L'insolita Grifondoro 5 - Sulle tracce dell'assassino

di LanaPotter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.New York, New York ***
Capitolo 2: *** 2.Squadra di salvataggio ***
Capitolo 3: *** 3.L'incidente ***
Capitolo 4: *** 4. Sulla scena del crimine ***
Capitolo 5: *** 5. Ricordi perduti ***



Capitolo 1
*** 1.New York, New York ***


1

L’insolita Grifondoro 5 – Sulle tracce dell’assassino

 

1.New York, New York

Era una bellissima mattina a New York; il sole splendeva nel cielo e si specchiava nei grattacieli di Manhattan. Un leggero venticello rinfrescava ancora di più l’aria primaverile. In quella stagione la città era veramente meravigliosa. Central Park era sempre più frequentato da bambini che giocavano, coppiette a passeggio e corridori. Le strade però erano affollate, come sempre, da taxi gialli e automobilisti innervositi dai semafori.

Paul era uno di questi; bloccato nel traffico delle dieci. Odiava dover fare quella strada, ma era la più veloce per arrivare all’aeroporto JFK. Aveva un incarico importante da portare a termine, così aveva deciso di passare nella corsia riservata alle ambulanze e, senza nemmeno controllare che non ci fossero poliziotti nei paraggi, aveva premuto sull’acceleratore ed era sfrecciato lontano da quel trambusto di clacson e bestemmie.

Ripassava mentalmente gli ordini che gli erano stati impartiti, quando un cartellone aveva attirato la sua attenzione: pubblicizzava l’ultimo film di una saga con Daniel Radcliffe. Non gli era mai piaciuto il cinema e non aveva nemmeno mai avuto il tempo di andarci, ma quel film sembrava davvero interessante. Aveva girato la testa e una ragazza bionda da una decappottabile rossa gli aveva sorriso e fatto l’occhiolino.

Paul faceva sempre colpo con la sua aria da bello e dannato: alto, muscoloso, leggermente abbronzato, testa rasata e un espressione corrucciata che faceva impazzire le donne. In quel momento però nemmeno la bella bionda avrebbe potuto distrarlo. Voleva solo arrivare all’aeroporto e portare a termine il suo incarico. Era ancora a metà strada, ma grazie alla sua noncuranza delle norme stradali, era riuscito a fare dieci chilometri in pochi minuti. Aveva indossato un berretto da baseball e un paio di occhiali da sole e aveva parcheggiato.

 

L’aereo proveniente da Londra era atterrato. Dopo sette ore di volo, Jane era felice di poter essere di nuovo coi piedi per terra. Era da un sacco di tempo che non viaggiava in quel modo.

Mentre si avviava verso l’uscita, dove una macchina di Victoria la stava aspettando, ripensava a quello che le era accaduto ai controlli di sicurezza a Heatrow: la guardia aveva notato la bacchetta magica nella giacca e le aveva detto che non era autorizzata a trasportare un’altra arma senza avere un permesso. Per la pistola Jane aveva mostrato il distintivo, ma per la bacchetta non aveva nulla da mostrare; aveva provato a spiegare che quella non era un’arma ma un semplice portafortuna; la guardia però aveva ribadito che un oggetto di quella forma sugli aerei non si poteva portare. Jane era stata costretta a usare la maledizione Imperius. Non ne andava molto fiera, ma almeno era riuscita a portare la bacchetta con sé. La detective aveva riso al ricordo della faccia della guardia. Iniziava già a sentire la mancanza di John, forse si stava davvero innamorando di lui; forse tra lei ed Harry era proprio finita. Sarebbe stato terribile doverlo dire ai suoi figli, anche se Miley aveva già intuito qualcosa; non era mai facile per i bambini avere i genitori divorziati, ma non poteva fare altrimenti. John le era stato molto vicino in quel periodaccio; era un uomo meraviglioso, affettuoso, dolce, sicuramente un ottimo padre.

Mentre cercava di farsi largo nella calca di viaggiatori, qualcosa aveva attirato l’attenzione di Jane: un gruppo di giapponesi, ma non i soliti giapponesi mingherlini e con le macchine fotografiche appese al collo; questi erano alti, robusti, con un completo nero, gli auricolari alle orecchie e con una faccia che faceva leggermente paura. Erano in cinque, disposti in cerchio, camminavano serrati intorno a qualcuno che stavano sicuramente proteggendo. L’uomo al centro nemmeno si vedeva per quanto erano grosse le sue guardie del corpo.

Jane aveva voltato lo sguardo e aveva notato un uomo con un cappellino da baseball, degli occhiali da sole scuri e una mano nella tasca della giacca che si avvicinava ai giapponesi quasi correndo, poi tre fruscii inconfondibili per un poliziotto e tre delle guardie erano crollate a terra immobili. Jane era accorsa così velocemente che non aveva nemmeno pensato a estrarre la pistola o la bacchetta. Nessun altro si era accorto di quello che era accaduto perché c’era talmente tanta gente e tanto rumore che solo un occhio esperto avrebbe potuto farci caso.

Altri due fruscii e le altre guardie erano cadute esamini. Era rimasto in piedi solo l’uomo che stavano proteggendo: un ometto canuto, in giacca e cravatta, con un espressione terrorizzata. L’uomo col cappellino l’aveva freddato con un colpo alla testa. Una donna lì vicino aveva urlato attirando l’attenzione di tutti sul killer. Lui stava per fare una strage quando Jane l’aveva colpito fortissimo alla gamba con un calcio; per un attimo l’uomo si era accasciato e aveva fatto cadere la grossa pistola col silenziatore che aveva in mano, poi si era voltato e aveva afferrato la testa di Jane, stava per spezzarle il collo, ma si era fermato. L’aveva guardata nei suoi grandi occhi verdi e non era riuscito a metter fine alla vita di una creatura così meravigliosa; non solo era bellissima, ma l’aveva anche disarmato, impresa non facile. Si era limitato a darle un colpo in testa e a farle perdere i sensi. Aveva ripreso la pistola e aveva portato via con sé quella splendida donna. L’aveva presa in braccio e aveva corso senza sosta fino alla macchina che aveva lasciato in un lato nascosto del parcheggio sotterraneo.

L’aveva caricata sul sedile anteriore, allacciandole la cintura di sicurezza molto stretta in modo tale che non si muovesse e sembrasse addormentata. Si era messo alla guida e si era allontanato da lì il più in fretta possibile.

 

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Capitolo 2
*** 2.Squadra di salvataggio ***


2

2. Squadra di salvataggio

Harry fissava immobile il monitor spento del televisore; aveva ancora il telecomando in mano e gli sembrava di avere la testa vuota. Era seduto sul divano nell’ufficio investigativo Riddle&Riddle dove gli altri due detective erano, come lui, agitatissimi.

Tom parlava animatamente al telefono col capitano Brass mentre Watson era appoggiato alla scrivania di Jane e si teneva la faccia tra le mani, sull’orlo del pianto. “Non posso credere che fino a poche ore fa era tra le mie braccia e adesso è con quell’uomo…” aveva piagnucolato fissandosi le mani.

Tom aveva chiuso la comunicazione telefonica. “Harry, che fai lì impalato? Datti una mossa, maledizione!”, ma lui non aveva dato alcun segno di vita; continuavano a tornargli in mente le immagini che aveva appena visto al telegiornale: Jane che colpiva un tizio armato in aeroporto e poi veniva neutralizzata e portata via dallo stesso uomo. “Dobbiamo salvarla!” aveva incalzato Tom, “La passaporta arriverà tra un’ora.” Vedendo che Harry continuava a stare immobile, si era avvicinato e l’aveva sollevato di peso dal divano. Lui l’aveva guardato negli occhi, sconvolto, e poi aveva chiesto con un filo di voce: “E se fosse morta?”

“Harry, non dirlo nemmeno! E comunque se l’avesse voluta uccidere l’avrebbe fatto subito.”

“Credi che l’abbia portata via per…per…approfittare di lei?”

“Mi sto per sentire male!” aveva esclamato Watson disperato. “Voglio venire con voi a New York!”

“Non puoi, John, devi aiutare Holmes col rapimento del figlio del Primo Ministro. E’ un caso troppo importante.”, aveva risposto Tom risoluto.

“Secondo te dovrei starmene qui a fissare il muro mentre la donna che amo è nelle grinfie di un pazzo omicida?!”

“Tu la ameresti? Ma se praticamente vi siete appena conosciuti.”

“Non significa niente. E’ molto facile innamorarsi di una donna come lei.”

“LEI è mia moglie.”

“Ma se l’hai lasciata mesi fa!”

“Non vuol dire che non la ami ancora. E tu non hai nessun diritto di metterti in mezzo.”

“Stai vaneggiando Harry. Non mi sono messo affatto in mezzo, hai fatto tutto tu. Sei andato via di casa, ti sei presentato alla scuola dei tuoi figli con una ragazzina qualunque. Non sai quanto ha sofferto Jane per te.”

“Quindi tu hai ben pensato di approfittare della sua vulnerabilità e infilarti nel NOSTRO letto.” Aveva detto Harry alzando la voce, ma prima che Watson potesse controbattere era intervenuto Tom furente. “Vi sembra il momento di litigare? Io e Harry dobbiamo essere a New York tra meno di un’ora e io sto cercando di parlare al telefono con la polizia americana e se voi non la smettete di urlarmi nelle orecchie credo che mi arrabbierò molto!”

John si era seduto sulla sedia di Jane e aveva lanciato un’occhiataccia a Harry che l’aveva ricambiata.

Tom aveva ripreso in mano il ricevitore e aveva iniziato a prendere accordi con la polizia di New York. “Arriveremo il prima possibile. Lo so che non potremo intervenire praticamente nelle indagini, però la donna rapita oltre a essere mia sorella era anche una detective di Scotland Yard.”

“Immagino, detective Riddle, ma il caso è stato affidato all’FBI e io non posso intervenire in nessun modo. Deve contattare gli agenti che gli sono stati assegnati e provare a farli ragionare.”

“Perché si sono messi in mezzo i federali?”

“Abbiamo scoperto che il giapponese ucciso era un pezzo grosso e subito ci hanno tolto il caso per darlo a loro. Io sono dalla sua parte, detective, farò di tutto per aiutarla. Appena arrivate venite in Centrale così parliamo di persona.”

“La ringrazio Capitano Blake.” Aveva chiuso la comunicazione e aveva guardato Harry seduto sul divano in trepidazione.

“Hanno già scoperto qualcosa?” aveva chiesto Watson.

“Solo l’identità della vittima.”

“Mio Dio…Dovete salvarla a tutti i costi! Non posso perderla così.” Aveva sussurrato Watson con le lacrime agli occhi.

“Mi fai vomitare, gran figlio di puttana!” Era scattato Harry infuriato. Si era alzato dal divano e aveva colpito il dottore sulla faccia con un pugno. “Devi stare lontano da mia moglie! E’ chiaro? STALLE LONTANO!” Tom l’aveva tirato via con tutta la forza che aveva e per poco non gli aveva staccato un braccio. “Lasciami, tu! Questo stronzo deve capire che deve stare alla larga da Jane.” Tom l’aveva stretto ancora di più e alla fine Harry si era arreso alla presa di suo cognato. “Voglio solo ritrovare mia moglie e lo farò con o senza di te, Tom.”

“Harry, adesso mi hai proprio stufato. Datti una calmata! Lo so che sei sconvolto, ma non prendertela con John. Non è colpa sua se è successo quello che è successo.”

John era seduto per terra e cercava di tamponare il sangue che gli colava dal naso. “Va bene, Tom, lascialo andare. Dopo tutto, come biasimarlo. Ha ragione lui, ma questo comunque non gli da il diritto di colpirmi. Mi ha fatto un male cane!” Aveva detto Watson sollevatosi da terra ed era andato in bagno a ripulirsi.

“Visto che hai fatto, idiota?! John è una brava persona, molto più brava di te a dirla tutta. Fai l’uomo e aiutami a ritrovare Jane, lascia perdere tutto il resto. Concentrati solo su di lei e metti in atto tutto quello che hai imparato in questi anni sulle indagini sul campo, anche se credo che tu saresti più un tipo da scrivania.” Aveva aggiunto Tom con un lieve sorriso. Harry aveva annuito e insieme avevano preso la passaporta appena arrivata.

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Capitolo 3
*** 3.L'incidente ***


3

3. L’incidente

L’auto nera sfrecciava tra le strade secondarie di New York diretta in una delle case sicure del killer nel New Jersey. Jane era accasciata sul sedile del passeggero, priva di sensi. Era stata rapita dall’uomo che aveva fatto fuori, senza battere ciglio, sei persone all’aeroporto.

La radio era sintonizzata sulla frequenza della polizia; Paul la ascoltava sempre dopo aver commesso un omicidio per controllare i movimenti dei poliziotti. Fino ad allora era sempre riuscito a evitarli o a depistarli, ma non gli era mai accaduto di portare un ostaggio con sé. Stava iniziando a diventare paranoico, e questo non era assolutamente un bene per un uomo che fa il suo lavoro. Continuava a girarsi indietro e a controllare tutti gli specchietti retrovisori, ma sembrava che nessuno li inseguisse, almeno non ancora.

La donna seduta, anzi, svenuta accanto a lui era la creatura più bella che avesse mai visto. I capelli lunghi, scuri, gli occhi verdi e il suo fisico atletico lo eccitavano da morire. Avrebbe volentieri fermato la macchina e approfittato di lei, ma sapeva che non c’era tempo e che avrebbe fatto con lei tutto quello che voleva solo una volta arrivati alla sua casa sicura. In più preferiva fare certe cose con delle donne consce; sarebbe stato troppo da vigliacco persino per lui.

Jane aveva aperto gli occhi, una fitta lancinante le aveva attraversato la testa e tutta la spina dorsale. Aveva provato a portarsi una mano alla fronte, ma la cintura di sicurezza, strettissima, le impediva di muovere le braccia. Di colpo si era ricordata cosa era accaduto all’aeroporto e aveva iniziato ad agitarsi, cercando di liberarsi.

Il suo rapitore l’aveva guardata con degli occhi da pazzo furioso e le aveva sorriso. Un sorriso cattivo, tremendo e che non prometteva nulla di buono. “Ti sei svegliata, finalmente. Temevo di averti colpita troppo forte e di averti spedita in coma.”

“Vaffanculo!”

“Quanto sei scurrile.”

“Lasciami andare o te ne pentirai, bastardo.”

“Non sei nelle condizioni di minacciarmi, donna, e comunque non mi fai paura, tutt’altro…”

Jane continuava a dimenarsi, disgustata da quell’uomo che la guardava con occhi vogliosi e lussuriosi, ma quella dannata cintura di sicurezza sembrava incollata ai suoi vestiti.

“Che cosa vuoi da me?” aveva chiesto cercando di mascherare la paura che iniziava a crescerle nel petto. “Perché non mi hai uccisa?”

“Un grazie sarebbe gradito.”

“Cosa?! Dovrei ringraziarti per avermi tramortita e portata via contro la mia volontà?”

“No, dovresti ringraziarmi per averti risparmiato la via.”

Ti sei messo contro la persona sbagliata...

“Sei una bella donna, è tutto quello che mi basta sapere di te.”

“Quindi il fatto che sia una detective non ti interessa, giusto?”

Paul per un attimo aveva sgranato gli occhi. Questa proprio non se l’aspettava. “Davvero? Rende tutto più eccitante.”

Jane non aveva ottenuto quello che sperava dicendo chi era. Aveva dato uno strattone con la spalla alla cintura di sicurezza, ma aveva solo peggiorato il suo dolore alla spina dorsale. “Maledetto bastardo! Lasciami andare!” aveva urlato lei arrabbiata.

“Scordatelo, e piantala di gridare o sarò costretto a imbavagliarti!”, le aveva intimato l’uomo e subito dopo si era girato per controllare che nessuno li seguisse. Jane aveva notato il comportamento strano del suo rapitore e ne aveva approfittato per cercare di prendere la bacchetta che aveva nello stivale, ma i suoi movimenti erano molto, troppo limitati. Era una strega molto potente, ma fare incantesimi senza bacchetta era troppo anche per lei. Tuttavia, non avendo nulla da perdere, aveva chiuso gli occhi e aveva cominciato a concentrarsi. Il gracchiare della radio non la aiutava molto, però doveva fare di tutto per uscire da quella situazione. Aveva focalizzato davanti a sé le sue mani e mentre l’uomo continuava ignaro a guidare lungo la strada deserta, Jane aveva proiettato nella sua mente l’immagine del motore della macchina, concentrandosi sui meccanismi, “vedendo” l’interno motore. Aveva stretto le mani immaginarie sui pistoni che andavano a tutta forza, non era affatto sicura che sarebbe riuscita a far rallentare la Mustang, invece il trucco aveva funzionato al di là di ogni più rosea previsione. Il motore si era improvvisamente bloccato con un tremendo rumore di ferraglia cui era seguito un rumore sordo ed una esplosione che aveva fatto sbandare bruscamente la macchina verso il guardrail. Paul aveva tentato di raddrizzare la mustang ma il cofano sollevato dall’esplosione rendeva impossibile qualunque manovra di salvezza.  La macchina aveva colpito violentemente il cordolo in cemento ed era rimbalzata verso il profondo dislivello a destra della strada, spiccando un volo e cappottando più volte prima di fermarsi sottosopra. Un incidente apparentemente mortale, ma Paul era un osso duro e con un braccio sanguinante si era trascinato fuori dall’auto in fiamme. Era arrivato a fatica dal lato del passeggero per vedere se la donna fosse ancora viva. Jane giaceva  priva di sensi, respirava a malapena e aveva un profondo taglio pochi centimetri sopra l’attaccatura dei capelli. Nell’urto le cinture si erano staccate per il fortissimo impatto e la donna aveva violentemente colpito il parabrezza. Pochi secondi prima che l’auto esplodesse Paul aveva tirato fuori Jane dall’auto  e si era allontanato lentamente con lei tra le braccia.

Un pick-up che aveva visto da lontano l’incidente si era fermato ed un corpulento quarantenne camminava verso di loro preoccupato. “Tutto bene? La ragazza è ancora viva?” Paul si era fermato ad un metro e mezzo da lui e guardandolo negli occhi gli aveva detto: “Scusa.”

“Per cosa?” aveva chiesto l’uomo non capendo. Il calcio di Paul era arrivato velocissimo e lui era svenuto senza nemmeno rendersi conto di cosa lo aveva colpito.

L’assassino aveva adagiato Jane sul sedile del passeggero e si era messo alla guida.

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Capitolo 4
*** 4. Sulla scena del crimine ***


4

4. Sulla scena del crimine

Il caos regnava sovrano nel terzo distretto di polizia di New York: i telefoni squillavano continuamente e c’erano agenti che correvano da tutte le parti. Alan Blake, il capo della polizia, un gigantesco uomo di colore dal fisico da quarterback, con cortissimi capelli brizzolati, era andato incontro a Harry e Tom. Dopo averli cordialmente salutati con il suo forte accento del sud, li aveva portati nel suo ufficio, continuamente fermato dai suoi colleghi che gli chiedevano indicazioni o gli fornivano ulteriori elementi d’indagine. I due inglesi erano piacevolmente impressionati dalla professionalità e dal numero di poliziotti che si occupavano del caso.

“Scusate il disordine, ma il rapimento di una donna straniera e per di più una collega,  e l’omicidio di un pezzo grosso giapponese della Yakuza, non sono cosa di tutti i giorni… ringraziando il cielo.”

 “Innanzitutto, la ringrazio della disponibilità, capisco che sono momenti molto delicati e tutto vorreste meno che i parenti delle persone coinvolte tra i piedi. Comunque le ricordo che anche noi siamo suoi colleghi e cercheremo di darvi meno fastidio possibile.” Aveva detto Tom dando sfoggio della sua diplomazia.

“Come vi ho già detto al telefono, non potrete partecipare attivamente alle indagini. L’FBI ci ha tolto il caso, ma per rispetto a me ci hanno permesso di continuare a indagare insieme a loro . Io vi terrò informati su tutte le novità e gli sviluppi. Purtroppo più di questo non posso fare.”

Tom aveva guardato Harry come per dire “Questo mi ha già scocciato!”, ma prima che potesse fare qualunque cosa, il telefono aveva squillato. Il capitano aveva parlato per un paio di minuti e aveva concluso la telefonata con un “Arrivo subito!”.

In risposta allo sguardo interrogativo e preoccupato dei due uomini che gli sedevano davanti aveva aggiunto: “Qualcuno ha chiamato dicendo che un uomo con in braccio una donna svenuta gli ha rubato la macchina. Crediamo sia il nostro sospettato.”

“Possiamo venire con lei?” aveva chiesto Tom.

“Sì, ma mi raccomando, muovetevi con molta discrezione, lì troveremo i due agenti dell’ FBI assegnati al caso. Non sono esattamente la simpatia fatta a persona.”

 

Se Harry non avesse saputo che non c’erano corpi nella macchina, sarebbe stato sicuro di aver perso sua moglie definitivamente, tanto era ridotta male la mustang, intorno alla quale si aggiravano quattro agenti della scientifica, facendo fotografie e cercando indizi nell’area circoscritta dal nastro giallo.

A pochi metri di distanza era parcheggiata un’ambulanza con i portelloni posteriori aperti in cui si vedeva un uomo corpulento che si teneva con una mano una borsa del ghiaccio sulla mascella mentre un infermiere gli medicava le escoriazioni sull’altro lato del viso.

Altre tre macchine, due della polizia e una senza contrassegni  (che Tom aveva intuito essere dell’FBI) erano presenti sulla scena del crimine, e due agenti in borghese parlottavano tra loro. I tre, Harry, il capitano Blake e Tom si erano avvicinati immediatamente all’uomo in ambulanza, chiedendogli di raccontare l’accaduto e mostrandogli una foto di Jane.

“Si, credo proprio che fosse lei, anche se era svenuta e insanguinata. Quel bastardo mi ha colto di sorpresa, certo è stato incredibilmente veloce, non l’ho proprio visto arrivare, quel calcio.”

“Ricorda o ha potuto vedere da che parte sono andati? Il suo Pick-up ha per caso un GPS? Saprebbe descrivere l’uomo che l’ha colpita?”

“Amico, calma, io a malapena riesco a rendermi conto di cosa è successo, comunque il mio pick-up ha a malapena lo stereo, e l’ultima cosa che ricordo è lui che mi ha chiesto scusa…  Quel tizio era grosso, ve lo assicuro, calvo, occhi chiari… Non ricordo altro.”

I due agenti dell’FBI, un uomo di media statura, con una carnagione chiara, occhi verdi e cortissimi capelli biodi e una donna ispanica con i capelli neri raccolti in uno chignon e degli profondi occhi scuri, si erano avvicinati e avevano salutato il capitano Blake dopo aver squadrato abbondantemente Harry e Tom.

“Vi presento gli agenti speciali Laighton Lowe e Isabel Cassidy. Loro sono il fratello e il marito della donna rapita.” Aveva detto il capitano facendo gli onori di casa. I federali si erano irrigiditi.

“Loro non  possono restare sulla scena del crimine, capitano.” Aveva detto l’agente Lowe autoritario.

“Sono anch’io un detective.” Aveva risposto Tom innervosito.

“Bene, allora saprà di sicuro che chi non è assegnato a un caso non può interferire con le indagini.” L’aveva aggredito l’agente Cassidy con un tono che non ammetteva una risposta negativa.

Harry aveva visto Tom cambiare espressione e stava per intervenire per tranquillizzarlo quando questi aveva sfoderato un sorriso accondiscendente e parlando sottovoce, si era allontanato con la donna, con cui era rimasto per molto tempo in disparte.

L’agente Lowe, per un po’ di tempo era rimasto interdetto a guardare la sua collega parlottare fitto con quello sconosciuto, poi aveva cominciato a chiamarla con discrezione, innervosito dalla situazione, senza che lei  lo degnasse di uno sguardo.

“Lei capisce quanto posso essere preoccupato per mia moglie. Se abbiamo mancato di rispetto a lei o all’agente Cassidy, non era nostra intenzione.” Aveva detto Harry per distogliere il federale.

Mentre Harry continuava a prendere tempo, Tom era tornato accompagnato da una stralunata Isabel.

“Bè, andiamo, lasciamo lavorare questi bravi poliziotti. Grazie di tutto capitano Blake, aspettiamo sue notizie.” Aveva esclamato Tom fin troppo affabile rispetto ai suoi standard. Lui ed Harry avevano stretto la mano al corpulento poliziotto e ai due dell’ FBI e si erano allontanati, seguiti dagli sguardi increduli degli agenti.

Una volta incamminati verso la macchina, Tom era tornato serio e aveva preso Harry in disparte.

“Con l’Imperius mi sono fatto dire dalla bruna tutto quello che sapeva, e… Non ti piacerà, ma credo sia indispensabile coinvolgere qualcuno che conosca i luoghi e le persone di New York che possono aiutarci  a trovare Jane …”

“Spero che tu non ti riferisca a…”

“Sì invece, parlo proprio di…”

“Non ti azzardare a pronunciare quel nome!”

“Ma guarda che se vuoi salvare tua moglie è necessario.”

“Non se ne parla neanche!”

“Non fare il coglione come al solito, lo sai che senza di lui saremmo fregati.”

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Capitolo 5
*** 5. Ricordi perduti ***


5

5. Ricordi perduti

Jane era seduta su una poltrona comoda e confortevole, aveva la testa fasciata e si guardava intorno incuriosita, con in mano una tazza fumante di tè. La stanza era arredata con gusto, come il resto del lussuoso appartamento, ma a lei dava comunque una sensazione di vuoto e si sentiva fortemente a disagio.

“Puoi spiegarmi di nuovo perché non ci sono foto né di noi né di nessun altro in questo posto?” aveva chiesto all’uomo che le dava le spalle, chino sul tavolo, intento a pulire un fucile di precisione.

“Tesoro, con il mestiere che facciamo non possiamo permetterci di lasciarci dietro prove forti come possono esserlo delle foto. Questa è una delle nostre ‘case sicure’ più belle, non voglio rischiare di doverla abbandonare.” Aveva risposto lui in maniera dolce e comprensiva.

“Ho capito, solo che ancora non posso credere che siamo una coppia di killer su commissione, insomma, non so se sarei capace di uccidere qualcuno.”

“Di solito sono io che uccido, tu sei solo… come dire… un diversivo. Ho scoperto comunque che una donna bella come te può essere più letale di una qualsiasi arma.”

“Quindi io non ho mai ucciso nessuno? Scusa se ti chiedo sempre le stesse cose, ma è che non ricordo assolutamente nulla dopo l’incidente.”

“Non preoccuparti, chiedimi pure tutto quello che vuoi. Sono solo contento che tu sia ancora viva. Ti amo troppo, non sopporterei di perderti.” Aveva detto lui avvicinandosi e accarezzandole il viso. Jane aveva sorriso a quell’uomo così gentile. “Mi ripeteresti cosa è successo, per favore?”

“Certo. Eravamo andati all’aeroporto JFK per far fuori un boss giapponese e dopo aver portato a termine il lavoro ci siamo dati alla fuga, come sempre, solo che questa volta c’è stato un problema alla macchina e siamo finiti fuori strada. L’impatto è stato violento e tu hai sbattuto la testa contro il parabrezza. Eri svenuta e io ti ho portata immediatamente qui. Sei stata priva di sensi per un giorno intero  e quando ti sei risvegliata non mi hai riconosciuto e non ricordavi nemmeno il tuo nome.”

“Oh mio Dio, è terribile! Io, non so cosa fare. Mi sento persa, senza nemmeno un ricordo, senza un’identità…” aveva detto Jane iniziando a piangere.

“C’è l’hai un’identità, sei Christine Jones, e io sono Paul, tuo marito.” L’aveva rassicurata lui abbracciandola.

“Da quanto tempo siamo sposati?”

“Sono già cinque anni.”

“E da quanto facciamo questo lavoro?”

“Io lo faccio da molto prima che ci conoscessimo, poi quando ci siamo messi insieme e ti ho raccontato cosa facevo per vivere, e tu mi hai voluto affiancare.”

“Non posso credere di essermi innamorata di un killer. Cioè, voglio dire, tu non sembri troppo pericoloso a vederti, però dopo che mi hai detto la verità io non ti ho mollato?”

“No, eri in un certo senso entusiasta, e non dimenticare che eri innamorata.”

“Prima di incontrarti che cosa facevo?”

“Eri arrivata da poco a New York.”

“Davvero? Di dove sono?”

“Sei…di un paesino del Tennessee. Confondo sempre il nome. Comunque qualcosa che ha a che fare con il grano.”

“Non ho un documento?”

“No, per noi sarebbe praticamente un suicidio avere documenti. A parte quelli falsi ovviamente.”

“Quindi, ero appena arrivata a New York…”

“Sì, mi hai detto che il tuo sogno era di diventare modella.”

“Modella?!”

“Bhè mia cara, ti sei vista? Saresti stata una modella perfetta!”

“E ho preferito far fuori gente con te, invece che realizzare il mio sogno?”

“E’ stato amore a prima vista il nostro.”

“Dove ci siamo conosciuti?”

“Ad un party. Era uno di quei parti raffinati organizzati dalle riviste di moda. Eri riuscita a farti invitare per entrare un po’ in quel mondo. Io invece…”

“Eri lì per un lavoro, vero?”

“In effetti sì.”

“L’hai portato a termine?”

“No, e ci ho quasi rimesso la pelle per questo. Quando ti ho vista però non ho capito più niente. Tutta la mia freddezza se n’è andata a farsi fottere e mi sono avvicinato a te. Dio, se stavi bene! Avevi uno splendido vestito lungo, rosso e dei sandali dorati. Sembravi una dea.”

“Diavolo, tu sì che hai buona memoria… Che invidia!” aveva detto Jane sorridendo un po’.

“Mi dispiace, tesoro, vedrai che riuscirai a ricordare tutto di me, di noi, della nostra storia e del nostro amore.”

“Io adesso non riesco a sentire niente per te. Lo so che non è una bella cosa da dire, ma è così…”

“Dai tempo ai ricordi di riaffiorare e vedrai che tornerà tutto come prima. So che la mia Chris è nascosta dentro di te da qualche parte e col mio aiuto verrà fuori di nuovo.”

“Sei davvero dolce per essere uno spietato assassino, forse è questo che mi ha fatto perdere la testa per te.” Aveva detto Jane sorridendo leggermente.

“Può darsi.” aveva risposto Paul sorridendo a sua volta. “Adesso che ne dici di andare a letto? Devi riposare.”

“Credo sia un’ottima idea. Inizia a farmi male la testa. Tu però non te ne andare, resta vicino a me.”

“Non ti lascerei per niente al mondo.”

 

Harry guardava nel vuoto. Si trovava sul grande balcone della sua camera d’albergo insieme a Tom, che sembrava fin troppo tranquillo per i suoi gusti, e questo gli dava tremendamente sui nervi.

“Dio santo, come fai a stare così, con le mani in mano? Io sto per scoppiare! Non posso pensare che me ne sto qui con te, mentre mia moglie è tra le grinfie di quel mostro!” aveva inveito Harry contro suo cognato.

“Non è facile neanche per me, ma dobbiamo avere pazienza, il capitano Blake dovrebbe chiamare a momenti e Clark sarà di ritorno tra poco. Quindi, Harry, chiudi il becco e stà seduto! Di idioti ce ne sono già abbastanza in questa storia, non ti ci mettere anche tu.” Aveva detto Tom quasi gridando.

“Sì, magari hai anche ragione, ma ti ricordo che Jane è mia moglie!”

“E’ anche mia sorella se è per questo! E io invece ti ricordo che hai chiesto il divorzio, quindi in teoria non è nemmeno tua moglie!”

“Vaffanculo, Tom! Vaffanculo!” aveva urlato Harry voltandogli le spalle e rientrando furiosamente in camera. Tom stava per reagire, quando gli era squillato il cellulare.

“Salvato dal telefono, Harry! Ricordati chi ti ha fatto quella cicatrice sulla fronte! Meno male, è il capitano Blake.”  Aveva avvicinato il telefono all’orecchio e aveva parlato per qualche minuto con il poliziotto americano. Quando aveva chiuso la comunicazione Tom sembrava ancora più nervoso di prima.

“Che ha detto?” aveva chiesto Harry, speranzoso.

“Hanno scoperto perché il giapponese morto era in America. Era implicato nel traffico d’armi. Doveva incontrare un grosso fornitore qui a New York, ma non sanno ancora chi.”

“E’ già qualcosa, no?”

“Non direi. I trafficanti d’armi non hanno mica un numero verde sull’elenco telefonico. E a livelli così alti riescono a mantenere segreta la loro identità.”

“Però almeno sappiamo che chi ha mandato il killer è in concorrenza col fornitore che doveva incontrare il giapponese.”

Tom aveva annuito. “Speriamo che Clark abbia scoperto qualcosa di più.”

Mentre continuavano a ragionare su come procedere, Harry e Tom erano stati distratti da qualcuno che bussava alla porta. Era proprio Clark che sorridendo era entrato nella lussuosa stanza d’albergo.

“Cos’ hai da sorridere, Kent! La situazione è grave!” aveva ringhiato Harry al nuovo arrivato.

“Sorrido perché ho buone notizie, Quattrocchi!”

“Davvero? Dicci tutto.” Era intervenuto Tom. “Sappiamo già del traffico di armi.”

“Bè, ho trovato l’uomo che doveva incontrare il boss Mishima. Un certo Alan Knight. A quanto ho sentito, doveva consegnargli 10 milioni di dollari in armi pesanti e armamentari da guerra.”

“Vogliono far scoppiare una guerra?! Forse allora non hanno sbagliato a fare fuori il giapponese.” Aveva commentato Tom.

“Potrai chiederlo a Knight direttamente.”

“Hai scoperto dove abita?”

“E’ in Weaverly Place. Dobbiamo muoverci in fretta, prima che si sposti…o che facciano fuori anche lui!”

“E’ possibile?”

“Tutto è possibile, Tom.”

“Come hai fatto a scoprire così tante cose in così poco tempo?” aveva chiesto Harry.

“Ho i miei metodi! E per trovare Jane farei qualunque cosa.”

“Va bene, forza, andiamo.”

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