Phoenix.

di ranyare
(/viewuser.php?uid=39783)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Phoenix. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***



Capitolo 1
*** Phoenix. ***


.

Phoenix

The Last Song I'm Wasting On You - Evanescence

.

[Ray.]

.

Ingrano la marcia, sentendo il cambio maledire il momento in cui sono salita in macchina. Accelero bruscamente, il motore ruggisce in risposta al mio gesto violento, rabbioso.

Quarta.

Cento chilometri orari.

Sale di giri, il motore. Ringhia, ruggisce, vibra nel mio petto e nel mio corpo tentando di ridare vita a quel cuore oramai in pezzi. Inutile, anche solo provarci.

Quinta.

Centocinquanta chilometri orari.

La macchina ruggisce, strepita, protesta; ma non m’interessa, voglio solo che il rombo del motore copra l’urlo disperato che echeggia nel mio petto, voglio solo che la strada sfocata che sfreccia intorno a me cancelli le immagini che continuo a vedere di fronte al mio viso.

Ho davanti solo il volto di Ben. Il suo sorriso, i suoi occhi che brillano di una luce che ho arrogantemente, scioccamente, ingenuamente pensato che potesse rivolgere soltanto a me.

Ho davanti solo questo. Le fossette che si aprono lievi sulle sue guance quando sorride, una sua smorfia palesemente divertita, una linguaccia fatta alla fotocamera.

Un bicchiere fra le mani, un amico accanto.

E dita eleganti, smaltate di nero, posate sulla sua coscia. Dita che non sono mie. Una mano che non è la mia. Un corpo che non è il mio, accanto a lui. Lunghi capelli biondi, ricci, occhi dorati, espressione vacua, vuota.

Almeno questo. Pensavo di avere qualcosa, in più di quelle creature infime come lei…

Ho davanti soltanto Tamsin Egerton, ed il fiotto d’odio che sento invadermi la bocca rischia di provocarmi un conato di vomito, di rabbia, di dolore. Quel dolore che sento contrarsi nel mio stomaco, nel mio petto, quella morsa che si serra ghiacciata sul mio cuore infranto, ghermendola, come artigli di rapace.

Lei, accanto a lui.

Lei, che ride con lui.

Lei, che lo accarezza, che lo guarda, che si fa guardare.

Lei, vicina a lui.

Loro, che ballano, troppo vicini, troppo intimi.

Ed un ennesimo CRACK che risuona nel mio petto silenzioso.

L’acceleratore vibra sotto il mio piede, la frizione si alza e si abbassa frenetica, il freno e lo sterzo sembrano intuire la mia furia; assecondano i miei movimenti, mentre il vento fischia rabbioso dai finestrini aperti, dando voce al mio dolore.

Mi ha tradita.

Ben. Mi ha tradita.

Che stupida.

Che stupida, che sono…mi sono lasciata illudere.

Ho lasciato che facesse breccia nel mio bozzolo di ghiaccio e cinismo. Ho lasciato che le mie difese si abbassassero di fronte a quello sguardo, a quegli occhi neri che sento ancora pizzicare la mia nuca.

Per cosa?

Mi sono abbandonata ai suoi baci, alle sue carezze, alla sua voce; ho lasciato che mi riempisse, che diventasse indispensabile per la mia anima che già si dibatte in una terribile astinenza che minaccia di lasciarmi vuota, spenta, priva di vita.

Per cosa?

Mi sono illusa.

Mi. Sono. Illusa!

Perché non ne avevo abbastanza, vero? Perché non ne ho passate abbastanza! Perché non ho ancora imparato la lezione! No, invece di restare nel mio ghiaccio, nella mia solitudine, ho preferito rischiare! Mai, mai innamorarsi, è soltanto una fregatura!

E io? Io cos’ho fatto, invece?

La strada scorre, sotto ai miei occhi, senza che io possa davvero vederla. È appannata, dietro gli occhiali da sole le mie iridi sono velate di lacrime. Dietro quelle lenti che proteggono il mio dolore dal resto del mondo, piango.

Gli ho concesso qualsiasi cosa. Gli ho dato tutto. La mia anima, gliel’ho data. Il mio amore, il mio corpo, il mio respiro. Gli ho dato tutta me stessa, ogni sorriso, ogni lacrima, ogni sguardo pieno d’amore, io l’ho donato a lui. Per lui mi sono messa in gioco…per lui ho cercato la voglia di vivere, di combattere.

E lui?

Lui ha distrutto tutto.

E io?

Io, adesso, non sono niente.

L’unica cosa che mi è rimasta è l’ombra di un cuore; spezzato, frantumato, ridotto in briciole.

Ho dinanzi agli occhi della mente il suo sguardo, quando gli ho soltanto chiesto perché.

Ho ancora nel petto il suo silenzio; un silenzio che mi ha assordata, un silenzio che ha scavato rabbiosamente una voragine dentro di me. Una voragine che ha distrutto tutto, lasciando di me soltanto un patetico, fragile involucro vuoto. Spezzato.

E ho ceduto.

Io, Ray, ho ceduto. Me ne sono andata.

Ignoro il limite. Non c’è un limite al dolore che sto provando. Non c’è un freno alla sofferenza che mi sta dilaniando dentro. Non c’è nessun limite.

Sento ancora la pelle bruciare, là dove le sue mani sapevano accarezzarmi. Sento ancora la gola ardere, sotto le sue labbra che rapivano ogni anelito, ogni battito, ogni sospiro.

Lo sento ancora, lo sento ancora dentro di me.

Che sciocca.

Non esiste l’amore, Ray. Tu, proprio tu, avresti dovuto capirlo tanto tempo fa.

Will.

Il nome del mio migliore amico risuona violentemente nel silenzio del mio corpo distrutto, spossato. Stanco.

Angel.

Il visetto dolce della mia migliore amica fa capolino fra quelle maledette immagini, fra l’odio, fra la rabbia, fra il terribile vuoto – là, dove fino a poche, stupide ore fa c’era Ben.

Non smetto di guardare la strada. Il mio istinto è saldo, i miei sensi sono all’erta; eppure, vorrei soltanto morire, adesso. Ma me lo impedisco; non posso farlo, c’è ancora qualcuno. Qualcuno, che soffrirebbe nel vedermi andare via.

Non come Ben.

Non come ha fatto lui.

Lui, che mi ha lasciata andare via. Lui, a cui forse, dopotutto, non importa così tanto.

Ho le guance rigate di lacrime; scendono fin sulla gola, sul petto, cercando di lenire le bruciature che il suo tanto effimero – falso, sciocca ingenua – amore ha lasciato su di me.

Tremando, riesco a trovare senza guardare il telefonino, l’auricolare che porto con dita tremanti all’orecchio. Due tasti, un numero in memoria rapida; il numero di William.

Uno squillo.

Rispondimi, Will. Ho bisogno di te. Ho bisogno di voi. Vi prego

Due squilli. Tre squilli.

Rallento un poco, quando vedo una macchina, nella corsia opposta alla mia, supera un camion che la rallenta e si ritrova in senso opposto, proprio di fronte a me.

Quattro squilli. Cinque squilli.

Ci sono due ragazzi, lì dentro. Sento la musica house arrivare fino a me, li vedo ridere fra loro, li vedo mimare un brindisi con due bottiglie di birra.

Sei squilli.

C’è qualcosa che non va.

Sette squilli.

Non possono rientrare. Davanti al camion, altre due auto. Non c’è spazio.

Otto squilli.

Vedo me stessa serrare la mano sul cambio; sento il motore ruggire di dolore quando ingrano violentemente la prima, i giri che aumentano fino a superare la soglia critica.

Nove.

Mi vedo tirare il freno a mano, mi vedo sterzare con violenza verso destra. Da lontano, da fuori, come se non appartenessi più a quel fascio di nervi che è il mio corpo.

Vedo la mia macchina girare su sé stessa, le gomme che stridono sull’asfalto, il fumo che si alza minaccioso dal cofano e dagli pneumatici. Vedo i due ragazzi urlare, terrorizzati, provare a frenare.

Dieci.

Ben.

-Pronto, Ray?- Will, Angel.

-Will, Angie…vi voglio bene.-

CRASH.

 .

 .

[Will.]

La linea cade esattamente un istante dopo lo schianto.

Uno schianto. Il rumore dei freni che stridevano.

Ray…

Angel mi sta guardando, allibita, gli occhioni sgranati, più pallida di quanto non l’abbia mai vista. Ed anch’io sento il colore scivolare via dal mio viso, mentre il cuore sembra non voler accettare, il cuore accelera bruscamente per fuggire dalla brutta, brutta ipotesi che si sta formando nella mia mente.

Ray.

È uno scherzo.

Non può esserle successo qualcosa.

Non a Ray, non alla mia amica.

A lei non succede mai nulla di grave, lei riesce a salvarsi sempre, lei non…

È automaticamente, che compongo rapido il suo numero.

L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La preghiamo di riprovare più tardi, grazie.

Forse è solo caduta la linea. Forse ha solo il cellulare scarico. Forse era solo il suono di un piatto che si rompeva.

Passano lunghi minuti di silenzio, mentre guardo il telefonino spento, mentre cerco di capire. Sento la lancetta dell’orologio ticchettare.

Angel, accanto a me, è silenziosa; istintivamente, cerco la sua mano, le sue dita minute ed eleganti.

È calda, Angel, è qui. È qui con me.

Solo la sua presenza riesce a rischiarare la confusione che ho in testa. Solo sfiorandola, riesco a recuperare un barlume di lucidità.

La strada che porta a casa di Ray e Ben, da qui, è una soltanto. Forse Ray stava – sta – venendo qui. Forse se andiamo adesso, la troviamo. Forse…

Qualcosa, dopo dieci minuti di totale shock, scatta.

Angel si sta già vestendo, in fretta e furia. Io non me ne accorgo, non mi rendo conto di quello che sto facendo; sono già nell’ingresso, la sto già aspettando in macchina, mentre febbrilmente continuo a tentare di chiamare Ray.

-Will, andiamo!- Angie, la mia Angie, si fionda accanto a me, allacciando la cintura in fretta, la paura scritta sul viso.

Accelero con violenza, partendo forse anche troppo velocemente. Ma non può essere successo nulla, mi dico. Ray sta bene. Ray sta bene, Ray è forte, Ray se la cava sempre.

-Chiama Ben.- sussurro, posando il telefono fra le dita sottili della mia Angel. E lei annuisce, componendo immediatamente il numero del nostro amico, tremando mentre aspetta che lui risponda.

-Ben?- trema, lo sento. Ha paura. -Ben, dove sei? D-Dov’è Ray?- la sento chiedere, appena balbettante. Qualche attimo, qualche secondo di risposta, e vedo il suo volto incupirsi.

-Angie…- la chiamo, piano, tentando di non lasciarmi prendere dal panico. Panico che aumenta, quando un’ambulanza a sirene spiegate supera la nostra auto, dirigendosi nella nostra stessa direzione.

-Come, è andata via?- accelero, mentre sento la voce di Ben incespicare di là dal telefono, lo sento tremare, lo sento…piangere? Sta piangendo? Sa qualcosa che non sappiamo, sa se…

Ray…

-Ben, Ben calmati, devo sapere dov’è andata!- anch’io riesco a sentire le parole balbettate del mio amico.

-N-non lo so…penso stesse venendo da voi, io…- la voce di Ben, il respiro affannato di Angie, il rombo del motore sportivo nel cofano. Si spegne tutto. Clic.

Tutto diventa improvvisamente silenzioso, quando vedo l’ambulanza fermarsi quasi sgommando vicino a un qualcosa che si può definire come disastro.

Ci sono due macchine incidentate, in mezzo alla strada che la polizia, già accorsa, sta chiudendo.

Una delle due macchine è bianca; potrebbe somigliare ad un’Audi, se non fosse per l’intero muso piantato nel fianco della seconda auto. Una seconda auto che invece è verde, verde cupo; una BMW Coupé, completamente distrutta. Il pilota ha cercato di spostare l’impatto sul lato sinistro, girando la macchina; e l’Audi gli è entrata completamente nell’abitacolo, rendendo la bella auto soltanto un ammasso di ferraglia e sedili squarciati.

È bella, quella macchina.

Piace tanto anche a Ray.

E infatti, quando ha trascinato tutti e tre al concessionario – felicissima, perché finalmente ha potuto comprare la sua prima macchina veramente nuova –, ha scelto esattamente quella.

La stessa macchina che adesso è ridotta ad un ammasso di rottami.

Ci sono due corpi, stesi sull’asfalto, accanto alla BMW.

Due corpi.

Due corpi velati da un telo bianco.

Due corpi.

-Ray!- sento la voce di Angel fare eco nella mia, e bruscamente ci buttiamo entrambi fuori dall’auto, spaventati, terrorizzati, mentre a terra vedo tanti piccoli dettagli che riescono soltanto a farmi sentire ancora peggio.

Ecco lì un pupazzetto che Ray tiene in macchina. Teneva.

La pallina rossa, la pallina simile alle decorazioni cinesi, che è appesa allo specchietto. Era.

Due corpi.

Sento l’asfalto massacrarmi i piedi, quando mi fiondo assieme ad Angie verso le due macchine distrutte.

Ray.

Qualcuno ci ferma: entrambi, ci ritroviamo bloccati da braccia più forti di noi.

-Ragazzi, non potete passare, è…- vedo gli infermieri alzare la barella. Non li avevo scorti, prima; erano dietro l’auto di Ray, dall’altro lato rispetto a dove siamo noi, li vedo spostarsi rapidamente verso la loro ambulanza.

Vedo il sangue. Vedo tanto sangue.

-No…- sento sussurrare la voce spezzata di Angel, ed istintivamente la traggo a me, la stringo al mio petto, impedendole di guardare. Un istante dopo, la sento singhiozzare; piange, perché ha già visto quello che io non ho il coraggio di guardare.

Sangue.

Sangue ovunque.

Sul fianco, uno squarcio tremendo.

Il collo serrato in un collare, il viso una maschera rossa, densa, scura.

Pelle candida. Le da sempre fastidio essere così pallida.

Capelli biondi. Ci scherza sempre, dicendo che sembriamo gemelli.

-Ray…- sussurro, e sento il mio stesso viso deformarsi in una maschera di orrore.

Ray.

Ray.

Cristo, Ray…

Ha gli occhi chiusi.

Tamponano il sangue, ha un respiratore sul viso.

Ha gli occhi chiusi.

-Ragazzo, la conosci?- nemmeno mi accorgo di aver annuito.

-E’…è mia sorella…- è la mia voce, quella che sento adesso? Mi sembra così lontana, così vuota…ma sì, dev’essere la mia, perché l’agente improvvisamente mi lascia andare. Mi lascia libero, libero di muovermi, libero di andare da lei.

Ma non posso lasciare Angel.

Non posso costringerla a vederla.

Non posso lasciarla, non posso fisicamente lasciarla andare.

È la mia unica ancora. L’unica cosa che m’impedisce di crollare.

-Angel…- sussurro, ed è ricordarmi che lei è qui, che c’è, che singhiozza fra le mie braccia, ad impedirmi di crollare. La stringo forte, la stringo a me con tutta la forza che ho; ma non riesco, non riesco a non vedere il viso di Ray dietro le palpebre chiuse. Il viso spigliato, sarcastico, cinico; il viso che raramente si schiude in un sorriso, e quando lo fa è qualcosa di raro, qualcosa di veramente prezioso. Prima.

E dopo. La maschera di sangue. Gli zigomi spaccati, le labbra lacere, le guance pallide macchiate di rosso. Gli occhi chiusi.

E la sento. Quell’unica lacrima, rigarmi la guancia e correre a nascondersi fra i capelli del mio angelo. Quell’unica lacrima che mi permetto.

Avrò tempo, da solo, per piangere.

-Angel…dobbiamo seguirli.- mormoro soltanto, dopo quella che mi è parsa un’infinità. E, quando riapro gli occhi, vedo l’ambulanza ripartire.

Dobbiamo seguirla. Dobbiamo andare con Ray. Non la lascio sola, non adesso, non posso pensare di non…di…

Improvvisamente, mi ricordo di una cosa. Mi ricordo del telefono, mi ricordo di…Cristo, Ben.

Sfilo il cellulare dalla mano di Angie, e vedo che la chiamata è ancora aperta. Merda. Merda, merda, merda.

-Ben.- comincio, cercando di restare il più calmo possibile. Eppure, il colpo in pieno stomaco arriva lo stesso; arriva, puntuale, quando sento il singhiozzo strozzato dall’altra parte della linea.

-W-Will…Will, cos’è successo a R-Ray…?- lo sento singhiozzare, il respiro affaticato, stanco, quasi rantolante. Non voglio immaginare. Non voglio sapere come si sente, non voglio nemmeno immaginarlo.

-Ben, vieni immediatamente in ospedale.- è tutto ciò che riesco a dirgli. Sono freddo, lapidario; è l’unico modo perché riesca a darsi una scossa.

E infatti, quando parla di nuovo, è più calmo.

-…okay.-

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

My Space:

Dovute, dovutissime, obbligatorie spiegazioni.

Ho questa fanfiction, che sarà divisa in tre capitoli, in cantiere da...mesi, penso. Ne ho altre due, di carattere ben diverso (e anche di diversa ambientazione), in fase di stesura.

Allora, era parecchio che non scrivevo su Ray, Angie, Will, Ben. Premetto che questa fic sarà dai Point Of View dei due biondi, di Ray e di Will: perché alla fin fine, 'sti due bischeri sono due parti indistinte della sottoscritta.

Non è stata scritta in un periodo molto felice, come penso si possa notare ^^" lascio a voi i commenti e le domande, vi sottolineo solo che la foto incriminata è questa, scattata sul set del Viaggio del Veliero (sto contando i giorni all'uscita, sì. E' IN TREDDì! *O*):

*muori fra atroci sofferenze, Egerton!!!!!!*

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


phoenix 2 .

Phoenix

The Last Song I'm Wasting On You - Evanescence

.

.

.

[Ray.]

-Il battito sta scendendo, ha perso troppo sangue.-

Sento queste parole accanto alle mie orecchie, sento un tramestio frenetico, sento il suono di macchinari elettrici produrre un sacco di bip al mio fianco.

-Non ci arriviamo in ospedale, se continua così.-

Ospedale?

Ospedale?

No. No, no, no.

Perché ospedale? Cos’è successo? Non in ospedale, non in ospedale, qualunque cosa ma non voglio andare là!

-Cercate di fermare quell’emorragia.-

Emorragia?

Ospedale?

Cosa diamine sta succedendo?

Dannazione, sono qui. Sono qui, penso, il mio cervello funziona! Perché non riesco a parlare?

Perché mi sento…così?

Il mio corpo sembra non esistere…mi sento una presenza dietro i miei occhi chiusi, uno spirito che vaga in membra stanche, squarciate, morenti.

Emorragia. Ospedale.

Perché non mi ricordo niente?

“Pronto?”

Will e Angel.

La macchina che gira...

L'incidente.

Ho fatto un incidente in auto.

-Il cuore sta cedendo!-

Il mio cuore...ci credo che sta cedendo, tanto ormai non è nemmeno più integro, è frantumato...

-Defibrillare!-

Un lungo BIP prolungato segue quella parola, non ho sentito altro. Dea, che sonno...

Perché non la piantano? Spegnete quella macchina, ho bisogno di dormire, io. Lasciatemi riposare, ho freddo, datemi una coperta calda e lasciatemi chiudere gli occhi...

Lasciatemi dormire, non ho più voglia di stare sveglia.

Lasciatemi dormire, non ho più motivo di tenere gli occhi aperti.

Voglio abbandonarmi a questo buio che sento premere nei miei occhi, mentre quell'incessante BIP risuona ancora nella mia testa, e voci senza senso urlano intorno a me.

Voglio smettere, di sentire questo baccano. Voglio sprofondare nel mio baratro, annegando nel dolore, nella mia solitudine.

Ben non c'è.

Io sono qui, sto morendo, lo so.

E Ben non è con me. Forse non gli importa nemmeno, forse è con lei, forse per lui questa è la soluzione migliore, forse gli risolverò soltanto la pena di preoccuparsi per quella che non è altro che una ex...

Sento il petto gonfiarsi di lacrime, quando il suo viso esplode con forza nella mia mente, davanti ai miei occhi.

Ben.

Perché? Che cosa ho sbagliato, amore?

Perché continuo ad amarti, anche adesso, perché?

Perché, continuo a chiamarti amore, quando tu il mio l'hai preso e distrutto come qualcosa d’inutile, d’infimo, di terribilmente fragile?

Ben...

E finalmente sento quel BIP zittirsi, le voci intorno a me farsi ancor più concitate, ancora più frenetiche. Oh, state zitti.

Lasciatemi dormire.

Lasciatemi sognare...lasciate che smarrisca il senno, perdendomi nei ricordi più dolci che possegga.

-L'abbiamo ripresa! Forza, ragazza, ce la puoi fare!-

Per chi?

Per chi dovrei farcela? Will e Angie sono insieme...supereranno tutto, un po' alla volta. Ce la faranno. Non sono soli.

Ben...Ben, starà bene.

In fondo...a lui, cosa importa di me? Niente.

Ecco: quello che sono io, senza di lui. Niente.

E mi sento sospirare, una percezione lontana e staccata dal mio corpo. Mi sento abbandonarmi, finalmente, a quell'oblio che è lì che mi aspetta.

Ma non riesco a non piangere, nel silenzio della mia anima, il cuore che stride e si spezza ancora, urlando di dolore.

Niente.

 .

.

.

[Will.]

-E’ inutile che tu continui a chiedere, ragazzo!-

Inutile?

Non è inutile, dannazione. Non è inutile.

-Volevo solo sapere…- le parole muoiono sulle mie labbra, quando l’infermiera, esasperata, mi da le spalle e se ne va via.

Lasciandomi qui, solo, con un peso terribile che mi schiaccia a terra.

Ray.

Ray sta lottando.

Ray sta combattendo, Ray ce la farà.

Deve farcela, deve, dannazione. Deve, non riesco nemmeno a immaginare che non ce la faccia, che…dannazione, sorellina, resisti.

Sospiro, passandomi le mani nei capelli.

Vorrei urlare, vorrei prendere a pugni qualcosa, qualcuno. Vorrei sfogarmi, vorrei fare qualcosa, vorrei entrare in quella maledetta sala operatoria e costringere Ray a riprendersi, a svegliarsi, a prendere quella dannata zucca dura e ficcarci dentro un po’ di buonsenso.

Ray.

Ho voglia di piangere, Ray.

Non lasciarmi, sorellina, non lasciarmi. Ti prego.

Io non ce la faccio senza di te, Ray. Combatti, ti prego combatti come non hai mai fatto, Ray. Sei la mia guerriera, non ti ho mai vista arrenderti, ti prego non farlo adesso…

Sento le gambe tremare, le ginocchia che minacciano di cedere: sento un groppone doloroso annodarsi nella mia gola, un miscuglio di lacrime, di dolore, di paura.

Non posso perdere Ray.

Non posso rinunciare al suo sorriso, alla sua risata, alla sua ironia… non posso perdere mia sorella. Non posso.

Ray.

Cerco di prendere fiato, di ricompormi.

Cerco di tornare a indossare una maschera, cerco di reprimere il dolore dietro i miei occhi. Cerco di essere forte, come farebbe Ray.

Devo esserlo, perché adesso, c’è qualcuno che ha bisogno di me.

Torno lentamente sui miei passi, percorrendo in silenzio i corridoi asettici dell’ospedale. Gli infermieri mi superano, mi attorniano, m’ignorano: sono solo figure sfocate, inutili, che mi circondano senza nemmeno guardarmi.

Cammino in silenzio, le mani in tasca, finché non raggiungo la sala d’attesa dove abbiamo passato l’ultima ora e mezza.

Angel non mi vede arrivare; è seduta accanto a Ben, immobile, non dice niente. Ha le mani strette in grembo, gli occhi scuri chiusi, il volto più pallido di quanto non abbia mai visto.

Mi attraversa un brivido, nel vederla così; ho bisogno di stringerla, di abbracciarla, di sentirla vicina. Ho bisogno di lei, ora, più che in qualsiasi altro momento.

Non riesco, invece, a guardare Ben.

Non voglio.

Sento che non potrei reggere, nel guardarlo in faccia; non potrei sopportare la sofferenza nei suoi occhi, il terrore che gli segna il viso, la paura che ho scorto quando siamo arrivati qui.

Non ce la farei.

Per questo, non faccio altro che sedermi pesantemente accanto ad Angie, esausto.

Non c’è bisogno di dirle nulla; sento soltanto le sue dita sottili scivolare fra le mie, calde, soffici, sicure – e chiudo gli occhi, permettendomi di prendere un lungo respiro che riesce a reprimere tutta la paura che ho dentro.

Restiamo in silenzio, tutti e tre.

La gente passa davanti a noi, gli infermieri corrono, spingono carrelli, i medici si affrettano verso le stanze dei degenti. Nessuno si ferma a guardarci, nessuno si degna di rivolgere un’occhiata a tre vite in bilico.

È la voce di Ben, dopo quella che mi pare un’eternità, a spezzare il silenzio.

-E’ tutta colpa mia.-

 .

 .

Okay…facciamo lentamente il punto della situazione.

Ben è un coglione, questo non sorprende nessuno; s’è fatto fotografare con Tamsin Egerton, sua vecchia fiamma, non più di qualche sera fa. Quelle foto non sono proprio innocenti, a detta sua, anche se sostiene di non aver fatto nulla, con lei.

E ci credo, non riesco a non credergli: basta guardarlo in faccia, per vedere la disperazione, ed il terrore, che lo stanno distruggendo.

La cosa veramente tremenda, però, è che quelle foto sono finite in mano a Ray.

Riesco quasi a vedere il suo visetto sbiancare, le mani tremare davanti al computer.

Riesco quasi a immaginarla, al ritorno di Ben a casa, guardarlo come una belva ferita a morte e andarsene di corsa, senza lasciarsi fermare.

Riesco quasi a vederla, in macchina, premere con rabbia su quell’acceleratore – forse troppo, forse troppo poco.

Non riesco a guardarlo in faccia, quando finisce di parlare. Si è alzato in piedi, il mio amico, tradendo il senso di colpa e il terrore che lo riempiono, i pugni serrati e le labbra che si torcono.

Ma il mio sguardo, il mio sguardo è attirato da Angie, al mio fianco.

Sta tremando, la mia piccola.

Trema tutta, senza ritegno, senza controllo, i pugni che si stringono e le unghie che si piantano nei palmi. Il trucco sul suo viso è sfatto, il mascara è colato con le lacrime, ha le guance terribilmente rosse; ha pianto, tanto, troppo, mentre venivamo qui.

Ma negli occhi, c’è una luce improvvisa che riesce a spaventare anche me.

E'...è rabbia. E' odio, è dolore, è una marea di cose tutte insieme che vedo irrompere con la forza di uno tsunami negli occhi della mia ragazza, le labbra convulsamente serrate, strette, morse quasi a sangue.

Non faccio nemmeno in tempo a vederla. Neanche Ben ci riesce.

Scorgo solo il movimento dei suoi capelli sciolti, prima di vedere la sua manina tanto piccola alzarsi e con uno schiocco tremendo abbattersi in uno schiaffone sulla guancia del mio amico, con tanta forza da risuonare in tutto il corridoio.

Oh, Cristo.

-SEI UN LURIDO BASTARDO!- la voce di Angel esplode con la forza di uno sparo nell'androne deserto, più alta di diverse ottave dal normale, mentre vedo la sua mano stringersi di nuovo a pugno, pronta a dare battaglia.

Ben sgrana gli occhi, allibito; è la prima vera reazione che ha da quando siamo qui, è la prima volta che distinguo qualcosa di diverso dal terrore dipingersi sul suo viso. Guarda Angie con l'aria di un cane bastonato, gli occhi neri che implorano pietà, più scuri e vuoti di quanto non li abbia mai visti.

-COME HAI OSATO FARLE UNA COSA DEL GENERE!? COSA CAZZO TI E' PASSATO PER LA TESTA, IDIOTA CHE NON SEI ALTRO!?-

Ho paura. Ho seriamente, seriamente paura.

Gli occhi non si schiodano di dosso a Ben, infuocati e glaciali insieme, mentre la vedo prendere un respiro profondo; ne segue subito un altro, i muscoli della clavicola che si ammorbidiscono appena.

-Lei ti ha donato tutta se stessa, era tornata a vivere come non le capitava da anni. Ti ha amato come penso nessun altro sia in grado di fare. E tu l'hai portata a questo, per andare con la prima puttana che ti capitava a tiro. Mi fai schifo, Barnes.-

Sento qualcosa di sgradevole agitarsi nello stomaco, quando quelle parole tanto gelide arrivano a colpire anche me. Fa male sentirle, fa male sentire la voce di Angel piena di veleno, fa male vedere Ben crollare sotto quella pugnalata terribile; una pugnalata, che penso si sia meritato.

Non mi piace, vederli così, nessuno dei due.

Non mi piace vedere Angel tremare, non mi piace vederla infuriata come non mi è mai capitato (per fortuna, oserei aggiungere), non mi piace capire dai suoi occhi quanto stia soffrendo. Non mi piace, mi sento ancora peggio, nel vederla soffrire.

E non mi piace vedere Ben crollare ad ogni parola un poco di più, lo sguardo che diventa quello di una bestia ferita a morte, il già poco colore che svanisce dal suo volto.

Non mi piace.

   Non serve a niente    .

-Angel...- mormoro, con una voce spaventosamente diversa da quella che so appartenermi. Viene da lontano, la mia voce, viene da un angolino remoto che non si è ancora lasciato crollare.

Angie non mi ascolta, e la vedo prendere di nuovo fiato, pronta ad una nuova sequela di insulti da rivolgere a Ben.

Ma è inutile, arrabbiarsi adesso.

Non serve a niente, non farà sentire meglio nessuno, non aiuterà Ray in nessun modo.

Qualcosa si annoda nel mio stomaco, nel pensare il suo nome.

-Angie.- ripeto, la voce più ferma, più sicura, più simile alla mia. So che mi sta ascoltando, so che mi ha sentito, e so anche che non ha intenzione di darmi retta. Testona, come sempre.

Non serve a niente, Angel, non serve arrabbiarsi con Ben, non serve fare del male anche a lui…

Solo quando la vedo tentennare, sulle parole che le affollano la mente, muovo qualche passo. Un paio di falcate rapide, precise, e repentinamente le passo un braccio intorno alla vita, allontanandola da Ben.

La sento irrigidirsi, capisco immediatamente che vorrebbe essere lasciata andare, che vorrebbe ancora dirne di tutti i colori al mio amico. Ma non riesco a sopportare ancora un secondo di più quegli occhi neri e distrutti, e sento un ennesimo pugno nello stomaco quando lo vedo crollare su una sedia, completamente devastato.

-Angie, basta.- ed è forse il tremito che sento anch’io nella mia voce, a farla desistere.

Non so cosa fare, adesso.

Non so proprio cosa fare.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

My Space:

Eeeccomi qua con il secondo capitolo di Phoenix.

Allora....boh ^^"

Davvero, non so che cosa dire; è stata Fla a suggerirmi l'idea della sfuriata di Angel a Ben, io non ci metto mano (anche se concordo con lei :P).

E' una serata pesante, questa. E brutta.

So che è breve questo capitolo, ma era necessario; a dir la verità non mi convince, ma pace. Il prossimo invece mi piace, e dovrebbe arrivare fra qualche giorno, dipende da voi ^^"

Non so, di sicuro saranno più di tre capitoli. Ne conto quattro, o anche cinque ^^"

In più, ho in cantiere un'idea, un'idea di cui - scaramanticamente - non voglio parlare, per ora. Restate in occhio perché dovrebbero arrivare, a breve:

a) il seguito di Erotismo;

b) due one shot *comesopra*;

c) il prossimo capitolone di Narnia's Rebirth xD

 Lady Nionu [Contatta] Segnala violazione
 14/08/10, ore 14:57 - Capitolo 1: Phoenix.
Allora, innanzitutto GRAZIE per i complimenti!!! E anche per le informazioni su vell'altro scemo di Ben xD
Per Ben, la spiegazione è qua sopra, nel capitolo; magari può sembrare che Ray abbia esagerato, ma anche quello ha una spiegazione, lo Psicologo Moseley della situazione si darà da fare per districare questo garbuglio (poveretto) xD
Grazie mille per tutto!!! Spero di leggere un tuo commento a questo :)
 QueenBenedetta [Contatta] Segnala violazione
 11/08/10, ore 20:00 - Capitolo 1: Phoenix.
Aggiornato :) eeeeh per Ray...quel che le è successo si saprà fra un pò ^^" grazie per il commento, spero di leggerne un altro per sapere cosa pensi di questo capitolo!!!
 SlytherinAngel [Contatta] Segnala violazione
 08/08/10, ore 22:09 - Capitolo 1: Phoenix.
Eccotelo qua il tuo rovescio, l'hai scritto praticamente tu xD E comunque io incidenti in macchina non ne faccio, lo sai anche te che se anche piango o sto male, guido sempre in modo eccellente *della serie, tiriamocela*
Non so che risponderti però, dato che c'è msn acceso e ne abbiamo parlato tanto ^^"
Love you <3
 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 08/08/10, ore 21:52 - Capitolo 1: Phoenix.
quello sciroccato di Ben è un coglione *annuisce vigorosamente*
Stavi tifando per Angel, vero? T'ho scoperta xD
Se proprio devo dirlo, anche io ero lì con tanto di ponpon e bandierine xD
Mi sa che il periodo triste è tornato, mi sto concentrando parecchio su questa storia -.-
Comunque sì, ci ho pensato per le somiglianze; ma siamo messe davvero davvero male, se tu somigli a Ben e io a Willl...xDDDDDDDD
Ti adoro tesoro, un abbraccio forte <3
 Alchemia [Contatta] Segnala violazione
 08/08/10, ore 21:47 - Capitolo 1: Phoenix.
Aaaaah il dolore mi sa che ce ne sarà ancora parecchio xD
Tanto le cose simpatiche non le so scrivere, è appurato =.='
La normalità non sarà mai il mio mestiere...bah, io e te ci sentiamo su msn xD

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


phoenix 2 .

Phoenix

The Last Song I'm Wasting On You - Evanescence

.

.

.

[Will.]

Le ore passano, passano una dopo l’altra.

Una, due, tre. Alla quarta, non ho più nemmeno la voce per chiedere alle infermiere qualche notizia sulla mia amica.

Non ce la faccio più.

Non la sopporto più, quest’attesa.

Angie è seduta accanto a me, la sua mano piccina è stretta nella mia. Non abbiamo parlato, non ci siamo detti nulla; ma siamo qui, siamo insieme. È il calore delle sue dita affusolate che mi da la forza di continuare ad aspettare, di non esplodere da un momento all’altro.

Ben è di fronte a me, seduto nella stessa, identica posizione ormai da ore. Ha lo sguardo vacuo di chi non vuole reagire, le mani fra i capelli, i gomiti appoggiati alle ginocchia. È crollato dopo la sfuriata di Angel, non ha più fatto, o detto, niente.

Vorrei dirgli qualcosa. Vorrei rassicurarlo, vorrei…

Ma chi voglio prendere in giro?

Nemmeno io so come evitare quest’ansia, non riesco nemmeno a evitarla a me stesso… non posso fare niente. Né per Angel, né per Ben…e nemmeno per Ray.

Ray.

Ray è là dentro, Ray sta continuando a lottare.

Guardo l’orologio per l’ennesima volta: cinque ore, cinque ore e quattordici minuti.

Sono passate ormai sei ore, dall’ultima volta che ho visto la mia amica.

Sei ore.

Troppe.

Non ce la faccio. Non ci riesco, non ci riesco, non ci riesco.

Mi sta uccidendo. Non ce la faccio ad aspettare, non ce la faccio a stare qui seduto, ad attendere, mentre…

Ho freddo.

Non è il freddo dell’autunno, non è il freddo delle nuvole che riempiono il cielo. Anche le nubi piangono, oggi, ma io non ci riesco: non posso piangere, nonostante queste lame fredde sotto la pelle, nonostante questo gelo che mi riempie e mi svuota al tempo stesso.

Non posso piangere. Non posso.

Sospiro, sentendo l’aria ruvida e asettica ferirmi la gola, i polmoni, scendendo come carta vetrata a distruggere ancora un poco il mio autocontrollo. Ho perso la cognizione del tempo, lo so, me ne accorgo quando mi rendo conto che il mio orologio ormai non ha più la minima importanza.

I minuti passano, lentamente. Tic, tac. Tic, tac. Le uniche cose che avverto, sono la mano di Angie nella mia e il ticchettio dell’orologio.

Tic, tac.

Tic.

Tac.

-Signor Moseley?-

Niente mi sorprende di più in questo momento, che sentirmi chiamare signore.

Alzo lo sguardo nello stesso istante in cui anche Angel, riscuotendosi da quello stato di apatia che ha colto tutti e tre, si volta per vedere chi mi ha chiamato.

C’è un medico, dinanzi a me, il camice bianco e la dicitura “chirurgo” sul cartellino.

Ray.

-Sono io.- rispondo immediatamente, alzandomi in piedi con tutta la velocità che posseggo.

Angel si alza con me, persino Ben sposta lo sguardo scavato, vacuo, sull’espressione seria e compita del dottore.

Sono io, che devo parlare. Lo sento, lo so, me ne rendo conto quando vedo che il chirurgo sta guardando me: probabilmente, mi hanno davvero scambiato per il fratello di Ray, qui.

Non mi dispiace.

-Sa dirmi come sta?- chiedo, senza preamboli. La voce mi esce rauca, roca, non sembra nemmeno la mia.

Il medico sospira, gli occhi scuri che sostengono i miei.

-La ragazza ha riportato diverse lesioni.- comincia, ed ha un tono tanto sicuro lui, sembra tanto certo di ciò che lo circonda…lo invidio, per questo. Io, da quando sono qui, non credo di sapere più niente. -Il braccio sinistro presenta una frattura scomposta, il volto ha riportato diverse microfratture.-

Sento lo stomaco contrarsi, quando la vivida immagine del volto di Ray mi si ripresenta alla mente.

Una maschera di sangue.

-Ha perso molto sangue dalla ferita al fianco, la lacerazione ha provocato diverse emorragie interne. Abbiamo dovuto asportare la milza.-

Chiudo gli occhi, per un istante.

Fa male.

Un orribile squarcio sul fianco.

Guardo Ben, e per un istante credo davvero che sia sul punto di crollare. È pallido, più che mai, le mani sono serrate sullo schienale della sedia: non oso, non voglio immaginare che cosa sta passando adesso.

Stringo più forte le dita di Angel nelle mie, quando mi accorgo che il dottore non ha ancora finito. Sospira – si passa una mano sulla calvizie incipiente, sfregandosi gli occhi stanchi.

-Il trauma più importante, però, è quello cranico.-

No.

No, no, no.

-Non sappiamo quando si sveglierà, né…se.-

No.

No, vi prego, no.

La sento, la supplica nei miei occhi, quando vedo il chirurgo rivolgermi un’occhiata dispiaciuta.

-È in coma.-

 .

No.

Ray.

No. Non è vero, non può essere vero, non è possibile che succeda tutto questo proprio a lei. Non alla mia sorellina, non a Ray…

No.

Non riesco più a sentire il medico, che cerca di spiegarci dettagli che non voglio più sapere. Non riesco più a vedere Ben, che crolla su quella sedia, impotente e devastato anche più di me.

Non riesco più a vedere nulla, perché i miei occhi si riempiono repentinamente di quelle lacrime che non riesco più a fermare.

-La ringrazio, dottore. Will, vieni via.-

Angel.

Quella manina calda stringe più forte la mia, quando mi sento trascinare lontano, via da quel corridoio dove ho appena ascoltato la sentenza più orribile della mia vita.

È in coma.

La mia migliore amica, è in coma.

Non sappiamo quando si sveglierà. Né…se.

Angel.

Angie mi porta via, non so dove stiamo andando. Non m’importa, l’unica cosa che voglio sentire è lei, e la sua mano che stringe la mia.

Non mi rendo conto di nulla. Non mi accorgo di essere fuori dall’ospedale, perché l’aria che forza i miei polmoni è pesante allo stesso modo, non mi rendo conto della portiera della macchina che sbatte.

Sento soltanto qualcosa lacerarmi il petto, il cuore, lo stomaco; tutto, tutto viene distrutto, frantumato, ridotto in mille pezzi, quando quella parola risuona ancora una volta nella mia testa.

Coma.

-Will…- la voce dolce di Angel è un balsamo, un lieve calore che riesce a tenere insieme tutti i cocci.

La prima lacrima scende senza che davvero riesca a sentirla.

Non la sento. Non me ne accorgo, non l’avverto proprio.

Poi ne scende un’altra.

Un’altra, e un’altra ancora.

Lascio che le lacrime solchino le mie guance, che la mente si annebbi ancora di più, senza percepire niente altro che la presenza della mia compagna.

Sento un rumore, un bip e serrature che scattano, prima di ritrovarmi seduto al caldo con Angie accanto a me.

Mi guardo un secondo attorno, notando l'interno della mia macchina; guardo Angel, che annuisce appena, accarezzandomi una guancia, asciugando delicata le gocce salate che non smettono di scendere.

   Siamo soli, Will. Adesso puoi sfogarti.    

Ti amo, Angel.

Ed è adesso che, finalmente, tra le sue braccia che mi stringono forte, posso piangere senza controllo.

Lascio che quei singhiozzi si sfoghino, sulla spalla di Angel. È così piccino il mio angelo, è così soffice, e calda. Io invece ho soltanto freddo, un gelo che mi penetra nelle ossa e mi costringe a tremare, fra le braccia di Angie.

Non ho mai tremato tanto, non mi sono mai sentito in questo modo.

Non riesco a non risentire quelle parole, non riesco a non rivedere la mia amica in quello stato.

Potrebbe non svegliarsi più.

Mi mordo le labbra, sentendo le lacrime scorrere più veloci, più impetuose.

Serro le braccia sui fianchi di Angie, ma la mia stretta è debole, è piena di terrore. Quasi non mi rendo conto delle sue dita che mi accarezzano i capelli, di lei, che mi stringe contro di sé mentre tutto, dentro e fuori, va a pezzi.

-William, amore.- Angel sussurra appena, cercando i miei occhi.

Alzo a fatica il viso coperto di lacrime, senza provare nemmeno a calmarmi. Non ci riuscirei, lo so già.

-Will, non voglio dirti che andrà tutto bene e che Ray sopravvivrà. Ma dobbiamo aver fiducia in lei; è forte, è testarda, e dobbiamo convincerla che se dovesse lasciarci soffriremmo. Lo sai com'è, continua a lottare solo se ha qualcuno per cui farlo. Per questo ti chiedo solo di non perdere la speranza.- spiega, dolcemente, accarezzandomi i capelli e la guancia, gli occhi scuri lucidi quasi quanto i miei.

Non perdere la speranza.

Non mi è mai sembrato tanto difficile, mai.

Lo so com’è fatta Ray. Non combatte, non lotta, se non ha qualcuno per cui farlo: non è mai servito a nulla cercare di convincerla che dovrebbe battersi per sé stessa, perché anche lei vale qualcosa…molto più di quanto possa immaginare.

Annuisco appena, i singhiozzi che continuano a scuotermi.

Non perdere la speranza.

Non posso arrendermi adesso. Non posso, non posso farlo, non posso gettare la spugna ora.

Per Ray, e per Angel.

Per le donne della mia vita: per mia sorella e per il mio piccolo angelo.

Prendo un paio di respiri più profondi, cercando di calmarmi un poco, cercando di fermare quelle lacrime. Quelle lacrime che non penso dimenticherò facilmente, che sento calde e salate sulle labbra, sulle dita.

So che dovremmo tornare, so che c’è Ben che ha bisogno di noi, che Ray ha bisogno di noi.

Ma voglio restare qui, ancora un po’, senza affrontare tutto ciò che c’è là fuori. C’è dolore che ci aspetta, c’è sofferenza, c’è paura.

Qui, invece, c’è Angel.

La stringo nuovamente a me, e la sento accoccolarsi sul mio petto. Appoggio la guancia contro i suoi capelli, respirandone il profumo, sentendo il suo corpo caldo fra le mie braccia.

Lasciatemi qui, ancora un po’.

Voglio solo pensare ad Angel.

 .

Torniamo in ospedale soltanto quando il buio ormai incalza il cielo; l’oscurità avanza, ormai è sera inoltrata… se penso che stasera dovevamo uscire, tutti e quattro, il dolore che mi attanaglia lo stomaco si fa di nuovo vivo, più vivo che mai.

Cerco di non pensarci, quando Angel mi lascia un lieve bacio sulle labbra e si dirige verso il bar dell’ospedale. Già lo sappiamo entrambi, non penso che stanotte ci muoveremo da qui.

Io torno su, torno in sala d’attesa. C’è qualcuno, adesso, che ha bisogno di me più di chiunque altro.

Ben è rimasto lì, su quella stessa sedia dov’è crollato. Ha gli occhi chiusi, la testa fra le mani, la schiena scossa appena da lievi sussulti.

Sta male.

No, dire che sta male è un eufemismo: sta soffrendo come un cane, sta patendo un dolore che non voglio, non voglio nemmeno provare ad immaginare.

Mi siedo accanto a lui, notando soltanto adesso le sue guance arrossate, l’espressione stravolta che gli riempie il viso. Ha pianto, ne sono certo.

Non so che cosa dirgli. Che cosa si può dire a una persona che ha visto la propria vita crollare, nel giro di poche ore?

Non so cosa vorrei sentirmi dire, al suo posto: probabilmente non vorrei ascoltare nessuno, non vorrei nessuno accanto. Vorrei stare da solo, a incolparmi di quello che è successo, di quello che…

No, dannazione.

-Ben.- non si muove, non alza lo sguardo. Non reagisce.

Non sopporto di vederlo così. Non sopporto di non capire quanto sta soffrendo, non sopporto di sapere che sta così male, non sopporto niente.

Non sopporto, soprattutto, di non sapere cosa fare.

Sono due ore che se ne sta qua, immobile; non pensavo nemmeno che ne fosse capace, che fosse in grado di rimanere fermo tanto a lungo…

Mi sento un idiota, a restare qui senza dire nulla: ma cosa posso fare? Ben si è rinchiuso in un guscio da cui non ho speranze di tirarlo fuori, lo conosco troppo bene per non saperlo. Persino ad Angel non darebbe retta – e sì che la ascolta sempre, o quasi.

Fa male, sapere che l’unica persona in grado di rimetterlo in sesto è la stessa per cui sta così male.

Non perdere la speranza.

Continuo a ripetermelo, ogni volta che il viso di Ray fa capolino fra i miei pensieri. Devo convincermene, non posso crollare adesso – non più.

-Tieni.- sobbalzo, quando la voce gentile di Angel risuona a mezzo metro da me; non mi sono nemmeno accorto del suo arrivo, eppure è proprio qui, di fronte a noi – di fronte a Ben, e gli porge con un cipiglio amichevole ma severo un bicchiere di carta, da cui proviene l’inconfondibile profumo del caffè.

Anche Ben alza lo sguardo, sorpreso dalla mancanza di astio nella voce di Angie più o meno quanto me.

Lo sta guardando, con un cipiglio tanto da mamma che per un istante, bizzarramente, sorrido.

Ben la guarda in silenzio, senza un’emozione vera che arride al suo viso.

Con lentezza accetta il bicchiere, prendendolo fra le mani che mi sembrano maledettamente tremanti, insicure.

-Bevilo, ne hai bisogno.- la voce di Angel sembra non fare troppo effetto su di lui; guarda quel caffè in silenzio, lo sguardo di nuovo basso, lontano.

È Angie che s’inginocchia di fronte a lui, prendendogli il viso fra le manine e costringendolo a guardarla.

-Ben, per favore. Non ti serve a niente stare così, né a te né a lei.- gli fa, e giuro che mi stringe il cuore, vederlo con quelle lacrime appena accennate negli occhi neri, che la guarda implorante – e incapace, di dire qualsiasi cosa.

E quindi annuisce. Muove appena la testa, scivolando via dalla presa di Angie, bevendo appena un sorso del caffè che gli ha portato. Lo vedo quanto si stia sforzando, quanto si stia costringendo a muoversi, a reagire.

Dai, Ben. Non posso perdere anche te, non adesso, dannazione.

Lo vedo guardare il caffè, le dita pallide anche in confronto al bianco del cartone. È frustrante, e doloroso, vederlo così.

E poi lo vedo prendere un respiro profondo, come se stesse per affrontare una sfida; e so che è così, so che sta combattendo contro tutto il dolore che ha dentro.

La sua voce è rauca, lontana, spenta, quando parla. Gli occhi neri sono vuoti, il viso non esprime nessuna emozione: è pallido Ben, è pallido come un morto.

-Possiamo…possiamo vederla.-

Ed è nello stesso istante in cui pronuncia queste parole, che io guardo Angel e lei guarda me: annuisce, quasi impercettibilmente, e capisco che nella sua mente è passato lo stesso pensiero.

Ben non è andato.

So perché non è corso da lei appena gli hanno detto che era possibile vederla: si sente in colpa, terribilmente in colpa, e non si sente merito nemmeno di avvicinarsi a lei. Preferisce macerare da solo, nel suo dolore, negandosi persino il desiderio di scorgerla.

Lo conosco, e direi anche molto bene. Ma conosco, e non poco, anche qualcun altro.

Ray ha bisogno di lui.

Non so come, non so in che modo, non so perché ho questa convinzione: ma se il mio istinto non si sbaglia – e sui miei amici, almeno, non sbaglia mai –, Ray ha bisogno di sentirlo vicino, di sapere che c’è, di sapere che non se n’è andato.

Cretini. Entrambi.

-Vieni.- faccio improvvisamente, passando un braccio intorno a quello di Ben e costringendolo ad alzarsi. Ignoro quella brutta fitta al cuore, quando mi guarda con quegli occhi tanto spenti, confuso.

-Dove?- mi chiede, e nonostante tutto è un sollievo sentirlo parlare, dopo tanto silenzio.

-Ti porto da lei.-

 .

 .

[Ray.]

Il silenzio è qualcosa di tremendo, dopo un po’.

È come un cuscino premuto sulle orecchie: scava, scava fino in fondo alla tua testa, riempiendoti di niente fino a che di te non rimane altro che un confuso nulla. Ho sempre odiato il silenzio, specialmente quello degli ospedali; persino il rumore delle macchine si affievolisce, dopo un po’, e rimane soltanto un indefinito ronzio snervante che ti trapana il cranio.

Non ho idea del perché, ma sono abbastanza conscia di quello che è successo e di dove sono.

Non riesco a muovermi; non riesco nemmeno ad avvertire il mio corpo, mi sento intrappolata in una gabbia di ossa e carne decisamente messe male.

Sono confusi, i ricordi delle ultime ore; ho voci che si rincorrono nella mia mente, rumori elettronici, scalpitii di passi e clangori di bisturi che si mischiano in un caos inestricabile, da cui sono riuscita a capire soltanto poco.

Hanno detto che sono in coma.

Mi sembra tanto assurdo…sono qui, penso, ragiono, avverto quello che mi capita intorno. Come posso essere in coma?

Non ci voglio credere, non ci voglio pensare.

Non posso essere in coma, è assurdo, non…

Sono in coma, questo è quanto. Avere paura non serve a niente…

Sento i BIP ritmici che scandiscono il battito del mio cuore, il suono ovattato del respiratore; li conosco, purtroppo. Ho visto troppe persone che amavo nel mio stesso stato, e ogni volta – ogni singola volta – è stata una pugnalata in mezzo al petto.

È stupido avere paura. Dai, Ray, cosa può succedere?

Non c’è nulla di cui aver paura. È un ospedale, sono solo quattro mura e qualche medico, non è niente di così terribile.

Non pensare che qua dentro le persone muoiono, Ray.

Non pensare che hai perso tanto, troppo, in posti come questo.

Non serve a niente pensarci ora, Ray. Non puoi fare niente, non puoi nemmeno piangere, a cosa serve andare nel panico adesso? Avere paura degli ospedali è stupido, avanti Ray, sei sempre stata coraggiosa, cosa vuoi che sia?

‘Sti cazzi, dannazione.

Ho paura.

Non ho paura di morire, non penso di averla mai avuta; ma ho paura di questi posti, ho paura dei medici, degli aghi, ho paura della consapevolezza di essere qui da sola, in trappola dentro me stessa.

Vorrei essere a casa.

Vorrei essere nel mio letto, vorrei sentire accanto a me il respiro di Ben.

Vorrei avvertire il suo calore, stringermi con forza al suo petto e chiudere gli occhi, respirando il suo profumo. Vorrei sorridere nel buio, fra le lenzuola del nostro letto, vorrei che non fosse mai successo niente…

Vorrei piangere, adesso.

Vorrei piangere tutte le mie lacrime, vorrei che fosse qui.

Ben.

Non riuscirò a smettere di chiedermi il perché, Ben.

Non riuscirò a smettere di chiedermi dove ho sbagliato, cosa non ho fatto…

Ma in fondo, forse dovevo aspettarmelo.

Non ho mai avuto nulla di così speciale da meritare una persona come Ben, dovevo immaginarmelo che si sarebbe stancato, che avrebbe cercato un’altra…

Un rumore sottile mi strappa dai miei pensieri, spezza questo silenzio assordante che mi circonda. Un cigolio, un rumore di passi; due persone che entrano…saranno altri medici, saranno infermieri. Non lo so, e non m’importa.

Sono già pronta ad abbandonarmi in quell’oblio che somiglia molto ad un tiepido sonno senza sogni, quando una voce risuona in questa stanza.

Una voce che conosco.

Una voce che riconoscerei fra mille.

La sua.

 .

-Ray…-

 .

Ben.

È...è Ben.

È qui.

Qui...

Se potessi, ora sentirei gli occhi riempirsi di lacrime. La mia anima lo sta già facendo, sta già piangendo: ho sentito qualcosa stridere, dentro di me, al solo suono della sua voce.

È qui, Ben, è qui vicino a me.

Forse, dopotutto, è meglio che io non possa muovermi, adesso. Non so quanto potrei reggere, non so quanto il mio cuore potrebbe sopportare di vederlo così vicino, eppure tanto lontano – quanto non è mai, mai stato.

Ha una voce strana, è troppo rauca. Sembra quasi che non parli da ore, o che abbia urlato.

Avverto solamente un morbido tonfo, un suono ovattato che mi raggiunge da lontano.

 .

-Ben, ehi…-

 .

E questo è Will.

Lì per lì non capisco cosa sta succedendo, non riesco a comprendere. La voce di Will è preoccupata, quando si rivolge a Ben; è la stessa voce che gli ho sentito quando ero malata e bloccata a letto, con tanto di febbrone da cavallo. È lo stesso tono gentile, dolce, pieno di affetto, che ha usato con me tante volte.

 .

-Ray…-

 .

Ma è la seconda volta che sento la voce di Ben, che qualcosa mi squarcia di nuovo il petto.

Perché c’è qualcosa di terribile, nel mio nome pronunciato con tanta sofferenza, con tanto dolore. Qualcosa che mi dilania più di qualsiasi altra, qualcosa che non è altro che un coltello dritto nell'anima.

C’è terrore, nella voce di Ben.

Che cosa diamine...

Sta piangendo.

Ben…Ben sta piangendo. Lo sento singhiozzare, lo sento serrarsi le mani sul viso, posso quasi vedere la sua schiena sussultare, i capelli ricadergli morbidi intorno al viso.

Non l’ho mai visto piangere.

Perché…Ben, no, ti prego. Ti prego, ti scongiuro, non piangere

Fa male.

Fa male, sentirlo così.

Vorrei soltanto alzarmi da questo letto. Vorrei soltanto abbracciarlo con tutta la forza che ho, vorrei soltanto che non soffrisse più così. C’è qualcosa di terribilmente sbagliato nel sentirlo così, c’è qualcosa di tremendamente doloroso nel sapere che sta soffrendo così tanto.

Perché sì, sono un’idiota. Nonostante tutto quanto, nonostante stia soffrendo, nonostante mi stia chiedendo che cosa ci fa qui, la cristallina consapevolezza che mi ha tenuto in piedi da quando lo conosco è sempre lì: lo amo, lo amo con tutta me stessa.

Lo amo tanto da star male, adesso, tanto da sentire i frammenti del mio cuore incrinarsi terribilmente nell'udire i suoi singhiozzi.

 .

-È colpa mia, Will…è tutta colpa mia…-

 .

Will, ti prego, fa’ qualcosa.

Ti prego, ti prego non lasciare che si autodistrugga, ti prego.

 .

-Ben, è stato un malinteso. Qua l'unica che ha qualche colpa, è la Egerton.-

 .

Lo sento, l'odio che freme nella voce di Will nel pronunciare quel nome. Per un istante, è come se sentissi la mia.

No, wait.

Un malinteso?

 .

-Dovevo fermarla, dovevo spiegarle…sono rimasto lì come un coglione, se fossi riuscito a spiegarle, se…-

 .

Me ne sono andata senza lasciarti dire nulla, Ben, non è colpa tua…

 .

-Ben, ti ricordi di chi stai parlando, Ray…? Hai presente, il sinonimo di “impulsività”?-

 .

Oh, beh. Non posso che dargli ragione.

 .

-Dovevo fare qualcosa…-

-Non sarebbe servito. Non ti avrebbe ascoltato, non prima di aver sbollito e probabilmente ucciso quella…donna?-

 .

Will fa come me. Sta facendo come farei io. Sta facendo ironia, sta cercando di sdrammatizzare.

Crollerà. So che crollerà, se non è già successo. Lo so, perché è quello che succederebbe a me, al suo posto.

 .

-Non insultare le donne.-

 .

La voce di Ben, spezzata dal pianto, vibra di una rabbia a stento repressa che riesce a lasciarmi allibita, qua, in trappola nel mio corpo.

Ma che cosa…

 .

-L'ho spinta via, Will…te lo giuro, su qualunque cosa, non l'ho nemmeno guardata, non…-

 .

Dea…ma allora…

 .

-Ben, lo so. Lo so, okay? Ha fatto come fanno in tante, ti s'è buttata addosso e ha fatto scattare una foto compromettente. Ha sempre odiato Ray, lo sai anche tu.-

 .

Cristo.

Cristo, Cristo, Cristo, Cristo.

Se non fossi piantata qui, in trappola nel mio stesso corpo, probabilmente mi starei prendendo a schiaffi al momento.

…come posso essere stata così stupida?

Ben non gli risponde, Ben continua a singhiozzare. Sento qualche rumore, una sedia che gratta il pavimento, e mi rendo conto che Will si è seduto accanto a lui.

 .

-Potevo fermarla…-

 .

Un'altra pugnalata affonda nel mio cuore, stavolta macchiata di un veleno terribile: il senso di colpa.

 .

-No, non avresti potuto. Che cosa avresti fatto, al suo posto? Ti saresti sentito deluso, tradito, saresti voluto soltanto morire pur di non pensare che lei non ti amasse più.-

 .

Sorvolando sul fatto che è praticamente impossibile che succeda, eh.

 .

-S-Sìpenso…penso di sì.-

 .

Nessuno dei due parla più, per un po’. Sento solo i singhiozzi di Ben, lacerare un sussulto dopo l’altro questo cuore troppo debole per lasciarmi aprire gli occhi.

 .

-Ben… sai, Ray non si è mai ritenuta abbastanza, per te.-

 ..

Ti ucciderò William Moseley, per aver detto questo.

Cazzo.

Ti avevo pregato di non dirglielo mai Will...

 .

-C-che cosa?-

-Se sapesse che te lo sto dicendo, mi strangolerebbe.-

 .

Poco ma sicuro.

 .

-Ray ti ama in un modo che non ho mai visto, Ben. È una cosa inquietante, quasi, la vedo quando ci sei e non ci sei, e sono due persone diverse, completamente diverse. Quando è con te è sé stessa, è Ray, è felice. Ma quando è sola…è a metà. Vive, per te.-

 .

Ben non dice niente, quando Will fa una pausa.

Ma...te lo deve dire Will, Ben? Te lo deve dire lui, quanto ti amo, non ci arrivi?

Quanto sei sciocco, amore mio.

 .

-Sai, Ray e l'autostima non vanno d'accordo. Non si è mai sentita abbastanza per te, abbastanza bella, abbastanza intelligente, abbastanza donna, abbastanza…tutto. Ha sempre avuto il terrore che tu potessi trovare qualcuno di migliore di lei, che ti meritasse più di lei, e ci ha creduto immediatamente quando ha visto quelle foto.-

 .

Mi sento giusto un poco un’imbecille, al momento.

 .

-Ma…ma è una follia!-

-Lo dici a me? Detto fra noi, dovresti baciarti i gomiti ad averla al tuo fianco, e ringraziare ogni mattino che sia innamorata di te.-

-Lo faccio. In ogni secondo.-

 .

Ben...

 .

-Vado da Angel, okay? Torno presto.- sento il rumore dei suoi passi, sento la sedia che si muove, sento la porta.

Lo sento rassicurare Ben, forse per l’ennesima volta.

 .

-Si sveglierà. Lo so che si sveglierà.-

 

Contaci.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

My Space:

non ci speravate più, ditelo xD E invece sono qua; prima di partire per lidi che è meglio non nominare *sorriso angelico*, a pubblicare il nuovo capitolo (lunghissimo, peraltro) di Phoenix.
Allora, che dire: Ben è un pò meno da "prendiamo le torce e i forconi!" xD poverino ç.ç e Will ç.ç
Datemeli da coccolareeeeeeeeeeeeeeeeeeeee ç_____ç
Ne voglio due ç.ç
Va beh, evitiamo i miei scleri; devo dire che ultimamente Will mi esce pure intelligente xD
Un'unica cosa: ho trovato l'attrice perfetta per la mia Ray, ed è MEG RYAN - prima della plastica e della vecchiaia, ovviamente ^^" specialmente in questa foto:


 Lady Nionu [Contatta] Segnala violazione
 19/08/10, ore 10:03 - Capitolo 2: 2.
Ehi, grazie mille della recensione!!! ^_____^ Sono contenta che il mio capitolo ti sia piaciuto, per quello che riguarda Will anche in questo ce n'è da vendere ^^" Ray sopravviverà? Adesso magari la voglia anche c'è, prima la vedevo molto, molto dura...e invece quella testaccia della mia Ray  ci deve craniare contro, per capire -.- Spero che ti sia piaciuto, aspetto il tuo commento :)
 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 18/08/10, ore 17:36 - Capitolo 2: 2.
tesoro nuu, non piangere ç.ç
Anche se a dirla tutta ho pianto anche io ^^"
E anche in questo ho pianto come una disperata, un pò per Will (con tutto quello che ho passato, mi sono sentita toccata sul vivo scrivendo la sua parte), per Angie, per Ben...che inferno è stato scrivere di Ben ç__ç
Ho una sorpresa da parte, per il prossimo capitolo *risata sadica* ci sarà anche la Egerton *altra risata sadica*
Ti voglio bene <3
 Jordy Klein [Contatta] Segnala violazione
 18/08/10, ore 02:19 - Capitolo 2: 2.
Grazie mille! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo ;)
 giu020 [Contatta] Segnala violazione
 17/08/10, ore 23:59 - Capitolo 2: 2.
Ma chi si rivede! Che bello vederti di nuovo fra i recensori :)
Sono tanto, tanto felice di essere riuscita a colpirti così tanto; ci ho messo il cuore in questa fanfiction, che viene da un mio momento molto, molto brutto - che in parte non è nemmeno finito -.- ma si tira avanti =) sono felice di averti coinvolta tanto *.* spero che anche questo capitolo riesca a colpirti, anche se so anch'io che è pesante, e tanto ^^"
 Alchemia [Contatta] Segnala violazione
 17/08/10, ore 23:10 - Capitolo 2: 2.
Povero Voody, ha già fatto gli straordinari a causa mia e mi sa che farà il bis xD
Cosa ti devo dire? Ti spedisco taaaaaaaaaaanti miciotti con gli occhioni lucidi xDDDDDDDDDDDDDDD <3

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


phoenix 2

.

Phoenix

The Last Song I'm Wasting On You - Evanescence

http://70.38.46.108/data/media/14/phoenix_nebula.jpg

.

.

.

[Will.]

Le ore diventano lentamente giorni, e i giorni diventano settimane.

Spariscono quasi senza lasciare traccia, queste giornate; l’unica ombra che rimane è quella nel cuore, negli occhi, che oramai è diventata una compagna costante della vita di tutti i giorni.

Angel è sempre qui, quando non è all’università. Si porta dietro i libri, studia, cerca di tenere insieme un minimo di ottimismo e di speranza per tutti e tre. Penso che se non fosse per lei Ben non mangerebbe nemmeno, per dirne una: e penso che non riuscirei a sorridere, ogni tanto, se non ci fosse lei.

Ben lascia questa stanza soltanto la sera. Ho recuperato alcuni dei suoi libri dal loro appartamento, e glieli ho portati; lui non vuole nemmeno entrarci, dice che non gli riesce, che fa troppo male. Parla poco, Ben, è diventato taciturno; è dimagrito, e lo so, Ray mi ucciderà quando lo vedrà così sciupato.

E io?

Io cerco di aggrapparmi alla speranza. Quella speranza che sento scivolare via un po’ tutti i giorni, che cerco di trattenere con le unghie e con i denti, per non crollare.

Oggi sono solo, con Ray. Angel ha trascinato Ben a mangiare qualcosa in un ristorante qua vicino: è forte la mia Angie, è molto più forte di Ben…ed è anche molto più forte di me.

Credo che lo abbia visto, il mio sguardo spaventato. Quando è andata via, penso che abbia notato la nota atterrita che ha preso la mia voce, all’idea di restare qui, da solo. Con Ray.

Fa male, guardarla.

Sono seduto accanto a lei, accanto a questo letto che la ospita da ormai due settimane e mezzo.

Non ho mai notato tante cose.

È pallida la mia sorellina, è pallida come la neve; le fratture degli zigomi e del naso sono in via di guarigione, ieri le hanno tolto i punti. Sta tornando ad assomigliare alla Ray che conosco, il viso è meno livido, riesco a distinguere i suoi lineamenti sotto le suture ancora troppo visibili.

Non l’ho mai guardata così, da quando è qua.

Ho sempre cercato di evitarlo; ho sempre cercato di non farlo, di lasciar scivolare lo sguardo su di lei, di non soffermarmi per vedere tutto quello che le è successo.

È quasi insopportabile, il male che fa.

Ha le ciglia lunghe, lunghe e nere. Non me n’ero mai accorto…eppure adesso, fissando con insistenza quegli occhi sperando che si schiudano, me ne rendo conto.

Sospiro, distogliendo a forza lo sguardo dalle sue palpebre inesorabilmente chiuse.

Sono due settimane che pavento questo momento.

Gli occhi mi cadono sulla sua mano, quella libera da flebo e farfalle; è affusolata, bianca come il lenzuolo dov’è posata. Ha le unghie tutte mangiucchiate, le pellicine strappate e la pelle appena più rossa, intorno alle cuticole. È sempre stata una sua mania, questa.

È piena di cicatrici.

Ne seguo appena il contorno con la punta dell’indice, senza sfiorarla; ho paura a toccarla, ho paura di sentirla fredda – quando lei è sempre stata calda, caldissima. Una fornace, ecco cos’è sempre stata Ray. Inestinguibile.

Ne ha passate tante, io lo so bene. Ma soltanto ora, guardando quelle linee bianche ed indelebili che spiccano sulla sua pelle, capisco realmente quanto il peso che si è sempre portata dentro possa essere diventato gravoso, quando ha scoperto della Egerton.

Ma non potevi chiamarmi, Ray?

Quando hai visto, quando ti sei sentita crollare il mondo addosso…non potevi chiamare me? Sarei corso, lo sai, avremmo risolto tutto…potevi mandarlo a puttane quell’orgoglio. Dovevi chiamarmi, dannazione. Avremmo evitato tutto questo, tu saresti sveglia, sana, in piedi…

E invece adesso sono qui, di fianco ad un letto di ospedale che sto odiando fino alla nausea.

Ora lo capisco, cosa significa avere paura per qualcuno che si ama.

Ora lo capisco quello che mi dicevi, sorellina.

 .

Il dolore ti scava dentro, Will. Ti mangia da dentro, ti riduce a un fottuto involucro vuoto, ti frantuma l’anima e lascia di te solo cenere.

Io non sarò più felice, sai? Ormai l’ho dentro, è come un cancro. T’impedisce di vedere la luce, e arriva persino a fartela odiare.

 .

Mentiva. Lo so che mentiva, lo so, ne sono certo.

Lo so, perché non aveva ancora conosciuto Ben, ai tempi di quel discorso.

Adesso lo capisco, quello che intendeva; ma non mi sono mai lasciato sconfiggere dalle paure, e questa non sarà la prima volta.

Per questo, con delicatezza, vinco il mio terrore e racchiudo quella manina bianca fra le mie.

Quasi crollo dal sollievo, quando mi rendo conto che la pelle di Ray non è fredda; è calda, è calda e viva, è ancora qui. Qui.

È più facile guardare di nuovo il suo viso, adesso. Dorme, ma forse può sentirmi, forse può capire. Anzi, senza forse: può.

-Vedi di svegliarti presto, okay?- mormoro, piano, stringendo appena più saldamente le sue dita fra le mie.

-Vedi di tornare indietro. Abbiamo bisogno di te, qui.-

 .

 .

[Ray.]

Se c’è una cosa che ho imparato a sfruttare, è la pazienza.

Non sono mai stata una persona calma, pacata, tranquilla; ma crescendo, ho appreso l’arte di attendere, di aspettare respirando con calma che qualcosa cambi nel tumulto della vita.

Ho imparato che qualcosa, prima o poi, cambia.

Oggi hanno tolto il respiratore. Non riesco ancora a sentire niente, non riesco ancora ad avvertire le sensazioni del mio corpo; sono ancora in trappola, in un guscio che non pare avere la minima intenzione di muoversi.

Ma penso sia una buona cosa, questa: hanno detto che respiro da sola, che le funzioni vitali sono regolari. È una buona cosa, vero?

E allora perché non mi sveglio?

Ho imparato ad essere paziente, ma così si comincia ad esagerare.

Sono tre settimane che non apro gli occhi.

Sono passate tre settimane dall’incidente, da quando sono finita in questo posto che odio con tutta me stessa.

Tre settimane.

Sono stanca.

Sono stanca di sentire Angel che piange, quando è sola, quando nessuno la può vedere. Io però sono qui, io la sento, ed è un colpo al cuore ogni volta che mi rendo conto che la colpa è soltanto mia.

Sono stanca di sentire Will sempre più affaticato, la voce sempre più cupa. Fa troppo male, capire quanto il dolore di William riesca ad arrivarmi dentro, quanto riesca a ferire.

Sono stanca di sentire Ben così distrutto.

Mi devo svegliare.

Me lo ripeto incessantemente, è diventato il mio mantra. Mi devo svegliare. Devo aprire gli occhi, devo tornare indietro, devo rivedere la luce.

Voglio tornare da Ben.

Voglio guardarlo, e voglio chiedergli scusa.

Scusa, per non essermi fidata.

Scusa, per aver combinato tutto questo.

Scusa, per non aver avuto la sicurezza di non credere a quelle immagini.

Per non essermi fidata di lui.

È qui, oggi.

Angel è all’università, Will è con lei – sostegno morale per un esame, credo.

E Ben è qui. È vicino a me, seduto accanto a me, con me.

È sempre qui, se ne va solo quando Angel lo costringe, quando non declina gli inviti a mangiare, quando si addormenta ed è Will a trovarlo appisolato, a svegliarlo.

È l’unica ancora che mi trattiene dallo sprofondare nel buio.

Fa così male saperlo così vicino, e non poterlo nemmeno sfiorare.

Ho tanto bisogno di abbracciarlo…sembrerà infantile, non sembrerà da Ray. Non m’importa.

Ho solo un’immensa voglia di stringermi a lui, di sentire il suo calore riempirmi fino all’orlo. Perché mi sto svuotando ogni giorno di più, qui, in questa trappola che è il mio stesso, stanco corpo.

Non lasciarmi andare via.

Ho paura.

Non lasciarmi scivolare via.

Continuo a pendere su un vuoto che minaccia in ogni istante di risucchiarmi, di trascinarmi lontano dalla vita e dalla luce che non ho mai anelato così tanto. Conosco quel baratro, conosco quella voragine: mi ha quasi portata via, una volta.

Non posso permetterglielo ancora. Non voglio.

Io ho delle persone da cui tornare, io voglio tornare da Ben! Devo dirgli che mi dispiace, che sono stata una stupida, devo dirgli che non deve più piangere, devo dirgli che lo amo!

Voglio tornare a casa…e voglio piangere, piangere fino a non poterne più, fino a consumare il cuscino e liberarmi di tutto ciò che si aggroviglia dentro e attorno al mio cuore, stringendolo in una morsa che m’impedisce persino di respirare.

Voglio tornare a casa. Per la prima volta nella mia vita, voglio.

Voglio tornare da Ben.

Voglio la sua risata, voglio il suo sorriso.

Voglio il sapore dei suoi baci, voglio quelle nottate passate a parlare nella penombra della nostra camera fino a che gli occhi si chiudono, esausti.

Voglio sentirlo tornare a casa, voglio sentire il cuore partire in quinta ogni volta che la porta si chiude e io corro da lui, fra le braccia che mi aspettano sempre.

Voglio ascoltarlo mentre mi racconta del suo lavoro, voglio vedere quella luce appassionata che si accende nei suoi occhi quando recita.

Voglio indietro la mia vita.

Voglio indietro il mio Ben.

-Ehi.-

Sento di non meritarla appieno, la dolcezza che c’è nella sua voce.

Ben non parla tanto con Will e Angie. Con loro è taciturno, è cupo, è distante almeno quanto lo sono io.

Ma parla con me.

Tutto ciò che non dice ai ragazzi, lo dice a me.

Torna un poco se stesso, quando è qui, da solo. Riesco quasi a vederlo, seduto qui accanto a me, le dita che scivolano fra i capelli morbidi, gli occhi scuri e lontani sempre così lucidi.

È Ben, quando parla con me.

È il mio Ben.

È dolce. È sempre stato così, con me: mi ha sempre fatta sentire come…come se ci fossi io, io soltanto.

Come se tutto ciò che gli importasse fossi io, e tutto il resto passasse in secondo piano.

È una sensazione strana, per me. È una sensazione meravigliosa.

-Sai, stai guarendo. Non c’è più quasi nessun segno…sei bellissima. Come sempre.- e tu, come sempre, mi guardi con occhi che non vedono la realtà.

Ma forse è meglio così, no? Quando si ama qualcuno, si vede sempre splendido, sempre perfetto…

Cristo, come posso averti fatto questo, Ben? Come posso essere stata così stupida?

-Forse non dovrei stare qui…forse non vuoi, e hai anche ragione…- no, no, non pensare nemmeno di andare via!

Non osare nemmeno pensarlo, stupido!

Quando sei qui riesco a dimenticare di essere in un letto d’ospedale, riesco a dimenticare di essere in trappola dentro me stessa…

Tanto fa male sapere quanto soffre, tanto la sua presenza mi riempie, mi completa…mi fa ricordare chi sono.

Non andare via, Ben.

Non lasciarmi sola.

-Mi manchi, principessa.-

Principessa.

Sento il cuore gonfiarsi di lacrime, quando quell’unica parola rimbomba con forza dentro di me.

Principessa.

Ben mi chiama poche volte, così. Sa che m’imbarazzo, sa che divento rossa, e sa che amo terribilmente il modo in cui lo dice.

Mi sento bene, quando lo dice.

Mi sento importante, mi sento speciale…mi sento amata, amata come solo lui riesce a fare.

Non so come spiegare il significato di quel nomignolo, che in tanti usano e abusano. Non so come definire l’importanza che ha per me.

Ma Ben sì, Ben lo sa.

Ben sa sempre tutto di me, non sono mai riuscita ad ingannarlo: è l’unico, al mondo, che riesca a vedere oltre tutte le maschere che indosso, in quella tragedia teatrale che è la vita.

È l’unico, che riesce a scorgere quel cuore che ora batte con una forza quasi dolorosa, e quella creatura tanto candida ben celata dentro di me.

Ho sempre vissuto di maschere.

La mia stessa vita è stata un teatro di ruoli su ruoli, di miriadi di persone diverse che si avvicendavano sul palcoscenico della mia tragedia.

Soltanto Ben è riuscito a sfilarle tutte, quelle maschere. Una per volta.

E quello che ha trovato là sotto è stato qualcosa che non l’ha deluso, che non l’ha allontanato…lui per primo, prim’ancora di me stessa, ha amato quella creatura fragile e paurosa che si nascondeva dietro tutti quegli strati di dolore calcificato.

E ha trovato quel cuore.

Quel cuore che aveva ricominciato a battere nello stesso istante in cui aveva incrociato quegli occhi.

Quel cuore che ho cercato di proteggere fino all’ultimo, di reprimere sotto la dura scorza di freddo cinismo con cui mi proteggevo dal mondo…

Scorza che è andata in frantumi nello stesso attimo in cui mi ha sfiorata per la prima volta; quando, per la prima volta, le sue labbra hanno toccato le mie.

Non lasciarmi.

Non lasciarmi andare…

-Ti prego Ray…ti prego, perdonami…-

Quante volte lo hai ripetuto, Ben?

Quante volte ancora sarò costretta a sentirtelo dire, senza riuscire a tirarti un cazzotto e a dirti che tu, di colpe, non ne hai nemmeno una?

Non voglio andarmene.

Non voglio morire.

Non prima di aver detto a questo cretino che deve smetterla, che le pare mentali non gli riescono bene quanto a me. Non prima di aver implorato il suo perdono.

Non prima di avergli detto che lo amo.

-…torna da me.-

 .

 .

[Will.]

Oggi sono tre settimane; tre settimane, due giorni, sette ore.

E non credo di essermi mai sentito tanto male quanto ora.

Sono tornato in ospedale il più in fretta possibile; Angel ha mandato me e Ben a casa, a cambiarci e a fare una doccia. È sera, una delle sere più fredde degli ultimi tempi, mentre ottobre sta lasciando il posto ad un rigido e piovoso novembre.

È la stagione preferita di Ray, questa.

Non mi è piaciuta la sensazione che ha preso vita appena sotto la mia pelle, appena messo piede fuori dall’ospedale.

Sapete, quell’istinto che vi sussurra che qualcosa di brutto sta per succedere? Quella vocina dispettosa che vi trapana lentamente il cranio, ricordandovi incessantemente che in mezzo a tutto questo dolore può esserci sempre qualcosa di più brutto?

Ecco.

Ho cercato di non darci retta; cerco di ignorare l’ansia e il dolore che mi attanagliano il petto, sempre più spesso.

Ma adesso, adesso capisco che avrei fatto meglio a darvi retta.

Sono qui, sulla soglia della stanza di Ray. Sento lo stipite di plastica piegarsi appena, sotto la stretta quasi convulsa delle mie dita, gli occhi che non riescono a schiodarsi da qualcosa che non dovrei nemmeno vedere.

Angel.

Il libro che le ho visto sfogliare stamattina è scivolato per terra, aperto; con la coda dell’occhio scorgo i segni dell’evidenziatore, il colore acceso che riverbera per un istante in questa fredda camera d’ospedale.

C’è una poltroncina, qui. È soffice, in pelle brunita, Angel si siede sempre lì e vi si appallottola, come un micio. Anche adesso.

Solo, che stavolta non sta più fingendo.

Sento qualcosa agitarsi furiosamente nel mio stomaco, nel guardarla.

È paura. È terrore.

Angel è rannicchiata sul morbido cuscino della poltrona, le ginocchia piegate contro il petto e le braccia che le stringono, come una bambina. Il suo viso è nascosto, è velato dai capelli scuri che le ricadono lisci sulle spalle, sulle gambe, sulla schiena; non credo di averla mai vista così fragile, così piccola.

Ad un’occhiata distratta, si potrebbe pensare che non stia succedendo nulla. Chi non la conosce potrebbe guardarla, e vedere solo una ragazza addormentata.

Ma io riesco a distinguere anche troppo bene il lieve tremito della sua schiena, le mani che si serrano sugli avambracci.

Riesco a vedere fin troppo chiaramente il singhiozzo silenzioso che scuote, nel profondo, anche me.

Sta piangendo.

La mia piccola Angel…sta piangendo.

Da sola, qui, accanto all’amica che – me lo sento – sta soffrendo quanto me, nel sentirla crollare in questo modo.

Il suono delle sue lacrime trattenute mi assorda, mi riempie e mi svuota allo stesso tempo. Tutto ha perso importanza, ora; tutto converge lì, su quella poltroncina, in quella ragazza che amo con tutto me stesso e che adesso sta soffrendo – soffrendo di un dolore che mi ha sempre nascosto, in queste settimane. Un dolore che si è tenuta per sé.

-Sai…- la sento singhiozzare, e sussulto pensando che si stia rivolgendo a me; ma i suoi occhi non si alzano, il suo viso non compare da dietro il lieve velo dei capelli. -…ho preso ventotto all’ultimo esame…era più facile di quanto pensassi…-

È una pugnalata nel cuore, capire che sta parlando con Ray.

-Ben non vuole tornare a casa…parla così poco, non lo riconosco più…- un altro singhiozzo, altre lacrime invisibili ai miei occhi scendono calde sulle sue guance.

-Per favore Ray, non arrenderti…non ti sei mai arresa, non farlo adesso, non smettere di lottare proprio ora…- ad ogni pausa, ad ogni respiro, un sussulto più prepotente la scuote fin nel profondo.

E poi un gemito. Un singulto di dolore che affonda come un coltello nel mio stesso petto.

E qualcosa si rompe.

Quel pianto che prima era silenzioso, soffocato, trattenuto anche, adesso non riesce più a restare chiuso fra quelle ginocchia; i singhiozzi la scuotono con più violenza, riesco a sentirle quelle lacrime, a sentirle come se stessero rigando il mio di volto.

E non ce la faccio, non ce la faccio più a restare qui a guardare.

-Angel.- mormoro, e in un istante soltanto sono accanto a lei, la stringo con forza fra le braccia, quel pianto denso di dolore che si ripercuote anche dentro di me.

La stretta intorno alle sue ginocchia si scioglie nello stesso istante in cui la sfioro. Non so se mi ha visto già da prima, non so se è talmente sconvolta da non comprendere davvero quel che succede: ma so che sono le sue braccia a serrarsi con forza intorno alle mie spalle, è il suo viso che affonda sul mio petto, stringendosi con tutta la forza che possiede contro di me.

La abbraccio, la prendo in braccio e mi siedo su quella poltrona che chissà quante lacrime deve aver visto, sentendola rannicchiarsi contro di me, le lacrime che non accennano a fermarsi, il dolore che la travolge come un fiume in piena.

Non dico niente, sarebbe inutile anche solo provare a pensare a qualcosa; sarebbe sciocco dirle andrà tutto bene, si rimetterà tutto a posto, quando nemmeno io so che cosa succederà domani.

Continua a piangere, i tremiti convulsi che scuotono anche il mio petto. Perché sei arrivata a questo senza dirmi nulla, angelo?

La cullo con dolcezza, cercando di bloccare le lacrime, la sofferenza che mi procura vederla in queste condizioni, accanto alla mia amica che, ne sono ancora certo, sta sentendo tutto.

La sua stretta si fa ancora più salda, quando le lascio un bacio tra i capelli scuri e profumati, il corpo morbido che si racchiude ancora di più contro di me; come un riccio.

-Angel…- sussurro al suo orecchio, cercando di infonderle un po' di calma e sicurezza.

-Angie.-

Alzo di scatto lo sguardo, quando un’altra voce – più bassa, più rauca, più stanca della mia – pronuncia il nome della mia ragazza, con una dolcezza che, mi sono reso conto, uso sempre io quando mi rivolgo a Ray.

Ben è seduto sul bracciolo della poltrona, gli occhi neri più spenti che mai fissi su Angel. La sta guardando con un’espressione strana, risoluta, quasi…rassegnata, ecco. È l’espressione di chi si sta arrendendo al dolore, di chi ci sta facendo l’abitudine: è l’espressione che ho visto troppe volte sul viso di Ray.

Anche Angie si accorge della sua presenza, alza appena gli occhi dal mio petto per guardarlo in volto. Improvvisamente mi sento di troppo, quando gli occhioni lucidi di Angel s’incrociano con quelli tanto vuoti di Ben: è qualcosa che posso comprendere, è qualcosa di cui non sarò mai geloso.

È lo stesso sguardo che lega me e Ray.

È lo stesso amore forte, indistruttibile, che intreccia le vite di due fratelli.

Ma se fra me e Ray è un continuo battibeccare, è un continuo scontro di due testacce una più dura dell’altra, Angie e Ben hanno un rapporto diverso, più pacato, più sereno. Non me la sento di dire più profondo; non posso, non…non dopo aver capito quanto Ray sia importante per me.

Le accarezza appena i capelli, con delicatezza, sfiorandola appena con i polpastrelli; e Angel torna a posare il viso sul mio petto, alzando però una manina per intrecciare le dita alle sue.

Guardo Ben nello stesso istante in cui lui si rivolge a me, ed ancora una volta mi spaventa il baratro che ha dentro quelle iridi scure.

Hai passato troppo tempo con Ray, amico mio. Lasciatelo dire.

 

 .

 

 .

 .

[Ray.]

Un mese.

Cristo, è passato un mese.

 .

Oggi sono tutti qui. C’è Will, c’è Angel che ripassa sui suoi libri, c’è Ben accanto a me. Fuori, riesco a sentire il rumore di un temporale in piena regola che sferza i vetri della mia finestra, di quella che ormai è la mia camera.

È arrivato l’autunno, e non posso non esserne felice.

Amo questa stagione: mi somiglia, con quei colori, quell’atmosfera, quel terribile bisogno di calore e la dolcezza che si prova quando finalmente ci si rifugia fra le coperte.

Per la prima volta da troppe settimane, comincio a sentire qualcosa. Avverto il calore della coperta, avverto la morbidezza del cuscino, la sensazione dei capelli sparsi sul cotone.

Avverto il tocco leggero delle dita di Ben, intrecciate con delicatezza alle mie.

È come il calore d’autunno, Ben.

È la stessa, meravigliosa sensazione.

Ogni tanto Will aiuta Angie a ripetere, li sento parlare di qualcosa che non capirò sicuramente mai: Angie è davvero portata per la biologia, io invece sono più per le materie umanistiche.

Mi rincuora sentirli qui tutti e tre, è…è bello saperli qui.

È difficile ammetterlo, per questo cuore chiuso a riccio, ma è bello sapere che sono qui per me.

Da quello che ho capito, è pomeriggio inoltrato: sono qui da un paio d’ore, credo, la cognizione del tempo non è la mia priorità. L’atmosfera è calma, tranquilla: per la prima volta, riesco ad avvertire più dei semplici suoni, attorno a me.

È come se i miei sensi si stessero lentamente risvegliando, stessero a fatica tornando a riprendere le loro funzioni primarie: è ancora poco per me, per me che sono un soldato e pretendo il massimo sempre e comunque da me stessa, ma…si stanno svegliando.

Mi sto svegliando.

E sentire l’aria fredda che entra dalla porta, quando improvvisamente viene aperta, non ne è che una conferma.

Ma c’è qualcosa che non va.

Sento Angel interrompersi di botto, quando lo scricchiolio lieve dei cardini risuona nella camera.

Sento Will smettere improvvisamente di respirare, ed un lieve fruscio mi fa capire che si è alzato in piedi.

Sento Ben serrare improvvisamente le dita fra le mie, con una forza quasi aggressiva che mi sorprende non poco.

E adesso, che diamine succede?

-Tamsin.-

Un fiotto d'odio m'inonda lo stomaco, nel sentire Will ringhiare quel nome.

Tamsin.

Tamsin Egerton.

Improvvisamente, nella mia mente, appaiono di nuovo quei fotogrammi. Lei, addosso a Ben, al mio Ben.

È colpa sua se mi trovo in questo letto. È colpa sua, se Will e Angie sono devastati.

È colpa sua, se Ben sta soffrendo come un cane.

Datemi la forza di alzarmi da questo letto.

COME OSA!?

Come osa venire qui, dove sono io a causa sua!?

Adesso mi alzo. Adesso mi alzo e la smonto.

Come OSA, avvicinarsi di nuovo a Ben?

Non hai ancora capito una cosa, cocca. Ben è mio.

-Che cosa vuoi?-

Niente, può rendermi più felice di sentire la voce di Ben piena di rabbia, piena di odio, piena di disgusto. In questo caso, in questo momento, è il balsamo più dolce per le mie ferite ancora aperte, è lo scotch che rimette insieme un altro pezzettino del mio cuore.

-Io...volevo solamente...vedere come stavi.-

Suona falsa anche a me, che non posso vedere il suo viso da topo contrarsi in una disgustosa maschera di penitenza.

-Vattene. Non osare nemmeno avvicinarti a lei, o a me.-

Come ho fatto a dubitare di te, amore mio?

-Ma guardati, Ben...sei distrutto, e per cosa? Sai che non si sveglierà.-

Si vede che non mi conosci, sgualdrina. Oh, quanto si vede.

-Ma brutta…- Angel? Oh Cristo, Will fermala prima che scateni una rissa in ospedale!

Quasi non ci credo, quando avverto lo scatto del mio biondo, il grattare rapido della sedia sul pavimento. Ecco, bravo.

Will ha fermato Angel.

La mano di Ben è ancora intrecciata alle mie dita, per un istante penso davvero di riuscire a ricambiare questa stretta: sento la rabbia pulsare nelle vene, ma il bisogno di sentirlo è sempre più forte.

Maledetta.

Maledetta.

-Questo lo…dici tu. Troia.-

Quasi non riconosco la voce della persona che ha parlato. Quasi non riesco a comprenderla, in quel tono rauco, affaticato, stanco, che in un istante ha ammutolito tutti quanti.

Quasi non riesco a capacitarmene, quando con uno sforzo terribile le mie palpebre si aprono.

Ah...

La luce è terribilmente forte, dopo settimane di buio.

Mi costringo a tenere gli occhi aperti, faccio forza sulla mia stessa volontà per impedirmi di richiuderli. Il mondo intorno a me è sfocato, e sembra che qualcuno abbia abbassato di botto il volume, riducendo tutto ad un ronzio soffuso, il rumore del silenzio.

Poco a poco, riesco a concentrare lo sguardo su qualcosa. Una mattonella del soffitto, che poco a poco prende forma, consistenza, nitidezza.

Pian piano, riesco a mettere a fuoco tutto.

La stanza asettica in cui mi trovo, un peluche che conosco sul comodino. Gli occhi azzurri di William, che per un istante vedono il mio sguardo, un sorriso incredulo che si sta aprendo sul suo viso.

Will.

La prima persona che vedo, è Will.

Sento il cuore scoppiarmi nel petto, quando la sua figura stanca, smagrita, sciupata, entra nel mio campo visivo. È Will, è mio fratello, è Will...

Se potessi, mi alzerei ora per correre da lui, per abbracciarlo forte.

Non me ne sono andata. Hai visto, fratellone? Sono qui, non sono andata via, sono rimasta qui. Non me ne sono andata. Te l’avevo promesso.

Mi concedo solo qualche attimo, e una silenziosa lacrima che sparisce fra i miei capelli, per guardarlo. Avrò tutto il tempo, dopo.

Prima, devo fare una cosa.

Con uno sforzo immenso, sposto gli occhi già terribilmente pesanti sulla ragazza sulla soglia. Ha gli occhi sbarrati, l'espressione terrificata: dev'essere questo, che si prova, a veder parlare un morto.

-Vattene.-

Stavolta la mia voce la riconosco. Sento le labbra sfregare, la lingua intorpidita impastare le lettere, ma la voce è la mia, lo sento.

Sento l'odio, riempire ogni singola sillaba che pronuncio.

Tamsin mi guarda sbigottita, allibita, terrificata. Giuro, se non si leva dai piedi entro i prossimi cinque secondi, mi alzo e la stampo contro lo stipite della porta.

-Direi che l’invito a sparire sia stato abbastanza chiaro.-

Okay, Angel sul piede di guerra è qualcosa che non capita di vedere tutti i giorni. Non è qualcosa che ci si aspetterebbe, dopo un mese di coma.

Angel è una persona per nulla incline alla violenza, al contrario di me.

Angel non finirebbe mai in una rissa, al contrario di me.

Angel è sempre disposta al dialogo, al contrario di me.

O almeno, così la pensavo fino a dieci secondi fa.

Perché vedere uno scricciolo che di solito ispira più coccole che timore, infagottata in una felpa che quasi sicuramente è di Will, liberarsi bruscamente della stretta del suo non-troppo-esile fidanzato e arrivare addosso a Tamsin, spingendola fuori con una rabbia che non pensavo potesse covare…beh, questo manda all’aria tutte le mie convinzioni.

Will rimane un istante immobile, e Ben uguale. Penso che in questo momento, tutti e tre stiamo pensando la stessa, identica cosa.

-E datti una mossa…scemo.-

La soddisfazione di dare dello scemo a Will, dopo un mese, è qualcosa di immenso.

Will si volta di scatto a guardarmi, una smorfia incomprensibile sul viso che potrebbe, se riuscissi, strapparmi una risata; è incredulo, esasperato, allibito, felice, tutto quanto insieme. Le emozioni si rincorrono sul suo volto sovrapponendosi le une alle altre, quando i suoi occhioni azzurri incrociano per qualche attimo i miei.

E poi mi sorride. Un sorriso sincero che non penso dimenticherò mai.

Un istante più tardi è già fuori di qui, all’inseguimento di Angel nel tentativo di scongiurare un omicidio in luogo pubblico.

È quando la porta si chiude, dietro di lui, che sento improvvisamente le energie venir meno.

Troppe cose…

Troppe emozioni tutte insieme, mi costringono ad abbandonarmi di nuovo su questo cuscino, fra queste lenzuola che mi ospitano da tanto ma che vedo soltanto ora.

E poi mi rendo conto che fra le mie dita sono ancora strette quelle di Ben.

È un contatto talmente familiare che quasi non me ne sono accorta, i sensi affaticati bombardati da una miriade di sensazioni diverse. Tutto mi appare più rumoroso, più vivido, più pesante; persino l’aria che respiro.

Ma Ben, Ben è qui vicino a me.

Il mio respiro è flebile, ma non ho bisogno di macchinari, almeno. Tengo gli occhi socchiusi, non ho la forza di schiuderli ancora una volta: mi sento consumata, ogni più piccolo barlume di energia è scomparso, bruciato nell’odio e nel dolore.

Ma continuo a sentire le dita di Ben, che stringono forte le mie.

E le sfioro, le sfioro con i polpastrelli che formicolano, ancora intorpiditi. Sono morbide le sue mani, sono eleganti, le sue dita sono lunghe e affusolate come quelle di un pianista. Ho sempre amato le sue mani, da sempre.

-Nove a uno…che scatena una rissa in ospedale.- riesco a mormorare, e un accenno di sorriso stira per un attimo le mie labbra. Ce la vedo, la solitamente piccola, dolce, equilibrata Angel. Ce la vedo eccome.

E la stretta si fa più forte. E le mie energie svaniscono ogni secondo di più.

Il volto sciupato di Will.

Gli occhi vacui di Ben. I suoi occhi. Quegli occhi che amo, scomparsi…

Qualcosa s’incrina nel mio cuore, in un istante.

Angel, solo io l’ho sentita piangere, in quelle lunghe ore che ha passato qui. Sola.

Perché ha sempre cercato di tenere in piedi tutti e tre…

Will. “Vedi di tornare indietro, okay?”

Quanto ti ho fatto soffrire, fratellone?

Qualcosa s’incrina, dentro di me, quando mi rendo conto di tutta la sofferenza che ho causato alle persone che amo…di quanto è grande il male che gli ho fatto.

Angel. Will.

Ben.

La stanchezza vince la sua battaglia, quando le mie palpebre si chiudono di nuovo. Ma stavolta la sensazione è diversa; il buio non riesce più a penetrare la mia carne, atrofizzandola e rendendola insensibile persino alla mia stessa mente. Stavolta sono cosciente, stavolta riesco ad avvertire ogni più piccola sensazione sulla pelle, stavolta riesco a muovermi.

E riesco a sciogliere la stretta di Ben, mentre un solo pensiero mi rimbomba nella mente.

Che cosa ho fatto?

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

My Space:

Questo capitolo mi ricorda quello che significa sfogliare un album dei ricordi. Li vedi scorrere piano piano fra le tue dita, pagina dopo pagina: qui c'è il biglietto del treno che hai preso per andare da una tua amica, qui c'è la foto che hai fatto viaggiando con lei, qui ancora c'è il biglietto del primo cinema con il tuo ragazzo. C'è il braccialetto dell'ospedale, c'è una visita medica importante, c'è il primo dentino della sorellina: c'è una foto a cui sei particolarmente affezionata, c'è un disegno che hanno fatto per te, per te soltanto. Ci sono i tuoi disegni, i tuoi sogni, le tue paure. E' un diario, un diario dei ricordi.
Questo capitolo è così: come tante foglie secche fra le pagine di un libro, si sussieguono momenti diversi, persone diverse, emozioni diverse. Tutti uniti da un filo, il filo del nodo che arriva al suo culmine nell'ultima frase.
Perché ovviamente io non posso fare le cose facili, no? Non è certo finita, questa storia. Manca l'ultimo capitolo: il più importante, probabilmente.
Sto esorcizzando una cosa, attraverso questa storia. Sto esorcizzando ciò che probabilmente ha cambiato per sempre la sottoscritta, un brutto evento che sto rivivendo, piano piano, attraverso le parole di Ray. E' per questo che dico che il prossimo e ultimo capitolo sarà il più importante: è il più vero, è il più sentito. E' il più mio.
Oggi è una giornata strana, molto. Per la prima volta fa davvero freddo, qui, le nubi si addensano e si rincorrono, il vento è tagliente come una lama. E' arrivato l'autunno, finalmente.
Questa è l'attrice che la Fla ha scelto per Angel: ovviamente, come Shaylee nella mia Rebirth, i credits su Angel vanno tutti a lei. A proposito della mia fic: a breve dovrebbe arrivare l'aggiornamento, se tutto va bene.
http://i55.tinypic.com/6xu6c3.jpg
Ve l'eravate dimenticata la Egerton, eh?
Io no. xD
Questo è tanto per sottolineare che questa storia non è una fiaba: non è l'amicizia, non è il grande amore, non è il cuore che permette a Ray di svegliarsi. E' qualcosa di molto più concreto: è la rabbia, è il dolore che quella *inserire insulto a caso* ha provocato a tutti loro, a spingerla a svegliarsi e a mandarla cordialmente a prenderla in quel posto xD
E' la caratteristica principale di Ray, questa: Ray non è condottiero, Ray non ha più quegli ideali che io stessa avevo una volta.
Ray ha le persone che ama. E quando ha davanti la causa di tanto dolore, tira fuori le unghie.
*RULE*

 

 Jordy Klein [Contatta]

Segnala violazione

 04/09/10, ore 03:49 - Capitolo 3: 3.

Ti ringrazio infinitamente per i complimenti, penso sempre di non meritarmeli proprio tutti ^^”

Ecco qua Ray, Ray che si sveglia, Ray che torna indietro. Spero di essere riuscita a rendere bene anche questo J

Un bacio, e spero di sentirti ancora!!! ^^

 giu020 [Contatta]

Segnala violazione

 02/09/10, ore 21:00 - Capitolo 3: 3.

Non preoccuparti, so che la matura può essere traumatica ed è sicuramente impegnativa ^^ mi fa più che piacere sapere la tua opinione sulle mie storie *-* traslochi, che brutta cosa…ne ho fatti 8 in 19 anni, fai te -.-‘

Grazie, per il sostegno che mi dimostri J non pensare che valga poco, per me è immensamente importante sapere di poter ancora comunicare con gli altri attraverso le parole ^^

Spero che anche questo capitolo ti piaccia!!! ^^

 SlytherinAngel [Contatta]

Segnala violazione

 02/09/10, ore 14:20 - Capitolo 3: 3.

E a te cosa devo dire, scusa? xD

Aaaaah sì: ODIO. LA. MIA. LINEA.

*ammmmorte!*

 Lady Nionu [Contatta]

Segnala violazione

 01/09/10, ore 10:25 - Capitolo 3: 3.

Hoooooola ^^ Sì, in effetti ho temuto anch’io per la salute del piccolo Ben xD maltrattare lui e Will si sta rivelando terribilmente divertente *muhahahahahahahaha*

Ray è un personaggio poliedrico; passa da crisi di panico a tranquillità, a ironia, a sarcasmo, a paura. E’ un concentrato Ray, è unica ^^

Le storie tristi sono quelle che mi riescono meglio, probabilmente per il fatto che la mia vita non è un mostro di allegria xD Will e Ray sono una coppia di amici unica: sono quelle persone che non vedresti mai come fidanzati, non sai perché, ma riesci solo a pensare “checcarinichesono” xD
L’attrice che ho scelto non è quella di Cold Case (anche se ci avevo pensato; come te adoro quel telefilm, ed è la seconda scelta subito dopo questa ^^), bensì quella che ha fatto “Harry ti presento Sally”, “C’è posta per te” e tantissimi altri film ^^

 SweetSmile [Contatta]

Segnala violazione

 31/08/10, ore 20:42 - Capitolo 3: 3.

Eh, Ray è una persona che tranquilla non riesce a stare ^^” Sto lavorando ad una one shot che parla del suo primo incontro con Ben, se mai vorrai leggerla ^^ Meg Ryan pare perfetta anche a me per la mia Ray, con quei capelli ribelli e scompigliati, con quegli occhi terribilmente belli e quell’aspetto da “donna con le palle” che non guasta mai ^^ spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

 romina75 [Contatta]

Segnala violazione

 31/08/10, ore 09:24 - Capitolo 3: 3.

tesoro ^^ finalmente sono riuscita a scrivere anche questa...fra poco dovrebbe arrivare anche Narnia, penso che ti piacerà il prossimo capitolo ^^ allora, cosa dire su questo capitolo...ci sono così tante cose che è difficile spiegarle ^^" sicuramente Will, il cockerino del mio cuore xD avevo una persona, una volta, con cui avevo un rapporto molto simile a quello che scrivo fra Will e Ray ^^ per questo lo sento tanto, è stato un rapporto importante che per me ha contato davvero tantissimo ^^
Sì, questa purtroppo è l'ennesima storia autobiografica; sentire tutto e non poter dire niente, per di più per una ficcanaso logorroica come me, è alquanto frustrante ^^" ha lasciato parecchi segni, questa cosa...penso sia stato il primo vero trauma della mia vita, dopotutto. Ah beh, la scrittura serve anche a questo ^^
Un abbraccio forte forte <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. ***


phoenix 2

.

Phoenix

The Last Song I'm Wasting On You - Evanescence

http://70.38.46.108/data/media/14/phoenix_nebula.jpg

.

.

.

[Will.]

Okay. Respiro profondo, espressione imperturbabile.

Non ridere, Will. Non è il momento di ridere.

Eppure, vedere l’ostinatissima espressione di una Angel più scarmigliata che mai, due graffi che le segnano la guancia destra ma gli occhi più fieri e vividi di quanto non li abbia mai visti nell’ultimo mese, è esilarante.

Ha preso a pugni la Egerton.

Cazzo, l’ha ridotta anche male!

La sento lamentarsi fin qua, dall’altra stanza dove la stanno medicando. Oh, poverina lei.

-Le ragazze non fanno a pugni, signorina, e di certo non in mezzo ad un ospedale!- l’infermiera che sta sgridando Angie non è a conoscenza di quello che è successo, di quello che Tamsin ha fatto; se lo sapesse, probabilmente andrebbe lei stessa a tirare un paio di ceffoni alla dolorante Faccia da Topo.

-E tu!- abbaia, voltandosi di scatto verso il sottoscritto. -Tu saresti dovuto intervenire per fermarle, ragazzo!-

Chi, io?

-Avevo appena scoperto il piacevole hobby di contare margherite…non è mica colpa mia se è un’occupazione che prende tempo e attenzioni.- Angel si tappa immediatamente la bocca, alle spalle di un’infermiera sull’orlo di una crisi di nervi, per evitarsi di scoppiare a ridere nel bel mezzo di una lavata di capo.

Ray si è svegliata.

Non riesco a non sorridere, a quel pensiero.

Ray, la mia sorellina. È tornata indietro, è tornata da noi, da me.

Credevo di aver dimenticato i suoi occhi, credevo di non poter più rivedere quella scintilla ardente nelle sue iridi. E non sbagliavo, infatti; ciò che ricordavo io era solo il pallido ricordo di uno sguardo ben più sconvolgente.

Ray si è svegliata.

La morsa che mi serrava il cuore da troppi giorni sembra non essere mai esistita, polverizzata nello stesso istante in cui ho incrociato gli occhi della mia bionda preferita.

Due occhi stanchi, provati da una lotta che deve averla sfinita quanto forse non potrò mai immaginare.

Due occhi che hanno combattuto anche contro la luce stessa, contro la debolezza, contro tutto quanto.

Due occhi che si sono schiusi, e che hanno restituito a tutti e tre qualcosa che temevamo di aver ormai perduto.

Ray si è svegliata.

E cazzo, l’ha fatto come solo lei poteva fare. Non mi sarei aspettato di meno, da lei; d’altronde, è mia sorella.

-Via, sparite tutti e due prima che decida di farvi rinchiudere!- l’infermiera congeda piuttosto bruscamente me ed Angel, due cerotti bianchi sulla sua guancia e un sorriso che si allarga nello stesso istante in cui usciamo da questa stanza.

E non posso, non riesco a non sorridere anch’io.

Non c’è bisogno di dire nulla, fra me ed Angel; entrambi, tutti e due sentiamo la stessa emozione riempirci il cuore, e quel terribile senso di angoscia che ci ha tormentati per tanto tempo finalmente scomparso.

Ray si è svegliata.

 .

 .

Ma è quando torniamo indietro, che qualcosa in questa gioia s’incrina di nuovo.

Ben è fuori dalla camera, appoggiato al muro in perfetto silenzio. Ha le braccia incrociate sul torace, in volto è cupo come il cielo tempestoso di novembre. È diverso da com’è stato nelle ultime settimane, le rughe premature sulla fronte si sono allentate, gli occhi sono di nuovo accesi.

È qualcosa di cui non credo si renda nemmeno conto, non consciamente. Lui e Ray, ormai, vivono l’uno per l’altra; ma allo stesso modo, se uno dei due si allontana l’altro ne viene distrutto. Non possono vivere separati, c’è qualcosa di troppo grande per essere definito che li lega indissolubilmente.

Io la conosco, quella sensazione.

È quello che mi lega ad Angel.

Ma c’è qualcosa che non va.

-Ben, che cosa…?- la domanda ansiosa di Angel spezza definitivamente quella bolla calda che si era gonfiata nel mio petto, allontanando la paura.

Il mio amico scuote appena la testa, senza parlare, senza guardarci.

Ray.

È con troppa facilità che la morsa di terrore si serra di nuovo sul mio cuore, come un violento e sadico artiglio d’acciaio.

Che cosa può essere successo?

Ray si è svegliata, io l’ho vista, stava bene!

Non può esserle successo nulla di grave, andiamo…non adesso, non dopo averla vista di nuovo fra noi, non dopo averla riavuta indietro per così poco.

Come a rispondere alle mie paure, pochi attimi dopo la porta della camera di Ray si apre, lasciando uscire lo stesso medico che l’ha presa in cura nelle ultime settimane.

Non aspetto nemmeno un attimo, quando vedo che sfoglia attento la cartella clinica della mia amica.

-Dottore, possiamo…?- lui alza gli occhi, ma ciò che vedo non mi rassicura; c’è qualcosa di molto simila a disagio, nelle sue iridi, un disagio imbarazzato che fa contorcere qualcosa nel mio stomaco.

Nella mia mano, sento stringere forte le dita di Angel.

-Sarebbe meglio di no.- mormora, passandosi una mano fra i folti capelli sale e pepe, senza guardarmi.

Ma è Ben che interviene, più sveglio e reattivo di quanto non sia stato nelle ultime quattro settimane.

-Che cosa sta succedendo? Cos’ha Ray? Sta bene?- è la sua raffica di domande a far sospirare il medico, che finalmente alza gli occhi per guardarlo.

È lui che guarda, il mio amico dai pugni stretti e gli occhi determinati; malgrado tutto, è un sollievo immenso rivederlo, rivederlo vivo.

-Fisicamente si è ripresa perfettamente. Ma…ha chiesto di non vedere nessuno, al momento.-

Bastano queste parole. Sono sufficienti, perché quella morsa tremenda torni ad attanagliare il mio cuore; sono sufficienti, perché Angel chiuda gli occhi sotto questo ennesimo colpo, la mano stretta nella mia.

Sono sufficienti per Ben, che senza dire altro si volta verso il corridoio che conduce fuori, l’espressione di un animale ferito a morte negli occhi.

Che cosa stai facendo, Ray?

 .

.

[Ray.]

-Tu sei Ray, giusto?-

Psicologa.

Li riconosco immediatamente, ormai.

Quell’atteggiamento accondiscendente, amichevole, terribilmente gentile, io l’ho sentito fin troppe volte.

È entrata in camera mia con delicatezza, si è seduta qui, accanto al letto, senza dire molto. Ha i capelli lunghi, neri, gli occhi scuri e la carnagione abbronzata; è alta, snella, è inequivocabilmente una donna di classe.

Mi volto verso la finestra, senza guardarla per più di un istante. Sono passati due giorni da quando mi sono svegliata; due giorni in cui non ho voluto vederli, in cui non ho avuto la forza e il coraggio di affrontare il dolore sui loro volti.

Non ce la faccio. Non ci riesco.

Ho le spalle forti, ma questa colpa è troppo pesante…non ho il coraggio di affrontarli, e vedere quello che gli ho fatto.

-Fino a prova contraria.- mormoro, atona.

Che cosa ho fatto?

La luce delle nuvole tempestose che riempiono il cielo è fastidiosa, per i miei occhi. Forse sarebbe stato meglio non svegliarsi, dopotutto…forse non avrei visto gli occhi dei miei amici, gli occhi di Ben.

-Io sono la dottoressa Maywright. Sono qui per parlare con te.- sento un lieve scatto, capisco che la dottoressa ha aperto la cartellina che ha portato con sé.

-Lei è una psicologa, giusto?- le chiedo, mantenendo un cipiglio il più possibile neutro. Un fremito nella voce, un serrarsi di dita; bastano pochissime cose per comprendere una persona, per scavarle dentro.

-Sì.- come volevasi dimostrare.

Non mi piacciono gli psicologi, non quelli come questa donna: dopo un incidente, un trauma…una perdita, arrivano sempre per cercare di sviscerare quello che ti è appena successo, con il solo risultato di farti sentire ancora peggio.

-Hai avuto un brutto trauma cranico, sei stata…- alzo appena la mano destra, quella priva di aghi e flebo che mi sforzo di non guardare, per zittirla.

-In coma, per un mese. Ho sentito tutto quanto, dottoressa.- la interrompo, la voce che trema appena quando ricordo per quanto tempo ho costretto le persone che amo a soffrire.

-Come ti senti, Ray?-

Gli occhi di Ben.

I suoi bellissimi occhi neri.

Erano spenti, i suoi occhi. Non c’era più vita in quel volto che amavo.

Ed è colpa mia.

È soltanto colpa mia…

-In colpa.- rispondo, chiudendo gli occhi per non mostrare a questa donna il dolore che, lo so, vi è apparso.

La penna gratta sul foglio, e so cosa sta scrivendo. Tre parole che conosco, che ho letto fin troppe volte: shock post traumatico.

-Che cosa è successo in quell’incidente, lo ricordi?- mi chiede, dopo un istante di silenzio.

Lo schianto.

Il dolore.

Il buio.

-Benissimo.- è la mia risposta fredda, tagliente.

Ho freddo.

Ho tanto freddo…Ben, dove sei?

-Ero…ero triste, e arrabbiata. Ero sola.- credevo di essere sola, e invece ero in compagnia della mia sciocca stupidità.

Come ho potuto causare tutto questo? Come ho potuto fare questo a Will, a Angel?

Come ho potuto fare questo a Ben?

-Quella ragazza…avevo visto delle foto di lei con B-Ben, è…- m’interrompo, perché gli occhi mi bruciano in una maniera insopportabile. La voce ha sussultato, nel pronunciare il suo nome.

Ci sono solo i suoi occhi, nella mia mente. Il suo viso, la sua voce, la sua sofferenza.

Torna da me.

-Il tuo compagno. È sempre stato qui.- qualcosa si dibatte con violenza nel mio petto, e io non posso fare altro che voltare la testa di nuovo dall’altra parte, cercando di trattenerla.

-Non avrebbe dovuto.- mormoro, piano.

-Perché?- ho lasciato aperto un varco, ho schiuso troppo le mie difese: e la dottoressa, qui, se n’è accorta.

-Perché è stato male. Ha sofferto, perché sono stata una stupida.-

-Eri gelosa?-

-No. Stavo morendo. Dentro.-

Un lungo silenzio segue queste mie parole.

Stavo morendo. Dentro.

Stavo morendo, perché pensavo che la persona più importante del mio mondo non mi volesse più.

E invece cosa ho fatto?

Ha sofferto. È una parte di lui che ha rischiato di morire, in queste settimane.

A causa mia.

-Perché ti senti in colpa, Ray?-

Mi volto di scatto, a questa domanda quanto mai stupida.

E sono i miei occhi, taglienti e freddi come non ricordavo potessero essere ancora, a far trasalire persino l’imperturbabile dottoressa Maywright.

-Dottoressa, ha per caso guardato in faccia i miei amici?- le chiedo, la voce roca e gelida, ben lontana dalla mia voce di soprano. Chissà se tornerà mai come prima, chissà se riuscirò di nuovo a cantare…

-La risposta è lì.-

 .

.

[Will.]

Sono stati eterni, questi tre giorni lontano dall’ospedale.

Ritrovarsi qui è quasi un sollievo, questo posto è diventato ormai dolorosamente familiare a tutti e tre. Io ed Angel siamo stati a casa, ma Ben non si è mai mosso di qui; ha in viso l’ostinazione e la testardaggine di un disperato, di qualcuno che non vuole arrendersi.

Non adesso, non ad un soffio dal riavere indietro tutto quello che ha.

Non per la prima volta, mi rendo conto di ammirarlo. Tanto.

-Dottore, che cosa diamine sta succedendo?- e mi sono trattenuto davvero, per non sbottare in un “cazzo” di quelli che farebbero inorridire metà ospedale.

Ci hanno convocati qui mezz’ora fa, e siamo letteralmente volati.

Aspettavamo soltanto questo.

-La ragazza è in stato di shock.- oh, perché questo non l’avevo capito da solo, vero!? -La dottoressa Maywright, la nostra psicologa, ha provato a parlarle…-

-Tempo sprecato.- la voce preoccupata e tagliente di Ben interrompe il dottore, molto meno civile rispetto al sottoscritto. Ben è impaziente, è angosciato, è improvvisamente irrequieto come non ricordavo più potesse essere: Ray non è stata l’unica a svegliarsi, qualche giorno fa. -Ray non sopporta gli psicologi.-

-Se n’è accorta.- non riesco a non lasciarmi sfuggire un sorriso sardonico, ed Angel con me. Lo sappiamo tutti e due: quando vuole, Ray sa essere più fredda e scostante di un pezzo di ghiaccio. -Ha rifiutato categoricamente di parlare, ha solo detto…-

-Mi lasci indovinare. Ha detto di sentirsi in colpa.- è Angel che lo interrompe, gli occhi che si alzano verso il soffitto.

-Esatto.- il dottore guarda tutti e tre, vede le nostre espressioni. Poi si sofferma su di me, e lo so, paio soltanto lievemente esasperato. -Deduco che non sia una novità, quindi.-

-Ray ha sofferto un dolore immenso, tempo fa. Fa ancora fatica a tirarsene fuori, a volte.- annuisco appena, abbassando lo sguardo. Ben se lo ricorda bene, quel periodo: è stato lui, facendosi largo nella sua vita con la sua proverbiale testardaggine, a farla sorridere di nuovo.

-Non vuole incontrare nessuno, ha chiesto di restare da sola. Penso che…- stavolta sono io che interrompo il dottore, voltandomi di scatto verso Ben.

Ben, che si blocca un istante prima di alzarsi bruscamente in piedi, una cocciutaggine che ben conosco negli occhi scuri.

-Ben.- lo ammonisco, piano. Ma lui scuote la testa, i capelli che gli finiscono sulle palpebre, una luce ribelle nelle iridi.

-Devo parlarle.-

-Non ti ascolterebbe.- e lo vedo incupirsi appena, quando un pensiero preciso gli attraversa gli occhi scuri e la mano che fino a mezz’ora fa stringeva quella di Ray stringersi a pugno, a disagio.

Io non lo so per certo, ma sono convinto che la mia amica lo abbia già allontanato. Non per cattiveria, non per rabbia: Ray l’ha allontanato per un motivo ben preciso, un motivo che forse, sto cominciando a comprendere.

-Forse…-

-Angie, non ascolterebbe nemmeno te.- Angel alza gli occhi al cielo, ma non ribatte: sa che ho ragione, sa che Ray starebbe zitta e la lascerebbe parlare, ma non l’ascolterebbe. Non servirebbe a niente.

Però so che darebbe retta a me.

Conosco Ray da prima che conoscesse Angel, da prima che incontrasse Ben. Abbiamo vissuto nella stessa casa per quasi un anno, siamo diventati amici quando lei ancora viveva in America, quando è venuta qui per fuggire ai suoi mostri e ai suoi incubi.

La conosco, la conosco bene.

So cosa sta pensando. è stata colpa mia”.

So che ha visto, che ha sentito tutta la sofferenza che abbiamo provato noi tre. So che è quello che la dilania, le è sempre successo: io li ho visti i suoi occhi atterriti, terrorizzati, disgustati da se stessa, quelle pochissime volte che si è costretta a tirare di nuovo fuori quelle unghie affilate e a difendersi.

Ray è una persona complicata, è complessa come un meccanismo di un orologio; e altrettanto fragile, altrettanto semplice da rompere.

So come maneggiare quell’orologio senza romperlo, ho imparato tanto tempo fa. E soprattutto, so come smontarlo: pezzo, per pezzo.

Sospiro, appena esasperato.

Non sarà divertente, no. Non lo sarà per niente, sarà penoso, sarà brutto, sarà tremendo doverle fare del male con l’intenzione di farlo.

Lascio andare il braccio di Ben, che non si muove, rivolgendomi uno sguardo che è una via di mezzo fra una preghiera e uno scongiuro.

Cosa non si fa per gli amici, io non lo so davvero.

-Ci parlo io.-

 .

 .

[Ray.]

È incredibile quanto il mio corpo sia in forma.

Insomma, mi hanno asportato la milza, avevo un fianco squarciato e una miriade di bozzi e tagli ovunque; come mai ora riesco a muovermi senza quasi un dolore?

È confortante, però, riuscire a raccogliersi le ginocchia contro al petto e stringerle fra le braccia. Riesco a tenere insieme un gelo che mi sta svuotando da dentro, che ha preso possesso della mia cassa toracica.

Odio sentirmi sola. Sto cominciando a odiare la solitudine, quella stessa solitudine in cui io stessa mi sono rifugiata più di una volta.

Eppure, so bene che è meglio così…è meglio che sia io ad essere sola, adesso. Sebbene abbia una voglia assurda di vederli, di vedere Ben…allo stesso tempo, non riesco a pensare di affrontare i loro sguardi.

Ho paura.

Ho paura di rivedere tutto quel dolore…non ne posso più di sofferenza, di angoscia, di rabbia. È colpa mia se hanno sofferto tanto, non ho diritto di vederli.

Sussulto, quando la porta si apre.

In questo mese il mio udito s’è sviluppato, se possibile, ancora di più. È stato l’unico senso che mi era rimasto, l’unico a tenermi legata alla vita, a questo mondo…

-Ehi.-

Qualcosa mi s’incrina dentro, quando la voce di William risuona in questa stanza anonima, grigia.

Will.

Il cuore accelera nello stesso istante in cui mi rendo conto di quanto roca e diversa sia diventata la sua voce.

È Will, è il mio migliore amico, è forse la persona che mi conosce meglio di chiunque altro. Meglio di Angel, probabilmente anche meglio di Ben.

Mi conosce da anni, addirittura da prima che arrivassi in Inghilterra. Ha conosciuto la persona che ero, quella che sono diventata…quella che non ho più voluto essere.

-Ciao.- ma il sussurro mi esce debole e incerto, malgrado senta il cuore scoppiarmi di gioia nel rivederlo.

Lo sento sedersi accanto a me, sento il grattare della sedia sul pavimento; ma non lo guardo, non penso riuscirei a guardarlo negli occhi.

Ho paura, di quello che potrei scorgervi.

Ho fatto preoccupare tutti quanti.

Non voglio immaginare come sia stata Angie, non voglio sapere nemmeno lontanamente come si è sentito Will, provo puro terrore all’idea di cosa abbia potuto passare Ben. Non voglio, non voglio, ma alla fine sento il loro dolore che mi marchia a fuoco, ogni volta che si avvicinano un poco di più.

Per quanto possibile, mi rannicchio su me stessa, tentando di ignorare la presenza di William, seduto accanto a me.

Sono un disastro.

Non riesco a guardarlo in faccia. Non riesco a parlargli, non riesco a dire niente. Conosco Will, so quanto si sia tenuto tutto dentro, so quanto stia ancora male.

E so che stavolta, non vuole parlarne con Angel.

Ancora una volta mi sorprende, il rapporto che ho con Will; so cosa pensa, so come la pensa, so cosa prova e come si sente. Forse non è un’esagerazione, dopotutto, definirci fratello e sorella.

-Ray…- no, non posso averlo fatto io. Non posso aver fatto io, tutto questo. Non posso aver fatto così tanto male a loro, a loro. Non posso essere stata io, non posso aver fatto questo, non posso.

Sono un disastro. Sono un fallimento, una dannazione, un fottuto errore. Faccio solo soffrire le persone a cui tengo.

Mi volto. Non posso non farlo, ho paura di vedere l’espressione di Will ma non riesco a non volerlo aiutare, a non volerlo consolare; non riesco, a non voler almeno un poco lenire tutto quel dolore.

Ed è una maschera di sofferenza, quella che vedo sul suo viso.

Non ha bisogno di dire niente, non ce n’è mai bisogno, fra noi due.

Perché io lo so che cosa ha fatto.

Lo so che è stato forte. Per Angie, per Ben. Lo so che non ha mai pianto, lo so che si è occupato di loro, e di tutto il resto, io lo so, me lo ricordo, lo sentivo. Lo sentivo, quando mi sussurrava, mi pregava di svegliarmi, perché senza di me nessuno di loro ce l’avrebbe fatta. Lo sentivo.

Ma se me ne fossi andata, Will? È questo che sembra chiedergli il mio sguardo, ed è il terrore che compare nei suoi occhi azzurri, la risposta.

Se me ne fossi andata?

Io non voglio morire. Non voglio lasciarli, non voglio che soffrano ancor più di quanto abbiano già sofferto. Sono i miei motivi per vivere, senza di loro…senza di loro non avrei combattuto. Senza di loro non mi sarei svegliata.

Senza di loro cosa sarei stata? Niente.

Per chi avrei vissuto? Per nessuno.

Ma li ho fatti soffrire lo stesso.

Però posso fare qualcosa per aiutarli.

Li ho fatti soffrire.

Ora posso rimediare.

Forse dovevo andarmene.

Ma sarebbero stati ancora peggio…

Oppure no. Avrebbero sofferto, ma se ne sarebbero fatti una ragione.

No, non è vero, mi vogliono bene.

Ma se ho soltanto fatto loro del male! Come fanno a volermi bene?

Mi si riempiono gli occhi di lacrime, a questo pensiero, quasi nello stesso istante in cui vedo qualcosa spezzarsi nello sguardo di Will. E non so esattamente come, non so esattamente quando, ma sento solamente un calore improvviso invadermi, due braccia forti stringermi con irruenza e cautela insieme, e le lacrime di Will arrivarmi direttamente al cuore.

È Will. È Will, che mi ha abbracciata. È Will, che ha visto i pensieri rincorrersi nei miei occhi, e sono certa che lui sa, che sa cosa il mio orribile senso di colpa sta facendo.

Lo abbraccio forte, forte come non ho mai fatto. Ma ogni singhiozzo, ogni lacrima che Will tenta di soffocare in qualsiasi modo, apre una nuova ferita. Un nuovo senso di colpa. Un nuovo dolore.

Come se non ne avessi già abbastanza.

Ma il bisogno di vederlo sorridere di nuovo ha la meglio. L’affetto, l’amicizia, il desiderio pulsante di vederlo star bene, hanno la meglio. Per questo stringo i denti, per questo lascio che Will si sfoghi, per questo lascio che seppellisca il viso nell’incavo del mio collo e mi stringa a sé.

Mi dispiace.

So che è inutile.

Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto Will, mi dispiace, ti prego, non stare così male per me, ti prego Will, non ne vale la pena, non piangere

Ma se è inutile, perché piango anch’io?

Perché non riesco a sopportare l’idea di aver fatto questo.

Ho sempre cercato di essere…tutto. Di essere amica, confidente, sicurezza. Ho sempre cercato di proteggerli perlomeno da me stessa, lui e Angel; con Ben, non ci sono mai riuscita.

E ho fallito.

Di più; se adesso Will sta male, se è stata male Angel, se – non riesco, non voglio pensarci… – Ben ha sofferto così tanto, l’unica colpa è mia. Mia, mia, mia.

Forse, non sarei dovuta sopravvivere.

Che cosa ho fatto?

-Smettila.- lo sento sussurrare, a denti stretti, le lacrime calde che non si fermano, che scorrono copiose sulle sue guance abbronzate. -Basta, Ray, non è colpa tua, piantala…- ed ecco le mie lacrime che lottano per unirsi a quelle di Will. Come fa a non essere colpa mia, Will?

-Come…- repentinamente, alza il viso e prende il mio fra le mani. Ha le mani grandi, calde, sussultanti; non mi permette di spostare lo sguardo, mi costringe a guardarlo negli occhi, mi costringe a vedere le lacrime che rigano il suo volto.

-Ray, abbiamo rischiato di perderti. Lo capisci? Ti vuoi rendere conto di quanto tu sia importante per me, per Angie, per Ben?- tu, smettila di leggermi nella mente.

-Angie è stata malissimo, ha rischiato di perdere un’amica, un’amica importante come puoi essere solo tu; e l’ho vista sorridere di nuovo solo quando ci hanno detto che ti saresti ripresa, che saresti stata bene!- la mia piccola Angel…

L’ho sentita piangere troppe volte, in questo mese.

Ho sentito troppo spesso tutti i suoi discorsi, tutta la sua testarda ostinazione nel cercare una risposta, un segno. Un qualsiasi segno.

Non so come avrebbero fatto Will e Ben, senza di lei.

Non so come avrei fatto io, senza le parole di Angel a riempire quel maledetto silenzio.

-E Ben? Ray, lo hai visto Ben?- sì che l’ho visto. L’ho sentito. Ho sentito ogni singola lacrima, ho sentito ogni singolo singhiozzo, ogni singolo perdonami.

Ogni singolo torna da me.

-Stavi per togliergli l’unica ragione che ha davvero per vivere.- gli occhi azzurri sono martellanti, taglienti. Non riesco a guardarli, c’è scritto tutto quello che dovrei pensare, che ho paura di pensare.

-Gli hai ridato la vita. Ray, ti sei svegliata, ti rendi conto di quello che hai fatto? Ti rendi conto che gli hai ridato voglia di vivere, di ridere, di sperare? Gli hai ridato tutto, Ray!- non ce la faccio. Non ce la faccio, non ci riesco.

Serro le palpebre, quando le prime lacrime cominciano a sfuggirmi.

Come faccio a non credere di essere io?

Ben.

Ho rischiato di non vederlo più. Ho rischiato di non sentire più la sua voce, la sua risata, ho rischiato di non vedere più il suo sorriso.

Ben.

Ho rischiato di ucciderlo. Non fisicamente, ma dentro; e io so bene cosa vuol dire. Ci sono passata. Stavo per condannarlo alla mia stessa sofferenza…

Ben

Non c’è niente, nella mia confusione, che riesca a farmi dubitare di lui. Non più, forse non c’è mai stato davvero.

Non c’è niente che riesca a farmi dubitare dell’amore che prova. Niente.

Mi ama. Non so perché, non so come sia successo, non lo so. So che mi ama. So che mi ama davvero, so che se adesso è felice è solo…

È solo merito mio.

Allora…qualcosa di buono…forse ce l’ho anch’io.

Mi rende felice. Ben mi ha sempre resa felice. Ben c’è sempre stato, mi ama, mi ha sempre amata – me l’ha sempre ripetuto. Mi rende felice con il suo sorriso, con il suo amore irrazionale quanto il mio. Mi rende felice con la sua presenza, quando è triste, quando è sereno, quando è allegro, quando è giù di morale. Lui mi rende felice, perché lo amo, perché amo ogni singola cosa di lui, perché in quelle poche ore in cui credevo che non mi volesse più mi sono sentita persa, abbandonata, senza più la mia fonte di vita.

Perché mi ama. E non c’è gioia più grande del saperlo, di sapere che mi ama quanto io amo lui. Così come sono; con i miei problemi, con i miei difetti, con…i miei pregi, anche.

È amarlo, la mia gioia.

E tutto improvvisamente va a posto.

Will, con i suoi occhioni azzurri pieni di lacrime e di rabbia, non ce l’ha con me. Non è colpa mia, se sta così male, non è colpa di nessuno. È normale, Will mi vuole bene, e quando si vuole bene a una persona si sta male, se è in pericolo.

Angel, la mia piccola Angie. Ho improvvisamente voglia di abbracciarla, di stringerla forte, di dirle che le voglio tanto bene. La mia bimba, che è stata tanto male per me, perché mi vuole bene. Mi riesce così facile, adesso, capirlo. Crederlo.

Sento il nodo nella mia gola sciogliersi, lentamente; ed altrettanto lentamente smetto di piangere, il mio respiro torna normale, e riesco, finalmente, ad aprire gli occhi e guardare Will.

E Will sta sorridendo appena, ha smesso di piangere anche lui. La sua fronte è premuta sulla mia, vedo solo i suoi occhioni azzurri, ancora umidi, ancora rossi, ma immensamente più sereni.

-Te ne dimentichi un po’ troppo spesso.- mormora, senza lasciar andare il mio viso.

E in questo momento, mi rendo davvero conto di quanto il legame fra me e lui sia diventato forte. Talmente forte da rendere persino le parole superflue, talmente forte da far sì che i pensieri di lui siano i miei – e viceversa.

Will, Will è molto più di un amico.

Will è mio fratello.

-Sono una zucca dura, io.- mormoro, e per quanto sembri impossibile, sento un sorriso apparire timido e incerto sulle mie labbra. Perché è vero, sono una dannatissima testona: ci devo craniare, contro le cose – e più volte! –, per comprenderle.

E la mia voce, arrochita dalle lacrime, è quasi la stessa di prima.

Prima dell'incidente, prima di quell'orribile equivoco. Prima che mi sentissi crollare il mondo addosso.

Will mi guarda, vedo la sorpresa riempirgli lentamente gli occhi: lo so a cosa sta pensando, si sta chiedendo se chiamare uno psichiatra per farmi internare – i miei sbalzi d'umore fanno paura – oppure ridere, ridere fino alle lacrime.

E un secondo più tardi, la sua scelta si fa chiara anche a me.

Il suono della sua risata è allegro, trascinante: dapprima è poco più di uno sbuffo sarcastico, di un'alzata di occhi al cielo.

Ma pochi secondi più tardi, eccola. Una risata, forte, piena, liberatoria. Una risata venata ancora di qualche lacrima, gli occhi rossi che mi guardano di nuovo vividi e accesi, fierifieri, di me.

Una risata, che si trasmette quasi immediatamente anche a me.

Finiamo a ridacchiare come due perfetti idioti, tanto da sentire le costole scricchiolare per le troppe risate, e non sono di dolore le lacrime che bagnano di nuovo gli occhi.

-Sei una testaccia, io te l'ho sempre detto.- ridacchia, arruffandomi i capelli, allontanando il volto dal mio. Solo adesso, si passa una mano sul viso, cancellando quelle lacrime che, lo sa, non riuscirò a dimenticare.

-Senti chi parla...- replico, e scherzare in questo momento mi viene terribilmente naturale, mi viene facile, mi viene spontaneo.

-Ray!- sobbalzo di scatto, e Will con me; la porta si è spalancata con una grazia degna di quella di un elefante, e sulla soglia, l’espressione corrucciata di un criceto, c’è la mia amica Angel.

In questo istante, lo giuro, potrei seriamente mettermi a ridere.

-Hai smesso di farti delle stupidissime pare mentali, o devo prendere a schiaffi anche te?- esordisce, con una grinta che ben conosco e che riesce a strappare uno sbuffo divertito anche a William.

Perché, a parte la Egerton chi ha preso a schiaffi?

-Anch’io sono felice di vederti, Angie.- commento, lasciandomi sfuggire un sorriso ironico che non riesco a reprimere.

Angel sbuffa, alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia sul petto.

-Vaffanculo, va bene?- mi fa, assottigliando gli occhi.

Ma c’è più affetto in quel vaffanculo che in molte altre parole.

-Ti voglio bene anch’io.- replico, e sono sincera.

Lo sa, lo sa sempre.

-Cretina.- ma un attimo dopo il gentil epiteto con cui mi apostrofa, mi si è già fiondata addosso.

Sorrido, quando mi abbraccia forte, tanto piccola in confronto a me; io ed Angel siamo diverse come il giorno e la notte, come il Sole e la Luna…ma ci vogliamo bene, e tanto, anche per questo.

Sembra tanto piccina, ma fra le due non sono io la più forte.

È la mia roccia, lei.

-Mi dispiace. Ti ho sentita, sai? Ogni volta. Ma non riuscivo a risponderti.- sussurro, sulla sua spalla, chiudendo gli occhi nei suoi lunghi capelli scuri.

-Va tutto bene.- mi rassicura, e per una volta mi permetto di essere la più fragile, sentendola accarezzarmi i capelli. -Ma non osare farlo mai più.-

-Non ci tengo.- sorrido, ma né io né Angel accenniamo a voler sciogliere questo abbraccio. Angie è calda, ha un profumo che conosco bene; è piccolina, molto più di me, ma stringerla forte mi ha sempre trasmesso un non indifferente senso di sicurezza.

Soltanto quando riapro gli occhi, sulla spalla della mia amica, scorgo qualcosa che riesce a cancellare ogni altro pensiero dalla mia mente.

C’è Ben, qui.

C’è Ben, e tutto improvvisamente converge su di lui, perdendo d’importanza al confronto del giovane uomo in piedi, ad un metro dal mio letto.

Distoglie lo sguardo da me nello stesso istante in cui io lo guardo, un sorriso amaro sulle labbra rosee. Ha le mani in tasca, la felpa grigia che disegna meravigliosamente le sue spalle nodose, snelle. Indossa i jeans neri, quelli che gli stanno così bene, che adoro così tanto vedergli addosso.

Non mi guarda, un’espressione strana sul volto appena smagrito.

Se non sapessi, se non lo conoscessi così tanto, potrei dire di non sapere cos’è quel miscuglio di emozioni che gli segna il viso; ma io so quanto si sta sentendo in colpa, so quanto rimorso ha dentro di sé. Lo so fin troppo bene.

-Angie, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.-

Will ha visto il mio sguardo, ha capito la situazione; e come il fratello migliore che si possa desiderare, ha deciso di fare la cosa più giusta.

-Oh…okay.- Angel si separa da me, sciogliendo questo abbraccio che è sempre caldo, confortevole. Mi rivolge un sorriso, gli occhioni lucidi, serena.

È solo un attimo, quando Will si accosta appena a me e mi bacia in fronte, un tocco dolce e affettuoso che non faceva più da anni. Socchiudo gli occhi, sentendomi piccola, al sicuro, protetta, solo grazie a quel gesto semplice che racchiude tanti, troppi significati diversi.

-Fa’ la brava.- mi sussurra, prima di allontanarsi, prendere per mano Angel e sparire oltre la porta che si chiude alle spalle.

E quando l’eco si spegne, il silenzio cala in questa stanza e fra me e Ben.

Lo vedo lanciare un’occhiataccia alla porta, sicuramente maledicendo Will per quest’uscita di scena. Poi torna a guardare lontano, verso il cielo plumbeo di là dei vetri, il riflesso candido delle nuvole che si riflette nei suoi occhi scuri.

Rimango a lungo a guardarlo, senza dire niente.

Passerei ore, giorni, ad osservarlo. A memorizzare ogni gesto, ogni abitudine che ha, ogni vezzo.

È bello.

È sempre stato bello, per me lo è ogni giorno di più.

Gli occhi scuri, caldi, i capelli castani, la pelle chiara.

Il fisico asciutto, le spalle nodose, le mani, le labbra.

La sua cocciutaggine, la sua testardaggine, il suo essere geloso e possessivo, protettivo fino all’inverosimile, e dolce. È tanto dolce, Ben. E ironico, come solo un inglese sa essere, e iperattivo, che mette passione in ogni cosa che fa.

Non c’è una sola cosa di lui che io non ami. Nulla. Persino i difetti, persino quelle cose che mi danno sui nervi.

Per me, e solo per me, è la persona più perfetta di questo mondo.

È questo il vero amore.

Le favole non esistono, il principe azzurro è un povero sfigato dagli occhi vuoti; non esiste l’amore aulico e perfetto delle fiabe, la principessa che si lascia sballottare da tutti e che ama per condizionamento, per scelta non sua.

L’amore vero è quello delle persone che soffrono, che talvolta non si comprendono; che si urlano contro e talvolta maledicono il giorno in cui si sono incontrate, che affrontano tutto quello che la vita gli mette davanti.

Insieme.

-Ben.- la mia voce è ferma, decisa.

Ma lui non si volta, resta vicino all’armadio a muro, le nocche che sbiancano quando serra lo stipite fra le lunghe dita da pianista, quelle dita che amo.

Posso quasi vedere la sua espressione, posso quasi vedere il dolore e il tormento sul suo viso. Posso vedere chiaramente le sue labbra soffici convulsamente contratte, posso distinguere quei pozzi d'inchiostro arrossati, stanchi, terribilmente pieni di un dolore che non riesce a sparire.

Perché lo so, lo so fin troppo bene.

Ben si sente in colpa.

Si sente in colpa per quello che mi è successo, per quello che è capitato.

Si sente in colpa per aver permesso a Tamsin di mettersi fra noi, per non essere riuscito a fermarmi, per non aver potuto fare qualcosa per impedirmi di fraintendere.

Posso quasi avvertirlo, il suo cuore, lacerato da questa tortura.

Perché quel cuore è lo stesso che batte nel mio petto, quel cuore è ciò che amo, ciò che voglio proteggere a tutti i costi – anche da se stesso, nel caso.

Amore mio, tu non hai fatto niente...

Ti prego, Ben, guardami. Sono qui, non sono arrabbiata con te, non potrei mai esserlo.

So cosa vorrebbe.

Vorrebbe andarsene, vorrebbe avere la forza di convincersi che senza di lui io possa stare bene. Vorrebbe andare via, facendosi ancor più del male, ripetendosi che ne farebbe molto di meno a me.

Che sciocco che sei.

-Forse è meglio che io vada.- non mi sorprende per niente, sentirlo pronunciare queste parole.

Ma è la sua voce, che mi spaventa.

È sull'orlo delle lacrime.

È la sua voce, più che le sue parole, a spalancare un doloroso baratro dentro di me.

Non voglio che vada via. Non voglio, non voglio, non voglio! Non voglio stare lontana da lui, voglio soltanto che la smetta – piantala, Ben, non hai fatto niente!

Resta qui. Ti prego resta qui, resta con me, ti scongiuro dimmi che non vuoi andartene per davvero, non uccidermi ancora!

-Io senza di te non posso stare.-

Le parole mi escono di getto, senza quasi che le senta scivolare naturalmente sulle mie labbra. Restano così, appese ad un filo di ragnatela, aleggiando fra me e lui in un silenzio pesante – troppo, troppo pesante.

Io senza di te non posso stare.

Io senza di te non posso vivere.

Ben si volta di scatto, alle mie parole.

Si volta e mi guarda, mi guarda e i suoi occhi si riempiono di lacrime, lacrime prepotenti, che rigano le sue guance ruvide e adorabili prim'ancora che lui stesso riesca a rendersene conto.

Mi guarda a lungo, senza muovere un muscolo, mentre da quei pozzi neri l'angoscia si estende ad ogni millimetro del suo volto.

Sono due rapidissime falcate, quelle che lo separano da me.

Un singhiozzo, che non so se è mio e suo, spezza improvvisamente quel silenzio.

Un singhiozzo che mi risuona nel petto, riempiendolo di una bolla dolorosa che mi gonfia i polmoni, il cuore, che ostruisce la mia gola con un peso tremendo, una voglia di piangere assurda che pulsa nei miei occhi.

Un singhiozzo, e improvvisamente la distanza fra me e Ben si annulla, quando lo ritrovo accanto a me.

Vengo investita da una miriade di sensazioni, sensazioni che ho temuto di aver perduto, sensazioni che amo, quando il suo corpo tocca il mio.

È qui.

Il suo profumo mi colpisce con la forza di una mazzata, il suo calore che repentinamente ritrovo accanto a me è bollente, palpabile, come un Sole.

È qui.

Il suo respiro affannato mi riempie le orecchie, le sue lacrime mi bagnano le dita.

È qui.

E le sue braccia, le sue braccia mi stringono.

Penso che potrei urlare, per la gioia che sento esplodere in questo momento dentro di me.

È qui.

È qui, con me.

È qui, è qui e mi sta abbracciando, il viso seppellito nell'incavo del mio collo, quel punto in cui adora stare anche per ore; ore, in cui mi bacia, mi morde, mi stuzzica, ridendo quando mi fa il solletico e mi contorco come un serpente, sorridendo con malizia quando si sposta dietro l'orecchio, sentendomi fare le fusa come un gatto.

È qui, e davvero adesso non vorrei altro dalla vita.

Rivivrei tutto quanto: rivivrei la sofferenza, l'incidente, il dolore straziante di sentirli ma non potergli parlare, non poterli rassicurare. Rivivrei l'odio che mi ha invaso la bocca, sporcandomi la lingua e le labbra, che mi ha spinta a svegliarmi e a dare della troia a Tamsin.

Tutto quanto.

Tutto, per essere qui di nuovo, adesso, fra le braccia di Ben.

-Perdonami...- lo sento sussurrare sulla mia spalla, fra i singhiozzi.

Ed è questo, che mi lacera: è questo, che riempie i miei stessi occhi di lacrime calde, bollenti, le braccia che per quanto possibile si stringono ancor di più intorno al suo petto.

Perdonarlo?

Per un malinteso?

Non è stata colpa tua, amore mio...

Lo sento piangere, e qualcosa dentro di me si spezza di nuovo. Ma non è una sensazione devastante: è qualcosa di doloroso che si annoda nella mia gola, mentre le lacrime scendono copiose sulle mie guance, e i miei pugni deboli stringono la sua maglietta.

-Sei qui...- singhiozza ancora più forte, il petto scosso dai tremiti, dal dolore. Sento le sue braccia cingermi con delicatezza, ma fremere, perché so che vorrebbe stringermi con tutta la forza che ha, fino a farmi scoppiare il cuore di gioia.

-Ben...amore non piangere...- riesco a sussurrare, pianissimo, fra lacrime che rendono la mia voce quasi implorante.

Ma lui non ci riesce, premendo le labbra sulla mia fronte calda e accarezzandomi i capelli, singhiozzando in silenzio, gli occhi nerissimi chiusi, le lacrime che gli rigano le guance.

-Ben, sono qui...sono qui con te, non vado da nessuna parte...- non voglio che pianga.

Dea, non voglio che pianga così, mi lacera il cuore sentirlo stare così male, non posso vederlo soffrire in questo modo.

-Ho rischiato di perderti...di perderti due volte...- sussurra, e il suo respiro delizioso che accarezza la mia pelle è qualcosa di meraviglioso, qualcosa che mi stordisce, che annebbia qualsiasi dolore.

-Ben, guardami.- lo costringo, con le mie manine deboli, a guardarmi. Il suo viso è fra le mie dita, e Dea, non penso esista qualcosa di più bello di lui: anche in questo momento, gli occhi arrossati di pianto, le guance arrossate, l'espressione stravolta, Ben è bellissimo. Forse, più di quanto non sia mai stato.

E mi guarda.

Mi guarda a lungo, gli occhi neri inchiodati nei miei.

Mi guarda con insistenza, con paura, con dolore, senza separare nemmeno per un istante le sue iridi dalle mie.

Mi guarda come se non volesse fare altro, per tutta la vita.

-Perdonami.-

Ed è il suo sussurro, la sua preghiera, che dopo un silenzio infinito sfugge dalle sue labbra.

-Tu non hai fatto niente.- mormoro, e incredibilmente sento un piccolo sorriso disegnarsi sulle mie labbra.

Non è vero che Ben non mi vuole più. Non è vero che non mi ama più.

È ancora qui, è ancora con me. Mi ama, mi ama tanto da piangere, tanto da lacerarsi per una colpa che non ha commesso.

E a me basta questo. Basta solo questo.

Dov’è finita la Ray cinica, la Ray che non ha bisogno di nessuno?

Dov’è finita quella ragazza che rifiutava l’amore, che fumava all’angolo di una strada?

Dov’è finita quell’arrogante donna che bastava a se stessa?

Io lo so.

Si è innamorata.

-Ray...- mormora, la sorpresa che sconfigge tutte le altre emozioni in quegli occhioni neri che adoro. Mi accarezza una guancia, con la punta delle dita, mi sfiora le labbra appena con l’indice; ha le mani morbide, delicate, esattamente come le ricordavo.

-Ti amo.-

E lo dico con una naturalezza, con una semplicità, che stupiscono anche me: pensavo che dopo tutto quanto, dopo tutto quel dolore, non sarei più riuscita a dirlo.

-Ti dirò di più: ti amo, e sei un coglione a darti la colpa di quel che è successo.-

Devo dire, che la mia finezza e la mia eloquenza sono soltanto che migliorate.

E sembra pensarlo anche Ben, perché vedo un sorriso divertito aprirsi finalmente sul suo volto, un sorriso che riesce in un istante a far accelerare i battiti di un cuore che di stare tranquillo, proprio non ne ha voglia.

-Mi sei mancata, mia principessa.- mi sussurra, posando la fronte contro la mia; e ci sono solo i suoi occhi adesso, il suo profumo, il suo respiro che si mischia al mio.

-Anche tu, mio bel principe.- rispondo, e sorrido del mio tono perfettamente disincantato.

Al diavolo le favole, detto con tutto il cuore. Preferisco la vita vera, preferisco la mia realtà; preferisco il mondo, incasinato e nevrotico com’è, se c’è Ben.

E nemmeno mi accorgo di essermi mossa appena, di aver posato le mani sulle sue guance. È seduto accanto a me, sento il calore del suo corpo a pochi millimetri dal mio.

E non resisto, non ci riesco.

Quando mai ho resistito a lui?

È solo un istante quello che divide le sue labbra dalle mie. Un istante che colmo in un niente, nel tempo di sentire il suo respiro che si mischia al mio, e di distinguere nei suoi occhi lo stesso desiderio che so essere vivido nei miei.

Ogni cosa si scioglie in questo bacio, salato di lacrime.

Sento che le mie guance protesteranno, per il solco che i miei pianti scaveranno presto su di loro.

Piango, piango di gioia, quando le labbra calde di Ben si posano sulle mie.

Ed è semplicemente il paradiso, dopo. Dopo, dopo un brusco respiro spezzato a metà, dopo la manciata di secondi in cui le nostre labbra si modellano le une sulle altre, prima di schiudersi, prima di trovarsi.

Il Paradiso, quando le sue mani mi racchiudono il viso, stringendomi a sé.

Sento emozioni dimenticate travolgermi di nuovo, distruggere tutto quanto, annichilire ogni singolo pensiero. Il battito forsennato del cuore mi riempie le orecchie, spezzato soltanto dal delicato suono dei respiri.

C'è soltanto pace, nella mia testa.

C'è soltanto la lingua di Ben che gioca con la mia con dolcezza infinita, c'è soltanto il suo sapore che si mischia al mio, c'è solamente la sua bocca che tanto conosco.

C'è soltanto Ben.

Ben, e il palpito del mio cuore, che scalpita innamorato nel mio petto. Vuole impazzire, scappare via; ma già non sei più mio, stupido muscolo pazzo. Non lo sei da tanto tempo.

Ti amo, sussurro, nei frammenti di respiro che ci separano soltanto per qualche attimo.

E poi affogo di nuovo in lui, e ancora.

E non ne ho mai abbastanza, e Ben non si risparmia minimamente, intensificando a poco a poco i nostri baci.

E sono più che felice di abbandonarmi completamente a lui, alle mani che seguono i miei fianchi lentamente, accarezzandomi per andare ad allacciarsi sulla mia schiena; una sul corpo e l'altra sulla nuca, e mi sento una bambola fra le sue braccia.

Una bambola di porcellana, che non ha più paura di essere rotta.

I suoi capelli scorrono soffici e segosi fra le mie dita, fili di seta con cui gioco, in cui immergo le mani come nell'acqua limpida di un lago. Sorride, sulle mie labbra, distinguo i suoi occhi neri e caldi cercare i miei quando ci separiamo, soltanto un beato vuoto a riempirci la testa.

-Ti amo.- mi sussurra, ad un millimetro dalla mia bocca gonfia di baci. E non so far altro che sorridere, le guance rosse, schiudendo gli occhi e premendo di nuovo le labbra sulle sue: ride, alla mia testarda irruenza, stringendomi appena più forte a sé, premendo la fronte contro la mia e stando semplicemente lì, a guardarmi.

-Ti amo anch'io.- gli sussurro, perché non ho davvero altro da dire, altro che vorrei dire.

E restiamo semplicemente così, abbracciati. Guardandoci negli occhi.

 .

.

Ecco.

Qualcosa che germoglia.

È adesso.

È in questo momento, che ritrovo dentro di me qualcosa che credevo di aver perduto.

Ritrovo una forza che avevo dimenticato, ritrovo il coraggio di sorridere: ritrovo l'ironia ed il sarcasmo che tanto amo, ritrovo la mia spigliatezza formidabile.

Ritrovo me stessa, sentendo tutto tornare a battere più vivo che mai.

Finalmente, so che le cose andranno bene.

So che non sarà mai sereno: le nuvole ci saranno sempre, i problemi non svaniranno, e che questo è solo l'inizio di un lungo e tortuoso percorso che mi porterà a uscire da quest’ospedale.

Ma io posso affrontare tutto: l'ho sempre fatto, e continuerò a farlo.

Finalmente sento il mio viso rischiararsi davvero, non soltanto un benessere effimero e passeggero.

Finalmente, posso dire a me stessa che il futuro sarà una sfida degna di essere combattuta.

Qui, fra le braccia di Ben, finalmente mi sento a casa.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

My Space:

...è finita. E' finita anche questa.

In origine questa storia doveva essere una one-shot, sapete? non doveva arrivare a sessanta pagine di Word, come invece è stato. Ma mi è sfuggita di mano, come fanno tutte le storie che scrivo; perché i personaggi prendono vita, spesso e volentieri, e fanno quello che vogliono loro.

Beh, che dire? Era parecchio che non provavo la sensazione bittersweet di terminare una long (o pseudo long). Quasi non mi ricordo che devo fare...ah, sì. I ringraziamenti? Vanno quelli, vero?

Grazie, a tutti coloro che hanno letto questa storia che fa parte di me molto più di tante altre. E' uno spaccato di vita, di pensieri, di pare mentali assurde. E' mia.

Grazie alle persone che l'hanno seguita, preferita, ricordata. Ma un grazie speciale, soprattutto, va a chi mi ha lasciato una traccia di sè, un pensiero, una parola per farmi capire che quello che scrivo riesce ancora a trasmettere le emozioni che avverto io stessa; grazie, Grazie di tutto.

Alla prossima.

B.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=548434