Herzlos. ♥

di unleashedliebe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ein. ***
Capitolo 2: *** Zwei. ***
Capitolo 3: *** Drei. ***
Capitolo 4: *** Vier. ***
Capitolo 5: *** Fünf. ***
Capitolo 6: *** Sechs. ***
Capitolo 7: *** Sieben. ***
Capitolo 8: *** Acht. ***
Capitolo 9: *** Neun. ***
Capitolo 10: *** Zehn. ***
Capitolo 11: *** Elf. ***
Capitolo 12: *** Zwölf. ***
Capitolo 13: *** Dreizehn. ***
Capitolo 14: *** Vierzehn. ***
Capitolo 15: *** Fünfzehn. ***
Capitolo 16: *** Sechzehn. ***
Capitolo 17: *** Siebzehn. ***
Capitolo 18: *** Achtzehn. ***
Capitolo 19: *** Neunzehn. ***
Capitolo 20: *** Zwanzig. ***
Capitolo 21: *** Einundzwanzig. ***
Capitolo 22: *** Zweiundzwanzig ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24. ***
Capitolo 25: *** 25. ***
Capitolo 26: *** 26. ***
Capitolo 27: *** 27. ***
Capitolo 28: *** 28. ***
Capitolo 29: *** 29. ***
Capitolo 30: *** 30. ***
Capitolo 31: *** 31. ***
Capitolo 32: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Ein. ***


 

Saalve! Sono Anna, questa è la prima fan fiction che scrivo, spero che vi piaccia!
Questi personaggi non mi appartengono { purtroppo xD};  questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Ho sempre pensato che la mia vita fosse perfetta, mio padre era un uomo d’affari tedesco e possedeva alberghi a cinque stelle in tutta Europa mentre mia madre era una bella donna di origine italiana.
Ricordo che da piccola mi raccontavano la storia del loro incontro e, mentre lo facevano, vedevo i loro occhi brillare. Maddalena – mia madre – rappresentava un uomo che aveva fatto causa a Philip – mio padre. Si sono incontrati ed è stato amore a prima vista. Sognavo una storia d’amore così.
Quando i loro occhi hanno smesso di scintillare quando si guardavano, ho capito che la mia vita stava per cambiare, in peggio. Avevo dieci anni quando i miei genitori divorziarono e mia madre approfittò di ciò per trasferirsi in Francia, portando con sé me e mia sorella Elena. Ci vivemmo per quattro anni, poi tornammo nel paese d’origine di mia madre, l’Italia.  
Da quel momento diventò fredda, probabilmente la fine del matrimonio l’aveva sconvolta e per questo decise di dedicarsi più possibile al lavoro, trascurando il resto della famiglia. Papà lo vedevamo solo a Natale e durante le vacanze estive, ma era troppo occupato per badare a noi.
La mia infanzia non è stata difficile, avevo tutto: una bella casa, molti soldi a disposizione, persone a mio servizio e una fantastica migliore amica, mia sorella. Nonostante tutto ciò, mi mancava qualcosa: l’affetto di mamma e papà. Sono andata a scuola per la prima volta a quindici anni, cioè all’inizio delle scuole superiori; prima studiavo privatamente con Elena. Scelsi di frequentare il linguistico: parlavo già italiano, tedesco, francese e inglese; mancavano solo latino e spagnolo.
L’adolescenza fu un periodo abbastanza duro per me, con le persone che conoscevo ero estroversa e scherzosa ma, quando mi trovavo tra estranei mi chiudevo a riccio, prevaleva la parte timida e introversa del mio carattere. Era difficile che riuscissi a fidarmi delle persone, ero circondata da ipocrisia: molti volevano diventare miei amici solo perché ero Anna Seele Künrei, figlia di un ricco imprenditore e indubbiamente carina.
Dicevano che mettevo in soggezione, molti pensavano che, visto che non parlavo con nessuno, mi ritenessi al di sopra di tutti e tutto. La verità era che non avevo il coraggio di relazionarmi, avevo elaborato un guscio lasciando fuori gli altri e dentro solo me stessa e Elena. Con lei riuscivo ad aprirmi, diventavo una persona diversa, piacevole. A diciassette conobbi Daniele, era un ragazzo indubbiamente carino: occhi azzurri, capelli castani, un bel fisico dovuto ai continui allenamenti di calcio e molto popolare. All’inizio della terza superiore, ebbe la (s)fortuna di essere il mio vicino di banco. L’avevo giudicato un ragazzo pieno di sé, ma mi sbagliai: nei mesi successivi lo conobbi meglio e alla fine dell’anno era diventato il mio migliore amico. Era riuscito a cambiarmi, a rendermi migliore. Grazie a lui ero riuscita – quasi – a superare la mia timidezza e a fidarmi delle persone.
Mi spingeva a provare cose nuove, per il mio compleanno andammo a farci il piercing al labbro inferiore: io a sinistra e lui a destra. Al piercing seguì il cambio di acconciatura: avevo ereditato i capelli da mio padre, erano biondi chiari e lisci. Feci la frangia e li tinsi di un castano scuro. Quando mia madre si accorse dei miei cambiamenti mi impose di non vedere più Daniele. Non le diedi ascolto, ovviamente. Quando glielo dissi, piangendo, lui mi abbracciò stretto e, non so come, alla fine ci siamo ritrovati a baciarsi. Fu stupendo, era così dolce e passionale. Le mie labbra si incastravano perfettamente con le sue, il contatto col piercing mi dava i brividi. Fu così che scoprì l’amore, il sentimento da tutti decantato e lodato. 
 

Un mese dopo il bacio ci fu la prima volta. La famosa prima volta. Quella che verrà ricordata per tutta la vita. Non l’avevamo programmata, ero andata a casa sua a vedere un film – un orribile horror. A metà film abbiamo cominciato a baciarsi, a toccarci e alla fine ci siamo amati completamente, donandoci l’uno all’altro. Non ricordo ciò che provai, ero troppo confusa e imbarazzata per godere in pieno del momento. Alla prima volta ne seguì una seconda, una terza, una quarta. Lo amavo davvero. Nonostante ciò non riuscivo a godere in pieno della nostra intimità, mi sentivo strana.
A parte questo, tutto sembrava andare per il meglio quell’anno – l’anno della maturità. Passavo le giornate con lui, mia sorella, i miei libri, Nana Uno e Nana Due. Nana non era un animale – come molti pensavano – bensì la mia chitarra: una classica e l’altra elettrica.
In quel periodo ero fissata coi Guns N' Roses, passavo pomeriggi a cantare e suonare le loro canzoni. Mia sorella invece si era appassionata dei Tokio Hotel, ascoltava le loro canzoni a tutte le ore e sapeva ogni gossip su di loro, era una fanatica. In senso positivo.
Ero felice, a luglio mi ero diplomata col massimo dei voti e con Daniele tutto andava bene.
Naturalmente quando tutto va bene, succede qualcosa che sconvolge l’equilibrio.
Mia madre scoprì che stavo ancora con Daniele, lei era sempre via per lavoro ed era stato abbastanza semplice nascondere la nostra relazione; lo scoprì lo stesso. Alla scoperta seguì una scenata con tutti gli elementi tipici: urli, minacce e insulti. Riteneva che mi avesse cambiata in peggio, non ero più la figlia perfetta: non indossavo vestitini color confetto e pensavo con la mia testa. Alla fine della ramanzina, sganciò la bomba.
«Sono stanca di te! Sei una figlia ingrata! Dovresti ascoltarmi, sono tua madre capisci?»
Mi urlò. A quel punto stanca delle sue insinuazioni le risposi:
“Sono tua figlia? E da quando scusa? Da quant’è che non usciamo insieme? Aspetta, ora che ci penso, non l’abbiamo mai fatto Maddalena! Mi hai messa al mondo e poi mi hai trattata come un oggetto, ti rendi conto? Mai un gesto affettuoso, mai nulla per me e per Elena! Sono cresciuta da sola, grazie a mia sorella e a Daniele. Non capisci, non puoi fare nulla, io lo amo cazzo! Ora ho diciotto anni, pretendi di controllarmi? Vaffanculo con tutto il cuore!”
Dopo il mio monologo mi arrivò una sberla dritta in viso. Bruciava, molto. Non mi aveva mai picchiata, neanche da piccola. Mai.
“Come osi parlarmi così?! Domani tu parti per la Germania e vai da tuo padre capito? Non hai scelta! Abbiamo già deciso. Ricorda: sono un avvocato, non puoi vincere contro di me.”
Dovevo andare in Germania, Germania. C’avevo passato l’estate fino ai sedici anni, poi smisi di andare e sentivo mio padre solo per telefono. Mi piaceva la Germania, ma in Italia c’era Daniele. Il mio amore. La mia vita.
Tutto stava andando a puttane.

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Capitolo 2
*** Zwei. ***


 

Ecco il secondo capitolo.

Dopo la discussione con mia madre corsi in camera di Elena e mi tuffai piangendo tra le sue braccia.
«Vedi il lato positivo della situazione. Potresti incontrare i Tokio Hotel!» Cercò di sollevarmi il morale, ma vedevo che soffriva anche lei.
«Non ce la faccio Elena, non posso farcela, davvero. » Sospirai.
«Anna, so quanto ami Daniele okay? E so quanto lui ama te! Esistono i treni e gli aerei! Skype e Messenger! Cellulari e anche la carta da lettere se vuoi! Ti mancherà, è ovvio! Però forse è un occasione per staccarti un po’ da lui. Lo sai, lo trovo simpatico ma non mi fido di lui. Dovresti provare a disintossicarti della sua presenza, non arrabbiarti, è un consiglio.»
«Io..io..Non riesco a pensare a nulla adesso. » In un certo senso potevo capire i dubbi e i ragionamenti di mia sorella, ultimamente Daniele era sembrato un po’ strano anche a me, era più distante, cercavo di non darlo a vedere, ma lo conoscevo da due anni e lo capivo. Ma lui era il mio tutto.
«Mi mancherai sorellona. Ti voglio tanto bene lo sai? Chiamami tutte le sere, se ti succede qualcosa di interessante voglio sapere tutto, voglio essere aggiornata in tempo reale sulla tua vita! Tu.. sei la mia migliore amica. » Ora eravamo in due a singhiozzare.
«Siamo ricche per questo no? Spendere migliaia di euro al telefono! » Cercavo di fare dell’ironia, ma l’atmosfera era davvero pesante.
«Devi promettermi una cosa Anna Seele Künrei: non deprimerti, non ricostruire quel guscio che sei riuscita a eliminare con tanta fatica. Non pensare alla Germania come a una punizione, pensa che sia una nuova occasione. Io e Daniele ti aspettiamo, ma devi farti altri amici, okay? E se incontri uno dei Tokio Hotel spupacchiatelo per bene e raccontami i dettagli!» Mi scappò un sorriso, era una persona meravigliosa la mia Elena.
«Te lo prometto. Ora..ora devo chiamare Daniele. » Sospirai ancora.
Presi il telefono, non feci in tempo a comporre il numero che ricevetti una chiamata da lui, chissà se sentiva quanto avessi bisogno di lui.
«Ehy amore. » Cercai di apparire tranquilla.
“Ehm, Anna ti devo parlare. Ascolta e non mi interrompere okay? » Era agitato.
«Tutto bene? Succede qualcosa? Dimmi. »Ora ero agitata anche io, come se non lo fossi abbastanza prima.
«Mio zio mi ha offerto un posto di lavoro nella sua azienda, ho bisogno di soldi e così ho accettato. È un ruolo abbastanza importante, sento che è quello che fa per me. Così non ho pensato a rinunciare e ho colto l’occasione al volo; c’è solo un problema. » Prese fiato.
«Sono felice per te, te lo meriti! » Sentì che batteva le dita sul tavolo, non era un bel segno. Lo faceva solo quando era particolarmente nervoso, irritato o arrabbiato.
«Aspetta, lasciami finire. Non è in Italia il lavoro. »
«D-d-dov’è? » Stavo per scoppiare a piangere, di nuovo.
 «Chicago. » Disse tutto d’un fiato.
«Oh, Chicago. Quando parti? » La mia voce tremava.
«Domani mattina.” Domani mattina? La tristezza fece spazio alla rabbia. Partiva il giorno dopo e mi avvertiva solo ora? Ma che cavolo ha in testo questo stronzo? E a me non ci pensa? Era da due anni che stavamo insieme, non poteva avermi fatto una cosa del genere. Avrei voluto urlargli dietro tutto questo, ma riuscì a dire solo: «Domani? Ah»
«Tornerò in Italia per le festività, non ho abbastanza soldi per fare avanti e indietro, tu si però. » Lo disse con naturalezza. Con naturalezza!? Era tranquillo, io ero disperata!
«Domani pomeriggio parto anche io. Vado in Germania. Mia madre ha scoperto di noi e mi spedisce da mio padre. Fantastico non trovi? » Dissi sarcastica cercando di trattenere le lacrime.
«Tuo padre non ti odia, ti lascerà venirmi a trovare più spesso. »
«Non vuoi l-l-l-lasciarmi.. v-v-vero?» Piangevo, eccome se piangevo.
«Ti amo, lo sai. Sei troppo importante per me. »
«Grazie. Domani mattina non posso venire all’aereoporto però.. devo fare le valigie. Mi dispiace tanto. Ti amo anche io. Tantissimo.»
Non rispose, non si disse dispiaciuto del fatto che non potevamo incontrarci prima delle rispettive partenze, chissà fra quando ci saremmo rincontrati poi.. e lui aveva messo giù il telefono.
La felicità mi sembrava così irraggiungibile..

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Capitolo 3
*** Drei. ***


 

Ecco il terzo capitolo.

Ero distesa a letto, ormai le lacrime non scendevano più. Io e Daniele non ci eravamo lasciati, ma sentivo che qualcosa non andava. Mia sorella che aveva sentito tutto, entrò in camera, si distese affianco a me e mi abbracciò.
“Ssh, tranquilla. Sai cosa vorrei dirti? Te l’avevo detto. Ma evito okay? Io sono qua, ti voglio bene, tanto. Se ti senti sola dimmelo, prendo l’aereo e ti raggiungo. Sai che lo farei, farei di tutto per te.” Cos’avevo fatto per meritarmi una sorella così straordinaria?
“Grazie. Per tutto. E, se dovessi incontrare uno dei Tokio Hotel, te lo spedisco in un pacco regalo, d’accordo?” Sorridemmo in contemporanea.
Ci addormentammo così, abbracciate l’una all’altra.

Passai la mattinata successiva a fare le valigie insieme a Elena che, per aiutarmi, era stata a casa da scuola. Avevo molti abiti, mi servirono quattro valigie. Le mie due chitarre me le avrebbe spedite mia sorella successivamente.
Daniele mi aveva scritto stamani per avvertirmi ch’era partito. “Sono partito, ti amo”. Molto breve e conciso, non era da lui. Aria di crisi. Non diedi peso al messaggio, avevo troppi problemi per la testa. Era da due anni e mezzo che non lo vedevo, chissà se mi avrebbe riconosciuto. Ero diventata una giovane donna. Oltre ai lunghi capelli biondi successivamente diventati castano scuro in seguito a tinta, avevo ereditato la sua statura, ero molto alta: un metro e settantasei. Usavo questa scusa per non mettere i tacchi, non amavo particolarmente vestiti e scarpe alte. Amavo le converse. Il mio fisico era longilineo e le curve “da italiana”, ero abbastanza formosa. Ciò che amavo di me erano gli occhi: un misto tra quelli di mia madre e quelli di mio padre: verde smeraldo ma con qualche pagliuzza azzurra. Secondo Maddalena dovevo fare la modella, come no. Ho sempre desiderato viaggiare per il mondo lavorando come interprete, non mi importava il settore: era bello permettere alla gente di diversa nazionalità di comunicare. Avevo deciso di prendere un anno di pausa, prima di cominciare a lavorare – cercare un lavoro anzi.
L’aereoporto di Venezia era pieno di persone, mi piaceva osservarle. Guardare i visi e cercare di immaginare la vita di quella gente, cercare di capire cosa provavano loro, ero una brava osservatrice. Capivo le persone, mi piaceva ascoltare e aiutare. Mi faceva sentire bene.
Era fine ottobre quando lasciai l’Italia. Non era più molto caldo, io mi sentivo gelare. Ero anomala sotto questo punto di vista, avevo sempre freddo. O forse volevo essere riscaldata.
Avevo indossato il solito paio di jeans e le solite converse. Come portafortuna avevo la maglietta dei Rolling Stone regalatami da Daniele e il capellino datomi da Elena. Un paio di occhiali da sole per nascondere il viso ed ero pronta. Pronta e invisibile.
Chissà se qualcuno mi guardava e si interrogava su cosa facesse una diciottenne in aeroporto, che saluta la sorella con le lacrime agli occhi e guarda infuriata la madre, perfetta e fredda nel suo tailleur color topo firmato Dolce&Gabbana.
Tutto stava cambiando. Il mio volo era il 483, mia sorella disse che era destino che si chiamasse come un album dei suoi amati Tokio Hotel. Forse.. aveva ragione.
Il volo 483 diretto ad Amburgo sta per decollare dalla pista 4. I passeggeri sono pregati di allacciare le cinture.
Anna, preparati. La tua nuova vita sta per decollare.

Il mio posto era in prima classe, mio padre aveva comprato anche il biglietto per il posto accanto al mio. Per avere più privacy dice. In un certo senso mi faceva piacere andare a trovarlo, nonostante i vari impegni di lavoro quando era a casa si comportava bene, era affettuoso e gentile. Peccato fosse un papà a part-time. Sempre meglio della mamma del resto, lei quando c’era era fredda.
Guardavo fuori dal finestrino e mi preparavo psicologicamente a dire addio all’Italia.
Persa nei miei pensieri il volo decollò. Cosa lasciavo in Italia? Mia sorella. Poi c’era Daniele, ma lui stava a Chicago ora. Effettivamente non subivo una gran perdita. Mi sentivo irrequieta però. Preferì smettere di pensare, per evitare di arrivare ad Amburgo con un gran mal di testa.
Servivano i Guns. Presi l’ipod nuovo, regalo d’addio di mia sorella. Scorsi le canzoni. Beatles, Scorpions, Aerosmith, Nirvana, Guns e Tokio Hotel. Si, aveva messo tutte le loro canzoni. Che sorella incredibile.
Scelsi la canzone. Play. La musica mi avvolse.

When I look into your eyes  I can see a love restrained. But darlin' when I hold you
Don't you know I feel the same Cause nothin' lasts forever , and we both know hearts can change and it's hard to hold a candle, In the cold November rain […]
Sometimes I need some time... on my own  Sometimes I need some time... all alone  Everybody needs some time... on their own.  Don't you know you need some time... all alone?

Mi addormentai. Sognai. Sognai il mio matrimonio con Daniele. In un giorno di novembre. Pioveva. Io entravo in chiesa, perfetta nel mio abito bianco. Lui mi aspettava, indossava uno smoking nero. Era bellissimo. Percorsi lentamente la navata. Alzai il velo che mi copriva il viso, a quel punto parlò. “Non tu, lei” Disse indicando una donna che entrava correndo. A quel punto il sogno si trasformò in incubo. Fui svegliata dall’annuncio della hostess: il volo ha raggiunto Amburgo. Scesi dall’aereo e venni colpita da una ventata d’aria fredda, ero ancora intontita per lo strano sogno. Il matrimonio.. non ci avevo mai pensato. Non mi ci vedevo in un abito bianco, troppo tradizionale. E Daniele, non lo vedevo nella parte di sposo. O forse non il mio, di sposo. Una scrollata di testa per mandare via i pensieri.
La mia nuova vita ad Amburgo doveva essere più bella, volevo essere felice. Lo meritavo. Come tutti. Si, proprio così.
Non trovai mio padre ad accogliermi, c’era la sua nuova segretaria. Vestita in maniera impeccabile e rigida come un palo. Aveva in mano un cartello col mio nome. Mio padre non poteva darle una mia foto? Scherziamo. Figuriamoci.
Mi diressi verso di lei e mi squadrò con sguardo critico. Storse la bocca quando vide il mio piercing. Povero, era così carino.  Mi accompagnò alla macchina, la solita mercedes nera guidata dall’autista. Non mi portò a casa di Philip, ma all’albergo. Avevo chiesto io di fare così: se fossi andata nell’immensa villa di papà, mi sarei sentita oltremodo sola, lui stava pochissimo a casa e mi sarei depressa ancora di più. Avevo perciò chiesto e ottenuto il permesso di stare nella suite del suo hotel a tempo indeterminato, non avevo voglia di cercare un appartamento e poi mi affascinava la vita d’albergo. Potevo continuare a osservare la gente. A volte era bello ascoltare i discorsi degli stranieri. Pensano che tu non li capisca, invece io con la mia conoscenza linguistica seguivo tranquillamente le loro chiacchiere. Era un passatempo strano, ma non mi importava. Non avevo ancora una vita mia, così mi intromettevo in quella degli altri.
Il mondo è un teatro, vieni, vedi, e te ne vai. (Proverbio latino)

Vestiti di Anna alla partenza -> Clicca qui.

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Capitolo 4
*** Vier. ***


Ecco il quarto capitolo.

L’hotel di mio padre era un albergo a cinque stelle. Compreso di piscina e grande terrazzo. Suite imperiale e musica durante i pasti. Ricordo che da piccola, quando alzavo lo sguardo cercando di vedere l’ultimo piano, avevo paura mi cadesse addosso. Sembrava un grattacielo. Fuori ti dava l’impressione di un edificio freddo e cupo, un passo verso l’interno e ti ricredevi all’istante. Il pavimento della hall era di parquet, i muri colorati di un rosso tenue. Sentivi una sensazione di calore invaderti quando osservavi gli interni. Alla reception c’era sempre il solito signore, conosceva mio nonno e lavorava in quell’hotel fin da piccolo. Il signor Frank. Una persona davvero amabile e gentile, con un sorriso rassicurante e un tono fermo. All’inizio la sua voce mi metteva in soggezione, poi ho imparato a conoscerlo e a volergli bene. L’ultima volta che lo vidi fu a quindici anni. Era invecchiato in quei tre anni, i capelli erano diventati completamente bianchi ma restava l’uomo affascinante di un tempo. Era la seconda persona che conoscevo ad Amburgo. L’altra era mio padre, ovviamente.
Entrai nella hall avvolta nel mio cappotto nero, il cappello mi nascondeva gran parte del viso. Frank mi riconobbe comunque, nonostante i capelli e il resto dei cambiamenti da me fatti. Mi accolse con un gran sorriso, pareva dicesse bentornata a casa. Casa. Strano. Non ho mai avuto una vera e propria casa. A mia madre piaceva trasferirsi, le piaceva andare a vedere case e fare giri per mobilifici. Le piaceva spendere denaro. Poteva permetterselo. Lo faceva.
“Signorina Künrei, che piacere vederla! Suo padre mi aveva avvertito del suo arrivo. È cambiata parecchio. In meglio, naturalmente. Philip l’aspetta in ufficio.”
“Frank, ci conosciamo da tanto, dammi del tu per favore, mi sento vecchia sennò! Preferisco essere chiamata Anna. Ora vado da mio padre, grazie.”
L’ufficio di mio padre era molto grande, aveva un caminetto e anche una grande libreria. Al centro della stanza c’era la sua scrivania, piena di scartoffie e il computer. Davanti un divanetto in pelle nera. Il pavimento era di marco e il muro dipinto di nero. Aveva gusti strani, mio padre. Non fui sorpresa di trovare la stanza uguale a come l’avevo lasciata, le uniche cose ch’erano cambiate erano il computer, sostituito da uno sicuramente più costoso e non le carte erano ordinate, probabilmente opera della segretaria che m’aveva preso all’aeroporto.
Lui non era cambiato un gran che, qualche capello bianco in più ma era sempre il mio papà.
Mi accolse con un grande sorriso.
“Bentornata piccola! Come sei bella Seele! Togliti pure il cappotto e il cappello, così ti vedo meglio!” Si, mio padre preferiva il mio secondo nome, anche io in verità. Ormai tutti mi chiamavano Anna, inutile dibattere. Seele, anima.
“Grazie papà. Anche tu non sei male!” Sorrisi e mi svestii.
“Stai bene con quei capelli, anche se personalmente ti preferivo bionda. Al naturale. E anche quel coso.. ehm.. quello che hai sulla bocca, è carino!” I suoi commenti erano sinceri, non come quelli di mia madre, sarcastici.
“Tornerò bionda, prima o poi. Devo solo trovare il momento giusto. Dipende dall’umore sai. Ora sono stanca. Potresti darmi la chiave che vado in camera?”
“Certo tesoro. Suite 483.” Ed ecco che il numero ritornò. Destino. “Questo è il mio regalo di benvenuto” Disse porgendomi una carta di credito platinum. Dopo averla vista, i miei occhi hanno preso a brillare.
“Papà, grazie. Di tutto.” Sorrisi e uscì dalla stanza.
Il prologo della mia nuova vita mi piaceva. Chissà se il resto m’avrebbe deluso.

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Capitolo 5
*** Fünf. ***


Ecco il quinto capitolo.

La mia stanza era al quinto piano. Optai per le scale. Quel giorno non avevo fatto movimento, avevo bisogno di sgranchirmi le gambe e, inoltre, gli ascensori erano occupati. Non m’erano mai piaciuti, stare in uno spazio ristretto con una persona e in silenzio, m’imbarazzavo.
Piano dopo piano, notai che c’erano degli uomini vestiti di nero, probabilmente della sicurezza, lungo le scale. Chissà, forse nell’hotel c’era qualcuno di famoso.
Forse l’idea di fare cinque piani a piedi non era ottima, arrivai alla porta della camera stanca e col fiatone.
La suite 483 era stupenda: al centro c’era un letto matrimoniale a baldacchino, davanti un caminetto; v’erano anche un televisore al plasma e un divano di pelle. Affianco un tavolo di legno abbastanza grande. C’erano altre tre stanze collegate a quella principale: una  che conteneva un grande armadio, un’altra stanza con un letto matrimoniale e due letti singoli e infine il bagno. Era stupendo. Mattonelle azzurre e pareti dello stesso colore, non c’era la doccia ma la vasca da bagno, c’era anche la televisione! La suite aveva anche la terrazza da cui vedevi Amburgo in tutta la sua bellezza. L’unico difetto era che accanto alla terrazza, c’era subito quella della camera affianco: volendo si poteva saltare facilmente. Era alquanto improbabile, visto le frequentazioni dell’albergo: per lo più uomini d’affari troppo seri per fare una cosa del genere, coppiette in luna di miele che non perdono tempo in cose così e personaggi famosi. Forse qualche dubbio sull’ultima categoria.
Le valigie erano già in centro alla stanza, grazie ai facchini. Non le svuotai, potevo farlo dopo cena. Guardai l’orologio, erano le cinque. La cena era alla sette e mezza.
Optai per fare un bagno rilassante, estrassi dalle valigie il mio accappatoio azzurro, il phon, shampoo e balsamo alla cioccolata e il bagnoschiuma al caramello. Mi piacevano i sapori dolci. E anche a Daniele, diceva che gli veniva voglia di mangiarmi. Daniele. Lo avrei chiamato dopo il bagno. Riempii la vasca d’acqua calda, attaccai la musica e cominciai a lavarmi accompagnata dai Tokio Hotel stavolta.

No one knows how you feel, No one there you’d like to see.
 The day was dark and full of pain, You write help with your own blood.
Cause hope is all you’ve got. You open up your eyes,
But nothing’s changed. I don’t want to cause you trouble.
 Don’t wanna stay too long, I just came here to say to you..
 Turn around , I am here If you want it’s me you’ll see.
Doesn’t count, far or near. I can hold you when you reach for me.

La canzone era veramente carina, inevitabilmente il mio pensiero corse a Daniele.
Uscì dal bagno perfetta, asciutta e profumata alle sei. Presi il cellulare e chiamai il mio amore, in America teoricamente era mattina, le undici circa. Non rispondeva, stavo per mettere giù quando si degnò di alzare la cornetta.
“Amore!” Disse tutto allegro.
“Ehi. Com’è l’America?” Dissi fingendo entusiasmo.
“Fantastica davvero! Ho fatto un giretto, è tutto bello! Ora devo andare, scusa. A domani.
“Okay, mi manchi.”
Mise giù senza rispondere.
Questa conversazione mi lasciò perplessa, era tutto allegro e felice. Forse non gli mancavo. E questo pensiero fece male. Decisi perciò di chiamare Elena, lei sicuramente era più gentile!
“Sorella! Come stai? Racconta tutto!”
“Mi manchi già sai? L’hotel è meraviglioso. Come sempre, del resto. Frank mi ha riconosciuto sai? E papà ha detto che il mio piercing è carino!”
“Anche tu mi manchi. Salutami Frank quando lo vedi! E poi, ho sempre ragione, la Germania non è male in fondo.”
“Sai un’altra cosa? Ho la suite 483.”
“E’ destino, l’ho detto. Ricordati che se ne vedi uno devi fare un pacco regalo e spedirmelo!” Scoppiammo a ridere, parlare con lei faceva tornare il buon umore.
“Ho parlato con Daniele, l’ho chiamato. Era.. felice! Che cazzo, un minuto di conversazione e poi mi ha salutato! Mi ha detto a domani. A DOMANI? Speravo in un “mi manchi” almeno! E invece, niente. Di niente. Di niente. C’è qualcosa che non va, lo sento.” Dissi triste.
“Non rovinarti la vita così Seele! Sai cosa devi fare? Va a trovarlo! Organizza una sorpresa, non so, la settimana prossima. Potresti chiedere i soldi a papà, meglio evitare Maddalena.”
“Hai ragione, non ho problema coi soldi. Quel santo di nostro padre mi ha dato una PLATINUM!”
“COSAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA? La voglio anche io!” Scoppiammo a ridere ancora.
“Cosa ti metti per cena?” Mi chiese.
“Non so, in realtà pensavo di cenare in camera..” Non l’avessi mai detto!
“Eh no cara mia! Alzi il culo, scegli qualcosa di carino e scendi! Devi vedere se c’è qualcuno di interessante e poi avvertirmi!” Pensai di mettere la tuta.
“Col cavolo sorella! La tuta te la scordi! E se ti stai chiedendo se leggo nella mente, no! Non sono Edward Cullen, purtroppo. Ti conosco. Metti una gonna o un vestito. Se proprio non vuoi mettere i tacchi, opta per le ballerine! Ora devo andare, la nostra genitrice chiama. Ti adoro.”
“Anche io Elena.”
Aprì la valigia per scegliere il vestito della mia “entrata in scena”.

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Capitolo 6
*** Sechs. ***


 

Ecco il sesto capitolo.

E “salvarmi” dalla scelta dei vestiti fu una chiamata di mio padre.
“Ho bisogno di un favore” Disse con voce supplichevole.
“Ciao anche a te papà! Dai, dimmi.”
“Sono arrivati degli importanti ospiti francesi, dovevano arrivare domattina ma hanno anticipato. L’interprete è già andato a casa.”
“Okay, ti aiuto io.” Sorrisi, in fondo era bello che avesse pensato a me.
“Non è tutto. Dovresti indossare un vestito. Sai, per dare una bella idea dell’hotel.”
“Perché se mi presento in jeans l’hotel diventa brutto? Non ti preoccupare, metto un vestito! Elena mi ha praticamente obbligato!”
“Grazie mille! Ti devo un favore. Arrivano verso le otto, ceniamo con loro. Scendi alle sette e quarantacinque okay?”
“Okay, vado a prepararmi!”
Non avevo molti vestiti in valigia. Optai per un vestito di lana blu scuro, abbastanza corto e con le maniche lunghe. Per quanto riguarda le scarpe uno stivaletto grigio con tacco basso e delle calze dello stesso colore. E, infine, per dare quel tocco in più misi una collana regalatami da mamma – mai indossata. Avendo ancora venti minuti di tempo, decisi di fare qualcosa ai capelli: li legai in uno chignon, lasciando cadere dei ciuffi sul viso, arricciati con il ferro. Misi un po’ di ombretto blu e mascara. Quando mi sono guardata allo specchio, mi sono vista bella. Ero soddisfatta, non accadeva spesso. Quella sera però ero davvero splendida.
Era la mia esperienza come “traduttrice”, nonostante sapessi benissimo il francese, ero agitata. Non volevo fare brutta figura davanti a mio padre. Se in quel momento avessi avuto la mia chitarra, avrei chiuso gli occhi, avrei suonato e cantato. Mi sarei rilassata. Però le mie Nane erano in Italia, non in Germania. Decisi di prendere l’ipod, riproduzione casuale. La prima canzone che sarebbe uscita l’avrei cantata, sperando di rilassarmi.
On. Riproduzione casuale. Play. In die Nacht. Tokio Hotel. Messa da Elena, la conoscevo, l’ascoltava molto spesso e avevo finito per impararla a memoria. Uno, due tre. Respiro. Canto. Tre minuti e dodici secondi dopo ero calma. Aveva funzionato. Dovevo ringraziare ancora Elena. Uscendo dalla camera notai che nella suite di fianco alla mia e in quella dopo, c’erano due bodyguard davanti. Wow. Ero vicina a personaggi famosi. Figo.
Per scendere scelsi l’ascensore, meglio non esagerare con le scale. C’erano due uomini, avevano l’aria di imprenditori. Sui trentacinque anni circa, mi guardarono con aria maliziosa. Oddio. L’ho detto che odiavo gli ascensori, facile capire la ragione. Uno di loro cercò di parlare con me, in tedesco. Utilizzai la logica. Gli risposi in spagnolo dicendo di non capire. Sbuffò. E io dentro di me risi trionfante.
Uscita da quella situazione alquanto imbarazzante passai davanti alla reception e mi fermai a parlare con Frank.
“Ehy Frank, mia sorella Elena ha detto di salutarti!”
“Ricambio i saluti Seele! Sei davvero bella stasera!” Sorrise e io ringrazia.
Feci per entrare nella sala da pranzo e notai l’uomo dell’ascensore che mi guardava male. Ops, aveva scoperto che in realtà il tedesco lo parlavo. Gli sorrisi imbarazzatissima e fuggì il sala.
Incrocia il tavolo dov’era seduto mio padre e mi diressi verso di lui.
“Wow, lo smoking ti dona sai?”
“Anna Seele wow! Ma sei davvero incantevole! Grazie per l’aiuto! Attenta a non far impazzire tutti i ragazzi qui mi raccomando!”
“Ho già un ragazzo, papà.” Dissi sospirando.
“Lo so, me l’ha detto Maddalena. Solo per il fatto che non le piace, piace a me.” Mi fece un enorme sorriso.
“Senti, ho un’idea per ricambiare il favore che ti sto facendo. Il mio ragazzo ora lavora a Chicago, posso andare a trovarlo a breve?”
“Ne dovrei parlare con tua madre. Immagino già la risposta però. Quindi, per me puoi andare!”
“Oh grazie mille! Ti voglio bene lo sai vero?” Esclamai sogghignando.
“Si  si, ruffiana! Stanno arrivando i francesi! Conquistali mi raccomando!”
I francesi erano un gruppo di cinque persone. Sui trent’anni, molto carini. Troppo vecchi però per me. E io avevo Daniele. Ah Daniele. Erano anche molto simpatici.
La cena andò benissimo, la mia prima esperienza lavorativa: passata a pieni voti!

Lasciai la cena alle nove e mezza, la giornata era stata molto stancante, ero abbastanza spossata. Utilizzai l’ascensore per andare in camera, stavolta nessun incontro imbarazzante, fortunatamente.
Non avevo voglia di dormire, chiamai Elena per raccontarle i dettagli della cena e mandai un messaggio a Daniele. “Io vado a letto. Ti amo.” Non rispose, di solito rispondeva immediatamente. Forse era a lavoro.. o forse no. Decisi di cambiarmi, tolsi il vestito e i tacchi e frugai nella valigia alla ricerca di qualcosa di comodo. Sciolsi i capelli che si posarono sulla schiena delicatamente.
Indossai un paio di jeans neri; una felpa, un cappello e una sciarpa grigia. Naturalmente stavolta niente tacchi, amate converse grigie! E per finire gli occhiali da sole neri.
Era sera, il sole non c’era. Con gli occhiali potevo osservare la gente tranquillamente, senza che nessuno se ne accorga.
Optai per andare nella terrazza, misi il cellulare in una tasca e l’ipod nell’altra. Alle dieci ero fuori. Faceva abbastanza freddo, il vento mi solleticava i capelli. Da una parte della terrazza c’erano tante persone, dall’altra nessuno. Forse la vista era migliore? Forse le persone non volevano sentirsi sole e andavano dalla massa. Era deprimente la vista. Solo coppiette. La mia fantasia non poteva andare lontano.
Due si tenevano la mano e ogni tanto si scambiavano qualche bacio. Forse si erano sposati di nascosto dai loro genitori. Forse lui è già sposato e lei è la sua amante. Forse sono fuggiti insieme perché lui stava già con la migliore amica di lei. Forse. Forse. Pensieri che non avranno conferma. Smisi di guardare la gente. Mi recai nella parte del terrazzo dove non c’era nessuno e scrutai l’orizzonte. Io ero ferma lì, al di là della ringhiera, la gente si muoveva. Viveva. Girava caotica. Mille luci accese, gente che passeggia, clacson che suonano. Uomini che vivono. La mia vita invece era momentaneamente in modalità standby. 
Immobile fissavo il mondo mentre canzoni iniziavano e finivano. Mi persi nei miei pensieri e mi riscossi solamente quando sentì il cellulare nella mia tasca vibrare. Daniele. Mi aveva risposto, finalmente. Felicità prima. Delusione dopo aver letto il messaggio. “Notte anche a te.” La nostra storia era al capolinea? Dopo due anni insieme? No! Non lo avrei permesso, lui era la mia vita e io l’amavo. Una lacrima scese velocemente dagli occhi. La fermai prima che arrivasse alla bocca. Io non dovevo piangere. Non ne avevo motivo. Avevo tutto quello che una persona può desiderare, non dovevo essere triste. Non dovevo. Ma lo ero.
Guardai il cellulare, erano le undici passate. Ero stata là fuori un’ora. Non avevo voglia di rientrare. Mi girai a vedere com’era la situazione nel terrazzo: se n’erano andati tutti. Tranne un ragazzo, era poco distante da me. Alto e magro, portava anche lui gli occhiali da sole e un cappello. Avevo voglia di una sigaretta, mi ero comprata il pacchetto prima di prendere l’aereo, sotto consiglio di mia sorella Elena. Sorrisi pensando a ciò che mi disse.
"Tu eri dipendente da Daniele. Ora devi smettere. E per smettere, hai bisogno di dipendere da qualcos’altro. Avevo pensato al cioccolato, poi mi sono ricordata che ti vengono i brufoli se ne mangi troppo. Ho pensato l’alcool, ma non voglio una sorella ubriacona. Quindi ti resta il fumo, fuma. È figo avere una sorella che fuma, credo. Non so."
L’altro ragazzo tirò fuori un accendino e si accese una sigaretta. Chissà, la mia voglia di fumo si sarà trasmessa anche a lui? Che pensieri stupidi. Tirai fuori una sigaretta, non avevo l’accendino però. Scrissi un messaggio a Elena. “Manca l’accendino katzen! Come faccio a iniziare la mia nuova dipendenza? XD C’è uno che fuma accanto a me, chiederò a lui. Notte sorella, ti adoro.
Rimisi il cellulare in tasca e mi avvicinai al ragazzo.


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Capitolo 7
*** Sieben. ***


 

Ecco il settimo capitolo.

Rimisi il cellulare in tasca e mi avvicinai al ragazzo.
Era la prima volta che facevo una cosa del genere, di solito non andavo a parlare con gli sconosciuti. Troppo timida. Ma l’accendino è una scusa buona no? Poi, in realtà.. non era neanche una scusa, perché mi serviva davvero. Quel ragazzo aveva qualcosa che mi attirava, mi fermai ad un passo da lui, non si era girato a guardarmi. Che non mi avesse sentito? Improbabile. Forse era perso nei suoi pensieri come me. Forse sperava che, non prestandomi attenzioni, avrei demorso dal tentativo di rivolgergli la parola.
“Scusa?” Gli parlai. La prima volta che interagisco con uno sconosciuto!
“Si?” Rispose senza girarsi.
“Ehm, potresti prestarmi l’accendino per favore?”
“Sì. Tieni” Aveva una bella voce, dolce e profonda. Peccato che non si girasse.
“Grazie” Mi accesi la sigaretta e gli restituì l’accendino.
Non tornai indietro, rimansi lì vicino a lui. Non riuscivo a vederlo bene, cercavo di scrutare il suo viso ma gli occhiali e il cappello m’impedivano di farlo. Non capivo perché fosse così “mascherato”. Magari era un assassino che si nascondeva dalla polizia. La mia fantasia aveva cominciato a elaborare qualche strana teoria. Molto più probabilmente era un personaggio famoso. Cantante? Era giovane perciò era la possibilità più razionale.
Tornai a guardare la panoramica mentre ispiravo il fumo. La città era sempre in movimento.
Non ero abituata all’aspro sapore del fumo perciò cominciai a tossire, facendomi venire le lacrime agli occhi e faticando a respirare. Fui costretta a spegnere la mia prima sigaretta. Missione dipendenza: miseramente fallita. Avrei ritentato. Si dice “ritenta e sarai più fortunato”, giusto? Avevo fatto una pessima figura. Probabilmente pensava avessi usato la scusa dell’accendino per conversare. Non potevo starmene zitta, nel mio angolino e con la sigaretta spenta? Mentre cercavo di regolare il respiro e di riprendermi dalla scena, il ragazzo si giro verso di me, mi squadrò perplesso e mi parlò. Mi rivolse la parola. Sperai solo non volesse prendermi in giro.  
“Stai bene?” Per fortuna non lo fece!
“Ehm sì. Grazie. È la mia prima sigaretta sai. Non ci sono abituata” Sorrisi imbarazzata.
Sorrise anche lui. “Non dovresti cominciare: è difficile smettere dopo.”
“Lo so. Lo faccio per questo.” Ridacchiai e lui inarcò le sopracciglia.
“Perché indossi gli occhiali da sole?” Mi chiese interrogativo.
“Per osservare la gente evitando che la gente si senta osservata da me. E tu invece?”
“Perché la gente non mi guardi.” Sorrise.
A quel punto mi tolsi gli occhiali da sole e li poggiai a terra.
“Adesso non c’è più nessuno da osservare. Posso toglierli.” Spiegai.
“Io no. Sono, diciamo.. in incognito, ecco.”
“Capito. Sei famoso e hai paura che ti salti addosso e ti violenti giusto?”
Scoppiammo a ridere insieme. Aveva una bella risata, una risata coinvolgente e cristallina.
“Sei una brava osservatrice. Hai indovinato”
“Allora puoi toglierteli. Salvo che tu non sia Farrokh Bulsara e, dubito tu sia Freddy Mercury, non ti salto addosso. Sono già impegnata” Risposi io.
“Se la metti così. Giuri di non urlare, di non saltarmi addosso e di non violentarmi?”
“Lo giuro” Alzai un sopracciglio curiosa. Era un ragazzo davvero simpatico e alla mano. Pensavo che le persone famose fossero un po’ altezzose. Fui felice di sbagliarmi.
A quel punto si tolse il cappello e gli occhiali da sole e mi porse la mano.
“Piacere Bill Kaulitz” 

Lo guardai attenta. Era lui. Il ragazzo dei poster di mia sorella. Mi sono sempre chiesta come riuscisse a dormire avendo venti poster e tutti gli occhi delle immagini puntati contro. Dopo averlo squadrato, capì di poter capire. Era indubbiamente un bel ragazzo; i suoi occhi erano di un bellissimo color nocciola, aveva uno sguardo intendo, che scaldava il cuore e ti scioglieva. I lineamenti del viso erano morbidi, la sua pelle era chiara. Era ancora truccato; non avevo mai apprezzato i ragazzi che si truccavano pesantemente abusando della matita nera e dell’eye-liner, ma a lui stavano davvero bene, non erano fuori posto nella sua figura.
Restai in silenzio per dieci secondi, troppo occupata a studiarlo per rendermi conto che forse dovevo dire qualcosa. Quando mi rimpossessai del mio cervello riuscì a parlare.
“Piacere Anna Künrei” Strinsi la sua mano e sorrisi.
“Grazie per non aver urlato, per non essermi saltata e per non avermi violentato!” Disse ridendo. Ancora quella bella risata.
“Di niente. È grazie a mia sorella che ti conosco, se ci fosse stata lei al posto mio probabilmente lei sarebbe in galera per stupro ora” Sogghignai.
“Hai una sorella?”
“Si, si chiama Elena. Ha diciassette anni, un anno meno di me. Vive in Italia con mia madre, io sono stata catapultata qui a vivere con mio padre. Lei vi adora, ha ascoltato talmente tante volte le vostre canzoni che ormai le so anche io a memoria. Lei credeva ti incontrassi sai? Perché sono arrivata qui con il volo 483 e la mia camera qui è la 483.  Ma non penso le racconterò di averti incontrato sul serio.. Oddio scusa, ho parlato troppo! Non volevo annoiarti!” Conclusi imbarazzatissima. Non era da me un monologo del genere, con le persone nuove mi bloccavo dopo due parole, lui mi metteva a mio agio. Sapeva ascoltare.
“Non ti preoccupare. Non mi annoi! Perché non dici a tua sorella che mi hai incontrato?”
Ridacchiai. “Le ho fatto una promessa e non credo di poterla mantenere. Non posso dirti altro, scusa” Conclusi con il miglior sorriso.
“Eh no, adesso me lo dici!” No no no! Stava facendo la faccina da cucciola! La usavo anche io da piccola: occhi grandi e luccicanti, labbrino in fuori e tremante. A una faccia del genere è impossibile negare qualcosa.
“Come faccio a tacere se fai quella faccia? Sei ingiusto!” Scoppiammo a ridere.
“Okay okay, le ho promesso che se avessi visto uno della band, l’avrei impacchettato e glielo avrei spedito. Quindi, a meno che tu non voglia davvero diventare il regalo di compleanno di Elena, non posso mantenere la promessa” Gli feci la linguaccia.
“Beh, si hai ragione.”
A quel punto calò il silenzio fra noi due. Lo guardavo attenta, non aveva più lo sguardo contento di prima, era diventato triste, come se si fosse ricordato qualcosa di spiacevole, forse il motivo per cui era sulla terrazza.
“Cos’è successo?” Gli domandai senza giri di parole.
“Nulla.” Rispose in un sussurro.
“Sono brava a capire le persone, so osservare. So anche ascoltare. Dovresti approfittare di tutte queste caratteristiche sai? Ti puoi fidare. C’è anche se non ci conosciamo.. sono brava a mantenere i segreti, non sono una che spiffera.. okay sto tergiversando, parlo troppo. Scusa. Non volevo essere invadente, perdonami.”
“Non ti preoccupare, capita anche a me qualche volta di parlare troppo. Non volevo asfissiarti coi miei problemi, tutto qui. Mi stai simpatica Anna;
Ho litigato con Tom. Non mi piace litigare con lui, mi mette di mal umore.”
“Allora.. scommetto che avete cominciato scherzando, lui ha esagerato, tu ti sei arrabbiato, lui ha detto che era solo per ridere e ti sei offeso. A quel punto lui ha lasciato perdere e tu te ne sei andato, giusto?”
“Si. Sicura di non leggere la mente? O forse ci spiavi?” Rispose sorridendo.
“Naah, ho una sorella anche io. Ci sono passata tante volte. Troppo orgogliose per scusarci e perciò non ci parlavamo per un po’, alla fine una di noi due cede e torna tutto come prima. Perché avete litigato? Se posso saperlo.”
“Sinceramente? Non mi ricordo neanche! Per una stupidata, ovvio. Poi lui esagera e a me non piace. Tanto mi sa che dovremmo fare pace, siamo in stanza insieme.” Sbuffò.
“Ho un’idea.” Sorrisi furba. 




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Capitolo 8
*** Acht. ***



 

Ecco l'ottavo capitolo.

“Ho un’idea.” Sorrisi furba.  
“Dimmi, pur di non tornare da mio fratello sono pronto a tutto!” Rise lui.
“Tu sei nella 484 giusto? Ho visto i bodyguard fuori dalla porta.” Lui annuì.  “Io sono nella stanza affianco, che coincidenza! Potresti dormire da me, non è una proposta indecente non preoccuparti! Puoi dormire nel letto matrimoniale dell’altra camera. Se ti fidi.”
“Davvero? Posso?” Gli brillarono gli occhi, che carino!
“Certo! Ti serve un pigiama?” Chiesi dubbiosa.
“Di solito dormo in boxer” Esclamò tutto sorridente. Un ragazzo che dorme in mutande nella camera affianco alla mia, solo una parola: wow.
“Okay, è mezzanotte! Andiamo? Puoi dire alla tua guardia del corpo che dormi fuori e di non avvertire gli altri della band. Scommetto che quando Tom ti troverà a fare colazione in sala verrà a chiederti scusa.” Esclamai sicura e sorridente.
Così rientrammo dalla terrazza. Ero stata fuori per due ore e, stranamente, non avevo sentito freddo. Complice la presenza di Bill Kaulitz al mio fianco? Meglio non porsi domande simili.
Arrivati nel corridoio delle nostre stanze, lui andò a parlare con gli uomini-armadio, io entrai in camera e andai a cambiarmi in bagno.
Indossai il pigiama che mi aveva regalato Daniele per il diploma: una canotta e un paio di short gialli, con la stampa di un toast sopra. Lo adoravo ma, pensare di dormire vicino a Bill con quello, mi imbarazzava parecchio. Arrossivo solo al pensiero.
Ero intenta a farmi una treccia da sola – cosa alquanto difficile – e non mi accorsi ch’era entrato. Arrivò dietro di me e mi urlò: “Buh!” Feci un salto in avanti e finì sul pavimento. Figura del cavolo numero due, in una notte sola! Mi girai infuriata verso di lui e vidi che era buttato sul mio letto, aveva le mani sulla pancia e le lacrime agli occhi dalle risate.
Presi un cuscino e glielo lanciai addosso, in tempo per vedere la sua faccia irrigidirsi e scoppiare anche io in una fragorosa risata.
“Scusa Kaulitz ma te la sei meritata!” Dissi mentre ridevo.
A quel punto si fermò serio e assunse una faccia imbronciata. Era troppo dolce! Non riuscì a trattenermi e scoppiai in un’altra risata, seguita a ruota da lui. Ridemmo per cinque minuti buoni, quando ci fermammo avevamo le lacrime agli occhi e mal di pancia a forza di risate.
“Non ho mai riso tanto!” Esclamammo insieme, dando via a un’altra sghignazzata.
Stavo bene insieme a lui, non ero brava a fare amicizia ma mi aveva già conquistata questo cantante. Dopo essersi ricomposto iniziammo a chiacchierare.
“Come mai tua mamma ti ha spedito qui?”
“Non le piaceva il mio ragazzo. Credeva avessi smesso di vederlo, invece eravamo insieme da due anni. Io sono qui mentre ora lui è a lavorare a Chicago. Che palle!” Sbuffai.
“Due anni, wow!”
“Si, è stato il mio primo e unico amico – oltre a mia sorella – e il mio primo e unico ragazzo. Però stiamo lontani da un giorno e ci stiamo già allontanando. Per questo ho deciso d’andarlo a trovare, voglio fargli una sorpresa. Tutto spesato dalla platinum di papi!” Sorrisi.
“Tuo papà è il proprietario dell’hotel giusto? Secondo me è rischioso fargli una sorpresa, potresti averne una brutta.”
“Si, è il proprietario. Ho deciso parto dopo domani e ritorno per il fine settimana. So che potrei avere brutte sorprese, ci ho pensato. Preferisco sapere la verità, anche se dopo soffrirò parecchio, no?”
“Si, in effetti hai ragione. Quanto resti in hotel?”
“Tempo indeterminato. Mi sono diplomata a luglio, questo dovrebbe essere il mio anno sabbatico. Quando avrò voglia di trovare un appartamento, comincerò le ricerche. Ora proprio non ce l’ho. Tu invece?”
“Due settimane. Abbiamo finito il disco da poco, adesso dobbiamo fare interviste e cose del genere. Finite le interviste uscirà il cd e subito si riprende la vita da rockstar: ci sarà la promozione del disco e i concerti in giro per l’Europa. Sarà parecchio stancante, preferisco non pensarci. In cosa sei diplomata?”
“Lingue. Mio padre è tedesco, mia madre italiana. Mi hanno insegnato entrambe le lingue da piccola, insieme all’inglese. Ho vissuto un periodo in Francia e ho imparato un’altra lingua. A scuola ho studiato lo spagnolo. Parlo cinque lingue” Conclusi sorridendo.
“Wow, io parlo solo tedesco e inglese. E neanche tanto bene l’inglese. Devi essere brava per ricordare tutto.”
“Diciamo che sono portata per le lingue, perciò mi riesce facile. Il bello arriva quando sono arrabbiata, comincio ad urlare frasi mischiando i cinque linguaggi. È una scena divertente per gli altri, imbarazzante per me.”
Dopo questa conversazione guardammo un po’ di televisione, era mezzanotte passata perciò non c’era un gran che e la nostra scelta cadde su un documentario. Dopo neanche dieci minuti entrambi ci addormentammo nel mio letto, io in pigiama e lui ancora vestito.

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Capitolo 9
*** Neun. ***


 

Ecco il nono capitolo.

Dopo neanche dieci minuti entrambi ci addormentammo nel mio letto, io in pigiama e lui ancora vestito.
La mattina dopo mi svegliai presto, alle otto. Non ero una dormigliona, ero sempre stata mattiniera. Bill dormiva di fianco a me, era così bello.. aveva un’espressione dolce e pacifica in viso, che mi fece sorridere istantaneamente e inconsapevolmente.
Mi alzai, attenta a non far rumore e aprì la valigia in cerca di qualcosa di decente da indossare.
Scelsi dei jeans, una maglia color sabbia e le converse dello stesso colore. I capelli li raccolsi in una treccia alla francese. Alle nove ero già vestita e pronta e, non avendo niente da fare, svuotai tutte le valigie e riposi il contenuto negli armadi. Alle dieci Bill non era ancora sveglio e così provvidi io, provai a chiamarlo ma ottenni in risposta una serie di mugolii allora dovetti passare alle maniere forti: presi un cuscino e glielo tirai addosso. Si alzò di colpo e mi guardò con uno sguardo alquanto spaventoso: pieno di sonno e rabbia. Aveva un’espressione così comica e non riuscì a trattenermi dal ridere.
“Su su Bill  sono le dieci! Se vuoi invio un messaggio a mio padre e chiedo se Tom è sceso per la colazione, così puoi tornare in camera tua e cambiarti, che dici?” Conclusi con un sorriso che avrebbe potuto sciogliere un iceberg.
“Pff, va bene Anna!” Scrissi il messaggio e due minuti dopo arrivò la risposta da parte di mio padre. “Perché me lo chiedi? Si è appena sceso comunque” non gli risposi e comunicai a Bill che c’era scritto. Approfittò per andare in camera a cambiarsi. Uscì venti minuti dopo: vestito, truccato e pettinato. Era uno spettacolo. Se non avessi avuto un ragazzo e diciotto anni probabilmente mi sarei messa a sbavare sulla moquette dell’albergo. Per non arrivare insieme e destare sospetti io scesi per le scale – ovviamente toccarono a me i cinque piani a piedi – e lui invece prese l’ascensore. Per arrivare prima di lui chiamavo l’ascensore ad ogni piano, giusto per dimostrare la mia grande maturità. Arrivai in sala prima di lui, mi sedetti sul mio tavolo e cominciai a mangiucchiare la mia brioche con la marmellata e aspettando che il cameriere mi portasse la solita cioccolata calda con tanta tanta panna. Il tavolo dei Kaulitz era davanti al mio, Tom mi dava la schiena quindi avrei avuto Bill di fronte a me. Arrivò il sala tre minuti dopo di me e mi riservò uno sguardo omicida per poi farmi l’occhiolino. Si avvicinò con nonchalance al gemello e, senza rivolgerli la parola si sedette e cominciò a fare colazione. Dopo due minuti di silenzio sentì Tom parlare, non capivo cosa stesse dicendo ma, dal sorriso di Bill e dal fatto che mi fece vedere il pollice alzato, capì che avevano fatto pace. In parte grazie a me, era una bella sensazione, sapere d’aver fatto qualcosa per qualcuno.  Gli risposi con il miglior sorriso e mi fece segno d’andare a mangiare da loro. Mi alzai titubante con in mano la mia brioche – in gran parte mangiata – e mi sedetti al loro tavolo, Tom mi lanciò uno sguardo curioso, fece per dire qualcosa ma Bill lo interruppe.
“Ho passato la notte da lei.” Tom lo guardò incredulo.
“Scemo! Mi ha offerto asilo visto che non volevo parlare con il mio caro gemello! Non abbiamo fatto quello che sicuramente tu stai pensando! Sei sempre il solito!” Concluse ridendo.
“E’ colpa tua, devi presentare meglio la situazione la prossima volta! Io sono Tom Kaulitz comunque” Disse rivolgendosi verso di me e tendendomi la mano. Notai solo allora quando assomigliasse a Bill, avevano gli stessi lineamenti e gli stessi occhi, lo stile totalmente differente. Era bellissimo anche lui, logico. Mi squadrava con aria maliziosa.
“Io sono Anna” Risposi sorridendo. Lui si leccò il piercing, mia sorella mi aveva spiegato, mentre era in preda a un attacco di parlantina assurdo, che veniva chiamato SexGott in quanto era un donnaiolo, il tipico ragazzo da una botta e via. Si capiva, decisamente.
“Piacere Anna” Mi scoccò un sorrisetto malizioso.
“E ho il ragazzo, tanto per la cronaca” Dissi facendo la linguaccia.
Tom, ovviamente non demorse. “Non sono geloso, non ti devi preoccupare.”
A quel punto a interrompere in nostro teatrino fu uno sbuffo di Bill e l’arrivo della mia cioccolata calda. Mentre io mi godevo la mia tanto agognata bevanda i ragazzi parlarono dei programmi per il pomeriggio, avevano due interviste e due servizi fotografici. Giornata stressante quindi. Poi passarono ai progetti per la serata.
“Tu che fai Anna stasera?” Chiese Bill.
“Non so, oggi pomeriggio vado a comprare il biglietto e preparo la valigia. Quindi sono libera. Voi?”
“Andiamo a fare festa!” Rispose entusiasta Tom, beccandosi una gomitata dall’altro.
“Andiamo in un locale che hanno aperto da poco,  vuoi venire con noi? Così ti presentiamo la parte mancante dei Tokio Hotel: Georg e Gustav hanno fatto colazione in camera per questo non ci sono.”
“Mi piacerebbe, devo chiedere a mio padre se mi presta la macchina; la mia è ancora in Italia.” Sbuffai.
“No problem,  puoi venire con noi!” Risposero i due in coro.
“Non vorrei creare problemi, insomma una ragazza che esce con voi; non voglio finire su qualche rivista di gossip!” Risi.
“Non ti preoccupare per questo, ci facciamo lasciare all’entrata secondaria, prima mandiamo una macchina così credono che siamo arrivati, mentre noi entriamo dalla parte opposta” Spiegò Tom. “Bussiamo in camera tua alle dieci e mezza!”
“D’accordo ragazzi! Grazie per l’invito. Ora vado a prendere questo maledetto biglietto, ci vediamo stasera! Ciao Kaulitz” Detto ciò mi avviai in camera e chiamai Daniele.

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Spazio all'autrice xD
Grazie per le recensioni Alice! :) Sono felice che ti piaccia la mia storia, appena ho un po' di tempo leggo la tua fanfiction, promesso; Baci.

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Capitolo 10
*** Zehn. ***


 

Ecco il decimo capitolo

Detto ciò mi avviai in camera e chiamai Daniele.
“Ehi amore!” Rispose lui tutto allegro.
“Ciao! Come stai? Il lavoro com’è? Ti sei ambientato? I colleghi?” Lo sentì ridacchiare.
“Calma, una domanda alla volta! Il lavoro mi piace, per questa settimana lavoro solo la mattina, dalla prossima comincio anche al pomeriggio. Ho imparato ad ambientarmi, i colleghi sono tutti okay. Anche la casa dove vivo mi piace.”
“Ah, ti ho comprato un regalo. Mi dai il tuo indirizzo così te lo spedisco oggi?” Il regalo – ovviamente – ero io, sperando d’esser gradita.
“Te lo scrivo per messaggio quando chiudo la chiamata, devo ancora impararlo scusami! Ora devo andare amore, compere per il nuovo appartamento! Ti amo.”
Non feci in tempo a rispondere che aveva già chiuso la chiamata, era strano. Si comportava in maniera diversa dal solito. Non lo capivo. A sottrarmi dai miei pensieri fu il suo messaggio in cui mi scriveva l’indirizzo.
Dopo questa chiamata inviai un messaggio a Elena, in cui le scrissi che tutto andava bene ma censurai il fatto d’aver incontrato due dei suoi idoli.
La mattinata trascorse tranquilla, andai a comprare i biglietti: il volo era alle dieci della mattina successiva. Avendo il pomeriggio libero andai a visitare la città e a fare shopping, comprai un paio di vestiti. Ero arrivata da un giorno ed ero già cambiata tanto, era l’aria della Germania che mi metteva voglia di vestiti? E di tacchi? Ero euforica, questa era la verità: la vita andava bene, avevo trovato degli amici, sarei andata a trovare il mio ragazzo e avevo migliorato il rapporto con mio padre. Quando tutto va troppo bene c’è qualcosa sotto..
Lo sapevo, ma non ci badavo: preferivo godermi la mia improvvisa felicità.
Tornata dallo shopping approfittai della piscina interna dell’albergo per fare un po’ di esercizio fisico. Il nuoto mi rilassava. Non c’era quasi nessuno, a quell’ora i clienti solitamente o dormivano o erano a lavoro, meglio così.
Restai a fare il bagno fino alle sei e mezza, tornata in camera mi feci un lungo bagno e scesi alle sette e mezza per la cena. Alle otto e mezza ero di nuovo in camera.
Avevo un importante decisione da prendere. Cosa dovevo mettermi? Avevo bisogno d’aiuto. Chiamai subito Elena.
“Elena Leben Künrei ho bisogno di te!” Dissi tutto d’un fiato.
“Dimmi tutto Anna Seele Künrei!” Ridacchiò.
“Ho incontrato dei ragazzi mentre facevo shopping – grande balla – e mi hanno invitato in un locale. Non so cosa mettere!”
“Prima voglio i dettagli. Descrivimeli. O. Non. Ti. Aiuto.”
“Allora sono molto.. carini! Decisamente belli! Ma preferisco Daniele. Ho il volo domani alle dieci, vado a fargli una sorpresa. Speriamo non ne faccia una a me. Consigli?”
“Ho già in mente il tuo look sorellina. Hai presente il vestito rosa che ti ho regalato per Pasqua? Quello che non volevi assolutamente mettere perché troppo corto? QUELLO! Poi.. Metti i leggins neri, la collana e gli orecchini di perle nere che ti ha regalato nostro padre per il diploma e per le scarpe.. i saldali rosa con un po’ di tacco! DIMMI CHE MI AMI!” 
“Ti dico di più, se non fossi mia sorella e una donna ti sposerei! Davvero grazie mille! Per il trucco e per i capelli?”
“I tuoi capelli.. lasciali slegati, fatti i boccoli. Niente trucco, vai al naturale. Sei stupenda così come sei!”
“Grazie! Ora raccontami di te.. Sento che sei particolarmente felice. Voglio sapere chi è, com’è, come l’hai incontrato, cosa ci hai fatto.. insomma tutto!”
“Sesto senso eh sorella? Lo conosco già da un mese ma ci siamo messi insieme solo ieri. È bellissimo! Si chiama Manuel, è alto, ha un anno più di me, frequenta la ragioneria, è nella squadra di nuoto.. immagina il fisico! Occhi azzurri e capelli neri! Stupendo. Secondo solo ai Kaulitz, e questo dice tutto!” Ridacchia, se solo sapesse che li conosco..
“è bello saperti innamorata, sono felice per te, davvero. Ora devo andare, mi preparo. Poi mi faccio una foto e te la invio, così ti godi la tua prima opera come stilista. Ti adoro.
Chiusi la chiamata e cominciai a prepararmi. Alle dieci e un quarto ero pronta.
Non sono mai stata una ragazza vanitosa, ma ero davvero bella quella sera. Anche gli occhi.. avevo uno sguardo sereno, che non vedevo da tanto tempo. Feci una foto col cellulare e la inviai a Elena. Un minuto dopo la sua risposta. “Chi cazzo è quella figa li? Non puoi essere tu sorella? Scherzo ovviamente. O forse no. Si. No. Sni.Sei davvero bellissima, hai anche uno sguardo che non vedevo da tempo. Vedi, la disintossicazione procede bene. Goditi la serata, non esagerare, ricordati che sei comunque fidanzata bella mia! Però se dovessi farti qualcuno.. meglio! ” Sempre la solita. Mi uscì una risata divertita.
Due minuti dopo bussarono alla porta.

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Capitolo 11
*** Elf. ***


 

Ecco l'undiesimo capitolo

Due minuti dopo bussarono alla porta.
Titubante andai ad aprire, quando uscì trovai i Tokio Hotel ad aspettarmi con un gran sorriso. Quando si accorsero di com’ero vestita tacquero tutti e io arrossì fino alla punta dei piedi, anche dei capelli. Doppie punte comprese.
“Oddio ho esagerato vero? Mia sorella mi ha convinto a vestirmi così! Se è troppo vado a cambiarmi.. mmh, allora?” Ovviamente fu Tom a rispondere.
“Taci e cammina, sei stupenda!” Disse leccandosi il piercing.
Probabilmente ero color pomodoro. Per fortuna Bill prese la parola.
“Anna, loro sono Georg e Gustav. Ragazzi lei è Anna” Disse tutto sorridente.
Era incredibile quel ragazzo, aveva sempre il sorriso in faccia: un sorriso vero, contagioso, spontaneo.. mi piaceva. Mi presentai ai ragazzi e prendemmo insieme l’ascensore. Ero in ascensore con i Tokio Hotel al completo, la loro guardia del corpo e stavo uscendo con loro. Che situazione, non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere due giorni fa e invece..
Georg era un ragazzo molto simpatico, era spigliato e spontaneo. Gustav aveva un carattere simile al mio, più introverso. Uscendo dall’ascensore notai mio padre che mi guardava accigliato, distolsi subito lo sguardo e camminai veloce verso l’uscita. La vibrazione del cellulare mi avvertì di un messaggio.. era sicuramente mio padre. Si. Infatti.
Dove vai così bella? Ricorda che hai il fidanzato eh! Scherzo, divertiti
Mi sfuggì un sorriso, se fosse stata mia madre probabilmente mi avrebbe urlato dietro e portata con la forza in camera o peggio.. in un convento di suore di clausura.
Ai ragazzi non sfuggì il sorriso e mi guardarono curiosi. Scrollai le spalle e spiegai.
“Mio padre mi ha visto nella hall e mi ha scritto un messaggio. È il proprietario dell’hotel”
Impiegammo dieci minuti per arrivare al locale, davanti era accerchiato da fotografi e paparazzi. “Ma sono tutti qui per voi?”Chiesi curiosa.
“Probabilmente vogliono vedere con quale bionda senza cervello passerà la serata mio fratello oppure Georg. Scoop alquanto interessanti sai” Disse il cantante sbuffando.
Tom diede una sgomitata a Bill mentre Georg gli fece la linguaccia.
Io intanto mi godevo la scena divertita. Come deciso, entrammo dall’entrata secondaria. Un po’ mi dispiaceva per i fotografi, tutta la sera aspettando i Tokio Hotel fuori, mentre loro sono già dentro che si divertono.
Il locale era molto carino, situato su due piani: al piano terra c’era il dj, la pista da ballo e il bar. Al piano di sopra invece i tavoli dove consumare le ordinazione e un altro bar più fornito. Di fianco al bagno c’erano anche delle stanzette private. I colori scelti mi piacevano: il pavimento era di marmo bianco mentre i muri andavano sfumando dal verde chiaro al verde scuro. Le luci si rifletteva sul pavimento creando un bell’effetto. Era pieno di gente.
La maggior parte delle ragazze indossava minigonne e top attillati e scollati. In confronto ai loro abiti il mio sembrava la tunica di una suora!
Io e i ragazzi ci sedemmo su un tavolo abbastanza appartato. Il primo a defilarsi fu Tom, andò a ballare con una bionda – si vedeva la ricrescita nera da un chilometro di distanza – alquanto formosa e, dal modo in cui rideva, oca. Dopo sparì Georg, lui almeno aveva più gusto: scelse una bionda naturale tutta tette niente cervello.. almeno niente ricrescita! Bill invece andò a parlare con la moretta che lavora al piano bar. Restammo solo io e Gustav. Fui io a spezzare il silenzio:
“Tu fra quanto sparirai?” Dissi sorridente.
“Stasera serata tranquilla, domani ci si sveglia presto. Preferisco essere cosciente. Gli altri tre saranno degli zombie, ci sarà bisogno di uno vivo” Rispose tranquillo.
“Quindi tu saresti il cervello dei tre?” Risi.
“Diciamo di si. Tu invece, fra quanto sparirai?”
“Non sparirò. A parte il fatto che ho un ragazzo, non sono il tipo che fa queste cose. Non è nel mio carattere. Se fosse per me starei nell’angolo anche tutta la sera.”
“Ragazza introversa quindi.” Sorrise.
“Anche tu, un ragazzo non ragazza cioè..insomma, hai capito! “ Mi incespugliai con le parole. Che figura!
Si mise a ridere, aveva una risata piacevole. Peccato che non si sentisse spesso. Molto probabilmente ero diventata color pomodoro.
“E’ strano incontrare una ragazza che arrossisce. Sei rossa come un peperone!” Rideva.
“Ah ah, uffa! Vado a bere qualcosa al bar, è meglio va.”
Detto ciò mi alzai e andai a prendere una Red Bull. Non reggevo bene gli alcolici, meglio non sfidare la fortuna. Ero intenta a bere fissando il vuoto quando una ragazza mi salutò.
“Ciao, piacere Stephanie! Tu sei?” Aveva un viso simpatico: capelli ricci e neri fino alle spalle, occhi azzurri e vispi, abbastanza bassa, né grassa né magra e abbastanza formosa. Notai che era vestita in modo normale, non volgare. Aveva un paio di jeans neri aderenti, una maglia scollata ma senza cadere sullo sfacciato e un paio di scarpe col tacco.
“Piacere mio, Anna” Risposi sorridente.
“Sei tedesca?” Chiese curiosa.
“Sono nata in Germania, poi ho vissuto per un po’ in Francia, poi in Italia e poi sono tornata qui! Tu?”
“Sono di origine spagnola, ma vivo qua da quando avevo sei anni! Parli spagnolo?”
“Si, l’ho studiato a scuola. Sono diplomata al linguistico.”
“Figo! Che ci fai qui?”
Le raccontai a grandi linee come ero finita in Germania e lei mi parlò un po’ di se. Viveva con i suoi poiché non se la sentiva d’andare a vivere da sola, aveva un fratello più grande di nome Riccardo e due sorelline, diplomata alla scuola per estetiste e aveva la mia stessa età. Era una persona davvero piacevole, ero felice d’averci parlato. Ci scambiammo i numeri di telefono con la promessa di sentirsi nei prossimi giorni.
All’una e mezza i magnifici quattro erano tornati al tavolo. Stanchi, ubriachi ma soddisfatti.

Tornare a casa con loro fu una cosa esilarante. Gustav mi aveva spiegato a grandi linea cosa succedeva loro quando erano sotto l’effetto dell’alcool ma vivere la scena in prima persona, era il massimo. Tom biascicava qualche parola e a tratti partiva a cantare a squarciagola canzoni dei cartoni animati, iniziò coi Puffi, fu il turno di Dragon Ball poi crollò addormentato. Bill alternava momenti di euforia in cui rideva da sola a momenti in cui scoppiava a piangere. Georg era il più normale: fissava il vuoto con sguardo assente. Per portarli in camera fu necessario chiamare quattro bodyguard. Che scene. Una delle serate migliori della mia vita, davvero. Arrivata in camera scrissi un messaggio a Elena, sapevo che teneva il telefono sempre acceso.

Ho passato una bellissima serata! Non ho fatto niente con nessuno dei ragazzi se ti interessa. Ho conosciuto una ragazza simpatica, si chiama Stephanie. Ho fatto amicizia, ti rendi conto? xD Fra otto ore sarò in aereo per vederlo.. Wow. Scusa se ti ho scritto alle due, ma sei stata tu a dirmi che volevi essere aggiornata in tempo reale! Tua culpa! Notte.
Cinque minuti dopo la risposta.
Brutta figlia di nostra madre, stavo sognando di limonare con Manuel e nel momento più hot mi hai svegliato! Va a quel paese! Comunque, a parte questo, sono felice che la tua serata sia andata bene. Notte sorella.’  

Crollai a letto ancora vestita. La mattina alle sette e mezza, ero già sveglia. Mi feci un veloce bagno con l’acqua fredda, per risvegliarmi. Indossai una maglia grigia, un paio di ballerina e i soliti jeans. Non avevo voglia di portare la valigia per cui l’unico bagaglio che avevo era la mia platinum, cellulare e ipod. Scrissi un messaggio a Elena. ‘Spero di non averti svegliato ancora, mi  sto preparando per partire’.
Puntuale alle dieci il volo partì. Il viaggio fu noioso e stancante. Anche parecchio lungo.
Arrivata andai a mangiare un bel panino da Mc Donald, avevo bisogno di qualcosa di ipocalorico. Sentivo una brutta sensazione intorno a me. La calma prima della tempesta? Probabile. Provai il brivido di chiamare un taxi a Chicago, devo dire che è stato davvero emozionante, soprattutto la parte in cui litigavo con una ragazza tutta rifatta che voleva salire al posto mio. Alla fine ho vinto io, come sempre. O quasi. Il taxi mi portò davanti alla casa di Daniele. Era molto bella: una casa a schiera con un bel giardino. Troppo bella. Probabilmente aveva sbagliato a darmi l’indirizzo poiché dalla porta uscì una bionda tutta curve in accappatoio, con in mano una tazza di caffè. C’era qualcosa che non quadrava.
Poi usci Daniele. Era a petto nudo, cercai di spiegarmi la situazione. Lei è sua cugina e la ospita perché ha perso tutti i vestiti e le è rimasto quella sottospecie di accappatoio striminzito. Oppure è una che ha fatto irruzione in casa sua e l’ha costretto a farci sesso. Si, sicuramente così. La mia fantasia non si dava freni. Immaginavo tutti gli scenari possibili, tutte le spiegazioni per una cosa del genere. Tutto mi fu chiaro quando lui la raggiunse, e cominciò a baciarle il collo. Lei si girò e si lasciarono andare in un bacio appassionato.
Crack. L’avete sentito quel rumore? Era il mio cuore. Mi paralizzai davanti a quella scena, mi sentì improvvisamente vuota, come se una parte di me fosse morta. Il respiro s’era fatto troppo veloce e affannoso. Mi si appannava la vista, cercavo di non piangere, ma le lacrime uscivano da sole. Non avevo più il controllo sul mio corpo. Ero li, immobile davanti al ragazzo che amavo, il mio migliore amico. La persona più importante per me, la persona che due anni fa mi cambiò la vita. E lui baciava un’altra. Mi scostai dalla strada, non volevo che mi vedessero in quello stato. Dovevo riprendere il controllo.

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Capitolo 12
*** Zwölf. ***


 

Ecco l'undiesimo capitolo

Mi scostai dalla strada, non volevo che mi vedessero in quello stato. Dovevo riprendere il controllo. Mi accasciai sotto un albero. Inspira. Espira. Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Andai avanti così per cinque minuti buoni. Riuscì a regolarizzare i battiti del cuore e il respiro. Di colpo si fermarono anche le lacrime. Stavo per esplodere. Troppe sensazioni: delusione. Tristezza. Rabbia. Furia. Gelosia. Inadeguatezza. Troppo da sopportare.
Presi il mio ipod, e feci la pratica calmante.
On. Riproduzione casuale.
Play. Wind of Change, Scorpions. Non funziona. 
Rewind. Non funziona. 
Rewind. Non funziona.  Rewind. Non funziona.  Rewind. Non funziona. 
La ascoltai cinque volte prima di calmarmi. Alla fine riacquistai la ragione. Dovevo solo capire cosa fare. Presi il telefono e scrissi un messaggio a Daniele.
Ehi amore che fai di bello?
Rispose subito. ‘Lavoro’
‘Non sapevo che il tuo lavoro consistesse nel tradire la tua ragazza con una bionda dopo due anni di relazione. Potevi avvertirmi no? Stronzo!’
Fu la mia risposta.
Un minuto dopo ricevetti una sua chiamata.
“Anna.. Posso spiegare” Disse incerto lui.
“Ti ascolto.” Dissi fredda.
“Io.. io.. non volevo. È che..” Patetico.
“Lascia perdere okay? Non ci pensare. Sparisci dalla mia vita. Non ti voglio più sentire né vedere, ti è chiaro? Goditi la bionda e pensami ogni tanto, pensa a quanto cazzo mi stai facendo soffrire e al fatto che mi hai spezzato il cuore idiota!” Avevo concluso la frase urlando. Non lo lasciai replicare. Chiusi la chiamata e spensi il cellulare.
Bill aveva ragione, dannatamente ragione. La sorpresa alla fine me l’aveva fatta lui. E anche bella grossa. Lei era il mio contrario: bionda ossigenata, seno enorme e consapevole della sua bellezza. Ma non ce l’avevo con lei. No. Daniele, con lui. Mi aveva delusa terribilmente, era stato il mio sole, il mio punto fermo per oltre due anni. Mi affidavo a lui, Elena aveva ragione. Io dipendevo da lui. Ma come faccio a vivere senza il mio sole? La mia vita sarebbe stata buia? Mia sorella era la mia Luna. Ma si sa, non si può sopravvivere nell’ombra per sempre.
Non riuscivo a ragionare lucidamente, il dolore era ancora troppo forte e vivido.
Mi recai in un bar li vicino, mi sentivo debole. La testa girava. Poi il vuoto. 
Quando riaprì gli occhi non ero in un luogo familiare. Pareti bianche, stanza piccola e luminosa. Odore di disinfettante. Ospedale! La testa mi pulsava in maniera incredibile, mi sentivo ancora debole. Erano le undici di sera. Elena era di sicuro preoccupata. Non volevo parlare con nessuno. Chiamai un infermiera per chiedere informazioni. Comparve nella stanza una signora sulla cinquantina, viso dolce ma profondamente stanco. Aveva l’aria affettuosa e una voce dolce e rassicurante.
“Sei svenuta mentre ti trovavi al bar. Hai avuto un calo di zuccheri, sei svenuta e hai battuto la testa. Non ti devi preoccupare, non hai niente di grave. Domani mattina alle otto potrai andartene.” Era gentile.
“Grazie mille signora.” risposi flebilmente.
“Prego cara. Posso darti un consiglio? Chiunque è coinvolto nella tua sofferenza, chiunque sia l’artefice, non ne vale la pena. Sei più bella quando sorridi.”
Detto questo uscì dalla porta e io ricaddi nel sonno. Sognai il mio matrimonio, lo stesso sogno fatto quando sono partita per la Germania. Mi sveglia la mattina successiva alla sette. Avevo preso una decisione.
La testa non faceva più male. Sentivo un gran peso sullo stomaco, come se il mio cuore si fosse fossilizzato e si fosse trasformato in qualcosa di rigido, duro e freddo.
Non volevo soffrire. Volevo reprimere il dolore.
Ognuno affronta il dolore in modo diverso. C’è chi si tuffa nel bere, chi nella cioccolata. Io cambiavo qualcosa di me stessa. La prima volta i capelli, la seconda il piercing.
La prima cosa che feci fu chiamare l’aereoporto e prenotare un volo per l’Italia. Il volo era alle undici. Avevo tre ore di tempo per fare ciò che m’ero predisposta. Ecco come superavo il dolore, cambiavo qualcosa e reprimevo. È sbagliato, lo sapevo. Tutto torna a galla, magari succede una sciocchezza, una stupidaggine che ti fa venire voglia di piangere. E quando sarebbe successo, sarei stata un fiume in piena. Avrei pianto tutte mie lacrime e mi sarei liberata. Ma era troppo presto. Stavolta cambiare non serviva: avrei aggiunto e cambiato.
Andai in un negozio di tatuaggi. Si, tatuaggi. Ci ho pensato, un tatuaggio è per sempre, ero convinta di ciò che stavo per fare quindi niente dubbi, niente ripensamenti futuri.
Entrai al primo negozio che vidi, il tatuaggio me lo fece una ragazza. Aveva un’aria macabra: capelli tinti di nero e viola, occhi azzurri contornati di matita nera, vestiti larghi e scuri. Ma le apparenze spesso ingannano, impiegò mezz’ora per fare la scritta che desideravo. Non fece domande, solo un sorriso che diceva più di mille parole. Probabilmente aveva capito qualcosa dal mio sguardo. Il suo era uno sguardo comprensivo e dolce, uno sguardo che rassicurava.
Un’ora dopo ero alla staziona, fiera dell’aggiunta.
Una scritta.
Con un grande significato.
Sul petto. A sinistra. Poco sopra al cuore.
Heartless. In nero. Senza fronzoli. In corsivo, essenziale.
Una parola che spiegava come mi sentivo, non trovavo altri termini.
Una parte di me era stata strappata via. Nel mio cuore c’era una grande ferita. Le ferite guariscono, ma rimane sempre una cicatrice che ti ricorda il dolore passato. Avevo faticato a fidarmi delle persone, alla fine ce l’avevo fatta. Dopo un percorso lungo e duro. Ora mi sentivo una stupida, facevo riferimento a Daniele per tutto e lui? Mi ha tradito. Mi ha ferito. Delusione. Tanta. Per fortuna non ero sola. Potevo contare su Elena. Elena. Dovevo avvertirla? Il telefono era ancora spento. Lo accesi.
Cinque messaggi da Elena:
Non mi hai svegliata, non ti preoccupare. Arrivata?
Perché non rispondi? Sei troppo occupata a farci cosacce?
Spero che il sesso sia stato fantastico, altrimenti ti taglio la gola.
Sono le otto di sera, mi sto preoccupando, cazzo vuoi rispondere? ANNA!
Sono le dieci di mattina. Sono in pensiero, Anna fatti sentire, ti prego.
Dieci chiamate perse.
Elena. Elena. Elena. Elena. Daniele. Daniele. Stephanie. Daniele. Daniele. Elena.

Risposi brevemente a Elena.
Tutto okay. Fra un paio d’ore ti spiego tutto. Rilassati, sono ancora viva.
E inviai un messaggio a Stephanie.
Ehi Steph! Scusa se non ti ho risposto, sto tornando a casa dall’America. Prima di tornare in Germania passerò un paio di giorni con mia sorella Elena in Italia. Quando ritorno all’hotel ti spiegherò come sono andate le cose. Bacio :*

Alle undici l’aereo verso Venezia partì.

 
Spazio autrice :D
Recensiteee !

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Capitolo 13
*** Dreizehn. ***


Ecco l'undiesimo capitolo

Alle undici l’aereo verso Venezia partì.
Il viaggio non fu pesante, misi la musica dell’ipod ad alto volume per impedirmi di pensare. Riuscì ad addormentarmi. Dormì per tutta la tratta Chicago - Venezia. Dovevo essere proprio stanca. Quando scesi dall’aereo fu strano pensare come la vita possa cambiare in un paio di giorni. Incredibile. Dovevo ricominciare da zero, di nuovo. Sospirai e chiamai un taxi.
Arrivai a casa sera tardi, evitai di entrare dalla porta. Non volevo parlare con mia madre. Salì utilizzando l’albero davanti alla finestra di camera mia, lo facevo sempre per uscire di nascosto con Daniele. Daniele. Stronzo. Dovevo smettere di pensarlo.
Inviai un messaggio a Elena. “Puoi venire in camera mia un attivo? C’è qualcosa che dovresti vedere” Un minuto dopo dalla porta entrò mia sorella, vestita con il solito pigiamone azzurro dei puffi e i capelli tutti arruffati. Si grattò gli occhi con le mani, come per accertarsi che io fossi veramente li. A quel punto le corsi incontro e l’abbraccia di slancio. Non preparata a quel gesto, si sbilanciò e finimmo tutte e due sul pavimento, a ridere come due sceme.
La sua presenza mi faceva bene. Ci sedemmo sul letto, fu lei a iniziare il discorso.
“Racconta.”
“L’ho beccato con un’altra. Gli ho scritto per messaggio ch’era uno stronzo. Mi ha chiamato, gli ho detto che non doveva farsi più vedere. Poi sono andata in un bar. Sono svenuta. Sono stata in ospedale. Rilassati, non mi sono fatta niente.” Sorrise sollevata e mi abbracciò stretta.
“Non so che dirti, penso che aggredirlo con gli epiteti più brutti che conosca non ti farebbe sentire meglio. Ti dico solo quello che devi fare: carpe diem. Lui non si merita che tu stia male, non devi dargli questa importanza capito? TU SEI UNA PERSONA FANTASTICA, con o senza di lui! Adesso cominci a fumare e tutto andrà meglio! Nessun cambiamento stavolta?”
“Grazie.. Il cambiamento domani. Tu vieni con me dal parrucchiere. Torno bionda. Ho fatto un aggiunta. Con tutta quella sofferenza non bastava cambiare una cosa.” Mi guardò stupita.
“Ti sei fatta un TATUAGGIO?” Chiese eccitata.
Annuì semplicemente e alzai la maglietta per mostrarglielo, alla vista fece un sorriso dolce e mi strinse la mano. Heartless. Le parole a volte non sono importanti.
Passare del tempo con Elena mi fece bene, mi ritornò il sorriso. Mi aiutò a capire che la mia vita poteva andare avanti senza lui. La mattina dopo mi accompagnò dal parrucchiere.
I capelli mi arrivavano alla vita, me li feci scalare. A posto del mio ciuffo comparve una bella frangetta. E addio al castano. Ritorno al biondo. Il mio biondo naturale.
Il taglio mi donava davvero, metteva in risalto il mio viso e i miei occhi. Mi guardavo allo specchio e vedevo una persona bella. E questo era ciò che importava.
Tornata dal parrucchiere dovetti fare i conti con mia madre. E la sua ira funesta.
“Anna Seele Künrei che ci fai a casa!?”
“Ho rotto con Daniele. Avevo bisogno di Elena. Ho il volo la settimana prossima.” Le risposi tranquillamente, con tono stanco.
Rimase visibilmente spiazzata dalla mia reazione, probabilmente si aspettava urli e scenate. Replicò dicendo: “Bei capelli” E le sorrisi debolmente.
Passai il resto della serata in compagnia di mia sorella, mi raccontò come procedeva la sua storia con Manuel, di come fosse pronta per la sua prima volta. Ero indubbiamente felice per lei, anche se soffrivo per me. Meno rispetto a prima ma soffrivo.
Passammo una bella settimana insieme. Stavo meglio, il dolore c’era ma s’affievoliva. 
Così la settimana dopo ero in volo per Amburgo.

Passai il tempo del viaggio a fissare fuori dal finestrino e guardando la gente. Come al solito. Dovevo ritornare alla normalità. Ero felice di tornare ad Amburgo. Nonostante la mia assenza fu di poco più di una settimana, mi era mancata. Mi mancava la mia suite, mio padre, Steph e i Tokio Hotel. Tutto questo era strano. Li conoscevo da un giorno solo! Probabilmente loro si erano già scordati della mia esistenza, insomma avevano fan adoranti sparse per tutto il mondo e conoscevano moltissima gente, era improbabile che io fossi importante per loro come loro erano importanti per me. Ero un’illusa. Non mi importava. Avevo avvisato Steph del mio ritorno per questo non fui sorpresa quando me la ritrovai davanti, appena scesa dall’aereo. Non mi riconobbe subito, dapprima mi guardò distrattamente, poi ritornò a fissarmi sgranando gli occhi e alla fine mi ritrovai stretta in un suo abbraccio stile mamma-orsa. Non le avevo raccontato cos’era successo a Chicago, probabilmente lo capì da sola. Per questo si autoinvitò a passare la serata da me. Appena rientrate in camera tirò fuori dalla borsa due vaschette di gelato al cioccolato. Ho detto d’esser la persona che preferisce cambiare di fronte alle decisioni, ma quel gelato era così invitante..
Passammo la prima parte della serata mangiando quantità enormi di gelato e le raccontai tutto quello che era successo. Non disse nulla, non commentò, mi lasciò sfogare e alla fine mi strinse nel suo tipico abbraccio. Nonostante la conoscessi così poco, aveva capito molto di me, parlarne mi aveva fatto bene, più parlavo più sbollivo. Dopo ciò mi misi in pigiama, non quello giallo regalatomi da Daniele – io l’avevo tagliato con la forbice e mia sorella l’aveva messo nel caminetto, accendendo il fuoco. Quello che indossai era un regalo di Elena: una t-shirt rosa e un paio di short. Diceva che era sexy. Peccato che io non avessi nessuno che potesse vederlo e apprezzarlo. Tornata nella camera da letto vidi che Stephanie aveva messo un dvd. Titanic. E per affrontare un film così schifosamente romantico una scorta di birra. Che c’è di meglio che passare la serata pensando all’ex che ti ha tradita con una playmate, mangiando gelato al cioccolato e guardando un film strappalacrime ricorrendo ad alcolici e alla migliore amica per superare la depressione? NIENTE.
Inutile dire che a metà film eravamo già andate. Sballate. Fuori. Ubriache. Sbronze.
Io affrontavo le sbronze come Georg: fissando il vuoto. Stephanie invece parlava, rideva e piangeva da sola. Un po’ come Bill insomma.
Per miracolo riuscimmo ad arrivare alla fine del film sveglie. Ci alzammo barcollando per andare a dormire, Steph sbatté contro la parete della camera dei Kaulitz e cadde a terra come un sacco di patate. Inutile dire che non passò la notte li, dormendo sul pavimento.
A me in un certo senso è andata meglio. Dopo esser andata in bagno per vomitare, sono inciampata sul tappeto e ho passato la notte li, distesa sul tappeto del cesso.
La mattina mi svegliai con il tipico mal di testa da sbronza. Stephanie non era messa meglio. Più di me aveva un bernoccolo in testa dovuto al fatto d’aver preso a testate il muro.
Eravamo in pessime condizioni: capelli per aria, tutti arruffati e occhiaie spaventose. Consolazione: i miei capelli erano meglio rispetto alla mia amica, i suoi sembravano un pagliaio, povera! Sembravamo due zombie.
Andai in bagno per darmi una rinfrescata e lavarmi i denti quando qualcuno bussò alla porta,  ordinai all’altra di aprire. La porta s’aprì ma non sentì nessun rumore, spaventata da ciò andai a controllare la situazione, trovai Steph con la bocca aperta, appena s’accorse di me disse:
“Penso d’esser ancora sbronza sai? Perché credo che davanti alla porta ci siano due Kaulitz. Sono scema io o li vedi anche tu?” Domandò accigliata.
“Stephanie cara, a meno che tu non ti sia svegliata alle cinque e non abbia bevuto ancora, la sbornia dovrebbe essere passata. Togliti dalla porta e lasciali entrare su!”
Detto questo Steph sbiancò, si spostò di lato lasciando spazio ai gemelli per entrare.
“Ho fatto una figura di merda vero?” Chiese Steph ad ignoti.
“Ma no, figurati!” Risposero il primo e il secondo incredibile. Dopo spostarono il loro sguardo su di me, prima sgranarono gli occhi poi mi fissarono curiosi.
“Da quando sei bionda?” Chiese Tom scettico.
“Dal 9 luglio di diciotto anni fa. È il mio colore, l’altro era una tinta. Avevo voglia di cambiare.” Dopo il suo sguardo si spostò dai miei capelli al mio misero pigiama che guardò maliziosamente. Arrossì all’istante. Ovviamente Steph si intromise.
“Cara sei rossa come un pomodoro!” E scoppiarono tutti a ridere. Risposi con un sonoro Vaffanculo! E allora mi chiesero se mi fossi svegliata male.
“Non reggo bene l’alcool, ieri ho esagerato. Colpa di Stephanie! Ah, che ci fate qui comunque?” Chiesi.
“Non sei felice di vederci? Eri sparita, poi ieri abbiamo sentito confusione a abbiamo capito che eri tornata.”
“La confusione era Steph che ha sbattuto la testa addosso al muro per poi addormentarsi addosso ad esso. Si sono tornata, ero andata da mia sorella in Italia.”
Bill mi fissò per un attimo e poi disse: “Fra un’ora in terrazza, non mancare!”
“Sembra una minaccia detta così!”Scoppiò a ridere. Sempre quella meravigliosa risata cristallina.
Detto ciò i Kaulitz uscirono per fare colazione e Stephanie tornò a casa.
Forse Bill aveva intuito qualcosa.

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Capitolo 14
*** Vierzehn. ***


Ecco il quattordicesimo capitolo

Avevo un’ora di tempo prima di dover andare in terrazzo. Feci un bel bagno rilassante e, non avendo voglia di asciugare i capelli, li legai in una coda alta. Indossai una semplice camicia a quadri, un paio di jeans, converse nere e un lungo cappotto nero. Un’ora esatta dopo ero in terrazzo e lui era già li che m’aspettava; probabilmente voleva che gli spiegassi la situazione, ma non sapevo come farlo, in che modo iniziare il discorso, così prese lui l’iniziativa.
“Stai male. Che è successo?”
“Sei diventato un bravo osservatore anche tu” Sorrisi, cercando si guadagnare tempo.
“No, per quel poco che so di te non mi sembri una che si ubriaca spesso e soprattutto che mangia un barattolo di gelato guardando Titanic.” Spiegò sogghignando.
“Avevi ragione, mi ha fatto lui una sorpresa. Questa sorpresa era una playmate bionda e tutta curve. Dopo aver visto ciò, ho fatto ciò che faccio dopo ogni delusione: aggiungo e cambio. Aggiunto tatuaggio, cambiando capelli. Sono tornata subito a casa e sono andata da Elena, sono stata con lei per tutta la settimana, mi ha aiutata.” Mi tremava la voce.
“Mi dispiace.” Era sincero, non erano le solite due parole dette per circostanza. Detto ciò mi abbracciò di slancio. Rimasi basita all’inizio, poi ricambiai la stretta.
Stavo.. bene. Tra le sue braccia, mi sentivo sicura?? Mi faceva sentire calda. Era una sensazione piacevole. Non mi accorsi d’aver cominciato a piangere finchè non mi asciugò una lacrima. A quel punto mi ritrassi dall’abbraccio e mi guardò confuso.
“Ti sto bagnando tutta la maglietta, scusami” Si mise a ridere e mi riabbracciò.
“Non ti preoccupare, è solo una maglietta.” Sussurrò fra i miei capelli.
Averlo così vicino.. sentivo brividi.
“Grazie Bill. Davvero. Anche se ci conosciamo da poco, fai tanto per me.” Sospirai.
“Non ringraziarmi, lo faccio volentieri. Sei davvero una ragazza speciale sai? Ho sentito la mancanza di te questa settimana.”
“Anche io” Risposi semplicemente.
“Comunque, ti sei fatta davvero un tatuaggio?” Aveva uno sguardo curioso.
E riecco quel suo meraviglioso sorriso. Un sorriso capace di smuovere il mio cuore fossilizzato.
“Si, una scritta.”
“Posso vederla?” Riecco la faccia da cucciolo, ma stavolta non gliela diedi vinta.
“Mi dispiace ma.. no! È in un posto privato” Ridacchiai.
Mi guardò scettico e divertito allo stesso tempo, alzando un sopracciglio.
Allora, per evitare fraintendimenti, gli indicai il cuore.
“Lo vedrai qualora dovessi beccarmi in costume o in reggiseno” Gli feci l’occhiolino.
“Uhm. Che progetti hai ora?” Cercò di cambiare discorso.
“Non so, penso che comprerò un appartamento. Probabilmente ci vivrò con Stephanie, la conosco da poco ma è davvero fantastica. E penso manderò a monte il mio anno sabbatico, ho bisogno di tenere la mente occupata, cercherò un lavoro. Se proprio non trovo niente affogherò il dispiacere nell’alcool. Tu?”
“Lunedì prossimo iniziamo il tour e la promozione di Scream, il nostro disco.”
“Avete delle date in Italia?” Chiesi curiosa.
“Si, fra due settimane: il 21 e 25 novembre, verrai a vederci?”
“Il 21? Fantastico! È il compleanno di mia sorella! Mi faresti un favore?” Domandai con la faccia da cucciolo.
“E dopo sono io che uso metodi scorretti? Fai un visino troppo dolce! Dai dimmi” Aveva detto che il mio visino era dolce! Avvampai e le mie guance si colorarono di rosso.
“Tu e i ragazzi potreste firmarmi il biglietto d’auguri per il regalo? Ti prego!”
“Certo, non ti preoccupare!” Rispose gentile.
“Grazie grazie!” Lo abbracciai stretto e gli diedi un bacio sulla guancia. Lui mi sorrise dolcemente e il mio cuore cominciò a battere più forte. Corsi via dal terrazzo e tornai felice in camera mia. Felice grazie a lui.
Merda. Ciò che sentivo non andava affatto bene, affatto.  

Bill era indubbiamente un bel ragazzo ed era pure ricco. E famoso.
Non ci voleva molto a prendersi una cotta per lui, venivi conquistata dal suo sorriso dolce e dal carattere esuberante ma tenero.
Una semplice cotta, le cotte passano in fretta. Avevo sofferto troppo per amore, mi ero ripromessa di lasciar perdere gli uomini per un po’ di tempo, non potevo cascarci di nuovo.  Non volevo. Bill era un amico, solo un amico; dovevo ficcarmelo bene in testa.
Corsi in camera, mi spogliai, preparai la vasca riempiendola con acqua calda e vi entrai. Avevo bisogno di rilassarmi e pensare. Metabolizzare tutto quello che mi stava succedendo.
In due settimane la mia vita s’era stravolta: partenza per la Germania, incontro coi Tokio Hotel, tradimento di Daniele, fuga in Italia, ritorno in “patria”, la mia amicizia con Stephanie e infine ciò che provavo per Bill. Arrivai alla conclusione che non m’ero invaghita di lui, semplicemente ero molto confusa e lui mi stava aiutando, per questo mi piaceva così. Gli ero riconoscente. Sapevo però in cuor mio che cercavo di nascondere la verità: era un ragazzo d’oro e mi piaceva stare con lui. L’unica soluzione era reprimere, fare finta di nulla. Ero brava a reprimere. L’avevo sempre fatto. L’avrei fatto ancora.
Uscita dal bagno ero più tranquilla, mi serviva un momento per fare il punto della mia vita per capire come muovermi in futuro. Immersa nei miei pensieri s’era fatto mezzogiorno, l’ora di pranzo. Mi vestì velocemente, indossai una maglia a maniche lunghe rossa a righe bianche, un paio di jeans e converse in tinta con la maglia. Stavo per uscire quando qualcuno bussò alla porta. Erano incredibile tre – Gustav – e incredibile quattro – George. Mi invitarono ad andare con loro, stavano andando dai gemelli a mangiare. Accettai volentieri.
La camera dei Kaulitz era un disastro, c’erano cose da vestire sparse per il pavimento e i letti disfatti. Sembrava fosse scoppiata una bomba.
Bill e Tom stavano guardando un programma in televisione ed erano talmente concentrati che non s’accorsero del nostro arrivo, feci segno agli altri di stare fermi, mi avvicinai silenziosamente al divano e urlai un sonoro “Buh!” Ebbero la stessa reazione che ebbi io quando a fare ciò a me fu Bill, saltarono su per lo spavento e caddero sul pavimento.
Mi mordevo il labbro cercando di non ridere e vidi che anche gli altri facevano lo stesso. Non resistemmo a lungo e scoppiammo appena i gemelli si rialzarono con espressione infuriata. Si guardarono a vicenda, annuirono, presero i cuscini dal divano e ce li tirarono addosso. Gustav e Georg erano preparati, io no. Caddi a terra come un sacco di patate. Probabilmente mi sarebbe venuto un ematoma sul didietro. “E che cazzo! Il mio povero culo!” Esclamai in italiano, i Tokio Hotel mi guardarono curiosi e ridacchiando risposi in tedesco. “Ops, mi è scappato, scusate!” Dopo questo intenso imbarazzante e breve episodio ordinammo da mangiare, tutti cinque spaghetti. Era divertente vederli all’opera mentre li mangiavano, non sapevano come tenere la forchetta e il coltello e si sporcarono tutti di pomodoro. Sembrava d’esser a tavola con bambini piccoli. Quando glielo feci notare risposero tutti con una linguaccia. Arrivata a metà del mio patto, gli altri avevano già finito.
“Allora, com’è andata a Chicago? Il tuo ragazzo come sta?” Chiese Tom, per poco Bill non si strozzò con l’acqua che stava bevendo. Gli lancia in occhiata rassicurante per dire Tutto bene non preoccuparti, perché in effetti andava tutto okay.
“L’ho beccato mentre si faceva una playmate bionda, quindi penso proprio che stia bene. Uhm, quindi sono tornata ufficialmente single dopo due anni.” Risposi sorridendo.
“Per questo ti sei sbronzata ieri sera?” Domando scettico.
“Non è stata una mia idea! Stephanie mi è venuta a prendere in aereoporto, si autoinvitata da me, ha tirato fuori dalla borsa gelato, birra e dvd strappalacrime. Secondo lei è il miglior modo per affrontare una delusione d’amore. Io preferisco trattamenti più drastici” Dissi indicando i capelli e aggiunsi orgogliosa “Mi sono fatta un tatuaggio! E se volete vederlo, la risposta è no! È in una parte intima” Dissi ridendo.
Tom mi lanciò un’occhiata maliziosa e si leccò il piercing “Io dico chiodo schiaccia chiodo, ecco il miglior modo per superare le delusioni” Bill gli diede una gomitata e io risposi accigliata “Kaulitz non ci vengo a letto con te, basta uomini.. per ora” Feci l’occhiolino.
“Anche sul divano va bene per me sai?” Scoppiammo tutti a ridere.
Quei quattro riuscivano a far tornare il buon umore, erano davvero dei ragazzi fantastici.
Uscì un’ora dopo dalla loro stanza perché dovevano prepararsi per un’intervista. Avendo il pomeriggio libero, optai per il solito bagno in piscina; chiamai Stephanie per farmi compagnia e un’ora dopo eravamo a mollo nell’acqua.

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Capitolo 15
*** Fünfzehn. ***


Ecco il quindicesimo capitolo

Passai tutto il pomeriggio con Stephanie. La sera mangiammo in camera mia, i Tokio Hotel dovevano ancora tornare. Io volevo passare la notte guardando la televisione e ingozzandomi con tutte le schifezze ma la mia cara amica mi costrinse a mettermi in tiro per uscire.
Indossai un paio di leggins neri, scarpe col tacco, maglia semplice bianca e un anonimo cappotto grigio. Lasciai i capelli al naturale, non ero in vena di acconciature o troppi fronzoli.
Stephanie invece indossò un mio vestito blu e un paio di stivali col tacco.
Ci dirigemmo in una discoteca molto popolare non lontana dall’hotel. Pensavamo di dover aspettare almeno un’ora prima d’entrare invece il buttafuori, dopo aver squadrato per bene noi e le nostre acconciature ci ha lasciato passare. Ho lanciato uno sguardo sbalordito e indignato a Steph e lei in risposta ha alzato le spalle e si è messa a ridere. Probabilmente era abituata ad abbagliare le persone con la sua bellezza, io no. Non era da me andare a ballare, soprattutto vestita in quel modo e indossando tacchi ma, dall’arrivo in Germania, tante cose di me erano cambiate, abbigliamento compreso.
Se fosse stato per me avrei passato la serata in un angolino buio ma la mia amica aveva altri piani e mi ha trascinato a ballare. Io sembravo un pezzo di legno, non riuscivo a sciogliermi mentre lei era disinvolta. Ci ho messo mezz’ora per rilassarmi e seguire Stephanie nella “danza”. Attorno a noi c’erano vari ragazzi, che ci guardavano famelici. Il genere di sguardi che mi spaventavano, troppe attenzioni. Così mi abbandonai al tavolo sorseggiando una coca cola mentre la mia compagna filtrava con un tipo. Un tipo niente male se devo essere sincera. Tipico tedesco: alto, occhi azzurri e capelli chiari. Muscoloso. Dieci minuti dopo erano spariti, chissà a fare cosa. Quando tornò da me aveva lo sguardo felice, trucco e capelli in disordine. La guardai scuotendo la testa e lei mi rispose “Leb die Sekunde cara mia! Come la canzone dei tuo amici Tokio Hotel!” Era euforica e.. ubriaca.
Dovetti prenderle il cellulare, scrivere un messaggio a suo fratello dicendo che dormiva da me, chiamare un taxi e portarla in camera mia. Inutile dire che ho passato una notte insonne, a fare compagnia a Stephanie mentre vomitava e farneticava. Ci siamo addormentate verso le sei di mattina. Mi sveglia all’una, complice il telefono che suonava. Ero talmente assonnata che rispose prima di vedere chi c’era dall’altro capo del telefono.
“Pronto Anna? Sono Daniele! Finalmente mi rispondi!” Mi pietrificai sul posto.
“Che cazzo vuoi? Ti ho detto che non ti voglio più sentire né vedere!” Ringhiai. La tristezza aveva lasciato posto a tanta rabbia. Ira.
“Io ti amo Anna davvero! È stato un errore lo sai che non l’ho fatto apposta, sul s…" Lo interruppi “Vaffanculo Daniele, vuoi lasciarmi in pace! Tornata dalla tua biondina! Io ti ho dimenticato, cancellato, rimosso! Fallo anche tu porca puttana!” Avevo alzato la voce dando sfogo alla rabbia repressa. Non lo lasciai replicare, chiusi la chiamata e mi girai verso Stephanie che mi guardava interrogativa, le mie urla l’avevano svegliata.
Gli spiegai la situazione e mi rispose che m’ero comportata davvero bene.
Poi si ricordò d’avere una famiglia che l’aspettava e dovette tornare a casa.
Mi vestì velocemente per andare a pranzo. Monocolore, tutto grigio: jeans, maglione, cappello, stivali e occhiali da sole – per non mettere in mostra le occhiaie dovuto all’essermi presa cura di un’ubriaca in vena di vomito.
Scesi in sala da pranzo alle due, era quasi vuota. C’erano solo quattro o cinque coppietta. Forse avevano fatto tardi la sera. Vedere quelle coppiette felici mi faceva venire la malinconia: non volevo impegnarmi in una relazione seria, ma avere qualcuno accanto, qualcosa che pensa a te e che ti vuole bene, era bello. Stephanie non aveva problemi a fare sesso con il primo che conosceva, diceva che, durante la durata, si sentiva amata. Ma ne valeva la pena? Sentirsi amata e poi stare male perché l’uomo se ne va senza dire niente? Soddisfatto per averlo fatto con una ragazza bella e facile? Non sarei stata in grado di fare una cosa simile.
Sospirai e mi dedicai al piatto di minestra che avevo davanti.

Dopo pranzo, tornai in camera per darmi una ripulita. Avevo in mente di passare il pomeriggio a fare shopping e non volevo sembrare una barbona. Una barbona con una platinum.
Raccolsi i capelli in una treccia alla francese, tirai indietro la frangia con un cerchietto trasparente. Indossai jeans, una camicia e un lungo cappotto nero. Optai per un paio di ballerine nere, comode per tutte le camminate che avrei fatto per negozi.
Comprai due paia di scarpe col tacco, una maglietta a maniche corte e quattro vestiti. Ero soddisfatta. Dopo due ore di vetrine, mi fermai a prendere il gelato. Il mio solito cono cioccolato e caramello. Mi sedetti su una panchina in un parco e osservai.
Era molto caotico, c’erano molte persone di tutte le età. Vedevo anziani che chiacchieravano fra loro, altri che giocavano a carte. Nonni che portavano a spasso i nipoti con sguardo dolce e adorante. Mamma coi figli, tutte spettinate e stanche. Gruppi di ragazzi che si fermavano a fumare sigarette e raccontarsi le novità. Innamorati che camminavano mano nella mano.
Stetti sulla panchina per venti minuti, poi me ne andai tranquilla. Mi recai in un negozio di musica, dovevo comprare il regalo di compleanno di Elena: ordinai due biglietti per il concerto dei Tokio Hotel il 21 Novembre a Milano. Girovagai a vuoto per un altro po’ e quando tornai all’hotel erano le sei. Approfittai per chiamare mia sorella.
“Ehy Elena come stai?”
“Ciao sorella! Ti sento allegra, io tutto bene, tu invece?”
“Sto meglio, Daniele continua a telefonarmi, non sai che stress! Non gli ho mai risposto tranne stamattina, ero ancora addormentata quindi non ho visto chi era lo scemo che mi svegliava, ho risposto e poi l’ho mandato a quel paese. Non penso si farà ancora vivo!”
“Sono fiera di te Anna!” Disse raggiante.
“Raccontami di te, come va con Manuel?”
“Tutto bene, sono innamorata! È così dolce e mi fa stare bene. Piace anche alla mamma, ti rendi conto? Ha detto che le sta simpatico! Quasi non mi è caduta la mandibola quando me l’ha detto! Tornata in camera mi sono messa a fare i salti di gioia!” Era felice.
“Beh mi piace sai Manuel? Non fartelo scappare mi raccomando!” Risi.
“E tu? Nessuna novità in campo amoroso?”
No, tranne il fatto che quando vedo Bill Kaulitz, il cantante del tuo gruppo preferito, il mio cuore perde un battito. Non glielo dissi naturalmente.
“Nessuna novità, non ho voglia di una storia seria adesso. Secondo Stephanie, ti ricordi di lei no? Ecco dovrei darmi al sesso occasionale” Sbuffai.
“Non ti ci vedo sai? Nel ruolo della disinibita!”
“Neanche io, davvero. Comunque, hai saputo che i Tokio Hotel hanno due date in Italia? Trovato i biglietti?” Le chiesi.
“Si, l’ho letto sul sito. Il giorno del mio compleanno! Appena l’ho saputo sono andata a comprare i biglietti, erano finiti! Ti giuro quasi sono scoppiata a piangere! Chissà quando potrò vedere quei quattro fighi!” Disse fintamente disperata.
“Dai avrai altre occasioni! Sai cosa ho pensato? Per il giorno del tuo compleanno potrei tornare in Italia e ti potrei portare a fare shopping a Milano, con la mia platinum! Mi sembra una bella consolazione no?” Soprattutto quando alla sera ti porterò al concerto..
“DAVVERO? Shopping a MILANO? Ti amo, lo sai vero?” Sogghignai.
“Si si lo so. Preparati che esattamente fra due settimane sarò con te a fare shopping sorella! Ora devo andare, vado a cena a casa di Steph. Ti adoro!”
“Anche io, bacione!”
Chiusi la telefonata e aprì l’armadio. Avevo pensato di andare vestita comoda ma sicuramente dopo mi obbligherà ad andare in qualche locale.
E io avevo voglia di divertirmi un po’.

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Capitolo 16
*** Sechzehn. ***


Ecco il sedicesimo capitolo

Indossai un vestito grigio, con le maniche lunghe e lungo fino al ginocchio, un acquisto del pomeriggio di shopping. Per le scarpe, optai per un paio con un tacco non molto alto, nere. Misi un paio di orecchini a rombo, un semplice cappotto nero e delle calze di lana grigie come il vestito. Fuori era freddo. Raccolsi i capelli in uno chignon e tirai indietro la frangia con una forcina. Non mi truccai, lasciai il viso al naturale. Prima di uscire dall’hotel scrissi un messaggio a Elena.
Prima al telefono mi sono dimenticata di chiederti se mi potresti far recapitare almeno Nana Uno, potresti? *facciadacucciolo*” Rispose un minuto dopo: “Domani la faccio partire cucciola! Mi raccomando divertiti stasera, non fare troppe stragi di cuori eh!” Sorrisi, sempre la solita.
Per arrivare a casa di Stephanie impiegai venti minuti a piedi. Avevo voglia di camminare per questo non chiamai un taxi. Mi piaceva la sensazione dell’aria fredda che pizzicava il mio viso.
Abitava in una villetta bianca, abbastanza grande. Suonai il campanello e mi accolse la madre, le somigliava molto. Si chiamava Maria, si sentiva molto l’accento spagnolo e sembrò sorpresa quando mi presentai nella sua lingua. Mi fece conoscere le altre due figlie, Antonella di otto anni e Emma di quattordici. Riccardo – il fratello maggiore – era impegnato in una partita alla play. Era un bel ragazzo, assomigliava alla sorella: capelli scuri e ricci, occhi profondi e fisico scolpito.
Dopo le presentazioni mi recai nella camera della mia amica, era intenta a truccarsi. Lo sapevo che m’avrebbe costretta ad uscire! Mi salutò con un sorriso raggiante, continuò la sua opera e io osservai la stanza. Non era molto grande, luminosa grazie alle due finestre. Il pavimento era in parquet e i muri dipinti di arancione. Il letto era sfatto, sopra la scrivania c’era di tutto: magliette, intimo, fogli.. Era quasi più disordinata dei Kaulitz e, davvero, ce ne voleva!
Indossava un vestitino corto fucsia, scarpe con un tacco vertiginoso dello stesso colore e una collana nera con pendente bianco. Molto sexy.
Quando scendemmo per la cena vidi chiaramente che sua madre la squadrò per poi storcere il naso e fare una smorfia schifata. La sentì sospirare profondamente.
Guardai Stephanie preoccupata della sua reazione ma rispose con uno scrollata di spalle, ormai aveva smesso di litigare con la madre, diceva che non c’era verso di farla ragionare e che, se fosse stata per lei, sarebbe dovuto andare in giro con pantaloni della tuta e maglioni di lana a collo alto.
La cena procedette bene, le due sorelle erano delle chiacchierone, molto simpatiche. Scoprì Riccardo a guardarmi più volte, risposi con un sorrisetto imbarazzato.
Alle nove, uscite di casa, Stephanie mi guardò esasperata.
“Ti giuro, non ce la faccio più. Stasera ti è andata bene perché mio padre non era in casa, altrimenti avresti assistito a una gran litigata. Sono così stanca di dover litigare ogni volta che esco, non condividono la mia vita. Come quando ho scelto la scuola per estetisti, loro mi volevano dottoressa. Sai cosa mi hanno detto? Che ero una delusione” Le scese una lacrima e l’abbracciai senza pensarci due volte.
“Ti capisco, anche io litigavo pesantemente con mia madre anche se per motivi differenti. Hai cominciato a cercare casa? Mi avevi detto che volevi andare a vivere da sola.”
“Lo vorrei davvero, ma il pensiero di girare per agenzie e quello di dover stare da sola in un appartamento mi mette l’ansia. Per la parte economica non ci sarebbero problemi, i miei faranno una festa quando mi toglierò dai piedi.” Sospirò abbattuta.
“Ho una proposta. Come forse immagini io non potrò vivere per sempre in una camera d’albergo – anche se mi piacerebbe non lo nego – per questo la settimana prossima avevo pensato di cercare casa. Se andassimo a vivere insieme? Insomma, lo so che mi conosci da poco e forse non ti fidi totalmente di me, ti capisco se non vuoi. Però volevo dirti che, anche se non ti conosco da molto, ti considero la mia migliore amica.” Conclusi timida. Le si illuminarono gli occhi.
“Davvero? Davvero lo faresti? Anche io ti considero la mia migliore amica, sul serio! Mi sono affezionata a te.” Cominciò a saltellare tutta entusiasta.
“Allora facciamo così, domani mattina andiamo in agenzia e cerchiamo un appartamento! Come lo vorresti?” Ero indubbiamente entusiasta.
“Grande! Con un bel salotto.. una bella cucina.. grandi camere da letto, almeno due bagni, luminoso.. non vedo l’ora di vivere da sola!”
Le sorrisi e ci avviammo per locali.

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Capitolo 17
*** Siebzehn. ***


Ecco l'undiesimo capitolo

La serata con Stephanie trascorse tranquilla, niente alcool o sesso occasionale stavolta. Passammo la notte a parlare di come volevamo la casa e poi a ballare, all’una eravamo già a casa. Per questo la mattina mi svegliai presto: alle otto. Volevo rendermi bella per andare all’agenzia. Mi feci un lungo bagno. Usai il solito bagnoschiuma al caramello e shampoo e balsamo alla cioccolata. Mezz’ora dopo uscì dalla vasca e mi asciugai velocemente; raccolsi i capelli in una treccia senza asciugarli. Ordinai la colazione in camera così potei mangiare con l’accappatoio addosso. Solita brioche alla marmellata e cioccolata con panna.
A stomaco pieno mi tuffai nell’armadio per scegliere l’abbigliamento.
Scelsi un paio di jeans bianchi, una camicia a quadri rossa, ballerine in tinta con la camicia e un cappotto bianco. Grazie alla treccia i miei capelli erano mossi, li tirai indietro con una fascetta rossa.
Finì di prepararmi alle nove e mezza, Stephanie sarebbe passata a prendermi verso le dieci e mezza quindi avevo ancora un po’ di tempo da spendere. Non sapendo come impiegarlo, scelsi d’andare alla terrazza.
Non v’era molta gente, a quell’ora le persone lavoravano e dormivano. Guardai il panorama, alla luce del sole Amburgo perdeva un po’ del fascino che la notte la caratterizzava, sembrava meno caotica.
Dopo venti minuti che contemplavo il paesaggio m’accorsi che poco distante da me c’era qualcuno. Bastò ascoltare i battiti del mio cuore per capire di chi si trattava: Bill.
Mi avvicinai lenta a lui, quando si accorse che qualcuno stava venendo li, si girò e, dopo aver capito chi ero, mi sorrise e mi salutò.
“Ehy Anna, è da un po’ che non ci si vede.”
“Un paio di giorni. Che state combinando?” Sorrisi.
“Interviste e interviste e interviste. Con sempre le solite domande, non sai che noia. Almeno lunedì iniziamo il tour, sarà stancante ma divertente. Tu che hai fatto in questi giorni?”
“Shopping!” Esclamai esultante. Poi proseguì “A parte quello, nulla di che. Fra poco passa Stephanie e andiamo all’agenzia immobiliare: ieri sera abbiamo deciso di andare a vivere insieme, sarà divertente. Speriamo di trovare casa e sistemarla presto, così magari venite a trovarci. Ah, ho comprato due biglietti per il concerto del 21 a Milano” Gli feci l’occhiolino.
“Sono felice che venga a vederci! L’hai detto a tua sorella? Se vuoi posso procurarti due pass per l’after party!”  esclamò raggiante. Quel ragazzo era incredibile, sempre allegro.
“Davvero puoi? Sul serio? Ti sarei debitrice a vita! A mia sorella ho detto che faremo shopping a Milano, effettivamente è così. Compreremo i vestiti per la serata poi le darò i biglietti: mi ha detto che aveva provato a comprarli ma era già tutto esauriti. Sold out, e bravi i miei ragazzi!” Feci la linguaccia. “Che ci facevi qui sulla terrazza? Gli altri incredibili dove sono?”
“Volevo prendere aria, abbiamo litigato un’altra volta. Nessuno voleva accompagnarmi a fare shopping!” Disse con voce fintamente disperata.
“Oggi pomeriggio sei libero? Possiamo andare insieme se vuoi!” Vidi i suoi occhi illuminarsi.
“Davvero vorresti venire? Per me va benissimo!!! Dammi il tuo numero così ci sentiamo per i dettagli” Mi disse saltellando.  Avevo già detto quanto l’adoravo?
Ci scambiammo i numero e dopo scesi perché avevo ricevuto il messaggio di Steph che mi diceva ch’era arrivata. Era vestita più sobria rispetto al solito però non aveva rinunciato ai tacchi.
Arrivammo all’agenzia e una signora distinta ci fece vedere un catalogo con tutti gli appartamenti liberi che avevano. Trovammo subito uno che piaceva a entrambe e ci accompagnò a vederlo.
Era in centro, su un palazzo molto alto,all’ultimo piano. Distava duecento metri dall’albergo di papà, punto a favore. Ci accompagnò fino alla porta e poi ci fece entrare sole. Me ne innamorai subito: era molto grande e luminoso. A due piani. La cucina era spaziosa e arredata con mobili moderni, la tavola era molto grande. Il salotto era anch’esso già arredato: divano grande e lungo, in pelle nera. La televisione era a schermo piatto, molto grande. La mobilia mi piaceva. Al piano superiore c’erano quattro camera da letto, le più piccole erano ben arredate, quelle più grandi no, sarebbero diventate le nostre camere.  Al primo piano c’erano due bagni, ampi e con la vasca da bagno. Sotto ce n’era uno, più grande rispetto agli altri.
Dal salotto c’era una vetrata da cui si vedere la panoramica della città, avevamo anche una terrazza.
L’agente ci disse che all’ultimo piano c’era anche la piscina. Non ci pensammo due volte e firmammo il contratto. La casa era già pronta, dovevamo arredare le nostre camere e poi ci saremmo potute trasferire. Stephanie mi informò che avrebbe cominciato subito il pomeriggio. Io invece dovevo andare a fare shopping con Bill. In quel momento mi arrivò un messaggio. “Allora trovato casa? Oggi pomeriggio andiamo alle tre. Busserò io alla tua porta, ci dobbiamo portare dietro anche Saki, la mia guardia del corpo. Ti conviene mettere un cappello e un paio di occhiali, speriamo non siano paparazzi! ” Gli risposi immediatamente: “Si abbiamo trovato un bell’appartamento! Mancano due camere da arredare, Steph la sua la fa oggi. Ti dispiace se passiamo anche in un negozio di mobili? Devo comprare cose per la camera XD
La sua risposta fu “Non mi dispiace, potrò anche vedere la tua camera in anteprima eh ;)
Tornai in albergo a mezzogiorno, felice e allegra. La prima cosa che feci fu telefonare a mia sorella, successivamente scesi per il pranzo e avvertì papà che mi trasferivo.
Alle due iniziai a prepararmi.

Fuori faceva molto freddo, per questo optai per un abbigliamento che tenesse caldo. Jeans strappati, maglione color sabbia, converse, giubbotto lungo e nero, cappello nero di lana, occhiali da sole neri e guanti grigi. Raccolsi i capelli in una treccia alla francese che nascosi sotto il berretto. Poteva andare, nel caso venissi fotografata non volevo essere riconosciuta, avrebbe causato troppi problemi e spiegazioni da dare.
Presi il telefono e scrissi un messaggio a Elena: “Ho comprato un appartamento! Oggi shopping e vado a prendere i mobili!” Alle tre puntuali Bill bussò alla mia porta, dietro di lui Saki. Probabilmente se non avessi saputo che doveva venire lui da me, non l’avrei riconosciuto: portava i capelli lunghi e neri legati in una coda nascosta sotto al cappello, vestito con un normale paio di jeans e aveva gli occhiali che nascondevano gran parte del viso, mi venne da ridacchiare.
“Sembra che dobbiamo rapinare una banca vestiti così sai?” Scoppiammo a ridere.
Camminavamo tranquilli e indisturbati per le strane di Amburgo, nessuno sembrava riconoscerlo. A pochi metri da noi c’era Saki, era strano avercelo dietro. Capì perché nessuno voleva fare shopping con Bill dopo tre ore in giro per negozi. Sembrava instancabile! Provava di tutto e costringeva anche me a provare i vestiti più strani e impensabili. Alle cinque ci fermammo a prendere un bel gelato. Tutti e due cioccolato, lo mangiammo seduti nella panchina del parco, la stessa in cui ero seduta un paio di giorni prima. Pensavo cosa potevamo sembrare, una coppietta? L’idea mi fece sorridere. Un po’ mi dispiaceva che non fosse veramente così, sapevo che mi sarei potuta innamorare di Bill facilmente, se non lo ero inconsciamente già. Seduti la mi raccontò alcuni aneddoti interessanti dei tour precedenti, di cosa facevano le fan. Mi spiegò che una ragazza che era in prima fila ad un loro concerto si tolse il reggiseno e lo lanciò in faccia a Gustav che divenne prima paonazzo, poi rosso come un peperone, causando risate generali. Mi immaginai la scena e fu impossibile non ridere, lui mi seguì a ruota. Chiacchierammo fino alle sei, ridemmo come matti.
Dopo ci dirigemmo finalmente in un mobilificio, fu lui a trovare il mio letto. Aveva indovinato i miei gusti: un bel letto matrimoniale, alto, con la spalliera blu stile antico. Fu la volta dell’armadio: ne scelsi uno che avrebbe occupato l’intera parete: era di legno, colorato di azzurro chiaro. La scrivania invece era anch’essa di legno, ma nera. Comprai anche della vernice: la sera avrei pitturato le pareti della camera. Ci recammo anche in un grande magazzino: acquistai la play station, la wii e un paio di giochi. Comprai anche una libreria e qualche libro per riempirla. Il nostro shopping finì alle otto di sera quando, esausti, tornammo in hotel. I mobili mi sarebbero stati recapiti la mattina successiva, il resto – la play, la vernice.. – l’avevo con me. Bill mi invitò a mangiare con lui, quando entrai in camera sua notai che c’era la band al completo, il primo a parlare fu Tom.
“Ho ordinato da mangiare anche per voi. Dimmi Anna, svelami il tuo segreto! Come hai fatto a sopportarlo per CINQUE ORE?” Disse con aria melodrammatica. Si meritò un’occhiataccia da parte del gemello.
“Io l’ho sopportato per tre ore in giro per negozi di vestiti, poi è toccato a lui sopportare me mentre cercavo le cose per la mia nuova casa”
“Ti trasferisci?” Chiese sorpreso.
“Si, vivrò insieme a Stephanie. L’appartamento è qui vicino, l’abbiamo comprato stamattina. Mancava solo la mia camera da arredare.”
“Possiamo venire a vederlo?” Chiese Tom imitando la faccina da cucciolo del fratello.
“A che ora finite di lavorare domani?” Domandai.
“Alle sette dovremmo essere a casa, perché?” Chiese Georg.
“Ok, fatta! Alle otto venite a cena da me! Cucino io, se vi fidate” Sogghignai.
 Mi guardarono sospettosa per un attimo, poi però annuirono contenti.
Passammo una serata tranquilla, mi sentivo bene con quel gruppo, sembrava di conoscersi da tempo. Anche con Gustav alla fine, era diventato più loquace e ciò mi fece molto piacere.
Dopo aver cenato ci sfidammo alla play, ovviamente non vinsi una partita.
D'altronde, non si può avere tutto nella vita.

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Capitolo 18
*** Achtzehn. ***


Questa storia è momentaneamente sospesa: l'ho già scritta tutta ma non mi piace particolarmente e non vale la pena continuarla.
Però ne ho iniziata un'altra :D Leggetela, pleeeeeeeease °-°

{ Unter deiner Hαut .

Cliccate il titolo e *pff* compare la storia :')

 

Anna.

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Capitolo 19
*** Neunzehn. ***


 
Ho pensato di postare comunque gli altri capitoli visto che li ho scritti :)
Lasciate perdere la formattazione schifosa.. pubblicherò più capitoli insieme per questo risulteranno un po', sconnessi? boh XD
 
 
 

La mattina successiva mi sveglia presto, alle sette e mezza. Feci colazione, mi vestì velocemente e andai nella mia nuova casa. Ci vollero dieci minuti a piedi, bene.
Stephanie non era ancora sveglia, vidi che aveva già portato gran parte delle sue cose in casa, aveva aggiunto qualche oggetto qua e la, l’abitazione cominciava ad assumere un’aria vissuta. Andai nella mia camera da letto e mi cambia d’abito: indossai un paio di shorts e una vecchia maglietta bianca. Il camion con le cose della mia camera sarebbe arrivato alle due del pomeriggio e io dovevo dipingere le pareti prima dell’arrivo. I colori che avevo scelto erano due: nero e azzurro chiaro. Colorai la parete sulla quale sarebbe poggiato il letto di nero e le altre di bianco. Ci misi tre ore, fu stancante! Non ero abituata a lavori del genere. Alla fine ero soddisfatta della mia opera, se non fossi riuscita a trovare lavoro come interpreta avrei sempre potuto fare l’imbianchina! Finito di dipingere sistemai le cose che avevo comprato il giorno prima: misi la playstation e la wii vicino al televisore. Alle undici e mezza Stephanie ancora dormiva. Ne approfittai per andare a fare la spesa, il frigo era vuoto! Ero brava a occuparmi della casa, mamma non c’era mai e a volte andavo con le domestiche a fare le faccende. Comprai di tutto, da mangiare e anche da bere. Soddisfatta dei miei acquisti, riuscì a riempire sia il frigo che i mobili della cucina. Andai a svegliare la mia coinquilina visto che ormai si era fatto mezzogiorno. Cucinai io, pasta al ragù. Ero una brava cuoca, mi rilassava cucinare. Rimase sorpresa quando vide la cucina piena di cose da mangiare e mi fece l’occhiolino. Dopo pranzo arrivarono con i mobili e li portammo in camera. Ero soddisfatta del risultato: la parete affianco al letto ora era occupata tutta dall’armadio azzurrino, in tinta con le pareti. Dalla parte opposta c’era la scrivania nera con sopra il computer e qualche foto di mia sorella e io portata dall’albergo. Affianco c’era la grande libreria, piena dei libri comprati il giorno precedenti e quelli che avevo in hotel, c’era ancora dello spazio vuoto: lo spazio delle mie Nane. Nella parete di fronte al letto c’era una grande vetrata che dava su Amburgo per questo non misi niente davanti, sono delle tende nere e azzurre. Sopra al letto attaccai due grandi fotografie incorniciate: una mia con Stephanie e una mia con Elena.
Finì di sistemare la camera alle quattro e mezza. Tornai nella 483 e portai via le valigie con tutte le mie cose preparate il giorno prima. Rientrai nell’appartamento le svuotai  e misi il contenuto nell’armadio, era già quasi pieno, per fortuna c’era quello nella camera degli ospiti! Misi i miei shampoo e balsami nel mio bagno, con il resto delle cose necessarie. Cominciai a cucinare alle sei e mezza: avrei fatto il pasticcio visto che mi veniva particolarmente bene. Alle sette era pronto per essere cucinato. Non avevo molto tempo per prepararmi, feci un bagno veloce e mi vestii. Non avevo voglia d’agghindarmi e neanche ore di tempo per questo optai per un vestito con una stampa della bandiera inglese e le scarpe della converse con la medesima stampa. Raccolsi i capelli con un semplice cerchietto.
Al contrario mio Stephanie s’era ben agghindata. Indossava un vestito molto corto e grigio, aveva rinunciato al tacco: indossava un paio di lunghi stivali grigio scuro. Aveva piastrato i capelli, le arrivavano fino a metà schiena, le donavano. Passammo il tempo prima dell’arrivo dei ragazzi a farci foto sceme con la mia macchina fotografica. Alle otto puntuali suonarono alla porta ed entrarono in tutto il loro splendore.
Bill aveva lasciato i capelli alti, stile criniera e aveva gli occhi con la matita. Tom sempre col cappellino e i rasta, Gustav e Georg sembravano gli unici normali! Quando misi in tavola le lasagne tutti guardarono il cibo sospettosi.
“Scemi guardate che sono una brava cuoca! Non le ho avvelenate eh!” Dissi sarcastica.
Detto questo presero coraggio e cominciarono a mangiare. Spazzolarono tutto, pensare che le guardavano inizialmente schifate! Dopo cena gli mostrammo la casa e anche la mia camera.
“Che figata, stra bella Anna!” Fu il commento di.. Tom ovviamente.
“E’ tua sorella quella?” Chiese più educato Gustav indicando la foto sopra al letto.
“Si, è mia sorella Elena, ha un anno meno di me.”
“Mica male la tua sorellina!” chi se non Tom?
“E’ già felicemente innamorata e fidanzata caro Kaulitz”
“A proposito di tua sorella” Intervenne Bill guardandomi sorridente “Tieni” Disse estraendo dalla tasca due biglietto. Quando realizzai che erano i pass per l’after show gli saltai letteralmente addosso.
“Grazie Grazie mille Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiill!” dissi saltellando.
“A me niente abbraccio?” Fece Tom con un adorabile broncio da finto offeso.
Lo guardai scettica e poi, cogliendolo alla sprovvista, gli saltai in braccio cosicché finimmo tutti e due per terra, causando una crisi di ilarità generale. Naturalmente arrivò Stephanie con in mano la macchina fotografica e scattò una foto a me e a Tom: la posizione effettivamente era compromettente, Tom era sotto di me e io gli ero distesa sopra. Dopo quella foto ce ne furono molte altre, con i componenti della band, con le facce più buffe possibili. Giocammo anche alla play ma, sia io che Bill, essendo negati, ci sedemmo in disparte a chiacchierare sul divano,vicini. Parlammo a lungo finchè non ci addormentammo.
La mattina successiva mi sveglia sul mio letto, sotto le coperte ma vestita. Sul comodino c’era un biglietto di Stephanie. “Ti hanno portata i ragazzi a letto. Tu e Bill vi eravate addormentati.. guarda le ultime foto :P
Presi la macchinetta fotografica affianco al biglietto e le guardai. Le ultime tre erano mie e di Bill: una mentre ridevamo, eravamo molto vicini. Un’altra in cui io ero sdraiata contro il suo petto e lo ascoltavo sorridendo e l’ultima ritraeva tutti e due addormentati: io accovacciata contro il suo petto e lui con la testa sopra la mia. Erano bellissime quelle foto, spontanee, non eravamo in posa. Vedere me e Bill così mi fece tenerezza, mi scaldò il cuore. Piano piano stava riprendendo vita, non era più un fossile.
Era sempre più difficile mentire a me stessa, Bill mi piaceva. Ma lui era famoso. Io no. Lui mi vedeva come un’amica. Io no. Lui avrebbe viaggiato per il mondo. Io no.

Dopo aver fatto colazioni mi vestì velocemente e uscì per andare a camminare. Erano le dieci di mattina, c’erano abbastanza persone in giro. Mi fermai in edicola per comprare un giornale di cucina – per sperimentare qualcosa di nuovo – ma i miei occhi caddero su un giornale di gossip, con la foto dei Tokio Hotel in copertina. Acquistai il libro di gastronomia, poi tornai dentro al negozio per comprare la rivista rosa, l’edicolante mi guardò stranamente. Neanche fossi nuda poi. Tornata a casa aprì la rivista e capì perché ne ero stata attratta, c’erano le foto di me e Bill risalenti a due giorni prima: noi due al parco che mangiavamo il gelato e ridavamo.
Nuovo amore per Bill Kaulitz? Diceva il titolo.
Il cantante diciottenne Bill Kaulitz, leader della famosa band Tokio Hotel, che inizierà la settimana prossima un tour che li porterà in giro per tutta Europa è stato recentemente paparazzato in compagnia di una misteriosa ragazza, l’identità di quest’ultima è ancora sconosciuta, come notate indossa un cappello e un paio di occhiali che nascondono il viso. Si è ben organizzata, molto furba!
Dopo questo breve articolo c’erano altre nostre foto, nessuna che potesse dare sospetti per una relazione: niente bracci né baci, solo un abbraccio.
Scrissi un messaggio a Bill: “Bill siamo in prima pagina! Hanno detto che sono furba, muahahah 
Visto che non mi rispose decisi di chiamare Elena.
“Ehi sorella come stai?”
“Ehi Anna! Tutto meravigliosamente bene e tu invece?” Disse allegra.
“Tutto okay, mi sento serena. Hai spedito la mia Nana qui?” Chiesi con voce piagnucolosa.
“Dovrebbe arrivarti in giornata si! Novità?”
“No, ho prenotato il biglietto per Milano. Quindi fatti trovare a mezzogiorno davanti al Duomo, mi raccomando, non darmi buca!” Dissi con finta voce minacciosa.
“Pff, non me ne dimentico, l’ho perfino segnato sul cellulare! Che stai facendo di bello – oltre parlare con la tua sorellina preferita?”
“Penso a cosa preparare per pranzo, forse andrò a mangiare con papà in hotel, non ho voglia di mettermi ai fornelli. Tu Ele?” Brutto presentimento.
“Leggo un giornale.. di gossip!” Ovvio.
“Qualcosa sui Tokio Hotel scommetto!” Chiesi cauta.
“Si, l’hanno beccato con una ragazza. Uffa quanto darei per mangiare un gelato con Bill Kaulitz, ma neanche si sono baciati, se fossi in lei l’avrei di sicuro spupazzato per bene!” Scoppiai a ridere involontariamente sperando non si insospettisse, per fortuna non m’aveva riconosciuta.
“Zitta e pensa a Manuel tu!” Le dissi ancora ridendo.
“Oh Manuel!”  Disse con voce sognante. “L’abbiamo fattooooooooooo, non sono più la verginella di casa yuhuuu!!” 
“Tu brutta stronza, raccontami tutto!”  Le ordinai.
Si lanciò in una descrizione accurata di come fosse successo e di quanto fosse stato dolce. Alla fine si sono detti “ti amo”. Ero felice per lei, se lo meritava davvero.
“Senti adesso devo andare, qualcuno mi sta chiamando, bacio.”
Era Bill. La sua voce al telefono era ancor più bella. Che pensieri stupidi facevo.
“Anna sei libera per pranzo? Puoi venire a pranzare con me e gli altri in camera nostra.” Aveva un tono strano.
“C-certo, va bene! A che ora vengo?” Mi stavo agitando, non sapevo perché.
“Fra mezz’ora. Ciao.” E mise giù.
Indossai un paio di jeans, converse e camicia e uscì di casa.

Arrivai alla camera dei gemelli, bussai e mi aprì Tom. Sembrava tutto okay, era tutto come al solito tranne per il fatto che Bill non sorrideva, la sua faccia era un misto tra seccata e imbronciata. Quando s’accorse che lo fissavo accigliato sorrise. Non era un sorriso vero, avevo imparato a conoscerlo e sapevo che c’era qualcosa che non andava, ma non dissi nulla. Gustav e Georg stavano già mangiando.
“Grazie eh, potevate anche aspettarmi, ingordi!” Dissi ridendo.
Georg alzò la faccia dal piatto, aveva degli spaghetti che gli pendolavano dalla bocca, scossi la testa ridendo.
“Scusaci, eravamo affamati, sai com’è” Disse sorridendo Gustav.
Capì che c’era qualcosa che veramente non andava a metà pranzo perché Bill non aveva ancora parlato. Solitamente era quasi logorroico, la sua parlantina però mi piaceva, il suono della sua voce mi rilassava.
Percepivo una certa tensione nell’aria nonostante i ragazzi s’impegnavano per non far trapelare nulla. Approfittai di un momento di silenzio – tutti i ragazzi erano a bocca piena – e parlai.
“Okay, sputate il rospo. Che succede?” Chiesi alzando un sopracciglio.
“Ehm, niente perché?” fece Tom con nonchalance.
“Non sono stupida, sento che c’è qualcosa che non va. Problemi con l’articolo di giornale uscito stamattina?” Era dal messaggio che avevo scritto che l’atteggiamento di Bill era cambiato.
“David, il nostro manager, ha detto che è meglio non vedersi più per non rischiare altri articoli del genere. Ora che esce il disco l’attenzione deve essere sulla musica, non sul resto.” Parlò per la prima volta Bill.
“Uhm, okay. Capisco! Quindi sarebbe una sorta.. di.. ultima cena?” Domandai.
“Si.” Risposero i quattro in coro.
Stavo per scoppiare a piangere, il che era stupido e insensato. Dovevo immaginare che sarebbe successa una cosa del genere prima o poi. Mi venne da sorridere pensando che Bill era imbronciato per questo motivo, lui voleva continuare a vedermi e gli dispiaceva. Ero solo un’amica per lui, ma ci teneva a me. Questo mi fece stare bene e mi tranquillizzò.
“E allora godiamocela no? Tanto ci vediamo fra poco più di una settimana all’after del concerto! Sempre se non vi imboscate con qualche bionda prima” Dissi rivolta a Georg e Tom.
“Prometto che mi imboscherò solo dopo averti salutata” Disse Tom solennemente.
“Anche io!” Concordò Georg.
Scossi la testa ridendo, erano veramente dei ragazzi meravigliosi. Anche Tom, nonostante il suo ruolo da Sex Gott si era dimostrato un buon amico, davvero.
Il resto del tempo passò serenamente, Bill era riuscito a togliere il broncio ed era sbollito, anche se non sorrideva ancora. Giocammo alla playstation e riuscì a vincere qualche partita, quando notai Georg che faceva l’occhiolino agli altri. Imbroglione!
“Tu mi hai fatto vincere! Mi hai illuso di essere migliorata! E invece no! Come hai potuto farmi una cosa del genere! Mi hai rovinato la vita!” Dissi teatralmente.
Stetti da loro fino alle tre, dopodiché dovetti andarmene poiché avevano un intervista. Salutai tutti con un abbraccio, anche Bill. Mentre percorrevo il corridoio sentì qualcuno che mi stringeva il braccio, mi girai e mi trovai faccia a faccia con il mio gemello preferito. Il mio cuore perse un battito, gli sorrisi.
Mi abbracciò di slancio.
“Volevo scusarmi per come mi sono comportato durante il pranzo. Insomma, è che mi dispiace non passare del tempo con te. Volevo dirtelo. Ci vediamo tra una settimana.”
Detto questo mi diede un bacio sulla guancia e tornò indietro.
Rimasi impalata in mezzo al corridoio per più di un minuto, di sicuro ero rossissima.
Presi fiato e tornai nel mio appartamento.

 

Alla prossima
    

    

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Capitolo 20
*** Zwanzig. ***


Quando arrivai a casa, Stephanie era stravaccata sul divano che guardava distrattamente la televisione, qualcosa nella mia espressione la fece insospettire e incominciò un interrogatorio per sapere cos’era successo, così le spiegai la situazione.
“Hai visto le foto di me e Bill? Il suo manager ha detto che non ci dobbiamo vedere perché sta per uscire il cd e non hanno bisogno di scandali. Così non ci vedremo fino alla prossima settimana, al concerto sai.”
Rimase pensierosa per un attimo poi mi rispose.
“C’è dell’altro. Lo sento, parlamene.” Mi mordicchiai il labbro indecisa, poi svuotai il sacco.
“Ecco.. penso che mi piaccia Bill.” Dissi tutto d’un fiato, lei non parve sorpresa.
“L’avevo immaginato sai?” Sorrise comprensiva.
“Io a lui non piaccio. Poi è famoso, non potrebbe funzionare. E io non me la sento. La storia con Daniele mi ha segnata, non so se riuscirò a sentirmi con un uomo nello stesso modo che sentivo quando stavo con lui. Mi odio per questo.”
“Capisco le tue perplessità Anna, davvero. Secondo me devi lasciare che le cose seguano il loro corso, se qualcosa dovrà succedere, succederà. E stasera, per svagarti.. usciamo!” Disse tutta entusiasta.
“Ah, non mi avevi detto che suonavi la chitarra! È arrivata una chitarra e te l’ho messa sullo spazio vuoto di fianco alla scrivania. Mi suoni qualcosa?” Disse con gli occhi luccicosi.
“Ok, usciamo. Mi farà bene svagarmi. Voglio trovarmi un lavoro, per tenere la mente occupata. Si, suono la chitarra. E ha un nome, si chiama Nana Uno. Però non suono bene, quindi non ti aspettare chissà che è.”
Ci recammo nella mia stanza e presi in mano la mia chitarra, m’era mancata!
“Cosa vuoi che suoni?” Domandai. Scrollò le spalle.
“Uhm, november rain la conosci? Dovrei farla col pianoforte ma visto che non l’abbiamo faccio con la chitarra. L’ho arrangiata io, non so quanto bene sia venuta però.”
Chiusi gli occhi, preso il plettro, cominciai a suonare e a cantare. Quando finì notai che Steph aveva gli occhi lucidi.
“Oddio ma canto così male?” Chiesi corrucciata.
“Cosa? Ma sei fantastica, mi hai fatto commuovere! Dovresti provare a fare la cantante sai? Diventeresti più famosa dei Tokio Hotel, credimi!” Disse facendo l’occhiolino.
“Canto per hobby, non me la sentirei di girare il mondo e cantare davanti a migliaia di persone, troppo stressante!”
“Convinta tu. Ah, mi sono dimenticata di dirti.. hai presente l’estetista vicino all’hotel di tuo padre? Lavoro li!!”  Disse tutta esultante.
“Quindi.. per festeggiare.. stasera si esce!”  Mi squadrò sbalordita per un attimo.
“Tu mi hai proposto di uscire? Ecco un’altra cosa da festeggiare! Andiamo al Karaoke? Così fai sentire la tua voce a una massa di uomini sexy e ragazze ubriache! Propongo il Ritz, mi ispira quel locale. C’è sempre un mucchio di coda e nelle code un mucchio di bei ragazzi!”
“Io canto se tu canti con me!”
“No cara, non puoi farmi questo, sono stonata peggio di una campana, IO!” Era disperata poverina!
“Facciamo così, io canto da sola se tu mi fai le unghie e il french!” Proposi con la faccina da cucciolo. Annuì e ci mettemmo a guardare la televisione.
Alle nove cominciammo a prepararci. Feci un lungo bagno caldo e lavai i capelli. Scelsi un vestito corto viola e un paio di stivali col tacco in tinta. Lasciai i capelli ricadere lisci sulle spalle e la frangia davanti agli occhi. Come promesso Steph mi fece le unghie nere e il french viola. Mi truccai leggermente con dell’ombretto viola sulle palpebre.
Stephanie indossò un vestito corto nero e delle scarpe col tacco vertiginoso. Contornò gli occhi con la matita e raccolse la sua enorme massa di capelli in uno chignon, lasciando cadere dei ricci di fronte al viso.
Eravamo stupende, raggianti quella sera. Arrivammo al Ritz alle undici e mezza, pronte a divertirci. Ci sedemmo in un tavolo abbastanza isolato e cominciammo a chiacchierare.
“Vado a iscriverti al karaoke, scelgo io la canzone, non lamentarti e non fare scena muta eh!” Non feci in tempo a replicare che era già sparita. Due minuti dopo al suo posto si sedette Riccardo, il fratello.
“Ehy Anna, mia sorella ti ha abbandonato?” Chiese sorridendo sornione.
“No, è andata a iscrivermi al karaoke” Dissi sbuffando.
“Canti?”
“Si, male anche. Ma tua sorella si è intestardita e mi ha trascinato qui.” Scossi le spalle.
“Guarda, è salita sul palco!” Mi girai e lei era li davanti al microfono.
Che cazzo vuole fare quella pazza?

 

Che cazzo vuole fare quella pazza? Prese il microfono in mano.
“Salve gente! Io sono Stephanie! La prossima cantante è la mia migliore amica, quindi volevo fare una presentazione come si deve, ovvio! Ho scelto per te una canzone del nuovo album dei Tokio Hotel, by your side! Non puoi rifiutarti perché so che la conosci! Ora un applauso per la mia amica Anna!” Detto questo mi indicò e tutti si girarono verso di me. Io. La. Uccido.
Stavo già indietreggiando per darmela a gambe ma Riccardo mi prese per le spalle e mi trascinò avanti, lo squadrai infuriato e si giustificò dicendo che la sorella l’aveva obbligato. Già detto che la volevo uccidere?
Salì esitante sul palco, tutti mi fissavano e alcuni fischiarono, porchi! Presi il microfono.
“Volevo dire alla mia amica di godersi questi tre minuti di canzone perché dopo la uccido.” Dissi sorridendo. Lei mi fece una linguaccia e partì la base.
Chiusi gli occhi, non avevo bisogno di guardare lo schermo e leggere le parole, la prima volta che l’avevo ascoltata m’erano rimasse impresse. Insieme alla voce di Bill.
Uno, due, tre.
Cominciai a cantare, tutta la sala si zittì.

No one knows how you feel. No one there you’d like to see.
The day was dark and full of pain; you write help with your own blood.
Cause hope is all you’ve got, You open up your eyes but
 nothing’s changed..

Quando finì e aprì gli occhi tutti cominciarono a battermi le mani. Io, imbarazzatissima arrossì e farfuglia qualche parola di ringraziamento per poi darmela a gambe. Mi rifugia in bagno per permettere alla mia pelle di riprende un colore naturale, nel frattempo mi arrivò un messaggio della mia amica.
Ho abbordato un biondino. Non mi aspettare alzata, dormo fuori stanotte.. anche se spero di non dormire!
Sempre la solita. Quando uscì dal bagno un paio di ragazzi cercarono di parlarmi, senza risultato.
La mia serata a mezzanotte e mezza era già conclusa, chiamai un taxi e mi feci riaccompagnare all’appartamento. Arrivata accesi il computer e scaricai le foto fatte durante la cena con i Tokio Hotel. Ne stampai due: quella in cui io e Bill eravamo vicini e ridavamo e quella di gruppo. Le incorniciai e le appesi sopra alle altre sul letto. Non avendo più niente da fare, chiamai Elena sperano fosse sveglia.
“Che cazzo chiami all’una di notte?” Ok, stava dormendo.
“Scusa, avevo bisogno di parlare” Farfuglia imbarazzata.
“Non ti preoccupare, domani faccio sega, esco con Manuel. Che succede?”
“Oggi sono andata al karaoke con Stephanie. Mi ha fatto cantare By your side, quella dei Tokio Hotel, mi hanno applaudita tutti!” Esclamai entusiasta.
“Cosa? Voglio sentire che la canti! Mi faresti un favore? Domani ti fai riprendere da Stephanie mentre la canti e suoni la chitarra e poi mi spedisci il video per e-mail. È il pegno per avermi svegliata a quest’ora assurda.” Disse ridacchiando.
“Uffa! Comunque mi sento sola! Dopo l’esibizione la mia cara amica mi ha lasciata sola per andare a casa di un tizio abbordato li. Mi manca Daniele, cioè non lui. Ma una persona che mi ami, capisci? Ho deciso di cercare lavoro. Secondo te dove posso far domanda?”
“A delle radio, sai quando fanno le interviste solitamente c’è bisogno di un traduttore no? Sennò chiedi a papà, lui sa meglio di me. Ora ti lascio altrimenti mi addormento mentre parlo con te. Sogni d’oro”.
Avrei cominciato a cercare lavoro dopo il concerto. Mi sarei “goduta” l’ultima settimana di dolce far niente. Stanca, mi svestì e mi addormentai in intimo.

 

La settimana passò tranquilla. Sono uscita tutte le sera con Stephanie e alla fine non m’aveva più lasciata sola, abbordava uno all’inizio della serata così poi tornava da me e stavamo insieme a chiacchierare. La mattina la passavo strimpellando con la chitarra, Steph ha fatto il video mentre cantavo By your side e l’ha inviato a mia sorella. Elena, senza chiedere la mia autorizzazione l’aveva pubblicato sul suo canale di youtube, l’avrei ammazzata per questo se non fosse per il fatto che alla persone piaceva, avevo ricevuto commenti positivi e questa aveva favorito all’aumento della mia autostima, alquanto bassa ultimamente. Il pomeriggio facevo shopping, andavo in biblioteca o facevo il bagno nella piscina condominiale.
Finalmente giunse il 21 novembre, a mezzanotte chiamai Elena per farle gli auguri. Prima mi mandò a quel paese poi mi ringraziò. Partì la mattina presto e a mezzogiorno arrivai a Milano, dove c’era mia sorella ad accogliermi. Mi strinse in un mega abbraccio, andammo a mangiare in un elegantissimo fastfood e cominciammo il nostro giro di shopping. Alle quattro avevamo finito. Aveva comprato un bellissimo vestito, - non si immaginava che avrebbe incontrato la sua band preferita con indosso quello – e un paio di scarpe col tacco. Io avevo fatto gli stessi acquisti. Per la giornata avevo prenotato anche una camera in un lussuoso hotel in centro, coincidenza era lo stesso dei Tokio Hotel, me l’aveva suggerito Bill. Il concerto era alle otto e mezza, fortunatamente non era necessario fare giorni di coda per i primi posti perché erano numerati. Due biglietti di prima fila, al centro. Il regalo perfetto. Presi la mia borsa con all’interno i due biglietti e i pass per il party e uscì con mia sorella. La scusa era che avevo ordinato una borsa e sarebbe arrivata alle sei, quindi dovevo ritirarla. Quando l’autista ci lasciò davanti al palazzetto dove c’era il concerto Elena mi guardò confusa, come risposta tirai fuori i due biglietti e glieli sventolai davanti al viso.
La sua espressione era impagabile. Estasiata, le brillavano gli occhi. Dopo aver compreso il mio regalo mi abbracciò di slancio facendoci cadere per terra, ormai ero abituata a queste dimostrazioni d’affetto. Ma mi coglievano impreparata ogni volta.
“Tu hai organizzato tutto questo per farmi venire al concerto? Da quanto hai i biglietti?” Chiese saltellando.
“Da quando mi hai detto che erano esauriti, io li avevo comprati in mattinata. Sono o non sono la tua sorella preferita?” Chiesi ammiccando.
In risposta prese la mia mano e cominciò a correre verso l’entrata. Nessuno ci guardò male, tutte le altre ragazze si comportavano in quel modo. Solo che avranno avuto quindici anni, io ero leggermente più vecchia di loro.
“Dove sono i nostri posti?” Mi chiese.
“Prima fila centrale baby! Si, non ripeterlo. Lo so, sono la sorella migliore del mondo e mi ami. Grazie. Prego. Ora respira e siediti, dobbiamo aspettare ancora due ore.”
Quelle due ore mi sembravano interminabile, mia sorella continuava a ciarlare sui Tokio Hotel. Mi diede tutte le informazioni che sapeva su di loro, ciò che aveva letto sui giornali e ciò che trovava su internet. Probabilmente sapeva più cose sul gruppo che il gruppo stesso su se stessi. Incredibile.
Alle nove le luci del luogo si spensero. Tutto il pubblico ammutolì. La voce di Bill risuonò cristallina dando via a moltissimi urli. Mi chiedevo se a fine serata avrei avuto ancora l’udito. Mia sorella non urlava, era ferma. Occhi concentrati sul palco, seguiva le quattro figure con interesse. Vedevo che batteva il piede a ritmo, sul suo volto un sorriso tranquillo. L’avevo resa felice. Osservai le ragazze intorno a me. C’era chi piangeva, chi urlava. Chi scattava cento fotografie. Altre, come mia sorella, stavano zitte e apprezzavano la musica.
Smisi di pensare agli altri per concentrarmi sulla musica. Per godermi quel concerto.
Per divertirmi anche io. 

 

I ragazzi erano incredibili. Sul palco si trasformavano.  Tom era concentratissimo sulla chitarra, la teneva stretta. Metteva passione in ciò che faceva. Georg era energico, sprizzava adrenalina da tutti i pori. Gustav era eccitatissimo. Bill era semplicemente Bill. Incredibile, indescrivibile. La sua voce mi metteva i brividi. Le parole delle canzoni entravano nel mio cervello e non uscivano più, lasciavano il segno.
Alle undici e mezza il concerto finì. Non mi resi conto che fosse passato così in fretta.
Sono vederlo dal vivo, aveva fatto battere il mio cuore più forte. Bill.
La festa si sarebbe tenuta a mezzanotte e mezza. Per questo trascinai mia sorella in albergo dicendo che dovevamo andare a festeggiare in qualche locale quel meraviglioso concerto. Ci crebbe. Indossò il vestito che le avevo regalato e anche gli stivaletti. A guardarla pronta sembrava così diversa da me: avvolta nel suo vestitino nero, i capelli castani leggermente mossi e gli occhi azzurri. Io indossavo un vestitino bianco e azzurro e tacchi alti e bianchi. Legai i capelli in uno chignon, presi la borsetta con i pass dentro e uscimmo dall’hotel a mezzanotte e un quarto. Il luogo in cui si teneva la festa era un noto locale milanese. Prendemmo il taxi e, appena seduta, mi squillò il telefono.
Spero il concerto ti sia piaciuto” Era Bill.
Si. Tanto anche. Le urla mi hanno un po’ stordito sai? Io e Elena stiamo arrivando :D
Durante il viaggio diedi la busta coi pass a mia sorella.
“L’altro regalo.” Dissi misteriosa. Mi guardò accigliata e aprì la busta.
“Ma.. s-sono i p-p-p-pass per la festa? Non è uno scherzo vero? Come fai ad averli? TI ADORO! È stato il compleanno più bello, grazie a te.” Mi disse commossa.
“Ti spiego dopo.” Le feci l’occhiolino ed arrivammo alla festa.
Intanto mi arrivò un altro messaggio. Sempre da Bill.
Siamo appena entrati, vieni verso la porta del retro. Se ci facciamo vedere subito sarà impossibile trovarci dopo
Portai mia sorella verso la fine del locale con la scusa di voler uscire per fumare una sigaretta. Mi avvicinai all’uscita e li vidi. Mi nacque un sorriso istantaneo sul volto. Mia sorella non se ne accorse subito, quando capì che ci stavamo avvicinando a quattro figure si bloccò sul posto.
“Dimmi che non sono loro. Ti prego.” Stava già saltellando e gridando di felicità, attirando così l’attenzione della band che la guardavano curiosi. Io sospirai rassegnata.
“Ciao ragazziiiiiiiiiii!  Questo strano essere che emette gridolini e saltella è mia sorella Elena. È un po’ di giri, chissà perché” Dissi ridacchiando.
Il primo a salutarmi fu Tom.
“Wow, sei stupenda stasera!” Disse abbracciandomi . Ringraziai e sorrisi.
“Il fatto che mi hai salutato per prima c’entra col fatto che ora puoi farti qualche bionda per caso?” Sogghignai.
“Ops, beccato! Beh, ho fatto il mio lavoro! Ciao ragazze!” Disse correndo verso una biondina.
Poi fu la volta di Georg e Gustav. Ero leggermente imbarazzata quando dovetti abbracciare Bill. Avevo il cuore che batteva fortissimo, sperai non se ne fosse accorto. Intanto mia sorella era ancora ferma impalata.
“Sorella, immagino tu sappia chi sono questi no?” La presi in giro.
“Ehm.. come cazzo fai a conoscerli?” Mi chiese in italiano. Le risposi semplicemente che era una storia lunga. Sapevo m’avrebbe torturata fino alla morte se non gliel’avessi spiegata.
Elena si fece fare gli autografi e poi sparì a ballare. Nel frattempo incredibile 3 e 4 erano andavi via, lasciando me e Bill da soli. Fu lui a parlare per primo.
“Allora, com’è stato vederci dal vivo come band?” Sorrise. Quel sorriso. Oh.
“Vuoi che ti riempia di complimenti? Te li meriteresti tutti, sei, siete davvero fantastici. Come ti è sembrato il pubblico italiano?”
“Caloroso. E anche con molto fiato direi”
Chiacchierammo così per un paio d’ore, era bello averlo tutto per me. Ci interruppe mia sorella, aveva chiamato un taxi per andare alla stazione e tornare a casa. La salutai e tornai a rivolgere le attenzioni a Bill.
“Ora è tardi, devo andare.” Sospirai, mi piaceva troppo la sua compagnia.
“Ti accompagno.” Non era una domanda.
“Sicuro di non voler restare? È la vostra festa dopotutto”  Di che non vuoi restare, ti prego.
“Ti accompagno” ribadì.
Non potei che accettare, chiamammo un taxi per riportarci all’hotel.
Durante il viaggio mi raccontò qualche aneddoto del nuovo tour, appena scesi calò il silenzio. Prendemmo l’ascensore insieme, eravamo allo stesso piano, camera affianco. Come l’ultima volta. Camminai piano verso la porta, sperando che facesse qualcosa per fermarmi. Ormai mi ero rassegnata, stavo per entrare quando sentì la sua mano prendere la mia.

 

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Capitolo 21
*** Einundzwanzig. ***


Ormai mi ero rassegnata, stavo per entrare quando sentì la sua mano prendere la mia.
Mi girai velocemente e mi ritrovai faccia a faccia con lui. Aveva uno sguardo intenso, non riuscì a reggerlo cominciai a osservare con attenzione la punta delle miei scarpe; a quel punto mise una mano sotto il mio mento e mi sollevò la testa, sentivo la pelle del viso bruciare e pensavo che il mio cuore stesse per esplodere. Mi guardava. Bum Bum.  Si avvicinò lento alla mia faccia, esitante. Aveva paura della mia reazione? Non doveva, non aveva senso. Mi piaceva, parecchio.
Pochi istanti dopo la sua bocca toccò la mia. Eravamo fermi davanti alla porta di camera mia, intendi in un dolce bacio. Lento e adorante. La scelta toccava a me: concludere li il contatto oppure invitarlo in camera mia. La parte razionale del mio cervello era momentaneamente in standby. Quando mi staccai da lui, il tempo necessario per prendere ossigeno e non svenire, aprì la porta per farlo entrare. Un minuto dopo ci stavamo già baciando, un bacio pieno di passione. Solo il contatto con lui mi faceva venire una serie di brividi, con Daniele non era mai successo. Lo amavo, ma con Bill era tutto più intenso, le sensazioni più amplificate e forti. Ci sfilammo lentamente i vestiti a vicenda, intenti a prolungare il più possibile quei momenti. Mi lasciò una scia di baci lungo il collo mentre io gli accarezzavo la schiena e mi godevo quel momento. Mi sfiorò il tatuaggio e mi sussurrò all’orecchio “Heartless” con voce roca, dolce e piena di desiderio. Presi il suo viso fra le mie mani e lo baciai, cercando di fare capire quanto avessi desiderato quel momento. Da come rispose, capì che per lui era lo stesso.
 Quando entrò dentro di me, mi sembrò d’esser completa. Mi sentì invadere da un calore nuovo.
Fantastico. L’unico aggettivo per descrivere quello che era successo. Era bravissimo, sicuramente.
Quando ci staccammo fu come se mi avessero tolto qualcosa. Poco dopo me ne riappropriai. E me ne riappropriai ancora.
Mi addormentai esausta fra le sue braccia alle sei di mattina. Stavo bene, era stata la notte più bella della mia vita. Una notte densa d’emozioni, sospiri e gemiti.
Mi sveglia alle due di pomeriggio, d’istinto sorrisi ricordando la notte precedente, mi girai nel letto cercando il contatto con Bill. Il sorriso mi si spense subito sulle labbra. Non c’era.
Mi ero immaginata tutto? Era stato un sogno? No.
Le mie scarpe erano davanti alla porta. Il vestito a terra. L’intimo lanciato su una sedia.
Ma lui mancava. Al posto suo un biglietto.
Un misero biglietto su un cuscino. Una sola parola scritta.
Scusami..
Una parola che mi distrusse. Mi sentì raggelare. Come aveva potuto farmi una cosa del genere? Lasciarmi un insulso bigliettino dopo una notte così? Mi doveva una spiegazione!
Sicuramente i Tokio Hotel avevano lasciato l’albergo. Partivano a mezzogiorno per Roma, pronti per il prossimo concerto. Dovevo chiamarlo? No. Se lo avessi fatto, sarei crollata. Optai per un messaggio. Patetico vero? Gli scrissi “Scusami?!” Dopo crollai. Piansi tutte le lacrime possibili e immaginabili. Per un’ora non feci che singhiozzare. Finite le lacrime avevo un mal di testa incredibile, la testa pulsava. Mi guardai allo specchio: occhiaie pronunciate, occhi rossi e gonfi. Uno spettacolo raccapricciante.
Perché gli uomini avevano un tale ascendente su di me? Tutti erano in grado di distruggermi.
Dovevo parlare con qualcuno, chiamai Elena.
“Ehi sorella! Come stai? Io sono felicissima! Grazie ancora per la serata di ieri, anzi per tutta la giornata! Mi devi raccontare come li hai conosciuti, dimmi tutto!” Era un fiume in piena, il suo entusiasmo mi fece sorridere. Sorriso che si spense subito pensando che avrei dovuto raccontare di loro, ciò faceva male.
“Ehi. Sono contenta che ti sia divertita. Erano i miei vicini di stanza all’hotel, tutto qui.”
Non mi chiese nient’altro. Non le dissi nient’altro, avrebbe odiato i Tokio Hotel, li avrebbe insultato. E non volevo.  La salutai due minuti dopo, indossai i miei occhiali da sole, presi l’aereo e tornai in Germania. 

 

Arrivai all’appartamento di sera, Stephanie era li che mi aspettava; aveva preparato la cena per farmi una sorpresa. Appena mi tolsi gli occhiali da sole s’accorse che qualcosa non  andava. Ovvio.
I miei occhi erano orribili, reduci da una lunga crisi di pianto. La salutai e dovetti subirmi per cinque minuti il suo sguardo interrogativo fisso su di me. Non voleva sforzarmi, aspettava che le raccontassi io.
“Devo cambiare qualcosa. Pensavo di cambiare nome, Seele mi è sempre piaciuto più di Anna, che dici?” Provavo a sviare il discorso.
“Tu racconti, io ti ascolto. So che c’è qualcosa che non va. Ho imparato a conoscerti” Disse calma.
“Ho voglia di ricominciare. Domani cerco lavoro. Sicuro.” Sapevo che una risposta del genere non le sarebbe bastata e che avrebbe insistito finchè non le avessi raccontato tutto, per questo mi confessai con lei. “SonoandataalettoconBillierièstatobellissimomasenèandatosenzadireniente” Spiegai tutto d’un fiato, lacrime avevano cominciato a scendere.
Mi guardò confusa, probabilmente non aveva capito una parola di ciò che avevo detto. Ripetei lentamente.
“Sono. Andata. A. Letto. Con. Bill. Ieri. È. Stato. Bellissimo. Ma. Se. Né. Andato. Senza. Dire. Niente. Mi ha lasciato solo un biglietto con scritto “scusami”. Sono stata una scema.” Facevo fatica a controllare la voce.
Stette in silenzio per una manciata di secondi, prese aria e parlò.
“Non devi starci male. Te lo proibisco! Non se lo merita dopo quello che ti ha combinato! Promettimelo! Non voglio sentirti più piangere per un uomo hai capito? Sei troppo fantastica per una cosa del genere, dovresti capirlo anche tu! E non cambiare nome, per carità Anna!” Disse sicura.
“Io.. ci proverò. Spero di riuscirci. Ceniamo okay? Voglio capire quanto pessima sei in cucina” Feci un sorriso debole e mi concentrai sul cibo.
Finita la cena, andai in camera mia. Presi la foto di me e Bill incorniciata sopra al letto e la confinai in un cassetto.  Ero ancora troppo scottata per guardarla, basta lacrime.
Presi un sonnifero per dormire, sapevo che altrimenti non avrei chiuso occhio. Pensavo troppo, era quello il mio problema. Pensavo e mi creavo castelli immaginari. Insomma, cosa avrebbe dovuto fare Bill? Chiedermi di sposarlo? Sarei dovuta diventare la sua ragazza? No. Non mi aveva promesso niente, non dovevo odiarlo. Dovevo archiviare quella notte nella mia mente. Una notte si solo sesso. Punto. Certo, il sesso più fantastico che avevo fatto, ma pur sempre una sveltina. Anzi, tre.
Fui svegliata alle nove del mattino dal mio telefono che suonava. Numero sconosciuto.
“Pronto Anna? Sono Gustav!”
“Ehy! A che devo l’onore di una tua chiamata?” Ero felice di sentirlo.
“Ho fregato il tuo numero dal cellulare di Bill. Ieri non ci siamo parlati molto, allora ti siamo piaciuti?”
“Siete fantastici, davvero! È stato un concerto favoloso! Non credevo suonassi così bene sai?” Ridacchiai.
“Credevi che non fossi bravo eh? Uhm, volevo chiederti un’altra cosa. Il dopo festa com’è andato?” Chiese cauto, era un bravo osservatore; come me.
“Si, diciamo bene. Stamattina un po’ peggio. Perché?”
“Sensazioni, sai. Tutto qui! Che fai oggi di bello?” Sensazioni? Bah.
“Cerco lavoro! Altrimenti dovrei stare in casa tutto il giorno e l’idea non mi attira un gran che. E tu? Impegni con la band?”
“Indovinato, che palle. Ora devo andare, ci sentiamo! Buona ricerca!”
Detto questo, mi preparai per affrontare al meglio quella giornata. Bevvi una buonissima tazza di cioccolata calda, mi trascinai in bagno e mi lavai, cercando di migliorare l’aspetto della mia povera faccia e dei miei capelli tutti arruffati.
Indossai un paio di jeans neri. Una t-shirt nera e sopra essa un cardigan grigio. Per avere un aria più professionale evitando di sembrare una velina, indossai un paio di stivali a tacco basso e tirai indietro i capelli con un cerchietto.
Ero andata in internet a vedere dove cercavano personale.
Prima tappa: la radio di Amburgo.

 

Cominciai a lavorare per la radio agli inizi di gennaio. Stephanie stava sempre meno tempo a casa perché aveva conosciuto un ragazzo e se ne era innamorata, di conseguenza era praticamente ogni giorno da lui.
Alla radio ebbi la possibilità di incontrare persone famose come Mika, Shakira e altri cantanti internazionali. Dopo quattro mesi che lavoravo li come interprete, vennero in studio per essere intervistati i Paramore.
Dopo l’intervista mi fermai a chiacchierare un po’ con la cantante, Hayley Williams. Una ragazza davvero simpatica. Il giorno dopo l’incontro ricevetti una chiamata dal loro manager: mi offrì di lavorare per la band come interprete durante la promozione del disco. Il tour toccava varie città europee e americane. La durata era da inizio maggio a fine luglio. Accettai. Furono mesi fantastici, Hayley e io diventammo subito amiche e anche gli altri ragazzi erano simpatici. Durante le pause giravano dei video che poi caricavano sul loro canale di youtube: in alcuni c’ero anche io insieme a Nana Uno – ovviamente l’avevo portata – che suonavo insieme a loro. Per festeggiare il mio diciannovesimo compleanno, il nove luglio, i ragazzi cantarono “tanti auguri” dedicandomela durante il loro concerto a Praga. Fantastico.
Finito il mio lavoro per loro, programmai di stare per tutto il mese d’agosto a casa con mia sorella. Aveva passato la maturità anche lei a buoni voti e stava ancora con Manuel. Beata lei che ne aveva trovato uno giusto. Io mi ero imposta di non pensare a Bill perché, anche se era passato del tempo dall’ultimo incontro, ricordare mi faceva male. Almeno una volta al mese mi sentivo con Gustav e qualche volta anche con Georg e Tom, la nostra amicizia era sopravvissuta.
A metà agosto ricevetti una chiamata dal manager dei Muse, avrei lavorato con loro per i cinque mesi del loro tour. Tutto questo grazie ai Paramore che mi avevano “raccomandata”.
Da quel momento la mia vita era in salita, finito di lavorare con un cantante venivo contattata da qualcun altro. Lavorai anche in televisione, in occasioni di vari festival durante i quali dovevo fare la traduttrice, conoscendo così vari attori e registi.
Per mia fortuna, i Tokio Hotel non si sentivano più molto spesso. Mia sorella continuava a parlarmene – ignara che mi faceva male – a quanto pare stavano producendo un nuovo disco, beh, buon per loro!
A giugno dell’anno successivo tornai in Italia in occasione della festa del liceo. Orrore! Mia sorella m’aveva costretta ad andarci, puntando sul mio punto debole: chitarra.
“Dai sorellina, è solo una cena! Poi, se non vieni taglierò le corde a Nana Due lo sai vero?” Mi disse con voce minacciosa. Fui costretta ad accettare. Mi sarei potuta riscattare: avrei dimostrato a tutti quanto ero cambiata, che non ero più l’asociale di un tempo.
Era estate e faceva caldo, per questo indossai semplicemente una t-shirt, un paio di short e scarpe col tacco.
Fu bello rivedere tutti i miei compagni, c’era anche Daniele.
Fu una serata piacevole, chiacchierai un po’ con tutti e ascoltai come andava avanti la vita. Parlai anche con Daniele, anzi, lui parlò io stetti zitta. Era cambiato, aveva il viso più maturo e un fisico più sviluppato. Sempre bello ma non mi faceva più battere il cuore come una volta. Il cambiamento più drastico lo riscontrai nel suo carattere: appena mi vide cominciò a riempirmi di complimenti e non si staccava un attimo da me, prima era simpatico mentre ora era semplicemente strafottente. A quanto pare era tornato in Italia perché era stato licenziato in America e continuava a tormentarmi ricordando quanto fossimo stati bene insieme e dicendo quanto fosse dispiaciuto per tutto quello che era successo.
Ero dispiaciuta anche io, l’avevo perdonato già da tempo: non aveva senso rimanerci arrabbiata, l’avevo odiato abbastanza in passato. Nonostante ciò, non gli avrei più dato nessuna possibilità, troppo era passato e eravamo cambiati, troppo.

 

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Capitolo 22
*** Zweiundzwanzig ***


Dopo la cena di classe restai in Italia per un po’, feci compagnia a mia sorella visto che Manuel era in vacanza per due settimane insieme ad amici. Passammo del tempo fra ragazze, facendo shopping e.. shopping! Ne approfittai per rinnovare il mio guardaroba e anche per fare un taglio nuovo: i capelli erano lunghi e biondi, mi arrivavano alla vita. Feci un taglio scalato e la frangetta, sentivo che c’erano novità nell’aria, belle e grandi novità. Il quindici agosto venni chiamata da il manager di una band, voleva che partissi con la sua band e stessi con loro per tutta la durata del loro tour – cioè sei mesi -, non mi diede altri particolari e fissammo un incontro per vederci e discutere dei particolari. Così il venti agosto ero seduta in un ristorante ad attendere il signore con cui avevo conversato al telefono. Avevo optato per un abbigliamento sobrio: t-shirt bianca, jeans neri e scarpe con un piccolo tacco. Non mi ero truccata e avevo raccolto i capelli in una coda. Arrivò con cinque minuti di ritardo.
“Scusi signorina per il ritardo, piacere David Jost!” Jost, l’avevo già sentito..
“Oh non si preoccupi, sono appena arrivata anche io” Sorrisi. “Piacere, Anna Künrei”
“Ho ricevuto il suo numero da Matthew Bellamy. Vede, la nostra interprete si è licenziata all’improvviso e lui mi ha dato i suoi contatti. Il tour parte tra una settimana e non abbiamo molto tempo per fare colloqui.” Spiegò professionale. “Tenga, questo è il contratto, lo può leggere tranquillamente e poi può farmi sapere cosa ne pensa okay? Avremmo bisogno di una risposta il prima possibile però.”
“Si, capisco. Allora entro domani mattina le faccio sapere.” Sorrisi e me ne andai.
Tornata nell’appartamento, cominciai a sfogliare il contratto.
..Contratto di sei mesi come interprete.. blablabla. Viaggi e spostamenti pagati dalla casa discografica.. Stanza dell’albergo accanto a quella del gruppo.. blablabla.
C’è l’obbligo di non rivelare dettagli sul gruppo per non causare danni d’immagine.. blablabla.
Firmando diventerà interprete dei Tokio Hotel per i prossimi sei mesi..
Un attimo.
Tokio Hotel?
Tokio Hotel! Ecco dove avevo già sentito quel nome, l’aveva nominato mia sorella in uno dei tanti discorsi rivolti al gruppo! Avrei potuto lavorare con loro per ben sei mesi..
Mi sarebbe piaciuto, eccome.. i ragazzi mi mancavano, non li avevo più rivisti dal concerto. Però c’era Bill, probabilmente si era già scordato di me. Io però non m’ero scordata di lui, affatto.
Ma era un’ottima possibilità di lavoro. Dovevo valutare pro e contro. Chiamai mia sorella per un consiglio.
“Elena, sono Anna! Ho bisogno di te.” Le dissi agitata.
“Ehi, calmati che succede?”
“Oggi ho incontrato l’uomo con cui avevo parlato al telefono. Mi ha offerto di andare in tour con la sua band, il tour dura sei mesi e tocca varie città europee e ci sono tappe anche in America! Il manager è.. David Jost.” Dissi sospirando.
“Aspetta, quel David Jost? Quello dei Tokio Hotel? Ma dimmi, che cazzo hai da pensare tanto? ACCETTA, è un ordine! Perché non dovresti scusa?” Chiese sospettosa. Ops, non le avevo raccontato di Bill.
“Uhm, sai.. la notte del concerto.. sono andata a letto con Bill.” Spiegai tutto d’un fiato. “E lui non si è fatto più sentire. E ci sono rimasta una merda, tutto qui. Però ci terrei davvero a vedere gli altri ragazzi.. Sono confusa, ecco.”
“Oh. Ti sei fatta Bill Kaulitz? Mamma mia sorella, che colpo! Però ci sei andata a letto due anni fa no? È passato tanto tempo, dovresti passarci sopra e accettare. E’ pur sempre una possibilità di lavoro ottima per te, potrai viaggiare e poi stare con i tuoi amici!”
“Forse hai ragione.. però sai, fa ancora male; lui mi piaceva. Davvero. Capisci ora?”  Mi tremava la voce, succedeva sempre quando ci pensavo.
“Ecco un buon motivo per accettare, potrai capire cosa provi per lui e chiedere spiegazioni!”
“Hai ragione, beh.. ci penserò. Ti faccio sapere, ci sentiamo dopo.”
Elena aveva ragione, come sempre. Chiamai anche Stephanie, non la sentivo da due settimane.
“Ehi, Stephanie! Sei ancora viva? Tutto bene laggiù?” Era in vacanza in Svizzera col ragazzo.
“Annaaaa!! Che bello sentirti! Tutto bene si, tu? Ho imparato a sciare!” Aggiunse eccitata.
“Tutto apposto, ho appena ricevuto un’offerta di lavoro, in tour per sei mesi con una famosa band!” Dissi cercando di apparire entusiasta ma si accorse che qualcosa non andava.
“Sputa il rospo, l’ultima volta che è successo me l’hai detto urlando e saltando, che c’è che non va?”
“Uhm, la band in questione sono i Tokio Hotel.”
“Oh, adeeeeeeeeeeesso capisco! Paura di rivedere Bill eh? Non farti queste paranoie Anna, è inutile! Devi pensare a te stessa, al fatto che il lavoro è una grande occasione per te e anche che tieni ai ragazzi, loro non c’entrano con quelli che ti ha fatto il cantante, ti vogliono bene e anche tu allora, quindi accetti. Punto.” Disse risoluta.
La pensava come mia sorella, tutte e due avevano ragione.
Allora accettai il consiglio.
Firmai il contratto.
Scrissi e inviai lo stesso messaggio al signor Jost, Elena e Stephanie.
Accetto.
Risposero cinque minuti dopo tutti e tre.
Allora vieni domani agli studi, ti presento i ragazzi. David.
E brava la mia sorellina! Poi mi racconti com’è andata! Elena.
Lo sapevo avresti accettato! Domani voglio tutti i dettagli! Tutti. Stephanie.
Mi addormentai felice ma agitata pensando a cosa sarebbe successo il giorno dopo. 

 

Mi sveglia alle sei e mezza, presto anche per i miei standard. Sarei dovuta andare allo studio verso le otto e mezza. Ancora mezza addormenta mi recai in bagno e mi guardai allo specchio per capire quanto fosse disastrosa la situazione: niente di irreparabile, per fortuna. Avevo tutti i capelli per aria, fortunatamente niente occhiaie. Mi spogliai e mi infilai nella vasca da bagno. Uscì mezz’ora dopo pulita e profumata di caramello e cioccolata. Pettinai i capelli e li asciugai in fretta. Finita l’operazione bagno indossai l’accappatoio e scesi per fare colazione. Cioccolata calda con panna e brioche alla marmellata. Buona si. Tornai in camera alle sette e mezza indecisa per l’abbigliamento. Misi una t-shirt rossa, jeans neri, converse in tinta con la maglia e braccialetti e orecchini in tinta coi jeans. Lasciai i capelli slegati e indossai gli occhiali da sole. Uscì di casa alle otto puntuale e arrivai a destinazione con cinque minuti d’anticipo.
Mi accolse la segretaria dicendomi che David era impegnato e i ragazzi mi stavano aspettando nella stanza affianco all’ufficio del capo per “fare conoscenza”. Disse questo squadrandomi dall’alto in basso e storcendo la bocca. Invidiosa! Effettivamente era bella, peccato per l’abbigliamento decisamente volgare: top leopardato e alquanto attillato e una minigonna inguinale. La tipa di Tom, pensai ridacchiando.
Mi diressi verso la stanza, bussai e fu Gustav ad aprirmi la porta facendomi entrare. Bill non c’era, Tom e Georg invece erano impegnati in una partita alla playstation.
“E’ arrivata la ragazza” Informò Gus.
Gli altri due si voltarono verso di me curiosi, mi squadrarono e io sorrisi imbarazzatissima. Mi tirai su gli occhiali da sole, mi mordicchiai il labbro e salutai.
“Sono Anna. Künrei, presente? Non vi ricordate più di me?” Chiesi sbuffando e alzando un sopracciglio.
“Anna?” Chiesero tutti e tre contemporaneamente.
“Si!” Dissi ridendo. Due secondo dopo mi ritrovai stretta in un abbraccio di gruppo.
“Okay ragazziiiiii basta! Va bene che non ci vediamo da due anni ma ci tengo a rimanere viva eh!” Sogghignai. Si staccarono e il primo a parlare fu Tom.
“Uhm, sei cambiata. Ti stanno bene quei capelli, anche quella maglietta” Disse sorridendo malizioso.
“Pff, anche tu stai bene con le treccine, non sembri più un mocio!” Gli feci la linguaccia facendo ridere gli altri due.
“Non sembravo un mocio, come osi dire ciò? Te la faccio pagare io adesso!” Disse con sguardo minaccioso.
Mezzo minuto dopo ero buttata sul divano a contorcermi per il solletico pregando Tom di smetterla.
“Baaa-ahah-sta Too-ahahah-oom! Ragazzi ahahahahahaha-ahaiutooaahha!”
Georg e Gustav erano troppo impegnati a godere della scena per aiutarmi, in quel momento entrò Bill e ci guardò sconcertato. Okay, la posizione era alquanto compromettente: io buttata a terra e Tom a cavalcioni sopra di me. Molto compromettente. Approfittai del momento di distrazione generale per sgattaiolare via da Kaulitz, tirarmi su e guardare Bill.
Era stupendo. Niente chioma da leone. Aveva la cresta ora, sempre con il solito trucco nero. Era meno magrolino e un po’ più muscoloso, stupendo insomma. Notai con grande dispiacere che, appena incrociato i suoi occhi nocciola, il mio cuore aveva preso a battere più forte.
“Anna?” Chiese Bill incerto.
“Si, sono la nuova interprete” Dissi sorridendo imbarazzata.
“Beh che hai fatto in questi due anni distante da noi piccola?” Mi chiese Tom.
“Piccola un corno” Sbuffai e lui alzò le mani in segno di resa.
“Niente di che insomma, più che altro lavorato e fatto shopping. Vita noiosa ecco.”
“Nessun ragazzo?”
“No Kaulitz nessun ragazzo, il più lungo è durato un mese e poi l’ho lasciato. E Tom, non hai speranze con me, mi dispiace” Dissi scrollando le spalle e facendo l’occhiolino.
L’ultimo Si chiamava Simon, ero un tecnico durante il tour dei Muse, era un bravo ragazzo ma.. non mi faceva battere il cuore. Non come faceva lui.
Chiacchierammo un po’ del più e del meno, raccontandoci ciò che avevamo fatto negli ultimi due anni, dei loro progetti e delle città del nuovo tour. Quando chiesi perché l’ultima interprete si era licenziata, Tom e Georg si lanciarono un’occhiata colpa di sottointesi e mi rispose il secondo.
“Prima si è fatta me poi Tom e, siccome nessuno di noi due voleva una storia seria, si è licenziata poverina.” Disse ridendo. Scossi la testa divertita, poverina un corno! Meretrice più che altro.
Notai che durante i nostri discorsi Bill restava in silenzio e, se interveniva, lo faceva a monosillabi. Non capivo il suo comportamento. Mah.
Parlammo per un’ora poi loro uscirono per fare un servizio fotografico e io tornai al mio appartamento.

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Capitolo 23
*** 23. ***


Giunta a casa scrissi subito un messaggio a Stephanie e a Elena.
E’ andato tutto bene! È stato bellissimo riparlare coi ragazzi, come sono cambiati! Tom non sembra più un mocio xD e Bill.. beh è sempre più stupendo. E strano, abbiamo parlato per un’ora ma lui rispondeva a monosillabi e evitava il mio sguardo, boh! Alla prima occasione ci parlo, se trovo il coraggio..
La prima a rispondermi fu Steph.
Te l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene! E tu sei ancora cotta per Bill, non va bene, per niente!
Poi rispose Elena.
Ovvio i Tokio Hotel sono stupendamente stupendi! Sempre più fighi! Consiglio: aspetta che sia lui a parlarti e se non succede entro una settimana, fatti avanti tu! Ah, stamattina è stato qua Daniele, mi ha chiesto di parlarti e gli ho detto ch’eri partita. Penso ti chiamerà, boh.. mi è sembrato strano!
Daniele, che voleva? Dall’ultima volta che c’eravamo visti aveva continuato a mandarmi messaggi ignorati da me e a chiamarmi, non avevo mai risposto, perché era così insistente? Neanche il tempo di auto rispondere alle domande che ricevetti una chiamata da numero sconosciuto.
“Pronto?” Risposi in tedesco.
“Anna? Sono Daniele.” Ti pareva!
“Si Daniele, che vuoi?” Chiesi scocciata in italiano.
“Perché non rispondi ai messaggi? Perché sei partita senza dirmi niente eh?” era.. arrabbiato?!
“Non rispondo perché sinceramente non ho voglia di sentirti e perché avrei dovuto dirti qualcosa? Non sono mica la tua ragazza, non più, ricordi? Da quando ti sei comportato da stronzo! Non hai più alcun diritto su di me, ficcatelo in testa, capito!?” Ero infuriata.
“Oh.. invece si.” Disse chiudendo la chiamata.
Invece si? Che intendeva dire? Il suo tono.. mi faceva paura! Chissà dov’era finito il vecchio Daniele, risucchiato dalla playmate bionda magari? Aaaah..

Passai la settimana a casa preparando le cose per il tour, t-shirt, felpe, jeans.. ero troppo eccitata!
Non avevo più rivisto i ragazzi ma li avevo sentiti per telefono, anche loro erano molto entusiasti di partire, chi non lo sarebbe stato d'altronde?
Non raccontai a nessuno della chiamata di Daniele e, nonostante gli avessi detto di non farsi più sentire, mi chiamava almeno una volta al giorno, sempre senza che io rispondessi.

Arrivò così il giorno della partenza e mi presentai nella mia tenuta da tourbus: t-shirt e shorts, non volevo passare il viaggio sudando, preferisco stare al fresco. Salutai i ragazzi con un abbraccio e Bill con un cenno, avevo deciso che ci avrei parlato una volta arrivata a destinazione. Ossia arrivati a Berlino.
Passai la prima parte del viaggio ascoltando musica poi venne Tom a farmi compagnia.
“Ehi. Posso farti una domanda?” Annuì.
“Che è successo tra te e Bill due anni fa? Insomma, prima eravate tanto amici e adesso, adesso boh! Vi comportate in modo strano e freddo!”
“Chi ti dice che sia successo qualcosa?” Chiesi io sulla difensiva.
“Di sicuro è successo qualcosa la sera del concerto a Roma. Il giorno dopo lui era sulle nuvole, ha tenuto il broncio per due giorni e non ha voluto raccontarmi nulla! Io avrei un paio di teorie.”
Non vedendo reazioni da parte mia continuò col suo monologo. “Prima: lui ha tentato di baciarti e tu l’hai respinto; seconda: lui ti ha baciato, tu hai ricambiato e poi l’hai mandato in bianco; terza: mentre lo facevate l’hai chiamato col nome del tuo ex; quarta e ultima: hai fatto sesso con lui e gli hai detto che non ti è piaciuto” Disse tutto ciò con aria “saggia”, mi venne da ridere.
“Ti sbagli, nessuna di queste cose.” Mi guardò sospettoso e io continuai.
“Allora, mi ha baciato. Non l’ho respinto e decisamente non è andato in bianco.” Mi guardò sbalordito per un attimo e confuso.
“E allora che è successo?”
“La mattina dopo se n’è andato senza dire niente. Sai, e io credevo che fossi tu il gemello che seduce e abbandona!” Dissi cercando di sdrammatizzare.
“Beh, effettivamente non è da Bill, chissà che gli è preso poi!” Risposi con una scrollata di spalle.
Il resto del viaggio trascorse tranquillo. Anche il soggiorno a Berlino si concluse per il meglio anche se non ebbi occasione di parlare con Bill perché non lo trovavo mai solo. O forse mi evitava.

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Capitolo 24
*** 24. ***


Ecco il 24 capitolo ^^

Per Alice: mancano ancora una decina di capitoli :) quindi si, la fine è vicina muahah xD
Prima avevo sbagliato a pubblicare, sorry xD

Finì settembre e finì anche novembre. I primi due mesi di tournée con i Tokio Hotel si erano conclusi nei migliori dei modi. Il lavoro procedeva bene, ero andata anche in televisione e in radio con loro e, mentre loro facevano i concerti, io andavo in giro per la città. Visitai Barcellona e anche Madrid.
Il primo dicembre c’era tappa a Londra. I ragazzi erano andati a fare un servizio fotografico e io ne avevo approfittato per riposare finchè non arrivò David che mi chiese di accompagnare Bill per la città visto che non conosceva bene l’inglese. Gli altri erano ancora impegnati sul set, dovetti accettare. Era l’occasione buona per parlarci e chiarire. Uscimmo dall’hotel in silenzio e seguiti da Saki. Dieci minuti dopo un assoluto mutismo da parte sua e mia decisi a parlare.
“Bill, c’è qualcosa che non va?”
“No.” fu la sua secca risposta.
“Invece si! Insomma non mi parli più, che ho fatto?” Sbottai.
Mi guardò per qualche istante, con quello sguardo che scioglieva.
“Tu non hai fatto niente, è che.. non so come comportarmi dopo.. quella notte, ecco.”
“Senti, tu sei importante per me okay? Quindi, potremmo far finta che quella notte non sia successo niente e essere amici come prima?” Chiesi incerta.
“Per me va benissimo. E poi, devo scusarmi per come mi sono comportato. Sono sparito e non mi sono fatto più sentire, mi dispiace.”
“Perdonato.” Gli risposi sorridendo. Rispose al sorriso.
Sarebbe stato difficile essere sua amica, quando lo vedovo la prima cosa che pensavo era che volevo saltargli addosso e riassaporare le sue labbra.. si, decisamente difficile.
Dopo il chiarimento, il pomeriggio trascorse nei migliori dei modi, mi era decisamente mancato. Il suo sorriso, i suoi occhi e la sua risata cristallina.. ah l’amour!
Le tappe in Inghilterra andarono benissimo, sold out naturalmente.
Successivamente andammo in Francia, gli ultimi cinque concerti prima delle due settimane di pausa per le vacanze natalizie. Tutto andava bene, finalmente ero serena. Poi, ovviamente, arrivò qualcuno a rovinare il momento. Quel qualcuno si chiamava Jennifer, la nuova truccatrice di origine spagnola. Era bellissima, per quanto mi dispiacesse ammetterlo. Capelli biondo platino – con ricrescita castano sotto -, occhi verdi, molto magra e parecchio formosa, forme che non si vergognava a mostrare indossando mini magliette e pantaloni super attillati. Quando i ragazzi la videro, avevano quasi la bava alla bocca; l’unico che si salvava era Gustav.
Purtroppo era anche abbastanza simpatica, nonostante fosse terribilmente oca e aveva qualcosa che non mi convinceva, ed era riuscita ad abbagliare Bill.. il mio Bill. Cioè, il suo a quanto pareva. Da quando l’aveva conosciuta ormai stava sempre con lei e io servivo solo per tradurre durante le loro uscite di coppia, mi sentivo decisamente la terza in comodo.
Come se tutto ciò non bastasse, Daniele continuava a chiamarmi, non voleva rassegnarsi!
Fortuna anche le tappe in Francia erano concluse, accompagnare la coppietta in giro per Parigi mi faceva stare male, parecchio male! Sembrava che Jennifer si fosse accorta di ciò perché ogni volta che mi vedeva faceva un sorrisetto strafottente, cancellando così ogni cosa buona che pensavo di lei, ora mi stava decisamente antipatica.
Per le vacanze natalizie i ragazzi sarebbero tornati a casa loro mentre io sarei andata a trovare mia sorella in Italia. Avevo proprio bisogno di lei.

Arrivai all’aereoporto di Venezia il venti dicembre e trovai mia sorella e Manuel ad accogliermi. Fui investita da un suo super mega abbraccio, l’ultima volta che l’avevo vista era agosto, cinque mesi prima. Avevamo tante cose da raccontarci, la sentivo poco al telefono essendo sempre in viaggio e con il fuso orario che incombeva su di noi.
Appena Manuel ci lasciò sole, l’aggiornai su come andavano le cose in tour e sulle novità.
“Bill sta uscendo con la nuova truccatrice tutta curve spagnola, Jennifer. E mi tocca accompagnarli in giro per le loro uscite romantiche, ti rendi conto? Ci sto davvero una merda perché lei mi sorride malignamente, probabilmente s’è accorta di quanto mi piaccia. Poi ha qualcosa che non mi piace, sai, le mie solite sensazioni” Dissi ridacchiando.
“Ah sorellina, ti devi sempre innamorare delle persone sbagliate eh? Comunque, sono convinta che un giorno o l’altro Bill s’accorgerà di quanto sei speciale e lascerà quell’ochetta!” Disse convinta e le sorrisi grata.
“Piuttosto dimmi tu, come va con Manuel?”
Lei aveva trovato l’amore, bastava guardare il modo in cui si osservavano: gli brillavano gli occhi e i loro sguardi erano di adorazione pura. Erano in sintonia e stavano insieme da due anni ormai, la coppia perfetta si.
La sua vita sentimentale era perfetta.
La mia vita sentimentale era un disastro.

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Capitolo 25
*** 25. ***


Ciao! Scusate se posto poco ma davvero.. la scuola è tremenda!
Volevo ringraziare le dieci ragazze che hanno messo la storia tra le preferite e tutte quelle che la seguono Red heart
Anna.

 

La prima settimana di vacanza trascorse bene e tranquillamente. Ero riuscita a riallacciare il disastroso rapporto con mia madre e sentivo i ragazzi tutti i giorni, tranne Bill. Io gli avevo scritto ma lui non s’era degnato di rispondere, sarà stato occupato con Jennifer..  l’odiosa.
La vigilia di Natale ero a casa da sola, Elena era andata a fare compere e mia madre era a lavoro per sistemare le ultime cose. Ricevetti un messaggio da Daniele.
Sei a casa da sola? Vuoi un po’ di compagnia?” Non feci in tempo a rispondere che era entrato dalla porta, probabilmente Elena l’aveva lasciata aperta come al solito.
“Daniele, che fai qui? Vattene!” Gli urlai contro agitatissima.
“Ti faccio compagnia, come ai vecchi tempi ricordi?” Era ubriaco. Molto ubriaco.
Feci per prendere il telefono ma m’aveva preso per il polso stringendomelo e girandolo. Urlai di dolore finchè non decise a mollare la presa e cercò di baciarmi, premeva con violenza le labbra sulle mie. Le stesse labbra che tre anni prima amavo, che costituivano la mia dipendenza. Gli morsi un labbro facendo uscire del sangue costringendolo così a interrompere il contatto. Mi prese alla sprovvista e mi colpì con un pugno al labbro. Per fortuna sentì un rumore arrivare dal vialetto: mia sorella era tornata.
“Non dirlo a nessuno, ti conviene” Mi disse minaccioso Daniele prima di scappare dal retro.
Corsi in cucina, presi del ghiaccio e mi rinchiusi in camera mia. Avevo un piccolo taglio sul labbro, una caduta, si inciampata sul tappeto e sbattuto il labbro contro il tavolino. Ero abbastanza imbranata, come scusa poteva andare. Sul polso avevo il segno delle sue dita, un segno violaceo. Bastava una maglietta a maniche lunghe e nessuno si sarebbe accorto di nulla. Io sapevo che c’era però.
Il giorno di Natale io e il resto della famiglia eravamo stati invitati dai genitori di Manuel per pranzare con loro. Io e mia sorella avevamo cominciato a prepararci verso le dieci, lei dopo mezz’ora era già pronta mentre io mi aggiravo per casa in mutande e reggiseno alla ricerca dell’ispirazione per i vestiti.
Nel frattempo Elena era in camera mia che armeggiava col computer. Mi ero dimenticata d’aver promesso ai ragazzi che ci saremmo visti in video chat per farci gli auguri. Quando mandarono la richiesta c’era Ele al computer che accettò. Sentì un urlo provenire dalla mia stanza e, ancora in intimo, salì spaventate per capire che era successo. Trovai mia sorella con gli occhi luccicanti davanti al computer mentre i Tokio Hotel se la ridevano.
“Annaaaaa!!”  Dissero in coro.
In quel momento mi accorsi d’esser in intimo davanti a una band di quattro ragazzi. Diventai rossa come un peperone e mi buttai a terra per nascondermi.
“Che cazzo Elena! Stronza mi hai fatto correre qui in intimo, mi ero spaventata!” Borbottai.
“Ragazzi è diventata tutta rossa, cara! Puoi venire fuori dal sotto al letto eh, tanto ormai ti hanno vista!”
“Davvero un fisico niente male piccola!” Disse Tom e sentì Gustav e Georg acconsentire.
“Sono contenta vi siate goduti lo spettacolo, sappiate che non ci saranno repliche per nessuno!” Dissi sostenuta. Sentì Bill tossire, lo aveva fatto apposta? Tanto lui aveva la bionda. Tinta.
“Io vado a cambiarmi va, Elena metto il tuo vestito azzurro!”
Detto questo sparì per dieci minuti e quando tornai ero apposto: indossavo un vestito celeste chiaro, lungo fino al ginocchio, un copri spalle nero per coprire il livido e scarpe col tacco. Avevo fatto i boccoli ai capelli e messo ombretto azzurro e eye liner nero.  Tutto questo in tempo record.
Elena indossava un vestitino rosso e scarpe col tacco nero.
Quando tornai in camera vestita fui accolta da Tom.
“Ti preferivo prima, ma anche adesso non sei male” Disse ridendo.
La mia risposta fu un sonoro “fanculo!”
Passammo un’ora a chiacchierare per chat e poi andammo a pranzare fuori.
Tornai a casa verso le quattro di pomeriggio: mamma era andata in ufficio, Elena fuori con Manuel.
E io ero sola. Che deprimente.
Ne approfittai per andare un po’ su internet e cercare qualche news sui Tokio Hotel, qualche scoop che loro mi avevano tenuto nascosto. E sapevo che qualcosa c’era. Infatti.
Una bella foto di Bill e Jennifer che si baciavano mano nella mano e sotto l’annuncio del cantante: “Stiamo insieme da due settimane”.
Un colpo al cuore.

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Capitolo 26
*** 26. ***


Ecco l'undiesimo capitolo

Stampai l’articolo e lo posai sopra il tavolo. Mi piazzai davanti alla televisione con la vaschetta nuova di cioccolato in mano.
Mia sorella arrivò a casa alle nove e mi trovò nella stessa identica posizione, l’unica differenza stava nel fatto che la vaschetta era quasi vuota.
“Che è successo?” Mi chiese allarmata. Non le risposi e indicai il foglio di giornale. Guardò l’immagine e poi mi abbracciò di scatto.
“Bill è scemo. Ha te e sta con quella, davvero. È scemo.”
Non riuscì a rispondere perché scoppiai a piangere.
Ma era possibile, una ragazza di vent’anni che piange per una cosa del genere? Ma io stavo davvero male, soffrivo a vederlo con quella. Se fosse stata quella giusta probabilmente me ne sarei fatta una ragione, ma Jennifer non era quella giusta, ne ero convinta.
Mi addormentai così, fra le braccia di mia sorella e sul divano. Con gli occhi rossi e la faccia sporca di cioccolato. Uno spettacolo raccapricciante.
La mattina dopo mi svegliai alle dieci, ero sola in casa.
Sono andata in ufficio. Bigliettino da mamma.
Sono uscita con Manuel. Ti ho nascosto il gelato, non lo troverai. Inutile cercarlo. Elena.
Perfetto, avrei dovuto passare il giorno dopo Natale da sola. Evviva!
Avevo progettato la giornata così: mattina davanti alla televisione, fast and food per pranzo, corsetta di un’ora nel pomeriggio e poi di nuovo divano. I miei piani si infransero quando suonò la porta. Andai ad aprire e, dopo aver visto chi c’era, non fui abbastanza veloce per chiudere la porta perché la persona entrò e mi spinse addosso al muro.
Daniele.
Ancora lui.
Ancora ubriaco.
Cominciò a baciarmi con forza e mi tolse i vestiti. Provai a divincolarmi dalla sua stretta, era troppo forte! In compenso mi beccai un suo pugno sull’occhio. Il resto.. potete immaginare cosa successe dopo.
Se ne andò due ore dopo, lasciandomi distesa sul divano.
Non avevo la forza per alzarmi. Faceva male, tutto. Dentro e fuori.
Lui era stato il mio migliore amico e il mio primo amore. Come aveva potuto farmi questo?
Restai immersa nei miei pensieri per un’ora poi mi alzai per andare in bagno e guardarmi allo specchio.
Uno spettacolo raccapricciante.
La maglietta del mio pigiama era strappata, il taglio sul labbro s’era riaperto e cominciava a vedersi il viola attorno all’occhio. Non potevo farmi vedere così da mia sorella così prima che tornasse mi feci un lungo bagno e coprì le ferite con fondotinta.
La sera non mangiai nulla e andai a letto presto, con la scusa di dover fare le valigie perché mi avevano anticipato il volo. Avrei passato il capodanno in Germania, a festeggiare insieme ai Tokio Hotel. La voglia di festeggiare era sotto terra ma almeno allontanandomi non avrei rivisto Daniele. Prima che mi addormentassi venne mia sorella in camera.
“Anna che succede? Sei strana dal tutto il giorno!”
“Elena.. niente, non ti devi preoccupare.” Mentì.
“Mi preoccupo invece! Perché non mi parli?”
“Perché non c’è niente da dire.” Le risposi fredda. Non volevo trattarla così male, non se lo meritava davvero. Se le avessi raccontato qualcosa Daniele avrebbe potuto farle del male e non potevo far si che succedesse.
“Quando la smetterai di comportarti da stupida, io ci sono.” Disse e se ne andò.
Inutile dire che mi addormentai piangendo.

 

Quando la mattina mi sveglia, ciò che vidi fu uno spettacolo alquanto raccapricciante.
Avevo gli occhi rossi e gonfi, segno di un lungo pianto.
Occhiaie marcate, segno della notte passata insonne.
Occhio nero e gonfio, segno del pugno di Daniele.
Armata di fondotinta e cosmetici impiegai un’ora per rendere la mia faccia guardabile. Il nero dell’occhio non  si vedeva quasi più fortunatamente. Non avevo pazienza per scegliere i vestiti quindi indossai la prima tuta che mi venne in mano e un paio di occhiali da sole per coprire il viso. Avevo l’aereo alle sette per questo quando scesi mia madre e Elena erano ancora a letto. Andai in camera di mia sorella e le lasciai un bigliettino “Scusami per ieri. E’ un periodo così.  Ti spiegherò..” Pessimo, ma come scusa poteva andare.

Trascorsi i giorni prima della festa in casa, a fare lunghi bagni rilassanti e usando i cosmetici più costosi per far sparire i segni della violenza. Uscì solo il pomeriggio del trentuno per andare dall’estetista e dalla parrucchiera. Tornata a casa i miei capelli erano raccolti in un elegante chignon con morbidi boccoli che scendevano sul mio viso. Avevo deciso di vestirmi sexy, volevo sentirmi bene per iniziare l’anno meglio rispetto a come stava finendo. Indossai un vestito corto, bianco e nero. Sotto misi dei leggins neri di pelle lucida e scarpe col tacco in tinta col resto. Dovetti prendere anche un cardigan grigio perché non volevo mi venissero poste domande riguardo al lividi. Per il trucco scelsi dell’ombretto bianco, eye-liner nero, mascara e matita nera. Ero perfetta. Avrei potuto far concorrenza alle modelle famose e ero anche meglio di Jennifer perché, nonostante fossi seducente, non ero volgare come lo era lei. Sexy ma con stile.
Prima di andare alla festa chiamai Elena.
“Ciao.” Rispose fredda lei. No, non mi aveva scusato.
“Scusa. Io, mi sono comportata di merda l’altro giorno. Sto passando un periodo schifoso, davvero. Oltre a Bill e Jennifer adesso c’è anche Daniele. Mi tormenta, continua a chiamarmi e a inviarmi messaggi, io non ce la faccio più, sono crollata. Ora sto meglio, e sono davvero dispiaciuta per il mio atteggiamento nei tuoi confronti. Sono stata una stronza” Dissi tutto d’un fiato.
“Perché non ti sei confidata con me?” Stava per mettersi a piangere, e con lei anche io.
“Aspetta non voglio piangere. Non piangere. Mi sto preparando da tre ore e non posso permettere che mi si sciolga il trucco. Comunque non ti ho detto di Daniele per non farti preoccupare, tutto qui.”
Sospirò. “Va bene. Ti perdono. Ora devo andare. Ti voglio bene, divertiti!”
Per fortuna avevo fatto pace con lei, qualche tassello del puzzle stava tornando a posto.

La festa iniziava alle undici e si teneva in una villa di Amburgo affittata da David Jost per l’occasione.  
Tra gli invitati c’erano molti vip e anche membri dello staff. Tutti erano agghindati a festa con i loro vestiti migliori. Appena entrata attirai l’attenzione di parecchi ragazzi che mi guardarono maliziosamente. Arrossì, come al solito. Il primo che venne a salutarmi era Gustav: indossava una t-shirt e dei jeans neri. Poi venne Georg, lui invece aveva una camicia leggermente sbottonata – che lasciava intravedere il suo fisico niente male – e poi Tom. Lui non aveva rinunciato ai vestiti extra large solitamente che al posto della solita maglietta indossava anche lui una camicia.
“Uh Tom, stai bene con la camicia. Dovresti indossarla più spesso” Dissi mentre lo abbracciavo. Lui mi squadrò e poi mi disse:
“Tu invece sei troppo sexy stasera sai? Qualche spasimante in vista? O volevi conquistarmi? In questo caso ci sei riuscita!” Disse ammiccando.
“Mi dispiace, nessun spasimante e no, non volevo sedurti, mi dispiace! Beh dovrai trovarti qualche altra troietta con cui trascorrere la serata!”  Risposi sorridendo.
“Naaah, a capodanno festeggio con gli amici! Niente donne, solo per stasera, domani si ricomincia!”
“E Bill dov’è?” Domandai curiosa.
“Viene con Jennifer.” Disse storcendo il naso.
“Perché quella faccia? Non ti piace?”
“Pff, ha troppo poco cervello per stare con mio fratello. Quella va bene per una botta e via ma non per una relazione seria.” Aggiunse serio. “Cento volte meglio tu!” Disse sorridendomi. 
Cinque minuti dopo fecero il loro ingresso Bill e Jennifer. Lui era semplicemente perfetto, non si poteva descriverlo con altri termini. Lei era.. beh. Indossava un vestito aderente azzurro e scarpe del medesimo colore. Non aveva né calze ne leggins, non aveva freddo? Mah.
Ballai fino alle undici, poi andai in bagno. Mi chiusi dentro alla toilette per inviare un messaggio a Elena e sentì Jennifer che parlava al telefono.
“Sorellina, vedessi a che festa mi ha portata! È piena di vip!” Disse in spagnolo.
“Si lui è molto carino, ma pff, non è niente di serio. Cioè, mi serve per farmi pubblicità sai. Hai presente Julia, la mia amica fotografa? Ecco, quando usciamo le riferisco dove andiamo così lei viene a farci fotografie per venderle ai giornali. Si sono diabolica lo so! Beh ora vado, altrimenti il mio amore si sente solo!”
Stronza.  Aspettai che uscisse per evitare di farle capire che avevo sentito tutto.
Lo sapevo che c’era qualcosa che non andava in lei.

            

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Capitolo 27
*** 27. ***


Dopo esser uscita dal bagno mi diressi nella terrazza della villa, non c’era nessuno per fortuna. Tutti erano dentro a ballare. Erano le undici e mezza e il mio telefono squillò, numero privato.
“Pronto?”
“Ehi Anna! Amoreee!” Daniele, ubriaco tanto per cambiare.
“Che vuoi?” Dissi brusca.
“Oh piccola perché sei così cattivaaa? Non ti sei divertita l’ultima volta che ci siamo visti? Sei fuggita in Germania e non mi hai detto nulla, perché?”
“Lasciami in pace! Non voglio avere niente a che fare con te!” Ero sull’orlo di una crisi di pianto.
“Oh, non piangere Annina!”
“Smettila o la prossima volta che mi chiami informo la polizia!” Gli urlai contro.
“Non ti conviene piccola. Ricordati che so dove vive tua sorella, tua madre, il ragazzo di tua sorella e anche tuo padre! Non vuoi che si facciano male vero?”
Chiusi la chiamata, non volevo sentire più niente. Mi accasciai sull’angolo della terrazza con la testa fra le gambe. Non mi accorsi che Tom s’era avvicinato.
“Anna, tutto bene?” Mi domandò allarmato.
“Ehm, si tutto okay!”  Risposi.
“So che credi che io sia stupido, ma non fino a questo punto! Con chi litigavi al telefono?”
“Hai ascoltato?”
“Ho capito solo che eri arrabbiato dal tono. Hai parlato in italiano!” Rispose con un alzata di spalla.
“Con Daniele, il mio ex.” Risposi in un singhiozzo.
“Dai, adesso ti alzi e mi racconti.” Mi prese per il polso e mi tirò su, non riuscì a trattenere un gemito di dolore, aveva toccato il livido fatto dal mio ex.
“Che hai qui?” Disse tirando su la manica.
“N-niente, non è niente, davvero!” Cercai di coprirmi.
“Si e io sono Babbo Natale! Adesso mi racconti, punto!” Disse serio.
“E’ stato Daniele. Quando sono tornata in Italia. Lui mi ha pic-pic-picchiata e..” Non riuscì a finire la frase che scoppiai a piangere. Quando mi calmai riuscì a completare la frase. “violentata” dissi tutto d’un fiato.
Prima mi guardò preoccupato poi mi abbracciò di slancio.
“Ssh, calmati. Dovresti denunciarlo.” Cercò di consolarmi.
“Non posso, ha minacciato la mia famiglia! Ci penserò poi, quando tornerò in Italia.” Dissi tra i singhiozzi.
“Promettimi che, quando tornerai in Italia, se si dovesse fare vivo, lo denuncerai, okay?” Annuì.
“Scusa ti sto rovinando la serata, non volevo.” Dissi con gli occhi bassi.
“Non ti preoccupare, è bello sentirsi utili ogni tanto. È meglio se rientro altrimenti Bill viene a cercarmi lasciando la povera Jennifer sola”
“Okay e grazie ancora” Dissi lasciandogli un bacio sulla guancia.
Proprio in quel momento arrivò Bill sulla terrazza che chiamava il fratello.
“Scusate, non volevo interrompervi.” Disse freddo.
Guardai confusa Tom e lui rispose sbuffando. Stavo per parlargli per spiegare la situazione quando spuntò fuori la cozza e si avvinghiò a Bill. Sentì Kaulitz fare un verso schifato mentre si baciavano e scoppiai a ridere come una scema, guadagnandomi le occhiate stranite degli altri.

Il mio capodanno finì così, dopo questa scena restai sul terrazzo ancora per dieci minuti, il tempo di vedere i fuochi e poi tornai nel mio appartamento.


La mattina dopo mi sveglia a mezzogiorno e la prima cosa che feci fu chiamare Elena per raccontarle la serata.
“Ehi sorella bellissima, divertita ieri sera?” Disse lei.
“Uffa, insomma.. Diciamo che è stato un totale disastro.” Sospirai.
“Racconta” Disse categorica.
“Allora, poco dopo che sono arrivata sono andata al bagno e li ho sentito Jennifer, la ragazza di Bill, parlare al telefono con un’amica. In poche parole le ha detto che usa Bill per diventare famosa. Secondo te glielo devo dire? Poi, sono andata in terrazzo e sono scoppiata a piangere come una scema, a quel punto è arrivato Tom e mi ha abbracciato, io per ringraziarlo gli ho dato un bacio sulla guancia e in quel momento indovina chi è arrivato? Il gemello. Si è scusato freddamente per averci interrotto, ti rendi conto?”
“Che casino. Allora, per quanto riguarda la prima domanda, secondo me glielo devi dire. Poi se vuole crederti o no saranno affari suoi ma è giusto che qualcuno lo avverta. Per la seconda cosa non so che dire, è un ragazzo strano” 
“Okay, beh raccontami della tua serata.”
Passò l’ora successiva a raccontarmi tutti i dettagli della festa, di come s’era divertita, di come aveva ballato e blablabla.. almeno era riuscita a distrarmi per un po’.
Passai il pomeriggio e la giornata successiva a crogiolarmi nel dolore e nella disperazione.
Il tre gennaio tornai a lavorare.
Tre date in Germania e poi si partiva alla volta dell’Olanda. Bill mi evitava così chiesi spiegazioni a Tom.
“Kaulitz ma che ha Bill?”
“Boh, non lo so! Hai visto come ci evita? Secondo me è geloso!” Disse saccente.
“Geloso?” Chiesi scettica.
“E’ l’unica spiegazione. Secondo me a lui piaci, peccato che stia con quella scema.” Sbuffò.
L’occasione per parlare con Bill si presentò non appena atterrati in Olanda: Jennifer andò a fare shopping mentre i ragazzi scesero al bar, il cantante restò in camera. Così bussai.
“Ehm, sono Anna.”  Dissi incerta.
“Che vuoi?” Chiese secco.
“Posso entrare? Non mi piace parlare con la porta, non è piacevole.” Spiegai calma.
“Entra.”
“Ti ho fatto qualcosa? Insomma, è da capodanno che mi eviti!” Gli dissi.
“Non mi hai fatto niente. Sono solo sorpreso: Tu e Tom eh?” Disse sarcastico.
“Senti, non mi devo giustificare con te giusto? Comunque sono qui per parlarti di Jennifer, l’ho sentita a capodanno mentre parlava con una sua amica spagnola. Volevo solo avvertirti di stare attenta a lei, per quello che ho capito sta con te per farsi pubblicità. Ha una conoscente che vi fotografa quando uscite. Tutto qui.” Dissi tranquilla, mi squadrò per qualche istante e poi mi parlò.
“Aveva ragione Jennifer, sei gelosa! Non credevo saresti arrivata a inventare una balla del genere Anna! Mi hai deluso, davvero!” Disse ciò guardandomi negli occhi con cattiveria, quegli occhi che tanto amavo.
Non riuscì a dire niente, uscì di corsa dalla sua stanza con le lacrime agli occhi e per poco non andai a sbattere contro Tom. Lo sorpassai e mi fiondai sul mio letto stringendo il cuscino.
Quelle parole, pronunciate con quella rabbia.. Mi hai delusa.. Faceva male.
Due minuti dopo qualcuno bussò alla mia porta, non avevo bisogno di chiede chi era, sapevo ch’era Tom. Entrò senza aspettare una risposta e si sedette vicino a me.
“Che ha fatto quello stupido del mio gemello stavolta?” Chiese calmo.
Aspettai un istante prima di rispondere, il tempo per calmarmi.
“Alla festa ho sentito Jennifer che parlava con un’amica. A quanto pare sta con lui solo per farsi pubblicità. Io l’ho riferito a Bill, mi ha accusato di essere una bugiarda gelosa e poi infine ha aggiunto che l’ho deluso. Io non so più come comportarmi con lui, davvero. È troppo complicato.”
“Avevo immaginato una cosa del genere riguardo a Jennifer, mi hai dato solo la conferma. Ora basta che lo capisca anche lui. Nel frattempo evitalo, col tempo capirà chi è che veramente tiene a lui.”
“Grazie. Non sapevo fossi così saggio e profondo Kaulitz” Dissi ridendo.
“Non dirlo a nessuno che mi rovini la reputazione eh!” Scoppiammo a ridere.
Detto questo uscì dalla stanza, nel momento in cui aprì la porta Bill vide Tom che usciva dalla mia stanza e mi guardò scuotendo la testa.
No, non lo capivo.

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Capitolo 28
*** 28. ***


Da quella litigata trascorse un mese, arrivammo così a Febbraio.
Non fu un mese facile, il clima era alquanto teso. Bill mi ignorava completamente e, quando capitava di incrociare il suo sguardo, vi leggevo solo delusione e indifferenza. Ecco, quegli sguardi ferivano più di mille parole.  Almeno il rapporto fra i gemelli era migliorato, i primi giorni non si parlavano neppure! Anche Gustav e Georg s’erano accorsi che qualcosa non andava ma, quando mi chiedeva se sapessi qualcosa, rispondevo sempre nello stesso modo: alzando le spalle.
Anche le cose con Daniele peggiorarono: aveva cominciato a chiamarmi più spesso e a inviarmi messaggi, puntualmente non rispondevo.
Il primo febbraio i Tokio Hotel avevano un concerto a Barcellona. Mi svegliai  con una strana sensazione addosso, un presagio. Un brutto presagio. Trascorsi la mattina lavorando, prima ad una trasmissione televisiva poi in radio. Mentre ero a pranzo ricevetti una chiamata da mia madre. Cosa stranissima, lei non chiamava mai.
“Devi tornare a casa.” Mi disse appena risposi.
“Che succede mamma?” Mi stavo agitando.
“Elena, ha fatto un incidente. Prendi il primo volo, ti prego. Stanza 25, l’ospedale di Venezia, poco lontano dall’aeroporto.”  Aveva la voce che tremava.
“Prendo il primo volo.” Misi giù e andai a parlare con David. Gli spiegai la situazione e mi lasciò andare. Scrissi velocemente un messaggio a Tom: “Sto tornando in Italia, mia sorella è in ospedale.” Semplice e essenziale. Ero troppo agitata per pensare. Presi il volo delle due e un paio d’ore dopo ero già a casa.
Andai subito in ospedale, mamma era in sala d’attesa e con lei c’era anche papà.
“Che è successo?” Chiesi trattenendo le lacrime. “Come sta?”
“E’ stata investita da un ubriaco. Gli ho già fatto causa. Si è rotta un braccio e il femore, ha sbattuto la testa per terra, è in coma ora” Mi spiegò con calma. Si vedeva che era agitata.
“Posso entrare?” I miei genitori annuirono.
Mia sorella era distesa sul letto bianco, sembrava dormisse. Le avevano già ingessato la gamba e il braccio. Aveva un collare. L’espressione del viso era calma. Vederla così, mi sentì morire. Mi sedetti sulla sedia di fianco a lei e le presi la mano stringendola.
“Tu devi svegliarti, hai capito? Non hai scelta, ti costringo! Non puoi lasciarmi sola, lo sai vero? Se non ti svegli, una parte di me s’addormenterà con te. Tu sei il mio punto fermo, la mia Luna!”
Fui costretta a smettere di parlare, troppe lacrime e singhiozzi. In quel momento entrò Manuel. Era sconvolto, andai da lui e lo abbracciai.
“Vi lascio soli.” Dissi semplicemente uscendo.
Fuori trovai una brutta sorpresa. Daniele. Guardò male prima me, poi Manuel.
Lo sorpassai e andai a sedermi vicino a mia madre. I miei genitori lasciarono l’ospedale alle otto di sera. Io restai li seduta. Alle nove mi chiamò Tom.
“Anna come stai?” Mi chiesero il chitarrista, bassista e batterista.
“Meglio di mia sorella sicuramente. È in coma. Io.. ho paura” Dissi trattenendo i singhiozzi.
“Fra due giorni abbiamo la tappa a Venezia. Ti raggiungiamo il prima possibile. Puoi contare su di noi.” Mi disse Gustav con voce rassicurante.
“Grazie per tutto ragazzi. Ora devo chiudere, c’è un infermiera incazzata che viene verso di me. Non potrei usare il cellulare. Che palle. Vi voglio bene!” Dissi velocemente prima di chiudere la chiamata.
Alle dieci entrai in camera, Manuel teneva la mano a  Elena. Mi venne da sorridere.
“Manu, va a casa a riposarti. Sto io con lei stanotte.” Gli dissi rassicurante. Non disse niente, annuì e uscì dalla stanza. Presi il suo posto. Le strinsi la mano e cominciai a canticchiare per lei.
“Stasera canterò in esclusiva per te i Tokio Hotel, tanto per cambiare no?”
Passai tutta la notte così. Cantandole canzoni della band.
Alle dieci di mattina arrivò Manuel a sostituirmi. Non aveva una bella cera, non aveva dormito. Come me.
Uscì dall’ospedale e andai a casa a piedi, avevo bisogno d’aria. Arrivata in camera mia mi cambiai, presi dei sonniferi e mi distesi a letto.   
Mi sveglia alle nove di sera, con un mal di testa incredibile. Uscì subito di casa per andare in ospedale. Arrivata, nulla era cambiato. Le condizioni di mia sorella erano le stesse. Manuel era appena andato a casa lasciandomi con lei.
“Adesso i Tokio Hotel stanno suonando a Venezia. Ti avevo comprato i biglietti sai? Beh, ti conviene svegliarti perché mi hanno detto che se fanno in tempo ci vengono a trovare. E tu non vuoi vedere i tuoi idoli con addosso un brutto camice vero? Non che io sia meglio effettivamente. Dovresti vedere i miei capelli, sembro uno spaventapasseri.” Le parlai di queste cazzate per un po’. A mezzanotte Tom mi chiamò.
“Ehi, abbiamo finito il concerto. Tutto bene li?”
“Si e no. Nessun peggioramento ma nessuna novità.” Dissi triste.
“Senti, in che camera è tua sorella?” Chiese lui.
“camera 25, perché?”
“Veniamo li.” Disse semplicemente.
“No, avete appena finito il concerto, ne avete uno fra due giorni, dovete risposarvi! Non potete farvi vedere in giro poi! Non dovete disturbarvi così!” Lo ammonì.
“Anna non tirarla lunga, David ci ha dato il permesso. Abbiamo fatto partire un’altra macchina quindi tutti credono che siamo all’hotel. Inoltre siamo travestiti bene, non ci riconosceranno! E nessun disturbo credici. Poi siamo già arrivati.” Chiuse la chiamata.
Due minuti dopo nella stanza d’ospedale c’erano i Tokio Hotel al completo. 


“Anna, hai un aspetto orribile, sul serio!” Fu la prima cosa che mi disse Tom.
“Fanculo.” Fu la mia educata risposta.
“Sempre educatissima noto!” Disse Georg facendomi sorridere.
“Sapete, forse è un bene che non sia ancora sveglia. Altrimenti farebbe un infarto” Dissi ridacchiando.
“Che fai di solito qui?” Chiese Gustav.
“Le parlo oppure le canto qualche canzone.” Risposi semplicemente.
“Canta qualcosa!” Mi supplicò Tom.
“No.” Fu la mia risposta secca.
“Daiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!”  Mi guardò con la faccia da cerbiatto, la stessa di Bill.
“Sono stonata!” Inventai una scusa.
“Tanto lo sai che non cedo, quindi o canti ora o tra cinque minuti, tanto vale togliersi il pensiero no?”
“Fanculo. Di nuovo.” Detto questo cominciai a canticchiare By your side. Finita la canzone notai che mi fissavano tutti in silenzio.
“Okay, vi avevo detto che ero stonata! Uffa, vi avevo avvertito, non fate quelle facce!” Dissi stizzita.
“Sei molto brava invece.” Mi rassicurò Bill, era la prima volta che parlava. Lo guardai per un istante, stavolta il suo sguardo era sincero, niente delusione o indifferenza il vista, per il momento.
Biascicai un grazie imbarazzata.
“Vuoi che canti io qualcosa?” Mi chiese gentile.
“Io, c’è.. insomma,  se non ti da fastidio. Mi farebbe veramente piacere.” Dissi impacciata. Quando parlavo con lui sembravo un adolescente alle prese con la prima cotta.
“Qual è la canzone preferita di Elena?”
“In your shadow.” Detto ciò cominciò a canticchiare piano. Mi vennero le lacrime agli occhi e fui costretta ad uscire. Fui raggiunta da Tom che mi abbracciò.
“Tua sorella è una ragazza molto forte, supererà anche questo.” Lo disse con un tono talmente rassicurante e sicuro che era impossibile dubitarne. Mi staccai dall’abbraccio e lo guardai riconoscente, tornai in camera e lanciai un’occhiata al corridoio, in tempo per accorgermi che Daniele aveva assistito a tutta la scena. Fantastico, un altro problema.
Rientrata mi scusai per essermene andata così e tornai a stringere la mano di mia sorella.
Cominciai a canticchiare 1000 Oceans e Bill si unì a me. Le nostre voci erano belle insieme. Gli sorrisi riconoscente. Finita la canzone sentì una pressione sulla mano.
Elena. Stava stringendo la mia mano.
“Elena!” Dissi singhiozzando. Lentamente aprì gli occhi e l’abbracciai di impulso.
“Anna” Disse stanca. Poi guardò i ragazzi nella stanza, impallidì e tornò a guardare me.
“Sono morta o sono pazza? No perché ho le allucinazioni, insomma, loro in camera mia?”
Scoppiammo tutti a ridere, compresa Elena.
“Se Elena non va al concerto, il concerto va da Elena!” Dissi io.
“Grazie ragazzi. Di nuovo. Ora è meglio che torniate a casa, non voglio essere la responsabile quando vi tireranno i pomodori dietro per la vostra pessima esibizione.”
Tom rispose facendomi il dito gli altri mi augurarono la buonanotte e uscirono.
“Mi hai fatto spaventare da morire Elena, non farmi più una cosa così!” Dissi abbracciandola.
“Chiamo Manuel e i nostri genitori.” Le sorrisi.
“Poi torna a casa, va a riposarti. Non ti voglio vedere qui un minuto di più okay?” Mi disse sorridendo.
Annuì, feci le chiamate e tornai a casa.  Presi la solita dose di sonniferi che contribuì a farmi dormire fino a mezzogiorno seguente. Accesi il cellulare e trovai una chiamata persa e due messaggi. Daniele mi aveva chiamata.
Tutto okay?” Tom.
Non venire in ospedale oggi! È un ordine! I tuoi capelli fanno schifo, datti una sistemata sorella! Non voglio essere scambiata per la-sorella-della-barbona eh XD
Sempre la solita e dolce Elena. Però in fondo aveva ragione.
Tutto bene finalmente! Risposi a Tom.
Andai a farmi un lungo bagno, mi lavai i capelli facendoli tornare alla normalità. Misi il pigiama e chiamai il fattorino delle pizze.
Quando suonarono il campanello andai ad aprire credendo di trovare la mia cena, non fu così. C’era Daniele, sembrava fatto. Ormai era troppo tardi per chiudere la porta: era già entrato.
“Chi cazzo era quello che ti abbracciava eh?” Dissi cattivo.
“Non sono affari tuoi lo vuoi capire o no?” Risposi stanca,
“Tu sei affar mio, punto!” Disse lui risoluto.
Mi prese e mi sbatté sul divano. Stesso copione dell’altra volta. Perché non arrivava il fattorino? Quando finalmente suonarono alla porta Daniele mollò la prese e allora riuscì a divincolare per correre alla porta, lui fu più veloce, mi prese e mi buttò a terra. Nella caduta misi male il braccio a terra e, probabilmente, me lo ruppi. Mi tappò la mano con la bocca e mi schiaffeggiò. Presi tutte le forze che avevo, gli tirai un calcio e corsi in camera mia chiudendo la porta a chiave. La serratura non era un gran che, un calcio e si sarebbe aperta.
Avevo lasciato il telefono giù. Dovevo colpirlo. Indecisa su cosa prendere, optai per la cosa probabilmente più pericolosa: Nana Due, la mia chitarra elettrica.
Come avevo sospettato con un calcio fu dentro la camera, non mi feci trovare impreparata: appena entrò lo colpì con la chitarra dritto in testa, cadde a terra svenuto. Ce l’avevo fatta.
Chiamai la polizia e poi fui portata in ospedale. Come previsto, il braccio sinistro era rotto. Per il resto tutto okay.
Le cose cominciavano ad andare per il verso giusto.
Bill aveva ricominciato a parlarmi.
Mia sorella stava bene.
Daniele era in prigione.
Un po’ di pace finalmente! 


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Capitolo 29
*** 29. ***


Quando andai a trovare mia sorella, in camera trovai disgraziatamente anche mamma e papà. Fui sottoposta a un interrogatorio, proprio un terzo grado!
“Mamma, papà, sorella un attimo! Se state zitti vi posso spiegare okay? Avete presente Daniele, il mio ex? Ecco.. ultimamente aveva cominciato a chiamarmi più spesso e ieri si è presentato a casa. Quando gli ho detto che non volevo avere più a che fare con lui si è arrabbiato e abbiamo litigato. Alla fine sono riuscita a chiamare la polizia e sto bene. Come potete vedere. Tutto qui! Mi dispiace non avervi detto cosa stava succedendo.. lui mi aveva minacciato, non volevo farvi correre pericoli inutili. Oggi pomeriggio vado a Roma per l’ultima data in Italia,back to work!” Spiegai tranquilla.
Mi guardarono sbigottiti per un istante poi annuirono scossi. Papà venne da me e mi abbracciò mentre mia madre disse solamente:
“farò in modo che non esca più dal carcere. È una promessa”
Elena invece mi guardò commossa. Le sorrisi per tranquillizzarla.
Alle quattro presi il volo che mi portò a Roma. Trovai Saki ad aspettarmi, mi portò direttamente dietro al backstage. Per spiegare il gesso inventai una caduta; Gustav e Georg mi accolsero con un grande abbraccio, Bill mi sorrise e Tom mi abbracciò e mi guardò sospettoso, prendendomi per mano e trascinandomi dentro una stanza.
“Ci credo che Bill pensa male poi eh” Dissi sbuffando, cercando di evitare l’argomento.
“Caduta eh? Inventane una migliore la prossima volta.” Disse severo.
“Ma quale prossima volta? Basta per carità! Allora.. quando sono tornata dall’ospedale me lo sono trovata in casa, è successo quello che è successo poi sono riuscita a correre in camera, ho preso la mia chitarra, la mia povera chitarra e gliel’ho rotta in testa. Che scena. Comunque alla fine ho chiamato la polizia e tutto è andato per il meglio!” Finì sorridendo. Scosse la testa sconsolato e uscimmo dalla stanzetta ricevendo un’occhiataccia da Bill. Alzai gli occhi al cielo, ormai avevo rinunciato a capirlo.

Il concerto di Roma fu un successone, le fan erano scatenate e l’adrenalina alle stelle.
Dopo Roma c’era l’ultima tappa: Amburgo.
L’atmosfera era caldissima. L’arena piena. Troppo entusiasmo nell’aria, troppo depressa io per resistere a tutta quell’allegria. Bill non mi parlava. Credevo avesse capito che non gli avevo mentito. Invece no.
Volevo stare un po’ sola e per questo mi recai nello stanzino dov’erano rinchiusi i vestiti, mi raggomitolai seduta nell’angolo buio della stanza e scrissi un messaggio a mia sorella.
Perché mi sono innamorata proprio di Bill Kaulitz? Destino crudele!
Nel momento in cui lo spedì sentì qualcuno entrare nella stanza. Jennifer. Era al telefono, parlava sempre in spagnolo.
“Ehi! Tutto bene, sono a Roma adesso. Stanno facendo un concerto in questo momento. Sai le ultime foto che ci ha fatto la mia amica fotografa le hanno vendute a una rivista e sono stata chiamata per un provino come modella! C’è, lo sapevo che il mio piano avrebbe funzionato! Si, mi dispiace per lui.. insomma è davvero un ragazzo stupendo.. però la mia carriera è sempre la mia carriera! O no?”
Perfetto. Avevo registrato tutto. Uscì dalla stanza di nascosto, accesi il computer e scaricai la registrazione nel disco, dopodiché presi la chiavetta e inserì dentro il file.
Il mio contratto era finito, finito dopo l’ultima canzone.
Andai nel camerino di Bill e lasciai la chiavetta accanto alla sua matita nera.
Ascolta la registrazione dentro. Ti ho scritto la traduzione se ti interessa. Ciao Bill.
Lasciato il biglietto tornai nel mio appartamento. Non ci mettevo piede da mesi. Era troppo grande per viverci sola, ormai Stephanie conviveva con il suo ragazzo, io ero l’unica single.

Il giorno dopo andai in agenzia e misi in vendita il mio appartamento. Raccolsi le mie cose e mi trasferì nella vecchia 483. Dopo aver riempito la stanza di valigie andai in cerca di casa. Trovai quella che cercavo dopo tre ore di intensa ricerca: era una villetta poco distante dal centro, con un grande giardino. I muri erano color pesca, era già arredata: la cucina era spaziosa, diversa da quella dell’appartamento: i mobili erano in legno, davano senso di calore. Il salotto era simile all’altro. Il bagno del primo piano era enorme, quasi come la cucina: c’era sia la vasca da bagno che la doccia, era color arancione chiaro con una piccola televisione di fronte alla vasca. Al piano superiore c’erano quattro stanze: tre da letto e una a uso libero. La prima da letto era vuota: perfetto, l’avrei arredata come l’altra. Nelle altre due c’erano due letti a una piazza e mezza e un armadio. Sapevo già cos’avrei messo nella quarta: la mia libreria, le mie chitarre e il pianoforte. La comprai subito. Una settimana dopo mi ero completamente trasferita li.
Durante quella settimana tenni il telefono spento, lo accesi domenica sera.
Dieci chiamate perse: Elena, Elena, Tom, Elena, Tom, Bill, Bill, Elena, Tom, Elena.
Cinque messaggi ricevuti:
Se non accendi quel telefono ti strozzo. Elena.
Se non mi rispondi entro lunedì vengo a ripescarti in Germania, sai che potrei farlo.
Elena.
Che cazzo piccola accendi sto dannato telefono?
Tom.
Anna, dobbiamo parlare..
Bill.
Il mio caro gemellino è tornato singleeeee!! Missione compiuta baby!
Tom.
Bill single? Evviva. Evviva. Felicità. Tanta felicità. Voglia di urlare. Urlai.
Dopo aver ripreso il controllo della mia mente chiamai Elena.
“Ehi sorella, sono ancora viva come forse hai capito!” Dissi tutta allegra.
“Perché cazzo non hai risposto al telefono per una settimana?” Era leggermente arrabbiata.
“Ero occupata, mi sono trasferita! Ho comprato una piccola villetta!” Dissi tutta entusiasta.
“Come mai sei così allegra? Centra per caso un cantante che è da poco single?” Disse sospettosa.
“Ehm, nooooooo!! Anzi, si! La sera del concerto ho registrato Jennifer mentre parlava con l’amica e ho lasciato la registrazione a Bill, dopodiché me ne sono andata. E non lo rivedo dal post concerto. Secondo te ho qualche possibilità?” Chiesi speranzosa.
“Altroché sorella! Chiama Tom e poi il tuo dolce amore” Disse felice.
“Agli ordini signora!”
Chiusi la chiamata e chiamai Tom.
“Salve Kaulitz!!” Dissi tutta allegra.
“Oh, ma sei viva allora?” Disse sarcastico.
“Scusa ero impegnata, mi sono trasferita in una nuova casa!” Spiegai tranquilla.
“La tua felicità centra per caso con mio fratello?” Domandò curioso.
“Uhm, dovrebbe?” Sogghignai.
“Va su internet e leggi qualche articolo di giornale recente va! Poi fammi sapere!”
Nemmeno il tempo di rispondere che aveva già messo giù.

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Capitolo 30
*** 30. ***


Feci come m’aveva detto. Accesi il portatile e cercai qualche articolo recente su Bill.

Intervista a Bill Kaulitz
Pareri sul tour appena concluso?
E’ stato fantastico blablabla..
Com’è stato tornare sul palco dopo un anno di assenza?
Incredibile, le fan erano così calorose e piene d’affetto blablabla..
Per quanto riguarda la tua vita amorosa?
Sono tornato single da poco. Ho lasciato Jennifer alla fine del tour. Non era la ragazza giusta per me.
E chi è la ragazza giusta per te?
No comment [ride]

Lessi qualche altro articolo qua e la e poi mi decisi a chiamarlo.
“Ehy Bill, sono Anna.” Mi mordevo il labbro, ero troppo agitata.
“Anna, volevo parlarti..” Disse lui.
“Ti ascolto.” Replicai io.
“Non per telefono. Stasera sei libera?” Sempre libera per lui!
“Si, perché?”
“C’è una festa dell’Universal, è un party di beneficenza. Una cosa elegante. Vuoi venire?”  SIIIIIIIIII!!
“Per me va bene. Ma, quanto elegante?” Chiesi preoccupata.
“Roba da vestiti lunghi. Allora vengo a prenderti alle otto.”  Concluse lui.
“A stasera!”
Uscì subito di casa diretta a fare shopping. Ci misi un’ora per trovare il vestito perfetto, ma lo trovai.
A casa feci una lunga doccia e arricciai i capelli. Indossai il vestito: era lungo e nero, senza spalline. Le scarpe erano nere col tacco alto. Misi collana, bracciale e orecchini d’argento. Mi truccai mettendo semplicemente dell’eye-liner e raccolsi i capelli facendo uno chignon fermandoli con un fermaglio d’argento.
Alle otto ero pronta davanti casa. I ragazzi arrivarono in limousine: erano proprio stupendi. Tom aveva indossato un paio di pantaloni di poche taglie più grandi rispetto a lui e una sobria camicia bianca. Bill aveva dei jeans stretti neri e una t-shirt grigia. I capelli nella solita cresta.
Quando entrai nell’auto mi osservarono a bocca aperta.
“Ho esagerato? Devo cambiarmi?” Chiesi disperata.
“Sei perfetta” Disse Bill e mi guardò con uno sguardo in grado di sciogliere una roccia.
Arrivati c’era un tappeto rosso che conduceva alla sala.
“No. No, io non esco! Non mi avevate avvertito!” Dissi agitata provocando le risate degli altri.
“Dai, non preoccuparti! Finirai solamente su tutti i giornali domani! Niente di che!” Disse Georg sorridendo sornione.
Sospirai e uscì dalla macchina assieme a Bill. Venni accecata da una marea di flash, non mi piaceva stare al centro dell’attenzione, decisamente no! Fortunatamente non inciampai sui tacchi e arrivai in sala sana e salva. Bill mi prese per mano e mi condusse sul retro.
“Ecco, dovevo parlarti” Era agitato, si vedeva da come gesticolava.
“Ti devo delle scuse. Tante scuse. Dalla sera del concerto di Roma, quando me ne sono andato lasciando solo un biglietto. Mi sono comportato da vero stronzo, avevo provato delle emozioni nuove.. non ero abituato e così sono scappato. Poi per come ti ho trattato quando ti ho rivista, sono stato terribilmente freddo. E anche per Tom.. ero geloso del vostro rapporto. Poi ho conosciuto Jennifer, e sono uscito con lei per dimenticarmi di te. Poi ti devo chiedere scusa perché ti ho dato della bugiarda, in fondo sapevo che non era la donna per me però l’orgoglio mi ha impedito di crederti. Ecco, puoi perdonarmi?”
“Bill io.. non riuscirei a non perdonarti, davvero. Io.. tu mi piaci. Non riesco a dimenticarti nonostante tutto. È da tre anni che ehm.. sonoinnamoratadite” Dissi tutto d’un fiato.
Non disse nulla, mi abbracciò e due minuti dopo ci stavamo baciando.
Non so per quanto tempo restammo a baciarci, quando tornammo dentro ero la ragazza più felice del mondo. Tom mi fece l’occhiolino e risposi con una linguaccia.

Bill mi riaccompagnò a casa all’una di notte. Lo feci entrare per mostrargli la mia nuova abitazione e, una volta arrivati nella mia camera da letto, lo baciai con passione.
“Non sparirai domattina vero?” Gli sussurrai.
“Resterò con te finchè mi vorrai.” Rispose lui.
Non furono necessarie altre parole, quella notte fui di nuovo sua.

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Capitolo 31
*** 31. ***


Quando la mattina dopo mi svegliai ci misi un po’ per ricordare cos’era successo la serata prima.
Il galà all’Universal.
Le scuse di Bill.
I baci con Bill.
L’amore con Bill.
Bill. Non c’era bisogno di controllare se era rimasto, eravamo abbracciati. Mi girai verso di lui e lo osservai dormire: era così dolce, bellissimo come sempre. Cominciò a svegliarsi dopo cinque minuti.
“Buongiorno” Mi sussurrò dolce. Ricambiai il saluto con un bacio.
“Decisamente un buon giorno.” Dissi in un sussurro. Affondai la testa nel suo petto e cominciò a toccarmi i capelli.
“Quindi adesso..?” Domandai in certa, lui mi interruppe prima della conclusione.
“Stiamo insieme? Si. Se vuoi, certo.”
“Dio è da quasi tre anni che aspetto questo momento..” Risposi felice. “Ti amo Bill” Dissi piano.
“Anche io Anna.” Sussurrò lui.

Restammo a letto fino a mezzogiorno, fra coccolo e altro.
“Forse dovremmo alzarci. Ci avranno dato per dispersi.” Mugugnai.
Controvoglia ci alzammo e prendemmo i nostri cellulari, appena accesi cominciarono a squillare.
Due messaggi di Elena e uno di Tom.
Com’è andata la serata?. Elena.
Visto che non mi hai risposto, deduco che andata bene ahahah xD
. Elena.
Non ho notizie di Bill, hai fatto colpo piccola!;). Tom.
“Mia sorella e Tom. Tu?” Dissi seccata.
“David e.. Tom” Rispose ridacchiando.
“Pranziamo e rispondiamo dopo?” Gli domandai, lui rispose annuendo.
Cucinai gli spaghetti al ragù e lui sembrò apprezzare, decisamente. Dopodiché chiamai Elena.
“Buongiorno sorellina” Dissi allegra.
“Uhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh, raccontami tutto!”  Mi ordinò.
“Stiamo insieme!” Dissi con aria sognante.
Le raccontai come s’era svolta la serata, dettagli piccanti esclusi. Rimanemmo al telefono per un’ora e poi risposi a Tom. “Uhm, in effetti hai ragione Kaulitz XD
“Che ha detto David?” Chiesi cauta e preoccupata a Bill.
“Mi ha detto “bel colpo, altro che Jennifer”“ Disse ridendo, risi anche io con lui.
“Usciamo? Ho voglia di camminare, gelato al solito parco?” Mi domandò sorridente. Come dire no a un sorriso del genere?
“Certo! Andiamo a travestirci allora?”
Io indossai un paio di occhiali scuri e un cappellino per nascondere i capelli, poi andammo nella sua stanza d’hotel così poté cambiarsi. Indossò una felpa, cappello, raccolse i capelli e occhiali scuri. Uscendo dalla hall incontrammo gli altri ragazzi che ci guardarono con aria di chi sa tutto.
Mano nella mano andammo a prendere il gelato e poi camminammo per un po’.
“Sei felice?” Chiese lui. Annuì stringendolo.
“Qual è la tua canzone preferita di “Humanoid”?” Chiese curioso.  
“Adoro phantomrider e zoom into me, però la mia preferita è That day.”
Risposi io.
I'm not lettin' go, I keep hangin' on, Everybody says. That time heals the pain. I've been waitin' forever, That day never come” Mi canticchiò piano.
“Sai, l’ho scritta pensando a te.” Rimasi zitta un secondo, cercando di non mostrare la commozione.
“E’ la cosa più bella che qualcuno abbia fatto per me. Posso baciarti o è rischioso?” Chiesi incerta.
“Mi piace il rischio.” Mi disse malizioso.
Così mi alzai sulle punte e gli diedi un bacio a fior di labbra. Lui mi strinse e mi baciò con passione.
Quando ci staccammo, sorridemmo felice. Avevamo gli occhi che brillavano. L’amore.

Il giorno dopo il nostro bacio era sulle pagine di moltissimi giornali di gossip.
C’erano le foto di quando ci tenevamo per mano, di quando sorridevamo e di quando lo abbracciai.
Fortunatamente nessuno mi aveva riconosciuto, alcuni avevano però giustamente ipotizzato che ero la stessa ragazza con cui era stato fotografato anni prima. Non avevano le foto però.
Ovviamente mia sorella fu entusiasta di vedermi sulle pagine di tutti i tabloid.
Ho strappato le foto e le ho incorniciate, messe sopra il caminetto del salotto!” Mi scrisse per messaggio.
David non si arrabbiò, anzi, era felice per noi. Decise di presentarmi alla stampa durante un’intervista in Inghilterra, io sarei stata li come interprete, poi.. sorpresa!
La giornalista era una donna sui trent’anni bionda, con una gonna corta e la camicetta scollata, ci provò con Tom prima di iniziare, che scene!
“Allora ragazzi, cos’avete fatto durante la prima settimana finito il tour?”
“Ci siamo rilassati.”
“Che progetti avete ora?”
“Abbiamo due settimane di pausa e poi iniziamo un tour di tre mesi in America.”
“Com’è stato suonare in arene tutte sold out?”
Fece domande di questo genere per un quarto d’ora poi passò alla vita sentimentale. Eh.
“Allora. Passiamo alla vita sentimentale. Andiamo con ordine. Tom?”
“Nessuna vita sentimentale, tutte storie senza pretese.”
“Gustav?”
“Nulla di nuovo.”  Sempre diplomatico Gus.
“Georg?”
“Come Tom.”
“E ora.. ultimo ma non per questo meno importante, Bill?”
“Diciamo che si è capito dalle foto credo. Sto con una ragazza.” Sganciò la bomba.
“E Jennifer?”
“Storia vecchia. Non era importante.”
“Chi è la fortunata? Si può sapere?”
Bill mi guardò di sottecchi e risposi al posto suo.
“La fortunata sono io” Risposi sorridendo imbarazzata.
Il pubblicò applaudì. Per fortuna, credevo m’avrebbero linciata!
“Da quanto vi conoscete?” Chiese a me.
“Più di due anni. Ci siamo conosciuti nell’hotel di mio padre, poi non ci siamo visti finchè non ho cominciato a lavorare per loro. E da cosa nasce cosa..” Spiegai io poi guardai Bill che mi guardava sorridendo .
“E quindi, sei la stessa ragazza con cui è stato fotografato al parco due anni fa?”
“Si, all’epoca eravamo solo amici  - con grande dispiacere mio visto che ero cotta – invece adesso no.” Le risposi tranquilla.

L’intervista fu tranquilla e il giorno dopo c’erano foto mie su tutti i forum. Piacevo alle fan per fortuna, nessuno mi aveva insultata o minacciata di morte. Jennifer intanto rodeva d’invidia. Tutto andava per il meglio.

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Capitolo 32
*** Epilogo. ***


Finalmente siamo giunti all'epilogo di questa storia. Se devo essere sincera non sono soddisfatta per niente di questa fanfiction u.u
Vabbe, c'est la vie! Coooomunque, vi indirizzo sulle altro due storie che sono in corso:

- Durch Raum und Zeit; 

- { Unter deiner Haut .  


Due anni dopo.
Fissavo la donna sullo specchio con sguardo assente. Vestito da sposa bianco che scendeva lungo il corpo snello e terminava largo, diadema che raccoglieva i capelli in un ordinato chignon lasciando qualche boccolo biondo a incorniciare il viso; orecchini d’argento e saldali con tacco. Viso naturale, solo un po’ di mascara e una linea di eye-liner. Era una donna stupenda. Ero io.
“Sorellina sei stupenda!” Esclamò la mia testimone, nonché sorella commossa.
“Non osare piangere capito? Sennò comincio anche io!” Dissi preoccupata.
“Ma che splendori di ragazze qui!” Fu il turno della mia damigella Stephanie, single da poco.
“Anche tu sei fantastica Steph! Non vorrai fare cose oscene col testimone dello sposo?” Chiesi sospettosa io.
“Ehm, no ma scherzi?” Rispose innocente lei provocandoci delle risate.
“Ragazze e se mi molla all’altare? Aiuto non ce la faccio!” Ero in preda all’ansia!
“No cara, ho appena sentito il testimone e mi ha riferito che il gemello è nello stesso tuo stato! Come mai così agitata? Vi amate. Ora alza il culo che fra due minuti si va in scena!” Disse Elena dolce.
Avevamo scelto di sposarsi in una piccola chiesa in Germania, una cerimonia intima senza fotografi. Tutto s’era svolto in gran segreto. In quel momento i Tokio Hotel sarebbero dovuti essere in sala di registrazione invece erano nella chiesa per il mio matrimonio. Il gruppo era sopravvissuto in quei due anni e aveva pubblicato un album, subito in cima alle classifiche. Gustav stava insieme a una ragazza da un anno, Georg era tornato single da poco mentre Tom fidanzato non lo era mai stato.
Salì sulla limousine accompagnata da Elena e Steph, pensando alla sera di sei mesi prima..

Primo gennaio.
C’era tensione nell’aria, Bill era strano da un po’. Lo vedevo borbottare sempre al telefono e era nervoso per qualcosa.
“Ehi amore, nevica! Usciamo?” Mi chiese sorridendo lui. Ovviamente annuì, colpa del suo seducente sorriso. Camminammo in silenzio e arrivammo al parco, ci sedemmo nella nostra panchina.
“Questo anno e mezzo con te è stato stupendo.” Gli dissi io. Non rispose e cominciò a canticchiare piano “That day”, gli sorrisi.
“Ti devo parlare. Non mi interrompere okay?” Mi chiese visibilmente nervoso. Ricordo che pensai mi volesse lasciare, tremai solo al pensiero.
“Da quando sto con te sono sempre felice, tu rendi le mie giornate meravigliose Anna. Mi stai sempre affianco e so quanto sia difficile sopportarmi. Sei la cosa più importante per me, non credevo mi sarei mai innamorato così, ma è successo. Per questo.. insomma.. mi chiedevo..” Tirò fuori dalla giacca una scatolina di velluto e l’aprì. Un anello, non si inginocchiò ma mi sussurrò all’orecchio:
“Vuoi sposarmi?” Ero partita. Non riuscivo a dire una parola, ero commossa. Lo baciai e lo sentì sorridere, staccatami da lui gli risposi di si e lo abbraccia di slancio, cadendo insieme a lui per terra fra la neve.

Ora camminavo lenta lungo la navata, preceduta da Stephanie e accompagnata dalla marcia nuziale suonata da Georg. Bill era perfetto, come sempre. Non aveva messo lo smoking, avevamo deciso così, lui non era tipo da smoking. Indossava un paio di jeans neri, una camicia nera e una cravatta bianca. I capelli nella solita cresta e gli occhi truccati di nero. Lui era mio.
La cerimonia fu semplice e breve. Ballai il primo lento fra le sue braccia. Sorridevamo come due ebeti. Avevamo ingaggiato un fotografo, il giorno dopo avremmo inviato la foto del bacio – dopo il momento del si – e l’avremmo venduta a un giornale, una sola. Il ricavato in beneficienza.
Partimmo per la luna di miele a mezzanotte: destinazione Malibù. Mentre tutti credevano fossimo a Parigi.  Un mese di vacanza. Un mese per noi.
Il giorno dopo eravamo seduti in spiaggia, spaparanzati in costume con un tabloid in mano.

Matrimonio in gran segreto per Bill Kaulitz e la sua Anna!
I due giovani ieri hanno convolato a nozze, unica prova di questa cerimonia la foto
inviataci dal cantante stesso. Ora i due sono in vacanza per tutto il mese a Parigi!
I paparazzi sono già pronti per immortalare i primo giorni da sposati della giovane coppia.

Fu una vacanza stupenda. Il mese più bello di tutta la mia vita. Il penultimo giorno andai da Bill per riferirgli la novità..
“Bill, ti devo parlare.” Dissi seria. Lui mi guardò curioso per un attimo.
“Prima di partire ho scoperto una cosa però.. volevo essere sicura prima di dirtela” Continuai.
“Che succede? Mi fai preoccupare così..” Disse in ansia.
“Ecco, sono incinta.” Dissi tutto d’un fiato. Rimase immobile per un attimo poi mi sorrise dolce.
“Avremo un bambino!” Esclamò tutto contento.
“No, non avremo un bambino.” Continuai io seria, lui mi guardò sbalordito e triste per un attimo. La sua espressione mi fece scoppiare a ridere.
“Non avremo un bambino Bill, ne avremo due!” Dissi io tutta entusiasta mettendomi a saltellare come una stupida.
Mi abbracciò felicissimo.
“Diventerò padre wow!” Era commosso.
Tornammo a casa felici come non mai e convocammo una riunione d’urgenza.
C’erano tutte le persone importanti.
La mamma e il patrigno di Bill, mia mamma e mio papà, Elena, Stephanie, David, Gustav, Georg e Tom.
“Allora, vi abbiamo “convocati” qui per darvi una notizia.” Dissi io con tono solenne.
“Credo che abbiate immaginato cosa stia succedendo.” Continuò con lo stesso tono mio marito.
“State per divorziare?” Chiese Tom scettico.
“No, cretino! È incinta no?!” Rispose Stephanie colpendolo al braccio.
“Oddio un altro Kaulitz noooooooo!!” Dissero insieme Gustav e Georg.
“Ehm..” Dissi io imbarazzata.
“In realtà due Kaulitz in miniatura!” Disse Bill allegro.
Fummo travolti da una marea di abbracci e congratulazioni.

Finalmente la mia vita era serena, dopo un adolescenza difficile e due anni d’infermo, potevo dirmi felice. Bill era capitato nella mia vita per caso e, da quel giorno sulla terrazza, non ne era più uscito. Aveva reso tutto più bello, ogni giorno con lui era magnifico.
Mia sorella sposò Manuel poco dopo il mio matrimonio. Poi fu Gustav ad accasarsi, seguito da Georg e Tom. Si, Tom. Lui e Steph, una coppia esplosiva e super.
A rendermi ancora più felice arrivarono Andy e Matt, due bellissimi gemelli; un anno dopo la famiglia si allargò ulteriormente, due bambine stupende: Daisy e Elisa entrarono nelle nostre vite.

E vissero per sempre felici e contenti.


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