Un permaloso Limoneverde

di Marselyn
(/viewuser.php?uid=106688)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rancore bicolore ***
Capitolo 2: *** Esami e... pleniluni ***
Capitolo 3: *** Crollo delle difese ***
Capitolo 4: *** Uno strano arrivederci ***
Capitolo 5: *** Ritrovi ***
Capitolo 6: *** Incomprensioni ***
Capitolo 7: *** Castelli di alibi ***
Capitolo 8: *** Scuse e... le rivincite dell'ego ***
Capitolo 9: *** Una paura inattesa ***
Capitolo 10: *** Verità inaspettate ***
Capitolo 11: *** Rivelazioni ***
Capitolo 12: *** Quidditch ***
Capitolo 13: *** Cambiamenti ***
Capitolo 14: *** Proposte ***
Capitolo 15: *** Coccinelle e fili d'erba ***
Capitolo 16: *** Piume ***
Capitolo 17: *** Addii ***
Capitolo 18: *** Notte ***



Capitolo 1
*** Rancore bicolore ***



1. Rancore bicolore

«Bene» disse James, che sembrava furibondo. «Bene...»
Saettò un altro lampo di luce, e ancora una volta Severus si ritrovò a mezz’aria, a testa in giù.
«Allora... chi vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?»

La folla esplose in un miscuglio di risate e lunghi "oooh" di stupore, qualcuno di indignazione.
Peter fremeva eccitato sperando che qualcuno degli studenti incitasse James a proseguire con i suoi piani, troppo vigliacco per farlo personalmente; Remus alzò nervosamente lo sguardo dal suo libro.
Sirius soffocò una risata, cercando di mantenere la serietà pertinente che la sua posizione di potere adesso richiedeva.
In realtà, sapeva benissimo che Severus Piton - nonostante lui stesso non conoscesse anima viva capace di urtare di più l’amico - non correva alcun rischio di venire denudato in pubblico: James, pur furibondo com’era, non l’avrebbe mai fatto.
Ma di una cosa Sirius era certo: che per almeno altri quindici minuti, James, fingendo di star lì a pensarci su, l’avrebbe lasciato ciondolare all’aria a tormentarsi nel dubbio. E lui, da migliore amico quale era, non l’avrebbe lasciato solo in quella tremenda messa in scena.
«Allora?» continuò James. «O vuoi cominciare da sopra, Mocciosus? Hai voglia di abbronzarti un po’ il petto? E’ bianco come tutto il resto, non è vero? C’è un bel sole oggi, dovresti approfittarne!» proseguì, condensando sull’ultima parola tutto il disgusto e la rabbia che gli ribollivano dentro, dando vita a qualcosa di molto simile a un ringhio.
Ancora una volta la folla sbottò in voraci risate.
Sirius finse un’espressione preoccupata e miagolò in tono premuroso: «Oh, non dirmi che ti vergogni, Mocciosus».
«Non ho niente d...» sibilò Severus in tono talmente velenoso che la frase risultò per metà incomprensibile.
«... niente di cui vergognarti?» concluse Sirius al suo posto. «Davvero?»
«Non c’è problema» disse James, mostrando un sorriso gelido. «A questo provvederemo noi».
James si guardò intorno, squadrando le facce di tutti i presenti che ormai si erano radunati chiudendo lui, Sirius e Severus in un largo cerchio: era facile leggere in molte delle loro facce il divertimento, l’ammirazione e il rispetto. Poi ritornò lentamente a guardare la sua preda.
«Allora, chi vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?» ripeté, in tono accattivante.
Sirius gettò distrattamente un’occhiata veloce al di là della folla. Qualcuno era rimasto lontano: chi leggendo per nulla infastidito o incuriosito, chi chiacchierando normalmente col proprio gruppo di amici, e qualcuno fissando indignato la scena da lontano.
Tra questi ultimi una ragazza, il volto pallido e rigido in un’espressione disgustata e densa di rabbia, i brillanti occhi sbarrati. Stringeva un libro in una mano, le nocche erano bianche dallo sforzo, e con l’altra racchiudeva il niente, ma stringendo altrettanto forte il pugno. Gli occhi chiari brillarono di una scintilla furente quando incrociarono quelli di Sirius, e subito dopo mostrarono un’espressione ancora più nauseata.
Sirius, turbato, distolse lo sguardo in fretta, mentre una stretta gli fermava lo stomaco. Che diavolo...
Intanto altre risate accompagnate da qualche applauso fugace volarono ancora, dopo che James aveva detto qualcosa.
Sirius rabbrividì al solo pensiero che una semplice ragazzetta lo avesse disorientato tanto. Chi diavolo era per fare sentire lui in quel modo?
Improvvisamente si sentì una scomoda agitazione in corpo, qualcosa gli si mosse dentro. Qualcosa chiedeva ardentemente di uscire.
«Basta James» disse. Le parole uscirono come una liberazione. Il peso divenne improvvisamente più leggero.
«Che?» chiese piano James, spiazzato.
«Hai sentito... basta» mormorò Sirius, mentre cominciava a vergognarsi del suo stesso vigliacco comportamento.
James lo guardò sbalordito, un poco preoccupato, come se stesse accorgendosi che l’amico si trovava in pessime condizioni di salute, poi, improvvisamente il volto gli si radiò di nuovo e gli lanciò un gran sorriso.
«Aaah» fece illuminato. «Ho capito... vuoi far finta di lasciarlo andare per poi riacchiapparlo di nuovo all’ultimo secondo, eh? Ah, Felpato, non finisci mai di sorprendermi» bisbigliò compiaciuto, mentre tornava a fissare Severus che si agitava appeso all’aria.
«Dico sul serio, mettilo giù...» insistette, in tono adesso più fermo. «Voglio dire...» continuò ansioso, e per un secondo pensò ad una scusa plausibile. «Comincio a seccarmi» buttò lì, fingendo noia.
James lo fissò perplesso, ma siccome era Sirius che glielo chiedeva non fece storie.
«Va bene» mormorò controvoglia, mentre con un gesto della bacchetta liberò Severus dall’aggancio invisibile che lo teneva sospeso in aria; il Serpeverde cadde appesantito sul prato. Si mosse leggermente stordito in cerca della sua bacchetta, e la trovò.
«Non ti conviene usarla» lo anticipò James acido, puntandogli la sua, prima che potesse fare altrettanto. «Sparisci» sibilò.
Severus si mise barcollando in piedi, lo guardò disgustato, mormorò qualcosa e si voltò, camminando a grandi passi verso il castello, oltrepassando davanti a lui il varco che la folla gli aveva creato.
«Andiamo» mormorò James con un velo di irritazione, dirigendosi di nuovo verso il faggio da dove Peter li guardava supplichevole, deluso dalla conclusione troppo precoce della vicenda, e Remus sembrava essersi di nuovo immerso nella lettura del libro.
Sirius fece per seguirlo, ed istintivamente voltò lo sguardo in direzione del punto in cui poco prima si reggeva la ragazza: era sparita.
Deglutì, soffocando l’irritazione.
Fino a pochi minuti prima era sempre stato convinto di essere completamente indifferente agli esami, alla scuola e a tutte le pressioni che turbano ogni comune adolescente, adesso cominciava a dubitare della sua stessa inattaccabilità. Forse in fondo l’esame aveva agitato anche lui e solo adesso stava cominciando a dare segni di debolezza... o forse stava semplicemente, inesorabilmente, completamente impazzendo.


Cambio prospettiva.

Elyn intercettò Severus appena prima che sparisse dalla vista. Sapeva dove fosse diretto.
Si lanciò a grandi passi su per il prato, diretta in quel luogo.
Era successo di nuovo. Quegli idioti di Potter e Black lo avevano umiliato ancora e, come se non bastasse, adesso Severus si era guadagnato anche l’odio di Lily. Lily, l’unica persona che teneva veramente a lui. L'unica persona che lui era disposto ad amare.
Elyn sentì un forte senso di colpa oscurargli ogni altro sentimento, rabbia e odio compresi. Forse se fosse intervenuta lei prima di Lily una parte di tutto quel disastro non sarebbe accaduta. Ed esattamente la parte più terribile per Severus, di questo ne era sicura.
Rallentò evitando i tanti studenti che cominciarono a disperdersi nuovamente in mezzo al prato, diretti alle loro postazioni ordinarie, all’ombra dei grandi alberi o sulla riva del lago. Naturale, per loro lo spettacolo era finito: si erano già rimpinzati con la cara dose di divertimento giornaliera a spese di un povero ragazzo.
Immediatamente sentì il cuore gonfiarsi di odio. Odio verso tutti, nessuno escluso.
Beati, inconsapevoli dei problemi della vita. Nessuno puntava loro una bacchetta in volto ogni dieci giorni, nessuno si prendeva sporcamente gioco di loro, a nessuno di loro capitava di doversi improvvisamente difendere in un duello sleale, contro un nemico in superiorità numerica.
E già, Potter, Black e gli altri si muovevano sempre in branco. E tali erano. Un vero branco di animali.

Scansò per un pelo una ragazza in divisa corvonero che sfrecciava come una saetta verso un ragazzo della stessa casata. Subito dopo fu fuori dal prato.
Entrò nel castello e si mosse nella strada verso la sua meta, sistematicamente: non ricordava neanche più quante volte si era ritrovata a dovercisi incamminare e quante volte era poi ritornata sui suoi passi, spesso dopo essere stata cacciata di malo modo.
Si costrinse a non pensarci e sperò che quella volta Severus apprezzasse un po’ più la sua presenza.
Finalmente giunse alla torre ovest e salì le scale che conducevano alla Guferia: la porta era aperta, entrò.
Come si aspettava, Severus se ne stava seduto a terra, in mezzo alle schifezze, tra la paglia e le cacche di gufo, la schiena appoggiata alle mura della torre, le gambe piegate sul petto.
Teneva entrambe le mani strette in un pugno e fissava i gufi mezzi addormentati davanti a sé, lo sguardo incollerito.
«Vattene» abbaiò, senza neanche voltarsi.
Continuava a stringere le nocche e a sfregarsi le mani nervosamente.
«Lo faccio» replicò Elyn annuendo. «Ma, ti prego, non startene lì a crogiolarti il fegato» la voce uscì stranamente autorevole. Sapeva che era una cosa stupida da dire e che non poteva pretenderlo. Sapeva anche che, probabilmente, nelle sue condizioni, si sarebbe comportata esattamente allo stesso modo, ma non le venne in mente nient’altro di migliore da dire.
«E che cosa dovrei fare?» urlò Severus indovinando i suoi pensieri, portandosi le mani in volto. «Quello... schifoso... non lei... non lei» biascicò fra sé. «Si è preso anche lei... ANCHE LEI!» tuonò d’un tratto, sferrando un pugno sul muro.
Fece una smorfia di dolore e la mano cominciò a sanguinare. Elyn scattò in avanti raggiungendolo, si chinò e gliela prese.
«Si sistemerà tutto, Severus, te lo giuro. Lily capirà e...»
«No, che non capirà!» ruggì, strattonandola e riprendendosi la sua mano. «Non lo farà e... non vorrà farlo...» mormorò fra sé, guardandosi sporco di sangue e cominciando a gettare occhiate sulla ferita, febbrilmente.
Elyn si sentì agghiacciare: quel comportamento ai limiti della schizofrenia non era da Severus. O, almeno, non del Severus che conosceva. Si rimboccò le maniche e si armò di pazienza. Non poteva lasciarlo così, non lui. Non Severus.
«Forse riesco a fasciarla con qualcosa, aspetta...» disse, mentre fiondò le braccia fino al gomito dentro la sua tracolla.
«Lasciami stare» protestò flebile Severus, improvvisamente stremato.
«Ma Sev...»
«Lasciami stare» sbottò, più spietato. Gli occhi neri la guardarono un secondo e poi presero a fissare gelidi il vuoto davanti a sè.
Elyn gli lanciò ancora un’occhiata supplichevole, ma lui non se ne accorse neanche.
«Quando capirai che c’è anche qualcun altro che ti vuole bene sarà forse troppo tardi...»
Così dicendo, Elyn si tirò su e ritornò sui suoi passi, mettendo a tacere la speranza, che poco prima le formicolava nel cuore, e che le diceva che quella volta sarebbe stato diverso.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Esami e... pleniluni ***


2. Esami e pleniluni

Il mattino seguente la Sala Comune di Grifondoro era piuttosto agitata a causa dell’imminente prova scritta di Trasfigurazione.
Sirius e James giocavano a scacchi magici sghignazzando, estranei all’agitazione che percuoteva il resto dei compagni. Remus camminava avanti e indietro, borbottando ipotetiche domande e dandone le rispettive risposte; infine, Peter, agitandosi su una poltrona, un po’ sfogliava febbrilmente un libro (per poco non strappò qualche pagina), un poco elogiava James allorquando azzeccava una mossa, e un po’ seguiva Remus con lo sguardo, cercando disperatamente di memorizzare ogni parola gli uscisse dalla bocca.
«Potete almeno divertirvi un po’ più in silenzio, per favore?» sbottò Remus esasperato, quando Sirius cacciò un urlo esultante.
«Lunastorta, sta tranquillo, andrai benone» replicò Sirius distrattamente, concentrato più sulla scacchiera. «Oh, James, questo è BARERE!» urlò indignato, subito dopo.
Qualcuno si lamentò, chiedendogli in malo modo di fare silenzio, Remus buttò irritato il libro su un tavolo lì vicino, e uscì sbattendosi il ritratto alle spalle.
Sirius e James udirono le imprecazioni della Signora Grassa e si guardarono colpevoli.
«Credi che se la sia presa?» domandò Sirius in un sussurro preoccupato.
«Qualcosa mi dice di sì, amico...» rispose James, riprendendo a fissare il retro del ritratto pensieroso.
«Ah...» fece Sirius cupo. «Hei, Ramoso, voglio la rivincita!» esclamò dopo qualche secondo, un po’ troppo forte, dimenticando ogni preoccupazione.
«SILENZIO!» ruggì qualcuno in Sala.

Sirius, James e Peter furono gli ultimi a raggiungere la Sala d’Ingresso, e due minuti dopo gli studenti furono chiamati a prendere posto, come il giorno prima, nella Sala Grande. I tavoli delle quattro Case erano stati sostituiti da quattro lunghe file di banchetti singoli, rivolti alla professoressa McGranitt, che sedeva nel tavolo degli insegnanti. Questa volta fu chiesto loro di occupare i posti in ordine alfabetico. Si gettarono a capo fitto sui fogli, con la testa china e le mani che si muovevano e scrivevano risposte in una febbrile fretta.
«Accio!» ordinò la professoressa McGranitt un’ora dopo, e una massa di pergamene volanti si fiondò sul tavolo degli insegnanti.

«Oh, sono sicuro d’avere sbagliato la numero ventisei... un’ora! E’ inconcepibile svolgere un esame del genere in solo un’ora!» si lamentò Remus, una volta ch’ebbero raggiunto il faggio vicino al lago: restavano ancora un paio d’ore prima del pranzo.
Sirius e James non ebbero alcun dubbio sul fatto di non avere sbagliato neanche una risposta, Peter preferì non esprimersi del tutto.
«Niente traccia di Mocciosus oggi» dichiarò James qualche minuto dopo, passando a rassegna ogni studente che albergava sul prato. Peter annuì.
«Hai ragione» convenne Sirius, constatando, però, l’assenza del volto della ragazza del giorno prima, più che quella di Severus.

Pranzarono con gli altri studenti nella Sala Grande, nei soliti quattro grandi tavoli, dopodiché ritornarono nella piccola stanza accanto la Sala Grande, in attesa di essere richiamati per affrontare l’esame pratico di Trasfigurazione.
Tutto filò liscio, e i quattro, una volta riuniti, dissero che non c’erano stati problemi, a parte l’incidente di Peter, il quale aveva fatto evanescere gli occhialini di Vitious al posto della sua tartaruga.
I giorni dopo non furono da meno: Sirius, James e Peter affrontarono discretamente l’esame di Erbologia. Remus ricevette i complimenti della professoressa che lo valutò, la quale gli garantì con allegria che era decisamente portato per l’Erbologia e che avrebbe dovuto seriamente pensare alla possibilità di impegnarsi professionalmente su quella via in un futuro non tanto lontano; Remus aveva categoricamente abolito l’idea una volta raggiunto gli altri, lontano dalle orecchie dell’insegnante, affermando che le erbe non erano la sua massima aspirazione.
«Preferisci la carne, Lunastorta? Umana ancora meglio, eh?» aveva commentato Sirius, poi ridendo come una matto, dopo che Remus aveva borbottato qualcosa riguardo la sua rude sensibilità e le sue battute frivole, e si era fiondato nel castello, lasciandosi gli altri tre indietro. Nel pomeriggio Sirius gli aveva chiesto scusa e gli aveva promesso che da quel momento in poi avrebbe provato a trattenersi dai riferimenti alla sua natura, più di quanto già non facesse: era, più o meno, la sua venticinquesima promessa.

L’esame di Incantesimi, il giorno seguente, fu superato brillantemente da tutti, solo poco meno da Peter. Il venerdì solo Remus affrontò l’esame di Rune Antiche e, nonostante non avesse avuto alcun problema, il giovedì sera, intimò ugualmente a Sirius e James di non fare rumore, e i due amici decisero per solidarietà di non giocare a scacchi quella sera.
Giunse il fine settimana, e ogni studente della scuola, compresi gli esaminandi, dimenticò ogni preoccupazione, almeno per il sabato.
Ma non i Malandrini: il sabato notte sarebbe stata una delle “notti” di Remus.
Quest'ultimo passò l’intero giorno a ripassare Pozioni, visto che la domenica non avrebbe decisamente trascorso una bella giornata a causa dei postumi della trasformazione.
Sirius, James e Peter gli diedero una mano, se non materialmente almeno spiritualmente.
Più volte cercarono di tirargli su il morale con battute e situazioni buffe durante i minuti in cui si riposava dallo studio. Ogni volta Remus rispondeva loro con qualche sorriso e qualche risata irrimediabilmente forzata. Era evidente come, in quel modo, cercasse di ringraziarli del fatto che fossero lì, a fargli compagnia, piuttosto che a divertirsi nella fresca aria estiva e prendersi anche loro un giorno di riposo, ma era altrettanto evidente che gli era impossibile non sprofondare sistematicamente nella depressione ogniqualvolta ripensasse alla notte che l’aspettava, e all’esame del lunedì che probabilmente sarebbe andato male.

«Andrò in biblioteca per puntualizzare le ultime cose...» esordì ad un tratto, verso le cinque del pomeriggio, tirandosi su dalla poltrona nella quale, fino a qualche istante prima, era rimasto immerso, il naso incollato al libro.
«Voi andate a divertirvi un po’ fuori... resta ancora qualche ora prima del crepuscolo» disse, cercando di mostrare un sorriso sicuro e incoraggiante.
«Solo se ti diamo fastidio...» rispose James.
Remus alzò un sopracciglio.
«Quindi dovrei dirvi che mi date fastidio per far sì che usciate fuori a distrarvi un po’?» domandò, perplesso.
«Bè... più o meno, hai centrato il punto, Lunastorta» rispose Sirius, sfoggiando una gran sorriso.
«Non ho intenzione di farvi sacrificare l’intero finesettimana a causa della mia... della mia...» si fermò a pensare, «anomalia» concluse.
Sirius sorrise dentro di sé. Remus aveva quell’anomalia probabilmente da quando avesse ricordi, e ancora rifletteva, pensando ad un termine appropriato ogni volta che ne parlava. La settimana prima era stato ‘difetto’, quella prima ancora ‘cosa’. «Anomalia» ribadì Remus, convinto: forse aveva trovato la definizione definitiva.
«Non è un problema» replicò Sirius. «Non hai idea di che gran divertimento sia per noi starcene chiusi qui, durante il nostro penultimo finesettimana a Hogwarts, in mezzo ai libri, quando il sole brilla alto fuori e ogni altro studente è lì a goderselo; consapevoli del fatto che stiamo coscientemente lasciando che l’unica opportunità di relax, in mezzo a due settimane d’inferno, ci sfumi da sotto il naso. Amico, tu non hai davvero idea di quanto sia divertente» concluse.
Remus rimase di stucco.
Sirius pensò di aver esagerato un po’, probabilmente Remus non avrebbe capito che stava solo scherzando. Cercò lo sguardo di James e Peter, e dalla loro espressione intuì che pensavano la stessa cosa.
«Stavo solo scherzando» si affrettò ad aggiungere, ridendo. Remus sembrò sollevato.
«Ma, naturalmente, Sirius vuole dire» intervenne James, che gli scoccò un’occhiata sapiente «che ce ne andremo soltanto quando ci dirai che ti diamo fastidio» puntualizzò James, secco. Peter asserì.
«E va bene... l’avete voluto voi» dichiarò Remus in tono di sfida. Ostentò talmente tanta convinzione, che per un momento Sirius credette di pensare che avrebbe davvero detto loro che gli davano fastidio. Ma poi Remus sembrò essere immerso fino alla testa in un terribile conflitto interiore. «... oh, andiamo, sapete che non è vero» protestò, infatti, accigliato, con una nota di esasperazione in voce.
«E adesso sappiamo anche che, se mai avrai il fegato di dirci una cosa simile dopo tutto quello che abbiamo fatto per te,» puntualizzò James, scoccando un’occhiata divertita a Sirius, che rideva silenziosamente. «...dicevo» proseguì. «Se mai avrai il coraggio di dirci che ti diamo fastidio, allora, sapremo che non sarà vero. Per tua stessa ammissione.» concluse sapiente.
«E va bene, va bene. Ma non dovete muovervi, chiacchierare, fiatare più del dovuto, chiaro
«Neanche se c’è Mocciosus?» domandò James, ammiccando.
Per tutta risposta Remus gli scoccò un’occhiata selvaggia.


Un’ora dopo, in biblioteca, Sirius e James giocavano a chi faceva levitare più in alto un oggetto senza farsi beccare da Madama Pince, e Peter squittiva eccitato alle loro prodezze. Remus cercava di concentrarsi sopra un libro, le mani fra i capelli: qualche secondo e sarebbe scoppiato.
«Ehi Ramoso, tieni lontana quella cosa! La stai lanciando addosso alla mia!» esclamò allarmato Sirius.
«Io? Sei tu che mi stai venendo addosso!» protestò James, offeso.
«Chiunque sia» intervenne Peter. «Allontanate quelle dannate cose, non voglio che Madama Pince ci metta in punizione» concluse, nervoso.
«Pista!» esclamò Sirius muovendo la bacchetta, e la sua cosa schizzò in alto di qualche metro.
«Ragazzi!» sbottò Remus, voltandosi verso di loro e ritrovandosi a contemplare un orrendo spettacolo: due grosse librerie volteggiavano in aria, una di fronte all’altra, e poco più avanti, a pochi metri da lui, Sirius e James le controllavano, le bacchette puntate.
James fece un sussulto, e la sua libreria fece un balzo in aria insieme a lui, facendo riversare per terra gran parte dei libri.
«Lunastorta! sei impazzito?» sibilò indignato, dopo aver ripreso il controllo della libreria.
«Cosa?!» protestò sbalordito Remus in un sussurro. «Fino a prova contraria siete voi che state facendo levitare due librerie!»
«Stiamo solo giocando!» si lagnò Sirius.
«Giocando? Parlavo da solo quando vi ho chiesto di...?» ma le parole gli morirono in gola. Avevano appena sentito Madama Pince strillare un “Per la barba di Merlino!” molto, molto arrabbiato. Tutti e quattro si pietrificarono, impalliditi.
«Oh, Lunastorta siamo tutti e quattro spacciati per colpa tua!» ringhiò James.
«Tutti e quattro?» schiattò Remus.
«Rimettiamole apposto, rimettiamole apposto!» sussurrò febbrilmente Sirius.
«Sbrigatevi, è qui! Sbrigatevi!» bisbigliò atterrito Peter.
I passi di Madama Pince erano sempre più vicini. «Scommetto... ci metto la mano sul fuoco...» la sentirono mormorare impazzita.
«Non lì James»
«Lo so, non preoccuparti...»
«No, più avanti, no! Troppo! Indietro James, indietro
Un secondo dopo le librerie si scontrarono e si schiantarono per terra, urtando quelle davanti e creando una sorta di effetto domino sulle quattro della stessa fila. Centinaia di libri erano sparsi per terra, e, a pochi passi da loro, Madama Pince li fissava pallida, i pugni serrati, le labbra strette e gli occhi follemente sbarrati.
James e Sirius non ebbero il coraggio di muoversi, le bacchette ancora a mezz’aria.
«Lo sapevo...» stridette, piano. Troppo piano. L’aria sembrava stesse preparandosi ad un immenso boato. «lo sapevo...» continuò con lo stesso tono. Gli occhi folli alternavano impazziti quelli di Sirius e James. «BLACK E POTTER!» tuonò finalmente, fuori di sé.

Furono fra i quindici minuti più lunghi delle loro vite. Incredibile quanto la voce possa durare e reggere allo sforzo delle urla quando si è arrabbiati, ragionò Sirius. Terribilmente arrabbiati.
Erano sempre riusciti a farla franca con Madama Pince, e adesso era arrivato il momento di conoscere anche la sua furia. La furia che inizia tranquilla e sbotta all’improvviso facendoti sentire più piccolo di un gorgosprizzo. Ecco come si sentiva Sirius mentre Madama Prince gli urlava contro. Più piccolo di un gorgosprizzo.

Un’ora dopo, tre di loro erano chini doloranti, a raccogliere libri e riporli sulle librerie in ordine di argomento, e, per ogni argomento, in ordine alfabetico, da più di mezz’ora. Madama Pince aveva risparmiato Remus, ma non Peter.
«Cominciano a farmi male le ginocchia...» si lamentò Sirius.
«e la schiena...» borbottò James.
«e le zampe...» mormorò Peter.
James e Sirius si voltarono a guardarlo con sguardo interrogativo.
«voglio dire le braccia» gracchiò Peter stizzito.
«Silenzio!» ordinò Remus poco lontano. («Tieni d’occhio quelli animali da circo» gli aveva detto Madama Pince. «E se ti danno fastidio, suona e avranno altre dieci librerie da sistemare.» aveva concluso, posandogli sul tavolo, accanto al libro, una piccola campanellina, uguale a quella che usava per richiamare gli studenti, solo molto più nuova.) «Non riesco a concentrarmi su un concetto con voi che parlottate» proseguì, insofferente.
«Il concetto di quello che ti faremo dopo...» borbottò tra sé James.
Dopodiché ritornarono muti a lavorare.
Mancavano due librerie da mettere in piedi e cinque da riempire, e Madama Pince aveva sequestrato loro le bacchette. Ci avrebbero messo come minimo altre tre ore.
La cosa più terribile era quando (quelle rare volte in cui qualcuno entrava in biblioteca) sentivano gli sguardi degli studenti fissi su di loro, e, in particolar modo, le risatine di scherno da parte dei Serpeverde. Tuttavia, ringraziarono il fatto che mancava solo qualche giorno alla fine dell’anno scolastico, e che, per questo, solo poche anime si aggiravano per la biblioteca quel pomeriggio.

«Ehi!» fremette James, dopo una buona ora. «Guardate chi c’è» disse piano, indicando con un cenno della testa uno studente che era appena entrato in biblioteca.
«Mocciosus» sussurrò Peter, con un sorriso malefico.
«Già...» disse James, fissando con un ghigno Severus che, senza vederli, si incamminava tra gli scaffali impolverati. «Scommetto che sta cercando qualche schifosissimo libro di Magia Oscura nella sezione proibita» proseguì, facendo una smorfia di disgusto.
Sirius seguì Severus con lo sguardo: effettivamente sembrava davvero diretto in quel reparto, ma ad un certo punto si fermò a prendere un libro da uno scaffale e si sedette su un tavolo lì vicino.
Sirius sussultò quando il suo sguardo si posò su una figura seduta poco più indietro di lui.
La ragazza del prato, del giorno prima, alzò lo sguardo verso Severus guardandolo qualche secondo in modo strano, poi rituffò il volto sul libro. Se ne stava lì seduta, una domenica di giugno, a pochi giorni dalla fine della scuola: doveva avere quindici anni come loro, concluse Sirius. Eppure agli esami non l’aveva proprio vista.

«Andiamo a fargli visita» suggerì James, e, senza neanche aspettare di ricevere il consenso degli altri, fece per alzarsi. A Sirius per poco non venne un collasso. Non potevano, non con quella lì! Sarebbe successo ancora quello che era capitato nel parco. No, non poteva permettersi un’altra carenza di fegato simile.
Si accorse di stare ancora fissando la ragazza, quando si voltò verso James di scatto. Per fortuna Peter lo aveva afferrato per un braccio e l’aveva rituffato giù, insieme a loro.
«Non possiamo James» disse Peter, irrequieto. «E’ troppo rischioso, Madama Pince lo saprà»
«Ma se è andata via...» protestò James, impaziente. «Lo ha detto lei poco fa: “Lupin, caro, vado via qualche minuto, credi di poter tenere d’occhio anche gli altri studenti, per favore?”» cantilenò, facendo il verso a Madama Pince. Effettivamente, Madama Pince poco prima l’aveva detto.
«Appunto. E Lunastorta?» replicò Peter.
«Oh, andiamo. Credi davvero che potrebbe dirglielo?»
Tutti e tre si voltarono verso Remus: era immerso nello studio, il naso appiccicato alle pagine del libro. Pensandoci, forse, avrebbe davvero potuto cantare. Sì, avrebbe potuto benissimo farlo.
Peter ritornò ancora con gli occhi a James, lo sguardo cupo.
«Oh, andiamo... Felpato tu stai con me, vero?» disse James, guardando l’amico fiducioso.
Sirius rimase ammutolito. Per un folle momento pensò di dirgli della ragazza, così avrebbe capito.
«Felpato?» fece James. «Stai bene?» domandò, preoccupato.
Ma in quel momento Sirius ebbe un lampo di genio. Cercò con lo sguardo in giro qualcosa che confermasse la sua teoria. Ogni volta che Madama Pince lasciava la biblioteca, prima faceva qualcosa...
Non poteva completamente fidarsi di Remus... sarebbe stato da folli... doveva pur aver ricorso a lei... lei...Eccola!
Trattenne a stento un gemito di sollievo e si affrettò a dire: «Voltati Ramoso».
James si guardò dietro: Mr Purr li fissava sottecchi*, e, se era possibile che lo sguardo felino potesse essere decifrato, il suo era decisamente uno sguardo disgustato.
«Mi sa che per stavolta dovremo rinunciare» proseguì Sirius, fingendo un tono amareggiato.
James sbuffò, rinunciando alla sua idea. Dopodiché afferrò un libro e si alzò per metterlo al suo posto. Sirius fece in tempo ad accorgersi che prima lo guardò un istante: gli parse di cogliere negli occhi dell’amico un’ombra di sospetto.
Ma poi si convinse di avere le allucinazioni, chinò lo sguardo su un volume che teneva e se lo rigirò tra le mani: sì, stava decisamente impazzendo.

Remus ritornò nel dormitorio due ore più tardi; Sirius, James e Peter, alle nove di sera, avevano ancora due librerie da riempire, e in biblioteca non era rimasto più nessuno. Il lavoro si era dimostrato molto più difficile di quanto avessero previsto. Certi libri in serie, volumi di enormi collane enciclopediche, una volta sopra gli scaffali, finivano di nuovo per buttarsi a terra accanto agli altri volumi della stessa serie. Si ricordarono che, se uno studente voleva prendere uno di quei libri, necessitava dell’aiuto di Madama Pince, che, borbottando qualche incantesimo, riusciva a dividere i volumi. Il guaio era che: loro non sapevano quale suddetto incantesimo fosse, Madama Pince era andata a letto, e due intere librerie specificatamente dedicate a quel tipo di libri dovevano ancora essere riempite.
«Per la Barba di Merlino... questo non mi sembra affatto corretto» commentò Sirius, dopo che ebbero capito perchè il libri continuavano a gettarsi per terra, pesanti come massi di pietra.
Tentarono con tutti gli incantesimi che conoscevano: Schiantesimi e Reductor, Locomotor e Impedimentia, provarono anche ad appellare i volumi di fronte agli scaffali per poi spostarsi all’ultimo istante. Niente. I libri continuavano a ripiombare a terra testardi, e restavano inermi, scuri, la ricopertura in pelle che sembrava esprimere una sfacciataggine inaudita.
«Immobilus» mormorò sfinito Peter, senza convinzione quando Sirius fu quasi sul punto di incendiare i libri restanti.
All’improvviso i volumi assunsero un colore leggermente più chiaro (o almeno così a loro sembrò).
«Grandioso» mormorò ammirato Sirius.
«Perchè non ci abbiamo pensato prima? Bel colpo, Codaliscia» disse James, sprizzante. «E adesso rimettiamoli a posto» proseguì, pratico.
Fu più facile riempire l’ultima libreria visto che i libri, lì, non erano divisi per argomento, ma semplicemente per collane.
Una volta che tutti i libri furono sistemati, uno accanto all’altro, Codaliscia ruppe l’incantesimo.
Era mezzanotte e, nel silenzio assoluto, uscirono dalla biblioteca, recandosi nella Sala comune.
Come previsto, Remus era già fuori dal castello. Decisero che per quella notte, sfiniti e spossati come erano, sarebbero rimasti a dormire: il giorno dopo avrebbero dovuto affrontare un’altra giornata d’inferno fra i libri di pozioni, a tentare il ripasso dell’ultimo minuto. Inoltre, convennero sul fatto che quel giorno per Remus avevano già fatto abbastanza.



*Situazione surreale? Bè xD

***

Dunque, un pò lunghetto questo capitolo, ma la situazione era tragicomica, non riuscivo più a fermarmi :DD
La storia continua sulla scia degli esami, ho immaginato che quello di Difesa contro le Arti Oscure - ossia quello del ricordo - fosse uno dei primi.
Un enorme grazie a titimaci per la prima recensione... sarà, ma è alquanto importante per me :)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Crollo delle difese ***



3. Crollo delle difese

Di fatto, il giorno dopo, Sirius, James e Peter non si alzarono prima che fosse mattino inoltrato. Alle undici Remus prese a rumoreggiare più che poté nel dormitorio per farli svegliare: che avesse passato una notte da Lupo Mannaro, stavolta, lo dava molto meno a vedere.
«Che ci fai qui? Perchè sei tutto raggiante e non sei a letto, mezzo morente, a maledire la tua natura?» gracchiò James, tirandosi le coperte fino alla testa e rigirandosi dall’altra parte del letto.
«Raggiante? Non esagererei, Ramoso. Sto un po’ meglio, ecco. In effetti, non so neanche io perchè... forse la vostra assenza mi fa bene di tanto in tanto, - a proposito, non posso credere abbiate saltato la luna piena! eravate davvero tanto stanchi? -. Oppure, altra possibilità, immagino che il mio corpo cominci ad abituarsi, e penso davvero che sia ora che lo faccia» bofonchiò, più fra sé che ad altri. «E comunque... voglio credere che tu ne sia contento, James». Ma James non lo ascoltava più: ronfava più di un ghiro in letargo.
Sirius, James e Peter si ritrovarono appesi all’aria subito dopo: Remus Lupin, Frank Paciock e Bobby Blomb ridevano come matti sull’uscio della porta, le bacchette puntate.
La giornata trascorse tra le continue esortazioni di Remus fini al ripasso di Pozioni, le frequenti lamentele di Peter sulla sua totale incapacità in quella materia, e le ripetute polemiche di James e Sirius, che affermavano di sapere il necessario (se non di più) a superare la prova del giorno dopo. Il resto della Sala Comune era, fino all’orlo, densa di un’atmosfera che sfiorava il panico.
A fine giornata Remus rinunciò a convincere gli amici, e mise da parte il libro di Pozioni.

Il giorno dopo la Sala Comune era ufficialmente affondata nel panico.
Soltanto pochissimi osavano ostentare una certa sicurezza, altri, pur consapevoli delle loro abilità, non osavano pronunciarsi per puro puntiglio davanti al resto dei compagni, agitati fino all’isteria.
Anche Sirius e James cominciarono a vacillare nel filo che era la loro certezza assoluta di riuscire nell’esame, ma non osarono mostrare alcun segno di preoccupazione davanti a Remus, che al contrario, sembrava tranquillo come una mandragola invasata. Peter, dal canto suo, non si fermò a pensare a dignità e orgoglio, e prese a balbettare, ogni tanto scosso da fremiti di terrore puro, fin dal momento in cui i suoi piedi toccarono il freddo pavimento del dormitorio.
Ma l’esame scritto, contro ogni loro aspettativa, andò sufficientemente bene a tutti i Grifondoro.

Decisero di uscire fuori e godersi il sole per il resto della mattinata che restava prima del pranzo. Si fermarono accanto alla massiccia porta in legno che dava al prato. Remus si sedette a gambe incrociate e pescò un libro dalla sua borsa, Peter si afflosciò a terra e, schermandosi gli occhi dal sole, stuzzicava dei fili d’erba; Sirius rimase in piedi, appoggiato di schiena al muro, una gamba piegata, le mani in tasca, con fare Malandrino osservava gli studenti sparpagliati sul prato, infine, James prese a giocherellare col solito boccino. Ormai nessuno sembrava più interessato alle sue esibizioni, persino Peter gli staccava gli occhi di dosso, ogni tanto.
«Era più facile di quanto non pensassi» disse, rivolgendosi a Sirius. Lui annuì.
In quel momento Lily passò loro accanto, il naso all’insù. James si scompigliò i capelli. Lily non li degnò di uno sguardo.
«Ehi Evans! Ti va una passeggiata?» domandò James, rizzandosi bene sulla schiena. «Evans!» Lily proseguì nella sua marcia, e ben presto non fu altro che una figuretta lontana, in mezzo a tante altre figurette.
«Perchè fa così?!» borbottò James.
«Ehi, ehi! Guardate!» disse Peter in un gridolino eccitato, indicando con l’indice Severus Piton, seduto a gambe incrociate, vicino al lago.
Sirius guardò oltre la spalla di James, e vide. Severus a pochi passi dal lago, era seduto sotto un castagno, la schiena appoggiata al tronco, aveva la testa china su dei fogli che teneva in mano, probabilmente quelli del G.U.F.O. appena lasciato alle spalle. Poco lontano, la ragazza di qualche giorno prima leggeva un libro accovacciata sotto un tasso, le gambe piegate sul petto.
James si voltò di scatto, ficcando il boccino in tasca.
«Magnifico» disse, assaporando il gusto della parola. «Con nessuna Mr Purr e nessuna Madama Pince in giro, possiamo chiedergli come è andato l’esame di Pozioni» rifletté ad alta voce, mentre gli brillavano gli occhi. Fece per gettarsi giù per il prato, ma Sirius lo trattenne afferrandogli il braccio.
«Lasciamo perdere» disse, manifestando involontariamente una certa insicurezza. «Non mi va, oggi» proseguì, cercando di apparire il più tranquillo possibile. Ma il fatto che avesse particolarmente sottolineato la parola oggi non sfuggì a James.
«Oggi? Si può sapere che ti prende?» disse serio James, guardandolo in modo apprensivo. «Sei strano... è già la terza volta che ti comporti in questo modo»
«In questo modo?» ripeté Sirius, ridacchiando grottescamente.
«Dico sul serio, Felpato. E’ come se cercassi di evitarlo...» disse, poi si fermò a riflettere. « ...di evitare Mocciosus» ripeté a se stesso, inorridito dall’idea, come se ne avesse compreso il senso solo ora.
Sirius aprì la bocca per replicare, ma la richiuse subito dopo.
Cosa avrebbe dovuto dire? Sapeva benissimo che non era Severus che voleva evitare, bensì la ragazza, ma come l’avrebbe spiegato a James? Era una cosa fuori dal mondo per se stesso, figuriamoci per l’amico. James l’avrebbe portato da Madama Chips seduta stante se solo avesse provato a spiegargli cosa stava accadendo. E poi, come spiegarglielo? Non sapeva neanche lui che cosa lo portasse a comportarsi così. Era rimorso? Rancore? Paura?
Gli risultò talmente fuori mondo l’ultima ipotesi, che si spaventò quando avvertì dentro di sé una voce che gridava “si”, nel momento in cui l’aveva formulata. Paura.
Perchè mai avrebbe dovuto avere paura di quella ragazza? Era solo una ragazza!
Non era proprio paura, però, era una specie di timore. Una sorta di soggezione.
Ricordò quando aveva incontrato il suo sguardo, con Severus appeso all’ria. Ricordò che non aveva semplicemente visto quel disprezzo, quel disgusto, quella rabbia che era facile riconoscere nello sguardo di chi non apprezzava le loro marachelle, nello sguardo di Lily, per esempio.
C’era molto, molto di più. Era qualcosa di più profondo. Come se facendo del male a Severus, anche lei si facesse male. Era il timore di fargliene ancora.
Ma non ebbe tempo di concertarsi sulla sua nuova pista che James gli afferrò le spalle e lo strattonò, un po’ con troppa violenza.
Sirius ritornò alla realtà, e si trovò James davanti: sembrava terrorizzato. Si accorse anche che Peter si era alzato, e lo guardava stupefatto. Aveva l’aria di chi era stato appena schiaffeggiato e non ne conosceva il motivo.
«Sirius! Che ti prende?! Dimmelo Sirius!» scongiurò James, quasi urlando.
«Oh, Ramoso, andiamo!» cercò di tranquillizzarlo, ridendo. «Non mi prende niente... E’ solo che non mi va, punto. Sarà che l’estate mi fa l’effetto nel Natale» Convinto che quell’ultima frase l’avrebbe messo a tacere, tacque con l’umiltà del buon samaritano. James, però, lo fissò interrogativo. Era come se constatasse, davanti a sé, che la malattia di Sirius stava peggiorando. «Divento più buono» spiegò Sirius, paziente.
James si fece cupo, e mollò deluso la presa sull’amico. Poi si voltò, quindi ritornò veloce a fissarlo.
«Ti è successo qualcosa. Ti è successo qualcosa, di sicuro. Sei strano, Sirius. Non puoi fingere, non puoi continuare a tenerci all’oscuro, non puoi» disse, ed era terribilmente serio.
Sirius rimase interdetto. Fissò il volto dell’amico: il fatto che il sole gli brillasse alto dietro glielo rendeva sinistramente oscuro.
Poi tentò l’ultima carta. Sbottò in una disperata risata, ma questa si affievolì una volta che vide l’espressione di James non mutare, tesa come una corda di violino.
«James...» supplicò, sospirando. L’amico non cedette.
«E’ quella, non è vero?» Per un folle attimo, Sirius pensò che la voce provenisse dal suo interno. Era strano, però. Perchè la sua coscienza, o quello che era, gli parlava con la voce di Remus?
Rimase pietrificato, poi lentamente rivolse lo sguardo verso l’amico: non si era mosso, continuava a leggere il libro davanti a sé, in tutta tranquillità. Poi abbassò il volume di Storia della Magia, o allungò il collo (non lo capì, frastornato come era) e lo guardò piatto negli occhi. «E’ lei, non è vero?» ripeté, indicando con una cenno della testa la ragazza.
Sirius non proferì parola. La perenne abilità di Remus di cogliere nel segno sempre lo lasciò ancora una volta stupefatto. Non ci si abituava mai con uno così.
Come diavolo faceva? Era sempre, assurdamente, inconcepibilmente tranquillo. Non importava se con le sue parole facesse esplodere la furia, l’allegria, la tristezza, l’incredulità di chi si trovava davanti. Non importava di ché parlasse, e di ciò che stesse dicendo. Non importava neanche di quello che provasse mentre lo diceva, o di ciò che avrebbe suscitato negli altri dopo. Lui rimaneva sempre, assurdamente, inconcepibilmente tranquillo.
Annuì con la testa e piegò la bocca in un sorriso sghembo. Poi scomparve di nuovo dietro il rosso scarlatto, spezzato dai caratteri dorati del libro.
«Perchè mai dovrebbe spaventarsi di quella?!» esclamò James ridendo, e guardando Sirius, poi si voltò verso la ragazza.
Poi guardò di nuovo Sirius, e ancora la ragazza.
Sirius e la ragazza.
E ancora Sirius e la ragazza, per altre cinque volte.
Poi lentamente si voltò per l’ennesima volta verso Sirius e rimase a fissarlo. Sbalordito.
«Sirius?» mormorò, con una drammatica lentezza.
Sirius, ancora una volta, ritenne che ridere avrebbe potuto, anche quella volta, o, almeno quella volta, salvare il salvabile. E rise.
«Non dargli retta, James! Perchè mai dovrebbe spaventarmi quella lì», ma mentre pronunciò quelle parole si fermò a guardarla, all’ombra dell’albero. Si irrigidì senza accorgersene.
«Oh, per la barba di Merlino!» disse James, mettendosi le mani fra i capelli. Aveva gli occhi spaventosamente sgranati. Poi, ancora una volta, diresse lo sguardo verso la giovane figura all’ombra dei rami carichi di foglie. Rimase a fissarla per lungo tempo.
«Mi spieghi perchè ti mette paura?» chiese serio dopo un po’, lo sguardo ancora incollato a lei.
«Non mi mette paura» protestò esasperato Sirius. «E’ più una specie di... agitazione» mormorò. Ecco, l’aveva detto. Si sentiva libero e leggero come una piuma agitata dalla fresca brezza primaverile.
«Agitazione? Sirius, no, dico, l’hai vista? E tua cugina, allora? Bellatrix? Quella fa venire l’agitazione.»
«Tu non l’hai vista, James. Non hai visto come ci guardava l’ultima volta con Mocciosus, era... bè, non era contenta» disse con impazienza.
«Metà Hogwarts non è contenta quando facciamo quelle cose, Sirius, ma non mi pare tu ti sia mai tirato indietro... » stavolta si girò a guardarlo. «O fatto intimorire» proseguì, scoccandogli un’occhiata cupa.
«Non capisci...» replicò agitato Sirius, scuotendo la testa. «E’ diverso... non era uno sguardo come gli altri, era...» tacque cercando qualcosa di adatto da dire. «Non lo so, c’era qualcosa... e poi non mi ha intimorito, mi ha solo turbato» precisò.
«Ma perchè
«Non lo so!» sbottò. «Non lo so perchè, so solo che quando c’è quella nei paraggi non ho intenzione di avvicinarmi a Mocciosus... né a lui, né a nessun’altro» James non protestò. Rimase per un tempo indecifrabile immerso nei suoi pensieri, poi guardò Sirius per la centesima volta e disse con una decisione che lo fece rabbrividire: «E va bene». Un attimo dopo camminava a grandi passi giù per il prato.
«No! James, torna qui!» Ma era già troppo tardi: James aveva iniziato la sua marcia e non sarebbe tornato indietro. Peter gli stava dietro.
«Lunastorta!» esclamò Sirius indignato, quando vide Remus alzarsi in piedi. «Non vorrai...»
«Oh, avanti Felpato» disse leggero come un velo. «Non vorrai pretendere che me ne stia qui a perdermi uno spettacolo del genere?» domandò, come se fosse la cosa più assurda del mondo, «sarò pure un Malandrino, no?» dopodiché si incamminò giù per il prato.
Sirius sgranò gli occhi, fece qualche passo in avanti, ma subito dopo ritornò indietro.
Alla fine decise che sarebbe stato meglio assistere alla tragedia che rimanerne al di fuori, e si fiondò anche lui dietro ai compagni.

James si piantò davanti una figura dai capelli scuri, non molto lunghi, il volto bianco e puro. Aveva la testa china, assorta nella lettura, ma un’ombra la disturbò. Sbirciò alzando gli occhi chiarissimi alla luce del sole, poi li riabbassò, come se non avesse visto nulla.
Sirius si teneva a distanza, ma abbastanza vicino da seguire le mosse e da intervenire, nel caso se ne presentasse la necessità.
Ancora una volta lei alzò lo sguardo, e lo riabbassò.
Sbirciò ancora una volta, ma gli occhi ritornarono alle pagine giallognole del libro, facendo finta di niente.
«C’è qualche problema?» domandò secco James, stufo di quella placida indifferenza.
«Qualche problema?» chiese lei di rimando, come se non avesse aspettato altro che desse inizio alla conversazione.
«Esatto, qualche problema»
La ragazza distolse finalmente l’attenzione dal libro, fissò qualche secondo James, chiuse il volumetto posandoselo accanto e si mise ritta in piedi.
«Sai qual è il mio problema, Potter?» attaccò, dura. «Sei tu il mio problema, tu e la tua intera banda di bamboccioni» il suo sguardo, immediatamente, si incollerì.
«Continua...» disse James, soave.
«Certo che continuo. Sei la persona più arrogante che abbia mai conosciuto... oh, perdonami, non ti conosco, per fortuna. Ti credi chissà chi, e ti pavoneggi in giro per il castello come mai, mai ho visto ad altri fare. Sei un insopportabile egocentrico, presuntuoso, credi di poter comandare chiunque ti passi per il minuto cervello di comandare, e non hai il minimo rispetto per nessuno» tacque. «Per la Barba di Merlino, come diavolo fai?» sbottò, come se non concepisse l’idea che una sola persona potesse possedere tante caratteristiche negative tutte assieme. Remus trattenne una risata.
«Ridi?» abbaiò lei. «Non credere di essere tanto migliore di lui! Soltanto perchè non agisci direttamente, ciò non significa che tu non sia spregevole quanto Potter. Sai cosa? Lo sei di più! Ti ritieni troppo nobile per alzare la bacchetta? Sei troppo vigliacco per addossarti la colpa? O forse sei troppo codardo per intimare ai tuoi compagni di smetterla?!» Remus aprì bocca per replicare, ma fu costretto a chiuderla all’istante, poiché lei non aveva intenzione di fermarsi. «Non c’è bisogno che ripeta lo stesso suo discorso per te, Minus» proseguì, acida. «E...»
Poi successe una cosa abbastanza strana. La ragazza cercò qualcosa o qualcuno con lo sguardo, e scorse Sirius, che sbirciava da dietro la spalla di James. Lo guardò un paio di secondi e poi, senza un parola, li sorpassò, diretta al castello.

«Accidenti» esclamò indignato Remus, dopo che fu sparita.
«Un bel caratterino» commentò sconfortato Peter.
James rimase immobile, riflettendo fra sé. «Mi ha fatto una bella ramanzina,» esordì dopo qualche secondo. «l’ha fatta a voi due...»
Remus e Peter si voltarono di scatto verso Sirius, centrando pienamente il punto in cui James intendeva arrivare.
Solo in quel momento Sirius realizzò che con lui si era limitata ad una semplice occhiata, sebbene non esattamente cordiale. Rabbrividì al pensiero che forse, secondo lei, lui non meritava neanche una misera parola.
«E tu?» domandarono in coro Remus e Peter, indovinando i suoi pensieri.
Sirius scosse la testa, mostrando lo stesso loro stupore e la stessa loro confusione, e il discorso cadde in sospeso.


***

NdA. Bene, bene. Questo capitolo non è che mi convinca tanto, però, ahimè, una volta che ti entra in testa. E' necessario per mandare avanti la baracca :P Spero di non essere andata in... come si dice? OOC! Pietà, questa l'ho scoperta da 5 minuti xD Ecco, Sirius può sembrare un po' strano, ma in effetti quando mai l'abbiamo visto in una situazione del genere? Diciamo che è una faccenda fuori dall'ordinario anche per lui.
Mi sento sollevata nel constatare che non è proprio uno schifo quello che ho postato fino ad ora, viste le tre recensioni. Per me è già una cosa inimmaginabile *-* Ho davvero bisogno dei vostri commenti :D

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Uno strano arrivederci ***



4. Uno strano arrivederci

«Hei!» James si piazzò davanti la ragazza. Lei cercò di scansarlo, ma lui fu più veloce e le ritornò naso contro naso in un istante.
«Non ne hai avuto abbastanza, Potter?» chiese scontrosa, cercando una scappatoia fra la folla, ma ritrovandosi ripetutamente il volto di James a pochi centimetri dal suo.
Sirius, colto alla sprovvista, rimase un passo dietro la spalla destra di James. Istante dopo istante, gli divenne chiaro che l’amico si era piantato per la seconda volta di fronte la ragazza, senza che prima gliene avesse rivelato il motivo o l’intenzione. Tutto ciò che aveva avuto il tempo di realizzare era stato che, uscito dalla Sala Grande dopo aver sostenuto l’esame di Divinazione, James, dopo aver raggiunto Sirius che l’aspettava, si era gettato in mezzo al via vai degli studenti appena usciti dai sotterranei, e tutti e due si erano ritrovati faccia a faccia, ancora una volta, con la ragazza del prato.
«Buongiorno anche a lei, Madame» rispose James, galantemente. Ricevette in cambio una smorfia altezzosa, gorgogliante di disprezzo.
«Che vuoi?» domandò, sprezzante.
«Uuh, questi toni non si addicono ad una ragazza deliziosa e carina come tè... al limone senza zucchero» disse sbattendo le palpebre, con un sorriso bonario.
«Come sei divertente, Potter» ribatté lei, imitando lo sguardo e il sorrisino caramelloso di James. «Peccato che le tue tecniche accattivanti non funzionino con una ragazza acida come me, e mi chiedo perchè mai continui a perdere tempo con la sottoscritta, con tante caramelline zuccherine che ti ronzano attorno, e che potresti avere a tua completa disposizione» proseguì, sarcastica.
«Ti sottovaluti, mia cara» disse lui in tono beffardo, ma sincero. Tanto sincero, che Sirius credette che lo pensasse veramente.
«Immagino di no, se parlo con uno come te» Sirius percepì una breve esitazione in James, che però si disperse alla velocità della luce.
«Non ti piaccio proprio, eh?» constatò James, ironicamente afflitto. Come se ne fosse necessaria una prova, pensò Sirius.
«Mi meraviglio,» ammise in tono gentile, «hai afferrato questa volta» continuò abbozzando un sorrisino dolce, su un’espressione, però, acre e scomoda come un secondo posto sopra un podio mondiale.
Un istante dopo, Sirius si stupì per la velocità con la quale la ragazza si spostò alla sinistra di James, e tentò la fuga. Ma ancora di più a stupirlo fu di nuovo l’amico, che ne capì le intenzioni veloce come una saetta, e le si parò nuovamente davanti, alzando in aria le mani in segno di buone intenzioni, più che di un tentativo di ostacolo.
«Potter, ho ben altro da fare che scambiare battute ipocrite con te»
«E va bene...» si arrese, sbuffando. «Immagino sia inutile che me ne stia qui a cercare di convincerti che non c’è niente di ipocrita in quello che ti ho detto» In risposta si vide diretto uno sguardo gelido e impenetrabile di sola andata. «Ricevuto... allora mi limito soltanto a fare quello per cui ti ho fermata» disse, vago. «Devo darti una cosa» continuò fintamente pratico e indifferente, ma traendosi in inganno aggiungendo una lieve nota di sano e divertito mistero. La ragazza alzò un sopracciglio e si mise a braccia conserte perplessa, ma Sirius lesse chiaramente una bagliore di curiosità nel suo sguardo.
James mise una mano dentro la borsa a tracolla da dove, poco prima, aveva tirato fuori una pergamena e una piuma per l’esame.
Poi tutto successe troppo velocemente perchè Sirius si rendesse subito conto del perchè fosse rimasto solo, naso contro naso con la ragazza: James aveva appena affondato la mano dentro la sua tracolla, che una voce aveva gridato per farsi sentire: «Potter, abbiamo novità! Al campo di Quidditch, subito!» Un braccio era sbucato fuori dal via vai di studenti, lo aveva afferrato e James aveva gridato: «Sirius, daglielo tu!», poi era sparito in mezzo al nero delle divise scolastiche, facendo volare in aria un qualcosa di rettangolare e spesso, che atterrò tra Sirius e la ragazza.
Vide l’oggetto a terra e lo riconobbe: era il libro che lei stava leggendo, all’ombra di un castagno sul prato, l’unica volta che le avevano parlato. Ripensandoci, ricordò che, allontanandosi di fretta e furia, poi non l’aveva più ripreso.
Si chinò per afferrarlo, e con la coda degli occhi vide una mano chiara e gentile che si ritirò veloce quando la padrona capì di non essere l’unica a muoversi. La situazione era stranamente imbarazzante e... fredda.
«Tieni, questo deve essere tuo» disse non troppo gentile, porgendole il libro.
Lei annuì, prendendosi il volumetto di Pozioni. «Credo che dovresti ringraziarlo quando lo vedi» proseguì Sirius, quando lei fece per riprendere la sua strada. Gli parve che, impercettibilmente, la ragazza annuì. La vide passargli accanto e sorpassarlo, senza altro cenno, senza altra parola.

Sirius avrebbe anche preferito quell’aria di sufficienza che lei riservava a James; anche il disgusto che le aveva letto negli occhi quando avevano attaccato Mocciosus gli parve qualcosa di meglio. Ma l’indifferenza totale che indirizzava solo a lui era qualcosa che lo turbava profondamente. In fin dei conti era stato lui ad evitare che James infastidisse Mocciosus nel prato il giorno prima, lui a evitare che succedesse la stessa cosa in Biblioteca, e soprattutto lui aveva fermato James, quel giorno del loro quinto anno, quando Mocciosus aveva rischiato di essere denudato in pubblico per mano dell’amico - sì, era sicuro che James non l’avrebbe fatto in circostanze normali, ma dopo che Mocciosus era stato il motivo del litigio tra lui e Lily, sarebbe stata la stessa cosa? Non poteva esserne certo -. Lei doveva per forza aver visto che grazie a lui, e solo grazie a lui Mocciosus non aveva pagato quel giorno il prezzo della sua insolenza. Di fatto James aveva abbassato la bacchetta soltanto dopo che Sirius gli aveva parlato, e, nonostante lei non avesse probabilmente sentito la conversazione, doveva pur aver capito che Sirius aveva messo la sua buona parola. Certamente.
Allora, perchè lui non meritava neanche quell’aria di sarcasmo che si respirava tra lei e James? Perchè non era degno neanche di una mezza parola, ma soltanto di impercettibili gesti e di occhiate sprezzanti e gelide? Non era giusto far sentire lui - che aveva più di tutti gli altri aiutato il suo adorato Mocciosus - un essere che non merita nemmeno il diritto a ricevere anche soltanto un’ingiuria. Non meritava neanche questo? Insulto, offesa o umiliazione? Non importava checché fosse, non poteva negargli anche soltanto quello. Aveva speso parole per tutti, tranne che per lui, dunque valeva soltanto indifferenza? No, non si sentiva di meritare un’apatia del genere. Quella, era cattiveria. Tanta cattiveria solo per Mocciosus.
Non riuscì a frenare la curiosità e la tremenda ed egoista voglia di spiegazioni.
«Che rappresenta per te?» si ritrovò a chiedere ad alta voce, in mezzo al vocio di sottofondo. Senza essersene reso conto, si era voltato a fissare la ragazza, che camminava spedita davanti. La vide decelerare e fermarsi. «Mocciosus» chiarì Sirius, con un tono di voce più basso. Non sopportava che la cosa gli sfuggisse dal controllo.
Lei rimase qualche istante di spalle, immobile, poi si voltò a guardarlo, ma stavolta non c’era disprezzo nel suo sguardo. Né disprezzo, né indifferenza. Una languida tristezza adombrava i suoi occhi, tanto nascosta, quanto presente e irremovibile
«Che importa... non cambierà le cose» disse piano, tanto che Sirius dovette acuire il suo udito e, malgrado questo, concentrarsi solo sull’esile voce. La ragazza abbassò lo sguardo, immersa in un’emozione nostalgica che solo lei capiva e conosceva, poi si voltò e scomparve in mezzo alla folla.
Gli aveva parlato, finalmente. Lo aveva degnato di vocabolo. Eppure, Sirius sentì che non era a lui che aveva risposto, ma più a se stessa. Aveva le sensazione, ora, di aver appena assistito ad un breve, intenso e triste monologo. Come se lei avesse avuto l’opportunità e il coraggio, solo adesso, di raccontarsi la verità, una volta per tutte.
«Ramoso?»
«Che...?» fece assente Sirius.
«Dov'è? James»
Sirius si voltò e si trovò davanti la faccia ancora un po’ malaticcia di Remus che lo squadrava.
«Con... con la squadra» mormorò.
«Ti senti bene?» chiese Remus, perplesso. Sirius annuì. «Allora andiamo»
Mentre camminava, però, si sentì pervadere da una strana malinconia. Ora, avrebbe preferito che la ragazza non gli avesse mai rivolto la parola.

«Elyn... si chiama Elyn» esordì Remus, dopo che ebbero raggiunto di corsa il castello, fradici e infreddoliti. Fuori era scoppiato il diluvio universale, proprio quando Brist, l’allenatore di Quidditch dei Grifondoro, aveva appena annunciato che l’anno seguente quel compito sarebbe spettato a James. «Qualcuno l’ha chiamata così e si è voltata» proseguì.
«Chi?» domandarono in coro gli altri tre. «... si chiama Elyn» puntualizzò Peter.
«La ragazza» rispose, placido. «... quella del prato» aggiunse in tono annoiato, dopo che ebbe ricevuto sguardi interrogativi da tutti i sei occhi che lo guardavano.
«Oh... buono a sapersi» commentò James. «Piuttosto, Felpato, gliel’hai dato?»
Remus e Peter sgranarono gli occhi, impallidendo. «Il libro» aggiunse James, sbottando a ridere.
«Certo» asserì Sirius, inviando un’occhiata truce a Remus e Peter. James passò tutto il resto del tragitto fino alla Sala Comune ridendo, ignorando le richieste irritate di Sirius di piantarla.


***

Ordunque, mi sta venendo qualche dubbio su questa storia xD Non mi entusiasma più come prima, anche se deve ancora evolversi per bene.
Tuttavia, i capitoli sono già scritto, per cui non costa niente postarli XD Come va, va :P E siccome questo non è molto lungo, oggi ne posto due.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Ritrovi ***



5. Ritrovi

«Allora al mio tre» bisbigliò James, accucciato fuori dalla soglia della porta chiusa di uno scompartimento, nel fumeggiante espresso di Hogwarts. Sirius corrugò la fronte, tenendo ben salda la bacchetta dentro il pugno, cercando di frenare la bile che gli saliva dallo stomaco. Annuì concentrato. «Sbrighiamoci» sibilò. «... sto per vomitare»
«Uno... due...»
«JAMES! SIRIUS!» Un ragazzo un po’ tozzo, dai capelli biondi e dagli incisivi larghi e lunghi messi in bella vista grazie al gran sorriso che gli si era aperto in volto li stava raggiungendo, gongolando tra i pochi studenti che ciondolavano per il corridoio. Nella faccia da topo raggiante era dipinta un’espressione di commossa gioia. Quando li vide accovacciati in mezzo al corridoio, sotto la porta dello scompartimento numero 13, l’espressione gli si tramutò, esprimendo un’aria interrogativa, un po’ ebete.
«Shh» fecero James e Sirius in coro, premendosi l’indice in bocca. Troppo tardi. La porta dello scompartimento si aprì lasciando campeggiare su di loro un ragazzo dai capelli chiari, il volto bello, gli occhi nocciola, alto, molto alto. Più alto di quanto lo ricordassero l’anno precedente. Remus si guardò intorno, alzò un sopracciglio e chinò la testa. Il sopracciglio rimase inarcato anche quando vide i due ragazzi piegati, con la testa nascosta tra le ginocchia. Rimase a fissarli qualche secondo, studiandoli come fossero gravi casi umani. Dopodiché si voltò e ritornò dentro e, accomodandosi all’angolo vicino al finestrino, si mise davanti un libro.
«Avete intenzione di restare lì tutto il giorno?» lo sentirono domandare con grande calma, la voce esente da qualunque tipo di emozione, come se dal loro ultimo incontro fosse passato soltanto un pomeriggio.
«Andiamo a dargli un grosso abbraccio, Sirius, ti va?»
«Bello grande» s’intromise Peter, che si era accovacciato accanto a loro.
«Tutto, pur di non restare un solo secondo di più in questa posizione» biascicò Sirius, sicuro, come lo era dell’esistenza della morte, che da un momento all’altro avrebbe rilasciato una specie di frullato mischiato a liquido acido. «Uno... due... TRE!» E si sollevarono in aria sincronizzati, e facendo un gran baccano, le mani in alto, fecero irruzione nello scompartimento uno dopo l’altro, gettandosi a peso morto su Remus, le braccia impegnate in un grande abbraccio di massa.
«LUNASTORTA! IL NOSTRO CARO LUNASTORTA!»
«Hai mangiato Lunastorta? Ti vedo pallido e magro, non è che tutta la tua materia la sprechi per allungare, a spese di una buona e preventiva massa di muscoli?»
«Non vedo l’ora che sia Luna Piena, uooh!» esclamò esaltato Sirius, senza troppe inibizioni.
«Rag... ravgazzi... mi state uccidevndo...» mugugnò Remus, dimenandosi sotto il peso dei tre.
«Lasciamolo, lasciamolo»
Un attimo dopo erano in piedi, tutti e tre, con un gran sorriso in volto.
Sirius si fece pensieroso, e si voltò verso Peter con aria sbalordita.
«CODALISCIA!» urlò, gettandosi alle sue spalle, avvolgendolo in una forte stretta. Remus alzò gli occhi al cielo.
«IL MIO CARO TOPOLINO!» esclamò James, buttandosi sopra gli altri due, accomodandosi sulle spalle di Sirius. Peter per un soffio non cadde indietro, e si piegò a destra, gettando lui e gli altri due sul divanetto dello scompartimento.
«Ragazzi!» disse un’inaspettata voce, ferma e severa, sulla soglia della porta aperta. La professoressa McGranitt li fissava con sguardo felino, autoritario. «Diamoci un contegno» disse con voce misurata, ma gentile, come se l’ordine le fosse stato rivolto contro.
«Professoressa!» esclamò colmo di gioia James, rimettendosi in piedi.
«E’ un piacere rivederla!» festeggiò Sirius, non con minor veemenza di quanta non ne volesse esprimere, e anche lui si rimise ritto. Peter si cimentò in un sorriso distinto, seguito da un grande inchino.
«Buongiorno, professoressa» disse gentilmente Remus con voce quasi rassegnata, lasciandole un’occhiata d’intesa, come se si trovassero entrambi in un asilo, a dover badare ad una capricciosa banda di bambini.
«Anch’io sono molto felice di rivedervi ragazzi» rispose educatamente la McGranitt, visibilmente grata, con due rossetti deliziosi in volto. «E lo sarebbero anche i vostri compagni e il resto del personale della scuola e dell’espresso, se solo cercaste di rilassarvi un po’. Abbiamo una giornata di viaggio davanti, non bruciate tutte le energie, vi serviranno una volta giunti al castello. Avrete bisogno di cervelli freschi già da domani» proseguì, cercando di ricomporre il tono misurato, ma lasciando sfuggire un’evidente nota comprensiva e rilassata, che, in definita, annullava l’ordine. O almeno lo annullava in parte.
«Certamente» garantì James, chinando un po’ la testa, gli occhiali gli scivolarono teneramente sul naso. Sembrava, ora, il ragazzo più composto e tranquillo di tutto il Regno Unito.
La professoressa McGranitt augurò loro un buon viaggio, e con un sorriso veloce sparì, chiudendosi dietro la porta.
Sirius, James, Remus e Peter si gettarono sui sedili, dando vita ad un vitale chiacchiericcio. Si raccontarono delle rispettive estati: James e Sirius della loro passata insieme, all’insegna di partite di Quidditch, tornei a scacchi magici, e, ovviamente, marachelle di ogni genere, senza mai cadere nel banale, Peter di una noiosa e tranquilla estate insieme ai genitori, scossa soltanto dai litigi di questi, e Remus di una stagione passata a cercare umilmente di vivere nel modo più tranquillo, sapendo che una sola notte al mese gli bastava pienamente a scuotergli la vita per i restanti trenta giorni. I racconti impiegarono buona parte delle loro energie, e, poco dopo, si abbandonarono quietamente al rumore della pioggia che ticchettava regolarmente sul tettuccio e sui finestrini dell’espresso, immersi nel paesaggio ancora addormentato del mattino, che sfrecciava cupo, sotto le ombre delle grosse nuvole plumbee.

Fuori il corridoio dell’espresso non brillava certo per vivacità. Nel primo pomeriggio gli studenti erano, per la gran parte, rintanati nei rispettivi scompartimenti, e la pioggia fuori donava all’intero mezzo un’aria placida e taciturna. Soltanto il flebile chiacchiericcio dei pochi studenti ancora energetici era udibile, a tratti, lungo il grigio corridoio che percorreva l’intero espresso, di vagone in vagone.
Sirius e James si aggiravano irrequieti in cerca di qualcosa che spezzasse la noia, malgrado la pacatezza e l’atmosfera irrimediabilmente pigra del sonnecchiante e fumeggiante treno.
«Cosa darei per vedere Evans, adesso» mugugnò James, sfinito dal dolce far niente.
«Ti do di meglio» disse Sirius, allungando il collo in avanti e aguzzando la vista, come avvistando una preda, poi con la testa fece un cenno sbrigativo davanti a sé, sorridendo.
James lo imitò, e socchiuse gli occhi sotto gli occhiali rotondi.
«La signora del carrello?» domandò perplesso.
«Davanti» fece impaziente Sirius. «Guarda davanti»
James si concentrò di nuovo.
«Mary... Mary Macdonald... sta comprando delle gelatine» James alzò un sopracciglio. «Bè... io preferisco Evans, però Macdonald non è male, poi se piace a te» disse scrollando le spalle.
«Cosa? Che... che stai dicendo? E va bene, ho capito» disse del tutto spazientito. Lo afferrò per il polso e si avvicinò a grandi passi verso la signora del carrello. La superarono uno alla sua destra e uno alla sua sinistra.
«Mocciosus» disse finalmente James inebriato e raggiante per aver trovato un diversivo a quella opprimente noia, noncurante del fatto che l’avesse davanti.
Severus se ne stava appoggiato in una striscia di parete del corridoio, tra uno scompartimento e quello adiacente, e scriveva furtivamente un libro. Alzò lo sguardo e si accorse che James e Sirius lo fissavano con due ghigni opposti in volto, che sembravano completarsi in un unico, malevolo sorriso. Chiuse di fretta il libro e li guardò con un’espressione di sfida.
«E’ un piacere vederti, Mocciosus» dichiarò Sirius, caricando l’ultima parola di una nota sprezzante.
«Passate bene le vacanze?» domandò James, accennandolo con la testa sfuggevolmente, come si fa con qualcosa di disgustoso, non degno di attenzione.
«Potter... Black» replicò spregevolmente in un fremito di coraggio, cercando in tasca la bacchetta.
«Uuh, che paura» cantilenò Sirius, tirando fuori la sua e puntandogliela prima in direzione del mento.
«Farai lo sbruffone anche quest’anno, Mocciosus?» domandò James, certo della risposta e, allo stesso tempo, poco interessato ad essa, indirizzandogli contro anche la sua bacchetta. «Sai, credo proprio che...»
«Hei, voi!» belò una voce alle loro spalle. «Mettete giù quelle bacchette» ordinò la Signora del carrello, un braccio alto in aria, la bacchetta arditamente sfoderata.
James e Sirius si lanciarono di nascosto un’occhiata divertita, quindi finsero un’espressione timorosa, senza però abbassare le bacchette.
«Expelliarmus!» esclamò Severus, approfittando della distrazione, facendo volare in aria la bacchetta di James.
Sirius mosse in aria la bacchetta. «Exp...» si affrettò a dire, ma qualcuno lo anticipò, e un lampo rosso, perfettamente indirizzato, gli fece volare via la bacchetta.
Guardò stupefatto davanti a sé, il bastoncino di legno in aria dietro la spalla di Severus. Persino questi sembrava stupito, ma non commise l’errore di voltarsi. Sirius mosse la testa di lato, in cerca di chi aveva lanciato l’incantesimo. Ebbe la risposta.
«Potter e Black» si limitò a dire la ragazza dai capelli scuri e dagli occhi chiari, con tono poco interessato, come se fosse una constatazione fin troppo scontata. L’ombra cupa e incombente, proveniente dai nuvoloni all’esterno, che si stagliava nel corridoio, rese giustizia alla sicurezza che ostentava, e le ombre scure sul suo volto, disegnato dal disprezzo, presero forza, in contrasto con il lieve bagliore solare che le illuminava una parte del volto. Elyn sorreggeva la bacchetta con cruda fermezza.
Alla sua voce, sul volto di Severus si disegnò lo stupore con altrettanta velocità con la quale si voltò a fissarla. Stupore feroce, misto a freddezza.
«Va al diavolo! Non ti ho chiesto di aiutarmi!» abbaiò glaciale, sputandole ai piedi. Sirius colse un lampo di stupore e di delusione silenziosa sul volto di Elyn.
Cosa? Cosa stava succedendo? Lei lo difendeva in maniera orribilmente servile e lui le sputava addosso? Un senso di nausea pervase Sirius, e qualcosa gli ululò dentro. Uno strano senso di giustizia, di pietà verso Elyn, o semplicemente di orrore e di ribrezzo nei confronti di Severus gli si gonfiò inesorabilmente dentro. No, chiedergli di frenarsi questa volta era decisamente troppo. Sirius non poté, non poté. Non ci riuscì.
«Razza di idiota, dovresti RINGRAZIARLA! VERME!» sbottò, scaraventandosi pericolosamente su Severus, che mosse minaccioso la bacchetta, sopraffatto da quel nuovo, coraggioso attacco disarmato.
«Sectus...» mormorò allarmato, ma un lampo di luce corse in aria, sfrecciandogli dritto addosso. Sirius si bloccò. Vide Severus impallidire, la bacchetta gli volò dalle mani, prima che pronunciasse l’incantesimo. Ancora una volta lo stupore gli si dipinse sul viso. Dopodiché guardò rabbioso la Signora del carrello, che, come erroneamente avevano pensato, non era ancora del tutto caduta nell’anonimato, e l’aveva infatti disarmato e reso vulnerabile.
James e Sirius in uno scatto recuperando le loro bacchette.
«Che succede qui?» urlò una voce severa, dura. E il silenzio calò lungo il corridoio. Sirius non fece più quello che stava per fare, e si accorse solo allora delle tante facce spaventate e interessate, che sbucavano da ogni scompartimento, una sopra, accanto e sotto l’altra. Tutti li osservavano con aria grave e impotente. Poi vide la professoressa McGranitt. Fissava truce, quasi offesa, Sirius e James, le cui bacchette erano entrambe, di nuovo, puntate su Severus. Guardò i due per qualche istante, la bocca serrata, la fronte corrugata, gli occhi, la cui freddezza lasciava trasparire un’ombra di delusione, ridotti a fessure.
«Profes...»
«Potter, Black... seguitemi» ordinò. La sua voce suonò stranamente gelida.

«Chissà perchè, stupidamente, ho pensato per un attimo che quest’anno potesse essere diverso» cominciò in tono duro.
La professoressa McGranitt li aveva fatti sedere nel suo scompartimento, e ora se ne stava in piedi, dando loro le spalle.
«Ma profes...»
«Niente ma, Black» disse inflessibile, voltandosi e mostrando in volto tutta l’amarezza e la delusione che non esprimeva a voce. Sirius rabbrividì, ricacciando giù una voce ribelle che gli urlava dentro. «Non siamo ancora arrivati a Hogwarts e già vi comportate come se foste una coppia di malfattori» proseguì con lo stesso tono. In altri momenti, James e Sirius avrebbero fatto qualche battuta fuori luogo, sdrammatizzando la situazione, seppur prendendosi a capo fiero tutte le responsabilità delle loro azioni. Anche la professoressa McGranitt avrebbe contribuito ad alleggerire la tensione. Ma questa volta l’aria era grave, pesante, concentrata di una colpevolezza inallontanabile, inoppugnabile.
«Non avrei mai immaginato, mai immaginato di arrivare a dire queste parole, di arrivare a constatare quanto siate infantili e immaturi. La vostra insaziabile sete di egocentrismo è disarmante» disse serrando le labbra. James e Sirius chinarono lo sguardo. Ancora peggiore delle urla, ancora peggiore della rabbia, ancora peggiore della punizione, c’era quella velata ed inespressa delusione. «Vi rendete conto di quello che avete fatto? Di che spettacolo avete offerto?» James aprì la bocca per replicare, ma lei lo interruppe bruscamente: «Oh, Potter, era una domanda retorica, non ti consiglio di rispondere!» Lo guardò accigliata e proseguì: «Dare sfogo in questo modo incontrollato ai vostri piaceri, ai vostri capricci, alle vostre sciocche presunzioni è inaccettabile, inaccettabile in un ambiente come questo. Soltanto perchè siamo solo sull’espresso, e non ad Hogwarts, ciò non vi permette di utilizzare la magia in maniera arrogante e inappropriata» sibilò controllando la voce, guardandoli negli occhi. «Non posso passare sopra questo, lo capite?» domandò, forse a se stessa, lasciando andare una nota di impotenza nella voce. Sirius e James si limitarono ad annuire, silenziosamente. «Spero che questo atteggiamento cambi, da adesso esigo un comportamento più civile» proseguì. «Adesso andate, vi farò avere notizie» concluse piano, con tono inespressivo.
Sirius e James si alzarono soltanto quando lei si accostò al finestrino, dando loro nuovamente le spalle. In quel momento capirono che non c’era niente che potessero più fare. Niente da poter recuperare.

«Come vi è venuto in mente?» domandò poco dopo Remus sbalordito. «Come vi è venuto in mente di mettervi a duellare con Mocciosus, sotto gli occhi di tutti, alla vigilia del primo giorno di scuola, con la McGranitt in giro?!» continuò, agitando le mani in aria, come se stesse enumerando tutte le aggravanti, valutandone l’incidenza. «E’ incredibile» borbottò infine.
Peter fissava Sirius e James con aria mesta, ma non disse una parola, come se comprendesse e rispettasse il loro stato d’animo.
Dopo qualche ora, malgrado le ripetute richieste di porre fine a quel discorso, Remus, ogni tanto, continuava ad esporre tesi e a costruirsi eventi che in realtà non c’erano mai stati, rompendo il pesante silenzio che gravava come una condanna, biasimando Sirius e James ogniqualvolta se ne presentasse l’occasione, e la conversazione lo richiedeva per imporre le sue idee.
«Abbiamo già avuto la nostra predica, Lunastorta» si lamentò nervoso James. Remus fece un cenno dispersivo con la mano, ignorandolo e riprese a parlare: «Perchè mai dovete sempre cacciarvi nei guai, mi domando!» proseguì spazientito nella sua conferenza, continuando ad armeggiare il vuoto con le mani in aria. «Neanche io da Lupo Mannaro!»
In quel momento la porta dello scompartimento si aprì. Remus si agitò scomposto sul sedile, allarmato sulla possibilità che la persona avesse udito la sua ultima frase. Impallidì. La McGranitt fece capolino sulla soglia della porta, l’ espressione ancora lievemente accigliata, ma il tono non acerbo come qualche ora prima. «Black, Potter, seguitemi» disse.
Sirius e James si lanciarono una fugace occhiata perplessa e seguirono la professoressa, nell’ormai solito scompartimento.

«Non voglio darvi false illusioni, la punizione ci sarà e questo è sicuro, come è sicuro che voi siete qui adesso» puntualizzò subito, una volta dentro. «Desidero solo informarvi del fatto che non sarete soli nello scotto della vostra pena» proseguì pratica. James fece per parlare, ma lei lo anticipò. «Mi è giunta voce che non siete stati i soli ad alzare la bacchetta, non per vostra fortuna o sfortuna, aggiungerei, poiché la vostra punizione non verrà annullata né ridotta, sappiatelo. Volevo solo comunicarvi questo» tacque.
«Chi altri?» domandò James, mite.
«La questione non vi tocca» rispose decisa.
«Mocc... volevo dire» balbettò James. «Severus Pit...»
«La questione non ti riguarda, Potter, e non voglio ripetertelo. Non ho intenzione di dirvi chi altri verrà punito, non voglio che si cominci a diplomare e polemizzare su chi di voi abbia più colpe»
«Ma lui ha...»
«Oh, Black, non credere che non sappia che tu e Potter lo avete cercato volontariamente, non aspettando altro che scatenare un putiferio del genere, uscendone immuni e impuniti, come sempre, non credere che non sappia» disse dura. «Ma, francamente, non voglio che questo ricadi su di voi come aggravante, mi spiego?» proseguì, lanciando un’occhiata accusatrice ad entrambi. Non replicarono. Era, in qualche modo che non conoscevano, impossibile mentire alla McGranitt, aveva un qualcosa di materno e penetrante che non poteva essere preso in giro. «Diciamo che vi sto facendo un favore, dato che potrei benissimo darvi una colpa maggiore, visto ciò che ho sentito»
«Possiamo sapere chi le ha parlato?» domandò Sirius.
«Questo non è di rilevante importanza, al momento» rispose, in tono che non ammetteva repliche. «Comunque, un intero vagone vi ha visti, immagino che chiedendo in giro non possano venir fuori versioni molto diverse... o forse sì, ma suppongo che sia meglio non indagare ulteriormente» Detto ciò, li congedò.

«La signora del carrello» rispose Sirius moscio, dopo un po’. Si trovavano di nuovo nello scompartimento numero 13, inchiodati da un tremendo interrogatorio. Remus li guardava accigliato più di prima.
«E’ stata lei a testimoniare?» chiese con fare competente.
«Testimoniare, puà! Non farla tanto teatrale, Remus!» protestò James, abbandonato sul sedile.
«’Sta zitto, tu! Dicevo, ne siete sicuri?» domandò pratico.
«Certo che ne siamo sicuri, chi altri altrimenti?» Sirius guardò James in cerca di conferma. James annuì funebre, la schiena arrivata a distendersi completamente sul sedile, la testa piegata sull’angolo dello schienale in modo innaturale. Sirius annuì sicuro a Remus.
«Bene... e chi altri verrà messo in punizione, avete detto?»
«Mocciosus, ovvio di nuovo, no?» Cercò ancora lo sguardo di James, che annuì nuovamente. Sirius fece spallucce a Remus con fare d’ovvietà. «Lui ci ha disarmati per primo»
«Che storia!» commentò Remus scuotendo la testa, e si abbandonò col naso sul finestrino, ad osservare assorto il mondo grigio al di là di quella barriera di vetro. Sirius tirò un sospiro di sollievo.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Incomprensioni ***



6. Incomprensioni

La prima settimana di scuola passò veloce e piena, come una botte stracolma di impegni.
Sirius e James avevano ormai dimenticato il triste e fastidioso episodio sull’espresso, anche se, da bravo badante quale era (e quale un po’ gli piaceva essere), Remus sistematicamente ricordava loro che la professoressa McGranitt difficilmente avrebbe obliato l’accaduto, e che c’era da aspettarsi che da un momento all’altro sbucasse fuori un gentile invito dal suo ufficio, diretto unicamente a Sirius e a James. Per tutta risposta riceveva grosse risate provenienti dai diretti interessati, una goduria per la salute. «Vedremo...» commentava impermeabile.
Ma non per niente Remus Lupin era il previdente e il ragionevole dei Malandrini: l’invito, infatti, non tardò ad arrivare.
«La professoressa McGranitt vi vuole nel suo ufficio... oggi» disse Mary a Sirius e James quando, insieme a Remus e Peter, raggiunsero i sotterranei per la terza lezione di Pozioni, la mattina del secondo lunedì ad Hogwarts.
«Ti ha detto perchè?» domandò Sirius. Mary gli lanciò un’occhiata spiacente e loquace. Sirius fece una smorfia, in segno di comprensione.
«’Sta zitto» sbottò James brusco, quando poi Remus fece per parlare.

Durante i giorni che erano intercorsi tra quel fatidico 1 Settembre e quel ventilato lunedì mattina, incrociarono Severus soltanto rare volte. Momenti troppo fugaci per approfittare e mettere in tavola una conversazione, o qualcosa di simile: il pranzo in Sala Grande, avvistamenti veloci fra i corridoi del castello, apparizioni concrete durante le ore di lezione in comune con i Serpeverde, che però non potevano mai considerarsi un’opportunità reale. D’altronde nessuno di loro credeva che, anche facendosi avanti l’occasione, una conversazione con lui sarebbe mai iniziata. Forse qualcos’altro.
E, sebbene Severus non fosse mai stata una presenza assillante nel castello - più esattamente una specie di perenne apparizione fuggiasca (anche se, in compenso, la maggior parte delle volte si facesse vivo le interazioni erano abbondanti, e non procedevano mai tranquille) -, adesso sembrava molto più rarefatto di prima. Evidentemente, la consapevolezza di dover condividere la futura punizione con loro gli bastava e avanzava, tanto da nascondersi del tutto, pensò Sirius.

Il pomeriggio arrivò molto più in fretta di quanto sperassero. Alle cinque in punto raggiunsero l’ufficio della McGranitt.
«Sai, James, credo che dovrei prendermi la colpa» disse Sirius, simulando alla meglio un tono leggero, una volta giunti di fronte la porta di legno dell’ufficio, il pugno già in aria pronto a bussare. Non sapeva bene perchè avesse proposto una cosa del genere. Mai uno di loro si era caricato sulle propria spalle l’intera colpa, lasciando l’altro immacolato. Tuttavia, adesso qualcosa gli diceva che se non avesse urlato contro Severus, quel giorno, la professoressa non sarebbe mai venuta a conoscenza di nulla.
«Falla finita» commentò James secco, come se non avesse neanche lontanamente valutato l’idea. Malgrado quella convinzione che non lo mollava, Sirius si sentì sollevato dal rifiuto, scrollò le spalle e bussò.
«Avanti».
La professoressa McGranitt se ne stava seduta su una scrivania di legno, la testa china su un blocco di pergamene scritte a mano, le lenti giunte sulla punta del naso aquilino. Sollevò gli occhi dentro orbite, senza muovere minimamente il volto, e li guardò da sopra le lune piene vitree.
«Buonasera. Accomodatevi, non appena sarete tutti e tre vi dirò cosa fare» disse, ripiombando giù lo sguardo, immergendosi anima e corpo di nuovo nella frenetica lettura. Sirius e James si sedettero nelle due poltrone poste obliquamente, di fronte la scrivania, ed attesero.
Sirius fece l’unica cosa che gli era concesso fare in quel momento: si mise a riflettere.

Ricordò la giornata sull’espresso, cosa che fino ad allora, ancora, non aveva stranamente mai fatto. In particolare, si ritrovò a ripensare a Severus e alla sua improvvisa aria sbruffona e tirannica, nei confronti della ragazza. Non l’aveva mai visto in quel modo. E il solo pensiero che una persona così spregevole potesse esercitare su qualcuno cotanto potere e timore lo fece bollire di rabbia. Gli parve ancora più deplorevole di quanto lo reputasse prima.
Pensò all’eventualità di lanciargli una maledizione non appena avesse fatto capolino sulla porta - senza neanche pensare che non ne era ancora in grado, o, perlomeno, non l’aveva mai fatto -, con i capelli unti e la testa leggermente piegata in avanti, in un atteggiamento perennemente diffidente, e sapeva che quel momento sarebbe giunto molto presto. Quasi, quasi non vide l’ora. Poi si accorse ad immaginare l’avvenimento in ogni dettaglio: Mocciosus che bussava alla porta, la Professoressa che gli permetteva di entrare, Mocciosus che appariva, pallido, smorto e unto, la pelle verdastra, che faceva per entrare nella stanza portando con sé un’aurea deprimente e viscida, che si allargava all’ufficio e a loro stessi, poi vide lui stesso, Sirius, che alzava la bacchetta e in un lampo rosso e accecante lo stendeva a terra, accompagnandosi con urla di vittoria estremamente liberatorie.
Scosse la testa, turbato dai suoi stessi sadici pensieri, e si impose che, qualunque cosa accadesse, non si sarebbe mai abbassato a quel livello. Vederlo marcire ad Azkaban, da Mangiamorte fallito, sarebbe stato ancora più gratificante. Ed allora, né Evans, né la ragazza, né la McGranitt, né nessun’altro al mondo avrebbe più biasimato lui e James, per le lievi torture che durante quegli anni gli avevano fatto patire e che, in confronto a quelle che in futuro tutti avrebbero voluto infliggergli, sarebbero state meno di niente. Allora immaginò Mocciosus dietro le sbarre, l’espressione vuota e gli occhi acquosi e vacui, regalo dei Dissennatori. Lì stava proprio bene, Mocciosus. C’era unto dappertutto.

Improvvisamente dei colpi alla porta lo ricondussero bruscamente alla realtà, sussultò sulla poltrona e guardò l’ingresso dell’ufficio.
«Avanti».
La porta si aprì, una figura fece capolino sulla soglia. Ma non era quella che loro si aspettavano.

«Buonasera, professoressa» disse, la voce stranamente tenue e inibita, come mai l’avevano sentita, e come mai l’avrebbero immaginata.

«Accomodati, cara. Come vedi i tuoi compagni sono già qui» disse gentile la professoressa McGranitt. Dal tono sembrava più un amichevole incontro pomeridiano, finalizzato unicamente a consumare del tè e una manciata di biscotti, che a scontare una molteplice punizione.
Elyn si sedette accanto all’estremità opposta della scrivania, ignorò volutamente Sirius e James che la fissavano sbalorditi.
«Molto bene» proseguì la professoressa. «Allora...»
«Scusi, professoressa» la interruppe Sirius. Sbatté le palpebre in direzione di Elyn, per accertarsi che non stesse immaginando. «Dev’esserci un errore» osservò con placida convinzione, corrugando la fronte.
«Un errore, Black? Non capisco, spiegati meglio»
Sirius aprì la bocca, poi la richiuse. Proseguì: «Severus Piton, lui dovrebbe...» Elyn gli lanciò un’occhiata gelida, lui la ignorò.
«Severus Piton non è in punizione, Black» obbiettò la professoressa, con fare ovvio e compassionevole, come se stesse spiegando ad un bambino che Babbo Natale non esiste.
«Ma...»
«Credo che, dissipato questo dubbio, possiamo tranquillamente passare al lato pratico, siete d’accordo?» proseguì sorda. «Dunque...»
«Mi scusi, professoressa, ma io sono convinto che ci sia un errore» insistette Sirius. Non era possibile, non poteva filarla liscia in quel modo.
«Signor Black, mi sono semplicemente basata sulla parola di una persona di cui mi fido e della quale non dubiterei. Credo a ciò che mi è giunto alle orecchie, ma se lei è sicuro che ci sia un errore non so davvero cosa pensare...»
«Professoressa, col suo permesso, vorrei ricordarle che non corre certo buon sangue tra Black e Severus Piton» esordì Elyn, guardando bieca Sirius. La differenza di tono con la quale pronunciò i due nomi era lancinante. Infido il primo, tenero l’altro. «Non sarebbe imparziale affidarsi alla sua parola»
«Come non sarebbe imparziale affidarsi a quella di Piton» replicò Sirius, più sprezzante di quanto non volesse apparire. Tuttavia, non sdegnò il risultato.
«Non è sulla parola del signor Piton che mi baso» osservò la McGranitt, dando voce allo sguardo torvo di Elyn. «Ma di una ammissione» continuò, fermando con lo sguardo Sirius. «suppongo che più imparziale di così ci sia solo un veritaserum, non crede?» Sirius non replicò. Dunque, non era stata la signora del carrello ad aver cantato, ma lei stessa, Elyn si era addossata la colpa di Severus. Ancora una volta, si era offerta come capro espiatorio, solo per salvaguardare lui. Le lanciò un’occhiata interrogativa, ma lei girò imperturbabile lo sguardo. «Dunque, se non ci sono altre obiezioni, passerei ad assegnarvi il vostro lavoro» proseguì, osservando tutti e tre. Sirius cercò ancora una volta Elyn con gli occhi, lei rispose con uno sguardo fermo, che chiedeva palesemente di non obiettare. Sirius non lo fece, e fu felice di non farlo. Se lei aveva deciso di immolarsi, andava bene, di certo non sarebbe stato lui a convincerla a cambiare idea, malgrado dentro bruciasse di rancore nei confronti di Severus. Pensò di aver fatto addirittura troppo, e assolutamente tutto ciò che era nelle sue possibilità, e attese accigliato.
«Va bene» riprese la McGranitt, non constatando ulteriori polemiche. «Questo pomeriggio...», già l’inizio non piacque a Sirius, in quanto il “questo pomeriggio” eludeva al fatto che ci sarebbero stati più pomeriggi. Naturalmente se l’aspettava, ma, data la piega che avevano preso i fatti, sentire quel bruciore sullo stomaco per una serie di pomeriggi era, adesso, un’altra storia. «dovrete catalogare, in ordine alfabetico, tutti quei volumi laggiù, sulla libreria. - Oh, Potter, non fare quella faccia, non sono poi così tanti -, dovrete indicare la materia di cui si tratta nel volume, l’anno di pubblicazione, l’autore, la casa editoriale e gli eventuali effetti collaterali»
«Effetti collaterali?» fece James inorridito, con una punta di timore nella voce.
«Secondo te, Potter, perchè quei catenacci sulla vetrina? E le rilegature in lega? E le cinghie di cuoio? Oh, via quell’aria spaventata dal volto, Potter, sia coraggioso, non vi capiterà niente che Madama Chips, con la sua sconfinata esperienza, e con qualche buona fattura non possa sistemare all’istante. Adesso andate, in quella stanza, lì, vedete quella porta? Da bravi, andate lì. Oh, ecco, tenete questi guanti... non si sa mai» disse pratica, come se stesse ripetendo le tabelline. Poi alzò la bacchetta e con abile maestria sollevò la libreria straripante di libri, facendola passare, riducendone le dimensioni per qualche momento, attraverso la porticina che conduceva alla stanzetta da lei prestabilita. Non cadde a terra un solo granello di polvere. Sirius e James si lanciarono un’occhiata invidiosa e sognante. Dopodiché, fece ai tre un cenno di capo verso quella direzione accennando un sorriso incoraggiante, e la sua attenzione ricadde inesorabilmente sulle pergamene sotto il naso aquilino. Sirius, James e Elyn entrarono nella stanza.

Dentro l’ria era afosa, nonostante il pomeriggio non poteva definirsi tale. La stanza era stretta e ingombra di libri e oggetti ambigui sparsi in ogni dove; di molti non ne immaginavano neanche l’utilità, forse specifici di una professione che non conoscevano. Sirius non avrebbe mai immaginato che la professoressa McGranitt potesse essere così disordinata.
Si misero subito a lavoro e in un attimo l’atmosfera si caricò di frasi non dette, di accuse taciute, di imbarazzo sgradevole, e di rancori che bruciavano sullo stomaco. Non osavano guardarsi, o perlomeno, James e Sirius a Elyn e viceversa. Il silenzio divenne presto sgradevole e pesante, come se l’aria pesasse mattoni. Curvi sui volumi - preferirono iniziare con quelli innocui -, brandivano le penne e scrivevano sugli annuari, non pronunciando parola alcuna. Il caldo divenne insopportabile e quasi subito Sirius e James tolsero i mantelli, le maniche dei maglioni tirate fino ai gomiti. Elyn tolse il mantello un po’ dopo. Sirius notò un corpo minuto, docile, quasi infantile. Il pensiero gli balenò prima che finisse di esaminarla e di scoprire che le faceva una certa tenerezza: come poteva averle sputato ai piedi?
Sirius non riusciva ad evitare di pensare all’ostinazione che lei aveva dimostrato nel rendersi servile e protettiva nei confronti di Severus, in un modo che oltrepassava i limiti della credibilità. Come poteva adorare una persona così? Gli parve oltremodo impossibile, inconcepibile. Immaginò che gli piacesse, o che ne fosse innamorata, o addirittura, che provasse un piacere perverso nel sentirsi ripudiata, umiliata. Masochismo. Poteva essere? No, si convinse. Perchè quando era stata trattata in quel malo modo da Severus, il pomeriggio sull’espresso, aveva chiaramente visto la sua espressione stupefatta dalla freddezza inaspettata, disorientata, mortificata. Ferita. Ancora un fremito di rabbia lo percosse. Ancora quel senso di giustizia e pietà che piombava frastornante contro il ricordo delle ignobili azioni di Mocciosus. Scosse la testa per liberarsi dal pensiero, ma invano. La mente cadeva irrimediabilmente lì, sul bruciore sempre più fastidioso che gli crogiolava lo stomaco. Odiava il fatto che Severus non fosse lì, a pagare la sua penitenza, a risarcire il prezzo delle sue azioni. Della sua arroganza, della suo stesso schifoso essere. Poi, Sirius, si sorprese a correggere i suoi pensieri. Ciò che davvero gli dava rabbia, non era tanto il fatto che Severus non stesse scontando la sua pena, e se ne stesse beato a rigirarsi i pollici o a macchinare sue immagini da perfetto Mangiamorte, ma quanto il fatto che Elyn si fosse caricata delle sue colpe, che, malgrado lo sforzo, lui non ne capisse il motivo, il senso.
Era qualcosa che non riusciva neanche lontanamente a concepire. Perchè l’aveva fatto? Non capiva che Severus non era degno di tutto quello? Di tutte quelle disperate attenzioni? Non che lui lo fosse, o si sentisse degno in qualche modo più di lui, non era questo. Ma davvero lei non capiva che c’era altro, molto migliore oltre quella persona, che lei potesse meritare? Il solo pensiero che Severus l’avesse così trattata, come si tratta la carogna di una creatura infida, sporca, come ci si comporta con qualcosa di più basso, più deplorevole del fango, che le avesse sputato addosso come fosse qualcosa di disgustoso, immondo e che lei, irremovibile come un sasso giacente in uno stesso luogo per milioni e milioni di anni, prendesse le sue difese, nonostante tutto, andando addirittura contro loro, Sirius e James, ecco, tutto questo era intollerabile. Intollerabile. Davvero non riusciva a rendersi conto che si stava battendo per qualcosa di impossibile, il tentativo di far nascere un qualche squarcio approssimato di sentimento positivo in Severus Piton, a discapito della sua stessa persona? Era un amore così insormontabile, così ormai diramato nel suo cuore, da non poter più sfuggirgli? Da non vedere come la trattava, da mettere da parte orgoglio e ogni riguardo per se stessa? Ricordò le occhiate nauseate che Elyn aveva rivolto loro, a discapito delle speranze che nutriva in Severus, così diverso, così in un certo senso peggiore di loro. Il bruciore raddoppiò. Qualche semplice gioco e scherzo infantile erano peggio di una dimostrazione di disprezzo come quella che aveva subito? Era possibile passare sopra lo sputo, il ripudio ostinato, e non sopra i loro giochetti innocui? Dunque, loro valevano meno di Severus? Dunque, Severus meritava, malgrado tutto, di essere difeso, e loro avrebbero, per quanto le riguardava, meritato tutte le punizioni del mondo? Tutti gli sguardi disgustati? Tutti i gelidi silenzi, le privazioni di parola? Il bruciore triplicò, quadruplicò. Inaccettabile, insostenibile.
«Mi spieghi perchè l’hai fatto?» sbottò ad un tratto. Elyn alzò gli occhi estranea alla situazione, e rimase interdetta quando capì dallo sguardo di Sirius che la domanda era rivolta proprio a lei.
«Come?»
«Perchè continui a difenderlo? Perchè non hai detto la verità?» James gli diede un colpetto al braccio. Sirius rispose con una lieve gomitata e un’occhiata caparbia. Scosse la testa a James ostinato. Stavolta non l’avrebbe fermato, stavolta sarebbe arrivato fino in fondo. Aveva bisogno di sapere, o una settimana di convivenza con quell’insopportabile inquietudine sarebbe stata una vera tortura.
«Io ho detto la verità, anche io ho lanciato un incantesimo»
«Oh, non prendermi in giro, stai cercando di proteggerlo» replicò bruscamente. Cominciava ad innervosirsi.
«E allora? Saresti comunque finito in punizione, tutti ti hanno visto»
«Questo non c’entra» obbiettò Sirius infervorato, cercando di dosare la voce. «Lui dovrebbe essere qui adesso. Anche Mocciosus ha sbagliato, avresti dovuto lasciargli scontare la punizione che gli spettava»
«Ha un nome, si chiama Severus» replicò lei acida.
«Non importa... ti ho det...»
«Importa eccome!» sbottò. «Perchè non sei nessuno per mancargli di rispetto!»
«Mancare di rispetto? Parli a me di mancanza di rispetto? Hai visto cosa ti ha fatto?» sforzarsi di non urlare era diventato estremamente difficile. «Ti rendi conto che ti ostini a batterti contro un muro incrollabile, per qualcosa di impossibile?!» Elyn impallidì, rimase interdetta, confusa dall’improvvisa determinazione di Sirius, dalla sua spiazzante sicurezza. Tacque inerme qualche secondo.
«Tu non hai idea» mormorò dopo, scuotendo la testa. Sirius raggelò. Ebbe la disarmante impressione di essersi spinto troppo oltre, di aver calpestato terreno fragile.

«Signori?» la professoressa McGranitt era in piedi sulla soglia della porta, il cappello verde a punta sistemato calante verso destra sulla testa, il volto leggermente piegato in basso per lasciare che gli occhi piccoli inquadrassero la situazione da sopra le lune degli occhiali, ancora scesi sulla punta del naso, teneva la mano ancora sulla maniglia di un saggio dorato della porta. «Qualche problema?» domandò con tono sospettoso, gli occhi che indagavano qua e là, alternando i tre volti.
Malgrado la professoressa sulla soglia li fissasse turbata, Elyn non staccò lo sguardo ancora scosso da Sirius, come se in testa continuasse a risuonargli quell’ultima frase; e lui, con aria di silenziosa sfida, fece lo stesso. Gli sembrò di scorgere negli occhi vitrei quella languida amarezza che, qualche mese prima, aveva colto in Elyn tra i corridoi di Hogwarts, quando le aveva chiesto che cosa Severus rappresentasse per lei, e aveva ricevuto come risposta: «Che importa... tanto non cambierà le cose». Adesso gli importava. Adesso voleva sapere, perchè, in qualche modo, si sentiva coinvolto. James gli diede una gomitata. «Black?» osservò la professoressa McGranitt, «Signorina?» spostando su di lei lo sguardo esterrefatto.
Elyn spostò lentamente lo sguardo sulla donna ritta sull’uscio. «Nessun problema» disse piano, gli occhi lucidi dalla rabbia... e non solo.


***



NdA: Semplicemente, volevo ringraziare tanto Sall *_* Le tue recensioni mi fanno veramente piacere :) E specialmente in questo periodo, in quanto non sono particolarmente entusiasta di questa storia.
Aspetto recensioni :P Ah, vi lascio questo: Il nero ragazzo One-shot postata ieri, se vi va, date un'occhiata :)

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Castelli di alibi ***



7. Castelli di alibi

Se il primo giorno di punizione non era andato esattamente bene e le parole non si erano certo sprecate in fiumi di conversazioni, il giorno dopo la situazione peggiorò drasticamente.

Il pomeriggio precedente, la professoressa McGranitt li aveva congedati non appena aveva colto l’atmosfera scintillante e ostile che ribolliva nella stanza. Sirius, tuttavia, era convito che la professoressa McGranitt li avesse lasciati andare avendo colto negli occhi di Elyn quel velo acquoso che le era comparso. Infatti, per qualche ragione a lui oscura, percepiva come, se con tutti gli studenti la professoressa si comportasse con quel qualcosa di materno, nei riguardi di Elyn quella sensazione era particolarmente forte.
La sera, poi, Sirius ripensò all’episodio – sebbene con James non ne avesse più parlato... in effetti, non avevano più parlato molto da quel pomeriggio – e, al contrario di quanto non fosse pronto a scommettere avesse fatto in altre occasioni, non si pentì neanche un po’ di quello che si era lasciato sfuggire. In fin dei conti, venire a contatto con la realtà, seppur - doveva ammetterlo - in quel modo brusco, a Elyn non poteva fare altro che bene. Senza contare il fatto che lei non rappresentava nulla, neanche l’ombra di un qualunque tipo di affetto per lui. Non c’era né amicizia, né l’accenno di una conoscenza tra loro, per cui non si sentiva in dovere di implicare nessun tipo di sentimento, né tantomeno dispiacere, sensi di colpa o cose del genere. Poteva dunque evitare di passare in rassegna ogni pensiero gli venisse alla mente e ogni parola avesse voglia di dire. In quel caso entrava in gioco unicamente il suo senso di umanità, la sua gentilezza, la sua bontà, e in parte l’odio che provava per Mocciosus. Non sapeva neanche perchè se la prendesse tanto a cuore, quella situazione, poi, però, a dispetto dei suoi pensieri mattutini, si convinse che era perchè odiava Severus, tanto da non dargli neanche l’opportunità di far soffrire, o comunque, di esercitare potere su chiunque. Era tutta lì la questione, si disse. Severus Piton. Null’altro. Si sarebbe comportato così, in maniera molto coinvolta con tutti, chiunque altro, non fosse anche propriamente lei. Con tutti, purché ci fosse in mezzo Severus, purché servisse ad ostacolarlo. E si convinse che in realtà non era per lei che se la prendeva tanto. No, non era lei. Era Severus, punto.
E bloccando lì i pensieri, ignorando le ribellioni e le altre teorie che considerava assurde, si tirò su le coperte, fin sopra la testa, e chiuse gli occhi.
Dormi Sirius, si disse, hai capito benissimo cos’è quel bruciore, ignora tutti gli altri balordi e sciocchi pensieri che ronzano al contrario. Si rigirò nel letto. Dormi.
E dormì, anche se con quel bruciore allo stomaco.

Il giorno dopo, appunto, la situazione non migliorò... tutt’altro.
Il pomeriggio passò con una lentezza secolare, il silenzio astioso e asfissiante sembrava capace di spalmare ogni secondo, fino a renderlo ore intere. Per di più, il grosso pendolo della stanza scandiva solenne il tempo in maniera imbarazzante, facendo desiderare vivamente la presenza amica di una pala e di terra viva ai loro piedi sotto la quale potersi nascondere, in basso e in basso, vicino alle viscere del mondo. Facevano finta di non accorgersi che i libri ribattezzati come innocui da catalogare si riducevano di ora in ora, in fretta, troppo velocemente, e continuavano ad ignorare quel disagio che cresceva e cresceva, e nasceva dal fatto che, erano coscienti che quando sarebbero passati ai volumi «potenzialmente pericolosi» probabilmente avrebbero avuto bisogno l’uno dell’altro. Procedevano dunque a rilento, sperando di ritardare il più possibile il momento in cui si sarebbero dovuti necessariamente rivolgere la parola. Naturalmente, il discorso non valeva per Sirius e James, i quali però preferivano non parlarsi ugualmente per non evidenziare il mutismo nei confronti di Elyn. Perfino fiatare era pesante, perfino respirare appariva un gesto condannabile.
Sirius si sentiva la schiena ingobbita, il collo intorpidito, la bocca fin troppo immacolata e la lingua radicata nel palato per via dei lunghi silenzi. L’indigenza e il malessere psicologico di quella convivenza forzata arrivava a livelli stancanti. Evitavano qualunque occhiata, qualunque equivoco incontro di sguardi. Perfino quando uno aveva bisogno di qualcosa che si trovava all’altro capo del tavolo, magari proprio accanto al braccio di uno degli altri, preferivano alzarsi, percorrere tutta la stanza con movimenti meccanici - sperando che la camminata durasse il meno possibile -, arrivare anche a sfiorare l’altro tanto era vicino, a costo di non chiedergli il favore di passargliela. Era tremendamente scocciante e spossante. Psicologicamente e fisicamente.
Quando finirono il lavoro per quel pomeriggio, e la professoressa McGranitt li congedò, Sirius uscì dall’ufficio insieme a James. Tirarono un sospiro di sollievo una volta chiusasi la porta dietro. Camminavano tranquillamente verso il loro piano, quando Sirius si accorse che James lo fissava, o perlomeno, gli lanciava occhiate fugaci, furtive, come se fosse sul punto di parlargli e mai lo faceva.
«Che c’è?» gli chiese fermandosi di botto accanto al ritratto storto di un cavaliere sonnecchiante e fissandolo con una ruga in fronte.
«Niente» rispose James un po’ troppo bruscamente, sulla difensiva.
«Niente? Senti, spiegami che c’è che non va, mi sento... osservato»
«Bè, ecco, niente di ché in realtà. Mi chiedevo soltanto perchè... bè, non che non sia d’accordo, in effetti è la cruda realtà, solo che bè, sta tutto nella sensibilità altrui, no? Noi non possiamo sapere, ed in effetti i fatti hanno confermato. Ripeto, sono d’accordo, pienamente d’accordo, è palese, è ovvio, però, vedi... non che...»
«James»
«E va bene...» si arrese. «Perchè le hai detto quelle cose?» domandò sinceramente stupito. «Voglio dire... sei stato un po’, come dire, brutale... è pur sempre una ragazza» Sirius rimase sconcertato. Stranamente sconcertato. Non sapeva se più per l’improvvisa sensibilità di James, o per quello che gli aveva sentito dire.
«Le ho detto soltanto la verità» replicò, anche se qualcosa, dentro, lo rendeva poco convinto persino delle sue parole.
«Sì, hai ragione, però, vedi... le ragazze sono strane, loro se la prendono tremendamente per questo tipo di cose... soprattutto quando si parla di ragazzi» disse con fare pomposo e competente, accompagnandosi con una gesto elegante della mano. Eccolo, il vecchio James.
«Oh, andiamo, che sarà mai... credi che se la sia presa?» domandò apprensivo.
Nonostante tutto, scoprì che gli dispiaceva se davvero fosse stato così. Non era stato abbastanza perspicace per poterlo capire da solo, per di più non era neanche abbastanza pratico di ragazze, non che fossero mondi lontani da lui – gliene giravano fin troppe attorno – solo che non riusciva mai a capirle completamente, (James invece aveva un certo sesto senso a riguardo, anche se non con Evans), però, adesso gliel’aveva reso così palese, così ovvio, come se gli fosse sempre dispiaciuto un po’, ma non era mai riuscito a capirlo. Gli dispiaceva, non esageratamente, ma un po’ sì. E poi, pensò subito dopo, non poteva abbassarsi ai livelli di Mocciosus. La mancanza di umanità si addiceva a lui, non a Sirius. Aveva una coscienza da ascoltare, Sirius. E adesso gli sembrò ovvio, così naturale. Si sentiva un po’ in colpa, sì, ma perchè aveva una certa sensibilità e... una faccia da mantenere. Ecco, ed era giusto così. Era logico, una normale reazione per una persona buona come lui. Il fatto è che era troppo buono, si disse, troppo buono per rimanere indifferente davanti a qualcosa che lui aveva provocato. Si sentì sollevato.
«Bè, amico, c’è bisogno che te lo dica?» fece James sconcertato. Sirius tacque. Poi riprese a camminare, James dietro.
«Perchè non me l’hai detto prima? Ieri, per esempio» esordì ancora, fermandosi di nuovo.
«Bè, onestamente, senza offesa, pensavo tu te ne rendessi conto da solo e che oggi le avresti chiesto scusa. Era nel tuo stile, in fondo»
«Nel mio stile? Rendermi conto? In fondo le ho solo detto chiaramente qualcosa che ancora non era riuscita a capire... Ecco, io pensavo di averle fatto un favore...»
«Un favore?» James sbottò a ridere. «Amico, hai una strana concezione del ‘favore’, e poi pensi davvero che non l’avesse capito? Le ragazze capiscono subito certe cose, anche se fingono che siano solo impressioni, nulla di vero...» James continuò a parlare, ma Sirius non lo ascoltava più. Ad un tratto, si ricordò di una cosa che gli aveva appena detto l’amico, una cosa che gli era sfuggita.
«Chiederle scusa?» James parve confuso, poi rammentò.
«Bè, cosa credi? Ti ripeto: è nel tuo stile... insomma, sei un uomo di garbo e fascinoso, non vorrai cadere in basso, Felpato.» E detto questo continuò a camminare, senza voltarsi indietro.

Finirono i compiti solo a sera inoltrata. James e Sirius fecero una partita a scacchi magici: James vinse quasi subito e reclamò un altro sfidante, poiché Felpato era troppo debole per lui, dunque, si fece avanti Remus. Non passò molto che Sirius annunciò che era stanco e che sarebbe andato a letto, nonostante tutti gli altri fossero ancora svegli.
Salì in dormitorio, si infilò il pigiama a righe che gli avevano regalato la cugina Andromeda (a dispetto della virilità) e si mise a letto. Si accorse quasi subito di non avere sonno e si sistemò supino, incrociò le mani sul petto e cominciò a sbattere le palpebre fissando il nero davanti a sé, dove ad un’altra ora avrebbe visto il soffitto in pietra.
Malgrado gli sforzi, il pensiero batté ancora una volta sulla conversazione avuta con James, quello stesso pomeriggio. Gli parve di avere in testa tutta una poltiglia di cose dette e cose pensate, dalle quali emergevano parole come: dispiacere, senso di colpa, eleganza, fare pomposo – no, quello è il vecchio James, si disse con un sorriso in volto -, umanità, coscienza, distinzione da Mocciosus, odio per Mocciosus... scuse. L’ultima parola lo confuse un po’, anzi, lo mise letteralmente a disagio. Avrebbe davvero dovuto chiedere scusa? Eppure Elyn non l’aveva mai fatto, e di cose di cui scusarsi ne aveva.
Si accucciò sul letto, i palmi delle mani uniti sotto il cuscino.
E se non lo avesse fatto? Se non le avesse chiesto scusa. Si, non era nel suo stile, come aveva detto James, però, al diavolo, aveva solo sedici anni, c’era tempo per consolidare il suo stile; poteva anche concedersi uno sbaglio ogni tanto, uno sgarbo, una mancanza di coscienza.

Si rigirò dall’altra parte.

Sentì qualcosa sullo stomaco, qualcosa simile a un principio di bruciore.
Eppure... eppure, c’era qualcosa. Quell’idea di mandare al diavolo tutto, di lasciar perdere i sensi di colpa e di lasciare tutto come stava lo scuoteva non poco. Probabilmente era la sua coscienza, il fatto che fosse troppo buono, ovvio. Però, c’era qualcos’altro...
In effetti, però, ripensandoci, le cose con Elyn stavano pari. Lei aveva fatto un torto a lui, facendolo sentire meno di niente, e lui le aveva ricambiato il gesto... anzi, si era limitato a metterla al corrente della situazione, più precisamente. Quindi, perchè chiedere scusa? Così erano in una situazione di equilibrio, la sua coscienza non ne avrebbe risentito in fin dei conti. Era giusto, non aveva commesso alcuno sbaglio... alcuno sbaglio.

Si rigirò dall’altra parte.

Eppure qualcosa ancora gli muoveva l’intestino, il fegato, un peso gli opprimeva lo stomaco, e non era semplice bruciore. E... se si stesse sentendo in colpa, in maniera pura? Senza compromissione alcuna di onore, faccia e coscienza? Se il pentimento che sentiva dentro fosse autentico, in qualche modo legato a lei, e non a se stesso e al mantenimento della sua umanità?

Si rigirò nel letto.

No, non poteva essere. Non era neanche sua amica, non la conosceva, perchè avrebbe dovuto prendersi pena di lei? Non stava né in cielo né in terra, era fuori luogo. Probabilmente la testa gli diceva in quel modo solo perchè era una ragazza, una ragazza dagli occhi un po’ dolci e vacui, dalla corporatura minuta che sembrava infantile e gli faceva tenerezza, perchè aveva la pelle candida e bianca, un bianco non cadaverico, ma un bianco docile e innocente, e tutto questo lo faceva ammorbidire, intenerire, lo induceva a volere che stesse bene, come si fa con i bambini. Come si fa con i bambini, ecco. Chi augurerebbe cattiverie, chi bramerebbe male ad un bambino? Nessuno. Era esattamente la stessa cosa; e siccome lei trasmetteva un po’ di tenerezza, allora lui incoscientemente desiderava per lei del bene. E pensare a come lo odiasse, a come invece lei odiasse Sirius, e a come potesse diventare sprezzante con lui a causa di Mocciosus lo faceva innervosire, lui che invece aveva rimorsi per tutto ciò che era successo!

Il bruciore raddoppiò, e si rigirò ancora.

Perchè avrebbe dovuto scusarsi?, pensò arrabbiato. Elyn non se lo meritava, dopo tutto quello che gli aveva fatto... dopo tutto le disgrazie che probabilmente gli aveva augurato. Lo aveva fatto sentire meno di niente, meno di feccia, soltanto perchè esisteva. Era una cosa orribile da fare, orribile. E allora perchè avrebbe dovuto lui abbassarsi? D’altronde, cosa le aveva fatto? Soltanto detto la verità, per il suo bene o spinto dal senso di giustizia che gli covava dentro, o per qualunque altra cosa l’avesse fatto, le aveva semplicemente detto ciò che era visibile a tutti. Chiunque altro l’avrebbe fatto, chiunque altro, prima o poi, le avrebbe chiarito le cose come stavano. E allora lei cosa avrebbe fatto? Forse niente.
Probabilmente, però, chiunque le avesse sputato in faccia le cose come stavano non si sarebbe crogiolato il fegato come lui adesso stava facendo, e dunque, perchè continuare a pensarci? Non le avrebbe chiesto scusa, no. Non l’avrebbe fatto. Non era colpa sua se Mocciosus la odiava, se Mocciosus la ignorava, se Mocciosus era stato la causa di tutto di quel trambusto, se era per Mocciosus - e per una verità che si era concesso di dirle su di lui – che lei adesso soffriva, magari piangeva.
Un moto di rabbia lo percosse, Sirius strinse i pugni sotto il cuscino, immaginando che fosse la gola di Severus.

«Felpato... sei ancora sveglio?» La voce di James sbucò fuori dal vuoto, in una flebile sussurro. Sirius scostò i lembi di stoffa che gli stavano a fianco allungando il braccio. Vide la sagoma nera di James sull’uscio della porta del Dormitorio, e si accorse, grazie al flebile bagliore lunare, che tutti i letti, tranne uno, erano rigonfi. Erano già tutti a letto. Richiuse le tende e rituffò la mano sotto il cuscino. Si girò dall’altra parte e bofonchiò: «Sì»
Poi, finse di non aver sentito l’ultima frase di James e di non sapere a cosa si riferisse, o, perlomeno, quale collegamento la sua mente aveva formulato, malgrado qualunque fossero state intenzioni di James. Chiuse gli occhi e cercò ancora di ignorare quelle parole che continuavano a ripetersi in testa, immaginando che James le avesse dette per sbaglio, preso da un moto di pazzia. Strinse le palpebre, cercando di ignorare il fatto che avesse appena scoperto perchè gli bruciava lo stomaco da due giorni.
«Ah, amico, in che guaio ti sei cacciato...»
Malgrado gli sforzi, come ladri in casa altrui, le parole di James gli risuonavano nella mente, scuotendo a mandando a brandelli tutti gli alibi complicati, le giustificazioni improvvisate, e gli schemi mentali che fino a quel momento aveva progettato.
«Ah, amico, in che guaio ti sei cacciato...»
Ripeteva ancora nella sua testa, nelle orecchie, dietro gli occhi, sulla punta della lingua. Rimbombava, nonostante James gliel’avesse solo sussurrato.

«Zitto, James» si lasciò sfuggire nella notte, dopo quello che gli sembrò un po’, un solo attimo prima di cadere nel sonno, non sapendo che l’amico dormiva già da un’ora.


***


NdA: Hei! Se ci siete battete un colpo! xD

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Scuse e... le rivincite dell'ego ***



8. Scuse e le rivincite dell'ego

Il giorno dopo si svegliò con una gran mal di testa e immaginò che le parole di James - che furono le prime a sorgergli in testa appena la sua mente riprese lucidità dopo il sonno - erano solo frutto di un sogno.
Scesero a fare colazione in Sala Grande e Sirius mangiò solo una fetta di pane con la marmellata.
«Stai bene?» fece Remus serio, osservando le occhiaie scure dell’amico e l’espressione vagamente inebetita.
«Solo un po’ di mal di testa» rispose vago. «Passerà...» Nello stesso momento vide Severus sedersi al tavolo dei Serpeverde e ricordò che quella mattina avrebbero avuto Erbologia insieme. Portò una mano sulla nuca per frenare la fitta che lo frastornò ed ebbe il vago sospetto che quel mal di testa non si sarebbe mai placato, da lì a cent’anni. Vide sul volto di James - prima che abbassasse furtivamente lo sguardo, come fosse un ladro - un sorriso compiaciuto, ma decise di non indagare. Per quanto gli riguardava, James, in quei giorni, coglieva fin troppe cose e ne sapeva altrettante.
Remus, nonostante non si fosse dimostrato convinto dalle parole sicure di Sirius, cambiò facilmente discorso e avviò una fitta conversazione con Mary, riguardo le interessanti lezioni di Lumacorno – che sembrava adorare – e riguardo l’ammirazione che provava nei suoi confronti.
«Ti senti bene?» cinguettò Mary, lasciando Remus da solo a parlare. Sirius notò solo dopo che si era rivolta a lui e, quando scorse il suo sguardo apprensivo, un’altra fitta gli esplose in testa. «Bene... benissimo» biascicò, frenando l’ondata di nausea che gli salì fino in gola. «Io ho finito» disse, alzandosi bruscamente, un brocca d’acqua vacillò sul tavolo. «Vi aspetto in serra»
E si diresse a grandi passi fuori dall’incessante ronzio e, sopra ogni cosa, lontano dallo sguardo di Elyn che aveva incrociato per un nano secondo, e che gli sembrava capace di penetrarlo in fronte, fino a toccargli i pensieri più remoti. L’aveva vista nel tavolo sul lato opposto della sala: sedeva poco lontano da Severus.
Aveva appena scoperto - anche se avrebbe dovuto immaginarlo e accertarlo dai colori della sua divisa - che Elyn era di Serpeverde.

Il mal di testa, per fortuna, passò nel giro di appena due ore.
Alla fine delle lezioni Sirius si sentiva impaziente, stranamente agitato e non vedeva l’ora che arrivasse pomeriggio, o forse, più precisamente, che se lo togliesse dai piedi. E come assecondando i suoi desideri, il pomeriggio, come era diventata sua abitudine, non tardò ad arrivare.

Erano rimasti pochi dei libri innocui, dunque quel giorno probabilmente sarebbero passati a quelli potenzialmente problematici.
L’aria era afosa quanto lo era stata i giorni precedenti; per di più, anche l’atmosfera pesante sembrava togliere ossigeno ai loro polmoni. Non c’era stato ancora nessuno sguardo: Elyn non li aveva degnati di attenzioni neanche quando erano entrati in stanza. In un certo senso, era meglio così. Gli sguardi, seppur gelidi, non avrebbero comunque rinfrescato l’aria: tanto valeva evitarli.
Sirius si sentiva fiacco, spossato... e non era il caldo e neanche il lavoro, visto che erano lì soltanto da dieci minuti. Era stanco di pensare, di riflettere, di vedersi contraddire e prendere in giro da suoi alterego e svariate coscienze che gli parlavano incessantemente, sempre e solo di un argomento.
La sera prima aveva deciso il da farsi, o, perlomeno, gli era sembrato di averlo fatto. Aveva definito la sua posizione del tutto innocente, aveva stabilito che non avrebbe chiesto scusa perchè lei non lo aveva fatto per i suoi precedenti errori, e per questo si trovavano adesso in una posizione di equilibrio, entrambi colpevoli, entrambi offesi. Questo era chiaro come la luce.
Eppure, non faceva altro che scorgere ombre, come se il bagliore della sua sicurezza non fosse abbastanza forte e diffuso, e li vedeva riflessi capovolti, come se tutte le sue tesi fossero specchiate in un cucchiaino. Il pensiero che lui fosse innocente, o almeno non più colpevole di quanto non lo fosse Elyn, non lo rinfrancava per niente. Anzi. Aveva sempre l’impressione di giungere ad una conclusione accettabile, e, subito dopo, di ritrovarsi ancora punto e da capo, afflitto da indecisioni e percosso da sensi di colpa. Aveva bisogno di liberarsi, aveva bisogno di tregua. Non era abituato a tanti pensieri, a tanti interventi estranei provenienti da voci che gli risiedevano dentro, nascoste nella testa, nelle orecchie, ne sentì parlare una persino nello stomaco. Chi erano tutti quei Sirius? Che volevano?
Essere così buono lo sfiniva. No, non era roba per lui, non era decisamente fatto per essere buono. Libertà... Tranquillità... Serenità... Doveva per forza essere senza scrupoli per riafferrarle? Per toccarle ancora anche solo con la punta delle dita? Per quanto ancora avrebbe dovuto attenderle prima che i sensi di colpa fossero del tutto cessati? Gli sembravano tutte cose ormai tanto lontane, quanto inavvicinabili se non... magari... una possibilità...

«Mi dispiace» Le parole uscirono fluide, lisce, gustose. Si ritrovò lì, in quella musica: Sirius, eccolo. Non più tutte quelle odiose vocine che fino a poco prima lo rimproveravano... no, quelle non erano Sirius e adesso non c’erano più. Gli piacque tanto che volle farlo ancora. «Mi dispiace» Ah, il gusto del ritrovarsi, il gusto della pace! C’era quasi adesso, soltanto un altro passo... «Ti chiedo scusa» disse, senza inibizioni, senza incertezze.
Musica, trombe, uccellini azzurri, gialli, rossi, cantavano, trillavano, cinguettavano. Luce e paradiso, stelle e coriandoli. Una schiera di angeli gli batteva le mani come fosse un Re tornato vittorioso dalla campagna più dolorosa e lunga della storia del regno, Sirius si librava nei cieli più alti, leggero, fluido come la morbidezza di quelle parole. Una musica melodiosa gli suonava nelle orecchie, si mescolava ai pensieri, diventava parte stessa di lui, gli scorreva nelle vene. E poi scorse Remus e Peter che saltavano di gioia! e poi vide James. James che gli sorrideva e gli strizzava l’occhio. Ah, le allucinazioni! Ah, le fresche visioni della beatitudine! Ah, le splendide immagini della redenzione!
Ma... una in particolare non era stata una visione... Strizzò gli occhi e ritornò alla realtà: James, accanto a lui, nel bel mezzo del caos della stanza dell’ufficio della professoressa McGranitt, gli sorrideva beffardo, l’aria soddisfatta.
Denso di speranza e grato per se stesso, Sirius alzò lo sguardo verso Elyn, mentre la mente già immaginava parole di dispiacere e sorrisi riconoscenti: ma lei era china sullo schedario, l’aria priva di ogni indizio che parlasse del fatto che avesse appena udito le sue scuse. Sirius si sentì gelare dalla delusione. Si voltò verso James con aria interrogativa, come se lui potesse rivelargli il motivo di quella insensata freddezza.
«Ripeti... più forte» disse senza emanare alcun rumore, solo muovendo le labbra. Si indicò ripetutamente l’orecchio e Sirius capì che probabilmente, tanta era stata l’epifania di poco prima, che aveva semplicemente sussurrato a se stesso nella foga di liberarsi.
Tornò a guardare Elyn, china su se stessa, immersa nel lavoro, esattamente all’altra estremità del tavolo, e trasse un respiro, quello che precede un tuffo in mare da una scogliera di centinaia di metri.
«Ti chiedo scusa» ripeté, non troppo forte, ma in maniera perfettamente udibile.
Questa volta si sentì davvero libero, avvertì il corpo svuotarsi da qualcosa che continuava a rodergli dentro da giorni. Si sentì in pace con lei, e soprattutto con se stesso, non gli importava come sarebbero proseguite le cose, come si sarebbe evoluta la situazione, se in meglio o in peggio. Probabilmente, pensò, lei non avrebbe cambiato atteggiamento, non ne aveva alcun interesse, ma tanto valeva. Ciò che Sirius aveva rotto adesso era stato riparato. Ora il resto non spettava più a lui.
E poi vide qualcosa. Elyn si immobilizzò, lo sguardo non seguiva più le parole scritte sulla pergamena srotolata davanti a sé, ma adesso gli occhi fissavano il punto del tavolo ingombro davanti senza vederlo, immersi, agghiacciati, come se lo stessero penetrando. La penna si arrestò dentro il pugno, socchiuse la bocca rivelando la sorpresa, sul volto accenni di tante emozioni: stupore, incertezza, esitazione, confusione, il dipinto di un vortice di sensazioni, attese come ospiti ambigui e inaspettati. Per un attimo Sirius ebbe l’impressione che stesse per parlare, ma si sbagliò: Elyn restò così, immobile qualche secondo, poi sbatté meccanicamente le palpebre due volte e riprese a scrivere.
Sirius si sentì turbato e deluso allo stesso tempo. Era sicuro di averla sorpresa e, in qualche modo, gli era sembrato in maniera positiva, ma dunque perchè quel silenzio?
Guardò James confuso. Non sembrava stupito o contrariato, né perplesso per l’ambiguo comportamento, ma scrollò le spalle scuotendo la testa... eppure appariva tranquillo.
Sirius aggrottò le sopracciglia e riprese a scrivere. Cercò di obliare la mente, di concentrarsi sul lavoro, ma non poté far finta di niente. Si ritrovò incapace di frenare quella sensazione di rammarico per tutti i dubbi dai quali si era lasciato tormentare, torturare, per tutti gli esami di coscienza dai quali era risultato scoprirsi come una specie di mostro, e per tutti i sensi di colpa che gli avevano bruciato lo stomaco, il dispiacere che gli aveva contratto il fegato. Ancora di più si stupì del fatto che un’amara delusione gli annebbiava ogni capacità di attenzione, ogni capacità di comprensione. Quell’ambigua sensazione gli filtrava ogni pensiero, si sentì improvvisamente molle, mesto... vuoto. Non era rabbia, non era fastidio, era una languida amarezza che lo frastornava tanto da non indurlo più a tentare di nascondere il bruciore della delusione, era stanco di fingere che non gli importasse. Non capiva più se stesso, non reagiva come si sarebbe aspettato di fare. Tutto era insensato, tutto gli aveva riso contro, si sentiva preso in giro, e in primo luogo da se stesso.
Pensò che era giusto non aspettarsi nulla, d’altronde. Le sue, erano delle scuse dovute, debite, non poteva biasimarla se non lo ringraziava o non gli desse segno di apprezzare. Era logico, non doveva aspettarsi niente. Niente di niente. Adesso, sarebbe finita lì, lui aveva messo un punto a tutta quella faccenda.
Scrisse, scrisse, scrisse e continuò a scrivere, accantonando tutto ciò che era successo: dall’incidente nel vagone dell’espresso, all’episodio del parco verde di Hogwarts, dalla conversazione nei corridoi dopo l’esame di Divinazione, al tavolo dei Serpeverde dall’altro capo della Sala Grande; ripose tutto dentro un baule blindato, coperto da un lenzuolo bianco, immerso nel buio di una stanza remota della sua testa. Scrisse e lavorò, annotando autori, case editrici e date di pubblicazione di cui mai gli sarebbe importato.
Eppure, avrebbe fatto di tutto pur di nascondere dentro il baule anche quel principio di bruciore che cominciava a sentire nello stomaco e che, come una torcia nel buio, lo guidava inconsapevole nella stanza remota, malgrado le sue riluttanze e i tentativi di fuga.

***

«Lo sapevo» disse James orgoglioso, dopo che furono fuori dall’ufficio. «Ne ero sicuro»
Sirius lo guardò annebbiato. In realtà aveva poco interesse a sentire ciò che James gli avrebbe detto: quasi sicuramente gli avrebbe raccontato di qualche suo successo in Difesa contro le Arti Oscure, o nel Quidditch, o con Evans, magari. Non che Sirius ritenesse le conquiste dell’amico argomenti di poco spessore - di solito lo ascoltava sempre coinvolto e raggiante almeno quanto lui -, ma in quel momento un conflitto interiore lo assillava dentro e la sua lucidità lasciava molto a desiderare.
«Che oggi l’avresti fatto, che le avresti chiesto scusa»... E invece, come sempre, James lo stupiva.
Sirius inarcò le sopracciglia.
«Sai ieri sera?,» proseguì James tranquillo. «quando ti ho sorpreso ancora sveglio? In quel momento avrei messo la mia scopa sul fuoco che ti contorcevi il fegato su quello che ti avevo detto la mattina, sul fatto delle scuse. Amico, siamo dei gentlemen, noi: non riusciamo a non chiedere scusa se ci sappiamo in torto».
«A quanto pare, però, non è servito a niente» obbiettò Sirius, continuando a camminare, senza riuscire a frenare una lieve nota amara nella voce. James sorrise, guardando sempre dritto.
«Non dire sciocchezze, cosa ti aspettavi? Ci hai impiegato due giorni per scusarti, non penserai che cancelli dalla mente tutto quello che le hai detto così,» fece schioccare il pollice e il medio, «in un baleno». Cominciarono a salire l’ultima rampa di scale. «Scommetto che diventerete amici» aggiunse fiducioso, senza lasciar trasparire alcun segno di burla. Sirius rise, sinceramente divertito. Impossibile.
«Ti garantisco che non m’importa... ‘Bava di tricheco’» ribatté Sirius accorto. Il ritratto della Signora Grassa si aprì. «L’importante è che io mi senta in pace con me stesso, e, adesso che le ho chiesto scusa, mi sentirò tale. Per me può anche finire così»
James commentò dicendo qualcosa piano, quasi fra sé e sé, addentrandosi nel buio ingresso della Sala Comune. Sirius riuscì a capirlo a mala pena, ma fu convinto che volontariamente l’amico avesse voluto farsi sentire.
«Vedremo» aveva detto, e Sirius ignorò la natura del brivido che, con quelle sue parole, gli aveva fatto correre lungo la schiena.

«Ti prego, Sirius» esalò sull’orlo della disperazione Remus, una volta dentro la Sala Comune, piombandogli addosso. «Mary Macdonald continua ad asfissiarmi da una giornata»
Sirius lo guardò perplesso. «E allora? Che vuoi da me?»
«E allora» proseguì impaziente. «Parlale, vedi che ha da dirti, dille che stai bene... perchè se mi chiede ancora una volta di spiegarle che ti prende, giuro che la maledico» borbottò accigliato e Frank Paciock annuì d’accordo. James rise.
«Eccola» gemette Remus, gettandosi sul divano e prendendo a leggere un libro qualunque. Sirius si lanciò in una fuga disperata verso le scale che portavano al Dormitorio maschile.
«Sirius» urlacchiò eccitata, saltando gli ultimi due gradini della scala di pietra che davano al dormitorio femminile. Atterrò con grazia sul tappeto rosso della Sala Comune. Sirius si immobilizzò a metà scala. Si voltò lentamente e imitò alla meglio un sorriso. «Eccoti»
«Ciao Mary» disse nervosamente. Vide James e Peter che sogghignavano tra loro, e Remus che sbirciava con un occhio da dietro rosso porpora del divano, attento a non farsi vedere.
«Ti va di cenare insieme oggi?» propose lei, in tono concitato. «Nella Sala Grande, ovviamente» continuò ridacchiando.
Sirius si esibì in una serie di versi incerti - «oh... ehm... bè...» - «certo» disse infine, in una specie di uggiolio.
«Magnifico!» Mary mostrò un gran sorriso e girò i tacchi soddisfatta, dileguandosi dietro il ritratto.
Sirius lanciò un’occhiata torva a James e Peter che facevano fluttuare in aria cuoricini, legando i pollici e gli indici di tutte e due le mani. Recuperò il libro di Storia della Magia dal suo baule e ritornò giù, con la volontà di studiare, ma, malgrado gli sforzi, si abbandonarono tutti e quattro in chiacchiere e scacchi magici, poltrendo fino all’ora di cena. Poi, con aria funerea, Sirius si diresse in Sala Grande, insieme agli altri.

«Finalmente!» esclamò Mary, agitandosi sul posto. Accanto a lei, un spazio nella panca era vuoto: Sirius capì che doveva sedercisi lui. «Ce ne avete messo di tempo!»
«Abbiamo studiato» spiegò, fingendo un sorriso.
«Capisco» disse lei. «Siediti» cinguettò, indicandogli il posto accanto a lei. Sirius allontanò solo allora la speranza di evitare quella specie di tortura e le si sedette accanto, rassegnato. Non che Mary fosse tanto male, certo, ma non era il suo tipo.

Mary era una ragazza di polso, aveva decisamente un caratterino: Sirius non avrebbe mai sopportato di stare con una così appiccicosa. Ricordava Tim Carter, uno del suo dormitorio, ai tempi in cui stava con lei, l’anno precedente. Ritornava in dormitorio la sera tardi, il suo rendimento scolastico era spaventosamente calato, andava in giro con occhiaie più grandi delle sue orecchie, simile ad un fantasma, e sembrava perennemente spossato. Mary - gli aveva raccontato Tim – esigeva attenzioni perpetue, pretendeva che se ne stesse tutto il tempo con lei e, in un certo senso, se ne infischiava del suo rendimento scolastico, come del resto della sua vita, anche se poi lo coccolava quando i genitori esprimevano lui tutto il loro disappunto, dipingendoli come dei genitori ingrati, non meritevoli di un figlio come il suo “adorato cucciolotto”. E cosa ancora più spaventosa, Tim aveva sempre, incessantemente un herpes al labbro e chiazze rosse sul collo. Sirius, come tutti gli altri della casata, sapeva bene cosa fossero quelle ‘chiazze’, eppure nessuno si era mai azzardato a riferirsi a quelle cose in presenza del povero Tim, non per evitargli l’imbarazzo di una spiegazione, ma più per una semplice questione di compassione e pietà.
Alla fine, dopo quasi tre mesi, Tim l’aveva mollata, senza pietà, con una tremenda scenata in Sala Comune: da allora, lui e Mary non si erano più parlati. Lei, dal canto suo, dapprima non aveva preso bene la cosa (Sirius ricordava bene come se ne andasse in giro simile ad uno straccio, con gli occhi sempre gonfi e rossi; un po’ gli faceva pena, ma ripensandoci, la riteneva una giusta punizione per tutto quello che aveva fatto passare al povero Tim), tuttavia nel giro di tre settimane era ritornata lucida e brillante come sempre, e dopo appena una settimana si era messa con uno di Corvonero. Non erano durati una settimana, probabilmente per le stesse ragione per le quali Tim l’aveva piantata.
Sirius rabbrividì al pensiero che adesso Mary lo aveva adocchiato come sua prossima preda. Inghiottì un morso di pane e con esso il terribile pensiero.

«Ti ho visto un po’ assente in questi giorni» disse lei, mostrando una raccapricciante preoccupazione. Sirius inghiottì un altro morso di pane.
«Sono stato tutti i pomeriggi in punizione» spiegò, un po’ troppo in fretta.
«Intendevo assente psicologicamente» puntualizzò lei paziente, con un sorriso fresco e mite, con un ché di intenerito. Qualcosa disse a Sirius che Mary era convinta di parlare con un cucciolo tonto. Bevve un sorso d’acqua, sotterrando quella ripugnante impressione.
«Oh, certo. Niente di ché in realtà, nulla di grave»
«Certo, come no» fece lei, con un sorriso strano, che in qualche modo colpì Sirius. In effetti, sembrava diversa con lui; ebbe la netta impressione di piacerle da matti e che con lui non si sarebbe lasciata andare – o, perlomeno, si sarebbe trattenuta - in atteggiamenti prepotenti e asfissianti, come aveva fatto con Tim. Qualcosa gli disse che neanche lui la sdegnava, in fondo. «C’è di mezzo una ragazza?» proseguì lei gentilmente, senza eccedere nell’indiscreto; almeno a Sirius non dette un’impressione di una particolare invadenza. Al contrario, sembrava sinceramente interessata a tirarlo su.
Poi, Sirius quasi si mise a ridere. Sì, pensò, c’entra una ragazza, ma non nel modo in cui probabilmente intendeva lei.
«Non proprio» disse infine, sorridendo. «Disaccordi in famiglia» spiegò, optando per un alibi che in parte era vero, ma che differiva dalla verità nel fatto che in realtà non gli procurava alcun fastidio, o perlomeno, non più di quanto non fosse abituato a sopportare e a non dare a vedere. Lei gli sorrise di rimando.
«Ora mangiamo» disse allegramente. «Non voglio intrappolarti in chiacchiere e farti venire fame»
Sirius disse qualcosa riguardo al fatto che non gli sarebbe dispiaciuto e cominciarono a mangiare.

Parlarono del più e del meno fino a quando in Sala Grande non restarono che pochi piccoli gruppi di studenti a studiare e poi, quasi al crepuscolo, tornarono in Sala Comune.
«Non è stato tanto male, eh?» disse Mary ridendo, quando si trovarono di fronte la Signora Grassa. «‘Bava di Tricheco’»
«No, non male» concordò Sirius, fingendo una risata divertita. Non era andata disastrosamente con Mary come immaginava, effettivamente, ma adesso aveva urgentemente bisogno di un sano ritrovo con amici maschi.
«Già...» constatò lei di nuovo, a disagio. «Credo che andrò a letto presto oggi, il ripasso di Storia della Magia mi ha stremato» proseguì risoluta, riprendendosi dal momento di confusione. Sirius ricordò come il pomeriggio anche lui avesse preso il libro e non gli fosse servito praticamente a nulla. Sperò che il professor Ruff, la mattina dopo, non gli chiedesse niente sulla lezione, e accantonò pigramente la questione.
Mise insieme poche parole per risponderle, cercando di mostrare interesse ed entrarono dentro la Sala Comune: con una rapidità sorprendente si separarono, ognuno riunendosi con i propri amici.

«Allora?» sussurrò James quando lo vide, con la curiosità enfatica di una pettegola.
«Ti ha chiesto di sposarla?» domandò Peter, ridacchiando.
«Le hai detto che stai bene?» s’intromise Remus, con una punta di risentimento nella voce.
«Piantatela, tutti e tre...» li liquidò Sirius, brusco, squadrandoli severo uno dopo l’altro. «... non è tanto male come credete» continuò poi, sorridendo sghembo. E la cosa più assurda era che aveva la netta impressione di pensarlo veramente.





***

NdA: Eccolo, l’ego di Sirius che si prende una bella rivincita grazie a Mary. >.< Non riesco a controllarlo neanche quando sono io a scrivere di lui è.é Mannaggia a lui. Ah, Tim Carter: personaggio assolutamente inventato.
E dunque... passiamo a dei brevi ringraziamenti.
Sall: Prima di tutti te, che mi segui assiduamente, anzi... unicamente xD O per lo meno, sei la sola a recensire. Grazie mille ancora, sono contenta che ti stia prendendo così tanto la storia.
_KiKkaLoVe_: Anche se penso non leggerai mai questo ringraziamento. Grazie per aver recensito anche solo il primo capitolo, nonostante il tema della storia non sia uno dei tuoi preferiti. Grazie :D
Gianno11: Grazie mille anche a te! Grazie per aver recensito ‘Una vita’. Ti ringrazio qui, perchè vedo che hai messo tra le seguite anche questa FF, quindi spero che arriverai a leggere. Se ti va, commenta anche questa ;)
E in generale, ringrazio tutti coloro che seguono la storia e l’hanno messa tra le preferite.
Soltanto una cosa, vi invito a recensire. Ho bisogno di sapere se vi piace o no come procede la storia. Vanno bene due paroline :D

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Una paura inattesa ***



9. Una paura inattesa

Il mattino dopo Sirius si svegliò di buon umore, sospettò che la chiacchierata con Mary il giorno prima gli avesse fatto bene. Ripensandoci, era parecchio che non scambiava due parole con una ragazza, a parte Evans con la quale le conversazioni – mai cordiali - non si dilungavano neanche per molto.
Inoltre, il professor Rüf, quel giovedì mattina, non compromise l’armonia della giornata: tutto filò liscio come l’olio e né a Sirius, né agli altri venne chiesto niente; solo qualche volta Remus intervenne volontariamente durante la lezione, facendo incassare qualche punto alla casata. Anche l’ora di Erbologia insieme ai Tassorosso passò tranquillamente e il pomeriggio arrivò senza che neanche se ne accorgessero. Sirius si sentiva particolarmente tranquillo, come se l’unica cosa che si stava avvicinando col trascorrere delle ore fosse una semplice passeggiata, nulla di punitivo.

La McGranitt avvertì loro che Elyn era già dentro il loro temporaneo luogo di lavoro – la stanza imbucata nel suo ufficio –, e li invitò ad entrare.
La trovarono presa ad avvolgere un nastro giallo attorno a un libro particolarmente ribelle: la copertina rilegata si agitava come fosse una bocca vivente, su e giù. Lei non li salutò. Passarono dritti, constatando felicemente che aveva bloccato il libro impazzito, senza che le circostanze richiedessero il loro aiuto. Diedero un’occhiata alla libreria e a ciò che restava da catalogare: lì, in ordine sparso, dei volumi potenzialmente problematici di innumerevoli dimensioni non aspettavano altro che finire nelle loro mani.
Sirius prese una colonna di libri e la trasportò sul tavolo, posizionandola tra lui e James. Afferrò il primo libro in cima, che a prima vista sembrava candido e innocuo: un volumetto dello spessore di un centimetro dalla copertina rigida, verde bosco, senza traccia di scritte. Aprì con cautela la copertina, cercando nella prima pagina le informazioni che gli servivano, ma non trovò altro che un foglio vergine, bianco e puro. Sfogliò le pagine, dapprima lentamente, ma continuò a vedere bianco e bianco e bianco, non una traccia di scritta. Sfogliò più velocemente e cominciò a scorgere righe di parole grigie e sbiadite, ma un istante dopo sparivano come assorbite dalla carta. Girò le pagine più freneticamente, e adesso arrivava appena a scorgere svariate lettere nere prima che queste svanissero un attimo dopo, rivelando un biancore accecante. Sbuffò spazientito e gettò sgarbatamente il volumetto in mezzo al tavolo. Vide James, accanto a lui, alle prese con un libro le cui pagine erano assurdamente pesanti, come piombo gli cascavano dalle mani, tuttavia niente che non si potesse risolvere con un po’ di forza, che, da buon giocatore di Quidditch quale era, non gli mancava sicuramente. Poi sbirciò Elyn: teneva la bacchetta accanto a sé e scriveva mitemente sullo schedario. Fin lì, a quanto pareva, per loro due non c’erano stati problemi. Si chiese se, nel caso ne avessero avuti, gli avrebbero chiesto aiuto. Non ebbe dubbi su James, per quale motivo non gli avrebbe domandato di dargli una mano? Nessun motivo. Era convinto, invece, che Elyn avrebbe taciuto qualunque bisogno, evitando richieste d’aiuto pur di non rivolgere loro la parola. Il pensiero lo innervosì, e il fatto di vederla dall’altro capo del tavolo, così mite e silenziosa, lo urtò ancora di più.
Li ignorava come sempre. Era come se per lei non fosse successo assolutamente niente, il giorno prima. Si pentì immediatamente di avergli chiesto scusa. Adesso, più che deluso dalle sue aspettative infrante, si sentì deluso dalla stupida pena che si era preso per lei.
Gli parve che il giorno prima non fosse stato altro che due giornate distinte: fino al pomeriggio una giornata, la sera decisamente un’altra e molto più gratificante. Ripensò a Mary e rinsaldò il suo orgoglio.
Non avrebbe più rivolto alcun pensiero a Elyn: aveva commesso uno sbaglio con lei, ma gli sarebbe servito da monito per la prossima volta che si fosse stoltamente sentito in colpa per qualcuno che neanche conosceva. D’ora in poi si sarebbe sempre fidato del suo istinto, e qualunque parola gli fosse uscita dalla bocca, anche se pesante e spietata, non l’avrebbe mai rimangiata o annullata con delle futili scuse. Basta con i sensi di colpa. Adesso non vedeva l’ora che i giorni di punizione finissero più in fretta possibile.
Afferrò bruscamente il volume che sovrastava gli altri, se lo mise davanti e, come al solito, aprì la prima pagina. Una luce accecante lo abbagliò e si ritrasse bruscamente indietro strofinandosi gli occhi traumatizzati con i braccio. Avvertì davanti a sé la copertina rigida ricadere con forza sul blocco di pagine, e capì che James l’aveva chiuso.
«Tutto bene?» lo sentì domandargli allarmato.
Sirius annuì con la testa, e prese a sbattere le palpebre ripetutamente: piano, piano, le forme di luce, bianche e luminose, svanirono dietro le palpebre, e dopo qualche istante ritornò a riconoscere le sagome attorno a sé: i libri sul tavolo, le cianfrusaglie sparse per la stanza, la libreria appoggiata al muro accanto a loro, Elyn che lo fissava con un accenno di allarme in volto e poi con uno scatto riabbassava lo sguardo davanti a sé... Elyn che lo fissava con un accenno di allarme in volto e poi con uno scatto riabbassava lo sguardo davanti a sé?
Sirius sbatté le palpebre più violentemente, cosicché gli occhi finalmente si abituarono alla normale gradazione di luce. Cercò sulla figura curva, dall’altra parte del tavolo, prove di ciò aveva appena visto, ma Elyn sembrava di nuovo immersa nel suo lavoro, quasi ignara di ciò che era appena accaduto... ignara di ciò aveva appena fatto.
E nell’ultimo pensiero Sirius trovò la soluzione: aveva soltanto immaginato lo sguardo allarmato di Elyn, qualche istante prima. Probabilmente il suo ego ferito gli rinfacciava ancora la sua stupida fragilità e bontà d’animo, giocandogli brutti scherzi. Era stata una visione, ovvio. Si sentì ancora più idiota per averci creduto anche solo per un attimo. E il rancore verso Elyn, che un istante prima sembrava essere stato follemente distrutto da una svista fugace, riprese forma, e in maniera ancora più forte.
Ritornò con lo sguardo a James, mentre richiuse a doppia mandata la stanza remota della sua testa. L’amico guardava scettico il volume sul tavolo.
«Come la mettiamo?» disse, scrutando sottecchi il libro.
Sirius corrugò leggermente la fronte, sforzandosi di trovare una soluzione. Gliene venne una e sperò che funzionasse. Pescò la bacchetta dal mantello e la puntò sul volumetto abbandonato davanti a sé. «Nox»
James gli fece un cenno d’assenso. Sirius si mise una mano davanti gli occhi, creò una fessura tra le dita per sbirciare e girò deciso la copertina rigida. Le pagine erano ora deboli, fioche e ambiguamente opache, di una inoffensività deprimente, niente a che vedere con l’accecante bagliore di poco prima. Appuntò in fretta le informazioni che gli occorrevano e ripose il libro fra il resto dei volumi già catalogati.

Continuarono in questo modo a districarsi tra incantesimi e fatture, riuscendo bene o male a catalogare un certo numero di libri. Ben presto l’afa cominciò a farsi risentire, James e Sirius tolsero i mantelli e dopo non molto sfilarono via anche i maglioni, lasciandosi solo in camicia, le maniche girate fino ai gomiti, le cravatte allentate che penzolavano a destra e a sinistra, seguendo il ritmo dei bracci che annotavano pigramente e agitavano abilmente le bacchette. Dopo un po’, anche Elyn tolse silenziosamente il mantello.
A circa metà pomeriggio avevano già preso l’abitudine con il nuovo metodo di lavoro, e quasi quasi, Sirius apprezzò il fatto che fosse in punizione, prendendoci francamente gusto. Era divertente.
Quando, dopo averlo prontamente immobilizzato, Sirius annotò anche titolo, autore, argomento, anno di pubblicazione e casa editrice di un esilarante volumetto che per dispetto si voltava da solo le pagine, afferrò un grosso libro dello spessore di quattro dita che si trovava in cima alla colonna, dalla rilegatura e dai contorni esterni minacciosamente metallici e affilati. Lo maneggiò con cura, ma tiratolo su dal mucchio si accorse che era pesante come nient’altro avesse mai preso in mano, riuscì a tenerlo sospeso qualche istante, dopodiché gli scappò dalle mani, scivolandogli sull’interno del braccio destro, percorrendolo lieto, con l’angolo metallico conficcato nella pelle. Poi gli cadde ai piedi con un tonfo, pesante come un enorme sacco di patate.
Ci mise un po’ per realizzare il fatto che il braccio d’un tratto gli bruciava terribilmente, poi capì perchè: il dorso era solcato da un taglio netto, profondo, della lunghezza di undici centimetri circa, e un rivolo rosso che fuoriusciva dall’estremità bassa della ferita, nel quale si affollava e si raccoglieva tutto il sangue delle vene e dei capillari colpiti, gli correva fino alla punta delle dita, sgocciolando beatamente sul raffinato tappeto color ambra. Sirius fece una smorfia di disgusto e si fissò il braccio portandoselo vicino agli occhi. Esaminò la ferita: non era tanto grave, anche se il taglio era profondo. Nonostante gli dolesse diabolicamente, trovò la ferita alquanto interessante: chinò la testa di lato per osservarla meglio, ma James gli tirò via il braccio bruscamente.
«Per la barba di Merlino!» esclamò, orripilato. «Hai le mani molle?! Dobbiamo curarlo immediatamente!»
«Credo di dover andare in infermeria» mormorò Sirius, sentendosi la testa improvvisamente girare. Il sangue si gettava adesso a fiotti, cascate rosse si riversavano giù per terra. Un senso di nausea lo pervase. «Sì... mi sa di sì» ripeté, mettendosi a ridacchiare. Improvvisamente la vista gli sembrò comica, ilare. James lo fissò sconcertato.
«Per l’amor del cielo, Sirius, vorrei proprio sapere che ci trovi da ridere!» esclamò esterrefatto. «Prima dobbiamo fermare il sangue, o ne perderai almeno venti litri prima di arrivare in infermeria» proseguì, brandendo la bacchetta. «Fammi pensare... ce l’ho sulla punta della lingua... sono sicuro che finisce con -undo, -endo, o qualcosa del genere...» mormorò, corrugando la fronte. « ... flipendo... diminuendo... diffindo... Sì!» esclamò, raggiante. «Ce l’ho! E’ Dismundo*, ne sono certo» Puntò la bacchetta sul braccio di Sirius, che chiuse gli occhi speranzoso. «Dis..»
«Che vuoi fare, fargli venire gli incubi?» fece d’un tratto una voce esasperata. Sirius aprì un occhio e sbirciò: vide Elyn abbassare velocemente la bacchetta di James con un gesto deciso, prima che finisse di pronunciare l’incantesimo, e lui la fissava a bocca aperta con un misto di stupore e offesa nello sguardo.
«Che diavolo... che... che hai intenzione di fare?» chiese esterrefatto, mentre Elyn prendeva il suo posto davanti a Sirius. Lei gli lanciò un’occhiata bieca di rimando. Subito dopo la faccia di James divenne una maschera d’orrore. «Merlino, Sirius... che diavolo ti stavo facendo...» mormorò, bianco come un cencio.
Elyn prese il braccio di Sirius con un gesto deciso ma delicato, guardò la ferita che si apriva sul dorso lacerando l’elegante reticolo di vene e corrugò la fronte. Sirius rivide per un millesimo di secondo lo sguardo che poco prima gli era parso di aver intravisto con gli occhi scemati. Elyn fece una smorfia insicura. Sirius pensò che dovesse dirle di procedere tranquilla, che dovesse rassicurarla, ma era troppo allibito per spiccicare anche una sola parola.
Elyn gli arrotolò la manica della camicia un po’ più in alto e Sirius rabbrividì al tocco freddo delle dita. Evidentemente, non doveva essere tanto strano per una persona fredda come lei, pensò subito dopo. Una strana agitazione lo scosse, e si sentì improvvisamente a disagio. Intanto il sangue continuava sgorgare e, per un momento, lo sentì gorgogliare minaccioso. Non capì se fosse stata un’allucinazione o no. E non capiva neanche se la sensazione di prosciugamento del braccio fosse attendibile o meno.
«Posso fasciartela, è l’unica cosa che mi viene in mente adesso...» disse, esitante.
«Sto bene» biascicò, Sirius. Sapeva di risultare un idiota, ma quello gli venne da dire. Non seppe neanche perché, sapeva solo di voler uscire al più presto da quella situazione estremamente imbarazzante. Elyn parve risentita, poi scosse la testa impaziente.
«Ferula» disse, agitando leggermente la bacchetta sul taglio. Bende che si muovevano in aria in maniera esperta e decisa cominciarono ad avvolgere il braccio di Sirius. «Non te lo stavo chiedendo» aggiunse, sostenuta, continuando ad osservare il dorso del braccio e le bende bianche che vi si avvolgevano attorno. Sirius si sentì rintronato. Gli sembrava tutto talmente assurdo, il fatto che non lo stesse lasciando morire dissanguato, che lo stesse aiutando, che gli stesse fasciando la ferita, che gli stesse toccando il braccio, che lo stesse fissando senza esitazioni. Bè, pensò, in qualche modo lo stava fissando: non negli occhi, però, era sempre il suo arto quello. Il pensiero lo fece divertire, frenò una risata, ma gli scappò un sorriso equivoco e James vedendolo inarcò un sopracciglio.
Riguardo a James, annotò mentalmente, dopo si sarebbe fatto dire che incantesimo gli stava lanciando.
Qualche secondo dopo la ferita fu completamente e magistralmente fasciata e Elyn gli lasciò il braccio, facendosi da parte. Sirius si sentì quasi mancare, la nausea gli fece girare gli occhi. James gli mise il braccio sano attorno al suo collo e lo sorresse appena in tempo, perchè poi fu colpito dalla visione di una cascata di sangue che finiva su un lago di sangue e schizzava goccioline di sangue, e il fegato e ogni forza lo aiutasse a vivere poco prima lo abbandonò miseramente.
«Coraggio, amico» fece James, sorreggendolo e guidandolo verso porta. «Madama Chips ti darà anche una bacinella per vomitare, resisti però» Ridacchiò.
Arrivati sull’uscio della porta, Sirius si voltò e biascicò a Elyn un grazie molto abbozzato. Elyn annuì. Gli parve di scorgere anche un accenno di sorriso, ma in quel momento era troppo occupato a frenare la bile che gli saliva lungo la gola per rifletterci su.
«Per la bianca barba di Merlino! Ti senti bene, giovanotto?» sentì quasi urlare alla McGranitt quando li vide sbucare nel suo ufficio, schizzando in piedi e raggiungendoli in un baleno. «E’ troppo debole per fare le scale, Potter, dovremo materializzarci» disse, pratica.
«No! Prof...» Ma prima che James potesse completare la frase, si trovavano già davanti una fila di lettini bianchi e candidi, e Sirius, accasciato a terra ai loro piedi, era scosso da violenti conati di vomito.

*

«C-che... suc-ce-so» esalò, dopo che riprese i sensi. Aprì gli occhi e la flebile luce arancione, frutto del tramonto che si apprestava ad iniziare fuori, avanzava dalla finestra inondando l’esercito di lettini attorno a lui, facendogli male agli occhi. ‘Ecco’ pensò, ‘stavolta l’abbiamo combinata grossa’. Cercò di ricordare cosa lui e James avessero combinato per essersi ridotto in quello stato, ma non gli venne in mente che rosso, rosso e rosso.
«La credevo più tenace, signor Black» disse una voce severa, con una punta di divertimento in voce. Sirius strizzò le palpebre ripetutamente e, dopo qualche tentativo, gli occhi ritornarono a rivelargli i colori e le forme che gli torreggiavano sopra. James lo guardava nella sua espressione più divertita, chino sulla sua destra, Peter preoccupato alla sua sinistra, Remus ai piedi del letto gli scuoteva la testa come un padre impotente ormai rassegnato alle marachelle del figlio, e accanto a lui la professoressa McGranitt lo osservava con fare stranamente complice. Capì che era stata lei ad avere appena parlato.
«Sangue... di tutte le cose che ti possono impressionare, scegli il sangue? Hai idea di quanto ne dovremo vedere una volta usciti da qui?» esordì James, ridacchiando. Sirius aprì bocca per replicare, ma l’immagine di ciò che era successo gli lampeggiò selvaggia nella testa. Adesso ricordava: il libro enorme dai bordi della copertina taglienti, il suo braccio sfregiato, la cascata di sangue, le sue dita che, come rubinetti che perdono, ne sgocciolavano in abbondanza sul tappeto - come se non bastasse anch’esso di color rosso ambra -, James che aveva afferrato la bacchetta, e poi la nausea. Per poco non perse i sensi di nuovo, e cercò disperatamente di concentrarsi sul presente.
«Non sapevo avessi paura del sangue» commentò perplesso Remus.
«Neanche io» biascicò Sirius, cercando di mettersi seduto.
«Ah, ah, ah! Giù giovanotto!» Madama Chips piombò nella stanza, puntandogli il dito con fare minaccioso. «Mai sottovalutare gli svenimenti causati dalla vista del sangue, tantomeno quando ne hai perso anche un bel po’! Ora sta giù» proseguì con tono che non ammetteva repliche, afferrandogli le spalle e spingendolo giù di forza.
«Ma sto bene» protestò Sirius mostrando una certa convinzione, ma con la testa che gli girava per lo sballottamento.
«E così starai ancora meglio» replicò inflessibile la strega infermiera. Poi guardò James, fece un due con le dita e se lo puntò negli occhi, poi rivolse il due verso Sirius. James annuì. “Tienilo d’occhio” voleva dire. Sirius gemette contrariato.
«Poche storie» obbiettò la professoressa McGranitt. «Avreste dovuto correre da me immediatamente» scandì lettera per lettera l’ultima parola, «senza lasciare che corresse tutto quel sangue» continuò severa, impostando un cipiglio autorevole in volto.
«Cercavamo un incantesimo per...»
«Fortunatamente» proseguì imperturbabile, ignorando James. «La vostra compagna ha prodotto un incantesimo perfetto» Sirius fu colto da un’improvvisa lucidità: se ne era dimenticato, Elyn gli aveva bendato il braccio. «Naturalmente, signor Black, domani il suo pomeriggio di punizione può dirsi rimandato. Mi auguro che si riprenda presto e che la prossima volta» fissò James e Sirius, in maniera rigida. «lei e i suoi compagni reagiate con più maturità e in modo decisamente più responsabile» Si voltò, e si avviò a passo spedito e distinto verso l’uscita, ma prima di scomparire si voltò ancora. «Anche mia nonna sveniva alla vista del sangue... da piccola pensavo che solo i babbani ne avessero paura» disse rivelando una nota di divertimento, strizzando un occhio. Poi sparì, chiudendosi la porta alle spalle.
«Che gran donna. Non ne sbaglia mai una... » commentò James, ammaliato. «Aah, Felpato!» sospirò con fare solenne, ritornando a guardarlo, rammaricato. «Non sai quante prove di coraggio dovrai affrontare per recuperare questa gran caduta di stile... paura del sangue, puà!»
«Ah, piantala James» sbottò Sirius, distogliendo lo sguardo.
«Soccorso da una ragazza, poi... Merlino salvaci!» continuò disperato. Remus rise, mentre Peter sogghignava.
«Ti ho detto di piantarla... e a proposito di soccorsi...» osservò Sirius, voltandosi di nuovo verso di lui, consapevole di avere adesso le redini della situazione. «Cosa stavi per lanciarmi?»
James parve sorpreso, e si agitò sulla sedia. «Lanciarti?» domandò, vago. «Non ti stavo lanciando assolutamente niente» dichiarò, alzando il mento nobilmente. Sirius aggrottò la fronte. «Mary ti saluta» proseguì lui, ignorandolo. «Prima è passata a chiedere di te, ma tu eri ancora nel mondo dei sogni, beatamente addormentato, un piccolo cucciolo con l’aria sognante» Sirius fece una smorfia di disgusto. «Ah!» esclamò James, facendo un gesto impaziente con la mano. «Quando dormi sei adorabile invece... dicevo, ho l’impressione che tu piaccia a quella ragazza». Sirius fece schioccare la lingua a negazione.
«Sì, invece» disse Remus, esasperato. «Ho gli incubi al solo pensiero di dover ritornare in quella Sala Comune»
«Già, vedi di rimetterti presto, non fa altro che chiedere di te» puntualizzò Peter.
«Esatto. Che hai intenzione di fare?» domandò James, conciso, dimenticando ogni delicatezza.
«Per tutti i troll dell’Inghilterra!» esclamò esasperato Sirius. «Chi vi dice che ho intenzione di dirvelo?» Remus fece spallucce, poco interessato. Peter abbassò lo sguardo, sfuggente. James sgranò gli occhi, poi sorrise malizioso.
«Ti piace allora?»
«Va bene, ve lo dico diversamente. Non ho intenzione di dirvelo»
«Adesso ti spiego io. Quando una non ti piace non ti fai problemi a dirlo ai quattro venti, o almeno a dirlo a noi. Stai facendo il vago ora, questo è un buon segnale» disse, appoggiato da una logica schiacciante. Sirius fece spallucce elusivo. «Pensala come vuoi»
Remus sorrise, saccente. «Ramoso» disse, annuendo compiaciuto. «Prepariamoci alle nozze».


Madama Chips cacciò via all’ora di cena James, Remus e Peter. Sirius si era messo in piedi per seguirli, ma lei aveva insistito per tenerlo d’occhio ancora un altro po’.
«Non posso restare qui tutta la notte!» aveva protestato.
«E chi ha parlato di notte, giovanotto? Resterai qui ancora un’oretta, se non darai segni di debolezza potrai tornartene tranquillo al tuo Dormitorio»
«Ma ho perso solo qualche goccia di sangue!»
«Niente storie, signorino Black. Si rimetta disteso.» Così detto svanì, il discorso era stato irrimediabilmente chiuso.

Sirius si mise seduto tra le coperte pulite di liscia seta.
Aver scoperto di non sopportare la vista del sangue era stata una vera sorpresa, ma ancora di più, ripensare a come si erano evolute le cose gli lasciava un senso di incredulità a dir poco spiazzante.
Si impose di allontanare il sospetto che l’aiuto di Elyn significasse in qualche modo che aveva recepito le scuse e che le aveva accettate. Si impose di non credere alla possibilità che quel gesto significasse pace fatta... eppure era difficile credere e trovare un senso diverso all’accaduto.
Cercò di non fraintendere, tentò di convincersi del fatto che tutti l’avrebbero fatto in una situazione estrema come quella, tutti l’avrebbero soccorso. Tuttavia, non riusciva a non dare a quel gesto una valenza particolare, perchè era di Elyn che si parlava, non di altri. Chi avrebbe mai immaginato un’evoluzione del genere? Chi avrebbe immaginato che dopo tanta rivalità, dopo tanto rancore, dopo tanta ostilità lei lo avrebbe sorpreso, aiutandolo nel bisogno?
Era sciocco credere che qualcosa era cambiato? Che le divergenze si fossero finalmente appianate? Non pretendeva molto, in fondo, semplicemente non quella freddezza e avversione che fino ad allora si era visto rivolto contro. Gli bastava una convivenza che non eccedeva nel malessere, nel disagio, un rapporto anche minore della conoscenza, ma almeno sereno.
Mentre pensava a tutto questo sorrise: non gli era mai capitato di imbattersi in una persona tanto stravagante e complicata, e conquistare la pace con lei sarebbe stato un traguardo a dir poco eccezionale. Era difficile, eppure ne sentiva il bisogno.
Come un fulmine a ciel sereno le parole di James gli risuonarono nella testa: «Scommetto che diventerete amici». Era talmente assurdo, che gli sembrava possibile. Tutte le cose assurde per lui erano possibili, d’altronde. L’avrebbe ritenuto un successo personale arrivare a stringere anche solo una conoscenza, figurarsi un’amicizia!
E, parola di Malandrino, avrebbe fatto tutto il possibile.
«Scommetto che diventerete amici».
Rise. Da una parte perchè gli sembrava impossibile, dall’altra perchè, in cuor suo, una piccolissima parte di lui gli diceva che la prospettiva non era tanto male. No, decisamente no.

Dopo un'ora esatta Sirius sgusciò in un balzo via dal letto e prese un profondo respiro per frenare il giramento di testa causato dalla troppa foga. Madama Chips entrò in stanza, brandendo lenzuola e pigiami puliti.
«Come nuovo» disse Sirius, azzardando una piroetta su se stesso.
Lo osservò scettica, poi fece un cenno permissivo con la testa. «Sparisci».
Sirius trotterellò verso la porta, «Madama Chips, le devo la vita» dichiarò allegramente, sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori, prima di voltare l'angolo e scomparire. Madama Chips mosse una mano in aria con impazienza, nascondendo alla meglio un sorriso compiaciuto, e continuò con la sua marcia in mezzo ai lettini vuoti.

«Salve» esordì, entrando regalmente nella Sala Comune.
«Sirius Black! E' un piacere averti di nuovo con noi, nel mondo dei sani!» esclamò veemente James, allargando le braccia in aria con fare maestoso.
«Sirius» La voce acuta di Mary gli perforò l'orecchio. «Stai bene?» chiese, premurosa. Remus roteò gli occhi, facendo schioccare la lingua sul palato.
«Benone» Mary gli sorrise e Sirius le accennò una curva delle labbra. Consapevole di essere sotto il suo sguardo desideroso, senza un rimorso, si diresse grandi passi verso il tavolinetto vicino la finestra, dove James, Remus e Peter vociavano come vecchie chiocce bisbetiche. Casa dolce casa.



***

*Dismundo: fa apparire strane visioni di mondi spaventosi, serve a far perdere i sensi o comunque la concentrazione di chi viene colpito; (fonte: Wikipedia)
James, in realtà, voleva lanciare l'incantesimo Epismendo: blocca le epistassi e smette di far sanguinare. (fonte: Wikipedia anche qui XD)

*

NdA:
Mamma mia, devo mettermi a scrivere perchè sto già esaurendo i capitoli già buttati giù! XD
Non uccidetemi per questo in particolare, è lunghissimo! XD Quando l'ho scritto non mi sembrava così o_ò
Spero che, comunque, vi sia piaciuto ;)
Come al solito ringrazio chii passa a leggere, e naturalmente chi recensisce: Sall e gianno11.

gianno11: Sono felice che ti piaccia :D Mi piace l'idea di un Sirius che perde ogni sicurezza davanti a "certe" situazioni. Non vorrei cadere nel demenziale, o ancora peggio nello sdolcinato, però, in qualche modo, lo rende imperfetto, e perfetto nella sua imperfezione. :)
E poi, l'idea comune di Sirius è quella di un Don Giovanni, che si porta a letto una diversa per ogni settimana, io non me lo figuro così. Non dico che sia serio, se non non sarebbe lui XD, però diciamo che la sua vita, 'per adesso', gira intorno agli amici, null'altro.

Sall: "Un Sirius che rimanda sicuro del tempo. Un Sirius un po' ingenuo, a fidarsi dell'unica cosa di cui dubitare." Come avrai notato è una frase della tua recensione a "Una vita" (a proposito, grazie per essere passata *_*), e devo confessarti una cosa: mi hai fatto venire i brividi. Perchè è esattamente quello che volevo esprimere, e ho proprio scritto questa storia con un sentimento di malinconia e tristezza. Hai centrato pienamente il cuore della storia, e mi fa piacere essere riuscita nell'intento che mi ero posta: esprimere quanto a volte possa essere labile e traditore il tempo, come un'occasione può sfuggirti dalle mani, cullata dalla pretesa e dalla convinzione che si possa rivelare in un secondo momento. E' un pensiero triste, lo so. Eppure, quando si parla di Sirius il 90% delle emozioni che provo gira intorno alla tristezza. Non posso farne a meno...

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Verità inaspettate ***



10. Verità inaspettate

Il giorno dopo, però, fu una fatica immane sopportare i versi d'ingiuria e le derisioni dei Serpeverde durante l'ora di Trasfigurazione, e ancora più difficile si rivelò frenare le bacchette sotto lo sguardo vigile della professoressa McGranitt.
«Oggi tratteremo un nuovo argomento: gli incantesimi dimensionali...» iniziò a spiegare, con la sua voce acuta e stabile, in fondo alla classe.
«Cos'è quella cicatrice, Black?» aveva sussurrato Avery, qualche banco più in là. La maggior parte degli studenti indossava solo camicia e cravatta quella mattina, e sistematicamente un numero indefinito di mani svoltava le maniche, ogni cinque minuti, arrotolandole fino al gomito, lasciando nude le braccia. Sirius, James e Peter non erano da meno.
Il giorno prima, Madama Chips aveva richiuso perfettamente la ferita con un cenno di bacchetta, ma aveva avvertito Sirius che la cicatrice sarebbe rimasta ancora per qualche settimana.
«La stessa che ti ritroverai in faccia se non freni quella fogna, Avery»
«Uh, uh, uh... come siamo aggressivi questa mattina... la cicatrice ti rende audace? Ti sei montato la testa, Black?»
«Sai, proprio non riesco a non montarmi la testa con un'idiota come te nella stessa stanza, proprio non ci riesco, Avery» Avery non sembrò minimamente colpito, ma Sirius pensò che fosse perchè il concetto era troppo complesso perchè lo capisse.
«Ammettilo, Black» s'intromise la persona accanto al Serpeverde, con un tono di voce tranquillo, tanto calmo e pacato che non aveva bisogno di sussurrare per non farsi sentire: Severus Piton. «Stai facendo la prova per quando uscirai da qui e potrai fare tutto quello che in segreto stai macchinando tra queste mura, prendendo tutti per i fondelli, non è vero? Ti tagli il braccio per vedere come ti sta il Marchio Nero?» Sirius frenò il montante desiderio di afferrare la bacchetta.
«Potrebbe essere un’ipotesi affascinante, Mocciosus, tuttavia ho proprio capito che a me il Marchio Nero non rende molto, immagino che a te invece stia benissimo. Sai, Mocciosus, dovresti provare a farlo anche tu, tagliati il braccio e corri da Madama Chips, forse per pietà ti da anche un pigiama pulito, così ci risparmia il tuo sudiciume»
Severus sorrise beffardo e proseguì: «Al contrario tuo, Black, io non ho bisogno di soddisfare il mio ego tramite conferme estetiche per scegliere la mia strada. D'altronde, nonostante sia convinto che il Marchio Nero non ti rende affascinante come tanto desideri essere, neanche tu puoi sfuggire al tuo destino, e la tua famiglia parla chiaro. Ce l'hai nel sangue, Black. Sei un Mangiamorte, come gran parte della tutta la tua sporca nobile famiglia, compreso quel vigliacco di tuo fratello... sai già che ha scelto la sua strada, vero?» Sirius sentì la rabbia montare.
«Non dargli retta» gli sussurrò James, ma Sirius lo ignorò.
«E sarai tu stesso, Black,» proseguì Severus, indisturbato nel suo monologo. «a tradire i tuoi amici, quando te ne renderai conto. Venderai la loro amicizia al diavolo, li venderai al Signore Oscuro. E per ottenere il suo prezioso volere li ammazzerai come i sudici maiali che sono,» A quel punto Sirius non lo sentiva più, «... e il Signore Oscuro non saprà mai di quanto tu lo abbia diffamato, insieme ai tuoi sporchi amici...» Sirius balzò in piedi e in un attimo gli fu davanti, la bacchetta puntata sul naso aquilino.
«Dì un'altra parola e ti spappolo il cervello senza che neanche te ne renda conto, verme viscido» sibilò, fissandolo con uno sguardo che saettava collera.
«SIGNOR BLACK!» tuonò la professoressa McGranitt, allibita, mentre si alzava un coro di sussurri e versi di stupore. Sirius abbassò la bacchetta, senza distogliere lo sguardo da Severus, che era impallidito più di quanto già non fosse. «Ritorni immediatamente al suo posto» ordinò la professoressa, con la voce instabile per la rabbia. «Trenta punti in meno a Grifondoro, venti a Serpeverde!» proseguì, trattenendosi dall’urlare. Sirius riprese posto vicino a James, soffocando l'istinto selvaggio di scagliarsi contro ogni singolo Serpeverde che ridacchiava nell'aula, e lo sguardo accusatore della professoressa McGranitt lo accompagnò per tutto il tragitto, tagliente e inflessibile come mille lame affilate.

Alla fine dell'ora nessuno fece parola di quanto era successo. Sirius ignorò gli sguardi curiosi e indiscreti dei compagni. Non voleva sapere se esprimevano condanna o comprensione. Tutto ciò che desiderava era sbollire la rabbia che a stento ancora riusciva a trattenere.
Per fortuna il professor Lumacorno, l'ora seguente, con il suo buon umore e la sua risaputa capacità di coinvolgimento, lo aiutò a obliare l'accaduto, nonostante Pozioni non fosse esattamente la sua materia preferita. Alla fine delle lezioni riprese a conversare normalmente, dimentico temporaneamente - ne era consapevole - della rabbia, benché un leggero malumore gli pesava sullo stomaco.
Il pomeriggio giunse, neanche con troppa fretta.
Entrato nell'ufficio, Sirius cercò di evitare lo sguardo della McGranitt, malgrado conoscesse bene - non fosse altro perchè l'aveva sperimentata più volte sulla sua pelle - la nota professionalità, che la spingeva ad essere impermeabile e a non nutrire rancori e pregiudizi verso gli alunni - e lui, Sirius Black, ne era la miracolosa prova vivente -. Inoltre, per fortuna, la professoressa non fece domande sulla sua presenza, nonostante il giorno prima gli avesse concesso la libertà di saltare quel pomeriggio di punizione.
Entrò insieme a James nella stanza dell'ufficio e, come al solito, Elyn non li salutò. Tuttavia, gli parve di vederla lanciare furtivamente un'occhiata al suo braccio. Premura? Lo escludeva, però gli faceva piacere. Qualunque cosa l'avesse spinta a farlo - probabilmente semplice curiosità - gli fece in parte tornare il buon umore.
Prendendo posto sulla sedia in un capo del tavolo, in quello che ormai era diventato suo territorio, non riuscì a trattenersi dal lanciare un'occhiata al tappeto sotto i suoi piedi: era perfettamente pulito e lucido. Dentro di sé, trasse un profondo sospiro di sollievo. La catasta di libri era ancora lì, sul tavolo, come pure il volumetto del quale non era riuscito a leggere le pagine.
Si mise a lavoro, adesso squadrando diffidente i libri prima di prenderli in mano. Il silenzio aleggiava sulle loro teste, adesso, però, era impossibile capire di che silenzio si trattasse. Pace e risentimento erano da escludere: il rancore sembrava ormai una fase sorpassata. E se era da escludere il risentimento, lo era anche la pace: più che altro, quella sembrava una tregua. Una tregua tranquilla e meritata, che sarebbe potuta durare per sempre, per quanto gli riguardava.
E neanche fosse durata tanto, James si prese l'ignobile incarico di distruggerla.
«Lo sai cos'ha fatto il tuo adorato Mocciosus oggi?» esordì in tono provocatorio, rompendo quel beato silenzio in mille piccoli pezzi di cristallo invisibile. Sirius s'immaginò il frastuono della distruzione, il raccapricciante suono che metteva fine alla tregua, e alzò la testa lentamente. Elyn guardò James, interrogativa. Poi Sirius. Poi di nuovo James. Non disse niente, e James lo considerò un via alle corse.
«Bene...» proseguì, in tono pratico. «Oggi, Serpeverde, avete perso venti punti perchè lui e quel beota di Avery sono dei grandissimi idioti. Ma la cosa più assurda è che, per la loro tremenda idiozia, noi abbiamo perso la bellezza di trenta punti, perchè il qui presente signor Black non ci stava a farsi sbattere in faccia stupidaggini, nonché a farsi dare dello schifoso Mangiamorte. Ora...» disse, fermandosi a meditare. «... continui a volerlo difendere?» proseguì, tranquillo, sfoggiando una serenità arrogante. Sirius capì che si stava divertendo da matti.
Elyn non disse nulla. Forse per non cedere alle provocazioni, forse perchè effettivamente non aveva nulla da dire. Sirius, comunque, la vide tacere, abbassare lo sguardo e ingoiare il boccone amaro in silenzio.
James sorrise. «E se lo avessi capito prima adesso non saresti qui, a pagare qualcosa che lui ha fatto. Francamente, ti biasimo perchè l'hai fatto» proseguì, improvvisamente serio. Sirius rimase a bocca asciutta. Il discorso, improvvisamente, si era tramutato in una difesa. Una netta presa di posizione da parte di James. Una presa di posizione, a favore di Elyn.
«Sei un'idiota Potter» rispose lei, francamente, ritornando a fissarlo con aria di sfida. Sirius fu colto dal dubbio di aver frainteso le parole di James. Lui le stava dicendo che stava dalla sua parte, e lei gli diceva serenamente che era un'idiota? A questo punto, qualcuno dei due aveva recepito qualcosa di sbagliato. O Sirius, o Elyn. «Vuoi davvero sapere perchè l'ho fatto?» continuò, gelidamente. James tacque. «Va bene» disse lei, decisa. La sfida era aperta. Sirius assisteva sbalordito al botta e risposta, sentendosi un'idiota, escluso come era. «Avrei potuto confermare la versione che la Signora del carrello aveva raccontato alla professoressa McGranitt, e attribuire la colpa a te, Black e Severus, uscendone assolutamente illesa - perchè la signora, gentilmente, non mi ha attribuito alcun riferimento all'accaduto -. Oppure, avrei potuto, come ho fatto, fingere che la signora del carrello si fosse sbagliata, addossarmi la colpa di Severus lasciandolo immune, e convincendolo così a non mettersi a rischio raccontando invece la versione veritiera. In definitiva, ho finto di avervi attacato per prima, e che la vostra fosse stata soltanto legittima difesa, evitando così di farvi espellere da Hogwarts» Sirius avvertì una fitta allo stomaco, e, dal balzo che fece sulla sedia, capì che a James era successa la medesima cosa.
«Espellere?» scandì James, sbalordito e terrorizzato allo stesso tempo. Elyn lo fissò con compassione.
«Ho sentito la professoressa McGranitt parlare con la Signora del carrello,» spiegò. «e chiederle insistentemente se fosse sicura di quello che aveva visto; ho sentito dirle che se così fosse stato, voi avreste dovuto essere espulsi da Hogwarts, perchè il vostro secondo incantesimo fuori dalla scuola.»
Improvvisamente Sirius si ricordò delle due biciclette babbane che avevano fatto volare nel giardino di James, quella stessa estate, e della lettera, arrivata a entrambi, che li avvertiva che se avessero compiuto altra magia fuori da Hogwarts ne avrebbero pagato il prezzo con l'espulsione. Da quel momento, avevano badato bene a farsi nascondere dalla madre di James le bacchette, per evitare qualunque tentazione. Sirius, però, era convinto che sull'Espresso fosse concesso fare magie: nessun babbano avrebbe mai potuto vederli.
«Tecnicamente l'Espresso non è ancora Hogwarts, per cui non è concesso compiervi magie, se non per legittima difesa, appunto» chiarì Elyn come se gli avesse letto nella mente, vedendo le espressioni inorridite dei due. «E' una stupida legge, lo so, ma è così» disse. «Per fortuna è in via di abolizione» chiarì subito dopo, ricordandolo più a se stessa che a loro.
Sirius rimase a bocca aperta. Non sapeva se stupirsi più del rischio che avevano corso, camminando sull'orlo dell'espulsione, o del fatto che Elyn li avesse salvati, a sue spese. Ci volle un attimo per chiarirsi le idee: la seconda lo disturbava decisamente di più. Tanto era confuso che non riuscì subito a capire di che natura fosse la sua sorpresa: piacevole, o, semplicemente, inaspettata. Col senno di poi, capì che era di tutte e due le nature.
«Ma perchè Mocciosus... voglio dire Severus» disse James, che, a quanto pareva, si sentiva riconoscente. «Non ha lasciato che ci espellessero? Dicendo la verità, voglio dire». Elyn lo guardò come se fosse una cosa ovvia.
«Perchè naturalmente non lo sapeva... se io sono venuta al corrente del fatto che avevate già compiuto magia fuori Hogwarts è stato solo per caso»
«E tu non gliel’hai detto...» constatò James. Elyn non rispose.

«Ci hai aiutato...» esordì finalmente Sirius, dopo un po’, mentre piano, piano prendeva coscienza. Le parole uscirono tangibili, certe, inoppugnabili come se fino ad adesso James e Elyn non avessero fatto altro che girarci attorno. Era così impensabile credere che aveva avuto l’opportunità di non vederli più, l’opportunità di spedirli a casa una volta per tutte, l’opportunità di fargliela pagare per tutto quello che avevano fatto, non a lei, ma a Severus, e che se l’era lasciata sfumare così, come fumo tra le dita. Aveva avuto l’occasione di evitare una convivenza forzata, che metteva a disagio e disturbava profondamente anche lei. Eppure, li aveva salvati. Li aveva salvati. A costo di vederli ogni giorno, di condividere una punizione insieme a loro, di sopportare la loro stessa presenza, che sembrava risultarle tanto fastidiosa, tanto intollerabile, li aveva salvati. Era così inconcepibile, così assurdo.
«Perchè?» Non si rese neanche conto di parlare ad alta voce, ma poi ringraziò la sua temporanea mancanza di lucidità che gliel'aveva fatto fare.
Elyn lo fulminò con lo sguardo. Infastidita, turbata, scosse la testa sospirando impaziente e si rituffò tra i libri.
Sirius guardò James con aria interrogativa e l'amico ricambiò con un'occhiata esasperata e, ignorandolo, riprese a dedicarsi al volume davanti a lui. E non c'è due senza tre, Sirius seguì il loro esempio, a differenza che, al contrario dagli altri due che sembravano seccati, lui proseguì nervoso: ancora una volta sembrava essere l'unico a non aver capito niente.

Tacquero per tutto il pomeriggio restante e una volta fuori dall'ufficio, durante il tragitto fino alla Sala Comune, Sirius attese e attese, James e la sua illuminante spiegazione. Ma James tacque tutto il tempo. Davanti la Signora Grassa, Sirius non riuscì più a frenarsi.
«Allora, perchè l'ha fatto?» sbottò. «Mi sembra di aver intuito che tu l'hai capito, dunque, perchè non ci ha lasciato sbattere fuori da Hogwarts?» James sorrise compiaciuto.
«Ero convinto che me l'avresti chiesto» disse, ridacchiando.
«E io ero convinto che per una volta avresti messo da parte l'orgoglio e mi avresti dato una spiegazione senza farmi avanzare esplicita richiesta, ma a quanto pare...» borbottò.
«Oh, suvvia! Non vorrai negare al mio ego codesti piccoli piaceri! E va bene, sai, mi stupisce il fatto che tu non riesca proprio ad arrivarci da solo... tu, Sirius. Bene, date le circostanze vedrò di darti qualche piccolo aiuto. Dunque, amico, - 'Bava di Tricheco' - che ricordi della giornata sull'espresso?» Sirius si fermò a meditare. La Signora Grassa, sonnecchiante, lasciò aperto il passaggio, ma rimasero entrambi immobili davanti l'ingresso.
«Per la barba di Merlino, esattamente quello che ricordi tu, James!»
«Lo escludo, altrimenti avresti ben chiaro il motivo del gesto di Elyn... Per tutti i troll, Felpato, ricordi quello che hai detto a Severus?»
«Gli ho detto che era un piacere vederlo» Sirius si irrigidì. «Non dirmi che ha pensato che dicessi sul serio!» esclamò, indignato.
«Non dire sciocchezze, anche un ciclope con un occhio orbo avrebbe visto con quale espressione glielo dicevi... andiamo, Sirius, sforzati, non ricordi altro?»
Sirius corrugò la fronte per lo sforzo. Non ricordava nient'altro, nient'altro... James sbuffò impaziente.
«E quando Elyn ti ha disarmato?» insistette, facendogli cenni incoraggianti.
Sirius cercò di ricordare... Elyn lo aveva disarmato, ma Severus non si era voltato a vederla, però, poi lei aveva detto i loro nomi, «Potter e Black», allora Severus si era voltato, l'aveva aggredita e... Improvvisamente tutto fu chiaro come la luce del sole in una mattina di giugno. James vide l'espressione Eureka di Sirius e annuì compiaciuto.
«Tu non ci hai visto più, caro Sirius, e hai preso le difese della donzella, e, siccome in fondo anche lei ha un minimo di umanità, ti ha ricambiato la gentilezza salvando la pellaccia a tutti e due, proprio quando eravamo già col sedere sulla brace. Te l'ho sempre detto, io, che sei un gentiluomo. D'altronde, con il maestro che ti ritrovi...» Con un sorriso in volto e pieno di sé come un pallone, James si addentrò nella Sala Comune, mentre con una mano si scompigliava i capelli.
Sirius rimase a bocca aperta e ringraziò il cielo per la sua pericolosa impulsività, che sembrava essergli costata una punizione da una parte, ma che, d’altro canto, l’aveva protetto dall’espulsione.
«Allora, giovane Grifone, hai intenzione di tenermi sospesa all’aria ancora per molto?» protestò con voce acuta la Signora Grassa. «Per lo sfacciato nome di Merlino, vedi di sbrigarti, comincio ad avere il mal di mare!»

*

La sera, Sirius non ebbe il tempo e la calma per soppesare i recenti eventi e riflettere su ciò che aveva saputo, perchè James parlò quasi ininterrottamente delle selezioni di Quidditch che si sarebbero tenute da lì a tre giorni, dalle quali a lui spettava il compito di estrapolare la nuova squadra.
«Per tutte le casate!», o «Per tutti i gargoyle!», e ancora «Per il rasoio di Merlino!» così cominciava, per poi procedere a fiotti di lamentele, preoccupazioni, incertezze, proteste e sbuffi irritati. In particolare, il sospetto che la punizione dovesse durare fino al pomeriggio delle selezioni lo inquietava parecchio.
«Lo dirò alla McGranitt, per l’amor del cielo, sono il capitano!» borbottò.
«Certo, Ramoso...» concordò distrattamente Sirius, mentre scriveva la conclusione del saggio di Storia della Magia, “La Chiesa babbana e l’assalto alle Arti Magiche”.
«Perchè non partecipi?»
«Va bene... vedrò di aiutarti a convincerla» mormorò, mentre una conclusione perfetta gli lampeggiava in testa.
«No, volevo dire, perchè non partecipi alle selezioni?»
Sirius cessò di scrivere e alzò lo sguardo scettico.
«Quidditch?» disse, poco convinto. «Io? Non credo proprio, sai bene che non brillo nel Quidditch» liquidò la questione, riprendendo a scrivere.
«Non dire sciocchezze, si presenteranno persone che non sanno neanche come usare una scopa per pulire il pavimento, andiamo! Non brilli, ma non sei neanche tanto male. Hai soltanto qualche difficoltà, niente che con una buona dose di impegno e dedizione non si possa sistemare... per giunta io potrei farti passare senza problemi, sono l’allenatore» proseguì, gongolando soddisfatto.
«Ci penserò» Anche se in realtà era poco probabile anche che ci avesse pensato. Però, James parve soddisfatto.
«Felpato, ci divertiremo. E pensa come ti sbaverebbe dietro Mary...» disse, ammaliato al pensiero del bene che, con l’autorità dell’allenatore, avrebbe potuto fare. «Cadrà letteralmente ai tuoi piedi» proseguì, in tono profetico.
Ma a Sirius balenò qualcos’altro in mente: e se impegnandosi nel Quidditch avrebbe ottenuto un minimo di consenso e rivalutazione da parte di Elyn? Vederlo coinvolto in un’attività che andava a beneficio dell’intera Casa avrebbe potuto porlo ai suoi occhi sotto una luce diversa. Quella storia del redimersi e riscattarsi stava cominciando a prendere piede sempre più prepotentemente nella sua vita. Dopotutto, era il passabile desiderio di una persona buona come lui, che non accettava di essere additato come un’inutilità della natura, pensò. Un innocente desiderio di riscatto e liberazione.
«Ci sto» disse d’un tratto, guardando deciso James.
«E andiamo! Felpato, ragazzo mio, non te ne pentirai!» esclamò esultante, alzando un pugno in aria.

«Scommetto che diventerete amici»
Senza neanche rendersene conto, stava facendo di tutto perchè la profezia di James si avverasse.



***

NdA: Dunque. Eccoci XD Devo fare delle precisazioni: In questa storia, si presuppone che ai tempi dei Malandrini non ci fosse l’obbligo di un’udienza, nella quale si stabilisca l’innocenza o no dello mago che ha compiuto magia per più di una volta, come invece accade ad Harry nell’Ordine della Fenice. Lo so, è una pecca, ma vi immaginate portare avanti un’udienza nella Fan Fiction? Non ci penso proprio XD così ho pensato che la questione poteva essere risolvibile tramite l’intervento del preside, il quale, garantendo la legittima difesa come causa della produzione dell’incantesimo, può scagionare i suddetti maghi. Non regge, okay, lo so... xD


Ringrazio come sempre chi passa a leggere e sprono a recensire ;)
Come sempre un ringraziamento particolare a Sall e gianno11. Giulia, - posso chiamarti così? ;D – grazie per aver recensito ‘La tessitrice di ricordi’. Io adoro il rapporto dei fratelli Black, amore e odio *-*

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Rivelazioni ***



11. Rivelazioni

Finalmente giunse il fine settimana, come una benedizione dal cielo.
Sirius si ritrovò a maledire il momento in cui aveva assecondato James, nella sua folle idea di farlo entrare nella squadra di Quidditch. Passarono l’intera mattinata ad allenarsi nel prato. Provò tutti i ruoli: Cacciatore, Battitore e perfino Portiere. Per il ruolo di Cercatore era inutile anche provare, e glielo ricordò in tutta franchezza James. Il posto era suo.
Nonostante gli sforzi e le incitazioni di James, non si sentiva decisamente portato per quello sport. Era una follia tentare di entrare nella squadra, una follia che non lo entusiasmava più neanche tanto.
Il pomeriggio la pioggia venne giù a secchiate d’acqua, l’allenamento era rimandato alla domenica mattina. Sirius ringraziò il cielo per aver così crudelmente interferito con i piani di James.
La domenica passò ordinariamente tra gli allenamenti mattutini e i compiti del pomeriggio.

Il giorno dopo, Mary si sedette accanto a Sirius per colazione.
«Ti trovo bene, Sirius» disse, sorridendo.
«Grazie, anch’io ti trovo bene, Mary» replicò, affogandosi con il succo di zucca. Mary si esibì in una risatina isterica.
Cominciava a fargli simpatia Mary, però, quel giorno l’idea di avviare una conversazione con lei non lo entusiasmava grandemente. Come se gli fosse stato riferito tutto il contrario, lei si lanciò a parlare.
«Come va con la vostra punizione? Immagino sia una vera seccatura quella...» disse, con una punta di acidità.
«La McGranitt è così» replicò Sirius, a sua volta inacidito da quella sfrontatezza. «E non nego che abbia ragione. Ce la siamo meritata tutta» concluse, accantonando la questione.
«Non hai capito» fece lei, paziente, con la sua solita aria comprensiva e intenerita. A Sirius urtava i nervi. «Quella lì, la ragazza che è insieme a voi... quella Serpeverde» puntualizzò, come se stesse parlando di qualcosa tanto ignobile da non meritare di essere nominato.
«Oh, lei. Non è così male» rispose, non meno acido, senza ricordare di aver detto la stessa identica cosa di Mary ai suoi amici, pochi giorni prima. Adesso sembrava aver completamente abbandonato la labile convinzione che quel giorno aveva creduto di avere.
«Sarà, ma a me è sempre parsa un po’ strana... non si vede quasi mai in giro, è sempre così... sfuggente, diffidente, con la puzza sotto al naso, mi spiego? Una volta mi è venuta addosso, mentre correva per i corridoi, era diretta alla Guferia. Sembrava così fuori di sé, così... ad ogni modo, mi ha fatto cadere tutti libri per terra, si è abbassata a prenderli e si è limitata a dirmi: “Scusami”, velocemente, poi è scappata via – in effetti è balzata via come se l’avesse punta un ape -, ritornata per la sua strada, mi spiego? come se niente fosse successo!»
«Bè, che cos’altro avrebbe dovuto fare?» replicò Sirius, irritato. Ma Mary era talmente concentrata ad indignarsi che non lo degnò della minima attenzione. Riprese a parlare, inarrestabile.
«Per non parlare di quando tu e James avete appeso all’aria Piton, alla fine dell’anno scorso, - piuttosto, vi appoggiai pienamente allora, se lo meritava e se lo merita tuttora, come spetterebbe lo stesso trattamento a tutti i suoi amici Serpeverde -, ad ogni modo...» Sirius si trattenne a stento dal vomitarle addosso. Intanto il ricordo di quel pomeriggio gli riaffiorò fedele nella testa. Rabbrividì al ricordare come Elyn avesse guardato lui e James. Era persuasiva e minacciosa allora, esattamente come adesso. Sorrise, ma Mary non se ne accorse. Decise di non interromperla, soltanto per sentire il resto della storia. In un certo senso, gli interessava, anche se non era altro che una conferma della devozione di Elyn a Severus. «... subito dopo che voi vi siete allontanati, l’ho vista correre su per il prato, sui passi di Severus. Ah! Scommetto che è andata lì a soccorrerlo, scaricandovi maledizioni e insulti, d’altronde è una Serpeverde come lui, della stessa Casa, e sospetto anche che abbia un’adorazione per quel Piton, altrimenti perchè correre così? Ne sarà innamorata... e se così fosse, non so davvero come faccia. Probabilmente è della sua stessa sporca staffa. Tra simili, sai com’è...» Sirius si alzò bruscamente dalla sedia, in un balzo. Non poteva sopportare una sillaba di più.
«Perdonami, Mary, vado di fretta» disse, senza preoccuparsi di nascondere l’irritazione.
«Certo» rispose lei, soave. «Ci vediamo» cinguettò sorridendo.
«Al diavolo» borbottò Sirius, una volta incamminatosi verso l’uscita della Sala Grande. Aveva sentito decisamente troppo.

Mentre si dirigeva solo verso la serra numero 3, pensò a quello che gli aveva raccontato Mary.
Ogni volta che gli sembrava di capirla di più, automaticamente, quell’incessante incomprensione lo inabissava nuovamente.
Aveva appena fatto in tempo a scoprire che la presa di colpa di Elyn sull’Espresso era stata unicamente finalizzata alla sua salvaguardia, e non a quella di Severus, – e il perchè, nonostante James gli avesse dato una spiegazione, ancora non gli era del tutto chiaro -, e di nuovo lo spettro di quella insana devozione si affacciava sulle sue conclusioni. Conclusioni, che ancora una volta, si rivelavano errate.
Perchè, malgrado cercasse di nasconderlo a se stesso, sperava in fondo che nel gesto di Elyn - nel fatto che si fosse addossata una colpa inesistente per evitare loro l’espulsione – ci fosse altro, e di molto più puro che una semplice, dovuta e arida riconoscenza. Che ci fosse qualcosa che provenisse dal più profondo di lei, non dettato da una mera convenzione priva di emozioni, o nata da una superficiale pacificazione dei conti.
Smettila, si disse, piantala di continuare a supporre spiegazioni e probabilità inesistenti.
Eppure, quella storia non gli quadrava.
Davvero Elyn non era consapevole del fatto che chiunque, al posto di Sirius, avrebbe fatto quella stessa scenata a Severus, dopo aver assistito ad una tale mancanza di rispetto nei suoi confronti? E se anche nella reazione spropositata di Sirius sull’espresso ci fosse stato dell’altro – e, benché non volesse ammetterlo, era vero: forse c’era dell’altro -, davvero Elyn non aveva pensato che avrebbe tranquillamente potuto ritenere quella reazione frutto di una normale umanità? Riscontro di una pietà che chiunque avrebbe avuto? Avrebbe potuto pensarla così, avrebbe potuto ignorare le urla di Sirius, ritenendole ovvie e naturali, eppure non l’aveva fatto.
Proteggersi con un velo di indifferenza non le sarebbe stato tanto improponibile, in fondo; chiunque, come Sirius, avrebbe preso le sue difese in quel modo. Tuttavia si era sentita riconoscente, aveva voluto ringraziarlo anche se non le era strettamente dovuto, dunque c’era dell’altro anche da parte sua? Qualcos’altro l’aveva spinta a comportarsi in quel modo?
Mentre si poneva un’innumerevole schiera di quesiti, Sirius arrivò alla serra. Con sollievo, vide che non era vuota. C’erano Frank, Blomb e altri della sua casa. Tirò un sospiro di sollievo: era stanco della sua testa che continuava a riempirlo di dubbi e a svuotarlo di certezze quando era solo, era stanco di non riuscire a trovare neanche un’ombra di riposte delucidatrici, ed era stanco, soprattutto, di sentirsi ogni istante di più uno sconosciuto a se stesso.

*

Sirius e James si trovavano davanti la porta dell’ufficio della professoressa.
«Bene» disse James, mentre bussava. «Allora quando finiremo chiederò alla professoressa se domani può lasciarci il pomeriggio libero per le selezioni»
«Prego» sentirono, al di là della porta.
«Ma non avevi detto che...» Ma James era già entrato.
Gli era parso di aver capito che le selezioni fossero quel giorno stesso, ma di certo nessuno poteva saperlo meglio di James, pensò Sirius, abbandonando così ogni dubbio.
«Buonasera professoressa»
«Buonasera» rispose accennando un sorriso sfuggente, e i due si ritennero autorizzati – come di consueto - a dirigersi verso la stanzetta imbucata. Sirius allungò la mano verso la maniglia della porticina, seguito dietro da James.
«Signor Potter, signor Potter!» fece la professoressa alzando una mano in aria e agitandola lievemente, in segno di arresto. «Questo pomeriggio ho bisogno che lei mi aiuti, il suo amico signor Black provvederà a occuparsi dei volumi insieme alla signorina che si trova già dentro, ma lei mi serve qui. Devo portare quella catasta di libri giù, in biblioteca, e non ho assolutamente un solo baule dove trasportarli. Mi farebbe il gentile piacere di portarli giù, mentre io mi occupo di queste noiose scartoffie qui, sulla scrivania?» Entrambi sapevano che non era una faccenda contrattabile.
«Certo, professoressa» balbettò James, impallidendo davanti alla marea di libri accatastati all’angolo dell’ufficio. La McGranitt sorrise e ritornò alle sue faccende.
«Buona fortuna» sospirò James, guardando l’amico con occhi impotenti.
Sirius, decisamente infastidito dalla piega che aveva preso la situazione, si addentrò, lasciandosi la porta socchiusa dietro. Qualunque appiglio al mondo esterno era decisamente bene accetto. Ma non fece che un passo dentro la stanza, che sentì dietro la porta chiudersi.
«Bastardo di un cervo» pensò in cagnesco.
Come di consueto, si sedette lontano da Elyn, dall’altro capo del tavolo, e in silenzio si mise a lavoro.

La faccenda era alquanto imbarazzante. Dopo la rivelazione del giorno precedente, Sirius si sentiva a disagio anche solo a condividere la stessa aria con lei. Sentiva come anche respirare quell’aria gli era possibile solo grazie a lei. Il suo intero anno ad Hogwarts sarebbe stato unicamente merito di Elyn. Si sentì inondare di riconoscenza, tanto che istintivamente smise di scrivere.
«Lo so...» Persino la sua mente rimase stupita da ciò che stava facendo. Reclamava controllo, ma la bocca non glielo concedeva. «Perchè l’hai fatto» precisò. Elyn smise di scrivere.
«Ce ne hai messo di tempo...» disse.
«Me l’ha detto James»
Elyn abbozzò un sorriso tirato e fece spallucce. Lo sguardo, però, sempre basso.
«Non dovevi sentirti in debito, io non ci ho pensato neanche quando l’ho fatto...»
Finalmente alzò il viso verso di lui, e lo guardò con una ruga in fronte. Poi rise o sospirò, Sirius non lo capì, ma vide il suo sguardo mutare, diventare incerto.
«Bene...» disse. La voce suonò amara, priva della sicurezza di sempre, quasi offesa. «Stupidamente ho pensato che te ne importasse qualcosa...» E improvvisamente Sirius capì.
«No, no» si affrettò a ribattere, «volevo dire che l’ho fatto reagendo d’istinto, senza pensarci due volte» Sentiva l’agitazione montargli addosso. Non stava facendo altro che ripetere ciò che le aveva già detto prima, rincarando la dose, confermando ciò che Elyn aveva capito. «Voglio dire...» sospirò. Quella ragazza lo stremava. Non aveva mai avuto difficoltà di comunicazione prima, o almeno non dovute a lui, adesso sembrava che la sua bocca parlasse prima di chiedere il permesso al cervello, e che i suoi alterego – peraltro appena conosciuti - prendessero sovente il sopravvento. «... era logico che lo facessi, non perchè l’avrei fatto con chiunque, ma perchè in quel momento ho sentito di farlo. Non ho valutato neanche la possibilità che ci avessi aiutati perchè ti sentissi in debito, perchè per me...» tacque cercando le parole giuste. «... perchè non avrei mai preteso niente in cambio. E poi...» esitò. «Non l’avrei mai ritenuto un gesto abbastanza nobile, il mio, per un ringraziamento del genere. In realtà...» continuò ridacchiando. «... non lo era»
Elyn annuì. Il suo sguardo si rischiarì un po’, prima di ricadere giù, scrutando il libro davanti a sé.
Si sentiva un perfetto idiota. Talmente idiota che si convinse che Elyn aveva annuito soltanto per pura pietà, e aveva abbassato lo sguardo soltanto per farlo tacere.
Si sentì un perfetto idiota.
Ritornò a scrivere. Doveva solo chiarire quel dettaglio con lei, e l’aveva fatto. Adesso era davvero finita.
«Lo era.»
Sirius sentì il cuore gonfiarsi un po’, alzò lo sguardo, ma come già si aspettava Elyn era lì, tranquilla, come se non avesse parlato. Eppure l’aveva fatto. Gli aveva appena detto che il suo gesto era stato abbastanza nobile da salvarlo.
Osservò la figura curva sul libro davanti a sé.
Stavolta non aveva dubbi sul fatto che non si fosse immaginato quelle parole.
Riabbassò lo sguardo, sorridendo.
In fondo, cominciava a conoscerla, Elyn, e sapeva che era abbastanza orgogliosa o ambigua da non degnarlo di uno sguardo anche se gli parlava. Figuriamoci dopo avere ammesso che Sirius ne aveva fatta una giusta.
La sua imprevedibilità era diventata quasi prevedibile...
... o forse piacevolmente familiare?
E mentre se lo chiedeva, continuava a sorridere, senza rendersene conto.

*

Lavoravano da circa mezz’ora.
Con grande sorpresa, la pila di libri cominciava ad abbassarsi vistosamente, a gran velocità.
Sirius si alzò per riporre una serie di libri tra quelli già schedati, e nel risedersi vide Elyn chiudere il volumetto che a lui si era presentato praticamente illeggibile, e che il venerdì prima aveva rinunciato a consultare, abbandonandolo in mezzo al tavolo.
«Come hai fatto?» domandò esterrefatto.
«Aparecium» rispose lei. Esitò qualche istante, e proseguì: «Me l’ha insegnato Severus».
Sirius si sentì come se gli avessero appena dato una gomitata in pieno stomaco. Elyn sembrava invece sul punto di voler parlare ancora, come se l’argomento ‘Severus’ fosse l’unico di suo vero gradimento. Continuò a fissarlo, in maniera strana.
A Sirius parve che nei suoi occhi vi fosse un’esplicita richiesta, ma di cosa? Voleva forse che le domandasse di lui? Che le chiedesse di parlarne? Di Mocciosus?
Abbassò lo sguardo, turbato.
Non se ne parla proprio, pensò.
Con la coda dell’occhio vide che Elyn rimase a fissarlo per un po’, mentre negli occhi una luce di speranza svaniva, subito dopo abbassò lo sguardo.
Perchè gli chiedeva ancora di lui? Voleva forse che l’aiutasse a conquistarlo? Era forse una richiesta d’aiuto, quella? Come poteva anche pensare che l’avrebbe fatto, tutto ma non Mocciosus! E questa volta non si sarebbe sentito in colpa. No, non l’avrebbe fatto! Stavolta era lei che doveva sentirsi in colpa, per quell’assurda richiesta d’aiuto!
Un momento prima sembrava che tra loro regnasse la pace, e invece ancora lo spettro di Mocciosus si presentava insaziabile nella sua mente, in tutto ciò che era Elyn.
Ma che aveva Mocciosus? Cos’era quella fissazione? Cos’era quell’incommensurabile devozione? Amore?
Forse sì, forse era davvero quella la risposta.

«E’ mio fratello» La voce uscì timorosa, eppure ferma, come se fosse una muta sfida a controbattere. E c’era tristezza in quella confessione. Una tristezza nascosta bene nel tono, tuttavia così evidente negli occhi.
Sirius si sentì come se gli avessero sbattuto una padella in testa. Confuso, spiazzato, incredulo. Si irrigidì.
«Severus» aggiunse Elyn. «E’ mio fratello»
Sirius la guardò attonito, ci mise un po’ per realizzare. Non era possibile. Roba da matti! Non era possibile! Era così... diversa!
«Tuo fratello?!» esclamò, sconcertato. Parlava senza rendersene conto. «Tuo fratello?! Non è possibile! Siete gemelli? Non è possibile! I tuoi... I tuoi capelli!» Un istante dopo si pentì di quell’ultima farse.
Elyn infatti fu in piedi in uno scatto, e un attimo dopo era già davanti la porta, la mano protratta verso la maniglia.
«No!» Sirius balzò in piedi, allungò una mano come se volesse fermarla per un braccio, ma la arrestò a mezz’aria. Il risultato era abbastanza buffo. «Scusami, perdonami. Sono un idiota, mi è... mi è scappato» parlò, accavalcando le parole una sull’altra. Esitò. Prese un respiro. «Mi è scappato. Scusa.»
La vide esitare, poi Elyn si voltò, puntando lo sguardo fermo e accigliato su di lui. Lo scrutò, come se stesse valutando quanto fosse reale il suo pentimento. Con sollievo di Sirius, qualche secondo dopo si diresse di nuovo verso il suo posto.
«Volevo dire che... siete diversi» puntualizzò Sirius, con tono attento, quando fu di nuovo seduta, facendo altrettanto. «Molto diversi».
Elyn fece finta di non sentire, e Sirius decise di non provarci più, anche se non capiva cosa le desse fastidio. Dopotutto era vero. Tremendamente vero. I capelli di Mocciosus erano sporchi e sudici, i suoi invece sembravano una tela scura, lucida e setosa, di un bruno brillante che spezzava naturalmente con il chiaro della pelle, in maniera quasi artistica, quasi innocente. Il ritratto di una fragile fanciullezza. Quasi ci si poteva perdere a contemplarli.
E d’altronde, che poteva farci se la differenza dei capelli era stata la prima cosa che aveva notato?! Era così evidente, non poteva biasimarlo! Era diversa, punto e basta. Era così diversa.
«Ho un anno meno di lui... E non siamo poi così tanto diversi» replicò lei, sostenuta.
Sirius si trattenne dal ridere, e valutò la questione. Emise un verso di riflessione, e decise di darle una chance. Lei lo guardò con sfida.

Osservò la forma del suo viso, regolare e quasi infantile, e si immaginò quella allungata e smunta di Severus. Su quello non c’erano dubbi: erano assolutamente diversi.
La pelle era pallida. Pallida in entrambi, ma anche questa diversamente. Il pallore di Severus dava l’impressione di un qualcosa di malaticcio, infetto, cadaverico. Il pallore di Elyn era brillante, pulito, giglio. Innocente. Anche questa volta diverso.
Osservò i suoi occhi chiari e furbi, e si figurò in mente i rozzi e spauriti occhi di Severus. Neri come la pece. Si frenò dal sorridere, soltanto per non dar dubbi sul fatto che stesse esaminando la questione con serietà.
Eppure...
Quasi sussultò sulla sedia scorgendo una certa somiglianza nello sguardo. Qualcosa di profondo, qualcosa di celato dietro gli occhi vitrei e gli occhi neri di entrambi, era ugualmente presente. Forse era proprio il segreto della loro parentela. O forse era una languida malinconia che accumunava entrambi, sotto le lunghe ciglia nere.
Senza volerlo, l’espressione sorpresa di Sirius strappò un sorriso trionfante a Elyn. Lei annuì e ritornò giù con la testa.

E come se la rivelazione gli si fosse presentata davanti soltanto adesso, Sirius si sentì svuotare dentro.
Dunque era sua sorella? Dunque è questo ciò che Mocciosus rappresentava per lei?
Si sentì disturbato e sollevato allo stesso tempo.
Si batte per un sentimento che dovrebbe esserle concesso per natura, rifletté. E’ sua sorella e Mocciosus non la degna di un’attenzione.
Si sentì stringere lo stomaco, era come se un peso gli fosse appena rovinato addosso.
«Perchè diavolo fa così?»
Elyn lo guardò negli occhi, esitò. Forse non aveva valutato quel lato della questione, forse non aveva previsto un interesse da parte di Sirius. Parve confusa e incapace di rispondere. Corrugò la fronte, forse frenando dentro un’ondata di tristezza.
«Vogliamo che non lo sappia nessuno». Riprese a scrivere.
«Vogliamo?» Sirius non voleva, ma la voce gli uscì alterata. Una nota di rabbia percosse l’intera parola.
Elyn lo guardò di nuovo, impotente. Ancora una volta, il volto della ragazza triste in mezzo al corridoio di Hogwarts gli ritornò alla mente, e lo rivide di fronte a sé: "Che importa... non cambierà le cose".

Adesso gli era chiaro. Perchè, nonostante fossero fratelli, nonostante ciò che lui rappresentasse per lei, e soprattutto, ciò che lei rappresentasse per lui, Mocciosus non la degnava di uno straccio di affetto. Era Mocciosus che non cambiava le cose.

«Lascia perdere» mormorò lei, riportando nuovamente giù lo sguardo.

Sirius non si sentì di replicare. La malinconia, quella silenziosa incapacità di parlare, come una malattia, aveva contagiato anche lui, riuscendo ad eclissare anche la rabbia che gli era incendiata dentro.


***


NdA: Tadadadan! Ve l'aspettavate? XD Io dico che era prevedibile, no? xD Aspetto recensioni su questo capitolo, anche solo per sapere se vi eravate fatti un'idea ;DD
E adesso passiamo a alle recensioni.
Sall: Esatto, Sirius se l'è posto un po' come obbiettivo, quello di farsi 'accettare' in qualche modo da Elyn, anche se lui stesso non capisce il perchè di tanto affanno. Nasconde dietro la scusante della gratificazione personale, un qualcosa, un perchè che in realtà non riesce a comprendere a fondo neanche lui. Nonostante tutto, però, una delle cose che lo spinge di più ad agire è il fatto che Elyn non ceda, dunque una parte di tutto questo 'accanimento' (anche se non è una parola che gradisco molto in questo caso) sta anche nella sua caparbietà, e nel fatto che non accetta di ritenersi sconfitto. Ci sono molteplici elementi, insomma, che lo spingono a tentare di farle cambiare idea, come hai detto tu, e la sua impulsività e il fatto che non conosca questa sua nuova parte di se stesso lo spingono ad agire, senza rifletterci su. Se pensasse troppo a quanto stranamente si stia comportando, probabilmente metterebbe a tacere i suoi desideri. Adesso tocca ad Elyn fare un passo indietro :P
gianno11: Sì, l'ho fatto intenzionalmente XD Pensavo a cosa Severus avrebbe potuto fare per fare inalberare Sirius e mi è venuto questo in mente XD D'altronde, la cosa più importante nella vita di Sirius sono proprio i suoi amici, l'amicizia e la giustizia. Ho pensato che per farlo infuriare bastava toccare quei due punti XD


Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Quidditch ***



12. Quidditch

Era appena uscito dall’ufficio della professoressa McGranitt, e stava inoltrandosi per il corridoio in pietra.
Sirius si sentiva una strana stanchezza addosso, e una confusionaria folla di pensieri in testa.
Non sapeva dove fosse finito James: non era più entrato nella stanza dell’ufficio della McGranitt dopo che lei gli aveva dato quell’altro compito, e Sirius si era dimenticato di chiedere alla professoressa se James avesse finito. Dovunque fosse, comunque, non aveva intenzione di cercarlo. Per quanto gli riguardava, voleva solo un gran silenzio, e un letto comodo su cui poter dormire. Raggiunse le scale e cominciò a salirle, come un fantasma.
Non voleva neanche tirare i conti delle tante cose dette e sentite quel pomeriggio, aveva solo bisogno di dormire.
Non sapeva neanche perchè avesse tutto quel sonno. A lui capitava così, di botto. Non era un tipo dormiglione, tutt’altro: dormire era una delle attività che gli piaceva meno fare, e se avesse potuto, avrebbe eliminato quel bisogno dalla natura dell’uomo, a dispetto di tutto il resto delle necessità, che ad altri sarebbero parse forse più fastidiose. Eppure, ogni tanto, gli prendeva quella pesantezza micidiale alle palpebre, quella che ti fa ciondolare la testa lievemente, e poi te la fa cascare giù in un botto. Gli era capitato anche di assonnarsi nelle situazioni più assurde e sconvenienti. Una volta si era letteralmente addormentato dentro lo studio di Gazza, mentre lui e James, nascosti in un angolo della stanza sotto il mantello dell’Invisibilità, aspettavano che insieme a Mr Purr uscisse per il giro di perlustrazione notturno, per così poi nascondere delle caccabombe sotto il cuscinetto della gatta. Non si ricordava neanche come fossero usciti da quella situazione, l’unica cosa che gli tornava alla mentre era che, dopo essersi svegliato, comodo nel suo letto del Dormitorio, James era furioso.
Ecco, capitava così. Forse perchè per natura dormiva poco, o chissà per quale altro strambo motivo, quando meno se l’aspettava, due o tre volte all’anno massimo, gli calava un sonno incombente, e impossibile da frenare. E quella sembrava una di quelle volte.

Si trovava già sull’ultima rampa di scale, e la Signora Grassa, nella sua cornice, gli sembrò la visione più bella che potesse esserci.
«Bava di Tri...» Ma non ci fu bisogno della parola d’ordine, perchè il ritratto si spalancò, e un ragazzo dagli occhi coperti da lenti rotonde, capelli neri spettinati, volutamente spettinati, e con dei vestiti piegati sul braccio e una scopa in mano gli piombò addosso. Due scope in mano, si corresse.
Perchè diavolo aveva due scope in mano? pensò, ma era troppo insonnolito per curarsene.
«Sirius! Sirius grazie al cielo!» urlò James, senza inibizione alcuna.
«James...» biascicò, mentre le palpebre gli cadevano pesanti sugli occhi. «Fammi entrare...»
«Non dire sciocchezze, tieni» disse, gettandogli una delle scope tra le mani, mentre si sistemava il badge da Capitano sul petto. Sirius riconobbe soltanto dopo la scopa che aveva tra le mani, tanto non se ne curava, e solo per via dell’incisione nel legno che diceva: “Sirius”. Ed era proprio la sua scopa.
«E questo che significa?» domandò, senza neanche voler sapere la risposta. Aveva già preso la sua decisione. «Non ho intenzione di allenarmi, James. Se non ho davanti un letto tra meno di dieci secondi cadrò per terra dovunque mi trovo,» disse sbadigliando. «Parola di fondo di tè» aggiunse, con più convinzione.
James sgranò gli occhi, ma solo un istante, perchè poi gli venne incontro e lo strattonò con forza.
«Stai scherzando, vero? Ci sono le selezioni, le selezioni!» urlò, agitato, facendolo sobbalzare.
«Cosa?» esclamò Sirius, sbalordito, con meno veemenza di quanta in realtà avesse voluto imprimerne. «James, avevi detto che...»
«Ti vestirai negli spogliatoi, dobbiamo sbrigarci!» lo incalzò, afferrandolo per un braccio e tirandolo a forza giù per gli scalini.
«Non ci sono spogliatoi!» urlò, facendo a stento attenzione a non inciampare tra i suoi piedi. Non riuscì a fermare James, era troppo fiacco persino per reggersi in piedi.

*

«Non sapevo esistessero degli spogliatoi» esordì per tenersi sveglio, una volta giunti ai confini del campo di Quidditch.
«E secondo te dove mi cambiavo dopo le partite?»
Sirius fece spallucce. «Non mi è mai importato»
James neanche lo ascoltò, entrò spedito negli spogliatoi, trascinandoselo ancora dietro per il polso, e una volta dentro finalmente lo lasciò.
«E’ mia, vedi di non rovinarmela. Sbrigati» disse, lanciandogli la divisa in mano. Sirius la srotolò, e la tenne sospesa in aria, scrutandola con interesse, lottando contro la voglia di accasciarsi a terra e dormire. Era rossa. Dorata e rossa.
«Sirius!» ruggì James. «Devi sbrigarti!» Senza aspettare un secondo di più, Sirius cominciò a cambiarsi.

Lo spogliatoio era affollato, una viavai incontrastato di gente che fluiva dentro e fuori. Sembrava che molti si fossero presentati alle selezioni. Non avrebbe mai immaginato che si partisse da così tante persone per giungere poi a un numero di sette giocatori per ogni squadra.
Vide James uscire di fretta dallo spogliatoio, e rientrare insieme ad una ragazza del sesto anno: Mary MacDonald. Si affrettò ad infilarsi la maglia della divisa quando vide che entrambi erano diretti, spalla accanto a spalla, verso di lui. A Mary sfuggì un sorriso malizioso durante la frazione di secondo in cui il petto di Sirius rimase scoperto.
Gli altri ragazzi si accorsero della ragazza che camminava spedita per lo spogliatoio, e i pochi che ancora stavano infilandosi la maglia, rimasero volutamente a petto nudo, pavoneggiandosi come tacchini.
Sirius si accorse che anche Mary indossava la divisa.
Mary che giocava a Quidditch? E da quanto in qua?
Aveva ancora sonno, e si domandava come avrebbe mai potuto superare le selezioni. Se si fosse impegnato volutamente a cadere dalla scopa dopo tre secondi, probabilmente, ci avrebbe messo anche più di quanto non ci avrebbe impiegato a farlo se avesse cercato di evitarlo.
«Hai sonno, Sirius?» domandò, piazzandoglisi davanti, con un sorriso intenerito in volto. Sirius era troppo impegnato a frenare le palpebre che ancora protestavano, per disturbarsene. Non rispose. Vide James fremere accanto a lei: sembrava non apprezzare le domande di circostanza.
«Conosci qualche incantesimo che possa svegliarlo?» domandò, impaziente.
«Magari trovo qualcosa» rispose lei, con nonchalance.
Sirius sentiva sempre di più le palpebre appesantirsi, udiva le voci di James e Mary lontane, come se provenissero da altri pianeti. Non resistette, non resistette proprio più. Piegò la testa di lato, sentì James che lo chiamò, e Mary che gli diceva di lasciarlo dormire. E con un gran sollievo, chiuse gli occhi, inabissandosi nel sonno.
Al diavolo il Quidditch.

Si svegliò dopo quelli che gli sembravano secoli. Era convinto di aver dormito, se non giorni, almeno ore, e ore piene.
Invece, schiudendo gli occhi, ritrovò James e Mary in piedi, esattamente dove li aveva lasciati, soltanto che Mary adesso gli teneva la bacchetta puntata, e James sembrava raggiante.
«Oh, Mary, grazie, grazie!» gridò James, esultate.
«Reinnerva, una sciocchezza» spiegò lei, con finta modestia. «Serve a far rinvenire una persona, che ha perso i sensi: tecnicamente Sirius stava solo dormendo, ma era comunque in stato incosciente, dunque...»
Ma James non l’ascoltava neanche, afferrò Sirius di nuovo per il braccio e se lo trascinò fuori dagli spogliatoi.
«Tutti fuori!» urlò, e il tono risultò tanto sorprendentemente autorevole, che tutti scattarono dietro di lui dopo meno di un secondo. Sembrava calzare a pennello quel ruolo, e probabilmente da guida della squadra di Quidditch avrebbe rivelato molta più serietà di quanta in realtà non ne avesse in corpo. L’aria stessa sembrava satura di rispetto per il nuovo Capitano.
Sirius, però, fu l’unico a vedere il sorriso compiaciuto che si disegnò sul suo volto, non appena tutti scattarono al suo comando. Non aveva dubbi sul fatto che, nonostante non l’avesse vista, anche una scintilla di potere doveva aver lampeggiato nei suoi occhi furbi, dietro le lenti rotonde. Dopotutto era James, chi lo conosceva meglio di lui?
Sirius si allineò insieme agli altri pretendenti di una qualunque collocazione nella squadra, in mezzo al campo. Per un attimo ebbe il naturale istinto di seguire James di fronte a tutti loro, ma rammentò, appena in tempo per arrestarsi insieme agli altri, che in quella situazione il suo ruolo e quello di James non erano esattamente alla pari.
Gettò un’occhiata alla fila sulla sua destra, e vide alcune delle facce che aveva visto poco prima, dentro gli spogliatoi. Non si sarebbe mai aspettato che alcuni di loro potessero trovarsi lì, in occasione di una selezione di Quidditch. Certi piccoletti del secondo anno, per esempio. Poi pensò che, probabilmente, anche molti di loro erano stupiti della sua presenza, lì.
Facendo un veloce calcolo mentale, alla sua sinistra dovevano esserci i restanti volti di poco prima: una decina al massimo. Si voltò dall’altra parte, in cerca di conferme, ma rimase letteralmente a bocca aperta. Lo spettacolo che gli si parò davanti fu uno dei più improbabili: una decina di ragazzi, come aveva previsto, e a seguire una fila di ragazze in trepidazione si allungava da lì a quattro metri circa, urlacchiavano e stridevano come cornacchie. Rimase ancora più stupito nel constatare che anche Mary era lì, tra loro.
Mary che giocava a Quidditch? Se lo domandò nuovamente, e adesso più di prima gli parve una cosa fuori mondo.
Vide tra loro anche qualche Corvonero, e un paio di Tassorosso, e si chiese che diavolo ci facevano ad una selezione per la squadra di Grifondoro.
Come se non bastasse, una folta schiera di ragazze urlanti, di tutti i colori: rosso-oro, azzurro-bronzo, giallo-nero e anche un paio verde-argento; si distribuivano omogeneamente, occupando una buona parte della tribuna di fronte. In un angolo in basso, leggermente isolati, Remus e Peter gli fecero okay con le mani. Sirius alzò il pollice, con sicurezza e lanciò loro un sorriso tranquillo. La sicurezza di essere fuori dalla squadra già in partenza, in effetti, l’aveva.
Ritornò con lo sguardo verso James, che parlava freneticamente con un Grifondoro del settimo anno. Subito dopo, alla sua sinistra, sentì un coro di sussurri concitati, e gli parve di udire anche il suo nome. Si voltò, allungando la testa oltre la schiera di quelle dei suoi compagni, e si ritrovò decine di occhi di ragazza puntati addosso: qualcuna teneva la mano davanti la bocca, stupita, altre aggrappavano agitate quelle delle loro amiche, qualche ragazzina del primo anno gli puntava addirittura un dito contro, mostrandolo alle coetanee curiose come fosse un’attrazione turistica. Sirius si ritrasse bruscamente. Quei pochi secondi gli erano bastati anche per notare che molte delle ragazze guardavano con aria sognante il nuovo Capitano, e addirittura qualcun’altra osservava desiderosa un’inconsapevole Remus, dall’altra parte del campo, seduto tranquillamente sulla tribuna, insieme a Peter.
«Bene!» urlò ad un tratto James. Si sentirono dei gridolini, e un fiotto bisbigliare. «Dividetevi in quattro gruppi, e il primo gruppo, a partire dalla mia sinistra, faccia un giro completo del campo in volo al mio fischio!»
Sirius fu bene attento a non infilarsi in mezzo alla marea femminile, e finì per rientrare nel secondo gruppo.
«Buona fortuna» gli bisbigliò Mary – che, non sapeva come, era misteriosamente finita nel suo stesso gruppo - prima di salire sulle scope.
Malgrado lui non avesse avuto problemi, almeno nel volo, metà dei ragazzi e delle ragazze presenti vennero immediatamente esclusi alla prima prova, e con essi tutte le Tassorosso e le Corvonero fuori luogo.

James diresse magistralmente l’intera selezione: mai Sirius l’aveva visto così azzeccato nel suo ruolo e preso da una qualunque altra attività scolastica, che non fosse infrangere le regole o correre dietro Evans.
Le prove durarono un’ora e mezza, e alle 8:30 era già vicino il crepuscolo.
Senza alcuna esitazione, James rivelò i nomi dei componenti della squadra.
Con sua sorpresa, Sirius fu in qualche modo ‘infilato’ nella squadra nel ruolo di sostituto Battitore. Mary, che si era rivelata inaspettatamente una discreta Cacciatrice, era stata scelta come sostituta in quella collocazione.

Quando James entrò negli spogliatoi maschili, si diresse dritto verso Sirius. Sembrava a disagio, incerto.
«Felpato, se non ci fosse stato quel Leto saresti entrato a tutti gli effetti come Battitore» disse, agitato. «Lo so, ti avevo garantito che saresti entrato, ma, vedi...»
«James» fece Sirius, serio. «Me l’avevi garantito... è finita.» disse, con una inesorabilità agghiacciante.
James parve allibito e inabissato allo stesso momento. Lo fissò incredulo e rimase ammutolito qualche secondo.
«Come vuoi» balbettò poi, ancora scosso, dopodiché si girò e fece per incamminarsi verso l’uscita.
Sirius scoppiò in una risata fragorosa, e James si voltò, fissandolo con la fronte corrugata.
«Tieni» disse, Sirius, lanciandogli la divisa tra le mani. «Questa non mi serve più»
Colto dalla consapevolezza, il volto di James si incupì.
«Hai idea di quello che ho passato?» fece, melodrammatico.
Sirius lo raggiunse sorridendo, e gli cinse il collo con un braccio e con la mano gli diede un buffetto sulla guancia, mentre con l’altra teneva con naturale eleganza il mantello scuro sulla spalla, lasciandolo penzolare lungo la schiena.
«Non avrei potuto desiderare ruolo migliore, amico» disse, sinceramente, mentre uscivano dallo spogliatoio. «Ci sono, ma non ci sono» E, in effetti, era davvero felice per come si erano concluse le cose. Ufficialmente era dentro, soltanto molto più libero di quanto non avesse sperato di essere se fosse entrato pienamente di ruolo. Non poteva desiderare di meglio.
James lo guardò perplesso. Probabilmente per lui era inconcepibile gioire di un ruolo di riserva.
«Pensavo volessi entrare nella squadra»
«Bè, tecnicamente ci sono, no?»
James fece spallucce, e diresse lo sguardo altrove. «Pensala come vuoi, ma non azzardarti più a farmi prendere uno spavento del genere. Tu mi servi, Felpato, non provarci mai più.»
E raggiunsero gai Remus e Peter.

*

«Dunque, nel 1863, con l’irruzione in Gran Bretagna delle Banshee, la ribellione dei maghi crebbe a dismisura, allargando i propri confini per gran parte del territorio scozzese. La gente non voleva conoscere l’imminenza della propria morte, senza contare il fatto che spesso le previsioni si rivelavano infondate, per questo motivo...»
Sirius alla parola ‘Banshee’ aveva già perso il filo, ma Remus sembrava così preso dalla spiegazione che non osò interromperlo. Ancora una volta, gentilmente, il loro caro Lunastorta si era prestato a ripetere la lezione di Storia della Magia che avrebbero dovuto sapere già da quattro giorni. Come ogni anno, già alla terza settimana, erano indietro con la materia, nonostante i buoni propositi che si erano impegnati a ripromettersi all’inizio dell’anno.
Peter sbadigliava, James era distratto, probabilmente la sua testa poteva essere dedicata soltanto al Quidditch quella sera – aveva passato tutta la sera a ripetersi i nomi dei componenti della nuova squadra, cercando di dissipare i dubbi su un Cacciatore in particolare, Michel Blauders, che, a quanto pareva, non lo convinceva pienamente, malgrado Sirius ricordasse perfettamente la prestazione impeccabile del ragazzo -, e Sirius osservava quieto il focolare scoppiettante, rilassato dalle voci confuse nella Sala Comune.
«... il Ministero, allora parecchio incostante e spratico di rivoluzioni, emanò una bolla, nella quale...»
Un pensiero attraversò la mente di Sirius, giusto il tempo di un crepitio del fuoco, e balzò sulla poltrona.
«Devo dirvi una cosa» sussurrò, concitato. James e Peter lo guardarono attenti e grati di quella interruzione. Remus lo fulminò con lo sguardo, ma Sirius non gli badò.
«Oggi...» Si frenò di scatto. Rivelare loro la parentela tra Elyn e Severus gli sembrava così ovvio, visto che condividevano tutto, assolutamente tutto... eppure una morsa allo stomaco lo arrestò, come una forte strattonata.
«Vogliamo che non lo sappia nessuno»
Le parole di Elyn risuonarono nella testa, come un inquietante monito.
James, Remus e Peter pendevano dalle sue labbra.
«Vogliamo che non lo sappia nessuno»
Qualcosa gli diceva che in realtà era Mocciosus a non volerlo, eppure, cosa sarebbe successo se avesse rivelato qualcosa che neanche Elyn voleva venisse divulgato? D’altro canto, però, perchè lei stessa glielo avrebbe detto, se non ne avesse prima previsto il rischio? Non erano amici, a malapena si conoscevano per nome, dunque perchè affidare a lui un segreto che pochi, o, forse, nessuno conosceva? A rigor di logica, non doveva essere così importante mantenerlo oscuro. O forse era stato un errore, e nella ‘confidenza’ del momento gli aveva rivelato qualcosa che invece doveva rimanere nascosto nell’ignoranza?
«Allora?»
«Felpato, sei ancora con noi?»
E se dicendolo, avesse inesorabilmente tradito quello stralcio di fiducia che ancora neanche possedeva?
«Mary» improvvisò. Non avrebbe rischiato. «Credo che...» Tre paia di occhi lo fissavano avidi.
«Le chiederai di uscire?»
«Ehm, sì... esatto»
«Magnifico!» fece Remus, raggiante. «Magnifico, in questo caso ti consiglio di farle pervenire un bollettino medico ogni sera»
«Sì, questo la terrà a bada» asserì Peter.
James lo fissò con sguardo assorto, uno sguardo che Sirius non riuscì a interpretare. Poi fece spallucce, e accennò un sorriso bieco.
«Vi vedo bene» proferì semplicemente, poco dopo. E Remus proseguì con la spiegazione.
Benissimo, pensò Sirius, complimenti Felpato, ammira in che guaio ti cacciato.



***


NdA: Eccoci! Ci ho messo un po', lo so, temo che d'ora in poi posterò i capitoli sempre più lentamente, perchè devo scriverli -.- Non so neanche se mi fermerò fino a quanto non li avrò scritti tutti, o almeno un buon numero che mi garantisca una certa regolarità. Devo ancora meditare su questo xD
E comunque, veniamo a questo capitolo.
Lo so, sembra un po' campato in aria, però, volevo fare una cosa leggera, senza cose troppo rilevanti xD Anche se ci sono un paio di cose che poi si svilupperanno in futuro. E poi manca Elyn... bè. Vi garantisco la sua presenza nel prossimo capitolo fin da ora, promesso! XD
Per le selezioni, l'avrete notato, mi sono ispirata a quelle de Il Principe Mezzosangue, in cui è Harry a comporre la nuova squadra :DD
Ah, non so se avete notato, ma in questo capitolo c'è un nome particolare: *rullo di tamburi* Leto!
Yuppiiiiiiiiiiiii. Il mio adoratissimo Leto. u.u *anima echelon ritorna dentro* ... ehm.
Passiamo avanti XD
Ho notato che molti passano a leggere, ma a recensire ci sono solo quelle due anime che ormai ho imparato ad amare XD
Le aspetto come la volpe aspetta il Piccolo Principe alle 4 del pomeriggio xDD :)
Sall e gianno11, vado di frettissima, perdonatemi se non riesco a rispondervi in maniera decentemente articolata ç_ç, spero di rifarmi al prossimo capitolo.
Vi ringrazio come sempre per le recensioni, mi fa davvero piacere leggerle, tutte le volte :)
E ringrazio tutti quelli che passano a leggere, come sempre.
A presto!
E recensite se leggete! :P

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Cambiamenti ***



13. Cambiamenti

«Giù dal letto voi due!» Con una rapidità stellare, Remus fece volare in aria le coperte dei due poltroni.
«Oh, avanti Lunastorta, non vedi come stiamo?» piagnucolò Sirius, nascondendo la testa sotto il cuscino.
«E’ appena la terza settimana di scuola e già cominciamo con queste tragedie! Giù dal letto tutti e due!»
«Ma Lunastorta mi sento caldo... ho la febbre» protestò James, tirandosi di nuovo su le coperte.
Remus sospirò.
«L’avevate in mente già da ieri sera, non è vero? Per Godric, perchè diavolo mi avete fatto spiegare l’intera storia delle Banshee dal ‘700 a questa parte, allora?!» sbottò. «Spero che vi venga una vera polmonite, prima o poi!» E uscì dal Dormitorio, sbattendosi dietro la porta e lasciando i due soli.
«Sai, James... a volte non capisco perchè se la preda così tanto»
«Sirius, amico, credo sia perchè poi deve sempre spiegarci le lezioni intere...»
«Bè, ma a lui può fare solo piacere, non credi? In questo modo ripassa in compagnia. Noi lo rinforziamo, piuttosto»
«E su questo hai ragione tu...» James fece spallucce. «Suppongo che dovremo farci perdonare»
«Tu dici?»
«Immagino di sì»
Sirius si fermò a meditare. «Già... ci penseremo più tardi. Buonanotte, Ramoso.»
«Buonanotte, Felpato.»
E si addormentarono di nuovo, quando il sole era già sorto in cielo.

*

«Corri, James!»
«Sto correndo!»
«Non abbastanza!»
James saltò tre gradini e scivolò sul pavimento. Curvò la schiena in avanti per mantenersi in equilibrio, e Sirius gli urtò dietro. Caddero tutti e due per terra, ma, in meno di un secondo, correvano già più di prima.
«Siamo in ritardo?» urlò James, obliando per un momento il fatto che stessero in una scuola.
«Di tre quarti d’ora» replicò Sirius, sgommando con le scarpe ad un angolo del corridoio.
«Oh, sciocchezze! Non se la prenderà, è una comprensiva la McGranitt!»
«Lo spero bene» ribatté Sirius, schivando per un pelo una Corvonero del primo anno. «Solo, avresti dovuto svegliarti prima! Se non avessi dormito tutto quel tempo adesso non ci ritroveremmo a correre per i corridoi di Hogwarts!»
«Ti ricordo che anche tu ronfavi come un ghiro!» esalò James, sfiatato dalla corsa e la voce incrinata dall’irritazione. «Se fosse stato per te, staremmo ancora a letto!»
Frenarono di botto davanti alla porta legnosa dell’ufficio della professoressa, e per poco non ci rimisero il naso. Inspirarono a pieni polmoni per frenare l’affanno, ed espirarono sbuffando.
«Vai» incitò James.
«Sì, » replicò, impaziente. Alzò il pugno e bussò.
«Avanti» Una voce severa risuonò dall’altra parte.
Sirius aprì la porta.
La McGranitt se ne stava, come al solito, seduta sulla sua sedia austera, dietro la scrivania affollata di pergamene e piume d’oca. Li guardava sottecchi, con occhi che sembravano fondere lo stesso vetro.
«Buonasera. Ci scusi per il ritardo» disse Sirius, reggendo a mala pena lo sguardo.
Nonostante loro fossero degli esperti sfidanti delle autorità di qualunque tipo, la McGranitt era dura a sciogliere. Era l’unica professoressa a riuscire ancora ad intimidirli, quando si ci metteva, superata soltanto da Silente, che emanava una naturale autorità bonaria, autorità che, però, era tutto un piacere rispettare. Anche se, dovevano ammetterlo, lei li appoggiava molto più nelle marachelle rispetto a tanti altri professori. Era come se, accanto all’esigenza del rispetto dell’ordine che le imponeva la coscienza, si divertisse a metterli in punizione perchè sapeva, in qualche modo, che loro stessi non la biasimavano per nulla. Quasi non aspettavano altro.
La loro era una perenne sfida alle autorità e a chiunque volesse imporre loro delle regole, e lei era tutto l’opposto, tutta norma e disciplina. Era per questo, forse, che era affezionata a loro più di quanto non lo fosse a tanti altri studenti.
In certi momenti, però, la complicità svaniva del tutto. E Sirius era indeciso se quello fosse precisamente uno di quei momenti. Aveva anche uno sguardo ingannevole, la McGranitt, delle volte, ed era difficile interpretare le sue intenzioni prima che proferisse parola.
«Buonasera» disse, con voce ferma. Li scrutò attentamente, poi alzò un millimetro il viso e li inquadrò per bene. Sirius trattenne il fiato. «Signor Potter, si dia una sistemata, sembra appena uscito dal letto» sentenziò, con una leggera nota di indignazione della voce. Sirius si rilassò, soffocando una risatina, e trattenendosi dal mandare segni equivoci che rivelassero la verità di quell’ipotesi, quando la McGranitt spostò lo sguardo su di lui. «Anche lei, signor Black, un po’ di decoro, per favore» proseguì, scrutando la sua cravatta penzoloni sulla spalla. Sirius l’afferrò e la infilò dentro il mantello.
«Oh» fece la McGranitt. «Non era esattamente quello che intendevo, ma è decisamente meglio. Ora, potete ritornarvene sui vostri passi.» concluse, ribrandendo una penna d’oca e riaffondando lo sguardo su una pergamena davanti a lei.
«Ma, professoressa, la nostra punizione...» ribatté James, nonostante il tono rivelasse un accenno di riluttanza dal ricordarglielo.
«Oh, certo» lo incalzò la professoressa. «Allora devo dirvi che rimanevano pochi volumi da catalogare, e la vostra compagna ha finito il lavoro appena dieci minuti fa, in vostra assenza. Diciamo che la vostra punizione si arresterà qui, ma saprò a chi rivolgermi quando avrò bisogno di qualche lavoretto durante il corso dell’anno, mi spiego? Ah, dimenticavo...» proseguì, scrutandoli saldamente.
Sirius deglutì. La parte “durante il corso dell’anno” non gli piaceva per niente, ma annuì senza distogliere lo sguardo: almeno il ritardo era passato inosservato.
James fece lo stesso.
«Buonasera» concluse, abbozzando un sottile sorriso di congedo, e ritornando alla sua pergamena. «Cinque punti in meno per ognuno: causa ritardo.»
Sirius e James non sbuffarono per puro puntiglio.

«Siamo liberi» esalò James, in uno spiro eccitato, una volta chiusasi la porta dell’ufficio dietro. Poi espirò rumorosamente.
«Già» convenne Sirius, tirando un sospiro gratificante. Nonostante i dieci punti in meno, non era poi andata tanto male. Erano liberi adesso. «Non voglio punizioni per almeno altri dieci giorni.»

*

Mezz’ora dopo Sirius e James procedevano a passo tranquillo, confondendosi tra la gente, diretti alle cucine.
«Non dare nell’occhio, Sirius»
«Di certo non sarò io ad attirare l’attenzione con uno che si scombina ogni tre secondi i capelli»
«Che pretendi? Vado in giro con te, Felpato, – non che ti ritenga più affascinante di me, naturalmente, ma sei un Black, è l’effetto della nomina – devo pur competere, cosa credi? Io...»
Ma Sirius non l’ascoltava... e neanche lo sentiva.
Era rimasto indietro, sull’uscio dell’imponente portone in quercia nella Sala d’Ingresso, e osservava fuori, la distesa erbosa.
«Per tutti i Troll! Che stai facendo qui? Stai mandando a monte il piano! Dobbiamo passare inosservati, ricordi?» bisbigliò James indignato, dopo averlo raggiunto.
Sirius lo ignorò, e concentrò lo sguardo su delle figure in piedi sul prato.
Elyn, all’ombra di un pioppo poco lontano dal loro faggio, era fronteggiata da due figure: Avery e Mulciber accanto a lui. Non c’erano bacchette tra loro, ma la situazione non sembrava tranquilla. Sirius si inquietò.
«Che stanno facendo?» chiese James, rintracciando il punto in cui finiva lo sguardo dell’amico e iniziavano le tre figure.
«Non lo so» rispose, lo sguardo assorto. Tacquero qualche secondo.
«Bè, mi sembra tranquillo, no? Quegli idioti non attaccheranno una della loro Casata, a meno che...»
Poi successe tutto all’improvviso.
Elyn afferrò la bacchetta, Avery alzò in uno scatto il braccio non visibile a Sirius, e la disarmò, puntandole minacciosamente la bacchetta sotto il mento e avvicinando con sfrontatezza il volto. Sirius saltò a due e due i gradini, si gettò giù per il prato e nel giro di pochi secondi si ritrovò con la bacchetta che sfiorava la tempia di Avery.
«Metti giù quella bacchetta» sibilò, vedendo Avery deglutire, colto alla sprovvista dalla repentina minaccia. Mulciber si preparò all’attacco, ma James, che era giunto dietro Sirius, lo disarmò prima che vibrasse la bacchetta in aria.
«Sei troppo lento, Mulciber» disse con un sorriso maligno in volto, l’arma in aria.
Avery abbassò la bacchetta e guardò Sirius con la coda dell’occhio. Non si voltò perchè quella dell’avversario non gli affondasse nella tempia.
«Sei diventato anche il paladino dei Serpeverde, eh Black?» fece, ghignando disgustosamente.
Sirius rise in tono maligno. «Paladino? Mi sopravvaluti, Avery, considerami pure il massacratore della feccia.»
Avery ghignò ancora una volta.
«Lascia che ti dia un consiglio, allora: comincia da quella che ti sta intorno»
Sirius gli premette la punta della bacchetta sulla tempia. Avery si mosse inquieto.
«E’ esattamente quello che sto facendo» replicò. «Gira al largo» concluse in tono velenoso.
Avery gonfiò in un tentativo impavido il petto, e indietreggiò, gli occhi avidi fermi su Elyn.
«Tanto noi ci rivediamo» disse, abbozzando un sorriso. Elyn gli sputò addosso.
Poi Avery si allontanò, insieme a Mulciber, pulendosi il mantello con la manica, lanciando un ultimo sguardo velenoso a Sirius, che se lo lasciò scivolare addosso. Lo tenne d’occhio finché non scomparve, dentro il castello.

«Non ti ho chiesto di aiutarmi» disse lei, in un filo aspro di voce.
Sirius si voltò lentamente a guardarla. Improvvisamente sentì le furie montargli addosso, i nervi inselvaggirsi come non mai. La rabbia ribolliva dentro come non avrebbe mai immaginato potesse succedere.
Lei reggeva il suo sguardo, impenetrabile, invernale.
«Cosa?» esclamò indignato James. Elyn non gli badò e continuò a fissare Sirius.

Si sentì annebbiato dalla rabbia, le parole gli rimbombavano nella testa.
«Non ti ho chiesto di aiutarmi»
Un’incredibile furia gli montava dentro, inesprimibile.
«Non ti ho chiesto di aiutarmi»
Ebbe l’impulso di urlarle di andare al diavolo, e di lanciarle una Cruciatus, senza pietà.
«Non ti ho chiesto di aiutarmi»
Vide il suo sguardo impenetrabile, duro, gelido, tagliente...
«Non ti ho chiesto di aiutarmi»
E poi, inaspettatamente, vide un debole frammento di silenziosa aspettativa. Lo lesse nel suo volto.
«Non ti ho chiesto di aiutarmi»
Come un fragile e invisibile fiocco di neve in mezzo alla tormenta, un’aspettativa. Qualcosa gli diceva che gridare non era la mossa giusta, adesso.
«Non ti ho chiesto di aiutarmi»
Il corpo e la mente gli si svuotarono, e la rabbia parve sfiorire, insieme alle sue spine.
«Non ti ho chiesto di aiutarmi»
Come un fiocco di neve, un’aspettativa...
«Non ti ho chiesto di aiutarmi»

Sospirò, rilassato. Chiuse un istante gli occhi, assorto, e poi li riaprì.
«Non mi importa» disse in tono sorprendentemente tranquillo. «Il fatto che tu me lo chieda o no è del tutto irrilevante. Che tu mi rivolga o no la parola, bene, anche questo mi scivola addosso. Non prendo ordini da nessuno, se mi va di puntare una bacchetta sulla tempia di Avery, lo faccio. Non m’importa che tu sia d’accordo o no, se a me va di aiutarti con Avery, Mulciber e altri mille di loro, lo faccio, semplicemente. Non m’importa che tu voglia o no, io ti aiuto quando voglio.»
Le parole suonarono tranquille, ferme, consapevoli della loro certezza irremovibile, inoppugnabile.
Vide lo sguardo di Elyn mutare, vacillare, da duro e inflessibile, divenire sorpreso, colpito.

Non lo constatò con i propri occhi, ma avvertì lo stupore di James, ed era pronto a giurare che in quel momento avesse la bocca spalancata e gli occhi sgranati su di lui.
Elyn esitò, lo guardò con sguardo confuso.
Il muro impenetrabile era forse crollato, disintegrato dalla certezza irremovibile.
Come sfere di cannone, come mille bombe esplose, le parole di Sirius avevano distrutto l’unica sua barriera,
l’unica sua difesa: la freddezza.

Elyn dischiuse la bocca per la sorpresa, rimase a fissarlo qualche secondo.
Poi, inaspettatamente come un fulmine col sole, scoppiò a ridere di una risata cristallina.
Cercò di frenare l’impulso mettendosi una mano davanti la bocca, e il suono delizioso si trasformò in un fantasma soffocato. Ma era lì, seppur soffocata, la risata c’era ancora.
La sua reazione era stata tutta un programma.
Sirius si sentì un guizzo dentro. Stentava quasi a crederci.
C’era forse riuscito?
«Va bene» disse lei dopo qualche istante, facendo appello alle ultime briciole di freddezza che le rimanevano. Aprì ancora la bocca, ma poi la richiuse, senza dire niente. Poi corrugò la fronte e lo scrutò, ridestando lo sguardo serio, come se stesse verificando che non ci fossero ripensamenti o vacillazioni. Poi annuì, constatando Sirius-non-sapeva-che-cosa, e sbatté le palpebre ripetutamente, in un gesto che aveva un’infinità di naturalezza. A Sirius fece quasi tenerezza, ma non lo lasciò ad intendere. Qualunque esitazione, al momento, avrebbe rovinato tutto.

E come se ne era venuta, se ne riandò, risalendo il prato, senza degnarli di alcun cenno di congedo.
Sirius trasse un sospiro di sollievo.
Era così leggero, adesso.

Si era quasi dimenticato di James, e lo guardò aspettandosi qualche scenata di indignazione, offesa o altro.
Invece era sconcertato. Semplicemente sconcertato.
James ricambiò lo sguardo con occhi scombussolati.
«Quella è matta, quella è un caso malato!» esordì, sbalordito. «E chissà-chi solo sa cosa state combinando tutti e due! Prima ti aggredisce e poi si mette a ridere! Non la capisco, sai, e non capisco neanche perchè tu adesso stia sorridendo!»
E così detto se ne risalì sul prato.
Sirius gli stette dietro, ridendo.

Quel pomeriggio, molti degli studenti che soggiornavano sul parco avrebbero detto che quel bel ragazzo, conosciuto a tutti come Sirius Black, che adesso rideva solo, cominciava decisamente ad avere qualche rotella fuori posto.


***


Note!
Mi scuso umilmente per il clamoroso ritardo della pubblicazione ç_ç Purtroppo non riesco a trovare il tempo e... l’ispirazione – sì, e sono piuttosto turbata per questo, spero passi presto -, per cui mi è difficile pubblicare con una certa regolarità. Scusate, scusate, scusate ç_ç
Ho stesi già altri due capitoli, però credo che aspetterò almeno una settimana prima di pubblicare il prossimo, perchè ho davvero bisogno di portarmi avanti: se li pubblico con rapidità finisce che passa ancora un altro mese prima di proseguire, perciò scusate, ma è l’unica soluzione ;(.

Ed ecco il nuovo capitolo, comunque xD
Spero vi sia piaciuto come a me è piaciuto scriverlo – frase di circostanza u.ù però vera ;> - muahuahauah, ok basta.
Ad ogni modo, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate (:

Ah! Non ho ancora messo il titolo, non riesco a trovarne uno decente - non che gli altri siano mai stati decenti, in effetti - quindi, se ve ne viene uno consono in mente, non esitate e suggerirmelo >.<

E adesso veniamo a voi.
Devo ringraziare in particolare come sempre quelle due personcine squisite che stanno sostenendo questa storia in prima linea, Sall e gianno11: non so come ringraziarvi! Mi sento così gratificata quando leggo le vostre recensioni, così mi fate montare la testa!! xD
In particolare, grazie Giulia per le bellissime parole in Linfa Nera... non puoi immaginare quanto piacere mi abbia fatto leggerle, davvero... non voglio rischiare di esagerare, rischiando magari di risultare ipocrita, ma ti giuro, mi hai reso davvero felice (: e ti ringrazio anche per la recensione all’ultima demenzialità che mi è uscita fuori, e già il titolo dice tutto: I Malandrini Ninja. Leggere di loro è divertente, sicuro, ma quando si parla dei Malandrini è uno spasso anche scrivere, giuro! Rido un sacco quando penso a certe idiozie che possono venire solo loro in mente xDD

Inoltre ringrazio chiunque abbia letto, recensito, aggiunto tra i preferiti e tra le ricordate le ultime mie storie, sperando che qualcuno passi a leggere anche di qui (:
E infine – pfuuu, che fatica :D – ringrazio chi leggerà o semplicemente recensirà questo nuovo capitolo.

Ah, un'altra cosa! Mi è venuto qualche dubbio riguardo il font, il carattere della scrittura che uso nei capitoli, secondo voi dovrei cambiarlo? XDD

Adesso filo via, giuro!
Grazie a tutti e a presto!

*Yuu yuu, corri come il vento Bullseyee!*

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Proposte ***


Attenzione: Circa a metà di questo capitolo è presente un breve cambio di punto di vista.

14. Proposte


«Lunastorta» Sirius gonfiò il petto e alzò il mento. Prese un grosso respiro e procedette: «Ti ricordi quando, qualche giorno fa, ti abbiamo fatto spiegare tutta quella robaccia sulle Banshee, ma poi non siamo venuti a lezione, ricordi? Ecco, io e James vogliamo farci perdonare.» Tacque.
Sì, stava cominciando bene.
Remus abbassò il giornale che teneva ad altezza d’occhio, giusto quel po’ che bastava perchè scoprisse i due occhi ambra. Inarcò un sopracciglio, osservando Sirius con sospetto.
«Vogliamo?» Si guardò attento intorno. «Io vedo solo te qui» proseguì.
«Bè, lascia che ti spieghi. Pensavo, visto che tu sei così ossessionato - nel buon senso della parola, ovviamente - dal sapere perfettamente ogni cosa, mi sono chiesto: perchè non aiutarlo nel ripasso? Sai, certo, non è che sia un gran divertimento per me, ma in nome della nostra amicizia io mi sacrificherei, Lunastorta. Ho pensato: perchè non dargli una mano? Perchè non dimostrare al nostro caro Remus che noi ci siamo sempre quando lui ha bisogno? Ecco, così ho deciso che voglio farmi perdonare, dandoti una mano a ripassare. Non ti pare una buona idea? Domani c’è compito di Erbologia, sai quella roba sui benefici delle piante e le loro proprietà magiche? Io la so, puoi giurarci, non avrei bisogno di ripassare, però so anche che tu probabilmente ne senti il bisogno. Quindi sono qui, disposto ad immolarmi per il bene della nostra amicizia, comincia pure da dove vuoi, io ti ascolto.»
Remus lo fissò per un tempo indecifrabile, dopodiché abbassò lo sguardo sul giornale, come se non l’avesse sentito.
Sirius si mosse inquieto sulla poltrona rossa, aspettò qualche secondo, poi decise di intervenire nuovamente.
«Lunastorta? Non farti problemi, io ti ascolto. Voglio farmi perdonare, capisci? Non devi sentirti sempre un peso, io lo faccio volentieri, puoi giurarci. Non vuoi ripassare? Avanti, lo so che vorresti. Comincia, io ti ascolto...»
Remus non si mosse.
«Lunastorta, Lunastorta! Ho bisogno di sentirmi in pace con la coscienza! Ti imploro, fatti aiutare! Io ci tengo alla tua istruzione!»
Remus sbuffò ed in un impeto di impazienza calò con forza il giornale sulle gambe. Sirius si sentì ringiovanire: forse era riuscito a convincerlo a farsi aiutare. Certo, pensò, Remus doveva farsi aiutare. Anche lui stesso doveva esserne convinto, altrimenti neanche Lunastorta avrebbe mai abboccato.
«Sirius» sbottò. «Non ho bisogno di ripassare! So benissimo tutto quanto e quello di domani sarà il compito più semplice di tutto l’anno. Non vedi? In tutta la Sala Comune non c’è nessuno che ripassa! E scommetto che te la caverai bene anche tu.» E ritornò a nascondersi dietro il giornale.
Sirius rimase muto e rintontito.
Era ufficiale: si trovava nei più improponibili pasticci.

Quando erano tornati dal parco, quel venerdì pomeriggio, James e Sirius avevano ricevuto da Remus – ancora una volta, l’unico che in mattinata era andato a lezione - l’inaspettata notizia del compito del giorno seguente. Se non l’avessero passato, aveva detto Remus, la professoressa Violacciocca*, insegnate di Erbologia, avrebbe costretto gli alunni carenti alla frequentazione forzata di un corso pomeridiano, nel quale si sarebbe ripreso il programma di tutti e cinque gli anni passati.

Nessun problema, avevano convenuto Sirius e James: Remus ci darà una mano di sua spontanea volontà.
Sicché Remus si era lasciato affondare in una poltrona vicino al focolare spento, cullato dalla dolce brezza settembrina, che proveniva dalla finestra e che cominciava ad annunciare l’imminente ritorno dell’autunno, nascondendosi dietro il numero de ‘La Gazzetta del Profeta’ del giorno, inabissandosi nel suo mondo di silenzio.
Non una parola, non un segno di vita.
James aveva inutilmente cercato di muoverlo a pena, con frasi del tipo: “Mi sento male! Non so niente per domani”, oppure, “Merlino! Non sopporterò un corso di recupero pomeridiano, il mio cuore non reggerà!”. Aveva anche tirato in ballo il Quidditch: “Non sarò un bravo Capitano se avrò di questi intoppi, Grifondoro arriverà ultimo!”, e aveva infine improvvisato una momentanea perdita dei sensi: esibizione, però, passata del tutto inosservata.
Sì, avrebbero potuto chiederglielo esplicitamente, ma avevano lasciato per ultimo quel disperato tentativo.
«Va bene...» aveva infine sussurrato James a Sirius. «Vado a cercare Evans.»

Era stato come se gli avesse detto: «Chiederò alla professoressa Violaciocca di farci copiare dai suoi appunti personali.»
Sirius aveva tentato, dunque, quell’ultima carta: raggirare l’amico, sfruttando la sua radicata fissazione per il ripasso. E all’inizio gli era sembrata anche una buona idea.
Adesso, invece, si ritrovava a contemplare a bocca asciutta la prima e l’ultima pagina de la Gazzetta del Profeta, dietro la quale si nascondeva un Remus irremovibile.
Un giornale che, peraltro, odiava profondamente.

Si guardò intorno, disperato: quasi tutti quelli del suo anno erano giù, in Sala Grande, in attesa della cena. Gli unici che ancora rimanevano nella Sala Comune erano Remus, Bobby Blomb – che non era esattamente un asso di Erbologia... anzi, non era un asso in nessuna materia - e Mary, insieme ad una Grifondoro del quarto anno, che stava scendendo le scale del Dormitorio Femminile.
Sirius sospirò e, non vedendo altra soluzione, si alzò, raggiungendola appena vicino le scale.
«Ciao Mary» esordì, fingendo trasporto. Mary sorrise e la ragazza del quarto anno si lasciò sfuggire un leggero gridolino soffocato.
«Ciao Sirius!» rispose, con voce squillante. Sirius si sforzò di sorridere. «Devo ancora farti i complimenti, sei un vero asso con la scopa!»
«Oh, grazie, anche tu sei molto... brava».
Avrebbe voluto spiegarle che un asso poteva essere James, con la scopa: lui era al massimo un tre di picche. Ma lasciò correre; al momento urgeva un ripasso dell’ultimo minuto.
«Ecco, volevo chiederti...» proseguì. Mary lo guardò avidamente, chinando lievemente in basso la testa con bramosia.
In quell’esatto momento James entrò nella Sala Comune. Il viso gli si illuminò non appena la sua mente realizzò la vicinanza dei due.
«Ciao Mary!» squillò, con un sorriso malizioso in volto. «Gliel’hai chiesto, Sirius?»
E in quel momento Sirius seppe che James voleva fargliela pagare perchè gli aveva nascosto qualcosa, quel giorno, davanti il camino.
Gli lanciò un’occhiata selvaggia, ma quello gli rispose con un ghigno trionfante in volto.
Mary intanto sgranò gli occhi.
«Cosa?»
«Glielo stavo proprio chiedendo. Mary,» intervenne Sirius, voltandosi verso di lei. Doveva chiederle di aiutarli in Erbologia, nient’altro: non doveva essere poi tanto difficile. «Ti andrebbe di...»
«Sirius voleva chiederti di uscire.»

Rimase ammutolito, bramando disastri e augurando una morte crudele all’amico. Vide Mary fremere eccitata davanti a lui. Quella visione lo orripilò.
«Certo che voglio! E’ un’idea fantastica! Ti va bene sabato prossimo? Alle sette accanto all’armatura della Sala d’Ingresso. Scappo, ci vediamo giù!»
E così detto, sparì dietro il quadro.
James scrollò le spalle, con un sorriso divertito.

Sirius lo lasciò dirigersi da Remus, spensierato.

*

«Non credi di aver esagerato?» impastò Peter con la bocca piena, mentre rubava dal vassoio una fetta di formaggio. Subito dopo ne comparve un’altra che andò a riempire il vuoto.
«Esagerato?» ridacchiò Sirius. «No, perchè mai?»
Remus gli lanciò un’occhiata torva dall’altro lato del tavolo.
«Hai trasfigurato James in una papera di gomma e l’hai richiuso nel Dormitorio.»
Sirius rise e fece spallucce con aria innocente. Remus scrollò la testa, rassegnato.
Ritornarono in Sala Comune, poco dopo, con particolare sollievo di Sirius: gli guardi sognanti di Mary erano quasi insostenibili.

*

Il giorno dopo nella Sala Comune regnava una tranquillità ordinaria. L’unica cosa che sembrava destare noia, più che timore, negli animi dei giovani Grifondoro, con sorpresa di Sirius e James, era l’ora di Trasfigurazione.
Ben presto scoprirono perchè.

«Non c’è? Non c’è un compito di Erbologia?» Sirius e James erano inorriditi.
«Se solo foste un po’ più presenti in mezzo a noi comuni mortali, vi accorgereste che oggi non c’è neanche Erbologia. Abbiamo finito le lezioni per oggi» sentenziò Remus, intimamente divertito.
«C-che ti è venuto in mente? Perchè ci hai fatto questo?!» domandò Sirius, a gran voce.
Remus ridacchiò.
«Volevo vendicarmi» disse, semplicemente. «Anche se, ad essere sincero, pensavo foste più svegli» continuò senza troppi preamboli, mentre si dirigevano al faggio. «E non avrei mai immaginato che aveste provato a rubare gli appunti della professoressa Violaciocca, facendovi, anzi facendoci, togliere quaranta punti» proseguì, facendosi cupo in volto. «Se solo l’avessi previsto, ve l’avrei detto prima.» concluse, con un velo di rammarico in voce.
Si appostarono all’ombra dell’albero, sotto i tiepidi raggi solari, cullati dai resti della leggera brezza estiva, consumata per un’intera stagione che ora giungeva alla fine.
Erano quasi gli ultimi giorni di settembre, e quello era il 19, precisamente. Le giornate si facevano sempre più fresche, malgrado ancora si riuscisse a riscaldarsi piacevolmente durante i pomeriggi nel parco. Il tepore resisteva, come mai era successo in altri anni, e in quei giorni gli studenti affollavano il parco, come a voler saziarsi del calore fino all’ultimo tiepido raggio di sole estivo.

«Hei» esordì James, dopo qualche minuto, rizzandosi sulla schiena e strizzando gli occhi per concentrare lo sguardo su qualcosa. Poi abbozzò un sorriso soddisfatto, e fece cenno a Sirius verso un punto del prato.
«Ah» fece Sirius. Aveva visto quello che James gli aveva indicato: Elyn. Era appoggiata alla corteccia del solito pioppo, le gambe genuflesse sul petto, teneva con una mano un libro issato sulle ginocchia, e con l’altra la bacchetta puntata per terra, accanto a lei. Sembrava intenta a studiare qualche incantesimo complicato.
«Che vuoi fare?» ridacchiò.
«Voglio farmi spiegare perchè si è messa a ridere» replicò con un ghigno furbo in volto, alzandosi e scrollandosi di dosso i pezzi di fili d’erba che si era disintegrato addosso. «Lunastorta, Codaliscia, in piedi. Vi presento una persona.»
Peter non se lo fece ripetere due volte, in quattro e quattr’otto balzò a capo alto. Sirius, già in piedi, abbandonò con la schiena il tronco faggio su cui si era poggiato. Remus non si mosse.
«Oh, andiamo, possibile che devi sempre farti pregare? Chiudi quel libraccio!» si lagnò Sirius, rubandogli il tomo dalle mani. Lesse ad alta voce la copertina del volume: «“Arte della Divinazione”, bleah! Cadrai malato se non ti lasci andare un po’.»
«Piantala, Sirius, ho un mucchio di roba da studiare» disse, riprendendosi il tomo. «E comunque, sì, sì... vengo... Merlino, quanto siete frettolosi.»
E si diressero.

James POV

«Mi domando perchè ti ostini a non lasciarla in pace» commentò Remus, una volta ch’ebbe capito la destinazione dell’escursione sul parco. «Mi sembra chiaro che tu non le piaccia»
James rise, guardando davanti a sé Sirius che camminava con la solita, radicata, naturale eleganza.
«Vuoi la verità?» ridacchiò. «Mi sembra sprecata, abbandonata lì, con la gentaglia che si ritrova attorno. Lei non è come loro. Vedila come se fosse la mia protetta, per adesso. Mi sono posto una missione: quella di salvarla da un futuro inetto, infruttuoso e magari anche da Mangiamorte, visto chi si ritrova intorno, e visto chi si ostina ad adorare» proseguì, facendo una smorfia di disgusto al pensiero di Severus.
«Bè... non mi pare che lei apprezzi» commentò Remus, scettico.
«Vedrai» replicò, con convinzione. «Presto si renderà conto che preferirà dar retta a noi, pur di non diventare come loro, come Mocciosus. E’ ostinata, sì, aspra come un limone. Come un limone, ma non come una serpe. Diciamo che è una Limoneverde, quella» rise, «un po’ permalosetta e cocciuta, ma dovrà pur cedere prima o poi»
Remus fece un verso dubbioso.
«Ah, Malandrino di poca fede! Ti dico che succederà. Ad ogni modo, non ho intenzione di lasciarla in pace finché non si arrenderà. E’ sprecata, è decisamente sprecata. E anche Sirius lo pensa, soltanto che ancora, quell’imbecille, non se ne rende conto. Non capisce perchè le stia tanto a cuore, ma ti dico che è per lo stesso motivo.»
Non disse più niente: erano arrivati.

Sirius POV

Elyn lanciò un incantesimo su un coccinella che aveva una strana antenna verde, accanto a lei, e sbuffò. Strizzò gli occhi sulle pagine invecchiate del volume - “Il piacere della Trasfigurazione” lesse Sirius mentalmente – e, infastidita dall’improvviso buio, alzò lo sguardo in cerca della fonte d’ombra.
«Potter» esordì in tono seccato, inarcando un sopracciglio. James sorrise, compiaciuto. «Ti andrebbe di toglierti? Mi fai ombra.»
Per tutta risposta James trasfigurò la coccinella dall’antenna verde in una minuscola farfalla azzurra, che le svolazzò a pochi millimetri dal naso, per poi sparire liberamente via, in un concitato batter d’ali.
Elyn sospirò, irritata.
«Che vuoi? Pensavo fosse martedì l’ultimo giorno di punizione.»
Sirius si appoggiò con la schiena sul tronco di un albero accanto al pioppo. Assistette, divertito.

Era incredibile come adesso non provasse più quel senso di disagio che prima lo coglieva ogni volta che Elyn era nei paraggi.
Ricordava stupito come, qualche mese prima, e anche solo fino a qualche settimana prima, la semplice sua presenza gli mettesse agitazione, lo portasse a scombussolarlo come mai gli era successo in vita. Come mai era successo a nientepopodimeno che Sirius Black.
Non che adesso fosse tutto rose e fiori, questo era ovvio.
Elyn li odiava sempre e comunque, eppure quella risata di soli pochi giorni prima sembrava aver cambiato tutto, dall’inizio alla fine.
Non era più l’accanimento cieco, crudo, insormontabile che prima si vedeva rivolto contro. Era una sorta di odio vulnerabile quello di Elyn, adesso. Un odio di posizione, un odio di circostanza, un odio formale. Un odio privo di ferite, un odio cicatrizzato, forse destinato a scomparire.
Un odio che non gli provocava disagio, semplicemente.
Non sapeva per quale arcano motivo fosse tutto così cambiato. Ma qualcosa si era sistemato: adesso non si sentiva più sbagliato.
E adesso stava bene. Stava bene così. Adesso sì, che gli sarebbe bastato solo quello.
Forse non avrebbe chiesto nulla di più.

«E’ finita, infatti» ribatté James. «Ma sono venuto a farti una proposta di pace»
Elyn lo guardò perplessa. Si mise in piedi e fece per risalirsene verso il castello, ma James le si parò davanti prima che potesse fare più di un paio di passi.
Elyn sbuffò, irritata.
«Proposta di pace?» canzonò. «Non ho intenzione di fare alcuna proposta di pace!»
«Benissimo, resteremo qui finché non ti deciderai ad ascoltarmi» sentenziò lui, incrociando le braccia sul petto.
Sirius ridacchiò silenziosamente. Ancora una volta non sapeva cosa James avesse in mente.
Ma era decisamente pronto a scoprirlo.

Elyn resse fiera lo sguardo per qualche secondo, poi senza staccare gli occhi vitrei da quelli nocciola, indietreggiò di qualche passo.
«Dunque» cominciò James, con tono trionfante. «Questa è la mia proposta: tu ti lasci aiutare in Trasfigurazione da noi, senza cacciarci malamente ogniqualvolta incroci i nostri sguardi, e io non dico niente a Severus sul fatto che ci hai aiutati.»
Sirius pensò che Elyn non sapeva quale sforzo sovraumano James avesse appena compiuto per non aver chiamato Severus ‘Mocciosus’.
E per non averlo fatto, rifletté, James doveva essere davvero motivato, e se Elyn avesse saputo quanto effettivamente gli costava, gli avrebbe dato forse una possibilità in più.

Ma perchè James gli aveva proposto quell’accordo?
Era come se la voce di James gli fosse arrivata alle orecchie soltanto adesso. Era così assurdo! Così inconcepibile persino per uno come lui.
Aguzzò avido l’udito per non perdere neanche un dettaglio.
Quella faccenda stupiva lui, almeno quanto Elyn.

«Cosa?» fece lei, scrollando la testa sbalordita, emanando saette dallo sguardo. «Tu non puoi vincolarmi! Non puoi costringermi alla tua presenza! E poi... e poi...» Ridusse gli occhi a due implacabili fessure. «Io non ho bisogno di aiuto!» sbottò.
James sorrise.
«Eh no, ho visto prima come hai trasfigurato per metà quel filo d’erba in una coccinella» ribatté tranquillo, con un sorriso indulgente in volto. «Così di certo non passerai i G.U.F.O.»
Elyn sgranò gli occhi, infuriata.
«Potter, falla finita» sibilò.
«Guarda: Mocciosus sta appena uscendo dal castello» fece lui, ignorandola, osservando Severus che camminava nell’erba. «Mi sa che vado a fargli visita proprio ora.»
«No, Potter, non provarci.»
James si voltò e cominciò a camminare.
«Potter!» lo chiamò. «Potter!» urlò. «E va bene!» sbottò, con voce densa di rabbia e frustrazione.
James si arrestò e si voltò con un sorriso trionfante che, malgrado lo divertisse, quasi infastidì anche Sirius. Non osava immaginare quanto Elyn stesse friggendo di collera in quel momento.
Ritornò sui suoi passi, a marcia tranquilla.
Elyn espirò rabbiosa e scrollò la testa con fare alterato.

«Vorrei solo capire perchè diavolo lo fai.» disse, aspramente.
E, in effetti, anche Sirius se lo chiedeva.
James sorrise, saccente.
«Fidati, ho le mie buone ragioni.»


***

Note
BuonSalveee a tutti!
Questo è un capitolo abbastanza importante, se non altro spiega l'origine del titolo della storia ^^
Bè, che dire, diciamo che adesso cambieranno un po' di cose :P

Ringraziamenti:
Eva92: Ciaoo! Grazie, grazie, grazie mille :) Sono davvero felice ti sia piaciuta la storia, spero di risentirti ancora anche in questo capitolo e nei prossimi ^^ A me può solo far piacere! Grazie ancora! :*
Sall: Sono contenta ti sia piaciutooo ** Non mi stanco mai di ripeterlo :) Grazie! :**
gianno11: Sono felicissima ti sia piaciuto il capitolo :) La situazione, sì, si sta evolvendo, ed era ora xD Soprattutto questo capitolo servirà per offrire l'opportunità di appianare completamente le divergenze. Grazie mille ancora! Un bacio :**

Non ho null'altro da dire, se non ringraziare tantissimo anche i lettori silenziosi, quindi lascio la parola a chi voglia prenderla ^^
Alla prossima!
Un bacio :**

*La professoressa di Erbologia, Violaciocca, è totalmente inventata.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Coccinelle e fili d'erba ***



15. Coccinelle e fili d'erba

«Per la Barba di Merlino, allora non mi ascolti?!» sbottò Remus. «Vedi questa? Questa è una bacchetta e deve muoversi in un determinato modo per funzionare!»
«Non ho chiesto io il tuo aiuto, Lupin.»
«Ma non sarebbe male se ne cavassi qualcosa lo stesso!»
Elyn si colorò di rosso dalla rabbia. Neanche il fresco venticello sembrava raffreddarla.
Sirius ridacchiò per l’ennesima volta: da quando, tre giorni prima, avevano iniziato con quella storia del recupero pomeridiano, non faceva altro.
Precisamente, da quando James, il venerdì prima, aveva imposto sulla vita di Elyn - contro ogni sua ribellione - le proprie leggi, i cinque si vedevano quasi con la stessa frequenza di quanto non facessero lui, James e Elyn nel periodo di punizione.
Finite le lezioni, Sirius, James, Remus e Peter si recavano al faggio, e quando decidevano che la noia infruttuosa cominciava a inebetirli, si mettevano in piedi e sincronicamente camminavano spediti e sicuri come biglie verso il pioppo di Elyn, sedendolesi accanto.
Questa si rifiutava categoricamente di sopportare la loro presenza, e lì interveniva James con minacce e ricatti, e come un cucciolo impotente, quanto inviperito, lei si arrendeva ad una nuova, tragica ora di Trasfigurazione.
Remus era il professore per eccellenza, professionale e incolore.
Le faceva fare per aria, cento volte, qualche movimento con la bacchetta, le spiegava qualche base teorica della Trasfigurazione, dopodiché tirava fuori da un barattolo bucato delle coccinelle raccolte prima, o strappava dei fili d’erba per poi metterglieli davanti.
Sirius era convinto che prendesse davvero sul serio tutta quella storia, forse anche troppo.

Ma se prima Elyn riusciva perlomeno a trasfigurare per metà il filo d’erba in una coccinella, adesso non ci riusciva del tutto.

James si ostinava a tenere nascosta la misteriosa ragione per la quale aveva dato inizio a tutta quella folle impresa e, nonostante Remus negasse, Sirius sospettava che l’amico avesse detto al mannaro qualcosa. Peter, invece, sembrava saperne quanto lui.
Aveva ipotizzato la qualunque: che James si fosse innamorato di Elyn – ipotesi che, però, escluse fin da subito, visto che l’amico continuava a blaterare su Evans -; poi che fosse stato Remus ad essersi innamorato di lei – anche questa poi fu esclusa, viste le frequenti discussioni furiose e le incessanti perdite di pazienza che caratterizzavano le loro lezioni -; e infine pensò che Peter se ne fosse innamorato - più per par condicio, che non perchè lo pensasse realmente, visto che l’amico non pronunciava mai parola alcuna quando si trovavano insieme, piuttosto, si limitava a guardare, muto -.
Da un po’ di giorni, Sirius passava le serate a costruire teorie e a buttarle giù, come fossero castelli di carta, sul perchè James avesse scelto quella mossa, e dove voleva arrivare.
Quando una persona a te cara - anzi, la più cara che hai - offre il suo aiuto ad un’altra persona che nei suoi riguardi sfiora i limiti dell’odio, e tu non arrivi neanche a sfiorare la comprensione di quel gesto, ti domandi se veramente conosci quella persona.
Ma era di James che si parlava, chi poteva conoscerlo meglio di lui?
Alla fine, dopo ipotesi celestiali e supposizioni infondate, Sirius cullò la sua spiegazione sulla certezza di una cosa che conosceva decisamente bene dell’amico: la follia.
Magari era quella la risposta: follia pura.

Elyn, comunque, sembrava negata in Trasfigurazione, ancora di più di quanto non lo fosse Peter. E questo era tutto dire.
Remus, più degli altri tre, ci stava provando davvero con tutta l’anima e, con ogni briciolo di immaginazione ed inventiva che si ritrovava, tentava di capire per quale motivo lei fosse così brillante in incantesimi e così irrimediabilmente nemica della Trasfigurazione.
Ancora non gliel’aveva detto, ma Sirius, dopo tre giorni di quasi del tutta taciturna osservazione, credeva di conoscere la risposta.
Non era un caso se i movimenti di Elyn con la bacchetta fossero sempre perfetti in aria e una volta rivolti all’oggetto della trasfigurazione disastrassero improvvisamente, senza un’effettiva ragione plausibile.
Era, quindi, sicuro che Elyn sbagliasse di proposito.
Era evidente anche la ragione: non voleva concedere la soddisfazione di migliorare davanti ai loro occhi, e magari offrire loro anche il merito su un piatto d’argento.
Era buffamente ostile e di una bellicosità comica.

Era divertente, però, osservarla filare la trama della sua avversione con tanta maestria e fantasia. E Sirius l’avrebbe lasciata fare, curioso di sapere se un giorno si sarebbe stancata di tutta quella farsa.
Remus, d’altro canto, sembrava convinto della reale incapacità della ragazza e della sua totale mancanza di miglioramento, ed era altrettanto evidente che prendeva quella scarsezza, anzi, assenza di cambiamenti, su un piano profondamente personale.
Era una mancanza di Elyn, o una sua inadeguatezza professionale?
“Povero Remus” pensò Sirius.

«Se solo potessimo farla finita con tutta questa idiozia, forse migliorerei davvero, sola» replicò lei, aspramente.
«Senti, se vuoi correre il rischio che James canti a Severus tutto quello che hai fatto per lui e Sirius, bene, a me non importa. Io non posso legare James e non posso neanche mettergli una museruola in bocca, sebbene spesso lo desidererei con tutto il cuore! Pensi che io mi diverta a constatare quanto tu sia un disastro in una materia splendida e basilare come la Trasfigurazione? Bè, a titolo informativo, io non mi diverto! E se potessi tornare indietro nel tempo, ucciderei James nel momento stesso in cui ha dato vita a questa colossale idiozia, come la chiami tu, ma purtroppo non posso! E, nonostante abbia ben altro da fare che stare qui, a cercare di insegnare qualcosa ad una quindicenne negata in Trasfigurazione, non me ne starò con le mani in mano! Tu brillerai in questa dannatissima materia, dovessi anche metterci una vita a farti trasfigurare correttamente una maledettissima coccinella!»
Sirius sbottò a ridere, abbandonato con la schiena sul tronco dell’albero a pochi passi dal pioppo, dove ormai si appostava ogni pomeriggio.
Elyn e Remus si voltarono simultaneamente, lo stesso sguardo furioso, come se entrambi si fossero appena trasformati in lupi mannari.
«Non ridere, Black» sibilarono, insieme. Poi Remus proseguì: «Perchè non mi dai una mano, piuttosto! Non vedi com’è? Un disastro, un disastro!» sbottò, esasperato.
Elyn lo guardò allibita e gli sferrò un pugno sulla spalla. «Vedi di piantarla, Lupin»
«E’ la verità! Sei una frana!» continuò, con un tono che sfiorava la disperazione.
«Quando hai intenzione di smetterla? Non costringermi a fatturarti!»
«Non c’è alcun pericolo, io me ne torno in Sala Comune a ripassare Difesa contro le Arti Oscure! Sirius, lascio a te il posto.» E si mise in piedi.
«Lupin, non vorrai lasciarmi qui con Black?!» domandò Elyn esterrefatta, issandosi su.
«Perchè, scusa?» protestò Sirius, indignato, ma nessuno gli prestò ascolto.
«Esattamente» replicò Remus, scrollandosi l’erba di dosso.
«Allora io me ne vado!»
«Tu resti qui, altrimenti dico a James che ci hai piantati in asso prima che passasse l’ora da lui stabilita» ribatté Remus, asciutto, puntandole un dito contro.
«Non puoi costringermi, questo è un regime!» Lo sguardo di Elyn scintillava di sfida.
«Vuoi scommettere? E anche se non glielo dicessi io, lo verrebbe a sapere comunque. Quello ci mette un minuto a raggiungere Severus e a farti fare la tua bella figura da Malandrina»
«Non osare neanche pensarlo» sibilò lei.
«Cosa? Tu Malandrina? Allora tu sai cosa fare» replicò, reggendo lo sguardo tranquillo. «Io non posso farci nulla» concluse, scrollando le spalle.
Elyn gli tenne gli occhi puntati qualche secondo. Poi deglutì la rabbia e si sedette nuovamente a gambe incrociate sull’erba. Remus si voltò, incamminandosi verso il castello. Dopo qualche secondo sparì.

Come quell’ultimo giorno di punizione, Sirius e Elyn erano di nuovo soli.
James preparava gli allenamenti del giorno dopo e Peter gli dava una mano. Remus e Sirius erano gli unici ad aver tenuto la lezione di lei, quel giorno.
Ma mai, mai fino a qualche secondo prima, Sirius avrebbe potuto immaginare che da lì a poco sarebbero rimasti soli. L’idea lo turbò non poco.
Elyn gli puntò lo sguardo freddo addosso.
Sirius, controvoglia, gettò via il filo d’erba rinsecchito che teneva in bocca e si avvicinò carponi verso di lei.
Le si fermò a gambe incrociate a un metro di distanza. Sembrava profondamente seccata. Rimasero in silenzio per quelli che sembrarono un’interminabile numero di secondi. Cinque o sei, dilatati a ore.

«Hai intenzione di cominciare?» esordì finalmente lei, pungente.
«Io non ho niente da cominciare» replicò Sirius, in tono perfettamente tranquillo. «Almeno non fin quando mi mostrerai davvero cosa sai fare.»
Elyn inarcò un sopracciglio, perplessa o sarcastica, o forse un miscuglio di entrambi.
«Niente» rispose lei, con gran semplicità. «Assolutamente nulla. Quello che hai visto è tutto ciò che so fare e sono sicura che voi non riuscirete a tirare fuori niente di meglio da me.»
Sirius sbuffò, annoiato.
«Puoi anche farla finita con questa recita» replicò, asciutto. «E’ inutile e anche noioso, visto e constatato che dobbiamo stare qui per forza. Perlomeno riusciremo a migliorarti davvero. Se James l’ha detto, vorrà dire che ha davvero visto con i suoi occhi che non brilli certo in Trasfigurazione: non brilli, ma non sei neanche a terra. Avvertimi quando la pianterai di fingere di non saper far nulla: allora io farò qualcosa. Se vuoi restare a braccia conserte, con le mani in mano, senza far nulla fino a quando quest’ora non passi, bene, non mi oppongo.»
Elyn tacque qualche secondo.
«Mi spieghi perchè tutta questa ipocrita scenetta?» rispose dopo, con tono sinceramente interrogativo, quasi ancora stupito. «Non dirmi che a Potter interessa davvero il mio rendimento scolastico, perchè è una scusa che non sta né in cielo, né in terra» Il suo tono sembrava quasi normale, ora. «Posso almeno sapere per quale motivo mi ritrovo costretta a prendere delle ripetizioni da voi, senza neanche poter essere libera di oppormi?»
Sirius rimase in silenzio qualche secondo.
«Credimi» disse, poi. «Non ne ho idea» continuò, scrollando il capo.

Sì, doveva ammettere che era davvero orribile essere costretti a convivere ore intere con persone con cui non si ha assolutamente la minima voglia di stare. Immaginò quale orrore dovesse essere prendere ripetizioni di Storia della Magia – materia che detestava dal più profondo del cuore – da Mocciosus: la sola idea gli dava il voltastomaco.
Eppure, neanche lui sapeva per quale assurdo motivo a James era balenata in mente quella altrettanto assurda idea.
Era davvero terribile, a pensarci.
Quasi si sentì in colpa.

Elyn lo guardò negli occhi qualche istante, con il suo fare sospettoso e scrutatore, come volesse ancora una volta constatare la veridicità delle sue parole. Sospirò, si inumidì le labbra e pescò la bacchetta da terra.
Aveva capito che lui ne sapeva quanto lei.
Strappò un filo d’erba, se lo mise sul palmo sinistro e gli mosse contro la bacchetta.

Un istante dopo, una perfetta coccinella con una bizzarra antenna verde perlustrava la sua mano.
Alzò lo sguardo abbattuto verso Sirius.
«Ecco» disse, la voce condita di una nota esasperata. «Questo è quello che so fare.»

*

«Riprovaci»
«Sono stanca, Black»
«Riprovaci»
«E’ inutile, le mie coccinelle avranno sempre un’antenna verde.»
«Non vedi che è più corta adesso? E le ali sono più lunghe? Avanti, è questione di pratica.»
«Sono stanca!»
«Anch’io non mi diverto, sai? Tra poco arriverà James e ti lascerà andare, ma fino ad allora dobbiamo pure far qualcosa, non credi? Riprovaci!»
Elyn sbuffò e lo guardò accigliata.
«Lo capisci che è un’assurdità tutta questa storia? Roba da matti! Non sono libera di alzarmi e mettermi a nuotare nel lago solo perché voi mi minacciate di parlare a Severus!»
Tecnicamente, pensò Sirius, lui non la minacciava affatto. Era James l’artefice di tutto. Fece per controbattere, al fine di difendersi da quelle accuse infondate, ma pensò che non poteva tradire l’amico così. Seppur nella follia, Sirius l’avrebbe appoggiato.
Cercò poi di ignorare il pensiero che, in realtà, quella storia non gli sembrava neanche tanto male.
«E se non volessi? E se adesso mi alzassi, e me ne andassi tranquilla dal professor Silente per riferirgli tutto?» continuò lei. «E’ un’assurdità, Black, lo capisci? Io ce l’ho a morte con voi, vi odio con tutta me stessa a causa di quello che fate a Severus, e mi ritrovo a condividere una punizione con voi, ad assumermi colpe che non ho per evitarvi l’espulsione e a sorbirmi le vostre ripetizioni di Trasfigurazione, sebbene non ne abbia bisogno e malgrado non ne abbia la benché minima voglia! Black, è assolutamente inconcepibile! Lo capisci?»
Sirius sbuffò: perchè diavolo non la piantava di lagnarsi, visto che non ne veniva comunque a capo di nulla?
«Vuoi andartene? Fallo
Elyn sospirò irritata.
«Hai una gran faccia tosta»
Sirius sorrise, sardonico. Lei gli lanciò un’occhiata che non aveva nulla di cordiale.
«Riprovaci».
Controvoglia, lei riprese la bacchetta e trasformò il filo d’erba in una coccinella.
L’antenna verde era ritornata lunga e le ali si erano riaccorciate.

*

«Due centimetri».
«Ti dico che non è cambiata, è sempre due centimetri e mezzo».
«Stai scherzando, spero. Vedi? Si è anche scolorita...»
«Hai qualche problema di vista? Secondo me, è anche più scura di prima».
«Forse... beh, comincia ad avviarsi verso il nero, ci sta dando una mano, vuole aiutarci».
«E’ un’assurdità, Black. La Magia non ha intenzioni: o è, o non è, non esiste che voglia essere».
«Sei sempre così cinica?»
«Buonsalve a voi due!» esordì una voce squillante. «Che state guardando? Ehi, quella coccinella ha un’antenna verde, o mi baglio? Dov’è Lunastorta? Vi ha piantati in asso?» James, con la divisa da capitano e la scopa in mano, si avvicinò, scrutando con interesse la piccola coccinella che, tra i due, ispezionava il prato. Peter, dietro di lui, non si mosse.
«Cos’è Lunastorta?»
«E’ Remus» rispose Sirius in tono pratico, ignorando lo sguardo confuso di Elyn. «Se n’è andato» continuò, guardando James.
«Voi chiamate Lupin ‘Lunastorta’? Che cosa...» domandò, allibita. Scosse la testa come se volesse allontanare un ronzante insetto fastidioso, poi aggiunse in fretta, mettendosi in piedi: «Lascia stare, non voglio saperlo». Si scrollò con forza il mantello, poi fece per parlare, ma infine si voltò semplicemente, incamminandosi verso il castello.
Senza volerlo, Sirius e James, e forse anche Peter, la seguirono con lo sguardo fino a quando non scomparve dentro l’austero portone.
Si sentirono due fessi. Tre fessi.
Se ne era andata così, senza degnarli di un congedo rispettabile.

«Cosa ne pensi? Dici che va bene così?» esordì poi James, con una nota di divertimento in voce.
Sirius si accorse che la coccinella con l’antenna verde continuava a gironzolare curiosa tra i fili d’erba: le accostò un dito accanto e quella vi si inoltrò senza troppi complimenti, cominciando, come un cercatore d’oro, a perlustrare la sua mano.
Osservò l’antenna verde, assorto.
Sì, ne era sicuro: era più corta dei giorni precedenti. Le lezioni sembravano davvero funzionare.
«Sì, direi di sì» proferì a parole, ridestandosi dalla concentrazione totale destinata all’animale, convincendosi ancora di più dei progressi avvenuti. «Direi che va bene, comincia a migliorare...» confermò, cercando lo sguardo di James.
Ma questo sembrava sul punto di sorridere. Lo guardava con occhi deliziati, ma come se non fosse effettivamente soddisfatto della risposta. Come se si fosse aspettato dell’altro.
«Volevi dire questo, no?» domandò Sirius, confuso. «Se vanno bene le ripetizioni?»
«Forse...» rispose, sorridendo beffardo. «Lascia perdere, andiamo.» Si mise in groppa alla scopa, infischiandosi del divieto di volo nel prato e lievitò verso il castello.
«Ramoso! Che volevi dire?» urlò Sirius, riaccomodando il leggero animaletto antennato sull’elegante curva di un filo d’erba. Si mise in piedi, afferrando il mantello abbandonato per terra, afflosciandolo ad arco sulla spalla destra. Fece un passo, deciso a raggiungere l’amico, ma si fermò di scatto.
Si voltò nuovamente fissando il punto in cui aveva abbandonato la coccinella. La vide: rossa di nero macchiata e, come una bacchetta puntata verso il cielo, il piccolo antennino verde, unico indizio scomodo dell’avvenuta trasfigurazione. Con fare furtivo, come se non volesse essere visto, la riacchiappò fra le mani, chiudendola in una gabbia di dita.
Si voltò di nuovo e si incamminò verso il castello.

Con sorpresa capì perchè James si era azzardato a volare nel prato, nonostante la dura proibizione – certo, James non badava a regole morali, ma avrebbe evitato di abbandonarsi a così sciocchi desideri, arrischiando inutili punizioni: c’era ben altro genio e fin troppo malizioso, geniale e malandrino nella sua testa, per abbandonarsi a certe cadute di stile; le sue (o le loro) marachelle erano sempre di grande aspirazione e le continue punizioni valevano sempre qualcosa di più che un semplice e inappagante volo sul parco, di ritorno dal campo di Quidditch, per giunta -. L’assurda spiegazione risiedeva nel semplice fatto che il parco era praticamente vuoto.
Si guardò intorno, sconcertato, cercando una spiegazione a tanta desolazione. La risposta non fu difficile da trovare: soltanto uno spicchio di sole tardava a tramontare e la luce rossa e morente inondava il prato vellutato di verde, allungando smisuratamente le ombre. Dovevano mancare pochi minuti alla cena.
Affrettò il passo, non perchè il fatto di essere fuori orario lo inquietasse o lo intimorisse in vista di un’eventuale punizione: in quel frangente era perfettamente tranquillo, poiché le sue doti d’ammaliatore lo avrebbero scagionato, servendosi di una banale scusa.
Affrettò il passo perchè fu scosso dal realizzare che, quel pomeriggio, aveva passato ben due ore e mezza ad assistere ai mille tentativi di una ragazza, seduta a gambe incrociate di fronte a sé, che cercava di trasformare un filo d’erba in una coccinella.
Un’ora e mezza in più di quanto non fosse previsto.

Due ore e mezza, e lui non se ne era mai accorto.






Note.
Vi prego non uccidetemi ç_ç
Sono incorreggibile, imperdonabile, punibile per legge tra un po’!
Vi prego, perdonate l’enorme, disgustoso ritardo!
Spero davvero, con tutto il cuore, che non succeda anche per il prossimo capitolo: anche se, ahimè, mi sa che non posterò mai in tempi decenti, d’ora in poi, colpa: 1) mancanza di ispirazione – forse, però, comincia a migliorare questo frangente, sia ringraziato il cielo! -. 2) Scuola, scuola, scuola. 3) Le prime due in numero periodico.
Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto il capitolo *w*
Ho notato che il comportamento di James ha destato non pochi sospetti XD Non dirò molto, perchè comunque non ho neanche io chiaro cosa comporterà ciò che ha fatto xD E... potrebbero esserci cambiamenti, insomma. Allora, la questione James è una cosa un po’ particolare... anzi, no. Spero di non deludervi dicendovi che forse non c’è nulla di misterioso nella sua proposta, o almeno per adesso. Insomma, James è tutto un po’ un caso particolare, la sua proposta era più una questione di ego personale, però, ciò non toglie che... basta xD Ad ogni modo, le intenzioni di James abbastanza trascurabili per adesso... ma. Punto. LOL.

Ora rispondo in fretta alle recensioni:
Sall: Ehi! Un piacere risentirti ** Allora, i Malandrini sono al sesto anno, sì, ma Elyn è al quinto: ha un anno in meno di Severus, perciò anche di loro (: Sono contenta ti sia piaciuto *w* Grazie! (:
Gianno11: ghghgh l’appuntamento con Mary. Chi vivrà vedrà! XD Bè, ci stava la vendetta di Remus u.ù E’ buono e caro, però quando esagerano quei due xD Spero questo capitolo non ti abbia deluso (: Grazie!
Jame: Grazie! E’ stato proprio leggendo la tua recensione che mi sono decisa a postare, nonostante sia un po’ indietro con la stesura dei capitoli, e non è per nulla saggio andare avanti a postare. Ma non posso e non ho intenzione di lasciare questa storia in sospeso, anche perchè le idee ci sono. Non immagini neanche quanto piacere mi abbia fatto leggere le tue parole, specialmente considerando che alla chiarezza del carattere dei Malandrini, come anche quello di Elyn, ci tengo moltissimo ** Spero di essere riuscita a delinearli più o meno come li ho sempre immaginati :) Sono davvero contentissima per la tua recensione, anche perchè pensavo che ormai non ci fosse più nessuno abbastanza pazzo da leggere un mattone come 14 capitoli di storia, arrivando a malapena a constatare che al quattordicesimo capitolo i personaggi si sono appena rivolti la parola! xD Sono contentissima, grazie ancora! :)

Arrivati! Ringrazio sempre chi legge, e le nuove santissime persone che hanno inserito la storia tra le preferite, ricordate e seguite! Mi sembra quasi impossibile che qualcuno ancora legga tutti i capitoli dall’inizio alla fine! Di quest’andazzo questa storia durerà 200 capitoli o.ò
Grazie mille a tutti!
E scusate ancora per il tremendo ritardo ç_ç
Byeeee!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Piume ***



16. Piume

Giunse il fine settimana e come ogni fine settimana venne accolto come fosse una ventata d’aria fresca.
E quel sabato non solo metaforicamente.
Sirius, James, Remus e Peter sedevano all’ombra del faggio, dei gruppi di nuvole grigie tappezzavano a grossi tamponi il cielo e un fresco venticello si appiccicava alla pelle, portandosi appresso lo spettro dell’acqua. L’odore di pioggia s’insinuava nelle narici, mescolandosi con il profumo dell’erba fresca, mentre qualche foglia cadeva dai rami, insolitamente più stanchi. Erano in pochi gli studenti che si avventuravano fuori dal castello.
Il fatto che loro quattro, nonostante il freddo, sedessero sotto il solito faggio, obelisco e monumento della loro amicizia, sarebbe stato un fatto alquanto ordinario, per nulla insolito, se non fosse stato per gli avvenimenti che avevano condito i giorni precedenti e che avrebbero dovuto vederli ora riuniti, in quello stesso prato, ma sotto un altro albero.
«Dov’è?» domandò James in un mormorio, riducendo gli occhi a due fessure. Lo sguardo scrutava lo spazio vuoto all’ombra del pioppo, in un punto distante del parco. Remus sbuffò da dietro le pagine di un libro.
«Sarà semplicemente in ritardo, James, falla finita».
«E ieri non si è presentata, come la metti?»
«Magari aveva bisogno di studiare altro per oggi, non credi? Non puoi pretendere che studi ogni pomeriggio Trasfigurazione» obbiettò Remus. «Sarà solo in ritardo».
«E’ sempre stata qui prima di noi, perché doveva ritardare proprio oggi? »
«E perché no?» ribatté Remus, abbassando il libro sulle gambe in un gesto d’impazienza. James abbozzò una smorfia contrariata.
«Non mi convince» concluse, con un velo cupo in volto.
Sirius taceva.
Se Elyn non era ancora arrivata doveva esserci qualcosa di serio che le impediva di farlo. Non avrebbe rischiato di sfidare James, non avrebbe rischiato di compromettersi agli occhi di Mocciosus. Il che era abbastanza contraddittorio, considerando il fatto che ormai era probabile che passasse più tempo con loro che con lui.
In effetti Sirius non era del tutto convinto del fatto che se mai Mocciosus fosse venuto a conoscenza dell’aiuto che Elyn aveva dato loro nell’Espresso, ciò avrebbe compromesso l’immagine che aveva di lei più di quanto non avrebbe fatto il vederla insieme a loro, a trasformare oggetti animati o inanimati. Ed era pronto a scommettere che anche Elyn, su questo, era confusa quanto lui.
In effetti, non era neanche sicuro che Mocciosus si fosse accorto del tempo che lei passava con loro. Poco importava, comunque: James sembrava non sfiorare neanche l’idea di abbandonare il suo progetto.
I pomeriggi erano passati velocemente, le lezioni con Elyn si erano rivelate più complicate di quanto non avessero previsto, visto che la McGranitt aveva introdotto nel programma del quinto anno un nuovo argomento: gli incantesimi Evanescenti.
Elyn si ostinava a ripetere che più della metà di quelli del suo anno non sapevano ancora far evanescere un bel nulla, e tuttavia Remus pretendeva che lei ci riuscisse.
Avevano così cominciato il giovedì precedente ad esercitarsi su quel nuovo frangente, col risultato che il venerdì Elyn era già riuscita a far evanescere completamente la bellezza di ben cinque piume, il che era tutto dire.
Sirius continuava a spezzettare pigramente i fili d’erba.
«E se fosse da qualche altra parte nel castello? In Sala Grande, magari» esordì ad un tratto Peter, che fino ad allora era rimasto in silenzio, a osservare gli amici punzecchiarsi.
James non sembrò profondamente interessato a quell’ipotesi. Meditò qualche secondo e, quando ormai Sirius aveva escluso quella teoria, disse: «Andiamo a vedere».
Mentre raggiungevano l’ingresso nel castello, Sirius si domandò perché Elyn destasse tanto interesse e preoccupazione in James. Anche Remus e Peter cominciavano a considerarla come Elyn, e non come la velenosa Serpeverde che aveva sputato loro ogni genere di ingiurie. Ma per loro due era piuttosto comprensibile: Remus non era un tipo rancoroso, o almeno dimenticava tutto nel momento stesso in cui si mettevano di mezzo la Trasfigurazione e la sua missione di recupero; e neanche l’adattamento di Peter a quella nuova circostanza gli pareva molto ambiguo: tutto ciò che facevano i suoi amici a lui andava più che bene, e se Elyn era diventata il loro nuovo interesse, lo sarebbe diventata anche per lui.
Ma James... l’interesse di James gli pareva più che strano. Ancora più strano era il fatto che a Sirius non era dato conoscerne le motivazioni.
«Che ti ha preso? Perché ti interessa tanto che vada bene in Trasfigurazione?» gli aveva domandato qualche giorno prima, più che esasperato, dopo che James aveva cominciato a borbottare a causa dall’assenza di Elyn quel pomeriggio, nel parco. «Quando hai intenzione di lasciarla andare? Perché questa pagliacciata?»
In realtà, non è che volesse proprio saperlo. Certo, era curioso, ma non era questo ciò che lo spingeva a voler saperne di più. Era il fatto che Elyn si trovasse imprigionata da una gentilezza che lei stessa aveva concesso loro che lo turbava non poco. Ogni volta che lei faceva riferimento a quella ‘prigionia’ non riusciva a non provare dei sensi di colpa, ma se avesse saputo il perché di tutta quella faccenda forse sarebbe stato diverso. Per non parlare del fatto che lui era Sirius, e James, in nome di tutto quello che era stato, doveva vuotare il sacco con lui.
«Lo capirai da solo» aveva replicato James, divertito. «E poi è per il suo bene».
Sirius però, dal canto suo, non aveva ancora capito un tubo.
Si era già ripetuto perlomeno un milione di volte i tanti elementi che, in circostanze normali, avrebbero pienamente contribuito a rendere all’amico quella ragazza antipatica, se non intollerabile.
Prima di tutto era Serpeverde, e per James tanto sarebbe bastato. Inoltre, Elyn lo odiava... o forse non era proprio odio: adesso Sirius non era sicuro neanche più di quello. Sembrava ora, invece, che durante il tempo pomeridiano che passavano insieme, loro quattro e Elyn, le precedenti incomprensioni si annullassero: c’erano loro, le bacchette, gli animali e gli oggetti che trasfiguravano ed evanescevano. Tutto il resto era invisibile e lontano.
Certo, nonostante il passato sembrasse annullarsi, l’incompatibilità dei caratteri era sempre presente. Non mancavano litigi e battibecchi, ma nascevano così, erano frutto di episodi istantanei e contrasti fugaci, di quelli che non mancano in qualunque tipo di rapporto, che vada dal familiare alla semplice conoscenza. Il rancore vero e proprio sembrava alle spalle, un sentimento estraneo a quelle ore di Trasfigurazione.
Se avessero loro imposto di passare del tempo insieme a Elyn in maniera diversa, magari a bere Burrobirra ai Tre Manici di Scopa, o a passeggiare tra le strade di Hogsmade, Sirius non sarebbe mai stato capace di dire che cosa sarebbe successo. Probabilmente lo spettro di Mocciosus sarebbe ricomparso e il fantasma del dissidio antico tra Elyn e loro sarebbe riaffiorato, indiscreto e pesante. Ma sotto il pioppo, seduti sulla morbida erba verde, accompagnati dalla brezza delle ultime ore del pomeriggio, in compagnia di coccinelle, lumache, lucertole e bacchette, il rancore non esisteva più. Forse neanche Mocciosus esisteva più.
Semplicemente, come fosse davvero la cosa più naturale e ordinaria del mondo, c’erano loro e la Trasfigurazione, e nient’altro. E qualche battibecco.
Giunsero nella Sala Grande e diedero un’occhiata intorno. Qualche studente ciondolava tra i tavoli, alcuni erano chini sui libri, altri si esercitavano lanciando incantesimi di poco conto, e infine altri giocavano a scacchi magici, ma l’intera sala sembrava vuota in confronto alla folla che si era soliti incontrare lì durante le ore dei pasti. In mezzo ai mantelli neri e alle cravatte bicolore, comunque, di Elyn non c’era traccia.
Remus sbuffò.
«Io vado in Biblioteca» disse, mettendo su un cipiglio. «Domani Vitious interrogherà a caso sulla teoria degli incantesimi ridestanti, non voglio che mi becchi a bocca asciutta» dicendo questo, si allontanò.
«Lunastorta a bocca asciutta... questa mi è nuova» commentò Sirius, inarcando un sopracciglio, osservando l’amico sparire.
«Oh, al diavolo Elyn! Felpato, Codaliscia, vi va una partita a chi fa levitare più in alto gli scaffali della Biblioteca?» domandò James, con fare cospiratore.
Sirius rispose con un ghigno malevolo e Peter emise un gemito di natura sconosciuta.

*

Quando li aveva visti entrare Madama Pince aveva girato gli occhi, accigliata. Tuttavia non era ancora nei suoi poteri quello di allontanare dalla Biblioteca studenti con la fedina penale scolastica non propriamente pulita – neanche se si trattavano di Potter e Black -, dunque non fece altro che apostrofarli, minacciando gravi conseguenze se avessero causato danni ai suoi preziosissimi libri.
«Sta più nascosto Codaliscia, così ti vedranno tutti!»
«Se solo Sirius si facesse un po’ più in là!»
«Asp-» ansimò Sirius, accucciato accanto agli altri, tenendosi la pancia stremato dalle recenti risate. «Asp- aspett-» continuò, strozzato da un nuovo attacco di risa.
L’immagine di Cleur Blanche che ancora si guardava intorno, domandandosi da dove diavolo fossero venuti i tre libri che le si erano lanciati addosso quando si era appisolata sopra un grosso volume, era irresistibilmente ilare. In particolare, l’espressione allarmata e confusa che le era comparsa in volto, dopo che era sobbalzata sulla sedia, valse a Sirius un altro buon quarto d’ora di risate.
James, invece, non rideva perché il suo scherzo a Matilde Floff non era riuscito altrettanto bene: si era guadagnato la rimozione di cinque punti, perché Matilde – che ora camminava con un grosso bernoccolo in testa - lo aveva sorpreso a nascondersi dietro uno scaffale e si era apprestata a riferire tutto al primo prefetto di passaggio. Ma James, da buon Malandrino, aveva già adocchiato la vittima che gli avrebbe fatto guadagnare la sua agognata rivincita.
Appena Sirius riuscì a riprendersi, James puntò la sua bacchetta su una figura di spalle, la testa china su un tomo.
«Guarda che colpo le faccio prendere» sussurrò James. «Uno... due...»
«Aspetta!» sussurrò Peter allarmato, chiudendogli le dita attorno al braccio che brandiva la bacchetta. «E’ lei, è lei!»
James lo fissò con la fronte corrucciata.
«Non è Evans» commentò seccato.
Sirius osservò attentamente la sagoma assorta.
«E’ Elyn» bisbigliò dopo, riconoscendo il modo in cui puntellava il gomito sul tavolo e l’inclinazione della testa appoggiata al palmo della mano. Si meravigliò del fatto che Peter l’avesse riconosciuta altrettanto bene, anzi più velocemente, nonostante non avesse passato con lei tanto tempo quanto invece ne avevano trascorso lui e James.
James puntò lo sguardo su Elyn e la fissò con una smorfia pensierosa. Sirius e Peter nel frattempo si misero in piedi.
«Che fate?» sussurrò James, guardandoli.
«Non vorrai farlo a lei» ribatté Peter, perplesso.
James impostò un cipiglio duro.
«Sono indeciso se fargliela pagare per averci dato buca, o no. Anzi... sono indeciso se fargliela pagare in questo modo, o aspettare un’occasione migliore».
Peter non rispose, e rimase in attesa, scrutando attentamente James.
«Lascia perdere» fece Sirius, ridacchiando. «Non basta obbligarla a fare Trasfigurazione con noi?»
James lo guardò qualche istante poi scosse la testa con fare paterno, abbozzando un sorriso. Sirius ebbe la netta sensazione di essere appena stato frainteso.
Un attimo dopo, una decina di libri piombò addosso a tutti e tre.

*

«Dieci punti» sentenziò James serio, incrociando le braccia. «Dieci punti meno a Grifondoro per aver fatto cadere dei libri che noi non abbiamo nemmeno toccato».
Elyn, appostata sulla sua sedia, lo guardò, nascondendo un mezzo sorriso.
«Non so a cosa tu ti stia riferendo, Potter» commentò poi asciutta, ritornando a fissare il libro.
Sirius si accomodò sulla sedia nel lato opposto del tavolinetto, e cominciò a dondolarsi. Elyn gli lanciò un’occhiata scocciata per poi di ricondurre gli occhi sulle pagine del libro.
«Dunque,» proseguì James, ignorandola, «come mai ti sei rintanata qui?»
«Perché così mi andava».
Lui fece una smorfia contrariata, incrociò le braccia al petto e si appoggiò con la spalla su uno scaffale.
«Avevamo un accordo».
«Io non lo chiamerei proprio accordo» obbiettò Elyn, guardandolo con un sopracciglio inarcato. «In ogni caso non mi sembra d’aver fatto nulla che non fosse pattuito».
«Non ti sei più fatta vedere» puntualizzò James.
«E non mi sembra che nei patti avessimo concordato di incontrarci al parco» replicò lei, con accortezza. «E poi non ho alcuna intenzione di ammalarmi».
James ghignò, divertito.
«Perfetto, allora visto che ti abbiamo comunque trovata, possiamo iniziare» concluse, trascinando una sedia verso il tavolo e portandosi accanto a lei.
Elyn divenne una maschera d’ombra, ma non poté far altro che sottostare, incondizionatamente.
«Va bene» acconsentì, «ma voglio Lupin, o non faccio niente».
James divenne una maschera di stupore, ma non poteva far altro che sottostare, incondizionatamente.

*

«E’ come muovi la bacchetta, sbagli in quello!»
«No, James, il movimento è perfetto. Sbagli la pronuncia dell’incantesimo, Elyn».
Ancora Sirius sobbalzava muto ogni volta che Remus la chiamava per nome, e ancora di più lo frastornava il fatto che Elyn neanche se ne accorgesse: Remus lo faceva con una leggerezza tale da renderla la cosa più ovvia e naturale del mondo. Come si chiama per nome un fratello, un amico, o un parente, con una nota di naturalezza e spontaneità disarmante. E, sistematicamente, ogni volta che lo faceva, James, Peter e Sirius si lanciavano occhiate stupite.
Stavolta però James non se ne accorse nemmeno, preso com’era a discutere con Remus sulla misteriosa ragione per la quale Elyn non riusciva più a far evanescere una piuma intera, ma solo parzialmente: fino al giorno prima ne era perfettamente capace.
«Io non credo sia quello, Lupin» replicò Elyn pensierosa, guardandolo, e poi prendendo a fissare oltre la sua spalla, un gruppo di Tassorosso. «Ma non penso neanche sia a causa del movimento» proseguì, rivolgendo lo sguardo a James.
«E invece sì» protestò lui indispettito. «Prova ancora e, Remus, tu apri gli occhi».
Elyn fece schioccare la lingua scocciata, e procedette con l’incantesimo, spostando ancora gli occhi oltre la spalla di Remus prima di finire.
«Hai visto?!» esclamò James, indicando la mezza piuma rimasta sopra il tavolo. «E’ lì che sbaglia!»
«Ho sentito, più che altro, e rimango dell’idea che sbagli nella pronuncia».
Elyn sbuffò.
«Secondo me, invece, sbagliate tutti e due» esordì Sirius, continuando a dondolarsi in bilico sui piedi posteriori della sedia.
Elyn, Remus, James e Peter indirizzarono i loro occhi su di lui.
«Secondo te?» fece Remus, come se non lo ritenesse all’altezza di fare nessuna ipotesi. «Immagino che dopo esserti dondolato per un’ora intera tu abbia scovato la ragione invece» continuò, alterato dalla stizza.
«Probabile» replicò Sirius, con tranquillità. «Se mi lasciate parlare».
Remus gli scoccò un’occhiata torva, poi ne lanciò una eloquente a Elyn.
«Se dice che vi sbagliate…» rispose lei, scrollando le spalle, ridestandosi dai suoi pensieri. Non era molto d’aiuto, in effetti: era piuttosto distratta.
«Sbagliare?» domandò James. «Impossibile, io non sbaglio mai» sentenziò, rifiutando categoricamente l’idea.
«Lasciatelo parlare» intervenne Peter, che fino ad allora si era limitato, come Sirius, ad osservare la scena.
Il Black gli lanciò un’occhiata di gratitudine molto calorosa.
«E va bene, sentiamo allora» borbottò Remus, seccato.
Sirius smise di dondolarsi e si sporse sul tavolo, scrutando Elyn negli occhi.
«Tu stai pensando a qualcosa» sentenziò, con voce profonda, «o a qualcuno, e per questo non riesci a concentrarti» concluse, rigettandosi nuovamente sullo schienale.
James e Remus lo guardarono qualche secondo, poi scoppiarono a ridere.
«Sirius, tu deliri!» esclamò Remus, tra le risate. «La magia è tutta tecnica! Puoi essere in lutto, ma se muovi bene la bacchetta e pronunci alla perfezione un incantesimo puoi tranquillamente essere il più grande mago oscuro di tutti i tempi!»
James annuì vigorosamente, mentre si piegava in due dalle risate.
Elyn era invece pensierosa.
«Aspettate» esordì. I sorrisi di James e Remus si gelarono punto, ed entrambi si voltarono in uno scatto a guardarla. Sirius ghignò soddisfatto. «In effetti sto pensando a qualcosa».
«Stai pensando a qualcuno» puntualizzò Sirius, incrociando le braccia sul petto. Le guance di Elyn si colorarono impercettibilmente di rosso, e infine annuì.
Sirius sorrise trionfante.
«Non dirmi che stai pensando a Mocciosus» fece James, inorridito e per risposta Elyn gli scoccò un’occhiata fiammante.
«Non te ne importa un accidente, Potter» commentò, con un’asprezza piuttosto debole, e subito ritornò a guardare altrove.
«Sciocchezze» disse Remus. «Non può essere quello il motivo. Elyn, fidati, non è quello il motivo» continuò con fermezza, cercando il suo sguardo in cerca di conferma, ma lei non lo aveva neanche sentito. Quindi si voltò cupo verso Sirius e disse in un borbottio: «E se anche fosse quello il motivo, cosa dovremmo fare?».
Sirius scrollò le spalle e rispose con leggerezza: «Semplice. Deve smettere di pensarci».
Quest’ultimo dialogo non sfuggì a Elyn, che, spiazzandoli, intervenne direttamente dicendo: «Non è facile, visto che è praticamente qui».
Il silenzio calò sulle loro teste.
Nessuno osò parlare.
Sirius sapeva che anche nelle menti di Remus, James e Peter, in quel preciso momento, si stavano affollando milioni di pensieri e un’unica domanda: chi tra loro era quel qualcuno?
Nessuno, però, ebbe il coraggio di esalare alcun suono, né tanto meno di formulare la domanda che avrebbe svelato il dubbio comune.
Silenzio.
«Che devo fare?» chiese Elyn, rompendo il mutismo, interrogandoli con lo sguardo.
Remus tossicchiò a disagio, e condusse gli occhi verso Sirius; il messaggio era chiaro: tu hai tirato fuori questa storia, tu devi sbrigartela.
«Ehm… devi… ecco, devi smetterla di… pensarci» disse lui, abbozzando un sorriso.
Ma sapeva che la cosa era alquanto difficile: se davvero quel ‘qualcuno’ era uno di loro – e non c’era il minimo dubbio, visto che erano i soli a starle accanto in quel momento – sarebbe stato impossibile chiederle di non pensarci. Tuttavia, lei non sembrò scoraggiata.
«D’accordo» replicò. «Ma come?»
Sirius deglutì.
«Ecco…»
«Io devo andare…» fece Remus, con l’aria di chi sta fingendo di essersi ricordato qualcosa all’improvviso.
“Fuori uno” pensò Sirius. Sapeva già come sarebbe proceduta la serie.
«Mi sono ricordato che… domani dovrò portare un… compito, un compito extra a Lumacorno… sapete, per aumentare il voto» proseguì Remus, azzardando una risata che suonò forzata. La cosa buffa era che Remus sapeva perfettamente di avere già in tasca il massimo voto in Pozioni. «Ci vediamo» concluse, e sparì verso l’uscita della Biblioteca.
«Oh, io devo… ehm… controllare il mio kit per il Quidditch» esordì poi James, alzandosi dalla sedia.
“Fuori due”.
Sirius passò mentalmente in rassegna il kit dell’amico e realizzò che comprendeva solo un manico di scopa, che aveva già lucidato nel primo pomeriggio, e il badge del Capitano, lustrato appena un paio d’ore prima.
«Credo che andrò anch’io» disse infine Peter, sgusciando dal posto. «Ehm… aiuterò James» improvvisò.
“E Fuori tre”.
E uscirono a grandi passi dalla Biblioteca, seguiti dallo sguardo perplesso di Elyn.
Sirius li seguì con lo sguardo fino a quando non li vide scomparire, poi si voltò verso Elyn, deglutendo.

Per prima cosa pensò che l’avrebbe fatta pagare a quei fifoni che erano i suoi amici, per essersela data a gambe. Fifoni, solo questo: spaventati e imbarazzati dalla possibile infatuazione di una ragazza.
Imbarazzato James, poi: c’era proprio da ridere.
Per quanto strano fosse, però, Sirius lo ritenne un fatto spiegabile: James si era esposto con Elyn come mai aveva fatto con altre ragazze, eccetto che con Lily. Certo, per diversi motivi e con diverse intenzioni, questo era ovvio.
All’ordine del giorno James veniva a conoscenza di infatuazioni da parte di povere donzelle, ma quella volta non sarebbe stata la stessa cosa per diversi motivi: primo, forse una parte di lui si era affezionata a Elyn e non voleva, nell’eventualità, deluderla con un due di picche. Secondo, di doverle rifilare un due di picche era assolutamente sicuro perché, per quanto i rapporti si fossero quasi rappacificati, nel suo tenero e infatuato cuore, come solo poteva diventarlo quando usciva fuori il suo lato da amatore, c’era posto solo per Evans. Terzo, James era del tutto consapevole del fatto che era - non unicamente, ma in larga parte – grazie al proprio fascino da ‘scapestrato’ che riusciva ad ammaliare grandi file di ragazze, e ne era profondamente orgoglioso, ma mai e poi mai si mobilitava attivamente per far innamorare le povere streghe di Hogwarts e proprio per questo motivo non si faceva scrupoli a rifiutarle senza troppi giri di parole. Sirius era sicuro che se Elyn si fosse presa una cotta per James, questi si sarebbe sentito in colpa perché battutosi ‘attivamente’ per ottenere quella sottospecie di rapporto che adesso avevano, e avrebbe riconosciuto nel proprio comportamento una colpa da attribuirsi per quel fatale accadimento. In fondo lo conosceva bene. Poteva essere megalomane, presuntuoso, egoista delle volte, ma con le persone che, a parer suo, meritavano del bene, era fuori d’ogni dubbio che James diventasse la persona più buona del mondo, e lui l’aveva provato sulla sua stessa pelle.
Sirius prese nota, comunque, del fatto che la prossima volta che avesse intuito che nella mente di una ragazza legata a loro – seppur in maniera così complessa - ronzava il nome di una persona, avrebbe tenuto per sé quel sospetto, fino quando non avrebbe avuto la piena certezza che quel nome non apparteneva a nessuno di loro quattro.
In ogni caso Sirius, adesso, era solo.
Remus, James e Peter si erano tirati meschinamente fuori dalla curiosa situazione venutasi a creare e adesso, in Biblioteca, attorno a quel tavolo, non rimanevano che lui ed Elyn.
Non voleva ammetterlo, ma si sentiva profondamente a disagio.
Elyn, che come lui aveva seguito con lo sguardo le sagome degli altri tre dileguarsi, si voltò verso di lui e tacque. La sua domanda era rimasta in sospeso, aleggiava come il fantasma di una prova. Come avrebbe dovuto scacciare quel pensiero? Sirius pensò all’eventualità che fosse lui a sconcentrarla e… rabbrividì.
E se, essendo andati via James, Remus e Peter, Elyn continuasse a non riuscire a far evanescere la piuma? Se il nome che ronzava dentro la testa di lei fosse, quindi, proprio il suo? Rabbrividì ancora.
Che ne sapeva lui se in un futuro prossimo o remoto potesse davvero nascere qualcosa, ma adesso no, non era il momento giusto, non era pronto… non era possibile.
Da poco, pochissimo avevano smesso di odiarsi, il pensiero che lei si fosse già… non voleva dirselo, ma... quella cosa era assolutamente fuori mondo.
Non voleva....
Non poteva…
Era troppo… presto… strano… folle…
Era…
Non era, punto.
Non doveva essere, era meglio per tutti.

«Allora?» fece lei, sollecitando Sirius. Ma lo vide assorto, fissare un punto dietro di lei. Quindi scrutò apprensiva una delle piume sparse sul tavolo per qualche secondo, poi prese un profondo respiro e disse: «Va bene, ci provo un’altra volta».

Sirius si riscosse dai propri pensieri, annuì e trattenne il fiato: lui non sarebbe scappato.
Elyn portò in aria la bacchetta.
Era la prova del nove. Sirius sperò che le cose andassero come dovevano andare. La vide puntare la bacchetta contro la piuma. Si sentì un peso sul petto. Non avrebbe saputo cosa dire, se solo… se solo… E se…?
«Sirius!» una voce squillante spezzò la sviscerante tensione del momento, e sia lui che Elyn balzarono sulla sedia. Sirius alzò lo sguardo e vide la fonte del chiasso: Mary e il suo sorriso stirato sembravano stridere come mille unghia su una lavagna. Tirò un immenso, rappacificante, agognato sospiro di sollievo.
Il sorriso di Mary, d’altro canto, si affievolì sul suo volto quando i suoi occhi constatarono l’assenza di ogni forma di vita attorno a Sirius, nel raggio di un paio di metri, eccetto che di Elyn.
«Finalmente ti ho trovato» proseguì, senza più quello squillo di entusiasmo, lanciando di tanto in tanto occhiate ombrose sulla ragazza.
«Mary» esclamò Sirius, profondamente grato dell’interruzione. «Che sorpresa!»
«Tranquillo» fece lei, riacquistando sicurezza per il nuovo, inaspettato entusiasmo del ragazzo. «Non scusarti, so benissimo che non ti sei dimenticato dell’appuntamento che avevamo oggi» spiegò.
Sirius raggelò: l’aveva dimenticato, eccome se l’aveva dimenticato. Ma improvvisamente ricordò tutto, con sommo dolore: “Ti va bene sabato prossimo? Alle sette accanto all’armatura della Sala d’Ingresso”. Le parole di Mary gli piombarono addosso come mille, terribili ammonimenti.
«Sono sicura che avrai capito Domenica, al posto di Sabato, non è così? Be’, sono solo le sette e mezza, abbiamo tanto tempo e potrai rimediare» disse soddisfatta e con una nota maliziosa non proprio velata.
Elyn assisteva perplessa alla scena.
«Sì, ehm… sì, certo. Elyn…» disse Sirius, voltandosi a guardarla.
«Oh» fece questa annuendo, con un sorriso divertito in volto. «Buon divertimento».
Lo prendeva apertamente in giro, e ciò tutto poteva ragionevolmente suscitare in lui, tranne che conforto.
Eppure era quello che sentiva.
Perché notò che non sembrava irritata, delusa, intristita, tutt’altro: aveva un’espressione beffarda, uno sguardo ironico e divertito, certamente aveva intuito che lui non godeva di quella compagnia, e probabilmente ne era contenta.
Capì allora che, per certo, il nome Sirius non compariva nella sua testa, se non nel reparto ‘persone da linciare’. E ne fu sollevato. Per ora andava bene così.
Mary, malgrado l’imbarazzo della presunta dimenticanza di lui, sfoderò un ghigno trionfante: se non altro aveva battuto una ‘rivale’ (perché tale, secondo lei, era), strappandole dalle mani il presunto amato.
Sirius e Mary si diressero dunque insieme verso il corridoio centrale della Biblioteca. Svoltarono una volta raggiuntolo, e per poco un Tassorosso, quasi sicuramente degli ultimi anni, sfrecciando come un dardo, non li travolse in pieno. Non che Sirius avrebbe disdegnato il diversivo, se l’avesse fatto. Ma comunque il ragazzo si era poi scusato calorosamente per poi riprendere le sua corsa, e Mary aveva poi continuato a lagnarsi indignata sul pericolo che avevano corso e a proposito dell’incoscienza di tutti coloro che casualmente non fossero Grifondoro.
Dopo il piccolo incidente, i due si incamminarono nuovamente verso l’uscita, ma una voce richiamò quasi subito la loro attenzione, costringendoli di nuovo a interrompere il principio della loro serata.
«Black! Black!»
Sirius si apprestò a ritornare indietro di qualche passo, quanto bastava per ritornare a vedere Elyn tra gli scaffali, che si teneva in equilibrio sui due piedi posteriori della sedia per sporgersi a vederlo.
«Ci sono riuscita! E’ sparita!» urlò raggiante, ignorando Madama Pince e le sue leggi dittatoriali sul silenzio in Biblioteca. Sirius sentì un guizzo dentro e rise. Adesso aveva la conferma di ciò che aveva ipotizzato: lui si trovava ancora in Biblioteca, eppure Elyn era riuscita a far sparire la piuma.
«Lo riferirò a Remus!» gridò, ignorando i borbottii lontani di Mary. Elyn rise, e riequilibrò la sedia su tutti e quattro i piedi.
Sirius raggiunse nuovamente Mary, che attendeva indignata dove l’aveva lasciata.
«Che voleva?» domandò, inacidita.
«Non ha importanza» rispose lui, liquidando la questione. Anche a volerglielo spiegare, cosa ci avrebbe trovato Mary di tanto importante nel fatto che Elyn era riuscita finalmente a far sparire una piuma? Lei ci riusciva già da un anno.
«Ah… senti, Mary, mi dispiace, ma credo che me ritornerò in Dormitorio» proseguì, senza indugi.
E, senza neanche accorgersi del mutamento dei lineamenti sul volto di Mary, si incamminò fuori dalla Biblioteca, con un solo pensiero nella testa: per fortuna, non avrebbe dovuto rifiutare Elyn. Non era il suo nome a ronzarle nella testa.
Perché rovinare tutto con una semplice e adolescenziale sbandata?
In fondo, non poteva andare meglio di così.

Eppure, ancora non aveva pensato all’altra faccia della medaglia: quale nome, invece, ronzava nella testa di Elyn?

Ancora non se lo chiedeva, ma presto l’avrebbe fatto.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Addii ***


17. Addii

Erano passati esattamente sei giorni da quel pomeriggio in Biblioteca e sette pomeriggi dopo l’episodio sembrava finalmente parzialmente dimenticato.
I primi due pomeriggi seguenti all’avvenimento, James, Remus e Peter continuavano casualmente a scomparire ogniqualvolta Elyn stesse per vibrare la bacchetta in aria, ogni volta con una scusa diversa: la più quotata un improvviso e impellente desiderio di cultura, che trovava sempre casualmente sfogo davanti ad uno sperduto scaffale dall’altra parte della Biblioteca. Sirius, da conscio della propria prima posizione sul podio degli ostili alla ragazza, se ne stava beatamente tranquillo, privo completamente del cruccio dello spettro dell’innamoramento, col risultato che – a malincuore di Elyn, pareva – passava con lei molto più tempo di quanto non ne trascorressero invece gli altri tre. Questa assenza di Remus e James aveva, però, permesso a Sirius di notare che quando lei si trovava con lui e Peter non aveva alcuna difficoltà a far evanescere le sue piume.
Sirius aveva ponderato un po’ sulla questione; sul fatto che Elyn si fosse presa una bella sbandata per un ipotetico dei restanti Malandrini, e ci aveva ragionato su molto… senza giungere però ad una conclusione certa. Gli amici non lo aiutavano, d’altro canto, con le loro improvvise scomparse di massa: Elyn non aveva più saettato un incantesimo in loro presenza e non aveva avuto il minimo problema negli incantesimi; dall’altro lato, a causa appunto di queste scomparse, Sirius non aveva ancora avuto la possibilità di provare che fosse davvero uno degli altri tre la ‘distrazione’ che portava ai fallimenti della ragazza, e soprattutto chi di loro.
Ma il terzo pomeriggio aveva avuto, come manna dal cielo, un incentivo nella ricerca del fortunato… o, per meglio dire, l’incentivo se lo era creato da solo.
I quattro si trovavano, come ormai facevano da giorni, riuniti al solito tavolino di legno, quasi a ridosso del muro, tra la terz’ultima e quart’ultima fila di scaffali sulla destra dall’entrata della Biblioteca: un punto abbastanza anonimo della sala e piacevolmente nascosto e obliato alla vista felina di Madama Pince. Erano chini, in silenzio, su quattro libri di Pozioni e uno di Storia della Magia e, come d’accordo, avrebbero cominciato con la pratica e i relativi esercizi di Trasfigurazione fra dieci minuti (Elyn aveva cercato di ritagliarsi quantomeno una certa, agognata solitudine, quando non doveva studiare Trasfigurazione con loro, cercando di tenerli quanto più lontani potesse, ma col solito ricatto – James lo definiva ‘lecito accordo tra le parti’ -, che prevedeva lo spiffero a Mocciosus del famoso sacrificio sull’Espresso, loro riuscivano sempre a rimanere lì, attorno a quel tavolo, senza che lei protestasse ancora per molto).
Il terzo pomeriggio in Biblioteca, per l’appunto, un’improvvisa illuminazione aveva dardeggiato nella mente di Sirius, e questi sperò con tutto il diabolico cuore che funzionasse.
 «Vado a… tirare un pelo a Mrs Purr» aveva improvvisato, tirandosi su dalla sedia. Gli altri lo avevano guardato inarcando un sopracciglio, Elyn addirittura tutti e due. «Che c’è? Voglio trasformarmi in Mrs Purr per Halloween» spiegò, rimarcando il tono offeso. Come previsto, gli altri avevano alzato gli occhi al cielo – anche James, che detestava qualunque cosa avesse a che fare con il gatto -, ed avevano riconcesso la loro attenzione (chi più, chi molto meno, come James) ai rispettivi libri. Sirius aveva fatto qualche passo ed aveva svoltato, infilandosi nel breve corridoio adiacente a quello degli amici. Si era appostato in corrispondenza dei quattro, e spostando un po’ di libri dallo scaffale aveva creato uno spazio che sboccava dall’altra parte dove poter infilare la bacchetta. Aveva poi lanciato in un flebilissimo sussurro un incantesimo di adesione alle sedie di James, Remus e Peter, in modo che non potessero filarsela quando Elyn avrebbe dovuto cominciare ad esercitarsi sugli incantesimi Evanescenti. Infine, senza curarsi di nascondere l’aria trionfante, era ritornato da loro.
«Fatto?» gli aveva chiesto Peter.
«Oh, sì» aveva risposto lui, gongolante.
Esattamente dieci minuti dopo, Sirius aveva chiuso il libro e aveva preso un gran rumoroso respiro. Gli altri però non avevano sembrato udirlo. Aveva tossicchiato, allora, con la stessa punta di stizza facilmente attribuibile ad una vecchia megera che cerca di attirare l’attenzione, ed aveva finalmente ottenuto il risultato sperato. Otto occhi adesso lo fissavano, con la più vasta gamma di espressioni in un solo di uno sguardo, nessuna delle quali poteva esattamente definirsi amichevole.
«Va bene» aveva convenuto Elyn, chiudendosi il libro davanti, afferrando le sue intenzioni senza ch’egli avesse pronunciato parola alcuna. «Prima finiamo, meglio è».
Sirius non era sicuro che fosse davvero così: recentemente, nonostante cercasse di trattenersi, Elyn si lasciava scappare alle loro battute qualche sorriso, delle volte addirittura qualche sprazzo di risatina. Ogni tanto cercava di camuffare il danno tossicchiando o improvvisamente si gettava sotto il tavolino a cercare qualche piuma sparita, non nel, piuttosto dal nulla, giacché non era proprio mai esistita. Era abbastanza certo che piano piano cominciasse a tollerare più facilmente la loro presenza, ma, ovviamente, non voleva darlo a vedere o probabilmente vietava a se stessa in primis di pensarlo.
Elyn aveva tirato fuori la bacchetta e gli altri tre magicamente, per la più tacita e meschina soddisfazione di Sirius, avevano cominciato a muoversi sulle sedie.
«Vado a cercare qualche appunto nel reparto… ehm, Creature Magiche» aveva esordito Remus.
«Uh, mi è venuto in mente che devo consegnare un libro a… Madama Pince» era intervenuto, come previsto, James. Era il colmo, ma Sirius non glielo aveva fatto notare: tutto filava liscio come l’olio, adesso avrebbero cercato ti tirarsi su dalla sedia, ma sarebbero rimasti inchiodati, irremovibili.
Aveva ghignato sardonico, ma prima che potesse accorgersene James e Remus erano spariti, svoltando a sinistra oltre lo scaffale. Poco dopo, in Dormitorio, i due gli avrebbero rivelato che, prevedendo qualche colpo basso di Sirius, si erano cautamente premuniti di Protezioni: Incantesimi di controfattura per Remus e spilla del Capitano della squadra di Quidditch per James (dotata di per sé di quel tipo di protezioni, per il normale svolgimento delle partite).
Un allora inconsapevole Sirius però, di fronte ai loro posteriori che aleggiavano liberamente in aria, aveva strabuzzato gli occhi, dirigendoli poi verso l’unico dei tre rimasto: Peter.
Si muoveva esattamente come avrebbero dovuto muoversi anche James e Remus: cercava di staccare il suo cimelio dalla sedia, ma gli riusciva praticamente impossibile.
Sirius lo aveva visto diventare rosso come lo stendardo che campeggiava la loro Sala comune, mentre Elyn vibrava in aria il colpo verso la sua piuma.
«Evanesco».
Nulla.
La piuma si era smaterializzata completamente: un buon incantesimo Evanescente, con tanto di fiocchi.
Peter aveva tirato un sospiro di sollievo – anche se Sirius non riusciva a capire per quale arcano motivo Peter sperasse di non piacere ad Elyn; in effetti, fosse stato lui Peter, avrebbe approfittato… insomma, non è che Codaliscia fosse questo gran pezzo di ragazzo -.
Era dunque giunto alla conclusione che su Elyn l’effetto Confusione-Pre-Incantesimo, che la portava al fallimento di ogni incantesimo, non era procurato né da lui, né da Peter.
Rimanevano James e Remus.

I giorni seguenti l’indole inventiva di Sirius si sbizzarrì come non mai. Formulò piani e strategie di tutti i tipi per organizzare un incontro fortuito tra i due amici ed Elyn, proprio mentre questa, per una ragione o per l’altra, utilizzava la bacchetta, ma James e Remus sparivano appena fiutavano nell’aria la sola vicina presenza della ragazza. Conseguenza di ciò fu che per quattro giorni le lezioni di Trasfigurazione si tennero in presenza di soli due insegnanti - di cui uno, Peter, ogni tanto, per una scusa o per l’altra, se ne filava - e dell’alunna.
«E se fossi tu, Lunastorta?» Sirius aveva chiesto a Remus, una di quelle sere, ritenendo il momento in cui l’amico si accomodava di fronte al camino scoppiettante, mentre sfoderava il suo beneamato Profeta, il migliore di tutta la giornata, quello in cui pensava l’amico di animo particolarmente ben disposto ad affrontare l’argomento.
Remus, con la testa già china sul giornale, lo aveva osservato da sotto le sopracciglia con sguardo interrogativo, senza muovere un muscolo, e aveva chiesto sospettoso: «Se fossi io, cosa?»
Sirius aveva sfoderato un benevolo sorriso.
«Sai, quella storia di Elyn» aveva risposto, e Remus aveva continuato a fissarlo in attesa, sbattendo una volta le palpebre, «e delle piume a metà» aveva concluso, senza più riuscire a nascondere la sottile malizia dal volto.
Al che Remus aveva strabuzzato gli occhi e in evidente imbarazzo aveva detto in tono conciso: «Non dire sciocchezze, Sirius», dopodiché si era coperto il volto dietro il giornale e, chiudendosi le orecchie alle ora ben più sfacciate e divertite insistenze dell’amico, aveva posto fine a quel discorso.
Nessun miglior risultato venne dai ripetuti tentativi di affrontare la questione con James.
L’animo di quest’ultimo, diversamente da quello di Remus, si trovava al massimo della condiscendenza a orario di cena, davanti a un arrosto o ad un budino al cioccolato. Ma proprio questo stato giulivo ed estatico non gli permetteva di cogliere appieno il significato delle parole che gli venivano dette e che diceva: in definitiva, ogni suo senso era concentrato sul cibo, compreso l’udito. Sirius era dunque giunto alla conclusione che il miglior momento per stuzzicare James era dopo cena.
Una sera di quelle, di ritorno alla sala comune, aveva colto l’occasione.
«Ramoso, come va con Evans?» gli aveva domandato, con aria di innocente interesse.
«Bè, come vuoi che vada?» aveva risposto James in uno slancio entusiastico di sconforto. Poi si era ricomposto, moderando il tono in una nota perfettamente controllata: «Ci sto ancora lavorando, sai com’è. Ma ho tutto sotto controllo, certo».
«Davvero?»
«Senza ombra di dubbio. Ma come mai me lo chiedi?» aveva continuato, guardandolo con sospetto, mentre scansava il rospo di un Corvonero del primo anno alla disperata ricerca della libertà.
«Non posso interessarmi alle delusioni sentimentali del mio amico?» aveva replicato Sirius, indignato.
«Quali delusioni? Nessuna delusione, proprio nessuna!» e così dicendo James aveva aggrottato la fronte, offeso. «Non sono affari tuoi, comunque».
Sirius aveva scrollato la testa con disappunto.
«Che ti prende adesso?»
«Nulla, pensavo solo… non fa niente. E va bene, se insisti… vedi, Ramoso, dopo tutto quello che hai fatto, l’impegno che hai messo per entrare nelle sue grazie, sai, non è bello rifiutare una persona, sembrerebbe che tu l’abbia illusa, che ti sia preso gioco di lei, sai cosa intendo, no? non è carino, proprio no», aveva sospirato. «Ma se c’è Evans» aveva poi concluso desolato. James aveva fatto una smorfia interrogativa e si era fermato nel bel mezzo della rampa.
«Per Merlino, di chi diavolo stai parlando, Felpato?»
Sirius aveva atteso qualche istante e con la maggior serietà possibile aveva risposto: «Per tutti i gargoyle, di Elyn, naturalmente».
James aveva sgranato gli occhi e serrato la bocca, era rimasto così qualche secondo fissando Sirius, dopodiché aveva esclamato: «Non dire sciocchezze!» e, superando l’amico, aveva ripreso a passo veloce a salire le scale. Sirius gli aveva tenuto dietro.
«Non ci avevi ancora pensato» aveva insistito, accelerando il passo dietro l’altro, «ma non potete continuare a sparire in eterno, tu e Remus. Prima o poi dovrai fare in conti con questa storia, amico mio» aveva poi ridacchiato senza alcun tatto.
«I conti li farò con te se non chiudi il becco!»
«E’ la verità, Ramoso» aveva continuato, in una sorta di ritornello. «Insomma, è evidente, tu le piaci».
«Taci!»
«E quindi non riesce a concentrarsi con gli incantesimi quando tu sei nei paraggi».
«Che assurdità!»
«Se ci pensi è la stessa cosa che succede a te quando non hai il coraggio di giocare con Mocciosus in presenza di Evans». A questa affermazione, come previsto, James si era fermato, voltandosi verso di lui.
«Non è la stessa cosa, ed è anche assurdo che io possa fare una cosa del genere» aveva detto, con aria di sfida.
«Oh, lo fai, James!, e non è diverso, è una cosa molto simile» aveva replicato Sirius, con un ghigno.
«Hai bisogno di una bella dormita, amico mio, per rischiararti le idee. E quanto a Elyn» aveva proseguito, sostenuto. «Il problema non mi riguarda, vorrà dire che chiuderò con lei, anche se questa storia cominciava quasi a piacermi». E detto questo, aveva terminato l’ultima rampa di scale, mentre Sirius dietro era rimasto immobile, con una ruga tra le sopracciglia, a soppesare attentamente le ultime parole di James.
Dopo attente riflessioni, nei giorni seguenti, Sirius era giunto alla conclusione che avrebbe preferito che Elyn si fosse innamorata di Remus, piuttosto che di James. Non nascondeva a se stesso che la sua compagnia era diventata quasi piacevole negli ultimi tempi, sarebbe stato un peccato troncare così i rapporti, e con James, accecato com’era dall’amore per Evans, non c’era altra possibilità d’approdo: Elyn sarebbe certamente stata rifiutata. Non che la cotta per Remus fosse più facilmente gestibile, ma se solo lei avesse aspettato un po’ prima di dichiararsi, c’era forse qualche possibilità che nel frattempo Remus se ne innamorasse.
Inoltre, la loro immagine agli occhi di Elyn era a un passo dal diventare qualcosa di decente, come lo era però dal ricadere nel baratro più cupo. La loro sfida non era ancora vinta, si diceva, e aveva camuffato il proprio desiderio, la propria intima scommessa di conquistare la sua fiducia, la sua benevolenza, come volere comune, obbiettivo del gruppo. Era oltre ogni limite fuori discussione il poter darle la soddisfazione di ribadire la propria ostilità iniziale nei loro confronti, qualunque pretesto doveva essere emarginato e amputato delle sue stesse radici, per non offrirle la possibilità di odiarli, di ripugnarli nuovamente. Avevano fatto tanto per arrivare a quel punto, non potevano fallire così. Era una scommessa del gruppo, si diceva, una sfida comune.
Non era attribuibile a lei, si diceva, – è la combinazione di varie novità, sosteneva, di buone condizioni, ma in effetti nessuna novità era giunta oltre a quella conoscenza e a quei pomeriggi - eppure tra loro quattro aleggiava, da quando avevano cominciato quella storia del recupero, uno strano buon umore, una silenziosa e comune attesa, come se qualcuno avesse seminato dentro ognuno di loro uno stesso piccolissimo seme di vivacità e giovinezza, come quando si è agli albori di una nuova passione, nell’aspettativa di una futura dedizione.
Loro quattro erano sempre stati bene, avrebbero potuto vivere così tutta la vita forse, odiandosi e comunque rimanendo naturale per l’uno la costante presenza dell’altro. C’era quella cosa, quella strana alchimia tutta propria delle grandi amicizie maschili, per cui la massima complicità va di pari passo con la simpatica irritazione che l’uno genera nell’altro, e trova massimo affiatamento nell’indispettirsi a vicenda e, insieme, nell’indispettire gli altri, senza mai avere il bisogno di immaginare o mai sperare di avere di meglio. Erano sempre stati bene, lo sarebbero stati probabilmente per molto, eppure quella nuova conoscenza, quel loro comune intento di farsi riscoprire agli occhi di Elyn, forse, li aveva rinnovati nella loro ormai ovvietà, rendendoli ancora sconosciuti a qualcuno, costretti a presentare in nuovo modo le loro vecchie spoglie, a lei, e così un po’ anche a loro stessi.
Non era di certo facile, comunque, riflettere lucidamente su ognuna di queste cose. Quando Sirius si scopriva a cercare una soluzione per sciogliere l’ingarbugliato imbroglio, a favore della continuità dei rapporti con Elyn, reindirizzava i suoi pensieri su sentieri un po’ più cinici e virili, dicendosi che in ogni caso non esistevano né lieti né tristi finali per quella storia, semplicemente perché a lui poco importava ad eccezione dell’orgoglio personale, o comunque, nella peggiore delle ipotesi, se mai fosse andata male, non ci avrebbe messo un secondo a farsene una ragione. Subitissimo, si diceva, e sarà come se non l’avessimo mai conosciuta.
Nel frattempo, però, convincendosi ormai che l’innamoramento era un trionfo di Remus, sperava che fosse la volta buona che questi si lanciasse in un’avventura amorosa, perché in qualche modo sentiva, anche se non voleva ammetterlo, come quella armonia recente, quella loro spensieratezza nuova, fosse strettamente legata alla presenza di lei, alla presenza di Elyn.


Una prova del buon umore che Elyn aveva portato al gruppo, per l'appunto, stava nel fatto che adesso tutti e quattro erano di umore nero.
Ogni volta che, per caso, il nome di lei veniva fuori, Remus diveniva teso, James nervoso, Sirius cupo e Peter silenzioso. A questo clima aveva contribuito l’insistenza di Sirius nel riprendere l’argomento dell’ipotetico innamoramento più e più volte, nei primi giorni, cosa che aveva accentuato l’intollerabilità della situazione. Dopo varie riflessioni, Sirius aveva capito che incoraggiare gli amici non sortiva che l’effetto contrario, e adesso l’argomento era intrattabile anche per lui.
Quel sabato mattina, mentre chiacchierando si dirigevano ai loro posti sulla tavola imbandita a colazione, Elyn aveva incrociato i quattro ed aveva proseguito diritto, come di consueto. La sola sua vista, però, bastò quella volta a far calare un certo grigiore sulle fronti dei quattro.
«Dobbiamo finirla qui» esordì James dopo un bel po’, spezzando il silenzio che si era impadronito del gruppo, guardando gli amici ad uno ad uno. Nessuno interloquì, si sentirono l’un l’altro ingoiare i rispettivi bocconi. Nessuno di loro ebbe bisogno che  James chiarisse di cosa stesse parlando. «Per quanto mi riguarda, slego Elyn dal patto del silenzio» continuò, più conciso che poteva. «Mi tiro fuori da questa storia. Pensavo di divertirmi, ma» s’interruppe qualche secondo, «non è così» concluse, e detto questo, si versò nel bicchiere del succo di arancia che impiegò molto tempo a bere.
«Sono d’accordo con James» intervenne Peter dopo qualche secondo, alternando con lo sguardo gli occhi degli altri due. «Mi tiro fuori anch’io».
Sirius era sicuro che se glielo avesse chiesto, Peter non avrebbe saputo dirgli il perché di quella scelta. Forse non si era nemmeno mai accorto che era cambiato qualcosa in quei giorni. Semplicemente, gli altri facevano qualcosa e lui la faceva pure.
Remus osservò per circa mezzo minuto il proprio piatto, infine parlò anche lui, e rivolgendosi a Sirius disse in tono indecifrabile: «Ho provato a gestire un rapporto con qualcuno che non sia uno di voi tre, ma», sorrise senza gioia, «non credo di poterci riuscire» e abbassò gli occhi su un punto della tavola.
Sirius non parlò per qualche secondo, poi disse: «Forse è meglio così» e annuì, cercando di sembrare convinto.
Tutto il resto della scuola parlava, ma loro restarono in silenzio, e non perchè non ci fosse bisogno di dire altro.
«Dovrà dirglielo qualcuno» esordì nuovamente Remus dopo un po’, rompendo il flusso dei loro pensieri.
Si guardarono tra loro, gli occhi scivolavano dall’uno all’altro, senza soffermarsi abbastanza per concentrare su di uno l’attribuzione del compito. Infine Sirius smise di osservarli, corse con lo sguardo dall’altro lato della sala, nel punto in cui lei mangiava distratta un tozzo di pane tostato. Ebbe l’impulso di sospirare, ma non lo fece.
«D’accordo, lo faccio io» disse, dopo qualche secondo, ritornando tra loro.
Per una ragione che non capiva, in fondo, si sentiva più responsabile degli altri, e forse lo era: tutto era partito dall’incrocio dei loro soli occhi, quel pomeriggio sul prato, sotto il primo sole estivo e le gambe scoperte di Mocciosus. Al pensiero, gli scappò un sorriso quasi beffardo.
«Per lo meno possiamo riprendere a chiacchierare con Mocciosus senza dover rendere conto dei sentimenti di nessuno» ridacchiò, non completamente lucido.
Solo Peter si limitò a sorridere. Gli altri, semplicemente, annuirono al fatto che si fosse incaricato di parlare a Elyn.
La colazione proseguì poi senza altre novità.
Sirius aveva l’impressione che Remus lo guardasse, cercando di non farsi scorgere. James era invece distaccato, assente, immerso nei propri pensieri.
Il pomeriggio, infine, arrivò.

Era una bella giornata, fuori c’era un sole tiepido che riscaldava l’erba non toccata da alcuna ombra. Era probabilmente uno degli ultimi soli di fine estate. Molti studenti approfittarono e dopo le lezioni si ritrovarono nel parco, a ciondolare sull’erba e a strappare pigramente i fili del prato. James e Peter erano andati al campo di Quidditch per gli allenamenti, Remus aveva preferito tornare alla sala comune per poi recarsi in Biblioteca, e Sirius sperava di trovare Elyn sul parco e parlarle, si era sistemato quindi all’ombra fresca del faggio. Scrutò attentamente ogni studente sul prato, ma di lei non vide traccia e ne fu sollevato.
Erano dunque arrivati a quel punto.
Non si spiegava perché, ma il pensiero di dover rompere i rapporti con Elyn lo rattristava. C’erano poi molte altre cose che non si spiegava: il come era stato possibile creare quella sintonia, averla cercata e non aver capito che era, forse, importante per tutti loro. Non si spiegava come nessuno di loro, fino ad allora, si fosse mai chiesto quanto quei pomeriggi passati insieme, tra persone che dovevano spontaneamente odiarsi, fossero strani e illogici nel loro scorrere veloci e così vivi. Non riusciva a spiegarsi come fossero arrivati al punto di cercarsi, di trovarsi e consumare ore intere insieme, come fossero arrivati anche solo al punto di parlarsi senza urlare, senza mai rendersi conto di quanto solo tutto questo fosse già pazzesco e contro ogni loro coerenza. Tutto indicava quanto irragionevole fosse stata quella vicinanza e Sirius proprio non si spiegava come fossero arrivati a quel punto senza mai domandarsi come mai tutto stesse andando in modo così strano, così trasparente, così autonomo, vivo e senza controllo.
Questa corsa senza logica li aveva portati a scontrarsi, alla fine, con eventi che erano ora più grandi di quanto non fossero l’ultima volta che li avevano guardati con attenzione, ed erano rimasti a bocca aperta quando avevano scoperto cosa aveva, questa loro cecità, permesso che si muovessero, silenziosi, senza mai esser visti: i sentimenti.
Non avevano previsto, non avevano considerato.
Era, dopotutto, logico pensare che questo loro trascurare ciò che doveva rimanere sconosciuto a quella storia, questo non considerare ciò di cui era insensato tener conto o ritenere che potesse entrare in gioco, era, quindi, logico prevedere che questo continuo ignorare i sentimenti, la parte che ritenere degna di attenzione al loro punto di partenza era di per sé già privo di ogni logica, poteva alla fine far cadere ognuno di loro nello stupore di fronte alla scoperta dell’illogicità di quelle passate disattenzioni?
E ogni cosa, perfino il fatto di voler chiudere quella storia, ora, era un indizio di quanto non solo Elyn avesse messo in gioco, ma di quanto loro, in prima persona, avevano azzardato.
Questo voler allontanare lo sbaglio commesso era già, forse, un parte del rimorso.
Eppure adesso dovevano sistemare il guaio fatto, era necessario.
Senza alcun indugio, bisognava solo farlo.

Sirius si mise in piedi, si schermò gli occhi dal sole e scrutò il parco ancora una volta: di Elyn ancora nessuna traccia.
Decise di camminare e di dare meglio un’occhiata in giro.
Camminò un po’ tra gli studenti che riuniti in piccoli ceppi si godevano gli ultimi caldi raggi del sole, e infine la trovò.
Era appoggiata con la schiena ad un pioppo, le gambe piegate sul petto e teneva un libro sulle ginocchia, ma guardava oltre le sue pagine, gli occhi osservavano un gruppo di studenti Tassorosso riuniti qualche metro più avanti. Sirius le si avvicinò e tossicchiò per segnalare la propria presenza, ma lei non lo sentì. Tossicchiò più forte, ma Elyn non diede ancora cenno di averlo udito.
«C’è nessuno?» disse allora con voce forte, e lei trasalì. Lo guardò con gli occhi mezzi scossi, e con tono ancora un po’ assorto disse: «Oh, Black», e si spostò un po’ per fargli spazio sotto l’ombra del pioppo. L’irriflessione – o, forse, spontaneità - di quella gentilezza (se così poteva essere definita, visto che tra gente dai rapporti normali è cosa alquanto scontata) non passò inosservata, e scosse non poco Sirius. Le si sedette vicino.
Lei prese un respiro, forse per ridestarsi completamente, e disse: «Un attimo».
Frugò nella borsa con tutte e due le mani e dopo un po’ ne estrasse con una mano una pergamena arrotolata e con l’altra la bacchetta. Sirius desiderò allora che, proprio come nelle lezioni precedenti, non avesse ora tutta quella fretta di cominciare, ma quella volta non si era lamentata neanche del fatto che si fosse avvicinato, e improvvisamente sembrava avere urgenza di cominciare.
«Aspetta» cominciò allora Sirius. «Sono qui per…»
«Devo farti vedere una cosa» lo interruppe lei, senza prestargli ascolto. Sfilò dalla pergamena il nastro che la avvolgeva e gliela porse.
«Cos’è?» domandò Sirius, corrucciando appena la fronte.
«Aprila» fece lei, con una calma tradita solo dalla vaga tensione degli occhi.
Sirius la aprì. «Verifica di Trasfigurazione?» chiese, ripetendo il primo rigo del foglio.
Lei annuì. «E’ solo una copia. Continua» disse.
Sirius continuò a leggere: «Sono delle domande, suppongo… Non riesco a leggerle» proseguì, studiando attentamente le lettere sbiadite.
«E’ la McGranitt, non vuole che si sappia in giro che genere di domande ci siano nei suoi compiti» spiegò lei in tono un po’ divertito. «Continua».
Sirius percorse con lo sguardo l’intero foglio, fino ad arrivare al fondo pagina: qui si lasciò scappare un sorriso. «Punteggio: 90 su 100» disse, e guardò Elyn: lei cercò di frenare un sorriso compiaciuto, ma non le riuscì granché bene.
«Era solo una prova teorica, naturalmente, non una verifica pratica, però, be’, ci tenevo a…» esitò maldestramente, poi continuò cercando di ricomporsi: «Insomma, è andata bene».
Cercava di non darlo a vedere, ma era raggiante. Davvero raggiante.
«Ottimo direi» disse Sirius, sorridendo. «Penserei quasi che tu non abbia più bisogno del nostro aiuto» proseguì, cercando di porre le basi del discorso che doveva farle. O forse cercando di darsi una mano per cominciare.
Nessun sospetto, però, sfiorava Elyn, e, com’era giusto che fosse, non riuscì a cogliere l’allusione. Ridacchiò, invece, e poi, nel modo più misurato e composto che le riuscisse, disse: «Non ci sarei mai riuscita senza il vostro aiuto». Silenziò qualche secondo, come indecisa, infine disse: «Grazie».
Sirius rimase in silenzio, poi abbassò lo sguardo e rimase così qualche secondo, osservando l’erba.
«Elyn, senti» cominciò poi, ma qualcosa gli fece morire le parole in gola. Osservò attonito la mezza piuma che leggera ancora volteggiava verso terra, soffiata nell’aria dall’incantesimo non riuscito. Si guardò intorno: non c’era Remus, non c’era James nei paraggi.
E questo cosa significava?
Cercò con lo sguardo Elyn e la vide, con la bacchetta in mano, fissare assorta la mezza piuma sull’erba, come se la stesse studiando. Dopodiché lei sospirò e si lasciò ricadere con la schiena sul tronco, con lo sguardo rivolto a un punto oltre le sue ginocchia, proprio come l’aveva trovata.
«Temo di non poterci riuscire» ammise dopo, senza staccare gli occhi dal punto in cui li aveva fissati.
Sirius non parlò.
Sentiva qualcosa agitarglisi nel petto, o forse era nello stomaco: non poteva dirlo.
Non sapeva cosa dire, come agire e su quali dei tanti pensieri che lo avevano assalito fissarsi.
Aveva dunque sbagliato tutto? Aveva creduto che la ragione di quelle sue magie incomplete, di quella perenne distrazione, forse anche di quelle illogiche maniere, di quello strano consenso a quell’assurdo compromesso, aveva creduto che la ragione di tutto ciò fosse uno dei suoi amici, Remus, sperava, o James forse, non se stesso certamente, ed era ora costretto a domandarsi quanto le proprie convinzioni fossero sbagliate?
Si sentì spaesato.
Non si riconosceva in quell’apprensione da lui fino ad ora mai conosciuta, in quell’ansia di non compromettere tutto. Quella speranza sciocca di salvare un rapporto di cui niente doveva importargli non era sua, non poteva appartenergli, non ne conosceva le ragioni e i perché.
Guardò ancora Elyn, stordito, confuso, stupito: non si era mossa. Era rimasta a fissare un punto distante di fronte a sé.
Seguì il suo sguardo, fino all’ombra di un albero non troppo lontano. Ritrovò il gruppetto di Tassorosso che aveva catturato la sua attenzione già quando lui l’aveva raggiunta. Non dovevano essere del sesto anno, alle lezioni non li aveva mai visti, forse del settimo.
Scrutò attentamente il gruppo. Erano cinque ragazzi: una femmina, e quattro maschi, due dei quali giocavano una partita a scacchi magici sull’erba, un’altro era disteso per terra, puntellato sui gomiti, e con la testa appollaiata sulle mani guardava con sguardo sognante la ragazza bionda che gli sedeva accanto, in una posa aggraziata e composta, la quale però aveva occhi solo per il ragazzo di fronte a sé, che giocherellava con l’erba e che rideva alle sue parole, privo di ogni sospetto.
L’ultimo in particolare, quello che giocava con l’erba, il suo viso non gli era nuovo. Sirius era sicuro di averlo già visto altrove, e per un attimo credette anche di averci parlato, ma non gli venne in mente nulla che gli ricordasse in quale situazione.
Ritornò a guardare Elyn e la ritrovò che non si era mossa, ne studiò allora lo sguardo assorto e la scoprì a seguire con gli occhi i movimenti di uno dei Tassorosso: il ragazzo che gli sembrava di aver già visto.
Allora Sirius si sforzò di ricordare: doveva essere stata un’occasione piuttosto movimentata, quando l’aveva incontrato, perché aveva ricordi confusi, veloci. Improvvisamente gli ritornò in mente l’immagine del Tassorosso che si scusava con lui per qualcosa. Poi corresse il suo ricordo: il ragazzo si scusava non solo con lui, ma anche con Mary.
Tutto gli divenne allora chiaro. Quel Tassorosso che strappava l’erba era lo stesso che, pochi giorni prima, lo aveva quasi travolto in Biblioteca, correndo a una velocità che Madama Pince avrebbe volentieri punito con un mese di lavori forzati. Ed era stato proprio il giorno in cui Mary era venuta a cercarlo per il loro appuntamento, quella stessa sera in cui Elyn aveva cominciato a far evanescere le piume solo a metà in presenza di James e Remus, e intere poi in loro assenza. Ripensò al modo in cui aveva, allora, capito che una distrazione le impediva di concentrarsi, e aveva attribuito questa distrazione a una persona che “era praticamente lì”, lei aveva detto.
Loro quattro erano lì, ripensò, e c’era Elyn.
Gli tornarono in mente una serie di immagini di quel pomeriggio: Elyn pensierosa… Elyn assorta… assorta su un punto oltre la spalla di Remus… un gruppetto, dei colori, giallo e nero, un volto…
Improvvisamente qualcosa si accese, Sirius guardò Elyn e nei suoi occhi vide finalmente la risposta.
«Ci sono!» esordì vivacemente, come ridestandosi da un sogno. Lei si voltò a guardarlo allarmata.
«Sei pazzo, Black?» disse, con tanto d’occhi. «Vuoi farmi morire?»
«E’ lui, vero?» esclamò Sirius, indicando con l’indice il ragazzo Tassorosso, in un giubilo che a stento tratteneva dall’urlare all’intero parco. La vide arrossire d’improvviso. «E’ lui che ti piace, eh?!» Non riuscì a frenare le risa. Erano risa di gioia. «Non ci posso credere!»
«Sta zitto!» In un attimo Elyn gli si appese al braccio, abbassandolo con forza. «Sei impazzito?!» sussurrò, fuori di sé, mentre le sue guance si imporporavano a una velocità spaventosa.
«Allora è lui! Non posso crederci!»
«Black, ti farai sentire!» sussurrò lei febbrilmente, ma Sirius continuava a sghignazzare. «Per favore! Per favore!» bisbigliò allora, disperata, accanto a lui, con le mani giunte. «Non farti sentire!»
Proprio in quel momento il gruppo di Tassorosso si alzò e si diresse verso di loro. Sirius non tradì alcuna allusione, mentre Elyn abbassò lo sguardo, fino a che il gruppo non passò loro oltre, dopodiché entrambi si voltarono a guardarli fino a che non scomparvero dietro un angolo del castello. Quando non si videro più, Sirius cercò Elyn con lo sguardo, pronto a dimostrarle ancora la sua sorpresa, e la vide nell’arco di un secondo alzarsi, scrollarsi i vestiti e risalire il prato: sembrava fuori di sé. Saltò su e le andò dietro.
«Ehi!»
«Lascia perdere, Black!» sbottò lei.
«Oh, avanti!» insistette, accelerando il passo per raggiungerla. «Ho esagerato e non me ne sono accorto, giuro che non me ne sono accorto!»
«Non te ne sei accorto!» Elyn si voltò furibonda, aveva il viso in fiamme. «Pensi che ti basti dire questo? Pensi che ti basti dirmi che non te ne sei accorto?! E’ questo il tuo problema, Black, pretendi che tutti ti scusino e tu non ti accorgi mai di niente, anche quando le cose sono chiare davanti ai tuoi occhi! Sei un egoista! Sei... » Impiegò un paio di secondi forse a pensare a qualcosa che esprimesse pienamente la vaga idea di ciò che lo riteneva, ma non terminò la frase, invece si voltò nuovamente, riprendendo a risalire il prato più velocemente.
«Elyn!» Sirius spiccò una corsa e le si parò davanti. Continuò, camminando all’indietro, perché lei non sembrava voler fermarsi: «Se mi lasciassi spiegare! Dico sul serio, scusami!»
«Non mi interessano, Black, le tue scuse!»
Cercò di superarlo, ma lui la trattenne per un braccio. «Aspetta!»
«Black, perché non te ne vai?» sibilò, con lo stesso tono di chi parla con qualcosa che considera ripugnante. «Che cosa ti importa di avere una nemica in più? Ti assicuro che non te ne accorgerai, proprio come non ti accorgi di quanti danni porti alle persone che ti stanno intorno!»
«Questo pomeriggio ero venuto a dirti che non ti avremmo più rivista» cominciò allora Sirius.
«Benissimo, avreste fatto bene» replicò lei aspra, strattonandosi il braccio. Sirius non mollò la presa, ma strinse solo in necessario sotto le dita.
«Perché non volevano peggiorare la situazione» continuò, ignorandola.
«Oh, peggio di così si muore» commentò lei con lo stesso tono inclemente, tentando di sorpassarlo senza nessun risultato.
«Credo che temessero che se avessero continuato a vederti, alla fine, se fosse successo qualcosa, tu forse gli saresti mancata» proseguì, tagliandole la strada ancora una volta.
«Black, lasciami stare» stridette, smettendo di divincolarsi e fermando lo sguardo furioso su di lui.
«James, Remus e Peter… loro pensavano tu ti fossi innamorata di uno di loro e hanno avuto paura, capisci?» insistette, Sirius. «Capisci?!»
Elyn deglutì, senza distogliere lo sguardo, anche se qualcosa si era rotto in quegli occhi.
«Smettila, Black, questo non c’entra niente con te».
«Ti ho chiesto di scusarmi, non ti basta?»
«Perché dovrei accettare le tue scuse?»
«Forse perché insisto?!»  
«E perché dovresti farlo?!»

I loro occhi erano gli uni affamati della forza degli altri, ne volevano cogliere ogni lampo, ogni infinitesimale dettaglio, senza mai potersene appagare, e tanto si erano avvicinati i loro visi per poterseli scrutare meglio, quegli occhi, che quasi si sfioravano.
Per quanto distanti la rabbia avrebbe dovuto tenerli, tutto indicava però quanto in realtà fossero vicini.

E tuttavia, a quelle parole, Sirius lasciò cadere il polso di lei, un muscolo si contrasse nella sua mascella, ma non disse altro.
E lei non perse un attimo, come un risveglio divora le ultime memorie di un sogno, un secondo e gli passò accanto, portandosi via ogni parola non gridata, ogni urlo taciuto al vento.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Notte ***


 

18.


Notte
 

Era come se non fosse successo niente. Nulla.
Era una sensazione così strana, così nuova, come quando nella corsa si perde l’equilibrio e la beffarda sensazione di leggerezza ti accompagna nella caduta. Ed era infatti una sensazione così leggera, e la testa era ebbra, così che fossilizzarsi su un pensiero era impossibile. Come se se ne fosse andata libera e incontrollata, solo i sensi ormai, amplificati, ne testimoniavano la presenza, tutto il resto era un’impalpabile e confusa consapevolezza, nient’altro.
Sirius camminò tra gli studenti e fece un giro davvero molto strano per tornare alla porta del castello, anche se non se ne accorse: desiderava non procedere per la stessa direzione in cui lei era sparita; gli sembrava, forse, un riavvicinamento che doveva evitare, ma non aveva altra scelta per tornare alla sala comune che camminare proprio verso la porta di quercia. E in ogni caso realizzò subito la stupidità di quella premura.
Comunque, lei ormai non c’era più; era già andata da un po’, e lui doveva prendere la divisa di James: andava a giocare a Quidditch.
Giunse alla Sala comune molto più velocemente di quanto non sperasse, fece un complimento alla Signora Grassa - gli sembrava infatti particolarmente di bell’aspetto quel giorno -, e lei lo fece entrare senza che Sirius fosse certo avesse sentito la parola d’ordine.
«Felpato», si sentì chiamare mentre si dirigeva verso la scale del dormitorio, e si voltò accorgendosi di Remus su una poltroncina all’angolo della sala, con un libro in mano.
«Lunastorta» rispose Sirius. «Non ti avevo visto» continuò, tiepidamente sorpreso.
Remus fece un verso d’annuimento e lo guardò con strana attenzione. Non gli sfiorò la mente di decifrare quello sguardo, Sirius aspettò invece un cenno, un qualcosa, ma da Remus non giunse niente.
«Vado sopra» disse allora - poiché aveva fretta di raggiungere il campo - quindi salì le scale, proprio come aveva fatto con la Signora Grassa: senza neanche sentire se Remus avesse da replicare.
Munitosi della divisa, scese a piccoli e frettolosi saltelli i gradini e si diresse verso il quadro.
«Sirius?» fece Remus, col tono insistente di chi sta nuovamente richiamando l’attenzione di qualcuno che la prima volta non gliel’ha concessa.
«Sì» fece Sirius arrestandosi improvvisamente, e voltandosi a guardarlo.
Remus aggrottò lievemente la fronte con sospetto; disse: «Vai al campo?»
«Sì» rispose Sirius. «Ti serve qualcosa?»
«No, grazie». Remus lo scrutò ancora e prima che Sirius sparisse dietro il ritratto lo chiamò ancora una volta. Quest’ultimo si trattenne dall’opporre una replica alquanto scortese e si limitò a mostrargli senza troppa voglia metà del suo volto.
«Cosa».
«Senti» cominciò Remus, e dapprima esitò un po’, infine si risolse a chiedergli in tono quasi brusco: «E’ tutto apposto?».
Sirius ebbe l’impressione che avesse scelto all’ultimo momento di eludere la questione che voleva realmente sottoporgli, tuttavia rispose comunque senza troppe parole: «Certo».
Remus non continuò oltre, e Sirius se ne andò prima che potesse fermarlo un’altra volta.
 
Era un bel fine pomeriggio, il cielo era già indistintamente rosato per il tramonto. Sirius si accorse che nel giro di qualche minuto molti studenti avevano già lasciato il parco. Lo percosse tutto, camminando lungo i prati che degradavano verso il campo e arrivando agli spogliatoi.
Sentiva il chiacchiericcio provenire dal campo e a tratti la voce di James che impartiva ordini, vedeva i vestiti degli studenti coricati sulle panche o afflosciati per terra e gli sovvenne di doversi cambiare. Una volta fatto udì il sibilo di scope in aria e improvvisamente lo investì il dubbio di non avere la sua con sé, ma meccanicamente doveva averla presa in Dormitorio perché ora era proprio lì, appoggiata come di sfuggita al muro vicino. Gli venne da sorridere, di fronte alla premura con cui il suo corpo si prendeva cura di lui, correggendo le disattenzioni delle sua mente. Un tal genere di riflessioni, chiaramente, lo sconcertavano di solito, ma in quel momento molte cose gli sembravano a lui estranee, e l’indagare oltre non avrebbe probabilmente portato ad alcuna conclusione, non che alcuna conclusione fosse necessaria. Afferrò quindi la scopa e proseguì per il campo.
Trovò i giocatori divisi in gruppi: alcuni volavano vicini al prato, altri seghettavano l’aria scansando ostacoli sospesi a forma d’uomo e che sparivano per poi apparire nuovamente sulla traiettoria dei giocatori quando meno se l’aspettavano, e poi c’erano altri due Grifondoro che si lanciavano i bolidi colpendoli con le mazze, o, era da concedere loro almeno questo, era evidente che ci provavano con ammirevole impegno. James, librandosi a mezz’aria, seguiva con l’attenzione di un’aquila i diversi drappelli, intercettando i sibili e i tonfi, e talvolta urlava ordini a un singolo o a una intera unità di giocatori. In particolare, teneva sott’occhio uno studente piuttosto minuto che sopra la scopa, a molti metri più in alto dal suolo rispetto agli altri, sembrava rimpicciolirsi ancora di più: era un tale, un certo Scott, che a malapena Sirius ricordava di aver notato in Sala comune, perché piuttosto anonimo e timido. Doveva essere del terzo o del quarto anno massimo, e si aggirava in aria sopra la sua Scopalinda, tracciando linee irregolari e incerte mentre con lo sguardo scrutava intorno a tratti spaesato, a tratti vigile. Sirius non si sentì un genio a dedurre il ruolo del ragazzo: doveva essere il nuovo Cercatore di Grifondoro.
Alle porte del campo, ai piedi di una tale organizzazione, si sentì infine piuttosto inutile. Perlustrò con lo sguardo rapidamente le tribune per controllare se qualcuno stava assistendo all’allenamento e con gioia le trovò vuote. Non vide neanche Peter che, stando a quanto sapeva, doveva essere lì. Ritenne quindi che avrebbe potuto benissimo voltare le spalle e filarsela senza compromettersi l’onore; subito dopo averlo deciso e appena prima di farlo, tuttavia, James lo vide.
«Felpato!» urlò in sua direzione. Poi si rivolse alla squadra gridando qualche cosa e picchiò verso di lui atterrando con destrezza. «Non ci credo, la prendi sul serio questa storia del Quidditch, eh?!» fece con tanto d’occhi, appioppandogli una pacca sulla spalla.
«Ah, domanda o affermazione che fosse, va’ al diavolo» fece Sirius con una smorfia e massaggiandosi la base del collo attentatagli.
«Direi piuttosto una profezia».
«Va’ all’inferno. Ti consiglio di raffreddare gli ardori e andarci piano, diciamo che oggi ne ho voglia» concluse, studiando i quattro giocatori che scansavano gli ostacoli dalle sembianze umane. In particolare ne studiò uno e d’un tratto sobbalzò.
«Quella è Mary» fece, strizzando un po’ gli occhi increduli in sua direzione e scrutandola attentamente. «E... insomma...»
«Se la cava» concluse James, osservandola a sua volta. «Sì. Si tratta solo di sopportare alcune sue civetterie e la voce un po’ acuta, ma per il resto non è per niente male. Proprio per niente, sai» concluse, fermandolo con uno sguardo severo.
Sirius ebbe il vago sentore che quelle ultime parole fossero una specie di rimprovero, una sottile allusione, ma finse di non coglierla, si finse invece interessato al suo manico di scopa nel pugno destro e abbozzando  una smorfia pensierosa lo studiò per qualche secondo, infine disse a mo’ di sfida: «Vediamo un po’ se mi ricordo come far funzionare bene quest’aggeggio». Quindi montò il manico e si librò schizzando in avanti sul prato.
«Sirius, aspetta».
Appena prima di spiccare il volo in direzione dei battitori, si voltò in direzione di James, il quale non si era mosso da terra ed vi era rimasto con uno sguardo impensierito.
«Cosa?»
Si formò un cipiglio sulla fronte di James, ma non disse altro e gli fece segno di andare con una mezza smorfia. Sirius non indagò oltre. Pensava di non voler conoscere la domanda che James per poco non gli aveva fatto, e si allontanò in direzione dei Battitori, deciso a dimostrare qualcosa. Né cosa, né a chi sapeva con precisione, ma si sentiva insolitamente agguerrito e di una bellicosità che a lui stesso pareva fuori luogo, immotivata e a tratti ridicola, ma che allo stesso tempo percepiva in quel momento, senza sapersi neanche spiegare perché, come talmente prepotentemente appagante e insieme di una così delicata puntualità che dalla gratitudine, come usava dire James qualche volta e in merito a qualunque materia, fosse essa animata o inanimata, ci avrebbe veramente fatto all’amore.
 
L’allenamento durò poco più di un’ora per Sirius, che era arrivato a due ore dal suo inizio, e sarebbe durato anche di più se il crepuscolo avesse impiegato di più a presentarsi quella sera. Ma il sole anche quell giorno era sparito e le nuvole che tornavano dopo settimane di congedo coprivano, ora, le prime stelle.
Del resto Sirius era ben contento, in effetti, che fosse giunta l’ora di mettere da parte il Quidditch per un po’.
Non che l’allenamento fosse andato male, nient’affatto: era riuscito – anche se non sempre per vie indiscutibili – a tenere testa ai tre Battitori di ruolo (o almeno a non umiliarsi completamente) e, cosa non meno faticosa, a tollerare la presenza di Mary. Quest’ultimo trionfo in particolare non era stato molto difficile da raggiungere, o non quanto avesse temuto in un primo momento, visto che lei non lo aveva degnato praticamente di uno sguardo. Ciò lo aveva lasciato piuttosto sorpreso. In effetti, quella era una reazione al suo bidone che non avrebbe previsto, non da Mary almeno.
Quell’assai discreto pomeriggio non aveva cancellato l’idea che si era sempre fatto del Quidditch, comunque: gli restava un interesse piuttosto distante e per certi versi incomprensibile, e non concepiva il modo in cui James e altri in maniera molto simile a lui ne fossero così irrimediabilmente innamorati, così perdutamente dipendenti. Reputava una moto degna di quell’adorazione… anzi: in effetti non ne era sicuro. Non tutto, ad ogni modo, altre cose, ma non il Quidditch.
 
Cionondimeno quel pomeriggio proprio il Quidditch aveva assorbito la sua attenzione, impiegato la sua mente, custodito i suoi pensieri; rideva mentre insieme a James e Peter (poco dopo il suo arrivo lo aveva visto infatti ritornare sulle tribune) risaliva il pendio in direzione del castello.
«Hai fatto un buon lavoro oggi, Felpato» disse James, battendogli una pacca sulla spalla, con i resti di una risata precedente sul volto sorridente e puntando gli occhi sulla finestra della torretta Grifondoro che riluceva di un colore caldo.
«Non ti ci abituare» replicò Sirius.
«Abituarmici? Non ti montare la testa, amico».
Sirius ridacchiò.
Rimasero in silenzio fino a che non arrivarono alla Sala Comune, qui lasciarono la divisa e i manici di scopa nel Dormitorio e scesero in Sala Grande per la cena.
Dopo il pasto, una volta in Sala comune, rimasero a giocare a scacchi magici davanti il focolare acceso fino a che l’intera sala non si svuotò.
«Ho visto prima McDonald entrare in Sala comune senza degnarti di uno sguardo» disse a Sirius James, stiracchiato sulla poltrona con le mani incrociate sulla nuca e i piedi distesi sopra il tavolinetto sul quale si giocava un’intensa partita, e troncando così l’argomento di cui Remus stava animatamente discutendo - ormai da qualche tempo da solo - e per l’accantonamento del quale questi gli indirizzò una pur mai recepita occhiataccia, e cioè sul valore corrispondente della moneta del loro mercato nella corrente moneta Babbana, dibattito sul quale Sirius quasi per nulla si era espresso e in merito del quale reputava alquanto ozioso e illogico discutere vista la diversità di uso e di merce con cui e per le quali le medesime venivano impiegate, incomparabilità che rendeva pertanto sterile e assolutamente vano ogni confronto.
«Ho visto Evans farlo per sei anni» replicò Sirius, tuttavia senza il trasporto che la maestria della stoccata pur avrebbe meritato, perché più concentrato sulla scacchiera, nell’intento di esaminarne i pezzi come se volesse stabilirci un qualche contatto mentale o di qualsiasi altro tipo. Remus ridacchiò, pago per la rivincita che su James l’amico in quel modo gli offriva per l’indelicato trattamento poco prima riserbatogli, e mentre muoveva il suo cavallo in una casella vuota. Peter, a gambe incrociate sul tappeto con le spalle al fuoco, assisteva al duello in corso di fronte a sé, profondamente silenzioso.
«Non te la ridere troppo, non c’è proprio niente da paragonare» replicò James stizzito.
«Forse hai ragione» convenne Sirius, con un ghigno. «La ragazza rifiuta il ragazzo... no, in effetti non è il mio caso». Remus sorrise e stavolta anche a Peter sfuggì un risolino.
«Ah-ah-ah» fece James in tono canzonatorio. «Ed è così che deve essere. Questa è proprio bella, il ragazzo che rifiuta la ragazza... per Godric, ti sembra modo? Desti sospetti con questo tuo atteggiamento, sai? Evans rifiutarmi, poi? Che sciocchezza! E’ il nostro modo di amarci, razza di troll».
Sirius rise, mentre faceva un’ottima mossa.
«Ma tu che vuoi capirne» continuò James. «Sei un automa, incapace di sentimenti».
«Chi ti dice che non li provi?» replicò in tono astuto, attento però a ostentare una flemmatica calma. «Magari per un’altra persona» continuò. Toccava a lui, e mentre muoveva riuscì a cogliere gli sguardi coscienti e vigili con cui gli altri tre l’uno con l’altro si interpellavano.
«D’accordo» fece allora James, come se si fosse finalmente risolto, riportando i piedi sul tappeto e risistemandosi sul divano in modo composto, un po’ sporto in avanti, come di chi sta per ascoltare con attenzione. «Chi?» chiese infine con una certa serietà.
Sirius continuò a studiare la mossa migliore da fare, dopodiché, una volta decisa, mentre muoveva disse: «Ma Peter, è ovvio».
Curioso di assistere alla reazione, alzò lo sguardo verso di loro con una specie di ghigno beffardo, ma li trovò ancora in attesa, quasi trattenendo il fiato, come se non avessero realmente considerato quella risposta, neanche nella sua natura ironica. Corrugò lievemente la fronte perplesso e finalmente giunse un risolino da parte di Peter, che pur cogliendo ovviamente l’ironia era impercettibilmente arrossito. Remus stirò un sorriso piuttosto forzato, quasi per clemenza, e James non si pronunciò in alcun modo.
«Va bene» fece Sirius, risuonando un po’ risentito. «Non farò mai il comico, ma rilassatevi, per Godric. Lunastorta, tocca a te».
Remus annuì ancora con una certa rigidità, e mosse quasi con imprudenza. Sirius, perplesso, lo guardò inarcando un sopracciglio, ma poi riportò la sua attenzione sulla scacchiera.
Sentì James prendere fiato come per parlare e, mentre stava ragionando completamente assorto sulla mossa da fare, lo sentì in tono improvvisamente più serio: «Felpato, senti, hai fatto quella cosa?»
Sirius ci mise qualche istante per capire a cosa si riferisse, corrucciò appena la fronte per riordinare le idee, e poi si ricordò.
Fu come se avesse realmente realizzato ciò che era successo soltanto ora. Rimase così quasi sorpreso per qualche secondo, con gli occhi sulla scacchiera che improvvisamente non vedeva più. Poi guardò James e, senza che fosse stato ancora completamente abbandonato da quello stupore, rispose con una strana e sospesa fermezza: «Sì».
James non si mosse, rimase con gli occhi immobili, fissi su di lui.
«Sì» ripeté Sirius in tono più secco e conciso, rifiutando e ricadendo, nell’arco di brevi istanti, in quell’irragionevole stupore, mentre riconduceva gli occhi sulla scacchiera. Spostò la sua torre a un passo dalla regina.
 
Era ridicolo. Un’intera giornata non ci aveva pensato, e adesso tutto gli ricadeva addosso in un momento e non poteva scansarsi. Gli sembrava di non aver vissuto, tutto il pomeriggio e poi la sera, fino a quel momento, di non averlo fatto fino ad allora. Gli sembrava di non aver pensato, ragionato, di non aver convissuto in quel corpo con se stesso, ma con un’altra persona. Era come riscuotersi da uno stato di stordimento, riaversi da una condizione di dormiveglia. Ripensò al pioppo, alla verifica di Trasfigurazione, a loro quattro che decidevano di farla finita, al Tassorosso, alle risate, alle urla e al fine pomeriggio passato sopra una scopa a giocare a Quidditch, a scansare la mente e a selezionare la vita. E più ci pensava e più si sconosceva, più si sorprendeva, più si sconcertava per non aver ricordato, non aver ripensato a nulla di tutto questo per l’intera giornata. Ebbe l’impulso di alzarsi bruscamente e allontanarsi da tutti per riaversi, ritrovarsi, ritornare in sé, ebbe l’impulso di scuotere tutto quanto lo stesse addormentando, di rifiutare il silenzio inquietante, e di nascondersi a quella scoperta di come per un breve periodo non era più stato!: ma rimase immobile, seduto tra loro, con gli occhi che dietro uno sguardo assorto si nascondevano increduli.
Infine si sforzò di ritornare lucido. Si concentrò nel gioco nel tentativo di rifiutare la consapevolezza di quale effetto morfinico la sua mente esercitava sui suoi pensieri e così annullarlo, paradossalmente, ricadendo nuovamente proprio in quello stato d’incoscienza, nascondendosi nell’oblio. Fece la sua mossa, senza neanche considerare se Remus avesse fatto la propria.
Ma James voleva sapere.
«Sirius, hai parlato con Elyn
La voce di James gli suonò improvvisamente più dura, e la avvertì mentre pronunciava quel nome come impietosa, implacabile, severa. Si irrigidì un po’, ma non lo diede a vedere. Poi si voltò a guardarlo e con il tono più convincente e fermo possibile, rispose: «Sì, James, l’ho fatto», ma senza volerlo la sua voce uscì inavvertitamente indurita, e i suoi occhi, mentre fissi affondavano inflessibili in quelli di James, lo erano forse ancora di più.
Nessuno rispose.
Il fuoco crepitava nel camino e Remus non muoveva.
«Ed è andato tutto liscio?» insistette James senza scoraggiarsi.
«Liscio» disse Sirius, con un mezzo sorriso che agli altri sarebbe parso strano se solo la luce soffusa non avesse ingannato i loro occhi, e riportò nuovamente lo sguardo sulla scacchiera. «Liscio come il culetto di un Tassorosso» continuò, mascherando di un tono umoristico ciò che nasceva in realtà da un moto sprezzante della sua interiorità. Non rise nessuno di loro.
«C’è niente che dobbiamo sapere?» continuò James infine, col tono di chi sta chiedendo con evidente chiarezza e unicamente per premura un’ultima conferma, per considerarsi infine pienamente persuaso. Sirius, tuttavia, credette di avvertire dell’altro nel modo in cui aveva fatto quell’ultima richiesta e gli parve di poterla identificare, quella cosa, forse come freddezza: una freddezza al limite della noncuranza o che ha il suo stesso limite proprio nel soddisfacimento del proprio interesse, consapevolmente appena prima di contaminarsi degli interessi altrui, dell’interesse altrui. Non riuscì a impedire alla mente di sfociare nell’immediato collegamento, che gli si presentò come una conclusione ovvia, seppur assurda, ma precisa: appena prima di contaminarsi dell’interesse di Elyn.
E allora fu un attimo.
Sirius pensò di dire loro tutto, di rovinare ogni lungimiranza che potesse salvaguardare loro, e al posto loro, compromettere Elyn; di raccontare come le cose erano realmente andate, di come si erano sbagliati e di come forse non tutto era perduto, non tutto compromesso, o almeno non per loro, e che forse qualcosa poteva essere recuperato. Ma fu nello stesso momento che ebbe per la prima volta sentore di qualcos’altro, di quello che con ogni probabilità James aveva già compreso da molto: avvertì, come mai prima aveva fatto, tutta la pesantezza della situazione, si rese conto di quanto davvero stesse rischiando di coinvolgersi, ancora più di quanto già non avesse fatto, e si sentì nauseato, umiliato, stanco.
Pensò di dir loro tutto, ma fu solo un attimo: quello dopo arrivò e lo cancellò.
«Niente» disse Sirius, scrollando un po’ la testa china sugli scacchi, e con gli occhi che avrebbero rivelato quanto di falso ci fosse in quelle parole se solo non fossero stati tenuti bassi e avessero goduto di una degna illuminazione. «Niente. E’ andato tutto secondo i piani».
Allora James non disse più niente, e Sirius ne fu grato.
Probabilmente se lo immaginò soltanto, ma qualcosa gli si dissolse dall’addome. Non sapeva se fosse il peso di quella logorante relazione che forse vedeva infine la fine, o il peso della sua lealtà che veniva sacrificata sull’altare del facile sollievo. Tremò impercettibilmente a quest’ultimo pensiero: il pensiero di lui, Sirius Black, che fuggiva le difficoltà emotive così vilmente, che agognava la sua passata e inoppugnabile integrità e che a lei sfinito faceva ritorno, con la coda fra le gambe, senza preoccuparsi di scavalcare l’opinione e il benessere altrui e tutto ciò che loro, delle loro stesse persone, avevano coinvolto.
Tremò però anche come elettrizzato al pensiero che fosse finita, non parendogli quasi vero: e nonostante tutto sembrava che finalmente lo fosse.
«Perché»…
Sirius non prestò importanza alla voce incerta e quasi timorosa che esordì in quel momento, nel principio di una domanda, forse per via della persona a cui apparteneva, che dell’indifferenza altrui non si faceva - almeno in apparenza - troppi complessi, fino a quasi preferire che non gli venisse riserbata particolare attenzione, specialmente nei casi in cui, seguendo un naturale impulso, chiedeva spiegazione di qualcosa che non gli era apparsa particolarmente chiara, e pentendosene subito dopo. O forse non prestò a quel particolare esordio attenzione perché non aveva più nessuna voglia in corpo di alimentare ulteriormente un discorso che avrebbe mantenuto ancora in vita anche la più piccola parte di quella storia e sentiva un tremendo bisogno di lasciarsi tutto alle spalle, ora che il grosso era fatto. Desiderava soltanto chiudere quel capitolo, seppur in un modo che non avrebbe sperato, in un modo sbagliato forse, seppure in una menzogna.
Ma quella stessa persona alla cui domanda Sirius quasi distolse le orecchie, come si fa con la mente, ritenendo non necessario prestarvi una qualche pur minima attenzione, la persona che così poco aveva operato, così poco di sé aveva coinvolto e così minimo sforzo aveva condiviso in favore dell’edificazione di quello strano rapporto con Elyn, e quella persona che per la compromissione di quello stesso rapporto ancora meno avrebbe quindi dovuto mobilitarsi e ancor meno avere la pur minima voce in capitolo, senza alcun diritto, quella persona rovinò tutto.
«Perché… Sirius, dici… perché dici questo?».
Tutti e tre dunque si voltarono a guardare Peter, che fino ad allora era rimasto tutto il tempo in silenzio, ad ascoltare ogni parola pronunciata, spiando ogni più intima espressione, sempre in silenzio, sempre immobile, e che adesso esordiva in quel modo singolare, col suo modo sempre così insolito, sempre così emblematico. L’ultimo a incrociare i suoi occhi fu Sirius, che si era mosso molto lentamente, e sul suo volto attento c’era lo sguardo più eloquente, lo sguardo più vigile.
«N-non è andata così» proseguì Peter, facendo trillare la sua voce come quella di chi sta solo innocentemente facendo notare un piccolo, irrilevante errore nel discorso di qualcuno; cionondimeno un brevissimo fremito percorse tutto il suo corpo e gli occhi assunsero un’espressione sinistramente allarmata a testimonianza del loro essere consci, in realtà, di quanto una dimenticanza di quella portata sconvolgesse totalmente l’evoluzione della storia, portandola inevitabilmente alla sua fine, e non potesse essere pertanto frutto di una semplice disattenzione, piuttosto di un’omissione volontaria, qualunque fosse stato il motivo per cui Sirius l’avesse fatto, di una scelta ponderata: perfettamente erano, quegli occhi, consci di tutto questo.
«Scusa, Felpato, io ho visto» continuò, mentre a tratti porgeva lo sguardo intimorito agli occhi di Sirius, pregandolo per il perdono di qualcosa che stava per fare e che, senza riuscire forse a comprenderne il motivo, intuiva essere sbagliato e forse grave, e allo stesso tempo rifiutandosi caparbiamente di accettare quella altrui risoluzione e guardandosi da quegli occhi come fossero quelli di un offensore.
«Peter» gli disse Sirius, quasi in un sussurro, mentre gli fermava le pupille in uno sguardo dall’apparenza inclemente e indocile, che non molto in fondo, però, tradiva la sorpresa e l’allarme di un intervento inaspettato.
«Tu non dovevi essere al campo, Peter?» osservò Remus, la fronte contratta in una piega sospettosa e gli occhi si facevano stretti e attenti sotto suggerimento di una cautela appena percettibile.
«E’ sparito per un po’» rispose per lui James: quest’ultimo studiava a sua volta Peter con vivo interesse, ma allo stesso tempo lievemente irrigidito, come anche lui in risposta a una certa prudenza. 
«S-sì» confermò Peter e mentre parlava evitava lo sguardo pressante di Sirius, divenutogli insostenibile. «Andavo a prendere la bacchetta che avevo dimenticato in Dormitorio» arrossì sulle guance per l’imbarazzo di quella confessione, «e mentre passavo per il parco ho visto loro due». Quindi cercò per un breve istante gli occhi di Sirius, ma incapace di reggerne la portata della loro condanna, ne sfuggì nuovamente. Questi non poté vedere lo sguardo di Remus su di lui, a scrutare attentamente i suoi lineamenti contratti, non poté vedere neanche James che invece teneva gli occhi sul più riservato di loro - e forse per questo il più imprevedibile - con l’aria di chi non si aspettava un intervento simile e desiderava saperne di più. Non li vide perché i suoi occhi erano irrimediabilmente fissi su quelli pavidi di Peter.
E non si mosse, non fiatò, bastava il suo silenzio a farsi sentire e Peter lo sapeva: e fu per questo che scelse di non guardarlo mentre parlava, illudendosi che non accogliere con lo sguardo le mute richieste di silenzio che urlavano gli occhi di Sirius bastasse a discolparlo da qualunque cosa stesse compiendo, della cui gravità non riusciva a cogliere chiaramente l’origine e la ragione, né gli aggrovigliati e irraggiungibili confini.
«Li ho visti litigare, Sirius le ha detto che avevamo intenzione di non vederla più, discutevano sul fatto che lei fosse innamorata di qualcuno…». Parlava frettolosamente, quasi senza prendere fiato, con il tono ansioso e colpevole e l’urgenza di chi si illude che fare qualcosa di sbagliato più velocemente possa in qualche modo ridurne la gravità. «E l’ho vista fare una magia di fronte a lui… un incantesimo evanescente su una piuma, che però non è riuscito» continuò fremendo. Sirius avvertì il suono dello stupore di James e, anche se non lo sentì, poteva immaginare quello muto di Remus, ma era lo stupore di una deduzione sbagliata, perché non era per lui che la piuma non era sparita, come Codaliscia aveva lasciato supporre.
Come risvegliandosi, si riscosse: non poteva più lasciarlo continuare e si sentì un idiota per non averlo fermato prima.
Spostò d’istinto la mano sulla bacchetta che sporgeva dentro la veste, mentre Peter proseguiva: «Non era per causa sua però» disse più esitante, e gli occhi gli tremarono ancora nel realizzare che ciò che avrebbe detto ora era la cosa più grave, la più imperdonabile intromissione nell’intimità di qualcuno.
«Peter» lo ammonì Sirius, cercando di mantenere i nervi saldi, convinto ancora che l’amico potesse in qualche modo realizzare di dovere interrompere il racconto, prima di sconfinare in ciò che non gli apparteneva e che non era previsto venisse rivelato. Ma Peter non lo ascoltò e proseguì.
«Non è di lui che è innamorata»
«Peter»
«Né di noi»
«Diavolo, Peter!». Sembrava non sentirlo, e non si sarebbe fermato. Per qualche motivo, riteneva di vitale importanza rivelare anche quell’ultimo particolare, il nome di quel ragazzo, nonostante quanto avesse detto fosse già perfettamente sufficiente a rovinare ogni garanzia Sirius avesse assicurato, a se stesso e a loro, ogni protezione avesse laboriosamente eretto: ma oltre ogni cosa, oltre alla consapevolezza dell’irrilevanza di quell’ulteriore rivelazione, c’era la stupidità che era in grembo a quell’ennesima dimostrazione di egoismo, c’era la prepotenza dell’irruzione di Peter in qualcosa di cui non sarebbe mai dovuto venire a conoscenza e la sconcertante facilità con cui adesso, quella cosa, la stava rivelando; e, in qualche modo, tutto ciò gli apparse una così assurda mancanza di rispetto, una così irrimediabile violazione dell’intimità di lei, e, nonostante Elyn non avesse confidato neanche a lui volontariamente quella informazione, il fatto che adesso Peter la stesse per raccontare gli parse una tale meschina violenza a lei, alla sua persona, alla sua fiducia, che fosse questa o no un fantasma, da risultargli molto più imperdonabile di quanto non gli apparisse la sua stessa negligenza nel tentare di recuperare quel rapporto, che si sarebbe potuto sanare semplicemente rivelando con trasparenza come non fosse in realtà tutto compromesso da una stupita infatuazione come loro avevano creduto; gli apparse più intollerabile di quel suo operare attivamente per oscurare la realtà dei fatti, conducendo, lui stesso, alla sua inevitabile fine, ciò che in tutti quei mesi era stato creato, non solo da lui e Elyn, ma da tutti loro. Quello che Peter stava per fare gli parse più inconcepibile e inaccettabile di quanto, senza vederlo, non stava lasciando che fare a se stesso: più che a ogni altra cosa, più che un affronto alla sua lealtà, alla sua coscienza e alla sua persona e alla persona di Elyn, più di tutto questo - senza che però avesse la forza o la capacità o il desiderio di rendersene conto - un affronto a tutto quello che tra loro e lei c’era stato, se c’era stato, e anche se era qualcosa che adesso apparteneva al passato, anche se era qualcosa che, paradossalmente, ora desiderava ardentemente, con ogni spasimo del suo corpo, distruggere, cancellare, annientare.
Fu tutto questo, seppur non l’avesse realizzato che in seguito, che gli fece sentire lo stomaco in fiamme e chiudere le dita intorno alla bacchetta, senza pensare al fatto che colui che gli stava davanti non era che Peter e semplicemente guidato da un istinto primordiale e cieco.
«Non è di lui che è innamorata» così aveva cominciato, «né di noi» aveva continuato, e adesso volgeva alla conclusione: «Ma di...»
Appena prima che Peter avesse concluso la frase, proprio nel momento in cui Sirius stava per puntargli addosso la bacchetta, Remus si alzò bruscamente mandando rumorosamente per terra la sedia dietro di lui.
«Basta!» sbottò di colpo verso Peter, che sobbalzò atterrito. «Stai esagerando, Peter, chiudi il becco ora
James lo guardò sbigottito, senza capire, mentre Sirius con in cuore che gli galoppava nel petto e la testa ancora febbricitante per l’emozione rinfilava la bacchetta nella veste. Remus non se ne accorse, ma con la fronte imperlata di sudore e gli occhi ancora accesi dalla tensione Sirius gli rivolse uno sguardo in cui trovò spazio una riconoscenza che era intensa e insperata, mentre mormorava fra sé, senza che nessuno lo sentisse, in un sospiro sollevato e rabbioso allo stesso tempo: «Godric ti benedica, Remus».
«Peter, non c’è bisogno che tu dica ogni cosa, soprattutto se quelli di cui parli non sono affarituoi» continuò Remus in tono perentorio, senza esitazione, intrappolando Peter in uno sguardo così inflessibile che questi non riuscì a sfuggirne neppure una scintilla, e nonostante in nessuna parte del suo corpo lasciasse sfuggire alcun eccesso in maniera squilibrata, negli occhi ferrei e autoritari di Remus era chiara la sua innegabile insofferenza, per quanto misurata fosse.
«Io... Remus, io...» balbettò Peter disorientato, ma prima che realizzasse di dover articolare una scusa decente, sentirono la porta di uno dei dormitori maschili aprirsi in cima alla torre, dopodiché ne sentirono una di un dormitorio femminile, e un’altra e un’altra ancora, fino a che non riuscirono più a individuare il numero di porte che si aprivano e a contare il rumore di piedi riversi sulle scale a chiocciola. Ci furono una innumerevole quantità di vestaglie e pigiami, e di pugni in aria che brandivano bacchette in lumos senza che ce ne fosse realmente bisogno, visto che i quattro protagonisti della scena erano ben illuminati dal fuoco crepitante, e ci furono dei bisbigli e dei mormorii, e degli sguardi sorpresi e meravigliati di fronte alla vista di Remus in piedi sopra tutti, e della sua sedia rovesciata per terra.
«Che sta succedendo qui?!» urlò il neoprefetto di quinto anno Charlie Rooney, che si fece spazio in mezzo alla calca sulla scala.
Remus, fedele a quella sua radicata timidezza, esitò in un primo momento di fronte alle numerose decine di bocche dischiuse in segno di sbigottimento e di occhi che assistevano avidi alla scena e che in particolare rivolgevano a lui sguardi di stupore e sconcerto e di attesa, come se tutti si aspettassero logicamente che fosse lui, in quanto ritenuto responsabile dello scompiglio, a dover parlare e rispondere dei fatti. L’attimo di esitazione fu subito scacciato dalla rinata sicurezza con cui ogni fibra di Remus si ricompose subito dopo e dalla realizzata consapevolezza del fatto che lui sembrava essere l’unico presente in grado di rimediare alla situazione e in qualche modo difendere le loro posizioni. James era infatti, se possibile, ancora più allibito di ogni singola persona la cui pianta del piede giaceva in quel momento nel pavimento della torre di Grifondoro, e volgeva gli occhi stupefatti a destra e a sinistra, totalmente incapace di prevedere da chi aspettarsi la prossima mossa.
Sirius si era soltanto all’inizio voltato d’impulso in direzione delle porte che si aprivano e delle figure che si accalcavano sulle scale; subito dopo aveva riguidato lo sguardo indietro, quasi docilmente, ancora tutto carico di ogni singola tensione, apprensione e ansia di cui s’era ammalato solo pochi istanti prima e che s’erano ora mutate in sentimenti sospesi che non identificò neanche, dal momento che ogni suo atomo, rispondendo al controllo di un groviglio indefinito di emozioni violente e offuscate che ormai subordinava ogni fibra, pensiero, intenzione di quel suo corpo, si concentrava ora semplicemente, in un eremitico silenzio, sopra la figura di Peter, che pareva essersi ora rimpicciolito sul tappeto a ridosso del focolare, nel punto in cui solo qualche minuto prima assisteva alla troncata partita a scacchi, e dove adesso sembrava in grado di fare nulla, se non puntare lo sguardo sui suoi propri piedi, senza osare levare la testa.
«E’ tutto apposto, Rooney» replicò Remus, manifestando un perfetto controllo della voce. «Stavamo proprio andandocene a letto» e detto ciò rivolse uno rapido sguardo, in un moto apprensivo, a ciò che sotto la sua figura eretta stava accadendo, attorno al tavolo in cui poco prima sedeva, e dove non trovò nient’altro che silenzio.
Come se Rooney avesse voluto immaginarsi di proposito una momentanea mancanza di sicurezza nel tono o nell’atteggiamento di Remus solo per crearsi l’occasione di poter affermare nuovamente la propria autorità, ricambiò le sue parole con la stessa, infondata arroganza di prima: «Non mi pare proprio, Lupin, di avervi beccati proprio nell’attimo ameno in cui con letizia e di pari iniziativa concordavate di andarvene amorevolmente a letto».
La sua espressione era di puro trionfo e di esplicita sfida a trovare una replica degna di ciò a cui lui aveva appena divinamente dato vita. Qualcuno rise, possibilmente di scherno, ma ciò gli bastò per amplificare la baldanza con cui sostenne lo sguardo ben poco provato, seppur ancora indulgente di Remus.
«Rooney, giuro che leviamo subito le tende da qui, ma me la posso vedere io» disse, cercando di opporre un tono ragionevole, ma che però volse pericolosamente a una nota quasi desolata per quanto quell’interlocutore gli apparisse poco capace di collaborare in maniera intelligente.
«Te la puoi vedere tu, dici? Non mi piace, Lupin, il tuo modo irruento di vedertela con le cose» lo disse quasi con dolcezza, come quando si spiega qualcosa di semplice a un bambino, e con un movimento della testa lento e profondo e un accenno di sorriso, e modellando le sopracciglia perché assumessero una piega compassionevole, accennò lievemente alla sedia dietro il ragazzo, che con lo schienale per terra e le gambe per aria che puntavano verso di loro ricordava sgradevolmente l’immagine disturbante e impudica di una mucca che sospesa pendeva dal soffitto.
Remus seguì il suo sguardo voltandosi un istante dietro, poi riavviò di nuovo la testa in un movimento un po’ secco e scomposto che suggeriva quanto quella conversazione cominciasse a infastidirlo. Fissò per qualche istante il tappeto nello spazio tra le due scalinate con un’espressione urgente e concentrata allo stesso tempo, come se stesse selezionando le parole da usare per liquidare definitivamente la questione. Infine alzò gli occhi su Rooney che, in prima fila sul quarto scalino, stava attendendo la sua risposta, e disse: «Rooney, sono un prefetto e so perfettamente quello che devo fare. Mi dispiace di aver fatto rumore», mostrò loro le mani in un gesto accondiscendente e remissivo e abbassò per un attimo la fronte in segno di completa ammissione delle sue colpe, senza però mai abbandonare con lo sguardo gli occhi di Rooney per non concedergli alcun margine di sopravvento, poi rialzandola riprese: «Adesso ce ne andiamo nel nostro Dormitorio e il discorso si chiude qui». La sua espressione era così piena di quella costruita condiscendenza che anela a scongiurare ogni pur minima contestazione nel versante opposto, eppure manifestava chiaramente anche la sua così minima stima per quella persona - una considerazione che però non nasceva da una cattiveria caratteriale - e in maniera così evidente da indurre a credere chi avesse un po’ troppo sopravvalutato le capacità di Rooney che questa sua eloquenza espressiva potesse compromettere ogni possibilità di conciliazione tra le parti.
«Be’, dico solo che mi sembrava avessi delle difficoltà a rispondere delle tue funzioni, tutto qua» replicò Rooney, in tono adesso quasi disinteressato dietro il quale si celava l’insofferenza per l’inoppugnabilità degli argomenti e delle parole di Remus. Le scale cominciavano già a sfollarsi, qualcuno degli ultimi anni stava già tornandosene al proprio dormitorio, mentre ai più piccoli la scena destava ancora un ragguardevole interesse. Charlie indugiò ancora, probabilmente nel tentativo di trovare qualche obbiezione da opporre, ma non sembrava destinato a trovarne, e di lì a poco se ne sarebbe andato anche lui: sembrava che Remus fosse riuscito ancora una volta a salvarli.
«Sai, non credo che Remus abbia il minimo problema ad adempiere al suo ruolo di Prefetto, Rooney, se proprio vuoi saperlo. Non si scoraggia neanche con gente come noi» s’intromise James, dopo aver smaltito la confusione e riacquisito il suo bisogno di esprimere il suo parere in ogni occasione possibile, rivolgendosi a Rooney assai, forse troppo, gentilmente. Gli mostrò quindi un sorriso cordiale.
Ma per quanto delicato - e per una volta sinceramente tale - quest’ultimo intervento di James sembrò dare nuova vita allo spirito di rivalsa di Rooney, il quale riadottò l’atteggiamento offensivo.
«Sai, Potter» cominciò, ritemprandosi, e sembrava nuovamente risoluto a dare altro filo da torcere ai profanatori della quiete notturna. «Non lo dico per me, nossignore, lo dico per l-...»
«Chiudi quella maledettissima fogna, razza di idiota».
Chi aveva iniziato a salire i gradini in direzione dei propri Dormitori rielaborò le proprie intenzioni, provvedendo frettolosamente a riguadagnare sulla scala una posizione che rendesse loro nuovamente visibile la scena e la persona che aveva appena proferito parola. Rooney rimase a bocca aperta, interrotta nel compito di portare a termine la pronuncia di quella seguente eletta parola, come un pesce che vede le fauci dello squalo spalancarsi proprio davanti a lui e dallo sbigottimento non trova la forza né una ragione per chiudere la bocca prima di morire, né la paura concede in lui alcuno spazio ad una qualunque preoccupazione di salvaguardare e mantenere integra, se non altro, la dignità.
Anche Remus e James si voltarono verso Sirius, nascondendo alla meglio il turbamento che avevano anche in loro suscitato l’inespressiva calma e l’inusuale crudezza con cui l’amico aveva adoperato l’arma della parola. Lo trovarono nella stessa posizione in cui l’avevano lasciato, seduto sulla poltrona, con le spalle un po’ curve in avanti, con la testa un po’ volta in direzione delle scale, ma senza che sembrasse guardare nessuno dei presenti, neanche Rooney. Lo sguardo era solo rivolto in direzione di un punto sospeso poco più avanti delle scale, quasi sulla traiettoria del neoprefetto, ma ancora da essa discosto, come se non trovasse la forza o forse la voglia di girarsi completamente a guardare la persona con cui parlava, oppure come se non reputasse ciò che stava accadendo attorno a lui troppo degno della sua attenzione e concedendo loro la vista di quella sola mezza faccia avesse fatto molto più di quanto non ritenesse opportuno fare.
Prima di quel momento non aveva staccato gli occhi da Peter neanche per un attimo. A tratti lo aveva guardato solo per osservarlo, ma non precisamente con l’intenzione di studiarlo; altre volte, con una vaga consapevolezza di ciò, aveva aspettato da parte sua gli indizi di una reazione che non fosse il suo attuale starsene accucciato, ricurvo su se stesso come un bocciolo colpevole di dover sbocciare; i suoi occhi si erano, altre volte, semplicemente posati su di lui, senza che lo vedessero. In ogni caso, in quello che faceva e nel passare dall’una all’altra di queste occupazioni era stato guidato da nient’altro che un vago e debole grado di coscienza. Non era poi stato in grado di afferrare la consistenza e la composizione del tumulto di sensazioni che sentiva dentro, cosa che avrebbe dovuto richiedere una notevole e minuziosa applicazione di una lucidità e di una attenzione che in quel momento non possedeva, e impegno che non sembrava nelle condizioni di potersi prendere perché, semplicemente, era troppo mentalmente stanco perché potesse riuscire lucidamente ad affrontare quella situazione.
Davvero molto semplicemente, era stanco. E stufo.
In tutto quel tempo era rimasto quindi immobile, mentre il vago sentore di ciò che avveniva all’esterno di quel suo particolare stato catatonico non suscitava in lui alcuna reazione. Non aveva prestato molta attenzione al dibattito e alle parole che attorno a lui si sprecavano, anche se le sentiva, e in qualche modo - seppur guidata da nessuna prescrizione intenzionale - la sua mente gli inviava dei piccoli segnali di assunzione e in qualche modo faceva sapere in linea di massima alla sua coscienza - che in quei momenti sembrava quasi completamente assente - gli sviluppi fuori in corso e inviava brevi informazioni sul modo in cui se la cavavano gli amici, ma erano informazioni che lui non accompagnava arbitrariamente oltre la soglia dell’inconsapevolezza: non era questo un processo in cui si rendeva attivamente promotore e consapevole artefice, al contrario, la volontarietà del passaggio dell’informazione da un’elaborazione incosciente a una consapevolezza cosciente era una caratteristica che mancava a quelle brevi conoscenze che sentiva di avere solo occasionalmente, in aggiornamento dell’andamento esterno, come in risposta a un istinto di sopravvivenza: era come se queste informazioni fossero semplicemente parte di lui, frammenti, interferenze, come se gli nascessero da dentro e non invece che provenissero da un’osservazione e un apprendimento esterno: lui ne veniva semplicemente a conoscenza, ma non le cercava volontariamente, studiando gli accadimenti esterni; e se anche tutto ciò non fosse stato possibile, comunque, qualunque cosa facesse, non si accorgeva di farlo. Dentro si sentiva intanto solo una confusa e disordinata coesistenza di emozioni, che a tratti percepiva pallide come appartenenti a un mondo a parte, quando languiva in quel stato incosciente e isolato, e in mezzo alle quali a tratti, quando ristabiliva una qualche presa sulla realtà o forse su se stesso, ne sentiva emergere qualcuna in particolare, prevalere sulle altre in un eccesso improvviso, senza che riuscisse a identificarla nonostante ne avvertisse la prepotenza. Era stato più o meno questo il suo stato per qualche secondo, forse un minuto o due.
Dopo quella che a lui parse non un minuto, piuttosto un’eternità, qualcosa di cui si era totalmente accorto aveva ridestato però la sua consapevolezza, catturato brevemente il suo interesse: era stato Peter, che aveva solo per un attimo trovato il coraggio di alzare lo sguardo, ma incrociati i suoi occhi lo aveva subito ricacciato tra le maglie del tappeto. Quest’immagine aveva suscitato in Sirius un non indifferente senso di insofferenza, solo questo, un moto forse di rabbia o disgusto, ma era molto meno di quanto pensasse e molto più debole di quanto non fosse necessario per definirsi pericoloso; ma nel discriminare tra i tanti, finalmente, questi precisi sentimenti, si era sentito l’attimo dopo immediatamente bombardato da una moltitudine di informazioni. Aveva cominciato a sentire ciò che gli avveniva attorno e aveva udito Remus che tentava di far ragionare il neoprefetto: prima, quando languiva in quel suo stato di isolamento, aveva avuto solo una vaga idea di ciò che gli stava accadendo intorno e, seppur capisse essere una vera seccatura, non avrebbe mai potuto immaginare che la voce di Rooney, in una condizione di perfetta presenza a se stesso, avrebbe potuto urtarlo così tanto e così violentemente come ora aveva prova facesse. Riprendendo contatto con la realtà, aveva sentito proprio quest’ultimo dare rogne a Remus, con la sua stupida presunzione, e questi tentare di venire a patti con lui: ma la ragionevolezza di quest’ultimo si scontrava con l’ottusità insulsa del suo interlocutore, il quale lo aveva a sua volta accusato di non essere in grado di svolgere le mansioni che la sua carica gli imponeva di svolgere, la qualcosa, al solo sentirla, aveva letteralmente disgustato Sirius. James era intervenuto in aiuto di Remus, in un tentativo conciliante e collaborativo, talmente troppo aldilà dei suoi standard che gli era apparso quasi ridicolo nel farlo, e poi aveva sentito ancora una volta, di nuovo, daccapo e sempre all’infinito Rooney, quello stupido idiota aprire la bocca a pronunciare la prima parola di una replica che si preannunciava solo il prologo di una processione di altre inconsistenti ed estenuanti idiozie; e di nuovo, e di continuo, e all’infinito quella sua voce così infantile e così rivoltante che dava forma a miseri pensieri e si offriva arma di tortura a una mente ancora più frivola, piccola e insignificante. Lo aveva innervosito maledettamente quel suo atteggiamento indulgente, artificiosamente morbido, quel retroscena d’isterica presunzione da cui pescava quelle sue immacolate e assennate risposte, cercate tra le tante in modo che rispecchiassero inviolabili criteri di ironia, efficacia e un non troppo evidente beffeggio, accuratamente e vilmente celato dalla logica perfetta delle repliche, appositamente studiate per accattivarsi un pubblico nel quale non poteva lasciarsi sfuggire occasione di creare consenso.
Forse erano i sensi amplificati, o lo stato di precario controllo che esercitava sul suo proprio corpo e forse anche sulla sua propria immaginazione, ma Sirius in quel momento riconobbe nella voce del Grifondoro in maniera lampante e maledettamente chiassosa ognuna di queste cose e gli sembrò così intollerabile da poterci diventare matto: era il limite, non avrebbe potuto tollerare una parola di più o sarebbe scoppiato, esploso, diventato pazzo.
«Sai, Potter» aveva cominciato Rooney, con tutta la carica e il ridicolo risentimento di chi improvvisamente sensibilizza fino allo stremo il proprio ego e la propria persona e ogni più assurdo e irragionevole senso di giustizia solo per alimentare una qualunque stupida battaglia in difesa di chissà quale diritto, con l’unico intento, rivestendosi dei panni del paladino degli interessi altrui, di interpretarsi in realtà come il depositario fastidioso e molesto dell’unica missione di seminare rogne a chi abbia qualche sentore essere a lui ben superiore e in ogni aspetto migliore.
«Non lo dico per me, nossignore, lo dico per l-…»: loro” avrebbe dovuto dire, ma non ci riuscì, perché Sirius aveva parlato e lo aveva fatto senza sforzarsi di pensare a cosa e a come lo stesse dicendo, semplicemente aveva lasciato alla sua bocca dire una qualche cosa, e, pace dei cieli!, non lo aveva più sentito parlare, si era chiuso quel suo strazio di bocca e adesso, dopo tre o quattro secondi, miracolo del cielo, lo stava ancora facendo. Facilmente quella così poca padronanza che su se stesso esercitava in quel momento avrebbe potuto condurlo all’aggressività, ma così non fu, o almeno non gli parve, e lui stesso si sorprese. Non che gli importasse comunque: adesso tutto ciò che desiderava era non vedersi più davanti quelle anonime facce e, come non si era per alcun motivo trovato davanti l’esigenza di dover registrare la loro presenza fino a quel momento, sperava adesso di non doversi ritrovare a fare i conti con una simile necessità, prima di potersi considerare definitivamente al sicuro da una tale prospettiva, una volta raggiunto il Dormitorio, in modo da potersene tranquillamente andare a letto senza prima dover aver in qualche modo a che fare con nessuno di loro, fingendo che per tutto l’arco della giornata non li avesse mai incontrati.
Allora sì che si sarebbe sentito profondamente grato.
Come lui stesso si era accorto ma senza prestare al fatto molta importanza, era vero che quella sua precaria presenza a se stesso non lo aveva condotto a reazioni incontrollate e spropositate, come ci si sarebbe aspettati. Al contrario - ed era stato proprio questo a turbare i presenti e Rooney, ma soprattutto Remus, James e, anche se meno manifestamente, Peter -, Sirius aveva mantenuto una calma a suo modo assordante e, a seconda dell’inclinazione dei caratteri, anche rasente lo spaventoso. Così contrastante con quel suo temperamento turbolento e vivace che di un’occasione del genere (e cioè del contrasto con Rooney) non avrebbe fatto altro che raggirare il fastidio in suo favore, rendendolo ideale palcoscenico su cui manifestare le sue capacità ironiche e dare prova ancora una volta di quanto brillante fosse - seppur in onore a certi biasimabili fini e in virtù di certe altre discutibili, eppure realmente esistenti, inclinazioni -, stridendo con ogni sfaccettatura che di quel carattere conoscevano, questa nuova quasi ostinata chiusura era un aspetto estraneo all’immagine che di lui avevano, non tanto i suoi coetanei, ma i suoi amici, e che pure era sempre stata fedele alla realtà, più di quanto lui stesso non avrebbe saputo una più simile ritrarne di quella sua propria, infinita personalità.
Eppure, per quanto avulsa alla sua persona apparisse quella reazione e per quanto difficile risultasse loro attribuirgliela, c’era, in quella tensione contenuta, in quella impetuosità fatalmente ferita e gravemente oppressa, in quella grinta inaccettabilmente addomesticata e ridotta all’innocuità, una strana maturità, come però indesiderata, come, a dispetto di tutte le volte che non c’era stata e la sua presenza sarebbe stata invece fortemente indicata e in seguito delle volte rimpianta, come se questa volta fosse inappropriata e, in un modo quasi biasimevole, sbagliata.
Non vedendo in Rooney ancora alcuna reazione, dopo circa sette o otto secondi, Sirius si lasciò sfuggire, in quel volto un po’ cupo, una specie di sorriso. Non sapeva se fosse perché il fatto lo divertiva alquanto, o forse perché semplicemente questa incredule inoffensività che aveva investito l’avversario lo aveva quasi reso a sua volta incline ad appianare una volta per tutte le diatribe, nonostante avesse potuto divertirsi - come non avveniva molto frequentemente con il buonismo che circolava - con una vittima talmente sciocca e vulnerabile, come solo può esserlo uno che ha troppa stima di se stesso e troppo confida nelle proprie capacità. Era Sirius, in un certo senso, un perfetto conoscitore di tutte le tipologie di vittime in cui poteva incappare, e certo ormai molto raramente ne scopriva di nuove: l’esperienza l’aveva portato ad acquisire la capacità di scoprire molto velocemente i punti deboli delle persone, soprattutto se queste non godevano di una forte personalità e di una grande stima per se stessi, e talvolta gli bastava sentire solo poche parole, o il modo in cui esse erano pronunciate, per stanare le insicurezze di chi si trovava davanti, e allora era facile giocare proprio su quelle, riducendo le persone soltanto a individui estremamente fragili ed esercitando così un potere oppressore che talvolta, quando quelle poche volte capitava che si mettesse a rifletterci su un po’ più del dovuto, si ritrovava lasciarlo decisamente sorpreso. Ma ciò avveniva, per fortuna, molto raramente. No, non avrebbe saputo dire cosa lo portava a fare quelle cose con James, e in realtà non si chiedeva mai perché. Non gli procurava un qualche piacere perverso il veder addolorarsi le persone, né saziava in questo modo un qualche suo sadico bisogno di provocare sofferenza negli altri. In effetti, aveva il sospetto che non fosse proprio l’esito a valle delle loro azioni che lo spingeva a perseguirle, né era un bisogno a monte di essere lui il carnefice e autore di tale sofferenza: non credeva che fosse la sofferenza, in una qualunque delle sue manifestazioni, il motivo che lo spingeva compiere tali azioni. Le sue conclusioni, però, non andavano oltre queste semplici certezze. Sapeva che, ripensando a ciò che faceva, una volta fatto, non si sentiva in qualche modo migliore o meglio di prima, né era appagato, contento o compiaciuto di quello che aveva fatto; non necessariamente si sentiva male o pentito, questo no, ma a parte il fatto (e che neanche accadeva puntualmente) che alcuni di quei fatti – lui non li chiamava crimini, ma alcuni sostenevano esasperatamente che questo fosse il termine adatto, Lily Evans, per esempio - lo divertissero per la loro assurdità o perché fossero realmente molto buffi, e non per i suoi soli standard, sui quali un grosso numero di ‘qualcuno’ avrebbe anche potuto aprire una questione, ma evidentemente per i livelli di molti, visto che lui e James non erano esattamente gli unici due scemi a ridere quando capitava che una loro malefatta risultasse tutto sommato un’opera molto buffa; a parte tutto questo, questo innocente divertimento, non provava nient’altro che giustificasse una qualche forma di appagamento postuma a quegli episodi diversivi. 
In ogni caso, adesso si trovava davanti monsieur Charlie Rooney in persona, e di lui conosceva abbastanza da lavorarselo a colpi di punzecchiature e umiliazioni e convincerlo dopo meno di un minuto a rinchiudersi scornato nel suo Dormitorio per almeno una settimana, prima di rivederlo con quel suo muso sospettoso e beghino a ficcanasare liberamente tra gli affari altrui; tuttavia, la prospettiva non gli era poi molto allettante, e preferiva risparmiare a lui la pena e a se stesso lo sforzo creativo: nella sua mente rimaneva fedele il proposito di non impegnarsi in nessun’altra attività, prima di concludere quella giornata fin troppo lunga, che non fosse dirigersi nel suo letto e dormire.
Allora, per pochi istanti ritornò rivolto verso il focolare e vide, proprio mentre Peter sbirciava con lo sguardo sopra di lui, una vampata particolarmente vigorosa allungarsi come un braccio e inviare, come in avanscoperta, un’unica scintilla fuori dalla cornice del camino, che presto si dissolse: fu come un segnale, ed era sicuro di non possedere una valida interpretazione per ritenerlo tale, ma così lo recepì: dunque si alzò e si rivolse finalmente alle persone presenti. Aveva previsto il fatto che con ogni probabilità avrebbe trovato tutti i loro sguardi puntati su di sé, compreso quello di Rooney, che trovò meno miserevole di quanto non si aspettasse: provato sì, scosso, ferito nella sua usuale saccenteria, fors’anche evidentemente umiliato, ma non isterico, ripugnante né indecoroso, quasi freddo invece, rigido e più che mai contenuto. Anche Remus e James lo guardavano, ma quando incontrò i loro occhi distolsero lo sguardo.
«Perdonate il chiasso» disse con un tono e un volume che poco spessore concedevano a quelle parole – forse per la poca abitudine a scusarsi -, quasi come pronunciate di sfuggita e poco sentitamente, e che tuttavia erano sincere perché condivideva il loro stesso desiderio di quel silenzio che rivendicavano, e di cui sentiva in quel momento un estremo bisogno. Ma probabilmente nessuno le sentì come tali e forse per questo alle sue parole seguì solo silenzio. Quasi avesse aspettato di ricevere una risposta mai giunta, solo dopo qualche istante Sirius si decise ad afferrare il mantello ricaduto sullo schienale del divano e incrociò per un istante gli occhi irrequieti di Peter che tornarono a sfuggire subito dopo, volgendosi verso un lontano angolo della stanza.
Vedendolo così agire e interpretando le sue scuse come una chiusura del sipario, i Grifondoro cominciarono a muoversi a loro volta verso i rispettivi Dormitori, e qualche porta già si chiudeva. Sirius si incamminò verso le scale e mentre passava accanto a Rooney - il quale non si era ancora mosso ed era rimasto come prima, imperturbabile -, rallentando il passo perché lo sentisse, gli disse sinceramente scosso per quel suo stato: «Ehi Rooney, scusa», per poi proseguire per la sua strada.
Si sentì in pace soltanto una volta raggiunti gli ultimi scalini, prima del Dormitorio: anelava quelle mura, quella tana, quel rifugio dietro i drappi del baldacchino come nient’altro, ed era una sensazione dolcissima sentirsi la giornata alle spalle e conoscere esattamente cos’altro doversi aspettare da quella e la precisa successione, perché nient’altro poteva ormai accadere: solo il letto, il silenzio e la notte.
Ma stava per aprire la porta del Dormitorio, sentì un dolore alla schiena e la notte arrivò prima di tutto.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=545450