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Ingrano
la marcia, sentendo il
cambio maledire il momento in cui sono salita in macchina. Accelero
bruscamente, il motore ruggisce in risposta al mio gesto violento,
rabbioso.
Quarta.
Cento chilometri orari.
Sale
di giri, il motore. Ringhia,
ruggisce, vibra nel mio petto e nel mio corpo tentando di ridare vita a
quel
cuore oramai in pezzi. Inutile, anche solo provarci.
Quinta.
Centocinquanta chilometri orari.
La
macchina ruggisce, strepita,
protesta; ma non m’interessa, voglio solo che il rombo del
motore copra l’urlo
disperato che echeggia nel mio petto, voglio solo che la strada sfocata
che
sfreccia intorno a me cancelli le immagini che continuo a vedere di
fronte al
mio viso.
Ho
davanti solo il volto di Ben.
Il suo sorriso, i suoi occhi che brillano di una luce che ho
arrogantemente,
scioccamente, ingenuamente pensato
che potesse rivolgere soltanto a me.
Ho
davanti solo questo. Le
fossette che si aprono lievi sulle sue guance quando sorride, una sua
smorfia
palesemente divertita, una linguaccia fatta alla fotocamera.
Un
bicchiere fra le mani, un
amico accanto.
E
dita eleganti, smaltate di
nero, posate sulla sua coscia. Dita che non sono mie. Una mano che non
è la
mia. Un corpo che non è il mio, accanto a lui. Lunghi
capelli biondi, ricci,
occhi dorati, espressione vacua, vuota.
Almeno
questo. Pensavo di avere
qualcosa, in più di quelle creature infime come
lei…
Ho
davanti soltanto Tamsin
Egerton, ed il fiotto d’odio che sento invadermi la bocca
rischia di provocarmi
un conato di vomito, di rabbia, di dolore. Quel dolore che sento
contrarsi nel
mio stomaco, nel mio petto, quella morsa che si serra ghiacciata sul
mio cuore
infranto, ghermendola, come artigli di rapace.
Lei,
accanto a lui.
Lei,
che ride con lui.
Lei,
che lo accarezza, che lo
guarda, che si fa guardare.
Lei,
vicina a lui.
Loro, che ballano, troppo vicini, troppo
intimi.
Ed
un ennesimo CRACK che risuona
nel mio petto silenzioso.
L’acceleratore vibra sotto il mio piede,
la frizione si alza e si
abbassa frenetica, il freno e lo sterzo sembrano intuire la mia furia;
assecondano i miei movimenti, mentre il vento fischia rabbioso dai
finestrini
aperti, dando voce al mio dolore.
Mi
ha tradita.
Ben.
Mi ha tradita.
Che
stupida.
Che
stupida, che sono…mi sono
lasciata illudere.
Ho
lasciato che facesse breccia
nel mio bozzolo di ghiaccio e cinismo. Ho lasciato che le mie difese si
abbassassero di fronte a quello sguardo, a quegli occhi neri che sento
ancora
pizzicare la mia nuca.
Per
cosa?
Mi
sono abbandonata ai suoi baci,
alle sue carezze, alla sua voce; ho lasciato che mi riempisse, che
diventasse
indispensabile per la mia anima che già si dibatte in una
terribile astinenza
che minaccia di lasciarmi vuota, spenta, priva di vita.
Per cosa?
Mi
sono illusa.
Mi.
Sono. Illusa!
Perché
non ne avevo abbastanza,
vero? Perché non ne ho passate abbastanza! Perché
non ho ancora imparato la
lezione! No, invece di restare nel mio ghiaccio, nella mia solitudine,
ho
preferito rischiare! Mai, mai
innamorarsi, è soltanto una fregatura!
E
io? Io cos’ho fatto, invece?
La strada scorre, sotto ai miei occhi, senza che io
possa davvero
vederla. È appannata, dietro gli occhiali da sole le mie
iridi sono velate di
lacrime. Dietro quelle lenti che
proteggono il mio dolore dal resto del mondo, piango.
Gli
ho concesso qualsiasi cosa.
Gli ho dato tutto. La mia anima, gliel’ho data. Il mio amore,
il mio corpo, il
mio respiro. Gli ho dato tutta me stessa, ogni sorriso, ogni lacrima,
ogni
sguardo pieno d’amore, io l’ho
donato a
lui. Per lui mi sono messa in gioco…per lui ho
cercato la voglia di vivere,
di combattere.
E
lui?
Lui
ha distrutto tutto.
E
io?
Io,
adesso, non sono niente.
L’unica
cosa che mi è rimasta è
l’ombra di un cuore; spezzato, frantumato, ridotto in
briciole.
Ho
dinanzi agli occhi della mente
il suo sguardo, quando gli ho soltanto chiesto perché.
Ho
ancora nel petto il suo
silenzio; un silenzio che mi ha assordata, un silenzio che ha scavato
rabbiosamente una voragine dentro di me. Una voragine che ha distrutto
tutto,
lasciando di me soltanto un patetico, fragile involucro vuoto. Spezzato.
E
ho ceduto.
Io,
Ray, ho ceduto. Me ne sono
andata.
Ignoro il limite. Non c’è un
limite al dolore che sto provando. Non c’è
un freno alla sofferenza che mi sta dilaniando dentro. Non
c’è nessun limite.
Sento
ancora la pelle bruciare,
là dove le sue mani sapevano accarezzarmi. Sento ancora la
gola ardere, sotto
le sue labbra che rapivano ogni anelito, ogni battito, ogni sospiro.
Lo
sento ancora, lo sento ancora
dentro di me.
Che
sciocca.
Non
esiste l’amore, Ray. Tu,
proprio tu, avresti dovuto capirlo tanto tempo fa.
Will.
Il
nome del mio migliore amico
risuona violentemente nel silenzio del mio corpo distrutto, spossato.
Stanco.
Angel.
Il
visetto dolce della mia
migliore amica fa capolino fra quelle maledette immagini, fra
l’odio, fra la
rabbia, fra il terribile vuoto – là, dove fino a
poche, stupide ore fa c’era
Ben.
Non
smetto di guardare la strada.
Il mio istinto è saldo, i miei sensi sono
all’erta; eppure, vorrei soltanto
morire, adesso. Ma me lo impedisco; non posso farlo,
c’è ancora qualcuno.
Qualcuno, che soffrirebbe nel vedermi andare via.
Non
come Ben.
Non
come ha fatto lui.
Lui,
che mi ha lasciata andare
via. Lui, a cui forse, dopotutto, non importa così tanto.
Ho
le guance rigate di lacrime;
scendono fin sulla gola, sul petto, cercando di lenire le bruciature
che il suo
tanto effimero – falso,
sciocca ingenua – amore
ha lasciato su di me.
Tremando,
riesco a trovare senza
guardare il telefonino, l’auricolare che porto con dita
tremanti all’orecchio.
Due tasti, un numero in memoria rapida; il numero di William.
Uno squillo.
Rispondimi,
Will. Ho bisogno di
te. Ho bisogno di voi. Vi prego…
Due squilli. Tre squilli.
Rallento
un poco, quando vedo una
macchina, nella corsia opposta alla mia, supera un camion che la
rallenta e si
ritrova in senso opposto, proprio di fronte a me.
Quattro squilli. Cinque squilli.
Ci
sono due ragazzi, lì dentro.
Sento la musica house arrivare fino a me, li vedo ridere fra loro, li
vedo
mimare un brindisi con due bottiglie di birra.
Sei squilli.
C’è
qualcosa che non va.
Sette squilli.
Non
possono rientrare. Davanti al
camion, altre due auto. Non c’è spazio.
Otto squilli.
Vedo
me stessa serrare la mano
sul cambio; sento il motore ruggire di dolore quando ingrano
violentemente la
prima, i giri che aumentano fino a superare la soglia critica.
Nove.
Mi
vedo tirare il freno a mano,
mi vedo sterzare con violenza verso destra. Da lontano, da fuori, come
se non
appartenessi più a quel fascio di nervi che è il
mio corpo.
Vedo
la mia macchina girare su sé
stessa, le gomme che stridono sull’asfalto, il fumo che si
alza minaccioso dal
cofano e dagli pneumatici. Vedo i due ragazzi urlare, terrorizzati,
provare a
frenare.
Dieci.
Ben.
-Pronto,
Ray?- Will, Angel.
-Will,
Angie…vi voglio bene.-
CRASH.
.
.
[Will.]
La
linea cade esattamente un
istante dopo lo schianto.
Uno
schianto. Il rumore dei freni
che stridevano.
Ray…
Angel
mi sta guardando, allibita,
gli occhioni sgranati, più pallida di quanto non
l’abbia mai vista. Ed anch’io
sento il colore scivolare via dal mio viso, mentre il cuore sembra non
voler
accettare, il cuore accelera bruscamente per fuggire dalla brutta,
brutta
ipotesi che si sta formando nella mia mente.
Ray.
È
uno scherzo.
Non
può esserle successo
qualcosa.
Non
a Ray, non alla mia amica.
A
lei non succede mai nulla di
grave, lei riesce a salvarsi sempre, lei non…
È
automaticamente, che compongo
rapido il suo numero.
L’utente da lei chiamato non è
al momento raggiungibile. La preghiamo
di riprovare più tardi, grazie.
Forse
è solo caduta la linea.
Forse ha solo il cellulare scarico. Forse era solo il suono di un
piatto che si
rompeva.
Passano
lunghi minuti di
silenzio, mentre guardo il telefonino spento, mentre cerco di capire.
Sento la
lancetta dell’orologio ticchettare.
Angel,
accanto a me, è
silenziosa; istintivamente, cerco la sua mano, le sue dita minute ed
eleganti.
È
calda, Angel, è qui. È qui con
me.
Solo
la sua presenza riesce a
rischiarare la confusione che ho in testa. Solo sfiorandola, riesco a
recuperare un barlume di lucidità.
La
strada che porta a casa di Ray
e Ben, da qui, è una soltanto. Forse Ray stava – sta – venendo qui. Forse se
andiamo adesso, la troviamo. Forse…
Qualcosa,
dopo dieci minuti di
totale shock, scatta.
Angel
si sta già vestendo, in
fretta e furia. Io non me ne accorgo, non mi rendo conto di quello che
sto
facendo; sono già nell’ingresso, la sto
già aspettando in macchina, mentre
febbrilmente continuo a tentare di chiamare Ray.
-Will,
andiamo!- Angie, la mia
Angie, si fionda accanto a me, allacciando la cintura in fretta, la
paura
scritta sul viso.
Accelero
con violenza, partendo
forse anche troppo velocemente. Ma non può essere successo
nulla, mi dico. Ray
sta bene. Ray sta bene, Ray è forte, Ray se la cava sempre.
-Chiama
Ben.- sussurro, posando
il telefono fra le dita sottili della mia Angel. E lei annuisce,
componendo
immediatamente il numero del nostro amico, tremando mentre aspetta che
lui
risponda.
-Ben?-
trema, lo sento. Ha paura.
-Ben, dove sei? D-Dov’è Ray?- la sento chiedere,
appena balbettante. Qualche
attimo, qualche secondo di risposta, e vedo il suo volto incupirsi.
-Angie…-
la chiamo, piano,
tentando di non lasciarmi prendere dal panico. Panico che aumenta,
quando
un’ambulanza a sirene spiegate supera la nostra auto,
dirigendosi nella nostra
stessa direzione.
-Come,
è andata via?- accelero,
mentre sento la voce di Ben incespicare di
là dal telefono, lo sento tremare, lo
sento…piangere? Sta piangendo? Sa
qualcosa che non sappiamo, sa se…
Ray…
-Ben,
Ben calmati, devo sapere
dov’è andata!- anch’io riesco a sentire
le parole balbettate del mio amico.
-N-non lo so…penso stesse venendo da voi,
io…- la voce di Ben, il
respiro affannato di Angie, il rombo del motore sportivo nel cofano. Si
spegne
tutto. Clic.
Tutto
diventa improvvisamente
silenzioso, quando vedo l’ambulanza fermarsi quasi sgommando
vicino a un
qualcosa che si può definire come disastro.
Ci
sono due macchine incidentate,
in mezzo alla strada che la polizia, già accorsa, sta
chiudendo.
Una
delle due macchine è bianca;
potrebbe somigliare ad un’Audi, se non fosse per
l’intero muso piantato nel
fianco della seconda auto. Una seconda auto che invece è
verde, verde cupo; una
BMW Coupé, completamente distrutta. Il pilota ha cercato di
spostare l’impatto
sul lato sinistro, girando la macchina; e l’Audi gli
è entrata completamente nell’abitacolo,
rendendo la bella auto soltanto un ammasso di ferraglia e sedili
squarciati.
È
bella, quella macchina.
Piace
tanto anche a Ray.
E
infatti, quando ha trascinato
tutti e tre al concessionario – felicissima,
perché finalmente ha potuto
comprare la sua prima macchina veramente nuova –, ha scelto
esattamente quella.
La
stessa macchina che adesso è
ridotta ad un ammasso di rottami.
Ci
sono due corpi, stesi
sull’asfalto, accanto alla BMW.
Due
corpi.
Due
corpi velati da un telo
bianco.
Due
corpi.
-Ray!-
sento la voce di Angel
fare eco nella mia, e bruscamente ci buttiamo entrambi fuori
dall’auto,
spaventati, terrorizzati, mentre a terra vedo tanti piccoli dettagli
che
riescono soltanto a farmi sentire ancora peggio.
Ecco
lì un pupazzetto che Ray
tiene in macchina. Teneva.
La
pallina rossa, la pallina
simile alle decorazioni cinesi, che è appesa allo
specchietto. Era.
Due corpi.
Sento
l’asfalto massacrarmi i
piedi, quando mi fiondo assieme ad Angie verso le due macchine
distrutte.
Ray.
Qualcuno
ci ferma: entrambi, ci
ritroviamo bloccati da braccia più forti di noi.
-Ragazzi,
non potete passare, è…-
vedo gli infermieri alzare la barella. Non li avevo scorti, prima;
erano dietro
l’auto di Ray, dall’altro lato rispetto a dove
siamo noi, li vedo spostarsi rapidamente
verso la loro ambulanza.
Vedo
il sangue. Vedo tanto
sangue.
-No…-
sento sussurrare la voce
spezzata di Angel, ed istintivamente la traggo a me, la stringo al mio
petto,
impedendole di guardare. Un istante dopo, la sento singhiozzare;
piange, perché
ha già visto quello che io non ho il coraggio di guardare.
Sangue.
Sangue
ovunque.
Sul
fianco, uno squarcio
tremendo.
Il
collo serrato in un collare,
il viso una maschera rossa, densa, scura.
Pelle
candida. Le da sempre fastidio essere
così pallida.
Capelli
biondi. Ci scherza sempre, dicendo che
sembriamo
gemelli.
-Ray…-
sussurro, e sento il mio
stesso viso deformarsi in una maschera di orrore.
Ray.
Ray.
Cristo,
Ray…
Ha
gli occhi chiusi.
Tamponano
il sangue, ha un
respiratore sul viso.
Ha gli occhi chiusi.
-Ragazzo,
la conosci?- nemmeno mi
accorgo di aver annuito.
-E’…è
mia sorella…- è la mia
voce, quella che sento adesso? Mi sembra così lontana,
così vuota…ma sì,
dev’essere la mia, perché l’agente
improvvisamente mi lascia andare. Mi lascia
libero, libero di muovermi, libero di andare da lei.
Ma
non posso lasciare Angel.
Non
posso costringerla a vederla.
Non
posso lasciarla, non posso
fisicamente lasciarla andare.
È
la mia unica ancora. L’unica
cosa che m’impedisce di crollare.
-Angel…-
sussurro, ed è ricordarmi
che lei è qui, che c’è,
che
singhiozza fra le mie braccia, ad impedirmi di crollare. La stringo
forte, la
stringo a me con tutta la forza che ho; ma non riesco, non riesco a non
vedere
il viso di Ray dietro le palpebre chiuse. Il viso spigliato,
sarcastico,
cinico; il viso che raramente si schiude in un sorriso, e quando lo fa
è
qualcosa di raro, qualcosa di veramente prezioso. Prima.
E
dopo. La maschera di sangue.
Gli zigomi spaccati, le labbra lacere, le guance pallide macchiate di
rosso. Gli occhi chiusi.
E
la sento. Quell’unica lacrima,
rigarmi la guancia e correre a nascondersi fra i capelli del mio
angelo.
Quell’unica lacrima che mi permetto.
Avrò
tempo, da solo, per
piangere.
-Angel…dobbiamo
seguirli.-
mormoro soltanto, dopo quella che mi è parsa
un’infinità. E, quando riapro gli
occhi, vedo l’ambulanza ripartire.
Dobbiamo
seguirla. Dobbiamo
andare con Ray. Non la lascio sola, non adesso, non posso pensare di
non…di…
Improvvisamente,
mi ricordo di
una cosa. Mi ricordo del telefono, mi ricordo di…Cristo, Ben.
Sfilo
il cellulare dalla mano di
Angie, e vedo che la chiamata è ancora aperta. Merda. Merda,
merda, merda.
-Ben.-
comincio, cercando di
restare il più calmo possibile. Eppure, il colpo in pieno
stomaco arriva lo
stesso; arriva, puntuale, quando sento il singhiozzo strozzato
dall’altra parte
della linea.
-W-Will…Will,
cos’è successo a R-Ray…?- lo
sento singhiozzare, il respiro affaticato, stanco, quasi rantolante.
Non voglio
immaginare. Non voglio sapere come si sente, non voglio nemmeno
immaginarlo.
-Ben,
vieni immediatamente in
ospedale.- è tutto ciò che riesco a dirgli. Sono
freddo, lapidario; è l’unico
modo perché riesca a darsi una scossa.
E
infatti, quando parla di nuovo,
è più calmo.
-…okay.-
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Dovute, dovutissime, obbligatorie
spiegazioni.
Ho questa fanfiction, che
sarà divisa in tre capitoli, in cantiere da...mesi, penso.
Ne ho altre due, di carattere ben diverso (e anche di diversa
ambientazione), in fase di stesura.
Allora, era parecchio che non
scrivevo su Ray, Angie, Will, Ben. Premetto che questa fic
sarà dai Point Of View dei due biondi, di Ray e di Will:
perché alla fin fine, 'sti due bischeri sono due parti
indistinte della sottoscritta.
Non è stata scritta in
un periodo molto felice, come penso si possa notare ^^" lascio a voi i
commenti e le domande, vi sottolineo solo che la foto incriminata
è questa, scattata sul set del Viaggio del Veliero (sto
contando i giorni all'uscita, sì. E' IN TREDDì!
*O*):
-Il battito sta scendendo, ha perso troppo sangue.-
Sento
queste parole accanto alle
mie orecchie, sento un tramestio frenetico, sento il suono di
macchinari
elettrici produrre un sacco di bip
al
mio fianco.
-Non ci arriviamo in ospedale, se continua
così.-
Ospedale?
Ospedale?
No.
No, no, no.
Perché
ospedale? Cos’è successo?
Non in ospedale, non in ospedale, qualunque cosa ma non voglio andare
là!
-Cercate di fermare quell’emorragia.-
Emorragia?
Ospedale?
Cosa
diamine sta succedendo?
Dannazione,
sono qui. Sono qui,
penso, il mio cervello funziona! Perché non riesco a parlare?
Perché
mi sento…così?
Il
mio corpo sembra non
esistere…mi sento una presenza dietro i miei occhi chiusi,
uno spirito che vaga
in membra stanche, squarciate, morenti.
Emorragia.
Ospedale.
Perché non mi ricordo niente?
“Pronto?”
Will e Angel.
La
macchina che gira...
L'incidente.
Ho
fatto un incidente in auto.
-Il
cuore sta cedendo!-
Il
mio cuore...ci credo che sta
cedendo, tanto ormai non è nemmeno più integro,
è frantumato...
-Defibrillare!-
Un
lungo BIP prolungato segue
quella parola, non ho sentito altro. Dea, che sonno...
Perché
non la piantano? Spegnete
quella macchina, ho bisogno di dormire, io. Lasciatemi riposare, ho
freddo,
datemi una coperta calda e lasciatemi chiudere gli occhi...
Lasciatemi
dormire, non ho più
voglia di stare sveglia.
Lasciatemi
dormire, non ho più
motivo di tenere gli occhi aperti.
Voglio
abbandonarmi a questo buio
che sento premere nei miei occhi, mentre quell'incessante BIP risuona
ancora
nella mia testa, e voci senza senso urlano intorno a me.
Voglio
smettere, di sentire
questo baccano. Voglio sprofondare nel mio baratro, annegando nel
dolore, nella
mia solitudine.
Ben
non c'è.
Io
sono qui, sto morendo, lo so.
E
Ben non è con me. Forse non gli
importa nemmeno, forse è con lei, forse
per lui questa è la soluzione
migliore, forse gli risolverò soltanto la pena di
preoccuparsi per quella che
non è altro che una ex...
Sento
il petto gonfiarsi di
lacrime, quando il suo viso esplode con forza nella mia mente, davanti
ai miei
occhi.
Ben.
Perché?
Che cosa ho sbagliato,
amore?
Perché
continuo ad amarti, anche
adesso, perché?
Perché,
continuo a chiamarti
amore, quando tu il mio l'hai preso e distrutto come qualcosa
d’inutile,
d’infimo, di terribilmente fragile?
Ben...
E
finalmente sento quel BIP
zittirsi, le voci intorno a me farsi ancor più concitate,
ancora più
frenetiche. Oh, state zitti.
Lasciatemi
dormire.
Lasciatemi
sognare...lasciate che
smarrisca il senno, perdendomi nei ricordi più dolci che
possegga.
-L'abbiamo
ripresa! Forza,
ragazza, ce la puoi fare!-
Per
chi?
Per
chi dovrei farcela? Will e
Angie sono insieme...supereranno tutto, un po' alla volta. Ce la
faranno. Non
sono soli.
Ben...Ben,
starà bene.
In
fondo...a lui, cosa importa di
me? Niente.
Ecco:
quello che sono io, senza
di lui. Niente.
E
mi sento sospirare, una
percezione lontana e staccata dal mio corpo. Mi sento abbandonarmi,
finalmente,
a quell'oblio che è lì che mi aspetta.
Ma
non riesco a non piangere, nel
silenzio della mia anima, il cuore che stride e si spezza ancora,
urlando di
dolore.
Niente.
.
.
.
[Will.]
-E’
inutile che tu continui a
chiedere, ragazzo!-
Inutile?
Non
è inutile, dannazione. Non
è inutile.
-Volevo
solo sapere…- le parole
muoiono sulle mie labbra, quando l’infermiera, esasperata, mi
da le spalle e se
ne va via.
Lasciandomi
qui, solo, con un
peso terribile che mi schiaccia a terra.
Ray.
Ray
sta lottando.
Ray
sta combattendo, Ray ce la farà.
Deve
farcela, deve, dannazione. Deve,
non riesco
nemmeno a immaginare che non ce la faccia, che…dannazione,
sorellina, resisti.
Sospiro,
passandomi le mani nei
capelli.
Vorrei
urlare, vorrei prendere a
pugni qualcosa, qualcuno. Vorrei sfogarmi, vorrei fare qualcosa, vorrei
entrare
in quella maledetta sala operatoria e costringere Ray a riprendersi, a
svegliarsi, a prendere quella dannata zucca dura e ficcarci dentro un
po’ di
buonsenso.
Ray.
Ho
voglia di piangere, Ray.
Non
lasciarmi, sorellina, non
lasciarmi. Ti prego.
Io
non ce la faccio senza di te,
Ray. Combatti, ti prego combatti come non hai mai fatto, Ray. Sei la
mia
guerriera, non ti ho mai vista arrenderti, ti prego non farlo
adesso…
Sento
le gambe tremare, le
ginocchia che minacciano di cedere: sento un groppone doloroso
annodarsi nella
mia gola, un miscuglio di lacrime, di dolore, di paura.
Non
posso perdere Ray.
Non
posso rinunciare al suo
sorriso, alla sua risata, alla sua ironia… non posso perdere
mia sorella. Non
posso.
Ray.
Cerco
di prendere fiato, di
ricompormi.
Cerco
di tornare a indossare una
maschera, cerco di reprimere il dolore dietro i miei occhi. Cerco di
essere
forte, come farebbe Ray.
Devo
esserlo, perché adesso, c’è
qualcuno che ha bisogno di me.
Torno
lentamente sui miei passi,
percorrendo in silenzio i corridoi asettici dell’ospedale.
Gli infermieri mi
superano, mi attorniano, m’ignorano: sono solo figure
sfocate, inutili, che mi
circondano senza nemmeno guardarmi.
Cammino
in silenzio, le mani in
tasca, finché non raggiungo la sala d’attesa dove
abbiamo passato l’ultima ora
e mezza.
Angel
non mi vede arrivare; è
seduta accanto a Ben, immobile, non dice niente. Ha le mani strette in
grembo,
gli occhi scuri chiusi, il volto più pallido di quanto non
abbia mai visto.
Mi
attraversa un brivido, nel
vederla così; ho bisogno di stringerla, di abbracciarla, di
sentirla vicina. Ho
bisogno di lei, ora, più che in qualsiasi altro momento.
Non
riesco, invece, a guardare
Ben.
Non
voglio.
Sento
che non potrei reggere, nel
guardarlo in faccia; non potrei sopportare la sofferenza nei suoi
occhi, il
terrore che gli segna il viso, la paura che ho scorto quando siamo
arrivati
qui.
Non
ce la farei.
Per
questo, non faccio altro che
sedermi pesantemente accanto ad Angie, esausto.
Non
c’è bisogno di dirle nulla;
sento soltanto le sue dita sottili scivolare fra le mie, calde,
soffici, sicure
– e chiudo gli occhi, permettendomi di prendere un lungo
respiro che riesce a
reprimere tutta la paura che ho dentro.
Restiamo
in silenzio, tutti e
tre.
La
gente passa davanti a noi, gli
infermieri corrono, spingono carrelli, i medici si affrettano verso le
stanze dei
degenti. Nessuno si ferma a guardarci, nessuno si degna di rivolgere
un’occhiata a tre vite in bilico.
È
la voce di Ben, dopo quella che
mi pare un’eternità, a spezzare il silenzio.
-E’
tutta colpa mia.-
.
.
Okay…facciamo
lentamente il punto
della situazione.
Ben
è un coglione, questo non
sorprende nessuno; s’è fatto fotografare con
Tamsin Egerton, sua vecchia
fiamma, non più di qualche sera fa. Quelle foto non sono
proprio innocenti, a
detta sua, anche se sostiene di non aver fatto nulla, con lei.
E
ci credo, non riesco a non
credergli: basta guardarlo in faccia, per vedere la disperazione, ed il
terrore, che lo stanno distruggendo.
La
cosa veramente tremenda, però,
è che quelle foto sono finite in mano a Ray.
Riesco
quasi a vedere il suo
visetto sbiancare, le mani tremare davanti al computer.
Riesco
quasi a immaginarla, al
ritorno di Ben a casa, guardarlo come una belva ferita a morte e
andarsene di
corsa, senza lasciarsi fermare.
Riesco
quasi a vederla, in
macchina, premere con rabbia su quell’acceleratore
– forse troppo, forse troppo
poco.
Non
riesco a guardarlo in faccia,
quando finisce di parlare. Si è alzato in piedi, il mio
amico, tradendo il
senso di colpa e il terrore che lo riempiono, i pugni serrati e le
labbra che
si torcono.
Ma il mio sguardo, il
mio sguardo è attirato da Angie, al mio fianco.
Sta tremando, la mia
piccola.
Trema tutta, senza
ritegno, senza controllo, i pugni che si stringono e le unghie che si
piantano
nei palmi. Il trucco sul suo viso è sfatto, il mascara
è colato con le lacrime,
ha le guance terribilmente rosse; ha pianto, tanto, troppo, mentre
venivamo
qui.
Ma negli occhi,
c’è una
luce improvvisa che riesce a spaventare anche me.
E'...è rabbia. E' odio,
è dolore, è una marea di cose tutte insieme che
vedo irrompere con la forza di
uno tsunami negli occhi della mia ragazza, le labbra convulsamente
serrate,
strette, morse quasi a sangue.
Non faccio nemmeno in
tempo a vederla. Neanche Ben ci riesce.
Scorgo solo il movimento
dei suoi capelli sciolti, prima di vedere la sua manina tanto piccola
alzarsi e
con uno schiocco tremendo abbattersi in uno schiaffone sulla guancia
del mio
amico, con tanta forza da risuonare in tutto il corridoio.
Oh, Cristo.
-SEI UN LURIDO
BASTARDO!- la voce di Angel esplode con la forza di uno sparo
nell'androne
deserto, più alta di diverse ottave dal normale, mentre vedo
la sua mano
stringersi di nuovo a pugno, pronta a dare battaglia.
Ben sgrana gli occhi,
allibito; è la prima vera reazione che ha da quando siamo
qui, è la prima volta
che distinguo qualcosa di diverso dal terrore dipingersi sul suo viso.
Guarda
Angie con l'aria di un cane bastonato, gli occhi neri che implorano
pietà, più
scuri e vuoti di quanto non li abbia mai visti.
-COME HAI OSATO FARLE
UNA COSA DEL GENERE!? COSA CAZZO TI E' PASSATO PER LA TESTA, IDIOTA CHE
NON SEI
ALTRO!?-
Ho paura. Ho seriamente,
seriamente paura.
Gli occhi non si schiodano
di dosso a Ben, infuocati e glaciali insieme, mentre la vedo prendere
un
respiro profondo; ne segue subito un altro, i muscoli della clavicola
che si
ammorbidiscono appena.
-Lei ti ha donato tutta se
stessa, era tornata a vivere come non le capitava da anni. Ti ha amato
come
penso nessun altro sia in grado di fare. E tu l'hai portata a questo,
per
andare con la prima puttana che ti capitava a tiro. Mi fai schifo,
Barnes.-
Sento
qualcosa di sgradevole agitarsi nello stomaco, quando quelle parole
tanto
gelide arrivano a colpire anche me. Fa male sentirle, fa male sentire
la voce
di Angel piena di veleno, fa male vedere Ben crollare sotto quella
pugnalata
terribile; una pugnalata, che penso si sia meritato.
Non mi
piace, vederli così, nessuno dei due.
Non mi
piace vedere Angel tremare, non mi piace vederla infuriata come non mi
è mai
capitato (per fortuna, oserei aggiungere), non mi piace capire dai suoi
occhi
quanto stia soffrendo. Non mi piace, mi sento ancora peggio, nel
vederla
soffrire.
E non
mi piace vedere Ben crollare ad ogni parola un poco di più,
lo sguardo che
diventa quello di una bestia ferita a morte, il già poco
colore che svanisce
dal suo volto.
Non mi piace.
Non serve a niente.
-Angel...- mormoro, con
una voce spaventosamente diversa da quella che so appartenermi. Viene
da
lontano, la mia voce, viene da un angolino remoto che non si
è ancora lasciato
crollare.
Angie
non mi ascolta, e la vedo prendere di nuovo fiato, pronta ad una nuova
sequela
di insulti da rivolgere a Ben.
Ma è
inutile, arrabbiarsi adesso.
Non
serve a niente, non farà sentire meglio nessuno, non
aiuterà Ray in nessun
modo.
Qualcosa
si annoda nel mio stomaco, nel pensare
il suo nome.
-Angie.-
ripeto, la voce più ferma, più sicura,
più simile alla mia. So che mi sta
ascoltando, so che mi ha sentito, e so anche che non ha intenzione di
darmi
retta. Testona, come sempre.
Non
serve a niente, Angel, non serve arrabbiarsi con Ben, non serve fare
del male
anche a lui…
Solo
quando la vedo tentennare,
sulle parole che le affollano la mente, muovo qualche passo. Un paio di
falcate
rapide, precise, e repentinamente le passo un braccio intorno alla
vita,
allontanandola da Ben.
La
sento irrigidirsi, capisco
immediatamente che vorrebbe essere lasciata andare, che vorrebbe ancora
dirne
di tutti i colori al mio amico. Ma non riesco a sopportare ancora un
secondo di
più quegli occhi neri e distrutti, e sento un ennesimo pugno
nello stomaco
quando lo vedo crollare su una sedia, completamente devastato.
-Angie,
basta.- ed è forse il
tremito che sento anch’io nella mia voce, a farla desistere.
Non
so cosa fare, adesso.
Non
so proprio cosa fare.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
Eeeccomi qua con il secondo
capitolo di Phoenix.
Allora....boh ^^"
Davvero, non so che cosa dire;
è stata Fla a suggerirmi l'idea della sfuriata di Angel a
Ben, io non ci metto mano (anche se concordo con lei :P).
E' una serata pesante, questa. E
brutta.
So che è breve questo
capitolo, ma era necessario; a dir la verità non mi
convince, ma pace. Il prossimo invece mi piace, e dovrebbe arrivare fra
qualche giorno, dipende da voi ^^"
Non so, di sicuro saranno
più di tre capitoli. Ne conto quattro, o anche cinque ^^"
In più, ho in cantiere
un'idea, un'idea di cui - scaramanticamente - non voglio parlare, per
ora. Restate in occhio perché dovrebbero arrivare, a breve:
Allora, innanzitutto GRAZIE
per i complimenti!!! E anche per le informazioni su vell'altro scemo di
Ben xD
Per Ben, la spiegazione è qua sopra, nel capitolo; magari
può sembrare che Ray abbia esagerato, ma anche quello ha una
spiegazione, lo Psicologo Moseley della situazione si darà
da fare per districare questo garbuglio (poveretto) xD
Grazie mille per tutto!!! Spero di leggere un tuo commento a questo :)
Aggiornato :) eeeeh per
Ray...quel che le è successo si saprà fra un
pò ^^" grazie per il commento, spero di leggerne un altro
per sapere cosa pensi di questo capitolo!!!
Eccotelo qua il tuo rovescio,
l'hai scritto praticamente tu xD E comunque io incidenti in macchina
non ne faccio, lo sai anche te che se anche piango o sto male, guido
sempre in modo eccellente *della serie, tiriamocela*
Non so che risponderti però, dato che c'è msn
acceso e ne abbiamo parlato tanto ^^"
Love you <3
quello sciroccato di Ben
è un coglione *annuisce vigorosamente*
Stavi tifando per Angel, vero? T'ho scoperta xD
Se proprio devo dirlo, anche io ero lì con tanto di ponpon e
bandierine xD
Mi sa che il periodo triste è tornato, mi sto concentrando
parecchio su questa storia -.-
Comunque sì, ci ho pensato per le somiglianze; ma siamo
messe davvero davvero male, se tu somigli a Ben e io a Willl...xDDDDDDDD
Ti adoro tesoro, un abbraccio forte <3
Aaaaah il dolore mi sa che ce
ne sarà ancora parecchio xD
Tanto le cose simpatiche non le so scrivere, è appurato =.='
La normalità non sarà mai il mio mestiere...bah,
io e te ci sentiamo su msn xD
Una,
due, tre. Alla quarta, non
ho più nemmeno la voce per chiedere alle infermiere qualche
notizia sulla mia
amica.
Non
ce la faccio più.
Non
la sopporto più,
quest’attesa.
Angie
è seduta accanto a me, la
sua mano piccina è stretta nella mia. Non abbiamo parlato,
non ci siamo detti
nulla; ma siamo qui, siamo insieme.
È
il calore delle sue dita affusolate che mi da la forza di continuare ad
aspettare, di non esplodere da un momento all’altro.
Ben
è di fronte a me, seduto
nella stessa, identica posizione ormai da ore. Ha lo sguardo vacuo di
chi non
vuole reagire, le mani fra i capelli, i gomiti appoggiati alle
ginocchia. È
crollato dopo la sfuriata di Angel, non ha più fatto, o
detto, niente.
Nemmeno
io so come evitare
quest’ansia, non riesco nemmeno a evitarla a me
stesso… non posso fare niente.
Né per Angel, né per Ben…e nemmeno per
Ray.
Ray.
Ray
è là dentro, Ray sta
continuando a lottare.
Guardo
l’orologio per l’ennesima
volta: cinque ore, cinque ore e quattordici minuti.
Sono
passate ormai sei ore,
dall’ultima volta che ho visto la mia amica.
Sei
ore.
Troppe.
Non
ce la faccio. Non ci riesco,
non ci riesco, non ci riesco.
Mi
sta uccidendo. Non ce la
faccio ad aspettare, non ce la faccio a stare qui seduto, ad attendere,
mentre…
Ho
freddo.
Non
è il freddo dell’autunno, non
è il freddo delle nuvole che riempiono il cielo. Anche le
nubi piangono, oggi,
ma io non ci riesco: non posso piangere, nonostante queste lame fredde
sotto la
pelle, nonostante questo gelo che mi riempie e mi svuota al tempo
stesso.
Non
posso piangere. Non posso.
Sospiro,
sentendo l’aria ruvida e
asettica ferirmi la gola, i polmoni, scendendo come carta vetrata a
distruggere
ancora un poco il mio autocontrollo. Ho perso la cognizione del tempo,
lo so,
me ne accorgo quando mi rendo conto che il mio orologio ormai non ha
più la
minima importanza.
I
minuti passano, lentamente.
Tic, tac. Tic, tac. Le uniche cose che avverto, sono la mano di Angie
nella mia
e il ticchettio dell’orologio.
Tic,
tac.
Tic.
Tac.
-Signor
Moseley?-
Niente
mi sorprende di più in
questo momento, che sentirmi chiamare signore.
Alzo
lo sguardo nello stesso
istante in cui anche Angel, riscuotendosi da quello stato di apatia che
ha
colto tutti e tre, si volta per vedere chi mi ha chiamato.
C’è
un medico, dinanzi a me, il
camice bianco e la dicitura “chirurgo” sul
cartellino.
Ray.
-Sono
io.- rispondo
immediatamente, alzandomi in piedi con tutta la velocità che
posseggo.
Angel
si alza con me, persino Ben
sposta lo sguardo scavato, vacuo, sull’espressione seria e
compita del dottore.
Sono
io, che devo parlare. Lo
sento, lo so, me ne rendo conto quando vedo che il chirurgo sta
guardando me:
probabilmente, mi hanno davvero scambiato per il fratello di Ray, qui.
Non
mi dispiace.
-Sa
dirmi come sta?- chiedo,
senza preamboli. La voce mi esce rauca, roca, non sembra nemmeno la mia.
Il
medico sospira, gli occhi
scuri che sostengono i miei.
-La
ragazza ha riportato diverse
lesioni.- comincia, ed ha un tono tanto sicuro lui, sembra tanto certo
di ciò
che lo circonda…lo invidio, per questo. Io, da quando sono
qui, non credo di
sapere più niente. -Il braccio sinistro presenta una
frattura scomposta, il
volto ha riportato diverse microfratture.-
Sento
lo stomaco contrarsi,
quando la vivida immagine del volto di Ray mi si ripresenta alla mente.
Una maschera di sangue.
-Ha
perso molto sangue dalla
ferita al fianco, la lacerazione ha provocato diverse emorragie
interne.
Abbiamo dovuto asportare la milza.-
Chiudo
gli occhi, per un istante.
Fa
male.
Un orribile squarcio sul fianco.
Guardo
Ben, e per un istante credo
davvero che sia sul punto di crollare. È pallido,
più che mai, le mani sono
serrate sullo schienale della sedia: non oso, non voglio immaginare che
cosa
sta passando adesso.
Stringo
più forte le dita di
Angel nelle mie, quando mi accorgo che il dottore non ha ancora finito.
Sospira
– si passa una mano sulla calvizie incipiente, sfregandosi
gli occhi stanchi.
-Il
trauma più importante, però,
è quello cranico.-
No.
No,
no, no.
-Non
sappiamo quando si
sveglierà, né…se.-
No.
No,
vi prego, no.
La
sento, la supplica nei miei
occhi, quando vedo il chirurgo rivolgermi un’occhiata
dispiaciuta.
-È
in coma.-
.
No.
Ray.
No.
Non è vero, non può essere
vero, non è possibile che
succeda
tutto questo proprio a lei. Non alla mia sorellina, non a
Ray…
No.
Non
riesco più a sentire il
medico, che cerca di spiegarci dettagli che non voglio più
sapere. Non riesco
più a vedere Ben, che crolla su quella sedia, impotente e
devastato anche più
di me.
Non
riesco più a vedere nulla,
perché i miei occhi si riempiono repentinamente di quelle
lacrime che non
riesco più a fermare.
-La
ringrazio, dottore. Will,
vieni via.-
Angel.
Quella
manina calda stringe più
forte la mia, quando mi sento trascinare lontano, via da quel corridoio
dove ho
appena ascoltato la sentenza più orribile della mia vita.
È in coma.
La
mia migliore amica, è in coma.
Non sappiamo quando si sveglierà.
Né…se.
Angel.
Angie
mi porta via, non so dove
stiamo andando. Non m’importa, l’unica cosa che
voglio sentire è lei, e la sua
mano che stringe la mia.
Non
mi rendo conto di nulla. Non
mi accorgo di essere fuori dall’ospedale, perché
l’aria che forza i miei
polmoni è pesante allo stesso modo, non mi rendo conto della
portiera della
macchina che sbatte.
Sento
soltanto qualcosa lacerarmi
il petto, il cuore, lo stomaco; tutto, tutto viene distrutto,
frantumato,
ridotto in mille pezzi, quando quella parola risuona ancora una volta
nella mia
testa.
Coma.
-Will…-
la voce dolce di Angel è
un balsamo, un lieve calore che riesce a tenere insieme tutti i cocci.
La
prima lacrima scende senza che
davvero riesca a sentirla.
Non
la sento. Non me ne accorgo,
non l’avverto proprio.
Poi
ne scende un’altra.
Un’altra,
e un’altra ancora.
Lascio
che le lacrime solchino le mie guance, che la
mente si annebbi ancora di più, senza percepire niente altro
che la presenza
della mia compagna.
Sento
un rumore, un bip e serrature che scattano,
prima di ritrovarmi seduto al caldo con Angie accanto a me.
Mi
guardo un secondo attorno, notando l'interno
della mia macchina; guardo Angel, che annuisce appena, accarezzandomi
una
guancia, asciugando delicata le gocce salate che non smettono di
scendere.
Siamo
soli, Will. Adesso puoi sfogarti.
Ti
amo, Angel.
Ed
è adesso che, finalmente, tra le sue braccia che
mi stringono forte, posso piangere senza controllo.
Lascio
che quei singhiozzi si sfoghino, sulla spalla di Angel. È
così piccino il mio
angelo, è così soffice, e calda. Io invece ho
soltanto freddo, un gelo che mi
penetra nelle ossa e mi costringe a tremare, fra le braccia di Angie.
Non ho
mai tremato tanto, non mi sono mai sentito in questo modo.
Non
riesco a non risentire quelle parole, non riesco a non rivedere la mia
amica in
quello stato.
Potrebbe
non svegliarsi più.
Mi
mordo le labbra, sentendo le lacrime scorrere più veloci,
più impetuose.
Serro
le braccia sui fianchi di Angie, ma la mia stretta è debole,
è piena di
terrore. Quasi non mi rendo conto delle sue dita che mi accarezzano i
capelli, di
lei, che mi stringe contro di sé mentre tutto, dentro e
fuori, va a pezzi.
-William,
amore.- Angel sussurra appena, cercando i miei occhi.
Alzo
a fatica il viso coperto di lacrime, senza
provare nemmeno a calmarmi. Non ci riuscirei, lo so già.
-Will,
non voglio dirti che andrà tutto bene e che
Ray sopravvivrà. Ma dobbiamo aver fiducia in lei;
è forte, è testarda, e
dobbiamo convincerla che se dovesse lasciarci soffriremmo. Lo sai
com'è,
continua a lottare solo se ha qualcuno per cui farlo. Per questo ti
chiedo solo
di non perdere la speranza.- spiega, dolcemente, accarezzandomi i
capelli e la
guancia, gli occhi scuri lucidi quasi quanto i miei.
Non
perdere la
speranza.
Non
mi è mai sembrato tanto difficile, mai.
Lo
so com’è fatta Ray. Non combatte, non lotta, se
non ha qualcuno per cui farlo: non è mai servito a nulla
cercare di convincerla
che dovrebbe battersi per sé stessa, perché anche
lei vale qualcosa…molto più
di quanto possa immaginare.
Annuisco
appena, i singhiozzi che continuano a
scuotermi.
Non
perdere la
speranza.
Non
posso arrendermi adesso. Non posso, non posso
farlo, non posso gettare la spugna ora.
Per
Ray, e per Angel.
Per
le donne della mia vita: per mia sorella e per
il mio piccolo angelo.
Prendo
un paio di respiri più profondi, cercando di
calmarmi un poco, cercando di fermare quelle lacrime. Quelle lacrime
che non
penso dimenticherò facilmente, che sento calde e salate
sulle labbra, sulle
dita.
So
che dovremmo tornare, so che c’è Ben che ha
bisogno di noi, che Ray ha bisogno
di
noi.
Ma
voglio restare qui, ancora un po’, senza
affrontare tutto ciò che c’è
là fuori. C’è dolore che ci aspetta,
c’è
sofferenza, c’è paura.
Qui,
invece, c’è Angel.
La
stringo nuovamente a me, e la sento accoccolarsi
sul mio petto. Appoggio la guancia contro i suoi capelli, respirandone
il
profumo, sentendo il suo corpo caldo fra le mie braccia.
Lasciatemi
qui, ancora un po’.
Voglio
solo pensare ad Angel.
.
Torniamo
in ospedale soltanto
quando il buio ormai incalza il cielo; l’oscurità
avanza, ormai è sera
inoltrata… se penso che stasera dovevamo uscire, tutti e
quattro, il dolore che
mi attanaglia lo stomaco si fa di nuovo vivo, più vivo che
mai.
Cerco
di non pensarci, quando
Angel mi lascia un lieve bacio sulle labbra e si dirige verso il bar
dell’ospedale. Già lo sappiamo entrambi, non penso
che stanotte ci muoveremo da
qui.
Io
torno su, torno in sala
d’attesa. C’è qualcuno, adesso, che ha
bisogno di me più di chiunque altro.
Ben
è rimasto lì, su quella
stessa sedia dov’è crollato. Ha gli occhi chiusi,
la testa fra le mani, la
schiena scossa appena da lievi sussulti.
Sta
male.
No,
dire che sta male è un
eufemismo: sta soffrendo come
un cane, sta patendo un dolore che non voglio, non voglio nemmeno
provare ad
immaginare.
Mi
siedo accanto a lui, notando
soltanto adesso le sue guance arrossate, l’espressione
stravolta che gli
riempie il viso. Ha pianto, ne sono certo.
Non
so che cosa dirgli. Che cosa
si può dire a una persona che ha visto la propria vita
crollare, nel giro di
poche ore?
Non
so cosa vorrei sentirmi dire,
al suo posto: probabilmente non vorrei ascoltare nessuno, non vorrei
nessuno
accanto. Vorrei stare da solo, a incolparmi di quello che è
successo, di quello
che…
No,
dannazione.
-Ben.-
non si muove, non alza lo
sguardo. Non reagisce.
Non
sopporto di vederlo così. Non
sopporto di non capire quanto sta soffrendo, non sopporto di sapere che
sta
così male, non sopporto niente.
Non
sopporto, soprattutto, di non
sapere cosa fare.
Sono
due ore che se ne sta qua, immobile;
non pensavo nemmeno che ne fosse capace, che fosse in grado di rimanere
fermo
tanto a lungo…
Mi
sento un idiota, a restare qui
senza dire nulla: ma cosa posso fare? Ben si è rinchiuso in
un guscio da cui
non ho speranze di tirarlo fuori, lo conosco troppo bene per non
saperlo.
Persino ad Angel non darebbe retta – e sì che la
ascolta sempre, o quasi.
Fa
male, sapere che l’unica
persona in grado di rimetterlo in sesto è la stessa per cui
sta così male.
Non perdere la speranza.
Continuo
a ripetermelo, ogni
volta che il viso di Ray fa capolino fra i miei pensieri. Devo
convincermene,
non posso crollare adesso – non più.
-Tieni.-
sobbalzo, quando la voce
gentile di Angel risuona a mezzo metro da me; non mi sono nemmeno
accorto del
suo arrivo, eppure è proprio qui, di fronte a noi
– di fronte a Ben, e gli
porge con un cipiglio amichevole ma severo un bicchiere di carta, da
cui
proviene l’inconfondibile profumo del caffè.
Anche
Ben alza lo sguardo,
sorpreso dalla mancanza di astio nella voce di Angie più o
meno quanto me.
Lo
sta guardando, con un cipiglio
tanto da mamma che per un istante, bizzarramente, sorrido.
Ben
la guarda in silenzio, senza
un’emozione vera che arride al suo viso.
Con
lentezza accetta il
bicchiere, prendendolo fra le mani che mi sembrano maledettamente
tremanti,
insicure.
-Bevilo,
ne hai bisogno.- la voce
di Angel sembra non fare troppo effetto su di lui; guarda quel
caffè in
silenzio, lo sguardo di nuovo basso, lontano.
È
Angie che s’inginocchia di
fronte a lui, prendendogli il viso fra le manine e costringendolo a
guardarla.
-Ben,
per favore. Non ti serve a
niente stare così, né a te né a lei.-
gli fa, e giuro che mi stringe il cuore,
vederlo con quelle lacrime appena accennate negli occhi neri, che la
guarda
implorante – e incapace, di dire qualsiasi cosa.
E
quindi annuisce. Muove appena
la testa, scivolando via dalla presa di Angie, bevendo appena un sorso
del caffè
che gli ha portato. Lo vedo quanto si stia sforzando, quanto si stia
costringendo a muoversi, a reagire.
Dai,
Ben. Non posso perdere anche
te, non adesso, dannazione.
Lo
vedo guardare il caffè, le
dita pallide anche in confronto al bianco del cartone. È
frustrante, e
doloroso, vederlo così.
E
poi lo vedo prendere un respiro
profondo, come se stesse per affrontare una sfida; e so che
è così, so che sta
combattendo contro tutto il dolore che ha dentro.
La
sua voce è rauca, lontana,
spenta, quando parla. Gli occhi neri sono vuoti, il viso non esprime
nessuna
emozione: è pallido Ben, è pallido come un morto.
-Possiamo…possiamo
vederla.-
Ed
è nello stesso istante in cui
pronuncia queste parole, che io guardo Angel e lei guarda me: annuisce,
quasi
impercettibilmente, e capisco che nella sua mente è passato
lo stesso pensiero.
Ben
non è andato.
So
perché non è corso da lei
appena gli hanno detto che era possibile vederla: si sente in colpa,
terribilmente in colpa, e non si sente merito nemmeno di avvicinarsi a
lei.
Preferisce macerare da solo, nel suo dolore, negandosi persino il
desiderio di
scorgerla.
Lo
conosco, e direi anche molto
bene. Ma conosco, e non poco, anche qualcun altro.
Ray ha bisogno di lui.
Non
so come, non so in che modo,
non so perché ho questa convinzione: ma se il mio istinto
non si sbaglia – e
sui miei amici, almeno, non sbaglia mai –, Ray ha bisogno di
sentirlo vicino,
di sapere che c’è, di sapere che non
se
n’è andato.
Cretini.
Entrambi.
-Vieni.-
faccio improvvisamente,
passando un braccio intorno a quello di Ben e costringendolo ad
alzarsi. Ignoro
quella brutta fitta al cuore, quando mi guarda con quegli occhi tanto
spenti,
confuso.
-Dove?-
mi chiede, e nonostante
tutto è un sollievo sentirlo parlare, dopo tanto silenzio.
-Ti
porto da lei.-
.
.
[Ray.]
Il
silenzio è qualcosa di
tremendo, dopo un po’.
È
come un cuscino premuto sulle
orecchie: scava, scava fino in fondo alla tua testa, riempiendoti di
niente
fino a che di te non rimane altro che un confuso nulla. Ho sempre
odiato il
silenzio, specialmente quello degli ospedali; persino il rumore delle
macchine
si affievolisce, dopo un po’, e rimane soltanto un indefinito
ronzio snervante
che ti trapana il cranio.
Non
ho idea del perché, ma sono
abbastanza conscia di quello che è successo e di dove sono.
Non
riesco a muovermi; non riesco
nemmeno ad avvertire il mio corpo, mi sento intrappolata in una gabbia
di ossa
e carne decisamente messe male.
Sono
confusi, i ricordi delle
ultime ore; ho voci che si rincorrono nella mia mente, rumori
elettronici,
scalpitii di passi e clangori di bisturi che si mischiano in un caos
inestricabile, da cui sono riuscita a capire soltanto poco.
Hanno
detto che sono in coma.
Mi
sembra tanto assurdo…sono qui,
penso, ragiono, avverto quello che mi capita intorno. Come posso essere
in
coma?
Non
ci voglio credere, non ci
voglio pensare.
Non
posso essere in coma, è
assurdo, non…
Sono
in coma, questo è quanto.
Avere paura non serve a niente…
Sento
i BIP ritmici che
scandiscono il battito del mio cuore, il suono ovattato del
respiratore; li
conosco, purtroppo. Ho visto troppe persone che amavo nel mio stesso
stato, e
ogni volta – ogni singola volta
– è
stata una pugnalata in mezzo al petto.
È
stupido avere paura. Dai, Ray,
cosa può succedere?
Non
c’è nulla di cui aver paura.
È un ospedale, sono solo quattro mura e qualche medico, non
è niente di così
terribile.
Non
pensare che qua dentro le
persone muoiono, Ray.
Non
pensare che hai perso tanto,
troppo, in posti come questo.
Non
serve a niente pensarci ora,
Ray. Non puoi fare niente, non puoi nemmeno piangere, a cosa serve
andare nel
panico adesso? Avere paura degli
ospedali è stupido, avanti Ray, sei sempre stata coraggiosa,
cosa vuoi che sia?
‘Sti cazzi, dannazione.
Ho
paura.
Non
ho paura di morire, non penso
di averla mai avuta; ma ho paura di questi posti, ho paura dei medici,
degli
aghi, ho paura della consapevolezza di essere qui da sola, in trappola
dentro
me stessa.
Vorrei
essere a casa.
Vorrei
essere nel mio letto,
vorrei sentire accanto a me il respiro di Ben.
Vorrei
avvertire il suo calore, stringermi
con forza al suo petto e chiudere gli occhi, respirando il suo profumo.
Vorrei
sorridere nel buio, fra le lenzuola del nostro letto, vorrei che non
fosse mai
successo niente…
Vorrei
piangere, adesso.
Vorrei
piangere tutte le mie
lacrime, vorrei che fosse qui.
Ben.
Non
riuscirò a smettere di
chiedermi il perché, Ben.
Non
riuscirò a smettere di
chiedermi dove ho sbagliato, cosa non ho fatto…
Ma
in fondo, forse dovevo
aspettarmelo.
Non
ho mai avuto nulla di così
speciale da meritare una persona come Ben, dovevo immaginarmelo che si
sarebbe
stancato, che avrebbe cercato un’altra…
Un
rumore sottile mi strappa dai
miei pensieri, spezza questo silenzio assordante che mi circonda. Un
cigolio,
un rumore di passi; due persone che entrano…saranno altri
medici, saranno
infermieri. Non lo so, e non m’importa.
Sono
già pronta ad abbandonarmi
in quell’oblio che somiglia molto ad un tiepido sonno senza
sogni, quando una
voce risuona in questa stanza.
Una
voce che conosco.
Una
voce che riconoscerei fra
mille.
La sua.
.
-Ray…-
.
Ben.
È...è
Ben.
È
qui.
Qui...
Se
potessi, ora sentirei gli
occhi riempirsi di lacrime. La mia anima lo sta già facendo,
sta già piangendo:
ho sentito qualcosa stridere, dentro di me, al solo suono della sua
voce.
È
qui, Ben, è qui vicino a me.
Forse,
dopotutto, è meglio che io
non possa muovermi, adesso. Non so quanto potrei reggere, non so quanto
il mio
cuore potrebbe sopportare di vederlo così vicino, eppure
tanto lontano – quanto
non è mai, mai stato.
Ha
una voce strana, è troppo
rauca. Sembra quasi che non parli da ore, o che abbia urlato.
Avverto
solamente un morbido
tonfo, un suono ovattato che mi raggiunge da lontano.
.
-Ben,
ehi…-
.
E
questo è Will.
Lì
per lì non capisco cosa sta
succedendo, non riesco a comprendere. La voce di Will è
preoccupata, quando si
rivolge a Ben; è la stessa voce che gli ho sentito quando
ero malata e bloccata
a letto, con tanto di febbrone da cavallo. È lo stesso tono
gentile, dolce,
pieno di affetto, che ha usato con me tante volte.
.
-Ray…-
.
Ma
è la seconda volta che sento
la voce di Ben, che qualcosa mi squarcia di nuovo il petto.
Perché
c’è qualcosa di terribile,
nel mio nome pronunciato con tanta sofferenza, con tanto dolore.
Qualcosa che
mi dilania più di qualsiasi altra, qualcosa che non
è altro che un coltello
dritto nell'anima.
C’è terrore, nella voce di Ben.
Che
cosa diamine...
Sta
piangendo.
Ben…Ben
sta piangendo. Lo sento
singhiozzare, lo sento serrarsi le mani sul viso, posso quasi vedere la
sua
schiena sussultare, i capelli ricadergli morbidi intorno al viso.
Non
l’ho mai visto piangere.
Perché…Ben,
no, ti prego. Ti prego,
ti scongiuro, non piangere…
Fa
male.
Fa
male, sentirlo così.
Vorrei
soltanto alzarmi da questo
letto. Vorrei soltanto abbracciarlo con tutta la forza che ho, vorrei
soltanto
che non soffrisse più così.
C’è qualcosa di terribilmente sbagliato nel
sentirlo
così, c’è qualcosa di tremendamente
doloroso nel sapere che sta soffrendo così
tanto.
Perché
sì, sono un’idiota.
Nonostante tutto quanto, nonostante stia soffrendo, nonostante mi stia
chiedendo che cosa ci fa qui, la cristallina consapevolezza che mi ha
tenuto in
piedi da quando lo conosco è sempre lì: lo amo,
lo amo con tutta me stessa.
Lo
amo tanto da star male,
adesso, tanto da sentire i frammenti del mio cuore incrinarsi
terribilmente
nell'udire i suoi singhiozzi.
.
-È
colpa mia, Will…è tutta
colpa mia…-
.
Will,
ti prego, fa’ qualcosa.
Ti
prego, ti prego non lasciare
che si autodistrugga, ti prego.
.
-Ben,
è stato un malinteso.
Qua l'unica che ha qualche colpa, è la Egerton.-
.
Lo
sento, l'odio che freme nella
voce di Will nel pronunciare quel nome. Per un istante, è
come se sentissi la
mia.
No,
wait.
Un malinteso?
.
-Dovevo
fermarla, dovevo
spiegarle…sono rimasto lì come un coglione, se
fossi riuscito a spiegarle, se…-
.
Me
ne sono andata senza lasciarti
dire nulla, Ben, non è colpa tua…
.
-Ben,
ti ricordi di chi stai
parlando, Ray…? Hai presente, il sinonimo di
“impulsività”?-
.
Oh,
beh. Non posso che dargli
ragione.
.
-Dovevo
fare qualcosa…-
-Non
sarebbe servito. Non ti
avrebbe ascoltato, non prima di aver sbollito e probabilmente ucciso
quella…donna?-
.
Will
fa come me. Sta facendo come
farei io. Sta facendo ironia, sta cercando di sdrammatizzare.
Crollerà.
So che crollerà, se non
è già successo. Lo so, perché
è quello che succederebbe a me, al suo posto.
.
-Non
insultare le donne.-
.
La
voce di Ben, spezzata dal
pianto, vibra di una rabbia a stento repressa che riesce a lasciarmi
allibita,
qua, in trappola nel mio corpo.
Ma
che cosa…
.
-L'ho
spinta via, Will…te lo
giuro, su qualunque cosa, non l'ho nemmeno guardata, non…-
.
Dea…ma
allora…
.
-Ben,
lo so. Lo so, okay? Ha
fatto come fanno in tante, ti s'è buttata addosso e ha fatto
scattare una foto
compromettente. Ha sempre odiato Ray, lo sai anche tu.-
.
…
Cristo.
Cristo,
Cristo, Cristo, Cristo.
Se
non fossi piantata qui, in
trappola nel mio stesso corpo, probabilmente mi starei prendendo a
schiaffi al
momento.
…come
posso essere stata così
stupida?
Ben
non gli risponde, Ben
continua a singhiozzare. Sento qualche rumore, una sedia che gratta il
pavimento, e mi rendo conto che Will si è seduto accanto a
lui.
.
-Potevo
fermarla…-
.
Un'altra
pugnalata affonda nel
mio cuore, stavolta macchiata di un veleno terribile: il senso di colpa.
.
-No,
non avresti potuto. Che
cosa avresti fatto, al suo posto? Ti saresti sentito deluso, tradito,
saresti
voluto soltanto morire pur di non pensare che lei non ti amasse
più.-
.
Sorvolando
sul fatto che è
praticamente impossibile che succeda, eh.
.
-S-Sì…penso…penso
di
sì.-
.
Nessuno dei due parla più, per un
po’. Sento solo i singhiozzi di Ben,
lacerare un sussulto dopo l’altro questo cuore troppo debole
per lasciarmi
aprire gli occhi.
.
-Ben…
sai, Ray non si è mai
ritenuta abbastanza, per te.-
..
…
Ti
ucciderò William Moseley, per
aver detto questo.
Cazzo.
Ti
avevo pregato di non dirglielo
mai Will...
.
-C-che
cosa?-
-Se
sapesse che te lo sto
dicendo, mi strangolerebbe.-
.
Poco
ma sicuro.
.
-Ray
ti ama in un modo che non
ho mai visto, Ben. È una cosa inquietante, quasi, la vedo
quando ci sei e non
ci sei, e sono due persone diverse, completamente diverse. Quando
è con te è sé
stessa, è Ray, è felice. Ma quando è
sola…è a metà. Vive, per te.-
.
Ben
non dice niente, quando Will
fa una pausa.
Ma...te
lo deve dire Will, Ben?
Te lo deve dire lui, quanto ti amo, non ci arrivi?
Quanto
sei sciocco, amore mio.
.
-Sai,
Ray e l'autostima non
vanno d'accordo. Non si è mai sentita abbastanza per te,
abbastanza bella,
abbastanza intelligente, abbastanza donna, abbastanza…tutto.
Ha sempre avuto il
terrore che tu potessi trovare qualcuno di migliore di lei, che ti
meritasse
più di lei, e ci ha creduto immediatamente quando ha visto
quelle foto.-
.
Mi
sento giusto un poco
un’imbecille, al momento.
.
-Ma…ma
è una follia!-
-Lo
dici a me? Detto fra noi,
dovresti baciarti i gomiti ad averla al tuo fianco, e ringraziare ogni
mattino
che sia innamorata di te.-
-Lo
faccio. In ogni secondo.-
.
Ben...
.
-Vado
da Angel, okay? Torno
presto.- sento il rumore dei suoi passi, sento la sedia che
si muove, sento
la porta.
Lo
sento rassicurare Ben, forse
per l’ennesima volta.
.
-Si
sveglierà. Lo so che si
sveglierà.-
Contaci.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My Space:
non ci speravate
più, ditelo xD E invece sono qua; prima di partire per lidi
che è meglio non nominare *sorriso angelico*, a pubblicare
il nuovo capitolo (lunghissimo, peraltro) di Phoenix.
Allora, che dire: Ben è un pò meno da "prendiamo
le torce e i forconi!" xD poverino ç.ç e Will
ç.ç
Datemeli da coccolareeeeeeeeeeeeeeeeeeeee ç_____ç
Ne voglio due ç.ç
Va beh, evitiamo i miei scleri; devo dire che ultimamente Will mi esce
pure intelligente xD
Un'unica cosa: ho trovato l'attrice perfetta per la mia Ray, ed
è MEG RYAN - prima della plastica e della vecchiaia,
ovviamente ^^" specialmente in questa foto:
Ehi, grazie mille della
recensione!!! ^_____^ Sono contenta che il mio capitolo ti sia
piaciuto, per quello che riguarda Will anche in questo ce
n'è da vendere ^^" Ray sopravviverà? Adesso
magari la voglia anche c'è, prima la vedevo molto, molto
dura...e invece quella testaccia della mia Ray ci deve
craniare contro, per capire -.- Spero che ti sia piaciuto, aspetto il
tuo commento :)
tesoro nuu, non piangere
ç.ç
Anche se a dirla tutta ho pianto anche io ^^"
E anche in questo ho pianto come una disperata, un pò per
Will (con tutto quello che ho passato, mi sono sentita toccata sul vivo
scrivendo la sua parte), per Angie, per Ben...che inferno è
stato scrivere di Ben ç__ç
Ho una sorpresa da parte, per il prossimo capitolo *risata sadica* ci
sarà anche la Egerton *altra risata sadica*
Ti voglio bene <3
Ma chi si rivede! Che bello
vederti di nuovo fra i recensori :)
Sono tanto, tanto felice di essere riuscita a colpirti così
tanto; ci ho messo il cuore in questa fanfiction, che viene da un mio
momento molto, molto brutto - che in parte non è nemmeno
finito -.- ma si tira avanti =) sono felice di averti coinvolta tanto
*.* spero che anche questo capitolo riesca a colpirti, anche se so
anch'io che è pesante, e tanto ^^"
Povero Voody, ha
già fatto gli straordinari a causa mia e mi sa che
farà il bis xD
Cosa ti devo dire? Ti spedisco taaaaaaaaaaanti miciotti con gli
occhioni lucidi xDDDDDDDDDDDDDDD <3
Le ore diventano lentamente giorni,
e i giorni diventano settimane.
Spariscono quasi senza lasciare
traccia, queste giornate; l’unica ombra che rimane è quella nel cuore, negli occhi,
che oramai è diventata una compagna costante della vita di tutti i giorni.
Angel è sempre qui, quando non è
all’università. Si porta dietro i libri, studia, cerca di tenere insieme un
minimo di ottimismo e di speranza per tutti e tre. Penso che se non fosse per
lei Ben non mangerebbe nemmeno, per dirne una: e penso che non riuscirei a
sorridere, ogni tanto, se non ci fosse lei.
Ben lascia questa stanza soltanto la
sera. Ho recuperato alcuni dei suoi libri dal loro appartamento, e glieli ho
portati; lui non vuole nemmeno entrarci, dice che non gli riesce, che fa troppo
male. Parla poco, Ben, è diventato taciturno; è dimagrito, e lo so, Ray mi
ucciderà quando lo vedrà così sciupato.
E io?
Io cerco di aggrapparmi alla
speranza. Quella speranza che sento scivolare via un po’ tutti i giorni, che
cerco di trattenere con le unghie e con i denti, per non crollare.
Oggi sono solo, con Ray. Angel ha
trascinato Ben a mangiare qualcosa in un ristorante qua vicino: è forte la mia
Angie, è molto più forte di Ben…ed è anche molto più forte di me.
Credo che lo abbia visto, il mio
sguardo spaventato. Quando è andata via, penso che abbia notato la nota
atterrita che ha preso la mia voce, all’idea di restare qui, da solo. Con Ray.
Fa male, guardarla.
Sono seduto accanto a lei, accanto a
questo letto che la ospita da ormai due settimane e mezzo.
Non ho mai notato tante cose.
È pallida la mia sorellina, è
pallida come la neve; le fratture degli zigomi e del naso sono in via di
guarigione, ieri le hanno tolto i punti. Sta tornando ad assomigliare alla Ray
che conosco, il viso è meno livido, riesco a distinguere i suoi lineamenti
sotto le suture ancora troppo visibili.
Non l’ho mai guardata così, da
quando è qua.
Ho sempre cercato di evitarlo; ho
sempre cercato di non farlo, di lasciar scivolare lo sguardo su di lei, di non
soffermarmi per vedere tutto quello che le è successo.
È quasi insopportabile, il male che
fa.
Ha le ciglia lunghe, lunghe e nere.
Non me n’ero mai accorto…eppure adesso, fissando con insistenza quegli occhi sperando
che si schiudano, me ne rendo conto.
Sospiro, distogliendo a forza lo
sguardo dalle sue palpebre inesorabilmente chiuse.
Sono due settimane che pavento
questo momento.
Gli occhi mi cadono sulla sua mano,
quella libera da flebo e farfalle; è affusolata, bianca come il lenzuolo dov’è
posata. Ha le unghie tutte mangiucchiate, le pellicine strappate e la pelle
appena più rossa, intorno alle cuticole. È sempre stata una sua mania, questa.
È piena di cicatrici.
Ne seguo appena il contorno con la
punta dell’indice, senza sfiorarla; ho paura a toccarla, ho paura di sentirla
fredda – quando lei è sempre stata calda, caldissima. Una fornace, ecco cos’è
sempre stata Ray. Inestinguibile.
Ne ha passate tante, io lo so bene.
Ma soltanto ora, guardando quelle linee bianche ed indelebili che spiccano
sulla sua pelle, capisco realmente quanto il peso che si è sempre portata
dentro possa essere diventato gravoso, quando ha scoperto della Egerton.
Ma non potevi chiamarmi, Ray?
Quando hai visto, quando ti sei
sentita crollare il mondo addosso…non potevi chiamare me? Sarei corso, lo sai,
avremmo risolto tutto…potevi mandarlo a puttane quell’orgoglio. Dovevi
chiamarmi, dannazione. Avremmo evitato tutto questo, tu saresti sveglia, sana,
in piedi…
E invece adesso sono qui, di fianco
ad un letto di ospedale che sto odiando fino alla nausea.
Ora lo capisco, cosa significa avere
paura per qualcuno che si ama.
Ora lo capisco quello che mi dicevi,
sorellina.
.
Il dolore ti scava dentro, Will. Ti
mangia da dentro, ti riduce a un fottuto involucro vuoto, ti frantuma l’anima e
lascia di te solo cenere.
Io non sarò più felice, sai? Ormai
l’ho dentro, è come un cancro. T’impedisce di vedere la luce, e arriva persino
a fartela odiare.
.
Mentiva. Lo so che mentiva, lo so,
ne sono certo.
Lo so, perché non aveva ancora
conosciuto Ben, ai tempi di quel discorso.
Adesso lo capisco, quello che
intendeva; ma non mi sono mai lasciato sconfiggere dalle paure, e questa non
sarà la prima volta.
Per questo, con delicatezza, vinco
il mio terrore e racchiudo quella manina bianca fra le mie.
Quasi crollo dal sollievo, quando mi
rendo conto che la pelle di Ray non è fredda; è calda, è calda e viva, è ancora
qui. Qui.
È più facile guardare di nuovo il
suo viso, adesso. Dorme, ma forse può sentirmi, forse può capire. Anzi, senza
forse: può.
-Vedi di svegliarti presto, okay?-
mormoro, piano, stringendo appena più saldamente le sue dita fra le mie.
-Vedi di tornare indietro. Abbiamo
bisogno di te, qui.-
.
.
[Ray.]
Se c’è una cosa che ho imparato a
sfruttare, è la pazienza.
Non sono mai stata una persona
calma, pacata, tranquilla; ma crescendo, ho appreso l’arte di attendere, di
aspettare respirando con calma che qualcosa cambi nel tumulto della vita.
Ho imparato che qualcosa, prima o
poi, cambia.
Oggi hanno tolto il respiratore. Non
riesco ancora a sentire niente, non riesco ancora ad avvertire le sensazioni
del mio corpo; sono ancora in trappola, in un guscio che non pare avere la
minima intenzione di muoversi.
Ma penso sia una buona cosa, questa:
hanno detto che respiro da sola, che le funzioni vitali sono regolari. È una
buona cosa, vero?
E allora perché non mi sveglio?
Ho imparato ad essere paziente, ma
così si comincia ad esagerare.
Sono tre settimane che non apro gli
occhi.
Sono passate tre settimane
dall’incidente, da quando sono finita in questo posto che odio con tutta me
stessa.
Tre settimane.
Sono stanca.
Sono stanca di sentire Angel che
piange, quando è sola, quando nessuno la può vedere. Io però sono qui, io la
sento, ed è un colpo al cuore ogni volta che mi rendo conto che la colpa è
soltanto mia.
Sono stanca di sentire Will sempre
più affaticato, la voce sempre più cupa. Fa troppo male, capire quanto il
dolore di William riesca ad arrivarmi dentro, quanto riesca a ferire.
Sono stanca di sentire Ben così
distrutto.
Mi devo svegliare.
Me lo ripeto incessantemente, è
diventato il mio mantra. Mi devo svegliare. Devo aprire gli occhi, devo
tornare indietro, devo rivedere la luce.
Voglio tornare da Ben.
Voglio guardarlo, e voglio
chiedergli scusa.
Scusa, per non essermi fidata.
Scusa, per aver combinato tutto
questo.
Scusa, per non aver avuto la
sicurezza di non credere a quelle immagini.
Per non essermi fidata di lui.
È qui, oggi.
Angel è all’università, Will è con
lei – sostegno morale per un esame, credo.
E Ben è qui. È vicino a me, seduto
accanto a me, con me.
È sempre qui, se ne va solo quando
Angel lo costringe, quando non declina gli inviti a mangiare, quando si
addormenta ed è Will a trovarlo appisolato, a svegliarlo.
È l’unica ancora che mi trattiene
dallo sprofondare nel buio.
Fa così male saperlo così vicino, e
non poterlo nemmeno sfiorare.
Ho tanto bisogno di
abbracciarlo…sembrerà infantile, non sembrerà da Ray. Non m’importa.
Ho solo un’immensa voglia di
stringermi a lui, di sentire il suo calore riempirmi fino all’orlo. Perché mi
sto svuotando ogni giorno di più, qui, in questa trappola che è il mio stesso,
stanco corpo.
Non lasciarmi andare via.
Ho paura.
Non lasciarmi scivolare via.
Continuo a pendere su un vuoto che
minaccia in ogni istante di risucchiarmi, di trascinarmi lontano dalla vita e
dalla luce che non ho mai anelato così tanto. Conosco quel baratro, conosco
quella voragine: mi ha quasi portata via, una volta.
Non posso permetterglielo ancora. Non
voglio.
Io ho delle persone da cui tornare,
io voglio tornare da Ben! Devo dirgli che mi dispiace, che sono stata una
stupida, devo dirgli che non deve più piangere, devo dirgli che lo amo!
Voglio tornare a casa…e voglio
piangere, piangere fino a non poterne più, fino a consumare il cuscino e
liberarmi di tutto ciò che si aggroviglia dentro e attorno al mio cuore,
stringendolo in una morsa che m’impedisce persino di respirare.
Voglio tornare a casa. Per la prima
volta nella mia vita, voglio.
Voglio tornare da Ben.
Voglio la sua risata, voglio il suo
sorriso.
Voglio il sapore dei suoi baci,
voglio quelle nottate passate a parlare nella penombra della nostra camera fino
a che gli occhi si chiudono, esausti.
Voglio sentirlo tornare a casa,
voglio sentire il cuore partire in quinta ogni volta che la porta si chiude e
io corro da lui, fra le braccia che mi aspettano sempre.
Voglio ascoltarlo mentre mi racconta
del suo lavoro, voglio vedere quella luce appassionata che si accende nei suoi
occhi quando recita.
Voglio indietro la mia vita.
Voglio indietro il mio Ben.
-Ehi.-
Sento di non meritarla appieno, la
dolcezza che c’è nella sua voce.
Ben non parla tanto con Will e
Angie. Con loro è taciturno, è cupo, è distante almeno quanto lo sono io.
Ma parla con me.
Tutto ciò che non dice ai ragazzi,
lo dice a me.
Torna un poco se stesso, quando è
qui, da solo. Riesco quasi a vederlo, seduto qui accanto a me, le dita che
scivolano fra i capelli morbidi, gli occhi scuri e lontani sempre così lucidi.
È Ben, quando parla con me.
È il mio Ben.
È dolce. È sempre stato così, con
me: mi ha sempre fatta sentire come…come se ci fossi io, io soltanto.
Come se tutto ciò che gli importasse
fossi io, e tutto il resto passasse in secondo piano.
È una sensazione strana, per me. È
una sensazione meravigliosa.
-Sai, stai guarendo. Non c’è più
quasi nessun segno…sei bellissima. Come sempre.- e tu, come sempre, mi
guardi con occhi che non vedono la realtà.
Ma forse è meglio così, no? Quando
si ama qualcuno, si vede sempre splendido, sempre perfetto…
Cristo, come posso averti fatto
questo, Ben? Come posso essere stata così stupida?
-Forse non dovrei stare qui…forse
non vuoi, e hai anche ragione…- no, no, non pensare nemmeno di andare via!
Non osare nemmeno pensarlo, stupido!
Quando sei qui riesco a dimenticare
di essere in un letto d’ospedale, riesco a dimenticare di essere in trappola
dentro me stessa…
Tanto fa male sapere quanto soffre,
tanto la sua presenza mi riempie, mi completa…mi fa ricordare chi sono.
Non andare via, Ben.
Non lasciarmi sola.
-Mi manchi, principessa.-
Principessa.
Sento il cuore gonfiarsi di lacrime,
quando quell’unica parola rimbomba con forza dentro di me.
Principessa.
Ben mi chiama poche volte, così. Sa
che m’imbarazzo, sa che divento rossa, e sa che amo terribilmente il modo in
cui lo dice.
Mi sento bene, quando lo
dice.
Mi sento importante, mi sento
speciale…mi sento amata, amata come solo lui riesce a fare.
Non so come spiegare il significato
di quel nomignolo, che in tanti usano e abusano. Non so come definire
l’importanza che ha per me.
Ma Ben sì, Ben lo sa.
Ben sa sempre tutto di me, non sono
mai riuscita ad ingannarlo: è l’unico, al mondo, che riesca a vedere oltre
tutte le maschere che indosso, in quella tragedia teatrale che è la vita.
È l’unico, che riesce a scorgere
quel cuore che ora batte con una forza quasi dolorosa, e quella creatura tanto
candida ben celata dentro di me.
Ho sempre vissuto di maschere.
La mia stessa vita è stata un teatro
di ruoli su ruoli, di miriadi di persone diverse che si avvicendavano sul
palcoscenico della mia tragedia.
Soltanto Ben è riuscito a sfilarle
tutte, quelle maschere. Una per volta.
E quello che ha trovato là sotto è
stato qualcosa che non l’ha deluso, che non l’ha allontanato…lui per primo,
prim’ancora di me stessa, ha amato quella creatura fragile e paurosa che
si nascondeva dietro tutti quegli strati di dolore calcificato.
E ha trovato quel cuore.
Quel cuore che aveva ricominciato a
battere nello stesso istante in cui aveva incrociato quegli occhi.
Quel cuore che ho cercato di
proteggere fino all’ultimo, di reprimere sotto la dura scorza di freddo cinismo
con cui mi proteggevo dal mondo…
Scorza che è andata in frantumi
nello stesso attimo in cui mi ha sfiorata per la prima volta; quando, per la
prima volta, le sue labbra hanno toccato le mie.
Non lasciarmi.
Non lasciarmi andare…
-Ti prego Ray…ti prego,
perdonami…-
Quante volte lo hai ripetuto, Ben?
Quante volte ancora sarò costretta a
sentirtelo dire, senza riuscire a tirarti un cazzotto e a dirti che tu, di
colpe, non ne hai nemmeno una?
Non voglio andarmene.
Non voglio morire.
Non prima di aver detto a questo
cretino che deve smetterla, che le pare mentali non gli riescono bene quanto a
me. Non prima di aver implorato il suo perdono.
Non prima di avergli detto che lo
amo.
-…torna da me.-
.
.
[Will.]
Oggi sono tre settimane; tre
settimane, due giorni, sette ore.
E non credo di essermi mai sentito
tanto male quanto ora.
Sono tornato in ospedale il più in
fretta possibile; Angel ha mandato me e Ben a casa, a cambiarci e a fare una
doccia. È sera, una delle sere più fredde degli ultimi tempi, mentre ottobre
sta lasciando il posto ad un rigido e piovoso novembre.
È la stagione preferita di Ray,
questa.
Non mi è piaciuta la sensazione che
ha preso vita appena sotto la mia pelle, appena messo piede fuori
dall’ospedale.
Sapete, quell’istinto che vi
sussurra che qualcosa di brutto sta per succedere? Quella vocina dispettosa che
vi trapana lentamente il cranio, ricordandovi incessantemente che in mezzo a
tutto questo dolore può esserci sempre qualcosa di più brutto?
Ecco.
Ho cercato di non darci retta; cerco
di ignorare l’ansia e il dolore che mi attanagliano il petto, sempre più
spesso.
Ma adesso, adesso capisco che avrei
fatto meglio a darvi retta.
Sono qui, sulla soglia della stanza
di Ray. Sento lo stipite di plastica piegarsi appena, sotto la stretta quasi
convulsa delle mie dita, gli occhi che non riescono a schiodarsi da qualcosa
che non dovrei nemmeno vedere.
Angel.
Il libro che le ho visto sfogliare
stamattina è scivolato per terra, aperto; con la coda dell’occhio scorgo i
segni dell’evidenziatore, il colore acceso che riverbera per un istante in
questa fredda camera d’ospedale.
C’è una poltroncina, qui. È soffice,
in pelle brunita, Angel si siede sempre lì e vi si appallottola, come un micio.
Anche adesso.
Solo, che stavolta non sta più
fingendo.
Sento qualcosa agitarsi furiosamente
nel mio stomaco, nel guardarla.
È paura. È terrore.
Angel è rannicchiata sul morbido
cuscino della poltrona, le ginocchia piegate contro il petto e le braccia che
le stringono, come una bambina. Il suo viso è nascosto, è velato dai capelli scuri
che le ricadono lisci sulle spalle, sulle gambe, sulla schiena; non credo di
averla mai vista così fragile, così piccola.
Ad un’occhiata distratta, si
potrebbe pensare che non stia succedendo nulla. Chi non la conosce potrebbe
guardarla, e vedere solo una ragazza addormentata.
Ma io riesco a distinguere anche
troppo bene il lieve tremito della sua schiena, le mani che si serrano sugli
avambracci.
Riesco a vedere fin troppo
chiaramente il singhiozzo silenzioso che scuote, nel profondo, anche me.
Sta piangendo.
La mia piccola Angel…sta
piangendo.
Da sola, qui, accanto all’amica che
– me lo sento – sta soffrendo quanto me, nel sentirla crollare in questo modo.
Il suono delle sue lacrime
trattenute mi assorda, mi riempie e mi svuota allo stesso tempo. Tutto ha perso
importanza, ora; tutto converge lì, su quella poltroncina, in quella ragazza
che amo con tutto me stesso e che adesso sta soffrendo – soffrendo di un dolore
che mi ha sempre nascosto, in queste settimane. Un dolore che si è tenuta per
sé.
-Sai…- la sento singhiozzare, e
sussulto pensando che si stia rivolgendo a me; ma i suoi occhi non si alzano,
il suo viso non compare da dietro il lieve velo dei capelli. -…ho preso
ventotto all’ultimo esame…era più facile di quanto pensassi…-
È una pugnalata nel cuore, capire
che sta parlando con Ray.
-Ben non vuole tornare a casa…parla
così poco, non lo riconosco più…- un altro singhiozzo, altre lacrime invisibili
ai miei occhi scendono calde sulle sue guance.
-Per favore Ray, non arrenderti…non
ti sei mai arresa, non farlo adesso, non smettere di lottare proprio ora…- ad
ogni pausa, ad ogni respiro, un sussulto più prepotente la scuote fin nel
profondo.
E poi un gemito. Un singulto di
dolore che affonda come un coltello nel mio stesso petto.
E qualcosa si rompe.
Quel pianto che prima era
silenzioso, soffocato, trattenuto anche, adesso non riesce più a restare chiuso
fra quelle ginocchia; i singhiozzi la scuotono con più violenza, riesco a
sentirle quelle lacrime, a sentirle come se stessero rigando il mio di volto.
E non ce la faccio, non ce la faccio
più a restare qui a guardare.
-Angel.- mormoro, e in un istante
soltanto sono accanto a lei, la stringo con forza fra le braccia, quel pianto
denso di dolore che si ripercuote anche dentro di me.
La stretta intorno alle sue
ginocchia si scioglie nello stesso istante in cui la sfioro. Non so se mi ha
visto già da prima, non so se è talmente sconvolta da non comprendere davvero
quel che succede: ma so che sono le sue braccia a serrarsi con forza intorno
alle mie spalle, è il suo viso che affonda sul mio petto, stringendosi con
tutta la forza che possiede contro di me.
La abbraccio, la prendo in braccio e
mi siedo su quella poltrona che chissà quante lacrime deve aver visto,
sentendola rannicchiarsi contro di me, le lacrime che non accennano a fermarsi,
il dolore che la travolge come un fiume in piena.
Non dico niente, sarebbe inutile
anche solo provare a pensare a qualcosa; sarebbe sciocco dirle andrà tutto
bene, si rimetterà tutto a posto, quando nemmeno io so che cosa
succederà domani.
Continua a piangere, i tremiti
convulsi che scuotono anche il mio petto. Perché sei arrivata a questo senza
dirmi nulla, angelo?
La cullo con dolcezza, cercando di
bloccare le lacrime, la sofferenza che mi procura vederla in queste condizioni,
accanto alla mia amica che, ne sono ancora certo, sta sentendo tutto.
La sua stretta si fa ancora più
salda, quando le lascio un bacio tra i capelli scuri e profumati, il corpo
morbido che si racchiude ancora di più contro di me; come un riccio.
-Angel…- sussurro al suo orecchio,
cercando di infonderle un po' di calma e sicurezza.
-Angie.-
Alzo di scatto lo sguardo, quando
un’altra voce – più bassa, più rauca, più stanca della mia – pronuncia il nome
della mia ragazza, con una dolcezza che, mi sono reso conto, uso sempre io
quando mi rivolgo a Ray.
Ben è seduto sul bracciolo della
poltrona, gli occhi neri più spenti che mai fissi su Angel. La sta guardando
con un’espressione strana, risoluta, quasi…rassegnata, ecco. È l’espressione di
chi si sta arrendendo al dolore, di chi ci sta facendo l’abitudine: è
l’espressione che ho visto troppe volte sul viso di Ray.
Anche Angie si accorge della sua
presenza, alza appena gli occhi dal mio petto per guardarlo in volto.
Improvvisamente mi sento di troppo, quando gli occhioni lucidi di Angel
s’incrociano con quelli tanto vuoti di Ben: è qualcosa che posso comprendere, è
qualcosa di cui non sarò mai geloso.
È lo stesso sguardo che lega me e
Ray.
È lo stesso amore forte,
indistruttibile, che intreccia le vite di due fratelli.
Ma se fra me e Ray è un continuo
battibeccare, è un continuo scontro di due testacce una più dura dell’altra,
Angie e Ben hanno un rapporto diverso, più pacato, più sereno. Non me la sento
di dire più profondo; non posso, non…non dopo aver capito quanto Ray sia
importante per me.
Le accarezza appena i capelli, con
delicatezza, sfiorandola appena con i polpastrelli; e Angel torna a posare il
viso sul mio petto, alzando però una manina per intrecciare le dita alle sue.
Guardo Ben nello stesso istante in
cui lui si rivolge a me, ed ancora una volta mi spaventa il baratro che ha
dentro quelle iridi scure.
Hai passato troppo tempo con Ray,
amico mio. Lasciatelo dire.
.
.
.
[Ray.]
Un mese.
Cristo, è passato un mese.
.
Oggi sono tutti qui. C’è Will, c’è
Angel che ripassa sui suoi libri, c’è Ben accanto a me. Fuori, riesco a sentire
il rumore di un temporale in piena regola che sferza i vetri della mia
finestra, di quella che ormai è la mia camera.
È arrivato l’autunno, e non posso
non esserne felice.
Amo questa stagione: mi somiglia,
con quei colori, quell’atmosfera, quel terribile bisogno di calore e la
dolcezza che si prova quando finalmente ci si rifugia fra le coperte.
Per la prima volta da troppe
settimane, comincio a sentire qualcosa. Avverto il calore della coperta,
avverto la morbidezza del cuscino, la sensazione dei capelli sparsi sul cotone.
Avverto il tocco leggero delle dita
di Ben, intrecciate con delicatezza alle mie.
È come il calore d’autunno, Ben.
È la stessa, meravigliosa
sensazione.
Ogni tanto Will aiuta Angie a
ripetere, li sento parlare di qualcosa che non capirò sicuramente mai: Angie è
davvero portata per la biologia, io invece sono più per le materie umanistiche.
Mi rincuora sentirli qui tutti e
tre, è…è bello saperli qui.
È difficile ammetterlo, per questo
cuore chiuso a riccio, ma è bello sapere che sono qui per me.
Da quello che ho capito, è
pomeriggio inoltrato: sono qui da un paio d’ore, credo, la cognizione del tempo
non è la mia priorità. L’atmosfera è calma, tranquilla: per la prima volta,
riesco ad avvertire più dei semplici suoni, attorno a me.
È come se i miei sensi si stessero
lentamente risvegliando, stessero a fatica tornando a riprendere le loro
funzioni primarie: è ancora poco per me, per me che sono un soldato e pretendo
il massimo sempre e comunque da me stessa, ma…si stanno svegliando.
Mi sto svegliando.
E sentire l’aria fredda che entra
dalla porta, quando improvvisamente viene aperta, non ne è che una conferma.
Ma c’è qualcosa che non va.
Sento Angel interrompersi di botto,
quando lo scricchiolio lieve dei cardini risuona nella camera.
Sento Will smettere improvvisamente
di respirare, ed un lieve fruscio mi fa capire che si è alzato in piedi.
Sento Ben serrare improvvisamente le
dita fra le mie, con una forza quasi aggressiva che mi sorprende non poco.
…
E adesso, che diamine succede?
-Tamsin.-
Un fiotto d'odio m'inonda lo
stomaco, nel sentire Will ringhiare quel nome.
Tamsin.
Tamsin Egerton.
Improvvisamente, nella mia mente,
appaiono di nuovo quei fotogrammi. Lei, addosso a Ben, al mio Ben.
È colpa sua se mi trovo in questo
letto. È colpa sua, se Will e Angie sono devastati.
È colpa sua, se Ben sta soffrendo
come un cane.
Datemi la forza di alzarmi da questo
letto.
COME OSA!?
Come osa venire qui, dove
sono io a causa sua!?
Adesso mi alzo. Adesso mi alzo e la
smonto.
Come OSA, avvicinarsi di nuovo a
Ben?
Non hai ancora capito una cosa,
cocca. Ben è mio.
-Che cosa vuoi?-
Niente, può rendermi più felice di
sentire la voce di Ben piena di rabbia, piena di odio, piena di disgusto. In
questo caso, in questo momento, è il balsamo più dolce per le mie ferite ancora
aperte, è lo scotch che rimette insieme un altro pezzettino del mio cuore.
-Io...volevo solamente...vedere
come stavi.-
Suona falsa anche a me, che non
posso vedere il suo viso da topo contrarsi in una disgustosa maschera di
penitenza.
-Vattene. Non osare nemmeno
avvicinarti a lei, o a me.-
Come ho fatto a dubitare di te,
amore mio?
-Ma guardati, Ben...sei distrutto,
e per cosa? Sai che non si sveglierà.-
…
Si vede che non mi conosci,
sgualdrina. Oh, quanto si vede.
-Ma brutta…- Angel? Oh Cristo, Will
fermala prima che scateni una rissa in ospedale!
Quasi non ci credo, quando avverto
lo scatto del mio biondo, il grattare rapido della sedia sul pavimento. Ecco,
bravo.
Will ha fermato Angel.
La mano di Ben è ancora intrecciata
alle mie dita, per un istante penso davvero di riuscire a ricambiare questa
stretta: sento la rabbia pulsare nelle vene, ma il bisogno di sentirlo è sempre
più forte.
Maledetta.
Maledetta.
-Questo lo…dici tu. Troia.-
Quasi non riconosco la voce della
persona che ha parlato. Quasi non riesco a comprenderla, in quel tono rauco,
affaticato, stanco, che in un istante ha ammutolito tutti quanti.
Quasi non riesco a capacitarmene,
quando con uno sforzo terribile le mie palpebre si aprono.
Ah...
La luce è terribilmente forte, dopo
settimane di buio.
Mi costringo a tenere gli occhi
aperti, faccio forza sulla mia stessa volontà per impedirmi di richiuderli. Il
mondo intorno a me è sfocato, e sembra che qualcuno abbia abbassato di botto il
volume, riducendo tutto ad un ronzio soffuso, il rumore del silenzio.
Poco a poco, riesco a concentrare lo
sguardo su qualcosa. Una mattonella del soffitto, che poco a poco prende forma,
consistenza, nitidezza.
Pian piano, riesco a mettere a fuoco
tutto.
La stanza asettica in cui mi trovo,
un peluche che conosco sul comodino. Gli occhi azzurri di William, che per un
istante vedono il mio sguardo, un sorriso incredulo che si sta aprendo sul suo
viso.
Will.
La prima persona che vedo, è Will.
Sento il cuore scoppiarmi nel petto,
quando la sua figura stanca, smagrita, sciupata, entra nel mio campo visivo. È
Will, è mio fratello, è Will...
Se potessi, mi alzerei ora per
correre da lui, per abbracciarlo forte.
Non me ne sono andata. Hai visto,
fratellone? Sono qui, non sono andata via, sono rimasta qui. Non me ne sono andata. Te l’avevo
promesso.
Mi concedo solo qualche attimo, e
una silenziosa lacrima che sparisce fra i miei capelli, per guardarlo. Avrò
tutto il tempo, dopo.
Prima, devo fare una cosa.
Con uno sforzo immenso, sposto gli
occhi già terribilmente pesanti sulla ragazza sulla soglia. Ha gli occhi
sbarrati, l'espressione terrificata: dev'essere questo, che si prova, a veder
parlare un morto.
-Vattene.-
Stavolta la mia voce la riconosco.
Sento le labbra sfregare, la lingua intorpidita impastare le lettere, ma la
voce è la mia, lo sento.
Sento l'odio, riempire ogni singola
sillaba che pronuncio.
Tamsin mi guarda sbigottita,
allibita, terrificata. Giuro, se non si leva dai piedi entro i prossimi cinque
secondi, mi alzo e la stampo contro lo stipite della porta.
-Direi che l’invito a sparire sia
stato abbastanza chiaro.-
…
Okay, Angel sul piede di guerra è
qualcosa che non capita di vedere tutti i giorni. Non è qualcosa che ci si
aspetterebbe, dopo un mese di coma.
Angel è una persona per nulla
incline alla violenza, al contrario di me.
Angel non finirebbe mai in una
rissa, al contrario di me.
Angel è sempre disposta al dialogo,
al contrario di me.
O almeno, così la pensavo fino a
dieci secondi fa.
Perché vedere uno scricciolo che di
solito ispira più coccole che timore, infagottata in una felpa che quasi
sicuramente è di Will, liberarsi bruscamente della stretta del suo
non-troppo-esile fidanzato e arrivare addosso a Tamsin, spingendola fuori con
una rabbia che non pensavo potesse covare…beh, questo manda all’aria tutte le
mie convinzioni.
Will rimane un istante immobile, e
Ben uguale. Penso che in questo momento, tutti e tre stiamo pensando la stessa,
identica cosa.
-E datti una mossa…scemo.-
La soddisfazione di dare dello scemo
a Will, dopo un mese, è qualcosa di immenso.
Will si volta di scatto a guardarmi,
una smorfia incomprensibile sul viso che potrebbe, se riuscissi, strapparmi una
risata; è incredulo, esasperato, allibito, felice, tutto quanto insieme. Le
emozioni si rincorrono sul suo volto sovrapponendosi le une alle altre, quando
i suoi occhioni azzurri incrociano per qualche attimo i miei.
E poi mi sorride. Un sorriso sincero
che non penso dimenticherò mai.
Un istante più tardi è già fuori di
qui, all’inseguimento di Angel nel tentativo di scongiurare un omicidio in
luogo pubblico.
È quando la porta si chiude, dietro
di lui, che sento improvvisamente le energie venir meno.
Troppe cose…
Troppe emozioni tutte insieme, mi
costringono ad abbandonarmi di nuovo su questo cuscino, fra queste lenzuola che
mi ospitano da tanto ma che vedo soltanto ora.
E poi mi rendo conto che fra le mie
dita sono ancora strette quelle di Ben.
È un contatto talmente familiare che
quasi non me ne sono accorta, i sensi affaticati bombardati da una miriade di
sensazioni diverse. Tutto mi appare più rumoroso, più vivido, più pesante;
persino l’aria che respiro.
Ma Ben, Ben è qui vicino a me.
Il mio respiro è flebile, ma non ho
bisogno di macchinari, almeno. Tengo gli occhi socchiusi, non ho la forza di
schiuderli ancora una volta: mi sento consumata, ogni più piccolo barlume di
energia è scomparso, bruciato nell’odio e nel dolore.
Ma continuo a sentire le dita di
Ben, che stringono forte le mie.
E le sfioro, le sfioro con i
polpastrelli che formicolano, ancora intorpiditi. Sono morbide le sue mani,
sono eleganti, le sue dita sono lunghe e affusolate come quelle di un pianista.
Ho sempre amato le sue mani, da sempre.
-Nove a uno…che scatena una rissa in
ospedale.- riesco a mormorare, e un accenno di sorriso stira per un attimo le
mie labbra. Ce la vedo, la solitamente piccola, dolce, equilibrata Angel. Ce la
vedo eccome.
E la stretta si fa più forte. E le
mie energie svaniscono ogni secondo di più.
Il volto sciupato di Will.
Gli occhi vacui di Ben. I suoi
occhi. Quegli occhi che amo, scomparsi…
Qualcosa s’incrina nel mio cuore, in
un istante.
Angel, solo io l’ho sentita
piangere, in quelle lunghe ore che ha passato qui. Sola.
Perché ha sempre cercato di tenere
in piedi tutti e tre…
Will. “Vedi di tornare indietro,
okay?”
Quanto ti ho fatto soffrire,
fratellone?
Qualcosa s’incrina, dentro di me,
quando mi rendo conto di tutta la sofferenza che ho causato alle persone che
amo…di quanto è grande il male che gli ho fatto.
Angel. Will.
Ben.
La stanchezza vince la sua
battaglia, quando le mie palpebre si chiudono di nuovo. Ma stavolta la
sensazione è diversa; il buio non riesce più a penetrare la mia carne,
atrofizzandola e rendendola insensibile persino alla mia stessa mente. Stavolta
sono cosciente, stavolta riesco ad avvertire ogni più piccola sensazione sulla
pelle, stavolta riesco a muovermi.
E riesco a sciogliere la stretta di
Ben, mentre un solo pensiero mi rimbomba nella mente.
Che cosa ho fatto?
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
My
Space:
Questo capitolo mi ricorda quello
che significa sfogliare un album dei ricordi. Li vedi scorrere piano piano fra
le tue dita, pagina dopo pagina: qui c'è il biglietto del treno che hai preso
per andare da una tua amica, qui c'è la foto che hai fatto viaggiando con lei,
qui ancora c'è il biglietto del primo cinema con il tuo ragazzo. C'è il
braccialetto dell'ospedale, c'è una visita medica importante, c'è il primo
dentino della sorellina: c'è una foto a cui sei particolarmente affezionata,
c'è un disegno che hanno fatto per te, per te soltanto. Ci sono i tuoi disegni,
i tuoi sogni, le tue paure. E' un diario, un diario dei ricordi.
Questo capitolo è così: come tante foglie secche fra le pagine di un libro, si
sussieguono momenti diversi, persone diverse, emozioni diverse. Tutti uniti da
un filo, il filo del nodo che arriva al suo culmine nell'ultima frase.
Perché ovviamente io non posso fare le cose facili, no? Non è certo finita,
questa storia. Manca l'ultimo capitolo: il più importante, probabilmente.
Sto esorcizzando una cosa, attraverso questa storia. Sto esorcizzando ciò che
probabilmente ha cambiato per sempre la sottoscritta, un brutto evento che sto
rivivendo, piano piano, attraverso le parole di Ray. E' per questo che dico che
il prossimo e ultimo capitolo sarà il più importante: è il più vero, è il più
sentito. E' il più mio.
Oggi è una giornata strana, molto. Per la prima volta fa davvero freddo, qui,
le nubi si addensano e si rincorrono, il vento è tagliente come una lama. E'
arrivato l'autunno, finalmente.
Questa è l'attrice che la Fla ha scelto per Angel: ovviamente, come Shaylee
nella mia Rebirth, i credits su Angel vanno tutti a lei. A proposito della mia
fic: a breve dovrebbe arrivare l'aggiornamento, se tutto va bene.
Ve l'eravate dimenticata la Egerton, eh?
Io no. xD
Questo è tanto per sottolineare che questa storia non è una fiaba: non è
l'amicizia, non è il grande amore, non è il cuore che permette a Ray di
svegliarsi. E' qualcosa di molto più concreto: è la rabbia, è il dolore che
quella *inserire insulto a caso* ha provocato a tutti loro, a spingerla a
svegliarsi e a mandarla cordialmente a prenderla in quel posto xD
E' la caratteristica principale di Ray, questa: Ray non è condottiero, Ray non
ha più quegli ideali che io stessa avevo una volta.
Ray ha le persone che ama. E quando ha davanti la causa di tanto dolore, tira
fuori le unghie.
*RULE*
Non preoccuparti, so che la matura può essere traumatica
ed è sicuramente impegnativa ^^ mi fa più che piacere sapere la tua
opinione sulle mie storie *-* traslochi, che brutta cosa…ne ho fatti 8 in
19 anni, fai te -.-‘
Grazie, per il sostegno che mi dimostri J non pensare che valga
poco, per me è immensamente importante sapere di poter ancora comunicare
con gli altri attraverso le parole ^^
Hoooooola ^^ Sì, in effetti ho temuto anch’io per la
salute del piccolo Ben xD maltrattare lui e Will si sta rivelando
terribilmente divertente *muhahahahahahahaha*
Ray è un personaggio poliedrico; passa da crisi di
panico a tranquillità, a ironia, a sarcasmo, a paura. E’ un concentrato
Ray, è unica ^^
Le storie tristi sono quelle che mi riescono meglio,
probabilmente per il fatto che la mia vita non è un mostro di allegria xD
Will e Ray sono una coppia di amici unica: sono quelle persone che non
vedresti mai come fidanzati, non sai perché, ma riesci solo a pensare
“checcarinichesono” xD
L’attrice che ho scelto non è quella di Cold Case (anche se ci avevo
pensato; come te adoro quel telefilm, ed è la seconda scelta subito dopo
questa ^^), bensì quella che ha fatto “Harry ti presento Sally”, “C’è posta
per te” e tantissimi altri film ^^
Eh, Ray è una persona che tranquilla non riesce a stare
^^” Sto lavorando ad una one shot che parla del suo primo incontro con Ben,
se mai vorrai leggerla ^^ Meg Ryan pare perfetta anche a me per la mia Ray,
con quei capelli ribelli e scompigliati, con quegli occhi terribilmente
belli e quell’aspetto da “donna con le palle” che non guasta mai ^^ spero
che anche questo capitolo ti sia piaciuto!
tesoro ^^ finalmente sono riuscita a scrivere anche
questa...fra poco dovrebbe arrivare anche Narnia, penso che ti piacerà il
prossimo capitolo ^^ allora, cosa dire su questo capitolo...ci sono così
tante cose che è difficile spiegarle ^^" sicuramente Will, il
cockerino del mio cuore xD avevo una persona, una volta, con cui avevo un
rapporto molto simile a quello che scrivo fra Will e Ray ^^ per questo lo
sento tanto, è stato un rapporto importante che per me ha contato davvero
tantissimo ^^
Sì, questa purtroppo è l'ennesima storia autobiografica; sentire tutto e
non poter dire niente, per di più per una ficcanaso logorroica come me, è
alquanto frustrante ^^" ha lasciato parecchi segni, questa
cosa...penso sia stato il primo vero trauma della mia vita, dopotutto. Ah
beh, la scrittura serve anche a questo ^^
Un abbraccio forte forte <3
Eppure, vedere
l’ostinatissima
espressione di una Angel più scarmigliata che mai, due
graffi che le segnano la
guancia destra ma gli occhi più fieri e vividi di quanto non
li abbia mai visti
nell’ultimo mese, è esilarante.
Ha preso a pugni la
Egerton.
Cazzo, l’ha
ridotta anche male!
La sento lamentarsi fin
qua,
dall’altra stanza dove la stanno medicando. Oh, poverina lei.
-Le ragazze non fanno a
pugni,
signorina, e di certo non in mezzo ad un ospedale!-
l’infermiera che sta
sgridando Angie non è a conoscenza di quello che
è successo, di quello che
Tamsin ha fatto; se lo sapesse, probabilmente andrebbe lei stessa a
tirare un
paio di ceffoni alla dolorante Faccia da Topo.
-E tu!- abbaia,
voltandosi di
scatto verso il sottoscritto. -Tu saresti dovuto intervenire per
fermarle,
ragazzo!-
Chi, io?
-Avevo appena scoperto il
piacevole hobby di contare margherite…non è mica
colpa mia se è un’occupazione
che prende tempo e attenzioni.- Angel si tappa immediatamente la bocca,
alle
spalle di un’infermiera sull’orlo di una crisi di
nervi, per evitarsi di
scoppiare a ridere nel bel mezzo di una lavata di capo.
Ray
si è svegliata.
Non riesco a non
sorridere, a
quel pensiero.
Ray, la mia sorellina.
È tornata
indietro, è tornata da noi, da me.
Credevo di aver
dimenticato i
suoi occhi, credevo di non poter più rivedere quella
scintilla ardente nelle
sue iridi. E non sbagliavo, infatti; ciò che ricordavo io
era solo il pallido
ricordo di uno sguardo ben più sconvolgente.
Ray
si è svegliata.
La morsa che mi serrava
il cuore
da troppi giorni sembra non essere mai esistita, polverizzata nello
stesso
istante in cui ho incrociato gli occhi della mia bionda preferita.
Due occhi stanchi,
provati da una
lotta che deve averla sfinita quanto forse non potrò mai
immaginare.
Due occhi che hanno
combattuto
anche contro la luce stessa, contro la debolezza, contro tutto quanto.
Due occhi che si sono
schiusi, e
che hanno restituito a tutti e tre qualcosa che temevamo di aver ormai
perduto.
Ray
si è svegliata.
E cazzo, l’ha
fatto come solo lei
poteva fare. Non mi sarei aspettato di meno, da lei;
d’altronde, è mia sorella.
-Via, sparite tutti e due
prima
che decida di farvi rinchiudere!- l’infermiera congeda
piuttosto bruscamente me
ed Angel, due cerotti bianchi sulla sua guancia e un sorriso che si
allarga
nello stesso istante in cui usciamo da questa stanza.
E non posso, non riesco a
non
sorridere anch’io.
Non
c’è bisogno di dire nulla,
fra me ed Angel; entrambi, tutti e due sentiamo la stessa emozione
riempirci il
cuore, e quel terribile senso di angoscia che ci ha tormentati per
tanto tempo
finalmente scomparso.
Ray
si è svegliata.
.
.
Ma è quando
torniamo indietro,
che qualcosa in questa gioia s’incrina di nuovo.
Ben è fuori
dalla camera,
appoggiato al muro in perfetto silenzio. Ha le braccia incrociate sul
torace,
in volto è cupo come il cielo tempestoso di novembre.
È diverso da com’è stato
nelle ultime settimane, le rughe premature sulla fronte si sono
allentate, gli
occhi sono di nuovo accesi.
È qualcosa di
cui non credo si
renda nemmeno conto, non consciamente. Lui e Ray, ormai, vivono
l’uno per
l’altra; ma allo stesso modo, se uno dei due si allontana
l’altro ne viene
distrutto. Non possono vivere separati, c’è
qualcosa di troppo grande per
essere definito che li lega indissolubilmente.
Io la conosco, quella
sensazione.
È quello che
mi lega ad Angel.
Ma
c’è qualcosa che non va.
-Ben, che
cosa…?- la domanda
ansiosa di Angel spezza definitivamente quella bolla calda che si era
gonfiata
nel mio petto, allontanando la paura.
Il mio amico scuote
appena la
testa, senza parlare, senza guardarci.
Ray.
È con troppa
facilità che la
morsa di terrore si serra di nuovo sul mio cuore, come un violento e
sadico
artiglio d’acciaio.
Che cosa può
essere successo?
Ray si è
svegliata, io l’ho
vista, stava bene!
Non può
esserle successo nulla di
grave, andiamo…non adesso, non dopo averla vista di nuovo
fra noi, non dopo
averla riavuta indietro per così poco.
Come a rispondere alle
mie paure,
pochi attimi dopo la porta della camera di Ray si apre, lasciando
uscire lo
stesso medico che l’ha presa in cura nelle ultime settimane.
Non aspetto nemmeno un
attimo,
quando vedo che sfoglia attento la cartella clinica della mia amica.
-Dottore,
possiamo…?- lui alza
gli occhi, ma ciò che vedo non mi rassicura;
c’è qualcosa di molto simila a
disagio, nelle sue iridi, un disagio imbarazzato che fa contorcere
qualcosa nel
mio stomaco.
Nella mia mano, sento
stringere
forte le dita di Angel.
-Sarebbe meglio di no.-
mormora,
passandosi una mano fra i folti capelli sale e pepe, senza guardarmi.
Ma è Ben che
interviene, più
sveglio e reattivo di quanto non sia stato nelle ultime quattro
settimane.
-Che cosa sta succedendo?
Cos’ha
Ray? Sta bene?- è la sua raffica di domande a far sospirare
il medico, che finalmente
alza gli occhi per guardarlo.
È lui che
guarda, il mio amico
dai pugni stretti e gli occhi determinati; malgrado tutto, è
un sollievo
immenso rivederlo, rivederlo vivo.
-Fisicamente si
è ripresa
perfettamente. Ma…ha chiesto di non vedere nessuno, al
momento.-
Bastano queste parole.
Sono
sufficienti, perché quella morsa tremenda torni ad
attanagliare il mio cuore;
sono sufficienti, perché Angel chiuda gli occhi sotto questo
ennesimo colpo, la
mano stretta nella mia.
Sono sufficienti per Ben,
che senza
dire altro si volta verso il corridoio che conduce fuori,
l’espressione di un
animale ferito a morte negli occhi.
È entrata in
camera mia con
delicatezza, si è seduta qui, accanto al letto, senza dire
molto. Ha i capelli
lunghi, neri, gli occhi scuri e la carnagione abbronzata; è
alta, snella, è inequivocabilmente
una donna di classe.
Mi volto verso la
finestra, senza
guardarla per più di un istante. Sono passati due giorni da
quando mi sono
svegliata; due giorni in cui non ho voluto vederli, in cui non ho avuto
la
forza e il coraggio di affrontare il dolore sui loro volti.
Non ce la faccio. Non ci
riesco.
Ho le spalle forti, ma
questa
colpa è troppo pesante…non
ho il coraggio
di affrontarli, e vedere quello che gli ho fatto.
-Fino a prova contraria.-
mormoro, atona.
Che
cosa ho fatto?
La luce delle nuvole
tempestose
che riempiono il cielo è fastidiosa, per i miei occhi. Forse
sarebbe stato
meglio non svegliarsi, dopotutto…forse non avrei visto gli
occhi dei miei
amici, gli occhi di Ben.
-Io sono la dottoressa
Maywright.
Sono qui per parlare con te.- sento un lieve scatto, capisco che la
dottoressa
ha aperto la cartellina che ha portato con sé.
-Lei è una
psicologa, giusto?- le
chiedo, mantenendo un cipiglio il più possibile neutro. Un
fremito nella voce,
un serrarsi di dita; bastano pochissime cose per comprendere una
persona, per
scavarle dentro.
-Sì.- come
volevasi dimostrare.
Non mi piacciono gli
psicologi,
non quelli come questa donna: dopo un incidente, un
trauma…una perdita,
arrivano sempre per cercare di sviscerare quello che ti è
appena successo, con
il solo risultato di farti sentire ancora peggio.
-Hai avuto un brutto
trauma
cranico, sei stata…- alzo appena la mano destra, quella
priva di aghi e flebo
che mi sforzo di non guardare, per zittirla.
-In coma, per un mese. Ho
sentito
tutto quanto, dottoressa.- la interrompo, la voce che trema appena
quando
ricordo per quanto tempo ho costretto le persone che amo a soffrire.
-Come ti senti, Ray?-
Gli
occhi di Ben.
I
suoi bellissimi occhi neri.
Erano spenti, i suoi
occhi. Non c’era più
vita in quel volto che amavo.
Ed è colpa mia.
È soltanto
colpa mia…
-In colpa.- rispondo,
chiudendo
gli occhi per non mostrare a questa donna il dolore che, lo so, vi
è apparso.
La penna gratta sul
foglio, e so
cosa sta scrivendo. Tre parole che conosco, che ho letto fin troppe
volte: shock post traumatico.
-Che cosa è
successo in
quell’incidente, lo ricordi?- mi chiede, dopo un istante di
silenzio.
Lo
schianto.
Il
dolore.
Il
buio.
-Benissimo.- è
la mia risposta
fredda, tagliente.
Ho freddo.
Ho tanto
freddo…Ben, dove sei?
-Ero…ero
triste, e arrabbiata.
Ero sola.- credevo di essere sola, e invece ero in compagnia della mia
sciocca
stupidità.
Come ho potuto causare
tutto
questo? Come ho potuto fare questo a Will, a Angel?
Come ho potuto fare
questo a Ben?
-Quella
ragazza…avevo visto delle
foto di lei con B-Ben, è…-
m’interrompo, perché gli occhi mi bruciano in una
maniera insopportabile. La voce ha sussultato, nel pronunciare il suo
nome.
Ci sono solo i suoi
occhi, nella
mia mente. Il suo viso, la sua voce, la sua sofferenza.
Torna
da me.
-Il tuo compagno.
È sempre stato
qui.- qualcosa si dibatte con violenza nel mio petto, e io non posso
fare altro
che voltare la testa di nuovo dall’altra parte, cercando di
trattenerla.
-Non avrebbe dovuto.-
mormoro,
piano.
-Perché?- ho
lasciato aperto un
varco, ho schiuso troppo le mie difese: e la dottoressa, qui, se
n’è accorta.
-Perché
è stato male. Ha sofferto,
perché sono stata una stupida.-
-Eri gelosa?-
-No. Stavo morendo.
Dentro.-
Un lungo silenzio segue
queste
mie parole.
Stavo
morendo. Dentro.
Stavo morendo,
perché pensavo che
la persona più importante del mio mondo non mi volesse
più.
E invece cosa ho fatto?
Ha
sofferto. È una parte di lui che ha rischiato di morire, in
queste
settimane.
A causa mia.
-Perché ti
senti in colpa, Ray?-
Mi volto di scatto, a
questa
domanda quanto mai stupida.
E sono i miei occhi,
taglienti e
freddi come non ricordavo potessero essere ancora, a far trasalire
persino
l’imperturbabile dottoressa Maywright.
-Dottoressa, ha per caso
guardato
in faccia i miei amici?- le chiedo, la voce roca e gelida, ben lontana
dalla
mia voce di soprano. Chissà se tornerà mai come
prima, chissà se riuscirò di
nuovo a cantare…
-La risposta è
lì.-
.
.
[Will.]
Sono stati eterni, questi
tre
giorni lontano dall’ospedale.
Ritrovarsi qui
è quasi un
sollievo, questo posto è diventato ormai dolorosamente
familiare a tutti e tre.
Io ed Angel siamo stati a casa, ma Ben non si è mai mosso di
qui; ha in viso
l’ostinazione e la testardaggine di un disperato, di qualcuno
che non vuole
arrendersi.
Non adesso, non ad un
soffio dal
riavere indietro tutto quello che ha.
Non per la prima volta,
mi rendo
conto di ammirarlo. Tanto.
-Dottore, che cosa
diamine sta
succedendo?- e mi sono trattenuto davvero, per non sbottare in un
“cazzo” di
quelli che farebbero inorridire metà ospedale.
Ci hanno convocati qui
mezz’ora
fa, e siamo letteralmente volati.
Aspettavamo soltanto
questo.
-La ragazza è
in stato di shock.-
oh, perché questo non l’avevo capito da solo,
vero!? -La dottoressa Maywright,
la nostra psicologa, ha provato a parlarle…-
-Tempo sprecato.- la voce
preoccupata e tagliente di Ben interrompe il dottore, molto meno civile
rispetto al sottoscritto. Ben è impaziente, è
angosciato, è improvvisamente
irrequieto come non ricordavo più potesse essere: Ray non
è stata l’unica a
svegliarsi, qualche giorno fa. -Ray non sopporta gli psicologi.-
-Se
n’è accorta.- non riesco a
non lasciarmi sfuggire un sorriso sardonico, ed Angel con me. Lo
sappiamo tutti
e due: quando vuole, Ray sa essere più fredda e scostante di
un pezzo di
ghiaccio. -Ha rifiutato categoricamente di parlare, ha solo
detto…-
-Mi lasci indovinare. Ha
detto di
sentirsi in colpa.- è Angel che lo interrompe, gli occhi che
si alzano verso il
soffitto.
-Esatto.- il dottore
guarda tutti
e tre, vede le nostre espressioni. Poi si sofferma su di me, e lo so,
paio
soltanto lievemente esasperato.
-Deduco che non sia una novità, quindi.-
-Ray ha sofferto un
dolore
immenso, tempo fa. Fa ancora fatica a tirarsene fuori, a volte.-
annuisco
appena, abbassando lo sguardo. Ben se lo ricorda bene, quel periodo:
è stato
lui, facendosi largo nella sua vita con la sua proverbiale
testardaggine, a
farla sorridere di nuovo.
-Non vuole incontrare
nessuno, ha
chiesto di restare da sola. Penso che…- stavolta sono io che
interrompo il
dottore, voltandomi di scatto verso Ben.
Ben, che si blocca un
istante
prima di alzarsi bruscamente in piedi, una cocciutaggine che ben
conosco negli
occhi scuri.
-Ben.- lo ammonisco,
piano. Ma
lui scuote la testa, i capelli che gli finiscono sulle palpebre, una
luce
ribelle nelle iridi.
-Devo parlarle.-
-Non ti ascolterebbe.- e
lo vedo
incupirsi appena, quando un pensiero preciso gli attraversa gli occhi
scuri e
la mano che fino a mezz’ora fa stringeva quella di Ray
stringersi a pugno, a
disagio.
Io non lo so per certo,
ma sono
convinto che la mia amica lo abbia già allontanato. Non per
cattiveria, non per
rabbia: Ray l’ha allontanato per un motivo ben preciso, un
motivo che forse,
sto cominciando a comprendere.
-Forse…-
-Angie, non ascolterebbe
nemmeno
te.- Angel alza gli occhi al cielo, ma non ribatte: sa che ho ragione,
sa che
Ray starebbe zitta e la lascerebbe parlare, ma non
l’ascolterebbe. Non
servirebbe a niente.
Però so che
darebbe retta a me.
Conosco Ray da prima che
conoscesse Angel, da prima che incontrasse Ben. Abbiamo vissuto nella
stessa
casa per quasi un anno, siamo diventati amici quando lei ancora viveva
in
America, quando è venuta qui per fuggire ai suoi mostri e ai
suoi incubi.
La conosco, la conosco
bene.
So cosa sta pensando. “è
stata colpa mia”.
So che ha visto, che ha
sentito
tutta la sofferenza che abbiamo provato noi tre. So che è
quello che la
dilania, le è sempre successo: io li ho visti i suoi occhi
atterriti,
terrorizzati, disgustati da se stessa, quelle pochissime volte che si
è
costretta a tirare di nuovo fuori quelle unghie affilate e a difendersi.
Ray è una
persona complicata, è
complessa come un meccanismo di un orologio; e altrettanto fragile,
altrettanto
semplice da rompere.
So come maneggiare
quell’orologio
senza romperlo, ho imparato tanto tempo fa. E soprattutto, so come
smontarlo:
pezzo, per pezzo.
Sospiro, appena
esasperato.
Non sarà
divertente, no. Non lo
sarà per niente, sarà penoso, sarà
brutto, sarà tremendo doverle fare del male
con l’intenzione di farlo.
Lascio andare il braccio
di Ben,
che non si muove, rivolgendomi uno sguardo che è una via di
mezzo fra una
preghiera e uno scongiuro.
Cosa non si fa per gli
amici, io
non lo so davvero.
-Ci parlo io.-
.
.
[Ray.]
È incredibile
quanto il mio corpo
sia in forma.
Insomma, mi hanno
asportato la
milza, avevo un fianco squarciato e una miriade di bozzi e tagli
ovunque; come
mai ora riesco a muovermi senza quasi un dolore?
È confortante,
però, riuscire a raccogliersi
le ginocchia contro al petto e stringerle fra le braccia. Riesco a
tenere
insieme un gelo che mi sta svuotando da dentro, che ha preso possesso
della mia
cassa toracica.
Odio sentirmi sola. Sto
cominciando
a odiare la solitudine, quella stessa solitudine in cui io stessa mi
sono
rifugiata più di una volta.
Eppure, so bene che
è meglio così…è
meglio che sia io ad essere sola, adesso. Sebbene abbia una voglia
assurda di
vederli, di vedere Ben…allo stesso tempo, non riesco a
pensare di affrontare i
loro sguardi.
Ho paura.
Ho
paura di rivedere tutto quel dolore…non ne posso
più di
sofferenza, di angoscia, di rabbia. È colpa mia se hanno
sofferto tanto, non ho
diritto di vederli.
Sussulto, quando la porta
si
apre.
In questo mese il mio
udito s’è
sviluppato, se possibile, ancora di più. È stato
l’unico senso che mi era
rimasto, l’unico a tenermi legata alla vita, a questo
mondo…
-Ehi.-
Qualcosa mi
s’incrina dentro,
quando la voce di William risuona in questa stanza anonima, grigia.
Will.
Il cuore accelera nello
stesso
istante in cui mi rendo conto di quanto roca e diversa sia diventata la
sua
voce.
È Will,
è il mio migliore amico,
è forse la persona che mi conosce meglio di chiunque altro.
Meglio di Angel, probabilmente
anche meglio di Ben.
Mi conosce da anni,
addirittura
da prima che arrivassi in Inghilterra. Ha conosciuto la persona che
ero, quella
che sono diventata…quella che non ho più voluto
essere.
-Ciao.- ma il sussurro mi
esce
debole e incerto, malgrado senta il cuore scoppiarmi di gioia nel
rivederlo.
Lo sento sedersi accanto
a me,
sento il grattare della sedia sul pavimento; ma non lo guardo, non
penso
riuscirei a guardarlo negli occhi.
Ho paura, di quello che
potrei
scorgervi.
Ho
fatto preoccupare tutti quanti.
Non voglio immaginare
come sia
stata Angie, non voglio sapere nemmeno lontanamente come si
è sentito Will,
provo puro terrore all’idea di cosa abbia potuto passare Ben.
Non voglio, non
voglio, ma alla fine sento il loro dolore che mi marchia a fuoco, ogni
volta
che si avvicinano un poco di più.
Per quanto possibile, mi
rannicchio su me stessa, tentando di ignorare la presenza di William,
seduto
accanto a me.
Sono
un disastro.
Non riesco a guardarlo in
faccia.
Non riesco a parlargli, non riesco a dire niente. Conosco Will, so
quanto si
sia tenuto tutto dentro, so quanto stia ancora male.
E so che stavolta, non
vuole
parlarne con Angel.
Ancora una volta mi
sorprende, il
rapporto che ho con Will; so cosa pensa, so come
la pensa, so cosa prova e come si sente. Forse non è
un’esagerazione,
dopotutto, definirci fratello e sorella.
-Ray…- no, non
posso averlo fatto
io. Non posso aver fatto io, tutto questo. Non posso aver fatto
così tanto male
a loro, a loro. Non posso essere
stata io, non posso aver fatto questo, non posso.
Sono
un disastro. Sono un
fallimento, una dannazione, un fottuto errore. Faccio solo soffrire le
persone
a cui tengo.
Mi volto. Non posso non
farlo, ho
paura di vedere l’espressione di Will ma non riesco a non
volerlo aiutare, a
non volerlo consolare; non riesco, a non voler almeno un poco lenire
tutto quel
dolore.
Ed è una
maschera di sofferenza,
quella che vedo sul suo viso.
Non ha bisogno di dire
niente,
non ce n’è mai bisogno, fra noi due.
Perché io lo
so che cosa ha
fatto.
Lo so che è
stato forte. Per
Angie, per Ben. Lo so che non ha mai pianto, lo so che si è
occupato di loro, e
di tutto il resto, io lo so, me lo ricordo, lo sentivo. Lo sentivo,
quando mi
sussurrava, mi pregava di svegliarmi, perché senza di me
nessuno di loro ce
l’avrebbe fatta. Lo sentivo.
Ma
se me ne fossi andata, Will? È questo che sembra
chiedergli il
mio sguardo, ed è il terrore che compare nei suoi occhi
azzurri, la risposta.
Se me ne fossi andata?
Io non voglio morire. Non
voglio
lasciarli, non voglio che soffrano ancor più di quanto
abbiano già sofferto.
Sono i miei motivi per vivere, senza di loro…senza di loro
non avrei
combattuto. Senza di loro non mi sarei svegliata.
Senza di loro cosa sarei
stata?
Niente.
Per chi avrei vissuto?
Per nessuno.
Ma
li ho fatti soffrire lo stesso.
Però posso
fare qualcosa per
aiutarli.
Li
ho fatti soffrire.
Ora posso rimediare.
Forse
dovevo andarmene.
Ma sarebbero stati ancora
peggio…
Oppure
no. Avrebbero sofferto, ma se ne sarebbero fatti una ragione.
No, non è
vero, mi vogliono bene.
Ma
se ho soltanto fatto loro del male! Come fanno a volermi bene?
Mi si riempiono gli occhi
di
lacrime, a questo pensiero, quasi nello stesso istante in cui vedo
qualcosa
spezzarsi nello sguardo di Will. E non so esattamente come, non so
esattamente
quando, ma sento solamente un calore improvviso invadermi, due braccia
forti
stringermi con irruenza e cautela insieme, e le lacrime di Will
arrivarmi
direttamente al cuore.
È Will.
È Will, che mi ha
abbracciata. È Will, che ha visto i pensieri rincorrersi nei
miei occhi, e sono
certa che lui sa, che sa cosa il mio orribile senso di colpa sta
facendo.
Lo abbraccio forte, forte
come
non ho mai fatto. Ma ogni singhiozzo, ogni lacrima che Will tenta di
soffocare
in qualsiasi modo, apre una nuova ferita. Un nuovo senso di colpa. Un
nuovo
dolore.
Come se non ne avessi
già
abbastanza.
Ma il bisogno di vederlo
sorridere di nuovo ha la meglio. L’affetto,
l’amicizia, il desiderio pulsante
di vederlo star bene, hanno la meglio. Per questo stringo i denti, per
questo
lascio che Will si sfoghi, per questo lascio che seppellisca il viso
nell’incavo del mio collo e mi stringa a sé.
Mi
dispiace.
So che è
inutile.
Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace tanto Will, mi dispiace, ti
prego, non stare così male per me, ti prego Will, non ne
vale la pena, non
piangere…
Ma se è
inutile, perché piango
anch’io?
Perché non
riesco a sopportare
l’idea di aver fatto questo.
Ho sempre cercato di
essere…tutto. Di essere amica, confidente, sicurezza. Ho
sempre cercato di
proteggerli perlomeno da me stessa, lui e Angel; con Ben, non ci sono
mai
riuscita.
E ho fallito.
Di più; se
adesso Will sta male,
se è stata male Angel, se – non riesco, non voglio
pensarci… – Ben ha sofferto
così tanto, l’unica colpa è mia. Mia,
mia, mia.
Forse,
non sarei dovuta sopravvivere.
Che cosa ho
fatto?
-Smettila.- lo
sento sussurrare, a denti stretti, le lacrime calde che non si fermano,
che
scorrono copiose sulle sue guance abbronzate. -Basta, Ray, non
è colpa tua,
piantala…- ed ecco le mie lacrime che lottano per unirsi a
quelle di Will. Come
fa a non essere colpa mia, Will?
-Come…-
repentinamente, alza il viso e prende il mio fra le mani. Ha le mani
grandi,
calde, sussultanti; non mi permette di spostare lo sguardo, mi
costringe a
guardarlo negli occhi, mi costringe a vedere le lacrime che rigano il
suo
volto.
-Ray, abbiamo
rischiato di perderti. Lo capisci? Ti vuoi rendere conto di quanto tu
sia
importante per me, per Angie, per Ben?- tu, smettila di leggermi nella
mente.
-Angie è stata
malissimo, ha rischiato di perdere un’amica,
un’amica importante come puoi
essere solo tu; e l’ho vista sorridere di nuovo solo quando
ci hanno detto che
ti saresti ripresa, che saresti stata bene!- la mia piccola
Angel…
L’ho sentita
piangere troppe volte, in questo mese.
Ho sentito
troppo spesso tutti i suoi discorsi, tutta la sua testarda ostinazione
nel
cercare una risposta, un segno. Un qualsiasi segno.
Non so come
avrebbero fatto Will e Ben, senza di lei.
Non so come
avrei fatto io, senza le parole di
Angel a riempire quel maledetto silenzio.
-E Ben? Ray, lo
hai visto Ben?- sì che l’ho visto. L’ho
sentito. Ho sentito ogni singola
lacrima, ho sentito ogni singolo singhiozzo, ogni singolo perdonami.
Ogni singolo torna da me.
-Stavi per
togliergli l’unica ragione che ha davvero per vivere.- gli
occhi azzurri sono
martellanti, taglienti. Non riesco a guardarli,
c’è scritto tutto quello che
dovrei pensare, che ho paura di pensare.
-Gli hai ridato
la vita. Ray, ti sei svegliata, ti rendi conto di quello che hai fatto?
Ti
rendi conto che gli hai ridato voglia di vivere, di ridere, di sperare?
Gli hai
ridato tutto, Ray!- non ce la
faccio.
Non ce la faccio, non ci riesco.
Serro le
palpebre, quando le prime lacrime cominciano a sfuggirmi.
Come faccio a
non credere di essere io?
Ben.
Ho rischiato di
non vederlo più. Ho rischiato di non sentire più
la sua voce, la sua risata, ho
rischiato di non vedere più il suo sorriso.
Ben.
Ho rischiato di
ucciderlo. Non fisicamente, ma dentro; e io so bene cosa vuol dire. Ci
sono passata.
Stavo per condannarlo alla mia stessa sofferenza…
Ben…
Non
c’è niente,
nella mia confusione, che riesca a farmi dubitare di lui. Non
più, forse non
c’è mai stato davvero.
Non
c’è niente
che riesca a farmi dubitare dell’amore che prova. Niente.
Mi ama. Non so
perché, non so come sia successo, non lo so. So che mi ama.
So che mi ama
davvero, so che se adesso è felice è
solo…
È
solo merito mio.
Allora…qualcosa
di buono…forse ce l’ho anch’io.
Mi rende felice.
Ben mi ha sempre resa felice. Ben c’è sempre
stato, mi ama, mi ha sempre amata
– me l’ha sempre ripetuto. Mi rende felice con il
suo sorriso, con il suo amore
irrazionale quanto il mio. Mi rende felice con la sua presenza, quando
è
triste, quando è sereno, quando è allegro, quando
è giù di morale. Lui mi rende
felice, perché lo amo, perché amo ogni singola
cosa di lui, perché in quelle
poche ore in cui credevo che non mi volesse più mi sono
sentita persa,
abbandonata, senza più la mia fonte di vita.
Perché mi ama.
E
non c’è gioia più grande del saperlo,
di sapere che mi ama quanto io amo lui.
Così come sono; con i miei problemi, con i miei difetti,
con…i miei pregi,
anche.
È
amarlo, la mia gioia.
E tutto
improvvisamente va a posto.
Will, con i suoi
occhioni azzurri pieni di lacrime e di rabbia, non ce l’ha
con me. Non è colpa
mia, se sta così male, non è colpa di nessuno.
È normale, Will mi vuole bene,
e quando si vuole bene a
una persona si sta male, se è in pericolo.
Angel, la mia
piccola Angie. Ho improvvisamente voglia di abbracciarla, di stringerla
forte,
di dirle che le voglio tanto bene. La mia bimba, che è stata
tanto male per me,
perché mi vuole bene. Mi
riesce così
facile, adesso, capirlo. Crederlo.
Sento il nodo
nella mia gola sciogliersi, lentamente; ed altrettanto lentamente
smetto di
piangere, il mio respiro torna normale, e riesco, finalmente, ad aprire
gli
occhi e guardare Will.
E Will sta
sorridendo appena, ha smesso di piangere anche lui. La sua fronte
è premuta
sulla mia, vedo solo i suoi occhioni azzurri, ancora umidi, ancora
rossi, ma
immensamente più sereni.
-Te ne
dimentichi un po’ troppo spesso.- mormora, senza lasciar
andare il mio viso.
E in questo
momento, mi rendo davvero conto di quanto il
legame fra me e lui sia
diventato forte. Talmente forte da rendere persino le parole superflue,
talmente forte da far sì che i pensieri di lui siano i miei
– e viceversa.
Will, Will è
molto più di un amico.
Will
è mio
fratello.
-Sono una zucca
dura, io.- mormoro, e per quanto sembri impossibile, sento un sorriso
apparire
timido e incerto sulle mie labbra. Perché è vero,
sono una dannatissima
testona: ci devo craniare, contro le cose – e più
volte! –, per comprenderle.
E la mia voce,
arrochita dalle lacrime, è quasi la stessa di prima.
Prima
dell'incidente, prima di quell'orribile equivoco. Prima che mi sentissi
crollare il mondo addosso.
Will mi guarda,
vedo la sorpresa riempirgli lentamente gli occhi: lo so a cosa sta
pensando, si
sta chiedendo se chiamare uno psichiatra per farmi internare
– i miei sbalzi
d'umore fanno paura – oppure ridere, ridere fino alle lacrime.
E un secondo
più
tardi, la sua scelta si fa chiara anche a me.
Il suono della
sua risata è allegro, trascinante: dapprima è
poco più di uno sbuffo
sarcastico, di un'alzata di occhi al cielo.
Ma pochi secondi
più tardi, eccola. Una risata, forte, piena, liberatoria.
Una risata venata
ancora di qualche lacrima, gli occhi rossi che mi guardano di nuovo
vividi e
accesi, fieri – fieri,
di me.
Una risata, che
si trasmette quasi immediatamente anche a me.
Finiamo a
ridacchiare come due perfetti idioti, tanto da sentire le costole
scricchiolare
per le troppe risate, e non sono di dolore le lacrime che bagnano di
nuovo gli
occhi.
-Sei una
testaccia, io te l'ho sempre detto.- ridacchia, arruffandomi i capelli,
allontanando il volto dal mio. Solo adesso, si passa una mano sul viso,
cancellando quelle lacrime che, lo sa, non riuscirò a
dimenticare.
-Senti chi
parla...- replico, e scherzare in questo momento mi viene terribilmente
naturale, mi viene facile, mi viene spontaneo.
-Ray!- sobbalzo
di scatto, e Will con me; la porta si è spalancata con una
grazia degna di
quella di un elefante, e sulla soglia, l’espressione
corrucciata di un criceto,
c’è la mia amica Angel.
In questo
istante, lo giuro, potrei seriamente mettermi a ridere.
-Hai smesso di
farti delle stupidissime pare mentali, o devo prendere a schiaffi anche
te?-
esordisce, con una grinta che ben conosco e che riesce a strappare uno
sbuffo
divertito anche a William.
Perché, a
parte
la Egerton chi ha preso a schiaffi?
-Anch’io sono
felice di vederti, Angie.- commento, lasciandomi sfuggire un sorriso
ironico
che non riesco a reprimere.
Angel sbuffa,
alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia sul petto.
-Vaffanculo, va
bene?- mi fa, assottigliando gli occhi.
Ma
c’è più
affetto in quel vaffanculo che in
molte altre parole.
-Ti voglio bene
anch’io.- replico, e sono sincera.
Lo sa, lo sa
sempre.
-Cretina.- ma un
attimo dopo il gentil epiteto con cui mi apostrofa, mi si è
già fiondata
addosso.
Sorrido, quando
mi abbraccia forte, tanto piccola in confronto a me; io ed Angel siamo
diverse
come il giorno e la notte, come il Sole e la Luna…ma ci
vogliamo bene, e tanto,
anche per questo.
Sembra tanto
piccina, ma fra le due non sono io la più forte.
È la mia
roccia,
lei.
-Mi dispiace. Ti
ho sentita, sai? Ogni volta. Ma non riuscivo a risponderti.- sussurro,
sulla
sua spalla, chiudendo gli occhi nei suoi lunghi capelli scuri.
-Va tutto bene.-
mi rassicura, e per una volta mi permetto di essere la più
fragile, sentendola
accarezzarmi i capelli. -Ma non osare farlo mai più.-
-Non ci tengo.-
sorrido, ma né io né Angel accenniamo a voler
sciogliere questo abbraccio.
Angie è calda, ha un profumo che conosco bene; è
piccolina, molto più di me, ma
stringerla forte mi ha sempre trasmesso un non indifferente senso di
sicurezza.
Soltanto quando riapro
gli occhi,
sulla spalla della mia amica, scorgo qualcosa che riesce a cancellare
ogni
altro pensiero dalla mia mente.
C’è
Ben, qui.
C’è
Ben, e tutto improvvisamente
converge su di lui, perdendo d’importanza al confronto del
giovane uomo in
piedi, ad un metro dal mio letto.
Distoglie lo sguardo da
me nello
stesso istante in cui io lo guardo, un sorriso amaro sulle labbra
rosee. Ha le
mani in tasca, la felpa grigia che disegna meravigliosamente le sue
spalle
nodose, snelle. Indossa i jeans neri, quelli che gli stanno
così bene, che
adoro così tanto vedergli addosso.
Non mi guarda,
un’espressione
strana sul volto appena smagrito.
Se non sapessi, se non lo
conoscessi così tanto, potrei dire di non sapere
cos’è quel miscuglio di
emozioni che gli segna il viso; ma io so quanto si sta sentendo in
colpa, so
quanto rimorso ha dentro di sé. Lo so fin troppo bene.
-Angie, andiamo a
prendere
qualcosa da mangiare.-
Will ha visto il mio
sguardo, ha
capito la situazione; e come il fratello migliore che si possa
desiderare, ha
deciso di fare la cosa più giusta.
-Oh…okay.-
Angel si separa da me,
sciogliendo questo abbraccio che è sempre caldo,
confortevole. Mi rivolge un
sorriso, gli occhioni lucidi, serena.
È solo un
attimo, quando Will si
accosta appena a me e mi bacia in fronte, un tocco dolce e affettuoso
che non
faceva più da anni. Socchiudo gli occhi, sentendomi piccola,
al sicuro,
protetta, solo grazie a quel gesto semplice che racchiude tanti, troppi
significati diversi.
-Fa’ la brava.-
mi sussurra,
prima di allontanarsi, prendere per mano Angel e sparire oltre la porta
che si
chiude alle spalle.
E quando l’eco
si spegne, il
silenzio cala in questa stanza e fra me e Ben.
Lo vedo lanciare
un’occhiataccia
alla porta, sicuramente maledicendo Will per quest’uscita di
scena. Poi torna a
guardare lontano, verso il cielo plumbeo di là dei vetri, il
riflesso candido
delle nuvole che si riflette nei suoi occhi scuri.
Rimango a lungo a
guardarlo,
senza dire niente.
Passerei ore, giorni, ad
osservarlo. A memorizzare ogni gesto, ogni abitudine che ha, ogni vezzo.
È bello.
È sempre stato
bello, per me lo è
ogni giorno di più.
Gli occhi scuri, caldi, i
capelli
castani, la pelle chiara.
Il fisico asciutto, le
spalle
nodose, le mani, le labbra.
La sua cocciutaggine, la
sua
testardaggine, il suo essere geloso e possessivo, protettivo fino
all’inverosimile,
e dolce. È tanto dolce, Ben. E ironico, come solo un inglese
sa essere, e
iperattivo, che mette passione in ogni cosa che fa.
Non
c’è una sola cosa di lui che
io non ami. Nulla. Persino i difetti, persino quelle cose che mi danno
sui
nervi.
Per me, e solo
per me, è la persona più perfetta di
questo mondo.
È questo il
vero amore.
Le favole non esistono,
il
principe azzurro è un povero sfigato dagli occhi vuoti; non
esiste l’amore
aulico e perfetto delle fiabe, la principessa che si lascia sballottare
da
tutti e che ama per condizionamento, per scelta non sua.
L’amore vero
è quello delle
persone che soffrono, che talvolta non si comprendono; che si urlano
contro e talvolta
maledicono il giorno in cui si sono incontrate, che affrontano tutto
quello che
la vita gli mette davanti.
Insieme.
-Ben.- la mia voce
è ferma,
decisa.
Ma lui non si volta,
resta vicino
all’armadio a muro, le nocche che sbiancano quando serra lo
stipite fra le
lunghe dita da pianista, quelle dita che amo.
Posso quasi vedere la sua
espressione, posso quasi vedere il dolore e il tormento sul suo viso.
Posso
vedere chiaramente le sue labbra soffici convulsamente contratte, posso
distinguere quei pozzi d'inchiostro arrossati, stanchi, terribilmente
pieni di
un dolore che non riesce a sparire.
Perché lo so,
lo so fin troppo
bene.
Ben si sente in colpa.
Si sente in colpa per
quello che
mi è successo, per quello che è capitato.
Si sente in colpa per
aver
permesso a Tamsin di mettersi fra noi, per non essere riuscito a
fermarmi, per
non aver potuto fare qualcosa per impedirmi di fraintendere.
Posso quasi avvertirlo,
il suo
cuore, lacerato da questa tortura.
Perché quel
cuore è lo stesso che
batte nel mio petto, quel cuore è ciò che amo,
ciò che voglio proteggere a
tutti i costi – anche da se stesso, nel caso.
Amore mio, tu non hai
fatto
niente...
Ti prego, Ben,
guardami. Sono
qui, non sono arrabbiata con te, non potrei mai esserlo.
So cosa vorrebbe.
Vorrebbe andarsene,
vorrebbe
avere la forza di convincersi che senza di lui io possa stare bene.
Vorrebbe andare
via, facendosi ancor più del male, ripetendosi che ne
farebbe molto di meno a
me.
Che sciocco che sei.
-Forse è
meglio che io vada.- non
mi sorprende per niente, sentirlo pronunciare queste parole.
Ma è la sua
voce, che mi
spaventa.
È sull'orlo
delle lacrime.
È la sua voce,
più che le sue
parole, a spalancare un doloroso baratro dentro di me.
Non voglio che vada via.
Non
voglio, non voglio, non voglio! Non voglio stare lontana da lui, voglio
soltanto che la smetta – piantala, Ben,
non hai fatto niente!
Resta qui. Ti prego resta
qui,
resta con me, ti scongiuro dimmi che non vuoi
andartene per davvero, non
uccidermi ancora!
-Io senza di te non posso
stare.-
Le parole mi escono di
getto,
senza quasi che le senta scivolare naturalmente sulle mie labbra.
Restano così,
appese ad un filo di ragnatela, aleggiando fra me e lui in un silenzio
pesante
– troppo, troppo pesante.
Io senza di te
non posso
stare.
Io senza di te
non posso
vivere.
Ben si volta di scatto,
alle mie
parole.
Si volta e mi guarda, mi
guarda e
i suoi occhi si riempiono di lacrime, lacrime prepotenti, che rigano le
sue
guance ruvide e adorabili prim'ancora che lui stesso riesca a
rendersene conto.
Mi guarda a lungo, senza
muovere
un muscolo, mentre da quei pozzi neri l'angoscia si estende ad ogni
millimetro
del suo volto.
Sono due rapidissime
falcate,
quelle che lo separano da me.
Un singhiozzo,
che non so
se è mio e suo, spezza improvvisamente quel silenzio.
Un singhiozzo che mi
risuona nel
petto, riempiendolo di una bolla dolorosa che mi gonfia i polmoni, il
cuore,
che ostruisce la mia gola con un peso tremendo, una voglia di piangere
assurda
che pulsa nei miei occhi.
Un singhiozzo, e
improvvisamente
la distanza fra me e Ben si annulla, quando lo ritrovo accanto a me.
Vengo investita da una
miriade di
sensazioni, sensazioni che ho temuto di aver perduto, sensazioni che
amo,
quando il suo corpo tocca il mio.
È qui.
Il suo profumo mi
colpisce con la
forza di una mazzata, il suo calore che repentinamente ritrovo accanto
a me è
bollente, palpabile, come un Sole.
È qui.
Il suo respiro affannato
mi
riempie le orecchie, le sue lacrime mi bagnano le dita.
È qui.
E le sue braccia, le sue
braccia
mi stringono.
Penso che potrei urlare,
per la
gioia che sento esplodere in questo momento dentro di me.
È qui.
È qui, con me.
È qui,
è qui e mi sta
abbracciando, il viso seppellito nell'incavo del mio collo, quel punto
in cui
adora stare anche per ore; ore, in cui mi bacia, mi morde, mi stuzzica,
ridendo
quando mi fa il solletico e mi contorco come un serpente, sorridendo
con
malizia quando si sposta dietro l'orecchio, sentendomi fare le fusa
come un
gatto.
È qui, e
davvero adesso non
vorrei altro dalla vita.
Rivivrei tutto quanto:
rivivrei
la sofferenza, l'incidente, il dolore straziante di sentirli ma non
potergli
parlare, non poterli rassicurare. Rivivrei l'odio che mi ha invaso la
bocca,
sporcandomi la lingua e le labbra, che mi ha spinta a svegliarmi e a
dare della
troia a Tamsin.
Tutto quanto.
Tutto, per essere qui di
nuovo, adesso,
fra le braccia di Ben.
-Perdonami...- lo sento
sussurrare sulla mia spalla, fra i singhiozzi.
Ed è questo,
che mi lacera: è
questo, che riempie i miei stessi occhi di lacrime calde, bollenti, le
braccia
che per quanto possibile si stringono ancor di più intorno
al suo petto.
Perdonarlo?
Per un malinteso?
Non è stata
colpa tua, amore
mio...
Lo sento piangere, e
qualcosa
dentro di me si spezza di nuovo. Ma non è una sensazione
devastante: è qualcosa
di doloroso che si annoda nella mia gola, mentre le lacrime scendono
copiose
sulle mie guance, e i miei pugni deboli stringono la sua maglietta.
-Sei qui...- singhiozza
ancora
più forte, il petto scosso dai tremiti, dal dolore. Sento le
sue braccia
cingermi con delicatezza, ma fremere, perché so che vorrebbe
stringermi con
tutta la forza che ha, fino a farmi scoppiare il cuore di gioia.
-Ben...amore non
piangere...-
riesco a sussurrare, pianissimo, fra lacrime che rendono la mia voce
quasi
implorante.
Ma lui non ci riesce,
premendo le
labbra sulla mia fronte calda e accarezzandomi i capelli, singhiozzando
in
silenzio, gli occhi nerissimi chiusi, le lacrime che gli rigano le
guance.
-Ben, sono qui...sono qui
con te,
non vado da nessuna parte...- non voglio che pianga.
Dea, non voglio che
pianga così,
mi lacera il cuore sentirlo stare così male, non posso
vederlo soffrire in
questo modo.
-Ho rischiato di
perderti...di
perderti due volte...- sussurra, e il suo respiro delizioso che
accarezza la
mia pelle è qualcosa di meraviglioso, qualcosa che mi
stordisce, che annebbia
qualsiasi dolore.
-Ben, guardami.- lo
costringo,
con le mie manine deboli, a guardarmi. Il suo viso è fra le
mie dita, e Dea,
non penso esista qualcosa di più bello di lui: anche in
questo momento, gli
occhi arrossati di pianto, le guance arrossate, l'espressione
stravolta, Ben è bellissimo.
Forse, più di quanto non sia mai stato.
E mi guarda.
Mi guarda a lungo, gli
occhi neri
inchiodati nei miei.
Mi guarda con insistenza,
con
paura, con dolore, senza separare nemmeno per un istante le sue iridi
dalle
mie.
Mi guarda come se non
volesse
fare altro, per tutta la vita.
-Perdonami.-
Ed è il suo
sussurro, la sua
preghiera, che dopo un silenzio infinito sfugge dalle sue labbra.
-Tu non hai fatto
niente.-
mormoro, e incredibilmente sento un piccolo sorriso disegnarsi sulle
mie
labbra.
Non è vero che
Ben non mi vuole
più. Non è vero che non mi ama più.
È ancora qui,
è ancora con me. Mi
ama, mi ama tanto da piangere, tanto da lacerarsi per una colpa che non
ha
commesso.
E a me basta questo.
Basta solo
questo.
Dov’è
finita la Ray cinica, la Ray che non ha bisogno di nessuno?
Dov’è
finita quella ragazza che rifiutava l’amore, che fumava
all’angolo di una strada?
Dov’è
finita quell’arrogante donna che bastava a se stessa?
Io lo so.
Si è
innamorata.
-Ray...- mormora, la
sorpresa che
sconfigge tutte le altre emozioni in quegli occhioni neri che adoro. Mi
accarezza
una guancia, con la punta delle dita, mi sfiora le labbra appena con
l’indice;
ha le mani morbide, delicate, esattamente come le ricordavo.
-Ti amo.-
E lo dico con una
naturalezza, con
una semplicità, che stupiscono anche me: pensavo che dopo
tutto quanto, dopo
tutto quel dolore, non sarei più riuscita a dirlo.
-Ti dirò di
più: ti amo, e sei un
coglione a darti la colpa di quel che è successo.-
Devo dire, che la mia
finezza e
la mia eloquenza sono soltanto che migliorate.
E sembra pensarlo anche
Ben,
perché vedo un sorriso divertito aprirsi finalmente sul suo
volto, un sorriso
che riesce in un istante a far accelerare i battiti di un cuore che di
stare
tranquillo, proprio non ne ha voglia.
-Mi sei mancata, mia
principessa.- mi sussurra, posando la fronte contro la mia; e ci sono
solo i
suoi occhi adesso, il suo profumo, il suo respiro che si mischia al mio.
-Anche tu, mio bel
principe.-
rispondo, e sorrido del mio tono perfettamente disincantato.
Al
diavolo le favole, detto con tutto il cuore. Preferisco la
vita
vera, preferisco la mia realtà; preferisco il mondo,
incasinato e nevrotico com’è,
se c’è Ben.
E nemmeno mi accorgo di
essermi
mossa appena, di aver posato le mani sulle sue guance. È
seduto accanto a me,
sento il calore del suo corpo a pochi millimetri dal mio.
E non resisto, non ci
riesco.
Quando
mai ho resistito a lui?
È solo un
istante quello che
divide le sue labbra dalle mie. Un istante che colmo in un niente, nel
tempo di
sentire il suo respiro che si mischia al mio, e di distinguere nei suoi
occhi
lo stesso desiderio che so essere vivido nei miei.
Ogni cosa si scioglie in
questo
bacio, salato di lacrime.
Sento che le mie guance
protesteranno, per il solco che i miei pianti scaveranno presto su di
loro.
Piango, piango di gioia,
quando
le labbra calde di Ben si posano sulle mie.
Ed è
semplicemente il paradiso,
dopo. Dopo, dopo un brusco respiro spezzato a metà, dopo la
manciata di secondi
in cui le nostre labbra si modellano le une sulle altre, prima di
schiudersi,
prima di trovarsi.
Il Paradiso, quando le
sue mani
mi racchiudono il viso, stringendomi a sé.
Sento emozioni
dimenticate
travolgermi di nuovo, distruggere tutto quanto, annichilire ogni
singolo
pensiero. Il battito forsennato del cuore mi riempie le orecchie,
spezzato
soltanto dal delicato suono dei respiri.
C'è soltanto
pace, nella mia testa.
C'è soltanto
la lingua di Ben che
gioca con la mia con dolcezza
infinita, c'è soltanto il suo sapore che si mischia al mio,
c'è solamente la
sua bocca che tanto conosco.
C'è soltanto
Ben.
Ben, e il palpito del mio
cuore,
che scalpita innamorato nel mio petto. Vuole impazzire, scappare via;
ma già
non sei più mio, stupido muscolo pazzo. Non lo sei da tanto
tempo.
Ti amo,
sussurro, nei
frammenti di respiro che ci separano soltanto per qualche attimo.
E poi affogo di nuovo in
lui, e ancora.
E non ne ho mai
abbastanza, e Ben
non si risparmia minimamente, intensificando a poco a poco i nostri
baci.
E sono più che
felice di
abbandonarmi completamente a lui, alle mani che seguono i miei fianchi
lentamente, accarezzandomi per andare ad allacciarsi sulla mia schiena;
una sul
corpo e l'altra sulla nuca, e mi sento una bambola fra le sue braccia.
Una bambola di
porcellana, che
non ha più paura di essere rotta.
I suoi capelli scorrono
soffici e
segosi fra le mie dita, fili di seta con cui gioco, in cui immergo le
mani come
nell'acqua limpida di un lago. Sorride, sulle mie labbra, distinguo i
suoi
occhi neri e caldi cercare i miei quando ci separiamo, soltanto un
beato vuoto
a riempirci la testa.
-Ti amo.- mi sussurra, ad
un
millimetro dalla mia bocca gonfia di baci. E non so far altro che
sorridere, le
guance rosse, schiudendo gli occhi e premendo di nuovo le labbra sulle
sue:
ride, alla mia testarda irruenza, stringendomi appena più
forte a sé, premendo
la fronte contro la mia e stando semplicemente lì, a
guardarmi.
-Ti amo anch'io.- gli
sussurro,
perché non ho davvero altro da dire, altro che vorrei
dire.
E restiamo semplicemente
così,
abbracciati. Guardandoci negli occhi.
.
.
Ecco.
Qualcosa che
germoglia.
È adesso.
È in questo
momento, che ritrovo dentro di me qualcosa che credevo di aver perduto.
Ritrovo una
forza che avevo dimenticato, ritrovo il coraggio di sorridere: ritrovo
l'ironia
ed il sarcasmo che tanto amo, ritrovo la mia spigliatezza formidabile.
Ritrovo me
stessa, sentendo tutto tornare a battere
più vivo che mai.
Finalmente, so
che le cose andranno bene.
So che non
sarà
mai sereno: le nuvole ci saranno sempre, i problemi non svaniranno, e
che
questo è solo l'inizio di un lungo e tortuoso percorso che
mi porterà a uscire
da quest’ospedale.
Ma io posso
affrontare tutto: l'ho sempre fatto, e continuerò a farlo.
Finalmente sento
il mio viso rischiararsi davvero, non soltanto un benessere effimero e
passeggero.
Finalmente,
posso dire a me stessa che il futuro sarà una sfida degna di
essere combattuta.
Qui, fra le
braccia di Ben, finalmente mi sento a casa.
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My
Space:
...è finita. E' finita anche questa.
In origine questa storia doveva essere una
one-shot, sapete? non doveva arrivare a sessanta pagine di Word, come
invece è stato. Ma mi è sfuggita di mano, come
fanno tutte le storie che scrivo; perché i personaggi
prendono vita, spesso e volentieri, e fanno quello che vogliono loro.
Beh, che dire? Era parecchio che non provavo la
sensazione bittersweet
di terminare una long (o pseudo long). Quasi non mi ricordo che devo
fare...ah, sì. I ringraziamenti? Vanno quelli, vero?
Grazie, a tutti coloro che hanno letto questa
storia che fa parte di me molto più di tante altre. E' uno
spaccato di vita, di pensieri, di pare mentali
assurde. E' mia.
Grazie alle persone che l'hanno seguita,
preferita, ricordata. Ma un grazie speciale, soprattutto, va a chi mi
ha lasciato una traccia di sè, un pensiero, una parola per
farmi capire che quello che scrivo riesce ancora a trasmettere le
emozioni che avverto io stessa; grazie, Grazie di tutto.