An April's Journey

di Melina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***
Capitolo 4: *** Parte 4 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


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Ciao a tutti! Premetto che sono una fan di Sherlock Holmes da quando ero piccola, ovviamente crescendo ho modificato "leggermente" la mia visione della loro amicizia >.> Katie Forsythe è la mia autrice di fic H/W preferita in assoluto *.* è divina e la ringrazio dal profondo del cuore per tutti i suoi lavori. Ve li consiglio. Soprattutto "Four minor interludes for the solo violin" e il suo seguito: "Hallowed be thy name". Trovate entrambe le fic (e tutti gli altri magnifici lavori di Katie) al sito del suo progetto: THE SEVENTEENTH STEP
Dunque, questa fanfiction è piuttosto lunga per cui ho deciso di pubblicarla in capitoli anche se sarebbe stata pensata come oneshot... Non è stato per niente facile tradurla Oo ci ho messo parecchio tempo e vi accorgerete che lo stile dell'autrice è particolarmente complicato e sembra fatto apposta per far impazzire una povera traduttrice XD ho cercato di renderla il più possibile fedele a quelle che credo fossero le intenzioni di Katie (speriamo >.>) quindi i nostri parleranno come due perfetti gentlemen della Londra vittoriana ^^
detto questo vi auguro una buona lettura sperando che la fic sortisca lo stesso effetto che ha avuto su di me anche su di voi ^^

Dedico questa traduzione alla persona a cui l'ho dedicata dentro di me quando ho deciso di tradurla, è per lei :)

 


Note di traduzione: Come sapete benissimo i nostri beneamati si chiamano a vicenda "my dear fellow", espressione che fa letteralmente ribrezzo tradotta in italiano XD perdonate per cui il povero Holmes e il povero Watson che si ritroveranno a chiamare l'altro "mio caro amico" o "mio caro ragazzo" ogni due per tre anche se OVVIAMENTE nelle loro menti ci sarebbero tutt'altri epiteti >.>
Infine avverto subito che sia io sia Katie Forsythe non rispondiamo del fatto che Holmes sia un idiota con tendenze autolesionistiche che sconfinano nella paranoia ossessiva con oggetto il dottor John Watson; ci siamo attenute entrambe al personaggio XD

Avvertimenti: Non è una fic particolarmente spinta ma tratta anche di droga per cui credo che il raiting debba lo stesso essere almeno arancione. Personalmente le ADORO le storie in cui Holmes è preda dell'astinenza >.>

Disclaimer: i diritti d'autore sono tecnicamente scaduti, e siccome comunque non si snaturano i personaggi in questo scritto... XDXD >.> ehm informo, visto che la cosa sarà ignota ai più (XD), che se fossero validi apparterrebbero a Sir A.C. Doyle.

 

- AN APRIL'S JOURNEY -
di Katie Forsythe

(traduzione di Melina)


Questa fanfiction si svolge poco prima dei fatti narrati nel racconto di A. C. Doyle L'enigma di Reigate e approfondisce quello che avvenne durante il periodo in cui Watson si recò al capezzale di Holmes a Lione.


PARTE 1

Ho indicato altrove in queste memorie caotiche, sebbene animate da buone intenzioni, che nell'aprile del 1887 mi dovetti affrettare a lasciare Londra dietro l'esortazione di un cupo telegramma che affermava che il mio intimo amico, il signor Sherlock Holmes, era a letto malato a Lione e richiedeva immediate cure.
Il mio sospetto che Holmes soffrisse di un attacco di debilitazione nervosa alla fine di una lunga e ardua investigazione, non era del tutto falso, né, confesserò in questo documento privato e consultabile da me solo, era del tutto vero.
Quel telegramma, la mia risposta ad esso, e quello che in seguito accadde a me e al mio amico sul Continente, furono infatti tutte circostanze che cospirarono per cambiare in modo significativo il rapporto tra il sottoscritto e (a quel tempo) l'unico consulente investigativo indipendente al mondo. La vera storia è tanto degna di nota quanto inadatta ad essere rivolta al pubblico, ma mi sono trovato costretto, per il mio bene, a riportare quello che fu senza dubbio il più importante incidente - in un modo o nell'altro - della nostra lunga collaborazione.
Ci sono un paio di cose che è bene metta in chiaro più per organizzare meglio i miei pensieri che per altro. Holmes e io, al tempo in cui si occupò per la prima volta del losco affare della Netherland-Sumatra Company, vivevamo insieme da quasi sei anni, e la professione che il mio eccentrico coinquilino aveva tentato sulle prime di tenere segreta era diventata una preoccupazione di primaria importanza per me quanto lo era per lui. Non credo di vantarmi nel dire che quasi dallo stesso momento in cui Holmes mi invitò ad accompagnarlo nell'investigazione sul caso Joseph Stangerson, egli riconobbe che non solo aveva trovato un modo per alleggerirsi la spesa dell'affitto ma anche un nuovo incentivo per il suo lavoro altrimenti solitario, e in oltre, che nell'ambito dell'investigazione criminale, due cervelli, o due revolver a seconda del caso, erano spesso meglio di uno. Dall'anno 1887 ero ormai abituato ad aspettarmi, più per consuetudine che per vera e propria consapevolezza del mio valore, che Holmes mi avrebbe incluso nella maggior parte dei suoi casi, fatta eccezione per quelle questioni di poca importanza che, quando discusse a tavola, gli provocavano un occhiolino, un sospiro e il commento "Mio caro Watson, il semplice fatto che il mio tempo vada sprecato in tale spregevole maniera è già abbastanza fastidioso senza che ciò implichi di trascinarla in questa faccenda con me".
Rassicurazioni del genere erano, a quel tempo, il mio pane quotidiano. Perché per mia terribile sfortuna ero tanto innamorato di Sherlock Holmes quanto lo erano le sue clienti appartenenti al genere femminile, che pagavano i nostri servigi molto dopo che i loro casi si erano conclusi. Tuttavia credo di essere riuscito a nascondere i miei riguardi con molta più efficacia di quella che impiegavano certe fanciulle nelle loro gonne di seta che svolazzavano al di sotto di luccicanti gioielli e sguardi voluttuosi.
Io non sono un uomo del tutto privo di attrattiva, come molte donne e qualche uomo, devo confessare, mi avevano dimostrato in varie occasioni, ma non avevo mai posato gli occhi su un tale favoloso panorama femminile prima di andare ad abitare con il maggiore esponente mondiale in quanto a villania. C'era qualcosa nel profilo pallido e cesellato di Holmes che distraeva la mia attenzione dalle scollature delle nostre clienti in maniera quasi indecente. Il mio amico, ovviamente, non si preoccupava certo di loro. Poneva lo stesso tipo di attenzione a quelle clienti come avrebbe fatto per un lord pluridecorato o un povero mendicante, e più di una volta partivo con odiare le nostre clienti finendo poi col compatirle. Sapevo bene da me che la forza della mascella di Holmes, i suoi malinconici occhi grigi e le sue eleganti maniere contribuivano a conferirgli l'aria di colui al quale il pericolo provoca leggera ilarità. E questo bastava a gettare un povero coinquilino nella disperazione più in fretta di quanto potesse fare la scoperta di un bisturi insanguinato che fa capolino dal proprio panetto di burro.
Holmes da parte sua mi rispettava. Mi rispettava anche quando mi redarguiva, perché mi riteneva un uomo abbastanza sicuro di sé da essere capace di accettare le sue osservazioni con imperturbabilità. Non ho dubbi che anche lui godesse della mia compagnia, perché per quanto non fosse necessario per un uomo condividere la sua casa, il suo lavoro e la maggior parte del suo tempo libero con un solo e costante compagno, lui lo faceva. Mi rispettava come medico, come soldato, come amico. E per qualche effimera ragione io gli piacevo. Infatti era più affezionato a me, da quello che potevo vedere, che a qualsiasi altro uomo in tutta Londra. Era straziante. Il suo affetto distante mi rendeva le cose peggiori più di quanto avrebbe fatto un disdegno da parte sua. Comunque sia, malgrado il temperamento di Holmes e la leggera tensione che attribuivo interamente alla mia sordida immaginazione, coabitavamo con un agio e un rispetto che alcune coppie sposate riescono a raggiungere solo dopo trenta o quarant'anni di pratica. Ecco perché la discussione a proposito del Barone di Maupertuis fu per me una completa sorpresa.
Holmes e io avevamo recentemente concluso l'affare de Il paziente a domicilio e sedevamo dinnanzi al fuco ai primi di febbraio con nient'altro da fare che leggere o al massimo vagare dal tavolo al vassoio dei liquori e alla poltrona. Alla fine Holmes parlò.
"Sarà felice di sapere, mio caro amico, che mi è stato richiesto dalla polizia francese di investigare sulle attività del Barone di Maupertuis."
"Sono certamente contento di venire a conoscenza di nuove acclamazioni internazionali nei suoi confronti" sorrisi "Ma come potremmo mai essere d'aiuto noi?".
Si accese una sigaretta e diresse la sua attenzione verso il fuoco morente. "Infatti, Watson, penso che questo sia un affare che potrei meglio condurre senza la sua assistenza".
Ero sorpreso, e ammetterò che mi sentii anche leggermente ferito. "Be', anche se fossi nei paraggi non penso che la infastidirei".
Mi accordò un sorriso, ma fui inquietato dalla vigile espressione che si nascondeva dietro i suoi occhi. "Sarò sicuramente in grado di agire più velocemente da solo"
"In questo caso evitiamo di parlarne oltre"
"I telegrammi mi potranno raggiungere all'Hotel Dulong di Lione per i prossimi due o tre mesi"
"Due o tre mesi!" non potei evitare di esclamare "Ma mio caro Holmes…" dovetti trattenermi quando notai che si era spezzata quella particolare intensità nel suo sguardo "Sembra un'impresa colossale. Starà via davvero così a lungo?" domandai cautamente.
"Sì. Esiste una possibilità che io possa chiarire la faccenda in meno tempo, ma ne dubito fortemente. È dannatamente intelligente… devo procedere con il massimo della cautela così da non mettere me stesso in pericolo"
"In pericolo?" dissi allarmato.
"Devo muovermi in totale segretezza. Se il Barone scoprisse che mi sto occupando del caso, dubito seriamente che la mia vita avrebbe più il minimo valore. Non è un uomo incline al perdono, il Barone".
Mi girai verso di lui incredulo. "E questo caso, questo pericoloso, arduo e lungo caso in cui lei potrebbe rischiare la sua vita, è un caso nel quale non ritiene che la mia presenza possa esserle di un qualche aiuto?" chiesi mentre cominciavo ad agitarmi, alzandomi dalla mia sedia e avvicinandomi a Holmes. Una voce in fondo alla mia testa mi diceva che stavo rivelando troppo, tutto in una volta, senza riflettere e che avrei fatto meglio a frenare la lingua se non avessi voluto rischiare di perdere tutto quello che avevo.
Lui non si ritirò da me ma si appoggiò alla mensola del camino. "Due investigatori raddoppiano le possibilità di fare scoperte, certo… Ma in ogni caso, lei avrà sicuramente impegni che non le permetterebbero di lasciare Londra per un periodo così lungo".
Cercando di non far suonare la mia voce mortificata al pensiero di Baker Street senza Holmes per un intero quarto dell'anno, mi permisi un respiro. Poi risposi più allegramente "Senza dubbio lei ha ragione. Mi faccia sapere se avesse bisogno di me per qualsiasi cosa durante la sua assenza" gli porsi cordialmente una mano mentre il cuore mi batteva dolorosamente nel petto.
Prese la mia mano senza distogliere una sola volta la sua attenzione dal caminetto. I suoi occhi si restrinsero mentre mi guardava attraverso il suo sguardo d'argento.
"Si sente bene Watson?" chiese, la sua voce appena più distinguibile di un sussurro.
"Certamente" risposi, lasciando andare la sua mano e afferrando un sigaro. Holmes aveva spesso sottolineato che io fossi un pessimo bugiardo, ma questo solo quando mi trovavo in sua presenza, e molto dopo il 1887. Nel 1887 ero all'apice delle mie forze; mi vantavo di essere capace di celare perfettamente il mio stato di panico, la mia voce era sicura e le mie mani ferme. "Si senta libero di avvisarmi se le dovesse servire qualche suo oggetto o documento".
"Grazie" disse. Tornò alla sua sigaretta ma stava ancora guardando me.
"Non potrebbe alzare un po' la lampada, mio caro amico?" mi concentrai di nuovo sul mio romanzo come ultimo tentativo di apparire normale. Holmes alzò la luminosità della lampada e sparì velocemente dalla stanza.

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Quando mi svegliai il mattino seguente era già andato via. Non indugerò sulla dolorosa sensazione che provai quando vidi il breve biglietto che aveva infilato sotto la mia porta. Lo lessi seduto sul suo letto vuoto, non ancora rassettato dalla signora Hudson, sentendomi oppresso dalle pareti della sua stanza ancora tiepida. "Se dovesse avere bisogno di me, mi avverta immediatamente. Saluti, SH." Lo gettai nel suo camino, consumai la mia colazione e cominciai due lunghi mesi deprimenti nei quali cercai assiduamente di eliminare Sherlock Holmes dai miei pensieri. Non ottenni altro che la certezza che si fosse trattato di un tempo non abbastanza lungo per riuscire nella mia impresa.
Sedevo davanti a un pranzo appena toccato quando la signora Hudson portò il telegramma. Quella donna comprensiva sapeva della mia depressione ed io speravo ardentemente che però non ne conoscesse la causa. Indugiò nella sala da pranzo per lasciare sul tavolo dei pro memoria a proposito di oggetti che mi sarebbe stata grata se avessi ritirato per lei mentre ero fuori, insieme alle mie pietanze preferite che io divorai con la stessa alacrità che Sherlock Holmes usava riservare al cibo stando seduto a quello stesso tavolo. Apprezzavo la sua gentilezza anche se i suoi tentativi di risollevarmi il morale erano serviti a evidenziare la mancanza delle stesse premure da parte di qualcun altro, cosa che aveva solo reso le cose peggiori di quanto già non fossero.
"C'è un telegramma per lei, dottore" disse con garbo "dalla Francia, credo".
Sollevai lo sguardo all'istante. Holmes non aveva mai ritenuto di dover dare notizie di sé sin dalla sua improvvisa partenza sebbene avessi letto con grande sollievo, due giorni prima, che il Barone era stato arrestato e che l'intera faccenda era stata risolta. Lo presi fra le mani con foga.
"Grazie signora Hudson" lei sorrise e si voltò per uscire. Un sonoro segnale di sorpresa da parte mia la fece tornare subito verso il tavolo.
"C'è qualcosa che non va, dottore?"
"È Holmes. Sta male" risposi velocemente, allungandole il minuscolo pezzo di carta gialla.
" 'Dottor Watson' " lesse " 'Sherlock Holmes gravi condizioni dopo chiusura caso. Impossibile muoverlo. Potrebbe venire? Concierge Hotel Dulong, Lione' Oh dottor Watson!" esclamò "Povero signor Holmes. A volte abusa troppo di se stesso. Lei andrà immagino".
Mi vergogno a dire che feci fatica a sentire quello che mi disse la nostra brava padrona di casa, perché neanche dieci minuti dopo ero intento a consultare l'orario ferroviario e a fare i preparativi per il mio lungo viaggio di ventiquattr'ore che sarebbe stato insonne.

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


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Ecco la seconda parte ^^ Spero di avervi incuriosito con la prima, buona continuazione!

NOTE: in questo capitolo vedrete Holmes parlare spesso in francese per motivi che capirete, io non ho ritenuto di tradurre le frasi in detta lingua un po' per non rovinare l'effetto e un po' anche perché non sono di così decisiva importanza, comunque sia sono abbastanza capibili anche da chi non conosce la lingua francese (come Watson, anche se lui riesce a comprendere solo una parola >.>)
Gli asterischi portano alle note a piè di pagina ^^ (ho dovuto metterle obbedendo alla mia precisione isterica)

 

PARTE 2

Lione è divisa da due fiumi, il Rodano e il Saone, e sorge su due colline chiamate sin dall'antichità "la collina che prega" e "la collina che lavora". L'hotel di Holmes era nella zona di Faurviere, chiamata così per la basilica di Notre Dame de Forviere e per la sfarzosa residenza dell'Arcivescovo nei pressi di essa. Arrivai in città mentre i lampioni venivano accesi, e fermai una carrozza che mi portasse a destinazione senza indugio.
Quando arrivai al piccolo e pittoresco hotel, imbiancato di fresco e con una semplice targa in oro recante il nome il tutto decorato da graziosi fiori blu alle finestre, mi precipitai al bancone della hall con il cuore in gola dalla tensione. C'era un omino che doveva essere il concierge in piedi dietro al bancone, di molto più basso della donna alla quale stava facendo rimostranze in quel momento. Aveva una cravatta di un lilla luccicante, uno spesso pizzetto e delle sopracciglia scure ed espressive sopra ad occhi castani e pensosi. Quando mi vide attendere agitato dietro alla donna, le cui lamentele non riuscivo a comprendere, alzò una mano imperiosa per bloccarla probabilmente dopo aver ceduto a un moto di pietà nei miei confronti, il tutto con un atteggiamento che pensai essere insolitamente caritatevole da parte di un concierge francese.
"Un moment, s'il vous plaît, Madame. Avez-vous besoin de quelque chose, Monsieur?"
"Sono stato chiamato qui per occuparmi della salute di Sherlock Holmes, signore"
"Aha!" esclamò lui, battendo il palmo della sua mano sulla superficie della scrivania "Dottor Watson. È un'eccellente notizia. Eccole la chiave della stanza. È subito in cima alla scalinata, primo piano, a sinistra. Io devo finire con Madame e mi occuperò delle sue richieste in poco tempo" la sua voce portava l'accento di un parigino dal vasto vocabolario inglese ma che non si preoccupa di come le parole in questione dovessero suonare.
Presi la piccola chiave dorata preoccupato di come venivano trattate le questioni formali all'hotel Dulong, ma nell'urgenza di rivedere Holmes non diedi alla mia impressione lo spazio che meritava. Salii gli scalini due alla volta fino a un ben illuminato corridoio completo di tappeti a terra e dalle pareti rivestite di ceramiche damascate, e ammetto di non essermi preoccupato di bussare talmente mi sentivo in ansia quando alla fine girai la chiave ed entrai nella camera.
Il mio amico era rannicchiato nel letto con indosso un paio di pantaloni e una camicia frettolosamente abbottonata, come se avesse tentato di alzarsi in precedenza ma poi ci avesse ripensato. La vista del suo viso mi provocò un freddo brivido di paura, perché era mortalmente pallido e forse ancora più magro di quanto non lo fosse stato quando mi aveva lasciato, e su un uomo come Sherlock Holmes la perdita di qualche chilo era qualcosa di impressionante. Mi ci sedetti di fianco immediatamente, ma lui non si mosse. In un impeto di improvvisa mancanza di senno trattenni il respiro e feci scorrere le mie dita fra i suoi capelli.
Sbatté le palpebre per pochi istanti, poi i suoi occhi si aprirono lentamente. Erano iniettati di sangue, sconvolti, ed erano la sola cosa al mondo che desiderassi vedere. Quando mi riconobbe sorrise delicatamente.
"È lei. Ero certo fosse lei"
"Perché ne era certo?" chiesi. Mi scoprii incapace di rimuovere la mia mano dalle nere ciocche che sognavo di poter toccare da diversi anni.
"Perché odora di tabacco della Virginia e nessun altro in questo hotel è in possesso di un tale discernimento" sospirò soddisfatto. Mosse una mano tremante per posarla pigramente poco al di sopra dei suoi occhi, che chiuse di nuovo.
"Holmes, cosa diamine le è successo? Sembra un fantasma"
"Sono un fantasma" disse, poi all'improvviso si mise a sedere, i suoi occhi completamente aperti e le sopracciglia lucide di sudore "Watson, che cosa ci fa qui, in nome del cielo?"
Mi ritrassi da lui stupito "Sono stato chiamato"
"Da chi, se posso chiederlo?"
"Non ne sono sicuro. Credo dal concierge di questo hotel"
"Lettera o telegramma?"
"Era un telegramma"
"Mi dia il telegramma" chiese Holmes. La sua era un vista pietosa, il nero dei suoi capelli risaltava a contatto con il bianco cadaverico della sua pelle. Glielo misi in mano e appena lo feci questa cominciò a tremare considerevolmente.
"Lo ucciderò" dichiarò Holmes solennemente, gettando la lettera offensiva nel camino dopo averla appallottolata con viziosità "non ha che poche ore da vivere" si alzò con poca convinzione e fece per afferrare la sua veste da camera.
"Quindi non desidera la mia presenza qui?" domandai piano. Credo che in quel momento le mie mani tremarono almeno quanto le sue. Sapevo che cosa avrei fatto se la sua risposta fosse stata un no. Lo avrei lasciato in pace, avrei chiamato un altro dottore, e non avrei varcato mai più la soglia di Baker Street.
Il mio sguardo sembrò stupirlo. "Non ho mai detto una cosa del…" cominciò, ma qualcuno bussò alla porta interrompendoci.
"Messieurs" disse il concierge allegramente, entrando con le mani incrociate dietro la schiena con deferenza "Comment allez-vous?"
"Pas bien, merci," replicò Sherlock Holmes, guardandosi in giro in cerca di tabacco. "J'ai un travail difficile. Je vais tuer le concierge de l'Hotel Dulong"
"Vraiment?" rispose divertito l'omino arzillo. "C'est triste, ça. À quel heure est-ce que vous allez manger?"
"Sembra che il dottor Watson abbia bisogno di un sandwich il più presto possibile" disse Holmes "E anche di una stanza per la notte. Est ce-que il y'a une autre chambre près d'ici?"
"Bien sur… la chambre à côté de ta chambre, peut-être. Mais il ne reste pas ici?"
"Arrêtez -vous, Michel" sospirò Holmes con irritazione "Le docteur est gentil, mais il n'est pas bête"
"Je vois. Il est aussi très aimable, et assez beau, je pense"
"Michel, tu as cinq secondes quitter" sbottò il mio amico, e non esagererei dicendo che al momento avrei dato qualsiasi cosa per aver saputo parlare francese.
"Molto bene" sbuffò l'omino, chiaramente vessato dalla conversazione "Dottor Watson, è stato un piacere. La camera accanto sarà pronta per lei in men che non si dica. C'è una porta comunicante. Au revoir"
"Michel!" chiamò Holmes all'improvviso.
"Oui?" fu la concisa risposta del signor Michel, come adesso sapevo si chiamasse.
"Tu n'as parlé pas au mon frère?"
"Non. Seulement le docteur."
Holmes sospirò sollevato e si passò una delle sue pallide mani fra i capelli. "Merci, Michel" sorrise brevemente lanciando la sigaretta contro la graticola del camino. "Je vois que tu n'es pas complétement insensé"
Uno sbuffo di derisione seguì l'ultima frase, poi il concierge chiuse la porta sbattendola dietro di sé.
"Holmes, cosa diavolo significa tutto questo?" chiesi con asperità.
"Mi dispiace mio caro amico, ma non vorrebbe saperlo" rispose Holmes tornando a rannicchiarsi nel letto e coprendosi gli occhi con un braccio impossibilmente magro.
"Le assicuro che voglio saperlo. Dia credito al fatto che ho abbastanza acume da dedurre cosa 'le docteur' significhi. Per quale motivo un concierge potrebbe darle un tale fastidio? E a proposito, su che diavolo stavate litigando?"
"Non è un concierge. Voglio dire… ovviamente è un concierge, ma è anche mio cugino"
"Suo cugino?!" esclamai riportando alla mente l'insolita abitudine di quell'omino dell'alzare un sopracciglio che arrivava a somigliare a un segno di disprezzo.
"Sì, mio cugino. Mia nonna era francese, come lei sa, e quell'atroce nanetto è mio cugino Michel Vernet. Stavo organizzando la sistemazione per lei per stanotte"
"Stava certamente succedendo più di quello che mi sta dicendo adesso"
"Michel ha scherzato in quella maniera assolutamente priva di gusto che hanno i francesi e io gli ho detto che lei è gentile, non stupido. È davvero una piccola donnola irritante. Io e Mycroft una volta lo convincemmo del fatto che avrebbe guadagnato una fortuna vendendo sassi agli zingari che si accampavano vicino alla nostra proprietà perché loro conoscevano un modo per trasformare i sassi in cavoli. Il trucco era solo quello di portare loro sassi delle dimensioni di cavoli. Non credo ci abbia guadagnato qualcosa, ma ci stette fuori dai piedi per un'intera giornata"
Mi sforzai parecchio per non ridere, ma non ci riuscii. Sedetti sul letto di fianco a Holmes. "Quanti anni aveva?"
"Otto? Non pensavo a questa storia da anni. Lui era lì per l'estate e Mycroft doveva essere a casa da scuola quindi sì. Io avevo otto anni e Mycroft quindici"
"E Michel?" chiesi. Non avevo intenzione di smettere di parlare dell'unica storia sull'infanzia di Holmes che avessi mai sentito.
"Lui è di due anni maggiore di me e io sono stanco di parlare di lui"
"Bene allora" dissi prontamente "potrebbe dirmi del caso, cosa le è successo e perché suo cugino sembra ritenere la mia presenza necessaria quando lei non lo crede" Penso che per la maggior parte degli uomini la mia voce sarebbe suonata del tutto normale quando pronunciai questa frase. Sherlock Holmes, sfortunatamente, non era tipico della sua razza. Si mosse in fretta per neutralizzare la conversazione.
"Watson, qualsiasi falsità le abbia riferito su di me quel bellimbusto semi-isterico, le assicuro che sto bene" rispose velocemente.
"Questa è una menzogna oltraggiosa. Lo dico come suo medico, non come suo amico" aggiunsi "perché come suo amico una tale asserzione sarebbe un insulto e i dottori, sebbene lo detestino, sono abituati a sentirsi mentire dai pazienti"
"Mio caro amico, qualsiasi sia la veste con la quale afferma certe cose, sta continuando a chiamarmi bugiardo" replicò. "Ho appena chiuso un caso che mi ha sempre richiesto di lavorare non meno di quindici ore al giorno per le trascorse otto settimane. Quelle ore, le posso assicurare, sono state estenuanti. Inoltre, sono stato più di una volta… per essere franchi, come sembra lei voglia che io sia, sono stato per tre volte costretto a lavorare sul caso per cinque giorni di fila senza tregua. Sono affaticato. Non è naturale affaticarsi quando tutto intorno a noi è banale e volgare?"
Sherlock Holmes, dichiarato ciò, mi guardò come non aveva mai fatto prima nella nostra già lunga collaborazione. Fui tentato di arrabbiarmi ma mi contenni quando vidi che stava ancora tremando come una foglia, sudava alle prese con la nausea e continuava a fissarmi come se si fosse leggermente pentito di quello che mi aveva appena rivelato.
"Ha veramente lavorato per tutto quel tempo senza riposarsi?"
"Ho appena detto che l'ho fatto" mi rispose. La sua voce si era attenuata e sembrava più turbata che arrabbiata.
"Non c'è uomo al mondo che sia capace di stare sveglio così a lungo senza l'ausilio di stimolanti artificiali" osservai cautamente.
"Ah sì?" biascicò "io sono un'eccezione"
"Lei rimane sempre un uomo"
"Non c'è da stupirsi che lei sia così rispettato come medico. È imperdonabile che non si trovi in Harley Street* a quest'ora"
Aprii la bocca per replicare a questa frecciata ma Holmes mi impedì di parlare, distese una mano per afferrare qualsiasi superficie essa incontrasse e trovò una delle mie.
"È un sintomo. Mi è già successo. Stavo concludendo gli esami finali all'università. Non deve prenderla sul personale" i suoi occhi si spalancarono ancora una volta interrogandomi con grave urgenza.
Molte cose mi si erano chiarite adesso, ma confesso, comunque, che non potevo credere che il mio amico avesse abusato di droga nel bel mezzo di un'investigazione internazionale. Tentai in tutti i modi di ignorare il fatto che la mano di Sherlock Holmes fosse stretta nella mia e continuai con la conversazione.
"Non fa mai uso di cocaina quando è occupato in un caso"
"Allora perché pensa che l'abbia fatto?" rispose caustico, il suo tono era già tornato quello di un accusatore che interroga una giuria.
"Non penso lei debba considerare i suoi sintomi così oltre la mia comprensione, anche se non ha ancora confessato poi molto" ringhiai "Certo, malgrado il fatto che la sua dedizione a questo caso si è provata umanamente impossibile… avrei dovuto comunque riconoscere i sintomi di irritabilità, nausea, affaticamento, tremori, depressione e perdita del controllo muscolare come indicazioni dell'uso di cocaina".
Ci fu un lungo silenzio che non sembrò provenire dallo stato di costernazione in cui si trovava il mio amico, ma piuttosto dal fatto che fosse impossibilitato a parlare dall'azione dei brividi che scuotevano il suo intero corpo. Mi chiesi, e non fu l'ultima volta che lo feci, quale mostruosa forza della natura ci volesse per convincere Sherlock Holmes a lasciarsi andare. Decisi di non avere altra alternativa se non insistere sull'argomento.
"Dice di averlo fatto prima. Spero non sia stato tanto pazzo da pensare che la seconda volta potesse essere più facile della prima!" Dissi. Le parole mi uscirono senza pensarci, ero ben conscio del loro significato anche se avrei voluto ritirarle.
Il mio commento colse nel segno. "Avevo appena passato con il massimo dei voti gli esami di storia e di matematica" rispose in tono scandalizzato "Affittai una stanza per una settimana. Lo feci da solo…"
"Senza dubbio. Non ho dubbi anche che il suo consumo di droga in quell'occasione fosse stato considerevolmente più basso di quello richiesto per farla stare sveglio per più di cento ore di seguito, e in tre separate occasioni. L'organismo finisce con l'assuefarsi a…"
"Capisco che sia stato folle, glielo assicuro" mi interruppe con fervore "Ma Watson, non deve considerarmi completamente pazzo. È stato questo caso a portarmi a necessitare una quantità di droga superiore"
"Non di meno lei ha bisogno di aiuto" dissi gentilmente "E io desidero aiutarla" tenni i miei occhi ragionevolmente bassi sul tappeto sebbene continuassi a stringere la sua mano con una forza che riuscivo a sopprimere a mala pena.
"Non voglio che chiunque mi possa vedere così" fu il sussurro strozzato che mi riportò alla realtà.
"Io non sono chiunque" precisai.
"No, non lo è. Lei è molto peggio"
"Questo cosa diavolo vorrebbe dire?" domandai, ritraendo la mano.
"Lei è tutti" rispose, reclamando la mia mano indietro "lei non è nessuno. Non lo so. Di certo lei non è chiunque"
Era un discorso completamente senza senso, ovviamente. Le parole, sebbene collegate l'una all'altra con esattezza, non convogliavano in alcun senso che potesse essere inteso da un pubblico che le ascoltasse. Non avevo fatto progressi nel riuscire a comprenderlo né avevo tentato seriamente di farlo, perché Holmes era nel bel mezzo di una grave crisi. Eppure qualcosa nel suo tono, confesso, mi toccò nel profondo. Avrebbe potuto stare recitando "The Charge of the Light Brigade"** per quello che mi importava. Voleva che stessi con lui. Aveva bisogno che stessi con lui. Questo era tutto ciò che avrei potuto sperare per il momento.
La cameriera arrivò pochi minuti dopo, senza dubbio su richiesta di Michel Vernet, con un vassoio di pasticcini e un catino d'acqua fresca. Ora la presa di Holmes sulla mia mano aveva avuto il tempo di rilassarsi del tutto, e lui dormiva un sonno dettato dalla sua spossatezza fisica. Io approfittai di quanti più morsi ai pasticcini il mio stomaco poté sopportare, poi mi sdraiai accanto al mio insensato amico usando il mio cappotto come coperta. Sapevo di non poter fare niente per lui in senso medico, e il pensiero mi provocò una fitta di auto-rimprovero. Nondimeno, la camera era calda al punto giusto e le coperte sotto di me erano inebrianti. In tutta la mia vita ero rimasto sveglio per il tempo che aveva specificato Holmes due sole volte.
Nel caso del giorno appena trascorso, comunque, appena tre ore di impotente terrore erano state sufficienti per trascinarmi nel sonno più profondo che avessi mai sperimentato. Non mi curavo del Paese in cui mi trovavo come non mi curavo del proprietario del letto in cui mi ero accoccolato né del modo in cui Sherlock Holmes avrebbe potuto giustificare la mia presenza in esso il giorno dopo.

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Infatti gli eventi del mattino sorpresero me e il mio amico in egual misura. Nessuno dei due possiede un sonno pesante; entrambi siamo stati costretti, anche se per motivi diversi, alla necessità di poter essere perfettamente svegli per ogni evenienza improvvisa. Per questo l'urgente bussata alla porta della camera di Holmes svegliò entrambi simultaneamente e ci mise in un lieve stato di allerta.
Ci guardammo perplessi per un attimo mentre Holmes ritirava il suo braccio che stava coprendo i miei fianchi e io rimpiangevo di non aver fatto sembrare che nel mio letto avesse dormito qualcuno "Le assicuro…" cominciò lui.
"Non mi sarei mai permesso di…" dissi io nello stesso momento.
"Tutto questo è ridicolo" replicò secco, gettandosi la veste da camera sulle spalle mentre si avvicinava alla porta.
"Holmes, si sente meglio?" chiesi mentre lui appoggiava la mano sulla maniglia. Era una domanda sincera. La tossicodipendenza era un orribile disturbo e io ero stato davvero terrorizzato per lui la notte prima.
"Vada nella sua stanza. Adesso" rispose.
Mi affrettai a fare quello che mi aveva chiesto, le mie orecchie bruciavano. Non era sembrato arrabbiato. Ma fin troppo spesso quando Sherlock Holmes era estremamente arrabbiato non lo faceva vedere. Mi sedetti sul bordo del mio letto ancora immacolato per tre minuti buoni nei quali esclamazioni adirate e in lingua francese si contendevano la supremazia le une sulle altre nella stanza accanto. Alla fine Holmes spalancò la porta che metteva in comunicazione le nostre camere.
"Si vesta" comandò.
Osservai che lui aveva già quasi del tutto raggiunto quell'obiettivo e che gli mancavano solo cravatta e soprabito per completare la sua toilette.
"Holmes…" cominciai. Con mio grande stupore lui scostò le mie coperte, si infilò fra le mie lenzuola, si rotolò avanti e indietro per quattro o cinque volte con gli avambracci piegati, una posizione che riconobbi immediatamente come una sua tecnica da boxeur, poi capitombolò dall'altro lato per atterrare con grazia sul duro legno del pavimento. La sua discesa frettolosa gli provocò un'improvvisa rotazione mentre si affrettava a prendere a pugni il mio cuscino seppur con una certa qual timidezza.
"Così va meglio" dichiarò.
Strabuzzai gli occhi nella sua direzione mentre lui restava in piedi davanti a me con le mani di nuovo in tasca. Mi guardò con quell'espressione di mezza curiosità e divertimento che così spesso avevo trovato irritante ed eccitante insieme.
"Watson, il solo fatto che sono francesi non significa che siano per forza abituati al concetto di scandalo. Ho semplicemente sistemato il suo letto. Ora si vesta" ripeté con leggerezza. Così dicendo si avviò a grandi passi verso la porta, il suo corpo di nuovo sotto il suo controllo anche se ancora percettibilmente tremante. Sopprimendo un sorriso accondiscesi all'improvviso ai suoi ordini chiedendomi mentre lo facevo se sarebbe stato così orribile pagare per le libertà che mi ero già preso con lui.
Un colletto pulito e una veloce rasatura furono sufficienti a rendermi presentabile, così tornai nella stanza di Holmes incuriosito dal motivo che lo aveva allarmato a tal punto poco prima. Con mio grande stupore stava allungando le sue valige e le mie, ancora non disfate, al suo agitato cugino.
"Mais je crois que c'est trop dangereux..."
"Michel, n'importe pas. C'est trop dangereux ici" rispose Holmes cercando di placarlo.
"Tu as la raison," replicò Vernet, suonando tutt'altro che in panico. "Mais--"
"En anglais, s'il te plaît" lo interruppe Holmes, posando gli occhi su di me.
"Sicuramente" si affrettò a dire suo cugino. "Volevo solo dire che esistono alcuni vantaggi nel rimanere qui che nemmeno tu puoi negare. Sei libero da influenze specifiche. Hai cibo e bevande assicurate. Hai un alleato…"
"Mon cher Michel" disse Holmes con gentilezza "Non mi sognerei mai di coinvolgere quell'alleato nei pericoli che dovrò correre. Ti prego di considerarti fuori da questa storia. E ti ringrazio per esserti cimentato in una così ardua prova"
Il piccolo congiunto scrollò le spalle in un elaborato tentativo di disinteresse mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime "C'est mon plaisir. Prendi tutte le precauzioni possibili, fatelo entrambi. Se dovesse succedere qualcosa…"
"Oh per l'amor di Dio" Sherlock Holmes lo rimbeccò con impazienza "Dammi qua. I bagagli li tengo io"
Michel Vernet rise a quest'ultima frase mentre Holmes gli offriva il suo fazzoletto da taschino. Asciugandosi gli occhi gli rispose afferrandogli una spalla "Ce la farai. Ce la farai contro di lui. So che lo farai. La tua forza, il tuo infaticabile coraggio, la tua joie de vivre…"
"Stanno diminuendo a vista d'occhio" lo interruppe Holmes. "Allons-y, mon cher… le chiedo scusa. Mio caro Watson, andiamo. Michel, come sempre, spero di non dover mai più posare gli occhi su di te"
Michel Vernet si portò una mano sul cuore come se considerasse quello come il più alto dei complimenti. "Come sempre allora, mon cher cousin" rispose l'ometto "Ben detto davvero. Come sempre. Dottor Watson, incontrarla è stato un vero onore. Au revoir!"
Mentre ci lanciavamo giù per le scale di servizio accodandoci alle varie cameriere intente a rassettare le stanze fornendole di biancheria fresca, non riuscii a trattenere la mia curiosità. "Holmes, contro chi dovrebbe farcela?"
"Mi scuso per mio cugino" borbottò Holmes "È davvero snervante. Rimane un'altra piccola faccenda da sistemare riguardo il Barone di Maupertuis"
"Quale faccenda?"
"Non si è rassegnato, intende ancora uccidermi"
"Che differenza farebbe?" domandai allarmato "Non può più farle alcun male. È in prigione. Ho letto la notizia io stesso. Lei ha chiuso questo caso già da due giorni e non ha nemmeno avuto la decenza di…" esitai visibilmente mentre uscivamo dalla porta della cucina nell'aria primaverile.
"Di… che cosa, Watson?" chiese Holmes. Aveva smesso di seguire la sua traccia e si era voltato per fissarmi intensamente.
"Be' di avvertire" sospirai "O di ritornare"
"Sì avrei potuto" rispose "Mi dispiace"
"Non importa" mi affrettai a dire mentre riprendevamo a camminare, sconcertato dall'esperienza senza precedenti di ricevere delle scuse da Sherlock Holmes.
"Posso solo dire a mia discolpa che mi trovavo in una condizione di estrema gravità" continuò, i suoi occhi scandagliavano cautamente la strada.
"Certo che lo era. Mi dispiace tremendamente per…"
"E non avrei potuto fare ritorno in condizioni del genere. Michel me lo ha ordinato, sa. Ero chiuso nella mia stanza. Sono rimasto estremamente stupito di vederla piombare qui"
Arrossii al pensiero "Ha chiesto a suo cugino di tenerla segregata fino a che l'astinenza avesse fatto il suo corso? Per quanto sarà stato? Quattro giorni contando oggi?"
Annuì in silenzio.
"Ma Holmes… la porta era semplicemente chiusa ad una mandata e la finestra non aveva che un fermo. Avrebbe benissimo potuto…"
"Evadere?" ridacchiò "Non quando Michel mi aveva dato al sua parola che avrebbe avvisato mio fratello se me ne fossi andato"
"Capisco" dissi quando compresi il suo metodo "Era quello che intendeva fare sin dall'inizio, vero?"
"Proprio così. Ho escogitato la cosa qualche settimana fa, quando mi accorsi che il mio bisogno di restare all'erta aveva preso il sopravvento sulla mia salute. Ho aspettato che il caso fosse largamente concluso e poi ho convinto Michel a chiudermi in camera"
"Holmes" chiesi piano "Perché suo cugino mi ha avvertito con così tanta urgenza di venire a Lione?"
Il mio amico sospirò e mi fece segno di seguirlo su una strada in salita che costeggiava file di cesti pieni di erba coperti da biancheria appena lavata. "Non ricordo. È possibile che gli abbia chiesto io di farlo. Ricordo abbastanza chiaramente che pensavo di stare per morire"
Mentre tentavo di formulare una risposta alla sua affermazione, Holmes continuò "Non sono preda di alcuna allucinazione adesso, glielo posso assicurare, né lo sarò più. Non tema per questo"
"Non ho paura per questo" dissi io. Quello di cui avevo paura non riuscivo ancora a determinarlo io stesso. Mentre cercavo di risolvere l'enigma Holmes si fermò improvvisamente e appoggiò la schiena contro il muro di una casa abbandonata, respirava a fatica e si era portato le mani agli occhi per ripararli dalla luce del sole mattutino.
"Cosa c'è Holmes?" chiesi, e afferrai il suo polso per sentirgli il battito.
"Non è niente"
Un pensiero si affacciò nella mia mente "Holmes, quando è stata l'ultima volta che ha mangiato qualcosa?"
Pensò seriamente alla mia domanda, oppure gli ci vollero alcuni secondi prima di poter di nuovo parlare. "Non riesco a ricordarlo con esattezza"
"Allora sa di certo quello che sto per dirle" risposi prendendolo sotto braccio mentre le sue forze ritornavano lentamente a sorreggerlo.
"Penso di poterlo dedurre, sì" disse con imbarazzo. Continuammo a camminare lungo la salita sul fianco della collina.
"È magro come un chiodo. Il suo organismo richiede sostanze più solide di una dose di cocaina"
"Deve perdonare l'appunto di natura personale, mio caro ragazzo, ma lei è ben lontano dal sembrare in forma smagliante" rispose Holmes mollemente, dando un'occhiata critica al mio fisico.
"Io?" esclamai "Holmes, questo è assurdo. Posso anche essere stato abbastanza indaffarato in sua assenza, ma quando mai mi ha visto saltare un pasto? In ogni caso non sono rimasto invischiato in un'avventura disperata segreta e solitaria, io"
Seppi dalle sue sopracciglia che era riuscito a vedere oltre il mio bluff. Ma non diedi alla cosa granché importanza visto che lui fece a mala pena una mezza battuta e alzò le spalle "A colazione allora, mio caro Watson, per il mio bene se non per il suo. C'è un piccolo caffè proprio qui dietro con un paio di tavolini appartati nel giardino sul retro. Dobbiamo pianificare ogni cosa considerando la possibilità che qualcuno ci possa stare seguendo. E comunque la prima vera colazione che faccio in tre settimane deve essere un affare di Stato".


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Era molto più di un affare di Stato. Era una colazione nella quale nessun uomo avrebbe potuto imbarcarsi senza aver passato almeno due giorni senza mangiare quasi nulla, come nel mio caso; o sopravvivendo per Dio solo sa quanto tempo a tè, pane, tabacco e stimolanti artificiali, come nel caso del mio amico.
Non sapevo cosa avesse ordinato perché aveva parlato rapidamente e con cortesia nella lingua di sua nonna ad un'anziana cameriera, i cui sorrisi occasionali mi spinsero a pensare che l'eccezionale costituzione di Holmes era sulla buona strada per ritornare ad essere quella di una volta. Quando i vassoi carichi di pane, formaggi e salumi arrivarono accompagnati da una polverosa bottiglia di vino d'annata senza dubbio recuperata dall'angolo più nascosto della cantina, credetti per un momento di essere l'uomo più felice esistente. Mi importava ben poco del fatto che dividersi una bottiglia di rosso datata 1871 alle dieci del mattino non fosse affatto una buona idea: Holmes mi sedeva davanti, una forchetta in una mano e una fetta di pane nell'altra, e io non avevo la più pallida intenzione di oppormi ad uno solo dei suoi capricci.
"Holmes" mi azzardai alla fine, quando molti dei piatti erano stati svuotati e l'attenzione del detective si era spostata sulla frutta fresca sebbene le sue mani continuassero leggermente a tremare "le nostre vite sono davvero in pericolo in questo preciso istante?"
Questo provocò una risata da parte di Holmes, che si riaccomodò contro lo schienale e scolò le ultime gocce di vino dal suo bicchiere "Lei possiede la snervante capacità di interrompere il flusso dei miei pensieri, mio caro amico. Temo sia solo una mancanza da parte sua, e forse una volta o l'altra le darò una dimostrazione di come cose di questo genere si possano compiere facendo uso di logica"
"Basata sulla logica o no, la questione dovrebbe pesare seriamente sui pensieri di entrambi" precisai.
"Bravo… un punto per lei, dobbiamo concederglielo almeno stando alle leggi delle probabilità" sorrise e si accese una sigaretta "Molto bene, allora. Dobbiamo fuggire, penso, e senza ulteriori ritardi. Ho catturato ogni membro del modesto impero del Barone, capo supremo incluso. Il problema sorge dal fatto che il miserabile ha elaborato un modo per comunicare dalla prigione e ha assoldato un ceffo che non mi piacerebbe incontrassimo. Michel, la sorprenderà saperlo, ha le mani in pasta in molte faccende scottanti che riguardano le offerte di intrattenimento che hanno luogo nel suo hotel, in perfetto anonimato tanto che anche l'Arcivescovo in persona potrebbe prendervi parte senza che nessuno lo venisse a scoprire. Ho dato a Michel una lista di uomini che, se contattati, avrebbero potuto darmi problemi qui a Lione prima di chiudermi niella mia stanza. Gli ho fornito anche le loro descrizioni. Quel ridicolo nanetto ha aspettato fino alle nove di questa mattina per paura di disturbarci a riferire che a uno di questi mascalzoni era stata respinta la richiesta di riservare una stanza"
"E chi era questo mascalzone?" chiesi. Posi la domanda senza curarmi del tono, come se il pericolo non significasse niente. In effetti la posi senza pensarci perché Holmes si era lasciato scappare una frase che desideravo ardentemente approfondire.
"Il suo nome è LaRothiere. Un piccolo assassino particolarmente intelligente. Dobbiamo andare a Parigi, mio caro amico. In questa borsa ho l'abbigliamento di un pastore evangelico locale, e Michel mi assicura che lei non è stato osservato mentre entrava in hotel. Sono sicuro allo stesso modo che nessuno ci abbia visto uscirne. Per cui lei può rimanere vestito come lo è ora e ci vedremo alla stazione. Riuscirà a trovarsi lì in mezz'ora, no?"
"Senza dubbio" risposi.
"Acquisti un biglietto singolo di solo andata per Parigi sul treno dell'una e un quarto, trovi uno scompartimento privato e mi aspetti dentro" finì, scostando la sua sedia dal tavolo. "Sarò occupato a cambiare il mio aspetto per un po' di tempo"
Anche io mi alzai dalla sedia "E il conto?"
"Quale conto?" Holmes rise "Ho appena messo le mani su un compenso di ottocento sterline e non ricordo di averla mai pagata per i servigi medici a me resi, incluse le chiamate a domicilio in Paesi stranieri. In ogni caso il franco vale meno della sterlina".
Rimasi fermo immobile per un istante senza rispondere perché la mia domanda era lì di nuovo. Fin troppo spesso, nello spazio di un'osservazione considerata scherzosa da parte di Holmes, avevo scorso una rapida espressione di malinconia dietro quegli occhi grigi capaci di accendersi di migliaia di emozioni differenti: ognuna, ero orgoglioso di dire, a me nota. Avevo torto ad affermare ciò, così come avevo torto per molte altre cose. Ma col riaffacciarsi di quello sguardo nostalgico fui fortemente tentato di porre la domanda che in quel momento bruciava dentro di me.
Nondimeno ero fiero della mia capacità di non cedere alle tentazioni prima che i tempi fossero maturi. "Grazie mio caro amico. È davvero un grande piacere rivederla, lo sa?"
"Se per lei è un grande piacere rivedermi in questo stato, non riesco davvero a immaginarne il motivo" mi rimbeccò mentre recuperava le nostre valige da dietro un vaso di rose.
"Mi fa semplicemente piacere vederla" risposi "mi fa piacere oltre ogni dire. Non importa in quale stato lei si trovi".
Lui non mi sentì. Mi aveva sorriso brevemente ed era entrato velocemente nel caffè. Non mi aspettavo che mi ascoltasse perché Holmes usava una sua tipica cadenza nel troncare i discorsi che non ammetteva ulteriori commenti a meno che il commento in questione non fosse rivolto direttamente al vento. Comunque, devo confessare che posi particolare attenzione nel riservare uno scompartimento sul treno che si adattasse ai miei propositi, per quanto fugaci e caotici fossero questi propositi. Sapevo a mala pena quello che gli avrei detto, o quello che avrei fatto una volta che fossimo stati veramente soli, ma il ricordo del suo braccio buttato di sfuggita sul mio petto bruciava nella mia memoria come un falò. Non aveva fatto niente né detto niente che non potesse essere facilmente ricondotto al suo stato dopo la debilitante malattia. Ma il solo fatto di averlo visto di nuovo mi convinse che il mio caso era talmente senza speranza da meritare per lo meno un'azione da parte mia, nel bene o nel male che fosse.


 

* Harley Street era la strada che nella Londra vittoriana era considerata il luogo migliore per andare a cercare ogni tipo di specialista medico della città. (n.d.t)

** Poema narrativo di Lord Alfred Tennyson del 1854 che si svolge durante una battaglia della guerra di Crimea famosa per la disfatta degli inglesi.
Dato che qui evidentemente non c'entra un tubo, immagino che in italiano avremmo detto che Holmes avrebbe potuto stare recitando la lista della spesa per quello che importava a Watson in quel momento. (n.d.t.)

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Untitled Document Non preoccupatevi XD ci siamo al momento clou



PARTE 3

La carrozza del treno che avevo scelto con tanta cura era, all'una del pomeriggio, praticamente vuota salvo per me e per una donna dai capelli rossi nello scompartimento opposto, la cui unica occupazione sembrava essere quella di controllare il suo orologio e confrontare l'ora con quella annunciata per la partenza del treno. Dieci minuti dopo, un educato pastore evangelico chiese se il sedile di fronte al mio fosse occupato. Gli assicurai che non lo era. Dopo altri venti minuti, il treno già sulla strada per la capitale, assistetti alla scena più seducente che potessi mai immaginare, della quale non mi sarei mai potuto stancare nemmeno in sei lunghi anni: Sherlock Holmes che si liberava lentamente degli indumenti di un'altra persona e tornava mano a mano ad essere se stesso.
"È stato difficile?" chiesi.
"Non difficile, no, ma tedioso" disse lui, tuffandosi sotto il collo dell'abito talare ed emergendone poi in maniche di camicia e gilet "Sono stato costretto a sedermi in diverse caffetterie per poi riprendere la strada. Solo così si può davvero sapere se si è seguiti"
"E lei lo era?"
"No di certo. Mi sarei fortemente stupito se lo fossi stato, perché ho eseguito diverse manovre elusive durante il tragitto. Sono molto contento di essere su questo treno… è un peccato lasciare mio cugino in questo assurdo stato di agitazione ma non ho nessun desiderio di portare guai a lui come al suo hotel, e saremo molto meno visibili a Parigi ben inteso"
"Sono immensamente sollevato. Ed esausto anche, devo dire" non potei trattenere uno sbadiglio a quel punto.
Holmes mi fissò in silenzio per un momento. Poi, rivolgendo lo sguardo in basso osservò "Ho un violino nella borsa, sa? Faceva parte del personaggio del vecchio pastore. È uno strumento di infima qualità… difficilmente meriterebbe le mie dita o la sua attenzio…"
"Le sarei profondamente grato se lo suonasse per me" risposi.
"Ah sì?" chiese, arrossendo all'improvviso "Non avevo intenzione di dirglielo, ma non suono da…"
"Holmes" ripetei gentilmente senza che i miei occhi lasciassero mai il suo viso "La pagherei una fortuna, se l'avessi, perché suonasse il violino per me in questo preciso istante"
"Non può dire sul serio" osservò con sagacia.
Mi avvicinai a lui. "Sa benissimo l'effetto che il suo violino ha sui miei nervi. Li distende in men che non si dica. Per quanto riguarda la questione se lo strumento valga o non valga il suo talento, be', la cosa si spiega da sola. Lei lo ha comprato per il suo travestimento da anziano pastore evangelico, ergo il violino doveva essere…"
Alzò un sopracciglio nella mia direzione e cominciò a suonare. Le note erano grezze, sì, ma impeccabilmente intonate.
"Il violino doveva essere di suo gradimento" finii. Appoggiai la testa alla parete della carrozza e chiusi gli occhi.
Avrebbe potuto aver suonato per minuti, o per ore. Non avrei saputo dirlo. Aveva tirato tutte le tendine del nostro scompartimento, dove per cui regnava un buio molto piacevole. Mi accorsi quando cambiò posto per mettersi dalla mia stessa parte dei sedili e mi accorsi anche quando smise di suonare, quando ripose il vecchio strumento affaticato nella sua custodia e quando si appoggiò contro i cuscini del sedile dondolante.
"Holmes?" sussurrai nell'oscurità.
"Che cosa c'è?" sospirò "Avevo quasi trovato una posizione per poter prendere sonno in questo ambiente così scomodo"
"Saremo a Parigi in poco più di un'ora comunque" sottolineai.
"Sì, Watson, quindi secondo lei io non potrei esimermi dal soddisfare la sua curiosità mentre viaggiamo trascurando ogni piccola occasione di riposo che avrei invece dovuto cogliere durante la strada"
La mia intenzione di dirigere la conversazione con Holmes sull'argomento desiderato sparì di colpo, ma ormai la questione era diventata per me troppo importante, sia che fosse stata ostile che no. Mi preparai ad introdurla.
"Holmes, c'è una cosa che non riseco a comprendere"
"Solo una?"
"Perché suo cugino avrebbe dovuto temere di disturbarci alle nove del mattino nella sua camera?"
Lo vidi sedere immobile come se si fosse trasformato in pietra. Un momento dopo, comunque, il sangue gli tornò al viso e le sue membra riacquistarono la facoltà di muoversi.
"Desidera seriamente che io deduca per lei le macchinazioni della mente di Michel? A che scopo, se posso chiederlo?" domandò.
"Sembrava una bizzarra considerazione"
"Lui è, come avrà potuto giudicare lei stesso, un uomo bizzarro. Forse ha pensato che fossi troppo delicato e che mi avrebbe disturbato. Ho cessato da tempo di essere curioso a proposito dei sentieri tortuosi delle menti dei Vernet, e le suggerisco di fare lo stesso"
"Mi piacerebbe saperlo"
"A me piacerebbe sapere cosa spinge un uomo ad uccidere quando un altro non si macchierebbe di spergiuro nemmeno per salvare la propria moglie" rispose il mio amico con la sua solita asprezza "Mi piacerebbe sapere se il Dio che ha creato tutto questo abbia mai tenuto in considerazione l'eventualità di avversità o problemi di ogni sorta; questo non significa che abbia la minima speranza di scoprire l'una o l'altra cosa"
"Sta davvero paragonando le osservazioni casuali di suo cugino ai più grandi misteri dell'universo?" esclamai incredulo.
"Watson, lasci perdere la prego. Non c'è nulla da guadagnare esplorando la questione"
"Siamo soli in uno scompartimento ferroviario, se non c'è nulla da guadagnare di sicuro non ci sarà nulla nemmeno da perdere. Mi sembra un modo abbastanza innocuo per passare il tempo"
Holmes si girò per guardarmi. I suoi occhi erano molto luminosi lì in quell'oscuro scompartimento, rassegnati eppure audaci allo stesso tempo. "Se desidera veramente saperlo glielo dirò" disse.
"Grazie" dissi io "vorrei davvero saperlo"
"Ma l'avverto" continuò sommessamente "lei e io non saremo mai più amici. O almeno non nel senso in cui intendo io la parola"
"Rimarrei suo amico anche quando uno dei due dovesse morire" gli assicurai mentre il mio cuore cominciava a battere più forte.
"Sta rischiando qualcosa che per me è di estrema importanza" rispose causticamente "Forse per lei la cosa avrà scarse conseguenze, ma lei è l'unico amico che abbia al mondo, l'unico a cui possa confidare i compiti più alti e delicati che mi vengono affidati, così come le questioni di minima importanza sottoposte alle mie cure"
Per quanto gratificanti e di certo inusuali queste asserzioni potessero essere state, mi ero ormai spinto troppo in là per fermarmi ad un punto tanto critico. "Holmes, sta dicendo che non prenderò più parte ai suoi casi se lei mi spiegasse il significato di un'affermazione casuale fatta nella sua camera da suo cugino?"
"Si arriverebbe a questo"
Riportai alla mente il calore del suo braccio che mi cingeva la vita alle prime ore del giorno e l'immagine mi conferì forza. "Tutto ciò ha per caso a che fare non solo con la domanda originale, cioè il motivo per cui Michel non voleva interromperci, ma anche con il fatto che io non sia riuscito a chiudere occhio per più di un quarto d'ora da quando lei è partito, sapendola alle prese con pericolosi assassini senza di me al suo fianco?" chiesi.
Sherlock Holmes diede un ultimo, infinitamente affezionato sguardo rivelatore al suo amico. E poi mi baciò. Non esagererei dicendo che mi aggredì.
Quindi era questo quello che si provava, pensai prima che la mia bocca si aprisse al suo volere e tutti i miei pensieri si allontanassero da me. Dopo un momento lui si scostò, e mentre la mia mano afferrava il retro del suo collo come in una muta protesta, l'accenno di un sorriso si disegnò agli angoli della sua bocca.
"John Watson, sembra che io sia giunto a conclusioni decisamente poco accurate sul tuo conto" sussurrò.
"Ed io sul tuo" risposi.
"È assolutamente sorprendente…" meditò. Fece scorrere languidamente una mano sul mio braccio come per valutare scientificamente le mie reazioni rispetto al suo intento. Quando non incontrò obiezione alcuna la mano si spostò sulla mia coscia "…pensare che tu mi possa aver ingannato per così tanto tempo e a una distanza così ravvicinata… è evidente che la mia osservazione nei tuoi riguardi è stata finora del tutto incostante"
"Holmes" lo pregai "non pensarci adesso"
"Molto bene" mormorò mentre il suo sorriso si allargava "non lo farò". Sporgendosi verso di me per baciarmi mi allentò velocemente la cravatta e si sbarazzò con violenza del mio colletto procedendo nello sbottonarmi la camicia con una mano mentre l'altra mi carezzava la guancia.
"Hai tirato completamente tutte le tendine?" dissi ansante mentre le sue dita ferme si spostavano alla mia mascella.
Non ebbe fretta nel rispondermi perché le sue mani erano occupate nell'aprirmi la camicia mentre la sua bocca giocava sulla mia clavicola. "È quello che ho fatto, anche se non per questi propositi".
Le sue labbra tracciavano sulla mia pelle disegni serpeggianti e vaghi, ma il loro calore bruciava su di me come se stesse scavando un sentiero scottante lungo il mio petto. Quando incontrarono la cicatrice sulla mia spalla la sfiorarono con un sospiro e la accarezzarono dolcemente mentre gli occhi di Holmes si muovevano rapidamente verso territori ancora inesplorati.
"La porta è chiusa a chiave?" potevo a mala pena riprendere fiato dato che il suo braccio muscoloso era scorso lungo la mia schiena attirandomi fermamente contro di lui mentre continuava la sua esplorazione del mio busto.
"Certo che lo è. Perché me lo chiedi?" mi ammonì con uno sguardo di indecente passione e riprese la sua precedente occupazione mentre la sua mano sinistra slacciava ordinatamente i miei pantaloni.
"Questo è illegale!" sibilai scorrendo le dita disperatamente nei suoi capelli scuri.
"No, non lo è" affermò allegramente mentre si inginocchiava sul pavimento della carrozza e esaminava quello che aveva lasciato scoperto come se fosse stato uno dei suoi complessi ed eccezionali rompicapo.
Anche se avessi avuto abbastanza aria nei polmoni per protestare, non lo feci appena mi accorsi che aveva ragione. Non eravamo nella nostra nazione, le quali leggi per cui non ci potevano danneggiare.
"È chiaro" continuò pensieroso, appoggiando un braccio casualmente sul mio ginocchio "che sarà molto illegale quando avremo fatto ritorno a Baker Street e eseguiremo simili atti trecentocinquanta o sessanta giorni all'anno. Ma io non ho intenzione di dirlo a nessuno e ti sarei grato se volessi restituirmi il favore".
Mi misi quasi a ridere alla sua formale richiesta posta con così tanta cortesia, ma invece il mio respiro si fece affannoso quando alla fine la sua testa scese lungo il mio corpo. La vista mi si annebbiò appena mi prese lentamente e fino in fondo nella sua bocca, e mi aggrappai al sedile dello scompartimento come se potessi volare fuori dal finestrino da un momento all'altro. Proprio quando avevo pensato che sarei stato fortunato a riuscire a resistere a più di trenta secondi di questo delicato anche se vigoroso trattamento, sentii il suo braccio contro la mia gamba mentre liberava la sua erezione dai confini dei suoi pantaloni e cominciava a massaggiarla con potenza, gemendo contro di me mentre io facevo lo stesso.
La sensazione era incredibile e le mie labbra quasi sanguinarono mentre cercavo di trattenermi dal gridare e mettere così in allarme l'intero treno. "Holmes" urlai alla fine, incapace di impedirlo a me stesso, ma nello stesso istante anche lui gridò di piacere soffocando il suono con il mio membro ancora nella sua gola. In quel momento abbandonai ogni parvenza di controllo perdendo la battaglia e lasciandomi trasportare al limite estremo del piacere, e tra brividi e sospiri sperimentai l'orgasmo più profondo che avessi mai potuto immaginare possibile.
Quando alla fine riuscii a riaprire gli occhi ed ebbi le prove che quello che era appena successo non era stato puramente il sogno più bello che avessi mai potuto fare, guardai Holmes che si rimetteva in tasca il fazzoletto dove evidentemente aveva avuto la previdenza di spendersi all'ultimo momento, e le ultime tracce delle nostre attività sparirono velocemente mentre finiva di riabbottonare i suoi pantaloni. Aveva già provveduto ai miei in precedenza. La preoccupazione e la cura per le inezie riguardo l'igiene erano entrambe così da lui da farmi scuotere la testa di meraviglia non appena Holmes si risedette accanto a me e appoggiò la testa sulle mie gambe con disinvoltura.
"Dove diavolo hai imparato a farlo?" chiesi, assolutamente stordito.
Si strinse nelle spalle e cominciò a sfregarsi le mani una contro l'altra in un languido tentativo di calmare il loro tremore. "Al college. Non l'hanno fatto tutti, forse?"
Risi di cuore a questa domanda brusca e indecente. "Be' io certamente sì, ma no, non penso che questa sia un'esperienza comune a tutta la gioventù britannica. Ma non parlavo in generale. Quel trucco di…"
"Oh" sorrise "ti è piaciuto allora?"
"È stato incredibile, ma sembra che tu mi abbia derubato dell'opportunità di restituirti il favore"
"Non è grave" sospirò con soddisfazione "rimetteremo presto le cose a posto. Ho una memoria eccezionale per questo tipo di debiti"
"La cosa non mi sorprende nemmeno un po'" sorrisi accarezzando gentilmente i suoi zigomi con il dorso della mia mano. "Holmes, mi stai guardano con un'espressione davvero straordinaria"
"Ah sì?" rise "stavo solo immaginandoti a diciassette anni, a malapena maturo per raderti, affannarti giocando a rugby e praticando poi ben altri tipi di sport nelle ore di tempo libero"
Non so per quale motivo questa frase casuale mi potesse aver scaldato il cuore come fece, ma fermai le sua mani e iniziai a massaggiarle con gentilezza, una per una.
"Come ti senti?"
"Malissimo" disse con un filo di voce. Era ancora spaventosamente pallido e potevo sentire il suo battito agitarsi sotto i suoi polsi impossibilmente magri. "E ovviamente mi sento anche meravigliosamente bene"
"Ne sono molto felice" mormorai "Ma Holmes, vorrei mi dicessi una cosa"
"D'accordo. Michel Vernet aveva paura di interromperci alle nove del mattino perché mi sapeva un invertito sin dal tempo della scuola. E anche Mycroft se è per questo"
"No, penso che a questo potessi arrivarci da solo" dissi dolcemente "Sono felice che alla tua famiglia questo genere di cose non provochi repulsione. Quello che intendevo dire è… non vorrei sembrare impaziente ma Holmes, perché diavolo mi ha lasciato in Baker Street per due mesi senza una parola mentre eri in giro a rischiare l'osso del collo?"
I suoi occhi grigi e stanchi scattarono premurosi al mio viso "Ho agito in tal maniera perché ho commesso due errori tattici" disse tetro.
"A quali errori tattici ti riferisci?"
"Il primo è stato immaginare che tu non fossi interessato agli uomini solo perché mostravi interesse anche verso le donne. Un'imperdonabile svista"
"Ho avuto la mia quota di esperienza con le donne" ammisi "ma se ti riferisci alle donne che continuavano a far mostra di sé nel nostro salotto solo per te, non ero affatto eccitato da loro; le odiavo"
"Ah!" disse Holmes ridendo "ecco un eccezionale esempio di pregiudizio dettato dalle emozioni che oscura i fatti"
"E il secondo?"
Fece una pausa come se stesse soppesando le parole da usare "Avevo pensato che se mi fossi tenuto lontano da te per un lungo periodo avrei potuto estirpare le perversioni che minacciavano il nostro sodalizio"
"Hai pensato di poter cambiare la tua natura?"
"No, certo che no. Ma ho pensato di poterti dimenticare" rispose, la sua voce improvvisamente molto triste "E questo, mio caro amico, è stato un errore talmente enorme che il pietoso risultato giace davanti a te"
"Sì, è stato molto stupido a parte tua" assentii affettuosamente, tentando di non apparire emozionato quanto in realtà mi sentissi. "Ti tirerà su il morale sapere che io non sono riuscito a fare meglio di te".
Alzò gli occhi verso di me con un'espressione di tale tenerezza che ebbi paura a muovermi, temendo di perdere un momento che non sarebbe mai più ritornato. "Mi tira su il morale ad una percentuale mai vista" sorrise "c'è qualcos'altro che vorresti sapere?"
"Sì, c'è una cosa" ammisi "hai detto che stiamo andando a Parigi. Ma quali sono i nostri piani?"
"Avevo pensato che avremmo potuto rimanere persi nella città per tutto il tempo che avessimo voluto" mormorò.
Non potei celare una fitta di disappunto, per quanto irrazionale essa fosse. In qualsiasi altro giorno della mia vita, se Sherlock Holmes mi avesse chiesto se avessi o no voluto vagare con lui per le strade di Parigi senza altro scopo se non quello di goderci il paesaggio, avrei risposto che niente al mondo mi avrebbe reso un uomo più soddisfatto. Quel pomeriggio, comunque, mentre lui era appoggiato a me, pallido in viso, ancora tremante e palesemente con i nervi a pezzi, non desideravo altro che riportarlo a Londra.
"Ho detto che avevo pensato" continuò vedendo la mia faccia "ma questo prima che tu domandassi spiegazioni sul significato dietro l'eccessiva sollecitudine di mio cugino"
"E questo farebbe qualche differenza?" chiesi.
"Watson, ti porterò a Parigi" affermò solennemente "Cammineremo per i boulevards a braccetto e ci fermeremo quanto ci andrà di restare e ti assicuro che sarà indimenticabile. Ti mostrerò tutto quello che amo della città. So che la conosci anche tu piuttosto bene, ma adorerei mostrarti la Parigi che vive nei miei ricordi e che la rende ai miei occhi la città più bella del Continente. Ho parecchi contatti laggiù così come ne ha il mio orribile cugino. Ma per quanto riguarda ora, ti prego di permettermi che mi lascerai usufruirne solo come fermata intermedia. Ora che sai tutto voglio andare a casa"
"Non ti preoccupare, vecchio mio" lo rassicurai "non potrei essere più d'accordo. Ma per LaRothiere?"
"L'unico modo per cui ci potrebbe essere d'ostacolo sarebbe se fosse abbastanza astuto da sorvegliare la stazione di Lione ventiquattrore su ventiquattro, anche perché avrebbe dovuto sapere che me ne sarei andato dall'hotel Dulong il più presto possibile"
"Come possiamo essere sicuri di esserci sbarazzati di lui?"
Holmes scosse la testa pensoso "Temo che non potremo saperlo prima di aver raggiunto la Manica. Cambiamo treno solo una volta prima di arrivarci, e anche se ci mettessimo a osservare ogni persona che trascorre con noi la seconda parte del viaggio non sapremmo lo stesso se uno di loro ci sta seguendo. È una situazione che non mi piace per niente, ed è completamente imperdonabile averti trascinato in essa con me"
"Non è colpa tua se un uomo ti sta seguendo per ucciderti, quanto a me sono rimasto relegato in Baker Street abbastanza tempo da bastarmi per una vita intera. In ogni caso ne è passato troppo dall'ultima volta che mi hai messo in pericolo"
"Non c'è niente da ridere, la cosa è seria" rispose irritato, anche se sembrava leggermente divertito.
"E la tratteremo come tale. Ci comporteremo come se sulle nostre teste pendesse una sentenza di morte che ci avesse derubato di tutto il nostro senso dell'umorismo"
"Watson" disse Holmes puntando gli occhi su di me "ti comporterai sempre in questo modo d'ora in poi, non è vero?"
"Non posso promettere niente" obiettai.
"Lasciamo perdere" sbadigliò in risposta "sono troppo stanco per considerare adesso l'eventualità di discutere di dialettica. Entro uno o due mesi saprò meglio in che razza di situazione mi sono andato a cacciare"
E così dicendo cadde addormentato.

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Quando scendemmo dal treno in una di quelle stazioni parigine sterminate e caotiche, fui sorpreso di notare che Holmes aveva ficcato tutto l'armamentario del suo travestimento nella sua valigetta e che non cercava in alcun modo di celare la sua identità.
"Non servirebbe a niente" mi disse in risposta alla mia espressione ansiosa "Se qualcuno mi ha riconosciuto a Lione, se non altro, la cosa li confonderà per un istante. Ora, cambieremo linea il più in fretta possibile e presto arriveremo a Calais per prendere il primo traghetto disponibile per Dover".
Dopo aver comprato i biglietti ci inoltrammo nel labirinto di corridoi della stazione, i nostri passi risuonavano insieme al concerto di quelli delle altre centinaia di persone che popolavano l'edificio. Pensai per un attimo a quanto potesse essere facile per qualcuno posizionarsi dietro di noi e far scivolare agevolmente la lama di un coltello in mezzo alle nostre costole, ma mi astenni dall'indugiare sul pensiero. Comunque non ero destinato al silenzio per molto, perché mi sembrò che Holmes stesse gradualmente rallentando il passo.
"Mio caro amico, va tutto bene?"
"Mi sento un po' debole" rispose tranquillo "e ho anche tutte le ragioni di ritenere che qualcuno ci stia seguendo.
"Holmes…"
"Da questa parte" sibilò, e si buttò improvvisamente in un corridoio meno affollato. Provando una porta vicina e trovandola chiusa a chiave, tirò fuori il suo coltello a serramanico dalla tasca e intervenne velocemente sulla serratura, anche se non potei vedere come. Ci infilammo svelti nella stanza che si rivelò non essere affatto una stanza ma un tunnel spazioso e scarsamente illuminato che conduceva all'accesso di servizio per i binari.
"Eccellente" Holmes rise sommessamente "Siamo davvero fortunati che LaRothiere sia stato così ben imbrigliato da mio cugino - che mi assicura di non aver perso tempo informando le autorità di Lione - e che sia stato costretto ad ingaggiare i servigi di un associato. Quest'uomo, se le mie supposizioni sono esatte, è un completo imbecille. E adesso forza… dietro quella grossa cassa per gli attrezzi di riparazione dei binari"
"Holmes, come diavolo hai fatto a capire che quel tipo ci stava seguendo?" intanto lui mi aveva preso la mano per condurmi verso una struttura di legno simile a un capannone contenete, senza dubbio, ogni sorta di attrezzo.
"Perché non è molto abile nel farlo" borbottò Holmes cingendomi la vita mentre lui si sistemava contro il muro dietro di me "ho cercato di osservare il maggior numero dei nostri compagni di carrozza che mi sia stato possibile selezionando i probabili acquirenti di un biglietto per Calais. Poi sono andato dalla parte opposta rispetto al binario dal quale doveva partire il treno suddetto. Esattamente dalla parte opposta. Quell'uomo ha seguito ogni nostro passo".
Intrecciai le mie dita con quelle che mi circondavano il petto chiedendomi per quale assurdo motivo io avessi potuto essere talmente stupido e per così tanto tempo, nonostante Holmes rivendicasse il nostro salotto come il luogo di affluenza dell'idiozia più assoluta "pensi che ci seguirà qui dentro?"
"Lo spero. Ci ha visto entrare, e la porta è solo accostata. In effetti sto facendo affidamento sulla mia reputazione per risparmiarci un bel po' di guai".
Non capii la sua ultima affermazione, ma ammutolii non appena la porta si aprì e un fascio di luce si insinuò nel buio della stanza. L'uomo non perse tempo e si affrettò a percorrere la strada che si inoltrava nel buio.
"E così fu" disse Holmes allegramente, la sua voce era ancora molto bassa "adesso via di qui, mio caro ragazzo, andiamo a prendere quel treno".
Quando fummo usciti dalla stanza Holmes tirò di nuovo fuori il suo coltellino e serrò la porta dietro di noi.
"Ora capisco tutto" dichiarai ridendo "Ti ha considerato una preda abbastanza formidabile da prendere il tunnel di servizio per arrivare in un punto vicino al binario del tuo treno e poi, senza sapere niente degli orari ferroviari, posizionarti sulle rotaie e lì eliminare ogni inseguitore".
Non poteva toccarmi in mezzo a un corridoio, ma fece del suo meglio per interpretare un'espressione di orgoglio irreparabilmente ferito. "E delude le tue aspettative sapere che questa operazione non potrebbe essere più lontana dal mio stile?" mi chiese.
"Non direi, no" risposi "Mi scuso invece per aver solo suggerito una cosa del genere. In avvenire farò tutto il possibile per esprimere la mia ammirazione per le tue abilità".
Holmes roteò gli occhi alla mia affermazione mentre ci affrettavamo verso il binario che ospitava il treno per Calais, ma io sapevo che la sua immaginazione era troppo sensibile perché la mia frase avesse del tutto fallito nel suo proposito.

 

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Capitolo 4
*** Parte 4 ***


Untitled Document Ok, siamo alla fine. Spero davvero che questa storia abbia toccato anche voi ^^ il pezzo che c'è qui subito all'inizio è una vera chicca *.* adesso capirete, buona lettura!



PARTE 4

La porzione del nostro viaggio verso Calais si svolse in maniera molto più tranquilla, perché Holmes dava l'impressione di essere più affaticato ad ogni giro dell'orologio. Mi assicurai che facesse una visita al vagone ristorante, e mi abbandonai alla sua solita abilità di conversazione mentre consumavamo un pasto veloce, ma tutto quello che speravo era che il treno potesse viaggiare alla velocità della luce. Quando finalmente ci accostammo al traghetto a Calais mi rallegrai al pensiero che molti dei nostri problemi erano giunti al termine, ma immediatamente dopo la mia prenotazione di uno scompartimento privato, il mio amico collassò sdraiandosi per il lungo su uno dei sedili.
"Holmes cosa c'è?" chiesi trasalendo alla vista del suo aspetto cinereo.
"È solo un attacco. Passerà, come tutti gli altri".
Spruzzai un po' d'acqua su un fazzoletto che presi dalla mia valigia e lo posizionai sulla sua fronte.
"Vuoi che ti porti qualcosa? Acqua? Del brandy magari?"
"Sai benissimo anche tu che non servirebbe a un granché" rispose con impazienza "Sei un medico. Sai perfettamente che l'unico elemento che funzioni in questo caso è il tempo".
Mi sedetti alla fine del sedile e lo aiutai a tirarsi su così che potesse appoggiare la testa sul mio petto. La porta era chiusa a chiave, le tende tirate, e la nazione in cui questi comportamenti erano perseguibili con un soggiorno alla prigione di Reading si avvicinava sempre di più. Cercai di non pensarci.
"So che detesti essere visto in questo stato, ma non potrei stare peggio io vedendoti soffrire" non poi trattenermi dal dire. La sua natura stoica e orgogliosa non sarà stata di certo confortata da un'affermazione del genere, lo sapevo, ma sfortunatamente l'inizio della ma relazione intima con Sherlock Holmes segnò anche la fine della mia capacità di trattenermi in sua presenza.
"Non è così terribile" mi assicurò "non ti preoccupare"
"Cosa si prova?" sussurrai.
Considerò la domanda "È come se tutto quello che c'è di bello sia tenuto talmente lontano da te da farti dimenticare cosa fosse"
"Oh, Holmes. E non è così terribile?"
"Molto bene. È terribile. È miserabile e terrorizzante, e mi merito ogni minuto di questa tortura. Sembra anche che io mi meriti di essere esposto a una conversazione come questa. Adesso, per l'amor di Dio lasciami in pace".
Feci scorrere le mie dita nei suoi capelli "Mi dispiace" dissi sconsolato "vorrei poter fare qualcosa".
Aprì gli occhi per un momento "Lo stai già facendo. Ora per favore, Watson, se mi hai mai stimato in una qualche maniera, smetti di parlare".
Immaginai di dire al mio amico quanto esattamente fosse profonda la mia stima nei suoi confronti. Sentii il bisogno urgente di dover esprimere i miei sentimenti per lui nella maniera più fervente possibile perché sapevo che se i nostri ruoli fossero stati capovolti io avrei trovato conforto anche solo nel sentire il suono della sua voce.
Ma Sherlock Holmes, ricordai appena in tempo, non era affatto come me: non era come nessun altro uomo che avessi incontrato. Quello che voleva da me, io lo stavo già facendo. E aveva ragione, il resto era solo una questione di tempo.


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La vista del nostro appartamento di Baker Street fu un tale sollievo dopo il viaggio lungo e difficoltoso, che Holmes riuscì addirittura a radunare il buon umore necessario per ripetere alla signora Hudson che sarebbe stato bene in ben quattro separate occasioni.
Cenammo tranquilli, anche perché io a questo punto mi sentivo scosso almeno tanto quanto sembrava esserlo Holmes. Nessuno dei due disse molto, e dopo cena i nostri brandy furono scolati più che assaporati. Il mio amico si concesse una sola pipa e fin troppo presto, dandomi una stretta alla spalla con un sorriso assente, si avviò verso la sua camera e chiuse la porta dietro di lui come faceva sempre.
Avrei potuto interpretare quest'azione in diversi modi e realizzai, sedendo davanti al caminetto del nostro soggiorno mentre un'ondata di panico si impossessava di me, che per quanto profonda fosse la mia conoscenza del mio eccentrico amico, non sapevo assolutamente nulla delle sue abitudini in quanto amante, e l'idea mi terrorizzava letteralmente. Ogni cosa che davo per scontata riguardo all'uomo che adoravo si era rivelata fondamentalmente errata; cos'altro potevo aver giudicato male? Aveva altri amanti? Mi voleva nel suo letto? Il mio costante desiderio di stare con lui poteva arrivare ad irritarlo nel modo in cui lo irritava ogni luogo comune? Poteva avermi considerato solo come un altro dei suoi casi complessi e una volta risolto volere scaricare l'intero affare? Ero talmente ignaro su come procedere che mi avviai con esitazione al piano di sopra, chiusi la mia porta e cominciai tranquillamente a prepararmi per la notte.
Quaranta minuti dopo ci fu una bussata alla mia porta ed ecco Sherlock Holmes in piedi in vestaglia con una candela in mano e un sopracciglio alzato.
"Se davvero sei più comodo qui non ho obiezioni, ma il mio letto è più grande e la mia finestra dà su un muro di mattoni" osservò.
Dovetti essergli sembrato abbastanza imbarazzato perché aggiunse in un tono più inquieto "O c'è qualcos'altro che ti tormenta?" chiuse la porta dietro di lui e vi si appoggiò.
"Sono un po' preoccupato" ammisi "ma sono irritato con me stesso. Scoprire che entrambi abbiamo ingannato l'altro in modo così elaborato per tutti questi anni mi ha lasciato sconcertato per un momento. Volevo sapere… non so cosa volessi sapere. Non è niente".
Questo non era esattamente vero. Cominciavo a sapere cosa volessi, ma ero infastidito dal fatto che il mio desiderio fosse così inutile e irrazionale. Sapevo, con tutta la sicurezza con cui un uomo possa sapere qualcosa, che Holmes teneva a me. Non c'era nessun dubbio nella mia mente riguardo quel saliente fatto. Comunque lo adoravo talmente che le parole per dichiararlo avevano posato a lungo sulle mie labbra, e questo anche prima di quell'indimenticabile viaggio in treno, e sapevo che sarebbe stato impegnativo soffocarle tutte. Anche mentre lui se ne stava lì in piedi a braccia conserte la mia mente era affollata da un migliaio di frasi che non gli sarebbero di certo piaciute. Se ne avesse pronunciata anche soltanto una lo avrei considerato come la peggior derisione dei miei sentimenti che potesse esistere.
"Hai ragione" mi concesse mentre appoggiava la candela accanto alla mia sul tavolino di fianco al letto "la nostra abitudine di menzogna resa salda da così tanti anni adesso sarebbe come un mantello che ci ingoffisce"
Holmes era sempre stato capace di esprimersi in modo lampante e per questo gli ero grato. "È esattamente così" dissi io "è come se, dopo tutto questo tempo, non sapessi niente di te"
"Intendi i miei antenati?"
"No, anche se per me è certamente un argomento di grande interesse. Ma ho sempre pensato che detestassi tutto ciò che aveva a che fare con l'amore".
Si sdraiò sul mio letto sorreggendosi la testa con una mano. Era più debole di quanto non lo avessi mai visto e la costernazione che mi causò vederlo così andò a competere per la supremazia con la crescente gioia di averlo finalmente sul mio copriletto, a suo agio e assonnato. "La spiegazione è semplice. Io sono un investigatore criminale e so perfettamente quanto sia facile determinare se un uomo frequenti o meno certi club per gentiluomini. So anche quanto sia semplice venire coinvolti in uno scandalo come conseguenza ad una sola notte passata con un ragazzo a pagamento di Whitechapel. Ho deciso di non lasciare che le mie tendenze affondino la mia carriera. O addirittura la mia vita"
"Capisco" dissi dubbioso.
"Ammetterò che non sono mai stato influenzato dalle fantasie romantiche, quindi una decisione del genere è stata più facile per me rispetto a molti altri".
Un'affermazione del genere, anche se perfettamente in linea col suo personaggio, non fece altro però che intensificare i miei dubbi. "Quindi" andai avanti sedendomi a mia volta sul letto e cercando di mantenere la mia voce neutrale "la mia vicinanza geografica rappresenta una comodità per te"
"Be', certo" mi assicurò
"Sono lieto che tu abbia trovato un così felice assetto"
"Watson" disse seriamente, anche se i suoi occhi erano imperscrutabili "mi stai chiedendo se ho intenzione di esserti fedele? Perché ti assicuro che non sono il tipo di persona capace di rischiare…"
"No, non si tratta di niente del genere" sospirai lasciandomi cadere sui cuscini per disperazione.
Sembrò addolorato per un istante, e poi la sua fronte cominciò a rilassarsi mentre si avvicinava a me "Oh, capisco" non si fermò fino a che mi fu addosso, le sue labbra solo a pochi millimetri dalle mie "mi stai chiedendo se avessi intenzione di stare con te e nessun altro" iniziò a spogliarmi senza che i suoi occhi lasciassero mai i miei "potrei farti la stessa domanda, sai? Non hai mai detto niente"
"Certo che non l'ho fatto!" esplosi "tu detesti il sentimentalismo. Tutto quello che ho fatto per cinque anni e più è stato un unico colossale tentativo di provarti i sentimenti che ho per te. Non pensavo fosse necessario dirlo" cercando di eludere il suo sguardo, cominciai frettolosamente a sbottonare la camicia al di sotto della sua vestaglia.
"Ben fatto Watson" disse semplicemente "l'hai esposto in modo mirabile. Credo che prenderò in prestito la tua fraseologia alterando solo un pronome per adattare il tutto al mio proposito. Io detesto il sentimentalismo. Tutto quello che ho fatto per cinque anni e più è stato un unico colossale tentativo di provarti i sentimenti che ho per te. E non pensavo fosse necessario dirlo".
Tornai a guardare il suo viso. Era sincero anche se sembrava auto disapprovarsi, ed era preoccupato ma terribilmente bello.
"Non sarebbe necessario in condizioni normali" risposi leggermente tremante "ma sembra che io sia decisamente innamorato di te"
"Lo sei?" sorrise "Ne sono molto felice" si liberò dalla camicia e dalla vestaglia e le fece cadere entrambe sul pavimento.
"Perché?" chiesi mentre gli sfilavo i pantaloni, leggermente stordito dalla visione del mio amico senza nemmeno un vestito addosso.
Ritornò alla sua posizione precedente, sdraiato nel letto vicino a me "Perché se mi ami, come dici di fare, non sarai tentato dalle eventuali avance degli altri uomini, che adorano la tua gentilezza, la tua delicatezza e la tua forza, che scuserai i miei significativi difetti, e credo di poter azzardarmi a dire che rimarrai mio come lo sei ora"
"Sono sempre stato tuo" risi combattendo il groppo che avevo in gola mentre mi liberavo delle ultime cose che avevo indosso e mi posizionavo su di lui. "Non te ne sei accorto"
"Sì, be'" biascicò "me ne accorgo ora". Mi abbassai per mordere il suo collo e lui ansimò in un modo per me molto appagante. "Anche un ispettore di Scotland Yard adesso se ne accorgerebbe. Penso, mio caro ragazzo, che dovremo davvero essere supremamente prudenti rispetto a tutto ciò" riuscì a dire poco prima che la mia lingua raggiungesse i suoi pettorali lisci e definiti e lui perdesse il filo del discorso.
"Senza dubbio" borbottai con noncuranza. Era da anni che non avevo un uomo nudo nel mio letto, ed era passato più tempo ancora dacché qualcuno che amassi si fosse trovato in quella posizione. Il banchetto che giaceva davanti a me era troppo inebriante per le parole.
"Seriamente, mio caro amico. Non ho chiuso a chiave la tua porta" il suo fiato si mozzò appena le mie attenzioni si concentrarono sulla pelle sensibile che circondava le ossa del suo bacino, già fin troppo visibile per i miei gusti. Realizzai che avrei prima dovuto discutere il menu con la nostra buona padrona di casa se non fossi stato attento.
"La signora Hudson è andata a letto da tempo e non penso proprio che Billy possa bussare alla mia porta a quest'ora" liquidai l'argomento e lo presi nella mia bocca.
"Questa è un'emergenza" disse ad occhi chiusi "Watson, non siamo più su un treno. Io sono piombato qui Dio solo sa quante volte…"
"Un altro vantaggio dell'essere un detective, immagino"
"No davvero, amore, sono serio… so che fuori di qui c'è solo un platano, ma devi riconoscere che entrambe le candele sono ancora accese".
Non so se per il vezzeggiativo col quale mi aveva appena chiamato o per il tono urgente che aveva usato, ma non potei più ignorare la sua richiesta. Mi alzai per serrare la porta mentre lui si inumidiva le dita e spegneva le candele. Per cui quando mi riavvicinai al letto lo feci nella più completa oscurità, e Holmes era riuscito a cambiare completamente posizione nel momento in cui arrivai; quando mi abbassai ancora una volta e ripresi il compito che prima stavo così tanto apprezzando, fui accolto da una bocca egualmente entusiasta della mia regione pelvica. Non questionai ma lo strinsi forte a me fino a che i nostri corpi non furono un'unica linea armoniosa e io mi perdessi in lui.


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La mattina dopo scesi le scale per trovare Holmes, sempre pallido ma non più tremante, seduto al tavolo della cucina.
"Era un trucco" dichiarai sedendomi e alzando il coperchio del mio vassoio"
"Sei fin troppo perspicace perché io sia ancora tuo socio per molto, Watson" sorrise "ma non hai del tutto ragione. In ogni caso la porta non era un trucco. Era una precauzione importante. Le candele potevano o non potevano essere un trucco"
"Erano un trucco" ripetei "chi ti ha mandato quel telegramma?"
"Ti direi di leggerlo da solo ma è in francese" disse passandomi il foglio "è da parte di Michel; LaRothiere è stato messo sotto custodia anche se non si può provare niente contro di lui. È stato comunque informato che se io dovessi incorrere in qualsiasi tipo di disavventura lui sarà seguito giorno e notte in maniera tutt'altro che confortevole. Ha quasi la stoffa dell'agente internazionale e non mi stupirei se le nostre strade si incrociassero di nuovo"
"E il suo socio?"
"Per quello che ne so sta ancora vagando per i binari della Gare de Lyon" disse piatto, anche se io sapevo che era soddisfatto di sé.
"E tu?" finii "sembra che tu stia meglio. Oserei dire che non hai niente che un cambiamento d'aria non possa curare"
"Sì, mi sento più me stesso. Senza dubbio sarà il sollievo di sapere che ancora una volta c'è la Manica a separarmi da mio cugino"
"Gli sono piuttosto grato, lo sai?" osservai.
"Lo dici ora" replicò civettuolo "ma presto cambierai tono. Mi hai dovuto sopportare solo per questi tre giorni. Sono estremamente irritante, lo sai?".
Lo guardai mentre sorseggiava il suo caffè e cercava di leggere tre dei quotidiani che gli erano rimasti indietro mentre era all'estero simultaneamente.
"Non sarà così terribile" dissi con affetto "non c'è bisogno che ti preoccupi".


FINE

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