FLAVOUR OF LOVE

di keska
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Problema ***
Capitolo 2: *** Sconvolta ***
Capitolo 3: *** Basket ***
Capitolo 4: *** Ricerca ***
Capitolo 5: *** Porto sicuro ***
Capitolo 6: *** Distrazioni ***
Capitolo 7: *** Nuovo Arrivato ***
Capitolo 8: *** Ricordi ***
Capitolo 9: *** Tutto o niente (prima parte) ***
Capitolo 10: *** Tutto o niente (seconda parte) ***
Capitolo 11: *** Interruzione ***
Capitolo 12: *** Verità ***
Capitolo 13: *** L'ultima bugia ***
Capitolo 14: *** Chi sono? ***
Capitolo 15: *** Natura Ragione Amore ***
Capitolo 16: *** Veterinario ***
Capitolo 17: *** Luce ***
Capitolo 18: *** Respira ***
Capitolo 19: *** Morire ***
Capitolo 20: *** Nuotare ***
Capitolo 21: *** Ammissioni ***
Capitolo 22: *** Piccoli gesti ***
Capitolo 23: *** «Vivo» ***



Capitolo 1
*** Problema ***


Persi il mio quaderno dal banco e uscii dall’edificio, lo zaino in spalla

Persi il mio quaderno dal banco e uscii dall’edificio, lo zaino in spalla.

Quel giorno, ero ancora più invisibile del solito. Bene, meglio così, almeno non si sarebbero accorti di me. E del mio problema.

 

Tutti erano agitati e in fibrillazione per l’arrivo dei nuovi ragazzi. Non che io potessi definirmi una veterana della scuola, ero arrivata solo da due mesi a Forks.

Sospirai, entrando nel mio pick-up e accendendo la radio a tutto volume.

Quella era una giornata no. Da quando mi ero separata da mia madre, ed ero andata a vivere con mio padre Charlie, avevo assunto una nuova prospettiva di vita. E così, il mio problema, era diventato un’abitudine.

Mi capitava spesso di vivere giornate in cui ero particolarmente malinconica, ma poi, lo facevo.

E con l’aiuto di quello che mi mancava, come una droga, riuscivo a stare di nuovo meglio. Allora diventavo una ragazza estremamente solare.

Però poi mi pentivo inevitabilmente del mio sbaglio e tutto ricominciava di nuovo. 

Ma ormai, la maggior parte dei ragazzi si era stancata dei miei sbalzi d’umore. Ormai c’erano solo tre persone che potevo considerare “amiche”.

Mike e Jessica, mi parlavano di solito, quando ero felice, la loro compagnia era piacevole e quando invece, come oggi, mi sentivo depressa, non facevano caso al fatto che io rimanessi semplicemente in silenzio e così sfogavano i loro pensieri con me, come un fiume in piena che non si preoccupa su quali scogli va a sbattere. La compagnia di Angela, invece, mi era molto gradita. Lei rimaneva in silenzio, ad ascoltare le mie parole mute, e quando ero felice, anche lei si adattava naturalmente al mio modo d’essere.

Tutto sommato stavo bene. Avevo solo bisogno di quello. Ormai, ne dipendevo.

Una volta soddisfatto il mio bisogno, sarei stata meglio, ne ero certa. O forse, no.

 

Camminavo a passo spedito, verso il mio bisogno, accecata solo da quello.

Inaspettatamente, mi scontrai contro qualcosa di duro e freddo, cadendo a terra. Pensavo di essere sbattuta contro una colonna del muro, ma quando sollevai lo sguardo, lo spettacolo che mi si presentò dinanzi fu ben altro.

Un ragazzo alto, dai capelli rossicci e lo sguardo luminoso, mi fissava dall’alto. I suoi occhi erano chiarissimi. Dorati, quasi gialli. Era bellissimo. Non avevo davvero mai visto qualcosa del genere, mi sembrava quasi inumano.

Lo vidi fare un’espressione strana: crucciò le sopracciglia, come pensieroso, poi immediatamente, il suo sguardo mutò, come se si fosse dimenticato di fare qualcosa.

-Ti sei fatta male?- chiese, porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.

Appena lo toccai, la mia mano fu attraversata da una scossa. Era freddo.

-N…no…- balbettai, non appena mi tirai su, fissandolo poi furente, afferrando la mia borsa e correndo ancora verso la mia meta, sotto il suo sguardo sorpreso.

 

*

 

-Bella?- mi chiamò Jessica, mentre me ne stavo tornando in classe.

-Si?- la chiamai, contenta, quasi estasiata. Bene, faceva ancora effetto. Questa volta, ne avevo preso di più. La vista di quel ragazzo mi aveva scombussolata troppo, era questa la motivazione che mi ero data. Non mi dovevo sentire in colpa. Quando trovavo una motivazione, dopo, ero anche più felice del solito quando lo facevo.

-Ho visto che hai parlato con il nuovo arrivato, Edward Cullen…- disse lei con tono civettuolo.

Scoppiai a ridere. -Cosa Jess? Hai le allucinazioni?-

Le mi guardo un’ po’ offesa. -No che non ho le allucinazioni.- Poi sospirò, non badando quasi, come ormai era abituata a fare, al mio repentino cambiamento d’umore rispetto a quella mattina.

-E allora quando ci avrei parlato?-

Sul suo volto si aprì un sorriso -Beh, ci sei praticamente andata a sbattere contro…-

 

Oh. Allora era lui, il nuovo arrivato.

Come avevo fatto a non pensarci prima?

Beh, prima ero troppo presa dal mio problema.

-Oh… allora è lui…-

-Si, proprio lui. Ma lo sai che hai avuto una fortuna sfacciata? Né lui, né nessuno della sua famiglia, ha rivolto la parola a nessuno! Allora che ti ha detto?- mi chiese trepidante.

Ritornai a concentrarmi sulla mia amica. -Nulla- dissi scrollandomi le spalle -mi ha solo chiesto se mi fossi fatta male…-

-E tu?- fece lei, curiosa.

Mi sembrava ovvio -E io gli ho detto di no e me ne seno andata!-

Lei parve delusa da quella mia risposta. -Oh… beh dai raccontami i particolari, che parole ti ha detto, precisamente?-

-Oh, Jessica, non ricordo, ora devo andare, sono in ritardo!- mi liberai dalla sua presa, facendole la linguaccia e correndo in classe.

Non era per nulla vero. Ricordavo ogni singola sillaba, ogni oscillazione dei suoi capelli, ogni espressione del suo viso. Mi erano rimaste impresse. Chissà perché. Eppure, quando l’avevo incontrato, ero distratta.

 

Entrai nell’aula di biologia. Era il corso che mi piaceva di più. E poi, fortunatamente, non avevo compagni di banco… Come non detto. A fare bella mostra di sé, Edward Cullen.

Di solito mi sarei sentita enormemente infastidita, ma… così non fu. Ero quasi più contenta. Era la prima volta dopo tanto tempo, che una cosa che non fosse quello, mi desse felicità.

Mi sedetti tranquilla accanto a lui, che mi squadrò, con lo stesso strano sguardo che gli avevo visto fare anche quella mattina. Respirò piano, come se stesse cercando di controllarsi o controllare qualcosa.

In silenzio, lo osservai, tentando di non farmi vedere, e cominciai a seguire la lezione.

Rimase per tutto il tempo teso. Crucciato. Era strano… Mi… mi ricordava qualcosa di familiare.

Mi ricordava me. Nei momenti no.

-Noi due ci siamo già incontrati, vero?!- mi chiese inaspettatamente, verso la fine della lezione.

-S…si…- balbettai.

Si mise a ridere. -A parte i monosillabi sai dire qualcos’altro?-

-Si!- dissi, ridendo anch’io e facendogli la linguaccia. Anche lui rise ancora.

-Mi… mi dispiace per questa mattina…- dissi riferendomi al mio sguardo sgarbato -andavo di fretta- mi mordicchiai il labbro, in imbarazzo.

-Non ti preoccupare, facciamo così. Come se non ci fossimo ancora conosciuti.- mi porse la mano -Piacere, Edward Cullen…-

La strinsi nella mia, titubante, trovandola di nuovo fredda. -Isabella Swan. Ma tu puoi chiamarmi Bella.-

-Bene Bella, io ora devo proprio andare…- mi sembrava di nuovo teso. Era… come se non respirasse. In un attimo fu fuori dalla classe. Mi accorsi che non c’era più nessuno.

 

Un po’ sorpresa, afferrai le mie cose e mi diressi in palestra. Nessuno era venuto ad importunarmi, erano tutti in fibrillazione per l’arrivo dei Cullen, fortunatamente. Neppure Mike, che da quando mi ero trasferita non ne poteva fare a meno di accompagnarmi da tutte le parti come un cagnolino da compagnia scodinzolante, era lì con me. Risi a quel mio pensiero. Ero ancora felice, ancora sotto l’effetto di quello.

Entrai nello spogliatoio femminile. Non c’era nessuno, dovevo essere in ritardo. In fretta, mi cambiai e entrai in palestra.

Lezione di pallavolo quel giorno. La mia avversione verso quella materia, superava persino quella che avevo contro la trigonometria.

Poi, un nuovo dettaglio, mi fece cambiare idea. Sentivo che quell’ora sarebbe stata più piacevole del solito, con lui. Era stupendo anche in tuta da ginnastica. Subito dopo aver formulato questo pensiero me ne pentii. L’avevo fatto di nuovo, ero felice per qualcosa che non fosse quello, e non potevo permetterlo.

Notai che oltre a lui, c’era un’altra nuova ragazza. Una ragazzina minuta, con i capelli corti, neri, sistemati in una graziosa acconciatura. Era bella anche lei, oltre che molto aggraziata. Doveva essere una delle sorella di Edward. In un certo strano modo, gli somigliava, anche se avevano molto di diverso.

Nessuno dei miei compagni stava loro vicino, nessuno gli parlava, anche se tutti gli gironzolavano intorno, come mosche al miele. Era strano.

 

Titubante, presi il mio posto accanto a Mike, che mi sorrise con un ghigno. Io sollevai la mano per salutarlo, non rendendomi conto che la palla mia stava arrivando in faccia a tutta velocità. Non feci in tempo a fare nulla, sentii solo una voce melodiosa che diceva -Mia!- e poi una mano stretta a pugno deviò la traiettoria della palla, facendola ricadere con precisione nel campo avversario e segnando un punto.

Mi voltai di lato, verso il possessore di quella meravigliosa voce. Edward Cullen mi fissava con un sorrisetto, un po’ tirato.

-Ci rincontriamo, vedo.- Dal tono con cui lo disse, sembrava quasi se ne stesse facendo una colpa.

-Già…- balbettai solo. -Gr…grazie…-

Non fece in tempo a rispondermi, che fu il turno di cambiare le posizioni, così, mi ritrovai troppo lontana per parlargli ancora. Non che volessi farlo. O forse si. Sentivo nascere dentro di me sentimenti contrastanti.

Per tutta la durata della partita, lo osservai giocare. Non pareva molto concentrato sulla palla, la maggior parte delle volte lo sorprendevo a guardare nel vuoto, o a crucciare le sopracciglia come se si stesse sforzando di fare qualcosa. Oppure… come se si stesse sforzando di non farlo.

Era incredibile, ancora una volta lessi nel suo meraviglioso viso, il mio stesso tormento, il mio stesso bisogno.

Non poteva essere… E se anche lui fosse… No, decisamente.

 

Quando uscii dallo spogliatoio femminile, mi trovai bene e a mio agio nei jeans. La felicità perdurava ancora in me.

D’un tratto, mi accorsi che Edward mi stava venendo incontro.

-Ciao- dissi, piuttosto sicura, contenta.

-Ciao…- mi salutò lui evasivo, fermandosi però, a circa due metri da me. Abbassai lo sguardo, ma sapevo che mi stava ancora fissando, avvertivo i suoi occhi concentrati su di me.

Mi decisi a parlare, non volevo sempre starmene lì a balbettare e inoltre, volevo rompere quel silenzio imbarazzante -Ti sei trovato bene oggi? Intendo… nella nuova scuola… M…magari hai qualche problema con il programma…- mi mordicchiai il labbro inferiore.

Sul suo volto comparve un sorriso, come se avessi appena detto una battuta sarcastica. -Oh, no, tutto bene. Grazie del tuo interessamento, comunque…- mi rispose educatamente.

-Beh, allora ci vediamo domani ok?!- disse poi salutandomi e avviandosi verso il corridoio.

-C…ciao!- dissi, sbracciandomi per salutarlo. Mi accorsi che stavo sorridendo, ero praticamente euforica, felicissima. Rimasi per un attimo immobile, appoggiata ad una colonna.

Ero scioccata. Quel ragazzo appena conosciuto stava minando la mia fragile stabilità. Ora, mi aveva fatto sentire felice, troppo, stavo sbagliando, e non potevo permettermelo. La felicità che provavo adesso, avrebbe solo significato più tristezza per dopo. Non potevo permetterlo, no, niente avrebbe rotto il mio precario equilibrio.

Mi asciugai la lacrima che mi era scesa dagli occhi e mi promisi che non l’avrei più visto. Né tanto meno, ci avrei parlato. Me lo dovevo imporre.

 

Infatti, come avevo previsto, era successo. Ora, ero nuovamente nello sconforto più totale, come quella mattina.

Fui costretta a farlo di nuovo.

Afferrai le chiavi del mio pick up e corsi via sotto la pioggia, stringendomi nel giaccone. Avevo un solo obbiettivo, e sapevo cosa fare per non far insospettire nessuno.

Premetti a fondo col piede, dando gas e sfrecciando per le strade di Forks. Avevo freddo, ma non mi curai di accendere il riscaldamento, avevo un bisogno da soddisfare necessariamente.

Inchiodai di fronte al grande edificio e scesi dal mio mezzo per fare i miei acquisti.

Non più di cinque pezzi, non più di cinque pezzi. Controllati Bella, controllati. Era fondamentale per il mio piano. La discrezione. Non potevo permettere che scoprissero tutto.

Feci i miei acquisti e pagai velocemente in contanti, non potevo usare la carta di credito, sarei stata fin troppo rintracciabile.

 

Uscii velocemente, guardandomi intorno con discrezione e nascosi la busta sotto i sedili del pick up. La tentazione era forte, ma dovevo resistere ancora un po’. Misi nuovamente in moto e mi diressi verso la mia seconda meta. Di nuovo ripetei la stessa operazione, comprando questa volta però, sei pezzi. Non ero riuscita a trattenermi. Mi sentii ancora peggio, perché questa volta nessuna scusa sembrava poter reggere e la tentazione delle due buste nascoste sotto i sedili cresceva sempre più. Un’altra meta ancora, di nuovo gli stessi gesti, con la stessa discrezione. Lo feci ancora due volte, poi, mi dissi che poteva anche bastare.

Non ce la facevo più ad aspettare, il desiderio morboso di prendere ciò che avevo nascosto sotto i sedili, mi stava distruggendo.

Ancora un po’. Pensavo. Ancora un po’. Parcheggiai frettolosamente nel cortile di casa, prendendo le varie buste con me e entrando alla svelta in casa, senza farmi vedere.

Potevo stare tranquilla, quel giorno oggi mio padre era di servizio.

 

Venti minuti dopo, me ne stavo stesa sul pavimento del bagno, distrutta.

Mai più avrei rivolto la parola a Edward Cullen, mai più.

Con le lacrime agli occhi, mi sollevai, fino a mettermi seduta. In un gesto abituale, mi tirai su i capelli, infilandomi un dito in bocca e vomitando tutto il cibo che avevo ingurgitato, tra le lacrime.

 

Spero che vi piaccia…

Spero che possa trasmettere le stesse emozioni, ma soprattutto, gli stessi messaggi che mi pongo da trasmettere io.

 

Questa ff, infatti, non è nata per dirci “oh, guardate, poverina Bella, ora Edward l’aiuta”. No. Certo, c’è anche quello, come darvi torto.

Non voglio neppure fare la moralista, e dirvi, no ragazze, non si fa. Perché io non sono nessuno rispetto a voi, per dirlo.

Voglio solo trasmettere poche informazioni. Semplici e banali e sperare che questa storia non comunichi effetti contrari a quelli auspicabili, causa l’emulazione.

Penso che la maggior parte di noi, almeno una volta abbia, anche solo lontanamente pensato, di fare ciò che Bella fa in questa fan fiction. Non è così facile come può sembrare. Non lo si fa, solo per sentirsi belle o affascinanti. Il cibo può diventare una droga e minare lentamente la personalità di una persona. Ma, quanto ti accorgi che hai sbagliato, che è troppo tardi per tornare indietro, compi la sciocchezza. Ma non te ne liberi. No. Così facendo, cadi solo nella trappola che sin dall’inizio ti attendeva.

 

Non fatelo mai ragazze. La bulimia, porta alla morte.

Non è un gioco. Una volta cominciato, è difficile smettere.

Questa fan fiction non è stata scritta da un medico, pur contenendo documentazioni valide di medicina, quindi non basatevi totalmente su quanto scritti in queste pagine.

 

Ringrazio la crucci, per la collaborazione e per avermi aiutato a ordinare tutte le idee. Grazie cru.

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Capitolo 2
*** Sconvolta ***



Il giorno dopo, non mi sentivo più tranquilla

Il giorno dopo, non mi sentivo più tranquilla. L’agitazione non mi era passata, neppure dopo aver mangiato quell’enorme quantità di cibo del giorno prima. Avevo preso un decisione, questo era vero, ma mi sentivo comunque troppo vulnerabile. Non avevo idea di come avrei reagito, alla vista di… quel ragazzo, che ormai non osavo nominare neppure nei miei pensieri.

Non dovevo parlargli. Non dovevo guardalo. E non dovevo pensarlo. Lui, per me, non doveva esistere.

Presi il mio zaino, riempito con la mia roba, e il mio cibo. Nascosi la carta della barretta che avevo appena mangiato nel cruscotto. Ce ne erano molte altre. Appena uscita da scuola, avrei dovuto svuotarlo, in un cassonetto lontano dal centro.

M’incamminai verso la scuola, attenta a non guardare nulla in particolare, e nascondendomi il volto tra i capelli.

Camminavo velocemente, dritta verso la mia meta. M’infilai, facendomi largo tra la folla di ragazzi e entrai in classe.

Diedi una rapida occhiata in giro. Non c’era, bene.

Emisi un sospiro rilassato e mi andai a sedere al mio solito posto.

 

Era l’ora di inglese, e qualche minuto più tardi, il professore entrò in classe. Quel giorno, ci sarebbe stata una lezione che io avevo già seguito a Phoenix, e purtroppo, non catturò la mia attenzione adeguatamente.

Il mio problema con il cibo, era nato esattamente un anno e mezzo fa, quando mia madre Reneè, aveva cominciato a frequentare Phil. Non avevo per nulla vissuto bene quel momento, nel mio animo, covavo la profonda speranza che i miei genitori tornassero insieme. Ma non era quella la cosa peggiore. No, quello l’avrei superato, ce la potevo fare.

Il vero problema, quello che in nessuno modo riuscivo ad affrontare, era che acconsentendo al matrimonio, mi sembrava di tradire mio padre. Al contempo però, non approvando, avrei spezzato il cuore a mia madre.

Passai circa un mese, a covare in me il dolore, tentando di non mostrarlo né a mia madre, né a mio padre. Interiormente, cresceva sempre più, come una goccia di acido che piano piano corrode e scava, in profondità, facendo aumentare sempre più la sofferenza, l’angoscia, il disprezzo per se stessi e io, non riuscivo a resistere ancora, così, un giorno, crollai.

Ricordo perfettamente quel pomeriggio, mia madre era uscita insieme a Phil, dopo che il giorno prima le aveva fatto la proposta di matrimonio.

Ero distrutta, non volevo piangere, ma il giorno in cui avrei spezzato il cuore a mia madre o a mio padre, era sempre più vicino. Così, frugando nella credenza, trovai la mia ancora di salvezza, il cibo. Cominciai a mangiare, di più, sempre di più, sfogandomi di tutta la rabbia e il dolore represso.

Ma poi, quando mi accorsi del mio errore, mi sentii male. Strana. Sbagliata. Malata.

Quella fu, la prima volta che vomitai. Non fu così facile come si potrebbe pensare.

 

Me ne stavo seduta sul pavimento del bagno. Il mio dito tremava, non volevo, non volevo farlo. Lo avvicinavo al mio viso, lentamente, aprendo piano la bocca, ma poi, vinta da un moto di moralità, lo allontanavo. Ma poi pensavo ai miei enormi problemi, troppo grandi per me, e crollavo ancora, avvicinavo la mano, poggiando le dita sulle labbra chiuse, ma a quel contatto, come scottata, mi allontanavo ancora. Era come se infondo, dentro di me, sapevo che non l’avrei mai fatto.

Avevo fremiti per tutto il corpo, tremavo e piangevo. Pensavo ai miei genitori, a mia madre e mio padre. Gli stavo facendo un torto. Ma era meglio quello, che farli soffrire direttamente.

Codarda, codarda. Mi dicevo, mentre ancora piangevo.

Era sbagliato. Me l’avevano insegnato. A scuola, a casa. La bulimia è una cosa sbagliata. Me l’avevano sempre detto. Ma chi lo diceva non poteva capire il dolore che stavo provando in quel momento. Non poteva, non poteva.

Piansi, ancora, più forte. Odiavo le mie lacrime, odiavo il suono dei miei singhiozzi, odiavo me stessa. Non ce la facevo neppure a smettere ormai, e mia madre sarebbe tornata di lì a poco e non poteva vedermi così sconvolta.

Così, una volta per tutte, misi a tacere le lacrime.

Quando sollevai la testa, non ero stranamente pentita di ciò che avevo fatto. Almeno, non per il momento. Come se mi fossi liberata dal peso di una decisione. Non lo farò mai più, mi dissi, e tutto sembrò tornare al suo posto.

 

Avevo trovato in quello, un modo per sfogarmi, per evadere. Dopo averlo fatto, ero, dopo tanto tempo, ancora felice. Ma purtroppo, quella felicità, non durò tanto a lungo quanto sperassi, così, fui costretta a rifarlo. La seconda volta, fu leggermente più facile della prima. Tanto non lo rifarò, mi dicevo. Questa è l’ultima volta.

Ma ogni volta, i momenti in cui ero felice erano di meno, sempre meno. E io tentavo, mi aggrappavo con le unghie alla vana consapevolezza, che  avrei potuto smettere da un momento all’altro, se solo avessi voluto, ma mi giustificavo dicendo, che in quel momento ne avevo troppo bisogno.

Non andavo certo orgogliosa di quello che facevo, e nei momenti più tristi piangevo e piangevo la disperazione che mi causavano quei momenti sconsiderati. Ma la disperazione enorme che provavo, mi portava solo a rifarlo, per tentare in tutti i modi di sentirmi meglio.

Nessuno era a conoscenza del mio problema. Non ero mai stata una brava attrice, ma riuscivo comunque a tenere per me i miei veri sentimenti. E poi mia madre era così felice e così presa da Phil, che non avrebbe mai potuto rendersene conto. Non la biasimavo, povera donna, era stata costretta a crescermi da sola per diciassette anni.

Tuttavia, il cibo non mi faceva quasi più effetto, e la mia disperazione aumentava sempre più, scatenando nuove reazioni a catena e facendomi sempre più cadere nel baratro profondo in cui stavo scivolando.

Proprio quando quasi pensavo di non potercela fare più, il giorno dopo il matrimonio, mi venne l’illuminazione.

Così, partii per Forks, da mio padre.

Ebbi una lieve ripresa, ma quando tentai di ritornare alle mie normali abitudini alimentari, non ce la feci più. Ormai, ne ero troppo presa, e le chiamate di mia madre, preoccupata per me e che mi supplicava a ritornare, non erano d’aiuto.

A quel punto, la bulimia divenne un’abitudine, a cui non riuscivo più a sottrarmi. Mangiare non era più un gesto fatto per vivere, o per il gusto di farlo. Mangiavo per sopravvivere, enormi quantità di cibo, senza neppure rendermene conto, dal momento in cui cominciavo a masticare.

Mio padre, non si era accorto di nulla. Almeno, io credevo e speravo fosse così. Ogni tanto, dopo mangiato, si fermava volontariamente a parlare più del dovuto con me. Non so se volesse evitare che andassi in bagno a vomitare. Secondo me no, perché lo faceva anche prima di mangiare o dopo la partita.

Probabilmente aveva intuito il fatto che io avessi un problema, ma non aveva capito di che natura fosse e ora, credo si stesse abituando anche lui ai miei sbalzi d’umore.

 

-Signorina Swan?- mi sentii chiamare dal professore -capisco che Otello sia commovente, ma fino al punto di piangere!-

Mi accorsi di avere le guance completamente bagnate. -Mi scusi…- feci una risatina isterica, mentre intanto dentro mi sentivo morire. In fretta, mi asciugai le lacrime, nervosamente.

Avevo fatto un grossissimo errore a lasciarmi andare a quei ricordi dolorosi, e tutto per quell’insignificante ragazzo, che cominciavo ad odiare sempre più. Ora, conoscevo un solo modo per poter stare meglio. Ma l’orario della mensa era troppo lontano e io non avrei resistito ancora così a lungo, prima, sarei crollata e non potevo permettermelo, in nessun caso.

La campanella, che decretava la fine della prima ora di lezione, suonò e io presi in fretta il mio prezioso zaino, avviandomi per i corridoi.

Conoscevo la mia meta. Era uno stanzino usato sai bidelli, ma ormai non ci entravano tanto neppure loro, perché ne avevano uno nuovo e più grande. L’avevo scoperto per caso in uno dei miei momenti di debolezza, e poi ci ero stata altre cinque o sei volte. Non importava più ormai, ora che tutto era diventato un’abitudine, avevo perso il conto di quante volte lo facevo.

 

Purtroppo però, sulla mia strada lo incontrai. Era ancora lontano da me, ma per arrivare alla mia meta, ci sarei dovuta per forza passare accanto, nel corridoio. In compagnia di due ragazzi troppo simili a lui per non identificarli immediatamente come suoi fratelli, bellissimi, ma mai quanto lui.

Come il giorno precedente, notai che gli altri studenti non ci parlavano. Anzi, a dire il vero, non li guardavano neppure, come se fossero trasparenti. E lo stesso trattamento usavano loro verso gli altri ragazzi.

Mi resi conto che lo stavo fissando troppo, troppo, ma i miei pensieri, ancora una volta, erano sfuggiti alla mia volontà, segno che avevo urgente bisogno di cibo.

Non dovevo guardarlo. Non dovevo pensarlo. Lui per me non esisteva. Non potevo permettergli di rovinarmi ancora una volta la vita.

Quando gli passai accanto, la faccia nascosta dai capelli e dal giaccone, si voltò verso di me, sorridendomi. Non capivo perché. Insomma, tutti gli altri erano trasparenti per lui, perché doveva guardare proprio me?!

-Ciao- mi disse, con voce melodiosa e cordialità.

Non rispondere, non rispondere, non rispondere. Riuscii nel mio compito e lo sorpassai, non degnandolo di uno sguardo.

Volevo voltarmi, a controllare la sua espressione per quella mia reazione, ma riuscii a resistere ancora e non lo feci.

Arrivata a destinazione, sfilai il cibo dallo zaino e iniziai a mangiare senza controllo. Arrivata a quel punto, non me ne sentivo più neppure in colpa. E comunque, non me ne sarei mai sentita in colpa in quel momento. Era… era come se perdessi per qualche istante il controllo di me stessa. “Ma si, che male mi può fare… Che vuoi che sia… Mangia e basta, non ti fare di questi problemi… Basta, ora non me ne importa più nulla!” mi dicevo le prime volte. Ora, neppure quello. La frenesia mi annullava completamente.

Almeno finché poi non dovevo correre in bagno a vomitare.

 

Arrivai leggermente in ritardo a lezione di trigonometria, appena due minuti forse, ma il professore, che mi stava antipatico sin dal primo giorno, lo dovette far notare a tutti, distruggendo una consistente fetta del buonumore che ero riuscita a racimolare.

Mi sedetti in silenzio accanto a Jessica. Lei mi lanciava occhiate furtive, voleva evidentemente dirmi qualcosa.

-Che c’è?- sbottai a bassa voce, quando quelle occhiatine si fecero ancora più insistenti.

Si vece più vicina, così che potessi udire i suoi sussurri -Ieri ti hanno vista parlare con Edward Cullen- sentir pronunciare quel nome, mi causò un fremito -sia a lezione, che dopo la palestra…-

-E con questo?- sbottai fra i denti, a bassa voce.

-Nessuno dei Cullen ha parlato con un altro studente!- Le mie osservazioni, allora, si rivelarono fondate. Perché quel ragazzo parlava solo con me? Sentii nel mio cuore, emergere un nuovo sentimento. Conforto, lusinga. Contemporaneamente però, mi sentii spezzare. Stava accadendo di nuovo, quel ragazzo mi stava causando nuovamente felicità.

Notai che Jessica mi stava ancora fissando con impazienza, probabilmente in attesa di dettagli o di chissà quale reazione.

Feci spallucce, con ostentata noncuranza. Non volevo pensare a Edward Cullen.

-Allora, cos’hai da dire?- chiese insistente.

-Basta, Jessica!- il mio buonumore era nuovamente scomparso. -Basta!- dissi severa.

Lei si girò dall’altra parte, risentita, ma almeno rimase in silenzio fino alla fine della lezione.

 

Le due ore successive, passarono serenamente, in presenza di Angela, che a differenza di Jessica, sapeva mantenere il silenzio e adattarsi ai miei umori.

Riacquisii un minimo di lucidità, che mi aiutò ad arrivare alla mensa con la dovuta discrezione e tranquillità.

Presi il vassoio con il cibo, in una quantità normale, non superiore alla media. Se l’avessi riempito, troppe persone se ne sarebbero accorte in una cittadina così piccola come Forks. Tanto poi, una volta al tavolo avrei aggiunto le mie cose, che stavano nel mio zaino.

M’incamminai verso l’angolo più nascosto della mensa, dov’era il mio tavolo. Vuoto, ovviamente.

Poggiai il vassoio e sistemai la borsa, in modo da coprire maggiormente la visuale.

I primi due giorni, Jessica e Mike avevano insistito per farmi sedere al loro tavolo. All’ennesima insistenza, ero esplosa, arrabbiandomi. Ora pranzavo sola. Bene.

-Cosa mangi?-

La sorpresa, fu l’unica cosa che provai in quel momento. Sorpresa, nel sentire quella voce melodiosa, lì dietro di me, e sorpresa, perché realmente non sapevo cosa avessi tra i denti. Insomma, non mi curavo più da ormai troppo tempo di cosa mangiavo.

Subito dopo la sorpresa, spuntò l’irritazione. Nessuno. Nessuno mi interrompeva mentre mangiavo.

 

Tuttavia, sorprendentemente, quando mi voltai, la mia furia si sciolse come neve al sole. Aveva un sguardo così gentile, e dolce.

-Scusa, che maleducato, non ti ho chiesto se posso sedermi…- si scusò gentilmente.

No, dì di no. Non lo fare Bella, non lo fare. -Si…- sussurrai. Stupida, stupida. Non avevo idea di cosa mi stesse accadendo. Provavo un sentimento che non riuscivo, per quanto mi sforzassi, a definire. Ero… come imbambolata.

Con un movimento elegante, si sedette accanto a me.

-Allora, cosa mangiavi?- insistette. Mi sorpresi a guardare un pezzo di pizza tra le mie mani, avevo smesso di mangiare.

-Pizza…- sussurrai, lasciandola cadere nel piatto. Non mangiavo davanti agli altri.

-Stai bene?- mi chiese. Sussultai a quella domanda, fissandolo poi curiosa, così lui aggiunse -stamattina mi sei sembrata… strana…-

Ripensai allo sguardo carico d’odio che gli avevo lanciato quella mattina. Non ci riuscivo più. Ero pervasa da un melenso fiume di appannamento che non mi faceva rimanere lucida.

-Scusa… avevo mal di testa…- mi affrettai a rispondere, quando mi accorsi di aver fatto passare troppo silenzio. Lui fece un cenno, come a darmene atto. Abbassai lo sguardo, frastornata. Nel vassoio era rimasto solo un pezzo di pizza mezzo mangiucchiato.

-Come mai te ne stavi qui tutta sola?- mi chiese curioso, dopo un po’.

Mi morsi un labbro, risollevando lo sguardo -Pensavo…-

-A cosa?- m’incalzò con rinnovato interesse. I suoi occhi, non so come fosse possibile, mi sembravano anche più chiari del giorno precedente, e quando mi guardava, era come se il loro contenuto liquido m’ipnotizzasse.

Mi accorsi che avevo smesso di mangiare. Mai, o quasi mai, da quando il mio problema aveva preso il sopravvento, durante un’abbuffata smettevo di mangiare. Segno che le mie abitudini stavano cambiando e questo, non andava affatto bene.

Afferrai il mio zaino e me lo misi in spalla, scuotendo la testa come a cancellare il mio annebbiamento.

-Scusa, ora devo andare.- dissi, allontanandomi e riprendendo coscienza di me stessa, mentre la testa mi girava per il turbine di pensieri che mi scuoteva.

Probabilmente mi salutò, ma non risposi, né, sentii ciò che mi disse.

 

Non avevo più fame. Male, malissimo. Sbagliato.

Uscii dalla mensa di corsa, avviandomi verso il mio pick up. Una volta arrivata, gettai lo zaino sul sedile, e mi stesi, nascondendomi da occhi indiscreti.

Arrivata a quel punto, lasciai che le lacrime cadessero. Odio, mero odio, provavo per quel ragazzo. Eppure, rievocando anche solo un attimo il suo sorriso dolce, il suo sguardo educato, i suoi modi gentili, non potevo fare a meno di sentirmi confortata, ma per questo anche più triste e depressa.

Perché, perché doveva giungere quell’ulteriore dettaglio a sconvolgere la mia vita!

Non sapevo cosa fare, come comportarmi, ero sconvolta, e questo non andava bene.

Piansi, piansi, sempre più forte, fino a sentire il suono dei miei singhiozzi. A quel punto mi bloccai. Basta.

Con un gesto automatico, mi misi a sedere. Guardai la mia immagine riflessa nello specchietto retrovisore. Ero sconvolta, avevo le occhiaie e gli occhi gonfi e arrossati.

Mi affettai a cancellarmi i solchi lasciati dalle lacrime. Presi una salvietta dal cruscotto e mi pulii per bene la faccia.

Ad un occhio attento non sarebbe certo sfuggito il fatto che avevo pianto, ma considerando che gli unici che facevano caso a me erano Mike, Jessica e Angela, avrei potuto evitarli.

Ma poi, mi ricordai di lui. No, meglio non andare a lezione di biologia. Non avevo mai saltato le lezioni, ma… Se si fosse accorto di qualcosa?

Non fui presa dal solito moto di paura dell’essere scoperta, di deludere i miei cari, di portare loro il tormento, ma… dalla vergogna. Certo, quando pensavo che mio padre l’avrebbe potuto capire, provavo anche quella, ma non come sentimento preponderante, come in questo caso.

Ma non volevo saltare un’ora, e dare un’altra possibile causa di dispiacere a mio padre.

Decisi di andare in segreteria, a farmi fare una giustificazione, dopotutto, l’aria strapazzata ce l’avevo, e avevo anche detto a… Edward, facevo fatica a pensare quel nome, di avere mal di testa.

Così, scesi dal pick up e mi avviai verso la segreteria. Il cielo era nuvoloso, ma a differenza del solito, la nebbiolina che mi circondava, mi dava piacere. Mi cancellava il torpore, dovuto alle lacrime, e impediva la vista chiara del mio viso.

 

Improvvisamente, sentii la sua voce, mentre parlava con un altro ragazzo dalla voce melodiosa.

Erano appena sotto il portico, dietro l’angolo.

-Non riesco a capire, ieri non mi sembrava così… Ha detto di non sentirsi molto bene…- Era ansia quella che sentivo nella sua voce?

-Che ti prende, Edward? Non ti ho mai sentito in questo modo. Riesci a capire cosa ti stia succedendo?-

Un sospiro.

-No… Sento… Che c’è qualcosa di sbagliato. Un problema. Mi… mi sento in dovere di aiutarla… io… non so perché. Non si spiega, non proprio lei.-

Trattenni il fiato.

-Vedrò che posso fare, fratello.-

-A distanza Jasper- doveva essere quello il nome dell’altro fratello -Voglio che stia tranquilla, voglio pensarci io a starle accanto.-

 

A quel punto, tutto fu troppo per me. M’infilai in segreteria, sbattendo la porta.

La signorina Cope non mi chiese troppe spiegazioni, evidentemente il mio viso tormentato, fu abbastanza eloquente.

-Vuoi fermarti un attimo in infermeria, cara?-

-No, preferisco andare a casa, è solo un forte mal di testa, grazie di tutto…- dissi evasiva, mentre la vedevo lanciarmi una strana occhiata. Mi misi lo zaino in spalla e mi avviai di fretta fuori dall’ufficio, ansiosa di riordinare i miei pensieri.

Purtroppo, sbattei nuovamente contro qualcosa. No, ti prego, non lui.

-Ci incontriamo sempre così, eh?!- disse la sua voce melodiosa. Alzai lo sguardo. Mi stava fissando, gentile.

-Stai bene?- mi chiese quando non risposi, troppo persa nel suo sguardo.

Mi accorsi che mi era caduto lo zaino e il contenuto ne stava uscendo fuori. Lui si piegò sulle ginocchia, tendendo una mano per aiutarmi a metterne di nuovo dentro il contenuto.

-No!- dissi, troppo velocemente e con troppa veemenza. -Lascia.- ordinai perentoria, riemergendo dal mio annebbiamento.

Lui sembrò sorpreso dalla mia reazione, ma allontanò immediatamente le mani, tirandosi su.

Sistemai tutto alla bell’e meglio, mi cacciai lo zaino in spalla, e ignorai la sua mano pallida che voleva aiutarmi a tirarmi su. Facendo forza sui talloni mi sollevai e, senza degnarlo di un ulteriore sguardo, corsi via.

 

Ok, ragazze. Premetto una cosa. Circa tre ore dopo la pubblicazione di questa storia, stavo piangendo come un disperata perché mi avete detto tutte che sarebbe stato difficilissimo, e che era un argomento molto impegnativo. Grazie per la fiducia -.-

:D A Parte scherzi, non ho proprio pianto, ma devo dire che mi ha preso un moto di preoccupazione e ansia, e ho rotto le scatole alle crucci (grazie cru) finché non mi ha calmata dicendomi che io scrivo per me stessa soprattutto e che ci dovevo comunque provare a mettermi in gioco. Com’è saggia la cru, vero?! u.u

 

Quindi, un po’ più calma e tranquilla, mi sono rimessa al lavoro, analizzando pian piano quello che volevo scrivere. Spero di essere riuscita almeno un pochettino nel mio compito, altrimenti, quel che sarà, sarà. Se ho sbagliato qualcosa, ditemelo, non me la prenderò. L’importante è che io mi sia sentita soddisfatta nello scrivere questa storia, e anche se non vi dovesse piacere, continuerò, per me, tentando sempre di correggere i miei errori.

Grazie a tutte.

 

azaz grazie cuore! Aspettavo con ansia il tuo verdetto! ;) Si, in effetti ho cambiato, e non poco, argomento… ^^ Ti ringrazio per tutti i complimenti, ma devo dire che mi è venuta davvero tanta paura! Adesso tutti si aspettano qualcosa da me, hanno cacciato un coltello e mi hanno rinchiusa in una stanzetta buia, e ora io devo trovare l’uscita d’emergenza!!! Help me! E cmq, non poteva essere cleptomania, perché, proprio per non ingannarvi, ho scritto che pagava in contanti! Ti devo dire, una delle cose che m’incuriosisce maggiormente di questa storia è il rapporto tra Edward e Bella, è… diverso dal solito, ecco. E’ strano, vero? Sono curiosa di sapere come si comporteranno in futuro, che cosa farà Edward soprattutto… Ops, scusa, mi sono lasciata un po’ andare… Ora dirai, “ma se non lo sai tu, chi lo sa che succederà?”, eh, in effetti, no, non lo so, sono i personaggi che lo decidono… Non so se hai capito, non è facile da spiegare. E… come se prendessero vita. Man mano che scrivo, partecipano ai miei fatti e assumono atteggiamenti differenti… Ecco, no, non mi fare internare! XD

cloe cullen No!!! Non ti ci mettere anche tu a dire che il tema è difficile, perché praticamente me l’hanno già detto tutti! T.T Mi sto scoraggiando, sai… Forse non è proprio una buona idea…

samara28 Oh, wow, sono sconvolta! Cioè, praticamente in realtà non avevo capito bene neppure io cosa volevo fare. Perché, in pratica, non mi ricordo se tu scrivi, si lo fai, quindi sai come ci si sete no, le emozioni, le sensazioni, si mettono nero su bianco per trasmetterle. Poi, diciamo, dopo tre o quattro capitoli, si capisce cosa si vuole fare e il messaggio è chiaro anche allo scrittore. Ok, diciamo che tu hai accelerato i tempi. Grazie della bella recensione J  

Lau_twilight ho fatto prestissimo, visto?! E l’ho fatto anche di una lunghezza decente stavolta… J Spero che la tua fiducia non sia stata mal riposta…

_la sua bella_ oh, beh, grazie mille, e spero di aver aggiornato abbastanza in fretta! Cullen’s Love è La fan fiction. Questa è una fan fiction, non ci posso mettere lo stesso impegno, perché questa è già di per se più impegnativa da scrivere…

IsAry beh, si, l’idea era proprio quella, mantenere il mistero fino alla fine! J Spero ti piaccia, per me è davvero importante…

barbyemarco sono contenta che ti piaccia e, certo che la continuo!!! E’vero è diversa da Cullen’s Love, l’avevo detto! ;)

ale03 sospettavo già che ci sarebbe stato qualcuno che si sarebbe sentito più intimamente preso. E’ un problema molto, molto diffuso, inutile chiudere gli occhi. Complimenti se sei riuscita a uscirne…

pinkgir certo, si, grazie per il consiglio. In realtà ho voluta lasciarla così, almeno per i primi tempi, per un puro artifizio linguistico… Come hai notato infatti, nel primo capitolo si mantiene il mistero fino all’ultimo rigo. Ma d’ora in poi lo scriverò, onde evitare malintesi…

crucci grazie cru, te l’ho già detto che ti adoro! Senza di te in questo momento starei in piena crisi isterica!

patu4ever beh, grazie. Si, me l’avete detto tutte che ho scelto un argomento difficile, ma mi sentivo pronta ad affrontarlo, dopo l’esperienza che ho fatto, quindi… questo è quanto.

m_aljen no figurati. Anzi sai che ti dico, questa è la prima recensione negativa che mi viene fatta in… cinque mesi?! Finalmente! Ho sempre spronato tutti a dirmi ciò che pensano veramente, anche il “lato negativo”, ma non l’ha mai fatto nessuno, chissà perché forse non c’era realmente o semplicemente non volevano dirmelo. Comunque, tornando a noi. Prima di tutto, ti ringrazio di cuore per avermi detto che la storia è scritta bene. Secondo, passiamo alla parte “dolente” J. Non sempre fantasia vuol dire felicità. Capisco che Twilight faccia parte di un genere fantasy, ma è anche un romanzo, ti sembrerà un eresia, molto realistico. Per questo, non ci trovo nulla di male, nel tentare di esprimere ciò che c’è dentro l’animo umano. Proprio quando si trova in momenti di difficoltà. Ecco perché ho scelto questo come tema. Infine, il punto d’incontro che c’è tra Edward e Bella, sta proprio nel loro anelare a qualcosa, in questo caso al cibo, e non riuscire a controllarsi, finendo per ferire addirittura se stessi. Comunque non sarai obbligata a seguire questa storia, ma sono contenta che mi abbia espresso il tuo pensiero. A presto, se vorrai, Francesca.

Luna95 già, emm… la “disintossicazione” non è una cosa facile, ma tinei conto che accanto a lei c’è Edward quindi… tutto è diverso…

Wind eheh, ti dico che è ancora all’inizio e che mi piacciono tantissimo le sfide difficili. Quindi, a noi due, storiella mia!

luisina certo, ti capisco cuore. Grazie davvero tanto dei tuoi apprezzamenti, sono contenta di essere riuscita nell’impresa di raccontare l’”ossessione” di Bella. E ti dico anche congratulazioni, devi essere una persona davvero forte se ce l’hai fatta con le tue forze… J

Confusina_94 lo sapevo io! La mia amica mi aveva detto che dall’introduzione si capiva cosi! XD Nono, proprio dorata no, però io cibo può diventare una droga…

mazza ciao piccoletta! ^^ Anche qui vedo, eh! Sono contenta… Beh, sono anche contenta del fatto che tu non abbia di questi, problemi, ma l’ho già detto, non derivano solo da quello… E cmq ti prometto che non ti farò usare troppi fazzoletti, ok?! J

AmorePsiche ciao, grazie! J Beh, spero continui a piacerti…

 

 

Questa fan fiction non è stata scritta da un medico, pur contenendo documentazioni valide di medicina, quindi non basatevi su quanto scritti in queste pagine.

Questa fan fiction è CONTRO la bulimia.

 

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Capitolo 3
*** Basket ***


Nonostante tutto, la confusione, l’ansia, l’angoscia che provavo, sapevo di non potermi concedere momenti di totale annebbiamento, dovevo tentare comunque di rimanere lucida, anche solo pensando all’idea del cibo che mi attendeva una vota tornata a casa

Nonostante tutto, la confusione, l’ansia, l’angoscia che provavo, sapevo di non potermi concedere momenti di totale annebbiamento, dovevo tentare comunque di rimanere lucida, anche solo pensando all’idea del cibo che mi attendeva una vota tornata a casa. Ma non potevo permettere che mi scoprissero, non dopo tutto quello che avevo fatto per nasconderlo.

E poi quel ragazzo, e le sue parole…

Dovevo magiare qualcosa, la necessità era troppo forte.

I pensieri, caotici, mi si affollavano in testa mentre sfrecciavo alla velocità massima consentita dal mio pick-up, per la strade di Forks.

 

Entrata in casa, lanciai il mio zaino sul tavolo della cucina e mi avventai sul frigo.

Compivo gesti irrazionali, non programmati, mi volevo solo sfogare. Aprivo con veemenza le ante della credenza, cercando quello, solo quello; non mi controllavo, né sentivo la necessità di farlo. Niente mi saziava, tutto era semplicemente cibo nelle mie mani. Non c’era latte, né cerali, né frutta o brioche, solo qualcosa da mangiare e la fame che non si placava mai.

Sentivo il rumore della ante che sbattevano, della roba che cadeva per terra, il ronzio del frigo, acqua, il lavandino, la cerniera dello zaino, la sedia che raschiava il pavimento.

D’improvviso mi bloccai.

Lo zaino era vuoto. La cucina, era irriconoscibile. Un momento di lucidità mi bloccò immobile al mio posto.

Il cartone del latte, aperto, rovesciato sul ripiano della cucina, versava in suo contenuto sul pavimento, su dei biscotti che mi erano caduti in terra. Pezzi di torta erano sparsi ovunque e la panna macchiava un anta della credenza con l’impronta delle mie mani. La busta dei cereali era rotta e i pezzettini di avena erano ammucchiati nella credenza e sul ripiano della cucina. Carte di merendine erano ovunque e alcune erano schiacciate, morse, spezzate e lasciate lì.

In bocca, avevo ancora qualcosa, ma non finii di masticarlo. Mi sembrava nauseabondo e io mi sentivo sbagliata, un mostro.

Io avevo fatto tutto questo.

 

Corsi in bagno, e senza neppure il bisogno di provocarmi il vomito rigettai. Mi era già successo altre volte, non troppe, ma abbastanza.

Mi lasciai scivolare sul pavimento del bagno, il respiro corto, ansante, poggiando la fronte contro una piastrella fredda, nel tentativo di riacquisire lucidità. Tuttavia, man mano che la razionalità s’impadroniva di me, i miei pensieri corsero inevitabilmente proprio dove preferivo stessero lontani.

Ripensai alla conversazione che avevo origliato e alle parole pronunciate da Edward. Anche solo pensare il suo nome, mi scatenava un fremito, così, mi strinsi di più su me stessa, tentando di trovare un riparo dalla mia stessa mente.

Ovviamente stava parlando di me. Non ero mai stata una persona egocentrica, ma io ero anche l’unica con cui lui parlava e le occhiate inquisitorie che mi rivolgeva di tanto in tanto non mi erano certo sfuggite. Non mi era sfuggito neppure il tono con cui aveva detto “proprio lei”. Perché proprio io? Non aveva senso… che cosa avevo di particolare? Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a capire il senso di quelle due parole.

E poi non riuscivo a spiegarmi il tono ansioso con cui parlava di me. Pochissime volte l’avevo sentito usare, da mio padre più che dalla mia svampita mamma. Lei era agitata, spesso, ma non ansiosa.

Infine, aveva detto che avevo un problema. Che voleva aiutarmi

Sentii un forte conato di vomito e mi piegai ancora sulla tazza del water.

 

Quando mi misi stesa, ancora, sul pavimento del bagno sentii un fastidio infiammarmi lo stomaco.

Mi sollevai dal pavimento e mi accorsi di poggiare la testa su una piccola pozza d’acqua ghiacciata. Avevo pianto.

Mi asciugai le lacrime e andai al lavandino. Quello che vidi allo specchio fu il mio volto pallido, con un insana sfumatura verdastra. Gli occhi erano rossi e gonfi e i capelli cadevano scomposti ai bordi del viso.

I miei pensieri corsero immediatamente a mio padre e allo stato della cucina. Non potevo lasciare tutto così com’era, mi sarei curata più tardi dei miei problemi.

Afferrai il pettine e tentai di sistemare i nodi dei miei capelli. Erano più o meno presentabili, ma decisi comunque di legarli in una coda, mi davano un aspetto più limpido e sicuro.

Mi lavai il viso con foga, facendo attenzione a sciacquarmi i denti e usare un collutorio.

Mi osservai. Erano un po’ gialli sui bordi, così, li risciacquai con il bicarbonato.

Ora ero decisamente più presentabile. Certo, le occhiaie permanevano, e il colorito era sempre molto pallido, ma potevo usare come scusa per mio padre la stessa che mi aveva costretta ad uscire due ore prima da scuola. D’altronde a Forks non si potevano avere segreti e sarebbe comunque venuto a saperlo.

Mi avviai in cucina a ripulii tutto in fretta, usando la candeggina. L’odore pungente lavò via quello dolciastro e nauseabondo prima presente.

 

Quando ebbi terminato, non si notavano quasi le tracce del mio passaggio, a parte il cibo mancante, certo. Quello costituiva un piccolo problema, anche se mio padre non era mai così attento da potersene accorgere.

Di solito non cucinavo mai io. Troppo rischioso per me, e troppo spaventoso per mio padre. Nei primi giorni, in cui aveva insistito per vedermi ai fornelli, gli avevo cucinato una pasta con quasi tutti i sughetti surgelati presenti in frigo, arricchita di condimenti a tal punto di risultare nauseabonda. A lui, certo.

Quindi, dopo quel giorno, mangiavamo sempre o sandwich o cibo della tavola calda o pizza. E comunque di solito non mangiavo con lui, avendo preso come abitudine di farlo appena tornata da scuola. Mangiavo il cibo che avanzava da lui dal giorno prima e considerando che me ne lasciava sempre un bel po’, di solito mi bastava o comunque lo integravo col mio che prendevo quando andavo a fare la spesa.

Non era così… automatico. Non c’era un quantità fissa. Era come una frenesia, che a volte si placava prima, a volte solo quando finivo tutto. Ma non riuscivo mai a sentirmi sazia e quando mangiavo faticavo a mantenere il controllo di me, e mi sentivo a disagio se qualcuno mi osservava.

Charlie non replicava, era abituato a mangiare da solo e considerava il cenare prima, sola, come una mia abitudine. Solo a volte insisteva un po’ di più e io l’accontentavo per non destare sospetti.

 

-Bells?- mi sentii chiamare, subito prima che la porta dell’ingresso si chiudesse con un piccolo tonfo.

-Si papà, sono qui.- gli dissi serena dalla cucina. Corsi a mettere a posto la candeggina e lo straccio e quando ritornai il cucina lui era seduto e su una sedia e si sgranchiva le gambe.

-Fra un po’ arriva la cena, mangi con me?-

Mi avvicinai e gli schioccai un bacetto sulla guancia, facendolo arrossire. -No papà, ho già mangiato, salgo un po’ su a fare i compiti e poi mi corico.-

-Oh- rispose solo. Lo vidi stropicciarsi le mani e fingere di interessarsi a un quotidiano. Voleva sicuramente dirmi qualcosa di cui si sentiva a disagio.

Onde evitare figure imbarazzanti, mi girai e mi rivolsi verso le scale, tentando la fuga.

-Bells?- mi chiamò frettoloso.

Tentativo inutile. Mi rigirai piano, sforzandomi di mostrare un espressione serena. -Si papà?-

Era completamente rosso e si fissava i piedi -Tutto bene? Sai… forse… dovresti chiamare qualche tuo amico per uscire la sera…- incespicava con le parole.

-Oh. Mhh, si certo.- risposi evasiva e corsi su per le scale gridando un -sta tranquillo papà.-

Lo sentii borbottare qualcosa, ma mi ero già richiusa la porta alle spalle.

Feci tre respiri profondi, per calmarmi.

In quegli istanti, decisi che avrei dovuto risolvere il mio problema, affrontarlo, dovevo capire come comportarmi con Edward.

Tuttavia, prima optai per una doccia rilassante, dovevo avere la mente lucida e riordinarmi le idee. Afferrai il mio beauty-case e corsi in bagno.

L’acqua calda della doccia mi aiutò a non pensare e a sciogliere la tensione dei muscoli. Poi, mi misi il pigiama, lavai ancora i denti e m’infilai sotto le coperte, lasciando che i miei pensieri avessero la meglio.

 

Edward Cullen voleva aiutarmi. Voleva darmi il suo aiuto, perché? Mi accorsi che avevo le sopracciglia aggrottate a un’espressione dura sul volto. Tentai di rilassarmi.

Aveva detto di aver’intuito che io avevo un problema. E voleva per questo aiutarmi. Ma io volevo il suo aiuto?

No, certo che no. Di questa risposta ero certa, non volevo l’aiuto di nessuno perché non volevo né che qualcuno lo scoprisse, né tanto meno cambiare le mie abitudini. Quindi non volevo il suo aiuto, e di questo ne ero estremamente certa. Tuttavia questa risposta mi lasciò insoddisfatta.

Non volevo il suo aiuto, questo era chiaro, ma volevo anche che mi stesse lontano?

A questa domanda fu molto più difficile rispondere. Avevo tentato tutto il giorno di evitarlo, ma riportando scarsissimi risultati. In realtà, quindi, dovetti ammetterlo. Era un no, non volevo stargli lontano.

Ma questo significava che volevo stargli vicino? O che lui volesse stare vicino a me?

Ripensare ai suoi occhi ambra liquido, al suo sguardo magnetico, al sorriso mozzafiato mi faceva sentire nuove strane emozioni. Rabbrividii a quei pensieri, e li accantonai immediatamente, perché sentivo che dentro di me quelle domande avevano delle risposte che non potevo accettare.

Tentando di tirare le somme di quei miei ragionamenti venne fuori che non volevo che lui mi aiutasse, ma non volevo neppure trattarlo con odio o come un emarginato.

Quindi in conclusione… l’avrei trattato come una qualsiasi altra persona e avrei reagito di conseguenza ai suoi comportamenti e a quello che il caso mi avrebbe riservato, magari, dimostrandogli di non avere nessun problema. Ma dovevo stare molto attenta a non farmi scoprire, più scrupolosa del solito. Gli avrei dimostrato di non aver bisogno d’aiuto. Si, questo poteva andare. E soprattutto, mi piaceva.

Mi rigirai nel letto e mi addormentai, il sorriso sulle labbra.

 

 

Il mattino dopo, al mio risveglio, sentivo una strana euforia, una grande voglia di sapere cosa il caso mi stesse riservando.

Mio padre notò la mia allegria e fu leggermente più rilassato riguardo alla breve conversazione del giorno precedente.

Afferrai del cibo confezionato e lo misi nello zaino, misurando i gesti, senza esagerare.

Mio padre sorrise di fronte al mio buonumore, era sempre agitato per via del mio comportamento lunatico e ogni mattina sondava il terreno.

-Di buonumore Bells?- mi disse con un ampio sorriso, che gli faceva distendere le guance e formare profonde fossette ai lati della bocca.

Annuii, chiudendo la cerniera dello zaino. -Ciao papà, io vado, ci vediamo stasera!- lo salutai, uscendo.

Lo sentii rispondermi qualcosa del tipo -vai piano!-

Ovviamente, come tutte le mattine, ero in anticipo di almeno mezz’ora, così, sapevo che avrei trovato la scuola deserta e inoltre, avrei potuto fare le mie soste.

Lanciai lo zaino sul sedile accanto al mio e cominciai a mangiare quello che c’era dentro, mentre guidavo diretta al bar vicino alla scuola. Presi due brioche e mangiai anche quelle, mentre mi avviavo nel parcheggio, poi, entrai nella sala mensa, seguii il lungo corridoio adiacente e mi fermai ai distributori automatici. Lì potevo prendere tutto il cibo che volevo, non c’era nessuno a controllarmi. Ne misi una discreta quantità nello zaino e mangiai una barretta. Gettai le cartacce accumulate nel grande bidone nero e mi diressi verso il bagno.

Uscii dall’edificio e andai di nuovo nel parcheggio, verso il mio pick up.

Lo facevo tutte le mattine, non c’era nulla di cui preoccuparsi.

 

Il parcheggio, come prevedibile, era già pieno, così, mi nascosi tra la folla e sgattaiolai vicino al mio automezzo, con disinvoltura.

-Bella!- mi sentii chiamare. Sussultai al suono di quella voce melodiosa, portandomi una mano al petto.

-Oh, scusa, ti ho spaventata?- mi chiese Edward quando mi voltai verso di lui, sgomenta. Deglutii. I suoi occhi dorati, ipnotici, mi fissavano allegri. Calma, tranquillità e disinvoltura.

-Oh, Edward, che piacere rivederti.- speravo che la voce mi fosse uscita davvero tranquilla e che non si sentissero forzature.

Fortunatamente, il suo sorriso si allargò, ammaliandomi. -E’ un piacere anche per me.- Sembrava sincero. -Che lezione hai alla prima ora?-

Mi sembrò quasi strano di parlare di un argomento così futile. -Inglese, poi trigonometria…-

Evidentemente sul mio viso doveva essere comparsa una smorfia, per spiegare il suo sguardo divertito. -La trigonometria non sembra piacerti molto- constatò.

-E’ così evidente?-

Ridacchiò. -Abbastanza-

Feci un'altra smorfia, quasi a sottolinearlo.

-Edward!- lo chiamò da lontano un ragazzo alto, biondo e molto bello. Da tono di voce lo riconobbi come suo fratello Jasper.

 

-Arrivo!- disse di rimando lui, per poi voltarsi ancora verso di me.

Mi fissava, come se mi stesse squadrando. Io mi lasciai esaminare, tentando in tutti i modi di apparire serena, disinvolta e soprattutto, senza problemi.

-Come stai?- alla mia espressione dubbiosa, chiarì la domanda -ieri hai detto che non ti sentivi molto bene…-

-Oh, si- mi affrettai a rispondere -tutto bene, era solo un mal di testa, nulla di che…- dissi tranquilla.

Lui parve rasserenarsi. -Va bene, allora io andrei, ci vediamo a mensa?-

-No!- risposi, con troppa foga. Stupida Bella, stupida. Niente problemi, eh? -No è che dovrei studiare per un test, sai com’è…- mi corressi con più calma.

Il suo sguardo mi parve quasi… dispiaciuto. Mi meravigliai della mia voglia di non ferirlo e del senso di colpa immenso che provavo per averlo fatto. Di solito quando mi arrabbiavo con qualcuno, e a volte mi accadeva spesso, non mi sentivo mai in colpa. O almeno, non subito, ci pensavo dopo a scontare i miei peccati…

-Ma possiamo vederci dopo, a biologia, vero?- gli chiesi titubante, morsicandomi il labbro.

Lui parve illuminarsi ancora -Certo, a dopo allora!-

-Ciao!- lo salutai anche con la mano, mentre si allontanava.

 

Mi stupii della mia improvvisa cordialità nelle ore successive. Jessica si guardò bene di chiedermi altri dettagli su Edward Cullen e così potemmo parlare tranquillamente di altre frivolezze. O meglio, lei parlava e io annuivo. Non era in collera con me, era abituata ai miei sbalzi d’umore e oramai non ci faceva più caso.

Tuttavia, le ore passavano molto lentamente, sentivo come la necessità di girare la molla all’orologio per far velocizzare il tempo, ma non per l’ora della mensa, no. Per quella di biologia.

Per un istante mi chiesi se mi potessi permettere quel pensiero e poi, conclusi che andava bene così. La biologia mi era sempre piaciuta, mentii a me stessa.

Edward mi salutò quando entrai nella sala mensa e io con un sorriso timido, mi diressi verso il mio tavolo isolato.

Non cambiai la routine degli altri giorni, e fui rasserenata dalla facilità con cui ripresi a fare i miei gesti abituali. Mi sentivo serena, mi sembrava di avere tutto sotto controllo, e questo era decisamente un bene. Tutto stava andando per il meglio.

Fuori, tra le nuvole, era anche uscito un bel sole brillante, e il sole mi metteva sempre allegria.

 

Quando entrai nell’aula di biologia ero decisamente sorridente. Tuttavia, il mio sorriso si trasformò presto in un broncio, quando, dieci minuti dopo l’inizio della lezione, Edward non era ancora arrivato.

Era andato via?

Allora forse, mi stavo semplicemente illudendo, forse, a lui non importava niente di me. Avrei dovuto essere sollevata da quel pensiero, lo sentivo, da una vocina che mi parlava da dentro il cervello, ma così non fu. E questo mi condusse in una disperazione ancora più profonda. Non potevo essermi affezionata a lui, non era possibile! Lo conoscevo da appena tre giorni!

Forse mi aveva solo presa in giro, voleva prendersi gioco di me. Mi sentii ancora peggio a questo pensiero. Non poteva essere, no, non potevo davvero permetterlo.

Da dove nasceva tutta quella mia irritazione? Forse dal fatto che lui mi aveva detto chiaramente che ci saremo rivisti a Biologia? Mi stavo comportando in maniera puerile?

Si, Bella sei puerile. Mi risposi. Cosa ti fa credere che sia mancato per te, sei così egocentrica?

Già, forse non era a causa mia che mancava, ma mi sentivo comunque così triste…

 

L’ora successiva, avevo ginnastica.

-Ehi Bella!- mi chiamò Mike, raggiungendomi con facilità il mio passo strascicato nel corridoio.

-Mike- lo salutai, senza un minimo d’entusiasmo, mordicchiando la merendina che avevo sotto i denti.

Lui non parve troppo sorpreso dalla mia reazione. -Sei giù perché il sole è andato via, vero?-

-Cosa?- dissi guardandomi intorno. In effetti dalle finestre filtrava molta meno luce. -Oh, si certo…- mentii automaticamente.

-Su, non essere triste, ora c’è palestra!- disse come se fosse una notizia di cui dovevo essere felice -oggi giochiamo a basket!-

Tentai di nascondere la mia repulsione. -Oh…-

Mike mi accompagnò fino allo spogliatoio femminile e se non gli avessi chiuso la porta in faccia, credo che mi avrebbe seguita volentieri anche dentro.

Mi cambiai senza quasi pensare ai miei gesti, in silenzio, con il broncio.

Accanto a me notai la ragazzina che l’altro giorno faceva palestra nella mia stessa ora, quella bassina e con i capelli corvini che avevo identificato come sua sorella.

Se ne stava da sola in un angolo, l’aria allegra e serena. Forse avrei potuto chiederle del fratello…

No, era da escludere. Non mi dovevo avvicinare a lui più del lecito, anzi era meglio così. Se mi fosse stato automaticamente lontano, non ci sarebbe stato bisogno d’ostentare nulla. E poi, l’avevo promesso a me stessa: lasciare tutto al caso.

 

Entrai nella palestra, di malavoglia, osservandomi i piedi e le scarpe da ginnastica. Quando il professore mi chiamò, e io sollevai lo sguardo, ciò che vidi mi piacque più del lecito.

Edward Cullen, in tutta la sua bellezza, in una tuta, mi fissava con un mezzo sorriso. Improvvisamente però il suo sguardo si fece preoccupato e due secondi dopo sentii qualcuno urlare il mio nome, e un forte dolore che m’infiammava il labbro.

Istintivamente mi portai una mano alla bocca e la sentii bagnata. Poi, alle mie narici arrivò un fastidioso odore ferroso che mi stordì.

Vidi delle persone che venivano verso di me, preoccupate, e mi chiedevano come stessi. Sentivo un fastidioso ronzio nelle orecchie e i contorni delle stanza cominciarono e tremare.

Ma tutta la mia attenzione in quel momento era per Edward, che mi fissava torvo e veniva spinto via, verso l’uscita sul retro, da sua sorella Alice. Sembrava quasi che lei lo stesse trattenendo con la forza e lui mi fissava come se gli avessi fatto qualcosa di male, qualcosa per scatenare la sua ira.

Per un istante, troppo breve per darmi una risposta, mi chiesi il perché del suo comportamento.

Poi, vidi tutto girare e le ginocchia mi cedettero.

Qualcuno, il professore forse, mi afferrò, ma dal quel momento la mia visuale di Edward fu coperta dagli altri studenti che mi sovrastavano.

 

Ragazzuole mi quelle! Ma quanto vi vuole bene la Keska?

Ok, questo è un modo come un altro per dire “scusate il ritardo”. :P

Allora… la crisi depressiva che mi ha costretta a sospendere un po’ la storia è scomparsa, ma vorrei spiegarvi come mai sono andata in depressione così facilmente.

Innanzitutto, grazie a Tutte, per aver espresso il vostro parere, positivo, o negativo che sia.

Io, non ho voluto fare la bimba capricciosa, che alle prime critiche cade in depressione o cose del genere. Ma, capitemi quando vi dico, che per questa storia mi sono esposta molto, anzi moltissimo. Vorrei riportare, per farvelo capire, alcune parole della Meyer. “Uno scrittore, così come un’artista, per far vedere quello che prova dentro di sé, deve essere fatto di vetro. Ma quando il vetro si rompe, non c’è modo di ripararlo”. A me è successa la stessa cosa, sto usando un vetro troppo sottile, e anche le vostre piccolissime pietruzze mi fanno male.

E poi, provate anche a caricare il vetro con mattoni da10, 15, 20 kg. E’ troppo pesante, e non riesco a reggerlo.

E’ vero. Ho scelto un argomento difficile, complesso, complicato e forse anche inadatto per il mondo della fantasia. Ma l’ho scelto. Questo, è un dato di fatto. Non intendo tirarmi indietro, per me ormai, costituisce una sfida.

Ho voluto la bicicletta e ora pedalo, ci sono le ruote sgonfie, la catena arrugginita, i raggi spezzati, poco male, la riparo, e pedalo.

Questo è quanto.

 

E quindi fanciulle, finalmente sono in piena vacanza e penso che me ne andrò a saltellare sui monti come le caprette di heidi! XD No scherzo, da me non ci sono neppure i monti scema, solo piatta pianura e taaanto mare! ^^

 

Beh spero che il capitolo vi sia piaciuto, in realtà doveva succedere qualcos’altro, ma poi ho deciso di fare così per insinuare un po’ il seme del dubbio in Bella. O meglio, per darle qualche indizio. E quindi… vi prometto che dal prossimo cap Bella e Edward cominceranno ad approfondire il rapporto! Ora rispondo alle vostre recensioni, ciau care!!!

 

Noemix Grazie cuore, è bello sapere che su di te posso contare… Cmq, si, è irascibile solo in alcuni momenti, che ho spiegato nel primo capitolo, solo quando sente il bisogno del cibo. Sente questa forte voglia dentro, ma sa che è sbagliata e che tuttavia non può farne a meno. Al contempo sa che non deve farsi vedere, deve nascondersi, non deve farsi scoprire, pur sperando dentro di se che qualcuno la scopra. Tutte queste emozioni le vive dentro di se, nel suo profondo, nella sua dimensione, mentre tutto attorno le scorre troppo velocemente. Questi due ritmi troppo diversi, la fanno impazzire e diventare irascibile. Tutto chiaro ora? J

Bella_Cullen_1987 grazie ^^ mi hai fatto ridere per un po’ XD Il pianeta Edward Cullen… XD tu spera bene e vedrai che tutto si sistemerà! J

Amalia89 Si, non ti preoccupare, tanto è un parere diffuso, più che una goccia, ormai si può parlare di pozzanghera, anzi, di ruscello o torrente addirittura. J Innanzitutto grazie per avermi detto che apprezzi il mio stile di scrittura. Per quanto riguarda il tema, difficile, complesso, inadatto… Si, è vero. E forse sai che c’è, ho peccato di presunzione e leggerezza affrontando questo tema. Ma ormai sono in gioco, e non ho intenzione di tirarmi indietro, anche a costo di farmi insultare (e non dico che tu l’abbia fatto, anzi) da tutti. Anche a costo di farmi dire che sono una stupida ragazzina moralista. Non ho intenzione di tirarmi indietro. Perché non sono degli errori grammaticali, stilistici o formali che posso correggere. E’ la trama, la Mia trama. Quindi, andrò avanti comunque, grazie mille di avermi dato il tuo parere, anche se negativo.

Sakuno grazie ^^ Allora spero che continuerai a leggerla. Si, il tema è difficile, ma, come dici tu, non m’importa, anzi, spero che l’aria si alleggerisca un po’ nei futuri prossimi capitoli. Non vorrei poi diventasse troppo pesante…

patu4ever no, scusa, è tutta colpa mia! L Ho riletto ora la risposta che ti ho dato e in effetti il tono può sembrare un po’ brusco, ma ti posso assicurare che non era nelle mie intenzioni! Non mi sono affatto arrabbiata con te, scusami ancora. E comunque io non mi sono arrabbiata affatto, con nessuno, era solo una questione MIA, personale, un sentimento che provavo io, mi sentivo un po’ sottopressione, tutto qui… Ti prego, non fraintendere quello che volevo dirti…

luisina grazie, per tutto e per il consiglio che mi hai dato. In effetti si, che anche un altro motivo per cui Bella diventa bulimica. E’ un motivo quasi inconscio che spiegherà poi a Edward, più avanti nei capitoli. Ero molto ansiosa di capire come potesse pensare una persona che soffre di questa malattia, quindi ho tentato di immedesimarmi, ma la mia ansia nasceva dalla paura di poter sbagliare. E se sbaglio, in questo caso, ho paura di, quasi insultare, persone come te che hanno vissuto davvero questi momenti. Mi capisci?! E’ da questo che deriva la mia ansia. Non voglio ferirvi…

Grazie comunque di tutto! Grazie…

JessikinaCullen grazie! Anch’io sono molto più libera ora che è finita la scola e voglio dedicare proprio la mia estate per la stesura del mio vero libro… Ora che finisco una delle ff! Chissà quando! Per tornare alla scrittura, uno dei miei primi scopi e proprio trasmettere emozioni, anche a discapito della trama magari… Spero di sentirti ancora presto allora, e ciao! J

azaz okok, allora visto che siamo in due, quelle non in piana facoltà mentale, ci facciamo internare insieme, almeno ci facciamo compagnia! E poi magari, chissà, forse incontriamo Alice! J In effetti, per quanto riguarda le domande, in questa storia, a differenza delle altre, in personaggi sono più… Miei. E questo li fa diventare più, Non Miei. Ok, mi spiego. Nelle altre ff, devo tenere i comportamenti dei personaggi sotto controllo e indirizzarli continuamente nella direzione che le nostra ara Meyer vuole che prendano. In questa invece, i personaggi sono miei e quindi non mi preoccupo di farli andare verso una direzione predefinita, ma lascio che liberi, si adattino a quello che scrivo. Per questo mi metto un po’ anche nei panni della spettatrice! XD Per quanto riguarda Edward, devo dire che in questo caso non sarà come nelle altre fan fiction. Peggio. Più puccioso e coccoloso! J E cmq d’ora in poi me ne starò tranquilla sapendo che qualcuno che mi legge c’è sempre! J Ciao cuore, a presto!  

ale03 grazie! Io tento di immedesimarmi, di scrivere come se so stessi vivendo, ma ho paura di sbagliare, paura che in ogni singolare caso si abbiano dei pensieri diversi e tento di mettermi nella testa della mia Bella… Insomma, tento di far diventare tutto realistico!

m_aljen ma no, non ti preoccupare, non sei stata tu a buttarmi giù, davvero. Sono state le altre mie lettrici, quelle veterane delle altre storie che hanno cominciato a dire “oh, ma è troppo difficile!” In realtà si preoccupavano solo, secondo me, del fatto che potessi rallentare con la scrittura dell’altra storia… Non mi devi delle scuse, affatto. Non posso capire i tuoi problemi, e non ti chiedo di dirmeli, ma posso comunque comprenderti. E comunque era un tuo pensiero e tu l’hai espresso, hai fatto benissimo. Grazie ancora per i complimenti.

damaristich XD devo dire che sei davvero simpatica! J Grazie per il tuo apprezzamento, ma lo sai benissimo anche tu che la tua storia è nella MIA di top five! J

cullengirl grazie! J A qualcuno, giustamente, sono gusti, non è piaciuto questo mio tentativo di immettere nelle fantasia surreale un pizzico, anzi una manciata direi, di vita reale in più… E questo nuovo rapporto che si instaura tra Bella e Edward è un po’ particolare… Volevo far sentire anche un po’ Edward nei panni di chi tenta di afferrare l’aria, di conquistare qualcosa di effimero, leggendario nel caso di Bella, problematico nel caso di Edward…

barbyemarco beh… ecco… diciamo che mi sono immedesimata… e che ci sono andata molto vicina… Grazie dei complimenti, sei sempre un tesoro! J

cloe cullen Non ti preoccupare non è stata colpa tua! J O almeno, non totalmente, è stata la somma di tutte le recensioni che mi stava facendo diventare pazza! E io mi dimostro spesso come persona forte coraggiosa, ma in realtà sono molto insicura, fragile, sensibile, emotiva… Quindi sono andata in paranoia… Soprattutto non riesco a sopportare il fatto che qualcuno si aspetti qualcosa da me… Mi mette inquietudine! ^^ Grazie della recensione cmq… J Posta presto… (Ok, questa è una costante XD)

lory_lost_in_her_dreams Ciao! J La storia è solo agli inizi, come vedi, e poi Bella, non è che “odia” Edward… Le ha sconvolto l’equilibrio poverina! Ma ti prometto che d’ora in poi tutto andrà meglio, vedrai! J Grazie mille per tutti i complimenti!

IsAry con i sospetti ci siamo, ma la verità… beh, quella è ancora lontana… E comunque, per ora basta che sia così premuroso, poi si vedrà! ^^

Cullenuzza Grazie mille! Beh, non è da molto che l’ho pubblicata… ^^ Spero che argomento difficile o meno piaccia anche solo un po’ a qualcuno, e soprattutto che nessuno abbia “attese” particolari… Odio sentirmi sottopressione…

mazza e si lo so… … Ma tu devi considerare che non è la stessa cosa. 1.A te la critica era solo una, la mia. :D come al solito mi faccio riconoscere eh… 2.Non è che mi sia dispiaciuta la critica, più che altro sembrava che nessuno riponesse fiducia in me!!! Tutte dicevano “argomento difficile, vedremo…”, ecco, io a quel vedremo diventavo blu, crisi respiratoria… Mi sento sempre agitata quando mi sento sotto controllo! PS. Grazie dei complimenti…

_la sua bella_ grazie! J Ma no dai, anche le altre ripongono fiducia in me, sono io che sono paranoica! ^^ E cmq grazie, è bello sapere che c’è almeno qualcuno di cui mi posso fidare sicuramente! Grazie ancora & Ciao… :*

crucci cru, hai fatto un macello!!! Ho dovuto leggere la recensione tre volte prima di estrarne un significato logico, però poi, quando l’ho capito… beh… grazie cru *.* Hai visto che con le cose che ho aggiunto si capiva di più? u.u

Wind si infatti è proprio quello che mi ha detto la mia amica crucci! J E io ho seguito il consiglio, spero solo di non aver combinato macelli! ^^

Lau_twilight grazie! Almeno qualcuno che ce l’ha! J Questo capitolo serviva proprio come spiegazione di tutta la “baracca” eheh… e poi non è che lo respinge, perché ogni volta che lo vede se ne sta imbambolata a fissarlo!

Hanairoh grazie mille! ^^ In questa fan fiction, infatti, sento di avere molto più controllo linguistico, rispetto a quando ho cominciato a scrivere, sarà l’esperienza. Anch’io ho familiarità con persone bulimiche, ed è stato questo fatto a spingermi a scrivere. Non vorrei passare come una moralista però, è pur sempre fantasia…

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Capitolo 4
*** Ricerca ***


«Bella

«Bella!» mi sentii chiamare, quando riposi il vassoio della mensa.

Sapevo perfettamente a chi appartenesse quella voce, e mi sarei fermata volentieri a parlarci. Volevo chiedergli spiegazioni, per quello che era successo in palestra, ci avevo pensato per tutto il week-end. Ma in quel momento avevo qualcos’altro di importante da fare.

Mi voltai e feci per andarmene diritta verso il bagno, ma lui fu più veloce e si piazzò di fronte a me, sbarrandomi la strada con un sorriso. «Beh, come va il labbro, tutto bene?».

Feci per morsicarmelo, in un abituale gesto di nervosismo, ma incontrai l’impedimento di due punti e una piccola fitta di dolore.

Edward sorrise della mia smorfia. «Se la smetti di torturartelo, magari andrà meglio…» sghignazzò, poi cambiò espressione. Tese una mano a mezz’aria, avvicinandola piano alle mie labbra, come se fosse incerto se continuare o meno. Sul suo volto non c’era più il sorriso, sembrava… concentrato. Sentivo il cuore battermi con una furia pazzesca nel petto. Con la stessa lentezza arrivò fino a sfiorarmi il labbro nel punto leso e poi si ritrasse, come scottato. Il suo tocco, era stato gelido.

Era stato come se il tempo si fosse fermato. Un attimo magico. Che sciocchezza. Recuperai un minimo di lucidità e mi ricordai che avevo qualcosa di importante da fare e l’irritazione per quel ragazzino che mi stava trattenendo vinse sull’annebbiamento. «Perché te ne sei andato Venerdì?» sbottai.

Lui sembrò disorientato e sorpreso dalla mia domanda, ma in breve tempo nascose quelle emozioni e la sua voce assunse un tono dispiaciuto. «Scusa, è che sono un po’ sensibile alla vista del sangue…».

«Oh» dissi solo. Anch’io parvi sorpresa dalla sua risposta, come se mi fossi aspettata tutto meno che quello. Mi sembrava troppo… banale. «E… come mai… non sei venuto a biologia?» chiesi tentando di cambiare argomento.

Scoppiò in una breve risata. «Scusami… è che sembra che tu mi stia facendo un terzo grado».

Arrossi per le sue parole. «Hai ragione, scusa, devo andare» disse saettandogli accanto.

«No, Bella, scusami, non volevo…!» sentii dire, ma ero già troppo lontana.

Mi fiondai in bagno, senza neppure badare a scansare chi mi stesse intorno.

 

Quando mi sciacquai il viso sentii un dolore, più forte e distinto, appena sotto il diaframma. Era una cosa da nulla, ne ero certa. Assurdo. Respirai piano una boccata d’aria, aspettando che la fitta si calmasse. Osservai l’orologio: ero già in ritardo! Presi la bottiglia d’acqua dallo zainetto e ne bevvi un lungo sorso e senza pensare a quel fastidio, mi avviai  di fretta verso l’aula di biologia.

Edward era seduto al suo posto, ma il professore non era ancora arrivato. Mi avvicinai accanto a lui e mi sedetti sul mio sgabello abituale, tentando di assumere un’aria indifferente e concentrandomi sui miei gesti. Sistemai il quaderno degli appunti e misi in perfetto ordine la penna e la matita.

«Bella» mi sentii chiamare ancora.

Cercai di ostentare disinvoltura, voltandomi verso di lui. «Si, Edward?».

Sembrava titubante e triste. «Scusami per prima, non volevo offenderti…». I suoi occhi ambra da cucciolo splendettero di nuovi riflessi. Era così… tenero. Provai una gran voglia di consolarlo.

«Oh, non  ti preoccupare» la mia mano scivolò con naturalezza sulla sua, sempre ghiacciata, e lo sentii fremere. «Non me la sono presa».

Sfoderò un sorriso brillante, ritraendo con delicatezza e disinvoltura la mano dalla mia. «Bene, meglio così».

Gli restituii il sorriso, un po’ in ritardo forse, appena mi ripresi dall’annebbiamento.

In quel momento il professore entrò in classe con un mucchio di cartelline blu sbiadito in mano.

«Bene ragazzi» disse passando fra i tavoli e consegnando una cartella per banco «aprite la cartella e leggete l’argomento che vi è stato assegnato. Voglio una bella relazione sull’argomento che vi è stato assegnato» Il professore si bloccò un attimo per far scemare le lamentele degli studenti. «Dovrete produrre una relazione scritta accompagnata da un lavoro creativo, se possibile un cartellone o un disegno o ancora meglio sarebbe un video. Oh, ovviamente è un lavoro da fare a coppie, con il proprio compagno di banco…».

Sgranai gli occhi. Lavoro di gruppo col compagno di banco? Oh, no. Voltai lentamente il capo, tentando di non tradire nessuna emozione, fino a incrociare lo sguardo allegro di Edward.

«E così siamo in coppia collega!».

«Già» dissi, tentando di ostentare entusiasmo.

Lui rise. «Sbaglio o non ne sei tanto contenta?».

Cercai immediatamente di assumere un tono più allegro. «Oh no no, è ecco che… beh si, avremo più lavoro da fare a casa, tutto qui…» per nascondere il mio patetico tentativo di scusarmi, tentai di cambiare argomento «Che argomento ci è capitato?».

«L’interferenza dei funghi sul ciclo vitale delle piante. Beh, sembra un argomento interessante, vero?! Forse dovremmo andare a fare un piccola gita nella foresta…».

Storsi il naso in una smorfia.

«Non ti piace la foresta, eh!?» sghignazzò. «E non ti piace la trigonometria e non credo neppure che ti piaccia la palestra…» concluse sorridente indicando la mia piccola ferita.

Sorrisi mesta «E’ così facile comprendermi…».

Lui sembrò farsi serio. «Oh, no, al contrario, per me sei molto difficile da leggere». Sulle sue labbra ritornò un piccolo sorriso «Perciò, per evitare di scervellarmi, potresti dirmi cos’è che invece ti piace?».

Tu, mi piaci tu. Cosa? Fui sorpresa dalla mia stessa risposta mentale. «Emm… difficile dirlo sai? Mi… mi piace il caldo, e il sole…» ammisi, ripensando al luogo in cui ero cresciuta.

«E come mai allora ti sei trasferita a Forks?» Sembrava sinceramente curioso.

Sobbalzai a quella domanda. «Ehi, adesso sembra che il terzo grado me lo stia facendo tu…».

«Giusto, scusa. Avremo modo di parlarne stasera, possiamo cominciare la nostra ricerca… Ti va bene se la facciamo a…».

«A casa mia!» lo interruppi. Meglio giocare in casa…

Dopo un attimo di esitazione sembrò d’accordo con me. «Certo, va bene».

«Bene a stasera allora, alle cinque va bene per te?» Dovevo avere il tempo di fare tutto il resto.

Lui sembrò un po’ sorpreso dall’orario tardo, ma acconsentì senza dire nulla.

Il professore ci richiamò all’ordine per darci ulteriori delucidazioni sulla relazione da svolgere. L’ora passò velocemente e ogni tanto mi sembrava che Edward guardasse nella mia direzione, ma io mi vedevo bene dal controllare. Sentivo che quando parlavo con lui era semplice dire ciò che pensavo, anche troppo. Dicevo tutto quello che mi andava con naturalezza e mi accorsi che la sua felicità mi stesse particolarmente a cuore. Era come se fossimo in sintonia perfetta. Mi sembrava troppo strano, lo conoscevo da così poco tempo e non avevo mai provato nulla di simile con nessun’altro.

Fortunatamente non dovetti andare in palestra - avevo un certificato medico dopo l’incidente del venerdì -, sfortunatamente non avrei visto Edward. Che pensiero sciocco. Visto che ero uscita un’ora prima ne approfittai per andare a fare la scorta di generi alimentari nei ai minimarket, tavole calde e supermercati di Forks. Tornata a casa sistemai in giro, in vista della visita che attendevo, e mangiai.

Anche questa volta, dopo aver vomitato, sentii quello spiacevole fastidio sotto il diaframma. Mi accorsi, stupendomi di non averlo fatto prima, che il dolore si faceva presente quando cominciavo a mangiare. Era davvero assurdo. Si insomma, io non provavo dolore, non mi era mai capitato, non era da me. Aspettai qualche minuto che si calmasse, convincendomi del fatto che fosse una cosa da nulla, ma il dolore non accennava a diminuire. Erano già le quattro e mezza, Edward sarebbe arrivato di lì a poco, così, feci qualcosa che non avevo mai fatto.

Andai in cucina e presi dall’armadietto dei medicinali l’antiacido che usava ogni tanto mio padre. Non ero sicura che potesse fare effetto, ma non mi restava altro che tentare.

Mi appoggiai al tavolo della cucina e con il mento sulle braccia.

Edward era davvero molto gentile con me. Nessuno lo era mai stato. Forse era per questo che con lui mi sentivo a mio agio, ma poi pensai che io a nessun altro avevo dato la possibilità di essere così gentile con me. Mi faceva sentire così a mio agio, me stessa. Non pensavo quasi a miei problemi quando ero con lui. Lui forse… si magari avrei dovuto dargli l’opportunità di diventare mio amico. Lo volevo davvero al mio fianco, anche più del lecito.

Mi accorsi di stare meglio, non sapevo se fosse stato per l’effetto del medicinale o per il semplice passare del tempo, ma il dolore si affievolì fino a lasciare solo un piccolo dolore fastidioso.

Decisi di chiamare mio padre per informarlo del fatto che Edward sarebbe venuto a casa.

«Capo Swan».

«Papà?».

«Bells è successo qualcosa? Ti sei fatta di nuovo male?». Dopo la storia della palestra Charlie era diventato iperprotettivo e decisamente troppo attento per i miei gusti.

«No no papà, non è successo niente. Solo… beh un mio amico sta venendo qui perché dobbiamo fare una ricerca insieme, ti dispiace?».

«A no Bells, va bene non ti preoccupare» sembrava davvero contento «Avevo intenzione di andare da Bill stasera quindi non ci sono problemi, fai pure…».

In quel momento il campanello suonò.

«Arrivo» gridai, coprendo con una mano il microfono della cornetta. «Ti devo lasciare, è arrivato».

«Ok, mi raccomando, fate i bravi!».

Riattaccai e andai ad aprire la porta. Edward mi aspettava con lo zaino in spalla, i capelli umidi e scuriti dalla pioggia. Una visione assolutamente ammaliante.

«E…entra o ti prenderai un raffreddore» balbettai quando riuscii ad acquistare un minimo di controllo di me stessa.

Lui sorrise, come se avessi appena fatto una battuta sarcastica, ma non disse nulla e entrò.

Lo invitai a sistemarsi sul tavolo in cucina e andai di sopra, in camera mia, a prendere i libri che avevo abbandonato nello zaino. Feci tutte le scale di corsa e all’ultimo gradino, come prevedibile, inciampai. Ma, anziché finire stesa a terra, mi ritrovai sorretta dalle braccia di Edward. Strano, non l’avevo visto arrivare.

Con un movimento fluido e disinvolto mi aiutò a rimettermi in piedi. Scrutai il suo volto in attesa di trovare il suo sorriso divertito, ma tutto ciò che vi lessi era una maschera di concentrazione e serietà. Senza dire nulla ritornò in cucina. Io lo seguii con altrettanto silenzio, confusa dai suoi gesti.

«Da dove vuoi cominciare?» chiesi sedendomi di fronte a lui.

Piano prese un respiro, ed ebbi l’assurda sensazione che prima non stesse respirando. «Prima di tutto vediamo che dice il libro di biologia, tu puoi sottolineare da pagina venti in poi, io faccio quelle che stanno prima, va bene?».

«Si certo».

Cominciammo a lavorare in silenzio. Il tempo scorreva e io sentivo solo il rumore della penna sul foglio.

Avevo però addosso, lo strano presentimento che Edward mi stesse nascondendo qualcosa. Riconoscevo bene - in me stessa -, il suo atteggiamento evasivo, il mutare incostante del suo carattere lunatico e tanti altri piccoli dettagli di stranezza. Che anche lui avesse il mio stesso problema?

«Edward… ti andrebbe uno spuntino?» chiesi tentando di dare una risposta ai miei pensieri.

Lui sollevò il viso concentrato dal foglio, sorridendomi «No, grazie».

Nello stesso istante in cui mi sorrise, malgrado le sue parole suggerissero il contrario, cambiai idea. I suoi denti erano bianchissimi. I miei non erano affatto simili. Lui non poteva avere il mio stesso problema, o perlomeno, non proprio.

Ricominciammo a lavorare, ancora una volta in silenzio. Allora chissà cosa poteva nascondere, ammesso che nascondesse qualcosa. Ripensai a come fosse evasivo e freddo nei confronti di tutti gli altri studenti. Anche Jessica l’aveva detto. Ma poi, pensai a un dettaglio che non avevo precedentemente valutato. Anche la sua famiglia era evasiva e tendeva ad isolarsi. Chissà da che città o paese veniva. Se l’avessi chiesto a Jessica sicuramente lei avrebbe saputo darmi una risposta, senza però riservarmi dal chiedere indiscrezioni.

«Come mai tu e la tua famiglia vi siete trasferiti qui?»

Parve sorpreso dalle mia domanda e mi fissò accigliato.

Mi mossi imbarazzata sulla sedia. «Scusa… Non devi dirmelo per forza…»

«No, figurati» disse lui, sorridendomi e facendo andare il mio cuore a mille. «Ci siamo trasferiti qui da Denali, in Alaska, perché mio padre - il dottor Carlisle Cullen - ha ottenuto un posto all’ospedale di Forks».

«Oh…» dissi, come se dalla sua storia mi aspettasi qualcosa in più «e i tuoi fratelli, come si chiamano?».

Lui rise. «Facciamo così, io ti racconto qualcosa di me e tu mi racconti qualcosa di te, d’accordo?».

Sussultai. «No… io non parlo mai di me…» borbottai a mezza voce, impossibile che mi sentisse. Mi voltai verso la finestra, da cui si notava lo scrosciare della pioggia, tentando di controllare il magone. «Scusami, avrei dovuto tenere la bocca chiusa…».

«No Bella, va bene non ti preoccupare». Sentii un contatto freddo su una mano e sussultai. Lui ritrasse la sua dolcemente e cominciò a raccontarmi, guardando il vuoto come per concentrarsi. «Mia madre, Esme, non può avere figli e così lei e mio padre Carlisle ci hanno adottati, tutti e cinque». Fui sorpresa dalle sue parole. «Rosalie, la ragazza bionda, e Jasper, il ragazzo alto e biondo, sono gemelli e sono in affidamento. Emmett, è quello alto e grosso, con i capelli scuri, io, e Alice, la ragazzina minuta con i capelli corvini, siamo stati adottati fin da piccoli» Ritornò con lo sguardo su di me, sorridendomi con aria cospiratoria. «E ora preparati alla parte più succulenta della storia, Alice e Jasper, Rosalie e Emmett stanno insieme».

Avvertii chiaramente la sensazione di sollievo quando capii che lui non era impegnato. E poi, la sorpresa per quella sensazione. «I tuoi genitori devono essere davvero delle brave persone».

Lui annuì. «Lo sono, ma speravo rimanessi più colpita dall’ultima parte del racconto» sghignazzò.

«Oh, ma lo sono!» dissi fingendomi sorpresa e interessata «Questa si che è una notizia, se lo scoprisse Jessica… brr».

Lui rise e in breve mi unii anche io. Da tantissimo tempo non mi sentivo così sollevata e spensierata. Me stessa.

«Sei davvero simpatico sai?» dissi di getto, arrossendo poi subito dopo.

Lui parve contento di quelle mie parole. «Grazie, anche tu».

Si passò una mano fra i capelli bronzei, ravvivandoseli, e mi riscoprii a fare lo stesso gesto.

«Che cos’hai lì?» mi chiese curioso, guardando il mio dito indice.

Osservai il segno scuro alla base del dito. «Oh, emm… niente di che… Quando ero a Phoenix portavo un anello e mi è rimasto il segno dell’abbronzatura…».

Lui mi fissò accigliato, ma non disse nulla. Continuammo il nostro lavoro in silenzio, interrotto da gradevoli battutine e scambi di pareri.

«Finito» disse a un certo punto, mostrandomi il foglio su cui, in bella calligrafia, aveva riportato il riassunto di quello che diceva il libro.

«Uffa, io sono solo a metà. Ma come fai ad essere così veloce?».

Lui ridacchiò e venne verso di me. «Dai, ti aiuto» Prese una penna e si mise con una sedia alle mie spalle.

Il suo odore mi arrivò forte alle narici. Era dolce e buono, meraviglioso. Mi irrigidii un attimo, per quella sensazione di stordimento, e dopo qualche istante riuscii a lasciarmi andare, piano, sulla sedia, un muscolo alla volta. Speravo che lui non si fosse accorto di nulla.

Mi passò vicino con una mano, senza però toccarmi in alcun modo, e cominciò a sottolineare in silenzio. Ma non era lo stesso silenzio gradevole che c’era stato prima. Eravamo tutti e due tesi, lo sentivo, e nell’aria c’era elettricità.

Ricominciai a scrivere sul mio foglio il riassunto di ciò che stava sottolineando, cercando di concentrarmi sulle parole da scrivere. Respiravo piano, con la bocca, e non sentivo il suo fiato sul mio collo. Dopo un tempo che mi parve un eternità, ma che doveva essere stato davvero breve, finimmo di lavorare. Lui andò a sedersi di nuovo al suo posto, di fronte a me, e riprendemmo facilmente la conversazione.

«Allora, come intendi svolgere la parte creativa?».

Ci pensai un attimo, ma non mi venne niente in mente. «Non so, non ho buone idee, tu che ne dici?».

«Beh, se ti va potremmo davvero fare una piccola gita nei boschi…» Ad una mia occhiataccia ridacchiò e poi continuò. «Sul serio Bella, abbi un po’ di fiducia in me e vedrai che ti divertirai tantissimo. Ti fidi di me?» chiese guardandomi di sottecchi.

Mi immobilizzai sul posto, perdendomi nei suoi occhi ambra ipnotici. Come potevo dire di no a quello sguardo così intenso? «Va bene» gli concessi infine, con un sospiro.

Sul suo volto comparve un sorriso luminoso.

Alzai un dito a mo’ di avvertimento. «Ma ti informo, a fare trekking sono una frana, sono lentissima, e non ho il senso dell’equilibrio.».

Lui fece spallucce. «Correrò il rischio».

Affinai lo sguardo. «Bene, ma non dire che non ti avevo avvisato».

Lui scoppiò a ridere, e io lo seguii subito dopo.

«Quando ci rivediamo?» chiesi poi.

«Domani non posso, vado a fare escursioni con la mia famiglia quindi non ci sarò» In quel momento ebbi un insano moto di delusione. «Ma già dopodomani rientro e ci potremmo vedere mercoledì».

«Perfetto, sempre alle cinque a casa mia, va bene?».

«Anche prima se vuoi».

Mi rabbuiai e presi ad osservarmi le mani. «Emm, no, meglio di no, prima ho un impegno…».

Sentii un dito freddo sotto il mento e alzando gli occhi incrociai lo sguardo di Edward che mi fissava incuriosito. «C’è qualcosa che non va, Bella?».

«No!» risposi subito, forse con troppa veemenza. «No, nulla. Lascia stare Edward, nulla… davvero».

«Mi sorridi?» chiese lui, spiazzandomi.

«Come scusa?» chiesi disorientata.

Lui sorrise e ripose la domanda. «Mi sorridi? Per favore…».

Feci come mi diceva, facendo comparire sulle labbra un sorriso timido.

Parve contento. «Sei davvero bella quando sorridi, non ti rattristare per favore».

«O…okay» risposi stordita, arrossendo per il complimento.

Tolse il dito da sotto il mio mento. «Bene, direi che è ora di andare» disse cominciando a raccogliere le sue cose. «Dovrai cenare e non ti voglio far fare tardi…».

«Oh, no, anzi scusami se non ci ho pensato, ti vuoi fermare per cena?»  chiesi titubante, mordicchiandomi il labbro.

Lui ridacchiò. «No, non ti preoccupare, ho già mangiato».

«Anch’io» risposi in fretta. «Vuoi fermarti a…» cercai nella mia mente un qualsiasi modo per trattenerlo «Vedere un film? Non è poi così tardi e mio padre stasera è fuori, quindi dovrei rimanere sola…».

Lui mi scrutò in viso, pensieroso. «Sicura che vuoi che resti?».

«Certo» risposi contenta, con un sorriso.

Fece spallucce. «Va bene, mi fermo ancora un’oretta, però fammi chiamare a casa per avvisare, va bene?».

«Oh sisi, fa pure!».

Intanto che lui telefonava, io, contentissima, corsi in soggiorno a sistemare il videoregistratore e a prendere le cassette, poi lo invitai a sedersi sul divano e a scegliere il film e andai in cucina a preparare i pop-corn.

Mi bloccai un attimo, valutando se fosse saggio mangiare di fronte a lui. Ci pensai un po’ e infine decisi che si poteva fare, mi sarei concentrata e ce l’avrei fatta.

Mi avviai nel soggiorno con la ciotola in mano e mi sedetti sul divano accanto a lui.

«Scelto il film?» chiesi posando la coppa dei pop-corn sul tavolino di fronte al divano.

«Si certo, spero che tu ti fidi dei miei gusti».

«Ma certo!» risposi contenta.

Il film era davvero carino, sentimentale e romantico, ma anche con una giusta punta d’azione. Non sapevo che mio padre avesse film di quel genere.

La serata passò piacevolmente, e ridendo e scherzando sui protagonisti del film e sugli effetti speciali scadenti.

Mi accorsi di essermi addormentata, solo quando mi risvegliai, al buio, nel soggiorno, coperta dal giaccone di Edward.

Lo presi fra le mani e ne inspirai il profumo. Delizioso, come al solito. Rimasi qualche secondo a crogiolarmi nel suo profumo, poi mi alzai e andai ad accendere la luce. Mio padre non doveva essere ancora tornato, erano ancora le dieci e mezza. Mi stiracchiai e l’occhio mi cadde sulla coppa dei pop-corn vuoti.

Come un lampo nella mia mente saettò il ricordo dell’immagine di me che mangiavo. Edward non aveva toccato cibo.

Improvvisamente colta da un violento attacco di nausea corsi in bagno a vomitare. Quando mi sollevai notai che sul bordo del labbro avevo tre minuscole gocce di sangue e il dolore allo stomaco tornò bruciante.

Impossibile, ancora una volta, che provassi quel dolore. Impossibile.

Sdraiata sul freddo pavimento del bagno, non riuscivo a capire come potesse essere successo così velocemente, all’improvviso. Non era da me provare dolore. O perlomeno, dargli ascolto. E non era possibile neppure, che il dolore si facesse sentire già così acuto. In così breve tempo.

Improvvisamente, ebbi una rivelazione.

Non era il dolore ad essere aumentato. Ero io, ad essere cambiata. Se prima non lo ascoltavo, o mi crogiolavo nel dolore, ora invece, che non volevo più averne a che fare, lo percepivo.

E tutto era cominciato quando avevo conosciuto Edward.

 

 

Ok, ragazze, l’approfondimento è questo qui…

Il rapporto si sta intensificando, ma non vorrei correre troppo con i tempi quindi… andiamo con cautela… Si conoscono praticamente solo da una settimana!

Quindi… prossimo capitolo mmm… ho una certa idea e vediamo come la metterò in pratica. Ah, e per favore, niente allarmismi!!! Ok?! Bene…

Oggi ho così poco da dire, di solito mi devo contenere, ma non oggi… forse perché ho semplicemente fretta di postare! Forse si…

Ok, ciao care, a presto!

PS. In bocca al lupo e chi ha la maturità e grazie di tutte le recensioni, i preferiti e i seguiti e anche ai semplici lettori!

 

patu4ever già! Anche se qui da me il tempo è pazzerello… sembra Marzo… un po’ fa freddissimo un po’ si muore di caldo! Prometto di non farti preoccupare più giurin giurello! E di continuare magari a trasmettere qualche emozione… J

twilight_the best grazie! E cmq, non può esserci felicità se prima non c’è tristezza! ;) Quindi ti prometto che presto la felicità arriverà! (mi sa tanto di massima cinese… :P) XD

bigia grazie, ma ormai è passato tutto! La decisione è stata presa e sento che ora che la posso fare. Certo, l’impegno dovrà rimanere costante, se non crescere sempre più, ma ti assicuro che ce la metterò tutta!

azaz Ciao! Tesorina! sisi, ormai la depressione è solo un brutto ricordo! Ora mi posso fare internare in una stanza bianca, con le pareti imbottite ma soprattutto… con un pc con la connessione a internet!!! Oh, che belle vaita sarebbe! *.* Beh, magari se mi passassero sotto banco anche qualche libro… e magari qualche dose di metadone… oh si ecco, sarebbe la mia vita ideale! No, ok, sto scherzando… Troppa fantasia fa male, ma io l’ho detto che sono un po’ pazza… Si è già un po’ intravisto il carattere puccioso di Eddy? Che carino che è no? Si è comportato proprio bene! E cmq dai, si stanno avvicinando adesso e con il problema del vampirismo ci sarà qualche problemuccio direi… eheh ma poi vedrai che sarà tanto bello quando Ed caro l’aiuterà! *.* E poi si la gelosia con Mike è bella perché è infondata, ma quella con Jacob non la sopporto invece… Perchè quella è fondata invece e non dovremmo essere così!!! Mh. Il mio odio per il cagnaccio trapela sempre... ogni volta che leggo le recensioni aspetto sempre con ansia la tua! J

cullengirl si è vero è proprio una brutta cosa… Però la vera natura di Edward… Mmm… diciamo che ci sarà un problema per scoprirla… vedrai… J

luisina Ciao carissima! sto facendo del mio meglio per tentare di non sbagliare niente e di immedesimarmi! Dico “cosa farei se fossi io nella sua stessa situazione?” e poi penso a com’è il carattere di Bella e com’è quello di Charlie e mi dico “si, ok, può andare!”… Mi devo scervellare un po’, ma farei questo ed altro pur di scrivere bene questa storia che si sta rivelando la mia odissea! Spero di superare la maga Circe e Ciclope di andare avanti nonostante tutto! J E spero che l’ “approfondimento” ti sia piaciuto! XD

Lau_twilight grazie! E io marcerò decisa e sicura per la mia strada a fronte alta come un bravo soldatino! Dico davvero! XD No, ok… prometto di non adagiarmi sugli allori perché con questa storia devo stare sempre all’erta!

barbyemarco mmm… guarda che l’altro non è stato molto lungo… cioè, per i miei canoni di enorme

prolissità… non so neppure se si dice prolissità… si ok, word non me l’ha sottolineato quindi si dice! ^^ E comunque, in sostanza volevo dirti che sono contenta di non averti annoiata!

Losch oh… ho letto la prima frase e sono crollata, poi con il resto mi sono ripresa! ^^ Si, so che è una cosa molto complicata e che si soffre molto quando si ha accanto una persona che la vive in prima persona! Grazie di tutto, a presto!

IsAry Grazie! Non mi sono fatta attendere molto, vero?! Sono sempre un po’ in ritardo! ^^ Scusate!!! E cmq ora Edward sarà molto più vicino a Bella, visto, no?!

MartinaCullen Grazie. Di tutto. Tanto, per i complimenti, ma soprattutto, per quello che mi hai detto. Perché se so che la mia storia può aiutarti anche solo minimamente a non fare ciò che hai pensato o cominciato a fare, allora, sono davvero contenta, ho raggiunto il mio scopo. C’è un motivo per cui sto scrivendo questa storia, più profondo di quello che si possa credere, ma non lo dirò ora, no, non ancora. O forse mai. Forse all’ultimo capitolo svelerò qualcosa in più su di me, ma non ancora. Nel frattempo, solo grazie. Non prendertela con chi mi fa le critiche, è giusto che sia così, essere criticati aiuta a crescere e a migliorarsi e io voglio farlo, con tutta me stessa. Ti auguro di vivere la tua vita con semplicità e serenità, goderti ogni istante dei tuoi anni e di non sprecarla con questi problemi. Spero davvero che tu possa riuscirci. Grazie ancora di tutto, e ciao.

Wind grazie allora, davvero. Giuro che non mi demoralizzerò più, e andrò avanti per la mia strada impegnandomi sempre di più e non dando mai nulla per scontato. E’ una sfida, e la voglio vincere. Ad ogni costo. Grazie ancora di tutto.

Cullenuzza Sisi, posterò più spesso promesso, parola di Francesca! ^^ In effetti la parte più difficile dovrebbe essere passata ma non me la sento ancora di “abbassare la guardia”, non sia mai che sbaglio qualcosa! E poi l’altra volta ci ho impiegato di più a postare perché ho pubblicato due capitoli dell’altra storia. Ecco la confessione! :P Non vi abbandonerò più, promesso!

Miky1991 Devo dire che tu, ma soprattutto la tua coscienza siete molto simpatiche! Forse di più tu, va… si mi sa di si… XD Beh, cosa dire di questa magnifica recensione, grazie! Devo dire che quando ho cominciato, non scrivevo affatto così, tutto merito dell’allenamento e delle critiche che mi hanno formata. Quindi, le critiche, mi serviranno anche questa volta, e io saprò affrontarle, usarle e andare avanti. Come non so, ma so che lo farò. E ti prometto che Edward le starà sempre accanto e che l’aiuterà moltissimo e quando tutto questo finirà saranno davvero bene insieme! Fidati… ;)

mazza sisi l’idea delle caprette me l’hai data tu piccoletta, mi è rimasta impressa nella mente e ho deciso di lanciarti una piccola “frecciatina” ;) Grazie per la fiducia, almeno so di poter contare sicuramente su qualcuno! E questo mi rende molto più tranquilla… ^^ Spero di non averti impressionata troppo, non vorrei turbarti! L’importante è che la storia ti piaccia e che io riesca a comunicarti qualcosa… si insomma, emozioni, sensazioni, pensieri, qualsiasi cosa! XD

Noemix Oh, ok, si wow, era proprio ciò che volevo scrivere! Esatto, Bella sente che tutto le scorre attorno troppo velocemente e non sa controllarlo. Giusto. Perché Alice spinge via Edward?! Ma come, non hai capito che Bella stava sanguinando? Sai, Edward tende ad avere qualche problema a controllarsi con il sangue di Bella, soprattutto ai primi tempi! ^^

lory_lost_in_her_dreams Grazie! Beh si, in effetti sono una persona che soffre molto quando deve prendere una decisione, ma una volta che l’ha presa, la segue e non demorde. In questa storia ho deciso di far vedere tutto il lato più gentile di Edward! E hai indovinato alla perfezione sia per la pallonata che per il sangue! Brava ;)  

Amalia89 Ok, grazie, si non ti preoccupare, l’avevo capito che ti stavi riferendo alla trama e non al mio stile di scrittura, infatti mi sembrava di averti comunque ringraziata  e se non l’ho fatto, lo faccio adesso. Apprezzo molto che tu mi abbia detto quali sono i sintomi che compaiono… Ecco, si, ho cercato molto in giro e il problema di Bella è anche piuttosto avanzato e grave. Infatti, si, ho accennato nello scorso capitolo a dei problemi di Bella e con il chiaro intento di posare un mattone per tutti i problemi futuri e alla grave situazione in cui si troverà nel giro di pochissimo tempo. Grazie comunque per avermelo detto. E scusa, le la mia risposta è lunghissima, ma ti voglio spiegare tutto. Bella evita il suo dolore. In un certo senso è anche un po’ masochista, crede di meritarselo, per questo non ci fa caso, ma comunque la sua situazione è più grave di quello che pensa. Il motivo di questo suo sentirsi in colpa si capirà con il tempo. PS. Non ti prendo affatto per una “so tutto io”! ;) Non ti preoccupare di dirmi ciò che pensi, ma ti assicuro che mi sono documentata. Mi rendo conto che la situazione di Bella è davvero grave, ma ti chiedo, se ancora vorrai continuare a seguire la storia di aspettare qualche capitolo e se avrò sbagliato qualcosa, ti prometto che tenterò di sistemarlo! PPS. Non ti preoccupare per dove hai messo la recensione! J

JessikinaCullen non ti preoccupare, tutto si chiarirà… Non subito, ma fra un bel po’, comunque si chiarirà! E poi ora ormai la sfida è cominciata, mi sono armata di cinturone, tuta mimetica, fascia ecc ecc… Sono pronta, militari, fatevi avanti! XD Grazie di tutto, a presto…

Bella_Cullen_1987 XD beh allora dimmi dove si trova perché ci voglio andare anch’io!

midnightsummerdreams grazie! ^^ Beh, si in effetti mi sono documentata tantissimo e ho tentato di entrare nella testa di Bella per capire cosa potesse pensare! Non è stato tanto facile, stavo per ritornare normale, meglio rifugiarsi nella follia! :P

Luna95 beh, si era facilmente intuibile che avesse preso una pallonata! O no?! XD E per quanto riguarda la farmacia, a cosa ti riferisci? Che mi ricordi non ho mai scritto che andasse in farmacia… Forse ti riferisci a quando è andata al supermercato a comprare del cibo… al primo capitolo?

 

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Capitolo 5
*** Porto sicuro ***


Angosciata, mi avviai verso la mia classe, non potendo fare a meno di divorare nel frattempo una stecca di cioccolata

Angosciata, mi avviai verso la mia classe, non potendo fare a meno di divorare nel frattempo una stecca di cioccolata. Ora, solo ora, mi ero resa conto dei problemi che la bulimia portava con sé, e tutto questo per colpa di Edward Cullen.

Appallottolai la carta e la buttai per terra, prendendo un’altra barretta, aprendola con foga e mangiando anche quella.

Ma non pensavo affatto di smettere. No. Quello assolutamente fuori discussione e non mi era passato neppure per la testa. E poi… Non poteva essere così grave. Vero?! Al diavolo!

Sbattei la porta dell’aula, entrando di gran passo e lasciandomi cadere al mio posto, in silenzio. Nessuno disse nulla, neppure il professore. Ormai mi conoscevano abbastanza bene da evitare il mio comportamento lunatico quando ero in fase scontrosa.

E poi… Non capivo da dove venisse tutta quella rabbia, quella frustrazione che sentivo dentro. Accidenti! Sarei dovuta essere spaventata forse, preoccupata. E invece no. Ero solo arrabbiata… e anche triste. Ma non riuscivo, non potevo imputarlo all’assenza di Edward.

Per tutto il tempo rimasi in silenzio, per tutte le ore di lezione, senza fiatare. Solo… quando arrivai all’ora di biologia, vedendo il banco accanto al mio vuoto, scoppiai in lacrime. Era una cosa irrazionale, stupida, e infantile diamine! Infondo era solo andato in campeggio con la sua famiglia!

«Bella?» mi chiamò il professor Banner, preoccupato «ti dà fastidio la vivisezione delle rane? Vuoi uscire?».

Alzai lo sguardo e notai che tutti mi osservavano. Mi voltai nuovamente verso il professore e annuii vigorosamente.

«Vuoi che qualcuno ti accompagni?».

«N…no» balbettai.

Lui mi sorrise, rassicurante. «Bene, vai pure allora…».

Mi sollevai dal posto, facendo grattare la sedia contro il pavimento, presi il mio zaino e uscii dalla stanza, quasi di corsa.

Mi rifrugai negli spogliatoi della palestra, dove non c’era nessuno. Presi una busta di patatine dello zaino e cominciai a mangiare. Il fastidio questa volta arrivò quasi subito, mentre mangiavo, ma masochisticamente lo ignorai e finii tutto il pacco. Poi presi qualcos’altro e mangiai anche quello.

Il bisogno di Edward. Solo quello riuscivo a sentire. Mentre mangiavo, seduta con le gambe incrociate sulla lunga panchina, mi dondolavo avanti e indietro con la testa. Davanti ai miei occhi vedevo un sorriso splendente, degli occhi ambrati e dei capelli bronzei. Perché? Perché pensavo costantemente a lui?

Mi accorsi che quel fastidio appena sotto lo sterno, si era trasformato in qualcosa di molto più simile al dolore. Mi alzai in piedi, e già mi sentii meglio. Corsi in bagno e vomitai. Mi sentivo un vero schifo, così bevvi un’intera bottiglietta d’acqua. Misi in bocca una chewingum alla menta e cominciai a masticarla; quella fu davvero una pessima idea. La sputai in men che non si dica e mi misi a sedere nuovamente sulla panchina negli spogliatoi.

Notai che fuori c’era il sole. Assurdo. Di solito, quando c’era il sole me ne accorgevo sempre, erano così rare quelle giornate a Forks. E proprio per questo, mi stupii ancora di più. L’assenza di Edward aveva cambiato le sorti di una giornata come quella.

Negli spogliatoi iniziarono ad entrare ragazze, che uscivano e entravano. Di malavoglia, indossai la tuta e mi avviai in palestra.

Jessica, che se ne stava in un angolo, a chiacchierare con Lauren e Tyler mi fece segno con la mano di avvicinarmi. Strabuzzai gli occhi. Era forse impazzita? Io non mi avvicinavo mai a chiacchierare, tanto meno quando era in compagnia di altri che non fossero Mike o Angela e per giunta quando ero di cattivo umore.

Incerta, non potei far altro che avviarmi verso di lei, anche solo per metter fine ai suoi fastidiosi richiami, che spostavano l’attenzione di tutti gli studenti su di me.

«Che c’è Jess?» chiesi dondolandomi sui talloni e lanciando occhiate furtive agli altri due, che mi fissavano un un’aria strana.

Iniziò a parlare come un fiume in piena. «Bella! Senti… sappiamo che stai facendo una ricerca con Cullen, è per questo che ieri è venuto a casa tua, vero?».

«Ma certo» aggiunse Lauren, come a sottolineare che quello poteva essere l’unico motivo per cui potesse essere venuto a casa mia.

«Si» dissi solo, arrossendo.

«E quindi?» incalzò. Mi sembrò assurdo che mi chiedesse ancora informazioni sui Cullen, dopo il modo con cui avevo reagito alle sue domande la prima volta che me le aveva poste.

«Jess…» dissi sbalordita.

Non sembrò affatto curarsi della mia reazione. «Dai su, dimmi qualcosa, qualche informazione! Ti avrà sicuramente parlato di lui, della sua famiglia…».

Mi strofinai una mano sulla fronte, nervosa.

Lauren mi incenerì con uno sguardo strano. «Non credo sappia nulla…».

«S…senti… i…io devo andare…» balbettai confusamente, allontanandomi da loro e andando verso la professoressa.

Durante tutta l’ora di palestra, li vedevo parlare, sussurrare rivolti verso di me, e ogni volta che i loro sguardi si incontravano con i miei si voltavano, ridendo, e lo stesso facevo io, diventando però completamente rossa.

Dopo un po’ non ci feci più caso: l’irritazione, la frustrazione e l’ansia erano giunte all’apice. Non mi davano fastidio in sé, per il loro atteggiamento, ma odiavo le loro attenzioni. E anche questo per colpa di Edward Cullen. Quel ragazzo mi stava sconvolgendo la vita. Assurdo, non lo sopportavo.

Arrivata a casa, con l’umore peggiore di quello del mattino, gettai le chiavi del pick up sulla consolle e mi avviai verso la cucina alla disperata ricerca di cibo.

M’immobilizzai, raggelandomi, quando vidi Charlie seduto su una sedia della cucina.

«Papà» sussurrai scandalizzata «che ci fai qui?».

Lui sollevò lo sguardo dal giornale che stava leggendo, accorgendosi finalmente di me. «Oh Bells, sembra quasi che non ti faccia piacere vedere il tuo vecchio!».

«No… Ma che dici» biascicai togliendomi la tracolla e mettendola sulla sedia «è che… sono sorpresa… tutto qui… come mai sei già a casa?».

Mi sorrise. «Oggi ho il pomeriggio libero. Avevo dei giorni di vacanza arretrati e volevo per una volta mangiare con te».

«Oh» dissi sgranando gli occhi. No! Non oggi, non oggi!

Sulla sua fronte comparve una ruga in più. «Non ti fa piacere?».

«Si… però vedi papà… proprio oggi…» pensai in fetta ad una scusa credibile, quel giorno non sarei mai riuscita a mantenere il controllo di fronte a lui «è che mi fa un po’ male la pancia… non ho tanta voglia di mangiare…».

Mio padre sembrò preoccuparsi e cominciò a guardarmi con una luce diversa. «Oh. In effetti sei un po’ pallida Bells, non hai un bell’aspetto. Non mi preoccupo abbastanza di te» si rimproverò scuotendo il capo.

«Ma no… Non ti preoccupare… Ora vado in camera mia e mi corico un po’, poi vedrai che starò meglio» mi sfregai la pancia, quando sentii nuovamente il fastidio e in un attimo passò com’era venuto.

Mio padre mi scrutò. Chissà che vedeva. «Forse dovrei chiamare un medico, sembra una cosa seria…».

«No!» esclamai, forse con troppa veemenza, ma non dovevo permettere in nessun caso che chiamasse un medico. «Lascia stare papà, sto bene, non ti preoccupare, non ti dispiace se non mangio con te vero?» dissi, ostentando innocenza.

«No no Bells, figurati, vai pure!» disse mio padre un po’ perplesso, seguendomi con lo sguardo mentre salivo le scale.

«Grazie» urlai quando fui in camera mia.

Mi richiusi la porta alle spalle, girai due mandate di chiave e scoppiai in lacrime. Mi precipitai verso l’armadio, scavai sotto i vestiti e trovai le mie scorte di cibo…

Tutto andò a finire molto dolorosamente, con me stesa per terra, in lacrime, in mezzo alle cartacce. In quel momento pensai: come vorrei che Edward fosse qui con me. Scacciai immediatamente quel pensiero, dandomi della stolta. Edward non doveva scoprire il mio segreto e già il rischio che sospettasse qualcosa mi faceva venire i brividi.

Mi trascinai sui gomiti fino alla porta, poi, mi cancellai le lacrime dagli occhi e mi sollevai in piedi. Controllai da dietro la porta che non ci fosse nessuno nei paraggi, sgattaiolai in bagno e rigettai quello che avevo mangiato.

Mi guardai allo specchio. Non capivo cosa avesse colpito particolarmente mio padre… certo, ora avevo gli occhi un po’ rossi e gonfi per il pianto, ma nulla di mostruoso. Si, insomma, ero io. Ero sempre stata così… Scuotendo il capo, per scacciare quel pensiero, mi lavai i denti, tentando di coprire le tracce a mio padre e aprii con cautela la porta del bagno.

Sussultai, trovandomelo di fronte.

«Oh… papà…» biascicai.

«Bells» disse, sfiorandomi una guancia, con aria ansiosa «mi sembra che tu stia davvero male…».

«N…no… Davvero papà, non è nulla di che…», scostai lo sguardo dal suo volto, imbarazzata per il suo intenso sguardo indagatore. «Vado a stendermi un po’», dissi infine, quando il silenzio diventò troppo denso.

«Va bene…» disse mio padre.

Andai in camera mia e mi affrettai a mettere apposto tutte le cartacce. Le misi in una grande busta della spazzatura e aprii nuovamente la porta con cautela. Sentii mio padre parlare concitatamente al telefono. Bene, era impegnato. La buttai in fretta e ritornai in camera mia, mettendomi il pigiama e sistemandomi sotto le coperte.

Tuttavia in quella posizione ritornò il dolore alla pancia, così mi misi seduta sul letto, appoggiandomi alla testiera. Indossai le cuffie facendo partire un CD di musica spacca-timpani. Non so quanto tempo rimasi così, ma mi sembrò che ogni secondo andasse peggio. I miei pensieri andavano tutti verso Edward. Non lo sopportavo, eppure una parte di me fremeva per rivederlo. Ma quando mi consolavo con l’idea che l’indomani l’avrei incontrato, la mia ragione prendeva il sopravvento e mi diceva che quella era una cosa sbagliata e che Edward Cullen non era un bene per me e per il mio segreto. Alla fine, mi accorsi che oramai si era fatto buio.

Perché tormentarmi? Domani l’avrei rivisto. Basta. Non volevo assolutamente pensare a nient’altro. E non dovevo sentirmi in colpa, no, non dovevo sentirmi in colpa del fatto che volessi rivedere la persona che mi stava sconvolgendo la vita. Forse volevo solo vederlo per dirgli quanto non lo sopportassi. No. Basta! Mi strappai le cuffie dalle orecchie e le richiusi nel cassetto.

In quell’istante mio padre entrò in camera. «Bells, come ti senti?».

«Va meglio, non fa più tanto male…».

«Bene» disse, restando comunque preoccupato e posandomi una mano sulla fronte. La tolse, leggermente rassicurato. «Vuoi qualcosa di caldo? Un brodino, una cioccolata?».

Ridacchiai, nervosa, tentando di toglierli certe idee dalla testa. «Perché, da quando sai cucinare papà?».

Lui arrossì, imbarazzato. «Giusto. Ora stenditi un po’, ok?»

«Okay». Mi tirò su la coperta e uscendo dalla stanza mi spense la luce.

Sospirai, nel buio della mia stanza.

Un attimo dopo, sentii il telefono squillare. Incuriosita, mi alzai a andai alla porta, aprendola leggermente per sentire chi fosse.

«…no, non stava molto bene, però ora va meglio, così dice.» una pausa. «Oh, si, il ragazzo della ricerca…» un’altra pausa. «Non saprei, si è appena messa a dormire».

A quel punto intervenni «Papà?» lo chiamai dalle scale.

«Oh ecco è sveglia», si rivolse a me, alzando la voce «Bella, c’è Edward Cullen al telefono, vuole parlare con te!»

Fremetti, improvvisamente entusiasta. Reazione idiota. Io avrei dovuto odiare Edward Cullen! Forse sentendo la voce… «Va bene, prendo la chiamata dall’altro telefono». Staccai la presa del telefono dal corridoio di sopra e lo misi in camera mia, richiudendomi la porta alle spalle per concedermi un po’ di privacy.

«Pronto?» dissi, impaziente di sentire la sua voce.

«Bella, sei tu? Ciao…». Come mi era mancata quella voce melodiosa…

«Ciao…» risposi trasognata. Addio a tutti i miei propositi d’odio.

«Beh, come stai? Ho saputo che non ti sentivi bene…».

Arrossii di imbarazzo. «Oh, no, non era nulla di che, davvero…» poi mi bloccai un attimo, perplessa «scusa ma tu come l’hai saputo?».

«Tuo padre era preoccupato per te, così ha chiamato al mio».

«Oh…» sospirai. Questa cosa non andava affatto bene… Charlie che si preoccupava per me e che cominciava a chiamare i medici non era mai una bella notizia. «Mio padre si preoccupa troppo…» dissi solo.

«Beh, meglio così, no?!» ridacchiò. Com’era bella la sua risata!

«Già» risposi incantata. Dovetti riscuotermi un attimo prima di rispondere. «Hai lasciato qui il tuo giaccone…».

«Oh, si, non ti preoccupare, lo prenderò domani quando verrò per la ricerca, sempre che tu stia abbastanza bene».

«Ma si, certo! Non vedo l’ora!», altra frase idiota.

«Come scusa?».

Arrossii, imbarazzata per le mie stupide parole. «Non vedo l’ora di fare la ricerca…».

«Oh, si anch’io» sembrava divertito.

Volevo dire qualcosa, fargli una domanda, solo per il gusto di sentire la sua voce. Che cosa stupida… Perché non riuscivo a odiarlo? Avrei dovuto… Ma non volevo riattaccare, e neppure lui lo faceva.

«Ti dà fastidio la vivisezione delle rane?» chiese curioso.

Sgranai gli occhi. «Emm… come…?».

Scoppiò in una fragorosa risata. «Nulla Bella…».

Mi mordicchiai il labbro, imbarazzata. «Senti… vorresti fermarti anche domani a vedere un film?» In quel momento stavo esattamente remando contro la corrente che con forza m’imponeva la ragione, guidata solo dall’istinto. Ma perché gliel’avevo chiesto?

«Certo, scegli tu il film».

«S-si, okay!» dissi sbalordita e contenta.

«Bene, ora è meglio se ti lascio riposare. Rimettiti presto, sogni d’oro Bella!». Com’era dolce!

«G-grazie» balbettai, poi, quando sentii il suono della chiamata chiusa, rimasi qualche istante con la cornetta in mano.

Che cosa avevo detto esattamente in quella conversazione? Non ricordavo quasi nulla, l’unica cosa di cui riuscivo a rendermi conto, era il mio cuore palpitante, le mie guance arrossate e un coro d’angeli al posto del cervello. Sospirai, riponendo la cornetta.

Mi addormentai completamente rilassata, felice e sognante. Possibile che una sola telefonata mi facesse quell’effetto?

Il giorno dopo ero davvero allegra. Mio padre fu felice della mia immediata ripresa, così non mi fece altre domande.

Appena nel parcheggio, vidi Edward venirmi incontro. Se il giorno prima la sua voce era stata salubre, la sua vista ebbe un effetto decisamente più potente. E anche questa volta addio ai pensieri d’odio. Come faceva ad annullare così tutte le mie difese?

«Edward!» lo chiamai con un enorme sorriso sulle labbra.

Mi sorrise, quando finalmente mi fu accanto. «Ciao Bella, ti vedo bene… Sei guarita».

«Già» alzai gli occhi al cielo «mio padre si preoccupa sempre troppo!».

Lui mi sorrise rassicurante. «Allora, ci vediamo a biologia?».

Fui lieta del fatto che non mi avesse chiesto di incontrarci a mensa. «Certo, niente defezioni?» chiesi con un sorriso sarcastico.

Lui rise. «No, niente defezioni».

E in effetti, arrivata nell’aula di biologia, lui era lì con il suo sorriso rassicurante.

«Scelto il film?» mi chiese sottovoce, sporgendosi verso di me dallo sgabello.

«Oh» mi scompigliai i capelli «accidenti, me ne sono dimenticata!».

Lui ridacchiò. «Non ti preoccupare, se vuoi posso prenderne uno io…».

«No no, ci penso io, passo dalla videoteca prima di andare a casa». Il professore ci lanciò un’occhiataccia, così tacemmo per qualche istante.

Dopo un po’ lui ricominciò a parlare. «Ma non avevi un impegno?» mi chiese sollevando un sopracciglio.

Arrossii. Come faceva a ricordarlo? «Non ti preoccupare, faccio in tempo».

«Bene», disse appena prima che il professore si fermasse proprio di fronte al nostro banco.

Non so come, ma feci in tempo a fare tutte le riserve di cibo che dovevo e a passare dalle videoteca in fretta. Afferrai il primo film che mi trovai davanti, la copertina mi ricordava un manifesto che avevo visto un giorno da qualche parte.

Mangiai in macchina, lungo il tragitto, perché ero già in ritardo, ma purtroppo il dolore allo stomaco si fece sentire anche questa volta. Entrai di corsa in casa e vomitai, e fui costretta a prendere un altro antiacido.

In quel momento, mentre me ne stavo stesa con busto lungo il tavolo, la ragione prese il sopravvento. E così anche la frustrazione per il mio comportamento sconsiderato. Sapevo che quel dolore era colpa di Edward Cullen. E anche tutta l’ansia provata il giorno precedente. E anche l’attenzione degli studenti della Forks Hight School. Tutto colpa sua. Bevvi un bicchiere d’acqua e poi lo gettai nel lavello. Accidenti a lui… perché era così complicato odiarlo?

Lui arrivò appena tre minuti dopo, e ancora avevo dolore allo stomaco.

«Edward, entra…» mormorai, sfregandomi la pancia. Fortunatamente quella volta, forse perché non lo guardai negli enormi occhi magnetici, riuscii a mantenere un minimo di lucidità.

Lui mi guardò in modo strano, ma non mi disse nulla. Ci sedemmo intorno al tavolo della cucina e cominciammo a lavorare in silenzio.

«Preso il film?» mi chiese dopo qualche minuto.

«Si» risposi laconica, riconcentrandomi sulla ricerca. Stupido, stupido di un Cullen. Non era giusto che provassi quel dolore. Non era giusto. E poi lui… lui mi aveva abbandonata.

«A che punto sei con la ricerca?» mi chiese ancora.

«Mmm…» feci. Perché invece sentivo il bisogno che lui mi parlasse? Perché non ne potevo fare a meno? Irritata e tormentata, mi alzai dal posto, grattando con la sedia sul pavimento.

Presi un altro bicchiere d’acqua e aspettai in piedi di fronte al lavello, consumandomi nel mio dolore. E più pensavo a Edward e al fatto che in realtà non dovevo guardarlo, più il dolore aumentava, perché volevo guardarlo. Ma al contempo sapevo che quel dolore era tutta colpa sua.

«Bella?» mi chiamò preoccupato, facendomi sussultare per la vicinanza della sua voce. Stava dietro di me, non l’avevo sentito. «Che hai?».

Non resistetti un secondo in più, mi voltai, abbracciandolo, e scoppiai in lacrime.

Sentii tutti i suoi muscoli irrigidirsi e non avvertii il movimento del suo petto che ne mostrava il respiro.

Esattamente quindici secondi più tardi, smisi di respirare anch’io, dandomi della sciocca per il mio gesto avventato. Ma proprio quando mi stavo per separare da lui, sentii le sue braccia fredde stringermi rassicuranti al suo petto.

Mi lasciò piangere per tantissimo tempo, senza dirmi nulla, ma cullandomi e lasciando che gli inzuppassi il maglioncino beige d’acqua salata. In quel momento, nonostante tutta l’ansia, l’angoscia e il turbamento con cui stavo vivendo, mi sentii al sicuro. Come se non ci potesse essere posto al mondo in cui potessi essere più protetta. Non conoscevo la natura delle mie lacrime. Forse ero frustrata, o forse, semplicemente non volevo accettare quel conflitto che era nato dentro di me, perché in quello stesso istante, da quando Edward mi aveva accolta fra le sua braccia, avevo trovato la soluzione. Mi sentivo in un porto sicuro, e non ero disposta ad abbandonarlo. Poi, d’un tratto, sentii le sue labbra, titubanti, che scendevano a baciarmi i capelli.

Sollevai il viso fino a incontrare i suoi occhi ambra che mi fissavano con dolcezza. «Scusa…» biascicai, la voce arrochita dal pianto.

Mi accarezzò le guance, cancellandomi le lacrime. A quel punto mi staccai da lui, imbarazzata, e mi andai a sedere sulla sedia. Edward prese un altro bicchiere d’acqua e me lo porse.

«Grazie» gli dissi, prima di bere.

Lui si sedette in silenzio accanto a me, guardandomi negli occhi apprensivo e restando in silenzio per alcuni istanti. «Vuoi continuare a fare la ricerca o vuoi vedere il film?» disse poi, in tono leggero.

Sgranai gli occhi, sorpresa del fatto che non mi chiedesse spiegazioni e esitai titubante.

Sul suo volto si accese un’altra emozione, la tristezza. «O… vuoi che me ne vada?».

«No…» dissi facendo scendere altre lacrime «no, no, ti prego, non te ne andare…»

«Va bene Bella, va bene…» mi prese la mano, accarezzandomi una guancia con l’altra «non me ne vado, rimango qui quanto vuoi…».

«Grazie» dissi solo, cancellandomi le ultime lacrime che erano cadute. Lo feci alzare, tenendolo per mano, e lo condussi fino al divano nel soggiorno.

Lì mi sedetti, con le gambe incrociate, e feci sedere lui accanto a me.

«Allora, tutto bene il campeggio?» cominciai, giusto per dire qualcosa.

Lui fece una smorfia strana, che non capii, ma poi mi rispose sereno.

Rimanemmo a chiacchierare diverso tempo, ridendo e scherzando, come se nelle ore precedenti non fosse successo nulla. Poi, ci rendemmo conto che si era davvero fatto tardi.

«Mi dispiace, non abbiamo neppure visto il film» dissi mentre lui indossava il suo giaccone.

«Sarà per un'altra volta. Tanto ci vediamo domani per la ricerca, vero?».

Fui presa da un moto di ansia e tristezza. «Veramente domani dovrei andare a togliere i punti al labbro…» dissi toccandomi il punto leso.

«Oh» sospirò, riducendo gli occhi a due fessure.

Lo fissai malinconica. Non mi andava di non stare con lui.

«Se per te non è un problema, posso venire con te» propose infine, con tono disteso. «Sicuramente ci sarà mio padre all’ospedale, e potrebbe toglierteli lui i punti, così facciamo in fretta è dopo vediamo il film. Che ne dici?» mi chiese contento.

Sorrisi anch’io. «Dico che è un’idea stupenda!».

 

 

Ohi mammina bella!!! Ho preso troppo sole, sono mezzo abbrustolita e mi fa male la testa!

Allora. Originariamente questo capitolo non era così, perché c’era una scena che poi non ho messo, ma che, per motivi di lunghezza, ci sarà al prossimo capitolo, sperando che tutto vada bene!

Mi fa male la testolina, il criceto si è abbrustolito, ha preso troppo sole!

Scusate se ho fatto un pochino di ritardo, ma in un modo o nell’altro c’era sempre qualcuno che rallentava la scrittura della storia.

Ora, chiarisco una cosa. Eddino nel precedente capitolo aveva forti sospetti, ma non è facile individuare una malattia insidiosa come la bulimia, quindi le cose per lui si sono chiarificate quando ha chiesto aiuto ai suoi fratellini magici, ma questa cosa verrà alla luce dopo.

Quindi in questo capitolo già lo sa…

Hhh… Che mal di testa! Hhh…

Dicevo… Io ho trovato questo capitolo molto tenero, soprattutto verso la fine e la parte della telefonata, ma ditemi voi se vi è piaciuto, ok?! J Ciao a tutti e grazie!!!

Grazie a chi legge, commenta e mette la mia storia fra preferiti/seguiti o chi mi ha messo fra gli autori preferiti. Grazie. 

 

cloe cullen Concordo in pieno, non studiare troppo e datti all’edonismo! Vabbè, non esageriamo, ma cmq vivi una vita allegra e senza troppo studio, ok?! E magari ogni tanto ricordati di noi che ti aspettiamo qui! *.* Il rapporto Edward Bella è una cosa molto complessa e per ora sono loro, non io, che decidono! Ora il loro rapporto si sta approfondendo ancora… ^^

Dan Ok… Oh, wow, beh grazie! Sono contenta che tu ti sia ricreduta sulla mia storia e ti devo dire che all’inizio, subito dopo aver postato il primo capitolo mi ero pentita, quasi sentita in colpa di averlo scelto. Invece ora… beh ora vedo tutto da una prospettiva diversa. Sarà che finchè non sono completamente penetrata nella mente di Bella bulimica, consono quasi riuscita a capacitarmi di quello che stavo facendo. Era come tenere un piede in due scarpe. Ma ora, ci sono completamente dentro e il bello è che posso entrare e uscire come voglio. Grazie di tutto il commento, davvero, mi hai resa felice…

Cullenuzza No, mia sorella ha fatto la maturità, io sono più piccola di lei di due anni… Ok tutta questa perifrasi per dire che ho diciassette anni… XD In effetti Edward ha già capito qualcosa, anzi, più che qualcosa, ma ancora non ne è del tutto certo sai? Perché tende cmq a fidarsi di Bella e… beh beh… insomma… per quanto riguarda la durata della ficcy… mmm, non vorrei farla troppo lunga, penso che non durerà più di venti o venticinque capitoli… Altrimenti bisognerebbe aspettare, in modo che io “farcisca” i capitoli con qualche evento in più… per ora le bozze contengono solo i fatti in sé, ma questo non vuol dire nulla perché le idee mi vengono  anche mentre scrivo! ^^

mazza ok, mi piace molto questo modo di… “comunicare” A) Io sono praticamente troppo fissata con le caprette di Heidi ^^ B) Grazie piccoletta è bello sapere che posso contare su qualcuno! ^^ C) Beh, si, magari apro una scuola per corrispondenza! XD D) E’ vero, è nato proprio per questo! Perché infondo si comprendono, hanno entrambi problemi con il cibo! ^^ E si devono trattenere entrambi… E) La malattia di Bella dura da un anno. Per quanto riguarda i sintomi, cambiano di persona in persona e  dipendono dall’assiduità con cui si vomita, dalla predisposizione fisica e anche dal caso. Bella vomita molto, tutti i giorni e anche più volte al giorno, quindi ora il suo caso è piuttosto grave… F) No, non l’ho ancora spiegato, e verrà spiegato più avanti, cmq è il segno che si fa con i denti sul dito quando si provoca il vomito… E’ un segno che hanno tutti i bulimici che vomitano in questo modo…

gentile di Edward! E hai indovinato alla perfezione sia per la pallonata che per il sangue! Brava ;)  

lory_lost_in_her_dreams Grazie tanto, sei davvero molto dolce… Si, si sono avvicinati ma purtroppo non può tutto essere rose e fiori, nonostante l’infinita dolcezza di Edward si faccia sempre più presente! Ma sono sicura che insieme riusciranno a conquistare i loro momenti di felicità!

azaz Ciao cuore! Giusto, la pazzia è una buona cosa. Figurati, che in mia difesa, ho anche recitato la parte della stessa, con le parole di Erasmo da Rotterdam, prese dall’elogio alla follia… “Se ogni umano si dispensasse da qualsiasi rapporto con la saggezza, la vecchiaia neppure esisterebbe / La natura, madre e creatrice del mondo, si è dispensata di spargere ovunque un pizzico di follia!” Beh, direi allora che con noi ha un po’ abbondato, ma non me ne rammarico affatto! E mi rallegro anche di vedere che commenti le mie storie alle 4 e mezza di notte! XD E’ vero, Bella vive un po’ sulle montagne russe, ed è proprio di questo che aveva paura: quanto più in alto si sale, tanto più in basso si può scendere, ma non sa ancora, che Edward le offrirà un biglietto di sola andata per i cieli; Certo, all’inizio ci sarà qui e là qualche discesa, ma la risalita sarà sempre e comunque fantastica! ;) Che spoiler metaforico che mi è venuto fuori! E la strada verso il cielo, sarà sempre più mielosa e zuccherosa! *.*

luisina Ok, non ti preoccupare di non esserti dilungata, mi fa comunque piacere sentirti. Sono contenta che ti sia piaciuto e che sia riuscita a descrivere bene “i sintomi” di Bella. Mi sono documentata davvero tanto, ovunque e spero di riuscire nei miei intenti per quello che possa servire in una funzione letteraria. Grazie di tutto e a presto…

Wind lo sai che sospetto 1. Che tu mi legga nella mente come fa Edward 2. Che tu abbia acquisito il potere di Alice e vedi cosa scriverò 3. che tu a furia di leggere le mie storie sappia come la penso e cosa scriverò 4. Che io sia troppo prevedibile. Ora, siccome la 1 e la 2 sono un po’ troppo surreali e la 4 non mi piace granché, spero sia la 3! J

Noemix No no, Bella non si sta affatto riprendendo… Ecco, questa cosa l’hanno detta in parecchi non vorrei aver creato false illusioni perché non è così! ^^ Lei non ci pensa minimamente a cambiare le sue abitudini per Edward, non ancora almeno… Ma forse si è capito meglio in questo capitolo!

JessikinaCullen eh già e non credo che il fatto di capire che la cosa sia stata positiva sia tanto semplice! Lei amava il dolore… Quando ci fai l’abitudine sa essere così confortevole e cambiare può portare dei momenti molto tristi e il rischio di esporsi può far provare il Vero dolore, quello dei sentimenti… Ok, mi sa che sono entrata un po’ troppo nella testa di Bella! ^^

Amalia89 Ok, bene, e io ne sono davvero contenta! Speriamo di sistemare un po’ se e dove ho sbagliato e di continuare al meglio! Grazie di tutto e a presto! ;)

ale03 ok, bene ne sono contenta! ^^ Già Edward sta dimostrando una grande tenacia, oltre che un immenso affetto, una grande dolcezza e un caloroso, meraviglioso, scintillante sorriso! *.*

lisa76 Grazie, e speriamo che il tatto continui a non mancarmi, perché sono carente di vista e in quel caso mi ritroverei seriamente menomata! XD Ok, era un battuta, non so se si era capito… ;)

__TiTtA__ Allora ti posso dire che si, ci sarà, e da quel momento in poi, non così semplicemente come si può credere, ma con forza e costanza, la nostra Bella riuscirà a venir fuori dai suoi problemi! ^^ Con l’aiuto sia di uno che dell’altro! Se li abbiamo tutti e due, perché non approfittarne! ;)

patu4ever io vivo in un paesino del Salento, in provincia di Lecce… eh, beh allora noterai anche il cambiamento che è avvenuto in questo capitolo… purtroppo la vita di Bella è fatta di alti e bassi e questo non sarà né il primo, né l’ultimo…

damaristich in bocca a Jake anche a te allora! XD Si, in effetti ho deciso di “ampliare le mie vedute” e vedere un po’ la tipologia di romanzo che mi è più adatta… Questo diciamo che è più vicino alla realtà… Gli altri,… beh quelli erano completamente diversi!

IsAry Si si, il rapporto s’intensifica sempre più e manca poco che da una scintilla nasca un piccolo fuoco e dal fuoco un bel falò! Ma prima ne dovranno passare delle belle direi! ^^

barbyemarco no, non è che ero triste, semplicemente non avevo nulla da dire e per me che sono tanto prolissa, logorroica e loquace è una cosa un po’ strana, ma avevo la testa da un’altra parte, è per questo che ero distratta! ^^ Beh si Edward è quasi del tutto certo del problema di Bella, ma penso che creda che “un impatto frontale” non sarebbe una buona cosa per lei! ^^

Bella_Cullen_1987 come zona privata?! O.O No no non è possibile, io ci voglio andare, non puoi mica avere l’esclusiva?! Altrimenti lo attiro fuori con la minaccia di fare fuori Bella e mi faccio trasformare in vampira! :P

lady cat mi fa molto piacere che il tema ti piaccia e che tu on lo consideri fuori luogo per una coppia come Bella e Edward. E’ che ho pensato che ponendoli come mezzo di comunicazione sarebbe stata più semplice la penetrazione del messaggio. Quello che ha Bella è un ulcera esofagea… Mi sono informata tantissimo sulla patologia e spero di non sbagliare… quello che ha adesso si dovrebbe chiamare “esofagite peptica”… Il segno sul dito è un segno caratteristico delle persone bulimiche che si fanno con i denti quando si causano il vomito. Grazie a TE, che leggi la mia storia, non c’è motivo per cui tu mi debba ringraziare… J

cullengirl diciamo che nello scorso capitolo sospettava fortemente della bulimia, e cmq Bella ancora non vuole, per nessun motivo, ancora, cambiare idea sul suo comportamento… Questa è una consapevolezza che arriverà in seguito e anche molto dolorosamente…

Lau_twilight già devo dire che quel momento è anche il mio preferito… In questa fic sta venendo fuori il carattere più premuroso e dolce di Edward, quello che tra l’altro amo e di cui non potrei fare a meno! *.* Com’è sensibile!!!

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Capitolo 6
*** Distrazioni ***


«Quindi sei sicura di voler andare con quel ragazzo

«Quindi sei sicura di voler andare con quel ragazzo?» mi chiese Charlie, distogliendo lo sguardo dalla Tv e fissandomi con un sopracciglio alzato.

Arrossii. Detta così sembrava più di quanto non fosse, tipo… un appuntamento. Un appuntamento in ospedale? Scacciai quel pensiero per rispondere a mio padre, «Si, si papà».

Mi fissò ancora scettico qualche secondo «Sicura? Se vuoi posso accompagnarti io…».

«Ma no…» mi affrettati a dire presa dalla paura che mi padre mi accompagnasse in ospedale e gli venisse in mente qualche strana idea… «E poi il padre di Edward è il dottor Cullen, te l’ho detto no?! Mi toglierà i punti lui così farò più in fretta…».

Sentii un clacson suonare. Era Edward, quella mattina mi aveva detto che sarebbe passato a prendermi con la sua macchina, un giorno più tardi del previsto, perché giovedì suo padre era stato impegnato in un convegno. Non lo volevo ammettere, ma fremevo dalla voglia di vederlo, così, quando sentii quel suono sulle mie labbra comparì un sorriso entusiasta.

Mio padre parve finalmente rilassato, e mentre lo salutavo correndo verso la porta mi disse ad alta voce per farsi sentire «Ricordati che quando tornerai non ci sarò, tornerò domani a mezzogiorno, mi raccomando, fate i bravi!».

«Ok, ciao!» urlai di rimando, sbattendo la porta.

Di fronte ai miei occhi, nascosta dalla pioggia sottile che cadeva intorno a me, c’era un auto grigio metallizzata, una Volvo, a giudicare dalla forma. Mi riscossi dopo qualche secondo e con una corsetta veloce mi avviai verso l’auto.

Il finestrino elettrico della portiera del passeggero sibilò elegantemente, abbassandosi. «Ciao Bella, entra, svelta, o ti bagnerai tutta!».

Non me lo feci ripetere due volte e entrai di fretta nell’auto. «Ciao» gli dissi, contenta di vederlo.

Anche i suoi occhi parevano scintillare di felicità, anche se mi parevano diversi dall’ultima volta che l’avevo vista. «Allora, partiamo?».

«Certo» misi la cintura di sicurezza «non vedo l’ora di togliermi questi punti!».

Lui ridacchiò. «Andiamo».

Arrivammo velocemente all’ospedale, ma non mi accorsi neppure della sua guida spericolata finché non fummo in prossimità del pronto soccorso. Avevamo chiacchierato tutto il tempo, mi sentivo spontanea e libera quando stavo accanto a lui.

«Rallenta!» gridai divertita.

Anche lui rise. «Scusa, ma ho già decelerato, te ne sei accorta solo adesso a che velocità stavo andando?» mi chiese con un sopracciglio alzato.

Feci spallucce. «Vuol dire che sei bravo a distrarmi!» lo accusai scherzosamente.

Ridemmo insieme.

Quando entrammo nel pronto soccorso e sentii l’odore forte di disinfettante feci una smorfia.

«Tutto bene?» mi chiese Edward.

Annuii. «E’ solo che non sopporto l’odore del disinfettante, tutto qui» mi scrollai le spalle. «Sai, l’ospedale non è proprio il mio posto ideale, anche se forse è quello che frequento più spesso…».

«Come mai?» mi chiese sinceramente curioso, per poi voltarsi e dire ad un’infermiera che si era avvicinata che stavamo cercando suo padre. Quella rispose che sarebbe andata a chiamarlo.

Cominciai a rispondere alla domanda che mi aveva posto. «Beh… forse non te ne sei reso conto, ma so essere piuttosto goffa…».

«Davvero?» chiese con la stessa strana curiosità che aveva messo nella domanda precedente. Era senza secondi fini, sembrava semplicemente curioso di scoprire qualcosa su di me, di comprendermi. «No, non me ne sono mai reso conto…».

Ma non riuscì a finire la frase perché, dandogliene dimostrazione, inciampai sui miei piedi e gli caddi addosso. Ridacchiai. «Scusa, ma dov’eri quando ti sono caduta addosso le ultime… tre volte?»

«Giusto» disse, aiutandomi a rimettermi dritta. Lo sentii farfugliare qualcosa di incomprensibile, con tono scettico, del tipo “vuol dire che sei brava a distrarmi…”.

Non ci diedi peso e mi concentrai sull’infermiera che stava ritornando da noi.

«I dottor Cullen sarà qui fra poco» poi si rivolse a Edward «Edward, potete andare ad aspettarlo nel suo studio. Deve solo togliere i punti, vero?».

Io annuii, ma lei continuò a guardare Edward. Non ci feci troppo caso, era mia abitudine ignorare e essere ignorata.

«Si si, solo i punti, grazie Clarissa» le disse con un sorriso, avviandosi verso un corridoio e facendomi segno di seguirlo.

Edward aprì una porta infondo al corridoio e mi invitò a entrare, da vero gentiluomo.

Gli sorrisi «Grazie».

Entrò anche lui e si richiuse la porta alla spalle.

L’ufficio era di medie dimensioni, ma sembrava confortevole. C’era un separè, dietro al quale s’intravedeva un lettino con una carta ruvida. Alle pareti erano appesi vari quadri e diplomi incorniciati e sulla scrivania c’era un vaso con dentro dei fiori freschi e profumati. Non si sentiva quasi l’odore di disinfettante.

Mi rigirai le mani, nervosa. Sapevo che era una pratica indolore, e la preferivo di gran lunga a quella di mettere i punti, soprattutto perché sapevo che mi sarei liberata da quell’impiccio, ma…

«Nervosa?» mi chiese Edward, come se mi avesse letto nel pensiero.

Non dissi nulla, ma mi mordicchiai il labbro inferiore irritandomi per la presenza dei punti. Non risposi, e gli feci un’altra domanda.«Tu… tu resti con me, vero?» sussurrai piano, imbarazzata per quella mia debolezza.

Sentii un contatto freddo e mi accorsi che mi aveva preso una mano. «Certo che resto con te». Sollevò l’altra mano, piano, fino a sfiorarmi la guancia e provocarmi una scarica elettrica.

«Grazie» bisbigliai, quasi muta.

Mi sorrise e abbassò la mano. Nello stesso istante la porta dello studio si aprì e entrò un giovane uomo. Somigliava a Edward e i suoi fratelli in maniera strana. Però aveva i capelli biondi e i tratti somatici non corrispondevano affatto, a parte… il colore degli occhi, la pelle pallida e… la bellezza. Mi diedi della sciocca. Edward era stato adottato.

«Ciao, tu sei Isabella Swan, vero?» disse sollevando lo sguardo dalla cartelletta e sorridendomi. Anche il sorriso era lo stesso. Rassicurante.

«Bella» lo corressi io, «il dottor Cullen?».

«Si, sono il padre di Edward. Ma chiamami pure Carlisle» mi disse gentile.

Sorrisi. «Va bene, Carlisle».

Lui posò nuovamente lo sguardo sulla cartella che aveva in mano. «Ti sei ferita il labbro inferiore durante l’ora di ginnastica a causa di una pallonata?» mi chiese, risollevando lo sguardo.

«Si» dissi, imbarazzata.

«Era un pallone da basket» aggiunse Edward, divertito.

Carlisle sorrise e fece il giro dietro la scrivania, prendendo un paio di guanti di lattice. «Te la sei cavata bene, solo due punti».

Sentii il calore invadermi le guance. «Beh… non avevamo ancora cominciato a giocare…».

Lui ridacchiò. «Ah beh, allora…». Poi si avvicinò invitandomi a sedermi sul lettino e si sedette davanti a me su una sedia con le ruote. Lanciò un’occhiata strana a suo figlio. «Edward, tu resti?». Era strano il modo in cui si guardavano, non mi convinceva affatto.

Edward annuì piano, senza mai staccare gli occhi dai suoi.

Poi Carlisle si voltò verso di me, con disinvoltura, e mi guardò sereno, osservando i punti e poggiando due dita sulla ferita. «Hai avuto dolore, si è mai gonfiato, o infiammato?». Anche attraverso i guanti potevo avvertire la bassa temperatura delle sue mani, proprio come quella di Edward…

Scossi il capo. «No, niente del genere» risposi quando ritirò la mano.

Lui annuì. «Ti hanno fatto l’antitetanica quando sei venuta?» chiese lanciando uno sguardo incuriosito alla mia cartella e prendendo dal cassetto un oggetto metallico.

Ebbi un fremito, e Edward mi prese la mano. Lo ringraziai con lo sguardo. «No, non l’ho fatta. Non ce ne era bisogno perché l’ho fatta un mese fa…» dissi imbarazzata.

Lui fece scorrere lo sguardo sul foglio e controllò. «Vedo…» disse, continuando a guardare ancora più in basso, visionando tutti i miei incidenti. A Phoenix avevano un fascicolo solo per me. «Ti capita spesso di cadere?» mi chiese sollevando le forbici all’altezza del labbro.

«Si, ho… qualche… problema di equilibrio…» confessai imbarazzata.

Annuì e mi disse «non parlare e apri un po’ le labbra, non farà male, ma visto il punto sensibile sarà un po’ fastidioso».

«Lo so» sussurrai prima di fare come mi diceva. Strinsi maggiormente la mano di Edward, nervosa, e lui rispose alla mia stretta posandomi una mano sulla spalla, rassicurante.

Sentii il rumore della forbici e la sensazione orripilante del filo che scorreva via.

«Fatto» disse Carlisle poggiando le forbici. «Ti fa male? Prova a muoverlo…».

Feci come mi diceva e me lo sentii un po’ strano, la sensazione che ci fosse qualcosa di diverso. Mi ero abituata ai punti. «No, tutto bene».

Mi posò una mano sul labbro e controllò nuovamente come aveva fatto prima, tastandomi con due dita.

«Non si vede neppure la cicatrice» mi assicurò Edward.

«Bene, non dovrebbe accadere, ma se si gonfia mettici del ghiaccio e torna qui» Carlisle si mosse sulla sedia con le ruote facendola andare verso un tavolino che stava di lato e prendendo una penna e un foglio, poi si avvicinò di nuovo a noi e prese la mia cartella. «Sei allergica a qualcosa? Intollerante?».

«No» risposi titubante. Non capivo il senso della sua domanda.

Osservai Edward, perplessa per quelle domande, ma aveva lo sguardo concentrato su suo padre.

Lui scrisse qualcosa sulla mia cartella. «Hai mai fatto qualche operazione, sei stata ricoverata?».

«N…no, solo… solo dei punti e… qualche frattura…» balbettai.

Edward e Carlisle mi osservarono stralunati, entrambi con un sopracciglio alzato. Il “qualche frattura” doveva fare uno strano effetto. «Sempre l’equilibrio…» tentai di giustificarmi.

Carlisle scosse la testa con noncuranza e si rimise a scrivere. «I tuoi genitori soffrono di qualche malattia ereditaria…?» Finalmente sollevò lo sguardo dalla cartella e vide la mia espressione esterrefatta. Fece un sorriso di scuse. «Scusami, non ti ho spiegato cosa sto facendo, l’ospedale dopo dieci interventi d’ambulatorio compila una cartella personale con i dati del paziente».

Rimasi stupita da quella risposta banale, ma mi rilassai.

Le domande continuarono per un bel po’, mi stavo anche divertendo: ogni tanto Edward e Carlisle facevano qualche battutina sul mio equilibrio. Mi avevano messa a mio agio.

«Gruppo sanguigno?».

«Zero negativo».

Edward ridacchiò. «Molto fortunata, eh?».

«Già…» alzai gli occhi al cielo, poi incuriosita, gli feci una domanda «perché il tuo qual è?».

Non so se fu semplicemente una mia impressione, ma sentii Edward irrigidirsi e scambiarsi una strana occhiata con Carlisle. «Non lo ricordo» disse infine, con voce serena. «Papà?».

Carlisle ridacchiò, stemperando definitivamente l’atmosfera che sembrava essersi creata. «Io lo ricordo perfettamente invece: AB positivo, sfacciatamente fortunato».

Tutti e tre scoppiammo a ridere.

Poi Carlisle continuò serenamente, ponendomi però una domanda che mi mise in crisi «Peso?».

Mi raggelai sul posto, con gli occhi sgranati. Ci misi un po’ per riprendermi, e balbettai qualcosa solo quando sentii due paia di occhi fissi sul mio viso. Non sapevo se dire una bugia, o la verità. Alla fine optai per la verità. «Emm… Non lo so… E’ un po’ che non mi peso…».

«Rimediamo subito» mi disse sereno Carlisle, indicandomi una bilancia alle sue spalle.

Se possibile, sbiancai ancora di più. Non volevo pesarmi, ma non volevo neppure essere scortese. In qualsiasi altra situazione avrei detto semplicemente di no, ma non mi sarei mai permessa di rispondere male a Edward o a Carlisle.

«Bella?» mi chiamò gentilmente Edward, facendomi voltare verso di lui «tutto bene?» mi chiese inclinando il capo da un lato.

«S…si» balbettai.

Mi aiutò a scendere dal lettino e prendendomi per mano mi guidò fino alla bilancia.

Deglutii, poi ci salii sopra.

Carlisle prese prima l’altezza e mi disse, scherzando «Guarda Bella: un metro e sessantadue, se vorrai potrai entrare in accademia».

Feci una risatina nervosa, e tentai di concentrarmi un volto rilassato e rassicurante di Edward, mentre Carlisle accendeva il display della bilancia. Trattenni il fiato, e prima di guardare in basso, osservai le espressioni di Edward e Carlisle. Edward aveva le sopracciglia aggrottate, ma non sembrava sorpreso, Carlisle invece era rilassato e disinvolto.

Guardai in basso. “46 kg” diceva il display. Sospirai piano. Era aumentato rispetto all’ultima volta…

Nessuno dei due fece commenti, e Carlisle registrò anche questo dato sulla cartella. «Bene, direi che abbiamo finito» disse poi, allontanandosi con la sedia verso lo stesso cassetto da cui aveva preso la penna.

«Tieni», mi disse lanciandomi un oggetto arancione che non identificai subito «direi che te la sei meritata…».

Non riuscii a prenderla e al posto mio lo fece Edward, che la prese tra le mani e me la porse. Era una lecca-lecca. Ridacchiai e Edward insieme a me.

«Forse sono un po’ cresciuta per questo genere di cose…» scherzai divertita.

Carlisle si alzò dalla sedia, ridendo anche lui e avviandosi verso la porta. «Ora vi devo lasciare ragazzi» si rivolse verso di me «Bella, è stato un piacere conoscerti».

«Piacere mio» dissi sincera.

Ci salutò e uscì dalla porta e noi con lui.

«Beh, mangiala no?» mi disse Edward lanciandomi un’occhiata e distogliendo l’attenzione dalla strada.

«Pensa a guidare!» gli dissi divertita.

«Facciamo così: io guido, tu mangi» mi propose.

«Mi sembra una buona idea».

Arrivammo a casa mia in men che non si dica e fummo costretti a correre per evitare l’acquazzone. Quando entrammo in casa scoppiai a ridere: Edward aveva i capelli zuppi, anche se sembrava lo stesso divino. Anche lui rideva, guardandomi.

«Siamo completamente bagnati!» esclamai, osservandomi allo specchio. I capelli stavano appiccicati a ciocche sulla mia fronte e la mia maglietta era zuppa su entrambe le spalle. Edward invece aveva bagnato solo i capelli e le goccioline d’acqua rimanevano sul suo viso come rugiada.

«Vieni» dissi, prendendolo per mano e conducendolo nel bagno. Ci asciugammo i capelli con gli asciugamano e io mi asciugai la maglietta con il phon.

Lo osservai mentre si frizionava i capelli, scuriti a causa della pioggia. Ogni suo gesto era composto e aggraziato e, per una volta, desiderai di essere io l’asciugamano che si muoveva fra i suoi capelli bronzei.

«Che c’è?» mi chiese lui, divertito, riscuotendomi dal mio sogno ad occhi aperti.

Arrossii per i miei pensieri. «Niente, niente…».

Lui sorrise ma non mi chiese ulteriori spiegazioni.

Tentai di cambiare argomento. «Allora, guardiamo il film?».

«Certo, o vuoi mangiare prima?».

Ripensai al mio stomaco vuoto e mi stupii del fatto che non stavo pensando al cibo. Per tutta la giornata precedente avevo preso in considerazione l’ipotesi di dover mangiare di fronte a lui, e, dopo averci rimuginato a lungo, mi ero detta che non sarebbe andata come l’ultima volta, che questa volta ce l’avrei fatta. Mi riscossi dai miei pensieri per rispondergli. «Certo, mangiamo prima».

Lui fece una risatina. «No, io non mangio».

Rimasi perplessa. «Come non mangi?».

Si avvicinò tranquillo, lasciando cadere l’asciugamano che aveva in mano nella cesta che gli avevo mostrato. «No, non ti preoccupare, io ho già mangiato. Diciamo che ho un’alimentazione… un po’ particolare».

«Oh…» dissi, ma non aggiunsi altro. Immaginai che fosse allergico o intollerante a qualcosa, così non investigai.

Durante la cena riuscii a concertarmi sul cibo e sui gesti che compivo. Fortunatamente Edward non mi distrasse, così riuscii a mangiare solo quello che avevo davanti e che mi ero prefissata di mangiare. Fu molto più difficile di quanto immaginassi, ma mi dissi che per una volta potevo fare quello sforzo.

Il dopo cena fu molto più difficile, perché mi ritornò il bruciore allo stomaco e sentii la forte necessità di andare in bagno a vomitare.

«S…scusami Edward… vado un attimo in bagno…» dissi, facendo per sollevandomi dalla sedia su cui mi trovavo.

«Oh… Puoi aspettare un attimo?».

Mi voltai a fissarlo, esterrefatta e confusa per quelle sue parole. Lui aveva un’espressione serena.

«E’ che vorrei chiederti una cosa sulla ricerca e ho paura di dimenticarmene…» disse innocentemente.

Mi guardai intorno, in difficoltà. «Veramente io…».

Mi fece un’espressione così tenera, innocente e sincera, che non potei dirgli di no.

«Va bene…» mi arresi infine. Strinsi un attimo i denti quando il bruciore si fece sentire più forte.

«Qualcosa non va?» mi chiese Edward, con un velo di preoccupazione.

Gli sorrisi, alzandomi in piedi. Mi sentivo già meglio. «No, no, tutto apposto. Dicevi?».

«Oh, si, per la ricerca…».

Mi chiese dei dettagli su come volevo svolgerla, sui libri che aveva preso alla biblioteca e sulla parte grafica. Volevo che si sbrigasse, il bagno mi sembrava sempre più lontano.

«Per la gita allora?» mi chiese poi, distogliendomi dai miei pensieri.

«Oh si, ricordati le premesse: non sei obbligato».

Si mise a ridere, squillante e limpido «Sono molto paziente, cosa credi?» Ridemmo insieme. «Allora, il prossimo sabato?».

«Per quando è la consegna?».

«Lunedì».

«Faremo in tempo?».

Sorrise. «Certo, so essere molto veloce».

Sghignazzai. «Paziente, veloce, sei proprio un ragazzo virtuoso eh?».

A quel punto scoppiò a ridere. «Già, e ancora non hai scoperto tutto di me».

Feci spallucce, sarcastica «Mi impegnerò!».

Insieme andammo sul divano in soggiorno a vedere il film.

«Che film è?» mi chiese osservando la copertina e inserendo il dischetto nel lettore.

«Non so… mi sembrava di aver visto la copertina su un poster da qualche parte».

«Bene, guardiamolo allora».

Partirono i titoli di testa con una musichetta malinconica di sottofondo. Inizialmente c’erano due bambini, fratelli, che si tenevano per mano e camminavano sulla spiaggia, poi entrarono in una villa che torreggiava sulla baia. Era una villa ricoperta di verde e abbandonata.

Non ricordo quando cominciai a urlare, forse quando la bambina fu strattonata nell’armadio da due mani rugose e cadaveriche, o quando comparve una vecchia con gli occhi iniettati di sangue che recise la gola la bambino con un’unghia, con un gesto secco.

Sentii freddo. Solo in quel momento mi accorsi di essermi stretta a Edward, tremante di paura. Lui, dal canto suo, mi stringeva a sé rassicurandomi.

L’apice del terrore fu quando i due bambini, miracolosamente ricomparsi ancora vivi, scoprivano in realtà di essere morti da sempre, e che quella era la casa in cui venivano richiamati tutti i morti.

«Bella…» sussurrò Edward, asciugandomi le lacrime che copiose mi cadevano dagli occhi. Interruppe il film e si voltò verso di me.

«Stai bene?» mi chiese preoccupato, accarezzandomi la guancia.

«S…si…» dissi tremante, fra un singhiozzo e l’altro, stringendomi al suo petto.

Lui mi accarezzò i capelli, cullandomi. «La prossima volta sarà meglio che lo scelga io il film!» scherzò, tentando di farmi sorridere, e in effetti ci riuscì.

Mi asciugai le ultime lacrime e mi allontanai da lui.

Lui mi fissò, con uno sguardo tenero, poi si riscosse, alzando leggermente le sopracciglia e disse «sarà ora che io vada, vorrai andare a dormire…».

Ebbi un fremito e presi la sua mano fra le mie, mordicchiandomi il labbro e abbassando lo sguardo. «P…per favore…puoi… puoi rimanere qui?» Osservai le mie mani che frenetiche si muovevano sulla sua. «Ho…ho paura…» balbettai.

«E tuo padre?» chiese lui, abbassando la testa in modo da incontrare i miei occhi.

«Non tornerà prima di domani a mezzogiorno, è andato a fare campeggio sul fiume» dissi tutto d’un fiato, incontrando i suoi occhi ambra. «Non… non lasciarmi sola… ti…ti prego…».

Mi fissò intensamente negli occhi per alcuni lunghissimi istanti. Il suo sguardo era profondo e sembrava stesse tentando di leggermi dentro. Mi diedi della stupida e della patetica per quello che gli stavo chiedendo. Era stata una richiesta assurda, stavo approfittando della sua bontà, e decisamente il mio bisogno di lui era cresciuto troppo. Era una cosa sbagliata…

Non appena aprii bocca per dare fiato ai miei pensieri mi rispose, sorridendomi.

«Va bene Bella, fammi chiamare a casa».

Sorrisi anch’io, gettandogli le braccia al collo. «Grazie, grazie Edward!».

Lui ridacchiò, e mi resi conto che aveva i muscoli contratti. «Va bene, ma non mi strozzare Bella, lasciami avvisare a casa prima».

«Oh, scusa!» dissi allegra, scostandomi da lui «vado a prendere le coperte!».

Ci sistemammo nel soggiorno: io sul divano e lui sulla poltrona reclinabile di Charlie. Avevo insistito a lungo per fare il contrario, ma lui era stato più bravo di me, e non aveva voluto sentire ragioni.

Mi addormentai allegra e rassicurata dalla presenza di Edward a pochi metri da me. Il bisogno e l’affetto che nutrivo per lui, crescevano velocemente di giorno in giorno e neppure riuscivo a rendermene conto.

Quando mi svegliai, il giorno dopo, sentii il vento fischiare contro le ante della finestra. Solo in quel momento, mentre mi rintanavo fra le coperte, mi resi conto che il giorno prima non ero poi andata in bagno. Ero stata… distratta.

Sospirai e mi volsi a fissare Edward, che beatamente dormiva sulla poltrona accanto.

 

 

Ragazze, vado di fretta, anzi no, di frettissima! Questo capitolo l’ho scritto tutto d’un fiato, ed è stata proprio una passeggiata farlo, mi sento sempre più in simbiosi con questa storia!! Bene, spero sia di vostro gradimento e ciao, ecco le risposte!

 

PS. Penso di postare Cullen’s Love mercoledì, perché martedì il server è chiuso!

 

azaz XD E’ si Bella qui ci soffre davvero tanto poveretta, ed è soprattutto anche molto confusa… Ma hai ragione, Edward sta già sistemando tutto. Certo, da un lato è una cosa un po’ destabilizzante, però poi tutto andrà per il meglio! E si Edward ha sfruttato ben benino il potere di Alice, ma anche il suo di vampiro e un po’ quello di Jasper… Insomma, se fosse stato umano non credo che l’avrebbe mai scoperto! E in effetti si, Bella sta sviluppando una sorta di nuova ossessione, che sarebbe Edward, ma sicuramente è molto più sana rispetto a quella che aveva precedentemente… Non so se ci saranno dei pov Edward… Forse alla fine farò un capitolo riassuntivo di tutta la storia in pov Edward, chi lo sa… Hai spiato nella risposta di una altra ragazza??? Io lo dico sempre che faccio troppi spoiler… hhh… Mi sa che devo cambiare qualche rispostine qui, ma anche soprattutto in Cullen’s Love… Io m’illudo del fatto che non leggerete le risposte delle altre, ma così non è… E cmq sappi che a te do più spoiler di tutti! Il malore di Bella non è affatto psicologico e temo che peggiorerà sempre più. Il fatto che lei inizialmente lo ignorasse era psicologico… Beh, baci cara, e non spiare le altre risposte! ;*

luisina Beh, in effetti, proprio quella parte, in cui scoppia in lacrime, l’avevo immaginata tanto tempo fa. E’ stato come un flash, un lampo di genio! Mi è venuta l’ispirazione e ho scritto… La relazione con Edward… si, sta diventando ossessiva, ma con il tempo ci penserà lui a farla diventare “sana”…

Wind vabbè, la risposta non la immagino, ma spero sia la 3! A furia di leggere le mie storie, conosci il mio stile… Sono contenta di essere riuscita a scrivere qualcosa di giusto sulla bulimia! ^^ Con tutto il tempo che ci ho messo a documentarmi! XD

Amalia89 Grazie. J Edward sta già reagendo. Si vuole mostrare aperto e disponibile nei confronti di Bella, in modo che lei si fidi di lui e poi possa aiutarla. Per ora la sta aiutando senza farsi notare…

cullengirl si, l’affetto si sente, ma come dici tu appunto, non voglio correre troppo, non voglio che sia troppo presto… Deve essere una cosa graduale, prima di tutto Bella deve ammettere di avere fiducia in Edward e poi si devono ancora conoscere meglio… No, la bulimia non è niente affatto una bella cosa, e ancora non ho manifestato tutte le conseguenze che porta con sé…

ale03 e penso che andando avanti odierai ancora di più Jessica, credo che in questo frangente ci saranno un po’ di problemi sai?! Hai visto che dolce Ed?! E’ vero, è stato molto gentile a non chiederle nulla, almeno all’inizio… Sta adottando una strategia…

lady cat già, infatti Edward se ne è potuto accorgere solo perché è un vampiro… E cmq, adesso anche Charlie sta cominciando a sospettare qualcosa, anche se temo che in questo frangente le cose non andranno a finire tanto bene…

mazza grazie piccoletta, sono contenta di informare! ^^ Come sempre i tuoi complimenti non fanno bene al mio ego, ma fanno bene a me! xD A) Si, Bella sta male, ma ti dico solo che questo è solo l’inizio, sarà molto peggio B) Edward sospetta fortemente. Prima di tutto per il comportamento di Bella, poi ti ricordo che è un vampiro, con l’olfatto sviluppato, a anche per un umano è facile individuare l’odore di chi vomita. Poi c’è il segno al dito e infine una sorella veggente e un fratello che legge gli stati d’animo. Come se tutto questo non bastasse, c’è un padre medico e due lauree in medicina. C) Beh, è così… E’ la manifestazione più evidente, ecco perché adesso si usa vomitare anche con l’acqua e sale… D) Si, me l’hai detto… xD Ma ormai Bella si è arresa all’idea di odiarlo, fortunatamente! E) grazie, un bacio! :*

__TiTtA__ Mi piace molto il tuo modo di pensare. J Forse perché è così simile al mio! ^^ Sisi, la scena dell’ospedale, com’era nei miei piani, c’è… E poi io adoro tanto anche Carlisle, quindi non potevo non metterla! Sono contenta che tu abbia capito che Edward sapeva, significa che io ho fatto il mio compito come scrittrice e tu come lettrice! J Per quanto riguarda gli aggiornamenti, ti posso dire approssimatamene, ma non precisamente perché i capitoli li scrivo man mano e non ho idea di quanto tempo ci metto a scriverli! ^^ Quelli che lo fanno hanno i capitoli già pronti…

lory_lost_in_her_dreams Grazie! Si in effetti sto concentrando tutta la dolcezza possibile in questa storia! Edward sta già reagendo, anche se non si vede, non è evidente, ma lui pensa che questo modo d’agire sia più giusto e adatto per Bella…

Noemix Si mi sono abbrustolita! XD Emi sono presa anche una mezza insolazione! Ma adesso sono di nuovo integra con tutti i neuroni apposto! Senti Edward distante? Mmm… no, io olevo ottenere proprio l’effetto contrario. Tipo, quando lei lo abbraccia, Edward della Meyer si sarebbe scostato e basta. Qui lui rimane un po’ pietrificato però poi l’abbraccia. Quindi…

Dan A me Bella lunatica ricorda tanto ME! Perché io sono completamente, pazzamente, lunatica! XD Anche i tuoi gridolini impazziti mi piacciono, infondo anch’io faccio così! :P Come Alice?! Eheh, si, quando deve convincere Bella a farsi organizzare il matrimonio! XD Dagli da mangiare un po’ a quel criceto però! Io il mio l’ho guarito, l’ho portato da Carlisle e l’ho fatto curare… a dire la verità dopo voleva berselo, ma io gliel’ho impedito!

damaristich sisi, Edward lo sa già, ma non lo dirà a Bella. Aspetterà che sia lei a confessarglielo, capito?! E’ una cosa un po’ complessa, ma Edward si vuole muovere con cautela. J

Anija Oh, beh… Grazie. Sono contenta che ti piaccia! J

JessikinaCullen sisi, io entro sempre nel personaggio! ^^ Si, Edward ha chiesto ad Alice e a Jasper poi tieni conto che lui fa affidamento sui sensi extra dei vampiri e ha anche un padre medico, quindi… Per quando riguarda il suo comportamento in cucina, si, credo che anche lui non avrebbe detto nulla, pur non sapendo del problema di Bella. Infatti non è che non ha chiesto nulla perché lo sapeva già, ma perché in questo modo lei si sentirà libera di aprirsi con lui e magari di rivelargli i suoi problemi. Infatti non l’ha neppure invitata a mensa…

barbyemarco si, magari sarebbe un’idea! XD Ma forse è meglio che tu l’abbia letto in questo capitolo, altrimenti non sarebbe stato brutto un capitolo di 9 pagine e uno di 3? Così adesso abbiamo fatto 6 e 6 e tutto è apposto! ^^ XD Grazie di tutto…

Bella_Cullen_1987 questa storia non mi piace… -.- Edward mi difenderà fino alla morte, anche se io sono ancora umana, proprio come ha fatto con Bella! :P

Lau_twilight grazie! :D Si, in effetti anch’io adoro quando Edward è così dolce, per questo ho deciso di concentrare TUTTO questo suo lato in questa fic. Qui non c’è spazio per la freddezza, per il tormento, per l’angoscia. No. E’ solo Edward tenero, dolce, gentile, premuroso. Hhhh… Tutti i suoi lati positivi insomma!

IsAry Sono contenta che ti sia piaciuto, anche per me i capitoli teneri sono i miei preferiti! *.*

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Capitolo 7
*** Nuovo Arrivato ***


Tin tin tin tin tan

Tin tin tin tin tan. Tin tin tin tin tan.

Ascoltavo il rumoroso ticchettio della pioggia. Una goccia, superstite dell’ultimo acquazzone, continuava a cadere dalla finestra semi aperta. Mi dava un fastidio immenso, ma per questo l’avevo aperta.

Perché mi sentivo confortata. Sapevo che quella era la cosa sbagliata, come il dolore che stavo provando in quel momento, dopo essere appena uscita dal bagno, ma la volevo fare. Perché io non volevo cambiare e quello che era successo in presenza di Edward era stato un cambiamento. Non andava affatto bene.

Tin tin tin tinmaou

Maou? Sollevai il capo di scatto, attirata da quel suono insolito. Sull’enorme albero di fronte alla mia finestra c’era un gattino, col pelo pezzato, bianco, marroncino e caramello, mezzo affogato d’acqua.

Mi fissò negli occhi, con la sue iridi verde smeraldo. «Maou» fece, come se mi stesse chiedendo aiuto.

Mi sollevai in piedi, aprendo completamente la finestra.

«Micetto, scendi dall’albero…» lo chiamai.

Quello miagolò ancora, tremando. Aveva freddo il povero cucciolo.

«Vieni, vieni qui» lo chiamai ancora, ma non si mosse, continuando a miagolare. Allora cominciai a sbracciarmi, facendo segni con la mano e contemporaneamente chiamandolo, ma nulla, rimase immobile.

Ero tentata di richiudere la finestra e andare a farmi una doccia, ma quel gattino, solo, impaurito, sperduto, tremante. Mi ricordò tanto qualcuno che aveva bisogno d’aiuto.

Così scesi le scale di gran corsa presi il cartone del latte e ne versai un po’ in un piattino di plastica. Salii, attenta a non rovesciarlo e lo misi sul davanzale, porgendolo al micetto.

Quello si sporse, come ad osservare, poi si ritrasse un po’, starnutì, e miagolò. Mi rivolse uno sguardo strano.

«Vieni piccolo, vieni qui, c’è tanto buon latte».

Piano, timoroso, cominciò a muoversi sul ramo, posando e ritraendo la zampetta per trovare dei punti d’appoggio fino ad arrivare ad un metro da me. A quel punto mi sporsi e riuscii ad afferrarlo.

Ma persi l’equilibrio e rischiai di cadere di sotto con tutto il gatto.

Mi bilanciai nuovamente indietro aiutandomi con il braccio libero. Sospirai, rilassata per lo scampato pericolo.

Il micetto, stringendosi al mio petto, miagolò.

«L’abbiamo scampata bella, eh?».

Lo lasciai andare sul pavimento e gli misi accanto il piatto di latte.

Quello cadde, sedendosi sul sedere e starnutì.

«Sei un gatto proprio strano sai?» gli dissi mezza scioccata «I gatti di solito riescono a rimanere sulle quattro zampe».

Quello miagolò ancora, e si alzò sulle zampe. Barcollando come una papera si avvicinò con il muso al latte, lo annusò, bagnandosi i baffi. Scrollò la testa e mi fece ridere.

«Sei proprio buffo» dissi ridendo.

Quello si sedette ancora a terra con il sedere e miagolò.

«Bevi il latte» lo esortai «non ti piace?».

Mi fissò negli occhi, osservandomi.

«No, non ti piace, ho capito».

Persi il micetto in braccio e quello si accoccolò sul mio petto senza contestare. Con l’altra mano presi il piattino e mi diressi al piano di sotto. Posai il piattino sul ripiano della cucina, presi una notevole quantità di carta da cucina e mi diressi in bagno. Dapprima tentai di asciugarlo, ma il pelo lungo rimaneva bagnato. Ora che ci facevo caso, era davvero piccolissimo e il suo pelo somigliava più a una peluria morbida.

A un certo punto mi resi conto che ero sporco di fango e decisi di lavarlo. Misi una vaschetta nella doccia e feci scendere un’abbondante dose d’acqua. Poi presi il gattino e lo immersi dentro. Ciò che mi stupì e che non si lamentò affatto. Sembrava quasi gli piacesse l’acqua calda.

Cominciai a strofinarlo. Il pelo lungo dava l’impressione che fosse più grande, invece era ancora più piccolo.

Miagolò.

Presi del sapone, attenta a non farlo andare negli occhi del gattino. Poi lo cacciai dalla vaschetta, e lo misi sul pavimento dove avevo sistemato la carta e cominciai ad asciugarlo con il phon.

Avevo quasi paura che volasse via quando il getto caldo lo investì, considerando come si sbilanciò indietro, ma poi cadde a pancia in su e lo asciugai anche lì, ridendo.

«Sai micetto, sei proprio bello… Ma mi sa che non ti posso tenere» miagolò «e no, sei di qualcuno?» cercai una possibile piastrina che mi fosse sfuggita all’attenzione o un cip o un tatuaggio sotto l’orecchio, ma non trovai nulla. Sospirai «Beh, non ti posso tenere comunque».

Quello miagolò, quasi dispiaciuto.

Lo presi ancora in braccio e lo portai in cucina.

Già, anche a me stava simpatico. Era buffo, e non aveva nulla a che fare con gli altri gatti. Non aveva senso dell’equilibrio, non gli piaceva il latte e non si lamentava quando faceva il bagno. Un gatto decisamente anormale insomma. E soprattutto, con quegli occhi verdi grandi, e quell’aria mezza affogata… mi sembrava tanto bisognoso d’aiuto.

Ma non avrei mai potuto tenerlo, Charlie non me l’avrebbe sicuramente permesso. Avrei sempre voluto avere un animale domestico, ma mia madre Reneè era allergica al pelo e quindi… Ora la casa era piccola. Certo, avrei potuto tenerlo con cura dentro casa ma… No, era impossibile.

Avrei dovuto affiggere degli avvisi con la foto del gatto in modo che lo ritrovassero.

Mentre cercavo nel frigo qualcosa da mangiare per il micetto, notai che si allungava sul bancone della cucina, annusando il latte che avevo depositato prima. Allora lo poggiai a terra, ma quello fece come prima, lo annusò e si scrollò i baffi. Presi il piattino e lo misi nel microonde poi lo riposi al gattino. Quello ripeté la stessa scena di prima.

«Micetto, che devo fare con te?» Gli chiesi osservandolo, piegata sulle ginocchia.

Lui mi osservò e miagolò gemente.

Misi il dito nel latte e glielo avvicinai al muso.

Quello allora si avvicinò ad annusare e cominciò a leccare, facendomi il solletico. Allora capii, non era ancora svezzato, forse avrei dovuto procurarmi un biberon… No, sarebbe stato inutile, presto l’avrei ridato indietro.

In quel momento bussarono alla porta, così andai ad aprire.

Un ragazzo alto con gli occhiali e le spalle leggermente ricurve mi sorrideva.

«Scusa, ho perso un gattino e mi chiedevo se…».

Proprio in quel momento, fra i miei piedi fece la comparsa il gattino, miagolando.

«Oh, si, è proprio lui!».

Arrossii, imbarazzata. «Si, l’ho trovato qualche ora fa su un albero. Ho cercato targhette e cip, ma non ne ho trovati, scusami, volevo fare dei volantini…».

Ora che gli avevo ritrovato il padrone mi dispiaceva enormemente separarmene. Si stava strusciando fra i miei piedi, facendomi il solletico. Poi si allungò sulla mia gamba, chiamandomi, così lo presi in braccio, sorridendogli.

Il ragazzo di fronte a me mi fissò sbigottito, arricciando le folte sopracciglia. «C…come hai fatto? Non sono mai riuscito a prenderla in braccio».

Sorrisi mesta. «E’ una femminuccia?». La gattina mi leccò la guancia, facendomi ridere.

Lui annuii. «Si, è nata tre settimane fa. Beh, in effetti questa gattina non è proprio mia…» il ragazzo si contorse le mani, arricciando la bocca «è che la madre è morta, quindi la dovrei dar via ma non so proprio a chi…».

Proprio in quel momento nel vialetto parcheggiò l’auto della polizia. Mio padre scese dalla macchina e mi fissò in modo strano, nuovamente indagatore.

«Bells, di chi è quel gattino?» mi chiese tranquillo, venendomi accanto, mentre la gatta mi leccava e mordicchiava la punta della dita.

«Capo Swan» lo salutò il ragazzo. «Sua figlia ha ritrovato il gattino ma io… non so proprio a chi darlo e a sua figlia sembra così affezionata…».

Mi padre mi rivolse un’altra occhiata indagatrice, corrugò la fronte, si lisciò il mento. Passò qualche istante di silenzio poi mi chiese «Lo vuoi tenere?».

Rimasi sbigottita. «Posso?» chiesi con gli occhi sgranati.

Lui mi sorrise. «A condizione che ti occupi totalmente di lui, io non ne voglio sapere!».

«Grazie papà!» dissi, saltellando di gioia.

Lui arrossì e entrò dentro casa borbottando qualcosa, imbarazzato.

«Bene, direi che allora è tutto apposto» disse il ragazzo di fronte a me, con l’aria soddisfatta di chi si è tolto di mezzo un impiccio.

«Sicuro che per te non è un problema?» chiesi gridando visto che se ne stava già andando di gran passo per il vialetto.

Mi salutò con la mano e io ricambiai, tenendomi stretta il gatto, anzi, la gatta con l’altra.

Poi sorridendo mi incamminai in casa.

«Bells, io sto andando a la Push…» disse imbarazzato mio padre. «Forse… non ti dovrei lasciare sola, ultimamente…».

Gli sorrisi, lasciando andare il gatto, che atterrò nuovamente di sedere sul pavimento. «Non ti preoccupare, sta per arrivare Edward». Nonostante tutto, non mi ero per nulla dimenticata di quell’impegno che mi faceva sorridere anche solo pensandoci.

Mio padre si accigliò, fissandomi sarcastico «Appunto, ultimamente…».

Io arrossii terribilmente.

Lui lasciò cadere il discorso lì predendo le sue cose e avviandosi alla porta. «Ciao Bells, divertiti, mi raccomando…».

Io annuii a vuoto, incapace di proferire parola. La gattina mi chiamò.

Esitante, mi avviai verso il frigo e cominciai a mangiare di tutto, senza freni, sentendomi nuovamente libera. Poi corsi in bagno e vomitai, scivolando poi sul pavimento, ansante.  Sentivo nuovamente dolore alla pancia, ma non me ne curai per un po’. Il dolore era confortevole, mi faceva sentire quasi protetta, ero… abituata. Mi stupii di quella mia stessa conclusione. Avevo vissuto mesi nel dolore, senza neppure rendermi conto di provarlo, e poi… poi era arrivato Edward, e la consapevolezza di me stessa mi aveva sopraffatta e così anche il dolore.

Mi sentii chiamare dal gattino e così il fastidio per il dolore ritornò. Stava accanto alla mia faccia, esitante.

«Scusa micio» gemetti, stringendomi la pancia e mettendomi seduta. Ma il dolore non accennava a diminuire.

La gattina cominciò a leccarmi le dita delle mani.

Mi sollevai dal pavimento e andai in cucina, dove presi un antiacido di mio padre.

Poi suonarono alla porta. Mi sollevai a fatica dalla sedia su cui mi ero accoccolata, sospirando e tentando di darmi un contegno.

Andai ad aprire. Edward mi fissava sorridente.

«Ciao Edward!» tentai di metterci tutto l’entusiasmo che realmente provavo.

Tuttavia non dovetti riuscirci granché, perché mi chiese «Qualcosa non va?».

«No no, tutto apposto…» ma non feci in tempo a rispondere che sentii miagolare e la gattina mi saltò in braccio.

Poi, inaspettatamente, si voltò verso Edward e alzò il pelo, sfoderando gli artigli e tentando in qualche modo di ringhiare. Era davvero buffa.

Mi chiesi il perchè di quella reazione e, lisciandole il pelo provai a calmarla. «Micettina, che hai?» feci a Edward cenno di entrare con una mano e cullandola la portai in cucina.

«Hai preso una gattina?» mi chiese Edward, curioso.

«Si, ti piace? E’ così bella… E’ anche buffa sai? Adora l’acqua, le piace essere coccolata, non ha senso dell’equilibrio, ed è tanto bisognosa d’aiuto!» dissi amabilmente. Adesso la gattina si era accoccolata e faceva le fusa.

«Come te allora».

Mi voltai di scatto verso Edward.

Parve in imbarazzo. «Intendevo… per l’equilibrio».

Decisi di non badarci e mi ricordai di una cosa. «Ho bisogno di andare a comprare un biberon».

Lui inarcò le sopracciglia.

«Per la micetta» spiegai «non è ancora svezzata…».

«Oh, va bene, andiamo con la mia macchina?» mi chiese, mantenendo comunque le distanze.

«Mmm…» esitai titubante «e la gattina? Mica la posso lasciare sola…».

«Portiamola con noi» disse lui.

«Scherzi? In macchina? E se per caso rimane traumatizzata?» esclamai sconvolta.

Mi sembrava che lui stesse tentando di reprimere una risata. «Non ti preoccupare, non accadrà. Se vengono abituati da piccoli i gatti non hanno paura delle auto e poi hai detto che questo non ha senso dell’equilibrio…».

Alla fine riuscì a convincermi e ci ritrovammo di fronte al negozio di articoli per animali domestici. La gattina era rimasta stranamente tranquilla durante il viaggio in auto, fortunatamente.

Comprai il biberon, la lettiera e dei croccantini per quando si fosse fatta più grande.

Poi Edward richiamò la mia attenzione, a qualche scaffale di distanza. «Guarda» mi disse «non è bellissima?».

Lo raggiunsi e osservai una cuccetta per gatti, di vimini, rivestita all’interno da un cuscino bianco e con tanto merletti. A sovrastarla una bellissima tenda di tulle.

«Si, hai ragione…Bellissima».

Anche la gattina miagolò in assenso.

«Ok, prendiamola» disse Edward, afferrandola.

Non volle sentire ragioni e pagò lui tutto quanto. Non potevo oppormi, ma decisi che un giorno o l’altro gli avrei fatto un regalo.

Mentre Edward metteva tutti i pacchetti nella sua auto io mi misi a sedere con la gattina in grembo, accarezzandola. A un certo punto mi resi conto che non si muoveva più e chiamai Edward spaventata.

«Edward! Edward!».

«Che c’è?» mi chiese ansioso, comparendomi accanto e aprendo la portiera.

Osservai la gattina immobile, terrorizzata, poi mi voltai verso Edward, che mi stava guardando preoccupato. «Non si muove» dissi sgomenta.

Lui sospirò, abbassando le spalle e rilassandosi. Si avvicinò al gattino, lo tastò e disse «Sta solo dormendo».

«Povera piccola, era stremata…». La accarezzai.

In breve arrivammo a casa e io sistemai tutte le cose nei loro rispettivi posti, mettendo la cuccetta della gatta in camera mia, con la gattina adagiata sul cuscino.

Edward si aprì in un sorriso quando entrò in camera mia. «E così questa è la tua camera…».

«Si» dissi arrossendo e sedendomi atterra accanto alla cuccetta.

Gli feci segno di sedersi di fronte a me, e così lui fece, con un movimento fluido e elegante.

«Dovresti trovarle un nome» mi disse Edward.

«Oh, è vero, non ci avevo pensato…». Tentai di scorrere il pensiero fra alcuni possibili nomi. «Tu che dici?» chiesi poi.

«Io?» disse lui, sorpreso che glielo stessi chiedendo.

«Certo tu…».

«Non sono bravo in questo genere di cose…».

«Oh, perché io si? Ti devo ricordare l’ultimo film che ho scelto…».

«No no, per carità» disse lui e poi scoppiammo a ridere.

A quel punto mi venne in mente una cosa «Come hai detto che si chiama tua sorella?».

«Rosalie?» chiese lui «Alice?».

«Si, Alice…Ma ora che ci penso non credo sarebbe contenta di cedere il suo nome a un gatto… E’ quella con i capelli neri e bassina, giusto?».

Mi sorrise. «Si, il folletto».

Sorrisi anch’io per quel nomignolo. Le calzava a pennello. «Sembra simpatica, dovrai presentarmela un giorno o l’altro».

Lui rise. «Sai, anche lei sembra ansiosa di conoscerti…».

«Chissà che nome…» fantasticai, intrecciando quasi inconsapevolmente le mie dita a quelle di Edward.

A quel punto la gattina si svegliò, stiracchiandosi nella cuccia, miagolando e venendomi in braccio. Quando si rese conto della vicinanza con Edward però, ebbe la stessa reazione della prima volta che l’aveva vista. Si gonfiò tutta, e corse via. Questa volta però mi graffiò la mano, facendo cadere due gocce di sangue da una minuscola ferita. Posai lo sguardo sulla gattina tremante, per distrarmi dall’odore del sangue.

«Oh, mi ha graffiata… Chissà perché, è sempre stata così buona. Forse gli stai antipatico» dissi per scherzare, risollevando lo sguardo su Edward.

Lui stava rigido di fronte a me, immobile e più pallido del solito. Gli occhi erano sgranati e neri, come se avesse avuto le pupille completamente dilatate. Mi sembrava che non stesse respirando. Un brivido mi attraversò la schiena.

«E…Edward… s…stavo scherzando».

Lui non si mosse. Allora seguii la direzione del suo sguardo, fino ad incontrare la piccola ferita.

«Oh, scusami» dissi, alzandomi in piedi. «Me l’avevi detto di essere sensibile al sangue, scusa, me ne ero dimenticata».

Uscii dalla stanza, ma Edward non mi seguì. Allora andai in bagno e mi lavai la ferita. La gattina mi raggiunse dopo pochi istanti, appena riuscì a scendere tutte le scale senza ruzzolare di sotto.

La ferita aveva già smesso di sanguinare e non appena misi la mano sotto il getto d’acqua le gocce che erano uscite furono lavate via. Allora Edward comparve misteriosamente al mio fianco.

«Edward, come stai?» chiesi trafficando nella cassetta di pronto-soccorso per trovare un cerotto.

«Scusami» sospirò, avvicinandosi e esaminando la mia ferita «questa domanda avrei dovuto fartela io…».

«Non è nulla Edward, davvero, solo due gocce…».

Lui non sembrò quasi badare alle mie parole e prese il disinfettante e un pezzetto di cotone idrofilo. «Rischia di infettarsi» mi spiegò «quando hai fatto l’ultima volta l’antitetanica?».

Tremai di paura, pensando all’ago. «Sono coperta!» dissi in fetta.

Lui ridacchiò.

«Che c’è?».

Rise ancora. «Dovevi edere la tua faccia, sei sbiancata!» se la rise ancora un po’ «Sono coperta!» disse piegandosi in due dalle risate.

Dapprima incrociai le braccia al petto, fingendomi offesa, poi, mi unii a lui.

«Hai paura degli aghi?» mi chiese curioso non appena riprese fiato.

Arrossii imbarazzata. «Già…» ammisi.

Lui ridacchiò ancora.

Poi la micetta reclamò l’attenzione.

«Minush» decretò Edward, osservandola e beccandosi un altro ringhio.

Mi voltai verso di lui, soddisfatta. «Mi piace!», poi mi rivolsi alla gattina, chiamandola. «Minush».

«Maou» mi rispose quella.

«Beh, direi che piace anche a lei!» dissi contenta.

Tuttavia il gattino miagolò ancora e ancora e ancora.

«Che ha?» chiesi rivolgendomi a Edward.

Lui scrollò le spalle «Credo abbia fame».

«Oh!» esclamai.

Preparammo il latte, riscaldato, poi ci sistemammo sul divano nel salotto.

Presi in braccio Minush e cominciai a farla bere. Sembrava proprio un neonato, ciucciava e apriva e richiudeva le zampe sul biberon.

Appoggiai il capo sulla spalla di Edward, che mi strinse a se accarezzandomi i capelli. Non so descrivere la sensazione di immensa pace che provai. La calma s’infuse in me come un balsamo che lava via ogni ferita.

«Vuoi provare tu?» gli chiesi, indicandogli la gattina.

«Oh, no, no, mi sa che avevi ragione tu, non le sto molto simpatico…» scherzò.

Mi sembrò quasi che la gattina lo fissasse truce.

«Hai ragione, chissà perché… A me sei così simpatico…» pensai ad alta voce.

«Grazie» disse lui, aggiungendo «tu sei molto più che simpatica, sei speciale…».

A quel punto arrossii.

Minush aveva finito tutto il latte, e mi si era accoccolata in grembo. Sbadigliò, e io con lei, socchiudendo gli occhi e riappoggiandomi con il capo alla spalla di Edward.

«Hai sonno?» mi chiese, osservandomi.

Annuii, senza riaprire gli occhi.

A quel punto mi sentii sollevare da terra, e mi ritrovai fra le braccia di Edward, che mi portava al piano di sopra.

«Edward, lasciami!» gridai «sono pesante!».

Anche Minush, fra le mie braccia, miagolò.

Lui rise e non badò alle mie proteste, portandomi in camera mia.

A quel punto risi anch’io.

 

 

Ok, eccomi qui… Scusate per questi ultimi due capitoli un po’ di pausa, ma direi che già nel prossimo succederanno un po’di macelli, beh forse non nel prossimo, ma in quello dopo… non so… Eheh…

Lo so che vi ho un po’ scocciato, infatti ho notato che l’attenzione è un po’ diminuita, ma poco poco, ok sono io che sono melodrammatica, ma spero che con il prossimo mi farò perdonare, in tutti i casi.

 

Ho notato con piacere che alcuni di voi l’hanno capito. In effetti, le domande di Carlisle non erano affatto casuali, ma premeditate e ben pensate! Diciamo che si era messo d’accordo con Edward. Un’altra cosa. Non so… Forse non l’avete notato… Ma con 46 kg si è sottopeso con l’altezza di Bella. Non è una magrezza mostruosa, ma è sottopeso e con la bulimia il peso può o rimanere fisso o oscillare molto velocemente.

Mmm… ah si, in questo capitolo si dovrebbe essere notato. Bella non ha nessuna intenzione di cambiare, ma proprio nessuna ancora!

Ah, il tempo sta passando un po’ così… cioè questo non è il giorno dopo dell’altro, è un giorno indefinito… ok… sto dicendo cose stupide che neppure dovrei dire…

Ciao…

Fatevi sentire…

Peace and Love…

 

Ps. Il gatto è vero! Cioè, era il mio gatto, ed era fatto esattamente così… ^^ Equilibrio e affettuosità compresi e anche la cosa dello svezzamento…

 

azaz Va bene va bene, diciamo che ti è caduto l’occhio… XD Subissata di impegni? Ma cosa mi racconti?! No no, d’estate non si può essere subissate di impegni, bisogna essere libere, godersi le vacanze e leggere le mie storie! XD No no dai, scherzo… Beh, si Eddino è tanto dolce e procede spedito nella sua opera “salviamo la Bella in via d’estinzione della penisola Olimpia”. XD Già, in effetti direi che il tuo potere speciale sensitivo è ritornato, perché nella visita con Carlisle era proprio quello che volevo far notare! Cara!!! Che bello che mi capisci sempre alla perfezione!!! Si si in effetti fra un po’ si agirà in quel senso… beh, fra un bel po’… c’è ancora qualche capitolo prima… Il film horror ti è piaciuto vero?! Muahahah… Beh, in effetti essere consolate da Edward è decisamente il massimo!!! J Per questo l’ho messo, perché stavo guardando un film horror e mi sono detta “se adesso ci fosse Eddy” e ding, mi si è accesa la lampadina! J

luisina Già, io praticamente non saprei come fare senza Carlisle, se non ci fosse Edward il mio preferito sarebbe senza dubbio lui, lo adoro praticamente, ma penso si sia notato, vero?! Ho tentato di renderlo “medico” in tutti i sensi, quindi molto professionale, infatti la questione della lecca-lecca avrei voluto evitarla… XD Si, è stata Alice e anche Jasper, le due lauree in medicina e i super sensi di vampiro! Direi che hanno collaborato tutti quanti… Qualcosa sta cambiando in lei… mmm… forse, ma non credo che la ripresa sarà così facile come sembra…

lilly95lilly Grazie mille. No, Jacob non comparirà, non lo sopporto, mi farebbe esplodere la testa per scrivere una storia in cui c’è anche lui… No no, per carità, mi basta quello che ho già scritto su di lui. Grazie di tutti i complimenti e in effetti si, mi hanno già informata degli errori d’ortografia, penso che dovrò andare indietro a correggere. Spero che questa storia abbia nobili scopi, ma anche se così non fosse, spero che sia una lettura piacevole. Ciao, Francesca.

__TiTtA__ Si!!! Brava brava, hai indovinato perfettamente. Edward si è messo d’accordo con Carlisle per farle le domande e per capire meglio la sua malattia… che non è facile né da individuare né da catalogare perché ci sono così tante differenze da un caso all’altro…

IsAry Brava! Sei la 4° che ha capito che le domande di Charlie non erano casuali… vi sto contando per capire quanto sono brava io a farvelo capire e quanto siete perspicaci voi a capirlo!

lady cat come tonto??! Povero Charlie… XD Si, anche Carlisle ovviamente sa, perché si è messo d’accordo con Edward per farle tutte le domande, ecc… quindi…

mazza A) Si, in effetti non è tanto romantico, ma funzionale direi! ^^ B) Diciamo che Edward aveva in mente solo due spauriti occhi marroni che lo fissavano C) E chi non ci proverebbe! xD D) Eh già… xD Però mica potevo farlo andare via, giusto?! E) XD XD Si, direi che c’entra l’ammirazione per il suo mestiere, ma c’entra anche che è un gran pezzo di… emm *colpetti di tosse* F) ehh si… la sincerità tarderà ancora un bel po’ ad arrivare… G) Invece io si… ma a me non dà fastidio, invece certe persone non lo sopportano… chissà perché… H) Brava brava! Sei la 3° ad averlo capito! I) su quello di Bella sono sicura, quello di Edward l’ho inventato! J) Tu pesi 43 kg?! O.O piccoletta, mi preoccupi… K) XD divertente vero?! XD L) Già… vorrei essere IO l’asciugamano! M) Già, pratica comune comunque… N) Già! ^^ A Edward gli fa un baffo! XD Non ti preoccupare x la lunghezza, visto quante cose ti ho scritto?! Oddio… XD

ale03 si bravissima! Sei la seconda che ha capito che le domande di Carlisle non erano poste a caso! Menomale che c’è qualcuno che mi comprende ogni tanto… J Brava brava, complimenti! ^^

barbyemarco XD grazie mille… dai la prossima volta ne scrivo uno più lungo… ;)

cullengirl eheh, il film di paura non era proprio the others, però era parecchio ispirato! Perché in pratica è l’unico film di paura che ho visto… diciamo che non è proprio il mio genere l’horror! XD In effetti si, quello era l’intento di Edward, distrarla, ma non stupirti, è una pratica comunque che suggeriscono gli psicologi…

daniciao grazie mille! Si, in effetti in questa storia ho tolto un po’ di tocco fantasy! ^^ Spero continuerai a seguirmi, ciao!

Noemix Ciao Noe! Grazie! Io adoro la medicina, già mi vedo in giro per i corridoi con il camice… Pensa che la cosa che mi piace di più quando scrivo il capitolo è proprio documentarmi… Poi guardo sempre le medical division e sto sempre attenta quando si parla a casa di medicina con annessi e connessi… J 

JessikinaCullen si, anch’io adoro Carlisle, dopo Edward è il mio preferito, si vede no?! Brava! Sei stata la prima che ha capito che le domande di Carlisle non erano fatte a caso! Brava brava… E’ vero, Bella ha fatto un piccolissimo passo avanti, ma ora tutto è già tornato come prima. Non illudiamoci, queste non sono cose che cambiano dall’oggi al domani, sarà tutto molto più graduale…

Miky1991 Grazie mille, che bella recensione! ^^ Si, in effetti in questa fan fiction ha concentrato tutto il carattere dolce e premuroso di Edward, e tutto quello fragile di Bella! Tu dici che lei sta per guarire? Credimi, per il passo avanti che ha fatto ce ne saranno molti indietro… La strada non è affatto così facile come sembra! Ma con l’aiuto di Edward… beh, io dico che se la caverà…

ellylovestwilight Grazie!!! Si, in effetti ho deciso di concentrare tutte le caratteristiche positive di Edward in questa ff, ma spero di non creare una Mary Sue, anche perché più avanti il nostro Edward commetterà un bell’errore…Si, ma sa che purtroppo il dolore aumenterà, ma non fasciamoci la testa rima di essercela rotta! J

Dan Allora è un criceto grasso! XD Portalo da me il giorno della cuccagna! J Ci penso io a dargli qualche morsetto! Sisi, Edward ci sta andando per il sottile adesso, ovviamente poi ci sarà la svolta fra un po’… Bella non lo può baciare! Ancora deve capire di amarlo, figurati…

BellaJey grazie! Scusami se non ti ho risposto all’altra recensione, ma non ho fatto a tempo, scusami! Cmq, grazie, si Edward è dolcissimo! *.*

Bella_Cullen_1987 Edward è mio… grr… sono pronta a difenderlo con le unghie, con i denti e anche con il sangue!!! Muahahah!

Lau_twilight grazie cara! Si, anche a me piace l’Edward dolce e premuroso, infatti in questa fic vedrai solo questo! Certo, ci sono altre cose negative, tipo una Bella davvero fragile e in difficoltà, ma con un po’ di carta e colla vinilica tutto si sistema! Oddio che sto dicendo… Scusami, sarà il caldo!

 

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Capitolo 8
*** Ricordi ***


«Bella

«Bella!» mi sentii chiamare appena scesa dal pick-up.

Mi voltai fino a fissare Edward che mi veniva incontro, in tutta la sua radiosa bellezza d’un sorriso. Da quando l’avevo conosciuto, causa assidua frequentazione con lui, ero stata costretta a cambiare leggermente le mie abitudini. Non potevo più avere gli stessi orari e metodi, ma ne avevo trovati altri che calzavano a pennello con gli incontri con Edward e che mi premettevano di non cambiare le mie abitudini alimentari.

«Ciao Edward» lo salutai leggermente sottotono.

Lui ridacchiò, mettendomi una mano sotto il mento e facendomi sollevare lo sguardo che nel frattempo si era concentrato su una lastra di ghiaccio ai miei piedi. «Sei in pensiero per Minush, vero?».

Feci un mezzo sorriso. Come al solito mi capiva perfettamente. «Già» biascicai.

«Non ti preoccupare, vedrai che starà bene, è un gattino in gamba se la sa cavare da solo».

Lo guardai fisso negli occhi, esprimendogli la mia preoccupazione. «No invece, le devo dare da mangiare io, e stamattina le ho fatto fare colazione, ma sono in pensiero per il pranzo, le ho lasciato una ciotola di latte ma non ce la fa a berlo da sola, insomma, ci è riuscita solo cinque volte! E se per caso si affoga?!» il ritmo delle mie parole si era fatto sempre più incalzante e agitato. Ero preoccupata per la gattina, ero preoccupata per quello che mangiava. Di solito la facevo mangiare e lei mi faceva compagnia mentre mangiavo, era una cosa che mi faceva piacere, il fatto di non dovermi nascondere davanti a lei. Tra di noi si era creato un ottimo rapporto. A differenza di quello che aveva con Edward, che sembrava non sopportare…

«Bella» mi chiamò lui, interrompendo il flusso dei miei pensieri. «Starà bene, quella gattina è in gamba, se la caverà. E poi i gatti hanno abitudini diverse dalle nostre, non devono per forza mangiare in orari prefissati».

Le sue parole, e il tono dolce con cui le disse, mi rincuorarono. «Già, forse hai ragione Edward» gli dissi abbracciandolo.

Lui rispose all’abbraccio contento. Mi sembrava che gli piacesse quando lo chiamavo per nome. Dopo un po’ si staccò da me, prendendomi per mano per guidarmi all’interno dell’edifico scolastico. Ad un certo punto si fermò. «Guarda» mi disse, indicando un manifesto color rosa antico «domani c’è il ballo scolastico, forse non potremmo andare a fare la nostra gita nei boschi…».

«Oh, no!» esclamai. «Andiamo, andiamo pure a fare la gita!», poi mi resi conto della sua faccia sbigottita «sempre che tu, ecco… non voglia andare al… al ballo con… con qualcuna…» balbettai abbassando lo sguardo e prendendomela con me stessa per il desiderio di possessione che stavo nutrendo nei suoi confronti.

Lui scoppiò in una risata cristallina, che mi fece alzare lo sguardo verso il suo viso. «Sembra…» cominciò, quando riuscì nuovamente a parlare «Sembra che tu odi i balli ancor più delle gite nei boschi!».

Arrossii terribilmente. «Beh si… con i miei problemi di equilibrio… e poi non saprei con chi andarci» ammisi, imbarazzata.

Lui sollevò un sopracciglio «Pare che metà della scuola ti stia facendo la corte».

Sbiancai «C…cosa?». Non avevo notato nessuna attenzione particolare, né la volevo, e mi auguravo che non sarebbe mai arrivata. «Io non… non voglio… non ci voglio… non… non voglio… nessuno…» balbettai e sentii il mio fiato farsi sempre più corto.

Sentii due mani fredde sulle spalle. «Ehi Bella, calma, calmati. Non è niente, okay?» mi disse serio Edward, guardandomi negli occhi.

Io annuii, specchiandomi nel suo sguardo dorato e riprendendo a respirare normalmente.

«Vieni qui» mi disse, abbracciandomi.

Inspirai il suo odore dolce sul suo petto.

«Non permetterò a nessuno di avvicinarsi, ti proteggerò io, al costo di portarti io stesso al ballo» mi promise, in tono leggermente divertito.

Mi strinsi maggiormente a lui. «Grazie Edward».

Mi baciò la fronte e mi prese nuovamente per mano. «Vieni, andiamo, o arriveremo in ritardo».

Le ore trascorsero tranquille, e come sempre ora mangiavo prima della mensa, di nascosto, per poi potermi sedere al tavolo più lontano insieme a Edward, a chiacchierare.

Anche biologia passò in fretta, e il professore ci ricordò la scadenza della consegna della relazione, fissata per lunedì. Sabato avremmo fatto la nostra gita e girato il filmato e scattato le foto da usare come materiale integrativo. Non volevo ammetterlo neppure a me stessa, ma ero ansiosa che arrivasse l’indomani.

Edward ripose i suoi libri e si voltò verso di me. «Bella, i miei fratelli mi stanno aspettando, mi devono dire qualcosa» il tono in cui lo disse, e la ruga di serietà che aveva in fronte mi sembrarono alquanto sospetti.

Sulla soglia dell’aula vidi tutti i figli della famiglia Cullen. Avevano tutti espressioni neutre, forse un po’ crucciate. Quando incrociai lo sguardo di Alice, quella che Edward chiamava “il folletto” mi rivolse un sorriso.  Buffo. Lo restituii timidamente, allora Edward si volse a guardarla.

Poi, prima che il mio sguardo si posasse sull’unica persona che non avevo ancora osservato attentamente, Rosalie, Edward mi si piazzò dinanzi, impedendomi la visuale. «Farò un po’ tardi in palestra, ci vediamo lì, va bene?».

Un po’ spiazzata annuii comunque, riconcentrandomi con lo sguardo sul suo volto. «Si si okay, va pure».

Lui mi sorrise, prese la sua borsa e uscì dall’aula.

Rimasi un attimo ferma. Ero sola. Sentii un brivido lungo la schiena: che sensazione spiacevole! Eppure non desideravo alcuna compagnia, né mai l’avevo desiderata, a parte… beh, a parte Edward, ovvio.

Presi un grosso respiro e con lo zaino in spalla mi avviai verso gli spogliatoi femminili. In un attimo fui affiancata da Mike e Tyler, che camminavano ciascuno su ogni mio lato.

«Ehi Bella» mi salutarono all’unisono, per poi scambiarsi un’occhiataccia.

«Ragazzi» dissi, mordicchiandomi il labbro e abbassando lo sguardo.

Camminammo in silenzio, rotto solo dal rumore dei nostri passi. I miei si facevano sempre più veloci e sfuggevoli. Ero in completo panico e imbarazzo, e sentivo l’aria carica di tensione.  Giungemmo nel corridoio con i porticati, che dava sul cortile, dove gruppetti di ragazzi chiacchieravano qua e là.

«Allora Bella…» iniziò Mike, richiamando la mia attenzione su di sé.

«Si?» dissi, voltandomi verso di lui.

A quel punto intervenne Tyler «Niente Bella, non lo ascoltare, senti piuttosto…».

«No, non ascoltare lui» replicò l’altro, facendomi voltare nuovamente «Senti…».

«No senti me!» esclamò Tyler, prendendomi la faccia con una mano per girarmi.

Rabbrividii a quel contatto.

«Vieni al ballo con me» più che una domanda, più che una proposta, suonava come un’affermazione.

Venni presa alla sprovvista. «Io…» balbettai.

«Bene, allora è deciso» disse lui, illuminandosi.

Mike mi prese per il busto e mi strattonò verso di lui. Me ne stavo immobile tra le sue braccia, angosciata, preoccupata. «Non è deciso proprio niente, non ti ha detto di si».

«Lei verrà al ballo con me», replicò l’altro, prendendomi per un polso.

«Ma, io…» riuscii a farfugliare ancora.

«Invece no,» replicò Mike, strattonandomi ancora e facendo aumentare la presa del rivale sul mio polso. «Lei verrà con me…».

«Ragazzi io… veramente…».

Iniziarono a tirarmi dalle due parti opposte, scambiandosi insulti. Non ci capivo più  nulla, tutto era così veloce, agitato, tentavo di dirgli che non ci sarei affatto andata al ballo, e che quel litigio non aveva motivo, ma loro non mi ascoltavano e gli strattoni si facevano sempre più forti.

«Le verrà con me».

«No, gliel’ho chiesto prima io».

«Ma glielo stavo chiedendo prima io».

«L…lasciatemi…» mormorai, quando iniziai a farmi male.

Ma loro non mi ascoltavano, il volume delle loro voci cresceva sempre più e il tono si faceva più aspro.

«Basta, lasciala a me!» gridò Mike, sollevandomi da terra per il busto.

«No, mai» disse l’altro, stringendo la presa e torcendomi il braccio per tirarmi dalla sua parte.

«Ahh!» urlai, quando sentii un sonoro crack al polso, seguito da un dolore acuto.

«Lasciatela» ringhiò una voce nota, melodiosa.

Silenzio. Mike e Tyler abbandonarono contemporaneamente la presa e io crollai a terra, raggomitolandomi su me stessa, mentre mi tenevo il polso con l’altra mano, gemendo di dolore. Mi sentivo ignorata, calpestata, angosciata, incompresa. Perché non mi avevano ascoltata, perché?! Tutto intorno a me si era creata una piccola folla di curiosi che mi fissavano immobili nelle loro posizioni. Ricambiai i loro sguardi con occhi terrorizzati. Perché nessuno mi aiutava?

Poi, un volto angosciato comparve tra la folla, più vicino degli altri. Edward. Mi accorsi che era inginocchiato accanto a me, preoccupato. Sollevandomi leggermente sulle gambe malferme mi lanciai immediatamente fra le sue braccia. Scoppiai in lacrime, stretta nel suo abbraccio.

Edward sollevò leggermente la testa, rivolgendosi ai due ragazzini, che se ne stavano immobili, pallidi, assistendo impauriti alla scena. «Siete due idioti! Guardate cosa le avete fatto! Le avete rotto il polso!» il tono basso di Edward sembrava estremamente minaccioso «Stupidi».

«Ma insomma, com’è possibile…» sussurrò Tyler sgomento «Non si può essere rotto…».

«Invece si» mi sembrò che dal suo petto provenisse un suono basso simile a quello che faceva Minush quando ringhiava, ma molto più potente «mai sentito parlare del concetto di “fragile”?! Siete stati a bisticciare su chi dovesse accompagnarla al ballo, ma se l’aveste ascoltata vi sareste resi conto che lei non ci voleva affatto venire, con nessuno di voi due!».

«Allora verrà con te?» chiese Mike, leggermente più spavaldo.

«Idiota» ringhiò ancora Edward.

«Io…Io non ci voglio andare al ballo… Non ci voglio andare… Non ci voglio andare al ballo… No…» singhiozzai sconnessamente.

Sentii la presa di Edward farsi più forte, mentre mi accarezzava i capelli. «Shh shh, nessuno ti costringerà,» mi scostò dal suo petto per guardarmi negli occhi arrossati di lacrime «vieni qui Bella, andiamo via da questo posto, va bene?» mi disse in tono gentile, totalmente diverso da quello che aveva usato poco prima.

Con la coda dell’occhio vidi che tutti mi stavano osservando così annuii vigorosamente, gettandomi nuovamente sul suo petto e continuando a singhiozzare.

Lui mi prese fra le sue braccia e mi condusse nel cortile. Si sedette sul muretto e mi fece sedere sulle sue ginocchia, continuando a cullarmi. «Bella, piccola» mi asciugò le lacrime, sfregandomi le guance con i pollici «mi fai vedere cos’hai al polso?».

Tentando i frenare i singhiozzi mi asciugai gli occhi con il braccio illeso, poi, tremante sollevai l’altro per farlo esaminare da Edward.

Lo prese delicatamente fra le dita fredde e lo tastò piano.

Gemetti di dolore.

«Scusami, riesci a muoverlo?» mi chiese dolcemente.

Ci provai, ma il movimento mi causò un’intensa ondata di dolore «ahh, no…» gemetti, scatenando altre lacrime.

«Dannazione» mormorò Edward, furioso «quegli idioti ti hanno rotto il polso».

A quelle parole scoppiai nuovamente in lacrime, tenendomi il polso con la mano.

«Bella, ti porto al pronto soccorso, nessuno ti farà più male» poi abbassò lo sguardo e notai che era evidentemente dispiaciuto «Scusami se non sono arrivato prima, avevo promesso di proteggerti, di aiutarti…».

Calmai i singhiozzi e mi asciugai le lacrime, posandogli una mano sul volto «No… non fa niente, mi… mi puoi aiutare a… adesso» la voce era arrochita per via del pianto e ancora scossa dai singhiozzi.

Lui sollevò poco lo sguardo e mi sorrise mesto «Hai ragione, andiamo» disse prendendomi in braccio.

Non protestai e poggiai comodamente la testa sulla sua spalla, lasciandomi andare alle lacrime. Anche in macchina, mi tenne sempre il polso con la sua mano e benché mi stupissi sempre della sua temperatura corporea, quel contatto fu salutare.

«Ti fa male?» mi chiese Edward preoccupato quando ancora non avevo smesso di piangere.

In realtà forse si, ma non era quello il motivo del mio pianto. No. Quello era tutto dovuto a quello che era successo. Alle parole di Mike e Tyler, a come mi ignoravano, agli sguardi degli altri ragazzi. Mi strinsi maggiormente a lui senza rispondergli, e lui l’interpretò come un assenso.

Arrivammo in pochissimo tempo al pronto soccorso e Edward mi venne ad aprire la portiera. Nonostante le sue insistenze preferii camminare con le mie gambe, seppur stretta a lui.

Subito Carlisle ci venne incontro. «Mi ha chiamato Alice» spiegò e mi lanciò una strana occhiata apprensiva. Chissà che aspetto avevo.

«Ti ha raccontato tutto?» chiese Edward.

Lui lo guardò intensamente «Più o meno».

«Le ho controllato il polso, temo che sia rotto».

Mi lasciai quasi trascinare fino all’interno dell’ambulatorio. Mi sentivo intontita e stordita a causa delle molte lacrime. Avevo la testa pesante.

Edward mi issò fino a farmi sedere sul lettino. Fece per allontanarsi ma io lo trattenni prendendo il lembo del suo maglioncino e tirandolo verso di me. Rimase dov’era, consentendomi di posare la testa sulla sua spalla e si posizionò in modo da non intralciare suo padre, col quale si scambiò una strana occhiata.

«Clarissa» chiamò Carlisle, facendo comparire da dietro la tenda un’infermiera «prenota una radiografia al polso per la signorina Isabella Swan, abbiamo la cartella». Poi si rivolse a me. «Vediamo» mi disse, indicandomi il polso.

Glielo porsi e lui l’esaminò con la stessa delicatezza del figlio. «Si è gonfiato e si è illividito. Si, quasi sicuramente è rotto, riesci a muoverlo?».

Prima che potessi farlo rispose per me Edward «No».

Carlisle annuii. «Va bene, facciamo le radiografie».

Edward mi prese nuovamente in braccio. Faci le radiografie e andai nuovamente in ambulatorio con Edward, aspettando che Carlisle ci raggiungesse.

«Dai Bella, basta piangere» mi disse dolce Edward, accarezzandomi i capelli. «pensa al lato positivo, è il polso destro, non farai i compiti a casa per almeno una ventina di giorni» scherzò, facendomi sorridere debolmente.

«Già, questo si che è un problema» borbottai leggermente divertita, ma con un tono forzato dalle molte lacrime versate.

«Non ti preoccupare, ti aiuterò io» mi disse lui, e mi parve molto contento, come me d’altronde, alla prospettiva di dover passare i prossimi venti pomeriggi insieme.

Lo guardai negli occhi, cancellando definitivamente le lacrime «Davvero lo faresti?».

Lui annuì, con un sorriso. «Certo, e se non stessi così antipatico alla tua Minush le darei anche da mangiare».

Ridacchiai. «Già, povero micio».

«Povero micio?» disse lui, fingendosi scandalizzato «povero me!».

Risi di gusto. Incredibile come fosse riuscito a distrarmi. Però poi un pensiero mi passò in testa e mi rabbuiai. «Senti Edward, per domani…».

Lui mi anticipò. «Non ti porterò nel bosco in queste condizioni, non preoccuparti».

«Ma… per la ricerca?» chiesi titubante.

«Non ti preoccupare, ce la caveremo comunque».

Appoggiai la testa sulla sua spalla, stanca, sospirando e tentando di non pensare al dolore al polso.

Poco dopo Carlisle ci raggiunse nell’ambulatorio con il referto.

«Bella, avevi già rotto questo polso?» mi chiese quando arrivò.

Delle immagini lontane mi colpirono in modo improvviso.

 

Una bambina, di circa quattro anni, se ne stava raggomitolata sulle scale, con un vestitino di raso nero. Si sentiva stanca, aveva pianto tantissimo quel giorno, e sentiva ancora nelle orecchie il suono del pianto straziato dei suoi genitori.

Le loro urla giungevano fino a lei.

«Ora basta! Mi sono stancata di questa situazione!».

«Certo perché ora che è morta mia madre non c’è più nulla che ti trattiene qui, vero? Non è questo?!» urlò Charlie.

Mi strinsi maggiormente nel mio vestitino.

«Ma cosa dici, ti rendi conto?!» ribattè Reneè, furiosa «Io ho bisogno di trovare i miei spazi, di realizzare i miei sogni! Guardami Charlie, e guardati, non siamo felici, non abbiamo niente di tutto quello che volevamo!» gridò la mamma.

Singhiozzai: mi mancava la nonna.

«Non è colpa mia!!!» sbraitò mio padre.

«Certo, ma magari se non avessimo avuto Isabella!!!».

«Ma invece c’è e noi non ci possiamo fare nulla, anzi…».

Non sentì e non volli più sentire le sue parole, mi si gelò il cuore, smettendo di battere nel piccolo corpicino. Tutta colpa mia. Mi mancò il fiato e caddi dalle scale, stordita. I miei genitori attirati dal frastuono vennero e mi videro a terra, singhiozzante.

Mia madre mi prese subito tra le braccia. Aveva le occhiaie e gli occhi gonfi di lacrime, così come mio padre.

«Bella, Bells che hai?» chiese mia madre cullandomi convulsamente, tentando di calmare il pianto disperato.

«E’ caduta di nuovo, incredibile quanto sia goffa» borbottò papà, accarezzandomi i capelli e tentando di trovare il motivo del mio pianto.

Mia madre mi strinse al suo petto, tentando di strattonarmi via da lui. «Non parlare così di mia figlia capito?!».

Mio padre divenne rosso in viso e mi prese il braccio che mi faceva male con una mano, con delicatezza e allo stesso tempo determinazione, sollevandolo senza stringere troppo e mostrandolo a mia madre. «Visto che è tua, portacela tu al pronto soccorso, si è rotta un polso!».

«Certo, la porto io, e non torno più!!!» urlò mia madre, ricominciando a piangere.

Poi il suono della porta che sbatteva e più nulla.

 

«Bella, Bella hai sentito?» mi chiedeva Edward.

Mi riscossi, guardandolo negli occhi.

«Ti sei già rotta questo polso?» mi chiese lentamente mentre Carlisle appendeva la radiografia al display luminoso.

«Si» sussurrai, ricacciando indietro i ricordi dolorosi che mi avevano travolta. «Avevo quattro anni…» mormorai stanca, facendomi accarezzare i capelli da lui.

«Allora Bella» mi disse Carlisle richiamando la mia attenzione su di sé «purtroppo la frattura non è netta ed è anche leggermente scomposta» disse indicandomi la lastra. «Ho sentito un ortopedico e dice che sarebbe meglio che portassi il gesso per venti giorni per poi poter valutare se sarà necessario intervenire chirurgicamente, va bene?».

Annuii stancamente, allora lui mi venne accanto, sedendosi con la sedia di fronte al lettino. Mi fissò intensamente. «Hai dolore?».

Annuii, facendo vagare lontano il mio sguardo per la stanza.

«Come stai Bella?».

Mi strinsi maggiormente a Edward. Sapevo che quella domanda non equivaleva alla precedente. «Bene» sussurrai, quasi atona.

«Non intendevo quello. Hai pianto molto e, mi chiedevo se ne volessi parlare».

Scossi il capo in segno di diniego.

«Hai bisogno di un calmante?» mi chiese gentile.

«No…» mormorai, stanca.

Lui annuì «Va bene, ma non esitare a chiederlo» schiacciò un pulsante accanto a me poi si voltò nuovamente a guardarmi. «Mi vuoi dire precisamente quello che è successo?».

Lo fissai, presa alla sprovvista dalle sue parole, poi Edward mi accarezzò e annuì, infondendomi coraggio. «Io…» deglutii «stavo camminando da sola per il corridoio, stavo andando in palestra. Poi… si sono avvicinati, stavano litigando, hanno… hanno detto che dovevo andare al ballo con loro… ma io non… non ci volevo andare… io glielo dicevo ma loro non mi ascoltavano… e… allora hanno cominciato a tirarmi… e… urlavano… e… io… io non volevo… non volevo andarci…a…al ballo…» le parole si erano fatte sempre più veloci, rotte da singulti sempre più frequenti, finché non ero scoppiata nuovamente in lacrime.

«Va bene Bella, basta così» mi disse Carlisle, gentilmente.

Edward mi prese fra le sue braccia, per poi sedersi sul lettino con me poggiata sulle sue ginocchia.

In quell’istante nello studio del dottor Cullen entrò una giovane donna aggraziata, molto bella, con i capelli mossi color caramello. Si avvicinò a me, sorridendomi cortesemente. «Povero tesoro, che ti è successo?».

«Mamma, lei è Bella» disse Edward.

Il suo sguardo s’illuminò e la sua bocca si aprì in una “o” muta. Così quella era la madre di Edward. Ovviamente: bellissima come lui.

«Bella, li vuoi denunciare?» mi chiese Carlisle, riprendendo il precedente discorso.

Mi riscossi immediatamente dal pianto, allarmata. «C…cosa? No» dissi con determinazione.

«Ma Bella, insomma… guarda che ti hanno fatto…» intervenne Edward, contrariato.

«No… non voglio. Insomma Edward, mio padre è il capo della polizia, non se la caverebbero neppure con dieci anni di reclusione. E poi… loro non l’hanno fatto apposta…» dissi abbassando lo sguardo.

«Ma Bella, ti hanno rotto un polso, se la meriterebbero la reclusione!» sbottò Edward duro, irrigidendosi e facendomi sussultare spaventata.

Carlisle lanciò un’occhiata al figlio. «Edward, stai calmo. E’giusto che sia Bella a decidere, non la possiamo obbligare».

Dopo qualche istante interminabile sentii Edward sospirare e tutti i suoi muscoli rilassarsi contemporaneamente «Si, va bene. Scusami se ti ho spaventata Bella, non era mia intenzione, davvero» disse contrito.

Mi strinsi a lui, strofinando una guancia sul suo petto freddo. Non mi sfuggì l’occhiata amorevole che ci lanciò Esme, facendomi avvampare.

Prima che potessi staccarmi da Edward nello studio entrò l’infermiera con  un carrellino e degli oggetti sopra, seguita da un uomo alto e con una barbetta a punta.

Carlisle si alzò dalla sedia, andandogli incontro. «bene, vi lascio nelle mani dell’ortopedico, il dottor Stavenson. Bella, Edward» ci salutò, andandosene insieme a Esme che mi sorrise.

L’uomo attraversò la stanza in silenzio, poi analizzò la lastra e annuì.

«Le devo chiamare un infermiere?» chiese quella che mi sembrava si chiamasse Clarissa, l’infermiera.

«Ci sono io» disse Edward.

«Sicuro che riesci a tenerla ragazzino?» chiese il medico voltandosi verso Edward.

Capendo di cosa stavano parlando sbiancai.

«Si, sono sicuro».

«Va bene» disse il medico, ritornando ad esaminare le lastre.

L’infermiera, ancora un po’ titubante, annuii e se ne andò con passo incerto, richiudendosi la porta alle spalle.

L’uomo si avvicinò, lanciando un ultima occhiata alle radiografie e prendendomi poi il polso fra le dita.

Tremavo, e sicuramente Edward lo sentiva. Sapevo benissimo, a causa della mia esperienza personale in quel campo, del dolore che di lì a poco avrei provato.

Edward già si era messo in posizione, bloccandomi il busto con un braccio e l’avambraccio con l’altro.

«Allora cos’è successo signorina?» mi chiese l’ortopedico.

Capii perfettamente cosa stava tentando di fare, distrarmi, ma, a differenza di quello che aveva fatto Edward poco prima, non ci riuscì.

Non risposi, e l’uomo fece un cenno col capo a Edward, che serrò maggiormente la presa, fissandomi dispiaciuto.

«Edward» singhiozzai, distogliendo lo sguardo dal mio polso per posarlo nei suoi occhi. Subito dopo urlai, scoppiando in un pianto disperato e vedendo il dolore comparire di riflesso sul suo volto.

«Shh, shh, non faccia così, ho già finito signorina, ora facciamo una bella ingessatura e tutto passa» mi disse l’uomo, come se avesse ripetuto quella frase a un centinaio di persone.

Edward mi tenne sempre stretta a sé, cullandomi e coccolandomi. Mi aiutò a fissarmi la benda intorno al collo che serviva per sorreggere il braccio.

Poi il medico mi diede degli antidolorifici, che, complici delle lacrime versate, mi intontirono completamente. «Se ha disturbi, o vede che il braccio diventa freddo non esiti a tornare. Cerchi di tenerlo sollevato, anche quando dorme, va bene?».

«Vuoi che ti accompagni a casa?» mi chiese gentile Edward.

«Si, grazie» sussurrai, mentre sentivo che gli occhi stavano per chiudersi: ero esausta.

Mi perse fra le braccia e mi portò fino all’auto, sistemandomi stesa sul sedile posteriore e mettendomi il suo giaccone a mo’ di coperta.

Il cielo era scuro, era il crepuscolo.

«Mio padre?» chiesi debolmente.

Lui si voltò leggermente verso di me, pur rimanendo concentrato sulla guida. «L’ha avvisato mia madre». Ebbi un fremito e lui lo notò. «Tranquilla, ci sta aspettando a casa. Sa solo che sei caduta».

Mi rilassai, sospirando. «G…grazie… di tutto».

«Figurati Bella» mi disse, poi fece una pausa «ti va di dirmi come hai fatto a romperti il polso a quattro anni?» vidi dallo specchietto che mi fissava curioso.

Mi irrigidii nuovamente, ma ripresi quasi subito il controllo di me. «Magari un’altra volta» sussurrai.

Lui sorrise «Certo, un’altra volta».

Mi ero quasi addormentata, guidata dal metodico ed elegante rombare dell’auto di Edward e dalla luce chiara dei lampioni che ci accompagnava costante lungo la strada.

Sentii solo dei sussurri e un miagolio.

«Bella, cos’ha?» era mio padre.

«Non è nulla Charlie, non si preoccupi, sta solo dormendo. Ha un polso rotto…».

«Bells, c’è qui il tuo papà adesso, ti voglio bene piccola mia».

Sorrisi. Forse.

Ancora il miagolio.

«Minush…» biascicai.

«Le ho dato da mangiare io Bells, sta tranquilla» disse mio padre, accarezzandomi la fronte.

Sentii ancora freddo e poi il tepore del mio letto mi avvolse.

«Buona notte Bella» sussurrò Edward, lasciandomi un bacio sulla fronte.

 

 

Care tesoreeeee!!! *.*

Allora… scusate il ritardo, perché ho tardato un po’ in effetti ^^ Ma il capitolo l’ho scritto tutto in due giorni, la prima parte è stata facilissima, la seconda… beh, un po’ meno. Ma ho fatto una cosa che di solito non faccio mai: l’ho modificato, anche stravolgendo alcune cose, finché non ho ottenuto il risultato desiderato.

 

Ora, voi ce l’avrete con due gruppi di persone: i ragazzini scemi e i genitori di Bella.

Con i ragazzini scemi prendetevela pure, sono tutti vostri, fategli fare incontri nel Colosseo con le belve, insomma, non mi interessa…

Per quanto riguarda i genitori… Capite la loro posizione: era appena morta una persona. Capite che Bella NON ha ascoltato una parte della frase di Charlie, ok?! Bene. Perché dopo si capirà meglio tutto di questa situazione.

 

Ok, vi avevo promesso un capitolo movimentato e… spero di non avervi deluso! J

 

PS. Nel ricordo si passa dalla terza persona alla prima persona, non è un errore, è fatto apposta! :P Perché i ricordi ci giungono in maniera irrazionale e spesso nei sogni, come nei “sogni a occhi aperti” passiamo dal guardarci a una visuale esterna a una interna e quindi per Bella è come un avvicinarsi e ricongiungersi man mano al sogno. Ok?! J

 

cullengirl sisi, sto curando soprattutto il loro rapporto per ora, perchè poi con la trama vera e propria sono andata un po’ avanti in questo capitolo! J

ale03 che bello che hai i genitori infermieri!!! *.* Forse non si è capito, ma la medicina è la mia passione!!! Io ce l’avevo un gatto così, pensa che non riusciva a dormire se non lo prendevo in braccio e appena mi vedeva mi saltava addosso… J

azaz Ahh! No no, io esco si la sera e mia madre mi trascina a mare ogni tanto, ma il più delle colte riesco a ritagliarmi uno spazio per scrivere e poi si che mi sento ahh… in paradiso! J Davvero? No no, questa è proprio la perfetta descrizione della mia gattina con tanto di nome, problemi di svezzamento, equilibrio e coccole! Non so, forse perché era stata abituata a piccola, ma non riusciva a dormire se non la tenevo in braccio e la cullavo. Hai ragione, i rapporti fra Edward e la micetta si sistemeranno in seguito a un evento un po’ particolare… J E menomale che tu te ne sei accorta che 46 kg sono pochi!!! Menomale… pensavo di aver sbagliato io… o.O E si si, ti ho promessole montagne russe infatti ecco qui una bella discesa! J Piaciuta, vero? Dai, ormai ti conosco troppo bene! XD

Confusina_94 Certo, non mi dispiace affatto, ecco qua (francino_92@yahoo.it) Mi fa molto piacere sentirti, grazie per i tuoi complimenti. Si, ancora Bella non ha intenzione di cambiare, ma presto vedrai che lo farà… Beh, non proprio “presto” xD

daniciao Si? No, la mia invece l’aveva regalata una mia amica e quando me l’ha data non era ancora svezzata, per questo quando la prendevo in braccio mi leccava tutta e mi faceva i succhiotti! XD Che gattina stupida… bel nome molecola… ;)

__TiTtA__ Grazie tesoro! Sono contenta che apprezzi quello che scrivo e come lo scrivo davvero, anche sapere di donarti felicità è una cosa meravigliosa, una sensazione davvero stupenda, grazie mille, davvero! ^^ Non ti preoccupare, parti pure, io sarò qui ad aspettarti e al tuo ritorno ti potrai leggere con calma tutti i capitoli! Ciao! :*

Wind sisi e in effetti era stato fatto proprio per quello, per creare l’idea di una famigliola felice! XD

Dan Nooo! Mordicchio è mioo! Gnam… mmm, che buono… Sisi, l’avevo capito che intendevi che l’avresti baciato tu, era per scherzare un po’ XD Anche per me il gatto è il mio animale preferito… e in effetti no, non aveva problemi di equilibrio perché era piccolo, forse perché mi è caduto dal terrazzino… a 5 metri d’altezza… ed è atterrato di pancia… emm… si, ok fai finta che non ti abbia detto nulla… ^^

luisina Carino il micio vero? Si, avevo in mente di fargli fare qualche storia in più a Charlie, ma poi ho deciso di no… Perché mi è venuta una certa idea, tipo che Charlie sta notando qualcosa e quando lei è felice tenta di accontentarla, perché la vede sempre triste… questa era l’idea… J

Amalia89 Sii! In realtà ho preso l’idea da un film, in cui suggerivano che il paziente si prendesse cura di qualcuno, in modo che così riuscisse a prendersi cura di se stessi… Lì c’era una pianta, a me è venuta l’idea del gatto! ^^

Noemix Sisi, pensa che la mia micetta aveva un po’ le gambe a x ed era strana come una papera quando camminava! E si addormentava solo se la tenevo fra le braccia e la cullavo… Grazie mille di tutti i complimenti… Piaciuta la cosa del “come te”?  Eh XD E beh, si, ci saranno altre fregiatine come questa direi!! E poi fra un po’ di capitoli tutto si sistemerà… J 

Miky1991 quel “mi raccomando” mi suona un tantinello minaccioso, sai?! Eheh ^^ Giusto si, faranno un’azione combinata direi… Gatto+Edward=Bella+felice!!! Che bella equazione, no?! XD Sisi è vero, è una speranza, ma questa cosa le sta portando altri problemi… e cmq Edward non se ne andrà mai e non succederà nulla di brutto, lo giuro! J PS. Sempre e per sempre W i micini!!! J

midnightsummerdreams grazie mille, ti prometto che Edward sarà ancora più tenero d’ora in poi! J Sempre di più!!!

Vichy90 gatto realmente esistito, lo giuro! Se vuoi ti mando anche la foto e il filmato!!! J

JessikinaCullen nono, figuarti se mi preoccupo, davvero, forse è che sono abituata con l’altra storia… :P Sono contenta che anche i capito tranquilli ti siano piaciuti, ma adesso facciamo accadere qualcosa, eh?! Un po’ di movimento ci sta benone… J Sisi che avevo una micetta così… pensa che non riusciva ad addormentarsi se non la prendevo in braccio!!!

lady cat sisi è vero, sembra proprio una famiglia in miniatura… come sono teneri, vero?! Io mi sento di dire qualcosa per difendere Charlie, forse perché in futuro avrà un certo ruolo, ma povero!!! Meglio? Mh… no, ancora non si può dire questo… nono…

IsAry Siii! Ti dico, è la perfetta descrizione della mia gatta, quando camminava ondeggiava con il sedere come gli aristogatti quando emulano le papere! Una cosa da ridere davvero! Ovviamente la gatta è dotata di istinto animale e quindi capisce il pericolo che c’è dietro Edward… J Cmq io preferisco i gatti, i cani mi stanno antipatici!

damaristich si, ma tu te l’immagini una cosetta piccina così che ringhia?! Un’amoreee! *.* E’ successo davvero quando ho preso la gattina avevo un gatto più grande… quello la snobbava e lei gli andava davanti e ringhiava! Che tenera…

BellaJey si! Non sembrano tanto una famigliola in miniatura?! Ma in questa ff non credo che scriverò della gravidanza di Bella… e me so scocciata! XD Nono, però saranno insieme e pucciosi, promesso! J

ellylovestwilight No, no, no, non ti preoccupare, non se ne andrà, non poteri mai! Lui fa una cosa per… proteggerla e lei non la prende molto bene diciamo! XD Tenera la gattina, vero?! Già, proprio come la mia!!! Ahhh… Più avanti saranno ancor più tenerosiii! *.*

barbyemarco già! Non sembrano una piccola famiglia in miniatura??! *.* Come sono tenerosiii! Si si, non poteva accadere nulla, perché attaccarla va proprio contro l’istinto di Edward di proteggerla… eheh… Però volevo un po’ ricordare il suo “lato vampiro”!

Lau_twilight sisi, per fortuna, altrimenti se la mangiava per cena… Beh, a parte quello, questa cosa mi serviva per un’altra cosa, per far capire una differenza che ci sarà in futuro. J Sono dolci, verooo? In questo chappy ancor di più! ;)

mazza A) Sisi, la somiglianza con Bella si nota eccome! Infatti dopo lo dice ^^ E poi secondo me miao non riproduce bene il suono! B) E già già, io invece ne ho due sai? Però sono antipatici… Sono gemelli, siamesi e se ne stanno per fatti loro… gatti scemi… C) Ma è normale, lei non se ne rende conto… Anzi, ora tenta di migliorare le cose… E’ cos’ si scatenano nuove dipendenze… D) Oddiooo ora correggo… E) E non è colpa sua… E’ l’istinto naturale della micetta… però poi diventeranno amici, promesso… F) Ma sii! Infatti l’ho scelto io! U.u In effetti si, Edward è adorabile, come sempre… J G) No no, per carità, ma volevo “puntare i riflettori” su Edward vampiro insomma… H) Io sono alta 1.54… -.- E io peso 50 kg… -.- Non sei affatto bassa, perché altrimenti lo sono anch’io!!! Capito?! Quindi non sei bassa. Mh.

 

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Capitolo 9
*** Tutto o niente (prima parte) ***


Edward mi raggiunse al nostro tavolo della mensa con un sorriso e una mano dietro la schiena

Edward mi raggiunse al nostro tavolo della mensa con un sorriso e una mano dietro la schiena. Era davvero un tesoro. Da quando portavo il gesso era sempre dolcissimo con me. Beh, più del solito. «Guarda cos’ho per te?» mi chiese raggiante, mostrandomi l’oggetto che mi nascondeva.

All’inizio non capendo cosa fosse osservai un po’ scettica il pezzo di stoffa colorata che aveva tra le mani. Non ci trovavo nulla di particolare e non capivo a cosa servisse. «Che cos’è?».

Gli scappò una risata allegra poi disse «Dammi il braccio». Ovviamente intendeva quello rotto. Glielo tesi e lui con delicatezza fece passare la stoffa elastica sopra l’ingessatura, sistemandola sui bordi.

«Adesso questa» disse, prendendo un’altra fascia della stessa fantasia, ma di una stoffa molto più resistente.

Sollevai i capelli con la mano sana, per permettergli di sistemarmi la fascia.

«Ecco qui, adesso metti il braccio» disse facendo passare il braccio e sistemando dei gancetti. «Ecco». Finì con un sorriso.

Mi osservai. Era qualcosa di davvero insolito, ma… era carino. Molto carino. «Grazie, è bellissima» dissi con un sorriso, arrossendo un po’.

Lui sorrise compiaciuto. «Non devi ringraziare me, è stata opera di mia sorella Alice».

Sgranai gli occhi, sorpresa e perplessa. Perché mai quella ragazza doveva avermi fatto un regalo del genere se neppure mi conosceva? Certo, era stata carina con me, mi aveva sorriso e aveva avvisato Carlisle di quello che era successo a scuola ma… non ne capivo il motivo. Eppure mi ispirava un’immensa fiducia.

«Vorrei ringraziarla…» mormorai, diventando completamente.

Edward mi accarezzò la guancia calda «Non è necessario Bella…» poi il suo sguardo si fece lontano.

Un brivido mi pervase la schiena. Lo faceva spesso, e mi dava fastidio non comprenderne il motivo. A volte era così… freddo. Freddo e assente. A momenti. E quella cosa non mi faceva affatto piacere. Era come avere a che fare con due persone distinte. Era davvero strano a volte…

Mi sorrise, scrollandosi le spalle. «Mia sorella sa essere un po’ esuberante… e anche molto espansiva».

Non volli insistere, anche perché non rientrava nelle mie priorità stringere nuove amicizie, così feci cadere il discorso senza dire nulla.

 

«Maoo».

Mi voltai con il viso verso il gatto. «Minush… adesso mi alzo… dammi un secondo» mormorai schiacciando la guancia sul pavimento freddo. Stavo aspettando che passasse il bruciore allo stomaco. Forse era tutto sbagliato, insomma, sentire il dolore non era normale. Ma… non volevo smettere. Ci pensavo ogni tanto. Mi dicevo che prima o poi mi avrebbero scoperta continuando così. Tuttavia questi pensieri andavano via così velocemente come arrivavano.

«Maoo».

«Va bene, va bene…» feci leva sugli avambracci, cacciando un lieve gemito «ecco, mi sono alzata, contenta?» dissi quando finalmente fui in piedi.

In risposta miagolò ancora.

Con uno sbuffo la presi fra le braccia, dove si accoccolò.  La portai nella sua cuccetta. «Ora tu rimani qui. Capito?».

Mi fissò intensamente negli occhi.

«Bene» dissi soddisfatta, scendendo i gradini.

«Bella?» mi chiamò mio padre dal fondo della scala.

«Si papà?».

«Io sto uscendo, volevo avvertirti che devo andare a Seattle per lavoro, quindi mancherò per l’intero pomeriggio».

«Oh, va bene». Mio padre che mancava era sempre un bene.

Lo vidi gettare un’occhiata al mio gesso. «Che hai lì?» mi chiese diffidente, indicando la stoffa a fantasia colorata che avvolgeva l’ingessatura.

«Me l’ha regalata Edward…» borbottai arrossendo «anzi, sua sorella…».

«Oh…» disse, con una strana espressione in viso. «Viene anche stasera?».

Abbassai lo sguardo, afflitta. Quella era la cattiva notizia che tutt’a un tratto mi aveva dato quella mattina. Un attimo prima era felice, l’attimo dopo mi aveva detto con un’espressione truce che quel pomeriggio non sarebbe venuto. Ovviamente non potevo obbligarlo, lui faceva già troppo per me, ma ci ero rimasta malissimo. Anche perché non mi aveva dato nessuna spiegazione. «No…» mormorai infine.

Mio padre mi osservò a lungo, scrutandomi. Mi dava davvero fastidio quando faceva così. «Sei strana ultimamente…».

Sussultai, risollevando lo sguardo su di lui. Che avesse intuito qualcosa?

Mi fissò ancora per qualche istante. Poi sospirò, mise il giaccone di pelle, prese la pistola e uscì, salutandomi.

Io ero rimasta praticamente pietrificata sulle scale. Non ci voleva. Presi dei grossi respiri, tentando di calmarmi, ma non ci riuscii. Allora capii che c’era una sola possibile soluzione.

Mi fiondai in cucina, spalancando gli sportelli della dispensa. Non c’era nulla. Nulla di nulla, vuoto. Negli ultimi giorni ero stata distratta per tutti i pomeriggi dalla presenza di Edward, così non avevo auto il tempo di rifornirmi di cibo. Frustrata e afflitta, salii le scale di corsa. Aprii con veemenza le ante dell’armadio e cercai sotto i vestiti. Nulla, neppure lì. Tutte le scorte erano esaurite. Urlai disperata e delle lacrime di rabbia salirono agli occhi.

In quel momento ricordai. Nel pick-up. Corsi velocemente giù dalle scale, inciampando sull’ultimo gradino. Mi sbucciai un palmo, ma non ci badai, mi sollevai sul braccio sano e ripresi a correre, spalancando il portone e precipitandomi nel vialetto. Corsi fino al pick-up, ma quando provai ad aprirlo mi accorsi che era chiuso a chiave. Diamine, come avevo potuto dimenticarmene!

Gemetti, esasperata, correndo nuovamente in casa per prendere le chiavi. Ma proprio in quell’istante una forte folata di vento fece richiudere il portone di casa. Mi precipitai comunque sul pianerottolo e spinsi forte sulla porta. Chiusa! Ero rimasta chiusa fuori! E senza la possibilità di accedere a una qualsiasi fonte di cibo.

Urlai, serrando i pugni lungo i fianchi. Perché? Perché?!

Sconsolata e afflitta ritornai al pick-up. La busta di cibo era sotto il sedile, la vedevo, vicina, ma non potevo farci nulla, non potevo prenderla. Le lacrime presero a sgorgare brucianti sul mio viso. Ero affamata. Disperata e affamata. Mi accasciai su un fianco del pick-up. La fame si era scavata in me come una necessità ormai, non mi potevo più tirare indietro. Mi sentivo male, come se fossi una drogata in crisi d’astinenza. Mi sentivo accaldata, sudavo e mi girava la testa.

Inaspettatamente in quel momento sentii miagolare. Abbassai lo sguardo a vidi Minush ai miei piedi, che si reggeva a stento sulle zampette a causa del vento forte.

«Minush! Ma come hai fatto a uscire!» le urlai, asciugandomi le lacrime.

Lei mi fissò, inclinando il capo di lato. Poi miagolò.

Sbuffando la presi in braccio e mi osservai intorno. Il cielo era annuvolato e scuro e un fortissimo vento scuoteva le fronde degli alberi.

Accidenti, accidenti, accidenti! Ero senza cibo, in piena crisi e chiusa fuori di casa. E mio padre era a Seattle.

Minush miagolò, tremando sul mio petto. Aveva freddo.

La strinsi e me, mettendola sotto la giacca in cui era nascosto il braccio con il gesso.

Poi mi ricordai di una cosa. Avevo diciassette dollari nella tasca dei pantaloni. Leggermente rincuorata, mi diressi a passo spedito verso la mia nuova meta. Il minimarket di Forks.

Calpestavo con i piedi il marciapiede, tentando di eliminare la mia rabbia e di concentrarmi sul mio obbiettivo. Il cibo.

Tuttavia, quando fui davanti alle grandi porte a vetri notai un cartello giallo fosforescente. Era chiuso, dannazione! Quella era decisamente una delle giornate peggiori della mia vita. Arrabbiata, frustrata, irata, ripresi a camminare senza meta.

Muovermi e camminare mi aiutava a dimenticare la fame. O almeno speravo. Comunque, dovevo sfogarmi in qualche modo. Certo, se ci fosse stato Edward… ma lui non c’era. Non c’era perché mi aveva detto che quel pomeriggio non avrebbe potuto esserci. Sentii crescere dentro di me il risentimento nei suoi confronti. Non sarebbe successo, forse, se non mi fossi trovata in piena crisi d’astinenza.

Poi, si udì un forte tuono e tutt’a un tratto iniziò a diluviare. Mi guardai intorno, ma non trovai nessun posto dove ripararmi. Così, ignorando completamente la pioggia che cadeva, inzuppandomi i vestiti e i capelli mi diressi verso il parco e mi sedetti su una panchina, lasciandomi cadere, stizzita.

Non c’era nessuno intorno a me. La cittadina era deserta.

Il bello, in quel momento, era che avrei potuto tranquillamente piangere, perché la pioggia incessante che mi cadeva addosso avrebbe mascherato le mie lacrime.

Il brutto, era che lottavo con ostinazione per reprimerle, accrescendo la mia rabbia, e facendo diventare i miei occhi rossi e gonfi.

Minush miagolò.

Sollevai leggermente la giacca, attenta a non far bagnare il gesso, anche se oramai la pioggia aveva inzuppato anche quella. Presi ad accarezzare la gattina che mi osservava spaurita e con occhi curiosi. Almeno lei era rimasta asciutta. Mi portai le gambe al petto, stringendola maggiormente a me per tentare di contrastare il freddo e l’umido che mi penetrava nel corpo. Mi sentivo come un pulcino bagnato, se mi fossi fatta una doccia con i vestiti addosso probabilmente sarei riuscita a rimanere più asciutta.

Avevo un’enorme quantità di rabbia e risentimento nel mio corpo, ma non sapevo come sfogarla. Stringevo i denti e contenevo i gemiti di frustrazione che mi divoravano il petto.

D’un tratto sentii un auto sgommare sull’asfalto inondato di pioggia scrosciante. Ci misi qualche istante per metterla a fuoco, attraverso le ciglia bagnate. Era un’auto grigio metallizzata. Una Volvo. Sgranai gli occhi, sorpresa. Per un istante, brevissimo, dimenticai la fame. La stessa espressione aveva Edward quando scese dall’auto venendomi incontro.

«Bella?!» esclamò quando mi fu davanti. Non aspettò che rispondessi, si tolse il giaccone e me lo mise sulle spalle, poi mi cinse la vita con un braccio e mi guidò fino alla sua auto, ficcandomi sul sedile del passeggero.

Mi lasciai trascinare inerme e fui immediatamente sollevata dall’assenza della fastidiosa pioggia scrosciante.

Un istante dopo mi ritrovai Edward al fianco, sul sedile del guidatore. «Mi spieghi che cosa ci facevi sola, seduta su una panchina, sotto la pioggia battente?» chiese con i suoi occhi stranamente scuri, neri, con un tono … arrabbiato?!

Smisi di respirare. Non mi aveva mai fatto domande del genere. Era la prima volta, da quando l’avevo conosciuto, che mi metteva così apertamente in difficoltà. E poi… non mi si era mai rivolto con quel tono.

Lui lo notò. Si passò una mano sulle occhiaie scure che gli marcavano il volto e mise in moto, accendendo al massimo i riscaldamenti con movimenti veloci e decisi. «Scusami» disse in un sospiro.

Mi accorsi che stavo tremando visibilmente, un po’ per il freddo, un po’ per le sue parole, un’ po’ per lo sforzo di reprimere la fame.

«Allora» disse con un tono leggermente più smorzato «mi dici che ci facevi sola sotto la pioggia?».

Minush sbucò fuori dalla mia giacca e miagolò, ringhiando e sottolineando la sua presenza.

«Scusa» borbottò lui, sarcastico «con la micetta impertinente qui presente…».

Lei si rigirò sul mio petto, nascondendosi meglio.

Mi sentivo frastornata e confusa. Era difficile scacciare via una tale rabbia, e allo stesso tempo vederla andare via a causa di Edward mi destabilizzava. «S…sono» deglutii, per fermare i balbettii e regolarizzare il respiro «sono rimasta chiusa fuori casa…».

A quel punto Edward scoppiò a ridere. Quei suoi cambiamenti di umore mi facevano girare la testa. Un attimo prima era scontroso e freddo, e ora invece con la sua risata mi aveva sciolto il cuore.

Non riuscii più a contenere la frustrazione che imperversava in me. «Non avevi un impegno a pomeriggio?» chiesi stizzita, per bloccare le sue risate sfacciate.

Lui fece una smorfia, ritornando serio. «Già. Lo avevo».

Lo potevo prendere a sberle?! Emisi un grugnito stizzito.

«Cos’hai?» mi chiese lui.

«Niente» risposi laconica.

Sollevò un sopracciglio.

A quel punto esplosi, sfogandomi di tutta la rabbia accumulata. Serrai i pugni lungo i fianchi e mi voltai verso di lui «Nessuno ti hai chiesto aiuto! Potevi startene dove stavi e… e occuparti del tuo impegno!». Il tono di voce si era piegato nei vari punti in cui era stato più difficile contenere il magone che mi bruciava la gola.

Parve completamente sbigottito per le mie parole. Poi si voltò verso la strada, sospirando e riassumendo il suo tono neutro. «Scusa, davvero, non era mi intenzione recarti questo disturbo». Poi aggiunse qualcos’altro, sottovoce, parlando tra sé e sé.

Mi voltai da un lato, indispettita, e mio malgrado starnutii.

«Ti sei presa un bel raffreddore…» constatò freddamente.

«Già…» borbottai. In quel momento notai che ci stavamo muovendo. «Dove stiamo andando?» chiesi, palesemente curiosa, starnutendo ancora.

Lui mi fissò in modo strano. «A casa mia».

M’irrigidii sul sedile, e Minush con me. «M…ma…ma io…» balbettai.

«Non ti aspetti mica che ti lasci per strada facendoti prendere una polmonite, vero?!» mi disse passandomi dei fazzolettini.

«Grazie» biascicai, soffiandomi il naso. «Ma… Edward… non vorrei disturbare…».

Lui ghignò in modo strano. «Non ti preoccupare, e poi credo che Minush abbia fame…» sghignazzò indicando la gattina che mi stava leccando il decoltè scoperto come se stesse bevendo il latte dal biberon.

Immediatamente la staccai da me, avvampando e facendola miagolare contrariata. Notai che mi aveva lasciato un segno rosso. «Minush!» la rimproverai sgomenta.

«E’ normale Bella, la tua gattina non era ancora svezzata e cerca istintivamente il contatto con la mammella della madre» disse Edward con gli occhi fissi sulla strada.

«Già…» borbottai. «Sai sempre un sacco di cose» aggiunsi sarcastica.

Lui si passò una mano fra i capelli, ritornando completamente la statua di ghiaccio che mi spaventava.

«Edward, davvero, io…» mormorai, quando lui mi aprì la portiera per farmi scendere dall’auto.

Lui mi fece un cenno secco. «Su Bella, appena torna tuo padre ti riporto a casa».

Ebbi un attimo di esitazione. Io non gli avevo detto che mio padre non era in casa, come faceva a saperlo? Non dissi nulla e sbuffando uscii dall’auto. Edward aveva parcheggiato direttamente in garage. C’erano diverse altre auto, tutte stupende, tirate a lucido.

«Vieni» mi chiamò freddamente, sfiorandomi una mano e facendomi strada verso una piccola porta di servizio.

Appena fummo nel salotto di casa Cullen rimasi sbalordita. Tutto era armoniosamente arredato con colori chiari e spendenti e l’ampio spazio era illuminato dalla luce naturale della vetrata. Sentivo tutto il peso di quel luogo incombere su di me e mi sentivo fragile e vulnerabile.

«Edward» lo chiamò una voce vagamente familiare.

Mi voltai verso la sua fonte e vidi Esme, la madre di Edward, insieme a Carlisle. Istintivamente mi nascosi con metà busto dietro a Edward, timorosamente, mordicchiandomi il labbro.

«Mamma» la salutò lui. «Lei è Bella, l’hai già conosciuta, vero?».

«Ciao» mi salutò cordialmente Carlisle, scoccando un’occhiata strana al figlio, che rimase immobile dinanzi a me.

Esme mi sorrise, affettuosa, venendomi incontro. «Certo che me ne ricordo, ma cosa ti è successo cara? Sei tutta bagnata…» constatò amorevolmente.

Quasi a sottolinearle le sue parole starnutii ancora.

Sulle scale comparvero Rosalie e Emmett, i fratelli più grandi di Edward. Emmett mi fissò divertito, mentre lessi nello sguardo di Rosalie qualcosa di inspiegabile e strano. Non riuscii a comprenderlo pienamente, perché Edward mi si parò dinanzi, con un espressione fredda e vacua e senza guardarmi davvero.

«Perché Isabella è qui?» chiese Rosalie, facendomi rabbrividire.

Edward venne in mio soccorso spiegando risolutamente la situazione. «Bella» e rimarcò il mio abbreviativo «è rimasta chiusa fuori di casa sotto la pioggia» spiegò poi senza particolari inflessioni.

Starnutii ancora, diventando rossa di vergogna. Tremavo, mi sentivo addosso uno strano disagio. In quel momento Minush miagolò, spaventata, rabbrividendo contro il mio petto. L’accarezzai. Era completamente terrorizzata.

Intervenne Carlisle. «Bella, mi sembra tu ti sia raffreddata, sono certo che Esme ti darà volentieri qualcosa di asciutto da metterti».

«Certo tesoro» disse lei, circondandomi le spalle con un braccio e guidandomi verso le scale «Lascia pure il tuo gattino in camera di Edward, vieni con me».

«Io… non vorrei disturbare…» balbettai facendomi trascinare.

«Nessun disturbo» mi disse Esme con un sorriso «fa come fossi a casa tua».

Rivolsi un’occhiata supplichevole a Edward che mi fece un cenno secco con il capo.

Mezz’ora dopo mi trovavo nella meravigliosa camera di Edward, con una camicetta rosa e un paio di jeans di sua madre addosso. Accanto a me, sul grande divano nero di pelle, c’era una grossa scatola di clinex e Minush leccava timorosa il suo latte in un piattino posto sul tappeto dorato.

Starnutii ancora, con gli occhi lucidi. Presi un altro fazzolettino e mi soffiai il naso.

Edward mi mise una coperta intorno alle spalle, andandosi a mettere dall’altro lato della stanza. «G-g-grazie» dissi fra i denti tremanti. Nonostante tutto, stavo morendo di freddo. Sentivo ancora addosso il disagio per essere a casa di estranei e nonostante Edward fosse con me non riuscivo a calmarmi.

In camera entrò Esme, seguita a ruota da Carlisle. «Ti ho portato qualcosa di caldo» disse lei, porgendomi un tazzone di cioccolata fumante.

«G-grazie…» balbettai io, rannicchiandomi maggiormente sul divano e abbassando lo sguardo, imbarazzata. Non potevo davvero permettermi tutto quello in quel momento «sei davvero gentile… ma… non mi va…».

«Su cara, non fare complimenti» mi disse con un sorriso, porgendomi la tazza.

Sussultai e i miei occhi diventarono ancora più lucidi. Mi sentivo incastrata, non potevo rifiutare senza sembrare scortese. Presi un breve respiro con le labbra, tentando in ogni modo di sopprimere le lacrime che minacciavano di scendere.

Proprio quando pensavo di non avere più speranze intervenne Edward. «Mamma» disse, attraversando la stanza e prendendo la cioccolata calda dalle sue mani, «dai a me, Bella la berrà più tardi se ne avrà voglia». La posò su un mobiletto lì accanto e si sedette sul lungo divano, più lontano possibile da me.

Esme lo guardò un attimo, poi sussultò, sbattendo le palpebre. «Oh. Oh. Si certo…» disse con un sorriso di scuse, uscendo dalla stanza.

Starnutii.

«Bella» disse Carlisle «posso visitarti?».

Mi raggelai nuovamente. Ero stata da sempre consapevole che venire a casa di Edward avrebbe significato tutto quello. Prima sua madre con la cioccolata, ora suo padre che mi voleva visitare… Volevo tornare a casa mia.

«Voglio solo assicurarmi che tu non abbia la febbre, o qualcosa di grave, nulla di che…» mi rassicurò con un sorriso.

Annuii timidamente. Dopotutto non potevo rifiutarmi e non avrebbe potuto così facilmente sapere del mio problema.

Lui scomparve e ricomparve poco dopo con la sua borsa da medico in mano. Mi lasciai posare una mano sulla fronte. Mi sorrise, poi si accovacciò davanti a me. Mi tastò sotto il mento, sulla gola. Mi fece inspirare ed espirare, passandomi lo stetoscopio sui polmoni. Poi prese una paletta di plastica, sigillata in una confezione di carta, l’aprì e mi chiese di aprire la bocca.

Avevo paura di quello che Carlisle avrebbe potuto trovare. Strinsi inconsapevolmente la mano di Edward, che dopo pochi istanti si defilò gentilmente dalla mia presa, sollevandosi in piedi.

Era stranamente silenzioso e notai che non si avvicinava più del necessario. Non mi aveva ancora mai abbracciata né dato confidenza, come invece faceva di solito. Era freddo e scostante e il suo volto sembrava… stanco.

Desolata, aprii piano la bocca e Carlisle mi guardò con una lucina.

«Non hai nulla» disse infine, sorridendomi e raccogliendo le sue cose «è solo un comunissimo raffreddore, curabile con tanti bei fazzoletti e un po’ di calore, domani sarai come nuova. Fortuna che l’ingessatura non si è bagnata…».

Detto questo, raccolse le sue cose e uscì dalla stanza.

Edward non disse nulla, rimanendo freddo come era stato per la maggior parte del pomeriggio. Non capivo perché facesse così. Non capivo perché ogni tanto, periodicamente, si comportasse a quel modo, ma mi scoprii ad avere paura. Non sapevo perché, considerando che con tutte le altre persone con cui mi rapportavo non mi facevo di questi problemi. Se loro erano freddi con me, io non ci badavo più di tanto e mi limitavo a non parlarci più, come sempre avevo fatto.

Ma con lui era diverso. Non mi sentivo disposta a perderlo. Quel suo comportamento mi feriva terribilmente. Capì che Edward significava molto di più per me, non era affatto una persona come tutte le altre, no, lui era diverso. Non lo potevo considerare un comune conoscente.

Tuttavia, non potevo neppure permettermi di continuare così…

 

Ragazze! Quando si dice “questo capitolo non s’ha da fà…” Allora, prima di tutto l’ho lasciato per un po’ di giorni cominciato e non concluso! I’m sorry, ma l’ispirazione era scomparsa… Poi, rimettendomi pian piano a scrivere è man mano ricomparsa. Finchè non sono arrivata a pag 7 e ancora mi mancava la parte più lunga e importante del capitolo… Allora mi sono detta “domani scrivo l’ultimo pezzo e al massimo taglio il capitolo in due”. Poi mi si è rotto il pc (infatti adesso sono clandestina su quello di mio padre non vi dico che ho dovuto fare per recuperare i file). Quindi, siccome non ho un pc per scrivere la fine del capitolo accontentatevi della prima metà. Lo so che non succede nulla, e che la cosa sarebbe molto più completa con l’altra parte, perché succede tutto in quella, ma… Meglio l’uovo oggi della gallina domani. Spero solo di non averlo rovinato dividendolo in due perché questo è un capitolo davvero molto importante per me. E’ un capitolo di svolta. Si capirà meglio  la prossima volta. Spero di riuscire a postare abbastanza in fretta.

Ringrazio tutti coloro che hanno commentato il capitolo avviso, vi ho risposto qui giù insieme alle altre risposte! ^^

 

bea_s Se avrai pazienza finché mi riparano il pc lo scoprirai presto, promesso! ;)

ClaryCullen grazie! No, in effetti non posso bloccare la storia proprio qui, ma è colpa della mia mente, non mia… e cmq in un modo o nell’altro l’avrei conclusa… J

ilariaechelon che è “pota”? XD Non capisco cosa significhi, comunque grazie!

silvia16595 Grazie mille per l’affetto che mi dimostri ogni volta! J Spero di riuscire a scrivere velocemente Cullen’s Love, il capitolo ce l’ho già in mente, il problema è che non ho il pc! T.T

bigia grazie, davvero… In effetti, si, non avrei potuto rinunciarci mai, scrivere è troppo importate e questa storia fa ormai parte di me e finché non sarà conclusa non avrò pace! Oddio, sembro un fantasma! XD

daniciao si si, ora è passato tutto… ho capito che mi è troppo difficile rinunciare a questa storia!

Lena89 purtroppo su di me sembra non facciano effetto neppure le sedute di yoga… XD Sono riuscita a sbloccarmi scrivendo…

mieme Grazie mille! Si, in effetti all’inizio è stato un po’ complesso, però poi con il tempo mi sono abituata a entrare e uscire dalla testa di questa Bella… J

daniciao Si è vero, il continuo piangere di Bella è un po’ eccessivo, concordo. Volevo mettere in risalto il suo carattere fragile e debole, e non dimentichiamoci comunque che lei ha un grosso problema psicologico. Ovviamente i Cullen hanno intuito qualcosa, tutto! J Ma per la denuncia per il polso rotto… no, quella no. E’ una prassi ospedaliera, fidati J E’ una cosa denunciabilissima…

ale03 Allora sei proprio circondata! Che fortuna! Gli idioti sono sistemati, ma sono idioti è vero, non ci possiamo fare proprio nulla! ^^ hhh…

luisina Siii! Ma io dico, mi posso lasciare sfuggire uno come Carly!? *.* No, io non credo, lo adoro, letteralmente, hhh… Lo sai che quasi quasi lo preferisco a Edward?! E’ il mio idolo indiscusso! E poi… con quel camice… mamma com’è sexy! *Q* Okay, okay, finiamola qua con questo delirio…

lady cat Ok, allora glieli faremo guadagnare questi punti… spero… o mamma mia, penso che lo odierai più di quanto tu non faccia ora. Bella può rimettere anche con il polso rotto, con l’altra mano o anche con altri metodi… tipo acqua e sale o bere qualcosa di disgustoso… o anche in altri modi, non sarà questo a fermarla…

Miky1991 Grazie, grazie mille! Eh eh, magari fossi un vampiro, magari fossi sposata con Carlisle *.* Ahh… Carly, mio adoratooooo!!! Bellina è sempre stata fra le braccia di Eddy e dopotutto… chi non vorrebbe?! Hhh… Eddy caro! I due scemansi si meriterebbero una punizione ben peggiore, insieme a quell’arpia della loro amica là… -.- Sono contenta che tu non odi Charlie e che tu abbia capito le sue motivazioni! Vi immaginavo già tutti con l’ascia di guerra in mano a marciargli contro, invece no! J Beh, penso che quella tua ideuzza possa essere molto fondata se è quello che penso tu stia pensando… o.O Che giro di parole! Ok, ok, non era una minaccia e ci tengo alla tua salute mentale! ;) Bacio, ciao Fra.

cullengirl eh beh, direi che prima cono passati alla fase di amicizia dichiarata, poi passeranno a quella di fiducia reciproca e poi a quella di amore! Il processo è molto graduale! ^^

mazza Già, un segreto, shh A) Caro vero?! J E perché è buffo che Bella si preoccupi delle abitudini alimentari della gattina! XD B) Nono, Bella preferisce non andarci per niente e non sarà Edward a farle cambiare idea! Sai che l’accontenta sempre! C) Certo cara XD E’ facilmente intuibile, *Rosalie* hai presente? I problemi di Bella… D) Giusto giusto, l’ho fatto proprio per questo, col carattere fragile che ha non lo sopporterebbe… E) Mmm, beh, però a Port Angeles avevano intenzioni molto peggiori direi… F) Si l’ho sognato di notte ^^ La notte porta consiglio XD G) Correggo subito! J H)Questa cosa te l’ho già spiegata su msn, non vorrei farti rabbrividire ancora ^^ I) Sisi, ho messo qualche miagolio J Grazie mille, menomale che non sei bassa ;)

Dan No che non lo volevo uccidere! Lo stavo calcando di sotto con una corda e lei ha deciso di uscire dalla busta! Cmq è rimasta un po’ a terra, poi si è alzata e mi è corsa in braccio! :D Ok, direi che ti lascio mordicchio, va bene? Mh… Eddy è uno zuccherino vero?! *.* Caro tesssoro!!!! Per quanto riguarda Rosalie sisi, hai pienamente ragione, l’ha fatto proprio per quello, per evitarle il suo sguardo di fuoco. J Esme era contenta e dedicava le sue attenzioni a Bella perché vedeva il comportamento con lui! Certo sa anche dei suoi problemi, nella famiglia Cullen non ci sono segreti! J

Amalia89 eheh, purtroppo non credo, al massimo si può fare con la sinistra o in altri modi… Temo che non sarà un gesso a fermarla! Forse la gattina l’aiuterà e le farà un po’ compagnia, chissà… J

IsAry Concordo, anch’io non sopporto proprio per niente gli insetti! Mi stanno profondamente antipatici! Soprattutto le vespe, devi vedere come urlo quando ne vedo una ^^ eheh, che cosa imbarazzante…

BellaJey si si, infatti è stato un trauma che poi si è ripercosso con il tempo su di lei quando la madre si è sposata… J Era per spiegare le motivazioni del comportamento di Bella J I ragazzi, gli uomini in generale, sono sempre stupidi -.- a perte Eddy, ovvio! *.*

Wind no che non puoi! Ho menzionato questo gruppo?! No. Allora non puoi. u.u Si, fa malissimo rimettere apposto l’osso e quei cretini non ti fanno neppure l’anestesia. Grr… è.é ma perché dico io?!

Vichy90 già, ma fidati, è solo posticipata! XD Bello Eddy vero?! *.* Beh come sempre!!!

Noemix eh, magari fammelo conoscere questo bel fustacchione! XD Nono, io ne conosco uno tutto mio e per ora mi basta lui XD XD In effetti durante la storia forse no, ma quando scrivo queste risposte dissemino ovunque errori di battitura! Purtroppo non ho tempo per correggerle e quindi rimangono così! XD Tu hai il primato dei “blocchi” XD

Confusina_94 Grazie si! Una bella dose di zuccheri arriva sempre, speriamo solo di non esagerare troppo o ci verrà il diabete! XD che metafore stupide che dispenso… XD

lisa76 Grazie, grazie mille! ^^ contenta che ti piaccia il mio stile e che in non risulti un po’ “indelicata”, ora ci riconcentriamo sulla patologia di Bella J

barbyemarco Sono contenta di sia piaciuto! Si, perché in pratica Bella quasi subconsciamente credeva fosse colpa sua ed è come se ora si fosse ricordata (ed espresso al lettore J) la causa scatenate della sua malattia e del suo senso di colpa. J

ellylovestwilight Si, infatti volevo far vedere che il rapporto si era molto approfondito e poi come scattava la fase di amicizia… Spero solo di non essere stata troppo frettolosa! xD Si, i ragazzini sono due scemi, altro che il nostro maturo Eddy! *.* Il passato di Bella sarà analizzato con… un aiuto esterno… hihi, basta, ho detto anche troppo! xD

Lau_twilight si, sono due stupidotti scemini! J Infatti Edward è molto più maturo e dolce e adorabile e tenero e bello *Q* Ecco ora sbavo!!! xD Comunque ho paura di farlo troppo dolce in questa storia non so… non è che poi stufa? (grazie di avermi aspettata :*)

 

 

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Capitolo 10
*** Tutto o niente (seconda parte) ***


L’indomani mattina, come previsto da Carlisle, il raffreddore era solo un brutto ricordo

L’indomani mattina, come previsto da Carlisle, il raffreddore era solo un brutto ricordo. Edward mi aveva silenziosamente riportata a casa quella sera stessa. Non avevamo parlato durante tutto il tragitto e lui era rimasto sempre freddo e scostante. Ci stavo davvero male. Non potevo permettere che qualcosa mi facesse soffrire così, o per me sarebbe stata la fine.

Mi trascinai stancamente fino all’interno dell’edifico scolastico, sconsolata e pensierosa, sciaguattando con gli stivali sul terreno bagnato. Quella notte non avevo dormito. Dovevo prendere una decisione, ma qualsiasi cosa pensassi mi sembrava troppo dolorosa.

Se decidevo di stare accanto a Edward e di diventare veramente sua amica, vedevo davanti a me un mondo di fragilità, di esposizione, di dolore, ma anche di affetto e di felicità. Se invece decidevo di non vedere più Edward, un dolore troppo grande mi tagliava il fiato. Era un dolore fisico anche solo immaginarlo, ma così poi, in futuro, sarei sicuramente stata meglio. Niente esposizione, niente dolore, niente rischio di farsi scoprire. Questa era la decisione più giusta. Ma… faceva troppo male.

Ero giunta a un punto di non ritorno, mi ero lasciata coinvolgere troppo. Buttai via la carta della barretta che stavo mangiando e mi diressi verso l’aula della mia prima lezione.

Tutt’a un tratto Edward mi spuntò davanti, con un sorriso a trentadue bianchissime denti e i suoi luminosi occhi color ambra chiaro.

«Ciao Bella! Passato il raffreddore? Come sta Minush?!» non c’era neppure l’ombra del ragazzo freddo del giorno precedente. Sprizzava ilarità e contentezza da tutti i pori, il viso era rilassato, sereno, e meraviglioso come sempre.

Come potevo pensare di non vederlo più? Ne avevo bisogno… era una necessità, come il cibo.

«Io e Minush stiamo bene» borbottai passandogli accanto e lasciandolo fermo in mezzo agli altri ragazzi che ci passavano accanto. «Grazie per il pensiero…» mormorai, quando fu troppo lontano per udirmi, e cancellandomi una lacrima che era riuscita a sfuggire ai miei occhi.

In classe, durante le lezioni, rimasi silenziosa, intenta a leccare le mie ferite ancora aperte. Fortunatamente quella mattina ero riuscita a passare dal minimarket per rifornirmi ampiamente di cibo. Chissà in che stato sarei stata altrimenti in quel momento…

Vederlo così contento e felice, così diverso dal giorno precedente, non aveva fatto altro che destabilizzarmi ancor di più, e rendere ancora più difficile la mia scelta. Nei suoi confronti nutrivo una necessità di affetto, ma prima di costruire qualcosa, mi dovevo accertare che fosse sicuro per me. Come con il cibo. Era sicuro, non mi avrebbe mai tradito. Invece le persone erano così instabili…

Mi diressi silenziosamente alla mensa, con il capo chino e la giacca, che nascondeva il gesso da occhi indiscreti, stretta sulle spalle.

Inaspettatamente urtai contro qualcosa, cadendo a terra. Non poteva essere, non ancora… Infatti, sollevando lo sguardo, non incontrai gli occhi ambrati di Edward, che nonostante tutto anelavo a scrutare.

Davanti a me c’erano Lauren Mallory e Jessica Stanley che mi guardavano con odio dall’altezza della loro posizione eretta.

«Guarda dove metti i piedi, imbranata! Hai già combinato abbastanza guai» mi accusò malevola Lauren.

Mi si bloccò il respiro. Non capivo il suo tono e il suo risentimento nei miei confronti, ma non potevo permetterle di trattarmi così. Tuttavia quando aprì bocca per parlare la parole mi uscirono meno decise di quanto desiderassi. «Io… io…».

Jessica ridacchiò, facendomi morire le parole in gola. Anche lei…

«Io io, cosa?!» chiese ridacchiando Lauren «lo sai che per colpa tua Tyler e Mike sono stati sospesi per una settimana?! Mh, lo sai?!».

Cosa? Io avevo detto a Edward di non volerli denunciare, com’era stato possibile? «No… io… no… io non sapevo niente…» sussurrai.

«Certo, come no! Per colpa tua siamo dovute andare al ballo senza cavalieri! Hai chiesto al tuo amichetto Cullen di andare a raccontare tutto… Stupida bambina viziata… » mi accusò, piegandosi su di me e puntandomi un dito contro.

Nonostante tutta la resistenza che stavo facendo su me stessa un singhiozzo mi squarciò il petto.

«Oh, piccola, piange» disse con amaro sarcasmo, rimettendosi in piedi «fatti consolare da Edward Cullen, sempre che ti voglia ancora fra i piedi considerando quanto sei insopportabile… Stupida…» sibilò ancora.

Edward… ed ecco che anche lì c’entrava lui. Se non lo avessi conosciuto tutto quello non sarebbe mai successo. Eppure… in quell’istante avrei tanto voluto che fosse lì con me. No. Scossi la testa per scacciare quei pensieri. Lui non doveva vedermi sempre così fragile, io me la sapevo cavare anche da sola.

«Non è colpa mia, sono stati loro» protestai debolmente e in quell’istante la giacca a vento si spostò lasciando vedere l’ingessatura al braccio.

Jessica e Lauren si guardarono un attimo stupite, poi quest’ultima si voltò verso di me con aria di sfida. «Ma guardati! Sei malata, fatti curare!».

Trasalii, aprendo la bocca per riprendere il fiato che mi stava mancando. Era stata come un doccia gelata in pieno inverno.

«Malata! Ecco perché Edward Cullen sta sempre insieme a te!» esclamò andandosene con la sua compagna «prova pena per te!».

E mentre il mondo mi crollava addosso con tutto il suo peso, non potevo fare nulla per contrastarlo. Era troppo, troppo per me. Mi opprimeva, mi schiacciava, mi toglieva il fiato. Niente potevo fare, oltre che sentirmi morire. Come un fiore congelato, che riesce a mantenere intatti i suoi petali sopportando il freddo pungente. Io ero quel fiore congelato, non più al freddo e al riparo, ma esposta all’illusorio tepore che mi stava uccidendo.

Raccolsi tutte le mie cose, mi sollevai sul braccio sano e corsi via in bagno, in lacrime. Sospinta da una forza invisibile, l’auto conservazione. Ricercavo ancora la mia unica protezione. Il caro e familiare freddo doloroso.

Mi accasciai sul water e vomitai, senza neppure il bisogno di forzarmi. Uscii nell’antibagno e mi sciacquai il viso, ricadendo indietro con la schiena, scivolando lungo le piastrelle e aspettando che tornasse il confortevole dolore.

Vedevo la mia immagine allo specchio. Vedevo le mie membra abbandonate scomposte lungo il mio corpo e sul pavimento. Vedevo il collo, magro e pallido, muoversi velocemente al ritmo della respirazione. E vedevo i miei occhi. I miei occhi lividi che risaltavano con innaturale mostruosità sulla pelle trasparente. Facevo schifo.

Mi sollevai sulle ginocchia. A carponi entrai in un bagno per vomitare ancora. Poi tornai nella stessa posizione di prima e lì lo sentii.

Sentii dolore. Dalle labbra mi uscì una lenta risata, lugubre. Io non ero masochista. Volevo solo che tutto ritornasse com’era prima. Questa volta il dolore era leggermente più forte, ma l’avrei sopportato. Avrei sopportato tutto pur di far tornare le cose com’erano prima. Prima che incontrassi Edward e che mi stravolgesse la vita.

Nel dolore familiare ritrovai la lucidità. Avevo preso la mia decisione. Non sarei tornata indietro, ma quella era l’unica cosa giusta da fare.

In quell’istante la porta del bagno si aprì, rivelando la figura di Edward che mi guardava preoccupata. «Bella? Bella? Ma cosa è successo?» chiese entrando e inginocchiandosi accanto a me.

Sospirai, voltandomi da un lato. «Esci» dissi, cercando di imprimere un tono di autorità nella mia voce debole.

Lui mi guardò perplesso. «Come?» chiese incredulo.

«Esci Edward, esci da qui. Vai fuori» ripetei, con un tono più convinto, alzandomi in piedi.

Lo stesso fece anche lui, venendomi dietro. «Bella ma… io non capisco…» disse con le sopracciglia aggrottate.

Poggiai una mano sul suo petto, e ignorando il brivido che mi scosse, lo spinsi oltre la porta. In realtà se lui non mi avesse assecondato non credo si sarebbe mosso.

«Come fai a non capire?» dissi acquistando finalmente un tono sereno. «Aspettami fuori, tu non ci puoi stare nel bagno delle ragazze» conclusi chiudendogli la porta in faccia. Presi un grosso respiro e mi diressi verso i lavandini.

Mi sciacquai il viso e la bocca. Poi presi una compressa di antiacido per eliminare il dolore allo stomaco e aspettai circa dieci minuti, perché facesse effetto.

Raccolsi lo zaino che avevo abbandonato in un angolo a terra e la mia giacca. Non riuscii a metterla sulle spalle, perché ricadeva sempre, così la presi con un braccio, mettendola sul gesso per nasconderlo. Poi uscii. Vidi Edward seduto sul muretto del cortile interno della scuola. Lo raggiunsi, sedendomi accanto a lui.

«Bella» fece lui, quando gli fui accanto «cos’è successo che…».

Lo interruppi. «No Edward» dissi risoluta «fa parlare me». Lo fissai negli occhi e lessi la sua disponibilità ad ascoltarmi.

«D’accordo».

«Edward, tu per me sei molto importante. Non lo posso più negare. Ma tutto questo non può andare avanti così, capiscimi».

Notai che il suo sguardo era fisso e attento.

«Io ho bisogno di sicurezza. Ho bisogno di essere certa di quello che faccio. E tu…» guardai lontano per cercare le parole «tu sei… a volte sei strano».

Alle mie parole s’irrigidì, ma non disse nulla.

«Hai dei comportamenti strani e… per quanto tu sia sempre molto gentile e affettuoso con me, ci sono dei momenti - rari è vero, ma ci sono - in cui non ti capisco. Non sei più tu. E questo non va bene, perché mi ferisce» dissi con tono contrito «e io non posso permettere che qualcosa mi ferisca, non me lo posso permettere».

«Bella io…» fece Edward addolorato, tendendo una mano verso di me.

«No» lo bloccai. «Fammi finire».

Lui annuì mesto, ritirando la mano.

«Edward, io voglio davvero essere tua amica. E tu sei la prima persona a cui lo dico. Ma ho delle condizioni da porre» dissi in tono fermo. «Tu dovrai prendere quello che ho da offrirti, nulla di più. Ti dovrai accontentare. In cambio io, ti darò la mia fiducia, ma…» feci una pausa, deglutendo. «Tu. Ora devi decidere. O tutto o niente. Non puoi darmi una parte di te. Non puoi darmi il pezzo che ti piace di più o quello che ti piace di meno. Non puoi darmi una tua metà. Non voglio il grigio. O il bianco o il nero. O la notte o il giorno. Tutto o niente» ribadii.

Lui mi fissava, sempre con la stessa intensità negli occhi, in muto ascolto, il volto in una posizione rigida.

«Devi decidere Edward Cullen. E io con tutto non intendo delle sciocche stupide spiegazioni. Non intendo il fatto che tu non possa essere più quello che sei. Ma se tu mi dai tutto te stesso mi devi dare la certezza che non mi abbandonerai mai e che tu per me ci sarai sempre. Non posso aver paura di perderti. Ora scegli: o mi dai tutto te stesso e prendi in cambio il poco che ho da offrirti, o non mi dai niente e io niente ti darò. Mi rendo conto del fatto che il mio patto è svantaggioso per te. Mi rendo conto che sia un patto con il diavolo. Ma una volta scelto, non si può più tornare indietro» Presi un respiro. Il mio discorso era concluso, la mia decisione era stata presa. Non avevo più nulla da fare. Ora la scelta spettava a lui.

Sentii una mano fredda sulla guancia. Edward aveva un’espressione tranquilla e determinata.

Ero pronta a tutto.

«Il diavolo ama fare patti con me» disse risoluto.

Nonostante mi sembrava che una volta fato il mio discorso sarei stata meglio, ora il cuore mi batteva fortissimo nel petto. Avevo pura della sua decisione. L’avrei accettata comunque, ma avevo paura.

«Il diavolo ama fare patti con me» ripeté «Ed io amo accettarli» concluse con un sorriso.

Istintivamente mi lanciai fra le sue braccia, stringendolo a me. E lo stesso fece lui con me. Eravamo amici e quello era il legame della nostra amicizia. Mi fidavo di lui e niente e nessuno avrebbe potuto farmi cadere ancora in pezzi. Né Lauren, né Jessica, né Tyler o Mike o un qualsiasi altro ragazzo. Edward era mio amico. Il mio primo vero amico.

«Ti voglio bene» sussurrai sulla sua spalla.

«Anch’io ti voglio bene Bella» disse lui stringendomi con più forza.

«Emm… che ore sono?» chiesi staccandomi e osservando i corridoi vuoti.

Lui si guardò l’orologio che aveva al polso. «Direi che abbiamo saltato un’ora» disse divertito.

«Come?!» esclamai saltando giù dal muretto. «Non è possibile!»

Lui fece spallucce, scendendo con più calma. «Dai Bella non ti agitare, ora abbiamo ginnastica, quindi praticamente tu puoi non fare nulla visto che sei esonerata».

«Si ma come spieghiamo il buco della lezione di biologia?!» chiesi, sempre più nervosa «ci siamo smaterializzati per un’ora?!».

Lui rise. «Non ti preoccupare, non se ne accorgerà nessuno, fidati di me».

Decisi di rinnovare il mio proposito e mi fidai, lasciandomi guidare verso la palestra. Visto che ero esonerata non era necessario che mi mettessi la tuta, così aspettai che Edward si cambiasse sedendomi su una panchina della palestra.

Scorsi in lontananza Jessica e Lauren. Sbuffai, distogliendo lo sguardo.

Tuttavia, dopo pochi istanti me le ritrovai di fronte. «Swan, sei ancora qui? Ma non eri corsa via in lacrime?» fece Lauren schernendomi.

Questa volta non le avrei lasciate fare «Questo è il mio posto cara, dove vuoi che me ne vada?» risposi sorprendendola. «Ah no giusto, il mio posto non dovrebbe essere questo» dissi alzandomi in piedi per fronteggiarla meglio. «Il mio posto dovrebbe essere con una tuta e un pallone in mano per quanto goffa io possa essere».

Fece per ribattere ma io la zittì, alzando la voce. Intorno a noi si era riunito un discreto gruppo di ragazzi «Tuttavia» dissi togliendo la giacca dal braccio e mostrando il gesso che in quei giorni avevo tenuto nascosto. «Non è mica colpa mia se aspiri ad avere un delinquente per ragazzo».

La sua faccia si fece pallida e si rimpicciolì sotto il mio tono minaccioso.

Scorsi Edward, appena arrivato fra la folla. «Io preferisco gli aiuti umanitari» sibilai ad un suo orecchio, lasciandola verde d’invidia e andandomene accanto a lui.

Mi fece un sorrisino, passandomi un braccio intorno alla vita. Dalla sua espressione sembrava quasi avesse ascoltato quello che avevo detto a Lauren. Arrossii. Impossibile.

Quell’ora passò tranquilla. Era la prima volta che facevo una cosa del genere e me ne compiacevo. Non mi lasciavo ferire di solito, né rispondevo alle provocazioni. Ma quella volta mi lasciò una meravigliosa soddisfazione personale.

Osservavo Edward giocare a canestro e gli sorridevo, e lo stesso faceva lui con me.

D’un tratto una ragazzina minuta si sedette accanto a me. Era Alice Cullen, la sorella di Edward.

«Ciao» mi disse con un sorriso.

«C-ciao» risposi titubante, arrossendo.

Quella ragazzina era davvero stramba. Gli occhi le lucevano come quelli di un bambino che scopre un regalo sotto l’albero di Natale. Mi sorrideva in modo strano, come se si aspettasse qualcosa da me.

Trasalì, ricordandomene. «Oh, si tu sei la sorella di Edward, vero? Volevo ringraziarti…» biascicai timida indicando con lo sguardo la stoffa colorata che stava intorno al gesso.

«Figurati» disse come un sorriso, come se stesse aspettando solo quelle mie parole. «Io sono Alice Cullen, Edward mi ha parlato tantissimo di te e devo dire che mi stai davvero simpatica cioè lo so che ancora non ti conosco personalmente ma da quello che mi ha detto lui mi sembri simpatica e mi sa che lo sei perché su queste cose io non mi sbaglio mai diciamo che ho una specie di intuito o sesto senso quindi io vorrei tanto che tu…».

Edward comparve davanti a me interrompendo il flusso continuo della parole della sorella. La afferrò per la vita, sollevandola, e con l’altra mano le tappò la bocca. Lei continuava a parlare e si divincolava dalla presa del fratello, che se la caricò in spalla come un sacco di patate.

«Scusa, te la levo di torno» disse Edward divertito avviandosi verso il lato opposto della palestra.

Scoppiai a ridere. Che famiglia strana! E come sbraitava Alice! Aveva ragione Edward, sembrava davvero un folletto!

Dopo alcuni minuti Edward ritornò da me, con un sorriso.

«Non mi stava dando fastidio, davvero» dissi poggiando la testa sul suo petto. Profumava, non era affatto sudato.

«Te ne avrebbe dato, fidati!».

Ridacchiai «E’ davvero simpatica».

Lui si sollevò il piedi. «Vado a cambiarmi, aspettami nel cortile che andiamo».

«Ma io ho il pick-up» dissi afflitta.

«Dammi le chiavi, lo faccio riportare a casa tua da Alice» disse porgendomi la mano aperta.

Misi la chiave nella sua mano, titubante «Ma come farà a tornare a casa?».

«Tu non ti preoccupare» disse lui facendo un breve corsa verso gli spogliatoi.

Andai ad aspettarlo nel cortile. Le auto degli altri studenti erano quasi tutte andate via, compreso il mio pick-up. Rimanevano solo due o tre ritardatari. Mi piaceva l’idea di farmi accompagnare a casa da Edward, tuttavia non avevo ancora auto l’occasione di mangiare. L’avrei fatto quando se ne fosse andato.

D’un tratto sentii il cuore battermi troppo forte nel petto. Dovetti sedermi e riprendere a respirare lentamente, come se avessi paura di non riuscire a farlo. Durò solo qualche attimo, ma mi lasciò la fronte madida di sudore.

Edward mi venne incontro con un sorriso. «Andiamo?» mi chiese, sistemandomi la giacca a vento sulle spalle.

Io annuii alzandomi in piedi.

Mi fissò accigliato. «Qualcosa non va? Sei un po’ pallida…».

Sorrisi. «No, andiamo a casa dai, ho un sacco di compiti arretrati da fare».

Lui parve rassicurarsi, mi mise un braccio intorno alle spalle e mi condusse alla sua auto.

«Sai cosa penso?» fece quando fummo entrambi all’interno della sua auto.

«Cosa?» chiesi allacciandomi la cintura.

«Credo che dovremmo festeggiare!» disse felice «alla nostra amicizia!».

Risi. «E come vorresti festeggiare?».

«Fidati di me» disse mettendo in moto.

Lasciai che guidasse, senza chiedere della nostra meta. Giudò per molto tempo, la maggior parte in silenzio. Poi fece una telefonata - a mio padre - per dire che quella sera sarei tornata più tardi. Alla fine parcheggiò in una pineta. La cosa che mi stupì quando scesi dall’auto fu che al posto del terriccio c’era una fine sabbia bianca.

Edward mi prese per mano con un sorriso e mi condusse sulla cima di una morbida collinetta.

«Che cosa ci facciamo qui?» chiesi divertita.

«Ovviamente» fece lui, inginocchiandosi sulla sabbia «stringiamo il nostro patto d’amicizia».

Sgranai gli occhi. «Non vorrai mica fare un patto di sangue vero?! No perché anch’io sono piuttosto sensibile…».

Lui rise. «Nessun patto di sangue, non ti preoccupare». E così cominciò a scavare una piccola buca.

«Che stai facendo?».

«Scavo una buca, non si vede?» scherzò.

«E dai Edward!» esclamai buttandomi sulla sua schiena e ridendo. Ci rotolammo sulla sabbia fra le risate, poi lui cominciò a farmi il solletico. «Basta, basta!» dissi senza respiro.

Lui smise di muovere le sue mani e ci ritrovammo stesi uno sull’altra.  

Mi sentivo bene, felice. Il suo corpo emanava frescura e contemporaneamente un forte calore affettivo.

«Strappati un capello» mi ordinò, sollevandosi e pulendosi le mani una contro l’altra.

«Okay» feci titubante, eseguendo i suoi ordini.

Lo fece anche lui e poi prese i nostri capelli, castani e ramati, annodandoli insieme. Li prese e li mise nella buca. La richiudemmo insieme, poi poggiammo le nostre mani intrecciate sulla zolla di terreno, dove piantammo il ramo spezzato di un pino.

«Amici» dissi io.

«Per sempre» aggiunse lui.

 

 

Ok ragazze, non potete dire che non sono stata veloce, perché lo sono stata. Spero tanto che abbiate gradito il capitolo, perché io mi sono impegnata molto e questa è una delle parti più importanti di tutta la storia. Bene. Oh, una cosa: ma dove diamine siete finite?!

Siete tutte in vacanza, sciagurate!!! u.u

Comunque, la storia è a bon punto, e non voglio dire che è quasi finita ma… beh… non mancano così tanti capitoli! ^^

 

ale03 ehi! Sei tornata! ^^ Allora spero che tu potrai apprezzare meglio il capitolo ora che ho pubblicato anche la seconda metà! ^^ Beh, succede tutto in questa! :P

Vichy90 Si si, ci ho pensato eccome, e considerando che non sei la prima che me lo chiede, penso di fare alla fine della storia, che ahimè, sarà fra non molto, uno o due capitoli riassuntivi di tutta la storia con il Pov Edward.

shasha5 Grazie! Che bello, sono contenta ti sia piaciuta la mia storia, davvero molto contenta! In effetti in questa storia mi è piaciuto far prevalere il lato dolce e protettivo di Edward, pur essendo consapevole dell’importanza degli altri aspetti del suo carattere. Solo non vorrei averlo reso un po’ troppo melenso…

lilly95lilly Eh ma si dai, ora è ritornato normale e tutto è andato a posto, non ti preoccupare! ^^ Prometto che non diventerà mai più così! E poi il mio piccolo Eddy aveva le sue buone ragioni, poverino *.*

patu4ever ^^ eh si si, ma spero che ti sia piaciuto di più tutto completo, insomma… penso sia tutta un’altra storia, vero? J

mieme Grazie! J si, hai fatto bene ad aspettare, spero solo di non aver combinato disastri dividendolo in due parti… ^^

lindathedancer grazie mille! Si, in effetti il tema è molto delicato e per riuscire a scrivere una storia del genere, come giustamente hai detto, è necessaria l’immedesimazione… beh, questa mi è mancata per un po’. Mi è mancato per un po’ il fatto di poter sentire la mente di Bella sovrapposta alla mia. E se non è così io proprio non riesco a scrivere. Per quanto riguarda lo scrivere a mano, la cosa è un po’ complessa. Sia perché non mi ci ritrovo affatto considerando quante volte correggo e ricorreggo una storia. Sia perché sono più lenta. Sia perché dovrei battere tutto al pc, e non è una cosa possibile considerando che dovrei usare troppo la mia mano destra che ultimamente chiede, anzi, pretende un po’ di riposo… J Comunque prometto di non abbandonarvi, anzi! Non lo farei mai… J

luisina Cara! beh, il fatto di “non poter continuare così” è riferito al problema di Edward piuttosto che a quello della bulimia… o almeno credo… ok, ora non ricordo :P cmq, sono certa che per ora Bella non vuole smetterla, questo tentativo verrà fatto fra un po’ da Bella, diciamo… dopo una bel tete a  tete… J

ellylovestwilight no, no, ci tengo a precisare che in questa storia Edward ha come obbiettivo principale aiutare Bella, ed è proprio per questo che si è comportato in questo modo nel capitolo scorso… perché la voleva aiutare… ^^

lady cat beh, Edward è ritornato quello di sempre, come sempre, non lo potevo mica far rimanere così insomma… e ora si è sistemato tutto… per quanto riguarda Charlie direi che avrà un ruolo un tantino particolare.

Noemix beh si, in effetti può essere anche un sintomo d’apatia, ma in quei casi, fidati, dopo una settimana ho il problema opposto… tipo ora che sono senza pc e sto più o meno impazzendo! E poi scrivendo scrivendo tutto ritorna apposto. Ho sbagliato a lasciare, anche per poco, questa storia, ma è bene imparare dai proprio errori! ^^

IsAry beh, Edward ha i suoi buoni motivi, fidati, ma se non si voleva ritrovare una Bella cubetto di ghiaccio doveva intervenire… e poi ora non è più così, visto?! J

BellaJey è vero, Bella è una cerca guia, ma non è solo colpa sua, sono anche i guai che la inseguono… ^^ In effetti oramai c’è davvero poco da immaginare… Diciamo che in questo capitolo ogni cosa è diventata certa ormai…

lisa76 XD beh si sono tre, ma la soluzione è una… in effetti si, Edward ha molta sete, e ha dovuto interrompere la caccia per poter andare da lei… questo è il motivo del suo comportamento. J

silvia16595 eh si, ma io rischio ogni volta la crisi d’astinenza senza il mio adorato pc… In effetti si, il motivo principale è il fatto che non è andato a caccia… ma più che altro che ha dovuto interromperla… eheh, ecco spiegato il suo comportamento…

barbyemarco nono, le cose che sono successe sono state un caso! J Una serie di sfortunati eventi direi ^^ Edward era a caccia e ha dovuto mollare a metà Jasper e Alice sono rimasti a caccia dov’erano! J

Dan ma si! E’ stato stupido il gatto, mica io?! Doveva starsene fermo lui e tutto sarebbe andato bene… E in effetti il problema di Eddy è peggiore, non è che non è andato a caccia, è che ha dovuto interromperla! Povero… ^^ Rosalie deve cambiare presto atteggiamento è.é

Lena89 eheh, purtroppo i problemi con il computer sono frequenti a quanto vedo! Ti ringrazio per la fiducia, si l’hai interpretato benissimo, i problemi di Bella sono seri e Carlisle è un medico eccezionale… Aggiungo indizi per i vampiri ogni tanto, ma posso dire che Edward abbia già un’idea piuttosto definita di quello che le succede! ^^

bigia anche voi mi siete mancate, tantissimo! *.* Grazie mille ancora, spero di aver soddisfatto la tua curiosità! ^^

Lau_twilight eh sisi ^^ Questa cosa del freddo e distaccato sarà meglio chiarita fra un po’, come tutti i dubbi accumulati fin ora! J Però dai, è piuttosto prevedibile la cosa, no?! ^^ Il gatto che ti lecca… ho preso ispirazione dal mio, quel mascalzone, mi lasciva certi “succhiotti”… hhh… gatto non ancora svezzato… XD

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Capitolo 11
*** Interruzione ***


Whoa

Whoa! I feel good, I knew that I would, now
I feel good, I knew that I would, now
So good, so good, I got you

Minush era miracolosamente riuscita ad accendere la televisione e ora voleva farmi sollevare dal pavimento del bagno su cui ero inesorabilmente stesa.

«Gatto pestifero!» mi lamentai, sollevandomi sulle gambe.

Lei era già corsa via, verso il soggiorno e verso il luogo di provenienza di quelle note allegre. Decisi di vendicarmi.

Riuscii ad afferrarla, strappandole un miagolio frustrato e mi misi a girare su me stessa, cantando a squarciagola la canzone di James Brown. Cominciai a farmi trasportare dalla musica. Ero una ballerina e una cantante pessima, non avrei mai ballato in pubblico, per giunta con il rischio di cadere e fare una figuraccia, ma a casa mia potevo divertirmi come volevo.

E poi in quell’istante mi sentivo bene. Avevo appena finito di mangiare. Anche la canzone lo diceva, quindi perché non ripeterlo a squarciagola?!

Whoa! I feel good, I knew that I would, now
I feel good, I knew that I would
So good, so good, 'cause I got you
So good, so good, 'cause I got you
So good, so good, 'cause I got you

Beh, in effetti dei buoni motivi c’erano.

Primo, perchè rischiavo che i miei vicini mi prendessero per pazza. Secondo, perché rischiavo di cadere. Terzo, perché rischiavo di traumatizzare la mia povera gatta che non aveva emesso neppure un minimo suono da quando avevo cominciato a ballare.

Ero riuscita a fare tutte e tre le cose, fantastico!

E cadendo a terra, avevo trascinato con me un cavo della TV che ora emanava segnali che sarebbe piaciuto decodificare ad un crittografo impazzito.

«Ops» mormorai, osservando la micina che se stava ondeggiando il circolo, sbandando di qua e di là. Mi grattai la testa. Avrei dovuto riparare la TV prima dell’arrivo di mio padre, perché quella sera ci sarebbe stata la partita. E avrei dovuto far rinsavire Minush. Forse l’avevo rotta.

«Minush» chiamai, preoccupata.

Mi rispose con un mezzo miagolio, prima di cadere definitivamente su un fianco.

Oddio! I gatti svenivano?! La presi in braccio e controllai gli occhi. Erano aperti. E li muoveva. Ringraziando il cielo non era morta! «Accidenti Minush, mi dispiace! Ma tu non puoi mica farmi certi scherzetti!». La osservai ancora un po’ titubante. Muoveva le orecchie in modo sconsiderato. «Dai su, non posso aver fatto troppi danni! Non avevi equilibrio già prima, non puoi essere addirittura peggiorata!». Mi guardò in malo modo - o almeno così mi sembrò - e miagolò.

Dopo qualche minuto decretai che non era rotta, infatti si reggeva - anche meglio di prima a mio avviso - sulle zampette a X. Allora decisi di concentrare la mia attenzione sulla TV, che poteva essere un problema ben più grave.

Controllai i cavi, e vidi che se ne erano staccati alcuni. Li rimisi apposto, ma dall’ “aggeggio” cominciarono a venire fuori dei metallici suoni lamentosi. Accidenti! Cosa avevo sbagliato?!

Dopo un’ora e mezza di tentativi, la situazione era sempre la stessa. Stava per venirmi una crisi isterica. Non ero una persona paziente, ma ero molto testarda, o ormai riparare quell’aggeggio era diventata una questione personale.

Tentai di capire qualcosa sul manuale delle istruzioni, ma la situazione sembrò solo peggiorare, almeno per i miei nervi.

Sbattei il grosso tomo a terra, urlando e sbattendo i piedi. Poi, dopo aver preso dei grossi respiri, marciai determinata, con i pugni serrati lungo i fianchi, fino alla cucina. Afferrai la cornetta del telefono e chiamai il centro d’assistenza. Mi rispose un ragazzo scocciato.

«Che disturbi ha il suo televisore?» chiese con la sua voce annoiata.

«Ecco vede… si vede tutto grigio e a macche nere e bianche…».

«Ho capito… sono più grandi le macchie nere o quelle bianche?».

Cosa?! E che ne sapevo io? Tentai d’improvvisare. «Emm… quelle bianche» dissi titubante.

«Va bene… Ed emette qualche suono?».

«Si, fa una specie di fruscio metallico» tentai di essere dettagliata.

«Fruscio metallico come?» mi chiese quello con la sua voce monocorde.

«Un… fruscio metallico…» balbettai in difficoltà.

Sbuffò distintamente nella cornetta. Che maleducato! «Me lo può imitare per piacere?».

«Ah. Ok». Ma chi lo capiva questo. «Bzz… shrhsh…bzz» dissi arrossendo. Mi sentivo una stupida. «Più o meno fa così…» dissi mordendomi il labbro.

«Ma più a lungo bzz, o shrhsh?».

Sgranai gli occhi scandalizzata. «Bzz?!» azzardai.

«Allora il problema è l’antenna» decretò infine lui. «Deve salire sul tetto e spostarla, finché non si vede».

Il tetto? Ma io avevo solo urtato dei cavi! Tentai di spiegarglielo, ma quel ragazzino non mi fece parlare, dicendomi che aveva perfettamente diagnosticato la situazione.

«E mi scusi, come faccio a salire sul tetto con un braccio rotto?» gli chiesi scocciata.

«Se vuole l’assistenza dovrà aspettare tre mesi, che faccio, la metto in lista?».

«No. Grazie.» dissi infuriata, riagganciando.

Che cosa dovevo fare? Dovevo riparare la TV prima che tornasse mio padre, ecco cosa dovevo fare.

Aiutandomi con le dita della mano destra che ancora riuscivo a muovere, presi la scala a pioli che stava sul retro della casa, e la addossai con non poca fatica, lungo una parete esterna. Minush mi seguiva ovunque andassi, e questo significava che si era ripresa. Bene, almeno lei non l’avevo rotta.

Era già il crepuscolo, e una giornata di meraviglioso sole - rarissima per Forks - era terminata. Cominciai ad arrampicarmi sulla scala, fino a raggiungere il tetto.

Feci una smorfia. C’era di tutto lì. Foglie appiccicate, terriccio, palloni sgonfi, e persino una canna da pesca! Mi avviai carponi verso l’antenna e la mossi un po’ a sinistra e poi a destra. Poi afferrai il cellulare, con cui avevo chiamato a casa, e tentai di capire se il televisore stesse funzionando ancora. Non mi pareva, così mossi ancora un po’ l’antenna.

«BELLA!» gridò una foce familiare, facendomi trasalire. Mi portai una mano al cuore. Mi voleva forse far prendere un infarto?!

Dopo pochi istanti Edward Cullen era insieme a me sul tetto.

«Ma dico ti sei impazzito?! Per poco non mi prende un infarto! Che mi gridi così!».

Lui mi fissò scandalizzato. «Bella, sei uscita fuori di senno?» mi chiese serio.

Lo trafissi con una finta occhiataccia. «No, perchè?».

«Che ci fai sul tetto allora?! Rischi di cadere! Con un braccio rotto poi… Dai vieni qui che ti faccio scendere» disse porgendomi una sua mano tesa.

«Non è colpa mia» tentai di giustificarmi andandogli incontro. «E’ che si è rotta la TV e quel tipo dell’assistenza mi ha detto che dovevo sistemare l’antenna».

Lui sbuffò, scuotendo il capo contrariato.

Quando mi ritrovai a dover scendere però, ebbi paura. «Accidenti… era così alto anche prima?» chiesi tremante, deglutendo.

«Sei davvero impossibile» fece Edward, prendendomi le mani «dai, ti aiuto».

Mi staccai immediatamente da lui. «No! Non mi toccare!» esclamai spaventata, rannicchiandomi seduta.

«Su Bella, dobbiamo scendere!» mi disse Edward, accovacciandosi accanto a me. «Ti aiuto».

Riaprii gli occhi. No! Impossibile, era troppo alto e io non sapevo come girarmi. «Edward! Voglio scendere! Voglio scendere ti prego, fammi scendere!» cominciai a piagnucolare.

Lui mi prese una mano ma ancora mi ritrassi.

«No! Non mi toccare, mi fai cadere!» gridai sull’orlo della disperazione.

«Bella» mi disse Edward serio «se non ti tocco, non possiamo scendere. E se non possiamo scendere, dobbiamo rimanere qui tutta la notte. E se dobbiamo rimanere qui tutta la notte: A, non possiamo riparare il tuo televisore. B, non possiamo mangiare i marsh mallow che ho portato».

Aprii piano un occhio, e trovai il suo delizioso volto a fissarmi. «Panna e fragola?».

Lui sorrise. «Fragola e Cocco, i tuoi preferiti».

«Andiamo!» esclamai.

«Ok, chiudi gli occhi e resta ferma, in due minuti ti ritroverai con i piedi al suolo» mi disse aprendo le braccia.

«Sei sicuro?» chiesi intuendo le sue intenzioni «come farai? Io peso…».

«Fidati di me. Ti fidi di me, vero?» mi chiese serio.

Guardai le sue braccia tese. Sospirai. «Si» sussurrai chiudendo gli occhi.

Come mi aveva promesso, mi ritrovai in men che non si dica con i piedi al suolo. Era stato di parola.

«Grazie» dissi, arrossendo per il contatto ravvicinato con il suo petto.

Lui mi lasciò andare con un sorriso, prendendomi per la mano sana e trascinandomi in casa. Stranamente Minush non ringhiò al suo ingresso e lui se ne accorse. Se ne stava quatta quatta su una poltrona.

«Ma che ha?» chiese Edward indicandola.

Sgranai gli occhi. «Oh… niente…» cincischiai, mordendomi il labbro «oggi è un po’ pigra…».

Edward sollevò un sopracciglio, ma non fece altri commenti. Si avvicinò al televisore e diede una rapida occhiata ai cavi. Poi sospirò, staccò dei fili e li riattaccò. Subito dopo sullo schermo della TV comparvero le immagini di una sitcom scadente.

Mi accorsi di avere la bocca aperta dallo stupore solo quando Edward mi rivolse un’occhiata divertita. La richiusi immediatamente. «Ma come… come hai fatto? Ci ho perso due ore accidenti! E tu in un secondo l’hai riparata!».

Lui fece spallucce. «Avevi invertito i cavi di audio video!» disse scoppiando a ridere.

Mezz’ora dopo ci trovavamo davanti al fuoco, ad arrostire marsh mellow.

«Come vedi non c’era bisogno di rischiare di uccidersi cadendo dal tetto» mi disse Edward con aria di rimprovero.

«Non è colpa mia» mi difesi «quell’idiota del tecnico della TV ha detto che dovevo salire sul tetto! Mi chiedeva le macchie bianche, le macchie nere, i suoni metallici… ma che ne so io…» borbottai, sistemando gli spiedi accanto al fuoco.

Edward rise brevemente. «Ma non potevi aspettare che venissi io?».

Io arrossii, abbassando il capo gattonando sul tappeto fino a mettermi fra le sue braccia. Mi piacevano i suoi abbracci. Per qualche istante riuscivo a sentirmi sana e completa. Era più o meno lo stesso effetto che mi faceva il cibo… ma senza conseguenze. «E’ che nell’ultimo periodo ti do quasi per scontato» gli dissi infine, facendomi accarezzare i capelli «invece non saprei come fare senza di te» confessai arrossendo.

«Anche per me sei importantissima, Bella» mi disse lui con un sorriso, alzandomi il mento con un dito.

Io sospirai, allontanando lo sguardo dai suoi occhi. «Insomma… Io non faccio niente per te…».

Edward si fece serio, e ancora una volta mi costrinse a guardarlo negli occhi. «Ehi» mi chiamò «noi siamo amici, e gli amici si aiutano fra di loro» mi spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio «e poi tu, anche se non te ne sei accorta, hai fatto tantissimo per me».

Lo abbracciai più stretto, poggiando una guancia sul suo petto duro. «Ti voglio bene» mormorai, arrossendo. Non l’avevo mai detto a nessuno. Ma in quel momento era veramente quello che provavo. Volevo davvero bene a Edward, provavo un fortissimo affetto nei suoi confronti. Mi sentivo sicura e protetta quando ero con lui. Mi sentivo me stessa.

«Anch’io ti voglio bene, e sarò sempre qui per te».

Rabbrividii. Avevo paura del mondo. Tutto il mondo era un’unica cosa estranea che non comprendevo e che mi faceva paura. Ma Edward aveva libero accesso al mio cuore. Era l’unico, l’unico a cui permettessi di entrare in contatto con me. L’unico a cui permettessi di proteggermi. «Mi proteggerai tu?», chiesi timida, sollevando lo sguardo.

Lui guardò lontano, sospirando. Il silenzio durò qualche interminabile istante, poi fu rotto da un sussurro «Non posso proteggerti da te stessa» disse raggelandomi. Poi mi sorrise, disinvolto. «Si stanno bruciando i marsh mellow».

Mi affrettai ad allontanare gli spiedi da fuoco e cominciammo a mangiare. Mangiare con Edward non era un grosso problema. A patto che non mi distraessi guardandolo. E a patto che lui non guardasse me, cosa che non faceva mai. Ogni tanto m’imboccava, ed io ero costretta a mangiare più lentamente. Ma lo facevo con piacere, mi faceva sentire… intima. E mi piaceva.

Dopo aver finito di mangiare sentii la necessità di andare in bagno. «Edward, scusami, torno subito» dissi sollevandomi dalle sue braccia.

«E mi vuoi lasciare qui solo con il tuo gatto pestifero?!» mi disse indicando Minush, che ringhiò contro il suo dito.

Osservai entrambi, nervosa. No, non era una buona idea. Ma che potevo fare? Tentai di divincolarmi dal suo ragionamento «Su, che cosa ti può fare, oggi mi sembra piuttosto mansueta…».

«Oh si, e mi chiedo perché… Le hai dato da mangiare?» chiese inarcando un sopracciglio.

Volevo andare in bagno. Per un istante mi venne in mente che l’avesse fatta apposta a cambiare argomento, ma poi pensai che fosse un’idea assurda. Chi mai ostacolerebbe una persona che vuole andare in bagno? Sospirai, impaziente, mordendomi il labbro e dondolandomi sui talloni  «Si, si, le ho dato da mangiare… scusa, la porto con me» dissi afferrandola e correndo verso il bagno. Non gli diedi il tempo di ribattere che già mi ero chiusa la porta dietro alle spalle.

Questa volta però, quando sollevai la testa per poggiarla sul pavimento freddo, sentii in un sapore che mi causò una forte nausea, costringendomi a rigettare nuovamente.

Mi passai il dorso della mano sulla bocca.

Sangue.

Era solo qualche goccia, ma c’era del sangue. Tirai lo sciacquone e mi stesi a terra, dolorante. Mi faceva male la pancia. Minush miagolò accanto al mio orecchio.

Sentii dei colpi alla porta del bagno e trasalii. «Bella? Sei ancora lì?», poteva sembrare una domanda disinteressata, ma sentivo un velo di preoccupazione nella voce di Edward.

Non ottenendo una mia risposta mi chiamò ancora «Bella? E’ successo qualcosa?», era palesemente preoccupato.

«No…» dissi, con il tono più fermo che mi potessi concedere. «Non ti preoccupare…».

Evidentemente la mia voce non lo convinse. «Posso entrare?» chiese nervoso.

«No!» esclamai, cercando di tirarmi su e di ignorare il dolore. Tentai di trovare una giustificazione per le mie parole e per il mio tono. «E’ che…» pensai alla prima scusa, più vicina possibile alla verità, che mi venisse in mente «c’è del sangue…» balbettai, andando verso il lavandino.

«Sangue?! Bella, mi sto preoccupando… Fammi entrare» disse serio.

«Non è nulla Edward!» balbettai in tono leggero, facendo scorrere l’acqua. «E poi tu stai male quando vedi il sangue, stai fuori».

«Non starò male» ribattè lui deciso, «fammi entrare».

Mi venne un idea. Presi una compressa, poi mi sciacquai la bocca e girai il chiavistello. Subito Edward si fiondò nel bagno, con un’espressione seriamente preoccupata, che si tramutò poi pian piano in sorpresa.

«Che sc’é?» chiesi con lo spazzolino in bocca «mi stavo lavando i denti ed è uscito un po’ di sangue dalle gengive» dissi con tono disinvolto, dopo aver sputato il dentifricio nel lavandino.

Lui mi fissò per qualche istante, titubante. Speravo se la bevesse, senza fare ulteriori domande. Poi mi accarezzò la guancia. «Stai bene?» mi chiese. Quando vide la mia espressione indignata, aggiunse, a mo’ di giustificazione. «Sei un po’ pallida».

«Sono sempre pallida» dissi, uscendo dal bagno insieme a Minush e Edward. «Sto benissimo» aggiunsi, mentendo spudoratamente e ignorando il dolore allo stomaco.

Ci sedemmo nuovamente di fronte al fuoco. Edward non fece più domande, ma ogni tanto mi rivolgeva strane occhiate. Tuttavia dopo un po’ non ci badai più. Era bravo a mascherare ciò che pensava dietro al suo viso da angelo.

Mi ricordai una cosa. «Hai detto al preside quello che è successo con Tyler e Mike?» chiesi, senza un tono di rimprovero.

«No, non sono stato io Bella, io ho fatto quello che mi avevi chiesto tu, cioè niente» rispose deciso.

Ma se Lauren e Jessica… Lo guardai negli occhi. «Non mi arrabbio se me lo dici Edward, davvero…».

«No, no» ripetè. «Non sono stato io». I suoi occhi erano sinceri, gli credetti.

«Allora chi?» chiesi curiosa.

Lui scrollò le spalle, giocando con una ciocca dei miei capelli. «E’ stata Angela».

«Angela?» chiesi incredula.

«Ti vuole bene» mi disse serio, per poi sorridermi amorevolmente. Rimanemmo così in silenzio per qualche istante.

Era davvero bello. Il suo viso squadrato, i suoi capelli luccicanti al riverbero delle fiamme, i suoi occhi d’oro liquido. Era davvero meraviglioso.

«Sei bellissimo» sussurrai arrossendo, senza quasi rendermene conto. Lui sorrise, mettendo una mano sulla mia che gli accarezzava una guancia. Mi schiarii la gola, imbarazzata, tentando di aggiustare il tiro. «Chissà quante ragazze avrai avuto» sussurrai con dolore.

Lui mi regalò un altro sorriso sghembo. «Neppure una» disse poi.

Strabuzzai gli occhi. «Davvero?!».

Ridacchiò. «Davvero…».

Quella notizia mi aveva lasciata davvero basita. «Insomma… tu non sei mica come me…» biascicai.

«E questo cosa vorrebbe dire? Primo. Siamo molto più simili di quanto tu non creda» disse serio «e poi… mi vuoi dire che neanche tu hai mai avuto un ragazzo?» mi chiese sinceramente curioso.

Abbassai lo sguardo sulle mie mani. «Edward» mormorai, prendendo le sue mani bianche fra le mie e intrecciando le nostre dita. Risollevai lo sguardo sul suo meraviglioso volto. «Tu sei l’unico vero amico che io abbia mai avuto, sei l’unico con cui mi trovi veramente bene» dissi sincera «ho… ho qualche problema a fidarmi delle persone…» presi un respiro «e poi… chi vuoi che stia con me» scherzai con un sorriso mesto.

«Io» disse Edward serio, facendomi raggelare.

Deglutii, guardandolo negli occhi. Lui non distoglieva lo sguardo. Imbarazzata, rossa come un peperone, boccheggiai in cerca d’aria.

Poi ridacchiai. «Anch’io ci starei con te» scherzai dandogli un’amichevole pacca sulla spalla.

Lui ridacchiò con me, poi disse tranquillo e sincero «Starei ore ad accarezzare i tuoi capelli morbidi e setosi. Starei ore a contemplare il tuo sguardo profondo. Adoro le tue labbra imperfette» disse posando un dito sul mio labbro, avvicinandosi a me.

Eravamo a pochissimi centimetri di distanza. Bramavo pelle setosa e vellutata delle sue labbra. La bramavo. E me ne rendevo conto solo adesso, ma l’avevo bramata dal primo istante in cui l’avevo vista. Tuttavia ora, e solo ora, aprivo gli occhi.

L’immenso affetto che provavo per Edward, la facilità con cui gli avevo dato la mia fiducia, gli interminabili istanti che perdevo nella contemplazione del suo volto… non facevano parte dell’amicizia. Io l’amavo. Io amavo Edward.

Sentii il cuore battere fortissimo, mentre poggiavo i palmi delle mie mani sul suo petto.

Eravamo con le labbra a pochissimi centimetri di distanza, eppure ognuno di noi sembrava perso nella contemplazione dei suoi pensieri. Nessuno dei due metteva fine alla distanza tra le nostre labbra.

Ma non c’era fretta, né imbarazzo, non più. Non era uno di quei momenti che dura pochi istanti e che corre via se non lo prendi al volo.

Era uno di quegli istanti che rimangono come sospesi a un filo invisibile e ti concedono tutto il tempo di cui hai bisogno per darti un’innaturale lucidità.

Sentivo il cuore nelle orecchie.

Vedevo Edward, i suoi occhi, il suo sguardo. E leggevo nella sua anima. Lo vedevo dilaniato e straziato, come se al suo interno una battaglia feroce stesse imperversando.

Sentivo il suo respiro fresco sulle mie labbra «Darei qualsiasi cosa per…».

Sobbalzammo contemporaneamente, allontanandoci, sentendo qualcuno schiarirsi la voce.

Mio padre stava al centro del salotto con le mani sui fianchi e le gambe divaricate. Il giubbotto addosso e la pistola nella fondina.

Distolsi lo sguardo, rossa e imbarazzata. «Papà…».

«Ispettore Swan» disse Edward, alzandosi e porgendomi una mano per aiutarmi a sollevarmi. «Stavo andando via».

«Ti accompagno» dissi io, conducendolo verso la porta.

Mio padre rimase là, con i suoi sguardi furtivi e la sua espressione fra il serio e l’imbarazzato.

Edward mi sorrise quando gli aprii la porta e uscii con lui, dirigendomi verso la sua auto. «Ci vediamo domani mattina Bella» mi disse tranquillo, senza un’ombra d’imbarazzo, abbracciandomi.

Ricambiai l’abbraccio, contenta che fra noi non sarebbe comunque cambiato nulla. «Ti voglio bene» ripetei, senza imbarazzo.

«Domani devi togliere il gesso?» mi chiese allora, staccandosi.

«Oh si… me ne ero quasi dimenticata».

«Ti accompagno?» mi chiese con un sorriso.

«Si grazie».

«A domani allora» disse salutandomi e entrando in auto.

«A domani!» lo salutai.

Edward. Sospirai, ripensando a quello che era successo. Ero contenta.

«Bella, dobbiamo palare» disse Charlie quando entrai in casa.

Lo sapevo.

 

 

Ehiii! Ragazze! J

Spero che il capitolo vi piaccia, era nato per essere molto diverso ma poi è venuto così.

Ho notato abbastanza allarmismo quando ho chiarito il fatto dell’amicizia. Edward e Bella sono amici e lo saranno ancora per un po’. Ovviamente sappiamo tutte come andrà a finire… e questo capitolo ne è la conferma. Ma per ora hanno solo chiarito che ognuno di loro starebbe con l’altro. Accontentatevi per il momento! J

Anche perché non so cosa accadrà nel prossimo capitolo! Cioè, lo so, ma a grandi, grandissime linee…

 

luisina In effetti si, forse ho un po’ esagerato, ma diciamo che erano piuttosto incavolate con Bella per la questione del ballo… però non vorrei averle rese… come dire… troppo “finte”… Il patto d’amicizia mi è venuto in mente all’ultimo momento, e il luogo è una pineta dove andavo da piccola… ricordi dell’infanzia… e il patto d’amicizia con i miei amici… J

Wind già si direi di no! ^^ Come dire… rischi di trovarti… dissanguata! XD Un piacere ritrovarti, sei tornata finalmente!

endif Grazie allora! E’ un vero piacere trovarti a leggere le mie storie… L’importante è che tu le legga, per recensire… beh, non è un problema! ;) Ciao, e ancora grazie.  

ale03 visto che velocità?! :D eheh, non avevo niente da fare, si vede ^^ E comunque, Bella per rispondere alle due oche ha tirato fuori un lato nascosto del suo carattere! Ora si è un po’ represso, diciamo che vien fuori solo in caso di estrema necessità! J

Dan ma no che non rimangono solo amici!!! Ma state tutte andando in paranoia per questo! Mmm… non rimangono solo amici, ecco, contente? u.u E poi il gatto non l’ho buttato! Uno l’ho calato con la corda e l’altro ha deciso di buttarsi da solo… che gatto stupido… però gli volevo bene *.* Rosalie… non sarà un grosso problem… J

Amalia89 figurati, fa nulla, l’importante è che tu l’abbia letto J Bella ha cacciato il suo nascosto lato grintoso! Grr… Doveva, mica la può difendere sempre Eddie, eh!

silvia16595 grazie… eh no beh si, non manca proprio tanto alla fine della storia eh… o almeno, per ora non ho altre idee, quindi… poi se mi verranno ^^ Le userò! J

Noemix XD no, non ti dirò questo. J Ti dirò che Bella ha dato Fiducia a qualcuno, che è un grossissimo passo in avanti! Non ha mai avuto un amico, figuararsi, e nelle condizioni in cui è per ora accontentatevi dell’amicizia… per ora… ^^

lisa76 eh già, sarebbe stato impossibile per lei staccarsi da lui, e sarebbe solo stato peggio. Comunque era anche disposta a lasciarlo andare, ma temo che non ce l’avrebbe mai fatta…

shasha5 Grazie mille allora! ^^ Sto praticamente concentrando tutto il lato del carattere di Edward che mi piace di più e quello di cui più a bisogno la Bella di questa mia storia… Ma a me piace anche l’altro lato di Edward, quello più… “vampiresco”… Questo ragazzo è un mix letale!

Vichy90 Si, penso che lo scoprirà ^^ verso la fine… quando sarà già in via di guarigione e loro saranno qualcosa di più rispetto a dei semplici amici… J

ClaryCullen eh già Bella ha un grande potenziale dentro di se ma per ora è ancora nascosto dalla sua malattia… Il patto di amicizia è stato qualcosa in più, mi è venuto così, all’ultimo momento ^^

JessikinaCullen oh si lo so!!! L’avete detto tutte, ma io dico, Bella ha fatto grossissimi passi in avanti! E’ il primo amico, figurarsi… ^^ Non potevo affrettare troppo i tempi, ma calma e pazienza e otterrete ciò che volete, va bene? Giuro. E anche Minush. Si, l’hai scritto bene ;)

patu4ever ovvio che da cosa nasce cosa ;) ma non potevo mica fare saltare così le tappe… dopotutto Bella ha ancora un problema grave da affrontare, e ha detto di FIDARSI di Edward. Credimi, è un enorme passo in avanti… Ma ancora non si può concedere l’amore… J

IsAry felice di esaudire tutti i desideri! Lauren e Jessica sono state odiate e condannate nello stesso capitolo, anche se non lo sa Bella ha dentro di se tanta forza. Deve solo imparare a usarla. J

araba89 mmm… no, mi sa che non è così come hai pronosticato tu… la scoperta della vera natura di Edward sarà molto più… beh, succederanno un bel po’ di macelli intorno a questo fatto, ma nulla di irrisolvibile… ^^

twilight_the best eh si, una parte di litigio, una parte d’unione… lo ying e lo jang… non so neppure se si scrive così! XD

Bella_Cullen_1987 eheh, io ho contro la tecnologia e tu hai conto gli orari dei pasti! XD C’est la vie!

bigia no! Che manchi poco non vuol dire che non ne succederanno di cose! E poi non ho detto che manca poco, ho detto che siamo a buon punto, e c’è una bella e grossa differenza! u.u

barbyemarco uno al giorno?? Ma tu mi vuoi proprio morta allora!!! Per la tua domanda… in che senso? :D Beh, diciamo che ci saranno dei movimenti in sensi opposti… alto basso altissimo direi… però lo sappiamo tutte qual è il capolinea no? J

Lau_twilight eheh, un pezzo importante di tutta la storia, anzi, importantissimo! Jessica e Lauren sono delle vipere, ma ora non daranno più fastidio, fidati! Bella le ha messe al loro posto, preferisce gli aiuti umanitari lei! u.u

 

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Capitolo 12
*** Verità ***


Sentivo uno strano retrogusto salato in bocca

Capitolo dedicato a Elena, la mia blogger!!! ^^ Il regalino…

 

Sentivo uno strano retrogusto salato in bocca. E la testa che mi pulsava, ignorando completamente i miei pensieri che chiedevano solo un po’ di pace.

Tristezza. Questo era quello che sentivo. Insieme a un vuoto terribile all’altezza del petto.

Ero così stanca, così esausta, che non ce la facevo più neppure ad asciugarmi le lacrime che sgorgavano copiose dai miei occhi. Quasi non mi ricordavo più perché stavo piangendo.

La cosa che mi feriva maggiormente, era che il cibo non mi aveva dato alcuna forma di consolazione. Solo un dolore di cui, forse, in altre circostanze, mi sarei preoccupata. Ma in quel momento avevo troppi problemi a cui pensare. Problemi che tuttavia volevo solo tenere lontani da me.

Gemetti, mettendomi il cuscino sulla testa e tirando su le coperte.

«Bells, passi troppo tempo con lui, stai monopolizzando la tua vita! Che ti passa per la testa? Sai sempre appiccicata a lui! Da quando l’hai conosciuto sei più triste, non parli mai con me, sei persino più pallida … Hai qualcosa che non va, lo sento…».

Questa era la più grossa eresia che mio padre avesse detto. Più pallida… Non sapeva neppure di cosa stesse parlando. Non sapeva cosa stesse vivendo sua figlia, perché di me non gliene era importato mai un accidente. Come mia madre. Ero solo un peso per loro. Solo ora… solo ora che Edward finalmente era riuscito a farmi aprire, a farmi sentire a mio agio, a essere me stessa, aveva cominciato a capire che sua figlia non era affatto come le altre.

Ma quella, era soltanto la punta dell’iceberg… E dovevo fare in modo che Charlie non scavasse più a fondo di quanto non avesse già fatto.

«Senti Bells, io non voglio litigare… cerca solo di vedere un po’ meno questo Edward Cullen, non ti sto vietando vederlo, ma sii più ragionevole, non so, fatti anche nuovi amici…sii giudiziosa».

Mi cancellai le lacrime, sommersa dalla rabbia. Persi il telefono e composi il numero di Edward. Poco importava che lo stessi chiamando ad un orario del tutto indecente. Stavo facendo l’esatto contrario di quello che mi aveva chiesto di fare mio padre. L’adrenalina mi scorreva nelle vene, cancellando il torpore a la malinconia. Rispose dopo due soli squilli.

«Pronto?».

Un brivido mi percorse la schiena al suono della sua voce melodica. Parla ti prego… Dì quslcos’altro…

«Pronto, chi chiama? Bella sei tu?».

Le mie labbra si incresparono in un sorriso amaro, e chiusi la conversazione. Edward… lui era riuscito a farmi stare meglio. Risposi il telefono e andai verso la finestra. Sentivo rabbia… angoscia dentro di me… Volevo vendicarmi… in qualsiasi modo. Volevo vendicarmi di mio padre, fare qualcosa di sbagliato per fargliela pagare, solo per sentirmi meglio. La telefonata a Edward aveva dato i suoi frutti, ma avevo intenzione di continuare.

Mi sedetti sul davanzale a guardare la maledetta pioggia di Forks che scendeva infischiandosene di tutto e di tutti. Così ero io, prima di incontrare Edward. Ero scontata e prevedibile, non m’importava di nessuno, men che di fare quello che avevo sempre fatto, continuamente e incorruttibilmente. Fastidiosa e scontata. Qualcosa di cui tutti vorrebbero liberarsi, ma che lasciano cadere dal cielo senza poterci fare nulla.

E ora volevo rimanere lì, tutta la notte, sveglia, per vendicarmi stupidamente delle parole che non ero riuscita a dire a mio padre. Perché non avevo saputo difendere Edward, il mio primo vero amico, l’unico che mi facesse sentire veramente bene.

Perché non ero disposta ad abbandonare quello che facevo. Perché se avessi detto a mio padre che non era Edward il motivo dei miei problemi, lui ne avrebbe cercato un altro, arrivando prima o poi alla verità.

Dovevo scegliere? Mai. Li volevo entrambi. E potevo averli. Edward e il cibo.

Il tempo passò più velocemente di quanto potessi mai immaginare, e il sonno non mi disturbò così tanto, facendomi vivere come in una vaporosa nuvola sospesa. Non avevo sonno e non volevo dormire. Guardai Minush, piccola e accoccolata nella sua culla. La cuccia che la aveva regalato Edward.

Ascoltai il rumore della pioggia, ascoltai il silenzio, e poi ancora al pioggia. L’euforia del risveglio, le luci del crepuscolo mattutino, l’alba. Un’alba spenta e poco colorata, intravista attraverso le nubi di Forks.

Guardai l’orologio. Erano le sei di mattina e non avevo dormito. Erano le sei di mattina e non avevo sonno. Sorrisi, come se davvero mi fossi vendicata di mio padre.

Sentii i suoi passi venire verso la mia stanza. Era sabato, non doveva andare al lavoro. Trattenni il respiro. Cosa avrebbe detto trovandomi sveglia?

Il telefono squillò facendomi sobbalzare. Poi si udirono i suoi passi veloci sulle scale e il rumore della sua auto nel vialetto. Sospirai. Era andato via.

Battei le mani. «Minush». Immediatamente mi saltò addosso, miagolando. La presi con le mani e la sollevai in aria. «Si fa la pappa!» esclamai contenta.

Un’ora dopo mi trovavo seduta sotto il portico di casa mia, vestita e preparata. Era presto, lo sapevo, ma non volevo far nulla. Sentivo la testa incredibilmente vuota, probabilmente perla mancanza di sonno. Risi lanciando lontano una pietra che avevo fra le mani. Mi sentivo felice, anche se non ne sapevo il perché. Aspettavo Edward per andare all’ospedale a togliermi il gesso, forse ero felice per questo, chissà… Avevo voglia di vederlo, come un bambino ha voglia di andare al parco per mangiare un gelato.

Cinque minuti più tardi, in anticipo, la sua auto parcheggiò nel vialetto. Mi sentii ancora più contenta. Volevo cancellare tutto quello che era successo il giorno precedente, tutte le parole assurde di mio padre.

Quando scese dalla macchina aveva un’espressione concentrata, quasi preoccupata, ma comunque per me rassicurante.

«Ti stavo aspettando» mormorai, prendendo la giacca e tentando di mettermela sulle spalle.

Sentii una mano fredda toccarmi la pelle e vidi Edward che mi aiutava, prendendo poi la mia borsa e dandomi una mano per sollevarmi dal gradino su cui ero seduta. Mi diede una bacio sulla guancia, facendomi arrossire. «Non ti dispiace se sono venuto un po’ prima, vero? Se facciamo presto vorrei portarti in un posto…» mi disse dolcemente.

Teoricamente, seguendo le direttive di mio padre, non avrei dovuto uscire con lui, ma non potevo davvero farne a meno. «Si va bene» sussurrai contenta, facendomi trascinare verso l’auto.

Sentivo lo sguardo di Edward osservarmi di sottecchi, invece di guardare la strada di fronte a sé.

«Dai Edward, pensa a guidare!» ridacchiai contenta.

Le sue labbra si aprirono in un sorriso, e mentre ancora era concentrato sulla strada, prese una mia mano con la sua e se la portò alla bocca, lasciando un bacio appena accennato. «Sei tu che mi distrai con il tuo fascino…» mi accusò gentilmente.

Mi sentii avvampare e distolsi lo sguardo, ritirando frettolosamente la mano. Lui ridacchiò divertito, mentre io mi voltavo ad osservare il panorama inconsistente, riposando la mia mente e  miei occhi arrossati dalla stanchezza.

«Ti senti bene? Ti vedo un po’ stanca, pallida…» constatò.

Sbadigliai. «Non ho dormito molto stanotte, tutto qui». Non ho dormito affatto in realtà.

Edward fece come per parlare, ma poi si interruppe, parcheggiando l’auto nel parcheggio dell’ospedale. «Ci sarà di sicuro poca gente a quest’ora, perciò sbrighiamoci» disse venendo ad aprirmi la portiera.

«C’è tuo padre?» gli chiesi mentre ci avviavamo verso l’ingresso. Mi sentivo rassicurata da Carlisle, e non mi andava proprio di incontrare altri medici, tipo l’ortopedico che mi aveva sistemato il braccio… un brivido mi percorse la schiena, in ricordo di quel dolore.

Edward mi sorrise, rassicurante. «Se ci sbrighiamo si, ha fatto il turno di notte, stacca alle 8».

«Sbrighiamoci allora» dissi allegra.

Carlisle mi stava passando una garza sul braccio, per cancellare delle macchie bianche che si erano formate in seguito all’ingessatura. Appoggiai la testa sulla spalla di Edward, seduto accanto a me sul lettino, sbadigliando. La stanchezza cominciava a farsi sentire.

Carlisle mi lanciò un’occhiata, gettando la garza in una bacinella e togliendosi i guanti. «Stai bene Bella?» mi chiese accarezzandomi una guancia. «Sei un po’ pallida…».

Perché tutti pensavano che fossi pallida?! «Si sto bene» dissi con voce più acida del dovuto, pentendomene immediatamente. Sussultai, abbassando lo sguardo addolorata. Non volevo usare quel tono con Carlisle, e farlo era stato come ferire me stessa. Non mi era mai successa una cosa del genere. «Scusa…» biascicai, sull’orlo delle lacrime «ho dormito poco…».

Carlisle ridacchiò stemperando la tensione e facendomi sentire meno in colpa. «Oh, capisco, non ti preoccupare» mi scusò con un sorriso affabile, controllando le mie nuove lastre. «Direi che qui è tutto apposto» decretò infine «l’osso si è saldato perfettamente. Penso che per un po’ di tempo avrai i muscoli doloranti, e se il dolore non dovesse passarti entro due giorni dovrai fare della fisioterapia, ma speriamo che non ce ne sia bisogno, visto che ho ben capito che non ami molto la mia compagnia, vero?» scherzò, facendomi l’occhiolino.

Io arrossii immediatamente, facendo ridacchiare sia Edward che Carlisle. «Non è che non ami la tua compagnia… più che altro quella degli ospedali…» borbottai, abbassando lo sguardo.

«Ah, bene! Allora a questo punto allora non potrai rifiutare il mio invito a venire a casa nostra quando vorrai» disse poi.

Sorrisi. «Certo». Malgrado tutto, mi sentivo contenta a quella prospettiva, tuttavia irrealizzabile. Per ora le parole di mio padre erano state un’esortazione, ma quando poi sarebbero state un ordine?!

«Ci conto» disse Carlisle appendendo il suo camice e aprendo la porta del suo studio. «Beh ragazzi, io andrei» ci salutò.

«Ciao» lo salutammo in coro io e Edward, balzando giù dal lettino.

«Allora, andiamo?» mi chiese poi lui, tendendomi una mano.

«Certo… ma… dove?» chiesi titubante. Fai che non sia un posto dove c’e del cibo, te ne prego…Pregai mentalmente. Non sarei riuscita a controllarmi ancora, con Edward mi sentivo troppo bene e troppo me stessa, me l’aveva dimostrato anche mio padre. Non potevo lasciarmi andare così.

«In un posto che ti piacerà, fidati» disse facendomi l’occhiolino e prendendomi per mano per trascinarmi fuori.

«Tu non puoi immaginare che bella sensazione le maniche lunghe!» esclamai contenta sfilandomi e riinfilandomi la giacca.

Edward scoppiò a ridere per l’ennesima volta. «Sai quante volte me l’hai già detto?».

Mi finsi offesa. «No, non lo so, ma è la verità, e la verità va ribadita!» feci con aria saccente.

«Prima di tutto la verità va detta» disse Edward, alzando l’indice.

Spalancai la bocca. Sembrava serio.

Poi però scoppiò a ridere, e io con lui, nervosamente. Poco dopo calò il silenzio nell’abitacolo della sua Volvo.

Edward mi preoccupava. Se fosse stato giusto il mio ragionamento, cioè che con Edward mi lasciavo andare, probabilmente avevo già commesso una lunga serie di errori compromettenti con lui.

Prima di tutto, ricordai come fosse cominciata la nostra conoscenza, e le sue parole. Aveva detto di volermi aiutare, aveva intuito qualcosa su di me. Ma quel dubbio che aveva, era stato confermato, o era semplicemente scomparso?

Diverse volte pensavo che avesse potuto intuire la verità. Quando pronunciava certe frasi, quando si ostinava a volermi parlare dopo pranzo o dopo cena, quando, mentre uscivo dal bagno, si preoccupava ossessivamente per me. Ma poi scacciavo via le mie supposizioni pensando che se Edward avesse veramente intuito qualcosa, a quell’ora mi sarei trovata in un centro di accoglienza.

E poi… io non ero malata. Io non ero mica come gli altri, quelli che erano malati davvero. Io potevo tornare indietro ogni volta che volevo, e non stavo esagerando poi tanto… c’era sempre chi faceva di peggio di me.

Rammentai le ultime volte che avevo rimesso e il sangue. La prima volta mi ero preoccupata sul serio… ma poi avevo capito che non mi faceva tanto male. Certo, quando era troppo mi preoccupavo un po’, ma poi tornava tutto normale, e io potevo riprendere a fare quello che avevo sempre fatto.

«Siamo arrivati» disse Edward parcheggiando in una stradina sterrata e distogliendomi dai miei pensieri.

«Dove dobbiamo andare?» chiesi, scendendo dall’auto.

Lui con un bel sorriso mi indicò il bosco.

«Cosa?!» esclamai indignata «ma te l’ho detto che non sono brava a…».

Lui mi chiuse la bocca con una mano. «Hai detto che ti fidi di me».

«Fsi ma tu non fsai in sche guaio ti fstai cascciando» biascicai con la bocca chiusa dalla sua mano.

Lui scoppiò a ridere, poi, di slancio, mi prese in braccio e mi mise sulle sue spalle.

«Ehi Edward, sei pazzo?!» esclamai, rossa in viso, scalciando «mettimi giù, peso troppo!».

Lui ridacchiò allegro, avviandosi per i boschi. «Lo sai che gli zaini da trekking pesano dai quaranta ai sessanta chili?».

Sbuffai, appoggiandomi alle sue spalle, inerme. «Gli zaini dei campeggiatori pesano dei venti ai trenta chili, e io ne penso cinquanta!».

Lui scrollò le spalle, superando un ramo. «Chilò più, chilo meno…».

«Dieci chili in più, dieci chili in meno…» borbottai sarcastica.

Lui rise, incominciando a cantare una canzoncina allegra e contagiandomi con la sua allegria.

Sgrani gli occhi, sbigottita. «Che fai canti?» chiesi sorpresa.

«Ohhh… yes baby… yes… I’m singing to you!» cantò allegro, voltandosi leggermente verso di me.

«Guarda dove cammini» scherzai, indicandogli gi alberi di fronte a lui.

Dopo mezz’ora cominciai a cantare anch’io, mi aiutava a rimanere svegli contrastando la stanchezza accumulata alla notte insonne. Lui mi portava a spasso come se fossi uno zainetto di pochi chili. Poco mancava che si mettesse a saltellare. Le nostre voci stonate - la mia almeno, la sua era perfetta - si disperdevano con un eco nel bosco. Mi sentivo serena e allegra, come sempre, perfettamente a mio agio. In quel momento esistevamo solo io, lui, la sua bellissima schiena rocciosa, i suoi magnifici capelli bronzei, il suo meraviglioso viso… e la felicità.

Arrivati ad un certo punto si fermò, facendomi scendere dalle sue spalle. Poi mi prese una mano e mi fece fare una giravolta.

«Ma che fai?» risi, contenta, barcollando un po’ per via della sensazione di vertigini che mi portava la mia enorme spossatezza. Avrei fatto tutto, ma proprio tutto con lui in quell’istante. Ero felice, respiravo a pieni polmoni la vita.

«Come che faccio?» chiese lui, raddrizzandosi. «Tu sei la ninfa e io sono il satiro che canta per te, devo portare a termine tutti i miei compiti» disse facendo spallucce.

Aprii una tenda di foglie e mi si parò dinanzi uno spettacolo strepitoso. Un salice piangente formava una piccola penisola in un ruscello, sfiorando l’acqua cristallina con le sua foglie e creando armoniosi cerchi d’acqua.

«Ti piace?» mi chiese Edward, senza rompere la magnifica atmosfera creatasi.

Sorrisi estasiata. «Stupendo».

Ci sedemmo insieme sulle radici dell’albero.

«Fa sempre parte del mio compito di satiro portare la mia ninfa alla sorgente di vita eterna» disse serio e… romantico.

Arrossi, «E quali sarebbero questi compiti?» chiesi divertita e anche un po’ titubante.

Lui assunse un’espressione pensierosa. «Vediamo… il trasporto c’è stato… il canto anche… il ballo» fece un gesto verso di me «ti è bastato?».

«Certo certo».

«E anche la sorgente, quindi» concluse «manca solo la parte in cui la ninfa da un bacio al satiro…» disse, facendo diventare il tono non più divertito, ma nuovamente dolce e carezzevole.

Mi schiarii la gola, improvvisamente secca. I suoi occhi ipnotizzanti mi stavano ammaliando. Le sue labbra erano bianche, come la sue pelle. Volevo toccare e sfiorarle, perché mi tentavano come non avevano mai fatto. «Non credo che la storia finisca così…» mormorai, non smettendo di fissare le sue labbra tentatrici.

Si mossero armoniosamente per parlare, avvicinandosi alle mie. «Hai ragione… la storia è leggermente più erotica, ma io avevo deciso di censurarla…» mormorò, inclinando i capo verso di me.

No. Non potevamo. Non così. Avevo visto quello che Edward poteva farmi, stava sconvolgendo il mio mondo, interamente, e non potevo permetterlo. Gli volevo troppo bene, avevo bisogno di lui, e in quel modo avrei solo rischiato di perderlo.

Ridacchiai esausta, passandomi una mano sugli occhi, rompendo l’atmosfera ideale che si era venuta a creare e lui rise insieme a me. Stupendo… meglio del rumore dell’acqua cristallina del ruscello. Nuovamente l’atmosfera divenne serena e rilassata. Mi sentivo felice e a mio agio.

Ad un suo invito mi stesi sul prato, con la testa sulle sue gambe, lasciandomi accarezzare i capelli e inspirando il suo odore. Mi beai di quel contatto godendomi le sue carezze. Mi stava facendo venire la pelle d’oca e in poco tempo mi sarei sicuramente addormentata. «Edward» mormorai «sto così bene quando sono con te… perché non può essere sempre così?».

Lui si accigliò «Certo che può essere sempre così, cosa ti fa pensare il contrario?».

Abbassai lo sguardo, arrossendo. «Io… non credo che tutto questo durerà… sono troppo felice in questo istante… e… io… non può essere così tanto a lungo…».

Sentii un dito sotto al mento. «Invece si, può essere così quanto tempo vorrai, anche per sempre, niente ci impedirà di stare insieme. Niente mi impedirà di stare con te, di vederti sorridere, arrossire, imbronciarti. Niente. Sto troppo bene con te per rinunciare a tutto questo. Non c’è motivo di rinunciare alla felicità che ti dono, finché ti farò felice, voglio che tu goda ogni momento con me…».

Le sue parole mi colpirono come non mai. Ribassai lo sguardo, tentando in ogni modo di ricacciare indietro le lacrime. Perché volevo in ogni modo che le sue parole fossero vere, che si realizzassero, che fra noi non ci fossero più ostacoli? Neppure uno

«Bella…» mi richiamò Edward, supplichevole «cosa c’è che non va? Dimmelo...».

Sussultai. «Hai detto che non avresti fatto domande… era… nelle condizioni…» mormorai senza fiato.

Lui mi sorrise, addolorato. «Non te lo sto chiedendo… Ti sto supplicando di darmi il premesso di aiutarti… Te ne prego Bella… Se non difendo te, è come se non difendessi la mia vita. Non ci possono essere segreti fra di noi, dimmi la verità».

Singhiozzai, nascondendo il volto fra le mani. Era quello, quello, era quello che avevo sempre temuto fin da quando il mio primo sguardo si era posato su di lui. Il meraviglioso ragazzo in grado di aprirmi l’anima, ti trovare le chiave nascosta per aprire la porta del mio cuore. Ora avevo una scelta, una delle più difficili che avessi mai fatto in vita mia.

Dirgli la verità o perderlo per sempre?

Sentii una fitta al cuore anche al solo pensiero di poterlo fare, e mi strinsi il petto, dolorante.

«Bella» mi chiamò dolcemente Edward, prendendomi fra le braccia e stringendomi a sé.

E stavo così bene in quell’abbraccio fatto solo per noi, in quel connubio perfetto di corpi a anima. Come potevo pensare di perdere una parte così importante di me, per far continuare una malsana farsa? Semplice, non potevo. Non potevo.

«Bella… fatti aiutare da me…» sentivo dal suo tono che si muoveva con estrema cautela. Aveva paura. La stessa paura che avevo io, la paura di perdermi.

Dovevo raccontargli tutto di me? Un altro singhiozzo mi scosse il petto. La mia vita. Ecco cosa dovevo raccontargli. L’esperienza più dolorosa che io avessi mai vissuto dai miei quattro anni finché non l’avevo incontrato. La quasi totalità della mia vita.

Tentai di calmare il respiro e le lacrime che scendevano dai miei occhi e mi sedetti di fronte a Edward, prendendogli una mano e guardandolo negli occhi. Dovevo farlo. Non potevo perderlo…

«Ti… ti ricordi quando tuo padre mi ha chiesto se mi fossi già rotta il polso destro?» chiesi, atona.

Edward fu sorpreso dalla mia domanda, ma dopo essersi riscosso, rispose. «Si, certo. Hai detto che avevi quattro anni più o meno…».

Mi stupii della precisione di suoi ricordi. «Si…» mormorai, ricacciando indietro le lacrime. «quattro anni. E’ stato dopo il funerale di mia nonna, ed è quel giorno stesso che i miei si sono lasciati». Non sapevo perchè il tono mi uscisse così freddo. Non avevo mai parlato, con nessuno, di quelle cose, e ora che lo facevo, tentavo in ogni modo di distaccarmene, come se non volessi che mi appartenessero. Edward mi fissava con attenzione, senza parlare. Era dolcissimo e bellissimo. Stupendo, molto più di quanto potessi desiderare.

«I miei genitori sono separati… ma questo ormai dovresti saperlo da tempo. Quello… quello che non sai…» biascicai, ingoiando il magone che mi ardeva nella gola «è che è stata tutta colpa mia…».

Edward sussultò, aprendo la bocca per parlare, per bloccare le lacrime che di nuovo scendevano dai miei occhi.

Lo bloccai con un gesto della mano. «E’ così Edward… ne sono sicura… io faccio del male alle persone che mi stanno accanto…» singhiozzai.

Lui mi prese per le spalle e mi scosse. «Non è vero, Bella, tu sei la migliore cosa che mi sia mai capitata…».

«E invece no!» sbottai, piangente «l’hanno detto, l’hanno detto quel maledetto giorno del 16 Luglio, il giorno che mia nonna morì! Li ho sentiti Edward!!!» gridai, lasciandolo di stucco. «Li ho sentiti…» mormorai con voce più bassa, singhiozzando e distogliendo lo sguardo dal suo volto esterrefatto. Ora avrebbe dovuto accettare la verità, per forza.

Distolsi lo sguardo, tentando di reprimere i singhiozzi e di cancellare l’isteria nella voce «Loro non mi volevano… nessuno mi vuole, non servo a niente, a nessuno importa di me… non so perché mi ostino a continuare a vivere… sono così maledettamente egoista, tanto da non riuscire a togliermi di mezzo…».

Non mi accorsi di nulla, sentii solo dolore a una guancia e la sensazione di freddo. Sollevai lo sguardo, portandomi, tremante, una mano alla guancia.

Il suo braccio era ancora a mezz’aria, lo sguardo immobile, così come il suo corpo.

«A me» sussurrò, senza muovere nessuna parte del suo corpo che non fosse la bocca «Importa a me».

Io non mi ero ancora mossa. Osservavo la mano che mi aveva colpita, immobile. La vidi abbassarsi lentamente e chiudersi in un pugno. Il silenzio era rotto solo dal rumore del ruscello e degli insetti che ronzavano. Si faceva sempre più denso, come se arrivasse a ondate.

«Scusami Bella io…» disse, dolorante, sull’orlo del pianto «cosa ho fatto…».

Sentii un irrefrenabile impeto dentro di me, improvviso, infuocato, meraviglioso. Senza pensare a nulla mi gettai in avanti, fra le sua labbra, sulla sua bocca. Dopo un solo istante di esitazione rispose con passione al mio bacio.

Strinsi le mie mani, tremanti, fra i suoi capelli. Quante volte avevo sognato di farlo… com’erano morbidi… e setosi. Inspirai con urgenza il suo odore… profumato, ammaliante.

Fremetti, riaprendo lentamente gli occhi e le labbra, tremanti, mentre il suo naso ghiacciato mi sfiorava la guancia.

Lui aprì la bocca, poi la richiuse, così come gli occhi.

Spostai una mano sulla sua fronte, poi sulle sue palpebre chiuse, facendole riaprire.

Era mio.

Era la mia anima.

Mi era entrato dentro con una forza immane e non intendevo, per alcun motivo, scacciarlo via. Eravamo uniti nell’anima.

Amore… vibrazioni d’amore. Questa era l’unica cosa che percepivo sulla mia pelle.

Lo amavo e ne ero consapevole. Trasalii, come scottata.

«Ti amo» sussurrai, confessando i miei sentimenti.

«Anch’io ti amo. Non voglio vivere senza te…».

 

Scusate infinitamente per il ritardo!!! Non volevo e non dovevo, chiedo venia! Vi ringrazio per avermi scosso con mail, incoraggiamenti e robe simili! Anche gli apprezzamenti per questa storia sono stati determinanti, per chi mi ha detto di preferirla all’altra…

Questo capitolo è importantissimo come ben si vede… Insomma… l’ho scritto un po’ a pezzetti, ma alla fine non è venuto così male, spero di avergli dato la giusta unità…

Scusate ma sono stanca! ^^ Non dovrei, visto che vi trascuro sempre a discapito delle lettrici dell’altra fic, ma sono sia mentalmente che fisicamente stanca…

Per questa storia ho scelto di usare i miei sentimenti, e così ho fatto… questo è tutto quello che mi è passato nella mente in questi giorni, nulla più nulla meno. Dalle lacrime al nervosismo, persino alla voglia di essere schiaffeggiata.

 

Ah, ecco… beh, Edward a fatto bene. Non prendetevela con lui, Bella stava parlando a vanvera.

E ora mi direte “Edward non farebbe mai una cosa del genere a Bella”.

E’ stato istintivo e necessario, proprio per farle aprire gli occhi e capire che lui, proprio lui, la amava. Capitelo. Era esasperato dalla situazione e non sapeva come fare ad aiutare Bella, mentre vedeva che lei peggiorava sempre più.

 

Ancora lei non le ha detto proprio la verità, ma ci siamo vicini. Le ha detto il motivo. E questo già

 

Beh, cercate nel capitolo la frase che combinerà macelli, buona caccia al tesoro!

 

 

00Alice Cullen00 Ehi ciao! ^^ Si, è una cosa piuttosto originale in effetti, ho dato un’occhiata alla tu storia e l’ho vista molto diversa dalla mia… ma sicuramente quando tu l’hai ideata avevi scopi molto più alti dei miei, o l’ho fatto solo per scopi narrativi, raccomandandomi giusto perché le mie parole non sortissero un effetto contrario… J E si, le condizioni di Bella peggiorano purtroppo…

barbiemora______ ok ci sono eccomi!!! E’ stato il tuo messaggio a scuotermi, lo confesso! Cioè, se non fosse stato per la tua insistenza e l’ordine perentorio, non avrei mai postato! XD Edward lo dirà presto… ^^ Cioèè…. Non proprio… :D

patu4ever  Ma i marshmellow si possono mangiare con tutte quelle cose?! Brr… brivido… Ma non sarà una cosa un tantino troppo dolce?! No… eh?! Cioè… per Bella sarebbe proprio come suicidarsi mangiare una cosa del genere! Charlie deve rompere le scatole, si, lo so, ma devo mettere in mezzo qualcosa che li ostacoli!!! :D

lilly95lilly spero ancor di più con questo capitolo… J

kikkikikki ciao! Sono davvero contenta di trovarti anche qui! Hai perfettamente percepito i caratteri salienti di questi miei personaggi, fragilità e protettività o premurosità… J Sono contenta che la storia ti piaccia, davvero grazie J

Miky1991 figurati, l’importante che tu l’abbia letto ;) La parte del tecnico era un omaggio al mio di tecnico che ancora mi deve sistemare il pc… -.- no comment… Bella l’ho fatta salire sul tetto, ma non l’avrei mai fatta cadere! Povera ragazza, sono già abbastanza sadica nei suoi confronti, non esageriamo… Poi, la parte del bagno era… un po’ tutta una suspance diciamo va ^^ Mi serviva per richiamare l’argomento fondamentale che sto trattando, cioè la bulimia… Sono contenta che ti sia piaciuta la parte davanti al camino, solo che al momento solo pensandoci mi viene da sudare maggiormente, sto morendo di caldoooo! Povera me… Charlie è un allocco, si lo so… tutto si sistemerà comunque… J baci, ciao! :*

luisina ehi cara! Si, Charlie ha preso un bel granchio purtroppo, ma le cose si aggiusteranno, non bene, ma si aggiusteranno.. J La storia di amore fra Edward e Bella in questo caso è semplicemente complessa. Dico così perché in questo caso i sentimenti sono per entrambi palesi, il problema sono le circostanze… ^^

irly18 Figurati, sono io che devo ringraziare te. In effetti quello che cerco di fare quando scrivo questa storia è entrare nella mente di Bella e immedesimarmi in lei, oltre che rapportarmi con esperienze simili che posso aver vissuto io. Tento di analizzare non tanto il lato sintomatico della malattia, quanto quello psicologico, cioè la sua causa. Spero di riuscirci, anche solo in parte!

ellylovestwilight eh eh, non è che si è comportato così per aiutarla, e che ha dovuto fare di tutto per aiutarla e in quel momento poteva fare solo quello… capito?! J In effetti la parte del tecnico era un omaggio alle disavventure “tecniche” che ho io… vedi pc ancora rotto!!! La parte del bagno era un richiamo a non scordarsi mai del problema di Bella… presto, spero, tutto si sistemerà ^^ Edward e Bella ovviamente ci starebbero bene insieme, ma Charlie in questa mia storia prenderà una grossa cantonata… spero che tutto si sistemi, non lo so neppure io!!! XD

Wind l’ho notato cara, ma che hai? Ti sento piuttosto risentita nei confronti di Bella, Charlie, e tutto il circondato… Tranne Edward ovviamente ^^ Lui non si tocca, MAI. J

mazza Hai fatto bene, altrimenti ti veniva una recensione di tre pagine! XD Comunque… ho notato con piacere che il patto vi è piaciuto, e noto con piacere che vi piacciono tutte le cose che scrivo per istinto e senza premeditazione… bene… per il problema di Bella… è più di un anno ormai che lo fa e il problema è che continua a farlo assiduamente ogni giorno, quindi, si, il problema è piuttosto grave… non voglio arrogarmi alcuna competenza medica, perché queste cose le ho trovate qua e là fra libri e internet, ma dovrebbe essere una forma acuta di esofagite per ora… Per il loro bacio… ci sarà… presto, prometto… non voglio essere così crudele da lasciarvi ancora in mezzo così… J Purtroppo ora però ci si è messo Charlie di mezzo… uff…

mieme ^^ Lo sai che vi accontento subito, no?! J La situazione si sta evolvendo su tutti i fronti, e portarla a vanti – su tutti questi fronti – si sta dimostrando un bel po’ complicato. ^^ Ma spero di riuscirci… J

endif Bella domanda. No, Edward intendo il non poterla proteggere da quello che si fa, cioè dai suoi problemi con il cibo. Per quanto riguarda la loro relazione anche per Edward è complicato. Perché anche se lui si è reso conto sin da subito di amara, pensava di poterla aiutare e poi scomparire dalla sua vita, ma le cose si stanno complicando…

Noemix XD cuore, cosa vuoi che ti dica? Allora… ti dico che presto la situazione si evolverà in bene, ma poi accadrà qualcosa di un tantino spiacevole, seguito da qualcosa di ancor più spiacevole. J Va bene così cuore!? :* E ti prometto che non ti farò ammattire più… J

shasha5 si Bella sta peggiorando e si Edward sa già qualcosina del problema di Bella… Anzi, più che qualcosina… Comunque… il lato protettivo di Edward è una risposta al lato fragile di bella! E siccome bella è molto fragile in questa ff, Edward è di conseguenza molto protettivo! ^^ Reazione a catena, no?! J

Vichy90 eheh diciamo che il capo Swan è un po’ fuori pista… si è accorto che Bella ha qualche problema, ma non riesce a capire quale! ^^

invierno90 Tank’s… J Grazie mille, contenta che ti piaccia!

silvia16595 grazie! Mamma mia, con queste cose che hai scritto… davvero io, non me l’aspettavo! Grazie, grazie mille! Si, il fatto che vomiti sangue e preoccupante, ma credo che la situazione riuscirà a sistemarsi fra un po’… tutto finirà al meglio, non stare lì a crucciarti, tento di rimanere sempre al livello delle vostre aspettative, quindi pensa esattamente cosa vuoi e io lo realizzerò ;)

barbyemarco eheh, la reazione di Charlie… diciamo che si tratta di un malinteso! E ci saranno un bel po’ di problemucci a riguardo! E poi, mica potevo farli rimanere solo amici! Tsè. Era ovvio che la cosa si sarebbe approfondita… non sapevo ancora quando, ma era ovvio… J

JessikinaCullen eheh diciamo che è peggio di una paternale! ^^ E poi si, infatti, Bella ha fatto progressi enormi, anche se sul lato del suo… emm… problema, diciamo che stiamo sempre allo stesso punto, anzi, la cosa sta anche peggiorando purtroppo! Non te lo aspettavi questo passo, vero?! Neppure io a dire la verità, ma quando ho scritto poi mi è venuto così… J

lisa76 eh eh, anche se si baciassero… non è un bacio che fa l’amore! ;)

araba89 eh eh, non potevo mica affrettare troppo i tempi! :D Dai, non ti preoccupare che fra un po’ tutto si sistema alla prefetion! Anche se prima ne dovranno superare di ostacoli! J

bigia contenta di averti rassicurata allora! ^^ E poi mica avrei potuto lasciarli semplici amici?! Non sono così crudele io! Anche se a volte voi lo pensate, ne sono sicura! *^*

chicchi non solo finale, tutta la storia romantica! Promesso! E grazie di tutto… J

ilariaechelon grazie, grazie mille J

ClaryCullen e si… però diciamo che non ha mai tentato di reprimersi…

Bella_Cullen_1987 povera! Io non ci sto mai neppure, visto che sul pc di mio padre non c’è… L

Lau_twilight vabbè, i baci mancati sono i migliori! Il pezzo dell’antenna era un omaggio al mio tecnico riparatore del pc… -.- Capirai, sta ancora sfasciato!!! Che amarezza…

ale03 XD si si, ma man mano state tornando tutte, quindi non dispero… e poi mi piace scrivere ^^ La parte del gatto… emm… come al solito esperienza personale! XD

 

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Capitolo 13
*** L'ultima bugia ***


Spostai con il cucchiaino il pezzetto di cereale galleggiante

Spostai con il cucchiaino il pezzetto di cereale galleggiante. Io, che non mi avventavo sul cibo pur non essendo sotto il controllo di nessuno, non era normale.

Mi sfregai la pancia, tentando di non pensare al dolore deciso che mi stava divorando lo stomaco. Avvertivo sempre un certo bruciore alla gola, e un dolore sotto al diaframma che si intensificava ogni volta che facevo dei movimenti veloci e bruschi.

Punzecchiai lievemente la lettera “E”. Cereali a forma di lettere. Questo testimoniava quanto fossi distratta mentre facevo la spesa. Oppure forse semplicemente quella volta era stato mio padre a comprarli, che, evidentemente, ancora non aveva capito nulla di sua figlia se continuava a non mangiare con me…

Presi a mescolare con rabbia e gran velocità i cereali nella tazza, formando un vortice di lettere incomprensibili. Mio padre e mia madre non mi volevano; non mi volevano bene! Li odiavo! Come loro odiavano me! Come facevano a non capire che avevo bisogno di loro?!

Bloccai la mano, lasciando che gli schizzi di latte macchiassero il tavolo. Edward diceva che non era così. Diceva che i miei genitori mi amavano, perché non si può non amare un figlio. E diceva che quando li avevo sentiti parlare così di me per loro era un momento critico, stavano litigando, avevano appena lasciato una persona cara.

Non riuscivo a non provare invidia nei suoi confronti. Lui aveva dei genitori perfetti, così buoni, così comprensivi, mente io… avevo dei genitori a cui non importava nulla di me, per cui ero solo un peso. E loro non si accorgevano di me! Continuavano a non accorgersi di me come continuavano a non vedere il mio problema.

Per questo mi volevo vendicare… E mi veniva facile proprio perché non avevo nulla da perdere.

Ripresi a mescolare le lettere, aspettando che venisse fuori qualche parola come “pazza”, “illusa”, “stupida”. Qualcosa che mi confermasse che non stavo sbagliando. Che dovevo continuare così, continuare a vendicarmi dei miei genitori… nonostante tutti i problemi che mi stavo causando.

L’avevo capito. Ma era troppo tardi. Mi stavo uccidendo.

E l’avevo capito solo ora, perché solo ora aveva cominciato ad importarmi della mia vita. Perché solo ora avevo qualcosa, qualcuno, da perdere. Edward

Quando il dolore allo stomaco divenne insopportabile misi via la poltiglia di latte e cereali che ormai si era creata e presi dallo zaino l’ormai fedele flacone di compresse antiacido.

Il clacson suonò, così scattai in piedi e mi precipitai nel vialetto.

Era davvero reale quello che era successo? Edward, per davvero…? Ero vissuta per anni in illusioni e masochismi tanto che ora non credevo più a nulla…

Ma lui era lì. Appoggiato alla portiera della sua Volvo argentata. Era lì per me, come le due settimane precedenti. Per amarmi.

Si. Non potevo perderlo.

Sentire le sue labbra sulle mie fu un salutare contatto. Non me lo sarei mai permesso prima,  questo testimoniava quanto lui fosse importante per me.

Sentii una strana e orrenda sensazione emergere. Una sensazione forte e mai provata prima. Mi sentivo come una vigliacca… una traditrice. Stavo tradendo la sua fiducia e mi vergognavo profondamente per il modo in cui lo stavo facendo.

«Tutto bene?» chiese notando, probabilmente, il mio silenzio e il fatto che tenessi gli occhi bassi.

«Si» mormorai, con un debole sorriso, voltandomi verso la sua postazione nell’auto.

Perché mi sentivo così? Perché l’inquietudine non mi abbandonava? Cos’era cambiato in me?

L’amavo.

Ecco cos’era cambiato.

«Siamo arrivati» disse con un sorriso, scendendo dall’auto e venendo ad aprirmi la portiera. Il vociferare degli studenti non era maggiore di quello dei giorni passati. Non mostravamo mai il nostro rapporto in pubblico con effusioni. I baci che ci riservavamo erano si, pochi, ma veramente sentiti e intensi.

Pensai al tempo passato. Com’era tutto cambiato. Avevo immediatamente sentito qualcosa per lui, l’istinto che mi diceva di potermi fidare, il bisogno di guardarlo per sentirmi felice.

Mi prese per mano. Già da subito avevo capito che non avrei avuto alcun problema ad adattarmi a quella nostra situazione, inevitabile punto d’arrivo della nostra relazione. Era stato solo il coronamento di un rapporto fatto di protezione e bisogno reciproco.

Mi strinsi a lui, pur non potendo far nulla per il rossore alle guance. Jessica e Lauren non erano cambiate. Ero cambiata io. Feci inconsapevolmente un mezzo sorriso.

Edward era con me, non mi importava nulla. Era lui il mio unico obbiettivo, il mio unico mondo, il mio unico scoglio. Lui e nessun altro.

Insieme ci avviammo in cortile. Non c’era sole, ma comunque il clima era mite e sereno. C’erano ragazzi che si rincorrevano, che giocavano, che studiavano. Stavamo aspettando il preside per una comunicazione.

Ci sedemmo insieme su una panca appartata, lontana dagli occhi di tutti. Edward mi abbracciava, disegnando cerchi immaginari sulla mano che avevo legato alla sua. Era silenzioso, assente, come se stesse meditando qualcosa, o come se volesse affrontare un discorso. Che avesse intuito qualcosa?

Sospirò. «Bella, senti, io vorrei uscire insieme a te, ti devo dire…».

Non fece in tempo a concludere la frase e far solidificare i miei sospetti, che una palla ci arrivò addosso. Fortunatamente Edward aveva avuto i riflessi pronti per bloccarla. E chi poteva averla tirata?! Era casualmente sfuggita di mano a Mike.

«Ragazzi» ci richiamò il preside, nel frattempo sopraggiunto. Il silenzio calò su tutti gli studenti «Avete la possibilità di effettuare una visita odontoiatrica gratuita. La scuola, il collaborazione con l’agenzia dentistica “clean teeth” ha inviato tre dentisti che saranno ben disponibili per prendersi cura dei vostri denti» disse sfoggiando la sua voce da gran discorso. Era un uomo pragmatico, ma che esaltava anche l’eleganza e il carisma. Un vociferare si alzò fra gli studenti, così alzò la voce per zittire tutti quanti. «I dentisti, saranno disponibili per le prossime due ore, verrete chiamati a gruppi per andarci. Buona giornata a tutti».

Per tutto il tempo ero rimasta immobile, raggelata. Il cuore mi batteva forte nel petto. Se ne sarebbero accorti? Certo che si. La domanda non si poteva neppure porre, il colore dei miei denti era sicuramente beige, molto lontano dal naturale bianco panna, lo smalto era gravemente danneggiato e le gengive irritate. Ad un professionista non sarebbe di certo sfuggito. Ero spacciata. Tutti sarebbero venuti a saperlo. No, non poteva essere. Non dovevo andarci.

«Non ci vado» dissi sicura.

Edward si voltò verso di me. «Perché?».

Sgranai gli occhi, sorpresa. Non era da lui. Non era da Edward farmi determinate domande, non era da lui chiedere e basta. Mi aveva sempre lasciato i miei spazi. «Io… non…» mormorai, ansimando lievemente «non ci vado» conclusi più sicura.

Lui mi sorrise. «Certo, ho capito, ti ho chiesto perché no» nonostante il suo tono fosse gentile, lasciava trasparire una certa determinazione.

«Io… Edward… non… non puoi…» balbettai sconvolta. Aveva davvero capito qualcosa? Tutto?

La sue espressione divenne addolorata, come se si fosse appena pentito.

«Edward!» la vocina allegra di Alice ruppe il momento di disagio; ci voltammo verso di lei. «La professoressa fa giocare Jasper e Rosalie a basket, ha detto che possiamo rimanere lì, non c’è bisogno di andare dal dentista; venite con noi a guardarli giocare?».

Il miei occhi saettarono rapidamente fra Alice, allegra, e Edward, che fissava intensamente la sorella. «Neppure voi ci andate?» chiesi perplessa. Perché Edward me lo chiedeva se non ci andava neppure lui?

Edward sospirò. «No, vieni» disse facendomi alzare dalla panca.

Il comportamento di Edward era in alcuni casi alquanto sospetto, ma per la mia serenità continuavo a ripetermi che avevo fatto una scelta, quella di averlo accanto, e la conseguenza di questa scelta era che dovevo perderlo così come si sarebbe presentato.

Restammo insieme ad Alice e Emmett a guardare le partite dei ragazzi più grandi.

Emmett mi sembrava molto simpatico. Si scambiava sempre strane occhiate con Edward, poi apriva bocca e la richiudeva, come se tentasse di frenarsi per non parlare troppo. Ogni tanto rideva o mi faceva un occhiolino che mi faceva arrossire e scatenare sua nuove risate. Era strano. Impertinente anche.

Quando entrammo in mensa, dopo un’ora di lezione, Alice, dal tavolo dov’erano seduti tutti i fratelli, si sbracciò per farci avvicinare. Arrossii. Poi sollevai lo sguardo e notai quello scocciato di Edward.

«Vieni Bella, sediamoci al nostro tavolo» mi disse con un sorriso.

«M-ma… tua sorella…» balbettai.

Mi sorrise «Non ti preoccupare, non se la prenderà».

Mio malgrado, accettai. Non potevo mangiare davanti a tutti i suoi fratelli, mi sarei agitata troppo e non sarei riuscita a controllarmi. Feci un sorriso di scuse ad Alice che mise un piccolo broncio e poi si sedette reggendosi la testa sui gomiti.

Mi sentivo in colpa. Se non fosse stato per il mio problema sarei potuta andarci…

Nulla però le impedì di parlare con me durate l’ora di palestra.

«Bella!» esclamò correndo ad abbracciarmi e beccandosi un’occhiataccia dal fratello. Era geloso anche di sua sorella?!

«Alice» mormorai con un sorriso, staccandomi da lei e attaccandomi automaticamente al petto di Edward coperto dalla leggera canotta blu, divisa di Educazione Fisica.

Le battè le mani, allegra. «Niente… ti volevo solo dire che… così… così… siamo cognate!» esclamò gioiosa. Poco mancava che si mettesse a saltellare.

Sentii Edward irrigidirsi, mentre io, contro ogni aspettativa, scoppiai a ridere. «Già, così sembra» dissi poi, timida. Era riuscito a trattenerla per due settimane, era astato anche troppo.

Lui mi abbracciò, tranquillo, con un sorriso.

Alice si mise a urlare contenta, mentre correva lontano da noi urlando «Devo dirlo agli altri!!!». Era davvero molto simpatica.

«Perdonami se ti infastidisce…» tentò di scusarsi Edward.

Lo interruppi. «No, non è così, davvero» dissi con un sorriso «sono contenta, mi sta molto simpatica. Non ti preoccupare, voglio solo che ci godiamo il… nostro… rapporto insieme…» conclusi arrossendo.

«Anch’io» disse lui, accarezzandomi il volto con una sua mano. Di nuovo calò quello strano silenzio fra di noi, mentre lo vedevo rimuginare.

D’un tratto però vidi Alice, lontana, con lo sguardo fisso nel vuoto, pietrificata. Mi preoccupai.

Stavo per andare da lei per chiederle cosa avesse, quando Edward parlò. «Bella, ho bisogno di parlarti, voglio dirti una cosa importante che…».

«Edward!» urlò Alice, quasi assordandoci, e comparendo accanto a noi «verranno a farci visita i nostri amici dall’Italia nei prossimi giorni» affermò con entusiasmo, mentre Edward s’irrigidiva.

Non capivo i loro comportamenti.

«Quando?» chiese lui risoluto.

Alice rise, allontanandosi e facendo spallucce.

Edward si voltò verso di me, ritornando sereno e sorridendomi. «Andiamo, è arrivata la professoressa». Era sempre così con lui, tutto cambiava in un attimo, riusciva sempre a farmi stare bene, anche quando era triste, anche quando lui era triste e pensieroso.

«Su ragazzi! Disponetevi in file, i ragazzi dietro e le ragazze avanti, vi dividerò in due gruppi per fare corsa e basket» annunciò lei, con le meni sui fianchi.

Sbuffai. «Mi va male in entrambi i casi».

Edward mi fece un sorrisetto «Non se capiti con me!».

Ridacchiai «Non sono abbastanza fortunata, non ho ancora trovato il mio Leprecauno!».

«Non sapevo fossi Irlandese!» scherzò Edward, ridendo e facendomi ridere.

In effetti dopo dieci minuti, con mio enorme dispiacere, dovette realizzare anche lui che non ero abbastanza fortunata, perché capitai nel gruppo della corsa, mentre Edward e Alice erano in quello del basket.

Me ne stavo per conto mio, dietro alla fila di ragazzi e ragazze, aspettando annoiata le istruzioni della professoressa.

«Allora ragazzi, dovete fare tre giri intorno all’edifico, e mi raccomando, quando passate dalla parte retrostante salite e scendete le scale d’emergenza, sono stata chiara?! Se becco qualcuno che non lo fa, nessuno gli risparmierà una “F”! E ora muoversi!» concluse dando il “via” con il suo fischietto.

Di malavoglia mi avviai alla corsa, pestando pesantemente i piedi a terra. Già dopo il primo giro il folto gruppo di ragazzi si è diradato in una lunga e ampia catena di cui io ero l’ultimo elemento. Avrei preso una “D” in educazione fisica, poco ma sicuro. Non mi importava granché, quello che avevo in testa in quel momento era il bisogno di sentire Edward accanto a me.

Bisogno. Necessità.

Dopo due giri avevo già il fiatone e un forte dolore alla milza.

«Su, su Swan, non battere la fiacca, non vorrai mica essere bocciata in educazione fisica, vero?!» m’incitò da lontano la professoressa.

Sbuffai fra i denti, ordinando alle mie gambe di continuare a correre. Vedevo altre ragazze davanti a me correre più veloce, ma io proprio non ce la facevo. Solitamente, durante ginnastica, me ne stavo rintanata in un angolino a mangiarmi le unghie e a ripararmi da eventuali pallonate, quella di dover correre era proprio una sfortuna.

Non ce la facevo più, mi sembrava che il mio corpo non rispondesse più ai miei comandi e che il respiro non bastasse. Feci leva su me stessa e salii i gradini delle scale d’emergenza. Tuttavia ogni passo era sempre più faticoso, come se un pesante macigno fosse di volta in volta aggiunto sui miei muscoli.

Ad un tratto però sentii una sensazione diversa dalla normale stanchezza. Per un’altra volta sentii il cuore, nel petto, che batteva ad un ritmo incredibile, ancora più veloce di quello che stava già sostenendo da diversi minuti.

Non ce la feci più a continuare a muovermi, così mi accasciai sulle scale di emergenza, tremante e spaventata.

Mi sentivo malissimo, tutti i miei muscoli erano senza alcuna forza e il cuore, battendo forsennato nelle mi orecchie e nel mio cervello, faceva aumentare tutta la mia ansia e la mia inquietudine.

Provavo paura.

Per l’ennesima volta, da quando ero bulimica, provavo seriamente paura.

Per la prima volta, provavo terrore.

Una cosa è rendersi conto di quello che si sta facendo e capire a cosa tutto quello porterà.

Un’altra è capire che non puoi tornare indietro.

Annaspai in cerca d’aria portandomi una mano sul cuore. Avevo paura… ma non volevo farmi scoprire. Che cosa dovevo fare? Gemetti, dolorante e stremata, senza la minima forza che mi permettesse di fare qualsiasi cosa. Non avevo con me le mie comprese, le avevo lasciate nello zaino.

Perché non passava più nessuno? Perché non c’era nessuno per aiutarmi? No, nessuno mi doveva aiutare, non mi dovevano vedere così, in quello stato. Non dovevano capire, sapere… mi vergognavo troppo per quello che stavo facendo.

Provai ad alzarmi, ma ricaddi sui freddi gradini d’acciaio, colpita dal solito dolore allo stomaco, ancora più forte, ancora più ampliato. Mi sentivo troppo male, non ce l’avrei mai fatta.

Un pensiero, forte, mi colpì; Edward.

No, lui non poteva, non doveva vedermi così. Scoppiai in lacrime senza che potessi farci nulla. E tutto quello non fece altro che far aumentare il ritmo del mio cuore e il mio respiro affannato.

«Edward…» gemetti fra le lacrime «ti prego non venire…». Non sapevo perché parlavo ad alta voce, era tutto così assurdo… non ce l’avrei mai fatta… Sarei morta.

Dopo poco sentii un vociferare di ragazze. Mi affrettai ad asciugarmi le lacrime, mentre vedevo Lauren e Jessica avvicinarsi, le ultime della fila dopo di me. Non mi videro, e continuarono a correre, non salendo sulle scale e infischiandosene degli ordini della professoressa.

Un altro moto di lacrime mi offuscò gli occhi. Cosa avrei fatto, dovevo chiamarle? Stavo decidendo della mia vita in quel momento?

Aprii bocca, ma poi la richiusi. No, non potevo farlo.

Non avevo più alcuna speranza. Mi dovevo rassegnare? Avevo troppa paura…

Mi sedetti sui gradini, spalleggiandomi all’indietro, attenta a fare il minimo rumore e tentando di regolarizzare il respiro.

Improvvisamente il mio povero cuore si calmò, scemando velocemente nella sua corsa innaturale.

Ero viva. Mi sembrava, ancora una volta, di poter dire “sono viva”. Stavo per morire. Quella consapevolezza mi colpì come un doccia fredda.

Ansimai, portandomi le mani fra i capelli. Non avrei mai più vissuto. Avrei perso i miei sogni, i miei ricordi, le mie possibilità, Edward, me stessa. Avrei perso tutto, tutto questo.

Non volevo.

Mi asciugai il sudore dalla fronte. Il dolore alla pancia non sembrava voler scomparire, quindi aspettai ancora, in attesa che sparisse completamente, ma purtroppo non accennava a farlo. Rischiavo ancora di perdere tutto?

Fui sommersa da una nuova ondata di paura. Vedevo i miei compagni, i miei genitori, Edward, il terrore, il senso di vergogna, se mi avessero scoperta. E vedevo in questo l’impossibilità di farmi aiutare, ma al contempo sentivo la necessità di farlo.

Singhiozzai. Ero disperata, mi volevo a tutti i costi tirare fuori da quella situazione. Non potevo farmi aiutare, non volevo farmi scoprire.

Mi sollevai sulle ginocchia tremanti e trassi dei profondi respiri. Ce la dovevo fare, ad ogni costo.

A fatica riuscii a completare la rampa di scale che portava in alto, e scendere la seguente fu più semplice, ma non meno doloroso. Era un dolore forte e costante che mi toglieva il respiro.

«Bella!» mi sentii chiamare.

Sussultai, raggelando.

A una ventina di metri da me, Angela mi veniva incontro a passo sostenuto.

Che cosa sarebbe accaduto? Dovevo confessarle tutto? Sentii un magone stringere la gola e l’ansia tornare sovrana a scuotermi la testa. Volevo che qualcuno mi aiutasse, ma non avrei mai permesso a nessuno di scoprire il mio segreto, non potevo. Neppure con Angela? Forse… lei avrebbe davvero potuto aiutarmi…

«Bella, cosa succede? Sono andati tutti via, ho visto che non arrivavi e sono venuta a cercarti» mi spiegò accorata, giustificandosi.

«Non è nulla» dissi istintivamente, sgretolando tutti i miei propositi di essere sincera. «Mi sono solo stancata per la corsa» ansimai, spossata. Quella bugia mi bruciò. Per la prima volta da quando mentivo, non volevo più farlo.

Vidi sul volto di Angela un’espressione sorpresa e ansiosa mentre mi scrutava il volto, non dovevo avere un bell’aspetto. «Come ti senti?».

«Non è nulla», bugia, «sto bene», nuova bugia.

L’espressione sul suo volto rimaneva perplessa. Ma non mi disse nient’altro, senza chiedermi nulla mi mise un braccio intorno al fianco facendomi avviare verso la porta della palestra.

Non dissi niente, non ce l’avrei fatta ad arrivare da sola in così poco tempo. Camminavo in silenzio appoggiata a lei, strascicando i piedi con aria stanca, con troppi pensieri in un solo momento. Non sapevo più che fare.  Tutto il mio modo fatto di finzioni e di bugie stava crollando miseramente… potevo ancora prendermela con qualcuno, se non con me stessa?

«Bella!» mi sentii chiamare, questa volta, da una voce maschile. Edward ci venne incontro, sull’ingresso della palestra, prendendomi il viso fra le mani.

Mi sentii attraversare da una scarica elettrica che si condensò sulla nuca e abbassai lo sguardo.

«Era fuori, si è stancata per via della corsa» disse Angela al mio posto, notando che rimanevo in silenzio.

Edward però continuava a scrutarmi, preoccupato, come se non avesse ascoltato le parole appena pronunciate dalla mia amica. «Vieni, facciamola sedere», disse guidandomi con un altro braccio verso una panchina.

Non capivo perché non parlavo, non capivo perché non dicevo “Edward, non ti preoccupare”. Restavo in silenzio. Avevo bisogno di lui.

Mi accarezzò una guancia, inginocchiandosi di fronte a me. Poi lanciò un’occhiata ad Angela. «Ti dispiacerebbe prendere un po’ d’acqua?» chiese arricciando le labbra.

«No, certo» fece lei, dileguandosi in fretta.

Non la vidi, ero impegnata a fissare Edward negli occhi.

E lui lo stesso faceva con me, non abbandonando mai il mio sguardo.

Non sapevo cosa fare, cosa dire. Ero sconvolta. Semplicemente sconvolta. Sentivo una nube di sensazione e di pensieri troppo complicati dentro di me, che confondevano il mio essere con venti, piogge, tempeste e fulmini. Me stessa in tempesta.

Lasciai da parte la ragione e feci ciò che l’istinto mi suggerì.

Mi lanciai fra le sue braccia, nascondendo il capo sul suo petto e prendendo respiri veloci, stringendo con forza, con i pugni, la sua camicia, i suoi capelli. Non volevo separarmi. Mai. «Non… non è successo nulla…» ansimai velocemente, stringendomi con più forza. «Non è niente…» dissi ancora, con un tono agitato e angosciato che asseriva tutto il contrario.

L’unica risposta di Edward fu quella di stringermi con dolcezza a sé e cominciare ad accarezzarmi i capelli.

Respiravo il suo profumo, sentivo la sua vicinanza, la sua pelle, e sapevo che non volevo separarmene. Non volevo lasciarlo. Deglutii, aumentando ancora la pressione. Non volevo morire.

Dovevo farmi aiutare?

No. Non ce l’avrei mai fatta.

Ma dovevo smettere.

«Edward» mormorai, accarezzandogli una guancia e tirandomi su con la schiena.

Vidi il suo volto in una maschera neutra e imperturbabile, meraviglioso come sempre.

No. Come potevo lasciarlo? Non potevo. Chiusi gli occhi, appoggiandomi indietro sul muro.

Angela ritornò con l’acqua, bevvi un po’ e poi le sorrisi. Il dolore era scomparso in un attimo, così come era venuto. «Grazie mille Angela» ringraziai restituendole la bottiglietta.

«Ti senti meglio?» chiese osservandomi. «Sei ancora un po’ pallida, magari sarebbe meglio andare da un medico…» propose titubante.

Sussultai, ansimando lievemente.

«Grazie Angela, non ti preoccupare, ci penso io a lei adesso» rispose Edward gentilmente, aiutandomi ad alzarmi.

Mi accompagnò verso gli spogliatoi e aspettò che mi cambiassi, poi, sempre in silenzio, mi portò in macchina. Aveva un comportamento pacato e gentile, ma non potevo non sentire come una pellicola fra di noi. Io me ne stavo in silenzio, continuando a non pensare, continuando ad evitare i miei pensieri, i miei problemi. Ma non facendo nulla per rompere la pellicola. E così Edward se ne stava dal canto suo in silenzio, con un espressione pensierosa.

Sentii i freni dell’auto fermarla dolcemente sul vialetto. Poi Edward si voltò verso di me, rompendo la pellicola. «Cos’è successo Bella?» mi chiese serio, ma non duramente.

Raggelai, deglutendo. «Io… mi sono solo stancata… non sono abituata a correre…». Mai una bugia aveva bruciato come quella.

Edward mi mise una mano sotto il mento, costringendomi a portare i miei occhi nei suoi, limpidi, sereni, seri. «E ti sei stancata tanto da non riuscire a respirare, tanto da provare dolore, tanto da piangere?» incalzò.

Ansimavo, aprendo e richiudendo la bocca, non sapendo cosa dire. Ero allibita. Come faceva a sapere tutte quelle cose? Lui era a conoscenza di tutto? Tutto? Non era possibile. Non potevo crederci.

Non ci credetti. «Si», risposi, «mi sono solo stancata, non sono abituata a correre». Nessuna esitazione nella voce, i miei occhi fissi nei suoi.

Uno squarcio nel petto per quella che sarebbe stata l’ultima bugia.

Volevo smettere.

 

 

Care! Ok, lo so, il mio ritardo è imperdonabile e cose del genere… lo so. SCUSATEMI!!!

Questo capitolo è stato molto, molto difficile da scrivere. Succede tutto il macello interiore di Bella e avrei voluto aspettare ancora un po’ prima di postarlo, per rifinire i pensieri di Bella, i sentimenti, le sensazioni.

Scusatemi se la cosa vi sembra ogni tanto un po’ scoordinata, mi dispiace tanto, ma era davvero un capitolo difficile.

 

Tengo a precisare che Bella PROVERA’ a superare il problema, e a calcare il fatto che NON VUOLE farsi aiutare e non vuole dunque farsi scoprire. Ha già fatto un enorme paso avanti, non poteva farne di più, sarebbe stato poco realistico, e io non voglio essere poco realistica.

 

Edward cerca di aiutarla come meglio può, cammina in equilibrio su una fune sospesa, non può esagerare.

(Ovviamente né lui, né i suoi fratelli potevano andare dal dentista e rischiare di tagliarli un dito XD).

Bye care!

A presto, spero.

 

PS. Capitolo dedicato a Luisina che mi ascolta sempre e a Cami, un bacio.

PPS. Grazie mille per i commenti che mi avete lasciato nel blog, in cui troverete notizie sugli aggiornamenti, su anche altre mie storie, e anche alcune bozze dei miei capitoli che verranno pubblicati qui e che è…

 

«--BLoG!!!--»

 

www.occhidate.splinder.com

 

Shinalia grazie mille! ^^ Beh, si, e sei stata fortunata perché sono solo 12 capitoli, immagina a se fossero stati di più! J Spero di poter continuare a fare bene e, perché no, migliorare, grazie ancora!

single93 grazie allora, spero potrà continuare a piacerti! ^^

irly18 grazie! E è stata altrettanto “violenta” l’illuminazione! Mi ha colpito come un fulmine a ceil sereno e non c’è stato scampo u.u ho dovuto scriverne! ^^ E poi davvero se no… chi si svincolava da questa situazione assurda? Meglio farli prendere a schiaffi!!! XD sto scherzando… che umorismo scadente… hhh…

federika88 Grazie! Sono contenta che la mia storia non sia risultata banale, volevo proprio cimentarmi u qualcosa di più impegnativo. Grazie mille quindi! Per quanto riguarda la tua domanda, si. Edward sa già tutto, per conoscere i dettagli dovrai aspettare che ne parli lui stesso, ma già ora è a conoscenza di tutto. Non gliene ha parlato direttamente perché riteneva che prima Bella si dovesse fidare e confidare con lui. J

luisina Luisina! evviva Carly, sempre e comunque! *.* Beh, ti ringrazio, come al solito in questa storia aspetto i tuoi commenti come l’acqua nel deserto! Sono contenta di essere riuscita a rendere realistici i pensieri di Bella… mi sono dovuta immedesimare! Ogni volta scrivere questa storia diventa sempre più impegnativo per i miei neuroni! XD Sono contenta ti sia piaciuta la parte del bacio, come tu ben sai, trasformare l’amicizia in amore non è semplice, ho fatto un sospiro di sollievo quando ho finalmente “varcato il confine” XD Baci cara, a presto! :*

00Alice Cullen00 Figurati! No, non hanno “tagliato le lezioni”, semplicemente era sabato, e di sabato non si va a scuola in america, c’è il week-end lungo, hai presente? Le tue opzioni sono molto divertenti, ma credo che solo il tempo potrà dire cosa accadrà. Ovviamente, penso si sia capito, Edward sa già tutto, solo ora dovrebbe trovare un modo per aiutarla e dirglielo apertamente non è la strada migliore per ora. Per quanto riguarda il fatto di abbuffarsi, ci sono diversi tipi di bulimia, è una malattia che comprende molti stadi e molte varianti. Di solito ci si abbuffa molto spesso e si mangia in continuazione, anche senza rendersene conto. Più che altro non si vomita sempre… Per quanto riguarda gli scopi, credimi, ti tuoi sono più alti, non l’h fatto per fare una campagna anti-bulimia, e se nei primi capitoli ho voluto chiarire che è sbagliato faro, è perché non volevo che qualcuno emulasse Bella e leggesse erroneamente i miei messaggi. Ovviamente mi sono documentata, come faccio sempre e con qualsiasi cosa quando scrivo una storia. J

shasha5 la frase non è quella, ma ci sei andata vicina, non come spazio, ma come significato! ^^ La parte “strana” XD, mi è venuta sul momento così e… per questo mi è venuta bene, le cose che mi vengono sul momento sono sempre quelle che mi vengono meglio ^^ Invece quando mi devo mettere lì a scrivere con la storia in testa non combino mai nulla di buono ^^ eheh, vammi a capire! XD

bea_s Grazie mille! ^^ Non lo so neppure come ho fatto a trovare il giusto equilibrio, ma di sicuro questa storia non è nata come una lezione di moralità, tuttavia non voleva neppure usare un argomento così delicato parlandone in maniera leggera… penso che derivi da questo l’equilibrio. Grazie per aver commentato ed aver espresso il tuo parere, mi fa sempre molto piacere!

Vichy90 benissimo! XD perché invece il mio Edward l’avrebbe dato eccome lo schiaffo… u.u 

patu4ever  mangiabile?! XD ok, io ci proverò… ma non ti garantisco nulla, mi metto accanto al lavandino… XD Charlie romperà sempre più! Ma è questo che fanno i genitori no? Rompono. u.u Sono stati inventati apposta… ^^ dai su che tutto si sistemerà fra i due!!! O forse no… XD cioè si e poi no… XD

Wind si si ho capito cara XD non ce l’ho con te, ma difendo sempre la mente dei miei personaggi, che poi è la mia. Quindi è giusto il ragionamento? Mi sono immedesimata più del solito questa volta… ma per capire certe cose mi devo psicoanalizzare… XD

beuzz94 ohhh! Ma cara, la tua presenza non mi dispiace affatto, anzi, tutt’altro XD! In effetti in una normale ficcy forse non gliel’avrebbe mai tirato lo schiaffo… forse… o forse si… cioè, il motto di Edward è proteggere Bella sempre è comunque… e far de male a chi le fa del male… ora… se è lei stessa che si fa del male… è giustificato il gesto no? ^^ Per la tua domanda la risposta è si ;) ottima osservatrice ^^

lilly95lilly grazie allora, spero continuerai a gradire ^^

silvia16595 non mi sottovaluto affatto, semmai mi SOPRAvvaluto… XD XD fidati… ^^ beh si, si stanno chiarendo… ovviamente si anche Eddino puccioso deve parlare, e Bella finirà di confessarsi in seguito ^^ Cioè mai, ma poi … vabbè, non ti posso spiegare che succede, mistero ^^

lindathedancer XD beh si, grazie allora ^^ mamma come gongolo *.* Cara…

Lau_twilight grazie mille cara!!! *.* Sei sempre così dolce e tenera con me, ogni volta mi dici quanto ti piacciono le mie storie, che non poteri mai mandarti i volturi! Al massimo ti mando Emmett, o Alice! Quale preferisci? Gli altri sono miei… muahahah… ok, a parte questo. Si si, ha fatto bebe a tirarle lo schiaffo… insomma, Bella non ha rispetto per la sua vita, non poteva sopportare di sentirle dire certe cose… ^^

lory_lost_in_her_dreams siii!!! Hai indovinato la frase brava u.u Edward ha fatto bene a schiaffeggiarla, fidati di me, altrimenti in questo momento non si sarebbero né baciati, né dichiarati, né tanto meno la situazione si sarebbe in qualche modo evoluta… u.u Quindi  gli schiaffi salutari…. Ehhhhh!!! Poi se da Edward mi farei schiaffeggiare anch’io scusa… u.u Tutto pur di toccarlo *.*

Noemix XD si si l’equazione funzionerà, crediamo nella potenza delle equazioni mentali!!! ^^ Ti sei trasformata in una ninfa solo per adescare Edward, di la verità, on è così?! XD dillo al cuore tuo, dillo… u.u lei che die di essere innamorata… XD lancia i fiorellini… XD

mazza A) eh eh, purtroppo il matusa non ha capito una cicca… e che i possiamo fare noi? Mmm… B) povera piccoletta!!! Ma non è che ti esaurisci le scorte di fazzoletti tempo, no?! XD C) non si può avere, sono in tiratura limitata u.u D) eh eh si si XD ma lei ancora lo deve capire… XD E) ma si dai… che prima o poi lo capirà… XD molto poi… XD no, dai, scherzo… F) già che dolce quando canta vero?! Un amor… un fiorellino *.* G) eh eh, hai visto che non è poi così tonta la ragazza… ^^ eh eh H) eh beh, si, è stata una cosa istintiva… anche se controllata, diciamo che se fosse stata puramente istintiva Bella si sarebbe ritrovata senza testa… XD I) eh beh si, sono le stesse… hhh… sai com’è… non mi capisco neppure sola, magari mi capisci tu piccoletta!!! Mi dici come funziono?! XD

Goten Ohh! Come sono contenta! Cioè… mi sto ancora capacitando… Grazie! Sono contentissima, spero che la mia storia continui a piacerti, ancora grazie! *.*

barbyemarco XD eh eh, queste piccole vendette che ci prendiamo io e Claudia l’una sull’altra movimentano un po’ le mie giornate… ^^ Non ci posso fare nulla se adoro la sua storia! Avete fatto bene a pubblicarla su fb, è bellissima ^^ Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto ;)

endif grazie mille per le tue parole… In effetti avevo in mente solo Cullen’s Love… e quello siche era un piacere e uno sfogo e non capivo perché non mi succedesse più anche con questa storia… così mi sono bloccata, ma ho capito che più passava il tempo, più diventava difficile per me riprendere a scrivere questa. Poi mi sono arrivati i messaggi e… non voglio dire che di questa storia non v’importava o che il vostro sostegno non mi bastava, anzi… ma… avevo proprio bisogno che qualcuno mi dicesse che preferiva questa storia all’altra e sono riuscita così a far ritornare tutto come prima. Grazie per le tue parole. J

Tatydanza bravissima, si, è una di quelle che hai citato tu ^^ Grazie per i complimenti al capitolo, sono contenta ti sia piaciuto… prossimamente scoprirai quale delle due è la frase… J

JessikinaCullen ma no, se vuoi mi puoi anche pungolare, non c’è problema! Anzi, mi spinge davvero a scrivere più velocemente, infatti se non m’avessero pungolata non avrei mai postato! XD Allora… spieghiamo la reazione di Charlie… Bella si è aperta, ha manifestato quello che aveva dentro, si è tolta la maschera di indifferenza. Ma tolta l’indifferenza non c’era solo gioia per la compagnia di Eddy, ma anche tristezza per tutto il suo problema… ecco che quindi Charlie fa la frittata…

mieme (no, non è quella la frase XD XD) in effetti si, ho chiarito che Edward era già a conoscenza di tutto… beh, i tenevo a farlo… per, per Bella e per il sangue… vediamo come posso spiegarlo… Quando fai qualcosa di sbagliato, dentro di te, trovi sempre una scusa per giustificare la tua azione, perché nessuno mai agisce per il male. Quando continui a fare qualcosa di sbagliato, non trovi più neppure la ragione, perché è diventata un’abitudine. Quando vedi i risultati della cosa sbagliata ti spaventi, ma poi trovi la giustificazione e continui a farlo e anche quella diventa un’abitudine. ^^ Mi psicoanalizzo per capire queste cose XD Per quanto riguarda Charlie… emmò poverino, è scemo… ma non è né la prima né l’ultima che combina…

barbiemora______ certo che sei stata tu! E poi ho capito che non è colpa mia se con questa storia ho avuto alcuni blocchi, è che la maggior parte delle lettrici che conosco mi dici “quando aggiorni Cullen’s Love”? E nessuna mai il contrario… quindi è normale poi per me, anche inconsciamente, preferire l’altra… ma non lo farò più, giuro, ora che so che volete tanto bene anche a questa storia non lo faccio più ^^ hai perfettamente indovinato la frase causa e origine di tutti i problemi, complimentissimi! ^^ Ancor di più perché l’hai individuata mentre leggevi e non dopo che hai letto il mio invito a trovarla, brava…  

ale03 beh, si, l’ho detto che la reazione di Charlie sarebbe stata sui generis… ^^ e non è finita qua XD sono contenta che tu non t la sia presa con Edward! Beh, non è che le ha tirato lo schiaffo per le questioni, l’ha tirato perché ha detto in modo velato che avrebbe voluto togliersi la vita… ^^

midnightsummerdreams grazie! La dichiarazione è stata spontanea e non premeditata!!! ^^

araba89 wow che recensione! Grazie mille, figurati, per così poco! Anzi, se non fosse stato per il fatto che ogni tanto mi scuotete e mi spingete a scrivere sarei ancora in alto mare o con la testa fra le nuvole, quindi grazie! Si, ho pensato di scrivere un libro, e ho anche cominciato a farlo… Ma poi mi sono fermata per affinare il mio stile di scrittura tramite le ff, ed eccomi qui! J

kikkikikki cara non ho letta la frase nei tag, ma credo che fosse “importa a me”, vero? ^^ Beh ecco si… Eddino ha voluto farla riscuotere un po’ ^^ Grazie di tutti i complimenti cara, io vado sempre avanti! Anche quando non ho idee XD

Confusina_94 si, grazie cara! ^^ Eh già, finalmente si sono confessati! Devo dire che hanno preso alla sprovvista anche me! Cioè, non pensavo che la situazione si evolvesse così! Cioè… per me quando scrivo è più o meno come quando sogno… non sono tanto responsabile e cosciente di quello che succede… solo che c’è stato schiaffo, bacio! Bacio, amore! è venuto così ^^

Bella_Cullen_1987 grazie!!! XD Lo veneri come la venere o lo veneri come la ninfa? XD Domanda scema…

 

 

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Capitolo 14
*** Chi sono? ***


Tre ore, ventiquattro minuti e svariati secondi

Dance of the Clouds - http://www.youtube.com/watch?v=ZdwHuAIaFS0

 

Tre ore, ventiquattro minuti e svariati secondi.

Osservai l’orologio, aspettandomi che quel lasso di tempo aumentasse da un istante all’altro.

Non avevo fame. Non avevo fame e non avevo bisogno di mangiare.

Tentai di concertarmi sulle parole della professoressa, che mi stava squadrando con disappunto, e di non distrarmi. Sentii le risatine degli altri e arrossi, abbassando il capo e nascondendomi fra i miei capelli.

Non c’era bisogno che facessero così… avevo capito che dovevo stare attenta… pensai infastidita e mortificata.

La professoressa sbuffò e riprese a spiegare, così mi appiattii sul banco, tendano di scomparire e di non dare fastidio a nessuno.

Scacciando il senso di inadeguatezza ricominciai, quasi inconsapevolmente, a far vagare lontano i miei pensieri. Edward quel giorno non era lì con me, perché era dovuto andare a fare trekking con la sua famiglia. Per un po’ mi ero dispiaciuta del fatto che non mi avesse chiesto di andare con lui. Ma solo per un po’. Primo, perché il mio buon senso mi suggeriva che io e il campeggio non eravamo mai andati d’accordo. Secondo perché, da tre giorni, da quando era successo l’incidente in palestra, Edward era diventato la mia seconda pelle.

Il suo comportamento era davvero strano. Come se fosse diviso fra due pensieri, come se tentasse di dominare una parte di sé che aveva nascosta, che ancora non potevo comprendere. Da quando ci eravamo conosciuti il nostro rapporto si era sempre più intensificato, fino a condensarsi nella nostra relazione attuale. Tuttavia c’era un confine, un confine che divideva un normale rapporto di coppia da qualcosa di diverso.

Ed era proprio quello, il diverso, che stavo vivendo in quei giorni.

Una cosa è decidere di uscire insieme, un’altra, è sentirsi sotto esame, costantemente controllati, mentre lo si fa. Non era come se mi stesse offrendo la metà di se stesso, in modo, con la mia metà, di ricostruire la mela. Mi stava offrendo molto più; un grosso sostegno a cui mi ritrovavo, senza ben sapere come, completamente appoggiata.

Oramai spesso mi ritrovavo a pensare, non dormire la notte addirittura, al fatto che potesse sapere tutto di quello che facevo. Ma non potevo permettermi di restare a pensarci troppo, né lo facevo, perché il mio bisogno egoistico di tenerlo accanto mi diceva che questa era una prospettiva irrealizzabile, e così doveva rimanere.

Anche perché, da ben tre giorni, tutto era cambiato.

Sorrisi, quasi inconsapevolmente. Non pensavo potesse essere possibile, ma ero riuscita a non vomitare, e controllare quello che mangiavo. Per tre giorni. Dovevo resistere.

«Signorina Swan!».

Non appena le mie orecchie registrarono l’esclamazione vidi anche il volto paonazzo della professoressa che mi fissava a dieci centimetri di distanza. M’irrigidì, disorientata.

«Isabella, sono cinque minuti che ti chiamo. Si può sapere a cosa pensi durante le mie lezioni?!».

Sbattei le palpebre, volgendo lo sguardo, lentamente, verso gli altri studenti che mi fissavano ridacchiando.

Sentii una strana ansia crescere dentro me, mentre il rossore tornava ad imporporarmi le guance. Le loro occhiate erano come pugnalate che mi infilzavano senza pietà, pungoli di ferite già aperte. Calma Bella, calma. Nessuno ti guarda. Strizzai forte gli occhi, come se facendo finta che non esistessero avessi potuto anche sbarazzarmene.

«Signorina Swan, insomma, che sta facendo?!» mi riprese ancora la professoressa, infastidita dal mio atteggiamento e dal mio mutismo.

Un coro di risate scoppiò in classe, entrando nelle orecchie con inaudita prorompenza.

Aprii la bocca, annaspando.

Le frasi degli altri studenti si sovrapponevano fra loro, sempre più lontane, sempre più confuse, sempre più angoscianti.

«Ma guardatela, e quella sta con Cullen!».

«Le farà pena!».

«Magari ora stava pensando a lui, la poverina!».

«E’ sempre stata un’asociale».

I rimproveri della professoressa cominciarono a concentrarsi verso di loro, tentando di contenere le sempre più fragorose e fastidiose risate.

Mi guardavano, ridevano, mi schernivano. Esattamente come Lauren e Jessica avevano già fatto. Allora era così…

Realizzai in un dolorossissimo istante che tutti mi vedevano come una ragazza patetica, che faceva pena ai più, quelli che si presentavano come miei amici; e quelli che invece non lo erano pensavano fossi una ragazza asociale, una povera emarginata. Mai il giudizio degli altri mi aveva così duramente colpito. In un attimo mi sentii male, sbagliata, assurdamente sbagliata.

Per la prima volta mi aprivo al mondo dopo tanto tempo, e lo trovavo un luogo ostile, alieno. Come se nella mia bolla avessi coltivato una me stessa diversa da quella che vedevano gli altri, e ora che la bolla stava svanendo… Cos’ero, io? Cos’ero io se tutto il mondo mi vedeva in quel modo assurdo?

Mi sollevai in piedi di scatto, facendo ammutolire tutti. Con la manica ruvida mi asciugai le lacrime, riponendo velocemente le cose nello zaino. Non sentii i nuovi rimproveri, avevo solo un fischio fastidioso nelle orecchie e il rumore di quelle frasi crudeli.

Mi bastava così poco per crollare?

Corsi via dall’aula, senza fare particolare attenzione a non inciampare.

Cos’ero? Ero quello che gli altri vedevano di me?

Singhiozzai, stordita, salendo sul pick-up.

Io non ero così, non volevo essere così. Con chi mi potevo arrabbiare? Con chi me la potevo prendere? Perché se non l’avessi fatto con qualcuno, non avrei mai saputo arginare il dolore che come un acido mi stava sciogliendo, prendendosi molto più di quanto potevo dargli.

Guidavo, tentando di scorgere la strada attraverso i miei occhi inondati dalle lacrime, tentando di concentrarmi per conservare quello che permaneva della mia vita.

Ne valeva davvero la pena? Mi sentivo così… patetica. Se tutti mi vedevano così, lo ero davvero? Come poteva essere il contrario?

Accostai sul vialetto di casa, stringendomi il petto per arginare i singhiozzi. Urtai con il capo il volante. Lo feci ancora, una, due volte, tentando di scacciare quei pensieri che non riuscivo più a contenere, quei pensieri che erano troppo. Troppo, per me. Troppo, per la mia mente indifesa.

Troppo poco rispetto al dolore che provavo appena sotto il diaframma e che mi stava infiammando la gola.

Raccolsi velocemente tutte le mie cose, correndo verso casa. Tentavo di infilare la chiave nella toppa, ma per una beffardo gioco del destino, nonché per il tremore diffuso alle mani, ogni tentativo sembrava più vano del precedente.

«Ti prego, ti prego» gemetti, fermando una mano con l’altra e riuscendo finalmente nel mio intento.

Non appena arrivai nel soggiorno mi bloccai, lasciando scivolare per terra lo zaino.

Piansi più forte, singhiozzando sempre più. Che cos’ero io? Cos’ero?!

Potevo credere nella bontà dei miei pensieri solo finché restavano in me, ma il mio comportamento, invece, insieme al pensiero del mondo, diceva che non ero così buona come credevo. Allora poi era troppo facile trovare riscontro con i loro pensieri.

Mentre ansimavo crollai a terra, tentando di controllare il respiro, sempre più veloce e sempre più accelerato.

Sentii ancora una volta nelle orecchie le risate dei miei compagni e vidi i loro volti squadrarmi beffardi. Cattiva, malvagia, patetica…

No, no! Io non ero così! Perché nessuno poteva capire la mia fragilità?! Come potevo dimostrare agli altri quanto ero fragile?

Mi sollevai da terra, presa improvvisamente da un nuovo, forte, impeto, che mi scaldava il sangue nelle vene. Rabbia. Che accecava e riempiva, anche se per poco, il vuoto che sentivo dentro me. Rabbia verso tutti e tutto. Quelli che non mi comprendevano e quelli che invece mi comprendevano troppo.

Potevo farlo ancora?

Il pensiero durò così poco nella sua brevità, che mi ritrovai ancora con le mani impegnate a spingere cibo nella mia bocca. Senza alcun controllo, senza alcun ritegno, con la sola bramosia. Avevo fame, fame, e qualunque cosa mangiassi non bastava a saziare il mio appetito crescente. Volevo magiare, mangiare di tutto. Tutto mi pareva buono e appetitoso, tutto. Ancora, e ancora, senza alcun desiderio di fermarsi…

Dovevo vendicarmi. Vendicarmi, liberarmi da questa rabbia accecante e andare fin in fondo.

La rabbia svanì come una meteora…

Sentii il freddo delle piastrelle del bagno sotto i miei piedi scalzi, sotto i miei passi. Ora lenti. Ora bisognosi di correre verso la loro meta. Avevo detto che non l’avrei fatto più… Valeva ancora questo discorso? C’erano ancora i presupposti e le motivazioni che mi ero data per smettere?

Cercai senza sosta nella mia testa un motivo per fermare la mia mano, che, dotata di vita propria, compiva quel gesto che la mia mente si rifiutava di compiere.

Così, sola e disperata, mi ritrovai ancora una volta accasciata sul water, in preda al più terribile dei mali. Quello fatto a se stessi.

Non piansi più, non versai una lacrima. Mi strinsi su me stessa circondandomi la testa con le braccia. Farsi male è un modo di agire. E’ sbagliato, è male, ma sai che lo stai facendo. Non è come quando pensi di fare bene e invece fai del male, perché in quel caso hai qualcosa da perderci.

Fare del male sapendo di volerlo fare non può procurare più dolore di quello che si è previsto.

Poggiai entrambi i palmi sul pavimento, facendo forza per alzarmi. In silenzio, mi avviai in camera, calpestando il parquet sotto i miei piedi nudi.

Mi sentivo svuotata e sola. Sola dentro e fuori. Fuori, per l’evidente solitudine che mi circondava, e dentro, per il muto silenzio che si spandeva in me inglobando il mio essere.

Mi muovevo meccanicamente, come un automa. Entrata in camera notai che, a causa delle lustre chiuse, il buio faceva da padrone. Non me ne curai e mi sedetti sul bordo del letto, rannicchiando le gambe al petto e lasciandomi inglobare come silenzio nel silenzio.

Inaspettatamente sentii un suono. Un suono basso, un mormorio lamentoso che cresceva e si abbassava nei toni come un’inquietante nenia. Ci misi troppi istanti per capire che lo stavo producendo io.

Cominciai a dondolarmi, avanti e indietro, sentendo la mia testa vuota e sospesa. Non pensavo e non volevo farlo.

Mi dondolai, ancora, ancora, sempre più veloce.

Sentii i suoni che provenivano dalla mia gola prendere una strada diversa… familiare. Vuoto. Nella mia testa c’era il vuoto, ed era quello che ci doveva essere. Non sapevo perché stavo continuando a fare così. Ero pazza? Era come se non potessi smettere, come se un’inerzia più grande mi spingesse a continuare. Non volevo, non doveva pensare a…

Sentii la mia gola contrarsi in uno spasmo doloroso di pianto, mentre il suono lamentoso si distorceva incrinandosi, mentre mi rendevo conto che alle mie orecchie giungeva una ninnananna. La ninnananna.

Sentii le guance inondate di lacrime, mentre tutti i pensieri esplosero nella mia testa come un fiume in piena che distrugge ogni argine.

L’avevo rifatto. No… no… no… non poteva essere vero. L’avevo rifatto.

Quanto ero durata? Tre giorni?! Così poco valeva la mia forza di volontà?! No… non ce la potevo fare di nuovo. Avrei solo ingannato me stessa… sarebbe stato solo uno spreco, sarei durata ancor di meno…

Avevano ragione… tutti avevano ragione. Ero patetica. Patetica.

Singhiozzai, nascondendo la bocca con una mano.

Pensai che in quel momento mi volevo vaporizzare. Diventare in una piccola, dolce, esplosione, parte delle tante piccole particelle che formano il pulviscolo e disperdermi nell’aria in modo che con un soffio qualsiasi cosa avrebbe alterato la mia forma.

Mi toccai con le dita le lacrime fredde, congelate. Non stavo piangendo più.

Se Edward mi avesse visto così… volevo? Volevo che mi vedesse in quello stato?

Non lo sapevo. No. No? Si poteva mentire anche a se stessi? Stavo mentendo?

Lui… lui… si doveva accorgere di me…

Patetica.

Sentii le scie salate essere inondate da nuove lacrime, calde, brucianti. Mi ritrovai avvinghiata al cuscino, con gli occhi serrati, tentando di ricominciare a non pensare.

 

Mi risvegliò dal sonno in cui ero caduta il suono secco della porta d’ingresso che sbatteva.

«Bella!» l’urlo di mio padre giunse fino alle mie orecchie. Era molto arrabbiato, lo sentivo. Dovevano avergli chiamato dalla scuola.

Avevo un grosso mal di testa, a stento ricordavo quello che avevo fatto. Mi asciugai i solchi secchi di lacrime che erano rimasti sulle guance.

Che cosa avevo fatto?

«Bella!» esclamò mio padre entrando in camera.

Si bloccò immediatamente quando vide che tutto era buio e che stavo sdraiata. «Ti senti male?» chiese, lasciando che l’apprensione prendesse il posto dell’ira.

«No» mormorai afona, tirandomi a sedere e aspettando nei silenziosi secondi una sfuriata che non giunse.

Mio padre stava lì, immobile, mi guardava e non diceva nulla.

Chi era per me? Sono forse le lacrime, che, liberandoci della nostra razionalità mentre sgorgano dai nostri occhi ci danno il coraggio di formulare domande così profonde?

Sentii un’altra parte di razionalità staccarsi da me, mentre, in silenzio, camminavo verso di lui. Con i miei piedi scalzi. Con le mie guance bianche. Con il mio viso smunto. Con i miei occhi rossi. Con due innaturali cerchi neri a contornarli.

Le labbra si piegarono debolmente in un antico sorriso. Mi sentivo un fantasma. Forse ero davvero parte del pulviscolo, o mio padre non mi avrebbe mai guardata così.

Che cosa vedeva lui? Finalmente me? Finalmente quello che avevo sempre voluto fargli vedere, ma che non ero mai riuscita a mostrargli? La mia fragilità?

Non appena giunsi al piano terra trovai tutto come l’avevo lasciato. Lo zaino per terra. Le scarpe abbandonate in un angolo. La sciarpa e il cappotto distesi casualmente. Mi imposi di mantenere una calma che avevo acquistato in breve. Una calma leggera, amara, che mi faceva sorridere sprezzante del mondo. Sentivo in un attimo di poter far tutto.

Avevo ferito mio padre. Ero riuscita nel mio intento. Ne ero felice? Ero calma.

Infilai le scarpe con gesti normali, automatici. Non volevo più vomitare. Non c’era più motivo di mangiare così tanto. Questo mi diceva la piccola fetta di razionalità che si stava nuovamente distendendo e inglobando il mio essere.

Sospirai, rompendo la spessa bolla che si era formata in me e fuori di me. Smettendo di farmi assurde domande. Ignorai i miagolii di Minush, miracolosamente comparsa da chissà dove. O forse era sempre stata con me, ed ero stata io a non averla notata. Afferrai le chiavi e in breve mi trovai sul pick-up, diretta verso la meta che mi suggeriva il mio cuore.

Tutto mi sembrava così naturale e normale ora, paragonato agli attimi di assoluta follia che avevo vissuto. Il rombo del motore, la luce del crepuscolo che docilmente feriva i miei occhi sensibili; persino il dolore che nuovamente avvertivo sotto lo sterno e di cui nuovamente non mi curavo.

Non tutto era perduto. Non tutto era perduto.

Parcheggiai sul vialetto di casa Cullen. Un ambiente così familiare…

Lo percorsi sentendo la ghiaia scricchiolare sotto i miei piedi. Sorrisi. Un sorriso normale, fin troppo contrastante con quello fatto svariati minuti prima. Volevo solo vederlo. Vederlo, sentirmi meglio, accertarmi di poter continuare a vivere.

Dopo pochi istanti dal suono del campanello la porta si aprì. Davanti ai miei occhi comparve un sorriso furbo e una zazzera di capelli corvini. «Edward non c’è» trillò Alice, anticipando la mia domanda.

Arrossii, sentendo la malinconia crescere. Abbassai lo sguardo. «Capisco… mi spiace… in effetti non avevo neppure avvisato che sarei venuta…».

«Siamo tornati da poco» fece smorzando il suo tono allegro. «Vuoi entrare? Magari lo chiamo e vedo se torna… E’ andato ad accompagnare mamma…».

Non avrei acconsentito in normali condizioni, ma lei mi pareva davvero entusiasta di farmi entrare, e io non volevo rimanere ancora sola… o con mio padre. «Va bene…» mormorai.

Lei fece un sorriso ancor più radioso del precedente, invitandomi calorosamente ad entrare. Mi prese il cappotto e la sciarpa, lanciandoli sul divano. Poi mi prese la mano, trascinandomi su per le scale, fino ad una stanzetta piccola, con le pareti pesca. Scoprivo sempre un nuovo posto in quella casa.

«Te lo chiamo subito» disse contenta, afferrando la cornetta del telefono di ultima generazione posato su un tavolino basso.

Quando Alice cominciò a parlare, e capii che Edward aveva risposto, sentii una strana emozione sommergermi. Amore? Si, lo amavo, ma questo… era diverso. Era il desiderio di averlo accanto.

Vidi il volto di Alice scrutarmi, e mi stupii che avesse già terminato la conversazione. «Fra meno di un’ora sarà qui» sorrise entusiasta, come se le avessero appena regalato un grosso pacco di caramelle.

«Oh… mi dispiace… non volevo costringerlo a tornare prima…» bofonchiai a disagio.

Il suo sorriso si allargò, come se non avesse ascoltato le mie parole. «Abbiamo un ora. Io e te insieme. Potremmo conoscerci meglio!» esclamò felice.

Sgranai gli occhi, sorpresa, capendo che il grosso pacco di caramelle ero in realtà io. Avevo capito che Edward era piuttosto geloso nei miei confronti, che soprattutto aveva intuito che fare nuove amicizie mi destabilizzava e mi metteva a disagio, così non avevo mai avuto l’opportunità di approfondire il rapporto con Alice. Ma questo significava davvero che… ero asociale?

Questa era la mia opportunità di cambiare? Avrei davvero potuto farlo?

Sorrisi, riscuotendomi dai miei pensieri.

Anche Alice allargò il suo sorriso, prima di far comparire sul suo musetto un’espressione contrariata. «Tesoro, sei uno straccio, bisogna lavorarci su!» esclamò contenta, trascinandomi nella sua stanza.

In poco mi trovai nelle sue mani, intente a sistemarmi, truccarmi, trasformarmi. All’inizio stavo in silenzio, un po’ a disagio per la sua esuberanza. Ma poi cominciai a dar retta alla voce che sentivo dentro di me. Puoi cambiare…

Potevo farlo? Non ero riuscita a portare a termine il mio proposito di cambiamento una volta. Ma questo significava che non potevo farlo più? Mi imposi di sciogliere il mio palpabile imbarazzo e mi sforzai di dire qualcosa.

«Ti ringrazio Alice, sei molto carina a fare questo per me…» mormorai pregando di non arrossire troppo.

Sentii una risatina allegra, tipica di lei. «Ma io sono entusiasta di fare questo! Mi piace tantissimo coccolarti tesoro!».

Inevitabilmente arrossii, diventando nuovamente muta. Tesoro…

«Su Bella, vedrai che con questa maschera e questi trucchi diventerai ancor più bella! A Edward piacerà tantissimo!».

Sollevai lo sguardo, ispezionando il suo con la coda dell’occhio. «Tu… dici?».

«Certo che si, ne sono sicura, vedrai! Sono sicura che starete bene insieme, una coppia fantastica». Mi colpì con durezza il suo entusiasmo e la sua certezza, che stridevano prepotentemente con la mia insicurezza.

«Come… come fai ad esserne così sicura…?» chiesi giocando nervosamente con le mani.

Trovai i suoi due grandi occhi ambra chiaro proprio davanti al mio viso. «Perché io sono sempre sicura di quello che dico e quello che faccio» rispose vispa.

Sbattei le palpebre, vergognandomi già della domanda che stavo per fare. «Ma… non ti viene mai voglia di…» deglutii «cambiare le tue… certezze?» cincischiai allontanando lo sguardo.

Si ritrasse, portandosi un dito sotto il mento. «I cambiamenti sono difficili e lunghi. A volte necessari altre necessariamente futili e vani. Secondo me l’importante, è farsi aiutare dagli altri per capire cosa e come cambiare di noi stessi» s’interruppe, come se si fosse quasi stupita della serietà delle sue parole. Poi scoppiò in una angelica quanto sonora risata a cui a poco a poco mi unii anch’io, quasi forzatamente contagiata dalla sua ilarità.

Dopo il trucco e dopo avermi sistemato i capelli insistette perché indossassi uno dei suoi vestiti, storcendo il naso di fronte al mio caldo, comodo, maglione di lana blu zaffiro.

«Prova questi, e questi, e questi altri…» diceva buttando sul letto nuovi e nuovi capi.

«A-Alice» tentai di bloccarla.

Si voltò verso di me con un nuovo capo in mano.

«I-io… non credo sia una buona idea… sai…» deglutii, notando la sua occhiata «m-magari ne provo solo uno…».

Prima che potesse ribattere ammutolendomi notai i suoi occhi farsi vitrei e il suo sguardo lontano. Osservai nella stessa direzione in cui stava guardando, ma non vidi nulla oltre alla parete spoglia.

«Alice…?» provai a chiamarla, debolmente.

Non si mosse. Sembrava una statua. Che stesse male?

«Alice?!» feci allarmata, andando verso di lei e posandole una mano sulla spalla. «Alice, ti senti bene?!» chiesi con voce più alta, stridula.

Improvvisamente si scosse, sbattendo le palpebre. Poi mi osservò, sbuffando. Marciò decisa verso il letto, sommerso di costossissimi capi d’abbigliamento, e cominciò a scavare nel mucchio, come se nulla fosse successo. «Ecco, prova questo, credo che ti starebbe bene» disse infine con un sorriso.

Non provai a controbattere ancora, e faci un sorriso timido anch’io, afferrando dalle sue manine una paio di jeans scoloriti ad arte ed un lungo maglione di cotone.

Andai ad indossarli in bagno. Quando però il ebbi addosso mi resi conto di una stana cosa. Feci passare due dita fra il fianco e il brodo dei jeans, stupendomi.

«Bella? Hai finito?» mi chiese la voce di Alice dall’altra parte della porta del suo bagno.

«Io…» osservai ancora i jeans, «si» dissi infine.

Entrò, richiudendosi la porta alle spalle e fissandomi. Sbatté le palpebre, osservando le mie dita sul fianco e poi il mio viso. Sembrava calma, misurata. Non c’era traccia dell’esuberanza di pochi minuti prima. «Sono larghi?» chiese con naturalezza.

«Si…» mormorai imbarazzata.

«Tesoro, devi mettere su qualche chilo» fece squadrandomi con serietà, per poi alleggerire immediatamente la voce «io non ho intenzione di mettermi a dieta, e se vorremmo scambiarci vestiti questa sarà la nostra unica opportunità!» esclamò riconquistando il suo entusiasmo.

Sorrisi, sentendomi nuovamente a mio agio. «Va bene» acconsentii contenta. Alice era davvero una ragazza dolce. Non mi sentivo asociale con lei, e la sua schiettezza disinteressata nei miei confronti mi faceva capire che non provava solo pena per me. Stavo già cambiando forse? No… Era stata lei a guardare oltre, oltre il vuoto, oltre alla fragilità, e ad entrare dentro me, leggendo me stessa.

«Bene!» fece gettandomi le braccia al collo e abbracciandomi stretta.

Ridacchiai, ricambiando l’abbraccio.

D’un tratto si allontanò, baciandomi una guancia. «Edward sta per tornare! Veloce, togliti questi jeans, ti do un paio di fusoaux!» esclamò scomparendo nuovamente in camera.

Trovai al suo posto un’intera parete coperta da un largo specchio.

Osservai la mia immagine non rendendomi perfettamente conto della persona che mi stava di fronte. Ero io?

Solo ora, a contrasto con questa nuova me, truccata e acconciata, potevo percepire quello che ero ordinariamente. Vidi una me stessa magra, pallida. Vidi… le mie occhiaie. Vidi i miei capelli spettinati.

Appena sentii il contatto delle dita con la pelle ora rosea della guance mi resi conto che era reale anch’essa e che non era un sogno lontano, ma che un giorno ci sarei veramente potuta arrivare.

Concentrata com’ero nella contemplazione di quella nuova me stessa sentii prima due braccia forti avvolgermi, e poi vidi l’immagine di Edward appena dietro di me. «Sei bellissima» sussurrò sul mio collo, abbassandosi con la sua solita caratteristica lentezza a sfiorare la mia pelle con le sue labbra.

«Grazie…» mormorai, arrossendo inevitabilmente.

I suoi occhi chiari si fecero vispi e attenti. «Hai passato un buon pomeriggio?».

Mi liberai dalla sua presa, per poi girarmi ed affondare il viso nel suo petto. «Si» mentii. «Tua sorella è molto simpatica» aggiunsi poi, come se quel momento del pomeriggio fosse più importante delle altre ore trascorse.

Vidi le sue labbra tendersi in un sorriso insicuro, mentre con una mano mi accarezzava i capelli.

Volli necessariamente rimuovere tutto quello che in quella giornata era successo. Potevo ricominciare, ricominciare a provare, ricominciare a cambiare.

Strinsi più forte la presa sul suo maglione.

Potevo farcela.

«Mi sei mancato».

«Anche tu Bella, non sai quanto» i suoi occhi si persero in lontananza. «Non sa quanto» ripeté, più a se stesso che a me.

Alice entrò in bagno con i fusoaux, ordinando a Edward di andare via e sostenendo che mi dovevo cambiare. Risi, lasciando che lo trascinasse via.

Non tutto era perduto. Pensai, sfilandomi i jeans a riponendoli su uno sgabello lì accanto. Mi bloccai un attimo, con uno strano pensiero in testa. Presi i pantaloni e il rivoltai, cercando l’etichetta.

Taglia 40.

Rabbrividii, facendoli scivolare della mie mani.

 

 

Eccomi!! Si, lo so, lo so. Ritardo. Ma non è colpa mia! Questi capitoli sono importanti e maledettamente difficili da scrivere. Grazie per il sostegno che continuate a darmi nonostante i miei tempi odissiaci di pubblicazione.

Bene. Diciamo le cose importanti.

 

Ho notato un certo allarmismo per la questione Volturi. Non dovreste preoccuparvi tanto per loro in sé, quanto per gli effetti che causeranno.

 

Poi… Qualcuno, più di uno, ha detto che gli è sembrato strano il fatto che Edward non sia intervenuto. Per il caso specifico dello scorso capitolo andate a rileggere le parole che ha detto Bella. In generale, invece, posso dirvi che sta cercando di andare avanti passetto dopo passetto; spera che sia lei ad aprirsi, non la vuole forzare, perché… sapete cos’è l’effetto elastico? Bene. :) Se lo tiri troppo poi ritorna indietro…

 

Spero che abbiate capito su che linea d’onda vagassero i pensieri di Bella. Lei si vedeva diversamente da come la vedevano gli altri e si è trovata catapultata in un mondo in cui tutte le sue azioni le erano aliene…

Da questo la domanda: chi sono? Quello che penso di essere o quello che pensano gli altri di me?

 

Ultimo punto. Preciso. La bulimia, per quanto possa esserne informata, causa abbassamenti di peso, o anche sostanziali aumenti. Dipende dal periodo, dipende da come e quanto lo si fa.

Per ora Bella è molto dimagrita.

A presto (si fa per dire), grazie di tutto!

 

Il mio blog, by Elena…

 

«--BLoG!!!--»

 

www.occhidate.splinder.com

 

patu4ever  no, non l’ho mangiata perché appunto, temevo la lavanda gastrica. Ahahah. No, non è affatto facile mettersi nella mente di Bella, anzi, sempre più complicato. Ogni capitolo è sempre più impegnativo, ma credo che questi siano i più difficili da scrivere.

Ami_mercury Ti rispondo anche qua. :) So che parlare di bulimia non è facile. Perché so la fatica che mi costa scrivere ogni capitolo e l’impegno che devo metterci per non urtare la sensibilità di nessuno. Per me questa storia è molto importante, anche più dell’altra. Lo stile è più ricercato perché, appunto, per ogni singolo capitolo metto tutto il mio impegno e tutta me stessa, perché voglio che sia davvero scritta bene e perché questa storia ho cominciato a scriverla dopo molto tempo dai primi esperimenti, fra cui anche Cullen’s Love. Spero che con il tempo non peggiori. Non ho voluto approfondire il rapporto ce si era creato fra Bella e Edward perché ho preferito posporlo, verso tempi più felici. Ho pensato che Bella vedesse ancora troppo “dentro se” per cominciare già a guardare “fuori da sé”. Grazie per aver recensito, spero di migliorare e spero di non sbagliare e spero inoltre i aver chiarito le mie motivazioni. :)

00Stella00 Grazie! Grazie mille! Mi ha favorevolmente sorpreso con le tue recensioni. Ti chiedo scusa se non poso essere più veloce a pubblicare, ma scriverla non è affatto semplice. Per questo, in questa storia, non posso essere così condizionata dall’interesse dei lettori. Anche perché è molto particolare e introspettiva e mi rendo conto che può non piacere a tutti. Non ti preoccupare per il divario che hai avvertito fra Edward e Bella… non c’è. E non ci sarà più. Lui sta semplicemente cercando di non forzarla troppo. Si farà aiutare da lui, non ti preoccupare. :) Un bacio e ancora grazie.

Noemix la scuola va… sappiamo come va, è una palla purtroppo! Ma non mi puoi dire che preferisci il tuo lui a Edward! No, dico, a Edward! E’ scandaloso sai?! Sono davvero così --> o.O Cioè… Edward è Edward! 

luisina tesora!! Grazie! Ma io te ne dedicherei mille di capitoli (work in progress -ahahah)!! Comunque, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. In questa storia mi sto ammazzando per tentare in ogni modo di essere realistica. Penso in ogni istante “cosa farei se fossi in lei?”. Per me questa ff è importante e voglio scriverla bene. E spero di caratterizzare bene i personaggi!!! T.T Almeno qui che sono miei… Grazie di tutto tesora, ti voglio benissimo! :*

mazza A) eh si si, provare non è riuscirci però, purtroppo… B) beh si, direi di si tesoro… ahahah… vi metto questi indizi sparsi qui e la, ormai dovrebbe essere quasi certo per voi… C) si si, ma tieni conto anche del fatto che insistere troppo potrebbe portare alla rottura dell’equilibrio che sono riusciti a trovare, e magari Bella si rifiuterebbe E) ahahahah! Si, si, mi servono per un motivo ben preciso tesoro, poi vedrai… ^^ Non combineranno nulla di male loro, in sè F) beh si, infatti… G) si, è una della conseguenze purtroppo H) beh non è solo una questione di orgoglio sai… mmm… penso sia più complesso… E’come se dovesse ammettere di essere arrivata fino a quel punto. Non so come spiegarlo. Perché è come bere con una cannuccia da un bicchiere chiuso. Non ti accorgi di quello che stai facendo finchè non arrivi al fondo. XD che metafore… I) ahahah, mi immagino come sarai arrabbiata ora… ahahah J) Pensa alla parole che pronuncia Bella e capirai tante cose piccoletta ^^ K) Già si si, ci prova. Poi non ci riesce, am questo è una altro paio di maniche! La strada è lunga e tortuosa e Bella ha appena cominciato a percorrerla. u.u Grazie tesoro, sono contenta ti sia piaciuto *.*

irly18 grazie mille, lo spero tanto davvero anch’io. So che è triste, non pretendo che tutti comprendano la tristezza che aleggia a alberga in questa storia. E’anche molto introspettiva e riflessiva. Fa del bene a me e mi gratifica scriverla, l’importante è questo. Se poi piace è anche meglio. :) Grazie.

single93 è un modo di scrivere molto “inglesizzante”, l’ho usto per far aumentare il senso di ansia e d’angoscia. J In effetti tempo fa avevo il problema contrario, ma tenterò di rimediare anche a questo, grazie di avermelo detto J

lindathedancer Grazie mille, ho scavato molto in profondità nella coscienza di Bella, sarei voluta andare più a fondo ancora ma c’è stato qualcosa a trattenermi. 1. Mantenere attiva la coscienza di me stessa. 2. Non avere tempo per farlo! Ahahahah! XD

00Alice Cullen00 Edward non è andato per un motivo preciso, mentre stava male Bella ha detto delle parole. Ovviamente lui avrebbe preferito andarci, è stato molto combattuto, ma poi bisognava vedere cosa ne avrebbe risolto. Bella si sarebbe fatta aiutare o l’avrebbe respinto? Non è mai facile. Tutto cambia e la psicologia muta. J Di Minush c’è stato un accenno ma presto, molto presto, ritornerà con un bel pezzo di capitolo dedicato a lei.

ale03 no no, ma dai, mica la facevo morire così, da un momento all’altro, senza un po’ di emozione, senza un po’ di phatos prima… per quello c’è tempo… muahahah! XD No, no, dai, non la faccio morire lei… PS. Si gli amici sono i Volturi… è facile ^^

erika1975 speriamo di si… e speriamo che nel frattempo non ci siano intoppi di nessun genere… ^^

kikkikikki studi medicina? *.* Wow, che bello, sappi che ti invidio profondamente, e che spero con tutto il cuore, un giorno, di poter diventare tua collega, in modo da poter placare questa mia passione. ^^ Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, quando scrivo mi piace molto essere realistica, e curare gli aspetti “medici”, è una mia grandissima passione. J Spero di non sbagliare ogni tanto… :P

Tatydanza oh, mi dispiace molto per te. Capisco quello che vuoi dire, prima di affrontare un problema bisogna ammettere di averlo, e Bella l’ha appena fatto. Una volta ammesso il problema poi si prova a evirarlo, e quando non ci si riesce… o il problema viene portato alle estreme conseguenze o si chiede aiuto. J Speriamo vada tutto bene, e spero per te che riuscirai a dormire! XD

samy88 grazie mille, sono contenta di trovare qualcuno che mi comprende. Ti dirò, io penso di essere andata anche troppo velocemente con la scelta di Bella, spero non sia così. Grazie ancora, un bacio! :*

federika88 Grazie, ma sai, farsi aiutare non è così facile. Già voler smettere è un enorme passo avanti, non si possono accelerare i tempi ^^ Sono andata fin troppo velocemente…

silvia16595 guarda, figurati, l’ultima volta che ho corso io (l’anno scorso), ho rigettato e per poco non mi portavano via con la barella -.- no comment… esperienze che non voglio ripetere, un chilometro e mezzo di corsa in un quarto d’ora… Per la tua domanda ti rispondo si. I denti assumono un colore “sporco” perché lo smalto (che rende i dentini tutti belli e bianchi) si corrode. Possono anche sembrare tipo trasparenti. ^^ PS. I Volturi non daranno troppo fastidio ^^

cullengirl le tue domande avranno presto risposta. J Mi sembra ovvio che Edward sappia già che Bella ha la bulimia ^^ La reazione di Bella è ignota ai più (tranne a me) e i Volturi non faranno questo granché. J

Crystal90 Grazie mille allora. J No, non avevi mai recensito, mi ricordo di tutti ^^ Per la tua domanda, si, ci sarà un Edward POV a fine storia, ma non so quanto sarà lungo. Forse solo un capitolo o forse tutti i capitoli ma solo nei momenti salienti e ovviamente con scene inedite… non so ancora. Tutto dipende da molti fattori. J

lilly95lilly miglioramenti non ce ne saranno ancora ^^ mi spiace

bigia alleluia! Qualcuno che l’ha capito! Ohh! Allora era comprensibile la cosa! Perché nessuno, oltre a te, è arrivato a capire che Edward non le dice nulla per l’arrivo di Volturi?! Mah. Grazie di tutti i complimenti comunque… ^^

beuzz94 ah beh, se ne sei affetta anche tu e dici che sono stata realistica allora ti ringrazio! Mi dispiace per te però. Edward è strano è vero, ma non per quello, cioè anche, ma il motivo principale è un altro J Beh, tutta la situazione è molto, molto, complicata ^^

Lau_twilight Ok, allora Emmett te lo cedo, è tutto tuo XD E’ vero questi capitoli sono un po’ tristi, ma infondo è tutta la storia ad essere triste, ci posso fare davvero poco, mi spiace! ^^ Le tue previsioni sono molto rosee, ma mi dispiace deluderti dicendo che non avverà nulla di quello che hai previsto ^^ Mi spiace!

Wind oh, beh, se ha psicoanalizzato te allora farlo con me sarà una passeggiata! Ahahah! Si occupa di personalità profondamente sadiche?! XD

Shinalia grazie! Mi impegno al massimo per concentrarmi  rimanere seria. In effetti si, a componente maggiore che deve avvertire Bella è proprio questo senso di disagio e paura di esser scoperta. “cosa diranno di me?”, “cosa penseranno?”. E’ questo che pensa, credo ^^ In effetti Jasper non avrebbe esitato a mangiare il bel dentista in un sol boccone!

barbyemarco certo, infatti stava per farlo, ma poi ha rimandato a “dopo” la visita dei Volturi. ^^ Devi anche tenere conto che lui capisce che l’equilibrio psichico di Bella è instabile, e qualsiasi cosa potrebbe farla crollare… Oppure Bella potrebbe non fidarsi più di lui e così non potrebbe mai aiutarla, capisci? J

chicchi già, scusami se ci metto così tanto a pubblicare! Perdono!

araba89 ok, sarò davvero contenta di farmi psicoanalizzare. Il mio indirizzo mail e msn, è francino_92@yahoo.it, se vuoi contattami pure, mi farebbe piacere! Grazie di tutto. Si, le tue osservazioni sono esatte, Bella è molto combattuta, Edward non ha ancora delineato una linea d’azione. Innanzitutto però ha capito che no può dirglielo così, semplicemente. Però ha anche paura, perché vede che Bella peggiora e il tempo stringe, allora non sa come fare. Anche lui è molto combattuto. E, si, arrivano i Volturi, ma non si vedranno ^^ Sono lì nascosti, ahahahahah! Ps. Faccio angosciare tutti! Che bello… ahahah…

barbiemora______ mi dispiace! Ma questa storia è molto difficile da scrivere, e per me è importante scriverla molto bene e mettere tutta me stessa. Cercare di metterci meno tempo ad aggiornare significa forzarmi, e quando mi forzo i capitoli non mi vengono mai bene, mi spiace davvero molto, proverò a fare di tutto cmq per accorciare i tempi. Grazie per il sostegno.

Bella_Cullen_1987 eh già, povera bella ^^

 

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Capitolo 15
*** Natura Ragione Amore ***


Edward’s POV

Edward’s POV

 

Poggiai la testa all’indietro, sul muro. Unica distanza che mi dividesse da lei, da Bella.

Era un tipico gesto umano, chiaro. Uno dei tanti che ormai, con solerzia, ero abituato a fare per sfuggire dai suoi sempre più insistenti sospetti.

Mi fu facile, grazie al mio udito, udire un singulto. Un unico suono che mi fece accapponare la pelle, pressoché marmorea, e stringere forte il cuore, incuneato nel petto.

Era la prima volta, nella mia lunga esistenza, che ringraziavo la mia natura. La sola che mi aveva potuto far capire che dietro quegli occhi nocciola, freddi, dietro quel viso immobile, c’era in realtà molto di più. C’era liquida fragilità, dolore, angoscia e paura.

Allora avevo capito che la natura era stata più cattiva con lei che con me.

Era stata la natura, la sua fragile natura umana, ad offuscare la bellezza dei suoi bellissimi pensieri puri, pensieri che, fin dal primo istante, mi erano stati rivelati, grazie ad un’unione diretta fra i nostri cuori a cui non riuscivo ancora a dare un nome.

Sentii degli accessi di tosse e un orribile sentore mi arrivò al naso.

Strizzai gli occhi, come se davvero potessi arginare lacrime che ormai non esistevano più.

Era stato un destino così beffardo.

Unirci con una strana emozione, nata dal centro di noi stessi, da un inesplicabile amore silenzioso e muto, ma incommensurabilmente potente.

Dividerci. Perché io ero un mostro, e lei umana. Perché lei, per me, era la più incredibile tentazione. Perché la sua natura fragile si vendicava al suo esterno della distruzione che creava all’interno, allontanando tutti con una dura corazza!

Acqua e sale. Eravamo giunti alle lacrime, l’ultima fase, la più triste e la più dolorosa.

Mi voltai, fino a posare la fronte sul muro piastrellato dei bagni pubblici, meno freddo della mia fronte. Sono qui. Sono qui amore. Sono qui e penso a te. Mossi appena le labbra, ad un volume non udibile neppure da quelli della mia razza. «Ti amo». Immaginai che, realmente, le mie parole potessero in qualche modo farla sentire meglio.

Non poter agire. Sentirla soffrire e sapere di non poter fare niente era un dolore incommensurabile. Sapevo tutto, esattamente, ormai da troppo. Ma sapevo già, anche, che se avessi agito adesso molto probabilmente l’avrei persa per sempre. Grazie a mia sorella Alice, alla sua dote eccezionale anche per uno come me, potevo sapere che le possibilità di successo ora erano ancora troppo poche. Troppo poche per rischiare.

Dovevo aspettare. Se mi fossi già realmente proposto a Bella, apertamente, come aiuto, avrei ottenuto solo l’effetto opposto. Si sarebbe chiusa in se stessa, mi avrebbe scacciato, allontanato. Era così fragile. Una bolla di sapone. Un contatto sbagliato e sarebbe esplosa. Per prenderla in mano avrei dovuto usare la massima cautela.

Dovevo aspettare. Aspettare che si fidasse, che si affidasse completamente a me.

Sentii la porta del bagno cigolare e in un istante, ad una velocità non apprezzabile ad occhi umano, mi ricomposi.

Dovevo aspettare, ma intanto, la vedevo morire.

Nonostante si fosse lavata il volto, cosa evidente a causa delle minuscole goccioline che ancora permanevano attorno all’attaccatura dei capelli, sul suo viso rimaneva marchiato il segno del suo male. Era evidente come, giorno dopo giorno, la luce dei suoi occhi si spegnesse. Come il suo pallore fosse sempre più simile al mio. Come la linea degli zigomi si marcasse sempre più.

Eppure, nell’ultimo periodo mi pareva che qualcosa fosse cambiato!

Notando in mio sguardo su di lei abbassò gli occhi, a disagio. Chissà se si rendeva conto di quello che faceva. Un tenue rossore si diffuse sulle sue guance, portando alle mie narici la fragranza del suo delizioso nettare.

Sentii la gola bruciare, inondata da un veleno che richiedeva voluttuosamente il suo sangue. La mia natura mostruosa. Un vampiro. Mi costrinsi a sorridere con naturalezza ignorando la lama ardente che mi bruciava la gola. «Andiamo, Alice ci raggiungerà fra un’ora» dissi tranquillo, passando un braccio intorno alla sua vita.

Sentii delle scintille calde e il bruciore accentuarsi, ma non ci badai. Dovevo fare molta più attenzione per dosare la mia forza e non farle del male.

Eravamo al centro commerciale di Port Angeles, perché secondo Carlisle stare in mezzo alla gente poteva aiutarla, e Alice non si era lasciata scappare occasione di pregarmi per concederle di venire con noi; tuttavia non volevo che Bella fosse travolta dai suoi modi di fare, lei, che si rapportava con cautela con chi gli stava attorno, che era schiva e non parlava con piacere con altri.

Tuttavia, dopo che ero andato a caccia l’ultima volta e che Bella era venuta a trovarmi a casa mentre io non c’ero, sembrava essersi creato uno strano cameratismo fra lei e mia sorella. E qualsiasi cosa la facesse stare meglio faceva decisamente stare meglio anche me.

Sollevai la sua mano bianca, sottile, fragile, e abituandomi pian piano al suo odore soave la portai alle labbra, baciandola. Lei mi sorrise timidamente, stringendosi su di me, posando il suo capo sul mio petto e tornando con lo sguardo verso il film che stavamo guardando. Vedevo la luce della proiezione riflettersi nelle sue iridi color cioccolato, i suoi occhi liquidi che tanto adoravo.

Interrompendo la contemplazione della sua deliziosa bellezza, staccai la sua mano dalle labbra e scorsi il segno scuro sul suo dito indice, sentendo automaticamente un’altra fitta al cuore.

Abbronzatura. Così mi aveva detto. Come se non avessi già notato il colore scuro dei suoi denti o come stringeva con forza la sua borsa, evidentemente piena di cibo. Vedere il modo in cui mangiava e successivamente, i controlli di mio padre, furono solo una conferma.

La mia natura mi suggeriva di farla avidamente via, succhiandole la vita. La mia razionalità, invece, mi diceva di allontanarmi da lei, da preservarla dal mostro che ero. Il mio amore mi imponeva di rimanerle accanto ed aiutarla in ogni modo.

Fu così che lasciai vincere l’amore. La razionalità non era abbastanza potente e la natura affatto incantevole.

Era ovvio che tutta la mia famiglia venisse a conoscenza di quello che era accaduto. Dei miei pensieri, dei problemi in cui ero incorso; accennai a Bella, così Rosalie e Alice litigarono.

Ah, Rosalie. Sentii le mie mani stringersi in due pugni. In ogni modo tentavo di preservare Bella dal suo sguardo infuocato, perché non riuscivo ad immaginare cosa sarebbe accaduto, se, per caso, l’avesse incontrato. Non sarei riuscito a rispondere della mie azioni. Neppure con mia sorella.

Sentii dei piccoli singhiozzi sul petto: stava piangendo, una delle ennesime volte. La strinsi con più forza, sempre attento a preservare la sua immensa fragilità, tenendola stretta a me e lasciando che si aggrappasse alle mie spalle con le sue manine piccole e delicate. Fra noi non c’erano abbracci stretti e calorosi, ma nei pochi millimetri che ci separavano si sprigionavano come mille piccolissime e minuscole scosse elettriche.

Speravo che il pianto le concedesse una certa pace, cosa che, purtroppo, accadeva molto raramente.

Ultimamente la situazione sembrava seriamente peggiorata. Da un lato mi ero accorto, grazie anche al potere di Alice di vedere il futuro, che aveva cercato di contenersi, di ridurre le sue crisi, addirittura a sole due volte a settimana, e proprio per questo ero stato incoraggiato da mio padre a non intervenire, ad aspettare, ancora. Ma Bella peggiorava. Peggiorava ed era già peggiorata. E quello che mi faceva più paura era non poter conoscere le sue esatte condizioni.

C’erano state diverse occasioni in cui, con diversi pretesti, l’avevo fatta visitare da Carlisle.

Aveva molti problemi: lo smalto dei denti era evidentemente corroso, era in visibile e crescente sottopeso, il colore dei suoi occhi tendeva verso il giallo, chiaro segno di problemi epatici, il suo quadro clinico non era affatto dei migliori. Ma quello che mi preoccupava era che questa era la situazione di un mese fa.

«E’ passato?» le chiesi porgendole un fazzoletto.

Lei guardò dispiaciuta l’alone di lacrime che mi ha lasciato sulla camicia, non sapendo che Alice l’adorava anche per questo. «E’… non è niente…» tentò di giustificarsi.

Serrai la mascella, ma non dissi nulla, perché non le chiedevo spiegazioni, mai. Sarebbe stato solo peggio, indurla a trovare nuove scuse. Mi avvicinai, piano, smettendo per qualche istante di respirare e posando le mie labbra sulla sua fronte calda e soffice.

Sentii in lontananza i pensieri di mia sorella Alice. Si, potevo leggere nel pensiero di tutti, indistintamente. Tranne del mio unico amore, ovviamente, per il continuo gioco a cui il destino ci aveva sottoposti.

«Bella! Come sono contenta! Possiamo andare a comprare dei vestiti? Su, su, ti prego!».

Bella s’irrigidì, arrossendo.

Vidi nella mente di mia sorella formarsi l’immagine di me che la rimproveravo per la sua esuberanza e che andavo via insieme a Bella. «No, no, non farmi questo Edward, sarò buona, lo giuro!» mi disse attraverso i suoi pensieri.

«Si, si. Va bene» disse infine Bella, con un sorriso.

Mi beai di quella dolce e incantevole curva sulle sue labbra. Vederla sorridere era una perla rara e di bellezza incredibile che mi faceva capire ancor di più perché l’amassi.

Lasciai che mi sorella la costeggiasse, abbracciandola e incamminandosi verso la boutique più vicina. Aspettai tre passi e poi mi mossi anch’io. Concederle di avere altre amicizie era fondamentale. Per ora avevo agito rapidamente, guidato, appunto, dall’amore, ma se ci fosse stato un tempo in cui la ragione avrebbe dovuto vincere Bella avrebbe dovuto avere amici, amici umani soprattutto. Come, per esempio, Angela Weber, ragazzina, figlia del pastore, disponibile e dal cuore buono e generoso.

Non che avessi l’intenzione o la forza di lasciare Bella. In questo momento il mio sostegno le era indispensabile, e chissà quali ricadute avrebbe potuto avere se l’avessi lasciata dopo che, speravo che accadesse presto, fosse guarita. Essere così importante per lei, non era un bene, perché, lo sapevo, stavo diventando la sua nuova malattia. Ma come potevo allontanarmi da lei quando sapevo di desiderarla allo stesso modo? Almeno io non le facevo del male. Per ora.

«Bella! Accidenti, ma non ti avevo detto di ingrassare un po’? Mi farai impazzire, non troverò mai nulla che vada a entrambe!».

M’irrigidì, colpito dalle parole di mia sorella. Subito dopo, però, emisi un sospiro di sollievo, sentendo la meravigliosa risata di Bella.

«No, Alice, non ti costringerò a metterti a dieta! Tu sei perfetta così, sai?».

«Infatti, lo so. Rimediamo per te» mia sorella si piantonò nel largo corridoio in marmo della galleria, illuminato dalle bianche luci artificiali. «Edward, valle a prendere qualcosa da mangiare, su, marsch!».

Scrutai la mia piccola umana, cercando segni di tensione sul suo volto.

Lei mi sorrise, facendo spallucce.

Beh, considerando che quello che aveva mangiato per pranzo era finito nei gabinetti dei bagni pubblici…

Mi lasciai trascinare dal mio istinto verso l’odioso odore del cibo umano. Storsi il naso di fronte alla fila di umani in coda per mangiare. Ci avrei messo un po’.

Speravo solo che andasse tutto bene e che riuscisse a mangiarlo con calma. Di solito, quando ero con lei, la imboccavo, in modo dal farle prendere il mio ritmo e di farla mangiare lentamente senza che se ne accorgesse. Molto spesso, dopo mangiato, la trattenevo prima che andasse in bagno e a volte riuscivo a farla rimanere con me.

Tuttavia, altrettanto spesso, non ci potevo fare nulla. Ero davvero impaziente di vederla guarita, sana, in forma. Ma, lo sapevo, dovevo aspettare.

Perché, l’ultimo passo da compire per farla fidare di me era raccontarle il mio segreto. Il mio e quello della mia famiglia. Rosalie già mi odiava per questo, ma io non potevo permettermi di tradirla così, celandole una cosa di tale importanza. Avevo più volte tentato di dirglielo, ma poi, sia per il mio terrore della sua reazione sia per vari altri motivi, le circostanze erano state avverse. Infine eravamo venuti a conoscenza, tramite Alice, di una straordinaria visita da parte dei Volturi, la casata italiana reale dei vampiri.

Se Aro, il leggitore di pensieri presenti e passati, fosse venuto a sapere che Bella conosceva il segreto, l’avrebbe uccisa. Questa era la legge.

Così, prima di poterla aiutare concretamente c’erano tanti passi da compiere. Per poterla aiutare, c’era bisogno che si fidasse di me. Perché si fidasse di me, c’era bisogno che le raccontassi del mio segreto. E prima di poterle raccontare del mio segreto, c’era bisogno che aspettassimo la visita dei Volturi.

Intanto, almeno, ero riuscito a comprendere la causa e l’origine di tutti i suoi mali.

La separazione dei suoi genitori. Fin da piccola, dall’età di quattro anni, quando aveva assistito ad una loro lite, si era assunta la responsabilità di tutto quello che era successo. Ancora non sapevo con precisione quando avesse cominciato ad avere dei problemi alimentari, ma tutto doveva essere cresciuto, sempre più, nel tempo. Il suo dolore l’aveva invasa da dentro, consumandola e sgretolandola, rendendola friabile, fragile. Compattare il male, voleva dire riconoscere il vuoto.

Ma una cosa  riconoscere il vuoto e riempirlo.

Un’altra è riconoscere il vuoto e accorgersi della sua immensità, inserendo nuovo spazio vuoto.

Pagai quello che avevo preso. Un panino, insipido, con lattuga e formaggio: poco pesante e non troppo saporito, proprio quello che ci voleva per lei.

Improvvisamente sentii, come una forte e dolorosa scarica elettrica, i pensieri ansiosi di mia sorella. Vidi, attraverso la sua mente, la mia dolce, graziosa Bella, il viso imperlato di sudore, le guance arrossate, una mano portata appena sotto lo sterno.

M’immobilizzai. Stava male, era evidente. Non era la prima volta che accadeva, ma ogni volta era peggio per lei come era peggio per me. Perché non sapevo cosa fare. Sarei corso da lei, prendendola fra le braccia, rassicurandola, baciandola, aiutandola, andando anche incontro a tutti i miei propositi di aspettare. E l’avrei fatto…

Ma. Ma… Le sue parole, le sue lacrime, durate la crisi peggiore che avesse mai avuto. «Edward… ti prego non venire…». Così aveva detto, mi aveva pregato di non andare da lei. Piccolo amore con un dolore così grande.

Mentre mi muovevo, a sostenuta velocità umana, verso di lei, vidi il suo volto schiarirsi, lasciandole un sempre più accentuato e grigio pallore. Fece un debole sorriso a mia sorella, preoccupata e disorientata. Non sapeva come comportarsi.

Senza dire nulla entrai nella boutique, costeggiando immediatamente Bella e passando con cautela un braccio intorno alla sua vita, accertandomi delle sue condizioni e contemporaneamente  tentando di non apparire troppo teso.

«Edward, hai visto? Che cos’ha? Sembrava avesse dolore… Dobbiamo accelerare i tempi, ho un brutto presentimento».

Annuii impercettibilmente. Notavo che la temperatura di Bella aveva avuto un aumento di quasi mezzo grado e che il suo respiro era più affrettato a stanco.

«Tachicardia?» chiesi, velocemente e a bassissimo volume a mia sorella.

Lei lanciò un’occhiata apprensiva a quella che già considerava come sua sorella. «No, il suo cuore stava bene».

«Avete trovato qualcosa di carino?» chiesi, scrutando il volto di Bella.

Lei si morse il labbro. «S-si… Alice mi ha mostrato un vestito molto carino… Ma n-non… Non mi va di prenderlo ora…».

Sorrisi, nonostante tutta l’inquietudine che sentivo dentro. «Va bene, ti ho preso qualcosa da mangiare. Però andiamo ai tavolini, va bene? Qui c’è troppa confusione».

Andammo a sederci a dei tavolini predisposti appositamente, scegliendo una zona appartata del grande centro commerciale. La tenevo sulle mie ginocchia, ignorando tutte le sue proteste. Le spezzettavo con le mani il panino in piccole porzioni, in modo che i bocconi fossero sempre misurati. Le riempivo il bicchiere d’acqua, assicurandomi che bevesse abbastanza.

Parlavamo, tranquillamente, aveva anche sorriso un paio di volte; volevo a tutti i costi alleggerire l’atmosfera e intanto mi godevo, come avevo imparato a fare, i rari momenti solo per noi, in cui tutto sembrava andasse bene. In cui non c’era la mia natura mostruosa. In cui non c’erano i suoi problemi. Eravamo solo noi.

Mia sorella, stranamente, stava in silenzio. Era davvero rimasta scossa da quello che era successo. Era vero che tante volte le avevo raccontato dei problemi di Bella, a quello che poteva assistere, che tante altre volte lei stessa si era ritrovata a vederlo per mezzo delle sue visioni. Ma non aveva mai assistito. Adesso sapeva a cosa andava incontro volendo Bella come amica.

Luce e Buio.

Lei sessa me l’aveva detto, quando, ad ogni costo, aveva preteso che facessimo un patto svantaggioso per me, in cui dovevo accettare la sua luce, non fare domande sul suo buio e donarle tutto me stesso.

Non avevo potuto non accettare. Appartenevo a lei.

Avevamo anche, come avevo fatto una volta da ragazzino, stretto un patto. L’avevo portata in una pineta, non magica, forse, con i pezzettini di legno umido e di carboni fastidiosi sotto i piedi, ma che per me era un posto naturale in cui potersi sentire allegri e in pace.

Ovviamente, sarebbe stato impossibile utilizzare il sangue per svariati motivi. Nonostante stessi sviluppando una certa resistenza al suo odore, era pur sempre la mia cantante, il mio unico pasto più succulento. Inoltre, non avrei avuto, pur riuscendo a tagliarmi, sangue da utilizzare.

Quindi avevamo preferito farlo con delle piccole chiocce di capelli.

«Alice, che hai? Non ti senti bene?» chiese timorosa, vedendo mia sorella stranamente silenziosa, con la testa poggiata sui gomiti.

«Come? No… non ho niente Bella, non ti preoccupare» mormorò giocherellando con le dita sottili con un pezzetto di carta.

Lanciai un’occhiata apprensiva a mia sorella. Sentivo i suoi pensieri, tristi e turbinosi e anche piuttosto incoerenti. «Accompagnala un po’ fuori, io vi raggiungo subito». Rimasi fermo, seduto al tavolo, vedendole uscire fuori.

Quando furono abbastanza lontane agii d’impulso e chiamai Jasper, mio fratello, che anche tanto, nascosto un po’ dietro le quinte, mi aveva aiutato con Bella servendosi del suo potere di riconoscere e manipolare le emozioni altrui. «Jasper, dovresti venire a prendere tua moglie. Credo che sia necessario…».

Non appena Jasper mi raggiunse andai insieme a lui all’esterno dell’edifico, sul retro, nel grande parco verde. Alice e Bella erano sedute a capo chino, ferme su due altalene, in silenzio.

Quando Alice vide Jasper si sollevò immediatamente e si avviò velocemente verso di lui, ringraziandomi mentalmente. Le sorrisi dolcemente. Anche se non eravamo veramente fratelli non avrei mai potuto immaginare una sorella con cui avere un rapporto migliore; le volevo bene.

Mentre loro andavano a sedersi su una panchina poco distante, decisi di cogliere di sorpresa Bella, avvicinandomi da dietro e spingendola gentilmente.

Lei trasalì e potei sentire il sussulto del suo cuore e l’odore prepotente del suo sangue. Mi sorrise, notandomi. Un sorriso bello, luminoso, spensierato. Uno di quelli che mi faceva pensare che la vita era fatta di bellissime e intense emozioni.

Le diedi un’altra spinta, contenendo ampiamente la mia forza, e volò leggermente più in alto. La sua risata cristallina fu miele prelibato per le mie orecchie.

«Edward… Edward… più su!» rise, contenta, come una bambina.

La sua euforia contagiò anche me, che continuai a spingerla, ancora più su, sentendo nuove melodiose risate, godendo appieno di quel momento così bello e felice.

Come l’amavo.

Mi aveva fatto rinascere completamente.

L’afferrai, attento a non farle male, gettandola a terra, sul mio corpo, e rotolando sull’erba insieme a lei, in un coro di risate spensierate.

Ci trovammo faccia a faccia, troppo vicini per tirarci indietro. Così, con un immensa forza di volontà, ignorai il bruciore ardente alla gola e mi avvicinai, piano, con cautela, alle sue labbra, sfiorandone e lambendone delicatamente la punta, rosea. Mi concessi un brevissimo respiro, avvicinando, tremante, ancora di più le labbra e facendole perfettamente coincidere.

Qualcosa di orribile ruppe quel magico momento. Nuove immagini, agghiaccianti, veloci, turbinarono nella mente di mia sorella.

Non c’era più tempo.

Dovevamo agire, in fretta.

 

Emm… toc, toc… C’è nessuno?!

Lo so!! Sono passate due settimane. T.T

Giuro, lo giuro, sto tentando di velocizzarmi! Ma questa storia mi porta via una marea di energie ogni volta! Okay, okay, non ci sono scusanti, passiamo direttamente ai fatti.

 

Allora. Un pov Edward. Perché? Perché questo capitolo, l’unico in tutta la storia col pov Edward, mi serve a far capire sia come tutti vedono esternamente Bella. Sia a chiarire i motivi per cui Edward non sta facendo nulla, a rispondere alle vostre legittime domande quando mi chiedete “ma lui sa?” ecc ecc… Spero vi sia piaciuto e che sia stato abbastanza triste ^^

 

Altra cosa. Charlie sta cominciando a capire qualcosa… ma… la vera domanda è… cosa capirà? Quello che è  quello che pensa e vuole che sia?

 

Ultima riflessione… molte di voi hanno detto che i compagni di Bella sono stati cattivi. Ora… sto tentando di togliere da questa storia la patina bambinesca buono-cattivo. Già ho toppato con Jessica e Lauren, in futuro concederò loro maggiore spessore. Dicevo. I ragazzi non sono stati propriamente cattivi. Non vi è mai capitato di ridere mentre l’insegnante richiamava bonariamente un compagno? Magari facendo una battuta? E’ successo questo. Il problema è Bella… è troppo fragile, si sente esposta… una minima cosa la fa reagire in quel senso.

 

Spero di aver chiarito tutto. Anche il problema Volturi che aveva scatenato un certo panico.

Alla prossima, spero, presto!

 

PS. Grazie, perché nonostante tutto continuate a leggere questa storia e a lasciarmi magnifici commenti!

 

(fatto da Elena)

«--BLoG!!!--»

 

www.occhidate.splinder.com

 

Sognatrice85 Grazie mille! E’ davvero importante per me riuscire a comunicare quello che provo e che sento, e quando capisco che qualcuno apprezza ciò che faccio non posso fare a meno di sentirmi appagata e lusingata. Il tempo e l’impegno per scrivere questa storia sono tanti. Ma… è importante per me, e continuo a farlo. Grazie ancora.

abcdes Accidenti, grazie. Ti posso davvero comprendere se mi dici che senti quello che prova anche Bella. E’ difficile, lo so, a volte mi sembra che la vita voglia solo ostacolarci. Poi però, quando vivo dei momenti davvero felici penso che ne valga la pena di vivere, di soffrire anche. Ti posso capire. Spero tanto che la vita ti regali luce! Grazie ancora, davvero.

patu4ever  Tesoro. :) Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Questo è altrettanto triste e inquietante, ma spero, comunque, ti sia piaciuto lo stesso. Mi sto impegnando davvero molto per questa storia, anche se non sembra considerando che aggiorno ogni morte di papa! Ahahah!

luisina Tesoro! Grazie mille per la tua recensione, per me è preziosissima, come sempre. Allora… il fatto che Bella non riconosca la sua immagine… mmm… ho pensato che magari, visto che si era chiusa in se stessa, in una dimensione in cui esisteva solo la sua solitudine e il suo dolore, tutto fosse immutabile. E che si accorgesse solo a livello inconscio dei cambiamenti che stavano avvenendo. Ma ovviamente io posso solo averlo immaginato! Mi dispiace se ho scritto qualcosa che non fosse prettamente realistico. Per il resto, sono contenta di averci preso. Ovviamente tu, che sei dotata di ottimo giudizio e perspicacia hai ben inteso cosa volessi comunicare nel testo. Grazie mille tesoro, spero di portare avanti questa storia nel migliore dei modi. Un bacio! :*

anna_dreamwalker Grazie! Le tue parole mi riempiono di sincera felicità! Sicuramente avrai capito con che spirito cerco di affrontare quello che scrivo, mettendo me stessa, e spero di avertelo comunicato. Non voglio smettere di migliorare, e mi sto impegnando per farlo. Grazie ancora per la tua bellissima recensione!

Checca Cullen Grazie! Come sono contenta che tu stia leggendo anche questa! Sei un vero tesoro e le tue parole sono sempre più belle. Tento di rendere realistici i pensieri dei miei personaggi, e in fondo penso che un giorno, ognuno di noi, anche tu magari, abbia pensato le stesse cose che pensa Bella. Non con quei problemi, certo, ma… la fragilità fa parte della natura umana. E’ questo che penso. ;) Ciao cara! :* Francesca.

Noemix Cuore! Mi sei diventata la poetessa che stende inni all’amore? ahahah. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Di passaggio… mmm… beh, diciamo che in questa storia ogni capitolo ha la sua totale importanza, non si può lasciare nulla al caso e si deve raccordare tutto perfettamente! E’ una cosa ben complicata… già. Spero di non sbagliare! :P  

00Stella00 Grazie! Sei sempre molto dolce con me… Mi dispiace se ci metto così tanto, ma, come ho detto, scrivere questa storia non è un’esperienza troppo semplice purtroppo; e poi c’è anche l’altra storia che mi porta via tantissimo tempo, quindi…! Povera me! :P Per quanto riguarda Bella… non è così facile. Ti dico già che non accadranno molte cose belle, e prima di guarire… la strada è molto lunga. :)

kikkikikki Grazie cara! E’ importate per me avere qualcuno come te che mi recensisca ogni volta in maniera così gratificante! Le tue recensioni sono sempre più preziose per me. In questa storia ho racchiuso tutti i sentimenti più profondi, anche se spesso non troppo felici, che ho potuto provare nella mia esistenza. E’ vero che molto spesso non sono facili da scrivere, ma è anche vero che una volta scritti ti danno una grande soddisfazione.

barbyemarco Cara! Troppo realistica?! Ahahah… Grazie! Lo spero davvero, mi impegno per esserlo, per entrare nella sua mente… ma poi dopo un po’ mi sembra come se fosse lei ad entrare nella mia, non il contrario! Ahahah…

Shinalia Grazie mille! Sono contenta che ti siano arrivate queste, seppur negative, emozioni. Riuscirai sicuramente a sentirne altre!

beuzz94 ecco, in effetti Charlie sembra che stia cominciando a capire. Sembra. Chissà a che conclusioni arriverà… Credo che in questo capito, vedendola dall’esterno, si posso comprendere ancora meglio cos’è che logora la nostra Bella. I problemi non sono finiti.

Wind Già lo so benissimo che è molto doloroso. All’inizio ho pensato che la reazione potesse passare come esagerata, ma non credo sia così, mi sarei comportata come Bella. Forse perché mi sento tanto, troppo, nei suoi panni, ogni tanto. Come dici tu, la strada è lunga. Infinita forse.

cullengirl Bene allora. :) Si, Bella cambierà, ma io non la farei così facile… la cosa è molto complessa…

silvia16595 beh, si, daranno fastidio in maniera indiretta. Va bene così?! ^^ Allora sei tu la ragazza delle emoticon! Ahahah, mi sono scervellata! Ok, ok, si sono carine ^^ Si, ho aggiornato un giorno prima perché sono riuscita a finirlo. Che brava no? ahahah, vabbè, mica tanto… Non ti preoccupare, Bella migliorerà… Fidati! ^^

Jordy Klein Grazie mille, lo farò. Spero di poter comunicare ancora i pensieri di Bella al mondo, non è così semplice, e non sono bei pensieri, ma penso che molta gente possa ritrovarcisi. Grazie ancora.

ale03 beh si, la situazione con Charlie si evolverà ancora, si arriverà ad un punto importante della narrazione in cui penso tutto sarà chiarito. Ma la storia è comunque un pochino triste… già ti informo… ^^ Anche Edward e Alice faranno la loro :)

bigia si si, e li meriti tutti gli applausi, te li faccio anch’io! ahahah! Sono contenta che l’angoscia di Bella ti sia arrivata. Spero che i suoi pensieri siano stati coerenti. Dovrebbero ^^

lindathedancer Grazie davvero! Mi fai felice tu a dirmi queste parole… Si, con questa storia sto andando molto, molto piano con i tempi, voglio rendere tutto realistico, e magari preferirei sbagliare in “lentezza” che non in “velocità”. Non voglio trattare dell’argomento in maniera superficiale, ben lungi da me. Edward si muove molto prudentemente, Alice le darà una mano concreta con il tempo e Charlie… prima risolverà i problemi con lui e con la madre e prima riemergerà dalla voragine. Grazie ancora!

endif Certo che si, ormai siamo in confidenza. :) Ti ringrazio molto, spero vivamente si sia notato l’impegno che ho messo e che sto mettendo in questa storia. Non che non ne metta nell’altra, ma… sono profondamente diverse. Questa è nata con una coscienza d’insieme e con le idee ben chiare fin da subito, l’altra è cresciuta con me, me la sono portata dietro nelle mie giornate e attraverso i miei stati d’animo. Non permetto a nessuno di toccare questa! Ahahah… No, sul serio… voglio veramente bene a questa storia. Avevi ragione per l’Edward POV; avevo già in mente di scriverlo, e appena ho trovato il modo giusto per inserirlo l’ho fatto.  ;) Grazie infinite, sono contenta che la musica ti sia piaciuta. Un bacio! Francesca.

single93 Ma no figurati, non me la potrei mai prendere per così poco dopo quello che ho passato! Ahahah! Figurati… Dicevo… Si, cercherò di adattare lo stile allo stato d’animo dei personaggi, mi piace fare così. Le vie di mezzo non fanno per me, che amo il bianco e il nero. Purtroppo. Per quanto riguarda il problema di Edward alla fine mi sono rassegnata a mettere un suo POV. Spero di non aver fatto male.

Crystal90 Ahh, mi spiace! Mi rendo conto che posto con i tempi di un elefante! Grazie mille per la recensione, ci ho messo tutta me stessa e tentare di comprendere questa Bella non è qualcosa di troppo semplice. Penso che dopo aver finito questa storia andrò in psicoanalisi! Ahahah… grazie.

Bella_Cullen_1987  beh, meno di una 40 in teoria… Ci voleva un po’ di intervento di Alice per movimentare le acque…

lilly95lilly cattiveria da parte mia? … ma no… :D Solo realismo dai, col tempo ogni cosa migliorerà. Vedrai. :) Peggiorerà ma poi migliorerà…

Lau_twilight Grazie mille. :) Beh, ci tengo a precisare che non vorrei che voi vedesti gli altri come i “cattivi”. Penso che bisogna anche prendere in considerazione quale è stato il comportamento di Bella verso il mondo finché non si è aperta. E’ vero, era asociale. Non credo che ci siano persone buone e cattive. Ognuno ha le sue colpe. :)

 

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Capitolo 16
*** Veterinario ***


Gettai il gomitolo di lana che avevo in mano lontano da me

Gettai il gomitolo di lana che avevo in mano lontano da me.

«Miao!». Contenta, Minush saltellò sulle sue zampe posteriori degne di una papera, seguendo i rimbalzi della pallina rossa.

Ultimamente le cose stavano andando piuttosto bene. Riuscivo, il più delle volte, a controllarmi, sia prima che dopo mangiato. Avevo un quaderno su cui scrivevo tutto quello che mangiavo, e mi imponevo di essere costantemente padrona di me stessa. Non dovevo pensare al cibo. Questo era il mio pensiero costante. Non pensarci, non pensarci e continuare a non farlo. Resistere ancora.

Le unghiette di Minush nella stoffa dei jeans si mi ricordarono che non le stavo prestando attenzione. Sorrisi, prendendola in braccio e facendola volteggiare leggermente, prima di stringerla con forza a me e sentire la morbidezza del suo pelo sulla mia pelle.

Le volevo bene. Sapevo che qualsiasi altra persona mi avrebbe giudicata come una ragazzina superficiale, che concentra il proprio affetto su un animale domestico e dice “ti voglio bene” al primo essere animato. Ma… per me era proprio così. Quando mi sentivo sola, triste, lei c’era. Quando avevo fame, e rimanevo per ore intere a fissare il frigo tentando in ogni modo di non andare a mangiare ogni cosa che vi fosse contenuta, lei c’era. Quando piangevo, distrutta, dolorante, sul pavimento del bagno, rimpiangendo l’ennesima sciocchezza commessa, lei c’era. Era lì, miagolava, imperterrita, finché non mi convinceva ad alzarmi e ricominciare a vivere. Non avevo nessun segreto con lei.

Risi, quando mi sentii solleticare dalla sua lingua sulla pancia, appena sotto l’ombelico.

L’accarezzai, staccandola da me e sollevandola dall’attaccatura delle zampine anteriori. Com’era buffa la sua espressione, sembrava che le avessi appena tolto i suo giocattolo preferito.

«Miao» protestò infatti.

Risi, tirandole con un dito sulla testa e divertendomi, vedendo le sue orecchie appiattirsi.

«Bella! Vieni giù». La voce di mio padre, proveniente dal piano inferiore, mi raggiunse fin dentro la camera.

Sbuffai, prendendo Minush tra le mani e avviandomi fuori dalla stanza. Con mio padre l’ultima settimana era stata perfetta. Non c’era stato mai, e io avevo sentito un amaro e soddisfacente senso di soddisfazione. Aveva deciso di non far nulla e mi stava bene così. Non mi importava.

Lo trovai ad aspettarmi in cucina, seduto al tavolo apparecchiato col solito cibo da tavola calda. «Su, mangia con me, mi fai compagnia».

Sbuffai seccamente, tentando di non farmi vedere.

«E’ per stare un po’ con te, solo questo» disse, muovendosi a disagio sulla sedia.

Pensava forse che fossi stupida?! Pensava che non mi sarei accorta che mi voleva controllare? Sentii un grosso moto d’irritazione nascere dentro me. Serrai i denti, evitando, la prima volta nella mia vita, di rispondere male a mio padre. Mi sedetti, stizzita, senza dir nulla.

Mangiavo in silenzio, concentrandomi sul cibo, su quello che facevo, e sul fatto che ben presto Edward sarebbe passato a prendermi. Mi faceva così bene stare con lui! La lontananza mi deprimeva immediatamente.

Mio padre poggiò il bicchiere sul tavolo, facendo appositamente rumore. «Beh Bella, come vanno le cose? Mi sembri silenziosa, c’è qualcosa che non va?».

Ma come faceva a non capire? Come?! Volevo solo mangiare, in silenzio, non stavo facendo nulla di male! Perché doveva pensare sempre a qualcosa, di sbagliato poi?! Mi limitai a mugugnare un «no», infilzando un altro pezzettino di insalata multicolore.

«Come? Non ho sentito?».

«No! No papà. No!» sbottai esasperata, lasciando cadere la forchetta.

Mio padre non disse nulla. Mi guardò in silenzio, facendomi sentire in colpa.

Continuai a mangiare, stizzita, tentando pure di controllarmi e non sfogarmi sul cibo, e contribuendo a far aumentare esponenzialmente la mia agitazione.

Mi dava fastidio, immensamente fastidio, che usasse quei modi, spacciandoli per finto disinteresse, per tentare di estorcere informazioni. Ero irritabile. Potevo permettermelo accidenti?!

Edward venne a prendermi un’ora dopo, appena dopo che ebbi finito di lavare i piatti. Ovviamente mio padre fece commenti poco graditi, sul fatto che stessi sempre insieme a lui, facendo aumentare ancora, a dismisura, il mio nervosismo.

«Ma ti rendi conto?! Mi chiedeva se ci fosse “qualcosa che non va”, che cosa voleva?!» urtai con la schiena contro lo schienale della Volvo, facendo schioccare la lingua, «cavolo! Pensa forse che io sia stupida?» mi lamentai con Edward.

«Magari era solo preoccupato per te» tentò di placarmi, continuando a guidare.

Strinsi con forza Minush a me, rischiando di soffocarla. «Se fosse stato preoccupato avrebbe potuto chiedermelo direttamente, no?» esclamai, serrando i denti.

Lui mi sorrise comprensivo, voltandosi verso di me. «Gli avresti risposto?».

Mi bloccai, incupita. No. Non gli avrei risposto. Ma questo non voleva dire nulla, accidenti! «Edward!» esclamai, arrabbiata anche con lui «da che parte stai tu?!» chiesi, con le lacrime agli occhi. Pensare di avere torto e che anche gli altri la pensavano come mio padre non mi aiutava affatto, anzi.

Accostò, un’espressione sorpresa e afflitta sul volto, facendomi sentire infinitamente in colpa per avergli urlato contro. Mi sentivo talmente sola…

Scoppiai a piangere, così mi prese fra la braccia e mi strinse a sé, tentando di placare una mia ennesima crisi di pianto, mentre mi lasciavo cullare, perdonandolo necessariamente all’istante. Ero così volubile… Come se un qualsiasi evento, anche a distanza di chilometri e chilometri, avrebbe potuto sconvolgermi in ogni istante. Come se fossi esposta  in un’immensa pubblica gogna, pronta a subire il lancio di frutta e verdura marci.

Minush miagolò, spaurita perché troppo vicina a Edward, facendoci separare. Ancora proprio non riusciva a tollerarlo, sembrava quasi, incredibilmente, che ne avesse paura!

«Scusami, non volevo dire che sono d’accordo con tuo padre» disse, evidentemente preoccupato per una mia eventuale reazione, guardandomi negli occhi «voglio solo che tu ti senta libera di dirmi se c’è qualcosa che non va, e se vuoi puoi…» si morse la lingua. Sembrava incerto.

Tirai su col naso, asciugandomi le lacrime. «Non fa nulla Edward, andiamo» dissi, stringendo a me la gattina e sistemandomi meglio sul mio sedile. Edward rimase ancora qualche secondo, incerto, con le labbra contratte, a guardare verso di me. Gli sorrisi debolmente, abbassando il capo, allora si raddrizzò e mise in moto.

Arrivammo dopo poco tempo allo studio veterinario di un amico di Carlisle. Eravamo venuti apposta per fare un controllo completo a Minush e per somministrarle il primo ciclo di vaccini.

«E’questa la gattina?» chiese il dottor Osiander, scrutando Minush coi suoi bei occhi celesti. Era un bell’uomo, giovane, energico, ma anche pieno di vita e voglia di fare esperienza. Ovviamente la sua bellezza non poteva minimamente competere con quella di Edward, né di qualcun altro dei Cullen.

«Signorina… posso prenderla?» chiese, sfilandomela dalle mani.

«Si, certo» dissi arrossendo.

L’accarezzò, e Minush iniziò a leccargli il dito. «E’ davvero carina, come la padrona d’altronde… come di chiama?».

Feci per rispondere, ma Edward mi interruppe. «Non c’è suo padre?» chiese, scrutando la sala. Evidentemente doveva essere il figlio del veterinario che stavamo cercando.

Lui alzò la testa, non smettendo di sorridere finché non si scontrò con l’espressione di Edward. «No. Lo sostituisco io» disse, poco temerario.

Lui fece per ribattere qualcosa, ma io, avendo notato il clima strano, lo zittii. «Va bene, possiamo cominciare? Vorrei fare in fretta se possibile…».

«Ma certo, seguitemi» ci invitò gentile e entusiasta, facendoci strada verso il suo studio.

Gli dissi che volevo fare una visita completa alla gattina e lui mi spiegò i vari controlli che avrebbe effettuato. Rabbrividii notevolmente quando vidi le siringhe dei vaccini, avvicinando a me Minush, spaventata.

Lui e Edward se ne accorsero. «Ha paura degli aghi?» chiese il dottore, vendendo accanto a me come se gli avessi appena dato il pretesto di dire qualcosa. Mi prese le mani fra le sue e le strinse con energia, facendomi avvampare e sentire la sguardo infuocato di Edward alle mie spalle. «Non si deve preoccupare!» esclamò, fissandomi coi suoi bei occhioni blu «ci penserò io, non le farò del male, parola di Tom, mi dia pure del tu» concluse con uno smisurato sorriso.

«B-Bella» balbettai, a disagio per i suoi modi confidenziali.

Animato, prese una siringa in mano e la brandì vicino al mio viso. «Vede? Non c’è nulla di cui preoccuparsi!».

Velocemente mi voltai, spaurita, rifugiandomi sul petto di Edward.

«Io penso sia meglio che aspettiamo fuori, mentre lei, Tom visita Minush» disse con tono freddo, stringendomi e uscendo dallo studio.

Lanciai un’occhiata fugace alla gattina, che miagolava sulla scrivania, prima di vederla scomparire dietro una porta chiusa.

«Ti sta antipatico?» chiesi a Edward, seduto accanto a me in corsia d’attesa.

«Chi?».

«Come chi? Il dottor Osiander. Te lo sei mangiato…» constatai sottotono.

Edward ghignò in modo strano, facendo scoprire i suoi denti bianchi e lucenti. «Tom…» disse voltandosi verso di me  «è possibile che io sia geloso di qualcuno che porta il nome di un gatto?» sogghignò.

«Sei geloso?» chiesi.

«Certo che si. Di te sempre…» confessò senza pudore.

Mi avvicinai, facendomi abbracciare. «Lo sai che non devi esserlo. Per me ci sei solo tu. E Minush ovviamente… chissà come sta…».

Lui fece schioccare la lingua. «Sembra che Tom non gli sia affatto antipatico».

M’irrigidì, capendo di cosa, in particolare, era geloso Edward. «Edward…» lo chiamai, facendolo voltare verso di me «lo sai che in fondo Minush ti vuole bene. Lei è socievole con tutti, quindi se non lo è proprio con te… beh, magari devi esserne contento perché è comunque un rapporto privilegiato! O magari devi pensare che sia gelosa!».

Lui mi fissò, tentando di non scoppiare a ridere dopo la mia brillante arringa campata per aria.

«Non fare quella faccia» borbottai.

«Sembra che io sia sullo stesso piano del gatto».

«No, infatti, non è così. Minush viene prima».

«Ohhh. Minush viene prima».

Mi bloccò la mano prima che potessi tirargli uno scappellotto, avvicinandosi lentamente alle mie labbra e stravolgendo completamente le mie intenzioni…

«Bella!» mi chiamò a gran voce Tom, interrompendoci. «Credo che Minush abbia bisogno della tua presenza, non è disposta a collaborare» disse, continuando come se nulla fosse.

Sospirai. «Okay».

Non appena Minush mi vide mi si fiondò addosso, cominciando a leccarmi dappertutto.

Tom mi invitò caldamente a sistemarmi accanto al piano coperto dalla carta ruvida.

«Bene, possiamo iniziare la visita». Prese Minush dalle mie mani e la pose sul ripiano, cominciando ad esaminarla.

Edward, dietro di me, aveva posato una mano sulla mia spalla.

Minush si lasciava toccare, palpeggiare, scrutare, disorientata, con i suoi soliti riflessi troppo lenti e così simili ai miei. Quando Tom lo notò, e notò anche la sua strana forma a X delle zampe posteriori, propose di fare qualcosa in merito.

«Servirebbe un’operazione, mi meraviglio del fatto che questo gatto riesca a camminare, dovrebbe essere pressoché privo di equilibrio».

Mi spaventai. «Operarla? Non voglio operarla…» deglutii, terrorizzata a quella prospettiva. Minush era come una sorella per me. Una figlia o un’amica. Era così piccola, tenera e fragile, non potevano farle del male…

La presa di Edward si fece più salda. «Sono sicuro che Minush starà bene anche così, non penso sia necessario che venga operata».

La gattina miagolò, tentando di saltare fra le mie braccia, ma Tom glielo impedì, afferrandola.

«Ma avrà sempre un equilibrio precario, non sarà mai come gli altri gatti».

Sussultai.

«Non importa» fece Edward, duro. «Non sarà uguale agli altri, ma non vuol dire che non è perfetta così com’è» fece una pausa, duro. «E poi dev’essere Bella a decidere».

Entrambi guardarono me, così non esitai a rispondere, spaventata. «No… Vi prego. Non posso neppure pensare che…» mi allungai su Minush, accarezzandola. «A me lei va bene così». La voce mi tremava. Pensare che qualcuno volesse cambiarla mi faceva credere che non andasse bene così com’era, che tutti volessero che fosse diversa, o migliore, e di conseguenza che dovessi esserlo anch’io. Ma Minush a me piaceva, no? Perché mai avrei dovuto cambiarla per renderla uguale agli altri?

Tom sorrise, come non aveva fatto con Edward. «Ma certo, va bene. In fondo cos’è che ci rende unici, i difetti, no?!» asserì con entusiasmo.

Sorrisi, cercando di dimostrarmi almeno un po’ del suo stesso umore. La verità era che mi era rimasto addosso un forte senso di preoccupazione e disagio.

Edward, probabilmente intuendo tutto questo, mi parlò, distraendomi. Mi disse che Esme aveva comprato una nuova scacchiera e che le sarebbe piaciuto se quella sera fossi andata a provarla. O magari a vederli giocare.

«Sei bravo? Beh, io punterei su Alice» dissi, sorridendo debolmente e guardandolo per pochi istanti in viso.

Sghignazzò. «Non credo che potrebbe vincere contro di me!».

«Ma sentilo, l’umiltà fatta persona» borbottai, arrossendo.

Rise.

In quel momento sentii un miagolio acuto. Tom stava facendo uno dei vaccini a Minush. Non appena vidi la siringa sbiancai e sentii le ginocchia cedermi. Accidenti.

Prima che potessi accasciarmi a terra, e, prima che potessi rendermi conto del mio stato, Edward strinse le braccia intorno ai miei fianchi, tenendomi su. Non mi sarei fatta prendere così tanto dalla cosa se non fosse stato per il fatto che mi aveva preso totalmente alla sprovvista e che fossi già provata dalla situazione. Ero così imbarazzata, eppure completamente priva di forze.

«Bella, Bella» mi chiamò più volte, scuotendomi leggermente.

Tom, che nel frattempo, concentrato su Minush, non si era accorto di nulla, si voltò verso di noi. Sgranò gli occhi. «O cielo! Cos’ha?! Chiamo un’ambulanza?».

Mi sentii sollevare da terra, mentre avvertivo le guance stranamente fredde e il campo visivo innaturalmente ristretto.

«Non è nulla» disse Edward, tranquillo, «si è solo un po’ spaventata per l’ago, sta bene».

Sentii della carta ruvida sotto la guancia e le sue dita fredde sulla fronte. A poco a poco la stanza smise di girare. Vidi il suo volto che mi scrutava, sorridendomi rassicurante. Sembrava più amareggiato dalla situazione, che preoccupato.

La voce di Tom giunse da destra. «Ragazzo, fammi controllare. Potrei visitarla».

«Non credo sia necessario». Edward mi accarezzò i capelli.

«Lo può lasciare decidere a me? Tra i due penso che quello che ha più competenze mediche sia io» rispose Tom, stizzito.

Edward fece per parlare, ma poi si zittì, stringendo le labbra e fulminandolo con lo sguardo.

Mi riscossi, prima che si potesse scatenare una lite, strofinandomi le guance nel tentativo di darmi calore. «Sto bene, davvero. Scusate».

Sollevandomi per mettermi seduta, sentii comparire nuovamente il consueto, doloroso fastidio sotto lo sterno. Sospirai, stringendo gli occhi.

Tom mi osservava attento senza dire nulla, magari aspettando che mi sentissi nuovamente male e che avesse il pretesto per fargliela vedere a Edward.

«Potresti dirmi se c’è un bagno?». Sentendomi in dovere di giustificarmi, aggiunsi, «vorrei rinfrescarmi un po’».

«Certo, il corridoio appena fuori, seconda porta a sinistra. Con Minush abbiamo finito, ti aspetto alla reception».

Non appena fui in bagno mi piegai sul lavandino, tenendomi una mano sullo stomaco dolorante. Ansimai leggermente, tuttavia tentai di ricompormi immediatamente. Avevo sperato che smettendo di vomitare quasi ogni giorno il dolore passasse, ma mi ero sbagliata di grosso. Dannazione!

A cosa valevano tutti gli sforzi che stavo facendo per tentare di controllarmi?! A quel punto ne valeva davvero la pena lottare?

Mi sciacquai velocemente la faccia con acqua gelata, prendendo dalla borsa il flacone con gli antiacido. Lo rovesciai sulla mano e cadde una sola compressa, l’ultima. Sbuffai, muovendo le mani agitata. Portai velocemente un sorso d’acqua alla bocca e la ingoiai rapidamente, accasciandomi poi contro la parete e aspettando che il dolore passasse.

Quando i tremiti abbandonarono completamente il mio corpo, con estenuante lentezza, afferrai il flaconcino vuoto, e lo buttai nel cestino accanto, rannicchiandomi su me stessa. Presi dalla borsa il quadernetto su cui scrivevo ogni cosa che avevo mangiato. Quel giorno, complice l’irritazione per le parole di mio padre, me ne ero dimenticata, e non potevo permettere che la situazione mi sfuggisse di mano, neppure una volta.

Fissai la pagina vuota, inespressiva, forzandomi per ricordare cosa avevo mangiato. Insalata. Si, quella si. Concentrati Bella, concentrati, ricorda…

Mi strinsi con le braccia intorno al petto quando sentii un dolore più forte. Non appena fu passata singhiozzai, strappando la pagina con la parola appena scritta.

Che cosa mi stava succedendo? Mi ero spinta troppo oltre nella mia follia? Tutti sarebbero venuti a sapere del mio segreto, l’avrei dovuto confessare, senza poterci fare nulla? Sarei morta?

Vidi nella mia mente l’immagine di Edward, che, afflitto, veniva a sapere di tutto. No. Non poteva essere.

Dopo meno di cinque minuti, passati in un fastidioso e sordo silenzio, il dolore era divenuto sopportabile, e mi costrinsi a ricominciare a pensare coerentemente e più superficialmente.

Mi ricomposi e raggiunsi Minush, Tom e Edward.

«Tutto bene?» mi sussurrò, accarezzandomi una guancia.

Annuii, ancora scossa, preferendo non parlare.

Probabilmente Tom fu molto cortese, ed entusiasta, ma non riuscii a ben comprendere quello che mi stava dicendo mentre mi passava Minush a cui aveva attaccato un fiocco rosa.

«Non ti è ancora passata la paura degli aghi?» chiese Edward, guidando verso casa sua.

«No» risposi laconica. Stropicciai con le dita il nastrino, fino a staccarlo dal collare rosso ciliegia di Minush e cominciai a giocarci con le dita. Lei si era addormentata e stava teneramente sognando sulle mie ginocchia.

Mi parve sentir dire qualcos’altro da Edward, ma non riuscii a capirlo e non mi sforzai di farlo.

«Perché ne hai paura?» chiese poi. Sembrava sinceramente curioso.

«Non lo so. Hai presente tutto quel discorso sulle fobie, paure inconsce… Non so» risposi, svogliata. Sospirai, poi aggiunsi, tentando di essere più cortese e di apparire meno turbata, «magari ha a che fare con la paura dell’ospedale, medici e annessi e connessi…».

Lo sentii irrigidirsi e le sue mani si strinsero attorno al volante, ma non disse più nulla.

Quel gesto bastò a far scemare parte del mio disinteresse, ma non fu abbastanza per farmi diventare così sfacciata e temeraria da chiedere spiegazioni.

Decidemmo di lasciare Minush in camera di Edward, a dormire. L’avremmo sicuramente sentita se si fosse svegliata. Aveva il potere di miagolare, o meglio, come dicevamo io e Edward, “paperare” molto forte. Sembrava un pulcino quando miagolava!

«Hai fame? C’è la frutta. Dovremmo aspettare un po’ prima che Esme e Carlisle tornino. Anche Alice…».

Accettai, ringraziandolo, il grappolo d’uva che mi aveva offerto, sedendomi sulle sue ginocchia e mangiandolo in silenzio. A poco a poco ogni residuo di dolore scomparve, assieme ai miei pensieri più tristi. Poggiai la testa sulla sua spalla, pensando che Edward non sarebbe venuto a sapere nulla, e che tutto sarebbe andato per il meglio.

Stare insieme a lui mi aiutava, sempre. Prima di tutto, mi aiutava a non pensare. Secondo, sapevo che non mi avrebbe mai vietato né obbligato a fare niente. Terzo, mi faceva stare meglio, sentire felice, sapevo che riusciva a comprendermi. E per ultima cosa l’amavo, e questo bastava a giustificare tutto il resto.

Sentii le mie mani, protese per afferrare l’ultimo chicco d’uva, fra le sue, forti, che le fermavano.

Mi voltai perplessa a fissare il suo volto tranquillo. «Che c’è?».

Mi sorrise, lasciando andare le mie mani e prendendo l’ultimo chicco fra le dita. «Aspetta, non lo mangiare, voglio farti vedere una cosa».

Aprì un cassetto della penisola della cucina e ne estrasse del filo. Notai che armeggiava per cercare anche qualcos’altro. Feci per sollevarmi dalle sue gambe, in modo che potesse fare dei movimenti con più agevolezza, ma lui me lo impedì, tenendomi stretta.

Estrasse una piccola pinza e poi… un ago.

Impallidii, sconcertata.

«No, aspetta» disse, lui, con calma. «Voglio, solo…» disse, sistemando l’ago e il filo.

«Non aver paura, guarda». Con fermezza e precisione degne di un chirurgo afferrò il chicco d’uva e cominciò a cucirci sopra.

Non capii cosa stesse facendo, né tanto meno come riusciva a farlo senza rompere il piccolo frutto, ma rimasi a guardare, in silenzio, lasciando scomparire sempre più l’originaria fobia. Lo osservavo lavorare con rapidità e precisione, nonostante l’impiccio di avermi fra le braccia.

«Come fai?».

«Carlisle» rispose, e potei giurare che stesse sorridendo, nonostante non riuscissi a distogliere lo sguardo dalle sue mani operose. «Lui mi ha insegnato».

Non appena ebbe finito potei notare il disegno che era comparso su buona parte del frutto, tracciato dal cotone rosso. Un cuore.

«E’ un tipo di punti che viene utilizzato per ricucire le arterie» disse, scrollando le spalle.

Rabbrividii, irrigidendomi. «Che orrore…».

Lui rise, spensierato. «Non dire così. Non fa male. E poi c’è anche una cosa divertente che si può fare con ago e filo».

«A si?!» chiesi sarcastica.

«Dammi il dito» disse, convinto, tendendomi la mano.

«C-cosa? No!» esclamai sorpresa.

«Dammi il dito, ti dico. Giuro che non farà male. E non sarà spiacevole».

Guardai la sua mano, ancora tesa. «No… Edward… no… Mi uscirà sangue!».

«Non sarà così, affatto».

«Invece si».

«Ti fidi di me?».

Sospirai. «Si…» mormorai a mezza voce, lasciando che prendesse il dito con la mano. Era l’unica persona al mondo della quale mi fidavo, e mi pareva anche di averglielo dimostrato.

Chiusi gli occhi, spaventata, quando posò l’ago sulla punta del dito.

«No, guarda» disse, costringendomi a riaprirli.

Con delicatezza fece una lieve pressione, mettendo l’ago trasversalmente rispetto al dito. Sentii una piccola stretta al dito e vidi la pelle chiazzarsi di bianco e rosso, a seconda di dove il sangue si concentrava. Rabbrividii, sentendo le labbra di Edward sul collo e il filo che lentamente passava sotto il leggerissimo strato di pelle, senza però romperla. Le dita bianche di Edward afferrarono i lembi del cotone rosso e fecero un piccolo fiocchetto di un centimetro. Poi tagliò la parte rimanente.

«Me lo faceva sempre mia madre, quando da piccolo la osservavo cucire» mi spiegò, accarezzando la punta del dito.

Vide che non parlavo, osservando il fiocchetto.

«Ti ho fatto male?».

Scossi la testa, aggrappandomi con le braccia al suo collo. Sapevo che mi aveva confidato una parte di lui. E questa era un’altra delle cose che amavo di Edward, il fatto che potessi aprirmi completamente al lui come lui a me. A nessun’altro avevo raccontato dei miei genitori… solo a lui.

E non me ne pentivo, affatto. Adoravo tutta quella sincerità.

 

 

E da questa fine… Si capisce molto. :)

Il gioco del fiocchetto lo faceva sempre mio papà, ne ho un ricordo molto allegro, non inorridite, è divertente! :P

Beh, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci sono tutti i preamboli per quello successivo.

Già ve lo dico, da prossimo si entrerà nel vivo della narrazione e così anche vicini alla fine. Mancano 5 o 6 capitoli, non credo di più.

E vi dico anche che questa storia avrà una parte piuttosto triste, quindi siate preparate, mi raccomando. Non uccidetemi poi…

Beh penso che il capitolo si commenti solo, no?

Ah, lo dico in anticipo. Segnare maniacalmente quello che si mangia su un quadernetto, auto-imporsi costantemente di non mangiare troppo, di controllarsi… Non sono vie efficaci di guarigione, non vorrei darvi troppe speranze.

Bella ora arriva ad avere paura per il suo stato… Ma non basta.

 

Vi mando un bacio, vi dico “grazie”, perché continuate a seguirmi nonostante i tempi di pubblicazione. Grazie, a chi commenta qui o sul mio blog. Grazie, a chi legge o a chi apprezza la mia storia. Grazie.

 

(fatto da Elena)

«--BLoG!!!--»

 

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pinkiller Grazie immensamente di seguire entrambe le mie storie! Sono contentissima di essere riuscita, anche se magari solo per poco, a farti immedesimare. Davvero, grazie.

luisina Tesora mia! Grazie di tutto, come al solito sei gentilissima con me! *.* Sono contenta che i POV Edward ti piacciano, ma come ben saprai, sono anche molto difficile da scrivere per me, e penso che la loro apprezzabilità dipenda anche dalla rarità con cui li inserisco! Forse ce ne sarà uno solo alla fine, o forse nessuno, non so ancora. Ho desiderato inserirlo per chiarire ciò che a molti (non perspicaci come te! :P) poteva essere sfuggito. Per mettere tutto in chiaro, sia quello che era nel passato, sia quello che avverrà… ;) Mille grazie ancora! Un bacio grande! :*

00Stella00 Oh, ha abbandonato? Beh, mi dispiace, siete amiche, no? Dille di non abbandonare, non ne vale la pena. So che ci possono essere momenti di crisi o di eccessivo impegno, ma l’importante è continuare a scrivere e migliorare. Grazie mille per i tuoi complimenti, e scusa se ti ho fatto aspettare così tanto! :P

SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate Grazie mille! Le tue parole sono davvero molto carine e gentili. Ti dirò che la trama si svilupperà dal prossimo capitolo in poi con una certa velocità, e che quindi presto saremo vicini alla fine. Grazie ancora, Francesca.

Noemix Ahahah… Mi dispiace, ma Cullen’s Love ha un po’ la priorità nella mia mente, non perché la preferisca a questa, anzi è proprio il contrario. Ma è anche vero che questa è costitutivamente più difficile da scrivere. Per bella, si, non c’è più tempo… si vedrà fra un paio di capitoli… Questo non è stato molto molto triste, ma mi serviva per collegare. Sono contenta che il pov Edward ti sia piaciuto, ti ringrazio per le bellissime recensioni che mi lascio ogni volta tesoro. :*

kikkikikki Oh, cielo! Grazie. Non so come fai, ma ogni tua recensione che leggo mi sembra il massimo che io possa desiderare, poi, leggo quella successiva, e mi accorgo che non è così, perché quella è ancora migliore. Grazie. Credo di essere stata un po’ superficiale in questo capitolo, ma volevo solo rendere la quiete prima della vera tempesta… Grazie ancora.

Jordy Klein Scusa, scusa, scusa! Perdonami se puoi! La mia vita è un impegno dopo l’altro, proprio non ho potuto aggiornare prima! Grazie di tutto! E ancora scusa!

beuzz94 beh, mi dispiace che il mistero della visione di Alice non sia stato svelato, lo sarà fra appena… due capitoli, che non sono poi tanti se non si tiene conto del tempo che ci metto ogni volta ad aggiornare! :P perdono please!

silvia16595 No, non vogliono nulla di male! Ti voglio rassicurare. :) Grazie di lasciarmi sempre commenti sul blog, lo apprezzo tantissimo. :) Sono molto contenta che il capitolo ti sia piaciuto e che ti abbia chiarito alcune cose. Ho pensato che fosse proprio necessario, non è così?! Grazie tantissime ragazza delle emoticons, non smettere di commentare, mi fai sempre più felice! :)

shasha5 Grazie mille! Addirittura piangere? Oh cielo, mi fai troppo contenta! Sono felicissima che l’Edward’s POV ti sia piaciuto, non me la cavo mai troppo bene con i suoi pensieri. Purtroppo Bella però non sta bene, e si vedrà presto quanto…

Shinalia Grazie, davvero grazie. Sono contentissima del fatto che la mia storia continui a piacerti. Volevo comunicare sia tutto il dolore, il senso d’impotenza di Edward, sia far capire tante cose che magari rimanevano troppo oscure da comprendere semplicemente e solo con il Bella’s POV. Il prossimo sarà davvero un capitolo sconvolgente, e accadrà qualcosa di inaspettato! :)

lindathedancer  Grazie mille, sono felice che tu sia comprensiva per quanto riguarda i tempi di pubblicazione. Purtroppo c’è gente che, giustamente, non riesce a continuare a seguire il filo logico della storia e perciò mi “abbandona”. :) Beh, non fa nulla, l’importante è continuare a scrivere per me e tutti voi che continuate a seguirmi con passione. Sono contenta che tu abbia apprezzato l’Edward POV. Questo era l’ultimo capitolo di passaggio, da questo in poi accadrà davvero il finimondo. Grazie mille della bellissima recensione.

barbyemarco Oh, mi spiace se non si è capito qualcosa. E’ che davvero scrivo a troppo tempo di distanza ed è difficile per me stessa mantenere un certo filo logico… Penso che la tua curiosità verrà ben appagata nel prossimo capito, nel quale accadrà di tutto di più! :)

single93 Mi dispace per la tua febbre, ormai è passato tanto tempo :P Quindi spero e credo ti sia passata! Grazie mille, sono contenta che tu abbia apprezzato il POV Edward, volevo delucidare un po’ la situazione. Quanto accadrà è collegato ai dolori, si, ma anche ad altro!

Crystal90 Beh, si, allora spero che mi perdonerai anche questa volta! Sono contenta che i miei capitoli ti piacciano, ti ringrazio davvero tanto. Spero si sia capito in che direzione sta agendo Edward, in questo capitolo ha fatto qualcosa di importante. Nel prossimo sconvolgerò un po’ la situazione… Grazie ancora.

bigia grazie mille! No, nulla di positivo purtroppo, ma non disperare, ok? Accadrà di tutto e di più ma l’importante è mantenere sempre la calma necessaria. :)

lilly95lilly bene, sono contenta allora!!! A curiosità fa sempre bene! Un bacione grande e grazie!

endif Grazie, grazie mille tesoro. Sapere che il tuo giudizio, così importante per me, è positivo… mi riempie di gioia. Questo Edward POV è stato molto ragionato per quello che volevo dire, ma non per i sentimenti che volevo metterci. Parlando di dolore… ne ho molto da dedicare hai miei personaggi. Non voglio dire che provo spesso dolore, credo che capiti a tutti, come a me; tuttavia io cerco di sfruttarlo e canalizzarlo nelle mie storie, in modo da vivificarle. Grazie, questa tua recensione, ribadisco, è stata davvero un qualcosa di stupendo. Spero di poteri ancora regalare nuove emozioni. Un bacio, Francesca.

Lau_twilight Grazie tesoro! Sono contenta tu abbia apprezzato il POV Edward. La strada da compiere è parecchio difficile ancora, e non è detto che andrà a fine palesemente bene. Purtroppo, la visione di Alice non promette nulla di buono, mi dispiace tanto. Edward sarà sempre così… premuroso. :)

invasata Grazie! Grazie mille! Sei stata davvero gentile. Ho tentato di scrivere questa storia in maniera realistica, pensando e immaginando tutto quello che poteva accadere. L’ho scritta già sapendo che non sarebbe potuta essere una fiaba felice, e spero di star facendo bene. Grazie di tutto. Francesca.

ale03 Cara! Beh è facilmente immaginabile cosa possa aver visto Alice, no? Se non l’hai immaginato, purtroppo, temo che presto verrai a saperlo… Si, la storia sarà triste in diversi punti, e ancora non so QUANTO bene finirà…

Wind Io penso che le sceglierà entrambe, sai? Mmm… la cosa è complessa. Sono contenta che tu abbia apprezzato il mio tentativo di delucidazione. Grazie cara! :)

patu4ever Grazie. :) Beh, si, sai com’è, per me due settimane è ritardo… ahahah Dovrei aggiornare almeno una volta a settimana, ma… è pressoché impossibile che io lo faccia. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, era importante farvi conoscere il Punto di vista di Edward.

 

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Capitolo 17
*** Luce ***


Risi, prendendo la coperta dalle sue mani

Risi, prendendo la coperta dalle sue mani.

«Smettila Edward, oppure non ci vengo in campeggio con te!» dissi, facendogli la linguaccia. Che bambina che ero. «Ancora non riesco a capire come tu abbia fatto a convincermi».

Ammiccò nella mia direzione, finendo di sistemare gli attrezzi nella sua auto. «Me lo dovevi» disse, scrollando le spalle.

Scossi la testa, accomodandomi sul sedile. La verità era che aveva insistito, lungamente, molto, molto lungamente, per passare un intero week-end con me, considerando che nel precedente era stato completamente assorbito dalla visita dei suoi amici italiani.

Rabbrividii, ripensando a quei due giorni e alla sua assenza. Erano stati due dei più brutti, in tutta la mia vita. Mi forzai per regolarizzare il respiro, per un attimo sfuggito al mio controllo.

Scacciai quel ricordo orrendo. Avevo accettato per stare con lui, perché il mio bisogno di averlo accanto era immenso e incomprimibile e aumentava a dismisura con il passare di ogni secondo.

Durante il viaggio rimanemmo entrambi in silenzio. Di tanto in tanto mi voltavo, lo accarezzavo, lo contemplavo, lo baciavo. Volevo ricordarmi del fatto che fosse reale e assicurarmi di averlo accanto. Mi sentivo addosso un’incredibile sensazione di stranezza. Come se ci fosse tutto intorno a me il buio e lui fosse una delle pochissime luci ancora accese. La più luminosa. Dovevo accertarmi della sua presenza per continuare a vivere, per continuare a pensare. La luce. Il buio faceva paura, troppa.

Mi voltai di scatto, incollando con ansia e fretta le mie labbra alla sue. Luce, luce, dovevo nutrirmi di luce.

S’irrigidì notevolmente, tirandosi indietro. «Bella, sto guidando» disse poi, con voce tremante di tensione.

Feci un piccolo sorriso e mi ritirai sul mio sedile, osservandolo. Era più strano del solito. Più di quando diventava cupo, più di quando rifiutava con insistenza di mangiare - la maggior parte delle volte che eravamo assieme - più di quando era freddo anche dopo essere stato ore davanti al camino.

Sorrisi.

Possibile che mi piacesse proprio per queste stranezze? Non m’importava, e non mi sarebbe importato neppure se avesse avuto la pelle verde. Lo amavo, e questo bastava.

Ma quel giorno, quel giorno era strano. Strano davvero. Era nervoso. Come se dentro lui ci fosse tanta ansia e tensione e attesa per qualcosa di importante che stava per avvenire.

Scossi il capo, sorridendo. Ero contenta e volevo esserlo ancora, a lungo, almeno finché non avessi avuto bisogno di un altro bacio, di altra luce.

«Sei sicuro di potermi portare? Ti verrà un terribile mal di schiena…» borbottai sulla sua guancia. Eppure non avevo nessuna intenzione di scendere dalle sue spalle. Stavo così bene con lui, a stretto contatto col suo corpo… Non ci avrei rinunciato per niente al mondo.

«Sono sicuro Bella, te l’ho già detto tre volte. Sei leggerissima…» disse, con un’amara nota nella voce, invece di rispondermi il solito “Si”.

Lo strinsi di più a me, affondando il viso nella sua spalla e inspirando il suo odore dolce. Non avevo alcuna intenzione di lasciarlo andare. «Fra quanto arriviamo?» chiesi ancora, tentando di fare conversazione.

«Poco, mezz’ora».

Sbuffai. «Perché sei così laconico?».

S’irrigidì, stringendo con più forza i miei polpacci con le mani. «Scusa… stavo pensando…».

Sorrisi sul suo collo, facendogli sentire la forma delle mie labbra. «Non fa niente». Pensai a tutti i momenti in cui mi ero ritrovata a mi trovavo, ancora, immersa nei miei pensieri. Potevo comprenderlo perfettamente.

Arrivammo, come previsto da Edward, dopo mezz’ora esatta ad un piccolo spiazzo su un costone roccioso. Ora avremmo dovuto montare la tenda. Non ci trovavo proprio nulla di divertente a trovarmi in mezzo agli insetti e all’erba, odiavo quel genere di cose. Ma, al contrario, adoravo Edward, e nulla sarebbe stato brutto finché ero accanto a lui.

«Posso aiutarti?» chiesi con un sorriso.

Lui mi lanciò un’occhiata strana. «Si, certo…» sorrise «sei felice?».

Gli lasciai, senza preavviso, un altro piccolo e intenso bacio sulle labbra. Chiusi gli occhi, inspirando il suo odore, poi li riaprii. «Si».

Sorrise anche lui, baciandomi ancora.

Grazie al mio “aiuto”, il montaggio della tenda fu molto rallentato. In compenso, però, ci divertimmo come non mai a mettere apposto quella massa informe di cose, come avevo deciso di chiamarla.

«Tienilo, tienilo, tieni quel paletto, credo di aver capito come si fa! Aspetta!» esclamai, tirando un archetto da un’estremità.

La voce di Edward giunse ovattata da sotto il telo cerato. «No, Bella, è sbagliato, quello va messo giù non è quello giusto!».

Mi scappò un risolino, mentre stringevo la corda, intrappolandolo là sotto. «Così?» chiesi innocentemente. Non appena vidi la tenda sollevarsi cacciai un urletto, correndo via, ridendo.

«Guarda che ti prendo, sai?» mi minacciò divertito, correndomi dietro.

Risi, continuando a correre. Mi saltò addosso in un balzo, atterrandomi. Rotolammo sulla terra morbida, e alla fine lo trovai sopra di me. Sorrisi furbescamente. «Scusa» dissi col fiatone, poco pentita.

Rise anche lui. La sua risata era meravigliosa, cristallina, e l’espressione che si formava sul suo viso quella di un ragazzino gioioso.

«Ti amo» farfugliai, improvvisamente molto più seria.

Si fece serio anche lui, guardandomi teneramente. «Anch’io ti amo». Così, mi baciò.

Quando mi sollevai, col suo aiuto, sentii il fastidioso e familiare dolore sotto lo sterno.

«Tutto bene?» mi chiese dubbioso.

Annuii, silenziosa, e mi andai a sedere su una sporgenza rocciosa, aspettando che passasse.

Finì di montare la tenda da solo, e la massa informe, prese la giusta forma. Osservai il cielo, ma la lieve coperta di nuvole non mi permise di capire che ora fosse. Presi il cellulare e, a malincuore, composi il numero di mio padre.

«Charlie? Come sta Minush?» chiesi immediatamente, non appena mi rispose. Borbottò qualcosa sul fatto che presto le avrebbe dato da mangiare, che l’ora di pranzo era appena passata e che non dovevo chiamarlo “Charlie”. Strinsi i denti per non protestare. Ogni cosa che mi diceva, ogni singola, stupida cosa, non faceva che farmi irritare. Per non parlare di quando s’indisponeva per la presenza di Edward…

Posai una mano sul punto da cui proveniva il dolore non appena ebbi chiuso la conversazione con mio padre, nascondendomi il viso con l’altra. Pochi istanti prima ero stata felice, ma non riuscivo più a pensarci. Mi sembrava un’altra vita, eppure, era cambiato davvero poco.

Volevo… mangiare, qualcosa. Nel mio zaino c’era della cioccolata, tanta. Non ne avrei mangiata troppa, non avrei fatto nulla di male. Mi potevo permettere di mangiarne un po’, no? Potevo mantenere il controllo…

Sentii una mano fredda sulla guancia e sollevai il viso, incontrando gli occhi di Edward. Vidi la mia espressione nei suoi occhi. Distolsi lo sguardo…

«Ho fame…» mormorai, sentendomi profondamente in colpa, quando si scusò per aver fatto passare l’ora di pranzo senza farmi mangiare.

Mangiammo in silenzio. Edward era silenzioso quanto me, e nuovamente perso nei suoi pensieri. Guardavo nel mio piatto e non parlavo. Mi sentivo mortificata e non avevo neppure il quaderno con me… Presi un respiro. Avevo paura che la situazione potesse sfuggirmi di mano, anche perché il dolore aumentava e non accennava a sparire.

Ero terrorizzata e angosciata, non sapevo più che fare… Non potevo chiedere aiuto! Non potevo permettere che Edward lo scoprisse… Ma cosa potevo fare allora?!

«Bella…» iniziò Edward. «Sai… ho voluto fare tutto questo per un motivo ben preciso». Sollevai la testa, smettendo di pensare, solo quando notai il tremore nella sua voce. La sua voce non tremava, mai. «Volevo parlarti…» soffiò, ma s’interruppe quando vide l’espressione sul mio viso.

Sospirò, si alzò e mi venne accanto, e senza dire una parola mi strinse fra le sue braccia. Ricambiai l’abbraccio, bisognosa di sentirlo vicino, nutrendomi, ancora una volta, della sua luce.

Si staccò un attimo, lasciandomi un profondo bacio sulla fronte. «Vieni…» sussurrò, dopo qualche secondo, «ti faccio vedere una cosa».

Mi lasciai guidare dalla sua mano, asciugando le mie lacrime, fredde sul mio viso, con la manica del cappotto. L’aria era rarefatta e congelata, tanto che le mie mani, bianche di solito, erano completamente rosse, e violastre, in alcuni punti.

Guardavo i miei piedi mentre camminavo, attenta a non inciampare in nessuna radice che si nascondesse sotto il manto di muschio e foglie. Un bel modo, anche, per evitare di pensare. Per lasciare che Edward, ancora una volta, guarisse le mie ferite.

Si fermò ad un centinaio di metri dal nostro accampamento, mi prese per la vita e mi spinse avanti. «Guarda» disse solo.

Strizzai gli occhi, lasciandoli abituare pian piano a quello che vedevano. C’era… niente. C’era il vuoto. Ci trovavamo su un dirupo, alto almeno duecento metri, che precipitava verso il basso, lasciando completamente spazio agli occhi. La mia mente si abituò, piano, a tutto quello spazio, lasciandolo strisciare dentro di sé e scacciare ogni genere di altro pensiero.

C’era spazio per… il nulla. Il nulla che scacciava il tutto. Nient’altro.

La voce di Edward fu un invitante contorno, una corda che mi tenne per qualche secondo in più attaccata alla realtà. «Tu… Il mio amore per te è… più o meno così… Immenso».

Mi accorsi di avere le labbra semi-aperte per lo stupore. Chinai la testa di lato, ma non vidi altro. Solo l’immenso.

Rimanemmo lì su a guardare i colori di cui si tingeva il cielo. Bianco, arancio, rosso, rosa… poi, il crepuscolo. Le braccia di Edward mi stringevano da dietro, e per quando fosse poco, lo spazio bastava appena per farci sedere, uno dietro all’altro, e a tenere le gambe incrociate. Lui era freddo, e così l’aria, e io come loro. Ma non importava. Era come se tutto quel immenso potesse davvero sublimare il mio corpo.

«Cosa c’è lì?» chiesi, guardando in basso, rompendo il silenzio.

Edward seguì il mio sguardo. «E’ il posto dove ho lasciato l’auto, sul limitare dei boschi».

«Abbiamo fatto tutta quella strada?» chiesi, voltandomi sorpresa.

Annuì, osservandomi attento. «Hai le labbra viola. Che ne dici di tornare alla tenda? Mangiamo e andiamo a dormire…».

Ero riluttante. Mi voltai ancora verso il paesaggio che si perdeva nell’orizzonte. Non volevo ricominciare a pensare.

«Bella…».

«Si, andiamo…» acconsentii.

La notte era molto fredda. Sulle prime Edward aveva insistito perché non stessimo troppo vicini, malgrado avessimo dormito più volte insieme. Ma quella distanza mi faceva stare peggio di qualunque freddo.

Strinsi gli occhi e serrai i denti, quando sentii il cuore battermi con forza dirompente nel petto, tanto da farmi male. Mi strinsi le mani sul pigiama, all’altezza del petto, tentando di non fare rumore. Dovevo dirglielo? No… Non volevo che Edward se ne accorgesse… Ma avevo anche dannatamente paura per quello che mi stava accadendo. Non piangere Bella, non piangere accidenti! Avevo paura… La situazione non migliorava affatto, e ogni volta, anzi, diventava più prolungata e dolorosa. La testa mi girava e mi sentivo tremori diffusi in tutto il corpo.

Edward… aiutami, aiutami…pensai frenetica, pur non potendo pronunciare ad alta voce la mia disperazione.

Sentii le sue braccia robuste avvolgermi e stringermi al suo petto. Smisi per un istante di respirare, terrorizzata. Una sua mano scese ad accarezzarmi i capelli e le sue labbra furono sulla mia fronte sudata. Scese col viso alla mia altezza, guardandomi negli occhi con i suoi, color dell’oro. «Tranquilla Bella, è tutto apposto…».

Tremai, stringendomi fra le sue braccia, bisognosa di sentirlo accanto, lasciandogli ancora una volta guarire tutte le mie ferite. Permettendogli di entrare dentro di me e di guarirmi da dentro, di curarmi lentamente di non farmi più sentire dolore. Permettendogli di aiutarmi.

Mi addormentai tenendomi abbracciata a lui. Il mio cuore palpitante mi aveva regalato abbastanza calore da potermelo permettere.

Dormii in un confuso torpore, niente affatto rilassante. Mi svegliai molte volte, cadendo spesso in un tormentato dormiveglia, che non mi faceva capire quanto dormissi e quanto fossi sveglia, ma che mi faceva sentire inquietudine e ansia.

Aprii definitivamente gli occhi quando decisi che dormire stava diventando troppo faticoso. La luce, tiepida, filtrava attraverso una piccola retina della tenda che era stata aperta. C’era il sole?

Osservai, accanto a me, Edward. Dormiva composto e respirava piano, serenamente. Sembrava tranquillo, eppure così… controllato.

Sbuffai, nervosa, quando sentii il consueto fastidio allo stomaco. Mi sollevai, liberandomi dal suo abbraccio e sedendomi al centro del mio sacco a pelo, le braccia avvolte fra le gambe. Contavo i secondi e aspettavo che passasse. Dopo un minuto e mezzo decisi di andare alla ricerca dei farmaci, che sapevo esserci nel mio zaino. Rimasi ancora ad aspettare, in silenzio.

Mi voltai verso Edward, accarezzandogli i capelli rossicci e spettinati sulla fronte. Era così bello. Così bello, così buono, così dolce. Ed era capitato a me. Una ragazza depressa che non aveva nulla da dargli in cambio. Presi un respiro, tirando su col naso e cancellandomi le lacrime. Avrei scambiato la mia vita per un ultimo abbraccio con lui.

Ripensai agli ultimi mesi, a come tutto fosse cambiato per lui. Non era cambiato perché lui me l’aveva imposto, ma perché io stessa avevo deciso di cambiare. Mi ero ritrovata fra le mani una forza di volontà che non avevo mai pensato di poter possedere. Erano esattamente due settimane e un giorno che resistevo e mi controllavo. Mi sentivo più in pace con me stessa, mi sentivo più serena, mi sentivo più me.

Mi riconoscevo e sapevo cos’ero. Ogni tanto trovavo dei buchi dentro di me, ero come una grossa groviera. E faceva male, molto male, riconoscere quel buco. Ma dopo averlo fatto lo compattavo, lo chiudevo, facendolo scomparire.

Accarezzai una guancia liscia e bianca di Edward.

Non avrei potuto compattare i buchi se non ci fosse stato lui a creare nuove parti di me. Dopo aver compattato infatti, mi ritrovavo ad essere piccola e insignificante. Ma poi, costruivo nuove cose, nuove parti. Ero attiva, mi impegnavo, facevo. Non pensavo. Ed era esattamente perfetto così.

Sentii degli uccelli cinguettare e una lieve folata di vento scuotere la tenda. Attirata da quel suono decisi di uscire all’esterno, tenendomi una coperta sulla spalle. L’aria, infatti, era frizzante, ma come avevo previsto c’era il sole. Mi stiracchiai, poi guardai al cielo, facendomi scudo dai raggi luminosi con una mano. Peccato, il sole sarebbe durato molto poco, considerando che era circondato da un manto di nuvole che presto l’avrebbe coperto.

Chissà come doveva essere bello osservare quel cielo dallo spuntone di roccia che Edward mi aveva mostrato il giorno prima. Sorrisi, pensandoci.

Lanciai la coperta nella tenda, decidendo di non chiamare Edward. Sicuramente tutta la notte era rimasto sveglio a causa dei miei movimenti e dei miei lamenti, preferivo lasciarlo riposare. Preferivo, per una volta, fare io qualcosa per lui.

Arrivai in poco tempo al dirupo, e mi voltai per un attimo a guardare l’accampamento. Se Edward si fosse svegliato mi avrebbe sicuramente vista.

Come previsto, il cielo era stupendo, una vista mozzafiato. Il sole non sarebbe durato più che altri dieci minuti. Fui tentata di andare a chiamare Edward, ma difficilmente i miei occhi riuscivano ad abbandonare quello spettacolo.

Chiusi le palpebre, facendo entrare l’aria fredda e pungente attraverso le narici. Avrebbe fatto male a chiunque, ma non a me. Mi piaceva. Mi entrò dentro inebriandomi, pungente.

Quando riaprii gli occhi, però, sentii la vista sdoppiarsi e la testa girare veloce.

In un automatico quanto sciocco gesto, sporsi una mano in avanti, sbilanciandomi quando non trovai nessun punto d’appoggio.

In un attimo fu il vuoto.

 

Edward’s POV - (Il mostro - Ashram)

 

Avevo organizzato quel weekend appositamente per parlare. Parlare di me, della mia natura. Di cose che non potevo più tenerle nascoste. La visita dei Volturi era passata e ora non potevo più attendere. Non con la spada di Damocle che incombeva sulla sua testa.

Avevo organizzato tutto, perché fosse il più serena e tranquilla possibile. Avevo paura della sua possibile reazione.

Cominciai ad essere più sereno quando mi accorsi del suo momento di felicità. Le capitava a volte, che ci fossero questi momenti, come comete fulminanti. Fin troppo rari.

Ma si esaurivano alla stessa velocità con cui comparivano.

Avevo cominciato a parlarle, per spiegarle, ma mi ero subito interrotto quando avevo visto il suo viso inondato da lacrime. In un attimo le fui accanto, prendendola fra le braccia. Era così piccola, così fragile. Tremava.

Le cose non andavano affatto bene. Il suo colorito tendeva sempre più spesso al grigiastro e spesso la vedevo, taciturna, silenziosa, tenersi una mano sullo stomaco. Chissà come soffriva. Il suo peso era lievemente aumentato nei primi giorni, fino a consentirle di riempire pienamente una taglia 40. Ma ora? Non stava mangiando abbastanza. Si controllava troppo e sapevo che presto ogni cosa sarebbe inesorabilmente crollata…

Le baciai i capelli e decisi di fare vedere il motivo per cui l’avevo portata sin lassù. Speravo che riacquistasse un po’ di serenità, per poi poterle svelare, finalmente, ogni cosa. Come potevo temporeggiare ancora, quando la sua salute vacillava a quel modo?!

Era taciturna, e avevo paura dei pensieri che in quel momento potevano albergare nella sua mente. La tenevo fra le mie braccia, fra le mie gambe, e pensavo. Pensavo a quello che avrei potuto dirle. Pensavo al fatto che per niente al mondo avrei potuto rinunciare al suo calore fra le sue braccia…

«Bella, sono un mostro». Di certo, anche se questa sarebbe stata la frase più vicina alla verità, non era quella giusta da dirle se avessi voluto avere una possibilità di averla ancora accanto.

«Bella, amore. Non sono come sembro. Di certo avrai notato alcune stranezze nel mio comportamento e nel mio aspetto».

Già vedevo la sua espressione terrorizzata, sgomenta, spaventata. Sospirai in maniera impercettibile. Dovevo dirglielo.

La notte fu una delle più brutte e una delle più belle della mia vita. La più bella, perché avevo lei accanto, eravamo io e lei, soli. La più brutta, perché il suo cuore malato decise di svegliarla. Batteva fortissimo nel suo petto. Quando tirai giù la zip del sacco a pelo aveva gli occhi sgranati. Il sudore le imperlava il viso, e stringeva forte le labbra con i denti per evitare di cacciare qualsiasi tipo di lamento.

Se non fossi stato un vampiro, di certo mi sarebbe mancato il respiro. Eppure, quando la presi fra le braccia, ansioso di rassicurarla, in qualsiasi modo, sentii il mio cuore immobile soffrire.

Che strana sensazione il formicolio nel petto.

Dormì poco e male. La mattina, dovetti fingere di dormire, perché il sole era alto nel cielo, e Alice mi aveva detto chiaramente che lo sarebbe stato per un’ora ancora. Tremai impercettibilmente quando sentii le sue dita, delicate, accarezzarmi i capelli e il viso. Come poteva un solo contatto farmi tutto quello?

Dopo qualche minuto non percepii più il suo fiato caldo accanto a me. Non percepii più il battito irregolare del suo cuore accanto a me. Era uscita?

Mi affacciai dalla tenda, attento a non farmi notare. La ritrovai sullo spuntone di roccia che le avevo mostrato il giorno prima, attenta a contemplare il cielo. Chiuse gli occhi e aprì le braccia, reclinando la testa all’indietro.

Pur nella malattia, era stupenda.

Avrei dato qualsiasi cosa per esserle accanto, per andarle vicino e accarezzarle la pelle candida del collo, lasciando un bacio sulla pelle morbida e pulsante e lasciando che si arrossasse naturalmente.

Senza quasi accorgermene, avevo proteso una mano fuori dal telo cerato, lasciando che i raggi del sole l’illuminassero. La nascosi, come scottato, celando celermente la mia natura mostruosa.

Poi, la vidi. Rialzai il capo, e la vidi. Precipitava inesorabilmente.

 

Bella’s POV

 

Per più di un anno avevo deciso di camminare sull’orlo della vita. Di appendermi al filo delle mia esistenza e tirare, con forza, senza nulla da perdere.

Ora, il filo si era spezzato. Ero caduta dal ciglio, e stavo precipitando, letteralmente.

Ero come una foglia che cade da un albero, mi libravo nell’aria. La differenza era che non venivo lentamente sospesa. La differenza era che la mia velocità era tale da rendere letale l’impatto con il suolo.

Non mi accorsi quasi della mia voce, delle mie urla. Non col vento che mi sferzava. Non col vuoto che m’inglobava.

La cosa più terrificante, fu che ebbi tutto il tempo per capire che sarei morta.

 

Mi stupii, infatti, quando mi sentii sospingere verso l’alto da qualcosa di freddo. E poi ancora, e ancora, finché non mi ritrovai fra un paio di braccia che avrei riconosciuto fra mille.

Tutto si bloccò. Stavo ferma, ansante, e tremavo, quasi inconsapevolmente. Ero stretta nel suo abbraccio, quello per cui avrei dato la vita. Come potevo non riconoscerlo? Eppure, mi era impossibile da accettare.

Aprii gli occhi, fissando il mio angelo salvatore. La luce del sole brillò e la sua pelle fu ricoperta da miliardi di piccoli diamanti.

Posai una mano sulla sua spalla, quasi spaventata di rompere quella pelle iridescente. Feci pressione per allontanarla, lentamente. Mi lasciò andare senza opporre alcuna resistenza.

Ci trovavamo al limitare dei boschi, proprio accanto alla sua auto, come mi aveva detto il giorno precedente. Accanto al ciglio della strada.

Guardai le mie mani. Mi teneva i polsi. Mi occorsero non pochi secondi per capire che lo stava facendo per evitare che cadessi, a causa delle gambe che non avevano smesso di tremare. Feci scorrere, con esasperante lentezza, il mio sguardo dalla sua mano. Salii lungo il suo braccio, sul collo, sul viso.

Mi fissava terrorizzato.

Ero morta? Ero morta e lui era un angelo, identico al mio amore?

Lui non poteva essere lì. Non poteva essere lì, ai piedi del dirupo. Non poteva avermi presa senza farsi male. Non poteva brillare.

La sua pelle adamantina si spense non appena il sole scomparve dietro le nuvole.

No, non era un angelo. Era tutto vero.

«Bella» gli uscì dalle labbra come un verso strozzato.

Indietreggiai,tentando di capire. Tentando di comprendere. Comprendere l’impossibile. «Cosa?» chiesi. E mi stupì di come la mia voce uscì definita.

Contrasse il viso in una smorfia di dolore. «Un vampiro».

Lo fissai, sbattei le palpebre. Piegai la testa di lato.

Feci un altro passo indietro. Un altro e uno ancora. Ancora e ancora. Non mi sentivo me stessa.

La sua espressione si fece sofferente. «Bella. Non te ne andare, ti prego».

Continuai a retrocedere molto lentamente. Mi diceva di fermarmi, m’implorava, si struggeva. Ma non si muoveva. Perché?! Non capivo.

Sentii un sussulto nel petto, e mi portai una mano sul cuore, stringendo con tutta la mia forza. Mi piegai su me stessa, rantolando, sgomenta per tutto il dolore che in istante mi aveva colpita.

«Bella! Ti prego, ti prego, non ti farò mai del male. Ti prego. Permettimi di aiutarti. Voglio solo che tu sia bene, che tu guarisca, poi, se vorrai, potrò anche andar via!».

Sollevai il capo, ancor più stupefatta. Il dolore fisico era solo un ricordo.

Lui sapeva. Lui sapeva. Lui mi aveva nascosto ben due importantissimi segreti.

Lui sapeva. «Tu… sai» biascicai atona. «Mi hai mentito».

Strinse le labbra sofferente.

Mi voltai. Cominciai a camminare, sola, lentamente, sul ciglio della strada.

La luce si era spenta.

Ora, c’era solo il buio.

 

 

Bene.

Oh… ops.

Oh, tu che vuoi farmi fuori,

placa per un attimo i tuoi furori!

Ascolta la mia vocina

E non ammazzare questa birichina! :P

 

In sintesi, non mi uccidete. Lo so, dire che sono in ritardo è uno sporco eufemismo. :D

Lo so, ho fatto un bel po’ di casini con la trama.

 

Ma voi mi volete bene, no??

Su, che tutto s’aggiusta! Prima o poi………

GRAZIE!!! Perché continuate a seguirmi nonostante io non me lo meriti!!!!

Grazie! :*

 

(fatto da Elena)

«--BLoG!!!--»

 

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00Alice Cullen00 Ciao tesoro! Sono contenta che tu abbia ripreso! Non ho letto quello che hai scritto perché sono super impegnatissima e mi ritrovo a non avere mai tempo, ma giuro che lo farò presto! Lo giuro solennemente! Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare questo periodo difficile e spero, non pretendo che sia così, che la mia storia ti possa in qualche modo aiutare. E’ vero, la bulimia è una malattia, ma questo non ci giustifica. L’importante è uscirne. Ciao cara! Auguri!

ariel7 Grazie mille, sei davvero gentile. :) Sono contenta che la storia ti piaccia, la tematica è un po’ particolare, ed è impegnativa da scrivere, ecco perché i tempi sono così lunghi. Spero che potrai continuare ad apprezzarla. Ciao e auguri! Francesca.

lindathedancer  Grazie! Non ti preoccupare per il ritardo! E’ un eufemismo in confronto a quello che ho fatto io! :P Mi dispiace tanto! Le tue lusinghe mi fanno sempre più contenta, sei sempre più buona con me, grazie! Purtroppo la storia è agli sgoccioli… beh, c’est la vie… un bacio! E auguri! :*

Lady_Personal_chocolate Grazie mille! Anch’io, non è che sia proprio la puntualità fatta persona, per cui non ti preoccupare. Ahahahah, mi dispiace aver affidato la gattina al veterinario decerebrato! :P Non lo faccio più, promesso… E’ vero, anche a me è piaciuto mostrare la sincerità di Edward nell’ammettere la sua gelosia. Presto nuovi sviluppi! Ciao, e ancora grazie!

00Stella00 Grazie mille tesoro! Beh, la sincerità, se così possiamo chiamarla, c’è stata… più che altro è stata una rivelazione della verità direi… Spero che ti sia piaciuta! Non ti preoccupare però, perché tutto s’aggiusta, vedrai! Grazie ancora, buon anno! :*

Noemix Ciao cuore! Beh, si, direi che con Tom non c’è proprio competizione… con Minush un po’… :) beh, il gattino ci riserverà alcune sorprese… un po’ belle, un po’ no… Ma ce ne riserverà tante! Ti auguro che l’anno nuovo sia meraviglioso, e che ti riservi nuovi, grandi, amori! Un bacio!

patu4ever Emm… ops. Cosa intendevi con presto? :D E’ passato appena… un mesetto… :D Ok! Non ho parole per farmi perdonare!!! Perdunooo plisss! La mia gatta paperava, e anche Minush papera. u.u Perché detesti il nome Tom?! o.O Beh, a me mi sa tanto di cane, sono contenta di averlo usato in modo appropriato! :P Grazie di tutto tesoro, auguri!

Wind Beh, la tua intuizione era esatta! E’ vero, anche lei ha tanto da nascondere a Edward. Ma Bella è umana, commette errori, è poco dotata di raziocinio in questo momento… Vedremo come andrà a finire. Grazie, e auguri, tesoro!

Sognatrice85 Beh, penso che i tuoi timori sulla verità fossero fondati! Non ti preoccupare per le recensioni, come vedi non sono puntuale neppure io, purtroppo! Grazie di tutto! Auguri!

lisa76 No, non è proprio così. ;) E’ vero, Charlie si sta interessando alla cosa, ma anche questo porterà a degli inaspettati sviluppi. Hai ragione, anche il veterinario con la mano morta proprio non ci voleva! Ahahah… Grazie ancora, abbi fede, ogni cosa si sistemerà…

shasha5  Ahahah, si! Sono contenta che ti sia piaciuto, ti ringrazio. In effetti per Bella le cose non stanno andando proprio troppo bene. E questo capitolo beh… diciamo che quello che è successo proprio no ci voleva… però è accaduto, e credo che non si possa fare molto a riguardo! Non ti preoccupare troppo, tutto si sistemerà… :) Ciao!

19sunflower88 Grazie mille. :) Sono conte che la mia storia ti piaccia, e mi dispiace per il ritardo. Però purtroppo, immedesimarsi in questa Bella e scrivere non è affatto semplice, e devo avere una certa risoluzione d’animo per farlo. Ancora grazie. Ciao! Auguri di buon anno.

silvia16595  Grazie!!! No, no, sono io che ringrazio te! Mi fai contentissima ogni volta che recensisci! Grazie tesoro! Anche per esserti riletta tutto il capitolo! Cielo! Grazie mille! *.*

SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate Si! E spero che il “vivo” ti piaccia, anche se questo diciamo che è un vivo un po’ morto… :P Beh, non ti preoccupare comunque, Edward e Bella avranno ampio spazio per loro! :) Grazie per la recensione!

endif  Grazie mille cara. Beh si, il veterinario era un po’ così, diciamo per alleggerire la tensione prima della tempesta. Ma anche per evidenziare come il rapporto fra Edward e Bella sia molto chiuso, fra loro due. Evidenziare come Bella viva in un mondo a sé. Per quanto riguarda Minush invece… è proprio così come hai intuito tu. Bella si identifica con il suo gatto e accettando i suoi difetti si ritrova ad accettare anche i suoi. Infine, per quanto riguarda Edward. Mmm… Il fatto che risulti forse… “disorientato” (?) potrebbe dipendere dal suo tentativo disperato di fare sempre, comunque, qualcosa. Ti ringrazio per tutto, come al solito sei stata preziosissima! :) Ciao, e auguri! 

barbiemora______ Grazie, grazie, grazie! Il segreto non è stato proprio svelato, ma è stata fatta una bella frittata! … Perdon…

lilly95lilly Beh, si, mancano più o meno un cinque capitoli… Non voglio che questa storia duri ancora più a lungo, ha fatto il suo corso. :) Ecco che la tristezza arriva… :P

kikkikikki Grazie mille! Spero che la reazione di Edward e Bella sia stata all’altezza delle tue aspettative. Non so quanto, già dal prossimo capitolo, scriverò come narrazione né quanto mi soffermerò nella mente di Bella. Ma penso che sarà piuttosto doloroso. L’affetto che riversa su Minush è l’affetto per qualcuno che sa già non le potrà mai fare del male. Perché è un animale, e gli animali non possono mai ferirti come gli uomini. Il mio gatto aveva le zampette a x, sai? Era un gatto adorabile, non l’avrei operato per nulla al mondo. :) Grazie per l’amore e la dedizione che dedichi alla lettura di questa storia. E’ molto importante per me. Grazie ancora! Un bacio, un augurio, con affetto, Francesca.

Crystal90 Ti rassicuro. Il lieto fine per Bella e Edward ci sarà… Però da qui alla fine accadrà qualcosa di molto triste. Va meglio così? Spero che il capitolo ti sia piaciuto, nonostante tutto. Stai tranquilla, ogni cosa si risolverà! Grazie mille. Ciao! :)

Amalia89 Cielo! Scherzi spero?! Ovvio che mi ricordo di te. Ricordo tutte le recensioni, soprattutto quelle… mh… diciamo non prettamente positive, ecco! :D Ma il fatto che ora, a te piaccia questa mia storia… mi ha resa contentissima! E’ una delle cose che più mi hanno fatto felice da quando ho iniziato a scrivere! Come potrei non ringraziarti?! Grazie, grazie. Per quanto riguarda il capitolo, si, credo tu abbia capito. Non aggiungo altro, solo, ancora grazie, e auguri! 

barbyemarco Ahahah, si, ma non credo di riuscirci a farlo durare di più. Spero che il capitolo abbia soddisfatto la tua curiosità… Inutile dire che la tristezza albergherà sovrana nel prossimo! E non so con precisione fino a che punto ci spingeremo avanti nella storia, ma qualcosa avverrà! Grazie mille, auguri!

Lau_twilight Grazie mille! E anch’io adoro te. Purtroppo si, ci sono momenti tristi in vista… Questo capitolo ne è una dimostrazione ben ampia credo… Bisogna avere fede comunque! In un modo o nell’altro tutto s’aggiusta. :) Grazie di recensire sempre tutte le mie storie! Sei preziosissima per me! :)

Bella_Cullen_1987  Ahahah, si! A me i fiocchetti sulle dita li faceva mio papà! :P La parte triste… ci sarà…

Jordy Klein Perdonami ancora se puoi!! Scusa! Mi inginocchio! Sono una pigrona! Grazie per i complimenti! Grazie, grazie!

 

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Capitolo 18
*** Respira ***


P

Annaspavo ormai.

Quello che era un movimento naturale, l’alzarsi e l’abbassarsi del petto, ritmico, cadenzato, che mi concedeva il respiro, era diventato un comando. M’imponevo di continuare a respirare, come se quel gesto fosse la garanzia della sopravvivenza. Come se il suono del fruscio dell’aria nella mia gola arsa fosse una nenia che doveva in qualche modo portarmi nell’oblio.

Sollevai stancamente lo sguardo dal truciolato chiaro della mia scrivania, dalle braccia, piegate per formare uno scomodo ed adorato cuscino per la mia testa stanca, fino ad osservare la mia stessa immagine riflessa nello specchio. Un ghigno, un ghigno amaro comparve sul mio volto riflesso.

Incedibile, quanto mi riconoscessi molto più così, che quando stavo… meglio. Quando stavo con lui.

Era quella la mia verità. Era come l’anima di Dorian Gray, dipinta nel ritratto. Potevo mutare nell’aspetto esteriore, ma dentro, dentro rimanevo così. Ogni singolo buco, grande, o piccolo che fosse, compattato da lui, non aveva più importanza.

Non c’è alcun buco, quando dentro senti solo il vuoto.

Quando dentro senti il vuoto e fuori ti riconosci in un mostro. Non è nulla il viso pallido e consunto. Non sono nulla, gli zigomi tagliati. Non è niente, assolutamente niente, quella massa arruffata che dovrebbero essere dei capelli, né i cerchi viola sotto gli occhi. Non sono nulla, in confronto alla luce negli occhi.

La luce che non c’era più.

Continuavo a vivere, continuavo ad andare avanti. E sentivo dolore, tanto, troppo dolore, e mi rifugiavo in me stessa, trovando ad accogliermi un delizioso tepore.

Respira. Mi ripetevo. Continua a respirare. Dovevo farlo, anche quando mi pareva impossibile. Continuavo a procedere, silenziosa, impassibile, in una tormenta.

Afferrai la cornice dorata dello specchio, scaraventandolo a terra e ricadendo a terra, senza forze.  

«Bella, avanti. Cosa ti succede? Sai… lo puoi dire a me…».

Uno sguardo di sufficienza, un accenno col capo, potevano bastare per mettere a tacere mio padre. Dopotutto, lo sapevamo entrambi, perfettamente, quando le cose si facevano troppo complesse lui preferiva non parlare. Preferiva tacere e far finta di nulla.

E le persone avevano ricominciato ad ignorarmi. Ero paradossalmente diventata più evidente e più invisibile. Oppure, magari, ero io che non mi accorgevo più di quello che dicevano di me. Non mi importava più, semplicemente. Rimanevo spesso e volentieri sola, sempre, sempre e costantemente. Non volevo avere nessun rapporto con l’esterno, quel mondo alieno che non era il mio, che non mi conosceva, che non mi comprendeva, non l’aveva mai fatto e continuava inesorabilmente a non farlo.

Mi ero solo illusa che qualcosa potesse realmente cambiare.

Solo… lui. Solo per lui, ero evidente. Continuavo ad esistere, ad esserci. Ogni suo tipo di approccio con me, era inutile e vano. Non volevo più condividere nulla con quel ragazzo che mi aveva squarciato l’anima. Ignoravo il suo sguardo su di me, ignoravo la sua dolcissima voce, ignoravo la sua presenza. Ma ignorare, vuol dire essere coscienti della presenza di qualcosa a decidere di non prestarci attenzione.

Essere cosciente della sua presenza era già troppo doloroso.

Continuare ad evitarlo ancor di più.

Mi accorsi, ancora una volta, di avere il suo sguardo su di me. Fissai la colonna dietro di lui, appena nascosta dalla sua figura. Chiusi gli occhi e andai via, veloce, ma senza forza, senza fretta. Scorrevo fra la folla, contro corrente, ed era giusto così, così dannatamente giusto da fare ancora più male.

Sorrisi ancora quando, spossata, mi accasciai su un lurido gabinetto scolastico, con il peggiore sapore in bocca e il peggiore dolore al petto. Sapevo che era lì, lui, dietro la porta. Magari, in quel momento mi stava anche chiamando, tanto forte da farsi sentire da più di una persona.

Ma non mi importava più niente. Ormai anche lui era finito fra quelle persone a cui volevo fare male. Volevo fargli male, tanto, tanto, tanto male.

Perché altrimenti continuare a respirare sarebbe stato totalmente impossibile.

Singhiozzai, soddisfatta, disperata, pazza, pensando alla sorte che aveva ricevuto il mio quaderno. Ero stata bene, così dannatamente bene, facendolo a pezzi, bruciandolo, liberandomi di quell’ostacolo che mi teneva ancora ancorata ad una vita che non volevo più.

Ormai, non sapevo quanto tempo fosse passato, ero tornata nella mia lugubre tomba. Non una speranza, non una luce, solo costantemente e perennemente il buio. Continuavo a mangiare, molto, tanto, troppo forse, ma la voglia di vomitare mi veniva già dopo il primo boccone. Era il mio corpo, forse, a non accettare più il cibo. Oppure, era la mia mente. La mia mente troppo stanca perfino per continuare a farsi del male.

«Bella» il suo sussurro, troppo vicino al mio orecchio, mi fece sobbalzare.

Scostai lo sguardo dai suoi occhi, fissando il corridoio vuoto davanti a me e irrigidendo la mascella, chiaro segno che non si sarebbe tanto presto aperta per proferir parola.

Ormai, lui sapeva tutto. Sapeva ogni cosa, e sentivo i suoi occhi, pieni di pietà, su di me. Li sentivo trafiggermi e bruciarmi. Basta. Non potevo più piangere. Non potevo più fare nulla.

Un sospiro, angosciato. «Ti prego, Bella, dobbiamo parlare…».

Non gli risposi, cominciai a camminare, lentamente, in avanti. Che senso avrebbe avuto scappare, correre? Non era nella mia mente la possibilità di farlo. E poi, l’avevo visto. Lui poteva essere decisamente molto più veloce, e forte, di me.

Fui presente, il mio corpo lo fu, nelle lezioni seguenti. Ma io non lo ero più. Sentivo che il mio corpo si era quasi totalmente staccato dalla mia anima, eppure ne era ancora così fortemente condizionato.

Così tanto da farmi sentire le vertigini, i brividi sulla pelle. Così tanto da farmi sentire l’immane stanchezza, la forza di un fiume, una cascata che si abbatteva su me lasciandomi sola e completamente inerme, senza la forza né la volontà di fare qualcosa per cambiarlo. Ero continuamente spossata e stanca e la mia stanchezza fisica rendeva totalmente impossibile la mia possibilità mentale di agire. Non volevo fare nulla che non fosse subire passivamente il male e continuare a cercarlo quanto necessario.

Quando mi accorsi che tutti gli altri si stavano sollevando dai loro posti, facendo grattare le sedie sul pavimento con quei rumori striduli che mi irritavano la mente ovattata, alzandosi, chiacchierando allegramente, spensieratamente, sentii un forte tremore diffondersi per tutto il corpo.

Dovevo andare, dovevo andar via. Dovevo fare come gli altri e… non far vedere… fingere che tutto andasse bene. Conformarmi al mondo esterno e non fare capire a nessuno quanto fossi vuota.

Velocemente, non abbastanza in fretta da poter finire prima che tutti, compreso il professore, fosse usciti, misi, tremante, tutte le mie cose nel mio zaino. Non mi curai dell’ordine, non mi curai della loro disposizione, lo feci in fretta, desiderosa di scappare, lasciando che le pagine dei libri si sgualcissero, si accavallassero, si strappassero.

Mossi due passi verso la porta, ma proprio al centro della stanza mi bloccai, colpita da un’acuta fitta sotto lo sterno. Non potei fare a meno di gemere, forte, fra le labbra, sollevando una mano a stringere la parte dolorante, portando l’altra sulla cattedra, per sorreggermi, per non cadere.

Ansimai, sconvolta da tanto dolore, serrando le palpebre, spalancando la bocca ma non facendo uscire neppure un suono.

«Bella». La sua voce allarmata mi giunse direttamente al cuore, facendomi spalancare gli occhi.

«Vattene… va… via…» biasciai a denti stretti, fa i fremiti. Non sarei riuscita… non potevo parlare con lui. Perché? Perché mi stava succedendo?

Basta, ti prego! Dio, basta! Non prendertela con me. Basta, basta, basta.

«Bella, ti prego, voglio solo aiutarti…».

Aprii gli occhi, e lo vidi. Vidi i suoi occhi impauriti, a pochi centimetri dai miei. Perché continuava a farmi così male? «Va via…» sussurrai ancora, sentendo le lacrime scendere copiose dai miei occhi.

Il suo volto si contrasse, e mi sentii come gli se avessi appena piantato una coltellata in mezzo al petto. Forse era davvero così, perché lo sentivo bruciare. Sentivo il dolore consumarmi e bruciarmi da dentro, proprio come una coltellata. Non doveva essere così. Lui doveva soffrire, dannazione!

Sollevò, tremante, una mano, avvicinandosi a me, fino quasi a toccarmi. Non osò andare oltre. «Bella, lo giuro» mormorò afflitto «non ti farò del male…».

Singhiozzai, sgomenta, voltandomi. Strinsi gli occhi e feci un passo, un solo passo, verso la porta. Non sarei ancora riuscita ad abbandonare l’appoggio della cattedra. Sarei miseramente crollata a terra. Assurdo, come tutto quel dolore che mi ero causata per vendetta si stesse vendicando su di me, tenendomi ancorata in quel posto, tenendomi vicina a lui. Assurdo. Un assurdo gioco del destino.

«Ti prego Bella» le sue parole mi giunsero tremanti, alle mie spalle. «Io…» controllò il tono della sua voce, non riuscendo però a mascherare il tremore con il basso volume «Bella, non devi avere paura di me, non ti farei mai del male. Ascoltami, ti prego. Io… sono… un vampiro… ma… Bella, io e la mia famiglia ci nutriamo esclusivamente di sangue… animale. Io non ti farei mai nulla… voglio solo aiutarti, poi potrò anche scomparire per sempre dalla tua vita!» affermò addolorato, con voce strozzata, tanto che mi chiesi se stesse piangendo. «Ti prego, non voglio farti del male, io…».

«Non è vero» sibilai. «Non è vero» mormorai, voltandomi verso di lui, fissando silenziosa il suo volto attraversato dal dolore.

Sollevò entrambe le mani verso di me. «Non ti sto mentendo, sto dicendo la verità, te lo giuro, fidati di me…».

«No!» sbottai, tremando, sbilanciandomi verso di lui e facendolo arretrare, sorpreso. «Sei uno stupido, solo uno stupido! Non mi interessa quello che sei! Come fai a non capire?! Come fai a non capirlo?!» urlai, rossa in viso per la rabbia «Non mi importa niente! Non mi importa cosa sei! Potresti anche essere un assassino, potresti anche volermi fare a pezzi e disseminare il mio corpo in un cimitero, ma tu mi hai mentito!» sbraitai furiosa.

I suoi occhi si allargarono per la sorpresa, e si strinsero. Fece un piccolo passo, lasciando cadere le braccia lungo il busto. Le sue labbra si mossero come se stesse parlando più a se stesso che a me «Io… Bella… tu ce l’hai con me per questo, non perché sono un…».

«Io mi fidavo di te!» urlai, interrompendolo, «mi fidavo di te» mormorai fra i singhiozzi «eri l’unico di cui i fidavo e tu… mi hai tradita. Io… ti odio. Va via Edward… Non ti voglio più vedere, mai più…».

«Bella» farfugliò, facendo un passo verso di me.

«Ti odio!» gridai, prendendomi la testa fra e mani e retrocedendo di un passo «via… via… va via…».

Sentii un fruscio e in un attimo non ci fu più. Mi lasciai andare, scivolando, contro lo spigolo delle cattedra, singhiozzando. Adesso, ero sola. Completamente sola.

Mi asciugai velocemente le lacrime e cominciai a correre, correre, correre. Sbattendo contro persone, cose, non accorgendomi di alcuna differenza. Corsi via, ancora, e ancora, lontano.

Non mi curai di alcuno sguardo sgomento, preoccupato, spaventato. Mi infilai nel pick up solo per riuscire a scappare, correre più veloce.

Respira Bella, respira. La cascata che mi cadeva addosso era sempre più forte, impetuosa, non mi lasciava scampo, non mi lasciava forza per riuscire, anche solo un attimo, a riemergere.

Le mie stesse parole risalivano a galla come schiuma, come bolle.

«Ti odio».

Lasciavo scorrere tutto, tutto accanto a me. Paesaggi sempre uguali, verde sempre visto. Sempre la stessa cosa. Fuggivo. Fuggivo via da me stessa, da quello che ero, da quello che non riuscivo a cambiare di me.

Mi trovai sul molo di Port Angeles e dovetti arrestare il pick-up poco prima di finire in acqua. Le ruote stridettero sul cemento scuro, assicurandomi per un soffio la vita. Scesi giù, sbattendo la portiera alle mie spalle, continuando a scappare, scappare.

Corsi, corsi veloce e lontano, mi allontanai da tutto, da me stessa, finché le gambe non mi urlarono di fermarmi e il respiro, una lama in gola, mi fece bloccare. Mi piegai su me stessa, sulle ginocchia, contrastando ogni cosa, contrastando ogni dolore.

Mi resi conto che il vento imperversava in ogni direzione, scompigliandomi i capelli, facendo aderire i vestiti sulla mia pelle con una frusta gelida.

Respira, Bella, respira, continua a farlo, non fermarti!

«Ti odio».

Cominciai a camminare. Scorrevo fra le altre persone come se fossi sospesa, come se stessi camminando sull’acqua. Scorrevo fra la gente e mi accorgevo quanto fossi sbagliata, quanto avrei dato qualsiasi cosa per avere una qualsiasi normale vita.

E mentre i miei piedi continuavano inesorabilmente ad andare avanti, sentivo i miei pensieri scorrere nella mia testa.

Che cosa avevo, io, invece, della mia vita?

Non avevo un amico. Ero sempre stata sola, emarginata, incompresa e disadattata. Ero una persona scontrosa, antipatica e insopportabile. Terribilmente lunatica. Non mi sarei voluta io stessa come amica.

Mi asciugai velocemente una lacrima con la mano, scacciandola via e continuando a camminare sul lungo molo scuro.

Non avevo un sogno. Alcuna aspettativa per il futuro, nessuna speranza che fosse migliore, solo un buco nero a incombere su di me. Non ero una ragazza normale. Io non lo avevo il futuro. Non ne avevo nessuno.

Un signore baffuto si voltò nella mia direzione, e i miei occhi seguirono la sua figura solo il tempo giusto per poterlo vedere accigliarsi e preoccuparsi. Una donna fece scudo a un bambino, avvicinandolo a sé e guardandomi come se fossi un mostro. Una ragazzina smise di correre e si fermò a osservarmi, piegando il capo da un lato. Continuai a camminare, continuai a scivolare sui miei passi lasciandomi frustare dal vento.

Non avevo l’amore dei miei genitori. Io non contavo nulla per mia madre, che si era risposata, sottolineando la mia colpa, spezzandomi il cuore. Che mi aveva mandata via, da mio padre, incapace di aiutarmi, incapace di comprendermi. Ero un’aliena per coloro che mi avevano creata. Ero un’aliena per coloro che più avrebbero dovuto comprendermi. Un’estranea. Loro mi odiavano.

Sollevai la mano fino alle labbra, sentendole incredibilmente bagnate, lasciando che i piedi si muovessero ancora, da soli. Sentivo il freddo seccare e asciugare tutte le mie lacrime negli occhi, soffocandole.

«Ti odio». Respira, Bella, dannazione, respira!

Edward… non avevo più nemmeno Edward. Non avevo più neppure lui. Non avevo più il mio unico appiglio, il mio unico scoglio, l’unico che mi evitava di andare a fondo, l’unico che mi impediva di farlo. Mi impediva di perdermi nella tempesta, di affogare, di essere sommersa dai flutti della corrente e dall’acqua.

Mi fermai sul ciglio del molo, boccheggiando.

Lui era sceso con me, nell’acqua. Aveva soffiato nella mia stessa bocca l’aria, mille bolle, grandi e piccole, la forza della vita. Aveva soffiato nei miei polmoni l’aria che mi era mancata. Lui mi aveva salvata.

Ti odio. Respira, respira. Ti odio. Ti odio. Respira, continua a farlo. Ti odio. Non ti fermare.

Singhiozzai, lasciandomi scivolare sulle ginocchia, completamente senza forze.

Edward…

Non posso aver perso anche te. Non posso.

Tremai, portandomi entrambe le mani sulla faccia, sugli occhi.

Eppure l’avevo perso. L’avevo mandato via, e mi ritrovavo completamente sola. Mi guardavo, intorno, e vedevo l’orizzonte chiaro perdersi con il confine del mare, mentre l’aria salmastra continuava a imperversare.

Mi guardavo intorno, e vedevo il vuoto. Mi guardavo dentro, e vedevo il vuoto.

Edward mi aveva sempre dato amore. Mi aveva salvata, e io l’avevo mandato via, leggendo il dolore nei suoi occhi e infierendo su di lui.

Mi aveva mentito, però. Mi aveva mentito su di lui, mi aveva mentito su quello che sapeva su di me.

Ma… io. Io gli avevo detto la verità?

Ti odio.

Singhiozzai forte, continuativamente, proteggendomi il petto con le braccia. Era troppo tardi, ormai, per tornare indietro. Troppo tardi per qualsiasi cosa.

Osservai il mare, ingrossato sempre più dalla forza del vento, mentre gli ultimi raggi del sole cedevano il posto ad un’oscura massa d’acqua.

Mi sollevai da terra, stendendo i pugni contro il busto e osservando quell’accattivante orrore.

Ti odio.

Volevo solo sparire. Sparire per sempre e mettere fine a quell’orribile cosa chiamata vita.

 

«Bella» mormorò mio padre, sospirando, non appena mi vide apparire sulla porta di casa.

Non dissi nulla. Avevo già venuto la mia anima e non dissi nulla. Feci un passo e entrai dentro casa.

«Bella, dove sei stata?» chiese, vedendomi così silenziosa. «E’ tardi, sono tornato a casa e tu non c’eri…».

Mi scappò un sorriso beffardo. Un problema di cui doversi occupare.

Minush trotterellò giù dalle scale, finché non fu ai miei piedi e cominciò a miagolare. La sollevai e la portai con me sull’ultimo gradino, sedendomici e iniziando ad accarezzarla. Il suo pelo morbido, il suono rassicurante delle sue fusa… Le mie mani scorrevano su di lei, come se neppure stessi pensando.

Mio padre era immobile, sulla porta, con una mano ancora sulla maniglia per tenerla aperta. La chiuse con uno schiocco e camminò fino al centro della stanza, fermandosi ad osservarmi. «Bella…» mi chiamò «mi dici dove sei stata? Mi sono preoccupato, stavo per chiamare i miei uomini per venirti a cercare…».

Addirittura, mobilitare lo squadrone di Forks. Non meritavo tanto per essere un semplice e increscioso peso. Sorrisi, quando Minush cominciò a leccarmi le punte delle dita. Mi sollevai, tenendola vicina al mio petto, e cominciai a salire le scale.

Non sentii i richiami di mio padre, non avevo voglia di farlo. Salii stancamente ogni gradino, e appena arrivai in camera mi ci barricai dentro.

Osservai inespressiva il suo interno. I pezzi rotti dello specchio erano ancora disseminati a terra. Un’altra opportunità? Un altro invito a fare quello che la mia mente mi stava comandando, ma che il mio corpo, pietrificato e immobile non riusciva a fare?

Eppure pareva una soluzione così allettante. Fu incredibile il dolore che provai, quando pensai che se avessi compiuto un gesto così estremo non sarebbe dispiaciuto a nessuno. Un dolore tale che mi spinse ancor di più, con i pensieri, a farlo.

Un piccolo taglio, poco dolore, tanto sangue…

Ogni mio patimento, lento e bruciante, sarebbe definitivamente scomparso.

Corsi verso l’armadio. Fin troppo codarda raccolsi ogni sorta di cibo ricominciando la mia lenta tortura. Mangiavo ogni cosa senza neppure masticarla adeguatamente, sentivo i pezzi interi di cibo grattare in gola, ma volevo continuare, continuare fino a stare male. E lo facevo, e continuavo, masochisticamente.

Sentivo Minush chiamarmi, miagolare forte come se volesse farmi fermare, come se me lo stesse urlando.

Mi fermai, lasciandomi cadere del cibo dalle mani. Dovevo vomitare.

Corsi fuori dalla porta e appena la spalancai la trovai bloccata dalla figura di mio padre. Perché quell’uomo doveva non solo odiarmi, ma anche punirmi con la sua presenza?!

«Bella» mi richiamò.

Corsi via, giù per le scale, verso il bagno. Sentivo i passi affrettati di mio padre dietro di me.

«Bella» mi chiamò più forte.

Mi afferrò un polso e fui costretta a bloccarmi, al centro della cucina.

«Bella» ruggì, «mi dici che ti prende?!» sbottò forte.

Lasciami andare, lasciami andare… Mi voltai velocemente verso il bagno, tentando di liberare il mio braccio. Lasciami… lasciami.

I suoi occhi si ridussero a due fessure, mentre i sopraccigli si univano a formarne uno solo. «Bella. Mi hanno chiamato dalla scuola» confessò.

Boccheggiai, ricordandomi della performance di quella mattina.

«Hanno detto che sei scappata via in lacrime, ma cosa succede?» chiese stressato. «I professori mi dicono che non studi» cominciò, annumerando con le dita della mano «che non rispondi alle loro domande, che te ne stai in disparte e spesso e volentieri passi il tuo tempo a piangere».

Mi lasciò andare la mano, e indietreggiai di mezzo passo, colpita dal peso della sue parole. Era quindi giunto il momento che anche Charlie scoprisse il mio segreto? No. Mai. Feci per compiere un altro passo, ma mi bloccò con le sue parole.

«E’ tutta colpa di quel Cullen, ne sono certo. E’ stato lui a ridurti così, a farti tutto questo! E’ cominciato tutto da quando mi hai chiamato per riportarti a casa da quell’escursione! E’ stato lui a farti questo!».

Sentii la vista annebbiarsi per qualche secondo, ascoltando le sue parole. Poi, la rabbia cieca, quella che avevo inscatolato, ingoiato, masticato per tanto tempo, esplose con tutta la sua dirompenza, senza lasciare alcun vincolo.

«E’ tutta tua! E’ tutta tua la colpa!» gridai «E’ colpa tua, tua e di Reneè, se mi sono ridotta così! Edward non c’entra nulla, assolutamente nulla! Come fai a non capire che proprio lui mi ha aiutata, eh? Come? Solo lui!».

I suoi occhi si sgranarono, il suo viso divenne pallido e purpureo. Ancora pallido a ancora purpureo.

Sbraitai, incalzando, muovendo un passo verso di lui con temerarietà. «Che razza di genitore sei?!».

Subito dopo sentii uno schiocco secco. Il dolore e il bruciore alla guancia arrivarono solo qualche secondo più tardi, mentre mi tenevo con la mano la parte lesa. Tornai a fissare orripilata quello che pretendeva di chiamarsi mio padre.

Mi fissava, respirando rumorosamente, silenzioso.

«Tu, non sei, mio padre» mormorai tetra, «Tu non sei mio padre!» gridai.

Pochi istanti più tardi sentii la porta d’ingresso sbattere con vigore, mentre il vuoto, solo quello, m’inglobava, sommergendomi.

Il silenzio proruppe come un assordante fischio nelle orecchie.

L’acqua del fiume, della cascata, mi aveva completamente ricoperta. Schiacciata, trascinata via dalla corrente, sbattuta qua e là dalle onde imperversanti. Capovolta nell’acqua.

Respira. Respira.

Ma se c’è acqua, intorno a te, non respirare.

Andrai a fondo più velocemente.

Mi lasciai andare, accasciandomi a terra, in preda del dolore e senza forze.

Vomitai.

Vomitai, e vomitai un pozza cremisi di sangue.

 

 

 

 

Scusatemi se ho interrotto proprio qui.

Il prossimo capitolo sarà… beh. Catastrofico direi.

Non ve lo aspettate tanto presto, ho sofferto fin troppo per scrivere questo.

 

Scusatemi, ma non posso rispondere alle vostre recensioni. Attualmente la mia voglia di fare qualsiasi cosa è pari a zero. Inoltre avrei dovuto postare più tardi.

In ogni caso, risponderò alle vostre recensioni in generale.

 

Per prima cosa vi ringrazio infinitamente, perché siete state genitilissime, tutte quante, e siete state anche molto buone a chiedermi continuamente di aggiornare! Ringrazio le nuove entrate e ringrazio le veterane che mi commentano da sempre. Ringrazio chi mi commenta ogni tanto, quando può, chi apprezza comunque la mia storia.

Ringrazio chi ha sofferto le stesse cose che sta soffrendo ora Bella e che trova il coraggio di commentare.

Grazie mille a chi mi ha recensito in poesia ;); non mi sono ispirata a "un tram che si chiama desiderio", mi spiace, non lo conosco. Grazie per le minacce :P

Per quanto riguarda la scrittura di questa storia, rispetto all’altra, si, direi che questa è molto più sofferta e ragionata. E necessariamente più distaccata ma paradossalmente più vicina. Spero che mi comprenderai :P

Sono contenta che abbiate apprezzato Ashram. :)

 

Infine una cosa importante. Io non sono un medico. Non vorrei aver detto/fatto/scritto qualcosa che facesse credere il contrario, perché non è così.

Vorrei dare consigli, ma credo che nella mia posizione potrebbe risultare illegale.

Pensavo di averlo detto nei primi capitoli, ma lo ribadisco:

potrebbero esserci dei contenuti erronei e poco realistici, per quanto io mi applichi per sapere, non sono un medico.

 

Se volete avere notizie sui miei odissiaci aggiornamenti, cercate qua:

 

(fatto da Elena)

«--BLoG!!!--»

 

www.occhidate.splinder.com

 

 

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Capitolo 19
*** Morire ***


Everybody Hurts - Rem

Everybody Hurts - Rem

Sentivo il corpo tremare, e un dolore acuto, un calore bruciante in mezzo al petto.

Un sensazione strana e spiacevole, in faccia, sulla guancia, sulla fronte, mi costrinse ad aprire gli occhi e a riprendere quel poco di coscienza che mi rimaneva. Le linee storte del pavimento e del soffitto continuavano a muoversi e ondeggiare davanti ai miei occhi.

Il sangue, il suo odore, il suo colore, davanti ai miei occhi, sovrastava, appannandoli, tutti i miei sensi.

Sarei morta. Per quanto io stessa, pochi minuti prima, avessi contemplato la prospettiva, adesso ero semplicemente terrorizzata. Ma quel dolore, quel dolore così forte, il mio corpo che non mi obbediva più, erano sintomi ben evidenti della mia fine vicina.

Non voglio morire! Pensai disperata, e mi parve quasi che la forza di quel pensiero potesse sciogliere il viscido torpore che avvolgeva le mie membra, dandomi sollievo da quel martellante dolore.

La vista tornò per un secondo di nuovo lucida e mi resi conto che la sensazione umida che avvertivo sul volto, quel suono lamentoso e prolungato che continuava a ripetersi nella mia mente, provenivano da Minush. Mi leccava minuziosa il viso, miagolando forte.

Provai a parlare. Tossì e per poco non soffocai. Respirai lentamente, costretta dal macigno che mi sentivo addosso. Sarei morta lì, sola… sul pavimento della mia cucina.

Non avrei più rivisto nessuno. Non avrei più continuato ad essere me stessa, qualunque cosa fossi. Non avrei più visto il cielo, le nuvole. I miei genitori. Edward.

Singhiozzai e sentii un’acutissima fitta. Strinsi forte gli occhi e i denti, rantolando.

Non potevo morire. Non potevo.

Tremante riaprii gli occhi, e riuscii a trovare la tasca dei miei jeans. Afferrai il mio cellulare e composi l’unico numero che in quel momento potevo chiamare. Le labbra tremarono, mentre osservavo la scia di sangue che le mie dita lasciavano sui tasti.

Dove avrei trovato la forza di fare qualunque cosa? Sentivo l’odio verso me stessa crescere sempre più, mentre mi rendevo conto quanto ero stata stupida ed egoista. Egoista… e adesso ne avrei pagato le conseguenze.

Cos’era la disperazione che mi stava attanagliando? Cos’era il terrore della morte? L’oblio. Il buio eterno e inafferrabile. Non avere più alcuna coscienza di sé. La morte, eterna.

«Pronto? Bella!».

Un debole sorriso comparve sul mio viso. Avevo sentito la sua voce. Sentii la nebbia scendere fitta sui miei occhi. Era lurido quest’oblio. Assolutamente non di quelli idealizzati, di quelli in cui chiudi gli occhi, e ti senti some sospesa su una nuvola, non importa quale sia la tua prossima fine.

«Bella, Bella, dove sei?».

Rantolai, ma anche quello fu inutile. Sentii la mia gattina miagolare, nel mio lurido oblio. Era uno schifo di morte, la mia. Sarei morta su quel pavimento freddo, fra il mio sangue e il mio vomito. Con la saliva di gatto in faccia.

«Sei a casa? Bella!».

Niente bare di cristallo e facce angeliche per me. Niente visi incorruttibili, pallidi e dolcemente e soavemente colorati di rossore sulle gote. Che schifo di morte, la mia.

Sentivo freddo, un liquido bagnato e appiccicaticcio sulla guancia sinistra. Gli occhi mi pesavano, caldi e brucianti, e in tutto il corpo mi scuoteva un torpore e una dolorosa fiacchezza. C’era puzza, decisamente puzza.

Mentre prendevo pian piano coscienza della mia inevitabile fine, cominciai a pensare agli altri. A quello che sarebbe accaduto. A cosa avrebbero pensato di me, dopo avermi ritrovata morta fra il mio stesso vomito. Edward avrebbe sofferto, ne ero certa. Non potevo, non potevo lasciarlo soffrire.

A quel pensiero mi sentii stringere l’aria nei polmoni, fino a schiacciare anche il cuore. Un dolore atroce, molto più di quello che stavo realmente provando.

Non volevo morire. Eppure, lo stavo facendo.

«Bella» un singulto, un sussurro. Inconfondibile, e necessario. Le mie palpebre si sollevarono, neppure comandate dalla mia volontà. Seguirono quello che comunemente viene chiamato cuore. Non il cuore che con il suo elettrico e ordinario battito fa circolare litri di sangue nel corpo. Cuore che anima idealmente i sentimenti dell’uomo.

«Edward…». Mi accorsi quanto tremassero le mie labbra solo quando feci per pronunciare quella semplice parola. E davvero sentii qualcosa agitarsi nel mio petto quando i miei occhi incontrarono le sue iridi nere.

Stava fermo, immobile, come una statua. L’appannamento sceso sulla mia vista mi permetteva appena di scorgere la sua figura, facendomela apparire ancor più idealizzata. Pur attraverso i miei sensi annebbiati, potei avvertire qualcosa di stridente con il sollievo che avevo provato scorgendo la sua figura.

La sua espressione era dura, rigida, piegata in una smorfia. Le dita strette come artigli. Non si muoveva, non respirava.

Sentii il dolore al petto aumentare a dismisura, come se quella lama che mi stava trapassando fosse scesa più in profondità. Solo dopo alcuni secondi mi resi conto da cosa fosse amplificato. Solo quando sentii le guance e le labbra completamente bagnate, capii quanto stessi singhiozzando.

Il disgusto che provavo per me stessa si amplificò, alimentato da quello che leggevo sul suo volto. Sul volto dell’unica persona che avevo amato e che mi aveva dato amore.

«Ahh…» gemetti, rovesciando il capo all’indietro e lasciandomi andare al dolore e alle vertigini.

«Bella, Bella». Il freddo mi avvolse completamente, penetrandomi. «Bella, Bella, ti prego…».

Distinsi la sagoma chiara di due mani. Riuscii ad aprire maggiormente le palpebre, tanto da ritrovarmi fra le sue braccia. La repulsione che avevo sentito provare verso di me, la provavo anch’io, tanto da farmi odiare, ancora una volta, ancora di più, me stessa. «Ti prego…» tossì, non potendo comunque fare a meno di osservare la sua espressione sconvolta, non potendo costringere le mie mani ad allontanarsi dalla sua camicia bianca.

Vidi io stessa le sue iridi mutare dal dorato al nero, mentre piccole gocce di sangue cadevano dalle mie labbra per sporcare la camicia immacolata. S’irrigidì, bloccandosi.

Era quello, allora. Era il sangue.

Così sarei morta in ogni caso? Desiderava il mio sangue, dunque? Sarei morta in ogni caso. Ma proprio mentre le parche decidevano di tagliare quel filo sottile, isolato, irregolare, proprio mentre impugnavano le forbici, avevo deciso, dopo anni passati a tentare di spezzarlo, di aggrapparmi all’ultima oncia di vita. Di recuperare tutti i filacci spezzati e resistere.

Mi strinse più forte, sollevandomi da terra e facendomi aderire al suo petto. Trattenni il fiato ogni istante, annebbiata, terrorizzata, scossa.

Mi strinse, sempre più, posando la mia testa nell’incavo del suo collo, alzandosi. «Ti salvo io Bella… Ti salvo io… Ci sono qui io…». Delicato, soave, gentile.

Quelle parole riuscirono a farmi ricominciare a piangere, acuendo ogni mio dolore, amplificando ogni torpore. Mi lasciavo trasportare, senza forze, fra le sue braccia.

Mi sentii adagiare su una superficie ruvida, decisamente più calda del pavimento su cui ero stesa. Sentii ancora più caldo, quando qualcosa di morbido mi si posò sopra. La consapevolezza di morire con un minimo di dignità, con qualcuno accanto, allietava la mia pena?

No, affatto.

Forse è questo che si intende quando si dice che davanti alla morte siamo tutti uguali. Forse non importa, morire in una bara di cristallo o su un lurido pavimento. Forse non importa, avere sedici anni o ottanta. Forse, non importa. Siamo tutti bambini di fronte alla morte. Ci reclama troppo presto e ci coglie troppo impreparati.

«Bella… Bella… Ci sono qui io… Sono accanto a te, mi senti?». Il contatto con le sue dita, sulla mia guancia, sulla mia fronte, era così discontinuo che pensai dovesse tremare violentemente. Ma non lo faceva. Ero io a farlo. «Non ti lascio, capito? Mi vedi? Mi vedi Bella?».

Aprii le palpebre, o fui quantomeno certa di pensare di farlo. Non vidi comunque nulla. Solo un nero e un rosso accecanti. Dopo alcuni secondi, però, riuscii ad individuare la sagoma dei suoi occhi tristi, subito rasserenati quando si accorsero quanto fossi riuscita a metterlo a fuoco. «Non… non voglio…» riuscii a sputare fra i denti, soffocata «non v… voglio… mo…morire…».

E’ vile implorare la vita? E’ vile non affrontare a testa alta la propria sorte? La vita non ha alcun prezzo. Neppure l’orgoglio ci può competere.

I suoi occhi, unica cosa che riuscissi nettamente a distinguere, si ridussero a due fessure, addolorati, afflitti. Sentii le sue mani leggere e contemporaneamente veloci su di me. «Non lo farai, va bene? Non sarà così… Adesso ti porto in ospedale, sta arrivando l’ambulanza, ma io rimango sempre qui con te… Non ti succederà niente…».

«No, no…». Mi ritrovai a singhiozzare, forte. «Non voglio…» piansi, scossa da fremiti e dolori, tanto forti da non riuscire a distinguere l’origine. Al mio istinto di sopravvivenza si era sovrapposto e accavallato quello di vergogna, di paura. Quello, si, forse quello era vile. Ma dipendeva da quanto vile fosse quello che avevo fatto io stessa di me.

«Shh… Shh…» mi abbracciò, e nonostante tutto non mi mosse, pur muovendosi su di me come se volesse cullarmi.

I miei singhiozzi scemarono man mano. Mi ritrovai aggrappata alle sue spalle, con le mie ultime forze, come se fossero anche la mia vita.

Mi prese il viso fra le mani, i palmi aperti sulle mie guance, fredde quasi quanto lui. «Devi fidarti di me Bella. Devi tornare, ti prego, a fidarti di me. Ho sbagliato, lo so, ho sbagliato» la voce gli tremò, gli occhi si appannarono «ma io ti amo Bella. Fidati di me. Io ti salverò».

La mia testa si reclinò all’indietro, scivolando fra le sue mani senza che potessi fermarla. Non c’era più forza, in me. Non c’era più vita, in me.

Gli ultimi secondi, gli ultimi battiti.

Forse non è vero. Non siamo tutti uguali davanti alla morte. Forse, avere l’amore accanto a sé, è decisamente un modo migliore per morire.

 

Edward’s POV

 

Ogni giorno, ogni singolo giorno, la osservavo riavvicinarsi a quella non vita da cui l’avevo gelosamente strappata. L’avevo stretta, abbracciata, rassicurata, legata inesorabilmente a me. Molto meno di quanto lei stessa non avesse fatto nei miei confronti.

Non una parola, non uno sguardo. Niente.

Eppure, ero certo di distinguere fra quegli occhi scuri, che tanto mi avevano incantato quando erano animati dalla scintilla della vita, un’ombra opaca. Ombra che non faceva che nascondere, e contemporaneamente manifestare, ai miei occhi, il dolore che realmente provava. Che io stesso le avevo procurato.

Perché lei non aveva paura di me, no. E ne ero stato così maledettamente sorpreso quando l’avevo scoperto. A lei non importava nulla di quello che ero, lei aveva conosciuto la mia vera essenza, e si era innamorata realmente di me. Aveva un cuore puro, terribilmente e dolcemente ingenuo.

Invece ora mi odiava. Mi odiava, perché le avevo mentito, le avevo nascosto la verità, avevo richiesto e contemporaneamente tradito la sua fiducia.

Avevo io stesso martoriato il mio piccolo fiore delicato, che tanto sforzo avevo fatto per coltivare, far crescere, portare alla luce. Il mio fiore. Il mio amore…

Sentivo ogni giorno i pensieri angosciati di Alice, quelli preoccupati e tesi della mia famiglia, Carlisle in particolare. Sapeva quanto ci tenessi a lei, quanto mi avesse cambiato. La sua lenta e continua guarigione, non potevo nasconderlo, era stata anche la mia.

Eppure ora sembrava tutto peggio. Aveva perso ancor peso, molto. Alice la vedeva procurasi del male, ogni giorno, più volte al giorno, e soffriva, soffriva tanto. Ma sapeva di non poter fare niente. Nemmeno io potevo, per quanto ci provassi, neanch’io potevo.

«Adesso che lo sa potrebbe andare a raccontare il nostro segreto! Siamo tutti in pericolo grazie a quell’umana!».

Non risposi a Rosalie, mi limitai a muovere il capo e riservarle un’occhiataccia. Doveva tacere.

«Rosalie…». Esme provò ad ammansire la figlia, riservando per me la sua comprensione.

«Edward…» pensò afflitta Alice «lo farà di nuovo, l’ho visto… sta malissimo…». Cercò rifugio fra le braccia di suo marito, e lasciò a me il gelo dei suoi pensieri. L’avrei persa… l’avrei persa per sempre.

Non ne sarei sopravvissuto.

Rosalie sbraitò, alzandosi dalla sedia, accecata dall’ira. «Invece no! Ora non ne sappiamo nulla di quest’umana! Doveva accettare la cosa, non è così, Edward?!».

Sentii qualcosa partire dal centro del mo petto. Un ringhio cupo. Immediatamente Emmett fu davanti a sua moglie, in posizione di difesa.

«Non sopravvivrà abbastanza a lungo da raccontare nulla». Quello di Jasper fu appena un mormorio, ma tutti, nella stanza, lo sentimmo. Non era cattivo, aveva semplicemente detto la verità.

Mio padre si bloccò, ma sentii nei suoi pensieri ne sentii la conferma. Non poteva non essere d’accordo. «Mi dispiace» pensò, resosi conto dell’errore commesso.

Potei distingue la mia espressione, passata rapidamente dalla rabbia al dolore più puro, nella mente dei miei familiari. Persino Rosalie mutò, tornando silenziosa a sedersi sulla sua sedia.

Abbandonai quel luogo, pieno di troppi pensieri, troppo fastidiosi. Pieno di persone a me care, tranne quella che realmente avrei voluto avere vicino.

Improvvisamente, qualcosa mi bloccò. Nella mente di mia sorella si formarono delle immagini veloci, repentine.

Un molo. Port Angeles. L’acqua, scurita dal cielo bigio del crepuscolo. Bella, le guance scarne, gli occhi pieni di lacrime, i capelli mossi dal vento. Un piccolo tuffo.

Bolle. Acqua. Silenzio.

Un corpo freddo e senza vita.

Serrai in uno scatto secco la mascella, ritrovandomi in pochissimi secondi in azione. Velocemente la mia mente vampira pensò ai rischi e pericoli di andare a piedi, nonostante la velocità maggiore che sarei riuscito a sviluppare nei boschi. Auto, fu la celerissima sentenza, tanto che pochi millesimi di secondo dopo mi ritrovai alla guida della Volvo, spinta al massimo. Se fossi stato umano avrei probabilmente sentito quella scarica di adrenalina che sembrava, in ogni caso, pervadere i miei muscoli perfetti.

La mia mente si opponeva in ogni modo a quello che aveva visto. Non era possibile. C’era sempre una possibilità. Vagliavo a velocità sovrumana le immagini appena viste, contemplando tutte le possibili casistiche e controazioni.

Spinsi la mia mente il più lontano possibile, alla ricerca di un qualsiasi pensiero che potesse aiutarmi. Futili, umani, piccoli, reali. Per la maggior parte distoglievano una piccola porzione della mia vastissima attenzione.

Inchiodai sul molo, lasciando che i pneumatici stridessero sul cemento. Mi concentrai sui pensieri delle persone vicine, ma non trovai nulla di interessante. Scesi dall’auto, respirando a pieni polmoni l’aria circostante, in cerca di una scia. L’aria salmastra e ricca di naftalina copriva quasi del tutto ogni altro odore, e il forte vento lo spazzava lontano, mescolandolo con gli altri.

L’impazienza s’impossessò di me. Dovevo trovarla, dovevo trovarla dannazione.

Cominciai a camminare, nervosamente, confrontando ogni scorcio e anfratto con l’immagine della visione di mia sorella.

Dove sei Bella? Dove sei?

Quando non sentii più alcun odore mi accorsi di aver smesso di respirare. Sentivo contemporaneamente in me due forze annientati. Quella immensa, della mia natura vampira, e quella dettata dall’impotenza.

Improvvisamente, un minuscolo dettaglio cambiò. Una mente umana mi offrì una breve immagine, indispensabile. Mi voltai, e vidi una donna che camminava con un bambino.

Aggrottai le sopracciglia, quando mi resi conto da chi provenissero i pensieri.

C’era una ragazza grande, e i suoi occhi luccicanti e il vento. Perché? Perché, si chiedeva il bambino. Era così strana, che la curiosità non l’abbandonava… Alle immagini si sovrapponevano delle dita, dita della mano della madre che oscuravano la sua vista.

Feci due passi sicuri, avvicinandomi, e i suoi occhi ingenui e sinceri si spostarono su di me. Le menti dei bambini avevano un fascino particolare. Erano curiose, aperte al mondo, e soprattutto completamente eterogenee. Sbatté le palpebre e le lunghe ciglia. Poi tornò a guardare il molo.

La ragazza si era fermata sul molo e aveva pianto. Si era seduta a terra come a scuola, sui tappeti blu. Ma il lui aveva sempre riso sui tappeti blu, perché la ragazza no?

Una smorfia comparve sul mio viso, e immediatamente dopo si rasserenò, mentre attraverso i pensieri del bambino vedevo la mia Bella andar via.

Sfogata la rabbia, sul suo volto era tornato il dolore.

Mi passai le mani fra i capelli, sulla testa, paradossalmente la sentivo scoppiare. Troppo vicina. Troppo vicina era andata questa volta per poter temporeggiare ancora. Ma cosa fare a questo punto? Obbligarla con la forza?

Mi costrinsi, mentre tornavo alla mia auto, a tenere un passo umano. A non correre, fuggire, scappare. Scappare via da ogni cosa e rifugiarmi ancora accanto a Bella. L’unica che era riuscita a farmi ancora sentire vivo.

Mentre guidavo per tornare a casa, notai, sul sedile del passeggero, il mio cellulare con diverse spie luminose accese. Lo raccolsi facilmente, senza distogliere l’attenzione dalla guida, osservando velocemente gli avvisi di chiamata, provenienti dal numero di Alice. Probabilmente voleva avvisarmi di quello che ormai avevo scoperto da solo…

Mentre stavo per richiamarla, però, vidi ogni immagine scomparire per tre millisecondi sul display, e i pixel formarne di nuovi. Una chiamata. L’ultima persona che mi sarei mai aspettato.

Bella.

Rimasi qualche secondo sconcertato da quello che avevo appreso. Mi stava chiamando. Che cosa poteva volere? Che cosa era successo? Ed eccola, allora, la mia vastissima mente, a vagliare tutte le possibili e plausibili possibilità.

Rispondi, mi comandai, cancellando ogni altro pensiero.

«Pronto?» affrettata e veloce la mia voce giunse a lei, ritornando come un’eco. Un gemito, non certo la mia eco. Tutti i miei sensi si allertarono immediatamente, tendendosi improvvisamente verso di lei. «Bella!» esclamai preoccupato.

Un ronzio, poi ancora dei gemiti. Ricominciai a chiamarla ripetutamente, terrorizzato e paralizzato. Che cosa stava accadendo? Quale terribile prospettiva, ancora? Nessun suono altro, niente che potesse aiutarmi. Il terrore mi divorò, imprigionandomi, mentre immaginavo possibili e dolorosissimi scenari.

Dovevo aiutarla. «Bella, Bella, dove sei?» chiesi, agitato, aspettandomi una qualsiasi risposta. Ero terrorizzato, eppure stranamente e perversamente compiaciuto. Perché aveva chiamato me, proprio me. E questo per il mio egoistico ego da vampiro poteva voler significare solo quanto, ancora, ci fosse una speranza.

Sentii un rumore, inconfondibile. Lo scalpiccio di zampette e un miagolio. La mia mente rapidamente arrivò ad una meta. «Sei a casa? Bella!», chiamai ancora. Non mi arrivò nessuna risposta, solo nuovi gemiti indistinti che scemarono nel nulla.

Accelerai al massimo, lanciandomi fra le strade di Forks. Troppo lento, troppo, troppo lento era quello stupido mezzo umano. Accostai sul ciglio di una strada chiusa e secondaria, abbandonando l’auto e cominciando a correre il più veloce possibile, nascondendomi contemporaneamente il più possibile da occhi indiscreti. Facilmente m’introdussi in casa.

Il mostro - Ashram

Il resto fu sconcertante.

Vidi il suo corpo a terra. Steso, raccolto, tremante, senza forze. Raccolsi l’immagine della gattina che miagolava, completamente disinteressata a me. Ma lì, lì, sul pavimento, fra pezzi di cibo, ancora interi, le uniche cose che riuscivo realmente a vedere erano solo due.

Bella, la mia Bella. E il suo sangue.

«Bella». Il dolce aroma entrò dentro me, penetrandomi, ammaliandomi, facendo scattare in me i più reconditi istinti da predatore.

La desideravo. Bramavo il suo sangue. Lo immaginavo, scendere, umido, succoso, zuccherino, lungo la mia gola. Colorare di cremisi la mia lingua e la mia bocca. Leccare le ultime gocce dalle labbra. Una delizia…

«Edward…».

La sua voce mi fece tremare. Debole, spaurita. Dovevo aiutarla. Sapevo cosa le era successo. Alice l’aveva visto. Dovevo aiutarla e impedire che morisse.

Smisi di respirare, ma la bramosia non cessò. Il rosso inondava il mio sguardo, e la facilità con cui prevedevo di arrivare all’oggetto del mio desiderio era totalizzante.

Vidi i suoi occhi su di me, cambiare. Il marrone si trasformò in opaco. Il terrore s’impossessò di lei. Ora aveva paura di me.

Il mostro che ruggiva in me ne fu fin troppo contento. No! No! Non dovevo. Io l’amavo. L’amavo con tutto me stesso. Mi imposi di ricordare il legame che mi univa a lei. Mi imposi di distogliere lo sguardo da quel rosso sul pavimento, e di continuare a guardarla negli occhi.

Si riempirono di lacrime.

Guardala mostro, guardala! Sta piangendo per te. Per tua causa. Guardala, mostro. Sei venuto per salvarla, e tu stesso per tua mano vorresti toglierle la vita? Empio suicida…

Singhiozzò, gemette, rovesciando il capo all’indietro.

Non aspettai un secondo ancora per mettere a tacere la belva dentro di me.

Presi fra le braccia il suo corpo. la sua temperatura era fin troppo vicina alla mia. Tremava, continuamente, le palpebre livide e semichiuse. Le esili membra abbandonate, senza forze. I capelli e per più di una guancia macchiata di rosso. «Bella, Bella», la chiamai, ripetutamente, cercando un qualsiasi segno di reazione, preoccupato.

Le sue ciglia tremolarono verso l’alto, e le pupille guardarono attorno, disorientate. Farfugliò qualcosa, e tossì. Tossì sangue.

La gola bruciava, incandescente, per quel contatto così ravvicinato, e la bramosia s’impossessò ancora una volta di me. No, non l’avrei mai fatto. Non potevo, dovevo resistere. Ero certo che Alice avesse già visto. Ero certo che presto sarebbero arrivati, proprio come nella sua visione.

La strinsi a me, attento a non farle del male, a non usare la mia immane forza su quel fragile corpo tremante. Accompagnai la sua testa, concentrato, sulla mia spalla, spaventato. Sentivo che le rimaneva ben poco. E nonostante la tormenta che continuava ad imperversare in me, sentendola spaventata, terrorizzata forse anche più di quanto lo ero io, sentii il dovere di rassicurala, usando il tono più falso che avessi mai adottato. «Ti salvo io Bella… Ti salvo io… Ci sono qui io…».

I tremiti s’intensificarono, e l’odore umido e salato mi fece capire che stava piangendo. Era una piuma, una leggerissima piuma fra le mie braccia, mentre la trasportavo con me.

Optai velocemente per il divano piuttosto che per la camera da letto. Per quanto sul materasso sarebbe stata più comoda, nel tragitto per le scale avrebbe potuto subire degli scossoni, peggiori ancora quando avrebbero dovuto prenderla con l’ambulanza.

La stesi, attento a non farle male, imponendomi di conservare e preservare la sua vita. Le misi una coperta addosso, e malgrado ogni parte di me anelasse ad un contatto maggiore, dovetti desistere, e assicurarmi che in ogni modo venisse riscaldata, che non perdesse quel poco calore che le era rimasto.

«Bella… Bella… Ci sono qui io… Sono accanto a te, mi senti?». L’avevo disposta lateralmente, in modo che non si soffocasse col sangue che le occupava la gola. Le mie lauree in medicina erano macerie, piccoli elettroni in un atomo, nella mia mente. Ulcera. Rottura della pareti. Stomaco? Esofago? Cosa? Cosa la stava conducendo alla morte?

Tremò, pianse. Era disperata. Adesso quello che potevo darle era solo conforto. Il resto lo avrei esatto da mio padre. «Non ti lascio, capito? Mi vedi? Mi vedi Bella?». L’accarezzai, lievemente, spasmodicamente, tanto vicino al suo viso da essere completamente inondato dal suo odore. La gola mi doleva come mai prima, ma non m’importava. Prima, avrei dovuto salvarla.

Il cuore le batteva sempre più debolmente e lentamente nel petto. Il respiro sempre più lieve e veloce. Il doloroso odore di sangue nella sua bocca, sulla lingua.

Aprì e chiuse le palpebre. Guardò intorno, roteò gli occhi, e le richiuse. Cancellai le tracce di lacrime, provai a cancellare il sempre più scuro sangue che copriva la sua sempre più pallida pelle. Nuovamente aprì le palpebre, fissando le pupille su di me. Quando i suoi occhi non furono più vacui, capì che mi stava guardando. Ricominciò a singhiozzare e piangere, fissandomi implorante. «Non… non voglio…non v… voglio… mo…morire…» biascicò, stringendo spasmodicamente una mano attorno alla mia camicia.

Sentii una fitta al petto. Un dolore contrastante con la mia natura perfetta. Mio Dio. La vita la stava davvero abbandonando? Sarei sopravvissuto senza lei? Mai.

Lo avremmo fatto insieme, dovevo convincermene. «Non lo farai, va bene? Non sarà così… Adesso ti porto in ospedale, sta arrivando l’ambulanza, ma io rimango sempre qui con te…» mi sentii in dovere di rassicurarla. «Non ti succederà niente…».

Pianse più forte, rumorosamente, prosciugando esponenzialmente le sue ultime forze. «Non voglio…» cantilenava disperata.

Sentivo ogni suo dolore era come mio, e lenire le sue pene era semplicemente obbligatorio. Volevo stringerla, cullarla, impossessarmi del suo corpo e attaccarlo al mio, in modo da farle scudo da qualsiasi cosa. Mi limitai a stendermi su di lei, lieve, accarezzandola, non respirando quel nettare zuccherino che le ricopriva i capelli.

Si strinse alle mie spalle, come in un’ultima, disperata, richiesta di aiuto. E in quell’istante egoistico capii che niente, niente valeva il suo odio. Che una speranza c’era davvero. Perché lei aveva voluto me, solo me, al suo fianco. Perché nonostante tutto, se davvero non ci fosse stato un futuro, ci saremmo detti insieme addio.

Presi il suo viso delicato e fragile, così corruttibile, così prezioso, fra la mani, aprendole il mio cuore e confidandole il mio amore, ancora una volta, con voce tremante. Ora, e forse mai più.

Scivolò via, senza che potessi fermarla.

Non mi lasciare.

 

 

 

Salve a tutte. Mi pare inutile scusarmi per il ritardo, non è così?!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi informo che ne rimangono più o meno tre alla fine.

Alcuni di voi potrebbero aver storto il naso ad alcuni particolari piuttosto realistici. Ma lo sapete, la mia storia è così. Ho alzato il rating ad arancione a scanso di equivoci.

 

Per quanto riguarda le canzoni, la prima rappresenta la scintilla della vita, resistere, che è scattata in Bella.

La seconda, non ce l’ho fatta a non riproporvela, spero non vi dispiaccia ;)

 

Ora, però, devo dire una cosa Importante.

Vi ringrazio infinitamente, perché siete state davvero tanto carine con me, dicendomi di prendermi del tempo, di scrivere con calma. Siete delle lettrici stupende.

Quello che vorrei precisare è che io NON sono bulimica, né lo sono stata. Non ho avuto problemi alimentari, non ho problemi con i miei genitori.

Lo preciso perché il tema trattato, e quello che ho detto riguardo alla difficoltà che ho nello scriverne, potrebbero avervi indotto in fraintendimenti.

Non vorrei che vi preoccupaste per me, scusatemi, vi chiedo perdono se vi ho fatto intendere qualcos’altro. Vi chiedo perdono, se non l’ho precisato prima.

Scusatemi.

 

Vi do il link di una storia che mi è stata consigliata! E’ una ROBSTEN, potrebbe piacervi molto! Io l’ho leggiucchiata, e me ne sono subito innamorata! Tanto che ora sto postando in fretta per poter andare a leggerla! Ahahah :D

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=466213

 

Per gli aggiornamenti “occhi da tè” saprà darvi una mano. Cercatemi su Twitter se volete (Keska92), specificando se possibile chi siete! Grazie.

 

(fatto da Elena)

«--BLoG!!!--»

 

www.occhidate.splinder.com

 

elysa 172 Ohh! Grazie! *.* Sono contenta che le mie storia ti piacciano così tanto! Non so se sono così brava, ma so che ho una voglia, anzi, una pretesa matta di migliorare! Grazie, grazie, grazie. A presto! :)

luisina Grazie tesoro! *.* Sono contenta che ti sia piaciuto così tanto! E’ stato un capitolo molto ragionato, e tu sai benissimo quanto per me sia importante migliorare, stilisticamente parlando! Edward è “ritornato all’attacco” e diciamo che la stessa Bella ha sentito l’esigenza di sentirlo accanto. Perché in fondo lei sa che non potrebbe mai prendersela con lui. E’ l’unica persona che ha (secondo lei). Ma vedrai che le cose si sistemeranno al meglio ;) anche con Charlie. Ciao tesoro, e a presto! :*

chi61 Grazie. La tua sarà una delle recensioni che ricorderò con maggiore affetto e piacere. Sei stata gentilissima a darmi il tuo sostegno e ti ringrazio per avermi compreso. Sono contenta che questa storia possa averti preso così tanto. Non c’è un capitolo veramente felice, forse, alla fine, ci sarà, chissà. Ma penso che la parte dominante sia il realismo, e nella realtà non c’è spazio per l’idillio. Forse per una pace tranquilla. Grazie ancora, a presto.

Jordy Klein Grazie mille. Sei molto gentile a non farmi pressioni! Magari fossero tutti come te! Grazie! A presto! :*

Wind Certo, la grande svolta credo sia arrivata. Non potrebbe andare peggio di così, decisamente no. Vedrai che le cose ricominceranno ad aggiustarsi, molto piano, ma lo faranno. Spero di piacerà… ormai siamo così vicini alla fine!

Noemix Ma no! Non è stupida. :) E’ solo che prova a metterti nei panni di Bella. Lei ha sempre vissuto in un universo chiuso, pensando a se stessa, ai suoi problemi, perché solo lei esisteva. Poi è spuntato Edward, si è aperta, e si è fidata di lui. Non comprende le sue motivazioni, perché ora si è “richiusa” e non può fare a meno di pensare solo a se stessa. E’ questo :)

endif  Grazie. Grazie mille. Lo so che tu mi puoi capire… Scrivo questa storia con la testa attingendo dal mio cuore. Hai compreso… e… spero di aver capito cosa hai compreso. Non vorrei sia qualcos’altro, perché semplicemente non sarebbe così, non vorrei ti preoccupassi per me. Il tuo affetto, non posso negarlo, mi fa infinitamente felice. Grazie. Grazie, grazie, grazie.

patu4ever Grazie tesoro. Sei stata un po’ di luce nelle mie giornate buie. Sei stata davvero preziosa, perché è importante avere qualcuno accanto con cui spartire il dolore. Anche Bella lo dice, in questo capitolo :P Lo posso dire?! Adoro quelle frasi *.* Cioè, non posso dirlo, ma… cancellerei tutto il capitolo, lasciando solo quello… ahahahah :D Grazie di tutto ancora, piccola vagabonda. :*

ariel7 Grazie! Sei davvero tanto dolce. :) Ho creato con questa un storia molto “mia”, molto pensata, molto impegnativa. L’ho continuata, perché ho pensato ne valesse la pena, per persone come te, ad esempio, che la sa apprezzare a questo modo. La fatica, il dolore, l’impegno, vengono tutti cancellati dalla soddisfazione, indubbiamente. Grazie. :*

Sognatrice85 Certo che si. Dolore forse ancor più forte, estremizzato in questo. Ma è così che va la vita, è così che va in questi casi, no? Grazie. 

silvia16595  Oh tesoro! *.* Come sei dolceee! Mi fai sciogliere! Sono contenta che ti sia piaciuto! Spero anche questo! Mi dai proprio energia utile per scrivere tu, con queste parole! Sei stata infinitamente gentile e affettuosa! Grazie! :*

kikkikikki Ti ringrazio! E’ per persone come te, che apprezzano così tanto questa storia, che continuo a scriverla. E’ pensata, ragionata, forse molto elaborata, tanto da lasciarmi ogni volta sfinita. Ma soddisfatta. Soddisfatta di scrivere qualcosa che ha un vero significato. Grazie. E’ per persone come te…

shasha5  Ohh! Hai pianto?! Cavolo! Sono felice di esserti riuscita a regalare un’emozione. Lo so, non è un’emozione felice, ma fa parte della vita, e io volevo comunicare questo, principalmente questo. Ciò che è reale e fa parte della vita. Edward è con lei. Ogni cosa si sistemerà. :) Ogni cosa, piano. Pian, piano…

00Stella00 Scusa, forse non ho postato così presto. :) Ti ringrazio per la tua preziosa comprensione. E’ complesso affrontare un tema così, molto più viverlo. Da quello che leggo, però, sei una ragazza abbastanza forte da poter superare e chiudere questo problema. Non è mai troppo tardi per farlo, va bene? Ho scelto questo tema, perché mi è vicino. Lo è mentalmente, e lo è stato ancor di più in passato. No, non è facile scriverne. Ma devo. :) A presto, spero nel verso senso! :)

Amalia89 Grazie. Grazie di tutto. Il mio stato emotivo risente pesantemente di quello che scrivo. Lo so che non dovrebbe essere così, lo so che lo scrittore dovrebbe essere più distaccato dai suoi personaggi, per poterne scrivere in maniera più lucida è consapevole. Ma io non sono così. Ne verrà una massa informe e soffrirò, ma non sono così. Spero di essere stata all’altezza della situazione. Grazie ancora. Grazie.

annalie Cara! Si, è vero, gli sbagli dei genitori li pagano i figli. E a volte la vita ci riserva assurdi giochi, impossibili da prevedere. Scrivere di questa storia, così possibilmente reale, non è facile, ma chissà, forse mi tiene un po’ più ancorata al mondo vero. Grazie. :*

barbyemarco Grazie!!! *.* ohh, ti preoccupi per me?! Lo sai che suscito in chi mi sta accanto il complesso della crocerossina! *.* Anche tu ne sei stata colpita! Oh, sei così gentile, così dolce! Grazie mille! Spero che questo capitolo possa esserti piaciuto. :*

SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate Già, in effetti lo scorso capitolo l’ho scritto con quella parola in testa. Tristezza. Quelle di questo, invece, direi che sono disperazione e terrore più che altro. Edward è lì con lei ora, vedrai che le cose inizieranno a sistemarsi. Spero tu possa aver apprezzato il POV Edward. Grazie della magnifica recensione. :)

Eva17 Grazie. Mille. Grazie. Sono contenta che il mio capitolo possa averti colpito così tanto. Cerco di trasmettere le mie emozioni, e quando c’è gente come te che le comprende non posso che esserne entusiasta.

lilly95lilly E’ vero, è proprio così, un’ossessione patologica. Non è facile tornare alla realtà, cambiare, guarire. Si, guarire, perché stiamo parlando di una malattia. Accadrà tutto, ma piano. :) Grazie ;)

congy Ohh carissima! Grazie mille! Sono contenta che ti piaccia così tanto. E’ vero, anch’io, pur aggiornando più frequentemente l’altra storia, sono davvero legatissima a questa. Conserva tutto uno strato di sofferenza, che, non posso negarlo, appartiene anche alla mia mente. Farlo venire fuori equivale a psicoanalizzarmi. No, hai ragione, non è facile. Ma se vi piace, non posso fare a meno di scriverlo.

 

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Capitolo 20
*** Nuotare ***


Edward

Edward

 

Uscire dal proprio corpo, immaginare di essere altro fino a persuadersene. Questo avevo fatto nelle ultime dieci ore, trascorse ininterrottamente a contemplare la sua immagine. E l’avevo fatto talmente tanto da perdere la concezione di me e entrare mentalmente nel suo corpo.

Ero lì, e immaginavo di essere lei. Il mio petto si alzava e si abbassava al ritmo forzato del suo. Immaginavo cosa potesse pensare, come potesse stare, cosa potesse sentire.

Dolore forse? La mia Bella sentiva dolore?

Per me, un essere indistruttibile e condannato all’eternità, sentirlo era persino un lusso, che come unico scopo aveva in ogni caso quello di farmi sentire più vivo.

Le accarezzai i capelli morbidi, le guance rosa, innaturalmente surriscaldate sul volto pallido. Le rimboccai le coperte asettiche, sterili, con estrema attenzione e cura.

Fuori pericolo. Dopo tre ore e mezza di operazione, dopo aver corso per salvare la sua vita, quelle erano state le uniche parole capaci di farmi sospirare di sollievo.

Gliel’avevo promesso, l’avrei salvata. E così avevo fatto, solo in parte. Avevo salvato il suo corpo, dovevo salvare la sua anima, e quello sarebbe stato il compito più difficile.

«E’ stabile, la temperatura è ancora alta, ma è nella norma dopo l’intervento che ha subito. Presto si sveglierà». Carlisle rassicurò Charlie, appena fuori dalla porta della stanza.

Quell’uomo era semplicemente distrutto. Bella era una creatura estremamente fragile, bisognosa di affetto, di amore. Si era richiusa in se stessa, aveva cominciato ad odiare il mondo, ma il male che voleva fare agli altri era solo quello che stava facendo a se stessa.

Aver salvato la sua vita non voleva dire nulla, ancora. Ecco perché aspettavo con angoscia il suo risveglio. Perché salvarla veramente avrebbe voluto dire redimerla da dentro, e poi da fuori.

Mosse le labbra, le dita della mano, si lamentò. Lo aveva fatto continuamente nelle ultime tre ore. L’annebbiamento dovuto all’anestesia per l’operazione chirurgica subita stava man mano scomparendo.

Non appena fosse stata sveglia ogni cosa sarebbe stata chiara. Non avrei più temporeggiato, né commesso lo stesso errore che era quasi costato la sua vita: aspettare.  

Presi la mano libera dall’ago della flebo fra le mie. La portai alle labbra, la baciai.

Dovevo aiutarla, ad ogni costo.

 

Bella

 

La confusione più totale dominava la mia mente. E il fatto che mi accorgessi di essere confusa poteva dirsi il primo sintomo del fatto che ne stessi uscendo. Aggiunto a quella avevo un assurdo senso di smarrimento e disorientamento, un’insofferenza incredibile a quel misto senso di torpore, dolore, voltastomaco.

Bocca amara, braccia e gambe intorpidite e qualcos’altro. Dolore? Si, dolore.

Vidi Edward, e i suoi bei capelli. C’era qualcosa di strano, una certa idea di sogno in tutto quello. Avevo dimenticato qualcosa? I miei pensieri erano troppo incoerenti: stavo sognando, ne ero certa. O forse… no?!

Cessò di importarmene quando la sua immagine scomparve nel nulla. Sognai altre cose e altre immagini ricorrenti. Il bello del sogno è che per la maggior parte della volte ti fa pensare a cose apparentemente completamente distanti dai problemi reali.

E cos’è la realtà? Nel sogno non esiste alcun tipo di realtà vera, mille e apparenti, si.

Eccomi, su un prato, a rincorrere il mio piccolo gattino. «Minush, torna qui!» la rimproverai, correndole dietro. Quel gatto non sapeva davvero camminare decentemente. Risi.

Comparve ancora Edward, prendendomi per mano. Sentii un ineluttabile desiderio di baciarlo. La sensazione di calore si sprigionava dal mio petto, formicolando fin su la mia gola. «Ti amo».

Aprii gli occhi, e vidi i suoi. Per la ragione conferita dalla natura ad un essere umano, distinsi il precedente sogno dalla realtà.

Mi fissava senza dire nulla, e così lo fissavo io. Mi accorsi di avere la sua mano fra le mie e la strinsi più forte. Sorrise. Sembrava stanco.

Avevo freddo, sete, ma allo stesso tempo una sensazione di incredibile torpore e gonfiore che mi riempiva lo stomaco. Era chiaro che stesse aspettando che dicessi qualcosa.

Ricominciai a pensare coerentemente dopo qualche minuto. Era evidente che le pareti e il letto non fossero quelle di casa mia. E neppure l’odore. Noi umani ci riteniamo tanto superiori agli animali, ma il primo senso con cui istintivamente riconosciamo quello che ci appartiene è proprio l’odore. E quello era decisamente l’odore di un ospedale.

Riflettere sulle conseguenze di quel pensiero, certo, era ancora troppo complicato.

Edward mi posò un dito freddo in mezzo agli occhi, sulla piccola increspatura che si era formata per il cipiglio che avevo assunto. «Potresti essere confusa, è normale» la sua voce era lenta, calma, delicata, «è uno degli effetti dell’anestesia» mi sorrise in modo da essere rassicurante.

«Sei freddo…» gracchiai. E quel pensiero occupò la mia mente.

Mi sorrise teneramente, accarezzando il dorso della mia mano con il pollice. «Come ti senti?».

«Ho sete» mi lamentai. Chiusi gli occhi, ancora troppo stanca per tenerli aperti così tanto.

Un rumore catturò la mia attenzione. La porta scorrevole della stanza che si apriva. Carlisle, era lui. «Non puoi bere, per ora. Sei idratata artificialmente» e sorrise anche lui. Erano tutti molto… rassicuranti. Si avvicinò al figlio, con una cartella fra le mani.

Richiusi ancora gli occhi, e trovai il buio molto più confortante e l’immaginazione molto meno confusa della realtà.

Quando li riaprii fu perché il dolore si era accentuato molto di più rispetto a prima. Proveniva direttamente dal torace, sotto lo sterno. Faceva male. Gemetti, scossi il capo. Non ci misi tanto quanto la prima a volta a capire dove fossi, e questa volta neppure perché.

«Sta tranquilla Bella, ti diamo altro antidolorifico», Carlisle mi stava cambiando la flebo.

Edward era sempre sull’altro fianco, lo sguardo neutro. Lo fissai dispiaciuta. Così, era riuscito ad offrirmi la mia seconda opportunità. Pensai con orrore a quello che avevo fatto di me, e con maggiore orrore pensai a quello che gli altri stavano pensando, ora, di me.

Strinsi le labbra, trattenni il respiro. Gemetti, ancora, insofferente.

Si avvicinò a me, mi accarezzò i capelli, mi tranquillizzò.

«Edward» mormorai. Avevo le labbra secche e mi bruciavano. Ricordai improvvisamente le sue ultime parole e arrossii. “Ti amo”. Lui non aveva smesso di amarmi, mi aveva chiesto una seconda opportunità. E io? Io avrei potuto avere una seconda opportunità?

Non riuscivo a parlare, a dire nulla. Avrei voluto chiedergli aiuto, affidarmi a lui, ma avevo paura e vergogna. Volevo che mi parlasse, che mi dicesse qualsiasi cosa. Avevo paura. Era arrabbiato?

Mi sforzai di parlare ancora, mi posò un dito sulle labbra secche. Le accarezzò, poi si sollevò, e si diresse verso il comodino al mio lato. Osservavo ogni suo gesto con estrema attenzione. No, non sembrava arrabbiato; eppure la paura non accennava a scemare.

Volevo dormire ancora e dimenticare ogni cosa. Perdermi nell’oblio e nella confusione. Non sembrava poi così male.

Sussultai quando sentii qualcosa di umido sulle labbra. Mi stava passando un fazzoletto imbevuto d’acqua. Rimasi a fissarlo per lungo tempo, e lui rimase a fissare con la stessa intensità me. Man mano il senso di pace e benessere cominciò ad aleggiare fra noi senza che alcuno aprisse gli occhi.

Intrecciò la mano alla mia, e cominciai a giocare con le sue dita. «L’esofago» disse d’un tratto, guardandomi con la stessa apparente tranquillità. Continuai ad accarezzare le sue dita, e lo stesso fece con le mie. «Si è lacerato un tratto dell’esofago. Era decisamente danneggiato».

Lo guardai, in silenzio. Volevo capire cosa volesse dirmi, fin dove volesse arrivare.

«Non è l’unico danno. Il tuo organismo è seriamente compromesso. Anche il cuore». Non parlava con durezza, quanto più con un tono neutro e distaccato.

«Sei freddo» constatai ancora, ora decisa a cambiare discorso. Non mi piaceva la piega che stava assumendo. Non mi sentivo nella posizione di replicare, ero ancora troppo confusa e non volevo in alcun modo prendermela con lui, ancora.

Si lasciò andare sulla sua sedia con un sospiro.

«Sei sempre stato freddo» continuai.

Mi guardò serio. «E’ nella mia natura». La sua natura… certo. Era… un vampiro, dopotutto. «Bella, ascoltami» ricominciò con dolcezza. Il suo tono di voce era corposo e suadente. «Sei viva per miracolo. Ma, vuoi continuare a vivere? O meglio, vuoi ricominciare a vivere davvero?».

Chiusi gli occhi. Non cercavo alcuna forma di oblio, volevo solo evitare per qualche istante di pensare. Eppure quelle due parole mi rimbombavano nella mente vuota. Vivere davvero. Che cosa significava? Che avevo una speranza di avere una vita migliore di quella che fino ad allora avevo condotto? Che questo genere di vita esisteva realmente, per me?

«Vorrei che ti facessi aiutare. Da qualcuno che sa farlo veramente». Speranza, voglia di convincermi, determinazione, paura.

Aprii gli occhi. «Mi parli… di te? Voglio che mi racconti delle cose sulla… tua natura…».

Sospirò, come se avesse a che fare con una bambina capricciosa, e provò a controbattere. Posai una mano sulle sue labbra, non senza una certa difficoltà. Presi un respiro profondo, se sentii una fitta al petto. «Voglio» mormorai, strinsi le labbra «tu… tu mi puoi aiutare… non voglio che mi lasci…» farfugliai agitata, provando a giustificare la mia richiesta «non ho paura di te…».

Mi sorrise con dolcezza. «Bella, ti giuro che non ti lascerò mai» mi accarezzò una guancia «e ti aiuterò anch’io, lo giuro. Ma tu adesso hai bisogno anche di qualcuno che sappia bene cosa fare, lo capisci?» prese la mia mano libera fra le sue, guardandomi negli occhi «fallo per me. Io ti amo Bella… E ci sono tantissime altre persone che stanno soffrendo per te, che vogliono che tu stia meglio. Tutti ti vogliono bene…».

Strinsi più forte la sua mano. Non volevo farmi prendere dall’ansia. Lo stato di confusione, la debolezza, il sonno, mi facevano sentire molto peggio. Si accorse del mio stato e si fece più vicino, baciandomi una guancia. «Voglio…» mormorai, insistente «che mi parli di te…». Fece per staccarsi ma lo trattenni. «Prima… Prima voglio che mi parli di te».

Mi guardò, mi accarezzò i capelli e mi sorrise, contento forse del fatto che non avessi ancora detto di No. E chi ero io per non gioire della piccola felicità che gli avevo donato?

Mi parlò a lungo, e io rimasi a fissarlo, attenta e concentrata, perché la mia attenzione era davvero bassa e fuggevole. Di tanto in tanto mi accarezzava una guancia, la mano, mi bagnava le labbra secche con un fazzoletto. Era dolce e gentile, e non deviò mai dall’argomento di cui gli avevo chiesto di parlare.

Le cose che mi diceva mi parevano molto spesso assurde e surreali, eppure non lo interruppi. Forse accettarle mi veniva facile ora che ero così confusa. Quello che avevo compreso con certezza, era che non mi avrebbe mai fatto del male, solo questo importava. Era… speciale. L’avevo sempre saputo d’altronde. Molto presto, stremata, mi addormentai, confondendo le sue parole con un sogno.

Quando mi svegliai avevo molto, molto caldo, e un dolore fitto alla testa e al petto. Con gli occhi ancora chiusi gemetti debolmente.

«Avrà un tempo di recupero variabile. Vorrei comunque tenerla in ospedale per almeno quattordici giorni se non ci sono complicazioni. Vorrei che le costole ricominciassero a saldarsi…». Un sospiro. Era la voce di Carlisle, calma, pacata.

«Non lo so, non lo so come sia potuto accadere… Io… Oh, dottor Cullen, se ne ci fosse stato lei…». Era… mio padre? Un brivido di sudore percosse velocemente la mia schiena tremante.

«Chiamami pure Carlisle, Charlie, non ti preoccupare. Ha bisogno di aiuto ora, vedrai che tutto andrà per il meglio…».

«Io e sua madre ci abbiamo pensato, pensiamo che sia necessario mandarla da uno psicologo, da soli… non potremo fare nulla. La situazione ci è sfuggita di mano già una volta…».

Gemetti, cominciando ad agitarmi, sentendomi sempre peggio.

La voce di Carlisle si abbassò. «Bisogna ponderare la scelta migliore. In ogni caso potrei darvi un consiglio…».

Aprii gli occhi, sbattendo le palpebre pesanti. Il cuore stava accelerando i suoi battiti già fin troppo sostenuti. Quando mio padre si accorse che ero sveglia mi venne subito accanto, prendendomi le mani con le sue.

Quel contatto mi destabilizzò immediatamente. Mi guardai intorno, alla rapida e disperata ricerca di Edward.

Non c’era! L’aveva mandato via? Lui… lui mi poteva aiutare! Mio padre… mi voleva mandare da uno psicologo…

I miei respiri si trasformarono in tremiti, e le ciglia s’imperlarono di lacrime. Mio padre mi guardava afflitto e dispiaciuto, e le sensazioni che provavo in quel momento erano troppe, destabilizzanti, contrastanti.

Senso di colpa, rabbia, preoccupazione, ansia. Mio padre mi accarezzò le mani, tentando di calmarmi, ma l’effetto prodotto fu quello contrario. Ero fin troppo debole per interrompere quel contatto che mi stava facendo così male.

Provvidenzialmente fu interrotto da Carlisle, che fece gentilmente allontanare mio padre prendendo il suo posto. «Calma Bella, non ti agitare» mi disse serio, posando una mano sulla fronte. Mi parve perfino più gelata di come la ricordavo.

Il respiro accelerato faceva muovere mi mio petto causandomi dolorose fitte. Chiusi gli occhi, spaventata. La spalliera del letto, finora leggermente rialzata, si abbassò con una scatto.

«Shh… calma. Apri gli occhi, guardami». Mi posò una mano sotto il diaframma, attento a non farmi male, aiutandomi a respirare. «Prendi fiato, con calma… apri gli occhi».

Quando eseguì il suo ordine mio padre non era più nella stanza. Al suo posto c’era un’infermiera, la porta era chiusa.

Carlisle mi guardava con dolcezza e decisione, continuando ad aiutarmi e tranquillizzarmi. «Tranquilla, tranquilla… va tutto bene».

« Non si era agitata così prima… Devo darle un calmante?».

Scosse il capo alla domanda dell’infermiera. «No, per ora no», disse fissandomi. Il respiro era quasi completamente regolarizzato, ma il cuore mi batteva forte e rumoroso, lo sentivo pulsare persino alla base della nuca. «Le dia un antipiretico, la temperatura è salita ancora».

«Come ti senti Bella?» chiese Carlisle non appena l’infermiera fu andata via.

La confusione era perlopiù andata via, ma al suo posto c’era un deciso e insopportabile malessere. Sudavo, eppure avevo freddo. Ma la cosa che più di tutte acuiva negativamente il mio stato era l’assenza di Edward. Se ne era andato? Non avevo il coraggio di chiederlo.

«Stanca» mormorai, e sentii una fitta alla gola, secca. «Ho sete…».

Mi guardò comprensivo. «E’ meglio se per ora non bevi. Aspettiamo un altro po’, va bene?».

Sospirai, e sentii una fitta al torace. Strinsi le labbra.

«Ti fa male?» mi chiese attento. Con delicatezza sollevò il lenzuolo e il camice spesso e ruvido con cui ero vestita.

Trattenni il respiro quando vidi la benda chiazzata di rosso.

Carlisle mi visitò con discrezione e attenzione. «Dovrei cambiare il drenaggio. Per operare abbiamo dovuto tagliare due costole. Con il tempo si risalderanno, ma dovresti muoverti il meno possibile» il tono della sua voce era risoluto e professionale «Nei prossimi giorni faremo degli esami e dei test, per verificare il tuo stato generale. Fra una settimana potrai ricominciare a mangiare cibi liquidi, per ora verrai alimentata artificialmente».

Chiusi gli occhi. La testa mi girava, avevo la nausea, mi sentivo malissimo. Eppure, tutto questo l’avevo voluto io, no?

No. Io non volevo questo. Questa era solo la scellerata conseguenza di una scellerata azione.

Cosa avevo ottenuto? Neppure Edward era lì con me. E… mio padre… lui… non era quello che avevo in mente. Non doveva andare così…

«Hai nausea?».

«Edward…» mormorai, aprendo gli occhi. Riuscivo a vedere a malapena dato che erano pieni di lacrime. Sapevo di non meritarmelo, ma avevo bisogno di lui.

L’espressione di Carlisle si addolcì. «Ti ha parlato di noi, non è così?» chiese, venendosi a sedere sul brodo del letto.

Annuii, nascondendo nei palmi delle mie mani quelle stupide gocce salate.

Sorrise. «Negli ultimi giorni hai messo a dura prova il suo autocontrollo, ora ha bisogno di recuperare le forze, è a caccia. Mi ha detto che ti ha spiegato diverse cose. Dovresti sapere che il sangue è per noi un richiamo fondamentale, non possiamo venirne meno. E lui ha…» temporeggiò, scegliendo la parola migliore «un legame speciale, con il tuo. Ma il suo desiderio di preservare il tua vita l’ha vinto».

Le sue parole mi entrarono dentro in maniera del tutto inaspettata. Per tutto il resto della giornata, mentre miracolosamente la porta della mia stanza rimase chiusa, ci pensai a lungo.

Avevo sempre immaginato Edward come una persona forte, incorruttibile, come un punto d’appoggio solido, molto solido. Scoprire che anche lui poteva avere un punto debole era per me del tutto inaspettato.

Cambiava totalmente la mia visione della vita e del mondo. Sapere che l’uomo, l’altro, persino Edward, poteva essere così fragile…

Invece lui era riuscito a vincere il suo istinto primordiale, andare contro quello che a me pareva l’inevitabile corso delle cose. Solo allora riuscii a guardarmi intorno. Le altre persone, quelle che invidiavo, quelle amate, non erano così perché la vita era stata generosa con loro. Loro erano riusciti a contrastare e continuavano a remare contro il corso delle cose.

Il fiume, il torrente, la corrente che continuava a trascinare via la vita di ogni uomo, al quale io mi ero arresa, per loro non era affatto più tenue. Loro avevano semplicemente deciso di affrontarla, sempre con la stessa forza, sempre con lo stesso coraggio.

«Bella» sussurrò Edward a mezza voce.

Aprii gli occhi, osservandolo mentre si veniva a sedere sulla sedia accanto al mio letto. Mi osservava attentamente, pronto ad una mia reazione. Carlisle doveva avergli detto della mia piccola crisi pomeridiana.

Osservai un particolare cui fino ad allora non avevo dato particolare peso. «I tuoi occhi…» farfugliai roca. «Sono… sono…».

«Dorati» finì lui per me, «sono così dopo che mi sono nutrito».

Presi un respiro, stanca e dolorante. Sollevai una mano per accarezzarlo, ma una fitta mi colpì il dorso. Un ago, e un livido violaceo sulla pelle grigiastra. Edward prese la mano fra le sue e la baciò, posandola nuovamente sul copriletto, pieno di premure e attenzioni. «Carlisle mi ha detto che… ti sei agitata».

Chiusi gli occhi, stanca, afflitta, non rispondendo alla sua affermazione. «Non avrei mai voluto finire in ospedale…» mormorai, col magone che mi stringeva sempre più la gola. Non meritavo tutto quello. Sentivo di aver deluso Edward, l’avevo fatto stare male, mentre lui aveva solo e sempre cercato di aiutarmi. Ero stata incredibilmente egoista. «Mi dispiace…».

Mi cancellò le lacrime che mi stavano inondando le guance, chinandosi su di me e abbracciandomi. «Non ti preoccupare Bella, andrà tutto bene…».

«Non mi merito tutto questo» singhiozzai, stringendolo però più forte, troppo vile per lasciarlo andare «non dovrebbe essere così… Sono stata così stupida… mi dispiace così tanto, Edward…».

Mi accarezzò i capelli, baciandomi la tempia. «Shh, shh, va tutto bene… Va tutto bene…».

«Non va tutto bene» piansi, «mi fa male tutto, sto male, mi sento una schifo. Il mio corpo è ridotto in condizioni… pessime e… dovrò fare mille test, e analisi, e tutto questo perché sono stata una stupida Edward, una stupida…».

«Guarirai… Col tempo guarirai e il tuo organismo recupererà gli scompensi. Ci vuole tempo, ma succederà, vedrai…».

Piansi più forte. «Come fai ad amarmi ancora?! Sono una stupida… Mi sono fatta da sola tutto questo… e… non sono malata… sono malata dentro, Edward…» singhiozzai, «come fai ad amarmi ancora…».

Si staccò appena, il naso a contatto col mio, bagnato, fissandomi negli occhi, prendendomi il viso fra le mani. «Non mi importa di niente. Voglio solo che tu ora stia meglio, va bene? Mi importa solo questo».

Avevo buttato via il mio corpo. Avevo fatto lo stesso con la mia anima. Il mio cuore, la mia pelle, il mo stomaco… la mia mente. Ero… malata. «Sto male…» farfugliai, per la prima volta consapevole di esserlo veramente.

«Guarirai, lo giuro» disse, serio, accarezzandomi la guancia e cancellando le ultime lacrime. E lo faceva con lo stesso amore con cui l’aveva sempre fatto. Mi aveva raccontato la sua vita, la sua natura, anche Carlisle me l’aveva detto. Lui ci era riuscito, lui era guarito. Potevo davvero farlo anch’io…

«Farò tutto quello che mi dirai» mormorai roca «te lo giuro Edward… te lo giuro» continuai, baciandogli le labbra.

Mi sorrise, accarezzandomi una guancia. «Andrà tutto bene, guarirai. Ma devi sentirlo veramente, devi veramente persuaderti di essere abbastanza forte da farlo. Perché lo sei. Ogni essere umano lo è, anche quando ogni cosa sembra impossibile, c’è sempre un motivo per affrontare il corso della vita, per non smettere di lottare».

«Tu sei il mio motivo».

Scosse il capo. «No Bella, non sono solo io. Tu hai mille motivi per farlo. Lo capirai presto, vedrai» disse dolcemente, sorridendomi.

Non riuscivo a comprendere né ad intuire i mille motivi di cui parlava Edward, ma era certo che mi fidavo di lui. E non avevo mai realmente smesso di farlo.

Affrontare il fiume da sola era stato impossibile. Aggrapparmi a Edward, sorreggermi al mio scoglio, mi aveva portato a sprofondare non appena era venuto a mancare. Avrei inevitabilmente dovuto imparare a nuotare da sola.

 

 

 

Spero vi sia piaciuto! Ho cercato di ordinare per bene le idee, e di comunicare la giusta dose di confusione. Non ho idea del risultato… mh…

 

Grazie, mille. Siete uniche e fantastiche, mi avete lasciato dei complimenti davvero eccezionali. Sapere di avervi fatto emozionare, commuovere, rende vivo quello che scrivo. Lo rende reale e mi fa sentire bene. Grazie, perché continuate a seguirmi nonostante tutto.

La fine di questa storia sarà reale, né brutta, né bella. Una storia così non può finire con un idillio, no?

E per questo Bella non è stata trasformata. Chissà, magari, in futuro, forse. Sarebbe stato troppo semplice ora, per lei, essere trasformata. I problemi non si risolvono così…

Per questo ora Bella affronterà le cose man mano. Quello che ha fatto ora, in questo capitolo, è solo un piccolo e primo passo. Bisogna continuare a combattere contro il corso della vita. :)

 

Qualcuno ha scritto che di bulimia non si muore. Beh, non è così… Non ci si può illudere di questo. La bulimia è una malattia che può portare benissimo alla morte, ha delle conseguenze orribili non solo sulla psiche, ma anche sul corpo, gravissime.

 

Grazie a tutte, e scusatemi se non rispondo alle recensioni! *.* La prossima volta lo farò, promesso. :* Grazie, perché continuate a seguirmi nonostante i tempi di aggiornamento non siano così brevi!

Giuro che fra un paio di capitoli mi tolgo definitivamente dalle scatole! Ahahah. Un besos :*

 

PS. Per gli aggiornamenti “occhi da tè”, il mio blog :P, potrà darvi informazioni utili (sono un po’ lentina, lo so :P). Ci sono anche su Twitter @Keska92, sarò felice di aggiungervi!

 

(fatto da Elena)

«--BLoG!!!--»

 

www.occhidate.splinder.com

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Capitolo 21
*** Ammissioni ***


Bella

Bella

 

Il ticchettio dell’orologio, unico rumore presente nella stanza, stava diventando opprimente e soffocante.

La donna seduta davanti a me mi fissava, con tranquillità, come se non si aspettasse niente di meno di quello che stava avvenendo. Era entrata, si era seduta, mi guardava.

Era la mia psicologa.

Me ne stavo stesa nel letto, a guardarla, senza dire, anch’io, nulla. L’incontro era stato fissato quattro giorni dopo l’intervento, quanto bastava perché potessi fare a meno della morfina e quindi, automaticamente, essere lucida.

Quella mattina, a differenza delle precedenti, Edward non si era presentato. Avevo immediatamente compreso che doveva essere quello il giorno in cui avrei dovuto cominciare ad affrontare i miei problemi.

Carlisle mi visitava con costanza. Alice veniva ogni tanto a trovarmi. Persino Esme, una volta, era passata a salutarmi. Ora che sapevo molto di più su di loro per me era più semplice comprenderli.

Mia madre era venuta da me. Era venuta a trovarmi con mio padre. Non avevo detto nulla, ma avevo visto i loro occhi rossi. Mi faceva solo male. Prima, quando decidevo di vendicarmi su di loro, avevo pensato il contrario, ma vederli soffrire per me non appagava il mio animo, distruggeva quello che rimaneva.

Sospirai, fissando l’ago infilato nell’incavo del mio gomito.

«Fa male?».

Sussultai alla voce della donna. Era ferma e liscia. Si, liscia. Se una voce è definibile ruvida sarà possibile definirne il contrario con l’aggettivo opposto?!

Le sue palpebre si abbassarono una volta, tanto velocemente da sembrare che le stesse sbattendo, tanto lentamente da farmi concentrare sul gesto. «Bella. Sai cos’hai?».

Presi un respiro. «Io…» il mio petto si alzava e si abbassava, ma le parole faticavano ad uscire «io…» mi guardai intorno. Eppure, sapevo perfettamente qual’era stata la mia malattia. L’avevo compreso, finalmente.

«Sei bulimica» finì lei per me, con tono asciutto e neutro.

Il mio sguardo ritornò sul suo viso serio, saettando. Provai vergogna. Distinta vergogna e senso di disagio.

Accavallò le gambe, senza interrompere il contatto visivo. «Sai cos’hai?» chiese ancora.

Fremetti, stupendomi del fatto che mi stesse ripetendo la medesima domanda, dopo che lei stessa aveva dato una risposta. Deglutì, fissandola e non parlando.

«Voglio che tu me lo dica ad alta voce».

Sospirai, gemendo, piano. Presi fiato per parlare, ma subito dopo ci rinunciai, vinta dal silenzio.

Mi fissò, cambiando discorso. «Ti hanno detto che la bulimia è una malattia».

Annuii, solo perché aveva interrotto le sue parole, fissandomi, e non perché formassero propriamente una domanda.

«Il fatto che sia una malattia non vuol dire né che ci sia un’immediata cura, né che la causa di tale patologia non risieda in te. Sei stata tu a scegliere di farlo».

Tremai. «Io… lo so…» borbottai, ferita dal suo tono di voce.

Sorrise lievemente. Si sollevò dalla sedia, avvicinandosi a me. I miei occhi non si staccarono dalla sua figura. «Sei bulimica, ma non riesci a dirlo. Non riesci a capirlo. Non riesci ad accettarlo. Non sai ancora cosa stai facendo». Non era dura, arrogante. Piuttosto comprensiva, a differenza delle sue parole.

Deglutì, scossi il capo. «Non lo sono più…» affermai tremante. Improvvisamente desideravo che tutto quello finisse. Non avevo immaginato nulla di simile. Mi sarei aspettata un po’ di comprensione. Mi sarei aspettata qualcuno che sapesse comprendermi.

Sollevò le sopracciglia. «Non credo. Tu lo sei ancora. Non sei neppure consapevole di quello che ti sta succedendo, quando saprai essere consapevole di te stessa potrai dirlo».

«Io… basta» sussurrai, scuotendo il capo. «Basta, la prego».

«Come vuoi» mormorò con gentilezza. Mi sorrise, prese la sua giacca, abbandonata sulla sedia, e se ne andò. Non credevo potesse essere così arrendevole. «Pensaci, Bella. Pensa. Pensa a cosa hai fatto davvero».

Rimasi sola, sconvolta. Voltai appena la testa, troppo dolorante per effettuare una torsione con il busto, e piansi, attenta ad essere ben nascosta. Provavo rabbia, dolore, vergogna, odio. Le parole di quella donna mi bruciavano. Parlava di me come se mi conoscesse già. Mi giudicava, pensava di potermi convincere delle sue parole. Singhiozzai, stringendomi il petto con una mano.

Pochi minuti dopo Carlisle passò per la consueta visita. Non lo guardai in faccia mentre mi parlava, mentre io stessa parlavo con lui. Lo stesso facevo con i miei genitori, con Alice, con Edward. Mi vergognavo di me stessa. Come se mi fossi appena accorta di avere scritta in fronte la prova della mia colpevolezza.

E odiavo quella donna, la odiavo per avermi fatto sentire così.

Sentii una mano fredda sulla mia. «Sei silenziosa».

«Voglio andare via da qui» biascicai, senza guardarlo, senza voltarmi a fissare Edward. Non rispose, rimase silenzioso. Singhiozzai. «Voglio andare via…».

Non parlò, ancora.

Strinsi a me il cuscino, abbracciandolo convulsamente e continuando a piangere. Mi sentivo così maledettamente male, così sopraffatta da ogni tristezza. Volevo evadere da ogni cosa, ricominciare a non pensare, e basta. Non soffrire, e basta.

«Sei solo all’inizio» mormorò soavemente al mio orecchio.

Singhiozzai più forte, sentendo le costole pulsare dolorosamente.

Mi liberò le braccia dal cuscino. «Non piangere» disse, asciugandomi gli occhi. Prese le mani fra le sue, ripetendolo, ancora.

«Aiutami» biascicai, guardandolo, gli occhi gonfi.

«Posso abbracciarti. Baciarti. Rassicurarti» sussurrò tremulo, sfiorando la mia fronte con le sue labbra «ma non posso aiutarti, se prima non lo fai tu».

Ricominciai a piangere, sorreggendomi questa volta sulle sue spalle forti, versando calde lacrime.

«Man mano ogni cosa si aggiusterà. Devi volerlo tu. Devi essere coraggiosa. Devi solo volerlo. Non piangere» ripeté, «ti fai solo del male».

Ti fai solo male. D’altronde, cosa avevo fatto, se non farmi del male? Togliendo i se, i quando, i perché, era quello che rimaneva. Il dolore che avevo provocato a me stessa. Chiusi gli occhi, abbandonandomi al suo maglione e alle sue braccia. Abbandonandomi alle sue mani che continuavano ad accarezzarmi docilmente i capelli.

Non pensare, essere sospesi in una bolla. Completamente isolati. Era quello a cui agognavo. Non volevo provare dolore, sofferenza. Edward voleva farmi nuotare, io volevo solo stare a galla.

 

«Edward mi ha detto che mi faccio del male».

«Hai parlato con Edward della terapia?» chiese la donna, sorpresa, sollevando lo sguardo dai fogli su cui stava scrivendo.

Scossi il capo. «L’ha detto, e io l’ho pensato».

Annuì, più rilassata. «E’ così».

«E’ questo quello che voleva sapere ieri?».

«Posso dire che è un inizio» disse, sorridendo, «vorrei che comprendessi che il mio scopo è quello di farti stare meglio».

Fremetti, pensando il contrario e abbassando il viso.

«Non sto dicendo che nel frattempo sarà semplice».

Continuai a rimanere muta.

«Bella, hai detto tu stessa che ti stai facendo del male. Un masochista, un suicida, si vuole fare del male. Hai rischiato di morire, lo sai».

Sollevai di scatto la testa. «Io non volevo uccidermi» risposi, piccata.

Strinse le labbra, piegandole poi in un espressione tranquilla. «Sai qual è la differenza fra te e un suicida?».

«Io non volevo né voglio uccidermi». Risposta sbagliata. Era chiaro, lo si leggeva nei suoi occhi. Il risentimento dilagò in me, mentre i miei pugni chiusi tremavano sul copriletto.

«Un suicida vuole esattamente quello che vuoi tu. Con l’unica differenza che è abbastanza coraggioso da dichiararlo a se stesso e farla finita, in un attimo. Tu ti sei uccisa lentamente, giorno dopo giorno».

«Io non volevo morire! La smetta di dirlo! La smetta!».

Era sempre pacata, anche di fronte alle mie urla. «Devi accettarlo Bella. Hai detto tu stessa che volevi farti del male. Devi accettarlo, dirlo».

«Mi lasci stare!» urlai quando si avvicinò. Balzai giù dal letto, retrocedendo, rifugiandomi con le spalle contro il muro. Sentì il cuore battere più forte. Troppo forte. «Non ha…non ha il diritto di… parlarmi… così! Non ha… nessun diritto!».

La porta della camera si aprì, facendo passare Carlisle. Guardò la donna, ferma, dritta, tranquilla. Si scambiarono poche parole pacate, lui annuì. Venne accanto a me, prendendomi fra le braccia.

«Shh… Calma…».

Portai una mano al petto, ansante. Il cuore pulsava, forte, come se volesse uscirne. Boccheggiai, osservando silenziosa la donna che usciva dalla stanza.

La crisi durò alcuni infernali minuti. Non mi sfuggì l’occhiata apprensiva che mi riservarono le infermiere, né quella che mi rivolse Carlisle. La mia guarigione, la mia guarigione fisica, non sarebbe stata semplice né tanto meno scontata.

 

Ero addolorata, frastornata. Stavo peggio. Mi ero fidata di Edward, e gli avevo giurato, promesso, che sarei guarita, che ce l’avrei fatta. Che mi sarei fatta aiutare. Ma da quando quella donna era entrata nella mia vita stavo solo peggio.

Era svanita l’illusione della guarigione. Vedevo solo dolore.

E ora non potevo neppure pretendere l’aiuto di Edward. Non potevo avere l’aiuto di nessuno. Mi sentivo abbandonata, tradita. Immaginai i pensieri di ognuno dei miei conoscenti, tutti identici a quelli della psicologa. E mi sentii condannata.

«Nessuno ti giudica. Lei sta solo cercando di aiutarti».

Rimasi silenziosa, respirando piano.

Carlisle mi accarezzò il viso. «Ti vogliono tutti bene Bella, stanno solo cercando di aiutarti. Nella vita, a volte, ci sentiamo soli, depressi. Non per questo dobbiamo lasciarci andare. L’importante è reagire sempre».

«Edward. Non c’è» bofonchiai. «Mi ha lasciato anche lui».

Carlisle sorrise. «Vuole solo che cominci a reagire. Sta facendo del suo meglio per non correre da te e rassicurarti, prendendosi anche tutte le responsabilità delle tue azioni. Ma, Bella, non sarebbe un bene per te».

E così era quello il punto. Dovevo prendermi la responsabilità delle mie azioni?! Lo avrei fatto, lo volevo fare. Ma non ci riuscivo, non il quel modo. No. «Mi odia… lei mi odia. Io ci ho provato, ma… non ce la faccio Carlisle… mi fa male…».

«Lei è solo la tua coscienza, non ti odia».

Strinsi i pugni, chiusi gli occhi. «Non so se posso farlo così».

Sentii le sua mani sulle mie. «Provaci, te la senti? Ancora un giorno. Ascoltala piano, prova a capire quello che vuole dirti. Ogni cosa migliorerà».

 

L’indomani si presentò con lo stesso silenzio del primo giorno. Si aspettava che parlassi io? Non avevo paura di farlo. No. Non ne dovevo avere.

«Lei sostiene che io mi voglio fare del male. Perché?» chiesi, seria, rompendo il silenzio ronzante e crescente con voce tremula. Tutta la notte ci avevo pensato.

«Forse questa è una domanda che dovresti fare a te stessa».

Sospirai. Volevo propormi con uno stato d’animo aperto, il più possibile. Eppure non potevo evitare di essere sulla difensiva. «Io volevo solo che gli altri si accorgessero di me, volevo solo… non so cosa volevo. Ma non volevo farmi male».

«Lo sai che il dolore non si può convertire in affetto?».

«L’ho imparato» ammisi. Subito dopo sollevai lo sguardo, aspettandomi una contraddizione che non arrivò.

«Vuoi davvero guarire?» chiese invece.

«Si».

«Perché?».

Presi un respiro, riflettendo piano. «Perché non voglio fare stare male Edward».

«E basta?».

Mi morsi il labbro, sentendo gli occhi bruciare. Pensavo che se quelle lacrime fossero sfociate avrebbero distrutto le mie difese, i miei buoni propositi. Sarei stata ancora più debole e vulnerabile. «I miei genitori» biascicai.

«Nient’altro?».

Sentii il respiro velocizzarsi, la gola stringersi. «Io voglio vivere… Ho avuto paura di morire. Quindi voglio vivere, voglio vivere davvero. E ho ancora paura. Perché… perché il mio cuore batte veloce, e mi fa male. Perché il mio corpo non mi vuole più. Ma io si. Io voglio vivere» singhiozzai.

Si avvicinò, mi prese fra le braccia, mi strinse, accarezzandomi la schiena. La lasciai fare, lasciandomi andare placidamente. Era calda, morbida e rassicurante.

«Voglio che il mio cuore continui a battere… Non voglio che si fermi… Non voglio…».

Mi accarezzò ancora. «Non posso dirti che non lo farà. Ognuno di noi, in fondo, ha la sua ora. L’importante è vivere il tempo che abbiamo con la consapevolezza di averlo voluto vivere davvero».

Mi sollevai, quel tanto che bastava per poterla guardare in viso. Sentii la gola stringersi incredibilmente, eppure le parole riuscirono a lottare e venir fuori. «Non so se me lo merito, ma voglio vivere».

«Non si tratta di meritarselo. Dipende solo da te. Lo vuoi?».

«Lo voglio».

 

Quando la porta della mia stanza si aprì, ne sentii il suono. Avevo gli occhi chiusi, ma la testa pulsava ad ogni rumore. L’ammissione della mia colpa non mi aveva dato ristorazione, ma mi aveva concesso di cadere in un confuso torpore.

Potevo pensare, riflettere. Concedermi di sottostare silenziosamente al flusso dei miei pensieri. Avevo più fiducia nella dottoressa Mc Green. Avevo più fiducia in me. Ma la strada, ora, mi appariva per quello che era. Lunga e interminabile.

«Come stai?» mi chiese cortesemente Edward.

Aprii gli occhi, fissandolo. «Mi sei mancato terribilmente» confessai senza pudore. Senza paura di rivelare la mia sofferenza.

Mi accarezzò il viso, mi baciò le guance. Mi prese fra le braccia, sfilandomi dalle coperte e stringendomi a sé, pur attento a non farmi male. «Va meglio?» domandò, carezzandomi dolcemente. «Sei triste».

Scossi il capo. «Solo un po’ malinconica. Non mi abbandonerai, vero Edward? Mi fai stare meglio. Ho bisogno di stare meglio».

Fremette, preoccupato. «Non ti abbandonerò. Ti farò stare meglio sempre, per sempre. Voglio che tu sorrida. Devi stare bene amore, devi stare bene…».

Rimasi fra le sue braccia, taciturna, non riuscendo, in ogni caso, a prendere sonno. Mi lasciò andare fra le lenzuola, scomparendo per alcuni istanti.

Avevo appena grattato con le unghie la superficie del mio dolore. Quanto bastasse per vedere il terrore che vi si celava sotto. Potevo ancora tirarmi indietro. Eppure, sotto la coltre di dolore, mi aveva assicurato da dottoressa, ci fosse una quieta luce. Non brillante e sfavillante, e neppure costante. Ma c’era. E se volevo vivere davvero dovevo arrivarci.

Attraversando e cancellando il dolore.

Edward tornò da me con un sorriso pieno, volto ad illuminare il mio umore. «Come ti senti?» chiese, scrutandomi, «hai dolore?».

Scossi il capo, fissandolo incerta. «Poco».

Due secondi più tardi un’infermiera entrò nella stanza con una sedia a rotelle. Lo fissai, interrogativa.

«Vuoi uscire un po’ fuori? Ti porto io. Ti divertirai, vedrai» sussurrò, accarezzandomi il viso.

 

Edward

 

 Allontanarsi da lei, anche solo per pochi giorni, era stato incredibilmente difficile. Ma sapevo perfettamente che lo facevo per il suo bene, e continuavo a ripetermi ogni cosa sarebbe andata al suo posto.

La dottoressa Mc Green era una conoscenza di mio padre, perfettamente specializzata in questo genere di cose.

«Devi fidarti» aveva detto Carlisle.

Eppure, fin da subito mi era apparso chiaro quanto Bella soffrisse di quelle sedute.

«Fidati, dalle tempo. Migliorerà».

Ogni pomeriggio la trovavo distrutta, disperata, in lacrime. Disperatamente aggrappata alle mie spalle, a piangere.

«Edward» la voce di sua madre, Reneè, così simile alla sua, aveva interrotto il mio placido passaggio nel corridoio. Aveva la voce arrochita, e i suoi occhi erano ancora secchi e rossi.

Avevo osservato, in quei giorni, i genitori di Bella fare avanti e indietro dall’ospedale. Non era una questione che Bella era riuscita ad affrontare, ancora, ma mi pareva che fosse quantomeno consapevole di quello che aveva fatto. Loro, dalla loro parte, si sentivano in colpa per non essere riusciti a comprendere tempestivamente i problemi della loro figlia. Erano estremamente afflitti.

Reneè abbassò il capo, lo rialzò. «Mi dispiace. Non sono stata una buona madre per mia figlia, ma… ti ringrazio. Ti ringrazio infinitamente per tutto quello che hai fatto per lei».

Posai una mano sulla sua spalla, così vicino alla disperazione che sentivo nei pensieri di quella donna. «Bella è solo molto fragile. Sono naturali delle incomprensioni. Ma se non le volesse così bene non avrebbe neppure fatto nulla per farsene volere».

Abbassò il capo, lo alzò. Si gettò fra le mie braccia, ricominciando a singhiozzare. Rimasi qualche secondo spiazzato da quel contatto così vicino, destabilizzato, dalla sensazione di deja-vù.

 

Dopo tre giorni dalla prima seduta, Carlisle venne da me, finalmente con un sorriso. «Buone notizie» dichiarò col pensiero. «La dottoressa dice che oggi ha reagito come si aspettava, finalmente. Sai anche tu quanto in psicologia le conquiste siano effimere talvolta, ma è comunque un ottimo segnale di reazione».

Sospirai. Chiusi gli occhi, sorrisi, debolmente. «Grazie». Finalmente, la speranza che andava assopendosi era stata nuovamente alimentata.

Ma quando andai da lei aveva le palpebre chiuse, era silenziosa. Mi parve chiaro, nello stesso istante in cui sentii una stilettata dritta al cuore morto, il suo stato d’animo. Mi ero illuso, convito, che le cose potessero andare meglio. Avevo ignorato il suo dolore come un sordo ignora il silenzio. Ma se stessi, invece, sbagliando ogni cosa?

Da troppo tempo su quelle labbra non vedevo più il sorriso. Da troppo mi sembrava stanca e assente. Non potevo, ancora, vederla così.

La lasciai sola per andare, animato, nello studio di mio padre. «Carlisle». La dottoressa Mc Green, seduta sulla poltrona di fronte alla scrivania, mi guardò.

La salutai cortesemente, provando a non leggerle nel pensiero. Non mi era concesso sapere della terapia di Bella, a meno che lei stessa non me l’avesse rivelata. Non era quello il mio compito.

«Parla pure Edward. Devi parlare di Bella, non è così?». La dottoressa era decisamente diretta.

Mi volsi verso mio padre. «E’ incredibilmente taciturna, spenta» ammisi preoccupato. «Qualcosa non va».

«E’ doloroso, ragazzo, non ho mai detto che non lo sarebbe stato…».

Il mio sguardo volò dalla figura della dottoressa a quella di mio padre. «Sa quello che fa».

Fremetti. «Bella sta incredibilmente male. Ho aspettato, ma non posso vederla ancora così» dissi con tono autorevole. Non potevo ancora vederla soffrire a quel modo.

«Edward, calmati» intervenne mio padre, alzandosi e venendomi incontro. «E’ solo la fase iniziale, migliorerà. Devi essere forte, per lei, Edward. Non ti preoccupare, andrà tutto per il meglio. Calmati, non sei lucido ora.».

Sospirai, scuotendo il capo, tentando di riacquisire la piena potestà delle mie facoltà mentali. La verità era che quando si trattava di Bella non potevo essere lucido. Vederla soffrire ancora mi faceva incredibilmente male.

Chiusi le palpebre, lentamente. Le riaprii. «Vorrei fare qualcosa per farla stare meglio. Almeno… distrarla. Farla uscire un po’, nel cortile».

Mio padre vagliò velocemente, mentalmente, le sue condizioni. «Chiedile se se la sente. Non farla stancare».

Annuii, leggermente rinfrancato.

Prima che potessi uscire, però, la dottoressa richiamò l’attenzione su di sé, sia mentalmente che verbalmente. «Purtroppo non posso darle la felicità, non subito» disse, e i suoi pensieri non poterono non essere addolorati «ma puoi farlo tu, Edward. Sarà molto dura, ha bisogno di qualcuno che le stia accanto. Ti ha citato. Ci tiene molto a te».

Annuii, ancora. Il suo sguardo determinato bruciava ancora nel mio. Non avrei permesso a nessuno di interferire. Volevo farla felice, ad ogni costo.

 

Bella

 

Mi strinsi nella giaccia, osservando senza parlare gli altri malati intorno a me, che si trascinavano o venivano trasportati nel cortile dai colori spenti. Rabbrividii, e Edward si fermò, mi sorrise, sistemandomi meglio la coperta che avevo sulle gambe e continuando a spingermi sulla sedia.

«Ti piace?».

Annuii.

«Mi dispiace che non ci sia il sole, sarebbe stato più bello. Ma in quel caso» si avvicinò al mio orecchio, sussurrando «in quel caso non avrei potuto farti compagnia».

Aggrottai le sopracciglia, distratta dai miei pensieri. «Cosa succede al sole? Ti… sciogli?» chiesi, con una punta di apprensione.

Ridacchiò, fermando la sedia sotto una grande quercia. «No. Un giorno te lo mostrerò, promesso. Niente di inquietante, comunque».

«Quando sarò fuori di qui?» chiesi, e non potei nascondere la speranza. Speravo. Speravo davvero di potercela fare.

Mi sorrise, mi accarezzò una guancia. «Si, Bella, quando sarai fuori di qui».

Mi prese fra le braccia, avvolgendomi nella coperta e sistemandomi fra le sue. Si sedette sull’erba, le spalle contro il tronco dell’albero, canticchiando e tenendomi stretta a sé.

Era uno dei momenti a cui agognavo, a cui ognuno tende inesorabilmente, ma che si verificano proprio quando meno ce lo aspettiamo. Mi sentivo incredibilmente tranquilla. Tranquilla e in pace, come raramente lo ero stata.

Era uno di quei momenti infiniti e sospesi, che non sono nel mondo reale ma che finiscono celermente nell’iperuranio.

E così dovevo faticare ancora moltissimo per riuscire a raggiungere una non durevole quiete. Sentivo la sua mano sfiorarmi i capelli, le sue parole dolci pronunciate a fior di labbra. Ma tutto, dipendeva dalla mia volontà. Dovevo solo lottare per ottenere quello a cui anelavo.

Improvvisamente strinsi con la mano la maglietta del pigiama, serrando le palpebre e gemendo. Ancora, il cuore impazziva in me.

«Bella?! Respira, stai calma. Ora ti porta subito dentro, non ti preoccupare».

Scossi il capo sul suo petto, rannicchiandomi, sperduta. Ansimai, mentre il cuore terminava la sua folle corsa. Ero completamente sudata. «Edward…» biascicai.

Fece per alzarsi, ma lo trattenni, portando le mani al suo collo e fissandolo negli occhi, ancora tremante e boccheggiante.

«Io…» ansimai. Chiusi gli occhi, e malgrado la mia gola si stringesse in un magone, le parole riuscirono a lottare abbastanza per venire fuori. Una lacrima mi solcò il viso.

«Io… io… sono… bulimica».

 

 

Salve a tutte.

 

Dunque. Preciso che per una scelta stilistica e narrativa, la fase d’inizio, l’incipit, non viene, solitamente espressa in modo chiaro e dettagliato.

Altre scrittrici mi correggano se sbaglio, ma è estremamente più semplice cominciare da metà ed accordare gli sviluppi di qualcosa con la fase precedente.

 

Ho deciso di scrivere dell’inizio della terapia, perché ho pensato che servisse, per il carattere stesso della storia.

 

Ora. Già mi scuso, perché so che potrei aver sbagliato tutto. Ma ho pensato che a Bella servisse qualcuno di esterno, per ora, qualcuno che le facesse aprire gli occhi, in modo che non finisse a crogiolarsi nella comprensione e nella consolazione di chi le sta intorno.

Perché LEI deve assumere le responsabilità delle SUE azioni. E non potevo permettere che lo facesse Edward, i suoi genitori, o chiunque altro.

 

Non credo sia semplice dichiarare, soprattutto ad alta voce, i proprio problemi. Io non ci riuscirei.

 

Prossimamente, comunque, anche Edward farà del suo.

Prossimamente = prossimo capitolo, visto che ne rimangono solo due, credo!

 

Ebbene, si. :)

 

Ringrazio tutti, perché siete stati degli angeli mandati dal cielo! Grazie. :* :* :*

 

Sul mio blog, qui sotto, troverete le date dei miei aggiornamenti, e un piccolo spoiler. Inoltre, li riporterò anche su Twitter. Il mio nick è @Keska92. :*

 

 

(fatto da Elena)

«--BLoG!!!--»

 

www.occhidate.splinder.com

 

 

cullenpersempre Non credo proprio che tu possa essere definita una persecuzione, anzi. Direi, più che altro, una vera manna dal cielo, sai?! Emoziona, me, in modo incredibile, sapere di poter avere suscitato in te tali emozioni. Mi dispiace, per quello che ti è accaduto. Non vorrei, in alcun modo, aver urtato la tua sensibilità. E’ stato difficoltoso scrivere questa storia, immedesimarmi nella sofferenza dei miei personaggi. Fare loro la mia. Ma, ora, posso davvero dire di esserne soddisfatta. Non chiedo di meglio. Solo, grazie. :*

Dreamerchan Ciao! Scusami, perché l’altra volta avrei voluto risponderti personalmente, anziché fare un appunto generale. Ho voluto ribadire il mio pensiero solo perché non volevo si creassero equivoci. E’ vero, di solito le conseguenze delle bulimia non sono così immediate, come ho scritto in questa storia. E’ una cosa rara. Tuttavia, la bulimia crea comunque un quadro clinico generale che porterà a generali e varie patologie. Ecco, volevo rendere chiaro questo. :) Ti ringrazio per tutti i complimenti, sei stata un tesoro. Grazie.

bigia Non ti preoccupare! Grazie infinite, in ogni caso. Volevo rendere ad ogni costo reale questa storia. E’ quello che ho cercato di fare. :)

Luna Renesmee Lilian Cullen Grazie mille, carissima. Sei sempre più e troppo gentile con me. E’ semplicemente quello che penso. Molte volte, io stessa, mi ritrovo a pensare che sia “troppo”. Troppo dolore, troppo male, troppa malinconia. Mi sono accorta che la felicità è effimera e non è una meta salda. Una volta raggiunta bisogna fare di tutto per conservarla. Per dirla scientificamente, credo sia l’infinita entropia dell’universo, continuamente in crescita! Beh, comunque la si dica, è quello che penso. Grazie. Non credo di poter dare insegnamenti a nessuno, spero, comunque, di non nuocere ad alcun altro. :)

Jordy Klein E’ vero, di queste malattie si muore. Sono insidiose, soprattutto la bulimia. E, certo, a volte non avviene in tutti i casi, certo, a volte non troppo celermente e clamorosamente, ma si muore, eccome. Grazie, grazie, per le tue parole stupende. Onorata di averti come lettrice.

patu4ever Grazie carissima! E’ vero, lo so, detesti i finali. Ma, purtroppo, ogni storia deve averne uno, e io sento che per questa è arrivato il momento giusto per mettere la parola “fine”. Se lo merita, credo. La mia mente è troppo proiettata in avanti in questo momento, nel mio cuore, nella mia mente, la storia ha già fatto il suo corso. Sono contenta di aver interpretato bene le emozioni di Bella, non smetterò di provare a farlo! :*

Austen95 Grazie, e scusa se non ho postato tanto “presto” :P

mazza Oh tesoro, grazie. Non lo so, sinceramente, non so proprio come io possa aver trovato il coraggio di scrivere questa storia. Se ripenso ai primi capitoli, penso a quanto mi sono scoraggiata, all’inizio, comprendendo sempre più la difficoltà che comportava questa storia. Non volevo insegnare nulla a nessuno. Non volevo, anche, e soprattutto, ferire nessuno. Se qualcosa è successo, se ho fatto il bene di qualcuno, non posso che esserne contenta. Io, dal canto mio, sarò contenta di aver semplicemente scritto una storia reale. Grazie piccoletta! Grazie, per aver letto tutti quei capitoli insieme! Prepara tanti fazzolettini, che la storia è quasi finita! Ma anche questo fa parte del suo realismo, no?! Un bacio. :*

endif  Cara Maria Luisa. Grazie. Non avevo nulla da perdere nello scrivere quello che ho scritto. Il mio unico limite, l’unico che mi sono auto-imposta, era quello di non scrivere nulla con superficialità. Non ferire la sensibilità di nessuno. Posso solo immaginare di ritrovarmi nei panni di Bella, e, non so. Non so quanto sia vero quello che ho scritto. Ho solo provato a renderlo tale. Non manca molto ormai alla fine. Ma di sicuro questa storia finirà come è cominciata. Con realtà. Grazie. A presto. Grazie.

elysa 172 Grazie! Grazie di aver commentato comunque, mi hai fatto davvero felice. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Spero, per il futuro, di non deluderti. :*

annalie Grazie. Ogni tua lacrima è la mia. Ogni tua emozione la mia. Grazie. Grazie.

Sognatrice85 Già, vale sempre la pena di vivere. Anche quando soffriamo. Anche. Edward la aiuterà, Bella capirà. Si può fuggire al dolore, l’importante è continuare a farlo.

lindathedancer  Ogni cosa ha un inizio e una fine. Una fine, soprattutto. Anche questa storia. Ed è meglio così, credimi, è meglio così. Grazie, per tutte le parole magnifiche. Verità, realtà, dovevano essere i secondi titoli di questa storia. Ci sono riuscita? Forse, un po’. Mi basta anche solo un po’. Con verità terminerà. Nulla più, nulla meno.

chi61 Oh beh, presto finirà anche Cullen’s Love. Sono contenta che continui a seguirmi con ancora così tanto affetto, grazie. Grazie. Hai perfettamente ragione, la trasformazione le darebbe solo un corpo nuovo. Ho pensato che in questo capitolo Bella dovesse essere affiancata da una persona estranea, in grado di usare anche parole forti, che non si assumesse semplicemente la responsabilità delle sue azioni. Nel prossimo capitolo potrà essere aiutata anche da Edward, avrà i suoi compiti anche lui. Grazie ancora. Sei un tesoro con me.

Eva17 Grazie mille. L’emozione è la mia.

shasha5  Grazie, ti adoro anch’io! *.* beh, la trasformazione verrà, ma non è una cosa importante, né dev’essere una scelta che liberi Bella dalle sue responsabilità. Non è una cosa importante, capisci? La sua vita dev’essere quanto più possibile reale. Se verrà, la trasformazione dovrà essere completamente divincolata in cause e fatti dalla malattia. :)

irly18 Oh! Sei stata semplicemente gentilissima. Davvero, non avevo intenzione di dare un insegnamento a nessuno. Ho solo scritto, quello che volevo scrivere. Ho solo scritto. Ho solo scritto, provando a non fare del male a nessuno, a non urtare la sensibilità di nessuno, ad essere reale e realistica. Solo questo. Non avevo davvero alcun secondo fine. Ti ringrazio per ogni parola. Non è semplice, per niente, per nessuno, mettere per iscritto le proprie idee. Il 90% delle volte fa male, te lo posso assicurare. Ne vale la pena per il restante 10%. Grazie, ancora.

SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate Ma no, non detestare Charlie e Reneè. Loro vogliono bene a Bella. Lei è una ragazza fragile. Hanno sbagliato, hanno sbagliato tutti. Ma non è facile crescere in un determinato clima familiare. Recupereranno, lo prometto. :) Grazie, di tutto. :*

beta persei Grazie infinite. Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto. Lo scrivendo questi ultimi capitoli con un stile un po’ diverso, un po’ più scorrevole, un po’ più dialogato. Sento l’esigenza di esternare in questo modo le sensazioni, perché esaminarle direttamente dall’interno sarebbe decisamente troppo difficile. Spero di continuare bene. Manca poco alla fine, meglio non rovinare tutto proprio ora. Ancora, grazie.

lilly95lilly Grazie, immensamente. No, non è stato un compito semplice. Questi ultimi capitoli, in quanto tali, mi lasciano un po’ di amaro in bocca. Ma comunque doveva andare così, fa anche questo perte della “vita reale”…

silvia16595  Grazie tesoro. :) Hai una solarità che mi sorprende, capace di farmi sorridere sempre. Grazie mille, di tutto. Ero sicura che ti saresti trovata in accordo con me. Bella potrà essere trasformata, in futuro, ma non è importante per ora. Perché non deve farlo per guarire. Non deve farlo per sfuggire alla sua malattia. La deve affrontare. :) Grazie. :*

congy Federica! ^^ Si, in effetti ho pensato che una trasformazione non fosse adeguata. Insomma, ho scritto questa storia con l’idea di scrivere qualcosa di reale, il più possibile. Risolvere i problemi velocemente, in modo irreale, con una trasformazione, sarebbe stato in contrasto con ogni principio che invece sto cercando di comunicare. Grazie, di tutti i complimenti. Felice di farti emozionare, come non mai. :*

damaristich Beh, si. Ne mancherebbero due, tre al massimo. Non voglio scrivere troppi capitoli. Anche questa storia ha avuto il suo corso, è giusto che venga conclusa, prima che inizi a blaterare… :)

Wind Si, grazie. In questo capitolo, i particolare, ho voluto ribadire questo concetto. Accettare, riuscire a dichiarare il problema, è il primo passo verso la guarigione. Ho provato a dare il meglio di me per non sbagliare. Non sono una psicologa, ho solo potuto immaginare. :*

 

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Capitolo 22
*** Piccoli gesti ***


Edward

Edward

 

I giorni erano trascorsi lenti e tranquilli. Passavo la maggior parte, se non tutto il mio tempo, in ospedale. Bella si stancava facilmente, per via dei medicinali, per via delle sue condizioni fisiche. Ma la cosa peggiore avveniva quando si stancava mentalmente; gli incontri con la psicologa erano estenuanti.

«Si, sta facendo dei passi avanti». La voce della dottoressa mi arrivò chiara, anche se a separarci c’erano ancora almeno cinquanta metri, e il suo tono non più di un sussurro. Ero nel corridoio del primo piano, dove si trovava la stanza di Bella. «Ovviamente queste sono cose che guariscono solo con molto, molto tempo e con costante esercizio».

Charlie e Reneè l’ascoltavano attentamente, entrambi rimproverandosi per la loro incapacità. «Ci dispiace così tanto… Non abbiamo idea di quello che potremmo fare. Reneè è venuta a stare un po’ da me, ma…».

«Non abbiamo idea di quello che dobbiamo dirle» concluse la donna. Era sinceramente provata.

La dottoressa strinse le labbra, valutando quello di cui avrebbe dovuto renderli partecipi. Rallentai appositamente il mio passo. «Perché guarisca ha bisogno di un’atmosfera serena. Ha bisogno che le stiate accanto, che la aiutiate, eppure che siate decisi e risoluti. Mi rendo conto che non è semplice. Siete in buoni rapporti?» chiese discretamente.

Reneè si voltò velocemente verso Charlie, affrettandosi ad annuire. «Si, si, certo. Non ci sono problemi. Ci chiedevamo solo se non sarebbe meglio che tornasse con me. Il mio nuovo marito si è trasferito a Jacksonville, e magari cambiare aria le farebbe bene, la aiuterebbe a ricominciare…».

Gli occhi della dottoressa andarono oltre la sua spalla, soffermandosi su di me, ormai troppo vicino. «Non credo che sarebbe un bene, per lei». Pensava che la mia assenza potesse definitivamente destabilizzarla. «Edward» mi salutò.

Entrambi i genitori si voltarono verso di me. Reneè era sollevata, in un certo modo grata. Charlie si sentiva in colpa per la reazione che aveva avuto nei miei confronti. Aveva capito che ci fosse qualcosa che non andasse in sua figlia, e aveva sbagliato provando a capire cosa.

Li salutai con un cenno del capo e un piccolo sorriso.

«La sua malattia si è manifestata qui, e questo è un bene. Ma le radici che ha non risiedono in questo. É stato qualcos’altro a darle la spinta per evidenziare il suo problema. Non è una patologia che si individua semplicemente».

Feci per entrare nella stanza di Bella. Non volevo entrare in questo modo in un discorso che doveva essere privato. Ma prima che potessi farlo i pensieri della dottoressa mi bloccarono.

«Aspetta, Edward» disse subito dopo, «devo parlarti».

Ci allontanammo dalla porta, e i genitori di Bella ci seguirono.

«Ho parlato con tuo padre, il dottor Cullen» fece, voltandosi verso i genitori di Bella, «ha detto che oggi potrà riprendere ad assumere del cibo liquido. É una cosa molto importante» sottolineò, guardandomi negli occhi.

La fissai qualche istante in silenzio, scrutando fra i suoi pensieri. «Cosa dovrei fare?».

«Ha bisogno di supporto. Non posso presenziare io stessa, perché non vorrei che assumesse l’atto del nutrimento come un fatto clinico. Mangiare deve essere naturale. Quindi, vorrei che presenziassi tu».

Sollevai le sopracciglia, piuttosto sorpreso.

Alla dottoressa non sfuggì la mia reazione. «Normalmente chiedo di farlo ai genitori» si voltò lievemente, una ruga sul viso «in questo caso, Bella ha molti meno problemi da risolvere con Edward che con voi. Non sarebbe una buona idea».

Era stata estremamente sincera. Niente che non fosse già piuttosto chiaro a Reneè e Charlie, ma sentire pronunciare quelle parole li scosse profondamente.

Bella aveva sviluppato un rapporto conflittuale con la sua famiglia, sentendosene rifiutata. La psicologa aveva cominciato ad analizzare, durante le sedute, questo aspetto. Lei si sentiva causa della rottura familiare, causa della percepita carenza di affetto, e così si ritrovava a ripiegare il proprio odio su se stessa e sulla sua persona, rendendosi incapace di amare e farsi amare. Per questo il matrimonio con Phil, segno dell’ennesimo fallimento della sua famiglia, l’aveva messa in crisi.

«Va bene» sussurrò Charlie, la voce debole e rotta.

Reneè gli prese la mano, stringendola.

Era cosa fragile e labile la psiche umana.

La dottoressa si voltò nuovamente verso di me, studiandomi. «Te la senti?».

I miei occhi assenti ritornarono sulla sua persona. Annuii.

Mi riteneva la persona più adatta per il sincero sentimento che Bella era riuscita a provare nei miei confronti. Mi riteneva il più adatto perché la mia presenza non sarebbe stato nulla di eccezionale nella giornata, e così doveva essere il momento del suo pranzo.

 

Bella

 

«E quell’infermiera è un po’ strana con me, forse si sente in colpa perché non riesce a trovarmi subito le vene…» scherzai debolmente, gesticolando.

Edward fece una ristata carica di contegno. Intanto, i suoi occhi mi studiavano attentamente. «A parte questo va tutto bene?» chiese, prendendomi la mano che avevo portato a mezz’aria fra le sue.

Annuii, poco convinta. Non era semplicissimo, ma facevo del mio meglio per non dare a vedere quanto sforzo mi occorresse per mostrarmi così com’ero. «Si… tutto bene» biascicai. Mi lasciai andare con la schiena sui cuscini, appoggiati contro la spalliera del letto.

Sentii una lieve fitta al petto e chiusi per un secondo gli occhi. «Carlisle dice che se la frattura comincia a rimarginarsi fra una settimana potrò uscire». Eppure, per quanto in vita mia avessi sempre odiato gli ospedali, questa volta tornare a casa dai miei genitori non era poi una così bella prospettiva.

Edward mi sfiorò la guancia con un palmo della mano. «Tornerai a casa quando starai… meglio».

Sospirai, senza rispondergli, richiudendo gli occhi.

L’infermiera entrò in camera, trascinandosi il carrellino. Solitamente a quell’ora aveva luogo la mia alimentazione artificiale. Ma questa volta sul carrello c’era una cloche.

Quando l’odore del brodo mi arrivò al naso provai uno strano senso di disagio. Non avevo propriamente fame, il cibo non mi era mancato particolarmente in quei giorni. Eppure, ora che quel piatto era lì, davanti a me, costituiva come una sorta di minaccia.

In tempi più remoti avrei assicurato a me stessa di potercela fare. Avrei dichiarato certamente di poter cambiare, che quello per me non rappresentava un problema. Lasciarmi tutto alla spalle come passato.

Ma ero già stata schiava di queste considerazioni, e anche di diverse ricadute. Non potevo avere questa cieca fiducia in me.

Mi voltai verso Edward. Mi guardava sereno, sorrideva. Eppure i suoi occhi, lì, in fondo, erano spaventati.

Il mio sguardo cadde nuovamente sul piatto dinanzi a me. Ci voleva coraggio, e ci voleva consapevolezza. Quella che mi assicurava della presenza di un problema e quello che mi dava la forza per poterlo superare.

«L’odore del cibo umano non mi attira affatto. Ma questo dovrebbe essere buono» affermò Edward naturalmente. Mi face sentire più a mio agio.

Il primo boccone fu il più difficoltoso. Non ero pronta al lieve dolore che avvertii a livello dello sterno. Il brodo era caldo, non ne sentivo quasi il sapore. Edward mi aiutò dolcemente, soffiando sulla superficie del liquido. Il secondo sorso fu tiepido, così riuscii a distinguere il gusto del cibo. Era insipido, non particolarmente buono. Continuai a mangiare silenziosa. Edward perlopiù taceva, lasciandomi concertare sui miei gesti. Solo di tanto in tanto interveniva con commenti, costringendomi ad interrompere il pranzo per alcuni istanti.

Finii nel giro di un’ora. Non credevo di aver impiegato mai tanto tempo per mangiare, ma non potevo non essere soddisfatta di come erano andate le cose. Sentivo di aver conquistato qualcosa, aperto solo un piccolo pertugio, e mi sentivo bene.

Era andato tutto bene. Tutto bene.

Edward si premurò di socchiudere le veneziane per filtrare la bianca luce di Forks e permettermi di riposare. Mi sistemò i cuscini dietro la schiena, in modo da farmi stare semi-seduta sul letto.

«Vuoi che ti legga qualcosa?» mi chiese gentilmente, sottovoce.

Aprii gli occhi, concedendo ad entrambi un timido sorriso. Scossi il capo. «Raccontami qualcosa della tua famiglia».

I suoi occhi si addolcirono. «Ti ho già raccontato tutto Bella».

Arrossii, imbarazzata. «Io… non intendevo quella famiglia».

Notai nei suoi occhi l’improvvisa sorpresa. Non gli avevo mai fatto domande sulla sua umanità.

Non era mia intenzione metterlo a disagio. «Io… scusa…» farfugliai.

Scosse il capo, aprendosi in un sorriso. «No, va bene» i suoi occhi si persero in lontananza «è che a dire la verità non ricordo molto. Sai, quel tipo di memoria, col tempo, tende a scomparire. Ricordo che mio padre era un avvocato, il tipico medio borghese, portava il mio stesso nome; mia madre si chiamava Elisabeth».

«Vi volevate bene?».

Il suo sguardo si posò sul mio. «Non so se hai in mente un modello di tipica famiglia dei primi del ventesimo secolo. Mio padre aveva un certo distacco nei miei confronti, com’era giusto che fosse. Con mia madre, invece, avevo un rapporto più intimo. Almeno finché non entrammo in contrasto per i miei ideali bellici» sorrise, consapevole, a puntò i suoi luminosi occhi nei miei «ma non credo di aver risposto alla tua domanda, sai?» fece un piccola pausa «credo di averti detto come ogni cosa appariva, quali erano i nostri comportamenti. Ma, si, malgrado ogni cosa, malgrado ogni evidenza, si, ci volevamo bene. Se volersi bene vuol dire soffrire l’uno per l’altro, volere il bene del prossimo, desiderare la sua felicità. Allora, ci volevamo molto bene».

Avevo ascoltato il suo discorso con attenzione e silenzio, e ancora continuava a volteggiare nella mia mente. Soffrire l’uno per l’altro, volere il bene del prossimo, desiderare la sua felicità. Scossi lievemente il capo, per rompere il mio momento di immobilità. «Non avevi fratelli?» chiesi con leggerezza.

Rise. «Penso proprio di no. Non so se mi sarebbe piaciuto, a dire il vero. Essere figlio unico porta i suoi vantaggi. Credo dovessi avere un cane però… mmm… qualcosa del genere…» scherzò.

In quell’istante rammentai di uno degli affetti che più mi erano mancati in quei giorni. Dal tragico giorno in cui ero stata trascinata d’emergenza in ospedale non l’avevo più rivista. E pensare che in un certo modo era stata proprio lei, a salvarmi la vita. «Oh! Accidenti! Mi piacerebbe moltissimo avere Minush qui! Chissà com’è tutta sola… piccola…» sospirai «Non ho mai avuto un gatto così adorabile».

«É…» scelse l’aggettivo adatto a non offendermi «strana» sogghignò.

Un mezzo sorriso comparve sul mio volto. «Direi piuttosto che è unica. Non…» borbottai «non offenderla».

La porta della stanza si aprì, interrompendo le nostre risate. Mi mordicchiai un labbro, abbassando il capo, quando dietro l’anta vidi mia madre.

«Stavate ridendo? Vi sentivate da qui fuori» la voce era debole e cauta.

Non risposi, continuai a rimanere in silenzio. Edward, molto velocemente e con disinvoltura, intervenne nel discorso. «Buongiorno Reneè. Si, hai sentito bene» attese un instante, forse per darmi la  possibilità di intervenire. Riprese quando il silenzio si era fatto ormai troppo prolungato. «Parlavamo di Minush, il gatto di Bella».

«Oh, Minush, certo» si animò mia madre, venendoci accanto, facendo scorrere i suoi occhi velocemente da Edward a me. «É il tuo gattino, vero? L’ho visto, è davvero bellissimo. Non ti preoccupare per lei, ci ho pensato io a darle da mangiare in questi giorni».

Mi morsi la lingua per soffocare le parole. «Non ti sono mai piaciuti i gatti» biascicai sottovoce.

Le labbra di mia madre tremarono. Edward si sollevò dalla sedia, e pensai che se ne stesse andando. Lo fissai terrorizzata. I suoi occhi passarono dai miei a quelli di mia madre, rassicuranti.

«É un gatto adorabile. Ti somiglia molto» disse mia madre. La sua voce era piatta ma decisa.

L’affetto indiretto di quelle parole mi fece trasalire. Sussultai. «Lo è».

Rimase ancora mezz’ora con me a farmi compagnia. Sentivo, da una parte, di volerla vicina, di volere l’affetto che mi stava offrendo. Dopotutto, ogni cosa costruita in quei mesi, era stata volta ad averlo. Ma lo volevo davvero, così? Volevo la sua sofferenza per me? No.

Volevo che ogni cosa andasse apposto. Che tornasse ad essere “giusta”.

Volevo amare serenamente mio padre e mia madre. Volevo farmi amare da loro.

Svegliandomi dal mio riposo pomeridiano gemetti, tentando di capire cosa mi stesse accadendo. Sentivo uno strano torpore, uno strano tremore, in tutto il corpo. Individuai nei sintomi del mio disturbo un forte senso di vertigini.

Poi, la causa di tutto. La nausea.

Mi rannicchiai su me stessa, tremando.

«Va tutto bene?». Sentii al mio orecchio la voce di Edward allarmata.

Gemetti, insicura. Non dovevo dirglielo. Ignoralo Bella, ignoralo. Tu non devi vomitare. Ignoralo. «Va tutto bene» sussurrai, tendendo di nascondere le tracce di sudore sulla fronte.

I suoi occhi preoccupati non smisero di scrutarmi. Rifiutai veementemente tutti i suoi inviti a uscire fuori, a prendere un po’ d’aria. Non sarei riuscita a staccare la testa dal cuscino senza sentirmi male.

Perché, perché dovevo sentirmi così? Sapevo che niente sarebbe stato semplice, ne ero perfettamente consapevole. Ma perché dovevo già sentirmi così? Perché la mia forza di volontà doveva essere così debole?!

Annaspai. Dovevo essere forte, potevo farcela.

«Vuoi che ti legga qualcosa?».

Annuii. Dovevo distrarmi, distrarmi e dimenticare tutto questo. Potevo farcela. Sarebbe andato tutto bene. Io non mi volevo fare del male. Non volevo. Volevo bene ai miei genitori. Bene a Edward. Bene a me stessa. Ce la potevo fare.

Provai qualche minuto di sollievo, rassicurata dalle morbide parole di Edward. Nascosi il viso nella sua spalla, e lasciai che mi accarezzasse la schiena. Ce l’avrei fatta. Ce la potevo fare.

In quella posizione mi calmai non poco, e quando i miei genitori passarono per salutarmi, mi trovarono nuovamente addormentata.

«Scusa, non volevamo svegliarti» sussurrò dispiaciuto mio padre, accarezzandomi i capelli, tremante, come se avesse paura di farmi del male.

Gemetti, ripiegandomi su me stessa, non potendo fare a meno cominciando a piangere silenziosamente. Mi sentivo così male.

«Cosa succede?». La voce di mia madre salì di alcune ottave, allarmata. Non era pronta a questo. Nessuno di loro era pronto ai miei crolli e alle mie lacrime. Erano terrorizzati.

Scossi il capo, ma non feci altro che far aumentare la nausea e le vertigini. Serrai maggiormente gli occhi. Stavo perdendo il controllo del mio corpo. Sentivo la mia volontà così debole, così succube di me stessa.

«Bella» mio padre mi venne vicino, abbassandosi con il viso al mio.

«Cosa succede, cosa le sta succedendo?». Mia madre era terrorizzata, la sua voce stridula.

Singhiozzai. Cosa potevo fare?! In quel momento sentivo di aver bisogno solo di qualcuno che mi potesse aiutare.

Mio padre era preoccupato, eppure cercava in qualche modo di aiutarmi. «Vuoi che ti chiami la dottoressa Green?» chiese tremante.

A quelle parole sgranai gli occhi terrorizzata. Nascosi i capo fra le braccia, piangendo disperatamente, più forte. Non potevo fallire così presto.

I loro occhi mi scrutavano preoccupati. Erano spaventati, destabilizzati dalla mia reazione. Stavano soffrendo.

Stavano soffrendo per me.

«É tutta colpa mia» singhiozzai, straziata, sopraffatta dalla nausea.

Le sue mani mi accarezzarono i capelli. «Non sono sicuro di cosa stia parlando, ma sono sicuro che non è così» affermò convinto.

Mia madre mi prese una mano, stringendosela al petto caldo. «Ci siamo qui per te piccola» singhiozzò «non ti lasciamo, non ti lasciamo mai».

Mi lasciai stringere dalle loro braccia.

«Mi viene da vomitare» biascicai fra i singhiozzi, disperata.

Mio padre si staccò da me, asciugandomi le lacrime sulle guance. «Adesso chiamiamo i dottori, va bene Bella? Sta tranquilla».

Reneè prese il posto di Charlie, stringendomi fra le sue braccia a cullandomi. «Va’ caro, ci penso io a lei. Rimango io con te» fece poi, accarezzandomi i capelli «ci siamo qui noi piccola».

Sentivo che il peso che avevo accumulato sul mio petto si stava sciogliendo. Era tutto finito. Loro mi stavano aiutando. Era tutto finito.

Quando il dolore va via, quello che c’è stato prima sembra solo un brutto scherzo del destino. Bisogna solo saper aspettare. Saper aspettare che passi e intanto continuare a resistere.

Carlisle e la dottoressa Green vennero da me. Rimasero per sincerarsi che stessi bene e per spiegarmi ogni cosa. Era normale dopo interventi come quello che avevo subito, avere la nausea dopo aver mangiato. Non dovevo sentirmi in colpa. Avrei dovuto parlarne subito con qualcuno per farmi aiutare.

«Va tutto bene ora?».

«Più o meno» risposi a Carlisle, socchiudendo gli occhi.

«Stai tranquilla, tra un po’ passerà», fece posando una mano fredda sulla fronte. Quella si che fu un vero sollievo.

La porta della stanza si aprì, facendo passare Edward trafelato e preoccupato. Mi venne subito accanto, prendendomi fra le braccia. Mi baciò la fronte, le guance, le labbra. Doveva essersi preoccupato molto. «Lo sapevo che c’era qualcosa che non andava, lo sapevo» fece velocemente, osservandomi. «Non avrei dovuto lasciarti sola».

«Va tutto bene» sussurrai arrossendo, posando la testa nell’incavo del suo collo freddo.

 

I giorni passarono fra alti e bassi, tutti molto lentamente. Riuscivo a stare bene per poco. L’ospedale cominciava ad essere troppo, per me. Le continue visite, essere sempre nello stesso posto, fare le stesse cose. Tutto mi ricordava il motivo per cui ero lì. E ricordarlo non era mai un bene, perché potevo stare bene, finché ero distratta.

La mia permanenza, inoltre, dovette aumentare a causa di una seconda ondata di febbre che fece insospettire Carlisle e preoccupare tutti come non mai. Per questo decisero di tenermi sottocontrollo ancora un po’.

Malgrado i passi avanti, i miglioramenti che stavo facendo con la psicologa, tutto stava diventando troppo opprimente. Neppure le passeggiate in giardino riuscivano ad alleviare la mia pena.

«Vieni, Bella, guarda com’è carina questa giacca» Alice mi sorrise, sventolando una giacca da camera fine, di alta qualità, proprio davanti ai miei occhi. «Edward ti sta aspettando fuori».

«Non so, Alice» sussurrai annoiata «mi sento stanca, non mi va».

Mi venne vicina in un lampo, facendomi strabuzzare gli occhi. Edward era molto controllato in mia presenza, così pure Carlisle. Dovevo ancora abituarmi al loro lato misterioso e segreto. Riuscì a convincermi ad uscire, letteralmente sedendomi sulla sedia.

«Posso camminare» borbottavo, pur lasciandomi spingere.

«Hai detto che sei stanca» decretò fischiettando.

«C’è anche brutto tempo, oggi. Fra un po’ pioverà di sicuro. Non mi va di uscire» continuai a lamentarmi, facendo finta di non sentirla.

«Non pioverà, fidati» ridacchiò, sicura di sé.

Mi strinsi nella sedia e nella mia coperta, fissando torva i corridoi asettici.

Edward mi stava aspettando sorridente sotto quello che oramai era diventato il nostro albero. Il cielo era grigio e ghiacciato, la giornata estremamente ventosa.

Si chinò sui talloni, accarezzandomi la guancia con una mano. «Tutto bene?» chiese, e mi baciò la fronte.

Annuii, non potendo fare a meno di rallegrarmi delle sua presenza. «Possiamo entrare dentro?».

Mi sorrise dolcemente. «Aspetta qualche minuto» mormorò «fidati di me».

Mi prese fra le braccia, facendomi accoccolare sul suo petto. Come promesso, qualche minuto più tardi avvenne qualcosa che ampliò notevolmente la mia felicità.

I miei genitori mi venivano incontro, con un batuffolo pezzato fra le braccia. «Minush!» esclamai, entusiasta come non lo ero da tanto.

Edward ridacchiò. «Shh, non gridare. Il regolamento dell’ospedale lo proibisce».

Strinsi, davvero felice, il mio gattino fra le braccia. Annusò le mie mani, ne leccò le dita, si mise a miagolare forte, contenta che lei. Risi. «Mi è mancata tantissimo». Era cresciuta.

Edward l’accarezzò e fu strabiliante come il piccolo gattino accettò di buon grado le sue coccole. Evidentemente, qualcosa doveva essere cambiato, dopo che entrambi, insieme, mi avevano salvato la vita.

«Grazie» sussurrai, continuando a giocherellare con la piccolina.

Edward si avvicinò al mio orecchio, sussurrando. «Non devi ringraziare me». I suoi occhi andarono in alto. «É tutto merito dei tuoi genitori. É stata un’idea loro».

Sollevai i miei occhi, e incontri quelli amorevoli e dolci delle persone che mi avevano dato la vita.

Era un piccolo gesto, ma ai miei nuovi occhi significava molto.

Desideravano la mia felicità.

L’avevano sempre desiderata.

Dopotutto, nella vita umana ci sono sempre incomprensioni. Magari, come aveva detto Edward, l’affetto non è quello che sembra. Rinunciarci subito era stato l’errore più grande che avessi commesso in tutta la mia vita.

Ero stata cieca, avevo volontariamente deciso di chiudere gli occhi alla prima luce, la più abbagliante.

Adesso, dovevo riabituarli a vedere in tutta quella luminosità, giorno dopo giorno.

«Grazie» sussurrai, le lacrime intrappolate fra le mie ciglia.

 

 

Scusate per il ritardo, come sempre.

Bene, stiamo procedendo a piccoli passi. E così questo è il penultimo, e dopo il prossimo, metteremo la parola fine anche a questa storia.

 

Bella sta andando avanti nelle sue piccole conquiste, e ho preferito procedere così, con lentezza, piuttosto che sbagliare qualcosa.

 

Mi dispiace se non rispondo alle vostre pur stupende recensioni! Perdonatemi! Vi dico solo grazie, grazie, grazie, e vi mando tanti baci. Non so come farei senza voi. Eppure, siete sempre qui a supportarmi, anche dopo tanto, tanto tempo.

Grazie.

Prometto che la prossima volta vi risponderò! :*

 

Dopo questo capitolo mi devo dedicare un po’ a Cullen’s Love, l’altra storia, per poi tornare e concludere questa.

 

Sono di poche parole anche nel commento oggi. :P

 

Sempre contenta di aggiungervi ai miei followers, e di seguire dal canto mio voi. Cercatemi qui @Keska92, inserirò anche notizie e link del mio blog, con i miei aggiornamenti.

 

 

(fatto da Elena)

«--BLoG!!!--»

 

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Capitolo 23
*** «Vivo» ***


Tutto passa, e il tempo scorre

Tutto passa, e il tempo scorre.

Cose che parevano impossibili si fanno vicine senza che neppure ci sia il tempo di accorgersene. L’animo guarisce. Il corpo si rigenera. La vita va avanti, veleggiando verso la sua fine.

Il giorno in cui lasciai l’ospedale, avevo paura. Paura di lasciare quel posto che sapevo, altrimenti, mi avrebbe protetta, impedendomi fisicamente di fare ciò di cui avevo paura. Mi avrebbe protetta da me stessa.

Eppure l’animo si arma di incredibile coraggio di fronte alla possibilità di un rinnovamento, aprendosi all’opportunità di ottenere qualcosa di migliore, quello a cui sempre l’uomo agogna. Qualcosa di migliore.

Edward mi strinse la mano, e mio padre mi posò la sua sulla spalla. Ricevette il mio sguardo perplesso e imbarazzato, e, no, non fui certa che quel gesto mi facesse stare meglio. Ma sembrava proprio che dovesse essere così, e si sa, l’uomo ha anche la capacità di rendere reale ciò in cui crede.

Tutti mi riservarono una calorosa accoglienza. Mia madre si era temporaneamente stabilita a casa di mio padre, e la cosa, inizialmente, mi destabilizzò non poco. Non osavo accarezzare e contemplare l’immagine di loro due insieme.

Cominciai, invece, a rendermi conto di quanto dovessi accettare quello che era così com’era. Phil venne a trovarci, due volte, e mamma cominciò a tornare più spesso a casa. Ingoiai il magone, la prima volta, e pensai pure a quanto fosse interessante osservare mio padre che si relazionava con loro.

«Phil, vuoi vedere la partita? Oh, è quasi cominciata…».

Li osservavo dalle scale, raggomitolata sui gradini.

«Conosci una tavola calda qui vicino? Sai Charlie» e la sua voce si abbassò «Reneè ha una spiccata fantasia in cucina…».

Il suono delle loro risate mi fece sussultare, e li fissai con ancor più sorpresa. Sembravano rilassati mentre parlavano di mamma. «Oh, i primi anni era anche peggio».

Eppure, quando decisi di scendere le scale, si tirarono su, lanciandomi occhiate cariche di contegno. E mi chiedevo perché facessero così. Mi sentivo male pensando che la mia presenza potesse indurre un tale cambiamento del loro comportamento. Come facevo a capire quali fossero i loro sentimenti? Perché tutto non poteva essere più semplice?

Lo avrei potuto chiedere a Edward, l’unica persona con cui mi aprissi così tanto. Ma lui non c’era, in quel momento, e il pensiero della sua assenza mi fece stringere in un nodo lo stomaco e girare la testa.

«La cena è quasi pronta tesoro, di là c’è Reneè…».

Annuii, dirigendomi in cucina. Nessuno mi chiedeva mai se avessi o meno intenzione di mangiare. Evidentemente, non rientrava nel programma dato loro dalla mia psicologa, con la quale avevo frequenti e puntuali contatti.

Mangiavo ad orari prefissati, cinque pasti al giorno. Non c’era mai molta gente mentre lo facevo, ma non ero mai neppure sola. Il dolore post operatorio era quasi scomparso ormai, e riuscivo a consumare tranquillamente i pasti.

Un modesto piatto di riso al pomodoro comparve dinanzi ai miei occhi. Tutto il cibo di cui mi nutrivo era semplice e privo di particolari condimenti. Mia madre si sedette accanto a me e ne prese una porzione anche per lei.

«Va tutto bene piccola?» mi chiese con una punta d’ansia nella voce.

Non le dissi una sola parola, ma mi feci volentieri stringere fra le sue braccia. Il calore umano, il contatto con un altro essere, era il primo necessario passo per annullare quella solitudine che di tanto in tanto mi aggrediva da dentro.

Tutto passa, e il tempo scorre.

Cose che parevano impossibili si fanno vicine senza che neppure ci sia il tempo di accorgersene. L’animo guarisce. Il corpo si rigenera. La vita va avanti, veleggiando verso la sua fine.

Ero guarita. Il mio corpo stava guarendo. La mia vita andava avanti. Eppure, a volte, non troppo spesso quanto non troppo raramente, sentivo ricomparire la voragine che mi albergava in seno. Nessuno poteva guarirla. Né io, né nessun altro.

Basta un attimo. Un pensiero troppo lento, un vuoto troppo lungo. Un gesto, e la malinconia trasforma in amarezza. Un altro, e l’amarezza diventa tristezza.

Salii silenziosa per i gradini delle scale, e non entrai neppure in camera, ma andai direttamente verso il bagno, chiudendo fuori Minush che miagolava per stare con me.

Mi guardai allo specchio. Eppure, faticai a riconoscermi nella mia immagine. Avevo un groppo in gola, e una vibrante amarezza e tristezza mi avvolgeva da dentro. La mia mente vorticava confusa, ma non riuscivo a trovare nulla, proprio niente di niente, che potesse farmi stare meglio.

Era come se le lacrime si fossero affacciate ai miei occhi senza voglia di scendere sulle mie guance. Il senso di pesantezza e amarezza scese dalla gola alla pancia, e mi tolse il respiro, tanto da costringermi a prenderne uno, profondo e intenso, e a reclinare il capo all’indietro, come se altrimenti non sarei mai riuscita a farlo passare.

Annaspai.

Sentii la nausea avvolgermi intensamente, e automaticamente mi voltai verso il water.

Mi avvicinai alla ceramica bianca e vi posai i palmi delle mani, appoggiandomi di peso. Chiusi gli occhi, sentendomi soffocare, sentendo la nausea impadronirsi di me. Provai a prendere altri respiri, e sollevai le palpebre.

Mi volevo liberare da quella sensazione asfissiante, che era arrivata così, senza senso, senza un motivo, trascinandosi dietro solo tanta tristezza. Volevo liberarmene.

Ma quello, mi avrebbe solo fatto stare peggio. Edward, i miei familiari, me stessa. Ci avrebbe fatti stare peggio. Male. Non volevo stare male.

Poiché dopo tanta pena l’avevo capito. La vita è fatta di alti e bassi. E dovevo solo aspettare che “i bassi” passassero, possibilmente senza disperarmi e soffrire troppo. Portai le mani sulla testa, che non aveva smesso un secondo di girare, e presi un respiro.

Fare quello che mi aveva fatto stare così male. Ora. Che ero così poco lucida per capire quello che stavo facendo.

Non me lo potevo permettere. Non potevo fare diventare quel basso ancora più basso.

Con calma calcolata mi tolsi i vestiti di dosso, sfilandoli e facendoli ricadere in una pila ordinata. Mi sentivo la mente vuota, lo stomaco leggero, e il formicolio alla gola non mi aveva abbandonata. Compivo i gesti ordinari con calma e lentezza, esasperandoli quasi.

Entrai nella doccia, e aprii il getto d’acqua tiepida, lasciando che mi bagnasse completamente il corpo e i capelli. Feci vagare ovunque i miei pensieri, verso il nulla. Quell’agitazione mi stringeva le viscere non mi abbandonava.

Aspetta Bella, aspetta, mi dissi. Passerà, aspetta solo che passi, e tutto andrà bene.

Gemetti. Mi piegai su me stessa, rannicchiandomi, lasciando solo che il getto d’acqua mi colpisse la schiena.

Volevo restare così, a non pensare a niente. Restare rannicchiata su me stessa, con il rumore dell’acqua sulla mia pelle, il tepore che mi provocava in contrasto con i brividi che percepivo in ogni altra parte del corpo. Poggiai gli stinchi e gli avambracci contro le assi in legno del pavimento della doccia, e rimasi, così, a tentare di non pensare a nulla.

Ma i miei pensieri vorticavano, e ben presto me ne trovai ancora sopraffatta.

Gemetti, ancora, sentendomi soffocare.

Volevo piangere, piangere e liberarmi di quel dolore immotivato che era sopraggiunto così in fretta. Non senza un certo sforzo presi ancora un respiro, e sentii gli occhi pizzicare, e un formicolio intenso solleticarmi dalle ciglia al naso.

Un altro gemito mi sfuggì dalle labbra. Il mio corpo cercava automaticamente di liberarsi di quel male. Presi un respiro più agevole quando una lacrima mi percorse il viso.

La lasciai scivolare, senza interrompere il suo passaggio, fino al mento e poi fino al collo.

Tutti i miei successivi movimenti furono sempre lenti e calcolati. Mi fermavo spesso, procedevo senza fretta. Mi sentivo in una strana dimensione, ed ero sola. Mi potevo concedere di vivere con la mente esattamente dove avrei voluto essere.

Con lentezza esasperante abbassai la maniglia della porta del bagno, percorsi i passi, a piedi nudi sulla moquette soffice, fino alla porta chiara della mia camera. Sollevai la mano, le dita increspate per la lunga permanenza nella doccia, e aprii la porta.

Edward era lì, steso sul mio materasso in una posizione apparentemente tranquilla.

Sentii automaticamente la tensione accumulata dissiparsi in un istante. Come se la mia dimensione strana e mentale dovesse essere celata a qualsiasi occhio estraneo.

Quando mi infilai fra le sue braccia, ancora bagnata e con indosso solo l’accappatoio, sentii il calore della sua anima. Perché quando non si è soli, basta un infimo gesto d’affetto per scaldare il cuore. Perché la mente è in quella condizione in cui cerca di svuotarsi e sfugge al vuoto, e trova ben accetta ogni novità come salutare distrazione. Basta sapere che il mondo che ci attende e ci vuole con sé, anche solo per un po’, e sapere di essere nella vita di qualcuno oltre che nella propria dà la gioia più grande che esista.

Un abbraccio.

E nella mia mente non ci fu più posto per i cattivi pensieri, per i turbamenti, per la tristezza che stringe il cuore. Un abbraccio, un segno d’affetto. La muta ripristinazione del giuramento della dedizione reciproca.

Mi accarezzò i capelli, baciandoli. «Sei bellissima così» disse senza pudore.

Non era la prima volta che mi vedeva in accappatoio. Anche più nuda, di un accappatoio. Sentire il suo giudizio sulla mia pelle, sul mio corpo, mi faceva sentire bene. Sapevo quanto le sue parole fossero di parte, eppure essere così importante agli occhi di uno rende meno importante il giudizio altrui.

Arrossii. «Grazie», mormorai, baciandolo.

«Com’è andata oggi?». Domanda comune e quotidiana. Ma in questo caso non affatto disinteressata…

Annuii, e pensai che dovesse bastargli. Non senza alcune lamentele dalla sua parte, lo convinsi a fargli sfilare la sua camicia. Non era la prima volta che restavamo nel letto ad accarezzarci e baciarci. Mi faceva sentire bene, mi faceva sentire viva. C’era una parte di me che adorava quello che stavo costruendo in quella che chiamavo “la mia vera vita”.

Un sorriso di autocompiacimento sorse sulle mie labbra. Edward se ne accorse. Avevo il viso poggiato sul suo petto freddo e scoperto. «A cosa pensi?» chiese, accarezzandomi i capelli.

É proprio come ho pensato. I  brutti momenti vanno via, senza neppure darci tempo di accorgercene.

Scrollai le spalle. «A niente».

Così, venuta fuori da un periodo catastrofico della mia vita, avevo maturato un sapore diverso verso il mondo. Non mi curavo più dei momenti tristi, e cercavo di vivere appieno quelli felici. Avevo capito che era davvero impossibile sbarazzarsi di quella tristezza, quell’angoscia che ogni tanto mi attanagliavano. Eppure, stavo riuscendo ad accontentarmi di quello che la vita mi aveva dato.

Un giorno Edward mi caricò in auto, senza darmi una spiegazione.

«Dove andiamo?» avevo chiesto infinite volte, senza ottenere una risposta.

«Il posto del campeggio?» avevo chiesto insistentemente. «La pineta? Quello…» arrossii «del primo bacio?».

«Sai Bella» mi rispose con un sorriso. «Sei così umana, quando fai così. La mia famiglia è via, sono tutti a caccia. E volevo portarti a casa mia per stare assieme, da soli».

Rimasi sinceramente lievemente delusa dalla dichiarazione.

Lui se ne accorse, e ridacchiò. «Ogni oggetto, ogni luogo, ogni azione compiuta, è importante solo in una singola dimensione umana, per una singola persona. Bella» disse dolcemente, accarezzandomi una guancia, «posso portarti dove vuoi. Ma penso che riusciresti anche ad apprezzare ogni altra opportunità, seppure ti sembri di minore attrattiva. Devi solo pensarci».

E lo disse con un tale tono frammezzato fra persuasione e quella che mi pareva una punta di imbarazzo, che rimasi davvero, molto tempo, a pensarci su.

Quando fummo a casa sua, poi, fui colta da un improvviso e raggelante pensiero. Nell’ultimo periodo eravamo stati molto insieme, e lui mi era stato davvero vicino. La mia psicologa mi aveva esplicitamente chiesto quanto approfonditamente conoscessi Edward dal punto di vista fisico, quanto conoscessi me stessa, dal punto di vista fisico, e da quel momento avevo cominciato intenzionalmente a pensare alla nostra vicinanza.

Inizialmente spronato da me, su mia iniziativa, avevo sollevato la questione con Edward.

«É troppo pericoloso» aveva detto, spiegandomi a quali rischi saremmo potuti andare incontro. Mi aveva guardato con uno strano guizzo, e scosso veementemente la testa. Eppure… La questione era rimasta così sollevata, senza una soluzione.

E in seguito ci eravamo sfiorati, accarezzati, toccati, conosciuti. Niente di programmato, solo eccessi di effusione.

Cosa voleva dire tutto questo? Avevano forse un senso le parole che mi aveva rivolto mentre eravamo ancora in auto?

Deglutii, andandomi a sedere sul divano. Era andato a prendermi qualcosa da bere. Aveva ragione, quindi. Anche qualcosa di apparentemente ordinario poteva rivelarsi in realtà molto più interessante.

Il cuore mi batteva furioso nel petto.

Ricomparve da me, porgendomi il bicchiere di spremuta d’arancia. «Tutto bene?» chiese, corrugando le sopracciglia.

Sospirai, prendendogli il bicchiere dalle mani e facendone un lungo sorso. Avevo le guance calde, lo sentivo. Avevo immaginato, come ogni adolescente, la mia prima volta. Dolce, delicata. Romantica. Avevo immaginato l’imbarazzo che avrei provato nel dover esporre il mio corpo nudo e doverne osservare un altro, altrettanto nudo.

Si venne a sedere accanto a me, prendendomi la mano fra le sue. Lasciai il mio bicchiere sul basso tavolino e posai la testa sulla sua spalla.

Eppure, aveva ragione Edward. Ogni cosa assume tanta importanza quanta gliene viene data. E come potevo desiderare qualcosa che fosse simile a delle candele, delle coperte rosse di seta, a tutta la più perfetta romanticheria e dolcezza del mondo. Come potevo, quando avevo l’uomo che amavo accanto a me?

Mi voltai a baciarlo, partendo dall’orecchio arrivando fino alle labbra, come sapevo l’avrebbe fatto impazzire. Mordicchiai, per quanto riuscissi, la mascella, gustandomi il sapore della sua pelle.

Godere dei momenti felici. Io, Edward, nudi sul divano, sul tappeto o sul letto di casa sua. Mentre facevamo l’amore. Non importava come. Non importava niente, quanto di meglio o peggio avrei potuto chiedere o trovare. Non avevo nessuna aspettativa, ed ero pronta a godere della sorpresa del suo corpo suo mio.

Sorrisi sulle sue labbra, lasciando che le sue mani si avventurassero fra i miei capelli. E così fecero anche le sue, sulle mie.

Si abbassò tanto da farmi posare la schiena sul cuscino, continuando a baciarmi. «Ti amo».

«Ti amo anch’io». Non lo dicevamo spesso. Eppure, facendolo, eravamo convinti del nostro sentimento, in quel momento, in quell’istante.

Questo, il vero significato del carpe diem per me.  

«Non hai paura?» chiesi ansando, osservandolo mentre, tenendo il mio volto fermo fra le mani, succhiava con avidità fra la piega del mio collo.

Si sollevò con il viso. I suoi occhi erano lucidi ed eccitati. Una fitta di pura estasi e gioia mi fece scuotere. «Da morire» confessò.

Sorrisi, e sollevai il viso per riprendere a baciarlo.

Fui contenta. Dopo un’ora e mezza, eravamo stesi, nudi, davanti al camino acceso. Niente di quello che avevamo programmato era andato in porto. Al primo tentativo Edward aveva avuto paura, e vedendolo immobilizzato dal terrore di farmi del male, gli avevo detto di fermarsi. Così ci eravamo accarezzati e amati lo stesso, godendo ognuno del piacere dell’altro.

Ero contenta. Aveva messo a dura prova il suo autocontrollo solo per me, solo per dimostrarmi il suo amore. Solo, speravo, per il desiderio che aveva di amarmi.

Perché non gioire di quella felicità? Perché pensare a quello che avrei potuto avere, e non, invece, a quello che di meraviglioso avevo avuto?

Accarezzai ogni riflesso ramato dei suoi capelli, osservandoli attentamente e scrutandone le ciocche. Ero stesa su di lui, prona, e giocherellavo con le incantevoli punte della sua chioma. Le orecchie fischiavano e il cuore batteva.

Posò una mano sul mio petto. Rabbrividii. Era così freddo.

«Va tutto bene?» disse, premendola più forte.

L’incanto di un momento fu rotto, e la mia mente tornò a non essere vuota. Si riferiva agli episodi di tachicardia, certamente. Annuii. «Mi succede meno spesso».

Mi accarezzò una guancia, e allora decisi di lasciarmi rotolare sul fianco, perché quella posizione mi stava mozzando il respiro. Mi feci abbracciare.

«Carlisle dice che se farò tutto quello che mi ha detto potrò tenere la situazione sottocontrollo».

Mi sorrise. «Bene» disse, avvicinando le labbra per farle prigioniere delle mie.

Ancora gustavo quella dolcezza che viene dal ricordo di una felicità appena provata, quando Edward, sul calare della sera, mi riportò a casa.

Godevamo di uno di quegli attimi eterni in cui tutto sembra perfetto.

Edward era stato il mio redentore. Non attribuivo completamente a lui tutto il merito della nuova prospettiva di vita che avevo acquisito, ma certamente dovevo dargli quello di essere riuscito a metterci ordine. Era stato lui che rettificando il mio comportamento, aiutandomi nei momenti più bui, e facendomi confrontare con qualcun altro all’infuori del mio animo tormentato, aveva ordinato la mia vita.

Era tutto così perfetto. Che cosa meravigliosa conoscere così a fondo la vita e compiacersi di fare le sue beffe.

«Dovresti prendere la giacca, fa un po’ freddo», disse, posandomela sulle spalle e aiutandomi ad uscire dall’auto.

Afferrai la sua mano e mi ritrovai sbilanciata, tanto da scontrarmi contro il suo petto.

I nostri occhi si incontrarono. Prese una mano fra le sue e se la portò alle labbra, baciandone la punta delle dita. Parlò con serietà e pacatezza. «Mi dispiace per come sono andate le cose oggi… Sicuramente ti…».

«Non dirlo» lo fermai, posando un dito sulle sue labbra. I suoi occhi scintillavano. «É stato meraviglioso. Vorrà dire che forse, presto o tardi, avremmo l’opportunità di godere di qualcosa di ancor più meraviglioso…» dissi, con un cenno d’imbarazzo appena calato dietro un abbozzo di sorriso.

Sorrise anche lui, avvicinando dalla nuca il mio capo al suo, sfiorandomi prima col respiro, e poi con le labbra.

Lo presi per mano, le farfalle nella testa e nello stomaco, conducendolo verso il vialetto di casa. Una ragazzina innamorata. Sentivo tanti brividi a definirmi così, e le guance calde di rossore.

Quando sollevai il capo, vidi tre ombre distanti circa sessanta metri lungo la strada. Avevo il sole negli occhi, e di quelle persone vedevo solo le sagome. Eppure, mi pareva fossero proprio Charlie, Reneè e Phil. Li osservai perplessa. Parevano parlare concitatamente.

Automaticamente i miei passi si mossero verso di loro, e non feci che veni metri prima di vedere in viso mio padre. Subito mi sentii strattonare e bloccare da due braccia fredde. Troppo tardi. I miei occhi erano corsi verso il basso. Il mio cuore nel petto.

«Sta dormendo» sibilai senza fiato, sentendo l’aria uscire dai polmoni.

Mia madre venne velocemente verso di noi, facendo un cenno a Edward.

«Sta dormendo» ripetei, e in quel secondo non provavo dolore. Solo distacco e incredulità. No, non sta succedendo davvero, pensai.

Ma mia madre aveva il viso inondato di lacrime.

Ansimai. E tutto crebbe esponenzialmente. «No!» gridai, scoppiando immediatamente in lacrime. Non avevo neppure avuto il tempo di controllarle. Impossibile. Impossibile farlo.

Urlai. E Edward mi strinse più forte, sollevandomi di peso e trascinandomi verso casa. Altre persone si stavano radunando lì intorno. Richiamate forse dalle mie urla. Tutte, per vedere il corpicino della mia Minush.

«Bella, Bella, calmati», mi ripeté Edward, provando a bloccare i miei gesti inconsulti.

Dovette lasciarmi andare appena fummo in casa, e senza neppure degnarlo di uno sguardo corsi via, su per le scale, urlando, sentendo un dolore immenso nel petto.

Impossibile, impossibile davvero.

Mi lasciai andare contro la parete della mia camera, singhiozzando e gemendo. La sensazione di incredulità era ancora così vivida in me, da cozzare contro la cruda verità in maniera estremamente dolorosa.

Continuai a piangere, gemere, urlare, quando Edward venne da me, sedendomi accanto e prendendomi fra le braccia. Non è possibile, non è possibile. Non è giusto. Continuavo a gemere.

E quando la prima ondata di dolore scomparve, mi ritrovai con la testa leggera per le lacrime a vagare su ogni cosa, su qualsiasi cosa strana e assurda. I pensieri più sciocchi e disparati.

E mi pentii amaramente di essermi fatta beffe delle vita.

Edward mi accarezzò i capelli, baciandomi la fronte. Mi sentivo intontita per via delle lacrime, ed ero scomoda per essere stata in quella posizione. Eppure non volevo muovermi. La consideravo come un ineluttabile espiazione delle mie colpe.

«Non c’è più» mormorai, arrochita e stanca. I miei occhi si perdevano nel vuoto. «E non la sentirò più miagolare. E non sarà più con me» dissi, con le lacrime agli occhi «e lei non ci sarà più… era così piccola…» piansi ancora.

«Mi dispiace» disse, abbracciandomi a sé. Mi prese fra le braccia e mi portò a letto. E mentre avevo il capo posato sulla sua spalla, sentii che una parte di me cominciava ad accettare quello che era successo. E inondata dalla vicinanza del corpo di Edward, dai suoi gesti affettuosi, mi sentii egoisticamente meglio.

Tutti, il giorno seguente e per una settimana ancora, esercitarono un controllo serrato su di me. Non mi lasciavano mai sola, mai.

Non che il pensiero di tornare alle mie vecchia abitudini, in alcuni degli attimi di depressione più profonda, non mi avesse toccato, ma vederli così indaffarati nell’impedirmi di farmi alcun male e così preoccupati per me, mi fece irritare e definitivamente desistere.

«Dovremmo farle un… funerale. Qualcosa di simile?» propose Reneè a mio padre.

Mi portai alla bocca il cucchiaio di cereali. «Nessuna scemenza. Era un gatto, ed è morto. Nessun gatto sarà come lui. Ma era un gatto… ed è morto» ripetei, alzandomi dalla mia sedia per rifugiarmi in un angolino più appartato.

Così la parte più razionale di me venne a galla. Non pretendevo che il mondo cominciasse a pensarla come me, cha tutti, come me, assumessero questo controllo della proprio vita. Ma pochi giorni dopo la morte di Minush avevo capito come catalogare l’appena accaduto. Un altro degli imprevedibili e tristi momenti bui, niente di più, niente di meno.

La mano di Edward risalì dall’incavo dietro al ginocchio sulla natica scoperta, e da lì lungo la spina dorsale. Il mio petto nudo contro il suo, stesa su di lui.

Mi portai una mano al petto, stringendo forte gli occhi per contrastare il dolore. Mi strinse con una mano i capelli, facendo per ribaltare le posizioni per aiutarmi a respirare. «No» ansimai, provando a riprendere il controllo. Allacciai le gambe alle sue, e mi voltai per strofinare la guancia sul suo petto.

Passò.

Paradossalmente quando il cibo era al pieno centro della mie attenzioni, non ci avevo fatto caso. Ma ora si, ora conoscevo il sapore. Il sapore dell’amore.

Amore per i miei genitori, per Edward, per me stessa. Per Minush che non c’era più.

Amore per la vita.

«Come stai?» mi chiese, i suoi occhi dorati e lucidi nei miei.

Tracciai alla cieca un ghirigoro sul suo petto. «Il mio cuore batte».

La sua fronte s’increspò.

Automaticamente, le mie labbra si tesero in un sorriso. Farsi beffe, forse, non era la cosa migliore. La consapevolezza invece, sapeva d’ironia.

«Vivo».

 

Fine.

 

 

 

 

 

Vi prego, fatemi parlare. É l’ultima volta in cui ho l’opportunità di farlo, e vi terrò impegnati per diverse righe.

 

Forse non è la fine che vi sareste aspettati. Cosa c’è in questa fine?

Ho provato a mettere tanta umanità, oltre a tutte le mie pretese “filosofiche” sulla vita e sul mondo.

Forse, avrei dovuto dedicare più spazio e tempo alla guarigione. Il problema è che per me non si può mai guarire davvero del tutto. Non si può cancellare passato e dolore, e non si può ignorare quello che verrà. Per questo, preferisco concludere così, un po’ a metà.

Edward non si sarebbe mai lasciato andare così” protesterà qualcuno. Ma, a costo di scrivere un Edward poco vampiro, voglio scrivere di un Edward molto umano.

Ho scritto di cuore, e ho scritto di testa.

Ho messo tutte le mie idee, ho messo tutti i miei sentimenti sul mondo.

Il rapporto con i genitori? Sarà come dev’essere. Non perfetto. Ma c’è amore, c’è sempre amore, ed è questo ciò che conta.

Edward? Perdonatemi se non l’ho definito come l’assoluto redentore. Anche Bella ha fatto la sua parte, il suo dolore l’ha fatta maturare. Edward non è l’amore assoluto che è in Twilight, ma lo ama, per quello che per me significa amare.

 

Ed ora, veniamo a me.

Ho detto di non essere bulimica e non esserlo mai stata. Ho detto anche che presumo che la maggior parte delle ragazze possa pensare a un gesto tanto avventato. L’ho pensato, ma non l’ho fatto. Dopo aver scritto questa storia, spero davvero e posso con buona certezza credere che non lo farò mai.

Ho detto che è stata difficile da scrivere. É stata una catarsi.

C’è molto di me stessa in questa storia. La schiena all’acqua, le lacrime immotivate, il tempo a dondolarsi sedute sul letto canticchiando perché c’è troppo silenzio…

Ho scritto di testa, ho scritto di cuore.

 

Posso dire di aver scritto veramente per me stessa.

Non posso fare a meno di ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me.

Grazie.

Infinitamente grazie.

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