci minuti, perché facesse effetto.
Raccolsi lo zaino che avevo abbandonato in un angolo a
terra e la mia giacca. Non riuscii a metterla sulle spalle, perché ricadeva
sempre, così la presi con un braccio, mettendola sul gesso per nasconderlo. Poi
uscii. Vidi Edward seduto sul muretto del cortile interno della scuola. Lo
raggiunsi, sedendomi accanto a lui.
«Bella» fece lui, quando gli fui accanto «cos’è
successo che…».
Lo interruppi. «No Edward» dissi risoluta «fa parlare
me». Lo fissai negli occhi e lessi la sua disponibilità ad ascoltarmi.
«D’accordo».
«Edward, tu per me sei molto importante. Non lo posso
più negare. Ma tutto questo non può andare avanti così, capiscimi».
Notai che il suo sguardo era fisso e attento.
«Io ho bisogno di sicurezza. Ho bisogno di essere
certa di quello che faccio. E tu…» guardai lontano per cercare le parole «tu
sei… a volte sei strano».
Alle mie parole s’irrigidì, ma non disse nulla.
«Hai dei comportamenti strani e… per quanto tu sia
sempre molto gentile e affettuoso con me, ci sono dei momenti - rari è vero, ma
ci sono - in cui non ti capisco. Non sei più tu. E questo non va bene, perché
mi ferisce» dissi con tono contrito «e io non posso permettere che qualcosa mi
ferisca, non me lo posso permettere».
«Bella io…» fece Edward addolorato, tendendo una mano
verso di me.
«No» lo bloccai. «Fammi finire».
Lui annuì mesto, ritirando la mano.
«Edward, io voglio davvero essere tua amica. E tu sei
la prima persona a cui lo dico. Ma ho delle condizioni da porre» dissi in tono
fermo. «Tu dovrai prendere quello che ho da offrirti, nulla di più. Ti dovrai
accontentare. In cambio io, ti darò la mia fiducia, ma…» feci una pausa,
deglutendo. «Tu. Ora devi decidere. O tutto o niente. Non puoi darmi una parte
di te. Non puoi darmi il pezzo che ti piace di più o quello che ti piace di
meno. Non puoi darmi una tua metà. Non voglio il grigio. O il bianco o il nero.
O la notte o il giorno. Tutto o niente» ribadii.
Lui mi fissava, sempre con la stessa intensità negli
occhi, in muto ascolto, il volto in una posizione rigida.
«Devi decidere Edward Cullen. E io con tutto non
intendo delle sciocche stupide spiegazioni. Non intendo il fatto che tu non
possa essere più quello che sei. Ma se tu mi dai tutto te stesso mi devi dare
la certezza che non mi abbandonerai mai e che tu per me ci sarai sempre. Non
posso aver paura di perderti. Ora scegli: o mi dai tutto te stesso e prendi in
cambio il poco che ho da offrirti, o non mi dai niente e io niente ti darò. Mi
rendo conto del fatto che il mio patto è svantaggioso per te. Mi rendo conto
che sia un patto con il diavolo. Ma una volta scelto, non si può più tornare
indietro» Presi un respiro. Il mio discorso era concluso, la mia decisione era
stata presa. Non avevo più nulla da fare. Ora la scelta spettava a lui.
Sentii una mano fredda sulla guancia. Edward aveva
un’espressione tranquilla e determinata.
Ero pronta a tutto.
«Il diavolo ama fare patti con me» disse risoluto.
Nonostante mi sembrava che una volta fato il mio
discorso sarei stata meglio, ora il cuore mi batteva fortissimo nel petto.
Avevo pura della sua decisione. L’avrei accettata comunque, ma avevo paura.
«Il diavolo ama fare patti con me» ripeté «Ed io amo
accettarli» concluse con un sorriso.
Istintivamente mi lanciai fra le sue braccia,
stringendolo a me. E lo stesso fece lui con me. Eravamo amici e quello era il
legame della nostra amicizia. Mi fidavo di lui e niente e nessuno avrebbe
potuto farmi cadere ancora in pezzi. Né Lauren, né Jessica, né Tyler o Mike o
un qualsiasi altro ragazzo. Edward era mio amico. Il mio primo vero amico.
«Ti voglio bene» sussurrai sulla sua spalla.
«Anch’io ti voglio bene Bella» disse lui stringendomi
con più forza.
«Emm… che ore sono?» chiesi staccandomi e osservando i
corridoi vuoti.
Lui si guardò l’orologio che aveva al polso. «Direi che
abbiamo saltato un’ora» disse divertito.
«Come?!» esclamai saltando giù dal muretto. «Non è
possibile!»
Lui fece spallucce, scendendo con più calma. «Dai
Bella non ti agitare, ora abbiamo ginnastica, quindi praticamente tu puoi non
fare nulla visto che sei esonerata».
«Si ma come spieghiamo il buco della lezione di
biologia?!» chiesi, sempre più nervosa «ci siamo smaterializzati per un’ora?!».
Lui rise. «Non ti preoccupare, non se ne accorgerà
nessuno, fidati di me».
Decisi di rinnovare il mio proposito e mi fidai,
lasciandomi guidare verso la palestra. Visto che ero esonerata non era
necessario che mi mettessi la tuta, così aspettai che Edward si cambiasse
sedendomi su una panchina della palestra.
Scorsi in lontananza Jessica e Lauren. Sbuffai, distogliendo
lo sguardo.
Tuttavia, dopo pochi istanti me le ritrovai di fronte.
«Swan, sei ancora qui? Ma non eri corsa via in lacrime?» fece Lauren
schernendomi.
Questa volta non le avrei lasciate fare «Questo è il
mio posto cara, dove vuoi che me ne vada?» risposi sorprendendola. «Ah no
giusto, il mio posto non dovrebbe essere questo» dissi alzandomi in piedi per
fronteggiarla meglio. «Il mio posto dovrebbe essere con una tuta e un pallone
in mano per quanto goffa io possa essere».
Fece per ribattere ma io la zittì, alzando la voce.
Intorno a noi si era riunito un discreto gruppo di ragazzi «Tuttavia» dissi
togliendo la giacca dal braccio e mostrando il gesso che in quei giorni avevo
tenuto nascosto. «Non è mica colpa mia se aspiri ad avere un delinquente per ragazzo».
La sua faccia si fece pallida e si rimpicciolì sotto
il mio tono minaccioso.
Scorsi Edward, appena arrivato fra la folla. «Io
preferisco gli aiuti umanitari» sibilai ad un suo orecchio, lasciandola verde
d’invidia e andandomene accanto a lui.
Mi fece un sorrisino, passandomi un braccio intorno
alla vita. Dalla sua espressione sembrava quasi avesse ascoltato quello che
avevo detto a Lauren. Arrossii. Impossibile.
Quell’ora passò tranquilla. Era la prima volta che
facevo una cosa del genere e me ne compiacevo. Non mi lasciavo ferire di
solito, né rispondevo alle provocazioni. Ma quella volta mi lasciò una
meravigliosa soddisfazione personale.
Osservavo Edward giocare a canestro e gli sorridevo, e
lo stesso faceva lui con me.
D’un tratto una ragazzina minuta si sedette accanto a
me. Era Alice Cullen, la sorella di Edward.
«Ciao» mi disse con un sorriso.
«C-ciao» risposi titubante, arrossendo.
Quella ragazzina era davvero stramba. Gli occhi le
lucevano come quelli di un bambino che scopre un regalo sotto l’albero di
Natale. Mi sorrideva in modo strano, come se si aspettasse qualcosa da me.
Trasalì, ricordandomene. «Oh, si tu sei la sorella di
Edward, vero? Volevo ringraziarti…» biascicai timida indicando con lo sguardo
la stoffa colorata che stava intorno al gesso.
«Figurati» disse come un sorriso, come se stesse
aspettando solo quelle mie parole. «Io sono Alice Cullen, Edward mi ha parlato
tantissimo di te e devo dire che mi stai davvero simpatica cioè lo so che
ancora non ti conosco personalmente ma da quello che mi ha detto lui mi sembri
simpatica e mi sa che lo sei perché su queste cose io non mi sbaglio mai
diciamo che ho una specie di intuito o sesto senso quindi io vorrei tanto che
tu…».
Edward comparve davanti a me interrompendo il flusso
continuo della parole della sorella. La afferrò per la vita, sollevandola, e
con l’altra mano le tappò la bocca. Lei continuava a parlare e si divincolava
dalla presa del fratello, che se la caricò in spalla come un sacco di patate.
«Scusa, te la levo di torno» disse Edward divertito avviandosi
verso il lato opposto della palestra.
Scoppiai a ridere. Che famiglia strana! E come
sbraitava Alice! Aveva ragione Edward, sembrava davvero un folletto!
Dopo alcuni minuti Edward ritornò da me, con un
sorriso.
«Non mi stava dando fastidio, davvero» dissi poggiando
la testa sul suo petto. Profumava, non era affatto sudato.
«Te ne avrebbe dato, fidati!».
Ridacchiai «E’ davvero simpatica».
Lui si sollevò il piedi. «Vado a cambiarmi, aspettami
nel cortile che andiamo».
«Ma io ho il pick-up» dissi afflitta.
«Dammi le chiavi, lo faccio riportare a casa tua da
Alice» disse porgendomi la mano aperta.
Misi la chiave nella sua mano, titubante «Ma come farà
a tornare a casa?».
«Tu non ti preoccupare» disse lui facendo un breve
corsa verso gli spogliatoi.
Andai ad aspettarlo nel cortile. Le auto degli altri
studenti erano quasi tutte andate via, compreso il mio pick-up. Rimanevano solo
due o tre ritardatari. Mi piaceva l’idea di farmi accompagnare a casa da Edward,
tuttavia non avevo ancora auto l’occasione di mangiare. L’avrei fatto quando se
ne fosse andato.
D’un tratto sentii il cuore battermi troppo forte nel
petto. Dovetti sedermi e riprendere a respirare lentamente, come se avessi
paura di non riuscire a farlo. Durò solo qualche attimo, ma mi lasciò la fronte
madida di sudore.
Edward mi venne incontro con un sorriso. «Andiamo?» mi
chiese, sistemandomi la giacca a vento sulle spalle.
Io annuii alzandomi in piedi.
Mi fissò accigliato. «Qualcosa non va? Sei un po’
pallida…».
Sorrisi. «No, andiamo a casa dai, ho un sacco di
compiti arretrati da fare».
Lui parve rassicurarsi, mi mise un braccio intorno
alle spalle e mi condusse alla sua auto.
«Sai cosa penso?» fece quando fummo entrambi
all’interno della sua auto.
«Cosa?» chiesi allacciandomi la cintura.
«Credo che dovremmo festeggiare!» disse felice «alla
nostra amicizia!».
Risi. «E come vorresti festeggiare?».
«Fidati di me» disse mettendo in moto.
Lasciai che guidasse, senza chiedere della nostra
meta. Giudò per molto tempo, la maggior parte in silenzio. Poi fece una
telefonata - a mio padre - per dire che quella sera sarei tornata più tardi. Alla
fine parcheggiò in una pineta. La cosa che mi stupì quando scesi dall’auto fu
che al posto del terriccio c’era una fine sabbia bianca.
Edward mi prese per mano con un sorriso e mi condusse
sulla cima di una morbida collinetta.
«Che cosa ci facciamo qui?» chiesi divertita.
«Ovviamente» fece lui, inginocchiandosi sulla sabbia
«stringiamo il nostro patto d’amicizia».
Sgranai gli occhi. «Non vorrai mica fare un patto di
sangue vero?! No perché anch’io sono piuttosto sensibile…».
Lui rise. «Nessun patto di sangue, non ti preoccupare».
E così cominciò a scavare una piccola buca.
«Che stai facendo?».
«Scavo una buca, non si vede?» scherzò.
«E dai Edward!» esclamai buttandomi sulla sua schiena
e ridendo. Ci rotolammo sulla sabbia fra le risate, poi lui cominciò a farmi il
solletico. «Basta, basta!» dissi senza respiro.
Lui smise di muovere le sue mani e ci ritrovammo stesi
uno sull’altra.
Mi sentivo bene, felice. Il suo corpo emanava frescura
e contemporaneamente un forte calore affettivo.
«Strappati un capello» mi ordinò, sollevandosi e
pulendosi le mani una contro l’altra.
«Okay» feci titubante, eseguendo i suoi ordini.
Lo fece anche lui e poi prese i nostri capelli,
castani e ramati, annodandoli insieme. Li prese e li mise nella buca. La
richiudemmo insieme, poi poggiammo le nostre mani intrecciate sulla zolla di
terreno, dove piantammo il ramo spezzato di un pino.
«Amici» dissi io.
«Per sempre» aggiunse lui.
Ok
ragazze, non potete dire che non sono stata veloce, perché lo sono stata. Spero
tanto che abbiate gradito il capitolo, perché io mi sono impegnata molto e
questa è una delle parti più importanti di tutta la storia. Bene. Oh, una cosa:
ma dove diamine siete finite?!
Siete
tutte in vacanza, sciagurate!!! u.u
Comunque,
la storia è a bon punto, e non voglio dire che è quasi finita ma… beh… non
mancano così tanti capitoli! ^^
ale03
ehi!
Sei tornata! ^^ Allora spero che tu potrai apprezzare meglio il capitolo ora
che ho pubblicato anche la seconda metà! ^^ Beh, succede tutto in questa! :P
Vichy90
Si si,
ci ho pensato eccome, e considerando che non sei la prima che me lo chiede,
penso di fare alla fine della storia, che ahimè, sarà fra non molto, uno o due
capitoli riassuntivi di tutta la storia con il Pov Edward.
shasha5 Grazie! Che bello, sono
contenta ti sia piaciuta la mia storia, davvero molto contenta! In effetti in
questa storia mi è piaciuto far prevalere il lato dolce e protettivo di Edward,
pur essendo consapevole dell’importanza degli altri aspetti del suo carattere.
Solo non vorrei averlo reso un po’ troppo melenso…
lilly95lilly Eh ma si dai, ora è
ritornato normale e tutto è andato a posto, non ti preoccupare! ^^ Prometto che
non diventerà mai più così! E poi il mio piccolo Eddy aveva le sue buone
ragioni, poverino *.*
patu4ever
^^ eh
si si, ma spero che ti sia piaciuto di più tutto completo, insomma… penso sia
tutta un’altra storia, vero? J
mieme
Grazie!
J si, hai fatto bene ad
aspettare, spero solo di non aver combinato disastri dividendolo in due parti…
^^
lindathedancer grazie mille! Si, in
effetti il tema è molto delicato e per riuscire a scrivere una storia del
genere, come giustamente hai detto, è necessaria l’immedesimazione… beh, questa
mi è mancata per un po’. Mi è mancato per un po’ il fatto di poter sentire la
mente di Bella sovrapposta alla mia. E se non è così io proprio non riesco a
scrivere. Per quanto riguarda lo scrivere a mano, la cosa è un po’ complessa.
Sia perché non mi ci ritrovo affatto considerando quante volte correggo e
ricorreggo una storia. Sia perché sono più lenta. Sia perché dovrei battere
tutto al pc, e non è una cosa possibile considerando che dovrei usare troppo la
mia mano destra che ultimamente chiede, anzi, pretende un po’ di riposo… J Comunque prometto di
non abbandonarvi, anzi! Non lo farei mai… J
luisina
Cara! beh, il fatto di “non
poter continuare così” è riferito al problema di Edward piuttosto che a quello
della bulimia… o almeno credo… ok, ora non ricordo :P cmq, sono certa che per
ora Bella non vuole smetterla, questo tentativo verrà fatto fra un po’ da
Bella, diciamo… dopo una bel tete a tete… J
ellylovestwilight
no,
no, ci tengo a precisare che in questa storia Edward ha come obbiettivo
principale aiutare Bella, ed è proprio per questo che si è comportato in questo
modo nel capitolo scorso… perché la voleva aiutare… ^^
lady cat
beh,
Edward è ritornato quello di sempre, come sempre, non lo potevo mica far
rimanere così insomma… e ora si è sistemato tutto… per quanto riguarda Charlie
direi che avrà un ruolo un tantino particolare.
Noemix
beh
si, in effetti può essere anche un sintomo d’apatia, ma in quei casi, fidati,
dopo una settimana ho il problema opposto… tipo ora che sono senza pc e sto più
o meno impazzendo! E poi scrivendo scrivendo tutto ritorna apposto. Ho
sbagliato a lasciare, anche per poco, questa storia, ma è bene imparare dai
proprio errori! ^^
IsAry
beh,
Edward ha i suoi buoni motivi, fidati, ma se non si voleva ritrovare una Bella
cubetto di ghiaccio doveva intervenire… e poi ora non è più così, visto?! J
BellaJey
è
vero, Bella è una cerca guia, ma non è solo colpa sua, sono anche i guai che la
inseguono… ^^ In effetti oramai c’è davvero poco da immaginare… Diciamo che in
questo capitolo ogni cosa è diventata certa ormai…
lisa76
XD beh
si sono tre, ma la soluzione è una… in effetti si, Edward ha molta sete, e ha
dovuto interrompere la caccia per poter andare da lei… questo è il motivo del
suo comportamento. J
silvia16595 eh si, ma io rischio
ogni volta la crisi d’astinenza senza il mio adorato pc… In effetti si, il
motivo principale è il fatto che non è andato a caccia… ma più che altro che ha
dovuto interromperla… eheh, ecco spiegato il suo comportamento…
barbyemarco
nono,
le cose che sono successe sono state un caso! J Una serie di sfortunati eventi direi ^^
Edward era a caccia e ha dovuto mollare a metà Jasper e Alice sono rimasti a
caccia dov’erano! J
Dan ma si! E’ stato stupido
il gatto, mica io?! Doveva starsene fermo lui e tutto sarebbe andato bene… E in
effetti il problema di Eddy è peggiore, non è che non è andato a caccia, è che
ha dovuto interromperla! Povero… ^^ Rosalie deve cambiare presto atteggiamento
è.é
Lena89 eheh, purtroppo i
problemi con il computer sono frequenti a quanto vedo! Ti ringrazio per la
fiducia, si l’hai interpretato benissimo, i problemi di Bella sono seri e Carlisle
è un medico eccezionale… Aggiungo indizi per i vampiri ogni tanto, ma posso
dire che Edward abbia già un’idea piuttosto definita di quello che le succede!
^^
bigia anche voi mi siete mancate,
tantissimo! *.* Grazie mille ancora, spero di aver soddisfatto la tua
curiosità! ^^
Lau_twilight
eh
sisi ^^ Questa cosa del freddo e distaccato sarà meglio chiarita fra un po’,
come tutti i dubbi accumulati fin ora! J Però dai, è piuttosto prevedibile la cosa,
no?! ^^ Il gatto che ti lecca… ho preso ispirazione dal mio, quel mascalzone,
mi lasciva certi “succhiotti”… hhh… gatto non ancora svezzato… XD
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Capitolo 11 *** Interruzione ***
Whoa
Whoa! I
feel good, I knew that I would, now
I feel good, I knew that I would, now
So good, so good, I got you
Minush era miracolosamente riuscita ad accendere la
televisione e ora voleva farmi sollevare dal pavimento del bagno su cui ero
inesorabilmente stesa.
«Gatto pestifero!» mi lamentai, sollevandomi sulle
gambe.
Lei era già corsa via, verso il soggiorno e verso il
luogo di provenienza di quelle note allegre. Decisi di vendicarmi.
Riuscii ad afferrarla, strappandole un miagolio
frustrato e mi misi a girare su me stessa, cantando a squarciagola la canzone
di James Brown. Cominciai a farmi trasportare dalla musica. Ero una ballerina e
una cantante pessima, non avrei mai ballato in pubblico, per giunta con il
rischio di cadere e fare una figuraccia, ma a casa mia potevo divertirmi come
volevo.
E poi in quell’istante mi sentivo bene. Avevo appena
finito di mangiare. Anche la canzone lo diceva, quindi perché non ripeterlo a
squarciagola?!
Whoa! I
feel good, I knew that I would, now
I feel good, I knew that I would
So good, so good, 'cause I got you
So good, so good, 'cause I got you
So good, so good, 'cause I got you
Beh, in effetti dei buoni motivi c’erano.
Primo, perchè rischiavo che i miei vicini mi
prendessero per pazza. Secondo, perché rischiavo di cadere. Terzo, perché
rischiavo di traumatizzare la mia povera gatta che non aveva emesso neppure un
minimo suono da quando avevo cominciato a ballare.
Ero riuscita a fare tutte e tre le cose, fantastico!
E cadendo a terra, avevo trascinato con me un cavo della
TV che ora emanava segnali che sarebbe piaciuto decodificare ad un crittografo
impazzito.
«Ops» mormorai, osservando la micina che se stava
ondeggiando il circolo, sbandando di qua e di là. Mi grattai la testa. Avrei
dovuto riparare la TV prima dell’arrivo di mio padre, perché quella sera ci
sarebbe stata la partita. E avrei dovuto far rinsavire Minush. Forse l’avevo
rotta.
«Minush» chiamai, preoccupata.
Mi rispose con un mezzo miagolio, prima di cadere
definitivamente su un fianco.
Oddio! I gatti svenivano?! La presi in braccio e
controllai gli occhi. Erano aperti. E li muoveva. Ringraziando il cielo non era
morta! «Accidenti Minush, mi dispiace! Ma tu non puoi mica farmi certi
scherzetti!». La osservai ancora un po’ titubante. Muoveva le orecchie in modo
sconsiderato. «Dai su, non posso aver fatto troppi danni! Non avevi equilibrio
già prima, non puoi essere addirittura peggiorata!». Mi guardò in malo modo - o
almeno così mi sembrò - e miagolò.
Dopo qualche minuto decretai che non era rotta, infatti
si reggeva - anche meglio di prima a mio avviso - sulle zampette a X. Allora
decisi di concentrare la mia attenzione sulla TV, che poteva essere un problema
ben più grave.
Controllai i cavi, e vidi che se ne erano staccati
alcuni. Li rimisi apposto, ma dall’ “aggeggio” cominciarono a venire fuori dei
metallici suoni lamentosi. Accidenti! Cosa avevo sbagliato?!
Dopo un’ora e mezza di tentativi, la situazione era
sempre la stessa. Stava per venirmi una crisi isterica. Non ero una persona
paziente, ma ero molto testarda, o ormai riparare quell’aggeggio era diventata
una questione personale.
Tentai di capire qualcosa sul manuale delle
istruzioni, ma la situazione sembrò solo peggiorare, almeno per i miei nervi.
Sbattei il grosso tomo a terra, urlando e sbattendo i
piedi. Poi, dopo aver preso dei grossi respiri, marciai determinata, con i
pugni serrati lungo i fianchi, fino alla cucina. Afferrai la cornetta del
telefono e chiamai il centro d’assistenza. Mi rispose un ragazzo scocciato.
«Che disturbi ha il suo televisore?» chiese con
la sua voce annoiata.
«Ecco vede… si vede tutto grigio e a macche nere e
bianche…».
«Ho capito… sono più grandi le macchie nere o
quelle bianche?».
Cosa?! E che ne sapevo io? Tentai d’improvvisare.
«Emm… quelle bianche» dissi titubante.
«Va bene… Ed emette qualche suono?».
«Si, fa una specie di fruscio metallico» tentai di
essere dettagliata.
«Fruscio metallico come?» mi chiese quello con
la sua voce monocorde.
«Un… fruscio metallico…» balbettai in difficoltà.
Sbuffò distintamente nella cornetta. Che maleducato! «Me
lo può imitare per piacere?».
«Ah. Ok». Ma chi lo capiva questo. «Bzz… shrhsh…bzz»
dissi arrossendo. Mi sentivo una stupida. «Più o meno fa così…» dissi
mordendomi il labbro.
«Ma più a lungo bzz, o shrhsh?».
Sgranai gli occhi scandalizzata. «Bzz?!»
azzardai.
«Allora il problema è l’antenna» decretò infine lui.
«Deve salire sul tetto e spostarla, finché non si vede».
Il tetto? Ma io avevo solo urtato dei cavi! Tentai di
spiegarglielo, ma quel ragazzino non mi fece parlare, dicendomi che aveva
perfettamente diagnosticato la situazione.
«E mi scusi, come faccio a salire sul tetto con un
braccio rotto?» gli chiesi scocciata.
«Se vuole l’assistenza dovrà aspettare tre mesi, che
faccio, la metto in lista?».
«No. Grazie.» dissi infuriata, riagganciando.
Che cosa dovevo fare? Dovevo riparare la TV prima che tornasse mio padre, ecco cosa dovevo fare.
Aiutandomi con le dita della mano destra che ancora
riuscivo a muovere, presi la scala a pioli che stava sul retro della casa, e la
addossai con non poca fatica, lungo una parete esterna. Minush mi seguiva
ovunque andassi, e questo significava che si era ripresa. Bene, almeno lei non
l’avevo rotta.
Era già il crepuscolo, e una giornata di meraviglioso
sole - rarissima per Forks - era terminata. Cominciai ad arrampicarmi sulla
scala, fino a raggiungere il tetto.
Feci una smorfia. C’era di tutto lì. Foglie
appiccicate, terriccio, palloni sgonfi, e persino una canna da pesca! Mi avviai
carponi verso l’antenna e la mossi un po’ a sinistra e poi a destra. Poi
afferrai il cellulare, con cui avevo chiamato a casa, e tentai di capire se il
televisore stesse funzionando ancora. Non mi pareva, così mossi ancora un po’
l’antenna.
«BELLA!» gridò una foce familiare, facendomi
trasalire. Mi portai una mano al cuore. Mi voleva forse far prendere un
infarto?!
Dopo pochi istanti Edward Cullen era insieme a me sul
tetto.
«Ma dico ti sei impazzito?! Per poco non mi prende un
infarto! Che mi gridi così!».
Lui mi fissò scandalizzato. «Bella, sei uscita fuori
di senno?» mi chiese serio.
Lo trafissi con una finta occhiataccia. «No, perchè?».
«Che ci fai sul tetto allora?! Rischi di cadere! Con
un braccio rotto poi… Dai vieni qui che ti faccio scendere» disse porgendomi
una sua mano tesa.
«Non è colpa mia» tentai di giustificarmi andandogli
incontro. «E’ che si è rotta la TV e quel tipo dell’assistenza mi ha detto che
dovevo sistemare l’antenna».
Lui sbuffò, scuotendo il capo contrariato.
Quando mi ritrovai a dover scendere però, ebbi paura.
«Accidenti… era così alto anche prima?» chiesi tremante, deglutendo.
«Sei davvero impossibile» fece Edward, prendendomi le
mani «dai, ti aiuto».
Mi staccai immediatamente da lui. «No! Non mi
toccare!» esclamai spaventata, rannicchiandomi seduta.
«Su Bella, dobbiamo scendere!» mi disse Edward,
accovacciandosi accanto a me. «Ti aiuto».
Riaprii gli occhi. No! Impossibile, era troppo alto e
io non sapevo come girarmi. «Edward! Voglio scendere! Voglio scendere ti prego,
fammi scendere!» cominciai a piagnucolare.
Lui mi prese una mano ma ancora mi ritrassi.
«No! Non mi toccare, mi fai cadere!» gridai sull’orlo
della disperazione.
«Bella» mi disse Edward serio «se non ti tocco, non
possiamo scendere. E se non possiamo scendere, dobbiamo rimanere qui tutta la
notte. E se dobbiamo rimanere qui tutta la notte: A, non possiamo riparare il
tuo televisore. B, non possiamo mangiare i marsh mallow che ho portato».
Aprii piano un occhio, e trovai il suo delizioso volto
a fissarmi. «Panna e fragola?».
Lui sorrise. «Fragola e Cocco, i tuoi preferiti».
«Andiamo!» esclamai.
«Ok, chiudi gli occhi e resta ferma, in due minuti ti
ritroverai con i piedi al suolo» mi disse aprendo le braccia.
«Sei sicuro?» chiesi intuendo le sue intenzioni «come
farai? Io peso…».
«Fidati di me. Ti fidi di me, vero?» mi chiese serio.
Guardai le sue braccia tese. Sospirai. «Si» sussurrai
chiudendo gli occhi.
Come mi aveva promesso, mi ritrovai in men che non si
dica con i piedi al suolo. Era stato di parola.
«Grazie» dissi, arrossendo per il contatto ravvicinato
con il suo petto.
Lui mi lasciò andare con un sorriso, prendendomi per
la mano sana e trascinandomi in casa. Stranamente Minush non ringhiò al suo
ingresso e lui se ne accorse. Se ne stava quatta quatta su una poltrona.
«Ma che ha?» chiese Edward indicandola.
Sgranai gli occhi. «Oh… niente…» cincischiai,
mordendomi il labbro «oggi è un po’ pigra…».
Edward sollevò un sopracciglio, ma non fece altri
commenti. Si avvicinò al televisore e diede una rapida occhiata ai cavi. Poi
sospirò, staccò dei fili e li riattaccò. Subito dopo sullo schermo della TV
comparvero le immagini di una sitcom scadente.
Mi accorsi di avere la bocca aperta dallo stupore solo
quando Edward mi rivolse un’occhiata divertita. La richiusi immediatamente. «Ma
come… come hai fatto? Ci ho perso due ore accidenti! E tu in un secondo l’hai
riparata!».
Lui fece spallucce. «Avevi invertito i cavi di audio
video!» disse scoppiando a ridere.
Mezz’ora dopo ci trovavamo davanti al fuoco, ad
arrostire marsh mellow.
«Come vedi non c’era bisogno di rischiare di uccidersi
cadendo dal tetto» mi disse Edward con aria di rimprovero.
«Non è colpa mia» mi difesi «quell’idiota del tecnico
della TV ha detto che dovevo salire sul tetto! Mi chiedeva le macchie bianche,
le macchie nere, i suoni metallici… ma che ne so io…» borbottai, sistemando gli
spiedi accanto al fuoco.
Edward rise brevemente. «Ma non potevi aspettare che
venissi io?».
Io arrossii, abbassando il capo gattonando sul tappeto
fino a mettermi fra le sue braccia. Mi piacevano i suoi abbracci. Per qualche
istante riuscivo a sentirmi sana e completa. Era più o meno lo stesso effetto
che mi faceva il cibo… ma senza conseguenze. «E’ che nell’ultimo periodo ti do
quasi per scontato» gli dissi infine, facendomi accarezzare i capelli «invece non
saprei come fare senza di te» confessai arrossendo.
«Anche per me sei importantissima, Bella» mi disse lui
con un sorriso, alzandomi il mento con un dito.
Io sospirai, allontanando lo sguardo dai suoi occhi.
«Insomma… Io non faccio niente per te…».
Edward si fece serio, e ancora una volta mi costrinse
a guardarlo negli occhi. «Ehi» mi chiamò «noi siamo amici, e gli amici si
aiutano fra di loro» mi spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio «e poi
tu, anche se non te ne sei accorta, hai fatto tantissimo per me».
Lo abbracciai più stretto, poggiando una guancia sul
suo petto duro. «Ti voglio bene» mormorai, arrossendo. Non l’avevo mai detto a
nessuno. Ma in quel momento era veramente quello che provavo. Volevo davvero
bene a Edward, provavo un fortissimo affetto nei suoi confronti. Mi sentivo
sicura e protetta quando ero con lui. Mi sentivo me stessa.
«Anch’io ti voglio bene, e sarò sempre qui per te».
Rabbrividii. Avevo paura del mondo. Tutto il mondo era
un’unica cosa estranea che non comprendevo e che mi faceva paura. Ma Edward
aveva libero accesso al mio cuore. Era l’unico, l’unico a cui permettessi di
entrare in contatto con me. L’unico a cui permettessi di proteggermi. «Mi
proteggerai tu?», chiesi timida, sollevando lo sguardo.
Lui guardò lontano, sospirando. Il silenzio durò
qualche interminabile istante, poi fu rotto da un sussurro «Non posso
proteggerti da te stessa» disse raggelandomi. Poi mi sorrise, disinvolto. «Si
stanno bruciando i marsh mellow».
Mi affrettai ad allontanare gli spiedi da fuoco e
cominciammo a mangiare. Mangiare con Edward non era un grosso problema. A patto
che non mi distraessi guardandolo. E a patto che lui non guardasse me, cosa che
non faceva mai. Ogni tanto m’imboccava, ed io ero costretta a mangiare più
lentamente. Ma lo facevo con piacere, mi faceva sentire… intima. E mi piaceva.
Dopo aver finito di mangiare sentii la necessità di
andare in bagno. «Edward, scusami, torno subito» dissi sollevandomi dalle sue
braccia.
«E mi vuoi lasciare qui solo con il tuo gatto pestifero?!»
mi disse indicando Minush, che ringhiò contro il suo dito.
Osservai entrambi, nervosa. No, non era una buona
idea. Ma che potevo fare? Tentai di divincolarmi dal suo ragionamento «Su, che
cosa ti può fare, oggi mi sembra piuttosto mansueta…».
«Oh si, e mi chiedo perché… Le hai dato da mangiare?»
chiese inarcando un sopracciglio.
Volevo andare in bagno. Per un istante mi venne in
mente che l’avesse fatta apposta a cambiare argomento, ma poi pensai che fosse
un’idea assurda. Chi mai ostacolerebbe una persona che vuole andare in bagno?
Sospirai, impaziente, mordendomi il labbro e dondolandomi sui talloni «Si, si,
le ho dato da mangiare… scusa, la porto con me» dissi afferrandola e correndo
verso il bagno. Non gli diedi il tempo di ribattere che già mi ero chiusa la
porta dietro alle spalle.
Questa volta però, quando sollevai la testa per
poggiarla sul pavimento freddo, sentii in un sapore che mi causò una forte
nausea, costringendomi a rigettare nuovamente.
Mi passai il dorso della mano sulla bocca.
Sangue.
Era solo qualche goccia, ma c’era del sangue. Tirai lo
sciacquone e mi stesi a terra, dolorante. Mi faceva male la pancia. Minush
miagolò accanto al mio orecchio.
Sentii dei colpi alla porta del bagno e trasalii.
«Bella? Sei ancora lì?», poteva sembrare una domanda disinteressata, ma sentivo
un velo di preoccupazione nella voce di Edward.
Non ottenendo una mia risposta mi chiamò ancora
«Bella? E’ successo qualcosa?», era palesemente preoccupato.
«No…» dissi, con il tono più fermo che mi potessi concedere.
«Non ti preoccupare…».
Evidentemente la mia voce non lo convinse. «Posso
entrare?» chiese nervoso.
«No!» esclamai, cercando di tirarmi su e di ignorare
il dolore. Tentai di trovare una giustificazione per le mie parole e per il mio
tono. «E’ che…» pensai alla prima scusa, più vicina possibile alla verità, che
mi venisse in mente «c’è del sangue…» balbettai, andando verso il lavandino.
«Sangue?! Bella, mi sto preoccupando… Fammi entrare»
disse serio.
«Non è nulla Edward!» balbettai in tono leggero, facendo
scorrere l’acqua. «E poi tu stai male quando vedi il sangue, stai fuori».
«Non starò male» ribattè lui deciso, «fammi entrare».
Mi venne un idea. Presi una compressa, poi mi
sciacquai la bocca e girai il chiavistello. Subito Edward si fiondò nel bagno,
con un’espressione seriamente preoccupata, che si tramutò poi pian piano in
sorpresa.
«Che sc’é?» chiesi con lo spazzolino in bocca «mi
stavo lavando i denti ed è uscito un po’ di sangue dalle gengive» dissi con
tono disinvolto, dopo aver sputato il dentifricio nel lavandino.
Lui mi fissò per qualche istante, titubante. Speravo
se la bevesse, senza fare ulteriori domande. Poi mi accarezzò la guancia. «Stai
bene?» mi chiese. Quando vide la mia espressione indignata, aggiunse, a mo’ di
giustificazione. «Sei un po’ pallida».
«Sono sempre pallida» dissi, uscendo dal bagno insieme
a Minush e Edward. «Sto benissimo» aggiunsi, mentendo spudoratamente e
ignorando il dolore allo stomaco.
Ci sedemmo nuovamente di fronte al fuoco. Edward non
fece più domande, ma ogni tanto mi rivolgeva strane occhiate. Tuttavia dopo un
po’ non ci badai più. Era bravo a mascherare ciò che pensava dietro al suo viso
da angelo.
Mi ricordai una cosa. «Hai detto al preside quello che
è successo con Tyler e Mike?» chiesi, senza un tono di rimprovero.
«No, non sono stato io Bella, io ho fatto quello che
mi avevi chiesto tu, cioè niente» rispose deciso.
Ma se Lauren e Jessica… Lo guardai negli occhi. «Non
mi arrabbio se me lo dici Edward, davvero…».
«No, no» ripetè. «Non sono stato io». I suoi occhi
erano sinceri, gli credetti.
«Allora chi?» chiesi curiosa.
Lui scrollò le spalle, giocando con una ciocca dei
miei capelli. «E’ stata Angela».
«Angela?» chiesi incredula.
«Ti vuole bene» mi disse serio, per poi sorridermi
amorevolmente. Rimanemmo così in silenzio per qualche istante.
Era davvero bello. Il suo viso squadrato, i suoi
capelli luccicanti al riverbero delle fiamme, i suoi occhi d’oro liquido. Era
davvero meraviglioso.
«Sei bellissimo» sussurrai arrossendo, senza quasi
rendermene conto. Lui sorrise, mettendo una mano sulla mia che gli accarezzava
una guancia. Mi schiarii la gola, imbarazzata, tentando di aggiustare il tiro.
«Chissà quante ragazze avrai avuto» sussurrai con dolore.
Lui mi regalò un altro sorriso sghembo. «Neppure una»
disse poi.
Strabuzzai gli occhi. «Davvero?!».
Ridacchiò. «Davvero…».
Quella notizia mi aveva lasciata davvero basita. «Insomma…
tu non sei mica come me…» biascicai.
«E questo cosa vorrebbe dire? Primo. Siamo molto più
simili di quanto tu non creda» disse serio «e poi… mi vuoi dire che neanche tu
hai mai avuto un ragazzo?» mi chiese sinceramente curioso.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani. «Edward» mormorai,
prendendo le sue mani bianche fra le mie e intrecciando le nostre dita. Risollevai
lo sguardo sul suo meraviglioso volto. «Tu sei l’unico vero amico che io abbia
mai avuto, sei l’unico con cui mi trovi veramente bene» dissi sincera «ho… ho
qualche problema a fidarmi delle persone…» presi un respiro «e poi… chi vuoi
che stia con me» scherzai con un sorriso mesto.
«Io» disse Edward serio, facendomi raggelare.
Deglutii, guardandolo negli occhi. Lui non distoglieva
lo sguardo. Imbarazzata, rossa come un peperone, boccheggiai in cerca d’aria.
Poi ridacchiai. «Anch’io ci starei con te» scherzai
dandogli un’amichevole pacca sulla spalla.
Lui ridacchiò con me, poi disse tranquillo e sincero «Starei
ore ad accarezzare i tuoi capelli morbidi e setosi. Starei ore a contemplare il
tuo sguardo profondo. Adoro le tue labbra imperfette» disse posando un dito sul
mio labbro, avvicinandosi a me.
Eravamo a pochissimi centimetri di distanza. Bramavo
pelle setosa e vellutata delle sue labbra. La bramavo. E me ne rendevo conto
solo adesso, ma l’avevo bramata dal primo istante in cui l’avevo vista.
Tuttavia ora, e solo ora, aprivo gli occhi.
L’immenso affetto che provavo per Edward, la facilità
con cui gli avevo dato la mia fiducia, gli interminabili istanti che perdevo
nella contemplazione del suo volto… non facevano parte dell’amicizia. Io
l’amavo. Io amavo Edward.
Sentii il cuore battere fortissimo, mentre poggiavo i
palmi delle mie mani sul suo petto.
Eravamo con le labbra a pochissimi centimetri di
distanza, eppure ognuno di noi sembrava perso nella contemplazione dei suoi
pensieri. Nessuno dei due metteva fine alla distanza tra le nostre labbra.
Ma non c’era fretta, né imbarazzo, non più. Non era
uno di quei momenti che dura pochi istanti e che corre via se non lo prendi al
volo.
Era uno di quegli istanti che rimangono come sospesi a
un filo invisibile e ti concedono tutto il tempo di cui hai bisogno per darti
un’innaturale lucidità.
Sentivo il cuore nelle orecchie.
Vedevo Edward, i suoi occhi, il suo sguardo. E leggevo
nella sua anima. Lo vedevo dilaniato e straziato, come se al suo interno una
battaglia feroce stesse imperversando.
Sentivo il suo respiro fresco sulle mie labbra «Darei
qualsiasi cosa per…».
Sobbalzammo contemporaneamente, allontanandoci, sentendo
qualcuno schiarirsi la voce.
Mio padre stava al centro del salotto con le mani sui
fianchi e le gambe divaricate. Il giubbotto addosso e la pistola nella fondina.
Distolsi lo sguardo, rossa e imbarazzata. «Papà…».
«Ispettore Swan» disse Edward, alzandosi e porgendomi
una mano per aiutarmi a sollevarmi. «Stavo andando via».
«Ti accompagno» dissi io, conducendolo verso la porta.
Mio padre rimase là, con i suoi sguardi furtivi e la
sua espressione fra il serio e l’imbarazzato.
Edward mi sorrise quando gli aprii la porta e uscii
con lui, dirigendomi verso la sua auto. «Ci vediamo domani mattina Bella» mi
disse tranquillo, senza un’ombra d’imbarazzo, abbracciandomi.
Ricambiai l’abbraccio, contenta che fra noi non
sarebbe comunque cambiato nulla. «Ti voglio bene» ripetei, senza imbarazzo.
«Domani devi togliere il gesso?» mi chiese allora,
staccandosi.
«Oh si… me ne ero quasi dimenticata».
«Ti accompagno?» mi chiese con un sorriso.
«Si grazie».
«A domani allora» disse salutandomi e entrando in
auto.
«A domani!» lo salutai.
Edward.
Sospirai, ripensando a quello che era successo. Ero contenta.
«Bella, dobbiamo palare» disse Charlie quando entrai
in casa.
Lo sapevo.
Ehiii!
Ragazze! J
Spero che
il capitolo vi piaccia, era nato per essere molto diverso ma poi è venuto così.
Ho notato
abbastanza allarmismo quando ho chiarito il fatto dell’amicizia. Edward e Bella
sono amici e lo saranno ancora per un po’. Ovviamente sappiamo tutte come andrà
a finire… e questo capitolo ne è la conferma. Ma per ora hanno solo chiarito
che ognuno di loro starebbe con l’altro. Accontentatevi per il momento! J
Anche
perché non so cosa accadrà nel prossimo capitolo! Cioè, lo so, ma a grandi,
grandissime linee…
luisina
In
effetti si, forse ho un po’ esagerato, ma diciamo che erano piuttosto
incavolate con Bella per la questione del ballo… però non vorrei averle rese…
come dire… troppo “finte”… Il patto d’amicizia mi è venuto in mente all’ultimo
momento, e il luogo è una pineta dove andavo da piccola… ricordi dell’infanzia…
e il patto d’amicizia con i miei amici… J
Wind
già si
direi di no! ^^ Come dire… rischi di trovarti… dissanguata! XD Un piacere
ritrovarti, sei tornata finalmente!
endif Grazie allora! E’ un
vero piacere trovarti a leggere le mie storie… L’importante è che tu le legga,
per recensire… beh, non è un problema! ;) Ciao, e ancora grazie.
ale03
visto
che velocità?! :D eheh, non avevo niente da fare, si vede ^^ E comunque, Bella
per rispondere alle due oche ha tirato fuori un lato nascosto del suo
carattere! Ora si è un po’ represso, diciamo che vien fuori solo in caso di
estrema necessità! J
Dan ma no che non rimangono
solo amici!!! Ma state tutte andando in paranoia per questo! Mmm… non rimangono
solo amici, ecco, contente? u.u E poi il gatto non l’ho buttato! Uno l’ho
calato con la corda e l’altro ha deciso di buttarsi da solo… che gatto stupido…
però gli volevo bene *.* Rosalie… non sarà un grosso problem… J
Amalia89
figurati,
fa nulla, l’importante è che tu l’abbia letto J Bella ha cacciato il suo nascosto lato
grintoso! Grr… Doveva, mica la può difendere sempre Eddie, eh!
silvia16595 grazie… eh no beh si,
non manca proprio tanto alla fine della storia eh… o almeno, per ora non ho
altre idee, quindi… poi se mi verranno ^^ Le userò! J
Noemix
XD no,
non ti dirò questo. J Ti dirò che Bella ha dato Fiducia a qualcuno, che è un
grossissimo passo in avanti! Non ha mai avuto un amico, figuararsi, e nelle
condizioni in cui è per ora accontentatevi dell’amicizia… per ora… ^^
lisa76
eh
già, sarebbe stato impossibile per lei staccarsi da lui, e sarebbe solo stato
peggio. Comunque era anche disposta a lasciarlo andare, ma temo che non ce
l’avrebbe mai fatta…
shasha5 Grazie mille allora! ^^
Sto praticamente concentrando tutto il lato del carattere di Edward che mi piace
di più e quello di cui più a bisogno la Bella di questa mia storia… Ma a me piace anche l’altro lato di Edward, quello più… “vampiresco”… Questo ragazzo è
un mix letale!
Vichy90
Si,
penso che lo scoprirà ^^ verso la fine… quando sarà già in via di guarigione e
loro saranno qualcosa di più rispetto a dei semplici amici… J
ClaryCullen eh già Bella ha un
grande potenziale dentro di se ma per ora è ancora nascosto dalla sua malattia…
Il patto di amicizia è stato qualcosa in più, mi è venuto così, all’ultimo
momento ^^
JessikinaCullen
oh si
lo so!!! L’avete detto tutte, ma io dico, Bella ha fatto grossissimi passi in
avanti! E’ il primo amico, figurarsi… ^^ Non potevo affrettare troppo i tempi,
ma calma e pazienza e otterrete ciò che volete, va bene? Giuro. E anche Minush.
Si, l’hai scritto bene ;)
patu4ever
ovvio
che da cosa nasce cosa ;) ma non potevo mica fare saltare così le tappe…
dopotutto Bella ha ancora un problema grave da affrontare, e ha detto di
FIDARSI di Edward. Credimi, è un enorme passo in avanti… Ma ancora non si può
concedere l’amore… J
IsAry
felice
di esaudire tutti i desideri! Lauren e Jessica sono state odiate e condannate
nello stesso capitolo, anche se non lo sa Bella ha dentro di se tanta forza.
Deve solo imparare a usarla. J
araba89 mmm… no, mi sa che non
è così come hai pronosticato tu… la scoperta della vera natura di Edward sarà
molto più… beh, succederanno un bel po’ di macelli intorno a questo fatto, ma
nulla di irrisolvibile… ^^
twilight_the
best eh si, una parte di litigio, una parte d’unione… lo ying e lo
jang… non so neppure se si scrive così! XD
Bella_Cullen_1987
eheh,
io ho contro la tecnologia e tu hai conto gli orari dei pasti! XD C’est la vie!
bigia no! Che manchi poco non
vuol dire che non ne succederanno di cose! E poi non ho detto che manca poco,
ho detto che siamo a buon punto, e c’è una bella e grossa differenza! u.u
barbyemarco
uno al
giorno?? Ma tu mi vuoi proprio morta allora!!! Per la tua domanda… in che
senso? :D Beh, diciamo che ci saranno dei movimenti in sensi opposti… alto
basso altissimo direi… però lo sappiamo tutte qual è il capolinea no? J
Lau_twilight
eheh,
un pezzo importante di tutta la storia, anzi, importantissimo! Jessica e Lauren
sono delle vipere, ma ora non daranno più fastidio, fidati! Bella le ha messe
al loro posto, preferisce gli aiuti umanitari lei! u.u
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Capitolo 12 *** Verità ***
Sentivo uno strano retrogusto salato in bocca
Capitolo dedicato a Elena, la mia blogger!!! ^^ Il
regalino…
Sentivo uno strano retrogusto salato in bocca. E la
testa che mi pulsava, ignorando completamente i miei pensieri che chiedevano
solo un po’ di pace.
Tristezza. Questo era quello che sentivo. Insieme a un
vuoto terribile all’altezza del petto.
Ero così stanca, così esausta, che non ce la facevo
più neppure ad asciugarmi le lacrime che sgorgavano copiose dai miei occhi.
Quasi non mi ricordavo più perché stavo piangendo.
La cosa che mi feriva maggiormente, era che il cibo
non mi aveva dato alcuna forma di consolazione. Solo un dolore di cui, forse,
in altre circostanze, mi sarei preoccupata. Ma in quel momento avevo troppi
problemi a cui pensare. Problemi che tuttavia volevo solo tenere lontani da me.
Gemetti, mettendomi il cuscino sulla testa e tirando
su le coperte.
«Bells, passi troppo tempo con lui, stai
monopolizzando la tua vita! Che ti passa per la testa? Sai sempre appiccicata a
lui! Da quando l’hai conosciuto sei più triste, non parli mai con me, sei
persino più pallida … Hai qualcosa che non va, lo sento…».
Questa era la più grossa eresia che mio padre avesse
detto. Più pallida… Non sapeva neppure di cosa stesse parlando. Non
sapeva cosa stesse vivendo sua figlia, perché di me non gliene era importato
mai un accidente. Come mia madre. Ero solo un peso per loro. Solo ora… solo ora
che Edward finalmente era riuscito a farmi aprire, a farmi sentire a mio agio,
a essere me stessa, aveva cominciato a capire che sua figlia non era affatto
come le altre.
Ma quella, era soltanto la punta dell’iceberg… E
dovevo fare in modo che Charlie non scavasse più a fondo di quanto non avesse
già fatto.
«Senti Bells, io non voglio litigare… cerca solo di
vedere un po’ meno questo Edward Cullen, non ti sto vietando vederlo, ma sii
più ragionevole, non so, fatti anche nuovi amici…sii giudiziosa».
Mi cancellai le lacrime, sommersa dalla rabbia. Persi
il telefono e composi il numero di Edward. Poco importava che lo stessi
chiamando ad un orario del tutto indecente. Stavo facendo l’esatto contrario di
quello che mi aveva chiesto di fare mio padre. L’adrenalina mi scorreva nelle
vene, cancellando il torpore a la malinconia. Rispose dopo due soli squilli.
«Pronto?».
Un brivido mi percorse la schiena al suono della sua
voce melodica. Parla ti prego… Dì quslcos’altro…
«Pronto, chi chiama? Bella sei tu?».
Le mie labbra si incresparono in un sorriso amaro, e
chiusi la conversazione. Edward… lui era riuscito a farmi stare meglio. Risposi
il telefono e andai verso la finestra. Sentivo rabbia… angoscia dentro di me… Volevo
vendicarmi… in qualsiasi modo. Volevo vendicarmi di mio padre, fare qualcosa di
sbagliato per fargliela pagare, solo per sentirmi meglio. La telefonata a
Edward aveva dato i suoi frutti, ma avevo intenzione di continuare.
Mi sedetti sul davanzale a guardare la maledetta
pioggia di Forks che scendeva infischiandosene di tutto e di tutti. Così ero
io, prima di incontrare Edward. Ero scontata e prevedibile, non m’importava di
nessuno, men che di fare quello che avevo sempre fatto, continuamente e
incorruttibilmente. Fastidiosa e scontata. Qualcosa di cui tutti vorrebbero
liberarsi, ma che lasciano cadere dal cielo senza poterci fare nulla.
E ora volevo rimanere lì, tutta la notte, sveglia, per
vendicarmi stupidamente delle parole che non ero riuscita a dire a mio padre.
Perché non avevo saputo difendere Edward, il mio primo vero amico, l’unico che
mi facesse sentire veramente bene.
Perché non ero disposta ad abbandonare quello che
facevo. Perché se avessi detto a mio padre che non era Edward il motivo dei
miei problemi, lui ne avrebbe cercato un altro, arrivando prima o poi alla
verità.
Dovevo scegliere? Mai. Li volevo entrambi. E potevo
averli. Edward e il cibo.
Il tempo passò più velocemente di quanto potessi mai
immaginare, e il sonno non mi disturbò così tanto, facendomi vivere come in una
vaporosa nuvola sospesa. Non avevo sonno e non volevo dormire. Guardai Minush,
piccola e accoccolata nella sua culla. La cuccia che la aveva regalato Edward.
Ascoltai il rumore della pioggia, ascoltai il
silenzio, e poi ancora al pioggia. L’euforia del risveglio, le luci del
crepuscolo mattutino, l’alba. Un’alba spenta e poco colorata, intravista
attraverso le nubi di Forks.
Guardai l’orologio. Erano le sei di mattina e non
avevo dormito. Erano le sei di mattina e non avevo sonno. Sorrisi, come se
davvero mi fossi vendicata di mio padre.
Sentii i suoi passi venire verso la mia stanza. Era
sabato, non doveva andare al lavoro. Trattenni il respiro. Cosa avrebbe detto
trovandomi sveglia?
Il telefono squillò facendomi sobbalzare. Poi si
udirono i suoi passi veloci sulle scale e il rumore della sua auto nel
vialetto. Sospirai. Era andato via.
Battei le mani. «Minush». Immediatamente mi saltò
addosso, miagolando. La presi con le mani e la sollevai in aria. «Si fa la
pappa!» esclamai contenta.
Un’ora dopo mi trovavo seduta sotto il portico di casa
mia, vestita e preparata. Era presto, lo sapevo, ma non volevo far nulla. Sentivo
la testa incredibilmente vuota, probabilmente perla mancanza di sonno. Risi
lanciando lontano una pietra che avevo fra le mani. Mi sentivo felice, anche se
non ne sapevo il perché. Aspettavo Edward per andare all’ospedale a togliermi
il gesso, forse ero felice per questo, chissà… Avevo voglia di vederlo, come un
bambino ha voglia di andare al parco per mangiare un gelato.
Cinque minuti più tardi, in anticipo, la sua auto parcheggiò
nel vialetto. Mi sentii ancora più contenta. Volevo cancellare tutto quello che
era successo il giorno precedente, tutte le parole assurde di mio padre.
Quando scese dalla macchina aveva un’espressione concentrata,
quasi preoccupata, ma comunque per me rassicurante.
«Ti stavo aspettando» mormorai, prendendo la giacca e
tentando di mettermela sulle spalle.
Sentii una mano fredda toccarmi la pelle e vidi Edward
che mi aiutava, prendendo poi la mia borsa e dandomi una mano per sollevarmi
dal gradino su cui ero seduta. Mi diede una bacio sulla guancia, facendomi
arrossire. «Non ti dispiace se sono venuto un po’ prima, vero? Se facciamo
presto vorrei portarti in un posto…» mi disse dolcemente.
Teoricamente, seguendo le direttive di mio padre, non
avrei dovuto uscire con lui, ma non potevo davvero farne a meno. «Si va bene»
sussurrai contenta, facendomi trascinare verso l’auto.
Sentivo lo sguardo di Edward osservarmi di sottecchi,
invece di guardare la strada di fronte a sé.
«Dai Edward, pensa a guidare!» ridacchiai contenta.
Le sue labbra si aprirono in un sorriso, e mentre ancora
era concentrato sulla strada, prese una mia mano con la sua e se la portò alla
bocca, lasciando un bacio appena accennato. «Sei tu che mi distrai con il tuo
fascino…» mi accusò gentilmente.
Mi sentii avvampare e distolsi lo sguardo, ritirando
frettolosamente la mano. Lui ridacchiò divertito, mentre io mi voltavo ad
osservare il panorama inconsistente, riposando la mia mente e miei occhi
arrossati dalla stanchezza.
«Ti senti bene? Ti vedo un po’ stanca, pallida…»
constatò.
Sbadigliai. «Non ho dormito molto stanotte, tutto
qui». Non ho dormito affatto in realtà.
Edward fece come per parlare, ma poi si interruppe,
parcheggiando l’auto nel parcheggio dell’ospedale. «Ci sarà di sicuro poca gente
a quest’ora, perciò sbrighiamoci» disse venendo ad aprirmi la portiera.
«C’è tuo padre?» gli chiesi mentre ci avviavamo verso
l’ingresso. Mi sentivo rassicurata da Carlisle, e non mi andava proprio di
incontrare altri medici, tipo l’ortopedico che mi aveva sistemato il braccio…
un brivido mi percorse la schiena, in ricordo di quel dolore.
Edward mi sorrise, rassicurante. «Se ci sbrighiamo si,
ha fatto il turno di notte, stacca alle 8».
«Sbrighiamoci allora» dissi allegra.
Carlisle mi stava passando una garza sul braccio, per
cancellare delle macchie bianche che si erano formate in seguito
all’ingessatura. Appoggiai la testa sulla spalla di Edward, seduto accanto a me
sul lettino, sbadigliando. La stanchezza cominciava a farsi sentire.
Carlisle mi lanciò un’occhiata, gettando la garza in
una bacinella e togliendosi i guanti. «Stai bene Bella?» mi chiese
accarezzandomi una guancia. «Sei un po’ pallida…».
Perché tutti pensavano che fossi pallida?! «Si sto bene» dissi con voce più acida del dovuto,
pentendomene immediatamente. Sussultai, abbassando lo sguardo addolorata. Non
volevo usare quel tono con Carlisle, e farlo era stato come ferire me stessa.
Non mi era mai successa una cosa del genere. «Scusa…» biascicai, sull’orlo
delle lacrime «ho dormito poco…».
Carlisle ridacchiò stemperando la tensione e facendomi
sentire meno in colpa. «Oh, capisco, non ti preoccupare» mi scusò con un
sorriso affabile, controllando le mie nuove lastre. «Direi che qui è tutto
apposto» decretò infine «l’osso si è saldato perfettamente. Penso che per un
po’ di tempo avrai i muscoli doloranti, e se il dolore non dovesse passarti
entro due giorni dovrai fare della fisioterapia, ma speriamo che non ce ne sia
bisogno, visto che ho ben capito che non ami molto la mia compagnia, vero?»
scherzò, facendomi l’occhiolino.
Io arrossii immediatamente, facendo ridacchiare sia
Edward che Carlisle. «Non è che non ami la tua compagnia… più che altro quella
degli ospedali…» borbottai, abbassando lo sguardo.
«Ah, bene! Allora a questo punto allora non potrai
rifiutare il mio invito a venire a casa nostra quando vorrai» disse poi.
Sorrisi. «Certo». Malgrado tutto, mi sentivo contenta
a quella prospettiva, tuttavia irrealizzabile. Per ora le parole di mio padre
erano state un’esortazione, ma quando poi sarebbero state un ordine?!
«Ci conto» disse Carlisle appendendo il suo camice e
aprendo la porta del suo studio. «Beh ragazzi, io andrei» ci salutò.
«Ciao» lo salutammo in coro io e Edward, balzando giù
dal lettino.
«Allora, andiamo?» mi chiese poi lui, tendendomi una
mano.
«Certo… ma… dove?» chiesi titubante. Fai che non
sia un posto dove c’e del cibo, te ne prego…Pregai mentalmente. Non sarei
riuscita a controllarmi ancora, con Edward mi sentivo troppo bene e troppo me
stessa, me l’aveva dimostrato anche mio padre. Non potevo lasciarmi andare
così.
«In un posto che ti piacerà, fidati» disse facendomi
l’occhiolino e prendendomi per mano per trascinarmi fuori.
«Tu non puoi immaginare che bella sensazione le
maniche lunghe!» esclamai contenta sfilandomi e riinfilandomi la giacca.
Edward scoppiò a ridere per l’ennesima volta. «Sai
quante volte me l’hai già detto?».
Mi finsi offesa. «No, non lo so, ma è la verità, e la
verità va ribadita!» feci con aria saccente.
«Prima di tutto la verità va detta» disse Edward,
alzando l’indice.
Spalancai la bocca. Sembrava serio.
Poi però scoppiò a ridere, e io con lui, nervosamente.
Poco dopo calò il silenzio nell’abitacolo della sua Volvo.
Edward mi preoccupava. Se fosse stato giusto il mio
ragionamento, cioè che con Edward mi lasciavo andare, probabilmente avevo già
commesso una lunga serie di errori compromettenti con lui.
Prima di tutto, ricordai come fosse cominciata la
nostra conoscenza, e le sue parole. Aveva detto di volermi aiutare, aveva
intuito qualcosa su di me. Ma quel dubbio che aveva, era stato confermato, o
era semplicemente scomparso?
Diverse volte pensavo che avesse potuto intuire la
verità. Quando pronunciava certe frasi, quando si ostinava a volermi parlare
dopo pranzo o dopo cena, quando, mentre uscivo dal bagno, si preoccupava
ossessivamente per me. Ma poi scacciavo via le mie supposizioni pensando che se
Edward avesse veramente intuito qualcosa, a quell’ora mi sarei trovata in un
centro di accoglienza.
E poi… io non ero malata. Io non ero mica come gli
altri, quelli che erano malati davvero. Io potevo tornare indietro ogni volta
che volevo, e non stavo esagerando poi tanto… c’era sempre chi faceva di peggio
di me.
Rammentai le ultime volte che avevo rimesso e il
sangue. La prima volta mi ero preoccupata sul serio… ma poi avevo capito che
non mi faceva tanto male. Certo, quando era troppo mi preoccupavo un po’, ma poi
tornava tutto normale, e io potevo riprendere a fare quello che avevo sempre
fatto.
«Siamo arrivati» disse Edward parcheggiando in una
stradina sterrata e distogliendomi dai miei pensieri.
«Dove dobbiamo andare?» chiesi, scendendo dall’auto.
Lui con un bel sorriso mi indicò il bosco.
«Cosa?!» esclamai indignata «ma te l’ho detto che non
sono brava a…».
Lui mi chiuse la bocca con una mano. «Hai detto che ti
fidi di me».
«Fsi ma tu non fsai in sche guaio ti fstai cascciando»
biascicai con la bocca chiusa dalla sua mano.
Lui scoppiò a ridere, poi, di slancio, mi prese in
braccio e mi mise sulle sue spalle.
«Ehi Edward, sei pazzo?!» esclamai, rossa in viso,
scalciando «mettimi giù, peso troppo!».
Lui ridacchiò allegro, avviandosi per i boschi. «Lo
sai che gli zaini da trekking pesano dai quaranta ai sessanta chili?».
Sbuffai, appoggiandomi alle sue spalle, inerme. «Gli
zaini dei campeggiatori pesano dei venti ai trenta chili, e io ne penso
cinquanta!».
Lui scrollò le spalle, superando un ramo. «Chilò più,
chilo meno…».
«Dieci chili in più, dieci chili in meno…» borbottai
sarcastica.
Lui rise, incominciando a cantare una canzoncina
allegra e contagiandomi con la sua allegria.
Sgrani gli occhi, sbigottita. «Che fai canti?» chiesi
sorpresa.
«Ohhh… yes baby… yes… I’m singing to you!» cantò allegro, voltandosi leggermente verso di me.
«Guarda dove cammini» scherzai, indicandogli gi alberi
di fronte a lui.
Dopo mezz’ora cominciai a cantare anch’io, mi aiutava
a rimanere svegli contrastando la stanchezza accumulata alla notte insonne. Lui
mi portava a spasso come se fossi uno zainetto di pochi chili. Poco mancava che
si mettesse a saltellare. Le nostre voci stonate - la mia almeno, la sua era
perfetta - si disperdevano con un eco nel bosco. Mi sentivo serena e allegra,
come sempre, perfettamente a mio agio. In quel momento esistevamo solo io, lui,
la sua bellissima schiena rocciosa, i suoi magnifici capelli bronzei, il suo
meraviglioso viso… e la felicità.
Arrivati ad un certo punto si fermò, facendomi
scendere dalle sue spalle. Poi mi prese una mano e mi fece fare una giravolta.
«Ma che fai?» risi, contenta, barcollando un po’ per
via della sensazione di vertigini che mi portava la mia enorme spossatezza.
Avrei fatto tutto, ma proprio tutto con lui in quell’istante. Ero felice,
respiravo a pieni polmoni la vita.
«Come che faccio?» chiese lui, raddrizzandosi. «Tu sei
la ninfa e io sono il satiro che canta per te, devo portare a termine tutti i
miei compiti» disse facendo spallucce.
Aprii una tenda di foglie e mi si parò dinanzi uno
spettacolo strepitoso. Un salice piangente formava una piccola penisola in un
ruscello, sfiorando l’acqua cristallina con le sua foglie e creando armoniosi
cerchi d’acqua.
«Ti piace?» mi chiese Edward, senza rompere la
magnifica atmosfera creatasi.
Sorrisi estasiata. «Stupendo».
Ci sedemmo insieme sulle radici dell’albero.
«Fa sempre parte del mio compito di satiro portare la
mia ninfa alla sorgente di vita eterna» disse serio e… romantico.
Arrossi, «E quali sarebbero questi compiti?» chiesi
divertita e anche un po’ titubante.
Lui assunse un’espressione pensierosa. «Vediamo… il
trasporto c’è stato… il canto anche… il ballo» fece un gesto verso di me «ti è
bastato?».
«Certo certo».
«E anche la sorgente, quindi» concluse «manca solo la
parte in cui la ninfa da un bacio al satiro…» disse, facendo diventare il tono
non più divertito, ma nuovamente dolce e carezzevole.
Mi schiarii la gola, improvvisamente secca. I suoi
occhi ipnotizzanti mi stavano ammaliando. Le sue labbra erano bianche, come la
sue pelle. Volevo toccare e sfiorarle, perché mi tentavano come non avevano mai
fatto. «Non credo che la storia finisca così…» mormorai, non smettendo di
fissare le sue labbra tentatrici.
Si mossero armoniosamente per parlare, avvicinandosi
alle mie. «Hai ragione… la storia è leggermente più erotica, ma io avevo deciso
di censurarla…» mormorò, inclinando i capo verso di me.
No. Non potevamo. Non così. Avevo visto quello che
Edward poteva farmi, stava sconvolgendo il mio mondo, interamente, e non potevo
permetterlo. Gli volevo troppo bene, avevo bisogno di lui, e in quel modo avrei
solo rischiato di perderlo.
Ridacchiai esausta, passandomi una mano sugli occhi,
rompendo l’atmosfera ideale che si era venuta a creare e lui rise insieme a me.
Stupendo… meglio del rumore dell’acqua cristallina del ruscello. Nuovamente
l’atmosfera divenne serena e rilassata. Mi sentivo felice e a mio agio.
Ad un suo invito mi stesi sul prato, con la testa sulle
sue gambe, lasciandomi accarezzare i capelli e inspirando il suo odore. Mi beai
di quel contatto godendomi le sue carezze. Mi stava facendo venire la pelle
d’oca e in poco tempo mi sarei sicuramente addormentata. «Edward» mormorai «sto
così bene quando sono con te… perché non può essere sempre così?».
Lui si accigliò «Certo che può essere sempre così,
cosa ti fa pensare il contrario?».
Abbassai lo sguardo, arrossendo. «Io… non credo che
tutto questo durerà… sono troppo felice in questo istante… e… io… non può
essere così tanto a lungo…».
Sentii un dito sotto al mento. «Invece si, può essere
così quanto tempo vorrai, anche per sempre, niente ci impedirà di stare
insieme. Niente mi impedirà di stare con te, di vederti sorridere, arrossire,
imbronciarti. Niente. Sto troppo bene con te per rinunciare a tutto questo. Non
c’è motivo di rinunciare alla felicità che ti dono, finché ti farò felice,
voglio che tu goda ogni momento con me…».
Le sue parole mi colpirono come non mai. Ribassai lo
sguardo, tentando in ogni modo di ricacciare indietro le lacrime. Perché volevo
in ogni modo che le sue parole fossero vere, che si realizzassero, che fra noi
non ci fossero più ostacoli? Neppure uno…
«Bella…» mi richiamò Edward, supplichevole «cosa c’è
che non va? Dimmelo...».
Sussultai. «Hai detto che non avresti fatto domande…
era… nelle condizioni…» mormorai senza fiato.
Lui mi sorrise, addolorato. «Non te lo sto chiedendo…
Ti sto supplicando di darmi il premesso di aiutarti… Te ne prego Bella… Se non
difendo te, è come se non difendessi la mia vita. Non ci possono essere
segreti fra di noi, dimmi la verità».
Singhiozzai, nascondendo il volto fra le mani. Era
quello, quello, era quello che avevo sempre temuto fin da quando il mio primo
sguardo si era posato su di lui. Il meraviglioso ragazzo in grado di aprirmi
l’anima, ti trovare le chiave nascosta per aprire la porta del mio cuore. Ora
avevo una scelta, una delle più difficili che avessi mai fatto in vita mia.
Dirgli la verità o perderlo per sempre?
Sentii una fitta al cuore anche al solo pensiero di
poterlo fare, e mi strinsi il petto, dolorante.
«Bella» mi chiamò dolcemente Edward, prendendomi fra
le braccia e stringendomi a sé.
E stavo così bene in quell’abbraccio fatto solo per
noi, in quel connubio perfetto di corpi a anima. Come potevo pensare di perdere
una parte così importante di me, per far continuare una malsana farsa?
Semplice, non potevo. Non potevo.
«Bella… fatti aiutare da me…» sentivo dal suo tono che
si muoveva con estrema cautela. Aveva paura. La stessa paura che avevo io, la
paura di perdermi.
Dovevo raccontargli tutto di me? Un altro singhiozzo
mi scosse il petto. La mia vita. Ecco cosa dovevo raccontargli. L’esperienza
più dolorosa che io avessi mai vissuto dai miei quattro anni finché non l’avevo
incontrato. La quasi totalità della mia vita.
Tentai di calmare il respiro e le lacrime che
scendevano dai miei occhi e mi sedetti di fronte a Edward, prendendogli una
mano e guardandolo negli occhi. Dovevo farlo. Non potevo perderlo…
«Ti… ti ricordi quando tuo padre mi ha chiesto se mi
fossi già rotta il polso destro?» chiesi, atona.
Edward fu sorpreso dalla mia domanda, ma dopo essersi
riscosso, rispose. «Si, certo. Hai detto che avevi quattro anni più o meno…».
Mi stupii della precisione di suoi ricordi. «Si…»
mormorai, ricacciando indietro le lacrime. «quattro anni. E’ stato dopo il
funerale di mia nonna, ed è quel giorno stesso che i miei si sono lasciati».
Non sapevo perchè il tono mi uscisse così freddo. Non avevo mai parlato, con
nessuno, di quelle cose, e ora che lo facevo, tentavo in ogni modo di
distaccarmene, come se non volessi che mi appartenessero. Edward mi fissava con
attenzione, senza parlare. Era dolcissimo e bellissimo. Stupendo, molto più di
quanto potessi desiderare.
«I miei genitori sono separati… ma questo ormai
dovresti saperlo da tempo. Quello… quello che non sai…» biascicai, ingoiando il
magone che mi ardeva nella gola «è che è stata tutta colpa mia…».
Edward sussultò, aprendo la bocca per parlare, per
bloccare le lacrime che di nuovo scendevano dai miei occhi.
Lo bloccai con un gesto della mano. «E’ così Edward…
ne sono sicura… io faccio del male alle persone che mi stanno accanto…»
singhiozzai.
Lui mi prese per le spalle e mi scosse. «Non è vero,
Bella, tu sei la migliore cosa che mi sia mai capitata…».
«E invece no!» sbottai, piangente «l’hanno detto,
l’hanno detto quel maledetto giorno del 16 Luglio, il giorno che mia nonna
morì! Li ho sentiti Edward!!!» gridai, lasciandolo di stucco. «Li ho sentiti…»
mormorai con voce più bassa, singhiozzando e distogliendo lo sguardo dal suo
volto esterrefatto. Ora avrebbe dovuto accettare la verità, per forza.
Distolsi lo sguardo, tentando di reprimere i
singhiozzi e di cancellare l’isteria nella voce «Loro non mi volevano… nessuno
mi vuole, non servo a niente, a nessuno importa di me… non so perché mi ostino
a continuare a vivere… sono così maledettamente egoista, tanto da non riuscire
a togliermi di mezzo…».
Non mi accorsi di nulla, sentii solo dolore a una
guancia e la sensazione di freddo. Sollevai lo sguardo, portandomi, tremante,
una mano alla guancia.
Il suo braccio era ancora a mezz’aria, lo sguardo
immobile, così come il suo corpo.
«A me» sussurrò, senza muovere nessuna parte del suo
corpo che non fosse la bocca «Importa a me».
Io non mi ero ancora mossa. Osservavo la mano che mi
aveva colpita, immobile. La vidi abbassarsi lentamente e chiudersi in un pugno.
Il silenzio era rotto solo dal rumore del ruscello e degli insetti che
ronzavano. Si faceva sempre più denso, come se arrivasse a ondate.
«Scusami Bella io…» disse, dolorante, sull’orlo del pianto
«cosa ho fatto…».
Sentii un irrefrenabile impeto dentro di me,
improvviso, infuocato, meraviglioso. Senza pensare a nulla mi gettai in avanti,
fra le sua labbra, sulla sua bocca. Dopo un solo istante di esitazione rispose
con passione al mio bacio.
Strinsi le mie mani, tremanti, fra i suoi capelli.
Quante volte avevo sognato di farlo… com’erano morbidi… e setosi. Inspirai con
urgenza il suo odore… profumato, ammaliante.
Fremetti, riaprendo lentamente gli occhi e le labbra,
tremanti, mentre il suo naso ghiacciato mi sfiorava la guancia.
Lui aprì la bocca, poi la richiuse, così come gli
occhi.
Spostai una mano sulla sua fronte, poi sulle sue
palpebre chiuse, facendole riaprire.
Era mio.
Era la mia anima.
Mi era entrato dentro con una forza immane e non
intendevo, per alcun motivo, scacciarlo via. Eravamo uniti nell’anima.
Amore… vibrazioni d’amore. Questa era l’unica cosa che
percepivo sulla mia pelle.
Lo amavo e ne ero consapevole. Trasalii, come
scottata.
«Ti amo» sussurrai, confessando i miei sentimenti.
«Anch’io ti amo. Non voglio vivere senza te…».
Scusate
infinitamente per il ritardo!!! Non volevo e non dovevo, chiedo venia! Vi
ringrazio per avermi scosso con mail, incoraggiamenti e robe simili! Anche gli
apprezzamenti per questa storia sono stati determinanti, per chi mi ha detto di
preferirla all’altra…
Questo
capitolo è importantissimo come ben si vede… Insomma… l’ho scritto un po’ a
pezzetti, ma alla fine non è venuto così male, spero di avergli dato la giusta
unità…
Scusate
ma sono stanca! ^^ Non dovrei, visto che vi trascuro sempre a discapito delle
lettrici dell’altra fic, ma sono sia mentalmente che fisicamente stanca…
Per
questa storia ho scelto di usare i miei sentimenti, e così ho fatto… questo è
tutto quello che mi è passato nella mente in questi giorni, nulla più nulla
meno. Dalle lacrime al nervosismo, persino alla voglia di essere
schiaffeggiata.
Ah, ecco…
beh, Edward a fatto bene. Non prendetevela con lui, Bella stava parlando a
vanvera.
E ora mi
direte “Edward non farebbe mai una cosa del genere a Bella”.
E’ stato
istintivo e necessario, proprio per farle aprire gli occhi e capire che lui,
proprio lui, la amava. Capitelo. Era esasperato dalla situazione e non sapeva
come fare ad aiutare Bella, mentre vedeva che lei peggiorava sempre più.
Ancora
lei non le ha detto proprio la verità, ma ci siamo vicini. Le ha detto il
motivo. E questo già…
Beh,
cercate nel capitolo la frase che combinerà macelli, buona caccia al tesoro!
00Alice Cullen00 Ehi ciao! ^^ Si, è una
cosa piuttosto originale in effetti, ho dato un’occhiata alla tu storia e l’ho
vista molto diversa dalla mia… ma sicuramente quando tu l’hai ideata avevi
scopi molto più alti dei miei, o l’ho fatto solo per scopi narrativi,
raccomandandomi giusto perché le mie parole non sortissero un effetto
contrario… J E si, le condizioni di Bella peggiorano purtroppo…
barbiemora______
ok ci
sono eccomi!!! E’ stato il tuo messaggio a scuotermi, lo confesso! Cioè, se non
fosse stato per la tua insistenza e l’ordine perentorio, non avrei mai postato!
XD Edward lo dirà presto… ^^ Cioèè…. Non proprio… :D
patu4ever
Ma i
marshmellow si possono mangiare con tutte quelle cose?! Brr… brivido… Ma non
sarà una cosa un tantino troppo dolce?! No… eh?! Cioè… per Bella sarebbe
proprio come suicidarsi mangiare una cosa del genere! Charlie deve rompere le
scatole, si, lo so, ma devo mettere in mezzo qualcosa che li ostacoli!!! :D
lilly95lilly spero ancor di più con
questo capitolo… J
kikkikikki
ciao!
Sono davvero contenta di trovarti anche qui! Hai perfettamente percepito i
caratteri salienti di questi miei personaggi, fragilità e protettività o
premurosità… J Sono contenta che la storia ti piaccia, davvero grazie J
Miky1991
figurati,
l’importante che tu l’abbia letto ;) La parte del tecnico era un omaggio al mio
di tecnico che ancora mi deve sistemare il pc… -.- no comment… Bella l’ho fatta
salire sul tetto, ma non l’avrei mai fatta cadere! Povera ragazza, sono già
abbastanza sadica nei suoi confronti, non esageriamo… Poi, la parte del bagno
era… un po’ tutta una suspance diciamo va ^^ Mi serviva per richiamare
l’argomento fondamentale che sto trattando, cioè la bulimia… Sono contenta che
ti sia piaciuta la parte davanti al camino, solo che al momento solo pensandoci
mi viene da sudare maggiormente, sto morendo di caldoooo! Povera me… Charlie è
un allocco, si lo so… tutto si sistemerà comunque… J baci, ciao! :*
luisina
ehi
cara! Si, Charlie ha preso un bel granchio purtroppo, ma le cose si
aggiusteranno, non bene, ma si aggiusteranno.. J La storia di amore fra Edward e Bella in
questo caso è semplicemente complessa. Dico così perché in questo caso i
sentimenti sono per entrambi palesi, il problema sono le circostanze… ^^
irly18
Figurati,
sono io che devo ringraziare te. In effetti quello che cerco di fare quando
scrivo questa storia è entrare nella mente di Bella e immedesimarmi in lei,
oltre che rapportarmi con esperienze simili che posso aver vissuto io. Tento di
analizzare non tanto il lato sintomatico della malattia, quanto quello
psicologico, cioè la sua causa. Spero di riuscirci, anche solo in parte!
ellylovestwilight
eh eh,
non è che si è comportato così per aiutarla, e che ha dovuto fare di tutto per
aiutarla e in quel momento poteva fare solo quello… capito?! J In effetti la parte
del tecnico era un omaggio alle disavventure “tecniche” che ho io… vedi pc
ancora rotto!!! La parte del bagno era un richiamo a non scordarsi mai del
problema di Bella… presto, spero, tutto si sistemerà ^^ Edward e Bella
ovviamente ci starebbero bene insieme, ma Charlie in questa mia storia prenderà
una grossa cantonata… spero che tutto si sistemi, non lo so neppure io!!! XD
Wind
l’ho
notato cara, ma che hai? Ti sento piuttosto risentita nei confronti di Bella,
Charlie, e tutto il circondato… Tranne Edward ovviamente ^^ Lui non si tocca,
MAI. J
mazza
Hai
fatto bene, altrimenti ti veniva una recensione di tre pagine! XD Comunque… ho
notato con piacere che il patto vi è piaciuto, e noto con piacere che vi
piacciono tutte le cose che scrivo per istinto e senza premeditazione… bene…
per il problema di Bella… è più di un anno ormai che lo fa e il problema è che
continua a farlo assiduamente ogni giorno, quindi, si, il problema è piuttosto
grave… non voglio arrogarmi alcuna competenza medica, perché queste cose le ho
trovate qua e là fra libri e internet, ma dovrebbe essere una forma acuta di
esofagite per ora… Per il loro bacio… ci sarà… presto, prometto… non voglio
essere così crudele da lasciarvi ancora in mezzo così… J Purtroppo ora però ci
si è messo Charlie di mezzo… uff…
mieme
^^ Lo
sai che vi accontento subito, no?! J La situazione si sta evolvendo su tutti i
fronti, e portarla a vanti – su tutti questi fronti – si sta dimostrando un bel
po’ complicato. ^^ Ma spero di riuscirci… J
endif Bella domanda. No,
Edward intendo il non poterla proteggere da quello che si fa, cioè dai suoi
problemi con il cibo. Per quanto riguarda la loro relazione anche per Edward è
complicato. Perché anche se lui si è reso conto sin da subito di amara, pensava
di poterla aiutare e poi scomparire dalla sua vita, ma le cose si stanno
complicando…
Noemix
XD
cuore, cosa vuoi che ti dica? Allora… ti dico che presto la situazione si
evolverà in bene, ma poi accadrà qualcosa di un tantino spiacevole, seguito da
qualcosa di ancor più spiacevole. J Va bene così cuore!? :* E ti prometto che non
ti farò ammattire più… J
shasha5 si Bella sta
peggiorando e si Edward sa già qualcosina del problema di Bella… Anzi, più che
qualcosina… Comunque… il lato protettivo di Edward è una risposta al lato
fragile di bella! E siccome bella è molto fragile in questa ff, Edward è di conseguenza
molto protettivo! ^^ Reazione a catena, no?! J
Vichy90
eheh
diciamo che il capo Swan è un po’ fuori pista… si è accorto che Bella ha
qualche problema, ma non riesce a capire quale! ^^
invierno90 Tank’s… J Grazie mille, contenta
che ti piaccia!
silvia16595 grazie! Mamma mia, con
queste cose che hai scritto… davvero io, non me l’aspettavo! Grazie, grazie
mille! Si, il fatto che vomiti sangue e preoccupante, ma credo che la
situazione riuscirà a sistemarsi fra un po’… tutto finirà al meglio, non stare
lì a crucciarti, tento di rimanere sempre al livello delle vostre aspettative,
quindi pensa esattamente cosa vuoi e io lo realizzerò ;)
barbyemarco
eheh,
la reazione di Charlie… diciamo che si tratta di un malinteso! E ci saranno un
bel po’ di problemucci a riguardo! E poi, mica potevo farli rimanere solo
amici! Tsè. Era ovvio che la cosa si sarebbe approfondita… non sapevo ancora
quando, ma era ovvio… J
JessikinaCullen
eheh
diciamo che è peggio di una paternale! ^^ E poi si, infatti, Bella ha fatto
progressi enormi, anche se sul lato del suo… emm… problema, diciamo che stiamo
sempre allo stesso punto, anzi, la cosa sta anche peggiorando purtroppo! Non te
lo aspettavi questo passo, vero?! Neppure io a dire la verità, ma quando ho
scritto poi mi è venuto così… J
lisa76
eh eh,
anche se si baciassero… non è un bacio che fa l’amore! ;)
araba89 eh eh, non potevo mica
affrettare troppo i tempi! :D Dai, non ti preoccupare che fra un po’ tutto si
sistema alla prefetion! Anche se prima ne dovranno superare di ostacoli! J
bigia contenta di averti
rassicurata allora! ^^ E poi mica avrei potuto lasciarli semplici amici?! Non
sono così crudele io! Anche se a volte voi lo pensate, ne sono sicura! *^*
chicchi non solo finale, tutta
la storia romantica! Promesso! E grazie di tutto… J
ilariaechelon grazie, grazie mille J
ClaryCullen e si… però diciamo che
non ha mai tentato di reprimersi…
Bella_Cullen_1987
povera!
Io non ci sto mai neppure, visto che sul pc di mio padre non c’è… L
Lau_twilight
vabbè,
i baci mancati sono i migliori! Il pezzo dell’antenna era un omaggio al mio
tecnico riparatore del pc… -.- Capirai, sta ancora sfasciato!!! Che amarezza…
ale03
XD si
si, ma man mano state tornando tutte, quindi non dispero… e poi mi piace
scrivere ^^ La parte del gatto… emm… come al solito esperienza personale! XD
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Capitolo 13 *** L'ultima bugia ***
Spostai con il cucchiaino il pezzetto di cereale galleggiante
Spostai con il cucchiaino il pezzetto di cereale
galleggiante. Io, che non mi avventavo sul cibo pur non essendo sotto il
controllo di nessuno, non era normale.
Mi sfregai la pancia, tentando di non pensare al
dolore deciso che mi stava divorando lo stomaco. Avvertivo sempre un certo
bruciore alla gola, e un dolore sotto al diaframma che si intensificava ogni
volta che facevo dei movimenti veloci e bruschi.
Punzecchiai lievemente la lettera “E”. Cereali a
forma di lettere. Questo testimoniava quanto fossi distratta mentre facevo
la spesa. Oppure forse semplicemente quella volta era stato mio padre a
comprarli, che, evidentemente, ancora non aveva capito nulla di sua figlia se
continuava a non mangiare con me…
Presi a mescolare con rabbia e gran velocità i cereali
nella tazza, formando un vortice di lettere incomprensibili. Mio padre e mia
madre non mi volevano; non mi volevano bene! Li odiavo! Come loro
odiavano me! Come facevano a non capire che avevo bisogno di loro?!
Bloccai la mano, lasciando che gli schizzi di latte
macchiassero il tavolo. Edward diceva che non era così. Diceva che i miei
genitori mi amavano, perché non si può non amare un figlio. E diceva che quando
li avevo sentiti parlare così di me per loro era un momento critico, stavano
litigando, avevano appena lasciato una persona cara.
Non riuscivo a non provare invidia nei suoi confronti.
Lui aveva dei genitori perfetti, così buoni, così comprensivi, mente io… avevo
dei genitori a cui non importava nulla di me, per cui ero solo un peso. E loro
non si accorgevano di me! Continuavano a non accorgersi di me come continuavano
a non vedere il mio problema.
Per questo mi volevo vendicare… E mi veniva facile
proprio perché non avevo nulla da perdere.
Ripresi a mescolare le lettere, aspettando che venisse
fuori qualche parola come “pazza”, “illusa”, “stupida”. Qualcosa che mi
confermasse che non stavo sbagliando. Che dovevo continuare così, continuare a
vendicarmi dei miei genitori… nonostante tutti i problemi che mi stavo
causando.
L’avevo capito. Ma era troppo tardi. Mi stavo
uccidendo.
E l’avevo capito solo ora, perché solo ora aveva
cominciato ad importarmi della mia vita. Perché solo ora avevo qualcosa, qualcuno,
da perdere. Edward…
Quando il dolore allo stomaco divenne insopportabile
misi via la poltiglia di latte e cereali che ormai si era creata e presi dallo
zaino l’ormai fedele flacone di compresse antiacido.
Il clacson suonò, così scattai in piedi e mi
precipitai nel vialetto.
Era davvero reale quello che era successo? Edward, per
davvero…? Ero vissuta per anni in illusioni e masochismi tanto che ora non
credevo più a nulla…
Ma lui era lì. Appoggiato alla portiera della sua
Volvo argentata. Era lì per me, come le due settimane precedenti. Per amarmi.
Si. Non potevo perderlo.
Sentire le sue labbra sulle mie fu un salutare
contatto. Non me lo sarei mai permesso prima, questo testimoniava quanto lui
fosse importante per me.
Sentii una strana e orrenda sensazione emergere. Una
sensazione forte e mai provata prima. Mi sentivo come una vigliacca… una
traditrice. Stavo tradendo la sua fiducia e mi vergognavo profondamente per il
modo in cui lo stavo facendo.
«Tutto bene?» chiese notando, probabilmente, il mio
silenzio e il fatto che tenessi gli occhi bassi.
«Si» mormorai, con un debole sorriso, voltandomi verso
la sua postazione nell’auto.
Perché mi sentivo così? Perché l’inquietudine non mi
abbandonava? Cos’era cambiato in me?
L’amavo.
Ecco cos’era cambiato.
«Siamo arrivati» disse con un sorriso, scendendo
dall’auto e venendo ad aprirmi la portiera. Il vociferare degli studenti non
era maggiore di quello dei giorni passati. Non mostravamo mai il nostro
rapporto in pubblico con effusioni. I baci che ci riservavamo erano si, pochi,
ma veramente sentiti e intensi.
Pensai al tempo passato. Com’era tutto cambiato. Avevo
immediatamente sentito qualcosa per lui, l’istinto che mi diceva di potermi
fidare, il bisogno di guardarlo per sentirmi felice.
Mi prese per mano. Già da subito avevo capito che non
avrei avuto alcun problema ad adattarmi a quella nostra situazione, inevitabile
punto d’arrivo della nostra relazione. Era stato solo il coronamento di un
rapporto fatto di protezione e bisogno reciproco.
Mi strinsi a lui, pur non potendo far nulla per il
rossore alle guance. Jessica e Lauren non erano cambiate. Ero cambiata io. Feci
inconsapevolmente un mezzo sorriso.
Edward era con me, non mi importava nulla. Era lui il
mio unico obbiettivo, il mio unico mondo, il mio unico scoglio. Lui e nessun
altro.
Insieme ci avviammo in cortile. Non c’era sole, ma
comunque il clima era mite e sereno. C’erano ragazzi che si rincorrevano, che
giocavano, che studiavano. Stavamo aspettando il preside per una comunicazione.
Ci sedemmo insieme su una panca appartata, lontana
dagli occhi di tutti. Edward mi abbracciava, disegnando cerchi immaginari sulla
mano che avevo legato alla sua. Era silenzioso, assente, come se stesse
meditando qualcosa, o come se volesse affrontare un discorso. Che avesse
intuito qualcosa?
Sospirò. «Bella, senti, io vorrei uscire insieme a te,
ti devo dire…».
Non fece in tempo a concludere la frase e far
solidificare i miei sospetti, che una palla ci arrivò addosso. Fortunatamente
Edward aveva avuto i riflessi pronti per bloccarla. E chi poteva averla
tirata?! Era casualmente sfuggita di mano a Mike.
«Ragazzi» ci richiamò il preside, nel frattempo
sopraggiunto. Il silenzio calò su tutti gli studenti «Avete la possibilità di
effettuare una visita odontoiatrica gratuita. La scuola, il collaborazione con l’agenzia
dentistica “clean teeth” ha inviato tre dentisti che saranno ben
disponibili per prendersi cura dei vostri denti» disse sfoggiando la sua voce
da gran discorso. Era un uomo pragmatico, ma che esaltava anche l’eleganza e il
carisma. Un vociferare si alzò fra gli studenti, così alzò la voce per zittire
tutti quanti. «I dentisti, saranno disponibili per le prossime due ore, verrete
chiamati a gruppi per andarci. Buona giornata a tutti».
Per tutto il tempo ero rimasta immobile, raggelata. Il
cuore mi batteva forte nel petto. Se ne sarebbero accorti? Certo che si. La
domanda non si poteva neppure porre, il colore dei miei denti era sicuramente
beige, molto lontano dal naturale bianco panna, lo smalto era gravemente
danneggiato e le gengive irritate. Ad un professionista non sarebbe di certo
sfuggito. Ero spacciata. Tutti sarebbero venuti a saperlo. No, non poteva
essere. Non dovevo andarci.
«Non ci vado» dissi sicura.
Edward si voltò verso di me. «Perché?».
Sgranai gli occhi, sorpresa. Non era da lui. Non era
da Edward farmi determinate domande, non era da lui chiedere e basta. Mi aveva
sempre lasciato i miei spazi. «Io… non…» mormorai, ansimando lievemente «non ci
vado» conclusi più sicura.
Lui mi sorrise. «Certo, ho capito, ti ho chiesto
perché no» nonostante il suo tono fosse gentile, lasciava trasparire una certa
determinazione.
«Io… Edward… non… non puoi…» balbettai sconvolta.
Aveva davvero capito qualcosa? Tutto?
La sue espressione divenne addolorata, come se si
fosse appena pentito.
«Edward!» la vocina allegra di Alice ruppe il momento
di disagio; ci voltammo verso di lei. «La professoressa fa giocare Jasper e
Rosalie a basket, ha detto che possiamo rimanere lì, non c’è bisogno di andare
dal dentista; venite con noi a guardarli giocare?».
Il miei occhi saettarono rapidamente fra Alice, allegra,
e Edward, che fissava intensamente la sorella. «Neppure voi ci andate?» chiesi
perplessa. Perché Edward me lo chiedeva se non ci andava neppure lui?
Edward sospirò. «No, vieni» disse facendomi alzare
dalla panca.
Il comportamento di Edward era in alcuni casi alquanto
sospetto, ma per la mia serenità continuavo a ripetermi che avevo fatto una
scelta, quella di averlo accanto, e la conseguenza di questa scelta era che
dovevo perderlo così come si sarebbe presentato.
Restammo insieme ad Alice e Emmett a guardare le
partite dei ragazzi più grandi.
Emmett mi sembrava molto simpatico. Si scambiava
sempre strane occhiate con Edward, poi apriva bocca e la richiudeva, come se
tentasse di frenarsi per non parlare troppo. Ogni tanto rideva o mi faceva un
occhiolino che mi faceva arrossire e scatenare sua nuove risate. Era strano.
Impertinente anche.
Quando entrammo in mensa, dopo un’ora di lezione, Alice,
dal tavolo dov’erano seduti tutti i fratelli, si sbracciò per farci avvicinare.
Arrossii. Poi sollevai lo sguardo e notai quello scocciato di Edward.
«Vieni Bella, sediamoci al nostro tavolo» mi disse con
un sorriso.
«M-ma… tua sorella…» balbettai.
Mi sorrise «Non ti preoccupare, non se la prenderà».
Mio malgrado, accettai. Non potevo mangiare davanti a
tutti i suoi fratelli, mi sarei agitata troppo e non sarei riuscita a
controllarmi. Feci un sorriso di scuse ad Alice che mise un piccolo broncio e
poi si sedette reggendosi la testa sui gomiti.
Mi sentivo in colpa. Se non fosse stato per il mio
problema sarei potuta andarci…
Nulla però le impedì di parlare con me durate l’ora di
palestra.
«Bella!» esclamò correndo ad abbracciarmi e beccandosi
un’occhiataccia dal fratello. Era geloso anche di sua sorella?!
«Alice» mormorai con un sorriso, staccandomi da lei e
attaccandomi automaticamente al petto di Edward coperto dalla leggera canotta
blu, divisa di Educazione Fisica.
Le battè le mani, allegra. «Niente… ti volevo solo
dire che… così… così… siamo cognate!» esclamò gioiosa. Poco mancava che
si mettesse a saltellare.
Sentii Edward irrigidirsi, mentre io, contro ogni
aspettativa, scoppiai a ridere. «Già, così sembra» dissi poi, timida. Era
riuscito a trattenerla per due settimane, era astato anche troppo.
Lui mi abbracciò, tranquillo, con un sorriso.
Alice si mise a urlare contenta, mentre correva lontano
da noi urlando «Devo dirlo agli altri!!!». Era davvero molto simpatica.
«Perdonami se ti infastidisce…» tentò di scusarsi
Edward.
Lo interruppi. «No, non è così, davvero» dissi con un
sorriso «sono contenta, mi sta molto simpatica. Non ti preoccupare, voglio solo
che ci godiamo il… nostro… rapporto insieme…» conclusi arrossendo.
«Anch’io» disse lui, accarezzandomi il volto con una
sua mano. Di nuovo calò quello strano silenzio fra di noi, mentre lo vedevo rimuginare.
D’un tratto però vidi Alice, lontana, con lo sguardo
fisso nel vuoto, pietrificata. Mi preoccupai.
Stavo per andare da lei per chiederle cosa avesse,
quando Edward parlò. «Bella, ho bisogno di parlarti, voglio dirti una cosa
importante che…».
«Edward!» urlò Alice, quasi assordandoci, e comparendo
accanto a noi «verranno a farci visita i nostri amici dall’Italia nei prossimi
giorni» affermò con entusiasmo, mentre Edward s’irrigidiva.
Non capivo i loro comportamenti.
«Quando?» chiese lui risoluto.
Alice rise, allontanandosi e facendo spallucce.
Edward si voltò verso di me, ritornando sereno e
sorridendomi. «Andiamo, è arrivata la professoressa». Era sempre così con lui,
tutto cambiava in un attimo, riusciva sempre a farmi stare bene, anche quando
era triste, anche quando lui era triste e pensieroso.
«Su ragazzi! Disponetevi in file, i ragazzi dietro e
le ragazze avanti, vi dividerò in due gruppi per fare corsa e basket» annunciò
lei, con le meni sui fianchi.
Sbuffai. «Mi va male in entrambi i casi».
Edward mi fece un sorrisetto «Non se capiti con me!».
Ridacchiai «Non sono abbastanza fortunata, non ho
ancora trovato il mio Leprecauno!».
«Non sapevo fossi Irlandese!» scherzò Edward, ridendo
e facendomi ridere.
In effetti dopo dieci minuti, con mio enorme
dispiacere, dovette realizzare anche lui che non ero abbastanza fortunata,
perché capitai nel gruppo della corsa, mentre Edward
e Alice erano in quello del basket.
Me ne stavo per conto mio, dietro alla fila di ragazzi
e ragazze, aspettando annoiata le istruzioni della professoressa.
«Allora ragazzi, dovete fare tre giri intorno
all’edifico, e mi raccomando, quando passate dalla parte retrostante salite e
scendete le scale d’emergenza, sono stata chiara?! Se becco qualcuno che non lo
fa, nessuno gli risparmierà una “F”! E ora muoversi!» concluse dando il “via”
con il suo fischietto.
Di malavoglia mi avviai alla corsa, pestando
pesantemente i piedi a terra. Già dopo il primo giro il folto gruppo di ragazzi
si è diradato in una lunga e ampia catena di cui io ero l’ultimo elemento.
Avrei preso una “D” in educazione fisica, poco ma sicuro. Non mi importava
granché, quello che avevo in testa in quel momento era il bisogno di sentire
Edward accanto a me.
Bisogno. Necessità.
Dopo due giri avevo già il fiatone e un forte dolore
alla milza.
«Su, su Swan, non battere la fiacca, non vorrai mica
essere bocciata in educazione fisica, vero?!» m’incitò da lontano la
professoressa.
Sbuffai fra i denti, ordinando alle mie gambe di
continuare a correre. Vedevo altre ragazze davanti a me correre più veloce, ma
io proprio non ce la facevo. Solitamente, durante ginnastica, me ne stavo
rintanata in un angolino a mangiarmi le unghie e a ripararmi da eventuali
pallonate, quella di dover correre era proprio una sfortuna.
Non ce la facevo più, mi sembrava che il mio corpo non
rispondesse più ai miei comandi e che il respiro non bastasse. Feci leva su me
stessa e salii i gradini delle scale d’emergenza. Tuttavia ogni passo era
sempre più faticoso, come se un pesante macigno fosse di volta in volta
aggiunto sui miei muscoli.
Ad un tratto però sentii una sensazione diversa dalla
normale stanchezza. Per un’altra volta sentii il cuore, nel petto, che batteva
ad un ritmo incredibile, ancora più veloce di quello che stava già sostenendo
da diversi minuti.
Non ce la feci più a continuare a muovermi, così mi
accasciai sulle scale di emergenza, tremante e spaventata.
Mi sentivo malissimo, tutti i miei muscoli erano senza
alcuna forza e il cuore, battendo forsennato nelle mi orecchie e nel mio
cervello, faceva aumentare tutta la mia ansia e la mia inquietudine.
Provavo paura.
Per l’ennesima volta, da quando ero bulimica, provavo
seriamente paura.
Per la prima volta, provavo terrore.
Una cosa è rendersi conto di quello che si sta facendo
e capire a cosa tutto quello porterà.
Un’altra è capire che non puoi tornare indietro.
Annaspai in cerca d’aria portandomi una mano sul
cuore. Avevo paura… ma non volevo farmi scoprire. Che cosa dovevo fare? Gemetti,
dolorante e stremata, senza la minima forza che mi permettesse di fare
qualsiasi cosa. Non avevo con me le mie comprese, le avevo lasciate nello
zaino.
Perché non passava più nessuno? Perché non c’era
nessuno per aiutarmi? No, nessuno mi doveva aiutare, non mi dovevano vedere
così, in quello stato. Non dovevano capire, sapere… mi vergognavo troppo per
quello che stavo facendo.
Provai ad alzarmi, ma ricaddi sui freddi gradini
d’acciaio, colpita dal solito dolore allo stomaco, ancora più forte, ancora più
ampliato. Mi sentivo troppo male, non ce l’avrei mai fatta.
Un pensiero, forte, mi colpì; Edward.
No, lui non poteva, non doveva vedermi così. Scoppiai
in lacrime senza che potessi farci nulla. E tutto quello non fece altro che far
aumentare il ritmo del mio cuore e il mio respiro affannato.
«Edward…» gemetti fra le lacrime «ti prego non
venire…». Non sapevo perché parlavo ad alta voce, era tutto così assurdo… non
ce l’avrei mai fatta… Sarei morta.
Dopo poco sentii un vociferare di ragazze. Mi
affrettai ad asciugarmi le lacrime, mentre vedevo Lauren e Jessica avvicinarsi,
le ultime della fila dopo di me. Non mi videro, e continuarono a correre, non
salendo sulle scale e infischiandosene degli ordini della professoressa.
Un altro moto di lacrime mi offuscò gli occhi. Cosa
avrei fatto, dovevo chiamarle? Stavo decidendo della mia vita in quel momento?
Aprii bocca, ma poi la richiusi. No, non potevo farlo.
Non avevo più alcuna speranza. Mi dovevo rassegnare?
Avevo troppa paura…
Mi sedetti sui gradini, spalleggiandomi all’indietro,
attenta a fare il minimo rumore e tentando di regolarizzare il respiro.
Improvvisamente il mio povero cuore si calmò, scemando
velocemente nella sua corsa innaturale.
Ero viva. Mi
sembrava, ancora una volta, di poter dire “sono viva”. Stavo per morire. Quella
consapevolezza mi colpì come un doccia fredda.
Ansimai, portandomi le mani fra i capelli. Non avrei
mai più vissuto. Avrei perso i miei sogni, i miei ricordi, le mie possibilità,
Edward, me stessa. Avrei perso tutto, tutto questo.
Non volevo.
Mi asciugai il sudore dalla fronte. Il dolore alla
pancia non sembrava voler scomparire, quindi aspettai ancora, in attesa che sparisse
completamente, ma purtroppo non accennava a farlo. Rischiavo ancora di perdere
tutto?
Fui sommersa da una nuova ondata di paura. Vedevo i
miei compagni, i miei genitori, Edward, il terrore, il senso di vergogna, se mi
avessero scoperta. E vedevo in questo l’impossibilità di farmi aiutare, ma al
contempo sentivo la necessità di farlo.
Singhiozzai. Ero disperata, mi volevo a tutti i costi
tirare fuori da quella situazione. Non potevo farmi aiutare, non volevo farmi
scoprire.
Mi sollevai sulle ginocchia tremanti e trassi dei
profondi respiri. Ce la dovevo fare, ad ogni costo.
A fatica riuscii a completare la rampa di scale che
portava in alto, e scendere la seguente fu più semplice, ma non meno doloroso.
Era un dolore forte e costante che mi toglieva il respiro.
«Bella!» mi sentii chiamare.
Sussultai, raggelando.
A una ventina di metri da me, Angela mi veniva
incontro a passo sostenuto.
Che cosa sarebbe accaduto? Dovevo confessarle tutto?
Sentii un magone stringere la gola e l’ansia tornare sovrana a scuotermi la
testa. Volevo che qualcuno mi aiutasse, ma non avrei mai permesso a nessuno di
scoprire il mio segreto, non potevo. Neppure con Angela? Forse… lei avrebbe
davvero potuto aiutarmi…
«Bella, cosa succede? Sono andati tutti via, ho visto
che non arrivavi e sono venuta a cercarti» mi spiegò accorata, giustificandosi.
«Non è nulla» dissi istintivamente, sgretolando tutti
i miei propositi di essere sincera. «Mi sono solo stancata per la corsa»
ansimai, spossata. Quella bugia mi bruciò. Per la prima volta da quando
mentivo, non volevo più farlo.
Vidi sul volto di Angela un’espressione sorpresa e
ansiosa mentre mi scrutava il volto, non dovevo avere un bell’aspetto. «Come ti
senti?».
«Non è nulla», bugia, «sto bene», nuova bugia.
L’espressione sul suo volto rimaneva perplessa. Ma non
mi disse nient’altro, senza chiedermi nulla mi mise un braccio intorno al
fianco facendomi avviare verso la porta della palestra.
Non dissi niente, non ce l’avrei fatta ad arrivare da
sola in così poco tempo. Camminavo in silenzio appoggiata a lei, strascicando i
piedi con aria stanca, con troppi pensieri in un solo momento. Non sapevo più
che fare. Tutto il mio modo fatto di finzioni e di bugie stava crollando
miseramente… potevo ancora prendermela con qualcuno, se non con me stessa?
«Bella!» mi sentii chiamare, questa volta, da una voce
maschile. Edward ci venne incontro, sull’ingresso della palestra, prendendomi
il viso fra le mani.
Mi sentii attraversare da una scarica elettrica che si
condensò sulla nuca e abbassai lo sguardo.
«Era fuori, si è stancata per via della corsa» disse
Angela al mio posto, notando che rimanevo in silenzio.
Edward però continuava a scrutarmi, preoccupato, come
se non avesse ascoltato le parole appena pronunciate dalla mia amica. «Vieni,
facciamola sedere», disse guidandomi con un altro braccio verso una panchina.
Non capivo perché non parlavo, non capivo perché non
dicevo “Edward, non ti preoccupare”. Restavo in silenzio. Avevo bisogno di lui.
Mi accarezzò una guancia, inginocchiandosi di fronte a
me. Poi lanciò un’occhiata ad Angela. «Ti dispiacerebbe prendere un po’
d’acqua?» chiese arricciando le labbra.
«No, certo» fece lei, dileguandosi in fretta.
Non la vidi, ero impegnata a fissare Edward negli
occhi.
E lui lo stesso faceva con me, non abbandonando mai il
mio sguardo.
Non sapevo cosa fare, cosa dire. Ero sconvolta.
Semplicemente sconvolta. Sentivo una nube di sensazione e di pensieri troppo
complicati dentro di me, che confondevano il mio essere con venti, piogge,
tempeste e fulmini. Me stessa in tempesta.
Lasciai da parte la ragione e feci ciò che l’istinto
mi suggerì.
Mi lanciai fra le sue braccia, nascondendo il capo sul
suo petto e prendendo respiri veloci, stringendo con forza, con i pugni, la sua
camicia, i suoi capelli. Non volevo separarmi. Mai. «Non… non è successo
nulla…» ansimai velocemente, stringendomi con più forza. «Non è niente…» dissi
ancora, con un tono agitato e angosciato che asseriva tutto il contrario.
L’unica risposta di Edward fu quella di stringermi con
dolcezza a sé e cominciare ad accarezzarmi i capelli.
Respiravo il suo profumo, sentivo la sua vicinanza, la
sua pelle, e sapevo che non volevo separarmene. Non volevo lasciarlo. Deglutii,
aumentando ancora la pressione. Non volevo morire.
Dovevo farmi aiutare?
No. Non ce l’avrei mai fatta.
Ma dovevo smettere.
«Edward» mormorai, accarezzandogli una guancia e
tirandomi su con la schiena.
Vidi il suo volto in una maschera neutra e
imperturbabile, meraviglioso come sempre.
No. Come potevo lasciarlo? Non potevo. Chiusi gli
occhi, appoggiandomi indietro sul muro.
Angela ritornò con l’acqua, bevvi un po’ e poi le
sorrisi. Il dolore era scomparso in un attimo, così come era venuto. «Grazie
mille Angela» ringraziai restituendole la bottiglietta.
«Ti senti meglio?» chiese osservandomi. «Sei ancora un
po’ pallida, magari sarebbe meglio andare da un medico…» propose titubante.
Sussultai, ansimando lievemente.
«Grazie Angela, non ti preoccupare, ci penso io a lei
adesso» rispose Edward gentilmente, aiutandomi ad alzarmi.
Mi accompagnò verso gli spogliatoi e aspettò che mi
cambiassi, poi, sempre in silenzio, mi portò in macchina. Aveva un comportamento
pacato e gentile, ma non potevo non sentire come una pellicola fra di noi. Io
me ne stavo in silenzio, continuando a non pensare, continuando ad evitare i
miei pensieri, i miei problemi. Ma non facendo nulla per rompere la pellicola.
E così Edward se ne stava dal canto suo in silenzio, con un espressione
pensierosa.
Sentii i freni dell’auto fermarla dolcemente sul
vialetto. Poi Edward si voltò verso di me, rompendo la pellicola. «Cos’è
successo Bella?» mi chiese serio, ma non duramente.
Raggelai, deglutendo. «Io… mi sono solo stancata… non
sono abituata a correre…». Mai una bugia aveva bruciato come quella.
Edward mi mise una mano sotto il mento, costringendomi
a portare i miei occhi nei suoi, limpidi, sereni, seri. «E ti sei stancata
tanto da non riuscire a respirare, tanto da provare dolore, tanto da piangere?»
incalzò.
Ansimavo, aprendo e richiudendo la bocca, non sapendo
cosa dire. Ero allibita. Come faceva a sapere tutte quelle cose? Lui era a
conoscenza di tutto? Tutto? Non era possibile. Non potevo crederci.
Non ci credetti.
«Si», risposi, «mi sono solo stancata, non sono abituata a correre». Nessuna
esitazione nella voce, i miei occhi fissi nei suoi.
Uno squarcio nel petto per quella che sarebbe stata
l’ultima bugia.
Volevo smettere.
Care! Ok,
lo so, il mio ritardo è imperdonabile e cose del genere… lo so. SCUSATEMI!!!
Questo
capitolo è stato molto, molto difficile da scrivere. Succede tutto il macello
interiore di Bella e avrei voluto aspettare ancora un po’ prima di postarlo,
per rifinire i pensieri di Bella, i sentimenti, le sensazioni.
Scusatemi
se la cosa vi sembra ogni tanto un po’ scoordinata, mi dispiace tanto, ma era
davvero un capitolo difficile.
Tengo a
precisare che Bella PROVERA’ a superare il problema, e a calcare il fatto che
NON VUOLE farsi aiutare e non vuole dunque farsi scoprire. Ha già fatto un
enorme paso avanti, non poteva farne di più, sarebbe stato poco realistico, e
io non voglio essere poco realistica.
Edward
cerca di aiutarla come meglio può, cammina in equilibrio su una fune sospesa,
non può esagerare.
(Ovviamente
né lui, né i suoi fratelli potevano andare dal dentista e rischiare di
tagliarli un dito XD).
Bye care!
A presto,
spero.
PS.
Capitolo dedicato a Luisina che mi ascolta sempre e a Cami, un bacio.
PPS. Grazie
mille per i commenti che mi avete lasciato nel blog, in cui troverete notizie
sugli aggiornamenti, su anche altre mie storie, e anche alcune bozze dei miei
capitoli che verranno pubblicati qui e che è…
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
Shinalia
grazie
mille! ^^ Beh, si, e sei stata fortunata perché sono solo 12 capitoli, immagina
a se fossero stati di più! J Spero di poter continuare a fare bene e, perché no, migliorare,
grazie ancora!
single93 grazie allora, spero
potrà continuare a piacerti! ^^
irly18
grazie!
E è stata altrettanto “violenta” l’illuminazione! Mi ha colpito come un fulmine
a ceil sereno e non c’è stato scampo u.u ho dovuto scriverne! ^^ E poi davvero
se no… chi si svincolava da questa situazione assurda? Meglio farli prendere a
schiaffi!!! XD sto scherzando… che umorismo scadente… hhh…
federika88
Grazie!
Sono contenta che la mia storia non sia risultata banale, volevo proprio
cimentarmi u qualcosa di più impegnativo. Grazie mille quindi! Per quanto
riguarda la tua domanda, si. Edward sa già tutto, per conoscere i dettagli
dovrai aspettare che ne parli lui stesso, ma già ora è a conoscenza di tutto.
Non gliene ha parlato direttamente perché riteneva che prima Bella si dovesse fidare
e confidare con lui. J
luisina
Luisina!
evviva Carly, sempre e comunque! *.* Beh, ti ringrazio, come al solito in
questa storia aspetto i tuoi commenti come l’acqua nel deserto! Sono contenta
di essere riuscita a rendere realistici i pensieri di Bella… mi sono dovuta
immedesimare! Ogni volta scrivere questa storia diventa sempre più impegnativo
per i miei neuroni! XD Sono contenta ti sia piaciuta la parte del bacio, come
tu ben sai, trasformare l’amicizia in amore non è semplice, ho fatto un sospiro
di sollievo quando ho finalmente “varcato il confine” XD Baci cara, a presto!
:*
00Alice Cullen00 Figurati! No, non
hanno “tagliato le lezioni”, semplicemente era sabato, e di sabato non si va a
scuola in america, c’è il week-end lungo, hai presente? Le tue opzioni sono
molto divertenti, ma credo che solo il tempo potrà dire cosa accadrà.
Ovviamente, penso si sia capito, Edward sa già tutto, solo ora dovrebbe trovare
un modo per aiutarla e dirglielo apertamente non è la strada migliore per ora.
Per quanto riguarda il fatto di abbuffarsi, ci sono diversi tipi di bulimia, è
una malattia che comprende molti stadi e molte varianti. Di solito ci si
abbuffa molto spesso e si mangia in continuazione, anche senza rendersene
conto. Più che altro non si vomita sempre… Per quanto riguarda gli scopi,
credimi, ti tuoi sono più alti, non l’h fatto per fare una campagna
anti-bulimia, e se nei primi capitoli ho voluto chiarire che è sbagliato faro,
è perché non volevo che qualcuno emulasse Bella e leggesse erroneamente i miei
messaggi. Ovviamente mi sono documentata, come faccio sempre e con qualsiasi
cosa quando scrivo una storia. J
shasha5 la frase non è quella,
ma ci sei andata vicina, non come spazio, ma come significato! ^^ La parte
“strana” XD, mi è venuta sul momento così e… per questo mi è venuta bene, le
cose che mi vengono sul momento sono sempre quelle che mi vengono meglio ^^
Invece quando mi devo mettere lì a scrivere con la storia in testa non combino
mai nulla di buono ^^ eheh, vammi a capire! XD
bea_s
Grazie
mille! ^^ Non lo so neppure come ho fatto a trovare il giusto equilibrio, ma di
sicuro questa storia non è nata come una lezione di moralità, tuttavia non
voleva neppure usare un argomento così delicato parlandone in maniera leggera…
penso che derivi da questo l’equilibrio. Grazie per aver commentato ed aver
espresso il tuo parere, mi fa sempre molto piacere!
Vichy90
benissimo!
XD perché invece il mio Edward l’avrebbe dato eccome lo schiaffo… u.u
patu4ever
mangiabile?!
XD ok, io ci proverò… ma non ti garantisco nulla, mi metto accanto al
lavandino… XD Charlie romperà sempre più! Ma è questo che fanno i genitori no?
Rompono. u.u Sono stati inventati apposta… ^^ dai su che tutto si sistemerà fra
i due!!! O forse no… XD cioè si e poi no… XD
Wind
si si
ho capito cara XD non ce l’ho con te, ma difendo sempre la mente dei miei
personaggi, che poi è la mia. Quindi è giusto il ragionamento? Mi sono
immedesimata più del solito questa volta… ma per capire certe cose mi devo
psicoanalizzare… XD
beuzz94 ohhh! Ma cara, la tua
presenza non mi dispiace affatto, anzi, tutt’altro XD! In effetti in una
normale ficcy forse non gliel’avrebbe mai tirato lo schiaffo… forse… o forse
si… cioè, il motto di Edward è proteggere Bella sempre è comunque… e far de
male a chi le fa del male… ora… se è lei stessa che si fa del male… è
giustificato il gesto no? ^^ Per la tua domanda la risposta è si ;) ottima
osservatrice ^^
lilly95lilly grazie allora, spero
continuerai a gradire ^^
silvia16595 non mi sottovaluto
affatto, semmai mi SOPRAvvaluto… XD XD fidati… ^^ beh si, si stanno chiarendo…
ovviamente si anche Eddino puccioso deve parlare, e Bella finirà di confessarsi
in seguito ^^ Cioè mai, ma poi … vabbè, non ti posso spiegare che succede,
mistero ^^
lindathedancer XD beh si, grazie
allora ^^ mamma come gongolo *.* Cara…
Lau_twilight
grazie
mille cara!!! *.* Sei sempre così dolce e tenera con me, ogni volta mi dici
quanto ti piacciono le mie storie, che non poteri mai mandarti i volturi! Al
massimo ti mando Emmett, o Alice! Quale preferisci? Gli altri sono miei…
muahahah… ok, a parte questo. Si si, ha fatto bebe a tirarle lo schiaffo…
insomma, Bella non ha rispetto per la sua vita, non poteva sopportare di
sentirle dire certe cose… ^^
lory_lost_in_her_dreams
siii!!!
Hai indovinato la frase brava u.u Edward ha fatto bene a schiaffeggiarla,
fidati di me, altrimenti in questo momento non si sarebbero né baciati, né
dichiarati, né tanto meno la situazione si sarebbe in qualche modo evoluta… u.u
Quindi gli schiaffi salutari…. Ehhhhh!!! Poi se da Edward mi farei
schiaffeggiare anch’io scusa… u.u Tutto pur di toccarlo *.*
Noemix
XD si
si l’equazione funzionerà, crediamo nella potenza delle equazioni mentali!!! ^^
Ti sei trasformata in una ninfa solo per adescare Edward, di la verità, on è
così?! XD dillo al cuore tuo, dillo… u.u lei che die di essere innamorata… XD
lancia i fiorellini… XD
mazza
A) eh
eh, purtroppo il matusa non ha capito una cicca… e che i possiamo fare noi?
Mmm… B) povera piccoletta!!! Ma non è che ti esaurisci le scorte di fazzoletti
tempo, no?! XD C) non si può avere, sono in tiratura limitata u.u D) eh eh si
si XD ma lei ancora lo deve capire… XD E) ma si dai… che prima o poi lo capirà…
XD molto poi… XD no, dai, scherzo… F) già che dolce quando canta vero?! Un
amor… un fiorellino *.* G) eh eh, hai visto che non è poi così tonta la ragazza…
^^ eh eh H) eh beh, si, è stata una cosa istintiva… anche se controllata,
diciamo che se fosse stata puramente istintiva Bella si sarebbe ritrovata senza
testa… XD I) eh beh si, sono le stesse… hhh… sai com’è… non mi capisco neppure
sola, magari mi capisci tu piccoletta!!! Mi dici come funziono?! XD
Goten
Ohh!
Come sono contenta! Cioè… mi sto ancora capacitando… Grazie! Sono
contentissima, spero che la mia storia continui a piacerti, ancora grazie! *.*
barbyemarco
XD eh
eh, queste piccole vendette che ci prendiamo io e Claudia l’una sull’altra
movimentano un po’ le mie giornate… ^^ Non ci posso fare nulla se adoro la sua
storia! Avete fatto bene a pubblicarla su fb, è bellissima ^^ Sono contenta che
il capitolo ti sia piaciuto ;)
endif grazie mille per le tue
parole… In effetti avevo in mente solo Cullen’s Love… e quello siche era un
piacere e uno sfogo e non capivo perché non mi succedesse più anche con questa
storia… così mi sono bloccata, ma ho capito che più passava il tempo, più
diventava difficile per me riprendere a scrivere questa. Poi mi sono arrivati i
messaggi e… non voglio dire che di questa storia non v’importava o che il
vostro sostegno non mi bastava, anzi… ma… avevo proprio bisogno che qualcuno mi
dicesse che preferiva questa storia all’altra e sono riuscita così a far
ritornare tutto come prima. Grazie per le tue parole. J
Tatydanza bravissima, si, è una
di quelle che hai citato tu ^^ Grazie per i complimenti al capitolo, sono
contenta ti sia piaciuto… prossimamente scoprirai quale delle due è la frase… J
JessikinaCullen
ma no,
se vuoi mi puoi anche pungolare, non c’è problema! Anzi, mi spinge davvero a
scrivere più velocemente, infatti se non m’avessero pungolata non avrei mai
postato! XD Allora… spieghiamo la reazione di Charlie… Bella si è aperta, ha
manifestato quello che aveva dentro, si è tolta la maschera di indifferenza. Ma
tolta l’indifferenza non c’era solo gioia per la compagnia di Eddy, ma anche
tristezza per tutto il suo problema… ecco che quindi Charlie fa la frittata…
mieme
(no,
non è quella la frase XD XD) in effetti si, ho chiarito che Edward era già a
conoscenza di tutto… beh, i tenevo a farlo… per, per Bella e per il sangue…
vediamo come posso spiegarlo… Quando fai qualcosa di sbagliato, dentro di te,
trovi sempre una scusa per giustificare la tua azione, perché nessuno mai
agisce per il male. Quando continui a fare qualcosa di sbagliato, non trovi più
neppure la ragione, perché è diventata un’abitudine. Quando vedi i risultati
della cosa sbagliata ti spaventi, ma poi trovi la giustificazione e continui a
farlo e anche quella diventa un’abitudine. ^^ Mi psicoanalizzo per capire
queste cose XD Per quanto riguarda Charlie… emmò poverino, è scemo… ma non è né
la prima né l’ultima che combina…
barbiemora______
certo
che sei stata tu! E poi ho capito che non è colpa mia se con questa storia ho
avuto alcuni blocchi, è che la maggior parte delle lettrici che conosco mi dici
“quando aggiorni Cullen’s Love”? E nessuna mai il contrario… quindi è normale
poi per me, anche inconsciamente, preferire l’altra… ma non lo farò più, giuro,
ora che so che volete tanto bene anche a questa storia non lo faccio più ^^ hai
perfettamente indovinato la frase causa e origine di tutti i problemi,
complimentissimi! ^^ Ancor di più perché l’hai individuata mentre leggevi e non
dopo che hai letto il mio invito a trovarla, brava…
ale03
beh,
si, l’ho detto che la reazione di Charlie sarebbe stata sui generis… ^^ e non è
finita qua XD sono contenta che tu non t la sia presa con Edward! Beh, non è
che le ha tirato lo schiaffo per le questioni, l’ha tirato perché ha detto in
modo velato che avrebbe voluto togliersi la vita… ^^
midnightsummerdreams
grazie!
La dichiarazione è stata spontanea e non premeditata!!! ^^
araba89 wow che recensione!
Grazie mille, figurati, per così poco! Anzi, se non fosse stato per il fatto
che ogni tanto mi scuotete e mi spingete a scrivere sarei ancora in alto mare o
con la testa fra le nuvole, quindi grazie! Si, ho pensato di scrivere un libro,
e ho anche cominciato a farlo… Ma poi mi sono fermata per affinare il mio stile
di scrittura tramite le ff, ed eccomi qui! J
kikkikikki
cara
non ho letta la frase nei tag, ma credo che fosse “importa a me”, vero? ^^ Beh
ecco si… Eddino ha voluto farla riscuotere un po’ ^^ Grazie di tutti i
complimenti cara, io vado sempre avanti! Anche quando non ho idee XD
Confusina_94
si,
grazie cara! ^^ Eh già, finalmente si sono confessati! Devo dire che hanno
preso alla sprovvista anche me! Cioè, non pensavo che la situazione si
evolvesse così! Cioè… per me quando scrivo è più o meno come quando sogno… non
sono tanto responsabile e cosciente di quello che succede… solo che c’è stato
schiaffo, bacio! Bacio, amore! è venuto così ^^
Bella_Cullen_1987
grazie!!!
XD Lo veneri come la venere o lo veneri come la ninfa? XD Domanda scema…
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Capitolo 14 *** Chi sono? ***
Tre ore, ventiquattro minuti e svariati secondi
Dance of the Clouds - http://www.youtube.com/watch?v=ZdwHuAIaFS0
Tre ore, ventiquattro minuti e svariati secondi.
Osservai l’orologio, aspettandomi che quel lasso di
tempo aumentasse da un istante all’altro.
Non avevo fame.
Non avevo fame e non avevo bisogno di mangiare.
Tentai di concertarmi sulle parole della professoressa,
che mi stava squadrando con disappunto, e di non distrarmi. Sentii le risatine
degli altri e arrossi, abbassando il capo e nascondendomi fra i miei capelli.
Non c’era bisogno che facessero così… avevo capito che
dovevo stare attenta… pensai infastidita
e mortificata.
La professoressa sbuffò e riprese a spiegare, così mi
appiattii sul banco, tendano di scomparire e di non dare fastidio a nessuno.
Scacciando il senso di inadeguatezza ricominciai,
quasi inconsapevolmente, a far vagare lontano i miei pensieri. Edward quel
giorno non era lì con me, perché era dovuto andare a fare trekking con la sua
famiglia. Per un po’ mi ero dispiaciuta del fatto che non mi avesse chiesto di
andare con lui. Ma solo per un po’. Primo, perché il mio buon senso mi
suggeriva che io e il campeggio non eravamo mai andati d’accordo. Secondo
perché, da tre giorni, da quando era successo l’incidente in palestra, Edward
era diventato la mia seconda pelle.
Il suo comportamento era davvero strano. Come se fosse
diviso fra due pensieri, come se tentasse di dominare una parte di sé che aveva
nascosta, che ancora non potevo comprendere. Da quando ci eravamo conosciuti il
nostro rapporto si era sempre più intensificato, fino a condensarsi nella
nostra relazione attuale. Tuttavia c’era un confine, un confine che divideva un
normale rapporto di coppia da qualcosa di diverso.
Ed era proprio quello, il diverso, che stavo
vivendo in quei giorni.
Una cosa è decidere di uscire insieme, un’altra, è
sentirsi sotto esame, costantemente controllati, mentre lo si fa. Non era come
se mi stesse offrendo la metà di se stesso, in modo, con la mia metà, di
ricostruire la mela. Mi stava offrendo molto più; un grosso sostegno a cui mi
ritrovavo, senza ben sapere come, completamente appoggiata.
Oramai spesso mi ritrovavo a pensare, non dormire la
notte addirittura, al fatto che potesse sapere tutto di quello che facevo. Ma
non potevo permettermi di restare a pensarci troppo, né lo facevo, perché il
mio bisogno egoistico di tenerlo accanto mi diceva che questa era una
prospettiva irrealizzabile, e così doveva rimanere.
Anche perché, da ben tre giorni, tutto era
cambiato.
Sorrisi, quasi inconsapevolmente. Non pensavo potesse
essere possibile, ma ero riuscita a non vomitare, e controllare quello che
mangiavo. Per tre giorni. Dovevo resistere.
«Signorina Swan!».
Non appena le mie orecchie registrarono l’esclamazione
vidi anche il volto paonazzo della professoressa che mi fissava a dieci
centimetri di distanza. M’irrigidì, disorientata.
«Isabella, sono cinque minuti che ti chiamo. Si può
sapere a cosa pensi durante le mie lezioni?!».
Sbattei le palpebre, volgendo lo sguardo, lentamente,
verso gli altri studenti che mi fissavano ridacchiando.
Sentii una strana ansia crescere dentro me, mentre il
rossore tornava ad imporporarmi le guance. Le loro occhiate erano come
pugnalate che mi infilzavano senza pietà, pungoli di ferite già aperte. Calma
Bella, calma. Nessuno ti guarda. Strizzai forte gli occhi, come se facendo
finta che non esistessero avessi potuto anche sbarazzarmene.
«Signorina Swan, insomma, che sta facendo?!» mi
riprese ancora la professoressa, infastidita dal mio atteggiamento e dal mio
mutismo.
Un coro di risate scoppiò in classe, entrando nelle
orecchie con inaudita prorompenza.
Aprii la bocca, annaspando.
Le frasi degli altri studenti si sovrapponevano fra
loro, sempre più lontane, sempre più confuse, sempre più angoscianti.
«Ma guardatela, e quella sta con Cullen!».
«Le farà pena!».
«Magari ora stava pensando a lui, la poverina!».
«E’ sempre stata un’asociale».
I rimproveri della professoressa cominciarono a concentrarsi
verso di loro, tentando di contenere le sempre più fragorose e fastidiose
risate.
Mi guardavano, ridevano, mi schernivano. Esattamente
come Lauren e Jessica avevano già fatto. Allora era così…
Realizzai in un dolorossissimo istante che tutti mi
vedevano come una ragazza patetica, che faceva pena ai più, quelli che si
presentavano come miei amici; e quelli che invece non lo erano pensavano fossi
una ragazza asociale, una povera emarginata. Mai il giudizio degli altri mi
aveva così duramente colpito. In un attimo mi sentii male, sbagliata,
assurdamente sbagliata.
Per la prima volta mi aprivo al mondo dopo tanto
tempo, e lo trovavo un luogo ostile, alieno. Come se nella mia bolla avessi
coltivato una me stessa diversa da quella che vedevano gli altri, e ora che la
bolla stava svanendo… Cos’ero, io? Cos’ero io se tutto il mondo mi vedeva in
quel modo assurdo?
Mi sollevai in piedi di scatto, facendo ammutolire
tutti. Con la manica ruvida mi asciugai le lacrime, riponendo velocemente le
cose nello zaino. Non sentii i nuovi rimproveri, avevo solo un fischio
fastidioso nelle orecchie e il rumore di quelle frasi crudeli.
Mi bastava così poco per crollare?
Corsi via dall’aula, senza fare particolare attenzione
a non inciampare.
Cos’ero? Ero
quello che gli altri vedevano di me?
Singhiozzai, stordita, salendo sul pick-up.
Io non ero così, non volevo essere così. Con chi mi
potevo arrabbiare? Con chi me la potevo prendere? Perché se non l’avessi fatto
con qualcuno, non avrei mai saputo arginare il dolore che come un acido mi
stava sciogliendo, prendendosi molto più di quanto potevo dargli.
Guidavo, tentando di scorgere la strada attraverso i
miei occhi inondati dalle lacrime, tentando di concentrarmi per conservare
quello che permaneva della mia vita.
Ne valeva davvero la pena? Mi sentivo così… patetica.
Se tutti mi vedevano così, lo ero davvero? Come poteva essere il contrario?
Accostai sul vialetto di casa, stringendomi il petto
per arginare i singhiozzi. Urtai con il capo il volante. Lo feci ancora, una,
due volte, tentando di scacciare quei pensieri che non riuscivo più a
contenere, quei pensieri che erano troppo. Troppo, per me. Troppo,
per la mia mente indifesa.
Troppo poco rispetto al dolore che provavo appena
sotto il diaframma e che mi stava infiammando la gola.
Raccolsi velocemente tutte le mie cose, correndo verso
casa. Tentavo di infilare la chiave nella toppa, ma per una beffardo gioco del
destino, nonché per il tremore diffuso alle mani, ogni tentativo sembrava più
vano del precedente.
«Ti prego, ti prego» gemetti, fermando una mano con
l’altra e riuscendo finalmente nel mio intento.
Non appena arrivai nel soggiorno mi bloccai, lasciando
scivolare per terra lo zaino.
Piansi più forte, singhiozzando sempre più. Che
cos’ero io? Cos’ero?!
Potevo credere nella bontà dei miei pensieri solo
finché restavano in me, ma il mio comportamento, invece, insieme al pensiero
del mondo, diceva che non ero così buona come credevo. Allora poi era troppo
facile trovare riscontro con i loro pensieri.
Mentre ansimavo crollai a terra, tentando di
controllare il respiro, sempre più veloce e sempre più accelerato.
Sentii ancora una volta nelle orecchie le risate dei
miei compagni e vidi i loro volti squadrarmi beffardi. Cattiva, malvagia,
patetica…
No, no! Io non ero così! Perché nessuno poteva capire
la mia fragilità?! Come potevo dimostrare agli altri quanto ero fragile?
Mi sollevai da terra, presa improvvisamente da un
nuovo, forte, impeto, che mi scaldava il sangue nelle vene. Rabbia. Che
accecava e riempiva, anche se per poco, il vuoto che sentivo dentro me. Rabbia
verso tutti e tutto. Quelli che non mi comprendevano e quelli che invece mi
comprendevano troppo.
Potevo farlo ancora?
Il pensiero durò così poco nella sua brevità, che mi
ritrovai ancora con le mani impegnate a spingere cibo nella mia bocca. Senza
alcun controllo, senza alcun ritegno, con la sola bramosia. Avevo fame, fame, e
qualunque cosa mangiassi non bastava a saziare il mio appetito crescente.
Volevo magiare, mangiare di tutto. Tutto mi pareva buono e appetitoso, tutto.
Ancora, e ancora, senza alcun desiderio di fermarsi…
Dovevo vendicarmi. Vendicarmi, liberarmi da questa
rabbia accecante e andare fin in fondo.
La rabbia svanì come una meteora…
Sentii il freddo delle piastrelle del bagno sotto i
miei piedi scalzi, sotto i miei passi. Ora lenti. Ora bisognosi di correre
verso la loro meta. Avevo detto che non l’avrei fatto più… Valeva ancora questo
discorso? C’erano ancora i presupposti e le motivazioni che mi ero data per
smettere?
Cercai senza sosta nella mia testa un motivo per
fermare la mia mano, che, dotata di vita propria, compiva quel gesto che la mia
mente si rifiutava di compiere.
Così, sola e disperata, mi ritrovai ancora una volta
accasciata sul water, in preda al più terribile dei mali. Quello fatto a se
stessi.
Non piansi più, non versai una lacrima. Mi strinsi su
me stessa circondandomi la testa con le braccia. Farsi male è un modo di agire.
E’ sbagliato, è male, ma sai che lo stai facendo. Non è come quando pensi di
fare bene e invece fai del male, perché in quel caso hai qualcosa da perderci.
Fare del male sapendo di volerlo fare non può
procurare più dolore di quello che si è previsto.
Poggiai entrambi i palmi sul pavimento, facendo forza
per alzarmi. In silenzio, mi avviai in camera, calpestando il parquet sotto i
miei piedi nudi.
Mi sentivo svuotata e sola. Sola dentro e fuori.
Fuori, per l’evidente solitudine che mi circondava, e dentro, per il muto
silenzio che si spandeva in me inglobando il mio essere.
Mi muovevo meccanicamente, come un automa. Entrata in
camera notai che, a causa delle lustre chiuse, il buio faceva da padrone. Non
me ne curai e mi sedetti sul bordo del letto, rannicchiando le gambe al petto e
lasciandomi inglobare come silenzio nel silenzio.
Inaspettatamente sentii un suono. Un suono basso, un
mormorio lamentoso che cresceva e si abbassava nei toni come un’inquietante
nenia. Ci misi troppi istanti per capire che lo stavo producendo io.
Cominciai a dondolarmi, avanti e indietro, sentendo la
mia testa vuota e sospesa. Non pensavo e non volevo farlo.
Mi dondolai, ancora, ancora, sempre più veloce.
Sentii i suoni che provenivano dalla mia gola prendere
una strada diversa… familiare. Vuoto. Nella mia testa c’era il vuoto, ed era
quello che ci doveva essere. Non sapevo perché stavo continuando a fare così.
Ero pazza? Era come se non potessi smettere, come se un’inerzia più grande mi
spingesse a continuare. Non volevo, non doveva pensare a…
Sentii la mia gola contrarsi in uno spasmo doloroso di
pianto, mentre il suono lamentoso si distorceva incrinandosi, mentre mi rendevo
conto che alle mie orecchie giungeva una ninnananna. La ninnananna.
Sentii le guance inondate di lacrime, mentre tutti i
pensieri esplosero nella mia testa come un fiume in piena che distrugge ogni
argine.
L’avevo rifatto.
No… no… no… non poteva essere vero. L’avevo rifatto.
Quanto ero durata? Tre giorni?! Così poco valeva la
mia forza di volontà?! No… non ce la potevo fare di nuovo. Avrei solo ingannato
me stessa… sarebbe stato solo uno spreco, sarei durata ancor di meno…
Avevano ragione… tutti avevano ragione. Ero patetica.
Patetica.
Singhiozzai, nascondendo la bocca con una mano.
Pensai che in quel momento mi volevo vaporizzare.
Diventare in una piccola, dolce, esplosione, parte delle tante piccole
particelle che formano il pulviscolo e disperdermi nell’aria in modo che con un
soffio qualsiasi cosa avrebbe alterato la mia forma.
Mi toccai con le dita le lacrime fredde, congelate.
Non stavo piangendo più.
Se Edward mi avesse visto così… volevo? Volevo che mi
vedesse in quello stato?
Non lo sapevo. No. No? Si poteva mentire anche a se
stessi? Stavo mentendo?
Lui… lui… si doveva accorgere di me…
Patetica.
Sentii le scie salate essere inondate da nuove
lacrime, calde, brucianti. Mi ritrovai avvinghiata al cuscino, con gli occhi
serrati, tentando di ricominciare a non pensare.
Mi risvegliò dal sonno in cui ero caduta il suono
secco della porta d’ingresso che sbatteva.
«Bella!» l’urlo di mio padre giunse fino alle mie
orecchie. Era molto arrabbiato, lo sentivo. Dovevano avergli chiamato dalla scuola.
Avevo un grosso mal di testa, a stento ricordavo
quello che avevo fatto. Mi asciugai i solchi secchi di lacrime che erano
rimasti sulle guance.
Che cosa avevo fatto?
«Bella!» esclamò mio padre entrando in camera.
Si bloccò immediatamente quando vide che tutto era
buio e che stavo sdraiata. «Ti senti male?» chiese, lasciando che l’apprensione
prendesse il posto dell’ira.
«No» mormorai afona, tirandomi a sedere e aspettando
nei silenziosi secondi una sfuriata che non giunse.
Mio padre stava lì, immobile, mi guardava e non diceva
nulla.
Chi era per me?
Sono forse le lacrime, che, liberandoci della nostra razionalità mentre
sgorgano dai nostri occhi ci danno il coraggio di formulare domande così
profonde?
Sentii un’altra parte di razionalità staccarsi da me,
mentre, in silenzio, camminavo verso di lui. Con i miei piedi scalzi. Con le
mie guance bianche. Con il mio viso smunto. Con i miei occhi rossi. Con due
innaturali cerchi neri a contornarli.
Le labbra si piegarono debolmente in un antico
sorriso. Mi sentivo un fantasma. Forse ero davvero parte del pulviscolo, o mio
padre non mi avrebbe mai guardata così.
Che cosa vedeva lui? Finalmente me?
Finalmente quello che avevo sempre voluto fargli vedere, ma che non ero mai
riuscita a mostrargli? La mia fragilità?
Non appena giunsi al piano terra trovai tutto come
l’avevo lasciato. Lo zaino per terra. Le scarpe abbandonate in un angolo. La
sciarpa e il cappotto distesi casualmente. Mi imposi di mantenere una calma che
avevo acquistato in breve. Una calma leggera, amara, che mi faceva sorridere
sprezzante del mondo. Sentivo in un attimo di poter far tutto.
Avevo ferito mio padre. Ero riuscita nel mio intento.
Ne ero felice? Ero calma.
Infilai le scarpe con gesti normali, automatici. Non
volevo più vomitare. Non c’era più motivo di mangiare così tanto. Questo mi
diceva la piccola fetta di razionalità che si stava nuovamente distendendo e
inglobando il mio essere.
Sospirai, rompendo la spessa bolla che si era formata
in me e fuori di me. Smettendo di farmi assurde domande. Ignorai i miagolii di
Minush, miracolosamente comparsa da chissà dove. O forse era sempre stata con
me, ed ero stata io a non averla notata. Afferrai le chiavi e in breve mi trovai
sul pick-up, diretta verso la meta che mi suggeriva il mio cuore.
Tutto mi sembrava così naturale e normale ora,
paragonato agli attimi di assoluta follia che avevo vissuto. Il rombo del
motore, la luce del crepuscolo che docilmente feriva i miei occhi sensibili;
persino il dolore che nuovamente avvertivo sotto lo sterno e di cui nuovamente
non mi curavo.
Non tutto era perduto. Non tutto era perduto.
Parcheggiai sul vialetto di casa Cullen. Un ambiente
così familiare…
Lo percorsi sentendo la ghiaia scricchiolare sotto i
miei piedi. Sorrisi. Un sorriso normale, fin troppo contrastante con quello
fatto svariati minuti prima. Volevo solo vederlo. Vederlo, sentirmi meglio,
accertarmi di poter continuare a vivere.
Dopo pochi istanti dal suono del campanello la porta
si aprì. Davanti ai miei occhi comparve un sorriso furbo e una zazzera di
capelli corvini. «Edward non c’è» trillò Alice, anticipando la mia domanda.
Arrossii, sentendo la malinconia crescere. Abbassai lo
sguardo. «Capisco… mi spiace… in effetti non avevo neppure avvisato che sarei
venuta…».
«Siamo tornati da poco» fece smorzando il suo tono
allegro. «Vuoi entrare? Magari lo chiamo e vedo se torna… E’ andato ad
accompagnare mamma…».
Non avrei acconsentito in normali condizioni, ma lei
mi pareva davvero entusiasta di farmi entrare, e io non volevo rimanere ancora
sola… o con mio padre. «Va bene…» mormorai.
Lei fece un sorriso ancor più radioso del precedente,
invitandomi calorosamente ad entrare. Mi prese il cappotto e la sciarpa,
lanciandoli sul divano. Poi mi prese la mano, trascinandomi su per le scale, fino
ad una stanzetta piccola, con le pareti pesca. Scoprivo sempre un nuovo posto
in quella casa.
«Te lo chiamo subito» disse contenta, afferrando la
cornetta del telefono di ultima generazione posato su un tavolino basso.
Quando Alice cominciò a parlare, e capii che Edward
aveva risposto, sentii una strana emozione sommergermi. Amore? Si, lo amavo, ma
questo… era diverso. Era il desiderio di averlo accanto.
Vidi il volto di Alice scrutarmi, e mi stupii che
avesse già terminato la conversazione. «Fra meno di un’ora sarà qui» sorrise
entusiasta, come se le avessero appena regalato un grosso pacco di caramelle.
«Oh… mi dispiace… non volevo costringerlo a tornare
prima…» bofonchiai a disagio.
Il suo sorriso si allargò, come se non avesse
ascoltato le mie parole. «Abbiamo un ora. Io e te insieme. Potremmo conoscerci
meglio!» esclamò felice.
Sgranai gli occhi, sorpresa, capendo che il grosso
pacco di caramelle ero in realtà io. Avevo capito che Edward era piuttosto
geloso nei miei confronti, che soprattutto aveva intuito che fare nuove
amicizie mi destabilizzava e mi metteva a disagio, così non avevo mai avuto
l’opportunità di approfondire il rapporto con Alice. Ma questo significava
davvero che… ero asociale?
Questa era la mia opportunità di cambiare? Avrei
davvero potuto farlo?
Sorrisi, riscuotendomi dai miei pensieri.
Anche Alice allargò il suo sorriso, prima di far
comparire sul suo musetto un’espressione contrariata. «Tesoro, sei uno
straccio, bisogna lavorarci su!» esclamò contenta, trascinandomi nella sua
stanza.
In poco mi trovai nelle sue mani, intente a
sistemarmi, truccarmi, trasformarmi. All’inizio stavo in silenzio, un po’ a
disagio per la sua esuberanza. Ma poi cominciai a dar retta alla voce che
sentivo dentro di me. Puoi cambiare…
Potevo farlo? Non ero riuscita a portare a termine il
mio proposito di cambiamento una volta. Ma questo significava che non potevo
farlo più? Mi imposi di sciogliere il mio palpabile imbarazzo e mi sforzai di
dire qualcosa.
«Ti ringrazio Alice, sei molto carina a fare questo
per me…» mormorai pregando di non arrossire troppo.
Sentii una risatina allegra, tipica di lei. «Ma io
sono entusiasta di fare questo! Mi piace tantissimo coccolarti tesoro!».
Inevitabilmente arrossii, diventando nuovamente muta. Tesoro…
«Su Bella, vedrai che con questa maschera e questi
trucchi diventerai ancor più bella! A Edward piacerà tantissimo!».
Sollevai lo sguardo, ispezionando il suo con la coda
dell’occhio. «Tu… dici?».
«Certo che si, ne sono sicura, vedrai! Sono sicura che
starete bene insieme, una coppia fantastica». Mi colpì con durezza il suo
entusiasmo e la sua certezza, che stridevano prepotentemente con la mia
insicurezza.
«Come… come fai ad esserne così sicura…?» chiesi
giocando nervosamente con le mani.
Trovai i suoi due grandi occhi ambra chiaro proprio
davanti al mio viso. «Perché io sono sempre sicura di quello che dico e quello
che faccio» rispose vispa.
Sbattei le palpebre, vergognandomi già della domanda
che stavo per fare. «Ma… non ti viene mai voglia di…» deglutii «cambiare le
tue… certezze?» cincischiai allontanando lo sguardo.
Si ritrasse, portandosi un dito sotto il mento. «I
cambiamenti sono difficili e lunghi. A volte necessari altre necessariamente
futili e vani. Secondo me l’importante, è farsi aiutare dagli altri per capire
cosa e come cambiare di noi stessi» s’interruppe, come se si fosse quasi
stupita della serietà delle sue parole. Poi scoppiò in una angelica quanto
sonora risata a cui a poco a poco mi unii anch’io, quasi forzatamente contagiata
dalla sua ilarità.
Dopo il trucco e dopo avermi sistemato i capelli
insistette perché indossassi uno dei suoi vestiti, storcendo il naso di fronte
al mio caldo, comodo, maglione di lana blu zaffiro.
«Prova questi, e questi, e questi altri…» diceva
buttando sul letto nuovi e nuovi capi.
«A-Alice» tentai di bloccarla.
Si voltò verso di me con un nuovo capo in mano.
«I-io… non credo sia una buona idea… sai…» deglutii,
notando la sua occhiata «m-magari ne provo solo uno…».
Prima che potesse ribattere ammutolendomi notai i suoi
occhi farsi vitrei e il suo sguardo lontano. Osservai nella stessa direzione in
cui stava guardando, ma non vidi nulla oltre alla parete spoglia.
«Alice…?» provai a chiamarla, debolmente.
Non si mosse. Sembrava una statua. Che stesse male?
«Alice?!» feci allarmata, andando verso di lei e
posandole una mano sulla spalla. «Alice, ti senti bene?!» chiesi con voce più
alta, stridula.
Improvvisamente si scosse, sbattendo le palpebre. Poi
mi osservò, sbuffando. Marciò decisa verso il letto, sommerso di costossissimi
capi d’abbigliamento, e cominciò a scavare nel mucchio, come se nulla fosse
successo. «Ecco, prova questo, credo che ti starebbe bene» disse infine con un
sorriso.
Non provai a controbattere ancora, e faci un sorriso
timido anch’io, afferrando dalle sue manine una paio di jeans scoloriti ad arte
ed un lungo maglione di cotone.
Andai ad indossarli in bagno. Quando però il ebbi
addosso mi resi conto di una stana cosa. Feci passare due dita fra il fianco e
il brodo dei jeans, stupendomi.
«Bella? Hai finito?» mi chiese la voce di Alice
dall’altra parte della porta del suo bagno.
«Io…» osservai ancora i jeans, «si» dissi infine.
Entrò, richiudendosi la porta alle spalle e
fissandomi. Sbatté le palpebre, osservando le mie dita sul fianco e poi il mio
viso. Sembrava calma, misurata. Non c’era traccia dell’esuberanza di pochi
minuti prima. «Sono larghi?» chiese con naturalezza.
«Si…» mormorai imbarazzata.
«Tesoro, devi mettere su qualche chilo» fece
squadrandomi con serietà, per poi alleggerire immediatamente la voce «io non ho
intenzione di mettermi a dieta, e se vorremmo scambiarci vestiti questa sarà la
nostra unica opportunità!» esclamò riconquistando il suo entusiasmo.
Sorrisi, sentendomi nuovamente a mio agio. «Va bene»
acconsentii contenta. Alice era davvero una ragazza dolce. Non mi sentivo
asociale con lei, e la sua schiettezza disinteressata nei miei confronti mi
faceva capire che non provava solo pena per me. Stavo già cambiando forse? No…
Era stata lei a guardare oltre, oltre il vuoto, oltre alla fragilità, e ad
entrare dentro me, leggendo me stessa.
«Bene!» fece gettandomi le braccia al collo e
abbracciandomi stretta.
Ridacchiai, ricambiando l’abbraccio.
D’un tratto si allontanò, baciandomi una guancia.
«Edward sta per tornare! Veloce, togliti questi jeans, ti do un paio di
fusoaux!» esclamò scomparendo nuovamente in camera.
Trovai al suo posto un’intera parete coperta da un
largo specchio.
Osservai la mia immagine non rendendomi perfettamente
conto della persona che mi stava di fronte. Ero io?
Solo ora, a contrasto con questa nuova me,
truccata e acconciata, potevo percepire quello che ero ordinariamente. Vidi una
me stessa magra, pallida. Vidi… le mie occhiaie. Vidi i miei capelli
spettinati.
Appena sentii il contatto delle dita con la pelle ora
rosea della guance mi resi conto che era reale anch’essa e che non era un sogno
lontano, ma che un giorno ci sarei veramente potuta arrivare.
Concentrata com’ero nella contemplazione di quella
nuova me stessa sentii prima due braccia forti avvolgermi, e poi vidi
l’immagine di Edward appena dietro di me. «Sei bellissima» sussurrò sul mio
collo, abbassandosi con la sua solita caratteristica lentezza a sfiorare la mia
pelle con le sue labbra.
«Grazie…» mormorai, arrossendo inevitabilmente.
I suoi occhi chiari si fecero vispi e attenti. «Hai
passato un buon pomeriggio?».
Mi liberai dalla sua presa, per poi girarmi ed
affondare il viso nel suo petto. «Si» mentii. «Tua sorella è molto simpatica»
aggiunsi poi, come se quel momento del pomeriggio fosse più importante delle
altre ore trascorse.
Vidi le sue labbra tendersi in un sorriso insicuro,
mentre con una mano mi accarezzava i capelli.
Volli necessariamente rimuovere tutto quello che in
quella giornata era successo. Potevo ricominciare, ricominciare a provare,
ricominciare a cambiare.
Strinsi più forte la presa sul suo maglione.
Potevo farcela.
«Mi sei mancato».
«Anche tu Bella, non sai quanto» i suoi occhi si
persero in lontananza. «Non sa quanto» ripeté, più a se stesso che a me.
Alice entrò in bagno con i fusoaux, ordinando a Edward
di andare via e sostenendo che mi dovevo cambiare. Risi, lasciando che lo
trascinasse via.
Non tutto era perduto. Pensai, sfilandomi i jeans a riponendoli su uno
sgabello lì accanto. Mi bloccai un attimo, con uno strano pensiero in testa.
Presi i pantaloni e il rivoltai, cercando l’etichetta.
“Taglia 40”.
Rabbrividii, facendoli scivolare della mie mani.
Eccomi!!
Si, lo so, lo so. Ritardo. Ma non è colpa mia! Questi capitoli sono importanti
e maledettamente difficili da scrivere. Grazie per il sostegno che continuate a
darmi nonostante i miei tempi odissiaci di pubblicazione.
Bene.
Diciamo le cose importanti.
Ho notato
un certo allarmismo per la questione Volturi. Non dovreste preoccuparvi tanto
per loro in sé, quanto per gli effetti che causeranno.
Poi…
Qualcuno, più di uno, ha detto che gli è sembrato strano il fatto che Edward
non sia intervenuto. Per il caso specifico dello scorso capitolo andate a
rileggere le parole che ha detto Bella. In generale, invece, posso dirvi che
sta cercando di andare avanti passetto dopo passetto; spera che sia lei ad
aprirsi, non la vuole forzare, perché… sapete cos’è l’effetto elastico? Bene.
:) Se lo tiri troppo poi ritorna indietro…
Spero che
abbiate capito su che linea d’onda vagassero i pensieri di Bella. Lei si vedeva
diversamente da come la vedevano gli altri e si è trovata catapultata in un
mondo in cui tutte le sue azioni le erano aliene…
Da questo
la domanda: chi sono? Quello che penso di essere o quello che pensano gli altri
di me?
Ultimo
punto. Preciso. La bulimia, per quanto possa esserne informata, causa
abbassamenti di peso, o anche sostanziali aumenti. Dipende dal periodo, dipende
da come e quanto lo si fa.
Per ora
Bella è molto dimagrita.
A presto
(si fa per dire), grazie di tutto!
Il mio blog, by Elena…
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
patu4ever
no,
non l’ho mangiata perché appunto, temevo la lavanda gastrica. Ahahah. No, non è
affatto facile mettersi nella mente di Bella, anzi, sempre più complicato. Ogni
capitolo è sempre più impegnativo, ma credo che questi siano i più difficili da
scrivere.
Ami_mercury
Ti
rispondo anche qua. :) So che parlare di bulimia non è facile. Perché so la
fatica che mi costa scrivere ogni capitolo e l’impegno che devo metterci per
non urtare la sensibilità di nessuno. Per me questa storia è molto importante,
anche più dell’altra. Lo stile è più ricercato perché, appunto, per ogni
singolo capitolo metto tutto il mio impegno e tutta me stessa, perché voglio
che sia davvero scritta bene e perché questa storia ho cominciato a scriverla
dopo molto tempo dai primi esperimenti, fra cui anche Cullen’s Love. Spero che
con il tempo non peggiori. Non ho voluto approfondire il rapporto ce si era
creato fra Bella e Edward perché ho preferito posporlo, verso tempi più felici.
Ho pensato che Bella vedesse ancora troppo “dentro se” per cominciare già a
guardare “fuori da sé”. Grazie per aver recensito, spero di migliorare e spero
di non sbagliare e spero inoltre i aver chiarito le mie motivazioni. :)
00Stella00
Grazie!
Grazie mille! Mi ha favorevolmente sorpreso con le tue recensioni. Ti chiedo
scusa se non poso essere più veloce a pubblicare, ma scriverla non è affatto
semplice. Per questo, in questa storia, non posso essere così condizionata dall’interesse
dei lettori. Anche perché è molto particolare e introspettiva e mi rendo conto
che può non piacere a tutti. Non ti preoccupare per il divario che hai
avvertito fra Edward e Bella… non c’è. E non ci sarà più. Lui sta semplicemente
cercando di non forzarla troppo. Si farà aiutare da lui, non ti preoccupare. :)
Un bacio e ancora grazie.
Noemix
la
scuola va… sappiamo come va, è una palla purtroppo! Ma non mi puoi dire che
preferisci il tuo lui a Edward! No, dico, a Edward! E’ scandaloso sai?! Sono
davvero così --> o.O Cioè… Edward è Edward!
luisina
tesora!!
Grazie! Ma io te ne dedicherei mille di capitoli (work in progress -ahahah)!!
Comunque, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. In questa storia mi
sto ammazzando per tentare in ogni modo di essere realistica. Penso in ogni
istante “cosa farei se fossi in lei?”. Per me questa ff è importante e voglio
scriverla bene. E spero di caratterizzare bene i personaggi!!! T.T Almeno qui
che sono miei… Grazie di tutto tesora, ti voglio benissimo! :*
mazza
A) eh
si si, provare non è riuscirci però, purtroppo… B) beh si, direi di si tesoro…
ahahah… vi metto questi indizi sparsi qui e la, ormai dovrebbe essere quasi
certo per voi… C) si si, ma tieni conto anche del fatto che insistere troppo
potrebbe portare alla rottura dell’equilibrio che sono riusciti a trovare, e
magari Bella si rifiuterebbe E) ahahahah! Si, si, mi servono per un motivo ben
preciso tesoro, poi vedrai… ^^ Non combineranno nulla di male loro, in sè F)
beh si, infatti… G) si, è una della conseguenze purtroppo H) beh non è solo una
questione di orgoglio sai… mmm… penso sia più complesso… E’come se dovesse
ammettere di essere arrivata fino a quel punto. Non so come spiegarlo. Perché è
come bere con una cannuccia da un bicchiere chiuso. Non ti accorgi di quello
che stai facendo finchè non arrivi al fondo. XD che metafore… I) ahahah, mi
immagino come sarai arrabbiata ora… ahahah J) Pensa alla parole che pronuncia
Bella e capirai tante cose piccoletta ^^ K) Già si si, ci prova. Poi non ci
riesce, am questo è una altro paio di maniche! La strada è lunga e tortuosa e
Bella ha appena cominciato a percorrerla. u.u Grazie tesoro, sono contenta ti
sia piaciuto *.*
irly18
grazie
mille, lo spero tanto davvero anch’io. So che è triste, non pretendo che tutti
comprendano la tristezza che aleggia a alberga in questa storia. E’anche molto
introspettiva e riflessiva. Fa del bene a me e mi gratifica scriverla,
l’importante è questo. Se poi piace è anche meglio. :) Grazie.
single93 è un modo di scrivere
molto “inglesizzante”, l’ho usto per far aumentare il senso di ansia e
d’angoscia. J In effetti tempo fa avevo il problema contrario, ma tenterò di
rimediare anche a questo, grazie di avermelo detto J
lindathedancer Grazie mille, ho
scavato molto in profondità nella coscienza di Bella, sarei voluta andare più a
fondo ancora ma c’è stato qualcosa a trattenermi. 1. Mantenere attiva la coscienza
di me stessa. 2. Non avere tempo per farlo! Ahahahah! XD
00Alice Cullen00 Edward non è andato
per un motivo preciso, mentre stava male Bella ha detto delle parole.
Ovviamente lui avrebbe preferito andarci, è stato molto combattuto, ma poi
bisognava vedere cosa ne avrebbe risolto. Bella si sarebbe fatta aiutare o
l’avrebbe respinto? Non è mai facile. Tutto cambia e la psicologia muta. J Di Minush c’è stato un
accenno ma presto, molto presto, ritornerà con un bel pezzo di capitolo
dedicato a lei.
ale03
no no,
ma dai, mica la facevo morire così, da un momento all’altro, senza un po’ di
emozione, senza un po’ di phatos prima… per quello c’è tempo… muahahah! XD No,
no, dai, non la faccio morire lei… PS. Si gli amici sono i Volturi… è facile ^^
erika1975
speriamo
di si… e speriamo che nel frattempo non ci siano intoppi di nessun genere… ^^
kikkikikki studi medicina? *.*
Wow, che bello, sappi che ti invidio profondamente, e che spero con tutto il
cuore, un giorno, di poter diventare tua collega, in modo da poter placare
questa mia passione. ^^ Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, quando
scrivo mi piace molto essere realistica, e curare gli aspetti “medici”, è una
mia grandissima passione. J Spero di non sbagliare ogni tanto… :P
Tatydanza oh, mi dispiace molto
per te. Capisco quello che vuoi dire, prima di affrontare un problema bisogna
ammettere di averlo, e Bella l’ha appena fatto. Una volta ammesso il problema
poi si prova a evirarlo, e quando non ci si riesce… o il problema viene portato
alle estreme conseguenze o si chiede aiuto. J Speriamo vada tutto bene, e spero per te che
riuscirai a dormire! XD
samy88
grazie
mille, sono contenta di trovare qualcuno che mi comprende. Ti dirò, io penso di
essere andata anche troppo velocemente con la scelta di Bella, spero non sia
così. Grazie ancora, un bacio! :*
federika88
Grazie,
ma sai, farsi aiutare non è così facile. Già voler smettere è un enorme passo
avanti, non si possono accelerare i tempi ^^ Sono andata fin troppo
velocemente…
silvia16595 guarda, figurati,
l’ultima volta che ho corso io (l’anno scorso), ho rigettato e per poco non mi
portavano via con la barella -.- no comment… esperienze che non voglio
ripetere, un chilometro e mezzo di corsa in un quarto d’ora… Per la tua domanda
ti rispondo si. I denti assumono un colore “sporco” perché lo smalto (che rende
i dentini tutti belli e bianchi) si corrode. Possono anche sembrare tipo
trasparenti. ^^ PS. I Volturi non daranno troppo fastidio ^^
cullengirl
le tue
domande avranno presto risposta. J Mi sembra ovvio che Edward sappia già che
Bella ha la bulimia ^^ La reazione di Bella è ignota ai più (tranne a me) e i
Volturi non faranno questo granché. J
Crystal90
Grazie
mille allora. J No, non avevi mai recensito, mi ricordo di tutti ^^ Per la tua
domanda, si, ci sarà un Edward POV a fine storia, ma non so quanto sarà lungo.
Forse solo un capitolo o forse tutti i capitoli ma solo nei momenti salienti e
ovviamente con scene inedite… non so ancora. Tutto dipende da molti fattori. J
lilly95lilly miglioramenti non ce ne
saranno ancora ^^ mi spiace
bigia alleluia! Qualcuno che
l’ha capito! Ohh! Allora era comprensibile la cosa! Perché nessuno, oltre a te,
è arrivato a capire che Edward non le dice nulla per l’arrivo di Volturi?! Mah.
Grazie di tutti i complimenti comunque… ^^
beuzz94 ah beh, se ne sei
affetta anche tu e dici che sono stata realistica allora ti ringrazio! Mi
dispiace per te però. Edward è strano è vero, ma non per quello, cioè anche, ma
il motivo principale è un altro J Beh, tutta la situazione è molto, molto, complicata ^^
Lau_twilight
Ok,
allora Emmett te lo cedo, è tutto tuo XD E’ vero questi capitoli sono un po’
tristi, ma infondo è tutta la storia ad essere triste, ci posso fare davvero
poco, mi spiace! ^^ Le tue previsioni sono molto rosee, ma mi dispiace
deluderti dicendo che non avverà nulla di quello che hai previsto ^^ Mi spiace!
Wind
oh,
beh, se ha psicoanalizzato te allora farlo con me sarà una passeggiata! Ahahah!
Si occupa di personalità profondamente sadiche?! XD
Shinalia
grazie!
Mi impegno al massimo per concentrarmi rimanere seria. In effetti si, a
componente maggiore che deve avvertire Bella è proprio questo senso di disagio
e paura di esser scoperta. “cosa diranno di me?”, “cosa penseranno?”. E’ questo
che pensa, credo ^^ In effetti Jasper non avrebbe esitato a mangiare il bel
dentista in un sol boccone!
barbyemarco
certo,
infatti stava per farlo, ma poi ha rimandato a “dopo” la visita dei Volturi. ^^
Devi anche tenere conto che lui capisce che l’equilibrio psichico di Bella è
instabile, e qualsiasi cosa potrebbe farla crollare… Oppure Bella potrebbe non
fidarsi più di lui e così non potrebbe mai aiutarla, capisci? J
chicchi già, scusami se ci
metto così tanto a pubblicare! Perdono!
araba89 ok, sarò davvero
contenta di farmi psicoanalizzare. Il mio indirizzo mail e msn, è francino_92@yahoo.it, se vuoi contattami
pure, mi farebbe piacere! Grazie di tutto. Si, le tue osservazioni sono esatte,
Bella è molto combattuta, Edward non ha ancora delineato una linea d’azione.
Innanzitutto però ha capito che no può dirglielo così, semplicemente. Però ha
anche paura, perché vede che Bella peggiora e il tempo stringe, allora non sa
come fare. Anche lui è molto combattuto. E, si, arrivano i Volturi, ma non si
vedranno ^^ Sono lì nascosti, ahahahahah! Ps. Faccio angosciare tutti! Che
bello… ahahah…
barbiemora______
mi
dispiace! Ma questa storia è molto difficile da scrivere, e per me è importante
scriverla molto bene e mettere tutta me stessa. Cercare di metterci meno tempo
ad aggiornare significa forzarmi, e quando mi forzo i capitoli non mi vengono
mai bene, mi spiace davvero molto, proverò a fare di tutto cmq per accorciare i
tempi. Grazie per il sostegno.
Bella_Cullen_1987
eh
già, povera bella ^^
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Capitolo 15 *** Natura Ragione Amore ***
Edward’s POV
Edward’s
POV
Poggiai la testa
all’indietro, sul muro. Unica
distanza che mi dividesse da lei, da Bella.
Era un tipico gesto umano, chiaro.
Uno dei tanti che
ormai, con solerzia, ero abituato a fare per sfuggire dai suoi sempre
più
insistenti sospetti.
Mi fu facile, grazie al mio udito,
udire un singulto.
Un unico suono che mi fece accapponare la pelle, pressoché
marmorea, e
stringere forte il cuore, incuneato nel petto.
Era la prima volta, nella mia lunga
esistenza, che
ringraziavo la mia natura. La sola che mi aveva potuto far capire che
dietro
quegli occhi nocciola, freddi, dietro quel viso immobile,
c’era in realtà molto
di più. C’era liquida fragilità,
dolore, angoscia e paura.
Allora avevo capito che la natura
era stata più
cattiva con lei che con me.
Era stata la natura, la sua fragile
natura umana, ad
offuscare la bellezza dei suoi bellissimi pensieri puri, pensieri che,
fin dal
primo istante, mi erano stati rivelati, grazie ad un’unione
diretta fra i
nostri cuori a cui non riuscivo ancora a dare un nome.
Sentii degli accessi di tosse e un
orribile sentore mi
arrivò al naso.
Strizzai gli occhi, come se davvero
potessi arginare
lacrime che ormai non esistevano più.
Era stato un destino
così beffardo.
Unirci con una strana emozione,
nata dal centro di noi
stessi, da un inesplicabile amore silenzioso e muto, ma
incommensurabilmente
potente.
Dividerci. Perché io ero
un mostro, e lei
umana. Perché lei, per me, era la più incredibile
tentazione. Perché la sua
natura fragile si vendicava al suo esterno della distruzione che creava
all’interno, allontanando tutti con una dura corazza!
Acqua e sale. Eravamo giunti alle
lacrime, l’ultima
fase, la più triste e la più dolorosa.
Mi voltai, fino a posare la fronte
sul muro
piastrellato dei bagni pubblici, meno freddo della mia fronte. Sono
qui.
Sono qui amore. Sono qui e penso a te. Mossi appena le
labbra, ad un volume
non udibile neppure da quelli della mia razza. «Ti
amo». Immaginai che,
realmente, le mie parole potessero in qualche modo farla sentire
meglio.
Non poter agire. Sentirla soffrire
e sapere di non
poter fare niente era un dolore incommensurabile. Sapevo tutto,
esattamente,
ormai da troppo. Ma sapevo già, anche, che se avessi agito
adesso molto
probabilmente l’avrei persa per sempre. Grazie a mia sorella
Alice, alla sua
dote eccezionale anche per uno come me, potevo sapere che le
possibilità di
successo ora erano ancora troppo poche. Troppo poche per rischiare.
Dovevo aspettare. Se mi fossi
già realmente proposto a
Bella, apertamente, come aiuto, avrei ottenuto solo l’effetto
opposto. Si
sarebbe chiusa in se stessa, mi avrebbe scacciato, allontanato. Era
così
fragile. Una bolla di sapone. Un contatto sbagliato e sarebbe esplosa.
Per
prenderla in mano avrei dovuto usare la massima cautela.
Dovevo aspettare. Aspettare che si
fidasse, che si
affidasse completamente a me.
Sentii la porta del bagno cigolare
e in un istante, ad
una velocità non apprezzabile ad occhi umano, mi ricomposi.
Dovevo aspettare, ma intanto, la
vedevo morire.
Nonostante si fosse lavata il
volto, cosa evidente a
causa delle minuscole goccioline che ancora permanevano attorno
all’attaccatura
dei capelli, sul suo viso rimaneva marchiato il segno del suo male. Era
evidente come, giorno dopo giorno, la luce dei suoi occhi si spegnesse.
Come il
suo pallore fosse sempre più simile al mio. Come la linea
degli zigomi si
marcasse sempre più.
Eppure, nell’ultimo
periodo mi pareva che qualcosa
fosse cambiato!
Notando in mio sguardo su di lei
abbassò gli occhi, a
disagio. Chissà se si rendeva conto di quello che faceva. Un
tenue rossore si
diffuse sulle sue guance, portando alle mie narici la fragranza del suo
delizioso nettare.
Sentii la gola bruciare, inondata
da un veleno che
richiedeva voluttuosamente il suo sangue. La mia natura mostruosa. Un vampiro.
Mi costrinsi a sorridere con naturalezza ignorando la lama ardente che
mi
bruciava la gola. «Andiamo, Alice ci raggiungerà
fra un’ora» dissi tranquillo,
passando un braccio intorno alla sua vita.
Sentii delle scintille calde e il
bruciore
accentuarsi, ma non ci badai. Dovevo fare molta più
attenzione per dosare la
mia forza e non farle del male.
Eravamo al centro commerciale di
Port Angeles, perché
secondo Carlisle stare in mezzo alla gente poteva aiutarla, e Alice non
si era
lasciata scappare occasione di pregarmi per concederle di venire con
noi;
tuttavia non volevo che Bella fosse travolta dai suoi modi di fare,
lei, che si
rapportava con cautela con chi gli stava attorno, che era schiva e non
parlava
con piacere con altri.
Tuttavia, dopo che ero andato a
caccia l’ultima volta
e che Bella era venuta a trovarmi a casa mentre io non c’ero,
sembrava essersi
creato uno strano cameratismo fra lei e mia sorella. E qualsiasi cosa
la
facesse stare meglio faceva decisamente stare meglio anche me.
Sollevai la sua mano bianca,
sottile, fragile, e
abituandomi pian piano al suo odore soave la portai alle labbra,
baciandola.
Lei mi sorrise timidamente, stringendosi su di me, posando il suo capo
sul mio
petto e tornando con lo sguardo verso il film che stavamo guardando.
Vedevo la
luce della proiezione riflettersi nelle sue iridi color cioccolato, i
suoi
occhi liquidi che tanto adoravo.
Interrompendo la contemplazione
della sua deliziosa
bellezza, staccai la sua mano dalle labbra e scorsi il segno scuro sul
suo dito
indice, sentendo automaticamente un’altra fitta al cuore.
Abbronzatura. Così mi
aveva detto. Come se non avessi
già notato il colore scuro dei suoi denti o come stringeva
con forza la sua
borsa, evidentemente piena di cibo. Vedere il modo in cui mangiava e
successivamente, i controlli di mio padre, furono solo una conferma.
La mia natura
mi suggeriva di farla avidamente
via, succhiandole la vita. La mia razionalità,
invece, mi diceva di
allontanarmi da lei, da preservarla dal mostro che ero. Il mio amore
mi
imponeva di rimanerle accanto ed aiutarla in ogni modo.
Fu così che lasciai
vincere l’amore. La razionalità
non era abbastanza potente e la natura affatto incantevole.
Era ovvio che tutta la mia famiglia
venisse a
conoscenza di quello che era accaduto. Dei miei pensieri, dei problemi
in cui
ero incorso; accennai a Bella, così Rosalie e Alice
litigarono.
Ah, Rosalie. Sentii le mie mani
stringersi in due
pugni. In ogni modo tentavo di preservare Bella dal suo sguardo
infuocato,
perché non riuscivo ad immaginare cosa sarebbe accaduto, se,
per caso, l’avesse
incontrato. Non sarei riuscito a rispondere della mie azioni. Neppure
con mia
sorella.
Sentii dei piccoli singhiozzi sul
petto: stava
piangendo, una delle ennesime volte. La strinsi con più
forza, sempre attento a
preservare la sua immensa fragilità, tenendola stretta a me
e lasciando che si
aggrappasse alle mie spalle con le sue manine piccole e delicate. Fra
noi non
c’erano abbracci stretti e calorosi, ma nei pochi millimetri
che ci separavano
si sprigionavano come mille piccolissime e minuscole scosse elettriche.
Speravo che il pianto le concedesse
una certa pace,
cosa che, purtroppo, accadeva molto raramente.
Ultimamente la situazione sembrava
seriamente
peggiorata. Da un lato mi ero accorto, grazie anche al potere di Alice
di
vedere il futuro, che aveva cercato di contenersi, di ridurre le sue
crisi,
addirittura a sole due volte a settimana, e proprio per questo ero
stato
incoraggiato da mio padre a non intervenire, ad aspettare, ancora. Ma
Bella
peggiorava. Peggiorava ed era già peggiorata. E quello che
mi faceva più paura
era non poter conoscere le sue esatte condizioni.
C’erano state diverse
occasioni in cui, con diversi
pretesti, l’avevo fatta visitare da Carlisle.
Aveva molti problemi: lo smalto dei
denti era
evidentemente corroso, era in visibile e crescente sottopeso, il colore
dei
suoi occhi tendeva verso il giallo, chiaro segno di problemi epatici,
il suo
quadro clinico non era affatto dei migliori. Ma quello che mi
preoccupava era
che questa era la situazione di un mese fa.
«E’
passato?» le chiesi porgendole un fazzoletto.
Lei guardò dispiaciuta
l’alone di lacrime che mi ha
lasciato sulla camicia, non sapendo che Alice l’adorava anche
per questo. «E’…
non è niente…» tentò di
giustificarsi.
Serrai la mascella, ma non dissi
nulla, perché non le
chiedevo spiegazioni, mai. Sarebbe stato solo peggio, indurla a trovare
nuove
scuse. Mi avvicinai, piano, smettendo per qualche istante di respirare
e
posando le mie labbra sulla sua fronte calda e soffice.
Sentii in lontananza i pensieri di
mia sorella Alice.
Si, potevo leggere nel pensiero di tutti, indistintamente. Tranne del
mio unico
amore, ovviamente, per il continuo gioco a cui il destino ci aveva
sottoposti.
«Bella! Come sono
contenta! Possiamo andare a comprare
dei vestiti? Su, su, ti prego!».
Bella
s’irrigidì, arrossendo.
Vidi nella mente di mia sorella
formarsi l’immagine di
me che la rimproveravo per la sua esuberanza e che andavo via insieme a
Bella.
«No, no, non farmi questo Edward, sarò
buona, lo giuro!» mi disse
attraverso i suoi pensieri.
«Si, si. Va
bene» disse infine Bella, con un sorriso.
Mi beai di quella dolce e
incantevole curva sulle sue
labbra. Vederla sorridere era una perla rara e di bellezza incredibile
che mi
faceva capire ancor di più perché l’amassi.
Lasciai che mi sorella la
costeggiasse, abbracciandola
e incamminandosi verso la boutique più vicina. Aspettai tre
passi e poi mi
mossi anch’io. Concederle di avere altre amicizie era
fondamentale. Per ora avevo
agito rapidamente, guidato, appunto, dall’amore, ma se ci
fosse stato un tempo
in cui la ragione avrebbe dovuto vincere Bella avrebbe dovuto avere
amici,
amici umani soprattutto. Come, per esempio, Angela Weber, ragazzina,
figlia del
pastore, disponibile e dal cuore buono e generoso.
Non che avessi
l’intenzione o la forza di lasciare
Bella. In questo momento il mio sostegno le era indispensabile, e
chissà quali
ricadute avrebbe potuto avere se l’avessi lasciata dopo che,
speravo che
accadesse presto, fosse guarita. Essere così
importante per lei, non era
un bene, perché, lo sapevo, stavo diventando la sua nuova
malattia. Ma come
potevo allontanarmi da lei quando sapevo di desiderarla allo stesso
modo?
Almeno io non le facevo del male. Per ora.
«Bella! Accidenti, ma non
ti avevo detto di ingrassare
un po’? Mi farai impazzire, non troverò mai nulla
che vada a entrambe!».
M’irrigidì,
colpito dalle parole di mia sorella.
Subito dopo, però, emisi un sospiro di sollievo, sentendo la
meravigliosa
risata di Bella.
«No, Alice, non ti
costringerò a metterti a dieta! Tu
sei perfetta così, sai?».
«Infatti, lo so.
Rimediamo per te» mia sorella si
piantonò nel largo corridoio in marmo della galleria,
illuminato dalle bianche
luci artificiali. «Edward, valle a prendere qualcosa da
mangiare, su, marsch!».
Scrutai la mia piccola umana,
cercando segni di
tensione sul suo volto.
Lei mi sorrise, facendo spallucce.
Beh, considerando che quello che
aveva mangiato per
pranzo era finito nei gabinetti dei bagni pubblici…
Mi lasciai trascinare dal mio
istinto verso l’odioso
odore del cibo umano. Storsi il naso di fronte alla fila di umani in
coda per
mangiare. Ci avrei messo un po’.
Speravo solo che andasse tutto bene
e che riuscisse a
mangiarlo con calma. Di solito, quando ero con lei, la imboccavo, in
modo dal
farle prendere il mio ritmo e di farla mangiare lentamente senza che se
ne
accorgesse. Molto spesso, dopo mangiato, la trattenevo prima che
andasse in
bagno e a volte riuscivo a farla rimanere con me.
Tuttavia, altrettanto spesso, non
ci potevo fare
nulla. Ero davvero impaziente di vederla guarita, sana, in forma. Ma,
lo
sapevo, dovevo aspettare.
Perché,
l’ultimo passo da compire per farla fidare di
me era raccontarle il mio segreto. Il mio e quello della mia famiglia.
Rosalie
già mi odiava per questo, ma io non potevo permettermi di
tradirla così,
celandole una cosa di tale importanza. Avevo più volte
tentato di dirglielo, ma
poi, sia per il mio terrore della sua reazione sia per vari altri
motivi, le
circostanze erano state avverse. Infine eravamo venuti a conoscenza,
tramite
Alice, di una straordinaria visita da parte dei Volturi, la casata
italiana
reale dei vampiri.
Se Aro, il leggitore di pensieri
presenti e passati,
fosse venuto a sapere che Bella conosceva il segreto,
l’avrebbe uccisa. Questa
era la legge.
Così, prima di poterla
aiutare concretamente c’erano
tanti passi da compiere. Per poterla aiutare, c’era bisogno
che si fidasse di
me. Perché si fidasse di me, c’era bisogno che le
raccontassi del mio segreto. E
prima di poterle raccontare del mio segreto, c’era bisogno
che aspettassimo la
visita dei Volturi.
Intanto, almeno, ero riuscito a
comprendere la causa e
l’origine di tutti i suoi mali.
La separazione dei suoi genitori.
Fin da piccola,
dall’età di quattro anni, quando aveva assistito
ad una loro lite, si era
assunta la responsabilità di tutto quello che era successo.
Ancora non sapevo
con precisione quando avesse cominciato ad avere dei problemi
alimentari, ma
tutto doveva essere cresciuto, sempre più, nel tempo. Il suo
dolore l’aveva
invasa da dentro, consumandola e sgretolandola, rendendola friabile,
fragile.
Compattare il male, voleva dire riconoscere il vuoto.
Ma una cosa riconoscere
il vuoto e riempirlo.
Un’altra è
riconoscere il vuoto e accorgersi della sua
immensità, inserendo nuovo spazio vuoto.
Pagai quello che avevo preso. Un
panino, insipido, con
lattuga e formaggio: poco pesante e non troppo saporito, proprio quello
che ci
voleva per lei.
Improvvisamente sentii, come una
forte e dolorosa scarica
elettrica, i pensieri ansiosi di mia sorella. Vidi, attraverso la sua
mente, la
mia dolce, graziosa Bella, il viso imperlato di sudore, le guance
arrossate,
una mano portata appena sotto lo sterno.
M’immobilizzai. Stava
male, era evidente. Non era la
prima volta che accadeva, ma ogni volta era peggio per lei come era
peggio per
me. Perché non sapevo cosa fare. Sarei corso da lei,
prendendola fra le
braccia, rassicurandola, baciandola, aiutandola, andando anche incontro
a tutti
i miei propositi di aspettare. E l’avrei fatto…
Ma. Ma… Le sue parole,
le sue lacrime, durate la crisi
peggiore che avesse mai avuto. «Edward…
ti prego non venire…». Così
aveva detto, mi aveva pregato di non andare da lei. Piccolo amore con
un dolore
così grande.
Mentre mi muovevo, a sostenuta
velocità umana, verso
di lei, vidi il suo volto schiarirsi, lasciandole un sempre
più accentuato e
grigio pallore. Fece un debole sorriso a mia sorella, preoccupata e
disorientata. Non sapeva come comportarsi.
Senza dire nulla entrai nella
boutique, costeggiando
immediatamente Bella e passando con cautela un braccio intorno alla sua
vita,
accertandomi delle sue condizioni e contemporaneamente
tentando di non
apparire troppo teso.
«Edward, hai
visto? Che cos’ha? Sembrava avesse
dolore… Dobbiamo accelerare i tempi, ho un brutto
presentimento».
Annuii impercettibilmente. Notavo
che la temperatura
di Bella aveva avuto un aumento di quasi mezzo grado e che il suo
respiro era
più affrettato a stanco.
«Tachicardia?»
chiesi, velocemente e a bassissimo
volume a mia sorella.
Lei lanciò
un’occhiata apprensiva a quella che già
considerava come sua sorella. «No, il suo cuore
stava bene».
«Avete trovato qualcosa
di carino?» chiesi, scrutando
il volto di Bella.
Lei si morse il labbro.
«S-si… Alice mi ha mostrato un
vestito molto carino… Ma n-non… Non mi va di
prenderlo ora…».
Sorrisi, nonostante tutta
l’inquietudine che sentivo
dentro. «Va bene, ti ho preso qualcosa da mangiare.
Però andiamo ai tavolini,
va bene? Qui c’è troppa confusione».
Andammo a sederci a dei tavolini
predisposti
appositamente, scegliendo una zona appartata del grande centro
commerciale. La
tenevo sulle mie ginocchia, ignorando tutte le sue proteste. Le
spezzettavo con
le mani il panino in piccole porzioni, in modo che i bocconi fossero
sempre
misurati. Le riempivo il bicchiere d’acqua, assicurandomi che
bevesse
abbastanza.
Parlavamo, tranquillamente, aveva
anche sorriso un
paio di volte; volevo a tutti i costi alleggerire l’atmosfera
e intanto mi
godevo, come avevo imparato a fare, i rari momenti solo per noi, in cui
tutto
sembrava andasse bene. In cui non c’era la mia natura
mostruosa. In cui non
c’erano i suoi problemi. Eravamo solo noi.
Mia sorella, stranamente, stava in
silenzio. Era
davvero rimasta scossa da quello che era successo. Era vero che tante
volte le
avevo raccontato dei problemi di Bella, a quello che poteva assistere,
che
tante altre volte lei stessa si era ritrovata a vederlo per mezzo delle
sue
visioni. Ma non aveva mai assistito. Adesso sapeva a cosa andava
incontro
volendo Bella come amica.
Luce e Buio.
Lei sessa me l’aveva
detto, quando, ad ogni costo,
aveva preteso che facessimo un patto svantaggioso per me, in cui dovevo
accettare la sua luce, non fare domande sul suo buio e donarle tutto me
stesso.
Non avevo potuto non accettare.
Appartenevo a lei.
Avevamo anche, come avevo fatto una
volta da
ragazzino, stretto un patto. L’avevo portata in una pineta,
non magica, forse,
con i pezzettini di legno umido e di carboni fastidiosi sotto i piedi,
ma che
per me era un posto naturale in cui potersi sentire allegri e in pace.
Ovviamente, sarebbe stato
impossibile utilizzare il
sangue per svariati motivi. Nonostante stessi sviluppando una certa
resistenza
al suo odore, era pur sempre la mia cantante, il mio unico pasto
più
succulento. Inoltre, non avrei avuto, pur riuscendo a tagliarmi, sangue
da
utilizzare.
Quindi avevamo preferito farlo con
delle piccole
chiocce di capelli.
«Alice, che hai? Non ti
senti bene?» chiese timorosa,
vedendo mia sorella stranamente silenziosa, con la testa poggiata sui
gomiti.
«Come? No… non
ho niente Bella, non ti preoccupare»
mormorò giocherellando con le dita sottili con un pezzetto
di carta.
Lanciai un’occhiata
apprensiva a mia sorella. Sentivo
i suoi pensieri, tristi e turbinosi e anche piuttosto incoerenti.
«Accompagnala
un po’ fuori, io vi raggiungo subito». Rimasi
fermo, seduto al tavolo,
vedendole uscire fuori.
Quando furono abbastanza lontane
agii d’impulso e
chiamai Jasper, mio fratello, che anche tanto, nascosto un
po’ dietro le
quinte, mi aveva aiutato con Bella servendosi del suo potere di
riconoscere e
manipolare le emozioni altrui. «Jasper, dovresti venire a
prendere tua moglie.
Credo che sia necessario…».
Non appena Jasper mi raggiunse
andai insieme a lui
all’esterno dell’edifico, sul retro, nel grande
parco verde. Alice e Bella
erano sedute a capo chino, ferme su due altalene, in silenzio.
Quando Alice vide Jasper si
sollevò immediatamente e
si avviò velocemente verso di lui, ringraziandomi
mentalmente. Le sorrisi dolcemente.
Anche se non eravamo veramente fratelli non avrei mai potuto immaginare
una
sorella con cui avere un rapporto migliore; le volevo bene.
Mentre loro andavano a sedersi su
una panchina poco
distante, decisi di cogliere di sorpresa Bella, avvicinandomi da dietro
e
spingendola gentilmente.
Lei trasalì e potei
sentire il sussulto del suo cuore
e l’odore prepotente del suo sangue. Mi sorrise, notandomi.
Un sorriso bello,
luminoso, spensierato. Uno di quelli che mi faceva pensare che la vita
era
fatta di bellissime e intense emozioni.
Le diedi un’altra spinta,
contenendo ampiamente la mia
forza, e volò leggermente più in alto. La sua
risata cristallina fu miele
prelibato per le mie orecchie.
«Edward…
Edward… più su!» rise, contenta, come
una
bambina.
La sua euforia contagiò
anche me, che continuai a
spingerla, ancora più su, sentendo nuove melodiose risate,
godendo appieno di
quel momento così bello e felice.
Come l’amavo.
Mi aveva fatto rinascere
completamente.
L’afferrai, attento a non
farle male, gettandola a
terra, sul mio corpo, e rotolando sull’erba insieme a lei, in
un coro di risate
spensierate.
Ci trovammo faccia a faccia, troppo
vicini per tirarci
indietro. Così, con un immensa forza di volontà,
ignorai il bruciore ardente
alla gola e mi avvicinai, piano, con cautela, alle sue labbra,
sfiorandone e
lambendone delicatamente la punta, rosea. Mi concessi un brevissimo
respiro,
avvicinando, tremante, ancora di più le labbra e facendole
perfettamente
coincidere.
Qualcosa di orribile ruppe quel
magico momento. Nuove
immagini, agghiaccianti, veloci, turbinarono nella mente di mia
sorella.
Non c’era più
tempo.
Dovevamo agire, in fretta.
Emm…
toc,
toc… C’è nessuno?!
Lo so!!
Sono passate due settimane. T.T
Giuro, lo
giuro, sto tentando di velocizzarmi! Ma questa storia mi porta via una
marea di
energie ogni volta! Okay, okay, non ci sono scusanti, passiamo
direttamente ai
fatti.
Allora.
Un pov Edward. Perché? Perché questo capitolo,
l’unico in tutta la storia col
pov Edward, mi serve a far capire sia come tutti vedono esternamente
Bella. Sia
a chiarire i motivi per cui Edward non sta facendo nulla, a rispondere
alle
vostre legittime domande quando mi chiedete “ma lui
sa?” ecc ecc… Spero vi sia
piaciuto e che sia stato abbastanza triste ^^
Altra cosa.
Charlie sta cominciando a capire qualcosa… ma… la
vera domanda è… cosa capirà?
Quello che è quello che pensa e vuole che sia?
Ultima
riflessione… molte di voi hanno detto che i compagni di
Bella sono stati
cattivi. Ora… sto tentando di togliere da questa storia la
patina bambinesca
buono-cattivo. Già ho toppato con Jessica e Lauren, in
futuro concederò loro
maggiore spessore. Dicevo. I ragazzi non sono stati propriamente
cattivi. Non
vi è mai capitato di ridere mentre l’insegnante
richiamava bonariamente un
compagno? Magari facendo una battuta? E’ successo questo. Il
problema è Bella…
è troppo fragile, si sente esposta… una minima
cosa la fa reagire in quel
senso.
Spero di
aver chiarito tutto. Anche il problema Volturi che aveva scatenato un
certo panico.
Alla
prossima, spero, presto!
PS.
Grazie, perché nonostante tutto continuate a leggere questa
storia e a
lasciarmi magnifici commenti!
(fatto da
Elena)
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
Sognatrice85
Grazie
mille! E’ davvero importante per me riuscire a comunicare
quello che provo e
che sento, e quando capisco che qualcuno apprezza ciò che
faccio non posso fare
a meno di sentirmi appagata e lusingata. Il tempo e l’impegno
per scrivere
questa storia sono tanti. Ma… è importante per
me, e continuo a farlo. Grazie
ancora.
abcdes
Accidenti,
grazie. Ti posso davvero comprendere se mi dici che senti quello che
prova
anche Bella. E’ difficile, lo so, a volte mi sembra che la
vita voglia solo
ostacolarci. Poi però, quando vivo dei momenti davvero
felici penso che ne
valga la pena di vivere, di soffrire anche. Ti posso capire. Spero
tanto che la
vita ti regali luce! Grazie ancora, davvero.
patu4ever
Tesoro.
:) Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Questo è
altrettanto triste e
inquietante, ma spero, comunque, ti sia piaciuto lo stesso. Mi sto
impegnando
davvero molto per questa storia, anche se non sembra considerando che
aggiorno
ogni morte di papa! Ahahah!
luisina
Tesoro!
Grazie mille per la tua recensione, per me è preziosissima,
come sempre.
Allora… il fatto che Bella non riconosca la sua
immagine… mmm… ho pensato che
magari, visto che si era chiusa in se stessa, in una dimensione in cui
esisteva
solo la sua solitudine e il suo dolore, tutto fosse immutabile. E che
si
accorgesse solo a livello inconscio dei cambiamenti che stavano
avvenendo. Ma
ovviamente io posso solo averlo immaginato! Mi dispiace se ho scritto
qualcosa
che non fosse prettamente realistico. Per il resto, sono contenta di
averci
preso. Ovviamente tu, che sei dotata di ottimo giudizio e perspicacia
hai ben
inteso cosa volessi comunicare nel testo. Grazie mille tesoro, spero di
portare
avanti questa storia nel migliore dei modi. Un bacio! :*
anna_dreamwalker
Grazie!
Le tue parole mi riempiono di sincera felicità! Sicuramente
avrai capito con
che spirito cerco di affrontare quello che scrivo, mettendo me stessa,
e spero
di avertelo comunicato. Non voglio smettere di migliorare, e mi sto
impegnando
per farlo. Grazie ancora per la tua bellissima recensione!
Checca
Cullen Grazie!
Come sono contenta che tu stia leggendo anche questa! Sei
un vero tesoro e le tue parole sono sempre più belle. Tento
di rendere
realistici i pensieri dei miei personaggi, e in fondo penso che un
giorno,
ognuno di noi, anche tu magari, abbia pensato le stesse cose che pensa
Bella.
Non con quei
problemi,
certo, ma… la fragilità fa parte della natura
umana. E’
questo che penso. ;) Ciao cara! :* Francesca.
Noemix
Cuore!
Mi sei diventata la poetessa che stende inni all’amore?
ahahah. Sono contenta
che il capitolo ti sia piaciuto. Di passaggio…
mmm… beh, diciamo che in questa
storia ogni capitolo ha la sua totale importanza, non si può
lasciare nulla al
caso e si deve raccordare tutto perfettamente! E’ una cosa
ben complicata… già.
Spero di non sbagliare! :P
00Stella00
Grazie!
Sei sempre molto dolce con me… Mi dispiace se ci metto
così tanto, ma, come ho
detto, scrivere questa storia non è un’esperienza
troppo semplice purtroppo; e
poi c’è anche l’altra storia che mi
porta via tantissimo tempo, quindi…! Povera
me! :P Per quanto riguarda Bella… non è
così facile. Ti dico già che non
accadranno molte cose belle, e prima di guarire… la strada
è molto lunga. :)
kikkikikki
Grazie
cara! E’
importate per me avere qualcuno come te che mi recensisca ogni volta in
maniera
così gratificante! Le tue recensioni sono sempre
più preziose per me. In questa
storia ho racchiuso tutti i sentimenti più profondi, anche
se spesso non troppo
felici, che ho potuto provare nella mia esistenza. E’ vero
che molto spesso non
sono facili da scrivere, ma è anche vero che una volta
scritti ti danno una
grande soddisfazione.
barbyemarco
Cara!
Troppo realistica?! Ahahah… Grazie! Lo spero davvero, mi
impegno per esserlo,
per entrare nella sua mente… ma poi dopo un po’ mi
sembra come se fosse lei ad
entrare nella mia, non il contrario! Ahahah…
Shinalia
Grazie
mille! Sono contenta che ti siano arrivate queste, seppur negative,
emozioni.
Riuscirai sicuramente a sentirne altre!
beuzz94
ecco, in effetti
Charlie sembra che stia cominciando a capire. Sembra. Chissà
a che conclusioni
arriverà… Credo che in questo capito, vedendola
dall’esterno, si posso
comprendere ancora meglio cos’è che logora la
nostra Bella. I problemi non sono
finiti.
Wind
Già
lo
so benissimo che è molto doloroso. All’inizio ho
pensato che la reazione
potesse passare come esagerata, ma non credo sia così, mi
sarei comportata come
Bella. Forse perché mi sento tanto, troppo, nei suoi panni,
ogni tanto. Come
dici tu, la strada è lunga. Infinita forse.
cullengirl
Bene
allora. :) Si, Bella cambierà, ma io non la farei
così facile… la cosa è molto
complessa…
silvia16595
beh,
si, daranno
fastidio in maniera indiretta. Va bene così?! ^^ Allora sei
tu la ragazza delle
emoticon! Ahahah, mi sono scervellata! Ok, ok, si sono carine ^^ Si, ho
aggiornato un giorno prima perché sono riuscita a finirlo.
Che brava no?
ahahah, vabbè, mica tanto… Non ti preoccupare,
Bella migliorerà… Fidati! ^^
Jordy
Klein Grazie
mille, lo farò. Spero di poter comunicare ancora i pensieri
di Bella al mondo, non è così semplice, e non
sono bei pensieri, ma penso che
molta gente possa ritrovarcisi. Grazie ancora.
ale03
beh
si, la situazione con Charlie si evolverà ancora, si
arriverà ad un punto
importante della narrazione in cui penso tutto sarà
chiarito. Ma la storia è
comunque un pochino triste… già ti
informo… ^^ Anche Edward e Alice faranno la
loro :)
bigia
si
si, e li meriti
tutti gli applausi, te li faccio anch’io! ahahah! Sono
contenta che l’angoscia
di Bella ti sia arrivata. Spero che i suoi pensieri siano stati
coerenti.
Dovrebbero ^^
lindathedancer
Grazie
davvero! Mi fai
felice tu a dirmi queste parole… Si, con questa storia sto
andando molto, molto
piano con i tempi, voglio rendere tutto realistico, e magari preferirei
sbagliare in “lentezza” che non in
“velocità”. Non voglio trattare
dell’argomento in maniera superficiale, ben lungi da me.
Edward si muove molto
prudentemente, Alice le darà una mano concreta con il tempo
e Charlie… prima
risolverà i problemi con lui e con la madre e prima
riemergerà dalla voragine.
Grazie ancora!
endif
Certo
che si, ormai
siamo in confidenza. :) Ti ringrazio molto, spero vivamente si sia
notato
l’impegno che ho messo e che sto mettendo in questa storia.
Non che non ne metta
nell’altra, ma… sono profondamente diverse. Questa
è nata con una coscienza
d’insieme e con le idee ben chiare fin da subito,
l’altra è cresciuta con me,
me la sono portata dietro nelle mie giornate e attraverso i miei stati
d’animo.
Non permetto a nessuno di toccare questa! Ahahah… No, sul
serio… voglio
veramente bene a questa storia. Avevi ragione per l’Edward
POV; avevo già in
mente di scriverlo, e appena ho trovato il modo giusto per inserirlo
l’ho
fatto. ;) Grazie infinite, sono contenta che la musica ti sia
piaciuta. Un
bacio! Francesca.
single93
Ma
no figurati, non me
la potrei mai prendere per così poco dopo quello che ho
passato! Ahahah!
Figurati… Dicevo… Si, cercherò di
adattare lo stile allo stato d’animo dei
personaggi, mi piace fare così. Le vie di mezzo non fanno
per me, che amo il
bianco e il nero. Purtroppo. Per quanto riguarda il problema di Edward
alla
fine mi sono rassegnata a mettere un suo POV. Spero di non aver fatto
male.
Crystal90
Ahh,
mi spiace! Mi rendo conto che posto con i tempi di un elefante! Grazie
mille
per la recensione, ci ho messo tutta me stessa e tentare di comprendere
questa
Bella non è qualcosa di troppo semplice. Penso che dopo aver
finito questa
storia andrò in psicoanalisi! Ahahah… grazie.
Bella_Cullen_1987
beh,
meno di una 40 in teoria… Ci voleva un po’ di
intervento di Alice per
movimentare le acque…
lilly95lilly
cattiveria
da parte
mia? … ma no… :D Solo realismo dai, col tempo
ogni cosa migliorerà. Vedrai. :)
Peggiorerà ma poi migliorerà…
Lau_twilight
Grazie
mille. :) Beh, ci tengo a precisare che non vorrei che voi vedesti gli
altri
come i “cattivi”. Penso che bisogna anche prendere
in considerazione quale è
stato il comportamento di Bella verso il mondo finché non si
è aperta. E’ vero,
era asociale. Non credo che ci siano persone buone e cattive. Ognuno ha
le sue
colpe. :)
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Capitolo 16 *** Veterinario ***
Gettai il gomitolo di lana che avevo in mano lontano da
me
Gettai il gomitolo di lana che
avevo in mano lontano
da me.
«Miao!».
Contenta, Minush saltellò sulle sue
zampe posteriori degne di una papera, seguendo i rimbalzi della pallina
rossa.
Ultimamente le cose stavano andando
piuttosto bene. Riuscivo,
il più delle volte, a controllarmi, sia prima che dopo
mangiato. Avevo un
quaderno su cui scrivevo tutto quello che mangiavo, e mi imponevo di
essere
costantemente padrona di me stessa. Non dovevo pensare al cibo.
Questo
era il mio pensiero costante. Non pensarci, non pensarci e continuare a
non
farlo. Resistere ancora.
Le unghiette di Minush nella stoffa
dei jeans si mi
ricordarono che non le stavo prestando attenzione. Sorrisi, prendendola
in
braccio e facendola volteggiare leggermente, prima di stringerla con
forza a me
e sentire la morbidezza del suo pelo sulla mia pelle.
Le volevo bene. Sapevo che
qualsiasi altra persona mi
avrebbe giudicata come una ragazzina superficiale, che concentra il
proprio
affetto su un animale domestico e dice “ti voglio
bene” al primo essere
animato. Ma… per me era proprio così. Quando mi
sentivo sola, triste, lei
c’era. Quando avevo fame, e rimanevo per ore intere a fissare
il frigo tentando
in ogni modo di non andare a mangiare ogni cosa che vi fosse contenuta,
lei
c’era. Quando piangevo, distrutta, dolorante, sul pavimento
del bagno,
rimpiangendo l’ennesima sciocchezza commessa, lei
c’era. Era lì, miagolava,
imperterrita, finché non mi convinceva ad alzarmi e
ricominciare a vivere. Non
avevo nessun segreto con lei.
Risi, quando mi sentii solleticare
dalla sua lingua
sulla pancia, appena sotto l’ombelico.
L’accarezzai, staccandola
da me e sollevandola
dall’attaccatura delle zampine anteriori. Com’era
buffa la sua espressione,
sembrava che le avessi appena tolto i suo giocattolo preferito.
«Miao»
protestò infatti.
Risi, tirandole con un dito sulla
testa e
divertendomi, vedendo le sue orecchie appiattirsi.
«Bella! Vieni
giù». La voce di mio padre,
proveniente dal piano inferiore, mi raggiunse fin dentro la camera.
Sbuffai, prendendo Minush tra le
mani e avviandomi
fuori dalla stanza. Con mio padre l’ultima settimana era
stata perfetta. Non
c’era stato mai, e io avevo sentito un amaro e soddisfacente
senso di
soddisfazione. Aveva deciso di non far nulla e mi stava bene
così. Non mi importava.
Lo trovai ad aspettarmi in cucina,
seduto al tavolo
apparecchiato col solito cibo da tavola calda. «Su, mangia
con me, mi fai
compagnia».
Sbuffai seccamente, tentando di non
farmi vedere.
«E’ per stare
un po’ con te, solo questo» disse,
muovendosi a disagio sulla sedia.
Pensava forse che fossi stupida?!
Pensava che non mi
sarei accorta che mi voleva controllare? Sentii un grosso moto
d’irritazione
nascere dentro me. Serrai i denti, evitando, la prima volta nella mia
vita, di
rispondere male a mio padre. Mi sedetti, stizzita, senza dir nulla.
Mangiavo in silenzio,
concentrandomi sul cibo, su
quello che facevo, e sul fatto che ben presto Edward sarebbe passato a
prendermi. Mi faceva così bene stare con lui! La lontananza
mi deprimeva
immediatamente.
Mio padre poggiò il
bicchiere sul tavolo, facendo
appositamente rumore. «Beh Bella, come vanno le cose? Mi
sembri silenziosa, c’è
qualcosa che non va?».
Ma come faceva a non capire? Come?!
Volevo solo
mangiare, in silenzio, non stavo facendo nulla di male!
Perché doveva pensare
sempre a qualcosa, di sbagliato poi?! Mi limitai a mugugnare un
«no»,
infilzando un altro pezzettino di insalata multicolore.
«Come? Non ho
sentito?».
«No! No papà.
No!» sbottai esasperata, lasciando
cadere la forchetta.
Mio padre non disse nulla. Mi
guardò in silenzio,
facendomi sentire in colpa.
Continuai a mangiare, stizzita,
tentando pure di
controllarmi e non sfogarmi sul cibo, e contribuendo a far aumentare
esponenzialmente la mia agitazione.
Mi dava fastidio, immensamente
fastidio, che usasse
quei modi, spacciandoli per finto disinteresse, per tentare di
estorcere
informazioni. Ero irritabile. Potevo permettermelo accidenti?!
Edward venne a prendermi
un’ora dopo, appena dopo che
ebbi finito di lavare i piatti. Ovviamente mio padre fece commenti poco
graditi, sul fatto che stessi sempre insieme a lui, facendo aumentare
ancora, a
dismisura, il mio nervosismo.
«Ma ti rendi conto?! Mi
chiedeva se ci fosse “qualcosa
che non va”, che cosa voleva?!» urtai con la
schiena contro lo schienale della
Volvo, facendo schioccare la lingua, «cavolo! Pensa forse che
io sia stupida?»
mi lamentai con Edward.
«Magari era solo
preoccupato per te» tentò di placarmi,
continuando a guidare.
Strinsi con forza Minush a me,
rischiando di soffocarla.
«Se fosse stato preoccupato avrebbe potuto chiedermelo
direttamente, no?»
esclamai, serrando i denti.
Lui mi sorrise comprensivo,
voltandosi verso di me.
«Gli avresti risposto?».
Mi bloccai, incupita. No. Non gli
avrei risposto. Ma
questo non voleva dire nulla, accidenti! «Edward!»
esclamai, arrabbiata anche
con lui «da che parte stai tu?!» chiesi, con le
lacrime agli occhi. Pensare di
avere torto e che anche gli altri la pensavano come mio padre non mi
aiutava
affatto, anzi.
Accostò,
un’espressione sorpresa e afflitta sul volto,
facendomi sentire infinitamente in colpa per avergli urlato contro. Mi
sentivo talmente sola…
Scoppiai a piangere,
così mi prese fra la braccia e mi
strinse a sé, tentando di placare una mia ennesima crisi di
pianto, mentre mi
lasciavo cullare, perdonandolo necessariamente all’istante.
Ero così volubile… Come
se un qualsiasi evento, anche a distanza di chilometri e chilometri,
avrebbe
potuto sconvolgermi in ogni istante. Come se fossi esposta in
un’immensa
pubblica gogna, pronta a subire il lancio di frutta e verdura marci.
Minush miagolò, spaurita
perché troppo vicina a
Edward, facendoci separare. Ancora proprio non riusciva a tollerarlo,
sembrava
quasi, incredibilmente, che ne avesse paura!
«Scusami, non volevo dire
che sono d’accordo con tuo
padre» disse, evidentemente preoccupato per una mia eventuale
reazione,
guardandomi negli occhi «voglio solo che tu ti senta libera
di dirmi se c’è
qualcosa che non va, e se vuoi puoi…» si morse la
lingua. Sembrava incerto.
Tirai su col naso, asciugandomi le
lacrime. «Non fa
nulla Edward, andiamo» dissi, stringendo a me la gattina e
sistemandomi meglio
sul mio sedile. Edward rimase ancora qualche secondo, incerto, con le
labbra
contratte, a guardare verso di me. Gli sorrisi debolmente, abbassando
il capo,
allora si raddrizzò e mise in moto.
Arrivammo dopo poco tempo allo
studio veterinario di
un amico di Carlisle. Eravamo venuti apposta per fare un controllo
completo a
Minush e per somministrarle il primo ciclo di vaccini.
«E’questa la
gattina?» chiese il dottor Osiander,
scrutando Minush coi suoi bei occhi celesti. Era un
bell’uomo, giovane,
energico, ma anche pieno di vita e voglia di fare esperienza.
Ovviamente la sua
bellezza non poteva minimamente competere con quella di Edward,
né di qualcun
altro dei Cullen.
«Signorina…
posso prenderla?» chiese, sfilandomela
dalle mani.
«Si, certo»
dissi arrossendo.
L’accarezzò, e
Minush iniziò a leccargli il dito. «E’
davvero carina, come la padrona d’altronde… come
di chiama?».
Feci per rispondere, ma Edward mi
interruppe. «Non c’è
suo padre?» chiese, scrutando la sala. Evidentemente doveva
essere il figlio
del veterinario che stavamo cercando.
Lui alzò la testa, non
smettendo di sorridere finché
non si scontrò con l’espressione di Edward.
«No. Lo sostituisco io» disse, poco
temerario.
Lui fece per ribattere qualcosa, ma
io, avendo notato
il clima strano, lo zittii. «Va bene, possiamo cominciare?
Vorrei fare in
fretta se possibile…».
«Ma certo,
seguitemi» ci invitò gentile e entusiasta,
facendoci strada verso il suo studio.
Gli dissi che volevo fare una
visita completa alla
gattina e lui mi spiegò i vari controlli che avrebbe
effettuato. Rabbrividii
notevolmente quando vidi le siringhe dei vaccini, avvicinando a me
Minush,
spaventata.
Lui e Edward se ne accorsero.
«Ha paura degli aghi?»
chiese il dottore, vendendo accanto a me come se gli avessi appena dato
il
pretesto di dire qualcosa. Mi prese le mani fra le sue e le strinse con
energia, facendomi avvampare e sentire la sguardo infuocato di Edward
alle mie
spalle. «Non si deve preoccupare!»
esclamò, fissandomi coi suoi bei occhioni
blu «ci penserò io, non le farò del
male, parola di Tom, mi dia pure del tu»
concluse con uno smisurato sorriso.
«B-Bella»
balbettai, a disagio per i suoi modi
confidenziali.
Animato, prese una siringa in mano
e la brandì vicino
al mio viso. «Vede? Non c’è nulla di cui
preoccuparsi!».
Velocemente mi voltai, spaurita,
rifugiandomi sul
petto di Edward.
«Io penso sia meglio che
aspettiamo fuori, mentre lei,
Tom visita Minush» disse con tono freddo,
stringendomi e uscendo dallo
studio.
Lanciai un’occhiata
fugace alla gattina, che miagolava
sulla scrivania, prima di vederla scomparire dietro una porta chiusa.
«Ti sta
antipatico?» chiesi a Edward, seduto accanto a
me in corsia d’attesa.
«Chi?».
«Come chi? Il dottor
Osiander. Te lo sei mangiato…»
constatai sottotono.
Edward ghignò in modo
strano, facendo scoprire i suoi
denti bianchi e lucenti. «Tom…»
disse voltandosi verso di me «è
possibile che io sia geloso di qualcuno che porta il nome di un
gatto?»
sogghignò.
«Sei geloso?»
chiesi.
«Certo che si. Di te
sempre…» confessò senza pudore.
Mi avvicinai, facendomi
abbracciare. «Lo sai che non
devi esserlo. Per me ci sei solo tu. E Minush ovviamente…
chissà come sta…».
Lui fece schioccare la lingua.
«Sembra che Tom
non gli sia affatto antipatico».
M’irrigidì,
capendo di cosa, in particolare, era
geloso Edward. «Edward…» lo chiamai,
facendolo voltare verso di me «lo sai che
in fondo Minush ti vuole bene. Lei è socievole con tutti,
quindi se non lo è
proprio con te… beh, magari devi esserne contento
perché è comunque un rapporto
privilegiato! O magari devi pensare che sia gelosa!».
Lui mi fissò, tentando
di non scoppiare a ridere dopo
la mia brillante arringa campata per aria.
«Non fare quella
faccia» borbottai.
«Sembra che io sia sullo
stesso piano del gatto».
«No, infatti, non
è così. Minush viene prima».
«Ohhh. Minush
viene prima».
Mi bloccò la mano prima
che potessi tirargli uno
scappellotto, avvicinandosi lentamente alle mie labbra e stravolgendo
completamente le mie intenzioni…
«Bella!» mi
chiamò a gran voce Tom, interrompendoci. «Credo
che Minush abbia bisogno della tua presenza, non è disposta
a collaborare»
disse, continuando come se nulla fosse.
Sospirai.
«Okay».
Non appena Minush mi vide mi si
fiondò addosso, cominciando
a leccarmi dappertutto.
Tom mi invitò caldamente
a sistemarmi accanto al piano
coperto dalla carta ruvida.
«Bene, possiamo iniziare
la visita». Prese Minush
dalle mie mani e la pose sul ripiano, cominciando ad esaminarla.
Edward, dietro di me, aveva posato
una mano sulla mia
spalla.
Minush si lasciava toccare,
palpeggiare, scrutare,
disorientata, con i suoi soliti riflessi troppo lenti e così
simili ai miei.
Quando Tom lo notò, e notò anche la sua strana
forma a X delle zampe
posteriori, propose di fare qualcosa in merito.
«Servirebbe
un’operazione, mi meraviglio del fatto che
questo gatto riesca a camminare, dovrebbe essere pressoché
privo di
equilibrio».
Mi spaventai. «Operarla?
Non voglio operarla…»
deglutii, terrorizzata a quella prospettiva. Minush era come una
sorella per
me. Una figlia o un’amica. Era così piccola,
tenera e fragile, non potevano
farle del male…
La presa di Edward si fece
più salda. «Sono sicuro che
Minush starà bene anche così, non penso sia
necessario che venga operata».
La gattina miagolò,
tentando di saltare fra le mie
braccia, ma Tom glielo impedì, afferrandola.
«Ma avrà
sempre un equilibrio precario, non sarà mai
come gli altri gatti».
Sussultai.
«Non importa»
fece Edward, duro. «Non sarà uguale agli
altri, ma non vuol dire che non è perfetta così
com’è» fece una pausa, duro.
«E
poi dev’essere Bella a decidere».
Entrambi guardarono me,
così non esitai a rispondere,
spaventata. «No… Vi prego. Non posso neppure
pensare che…» mi allungai su
Minush, accarezzandola. «A me lei va bene
così». La voce mi tremava. Pensare
che qualcuno volesse cambiarla mi faceva credere che non andasse bene
così
com’era, che tutti volessero che fosse diversa, o migliore, e
di conseguenza
che dovessi esserlo anch’io. Ma Minush a me piaceva, no?
Perché mai avrei
dovuto cambiarla per renderla uguale agli altri?
Tom sorrise, come non aveva fatto
con Edward. «Ma
certo, va bene. In fondo cos’è che ci rende unici,
i difetti, no?!» asserì con
entusiasmo.
Sorrisi, cercando di dimostrarmi
almeno un po’ del suo
stesso umore. La verità era che mi era rimasto addosso un
forte senso di
preoccupazione e disagio.
Edward, probabilmente intuendo
tutto questo, mi parlò,
distraendomi. Mi disse che Esme aveva comprato una nuova scacchiera e
che le
sarebbe piaciuto se quella sera fossi andata a provarla. O magari a
vederli
giocare.
«Sei bravo? Beh, io
punterei su Alice» dissi,
sorridendo debolmente e guardandolo per pochi istanti in viso.
Sghignazzò.
«Non credo che potrebbe vincere contro di
me!».
«Ma sentilo,
l’umiltà fatta persona» borbottai,
arrossendo.
Rise.
In quel momento sentii un miagolio
acuto. Tom stava
facendo uno dei vaccini a Minush. Non appena vidi la siringa sbiancai e
sentii
le ginocchia cedermi. Accidenti.
Prima che potessi accasciarmi a
terra, e, prima che
potessi rendermi conto del mio stato, Edward strinse le braccia intorno
ai miei
fianchi, tenendomi su. Non mi sarei fatta prendere così
tanto dalla cosa se non
fosse stato per il fatto che mi aveva preso totalmente alla sprovvista
e che
fossi già provata dalla situazione. Ero così
imbarazzata, eppure completamente
priva di forze.
«Bella, Bella»
mi chiamò più volte, scuotendomi
leggermente.
Tom, che nel frattempo, concentrato
su Minush, non si
era accorto di nulla, si voltò verso di noi.
Sgranò gli occhi. «O cielo!
Cos’ha?! Chiamo un’ambulanza?».
Mi sentii sollevare da terra,
mentre avvertivo le guance
stranamente fredde e il campo visivo innaturalmente ristretto.
«Non è
nulla» disse Edward, tranquillo, «si è
solo un
po’ spaventata per l’ago, sta bene».
Sentii della carta ruvida sotto la
guancia e le sue
dita fredde sulla fronte. A poco a poco la stanza smise di girare. Vidi
il suo
volto che mi scrutava, sorridendomi rassicurante. Sembrava
più amareggiato dalla
situazione, che preoccupato.
La voce di Tom giunse da destra.
«Ragazzo, fammi
controllare. Potrei visitarla».
«Non credo sia
necessario». Edward mi accarezzò i
capelli.
«Lo può
lasciare decidere a me? Tra i due penso che
quello che ha più competenze mediche sia io»
rispose Tom, stizzito.
Edward fece per parlare, ma poi si
zittì, stringendo
le labbra e fulminandolo con lo sguardo.
Mi riscossi, prima che si potesse
scatenare una lite,
strofinandomi le guance nel tentativo di darmi calore. «Sto
bene, davvero.
Scusate».
Sollevandomi per mettermi seduta,
sentii comparire
nuovamente il consueto, doloroso fastidio sotto lo sterno. Sospirai,
stringendo
gli occhi.
Tom mi osservava attento senza dire
nulla, magari
aspettando che mi sentissi nuovamente male e che avesse il pretesto per
fargliela vedere a Edward.
«Potresti dirmi se
c’è un bagno?». Sentendomi in
dovere di giustificarmi, aggiunsi, «vorrei rinfrescarmi un
po’».
«Certo, il corridoio
appena fuori, seconda porta a
sinistra. Con Minush abbiamo finito, ti aspetto alla
reception».
Non appena fui in bagno mi piegai
sul lavandino,
tenendomi una mano sullo stomaco dolorante. Ansimai leggermente,
tuttavia
tentai di ricompormi immediatamente. Avevo sperato che smettendo di
vomitare
quasi ogni giorno il dolore passasse, ma mi ero sbagliata di grosso.
Dannazione!
A cosa valevano tutti gli sforzi
che stavo facendo per
tentare di controllarmi?! A quel punto ne valeva davvero la pena
lottare?
Mi sciacquai velocemente la faccia
con acqua gelata,
prendendo dalla borsa il flacone con gli antiacido. Lo rovesciai sulla
mano e
cadde una sola compressa, l’ultima. Sbuffai, muovendo le mani
agitata. Portai
velocemente un sorso d’acqua alla bocca e la ingoiai
rapidamente, accasciandomi
poi contro la parete e aspettando che il dolore passasse.
Quando i tremiti abbandonarono
completamente il mio
corpo, con estenuante lentezza, afferrai il flaconcino vuoto, e lo
buttai nel
cestino accanto, rannicchiandomi su me stessa. Presi dalla borsa il
quadernetto
su cui scrivevo ogni cosa che avevo mangiato. Quel giorno, complice
l’irritazione per le parole di mio padre, me ne ero
dimenticata, e non potevo
permettere che la situazione mi sfuggisse di mano, neppure una volta.
Fissai la pagina vuota,
inespressiva, forzandomi per
ricordare cosa avevo mangiato. Insalata. Si, quella si. Concentrati
Bella,
concentrati, ricorda…
Mi strinsi con le braccia intorno
al petto quando
sentii un dolore più forte. Non appena fu passata
singhiozzai, strappando la
pagina con la parola appena scritta.
Che cosa mi stava succedendo? Mi
ero spinta troppo
oltre nella mia follia? Tutti sarebbero venuti a sapere del mio
segreto, l’avrei
dovuto confessare, senza poterci fare nulla? Sarei morta?
Vidi nella mia mente
l’immagine di Edward, che,
afflitto, veniva a sapere di tutto. No. Non poteva essere.
Dopo meno di cinque minuti, passati
in un fastidioso e
sordo silenzio, il dolore era divenuto sopportabile, e mi costrinsi a
ricominciare a pensare coerentemente e più superficialmente.
Mi ricomposi e raggiunsi Minush,
Tom e Edward.
«Tutto bene?»
mi sussurrò, accarezzandomi una guancia.
Annuii, ancora scossa, preferendo
non parlare.
Probabilmente Tom fu molto cortese,
ed entusiasta,
ma non riuscii a ben comprendere quello che mi stava dicendo mentre mi
passava
Minush a cui aveva attaccato un fiocco rosa.
«Non ti è
ancora passata la paura degli aghi?» chiese
Edward, guidando verso casa sua.
«No» risposi
laconica. Stropicciai con le dita il
nastrino, fino a staccarlo dal collare rosso ciliegia di Minush e
cominciai a
giocarci con le dita. Lei si era addormentata e stava teneramente
sognando
sulle mie ginocchia.
Mi parve sentir dire
qualcos’altro da Edward, ma non
riuscii a capirlo e non mi sforzai di farlo.
«Perché ne hai
paura?» chiese poi. Sembrava
sinceramente curioso.
«Non lo so. Hai presente
tutto quel discorso sulle
fobie, paure inconsce… Non so» risposi, svogliata.
Sospirai, poi aggiunsi,
tentando di essere più cortese e di apparire meno turbata,
«magari ha a che
fare con la paura dell’ospedale, medici e annessi e
connessi…».
Lo sentii irrigidirsi e le sue mani
si strinsero
attorno al volante, ma non disse più nulla.
Quel gesto bastò a far
scemare parte del mio
disinteresse, ma non fu abbastanza per farmi diventare così
sfacciata e
temeraria da chiedere spiegazioni.
Decidemmo di lasciare Minush in
camera di Edward, a
dormire. L’avremmo sicuramente sentita se si fosse svegliata.
Aveva il potere
di miagolare, o meglio, come dicevamo io e Edward, “paperare”
molto
forte. Sembrava un pulcino quando miagolava!
«Hai fame?
C’è la frutta. Dovremmo aspettare un po’
prima che Esme e Carlisle tornino. Anche Alice…».
Accettai, ringraziandolo, il
grappolo d’uva che mi
aveva offerto, sedendomi sulle sue ginocchia e mangiandolo in silenzio.
A poco
a poco ogni residuo di dolore scomparve, assieme ai miei pensieri
più tristi.
Poggiai la testa sulla sua spalla, pensando che Edward non sarebbe
venuto a
sapere nulla, e che tutto sarebbe andato per il meglio.
Stare insieme a lui mi aiutava,
sempre. Prima di
tutto, mi aiutava a non pensare. Secondo, sapevo che non mi avrebbe mai
vietato
né obbligato a fare niente. Terzo, mi faceva stare meglio,
sentire felice,
sapevo che riusciva a comprendermi. E per ultima cosa
l’amavo, e questo bastava
a giustificare tutto il resto.
Sentii le mie mani, protese per
afferrare l’ultimo
chicco d’uva, fra le sue, forti, che le fermavano.
Mi voltai perplessa a fissare il
suo volto tranquillo.
«Che c’è?».
Mi sorrise, lasciando andare le mie
mani e prendendo
l’ultimo chicco fra le dita. «Aspetta, non lo
mangiare, voglio farti vedere una
cosa».
Aprì un cassetto della
penisola della cucina e ne
estrasse del filo. Notai che armeggiava per cercare anche
qualcos’altro. Feci
per sollevarmi dalle sue gambe, in modo che potesse fare dei movimenti
con più
agevolezza, ma lui me lo impedì, tenendomi stretta.
Estrasse una piccola pinza e
poi… un ago.
Impallidii, sconcertata.
«No, aspetta»
disse, lui, con calma. «Voglio, solo…»
disse, sistemando l’ago e il filo.
«Non aver paura,
guarda». Con fermezza e precisione
degne di un chirurgo afferrò il chicco d’uva e
cominciò a cucirci sopra.
Non capii cosa stesse facendo,
né tanto meno come
riusciva a farlo senza rompere il piccolo frutto, ma rimasi a guardare,
in
silenzio, lasciando scomparire sempre più
l’originaria fobia. Lo osservavo
lavorare con rapidità e precisione, nonostante
l’impiccio di avermi fra le
braccia.
«Come fai?».
«Carlisle»
rispose, e potei giurare che stesse
sorridendo, nonostante non riuscissi a distogliere lo sguardo dalle sue
mani
operose. «Lui mi ha insegnato».
Non appena ebbe finito potei notare
il disegno che era
comparso su buona parte del frutto, tracciato dal cotone rosso. Un
cuore.
«E’ un tipo di
punti che viene utilizzato per ricucire
le arterie» disse, scrollando le spalle.
Rabbrividii, irrigidendomi.
«Che orrore…».
Lui rise, spensierato.
«Non dire così. Non fa male. E
poi c’è anche una cosa divertente che si
può fare con ago e filo».
«A si?!» chiesi
sarcastica.
«Dammi il dito»
disse, convinto, tendendomi la mano.
«C-cosa? No!»
esclamai sorpresa.
«Dammi il dito, ti dico.
Giuro che non farà male. E
non sarà spiacevole».
Guardai la sua mano, ancora tesa.
«No… Edward… no… Mi
uscirà sangue!».
«Non sarà
così, affatto».
«Invece si».
«Ti fidi di
me?».
Sospirai.
«Si…» mormorai a mezza voce, lasciando
che
prendesse il dito con la mano. Era l’unica persona al mondo
della quale mi
fidavo, e mi pareva anche di averglielo dimostrato.
Chiusi gli occhi, spaventata,
quando posò l’ago sulla
punta del dito.
«No, guarda»
disse, costringendomi a riaprirli.
Con delicatezza fece una lieve
pressione, mettendo
l’ago trasversalmente rispetto al dito. Sentii una piccola
stretta al dito e
vidi la pelle chiazzarsi di bianco e rosso, a seconda di dove il sangue
si
concentrava. Rabbrividii, sentendo le labbra di Edward sul collo e il
filo che
lentamente passava sotto il leggerissimo strato di pelle, senza
però romperla. Le
dita bianche di Edward afferrarono i lembi del cotone rosso e fecero un
piccolo
fiocchetto di un centimetro. Poi tagliò la parte rimanente.
«Me lo faceva sempre mia
madre, quando da piccolo la
osservavo cucire» mi spiegò, accarezzando la punta
del dito.
Vide che non parlavo, osservando il
fiocchetto.
«Ti ho fatto
male?».
Scossi la testa, aggrappandomi con
le braccia al suo
collo. Sapevo che mi aveva confidato una parte di lui. E questa era
un’altra
delle cose che amavo di Edward, il fatto che potessi aprirmi
completamente al
lui come lui a me. A nessun’altro avevo raccontato dei miei
genitori… solo a
lui.
E non me ne pentivo, affatto.
Adoravo tutta quella
sincerità.
E da
questa fine… Si capisce molto. :)
Il gioco
del fiocchetto lo faceva sempre mio papà, ne ho un ricordo
molto allegro, non
inorridite, è divertente! :P
Beh,
spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci sono tutti i preamboli
per quello
successivo.
Già
ve lo
dico, da prossimo si entrerà nel vivo della narrazione e
così anche vicini alla
fine. Mancano 5 o 6 capitoli, non credo di più.
E vi dico
anche che questa storia avrà una parte piuttosto triste,
quindi siate
preparate, mi raccomando. Non uccidetemi poi…
Beh penso
che il capitolo si commenti solo, no?
Ah, lo
dico in anticipo. Segnare maniacalmente quello che si mangia su un
quadernetto,
auto-imporsi costantemente di non mangiare troppo, di
controllarsi… Non sono
vie efficaci di guarigione, non vorrei darvi troppe speranze.
Bella ora
arriva ad avere paura per il suo stato… Ma non basta.
Vi mando
un bacio, vi dico “grazie”, perché
continuate a seguirmi nonostante i tempi di
pubblicazione. Grazie, a chi commenta qui o sul mio blog. Grazie, a chi
legge o
a chi apprezza la mia storia. Grazie.
(fatto da
Elena)
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
pinkiller
Grazie
immensamente di seguire entrambe le mie storie! Sono contentissima di
essere
riuscita, anche se magari solo per poco, a farti immedesimare. Davvero,
grazie.
luisina
Tesora
mia! Grazie di tutto, come al solito sei gentilissima con me! *.* Sono
contenta
che i POV Edward ti piacciano, ma come ben saprai, sono anche molto
difficile
da scrivere per me, e penso che la loro apprezzabilità
dipenda anche dalla rarità
con cui li inserisco! Forse ce ne sarà uno solo alla fine, o
forse nessuno, non
so ancora. Ho desiderato inserirlo per chiarire ciò che a
molti (non perspicaci
come te! :P) poteva essere sfuggito. Per mettere tutto in chiaro, sia
quello
che era nel passato, sia quello che avverrà… ;)
Mille grazie ancora! Un bacio
grande! :*
00Stella00
Oh,
ha
abbandonato? Beh, mi dispiace, siete amiche, no? Dille di non
abbandonare, non
ne vale la pena. So che ci possono essere momenti di crisi o di
eccessivo
impegno, ma l’importante è continuare a scrivere e
migliorare. Grazie mille per
i tuoi complimenti, e scusa se ti ho fatto aspettare così
tanto! :P
SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate
Grazie
mille! Le tue parole sono davvero molto carine e gentili. Ti
dirò che la trama
si svilupperà dal prossimo capitolo in poi con una certa
velocità, e che quindi
presto saremo vicini alla fine. Grazie ancora, Francesca.
Noemix
Ahahah…
Mi dispiace, ma Cullen’s Love ha un po’ la
priorità nella mia mente, non perché
la preferisca a questa, anzi è proprio il contrario. Ma
è anche vero che questa
è costitutivamente più difficile da scrivere. Per
bella, si, non c’è più
tempo…
si vedrà fra un paio di capitoli… Questo non
è stato molto molto triste, ma mi
serviva per collegare. Sono contenta che il pov Edward ti sia piaciuto,
ti
ringrazio per le bellissime recensioni che mi lascio ogni volta tesoro.
:*
kikkikikki
Oh,
cielo! Grazie. Non
so come fai, ma ogni tua recensione che leggo mi sembra il massimo che
io possa
desiderare, poi, leggo quella successiva, e mi accorgo che non
è così, perché
quella è ancora migliore. Grazie. Credo di essere stata un
po’ superficiale in
questo capitolo, ma volevo solo rendere la quiete prima della vera
tempesta…
Grazie ancora.
Jordy
Klein Scusa,
scusa, scusa! Perdonami se puoi! La mia vita è un impegno
dopo l’altro, proprio non ho potuto aggiornare prima! Grazie
di tutto! E ancora
scusa!
beuzz94
beh, mi dispiace che
il mistero della visione di Alice non sia stato svelato, lo
sarà fra appena…
due capitoli, che non sono poi tanti se non si tiene conto del tempo
che ci
metto ogni volta ad aggiornare! :P perdono please!
silvia16595
No,
non vogliono nulla
di male! Ti voglio rassicurare. :) Grazie di lasciarmi sempre commenti
sul
blog, lo apprezzo tantissimo. :) Sono molto contenta che il capitolo ti
sia
piaciuto e che ti abbia chiarito alcune cose. Ho pensato che fosse
proprio
necessario, non è così?! Grazie tantissime
ragazza delle emoticons, non
smettere di commentare, mi fai sempre più felice! :)
shasha5
Grazie
mille!
Addirittura piangere? Oh cielo, mi fai troppo contenta! Sono
felicissima che
l’Edward’s POV ti sia piaciuto, non me la cavo mai
troppo bene con i suoi
pensieri. Purtroppo Bella però non sta bene, e si
vedrà presto quanto…
Shinalia
Grazie,
davvero grazie. Sono contentissima del fatto che la mia storia continui
a
piacerti. Volevo comunicare sia tutto il dolore, il senso
d’impotenza di
Edward, sia far capire tante cose che magari rimanevano troppo oscure
da
comprendere semplicemente e solo con il Bella’s POV. Il
prossimo sarà davvero
un capitolo sconvolgente, e accadrà qualcosa di inaspettato!
:)
lindathedancer
Grazie
mille, sono felice
che tu sia comprensiva per quanto riguarda i tempi di pubblicazione.
Purtroppo
c’è gente che, giustamente, non riesce a
continuare a seguire il filo logico
della storia e perciò mi “abbandona”. :)
Beh, non fa nulla, l’importante è
continuare a scrivere per me e tutti voi che continuate a seguirmi con
passione. Sono contenta che tu abbia apprezzato l’Edward POV.
Questo era
l’ultimo capitolo di passaggio, da questo in poi
accadrà davvero il finimondo.
Grazie mille della bellissima recensione.
barbyemarco
Oh,
mi
spiace se non si è capito qualcosa. E’ che davvero
scrivo a troppo tempo di
distanza ed è difficile per me stessa mantenere un certo
filo logico… Penso che
la tua curiosità verrà ben appagata nel prossimo
capito, nel quale accadrà di
tutto di più! :)
single93
Mi
dispace per la tua
febbre, ormai è passato tanto tempo :P Quindi spero e credo
ti sia passata!
Grazie mille, sono contenta che tu abbia apprezzato il POV Edward,
volevo
delucidare un po’ la situazione. Quanto accadrà
è collegato ai dolori, si, ma
anche ad altro!
Crystal90
Beh,
si, allora spero che mi perdonerai anche questa volta! Sono contenta
che i miei
capitoli ti piacciano, ti ringrazio davvero tanto. Spero si sia capito
in che
direzione sta agendo Edward, in questo capitolo ha fatto qualcosa di
importante. Nel prossimo sconvolgerò un po’ la
situazione… Grazie ancora.
bigia
grazie
mille! No, nulla
di positivo purtroppo, ma non disperare, ok? Accadrà di
tutto e di più ma
l’importante è mantenere sempre la calma
necessaria. :)
lilly95lilly
bene,
sono contenta
allora!!! A curiosità fa sempre bene! Un bacione grande e
grazie!
endif
Grazie,
grazie mille
tesoro. Sapere che il tuo giudizio, così importante per me,
è positivo… mi
riempie di gioia. Questo Edward POV è stato molto ragionato
per quello che
volevo dire, ma non per i sentimenti che volevo metterci. Parlando di
dolore…
ne ho molto da dedicare hai miei personaggi. Non voglio dire che provo
spesso
dolore, credo che capiti a tutti, come a me; tuttavia io cerco di
sfruttarlo e
canalizzarlo nelle mie storie, in modo da vivificarle. Grazie, questa
tua
recensione, ribadisco, è stata davvero un qualcosa di
stupendo. Spero di poteri
ancora regalare nuove emozioni. Un bacio, Francesca.
Lau_twilight
Grazie
tesoro! Sono contenta tu abbia apprezzato il POV Edward. La strada da
compiere
è parecchio difficile ancora, e non è detto che
andrà a fine palesemente bene.
Purtroppo, la visione di Alice non promette nulla di buono, mi dispiace
tanto.
Edward sarà sempre così… premuroso. :)
invasata
Grazie!
Grazie mille! Sei stata davvero gentile. Ho tentato di scrivere questa
storia
in maniera realistica, pensando e immaginando tutto quello che poteva
accadere.
L’ho scritta già sapendo che non sarebbe potuta
essere una fiaba felice, e
spero di star facendo bene. Grazie di tutto. Francesca.
ale03
Cara!
Beh è facilmente immaginabile cosa possa aver visto Alice,
no? Se non l’hai
immaginato, purtroppo, temo che presto verrai a saperlo… Si,
la storia sarà
triste in diversi punti, e ancora non so QUANTO bene
finirà…
Wind
Io
penso che le sceglierà entrambe, sai? Mmm… la
cosa è complessa. Sono contenta
che tu abbia apprezzato il mio tentativo di delucidazione. Grazie cara!
:)
patu4ever
Grazie.
:) Beh, si, sai com’è, per me due settimane
è ritardo… ahahah Dovrei aggiornare
almeno una volta a settimana, ma… è
pressoché impossibile che io lo faccia.
Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, era importante farvi
conoscere
il Punto di vista di Edward.
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Capitolo 17 *** Luce ***
Risi, prendendo la coperta dalle sue mani
Risi, prendendo la coperta dalle
sue mani.
«Smettila Edward, oppure
non ci vengo in campeggio con
te!» dissi, facendogli la linguaccia. Che bambina che ero.
«Ancora non riesco a
capire come tu abbia fatto a convincermi».
Ammiccò nella mia
direzione, finendo di sistemare gli
attrezzi nella sua auto. «Me lo dovevi» disse,
scrollando le spalle.
Scossi la testa, accomodandomi sul
sedile. La verità era
che aveva insistito, lungamente, molto, molto lungamente, per passare
un intero
week-end con me, considerando che nel precedente era stato
completamente
assorbito dalla visita dei suoi amici italiani.
Rabbrividii, ripensando a quei due
giorni e alla sua
assenza. Erano stati due dei più brutti, in tutta la mia
vita. Mi forzai per
regolarizzare il respiro, per un attimo sfuggito al mio controllo.
Scacciai quel ricordo orrendo.
Avevo accettato per
stare con lui, perché il mio bisogno di averlo accanto era
immenso e
incomprimibile e aumentava a dismisura con il passare di ogni secondo.
Durante il viaggio rimanemmo
entrambi in silenzio. Di
tanto in tanto mi voltavo, lo accarezzavo, lo contemplavo, lo baciavo.
Volevo
ricordarmi del fatto che fosse reale e assicurarmi di averlo accanto.
Mi
sentivo addosso un’incredibile sensazione di stranezza. Come
se ci fosse tutto
intorno a me il buio e lui fosse una delle pochissime luci ancora
accese. La
più luminosa. Dovevo accertarmi della sua presenza per
continuare a vivere, per
continuare a pensare. La luce. Il buio faceva
paura, troppa.
Mi voltai di scatto, incollando con
ansia e fretta le
mie labbra alla sue. Luce, luce, dovevo nutrirmi di luce.
S’irrigidì
notevolmente, tirandosi indietro. «Bella,
sto guidando» disse poi, con voce tremante di tensione.
Feci un piccolo sorriso e mi
ritirai sul mio sedile,
osservandolo. Era più strano del solito. Più di
quando diventava cupo, più di
quando rifiutava con insistenza di mangiare - la maggior parte delle
volte che
eravamo assieme - più di quando era freddo anche dopo essere
stato ore davanti
al camino.
Sorrisi.
Possibile che mi piacesse proprio
per queste
stranezze? Non m’importava, e non mi sarebbe importato
neppure se avesse avuto
la pelle verde. Lo amavo, e questo bastava.
Ma quel giorno, quel giorno era
strano. Strano
davvero. Era nervoso. Come se dentro lui ci fosse tanta ansia e
tensione e
attesa per qualcosa di importante che stava per avvenire.
Scossi il capo, sorridendo. Ero
contenta e volevo
esserlo ancora, a lungo, almeno finché non avessi avuto
bisogno di un altro
bacio, di altra luce.
«Sei sicuro di potermi
portare? Ti verrà un terribile
mal di schiena…» borbottai sulla sua guancia.
Eppure non avevo nessuna
intenzione di scendere dalle sue spalle. Stavo così bene con
lui, a stretto
contatto col suo corpo… Non ci avrei rinunciato per niente
al mondo.
«Sono sicuro Bella, te
l’ho già detto tre volte. Sei
leggerissima…» disse, con un’amara nota
nella voce, invece di rispondermi il
solito “Si”.
Lo strinsi di più a me,
affondando il viso nella sua
spalla e inspirando il suo odore dolce. Non avevo alcuna intenzione di
lasciarlo
andare. «Fra quanto arriviamo?» chiesi ancora,
tentando di fare conversazione.
«Poco,
mezz’ora».
Sbuffai.
«Perché sei così laconico?».
S’irrigidì,
stringendo con più forza i miei polpacci
con le mani. «Scusa… stavo
pensando…».
Sorrisi sul suo collo, facendogli
sentire la forma
delle mie labbra. «Non fa niente». Pensai a tutti i
momenti in cui mi ero
ritrovata a mi trovavo, ancora, immersa nei miei pensieri. Potevo
comprenderlo
perfettamente.
Arrivammo, come previsto da Edward,
dopo mezz’ora
esatta ad un piccolo spiazzo su un costone roccioso. Ora avremmo dovuto
montare
la tenda. Non ci trovavo proprio nulla di divertente a trovarmi in
mezzo agli
insetti e all’erba, odiavo quel genere di cose. Ma, al
contrario, adoravo
Edward, e nulla sarebbe stato brutto finché ero accanto a
lui.
«Posso
aiutarti?» chiesi con un sorriso.
Lui mi lanciò
un’occhiata strana. «Si,
certo…» sorrise
«sei felice?».
Gli lasciai, senza preavviso, un
altro piccolo e
intenso bacio sulle labbra. Chiusi gli occhi, inspirando il suo odore,
poi li
riaprii. «Si».
Sorrise anche lui, baciandomi
ancora.
Grazie al mio
“aiuto”, il montaggio della tenda fu
molto rallentato. In compenso, però, ci divertimmo come non
mai a mettere
apposto quella massa informe di cose, come avevo
deciso di chiamarla.
«Tienilo, tienilo, tieni
quel paletto, credo di aver
capito come si fa! Aspetta!» esclamai, tirando un archetto da
un’estremità.
La voce di Edward giunse ovattata
da sotto il telo
cerato. «No, Bella, è sbagliato, quello va messo
giù non è quello giusto!».
Mi scappò un risolino,
mentre stringevo la corda,
intrappolandolo là sotto.
«Così?» chiesi innocentemente. Non
appena vidi la
tenda sollevarsi cacciai un urletto, correndo via, ridendo.
«Guarda che ti prendo,
sai?» mi minacciò divertito,
correndomi dietro.
Risi, continuando a correre. Mi
saltò addosso in un
balzo, atterrandomi. Rotolammo sulla terra morbida, e alla fine lo
trovai sopra
di me. Sorrisi furbescamente. «Scusa» dissi col
fiatone, poco pentita.
Rise anche lui. La sua risata era
meravigliosa,
cristallina, e l’espressione che si formava sul suo viso
quella di un ragazzino
gioioso.
«Ti amo»
farfugliai, improvvisamente molto più seria.
Si fece serio anche lui,
guardandomi teneramente.
«Anch’io ti amo». Così, mi
baciò.
Quando mi sollevai, col suo aiuto,
sentii il
fastidioso e familiare dolore sotto lo sterno.
«Tutto bene?»
mi chiese dubbioso.
Annuii, silenziosa, e mi andai a
sedere su una
sporgenza rocciosa, aspettando che passasse.
Finì di montare la tenda
da solo, e la massa informe, prese
la giusta forma. Osservai il cielo, ma la lieve coperta di nuvole non
mi
permise di capire che ora fosse. Presi il cellulare e, a malincuore,
composi il
numero di mio padre.
«Charlie? Come sta
Minush?» chiesi immediatamente, non
appena mi rispose. Borbottò qualcosa sul fatto che presto le
avrebbe dato da
mangiare, che l’ora di pranzo era appena passata e che non
dovevo chiamarlo
“Charlie”. Strinsi i denti per non protestare. Ogni
cosa che mi diceva, ogni
singola, stupida cosa, non faceva che farmi irritare. Per non parlare
di quando
s’indisponeva per la presenza di Edward…
Posai una mano sul punto da cui
proveniva il dolore
non appena ebbi chiuso la conversazione con mio padre, nascondendomi il
viso
con l’altra. Pochi istanti prima ero stata felice, ma non
riuscivo più a
pensarci. Mi sembrava un’altra vita, eppure, era cambiato
davvero poco.
Volevo… mangiare,
qualcosa. Nel mio zaino c’era della
cioccolata, tanta. Non ne avrei mangiata troppa, non avrei fatto nulla
di male.
Mi potevo permettere di mangiarne un po’, no? Potevo
mantenere il controllo…
Sentii una mano fredda sulla
guancia e sollevai il
viso, incontrando gli occhi di Edward. Vidi la mia espressione nei suoi
occhi. Distolsi
lo sguardo…
«Ho
fame…» mormorai, sentendomi profondamente in
colpa,
quando si scusò per aver fatto passare l’ora di
pranzo senza farmi mangiare.
Mangiammo in silenzio. Edward era
silenzioso quanto
me, e nuovamente perso nei suoi pensieri. Guardavo nel mio piatto e non
parlavo. Mi sentivo mortificata e non avevo neppure il quaderno con
me… Presi
un respiro. Avevo paura che la situazione potesse sfuggirmi di mano,
anche
perché il dolore aumentava e non accennava a sparire.
Ero terrorizzata e angosciata, non
sapevo più che
fare… Non potevo chiedere aiuto! Non potevo permettere che
Edward lo scoprisse…
Ma cosa potevo fare allora?!
«Bella…»
iniziò Edward. «Sai… ho voluto fare
tutto
questo per un motivo ben preciso». Sollevai la testa,
smettendo di pensare,
solo quando notai il tremore nella sua voce. La sua voce non tremava,
mai. «Volevo
parlarti…» soffiò, ma
s’interruppe quando vide l’espressione sul mio viso.
Sospirò, si
alzò e mi venne accanto, e senza dire una
parola mi strinse fra le sue braccia. Ricambiai l’abbraccio,
bisognosa di
sentirlo vicino, nutrendomi, ancora una volta, della sua luce.
Si staccò un attimo,
lasciandomi un profondo bacio
sulla fronte. «Vieni…»
sussurrò, dopo qualche secondo, «ti faccio vedere
una
cosa».
Mi lasciai guidare dalla sua mano,
asciugando le mie
lacrime, fredde sul mio viso, con la manica del cappotto.
L’aria era rarefatta
e congelata, tanto che le mie mani, bianche di solito, erano
completamente
rosse, e violastre, in alcuni punti.
Guardavo i miei piedi mentre
camminavo, attenta a non
inciampare in nessuna radice che si nascondesse sotto il manto di
muschio e
foglie. Un bel modo, anche, per evitare di pensare. Per lasciare che
Edward,
ancora una volta, guarisse le mie ferite.
Si fermò ad un centinaio
di metri dal nostro
accampamento, mi prese per la vita e mi spinse avanti.
«Guarda» disse solo.
Strizzai gli occhi, lasciandoli
abituare pian piano a
quello che vedevano. C’era… niente.
C’era il vuoto. Ci trovavamo su un dirupo,
alto almeno duecento metri, che precipitava verso il basso, lasciando
completamente
spazio agli occhi. La mia mente si abituò, piano, a tutto
quello spazio,
lasciandolo strisciare dentro di sé e scacciare ogni genere
di altro pensiero.
C’era spazio
per… il nulla. Il nulla che scacciava il
tutto. Nient’altro.
La voce di Edward fu un invitante
contorno, una corda
che mi tenne per qualche secondo in più attaccata alla
realtà. «Tu… Il mio
amore per te è… più o meno
così… Immenso».
Mi accorsi di avere le labbra
semi-aperte per lo
stupore. Chinai la testa di lato, ma non vidi altro. Solo
l’immenso.
Rimanemmo lì su a
guardare i colori di cui si tingeva
il cielo. Bianco, arancio, rosso, rosa… poi, il crepuscolo.
Le braccia di
Edward mi stringevano da dietro, e per quando fosse poco, lo spazio
bastava
appena per farci sedere, uno dietro all’altro, e a tenere le
gambe incrociate. Lui
era freddo, e così l’aria, e io come loro. Ma non
importava. Era come se tutto
quel immenso potesse davvero sublimare il mio corpo.
«Cosa
c’è lì?» chiesi, guardando in
basso, rompendo il
silenzio.
Edward seguì il mio
sguardo. «E’ il posto dove ho
lasciato l’auto, sul limitare dei boschi».
«Abbiamo fatto tutta
quella strada?» chiesi,
voltandomi sorpresa.
Annuì, osservandomi
attento. «Hai le labbra viola. Che
ne dici di tornare alla tenda? Mangiamo e andiamo a
dormire…».
Ero riluttante. Mi voltai ancora
verso il paesaggio
che si perdeva nell’orizzonte. Non volevo ricominciare a
pensare.
«Bella…».
«Si,
andiamo…» acconsentii.
La notte era molto fredda. Sulle
prime Edward aveva
insistito perché non stessimo troppo vicini, malgrado
avessimo dormito più volte
insieme. Ma quella distanza mi faceva stare peggio di qualunque freddo.
Strinsi gli occhi e serrai i denti,
quando sentii il
cuore battermi con forza dirompente nel petto, tanto da farmi male. Mi
strinsi
le mani sul pigiama, all’altezza del petto, tentando di non
fare rumore. Dovevo
dirglielo? No… Non volevo che Edward se ne
accorgesse… Ma avevo anche
dannatamente paura per quello che mi stava accadendo. Non
piangere Bella,
non piangere accidenti! Avevo paura… La situazione
non migliorava affatto,
e ogni volta, anzi, diventava più prolungata e dolorosa. La
testa mi girava e
mi sentivo tremori diffusi in tutto il corpo.
Edward… aiutami,
aiutami…pensai frenetica, pur non potendo
pronunciare ad alta
voce la mia disperazione.
Sentii le sue braccia robuste
avvolgermi e stringermi
al suo petto. Smisi per un istante di respirare, terrorizzata. Una sua
mano
scese ad accarezzarmi i capelli e le sue labbra furono sulla mia fronte
sudata.
Scese col viso alla mia altezza, guardandomi negli occhi con i suoi,
color dell’oro.
«Tranquilla Bella, è tutto
apposto…».
Tremai, stringendomi fra le sue
braccia, bisognosa di
sentirlo accanto, lasciandogli ancora una volta guarire tutte le mie
ferite. Permettendogli
di entrare dentro di me e di guarirmi da dentro, di curarmi lentamente
di non
farmi più sentire dolore. Permettendogli di aiutarmi.
Mi addormentai tenendomi
abbracciata a lui. Il mio
cuore palpitante mi aveva regalato abbastanza calore da potermelo
permettere.
Dormii in un confuso torpore,
niente affatto rilassante.
Mi svegliai molte volte, cadendo spesso in un tormentato dormiveglia,
che non
mi faceva capire quanto dormissi e quanto fossi sveglia, ma che mi
faceva
sentire inquietudine e ansia.
Aprii definitivamente gli occhi
quando decisi che
dormire stava diventando troppo faticoso. La luce, tiepida, filtrava
attraverso
una piccola retina della tenda che era stata aperta. C’era il
sole?
Osservai, accanto a me, Edward.
Dormiva composto e
respirava piano, serenamente. Sembrava tranquillo, eppure
così… controllato.
Sbuffai, nervosa, quando sentii il
consueto fastidio
allo stomaco. Mi sollevai, liberandomi dal suo abbraccio e sedendomi al
centro
del mio sacco a pelo, le braccia avvolte fra le gambe. Contavo i
secondi e
aspettavo che passasse. Dopo un minuto e mezzo decisi di andare alla
ricerca
dei farmaci, che sapevo esserci nel mio zaino. Rimasi ancora ad
aspettare, in
silenzio.
Mi voltai verso Edward,
accarezzandogli i capelli
rossicci e spettinati sulla fronte. Era così bello.
Così bello, così buono,
così dolce. Ed era capitato a me. Una ragazza depressa che
non aveva nulla da
dargli in cambio. Presi un respiro, tirando su col naso e cancellandomi
le
lacrime. Avrei scambiato la mia vita per un ultimo abbraccio con lui.
Ripensai agli ultimi mesi, a come
tutto fosse cambiato
per lui. Non era cambiato perché lui me l’aveva
imposto, ma perché io stessa
avevo deciso di cambiare. Mi ero ritrovata fra le mani una forza di
volontà che
non avevo mai pensato di poter possedere. Erano esattamente due
settimane e un
giorno che resistevo e mi controllavo. Mi sentivo più in
pace con me stessa, mi
sentivo più serena, mi sentivo più me.
Mi riconoscevo e sapevo
cos’ero. Ogni tanto trovavo
dei buchi dentro di me, ero come una grossa groviera. E faceva male,
molto
male, riconoscere quel buco. Ma dopo averlo fatto lo compattavo, lo
chiudevo,
facendolo scomparire.
Accarezzai una guancia liscia e
bianca di Edward.
Non avrei potuto compattare i buchi
se non ci fosse
stato lui a creare nuove parti di me. Dopo aver compattato infatti, mi
ritrovavo
ad essere piccola e insignificante. Ma poi, costruivo nuove cose, nuove
parti.
Ero attiva, mi impegnavo, facevo. Non pensavo. Ed era esattamente
perfetto
così.
Sentii degli uccelli cinguettare e
una lieve folata di
vento scuotere la tenda. Attirata da quel suono decisi di uscire
all’esterno,
tenendomi una coperta sulla spalle. L’aria, infatti, era
frizzante, ma come
avevo previsto c’era il sole. Mi stiracchiai, poi guardai al
cielo, facendomi
scudo dai raggi luminosi con una mano. Peccato, il sole sarebbe durato
molto
poco, considerando che era circondato da un manto di nuvole che presto
l’avrebbe coperto.
Chissà come doveva
essere bello osservare quel cielo
dallo spuntone di roccia che Edward mi aveva mostrato il giorno prima.
Sorrisi,
pensandoci.
Lanciai la coperta nella tenda,
decidendo di non
chiamare Edward. Sicuramente tutta la notte era rimasto sveglio a causa
dei
miei movimenti e dei miei lamenti, preferivo lasciarlo riposare.
Preferivo, per
una volta, fare io qualcosa per lui.
Arrivai in poco tempo al dirupo, e
mi voltai per un
attimo a guardare l’accampamento. Se Edward si fosse
svegliato mi avrebbe
sicuramente vista.
Come previsto, il cielo era
stupendo, una vista
mozzafiato. Il sole non sarebbe durato più che altri dieci
minuti. Fui tentata
di andare a chiamare Edward, ma difficilmente i miei occhi riuscivano
ad
abbandonare quello spettacolo.
Chiusi le palpebre, facendo entrare
l’aria fredda e
pungente attraverso le narici. Avrebbe fatto male a chiunque, ma non a
me. Mi
piaceva. Mi entrò dentro inebriandomi, pungente.
Quando riaprii gli occhi,
però, sentii la vista
sdoppiarsi e la testa girare veloce.
In un automatico quanto sciocco
gesto, sporsi una mano
in avanti, sbilanciandomi quando non trovai nessun punto
d’appoggio.
In un attimo fu il vuoto.
Edward’s
POV - (Il
mostro - Ashram)
Avevo organizzato quel weekend
appositamente per
parlare. Parlare di me, della mia natura. Di cose che non potevo
più tenerle
nascoste. La visita dei Volturi era passata e ora non potevo
più attendere. Non
con la spada di Damocle che incombeva sulla sua testa.
Avevo organizzato tutto,
perché fosse il più serena e
tranquilla possibile. Avevo paura della sua possibile reazione.
Cominciai ad essere più
sereno quando mi accorsi del
suo momento di felicità. Le capitava a volte, che ci fossero
questi momenti,
come comete fulminanti. Fin troppo rari.
Ma si esaurivano alla stessa
velocità con cui
comparivano.
Avevo cominciato a parlarle, per
spiegarle, ma mi ero
subito interrotto quando avevo visto il suo viso inondato da lacrime.
In un
attimo le fui accanto, prendendola fra le braccia. Era così
piccola, così
fragile. Tremava.
Le cose non andavano affatto bene.
Il suo colorito
tendeva sempre più spesso al grigiastro e spesso la vedevo,
taciturna,
silenziosa, tenersi una mano sullo stomaco. Chissà come
soffriva. Il suo peso
era lievemente aumentato nei primi giorni, fino a consentirle di
riempire
pienamente una taglia 40. Ma ora? Non stava mangiando abbastanza. Si
controllava troppo e sapevo che presto ogni cosa sarebbe
inesorabilmente
crollata…
Le baciai i capelli e decisi di
fare vedere il motivo
per cui l’avevo portata sin lassù. Speravo che
riacquistasse un po’ di
serenità, per poi poterle svelare, finalmente, ogni cosa.
Come potevo
temporeggiare ancora, quando la sua salute vacillava a quel modo?!
Era taciturna, e avevo paura dei
pensieri che in quel
momento potevano albergare nella sua mente. La tenevo fra le mie
braccia, fra
le mie gambe, e pensavo. Pensavo a quello che avrei potuto dirle.
Pensavo al
fatto che per niente al mondo avrei potuto rinunciare al suo calore fra
le sue
braccia…
«Bella, sono un
mostro». Di certo, anche se
questa sarebbe stata la frase più vicina alla
verità, non era quella giusta da
dirle se avessi voluto avere una possibilità di averla
ancora accanto.
«Bella, amore.
Non sono come sembro. Di certo avrai
notato alcune stranezze nel mio comportamento e nel mio aspetto».
Già vedevo la sua
espressione terrorizzata, sgomenta,
spaventata. Sospirai in maniera impercettibile. Dovevo dirglielo.
La notte fu una delle
più brutte e una delle più belle
della mia vita. La più bella, perché avevo lei
accanto, eravamo io e lei, soli.
La più brutta, perché il suo cuore malato decise
di svegliarla. Batteva
fortissimo nel suo petto. Quando tirai giù la zip del sacco
a pelo aveva gli
occhi sgranati. Il sudore le imperlava il viso, e stringeva forte le
labbra con
i denti per evitare di cacciare qualsiasi tipo di lamento.
Se non fossi stato un vampiro, di
certo mi sarebbe
mancato il respiro. Eppure, quando la presi fra le braccia, ansioso di
rassicurarla, in qualsiasi modo, sentii il mio cuore immobile soffrire.
Che strana sensazione il formicolio
nel petto.
Dormì poco e male. La
mattina, dovetti fingere di
dormire, perché il sole era alto nel cielo, e Alice mi aveva
detto chiaramente
che lo sarebbe stato per un’ora ancora. Tremai
impercettibilmente quando sentii
le sue dita, delicate, accarezzarmi i capelli e il viso. Come poteva un
solo
contatto farmi tutto quello?
Dopo qualche minuto non percepii
più il suo fiato
caldo accanto a me. Non percepii più il battito irregolare
del suo cuore
accanto a me. Era uscita?
Mi affacciai dalla tenda, attento a
non farmi notare. La
ritrovai sullo spuntone di roccia che le avevo mostrato il giorno
prima,
attenta a contemplare il cielo. Chiuse gli occhi e aprì le
braccia, reclinando
la testa all’indietro.
Pur nella malattia, era stupenda.
Avrei dato qualsiasi cosa per
esserle accanto, per
andarle vicino e accarezzarle la pelle candida del collo, lasciando un
bacio
sulla pelle morbida e pulsante e lasciando che si arrossasse
naturalmente.
Senza quasi accorgermene, avevo
proteso una mano fuori
dal telo cerato, lasciando che i raggi del sole
l’illuminassero. La nascosi,
come scottato, celando celermente la mia natura mostruosa.
Poi, la vidi. Rialzai il capo, e la
vidi. Precipitava
inesorabilmente.
Bella’s
POV
Per più di un anno avevo
deciso di camminare sull’orlo
della vita. Di appendermi al filo delle mia esistenza e tirare, con
forza,
senza nulla da perdere.
Ora, il filo si era spezzato. Ero
caduta dal ciglio, e
stavo precipitando, letteralmente.
Ero come una foglia che cade da un
albero, mi libravo
nell’aria. La differenza era che non venivo lentamente
sospesa. La differenza
era che la mia velocità era tale da rendere letale
l’impatto con il suolo.
Non mi accorsi quasi della mia
voce, delle mie urla.
Non col vento che mi sferzava. Non col vuoto che m’inglobava.
La cosa più
terrificante, fu che ebbi tutto il tempo
per capire che sarei morta.
Mi stupii, infatti, quando mi
sentii sospingere verso
l’alto da qualcosa di freddo. E poi ancora, e ancora,
finché non mi ritrovai
fra un paio di braccia che avrei riconosciuto fra mille.
Tutto si bloccò. Stavo
ferma, ansante, e tremavo,
quasi inconsapevolmente. Ero stretta nel suo abbraccio, quello per cui
avrei
dato la vita. Come potevo non riconoscerlo? Eppure, mi era impossibile
da
accettare.
Aprii gli occhi, fissando il mio
angelo salvatore. La
luce del sole brillò e la sua pelle fu ricoperta da miliardi
di piccoli
diamanti.
Posai una mano sulla sua spalla,
quasi spaventata di
rompere quella pelle iridescente. Feci pressione per allontanarla,
lentamente.
Mi lasciò andare senza opporre alcuna resistenza.
Ci trovavamo al limitare dei
boschi, proprio accanto
alla sua auto, come mi aveva detto il giorno precedente. Accanto al
ciglio
della strada.
Guardai le mie mani. Mi teneva i
polsi. Mi occorsero
non pochi secondi per capire che lo stava facendo per evitare che
cadessi, a
causa delle gambe che non avevano smesso di tremare. Feci scorrere, con
esasperante lentezza, il mio sguardo dalla sua mano. Salii lungo il suo
braccio, sul collo, sul viso.
Mi fissava terrorizzato.
Ero morta? Ero morta e lui era un
angelo, identico al
mio amore?
Lui non poteva essere
lì. Non poteva essere lì, ai
piedi del dirupo. Non poteva avermi presa senza farsi male. Non poteva
brillare.
La sua pelle adamantina si spense
non appena il sole
scomparve dietro le nuvole.
No, non era un angelo. Era tutto
vero.
«Bella» gli
uscì dalle labbra come un verso strozzato.
Indietreggiai,tentando di capire.
Tentando di
comprendere. Comprendere l’impossibile.
«Cosa?» chiesi. E mi stupì di come la
mia voce uscì definita.
Contrasse il viso in una smorfia di
dolore. «Un
vampiro».
Lo fissai, sbattei le palpebre.
Piegai la testa di
lato.
Feci un altro passo indietro. Un
altro e uno ancora.
Ancora e ancora. Non mi sentivo me stessa.
La sua espressione si fece
sofferente. «Bella. Non te
ne andare, ti prego».
Continuai a retrocedere molto
lentamente. Mi diceva di
fermarmi, m’implorava, si struggeva. Ma non si muoveva.
Perché?! Non capivo.
Sentii un sussulto nel petto, e mi
portai una mano sul
cuore, stringendo con tutta la mia forza. Mi piegai su me stessa,
rantolando,
sgomenta per tutto il dolore che in istante mi aveva colpita.
«Bella! Ti prego, ti
prego, non ti farò mai del male.
Ti prego. Permettimi di aiutarti. Voglio solo che tu sia bene, che tu
guarisca,
poi, se vorrai, potrò anche andar via!».
Sollevai il capo, ancor
più stupefatta. Il dolore
fisico era solo un ricordo.
Lui sapeva. Lui sapeva. Lui mi
aveva nascosto ben due
importantissimi segreti.
Lui sapeva.
«Tu… sai» biascicai atona. «Mi
hai
mentito».
Strinse le labbra sofferente.
Mi voltai. Cominciai a camminare,
sola, lentamente,
sul ciglio della strada.
La luce si era spenta.
Ora, c’era solo il buio.
Bene.
Oh…
ops.
Oh, tu
che vuoi farmi fuori,
placa per
un attimo i tuoi furori!
Ascolta
la mia vocina
E non
ammazzare questa birichina! :P
In
sintesi, non mi uccidete. Lo so, dire che sono in ritardo è
uno sporco
eufemismo. :D
Lo so, ho
fatto un bel po’ di casini con la trama.
Ma voi mi
volete bene, no??
Su, che
tutto s’aggiusta! Prima o
poi………
GRAZIE!!!
Perché continuate a seguirmi nonostante io non me lo
meriti!!!!
Grazie!
:*
(fatto da
Elena)
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
00Alice Cullen00
Ciao tesoro! Sono
contenta che tu abbia ripreso! Non ho letto quello che hai scritto
perché sono
super impegnatissima e mi ritrovo a non avere mai tempo, ma giuro che
lo farò
presto! Lo giuro solennemente! Mi dispiace che tu abbia dovuto
affrontare
questo periodo difficile e spero, non pretendo che sia così,
che la mia storia
ti possa in qualche modo aiutare. E’ vero, la bulimia
è una malattia, ma questo
non ci giustifica. L’importante è uscirne. Ciao
cara! Auguri!
ariel7
Grazie
mille, sei davvero gentile. :) Sono contenta che la storia ti piaccia,
la
tematica è un po’ particolare, ed è
impegnativa da scrivere, ecco perché i
tempi sono così lunghi. Spero che potrai continuare ad
apprezzarla. Ciao e
auguri! Francesca.
lindathedancer
Grazie!
Non ti
preoccupare per il ritardo! E’ un eufemismo in confronto a
quello che ho fatto
io! :P Mi dispiace tanto! Le tue lusinghe mi fanno sempre
più contenta, sei
sempre più buona con me, grazie! Purtroppo la storia
è agli sgoccioli… beh, c’est
la vie… un bacio! E auguri! :*
Lady_Personal_chocolate
Grazie
mille! Anch’io, non è che sia proprio la
puntualità fatta persona, per cui non
ti preoccupare. Ahahahah, mi dispiace aver affidato la gattina al
veterinario
decerebrato! :P Non lo faccio più, promesso…
E’ vero, anche a me è piaciuto
mostrare la sincerità di Edward nell’ammettere la
sua gelosia. Presto nuovi
sviluppi! Ciao, e ancora grazie!
00Stella00
Grazie
mille tesoro! Beh, la sincerità, se così possiamo
chiamarla, c’è stata… più
che
altro è stata una rivelazione della verità
direi… Spero che ti sia piaciuta!
Non ti preoccupare però, perché tutto
s’aggiusta, vedrai! Grazie ancora, buon
anno! :*
Noemix
Ciao
cuore! Beh, si, direi che con Tom non c’è proprio
competizione… con Minush un
po’… :) beh, il gattino ci riserverà
alcune sorprese… un po’ belle, un po’
no…
Ma ce ne riserverà tante! Ti auguro che l’anno
nuovo sia meraviglioso, e che ti
riservi nuovi, grandi, amori! Un bacio!
patu4ever
Emm…
ops. Cosa intendevi con presto? :D E’ passato
appena… un mesetto… :D Ok! Non ho
parole per farmi perdonare!!! Perdunooo plisss! La mia gatta paperava,
e anche
Minush papera. u.u Perché detesti il nome Tom?! o.O Beh, a
me mi sa tanto di
cane, sono contenta di averlo usato in modo appropriato! :P Grazie di
tutto
tesoro, auguri!
Wind
Beh,
la tua intuizione era esatta! E’ vero, anche lei ha tanto da
nascondere a
Edward. Ma Bella è umana, commette errori, è poco
dotata di raziocinio in
questo momento… Vedremo come andrà a finire.
Grazie, e auguri, tesoro!
Sognatrice85
Beh,
penso che i tuoi timori sulla verità fossero fondati! Non ti
preoccupare per le
recensioni, come vedi non sono puntuale neppure io, purtroppo! Grazie
di tutto!
Auguri!
lisa76
No,
non è proprio così. ;) E’ vero, Charlie
si sta interessando alla cosa, ma anche
questo porterà a degli inaspettati sviluppi. Hai ragione,
anche il veterinario
con la mano morta proprio non ci voleva! Ahahah… Grazie
ancora, abbi fede, ogni
cosa si sistemerà…
shasha5
Ahahah,
si! Sono
contenta che ti sia piaciuto, ti ringrazio. In effetti per Bella le
cose non
stanno andando proprio troppo bene. E questo capitolo beh…
diciamo che quello
che è successo proprio no ci voleva…
però è accaduto, e credo che non si possa
fare molto a riguardo! Non ti preoccupare troppo, tutto si
sistemerà… :) Ciao!
19sunflower88
Grazie
mille. :) Sono conte che la mia storia ti piaccia, e mi dispiace per il
ritardo. Però purtroppo, immedesimarsi in questa Bella e
scrivere non è affatto
semplice, e devo avere una certa risoluzione d’animo per
farlo. Ancora grazie.
Ciao! Auguri di buon anno.
silvia16595
Grazie!!!
No, no, sono
io che ringrazio te! Mi fai contentissima ogni volta che recensisci!
Grazie
tesoro! Anche per esserti riletta tutto il capitolo! Cielo! Grazie
mille! *.*
SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate
Si!
E
spero che il “vivo” ti piaccia, anche se questo
diciamo che è un vivo un po’
morto… :P Beh, non ti preoccupare comunque, Edward e Bella
avranno ampio spazio
per loro! :) Grazie per la recensione!
endif
Grazie
mille cara. Beh
si, il veterinario era un po’ così, diciamo per
alleggerire la tensione prima
della tempesta. Ma anche per evidenziare come il rapporto fra Edward e
Bella
sia molto chiuso, fra loro due. Evidenziare come Bella viva in un mondo
a sé.
Per quanto riguarda Minush invece… è proprio
così come hai intuito tu. Bella si
identifica con il suo gatto e accettando i suoi difetti si ritrova ad
accettare
anche i suoi. Infine, per quanto riguarda Edward. Mmm… Il
fatto che risulti
forse… “disorientato” (?) potrebbe
dipendere dal suo tentativo disperato di
fare sempre, comunque, qualcosa. Ti ringrazio per tutto, come al solito
sei
stata preziosissima! :) Ciao, e auguri!
barbiemora______
Grazie,
grazie, grazie! Il segreto non è stato proprio svelato, ma
è stata fatta una
bella frittata! … Perdon…
lilly95lilly
Beh,
si, mancano più o
meno un cinque capitoli… Non voglio che questa storia duri
ancora più a lungo,
ha fatto il suo corso. :) Ecco che la tristezza arriva… :P
kikkikikki
Grazie
mille! Spero che
la reazione di Edward e Bella sia stata all’altezza delle tue
aspettative. Non
so quanto, già dal prossimo capitolo, scriverò
come narrazione né quanto mi
soffermerò nella mente di Bella. Ma penso che
sarà piuttosto doloroso.
L’affetto che riversa su Minush è
l’affetto per qualcuno che sa già non le
potrà mai fare del male. Perché è un
animale, e gli animali non possono mai
ferirti come gli uomini. Il mio gatto aveva le zampette a x, sai? Era
un gatto
adorabile, non l’avrei operato per nulla al mondo. :) Grazie
per l’amore e la
dedizione che dedichi alla lettura di questa storia. E’ molto
importante per
me. Grazie ancora! Un bacio, un augurio, con affetto, Francesca.
Crystal90
Ti
rassicuro. Il lieto fine per Bella e Edward ci
sarà… Però da qui alla fine
accadrà qualcosa di molto triste. Va meglio così?
Spero che il capitolo ti sia
piaciuto, nonostante tutto. Stai tranquilla, ogni cosa si
risolverà! Grazie
mille. Ciao! :)
Amalia89
Cielo!
Scherzi spero?! Ovvio che mi ricordo di te. Ricordo tutte le
recensioni,
soprattutto quelle… mh… diciamo non prettamente
positive, ecco! :D Ma il fatto
che ora, a te piaccia questa mia storia… mi ha resa
contentissima! E’ una delle
cose che più mi hanno fatto felice da quando ho iniziato a
scrivere! Come
potrei non ringraziarti?! Grazie, grazie. Per quanto riguarda il
capitolo, si,
credo tu abbia capito. Non aggiungo altro, solo, ancora grazie, e
auguri!
barbyemarco
Ahahah,
si, ma non credo di riuscirci a farlo durare di più. Spero
che il capitolo
abbia soddisfatto la tua curiosità… Inutile dire
che la tristezza albergherà
sovrana nel prossimo! E non so con precisione fino a che punto ci
spingeremo
avanti nella storia, ma qualcosa avverrà! Grazie mille,
auguri!
Lau_twilight
Grazie
mille! E anch’io adoro te. Purtroppo si, ci sono momenti
tristi in vista…
Questo capitolo ne è una dimostrazione ben ampia
credo… Bisogna avere fede
comunque! In un modo o nell’altro tutto s’aggiusta.
:) Grazie di recensire
sempre tutte le mie storie! Sei preziosissima per me! :)
Bella_Cullen_1987
Ahahah,
si! A me i fiocchetti sulle dita li faceva mio papà! :P La
parte triste… ci
sarà…
Jordy
Klein Perdonami
ancora se puoi!! Scusa! Mi inginocchio! Sono una
pigrona! Grazie per i complimenti! Grazie, grazie!
|
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Capitolo 18 *** Respira ***
P
Annaspavo ormai.
Quello che era un movimento
naturale, l’alzarsi e
l’abbassarsi del petto, ritmico, cadenzato, che mi concedeva
il respiro, era
diventato un comando. M’imponevo di continuare a respirare,
come se quel gesto
fosse la garanzia della sopravvivenza. Come se il suono del fruscio
dell’aria
nella mia gola arsa fosse una nenia che doveva in qualche modo portarmi
nell’oblio.
Sollevai stancamente lo sguardo dal
truciolato chiaro
della mia scrivania, dalle braccia, piegate per formare uno scomodo ed
adorato
cuscino per la mia testa stanca, fino ad osservare la mia stessa
immagine
riflessa nello specchio. Un ghigno, un ghigno amaro comparve sul mio
volto
riflesso.
Incedibile, quanto mi riconoscessi
molto più così, che
quando stavo… meglio. Quando stavo con lui.
Era quella la mia
verità. Era come l’anima di Dorian
Gray, dipinta nel ritratto. Potevo mutare nell’aspetto
esteriore, ma dentro,
dentro rimanevo così. Ogni singolo buco, grande, o piccolo
che fosse,
compattato da lui, non aveva più importanza.
Non c’è alcun
buco, quando dentro senti solo il vuoto.
Quando dentro senti il vuoto e
fuori ti riconosci in
un mostro. Non è nulla il viso pallido e consunto. Non sono
nulla, gli zigomi
tagliati. Non è niente, assolutamente niente, quella massa
arruffata che
dovrebbero essere dei capelli, né i cerchi viola sotto gli
occhi. Non sono
nulla, in confronto alla luce negli occhi.
La luce che non c’era
più.
Continuavo a vivere, continuavo ad
andare avanti. E
sentivo dolore, tanto, troppo dolore, e mi rifugiavo in me stessa,
trovando ad
accogliermi un delizioso tepore.
Respira. Mi
ripetevo. Continua a respirare. Dovevo farlo, anche
quando mi pareva
impossibile. Continuavo a procedere, silenziosa, impassibile, in una
tormenta.
Afferrai la cornice dorata dello
specchio,
scaraventandolo a terra e ricadendo a terra, senza forze.
«Bella, avanti. Cosa ti
succede? Sai… lo puoi dire a
me…».
Uno sguardo di sufficienza, un
accenno col capo,
potevano bastare per mettere a tacere mio padre. Dopotutto, lo sapevamo
entrambi, perfettamente, quando le cose si facevano troppo complesse
lui
preferiva non parlare. Preferiva tacere e far finta di nulla.
E le persone avevano ricominciato
ad ignorarmi. Ero
paradossalmente diventata più evidente e più
invisibile. Oppure, magari, ero io
che non mi accorgevo più di quello che dicevano di me. Non
mi importava più,
semplicemente. Rimanevo spesso e volentieri sola, sempre, sempre e
costantemente. Non volevo avere nessun rapporto con
l’esterno, quel mondo
alieno che non era il mio, che non mi conosceva, che non mi
comprendeva, non
l’aveva mai fatto e continuava inesorabilmente a non farlo.
Mi ero solo illusa che qualcosa
potesse realmente
cambiare.
Solo… lui.
Solo per lui, ero evidente.
Continuavo ad esistere, ad esserci. Ogni suo tipo di approccio con me,
era
inutile e vano. Non volevo più condividere nulla con quel
ragazzo che mi aveva
squarciato l’anima. Ignoravo il suo sguardo su di me,
ignoravo la sua
dolcissima voce, ignoravo la sua presenza. Ma ignorare, vuol dire
essere
coscienti della presenza di qualcosa a decidere di non prestarci
attenzione.
Essere cosciente della sua presenza
era già troppo
doloroso.
Continuare ad evitarlo ancor di
più.
Mi accorsi, ancora una volta, di
avere il suo sguardo
su di me. Fissai la colonna dietro di lui, appena nascosta dalla sua
figura.
Chiusi gli occhi e andai via, veloce, ma senza forza, senza fretta.
Scorrevo
fra la folla, contro corrente, ed era giusto così,
così dannatamente giusto da
fare ancora più male.
Sorrisi ancora quando, spossata, mi
accasciai su un
lurido gabinetto scolastico, con il peggiore sapore in bocca e il
peggiore
dolore al petto. Sapevo che era lì, lui, dietro la porta.
Magari, in quel
momento mi stava anche chiamando, tanto forte da farsi sentire da
più di una
persona.
Ma non mi importava più
niente. Ormai anche lui era
finito fra quelle persone a cui volevo fare male. Volevo fargli male,
tanto,
tanto, tanto male.
Perché altrimenti
continuare a respirare sarebbe stato
totalmente impossibile.
Singhiozzai, soddisfatta,
disperata, pazza, pensando
alla sorte che aveva ricevuto il mio quaderno. Ero stata bene,
così
dannatamente bene, facendolo a pezzi, bruciandolo, liberandomi di
quell’ostacolo che mi teneva ancora ancorata ad una vita che
non volevo più.
Ormai, non sapevo quanto tempo
fosse passato, ero
tornata nella mia lugubre tomba. Non una speranza, non una luce, solo
costantemente e perennemente il buio. Continuavo a mangiare, molto,
tanto,
troppo forse, ma la voglia di vomitare mi veniva già dopo il
primo boccone. Era
il mio corpo, forse, a non accettare più il cibo. Oppure,
era la mia mente. La
mia mente troppo stanca perfino per continuare a farsi del male.
«Bella» il suo
sussurro, troppo vicino al mio
orecchio, mi fece sobbalzare.
Scostai lo sguardo dai suoi occhi,
fissando il
corridoio vuoto davanti a me e irrigidendo la mascella, chiaro segno
che non si
sarebbe tanto presto aperta per proferir parola.
Ormai, lui sapeva tutto. Sapeva
ogni cosa, e sentivo i
suoi occhi, pieni di pietà, su di me. Li sentivo trafiggermi
e bruciarmi.
Basta. Non potevo più piangere. Non potevo più
fare nulla.
Un sospiro, angosciato.
«Ti prego, Bella, dobbiamo
parlare…».
Non gli risposi, cominciai a
camminare, lentamente, in
avanti. Che senso avrebbe avuto scappare, correre? Non era nella mia
mente la
possibilità di farlo. E poi, l’avevo visto. Lui
poteva essere decisamente molto
più veloce, e forte, di me.
Fui presente, il mio corpo lo fu,
nelle lezioni
seguenti. Ma io non lo ero più. Sentivo che il mio corpo si
era quasi
totalmente staccato dalla mia anima, eppure ne era ancora
così fortemente
condizionato.
Così tanto da farmi
sentire le vertigini, i brividi
sulla pelle. Così tanto da farmi sentire l’immane
stanchezza, la forza di un
fiume, una cascata che si abbatteva su me lasciandomi sola e
completamente
inerme, senza la forza né la volontà di fare
qualcosa per cambiarlo. Ero
continuamente spossata e stanca e la mia stanchezza fisica rendeva
totalmente
impossibile la mia possibilità mentale di agire. Non volevo
fare nulla che non
fosse subire passivamente il male e continuare a cercarlo quanto
necessario.
Quando mi accorsi che tutti gli
altri si stavano
sollevando dai loro posti, facendo grattare le sedie sul pavimento con
quei
rumori striduli che mi irritavano la mente ovattata, alzandosi,
chiacchierando
allegramente, spensieratamente, sentii un forte tremore diffondersi per
tutto
il corpo.
Dovevo andare, dovevo andar via.
Dovevo fare come gli
altri e… non far vedere… fingere che tutto
andasse bene. Conformarmi al mondo
esterno e non fare capire a nessuno quanto fossi vuota.
Velocemente, non abbastanza in
fretta da poter finire
prima che tutti, compreso il professore, fosse usciti, misi, tremante,
tutte le
mie cose nel mio zaino. Non mi curai dell’ordine, non mi
curai della loro
disposizione, lo feci in fretta, desiderosa di scappare, lasciando che
le
pagine dei libri si sgualcissero, si accavallassero, si strappassero.
Mossi due passi verso la porta, ma
proprio al centro
della stanza mi bloccai, colpita da un’acuta fitta sotto lo
sterno. Non potei
fare a meno di gemere, forte, fra le labbra, sollevando una mano a
stringere la
parte dolorante, portando l’altra sulla cattedra, per
sorreggermi, per non
cadere.
Ansimai, sconvolta da tanto dolore,
serrando le
palpebre, spalancando la bocca ma non facendo uscire neppure un suono.
«Bella». La sua
voce allarmata mi giunse direttamente
al cuore, facendomi spalancare gli occhi.
«Vattene…
va… via…» biasciai a denti stretti, fa
i
fremiti. Non sarei riuscita… non potevo parlare con lui.
Perché? Perché mi
stava succedendo?
Basta, ti prego! Dio, basta! Non
prendertela con me.
Basta, basta, basta.
«Bella, ti prego, voglio
solo aiutarti…».
Aprii gli occhi, e lo vidi. Vidi i
suoi occhi
impauriti, a pochi centimetri dai miei. Perché continuava a
farmi così male?
«Va via…» sussurrai ancora, sentendo le
lacrime scendere copiose dai miei
occhi.
Il suo volto si contrasse, e mi
sentii come gli se
avessi appena piantato una coltellata in mezzo al petto. Forse era
davvero
così, perché lo sentivo bruciare. Sentivo il
dolore consumarmi e bruciarmi da
dentro, proprio come una coltellata. Non doveva essere così.
Lui doveva
soffrire, dannazione!
Sollevò, tremante, una
mano, avvicinandosi a me, fino
quasi a toccarmi. Non osò andare oltre. «Bella, lo
giuro» mormorò afflitto «non
ti farò del male…».
Singhiozzai, sgomenta, voltandomi.
Strinsi gli occhi e
feci un passo, un solo passo, verso la porta. Non sarei ancora riuscita
ad
abbandonare l’appoggio della cattedra. Sarei miseramente
crollata a terra.
Assurdo, come tutto quel dolore che mi ero causata per vendetta si
stesse
vendicando su di me, tenendomi ancorata in quel posto, tenendomi vicina
a lui.
Assurdo. Un assurdo gioco del destino.
«Ti prego
Bella» le sue parole mi giunsero tremanti,
alle mie spalle. «Io…»
controllò il tono della sua voce, non riuscendo
però a
mascherare il tremore con il basso volume «Bella, non devi
avere paura di me,
non ti farei mai del male. Ascoltami, ti prego. Io…
sono… un vampiro…
ma… Bella, io e la mia famiglia ci nutriamo esclusivamente
di sangue… animale.
Io non ti farei mai nulla… voglio solo aiutarti, poi
potrò anche scomparire per
sempre dalla tua vita!» affermò addolorato, con
voce strozzata, tanto che mi
chiesi se stesse piangendo. «Ti prego, non voglio farti del
male, io…».
«Non è
vero» sibilai. «Non è vero»
mormorai,
voltandomi verso di lui, fissando silenziosa il suo volto attraversato
dal
dolore.
Sollevò entrambe le mani
verso di me. «Non ti sto
mentendo, sto dicendo la verità, te lo giuro, fidati di
me…».
«No!»
sbottai, tremando, sbilanciandomi verso
di lui e facendolo arretrare, sorpreso. «Sei uno stupido,
solo uno stupido! Non
mi interessa quello che sei! Come fai a non capire?! Come fai a non
capirlo?!»
urlai, rossa in viso per la rabbia «Non mi importa niente!
Non mi importa cosa
sei! Potresti anche essere un assassino, potresti anche volermi fare a
pezzi e
disseminare il mio corpo in un cimitero, ma tu mi hai mentito!»
sbraitai
furiosa.
I suoi occhi si allargarono per la
sorpresa, e si
strinsero. Fece un piccolo passo, lasciando cadere le braccia lungo il
busto. Le
sue labbra si mossero come se stesse parlando più a se
stesso che a me «Io…
Bella… tu ce l’hai con me per questo, non
perché sono un…».
«Io mi fidavo di
te!» urlai, interrompendolo, «mi
fidavo di te» mormorai fra i singhiozzi «eri
l’unico di cui i fidavo e tu… mi
hai tradita. Io… ti odio. Va via Edward… Non ti
voglio più vedere, mai più…».
«Bella»
farfugliò, facendo un passo verso di me.
«Ti odio!»
gridai, prendendomi la testa fra e
mani e retrocedendo di un passo «via…
via… va via…».
Sentii un fruscio e in un attimo
non ci fu più. Mi
lasciai andare, scivolando, contro lo spigolo delle cattedra,
singhiozzando. Adesso,
ero sola. Completamente sola.
Mi asciugai velocemente le lacrime
e cominciai a
correre, correre, correre. Sbattendo contro persone, cose, non
accorgendomi di
alcuna differenza. Corsi via, ancora, e ancora, lontano.
Non mi curai di alcuno sguardo
sgomento, preoccupato,
spaventato. Mi infilai nel pick up solo per riuscire a scappare,
correre più
veloce.
Respira Bella, respira. La cascata che mi cadeva addosso
era sempre più
forte, impetuosa, non mi lasciava scampo, non mi lasciava forza per
riuscire,
anche solo un attimo, a riemergere.
Le mie stesse parole risalivano a
galla come schiuma,
come bolle.
«Ti odio».
Lasciavo scorrere tutto, tutto
accanto a me. Paesaggi
sempre uguali, verde sempre visto. Sempre la stessa cosa. Fuggivo.
Fuggivo via
da me stessa, da quello che ero, da quello che non riuscivo a cambiare
di me.
Mi trovai sul molo di Port Angeles
e dovetti arrestare
il pick-up poco prima di finire in acqua. Le ruote stridettero sul
cemento
scuro, assicurandomi per un soffio la vita. Scesi giù,
sbattendo la portiera
alle mie spalle, continuando a scappare, scappare.
Corsi, corsi veloce e lontano, mi
allontanai da tutto,
da me stessa, finché le gambe non mi urlarono di fermarmi e
il respiro, una
lama in gola, mi fece bloccare. Mi piegai su me stessa, sulle
ginocchia,
contrastando ogni cosa, contrastando ogni dolore.
Mi resi conto che il vento
imperversava in ogni
direzione, scompigliandomi i capelli, facendo aderire i vestiti sulla
mia pelle
con una frusta gelida.
Respira, Bella, respira, continua a
farlo, non
fermarti!
«Ti odio».
Cominciai a camminare. Scorrevo fra
le altre persone
come se fossi sospesa, come se stessi camminando sull’acqua.
Scorrevo fra la
gente e mi accorgevo quanto fossi sbagliata, quanto avrei dato
qualsiasi cosa
per avere una qualsiasi normale vita.
E mentre i miei piedi continuavano
inesorabilmente ad
andare avanti, sentivo i miei pensieri scorrere nella mia testa.
Che cosa avevo, io, invece, della
mia vita?
Non avevo un amico. Ero sempre
stata sola, emarginata,
incompresa e disadattata. Ero una persona scontrosa, antipatica e
insopportabile. Terribilmente lunatica. Non mi sarei voluta io stessa
come
amica.
Mi asciugai velocemente una lacrima
con la mano,
scacciandola via e continuando a camminare sul lungo molo scuro.
Non avevo un sogno. Alcuna
aspettativa per il futuro,
nessuna speranza che fosse migliore, solo un buco nero a incombere su
di me. Non
ero una ragazza normale. Io non lo avevo il futuro. Non ne avevo
nessuno.
Un signore baffuto si
voltò nella mia direzione, e i
miei occhi seguirono la sua figura solo il tempo giusto per poterlo
vedere
accigliarsi e preoccuparsi. Una donna fece scudo a un bambino,
avvicinandolo a
sé e guardandomi come se fossi un mostro. Una ragazzina
smise di correre e si
fermò a osservarmi, piegando il capo da un lato. Continuai a
camminare,
continuai a scivolare sui miei passi lasciandomi frustare dal vento.
Non avevo l’amore dei
miei genitori. Io non contavo
nulla per mia madre, che si era risposata, sottolineando la mia colpa,
spezzandomi il cuore. Che mi aveva mandata via, da mio padre, incapace
di
aiutarmi, incapace di comprendermi. Ero un’aliena per coloro
che mi avevano
creata. Ero un’aliena per coloro che più avrebbero
dovuto comprendermi. Un’estranea.
Loro mi odiavano.
Sollevai la mano fino alle labbra,
sentendole
incredibilmente bagnate, lasciando che i piedi si muovessero ancora, da
soli. Sentivo
il freddo seccare e asciugare tutte le mie lacrime negli occhi,
soffocandole.
«Ti odio».
Respira, Bella, dannazione,
respira!
Edward… non avevo
più nemmeno Edward. Non avevo più
neppure lui. Non avevo più il mio unico appiglio, il mio
unico scoglio, l’unico
che mi evitava di andare a fondo, l’unico che mi impediva di
farlo. Mi impediva
di perdermi nella tempesta, di affogare, di essere sommersa dai flutti
della
corrente e dall’acqua.
Mi fermai sul ciglio del molo,
boccheggiando.
Lui era sceso con me,
nell’acqua. Aveva soffiato nella
mia stessa bocca l’aria, mille bolle, grandi e piccole, la
forza della vita.
Aveva soffiato nei miei polmoni l’aria che mi era mancata.
Lui mi aveva
salvata.
Ti odio. Respira, respira. Ti odio.
Ti odio. Respira,
continua a farlo. Ti odio. Non ti fermare.
Singhiozzai, lasciandomi scivolare
sulle ginocchia,
completamente senza forze.
Edward…
Non posso aver perso anche te. Non
posso.
Tremai, portandomi entrambe le mani
sulla faccia,
sugli occhi.
Eppure l’avevo perso.
L’avevo mandato via, e mi
ritrovavo completamente sola. Mi guardavo, intorno, e vedevo
l’orizzonte chiaro
perdersi con il confine del mare, mentre l’aria salmastra
continuava a
imperversare.
Mi guardavo intorno, e vedevo il
vuoto. Mi guardavo
dentro, e vedevo il vuoto.
Edward mi aveva sempre dato amore.
Mi aveva salvata, e
io l’avevo mandato via, leggendo il dolore nei suoi occhi e
infierendo su di
lui.
Mi aveva mentito, però.
Mi aveva mentito su di lui, mi
aveva mentito su quello che sapeva su di me.
Ma… io. Io gli avevo
detto la verità?
Ti odio.
Singhiozzai forte,
continuativamente, proteggendomi il
petto con le braccia. Era troppo tardi, ormai, per tornare indietro.
Troppo
tardi per qualsiasi cosa.
Osservai il mare, ingrossato sempre
più dalla forza
del vento, mentre gli ultimi raggi del sole cedevano il posto ad
un’oscura
massa d’acqua.
Mi sollevai da terra, stendendo i
pugni contro il
busto e osservando quell’accattivante orrore.
Ti odio.
Volevo solo sparire. Sparire per
sempre e mettere fine
a quell’orribile cosa chiamata vita.
«Bella»
mormorò mio padre, sospirando, non appena mi
vide apparire sulla porta di casa.
Non dissi nulla. Avevo
già venuto la mia anima e non
dissi nulla. Feci un passo e entrai dentro casa.
«Bella, dove sei
stata?» chiese, vedendomi così
silenziosa. «E’ tardi, sono tornato a casa e tu non
c’eri…».
Mi scappò un sorriso
beffardo. Un problema di cui
doversi occupare.
Minush trotterellò
giù dalle scale, finché non fu ai
miei piedi e cominciò a miagolare. La sollevai e la portai
con me sull’ultimo
gradino, sedendomici e iniziando ad accarezzarla. Il suo pelo morbido,
il suono
rassicurante delle sue fusa… Le mie mani scorrevano su di
lei, come se neppure
stessi pensando.
Mio padre era immobile, sulla
porta, con una mano
ancora sulla maniglia per tenerla aperta. La chiuse con uno schiocco e
camminò
fino al centro della stanza, fermandosi ad osservarmi.
«Bella…» mi chiamò
«mi
dici dove sei stata? Mi sono preoccupato, stavo per chiamare i miei
uomini per
venirti a cercare…».
Addirittura, mobilitare lo
squadrone di Forks. Non
meritavo tanto per essere un semplice e increscioso peso. Sorrisi,
quando
Minush cominciò a leccarmi le punte delle dita. Mi sollevai,
tenendola vicina
al mio petto, e cominciai a salire le scale.
Non sentii i richiami di mio padre,
non avevo voglia
di farlo. Salii stancamente ogni gradino, e appena arrivai in camera mi
ci
barricai dentro.
Osservai inespressiva il suo
interno. I pezzi rotti
dello specchio erano ancora disseminati a terra. Un’altra
opportunità? Un altro
invito a fare quello che la mia mente mi stava comandando, ma che il
mio corpo,
pietrificato e immobile non riusciva a fare?
Eppure pareva una soluzione
così allettante. Fu
incredibile il dolore che provai, quando pensai che se avessi compiuto
un gesto
così estremo non sarebbe dispiaciuto a nessuno. Un dolore
tale che mi spinse
ancor di più, con i pensieri, a farlo.
Un piccolo taglio, poco dolore,
tanto sangue…
Ogni mio patimento, lento e
bruciante, sarebbe
definitivamente scomparso.
Corsi verso l’armadio.
Fin troppo codarda raccolsi
ogni sorta di cibo ricominciando la mia lenta tortura. Mangiavo ogni
cosa senza
neppure masticarla adeguatamente, sentivo i pezzi interi di cibo
grattare in
gola, ma volevo continuare, continuare fino a stare male. E lo facevo,
e
continuavo, masochisticamente.
Sentivo Minush chiamarmi, miagolare
forte come se
volesse farmi fermare, come se me lo stesse urlando.
Mi fermai, lasciandomi cadere del
cibo dalle mani.
Dovevo vomitare.
Corsi fuori dalla porta e appena la
spalancai la trovai
bloccata dalla figura di mio padre. Perché
quell’uomo doveva non solo odiarmi,
ma anche punirmi con la sua presenza?!
«Bella» mi
richiamò.
Corsi via, giù per le
scale, verso il bagno. Sentivo i
passi affrettati di mio padre dietro di me.
«Bella» mi
chiamò più forte.
Mi afferrò un polso e
fui costretta a bloccarmi, al
centro della cucina.
«Bella»
ruggì, «mi dici che ti prende?!»
sbottò forte.
Lasciami andare, lasciami
andare… Mi voltai velocemente verso il
bagno, tentando di
liberare il mio braccio. Lasciami… lasciami.
I suoi occhi si ridussero a due
fessure, mentre i
sopraccigli si univano a formarne uno solo. «Bella. Mi hanno
chiamato dalla
scuola» confessò.
Boccheggiai, ricordandomi della
performance di quella
mattina.
«Hanno detto che sei
scappata via in lacrime, ma cosa
succede?» chiese stressato. «I professori mi dicono
che non studi» cominciò,
annumerando con le dita della mano «che non rispondi alle
loro domande, che te
ne stai in disparte e spesso e volentieri passi il tuo tempo a
piangere».
Mi lasciò andare la
mano, e indietreggiai di mezzo
passo, colpita dal peso della sue parole. Era quindi giunto il momento
che
anche Charlie scoprisse il mio segreto? No. Mai. Feci per compiere un
altro
passo, ma mi bloccò con le sue parole.
«E’ tutta colpa
di quel Cullen, ne sono certo. E’
stato lui a ridurti così, a farti tutto questo! E’
cominciato tutto da quando mi
hai chiamato per riportarti a casa da quell’escursione!
E’ stato lui a farti
questo!».
Sentii la vista annebbiarsi per
qualche secondo, ascoltando
le sue parole. Poi, la rabbia cieca, quella che avevo inscatolato,
ingoiato,
masticato per tanto tempo, esplose con tutta la sua dirompenza, senza
lasciare alcun
vincolo.
«E’ tutta tua!
E’ tutta tua la colpa!» gridai
«E’
colpa tua, tua e di Reneè, se mi sono ridotta
così! Edward non c’entra nulla,
assolutamente nulla! Come fai a non capire che proprio lui mi ha
aiutata, eh?
Come? Solo lui!».
I suoi occhi si sgranarono, il suo
viso divenne
pallido e purpureo. Ancora pallido a ancora purpureo.
Sbraitai, incalzando, muovendo un
passo verso di lui con
temerarietà. «Che razza di genitore
sei?!».
Subito dopo sentii uno schiocco
secco. Il dolore e il
bruciore alla guancia arrivarono solo qualche secondo più
tardi, mentre mi
tenevo con la mano la parte lesa. Tornai a fissare orripilata quello
che
pretendeva di chiamarsi mio padre.
Mi fissava, respirando
rumorosamente, silenzioso.
«Tu, non sei, mio
padre» mormorai tetra, «Tu non sei
mio padre!» gridai.
Pochi istanti più tardi
sentii la porta d’ingresso
sbattere con vigore, mentre il vuoto, solo quello,
m’inglobava, sommergendomi.
Il silenzio proruppe come un
assordante fischio nelle
orecchie.
L’acqua del fiume, della
cascata, mi aveva
completamente ricoperta. Schiacciata, trascinata via dalla corrente,
sbattuta
qua e là dalle onde imperversanti. Capovolta
nell’acqua.
Respira. Respira.
Ma se c’è
acqua, intorno a te, non respirare.
Andrai a fondo più
velocemente.
Mi lasciai andare, accasciandomi a
terra, in preda del
dolore e senza forze.
Vomitai.
Vomitai, e vomitai un pozza cremisi
di sangue.
Scusatemi
se ho interrotto proprio qui.
Il
prossimo capitolo sarà… beh. Catastrofico direi.
Non ve lo
aspettate tanto presto, ho sofferto fin troppo per scrivere questo.
Scusatemi,
ma non posso rispondere alle vostre recensioni. Attualmente la mia
voglia di
fare qualsiasi cosa è pari a zero. Inoltre avrei dovuto
postare più tardi.
In ogni
caso, risponderò alle vostre recensioni in generale.
Per prima
cosa vi ringrazio infinitamente, perché siete state
genitilissime, tutte
quante, e siete state anche molto buone a chiedermi continuamente di
aggiornare! Ringrazio le nuove entrate e ringrazio le veterane che mi
commentano da sempre. Ringrazio chi mi commenta ogni tanto, quando
può, chi
apprezza comunque la mia storia.
Ringrazio
chi ha sofferto le stesse cose che sta soffrendo ora Bella e che trova
il
coraggio di commentare.
Grazie
mille a chi mi ha recensito in poesia ;); non mi sono ispirata a "un
tram
che si chiama desiderio", mi spiace, non lo conosco. Grazie per le
minacce
:P
Per
quanto riguarda la scrittura di questa storia, rispetto
all’altra, si, direi
che questa è molto più sofferta e ragionata. E
necessariamente più distaccata
ma paradossalmente più vicina. Spero che mi comprenderai :P
Sono
contenta che abbiate apprezzato Ashram. :)
Infine
una cosa importante. Io non
sono un medico. Non vorrei
aver detto/fatto/scritto qualcosa che facesse credere il contrario,
perché non
è così.
Vorrei
dare consigli, ma credo che nella mia posizione potrebbe risultare
illegale.
Pensavo
di averlo detto nei primi capitoli, ma lo ribadisco:
potrebbero
esserci dei contenuti erronei e poco realistici, per quanto io mi
applichi per
sapere, non sono un medico.
Se volete
avere notizie sui miei odissiaci aggiornamenti, cercate qua:
(fatto da
Elena)
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
|
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Capitolo 19 *** Morire ***
Everybody Hurts - Rem
Everybody
Hurts - Rem
Sentivo il corpo tremare, e un
dolore acuto, un calore
bruciante in mezzo al petto.
Un sensazione strana e spiacevole,
in faccia, sulla
guancia, sulla fronte, mi costrinse ad aprire gli occhi e a riprendere
quel
poco di coscienza che mi rimaneva. Le linee storte del pavimento e del
soffitto
continuavano a muoversi e ondeggiare davanti ai miei occhi.
Il sangue, il suo odore, il suo
colore, davanti ai
miei occhi, sovrastava, appannandoli, tutti i miei sensi.
Sarei morta.
Per quanto io stessa, pochi minuti prima, avessi contemplato la
prospettiva,
adesso ero semplicemente terrorizzata. Ma quel dolore, quel dolore
così forte,
il mio corpo che non mi obbediva più, erano sintomi ben
evidenti della mia fine
vicina.
Non voglio morire! Pensai disperata, e mi parve quasi
che la forza di quel pensiero
potesse sciogliere il viscido torpore che avvolgeva le mie membra,
dandomi
sollievo da quel martellante dolore.
La vista tornò per un
secondo di nuovo lucida e mi
resi conto che la sensazione umida che avvertivo sul volto, quel suono
lamentoso e prolungato che continuava a ripetersi nella mia mente,
provenivano
da Minush. Mi leccava minuziosa il viso, miagolando forte.
Provai a parlare. Tossì
e per poco non soffocai.
Respirai lentamente, costretta dal macigno che mi sentivo addosso.
Sarei morta
lì, sola… sul pavimento della mia cucina.
Non avrei più rivisto
nessuno. Non avrei più
continuato ad essere me stessa, qualunque cosa fossi. Non avrei
più visto il
cielo, le nuvole. I miei genitori. Edward.
Singhiozzai e sentii
un’acutissima fitta. Strinsi
forte gli occhi e i denti, rantolando.
Non potevo morire. Non potevo.
Tremante riaprii gli occhi, e
riuscii a trovare la
tasca dei miei jeans. Afferrai il mio cellulare e composi
l’unico numero che in
quel momento potevo chiamare. Le labbra tremarono, mentre osservavo la
scia di
sangue che le mie dita lasciavano sui tasti.
Dove avrei trovato la forza di fare
qualunque cosa?
Sentivo l’odio verso me stessa crescere sempre
più, mentre mi rendevo conto
quanto ero stata stupida ed egoista. Egoista… e adesso ne
avrei pagato le
conseguenze.
Cos’era la disperazione
che mi stava attanagliando?
Cos’era il terrore della morte? L’oblio. Il buio
eterno e inafferrabile. Non
avere più alcuna coscienza di sé. La morte,
eterna.
«Pronto? Bella!».
Un debole sorriso comparve sul mio
viso. Avevo sentito
la sua voce. Sentii la nebbia scendere fitta sui miei occhi. Era lurido
quest’oblio. Assolutamente non di quelli idealizzati, di
quelli in cui chiudi
gli occhi, e ti senti some sospesa su una nuvola, non importa quale sia
la tua
prossima fine.
«Bella, Bella,
dove sei?».
Rantolai, ma anche quello fu
inutile. Sentii la mia
gattina miagolare, nel mio lurido oblio. Era uno schifo di morte, la
mia. Sarei
morta su quel pavimento freddo, fra il mio sangue e il mio vomito. Con
la
saliva di gatto in faccia.
«Sei a casa?
Bella!».
Niente bare di cristallo e facce
angeliche per me.
Niente visi incorruttibili, pallidi e dolcemente e soavemente colorati
di
rossore sulle gote. Che schifo di morte, la mia.
Sentivo freddo, un liquido bagnato
e appiccicaticcio
sulla guancia sinistra. Gli occhi mi pesavano, caldi e brucianti, e in
tutto il
corpo mi scuoteva un torpore e una dolorosa fiacchezza. C’era
puzza,
decisamente puzza.
Mentre prendevo pian piano
coscienza della mia
inevitabile fine, cominciai a pensare agli altri. A quello che sarebbe
accaduto. A cosa avrebbero pensato di me, dopo avermi ritrovata morta
fra il
mio stesso vomito. Edward avrebbe sofferto, ne ero certa. Non potevo,
non
potevo lasciarlo soffrire.
A quel pensiero mi sentii stringere
l’aria nei
polmoni, fino a schiacciare anche il cuore. Un dolore atroce, molto
più di
quello che stavo realmente provando.
Non volevo morire. Eppure, lo stavo
facendo.
«Bella» un
singulto, un sussurro. Inconfondibile, e
necessario. Le mie palpebre si sollevarono, neppure comandate dalla mia
volontà. Seguirono quello che comunemente viene chiamato cuore.
Non il
cuore che con il suo elettrico e ordinario battito fa circolare litri
di sangue
nel corpo. Cuore che anima idealmente i sentimenti
dell’uomo.
«Edward…».
Mi accorsi quanto tremassero le mie labbra
solo quando feci per pronunciare quella semplice parola. E davvero
sentii
qualcosa agitarsi nel mio petto quando i miei occhi incontrarono le sue
iridi
nere.
Stava fermo, immobile, come una
statua. L’appannamento
sceso sulla mia vista mi permetteva appena di scorgere la sua figura,
facendomela apparire ancor più idealizzata. Pur attraverso i
miei sensi annebbiati,
potei avvertire qualcosa di stridente con il sollievo che avevo provato
scorgendo la sua figura.
La sua espressione era dura,
rigida, piegata in una
smorfia. Le dita strette come artigli. Non si muoveva, non respirava.
Sentii il dolore al petto aumentare
a dismisura, come
se quella lama che mi stava trapassando fosse scesa più in
profondità. Solo
dopo alcuni secondi mi resi conto da cosa fosse amplificato. Solo
quando sentii
le guance e le labbra completamente bagnate, capii quanto stessi
singhiozzando.
Il disgusto che provavo per me
stessa si amplificò, alimentato
da quello che leggevo sul suo volto. Sul volto dell’unica
persona che avevo
amato e che mi aveva dato amore.
«Ahh…»
gemetti, rovesciando il capo all’indietro e
lasciandomi andare al dolore e alle vertigini.
«Bella, Bella».
Il freddo mi avvolse completamente,
penetrandomi. «Bella, Bella, ti prego…».
Distinsi la sagoma chiara di due
mani. Riuscii ad
aprire maggiormente le palpebre, tanto da ritrovarmi fra le sue
braccia. La
repulsione che avevo sentito provare verso di me, la provavo
anch’io, tanto da
farmi odiare, ancora una volta, ancora di più, me stessa.
«Ti prego…» tossì,
non potendo comunque fare a meno di osservare la sua espressione
sconvolta, non
potendo costringere le mie mani ad allontanarsi dalla sua camicia
bianca.
Vidi io stessa le sue iridi mutare
dal dorato al nero,
mentre piccole gocce di sangue cadevano dalle mie labbra per sporcare
la
camicia immacolata. S’irrigidì, bloccandosi.
Era quello, allora. Era il sangue.
Così sarei morta in ogni
caso? Desiderava il mio
sangue, dunque? Sarei morta in ogni caso. Ma proprio mentre le parche
decidevano di tagliare quel filo sottile, isolato, irregolare, proprio
mentre
impugnavano le forbici, avevo deciso, dopo anni passati a tentare di
spezzarlo,
di aggrapparmi all’ultima oncia di vita. Di recuperare tutti
i filacci spezzati
e resistere.
Mi strinse più forte,
sollevandomi da terra e
facendomi aderire al suo petto. Trattenni il fiato ogni istante,
annebbiata,
terrorizzata, scossa.
Mi strinse, sempre più,
posando la mia testa nell’incavo
del suo collo, alzandosi. «Ti salvo io Bella… Ti
salvo io… Ci sono qui io…». Delicato,
soave, gentile.
Quelle parole riuscirono a farmi
ricominciare a
piangere, acuendo ogni mio dolore, amplificando ogni torpore. Mi
lasciavo
trasportare, senza forze, fra le sue braccia.
Mi sentii adagiare su una
superficie ruvida,
decisamente più calda del pavimento su cui ero stesa. Sentii
ancora più caldo,
quando qualcosa di morbido mi si posò sopra. La
consapevolezza di morire con un
minimo di dignità, con qualcuno accanto, allietava la mia
pena?
No, affatto.
Forse è questo che si
intende quando si dice che
davanti alla morte siamo tutti uguali. Forse non importa, morire in una
bara di
cristallo o su un lurido pavimento. Forse non importa, avere sedici
anni o
ottanta. Forse, non importa. Siamo tutti bambini di fronte alla morte.
Ci
reclama troppo presto e ci coglie troppo impreparati.
«Bella…
Bella… Ci sono qui io… Sono accanto a te, mi
senti?». Il contatto con le sue dita, sulla mia guancia,
sulla mia fronte, era
così discontinuo che pensai dovesse tremare violentemente.
Ma non lo faceva.
Ero io a farlo. «Non ti lascio, capito? Mi vedi? Mi vedi
Bella?».
Aprii le palpebre, o fui quantomeno
certa di pensare
di farlo. Non vidi comunque nulla. Solo un nero e un rosso accecanti.
Dopo
alcuni secondi, però, riuscii ad individuare la sagoma dei
suoi occhi tristi,
subito rasserenati quando si accorsero quanto fossi riuscita a metterlo
a
fuoco. «Non… non voglio…»
riuscii a sputare fra i denti, soffocata «non v…
voglio…
mo…morire…».
E’ vile implorare la
vita? E’ vile non affrontare a
testa alta la propria sorte? La vita non ha alcun prezzo. Neppure
l’orgoglio ci
può competere.
I suoi occhi, unica cosa che
riuscissi nettamente a
distinguere, si ridussero a due fessure, addolorati, afflitti. Sentii
le sue
mani leggere e contemporaneamente veloci su di me. «Non lo
farai, va bene? Non
sarà così… Adesso ti porto in
ospedale, sta arrivando l’ambulanza, ma io
rimango sempre qui con te… Non ti succederà
niente…».
«No,
no…». Mi ritrovai a singhiozzare, forte.
«Non
voglio…» piansi, scossa da fremiti e dolori, tanto
forti da non riuscire a
distinguere l’origine. Al mio istinto di sopravvivenza si era
sovrapposto e
accavallato quello di vergogna, di paura. Quello, si, forse quello era
vile. Ma
dipendeva da quanto vile fosse quello che avevo fatto io stessa di me.
«Shh…
Shh…» mi abbracciò, e nonostante tutto
non mi
mosse, pur muovendosi su di me come se volesse cullarmi.
I miei singhiozzi scemarono man
mano. Mi ritrovai
aggrappata alle sue spalle, con le mie ultime forze, come se fossero
anche la
mia vita.
Mi prese il viso fra le mani, i
palmi aperti sulle mie
guance, fredde quasi quanto lui. «Devi fidarti di me Bella.
Devi tornare, ti
prego, a fidarti di me. Ho sbagliato, lo so, ho sbagliato» la
voce gli tremò,
gli occhi si appannarono «ma io ti amo
Bella. Fidati di me. Io ti
salverò».
La mia testa si reclinò
all’indietro, scivolando fra
le sue mani senza che potessi fermarla. Non c’era
più forza, in me. Non c’era
più vita, in me.
Gli ultimi secondi, gli ultimi
battiti.
Forse non è vero. Non
siamo tutti uguali davanti alla
morte. Forse, avere l’amore accanto a sé,
è decisamente un modo migliore per
morire.
Edward’s
POV
Ogni giorno, ogni singolo giorno,
la osservavo
riavvicinarsi a quella non vita da cui l’avevo gelosamente
strappata. L’avevo
stretta, abbracciata, rassicurata, legata inesorabilmente a me. Molto
meno di
quanto lei stessa non avesse fatto nei miei confronti.
Non una parola, non uno sguardo.
Niente.
Eppure, ero certo di distinguere
fra quegli occhi
scuri, che tanto mi avevano incantato quando erano animati dalla
scintilla
della vita, un’ombra opaca. Ombra che non faceva che
nascondere, e
contemporaneamente manifestare, ai miei occhi, il dolore che realmente
provava.
Che io stesso le avevo procurato.
Perché lei non aveva
paura di me, no. E ne ero stato
così maledettamente sorpreso quando l’avevo
scoperto. A lei non importava nulla
di quello che ero, lei aveva conosciuto la mia vera essenza, e si era
innamorata realmente di me. Aveva un cuore puro, terribilmente e
dolcemente ingenuo.
Invece ora mi odiava.
Mi odiava, perché le
avevo mentito, le avevo nascosto la verità, avevo richiesto
e
contemporaneamente tradito la sua fiducia.
Avevo io stesso martoriato il mio
piccolo fiore delicato,
che tanto sforzo avevo fatto per coltivare, far crescere, portare alla
luce. Il
mio fiore. Il mio amore…
Sentivo ogni giorno i pensieri
angosciati di Alice,
quelli preoccupati e tesi della mia famiglia, Carlisle in particolare.
Sapeva
quanto ci tenessi a lei, quanto mi avesse cambiato. La sua lenta e
continua
guarigione, non potevo nasconderlo, era stata anche la mia.
Eppure ora sembrava tutto peggio.
Aveva perso ancor
peso, molto. Alice la vedeva procurasi del male, ogni giorno,
più volte al
giorno, e soffriva, soffriva tanto. Ma sapeva di non poter fare niente.
Nemmeno
io potevo, per quanto ci provassi, neanch’io potevo.
«Adesso che lo sa
potrebbe andare a raccontare il
nostro segreto! Siamo tutti in pericolo grazie a
quell’umana!».
Non risposi a Rosalie, mi limitai a
muovere il capo e
riservarle un’occhiataccia. Doveva tacere.
«Rosalie…».
Esme provò ad ammansire la figlia,
riservando per me la sua comprensione.
«Edward…»
pensò afflitta Alice «lo farà
di
nuovo, l’ho visto… sta malissimo…».
Cercò rifugio fra le braccia di suo
marito, e lasciò a me il gelo dei suoi pensieri.
L’avrei persa… l’avrei persa
per sempre.
Non ne sarei sopravvissuto.
Rosalie sbraitò,
alzandosi dalla sedia, accecata
dall’ira. «Invece no! Ora non ne sappiamo nulla di
quest’umana! Doveva
accettare la cosa, non è così,
Edward?!».
Sentii qualcosa partire dal centro
del mo petto. Un
ringhio cupo. Immediatamente Emmett fu davanti a sua moglie, in
posizione di
difesa.
«Non
sopravvivrà abbastanza a lungo da raccontare
nulla». Quello di Jasper fu appena un mormorio, ma tutti,
nella stanza, lo
sentimmo. Non era cattivo, aveva semplicemente detto la
verità.
Mio padre si bloccò, ma
sentii nei suoi pensieri ne
sentii la conferma. Non poteva non essere d’accordo.
«Mi dispiace»
pensò, resosi conto dell’errore commesso.
Potei distingue la mia espressione,
passata
rapidamente dalla rabbia al dolore più puro, nella mente dei
miei familiari.
Persino Rosalie mutò, tornando silenziosa a sedersi sulla
sua sedia.
Abbandonai quel luogo, pieno di
troppi pensieri,
troppo fastidiosi. Pieno di persone a me care, tranne quella che
realmente
avrei voluto avere vicino.
Improvvisamente, qualcosa mi
bloccò. Nella mente di
mia sorella si formarono delle immagini veloci, repentine.
Un molo. Port Angeles.
L’acqua, scurita dal cielo
bigio del crepuscolo. Bella, le guance scarne, gli occhi pieni di
lacrime, i
capelli mossi dal vento. Un piccolo tuffo.
Bolle. Acqua. Silenzio.
Un corpo freddo e senza vita.
Serrai in uno scatto secco la
mascella, ritrovandomi
in pochissimi secondi in azione. Velocemente la mia mente vampira
pensò ai
rischi e pericoli di andare a piedi, nonostante la velocità
maggiore che sarei
riuscito a sviluppare nei boschi. Auto, fu la celerissima sentenza,
tanto che
pochi millesimi di secondo dopo mi ritrovai alla guida della Volvo,
spinta al
massimo. Se fossi stato umano avrei probabilmente sentito quella
scarica di
adrenalina che sembrava, in ogni caso, pervadere i miei muscoli
perfetti.
La mia mente si opponeva in ogni
modo a quello che
aveva visto. Non era possibile. C’era sempre una
possibilità. Vagliavo a
velocità sovrumana le immagini appena viste, contemplando
tutte le possibili
casistiche e controazioni.
Spinsi la mia mente il
più lontano possibile, alla
ricerca di un qualsiasi pensiero che potesse aiutarmi. Futili, umani,
piccoli,
reali. Per la maggior parte distoglievano una piccola porzione della
mia
vastissima attenzione.
Inchiodai sul molo, lasciando che i
pneumatici
stridessero sul cemento. Mi concentrai sui pensieri delle persone
vicine, ma
non trovai nulla di interessante. Scesi dall’auto, respirando
a pieni polmoni
l’aria circostante, in cerca di una scia. L’aria
salmastra e ricca di naftalina
copriva quasi del tutto ogni altro odore, e il forte vento lo spazzava
lontano,
mescolandolo con gli altri.
L’impazienza
s’impossessò di me. Dovevo trovarla,
dovevo trovarla dannazione.
Cominciai a camminare,
nervosamente, confrontando ogni
scorcio e anfratto con l’immagine della visione di mia
sorella.
Dove sei Bella? Dove sei?
Quando non sentii più
alcun odore mi accorsi di aver
smesso di respirare. Sentivo contemporaneamente in me due forze
annientati.
Quella immensa, della mia natura vampira, e quella dettata
dall’impotenza.
Improvvisamente, un minuscolo
dettaglio cambiò. Una
mente umana mi offrì una breve immagine, indispensabile. Mi
voltai, e vidi una
donna che camminava con un bambino.
Aggrottai le sopracciglia, quando
mi resi conto da chi
provenissero i pensieri.
C’era una ragazza grande,
e i suoi occhi luccicanti e
il vento. Perché? Perché, si chiedeva il bambino.
Era così strana, che la
curiosità non l’abbandonava… Alle
immagini si sovrapponevano delle dita, dita
della mano della madre che oscuravano la sua vista.
Feci due passi sicuri,
avvicinandomi, e i suoi occhi
ingenui e sinceri si spostarono su di me. Le menti dei bambini avevano
un
fascino particolare. Erano curiose, aperte al mondo, e soprattutto
completamente eterogenee. Sbatté le palpebre e le lunghe
ciglia. Poi tornò a
guardare il molo.
La ragazza si era fermata sul molo
e aveva pianto. Si
era seduta a terra come a scuola, sui tappeti blu. Ma il lui aveva
sempre riso
sui tappeti blu, perché la ragazza no?
Una smorfia comparve sul mio viso,
e immediatamente
dopo si rasserenò, mentre attraverso i pensieri del bambino
vedevo la mia Bella
andar via.
Sfogata la rabbia, sul suo volto
era tornato il
dolore.
Mi passai le mani fra i capelli,
sulla testa,
paradossalmente la sentivo scoppiare. Troppo vicina. Troppo vicina era
andata
questa volta per poter temporeggiare ancora. Ma cosa fare a questo
punto? Obbligarla
con la forza?
Mi costrinsi, mentre tornavo alla
mia auto, a tenere
un passo umano. A non correre, fuggire, scappare. Scappare via da ogni
cosa e
rifugiarmi ancora accanto a Bella. L’unica che era riuscita a
farmi ancora
sentire vivo.
Mentre guidavo per tornare a casa,
notai, sul sedile
del passeggero, il mio cellulare con diverse spie luminose accese. Lo
raccolsi
facilmente, senza distogliere l’attenzione dalla guida,
osservando velocemente
gli avvisi di chiamata, provenienti dal numero di Alice. Probabilmente
voleva
avvisarmi di quello che ormai avevo scoperto da solo…
Mentre stavo per richiamarla,
però, vidi ogni immagine
scomparire per tre millisecondi sul display, e i pixel formarne di
nuovi. Una
chiamata. L’ultima persona che mi sarei mai aspettato.
Bella.
Rimasi qualche secondo sconcertato
da quello che avevo
appreso. Mi stava chiamando. Che cosa poteva
volere? Che cosa era
successo? Ed eccola, allora, la mia vastissima mente, a vagliare tutte
le
possibili e plausibili possibilità.
Rispondi, mi
comandai, cancellando ogni altro pensiero.
«Pronto?»
affrettata e veloce la mia voce giunse a
lei, ritornando come un’eco. Un gemito, non certo la mia eco.
Tutti i miei
sensi si allertarono immediatamente, tendendosi improvvisamente verso
di lei.
«Bella!» esclamai preoccupato.
Un ronzio, poi ancora dei gemiti.
Ricominciai a
chiamarla ripetutamente, terrorizzato e paralizzato. Che cosa stava
accadendo?
Quale terribile prospettiva, ancora? Nessun suono altro, niente che
potesse
aiutarmi. Il terrore mi divorò, imprigionandomi, mentre
immaginavo possibili e
dolorosissimi scenari.
Dovevo aiutarla. «Bella,
Bella, dove sei?» chiesi,
agitato, aspettandomi una qualsiasi risposta. Ero terrorizzato, eppure
stranamente e perversamente compiaciuto. Perché aveva
chiamato me, proprio me.
E questo per il mio egoistico ego da vampiro poteva voler significare
solo
quanto, ancora, ci fosse una speranza.
Sentii un rumore, inconfondibile.
Lo scalpiccio di
zampette e un miagolio. La mia mente rapidamente arrivò ad
una meta. «Sei a
casa? Bella!», chiamai ancora. Non mi arrivò
nessuna risposta, solo nuovi
gemiti indistinti che scemarono nel nulla.
Accelerai al massimo, lanciandomi
fra le strade di
Forks. Troppo lento, troppo, troppo lento era quello stupido mezzo
umano. Accostai
sul ciglio di una strada chiusa e secondaria, abbandonando
l’auto e cominciando
a correre il più veloce possibile, nascondendomi
contemporaneamente il più
possibile da occhi indiscreti. Facilmente m’introdussi in
casa.
Il
mostro - Ashram
Il resto fu sconcertante.
Vidi il suo corpo a terra. Steso,
raccolto, tremante,
senza forze. Raccolsi l’immagine della gattina che miagolava,
completamente
disinteressata a me. Ma lì, lì, sul pavimento,
fra pezzi di cibo, ancora
interi, le uniche cose che riuscivo realmente a vedere erano solo due.
Bella, la mia Bella. E il suo
sangue.
«Bella». Il
dolce aroma entrò dentro me, penetrandomi,
ammaliandomi, facendo scattare in me i più reconditi istinti
da predatore.
La desideravo. Bramavo il suo
sangue. Lo immaginavo,
scendere, umido, succoso, zuccherino, lungo la mia gola. Colorare di
cremisi la
mia lingua e la mia bocca. Leccare le ultime gocce dalle labbra. Una
delizia…
«Edward…».
La sua voce mi fece tremare.
Debole, spaurita. Dovevo
aiutarla. Sapevo cosa le era successo. Alice l’aveva visto.
Dovevo aiutarla e
impedire che morisse.
Smisi di respirare, ma la bramosia
non cessò. Il rosso
inondava il mio sguardo, e la facilità con cui prevedevo di
arrivare
all’oggetto del mio desiderio era totalizzante.
Vidi i suoi occhi su di me,
cambiare. Il marrone si
trasformò in opaco. Il terrore
s’impossessò di lei. Ora aveva paura di me.
Il mostro che ruggiva in me ne fu
fin troppo contento.
No! No! Non dovevo. Io l’amavo. L’amavo con tutto
me stesso. Mi imposi di
ricordare il legame che mi univa a lei. Mi imposi di distogliere lo
sguardo da
quel rosso sul pavimento, e di continuare a guardarla negli occhi.
Si riempirono di lacrime.
Guardala mostro, guardala! Sta
piangendo per te. Per
tua causa. Guardala, mostro. Sei venuto per salvarla, e tu stesso per
tua mano
vorresti toglierle la vita? Empio suicida…
Singhiozzò, gemette,
rovesciando il capo all’indietro.
Non aspettai un secondo ancora per
mettere a tacere la
belva dentro di me.
Presi fra le braccia il suo corpo.
la sua temperatura
era fin troppo vicina alla mia. Tremava, continuamente, le palpebre
livide e
semichiuse. Le esili membra abbandonate, senza forze. I capelli e per
più di
una guancia macchiata di rosso. «Bella, Bella», la
chiamai, ripetutamente,
cercando un qualsiasi segno di reazione, preoccupato.
Le sue ciglia tremolarono verso
l’alto, e le pupille
guardarono attorno, disorientate. Farfugliò qualcosa, e
tossì. Tossì sangue.
La gola bruciava, incandescente,
per quel contatto
così ravvicinato, e la bramosia
s’impossessò ancora una volta di me. No, non
l’avrei mai fatto. Non potevo, dovevo resistere. Ero certo
che Alice avesse già
visto. Ero certo che presto sarebbero arrivati, proprio come nella sua
visione.
La strinsi a me, attento a non
farle del male, a non
usare la mia immane forza su quel fragile corpo tremante. Accompagnai
la sua
testa, concentrato, sulla mia spalla, spaventato. Sentivo che le
rimaneva ben
poco. E nonostante la tormenta che continuava ad imperversare in me,
sentendola
spaventata, terrorizzata forse anche più di quanto lo ero
io, sentii il dovere
di rassicurala, usando il tono più falso che avessi mai
adottato. «Ti salvo io
Bella… Ti salvo io… Ci sono qui
io…».
I tremiti
s’intensificarono, e l’odore umido e salato
mi fece capire che stava piangendo. Era una piuma, una leggerissima
piuma fra
le mie braccia, mentre la trasportavo con me.
Optai velocemente per il divano
piuttosto che per la
camera da letto. Per quanto sul materasso sarebbe stata più
comoda, nel
tragitto per le scale avrebbe potuto subire degli scossoni, peggiori
ancora
quando avrebbero dovuto prenderla con l’ambulanza.
La stesi, attento a non farle male,
imponendomi di
conservare e preservare la sua vita. Le misi una coperta addosso, e
malgrado
ogni parte di me anelasse ad un contatto maggiore, dovetti desistere, e
assicurarmi che in ogni modo venisse riscaldata, che non perdesse quel
poco
calore che le era rimasto.
«Bella…
Bella… Ci sono qui io… Sono accanto a te, mi
senti?». L’avevo disposta lateralmente, in modo che
non si soffocasse col
sangue che le occupava la gola. Le mie lauree in medicina erano
macerie,
piccoli elettroni in un atomo, nella mia mente. Ulcera. Rottura della
pareti.
Stomaco? Esofago? Cosa? Cosa la stava conducendo alla morte?
Tremò, pianse. Era
disperata. Adesso quello che potevo
darle era solo conforto. Il resto lo avrei esatto da mio padre.
«Non ti lascio,
capito? Mi vedi? Mi vedi Bella?». L’accarezzai,
lievemente, spasmodicamente,
tanto vicino al suo viso da essere completamente inondato dal suo
odore. La
gola mi doleva come mai prima, ma non m’importava. Prima,
avrei dovuto
salvarla.
Il cuore le batteva sempre
più debolmente e lentamente
nel petto. Il respiro sempre più lieve e veloce. Il doloroso
odore di sangue
nella sua bocca, sulla lingua.
Aprì e chiuse le
palpebre. Guardò intorno, roteò gli
occhi, e le richiuse. Cancellai le tracce di lacrime, provai a
cancellare il
sempre più scuro sangue che copriva la sua sempre
più pallida pelle. Nuovamente
aprì le palpebre, fissando le pupille su di me. Quando i
suoi occhi non furono
più vacui, capì che mi stava guardando.
Ricominciò a singhiozzare e piangere,
fissandomi implorante. «Non… non
voglio…non v… voglio… mo…morire…»
biascicò, stringendo spasmodicamente una mano attorno alla
mia camicia.
Sentii una fitta al petto. Un
dolore contrastante con
la mia natura perfetta. Mio Dio. La vita la stava davvero abbandonando?
Sarei
sopravvissuto senza lei? Mai.
Lo avremmo fatto insieme, dovevo
convincermene. «Non
lo farai, va bene? Non sarà così…
Adesso ti porto in ospedale, sta arrivando
l’ambulanza, ma io rimango sempre qui con
te…» mi sentii in dovere di
rassicurarla. «Non ti succederà
niente…».
Pianse più forte,
rumorosamente, prosciugando
esponenzialmente le sue ultime forze. «Non
voglio…» cantilenava disperata.
Sentivo ogni suo dolore era come
mio, e lenire le sue
pene era semplicemente obbligatorio. Volevo stringerla, cullarla,
impossessarmi
del suo corpo e attaccarlo al mio, in modo da farle scudo da qualsiasi
cosa. Mi
limitai a stendermi su di lei, lieve, accarezzandola, non respirando
quel
nettare zuccherino che le ricopriva i capelli.
Si strinse alle mie spalle, come in
un’ultima,
disperata, richiesta di aiuto. E in quell’istante egoistico
capii che niente,
niente valeva il suo odio. Che una speranza c’era davvero.
Perché lei aveva
voluto me, solo me, al suo fianco. Perché nonostante tutto,
se davvero non ci fosse
stato un futuro, ci saremmo detti insieme addio.
Presi il suo viso delicato e
fragile, così
corruttibile, così prezioso, fra la mani, aprendole il mio
cuore e confidandole
il mio amore, ancora una volta, con voce tremante. Ora, e forse mai
più.
Scivolò via, senza che
potessi fermarla.
Non mi lasciare.
Salve a
tutte. Mi pare inutile scusarmi per il ritardo, non è
così?!
Spero che
il capitolo vi sia piaciuto, e vi informo che ne rimangono
più o meno tre alla
fine.
Alcuni di
voi potrebbero aver storto il naso ad alcuni particolari piuttosto
realistici.
Ma lo sapete, la mia storia è così. Ho alzato il
rating ad arancione a scanso
di equivoci.
Per
quanto riguarda le canzoni, la prima rappresenta la scintilla della
vita,
resistere, che è scattata in Bella.
La
seconda, non ce l’ho fatta a non riproporvela, spero non vi
dispiaccia ;)
Ora,
però, devo dire una cosa Importante.
Vi ringrazio
infinitamente, perché siete state davvero tanto carine con
me, dicendomi di
prendermi del tempo, di scrivere con calma. Siete delle lettrici
stupende.
Quello
che vorrei precisare è che io NON sono bulimica,
né lo sono stata. Non
ho avuto problemi alimentari, non ho problemi con i miei genitori.
Lo
preciso perché il tema trattato, e quello che ho detto
riguardo alla difficoltà
che ho nello scriverne, potrebbero avervi indotto in fraintendimenti.
Non
vorrei che vi preoccupaste per me, scusatemi, vi chiedo perdono se vi
ho fatto
intendere qualcos’altro. Vi chiedo perdono, se non
l’ho precisato prima.
Scusatemi.
Vi do il
link di una storia che mi è stata consigliata! E’
una ROBSTEN, potrebbe
piacervi molto! Io l’ho leggiucchiata, e me ne sono subito
innamorata! Tanto
che ora sto postando in fretta per poter andare a leggerla! Ahahah :D
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=466213
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aggiornamenti “occhi da tè”
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elysa
172 Ohh!
Grazie! *.* Sono contenta che le mie storia ti piacciano
così tanto! Non so se
sono così brava, ma so che ho una voglia, anzi, una pretesa
matta di
migliorare! Grazie, grazie, grazie. A presto! :)
luisina
Grazie
tesoro! *.* Sono contenta che ti sia piaciuto così tanto!
E’ stato un capitolo
molto ragionato, e tu sai benissimo quanto per me sia importante
migliorare,
stilisticamente parlando! Edward è “ritornato
all’attacco” e diciamo che la
stessa Bella ha sentito l’esigenza di sentirlo accanto.
Perché in fondo lei sa
che non potrebbe mai prendersela con lui. E’
l’unica persona che ha (secondo
lei). Ma vedrai che le cose si sistemeranno al meglio ;) anche con
Charlie.
Ciao tesoro, e a presto! :*
chi61
Grazie.
La tua sarà una delle recensioni che ricorderò
con maggiore affetto e piacere.
Sei stata gentilissima a darmi il tuo sostegno e ti ringrazio per
avermi
compreso. Sono contenta che questa storia possa averti preso
così tanto. Non
c’è un capitolo veramente felice, forse, alla
fine, ci sarà, chissà. Ma penso
che la parte dominante sia il realismo, e nella realtà non
c’è spazio per
l’idillio. Forse per una pace tranquilla. Grazie ancora, a
presto.
Jordy
Klein
Grazie
mille. Sei molto gentile a non farmi pressioni! Magari
fossero tutti come te! Grazie! A presto! :*
Wind
Certo,
la grande svolta credo sia arrivata. Non potrebbe andare peggio di
così,
decisamente no. Vedrai che le cose ricominceranno ad aggiustarsi, molto
piano,
ma lo faranno. Spero di piacerà… ormai siamo
così vicini alla fine!
Noemix
Ma
no! Non è stupida.
:) E’ solo che prova a metterti nei panni di Bella. Lei ha
sempre vissuto in un
universo chiuso, pensando a se stessa, ai suoi problemi,
perché solo lei
esisteva. Poi è spuntato Edward, si è aperta, e
si è fidata di lui. Non
comprende le sue motivazioni, perché ora si è
“richiusa” e non può fare a meno
di pensare solo a se stessa. E’ questo :)
endif
Grazie.
Grazie mille.
Lo so che tu mi puoi capire… Scrivo questa storia con la
testa attingendo dal
mio cuore. Hai compreso… e… spero di aver capito
cosa hai compreso. Non vorrei
sia qualcos’altro, perché semplicemente non
sarebbe così, non vorrei ti
preoccupassi per me. Il tuo affetto, non posso negarlo, mi fa
infinitamente
felice. Grazie. Grazie, grazie, grazie.
patu4ever
Grazie
tesoro. Sei stata un po’ di luce nelle mie giornate buie. Sei
stata davvero
preziosa, perché è importante avere qualcuno
accanto con cui spartire il
dolore. Anche Bella lo dice, in questo capitolo :P Lo posso dire?!
Adoro quelle
frasi *.* Cioè, non posso dirlo, ma… cancellerei
tutto il capitolo, lasciando solo
quello… ahahahah :D Grazie di tutto ancora, piccola
vagabonda. :*
ariel7
Grazie!
Sei davvero tanto dolce. :) Ho creato con questa un storia molto
“mia”, molto
pensata, molto impegnativa. L’ho continuata,
perché ho pensato ne valesse la
pena, per persone come te, ad esempio, che la sa apprezzare a questo
modo. La
fatica, il dolore, l’impegno, vengono tutti cancellati dalla
soddisfazione,
indubbiamente. Grazie. :*
Sognatrice85
Certo
che si. Dolore forse ancor più forte, estremizzato in
questo. Ma è così che va
la vita, è così che va in questi casi, no?
Grazie.
silvia16595
Oh
tesoro! *.* Come sei
dolceee! Mi fai sciogliere! Sono contenta che ti sia piaciuto! Spero
anche
questo! Mi dai proprio energia utile per scrivere tu, con queste
parole! Sei
stata infinitamente gentile e affettuosa! Grazie! :*
kikkikikki
Ti
ringrazio! E’ per persone come te, che apprezzano
così tanto questa storia, che
continuo a scriverla. E’ pensata, ragionata, forse molto
elaborata, tanto da
lasciarmi ogni volta sfinita. Ma soddisfatta. Soddisfatta di scrivere
qualcosa
che ha un vero significato. Grazie. E’ per persone come
te…
shasha5
Ohh!
Hai pianto?!
Cavolo! Sono felice di esserti riuscita a regalare
un’emozione. Lo so, non è
un’emozione felice, ma fa parte della vita, e io volevo
comunicare questo,
principalmente questo. Ciò che è reale e fa parte
della vita. Edward è con lei.
Ogni cosa si sistemerà. :) Ogni cosa, piano. Pian,
piano…
00Stella00
Scusa,
forse non ho postato così presto. :) Ti ringrazio per la tua
preziosa
comprensione. E’ complesso affrontare un tema
così, molto più viverlo. Da
quello che leggo, però, sei una ragazza abbastanza forte da
poter superare e
chiudere questo problema. Non è mai troppo tardi per farlo,
va bene? Ho scelto
questo tema, perché mi è vicino. Lo è
mentalmente, e lo è stato ancor di più in
passato. No, non è facile scriverne. Ma devo. :) A presto,
spero nel verso senso!
:)
Amalia89
Grazie.
Grazie di
tutto. Il mio stato emotivo risente pesantemente di quello che scrivo.
Lo so
che non dovrebbe essere così, lo so che lo scrittore
dovrebbe essere più
distaccato dai suoi personaggi, per poterne scrivere in maniera
più lucida è
consapevole. Ma io non sono così. Ne verrà una
massa informe e soffrirò, ma non
sono così. Spero di essere stata all’altezza della
situazione. Grazie ancora.
Grazie.
annalie
Cara!
Si, è vero, gli sbagli dei genitori li pagano i figli. E a
volte la vita ci
riserva assurdi giochi, impossibili da prevedere. Scrivere di questa
storia,
così possibilmente reale, non è facile, ma
chissà, forse mi tiene un po’ più
ancorata al mondo vero. Grazie. :*
barbyemarco
Grazie!!!
*.* ohh, ti preoccupi per me?! Lo sai che suscito in chi mi sta accanto
il
complesso della crocerossina! *.* Anche tu ne sei stata colpita! Oh,
sei così
gentile, così dolce! Grazie mille! Spero che questo capitolo
possa esserti
piaciuto. :*
SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate
Già,
in effetti lo scorso capitolo l’ho scritto con quella parola
in testa.
Tristezza. Quelle di questo, invece, direi che sono disperazione e
terrore più
che altro. Edward è lì con lei ora, vedrai che le
cose inizieranno a
sistemarsi. Spero tu possa aver apprezzato il POV Edward. Grazie della
magnifica recensione. :)
Eva17
Grazie.
Mille. Grazie. Sono contenta che il mio capitolo possa averti colpito
così
tanto. Cerco di trasmettere le mie emozioni, e quando
c’è gente come te che le
comprende non posso che esserne entusiasta.
lilly95lilly
E’
vero, è proprio
così, un’ossessione patologica. Non è
facile tornare alla realtà, cambiare,
guarire. Si, guarire, perché stiamo parlando di una
malattia. Accadrà tutto, ma
piano. :) Grazie ;)
congy
Ohh
carissima! Grazie
mille! Sono contenta che ti piaccia così tanto. E’
vero, anch’io, pur
aggiornando più frequentemente l’altra storia,
sono davvero legatissima a
questa. Conserva tutto uno strato di sofferenza, che, non posso
negarlo,
appartiene anche alla mia mente. Farlo venire fuori equivale a
psicoanalizzarmi. No, hai ragione, non è facile. Ma se vi
piace, non posso fare
a meno di scriverlo.
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Capitolo 20 *** Nuotare ***
Edward
Edward
Uscire dal proprio corpo,
immaginare di essere altro
fino a persuadersene. Questo avevo fatto nelle ultime dieci ore,
trascorse
ininterrottamente a contemplare la sua immagine. E l’avevo
fatto talmente tanto
da perdere la concezione di me e entrare mentalmente nel suo corpo.
Ero lì, e immaginavo di
essere lei. Il mio petto si
alzava e si abbassava al ritmo forzato del suo. Immaginavo cosa potesse
pensare, come potesse stare, cosa potesse sentire.
Dolore forse? La mia Bella sentiva
dolore?
Per me, un essere indistruttibile e
condannato
all’eternità, sentirlo era persino un lusso, che
come unico scopo aveva in ogni
caso quello di farmi sentire più vivo.
Le accarezzai i capelli morbidi, le
guance rosa,
innaturalmente surriscaldate sul volto pallido. Le rimboccai le coperte
asettiche, sterili, con estrema attenzione e cura.
Fuori pericolo.
Dopo tre ore e mezza di operazione, dopo aver corso per salvare la sua
vita,
quelle erano state le uniche parole capaci di farmi sospirare di
sollievo.
Gliel’avevo promesso,
l’avrei salvata. E così avevo
fatto, solo in parte. Avevo salvato il suo corpo, dovevo salvare la sua
anima,
e quello sarebbe stato il compito più difficile.
«E’ stabile, la
temperatura è ancora alta, ma è nella
norma dopo l’intervento che ha subito. Presto si
sveglierà». Carlisle rassicurò
Charlie, appena fuori dalla porta della stanza.
Quell’uomo era
semplicemente distrutto. Bella era una
creatura estremamente fragile, bisognosa di affetto, di amore. Si era
richiusa
in se stessa, aveva cominciato ad odiare il mondo, ma il male che
voleva fare
agli altri era solo quello che stava facendo a se stessa.
Aver salvato la sua vita non voleva
dire nulla,
ancora. Ecco perché aspettavo con angoscia il suo risveglio.
Perché salvarla
veramente avrebbe voluto dire redimerla da dentro, e poi da fuori.
Mosse le labbra, le dita della
mano, si lamentò. Lo
aveva fatto continuamente nelle ultime tre ore.
L’annebbiamento dovuto
all’anestesia per l’operazione chirurgica subita
stava man mano scomparendo.
Non appena fosse stata sveglia ogni
cosa sarebbe stata
chiara. Non avrei più temporeggiato, né commesso
lo stesso errore che era quasi
costato la sua vita: aspettare.
Presi la mano libera
dall’ago della flebo fra le mie.
La portai alle labbra, la baciai.
Dovevo aiutarla, ad ogni costo.
Bella
La confusione più totale
dominava la mia mente. E il
fatto che mi accorgessi di essere confusa poteva dirsi il primo sintomo
del
fatto che ne stessi uscendo. Aggiunto a quella avevo un assurdo senso
di
smarrimento e disorientamento, un’insofferenza incredibile a
quel misto senso
di torpore, dolore, voltastomaco.
Bocca amara, braccia e gambe
intorpidite e
qualcos’altro. Dolore? Si, dolore.
Vidi Edward, e i suoi bei capelli.
C’era qualcosa di
strano, una certa idea di sogno in tutto quello. Avevo dimenticato
qualcosa? I
miei pensieri erano troppo incoerenti: stavo sognando, ne ero certa. O
forse…
no?!
Cessò di importarmene
quando la sua immagine scomparve
nel nulla. Sognai altre cose e altre immagini ricorrenti. Il bello del
sogno è
che per la maggior parte della volte ti fa pensare a cose
apparentemente
completamente distanti dai problemi reali.
E cos’è la
realtà? Nel sogno non esiste alcun tipo di
realtà vera, mille e apparenti, si.
Eccomi, su un prato, a rincorrere
il mio piccolo
gattino. «Minush, torna qui!» la rimproverai,
correndole dietro. Quel gatto non
sapeva davvero camminare decentemente. Risi.
Comparve ancora Edward, prendendomi
per mano. Sentii
un ineluttabile desiderio di baciarlo. La sensazione di calore si
sprigionava
dal mio petto, formicolando fin su la mia gola. «Ti
amo».
Aprii gli occhi, e vidi i suoi. Per
la ragione
conferita dalla natura ad un essere umano, distinsi il precedente sogno
dalla
realtà.
Mi fissava senza dire nulla, e
così lo fissavo io. Mi
accorsi di avere la sua mano fra le mie e la strinsi più
forte. Sorrise.
Sembrava stanco.
Avevo freddo, sete, ma allo stesso
tempo una
sensazione di incredibile torpore e gonfiore che mi riempiva lo
stomaco. Era chiaro
che stesse aspettando che dicessi qualcosa.
Ricominciai a pensare coerentemente
dopo qualche
minuto. Era evidente che le pareti e il letto non fossero quelle di
casa mia. E
neppure l’odore. Noi umani ci riteniamo tanto superiori agli
animali, ma il
primo senso con cui istintivamente riconosciamo quello che ci
appartiene è
proprio l’odore. E quello era decisamente l’odore
di un ospedale.
Riflettere sulle conseguenze di
quel pensiero, certo,
era ancora troppo complicato.
Edward mi posò un dito
freddo in mezzo agli occhi,
sulla piccola increspatura che si era formata per il cipiglio che avevo
assunto. «Potresti essere confusa, è
normale» la sua voce era lenta, calma,
delicata, «è uno degli effetti
dell’anestesia» mi sorrise in modo da essere
rassicurante.
«Sei
freddo…» gracchiai. E quel pensiero
occupò la mia
mente.
Mi sorrise teneramente,
accarezzando il dorso della
mia mano con il pollice. «Come ti senti?».
«Ho sete» mi
lamentai. Chiusi gli occhi, ancora troppo
stanca per tenerli aperti così tanto.
Un rumore catturò la mia
attenzione. La porta
scorrevole della stanza che si apriva. Carlisle, era lui.
«Non puoi bere, per
ora. Sei idratata artificialmente» e sorrise anche lui. Erano
tutti molto…
rassicuranti. Si avvicinò al figlio, con una cartella fra le
mani.
Richiusi ancora gli occhi, e trovai
il buio molto più
confortante e l’immaginazione molto meno confusa della
realtà.
Quando li riaprii fu
perché il dolore si era
accentuato molto di più rispetto a prima. Proveniva
direttamente dal torace,
sotto lo sterno. Faceva male. Gemetti, scossi il capo. Non ci misi
tanto quanto
la prima a volta a capire dove fossi, e questa volta neppure perché.
«Sta tranquilla Bella, ti
diamo altro antidolorifico»,
Carlisle mi stava cambiando la flebo.
Edward era sempre
sull’altro fianco, lo sguardo
neutro. Lo fissai dispiaciuta. Così, era riuscito ad
offrirmi la mia seconda
opportunità. Pensai con orrore a quello che avevo fatto di
me, e con maggiore
orrore pensai a quello che gli altri stavano pensando, ora, di me.
Strinsi le labbra, trattenni il
respiro. Gemetti,
ancora, insofferente.
Si avvicinò a me, mi
accarezzò i capelli, mi
tranquillizzò.
«Edward»
mormorai. Avevo le labbra secche e mi
bruciavano. Ricordai improvvisamente le sue ultime parole e arrossii.
“Ti
amo”. Lui non aveva smesso di amarmi, mi aveva
chiesto una seconda
opportunità. E io? Io avrei potuto avere una seconda
opportunità?
Non riuscivo a parlare, a dire
nulla. Avrei voluto
chiedergli aiuto, affidarmi a lui, ma avevo paura e vergogna. Volevo
che mi
parlasse, che mi dicesse qualsiasi cosa. Avevo paura. Era arrabbiato?
Mi sforzai di parlare ancora, mi
posò un dito sulle
labbra secche. Le accarezzò, poi si sollevò, e si
diresse verso il comodino al
mio lato. Osservavo ogni suo gesto con estrema attenzione. No, non
sembrava
arrabbiato; eppure la paura non accennava a scemare.
Volevo dormire ancora e dimenticare
ogni cosa.
Perdermi nell’oblio e nella confusione. Non sembrava poi
così male.
Sussultai quando sentii qualcosa di
umido sulle
labbra. Mi stava passando un fazzoletto imbevuto d’acqua.
Rimasi a fissarlo per
lungo tempo, e lui rimase a fissare con la stessa intensità
me. Man mano il
senso di pace e benessere cominciò ad aleggiare fra noi
senza che alcuno
aprisse gli occhi.
Intrecciò la mano alla
mia, e cominciai a giocare con
le sue dita. «L’esofago» disse
d’un tratto, guardandomi con la stessa apparente
tranquillità. Continuai ad accarezzare le sue dita, e lo
stesso fece con le
mie. «Si è lacerato un tratto
dell’esofago. Era decisamente danneggiato».
Lo guardai, in silenzio. Volevo
capire cosa volesse
dirmi, fin dove volesse arrivare.
«Non è
l’unico danno. Il tuo organismo è seriamente
compromesso. Anche il cuore». Non parlava con durezza, quanto
più con un tono
neutro e distaccato.
«Sei freddo»
constatai ancora, ora decisa a cambiare discorso.
Non mi piaceva la piega che stava assumendo. Non mi sentivo nella
posizione di
replicare, ero ancora troppo confusa e non volevo in alcun modo
prendermela con
lui, ancora.
Si lasciò andare sulla
sua sedia con un sospiro.
«Sei sempre stato
freddo» continuai.
Mi guardò serio.
«E’ nella mia natura». La sua
natura…
certo. Era… un vampiro, dopotutto. «Bella,
ascoltami» ricominciò con dolcezza.
Il suo tono di voce era corposo e suadente. «Sei viva per
miracolo. Ma, vuoi
continuare a vivere? O meglio, vuoi ricominciare a vivere
davvero?».
Chiusi gli occhi. Non cercavo
alcuna forma di oblio,
volevo solo evitare per qualche istante di pensare. Eppure quelle due
parole mi
rimbombavano nella mente vuota. Vivere davvero. Che
cosa significava?
Che avevo una speranza di avere una vita migliore di quella che fino ad
allora
avevo condotto? Che questo genere di vita esisteva realmente, per me?
«Vorrei che ti facessi
aiutare. Da qualcuno che sa
farlo veramente». Speranza, voglia di convincermi,
determinazione, paura.
Aprii gli occhi. «Mi
parli… di te? Voglio che mi
racconti delle cose sulla… tua natura…».
Sospirò, come se avesse
a che fare con una bambina
capricciosa, e provò a controbattere. Posai una mano sulle
sue labbra, non
senza una certa difficoltà. Presi un respiro profondo, se
sentii una fitta al
petto. «Voglio» mormorai, strinsi le labbra
«tu… tu mi puoi aiutare… non voglio
che mi lasci…» farfugliai agitata, provando a
giustificare la mia richiesta
«non ho paura di te…».
Mi sorrise con dolcezza.
«Bella, ti giuro che non ti
lascerò mai» mi accarezzò una guancia
«e ti aiuterò anch’io, lo giuro. Ma tu
adesso hai bisogno anche di qualcuno che sappia bene cosa fare, lo
capisci?»
prese la mia mano libera fra le sue, guardandomi negli occhi
«fallo per me. Io
ti amo Bella… E ci sono tantissime altre persone che stanno
soffrendo per te,
che vogliono che tu stia meglio. Tutti ti vogliono
bene…».
Strinsi più forte la sua
mano. Non volevo farmi
prendere dall’ansia. Lo stato di confusione, la debolezza, il
sonno, mi facevano
sentire molto peggio. Si accorse del mio stato e si fece più
vicino, baciandomi
una guancia. «Voglio…» mormorai,
insistente «che mi parli di te…». Fece
per
staccarsi ma lo trattenni. «Prima…
Prima voglio che mi parli di te».
Mi guardò, mi
accarezzò i capelli e mi sorrise,
contento forse del fatto che non avessi ancora detto di No.
E chi ero io
per non gioire della piccola felicità che gli avevo donato?
Mi parlò a lungo, e io
rimasi a fissarlo, attenta e
concentrata, perché la mia attenzione era davvero bassa e
fuggevole. Di tanto
in tanto mi accarezzava una guancia, la mano, mi bagnava le labbra
secche con
un fazzoletto. Era dolce e gentile, e non deviò mai
dall’argomento di cui gli
avevo chiesto di parlare.
Le cose che mi diceva mi parevano
molto spesso assurde
e surreali, eppure non lo interruppi. Forse accettarle mi veniva facile
ora che
ero così confusa. Quello che avevo compreso con certezza,
era che non mi
avrebbe mai fatto del male, solo questo importava. Era…
speciale. L’avevo
sempre saputo d’altronde. Molto presto, stremata, mi
addormentai, confondendo
le sue parole con un sogno.
Quando mi svegliai avevo molto,
molto caldo, e un
dolore fitto alla testa e al petto. Con gli occhi ancora chiusi gemetti
debolmente.
«Avrà un tempo
di recupero variabile. Vorrei comunque
tenerla in ospedale per almeno quattordici giorni se non ci sono
complicazioni.
Vorrei che le costole ricominciassero a
saldarsi…». Un sospiro. Era la voce di
Carlisle, calma, pacata.
«Non lo so, non lo so
come sia potuto accadere… Io…
Oh, dottor Cullen, se ne ci fosse stato lei…».
Era… mio padre? Un
brivido di sudore percosse velocemente la mia schiena tremante.
«Chiamami pure Carlisle,
Charlie, non ti preoccupare.
Ha bisogno di aiuto ora, vedrai che tutto andrà per il
meglio…».
«Io e sua madre ci
abbiamo pensato, pensiamo che sia
necessario mandarla da uno psicologo, da soli… non potremo
fare nulla. La
situazione ci è sfuggita di mano già una
volta…».
Gemetti, cominciando ad agitarmi,
sentendomi sempre
peggio.
La voce di Carlisle si
abbassò. «Bisogna ponderare la
scelta migliore. In ogni caso potrei darvi un
consiglio…».
Aprii gli occhi, sbattendo le
palpebre pesanti. Il
cuore stava accelerando i suoi battiti già fin troppo
sostenuti. Quando mio
padre si accorse che ero sveglia mi venne subito accanto, prendendomi
le mani
con le sue.
Quel contatto mi
destabilizzò immediatamente. Mi
guardai intorno, alla rapida e disperata ricerca di Edward.
Non c’era!
L’aveva mandato via? Lui… lui mi poteva
aiutare! Mio padre… mi voleva mandare da uno
psicologo…
I miei respiri si trasformarono in
tremiti, e le
ciglia s’imperlarono di lacrime. Mio padre mi guardava
afflitto e dispiaciuto,
e le sensazioni che provavo in quel momento erano troppe,
destabilizzanti,
contrastanti.
Senso di colpa, rabbia,
preoccupazione, ansia. Mio
padre mi accarezzò le mani, tentando di calmarmi, ma
l’effetto prodotto fu
quello contrario. Ero fin troppo debole per interrompere quel contatto
che mi
stava facendo così male.
Provvidenzialmente fu interrotto da
Carlisle, che fece
gentilmente allontanare mio padre prendendo il suo posto.
«Calma Bella, non ti
agitare» mi disse serio, posando una mano sulla fronte. Mi
parve perfino più
gelata di come la ricordavo.
Il respiro accelerato faceva
muovere mi mio petto
causandomi dolorose fitte. Chiusi gli occhi, spaventata. La spalliera
del
letto, finora leggermente rialzata, si abbassò con una
scatto.
«Shh… calma.
Apri gli occhi, guardami». Mi posò una
mano sotto il diaframma, attento a non farmi male, aiutandomi a
respirare. «Prendi
fiato, con calma… apri gli occhi».
Quando eseguì il suo
ordine mio padre non era più
nella stanza. Al suo posto c’era un’infermiera, la
porta era chiusa.
Carlisle mi guardava con dolcezza e
decisione,
continuando ad aiutarmi e tranquillizzarmi. «Tranquilla,
tranquilla… va tutto
bene».
« Non si era agitata
così prima… Devo darle un
calmante?».
Scosse il capo alla domanda
dell’infermiera. «No, per
ora no», disse fissandomi. Il respiro era quasi completamente
regolarizzato, ma
il cuore mi batteva forte e rumoroso, lo sentivo pulsare persino alla
base
della nuca. «Le dia un antipiretico, la temperatura
è salita ancora».
«Come ti senti
Bella?» chiese Carlisle non appena
l’infermiera fu andata via.
La confusione era
perlopiù andata via, ma al suo posto
c’era un deciso e insopportabile malessere. Sudavo, eppure
avevo freddo. Ma la
cosa che più di tutte acuiva negativamente il mio stato era
l’assenza di
Edward. Se ne era andato? Non avevo il coraggio di chiederlo.
«Stanca»
mormorai, e sentii una fitta alla gola, secca.
«Ho sete…».
Mi guardò comprensivo.
«E’ meglio se per ora non bevi.
Aspettiamo un altro po’, va bene?».
Sospirai, e sentii una fitta al
torace. Strinsi le
labbra.
«Ti fa male?»
mi chiese attento. Con delicatezza
sollevò il lenzuolo e il camice spesso e ruvido con cui ero
vestita.
Trattenni il respiro quando vidi la
benda chiazzata di
rosso.
Carlisle mi visitò con
discrezione e attenzione. «Dovrei
cambiare il drenaggio. Per operare abbiamo dovuto tagliare due costole.
Con il
tempo si risalderanno, ma dovresti muoverti il meno
possibile» il tono della
sua voce era risoluto e professionale «Nei prossimi giorni
faremo degli esami e
dei test, per verificare il tuo stato generale. Fra una settimana
potrai
ricominciare a mangiare cibi liquidi, per ora verrai alimentata
artificialmente».
Chiusi gli occhi. La testa mi
girava, avevo la nausea,
mi sentivo malissimo. Eppure, tutto questo l’avevo voluto io,
no?
No. Io non volevo questo. Questa
era solo la
scellerata conseguenza di una scellerata azione.
Cosa avevo ottenuto? Neppure Edward
era lì con me. E…
mio padre… lui… non era quello che avevo in
mente. Non doveva andare così…
«Hai nausea?».
«Edward…»
mormorai, aprendo gli occhi. Riuscivo a
vedere a malapena dato che erano pieni di lacrime. Sapevo di non
meritarmelo,
ma avevo bisogno di lui.
L’espressione di Carlisle
si addolcì. «Ti ha parlato
di noi, non è così?» chiese, venendosi
a sedere sul brodo del letto.
Annuii, nascondendo nei palmi delle
mie mani quelle
stupide gocce salate.
Sorrise. «Negli ultimi
giorni hai messo a dura prova
il suo autocontrollo, ora ha bisogno di recuperare le forze,
è a caccia. Mi ha
detto che ti ha spiegato diverse cose. Dovresti sapere che il sangue
è per noi
un richiamo fondamentale, non possiamo venirne meno. E lui
ha…» temporeggiò,
scegliendo la parola migliore «un legame speciale, con il
tuo. Ma il suo
desiderio di preservare il tua vita l’ha vinto».
Le sue parole mi entrarono dentro
in maniera del tutto
inaspettata. Per tutto il resto della giornata, mentre miracolosamente
la porta
della mia stanza rimase chiusa, ci pensai a lungo.
Avevo sempre immaginato Edward come
una persona forte,
incorruttibile, come un punto d’appoggio solido, molto
solido. Scoprire che
anche lui poteva avere un punto debole era per me del tutto
inaspettato.
Cambiava totalmente la mia visione
della vita e del
mondo. Sapere che l’uomo, l’altro, persino Edward,
poteva essere così fragile…
Invece lui era riuscito a vincere
il suo istinto
primordiale, andare contro quello che a me pareva
l’inevitabile corso delle
cose. Solo allora riuscii a guardarmi intorno. Le altre persone, quelle
che
invidiavo, quelle amate, non erano così perché la
vita era stata generosa con
loro. Loro erano riusciti a contrastare e continuavano a remare contro
il corso
delle cose.
Il fiume, il torrente, la corrente
che continuava a
trascinare via la vita di ogni uomo, al quale io mi ero arresa, per
loro non
era affatto più tenue. Loro avevano semplicemente deciso di
affrontarla, sempre
con la stessa forza, sempre con lo stesso coraggio.
«Bella»
sussurrò Edward a mezza voce.
Aprii gli occhi, osservandolo
mentre si veniva a
sedere sulla sedia accanto al mio letto. Mi osservava attentamente,
pronto ad
una mia reazione. Carlisle doveva avergli detto della mia piccola crisi
pomeridiana.
Osservai un particolare cui fino ad
allora non avevo
dato particolare peso. «I tuoi occhi…»
farfugliai roca. «Sono…
sono…».
«Dorati»
finì lui per me, «sono così dopo che mi
sono
nutrito».
Presi un respiro, stanca e
dolorante. Sollevai una
mano per accarezzarlo, ma una fitta mi colpì il dorso. Un
ago, e un livido
violaceo sulla pelle grigiastra. Edward prese la mano fra le sue e la
baciò,
posandola nuovamente sul copriletto, pieno di premure e attenzioni.
«Carlisle
mi ha detto che… ti sei agitata».
Chiusi gli occhi, stanca, afflitta,
non rispondendo
alla sua affermazione. «Non avrei mai voluto finire in
ospedale…» mormorai, col
magone che mi stringeva sempre più la gola. Non meritavo
tutto quello. Sentivo
di aver deluso Edward, l’avevo fatto stare male, mentre lui
aveva solo e sempre
cercato di aiutarmi. Ero stata incredibilmente egoista. «Mi
dispiace…».
Mi cancellò le lacrime
che mi stavano inondando le
guance, chinandosi su di me e abbracciandomi. «Non ti
preoccupare Bella, andrà
tutto bene…».
«Non mi merito tutto
questo» singhiozzai, stringendolo
però più forte, troppo vile per lasciarlo andare
«non dovrebbe essere così…
Sono stata così stupida… mi dispiace
così tanto, Edward…».
Mi accarezzò i capelli,
baciandomi la tempia. «Shh,
shh, va tutto bene… Va tutto bene…».
«Non va tutto
bene» piansi, «mi fa male tutto, sto
male, mi sento una schifo. Il mio corpo è ridotto in
condizioni… pessime e…
dovrò fare mille test, e analisi, e tutto questo
perché sono stata una stupida
Edward, una stupida…».
«Guarirai… Col
tempo guarirai e il tuo organismo
recupererà gli scompensi. Ci vuole tempo, ma
succederà, vedrai…».
Piansi più forte.
«Come fai ad amarmi ancora?! Sono
una stupida… Mi sono fatta da sola tutto questo…
e… non sono malata… sono
malata dentro, Edward…» singhiozzai,
«come fai ad amarmi ancora…».
Si staccò appena, il
naso a contatto col mio, bagnato,
fissandomi negli occhi, prendendomi il viso fra le mani. «Non
mi importa di
niente. Voglio solo che tu ora stia meglio, va bene? Mi importa solo
questo».
Avevo buttato via il mio corpo.
Avevo fatto lo stesso
con la mia anima. Il mio cuore, la mia pelle, il mo stomaco…
la mia mente. Ero…
malata. «Sto male…»
farfugliai, per la prima volta consapevole di
esserlo veramente.
«Guarirai, lo
giuro» disse, serio, accarezzandomi la
guancia e cancellando le ultime lacrime. E lo faceva con lo stesso
amore con
cui l’aveva sempre fatto. Mi aveva raccontato la sua vita, la
sua natura, anche
Carlisle me l’aveva detto. Lui ci era riuscito, lui era
guarito. Potevo davvero
farlo anch’io…
«Farò tutto
quello che mi dirai» mormorai roca «te lo
giuro Edward… te lo giuro» continuai, baciandogli
le labbra.
Mi sorrise, accarezzandomi una
guancia. «Andrà tutto
bene, guarirai. Ma devi sentirlo veramente, devi veramente persuaderti
di
essere abbastanza forte da farlo. Perché lo sei. Ogni essere
umano lo è, anche
quando ogni cosa sembra impossibile, c’è sempre un
motivo per affrontare il
corso della vita, per non smettere di lottare».
«Tu sei il mio
motivo».
Scosse il capo. «No
Bella, non sono solo io. Tu hai
mille motivi per farlo. Lo capirai presto, vedrai» disse
dolcemente,
sorridendomi.
Non riuscivo a comprendere
né ad intuire i mille
motivi di cui parlava Edward, ma era certo che mi fidavo di lui. E non
avevo
mai realmente smesso di farlo.
Affrontare il fiume da sola era
stato impossibile.
Aggrapparmi a Edward, sorreggermi al mio scoglio, mi aveva portato a
sprofondare non appena era venuto a mancare. Avrei inevitabilmente
dovuto
imparare a nuotare da sola.
Spero vi
sia piaciuto! Ho cercato di ordinare per bene le idee, e di comunicare
la
giusta dose di confusione. Non ho idea del risultato…
mh…
Grazie,
mille. Siete uniche e fantastiche, mi avete lasciato dei complimenti
davvero
eccezionali. Sapere di avervi fatto emozionare, commuovere, rende vivo
quello
che scrivo. Lo rende reale e mi fa sentire bene. Grazie,
perché continuate a
seguirmi nonostante tutto.
La fine
di questa storia sarà reale, né brutta,
né bella. Una storia così non può
finire con un idillio, no?
E per
questo Bella non è stata trasformata. Chissà,
magari, in futuro, forse. Sarebbe
stato troppo semplice ora, per lei, essere trasformata. I problemi non
si
risolvono così…
Per
questo ora Bella affronterà le cose man mano. Quello che ha
fatto ora, in
questo capitolo, è solo un piccolo e primo passo. Bisogna
continuare a
combattere contro il corso della vita. :)
Qualcuno
ha scritto che di bulimia non si muore. Beh, non è
così… Non ci si può illudere
di questo. La bulimia è una malattia che può
portare benissimo alla morte, ha
delle conseguenze orribili non solo sulla psiche, ma anche sul corpo,
gravissime.
Grazie a
tutte, e scusatemi se non rispondo alle recensioni! *.* La prossima
volta lo
farò, promesso. :* Grazie, perché continuate a
seguirmi nonostante i tempi di
aggiornamento non siano così brevi!
Giuro che
fra un paio di capitoli mi tolgo definitivamente dalle scatole! Ahahah.
Un
besos :*
PS. Per
gli aggiornamenti “occhi da tè”, il mio
blog :P, potrà darvi informazioni utili
(sono un po’ lentina, lo so :P). Ci sono anche su Twitter
@Keska92, sarò felice
di aggiungervi!
(fatto da
Elena)
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
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Capitolo 21 *** Ammissioni ***
Bella
Bella
Il ticchettio
dell’orologio, unico rumore presente
nella stanza, stava diventando opprimente e soffocante.
La donna seduta davanti a me mi
fissava, con
tranquillità, come se non si aspettasse niente di meno di
quello che stava
avvenendo. Era entrata, si era seduta, mi guardava.
Era la mia psicologa.
Me ne stavo stesa nel letto, a
guardarla, senza dire,
anch’io, nulla. L’incontro era stato fissato
quattro giorni dopo l’intervento,
quanto bastava perché potessi fare a meno della morfina e
quindi, automaticamente,
essere lucida.
Quella mattina, a differenza delle
precedenti, Edward
non si era presentato. Avevo immediatamente compreso che doveva essere
quello
il giorno in cui avrei dovuto cominciare ad affrontare i miei problemi.
Carlisle mi visitava con costanza.
Alice veniva ogni
tanto a trovarmi. Persino Esme, una volta, era passata a salutarmi. Ora
che
sapevo molto di più su di loro per me era più
semplice comprenderli.
Mia madre era venuta da me. Era
venuta a trovarmi con
mio padre. Non avevo detto nulla, ma avevo visto i loro occhi rossi. Mi
faceva
solo male. Prima, quando decidevo di vendicarmi su di loro, avevo
pensato il
contrario, ma vederli soffrire per me non appagava il mio animo,
distruggeva
quello che rimaneva.
Sospirai, fissando l’ago
infilato nell’incavo del mio
gomito.
«Fa male?».
Sussultai alla voce della donna.
Era ferma e liscia.
Si, liscia. Se una voce è definibile ruvida sarà
possibile definirne il
contrario con l’aggettivo opposto?!
Le sue palpebre si abbassarono una
volta, tanto
velocemente da sembrare che le stesse sbattendo, tanto lentamente da
farmi
concentrare sul gesto. «Bella. Sai
cos’hai?».
Presi un respiro.
«Io…» il mio petto si alzava e si
abbassava, ma le parole faticavano ad uscire
«io…» mi guardai intorno. Eppure,
sapevo perfettamente qual’era stata la mia malattia.
L’avevo compreso,
finalmente.
«Sei bulimica»
finì lei per me, con tono asciutto e
neutro.
Il mio sguardo ritornò
sul suo viso serio, saettando. Provai
vergogna. Distinta vergogna e senso di disagio.
Accavallò le gambe,
senza interrompere il contatto
visivo. «Sai cos’hai?» chiese ancora.
Fremetti, stupendomi del fatto che
mi stesse ripetendo
la medesima domanda, dopo che lei stessa aveva dato una risposta.
Deglutì,
fissandola e non parlando.
«Voglio che tu me lo dica
ad alta voce».
Sospirai, gemendo, piano. Presi
fiato per parlare, ma
subito dopo ci rinunciai, vinta dal silenzio.
Mi fissò, cambiando
discorso. «Ti hanno detto che la
bulimia è una malattia».
Annuii, solo perché
aveva interrotto le sue parole,
fissandomi, e non perché formassero propriamente una domanda.
«Il fatto che sia una
malattia non vuol dire né che ci
sia un’immediata cura, né che la causa di tale
patologia non risieda in te. Sei
stata tu a scegliere di farlo».
Tremai. «Io…
lo so…» borbottai, ferita dal suo tono di
voce.
Sorrise lievemente. Si
sollevò dalla sedia,
avvicinandosi a me. I miei occhi non si staccarono dalla sua figura.
«Sei
bulimica, ma non riesci a dirlo. Non riesci a capirlo. Non riesci ad
accettarlo. Non sai ancora cosa stai facendo». Non era dura,
arrogante.
Piuttosto comprensiva, a differenza delle sue parole.
Deglutì, scossi il capo.
«Non lo sono più…» affermai
tremante. Improvvisamente desideravo che tutto quello finisse. Non
avevo
immaginato nulla di simile. Mi sarei aspettata un po’ di
comprensione. Mi sarei
aspettata qualcuno che sapesse comprendermi.
Sollevò le sopracciglia.
«Non credo. Tu lo sei ancora.
Non sei neppure consapevole di quello che ti sta succedendo, quando
saprai
essere consapevole di te stessa potrai dirlo».
«Io…
basta» sussurrai, scuotendo il capo. «Basta, la
prego».
«Come vuoi»
mormorò con gentilezza. Mi sorrise, prese
la sua giacca, abbandonata sulla sedia, e se ne andò. Non
credevo potesse
essere così arrendevole. «Pensaci, Bella. Pensa.
Pensa a cosa hai fatto
davvero».
Rimasi sola, sconvolta. Voltai
appena la testa, troppo
dolorante per effettuare una torsione con il busto, e piansi, attenta
ad essere
ben nascosta. Provavo rabbia, dolore, vergogna, odio. Le parole di
quella donna
mi bruciavano. Parlava di me come se mi conoscesse già. Mi
giudicava, pensava
di potermi convincere delle sue parole. Singhiozzai, stringendomi il
petto con
una mano.
Pochi minuti dopo Carlisle
passò per la consueta
visita. Non lo guardai in faccia mentre mi parlava, mentre io stessa
parlavo
con lui. Lo stesso facevo con i miei genitori, con Alice, con Edward.
Mi
vergognavo di me stessa. Come se mi fossi appena accorta di avere
scritta in
fronte la prova della mia colpevolezza.
E odiavo quella donna, la odiavo
per avermi fatto
sentire così.
Sentii una mano fredda sulla mia.
«Sei silenziosa».
«Voglio andare via da
qui» biascicai, senza guardarlo,
senza voltarmi a fissare Edward. Non rispose, rimase silenzioso.
Singhiozzai.
«Voglio andare via…».
Non parlò, ancora.
Strinsi a me il cuscino,
abbracciandolo convulsamente
e continuando a piangere. Mi sentivo così maledettamente
male, così sopraffatta
da ogni tristezza. Volevo evadere da ogni cosa, ricominciare a non
pensare, e
basta. Non soffrire, e basta.
«Sei solo
all’inizio» mormorò soavemente al mio
orecchio.
Singhiozzai più forte,
sentendo le costole pulsare
dolorosamente.
Mi liberò le braccia dal
cuscino. «Non piangere»
disse, asciugandomi gli occhi. Prese le mani fra le sue, ripetendolo,
ancora.
«Aiutami»
biascicai, guardandolo, gli occhi gonfi.
«Posso abbracciarti.
Baciarti. Rassicurarti» sussurrò
tremulo, sfiorando la mia fronte con le sue labbra «ma non
posso aiutarti, se
prima non lo fai tu».
Ricominciai a piangere,
sorreggendomi questa volta
sulle sue spalle forti, versando calde lacrime.
«Man mano ogni cosa si
aggiusterà. Devi volerlo tu.
Devi essere coraggiosa. Devi solo volerlo. Non piangere»
ripeté, «ti fai solo
del male».
Ti fai solo male. D’altronde, cosa avevo
fatto, se non farmi del male? Togliendo i se,
i quando, i perché, era quello che rimaneva. Il dolore che
avevo provocato a me
stessa. Chiusi gli occhi, abbandonandomi al suo maglione e alle sue
braccia.
Abbandonandomi alle sue mani che continuavano ad accarezzarmi
docilmente i
capelli.
Non pensare, essere sospesi in una
bolla.
Completamente isolati. Era quello a cui agognavo. Non volevo provare
dolore,
sofferenza. Edward voleva farmi nuotare, io volevo solo stare a galla.
«Edward mi ha detto che
mi faccio del male».
«Hai parlato con Edward
della terapia?» chiese la
donna, sorpresa, sollevando lo sguardo dai fogli su cui stava
scrivendo.
Scossi il capo.
«L’ha detto, e io l’ho pensato».
Annuì, più
rilassata. «E’ così».
«E’ questo
quello che voleva sapere ieri?».
«Posso dire che
è un inizio» disse, sorridendo,
«vorrei che comprendessi che il mio scopo è quello
di farti stare meglio».
Fremetti, pensando il contrario e
abbassando il viso.
«Non sto dicendo che nel
frattempo sarà semplice».
Continuai a rimanere muta.
«Bella, hai detto tu
stessa che ti stai facendo del
male. Un masochista, un suicida, si vuole fare del male. Hai rischiato
di
morire, lo sai».
Sollevai di scatto la testa.
«Io non volevo uccidermi»
risposi, piccata.
Strinse le labbra, piegandole poi
in un espressione
tranquilla. «Sai qual è la differenza fra te e un
suicida?».
«Io non volevo
né voglio uccidermi». Risposta
sbagliata. Era chiaro, lo si leggeva nei suoi occhi. Il risentimento
dilagò in
me, mentre i miei pugni chiusi tremavano sul copriletto.
«Un suicida vuole
esattamente quello che vuoi tu. Con
l’unica differenza che è abbastanza coraggioso da
dichiararlo a se stesso e
farla finita, in un attimo. Tu ti sei uccisa lentamente, giorno dopo
giorno».
«Io non volevo morire! La
smetta di dirlo! La
smetta!».
Era sempre pacata, anche di fronte
alle mie urla.
«Devi accettarlo Bella. Hai detto tu stessa che volevi farti
del male. Devi
accettarlo, dirlo».
«Mi lasci
stare!» urlai quando si avvicinò. Balzai
giù
dal letto, retrocedendo, rifugiandomi con le spalle contro il muro.
Sentì il
cuore battere più forte. Troppo forte. «Non
ha…non ha il diritto di… parlarmi…
così! Non ha… nessun diritto!».
La porta della camera si
aprì, facendo passare
Carlisle. Guardò la donna, ferma, dritta, tranquilla. Si
scambiarono poche
parole pacate, lui annuì. Venne accanto a me, prendendomi
fra le braccia.
«Shh…
Calma…».
Portai una mano al petto, ansante.
Il cuore pulsava,
forte, come se volesse uscirne. Boccheggiai, osservando silenziosa la
donna che
usciva dalla stanza.
La crisi durò alcuni
infernali minuti. Non mi sfuggì
l’occhiata apprensiva che mi riservarono le infermiere,
né quella che mi
rivolse Carlisle. La mia guarigione, la mia guarigione fisica, non
sarebbe
stata semplice né tanto meno scontata.
Ero addolorata, frastornata. Stavo
peggio. Mi ero
fidata di Edward, e gli avevo giurato, promesso, che sarei guarita, che
ce
l’avrei fatta. Che mi sarei fatta aiutare. Ma da quando
quella donna era
entrata nella mia vita stavo solo peggio.
Era svanita l’illusione
della guarigione. Vedevo solo
dolore.
E ora non potevo neppure pretendere
l’aiuto di Edward.
Non potevo avere l’aiuto di nessuno. Mi sentivo abbandonata,
tradita. Immaginai
i pensieri di ognuno dei miei conoscenti, tutti identici a quelli della
psicologa. E mi sentii condannata.
«Nessuno ti giudica. Lei
sta solo cercando di
aiutarti».
Rimasi silenziosa, respirando
piano.
Carlisle mi accarezzò il
viso. «Ti vogliono tutti bene
Bella, stanno solo cercando di aiutarti. Nella vita, a volte, ci
sentiamo soli,
depressi. Non per questo dobbiamo lasciarci andare.
L’importante è reagire
sempre».
«Edward. Non
c’è» bofonchiai. «Mi ha
lasciato anche
lui».
Carlisle sorrise. «Vuole
solo che cominci a reagire.
Sta facendo del suo meglio per non correre da te e rassicurarti,
prendendosi
anche tutte le responsabilità delle tue azioni. Ma, Bella,
non sarebbe un bene
per te».
E così era quello il
punto. Dovevo prendermi la
responsabilità delle mie azioni?! Lo avrei fatto, lo volevo
fare. Ma non ci
riuscivo, non il quel modo. No. «Mi odia… lei mi
odia. Io ci ho provato, ma…
non ce la faccio Carlisle… mi fa male…».
«Lei è solo la
tua coscienza, non ti odia».
Strinsi i pugni, chiusi gli occhi.
«Non so se posso
farlo così».
Sentii le sua mani sulle mie.
«Provaci, te la senti?
Ancora un giorno. Ascoltala piano, prova a capire quello che vuole
dirti. Ogni
cosa migliorerà».
L’indomani si
presentò con lo stesso silenzio del
primo giorno. Si aspettava che parlassi io? Non avevo paura di farlo.
No. Non
ne dovevo avere.
«Lei sostiene che io mi
voglio fare del male. Perché?»
chiesi, seria, rompendo il silenzio ronzante e crescente con voce
tremula.
Tutta la notte ci avevo pensato.
«Forse questa
è una domanda che dovresti fare a te
stessa».
Sospirai. Volevo propormi con uno
stato d’animo
aperto, il più possibile. Eppure non potevo evitare di
essere sulla difensiva.
«Io volevo solo che gli altri si accorgessero di me, volevo
solo… non so cosa
volevo. Ma non volevo farmi male».
«Lo sai che il dolore non
si può convertire in
affetto?».
«L’ho
imparato» ammisi. Subito dopo sollevai lo
sguardo, aspettandomi una contraddizione che non arrivò.
«Vuoi davvero
guarire?» chiese invece.
«Si».
«Perché?».
Presi un respiro, riflettendo
piano. «Perché non
voglio fare stare male Edward».
«E basta?».
Mi morsi il labbro, sentendo gli
occhi bruciare.
Pensavo che se quelle lacrime fossero sfociate avrebbero distrutto le
mie
difese, i miei buoni propositi. Sarei stata ancora più
debole e vulnerabile. «I
miei genitori» biascicai.
«Nient’altro?».
Sentii il respiro velocizzarsi, la
gola stringersi.
«Io voglio vivere… Ho avuto paura di morire.
Quindi voglio vivere, voglio
vivere davvero. E ho ancora paura. Perché…
perché il mio cuore batte veloce, e
mi fa male. Perché il mio corpo non mi vuole più.
Ma io si. Io voglio vivere»
singhiozzai.
Si avvicinò, mi prese
fra le braccia, mi strinse,
accarezzandomi la schiena. La lasciai fare, lasciandomi andare
placidamente. Era
calda, morbida e rassicurante.
«Voglio che il mio cuore
continui a battere… Non
voglio che si fermi… Non voglio…».
Mi accarezzò ancora.
«Non posso dirti che non lo farà.
Ognuno di noi, in fondo, ha la sua ora. L’importante
è vivere il tempo che
abbiamo con la consapevolezza di averlo voluto vivere
davvero».
Mi sollevai, quel tanto che bastava
per poterla
guardare in viso. Sentii la gola stringersi incredibilmente, eppure le
parole
riuscirono a lottare e venir fuori. «Non so se me lo merito,
ma voglio vivere».
«Non si tratta di
meritarselo. Dipende solo da te. Lo
vuoi?».
«Lo voglio».
Quando la porta della mia stanza si
aprì, ne sentii il
suono. Avevo gli occhi chiusi, ma la testa pulsava ad ogni rumore.
L’ammissione
della mia colpa non mi aveva dato ristorazione, ma mi aveva concesso di
cadere
in un confuso torpore.
Potevo pensare, riflettere.
Concedermi di sottostare
silenziosamente al flusso dei miei pensieri. Avevo più
fiducia nella dottoressa
Mc Green. Avevo più fiducia in me. Ma la strada, ora, mi
appariva per quello
che era. Lunga e interminabile.
«Come stai?» mi
chiese cortesemente Edward.
Aprii gli occhi, fissandolo.
«Mi sei mancato
terribilmente» confessai senza pudore. Senza paura di
rivelare la mia
sofferenza.
Mi accarezzò il viso, mi
baciò le guance. Mi prese fra
le braccia, sfilandomi dalle coperte e stringendomi a sé,
pur attento a non
farmi male. «Va meglio?» domandò,
carezzandomi dolcemente. «Sei triste».
Scossi il capo. «Solo un
po’ malinconica. Non mi
abbandonerai, vero Edward? Mi fai stare meglio. Ho bisogno di stare
meglio».
Fremette, preoccupato.
«Non ti abbandonerò. Ti farò
stare meglio sempre, per sempre. Voglio che tu sorrida. Devi stare bene
amore,
devi stare bene…».
Rimasi fra le sue braccia,
taciturna, non riuscendo,
in ogni caso, a prendere sonno. Mi lasciò andare fra le
lenzuola, scomparendo
per alcuni istanti.
Avevo appena grattato con le unghie
la superficie del
mio dolore. Quanto bastasse per vedere il terrore che vi si celava
sotto.
Potevo ancora tirarmi indietro. Eppure, sotto la coltre di dolore, mi
aveva
assicurato da dottoressa, ci fosse una quieta luce. Non brillante e
sfavillante, e neppure costante. Ma c’era. E se volevo vivere
davvero
dovevo arrivarci.
Attraversando e cancellando il
dolore.
Edward tornò da me con
un sorriso pieno, volto ad
illuminare il mio umore. «Come ti senti?» chiese,
scrutandomi, «hai dolore?».
Scossi il capo, fissandolo incerta.
«Poco».
Due secondi più tardi
un’infermiera entrò nella stanza
con una sedia a rotelle. Lo fissai, interrogativa.
«Vuoi uscire un
po’ fuori? Ti porto io. Ti divertirai,
vedrai» sussurrò, accarezzandomi il viso.
Edward
Allontanarsi da lei,
anche solo per pochi giorni, era
stato incredibilmente difficile. Ma sapevo perfettamente che lo facevo
per il
suo bene, e continuavo a ripetermi ogni cosa sarebbe andata al suo
posto.
La dottoressa Mc Green era una
conoscenza di mio
padre, perfettamente specializzata in questo genere di cose.
«Devi fidarti»
aveva detto Carlisle.
Eppure, fin da subito mi era
apparso chiaro quanto
Bella soffrisse di quelle sedute.
«Fidati, dalle tempo.
Migliorerà».
Ogni pomeriggio la trovavo
distrutta, disperata, in
lacrime. Disperatamente aggrappata alle mie spalle, a piangere.
«Edward» la
voce di sua madre, Reneè, così simile alla
sua, aveva interrotto il mio placido passaggio nel corridoio. Aveva la
voce
arrochita, e i suoi occhi erano ancora secchi e rossi.
Avevo osservato, in quei giorni, i
genitori di Bella
fare avanti e indietro dall’ospedale. Non era una questione
che Bella era
riuscita ad affrontare, ancora, ma mi pareva che fosse quantomeno
consapevole
di quello che aveva fatto. Loro, dalla loro parte, si sentivano in
colpa per
non essere riusciti a comprendere tempestivamente i problemi della loro
figlia.
Erano estremamente afflitti.
Reneè abbassò
il capo, lo rialzò. «Mi dispiace. Non
sono stata una buona madre per mia figlia, ma… ti ringrazio.
Ti ringrazio
infinitamente per tutto quello che hai fatto per lei».
Posai una mano sulla sua spalla,
così vicino alla
disperazione che sentivo nei pensieri di quella donna. «Bella
è solo molto
fragile. Sono naturali delle incomprensioni. Ma se non le volesse
così bene non
avrebbe neppure fatto nulla per farsene volere».
Abbassò il capo, lo
alzò. Si gettò fra le mie braccia,
ricominciando a singhiozzare. Rimasi qualche secondo spiazzato da quel
contatto
così vicino, destabilizzato, dalla sensazione di
deja-vù.
Dopo tre giorni dalla prima seduta,
Carlisle venne da
me, finalmente con un sorriso. «Buone notizie»
dichiarò col pensiero.
«La dottoressa dice che oggi ha reagito come si aspettava,
finalmente. Sai
anche tu quanto in psicologia le conquiste siano effimere talvolta, ma
è
comunque un ottimo segnale di reazione».
Sospirai. Chiusi gli occhi,
sorrisi, debolmente.
«Grazie». Finalmente, la speranza che andava
assopendosi era stata nuovamente
alimentata.
Ma quando andai da lei aveva le
palpebre chiuse, era
silenziosa. Mi parve chiaro, nello stesso istante in cui sentii una
stilettata
dritta al cuore morto, il suo stato d’animo. Mi ero illuso,
convito, che le
cose potessero andare meglio. Avevo ignorato il suo dolore come un
sordo ignora
il silenzio. Ma se stessi, invece, sbagliando ogni cosa?
Da troppo tempo su quelle labbra
non vedevo più il
sorriso. Da troppo mi sembrava stanca e assente. Non potevo, ancora,
vederla
così.
La lasciai sola per andare,
animato, nello studio di
mio padre. «Carlisle». La dottoressa Mc Green,
seduta sulla poltrona di fronte
alla scrivania, mi guardò.
La salutai cortesemente, provando a
non leggerle nel
pensiero. Non mi era concesso sapere della terapia di Bella, a meno che
lei
stessa non me l’avesse rivelata. Non era quello il mio
compito.
«Parla pure Edward. Devi
parlare di Bella, non è
così?». La dottoressa era decisamente diretta.
Mi volsi verso mio padre.
«E’ incredibilmente
taciturna, spenta» ammisi preoccupato. «Qualcosa
non va».
«E’ doloroso,
ragazzo, non ho mai detto che non lo
sarebbe stato…».
Il mio sguardo volò
dalla figura della dottoressa a
quella di mio padre. «Sa quello che fa».
Fremetti. «Bella sta
incredibilmente male. Ho
aspettato, ma non posso vederla ancora così» dissi
con tono autorevole. Non
potevo ancora vederla soffrire a quel modo.
«Edward,
calmati» intervenne mio padre, alzandosi e
venendomi incontro. «E’ solo la fase iniziale,
migliorerà. Devi essere
forte, per lei, Edward. Non ti preoccupare, andrà tutto per
il meglio. Calmati,
non sei lucido ora.».
Sospirai, scuotendo il capo,
tentando di riacquisire
la piena potestà delle mie facoltà mentali. La
verità era che quando si
trattava di Bella non potevo essere lucido. Vederla soffrire ancora mi
faceva
incredibilmente male.
Chiusi le palpebre, lentamente. Le
riaprii. «Vorrei
fare qualcosa per farla stare meglio. Almeno… distrarla.
Farla uscire un po’,
nel cortile».
Mio padre vagliò
velocemente, mentalmente, le sue
condizioni. «Chiedile se se la sente. Non farla
stancare».
Annuii, leggermente rinfrancato.
Prima che potessi uscire,
però, la dottoressa richiamò
l’attenzione su di sé, sia mentalmente che
verbalmente. «Purtroppo non posso
darle la felicità, non subito» disse, e i suoi
pensieri non poterono non essere
addolorati «ma puoi farlo tu, Edward. Sarà molto
dura, ha bisogno di qualcuno
che le stia accanto. Ti ha citato. Ci tiene molto a te».
Annuii, ancora. Il suo sguardo
determinato bruciava
ancora nel mio. Non avrei permesso a nessuno di interferire. Volevo
farla
felice, ad ogni costo.
Bella
Mi strinsi nella giaccia,
osservando senza parlare gli
altri malati intorno a me, che si trascinavano o venivano trasportati
nel
cortile dai colori spenti. Rabbrividii, e Edward si fermò,
mi sorrise, sistemandomi
meglio la coperta che avevo sulle gambe e continuando a spingermi sulla
sedia.
«Ti piace?».
Annuii.
«Mi dispiace che non ci
sia il sole, sarebbe stato più
bello. Ma in quel caso» si avvicinò al mio
orecchio, sussurrando «in quel caso
non avrei potuto farti compagnia».
Aggrottai le sopracciglia,
distratta dai miei pensieri.
«Cosa succede al sole? Ti… sciogli?»
chiesi, con una punta di apprensione.
Ridacchiò, fermando la
sedia sotto una grande quercia.
«No. Un giorno te lo mostrerò, promesso. Niente di
inquietante, comunque».
«Quando sarò
fuori di qui?» chiesi, e non potei
nascondere la speranza. Speravo. Speravo davvero di potercela fare.
Mi sorrise, mi accarezzò
una guancia. «Si, Bella,
quando sarai fuori di qui».
Mi prese fra le braccia,
avvolgendomi nella coperta e
sistemandomi fra le sue. Si sedette sull’erba, le spalle
contro il tronco
dell’albero, canticchiando e tenendomi stretta a
sé.
Era uno dei momenti a cui agognavo,
a cui ognuno tende
inesorabilmente, ma che si verificano proprio quando meno ce lo
aspettiamo. Mi
sentivo incredibilmente tranquilla. Tranquilla e in pace, come
raramente lo ero
stata.
Era uno di quei momenti infiniti e
sospesi, che non
sono nel mondo reale ma che finiscono celermente
nell’iperuranio.
E così dovevo faticare
ancora moltissimo per riuscire
a raggiungere una non durevole quiete. Sentivo la sua mano sfiorarmi i
capelli,
le sue parole dolci pronunciate a fior di labbra. Ma tutto, dipendeva
dalla mia
volontà. Dovevo solo lottare per ottenere quello a cui
anelavo.
Improvvisamente strinsi con la mano
la maglietta del
pigiama, serrando le palpebre e gemendo. Ancora, il cuore impazziva in
me.
«Bella?! Respira, stai
calma. Ora ti porta subito
dentro, non ti preoccupare».
Scossi il capo sul suo petto,
rannicchiandomi,
sperduta. Ansimai, mentre il cuore terminava la sua folle corsa. Ero
completamente sudata. «Edward…»
biascicai.
Fece per alzarsi, ma lo trattenni,
portando le mani al
suo collo e fissandolo negli occhi, ancora tremante e boccheggiante.
«Io…»
ansimai. Chiusi gli occhi, e malgrado la mia
gola si stringesse in un magone, le parole riuscirono a lottare
abbastanza per
venire fuori. Una lacrima mi solcò il viso.
«Io…
io… sono… bulimica».
Salve a
tutte.
Dunque.
Preciso che per una scelta stilistica e narrativa, la fase
d’inizio, l’incipit,
non viene, solitamente espressa in modo chiaro e dettagliato.
Altre
scrittrici
mi correggano se sbaglio, ma è estremamente più
semplice cominciare da metà ed
accordare gli sviluppi di qualcosa con la fase precedente.
Ho deciso
di scrivere dell’inizio della terapia, perché ho
pensato che servisse, per il
carattere stesso della storia.
Ora.
Già
mi scuso, perché so che potrei aver sbagliato tutto. Ma ho
pensato che a Bella
servisse qualcuno di esterno, per ora, qualcuno che le facesse aprire
gli
occhi, in modo che non finisse a crogiolarsi nella comprensione e nella
consolazione di chi le sta intorno.
Perché
LEI deve assumere le responsabilità delle SUE azioni. E non
potevo permettere
che lo facesse Edward, i suoi genitori, o chiunque altro.
Non credo
sia semplice dichiarare, soprattutto ad alta voce, i proprio problemi.
Io non
ci riuscirei.
Prossimamente,
comunque, anche Edward farà del suo.
Prossimamente
= prossimo capitolo, visto che ne rimangono solo due, credo!
Ebbene,
si. :)
Ringrazio
tutti, perché siete stati degli angeli mandati dal cielo!
Grazie. :* :* :*
Sul mio
blog, qui sotto, troverete le date dei miei aggiornamenti, e un piccolo
spoiler. Inoltre, li riporterò anche su Twitter. Il mio nick
è @Keska92. :*
(fatto da
Elena)
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
cullenpersempre
Non
credo proprio che
tu possa essere definita una persecuzione, anzi. Direi, più
che altro, una vera
manna dal cielo, sai?! Emoziona, me, in modo incredibile, sapere di
poter avere
suscitato in te tali emozioni. Mi dispiace, per quello che ti
è accaduto. Non
vorrei, in alcun modo, aver urtato la tua sensibilità.
E’ stato difficoltoso
scrivere questa storia, immedesimarmi nella sofferenza dei miei
personaggi.
Fare loro la mia. Ma, ora, posso davvero dire di esserne soddisfatta.
Non
chiedo di meglio. Solo, grazie. :*
Dreamerchan
Ciao! Scusami, perché
l’altra volta avrei voluto risponderti personalmente,
anziché fare un appunto
generale. Ho voluto ribadire il mio pensiero solo perché non
volevo si
creassero equivoci. E’ vero, di solito le conseguenze delle
bulimia non sono
così immediate, come ho scritto in questa storia.
E’ una cosa rara. Tuttavia,
la bulimia crea comunque un quadro clinico generale che
porterà a generali e
varie patologie. Ecco, volevo rendere chiaro questo. :) Ti ringrazio
per tutti
i complimenti, sei stata un tesoro. Grazie.
bigia
Non
ti preoccupare!
Grazie infinite, in ogni caso. Volevo rendere ad ogni costo reale
questa
storia. E’ quello che ho cercato di fare. :)
Luna
Renesmee Lilian
Cullen Grazie
mille, carissima. Sei sempre più e troppo gentile con me.
E’ semplicemente quello che penso. Molte volte, io stessa, mi
ritrovo a pensare
che sia “troppo”. Troppo dolore, troppo male,
troppa malinconia. Mi sono
accorta che la felicità è effimera e non
è una meta salda. Una volta raggiunta
bisogna fare di tutto per conservarla. Per dirla scientificamente,
credo sia
l’infinita entropia dell’universo, continuamente in
crescita! Beh, comunque la
si dica, è quello che penso. Grazie. Non credo di poter dare
insegnamenti a nessuno,
spero, comunque, di non nuocere ad alcun altro. :)
Jordy
Klein
E’
vero, di queste
malattie si muore. Sono insidiose, soprattutto la bulimia. E, certo, a
volte
non avviene in tutti i casi, certo, a volte non troppo celermente e
clamorosamente, ma si muore, eccome. Grazie, grazie, per le tue parole
stupende. Onorata di averti come lettrice.
patu4ever
Grazie
carissima! E’
vero, lo so, detesti i finali. Ma, purtroppo, ogni storia deve averne
uno, e io
sento che per questa è arrivato il momento giusto per
mettere la parola “fine”.
Se lo merita, credo. La mia mente è troppo proiettata in
avanti in questo
momento, nel mio cuore, nella mia mente, la storia ha già
fatto il suo corso.
Sono contenta di aver interpretato bene le emozioni di Bella, non
smetterò di
provare a farlo! :*
Austen95
Grazie,
e scusa se non
ho postato tanto “presto” :P
mazza
Oh
tesoro, grazie. Non
lo so, sinceramente, non so proprio come io possa aver trovato il
coraggio di
scrivere questa storia. Se ripenso ai primi capitoli, penso a quanto mi
sono
scoraggiata, all’inizio, comprendendo sempre più
la difficoltà che comportava
questa storia. Non volevo insegnare nulla a nessuno. Non volevo, anche,
e
soprattutto, ferire nessuno. Se qualcosa è successo, se ho
fatto il bene di
qualcuno, non posso che esserne contenta. Io, dal canto mio,
sarò contenta di
aver semplicemente scritto una storia reale. Grazie piccoletta! Grazie,
per
aver letto tutti quei capitoli insieme! Prepara tanti fazzolettini, che
la
storia è quasi finita! Ma anche questo fa parte del suo
realismo, no?! Un
bacio. :*
endif
Cara
Maria Luisa.
Grazie. Non avevo nulla da perdere nello scrivere quello che ho
scritto. Il mio
unico limite, l’unico che mi sono auto-imposta, era quello di
non scrivere
nulla con superficialità. Non ferire la
sensibilità di nessuno. Posso solo
immaginare di ritrovarmi nei panni di Bella, e, non so. Non so quanto
sia vero
quello che ho scritto. Ho solo provato a renderlo tale. Non manca molto
ormai
alla fine. Ma di sicuro questa storia finirà come
è cominciata. Con realtà.
Grazie. A presto. Grazie.
elysa
172 Grazie!
Grazie di aver
commentato comunque, mi hai fatto davvero felice. Sono contenta che il
capitolo
ti sia piaciuto. Spero, per il futuro, di non deluderti. :*
annalie
Grazie.
Ogni tua
lacrima è la mia. Ogni tua emozione la mia. Grazie. Grazie.
Sognatrice85
Già,
vale sempre la
pena di vivere. Anche quando soffriamo. Anche. Edward la
aiuterà, Bella capirà.
Si può fuggire al dolore, l’importante
è continuare a farlo.
lindathedancer
Ogni
cosa ha un inizio
e una fine. Una fine, soprattutto. Anche questa storia. Ed è
meglio così,
credimi, è meglio così. Grazie, per tutte le
parole magnifiche. Verità, realtà,
dovevano essere i secondi titoli di questa storia. Ci sono riuscita?
Forse, un
po’. Mi basta anche solo un po’. Con
verità terminerà. Nulla più, nulla
meno.
chi61
Oh
beh, presto finirà
anche Cullen’s Love. Sono contenta che continui a seguirmi
con ancora così
tanto affetto, grazie. Grazie. Hai perfettamente ragione, la
trasformazione le
darebbe solo un corpo nuovo. Ho pensato che in questo capitolo Bella
dovesse
essere affiancata da una persona estranea, in grado di usare anche
parole
forti, che non si assumesse semplicemente la responsabilità
delle sue azioni.
Nel prossimo capitolo potrà essere aiutata anche da Edward,
avrà i suoi compiti
anche lui. Grazie ancora. Sei un tesoro con me.
Eva17
Grazie
mille.
L’emozione è la mia.
shasha5
Grazie,
ti adoro
anch’io! *.* beh, la trasformazione verrà, ma non
è una cosa importante, né
dev’essere una scelta che liberi Bella dalle sue
responsabilità. Non è una cosa
importante, capisci? La sua vita dev’essere quanto
più possibile reale. Se
verrà, la trasformazione dovrà essere
completamente divincolata in cause e
fatti dalla malattia. :)
irly18
Oh!
Sei stata
semplicemente gentilissima. Davvero, non avevo intenzione di dare un
insegnamento a nessuno. Ho solo scritto, quello che volevo scrivere. Ho
solo
scritto. Ho solo scritto, provando a non fare del male a nessuno, a non
urtare
la sensibilità di nessuno, ad essere reale e realistica.
Solo questo. Non avevo
davvero alcun secondo fine. Ti ringrazio per ogni parola. Non
è semplice, per
niente, per nessuno, mettere per iscritto le proprie idee. Il 90% delle
volte
fa male, te lo posso assicurare. Ne vale la pena per il restante 10%.
Grazie,
ancora.
SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate
Ma
no,
non detestare Charlie e Reneè. Loro vogliono bene a Bella.
Lei è una ragazza
fragile. Hanno sbagliato, hanno sbagliato tutti. Ma non è
facile crescere in un
determinato clima familiare. Recupereranno, lo prometto. :) Grazie, di
tutto.
:*
beta
persei
Grazie infinite. Sono
contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Lo scrivendo questi ultimi
capitoli
con un stile un po’ diverso, un po’ più
scorrevole, un po’ più dialogato. Sento
l’esigenza di esternare in questo modo le sensazioni,
perché esaminarle direttamente
dall’interno sarebbe decisamente troppo difficile. Spero di
continuare bene.
Manca poco alla fine, meglio non rovinare tutto proprio ora. Ancora,
grazie.
lilly95lilly
Grazie,
immensamente.
No, non è stato un compito semplice. Questi ultimi capitoli,
in quanto tali, mi
lasciano un po’ di amaro in bocca. Ma comunque doveva andare
così, fa anche
questo perte della “vita reale”…
silvia16595
Grazie
tesoro. :) Hai
una solarità che mi sorprende, capace di farmi sorridere
sempre. Grazie mille,
di tutto. Ero sicura che ti saresti trovata in accordo con me. Bella
potrà
essere trasformata, in futuro, ma non è importante per ora.
Perché non deve
farlo per guarire. Non deve farlo per sfuggire alla sua malattia. La
deve
affrontare. :) Grazie. :*
congy
Federica!
^^ Si, in
effetti ho pensato che una trasformazione non fosse adeguata. Insomma,
ho
scritto questa storia con l’idea di scrivere qualcosa di
reale, il più
possibile. Risolvere i problemi velocemente, in modo irreale, con una
trasformazione, sarebbe stato in contrasto con ogni principio che
invece sto
cercando di comunicare. Grazie, di tutti i complimenti. Felice di farti
emozionare, come non mai. :*
damaristich
Beh,
si. Ne
mancherebbero due, tre al massimo. Non voglio scrivere troppi capitoli.
Anche
questa storia ha avuto il suo corso, è giusto che venga
conclusa, prima che
inizi a blaterare… :)
Wind
Si,
grazie. In questo
capitolo, i particolare, ho voluto ribadire questo concetto. Accettare,
riuscire
a dichiarare il problema, è il primo passo verso la
guarigione. Ho provato a
dare il meglio di me per non sbagliare. Non sono una psicologa, ho solo
potuto
immaginare. :*
|
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Capitolo 22 *** Piccoli gesti ***
Edward
Edward
I giorni erano trascorsi lenti e
tranquilli. Passavo
la maggior parte, se non tutto il mio tempo, in ospedale. Bella si
stancava
facilmente, per via dei medicinali, per via delle sue condizioni
fisiche. Ma la
cosa peggiore avveniva quando si stancava mentalmente; gli incontri con
la
psicologa erano estenuanti.
«Si, sta facendo dei
passi avanti». La voce della
dottoressa mi arrivò chiara, anche se a separarci
c’erano ancora almeno cinquanta
metri, e il suo tono non più di un sussurro. Ero nel
corridoio del primo piano,
dove si trovava la stanza di Bella. «Ovviamente queste sono
cose che guariscono
solo con molto, molto tempo e con costante esercizio».
Charlie e Reneè
l’ascoltavano attentamente, entrambi
rimproverandosi per la loro incapacità. «Ci
dispiace così tanto… Non abbiamo
idea di quello che potremmo fare. Reneè è venuta
a stare un po’ da me, ma…».
«Non abbiamo idea di
quello che dobbiamo dirle»
concluse la donna. Era sinceramente provata.
La dottoressa strinse le labbra,
valutando quello di
cui avrebbe dovuto renderli partecipi. Rallentai appositamente il mio
passo.
«Perché guarisca ha bisogno di
un’atmosfera serena. Ha bisogno che le stiate
accanto, che la aiutiate, eppure che siate decisi e risoluti. Mi rendo
conto
che non è semplice. Siete in buoni rapporti?»
chiese discretamente.
Reneè si
voltò velocemente verso Charlie,
affrettandosi ad annuire. «Si, si, certo. Non ci sono
problemi. Ci chiedevamo
solo se non sarebbe meglio che tornasse con me. Il mio nuovo marito si
è
trasferito a Jacksonville, e magari cambiare aria le farebbe bene, la
aiuterebbe a ricominciare…».
Gli occhi della dottoressa andarono
oltre la sua
spalla, soffermandosi su di me, ormai troppo vicino. «Non
credo che sarebbe un
bene, per lei». Pensava che la mia assenza potesse
definitivamente
destabilizzarla. «Edward» mi salutò.
Entrambi i genitori si voltarono
verso di me. Reneè
era sollevata, in un certo modo grata. Charlie si sentiva in colpa per
la
reazione che aveva avuto nei miei confronti. Aveva capito che ci fosse
qualcosa
che non andasse in sua figlia, e aveva sbagliato provando a capire cosa.
Li salutai con un cenno del capo e
un piccolo sorriso.
«La sua malattia si
è manifestata qui, e questo è un
bene. Ma le radici che ha non risiedono in questo. É stato
qualcos’altro a
darle la spinta per evidenziare il suo problema. Non è una
patologia che si
individua semplicemente».
Feci per entrare nella stanza di
Bella. Non volevo
entrare in questo modo in un discorso che doveva essere privato. Ma
prima che
potessi farlo i pensieri della dottoressa mi bloccarono.
«Aspetta,
Edward» disse subito dopo, «devo
parlarti».
Ci allontanammo dalla porta, e i
genitori di Bella ci
seguirono.
«Ho parlato con tuo
padre, il dottor Cullen» fece,
voltandosi verso i genitori di Bella, «ha detto che oggi
potrà riprendere ad
assumere del cibo liquido. É una cosa molto
importante» sottolineò, guardandomi
negli occhi.
La fissai qualche istante in
silenzio, scrutando fra i
suoi pensieri. «Cosa dovrei fare?».
«Ha bisogno di supporto.
Non posso presenziare io
stessa, perché non vorrei che assumesse l’atto del
nutrimento come un fatto
clinico. Mangiare deve essere naturale. Quindi, vorrei che presenziassi
tu».
Sollevai le sopracciglia, piuttosto
sorpreso.
Alla dottoressa non
sfuggì la mia reazione. «Normalmente
chiedo di farlo ai genitori» si voltò lievemente,
una ruga sul viso «in questo
caso, Bella ha molti meno problemi da risolvere con Edward che con voi.
Non
sarebbe una buona idea».
Era stata estremamente sincera.
Niente che non fosse
già piuttosto chiaro a Reneè e Charlie, ma
sentire pronunciare quelle parole li
scosse profondamente.
Bella aveva sviluppato un rapporto
conflittuale con la
sua famiglia, sentendosene rifiutata. La psicologa aveva cominciato ad
analizzare, durante le sedute, questo aspetto. Lei si sentiva causa
della
rottura familiare, causa della percepita carenza di affetto, e
così si
ritrovava a ripiegare il proprio odio su se stessa e sulla sua persona,
rendendosi incapace di amare e farsi amare. Per questo il matrimonio
con Phil, segno
dell’ennesimo fallimento della sua famiglia,
l’aveva messa in crisi.
«Va bene»
sussurrò Charlie, la voce debole e rotta.
Reneè gli prese la mano,
stringendola.
Era cosa fragile e labile la psiche
umana.
La dottoressa si voltò
nuovamente verso di me,
studiandomi. «Te la senti?».
I miei occhi assenti ritornarono
sulla sua persona.
Annuii.
Mi riteneva la persona
più adatta per il sincero
sentimento che Bella era riuscita a provare nei miei confronti. Mi
riteneva il
più adatto perché la mia presenza non sarebbe
stato nulla di eccezionale nella
giornata, e così doveva essere il momento del suo pranzo.
Bella
«E
quell’infermiera è un po’ strana con me,
forse si
sente in colpa perché non riesce a trovarmi subito le
vene…» scherzai
debolmente, gesticolando.
Edward fece una ristata carica di
contegno. Intanto, i
suoi occhi mi studiavano attentamente. «A parte questo va
tutto bene?» chiese,
prendendomi la mano che avevo portato a mezz’aria fra le sue.
Annuii, poco convinta. Non era
semplicissimo, ma
facevo del mio meglio per non dare a vedere quanto sforzo mi occorresse
per
mostrarmi così com’ero. «Si…
tutto bene» biascicai. Mi lasciai andare con la
schiena sui cuscini, appoggiati contro la spalliera del letto.
Sentii una lieve fitta al petto e
chiusi per un secondo
gli occhi. «Carlisle dice che se la frattura comincia a
rimarginarsi fra una
settimana potrò uscire». Eppure, per quanto in
vita mia avessi sempre odiato
gli ospedali, questa volta tornare a casa dai miei genitori non era poi
una
così bella prospettiva.
Edward mi sfiorò la
guancia con un palmo della mano.
«Tornerai a casa quando starai… meglio».
Sospirai, senza rispondergli,
richiudendo gli occhi.
L’infermiera
entrò in camera, trascinandosi il
carrellino. Solitamente a quell’ora aveva luogo la mia
alimentazione
artificiale. Ma questa volta sul carrello c’era una cloche.
Quando l’odore del brodo
mi arrivò al naso provai uno
strano senso di disagio. Non avevo propriamente fame, il cibo non mi
era
mancato particolarmente in quei giorni. Eppure, ora che quel piatto era
lì,
davanti a me, costituiva come una sorta di minaccia.
In tempi più remoti
avrei assicurato a me stessa di
potercela fare. Avrei dichiarato certamente di poter cambiare, che
quello per
me non rappresentava un problema. Lasciarmi tutto alla spalle come
passato.
Ma ero già stata schiava
di queste considerazioni, e
anche di diverse ricadute. Non potevo avere questa cieca fiducia in me.
Mi voltai verso Edward. Mi guardava
sereno, sorrideva.
Eppure i suoi occhi, lì, in fondo, erano spaventati.
Il mio sguardo cadde nuovamente sul
piatto dinanzi a
me. Ci voleva coraggio, e ci voleva consapevolezza.
Quella che mi
assicurava della presenza di un problema e quello che mi dava la forza
per
poterlo superare.
«L’odore del
cibo umano non mi attira affatto. Ma
questo dovrebbe essere buono» affermò Edward
naturalmente. Mi face sentire più a
mio agio.
Il primo boccone fu il
più difficoltoso. Non ero
pronta al lieve dolore che avvertii a livello dello sterno. Il brodo
era caldo,
non ne sentivo quasi il sapore. Edward mi aiutò dolcemente,
soffiando sulla
superficie del liquido. Il secondo sorso fu tiepido, così
riuscii a distinguere
il gusto del cibo. Era insipido, non particolarmente buono. Continuai a
mangiare silenziosa. Edward perlopiù taceva, lasciandomi
concertare sui miei
gesti. Solo di tanto in tanto interveniva con commenti, costringendomi
ad
interrompere il pranzo per alcuni istanti.
Finii nel giro di un’ora.
Non credevo di aver impiegato
mai tanto tempo per mangiare, ma non potevo non essere soddisfatta di
come
erano andate le cose. Sentivo di aver conquistato qualcosa, aperto solo
un
piccolo pertugio, e mi sentivo bene.
Era andato tutto bene. Tutto
bene.
Edward si premurò di
socchiudere le veneziane per
filtrare la bianca luce di Forks e permettermi di riposare. Mi
sistemò i
cuscini dietro la schiena, in modo da farmi stare semi-seduta sul
letto.
«Vuoi che ti legga
qualcosa?» mi chiese gentilmente,
sottovoce.
Aprii gli occhi, concedendo ad
entrambi un timido
sorriso. Scossi il capo. «Raccontami qualcosa della tua
famiglia».
I suoi occhi si addolcirono.
«Ti ho già raccontato
tutto Bella».
Arrossii, imbarazzata.
«Io… non intendevo quella
famiglia».
Notai nei suoi occhi
l’improvvisa sorpresa. Non gli
avevo mai fatto domande sulla sua umanità.
Non era mia intenzione metterlo a
disagio. «Io…
scusa…» farfugliai.
Scosse il capo, aprendosi in un
sorriso. «No, va bene»
i suoi occhi si persero in lontananza «è che a
dire la verità non ricordo
molto. Sai, quel tipo di memoria, col tempo, tende a scomparire.
Ricordo che
mio padre era un avvocato, il tipico medio borghese, portava il mio
stesso
nome; mia madre si chiamava Elisabeth».
«Vi volevate
bene?».
Il suo sguardo si posò
sul mio. «Non so se hai in
mente un modello di tipica famiglia dei primi del ventesimo secolo. Mio
padre
aveva un certo distacco nei miei confronti, com’era giusto
che fosse. Con mia
madre, invece, avevo un rapporto più intimo. Almeno
finché non entrammo in
contrasto per i miei ideali bellici» sorrise, consapevole, a
puntò i suoi
luminosi occhi nei miei «ma non credo di aver risposto alla
tua domanda, sai?»
fece un piccola pausa «credo di averti detto come ogni cosa
appariva, quali
erano i nostri comportamenti. Ma, si, malgrado ogni cosa, malgrado ogni
evidenza, si, ci volevamo bene. Se volersi bene vuol dire soffrire
l’uno per
l’altro, volere il bene del prossimo, desiderare la sua
felicità. Allora, ci
volevamo molto bene».
Avevo ascoltato il suo discorso con
attenzione e
silenzio, e ancora continuava a volteggiare nella mia mente. Soffrire
l’uno
per l’altro, volere il bene del prossimo, desiderare la sua
felicità.
Scossi lievemente il capo, per rompere il mio momento di
immobilità. «Non avevi
fratelli?» chiesi con leggerezza.
Rise. «Penso proprio di
no. Non so se mi sarebbe
piaciuto, a dire il vero. Essere figlio unico porta i suoi vantaggi.
Credo
dovessi avere un cane però… mmm…
qualcosa del genere…» scherzò.
In quell’istante
rammentai di uno degli affetti che
più mi erano mancati in quei giorni. Dal tragico giorno in
cui ero stata
trascinata d’emergenza in ospedale non l’avevo
più rivista. E pensare che in un
certo modo era stata proprio lei, a salvarmi la vita. «Oh!
Accidenti! Mi
piacerebbe moltissimo avere Minush qui! Chissà
com’è tutta sola…
piccola…»
sospirai «Non ho mai avuto un gatto così
adorabile».
«É…»
scelse l’aggettivo adatto a non offendermi
«strana» sogghignò.
Un mezzo sorriso comparve sul mio
volto. «Direi
piuttosto che è unica. Non…» borbottai
«non offenderla».
La porta della stanza si
aprì, interrompendo le nostre
risate. Mi mordicchiai un labbro, abbassando il capo, quando dietro
l’anta vidi
mia madre.
«Stavate ridendo? Vi
sentivate da qui fuori» la voce
era debole e cauta.
Non risposi, continuai a rimanere
in silenzio. Edward,
molto velocemente e con disinvoltura, intervenne nel discorso.
«Buongiorno
Reneè. Si, hai sentito bene» attese un instante,
forse per darmi la possibilità
di intervenire. Riprese quando il silenzio si era fatto ormai troppo
prolungato. «Parlavamo di Minush, il gatto di
Bella».
«Oh, Minush,
certo» si animò mia madre, venendoci
accanto, facendo scorrere i suoi occhi velocemente da Edward a me.
«É il tuo
gattino, vero? L’ho visto, è davvero bellissimo.
Non ti preoccupare per lei, ci
ho pensato io a darle da mangiare in questi giorni».
Mi morsi la lingua per soffocare le
parole. «Non ti
sono mai piaciuti i gatti» biascicai sottovoce.
Le labbra di mia madre tremarono.
Edward si sollevò
dalla sedia, e pensai che se ne stesse andando. Lo fissai terrorizzata.
I suoi
occhi passarono dai miei a quelli di mia madre, rassicuranti.
«É un gatto
adorabile. Ti somiglia molto» disse mia
madre. La sua voce era piatta ma decisa.
L’affetto indiretto di
quelle parole mi fece
trasalire. Sussultai. «Lo è».
Rimase ancora mezz’ora
con me a farmi compagnia.
Sentivo, da una parte, di volerla vicina, di volere l’affetto
che mi stava
offrendo. Dopotutto, ogni cosa costruita in quei mesi, era stata volta
ad
averlo. Ma lo volevo davvero, così? Volevo la sua sofferenza
per me? No.
Volevo che ogni cosa andasse
apposto. Che tornasse ad
essere “giusta”.
Volevo amare serenamente mio padre
e mia madre. Volevo
farmi amare da loro.
Svegliandomi dal mio riposo
pomeridiano gemetti,
tentando di capire cosa mi stesse accadendo. Sentivo uno strano
torpore, uno
strano tremore, in tutto il corpo. Individuai nei sintomi del mio
disturbo un
forte senso di vertigini.
Poi, la causa di tutto. La nausea.
Mi rannicchiai su me stessa,
tremando.
«Va tutto
bene?». Sentii al mio orecchio la voce di
Edward allarmata.
Gemetti, insicura. Non dovevo
dirglielo. Ignoralo
Bella, ignoralo. Tu non devi vomitare. Ignoralo.
«Va tutto bene» sussurrai,
tendendo di nascondere le tracce di sudore sulla fronte.
I suoi occhi preoccupati non
smisero di scrutarmi.
Rifiutai veementemente tutti i suoi inviti a uscire fuori, a prendere
un po’
d’aria. Non sarei riuscita a staccare la testa dal cuscino
senza sentirmi male.
Perché,
perché dovevo sentirmi così? Sapevo che niente
sarebbe stato semplice, ne ero perfettamente consapevole. Ma
perché dovevo già
sentirmi così? Perché la mia forza di
volontà doveva essere così debole?!
Annaspai. Dovevo essere forte,
potevo farcela.
«Vuoi che ti legga
qualcosa?».
Annuii. Dovevo distrarmi, distrarmi
e dimenticare
tutto questo. Potevo farcela. Sarebbe andato tutto bene. Io non mi
volevo fare
del male. Non volevo. Volevo bene ai miei genitori. Bene a Edward. Bene
a me
stessa. Ce la potevo fare.
Provai qualche minuto di sollievo,
rassicurata dalle
morbide parole di Edward. Nascosi il viso nella sua spalla, e lasciai
che mi
accarezzasse la schiena. Ce l’avrei fatta. Ce la
potevo fare.
In quella posizione mi calmai non
poco, e quando i
miei genitori passarono per salutarmi, mi trovarono nuovamente
addormentata.
«Scusa, non volevamo
svegliarti» sussurrò dispiaciuto
mio padre, accarezzandomi i capelli, tremante, come se avesse paura di
farmi
del male.
Gemetti, ripiegandomi su me stessa,
non potendo fare a
meno cominciando a piangere silenziosamente. Mi sentivo così
male.
«Cosa
succede?». La voce di mia madre salì di alcune
ottave, allarmata. Non era pronta a questo. Nessuno di loro era pronto
ai miei
crolli e alle mie lacrime. Erano terrorizzati.
Scossi il capo, ma non feci altro
che far aumentare la
nausea e le vertigini. Serrai maggiormente gli occhi. Stavo perdendo il
controllo del mio corpo. Sentivo la mia volontà
così debole, così succube di me
stessa.
«Bella» mio
padre mi venne vicino, abbassandosi con il
viso al mio.
«Cosa succede, cosa le
sta succedendo?». Mia madre era
terrorizzata, la sua voce stridula.
Singhiozzai. Cosa potevo fare?! In
quel momento
sentivo di aver bisogno solo di qualcuno che mi potesse aiutare.
Mio padre era preoccupato, eppure
cercava in qualche
modo di aiutarmi. «Vuoi che ti chiami la dottoressa
Green?» chiese tremante.
A quelle parole sgranai gli occhi
terrorizzata. Nascosi
i capo fra le braccia, piangendo disperatamente, più forte.
Non potevo fallire
così presto.
I loro occhi mi scrutavano
preoccupati. Erano
spaventati, destabilizzati dalla mia reazione. Stavano soffrendo.
Stavano soffrendo per me.
«É tutta colpa
mia» singhiozzai, straziata,
sopraffatta dalla nausea.
Le sue mani mi accarezzarono i
capelli. «Non sono
sicuro di cosa stia parlando, ma sono sicuro che non è
così» affermò convinto.
Mia madre mi prese una mano,
stringendosela al petto
caldo. «Ci siamo qui per te piccola»
singhiozzò «non ti lasciamo, non ti
lasciamo mai».
Mi lasciai stringere dalle loro
braccia.
«Mi viene da
vomitare» biascicai fra i singhiozzi,
disperata.
Mio padre si staccò da
me, asciugandomi le lacrime
sulle guance. «Adesso chiamiamo i dottori, va bene Bella? Sta
tranquilla».
Reneè prese il posto di
Charlie, stringendomi fra le
sue braccia a cullandomi. «Va’ caro, ci penso io a
lei. Rimango io con te» fece
poi, accarezzandomi i capelli «ci siamo qui noi
piccola».
Sentivo che il peso che avevo
accumulato sul mio petto
si stava sciogliendo. Era tutto finito. Loro mi stavano aiutando. Era
tutto
finito.
Quando il dolore va via, quello che
c’è stato prima
sembra solo un brutto scherzo del destino. Bisogna solo saper
aspettare. Saper
aspettare che passi e intanto continuare a resistere.
Carlisle e la dottoressa Green
vennero da me. Rimasero
per sincerarsi che stessi bene e per spiegarmi ogni cosa. Era normale
dopo
interventi come quello che avevo subito, avere la nausea dopo aver
mangiato.
Non dovevo sentirmi in colpa. Avrei dovuto parlarne subito con qualcuno
per
farmi aiutare.
«Va tutto bene
ora?».
«Più o
meno» risposi a Carlisle, socchiudendo gli
occhi.
«Stai tranquilla, tra un
po’ passerà», fece posando
una mano fredda sulla fronte. Quella si che fu un vero sollievo.
La porta della stanza si
aprì, facendo passare Edward
trafelato e preoccupato. Mi venne subito accanto, prendendomi fra le
braccia. Mi
baciò la fronte, le guance, le labbra. Doveva essersi
preoccupato molto. «Lo
sapevo che c’era qualcosa che non andava, lo
sapevo» fece velocemente,
osservandomi. «Non avrei dovuto lasciarti sola».
«Va tutto bene»
sussurrai arrossendo, posando la testa
nell’incavo del suo collo freddo.
I giorni passarono fra alti e
bassi, tutti molto
lentamente. Riuscivo a stare bene per poco. L’ospedale
cominciava ad essere
troppo, per me. Le continue visite, essere sempre nello stesso posto,
fare le
stesse cose. Tutto mi ricordava il motivo per cui ero lì. E
ricordarlo non era
mai un bene, perché potevo stare bene, finché ero
distratta.
La mia permanenza, inoltre, dovette
aumentare a causa
di una seconda ondata di febbre che fece insospettire Carlisle e
preoccupare
tutti come non mai. Per questo decisero di tenermi sottocontrollo
ancora un
po’.
Malgrado i passi avanti, i
miglioramenti che stavo
facendo con la psicologa, tutto stava diventando troppo opprimente.
Neppure le
passeggiate in giardino riuscivano ad alleviare la mia pena.
«Vieni, Bella, guarda
com’è carina questa giacca»
Alice mi sorrise, sventolando una giacca da camera fine, di alta
qualità,
proprio davanti ai miei occhi. «Edward ti sta aspettando
fuori».
«Non so, Alice»
sussurrai annoiata «mi sento stanca,
non mi va».
Mi venne vicina in un lampo,
facendomi strabuzzare gli
occhi. Edward era molto controllato in mia presenza, così
pure Carlisle. Dovevo
ancora abituarmi al loro lato misterioso e segreto. Riuscì a
convincermi ad
uscire, letteralmente sedendomi sulla sedia.
«Posso
camminare» borbottavo, pur lasciandomi
spingere.
«Hai detto che sei
stanca» decretò fischiettando.
«C’è
anche brutto tempo, oggi. Fra un po’ pioverà di
sicuro. Non mi va di uscire» continuai a lamentarmi, facendo
finta di non
sentirla.
«Non pioverà,
fidati» ridacchiò, sicura di sé.
Mi strinsi nella sedia e nella mia
coperta, fissando
torva i corridoi asettici.
Edward mi stava aspettando
sorridente sotto quello che
oramai era diventato il nostro albero. Il cielo era grigio e
ghiacciato, la
giornata estremamente ventosa.
Si chinò sui talloni,
accarezzandomi la guancia con
una mano. «Tutto bene?» chiese, e mi
baciò la fronte.
Annuii, non potendo fare a meno di
rallegrarmi delle
sua presenza. «Possiamo entrare dentro?».
Mi sorrise dolcemente.
«Aspetta qualche minuto»
mormorò «fidati di me».
Mi prese fra le braccia, facendomi
accoccolare sul suo
petto. Come promesso, qualche minuto più tardi avvenne
qualcosa che ampliò
notevolmente la mia felicità.
I miei genitori mi venivano
incontro, con un batuffolo
pezzato fra le braccia. «Minush!» esclamai,
entusiasta come non lo ero da tanto.
Edward ridacchiò.
«Shh, non gridare. Il regolamento
dell’ospedale lo proibisce».
Strinsi, davvero felice, il mio
gattino fra le
braccia. Annusò le mie mani, ne leccò le dita, si
mise a miagolare forte,
contenta che lei. Risi. «Mi è mancata
tantissimo». Era cresciuta.
Edward
l’accarezzò e fu strabiliante come il piccolo
gattino accettò di buon grado le sue coccole. Evidentemente,
qualcosa doveva
essere cambiato, dopo che entrambi, insieme, mi avevano salvato la vita.
«Grazie»
sussurrai, continuando a giocherellare con la
piccolina.
Edward si avvicinò al
mio orecchio, sussurrando. «Non
devi ringraziare me». I suoi occhi andarono in alto.
«É tutto merito dei tuoi
genitori. É stata un’idea loro».
Sollevai i miei occhi, e incontri
quelli amorevoli e
dolci delle persone che mi avevano dato la vita.
Era un piccolo gesto, ma ai miei
nuovi occhi
significava molto.
Desideravano
la mia felicità.
L’avevano sempre
desiderata.
Dopotutto, nella vita umana ci sono
sempre
incomprensioni. Magari, come aveva detto Edward, l’affetto
non è quello che
sembra. Rinunciarci subito era stato l’errore più
grande che avessi commesso in
tutta la mia vita.
Ero stata cieca, avevo
volontariamente deciso di
chiudere gli occhi alla prima luce, la più abbagliante.
Adesso, dovevo riabituarli a vedere
in tutta quella
luminosità, giorno dopo giorno.
«Grazie»
sussurrai, le lacrime intrappolate fra le mie
ciglia.
Scusate
per il ritardo, come sempre.
Bene,
stiamo procedendo a piccoli passi. E così questo
è il penultimo, e dopo il
prossimo, metteremo la parola fine anche a questa
storia.
Bella sta
andando avanti nelle sue piccole conquiste, e ho preferito procedere
così, con
lentezza, piuttosto che sbagliare qualcosa.
Mi
dispiace se non rispondo alle vostre pur stupende recensioni!
Perdonatemi! Vi
dico solo grazie, grazie, grazie, e vi mando tanti baci. Non so come
farei
senza voi. Eppure, siete sempre qui a supportarmi, anche dopo tanto,
tanto
tempo.
Grazie.
Prometto
che la prossima volta vi risponderò! :*
Dopo
questo capitolo mi devo dedicare un po’ a Cullen’s
Love, l’altra storia, per
poi tornare e concludere questa.
Sono di
poche parole anche nel commento oggi. :P
Sempre
contenta di aggiungervi ai miei followers, e di seguire dal canto mio
voi.
Cercatemi qui @Keska92, inserirò anche notizie e link del
mio blog, con i miei
aggiornamenti.
(fatto da
Elena)
«--BLoG!!!--»
www.occhidate.splinder.com
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Capitolo 23 *** «Vivo» ***
Tutto passa, e il tempo scorre
Tutto passa, e il tempo scorre.
Cose che parevano impossibili si
fanno vicine senza
che neppure ci sia il tempo di accorgersene. L’animo
guarisce. Il corpo si
rigenera. La vita va avanti, veleggiando verso la sua fine.
Il giorno in cui lasciai
l’ospedale, avevo paura.
Paura di lasciare quel posto che sapevo, altrimenti, mi avrebbe
protetta,
impedendomi fisicamente di fare ciò di cui avevo paura. Mi
avrebbe protetta da
me stessa.
Eppure l’animo si arma di
incredibile coraggio di
fronte alla possibilità di un rinnovamento, aprendosi
all’opportunità di
ottenere qualcosa di migliore, quello a cui sempre l’uomo
agogna. Qualcosa
di migliore.
Edward mi strinse la mano, e mio
padre mi posò la sua
sulla spalla. Ricevette il mio sguardo perplesso e imbarazzato, e, no,
non fui
certa che quel gesto mi facesse stare meglio. Ma sembrava proprio che
dovesse
essere così, e si sa, l’uomo ha anche la
capacità di rendere reale ciò in cui
crede.
Tutti mi riservarono una calorosa
accoglienza. Mia
madre si era temporaneamente stabilita a casa di mio padre, e la cosa,
inizialmente, mi destabilizzò non poco. Non osavo
accarezzare e contemplare
l’immagine di loro due insieme.
Cominciai, invece, a rendermi conto
di quanto dovessi
accettare quello che era così com’era. Phil venne
a trovarci, due volte, e
mamma cominciò a tornare più spesso a casa.
Ingoiai il magone, la prima volta,
e pensai pure a quanto fosse interessante osservare mio padre che si
relazionava con loro.
«Phil, vuoi vedere la
partita? Oh, è quasi
cominciata…».
Li osservavo dalle scale,
raggomitolata sui gradini.
«Conosci una tavola calda
qui vicino? Sai Charlie» e
la sua voce si abbassò «Reneè ha una
spiccata fantasia in cucina…».
Il suono delle loro risate mi fece
sussultare, e li
fissai con ancor più sorpresa. Sembravano rilassati mentre
parlavano di mamma. «Oh,
i primi anni era anche peggio».
Eppure, quando decisi di scendere
le scale, si
tirarono su, lanciandomi occhiate cariche di contegno. E mi chiedevo
perché
facessero così. Mi sentivo male pensando che la mia presenza
potesse indurre un
tale cambiamento del loro comportamento. Come facevo a capire quali
fossero i
loro sentimenti? Perché tutto non poteva essere
più semplice?
Lo avrei potuto chiedere a Edward,
l’unica persona con
cui mi aprissi così tanto. Ma lui non c’era, in
quel momento, e il pensiero
della sua assenza mi fece stringere in un nodo lo stomaco e girare la
testa.
«La cena è
quasi pronta tesoro, di là c’è
Reneè…».
Annuii, dirigendomi in cucina.
Nessuno mi chiedeva mai
se avessi o meno intenzione di mangiare. Evidentemente, non rientrava
nel
programma dato loro dalla mia psicologa, con la quale avevo frequenti e
puntuali contatti.
Mangiavo ad orari prefissati,
cinque pasti al giorno. Non
c’era mai molta gente mentre lo facevo, ma non ero mai
neppure sola. Il dolore
post operatorio era quasi scomparso ormai, e riuscivo a consumare
tranquillamente i pasti.
Un modesto piatto di riso al
pomodoro comparve dinanzi
ai miei occhi. Tutto il cibo di cui mi nutrivo era semplice e privo di
particolari condimenti. Mia madre si sedette accanto a me e ne prese
una
porzione anche per lei.
«Va tutto bene
piccola?» mi chiese con una punta
d’ansia nella voce.
Non le dissi una sola parola, ma mi
feci volentieri
stringere fra le sue braccia. Il calore umano, il contatto con un altro
essere,
era il primo necessario passo per annullare quella solitudine che di
tanto in
tanto mi aggrediva da dentro.
Tutto passa, e il tempo scorre.
Cose che parevano impossibili si
fanno vicine senza
che neppure ci sia il tempo di accorgersene. L’animo
guarisce. Il corpo si
rigenera. La vita va avanti, veleggiando verso la sua fine.
Ero guarita. Il mio corpo stava
guarendo. La mia vita
andava avanti. Eppure, a volte, non troppo spesso quanto non troppo
raramente,
sentivo ricomparire la voragine che mi albergava in seno. Nessuno
poteva
guarirla. Né io, né nessun altro.
Basta un attimo. Un pensiero troppo
lento, un vuoto
troppo lungo. Un gesto, e la malinconia trasforma in amarezza. Un
altro, e
l’amarezza diventa tristezza.
Salii silenziosa per i gradini
delle scale, e non
entrai neppure in camera, ma andai direttamente verso il bagno,
chiudendo fuori
Minush che miagolava per stare con me.
Mi guardai allo specchio. Eppure,
faticai a
riconoscermi nella mia immagine. Avevo un groppo in gola, e una
vibrante
amarezza e tristezza mi avvolgeva da dentro. La mia mente vorticava
confusa, ma
non riuscivo a trovare nulla, proprio niente di niente, che potesse
farmi stare
meglio.
Era come se le lacrime si fossero
affacciate ai miei
occhi senza voglia di scendere sulle mie guance. Il senso di pesantezza
e
amarezza scese dalla gola alla pancia, e mi tolse il respiro, tanto da
costringermi a prenderne uno, profondo e intenso, e a reclinare il capo
all’indietro, come se altrimenti non sarei mai riuscita a
farlo passare.
Annaspai.
Sentii la nausea avvolgermi
intensamente, e automaticamente
mi voltai verso il water.
Mi avvicinai alla ceramica bianca e
vi posai i palmi
delle mani, appoggiandomi di peso. Chiusi gli occhi, sentendomi
soffocare,
sentendo la nausea impadronirsi di me. Provai a prendere altri respiri,
e
sollevai le palpebre.
Mi volevo liberare da quella
sensazione asfissiante,
che era arrivata così, senza senso, senza un motivo,
trascinandosi dietro solo
tanta tristezza. Volevo liberarmene.
Ma quello, mi avrebbe solo fatto
stare peggio. Edward,
i miei familiari, me stessa. Ci avrebbe fatti stare peggio. Male. Non
volevo
stare male.
Poiché dopo tanta pena
l’avevo capito. La vita è fatta
di alti e bassi. E dovevo solo aspettare che “i
bassi” passassero, possibilmente
senza disperarmi e soffrire troppo. Portai le mani sulla testa, che non
aveva
smesso un secondo di girare, e presi un respiro.
Fare quello che mi aveva fatto
stare così male. Ora.
Che ero così poco lucida per capire quello che stavo
facendo.
Non me lo potevo permettere. Non
potevo fare diventare
quel basso ancora più basso.
Con calma calcolata mi tolsi i
vestiti di dosso,
sfilandoli e facendoli ricadere in una pila ordinata. Mi sentivo la
mente
vuota, lo stomaco leggero, e il formicolio alla gola non mi aveva
abbandonata. Compivo
i gesti ordinari con calma e lentezza, esasperandoli quasi.
Entrai nella doccia, e aprii il
getto d’acqua tiepida,
lasciando che mi bagnasse completamente il corpo e i capelli. Feci
vagare
ovunque i miei pensieri, verso il nulla. Quell’agitazione mi
stringeva le
viscere non mi abbandonava.
Aspetta Bella, aspetta, mi dissi. Passerà,
aspetta solo che passi, e
tutto andrà bene.
Gemetti. Mi piegai su me stessa,
rannicchiandomi,
lasciando solo che il getto d’acqua mi colpisse la schiena.
Volevo restare così, a
non pensare a niente. Restare
rannicchiata su me stessa, con il rumore dell’acqua sulla mia
pelle, il tepore
che mi provocava in contrasto con i brividi che percepivo in ogni altra
parte
del corpo. Poggiai gli stinchi e gli avambracci contro le assi in legno
del
pavimento della doccia, e rimasi, così, a tentare di non
pensare a nulla.
Ma i miei pensieri vorticavano, e
ben presto me ne
trovai ancora sopraffatta.
Gemetti, ancora, sentendomi
soffocare.
Volevo piangere, piangere e
liberarmi di quel dolore
immotivato che era sopraggiunto così in fretta. Non senza un
certo sforzo presi
ancora un respiro, e sentii gli occhi pizzicare, e un formicolio
intenso
solleticarmi dalle ciglia al naso.
Un altro gemito mi
sfuggì dalle labbra. Il mio corpo
cercava automaticamente di liberarsi di quel male. Presi un respiro
più agevole
quando una lacrima mi percorse il viso.
La lasciai scivolare, senza
interrompere il suo
passaggio, fino al mento e poi fino al collo.
Tutti i miei successivi movimenti
furono sempre lenti
e calcolati. Mi fermavo spesso, procedevo senza fretta. Mi sentivo in
una strana
dimensione, ed ero sola. Mi potevo concedere di vivere con la mente
esattamente
dove avrei voluto essere.
Con lentezza esasperante abbassai
la maniglia della
porta del bagno, percorsi i passi, a piedi nudi sulla moquette soffice,
fino
alla porta chiara della mia camera. Sollevai la mano, le dita
increspate per la
lunga permanenza nella doccia, e aprii la porta.
Edward era lì, steso sul
mio materasso in una
posizione apparentemente tranquilla.
Sentii automaticamente la tensione
accumulata
dissiparsi in un istante. Come se la mia dimensione strana e mentale
dovesse essere
celata a qualsiasi occhio estraneo.
Quando mi infilai fra le sue
braccia, ancora bagnata e
con indosso solo l’accappatoio, sentii il calore della sua
anima. Perché quando
non si è soli, basta un infimo gesto d’affetto per
scaldare il cuore. Perché la
mente è in quella condizione in cui cerca di svuotarsi e
sfugge al vuoto, e trova
ben accetta ogni novità come salutare distrazione. Basta
sapere che il mondo
che ci attende e ci vuole con sé, anche solo per un
po’, e sapere di essere
nella vita di qualcuno oltre che nella propria dà la gioia
più grande che
esista.
Un abbraccio.
E nella mia mente non ci fu
più posto per i cattivi
pensieri, per i turbamenti, per la tristezza che stringe il cuore. Un
abbraccio, un segno d’affetto. La muta ripristinazione del
giuramento della
dedizione reciproca.
Mi accarezzò i capelli,
baciandoli. «Sei bellissima
così» disse senza pudore.
Non era la prima volta che mi
vedeva in accappatoio.
Anche più nuda, di un accappatoio. Sentire il suo giudizio
sulla mia pelle, sul
mio corpo, mi faceva sentire bene. Sapevo quanto le sue parole fossero
di
parte, eppure essere così importante agli occhi di uno rende
meno importante il
giudizio altrui.
Arrossii.
«Grazie», mormorai, baciandolo.
«Com’è
andata oggi?». Domanda comune e quotidiana. Ma
in questo caso non affatto disinteressata…
Annuii, e pensai che dovesse
bastargli. Non senza
alcune lamentele dalla sua parte, lo convinsi a fargli sfilare la sua
camicia. Non
era la prima volta che restavamo nel letto ad accarezzarci e baciarci.
Mi
faceva sentire bene, mi faceva sentire viva. C’era una parte
di me che adorava
quello che stavo costruendo in quella che chiamavo “la mia
vera vita”.
Un sorriso di autocompiacimento
sorse sulle mie
labbra. Edward se ne accorse. Avevo il viso poggiato sul suo petto
freddo e
scoperto. «A cosa pensi?» chiese, accarezzandomi i
capelli.
É proprio come ho pensato. I brutti
momenti vanno via, senza neppure darci
tempo di accorgercene.
Scrollai le spalle. «A
niente».
Così, venuta fuori da un
periodo catastrofico della
mia vita, avevo maturato un sapore diverso verso il mondo. Non mi
curavo più
dei momenti tristi, e cercavo di vivere appieno quelli felici. Avevo
capito che
era davvero impossibile sbarazzarsi di quella tristezza,
quell’angoscia che
ogni tanto mi attanagliavano. Eppure, stavo riuscendo ad accontentarmi
di
quello che la vita mi aveva dato.
Un giorno Edward mi
caricò in auto, senza darmi una
spiegazione.
«Dove andiamo?»
avevo chiesto infinite volte, senza
ottenere una risposta.
«Il posto del
campeggio?» avevo chiesto
insistentemente. «La pineta? Quello…»
arrossii «del primo bacio?».
«Sai Bella» mi
rispose con un sorriso. «Sei così
umana, quando fai così. La mia famiglia è via,
sono tutti a caccia. E volevo
portarti a casa mia per stare assieme, da soli».
Rimasi sinceramente lievemente
delusa dalla
dichiarazione.
Lui se ne accorse, e
ridacchiò. «Ogni oggetto, ogni
luogo, ogni azione compiuta, è importante solo in una
singola dimensione umana,
per una singola persona. Bella» disse dolcemente,
accarezzandomi una guancia, «posso
portarti dove vuoi. Ma penso che riusciresti anche ad apprezzare ogni
altra
opportunità, seppure ti sembri di minore attrattiva. Devi
solo pensarci».
E lo disse con un tale tono
frammezzato fra
persuasione e quella che mi pareva una punta di imbarazzo, che rimasi
davvero,
molto tempo, a pensarci su.
Quando fummo a casa sua, poi, fui
colta da un
improvviso e raggelante pensiero. Nell’ultimo periodo eravamo
stati molto
insieme, e lui mi era stato davvero vicino. La mia psicologa mi aveva
esplicitamente chiesto quanto approfonditamente conoscessi Edward dal
punto di
vista fisico, quanto conoscessi me stessa, dal punto di vista fisico, e
da quel
momento avevo cominciato intenzionalmente a pensare alla nostra
vicinanza.
Inizialmente spronato da me, su mia
iniziativa, avevo
sollevato la questione con Edward.
«É troppo
pericoloso» aveva detto, spiegandomi a quali
rischi saremmo potuti andare incontro. Mi aveva guardato con uno strano
guizzo,
e scosso veementemente la testa. Eppure… La questione era
rimasta così sollevata,
senza una soluzione.
E in seguito ci eravamo sfiorati,
accarezzati,
toccati, conosciuti. Niente di programmato, solo eccessi di effusione.
Cosa voleva dire tutto questo?
Avevano forse un senso
le parole che mi aveva rivolto mentre eravamo ancora in auto?
Deglutii, andandomi a sedere sul
divano. Era andato a
prendermi qualcosa da bere. Aveva ragione, quindi. Anche qualcosa di
apparentemente ordinario poteva rivelarsi in realtà molto
più interessante.
Il cuore mi batteva furioso nel
petto.
Ricomparve da me, porgendomi il
bicchiere di spremuta d’arancia.
«Tutto bene?» chiese, corrugando le sopracciglia.
Sospirai, prendendogli il bicchiere
dalle mani e
facendone un lungo sorso. Avevo le guance calde, lo sentivo. Avevo
immaginato,
come ogni adolescente, la mia prima volta. Dolce, delicata. Romantica.
Avevo
immaginato l’imbarazzo che avrei provato nel dover esporre il
mio corpo nudo e
doverne osservare un altro, altrettanto nudo.
Si venne a sedere accanto a me,
prendendomi la mano
fra le sue. Lasciai il mio bicchiere sul basso tavolino e posai la
testa sulla
sua spalla.
Eppure, aveva ragione Edward. Ogni
cosa assume tanta
importanza quanta gliene viene data. E come potevo desiderare qualcosa
che
fosse simile a delle candele, delle coperte rosse di seta, a tutta la
più
perfetta romanticheria e dolcezza del mondo. Come potevo, quando avevo
l’uomo
che amavo accanto a me?
Mi voltai a baciarlo, partendo
dall’orecchio arrivando
fino alle labbra, come sapevo l’avrebbe fatto impazzire.
Mordicchiai, per
quanto riuscissi, la mascella, gustandomi il sapore della sua pelle.
Godere dei momenti felici. Io,
Edward, nudi sul
divano, sul tappeto o sul letto di casa sua. Mentre facevamo
l’amore. Non
importava come. Non importava niente, quanto di meglio o peggio avrei
potuto
chiedere o trovare. Non avevo nessuna aspettativa, ed ero pronta a
godere della
sorpresa del suo corpo suo mio.
Sorrisi sulle sue labbra, lasciando
che le sue mani si
avventurassero fra i miei capelli. E così fecero anche le
sue, sulle mie.
Si abbassò tanto da
farmi posare la schiena sul
cuscino, continuando a baciarmi. «Ti amo».
«Ti amo
anch’io». Non lo dicevamo spesso. Eppure,
facendolo, eravamo convinti del nostro sentimento, in quel momento, in
quell’istante.
Questo, il vero significato del carpe
diem per
me.
«Non hai
paura?» chiesi ansando, osservandolo mentre,
tenendo il mio volto fermo fra le mani, succhiava con
avidità fra la piega del
mio collo.
Si sollevò con il viso.
I suoi occhi erano lucidi ed
eccitati. Una fitta di pura estasi e gioia mi fece scuotere.
«Da morire»
confessò.
Sorrisi, e sollevai il viso per
riprendere a baciarlo.
Fui contenta. Dopo un’ora
e mezza, eravamo stesi,
nudi, davanti al camino acceso. Niente di quello che avevamo
programmato era
andato in porto. Al primo tentativo Edward aveva avuto paura, e
vedendolo immobilizzato
dal terrore di farmi del male, gli avevo detto di fermarsi.
Così ci eravamo
accarezzati e amati lo stesso, godendo ognuno del piacere
dell’altro.
Ero contenta. Aveva messo a dura
prova il suo
autocontrollo solo per me, solo per dimostrarmi il suo amore. Solo,
speravo,
per il desiderio che aveva di amarmi.
Perché non gioire di
quella felicità? Perché pensare a
quello che avrei potuto avere, e non, invece, a quello che di
meraviglioso
avevo avuto?
Accarezzai ogni riflesso ramato dei
suoi capelli, osservandoli
attentamente e scrutandone le ciocche. Ero stesa su di lui, prona, e
giocherellavo con le incantevoli punte della sua chioma. Le orecchie
fischiavano e il cuore batteva.
Posò una mano sul mio
petto. Rabbrividii. Era così
freddo.
«Va tutto
bene?» disse, premendola più forte.
L’incanto di un momento
fu rotto, e la mia mente tornò
a non essere vuota. Si riferiva agli episodi di tachicardia,
certamente. Annuii.
«Mi succede meno spesso».
Mi accarezzò una
guancia, e allora decisi di lasciarmi
rotolare sul fianco, perché quella posizione mi stava
mozzando il respiro. Mi
feci abbracciare.
«Carlisle dice che se
farò tutto quello che mi ha
detto potrò tenere la situazione sottocontrollo».
Mi sorrise.
«Bene» disse, avvicinando le labbra per
farle prigioniere delle mie.
Ancora gustavo quella dolcezza che
viene dal ricordo
di una felicità appena provata, quando Edward, sul calare
della sera, mi
riportò a casa.
Godevamo di uno di quegli attimi
eterni in cui tutto
sembra perfetto.
Edward era stato il mio redentore.
Non attribuivo
completamente a lui tutto il merito della nuova prospettiva di vita che
avevo
acquisito, ma certamente dovevo dargli quello di essere riuscito a
metterci
ordine. Era stato lui che rettificando il mio comportamento, aiutandomi
nei momenti
più bui, e facendomi confrontare con qualcun altro
all’infuori del mio animo
tormentato, aveva ordinato la mia vita.
Era tutto così perfetto.
Che cosa meravigliosa
conoscere così a fondo la vita e compiacersi di fare le sue
beffe.
«Dovresti prendere la
giacca, fa un po’ freddo»,
disse, posandomela sulle spalle e aiutandomi ad uscire
dall’auto.
Afferrai la sua mano e mi ritrovai
sbilanciata, tanto
da scontrarmi contro il suo petto.
I nostri occhi si incontrarono.
Prese una mano fra le
sue e se la portò alle labbra, baciandone la punta delle
dita. Parlò con
serietà e pacatezza. «Mi dispiace per come sono
andate le cose oggi…
Sicuramente ti…».
«Non dirlo» lo
fermai, posando un dito sulle sue
labbra. I suoi occhi scintillavano. «É stato
meraviglioso. Vorrà dire che
forse, presto o tardi, avremmo l’opportunità di
godere di qualcosa di ancor più
meraviglioso…» dissi, con un cenno
d’imbarazzo appena calato dietro un abbozzo
di sorriso.
Sorrise anche lui, avvicinando
dalla nuca il mio capo
al suo, sfiorandomi prima col respiro, e poi con le labbra.
Lo presi per mano, le farfalle
nella testa e nello
stomaco, conducendolo verso il vialetto di casa. Una ragazzina
innamorata.
Sentivo tanti brividi a definirmi così, e le guance calde di
rossore.
Quando sollevai il capo, vidi tre
ombre distanti circa
sessanta metri lungo la strada. Avevo il sole negli occhi, e di quelle
persone
vedevo solo le sagome. Eppure, mi pareva fossero proprio Charlie,
Reneè e Phil.
Li osservai perplessa. Parevano parlare concitatamente.
Automaticamente i miei passi si
mossero verso di loro,
e non feci che veni metri prima di vedere in viso mio padre. Subito mi
sentii
strattonare e bloccare da due braccia fredde. Troppo tardi. I miei
occhi erano
corsi verso il basso. Il mio cuore nel petto.
«Sta dormendo»
sibilai senza fiato, sentendo l’aria
uscire dai polmoni.
Mia madre venne velocemente verso
di noi, facendo un
cenno a Edward.
«Sta dormendo»
ripetei, e in quel secondo non provavo
dolore. Solo distacco e incredulità. No, non sta
succedendo davvero,
pensai.
Ma mia madre aveva il viso inondato
di lacrime.
Ansimai. E tutto crebbe
esponenzialmente. «No!»
gridai, scoppiando immediatamente in lacrime. Non avevo neppure avuto
il tempo
di controllarle. Impossibile. Impossibile farlo.
Urlai. E Edward mi strinse
più forte, sollevandomi di
peso e trascinandomi verso casa. Altre persone si stavano radunando
lì intorno.
Richiamate forse dalle mie urla. Tutte, per vedere il corpicino della
mia
Minush.
«Bella, Bella,
calmati», mi ripeté Edward, provando a
bloccare i miei gesti inconsulti.
Dovette lasciarmi andare appena
fummo in casa, e senza
neppure degnarlo di uno sguardo corsi via, su per le scale, urlando,
sentendo
un dolore immenso nel petto.
Impossibile, impossibile davvero.
Mi lasciai andare contro la parete
della mia camera,
singhiozzando e gemendo. La sensazione di incredulità era
ancora così vivida in
me, da cozzare contro la cruda verità in maniera
estremamente dolorosa.
Continuai a piangere, gemere,
urlare, quando Edward
venne da me, sedendomi accanto e prendendomi fra le braccia. Non
è
possibile, non è possibile. Non è giusto.
Continuavo a gemere.
E quando la prima ondata di dolore
scomparve, mi
ritrovai con la testa leggera per le lacrime a vagare su ogni cosa, su
qualsiasi cosa strana e assurda. I pensieri più sciocchi e
disparati.
E mi pentii amaramente di essermi
fatta beffe delle
vita.
Edward mi accarezzò i
capelli, baciandomi la fronte.
Mi sentivo intontita per via delle lacrime, ed ero scomoda per essere
stata in
quella posizione. Eppure non volevo muovermi. La consideravo come un
ineluttabile espiazione delle mie colpe.
«Non
c’è più» mormorai, arrochita
e stanca. I miei
occhi si perdevano nel vuoto. «E non la sentirò
più miagolare. E non sarà più
con me» dissi, con le lacrime agli occhi «e lei non
ci sarà più… era così
piccola…» piansi ancora.
«Mi dispiace»
disse, abbracciandomi a sé. Mi prese fra
le braccia e mi portò a letto. E mentre avevo il capo posato
sulla sua spalla,
sentii che una parte di me cominciava ad accettare quello che era
successo. E
inondata dalla vicinanza del corpo di Edward, dai suoi gesti
affettuosi, mi
sentii egoisticamente meglio.
Tutti, il giorno seguente e per una
settimana ancora,
esercitarono un controllo serrato su di me. Non mi lasciavano mai sola,
mai.
Non che il pensiero di tornare alle
mie vecchia
abitudini, in alcuni degli attimi di depressione più
profonda, non mi avesse
toccato, ma vederli così indaffarati
nell’impedirmi di farmi alcun male e così
preoccupati per me, mi fece irritare e definitivamente desistere.
«Dovremmo farle
un… funerale. Qualcosa di simile?» propose
Reneè a mio padre.
Mi portai alla bocca il cucchiaio
di cereali. «Nessuna
scemenza. Era un gatto, ed è morto. Nessun gatto
sarà come lui. Ma era un
gatto… ed è morto» ripetei, alzandomi
dalla mia sedia per rifugiarmi in un
angolino più appartato.
Così la parte
più razionale di me venne a galla. Non
pretendevo che il mondo cominciasse a pensarla come me, cha tutti, come
me,
assumessero questo controllo della proprio vita. Ma pochi giorni dopo
la morte
di Minush avevo capito come catalogare l’appena accaduto. Un
altro degli
imprevedibili e tristi momenti bui, niente di più, niente di
meno.
La mano di Edward risalì
dall’incavo dietro al
ginocchio sulla natica scoperta, e da lì lungo la spina
dorsale. Il mio petto
nudo contro il suo, stesa su di lui.
Mi portai una mano al petto,
stringendo forte gli
occhi per contrastare il dolore. Mi strinse con una mano i capelli,
facendo per
ribaltare le posizioni per aiutarmi a respirare.
«No» ansimai, provando a
riprendere il controllo. Allacciai le gambe alle sue, e mi voltai per
strofinare la guancia sul suo petto.
Passò.
Paradossalmente quando il cibo era
al pieno centro
della mie attenzioni, non ci avevo fatto caso. Ma ora si, ora conoscevo
il sapore.
Il sapore dell’amore.
Amore per i miei genitori, per
Edward, per me stessa.
Per Minush che non c’era più.
Amore per la vita.
«Come stai?» mi
chiese, i suoi occhi dorati e lucidi
nei miei.
Tracciai alla cieca un ghirigoro
sul suo petto. «Il
mio cuore batte».
La sua fronte
s’increspò.
Automaticamente, le mie labbra si
tesero in un
sorriso. Farsi beffe, forse, non era la cosa migliore. La
consapevolezza
invece, sapeva d’ironia.
«Vivo».
Fine.
Vi prego,
fatemi parlare. É l’ultima volta in cui ho
l’opportunità di farlo, e vi terrò
impegnati per diverse righe.
Forse non
è la fine che vi sareste aspettati. Cosa
c’è in questa fine?
Ho
provato a mettere tanta umanità, oltre a tutte le mie
pretese “filosofiche”
sulla vita e sul mondo.
Forse,
avrei dovuto dedicare più spazio e tempo alla guarigione. Il
problema è che per
me non si può mai guarire davvero del tutto. Non si
può cancellare passato e
dolore, e non si può ignorare quello che verrà.
Per questo, preferisco
concludere così, un po’ a metà.
“Edward
non si sarebbe mai lasciato andare così”
protesterà qualcuno. Ma, a costo
di scrivere un Edward poco vampiro, voglio scrivere di un Edward molto
umano.
Ho
scritto di cuore, e ho scritto di testa.
Ho messo
tutte le mie idee, ho messo tutti i miei sentimenti sul mondo.
Il
rapporto con i genitori? Sarà come dev’essere. Non
perfetto. Ma c’è amore, c’è
sempre amore, ed è questo ciò che conta.
Edward?
Perdonatemi se non l’ho definito come l’assoluto
redentore. Anche Bella ha
fatto la sua parte, il suo dolore l’ha fatta maturare. Edward
non è l’amore
assoluto che è in Twilight, ma lo ama, per quello che per me
significa amare.
Ed ora,
veniamo
a me.
Ho detto
di non essere bulimica e non esserlo mai stata. Ho detto anche che
presumo che
la maggior parte delle ragazze possa pensare a un gesto tanto
avventato. L’ho
pensato, ma non l’ho fatto. Dopo aver scritto questa storia,
spero davvero e
posso con buona certezza credere che non lo farò mai.
Ho detto
che è stata difficile da scrivere. É stata una
catarsi.
C’è
molto
di me stessa in questa storia. La schiena all’acqua, le
lacrime immotivate, il
tempo a dondolarsi sedute sul letto canticchiando perché
c’è troppo silenzio…
Ho
scritto di testa, ho scritto di cuore.
Posso
dire di aver scritto veramente per me stessa.
Non posso
fare a meno di ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me.
Grazie.
Infinitamente
grazie.
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