Compagni per la vita

di Ranerottola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo: 26 Agosto 1900 ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo: 27 Agosto 1900 ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo: 28 Agosto 1900 ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo: 29 Agosto 1900 ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo: 29 Agosto notte ***
Capitolo 6: *** 6° Capitolo: 30 Agosto 1900 ***
Capitolo 7: *** Epilogo: 31 Agosto 1900 ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo: 26 Agosto 1900 ***


Compagni per la vita


GIUDIZIO:
Terza Classificata (pari merito): Compagni per la vita -Ranerottola -
 

Grammatica e sintassi: 8/10 punti 
Stile: 9/10 punti 
Originalità: 15/15 punti 
Caratterizzazione dei personaggi: 14.5/15 punti 
Sviluppo della trama: 11.5/12 punti 
Gradimento personale: 9/10 punti 
Attinenza alla traccia: 3/3 punti 

Totale: 70/75 

Prima di tutto ti voglio dire che ho trovato la tua scelta difficile e apprezzabile, hai scelto di raccontare l’incontro tra Fanny e il giovane Albus, e l’hai fatto in modo davvero apprezzabile. 
Lo stile a tratti è un po’ confuso, ci sono alcune frasi troppo lunghe, è molto facile perdersi coi pensieri, e forse un paio di volte avrei spezzato il tutto, ti faccio un esempio: 
‘Nessuno dei due sarebbe felice perché avremmo una vita vuota, avremmo l’un l’altro, però. E la mamma e il papà e i miei fratelli. Ma una volta partiti loro noi chi saremmo?’ qui forse una virgola avrebbe sistemato la situazione, la frase è un po’ difficile. 
Ti segnalo qualche errore: ‘si sgrullò’ probabilmente è dialettale, è corretto scrollò, se non lo conosco mi scuso, ma ho cercato e non ho trovato nel dizionario, il ‘sì’ affermativo si scrive con l’accento, ho notato che non l’hai mai messo. 
‘nessuno dei due si sentiva pronto ad abbandonare il suo mondo’, qui al posto di suo avresti dovuto usare ‘proprio’ 
A volte utilizzi espressioni tipiche del linguaggio parlato, che rendono veri i pensieri. 
Ho davvero apprezzato il modo in cui il tuo stile cambia da personaggio a personaggio. 
Fanny è infantile, sembra quasi di sentire parlare un bambino, Silente è giovane, fresco, mentre i suoi genitori sono saggi, parlano poco. 
La storia della ragazza e del maschio di Fenice è bellissima, e trovo che la tua idea di spiegare in questo modo il rapporto tra i Silente e Fanny sia molto originale, un’idea che spiega alcune cose della vita di Albus che non si comprendono nei libri. 
Una cosa però, io avevo posto a cinque il limite massimo per i capitoli, tu me ne hai scritti sei, visto che non c’è un prologo, ho considerato come tale il primo capitolo. In fin dei conti 16 pagine non sono poi così tante. La storia sa di ‘fiaba’ per tutta la sua durata, l’ho trovata intensa e coinvolgente, e l’ho letta tutta d’un fiato. 
L’attinenza alla traccia c’è, immaginavo qualcosa di diverso, ma è perfetta. 
La trama è sviluppata con coerenza, a partire dall’incidente fino ad arrivare all’’inseguimento’ e all’incontro. 
Silente è giovane, ma è sempre lo stesso mago che conosciamo, non ancora troppo saggio, ma puro e un po’ folle. Fanny è una giovane fenice, mentirei se ti dicessi che avevo mai pensato alla sua personalità, ma quella che le hai dato le calza perfettamente. Quindi non posso che dirti: brava. 


1° Capitolo 26 Agosto  1900

Oggi compio 18 anni.

Come se ormai me ne importasse qualcosa … Ariana è morta, Aberforth mi odia e Gellert se n’è andato; nulla sembra avere più senso o importanza.

Anche questo viaggio non mi dà nessun piacere, se non avessi promesso a Bathilda quelle erbe per le sue pozioni non sarei mai partito.

E pensare che solo un anno fa avrei pagato per  poter scalare l’Everest …

Bene è ora di chiudere e ricominciare l’ascesa, se tutto va bene dovrei raggiungere la vetta nel pomeriggio.

 

 

Il giovane Albus chiuse il suo diario e uscì dalla tenda con la bacchetta in mano pronto a ripiegare e mettere nello zaino i suoi bagagli, dopo aver pronunciato l’incantesimo antifreddo che aveva inventato lui stesso.

Camminò per un paio d’ore prima di fermarsi a riprendere fiato, adorava scalare alla babbana e anche in quel viaggio aveva ridotto al minimo l’uso della magia.

Preferiva stancarsi sia per tenersi in forma, che per riuscire a dormire la notte, anche se gli incubi lo tormentavano lo stesso.

Si sedette su una roccia che spuntava dalla neve, posando lo zaino accanto a sé per contemplare con calma il panorama e mangiare qualcosa ma, all’improvviso, la terra cominciò a franargli da sotto i piedi cogliendolo di sorpresa e trascinandolo nel nulla per oltre 200 metri finché non atterrò su una stretta sporgenza restando sepolto sotto un mucchio di neve e detriti.

La bacchetta stava inutilizzata accanto a lui che, svenuto a causa della botta, giaceva quasi invisibile, tranne per una mano che sporgeva dalla valanga.

 

 

E’ la prima volta che volo così lontano dal nido, ho un po’ di paura, ma l’emozione del volo e di questo panorama meraviglioso riescono a farmi dimenticare tutto.

Ormai è quasi ora di tornare indietro ma, cos’è quella cosa colorata laggiù sulla neve?

Non resisto: devo indagare! Non per niente mia madre dice sempre che sono la più curiosa di tutte le sue covate.

Scendo planando di un centinaio di metri finché non capisco cosa sto guardando: è un essere umano, o meglio un pezzo di un essere umano.

Sono indecisa: la mamma mi ha sempre detto di non avvicinarmi agli umani e di non farmi vedere da loro ma quell’uomo è sotto la neve … non ho mai visto nessuno stare fermo così sotto la neve.

Faccio un altro giro e mi decido: devo indagare!

Scendo fino a posarmi accanto a quella zampa umana e mi guardo attorno, vicino a me c’è un bastoncino di legno e la zampa è immobile, sembra innocua.

La neve è fredda e mi hanno insegnato che gli umani stanno bene al caldo perché non sanno tenersi caldi da soli come noi quindi, forse, quell’essere ha bisogno di aiuto per uscire da lì sotto.

Prendo la mano nel becco e tiro forte sbattendo le ali come mi ha insegnato mamma. Mi alzo portandomi appresso l’umano fino a quando non è tutto all’aperto poi lo appoggio piano accanto al bastoncino.

E’ ancora immobile, sembra addormentato, perciò mi avvicino e provo a toccarlo con una zampa ma non reagisce. Ci penso un po’ e decido di chiamarlo: “umano! Ehi svegliati!” il mio trillo è pieno di preoccupazione e lo scuote all’improvviso come se lo avessi punto col becco.

Comincia a tremare prima ancora di aprire gli occhi e mentre si volta verso di me vedo la grossa ferita che ha sulla testa, ha le piume gialle del capo tutte sporche di sangue e deve fargli molto male. Mi fa molta pena e mi salgono le lacrime agli occhi vedendo quanto è indifeso, sembra un pulcino appena uscito dal guscio.

I miei mi hanno spiegato che le mie lacrime fanno bene, perciò quando comincio a piangere avvicino un occhio alla sua testa e lascio cadere le gocce sul taglio.

Non ci ho mai provato prima e sono stupita quando vedo una luce che si accende all’improvviso e diventa sempre più forte prima di svanire lasciando la testa dell’uomo intera come prima che se la rompesse come un uovo schiuso.

Sono talmente impegnata a controllare i risultati del mio lavoro che non mi accorgo subito degli occhi che mi fissano sgranati.

All’improvviso mi sento osservata e mi volto trovandomi davanti due occhi blu, credo di avere la stessa espressione stupita che ha lui e so che dovrei scappare veloce ma c’è qualcosa nel suo sguardo che mi ferma.

Non so cosa sia, forse il fatto che sembra addirittura più giovane di me, o che quegli occhi sono pieni di dolore, o che abbia uno sguardo buono e dolce che mi ricorda quello di mio padre quando mi guardava appena nata nel nido, comunque sia non riesco a smettere di fissarlo.

 

 

 

Ahhh che male! Mi sento come se mi avesse investito il nottetempo.

Ho freddo e già questo è strano, in più sento dolori dappertutto e come se non bastasse mi sento osservato.

Dopo un po’ mi decido ad aprire gli occhi e rimango basito: davanti a me c’è la creatura più bella e magica del mondo, finora ne avevo visti foto e disegni nei miei libri ma non avevo mai avuto occasione di vederne una dal vivo eppure, eccola davanti a me, che mi fissa come se anche lei fosse stupita di vedermi … una Fenice!

E’ meravigliosa, le sue piume hanno colori che vanno dal rosso, all’arancio, all’oro e sembrano lingue di fuoco che si muovono piano seguendo il vento.

Il suo sguardo è gentile e curioso, strano, ho sempre letto che le Fenici sono uccelli timidi e riservati, che non amano mostrarsi agli esseri umani, eppure questa creatura mi scruta senza nessuna paura come se mi stesse studiando e mi trovasse interessante.

Il freddo mi riscuote dai miei pensieri, sto tremando sempre di più e mi sento i capelli bagnati.

Devo alzarmi e prendere la bacchetta ma ho paura di far volare via la Fenice.

 

 

Vedo l’uomo muoversi piano,  mettersi seduto e allungarsi con cautela verso di me.

Sto già per spiccare il volo quando mi accorgo che non vuole toccare me ma prendere il bastoncino di legno che avevo notato prima. Un altro po’ di tempo per scoprire a che serve quel coso non potrà farmi nessun male perciò resto ferma e lo seguo con gli occhi.

Dopo aver raccolto l’oggetto dalla neve l’uomo dice qualcosa e subito smette di tremare, poi alza una mano e si tocca le piume del capo ritirandola sporca di sangue, si fissa la mano stupito e torna a toccarsi, forse cerca la ferita perché sembra stupito quando non trova nulla.

Si guarda di nuovo la mano poi guarda me, credo che stia pensando a qualcosa.

All’improvviso apre il becco e fa un verso curioso ma piacevole, non so neanche io perché ma capisco quello che dice: - grazie!-

Che strano quell’essere umano sa di cosa sono capace e io capisco i suoi versi, chissà se anche lui capisce me?

-Prego - gli dico nella mia lingua e lui mi sorride come se mi capisse.

Mi piace questo umano.

 

Il trillo meraviglioso che esce da quel becco sembra un balsamo per la mia tristezza e il mio dolore, per la prima volta in un anno mi sento sereno! E’ come se un peso fosse stato alzato all’improvviso dalle mie spalle. Sono talmente preso dalle mie sensazioni che impiego quasi un minuto a rendermi conto … non è possibile!

La Fenice … non solo mi ha risposto, dimostrando di comprendere quello che dico, ma …

Io l’ho capita!! Quell’essere meraviglioso mi ha detto – Prego – e io ho capito!

Mi sembra impossibile. In nessun libro, da nessun professore, ho mai sentito dire che le Fenici capissero il linguaggio umano e che fossero in grado di farsi capire.

Se qualcuno, chiunque, me l’avesse raccontato non ci avrei mai creduto.

 

L’umano sgrana gli occhi all’improvviso, forse si sente male? Magari ha qualche ferita che non ho visto? Lo fisso preoccupata per un po’ ma non si muove e non dice nulla. Guarda verso di me ma è come se non mi vedesse. Spero che non abbia nulla di grave.

 

 

Albus si riscosse all’improvviso dai suoi pensieri e si accorse di avere gli occhi dorati della Fenice piantati addosso, sembrava  preoccupata ma non avrebbe saputo dire se per lui o a causa sua.

Non sapeva come comportarsi visto che non aveva mai sentito parlare prima di una situazione come quella. Si guardarono a lungo studiandosi a vicenda senza che nessuno dei due prendesse l’iniziativa di fare o dire qualcosa.

 

Si sta facendo buio, per me è ora di rientrare al nido ma non so decidermi a volare via così.

Forse dovrei parlare ancora con lui, almeno per sapere come facciamo a capirci.

E poi ho paura che stia ancora male.

Basta! Prendo fiato e …

 

-Ciao! Io mi chiamo Albus, qual è il tuo nome? -

 

Sentendolo parlare all’improvviso sono quasi caduta dalle zampe per lo spavento, non me l’aspettavo proprio. E’ educato però, si sta presentando.

Oh poverino ora sembra in imbarazzo, deve essere perché continuo a guardarlo senza rispondergli.

Proverò a trillare piano, - Ciao Albus io sono Fanny. Come ti senti?-

Che bello ora sorride! Deve aver capito.

 

-Ciao Fanny! Mi sento benissimo, grazie di avermi aiutato. Credo che tu mi abbia salvato la vita. Sai dirmi per caso come potrei tornare là in alto, dove non rischio di precipitare, prima che diventi troppo buio per vederci? –

 

Evviva!! Allora sta bene! – Sono felice di averti aiutato, sai non avevo mai visto prima un umano da vicino. Tutti voi capite la mia lingua? – E ora perché ride? Ho detto qualcosa di divertente?

Non mi sembrava di aver fatto qualcosa di buffo … -Ti faccio ridere? –

 

-Oh Fanny perdonami! E’ l’idea di tutti gli uomini che capiscono le Fenici a farmi ridere.

Sai la maggior parte delle persone non credono nemmeno alla vostra esistenza.

Vedi io non sono una persona comune, io sono un mago! Sai cos’è la Magia? –

 

-Certo mia madre me lo ha spiegato quando mi ha parlato delle cose che sappiamo fare e mi ha detto anche che esistono umani che sanno usare la magia e altri che non sanno farlo.

E’ questo essere un mago? –

 

-Si è esattamente questo. Solamente i maghi sanno dell’esistenza delle Fenici e di tante altre creature, i Babbani, come chiamiamo noi i non maghi, non sanno nulla di voi.

Ma neanche i maghi capiscono la tua lingua o, almeno, io non ho mai letto nulla in proposito né conosciuto nessuno che sapesse farlo. Speravo che fossi tu a sapere come è possibile che io e te ci capiamo. –

 

Si alzò in piedi e si sgrullò la neve di dosso, guardando verso l’alto per capire come arrampicarsi o quale incantesimo fosse meglio usare per risalire, quando Fanny lo chiamò e agitò le piume della coda verso di lui: - Aggrappati ti porto io, ci metteremo un istante! –

Quando il ragazzo prese alcune penne nelle mani spalancò le ali e spiccò il volo posandolo dolcemente, qualche secondo dopo, circa cento metri più in alto nel punto esatto da cui l’aveva visto cadere ore prima.

 

-Fanny sei fantastica! E’ stata un’ esperienza meravigliosa, non avevo mai provato niente di simile, e si che ho volato spesso!-

 

-Anche tu sai volare?- Ma allora perché si è fatto portare da me? Cosa vuole questo umano da me?

Forse aveva ragione mio padre, non bisogna fidarsi degli umani, sono bugiardi e cattivi.

 

La giovane fenice cominciò ad arretrare verso il bordo del precipizio con sguardo fattosi, all’improvviso, freddo e quasi rapace, tanto che Albus si spaventò e preoccupò molto di quel cambiamento. Non riusciva proprio a capire cosa fosse successo.

Sembrava che, d’un tratto, Fanny avesse deciso di rappresentare l’idea che gli studiosi avevano della sua specie, cessando di essere amichevole e facendosi sospettosa e distante.

La vide allontanarsi sempre di più e spiccare il volo nel momento esatto in cui le sue zampe non avevano più suolo su cui poggiare.

-Aspetta! Non te ne andare!- Le gridò, ma gli rispose solo un lungo e triste trillo da uccello, totalmente incomprensibile per le sue orecchie.

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo: 27 Agosto 1900 ***


Mi sembra impossibile che sia passato solo un giorno da quando ho scritto l’ultima volta, 

sono accadute talmente tante cose.

La scalata fino alla vetta, la valanga che mi ha trascinato via, la ferita alla testa.

Ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è quello che è successo con Fanny. 

Non capisco cosa posso aver fatto di sbagliato per farle cambiare così atteggiamento e, soprattutto, cosa abbia rotto lo strano incantesimo che ci permetteva di comprenderci a vicenda.

Il nostro incontro è la cosa più bella che mi sia mai accaduta e quella giovane Fenice è la creatura più spettacolare, più magica, più affascinante che io abbia mai visto. 

Ne sono rimasto incantato dal primo momento, è stato un colpo di fulmine. 

Se Fanny fosse un essere umano penserei di essermi innamorato. Non mi sentivo così da quando conobbi Gellert: provo di nuovo lo stupore di trovare un’anima affine, la gioia di scoprire di non essere solo.

Purtroppo provo anche il dolore dell’abbandono e il senso di tradimento di un anno fa, quando tutto mi è crollato intorno.

Dopo quello che è successo ad Ariana, quando finalmente ho aperto gli occhi su di lui, non avrei mai cercato di ritrovare Gellert o di rivederlo, ma questa volta è diverso.

 Sento di dover rivedere Fanny, parlarle, cercare di capire cosa ci è successo, me lo sento nelle ossa, nella testa, è come se il suo verso addolorato mentre volava via mi risuonasse ancora nelle orecchie, lasciandomi in bocca il gusto amaro di una fiducia tradita.

Ora ho bisogno di riposare per recuperare le forze, ma domani … domani cercherò in tutti i modi di trovarla, dovessi anche esplorare tutto il monte Everest!

 

Mi sembrano ore che sono in volo, volevo tornare subito al nido ma non ce l’ho fatta.

Non sono proprio riuscita ad andarmene prima di vedere Albus al sicuro.

Mi sono detta che è normale: in fondo non l’ho salvato dalla neve per vederlo precipitare in qualche crepaccio, eppure in fondo so che non è così.

Non riesco a smettere di spiare nella sua tenda, è molto tempo che traccia segni con una penna d’aquila  su una strana superficie che sembra una pelle.

Fino a poco fa aveva lo sguardo triste ma ora sembra più sereno, deciso.

Forse domani scenderà a valle e tornerà da dove è venuto, nel suo mondo umano e infido. 

Eppure, mentre parlavamo, mi sembrava di potermi fidare di lui, mi pareva quasi di conversare con uno dei miei fratelli di nido, qualcuno che poteva capirmi, qualcuno cui dare fiducia, qualcuno che mi amasse.

Invece è solo un umano!

E ora non capisco nemmeno più quando parla, l’ho sentito chiamare a lungo dopo essermi nascosta, credo cercasse me. Ma io non ho sentito il mio nome, solo dei versi sgraziati e incomprensibili. 

Che mi abbia ingannata con la sua magia?

Ma era davvero ferito e sono stata io ad avvicinarmi non lui.

Non capisco, non capisco proprio!

 

La notte scese sui monti e, mentre Albus spegneva la luce per riposare fino all’alba, 

Fanny si accovacciò su una roccia, una cinquantina di metri sopra di lui e nascose il capo sotto un’ala, 

addormentandosi all’istante stremata e sognando i suoi sogni da Fenice.


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Capitolo 3
*** 3° Capitolo: 28 Agosto 1900 ***


Sono stanchissimo non ho chiuso occhio tutta la notte, non ho fatto che girarmi e rigirarmi pensando a Fanny. Non riesco a venire a capo di nulla e questo mi rende nervoso come un asticello in una segheria. Il sole è sorto da poco e io sono già pronto a partire, ho spento il fuoco e ripiegato la tenda e fatto gli incantesimi che mi serviranno sia per muovermi più agevolmente che per trovare il nido delle Fenici.

Mi sento come se mi sfuggisse qualcosa, qualcosa che si aggira appena fuori della mia consapevolezza. L’incanto quattro punti mi permetterà di sapere da che parte dirigermi e, stavolta, non lesinerò nell’uso della magia!

 

 

Il sole è sorto e io sono ancora qui a spiare Albus, ora è pronto per partire ma non mi sembra che questo mi renda felice. Mi sento triste come se avessi perso il mio fratello di nido e non capisco perché. Cos’ha di speciale questo essere umano? Quale strano incantesimo mi ha fatto? Mentre riflettevo si è incamminato ma non sta andando verso sud-est per scendere.

Sta andando a nord, proprio nella direzione del nido. Lui non può saperlo in alcun modo eppure si sta dirigendo dritto verso la mia famiglia, la mia casa è subito sotto la cima nord dell’Everest ma nessun umano ci è mai arrivato o l’ha mai vista: la nostra magia la protegge.

 

 

Gli incantesimi delle Fenici erano davvero molto potenti e Albus impiegò un giorno intero per giungere in vista della cima che cercava.

Un mago meno potente e dotato di lui non sarebbe mai riuscito a farcela.

Il sole tramontava dietro le cime e lui era decisamente esausto quando si fermò.

Era incerto se accamparsi per la notte o no: temeva che, scoprendolo, le Fenici potessero lasciare il nido o nascondersi con altri incantesimi che non avrebbe potuto spezzare.

Sapeva però che non sarebbe riuscito a superare l’ultimo tratto col buio.

Decise infine di fermarsi e, montato il campo, si addormentò nella tenda di un sonno leggero e disturbato.

Non sapeva, però, di essere osservato.

Da un lato del costone su cui si trovava Albus una grossa Fenice, un maschio, studiava quello strano e insolito evento: erano molti anni che nessuno arrivava fin lì.

Dall’altra parte una giovanissima Fanny spiava sia la tenda, sia le reazioni del maschio, timorosa di rivelarsi, finché si sentì chiamare piano con voce dolce:

-Fanny? Amore, cosa ti è capitato? Tuo padre ed io eravamo molto preoccupati non vedendoti tornare per così tanto tempo.- La voce di sua madre la fece sobbalzare e, voltandosi di scatto, volò fino a lei per lasciarsi cingere dalle sue ali e coccolare dal suo becco.

-Amore che succede? Sei sconvolta! Quell’umano laggiù ti ha vista? Ti ha fatto del male?-

-oh mamma!- rispose la piccola, -ho tante cose da raccontarti. Ho bisogno di parlare subito con te e con papà.- La madre, sentendo l’urgenza nel suo trillo, annuì decisa col capo, le ordinò di volare al nido e di mandare lì il suo fratello più grande, poi andò a parlare col suo compagno.

Meno di dieci minuti dopo i tre erano comodamente accovacciati nel loro nido. Il maschio covava affettuosamente con tranquilla serietà il loro ultimo nato che sarebbe uscito dall’uovo in primavera, Fanny mangiava con foga dopo il lungo digiuno e sua madre le stava accanto sbirciandola di continuo, come se avesse paura di perderla nuovamente di vista.

La notte avanzava lenta mentre la famiglia parlava quieta, Fanny raccontò ai genitori tutto quello che era successo da quando aveva avvistato la valanga trascinare via il povero Albus, fino a che aveva avuto paura di essere ingannata.

Spiegò a lungo di come avevano scoperto di capire l’uno la lingua dell’altro e come all’improvviso avevano smesso di comprendersi e parlò della sua paura di essere stata ingannata dal giovane mago che era riuscito ad arrivare così vicino al rifugio della famiglia.

Infine tacque e il silenzio durò a lungo, mentre gli adulti riflettevano sulla storia ascoltata. 

Fu il grande e saggio maschio a parlare, infine, ma se Fanny si era aspettata domande o accuse rimase stupita -Sei stanca piccola, dormi ora. Domani chiariremo tutto con l’umano.-

-Ma padre!- La madre la interruppe con dolcezza -Obbedisci a tuo padre, piume d’oro. Se dice che domani capirai sai che puoi credergli.- Nonostante la forte curiosità Fanny sapeva di dover ubbidire ai genitori perciò trillò un saluto stanco e si nascose il capo sotto l’ala nella sua posizione preferita per dormire. Pensava di restare sveglia a lungo ma si addormentò quasi subito, cullata dal tepore familiare del suo nido.

 

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo: 29 Agosto 1900 ***


Mi sono svegliato col sole già alto nel cielo, dovevo essere veramente stanco.

Scrivo queste poche righe mentre faccio colazione perché, appena finito, ho intenzione di lasciare qui la tenda e avvicinarmi il più possibile al nido. Devo assolutamente vedere Fanny!

Ho bisogno di capire cosa è successo realmente.

Ormai, nonostante gli incantesimi, ho un aspetto da far paura: i capelli e la barba sono lunghi e disordinati, gli abiti consumati e, nonostante Fanny mi abbia guarito la ferita alla testa, sono pieno di lividi e graffi che mi danno un dolore sordo ma continuo.

Avrei bisogno di una settimana di sonno e di riposo, ma non prima di aver concluso questa missione. Poi potrò anche tornare a valle e trovarmi una locanda.

Cos’è? Sembra il verso di una Fenice ma non mi pare Fanny. Meglio controllare …

 

Uscito dalla tenda Albus si trovò davanti lo spettacolo più bello cui un essere umano potesse sperare di assistere: a qualche metro di distanza da lui due Fenici adulte lo osservavano apertamente e senza timore! La più imponente aveva uno sguardo serio e posato, la più piccola gli occhi più dolci che avesse mai visto. Si guardarono in silenzio per parecchi minuti finché un morbido rumore d’ali lo riscosse facendolo voltare. –Fanny!- Esclamò felice di averla ritrovata, ma la piccola lo ignorò posandosi accanto alle compagne e cominciando a trillare impaziente verso di loro.

-Cosa ci fate qui? Non mi avete nemmeno avvisata! Mamma cosa sta succedendo? Papà non ti avvicinare troppo, stai attento!- Fanny era sull’orlo del panico, non riusciva a calmarsi e stava fomentando da sola la sua paura.

-Tesoro calmati- le disse piano sua madre, rassicurandola con la sua dolcezza –l’umano non ci farà del male. Guardalo, guardalo davvero, guarda i suoi occhi. Ho visto solo un altro paio di occhi fissarti con quell’ espressione … -  La giovane Fanny si zittì all’istante stupita e attese che sua madre continuasse a parlare ma quella restò in silenzio.

Fu un’ altra voce a levarsi –Umano, riesci a capirmi?- Il trillo profondo di suo padre la fece voltare di scatto in tempo per guardarlo avvicinarsi lentamente ad Albus che, con uno sguardo sconvolto e affascinato, lo fissava in silenzio.

-Capisci quello che dico ragazzo?- ripeté ancora.

-Si- questo fu l’unico monosillabo che uscì dalla bocca del mago, era talmente sconvolto da quello che stava accadendo da non riuscire neppure a mettere insieme una frase.

Non solo le Fenici erano lì davanti a lui, ma riusciva a comprendere i loro versi!

Aveva capito perfettamente le parole della femmina e del maschio ma non quelle di Fanny, i suoi restavano versi irritati e incomprensibili e questa era la cosa che lo stupiva e preoccupava di più.

Si rese conto all’improvviso che il grosso maschio era rimasto a fissarlo come se aspettasse che lui finisse di inseguire i suoi pensieri e la sua innata cortesia prevalse:

-perdonami, si riesco a comprenderti, io sono Albus Silente, sono un mago e vi ringrazio infinitamente di essere venuti a parlare con me. –

Fanny fissava perplessa ora il padre ora l’umano senza capire: sembrava che stessero conversando tranquillamente, eppure lei capiva solo i versi del suo simile, cosa stava succedendo?

Il maschio sbatté gli occhi dorati e rispose con gentilezza – è un piacere incontrarti giovane Albus, io sono Faber e quella è la mia compagna Dulcinea. Se non ti dispiace vorremmo parlare un po’ con te finché Fanny non sarà pronta a conversare con noi. –

Il ragazzo era esaltato da quell’esperienza assolutamente inaspettata, non vedeva l’ora di raccontare al mondo magico quello che stava vivendo, ma colse una frase che non riuscì a capire

-Faber, Dulcinea sono molto lieto di conoscervi. Non capisco, però, come è possibile tutto questo? E, soprattutto, cosa vuol dire finché Fanny non sarà pronta? –

Fu la femmina dallo sguardo dolce a rispondergli: - Non ti preoccupare per Fanny, vi spiegheremo tutto, sappi solo, per ora, che tu capisci noi ma non lei così come lei non comprende te, per ora. Forse vuoi accendere il fuoco e metterti più comodo, alla maniera umana? –

Albus si trovò sull’orlo delle lacrime per la dolcezza e l’amore che stillavano come miele dalle parole di Dulcinea, era come sentire l’affetto di sua madre per lui e i suoi fratelli, moltiplicato per tutte le volte che aveva desiderato risentire la sua voce in quegli ultimi, maledetti, due anni.

-Grazie, mamma- si ritrovò a dire per correggersi subito –oh! Mi perdoni io … -

-No, mi piace! Tutti i miei piccoli mi chiamano mamma- lo interruppe la femmina

-erano quasi ottanta disgeli che non vedevo un umano, davvero molto tempo.-

Albus rimase sconcertato da quell’ultima affermazione, prima di ricordare che le Fenici vivevano molto a lungo, più a lungo della maggior parte degli uomini. Sorridendo si alzò lentamente e prese la bacchetta per ravvivare i resti del suo misero falò notturno, poi stese il suo sacco a pelo e ci si sedette sopra per godersi il tepore del fuoco. Le due Fenici avevano osservato i suoi movimenti e si avvicinarono al falò accovacciandosi comodamente a poca distanza dal giovane, mentre Fanny continuava ad osservare sconcertata tutti e tre restando a distanza di sicurezza.

 

Non riesco a capire più nulla! Prima i miei genitori volano qui senza avvertirmi e ora si mettono a conversare con “lui”.

Riescono e capirlo proprio come succedeva a me!

E anche lui li comprende.

Eppure io non so cosa sta dicendo, capisco solo quello che dicono i miei …

Che diavolo sta succedendo?

 

I pensieri di Fanny si facevano sempre più confusi e intanto che la piccola rifletteva, Albus raccontava agli adulti come era arrivato fin lì e perché.

Poi Faber prese la parola:

-Voi vi siete incontrati in un momento difficile, vi siete compresi pur non sapendo perché, vi siete seguiti e osservati per giorni, eppure non vi capite più perché avete smesso di fidarvi l’uno dell’altro. Quello che avete scoperto per caso è il mistero più nascosto e meno conosciuto delle Fenici: la capacità di comunicare cogli esseri di cui ci si fida e che si amano, a qualunque specie essi appartengano.- A quelle parole un paio di occhi azzurri e un paio dorati lo fissarono sgranati e sconvolti e una bocca e un becco si aprirono contemporaneamente ma una voce gentile li zittì entrambi –Piccoli miei aspettate, non è tutto, c’è altro che dobbiamo raccontarvi.-

-Grazie mia amata- disse il maschio –solamente poche di noi ricordano ancora questa storia, è una leggenda quasi dimenticata persino per il nostro popolo e so per certo che nessun umano ne è al corrente. Moltissimi disgeli fa, quando le Fenici erano molte e i maghi pochi accadde un fatto strano:

un essere umano, una femmina, si dice, salvò un maschio di Fenice, che si era spinto troppo a valle, da una trappola e, guardandosi, provarono un amore così forte, così profondo, che scordarono di essere di due specie diverse, dimenticarono tutto al di fuori l’uno dell’altro e quando si decisero a provare a comunicare scoprirono di comprendersi perfettamente.

Parlarono per giorni, spaventati all’idea che, se avessero smesso, l’incantesimo sarebbe svanito.

Si raccontarono tutto, cercarono di conoscersi e capirsi profondamente in modo che, se la magia fosse cessata, avrebbero saputo abbastanza l’uno dell’altra da comunicare lo stesso.

Quando gli fu chiaro che non erano vittime di un accidente momentaneo furono felici e decisero di restare insieme. I problemi iniziarono a quel punto: nessuno dei due si sentiva pronto ad abbandonare il suo mondo perciò decisero di chiedere consiglio ai loro saggi.

Il maschio dominante della Fenice apparve molto preoccupato e diffidente di fronte a quel mistero, pensò ad un trucco degli umani e decretò che il suo secondo non avrebbe mai più dovuto incontrare la femmina d’uomo, pena il bando dallo stormo.

La Fenice era disperata, per giorni e notti rifiutò il cibo e continuò a lamentarsi. Provava una grandissima angoscia all’idea, non solo di non poter rivedere la sua amata, ma anche di non poterle spiegare nulla. Temeva che lei pensasse di essere stata abbandonata, che non la amasse più.

Nel frattempo la donna si era recata davanti al consiglio dei maghi ma, non avendo prove di quanto affermava, venne ritenuta pazza e, quando tentò di salire sulla cima da sola, venne rinchiusa. Dissero che era per la sua sicurezza e per quella degli altri, che avrebbero studiato il suo caso e le avrebbero fatto sapere ma intanto i giorni passavano e lei restava imprigionata.

All’inizio pensò che il suo amore l’avrebbe trovata e sarebbero fuggiti, poi temette che gli fosse accaduto qualcosa, infine cominciò a pensare che, forse, non sarebbe mai tornato.

Quando, dopo mesi, si convinse che lui l’avesse dimenticata smise di mangiare, diventò sempre più debole e si ammalò.

Nel frattempo il maschio continuava a languire nel nido, non voleva nutrirsi né pulirsi, non lasciava avvicinare nessuno e passava il tempo cantando piano del suo amore perduto.

Si racconta che il dominante, dopo quasi un anno, non sopportò più quella situazione e decise di parlare col suo secondo. Quando andò da lui nel suo nido e vide la sua tristezza capì di aver commesso un errore e revocò il suo ordine, liberando il maschio dalla proibizione.

Quando capì cosa l’altro gli diceva la Fenice si riscosse e si alzò faticosamente, accettò del cibo per avere la forza di volare, si congedò dalla sua famiglia e spiegò le ali per scendere a valle.

Dicono che volò tutto il giorno e tutta la notte per raggiungere il suo amore.

Quando, finalmente, arrivò trovò il fuoco spento, la casa deserta e disabitata da tempo, la sua amata sparita. La cercò in tutto il villaggio finché non sentì la sua voce che cantava da una strana casa con le sbarre. Si posò fuori dalla finestra e la chiamò ma lei non rispose.

La chiamò per tutta la notte finché, verso l’alba, pensò che forse lei non voleva rispondergli, forse non lo amava più, forse lo aveva ingannato.

All’improvviso il canto della femmina divenne per lui un’accozzaglia di sgraziati versi umani di cui non capiva il significato, quella perfetta comprensione e quel senso di comunanza erano svaniti.

Inizialmente pensò che quella fosse la prova del fatto che lei non lo amava, poi si chiese perché fosse accaduto proprio in quel momento, dopo alcuni giorni vide un volto alla finestra … era lei.

Quegli occhi tristi e spenti gli strinsero il cuore, lui li rammentava pieni di vita e di fuoco.

Il dolore che lo prese era talmente forte da farlo uscire dal suo nascondiglio e avvicinarsi.

Quando un raggio di sole colpì le sue piume gli occhi di lei si alzarono a fissarlo con un guizzo, sospirò e pronunciò il suo nome.

Il dolore e l’amore presero il posto della sfiducia nel suo cuore, il gelo si infranse nei suoi occhi dorati e le parole del suo amore riebbero un senso.

Il suo trillo divenne gioioso quando lei mostrò di riconoscerlo e di capirlo.

Voleva che lei uscisse a raggiungerlo e la femmina dovette raccontargli cosa era successo da quando si erano separati e il motivo per cui non poteva uscire.

I suoi simili l’avevano privata di quella che chiamavano bacchetta perciò non poteva fare magie per fuggire. Il maschio si infuriò vedendo la sua amata prigioniera e usò la sua magia di Fenice per entrare nella stanza. La loro gioia di essere di nuovo insieme fu immensa, la donna prese le piume della coda della Fenice e in una fiammata scomparvero per riapparire sui monti.

Presero delle pelli per tenere al caldo la femmina e ripresero subito il volo fino al nido.

La storia non racconta cosa fecero poi, solo che, quando la donna morì, il suo amato decise di non rinascere più e si lasciò svanire nel fuoco per restarle accanto.-

Un lungo silenzio seguì al racconto di Faber, tutti tacevano riflettendo su quella meravigliosa e incredibile storia d’amore finché Albus si decise a rompere gli indugi

-Fu quindi l’amore a permettergli di capirsi e la sfiducia a dividerli?-

-si, figlio, solo l’amore.- gli rispose piano Dulcinea.

Il giovane apparve perplesso –ma, come è possibile? Non solo siamo di due specie diverse ma … io non sono un amante di femmine. Fino ad un anno fa avevo un compagno e non ho mai desiderato una donna.- Dulcinea rise –figlio, esistono tanti tipi di amore, non lo sai? L’amore tra un umano e una Fenice è il più puro che possa esistere, è completamente disinteressato, fatto solo di fiducia, comprensione, unione di anime e sacrificio. Si figli miei sacrificio, la lontananza provoca un dolore così forte che uno dei due deve scegliere di lasciare il suo mondo per vivere in quello dell’altro, abbandonare tutto, rinunciare ad un nido o casa, ad una famiglia della propria specie. L’amore è anche così potente che permette a coloro che si amano di comprendere, non solo l’altro, ma anche tutta la sua specie.

Tutto questo appare leggero e bello a due cuori che si amano, ma la scelta è difficile.

Inoltre, dopo quanto successe in passato, la legge dice che l’umano deve impegnarsi al segreto con un giuramento incantato. Nessuno dovrà più sapere di questo potere del cuore, per la sicurezza degli amanti, ma anche di quella del nostro popolo.-

Quando Faber smise di parlare il sole era ormai tramontato dietro le cime e il fuoco bruciava basso rischiarando lo spiazzo innevato e diffondendo il suo tepore.

-figli credo sia ora, per tutti noi, di riposare. La giornata è stata lunga e voi avete bisogno di sonno e di riflettere su ciò che avete ascoltato. Albus noi dobbiamo tornare, tu entra nel tuo nido di stoffa, sarai al sicuro lì, ci rivedremo domani al sorgere del sole.- Il ragazzo avrebbe voluto protestare ma la materna autorevolezza di Dulcinea lo forzò, invece, ad annuire dicendo solo –Buonanotte mamma, buonanotte Faber … buonanotte dolce Fanny.-

 

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo: 29 Agosto notte ***


E’ notte fonda ormai, Dulcinea mi ha detto di dormire un po’ ma non riesco a smettere di pensare a tutto quello che ho ascoltato oggi, alla storia di quei due amanti così assurda, eppure così meravigliosa, così impensabile, eppure così bella.

Non ho mai pensato seriamente all’amore, sono giovane, ho sempre creduto che prima o poi sarebbe arrivato e basta. Credevo di amare Gellert ma, chissà, forse la mia idea di amore è sempre stata troppo legata al desiderio fisico piuttosto che al cuore e all’anima.

Ora non so più. Il pensiero di perdere Fanny mi provoca un dolore sordo, ho la sensazione che una parte di me si potrebbe spegnere e cessare di esistere.

Pensare a Lei mi rende felice, mi fa sentire libero, non avevo mai provato questa sensazione prima.

Nessun essere umano mi ha mai ispirato questi sentimenti, sono puri, non legati al corpo, eppure sono più forti di qualunque cosa io abbia mai provato.

Non solo desidero vederla, restarle accanto, ma anche parlare e scherzare con Lei, poter volare assieme. Ma soprattutto, più di ogni altra cosa desidero vederla felice.

Sarà questo l’amore? Non so più …

Eppure non credo che potrei vivere qui per sempre, è un luogo di pace meraviglioso, ma passare tutta la vita senza vedere altro, senza parlare con altri esseri umani, senza leggere e studiare.

Una volta desideravo il potere per cambiare il mondo, renderlo migliore.

Ora credo che preferirei una vita serena e onesta, ricca d’amore e di studio, che si impegna ad insegnare ad altri come essere migliori, maghi migliori, uomini migliori.

Mi è sempre piaciuto insegnare ma qui … a chi potrei insegnare io? E che cosa?

Eppure tornare a casa senza Fanny, non vederla più, vivere senza di lei tutta la mia vita.

Sento le lacrime scorrermi sulle guance solo a questo pensiero.

Se deciderà di voler restare con me vivremo dove e come vorrà! Sarà lei a scegliere. Io le resterò accanto comunque.

Ecco, ho deciso, la mia scelta è fatta! Ora il mio cuore è leggero come una piuma di Fenice. Sarà difficile ma sono sicuro che è la scelta giusta.

Ma Lei cosa sceglierà?

 

 

Nell’importanza di quello che stava decidendo Albus non si rese conto di aver detto ad alta voce tutto ciò che stava scrivendo e, soprattutto, non si accorse della creatura nascosta fuori della sua tenda che, immobile, ascoltava tutto ciò che lui diceva.

Una volta fatta la sua scelta chiuse il suo diario e si addormentò, finalmente, di un sonno sereno e riposante come non gli capitava da un anno a quella parte.

 

Avrei dovuto dire a qualcuno che, da quando mio padre ha raccontato quella storia, ho ripreso a capire le parole di Albus?

Volevo riflettere da sola su tutto quello che ho ascoltato e che è avvenuto, eppure non sono riuscita a stargli lontano.

E ora questo. I suoi pensieri sono così belli, poterli ascoltare è meraviglioso anche se mi sento in colpa per aver origliato. Non potevo sapere che avrebbe parlato a voce alta, all’inizio credevo che parlasse con me, che sapesse che sono qui.

Ora so cosa sente il suo cuore.

Ma il mio? Credo che ormai separarci sarebbe impossibile, il dolore sarebbe troppo grande.

Ma dove potremmo vivere e come?

Lui è meravigliosamente altruista e lascerebbe decidere me eppure …

Ora so cosa sente, so il dolore che gli provocherei strappandolo alla sua gente e al suo mondo.

Ma io sarei in grado di lasciare il mio per Lui?

Ho sempre desiderato viaggiare, vedere altri luoghi oltre il nido. La mamma dice sempre che sono molto meno timida degli altri e molto più curiosa.

Eppure non ho mai seriamente pensato di andarmene. Credevo che una volta adulta avrei trovato il mio compagno e avremmo costruito il nostro nido, che avrei covato le mie uova e cresciuto i miei piccoli come la mamma.

Ma che senso avrebbe ora tutto ciò senza di Lui? Potrei mai avere un compagno sapendo che non lo amerò tanto quanto amo Albus? A chi andrebbe la mia fedeltà? Come potrei fare giuramento di fedeltà ad un altro se non a Lui?

Ma lasciare il nido …

Eppure se restassi qui che futuro avrei? Senza un compagno, senza cuccioli, sapendo che Lui soffre anche se non lo dice?

Nessuno dei due sarebbe felice perché avremmo una vita vuota, avremmo l’un l’altro, però. E la mamma e il papà e i miei fratelli. Ma una volta partiti loro noi chi saremmo?

Esseri a metà: né umani né Fenici.

Nel suo mondo cosa potremmo fare, invece?

Nessuno saprebbe del nostro vero legame. So che molti uomini tengono con sé altre creature e le accudiscono, ne sono “proprietari” dicono loro … noi potremmo fingere che sia così.

Nessuno farebbe domande ad un uomo con la sua creatura, penserebbero che sia normale.

E noi saremmo liberi di conoscere il mondo, la gente, liberi di volare ovunque.

Sarebbe meraviglioso! E se mi prendesse la nostalgia cosa ci impedirebbe di volare subito qui? Saremmo insieme e potremmo fare qualunque cosa!

Lui accetterà ma io avrò il coraggio di farlo? A parole è così facile lasciare ciò che si conosce.

Mi fido abbastanza di lui da affidargli tutta me stessa? La mia vita, la mia anima, il mio fuoco tutto sarebbe suo per sempre. Sarebbe il mio compagno ma una femmina senza uova cos’è in realtà? E se Lui si innamorasse di un essere umano? Di qualcuno più simile a lui? Cosa ne sarebbe di me? Potrei solo lasciarmi spegnere …

Eppure il mio cuore sa che Lui non è così.

La mamma mi ha sempre detto che quando una Fenice incontra il suo compagno il suo cuore sa che si fida di lui, che non sarà tradito. Ora capisco cosa intendeva.

Dentro di me ho la certezza del suo amore e della sua fedeltà! E’ una sensazione meravigliosa.

Ecco il sole che sorge. Credo che sia giunta l’ora di parlare con Lui. Deve sapere prima ancora dei miei genitori qual è la mia scelta.

 

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Capitolo 6
*** 6° Capitolo: 30 Agosto 1900 ***


Fanny cantò il nome di lui mettendoci tutto il suo amore, per svegliarlo con tutta la dolcezza che aveva appreso da sua madre, finché non sentì il giovane muoversi all’interno della tenda.

Albus uscì poco dopo fissandole addosso quegli occhi più azzurri del cielo colmi di tutta la felicità e l’amore che gli sgorgavano dal cuore.

Si guardarono a lungo, in silenzio, i loro cuori si parlavano senza bisogno che le loro labbra si muovessero per dar voce ai loro sentimenti.

Si capirono profondamente, meglio di quanto fosse accaduto prima.

Venne infine il momento in cui arrivarono in volo Faber e Dulcinea, i loro sguardi si lasciarono per seguire il planare delle due Fenici finché non atterrarono elegantemente accanto a loro.

-Mamma, papà, Albus ed io dobbiamo parlarvi!-

Esordì trillando Fanny. Lei e il giovane si scambiarono un’ occhiata felice che i due adulti non mancarono di notare, poi il mago prese la parola –Noi vogliamo restare insieme! Non possiamo neanche pensare di separarci. Vorrei che fosse Fanny a decidere dove e come vivremo, la sua felicità è l’unica cosa che mi stia a cuore.-

Il suo discorso venne ripreso da Fanny che continuò –Vivremo a casa di Albus. Nessuno troverà strano che un umano abbia un’altra creatura accanto, la mamma mi ha detto che spesso gli uomini si prendono cura di cani, gatti, ippogrifi e altre creature. Potremo viaggiare, vedere posti lontani, conoscere gente diversa. E tornarvi a trovare ogni volta che vorremo.-

Concluse tutto d’un fiato e rimase in attesa della risposta evitando accuratamente di guardare sia Albus che suo padre e osservando invece con attenzione sua madre.

Faber restò in silenzio a lungo osservando gli sguardi che venivano scambiati, ascoltando le parole non dette e riflettendo su quelle che aveva ascoltato, infine parlò –Bene. La tua è una scelta difficile figlia mia. Sai che potrei impedirti facilmente di lasciare il tuo nido, ma non lo farò.

Vedo il vostro amore riflesso nei vostri occhi e l’approvazione di tua madre è palese.

Però vi porrò delle condizioni ed esigo che vengano rispettate, altrimenti vi negherò il permesso!-

La dichiarazione del maschio, autorevole e lapidaria stupì molto i due ma la cosa che li sorprese di più fu che Dulcinea si dichiarasse subito d’accordo col compagno –Si figli miei! Faber ha ragione.

La vostra è una scelta coraggiosa e difficile e sono molto fiera di voi. Voglio però che siate accettati e rispettati nello stormo e, soprattutto, voglio che la mia piccola sia al sicuro. No Albus! So che non la metteresti mai in pericolo volontariamente ma potresti decidere di fidarti dell’umano sbagliato e sarebbe lei a rimetterci.- Di fronte a questo ragionamento il giovane mago non poté che dichiararsi d’accordo con loro e dirsi pronto a fare tutto ciò che gli avrebbero ordinato.

Il maschio volò via per riunire lo stormo mentre la sua compagna restò a spiegare loro cosa sarebbe avvenuto. –Parte di quello che richiederemo sarà un giuramento incantato da parte tua, Albus, che ti obbligherà a mantenere il segreto su alcune cose: primo fra tutti il rapporto speciale che lega te e Fanny, secondo la posizione del nido e poi tutto ciò che apprenderai delle nostre leggende e tradizioni. Non potrai raccontare in nessun modo tutto quello che hai imparato e che imparerai da noi. Questa è la sostanza di ciò che ti chiederemo di giurare e sarai legato dalla nostra magia a mantenere la tua parola. Dopo di ciò celebreremo il rito che vi legherà come compagni per la vita, lo stesso che unisce due Fenici che si scelgono e vogliono creare un loro nido. Con questo rito sarai considerato a tutti gli effetti una Fenice e avrai i nostri stessi diritti e doveri. E allo stesso tempo Fanny potrà seguirti senza essere espulsa dallo stormo e mantenendo il diritto di tornare ogni volta che lo vorrà.- Sentendo cosa gli sarebbe stato richiesto Albus fu felice di accettare senza riserve, avrebbe acconsentito a qualunque cosa avesse tenuto al sicuro e reso felice Fanny.

Lei d’altronde pur di poter seguire Albus e poter tornare a trovare i suoi di tanto in tanto si sarebbe tagliata la coda quindi non ebbe nulla in contrario.

Si fecero spiegare per filo e per segno cosa avrebbero dovuto fare e dire, giusto in tempo per il ritorno di Faber accompagnato da una decina di meravigliosi uccelli che volavano in formazione e si posarono nella radura disponendosi a semicerchio attorno a loro.

Albus era incantato dallo spettacolo che gli si presentava davanti. Nessun essere umano aveva mai avuto la possibilità di vedere uno stormo di Fenici al completo, tantomeno di prendere parte ai loro riti, dei quali nessun uomo sapeva nulla.

Fanny si avvicinò ai suoi fratelli per assistere al giuramento di Albus e lo guardò orgogliosa e piena d’amore mentre, insieme a Faber, compiva l’incantesimo che lo avrebbe obbligato al silenzio.

Il mago recitò il giuramento con voce chiara e decisa, senza nessuna incertezza.

Le Fenici lo ascoltarono in silenzio e, alla fine, espressero la loro approvazione schioccando forte il becco. Poi il padre chiamò la giovane Fanny accanto a loro e intonò il canto che avrebbe unito la coppia di fronte a tutti.

-Noi siamo due ma vivremo come uno, sempre insieme, voleremo attraverso la nostra vita uniti.

Liberi di essere felici, liberi di amarci, liberi di costruirci il nido e di allevare i nostri piccoli;

legati dal nostro amore, legati dalla fedeltà reciproca, legati dal rispetto l’uno dell’altro.

Saremo liberi e legati insieme, per tutta la nostra vita. La nostra vita sarà un volo insieme, liberi.-

Quando il canto terminò la nuova coppia venne sommersa di auguri e felicitazioni, tutto lo stormo si comportava veramente come se Albus fosse realmente uno di loro e non un essere umano.

Il giovane comprese in quel momento di aver trovato, non solamente una compagna, ma un’intera famiglia che lo accettava e che lo avrebbe amato per tutta la sua vita.

Il suo cuore era colmo di amore, gratitudine e commozione.

Fanny era più felice di quanto avrebbe potuto immaginare: avrebbe vissuto una vita meravigliosa col suo compagno, senza essere relegata su una montagna ma vedendo luoghi diversi e apprendendo più di quanto i suoi simili potessero mai sperare di imparare. Sarebbe stata libera di volare ovunque e avrebbe potuto fare ritorno al nido ogni volta che lo avesse desiderato.

I festeggiamenti durarono tutto il giorno poi, al crepuscolo, le Fenici tornarono ai loro nidi.

Faber e Dulcinea rimasero il tempo di sapere che i compagni novelli sarebbero partiti il giorno dopo e per mettersi d’accordo con loro di incontrarsi al sorgere del sole poi, anch’essi, li lasciarono soli.

I due si guardarono felici ed entrarono nella tenda per trascorrere la notte al caldo.

-Fanny sei certa della scelta che hai fatto? Non hai rimpianti vero?- Albus si preoccupò di domandare mentre si sdraiava nel suo letto. –No! Sono felice! Ora sei il mio compagno e insieme vivremo una vita meravigliosa. Mi mancherà la mia famiglia ma potremo tornare a trovarli quando vorremo. Sai mi piacerebbe vedere la tua casa, tu hai visto la mia. Non vedo l’ora di conoscere il tuo mondo. E, soprattutto, non vedo l’ora di volare con te. – Mentre parlava si accucciò accanto a lui sul letto poi gli becchettò affettuosamente una guancia per dargli la buona notte e mise il capo sotto l’ala come faceva sempre per dormire.

Albus fu commosso dal discorso della sua compagna e le baciò dolcemente il capino, accarezzandole le piume soffici. Poi anch’egli chiuse gli occhi e si addormentò profondamente.

 

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Capitolo 7
*** Epilogo: 31 Agosto 1900 ***


L’alba li trovò vicini ma svegli, Albus accarezzava piano le piume del collo della sua compagna che, intanto, cantava piano uno dei canti che aveva appreso da sua madre.

Quando sentirono un lieve frullio d’ali fuori dalla tenda si alzarono e uscirono all’aperto.

Osservarono i genitori di Fanny planare nella radura e Fanny gli si avvicinò subito per becchettarli affettuosamente per poi svolazzare ad appollaiarsi comodamente sulla spalla di Albus.

-Figlioli credo che per voi sia ora di partire per iniziare la vostra nuova vita. - Disse Dulcinea affettuosamente e Faber si raccomandò di fare attenzione durante il volo. Fanny si commosse ed Albus la lasciò andare dai genitori mentre lui preparava i suoi bagagli.

-mamma mi mancherete così tanto …- gemette la piccola lasciandosi cingere dall’ala della madre.

-Cara mi raccomando fai attenzione, sii straordinariamente felice e torna presto a trovarci. –

-Anche tu ci mancherai tantissimo: sei la prima dei nostri piccoli ad andare così lontano dal nido. -

Aggiunse suo padre con emozione. Poi si rivolse ad Albus – Mi raccomando, abbi cura della nostra piccola. - -si caro – aggiunse Dulcinea –e mi raccomando, tornate in primavera, per la schiusa delle uova, a conoscere il nuovo fratello di Fanny. –

-ma certo mamma, non dovete preoccuparvi, mi prenderò cura di lei e verremo presto a trovarvi – le rispose Albus serenamente. –adesso temo che dobbiamo salutarvi, è giunta l’ora di andare.- Fanny si strinse per un attimo al padre e poi alla madre prima di arruffare con cura le piume e di tendere la coda verso il suo mago pronta per partire. Il giovane raccolse il suo zaino e si aggrappò con decisione alla coda della Fenice poi, dopo un ultimo saluto, si alzarono in volo e si allontanarono verso sud per il loro primo volo insieme, liberi!

 

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