Ancora noi...

di Exentia_dream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Tornare ***
Capitolo 2: *** Addio papà... ***
Capitolo 3: *** Che piacere rivederti, Granger! ***
Capitolo 4: *** Chiarimenti... ***
Capitolo 5: *** Come all'inizio... ***
Capitolo 6: *** Strane sensazioni... ***
Capitolo 7: *** Quanto costa ribellarsi... ***
Capitolo 8: *** La cena (POV A SORPRESA) ***
Capitolo 9: *** Ricordi -Prima Parte... ***
Capitolo 10: *** Ricordi -Seconda Parte... ***
Capitolo 11: *** Sensi di colpa... ***
Capitolo 12: *** Sarebbe stato meglio se... ***
Capitolo 13: *** Natan... ***
Capitolo 14: *** Un giorno qualunque... ***
Capitolo 15: *** Incontri... ***
Capitolo 16: *** Essere indecisa... ***
Capitolo 17: *** Primo giorno di lavoro... ***
Capitolo 18: *** La proposta di Harry... ***
Capitolo 19: *** Tornare insieme... ***
Capitolo 20: *** Miss Parkinson... ***
Capitolo 21: *** L'invito... ***
Capitolo 22: *** La prova del vestito... ***
Capitolo 23: *** Confessione ***
Capitolo 24: *** Grazie, grazie davvero Cloe... ***
Capitolo 25: *** Serata tra amiche... ***
Capitolo 26: *** La seconda prova... ***
Capitolo 27: *** Un giorno in ospedale... ***
Capitolo 28: *** Convalescenza... ***
Capitolo 29: *** Ritorno al lavoro... ***
Capitolo 30: *** La festa degli innamorati... ***
Capitolo 31: *** Al risveglio... ***
Capitolo 32: *** Fraintendimenti... ***
Capitolo 33: *** Arrampicarsi agli specchi ***
Capitolo 34: *** Il test... ***
Capitolo 35: *** Nascondersi dietro un dito... ***
Capitolo 36: *** Come Amleto ***
Capitolo 37: *** La verità... ***
Capitolo 38: *** Pomeriggio insieme... ***
Capitolo 39: *** Un passo importante ***
Capitolo 40: *** Routine? ***
Capitolo 41: *** Ritorno... ***
Capitolo 42: *** Stupide incertezze ***
Capitolo 43: *** Momenti così... ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Tornare ***


Questi personaggi non mi appartengono, sono di proprietà della Rowling...
Qualcuno penserà "Questa ci ha rotto!"... beh, lo so e perdonatemi, ma l'ispirazione è così forte che non mi va di chiuderla in un cassettino.
Suvvia, un pò di pietà.
Credo molto in questa storia e, oltre tutto, adoro la coppia Draco/Hermione.
Spero piaccia anche a voi e che commenterete in tanti.
Un grazie di cuore a Sab (Sa Chan su EFP) per aver creato "La foderina" di questa storia! Grazie...


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Capitolo 1: Tornare.

Image and
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-Nous attirons l'attention des passagers sur le vol 472 à destination de Londres.

Odiavo il francese, ma adoravo Parigi.
Adoravo le luci, adoravo il profumo delle baguette appena sfornate, adoravo i colori dei fiori attorno alla Tour Effeil, adoravo il sole che c'era, a volte, anche d'inverno.
La voce metallica dell'hostess riempì nuovamente l'aereoporto e richiamò la mia attenzione.
Il gate stava per chiudersi. -Cazzo.- dovevo correre.
Arrivai lì con il fiatone ed una marea di persone puntarono gli occhi su di me. -Eh,- risi istericamente -sapete com'è... un caffè al bar, qualche problemino al check-in...-
-Qu'est-ce une fille stupide. Oies anglais ...
-Imbecille! Tss- dissi indignata, decisa a chiudere lì la conversazione.
Quando arrivammo all'aereo, attesi, quasi gentilmente, il mio turno. La rossa tinta che mi aveva dato dell'oca si sarebbe seduta dopo di me.
Mi accomodai sul sedile di pelle morbida, beandomi della sensazione di comfort: il viaggio sarebbe durato meno di due ore.
Chiusi gli occhi subito, dopo aver allacciato la cintura: volevo evitare il mal di testa e il mal di stomaco.
Le luci soffuse dell'abitacolo contribuirono a farmi rilassare, quindi, mi addormentai.

Tudum. L'atterraggio fu alquanto brusco.
Mi svegliai di soprassalto: l'immensa distesa di cemento dell'Heathrow. Ero a Londra.
-I passeggeri possono lasciare l'aereo.- ci disse gentilmente l'hostess.
Mi alzai, presi il bagaglio a mano e mi avviai.
Lasciai l'aereo con un senso di nausea, leggero questa volta: dormire durante il volo era stata un'ottima idea.
Mia madre era lì ad aspettarmi, lo sapevo. Infatti, la vidi... mi cercava con lo sguardo. Era vestita di nero.
La salutai con un abbraccio , poi le baciai una guancia. -Come stai, mamma?
Sorrise, ma aveva gli occhi lucidi. -Bene, tesoro.
-Ti va un caffè?
-Sì, sì.
Le strinsi il braccio e lasciai che si appoggiasse a me. Ci dirigemmo, poi, al bar.
Tremò impercettibilmente. -Mamma, dai, calmati...
-Sediamoci.
-Sì.
Ci sedemmo ad uno dei tavoli più vicini al bancone del bar. Immediatamente, un camieriere ci avvicinò. -Salve. Volete ordinare?
-Sì,- risposi. -un caffè ed un cappuccino.
Il cameriere annuì e andò via.
-Mi sei mancata tanto, Hermione. Sai? Papà parlava spesso di te: eri il suo orgoglio...- cominciò a piangere ed anche io sentivo le lacrime premere agli occhi.
-Mamma... mamma, ti prego.
-Oh, tesoro...- disse, poggiando il viso tra le mani. -...perdonami. E' successo tutto così in fretta, da un giorno all'altro.
-Mamma, vedrai che papà adesso starà bene... sarà in un posto migliore. E non vorrebbe vederti così.- non credevo molto a ciò che dicevo, ma quelle mi sembravano le uniche parole che potessero confortare mia madre. -So che è difficile... ora su, fammi un sorriso.
Cercò di accontentarmi, quindi, asciugò gli occhi con un fazzoletto di stoffa. -Va bene?
-Sì.
-Prego.- il camieriere appoggiò sul tavolo il vassoio con i caffè e due bicchieri d'acqua.
-Può portarmi anche il conto?
-Certo.
-Grazie.
Bevemmo in silenzio. Mi guardavo continuamente intorno.
-Allora, cara... come va con Henri?
-Bene.- mentii.
Passai un dito sulla fede: quante cose erano cambiate dal giorno in cui mi ero sposata... ed erano passati solo due anni.
-Verrà a Londra?
-Probabilmente.
-Ne sarei davvero felice.
-Lo immagino.- sorrisi.
Intanto, il cameriere aveva poggiato lo scontrino sul tavolo. -Ecco a lei.
-Aspetti.- dissi porgendogli i soldi. -Il resto è mancia.
-La ringrazio, signora.
Lasciammo il tavolo e, poco dopo, uscimmo in strada.
il vento soffiava forte e freddo, così mi strinsi ancora più nel cappotto e avvolsi la sciarpa al collo.
-Hermione, ti spiace guidare?
-Niente affatto.
-Grazie.
Salii nell'auto, chiusi lo sportello e allacciai la cintura.
Amavo guidare: mi faceva sentire libera.
Misi in moto e partii. -Londra, sono tornata!
Il viaggio dall'aereoporto a casa fu silenzioso. Mia madre non era di molte parole ed io altrettanto.
Mi stavo beando, piuttosto, del verde degli alberi che si riflettevano nei finestrini dell'auto. Quanto mi era mancata la mia città?
Troppo...
Eppure, quando andai via, mi sembrò di aver preso la decisione giusta... Ovviamente, col tempo e soprattutto tornando, mi ero resa conto di aver sbagliato. Qui c'era tutto di me: la mia infanzia, la mia adolescenza... come potevo lasciarmi tutta una vita alle spalle?
Non potevo, semplice.
Parcheggiai nello spazio di fronte al cancelletto di casa. -Dio, quanto tempo...
-Quattro anni, cara.
-Già...
Entrai in casa.
Il senso di solitudine e abbandono m'investì per primo. Pian piano, poi, arrivarono tutte le altre emozioni: la nostalgia degli anni passati, la felicità di essere tornata.
E, dopo tanto tempo, mi ricordai di lui: Draco Malfoy.
Chissà, alla fine, che ne aveva fatto della sua vita.
-Hermione.- Santa donna mia madre. Mi distraeva dai miei pensieri al momenti giusto: il momento prima che scoppiassi in lacrime.
Ora però, ero cresciuta... non ero più debole. -Sì?
-Pizza?
-Assolutamente. Ora, però, vado di sopra. Voglio darmi una rinfrescata... anzi,- dissi tremando - una riscaldata.
-Gli asciugami sono al solito posto.
-Grazie mamma.- la baciai e salii in camera. Era ancora come l'avevo lasciata: la
stanza rosa
.
Troppi ricordi...
Andai in bagno e iniziai a riempire la vasca.
Legai i capelli, poi mi immersi completamente nell'acqua bollente, mentre l'odore del bagnoschiuma alla vaniglia si diffondeva.
La mancanza di papà si sentiva davvero tanto e, proprio come immaginavo, non sarebbe stato affatto facile.
Qualcuno suonò al campanello e, quindi, mi svegliai. Non mi ero neanche resa conto di essermi addormentata.
-Hermione... dai, scendi. Le pizze sono già in tavola.
-Sì, mamma.- mi avvolsi nell'accappatoio e indossai qualcosa di comodo. Infilai le pantofole ai piedi e corsi in cucina. -Mmm, ho una fame da lupi.
-Allora speriamo che le pizze siano buone.
-Mh.- cercai di rispondere, mentre avevo già addentato un trancio della mia quattro formaggi.
-Domani sarò via per tutta la mattinata cara.
-Ah...
-Se vuoi...
-Oh no, grazie. Resterò qui a disfare le valigie. Ora sono davvero a pezzi.- dissi, mentre sparecchiavo la tavola dai residui della nostra cena.
-Vai a letto, qui ci penso io.
-Mamma, ti prego. Ormai, sono abituata.
-Allora ti dò una mano.
-D'accordo. Se proprio insisti.- le sorrisi.
-Sei un angelo, figlia mia.- disse, mentre asciugava una lacrima.
-Su, andiamo.- finsi di non vederla: sapevo che odiava mostrarsi debole.
-Sì.
Salimmo insieme e, arrivati fuori la porta della mia camera, mi diede un bacio. Poi si diresse verso una camera che non era la sua.
-Mamma, ma quella non è la tua camera.
-No...
-Beh?
-Quella camera è rimasta chiusa da quando tuo padre è morto. E' una specie di reliquia...
-Oh...
-Buonanotte, Hermione.
-'Notte.
Mi chiusi la porta alle spalle e mi sistemai sotto le coperte. Sentivo gli occhi chiudersi e le lacrime premere. Decisi che sarebbe stato meglio dormire, così guardai fuori dalla finestra... pioveva.

***
Angolo autrice:
Ovviamente, dal primo capitolo non è molto chiara la situazione, ma pazientate un pò.
Henri è francese ed è il marito della nostra carissima Hermione.
Draco Malfoy? E' un pò presto per vederlo, ma disperatevi: ci sarà anche un POV DRACO. *me fa gli occhi dolci*. Credete che questo basterà a farmi perdonare da voi?
Ora, carissime lettrici, aspetto le vostre recensioni.
Un bacio, la vostra Exentia_dream.



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Capitolo 2
*** Addio papà... ***


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Capitolo 2: Addio papà...



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Sentivo ancora la pioggia battere contro i vetri della finestra. Guadai la sveglia: erano le 4.38.

Troppo presto per alzarmi, troppo tardi per provare a riaddormentarmi.
Non sapevo che fare... Henri non aveva ancora telefonato e questo mi preoccupava. Avevo provato a farlo io, ma il suo cellulare risulatava sempre staccato.
Continuai a girarmi e rigirarmi nel letto, tirando ogni volta la trapunta che scivolava, fino a che non cadde completamente sul pavimento.
Erano passati appena dieci minuti e la mia pazienza stava perdendo l'equilibrio.
Mi alzai dal letto e andai in cucina, per prepararmi un caffè.
Quando fu pronto, mi sedetti e lo sorseggiai lentamente: era amaro e lo preferivo così. Ad ogni sorso credevo di scaldarmi un pò, ma in verità stavo gelando.
Forse, sarebbe stato meglio se mi fossi tenuta impegnata in qualcosa... qualcosa di noioso, come disfare le valigie.
Tornai su e mi fermai all'apice delle scale. Guardai la porta di quella che una volta era stata la camera dei miei genitori. Camminai piano e l'aprii lentamente.
Era vero: era una reliquia. Sul letto sembrava esserci ancora l'impronta del corpo di papà.
Entrai e chiusi la porta dolcemente, poi mi diressi verso l'armadio e l'aprii.
Tutte le sue camicie, i suoi pantaloni erano ancora lì. Il suo profumo faceva bella mostra di sè sul comò.
Ne misi un pò sul polso e aspettai che sfumasse. Mi sembrò di averlo accanto, mi sembrò che fosse tornato.
Ne fui felice, ma allo stesso tempo mi sentii mancare: il vuoto che stava scavando la sua assenza non sarebbe stato facile da riempire nè per me, nè per mia madre.
Posai il profumo e aprìì il cassetto. Spostai l'intimo e presi una scatola di cartone.
La strinsi prima al petto, poi mi sedetti sulla poltrona a dondolo che papà amava tanto.
Aprii la scatola e cominciai a spostare alcuni fogli, alcune foto... poi la trovai: la corona della festa del papà. Quindi, la girai e trovai il bigliettino ancora spillato. Tornai con la mente a quel giorno...

-Steven, il pranzo è pronto.
-Arrivo.
-Dai, Hermione, nascondi la corona, prima che arrivi papà.
-Va bene.- spostai la sedia, facendo più rumore del dovuto: ero emozionata.
Vidi papà che prima entrò in cucina, poi si allontanò di nuovo. Mi ero impressionata?
-Allora?- chiese da un'altra stanza -Siete proprio sicure che il pranzo sia pronto?
-Sì, sì.- dissi io -Adesso puoi venire, papà.
Mamma gli fece l'occhiolino e sorrise. Ero convinta di aver fatto tutto per bene, senza che papà se ne fosse accorto. Lo guardai speranzosa.
Quando mi raggiunse, papà mi scompigliò i capelli. Spostò la sedia. -E questa che cos'è?- disse meravigliato.
-E' il regalo per la festa del papà.
-E' una corona.
Annuii felice.-Perchè tu sei il re del mio cuoricino.
Papà mi abbracciò forte.- E tu sei la mia principessa.
-C'è anche una letterina, papà. Non la leggi?
-No.
-E perchè?- chesi delusa.
-Devi leggerla tu.
-Va bene.- sorrisi ancor di più.- Però non so leggere molto bene. Ho sei anni, sono ancora piccola.
-Non importa.
-Allora, leggo?
-Sì.-
Guardai mamma: guardava mio padre e me con uno sguardo pieno di amore. Presi coraggio e fiato, in maniera teatrale. -19 Giugno 1991. Caro papà, ti regalo questa corona per la tua festa perchè tu sei il papà migliore del mondo. Ti voglio tanto bene, la tua Hermione.-
-Brava!- disse fiero. Mi baciò la testa e lo guardai: aveva gli occhi lucidi.

Mi emozionai come allora, rileggendo quelle poche righe. E anche io come papà mi ritrovai con gli occhi lucidi. Guardai ancora la corona, poi lasciai che per un pò le lacrime mi tenessero compagnia.
Sorrisi anche, ripensando a quanto ero ingenua da bambina...
Posai la corona nella scatola e sistemai tutto com'era prima che entrassi. Poi uscii e chiusi la porta.
Tornai in camera mia e guardai la sveglia: le 6, 22.
Mi rimisi a letto e mi sistemai su un lato. Chiusi per un pò gli occhi, poi presi il cellullare e provai a richiamare Henri.
Niente...
Sentii la porta della camera aprirsi e alzai il capo. -Mamma...
-Oh, sei già sveglia?
-Sì.
-Hermione, tra un pò vado via: devo sistemare le ultime cose per il funerale.
-Se vuoi, faccio io...
-No.
-Mamma?
-Sì?
-Oggi fa freddo.
-Lo so.- mi guardò e sorrise. -Sembri una bambina con i capelli così scompligliati.
-Beh, grazie. -dissi con voce fintamente offesa. La feci sorridere e mi sentii immediatamente meglio.
-Vado a fare una doccia.
-Ok.
Mi alzai dal letto e andai in cucina. Preparai dell'altro caffè, poi, presi dal mobile i croissant e i cereali e dal frigo il succo di frutta all'arancia e il latte.
Apparecchai la tavola e aspettai mamma.
-Hermione, io vad...- si fermò a guardare la colazione. -Cara, non dovevi.
-Sapevo che avresti fatto tardi, quindi ho... ti va di fare colazione insieme?
Si sedette e mi sorrise ancora. -Sei un'ottima figlia.
-Grazie.- riempii la tazza di latte e cereali e cominciai a mangiare. Mamma, invece addentò un croissant e bevve un pò di succo.
Si alzò e iniziò a sparecchiare. -E' tardi...
-Lascia, mamma. Pulisco io.
-Grazie ancora, cara.- afferrò il cappotto e uscì.
-Figurati.- dissi, senza che lei mi sentisse, ovviamente.
Mi alzai per sparecchiare, ma il telefono di casa cominciò a squillare, quindi risposi.
-Casa Granger?
-Sì, chi è?
-Sono Ginny Weasley.
-Gynny,- sorrisi -Sono Hermione... che piacere sentirti.
-Oh Dio, che figura! Sei davvero tu?
-In carne ed ossa.
-Ma quando sei tornata?
-Sono arrivata qui ieri sera, sul tardi.
-E non mi hai neanche avvisata?
-Beh, ho avuto da fare...
-Immagino.- ci fu un attimo di silenzio. -Herm, come stai?
-Che dirti? Sto male, ma mia madre sta cadendo a pezzi, quindi...
-Harry mi ha detto che oggi ci sarà il funerale.
-Sì.
-Ho chiamato perchè ho avuto i risultati dell'autopsia.
-E...?
-Sai che tuo padre era stato al pronto soccorso, no?
-Sì.
-I medici dissero che era in stato di ansia reattiva, invece...
-Invece...
-Dovreste sporgere denuncia.
-Non so.
-Herm, sei un ottimo avvocato: potresti vincere la causa.
-Non cambierebbe molto: nessuno mi ridarà mio padre, neanche dopo aver vinto la causa.
-Lo so, ma...
-Ci vuole una gran forza d'animo, Ginny e in questo momento non ne ho.
-Io ci sarò sempre, lo sai...
-Sì, grazie.
-Ora devo andare: Matt chiama.
-Come mai è da te?
-Oh, sai... Ron, Luna...
-Ah... Beh, dà un bacio al piccolo da parte mia.
-Ciao Herm.
-Ciao Ginny.
Andai in camera e cominciai a disfare la valigia. Poi, il cellulare iniziò a vibrare. -Henri.-, pensai immediatamente. Invece, la scritta mamma era impressa sul display. -Pronto?
-Hermione, sei pronta?
-Per...?
-Sono quasi le dieci cara...
-Oh.- dissi, poi mi ricordai che il funerale era stato anticipato alle 10,30, -Sì, sì sono prontissima. Tu dove sei?
-Dalla sarta.
-Bene. Io sono pronta, ti aspetto.- Corsi in bagno e feci una doccia veloce.
Mi vestii prettamente di nero e mi truccai leggermente. Sistemai i capelli in un semplice chignon, poi andai in cucina a bere un ultimo sorso di caffè.
In quel preciso istante, mamma rientrò e mi baciò una guancia. -Sei pronta davvero.
-Certo! Cosa credevi?
-Andiamo.- disse, mentre usciva sul pianerottolo di casa. -Guidi tu.
-Ovvio.
Salimmo in auto e allacciammo le cinture. -Sai dov'è il cimitero, vero?
-Sì.
-La messa sarà celebrata lì.
-Come voleva papà...
-Sì.
Arrivammo al cancello del cimitero, quindi parcheggiai l'auto e scesi.
Abbassai immediatamente gli occhiali per coprire le lacrime e mi avviai. Mamma camminava poco più avanti di me: poteva sembrare forte, ma non lo era e, più grave,non era totalmente lucida: quella parte di lei che non aveva accettato la morte di papà era ancora troppo presente.
Ma era anche normale: papà era morto da una settimana soltanto.
Arrivammo di fronte al fosso in cui sarebbe stata calata la tomba. C'erano già Harry, Lily e James Potter, Ginny, Ron e Luna.
Mi strinsero e mi baciarono tutti, tranne James. C'era sempre stato una sorta di imbarazzo tra noi.
Mi erano mancati immensamente tutti, ad eccezione di nessuno.
Il piccolo Matt si aggrappò ad un braccio. -E tu chi sei?
-Ciao piccolo...
-Lei è zia Hermione.- disse Ron, sorridendo. -Ben tornata.- mi disse, accarezzandomi una guancia.
Il parroco ci raggiunse pochi minuti dopo. -Salve signora Granger. Ciao Hermione.
-Salve padre.
-Cominciamo?- annuii, sistemandomi gli occhiali. Strinsi la mano di mia madre e Ginny mi cinse le spalle con un braccio.
Piansi per ogni singola parola che il prete pronunciò e per il senso di vuoto che sentivo dentro. Soprattutto, piansi perchè avrei rivisto mio padre solo in foto e non avrei potuto più abbracciarlo.
La messa fu breve, così due uomini calarono la bara di papà nel fosso. Presi un pò di terra con le mani e la gettai sulla bara, in segno di saluto.
Quando tutto finì, guardai per l'ultima volta la foto sulla tomba: era sempre così buffo e divertente.
Mamma si avviò all'auto con gli altri. Io ed Harry rimanemmo lì. Avrei voluto che al suo posto ci fosse stato mio marito, avrei voluto che avrebbe asciugato le mie lacrime e che mi avrebbe sostenuta... invece, c'era il mio migliore amico a farlo.
Mi abbracciò ancora e gli sorrisi. Poi, guardai il cielo: il sole splendeva e non c'erano nuvole.
Era proprio una giornata serena, tranquilla: la giornata in cui papà avrebbe desiderato sentirsi dire addio.




***
Angolo autrice:
Questo capitolo è davvero triste, a mio parere, ed è stato abbastanza difficile da scrivere.
Per quanto riguarda i genitori di Hermione, non credo che siano mai stati nominati nè che siano mai stati interpretati da qualcuno,quindi ho lasciato spazio all'immaginazione.
Da come avrete capito, Ron e Luna sono sposati e Matt è loro figlio, carino eh?
La morte del padre di Hermione: è un fatto realmente accaduto, a Roma.
Che altro dire?
Lo spoiler: chi sarà mai? Su, su... vediamo se avete capito...

Ringrazio infinitamente:
dramy96123 per la recensione. eccoti accontentata! Eh sì, Henri ed Hermione hanno alcuni problemini... seguendo la storia noterai che alcuni problemi sono davvero stupidi, altri, invece, sono davvero importanti.

Sono comunque abbastanza delusa: una storia senza recensioni, di solito, è una storia che non piace. Non so se la mia è tra queste, quindi vi prego di lasciare una recensione, anche se piccolissima... Ho bisogno del vostro parere per sapere se devo o no continuare questa ff.

Ringrazio, per aver inserito la mia storia tra le seguite:

Axel_Twilight_93

Books
excel sana

LyliRose
Nia Nya
path94
prettyvitto
tykisgirl.

Un gigantesco grazie a Sa Chan.
Un bacio a tutti/e e Buona Lettura.

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Capitolo 3
*** Che piacere rivederti, Granger! ***


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Capitolo 3: Che piacere rivederti, Granger!



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Mi ero addormentata con la voglia di uscire e camminare per le strade della mia città.
Una volta sveglia, avevo fatto una doccia veloce, mi ero vestita e truccata. Poi, ero andata in cucina a bere un caffè al volo.
Mamma era già uscita con l'auto e la domestica era già arrivata, quindi uscii. Mi chiusi la porta alle spalle e feci un bel respiro profondo.
Il cielo grigio mi accolse, freddo e gelido come sempre.
Avevo voglia di rivisatare il luogo in cui avevo passato tanto tempo durante la mia adolescenza. Guardavo con meraviglia e curiosità ogni angolo di quelle strade, poi mi fermai e l'emozione mi sovrastò: aprii la porta e un campanellino trillò riempiendo l'ambiente del suo tintinnio allegro.
Girai per i corridoi, ammirando ogni cosa ci fosse. Amavo l'odore dei libri ed anche la polvere che c'era lì dentro.
Presi un libro, uno qualsiasi... di solito, leggevo la trama della storia, ma stavolta non l'avevo fatto.
In realtà, non m'importava granchè. Ero solo curiosa di tornare nella vecchia libreria e uscirne a mani vuote non sembrava carino.
Pagai e salutai l'uomo che era dietro al bancone, poi uscii e tornai in strada.
La mia Londra non era cambiata. Una città, in fondo, non cambia mai... sono le persone che la vedono diversa.
M'incamminai lentamente per i viali alberati del Green Park: guardavo le coppiette di anziani che, dopo anni, ancora si tenevano per mano: quanto amore nei loro gesti rallentati solo dalla vecchiaia e dal peso degli abiti.
Di amori così ce n'erano pochi, adesso. Una volta, i matrimoni duravano anni, decenni... ora, non era più così: il mio matrimonio ne era la prova. Forse...
Mi sedetti su una panchina, appena ne trovai una libera.
Aprii il libro.
Qualcosa di duro mi colpì la testa. -Una palla.- dissi, sorridendo, mentre una signora anziana mi osservava.  -Maledette palle.- pensai, invece tra me e me.
un bimbo di dieci anni o poco più si avvicinò. -Grazie, signora.
-Prego.
-Hai visto castoro? Sei anche cieca. Hai l'apparecchio e sei cieca.
Sorrisi ancora. Una volta, anch'io ero un castoro... il suo castoro. Una volta, tanto tempo fa...
Ero andata via dalla mia città per lui. Ero tornata per la morte di mio padre...
Ero andata via a gennaio. Ero tornata lo stesso mese, di sei anni dopo.
Il tempo mi aveva cambiata: ero una donna, ormai.
Ero sposata, avevo una famiglia... no, non era vero: non avevo figli, non potevo averne... o meglio, mio marito non poteva darmene.
Più volte, mi aveva proposto la via dell'adozione, ma avevo sempre rifiutato: avere un figlio che non fosse realmente suo, col tempo, l'avrebbe fatto sentire un fallito ed io non volevo che succedesse.
Henri non lo meritava.
Era stato la mia ancora di salvezza, dal momento in cui l'aereo atterrò all'aereoporto Charles de Gaulle. E' stato una guida, un amico, un amante ed ora un marito. Anche se poi, le cose si sono complicate...
Le gocce di pioggia iniziarono a scivolarmi addosso. Mi coprii immediatamente il capo, mentre la pioggia diventava più insistente. Feci in tempo a posare il libro in borsa.
Presi il cellulare e cercai di chiamare Henri. Pluff. In acqua. -Merda!
Proseguii a piedi e senza ombrello. Di un taxi neanche l'ombra.
La  pioggia ormai era talmente fitta che faticavo a riconoscere i profili dei palazzi e le fattezze dell'asfalto su cui camminavo. Infatti, inciampai. -Odiose pozze d'acqua. Maledetta pioggia e bastardo meteorologo.- dissi, alzandomi. Ero zuppa.
-Signorina, le serve aiuto?
-Signora. No, grazie.- risposi stizzita.  L'uomo se ne andò, senza proferire parola. -E fanculo anche ai taxi.
-Ah, quanto ti capisco. Londra è una città impossibile.- disse una donna. Aveva più o meno la mia età: alta, pelle chiara, capelli biondi e occhi azzurri. Bellissima.
-Sì.
-Piacere.- disse, stringendomi la mano. -Io sono Cloe.
-Hermione.-
-Beh, io vivo a Kensingoton street.
-Anche io.
-Se ti va...
-Oh, no grazie. Ho delle commissioni da fare.
-Bene. Allora arrivederci... Hermione, vero?
-Esatto. Arrivederci Cloe.
Attraversai la strada, sperando che nessun'auto passasse. Quando arrivai all'atro marciapiede, mi fermai sotto gli archi di un piccolo negozio di dolci.
Entrai ed attesi che qualcuno venisse  al bancone.
Dopo qualche minuto, una bella ragazza mi salutò. -Buonasera signora, desidera?
-Vorrei una bella torta.
-Che gusto?
-Non so.
-Mi segua.- disse, uscendo dal bancone. -Dia un'occhiata alla nostra esposizione.
-Quella.- dissi appena vidi la torta.
-Non vuole pensarci un pò su?
-No, voglio quella. Grazie.
La ragazza chiuse la torta nell'apposita scatola e me la porse. Pagai e uscii dal negozio.
Casa Weasley era poco lontana, quindi percorsi quel tratto di strada camminando sotto gli archi e le volte dei negozi.
Quando arrivai, la pioggia era diminuita. Bussai alla porta e Ginny aprì poco dopo. -Hermione.
-Ciao.
-Ma... cosa?
-Questa è per te, cioè, per noi.
-Noi chi?
-Tu ed io.
-Ah, bene.
-Su, fammi entrare.
-Oh, che sbadata: non te l'ho detto, vero?
-No. Sei molto scostumata signorina Weasley.- rise. -Riesco ancora ad imitarla alla perfezione, visto?
-Sì.- Entrammo. -Sei zuppa, dai vieni ad asciugarti un pò.- Andammo in bagno e Ginny mi diede il phon.
Quando finii, spazzolai i capelli, poi ci accomodammo in cucina. Sembrava ancora di rivedermi bambina. -Non è cambiato nulla...
-Certo che è cambiato qualcosa...
Mi guardai intorno. -Io non lo vedo.
-Ah no?
-No.
-Bene. Allora aspetta un secondo.
-Ok.- aspettai, fino a che Ginny non tornò in cucina.
-Io qualcosa di diverso lo vedo.- disse, porgendomi una foto.
-Ginny... ce l'hai ancora.
-Non potrei mai metterla via...
-In effetti, qualcosa è cambiato.- sorrisi. -Eri uno gnomo!
Il telefono di Ginny iniziò a squillare e lei rispose. -Pronto?- la osservavo, mentre tranquilla preparava il caffè.- Perfetto.- prendeva le tazze dalla credenza. -No, va benissimo così... ti aspetto.
-Chi era?- chiesi con curiosità.
-Una sorpresa, mia cara.
-Oh...
-E' una persona che non vedi da anni.
-Draco.- pensai, ma lasciai che quel pensiero mi lasciasse. -Non ho proprio idea di chi possa essere.
-Meglio così.- disse. -Sarà qui tra meno di quindici minuti, quindi per la torta aspetteremo il suo arrivo.  
-Quindi, non mi dirai chi è, vero?
-Per niente al mondo. Anzi, ti ho già detto troppo.
-Ci sono molte persone che non vedo da anni.- mi rattristai e Ginny dovette capirlo, perchè cambiò immediatamente argomento.
-Domani, ti và se pranziamo insieme?
-D'accordo.
-Sai, Herm... credo che sia il caso che tu mi aiuti.
-A fare cosa?
-A trovare un lavoro...
-Certo. Sai già in che cam...?- suonò il campanello e Ginny mi guardò per un solo secondo. In quel secondo però, vidi nel suo sguardo troppe emozioni: eccitazione, sorpresa...
-Ciao Ginny.- sentii una voce maschile che non riconobbi, allora rimasi seduta.
-Seguimi...- disse Ginny. -...c'è una sorpresa per te.
Mi conosceva o la sorpresa era la torta? Mi alzai per prendere un bicchiere d'acqua, quindi, quando l'ospite arrivò in cucina, ero di spalle.
-No.- disse l'uomo. -Non dirmi che è lei!
-Certo che è lei.- non avevo il coraggio di voltarmi. Rimasi nella stessa posizione non so per quanto tempo, fino a che Ginny non si avvicinò a me e mi girò con la forza. -E' lei in carne ed ossa.
A pochi passi da me, ora, si trovava uno dei ragazzi più belli del liceo: erano passati anni ed era diventato un uomo, ma era sempre bellissimo... anzi, con quel filo di barba, lo era ancora di più.
Gli andai incontro e lo abbracciai forte. Gli occhi mi si riempirono di lacrime e lo strinsi ancora di più. - Blaise...- dissi con la voce spezzata dall'emozione.
-Hermione... sei stupenda!
-Grazie.- dissi, senza aggiungere altro: ero felicissima. Quanto era cambiato: era diventato più alto e il viso non era più paffuto, anzi...
-Ho saputo di tuo padre... mi dispiace.
-E' stato un brutto colpo, ma supereremo anche questo.
-Non lo dubito.- si sedette accanto a me e mi prese le mani. -Che piacere rivederti, Granger!- addentò un pezzo di torta e lo gustò a lungo. -Mh, buonissima!
-Già.- avrei voluto chiedergli tante cose: lui sapeva, lui sapeva tutto.
-Allora... il matrimonio come sta andando?
-Prosegue...
-Ne sono felice.
Sorrisi. -Non chiedermi come prosegue.- implorai mentalmente. -Sì, anche io.
-Ehy, ci sono anche io.- disse Ginny.
-Oh, a proposito...- Blaise cambiò espressione. - ...in ospedale ci sarà bisogno di noi.
-Come sempre: giovedì e venerdì.
-No. Ce ne sarà bisogno anche domani.
-Oh...- Ginny mi guardò sconsolata. -Ma io domani avevo appuntamento con...
-Disdici ogni appuntamento.
-Non preoccuparti, Ginny. Sarà per un'altra volta.- dissi, prendendo la borsa e il cappotto. -Ora vado.
-Quanto ti fermerai?- mi chiese Blaise.
-Non so. Forse, un paio di settimane.
-Bene. Allora ti prometto che tu e la rossa, qui, recupererete l'appuntamento. In più...- aggiunse, facendo l'occhiolino e assumento un tono di voce fintamente sensuale - hai vinto l'appuntamento dei tuoi sogni...
-E sarebbe con...?- chiesi fintamente curiosa.
-Con me, ovviamente.
Io e Ginny ridemmo. Poi salutai Blaise con un bacio, mentre Ginny mi accompagnò alla porta. -Grazie...
-Di niente.
-Sapevo che ti avrebbe fatto piacere rivederlo... so anche che...
-Oh, no, non preoccuparti. Ne sono stata davvero felice: nessun rimorso, nessun ricordo. E' tutto ok.- mentii.
-Perfetto. Ci sentiamo.- mi baciò una guancia e andai via.
Avevo mentito alla mia migliore amica, ma come potevo dirle che i ricordi mi avevano investita?
Non potevo farlo e, soprattutto, non volevo farlo. Ammetterlo a me stessa sarebbe stato un bel problema... ed io non volevo avere problemi di nessun genere, soprattutto quando si trattava del mio passato.
Era finito tutto tanti anni fa ed era stato giusto così.


Spoiler Capitolo 4:
-E tu che ci fai qui?
-Sono venuto per te...
-Oh.- dissi. Sul viso,forse, avevo un'espessione mista tra sorpresa, rabbia e malinconia.
-Mi fai entrare?- guardai l'interno della casa, poi guardai lui.
-Sì...


***
Angolo autrice:
Questo è un capitolo di passaggio.
C'è stato un incontro che potrà essere importante o meno, questo lo saprete solo continuando a leggere.
-Cloe: avrà un ruolo fondamentale. Poi, capirete...;
-Ginny: è un'infermiera e vive ancora con i genitori, penso che l'abbiate capito;
-Blaise: ho cercato e ricercato, ma Blaise è di colore e non ha affatto gli occhi blu. Lo dice anche la Rowling nel sesto libro. Quindi, per chiunque creda che Blaise abbia gli occhi blu, RICREDETEVI ^.^ Anche lui è infermiere, nel reparto pediatria... che dolce, vero?
Credo che per quanto riguarda il capitolo non ci sia altro da aggiungere.

Risposte alle recensioni:

 
LyliRose: Grazie mille per l'incoraggiamento. Eh sì, la storia è agli inizi, ma proprio per questo mi piacerebbe più coinvolgimento da parte chi legge. Draco... Draco arriverà, pazienta un pò.

 Axel_Twilight_93: Grazie anche a te! La storia è molto complicata, quindi c'è da capirne ogni sfumatura e per questo cercherò di descrivere al meglio le sensazioni dei protagonisti. Per quanto riguarda l'aggiornamento: mi piacerebbe postare ogni uno o due giorni. So quanto sia snervante aspettare, quindi, se il tempo te lo permette, la mia storia è qui... Per quanto riguarda i compiti, su su... corri a studiare u.un Grazie ancora.

 sa chan: Eccomi qui. Sono stata abbastanza veloce o sarò punita dal forcone? Grazie ancora per il sostegno che mi dai e per le immagini... Ah, se non ci fossi tu. Allora, che ne pensi di questo capitolo? L'incontro ti è piaciuto?

Gin 92: Grazie davvero! So che a volte è più facile leggere soltanto, ma per chi scrivi è importante conoscere il parere di chi legge. Draco comparirà prima o poi, o forse mai... chissà! Grazie ancora.

Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le seguite:
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Capitolo 4
*** Chiarimenti... ***


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Capitolo 4: Chiarimenti...

Image and
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Ero a Londra da una settimana, ma da parte di Henri non avevo ricevuto ancora nessun segno di vita.
Avevo cambiato cellulare e numero, ma l'avevo chiamato e gli avevo lasciato almeno cinque messaggi in segreteria.
Mi mancava quello che era una vota...
Andai a fare una doccia, poi mi vestii e mi truccai un pò. Mi guardai allo specchio e cominciai a piangere. -Cos'è che non va in me?
Il campanello suonò e corsi ad aprire: Ginny ed Harry entrarono e mi abbracciarono forte.
Avevo gli occhi rossi e gonfi. -Che è successo, Herm?
-Niente, Ginny.
-Niente è davvero poco per ridurti in questo stato. -Dovevo dirle la verità? - Siamo i tuoi migliori amici...
A volte, credevo che Ginny mi leggesse nel pensiero. -D'accordo. Si tratta di Henri.
-Lo sapevo! Non mi è mai piaciuto quel tipo, ma tu "é un'ottima persona, se non fosse stato per lui..."
-Harry! Non serve a niente stare qui e dire "Te l'avevo detto!"- lo rimproverò Ginny.
-No, hai ragione.
-Cos'è successo, Herm?
-Non lo so...

Quando tornò da lavoro, ero sul divano in preda ad una crisi di panico.
-Ho fame.
-Henri...- cercai di chiamarlo, sperando che mi chiedesse cos'era successo. Invece, mi aveva baciato i capelli ed era andato in bagno a lavarsi.
Così, mi diressi in cucina e inizia a cucinare: non avevo neanche la forza di sollevare una forchetta, ma strinsi i denti e gli cucinai un pò di brodo.
-Hermione,- mi chiamò dalla stanza da letto. -Il pigiama, l'intimo... non l'hai preparato.
-Scusami, Henri... sai, è che papà...
-Scusami Henri!- cominciò ad urlare. -Sei stanca, Hermione?
-No.
-E allora perchè non fai il tuo dovere di moglie?- urlava sempre di più.
-Ti prego, abbassa la voce...
-Ti vergogni che la gente sappia quanto sei inutile in questa casa?
-Io non sono inutile...
-Ah no? E in cosa saresti utile?
-Henri, vedi... papà... mi ha telefonata mia madre...
-E certo! Perchè è più importante parlare al telefono con tua madre che servire tuo marito, vero?
CI rinunciai. -La cena è pronta. Ti aspetto in cucina.- Ovviamente, non venne e mi toccò buttare tutto.
Quando andai a dormire, notai che nel letto non c'era, così andai nella camera degli ospiti: era lì. E già dormiva.
Tornai in camera da letto e preparai le valigie, poi mi addormentai.
La mattina, di buon'ora, ero già pronta per andare via.
-Dove vai?- mi chiese.
-Buongiorno.
-Buongiorno? Fanculo il tuo buongiorno. Che cazzo sono queste valigie... vuoi andare via?
-Tesoro...
-No, Hermione, non chiamarmi tesoro.- urlava.
-Sta zitto.- gli ordinai. Il mio tono si era alzato di qualche ottava. -Mio padre è morto.
-Cosa? Perchè non me l'hai detto?- disse, accarezzandomi il braccio.
-Ci sto provando da due giorni.- dissi, con la voce ridotta quasi ad un sospiro.
-Vorresti dire che è colpa mia? Che non ti presto abbastanza attenzioni?- aveva ricominciato ad urlare.
-Vado a Londra, Henri. Appena sono lì, ti chiamo.- cercai di baciarlo, ma mi respinse.
Chiusi la porta e andai via.
 
-Hermione, non puoi continuare così. Sei sposata da due anni...
-Harry, ti prego.
-Ma ti maltratta...
-No, Harry non lo fa. Forse, è solo stressato per il troppo lavoro.
-Anche tu lavori, Hermione... e finito allo studio, ricominci a casa.
-Harry ha ragione.- intervenne Ginny. -Perchè non ti allontani un pò?
-E' mio marito...
-E tu sei sua moglie. Proprio per questo non può trattarti così. Hermione... ti conosco da quando eri una bambina e sei la persona più fantastica di questo mondo... Ginny, non offenderti.- mi scappò un sorriso. - Non meriti tutto questo.
-Mi ha sempre aiutata.- Harry scosse il capo, Ginny, invece, mi indirizzò uno sgaurdo implorante.
-In cosa?
-Quando sono arrivata in Francia, non sapevo neanche come si dicesse "Salve!"
-Avresti potuto imparare da sola.
-No...
-Sai una cosa? Ti ho vista stare male in tante occasioni, ma mai così... E ti ho vista felice solo con una persona...
-Smettila.- Qualcuno, fortunatamente, bussò alla porta. -Vado.
-Sì...
Mi avviai e asciugai le lacrime, prima di aprire. -E tu che ci fai qui?- chiesi, meravigliata.
-Sono venuto per te...
-Oh.- dissi. Sul viso,forse, avevo un'espessione mista tra sorpresa, rabbia e malinconia.
-Mi fai entrare?- guardai l'interno della casa, poi guardai lui.
-Sì...
-Hermione...- disse
-Henri, qui ci sono Ginny ed Harry. Ti ricordi di loro, vero?
-Certo. Ciao Herry.- disse, stringendogli la mano. -Ciao Ginny.
-Henri.- dissero all'unisono a mò di saluto.
-Allora come state?
-Noi bene.- rispose Harry, sottolineando in modo troppo evidente quel noi.
-E tu come stai?- chiese, poi, rivolgendosi a me.
-Oh, sto bene.
-Hai pianto?
-No. Allergia agli occhi.
-Capisco.
-Beh,- disse Ginny. -Noi abbiamo un pò da fare... se non vi dispiace...
-Figurati...- disse Henri.
-Ginny, Harry grazie.
-Ci accompagni alla porta?
-Certo.
Arrivati sull'uscio, Harry mi guardò. -Hermione, ti prego... hai venticinque anni, non...
-Harry...
-Andiamo.- disse Ginny, vedendo che Henri ci aveva raggiunti.
Poggiò le mani sulle mie spalle ed io chiusi la porta. -Mi sei mancata.- disse, girandomi in modo che mi trovassi di fronte a lui.
-Henri...- iniziò a baciarmi il collo, le labbra, i lobi.
-Herm...- mi tolse la felpa e la maglietta e iniziò ad accarezzarmi i seni.
-Ti prego...- spostò il reggiseno, poi iniziò a sbottonare i jeans e a toccarmi.
-Non mi vuoi?- No, non lo volevo. Non adesso.
-Ti prego...- fu tutto inutile: mi spogliò completamente, posando sul pavimento anche l'intimo.
Lui abbassò semplicemente i pantaloni e i boxer, poi mi penetrò.
Mi fece male.... non tanto per la smania e per la violenza con cui era entrato in me, quanto per il fatto che prima di tutto avesse desiderato solo il mio corpo: non un bacio dolce, non una carezza...
Mi rivestii e andai in cucina. Lui mi raggiunse. -Vado a fare una doccia.
Non risposi. Cosa c'era di dire?
Mi sedetti e cominciai a piangere. Affondai le unghie nella pelle per far sbollire la rabbia: il dolore che provavo facendomi male da sola non era minimamente paragonabile al male che mi faceva mio marito. -Se non lo amassi solo per metà...
Avevo iniziato a preparare la cena, per distrarmi, per non pansare. Le parole di Harry mi riempivano le orecchie e lo sgaurdo implorante di Ginny mi era rimasto impresso nella mente. Sistemai il ruoto nel forno...
Non potevo andare avanti in quel modo, non potevo farmi condizionare dai miei migliori amici: certo, mi volevano bene, ma cosa ne sapevano della vita che avevo lontana da Londra?
Ma poi... che vita avevo? Era questa la domanda che dovevo pormi.
Asciugai un'altra lacrima, quando sentii la porta d'ingresso aprirsi e ringraziai il cielo. -Mamma?
-Sì...
-Mamma, è...
-Sono venuto a salutarti, Meredith.- disse mio marito, mentre scendeva le scale. Aveva indossato una tuta e le scarpe da ginnastica.
-Oh, che piacere Henri.
-Il piacere è sempre mio.
-Come stai?
-Benone. Herm, che cucini?- Scostumato, non aveva neanche chiesto a mia madre come stesse.
-Pollo.- risposi fredda.
-Se non vi dispiace, -disse. -vado a guardare un pò di tv.
-Fai pure. - risposi.
Mamma si avvicinò e mi osservò a lungo. -Cos'hai?
-Niente... le cipolle.
-Le cipolle? Sarà...
-Ma cosa credi?- le dissi. La mia voce tremò: avevo paura, non volevo che mamma sapesse.
-Non credo niente.
-E fai bene. Ora su, va a lavarti chè la cena è quasi pronta.
-Abbiamo invertito i ruoli?- mi chiese, ridendo.
Risi anche io. Aspettai che lasciasse la cucina, poi lasciai libero sfogo al mio pianto. Come avevo potuto arrivare a tanto?
Mi faceva male lo stomaco: troppo forte, troppo prepotente. Non mi ero mai permessa di pensare che i nostri rapporti potessero essere descritto con la frase "fare l'amore", era sempre stato sesso e lo sapevo bene... ma Henri stava andando davvero oltre: questa era violenza.
Asciugai l'ennesima lacrima, poi presi il ruoto dal forno e portai tutto in tavola.
Chiamai mamma e Henri e mangiammo: loro chiacchieravano, io rimasi in silenzio. Non ascoltai una parola di quello che dissero, mi limitai solo a sorridere ed annuire ogni volta che sentivo il mio nome.
Quando finimmo di mangiare, Henri andò a cambiarsi e ad indossare il pigiama. Io sparecchiai e lasciai che mamma andasse a letto. Poi, mi sedetti sul divano.
Poco dopo, Henri si accomodò affianco a me. -Ora, ne parliamo...- disse con la finta calma di chi cerca di nascondere un tono di voce minaccioso.
-Non mi va.
-Invece sì. Sei andata via, mi hai lasciato da un giorno all'altro...
-Non ti ho lasciato, Henri. Sono venuta ad aiutare mia madre...
-Certo...
-Sì.
-Beh, resta di fatto che io sono stato solo...
-Mi dispiace.- ed era vero, mi dispiaceva, ma dubitavo fortemente che avesse passato tanto tempo da solo: se mi avesse tradita, di certo non sarebbe stata la prima volta.
Mi colpì in pieno volto. -Sai dire solo questo?
-I-io...- provai a controbattere, ma andò via e mi lasciò da sola.
-Dormo in camera tua.- disse, quando era ormai a metà delle scale.
-D'accordo.- mi toccava dormire sul divano. Posai la mano sulla guancia: ormai, non era più lo schiaffo a bruciare, bensì l'umiliazione.
Provai a mettermi comoda, ma non ci riuscivo.
Il ticchettio dell'orologio a parete, quello che per anni era l'unico rumore che riusciva a rilassarmi, ora mi dava i nervi. Rimasi nella stessa posizione per un paio di ore: lo sguardo fisso al nulla, la mente vuota da ogni pensiero.
Andai in cucina a prendere un pò d'acqua e guardai le scale: salii in silenzio e aprii la porta della mia camera.
Lo guardai, mentre dormiva: poteva sembrare il marito migliore del mondo.

Cos'era cambiato? Perchè non era più l'unico ragazzo a cui avevo voluto un bene dell'anima, dopo Draco?
Forse, il problema era questo: parte di me era rimasta legata al passato e a ciò che avevo perso... Henri, però, ne era a conoscenza. Sapeva bene che Draco era la persona più importante della mia vita. Sapeva che parte di me, anche se ben nascosta, sarebbe sempre appartenuta a Draco.
No, il problema non era questo...
Gli accarezzai il viso, dolcemente. In cambio, lui mi strinse il polso con tanta forza che stavo quasi per urlare dal dolore. -Che ci fai qui?- mi chiese brusco.
-Volevo darti la buonanotte.
-Non sono più un bambino, non mi serve il bacio della buonanotte.
-Non ho detto questo... credo che dovremmo parlare...
-Per me abbiamo parlato ed abbiamo chiarito tutto.
-Tu credi?
-Sì.- mi abbracciò e poggiai il viso al suo petto. -Ti voglio bene, Hermione.
-Te ne voglio anche io.- mi fece posto e mi stesi accanto a lui.
Mai un ti amo dalle sue labbra... per lui il matrimonio era un semplice contratto, un modo per legare qualcuno alla propria persona, che ci fosse rispetto o meno non era importante... tutto questo, però, me l'aveva detto dopo avermi sposata.
Non avevo il coraggio per divorziare o per annullare il matrimonio... per questo, mi ero data da fare ed avevo iniziato l'università: per non essere vittima di tanto squallore, per non fare i conti con la mia coscienza e, soprattutto, per non ammettere quanto avessi sbagliato.


Spoiler Capitolo 5:

Spostò la mia sedia e attese che mi accomodassi, poi mi avvicinò al tavolo e anche lui andò a sedersi. Sorrisi. -Che gentiluomo.
-Ne dubitavi?
Scossi il capo. -Affatto.
-Bene.
-E tutto come all'inizio...
-Più o meno.

***

Angolo autrice:
-Henri: è un personaggio molto complicato, con un carattere difficile e una brutta identificazione della vita. Credo abbiate notato quanto sia materiale, no? ;
-Ginny e Harry: non lo sopportano, avrete capito anche questo. In seguito, sarà spiegato il perchè, quindi, se siete curiose continuate a leggere.
Per quanto riguarda il capitolo... non ho molto da dire, a parte che non è stato facile scriverlo. Ce ne saranno di più difficili e brutti, di questo ne sono certa.
Lo spoiler: chi sarà mai l'uomo che tiene compagnia alla nostra cara Hermione? Vediamo un pò chi riesce ad indovinarlo :P

Risposte alle recensioni:

Axel_Twilight_93: Grazie mille per i complimenti, davvero. Mi lusinghi. Beh, la tua fantasia ha preso una bella rincorsa xD Spero che anche questo capitolo ti piaccia.

sa chan: Ecco a te il nuovo capitolo. Che ne pensi? Ti piace?

Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le seguite:

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Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le preferite:
amorelove
deme

Ringrazio anche i lettori silenziosi.
Vi prego però di lasciare una piccola recensione, semplicemente per farmi capire cosa ne pensate della storia.
A me piace molto coinvolgere chi legge e mescolare le mie idee con le loro, quindi, se non vi dispiace... lo spazio delle recensioni è qui :D
Un bacio, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 5
*** Come all'inizio... ***


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Capitolo 5: Come all'inizio...

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Sentivo mamma che cercava di fare quanto meno rumore possibile ed in realtà ci riusciva benissimo.

Ero solo io ad essere troppo tesa, i miei sensi ad essere troppo in allerta.
Henri dormiva e, durante la notte, aveva occupato quasi tutto il letto. Ero riuscita a tenere un pò di spazio per me facendo forza nelle ginocchia: era egoista anche in questo, pur se involontariamente.
Mi alzai dal letto, muovendomi poco, per non svegliarlo. Lo sentii mugugnare qualcosa di incomprensibile, cambiò posizione e si coprì meglio.
Andai in bagno a lavare il viso e le mani. Avevo ancora il segno dello schiaffo: dovevo coprirlo.
Erano appena le otto ed era presto per vestirmi, ma non potevo fare altrimenti: non volevo che mamma mi vedesse in quello stato nè che guardasse Henri in modo diverso.
Non volevo che vedesse quello che in realtà era, volevo renderla cieca... non le serviva altro dolore.
Riempii la vasca e mi immersi: avevo bisogno di rilassarmi e di capire.
Cosa c'era da capire? La verità era che Henri era stato un bravo attore: si era nascosto per cinque anni dietro la maschera del buon fidanzato e buon marito, poi, d'un tratto...
-Hermione.
-Sono in bagno.
Mi raggiunse e mi accarezzò le spalle. -Sei stupenda.
-Grazie.
-Oggi... ti va se passiamo una giornata insieme? Da soli.
-Certo.
-Ho davvero bisogno di stare con te.
-D'accordo.- Forse, però... si trattava davvero solo di un periodo negativo. -A che ora usciamo?
-Appena sei pronta.- mi guardò ancora, poi sorrise. -Dammi un bacio.
Lo accontentai e rividi nei suoi occhi la stessa luce che c'era anni fa. Forse, non tutto era perso tra me e lui...
Rimasi ancora un pò nella vasca, poi mi avvolsi nell'accappatoio. Andai in camera per vestirmi e truccarmi.
Andai in cucina e salutai mamma con un bacio. -Sei bellissima, questa mattina.
-Grazie.- sorrisi. -Non aspettarci per pranzo.
-Non ci sarò neanche io, cara. Il lavoro mi terrà impegnata anche il pomeriggio.
-Meglio, no?
-Certo. Anzi, devo proprio andare.
-Ciao mamma.
Uscì ed io rimasi sola in cucina. Preparai il caffè, mentre aspettavo Henri che scendesse.
Guardai fuori dalla finestra e anche oggi pioveva. Nei giorni così ero davvero nostalgica: erano i giorni che più amavamo, io e lui. Io e Draco.
Da quando tutto era finito e, ancor di più da quando ero tornata a Londra, il suo ricordo spesso faceva capolino nella mia mente. Dovevo mandarlo via lo sapevo, ma ripensavo, di tanto in tanto alle parole di Harry.
-Hermione.
-Henri, ti ho preparato il caffè.
-Se fossi ogni giorno così premurosa, saresti un'ottima moglie.- sorrise.
Gli sorrisi anche io, tristemente però... -Dai, andiamo.
Uscimmo. Lui mi cinse la vita e mi aprii la portiera. Dopo sei anni, non riuscivo a capire chi fosse realmente... e ne avevo paura.
Mentre Hanri metteva in moto, Cloe si fermò a salutarmi. -Come stai?
-Bene, grazie e tu?
-Bene. Cloe, lui è mio marito.
-Piacere.- disse Henri, tendendole la mano.
-Piacere mio.- rispose Cloe. Strinse rigorosamente la mano e sorrise più del dovuto, ma non le badai: non ero gelosa di Henri.
In vita mia ero stata gelosa di una sola persona: avevo paura di perderlo, come poi è successo...
-Arrivederci Cloe.
-Arrivederci.- disse, salutandoci con la mano.
-Come l'hai conosciuta?
-Per caso. La settimana scorsa ero and...
-Ok, ok. Non m'interessa.
A me interessava che sapesse. Per rispetto nei suoi confronti e per sentirmi importante, non per altro. -Lui non è Draco...
Ed era vero: nessuno mi aveva mai amata come aveva fatto lui. Nei tempi sbagliati, forse, ma almeno era amore.
Tutt'ora ne ero convinta, solo che il destino o qualsiasi cosa si era messa tra di noi era stata più forte. O, semplicemente, eravamo noi ad essere troppo deboli... -Dove andiamo?
-Non ne ho idea.
-Bene.
-Avevo pensato di portarti a pranzo fuori...
-Sì.
-Ma... dove?
-Oh, ti ci porto io.
-E paghi tu?
-Se vuoi...
-Dovrai farlo davvero: ho dimenticato il portafogli a casa.
-D'accordo.- Era sempre così, ogni volta...
Passammo prima in farmacia, per comprare della pomata: avevo dei lividi intorno ai polsi, dovuti al fatto che Henri, ogni volta lo rifiutavo, li stringeva forte.
Quando tornai in macchina, mi sorrise. -Mi dispiace.- disse. -Non accadrà più.
Una promessa. Una promessa che, forse, avrebbe infranto da qui a poche ore. Mi limitai a sorridere. -Fermati qui.- dissi.
-Cosa c'è?
-Il ristorante è qui vicino.
-Bene.
-Ho voglia di passeggiare un pò...
-Con questo tempo? Tu sei pazza!- come sempre.
Era questo che avevo sempre odiato di Henri: non vedeva le sfumature. Per lui era tutto bianco o tutto nero. Il grigio non esisteva... Quello era il mio colore preferito e sapevo anche il perchè. -Dobbiamo parlare, Henri...
-Mi pare che ne abbiamo già discusso, no?
-Sì, certo...- ma di cosa avevamo discusso?
-Andiamo.- scese dall'auto e venne ad aprirmi la portiera.
Scesi anch'io dall'auto e lanciai un'occhiata all'Old Park. Mi mancavano le giornate trascorse lì e per questo volevo ritornarci... ma Henri non lo capiva.
A suo parere, i ricordi erano solo stupide proiezioni di una vita illusoria. Mi chiedevo, pur se non volevo ammetterlo, se quest'uomo avesse mai amato davvero in vita sua.
Mi trascinò nel ristorante con più forza del dovuto o, forse, così mi era parso per il fatto che mi ero persa nei miei pensieri.
-Prego.- un cameriere ci avvicinò e ci fece accomodare ad un tavolo.
L'ambiente era ampio e illuminato da luci soffuse. Il parquet era ancora perfettamente lucido.
I menù erano sistemati tra i bicchieri. -Grazie.- disse Henri, poco prima che il cameriere si allontanasse.
Spostò la mia sedia e attese che mi accomodassi, poi mi avvicinò al tavolo e anche lui andò a sedersi. Sorrisi. -Che gentiluomo.
-Ne dubitavi?
Scossi il capo. -Affatto.
-Bene.
-E' tutto come all'inizio...
-Più o meno.- Inclinai il capo, guardandolo con aria interrogativa. -All'iniziò, o almeno al primo appuntamento, pranzammo in un ristorante francese.- spiegò. -Ora, siamo in un ristorante cinese.
-Giapponese. Comunque, il luogo non è importante, no?
-Certo.- rispose. -Certo che lo è.
-Oh.- risposi delusa. -Mangiamo?
-Sì.
Presi il menù e lessi velocemente le portate. -Riso alla cantonese ed involtini primavera. Ti và?
-Tu mangia quello che vuoi. Per me ordino riso, ananas e pinoli.
-Come vuoi...
Henri fece cenno al cameriere di avvicinarsi. Gli chiese dell'acqua naturale, poi chiese del vino e ne spiegò i minimi particolari: marca, annata, vigneto. L'uomo si allontanò dopo aver preso le ordinazioni.
- Quanto tempo...
-Mh?
-Che non passiamo una giornata insieme, così...
-Sei sempre impegnata con il lavoro.
-Anche tu lo sei.
-A proposito del lavoro, perdonami se, a volte, sono violento... Sai, mi stressa. I pazienti sono incontentabili.
-Figurati. Vorrei solo che non te la prendessi con me.
-Ma io non me la prendo con te.- mi strinse le mani e mi guardò negli occhi. -Sei mia moglie.
-Sì.- sorrisi e lui fece lo stesso. Mi sentii tranquilla.
Qualche minuto dopo, il camierere tornò con l'acqua e con il vino ed Henri me ne versò nel bicchiere. -Assaggialo.
-Poco, Henri.
-Una donna che non beve del vino è una donna a metà.
-Una vera donna non si riconosce da questo.
-Non solo.
-Mh.
-Vedi una donna vera è brava in tutto: nel letto, fuori dal letto.
Io per lui non lo ero, lo sapevo. -I piaceri del sesso non sono la cosa più importante in una coppia.
-Vero.
Il camierere si avvicinò di nuovo al nostro tavolo e ci servì le portate. -Buon appetito.
-Non mangi?- gli chiesi, mentre portavo alla bocca il primo involtino.
-Ti guardo.
-Perchè?
-Sei davvero molto bella.
-Grazie.
-A volte, sono proprio stupido: lascio che la stanchezza mi appanni la vista e non riesco a vederti.
Arrossii. -Sei già ubriaco?
-Può darsi.
-D'accordo.
Finimmo di mangiare in un silenzio quasi religioso. Sentivo i suoi occhi addosso e ne ero soddisfatta.
La mia autostima di donna stava risalendo al livello di sufficienza, quindi sorrisi.
-Fallo di nuovo.
-Cosa?- chiesi.
-Sorridi e tocca i capelli.- lo accontentai.
-Perchè?
-Non c'è un perchè, ti ho chiesto di farlo e basta.
Guardai altrove, poi ripresi a mangiare. Così, nello stesso silenzio di poco prima, trascrorse il resto del tempo.
Henri si alzò e si avvicinò a me. Mi baciò dolcemente la guancia e aspettò che mettessi il cappotto, poi ci avviammo all'uscita.
Pagai e mi diressi all'auto. Pioveva ancora e, ancora una volta, i miei pensieri si rivolsero a quello che in quella stessa strada avevo vissuto anni fa. Spostai i capelli dalle spalle, per mandare via quei ricordi: facevano male. -Grazie.- dissi, senza troppo entusiasmo.
-Per cosa?
-Per la bella giornata.
-Ce lo meritiamo, no?
-Decisamente.
Partì e puntò gli occhi sulla strada. Io guardavo fuori dal finestrino, come sempre, per rubare un pò della mia città e portarla con me.
Henri mi prese la mano e la baciò.
Finalmente...
Il mio matrimonio non era finito. Forse, valeva la pena salvare quel pò che era rimasto...
Tornammo a casa nel primo pomeriggio. -Ho voglia di un buon caffè.- disse, sistamandosi sul divano.
-Vado a prepararlo.- Andai in un cucina, inserii la spina della macchinetta e avviai.
Presi le tazze dalla credenza, le riempii e le sistemai, insieme alla zuccheriera, sul vassoio. Sentii dei passi che si avvicinavano, avvertii un profumo familiare e chiusi gli occhi.
Henri mi accarezzò la schiena e i fianchi, poi mi voltò dolcemente verso di lui. Prese un sorso di caffè, poi mi baciò.
Accarezzò con più decisione la mia spalla, per iniziare, poi, a baciarmi il collo. -Ti voglio.
-Henri...
-Non vuoi farlo?
-Non qui.
-Allora andiamo di sopra.
-Ok.
Continuò a baciarmi, mentre salivamo le scale. Non lasciò la mia bocca neanche mentre apriva la porta della mia camera.
Mi adagiò sul letto e mi spogliò lentamente. Mi baciò i seni e la pelle, fino all'ombelico.
Mi tolse i jeans, li sistemò accanto al letto e mi tolse gli slip. Risalì lentamente con la bocca fino ad arrivare alla mia e cominciò a toccarmi.
Mi piaceva e lo sapeva. Mi penetrò dolcemente, all'inizio.
Presto, le spinte divennero rapide e violente. -Henri...
-Hermione... ah...- era così: ogni volta che era all'apice del piacere, chiamava il mio nome.
Quando arrivò, si spostò e andò a lavarsi. Io rimasi lì.
Henri non si preoccupava molto del mio piacere, ma poco importava: il piacere vero, l'avevo provato quando ero stata davvero innamorata e, soprattutto, l'avevo provato quando avevo fatto l'amore.

Quello, che ci fosse affetto o meno, ero sesso. Punto.
Henri tornò in camera e si sistemò sul letto, poi mi abbracciò. Non era un uomo tanto cattivo. Quando voleva sapeva essere dolce.
Ripensai agli anni trascorsi in Francia ed ai momenti sereni che avevo vissuto con lui: i primi periodo erano davvero stati piacevoli. Erano stati tranquilli come la giornata appena trascorsa e, almeno speravo, come quelle che avremmo trascorso poi.
Ancora una volta mi trovai a sorridere: ora, era tutto come all'inizio...


Spoiler Capitolo 6:
-Smettila, Draco.- gli dissi, spingendolo.
-Ti prego. Ti prego, non piangere. Non rendere tutto più difficile... Non hai idea di quanto mi costi tutto questo. Io ti amo, da morire...- risi.- Credimi.

***
Angolo Autrice:

Eccomi qui, con il sesto capitolo.
Allora? Avete visto che, in fondo, Henri non è così cattivo?
O tutta questa "dolcezza" non vi ha fatto cambiare idea su di lui?
Questo è stato un capitolo molto leggero e facile da scrivere e spero che vi piaccia...
Lo spoiler: cosa ne pensate? Vi dò solo un piccolo consiglio: non lasciatevi ingannare dalle apparenze... non tutto è quello che sembra.

Risposte alle recensioni:

Axel_Twilight_93: Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto ^.^ Eee Grazie per aver inserito la mia storia tra le preferite. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.

Gin 92: Grazie per aver recensito. Mi piace molto l'idea di rimanere Draco come presenza mistica, ma lui comparirà... però, non è detto che incotri la nostra cara Hermione, no? Eh beh, il ragazzo misterioso non era Blaise ^.^ Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.

OneLove4: Grazie per i complimenti alla storia e, sì, Henri non è proprio una zolletta di zucchero. Allora, per l'appuntamento avevi pensato a Draco, eh? No, non si trattava di lui... Spero che questo capitolo ti sia piaciuto. ^.^

sa chan: Immagino che qui avresti usato molto volentieri il forcone... Gli epiteti usati per Henri lasciamoli alle conversazioni private xD. Hermione non fa niente, è molto debole in questo... Voldemort... eh beh... Cavoli, peccato che i personaggi sono OOC, altriementi l'avrebbe sistemato per bene , no? Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e che ancora una volta io abbia scansato la punizione del forcone ^.^

Rosa di cenere: Grazie grazie grazie per ogni singola parola che hai scritto nelle recensioni! Mi lusinghi tantissimo e non credo di meritarlo, quindi, ti lascio immaginare quanto mi faccia piacere non liberarmi di te ^.^ Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e spero che la storia continui a piacerti tanto. Grazie ancora <3

Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le seguite:
ali_smile
Axel_Twilight_93
BibiBarbara
Choo
excel sana
Gin 92

jalilah
lady_rose

LyliRose
MissChanel
myllyje

Nerazzurra
Nia Nya
noiaia

OneLove4
path94
Poseidonia

prettyvitto
Rosa di cenere
sa chan
tykisgirl


Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le preferite:
amorelove
Axel_Twilight_93
deme
Rosa di cenere

Siete aumentate e questo mi rende davvero felice. Grazie mille ancora a chi mi sostiene seguendo e recensendo la mia storia e a chi, semplicemente, mi fa occupare un posto in questo sito ^.^
Infine, ringrazio i lettori silenziosi. Grazie davvero.
Un bacio, la vostra Exentia_dream






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Capitolo 6
*** Strane sensazioni... ***


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Capitolo 6: Strane sensazioni...

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La pioggia, come sempre, batteva contro la finestra. Era dolce e rilassante.

Guardai la sveglia sul comodino: erano le 9. Avevo dormito più del solito ed era un buon segno...
In senso di oppressione e la voglia di scappare lontano dalla vita che avevo a Parigi sembravano diminuiti. Guardai la fede... sentivo che era più leggera.
Da un anno a questa parte, non rappresentava altro che un peso: il peso dei miei errori o di quelli che credevo essere tali.
Ora come ora, ero pronta davvero a salvare il mio matrimonio: il ritorno a Londra e il ricordo costante di Draco non avrebbero mandato all'aria tutti gli anni in cui mi ero impegnata a costruire, anzi, a ricostruire la mia vita.
Guardai Henri: avevamo passato la notte abbracciati e, di tanto in tanto, mi aveva baciato la fronte e accarezzato i capelli.
Sì, quei periodi bui erano solo dei momenti e, da qui a poco tempo, sarebbero stati solo dei brutti ricordi.
Henri girò il viso, sorridendo. Mi baciò e tentò di aprire gli occhi.
-Non ce la farai!- dissi ridendo.
-Scommetti?
-Sì.- tentò di portare le mani agli occhi per stropicciarli. -Così non vale.
-Oh, allora mi arrendo.
-Perfetto. Ho vinto io.
-Tu vinci sempre.
-A volte...
-Beh,- disse, stringendomi a sé. -che ne dici se oggi ce ne stiamo qui, nel letto... senza far niente?
-No, Henri.
-Ma è domenica!
-E allora?- gli chiesi, spostandomi da lui quel tanto da poterlo guardare negli occhi.
-Allora ho voglia di rimanere a letto.
-Ok.- dissi, alzandomi. -Tu resti a letto, io esco.
-E dove hai intenzione di andare?
-Al cimitero... da papà.
-Come vuoi.
Andai in bagno e riempii la vasca. Legai i capelli e m’immersi.
Il tepore e il profumo di lavanda mi avvolsero e mi rilassai ancor di più. Chiusi gli occhi...
Una strana angoscia mi attanagliò improvvisamente lo stomaco e ne ebbi paura: quella, era la sensazione che provavo quando stavo per perdere qualcosa di importante.
Cercai di isolare l'angoscia e di pensare ad altro...
Rabbrividii quando il vento mi sfiorò le spalle e mi costrinse ad aprire gli occhi: la finestra era aperta, quindi, mio malgrado, mi avvolsi nell'accappatoio e la chiusi.
Mi guardai allo specchio e mi soffermai sui miei occhi: erano spenti e tristi, delusi. Le sfumature del caramello che li caratterizzavano quand'ero bambina erano sparite...
Mi osservai, mentre lasciavo prendere alle mie labbra la forma di un sorriso: bello, non c'era niente da dire, ma era tirato, finto.
Mi sentivo una bambola di porcellana che era stata rotta e a cui avevano incollato i pezzi che si erano persi in seguito ad ogni caduta.
Scossi il capo: erano solo inutili pensieri, sensazioni che avevo provato durante i periodi tristi del mio matrimonio, ma si sarebbero allontanate.
Quello che provavo adesso era solo un riflesso di quello che avevo provato. Un riflesso, nulla più.
Mi vestii e mi truccai. Tornai in camera e salutai Henri con un bacio.
Poi, indossai il cappotto, presi le chiavi dell’auto dell’auto dalla tasca dei pantaloni di mio marito ed uscii.
Mi fermai sul marciapiede e salutai Cloe. –Buongiorno.
-Ciao Hermione.
-Hai bisogno di un passaggio?
-No, grazie. Sto rientrando.
-Ok.- sorrisi. –Allora, io vado.
-Emh… ti va di prendere un caffé insieme nel pomeriggio.
-Certo.
-Verso le cinque?
-Bene.
-Perfetto. Ciao Cloe.
-A più tardi. Ciao Hermione.
Poi, salii in auto e mi diressi al cimitero.
Non amavo stare nel silenzio: pensavo troppo, quindi accesi la radio.
But all the miles that separate disappear now when I'm dreaming of your face …I'm here without you baby,but you're still on my lonely mind…
-Cominciavo bene, eh?- dissi, parlando come se ci fosse qualcuno accanto a me.
Mi fermai all’incrocio e aspettai che il semaforo si facesse verde. Una Bmw nera mi coprì per un po’ la visuale.
I vetri dell’auto erano scuri e riuscii a vedere poco… quel poco, però, mi fece fermare il cuore.: alla guida dell'auto c’era un uomo ed era biondo. Non riuscii a distinguere i contorni del viso a causa dei vetri scuri e della pioggia, ma riuscii a vedere che portava gli occhiali.
Scossi il capo per impedirmi di piangere, poi spensi la radio. –Non era lui…- eppure, per un po’, avevo sperato di poterlo vedere.
Nel frattempo al semaforo era scattato il verde ed io ero ripartita.
Arrivai al cimitero, scesi dall’auto, aprii l’ombrello e andai diretta alla tomba di papà.
C’erano tanti fiori ed era strano perché né io né mamma eravamo più tornate qui. Restai un po’ a guardare la foto, poi la baciai e mi avviai all’auto.
Odiavo il senso di vuoto che provavo quando un pezzo di marmo mi ricordava che la morte di papà era reale.
Al cancello del cimitero feci il segno della croce e salii in auto. Osservavo la strada e, girato l’angolo, i ricordi mi investirono.

Pioveva quella sera. Più del solito.
Era di spalle e tremava. –Perdonami.
-Di cosa?- non rispose. –Di cosa?- urlai.
Sentivo che il mondo stava per crollarmi addosso, sentivo che sarei caduta e che, questa volta, lui non mi avrebbe teso la mano per aiutarmi. Aspettavo che parlasse e mi costringevo a non piangere.
-E’ incinta.
-Mi hai giurato che la stavi lasciando.
-Ed era così, ma que-quella volta che abbiamo litigato, i-io ero a pezzi e lei…
-E’ finita, Draco?
-Deve esserlo per forza.
Mi sentii morire e l’orgoglio mi offuscava la mente. –Perché?
Avrei voluto dirgli tante cose, ferirlo nel profondo… però, anche mentre tutto stava finendo, l’amore che entrambi provavamo era quasi palpabile.
Dovevo lasciarlo andare, lo sapevo… ma non potevo.
Cominciai a piangere senza neanche rendermene conto. Me ne accorsi quando sentii le mani sul viso e le sue dita che mi asciugavano le lacrime agli angoli degli occhi.
A cosa serviva se poi avrei pianto ancora?
-‘Mione…
-Smettila Draco.- gli dissi, spingendolo.
-Ti prego, ti prego, non piangere. Non rendere tutto più difficile… Non hai idea di quanto mi costi tutto questo. Ti amo, da morire…- risi. –Credimi!
Gli presi la mano e la baciai, la odorai.
Chiusi gli occhi e, mentre li stavo riaprendo sentii le sue labbra sulle mie. Mi baciava disperato ed io piangevo allo stesso modo.
Poi, lo allontanai e lo guardai negli occhi. –Non farlo.
-Devo farlo. Perdonami…- disse, allontanandosi di più e lasciandomi la mano.
Gli afferrai il polso. –Resta.
-Lasciami andare, ti prego…
-Non posso.
Ma andò via…

Il suono assordante dei clacson mi riportò alla realtà.
Dallo specchietto retrovisore chiesi scusa, alzando la mano e ripartii.
Arrivai a casa e mi sistemai di peso sul divano.

§


Feci una doccia veloce e mi vestii in modo diverso.
Camminavo per il corridoio e riuscii a vedere Henri seduto sul divano. –Allora, io vado.
-Dove?
-Te l’ho già detto: Cloe mi ha invitata a prendere un caffé.
-Pagherai tu?
-Mi offrirò per farlo.
-Non voglio che ci vai.
-Ma dai, Henri… è un’amica.- guardai l’orologio. Segnava le 16:59. –Vado.- dissi e lo baciai.
Quando mi chiusi la porta alle spalle, feci un bel respiro profondo e l’ansia si fece riconoscere presto: avevo lo stomaco chiuso.
Salutai Cloe con la mano, per far in modo che mi vedesse. –Ciao.
-Ciao.
-Andiamo con la mia?- le chiesi, indicandole l’auto.
-ma no, andiamo a piedi… che ne dici? C’è anche il sole.
-Perfetto.- le sorrisi.
Già nel primo pomeriggio la pioggia aveva dato un po’ di tregua…
Ci incamminammo in silenzio, con le mani nelle tasche della giacca: facevo ruotare la fede intorno al dito e guardavo l’asfalto.
-Sei nuova di qui?
-No, ho abitato qui fino a 18 anni, poi sono andata via… in Francia.
-Che bella!
-Sì, è molto bella.
-Come mai sei andata via?
-Sai, a diciotto anni si inseguono i sogni…
-Hai seguito il grande amore?
-No.- il grande amore l’avevo perso, era per questo che ero andata via… altro che sogni. I miei sogni li avevo lasciati a Londra.
-Entriamo qui.
-D’accordo.
Ci sedemmo ad un tavolino e ordinammo due caffé.
Mi guardai intorno. Il locale aveva le pareti dipinte di bianco e viola e, sul nostro tavolo, c’era un grande specchio. Le poltrone, gli sgabelli erano di pelle nera. Erano comodi.
-Ho una proposta da farti.
-Sarebbe?
-Mercoledì sei invitata a cena da me.
-Oh, Cloe...
-Ovviamente, è invitato anche Henri. Mio marito sarà felice di conoscervi.- La osservai: sembrava soddisfatta, felice. Aveva una strana espressione in viso, non avrei mai saputo descriverla.
-Grazie.- sorrisi.
-Dalla Francia all’Inghilterra.
-Già…
-Come farai con la casa lì?
-Non mi sono trasferita… Tra qualche giorno andrò via.
-Oh.-  dal suo viso scomparve l’espressione di poco prima.
Bevemmo il caffé, poi, ci avviammo alla cassa e porsi i soldi al cassiere. –Prego.
-Hermione, no, offro io…
-Cloe, ti prego. Mercoledì ci hai invitati a cena da te e d ho accettato… lascia che paghi io.
Pagai e uscimmo dal bar.
Proseguimmo tranquille, parlando del più e del meno.
Mi raccontò di suo figlio, di suo marito, del suo lavoro.
-Ciao Hermione.
-Ciao Cloe.- le dissi, quando fui vicino alla porta di casa.
Aprii la porta e salii le scale per entrare in camera mia. Salutai Henri. –Ti sei divertita?
-E’ stata una bella uscita.
-Sono le quasi le otto.
-Lo so.
-Buon per te.
-Mercoledì siamo a cena da lei.
-Fra tre giorni?
-Sì, mercoledì.
-Bene.
-Vieni qui.- gli dissi, sedendomi sul letto e avvicinandomi a lui per baciarlo.
-Ho da fare.
Si allontanò ed uscii dalla stanza.
Rimasi sola e guardai la fede: non sapevo più cosa pensare del mio matrimonio.
Un giorno, sembrava che c’era qualcosa da salvare, il giorno dopo, sembrava non esserci alcuna possibilità di farlo.
Sentii la porta di casa aprirsi e mamma ed Henri che parlavano.
Mi stesi sul letto. Chiusi gli occhi, quando sentii la porta chiudersi.
Mi sentivo sull’orlo di una crisi di nervi. Quella strana sensazione mi prese di nuovo allo stomaco: strinsi i pugni forte, fino a tremare, poi cominciai a piangere.
Qualcuno bussò alla porta. –Avanti.
-Hermione…
-Mamma.- asciugai gli occhi prima di alzarmi dal letto.
-E’ successo qualcosa?
-Dov’è Henri?
-E’ uscito.
-Ah…
-Cos’è successo, Herm?
-Niente, mamma, tranquilla.- le sorrisi.
-La cena è già pronta.
-Non mi va, scusami. Preferisco non cenare, ti dispiace?
-No, cara… se non te la senti.- mi guardò. Voleva capire, ma non gliene avrei dato modo. -Buonanotte.
-Ciao mamma.
Aspettai che uscisse dalla stanza, poi mi abbandonai al mio pianto, fino allo stremo. Fino ad addormentarmi…


Spoiler capitolo 7:
-Esci fuori da casa mia.- sentivo mamma urlare.
-Ma...
-Nessun ma. Hai rovinato la vita di mia figlia... sparisci immediatamente da qui.
Iniziai a piangere. Non c'era nessun forse: era tutto finito e questa volta per sempre.

***
Angolo Autrice:

Eccomi qui.
-Hermione: quanti ricordi che affollano la sua mente, eh? Poverina.
-Henri: è tornato ad essere antipatico e, chissà, che non sia solo la gelosia... voi che ne pensate?
-Cloe: è strana, vero? Ma chissà, forse forse, ha qualcosa da nascondere.
-La mamma di Hermione: non è passiva, nè stupida. Rispetta soltanto il silenzio di sua figlia ed è da tenere presente che non conosce realmente Henri, nè i problemi che Hermione deve affrontare.
Questo capitolo ha un doppio ruolo: è di passaggio, in quanto non è molto importante, ma è da qui che la storia entra nel vivo... ma per sapere cosa succede, dovrete continuare a leggere ^.^
-Lo spoiler: Cosa ne pensate?

Risposte alle recensioni:

Axel_Twilight_93: sei di nuovo la prima, hai visto? Eh sì, Henri è molto difficile da capire... Ecco qui a te il prossimo capitolo: sorpresa, eh? Spero che anche questo ti dia piaciuto e grazie ancora per le recensioni.

OneLove4: Grazie! Beh, Henri ti è antipatico... forse, e sottolineo il forse, con il tempo ti ricrederai. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto :P

 Rosa di cenere: GRAZIE! Non smetterò mai di ringraziarti... per i complimenti che fai a me e alla storia *.* Mi lusinghi tantissimo con le tue parole. Sono davvero felice che tu sia chiacchierona: non immagini quanto adoro coinvolgere chi legge... Ma ora, passiamo al capitolo: Henri infido, viscido... chissà che tu non abbia ragione! Ovviamente, però, potresti avere anche torto. Il capitolo è triste, certo... ma, fondamentalmente, Hermione lo è, quindi... L'ingresso del biondino *.* Chissà quando avverrà! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e spero che la tua curiosità non si sia offesa per il lavoro che la mia mente malvagia ha fatto muahuah. Grazie ancora...

sa chan: Ahaha che carina! No, Henri non è finito in un pozzo, per tuo dispiacere. Draco *.* No, non c'è neanche in questo capitolo... Hermione non è sciocca: è molto debole e spaventata. Bisogna pensare che per lei, Henri è stato l'unico appiglio alla vita... l'unico che l'abbia tirata fuori dal buco nero della solitudine. O forse, è stata la forza di volontà che risiedeva in lei a salvarla, chissà... Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e grazie ancora!

Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

ali_smile 
Axel_Twilight_93

BibiBarbara 
Choo

excel sana

Gin 92 
jalilah 
lady_rose 
LyliRose

MissChanel 

myllyje

Nerazzurra

Nia Nya 
noiaia 

OneLove4 
path94

Poseidonia 
prettyvitto

Rosa di cenere

sa chan 
tykisgirl
Veronica91 


Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le preferite:
amorelove 
Axel_Twilight_93

deme 

elenusiaHP
Rosa di cenere
Slytherin_Yuna 
stordy 


Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le ricordate:

Grouben_Lavinia_Malfoy

Siete aumentate ancora e ne sono felicissima *.*  Grazie a tutte.
Grazie anche ai lettori silenziosi .

Annuncio: ho in mente una nuova storia... Mooolto violenta xD
Userò i protagonisti della saga di Twilight che saranno OOC. Non vi dirò di certo i pairing XD. In compenso però, vi anticipo che Edward sarà il protagonista assoluto di questa storia!  
Domani, posterò il prologo e spero che continuate a seguirmi. Grazie in anticipo!
Un bacio, la vostra Exentia_dream


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Capitolo 7
*** Quanto costa ribellarsi... ***


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Capitolo 7: Quanto costa ribellarsi...

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Quando mi svegliai, mi accorsi di essere ancora vestita.
La testa mi doleva esageratamente e facevo fatica a lasciare il letto: ogni volta che ci provavo, una fitta alla nuca mi spezzava il respiro.
Henri non era rientrato e mamma si era fermata più volte di fronte alla porta della mia stanza. Me ne ero accorta perché, dalla soglia, avevo visto la luce del corridoio accendersi.
Feci forza sulla gomiti e sulle ginocchia e riuscii ad alzarmi. Mi diressi in bagno, con la testa tra le mani.
Mi guardai allo specchio: avevo il trucco sciolto e il rossetto sbavato. Le lacrime avevano lasciato il segno del loro cammino… Ero orribile.
Mi struccai e lavai il viso, poi riempii la vasca.
Mi assicurai che la finestra fosse chiusa, poi mi immersi nell’acqua.
Avevo bisogno di rilassarmi e di non pensare a niente. Lasciai che l’acqua mi bagnasse le punte dei capelli, poi immersi anche la testa.
Sentii due mani che mi tiravano su e riaprii immediatamente gli occhi. –Sei impazzita?- mamma era di fronte a me, con gli
occhi spalancati e il respiro affannato. –Che diavolo stavi cercando di fare?
-Niente, io stavo solo…
-Ti stavi ammazzando.
-Ma che dici?
-E allora cosa stavi facendo?
-Ho bagnato i capelli, mamma. Ho fatto un tuffo nella vasca.- dissi rossa in viso per l’imbarazzo. -Ma come puoi pensare certe cose?!
-Scusami… è che sono preoccupata.
-Sta tranquilla, è tutto apposto.
-Ok, ti credo. Adesso, vado a lavoro. Mi raccomando…- e andò via.
Scossi il capo e sorrisi: mai in vita mia avevo pensato al suicidio. MAI.
Mi avvolsi nell’accappatoio e tornai in camera. Mi appoggiai sul letto, la schiena contro la spalliera.
Guardavo il telefono in modo insistente… e iniziò a squillare. –Pronto?
-Dove sei?- mi spaventai: la voce di Henri era piena di rabbia e sapevo cosa significava. –Dove cazzo sei?
-I-io…
-Sei a casa di tua madre?
-No, cioè sì…- la ragione si era spenta nel momento in cui avevo sentito la sua voce: avevo paura.
-Sto venendo lì.
-No, Henri…
-Sto venendo, ti ho detto.
Posai il telefono sul letto e mi vestii in fretta. Indossai la camicia che Henri aveva lasciato sulla sedia e andai in cucina.
Cominciai a tremare e non per il freddo. I minuti sembravano interminabili e l’ansia mi stringeva lo stomaco sempre di più.
Quando suonarono alla porta, mi alzai di scatto dalla sedia e corsi ad aprire.
Chiusi gli occhi per non vedere, ma la sua voce mi anticipò. –Non chiudere gli occhi: hai tante cose da vedere.
-Henri, io non capisco… ieri, sono uscita e…- mi colpì in pieno viso, senza neanche chiudere la porta. –Ma…
-Zitta! Sta zitta.
-Io…
-Tu, esatto. Tu sei una stronza!
-Non ho fatto niente, Henri.- un altro schiaffo mi colpì in pieno viso, all’altezza dell’occhio sinistro.
-Sai una cosa? Sono stanco di tutto questo.
-Henri...
-Sei una fottuta stronza.
-Fanculo.- gli gridai, spingendolo.
Mi prese i polsi e li strinse. –Ancora non hai capito che sono più forte di te? Che ti piego come voglio?
-Smettila.
-Sta zitta.
-No.- mi spinse, facendomi cadere a terra e mi diede un calcio in pieno stomaco.
Un conato di vomito che repressi mi lasciò in bocca un sapore acido. Cominciai a piangere ed Henri mi alzò, prendendomi per gli avambracci.
Allora, mi spinse con più forza sul divano. –Chiedimi scusa.
-No.
- L’hai voluto tu, ricordatelo.
-No.- urlai: sapevo cosa sarebbe successo e non volevo, ma lui portò i miei polsi sopra la testa e li strinse con una mano. Con l’altra mi strappò la camicia e il resto degli abiti.
Poi, si spogliò e cominciò. Non mi chiese il permesso, non mi chiese di parlare e chiarire, niente.
Piansi: le spinte con cui mi penetrava erano troppo forti.
Avevo provato a ribellarmi, ma non era servito a niente, se non a peggiorare le cose.
Continuava a spingere e a farmi male.
Il tessuto ruvido del divano, tra l’altro, mi graffiava la schiena.
I polsi mi facevano terribilmente male e sentivo il sangue colare lungo le braccia a causa dell'orologio d'acciaio che indossava.
Era terribile.
Una sola volta, in tanti anni insieme era successa la stessa cosa, ma Henri mi aveva giurato che non sarebbe più successo.
Piansi ancora più forte quando, poi, ricordai la promessa di qualche giorno prima.
Cercai di far fronte a quel po’ di forza che mi era rimasta e lo allontanai. –Stronza.
-Sei un bastardo.- urlai.
Mi diede un altro schiaffo e cercava di colpirmi con i calci, mentre io raccoglievo gli abiti e cercavo di rivestirmi.
Mi afferrò per il polso e lo strinse di nuovo. In quel momento entrò mia madre ed Henri cercò di fermarsi, ma lo schiaffo era comunque arrivato sul mio viso.
Avrei voluto sprofondare, essere risucchiata dalla terra: mamma non avrebbe dovuto vedere.
La guardai: aveva gli occhi spalancati e lucidi, aveva le mani strette e tremava. –Va via.- Henri l’avvicinò e la guardò con aria di sfida. –Esci fuori da casa mia.- Sentivo mamma urlare.
-Ma…
-Nessun ma. Hai rovinato la vita di mia figlia… sparisci immediatamente da qui.
Iniziai a piangere. Non c’era nessun forse: era tutto finito e questa volta per sempre.
Sentii la porta sbattere violentemente, poi due braccia che mi avvolgevano le spalle.
-Mamma…- dissi, piangendo ancora più forte e poggiando la fronte nelle sue mani.
-Shh, non piangere. Non piangere…
-Non ne posso più.
-E’ finito tutto.
Mi sistemai sul divano e mi coprii meglio le gambe. Poi, chiusi gli occhi per non piangere ancora. Mamma si sedette accanto a me e mi accarezzava i capelli, nel tentativo di tranquillizzarmi.
Cosa mi stava succedendo? Dov’erano finite la mia forza e la mia determinazione? Non lo sapevo…
Da sei anni, non sapevo che fine avesse fatto la vera me. Rimasi sola sul divano, mentre mamma andò in cucina. -Pronto? Sì, sono Meredith Granger. Perfetto, attendo in linea.
Non sapevo con chi stesse parlando e non volevo saperlo.
Pian piano, sentivo la voce di mamma e i rumori della casa attutirsi, poi non sentii più niente.

§

Uno strano ronzio mi infastidì il sonno e non riuscivo a capire cos’era, poi i suoni aumentarono e assunsero toni diversi, ma sempre pacati.
Aprii gli occhi e mi guardai intorno. Mi ero addormentata sul divano, lo ricordavo bene. Mamma mi aveva coperta con un plaid scozzese e mi aveva adagiato la testa su un cuscino.
Il ronzio, pian piano, divenne voce, anzi voci.
Andai in camera mia e indossai la tuta e il maglione che ero solita indossare quando ero in casa, poi mi appoggiai sul letto.
Mi alzai e mi diressi in cucina.
Il tragitto mi sembrò interminabile, mi girava la testa e barcollavo.
Il dolore alla schiena, ai polsi e per tutto il corpo mi investì quasi improvviso e le immagini di qualche ora prima mi colpirono più forte dei calci ricevuti.
Quando arrivai in cucina, vidi Harry, Ginny e Ron seduti attorno al tavolo, Luna era appoggiata, insieme a mamma, al
ripiano della cucina.
Il piccolo Matt giocava con un cubo in cui inserire varie formine. Era seduto sul pavimento e sorrideva. Sorrisi anche io.
-Herm…- la voce di Harry mi distrasse. –Come stai?
-Bene.
-Tua mamma ci ha raccontato tutto.
-Harry, non mi pare il momento.- intervenne Ginny.
-Grazie.- le dissi, senza neanche guardarla.
Non riuscivo a guardare nessuno: mi vergognavo di aver nascosto alle persone che più mi amavano la verità su mio marito.
Il fatto era che credevo che, con il tempo, sarebbe cambiato.
Una scommessa con il destino che, ovviamente, avevo perso.
-Meredith,- disse Luna, accarezzando la spalla di mia madre. – credo sia meglio che noi andiamo.
-No, restate.- chiesi, guardando ancora Matt.
-D’accordo.
Ginny si avvicinò e mi strinse forte, così ricominciai a piangere.
Mi portai istintivamente le mani agli occhi per coprire le lacrime, ma lei mi strinse più forte. –Non devi nasconderti…
-I-io non so come…
-Shh, tranquilla.
-E’ un viscido, un verme.- continuò mia madre.
-Smettila.- urlai. Non serviva che mi rinfacciassero la realtà.
-Smettila di fare cosa?
-Di offenderlo.
-Io starei offendendo Henri?
-Sì.
-Ti sembrano offese? Non è un uomo, è un mostro.
-Non hai il diritto di pensare questo di lui, né di cacciarlo di casa.
-Lui non ha il diritto di trattarti in quel modo. Apri gli occhi, Hermione.
Stavo litigando con mia madre, per la prima volta in vita mia. –Domani lo rivedrò: dobbiamo parlare, io e lui, da soli. Sarà
stato un momento…
-Un momento? Un momento che dura da un anno?
-E’ il mio matrimonio e devo salvarlo.
-Non c’è niente da salvare con lui. Credi che sia tanto stupida? Credi che un po’ di trucco riuscisse a coprire i lividi che avevi addosso? O che non ti abbia mai sentito piangere? Devi salvarti tu, devi lasciar perdere la mania di voler far andare
tutto per il verso giusto.
-Domani sera abbiamo una cena e ci andremo.
-Bene…e così sia! Ma da giovedì non lo dovrai rivedere più.
-Mi stai proibendo di vedere mio marito.
-Sì.
-Hermione,- Ron si avvicinò e mi poggiò le mani sulle spalle, mi guardò negli occhi. –Ti vogliamo un bene dell’anima e lo sai: abbiamo appoggiato ogni tua scelta, anche quando ci faceva male.
-Ron…
-Lasciami parlare.
-D’accordo.
-Ora, tocca a te: ti farà male e lo sappiamo tutti, ma provaci.
-A fare cosa?
-A lasciarlo andare.
-Ma io... domani…
-E domani andrai a quella cena, insieme ad Henri.
-Poi, basta.- aggiunsi, sollevata.
Il mio incubo non era ancora finito, lo sapevo bene, ma il pensiero di essere lontana da lui mi fece sentire leggera.
Spostai una sedia e mi sedetti, poggiando il gomito sul tavolo e la testa sulla mano.
-Herm…- disse mamma, porgendomi una tazza di tè.
-Perdonami. E’ la rabbia.
-Non devi giustificarti, ti capisco…
-Ok.- le sorrisi.
Guardai i miei amici e sentii gli occhi riempirsi di lacrime: come avevo potuto arrivare a questo?
Spostai gli occhi sull’orologio e notai che erano le sei passate. Avevo dormito molto e, quindi, avevo saltato anche il pranzo.
-Meredith, domani, potete venire in commissariato.
-Harry,- dissi, cercando di mantenere un po’ di lucidità. –non credi sia esagerato?
-Per niente.- mi guardò. –Sei un avvocato e dovresti saperlo…
-Sì, ma…
-Comincerai con la denuncia, poi provvederai a preparare le carte per il divorzio.
Annuii. –Fermatevi a cena.
Ginny e Luna si guardarono, cercando ognuna conferma nel proprio compagno, poi annuirono, sorridendo. –Ad una sola condizione…
-Sarebbe?
-Mi cucinerai quel piatto speciale?
Come potevo dire loro di no? Entrambe mi guardavano con gli occhi da cucciolo bastonato.
-D’accordo.- Mi alzai e mi diressi al frigorifero, quindi lo aprii. Diedi un occhiata e mi voltai verso di loro con aria sconsolata. –Non posso, non ci sono gli ingredienti.- tornai a sedermi.
-Mh… cosa c’è in frigo?
-Pomodori, formaggi vari, salumi…
-Pizze?- propose Ron.
-Pizze!- dicemmo in coro, sorridendo.
Mamma, Ginny e Luna si diressero in salone per telefonare la pizzeria e ordinare le pizze, Ron prese in braccio Matt e seguii le altre.
Harry, invece, si sedette alla mia destra. –Hey…
-Hey…- lo guardai, abbozzando un messo sorriso.
-Guarda qui…- mi accarezzò la guancia e l’occhio. Passò le mani fredde anche sui polsi.
Non risposi, mi limitai a seguire i suoi movimenti, poi le lacrime mi riempirono gli occhi e piansi ancora. –I-io…
-Non hai nessuna colpa, Herm…
-Non è vero.
-In effetti, è così: sei così testarda!- sorrisi. –E non sempre è un pregio, eh?
-Già…
-Difenditi meglio che puoi…
-Farò del mio meglio.
-Lo spero.- mi guardò e rise. –Demone,- disse scrollandomi le spalle e ridendo ancora di più. –ridammi la mia migliore amica, quella combattiva, quella rompiscatole… non questa…- mi guardò con aria fintamente indignata. – pecorella smarrita.
Risi anche io, divertita dalle sue parole.
Sapevo che, però, descrivevano perfettamente ciò che ero.
Basta, doveva finire tutto. Era un promessa a me stessa: sarei stata felice.

Spoiler Capitolo 8:
Tornammo in cucina e trovai Cloe ed Henri seduti al tavolo: il vassoio con il dolce ancora coperto.
Ridevano e Cloe gli aveva appena dato una pacca sulla spalla. –Giusto in tempo.- disse, poi, indicandoci il dolce.

***
Angolo Autrice:

Eccomi qui.
Lo so, mi odierete a morte per quello che ho fatto ad Hermione, ma comprendetemi: senza una bella strigliata, non avrebbe aperto gli occhi. Vi chiedo perdono in anticipo, ma spero che mi perdonerete con il prossimo capitolo.
-Hermione: avete visto, no? Finalmente si è quasi decisa.
-Henri: è realmente viscido e infido. Diciamo che è una persona con una mentalità molto fascista. Ed è stupido, molto. Beh, speriamo che esca completamente di scena xD
-La mamma di Hermione: è una gran donna e, finora, è stata diciamo "passiva" perchè credeva che i problemi di Hermione fossero gli stessi problemi di tutte le coppie, ma avendo la realtà ad un palmo dal naso manda a quel paese la ragione e l'etica.
Gli amici di Hermione: chi non vorrebbe averli?
Lo spoiler: allora? Avete qualche idea su quello che succederà?

Risposte alle recensioni:
Vi anticipo che alcune di voi si sono avvicinate alla realtà delle cose... chissà chi è ;)

sa chan: Sono moolto offesa con te: niente baci eh? Va beeene. Allora allontanerò l'entrata in scena di Draco, quindi, mie care lettrice, puntate il forcone su di lei :P. Mi fa molto piacere che ti sia emozionate e so che questo capitolo non ti piacerà per niente, ma è davvero MOLTO importante, poi vedrai...

Rosa di cenere : collega dalla mente malvagia xD Beh, se prima Henri ti era antipatico, credo che ora lo odierai con tutta te stessa. Il biondo nell'auto, non è detto che non sia Draco... e chissà che non farà presto la sua comparsa. Come ho già detto, Cloe è un personaggio molto particolare ed è molto importante per la storia. Spero che la storia continui a piacerti e grazie ancora per i complimenti.

Axel_Twilight_93: Questo capitolo è davvero brutto, lo so. Sì, tutti personaggi hanno una psicolgia complessa e la storia in sè per sè non è facile da capire. Ti ringrazio ancora per i complimenti, davvero...

La_Cla: Grazie mille *.* Per i complimenti e perchè segui la mia storia. Come ho già detto, Cloe è un personaggio molto difficile da capire. Spero che continuerai a seguirmi, nonostante la cattiveria che ho avuto in questo capitolo. Grazie ancora

dramy96123: Odialo, fai benissimo. Non immagini quanto lo abbia odiato io, scrivendo questo capitolo. Sono pazza, lo so: io lo invento e io lo odio. Hai detto bene: Hermione è sempre stata forte, ma da quando Draco l'ha lasciata ha perso un pò quella forza e si è arresa a ciò che la vita le offriva. Mi chiedi se Draco arriverà? lo spero anche io, proprio come spero che continuerai a seguirmi e grazie *.*

MissChanel: Eccoti accontentata con il capitolo. Immagino che non ti sia piaciuto molto e condivido pienamente. Per quanto riguarda le tue ipotesi, capirai in seguito se sono fondate o meno. Perdonami, ma non posso risponderti :P
In tanto, come hai potuto vedere, hai indovinato con chi urlava la mamma di Hermione, anche se la causa non era quella. Di gran lunga, credo avrebbe preferito il tradimento, non credi? Un bacio.


OneLove4:
Beh, i tuoi pensieri possono essere esatti come possono essere sbagliati, no? Lo so, non è una risposta, ma capirai se non ti rispondo ancora xD Continua a leggere e scoprirai la verità. Grazie per la recensione.

miry16: Dici che Cloe ti sarà antipatica? Chissà! La mamma di Hermione è una gran donna... E, come vedi, ti ho accontantata: Henri è stato cacciato di casa xD Grazie per la recensione.


Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le seguite:

ali_smile

Axel_Twilight_93
BibiBarbara
bribry85
Choo

excel sana

Gin 92

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Rosa di cenere
sa chan
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Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le preferite:
amorelove

Axel_Twilight_93

deme

elenusiaHP

Luna_Lovy

Rosa di cenere

Slytherin_Yuna

stordy

Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le ricordate:
Grouben_Lavinia_Malfoy

Ben trovate a chi già c'era e ben venute alle "nuove".
Grazie anche ai lettori silenziosi. Grazie davvero per il vostro sostegno.

AVVISO: tra un pò posterò la storia di cui vi ho parlato ieri. Si chiamerà "Revenge And Love".
Un bacio, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 8
*** La cena (POV A SORPRESA) ***


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Capitolo 8: La cena

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Mi chiusi nel mio studio, con la cartellina delle denunce in mano.
Poggiai la valigetta sulla scrivania e presi il pacchetto di sigarette dalla tasca. Ne accesi una, poi, mi rilassai sulla sedia e fumai.
Ogni volta che aspiravo, rivolgevo un pensiero a qualcuno: il primo tiro, il più leggero, lo dedicavo a mio figlio: la sua presenza mi aveva salvato da tutto. Se non ci fosse stato lui, forse, avrei lasciato che il bisogno di distruggermi avesse avuto la meglio.
Il secondo lo dedicavo a mia moglie, il terzo a miei genitori e così via…
L’ultimo tiro, il più duro, il più difficile, lo dedicavo a lei… sempre.
-Avanti.- dissi, dopo aver sentito che qualcuno aveva bussato alla porta. Sapevo che era Cloe.
-Draco…
-Sì?
-Non prendere impegni per questa sera…
-Come mai?
-Una coppia di amici verrà a cena qui.
-Capisco.
-Non vuoi sapere di chi si tratta?
-Li conoscerò questa sera, no?
-Sì, ma è meglio che essere già informati.
-D’accordo.
Mi guardò con aria di sfida. –Henri Duval e sua moglie….
-Perfetto.
-Hermione Granger.- sbarrai gli occhi e vidi che sorrideva. –Qualcosa non va?
Certo che c’era qualcosa che non andava. –No, tranquilla.
-Bene.
-Cloe, chiudi la porta quando esci.
Mi obbedì.
Non mi preoccupai neanche che si fosse allontanata abbastanza e, d’istinto, scaraventai a terra tutto quello che era sulla scrivania.
Avrei voluto urlare, ma non potevo. Appoggiai la testa sulle mani e strinsi forte alcune ciocche di capelli, come a mandare via il dolore che per tanti anni avevo represso.
Sentire il suo nome era stato un colpo di pistola al cuore.
Mi alzai dalla sedia e raccolsi quasi tutto quello che avevo fatto cadere, poi, presi un’altra sigaretta dal pacchetto e l’accesi.
Fumare e agitarmi tanto non sarebbe servito a niente, lo sapevo.
Mi appoggiai alla scrivania. –Perché? Cazzo!
Cloe lo sapeva, non poteva farmi questo, non adesso: avevo imparato a volerle bene e a non odiarla per quello che mi aveva obbligato a fare.
Ed ora? Aveva intenzione di distruggere tutto?
-Papà,- Natan entrò nello studio e mi guardò. – devi farmi bello.
-E perché mai?- mi inginocchiai per permettergli di guardarmi negli occhi senza che alzasse la testa. –Sei già bello.
Scosse il capo. –Più bello ancora, per gli amici della mamma.
-Va bene.
-Sai a che ora arrivano?
-No.
-Quando la lancetta grande sta qui.- disse indicandomi l’orario sull’orologio che avevo al polso. Sarebbero arrivati alle 20 ed erano le 19:30.

-Cazzo!- pensai. Poi sorrisi. –Corriamo in bagno.
Lo rincorsi per il corridoio, fino a che non riuscii a prenderlo.
Ovviamente, adoravo lasciarlo vincere. Lo presi in braccio, quindi, lo feci sedere sul ripiano del lavabo.
Rideva e giocava a non far arrivare le mie mani nei capelli, agitando le sue manine. –Ora basta.- mi disse con aria seria. –Fammi bello!
Avrei voluto ridere. –Agli ordini.- dissi, poi, portandomi una mano alla fronte a mò di saluto militare.
Presi un po’ di gel dal tubetto e glielo passai nei capelli, sistemandoli nel modo che lui preferiva.
Gli sistemai il colletto della camicia e gli allacciai le scarpe. –Hai finito?
-Sì.
-Andiamo.- si guardò allo specchio. –Sono proprio bello, vero?
-Sì.- lo guardai, mentre si allontanava.
Poi, guardai l’orologio e strinsi i pugni: tra meno di cinque minuti sarebbe arrivata la donna che per anni mi aveva rubato il sonno.
La donna che, inconsapevolmente, aveva portato con sé la mia felicità.
Tornai nello studio, con tutta l’intenzione di fumare un’altra sigaretta e rilassarmi o, almeno, di provarci.
-Draco, sei pronto?- mi domandò Cloe, fermandosi sulla porta dello studio.
Era bella, nessun dubbio: indossava un pantalone nero e una maglia dello stesso colore, nessun accessorio, niente che spezzasse tanta serietà.
-Monocromatica.- pensai. –Sì, sono pronto.
-Così?
-Cos’ho che non va?
-Hai la camicia sgualcita e il nodo della cravatta è allentato.- si avvicinò. –Fatti sistemare.
-Sto bene.- le scostai le mani con violenza e mi guardò quasi soddisfatta.
-Sei sciatto, non farai bella figura.
Sorrisi. Ad Hermione piacevo così. –Io sono così, Cloe.
-Come vuoi.
Qualcuno bussò alla porta e Natan cominciò a correre per i corridoi. –Mamma, eccoli, sono loro…
-Calmati piccola peste.- gli dissi,strizzandogli l’occhio.
-Arrivo.- gridò Cloe, guardandomi negli occhi. –Buon divertimento caro.
-Fanculo.- dissi quando lasciò lo studio.
-Salve Cloe.- una voce maschile mi raggiunse e mi innervosì all’istante.
Andai in soggiorno, con il miglior sorriso stampato sul viso.
Quando la vidi, sentii il cuore in gola: aveva lo sguardo rivolto a Natan che si stava presentando. –Io sono Natan. tu come ti chiami?
-Hermione.- sorrise.
-Vieni.- le prese la mano. –Lui è il mio papà.
Alzò lo sguardo e il sorriso che aveva si spense immediatamente.
Non so per quanto tempo restammo immobili a guardarci, né quanti pensieri affollarono le nostre menti. Sapevo che anche lei stava ricordando, lo leggevo nei suoi occhi.
Mi tese la mano. –Piacere, Hermione.
-Draco.- dissi, poi le presi la mano e l’accarezzai.
La ritirò velocemente e si rivolse a Cloe. –Ti serve aiuto?
-No.- rispose mia moglie, raggiungendomi e stringendomi forte. –E’ tutto pronto, vero amore?
-Sì.- guardai Hermione, poi mi staccai da Cloe. –Andiamo a sederci.
-Draco, mentre sistemo la tavola, perché non fai vedere la casa ai nostri ospiti?
-Venite.- dissi.
Henri ed Hermione si incamminarono nella direzione che avevo indicato loro e, istintivamente, l’accompagnai, poggiandole una mano sulla schiena.
Si voltò a guardarmi: aveva gli occhi lucidi e colmi di paura. L’occhio sinistro era più gonfio. –Perché?
Terminato il giro della casa, ci accomodammo: lei accanto a suo marito e di fronte a Cloe. Natan prese posto a capo tavola, di fianco a lei. –Sei proprio bella.- le disse.
Lei arrossì e abbozzò un sorriso.
Mio figlio era un gran bugiardo: Hermione era stupenda.
I suoi occhi cercarono di evitarmi per tutto il tempo della maledetta cena. I miei, invece, erano fissi su di lei: cercavo di cogliere ogni cambiamento, ogni sfumatura.
Cercai di catturare ogni particolare, anche il più insignificante: avevo bisogno di riempire gli occhi di tutta la semplice bellezza che mi era mancata in questi anni, soprattutto perchè avevo la consapevolezza di doverla perdere ancora.
Le guardai gli occhi, il collo, le spalle, i polsi.
Notai che portava due grandi bracciali e, sotto di essi, dei lividi enormi e dei graffi.
Cercava di nasconderli. Me ne resi conto quando, dopo aver notato che la stavo osservando, tentò di allungare le maniche della maglia.
-Allora,- Cloe interruppe i miei pensieri. –da quanto siete sposati?
-Due anni.- rispose Henri.
-E, forse sarò indiscreta, quindi, perdonatemi … come mai non avete ancora figli?
-Mia moglie- rispose ancora lui –non può averne.
Un nodo mi strinse lo stomaco: non potevo crederci. Avere un figlio era il suo desiderio più grande, come aveva potuto la vita essere tanto crudele con lei?
A quante altre gioie aveva rinunciato in tutti questi anni?
Per la prima volta da quando era iniziata la serata, Hermione l’aveva guardato e gli occhi le si riempirono di indignazione.
Riuscii a vedere il muscolo del braccio sinistro contrarsi e immaginai la sua mano mentre si chiudeva in un pugno.
Tentò di dire qualcosa, ma, quando lui le strinse la mano, tremò e tornò a fissare il piatto.
La conoscevo bene e sapevo che tremava solo in due occasioni: quando era spaventata ed arrabbiata e quando era felice.
Di certo però, non era per niente felice.
O, forse, era solo l’impressione di uno stupido che in tanti anni non aveva smesso di pensarla.
La mano di Henri era ancora sulla sua e lei tremava ancora. Serrai le labbra.
Quando finimmo di cenare, Natan richiamò la sua attenzione, toccandole il braccio e lei lo guardò. –Vuoi vedere la mia camera?
-Di nuovo?- disse con tono divertito e flebile. Un sussurro, il suono più bello che avessi mai sentito. Si alzò, tenendo ancora la mano di Natan. –Posso?
-Certo. Anzi, Draco tienile compagnia.- disse Cloe.
Mi alzai in silenzio e la seguii. Ancora una volta, fui tentato dalla voglia di toccarla, ma resistetti.
Restammo in silenzio, io e lei, mentre Natan continuava a parlare.
Ero certo che Hermione non lo ascoltasse, che anche lei come me era persa nei pensieri e nelle domande.
Entrammo nella camera di mio figlio e lui le indicò un piccolo castello su cui erano posizionati i cavalieri e il re. –Eccolo.
-E’ bellissimo.
Si appoggiò alla scrivania, mentre guardava Natan giocare. Io, invece, mi sedetti sul letto.
Se non ci fosse stato Natan, le sarei saltato addosso… se non ci fosse stato Natan, sicuramente, non avrei mai fatto questi pensieri. –Papà…- mi chiamò sedendosi sulle mie gambe.-… vuoi giocare con me?
-Non adesso.
-E dai…- mise il broncio. Non amavo vederlo così, ma restare in questa stanza non sarebbe stata una buona idea.
-Natan,- lo chiamò. – la mamma sta portando il dolce… ed io ne ho tanta voglia, mi fai compagnia?- concluse inginocchiandosi per guardarlo meglio negli occhi.
-Sììì!
Continuai ad osservarla: ricordavo bene quanto fosse dolce, ma vederla era tutt’altra cosa.
Era dolce ed era debole…
Tornammo in cucina e trovai Cloe ed Henri seduti al tavolo: il vassoio con il dolce ancora coperto.
Ridevano e Cloe gli aveva appena dato una pacca sulla spalla. –Giusto in tempo.- disse, poi, indicandoci il dolce.
Ci sedemmo e lo mangiammo.
Hermione continuò a stare in silenzio e a parlare solo quando le veniva posta una domanda.
Henri, invece, era stato loquace per tutta la serata. Sembrava molto simpatico, ma, pur non conoscendolo, provavo uno strano senso di repulsione verso di lui: il modo in cui guardava Hermione, il modo in cui si rivolgeva a lei… come se non valesse niente, come se la disprezzasse… come se non fosse la creatura più bella di questo mondo.
A mezzanotte precisa, Hermione e suo marito andarono via.
Ci stringemmo solo la mano, niente di intimo. In quel frangente di tempo, le emozioni mi riempirono la testa: ero felice per averla rivista, ma era distrutto perché l’avrei persa ancora e non avevo avuto la possibilità di dirle che mi era mancata infinitamente.
Andai in bagno per lavarmi, quindi mi spogliai e m’infilai sotto la doccia.
Lasciai che l’acqua calda mi sciogliesse i muscoli e mi allontanasse dai ricordi. Massaggiai i capelli con più forza quando, chiudendo gli occhi, immaginai il viso di Hermione.
Non era la prima volta che mi capitava, certo, ma ora, di lei, avevo un’immagine che non mi piaceva: vedevo i suoi occhi privi di ogni luce, vedevo le sue mani troppo gracili, vedevo le sue spalle leggermente ricurve, come se non avesse più la forza di affrontare niente.
Mi costrinsi a non pensare e lavai via la schiuma, quindi uscii dalla vasca e mi asciugai. Poi, mi sistemai a letto e odorai la mano: il suo profumo era ancora lì, nonostante l’odore del bagnoschiuma.
Avevo bisogno di non pensare: troppe emozioni in poco tempo mi facevano male.
Cloe, dopo aver messo Natan a dormire, si mise a letto e si appoggiò sul mio petto. –Bella serata, no?
-Bellissima.- risposi.
Poi, mi girai, dandole le spalle e chiudendo gli occhi.
L’immagine di Hermione sempre lì…


Spoiler capitolo 9:

-…’Mio…
-Voglio farlo.

-No, ‘Miò, ascoltami… se non sei pronta…

Lo guardai negli occhi. –Voglio fare l’amore con te.

Sorrise, poi cominciò a baciarmi.

Sentivo le sue mani che salivano lentamente e il mio cuore che continuava a perdere i battiti.

***
Angolo Autrice:

Saalve a tutte! Finalmente, è arrivato Draco, siete contente? Spero di sì...
Ma, veniamo a noi. Questo capitolo è stato un parto plurigemellare, anche se non sembra: ero indecisa sul ruolo di Cloe, su come si sarebbe comportata Hermione e come si sarebbe comportato Henri (è stato un pò buono, su u.u)... in particolare ero indecisa a quele dei due "protagonisti" affidare il POV.
-Natan: non trovate sia bellissimo? Che ci crediate o no, sarà davvero importante la sua presenza in questa storia;
-Cloe: c'è chi pensa che se la faccia con Henri e chi non la vede ancora di buon occhio per motivi a me sconosciuti... suvvia, non giudicate in fretta :P ;
-Henri: sarà stronzo e quant'altro e di certo non si è risparmiato, ma almeno conosce le regole del bon ton :P;
-Hermione: vi aspettavate un comportamento diverso? Anche io avrei voluto farla saltare addosso a Draco, ma la storia ha i suoi tempi e ovviamente, Hermione è una donna matura che non sempre esprime i propri desideri;
-Draco: *.* E' quiii. Finalmente, direte voi...E' un pò contraddittorio: prima tocca la schiena di Hermione, poi non le rivolge mai la parola...lo so, ma immaginate cosa abbia significato per lui questo incontro... Ahhh, ma noi a lui perdoniamo tutto, vero?
Lo spoiler: Allora? Allora? Qualcuna di voi ha qualche idea? Su su, lasciatemene qualcuna nelle recensioni e vediamo un pò chi di voi indovina cosa succederà :P

Risposte alle recensioni:

sa chan: Beh, non ci speravi, ma Draco è qui xD Credi che Cloe se la faccia con Henri? Chissà... Spero che questo capitolo ti sia piaciuto :P e grazie per il bacio XD

OneLove4: Non sei stata affatto pesante, Henri è un porco davvero ;P Meredith è fantastica, niente da dire contro di lei... Spero che questo capitolo ti sia piaciuto.

Axel_Twilight_93: Ecco a te il capitolo.. allora, il tuo cervellino aveva avuto un'idea simile? O immaginava altro? Spero che questo capitolo ti sia piaciuto...

Rosa di cenere: Grazie per i complimenti, mi lusinghi troppo e non smetterò mai di dirtelo... Hermione ha aperto gli occhi, ma non dimentichiamo che è molto testarda, eh... Per quanto riguarda le recensioni, non preoccuparti e se ti fa piacere, posso fare un salto nelle tue ff. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto.

Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le seguite:
ali_smile
Axel_Twilight_93
BibiBarbara
bribry85
Choo
excel sana
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Gin 92
jalilah
ladylala
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MissChanel
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Nia Nya
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path94
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Poseidonia
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Rosa di cenere
sa chan
sarahoara
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Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le preferite:

amorelove
Axel_Twilight_93
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elenusiaHP
Luna_Lovy
Rosa di cenere
Slyterin_Yuna
stordy
testacalda_92

Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le ricordate:

Grouben_Lavinia_Malfoy

Come al solito, dò il benvenuto alle "nuove". Grazie davvero.
Grazie anche ai lettori silenziosi.

Avviso: ho postato il prologo di "Revenge and Love", che ne dite di fare un saltito e farmi sapere cosa ne pensate?

Un consiglio piccolo piccolo: fate anche un saltito nella pagina di sa chan (la mia grafica personale)... e leggete qualcosa di suo.
Ci sono storie che a me piacciono molto e, tra l'altro, mi fanno ridere un sacco.
Un bacio, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 9
*** Ricordi -Prima Parte... ***


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Capitolo 9: Ricordi -Prima Parte...

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Quando aprii gli occhi, mi accorsi che mi veniva difficile anche respirare.
Sistemai meglio la testa sul cuscino, maledicendo tutti i liquori che papà aveva conservato nella vetrina del salone.
Finita la cena, Henri mi aveva riaccompagnata a casa, senza dire una parola, senza guardarmi.
Quindi, una volta rientrata, mi ero seduta sul grande tappeto e avevo iniziato a mandare giù ogni sorta di liquore. Non tanto per le umiliazioni che mi aveva regalato Henri, ma per rivisto lui.
Viveva qualche metro distante da me e, da quando ero arrivata a Londra, non l’avevo mai visto.
Bello come il sole, dolce come non mai… e padre.
Lo sapevo, certo… era per quello che era finito tutto, ma vederlo in quelle vesti era stato un colpo troppo forte: quei momenti avrei dovuto viverli io.
Quando avevo visto l’auto, fuori casa sua, mi ritornò in mente l’emozione che avevo provato all’incrocio e mi ero chiesta il perché, ma poi l’ho capito da me…
Quando gli avevo stretto la mano, le farfalle allo stomaco e i brividi lungo la spina dorsale erano le emozioni più banali che avevo provato.
Avevo sentito il cuore accelerare. La voglia di baciarlo e di sentire il calore del suo corpo sotto le mani mi aveva investita.
I ricordi non erano più nella mia mente, mi sembrava di averli lì e di poterli guardare come si fa con un film al cinema.
Tutto l’amore che provavo per lui, quell’amore che avevo nascosto, era tornato a farsi sentire prepotentemente nelle vene, nel cuore, nella testa.
Non riuscivo a crederci.
Tutt’ora, dopo una sbronza memorabile e un mal di testa di altri tempi, non riuscivo a farlo.
Mi diressi in bagno e riempii la vasca.
Nel frattempo, disinfettai i graffi e massaggiai i lividi con la pomata.
Il dolore allo stomaco non era passato, anzi era diventato ancora più forte.
Più di tutto, però, faceva male il cuore: non amavo Henri, l’avevo sempre saputo, ma credevo nel mio matrimonio, ecco tutto.
Quando mi immersi nella vasca, il ricordo di Draco e del nostro primo San Valentino mi riempii la mente e gli occhi.

-Chiudi gli occhi.
-Ma non vedo niente.
-Non devi vedere niente, stupido.
-Ma dove mi stai portando?
-E’ una sorpresa!
-Posso fidarmi?
-Dipende dai punti di vista…
-Ma, ma… piccolo castoro cosa ti è venuto in mente?
-Shh, zitto. Dammi la mano e seguimi.
Chiuse gli occhi e mi seguì. Feci segno al portiere di darmi le chiavi dell’appartamento, quindi,allungò la mano e mi consegnò un ciondolo in pezza a forma di cuore.
Inciampò al primo gradino. –Maledetta.- mi disse con tono scherzoso.
-Aspetta a maledirmi.
Quando arrivammo, infilai la chiave nella toppa e aprii la porta. –‘Miò…
-Shh, Draco. Aspetta qui e non aprire gli occhi.
Sapevo che non mi avrebbe ascoltato, quindi, dopo essere entrata, chiusi la porta.
Accesi le candele e sistemai i petali che avevo sparso sul pavimento.
Sul letto, sistemai anche la scatola che conteneva il regalo accanto al dolce che avevo preparato per lui.
Aprii la porta e gli presi la mano, per permettergli di entrare. –Hai visto? Sono stato bravo…
-Come no!
-Cos’è questo odore?
-Draco, ascoltami. Ora dovrai aprire gli occhi, però non devi ridere.
-Perché dovrei ridere?
-Shh. Sei pronto?
-Sì.
-Uno, due, tre.
Quando aprì gli occhi, rimase per un po’ immobile, poi la bocca si stese fino a formare un sorriso stupendo e gli occhi gli si illuminarono.
Ero entusiasta di essere io la causa di tanta felicità…
Mi chiusi per un po’ nel mio mondo, complimentandomi per la buna riuscita della sorpresa, quindi, quando mi baciò, rimasi imbambolata.
Ricambiai quasi subito e lo strinsi forte a me. I suoi baci mi toglievano il fiato, mi facevano sentire viva.
-Ti amo.
-Vieni con me.- lo portai in bagno, dove c’era una grande vasca idromassaggio. –Questo è il regalo vero.
-In che senso?
-Beh, tu volevi fare un bagno in una vasca così ed eccola qui.
-Tu sei pazza, castoro!- mi spinse sulla fronte con l’indice.
-Dai, spogliati.
-Hey… vuoi portarmi sulla cattiva strada?
-No, voglio solo provare l’idromassaggio.- gli feci la linguaccia e tornai in camera.
Presi la scatola con il regalo e glielo portai in bagno.
Quando la aprì, ne tirò fuori una busta, dentro la quale ci avevo sistemato i costumi.
-E questi? Siamo a febbraio, lo sai?
-Sì, ma mica credi che io entri in quella vasca nuda?
-Ah no?
-No. Perciò, va in camera e lasciami spogliare in santa pace.
Andò anche lui a mettere il costume e mi raggiunse poco dopo.
Io mi ero già immersa nell’acqua e avevo avviato il programma per il massaggio.
-Sei bellissima.- disse, sistemandosi accanto a me.
-Anche tu.
Mi baciò. Un bacio che sapeva di vero, di felicità.
Un bacio che dolcemente diventava più voglioso.
-‘Miò… ti desidero.
-Draco…
-Se non vuoi,non fa niente.- Abbassai lo sguardo, imbarazzata. Come mi era venuto in mente di rovinare un momento così magico? –Però, ti prego, non smettere di baciarmi.
-D’accordo.
Mi avvicinai ancor di più a lui e lo baciai.
Ricambiò. Gli appoggiai una mano dietro al collo e lo attirai ancora di più a me.
Avevo paura, certo, ma non potevo non ammettere a me stessa quanto lo desiderassi.
Volevo che la mia prima volta sarebbe stata magica e non m’importava dove, se in un albergo o in un’auto o su un divano… l’importante per me era stare con lui.
Si sistemò su un fianco, poi mi cinse la vita con le sue braccia.
Gli appoggiai le mani sulle spalle, in modo da fargli toccare le pareti della vasca con la schiena, quindi mi sedetti a cavalcioni su di lui.
Mi staccai dalla sua bocca, poi gli presi le mani e le baciai.
-…’Mio…
-Voglio farlo.
-No, ‘Miò, ascoltami… se non sei pronta…
Lo guardai negli occhi. –Voglio fare l’amore con te.
Sorrise, poi cominciò a baciarmi.
Sentivo le sue mani che salivano lentamente e il mio cuore che continuava a perdere i battiti.
I suoi baci divennero sempre più intesi e le sue mani si insinuarono sotto il costume.
Mi strinse delicatamente i seni e con la bocca lasciava le scie del suo sapore sul collo.
Cominciai ad accarezzargli il petto, la pancia.
Sentivo la sua eccitazione aumentare e per questo sorrisi.
Gli scostai leggermente il costume e lui slacciò il mio.
Si alzò ed uscì dalla vasca, poi mi prese in braccio e mi portò sul letto.
Si appoggiò su di me e riprese a baciarmi. -…sei stupenda.
Mi accarezzò le gambe e mi sfiorò proprio lì…
Con la lingua scese sui seni e li baciava.
Mi stava facendo impazzire, quindi gli strinsi le gambe intorno alla vita e mi portai avanti con il bacino.
Mi penetrò con un dito e mi sentii smorzare il fiato.
Non volevo lamentarmi, quindi mi morsi la lingua. –Dra- Draco…
Giocò per un po’ con le dita, senza lasciare mai la mia bocca o i miei seni.
Poi, mi penetrò.
Anche se mi fece male, riuscii a capire quanto fossero dolci i suoi movimenti.
Sentirlo in me era la sensazione più bella del mondo: in quel momento, mi sentii completa davvero.
-Fatti sentire…- mi disse.
Aveva la voce roca: i suoi gemiti mi sembravano dei suoni meravigliosi e immaginai che per lui dovesse essere lo stesso, quindi, lasciai che la voce uscisse.
Ad ogni spinta, sentivo i sensi allontanarsi da me e sempre più forte sentivo una strana sensazione al basso ventre.
Quando arrivai, lui mi sorrise. Era felice, potevo capirlo dai suoi occhi.
Continuò a spingere, fino a che non arrivò anche lui.
Avevo sbagliato: la completezza reale era sentirlo arrivare in me e sapere che non avrebbe desiderato altro.
Lo baciai, senza lasciarlo uscire. –Ti amo. Ti amo, ti amo…
-Ti amo anche io castoro… Tu sei la mia vita.
Poi, andammo a lavarci e ci stendemmo sul letto.
Mi attirò a sé e mi lasciò appoggiare la testa sul suo petto. Riuscivo a sentire i battiti del mio e del suo cuore che diventavano un tutt’uno. –Già dormi?
-Quasi…
-Il regalo più bello sei tu!- mi baciò la fronte e mi strinse di più.
Lo amavo.

Sentii il cellulare squillare, allora uscii dalla vasca e mi avvolsi nell’accappatoio.
-Pronto?
-Hey…
-Chi è?
-Come “chi è?”… sono Blaise.
-Umh, perdonami.
-No, mi dispiace non posso farlo.
-Beh, sai, una voce tanto sexy non credevo appartenesse a te.- dissi, scherzando.
-Oltraggio.
-Dai…
-Ok, la smetto. Come stai?
-Blaise…
-Ho saputo, Herm, non preoccuparti.
-Oh… certo che le voci si spandono in fretta, eh?
-Tra buoni amici sì. Comunque, ti ho chiamata anche per un altro motivo.
-E sarebbe?
-Ricordi che la settimana scorsa hai vinto un appuntamento?
-Mmh, lasciami pensare… per caso, stai parlando dell’appuntamento con quell’uomo bellissimo, dagli occhi stupendi e la voce seducente?
-Ovvio…
-Ah, allora, puoi dirgli che non ho alcuna intenzione di uscire con lui?
-E’ perché mai?
-Beh, perché io voglio un appuntamento con Blaise Zabini.
-Hermione Granger, mi stupisci: quell’uomo bellissimo del quale poco fa hai elencato le doti migliori è Blaise Zabini.- ridemmo. –Scherzi a parte, ti va di andare a prendere un caffé?
-Va bene.
-Ti basta mezz’ora?
-Assolutamente.
-Perfetto. A tra poco, allora…
-Ok. Ciao Blà.
Posai il cellulare sul comodino e aprii l’armadio.
Guardai fuori dalla finestra e vidi che c’era il sole, poi, presi il cellulare e richiamai Blaise. –Sportiva o elegante?
-L’uomo bellissimo ti adora in qualsiasi modo.
-Cretino.
-Sportiva, dai. Io sono in tuta.
-Perfetto, a tra poco.
Tornai all’armadio e sistemai gli abiti sul letto, poi andai in bagno a dare una sistemata ai capelli.
Mi vestii e mi truccai, poi scesi in salone e mi sedetti sul divano ad aspettare.

Bip.
Il cellulare mi avvisò che mi era arrivato un messaggio, quindi, lo lessi.
<< Esci ,Blaise >>
Presi il cappotto e uscii. Chiusi la porta alle spalle e salii in auto. –Ciao Blà.
-Ciao.- mi baciò una guancia. –Andiamo?
-Sì.

Spoiler capitolo 10:

-Tu credi davvero che abbia dimenticato tutto?
-Non m'importa, adesso...
-Come non detto...
-Cosa?
-Lo ami ancora!- rimasi in silenzio.
Era arrivato il momento di fare i conti con il mio cuore.

***

Angolo Autrice:

Benvenuteeee.
Ecco a voi il nuovo capitolo... cosa ne pensate?
-Blaise: è un angelo, credetemi... nel prossimo capitolo ve ne renderete conto;
-Hermione: non ho molto da dire su di lei, anzi proprio niente a dire la verità.
Come avete notato, il capitolo è incentrato su un flashback, vi è piaciuto?
Lo spoiler: ah... chissà cosa succederà poi... Continuate a seguirmi :P

Risposte alle recensioni:

OneLove4: Grazie mille, davvero! Eh sì, Natan somiglia molto a Draco... e lui, beh, lui lo amerai ancora di più, se è possibile! Grazie per la recensione. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio.

Rosa di cenere: Ecco a te il nuovo capitolo... Non ti ho fatto aspettare molto perchè non voglio averti sulla coscienza xD Ahaha. Bene, passiamo al capitolo: Natan somiglia molto al padre, anche caratterialmente *.*. Il comportamento di Cloe lo capirai presto :P
Grazie mille per i complimenti, non mi abituerò mai a tante belle parole. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio.

Axel_Twilight_93: Esatto, hai indovinto! Era uno spoiler xD. Beh, Draco finalmente è qui *.* Natan è dolcissimo e Cloe è strana, ma prestro capirai il suo comportamento... Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio.

sa chan: Non te lo aspettavi eh? Invece Draco è comparso :P. Ancora una volta ti ripeto di non giudicare Cloe troppo in fretta: dalle tempo, poi mi dirai :P Spero che il capitolo ti sia piaciuto, anche non essendo del tutto HOT. Un bacio.

dramy96123: Grazie per la recensione... Cloe avrà i suoi buoni motivi per comportarsi così, non credi? Diciamo che è una donna strana, ma realista e non per forza stronza. E, purtroppo, Henri non verrà scaraventato da un ponte in fiamme ahah, anche se lo vorrei, credimi. Beh, spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Ps: sono a metà della tua ff. Presto lascerò un commentino. Un bacio.

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Ovviamente, ringrazio anche i lettori silenziosi e coloro che dedicano un secondino del loro tempo alla mia storia.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 10
*** Ricordi -Seconda Parte... ***


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 Capitolo 10: Ricordi –Seconda Parte...

Image and video
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-Sei davvero bellissima.
-Grazie.
-L’uomo bellissimo ha un certo debole per le felpe dell’Adidas.
-L’ho messa apposta.
-Ti ringrazio, allora…
Rimanemmo per un po’ in silenzio, poi sentii i suoi occhi addosso. –Che fai? Guardi?
-E’ che sei cambiata molto in questi anni…
-Già…
-L’uomo bellissimo ha una proposta indecente.
-E sarebbe?- dissi, sistemandomi su di un fianco per guardarlo meglio.
-Lo so, sono pazzo: sono le dieci del mattino, ma io ne ho tanta voglia.- mi guardò con gli occhi pieni di desiderio e, anche se sapevo che mi stavo impressionando, avvertii una strana sensazione.
-Di-di cosa?
-E’ un desiderio che non riesco a gestire da un po’ di tempo… è voglia di…- disse,l avvicinandosi al mio orecchio. -… hot-dog.
-Blaise,- dissi, tirando un sospiro di sollievo. –mi hai fatto prendere un colpo.
-Ti va?
-No, a quest’ora è davvero presto per me: il mio stomaco non è primitivo come il tuo.
-D’accordo.- si fermò poco più avanti ed uscii dalla macchina.
Avevo avuto paura di uno dei miei migliori amici, cosa mi stava succedendo?
Come avevo potuto minimamente pensare che quel desiderio che avevo negli occhi di Blaise fosse rivolto a me?
Quando rientrò in auto, avevo in mano due fagotti. –Blaise…
-Shh, donna. L’uomo bellissimo non ammette risposte negative.
-Ok.- dissi, prendendo l’hot-dog che mi stava porgendo.
-Sei sbiancata prima, ho detto qualcosa che non andava?
-No…
-E allora?
Dovevo dirgli la verità e passare per la stupida che se la tirava? –In realtà… ho avuto un po’ paura: non li avevo mai visti i tuoi occhi così… vogliosi?
-Credevi fossero così per te?
-Non so,ma mi sono spaventata.
-Sei una donna bellissima, Hermione Granger e chiunque potrebbe desiderarti, me compreso. Ma sei una mia carissima amica e, soprattutto, sei la donna che il mio migliore amico ha amato da sempre…
Rimasi in silenzio, mentre distoglievo lo sguardo da Blaise.
Cercai di allontanare i miei pensieri dal significato di quelle parole, quindi le fusa del motore che si metteva in moto mi fece sobbalzare.
Anche Blaise rimase in silenzio. Non aggiunse altro e tenne gli occhi fissi sulla strada per un po’.

-…chiunque potrebbe desiderarti...
Chiusi gli occhi e scossi la testa, quindi non mi accorsi che Blaise aveva parcheggiato ed era uscito dall’auto.
Mi bussò dall’esterno del finestrino e gli rivolsi il mio sorriso migliore, sperando di non sembrare troppo ebete. –E’ bellissimo.
-E’ un luna park.
-Ma è mattina, Blaise, non sarà chiuso?
-La caffetteria no: i migliori frappé del mondo, secondo me, li fanno qui.
-Ah…
-Credi che abbiano qualche ingrediente segreto? Magari occhi di rana o code di lucertole.
-Blà, che schifo.- dissi ridendo insieme a lui.
-Dai, andiamo.- mi affiancò durante il tragitto, ma non mi prese la mano, non mi strinse per le spalle.
Non pretendeva nulla in cambio la sua amicizia, nulla di fisico almeno: ovviamente, a mio parere si dà amore per riceverne.
Un amore, che sia affetto o amore vero, a senso unico è qualcosa di sadico, masochista.
-Scegli.
Mi fermai di fronte al tabellone su cui erano scritti tutti i gusti di frappé e sorrisi: c’era di tutto… fragola, albicocca, banana, cioccolato. –Cioccolato.
-La solita.- mi sorrise, poi si rivolse alla ragazza che era dietro al bancone. –Un frappé a cioccolato e l’altro, mmh… l’altro. Sceglilo tu il gusto: lascio a te la scelta del mio piacere.- le disse, sfoggiando il suo sorriso più sensuale.
La ragazza arrossì violentemente, quindi si calò dietro al bancone per prendere il vassoio e i bicchieri.
Noi, nel frattempo, ci allontanammo. –Sei proprio uno stronzo, Blaise Zabini.
-Ma cosa ho fatto?- mi chiese con voce fintamente inconsapevole.
-Quella povera ragazza rischiava di prendere fuoco.
Rise di gusto ed io lo seguii. Quanto mi era mancato Blaise.
-Grazie.- disse poi alla ragazza che ci aveva servito i frappé. Ancora una volta le sorrise e, ancora una volta, lei arrossì.
Sorrisi e gli diedi un calcio agli stinchi.
-Ooh…- disse dolorante, mentre la ragazza prese a ridere e il rossore del viso le si stemperò leggermente.
Sorrisi di più e Blaise mi lanciò un’occhiata di fuoco.
Appena la ragazza fu lontana, gli scoppia a ridere in faccia. –Ah ah…- dissi, muovendo la testa da destra e sinistra a mò di dispetto.
-Donna! Come osi deviare i miei piani di conquista?- dissi con tono austero. –Era proprio carina e ha riso di me.- aggiunse poi con voce da bambino.
Era davvero unico. –Blà dai, quando andrai a pagare le darai il numero, su. Non abbatterti.
-Perché, secondo te, dovrei pagare io?
-Ovvio.- sorrisi, con la cannuccia tra le labbra.
Sorrise e cominciò a bere il suo frappé. –Vaniglia… ADORO quella ragazza.
-Ti ricordi quando bevesti quel “coso”  che credevi fosse frappé a vaniglia?
-Era colla vinilica diluita con l’acqua.
Cominciammo a ridere, fino alle lacrime. Ed era così ogni volta che ricordavamo qualcosa.
-E ti ricordi invece quando Harry mi ha buttata nella pozzanghera della scuola?
-Eri una vipera, credimi. Insopportabile.
-Lo so.- gli feci l’occhiolino.
-E ti ricordi quando al Luna Park, Ginny tentò di baciare Harry e lui si scansò?
-Sì.
-Però, dai, quella sera un bacio c’è stato.- disse, alzando le sopracciglia.
-Tra me e Draco- dissi, diventando più triste.
-Già…- Guardai Blaise e capii dalla sua espressione che non era quella la risposta che si aspettava: quella sera c’era stato anche il bacio tra lui e Lavanda, ma l’unico bacio che avrei ricordato per tutta la vita sarebbe stato quello che mi aveva dato Draco.
 

-Sei una bambina, Granger.
-Io sarei una bambina?
-Sì. Sei gelosa?
-Di te? Figurati.
-Allora che diavolo hai?
Sorrisi: certo che ero gelosa, ma sapevo che non avrei dovuto esserlo… in fondo, prima di me, c’era stata la sua ragazza  c’era tutt’ora.
Draco non avrebbe mai saputo dei miei sentimenti verso di lui. –Non ho niente.
-Perché fai così?
-Così come?
-Perché non ammetti che provi qualcosa?
-Sì, provo qualcosa…
-Cosa?- vidi i suoi occhi riempirsi di aspettative.
-Un fastidio enorme quando credi di essere l’uomo dei miei sogni.
Si avvicinò. –Non lo sono?
-N-non… non lo sei.
-E chi te lo dice?
-Il mio cuore.
-E se io facessi una cosa, il tuo cuore cosa direbbe?
-Cosa? Malfoy, stai lontano da me. Non ti avvicin…
Le parole mi morirono in gola.
Mi baciò… avevo la sua bocca sulla mia.
Riuscivo a sentire il suo profumo ed era ancora più dolce, ancora più bello.
Mi mise una mano dietro la nuca e con l’altra mi stringeva la vita, per evitare che mi agitassi tanto.
Le mie mani rimasero immobili lungo i fianchi.
Quando si staccò, sembrava soddisfatto.
Io mi sentivo le guance di fuoco e ci avrei scommesso la testa che avevo anche gli occhi lucidi. –Allora, Granger? Vuoi ancora negare?
-Non ho provato niente.
-Ah no? Allora perché il tuo cuore batteva tanto forte?
Voleva sapere il perché… le lo chiedeva pure? Il mio cuore non avrebbe mai desiderato altro.
Il mio cuore batteva proprio perché, di tanto in tanto, lui mi regalava qualche sorriso, qualche sguardo. –Per la paura…
-Ho paura anche io. - disse. – E’ un sentimento che non riesco più a gestire, ma c’è, quindi…
-Non farlo.
-Io provo le stesse cose, ‘Mione…
-Non chiamarmi così.
Mi baciò ancora. Però, era un bacio che chiedeva il permesso, era un bacio che voleva conferme.
Come potevo non dargliene? Certo, era fidanzato e tutto il resto, ma… io lo amavo.
Mi allungai sulle punte e gli misi le mani dietro al collo per avvicinarlo ancora.
Lo baciai con trasporto e mai, mai nessun bacio prima di quello era stato bello e desiderato. –Andrà tutto bene, te lo prometto.
-Ho paura…
-Andrà tutto bene.- mi disse, poggiando la fronte sulla mia.
-Draco, Hermio… oh, scusate, abbiamo interrotto qualcosa?
-No.- disse Draco, prendendomi la mano. –In realtà è appena cominciato qualcosa…
Sorrisi, poi m’incamminai insieme a lui verso Blaise, Lavanda, Ginny ed Harry.

 -Comunque…- aggiunsi. –nulla di importante, no?
-Certo.- disse lui, con tono distaccato.
-Un bacio che tutti avranno dimenticato.- risi istericamente. –Chissà come ho fatto a ricordarmene proprio io. –risi ancora.

-Tu credi davvero che lui abbia dimenticato tutto?
-Non m'importa, adesso...
-Come non detto...
-Cosa?
-Lo ami ancora!- rimasi in silenzio.
Era arrivato il momento di fare i conti con il mio cuore.
-Andiamo?
-Sì.
-Sì.
Ci dirigemmo verso l’auto e aprimmo le portiere contemporaneamente e, sempre insieme, ci sedemmo sui sedili. –Che tempismo.
-Perfetto, Granger.
Mi sorrise. –Lavanda come sta?
-E’ a Milano per una sfilata.
Lavanda era diventata una modella: era riuscita a realizzare il suo grande sogno grazie alle sue capacità, certo, ma anche grazie alla presenza di Blaise che credeva in lei ciecamente.
La invogliava in ogni cosa che lei provava e la sosteneva quando le cose non andavano come desiderava… Per questo, Lavanda ci è riuscita.
Erano felici insieme, davvero ed io ero felice per loro.
Quando arrivammo fuori casa mia, scesi dall’auto e Blaise mi raggiunse. –Grazie. –dissi.
Il rumore di una portiera d’auto che si chiudeva mi distolse dal discorso che mi ero preparata a fare a Blaise.
Spostammo lo sguardo e lo vidi.
Draco mi guardò per un secondo che mi sembrò interminabile, poi chiuse gli occhi e voltò la testa verso Blaise.
Quando li riaprii riuscii a vedere la sorpresa che li investirono: chi si aspettava di trovare?
-Draco, sono subito da te.- disse Blaise, poi si tornò a guardarmi. –Almeno a te stessa, Herm, non mentire, ti prego.
-Ciao, Blaise.- e salii le scale quasi di corsa.
Chiusi la porta come se qualcuno di pericoloso mi stesse inseguendo.
E in effetti, era proprio così: mi stavano inseguendo i ricordi e alcuni, mi avevano già raggiunto.
Era un gioco troppo pericoloso, qualcosa a cui non ero ancora pronta.
Salii in camera mia e andai in bagno per riempire la vasca, poi tornai a stendermi sul letto.
Il rumore dell’acqua mi rilassava, mi impediva di pensare.
Mamma scendeva e saliva le scale e, spesso si affacciava a guardare come stavo. Le sorridevo sempre.
Andai in bagno e mi immersi nell’acqua.
Sollievo. Un immediato sollievo mi fasciò il corpo: sentivo i muscoli rilassarsi, allo stesso modo del dolore fisico.
I ricordi erano fermi lì, pronti per essere vissuti.
Ed io volevo riviverli, senza dubbio… ma quanto avrebbe fatto male?
 

 
Spoiler capitolo 11:

L’etichetta metallica e dorata faceva bella mostra di sé e del nome che c’era scritto su. H.Potter, scritto di nero e in grassetto per la prima volta mi sembrava il nome di un eroe… il nome di colui che mi avrebbe aiutato.
Presi coraggio e bussai alla porta. –Avanti.
-Potter…
-Ah, sei tu. Prego accomodati.
Entrai e mi sedetti. Lo fissai, mentre lui continuava a stare chino sui suoi documenti. –Devo parlarti.
-Aspetta cinque minuti.- disse, portando la lingua all’angolo della bocca e chiudendola tra le labbra.
-E’ urgente. Si tratta di…

***
Angolo Autrice:

Il rapporto tra Blaise ed Hermione è profondo quanto quello che c'è tra un fratello ed una sorella.
Si capiscono al volo e sanno tutto l'uno dell'altra. Harry e Ginny sono in assoluto i migliori amici, Blaise, invece, è uno dei migliori amici di Hermione, ma in assoluto, è il migliore amico di Draco.
Questo capitolo, come avete visto anche quello precedente, ruota intorno ad un flashback.
-Hermione: per un pò è spaventata per quello che ha dovuto subire, quindi, anche in uno sguardo comprensivo le pare di rividere lo sguardo di Henri;
-Blaise: non credo di avere molto da dire su di lui: è un ottimo amico e conosce bene Hermione, quindi cerca di aiutarla;
-Draco: avrebbe potuto salutarla, lo so... ma credo che anche lui si senta molto in imbarazzo e, quindi non sappia come comportarsi.
Lo spoiler: di chi si tratta secondo voi? E chi è a parlare

Risposte alle recensioni:

OneLove4: Sì, il rapporto che c'è tra Blaise ed Hermione è molto curioso, ma come ho già spiegato nell'angolo autrice, si amano come si amano un fratello ed una sorella; grazie per la recensione, un bacio.

 Rosa di cenere: Grazie mille, duemila, tremila e continua finchè vorrai. Sono davvero felice che la storia ti piaccia tanto e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto allo stesso modo del precedente. Blaise è dolcissimo, lo so *.*
Lo adoro anche io, quindi, ti capisco. Attenta con la sediolina :P se sbatti troppo forte, va a finire che ti fai male e non riuscirai più a lasciarmi i tuoi commenti e mi dispiacerebbe tantissimo. Un bacio.

Axel_Twilight_93: Sìì, sei stata bravissima: sei stata l'unica ad aver indovinato :P Concordo pienamente con te sul fatto che Blaise sia analizzato poco nei libri ed è per questo che ho deciso di farlo conoscere meglio, almeno per come l'ho sempre immaginato io. Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto tanto e spero che questo ti sia piaciuto altrettanto. Un bacio.

 sa chan: ti giuro, TI GIURO che arriverà il capitolo HOT. Ahaha, hai ragione pienamente su quello che hai pensato di Cloe, anche se non ci hai azzeccato su tutto :P
Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto tanto e sì, Blaise, come altri personaggi, sarà molto importante per la coppia. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto come quello precendente. Un bacio.

 dramy96123: ecco a te il capitolo xD Cosa ne pensi? Sono davvero contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto tanto e che tu lo abbia definito "perfetto" mi lusinga tantissimo. Un bacio.

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Capitolo 11
*** Sensi di colpa... ***


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Capitolo 11: Sensi di colpa...


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Avevo passato la notte insonne, rigirandomi nel letto, entrando ed uscendo dallo studio, sedendomi sul divano nel salone, andando fuori al balcone per fumare…
Ero irrequieto, mi sentivo come se mi mancasse qualcosa…
E non si trattava solo di qualcosa di fisico: andava ben oltre la fisicità.
Mi ero abituato all’assenza di dialogo, all’assenza di complicità e del bisogno di comprendersi, però, da quando avevo visto Hermione tutto quello a cui mi ero abituato, mi era sembrato banale, stupido.
Tutto quello a cui mi ero abituato era diventato qualcosa da cui avrei voluto fuggire: necessitavo di ritrovare la complicità di chi si ama, il capirsi senza parlare…
Piccole cose di cui non potevo vantarmi di avere con Cloe.
Quando l’orologio aveva segnato le otto, mi ero sentito come libero da un peso enorme, quindi ero andato a vestirmi con la voglia di uscire di casa.
Ora, ero in ufficio e continuavo a pensare.
Vidi Cho entrare nell’ufficio e mi sorrise. –Buongiorno commissario.
-Salve Cho.
-Qui,- disse poggiando una cartellina azzurra sulla scrivania.- ci sono le denunce e qui,- disse posandone un’altra, accanto al caffé che avevo preso poco prima. –ci sono i ritrovamenti dei vari documenti.
-Grazie. Efficiente come sempre.
-E’ il mio lavoro, Draco.
-Sì.
Una fitta alla testa mi investì improvvisamente, quindi portai le mani alle tempie e le massaggiai.
-C’è qualcosa che non va?
-Brutta nottata.
-Mi dispiace.
-Anche a me.- dissi, guardandola e sorridendole per tranquillizzarla.
-Passerà.
-Me lo auguro.- guardai per un po’ fuori dalla finestra, mentre Cho si era accomodata alla parte opposta della scrivania. –C’è Potter?
-Non ancora.
-Capisco.
-Io vado… il lavoro chiama.
-Sempre all’opera, eh?
-Senza di me, le strade londinesi sarebbero piene di malviventi.
-Sei un’ottima poliziotta.
-Grazie.
Uscì dal mio ufficio e mi ritrovai solo. Poggiai la mano intorno al bicchiere di caffé e con il dito ne sfioravo il bordo.
Mi sentii fragile, di plastica, proprio come quel bicchiere.
Lo osservavo come fosse un’opera d’arte, poi, d’un tratto, mi ridestai dai miei pensieri e bevvi velocemente il caffé: si era freddato e faceva schifo.
Mi alzai e posai il bicchiere su una mensola dell’archivio che avevo nell’ufficio, in ricordo di questo momento della mia vita.
Vidi per un po’ il vetro della porta oscurarsi e mi girai a guardarla: riuscii a distinguere una sagoma che si allontanava di fretta, trascinata da qualcun altro.
Erano due uomini, ne ero certo.
Aprii il cassetto della scrivania, presi la ceneriera e la poggiai sul bordo della finestra.
Poi, con la sedia mi avvicinai e accesi una sigaretta.
Questa volta, il fumo mi portò un forte bruciore allo stomaco e alla gola.
Tossii e non riuscivo a smettere, quindi mi alzai, aprii la porta dell’ufficio e mi diressi alla macchinetta delle bibite.
Inserii una moneta e digitai il numero che segnava l’acqua, naturale, ovviamente.
Bevvi più della metà dell’acqua e, per il troppo impeto, avevo deformato la bottiglia.
La plastica era davvero troppo fragile…
La plastica mi somigliava davvero troppo.
Bevvi ancora, fino a rimanere la bottiglia vuota, poi la strinsi e la gettai nel contenitore lì accanto.
Mi avviai lungo in corridoio e proseguii dritto anche dopo aver passato il mio ufficio.
Mi fermai qualche metro più avanti. Ci voleva coraggio…
Si trattava di aprire le porte al mio passato… ad un passato che io avevo mandato via e che non ero del tutto convinto di sapere in che modo si fosse evoluto.
L’etichetta metallica e dorata faceva bella mostra di sé e del nome che c’era scritto su. H.Potter, scritto di nero e in grassetto per la prima volta mi sembrava il nome di un eroe… il nome di colui che mi avrebbe aiutato.
Presi coraggio e bussai alla porta. –Avanti.
-Potter…
-Ah, sei tu. Prego accomodati.
Entrai e mi sedetti. Lo fissai, mentre lui continuava a stare chino sui suoi documenti. –Devo parlarti.
-Aspetta cinque minuti.- disse, portando la lingua all’angolo della bocca e chiudendola tra le labbra.
-E’ urgente. Si tratta di…
-Avanti, Malfoy, parla.
Facile a dirsi: sentivo un nodo in gola che mi impediva di parlare, quasi a voler bloccare le mie domande. –I-io…
-Sei diventato anche balbuziente?
Magari… se così fosse stato, in un modo o nell’altro, sarei riuscito a farmi capire.
Ci riprovai. Respirai profondamente, ma mi sembrava di non aver abbastanza fiato per continuare… eppure, sarebbe bastata una sola parola, un solo nome. –I-io…
-Sì, tu. Che diavolo ti prende?
Chiusi gli occhi e li strinsi forte, cercai di concentrarmi sul dolore che sentivo al petto per calmarlo. –Hermione. Si tratta di Hermione.- dissi tutto d’un fiato.
-E cosa vuoi sapere?
Sarebbe stato più difficile del previsto: non era bastato un nome.
O Harry era tremendamente infame, tanto da volermi vedere strisciante come una serpe… o, forse, mi trattava da uomo innamorato che aveva dovuto rinunciare a ciò che realmente desiderava.
Non mi aveva mai rinfacciato niente e questo mi bastava per giustificare il suo comportamento. –Voglio sapere come sta…
Mi fissò per un po’, studiandomi. –Bene.- rispose infine con tono distaccato.
Era una bugia. Il mio lavoro mi aveva insegnato tante cose e questa era una delle tante. –L’ho incontrata: Cloe ha invitato a cena lei e suo marito.
-Che piacere, no?
-Non prendermi per il culo, Potter…
-Non l’ho mai fatto.
-Io non sono affatto cieco.
-Non lo metto in dubbio…
-Dimmi come sta.
-L’hai vista, no?
-Sì.
-Allora perché lo chiedi a me?
-Perché li ho visti quei segni.
Finalmente, poggiò la penna sulla scrivania e allontanò i documenti che stava studiando.
Sistemò i gomiti sul tavolo e avvicinò le mani alla bocca, giocando con le dita.
Era indeciso tra il dirmi la verità o mentirmi spudoratamente. –L’ha violentata.
Vidi i suoi occhi riempirsi di rabbia e mi vidi riflesso anche io: i miei occhi erano un inferno di fiamme.
Immaginai Hermione in lacrime, costretta a fare ciò che non voleva.
La immagino mentre soffriva in silenzio e mentre cercava di ribellarsi.
Ecco il perché di quello sguardo spento, ecco il perché di quell’aura di paura che la circondava.
Mi alzai ed uscii furioso dall’ufficio di Harry e mi diressi, quindi, nel mio.
Infilai la giacca e presi il cellulare. Digitai in fretta il numero ed aspettai che qualcuno rispondesse.
Il tu-tu del telefono mi innervosiva e stare fermo non mi aiutava a calmarmi.
Misi il vivavoce e iniziai a camminare per l’ufficio. –Pronto.
-Blaise.- mi sedetti e presi il telefono in mano, per togliere il vivavoce e portarlo vicino all’orecchio.
-Draco…
-Sei uno stronzo.
-Perché?
-Come hai potuto non dirmi niente?
-A cosa sarebbe servito dirtelo?
-Ma ti rendi conto che quell’uomo è una bestia.
-Me ne rendo conto perfettamente, ma sta di fatto che nessuno può far niente, tu soprattutto, non credi?
-… ma lei è in pericolo costante.
-Non le importa, Draco. Non ha mai perso e non ha intenzione di farlo adesso.
-E quindi?
-E quindi? Ci credeva in quel matrimonio e di certo non lascerà che segni la sua prima sconfitta.
-Ma… che cazzo stai dicendo?
-Sto dicendo che lei è così e tu la conosci: sarà disposta a fingere di stare bene pur di non ammettere a sé stessa che il suo matrimonio è finito e che è tutto inutile, che non c’è più niente da salvare.
Aveva ragione: non si sarebbe arresa. Avrebbe continuato a provare, fino a non essere più sé stessa. -Dobbiamo fare qualcosa.
-Sto cercando di farle ricordare i tempi in cui era felice… non posso altro, mi dispiace.
-Faglieli rivivere.
-Draco, Hermione era felice con te…- rimase in silenzio, in attesa di una risposta. Cosa potevo dirgli? –Scusami, devo andare.
-Sì, sì. Ciao.
Guardai il bicchiere di plastica che poco prima avevo appoggiato sulla mensola e sorrisi beffardo: ora, mi sentivo ancora più fragile.
Non riuscivo a credere che un uomo qualsiasi avesse potuto infangare la sacralità del corpo di Hermione, che l’avesse potuta distruggere stringendola appena.
Lei, per me, era di cristallo e non mi sarei mai perdonato tutto il dolore che le avevo procurato quando eravamo stati insieme.
Ma un modo per rimediare l’avrei trovato: doveva capire, doveva aprire gli occhi.
Lei non meritava un uomo simile… anzi, era lui a non meritare lei.
Lei che era così bella, così dolce… lei che era perfetta ed unica in ogni movimento… non poteva essere un giocattolo.
Mi alzai e uscii dal commissariato.
Entrai in auto con in testa mille dubbi, ma sapevo che niente mi avrebbe fermato.
Forse, stavo sbagliando… poco importava.
Avevo deciso di perderla, a patto che provasse ad essere felice con qualcun altro, non che si rovinasse la vita.
I sensi di colpa mi travolsero in meno di un secondo e sentii lo stomaco contorcersi.
Il vuoto che avevo nel petto aumentò a dismisura nel giro di pochi attimi: se Hermione stava vivendo quella situazione era solo per colpa mia.
Per colpa della mia codardia, per colpa della mia paura…
Dovevo porre fine a tutto il dolore che stava provando, anche se non ero certo che lei lo volesse.
Se mai l’avessi rincontrata e, se mai le avessi parlato di quello che pensavo, avrebbe potuto perfettamente sbattermi la porta in faccia o mandato a quel paese.
Mi avrebbe chiesto se mi sembrava questo il modo di entrare nella sua vita, mi avrebbe chiesto perché non mi fossi ricordato prima di lei.
Il problema era uno, anzi due: il primo era che io non avevo smesso un attimo di ricordarla;
il secondo era che lei era entrata di nuovo nella mia vita nel momento in cui aveva varcato la soglia di casa mia.
E’ stata un uragano, una ventata di aria fresca e pulita.
Mi ridestai dai miei pensieri e partii.
Una volta in strada, mi sembrò che le vie di Londra non fossero mai state tanto trafficate come in questo momento.
Accesi una sigaretta e svoltai l’angolo.
Il traffico, anche qui, era intenso e fastidioso: rallentava il mio ego da buon samaritano e faceva crescere a dismisura i miei sensi di colpa.
Parcheggiai poco più avanti, poi lasciai l’auto.
Ero lontano da casa, ma cosa poteva qualche chilometro da fare a piedi, confronto alla distanza che mi aveva impedito di conoscere la realtà dei giorni che Hermione aveva vissuto senza di me?
Cominciai ad accelerare il passo, fino a correre.
Svuotai la mente da tutto e mi fermai di fronte una porta di mogano scuro.
Guardai per un po’ il legno che mi divideva da quello che avevo sempre temuto: sarebbe stato un viaggio senza ritorno dopo il quale non mi sarei sentito più parte della vita che avevo deciso di vivere.
Bussai al campanello e attesi che qualcuno mi aprisse, quindi mi voltai di spalle.
-Prego?
Avrei riconosciuto quella voce tra altre mille. Mi girai per guardarla.
Arrossì leggermente e ancora una volta gli occhi le si riempirono di paura. Avrei voluto abbracciarla, avrei voluto baciarla e dirle che sarebbe andato tutto bene.
Ingoiai il nodo che avevo in gola e cercai di assumere un tono autorevole o, almeno, neutro. -Cercavo la signora Meredith Granger. E’ in casa?
-Sì.- mi lasciò entrare, senza dire niente.
Quando le passai accanto e sentii il suo profumo, tutto il desiderio che avevo di baciarla mi attraversò il corpo e senza che potessi controllarmi mi ritrovai con gli occhi nei suoi.


***
Angolo Autrice:
Eccomi qui con il nuovo capitolo.
-Draco: non lo immaginate dannatamente sexy con la divisa da poliziotto? Io sì. *.* Proprio per questo, ho deciso di fargli fare questo lavoro, insieme a Potter ovviamente. In questo capitolo Draco è investito dai sensi di colpa: crede che Hermione abbia sposato l'uomo sbagliato per colpa sua e, diciamocela tutta, non ha tutti i torti a pensarla così;
-Harry: avrebbe potuto evitare di dirglielo, vero? NO. E' vero che è amico di Hermione, ma sa bene quali sono i sentimenti di Draco nei suoi confronti;
-Blaise: lui sì che avrebbe potuto dirglielo... ma credete sia bello vedere il migliore amico che si logora nei sensi di colpa per quello che ha fatto e perchè ora non può rimediare? Quindi, credo che Blaise abbia preferito tacere proprio per questo.
Lo spoiler: non c'è XD. Perchè? Per due motivi: 1) voglio lasciarvi volare taaanto con la fantastia;
2) Il prossimo capitolo non è ancora stato "programmato" XD


Risposte alle recensioni:

OneLove4: esatto! Gli unici che chiamano per cognome Harry sono i serpeverde ;P
No, la McGranitt non c'è... diciamo che è passata a miglior vita xD A presto.

Rosa di cenere: mi fai sbellicare dalle risate, credimi XD No, non hai detto nessuna cavolata, visto? Anche io adoro Blaise: è unico! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e grazie come sempre per i complimenti che mi fai: mi rendi felicissima. Un bacio;

dramy96123: Sì, mi hai già detto che adori Blaise... anche io *.* Perdonamiiii, non volevo farti venire voglia di un frappè al cioccolato... Scusa -.-' Mi fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto tanto, davvero e... mi dispiace per te, ma Henry non affogherà neanche in un fiume di veleno. Di certo non sarà trattato con i guanti :@ Un bacio;

sa chan: no, continuare la frase NO! Muahuahuah. BASTA! Cloe la rivedrai presto, non temere ed abbi solo un pò di pazienza xD L'altra fic, da come hai potuto vedere, l'ho aggiornata e ti ringrazio anche per il commento. Mi fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto. A presto;

MissChanel: ma nooo che non voglio ucciderti... come farei se tu non commentassi più questa storia? Ci hai azzeccato che Cloe è la moglie di Draco e come vedi ti ho postato il capitolo, sei contenta? Un bacio;

Axel_Twilight_92: grazieee. Sì, anche io credo che comportarsi come se tra loro non ci fosse più niente sarebbe stata al quanto.... strano. Quindi, proprio per questo ho deciso di non farli salutare... ecco a te il prossimo capitolo :P Un bacio.

Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

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Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le ricordate
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3 - _Elisewin_
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Grazie mille davvero: aumentate ogni volta di più, quindi benvenute alle "nuove" e bentrovate alle lettrici che mi hanno seguito dal primo capitolo di questa storia.
Un bacio, la vostra Exentia_dream



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Capitolo 12
*** Sarebbe stato meglio se... ***


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Capitolo 12: Sarebbe stato meglio se...

Image and
video hosting by TinyPic Hermione POV
Mi sentii da subito inadeguata: sia per l'abbigliamento, sia per tutto ciò che ero...
Draco si era girato di scatto e mi aveva spaventata: aveva poggiato una mano al muro all’altezza della mia spalla, mente con l’altra mi accarezzava la guancia.

Era di fronte a me, a pochissimi centimetri dalle mie labbra.
Vidi la sua mascella contrarsi, segno che stava ingoiando e che si stava trattenendo dal fare qualcosa.
-Hermione, chi è?- la voce di mamma ci raggiunse prima della sua figura, quindi Draco si allontanò da me e fissò le scale.
-Signora Granger, ho bisogno di parlare con lei.
-E’ successo qualcosa?
-Solo un… è una questione delicata, gradirei parlarne in privato.- disse, guardandomi per un solo secondo.
Ero rimasta in apnea, con lo sguardo fisso sul suo viso: serio, tirato, arrabbiato.
Ancora non avevo ripreso a respirare, ma sentivo il bisogno di ascoltare la sua voce. –Posso essere presente?
-Mi dispiace…
-E’ mia figlia, può assistere.
-Perfetto.
-Prego, si accomodi.- disse mamma, indicandogli la cucina.
Lo seguii e ascoltai i suoi passi, come se dovessi farmi condurre e come se fosse giusto farmi incantare da quel rumore.
Arrivati in cucina, si voltò un attimo a guardarmi, la durata di un battito di ciglia, poi si sedette.
Affiancai mamma, appoggiata al ripiano della cucina.
-Signora, abbiamo trovato il medico che ha effettuato la diagnosi di suo marito al pronto soccorso.
-Mio marito è morto, signor Malfoy…
-E nessuno potrà farlo tornare in vita, ma deve essere fatta giustizia: suo marito non sarebbe morto se gli infermieri e i medici fossero stati più attenti.
Tornò a guardarmi e, con un cenno del capo, indicò i miei polsi.
Li coprii, abbassando le maniche e mi nascosi dietro i capelli che scendevano sulle spalle.
-Signor Malfoy, la ringrazio per l’interessamento, ma non mi pare il caso… la legge non è mai stata dalla parte di chi non ha una posizione. Adesso, mi scusi, ma devo tornare a lavoro. Arrivederci.- gli porse la mano e lui la strinse con gentilezza.
Quando mamma fu fuori, il silenzio che c’era in cucina sembrava essere sul punto di spezzarsi.
Respirai profondamente e cercai di rilassarmi. –Cosa sono quei lividi?
-Seguirò io la causa di papà.
-Non cambiare discorso.
-Non credo t’importi e, comunque, la causa di mio padre è molto più importante.
-Quant’è che va avanti questa storia?
-E’ la mia vita, quindi, stanne fuori. Piuttosto, dimmi cosa devo fare.
-Mandalo via.
-Parlo della causa.
-Devi solo venire in commissariato e leggere le denunce, le varie pratiche… giusto per informarti un po’.
-Perfetto.
-Non meriti di essere trattata così.
Guardai l’orologio… dovevo staccare il mio sguardo da lui. –Credo sia meglio che tu vada.
Avrei voluto che rimanesse, ma poi? A cosa saremo arrivati?
Sarebbe stato meglio se fosse andato via, se non fosse mai entrato in questa casa.
Sarebbe stato meglio se il mio cuore si fosse riabituato ad essere presente in rare occasioni, come del resto aveva fatto per anni. Il punto era che, da quando l’avevo rivisto, il mio cuore aveva ripreso a battere.
-Tu vuoi che me ne vada?
-Sì.
-Guardami negli occhi.
Avevo imparato a mentire in tanti anni e non mi sarebbe risultato difficile farlo ancora, quindi alzai la testa, per fissarlo negli occhi. –I-io…
No, con Draco ancora non ero capace di mentire.
Ancora una volta, ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio. Ancora una volta, vidi la sua mascella contrarsi e, ancora una volta, sentii la sua mano che mi sfiorava il viso.
Una carezza delicata, sottile, unica… che non aveva secondi fini. Forse…
-Chiedimi di restare.
-Va via.
Un macigno… ecco cos’erano quelle parole.
-Accompagnami alla porta, allora…
Gli feci strada lungo il piccolo corridoio, ma lui mi fermò afferrandomi delicatamente per i polsi.
Alzò le maniche della maglia e guardò i segni che c’erano ancora sulla mia pelle, poi portò le mani alla bocca e le baciò, fino ad arrivare ai polsi.
Quando ci passò su le labbra, i graffi presero un po’ a bruciare, ma era un dolore piacevole, dolce.
Chiusi per un attimo gli occhi e, quando li riaprii, le sue labbra erano a pochissimi millimetri dalle mie.
Tremai: sentii i battiti del cuore accelerare tanto da riempirmi le orecchie, lo stomaco contorcersi e la ragione venir meno.
Non poteva farmi ancora quest’effetto…
Cercai di distrarmi, ma Draco Malfoy sarebbe stato sempre il mio punto debole.
Richiamai tutta la mia forza di volontà e quel pizzico di lucidità che ancora avevo a disposizione, quindi, ripensai ad Henri.
Un conato di vomito mi riempii la bocca di un sapore acido e lo rimandai giù, poi, tornai a guardare Draco. –La porta è lì… se non mi lasci, credo che non ci arriveremo mai.
-Vuoi davvero che vada via?
-Sì.- avevo lo sguardo fisso sul pavimento e non riuscii a vedere l’espressione che si era disegnata sul suo viso.
La mia potevo immaginarla. Mi sentivo la brutta copia di una maschera veneziana: avevo le labbra tirate su un lato, per trovare la forza di non piangere e gli occhi serrati per non lasciare alle lacrime via libera.
Sentivo un vuoto al petto e sapevo che sarebbe diventato una voragine, non appena Draco sarebbe andato via.
S’incamminò alla porta senza aspettarmi, quindi, mi spostò e mi appoggiò delicatamente al muro.
Avere le sue mani addosso era un’emozione che, con il tempo, non avevo più provato, ma che emanava il suo ricordo ogni volta che pensavo a lui… e riprovarla era un po’ come infrangere il giuramento che avevo fatto a me stessa anni fa: Draco Malfoy non sarebbe stato più capace di farmi sentire viva.
Uno stupido, insensato giuramento fatto in un momento di rabbia, nel momento in cui mi ero sentita sola più che mai.
-Ti aspetto dopodomani al commissariato. Capisco che tu non voglia avere niente a che fare con me, quindi, darò le pratiche a Potter e te le sbrigherai con lui.
In quel preciso istante, il mio cellulare iniziò a squillare. Lo presi velocemente dalla tasca e risposi. –Pronto?
Era Henri.
Mi bastò sentire la sua voce per tremare come se fossi una foglia al vento.
Tremavo dall’interno del corpo e, quindi, lasciai cadere il cellulare sul pavimento.
Draco mi guardò e vidi i suoi occhi spalancarsi e prendere consapevolezza: non era certa che lui sapesse, ma non m’importava.
In quel momento, avrei solo voluto chiudermi in una stanza e non uscirne più o, magari, rendermi invisibile.
-Cosa succede?
-Sta venendo qui.- dissi.
Tremai ancora più forte al ricordo di quello che era successo l’ultima volta che Henri aveva messo piede in casa.
Cominciai a piangere e mi coprii gli occhi con le mani.
Sentii Draco avvicinarsi e mi strinse forte. –Non avere paura…
-Come faccio?
-Denuncialo.
-Come faccio?- continuavo a ripetere a me stessa.
Era una richiesta disperata di aiuto più che una domanda: da sola e, forse, anche con l’appoggio di qualcuno, non sarei stata capace di far niente.
Henri mi teneva in pugno.
Solo qualcuno dall’esterno avrebbe potuto salvarmi. –Andrà tutto bene… qui con te ci sono io.- una promessa.
La porta di casa si spalancò e l’odore pungente di Henri riuscì, anche da lontano, a perforarmi i sensi e ad inquinarmi i polmoni.
Mi appoggiai con più forza al corpo di Draco e porta le mani al petto, stringendo la sua divisa all’altezza del petto.
-Puttana.- disse Henri con un filo di voce, ma istintivamente portai le mani alle orecchie: non volevo sentire. Quello che in realtà era un sussurro, a me era sembrato un grido fortissimo accompagnato da un’eco troppo amplificata.
-Henri, ti prego di uscire da questa casa.- disse Draco con tono gentile, ma che di certo non nascondeva il carattere di minaccia che aveva quella richiesta.
-Zitto stronzo.
-Modera i termini. Ti ripeto di lasciare questa casa.
-Hai mai assaggiato il sangue, stronzo?
Si stava mettendo male: avrei voluto fuggire.
Mi raggomitolai in un angolo, le mani sempre alle orecchie e gli occhi serrati.
-Vuoi prendermi a pugni?
-Mi pare il minimo…
-Dai, fallo.
-Credi che indossare una divisa ti renda più forte?
-Affatto.
-Gli uomini non sono quelli come te.
-Neanche quelli come te.
Sentii il suono di pugno e aprii gli occhi: Draco aveva il capo rivolto verso il muro, mentre Henri si massaggiava la mano.
Un altro pugno. –Basta! Basta.- Urlai, in preda ad una crisi.
Mi alzai e mi diressi a passi veloci verso Henri e lo spintonai. –Stronza.
-Vattene. Vattene via… Sei un bastardo.- Mi diede uno schiaffo, ma il dolore non riuscì a fermarmi, anzi… mi servì per lasciar libero sfogo alla mia rabbia. –Esci fuori da questa casa.
-Come ti permet…
-Immediatamente. Non voglio vederti mai più, stronzo.
-Non sfidarmi: sei quello che sei grazie a me.
-No, io sono quello che sono grazie a me. Tu non hai mai fatto niente per me.
-Ah no?
-No. Credi che qualche regalo, di tanto in tanto, mi abbia spinto a diventare avvocato?
-Qualche regalo? Ti ho vestito da capo a piedi.
-E allora? Sai una cosa?- dissi, correndo in camera mia.
Arrivata in camera, chiusi la porta, presi la valigia e l’aprii, poi aprii l’armadio e lo svuotai.
Riempii la valigia di tutti gli abiti che avevo portato a Londra, senza neanche preoccuparmi di sistemarli.
Svuotai anche i cassetti, poi tornai in salone, trascinando la valigia ancora mezz’aperta.
-Cosa? Cosa devo sapere?
-Riprenditeli i tuoi regali. Riprenditi tutto quello che mi hai dato.- lo colpii con un calcio tra le gambe e lo vidi piegarsi. Gli tirai i capelli e lo colpii con tutta la forza che avevo. –Tutto. Sarebbe stato meglio se non ti avessi mai conosciuto, se non fossi mai entrata nella tua vita, se non ti avessi mai dato modo di intralciare il mio cammino.
-Solo questo?- disse, alzandosi e guardandomi negli occhi.
-No. Riprenditi anche gli insulti che mi hai fatto.- gli sputai in faccia con tutto il disprezzo che provavo verso di lui, poi lo spinsi fuori di casa, buttandogli la valigia ai piedi. –E smettila di dire che sono io a non poter avere figli: prenditela con te e con la tua impotenza, perdente!- chiusi la porta, sbattendola forte.
Mi sedetti sul divano e cominciai a piangere.
Mi sentivo libera da ogni angoscia, da ogni paura…
Qualcuno mi accarezzò le spalle e quasi urlai dallo spavento, quindi mi voltai a guardare chi fosse.
Draco… avevo dimenticato che fosse lì.
Lo abbracciai forte e lui mi accarezzò i capelli per tutto il tempo.
Quando riuscii a calmarmi, quando i singhiozzi non mi impedirono più di parlare, presi un respiro profondo e guardai Draco. Gli passai un dito all’angolo della bocca, dove il sangue si stava raggrumando.
-Cavoli se ci dai dentro!
Sorrisi. –Mi… mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a questo… schifo.
-Sei forte, Granger!- sorrise a sua volta, poi con il pollice e l’indice mi catturò il polso per fissare i suoi occhi nei miei.
Ora, la voglia di baciarlo era più forte che mai e mi avvicinai a lui. Nel frattempo, la mia mano si era aperta e lui ci aveva appoggiato su prima le labbra, poi la guancia.
Chiusi gli occhi per un solo istante. –Va via, Draco.
Mi lasciò il viso e mi baciò dolcemente la fronte, sistemandomi i capelli sulle spalle.
Si alzò dal divano e andò via, chiudendo la porta.
Ero rimasta sola: avevo perso Henri perché l’avevo voluto…e avevo perso di nuovo Draco, perché l’aveva voluto il destino.
Ma chi l’avrebbe spiegato al mio cuore?


Spoiler capitolo 13:
Continuai a fissare il vuoto, come se non esistesse cosa più interessante, poi il cellulare iniziò a suonare. -Pronto?
-Hermione, ciao, sono Cloe.
Per un attimo, trattenni il respiro. -Dimmi.
-Potresti farmi un piacere?
-Certo.
-Natan ha la febbre ed io ho urgente bisogno di uscire. Draco non c'è e allora mi chiedevo se potresti...
-Certo.- non le lasciai terminare la frase.
Sapevo che ero sul un punto di non ritorno, ma in fondo, era mai stato diversamente? No, fingevo solo di essere andata via dal passato.
Forse, ogni passo verso Draco era un errore, ma era stato anche un errore scappare via da lui.
Presi la borsa e uscii di casa.
Quando mi trovai di fronte casa Malfoy, mi fermai ed osservai la porta: era di legno scuro a doppi battenti. Negli angoli in alto c'erano due vetri su cui erano disegnati dei rami, negli angoli in basso erano disegnati, sempre con il legno massiccio, dei fiori.
Nulla di quella casa rispecchiava Draco,a parte la stanza di Natan.
Mi sistemai la giacca e bussai al campanello.


***
Angolo Autrice
Eccomi qui! Chiedo ancora una volta scusa per non aver lasciato lo spoiler nel prossimo capitolo... ma spero che mi perdoniate *.*
Questo capitolo è stato un pò difficile da scrivere... A dire la verità avevo tante tante parole da far dire ad Henri, ma non volevo rovinare la femminilità di Hermione quando c'era anche Draco, anche se... BRAVA HERMIONE!
-Hermione: contente? Si è svegliata e si è data una mossa;
-Meredith: cercate di capire il suo rifiuto all'aiuto di Draco... si sente sconfitta per la morte del marito e spesso dimentica che Hermione è un avvocato;
-Draco: non trovate sia meraviglioso il discorso tra i due? A me è piaciuto tantissimo il suo personaggio in questo capitolo, perchè ha esposto i due lati del suo carattere;
-Henri: ha ricevuto una piccola parte di ciò che si meritava, no? Chissà che fine farà...
Lo spoiler: non dice niente di che, lo so, ma perdonatemi xD Il capitolo è scritto solo a metà...

Risposte alle recensioni:

sa chan: Ecco a te il capitolo. Spero che il forcone non sia già pronto. Mi fa davvero piacere che lo scorso capitolo ti sia piaciuto tanto *.* e comunque sì, quella faccina è stupenda. Un bacio;

Rosa di cenere: Ahaha, la tua recensione mi ha fatto morire dalle risate. Lo so che sono stata bastardissima a interrompere li il capitolo, ma un pò di suspence ci vuole, no? Ti ringrazio come sempre per tutti i complimenti che mi fai: mi rendi felice. Mi fa piacerissimo che i capitoli ti piacciano tanto *.*. Un bacio;

banvany: Benvenuta! Sono davvero felice che la storia ti piaccia e che non risulti banale. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e spero di doverti ringraziare anche nel prossimo capitolo. Un bacio;

Axel_Twilight_93: Eccoci qui! Chiedo scusa anche a te per aver interrotto il capitolo precendente in quel modo, ma spero che mi abbia perdonata ^^. Un bacio;

OneLove4: Eh sì, lasciarvi senza spoiler è stata un pò una cattiveria. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, un bacio;

dramy96123: Ahahah, mi spaventi con i tuoi istinti omicidi, ma, mi dispiace deluderti, Henri non morirà di Crociatus XD. Mi fa piacere che tu abbia trovato il frappè e mi dispiace averti fatto venire lo sfizio nel momento in cui non potevi uscire di casa. Ecco a te il capitolo. Un bacio;

Gin92: Ecco a te il capitolo. Mi fa davvero piacere che ti abbia sorpresa la presenza di Draco... da come hai potuto vedere in questo capitolo,Hermione ha capito che non c'è niente da salvare con Henri... Per quanto riguarda Cloe, hai già detto che è una domanda che troverà risposta nei prossimi capitoli, ma posso confermarti che lei sapeva di Hermione. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e chiedo scusa anche a te per quanto riguarda lo spoiler. Un bacio.

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Siete aumentati ancora, grazieee!
Davvero, senza di voi e i vostri commenti la storia non andrebbe avanti e sono felice che molte persone seguano questa mia pazzia. Vi ringrazio infinitamente.
Ringrazio anche i lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream




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Capitolo 13
*** Natan... ***


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Capitolo 13: Natan...

Image and
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Salii in camera, senza neanche concedermi il tempo di realizzare ciò che era successo.
Chiusi la porta, come se volessi difendermi da qualcosa che in realtà non esisteva: era solo la mia ossessione di persecuzione, la mia paura che Henri tornasse da un momento all’altro.
Mi appisolai un po’ sul letto, ma ci rinunciai quando mi resi conto che, ogni volta che chiudevo gli occhi, Draco era lì.
Mi sentivo devastata al pensiero che era stato così facile lasciarlo entrare di nuovo nella mia vita, anche se continuavo a non volerlo ammettere: Draco c’era, anzi, non era mai andato via.
Ero in uno stato di sonnolenza, ma riuscivo a distinguere bene i rumori che mi circondavano: le auto, le signore che parlavano, i bambini che giocavano, il mio cellulare che squillava... il mio cellulare!
Sobbalzai. Ero talmente assente a me stessa che parlavo di me in terza persona e neanche mi rendevo conto di quello che succedeva intorno.
Mi sentivo come se passassi i miei giorni in una bolla di sapone che era scoppiata grazie ad Henri, certo, ma che si ricostruiva immediatamente dopo l’esplosione.
Mi alzai dal letto ed andai in salone dove avevo lasciato il cellulare, ma quando lo raccolsi dal pavimento, aveva già smesso di squillare, quindi, lo appoggiai sul cuscino del divano e mi sedetti anche io.
Aspettai che suonasse ancora.

Continuai a fissare il vuoto, come se non esistesse cosa più interessante, poi il cellulare iniziò a suonare. -Pronto?
-Hermione, ciao, sono Cloe.
Per un attimo, trattenni il respiro. -Dimmi.
-Potresti farmi un piacere?
-Certo.
-Natan ha la febbre ed io ho urgente bisogno di uscire. Draco non c'è e allora mi chiedevo se potresti...
-Certo.- non le lasciai terminare la frase.
Sapevo che ero sul un punto di non ritorno, ma in fondo, era mai stato diversamente? No, fingevo solo di essere andata via dal passato.
Forse, ogni passo verso Draco era un errore, ma era stato anche un errore scappare via da lui.
Presi la borsa e uscii di casa.
Quando mi trovai di fronte casa Malfoy, mi fermai ed osservai la porta: era di legno scuro a doppi battenti. Negli angoli in alto c'erano due vetri su cui erano disegnati dei rami, negli angoli in basso erano disegnati, sempre con il legno massiccio, dei fiori.
Nulla di quella casa rispecchiava Draco,a parte la stanza di Natan.
Mi sistemai la giacca e bussai al campanello.
Cloe aprì la porta e mi sorrise raggiante. –Grazie.- mi baciò una guancia, stringendomi. –Vieni, entra.
-Sì.
-Allora, qui c’è tutto l’occorrente: aerosol, antibiotici. Dubito che tu sappia qualcosa in materia, ma ai bambini l’antibiotico va dato in base al peso.
Ma come si permetteva? Era vero che io non ero ancora mamma, ma non significava certo che fossi incompetente. –Lo so, Cloe.
-E qui,- mi porse un sacchetto. –ci sono i vari misurini.
-Bene.
-Ora vado, ci vediamo tra un po’. Spero di trovarti ancora nel pieno delle tue facoltà: Natan è un diavolo.
Sorrisi, senza risponderle. Come si poteva paragonare un bambino ad un diavolo? Ogni bambino, anche se irrequieto è un angelo, un dono di Dio…
Quando Cloe uscì di casa, mi diressi in camera di Natan. –Ciao.- disse, scoprendosi velocemente dalle coperte e saltandomi al collo.
-Ciao piccolo. Come ti senti?
-Un po’ giù.
-Allora, mettiamoci a letto e giochiamo, d’accordo?
-Sìì.
Mi sedetti di fronte a lui, all’angolo destro del letto per non occupare troppo spazio e per non impedirgli i movimenti.
Raccolsi qualche giocattolo e lo imitai mentre muoveva i vari personaggi.
Squillò ancora il cellulare, quindi mi alzai per prendere la borsa. –Scusami un attimo.- Andai nel corridoio e risposi. –Pronto?
-Spiegami un po’… da quando ti hanno privato delle mani?
-Perché?
-Non mi hai chiamata più!
-Emh… scusami. Ho la testa altrove.
-Io credo che tu non ce l’abbia proprio.
-In effetti.
-Vengo a prenderti e andiamo a prendere un caffé.
-Non posso.
-Come mai?
-Ho il bimbo con la febbre.
-Sei diventata madre e non lo sapevo?
-Non è mio figlio…
-E di chi, allora?
-Draco.
Sprofondai nell’istante in cui Ginny mi regalò il suo silenzio e ripensai alle parole che avevo detto: volevo bene a Natan come se fosse mio figlio perché desideravo che fosse tale.
Desideravo sentirlo mio, rimboccargli le coperte e coccolarlo quando stava male…
-Draco?- mi chiese dopo una lunga pausa.
-Sì.
-Mi sono persa qualcosa, vero?
-Un bel po’ di cose, direi…
-Dovrai raccontarmi tutto, quindi non dimenticare i particolari. Ora, torna dal bimbo… ci sentiamo.
-Sì, ciao.- tornai in camera e mi sedetti accanto a Natan. –Eccomi.
-Era il tuo fidanzato? Sai che mi è antipatico?
-No, non era il mio fidanzato… e comunque…
-E’ così brutto: è tutto nero.
Risi. In effetti, Henri era scuro di carnagione ed anche i capelli erano scuri. –D’accordo, non ti piace e ti perdono.
-Tu, invece, sei così bella.
-Grazie, che gentiluomo.
-Sei anche più bella di mamma, perché tu sei dolce.
E questo cosa significava? –Natan, è meglio…
-Lei non gioca mai con me, è sempre sul divano a guardare la televisione, oppure esce: dice che va a lavorare, ma lei non lavora.
-E tu che ne sai?
-Lo dice sempre papà quando litigano. Anche se mi copro le orecchie con le mani, li sento lo stesso.
-Cosa le dice, Natan?
-Dice “Credi che andare dall’estetista sia un lavoro?” e lei ride.
-Ascoltami…
Ma non mi ascoltò, anzi, si accoccolò sul mio seno e continuò a parlare. –Papà vorrebbe solo che mamma gli preparasse il caffé, che mangiassero insieme, che si ricordasse di venirmi a prendere a scuola e che…
-La mamma è solo stressata.
-Ma non fa niente, non fa mai niente lei.
Guardai l’orologio e notai che erano le 12, 04. –Hai fame?
-Tantissima.
-Allora, cosa vuoi mangiare?
-Le patatine.
-Non puoi, tesoro: fanno male al pancino.- dissi, solleticandolo.
Era bellissimo quando rideva: somigliava a Draco e non mi sarei mai stancata di sentire il suono della sua risata.
Una risata cristallina, pura, vera. –Va bene…- disse tornando serio. –Allora… voglio quella cosa arancione.
-Cos’è quella cosa arancione, Natan?
-Quella cosa… è rotonda.
-La zucca?
-Si, la zucca.
-Resta qui, chè vado in cucina a prepararla.
-Tu mangi con me, vero?- fece gli occhi da cucciolo, anche se non dovette sforzarsi troppo.
-Va bene.
Sorrisi. Non c’era alcun dubbio: Draco aveva messo al mondo un sé stesso in miniatura, perfetto in ogni dettaglio, tranne nel colore degli occhi.
Un piccolo particolare, irrilevante… per il resto, quel bambino era tutto suo padre.
Una volta in cucina, aprii il frigorifero per controllare che ci fosse la zucca, quindi cominciai a tagliarla e a lavarla, poi la sistemai nella pentola e la misi a cuocere.
Mi sentivo in imbarazzo a dover aprire i mobili di una casa che non era la mia, ma non avevo altra scelta.
Soprattutto perché, altrimenti, Natan sarebbe rimasto digiuno.
-Hermione. Hermione.
Tornai nella sua camera per vedere cos’era successo. – Natan?- dissi preoccupata per il tono di voce con cui mi aveva chiamata.
-Questo è il mio cartone preferito, vuoi guardarlo con me?- Mi sedetti ai piedi del letto e lui mi accarezzò uno spalla. –Vicino a me…
Come poteva un bambino così dolce essere definito “diavolo” da sua madre?
Non me ne capacitavo.
Mi alzai e mi sistemai di fianco a lui, in modo da lasciargli quanto più spazio possibile e lui mi coprì le braccia con un po’ della sua coperta, poi, prese una ciocca dei miei capelli e cominciò ad avvolgerla attorno all’indice.
Lo osservavo: aveva la bocca distesa in un leggero sorriso e gli occhi arrossati dalla febbre, ma sereni.
Mi guardò negli occhi e sorrise.
Gli accarezzai i capelli, poi mi scusai ed andai a controllare la zucca.
Era cotta, ma odiavo sentirne la consistenza in bocca, quindi frugai nei vari cassetti e, dopo aver trovato il mixer pimer, lo immersi nella pentola e passai la zucca fino a farla diventare una crema.
Mi sentii tirare la maglia e mi voltai. –Questa.- Natan mi stava porgendo un barattolo contenente della pasta.
-Va bene. Ora però torna a letto…
-Ho messo la vestaglia come papà, così non ho freddo e posso stare qui.
Presi il barattolo dalle manine di Natan e pesai la pasta, quindi, la versai nella pentola, mente lui andò a stendersi sul divano.
Apparecchiai la tavola in totale disagio, girando, di tanto in tanto, il contenuto della pentola.
Quando fu pronto, con il mestolo misi la pasta nei piatti e li portai a tavola. –Natan, è pronto.
Si sedette a tavola e sistemò il tovagliolo intorno al collo. Poi, mi sorrise e ingoiò il primo boccone. –E’ buonissima.- disse, sputacchiando qui e lì.
-Sono felice.
-E’ buona perché non ci sono i pezzi: a me mi fanno schifo!
Sorrisi: un altro particolare che aveva ereditato da Draco, “ a me mi…” lo diceva sempre anche lui, anche se sapeva che era grammaticalmente sbagliato. –Non si dice “mi fa schifo”, Natan.- lo rimproverai bonariamente.
-Scusa. Ma lo sai che anche quando mi sgridi sei più brava di mamma?
Non risposi e aspettai che finisse di mangiare. –Vuoi qualche altra cosa?
-No.- si massaggiò la pancia in segno che era sazio.
Mi alzai e versai nel misurino 5 ml di antibiotico: faceva venire il vomito già dall’odore.
Mi avvicinai comunque a Natan. –Sei pronto?
-Non mi piace.
-Lo so, ma se vuoi che la gola non bruci più, devi prenderlo.
-Ma puzza.
-Facciamo un patto: tu bevi l’antibiotico…
-…e tu mi compri un gelato?
-No, farò di più: appena starai bene, ti porterò al luna park.
-Affare fatto!- disse, stringendomi la mano come se fosse un uomo adulto.
Sorrisi e riuscii a sentire il disgusto che provava lui mentre ingoiava l’antibiotico: riuscii a capire dall’espressioni che si susseguirono sul suo viso ogni sapore che aveva sentito.
E non mi meravigliai di questo: il mio lavoro, per la maggior parte del tempo, comportava lo studio delle espressioni e degli atteggiamenti che le persone assumevano. –Ora, però, fila a letto, giovanotto.
-Sì, ho pure sonno. Mi fai compagnia?
-Va bene.
Aspettai che Natan si sistemasse, poi mi sedetti accanto a lui.
Mi prese l’orecchio e cominciò a massaggiarlo e pochi minuti dopo, mi ritrovai a fissarlo mentre dormiva beato.
Ripensai a tutto quello che mi aveva detto poco prima, a quanto Draco soffrisse per l’assenza di Cloe, mentre lui le chiedeva i gesti che una moglie avrebbe dovuto fare automaticamente, per il desiderio di farli.
Doveva sentirsi un po’ come mi sentivo io con Henri, con la differenza che io gli davo troppo e non venivo apprezzata.
Per questo, io e Draco ci sentivamo parti mancanti di un puzzle disegnato al contrario, perché noi non eravamo solo pronti a ricevere, ma anche a dare… cosa che, in questo mondo, stava a significare essere deboli.
Quando stavamo insieme non c’era stato giorno in cui non ci fossimo completati a vicenda, anche quando litigavamo: io ricevevo da lui quello che mi mancava e viceversa.
Cloe rientrò in casa e mi guardò, mentre mi alzavo dal divano per andarle incontro e darle una mano con le buste.
Mi aveva chiamato dicendo che aveva urgente bisogno di uscire, quindi un po’ di shopping per lei era più importante di suo figlio? –Che guardi?- mi chiese, con tono sarcastico.
-Niente… credevo solo avessi da fare qualcosa di importante.
-Infatti, è così, non vedi?- disse, mettendomi davanti agli occhi una piccola busta della farmacia che conteneva qualche scatola di medicinali.
-Quasi quattro ore per passare in farmacia?
-Non credo siano affari tuoi.
-Non lo sono, certo, ma tuo figlio è a letto con la febbre alta.
-Appunto, hai detto bene: è mio figlio e lo cresco a modo mio.
-Lo cresco cosa significa, Cloe? Chiedi piaceri a chiunque per liberarti di lui e andare in giro per Londra?
-Ti è pesato badare a lui?
-No, anzi, ci passerei giorni interi accanto a Natan, ma questo non significa che tu debba approfittarne.
-Ci passeresti giorni con Natan o con Draco?
-Co-cosa?
-Credi che non abbia notato come vi guardavate, quella sera?
-No-non…
-Credevi che non sapessi niente? Io sapevo tutto di te, dall’inizio e ti conoscevo già prima di scontrarti al parco.
-Tu…
-Sì.
-I-io… davvero, non so…
-La grande Hermione Granger, uno dei migliori avvocati di Parigi, che balbetta di fronte ad un’insulsa donna londinese.
-Devo andare, Cloe…
-Va pure, cara.
-Dai un bacio a Natan da parte mia, quando si sveglia…
-Ne darò anche uno a Draco, quando torna dal lavoro.
Un pugno allo stomaco, una gomitata in pieno viso, un calcio al centro della schiena. –Ciao.
Scappai via come una codarda, come chi ha paura di fare i conti con la realtà che le è sempre stata di fronte.
Più che altro, mi sentivo tradita: Cloe sapeva e questo, per un verso, voleva dire che mi aveva invitata a cena con lo scopo di farmi soffrire.
A meno che non avesse qualche altro motivo per architettare tutto… ma cosa poteva giustificare un comportamento simile?
E alla fine, l’unica cosa che in realtà m’importava non era trovare un motivo per giustificare Cloe, ma una scusa plausibile da raccontare a me stessa per spiegare che tanto dolore non dipendesse dalla presenza di Draco nella mia vita.
Senza neanche rendermene conto, mi ero rintanata sotto le coperte, nella mia stanza e avevo cominciato a piangere.
Sentivo la schiena scossa dai singhiozzi, ma non riuscivo a fermarmi.
Avevo bisogno di piangere, di mandare via da me la disperazione: la consapevolezza di voler ancora Draco al mio fianco era lacerante.
Non potevo averlo, ma allo stesso tempo, non mi sentivo pronta a perdere anche il desiderio di lui…

Spoiler Capitolo 14:

La prossima tappa, sarebbe stata il negozio di articoli sportivi, quindi camminai ancora per i corridoi di quell’immenso ammasso di cemento e, quando vidi la vetrina del negozio che m’interessava, avanzai il passo.
Entrai ed anche qui provai qualche felpa, qualche paio di scarpe, pagai ed andai via.

Mi fermai al bar per bere qualcosa e...

***
Angolo Autrice:

Eccomi qui! Vi ho fatto aspettare, eh? Lo so e perdonatemi, ma questo per me non è affatto un periodo facile, ma non mi dimentico di voi, anzi...
E' stato un capitolo difficile da scrivere: calarsi nei panni di un bambino è sempre difficile.
I "discorsi" tra Draco e Cloe, per quanto riguarda le loro litigate, sono realissimi e, ogni riferimento è puramente casuale.
-Natan: è molto legato a Cloe, ma adora Hermione per la dolcezza e perchè lei lo fa sentire importante: gioca con lui con il piacere di farlo e non cerca di fare altro;
-Hermione: adora i bambini, in particolare Natan perchè appartiene a Draco che è una parte importante della sua vita. Per quanto riguarda il dialogo che ha con Cloe, per lei è come ricevere una secchiata di acqua gelata in pieno inverno, capite cosa intendo?
-Cloe: la odierete tantissimo in questo capitolo, ma cercate di capire anche lei... Inoltre, non giudicatela in fretta: Cloe ha ancora un ruolo importante e fondamentale per Draco ed Hermione. In seguito, poi... capirete perchè continuo a dirvi di non giudicarla in fretta.
Lo spoiler: volate con la fantasia e ditemi secondo voi cosa succederà quando Hermione si ferma al bar. Ditemi secondo voi cosa ci sarà dopo "e..."

Risposte alle recensioni:

sa chan: Ecco a te il capitolo, con le risposte a tutte le domande che ti sei fatta! Hermione manda via Draco e MENOMALE... non c'è un perchè preciso, ma io credo che l'attesa, in alcuni casi, aumenti il desiderio xD Spero davvero che questo capitolo ti piaccia come il precedente. Grazie per i complimenti *-* Un bacio;

OneLove4: Sono felice che ti sia piaciuta la reazione di Hermione e che ti abbia fatto ridere, un bacio;

Axel_Twilight_93: Grazie...sono felice che il capitolo ti sia piaciuto e soprattutto che tu mi abbia perdonata. Hai ragione, ce ne sarebbero di cose da dire, ma credo che nei momenti di rabbia, il cervello non sia tanto collegato xD Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio;

Dramy96123: Draco non risponde ai pugni per rispetto di Hermione: come hai visto lei non reagisce prima che lui riceva il secondo pugno. In più, non dimentichiamo che il suo lavoro gli impone di limitarsi xD Mi dispiace aver mandato a morte il tuo ennesimo piano di morte, ma in fondo in fondo, Henri mi fa pena XD. Grazie dei complimenti e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio;

Rosa di cenere: Grazie, grazie, grazie! Mi lusinghi troppo, davvero! Ma mi fa piacere che la storia ti piaccia tanto... da come hai potuto vedere, ieri non ho postato nessun capitolo, proprio perchè tu non c'eri xD Draco *.* lo penso anche io.
Hermione si è svegliata e diciamo che ha messo da parte tutta la sua classe e il bon ton per togliere di mezzo Henri, ma non credere che tutto sia finito, eh... forse, non è tutto così come sembra! Ti ringrazio ancora per i complimenti *-* e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio;

banvary: che gioia ritrovarti ^.^ Grazie per i complimenti al capitolo e spero che questo ti sia piaciuto allo stesso modo. Draco, l'hai già detto tu, è perfetto di suo e mi fa piacere che con la divisa ti ispiri xD. Un bacio;

Gin92: Alla faccia! Sì, finalmente Hermione è riuscita a mandarlo via, ma come ho già detto, non tutto è come sembra.
Ho molta voglia di scrivere che Hermione cede e che bacia Draco *.*, ma credo sia ancora presto xD e non so SE accadrà ^^ Spero che questo capitolo ti sia piaciuto allo stesso modo di quello precendente. Un bacio.

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Capitolo 14
*** Un giorno qualunque... ***


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Capitolo 14: Un giorno qualunque...


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Quando mi svegliai, trovai un biglietto di mamma sul comodino.
Mi aveva scritto che era uscita per svagarsi un po’. In effetti, il lavoro le toglieva parecchio tempo e non era mai in casa proprio per questo, quindi uscire per distrarsi mi sembrava un ottimo modo per trascorrere la giornata, soprattutto per lei che non riusciva ancora a sopportare l’assenza di papà.
Andai in bagno a lavare il viso e le mani, andai in cucina e avviai la macchinetta del caffé e mi sedetti, mentre aspettavo.
Il cielo di Londra era ancora illuminato dal tenue sole invernale e sorrisi.
Mi sembrava un segno di buon auspicio, un buongiorno gridato dalla città.
Riempii la tazza col caffé e tornai a sedermi con il cellulare tra le mani, quindi, digitai il numero di Ginny e attesi una risposta.
Probabilmente, era già a lavoro e aveva lasciato il cellulare nell’armadietto, quindi decisi di andare in ospedale.
Salii in camera per vestirmi e mi ricordai di aver svuotato l’armadio e di aver lanciato la valigia ad Henri, quindi infilai gli abiti del giorno precedente ed uscii di casa, prendendo al volo la borsa.
Mamma mi aveva lasciato l’auto, quindi non avrei impiegato molto tempo per fare un giro ai grandi magazzini e andare poi in ospedale.
Una volta partita, accesi la radio e cominciai a cantare.
Non volevo ascoltarmi, né tanto meno dare voce ai miei pensieri, quindi, qualsiasi attività tenesse impegnata la mia mente era un toccasana.
Parcheggiai l’auto e la chiusi, poi mi avviai al centro commerciale.
Sapevo già di cosa avevo bisogno, quindi, andai direttamente nei negozi che mi interessavano.
Provai qualche jeans e qualche felpa. E portai nel camerino anche qualche vestitino.
Decisi di acquistarli, quindi pagai e uscii dal negozio.
Mi fermai di fronte alla vetrina del negozio di calzature e osservai i tipi di scarpe che andavano di moda quest’anno, quindi entrai e diedi alla commessa la misura delle scarpe e le spiegai i modelli che m’interessavano.
Mi sedetti sullo sgabello e provai le scarpe, alzandomi per camminarci un po’ su.
Anche qui, pagai ed uscii.
La prossima tappa, sarebbe stata il negozio di articoli sportivi, quindi camminai ancora per i corridoi di quell’immenso ammasso di cemento e, quando vidi la vetrina del negozio che m’interessava, avanzai il passo.
Entrai ed anche qui provai qualche felpa, qualche paio di scarpe, pagai ed andai via.
Mi fermai al bar per bere qualcosa e, quando il cameriere mi servì la premuta d’arancia che avevo ordinato, mi girai.
Di fronte a me c’era un uomo seduto al tavolino e mi dava le spalle: era biondo ed aveva la stessa statura di Draco, le stesse spalle larghe… ma non era lui.
Me lo diceva il mio cuore che, pur vedendo dei lineamenti familiari, non aveva accennato a battere più forte.
Ebbi la mia conferma quando l’uomo si girò. Mi guardò ed alzò il suo bicchiere come a voler fare un brindisi.
Mi girai velocemente per dargli le spalle e pagai il cameriere, dopo di che andai via.
Mi diressi al bagno per cambiarmi ed indossare gli abiti nuovi che avevo acquistato.
Avevo bisogno di vedermi diversa, anche se solo negli abiti che indossavo… era un  pensiero stupido, me ne resi conto subito dopo averlo formulato, ma quei vestiti mi ricordavano Henri e il mio modo di cacciarlo via.
Mi ricordavano Draco e le sue carezze tentatrici e mi ricordavano Natan e le verità che inconsapevolmente mi aveva rivelato.
Mi spogliai lentamente, quasi indecisa a voler mandar via quei ricordi che portavo addosso.
Quando rimasi in intimo, mi guardai i piedi e risalii a guardare le gambe.
Chiusi gli occhi, immaginando le carezze che tanto mi erano mancate, poi mi ridestai e mi vestii velocemente.
Non potevo permettermi di sognare lui, né tantomeno desiderarlo al punto di sentire addosso le sue carezze, il calore delle sue mani, la morbidezza delle sue labbra sottili.
-Smettila!- mi rimproverai ad alta voce.
Quando uscii dalla toilette, mi trovai di fronte una bambina che mi guardava con tanto di occhi aperti.
Mi limitai a sorridere, immaginando i suoi pensieri, poi mi diressi nei corridoi dei grandi magazzini.
Tornai al parcheggio ed entrai in auto.
Mi guardai le mani e mi accorsi che portavo ancora la fede.
Ci voleva coraggio a metterla via: avrei dovuto ammettere il mio fallimento, il secondo della mia vita, ma non di certo il più grande.
Il mio più grande fallimento era la storia con Draco.
Avrei dovuto riprendere in mano le redini della mia vita e avrei dovuto cominciare dalle cose più impegnative.
Per prima cosa, avrei dovuto trovare un lavoro e fittare casa per non privare mamma della quotidianità a cui si era abituata.
Inoltre, avevo bisogno dei miei spazi, della mia privacy e per quanto mamma provasse a rispettarla, non ci riusciva mai completamente.
Misi in moto ed uscii dal parcheggio.
Durante il tragitto, cercai di svuotare la mente da ogni pensiero, da ogni preoccupazione, da ogni desiderio che ero costretta a reprimere.
Arrivai di fronte all’entrata dell’ospedale e presi il cellulare dalla borsa per chiamare Ginny, ma mi trovai a rispondere. –Ginny!- ed ero sempre più convinta che quella ragazza fosse capace di leggermi nel pensiero. – Stavo per chiamarti.
-Ho visto la tua chiamata e…
-Sono fuori all’entrata dell’ospedale.
-Dammi dieci minuti e sono da te.
-Bene, ciao.
Staccai la telefonata e posai il cellulare in borsa.
Parcheggiai meglio ed appoggiai i gomiti al volante, appoggiando il mento nel palmo della mano destra.
I miei occhi si posarono sull’enorme edificio. Incuteva quasi terrore,a  guardarlo così.
Era alto diversi piani ed era grigio scuro, in perfetto pendant con il cielo nuvoloso di Londra ed anche con la mia anima.
Sobbalzai quando Ginny aprì la portiera e si sedette sul sedile del passeggero. –Ciao.- mi disse, baciandomi su una guancia.
-Mi hai fatto prendere un colpo.
-L’ho notato.- sorrise. –Ho invitato Blaise, ti dispiace?
Scossi il capo. –Affatto.
Adoravo essere in sua compagnia, in più avevo bisogno di parlare con lui.
Pochi minuti dopo, Blaise si sistemò sui sedili posteriori. –Siamo sicuri con te alla guida?
-Hai qualche dubbio?- gli chiesi, girandomi per guardarlo.
-Abbastanza.- mi sorrise e misi in moto.
Restammo in silenzio, fino a chè Ginny non lo spezzò. –Ho fame.
-Andiamo a mangiare qualcosa?
-Dove?
-A casa mia.
Su questo non eravamo cambiati: parlavamo sempre contemporaneamente, coprendo le altre voci con le nostre.
Alla fine, assecondammo l’idea di Ginny e presi la strada che portava a casa sua.
Per il resto del viaggio, ci azzuffammo sul piatto da cucinare.
-Mangeremo a seconda di quello che ho in frigo.- decretò Ginny. –Ora smettetela di fare le oche.
-Io sono un uomo, Ginny.
-Allora sei un papero.
Risi. Ginny era meravigliosa: trovava sempre la soluzione migliore e se ne usciva con questi paragoni da cabaret.
L’adoravo. Non per niente era la mia migliore amica.
Arrivammo fuori casa di Ginny ed aspettai che lei e Blaise scendessero dall’auto, poi parcheggiai e scesi anche io.
Entrai direttamente in casa, visto che Ginny aveva lasciato la porta aperta.
Mentre stavo per richiudere la porta, qualcuno la bloccò e la riaprii.
Sbarrai gli occhi dallo spavento.
In quel breve susseguirsi di secondi, sentii il cuore riempirsi di terrore e pulsare più forte. Un solo nome mi riempii la mente e stavo per pronunciarlo, quando l’immagine di Harry riempì la mia visuale.
Tirai un sospiro di sollievo. –Harry?!
-Certo chi credevi che fosse?
-Ne-nessuno.
Chiuse la porta e mi cinse le spalle con le sue braccia, poi mi baciò una guancia. –Come stai?
-Meglio.
Andammo in cucina e Ginny si era già messa all’opera ai fornelli, mentre Blaise stava apparecchiando il tavolo.
Harry si avvicinò a Ginny e la baciò. Io guardai Blaise e gli rivolsi un sorriso triste.
Mi sedetti al tavolo e gli altri mi imitarono.
Mi guardavano, come se si aspettassero qualcosa da me e sapevo di dover dar loro delle spiegazioni. –Ho rivisto Draco.
-Lo so.- rispose Harry. –E’ venuto nel mio ufficio e mi ha chiesto di quei segni che hai sulle braccia… e io gli ho detto la verità.
-Ieri sono stata a casa sua, perché sua moglie mi aveva chiesto un piacere.
-E com’è stato?- mi chiese Ginny.
Non era mai stato facile esprimere i miei sentimenti a voce, ma dovevo farlo. –Strano. Natan mi ha raccontato che Draco e Cloe litigano spesso, perché lei non è una buona moglie.
-In che senso?
-Non si occupa di lui.
-Io lo conosco bene, Herm.- intervenne Blaise. –E so che se anche Cloe fosse una buona moglie, a lui non basterebbe perché non è la donna che ama e che avrebbe voluto al suo fianco… lasciando stare il fatto che Cloe davvero non lo cura.
-E’ la vita che ha voluto scegliere lui, Blaise.
-Si è sentito obbligato a farlo.
-Io ero pronta a tutto e voi lo sapete. Non m’importava di niente: gli sarei stata accanto e avrei affrontato ogni cosa con lui.
-Ha avuto paura, era un bambino anche lui, Herm.
Abbassai lo sguardo quasi colpevole.
Nessuno di loro aveva torto, ma allo stesso modo nessuno di loro avrebbe potuto capire il mio dolore.
-Ti ama ancora, lo sai no?
-I-io…
-E lo ami anche tu!
-E’ passato tanto tempo, le cose cambiano.- dissi, cercando di ingoiare il nodo che mi si era formato in gola.
-Possono cambiare le cose: una montagna può consumarsi per via del vento, un fiume può seccarsi per via del troppo sole o può superare le sue rive per la troppa pioggia… le persone modificano il loro carattere: possono peggiorare o migliorare. Ma i sentimenti non cambiano, quando sono reali.
-Non è tutta poesia, Ginny. Lo sapete bene tutti quanti.
-E com’è allora? Per quanto tempo ancora negherai che provi ancora qualcosa per lui?
-Non è facile come credete.
-E allora com’è?
-Non lo so.
Per tutto il tempo del pranzo non facemmo altro che parlare di Draco, poi Blaise ed Harry andarono in salone a guardare un po’ di televisione.
-Hermione…- disse Ginny prendendomi le mani. -…dimmi la verità.
-Non c’è niente da dire.
-Ah no?
-No.
Mi guardò la mano sinistra e mi tolse la fede. –Questa mettila via. E’ inutile continuare a portarla, non credi?
-E’ un’abitudine.
-… che dovrai cancellare. Ascoltami: farà male fare chiarezza nel cuore dopo tanti anni, ma ne varrà la pena.
-Non so se voglio farlo, Ginny.- guardai l’orologio ed era già pomeriggio inoltrato. –Devo tornare a casa.
-Ti prego, pensaci…
-Vedremo Ginny.
Andai in salone e salutai Harry e Blaise con un gesto della mano. –Dove vai?- mi chiese Blaise.
-Torno a casa.
-Ti spiace darmi un passaggio?
-Certo che no!
Prima di raggiungermi sull’uscio della porta, vidi che si trattenne a scambiare qualche parola con Ginny ed entrambi non mi tolsero gli occhi di dosso.
Quando Blaise chiuse la portiera dell’auto, aveva un sorriso da ebete stampato sul viso.
Mi guardò ancora una volta e il suo sorriso si spense per un attimo, poi tornò ad attraversargli il viso da un orecchio all’altro.
-Emh… se non metti in moto non arriveremo mai a casa.
Assottigliai lo sguardo, come a voler indagare la sua espressione e il suo tono di voce. –Cosa state tramando?
-Chi?
-Tu e la rossa.
-Niente, Hermione… ma come ti vengono in mente certi pensieri?
-Vi conosco bene.
Lasciai cadere lì il discorso e misi in moto.
Blaise abitava qualche isolato più avanti, quindi qualche minuto dopo già non ero più in sua compagnia.
Mi aveva salutata con un bacio sulla guancia, ricordandomi le parole di Ginny.
Tornai a casa ed ero stanca psicologicamente, quindi salutai mamma con un bacio e la strinsi forte.
Mi era mancata tanto. La guardai negli occhi e li vidi finalmente più sereni, liberi da quasi tutte le nubi che li oscuravano e che impedivano loro di brillare.
 –Sei stanca, vero?- mi chiese.
-Molto.
-Andiamo.
Insieme ci dirigemmo al piano superiore ed entrammo nelle rispettive camere.
Quando chiusi la porta, mi guardai la mano sinistra e mi sentii leggera, libera da ogni obbligo.
La fede, negli ultimi tempi, era diventata un peso ulteriore ai miei giorni e non averla mi permetteva di respirare più facilmente.
Feci una doccia veloce, poi mi sistemai a letto, stendendomi su un lato e guardando fuori dalla finestra.
Ripensai ancora una volta alle parole di Ginny, di Blaise ed Harry e mi sembrò di perdere qualche battito al cuore. Chiusi gli occhi con la speranza di allontanare i dubbi, anche se inutilmente: ogni mio dubbio era legato a Draco e non avrei mai potuto allontanare lui dal mio cuore.


Spoiler Capitolo 15:
Entrò lasciando la porta aperta e si piazzò di fronte. Aveva gli occhi ridotti a due fessure, poi si avvicinò ancora di più. -Esci immediatamente fuori di qui!
Lo guardai...


***
Angolo Autrice:
Salve a tutte!
Avete visto? Il nuovo capitolo è QUI!! Festeggiamo!
Cretinate a parte, come avrete visto, il capitolo è solo di passaggio, anche se i discorsi fatti dai 3 amici di Hermione la faranno riflettere davvero tanto!
Il titolo è mezzo rubato dal singolo di Marco Mengoni, "In un giorno qualunque" che personalmente amo!
-Ginny: non è romanticissima? Io la ADORO! E' un'ottima amica e conosce perfettamente Hermione, quindi...
-Harry: dà man forte alla sua fidanzata, ovviamente. Ma non è adorabile?
-Blaise: per chi è già pazza di lui, beh, non c'è molto da dire! E' un amico fantastico e chissà cosa stanno tramando lui e la rossa, eh?
Hermione: povera! E' in profonda crisi con sè stessa. L'avevate capito, no?
Lo spoiler: piccolo piccolo xD Non linciatemi, vi prego. Ma il capitolo sarà mooolto importante!

Risposte alle recensioni:

Sailor Saturn: Ecco a te il continuo! Immagino che Blaise ti piaccia ancora di più! Sono davvero felice che la storia ti piaccia e spero di doverti ringraziare anche nel prossimo capitolo! Un bacio;

sa chan: Ahahah! Immagino come tu odi Cloe in questo momento xD, ma aspetta ancora un pò prima di giudicare :P Natan è dolcissimo, non c'è niente da dire *.*  E chissà che non racconti qualcosa al papà. Un bacio;

dramy96123: Mi dispiace tantissimo per i tuoi piani omicidi xD Perdonami! Cloe non si è per niente comportata bene, ma come ho già detto, aspettate a giudicare! Henri mi fa pena nel senso brutto della parola, non nel senso di tenerezza, capito? :D Beh, per quanto riguarda lo spoiler precedente, hai avuto la tua risposta! Inizialmente, c'era l'idea di farle incontrare Draco, ma poi la mia mente malata ha immaginato tutt'altro luogo per il loro incontro! Un bacio;

Axel_Twilight_93: ecco a te il capitolo! Avevi immaginato qualcosa? xD Natan è dolcissimo, non c'è alcun dubbio! Un bacio;

Rosa di cenere: e io ADORO le tue recensioni. In primo luogo, mi fanno morire dal ridere xD poi, mi riempi sempre di complimenti e mi fa davvero piacere che hai questa grande reputazione di me *.*
Mi dispiace che il fato ti si sia ritorto contro XD, spero che da questo capitolo in poi ti aiuti a commentare prima! Natan è dolcissimo ed effettivamente fai bene a chiamarlo piccolo Draco, perchè somiglia molto al padre! Hermione tratta così Natan sia perchè adora i bambini, lui in particolare, sia perchè trova in lui un modo per stare più vicina a Draco almeno con il pensiero e, soprattutto, perchè desidera che lui fosse stato suo figlio. Cloe è una stronza in questo capitolo e di certo non sarà una santa nei prossimi, ma prima o poi vi farò cambiare idea su di lei! Grazie mille per i tuoi complimenti, grazie davvero *.*, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio.

Ringrazio le 44 che mi hanno inserito nelle seguite, le 16 che mi hanno inserito nelle preferite e le 3 che mi hanno inserito nelle seguite!
Avrei voluto scrivere anche questa volta i vostri nomi, ma NVU mi sta dando un pò di problemi.
Grazie davvero tanto, continuate ad aumentare e mi rendete felice!
A presto, la vostra Exentia_dream



























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Capitolo 15
*** Incontri... ***


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Capitolo 15: Incontri...

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Erano stati giorni d’inferno: Natan aveva avuto la febbre, mentre Cloe si era occupata di lui raramente.
Il lavoro grosso toccava a me la sera, quando tornavo dal lavoro. Di pomeriggio, mi chiedevo chi svolgesse il compito di fare da madre a mio figlio.
Cloe non era mai stata in grado di farlo: aveva deciso di rimanere incinta per fare un torto a me e ad Hermione.
Era a conoscenza dei miei sentimenti per lei e sapeva che l’avrei lasciata subito dopo quella maledetta festa in maschera, ma avrebbe fatto di tutto pur di tenermi legato a lei.
Non mi amava e ne ero certo: era affetto che non andava oltre, era abitudine, era l’egoismo di tenermi accanto per impedire ad un amore vero di vivere.
E per questo l’avevo disprezzata per tanto tempo.
L’avevo sposata sotto obbligo di suo padre: di certo, non volevo perdere mio figlio. Pur non essendo ancora nato, sapevo che sarebbe stato l’unica cosa che mi avrebbe dato un motivo valido per vivere e non sprofondare nel baratro della depressione.
L’alcool mi faceva compagnia ogni sera, prima di andare a dormire e mi sembrava di non poterne fare a meno.
Il mio odio verso Cloe cresceva a dismisura e questo mi spaventava perché, spesso e volentieri, la mia mente aveva immaginato i modi più impensabili per toglierla di mezzo e restare solo con mio figlio.
Poco alla volta, dopo la nascita di Natan, avevo deciso per amor suo di affezionarmi a Cloe, anche per poter vivere una vita decente.
Le cose erano precipitate dopo il primo compleanno del piccolo, un giorno tanto importante che lei aveva dimenticato: aveva preferito uscire con le sue amiche invece che festeggiare suo figlio.
Per questo il disprezzo era tornato a farsi vivo nei suoi confronti e sarebbe stato difficile mandarlo via, soprattutto dopo aver rivisto Hermione.
Come avevo potuto pensare di riuscire a nascondere tanto amore? Dove avevo nascosto tutto quel tormento che provavo nell’anima? Come avevo potuto non farlo trasparire dai miei occhi?
Mi appoggiai con una mano sulla scrivania, mentre con l’altra cercai di spostare i capelli dagli occhi, poi l’affiancai all’altra.
Sbuffai sonoramente e mi gettai di peso sulla sedia.
In quell’istante, il sole che entrava dalla finestra di fronte al mio ufficiò si offuscò.
Qualcuno entrò lasciando la porta aperta e mi si piazzò di fronte. Aveva gli occhi ridotti a due fessure, poi si avvicinò ancora di più. -Esci immediatamente fuori di qui!- Lo guardai... -Alza il culo da quella sedia.
-Dovrei obbedirti?
-Muoviti.
Mi alzai lentamente, non perché volevo piegarmi al suo volere, ma semplicemente perché avevo una gran voglia di prenderlo a schiaffi.
Ero un commissario, certo, ma non avevo dimenticato l’affronto che avevo ricevuto da parte sua.
Indietreggiò di poco ed io sorrisi beffardo. –Mi sto muovendo…
-Ti avviso: stai lontano da Hermione. Stai fuori dalla nostra vita.
-Io sto fuori dalla vita dei mariti che si comportano da uomini e tu non sei tra questi.
-Io ti spacco la faccia, stronzo!- mi tirò un pugno.
Passai il dorso della mano all’angolo destro della bocca, poi ghignai.
Ora, in assenza di Hermione, avrei potuto prenderlo a pugni e non mi sarei risparmiato.
Mi avvicinai di un passo e mi trovai a toccargli la fronte.
Riuscivo a sentire il suo alito e sapeva di rum invecchiato di almeno cinque anni, poi fissai i miei occhi nei suoi. Erano castani, tendenti al verde, e piatti.
Erano gli occhi di un uomo ubriaco che non conosceva altro che il lato materiale della vita. –Non sfidarmi.
Non c’era nessuna minaccia nelle mie parole, era solo un consiglio.
–Stronzo.
-Lo dico per te…
-Credi che abbia paura, stronzo?
-Sei monotono con le parole.
-Stronzo.
-Mh.- mi allontanai poco da lui, poi caricai il pugno e lo colpii sul sopracciglio sinistro.
Continuò a guardarmi, mentre il suo sguardo si riempiva di una follia pura, che superava l’immaginabile. –Stai giocando con il fuoco.
Alzai le mani, in segno di resa, tenendo stampato sul viso il solito ghigno di soddisfazione. Ero nel mio ambiente e avevo più di un motivo valido per pestarlo a sangue: legittima difesa, prima di tutto.
Lo spinsi, fino a fargli toccare le mensole dell’archivio. Poi, mi avvicinai di nuovo al suo viso.
Avrei voluto sputargli in faccia, ma non sarebbe bastato a farmi sfogare tutta la rabbia che avevo in corpo.
Quando ancora una volta, urtò vicino alle mensole, il bicchiere di plastica che avevo conservato la settimana precedente cadde e lui lo schiacciò con il piede.
Una cretinata, la goccia che fece traboccare il vaso.
Dedicai un’altra serie di pugni al suo sopracciglio, mentre il sangue scorreva sul suo viso e sporcava la mia mano.
Non urlava, non accennava a disegnare sul suo viso una smorfia di dolore se non per pochi attimi.
Il suo sorriso derisorio era sempre lì e più rideva, più cresceva in me la voglia di colpirlo.
Potter entrò nel mio ufficio nel momento in cui Henri mi colpì alla mascella. Lo vidi spalancare gli occhi, tanto che sembrava gli uscissero dalle orbite. –‘Cazzo stai facendo?
-Fatti i cazzi tuoi, stronzo!
-Eh no, stronzo chiamati da solo.- commentò Harry prima di tirargli un pugno in pieno viso. –Ti è chiaro?
Così Henri allentò la presa sul collo della mia camicia e si dedicò a Potter, anche essendo visibilmente in svantaggio.
Sarei rimasto lì a guardare quella scena per ore, avrei voluto vederlo strisciare come una serpe a cui è stata tagliata la coda, invece, li interruppi e li invitai a sedersi.
Strattonai più di una volta quel deficiente, mentre Harry si era appoggiato alla parete libera. –Cosa sei venuto a fare qui?
-Te l’ho detto stronzo.
-Modera i termini.- esordì Harry.- E sta lontano da Hermione. Non mi piaci, non mi sei mai piaciuto, ma adesso hai superato ogni limite… quindi, fuori dalle palle.
-Non crederete davvero di spaventarmi con queste minacce? Lei è mia e la piego al mio volere come e quando mi pare.
-Brutto porco…- stavo per alzarmi e tirargli un altro pugno, ma Harry mi appoggiò le mani sulle spalle e mi allontanò da lui.
-Pensa al tuo lavoro. Qui dentro, ci vai a perdere tu se assumi questi comportamenti.
Aveva ragione: nella centrale di polizia, io ero il buono. L’uomo di tutto punto dagli  ideali forti e dall’attiva propensione verso il rispetto delle regole.
Dentro, però… fuori da quelle mura e senza la divisa, ero un uomo qualunque.
Sorrisi di scherno. –Hai ragione, Potter. Porta questo stronzo fuori…
Mi obbedì e lo prese per una spalla per invitarlo ad alzarsi. Prima di chiudere la porta, mi guardò con aria di sfida. –Non finisce qui, biondo slavato. E non sarai solo tu a farti male.
Il mio pensiero corse immediatamente a Natan, quindi mi avvicinai svelto alla porta, ma quasi non ci andavo a sbattere tanto era stato veloce quel bastardo.
Tornai a sedermi ed estrassi con forza una sigaretta dal pacchetto e l’accesi.
Aspirai e ricacciai il fumo e mi calmai per quanto mi era possibile, poi appoggiai le spalle allo schienale e chiusi gli occhi.
-L’ho mandato via- disse Potter, aprendo la porta dell’ufficio e restando sull’uscio.-… anche se ha opposto più resistenza del solito.
-Bene.- richiuse la porta e chiusi di nuovo gli occhi.
-Ah, Malfoy… ma come ti è venuto in mente di dargli tutti quei pugni?
-Cazzi miei, Potter. Va via.
-D’accordo.- chiuse la porta.
Il tempo di appoggiarmi di nuovo allo schienale e la porta tornò ad aprirsi. –Mi hai rotto i ciglioni, Pot…- ma le parole mi morirono in gola.
Di fronte a me, c’era Hermione con lo sguardo divertito e un sorriso comprensivo stampato sul viso. –Non cambierete mai, eh?
-Buongiorno.- non trovai altre parole. Era come se in sua presenza il mio cervello non connettesse più.
-Ciao. Sono venuta qui per i documenti della causa di papà.
-Ah sì. Li avevo dati a Potter, ma…
-Lo so. So tutto… e comunque non sei il diavolo, quindi non sarà un inferno lavorare insieme, no?
-Certo!
-Bene!
Bene un cazzo! Si rendeva conto di quello che mi stava chiedendo?
Come poteva dirmi che lavorare insieme non sarebbe stato un inferno?
E va bene che per me lei era un angelo caduto in terra, ma lavorare insieme senza poterla toccare o baciare…
In fondo, però, aveva ragione: non sarebbe stato un inferno perché sarebbe stato peggio!
Il desiderio di lei avrebbe bruciato più di tutte le fiamme che c’erano li giù.
-Accomodati.- osservai ogni movimento, fino a che non si sedette e mi ritrovai a guardarla negli occhi. –Da dove cominciamo?
-Dall’inizio, direi.
-Spiritosa.- non avevo di certo dimenticato la sua sottile ironia, il suo ridere per una frase che non aveva alcun senso.
-Draco… credo che lavoreremo per un po’ insieme e non vorrei crearti problemi.
-Tranquilla, non mi crei alcun problema. E’ un piacere per me lavorare con uno dei migliori avvocati di Parigi.
-Grazie.- sorrise.
-Non hai freddo?
-No. E comunque ho il cappotto in auto.
-Sei sportiva, Granger!
-Sì, diciamo che l’iter fuori dai tribunali mi vede sportiva. Davanti ad un giudice è diverso.
-Ovvio.
-L’informalità mi rappresenta molto di più.
-La formalità?
-Non sempre: a volte, odio come cadono gli abiti addosso.
-Beh, avrà il piacere di vederlo il giudice il tuo abito formale.
-Credo dovrai vedermi anche tu, dato che in tribunale avrò bisogno di te.
-Per me sei sempre bella, ‘Miò.
Chiusi gli occhi, pentendomi immediatamente per aver detto quella frase. Ma come mi ero permesso di dar voce ai miei pensieri?
Alzai lo sguardo e mi trovai i suoi occhi di fronte: erano dorati, più belli di quanto li ricordassi.
L’ultima volta che li avevo visti, erano tristi e vuoti. Piatti.
Ora invece, erano attraversati da una luce strana. Sorrise. –Grazie.
Ci guardammo negli occhi per un tempo che mi sembrò interminabile, poi lei distolse lo sguardo e parve accorgersi adesso dei segni che avevo sul viso.
-Cominciamo?- dissi, abbassando la testa.
-Cos’hai qui?
-Niente.
-Chi ti ha preso a pugni, Draco?
-Nessuno.
-Hai visto Henri?- Non risposi e distolsi velocemente lo sguardo. –Lo prendo come un sì.
Puntai i miei occhi nei suoi e mi sentii mancare.
Ero orgoglioso, certo, ma rincorrere dietro all’idea che non l’amassi ancora era da stupidi… quindi, non aveva senso che mentissi a me stesso.
Non avevo dovuto chiedermi per troppo tempo cos’era quel fastidio allo stomaco che avevo provato quando l’avevo vista con suo marito e, quindi, era stato facile ammettere i miei sentimenti per lei.
C’erano troppe parole non dette nei nostri sguardi, troppi i silenzi che volevano aver voce.
Erano talmente profondi e tanto dipendenti l’uno dall’altro che chiunque se ne sarebbe accorto se ci avesse visti in quest’istante.
Quando sentii il tocco freddo della sua mano sulla bocca, rabbrividii.
Riuscii a sentire il suo profumo fresco inebriarmi i sensi e socchiusi gli occhi.
Le presi la mano e l’allontanai dal mio viso: le sue carezze mi annebbiavano la ragione.
Se avesse continuato a tentarmi in quel modo sarebbe stato più difficile del dovuto collaborare alla sua causa e non potevo lasciarmi cadere.
Non ero del tutto convinto dei suoi sentimenti… anche se una parte di me continuava a ripetermi che anche lei mi amava ancora, l’altra parte di me, quella razionale, mi suggeriva di non illudermi: conoscevo bene Hermione e anche se avesse provato ancora qualcosa per me, non l’avrebbe ammesso tanto facilmente.
-E’ stato un piacere per me.
-Siete due stupidi!
-Lo stupido è lui che non ha capito quanto fosse prezioso il gioiello che aveva tra le mani.
La vidi arrossire e mi maledissi: ogni parola che le dedicavo usciva dalla mia bocca anche contro la mia volontà.
La guardai, mi sentii spinto da una voglia che conoscevo fin troppo bene ad avvicinarmi ed assecondai la voce della mia coscienza…
Forse, stavo sbagliando, ma cosa importava?
Qualsiasi cosa fatta con lei o pensando a lei, sarebbe stata un viaggio senza ritorno.
Mi avvicinai, ma il suo cellulare cominciò a squillare.
-Cellulare del cazzo!- la guardai. –Prego.- le feci segno con la mano indicandole la borsa.
-Scusami.- ed uscii dall’ufficio.
Mi rimase solo con i miei pensieri, con la mia confusione.
Cosa stavo facendo? Me lo chiedevo, ma non riuscivo a sentirmi in colpa.
Rientrò, chiudendosi lentamente la porta alle spalle.
-Cominciamo?
-Sì.
Aprii la cartellina che conteneva le informazioni sulla denuncia che riguardava il caso di suo padre. –Mi.. mi dispiace.
-Di cosa?
-Per tuo padre.
-Oh…- vidi il suo sguardo diventare triste. La sua mano tremò percettibilmente, ma prima che potessi dirle qualcosa per consolarla, i suoi occhi si riempirono di determinazione. –Non facciamo distrarre da altro.
-Sì.
Per tutto il tempo, ci concentrammo sul nome degli infermieri, dei medici, della prognosi con cui avevano mandato a casa un povero uomo.
Niente in lei lasciava trapelare la sua insicurezza e vederla in quel modo mi rendeva felice: era forte, indistruttibile. Una maschera che mostrava al mondo intero, ma non a me.
O meglio, ero io che riuscivo a vedere oltre quella maschera: la conoscevo meglio di quanto conoscessi me stesso.
Le ore passarono velocemente e, troppo presi dal nostro lavoro, non ci eravamo neanche preoccupati di pranzare.
Era sera inoltrata quando la vidi raccogliere la borsa e sistemarsela, portando i capelli dietro le spalle. –Vai via?
-Sì, è tardi e mamma è da sola.
-Bene.
-Ci vediamo, Malfoy!
Mi alzai per aprirle la porta, quindi mi posizionai alle sue spalle. Probabilmente non se ne accorse, perché quando si voltò per dire qualcosa, restò a bocca aperta.
Permisi ancora una volta a me stesso di perdermi nei suoi occhi e lentamente mi avvicinai alle sue labbra.
Quanto le desideravo!
All’ultimo istante, vidi la sua bocca tremare, quindi, facendo forza sull’ultimo barlume di lucidità, imposi un cambio di direzione alle mie labbra e le baciai una guancia. –Buonanotte, Granger.

Spoiler capitolo 15:
-Sono stanco di farti capire con i gesti quello che provo. Sono sempre lì a mandarti segnali, ma è come se tu non li vedessi...
-Ti sei mai chiesto se magari non voglia vederli perchè mi fanno male?

***
Angolo Autrice:

Eccomi di nuovo qui ^.^
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto... a me non convince molto!
Passiamo ai personaggi:
-Draco: credo di averlo reso troppo dolce, ma giustifico il fatto che ammetta facilmente i suoi sentimenti: è un uomo che ha perso la donna che amava davvero e averla "ritrovata" è un qualcosa che l'ha scombussolato, ma l'ha reso attivo nei confronti della vita, quindi, a suo parere non ha senso perdere tempo per trovare risposte che già conosce.
-Hermione: non ho niente da dire, a parte BEATA LEI!
-Henri: stronzo, bastardo e per la seconda volta ha picchiato Draco. Chissà in che condizione sarà il suo viso adesso...
-Harry: si è dato da fare, avete visto?
Lo spoiler: cosa ne pensate?
Beh, ora vi lascio.
Ho risposto alle recensioni con il nuovo programma.

Ringrazio le 48 seguite, le 20 preferite e le 4 ricordate.
Siete aumentate ancora vi ringrazio infintamente per il vostro sostegno, pur se silenzioso.
A presto, la vostra Exentia_dream
Ho cercatodi  accontentare qualcuno che chiedeva la morte di Henri.. certo, qui non è morto, ma almeno ha ricevuto una bella scazzottata.

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Capitolo 16
*** Essere indecisa... ***


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Capitolo 16: Essere Indecisa...


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‘Miò.
Nessuno mi chiamava così da anni. Nessuno mi aveva mai chiamata così, a parte lui.
Era da una settimana che lavoravo fianco a fianco con Draco e più di una volta ci eravamo trovati vicini. Troppo vicini.
Lavorare con lui non era affatto pesante, anzi. Era piacevole fin troppo.
Quel pomeriggio, come ogni volta che ci decidevamo di riposare un po’, ero andata a prendere del caffé alla macchinetta che si trovava nell’atrio dell’edificio.
-Hermione?- Harry si avvicinò. -Puoi venire nel mio ufficio? Ho bisogno di parlarti.
-Sì. Dammi il tempo di portare il caffé a Draco e sono da te.
-Grazie.- e andò via.
Aprii la porta dell’ufficio ed entrai, quindi tentai di chiuderla con la gamba, ma Draco si alzò  e prese i bicchieri dalle mie mani. –Dai a me…-disse.
Era sempre gentile, sempre educato.
-Devo andare nell’ufficio di Harry, ti dispiace?
-Fa pure! Qui continuo io.
Avevamo cominciato delle ricerche sul fenomeno che aveva causato la morte di mio padre e sulle possibili cure che avrebbe potuto ricevere, perché, prima di essere di fronte ad un giudice, volevo essere informata su ogni cosa e valutare la situazione sia dalla parte dell’accusatore sia da quella dell’accusato.
Gli sorrisi ed uscii.
Arrivai di fronte alla porta dell’ufficio di Harry e bussai. –Avanti.
-Sono io.- dissi, aprendo la porta.
-Herm, vieni. Siediti
Mi accomodai e guardai il mio migliore amico con aria interrogativa. –Allora?
-Allora… beh, volevo farti una proposta.
-Oh…
-Sì. Avrai del tempo per decidere prima di accettare e se accetterai, potrai cominciare da subito o dopo la causa di tuo padre… insomma, hai il libero arbitrio.
-Di cosa si tratta?- mi feci curiosa.
-So che hai intenzione di fittare casa e vivere qui, quindi immagino che ti serva un lavoro.
-Un lavoro mi servirebbe comunque.
-Gli affitti qui sono abbastanza alti. Inoltre, credo che Henri non sborserà neanche un soldo, visto che non  avete figli.
-Non avrà bisogno di sborsare alcunché. Ho deciso di riprovarci.
-Cosa?
-Sì. Mica posso far finire così il mio matrimonio?
-E vuoi trovarti addosso tutti quei lividi?
-E’ stato un momento, Harry. E’ mio marito e non posso lasciarlo solo.
-E’ un mostro. Ma hai visto cosa ha combinato a Malfoy?
-Non credo che l’abbia fatto senza un motivo.
-Ah no?
-No.
-Allora spiegami perché ti ha violentato, eh?
-Non mi ha violentata!
-Ah no?
-No.
-Mi dispiace che tu sia diventata tanto cieca: sei un avvocato e dovresti sapere meglio di me certe cose…
-La violenza fisica nasce nel momento in cui la vittima si oppone. Nel mio caso è diverso, io ho acconsentito.
-Volevi fare l’amore con lui, in quel momento?
Abbassai il capo. Harry aveva ragione, ma ero testarda e nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea. –Accetto il lavoro, Harry. Ma ti prego di stare fuori dalla mia vita privata.
-Sei la mia migliore amica, Herm e non voglio che soffri.
-Io sono felice accanto a mio marito.
-Sei felice accanto ad un uomo che non ami?
-Lo amo, Harry.
-Oh, come no! Si vede lontano mille miglia che l’amore che provi non è indirizzato a lui.
-E a chi sarebbe indirizzato, Harry?
-Lo sappiamo bene entrambi.
-Io non lo so.
-Sono stanco di farti capire con i gesti quello che provo. Sono sempre lì a mandarti segnali, ma è come se tu non li vedessi...
-Ti sei mai chiesto se magari non voglia vederli perchè mi fanno male? Credi che a me faccia bene lavorare con lui e trovarmi in ogni occasione a due passi dall’essere baciata? Devo provarci, Harry. Ti prego, comprendimi.
-Herm, io sto male quanto te a vederti piangere.
-Non mi vedi da piangere da più di un mese.
-Gli occhi rossi ti tradiscono. So quando piangi e ti conosco bene, quindi so anche quand’è che fingi di stare bene. La felicità che hai sempre desiderato è a pochi passi da te. Qualche porta più avanti di questo ufficio.
-Mi dispiace. Ho preso la mia decisione e la porterò avanti.
Non disse niente, semplicemente mosse la mano, come a dire “Fai come vuoi.”
Era stata una decisione ben ponderata e per quanto mi sentissi bene a lavorare accanto a Draco, credevo fosse un piacere dovuto solo al fatto di poter rendere giustizia a mio padre. Nulla di più.
Aprii la porta e arrossii immediatamente quando mi vidi riflessa in due iridi grigie e tristi. –Ero solo venuto a chiamarti…
-Cos’hai sentito?
-Niente di importante.
-Ci stavi spiando?
-Non le faccio ‘ste bambinate. Sono venuto ad avvisarti che ho trovato qualcosa riguardo alle cure, ma vi ho sentiti parlare e…
-Comunque, non sono affari che ti riguardano.
-Non credo.
Disse e, nel frattempo ci eravamo incamminati nel corridoio ed eravamo entrati nel suo ufficio. –Dimmi.- dissi riferendomi a quanto aveva trovato per la causa.
-Ti sbagli di grosso, lo sai?
-Su cosa?
-Tutto quello che è tuo mi riguarda e, se permetti, la tua felicità mi riguarda in primo luogo.
-Mi fai ridere. Ti preoccupi ora della mia felicità?
-L’ho sempre fatto.
-Non mi pare. Ti ho pregato per restare insieme… e te ne sei andato.
-Avresti sofferto troppo se fossi rimasto con te, stupida!
-Non avrei sofferto.
-No? Saresti stata felice sapendo che ero stato obbligato a sposare Cloe? O se mi avessi visto insieme a lei? Magari ti avrei anche invitato al matrimonio…
Prese una sigaretta dal pacchetto e l’accese. –Tss.- fu la mia unica risposta.
Quando lasciò libero il fumo, sentii una fitta alla bocca dello stomaco e conoscevo bene quella sensazione.
Era arrivato il momento di affrontare le questioni rimaste in sospeso tanti anni fa.
Sapevo che prima o poi mi sarei trovata di fronte al muro del passato, ma non credevo facesse così male.
Quanto era grande il rischio che stavo correndo? Troppo.
Lo guardai: la sigaretta accesa che penzolava dalle labbra sottili.
La mascella dritta, il naso perfetto, gli occhi grigi e intensi. Tremai.
Sentii la voglia di accarezzarlo attraversarmi i muscoli, ma mi costrinsi a non farlo, così iniziai a frugare nella borsa.
-Cosa cerchi, Granger?
-Oh…una cosa.- non cercavo niente.
Avevo solo il bisogno di sfuggire dai suoi occhi e di spostare lo sguardo dalle mie certezze che crollavano, dalle mie decisioni che perdevano di consistenza.
-Se la smetti, ho qualcosa da farti vedere.
-D’accordo.
Aprì il cassetto della scrivania.-Ecco.- sorrise e si alzò dalla sedia, per sistemarsi accanto a me.
Mi porse una cornice e si appoggiò alla scrivania.
Guardai la fotografia: c’eravamo noi, io e lui sorridenti su una metà della foto. Sull’altra metà, un mio primo piano.
Quella era una delle foto che preferivo. Quando stavamo insieme, io conservavo la sua gemella, con la differenza che il primo piano della mia fotografia raffigurava il suo viso. –Ce l’hai ancora…
-Non avrei mai potuto metterla via.- lo guardai. -Se l’avessi fatto, ti avrei persa davvero.
Avevo già vissuto quella situazione, insieme a Ginny, ma le emozioni che provai rivedendo quella foto erano del tutto diverse: sentii la voglia improvvisa di tornare indietro, a quella sera.
Si avvicinò lentamente, fino a che non sovrastò anche la mia ombra.
Portò una mano sotto al mio mento e mi sollevò il viso. Sentii il calore affluire alle guance e il cuore battere più forte. –Sono cambiate tante cose…
-Vero. Ma sarebbe più giusto dar conto a quello che non è mai cambiato.- Posò le labbra sulle mie.
Un bacio leggero, morbido, ma carico di desiderio.
Un bacio che fu interrotto da qualcuno che bussò alla porta del suo ufficio.
Si allontanò da me e vidi le sue labbra muoversi velocemente e sapevo che stava maledicendo colui che ci aveva interrotti.
Sorrisi, conscia del fatto che la calma che sentivo in corpo era la tipica quiete prima della tempesta.
Harry entrò nell’ufficio e si accorse del colorito che aveva assunto il mio viso, quindi guardò Draco e gli sorrise. –Ho interrotto qualcosa?
-Sì, Potter. Tu interrompi sempre qualcosa. Questa non è una causa facile e abbiamo bisogno di concentrarci per venire a capo di ogni componente a nostro favore.
-Oh…
-Ma se state sempre a rompere i coglioni non andremo in tribunale neanche tra un mese.
-Ero venuto a portarti questo.- mi disse, appoggiando il mio cellulare sulla scrivania.
-Grazie.
Poi, uscì dall’ufficio, ma prima di chiudere la porta, ammiccò a Draco –Lavorate, eh!- poi ci strizzò l’occhio e andò via.
-Coglione.
-Smettila, Draco.
-Smettila? Sai quanto ho aspettato che arrivasse questo momento? E lui che fa? Mi interrompe!
Risi divertita dall’espressione che aveva in viso, poi tornò serio e si sedette.
Mi strinse le mani e mi sentii mancare il respiro, quasi come quando mi aveva baciato.
Guardai l’orologio alla parete e mi resi conto che erano le 18 spaccate. –Devo andare.
-Aspetta un secondo.
-Sì?
-Prima, ho anche sentito che hai intenzione di fittare casa.
-Sì.
-Tieni…- disse porgendomi una bustina di cartone. –Aprila quando arrivi a casa.
-D’accordo.
Me ne andai senza neanche guardarlo.
Sapevo che se avessi incontrato ancora i suoi occhi sarei rimasta lì e sarebbe stato difficile poi tornare indietro e far capire al mio cuore che quella non era la strada giusta da percorrere.
Corsi in macchina e chiusi in fretta la portiera.
Respirai a fatica, come se non riuscissi ancora a riprendere fiato e tremavo.
Misi in moto e riuscii a trattenere le lacrime fino al mio ritorno a casa.
Quando aprii la porta, notai che mamma era ancora a lavoro, quindi lasciai libero sfogo al mio pianto e affondai il viso nei cuscini del divano.
Come avevo potuto lasciare che mi baciasse?
Eppure, un semplice contatto tra due labbra era stato capace di risvegliare in me il desiderio di amare e di volerlo sentire ancora addosso.
La voglia di avere il suo profumo sulle mani, il suo sapore sulla labbra.
Cos’era? Ero convinta di non amarlo più.
Ero convinta che le emozioni che provavo quando lui era accanto a me erano dovute al fatto che non avevo amato più con l’intensità con cui avevo amato lui.
Erano emozioni che non erano altro che il riflesso di ciò che mi mancava.
Salii al piano superiore e aprii l’acqua per riempire la vasca, poi mi immersi e, stranamente, le carezze dell’acqua calda non riuscirono a rilassarmi.
Sentivo un peso enorme sul cuore e sapevo che finché non avrei affrontato i miei sentimenti e se non fossi stata sincera con me stessa, sarebbe stato lì.
Avevo deciso di tornare con Henri e perdonarlo, ma quel bacio aveva spazzato via ogni briciola di certezza, ogni briciola di decisione.
Mi avvolsi nell’accappatoio e mi diressi in camera.
Spostai la borsa dal letto e l’appoggiai sulla sedia, ma cadde.
Tutto ciò che c’era dentro, si rovesciò sul pavimento e la bustina di cartone che mi aveva dato Draco faceva forte contrasto con il parquet.
La presi e la osservai: era blu, con un piccolo fiocco di raso dello stesso colore del cartone.
Mi sembrò familiare.
La agitai e distinsi un rumore metallico, quindi l’aprii…

Spoiler capitolo 17:
Mi rigirai più volte la chiave tra le mani.
-Cos'è quel sorriso stupido?- mi chiese mamma.
-Niente.
Mi alzai dal divano e sistemai la chiave nella tasca dei jeans.
Aveva conservato tutto di noi, persino i ricordi che, dopo la nostra separazione, sarebbe diventati dolorosi.


***
Angolo Autrice:

Salve a tutte!
Eccomi qui, sono tornata con un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Spero davvero che vi sia piaciuto: non è proprio il bacio che tutte aspettavate, ma è un passo significativo da parte di Draco, no? In più, Hermione risentirà molto di questo fatto... chissà se in bene o in male.
Ora però passiamo ai personaggi e vediamo di capirci qualcosa di questa storia bacata come la mia mente.
-Hermione: qualcuno aveva pensato che lei fosse stata troppo fredda. In realtà, da come avete visto, era intenta a decidere della sua vita e del suo futuro insieme ad Henri. Era decisa a tornare con lui, ma... Draco *.*
-Harry: adora ka sua migliore amica e la consoce meglio di quanto lei conosce sè stessa.
-Draco: cos'altro c'è da dire?
Lo spoiler: cosa ne pensate? Avete già un'idea di cosa possa succedere?

Ringrazio le 50 seguite, le 22 preferite e le 4 ricordate.
Siete aumentate ancora e mi rendete felicissima.
Senza il vostro sostegno, silenzioso o meno, questa storia non andrebbe avanti e approfitto di questo piccolo spazio per dirvi ancora una volta quanto siete importanti per me.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 17
*** Primo giorno di lavoro... ***


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Capitolo 17: Primo giorno di lavoro

Image and
video hosting by TinyPic Hermione POV
Quando mi svegliai, sentii la mano intorpidita dal freddo e sorrisi ancora una volta.
La chiave era ancora tra le mani e non l’avevo lasciata per tutta la notte.
A malincuore lasciai il letto, dato che erano le 8 in punto e volevo essere puntuale per il mio primo giorno di lavoro.
Andai in bagno e feci una doccia veloce, quindi mi avvolsi nell’accappatoio e mi fermai di fronte all’armadio, incapace di decidere cosa indossare.
Mi persi per un po’ dietro a domande stupide sul modo di vestire di un avvocato, rispondendo a me stessa che la formalità non era mai uno sfregio sul posto di lavoro.
Inoltre, avevo incontrato più volte altre donne che lavoravano al piano superiore del dipartimento ed erano solite indossare dei tailleur con gonne o pantaloni e, a volte, evitavano di indossare la giacca, visto il caldo che c’era negli uffici a causa dei condizionatori.
Decisi di imitarle e mi vestii e mi truccai in fretta.
Andai in un cucina e salutai mamma con un bacio.
-Come mai già sveglia?
-Oggi è il mio primo giorno di lavoro…
-Hai trovato un lavoro?
-In realtà, me l’ha offerto Harry ed io ho accettato.
-E’ magnifico.
-Sì…e, a proposito di questo… volevo anche dirti che ho intenzioni di fittare casa…
-Ma no, Hermione, puoi restare qui.
-Ti ringrazio, mamma…- dissi, addentando un croissant. –ma è meglio che ognuna conservi il proprio spazio.
-Come vuoi, cara.
-Ora, devo proprio andare. Ci vediamo stasera.
-Prendi la macchina!
-No, mamma, tranquilla.
-Prendila, cara. A me non serve…
-D’accordo. Grazie!- uscii di casa e chiusi la porta, poi salii in auto e misi in moto.
Mi sentivo euforica e finalmente pronta a rimettermi in gioco, almeno professionalmente.
Per tutta la notte avevo evitato di pensare a Draco e al bacio che ci eravamo dati, però la chiave che mi aveva dato riportava alla mente dei ricordi ancora più dolorosi.
Proprio per questo, l’avevo lasciata a casa, nascosta nel cassetto dell’intimo.
Arrivai al commissariato in talmente poco tempo, che non ero neanche riuscita a sentire la voce della mia coscienza.
Raccolsi la borsa dal sedile del passeggero e mi diressi verso l’entrata.
Presi il cellulare dalla borse e cominciai a digitare il numero di Ginny, quando mi scontrai contro qualcuno.
Alzai lentamente lo sguardo, soffermandomi a guardare la camicia bianca di buona fattura, i bottoni grigio chiaro, la cravatta nera con il nodo allentato e il colletto non abbottonato. –Granger!
-Ciao Draco.
-Vuoi un caffé?
-Sì.
E ci dirigemmo verso la macchinetta. –Sei stupenda negli abiti formali.
-Grazie.
Osservai ogni movimento che Draco compiva. Aveva inserito la moneta nell’apertura della macchinetta e la stoffa della camicia si era totalmente stesa sul suo braccio, poi aveva rilassato i muscoli.
Mi porse il bicchiere con il caffé e sorrise leggermente.
Bevvi il caffé e lo osservai per tutto il tempo nascondendomi dietro al bicchiere: mentre beveva, contraeva la mascella e chiudeva gli occhi e, ad ogni sorso, allontanava il bicchiere dalle labbra e le muoveva, tenendole chiuse per assaporare meglio il caffé.
-Hey…
-Oh, scusa.
-Ti sei imbambolata!
Arrossii violentemente e lui sorrise. –Pensavo. Perdonami.
-Doveva essere proprio un bel pensiero.
-Lo era.
Se solo avessi avuto il coraggio di ammettere a me stessa che era inutile scendere a compromessi con il cuore e cercare di condurre una vita che non volevo, se solo avessi messo da parte l’orgoglio e avessi ammesso di aver perso sarebbe stato tutto più facile.
Sarebbe bastato avvicinarmi a lui, sfiorargli una guancia, accarezzargli i capelli… non mi avrebbe respinta.
Il cellulare prese a suonare, ma lo sentivo come se fossi chiusa in una campana di vetro: una musica dolce che mi accompagnava a sfiorare con lo sguardo la perfezione dell’amore vero.
-Il tuo cellulare.
-Cosa?
-Sta squillando.
-Uhm, è vero.- sorrisi.- Scusami un attimo.- mi allontanai abbastanza, poi mi voltai per continuare a guardarlo.- Pronto?
-Ceni con me?
-No, mi dispiace.
-Dobbiamo parlare, Da soli.
-D’accordo. Ora però sto lavorando, quindi non chiamarmi.
Chiusi la telefonata e restai immobile a fissarlo.
Com’era possibile che, nonostante avessi deciso di tornare con Henri, continuassi a sentirmi dipendente da Draco?
Com’era possibile che mi sentivo in dovere di dargli spiegazioni su ogni mia decisione?
-Andiamo al lavoro?
-Era Henri.- le parole uscivano dalla mia bocca prima che riuscissi a pensare a quello che stavo dicendo. –Stasera ceneremo insieme…
Mi guardò, visibilmente irritato. Contrasse la mascella e indurì lo sguardo: i suoi occhi non era più il lago calmo in cui avevo nuotato fino a quel momento. Semplicemente il lago si era ghiacciato. –Auguri.
-Draco, aspetta.- gli strinsi il polso, ma riuscì a liberarsi dalla mia presa e si allontanò, aprendo la porta del suo ufficio.
-Non devi darmi spiegazioni, Hermione. Sei una donna, ormai…
-Ma io…
-Buon lavoro.- e mi baciò la fronte, riempiendo la mia visuale del legno chiaro su cui l’etichetta adorata con il suo nome faceva bella mostra di sé.
Mi diressi in fondo al corridoio con il capo chino, colpevole.
Schiacciai il pulsante per chiamare l’ascensore e attesi. Il plin delle porte che si aprivano mi spaventò e mi colpì la fronte con il palmo della mano.
Stupida, ecco cos’ero.
Avevo pensato un momento prima che Draco fosse l’amore della mia vita e un momento dopo avevo accettato l’invito di Henri.
Dovevo chiarire con me stessa quanto prima possibile: non potevo continuare ad andare avanti in quel modo.
Aprii la porta del mio ufficio e cominciai a sistemare le mie cose.
Perché avevo detto a Draco che sarei andata a cena con Henri? Per ingelosirlo?
No, non avevo bisogno di usare questi stupidi trucchetti per capire se fosse geloso o meno. Mi bastava guardarlo negli occhi.
Forse, il mio era solo un modo per allontanarlo da me…
Sì, era così. Non potevano esserci altri motivi.
Dopo un paio di ore, avevo finito di sistemare tutto e solo allora mi concessi di guardare l’ufficio.
Era spazioso e molto bello: la scrivania e alcuni mobili alle sue spalle erano di legno chiaro.
Gli archivi erano di legno rosso laccato e le poltrone erano nere, mentre le pareti e il pavimento erano grigi.
Mi sentii immediatamente a mio agio.
Decisi di lasciar prendere all’ufficio un altro po’ d’aria, quindi chiusi la porta e mi diressi al piano inferiore, per parlare con Harry.
Bussai alla porta del suo ufficio. –Permesso?
-Oh, Herm, vieni.
-Sì.- entrai, tenendo la porta aperta a metà.
-Stavo appunto parlando con Draco, di te.
Mi voltai come se Harry avesse bestemmiato e arrossii. –Di me?. Riuscii a chiedere con un nodo in gola.
-Sì.- rispose Draco, cercando di sorridere, ma gli riuscì male. –Harry mi stava dicendo del lavoro che ti ha affidato.
-Sì. A proposito, grazie ancora.- dissi, rivolgendomi al mio migliore amico.
-Beh,- riprese Draco. –avevo intenzione di chiedergli di affidarti un altro caso.
-Come mai?
-Se tu continuassi a seguire questo caso, dovremmo passare molto tempo insieme… e non mi pare il caso.
-Oh, figurati Draco, per me non fa nulla se lavoriamo insie…- non terminai la frase.
-Non prendiamoci per il culo, Hermione.
-Non ti prendo per il culo, Malfoy.
-Allora se per te non fa nulla, per me è il contrario, va bene? Harry,- disse poi, voltando lo sguardo. –sarò io a lasciare il caso.
-Ma, Malfoy.- intervenne harry, sistemandosi gli occhiali sul naso.
-Ho deciso. Buona giornata.- e se ne andò.
Uscii anche io dall’ufficio, con l’intento di seguirlo, ma quando le porte dell’ascensore che si aprivano, mi fermai a guardarle e mi nascosi lì dentro, mentre Draco si era voltato a guardarmi.
Premetti il pulsante del secondo piano più di una volta e, quando le porte si chiusero, mi permisi di respirare.
Stavo scappando.
Corsi nel mio ufficio, chiudendo la porta a chiave e mi gettai di peso sulla poltrona.
Appoggiai la testa sui palmi delle mani e cominciai a piangere.
Non avrei mai dovuto accettare di lavorare qui.
Lasciai che le lacrime mi sciogliessero il trucco e mi addormentai lentamente.
Quando mi svegliai, mi resi conto che la giornata di lavoro era finita da almeno mezz’ora, quindi raccolsi la borsa ed uscii dall’ufficio.
Quando arrivai fuori al commissariato, mi fermai a salutare qualche collega conosciuto qualche giorno prima, poi entrai in macchina e misi in moto.
Durante il tragitto non mi permisi alcun pensiero su Draco o su quanto era accaduto.
Arrivai a casa in meno di venti minuti e corsi in camera, quindi riempii la vasca.
Legai i capelli e mi struccai, poi mi immersi nella vasca e l’acqua bollente mi accarezzò ogni muscolo, fino a farmi rilassare.
Questa sarebbe stata la sera in cui avrei fatto i conti con i miei sentimenti, con i miei desideri e, una volta tanto, avrei fatto parlare il cuore.
Avevo deciso di far tacere la ragione, chè non sempre mi era servita a fare le scelte migliori.
Mi insaponai con il bagnoschiuma alla lavanda e mi avvolsi nell’accappatoio.
Mi asciugai e mi fermai in intimo di fronte all’armadio, indecisa su cosa dover indossare: volevo essere elegante, ma non troppo.
Scelsi gli abiti e mi vestii velocemente, poi mi truccai.
Mentre riponevo le trousse nell’armadietto del bagno, il mio cellulare squillò e tornai in camera a prenderlo. –Pronto?
-Sono qui fuori, esci.
-Dammi in un minuto.
-Ancora?
-Preferisci che non venga?
-No.
-Allora aspetta.
Aprii il cassetto in cui avevo conservato la chiave che mi aveva dato Draco, poi andai in cucina e mi sedetti accanto a mamma.
-Esci?
-Sì.- Mi rigirai più volte la chiave tra le mani.
-Cos'è quel sorriso stupido?
-Niente.- Mi alzai dal divano e sistemai la chiave nella tasca dei jeans.
Ripensai a Draco…Aveva conservato tutto di noi, persino i ricordi che, dopo la nostra separazione, sarebbe diventati dolorosi.
Quella era la chiave dell’appartamento in cui avevamo fatto l’amore per la prima volta… ed era proprio come l’avevo lasciata tanti anni fa.
Uscii e chiusi dolcemente la porta, poi guardai Henri che mi apriva la portiera e provai una strana sensazione allo stomaco.
Salii in auto e mi baciò. Lo lasciai fare, anche se mi dette fastidio. Ero sicura che quel disturbo era dovuto al fatto che avevo pensato a Draco poco prima di vedere mio marito.
Partii e appoggiò la sua mano sulla mia, poi ci guardammo negli occhi.


Spoiler capitolo 18:
-Cosa significa?
-Significa che devi aiutarla.
-Non me lo lascerà fare...
-La ami ancora, vero?
-Che domanda stupida, Potter.
-Rispondimi.


***
Angolo Autrice:

Bentornate.
Sono convinta che a molte di voi questo capitolo non piacerà per la decisione che ha preso Hermione, ma pazientate un pò...
Ricordatevi che non tutto è quel che sembra e che non tutti i mali vengono per nuocere e chi più ne ha più ne metta... Ok, basta. Passiamo ai personaggi che è meglio?
-Hermione: mi fa una gran tenerezza. Purtroppo il suo orgoglio e la sua testardaggine la spingono a prendere decisioni sbagliate: io non avrei mai accettato l'invito di Henri, ma chissà...
-Draco: è meraviglioso, secondo me. Non ho altro da dire su di lui.
-Harry: ah, il nostro Harry. In questo capitolo si è trovato tra il timpano e la campana, povero!
-Henri: beh, vedremo!
lo spoiler: cosa ne pensate? Avete una vaga idea di quello che succederà?
Ah ecco, dimenticavo: il prossimo capitolo partirà a narrare dal momento in cui Hermione esce dall'ufficio di Hary per seguire Draco.
Il capitolo dopo ancora racconterà della cena tra Henri ed Hermione.
Vi lascio alla lettura del capitolo. Ho parlato fin troppo questa sera.

Ringrazio le 52 seguite, le 23 preferite e le 4 ricordate! Spero che presto anche voi mi facciate sapere cosa pensate della mia storia, anche se per me è già molto importante che occupi un posto nelle vostre pagine! Grazie.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 18
*** La proposta di Harry... ***


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Capitolo 18: La proposta di Harry...



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L’avevo vista entrare in ascensore quasi come se stesse scappando. Da cosa, poi?
Forse, scappava dal suo orgoglio, dalla sua testardaggine, dalla sua mania del cazzo di far funzionare tutto e per forza.
In questo momento odiavo quel lato del suo carattere, semplicemente perché non la portava a niente, se non a sbagliare.
Stava rovinando la sua vita con le sue stesse mani e, per quanto avessi sbagliato in passato nei suoi confronti, non potevo certo permetterle di essere infelice. Non lo meritava.
Era colpa mia e lo sapevo bene. Non mi sarebbe di certo servito farle fare la scelta giusta per non sentirmi un verme.
D’altra parte, però, non potevo obbligarla a prendere decisioni diverse da quelle che realmente desiderava, anche perché io non avrei potuto offrirle altro che bugie. E non meritava neanche questo.
Accesi una sigaretta. Fumai con rabbia e finii in fretta, senza che neanche me ne rendessi conto, stavo schiacciando il mozzicone nella ceneriera.
Guardai la cenere: una polvere che nasceva dall’incedere dei nostri pensieri, dei miei, almeno.
Poteva essere soffiata via, diventare parte del vento e volare dove voleva: poteva trovarsi in qualunque posto, in qualunque momento.
Desiderai di essere cenere e volare fino a casa sua e dirle di non andare, di non cadere in altri sbagli.
Sentii la porta sbattere contro la parete ed alzai lo sguardo. Harry Potter era immobile di fronte a me, senza occhiali e con gli occhi colmi di astio. –Dimmi perché vuoi abbandonare il caso?
-Cazzi miei, Potter.
-Abbassa i toni, Malfoy, qui comando io. Ora dimmi perché cazzo vuoi abbandonare il caso.
-Non voglio lavorare con lei, non l’hai capito?
-Perché?
-Stasera va a cena con suo marito e io non posso starle vicino senza che…- mi interruppi. Era giusto raccontare a lui la verità? Senza contare il fatto che, forse, sapeva che i miei sentimenti per lei non erano cambiati. –E’ meglio se non lavoriamo insieme, Potter. Tutto qui.
-Va a cena con Henri?
-Sì.
-L’ha perdonato?
-Non lo so. Non m’importa Potter, ma di certo io non sarei andato a cena con lui se non avessi deciso di tornarci insieme.
-No, non può succedere.
-E’ la sua vita. Non provate perennemente a salvarla: se non lo capisce da sola è inutile fare gli eroi.
-Parli bene tu.
-Cosa dovrei dire, secondo te?
-Non rinunciare a questo caso.
-Cosa significa?
-Significa che devi aiutarla.
-Non me lo lascerà fare...
-La ami ancora, vero?
-Che domanda stupida, Potter.
-Rispondimi.
Rimasi per un po’ in silenzio: se avessi risposto dicendo la verità, avrei dovuto iniziare una dura lotta contro i fantasmi del passato… di quel passato che avrei voluto fosse stato il mio presente e il mio futuro. Quei fantasmi che mi spaventavano, ma che mi rendevano consapevole del fatto che affrontarli avrebbe significato mettere d’accordo mente e cuore e avrei dovuto farlo di petto, non solo a parole come avevo fatto finora.
Guardai Harry, poi sorrisi. –Non ho mai smesso di farlo, neanche un attimo.
Ecco: mi sembrò quasi di sentire il cuore che sbatteva contro le pareti della ragione e si frantumava.
Nessuno avrebbe potuto capire quanto mi era costato andare via da lei e quanto più caro ancora fosse il prezzo del dolore che avevo pagato quando l’avevo vista con suo marito. Senza parlare del dolore che provavo quando immaginavo che lui la toccasse o che la baciasse o che lei potesse dedicare uno dei suoi sorrisi a quel verme.
Provavo un fastidio enorme a credere che lei potesse respirare per lui.
Una volta, avevo fatto i conti con me stesso ed ero riuscito a convincermi di averla dimenticata.
Ne ero sicuro… eppure, mi era bastato trovarla di fronte a me, con gli occhi dorati ed un sorriso dolce e tutte le mie certezze erano tornate ad essere dubbi.
Dubbi nei confronti della persona che avevo avuto accanto per tanto tempo e nei confronti della vita che avevo condotto fino a che lei non era tornata.
-Non lasciare il caso.
-Ci sto di merda, Potter.
-Fallo per lei.
-Non c’è niente da fare per lei. - Ero esasperato. Perché nessuno riusciva a capire le mie ragioni? Perché nessuno sentiva l’odore di bruciato mentre il mio orgoglio andava in fiamme?
-Lo sai che in fondo ti ama ancora.
-No, non lo so e non lo sa neanche lei.
-Lei non vuole ammetterlo, è diverso.
-Comunque sia, ha deciso di tornare con quel… con suo marito. Cosa credi che possa fare?
-Riconquistala.
-Facile a dirsi, Potter.
-Mettila così: hai tutta la mia fiducia in questa storia e, se permetti, conosco bene la mia migliore amica e so che è solo questione di tempo.
Distolsi lo sguardo. Apparentemente stavo riflettendo, in realtà avevo già deciso cosa rispondere.
Sarebbe stato meglio o peggio non lo sapevo, ma c’era in gioco qualcosa di troppo grande per far finta che non ci fosse. –Guai a te se mi hai riempito la testa di cazzate.
-Allora accetti?
-Precisamente cosa dovrei fare?
-Le ho affidato ogni caso di violenza sulle donne: tu sarai il suo consulente, mentre lei sarà la consulente di ogni donna che voglia denunciare il proprio marito o, comunque, qualcuno che la maltratti.
-Mh.
-Starai a stretto contatto con lei e, ovviamente, non c’è bisogno che te lo dica, perché è già nella tua natura far notare le assonanze nelle situazioni.
-Ovvio, Potter.
-Sul piano lavorativo, è questo il tuo compito. Sul piano sentimentale, beh… sono cazzi tuoi, giusto?
-Vedo che impari in fretta!
-Diciamo che ti conosco da un bel po’!
-Già.
Finalmente anche lui si rilassò e si sedette nella poltrona di fronte a me. –L’ho vista felice solo insieme a te, anche se la situazione non era delle migliori. Ma so che puoi darle la felicità che merita.
-Non dimenticarti di questo, Potter.- dissi, alzando la mano sinistra per fargli vedere la fede.
-Il tuo matrimonio va a rotoli da anni, Malfoy. Si tiene in piedi solo per via di Natan. Anzi, a dirla tutta, il tuo matrimonio non ha alcuna base.
Touchè. Chi poteva dargli torto?
Il mio matrimonio era nato da un obbligo e da una responsabilità che mi gravava sulle spalle.
L’avevo accettata, anche se mi sembrava troppo grande per essere affrontata da solo: avrei voluto che Hermione mi rimasse accanto, ma avevo deciso per entrambi che la cosa più sana da fare era chiudere la nostra storia.
Me ne ero pentito quasi subito e, quando ero pronto per tornare da lei, ero venuto a sapere che era partita.
Un pugno allo stomaco, una stilettata al cuore.
Sapevo che non sarebbe tornata, che neanche l’amore che provava per me le avrebbe fatto cambiare idea. Inoltre, ero stato io a decidere per entrambi, quindi l’avevo lasciata andare e mi ero rassegnato ad andare avanti senza di lei.
Harry mi aveva anche avvisato del suo matrimonio con il verme francese, ma allora credevo che lui avesse potuto renderla felice.
Ovviamente, mi sbagliavo. –Sai cosa mi stai chiedendo, vero?
-Sì: ti sto chiedendo di riprenderti la vita che entrambi volevate.
Quando si dice il destino… che brutto tiro che aveva avuto in serbo per noi.
Mi alzai dalla sedia e aprii la finestra. Il vento freddo m’investii in pieno e portò con sé alcuni pensieri. –Non posso chiederle il divorzio, lo sai.
-Lo so, Malfoy… ma questo non significa che tu non possa essere felice.
-Faresti diventare Hermione la mia amante?
-No, ma sarebbe sempre meglio che vederla insieme a quel tipo. Saresti un… un diversivo per lei.
-Mi offendi così, Potter.
-Perdonami. Non intendevo proprio quello che ho detto. Diciamo che… tu sarai la sua isola e lei sarà la tua.
-E’ un po’ illusorio, non credi?
-Deve pur esserci un modo per sfuggire dalla realtà quando non ci piace, no?
-Non voglio usare la donna che amo come se fosse una valvola di sfogo. Le farei ancora più male non potendole dare quello che lei desidera da me.
-Il tuo discorso non fa una piega. Ma Hermione non può tornare con Henri.
-C’è Blaise, ci sono tante altre persone che possono farla innamorare, perché lo chiedi proprio a me?
-Perché so quanto ti ha amato. E so quanto tu la ami ancora.
-Sei proprio come la sabbia nelle mutande, Potter.
-Spero almeno che un giorno tu possa ringraziarmi.- ed uscì dall’ufficio.
A mente quasi lucida e senza lo sguardo fiducioso di Potter, cominciai a pensare alla proposta che avevo appena accettato.
Ero folle o cosa?
Come credevo di poter stare a stretto contatto con lei e non mettere in gioco il cuore?
Presi la valigetta ed uscii dall’ufficio.
Il ritorno a casa avrebbe pesato ancora di più, ma dovevo dar conto a mio figlio ed essere presente nella sua vita era il minimo che potessi fare.
Misi in moto e mi avviai.
Quando arrivai a casa, aprii la porta e come al solito il buio mi investì.
Odiavo non sentire il calore e l’accoglienza di casa mia e l’unico che poteva rendermi felice era Natan.
Andai in camera sua e lo trovai seduto ai piedi del suo lettino, in lacrime. –Natan, cos’è successo?
-Mamma… mamma…- tirava su col naso e non riusciva a parlare.
-Hey campione, ho un’idea.
Sorrise.  –Si?
-Sì, sì. Io e te, adesso andiamo a mangiare al McDonald’s.
-Sìì.
Come poteva Cloe farlo piangere, quando il sorriso di Natan era la luce più bella che potesse esistere?
-Andiamo.- lo presi in braccio, correndo per la casa e facendogli il solletico. –Hai fame?
-Sì, tantissima. Papà, sai che l’amica della mamma, ha giocato con me quando ho avuto la febbre?
-L’amica della mamma?
-Sì.
-Chi?
-Hermione. Quella signora bella, che è venuta a cena a casa nostra.
Non avevo più dubbi, ormai, sul conto di Cloe: era una delle donne più belle che avessi mai conosciuto.
Ma a livello di personalità era meno di zero.
Arrivammo al McDonald’s in pochissimo tempo: ero talmente arrabbiato che sarei arrivato in Italia in meno di un’ora. Avrei camminato a pel d’acqua tanto che correvo.
Scesi dall’auto e andai ad aprire la portiera a Natan, quindi lo aiutai a scendere e lasciai che corresse ad aprire le porte del locale. –Io voglio l’Happy Meal.
Trascorremmo la serata a ridere. Io ero assorto a sentire i suoi racconti e lui gesticolava, come a farmi comprendere l’importanza delle sue parole.
Era un angelo, era il dono più bello che la vita potesse farmi e avrei reso felice anche lui in un modo o nell’altro.
Quando tornammo a casa, Natan già dormiva, quindi lo stesi sul lettino e gli misi il pigiama alla bell’ e meglio, poi gli rimboccai le coperte e lo lasciai dormire.
-Ti pare questa l’ora di tornare?
-Hai lasciato Natan a casa, da solo.
-E’ grande.
-Ha cinque anni, Cloe. E’ un bambino, ha bisogno di attenzioni.
-Allora prestagliele tu le tue tanto decantate attenzioni.
-Sei una stronza, Cloe. Non meriti di essere madre di un bambino così.
-Lo merita Hermione?
-Che cazzo c’entra Hermione, adesso?
-Sei tornato tardi anche questa sera.
-Stiamo parlando di te.
-Non voglio parlare di me. Sono stanca, vado a letto.
Le feci un gesto con la mano, come a dirle che poteva andare.
Se avessi potuto, l’avrei strangolata e ogni sera di più aumentava in me la consapevolezza che questa non era la vita che desideravo né per me, né per mio figlio.
Fumai l’ennesima sigaretta della giornata, poi andai in bagno e lasciai che il getto bollente della doccia mi togliesse da dosso la sensazione di schifo che provavo verso quella donna.
Poi, indossai il pigiama e tornai a sedermi sul divano.
Non avrei passato la notte nel letto al fianco di una persona che disprezzavo. Anzi, non avrei passato nessun’altra notte accanto a lei.
Prima di addormentarmi, ripensai ad Hermione e alla proposta che mi aveva fatto Harry.
Forse, non era così folle l’idea che aveva avuto e forse, anche se in minima parte, sarei potuto essere felice anche io.


Spoiler capitolo 19:
La bottiglia di champagne era poggiata in un contenitore d’acciaio che conteneva del ghiaccio e al centro della tavola c’era un candeliere a tre braccia.
Sul lato sinistro, invece, c’era un cesto con delle rose gialle.

Gialle, non rosse come l’amore, come il rispetto; non bianche come la purezza, come la riverenza.
Gialle come la gelosia, come l’infedeltà, come la vergogna.


***
Angolo Autrice:
Ben trovate care!
Sono un pò delusa del capitolo precedente... solo 3 recensioni!
Forse la storia non vi piace più? Vi prego di farmelo sapere.
Comunque, torniamo al capitolo: mi piace particolarmente, forse perchè grazie alla proposta che Harry fa a Draco cambiaranno molte cose.
Passiamo ai personaggi:
-Harry: vuole molto bene ad Hermione e, come avete visto, ha esposto le sue ragioni a Draco. Lui sa bene quanto Hermione continui ad amarlo, ma è anche vero che ultimamente non riesce a capire le scelte della sua migliore amica. Non è comunque da trascurare il fatto che non sopporti Henri e che ammiri molto Draco, anche se non lo ammette;
-Cloe: odiatela, pure! Lasciate però un poco poco di spazio per lei nel vostro cuoricino: prima o poi le vorrete molto bene;
-Natan: ta dan! ha detto a Draco che Hermione si è preso cura di lui, avete visto? Quanto è dolce...
-Draco: cosa si può dire su di lui? E' un ottimo padre, questo è poco, ma sicuro.  E' molto combattuto perchè non vorrebbe fermarsi a comquistare Hermione, ma vorrebbe amarla e questo l'avevate capito anche voi, no?
Lo spoiler: non dice molto, ma come vi ho già accennato, tratterà della cena tra Hermione e il vermiciattolo, come molte di voi lo definite. MA... c'è un ma... cosa pensate possa accadere?

Ringrazio le 54 seguite, le 24 preferite e le 4 ricordate.
Mi rendete felicissima, perchè continuate ad aumentare e, come dico ormai in ogni "piè di pagina" , senza il vostro sostegno, silenzioso o meno, questa storia resterebbe in stallo, a marcire nei documenti xD
Grazie ancora  a tutte quante.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 19
*** Tornare insieme... ***


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Capitolo 19: Tornare insieme...

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Il locale era illuminato da luci soffuse, ma chiare.
I tavoli erano apparecchiati con tovaglie di lino color della paglia e le posate erano ben ordinate. Al centro di ogni tavolo, c’era un cesto contenente dei fiori: lillà, margherite.
Un cameriere ci raggiunse. –Prego.
-Ho una prenotazione.
-Può dirmi il suo cognome, gentilmente?
-Duval.- era fiero.
Abbassai il capo e lasciai che mi conducesse lui, senza però guardarlo negli occhi.
Arrivammo ad una terrazza piccola, coperta da un telo impermeabile per non permettere alla pioggia di bagnare chi avesse deciso di cenare lì.
Ovviamente, la terrazza era stata adibita apposta per noi, dato che c’era un solo tavolo.
La tovaglia era chiara, come quelle che avevo visto nella sala, le posate erano sistemate allo stesso modo e i bicchieri avevano il bordo rivolto verso l’alto.
La bottiglia di champagne era poggiata in un contenitore d’acciaio che conteneva del ghiaccio e al centro della tavola c’era un candeliere a tre braccia.
Sul lato sinistro, invece, c’era un cesto con delle rose gialle.
Gialle, non rosse come l’amore, come il rispetto; non bianche come la purezza, come la riverenza.
Gialle come la gelosia, come l’infedeltà, come la vergogna.
Henri si avvicinò e mi spostò la sedia, permettendomi quindi di accomodarmi.
Mi sedetti e lasciai che lui mi avvicinasse al tavolo. Poi, si sedette anche lui.
Mi prese le mani tra le sue. –Allora? Hai detto che stai lavorando?
-Sì, al dipartimento di Harry.
-Ah. E in cosa consiste questo lavoro?
-Sono una specie di consulente.
-Da avvocato a consulente… bel salto di qualità.
Ridussi gli occhi a due fessure e lo guardai dura. –Non ho ancora terminato la frase, Henri.
-Oh, beh, allora continua.
-Sarò una specie di consulente per la prima fase di ogni caso, ovvero, prima delle denunce.
-E dopo?
-Dopo, se viene sporta la denuncia, io assisterò le clienti nell’iter che parte dal momento in cui la denuncia viene presentata ad un giudice, fino al termine della causa.
-Hai detto “le clienti”, in che campo opererai?
Acuto. –Contro la violenza sulle donne.
Vidi il suo sguardo perdersi per un po’ nel vuoto, come se qualcosa che abitava negli antri della sua mente lo stesse chiamando, come se dovesse prestare attenzione a quello che succedeva dentro di lui.
Non erano sensi di colpa, lo sapevo bene.
Secondo il mio modo di vedere le cose, per quanto sbagliato potesse essere, Henri stava cercando di capire se quello che aveva usato su di me fosse o meno definibile “violenza sulle donne”.
Lo era, lo era eccome, ma quando il suoi occhi tornarono ad essere presenti, mi resi conto che secondo il suo ego non aveva commesso alcun reato.
In realtà, la stupida ero stata io a non averlo denunciato. Eppure avevo alle spalle molte persone che mi sostenevano… sarebbe bastato così poco per essere libera.
Basta. Se avessi continuato a soffermarmi sui miei pensieri, la decisione che avevo preso non sarebbe rimasta in piedi e sarei finita col cambiare idea.
Mi versò un po’ di champagne nel bicchiere e ne bevvi un sorso.
-Perdonami.- disse tutto d’un tratto. –Ti avevo promesso che non sarebbe più accaduto e invece…
-E’ successo.
-Non volevo farlo, è solo che…
Qualsiasi giustificazione non sarebbe servita ad alleviare le ferite che avevo dentro. –Era un momento Henri.- Eppure, io continuavo a trovargli delle scusanti.
-Sì, proprio così. Ora, però, se me lo permetterai…
-Non lo so, Henri.
-Le cose cambieranno, Herm. Io sarò il marito che hai sempre sognato.
-Non lo so, davvero…
-Ti prego, credimi.
Cos’avevo? Ero così decisa a dirgli di sì ed ora mi ritrovavo a temporeggiare, prima di dargli una risposta? Non era da me.
Ero sempre stata decisa quando desideravo qualcosa: o sì o no.
Ma, forse, il punto era proprio questo: desideravo davvero tornare con Henri? Sì, diamine. Sì. –D’accordo, Henri.
Sorrise.
Mi piaceva molto il suo sorriso… proprio per quello avevo deciso di sposarlo e di dargli tante possibilità: quando sorrideva, la cattiveria che aveva negli occhi andava via o, forse, accentuava la sua presenza ed io non riuscivo a vederla.
Da quando stavo con Henri, il mio orgoglio era diventato cieco… me l’avevano fatto notare più persone, ma me n’ero accorta anche io, quando avevo iniziato a non distinguere più il bene dal male.
Il cameriere si avvicinò a noi, spezzando il filo dei miei pensieri. –I signori vogliono ordinare?
-Oh, ci scusi.- dissi, colma d’imbarazzo. –Non abbiamo ancora guardato i menù.
-Si figuri signora.
-Grazie.- e il giovane si allontanò.
-Dovresti essere meno gentile.
-Dovresti essere più educato, Henri…
-Bah, tu e le tue manie di perfezione.
-Henri…
-Oh, sì. Perdonami.
Com’era possibile che non riusciva  a rendersi conto degli atteggiamenti che assumeva? –E’ meglio se ci decidiamo.- dissi, indicando i menù con un gesto del capo.
-E’ un menù italiano, ti piace?
-Molto.- seguii con lo sguardo la scrittura elegante e lessi con attenzione tutti gli ingredienti con cui erano cucinati i primi piatti. –Pennette Napoli.
-Pomodoro e basilico? Che sapore avranno?
-Non so, ma voglio provarle.
-Gusti strani.- fece segno al cameriere di avvicinarsi e questi, dopo poco, ci raggiunse tenendo in mano un taccuino di cuoio.
-Prego.
-Portaci un piatto di Pennette Napoli e l’altro di Cannelloni Vegetariani.
-Per piacere,- intervenni per evitare che Henri trattasse ancora il cameriere come se fosse un suo schiavo. –può portarci anche dell’acqua naturale.
-Acqua? Ma sei per caso impazzita?
-La prego,- dissi ancora al cameriere.- per me porti dell’acqua. Se il signore desidera altro…
-Certo che desidero altro. Portami il miglior vino che avete. Rosso.
-Certo.- il cameriere si allontanò, ma prima che Henri togliesse i suoi occhi dal menù, mi lanciò uno sguardo di disapprovazione e pietà.
-Mangi sempre i cannelloni vegetariani, Henri.
-Che male c’è? Credi che sia meglio un po’ di pasta con il pomodoro e il basilico?
Preferii restare zitta. Osservai il panorama, ma ero talmente lontana con i miei pensieri che non riuscii a memorizzare alcun tratto di quel posto.
Dopo venti minuti di silenzio assoluto, il cameriere arrivò al tavolo con i piatti e li sistemò sul tavolo, appoggiando vicino al candeliere un contenitore con il formaggio. –Buon appetito.
Portai alla bocca una sola pennetta e chiusi gli occhi per percepire ogni sfumatura di sapore.
Il pomodoro era dolce, buono e il basilico rendeva leggermente amarostico il sugo. Perfetto, un sapore sublime.
Sì, erano meglio le mie pennette pomodoro e basilico che i cannelloni vegetariani che aveva ordinato Henri.
Aprii gli occhi e trovai i suoi a fissarmi. –Come sono?
-Molto buoni. Vuoi assaggiarne un po’?
-No, grazie.
Guardai il contenitore con il formaggio e decisi di non metterlo sulla pasta: non volevo alterare il sapore del sugo.
La serata trascorse tranquilla. Henri non si lasciò più andare a commenti o atteggiamenti fuori luogo.
Poi, arrivò il momento di pagare il conto. –Hai con te il portafogli o pago io?
-Tranquilla. Ti ho invitato a cena fuori, sei mia ospite.
-Grazie mille.- nascosi bene il tono di sarcasmo con cui l’avevo ringraziato, quindi non mi preoccupai molto della sua reazione che, a dire la verità, neanche arrivò.
Scendemmo le scale che ci avevano portato in terrazza, tenendoci mano nella mano.
Sorrisi quando arrivammo alla cassa ed Henri porse la carta di credito alla cassiera.
Tornammo all’auto e mi aprì la portiera, quindi attese che mi sistemai sul sedile del passeggero e la richiuse.
Entrò anche lui in auto e mise in moto, posando la mano sulla mia ogni volta che ingranava la marcia.
Mi sorrideva, avvicinava le labbra alla mia fronte.
Si fermò di fronte al cancello di casa e accese la luce accanto allo specchietto retrovisore.
-Non ti ancora detto che sei stupenda.
-Grazie.
-Se sorridi, lo sei ancora di più.
-Non è così facile farlo, Henri.
-Su, lasciamoci alle spalle tutti gli errori che abbiamo fatto, ti va?
-Sì, però ho paura.
-Non devi averne.
-Invece ne ho…
Mi baciò con delicatezza, anche se presto divenne più impetuoso, più violento.
Lo lasciai fare e lo accompagnai in quel contatto che sembrava essere una condanna.
Quando uscii dall’auto, corsi alla porta di casa e la richiusi in fretta alla mie spalle.
Ancosa per una volta, anche se mi ero imposta il contrario, avevo fatto tacere il cuore e avevo lasciato libero arbitrio alla ragione: il mio cuore chiedeva troppo. Il mio cuore mi chiedeva di tornare indietro o forse, era solo il mi osubconscio a percepire questo messaggio.
Andai in camera, affrettata per togliere le scarpe e stendermi un po’.
Mi tirai su e portai una mano alle labbra. Erano ancora calde, ancora umide del sapore di Henri.
Ripensai alla serata appena trascorsa, al bacio che avevo appena ricevuto.
Non avevo sentito il battito del mio cuore accelerare, né la voglia di stringermi a lui per rubare un altro po’ del suo sapore.
Non avevo provato le stesse emozioni che avevo provato con Draco.
Decisi comunque di non pensarci e mi avviai in bagno per fare una doccia.
Lasciai che l’acqua calda portasse con sé i pensieri più scomodi, quelli che mi allontanavano dalla decisione di salvare il mio matrimonio, quelli che mi portavano dritta dritta tra le braccia di Draco.
Scrollai la testa e chiusi il getto d’acqua, quindi cominciai ad insaponarmi. Identificare il profumo del bagnoschiuma mi distrasse per un po’: era dolce, di fiori.
Niente, non ci riuscivo. Così afferrai la bottiglia del sapone e lessi: iris e fiori di tiarè.
Aprii ancora l’acqua e lasciai che mi pulisse per bene dalla schiuma, poi mi avvolsi nell’accappatoio e andai in camera.
Cominciai ad asciugarmi, ma mi persi immediatamente nei ricordi della giornata.
I suoi occhi grigi… mi sembrava ancora di averli addosso, prima carichi di desiderio, poi duri e freddi più del ghiaccio.
Indossai il pigiama e mi sistemai sotto le coperte.
Era già passato un mese da quando ero arrivata a Londra e quante cose erano cambiate: il mio matrimonio era stato messo totalmente in discussione.
Avevo scoperto le carte sul tavolo ed aveva bluffato tutti, peggio che in una partita di poker. Più di tutti, però avevo bluffato me stessa.
Era giusto? No.
Eppure, c’era qualcosa in me che continuava a farmi credere in quella vita… forse, era solo abitudine.
Fatto stava che avevo deciso e sarei stata irremovibile: in un modo o nell’altro, dovevo capire dove avevo sbagliato e modificare il modo di affrontare quegli attimi.
Non poteva finire tutto così, solo per uno schiaffo.
Uno schiaffo? Uno schiaffo o magari qualcosa in più.
C’era ancora qualche briciola di salvezza per questa storia, no?
No.
Stupida coscienza. Era una voce, solo una voce fastidiosa a cui non avrei dovuto dar conto.
Una voce che nasceva dal cuore, che mi suggeriva di scappare appena ero in tempo, ma non mi sarei lasciata convincere, neanche di fronte all’evidenza dei fatti.  Sarei stata più forte di ogni cosa ed avrei vinto su ogni cosa mi si fosse parata di fronte.
Mi abbandonai lentamente al mondo dei sogni e sperai di non sognare Draco, non di nuovo.
Ritrovarlo nei sogni era peggio che incontrarlo tutti i giorni nella realtà.
Qualcuno mi aveva detto che i sogni erano un riflesso di ciò che realmente desideriamo e sognarlo non giovava di certo alla determinazione che avevo trovato per mandarlo via dalla mia vita.
La chiave dell'appartamento, però, era ancora lì...


Spoiler capitolo 20:
Sul lato destro della scrivania, il pc nuovo di zecca era ancora imballato,quindi mi sporsi in quel lato per togliere la busta di celophan dallo schermo e lo accesi.
-Non provocarmi, però, Granger.
-Cosa ho fatto?
-E’ vero che saremo come due estranei- un colpo al cuore. Doloroso, potente. -…ma è anche vero che sono un uomo.
Mi ricomposi e, per far sparire in fretta il rossore dal viso, mi alzai e mi avvicinai alla porta-finestra.
Due estranei.
Due estranei voleva dire salutarsi a stento, non sentire più il calore delle sue mani addosso, non avere più i suoi occhi nei miei, non trovarmi più a pochi millimetri dalla sua bocca.
E ti sta bene?
Ci pensai per po’. Per un po’ tanto…

***
Angolo Autrice:
Eccomi qui! Sono tornata.
"Che rompipalle!", lo state pensando, lo so.
Per prima cosa, grazie per le recensioni: 8!
Comuunque, il nuovo capitolo è pronto per essere giudicato da voi ^.^
Non vi piacerà questo capitolo, neanche un pò, ma come dico sempre... PAZIENTATE un altro pò.
Bene. Vi spiego un pò come stanno le cose: è appena iniziato febbraio (nella mia ff, ovviamente xD), quindi, non vi spaventate se tra un pò ci sarà un titolo "strano". Ops, spoiler!
Passiamo ai personaggi, che ne dite?
-Henri: lo so, lo so... non vi comprerà di certo con questi sprazzi improvvisi di dolcezza e amore, vero? Ma, in fondo in fondo in fondo in fondo, tanto cattivo non è, vero Henri? Bah, meglio lasciar perdere. Come avete potuto vedere in questo capitolo, il potere che ha su Hermione sta diventando relativo, dato che ormai ne ha perso parecchio;
-Hermione: la pesterei a morte. Lo so, l'ho inventata io e la adoro, ma è così testarda che mi bastona se non scrivo quello che lei chiede xD. Scherzi a parte, è un mulo, anzi peggio. Ormai è convinta che salvare il matrimonio con Henri sia la cosa giusta da fare... aveva deciso di far parlare il cuore e poi, il suo stupido orgoglio l'ha spinta a fare il contrario... rispettiamo i suoi tempi, su... e speriamo che l'idea di Harry dia buoni frutti, no?
Lo spoiler: "due estranei"? Oddio! Cosa varrà mai dire? e soprattutto, chi sarà che dice queste cose? Chissà...
Bene, ora, dopo questo chilometrico angolino d' "autrice" (con mooolte, moooolte virgolette), vi lascio a riposare e a immaginare cosa può succedere nel prossimo capitolo.

Ringrazio le 58 seguite, le 25 preferite e le 4 ricordate.
Non potete immaginare che gioia è per me vedere che aumentate ogni volta *.*
Grazie mille anche ai lettori silenziosi e a chi perde anche un solo secondo del suo tempo prezioso e lo dedica alla mia storia.
A presto, la vostra Exentia_dream


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Capitolo 20
*** Miss Parkinson... ***


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Capitolo 20: Miss Parkinson...

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Ero arrivata in ufficio e avevo da subito aperto un po’ la porta finestra per arieggiare e far entrare un po’ d’aria fredda, quindi avevo sistemato il cappotto all’attaccapanni e avevo appoggiato il cardigan alla sedia.
Bussarono alla porta. –Avanti.

-Buongiorno, Granger.

-Salve Malfoy. Ti serve qualcosa?

-Sì, in realtà volevo essere informato sulla linea che hai deciso di seguire per questi casi.

-E a te cosa importa?

-Se dobbiamo lavorare insieme, credo che sia giusto essere informato, no?

-Oh… quindi hai deciso di… collaborare?

-In un certo senso. Diciamo che Potter mi ha quasi obbligato.

-Non può obbligarti a fare qualcosa che non vuoi.

-Certo che può: è il mio capo. E poi, chi ti ha detto che non voglio?
-Mi pare che lo abbia detto tu.
-Ho detto che non mi sembrava il caso continuare a lavorare insieme, dato che…- si avvicinò e sentii il cuore fare una capriola. –ogni volta che siamo soli, è inevitabile che succeda questo.- Continuò ad avvicinarsi, fino a trovarsi a pochi millimetri dalle mie labbra.
Mi guardò negli occhi e sorrise, poi si allontanò.
Mi sistemai e cercai di nascondere il rossore delle guance, lasciando che i capelli mi coprissero il viso. –Bene. Per quanto riguarda la linea di lavoro, avevo pensato di dividere il percorso in due fasi: la prima consultiva.
-Sarebbe?
-Sarebbero delle sedute in presenza di uno psicologo e a cui, ovviamente, assisterò anche io. La preferirei donna, dato che può rispecchiarsi completamente nella mentalità delle clienti.
-Interessante.
-La seconda fase, comincerà quando le clienti decideranno di sporgere denuncia. Da quel momento in poi, sarò un po’ come la loro ombra.
-Complimenti, Granger.
-Odio quando usano il mio cognome per chiamarmi.
-E’ meglio se manteniamo le distanze.
L’avevo guardato, mentre tornava a sedersi e, a sua volta, mi aveva guardata con aria interrogativa.
Forse, si aspettava una risposta? –Bene.
-Bene.
Sul lato destro della scrivania, il pc nuovo di zecca era ancora imballato,quindi mi sporsi in quel lato per togliere la busta di celophan dallo schermo e lo accesi.
-Non provocarmi, però, Granger.
-Cosa ho fatto?
-E’ vero che saremo come due estranei- un colpo al cuore. Doloroso, potente. -…ma è anche vero che sono un uomo.
Mi ricomposi e, per far sparire in fretta il rossore dal viso, mi alzai e mi avvicinai alla porta-finestra.

Due estranei.
Due estranei voleva dire salutarsi a stento, non sentire più il calore delle sue mani addosso, non avere più i suoi occhi nei miei, non trovarmi più a pochi millimetri dalla sua bocca.
E ti sta bene?
Ci pensai per po’. Per un po’ tanto…
Diamine se mi stava bene: ero sposata ed ero una donna seria. Una donna che avrebbe provato in tutti i modi di salvare l’insalvabile.
-…quindi, se non ti dispiace…
Mi ero persa parte del discorso e dalle aspettative che scorsi nei suoi occhi dedussi che si trattava di qualcosa di importante. –Figurati.- sorrisi, sperando di non sembrare una cretina.
-Allora, ci vediamo.
-Sì.- ed uscii dal mio ufficio.
Tornai a prestare attenzione al mio lavoro, quindi, cominciai a creare le varie cartelle sul desktop del computer.

Come due estranei.
La sua voce fredda, tagliente mi sembrava così viva, come sei lui fosse ancora lì a parlare.
Non poteva una semplice frase avere il potere di distrarmi tanto: erano solo parole, niente di più.
Guardai l’orologio: erano le 9,15 e mi sentivo ancora assonnata, perciò decisi di uscire dall’ufficio e mi avviai alla macchinetta del caffé per prenderne un po’.
Inserii la moneta e premetti il tasto per avviare la preparazione del caffé.
Quando il bicchiere fu pieno, lo presi e lo sorseggiai. Il sapore lasciava un po’ a desiderare: era acquoso e, sinceramente, lo preferivo carico, forte.
Gettai il bicchiere del contenitore sito nell’angolo dell’atrio, poi tornai nel mio ufficio.
Richiusi la porta alle mie spalle e respirai profondamente, poi mi sedetti e presi il cellulare dalla borsa. Composi il numero di Ginny e avvia la chiamata.
-Pronto?
-Ti avevo data per dispersa.
-Esagerata. Dove sei?
-A lavoro.
-Lavori? Da quanto?
-Da… ieri.- sorrisi, immaginando Ginny che boccheggiava.
-Ah, giusto. Harry me ne aveva parlato. Allora, come ti sembra?
-E’ l’inizio… e… hey, perché non vieni a dare un’occhiata al mio ufficio?
-Mmh, d’accordo.
-Ci conto, eh?
-Conta, conta. Inizia a farlo da ora…
-Scusa?
-Uno, due, tre…
-Sei una stupida, Ginevra Weasley.
-Hermione Granger, non permetterti di usare questo tono con me.
-Ti aspetto, dai.
-A tra poco, Herm.
Mi rilassai totalmente sulla sedia, con un sorriso sornione stampato sul viso.
Era da un po’ che non vedevo Ginny, né Blaise e avevo un bisogno immenso di rispecchiarmi nei suoi occhi e trovare la calma che ultimamente mi mancava.
Lo avrei chiamato, appena la mia giornata lavorativa sarebbe finita. Nessuno riusciva a capirmi come lui, perché nessuno conosceva realmente Draco, nessuno aveva mai assistito alle nostre litigate…
Blaise sì.
Non avevo ancora nessun caso su cui lavorare ed era così snervante stare ferma, quindi aprii la pagina di Internet. Volevo vederla assolutamente sia per curiosità sia perché le volevo un bene dell’anima.
Digitai il suo nome nella barra di Google e cliccai sulla prima immagine per ingrandirla: era in bianco e nero, quindi il colore degli occhi e dei capelli non potevano essere distinti, ma era comunque una delle ragazze più belle che avessi mai visto.
I lineamenti del viso erano sottili e delicati, i capelli lisci le incorniciavano perfettamente il viso snello e il corpo era perfetto. Lavanda Brown era nata per essere una modella famosa: era sempre stata determinata ad essere ricordata e ci stava riuscendo alla grande, visto che il suo nome compariva su ogni rivista di moda.
Eppure, tanto successo non le aveva dato alla testa, era sempre rimasta con i piedi ben saldi a terra e non aveva mai abbandonato il suo fidanzato storico.
Era una ragazza meravigliosa: sempre dolce, sempre sorridente. Non c’era niente che riusciva a farle abbassare la testa e, quando si trattava di affrontare i problemi, era sempre lì, in prima linea, a testa alta.
L’avevo sempre invidiata per la sua forza… avrei voluto averne una briciola di quanto ne aveva lei.
Quando bussarono alla porta, quasi balzai dalla sedia. –Avanti.- dissi, posando una mano sul cuore, come a volerlo calmare.
Draco entrò e sorrise gentilmente, come si fa con una commessa al supermercato.
Il mio cuore non accennò a tranquillizzarsi, anzi, aumentò la sua corsa folle.
-Ecco.- disse mostrandomi un foglio.
-Cosa?
-La lista delle migliori psicologhe.
-Ah?
-Ne abbiamo parlato prima… ma tu eri persa in chissà quali pensieri, quindi non mi hai ascoltato.
-No, sì, certo che ho ascoltato, Malfoy! Ma per chi mi hai presa?
-Bah…
-Comunque, dicevi: le migliori psicologhe?
-Sì.
-Fai un po’ vedere.- e presi il foglio dalle sue mani e lessi velocemente.
Stavo per posare il foglio, quando lo ripresi.
I miei occhi erano stati impegnati a cogliere ogni suo movimento e, quindi, avevano notato in ritardo che nella lista era presente un nome che conoscevo bene, che avevo odiato, ma che avevo imparato ad apprezzare.
Pansy Parkinson.
-Sorpresa?- mi chiede, intuendo immediatamente i miei pensieri, come se li stesse seguendo con un filo visibile solo a lui.
-Sì.
Sorrisi e mi ricordai di quanto Pansy fosse brava ad entrare nei pensieri delle persone, a capirle anche con uno sguardo fugace.
In effetti, non avrebbe potuto scegliere un mestiere più adatto a lei.
Continuai a sorridere, pensando a quanto ci fossi realmente realizzati tutti, a quanto fossimo stati bravi ad avverare i nostri sogni, nonostante le avversità.
Scossi il capo, per impedire alle lacrime di uscire. L’emozione mi prendeva sempre quando ripensavo ai giorni in cui ero stata felice davvero, ai giorni in cui ridere per me era spontaneo e non mi pesava.
-C’è qualcosa che non va?
-No.
-La lista la lascio qui, così puoi decidere con calma…
-No, portala. Ho già deciso.
-Sei veloce.
-Molto.
-Non ti sembra troppo affrettata questa decisione? Bisogna essere selettivi nell’ambito lavorativo.
-Sono molto selettiva in questi casi e, inoltre, conosco bene Pansy.
-D’accordo.
-Ti spiace se fumo?
-Fai pure.
Portò la sigaretta alle labbra e l’accese, senza distogliere lo sguardo dal mio.
Era abbastanza lontano, ma riuscivo comunque a scorgere ogni sfumatura dei suoi occhi: erano grigi, con sottili venature verdi e azzurre.
Erano gelidi, scostanti.
Sentii i brividi attraversarmi la spina dorsale e mi ritrovai con la pelle d’oca, quindi m’infilai il cardigan.
-Hai freddo?
-Un po’.
-Il riscaldamento è acceso.
-Sì…- dissi con nonchalance, facendo cadere lì il discorso.
-Provvederai tu a chiamar…- ma non terminò la frase, perché qualcuno bussò alla porta.
-Avanti.
Fui travolta da una massa informe di capelli rossi. –Piove!
-Weasley?- chiese Draco.
-In carne, ossa e capelli come la paglia.
Rise di gusto. –Ora vado. Granger, allora ci pensi tu?
-Sì, grazie mille.
Aspettammo che Draco uscisse dall’ufficio, poi Ginny mi puntò gli occhi addosso, riducendoli a due fessure. –Granger?
-Sì.
-Ti chiama Granger?
-Sì.
-Come se fossi un’estranea?
Bam. Una pugnalata dritta al petto. Mi ritrovai a boccheggiare, in cerca di aria. Poi, chiusi gli occhi e cercai di tornare in me. –Sì, come un’estranea. Siamo due estranei.
-Ma se vi siete dati anche l’anima? Chi volete prendere in giro?!- disse, ammonendomi con lo sguardo.
-E’ la scelta migliore per… per me e per lui.
-Sarà…
-Ora scusami, ma devo telefonare Pansy.
-Come mai?
-E’ una psicologa.
-Hai intenzione di farti curare da lei?
-Non è per me, Ginny.- dissi, indicandole con un gesto della mano l’ufficio.
-Oh… capito!
Digitai il numero ed attesi. –Pronto?- una voce squillante ed allegra mi riempii le orecchie.
-Pansy Parkinson?
-Sì, chi parla?
-Salve. Chiamo a nome del commissario Malfoy.
-Sì. Gli serve qualcosa?
-In un certo senso.
-Mh.
-E’ possibile avere un appuntamento con lei, nel pomeriggio?
-Mi dia un attimo.
-Prego.- feci segno a Ginny di non parlare e lei sorrise.
-Pronto?
-Sì?
-Nel pomeriggio non è possibile, ma se il commissario Malfoy può ricevermi tra un’ora…
-Perfetto.
-Allora a tra poco. Arrivederci.
-A lei.
Tornai a sedermi e guardai Ginny. Sentivo finalmente che qualcosa in me stava tornando al proprio posto.
-Sei felice.
-Adesso sì.
-Finalmente.
Il mio sorriso si spense quasi subito, quando ripensai ad Henri. –Già…
-C’è qualcosa che dovrei sapere?
-No.- risposi troppo in fretta.
-C’entra quel bastardo?
-Non è un bastardo.
Sbarrò gli occhi, come se avesse visto il diavolo in persona. –No, no. Dimmi che non è vero. Dimmi che è uno scherzo… non puoi averlo fatto. Che cazzo ti è preso? Sei impazzita?
-Ti prego, almeno tu…
-Almeno io? Hai questo coraggio?
-I-io…
-Eh no, amica mia. Pansy Parkinson non servirebbe alle tue clienti, perché chiunque entra in questo ufficio ha preso la decisione di abbandonare una vita di merda, tu invece continui a sguazzarci.
-Mi dispiace, Ginny, ma ho bisogno di provarci.
Il rumore del legno che veniva battuto mi salvò da una scenata epica. –Sei una stupida.- concluse.
-Avanti.- dissi, guardandola per l’ultima volta e indossando la mia maschera di professionalità.
-Avvocato, c’è la signorina Parkinson.
-Sì, la faccia accomodare.
Quando entrò, Pansy si guardò intorno con aria studiosa.
Era nella sua indole studiare i minimi particolari dei luoghi in cui entrava: a suo parere, da quel che ricordo, anche i colori delle pareti parlavano della personalità di una persona.
Poi, posò lo sguardo su di me. riaprì e richiuse più volte gli occhi.
Si passò le mani per strofinarli, poi spalancò la bocca. –Sto sognando, vero?
-Affatto.
Mi alzai e le corsi incontro per abbracciarla.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e questa volta le lasciai libere. Poi, ci staccammo e non so per quanto tempo restammo a guardarci. –Non posso crederci.
-Credici, credici.
-Hermione Granger, l’avvocato più in gamba di tutta Parigi.
-E vogliamo parlare di Pansy Parkinson, la psicologa che compare ai primi posti nelle liste delle più rinomate di tutta la Gran Bretagna?
-Oh, basta,- intervenne Ginny. –non potete escludermi.
Sorridemmo e corremmo ad abbracciarla sia io che Pansy. –Dai, su…- la ammonì dolcemente Pansy.
-Non parlate di Ginevra Weasley, la pediatra più dolce di tutti gli ospedali londinesi?
-Ma certo che parliamo anche di te.
Feci accomodare Pansy e ci perdemmo per un po’ in chiacchiere futili.
Il matrimonio, i bambini, la vita di tutti i giorni insomma. Pansy era mamma di due bambini bellissimi: Abby, la femminuccia di tre anni, e Colin di otto mesi.
Mi aveva mostrato le loro foto e subito mi era saltata all’occhio la somiglianza che avevano con il padre e con la madre. Cedric Doggory era sempre stato un bellissimo ragazzo e Pansy non era da meno e parte della loro bellezza l’avevano trasmessa ai figli.
Non so quanto tempo passammo a ridere e mi sentii in parte leggera.
L’altra parte di me, invece, pesava per l’invidia che provava verso le vite perfette che le mie amiche conducevano.
-Ero venuta qui per Malfoy, come mai non lo vedo.- disse, infine Pansy.
-In realtà, ti ho telefonata io…
-Davvero?
-Sì. Volevo farti una proposta.
-Dimmi pure.
-Harry mi ha affidato un compito alquanto… arduo. E credo che sia conveniente… no, conveniente no. Credo che sia più giusto per le mie clienti essere assistite sia sul piano psicologico che su quello legislativo.
-Di cosa ti occuperai?
-Violenza sulle donne.- Ginny aveva mosso uno sguardo eloquente e pieno di disapprovazione verso di me.
Non aveva tutti i torti: parlavo di un qualcosa che mi riguardava in prima persona come se fosse lontana da me anni luce.
-E’ un ottimo campo in cui operare. Mi stai chiedendo di lavorare insieme, giusto?
-Esatto.
-Bene: immagina quante donne mi chiedono delle sedute solo per sfogare il proprio dolore e i propri timori. Spesso, però, il mio sostegno non è sufficiente a dar loro il coraggio per sporgere denuncia, perché non credono molto nella legge.
-Sì.
-E credo che avendo la presenza costante di qualcuno che valga davvero tanto in quell’ambito sia un appoggio importante.
-Ovviamente, non obbligherò nessuno a sporgere denuncia…
-Mi pare ovvio,- disse sorridendo. –ma lavorare insieme è un buon inizio per indirizzarle verso la “salvezza”.- concluse mimando le virgolette con le mani.
-Esatto.
-Mi pare ottimo l’inizio di questo rapporto di lavoro.
-Sì. Ginny,- dissi poi rivolgendomi a lei. –sei inclusa anche tu in questo… come dire… progetto.
-Io?
-Sì. Immagino che spesso e, purtroppo, siano vittime di violenza anche i bambini, quindi…
-Molto spesso.
-Ecco. Per il momento, ci occuperemo delle bambine. In questi giorni, chiederò ad Harry di espandere il mio lavoro anche per i bambini.
-Perfetto.- dissero all’unisono le due.
Finimmo, quindi di mettere a punto gli ultimi dettagli del nostro progetto, poi sia Ginny che Pansy andarono via.
Per tutto il tempo, rimasi sola… non mi permisi di pensare, ovviamente: il mio matrimonio doveva rimanere in piedi.

Spoiler capitolo 21:
Quando entrò nell'ufficio, mi guardò con gli occhi colmi di una strana luce. Mi sorrise e si sedette sulla sedia di fronte a me, poi appoggiò sulla scrivania un piccolo foglio di cartoncino marrone su cui si stendevano dei rami rosa che terminavano con un ricciolo.
-Cos'è?
-Un invito.
-Per?
-Oh, piccola donna... aprilo e lo scoprirai...
Feci come mi aveva detto e, prima di leggere, fui catturata dalla bellezza della scrittura: era elegante e fine, tendeva verso il bordodestro del foglio.
Lessi il contenuto, poi realizzai quello che realmente era scritto: era un invito di ri-fidanzamento.

***
Angolo Autrice:
Nuovo capitolo.
Allora come avete potuto vedere, ci sono nuove comparse, tipo Pansy Parkinson e per le amanti di Robert Pattynson, ci sarà anche lui.
Sinceramente, è un personaggio che ho molto apprezzato nella saga e mi è dispiaciuto che la zia Rowling lo abbia fatto morire così. Povero :(
Comuuunque, qui è presente ed è il maritino della nostra psicologa :P
Mi è piaciuto particolarmente scrivere questo capitolo: adoro le rimpatriate ^.^
Passiamo ai personaggi:
-Ginny: odia con tutta se stessa Henri e lo avete notate, no? Infatti, non condivide la scelta della sua amica, ma non dimentichiamoci che lei e Blaise stanno architettando qualcosa eh! E poi, la rossa ha a sua disposizione la nuova arrivata :P;
-Pansy: è una persona molto profonda, determinata e dolce. Vuole un gran bene alla nostra Hermione, nonostante gli anni di distanza. Avrà un ruolo importante e, forse, sarà l'unica ad essere realmente FONDAMENTALE;
-Hermione: testarda che non è altro. Le occhiatacce di Ginny però la turbano, avete visto? Significherà qualcosa? Sì, significa molto;
-Draco: l'ho rimasto per ultimo, perchè è il personaggio più interessante di tutta la saga. Come avete visto, ha cambiato totalmente atteggiamento. Perchè? Beh, perchè in questo modo confonderà Hermione e confondendola aumenterà i suoi dubbi verso il suo matrimonio. Ne avremo delle belle da vedere ^.^
Lo spoiler: un invito. Di Ri-fidanzamento. E di chi sarà mai? Su su, volate con la fantasia e ditemi un pò cosa ne pensate xD

Ringrazio alle 61 seguite, alle 27 preferite e alle 4 ricordate.
Grazie, grazie, grazie mille! Aumentate ogni volta e mi rendete felicissima *.* GRAZIE MILLE!
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 21
*** L'invito... ***


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Capitolo 20: L'invito...


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Mi svegliai di ottimo umore e scesi in cucina. Mamma stava apparecchiando la tavola per fare colazione, quindi l’aiutai e mi sedetti insieme a lei.
-Ho saputo di… Henri.
-Ah sì?
-Sì.
-E chi te l’ha detto?
-In realtà, ho solo notato che hai rimesso la fede al dito.
-Sei un’ottima osservatrice.- le dissi sorridendo.
-Non sorridere, Hermione. Sei una stupida.
-Henri è mio marito, mamma ed io mi ritengo abbastanza matura da poter prendere le mie decisioni senza chiedere il parere altrui.
-Nessuno lo mette in dubbio, ma questo non significa che le tue scelte beneficino in tuo favore.
-Henri è cambiato.
-Oh, per Dio. Come può un uomo cambiare in meno di dieci anni? Credi che farti qualche moina significhi che quel mostro sia cambiato?
-Non è solo qualche moina.
-Portarti a cena e dirti che sei bellissima, ecco cos’ha fatto.
-Ma cosa ne sai?
-Hermione, ho voluto bene ad Henri fin dal primo giorno, ma mi sono dovuta ricredere. Ora, credo sia meglio che tu vada al lavoro. Non mi va di litigare e perdere la stima che ho in te.
-Fidati di me, ti prego.
-L’ho già fatto una volta, figlia mia. E me ne sono pentita. Ricordati che nella vita serve il cuore e le scelte in cui il cuore non c’è non sono quelle giuste.
Il cellulare squillò più di una volta, segno che Henri era fuori ad aspettarmi. –Vado a lavorare.
-Sì, corri. Altrimenti torni qui con qualche altro livido.
La guardai furiosa, poi uscii di casa, chiudendo forte la porta.
Il mio buon umore era andato a farsi benedire, così come la mia smania di apparire sorridente a qualsiasi costo.
Quando entrai in auto, salutai Henri con un bacio leggero sulle labbra e lui mise in moto.
Che bell’inizio anche con lui: continuava ad essere distante e a non dimostrarmi il contrario. O forse, era il mio nervosismo che mi permetteva di vederlo assente.
Per tutto il tragitto, restammo in silenzio e sinceramente mi stavo innervosendo, quindi sbuffai rumorosamente.
-Qualcosa non va?
-No… anzi, va tutto alla grande. Non vedi?
-Vedo il modo in cui sei vestita… non è troppo…
-Troppo?
-Nah, lascia perdere.
-Bene.
-Ci vediamo più tardi. Pranziamo insieme.
-In realtà, avrei da fare all’ora di pranzo.
-Pranzeremo insieme.
-Henri, ti ho detto che da fare.
-TI.HO.DETTO.CHE.PRANZEREMO.INSIEME.
Uscii dall’auto e chiusi la portiera con forza.
Mi avviai dritta nel mio ufficio, senza quasi chiedere scusa a chiunque urtassi.
Quando finalmente sentii il rumore della porta chiudersi dietro di me, mi rilassai.
Andai a sedermi e attesi che arrivasse Pansy.
Nel frattempo, accesi il pc e aprii la porta-finestra, poi tornai a sedermi e guardai la ceneriera in cui Draco aveva posato la cenere della sua sigaretta, il giorno precedente.
Il mozzicone era ancora li.
Lo presi in mano e lo guardai. Poi, sorrisi ricordandomi di quando gli strappai la sigaretta dalle mani e fumai per sentirmi grande, ma mi ritrovai a tossire come una matta.
Sentii l’angoscia montare, quindi posai il mozzicone e svuotai la ceneriera nel cestino che avevo accanto alla scrivania.
Bussarono alla porta e Pansy entrò tenendo adagiato sulla spalla Colin e stringendo nell’altra mano la borsa del bambino, la sua ventiquattrore e le chiavi dell’auto.
Inoltre, era intenta a parlare al cellulare. –…prima che puoi, per piacere. Grazie.- e staccò la telefonata.
-Buongiorno.
-Perdonami.- disse, battendo leggermente  la mano dietro la schiena del bimbo. –Stamattina è stato un inferno.
-Qualcosa di grave?
-No. E’ solo che Cedric è andato in azienda per presentare un progetto. Mia madre mi ha letteralmente abbandonata e quindi non ha potuto portare Abby all’asilo e la babysitter mi ha avvisata che non sarebbe potuta venire. Quindi, ho dovuto preparare in fretta la colazione a Cedric che aveva già fatto tardi, ho dovuto portare Abby a scuola e Colin…- si interruppe per guardare il bimbo che aveva appena fatto il “ruttino” che tanto “ino” non era. -…è qui.- concluse, sorridendo.
-Cavoli…
-Sì, non è normale per un bambino di soli otto mesi, ma che ci vuoi fare… mangia come un maialino.
Era meravigliosa: sorrideva e non si avviliva, pur se tutto gravava sulle sue spalle.
La invidiavo. –E’ ancora più bello dal vivo.
-Grazie.
-Ciao piccolino.- dissi, poi avvicinandomi a lei e toccando la bocca del bimbo con l’indice.
-Gli piaci.
-Dici?
-Sì. Guarda come ride. Puoi tenerlo un attimo? Vado a prendere il porta-enfant.
-Figurati.- Presi in braccio Colin, poi sorrisi e cominciai a fare voci strane e facce buffe. Adoravo la sua risata: era leggera, pulita. Come la risata di Natan.
Quando Pansy tornò, adagiai il piccolo nel porta-enfant e lo appoggiai sulla scrivania.
-Ci sai fare con i bambini, eh?
-Mi piacciono molto.
-Perché non ne fai uno anche tu?
-Pansy… non immagini quanto desideri un bambino, ma Henri non può averne e quindi…
-Hai mai pensato all’adozione?
-Sì, però… ti sembrerà strano sentirlo dire da me, visto che amo i bambini, ma essere chiamata mamma da un bimbo che non è realmente mio figlio mi sembra un furto alla vera madre. Non mi sentirei mai in grado di riempire il vuoto che quel bimbo potrebbe sentire dentro di se… Immagino che anche diventare mamma mi spaventerebbe, ma almeno so che quel piccolo mi appartiene davvero.
 E’ un po’ strano come ragionamento…
-No, invece: nessuna delle mie pazienti me l’ha mai spiegata da questo punto di vista ed è molto interessante. Continua…
-E poi credevo che, col tempo, Henri avrebbe cominciato a risentirne…
-A proposito, come vanno le cose con lui?
Abbassai lo sguardo e accarezzai la fede. –Bene, grazie.
Mi sorrise mesta e tacque. Le sorrisi di rimando e tornai ad osservare la fede, poi nascosi la mano sotto la scrivania.
Colin cominciò a piangere e Pansy lo prese in braccio, portando la testa del piccolo sulla sua spalla e parlandogli dolcemente. –Shh, Colin, shh.
Il bimbo si tranquillizzò dopo poco e sorrise guardando sua madre. Fece qualche versetto strano, poi si addormentò lentamente e Pansy lo sistemò di nuovo nel porta-enfant.
-E’ un amore.
-Sì. Vado a prendere del caffé, ne vuoi un po’?
-No, grazie.
-Se non ti spiace, vado anche a salutare Draco e Harry.
-Figurati, fai pure.
Caricò il peso del porta-enfant su di un braccio e mi lasciò sola.
Presi il cellulare dalla borsa e cercai qualche numero utile nella rubrica, per registrarlo al telefono dell’ufficio.
Improvvisamente, la porta si spalancò e quando entrò nell'ufficio, mi guardò con gli occhi colmi di una strana luce. Mi sorrise e si sedette sulla sedia di fronte a me, poi appoggiò sulla scrivania un piccolo foglio di cartoncino marrone su cui si stendevano dei rami rosa che terminavano con un ricciolo.
-Cos'è?
-Un invito.
-Per?
-Oh, piccola donna... aprilo e lo scoprirai...
Feci come mi aveva detto e, prima di leggere, fui catturata dalla bellezza della scrittura: era elegante e fine, tendeva verso il bordo destro del foglio.
Lessi il contenuto, poi realizzai quello che realmente era scritto: era un invito di ri-fidanzamento.

-Ginny Weasley… ti ri-fidanzi con Harry?
-Tra tre mesi sposeremo, Hermione, mica posso non festeggiare il mio fidanzamento ufficiale?
-Giusto.
-E tu sarai la mia testimone, quindi per te ho già tutto pronto: abito, parrucco e tutto il resto…
-Oh…
-Non dici niente?
-…non so cosa dire.
-Inizia a ringraziarmi.
-Grazie.
-Bene. All’ora di pranzo abbiamo la prova dell’abito.
-Ma non devo sposarmi, Ginny.
-No, ma devi essere perfetta.
-Perché?
-La mia testimone non può essere brutta.
-Sono brutta?
-No, ma non metti in risalto la tua bellezza.
-Ginny, mi offendi.
-No, dico davvero… per esempio, oggi sei stupenda, ma c’è qualcosa che non va.
-E cosa?
-Non so… qualcosa negli occhi.
-Cos’hanno che non va?
-Sono… strani.
-Oddio, mi stai facendo preoccupare.- presi lo specchietto dalla borsa e mi osservai attentamente: in effetti, le occhiaie erano pesanti e ben visibili, perché stavo dormendo poco e male. –E’ solo un po’ di stanchezza, Ginny.
-No, non intendevo le valigie che hai sotto gli occhi… è nello sguardo.
Tornai a guardarmi nello specchio e ancora una volta, non potetti dar torto alla mia migliore amica: i miei occhi non erano felici, né sereni.
In me imperversava una sorta di tempesta, un uragano di nome Draco che aveva portato non pochi danni al mio cuore, ma avrei continuato a far finta che tutto andasse bene.
Doveva andar bene. –Io non ci vedo niente di strano.
-Bah, forse mi sto impressionando.- disse, con un tono che intendeva esattamente il contrario di ciò che aveva appena detto.
Riuscii a percepire la tensione che si stava creando e pregai Dio che facesse finire tutto quanto prima possibile. Probabilmente, in quel momento il Padre Nostro stava proprio ascoltando me, infatti Pansy rientrò in ufficio insieme a Colin che dormiva beatamente. –Scusami, Hermione, ma harry e Draco sono esasperanti quando iniziano a litigare.
-Ne so qualcosa.- affermò Ginny. –Ora però vieni qui, fammi dare un mega bacio al bimbo più bello che io abbia mai visto.
-Fai piano, perché dorme.- Pansy si sedette e cominciò a parlare con Ginny, mentre io cominciai ad allontanarmi dalla realtà.
Le loro voci mi giungevano lontane, ovattate. Capii che non era il caso di perdermi dietro a pensieri che di certo non avrebbero giovato al mio voler restare con Henri.
-…quindi, come ho già fatto con Hermione, mi sento in dovere di dare anche a te l’invito.
-Come mai? Insomma, tu ed Harry siete già fidanzati.
-In effetti sì, diciamo che renderemo la cosa più ufficiale e c’è da contare che abbiamo deciso di sfatare la tradizione dell’addio al nubilato, quindi festeggeremo due cose insieme.
-Complimenti allora.
-Verrai, vero?
-Oh, Ginny, ti prometto che farò il possibile.
-Se il problema sono i bambini, puoi lasciarli a mia madre.
-...ma dai, povera Molly…
-Figurati,- dissi inserendomi nel loro discorso. –Molly adora i bambini e non le peserà certo passare una serata con i tuoi.
-Beh, allora… conta sulla mia presenza.
-Grazie!- disse Ginny, saltando letteralmente al collo di Pansy.
Entrambe si ricomposero. Sorrisi felice del fatto che dopo tanti anni di distanza la nostra amicizia non si fosse rovinata.
-Draco mi ha letto che ti assisterà in ogni caso. Cioè…
-Sì, avrò bisogno di lui per quanto riguarda le testimonianze delle clienti e la loro tutela.
-Stiamo mettendo su un’ottima squadra.
-A proposito di lavoro,- disse Ginny. In viso le si disegnò un espressione triste. -… qualche giorno fa, in pediatria è arrivata una donna dicendo che la figlia aveva degli arrossamenti e delle irritazioni nelle parti intime e l’ho visitata, ma…
-Ma?- chiesi, facendole segno di andare avanti.
-A me non sembrano degli arrossamenti causati da… che ne so, un’irritazione da pannolino o da crema.
-Cosa pensi?
-Non so. Quella donna è arrivata in ospedale con un ragazzo che non ha alzato mai la testa mentre facevo delle domande alla mamma della bambina.
-Credi che sia stato lui?
-A primo impatto, non ci ho pensato… poi ho trovato…
-Falla visitare da un ginecolo.
-Ma ha due anni.
-Tu falla visitare e basta. Nel frattempo, cerca di rintracciare la madre della piccola e fai in modo che venga qui, assieme al ragazzo che l’ha accompagnata in ospedale.
-D’accordo. Quando…?
-Immediatamente.
-Ci sentiamo telefonicamente.- disse Ginny ed uscii dall’ufficio.
Mi portai le mani alle labbra, cercando di capire cos’altro avrebbe potuto causare un’irritazione intima ad una bambina di due anni se non i pannolini o una crema con un Ph troppo alto.
-Hai già qualche teoria?
-Non voglio pensare che il ragazzo abbia abusato della bimba.
-Ma lo ritieni probabile?
-Mi auguro che non lo sia.
-A cosa andrebbe incontro?
-Beh, a parte ad una trafila di accuse, come già sai, rischia di avere l’ergastolo.
-Non è troppo?
-Forse, ma sono molto intransigente quando si tratta di violenza sui bambini. Non capisco come cazzo si faccia a far dalle male a queste anime di Dio.- dissi, accarezzando delicatamente la guancia di Colin.
-Io credo che sarei capace di uccidere se qualche stronzetto dovesse solo pensare di abusare di Abby.
Annuii e lasciai cadere lì il discorso. Poi, Pansy mi salutò ed andò via, visto che ormai Colin si era svegliato e non voleva saperne di tranquillizzarsi.
Restai sola per un bel po’…

Spoiler capitolo 22:
-Ora, dovresti parlarmi un po’ di te.
-Emh, non ho molto da dire di me.
-Allora te lo dico io, d’accordo?
-Ok.
-Sei una donna stupenda, che tende a nascondersi e a restare all’ombra… hai bisogno di un motivo valido per uscire allo scoperto e quando accade, c’è poco da meravigliarsi se il mondo resta accecato da tanta bellezza. Guarda le spalle, guarda il collo, guarda i seni…- disse, accarezzando le parti del corpo che nominava.
Mi rispecchiai nei suoi occhi chiari: erano sinceri e dolci. Sorrisi, rossa in viso e mi sentii terribilmente in colpa verso me stessa. –Gra-grazie.

-Figurati, Hermione.

***
Angolo Autrice:
Eccomi quiiii!
Grazie mille come sempre per i complimenti che mi fate *.* Sono felicissima!
Comunque, torniamo al capitolo. Come avete visto, finalmente il lavoro di Hermione sta prendendo forma e questo potrebbe tenerla per un pò lontano da Henri, contente? Inoltre, la nosta cara protagonista ha deciso di non darla sempre vinta al mostriciattolo.
I personaggi:
-Pansy: è una mamma dolcissima, visto? No, non sarà cattiva, nè antipatica in questa storia... Pansy è uno dei personaggi che mi piace molto e che credo zia Rowling abbia tenuto un pò nell'ombra. In questo capitolo non è stata molto d'aiuto, ma poi si darà da fare xD;
-Ginny: che amica! Non ho molto da dire su di lei, a dire il vero, a parte che la adoro ^^;
-Henri: è andato a sbattere contro un bel muro, eh? Hermione gli ha detto no, yuppi! Lui, comunque, si è offeso molto e non sarà di certo gentile e cortese;
-Meredith: è una mamma fantastica che appoggia la figlia in ogni scelta anche se questa storia di tornare con Henri proprio non le va a genio. Comunque, ricordatevi delle parole che ha detto ad Hermione;
-Hermione: BRAVA! Finalmente si è data una mossa e, anche se è tornata con i. vermiciattolo, non vuol dire che ora si faccia mettere i piedi in testa u.u.
-Lo spoiler: DOVETE dirmi cosa state immaginando. Il capitolo è già pronto, quindi... però, sono curiosa di sapere cosa immagina la vostra testolina. Su su.


Ringrazio le 62 seguite, le 29 preferite e le 4 ricordate.
Grazie davvero tante: mi rendete felicissima. Siete voi che fate andare avanti questa storia, quindi il vostro sostegno per me è indispensabile.
Grazie, ovviamente, anche ai lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream



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Capitolo 22
*** La prova del vestito... ***


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Capitolo 22: La prova del vestito...



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L’ora di pranzo arrivò in un batter d’occhio e mi ritrovai travolta da una Ginny euforica al limite. Mangiammo al volo un panino ad un bar a pochi isolati dal dipartimento, poi Ginny si offrì per guidare la sua auto. –No, ti prego. Mi spaventi quando sei così… lascia guidare me.
-No.- L’avevo pregata più e più volte, ma non c’era stato verso di smuoverla.

Partì e due metri più avanti, il contachilometri segnava già i centoventi all’ora.
Mi strinsi forte alla maniglia e allacciai di fretta la cintura. Non sarei sopravvissuta  a questo shock: sarebbe stato più divertente andare sulle montagne russe del luna park.
Quando finalmente arrivammo, ringraziai Dio di essere ancora viva, poi la mia migliore amica mi trascinò di fronte ad un palazzo enorme.

Entrammo e ci dirigemmo all’ascensore. Ginny premette più volte il pulsante, senza però che l’ascensore scendesse al piano su cui ci trovavamo.
Ticchettai la sua spalle e le indicai un cartello che avvisava un guasto temporaneo dell’ascensore. –Ci toccherà salire a piedi.- dissi con aria affranta.
-Merda.
Ci avviammo con passo svelto che divenne pesante e strascicato dopo tre rampe di scale. Ginny, ormai, aveva l’affanno e non cercava di nasconderlo.
-Non ne posso più.- le dissi dopo aver appoggiato il piede sul quarantaduesimo gradino.
-Ne vale la pena, vedrai.
-Una sarta in un negozio normale, no?
-No, Hermione. Questa donna è la miglior sarta di tutto il paese.
-Non potevamo semplicemente comprarlo un vestito?
-No.
-Io proprio non ti capisco, Ginny.
Bussò ad un campanello e, poco dopo, una donna sulla settantina ci aprii e ci fece accomodare.
Al centro del locale c’era un enorme bancone zeppo di stoffe dai mille colori e le spille, i metri, gli aghi e fogli su cui erano appuntate le misure di svariate clienti.
-Prego signore, accomodatevi.
-Grazie.- dissi timidamente, continuando ad osservare l’ambiente.
Era illuminato da una luce forte e in un angolo abbastanza ampia c’era una pedana circondata da grandi specchi su cui, probabilmente, le modelle provavano gli abiti.
-Oh, che sbadata. Piacere, io sono Minerva Mcgranitt.
-Hermione Granger.
-Ginevra Weasley.
-Chi di voi sarà la mia prima modella?
-Io.- risposi, dopo che Ginny mi aveva spinta in avanti con una leggera pressione dietro la schiena. La donna mi sorrise.
Le rughe le si formarono dolci attorno a quel sorriso simpatico. Aveva gli occhi azzurri ed un’espressione di immensa tenerezza. I capelli biondo chiaro sistemati a caschetto. –Vai dietro al separè, cara e spogliati.- mi disse, indicandomi un separè di legno scuro poco lontano dalla pedana.
Mi nascosi lì dietro e cominciai a spogliarmi lentamente, mentre ascoltavo Ginny e la sarta che discutevano del vestito destinato alla mia migliore amica.
Mi posizionai sulla pedana e attesi che Minerva si avvicinasse a me. –Vieni qui cara e guardati allo specchio e… dimmi cosa vedi.
Mi vidi riflessa e quasi mi spaventai: ero dimagrita tantissimo e i capelli erano diventati crespi e indomabili. Avevo un colorito cereo e delle occhiaie ancora più profonde. –Una donna molto stanca.
-Risposta sbagliata.
-Perché? Lei ci vede altro?
-Sì.- disse raggiungendomi sulla pedana e posizionandosi di lato, in modo da potermi muovere facilmente. –Guarda i tuoi occhi: il colore è favoloso e la forma è straordinaria, anche se… dovresti riposare un po’ di più.
-In effetti.
La sarta scese dalla pedana e prese qualche campione di stoffa, poi li sistemò ai miei piedi e li guardò pensierosa.
Ne accostò uno per volta al mio viso. Rosa, nero, amaranto, blu marino, verde. –Questo, decisamente.- disse, eliminando gli altri e tenendo solo quello blu. –Ti piace?
Il blu non era il mio colore preferito, ma se lo diceva lei. –Credo di sì.
-Devi essere decisa, figlia cara. O sì o no.
-Ok.
-Mmh, va meglio. Allora guardati.- disse e accostò di nuovo il campione di stoffa al viso, all’altezza degli occhi. –Il blu è un colore dalle diverse sfumature e questa è quella che in assoluto preferisco. Inoltre, ti dona tantissimo: mette in risalto i tuoi occhi e la tua carnagione chiara.
-Davvero?
-Non lo vedi, cara?
Mi guardai per un po’ allo specchio e soffermai l’attenzione sul contrasto che la pelle creava con la stoffa e, a dir la verità, l’effetto mi piaceva. Sorrisi. –Sì.
-Bene, ora dimmi qual è il tuo colore preferito.
Non ci dovetti pensare neanche un attimo. –Grigio.
-Descrivimi la prima cosa che ti viene in mente. Che sia grigio, si intende, no?
-Platino fuso, caldo e freddo allo stesso momento. Che cela una sorta di segreto che mostra solo alla persona di cui si fida ciecamente.- immaginai un paio di occhi che mi guardavano desiderosi, poi arrabbiati, poi gelidi.
-Perfetto. Ora, dovresti parlarmi un po’ di te.
-Emh, non ho molto da dire di me.
-Allora te lo dico io, d’accordo?
-Ok.
-Sei una donna stupenda, che tende a nascondersi e a restare all’ombra… hai bisogno di un motivo valido per uscire allo scoperto e quando accade, c’è poco da meravigliarsi se il mondo resta accecato da tanta bellezza. Guarda le spalle, guarda il collo, guarda i seni…- disse, accarezzando le parti del corpo che nominava.
Mi rispecchiai nei suoi occhi chiari: erano sinceri e dolci. Sorrisi, rossa in viso e mi sentii terribilmente in colpa verso me stessa. –Gra-grazie.
-Figurati, Hermione. Non trovi anche tu, Ginny?
-Assolutamente.- asserì sorridente.
-Vedi, Hermione, l’abito è un qualcosa che ti descrive perfettamente. Ti presenta al mondo così come sei, anche se molti non lo capiscono. Quindi, permettimi di creare l’abito per te, per quella che sei, non per quella che vuoi apparire.
-D’accordo.
Minerva prese le misure e le segnò su un foglio. Poi fu il turno di Ginny.
La stessa trafila delle stoffe toccò a lei e Judith si trovò indecisa tra il verde e l’azzurro. Li accostava e li scostava continuamente prima ai capelli, poi agli occhi, poi alla pelle. –Tu sei la festeggiata, vero?
-Sì.
-Bene, allora… bianco. Assolutamente bianco.
-Non crede sia un po’ troppo matrimonio?
-Assolutamente no. Ora parlami di te.
-Beh, sono molto spontanea e schietta. Odio tenere il muso…
-Sei allegra e questo si nota a primo impatto, sei fresca, solare per questo ho optato per il bianco. Non c’è colore che trasmetta più luce del bianco e accostato all’abbinamento che già ho in mente, i tuoi ospiti resteranno incantati: brillerai come una stella. Ovviamente, però, per il taglio dell’abito disporremo di una maggiore serietà.
-Perfetto. –Ginny aveva gli occhi sognati: avrebbe indossato anche una busta di cartone se quella donna le avesse detto che le donava.
Minerva sorrise, poi le chiese dei suoi colori preferiti e alla fine prese le sue misure e le segnò sullo stesso foglio su cui aveva segnato le mie.
Dopo più di un’ora, salutammo Minerva e tornammo in commissariato.
-Sono stanca morta.- disse Ginny, gettandosi di peso sulla poltrona.
-A chi lo dici.

-Oggi, ho parlato con la mamma della bimba: le ho fatto delle domande precise ed è stata un po’ vaga nelle risposte. Le ho detto della visita ginecologica ed ha accettato tranquillamente.
-Le hai detto che sua figlia sarà visitata da un ginecolo?- spalancai gli occhi.
-Non proprio: ho detto che bisognava fare delle analisi più accurate.
-Ok.
-In un modo o nell’altro, però, dovrò spingerla a parlare con Pansy.
-Potrebbe venire lei in ospedale…
-Ottima idea.
-Vuoi un caffé?
-Sì.- così, uscii dall’ufficio e mi avviai alla macchinetta.
Quando tornai, Ginny passeggiava nell’ufficio con aria pensierosa, andando dalla scrivania alla porta e viceversa.
–Secondo te, quella era una sarta o una psicologa?
-Ma che domande sono?
-Secondo me è lesbica.
-Ma Ginny…
-Hai visto quanti complimenti ha fatto?
-Ginny, è una donna professionale, che fa bene il suo lavoro. Ora, per favore, siediti e bevi il tuo caffé, poi smamma.- dissi, sedendomi nella poltrona.
-Perché?
-Non vorrei che Harry mi accusasse di rubarvi troppo tempo.
-Oh, è vero! Harry… me n’ero quasi dimenticata.
-Mio Dio… povero ragazzo.
-Ma su, è normale essere così sbadate a sette mesi dal matrimonio.
-Non è affatto normale: manca tanto tempo al matrimonio. Quando mancheranno pochi giorni cosa farai?
-Poi vedremo.- mi rispose, facendo un sorriso che le attraversava tutto il viso.
-Credo che avrò un bisogno vitale di Pansy, allora…
-Hey, guarda che di lei hai bisogno adesso per quanto riguarda il tuo matrimonio, non il mio.
Per tutto il tempo, Henri non aveva fatto parte neanche minimamente dei miei pensieri. –Scherzavo, Ginny.
-Io non scherzo affatto, Herm. Tu non ami tuo marito, punto.
-Non dire cavolate.
-Sappiamo bene a chi sono rivolti i tuoi pensieri.
-A lui.
-No, sono rivolti a Malfoy.
-Sei ubriaca per caso?
-"Il mio colore preferito è il grigio e immagino il grigio come platino fuso, un lago freddo e caldo allo stesso momento…"- disse, con voce fintamente lamentosa e melodrammatica. –Stavi parlando degli occhi di Draco.
-Sei fuori di testa.- mi leggeva nella mente. Ormai ne ero convinta.
-No, quella fuori sei tu. Perché non hai detto che il tuo colore preferito era… che ne so… il rosso?
-Perché non lo è.
-E quale sarebbe allora?
-Il grigio.
-Da quanto tempo Il grigio è il tuo colore preferito.
-Da otto anni.- sbottai irata.
Ginny mi guardò soddisfatta e con un ghigno da vincitrice sulle labbra. –Vado da Harry, Herm. Ci sentiamo domani.- mi salutò con un bacio e andò via.


Spoiler capitolo 23:

-Credevo che la decisione di tornare con tuo marito includesse anche il pacchetto sincerità.
-E’ una bugia a fin di bene.

-Nessuna bugia lo è: anche se all’inizio può sembrare così, con il tempo ti distrugge.

-Immagino.

Mosse la mano dal volante e lo spostò piano verso di me. Istintivamente, cominciai a tremare anche se il sangue che mi scorreva nelle vene scottava.

Uno strano calore mi pervase, ma i brividi che avvertivo sotto pelle non potevano essere ignorati.

Quando Draco, infine, appoggiò la mano destra sul cambio, il mio cuore rallentò bruscamente la sua corsa, fino a fermarsi per un attimo.



***
Angolo Autrice:

Muahuahuah! Questa risata diabolica ci voleva proprio. Vi ho deviato alla grande e sono fiera di me u.u.
Allora, immagino che molte di voi siano rimaste a bocca aperta: non è Draco, non è Blaise, non è Pansy. E' Minerva Mcgranitt.
Inizialmente, avevo pensato di non inserirla affatto nella storia, ma è tanto simpatica xD, quindi un piccolo spazio tra queste righe l'ho fatto occupare anche a lei.
Bene, passiamo al capitolo: e' di passaggio, ma è stato fondamentale per Hermione e per Ginny, che è sempre più convinta del suo diabolico piano.
Dei personaggi non ho molto da dire:
-Ginny: ci sta riuscendo alla grande ad insitare il dubbio nell'orgoglio di Hermione;
-Hermione: piano piano, anche se contro la sua volontà, si sta rendendo conto che Draco è il suo pensiero fisso, a differenza di Henri. Come avete potuto notare, quando Minerva le ha chiesto del suo colore preferito, lei non ha minimamente fatto riferimento a suo marito.
-Lo spoiler: questa volta, Draco c'è... ma cosa succederà?
Ho un'altra domanda da farvi: secondo voi, la sto portando un pò per le lunghe?
Aspetto il vostro parere come sempre!

Ringrazio le 65 seguite, le 30 preferite e le 4 ricordate.
Non mi stancherò mai di ringraziarvi e di essere felice del sostegno che mi date.
Grazie anche ai lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 23
*** Confessione ***


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Capitolo 23: Confessione...


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Il cellulare squillò ininterrottamente per almeno tre volte, prima che mi decidessi a rispondere. –Pronto?
-Finalmente! Credevo ti fosse successo qualcosa.
Guardai la sveglia sul comodino e mi resi conto con gran stupore che erano appena le 7, 14. –Ma chi è?
-Hermione, sono Pansy. Sono in ospedale.
Mi sedetti di scatto sul letto e cercai di recuperare la lucidità che mi caratterizzava. –Oddio, cos’è successo?
-La questione della bambina…
-Oh. Dammi… Tra un po’ sono lì.
-Avvisi tu Draco?
-No, ti prego, fallo tu.
-D’accordo.- Chiusi la telefonata e corsi in bagno per fare una doccia veloce.
Mi asciugai in fretta e presi dall’armadio il primo vestito che mi saltò all’occhio e cercai di fare almeno un abbinamento decente con le scarpe e il cappotto.
Scesi in cucina e lasciai un biglietto a mamma per non farla preoccupare, poi uscii di casa e mi chiusi la porta alle spalle.
Draco mi fece un cenno con la testa e si avvicinò. –‘Giorno. Andiamo insieme?
-Non preoccuparti, chiamo Henri…
-Starà dormendo a quest’ora, lascialo riposare.
-Non so, se ti desse fastid…- non mi lasciò proseguire e mi aprì la portiera dell’auto, indicandomi di accomodarmi. –A me non costa nulla: andiamo nella stessa direzione, no?
Annuii e salii in auto.
Quando anche Draco si accomodò, l’abitacolo si riempì del suo odore fresco e virile, poi ci guardammo e sentii qualcosa muoversi dentro, all’altezza del cuore.
Poi, mise in moto e l’auto partì senza fare il minimo rumore.
Presi il cellulare dalla borsa e risposi. –Pronto?
-Sei già sveglia?
-Sì, Henri: è stata un’emergenza e sono dovuta correre in ospedale.
-Con chi sei andata?- il suo tono si era alzato di qualche ottava e Draco mi guardò con aria contrariata.
-Con Ginny.
-Ok, allora io torno a dormire.
-Riposa bene.- dissi, chiudendo la telefonata e posando il cellulare in borsa.
-In pace, vorrai dire.
-Malfoy…
-Credevo che la decisione di tornare con tuo marito includesse anche il pacchetto sincerità.
-E’ una bugia a fin di bene.
-Nessuna bugia lo è: anche se all’inizio può sembrare così, con il tempo ti distrugge.
-Immagino.
Mosse la mano dal volante e lo spostò piano verso di me. Istintivamente, cominciai a tremare anche se il sangue che mi scorreva nelle vene scottava.
Uno strano calore mi pervase, ma i brividi che avvertivo sotto pelle non potevano essere ignorati.
Quando Draco, infine, appoggiò la mano destra sul cambio, il mio cuore rallentò bruscamente la sua corsa, fino a fermarsi per un attimo.
Guardai fuori dal finestrino e cercai di regolarizzare il respiro.
-Sai cos’è successo?
-No. Mi ha chiamata Pansy, ma credo solo che abbiano capito da cosa sia determinato quel rossore.
-Bene.
Arrivammo in ospedale e chiesi ad un’infermiera su quale piano si trovasse il reparto pediatria, poi ci dirigemmo veloci all’ascensore.
Entrammo nell’abitacolo e premetti il pulsante che segnava il terzo piano.
La salita sembrava non finire mai. Draco aveva lo sguardo fisso su di me e non sembrava avere intenzione di distoglierlo. Il silenzio che regnava tra noi non era snervante, anzi era rilassante. Era una sensazione piacevole e per un po’ mi beai di provarla. Eppure, mi sentivo imbarazzata, quindi mi sentii in dovere di dire qualcosa. –Ma quanto ci mette?- dissi, indicando con la mano l’ascensore.
-La formalità ti dona. Mette in risalto ogni tuo particolare.
-Grazie.
Cominciò ad avvicinarsi lentamente ed ogni suo movimento, la distanza tra noi diminuiva millimetricamente.
Plin. Uscii per prima dall’abitacolo, visto che Draco mi aveva dato la precedenza spostando la sua mano fuori.
La sala d’attesa era ampia e illuminata e alle pareti erano disegnati i personaggi di ogni cartone animato.
Ci dirigemmo verso il corridoio della pediatria e dei lamenti mi giunsero alle orecchie, quindi mi voltai nella direzione da cui proveniva il pianto e vidi un ragazzo seduto su una poltroncina blu, messa a ridosso del muro, che aveva il capo chino tra le mani.
-Hermione.- disse Pansy, raggiungendomi. –Ciao Draco.
-Ciao.- dicemmo all’unisono.
-Avevi ragione: quell’irritazione non era dovuta a nessuna crema o pannolino.
-Che cavolo state dicendo?- chiese Draco.
-Credo sia il caso che ne parliate con Ginny. Ora, io devo andare dalla mamma della bambina.
-Va bene. Draco seguimi e non dire niente.- Mi obbedii ed entrammo nella stanza.
Ginny era seduta ai piedi del letto e la bimba era appoggiata ad un cuscino, con lo schienale del letto inclinato verso l’alto.
La guardai. Era bellissima: aveva i capelli tagliati a caschetto castani con diverse sfumature di rosso, gli occhi grandi e castani, il viso pallido e paffuto. Giocava con una bambola di pezza e le muoveva le braccia, allargandole come a voler abbracciare qualcuno.
-Ciao.- le dissi.
-Ciao.- mi rispose, senza distogliere lo sguardo dal giocattolo.
-Cos’è successo?- chiesi infine, guardando Ginny.
-Il ragazzo ha confessato.
-Cosa?
-Sono andata in sala d’attesa ad informare la mamma della bambina che stava per iniziare la visita e lui è crollato.
-Cos’ha detto?
-Ha iniziato a piangere e…
-Dov’è?
-Nella sala d’attesa.
-Bene. Andiamo.- dissi a Draco e mi seguii.
Quando tornammo nella sala, ci sedemmo di fronte al ragazzo che non accennò a muovere il capo, quindi Draco tossì.
-Sono Hermione Granger.- gli dissi, mentre iniziai a tendergli una mano che Draco bloccò, dopo aver mosso  il capo in segno di diniego.
-Che mestiere fa?- chiese il giovane.
-L’avvocato.
-Io sono Denny. Non so cosa mi sia preso: i bambini mi hanno sempre fatto questo strano effetto fin da quando ero un ragazzino, ma credevo che sarebbe passata. Finora non ero mai arrivato a toccarli fisicamente… l’avevo fatto sempre e solo con il pensiero.
-Cosa le hai fatto?- chiesi con voce incrinata sia per il disprezzo sia per la tenerezza che provavo verso quel ragazzo.
-L’ho toccata. L’ho solo toccata.
-Precisamente- Draco parlò con un filo di voce minaccioso. –cosa le hai fatto?
-E’ un poliziotto?
-Draco Malfoy.
-Le avevo cambiato il pannolino e la stavo lavando. E’… è stato più forte di me: mi sono eccitato e ho iniziato ad accarezzarla e…
-Quante volte lo hai fatto?
-Ho iniziato un mese fa… vedo la bimba tutti i giorni.
-La madre lo sa?
-No.
-Hai mai pensato di…
-Vi prego.- disse, piangendo ancora più forte. –Aiutatemi. Mettetemi le manette e speditemi in carcere.
Aveva gli occhi strapieni di lacrime ed era sinceramente pentito, ma questo non lo scaglionava dai reati che aveva commesso su quella bambina e chissà su quante altre.
-Avrai bisogno di un avvocato e credo che sia il caso che tu provved…
-Vi prego, non lo voglio un avvocato e non voglio che si faccia alcuna causa. Se la mamma della bambina vuole denunciarmi che faccia  pure, anzi, deve farlo… ma vi prego, non avviate nessuna causa.
Burocraticamente, non sarebbe stato impossibile, ma ci sarebbe voluto del tempo e non ne avevamo. –Non so se sia possibile, visto il reato…
-Pagherò ogni risarcimento.
-Credi che i soldi possano restituire ad una mamma la dignità?
-No, ma…
Assunsi comunque un’espressione dolce in viso. –E’ già molto che ti sia pentito e che abbia confessato senza farci faticare troppo.
-Aiutatemi… aiutatemi a smettere. Portatemi in carcere.
-Questo è sicuro.- disse Draco, ammanettando i polsi che il ragazzo aveva teso verso di lui.
Più di me, lui avvertiva non solo il disprezzo verso il giovane, ma anche la paura che qualcuno avesse potuto fare lo stesso male a Natan.
Subito dopo, libero un polso dalla manetta e legò il cerchio metallico ad un bracciolo della poltroncina.
-Non ti pare esagerato?- chiesi, vista la disperazione negli occhi del giovane.
-Fosse per me, Granger, gli darei la pena di morte ad occhi chiusi. O, meglio ancora, la castrazione chimica.
Mi alzai e gli feci segno di seguirmi ed entrammo in una stanzetta piccola, sita poco più in là della stanza della piccola.
Guardai Pansy che poneva delle domande alla donna la quale annuiva e, di tanto in tanto, prendeva il viso tra le mani e piangeva.
Bussai alla porta e Pansy ci fece cenno di entrare e accomodarci.
Poi, riprese a parlare. –Loro sono l’avvocato Granger e il commissario Malfoy.
La signora annuì e ci guardò per un istante, poi tornò a fissare di fronte a se. Vedevo nei suoi occhi tutto il dolore e i sensi di colpa che pesavano e non le permettevano di aprire la bocca con facilità le divoravano l’anima. –Come ho fatto a non accorgermene? Come?
Era così che si frantumava ogni certezza che ogni persona creava nei proprio giorni: una distrazione, una bugia a cui si vuole credere sia verità, un po’ di superficialità.
-Non poteva di certo capirlo così signora, lei era assente.
-Avrei dovuto capirlo dai suoi occhi: erano sempre rossi.
-Sua figlia tende spesso a mettere il muso… da quello che ho potuto vedere, è un po’ viziata.
-Sì, è molto viziata…
-Quindi, da madre che lavora dieci ore al giorno, avrebbe potuto pensare di tutto: anche, per esempio, un giocattolo negato.
-Sì, è vero… ma io sono sua madre…Becky è mia figlia… Sono pessima! Più volte, l’ho scoperto a spalmare la crema alla bimba, ma mai avevo pensato ad una cosa del genere… cosa dirà Funny?
-Chi è Funny?
-La mia prima figlia.. è… è la fidanzata di Denny. Mi odierà!
-Andrà tutto bene…
Pansy stava cercando di far alleviare il dolore che causava il senso di colpa, ma la donna non aveva tutti i torti: come si fa a non rendersi conto di una cosa tanto grave? Di un oltraggio tanto grande fatto nei confronti del proprio figlio?
A volte, però, la grandezza di un sentimento o di un qualcosa di brutto si presenta con tale prepotenza ai nostri occhi che non riusciamo a vederlo.
-Signora…
-Bulstrode, per piacere. Mi chiami con il mio cognome da nubile.
-Signora Bulstrode,- continuò Pansy, senza far alcuna domanda alla richiesta della donna. –sentirsi in colpa adesso è inutile.
-Il ragazzo ha confessato e ha chiesto di farle sporgere denuncia a suo carico.- continuai.
Poi, intervenne Draco. –Lo abbiamo già ammanettato e stia certa che la sua cella è già pronta.
-Vi ringrazio.
-Prego signora,- disse infine Pansy. –ora vada da sua figlia.
La donna le obbedì e ci rimase soli.
-E’ un bastardo.
-No, Draco. Non è un bastardo: è malato e deve essere aiutato.
Per un po’, discutemmo sul significato delle due parole, poi ci decidemmo che la cosa più saggia da fare sarebbe stata proseguire in commissariato, quindi portammo il giovane fino all’auto e ci avviammo.
-Dovrò far disinfettare l’auto.- disse Draco, con gli occhi colmi di ira.
-Smettila.
-Questa feccia è entrato nella mia auto e non voglio che l’aria che respira mio figlio sappia di tale schifo.- sputò infine, strattonando il ragazzo per il cappotto.
Lo capivo, ma credevo che tanto astio non portasse a niente.
Certo, non c’erano giustificazioni, ma era comunque da apprezzare il passo che
 Denny aveva compiuto: non era mai facile ammettere di aver sbagliato, soprattutto quando si sbagliava a discapito di un bambino o una bambina.
Entrammo in commissariato e Draco sistemò Denny nella stanza in cui era solito tenere gli interrogatori e chiuse la porta alle sue spalle, azionando quindi le telecamere di controllo.
-Aspetteremo che arrivi Pansy: parlerà un po’ con lui.
-Poi?
-Poi, il ragazzo passerà la notte qui.
Poco dopo, Pansy ci raggiunse ed andò direttamente nella stanza. –Pansy Parkinson. Psicologa.
-La prego. Ho fatto una cosa gravissima che non ha giustificazioni, ma vi prego aiutatemi a curarmi da queste mie perversioni - disse il giovane, ricominciando a piangere. –Mi salvi.
-Ci proveremo.- disse Pansy, gelida.
Provava le stesse emozioni di Draco ed erano comunque da comprendere.
Iniziò l’i interrogatorio vero e proprio, quindi io attesi fuori dalla stanza. Mi sedetti di fronte ad uno degli schermi che trasmettevano tutto ciò che succedeva lì dentro e, in ogni caso, avevo un’ottima visuale anche solo voltando il capo, visto che l’enorme vetro della stanza era proprio alla mia destra.
Inizialmente, cercai di seguire le domande e le risposte, ma presto mi persi in pensiero troppo lontani della realtà e, senza accorgermene, cominciai a fissare Draco.

Spoiler capitolo 24:
Aprii la busta ed estrassi quello che c'era all'interno. Spiegai il foglio e lo lessi fino all'ultima riga: una richiesta di divorzio.

***
Angolo Autrice:
Allora... Questo capitolo è bruttissimo. Non mi piace e non mi convince :S
Prima di tutto, odio la violenza sulle donne e per quanto riguarda la storia, è un fatto realmente accaduto, PURTROPPO ed è qui.
Per quanto riguarda le foto, non ho avuto pazienza di trovarle. Abbiate pietà di me ^.^
Per quanto riguarda i personaggi, credo che non ci sia molto da dire: Pansy, Ginny, Draco ed Hermione sono una squadra perfetta.
La cosa che più mi preme sapere è... lo spoiler: cosa ne pensate? E' piccolo, ma credo che vi faccia volare lontano lontano con la fantasia xD

Ringrazio le 69 seguite, le 32 preferite e le 4 seguite.
Siete aumentate ancora. Grazie.
Grazie anche ai lettori silenziosi.
Mi dispiace di avervi trascurato, ma ho pochissimo tempo a disposizione.
A presto, la vostra Exentia_dream








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Capitolo 24
*** Grazie, grazie davvero Cloe... ***


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Capitolo 24: Grazie, grazie davvero Cloe...

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Erano le 22,30 quando rientrai a casa e Cloe, stranamente, era sul divano ad aspettarmi. -Buonasera.- le dissi, ricevendo in risposta il silenzio.

Mi diressi nello studio e chiusi la porta, poi slacciai la cravatta, mentre mi avvicinavo alla scrivania.
Mi sedetti di peso sulla sedia, facendola girare un po’ verso destra ed appoggiai la valigetta ai miei piedi.
Gettai la testa all’indietro e richiusi gli occhi: sentivo ancora un profumo familiare e dolce che mi stuzzicava l’olfatto.
Era stato stancante lavorare per tante ore senza tregua…
Di certo, non sarei stato tanto flessibile nei confronti del ragazzo: altro che castrazione chimica. Come poteva la madre della bimba restare tanto impassibile e preoccuparsi solo di cosa avrebbe sua figlia maggiore?
Non avrei resistito un attimo in più ad uccidere quel verme. Se avesse solo osato sfiorare Natan, a quest’ora si sarebbe trovato mutilato o non so cosa avrei fatto: di sicuro, sarei stato capace di ucciderlo, senza provare risentimenti.
Mi ridestai dai miei pensieri quando Cloe entrò nel mio studio e mi guardò. –E’ più di una settimana che torni tardi, ogni sera.
-Lavoro, Cloe.
-E’ il caso che ne parliamo, Draco?
-Di cosa?
-Non so, dimmi tu…
-Io non ho niente da dirti.
Mi diede una busta gialla di cartone tra le mani. –Aprila.
-Cos’è?
-Aprila.- disse ancora con voce fiera.
Posai la busta sulla scrivania, portai le mani alla bocca e chiusi gli occhi.
Respirai profondamente e tornai a guardare Cloe che mi fece cenno con la testa di tornare alla busta.
La aprii ed estrassi quello che c’era all’interno, poi spiegai il foglio e lo lessi fino all’ultima riga: una richiesta di divorzio.
Alzai di nuovo gli occhi e mi rispecchiai nei suoi. Gelidi, piatti. Mi sentii sprofondare e il mio pensiero corse direttamente a Natan. –Non puoi farlo.- le dissi.
-Sì che posso. Anzi, a dirla tutta, avresti dovuto farlo tu.
-Natan…
-Sì, lo so. E’ stata paura la tua, ma devi stare tranquillo, Draco: non perderai Natan. E’ tuo figlio e potrai vederlo ogni volta che vorrai.
-Tu padre disse che…- ma m’interruppe alzando una mano e sorrise.
-E’ la mia vita, non di mio padre. Ora, il suo parere non conta più. Se ci siamo sposati è stato per volere della mia famiglia ed eravamo entrambi troppo immaturi e spaventati per opporci: io volevo questo bambino e tu anche… forse, non con me, ma comunque sentivi che Natan ti apparteneva pur non essendo ancora nato.- provai a ribattere, ma ancora una volta alzò la mano, facendomi segno che dovevo continuare a stare zitto. Cloe parlava con voce rassicurante, ma sentivo la terra cedere sotto ai miei piedi. –Ora, siamo cresciuti e, almeno io ho capito: non avevo mai visto Hermione, né il tuo modo di guardarla. Non mi hai mai guardata così, in tutti questi anni… Quando gli altri mi parlavano del vostro amore e mi dicevano che chiunque si trovasse nei vostri paraggi riuscisse a sentirsene coinvolto, non riuscivo a crederci. Poi, mi sono trovata in mezzo a voi…
-Cloe, ascoltami…
-No, fammi parlare. Molte mogli, credo che avrebbero fatto di tutto per tenersi il proprio marito, arrivando ad umiliarsi. Io non voglio farlo: non voglio mettere la dignità sotto ai piedi nel patetico tentativo di tenerti ancora legato a me. Potrei riuscirci, sì… in fondo, sei stato accanto a me in tutti questi anni, ma l’amore che non provi per me pesa tantissimo, perciò… ritieni libero.
-Ti ringrazio, Cloe... ma non credo che sia il caso…
-Anch’io ho trovato qualcun altro. Ecco giustificata la mia assenza… mi dispiace per i comportamenti che ho avuto nei confronti di Natan: avresti potuto denunciarmi ed ottenere il totale affidamento del bambino e non so perché non l’hai fatto.
-E’ anche tuo figlio, Cloe.
-Sì. Per un po’, ho provato un sentimento strano verso di lui: non era amore materno, non solo: era misto a qualcosa di brutto. Credevo Natan colpevole di questa unione forzata, anche se i colpevoli in prima linea siamo stati noi.
-Cloe, stammi a sentire adesso.
-Sì.
-Hai ragione quando dici che avrei potuto denunciarti, ma togliere una madre ad un bambino mi è sempre parso un qualcosa di… crudele. Se hai intenzione di chiedermi il divorzio solo per…Hermione…- mi costava nominarla a voce, quindi chiusi per un po’ gli occhi prima di proseguire. –mi pare azzardato, ma comprendo perfettamente il tuo stato d’animo.
-Te lo ripeto, Draco: ho trovato qualcun altro anche io.
-Da quanto?
-Due anni.
Ancora una volta, mi sentii tradito e derubato a causa di un amore che avrebbe potuto vivere tanti anni fa: credevo che Cloe mi amasse tanto da non poter vivere senza di me, quindi avevo deciso di far soffrire Hermione che era più forte. Credevo che fosse invincibile, che niente avrebbe potuto abbatterla.
Avevo deciso di soffrire, illudendomi di potercela fare. Non era stato così.
Se avessi saputo che Cloe sarebbe riuscita ad andare avanti… senza che neanche ce ne rendessimo conto, entrambi ci eravamo privati di una vita che avremmo potuto vivere senza intralciarci, né farci male: divisi nella quotidianità, ma uniti da un dono meraviglioso che Dio aveva deciso di mandarci e che noi avevamo accolto, forse, nel modo sbagliato.
-Natan?
-Ho già parlato con il mio avvocato e ho optato per l’affidamento condiviso. Volendo, avrei potuto chiedere l’affidamento esclusivo, ma non mi pare giusto. Inoltre, credo che finire in maniera pacifica sia un beneficio per Natan. Avrei evitato la sentenza, ma sai che ogni decisione spetta al giudice…
-Sì, lo so.
-Mi basta una firma, qui in fondo.- disse, poggiando le dita sul foglio e indicandomi l’angolo in basso a destra.
Firmai e le rivolsi un’occhiata di gratitudine. Mi sorrise felice e mi baciò una guancia. –Ci vediamo, Cloe.
-Grazie…
-E per cosa?
-Ora, saremo liberi entrambi.- sorrise ancora, come non le avevo mai visto fare in tutti questi anni insieme e mi lasciò solo nello studio.
Mi alzai ed andai in bagno, aprii il getto della doccia, aspettando che l’acqua si facesse calda. Iniziai a spogliarmi e appoggiai gli abiti sul ripiano del lavabo, poi m’infilai nella doccia.
Lasciai che le carezze delle gocce d’acqua mi permettesse di comprendere le sensazioni che provavo: erano troppe e non riuscivo a descriverle neanche a me stesso. Quella che premeva più di tutte era la paura di perdere Natan e, quindi, di dover vivere la mia vita senza il piccolo ometto che le aveva dato un senso. La seconda era il senso di leggerezza che mi attraversava i muscoli. Mi sentivo leggero, mi sentivo libero, ma non potevo di certo permettermi di essere felice, non ancora. Sapevo che non sarebbe stato facile abituarmi a stare lontano da casa, perché la libertà che Cloe mi aveva offerto su un piatto d’argento prevedeva che io lasciassi questa casa.
Ma i suoi genitori cosa avevano detto? Avrebbero accettato la decisione della propria figlia? Di certo, Cloe si riteneva matura e indipendente tanto da poter prendere decisioni che apportassero alla sua vita delle svolte decisive.
O forse, aveva solo deciso di essere felice: con me non  lo era mai stata e lo stesso era per me.
Avevamo vissuto per anni in una costrizione che nessuno dei due aveva avuto il coraggio di abbandonare: c’era troppo da perdere e non ne valeva la pena, visto che nessuno dei due aveva a portata di mano la propria felicità.
Cominciai ad insaponarmi e massaggiai con una certa pressione ogni muscolo, come a voler mandare via l’odore di una vita che non avevo mai voluto, poi sciacquai via la schiuma.
Mi rilassai ancora un po’ sotto il getto dell’acqua, poi raccolsi l’asciugamano e me la poggiai addosso.
Frizionai il telo ruvido sul corpo, poi indossai il pigiama e andai a salutare Natan.
Dormiva su un lato e aveva la mano vicino alla bocca semiaperta. I capelli erano calati sulla fronte e la coperta era avvolta sulla testa. Non ero mai riuscito a spiegarmi come facesse un bimbo a trovarsi avvolto in quel modo nelle coperte e sorrisi. Gli lasciai un bacio leggero sulla fronte, poi gli sistemai le coperte e gli coprii le spalle.
Andai via, rivolgendo un’ultima occhiata in direzione del piccolo e chiusi la porta delicatamente.
Passai anche a salutare Cloe, bussando alla porta. –Posso?
-Sì.- era stesa sul letto e leggeva un libro. Sembrava rilassata.
Mi sedetti accanto a lei e le sorrisi, poi lei chiuse il libro e alzò gli occhi su di me: ora, riuscivo a distinguere ogni sfumatura di quel meraviglioso azzurro. Ora, il suo sguardo era limpido e sereno. –Sei sicura che stiamo facendo la cosa giusta?
-Sì, Draco. E’ la cosa giusta per entrambi. Poi, per vivere quello che ho creato al di fuori di questa casa, ho bisogno di essere libera da ogni impegno.- disse, guardandosi la mano sinistra.
Non portava più la fede e quando si accorse che la stavo guardando, mi sorrise ancora di più. Poi, prese la mia mano e sfilò anche la mia fede, aprii il cassetto del suo comodino e la depose lì, accanto alla sua. –Da quanto tempo non la porti?
-Un po’. Ed è ora che la tolga anche tu.
-Va bene.
-Buonanotte.
-Ciao Cloe.
Mi alzai dal letto e mi diressi in salone. Aprii il frigorifero e presi una bottiglia, poi mi recai alla credenza e presi un bicchiere. Versai un po’ d’acqua e la bevetti tutto d’un fiato. Riposi il bicchiere nel lavatoio e andai a stendermi sul divano.
                            
                                                       §

Mi svegliai di soprassalto, finendo a terra. Mi grattai la testa e cercai di fare forza sui gomiti.
Avevo fato un sogno strano, che non mi piaceva, ma non lo ricordavo più.
Andai in cucina per preparare il caffé, ma rimasi di stucco quando vidi Cloe già in piedi che stava zuccherando una premuta d’arancia.
Cos’era successo? Forse, ci aveva ripensato…
-Buongiorno, Draco.
-Ciao.
-Oggi, accompagno Natan a scuola, quindi ho pensato di svegliarmi un più presto.
-Perché non l’hai mai fatto prima?
-Non lo so. Però, meglio tardi che mai, no?
-Certo.- dissi sorridendole. In fondo, non aveva tutti i torti.
Sorrise di rimando. –E’ meglio che vada a svegliarlo.
-Sì.- dissi, tendendo la mano per prendere la tazza di caffé.
Lo bevetti, poi appoggiai la tazza nel lavatoio. Mi alzai e andai in bagno.
Feci una doccia veloce e mi vestii con gli abiti che avevo preparato la sera precedente.
Presi le chiavi dal mobile che c’era poco prima dell’entrata, poi passai le mani tra i capelli di Natan.
-Papà!- disse, sistemandosi i capelli. –Così mi fai diventare brutto.
Poi, si arrampicò al mio collo e mi diede un bacio forte. –Ciao campione.
Salii in auto e guardai Cloe e il bimbo che salivano nell’altra auto e si allontanavano.
Misi in moto ed accesi la radio per non pensare: avevo bisogno di rimanere lucido e di non volare troppo con la fantasia.
Ero sempre stato restio a sognare e ad illudersi, però, di tanto in tanto, anch’io mettevo da parte il mio essere realista.
Quando arrivai in ufficio, salutai Potter e Cho. Mi fermai per un po’ a parlare con loro. –Hermione è già arrivata?
-Non ancora.
-E’ successo qualcosa?
-Sì, Potter. E credo che sia il caso di parlarne.
-Vuoi… vuoi venire nel mio ufficio?
-D’accordo.
Cho nel frattempo si era allontanata, quindi, io e Potter andammo nel suo ufficio, chiudendoci la porta alle spalle –Allora?
-Cloe mi ha chiesto il divorzio.
-Cazzo.
-Sì, cazzo!
-E’ stato facile, no?
-Non ho fatto niente, Potter! Così, dalla mattina alla sera ha detto che è meglio per noi.
-Solo questo?
-No. Ha anche detto che ha un altro.
Restò per un po’ con la bocca aperta, poi si sistemò gli occhiali sul naso, anche se erano perfettamente in ordine. –WOW.
-Ho una fottuta paura, Potter.
-E perché?
-Per Natan… e per Hermione.
-Che c’entra Hermione?
-Sono a piede libero, idiota…
-E?
-E finora, ho cercato di… mi sono trattenuto per via di Cloe.
-Oh…- disse, come se avesse appena colto il senso della discussione.
-Oh. Che risposte di merda che sai dare, Potter.
-Bene.
-Bene?
-Sì.
-‘Cazzo stai dicendo?
-Hermione non sarà più la tua amante, no?
-Tu sei fuso, Potter…- mi alzai dalla sedia e uscii dall’ufficio.
Appena chiusi la porta, mi sentii trascinare in ascensore e mi ritrovai riflesso in due occhi grandi e dorati. –Seguimi.- mi disse.
La sua voce che riempiva l’abitacolo metallico e freddo, mi sembrò un suono angelico. –Hermione…- la guardai, poi le sorrisi.


Spoiler capitolo 25:
-Non dovevi essere così tenera.
-Scusami tanto se mi sento più fragile di... di...- non terminai la frase e chiusi gli occhi, ripensando a tutto quello che mi ero lasciata alle spalle...


***
Angolo Autrice:

Salve a tutte! Eccomi qui con il nuovo capitolo xD
Finalmente, molte di voi cambieranno idea su Cloe! Alcune di voi, l'avevano già pensato che c'entrasse Draco. Brave!!
Inoltre, volevo fare una precisazione a chi ha recensito il capitolo scorso: non ho voluto parlare prima per non deviare i pensieri di altre persone che recensiscono questa storia.
In particolare, rispondo a chi ha detto che la mia storia non è basata su ricerche ben fatte: QUESTA, è una storia in certi punti (la maggior parte) autobiografica, quindi, non ho affatto bisogno di informarmi, come qualcuna ha detto. Anche io ho subito determinate cose ed ho reagito proprio come Hermione. Non volevo i colori scuri addosso, nè volevo chiudermi in me stessa, perchè l'avevo sempre fatto, prima di reagire davvero e le mie decisioni precedenti non mi portavano a niente, se non a ricevere sempre lo stesso trattamento.
I miei genitori mi hanno vista soffrire, ma hanno preferito che io capissi pienamente i miei errori così come ha fatto Meredith e questo non vuol dire che non mi amino o che siano superficiali, no?
Inoltre, non ho affatto dimenticato il passato di Hermione e di Henri, nè di quello che loro avevano in Francia: la storia non è finita.
Un'altra cosa ancora, che forse non si è ben capito è il fatto che io non ho detto che Pansy aiuterà Hermione: non farà di lei una paziente, ma credo che un consiglio di un'amica sia sempre utile.
Riguardo alla squadra che ho messo su, mi pare di aver specificato di non sapere se fosse possibile una cosa del genere. Se non l'ho fatto, chiedo scusa.
Per quanto riguarda la violenza sulla bambina: io SONO contro e questo schifo non ha solo lo scopo di far stare insieme Draco ed Hermione, ma anche di trattare una realtà che viviamo tutti i giorni, anche essendo al di fuori, a volte.
Quindi, vi ringrazio se fino ad ora avete seguito ed ho anche accettato le vostre critiche, ma se ritenete che la mia storia sia tanto superficiale, vi prego di non leggerla più.
Non mi sento minimante all'altezza di citare scrittori come Saviano o che ne so quando si parla di me: sono molto modesta e mi ritengo meno di zero.
Avrei comunque preferito essere contattata in privato.
Detto questo, vi ringrazio ancora per aver perso del tempo a recensire.
Inoltre, l'argomento "bambina" non verrà toccato più visto che ha disgutato tante persone e che hanno creduto che tutta questa situazione per me fosse un gioco. Mi chiedo come possa far tanto schifo una verità di fronte a cui molte persone chiudono gli occhi e cacciano voce in capitolo solo se è scritto in una storia. Pernso che il ribrezzo dovremmo provarlo verso noi stesse quando non parliamo e non cerchiamo di far finire questo schifo e non mi vanto di certo di riuscire a farlo con la mia storiella. Purtroppo, la storia doveva proseguire su un'altra linea, con approfondimenti e "analisi" fatte dalla nostra Pansy, ma preferisco evitare.
Scusate lo sfogo, ma dovevo farlo.
Passiamo ai personaggi:
-Cloe: l'amate, lo so! Ha un altro uomo e questo si è capito, ma chi sarà mai? Bo, lo scoprirete solo leggendo :P;
-Draco: ha paura, certo. Ha paura di perfere suo figlio, ma questo non accadrà, state tranquille.
-Harry: è felice, perchè con Draco libero, beh...
-Lo spoiler: piccolo piccolo. Lo so, perdonatemi, ma sono talmente arrabbiata che non ho finito di scrivere il capitolo e quella per il momento mi è sembrata la parte più "interessante".

Scusate ancora per il tempo che vi ho rubato con questo chilometrico angolo dedicato ai miei pensieri da "autrice".
PS: alle recensioni risponderò più tardi. Ora ho una fame da lupi, quindi corro a cenare.
Ringrazio le 72 seguite, le 33 preferite e le 6 ricordate.
Sono davvero felice che aumentate sempre di più. Mi aiutate a portare avanti questa storia e spero di non avervi delusa.
Grazie anche ai lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 25
*** Serata tra amiche... ***


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 Capitolo 25: Una serata tra amiche...

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L’avevo trascinato nell’ascensore a forza per parlargli di una questione importante e non ero riuscita a parlare dopo che mi aveva sorriso: era come se avessi dimenticato tutto, anche se le parole erano ben stampate nella mia mente.
Cercai di contenermi e mi allontanai da lui. –Dobbiamo parlare.- gli dissi.
Certo! Cos’altro avremmo potuto fare, noi che avevamo deciso di trattarci come due estranei?
-Di cosa?
-Mio padre…
-Bene.
-Sì.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Draco mi diede la precedenza e, quindi, mi seguì fino al mio ufficio.
Aprii la porta e mi diressi verso la porta finestra per aprirla e far entrare un po’ di luce, poi mi sedetti e feci cenno a Draco di accomodarsi.
Aveva una camicia grigio chiaro in perfetta armonia con i suoi occhi ed un paio di pantaloni neri. I capelli erano leggermente tirati indietro, mentre gli occhi erano illuminati di una strana luce. Mi accorsi che lo stavo fissando con insistenza e, quindi, il sorriso che avevo visto nel suo sguardo lo ritrovai sulla sua bocca. Sorrisi di rimando e abbassai il viso per nascondere l’imbarazzo. Non avevo i capelli dietro cui nascondermi perché li avevo legati in uno chignon.
Passai qualche momento ad avviare il pc, a sistemare alcune carte, poi, presi dalla borsa il figlio di cui avevo bisogno.
-Sono passata in ospedale, ieri per salutare Ginny e ho chiesto la cartella clinica di mio padre. Ho richiesto anche il documento con cui avevano registrato il suo pronto soccorso.
-Cos’hai trovato?
-L’infermiera addetta a registrare è Padma Patil e ha scritto nei minimi particolari i sintomi che mio padre le ha elencato.
-Quindi, non è stata una sua mancanza.
-No, ma deve comunque essere ascoltata.
-L’infermiere che era di turno e che dava i codici ai pazienti era Cormac McLaggen. Ascolteremo anche lui, pure se comunque aveva dato a mio padre un codice rosso.
-Sei troppo coinvolta il questa storia, forse dovresti starne fuori.
-Non ci penso nemmeno.
-Il dottore?
-Beh, tu sai chi è.
-Sì.
-Quindi, con la denuncia di mamma, abbiamo ogni diritto di ascoltare anche lui e, se è necessario, fargli pagare il suo errore.
-Vorresti farlo finire in prigione?
-No, ma credo sia il caso di radiarlo dall’albo dei medici: la carta parlava e lui non l’ha ascoltata. La sua diagnosi è stata totalmente sbagliata e ha fatto morire un uomo.
-Sai quanti medici fanno morire i pazienti.
-Sì, lo so. Ma almeno ci provano a salvarli, no?
-Anche questo è vero.
-Jack Sloper non ha affatto svolto il suo dovere di medico. Comunque, avrei bisogno di una lista completa di medici ed infermieri che erano di turno in ospedale quel giorno, a quell’ora.
-A quella ci penso io.
-Grazie.
-E’ un passo importante quello che hai fatto.
-Sì e ne sono felice. Mio padre merita giustizia.
Annuii e mi sorrise lievemente, poi si alzò e fece per andare via. –hai perfettamente ragione. Ora, però devo andare. Questo lo prendo io.- disse, posando la mano sulla fotocopia del documento del pronto soccorso.
Non portava la fede, o forse, non l’aveva mai portata, ma prima non me n’ero resa conto.
Purtroppo, quando ero con lui, era come se i particolari del mondo intorno scomparissero e restassero solo i suoi occhi.
-Ci vediamo.- dissi, tornando in me e lo guardai mentre andava via.
Tornai a guardare il pc e controllai le mail.
Una era di Ginny e la lessi veloce: mi dava appuntamento a casa sua, alle 19 in punto. Aveva parlato di una sorpresa e di un nuovo modo di essere Hermione, cosa che in realtà avevo capito e mi spaventava a morte. Fortunatamente, nella mail, c’era scritto che ci sarebbe stata anche Pansy e Luna. La cosa si faceva molto più allettante: restare sola con Ginny era assolutamente da evitare, perché voleva dire pesare le parole, capire a cosa volessero portare le sue domande. Era stressante.
Più che altro, volevo non fare i conti con me stessa e ammettere che, forse, in fondo, aveva ragione lei.
Accettai l’invito e le raccomandai di non esagerare, pur sapendo che non mi avrebbe ascoltato e avrebbe comunque fatto di testa sua.
Inviai la mail e chiusi la casella della posta elettronica, poi mi alzai e mi posizionai di fronte alla porta finestra. Pioveva e il freddo non era pungente, ma fastidioso. Eppure, era proprio quella la giornata di cui avevo bisogno per guardare oltre la coltre nubi che c’era nella vita: paragonare le mie giornate al colore del cielo era davvero ideale per capire quale piega stesse prendendo la mia vita.
Era tutto grigio, tutto nuvoloso e coperto dalla nebbia: così sfocato, così distante da me. Era la vita che avevo deciso di vivere e sarei andata avanti così.
Il cellulare cominciò a squillare e lo presi dalla borsa per rispondere. –Pronto?
-Ciao.
-Buongiorno Henri.
-Hai aspettato molto stamattina?
-Un bel po’, ma avevo pensato che non saresti venuto.
-Me ne sono dimenticato.
-Sì, ovvio.
-Non era poi così importante, no?- la sua voce era lasciva, così caustica.
-No, Henri, tranquillo.
-Stasera…
-Ho un impegno Henri.
-Con chi?
-Ginny.
-Quella…
-Non giudicare la mia amica, Henri.
-Non ti sembra di esserti svegliata troppo?
-Finalmente, vorrai dire.
-Divertiti con il tuo impegno, allora. E spera che quando ci rivedremo, non sarò ancora tanto arrabbiato.
-Ciao.- dissi, chiudendo la telefonata. Tremai ripensando al tono di voce sottile che aveva usato. Avrei voluto non incontrarlo, finché non si fosse calmato, perché sapevo, in cuor mio che Henri non sarebbe cambiato mai davvero.
Mi sedetti e cercai di tranquillizzarmi, quindi respirai a fondo e toccai la fede con il dito. La tolsi e guardai l’incisione nel grembo dell’anello: il 28 giugno 2008 avevo firmato la lenta e sanguinosa discesa che lentamente mi stava portando a toccare il fondo.
Avevo bisogno di un caffé amaro, per sentire ancora il sapore sulla lingua di qualcosa che non fosse la paura, che non fosse la voglia di scappare.
Andai alla macchinetta automatica e inserii la moneta nella fessura, poi premetti il pulsante che indicava il caffé ed attesi che il bicchiere fosse pieno, poi lo presi e bevvi lentamente.
Avere la bocca amara era di vitale importanza per me, per il risveglio totale della mia mente, anche se, ultimamente, sembrava essere in perenne stand by.
Tornai in ufficio e chiusi la porta-finestra, visto che ormai faceva freddo anche all’interno e avviai il condizionatore.
Non riuscivo a stare un attimo ferma: mi giravo sulla sedia, toccavo la tastiera del computer, scrivevo e cancellavo. Era un inferno. Avevo bisogno di Harry, ecco tutto.
Mi alzai ed uscii di nuovo dall’ufficio per dirigermi al piano inferiore e bussare alla porta del suo ufficio, ma non appena toccai la porta, Cho mi avvisò che Harry era uscito un momento, ma che sarebbe tornato a breve, quindi mi accomodai comunque e chiusi la porta alle mie spalle.
L’ufficio di Harry era spazioso, ma poco illuminato: gli scaffali erano colmi di fascicoli e alcuni libri. Sulle mensole più in alto, c’erano dei titoli e dei documenti di varie premiazioni e sulla parete a destra facevano bella mostra il diploma e la laurea ottenute a pieni voti.
La scrivania era di faggio chiaro e su di essa c’erano il pc, la stampante, una ceneriera piena di mozziconi che sicuramente erano appartenuti a Draco e, nell’angolo a sinistra, accanto al computer, c’era una cornice dorata che conteneva una delle mie foto preferite: Harry e Ginny erano l’uno di fronte all’altra, con gli occhi semichiusi, segno che stavano per baciarsi. Quello era stato il loro primo bacio e l’avevo ritenuto un momento importante da immortalare.
L’avevo scattata in un Natale di qualche anno prima che partissi, infatti Harry aveva ancora gli occhiali rotondi. Il loro amore sembrava poter essere toccato anche attraverso un fermo immagine, tanto che era profondo.
-Potter- disse una voce che conoscevo fin troppo bene. –ho bisogno di t…
-Harry non c’è.- gli dissi interrompendolo.
-Ah. Tu… da quanto stai aspettando?
-Poco.
-Ok. Io torno più tardi.
-Se vuoi, puoi farmi compagnia.
-D’accordo.- si sedette e mi guardò per un secondo, poi volse lo sguardo altrove.
Continuai a guardarlo, soffermandomi più volte sulla mano sinistro dove non c’era la fede.
Avrei voluto avere il coraggio di chiedergli se fosse tutto a posto, se le cose con Natan andavano bene e se Cloe si stesse curando di lui, ma decisi di restare in silenzio e di guardare altrove, prima che la mia mente degenerasse e si ponesse domande che non erano affatto comode. Harry ci avvisò del suo arrivo prima ancora di entrare nell’ufficio: la sua voce riempì l’atrio.
Quando finalmente entrò nell’ufficio ci guardò meravigliati. –Draco, Hermione.
-Sì, Potter, siamo noi.
-Che-che ci fate qui?
-Io ero venuti a dirti che avevo bisogno di un mandato. Lei- dissi indicandomi e mi sentii quasi mancare. Per lui ormai, non avevo più un nome. –non so cosa ci faccia qui.
-Bene.- Disse Harry, sedendosi dall’altra parte della scrivania.
Prese dal cassetto un foglio da compilare e lo firmò, poi lo consegnò a Draco che andò via, salutandolo. A me non rivolse neanche uno sguardo fugace.
-Io… io avevo bisogno di parlare con te.
-Dimmi.
-Non so cosa mi stia succedendo.
-Riguardo a cosa?
-Alla mia vita.
-Oh, beh… è da un bel po’ che non ti capisco, quindi…
-Non puoi aiutarmi?
-Sei tu che devi aiutare te stessa, Hermione. Più di una volta, abbiamo messo la realtà dei fatti avanti ai tuoi occhi, ma sei cieca e, purtroppo, la cecità non si cura.
-Ci vuole un miracolo per curare la cecità, Harry.
-Esatto.-  Abbassai la testa ed Harry si sporse per farmi alzare lo sguardo, prendendomi il mento tra le mani. –Ti voglio un bene dell’anima. Sei la mia migliore amica dai tempi dell’asilo: si parla di vent’anni fa e vederti soffrire mi fa male. Sì che posso aiutarti e voglio farlo, ma deve partire tutto da qui.- disse, toccandomi la fronte con l’indice della mano sinistra. –Nel cuore, anche se ancora non lo sai, hai già fatto la tua scelta. Sarà difficile renderti conto che è così e più difficile ancora sarà accettarla, ma ce la farai. Io credo in te.
-Grazie.- gli baciai una guancia, poi mi alzai e andai via dal suo ufficio.
Nel corridoio, ringraziai Cho e poi entrai nell’ascensore.
Il resto del tempo trascorse con un velocità impressionante: il tempo di accendere il pc e leggere la mail di conferma che mi aveva mandato Ginny, il tempo di sistemare un po’ nei cassetti della scrivania ed erano già quasi le sette.
Mi avvicinai di nuovo alla porta-finestra e il cielo si era incupito ancora, così come avevo visto incupire la mia vita nel momento in cui Harry aveva detto che la decisione nel mio cuore già l’avevo presa. Perché allora, non riuscivo a sentire la sua voce?
Forse Harry aveva ragione: ero io a voler essere cieca, io a voler essere sorda.
Maledetta me e il mio orgoglio.
A cosa mi portava insistere tanto su qualcosa che non aveva una fine decente?
A soffrire, a stare male e a piangere.
Indossai il cappotto ed uscii dall’ufficio, chiudendo la porta a chiave.
Entrai nell’ascensore e premetti il pulsante che mi avrebbe portata al primo piano.
Posai le chiavi nella teca di vetro posta sotto il grande bancone che c’era nell’atrio, poi uscii dal dipartimento e mi chiusi in macchina, azionando subito l’aria condizionata.
Misi in moto e partii diretta verso casa di Ginny. A mio favore, quella giornata, il traffico era poco, quindi la viabilità era scorrevole. Arrivai lì in dieci minuti e bussai alla porta.
Ginny mi aprì e mi abbracciò. –Sei in anticipo.
-Lo so!
-Dai, entra.- disse, tirandomi all’interno della casa.
-Cos’hai in mente questa volta?
-Una specie di ritorno al liceo.
-Oddio.
-Sì, hai detto bene.
Entrammo nella sua stanza e mi sedetti alla scrivania, mentre Ginny cominciò a prendere dall’armadio due accappatoi, degli asciugamani e varie piastre. –Mi spaventi.
-Fai bene ad essere spaventata, mia cara.
-Lo sono sempre di più.
-Su, infilati nella doccia e lavati. Hai un brutto odore addosso.
-Hey, io non puzzo.
-Non ho detto questo, ma io non sopporto l’odore del commissariato.
-Ok.
Feci come mi aveva detto e dopo poco mi avvolsi nell’accappatoio verde che Ginny mi aveva dato. Lei adorava il verde, era il suo colore preferito perché adorava la natura, le immense distese d’erba e gli occhi di Harry.
Mi asciugai e cominciai ad indossare l’intimo, mentre Ginny era uscita dalla doccia e si stava asciugando.
-Cavoli… sei già più carina.
-Grazie.- sorrisi e in realtà vidi anche io le occhiaie meno gonfie e il viso meno tirato. Stavo addirittura sorridendo.
-Senti Herm.- la guardai preoccupata per il tono perentorio che aveva usato. –Ora, preparati.
-A cosa?
-Vedrai.
-No, mi dispiace. Per prepararmi devo almeno sapere di cosa si tratta.
-Shh, chiudi gli occhi.
La ascoltai e camminai per un po’ nel buio più totale.
Quando riaprii gli occhi, mi trovavo nella stanzetta e sul letto c’erano due completi: uno grigio e nero, l’altro rosso e bianco.
-Cosa sono?- chiesi con gli occhi spalancati.
-Quello- disse Ginny indicando il completo nero. –è tuo. L’altro, ovviamente e mio.

§

Mi ritrovai vestita contro la mia volontà: Ginny era una dittatrice nata e il fatto che riuscisse a soggiogare anche me, mi preoccupava e non poco. Pansy ci aveva raggiunte sotto casa di Ginny ed eravamo andate, quindi, con la sua auto.
Entrammo in un pub ed ordinammo tre birre e qualche stuzzichino.
Pansy indossava un completo simile al nostro, differenziava solo nei colori che erano azzurro e giallo. –Allora? Come va con Henri?- mi chiese di punto in bianco.
-Bene.
-Ha continuato a minacciarti?
-No.- abbassai gli occhi, dimentica del fatto che Pansy conoscesse il significato di ogni movimento.
-Per me, non doveva tornarci insieme.- dissi Ginny, diretta e velenosa come sempre.
-Dopo quanto tempo?
-Neanche due settimane.
-Beh… è mio marito, Pansy. Cercate di capirmi almeno su questo.
-Ti capiamo eccome, Herm. Eccome se ti capiamo: Cedric non è mai stato un santo, Harry tanto meno, ma non si sono mai permessi di trattarci come Henri tratta te.
-Non è sempre così…
-Avevi un ottimo lavoro a Parigi, una carriera invidiabile, una casa meravigliosa…
-Sono tornata per il funerale di papà.
-E per scappare un po’ da quella realtà.
Pansy era rimasta in silenzio per tutto il tempo che io e Ginny discutevamo, limitandosi solo a lanciarmi delle occhiate amichevoli, ma per niente comprensive.
-No, Ginny. Ed anche se così fosse stato, non sarebbe servito a niente, perché ero convinta che Henri mi avrebbe seguito fin qui.
 -Non dovevi essere così tenera.
-Scusami tanto se mi sento più fragile di… di…- non terminai la frase e chiusi gli occhi, ripensando a tutto quello che mi ero lasciata alle spalle.

Entrai nello studio tentennando sul da fare, ma quando vidi Hanna, decisi che era giusto dirle come stavano le cose.
-Hermione, prego accomodati.
-Signora Abbott, ho un problema.
-Dimmi tutto, cara.
Adoravo la signora Abbott per la comprensione che mostrava verso chi lavorava e portava avanti con i propri sacrifici lo studio legale che lei stessa aveva fatto nascere. –Mio padre è defunto e dovrei partire per Londra.
-Quanto tempo ti serve cara?
-Non lo so.
-Hai bisogno di un’aspettativa.
-No.- dissi posando una busta bianca sulla scrivania. -Questa è la mia lettera di dimissioni.
-C’entra solo la morte di tuo padre.
Quella donna mi conosceva bene ed aveva vissuto insieme a me lo scorrere della mia vita da quando avevo messo piede in Francia. –Diciamo che è il pretesto.
-Va bene. Accetto le tue dimissioni anche se con grande dispiacere, ma sappi che se un giorno deciderai di tornare qui…
-Lo so, ci sono tante persone che aspirano ad entrare qui.
-No, per te la porta sarà sempre aperta. Il tuo ufficio resterà vuoto e nessuno vi metterà piede, sarà una reliquia per me.
-Grazie mille signora Abbott- la abbracciai ed entrambe ci ritrovammo commosse: avevamo passato tanti anni a collaborare e non sarebbe stato facile di certo trovare qualcun altro con le capacità e la determinazione che aveva quella donna o con la passione che metteva nel proprio lavoro.

-Senti Hermione, io ho analizzato tantissime persone. Con te non posso farlo, perché sei una mia amica e non sarei oggettiva per niente… ma credimi, quello che stai vivendo è un periodo di merda ed hai bisogno di reagire.
-Sto reagendo, Pansy. Vedi, non indosso quasi mai i colori scuri, mi trucco, vado a lavoro, cerco di condurre una vita normale.
-Questa non è una reazione a quello che ti succede: è una reazione a te stessa e al modo in cui affrontato le cose in precedenza.
-Io sono felice.
-Non prendiamoci in giro, Herm.- disse Ginny, entrando come un treno in corsa nel discorso. –in vita tua ti ho vista felice accanto ad una sola persona.
-Non metterlo in mezzo.
-Lo metto in mezzo eccome, Herm.
-Draco è il mio passato.
-Un passato che non passa.
Una stilettata al cuore, una pugnalata in mezzo alle scapole, un impatto con una realtà che mi toglieva il fiato. –Sono andata avanti da sola per anni.
-E ti sei ritrovata nella merda, perché hai fatto una scelta sbagliata.
-Io ce l’ho fatta almeno, non ho chiesto aiuto a nessuno.
-Hai sbagliato. Noi eravamo qui, pronti a sorreggerti e tu hai deciso di andare via, di allontanarti.
-Non avete neanche provato a fermarmi.
-Saresti andata via lo stesso.
-Sì.
-Visto? Sarebbe stato inutile.
-Almeno, avrei avuto la certezza che qualcuno disposto ad aiutarmi ci fosse stato se avessi deciso di tornare.
-Sei stata una stupida a credere il contrario.
-Ho fatto le mie scelte.
-Avresti potuto fare di meglio.
-Ora smettetela, ci stanno guardando tutti.- disse Pansy, alzando leggermente la mano per indicare la sala.
In effetti, i toni delle nostre voci erano salite di qualche ottava.
Ripensai alle parole che mi aveva detto Ginny e mi sentii offesa nel profondo.
Non perché fosse la verità, ma perché mi sentii inferiore a chiunque toccasse questa terra. Mi sentii una fallita, mi sentii meno di zero.
La mia autostima stava per scendere sotto il livello delle donne che si sentivano una  nullità.
Mi ero ritrovata ad avere venticinque anni, ad essere una donna con un matrimonio che andava a rotoli, realizzata solo a livello lavorativo.
Per il resto, non avevo nessun trofeo da mostrare a chi lo chiedesse.
La serata terminò poco dopo e quando mi ritrovai da sola, nella mia stanza al buio, cominciai a piangere e a stringere le mani fino a sentire le unghie che incidevano i loro segni nei palmi delle mani.
Sarei andata avanti con il mio matrimonio, pur se contro il giudizio degli altri: di mamma, di Ginny, di Harry.
Ce l’avrei fatta. Avrei salvato il mio matrimonio… i dubbi che avevo cominciato a provare, li avrei rinchiusi nell’angolo più remoto della mia anima, così come tanto anni fa avevo fatto con Draco e i ricordi che avevo di lui.


Spoiler capitolo 26:

Era un ragazzo bellissimo: i capelli biondi, gli occhi chiarissimi.
Era alto e con un fisico ben piazzato: le spalle larghe, il busto scolpito che si intravedeva benissimo dalla camicia che indossava. Aveva l’aria da duro, ma dietro a quelle lastre di ghiaccio che sembravano i suoi occhi, era facile scorgere una personalità fragile, dolce.


***

Angolo Autrice:
Eccomi qui con il nuovo capitolo.
Scusatemi per il ritardo, ma ho avuto un po’ da fare xD
Passiamo al capitolo. Mi è piaciuto molto scriverlo e mi piace particolarmente, anche se non è di rilevante importanza nella storia. C’è stata una discussione un po’ più cruda tra le due amiche e i rapporti non saranno più idilliaci, ma non preoccupatevi.
I personaggi. Ci sono un po’ tutti, visto? E se ne vedranno di nuovi.
-Hermione: che testa duraa! La picchierei.
-Draco: quanto è strano, vero? Diciamo che anche lui non sa come comportarsi visto che gli è crollato sulle spalle il divorzio e la certezza dell’amore che prova nei confronti di Hermione comunque lo sbanda.
-Harry: che grande amico, avete visto? Quanto è dolce **
-Pansy: la scena in cui zittisce Hermione e Ginny mi ha fatto morire dalle risate!
-Ginny: è dura, è sfacciata a dire la verità ad Hermione, ma credetemi, fa bene.
-Lo spoiler: chi sarà mai il personaggio misterioso? Beh, fatemi sapere cosa ne pensate.
Scusatemi ancora, ma la cena è pronta in tavola, quindi vi risponderò più tardi alle recensioni.

Ringrazio le 77 seguite, le 34 preferite e le 7 seguite.
Siete aumentate ancora e vi ringrazio infinitamente.
Ringrazio anche i lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream




 

 

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Capitolo 26
*** La seconda prova... ***


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 Capitolo 26: La seconda prova...



Image and video
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Erano passati tre giorni dalla litigata del pub ed io e Ginny non ci eravamo né più viste, né più sentite.
Mi sentivo ferita per quello che aveva detto. Poteva anche aver ragione, ma parlarmi in quel modo l’aveva portata dalla parte del torto anche per la voce della mia coscienza.
Ancora non riuscivo a dormire, ripensando a quelle parole. Ginny era la mia migliore amica praticamente da sempre e mi aveva ferita tantissimo.
Davvero non riuscivo a chiudere occhio neanche per qualche ora: nel letto continuavo a girarmi e rigirarmi. Ed, infatti, le mie occhiaie erano peggiorate tantissimo e neanche il trucco riusciva a coprirle del tutto.
Inoltre, dopo la nottata appena trascorsa, non avevo affatto voglia di fare niente. Neanche di andare a lavoro, ma ero solita mantenere gli impegni che prendevo, quindi, mi alzai dal letto e mi avviai in bagno per fare una doccia.
Avevo guardato l’ora alla sveglia sul comodino ed ero in netto anticipo, rispetto all’orario di lavoro e mi sentii più sollevata del fatto che avrei avuto più tempo per cercare di rilassarmi.
Aprii il getto d’acqua e decisi, alla fine di riempire la vasca e fare un bagno, quindi legai i capelli e versai nell’acqua il sapone al gusto che preferivo. Lo sceglievo in base all’umore: mi sentivo dolce, in fondo. Più di tutto, però, mi sentivo trascurata, lasciata in balia dell’umidità e del freddo di febbraio.
Mora e muschio. Aprii il tappo della bottiglia e respirai l’odore, poi attesi che la schiuma prendesse consistenza.
Chiusi l’acqua e mi immersi, fino a coprire le spalle e chiusi gli occhi, per godere appieno di quella sensazione di benessere che l’acqua calda aveva da sempre su di me.
Eppure, non riuscivo a sentirmi bene. Non da ore, non da giorni. Da mesi. Da anni.
Provavo dei sentimenti strani e, a volte, contraddittori. Erano sensazioni che nascevano dallo stomaco e facevano male. A volte, se ne stavano lì, in fondo, buoni e non mi davano fastidio. In un certo senso, mi facevano anche sentire bene, perché mi sentivo viva. Altre volte, invece facevano talmente male che mi sembrava che da un momento all’altro potessero uscirmi dal corpo e farmi male anche dall’esterno. In quei momenti, mi sentivo morta e priva di forze.
Provai ad alzarmi, ma sentii la forza che avevo messo nelle braccia venire meno, quindi ci riprovai, riuscendoci dopo qualche tentativo.
Mi avvolsi nell’accappatoio e mi asciugai, frizionando con forza la pelle per risvegliarmi un po’ dall’intorpidimento che avevo accumulato durante il bagno.
Tornai nella stanza e mi vestii in fretta, per evitare di sentire troppo freddo, poi scesi in cucina a bere un po’ di caffé.
Ne avevo un estremo bisogno ultimamente. Un bisogno talmente forte da portarmi all’esagerazione nel berlo.
Infilai il cappotto e presi le chiavi dell’auto che mamma mi aveva lasciato sul mobile all’entrata.
Pensai al fatto che, con tutta l’autonomia che quella donna aveva sempre avuto, si era ridotta ad essere dipendente da qualcun altro per rendere indipendente me, senza farmelo minimamente pesare.
Mamma era una donna meravigliosa e mi sentii ingrata, improvvisamente e con una potenza tale da farmi quasi balzare indietro per l’impatto.
Avrei dovuto fare qualcosa per renderla felice, qualcosa per ringraziarla di tutto quello che lei aveva sempre fatto per me.
Aprii la porta di casa e la chiusi velocemente alle mie spalle, poi mi avviai all’auto e misi in moto, accendendo l’aria condizionata.
Ero talmente distratta che avevo dimenticato che il motore dell’auto doveva prima riscaldarsi per poter cacciare fuori aria calda.
A cosa sarei arrivata, continuando di questo passo?
La strada era sgombra da qualsiasi mezzo, eccezione fatta per gli autobus e i taxi.
Gialli, lenti e bellissimi. Li adoravo.
Erano uno degli aspetti di Londra che amavo di più: da bambina, dopo aver visto un film assieme a papà, avevo sognato di poter salire su un taxi, pagare l’autista e dire la frase ad effetto “Segua quell’auto.”
In parte, lo desideravo tutt’ora: un desiderio che non riuscivo a realizzare, lo conservavo da qualche parte nella mia mente e lo ricacciavo quando sentivo il bisogno di ricordare.
Quando arrivai al dipartimento, quasi mi meravigliai che fosse passato così poco tempo da quando ero uscita di casa.
Respirai a fondo e uscii dall’auto, chiudendo la portiera con poca foga, quindi dovetti riaprirla e richiuderla.
Quante cose avrei dovuto ripetere ancora?
Entrai, salutando i colleghi che solitamente incontravo a quell’ora all’entrata.
Mi fermai per un attimo di fronte alla porta di Draco, vogliosa di bussare e vedere i suoi occhi.
Se li avessi visti, se avessi avuto di nuovo l’opportunità di navigare in quel lago, forse avrei intrapreso un altro viaggio senza ritorno. Forse, sarei stata di nuovo male e più confusa di quanto mi sentissi in questo momento.
Se non li avessi visti, sarei ancora stata capace di ragionare e di lasciare che tutto il chiasso che sentivo dentro svanisse da sé. Forse, sarebbe stato meglio così.
Avevo deciso di andare via, quindi, mi incamminai nel corridoio ed arrivai all’ascensore. Premetti il pulsante.
Quando le porte metalliche si riaprirono, annunciate dal solito plin, entrai nell’abitacolo con una sensazione di delusione che mi pesava sulle spalle.
Avrei tanto voluto che qualcuno fermasse la chiusura delle porte.
Qualcuno biondo, alto…
Qualcuno, chiunque esso sia stato.
Arrivai in ufficio ed azionai subito il condizionatore, non aprendo come mio solito la porta-finestra. Sentivo troppo freddo e non avrei sopportato un filo di vento sulla pelle.
Mi sedetti ed attesi che il calore si diffondesse nella stanza,ì. Nel frattempo accesi il computer e mi strinsi un  po’ di più nelle spalle.
Quando finalmente l’ambiente si era riscaldato abbastanza e lo spensi il condizionatore, qualcuno bussò alla porta. –Avanti.
-Granger… ci sono ospiti.
-Ospiti?
-Sì, nella sala interrogatorio.
-Oh.- dissi, raggiungendo Draco e chiudendo la porta dell’ufficio.
-Vuoi prima un caffé?
-No, grazie.
Entrammo in ascensore, entrambi senza guardarci negli occhi. Non avevo il coraggio di farlo e, più di tutto, non volevo sapere in quale mondo sarei caduta questa volta.
-Vuoi… entrare?
-No, se posso resto fuori.
-D’accordo.
-Grazie.
Mi sedetti dietro al vetro della sala, guardando dentro chi ci fosse.
Seduto su una sedia, tenuta a debita distanza dal tavolo, c’era, probabilmente, Cormac McLaggen.
Era un ragazzo bellissimo: i capelli biondi, gli occhi chiarissimi.
Era alto e con un fisico ben piazzato: le spalle larghe, il busto scolpito che si intravedeva benissimo dalla camicia che indossava. Aveva l’aria da duro, ma dietro a quelle lastre di ghiaccio che sembravano i suoi occhi, era facile scorgere una personalità fragile, dolce.
Sorrideva, tenendo per mano una ragazza, che doveva probabilmente essere Padma Patil.
Era una ragazza ancor più bella del ragazzo: era di una bellezza orientale straordinaria. Aveva gli occhi scuri, di un taglio meraviglioso che avrebbe fatto invidia ai migliori ritratti di principesse orientali, la bocca carnosa e il naso dritto e perfetto. Altro che top model americane.
Si sorridevano, come per rassicurarsi a vicenda. –Andrà bene.- le disse lui ad un certo punto, stringendole di più la mano.
Quello che però rapì la mia attenzione maggiormente fu preceduto dal rumore di una porta che si chiudeva.
Draco si avvicinò a loro a passo lento e deciso, poi si appoggiò al tavolo, aprendo sulla sua superficie entrambe le braccia. Era di spalle rispetto a me, quindi mi soffermai ad osservare il disegno che i suoi muscoli creavano: erano tesi, pronti.
Quante volte ho accarezzato quei muscoli…
Scossi il capo per mandare via quel pensiero, quindi tornai a concentrarmi su quello che succedeva nella sala.
-Buongiorno signori.- disse.
-Salve.- risposero entrambi.
-Sapete perché siete qui, vero?- Ancora una volta risposero entrambi.- Signorina Patil, parlerò prima con lei.
-Va bene, però, volevo dirle che io non c’entro.
-Non la stiamo accusando, signorina. E ricordi di rispondere solo alle domande che le porrò, poiché ogni cosa può essere usata contro di voi.
-Sì.
-A che ora il signor Granger è arrivato in ospedale.
-Verso le 20.
-Cosa le ha detto quando si è avvicinato al banco, dove lei stava lavorando?
-Il signor Granger balbettava, quindi è stata la signora a dirmi quali fossero i sintomi.
-Quali sintomi le ha elencato?
-Tremore e dolore al braccio sinistro, dolore al petto, fatica nel respirare.
-Li ha elencati tutti. Qui, però, ce n’è uno in più.- disse, indicando sulla carta un punto preciso.
-Sì,- la ragazza rispose prontamente, senza neanche aspettare che Draco le mostrasse il referto. -ricordo bene quel particolare. Avevo capito subito che qualcosa non andava proprio dalla sudorazione eccessiva del paziente, quindi l'ho segnato come porbabile sintomo.
-Capisco. Poi, cos'ha fatto?
-Poi, ho stampato il foglio che adesso ha lei tra le mani e l'ho dato al collega qui presente.
-Bene. Signor McLaggen. Quando la signorina Patil le ha dato il referto, cos'ha fatto?
-L'ho letto ed ho registrato il codice rosso, dopodiché ho sistemato il paziente sulla barella e l'ho messo in attesa in corridoio. Quando il dottore è passato di lì, qualche minuto dopo, ho portato il signor Granger a controllo, ma il tremore al braccio era cessato e, a quanto detto da lui, anche il dolore al petto.
-Il dottore cos'ha detto?
-Ha fatto qualche domanda al paziente, poi sono andato via.
-Capisco.- disse Draco, portando una delle mani alla testa per poi riappoggiarla al tavolo. -Va bene signori, potete andare. Grazie.
-Non è la prima volta che succede una cosa del genere, ma nessuno ha avuto il coraggio di denunciare.
-Metteremo fine a tutto questo.
-Arrivederci.
-Arrivederci.- Draco li accompagnò alla porta dell'aula, uscendo dopo di loro.
Si avvicinò a me e mi sorrise. -E' andata bene, no?
-Abbastanza. Il dottore credo che lo sentiremo domani.
-Va bene.
-Granger, cosa c'è che non va?
-E' tutto apposto.
-Ne dubito. Hai una faccia.- Mi portai le mani al viso e lo toccai. -Intendevo le occhiaie, Granger.
-Oh. Dormo poco.
-Immagino.
-Non immaginare niente, Malfoy.
-Le attività notturne costano sonno e fatica.
-Le mie attività notturne non t'interessano. E comunque, si tratta di preoccupazioni.
-Dovute a...?
-Non t'interessano.
-Va bene, Granger.
-Che ore sono?
-Quasi le tredici.
-Mh.
-Il Martedì è sempre noioso qui.
-Martedì?
-Sì.
-Oggi è Martedì?
-Sì, Granger.
-Oggi è Martedì.
-Ti si è inceppato il disco?
-Oh, merda! Ho la prova.
-La prova?
-Sì. Scusami, devo andare.
-D'accordo.
Corsi all'ascensore ed attesi che le porte si chiudessero e che l'ascensore mi portasse al piano che avevo richiesto. Mi sentii pervasa da un senso di ansia che mi sembrava troppo grande da sopportare.
Innanzitutto, non ricordavo se avessi preso o meno appuntamento con Ginny, se venisse a prendermi lei o meno.
Comunque, presi la borsa, le chiavi dell'auto e mi avviai di corsa fuori dal dipartimento, senza neanche mangiare.
Entrai in auto e mi fermai per un momento a respirare. La testa mi faceva male, lo stomaco mi girava vorticosamente e sentii salire un conato di vomito che trattenni.
Misi in moto e mi avviai lentamente tra le strade di Londra. Il sole si nascondeva a tratti dietro alle nuvole, ma anche quando brillava senza ombre, non riuscivo a trarne calore.
Fermai l'auto e parcheggiai meglio, ma dovetti fermarmi ancora una volta: lo stomaco aveva ricominciato a girare. Forse era la fame e l'ansia che provavo a farmi questo effetto.
Entrai in un bar poco distante dal cancello in cui sarei dovuta entrare per andare dalla sarta, poi salutai il barista e gli chiesi di darmi una fetta di Cheesecake.
Pagai il conto e uscii per avvicinarmi all'auto e mangiare la fetta di dolce. Ne portai un pò alla bocca, ma l'odore mi diede fastidio e il sapore ancora peggio: il dolce era buonissimo, ma disturbò ancora di più il mio voltastomaco.
Gettai il dolce in un cassonetto lì vicino, poi entrai nel palazzo e mi avviai all'ascensore.
Il cartello che ne segnalava il guasto era stato rimosso, quindi premetti il pulsante per richiamare l'ascensore ed attesi.
Mi parve di aspettare un'eternità, un tempo che sembrava avere un peso tutto a sè.
Quando le porte dell'ascensore si aprirono, entrai nell'abitacolo e mi strinsi nelle spalle. Se era possibile, sentii ancora più freddo.
Premetti il pulsante del piano su cui era sita la sarta e le porte dell'ascensore si chiusero.
Anche la testa cominciò a girare, quindi la presi tra le mani e trattenni un altro conato di vomito.
L'ascensore sussultò per un po’ e mi spaventai. Mi mantenni alla barra metallica posta sotto allo specchio e tutto intornò cominciò a girare.
Quando le porte si aprirono, mi permisi di respirare a fondo per cercare di calmare il dolore, l'ansia. Poi, bussai al campanello e Minerva venne ad aprirmi sorridente come sempre. -Buongiorno, Hermione.
-Salve.
-Prego, entra.
-Grazie.
-Ginevra è in ritardo?
-Non so...- dov'era Ginny?
Aveva forse deciso di non presenziare alla seconda prova dell'abito pur di evitarmi? O forse, era davvero in ritardo? O forse, l'aveva dimenticato?
Presi il cellulare dalla borsa e feci il numero di Ginny, poi portai il cellulare vicino all'orecchio: squillava, ma nessuno rispondeva.
Riprovai, ma Ginny staccò la telefonata.
-Sta arrivando.- disse, infine Minerva. -Ha appena bussato al citofono.
-Oh.- non avevo sentito alcun suono. -Bene.
-Nel frattempo, cara, vieni qui. Cominciamo la prova del tuo abito.-la seguii sulla pedana e lei cominciò a sistemare la stoffa blu sulla mia pelle. -Aspetta un secondo.
-Sì.
-Vado ad aprire la porta alla tua amica. Con permesso.
-Prego.
Si allontanò e dopo poco, dallo specchio, vidi Ginny parlottare in modo simpatico con la sarta. Poi, mi guardò e il suo sguardò si riempì di rimprovero.
-Vieni Ginny, accomodati.
-Sì.
-Ciao.- la salutai, ma non mi rispose.
Mi sentii di nuovo male, di nuovo con un peso che mi premeva nel petto.
Minerva si avvicinò di nuovo a me, dedicandomi il suo tempo e mostrando in ciò che aveva reso quel pezzo di stoffa tutta la sua bravura.
-Tesoro, ti trovo... più stanca.
-Sto lavorando molto.
-Dovresti prenderti un periodo di riposo. Il tuo lavoro ti uccide.
-Sì, può darsi.
-Bene. L'abito è quasi pronto. Manca solo qualche piccolo dettaglio.
-Per me è perfetto così.
-Ho un'idea ben precisa di te, quindi non m'importa se per te è perfetto così l'abito. Per l'idea che ho di te, l'abito ha bisogno di qualche dettaglio. Poi, per quanto riguarda gli accessori, permettimi di occuparmene.
-Va bene.
-Grazie.
-Ci vediamo la settimana prossima allora.
-Sì. Arrivederci Minerva.- uscii quasi dopo un'ora dallo studio della sarta e mi ricordai di un particolare: nella mail, Ginny aveva detto che sarebbe venuta anche Luna alla nostra rimpatriata, ma la bionda non si era presentata.
Decisi di fare un salto da lei, perchè non la vedevo dalla cena a casa mia e perchè volevo salutare Matt. Però, sentivo la necessità di passare per casa e fare una doccia e, soprattutto, vestirmi con abiti più comodi.
Misi in moto e presi la strada per tornare a casa.
Quando finalmente arrivai a casa, parcheggiai l'auto e mi fermai prima di scendere: mi girava di nuovo la testa.
Mi costrinsi comunque a scendere dall'auto e a salire le scale per arrivare alla porta. La aprii e la richiusi subito dopo alle mie spalle. Mamma era tornata dal lavoro ed era andata di nuovo via. Il suo passaggio era segnato dalla lavastoviglie in funzione. Andai in cucina e bevvi un bicchiere d'acqua. Due. Tre.
L'acqua fredda mi rinvigorì abbastanza, quindi salii le scale per andare nel mio bagno e fare una doccia.
Mi spogliai lentamente, mentre l'acqua raggiungeva la temperatura che desideravo, poi lasciai che il mio corpo si bagnasse del tepore dell'acqua.
Mi massaggiai la pelle con un bagnoschiuma a caso, senza dare importanza a quale profumo fosse, poi mi sciacquai e mi avvolsi nell'accappatoio.
Indossai l'intimo e mi vestii  lentamente, poi andai a sedermi sul divano, perchè il voltastomaco era tornato.


Spoiler capitolo 27:

-In realtà, sapevo di cosa avremmo parlato, quindi ho preferito evitare.
-Come mai?
-Sei una donna matura, Hermione ed ogni decisione spetta a te. Importi di capire cosa provi per Draco è solo un modo per allontanarti da lui... ci sono cose che devono seguire il prorpio corso e non è detto che tornino come prima...
-Stai parlando ancora di Draco?
-Sì. Se provi ancora qualcosa per lui, prima o poi, lo capirai da sola... se vorrai.

***
Angolo Autrice:

Eccomi qui.
Scusatemi il ritardo XD. Lo so, lo spoiler ha dato l'impressione di essere qualcos'altro.
Passiamo subito al capitolo, che ne dite?
E' un capitolo di passaggio, come il prossimo. Però, le cose come avete visto si sono complicate tra le due amiche.
I personaggi:
-Hermione: è angosciata da qualcosa, ma cosa sarà mai? Beh, vedremo;
-Draco: non lo avete immaginato durante l'interrogatorio? Io sì **;
-Minerva: la adoro, niente da dire e fa il suo lavoro nel migliore dei modi;
-Ginny: è incavolata nera con la sua amica, ma di certo non ha dimenticato il suo piano e quello di Blaise. In realtà, ha pensato che far sentire ad Hermione anche la sua mancanza, fosse un buon modo per farle provare quelle sensazioni che prova nei confronti di Draco;
-Lo spoiler: cosa ne pensate? Su su, fatemi sapere cosa ne pensate....

Ringrazio le 78 seguite, le 36 preferite e le 6 ricordate.
Ringrazio ovviamente anche i lettori silenziosi.
Ho un annuncio: per chi ama le Dramione, ne ho in corso un'altra che comprende tutto ciò che appartiene realmente a Draco ed Hermione, quindi la storia è provvista di bacchette, incantesimi, Hogwards e tutto il resto. Se vi va, fate un salto.
Il titolo è Since I Kissed You.
Alla prossima, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 27
*** Un giorno in ospedale... ***


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Capitolo 27: Un giorno in ospedale...



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Tentai di muovermi, ma sentivo le braccia pesanti. Aprii gli occhi e, dato che riuscii a vedere sotto il soffitto, mi resi conto che ero stesa.
-Si è svegliata.
Non riconobbi immediatamente quella voce, ma mi era familiare.
Sentii qualcuno che mi toccava il braccio, all’altezza della piegatura del gomito e mi voltai. Vidi una donna vestita di bianco. Un’infermiera. –Dove sono?
-Hermione…
-Luna?
-Sì. Sei in ospedale.
-Cos’è successo?- mi tirai su, trascinando con me l’ago ed il filo trasparente che lo tenevano legato ad una sacca di liquido.
-Sei svenuta.
-E tu che ci fai qui?
-Dovevo fare un favore a tua madre e quando ho bussato alla porta di casa non mi ha risposto nessuno.
-La porta era chiusa.
-Tua madre è arrivata poco dopo di me.
-Chi mi ha portata fin qui?
-Draco.
-Co-come…
-Per quanto ne so, doveva parlare con tua madre dell’interrogatorio.
-Oh…
-Ora dov’è?
-Draco?
-No, mia madre.
-E’ qui fuori. Vuoi che la chiamo?
-Sì, grazie.
Quando Luna lasciò la stanza, sentii i miei pensieri fremere per essere ascoltati, ma i movimenti dell’infermiera mi distrassero tanto che decisi di ascoltare i miei pensieri quando fossi rimasta davvero da sola.
La vidi regolare il flusso di quel liquido nella sacca e, poi, sistemarmi l’ago che avevo spostato con i miei movimenti.
Mi appoggiò sulla fronte uno strano macchinario con cui misurò la pressione, poi si congedò. –E’ tutto a posto, signora Granger. E’ stato solo un mancamento.
-Grazie.- La guardai uscire e mi sistemai sul cuscino.
Draco mi aveva portato fin qui. Ed ora, dov’era?
Volevo saperlo davvero, almeno per ringraziarlo… volevo saperlo per vedere se fosse preoccupato o meno.
La porta della camera si aprì e mi ritrovai di fronte il viso preoccupato di mia madre. –Come stai?
-Bene, mamma.
-Mi hai spaventata.- disse prima di abbracciarmi.
Cercai di fare lo stesso, ma i miei movimenti risultarono al quanto impacciati. –Mamma.
-Lascia perdere, tesoro e stai attenta: non muoverti troppo.
-Volevo abbracciarti.
-Vuoi mangiare qualcosa?
-No, sto bene così.
-Hai sete?
-No, davvero. Credo che questa cosa- dissi indicando la sacca sostenuta da un’asta di acciaio- serva proprio a questo. Tu, come stai?
-Adesso sono tranquilla. Sai, se non fosse stato per il signor Malfoy… è stato così gentile: ha insistito per accompagnarti personalmente in ospedale.
-Henri?
-L’ho chiamato poco fa, anche se…- fece un gesto con la mano, come a voler lasciare il discorso sospeso, ma mettendo in chiaro con quali parole avrebbe voluto concludere quel discorso.
-Cosa gli hai detto?
-Che sei in ospedale e che ti sei sentita male.
-Capisco.
-Cosa… come ti sei sentita in questi giorni?
-Nervosa. Ho avuto dei forti capogiri e, a volte, anche il voltastomaco mi ha dato fastidio.- vidi i suoi occhi velarsi dall’emozione e sapevo bene dove fosse volata la sua fantasia, ma, al contempo, il suo viso assunse un espressione disgustata. –Non sono incinta, mamma, tranquilla.
Il suo viso perse entrambe le espressioni e tornò a fissarmi bonariamente. –Ne sarei stata felice, ma sai quanto io non sopporti tuo marito.
-Lo so, mamma.
-Luna, mentre dormivi, mi stava parlando di una rimpatriata…
-Sì, a proposito mamma, potresti chiamarla. Devo chiederle una cosa.
-Certo. Io ne approfitto per andare a casa e prenderti qualche vestito comodo. Il dottore ha detto che ti dimetteranno in serata.
-Grazie.- le dissi.
Mamma uscì dalla stanza e poco dopo, vidi Luna sedersi al mio fianco. –Hey…
-Hey…
-Come ti senti?
-Non lo so. Stavo venendo da te, prima di… svenire.
-Come mai?
-Ti aspettavo alla rimpatriata.
-Oh, me ne sono dimenticata.
-Guadami bene Lune Lovegood in Weasley: sono un avvocato, capisco quando una persona mente.
-D’accordo. Se ti dico che ho voluto farmi gli affari miei.
-Interessante, continua.
-In realtà, sapevo di cosa avremmo parlato, quindi ho preferito evitare.
-Come mai?
-Sei una donna matura, Hermione ed ogni decisione spetta a te. Importi di capire cosa provi per Draco è solo un modo per allontanarti da lui... ci sono cose che devono seguire il proprio corso e non è detto che tornino come prima...
-Stai parlando ancora di Draco?
-Sì. Se provi ancora qualcosa per lui, prima o poi, lo capirai da sola... se vorrai.
-Già.
Guardai al di là del letto. Com’era possibile che il mo orgoglio mi rendesse tanto cieca: l’amore che provavo per Draco lo vedevano tutti, tranne io.
O meglio, lo vedevo, ma era sfumato, confuso da qualcosa di troppo presente nella mia vita. L’immagine del viso di Henri mi riempì i pensieri, ma mi accorsi di quanto avessi paura di quel sorriso.
Forse, dovevo davvero dare un taglio a tanto dolore.
Ma, anche se l’avessi fatto, e, anche se avessi accettato di provare ancora qualcosa per Draco, quei sentimenti sarebbero comunque rimasti illusioni sospese in aria, perché lui aveva deciso di tenermi fuori dalla sua vita anni fa, quando aveva deciso di lasciarmi, nonostante tutto…

La sala era piena di gente e, fosse stato per me, non avrei messo piede nel locale: sarei rimasta nel mio letto a piangere, perché liberarmi del dolore sarebbe stata la cosa migliore da fare in ogni caso.
Una festa in maschera. Un vestito che avevo odiato dal primo momento, eppure, l’avevo indossato ed ero andato a quella maledetta festa.
-Stammi a sentire, catwoman, adesso devi divertirti.
-Non sono in vena, Ginny.- e con lo sguardo andai oltre le sue spalle.
-Sai che verrà, ma è inutile aspettarlo.
-Lo so.- sapevo entrambe le cose, ma niente poteva impedirmi di sentire la voce della mia fiducia.
Non è impossibile. Ed era vero, perché avrei accettato qualsiasi cosa, pur di averlo al mio fianco.
Mi sedetti su una poltrona, in un privè con le tendine viola e bevvi il mio bicchiere di cocktail rubato dal vassoio di un cameriere.
Lo sorseggiai lentamente, quando mi sentì posare una mano sulla spalla.
Mi girai con una velocità che spaventò anche me. Avevo riconosciuto il suo odore, prima ancora che la sua mano mi toccasse e non mi ero spaventata a quel contatto. –Ciao.- mi aveva detto.
Mi aggrappai al suo collo con tutta la forza che possedevo in corpo e lo baciai, ma lui oppose resistenza.
Mi allontanai, sciogliendolo da mio abbraccio e lo guardai negli occhi. –Smettila di farti male.- mi disse con voce dura.
-Perché sei venuto qui, allora? Credi che possa essere indifferente o credi che da un momento all’altro il mio amore per te possa svanire nel nulla?
-Perdonami.
-Non posso farlo.
-Hai ragione, non dovrei essere qui.- mi accarezzò una guancia, soffermandosi all’angolo delle labbra. Sorrise.
Poi, mi attirò a sé, portando una mano dietro alla mia nuca e l’altra attorno alla vita. Mi baciò, come non aveva mai fatto.
Mi leccò il labbro inferiore, per poi insinuare la sua lingua contro alla mia.
Mi feci trovare pronta: non desideravo altro che sentire ancora il suo sapore.
Però, lo trovai diverso: era dolce, sulla punta, ma in fondo, oltre quel sapore, c’era l’amaro.
L’amare dell’ultimo bacio, l’amaro dell’addio.
In quell’istante, quando quel sapore riempì la mia bocca, sentii la terra sgretolarsi sotto ai piedi, assieme alla speranza che non sarebbe stato impossibile. Assieme al mio cuore e alla mia stessa anima. In quell’ultimo bacio, mi ero regalata completamente a lui, dandogli anche la briciola più insulsa del mio essere.
Mi staccai da lui, imponendo al mio cervello di trovare la lucidità che perdeva ogni qualvolta Draco mi sfiorava. –Posso accettarlo.
-Addio, Hermione.
Ed era andato via, come una settimana prima.
Però, non c’era la pioggia a confondere i lineamenti della sua immagine. Non c’era la pioggia a nascondere le mie lacrime, né il vento a portarle via o a farmi chiudere gli occhi per non vedere le sue spalle allontanarsi.
Ero sola… e lui lontano. Più di prima.

-Hermione? Hermione?
Scossi la testa, sentendo le lacrime premere per uscire e chiusi per un attimo gli occhi, poi mi voltai e vidi, accanto a Luna, Blaise, nella sua tenuta da infermiere. Sorrisi. –Chi non muore si rivede.
-E’ tutto ok?
-Sì, scusate. Ero soprappensiero.
-Come ti senti?- mi chiese Blaise.
-Bene.- il suo sorriso mi tranquillizzò e mi ricordò quante volte mi era stato accanto ad asciugarmi le lacrime.
Ancora una volta, mi ritrovai a pensare al fatto che lui, più di tutti, aveva vissuto quella storia insieme a noi.
Noi. Me e lui. Me e Draco.
-Riprenditi in fretta  e vedi di non fare più questi scherzi.
-Oh, beh…
-Ti aspetta una sorpresa.
-Chi è?
-Magari è un oggetto, no?
-Nah, ne dubito.
-Credi?
-Ok, cos’è?
-Lo vedrai.
-Quando?
-Alla festa di Ginny e Harry.
-Interessante. Ma, se non fosse di mio gradimento?
-Lo sarà di sicuro.
Bussarono alla porta e mamma entrò, mostrandomi uno zaino in cui aveva portato i miei abiti.
-Blaise, dovrei vestirmi.
-Fa pure.
-Dovresti uscire.- gli disse, sorridendo.
-Lo so. Non vorrei mai vederti in mutande, signora Granger. Sarebbe uno spettacolo orripilante.
-Dici sul serio?
-No, ma sono fedele.
Sì, Blaise era fedele. Era fedele a Lavanda, la sua fidanzata storica, quella di cui era innamorato dal primo anno di liceo.
Era fedele a me, che ero sua amica e che lo volevo bene come se fosse stato un fratello, essendo ricambiata allo stesso modo.
Era fedele al suo migliore amico, quello da cui non si era separato neanche per un istante, neanche quando le situazioni erano troppo scomode. Il suo unico miglior amico, quello con cui aveva spartito ogni momento di felicità e di dolore, con cui aveva preso le decisioni più difficili. Quello che non l’aveva abbandonato, quando si era chiuso a riccio in se stesso per  la mancanza di Lavanda.
Il suo unico miglior amico…il mio unico amore.
Quando Blaise, uscii dalla stanza, presi lo zaino che mamma aveva sistemato sul letto e ne estrassi i vestiti, poi andai in bagno per indossarli.
Non mi sarei lavata lì dentro: per quanto i bagni fossero puliti, l’odore fastidioso di disinfettante misto all’odore di medicinale mi dava il voltastomaco e non avevo affatto voglia di vomitare.
Mi vestii in fretta e mi permisi uno sguardo all’abbigliamento: sportivo e semplice.
Poteva andare.
Uscii dal bagno e tornai a sedermi sul letto. –Grazie.
-Ho preso le prime cose che ho trovato.
-Vanno benissimo.
-Hai fatto degli ottimi acquisti, sai?
-Lo so.- le sorrisi.
-Blaise è ancora qui fuori, lo faccio entrare.
-Oh sì. Che stupida.
Mamma andò ad aprire la porta e lui entrò sorridendo. –Cavolo quanto sei lenta!
-Hey, sono i postumi del mio malore.
-Spero di non svenire mai, allora.
-Sono infettiva, sai? Se ti baciassi…
-Permettimi di rifiutare.
Sorridemmo. –Avevo completamente dimenticato che fossi qui fuori.
-Oh, signora.- disse rivolgendosi a mamma. –sua figlia è un’ingrata. Non merita affatto la mia amicizia.
-Hai proprio ragione.
Non aveva smesso un attimo di ridere da quando quella conversazione era cominciata e Luna l’aveva imitata perfettamente, tenendo in braccio il piccolo Matt che si era addormentato.
Gli sprazzi di felicità gratuita, come questa, erano quelli che più mi mancavano nella vita che avevo iniziato a condurre andando a Parigi.
-Comunque,- disse Blaise tornando serio. –tra un’ora al massimo ti dimetteranno e tu sarai libera di svolazzare qui e lì. Ti raccomando solo di non essere costantemente sotto stress.
-Tu sei un pediatra.
-E tu sei una bambina viziata che non vuole capire qual è la fonte reale del suo stare male.- mi aveva indirizzato uno sguardo a cui non servirono parole per essere interpretato.
Mamma e Luna calarono il capo, mentre io mi sforzai di sostenere gli occhi perfetti  di Blaise. –Hai ragione.
-Lavorerò di meno.
-Non intendevo questo. Comunque, faresti bene a prenderti un riposo lavorativo di qualche giorno.
-Grazie.
-Ci vediamo. Arrivederci signora Granger, ciao Luna.- disse ed uscì dalla stanza.
Sapevo che non appena avrei staccato gli occhi dalla porta chiusa, mi sarei ritrovata gli occhi di mamma e Luna puntati addosso, quindi mi alzai e mi diressi alla finestra ed osservai la stanza: era… pulita.
Una stanza singola, con le pareti colorate di un azzurro tenue che, per certi versi, trasmetteva tranquillità per altri, mi sembrava di provare la strana sensazione di dover morire da un momento all’altro e di dovermi abituare a quell’azzurro perenne.
Scossi la testa, inorridita dai miei pensieri. Forse, la sensazione che avevo provato si era dipinta sul mio volto, perché vidi mamma avvicinarsi e abbracciarmi. –Va tutto bene, tesoro?
-Sì. Voglio solo andare via da qui.
-Tra un po’ sarai a casa.
Gli ultimi venti minuti mi videro impegnata in chiacchiere leggere e piacevoli: cosa avrei voluto mangiare, come procedeva il lavoro, quando ero andata in  giro a fare tanto shopping.
Ringraziai mentalmente Luna. Lei era una delle poche che, nella vita, mi metteva di fronte all’evidenza dei fatti con prepotenza: prefeva aspettare che me ne accorgessi da sola.
Le sorrisi, consapevole del fatto che lei avesse capito.
Un’infermiera venne ad avvisarci che avrei potuto lasciare l’ospedale, quindi, ci recammo nell’atrio per firmare dei documenti e fare l’ultimo controllo.
Salutai il medico con un sorriso cordiale, seguita a ruota dalle mie accompagnatrici, poi uscimmo dall’ospedale.
-Ci vediamo, Herm.
-Non passi per casa?
-No,Matt tra un po’ si sveglierà e avrà fame. Se ti va, passo domani con Ron.
-D’accordo.
-Arrivederci signora Granger.
-Ciao cara, buona serata.
-Guido io.- dissi, avviandomi alla portiera.
-Non se ne parla proprio.
-Va bene.
Quando entrambe fummo in auto, chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dal tremolio del motore.
Non ebbi il tempo di pensare, poiché, pochi minuti dopo, sentì l’auto fare strane manovre e fermarsi, segno che mamma aveva parcheggiato. –Su,- disse aprendo la porta.- vado a cucinare qualcosa di caldo.
-No, mamma, lascia stare. Non ne ho voglia.
-Hermione…
-Sono stanca. Vorrei dormire un po’.
-Buonanotte allora.
Mi avviai per le scale e mi sentii debole al punto di dubitare del fatto che avessi potuto indossare il pigiama, ma contro i miei pensieri, ritrovai anche la forzadi fare una doccia, di scoprire il letto e coprirmi fin sopra la testa: il freddo non mi aveva abbandonata.
Guardai il cellulare e mi accorsi che, ancora una volta, di Henri non c’era neanche una telefonata.
Poi, chiusi gli occhi.


Spoiler capitolo 28:

Era di fronte a me, seduto sul letto, con la mano che tremava sulla coperta.
Avrei dovuto essere felice di averlo qui, ma mi ritrovai ad esserne terrorizzata.
Io e lui soli, in una stanza chiusa…
Forse, era solo suggestione, la mia. Strinsi più forte il lenzuolo, fino a trovare le nocche delle mani bianche. –Ciao…- dissi timorosa.
Alzò il suo sguardo su di me e vidi un lampo di pura rabbia attraversare i suoi occhi.
Alzò la mano, con il palmo aperto come se avesse voluto accarezzarmi, poi qualcuno aprì la porta.


***
Angolo Autrice:

Eccomi qui, con il nuovo capitolo.
Come avete potuto vedere, Hermione non è incinta: è solo lo stress a giocarle brutti scherzi.
Qualcuna di voi l’aveva pensato, eh? Beh, mi dispiace per aver deluso le vostre aspettative XD
Passiamo al capitolo: Tornano in scena Luna e Blaise, contente?
Draco è il nostro eroe, anche se compare indirettamente tre queste righe. Il flashback: pensare queste cose in ospedale, certo… non è il miglior modo per ricordare, ma a mio parere, i ricordi fanno capolino alla mente nei momenti in cui siamo più fragili, sia emotivamente che fisicamente.
Cosa ne pensate?
I personaggi:
-Hermione: cosa sono questi pensieri, eh? Non era lei quella a voler tenere in piedi il suo matrimonio? Certo, ed è ancora così… solo che, ogni tanto…;
-Luna: è una persona molto discreta e, come ha detto Herm, non impone le cose con prepotenza e, forse, il suo atteggiamento è il migliore che possa assumere avendo una testa dura come amica;
-Meredith: la trovo straordinaria, niente da dire su di lei.
-Blaise: è tornato! Come lo avete trovato? Io lo adoro **.
Bene, concludo qui con la descrizione dei personaggi.
-Lo spoiler: cosa state immaginando?
Ringrazio le 79 seguite, le 37 preferite e le 7 ricordate.
Grazie davvero, anche ai lettori silenziosi.

Spazio AUTOpubblicità:
  per gli amanti della coppia Draco/Hermione, ho iniziato una nuova ff, Since I Kissed You.
Per chi invece ama la coppia Edward/Bella è in corso una ff che è già al quarto o quinto capitolo, Revenge and Love.
A presto, la vostra Exentia_dream


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Capitolo 28
*** Convalescenza... ***


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Capitolo 28: Convalescenza...


Image and
video hosting by TinyPic Hermione POV:
Non avrei saputo dire per quanto avevo dormito: il mal di testa pulsante e il freddo che sentivo, però, mi sembravano segni di un lungo riposo.
Anche se, di certo non era stato uno dei migliori: il mio sonno era stato popolato dagli incubi. Anzi, un incubo: Draco era al centro esatto della strada e pioveva, un’auto che sfrecciava a tutta velocità lo investiva in pieno ed io lo ritrovavo tra le mie braccia morente.
Vedevo i suoi occhi chiudersi lentamente, segno che mi stava abbandonando. Mi stava lasciando per sempre.
Forse, quel sogno era un segnale. Ma cosa voleva significare?
Mi sedetti nel letto. Forse, era pomeriggio inoltrato…
Sentivo le voci proveniente dal piano inferiore e mi sporsi in avanti, come a voler sentire meglio. Le voci, però, erano sommesse dalla porta chiusa e, probabilmente, gli interlocutori cercavano di tenere bassi i loro toni.
Mi sistemai meglio, tirai su la coperta che durante la notte era scivolata e ora giaceva per metà sul pavimento.
Cercai di chiamare mamma, ma la mia voce risultò essere rauca e quasi cavernosa, a causa del lungo silenzio. Avevo sete, quindi decisi di lasciare il letto ed indossare qualcosa di comodo.
Prima, avevo bisogno di una doccia e andai in bagno ed aprii il getto d’acqua.
Nel frattempo, legai i capelli, conscia del fatto che se avessi fatto anche lo shampoo avrei potuto ritrovarmi l’influenza.
Mi infilai nella doccia e m’insaponai di fretta, risciacquandomi allo stesso modo.
Mi avvolsi nell’accappatoio e cercai di trarne quanto più calore possibile dalla spugna azzurro chiaro.
Mi asciugai e mi vestii, poi scesi al piano inferiore.
La cucina era illuminata poco ed entrai quasi in punta di piedi per non interrompere con irruenza il discorso che teneva impegnata mamma e non so chi altri.
-Oh, Hermione…- disse lei, accorgendosi di me. –Entra.
-Buonasera.
Intanto, mi soffermai a guardare l’altra persona nella stanza, anche se gli occhi non si erano ancora abituati alla luce, tenue, certo, ma pur sempre una luce diversa.
-Buonasera.- rispose.
Allora, la mia visuale si riempì dell’immagine: i capelli biondi erano sistemati all’indietro con il gel, gli occhi grigi erano inespressivi, ma riuscii comunque a cogliere un leggero imbarazzo.
Draco.
Lo guardai e notai le sue occhiaie, lievi, pallide. Il sorriso era tirato e il leggero filo di barba si adattava perfettamente ai movimenti delle guance.
 -Ti senti meglio?- chiese mia madre, interrompendo quella lunga pausa di silenzio che era calata.
-Sì, grazie.
-Il signor Malfoy...
-Mi chiami Draco, per favore.- sorrise.
-Draco si è offerto per andare in farmacia, a prendere le medicine che il medico ti ha prescritto.
-Oh, non ce n’è bisogno…
-Ci sono già andato. Anzi,- disse guardando l’orologio.- dovresti prenderne qualcuno adesso.
-Grazie.
Il telefono squillò e mamma corse a rispondere. –Pronto. Oh, ciao, che sorpresa!- La sua voce si affievoliva mano a mano che salivo con lo sguardo lungo la figura di Draco.
Le scarpe nere, lucide venivano coperte alla loro estremità dai pantaloni neri di buona fattura. La camicia era tenuta fuori e i bottoni del colletto erano sbottonati. La giacca era completamente aperta. –Stai meglio? Davvero?
-Sì.
-Mi hai fatto preoccupare.
-Mi dispiace.
-Credevo che…- chiuse per un po’ i pugni, poi li riaprì. -…che tuo marito ti avesse di nuovo maltrattata.
-Non lo vedo quasi mai.
-Meglio allora.
-Come sta Cloe?
-Bene.
-E Natan?
-Oh, benissimo direi.
-Natan mi ha raccontato un po’ come vanno le cose tra voi…- perché glielo stavo chiedendo? Mi sentii immediatamente in imbarazzo, quindi, feci un gesto con la mano per fargli capire che potevamo far cadere il discorso lì.
-Le cose sono migliorate.
-Oh.- ne avevano parlato: forse ed avevano deciso di trattarsi come un vero marito ed una vera moglie. Com'era giusto che fosse...
-Cloe ha chiesto il divorzio.
Non risposi. Rimasi per un po’ immobile, a boccheggiare, come a voler prendere aria.
-Hermione… non hai idea di chi abbia telefonato. Ma no, non te lo dico: sarà una sorpresa.
Draco sorrise e dopo averlo guardato ancora una volta, lo imitai, rivolgendo il mio sorriso a mamma.
-Arrivederci signora Granger.
-Arrivederci Draco. E grazie mille.
-Arrivederci Hermione.- non gli risposi ancora. Lo guardai andare via e i ricordi che quella scena portò con sé mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso, ma il dolore fu almeno dieci volte maggiore.
Mamma tornò in cucina e mi trovò ancora sorridendo, nonostante l’enorme sforzo che mi costasse quel gesto. –Allora,- le chiesi, curiosa davvero. –chi ha telefonato?
-Lo saprai domani.
-Devo aspettare fino a domani?- Misi su un finto broncio, tanto per non far pesare a mamma lo stato in cui mi sentivo.
Almeno dopo tutte le delusioni che le avevo dato, non mi sembrava giusto farla sentire colpevole anche di qualcosa in cui lei non aveva colpe.
Sorrisi ancora e mi alzai, avvicinandomi al fornello. –Cosa fai?
-Ho un po’ di fame.
-Siediti, ti preparo qualcosa.
-No mamma, tranquilla. Faccio io
-Siediti e lascia fare a me. Di cosa hai voglia?
-Non saprei.
-Hai freddo?
-Abbastanza.
-Ok, allora… ti va una minestra vegetale?
Storsi il naso. –Con le verdure?
-No. Solo patate e carote.
-Ok.
-E’ molto cambiato Draco.
-Sì.
-Lo ricordo quando era davvero un bambino… sempre bello.
-Già.
-Sareste stati davvero bene insieme.
-Non mi pare il caso di parlare di questo.
-Sì, hai ragione.
Suonarono alla porta e solo allora mi resi conto di quanto in realtà fosse tardi. –Vado io.
-Grazie.
Lungo il corridoio, camminavo piano, perché mi sembrava di sentire ancora l’odore di pioggia e di cuoio che era sulla pelle di Draco.
Ed io lo conoscevo bene quel profumo, per tutte le volte che l’avevo respirato.
Aprii la porta con lentezza snervante, poi alzai piano il viso, sapendo già dalle scarpe chi avrei trovato di fronte ai miei occhi.
Henri sorrise e lo imitai, poi mi diede un bacio a fior di labbra, stringendomi il polso.
Era il segno che appartenessi a lui.
Mi sentii terribilmente delusa: speravo fosse qualcun altro, e non per forza volevo che fosse Draco.
Bugiarda e stupida.
Lasciai passare Henri per primo, poi lo seguii.
Ero talmente nervosa che mi spaventai quando lui si fermò nel corridoio: sembrava che stesse respirando e tremai al pensiero che potesse cogliere anche lui, tra gli altri odori, il profumo che per anni avevo amato.
-Che buon odore.
-Emh… di cosa?
-Di… minestra? E’ possibile?
-Oh sì. Mamma sta cucinando.
-Come mai?
-Ho fame.
-Non sai cucinarti da sola, bambina viziata?
-Sì, ma ha insistito per farlo e per non farmi stancare.
-Ti stanchi troppo facilmente. Dovresti lavorare sul serio per capire cos’è la fatica.
-Credo di saperlo…
-Non credo affatto.- disse, stringendomi con forza le braccia, poco più in alto dei gomiti.
-Mi fai male.- cercai di sopprimere un urlo di dolore e di parlare con voce più bassa possibile.
-Non contraddirmi. MAI.Più.
-Hermione?- mamma mi raggiunse in corridoio e mi guardò con aria stranita. Le sorrisi per tranquillizzarla. –Oh, Henri, sei tu. Non ti aspettavo.
-Lo immagino.
-Ci sono visite che uno eviterebbe volentieri.
-Ovvio. E’ abbastanza noioso andare in giro a trovare i malati.- mi abbracciò dolcemente: quanto odiavo il suo modo di fingere.
Sapevo che la frase di mamma era indirizzata a lui e spiegava chiaramente che non voleva vederlo, ma Henri, per un motivo o per un altro, aveva frainteso.
O, forse, aveva dato alla frase il significato che gli conveniva.
-Ceni con noi?
-No, però conservamene un po’: domani sarò a pranzo qui e voglio la minestra.
-D’accordo.
Lo riaccompagnai alla porta. –Ci vediamo domani. Arriverò verso le tredici, quindi, fai trovare tutto pronto.
-Sì.
-Stammi bene.
Chiusi la porta e sentii le lacrime premere per uscire dagli occhi, quindi, strinsi i pugni.
Mi era passata la fame, ma non avevo voglia di far preoccupare mamma, così mi avviai in cucina e mi sedetti al tavolo.
-Che faccia tosta. Insolente, scorbutico, pezzo di mer…
-Mamma, sono qui.
-Oh…
In altre situazioni, avrei riso del suo borbottare da sola. Ora, invece, me ne sentii infastidita, anche se le sue parole descrivevano alla perfezione il modo di essere di Henri.
Chiusi gli occhi e non so per quanto tempo rimasi così. Li riaprii solo quando sentii il rumore dei piatti che venivano poggiati l’uno sopra all’altro.
Quando mamma mise i piatti a tavola, mi sforzai di assumere l’aria di una persona tranquilla, per darle almeno la soddisfazione per aver cucinato. –Grazie.
-E’ tutto a posto?
-Sì.- mi portai un cucchiaio di minestra alla bocca e ne gustai ogni sapore. Persino il retrogusto di quell’intruglio era dolce. –E’ buonissima.
-Mi fa piacere.
Mangiai tutto ed aspettai che anche mamma finisse, poi tolsi i piatti dalla tavola e li sistemai nella lavastoviglie: non volevo dare altre noie a facendole lavare i piatti.
-Precisamente, che ore sono?
-Perché non guardi l’orologio?
Le lanciai un’occhiata abbastanza eloquente e dovette capire che per me lo scorrere del tempo era una vera spina nel fianco, soprattutto se quel tempo non lo vivevo. –Mmh…- mugugnai.
-Sono le nove.
-Cavoli. Mi sento… intontita.
-Devi riposare ancora un po’.
-Sì.
-Saranno un altro paio di giorni, Hermione… poi, sarai libera.
-Oh, grazie sceriffo.
-Ma si figuri. La buona condotta ha giocato a suo favore, cara prigioniera.
Adoravo giocare in questo modo con mamma e farlo mi ricordava papà e a quando anche lui partecipava attivamente ad essere un prigioniero o un dottore o qualsiasi altro protagonista delle scenette che mettevamo su in pochi istanti: era sempre divertente.
Mi mancava infinitamente ed era troppo tempo che non andavo al cimitero. Avevo davvero voglia di andarci e guardare la sua fotografia: avrei potuto farlo sfogliando gli album di famiglia, ma forse, avevo bisogno di un impatto violento con la realtà.
-Andiamo a letto?
Mamma annuii e ci avviammo insieme alle scale ed ognuna entrò nella propria camera.
Indossai in fretta il pigiama e mi rintanai nel letto, coprendomi fino all’ultimo capello, poi mi addormentai.

§

Mi ero risvegliata per non so quale motivo: non avevo affatto passato una bella nottata. Mi ero svegliata più volte, faticando poi a riprendere sonno.
Avevo preso il cellulare dal comodino, perché avevo voglia di sentire Ginny: mi mancava infinitamente.
Avevo portato agli sgoccioli un’amicizia per difendere un matrimonio che aveva basi su cosa? Su niente.
L’unico pilastro che forse reggeva era proprio il mio orgoglio e non potevo permettermi di perdere la mia vita, le mie amicizie solo per un angolazione del mio carattere che sapevo di dover affievolire o usare con chi lo avrebbe meritato.
Nonostante i rimproveri mentali che mi ero fatta, decisi che non era ancora il caso di telefonare a Ginny…
Guardai l’orario segnato sul display del cellulare e mi resi conto che, ancora una volta, avevo saltato la colazione e il pranzo e comunque non avevo fame.
Il tempo mi sembrava scorresse troppo velocemente: ero passati già due giorni da quando ero uscita dall’ospedale e mi sentivo bloccata nella noia e nelle abitudini che non amavo.
Il cellulare squillò e risposi quasi subito. –Pronto?
-Dove sei?
-A casa.
-Oggi ho pranzato insieme alla svitata.
-Chi sarebbe?
-Tua madre.
-Henri, non ti permetto di parlare così.
-Resta di fatto che non mi hai preparato il pranzo.
-Sono stanca Henri, sono debole…
-Non m’importa. Comunque, tra un quarto d’ora sarò da te.
-Oh…
Mi diressi in bagno per riempire la vasca e cercare di rilassarmi, facendomi cullare dal calore dell’acqua e dall’odore di bagnoschiuma.
Legai i capelli e attesi che la vasca si riempisse e che il sapone al latte d’asina formasse una leggera schiuma.
Mi spogliai e sistemai il pigiama in una cesta che tenevo in bagno apposta per gli abiti che volevo lavare, poi mi immersi nell’acqua lentamente e attesi che le gambe si abituassero al calore.
Quando anche le spalle si ritrovarono ad essere accarezzate dall’acqua e dalla schiuma, chiusi gli occhi, cercando di tenere lontani i ricordi che mi avrebbero fatto male.
Il vapore che aveva riempito il bagno mi intontiva un po’, ma era meglio per la mia memoria che, ultimamente, dava segni di voler ricordare per forza.
Uscii dalla vasca di malavoglia e mi avvolsi nell’accappatoio, per prendere calore e andai nella mia camera per vestirmi: volevo indossare qualcosa di carino, visto che, a detta di mamma, oggi ci sarebbe stata una sorpresa per me.
Mi vestii e sistemai i capelli in uno chignon stretto, poi sistemai il letto e mi ci poggia su.
Henri arrivò poco dopo, con il sorriso stampato sulla faccia.
Sentii le membra attorcigliarsi e farmi male, ma cercai di tenere a bada il dolore e gli sorrisi di rimando.
 Si accomodò sul letto e posò i suoi occhi sul mio abbigliamento.
-Ti pare il caso di vestirti così?
-Cos’ho che non va?
-Sei in casa, Hermione. Certi abiti dovresti tenerli per uscire. E poi, questa… cosa- disse, prendendo tra le mani il maglione e sul suo viso si dipinse il disgusto.- è corta per essere indossata così.
-Non è corto, Henri…
-Continui a contraddirmi?
-Non è una contraddizione: è un dato di fatto, vedi?- gli dissi, alzandomi e mostrandogli che in realtà il maglione era più lungo di quanto lui pensasse.
Mi strinse il polso e mi riportò sul letto.
-E’ corto.
-Per me non lo è.
Mamma entrò in camera e non degnò Henri di uno sguardo. Mi sorrise. –C’è una persona che vorrebbe parlarti. Di lavoro.- si affrettò a chiarire.
-Oh, falla entrare.
Aprì di più la volta e il mio cuore mancò qualche colpo quando vidi i suoi occhi puntati addosso. –Buonasera Hermione. Henri.
-Draco.- rispose Henri a mò di saluto.
-Dovrei parlarti. Riguarda il caso…
-Sì, accomodati.
-Henri, credo sia il caso che li lasciamo soli.- disse mamma e quasi avrei voluto che in quel momento avesse taciuto.
Henri si alzò ed uscì dalla camera, non prima di avermi lanciato un’occhiata colma di disapprovazione… ed io sapevo bene cosa significava quello sguardo: altri lividi, altre parole forti nei miei confronti e magari altra violenza gratuita.
Attesi che la porta si chiuse, poi feci segno a Draco di sedersi.
Lo guardai e notai una piccola ruga che gli attraversava la fronte: era teso.
I capelli erano scompigliati e bagnati, segno che fuori, al di là delle tende, il cielo stava piangendo.
Gli occhi erano fissi sulle mie mani e il sorriso era tirato, circondato da rughe leggere. Le fossette che si formano sulle guance ogni volta che rideva, erano appena accennate e, per quel po’, erano nascoste dal leggero filo di barba bionda.
Avrei voluto accarezzargli la fronte e le guance e la fronte e far distendere quelle rughe. Avrei voluto far tornare sul suo viso la perfezione. Avrei voluto dirgli di non stare in pensiero: qualsiasi cosa lo stava preoccupando, si sarebbe risolta.
Il silenzio era perfetto in quel momento, perché ci sarebbe voluto un coraggio immenso per spezzare il filo di quei pensieri che forse entrambi stavamo seguendo.
Era di fronte a me, seduto sul letto, con la mano che tremava sulla coperta.
Avrei dovuto essere felice di averlo qui, ma mi ritrovai ad esserne terrorizzata.
Io e lui soli, in una stanza chiusa…
Forse, era solo suggestione, la mia. Strinsi più forte il lenzuolo, fino a trovare le nocche delle mani bianche. –Ciao…- dissi timorosa.
Alzò il suo sguardo su di me e vidi un lampo di pura rabbia attraversare i suoi occhi.
Alzò la mano, con il palmo aperto come se avesse voluto accarezzarmi, poi qualcuno aprì la porta.
Maledissi quell’interruzione e cercai di assumere un’espressione tranquilla.
Mamma era ferma sulla porta e mi guardava con aria dispiaciuta. –Ho interrotto qualcosa?
-No, mamma, entra.
-In realtà, c’è una sorpresa per te.
-Davvero?
Fui felice che qualcosa di buono avesse interrotto quel momento.
Mi ritrovai quasi stritolata da un abbraccio dolcissimo e, senza sapere il perché, mi ritrovai con gli pieni di lacrime.
Mi staccai dall’abbraccio e guardai la persona che avevo di fronte: gli occhi azzurri e i capelli lunghi biondi che le ricadevano sulle spalle erano mossi.
Il sorriso era coinvolgente e le labbra sottili erano leggermente truccate.
Mia cugina fece un giro su se stessa e sorrise ancora, puntandomi i suoi occhi nei miei. Era più grande di me di qualche anno, ma eravamo sempre andate d’accordo: l’età non era mai stata un problema tra noi. Adesso, avrebbe dovuto avere i suoi ventotto anni. La guardai ancora un po’. -Daphne.- non la vedevo da anni.
-Quanto mi sei mancata.
-Oh Dio, ma sei… sei bellissima.
-Fatti abbracciare ancora.
Poggiai la testa sulla sua spalle e, quindi riuscii a vedere il suo accompagnatore: in vita mia l’avevo visto una sola volta.
Era alto e ben piazzato, i capelli di un biondo scuro incorniciavano il suo viso tondo e gli occhi verdi erano illuminati dalla felicità che provava, giustamente, stando accanto a Daphne.
Seamus Finnigan.
Da subito, il suo nome mi era sembrato divertente.
Si era comunque mostrato molto intelligente e abile nel suo lavoro: era un giornalista affermato e lavorava, almeno da quando l’avevo conosciuto, al The Financial Time.
Forse, era più giovane della sua compagna.
-Come state?- chiesi ad entrambi e feci segno a Seamus di sedersi.
-Bene. Siamo appena tornati dal viaggio di nozze.
-Vi siete sposati?
-Certo! Credevi che sarei rimasta zitella per sempre?
-Niente affatto.
-Ha fatto un ottimo affare, sai?- disse il giovane, indicandosi.
-Non ne dubito.
Mi girai verso Draco per ridere e mi accorsi che, per tutto quel tempo, era stato in silenzio.
Daphne se ne accorse e voltò la testa verso di lui. –E’ tuo marito?- mi chiese.
-No, è un mio collega.
-Mmm.
-Greengrass in Finnigan… suona bene.
Mamma, che nel frattempo era tornata in cucina, salì in camera offrendoci del caffé caldo e fu seguita da Henri.
-Grazie zia.- dissero gli sposi all’unisono.
-Lui è mio marito.- dissi indicando Henri che si era fermato sulla soglia della porta.
Si strinsero la mano, come prevedeva ogni formalità di presentazione e si sorrisero.
Discorremmo degli argomenti più svariati: Daphne mi raccontò che durante il viaggio di nozze era stata in Italia e in Grecia.
Seamus, invece, parlò per un po’ con Draco del suo lavoro ed espose le sue teorie sulla politica adottata da certi stati.
Henri rimase in disparte, fissandomi di tanto in tanto con il suo sguardo accusatore ed ogni volta che succedeva, mi ritrovavo gli occhi gelidi di Draco dritti nei miei: quella situazione mi spaventava e non poco.
-Arrivederci.- disse Draco, quasi un’ora dopo.
Quando si alzò dal letto e quando uscì dalla camera, sentii il vuoto farsi spazio in me.
Mi mancava qualcosa… o, forse qualcuno.
Henri mi raggiunse sul letto e si sedette proprio allo stesso posto di Draco, ma il suo peso e la sua presenza non erano le stesse: qualcosa in lui mi infastidiva.
Continuai, comunque, a sorridere e a parlare con Daphne.
Seamus, di tanto in tanto, faceva qualche battuta che mi divertiva realmente e, quindi, non potevo fare a meno di ridere.
Il tempo, però, trascorse in fretta e, poco dopo, Daphne mi disse che sarebbe andata via.
-Perché non restare qui?- le chiesi.
-Sì, Daphne… mi farebbe davvero piacere. Sei la mia nipote preferita e, poi, questo giovanotto è davvero simpatico.
-Ma no, zia… non voglio disturbare.
-Non disturbi affatto: qui c’è una camera degli ospiti, quindi… avrete tutto lo spazio che vi serve.
-Io vado.- disse Henri, forse sperando di ricevere lo stesso trattamento.
-Arrivederci.- rispose fredda mamma, per poi tornare a parlare con la nipote.
Baciai Henri sulle labbra con un bacio leggero e provai uno strano senso di nausea, poi lo guardai mentre usciva dalla stanza e mi sentii sollevata.
Ripensai alle parole di mamma: aveva parlato della camera degli ospiti, quindi, questo significava che lei avrebbe dormito, per la prima volta dopo la morte di papà, in quella che era stata la loro camera.
Le avrebbe fatto male, l’avrebbe distrutta… -Mamma, perché non dormi con me?- le chiesi quando finimmo di cenare.
-Hermione… non sei un po’ grande?
-Ogni tanto mi è concesso tornare bambina, no?
-Certo.
-Bene, allora dormi con me…
Ci dirigemmo nella mia camera e mi sistemai sul lato per farle spazio, poi ci lasciammo cullare dalla stanchezza della giornata.


Spoiler capitolo 29:

Avrei voluto abbracciarla e dirle che mi era mancata. Più di quanto anche la mia immaginazione avrebbe potuto immaginare.
Invece rimasi lì, a fissare la sua figura di fronte a me e abbassai gli occhi quando i suoi vollero incatenarsi ai miei: la paura di ammettere di aver sbagliato fin dal primo momento era pesante.
-Te lo dico per l’ultima volta… è in gioco la tua felicità.


***
Angolo Autrice:

Scusatemi infinitamente per il ritardo.
Chiedo perdono in ginocchio, ma abbiate pietà di me: ho avuto problemi con il pc e mi sono disperata tantissimo anche io.
Comunque, per grazia divina (almeno spero xD), sono tornate a rompervi le scatole.
Il capitolo, come avete visto, è più lungo di quelli precedenti. Non c’è un motivo preciso…
Comunque, passiamo ai personaggi?
-Hermione: cosa le sta succedendo? Henri la infastidisce; Draco la spaventa… ODDIO!;
-Henri: stronzo e bastardo, niente da dire;
-Draco: perché ha avuto quella reazione? E chi lo sa… fatto sta, che è spaventato ed è comprensibile: nonostante sapesse che il suo matrimonio era un fallimento, essere messo di fronte alla realtà dei fatti, per lui è doloroso;
-Meredith: la parte in cui saluta Henri mi fa morire dal ridere e la trovo sempre fantastica;
-Daphne Greengrass: cugina di Hermione? Ma sì… questa storia non tiene conto degli screzi che ci sono nel libro… Ah, per quanto riguarda il personaggio, l’ho immaginato come avete visto dal collegamento. Voi, chi avreste messo al suo posto?;
-Seamus Finnigan: marito di Daphne? Ma sì, anche qui. Lo trovo un personaggio divertente e affascinante per il carattere che zia Rowling non ha descritto nei minimi particolari.
-Lo spoiler: cosa ne pensate? Fatemi sapere.
Scusatemi per la lunghezza di quest’angolo dedicato al mio delirio.

Ringrazio le 83 seguite, le 39 preferite e le 7 ricordate.
Grazie davvero tantissime: senza il vostro sostegno, senza il vostro appoggio anche silenzioso questa storia non avrebbe avuto un seguito.
Grazie infinitamente.
Risponderò alle recensioni del capitolo precedente massimo entro domani pomeriggio.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 29
*** Ritorno al lavoro... ***


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Capitolo 29: Ritorno al lavoro...


Image and
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Mi ero vestita ed ero uscita di casa per andare al lavoro, anche se non mi sentivo in gran forma.
Però, stare ferma mi innervosiva ed ero certa che facesse male più di un po’ di impegno mentale.

Avevo acceso il pc ed aperto la porta-finestra. Il mio ufficio mi era mancato e di certo non ne ricordavo ancora tutti i dettagli, ma qualcosa mi sembrava fosse cambiato lì dentro.
Sulla scrivania, il pc era allo stesso posto, così come le fotografie e le cartelline dei casi.
Forse, in più c’era il portapenne di legno chiaro.
Sulle mensole, era tutto uguale a come l’avevo lasciato, a parte l’enorme vaso grigio con una pianta di cui non conoscevo il nome: riuscivo a vedere solo le enormi foglie uscire dall’apertura del vaso.
Non ero mai stata esperta di botanica e neanche mi piaceva ad essere sincera.
Sentii bussare alla porta e sistemai dei fogli sulla scrivania. –Avanti.
-Ciao.
-Buongiorno.
-Come stai oggi?
-Molto meglio, grazie.
-Figurati. Ieri, ero venuto a dirti che ho interrogato il medico che ha visitato tuo padre.
-Oh. Com’è andata?
-Abbastanza bene, direi. Avrei preferito che tu ci fossi…
-Mi dispiace.
-Fa niente…
Lo guardai e notai che aveva fatto la barba e che le rughe dovute alla preoccupazione erano quasi sparite.
-Stai bene.- disse, indicando il vestito formale che avevo usato.
-Grazie.- sentii il sangue affluire alle guance e, di sicuro, il pallone che mi caratterizzava quel giorno era andato a fare un giro da qualche altra parte.
Sorrise. –Henri mi è sembrato…
-E’ tutto ok, Draco. Davvero.
-Dovresti stare attenta, lo sai: ho notato il modo in cui ti guardava.
-So badare a me stessa.
-Mh.- borbottò qualcosa che non riuscii a comprendere chiaramente.
Avevo colto le parole sprecato, inutile, meravigliosa… Nient’altro.
Mi salutò con la mano ed io non mi mossi di un centimetro. Mi ero resa conto dello strano effetto che Draco aveva cominciato ad avere su di me: mi tremavano le gambe e balbettavo, a volte, quando mi faceva un complimento.
Erano sensazione che, fino a prima che finissi in ospedale, erano lievi e sfocate. Forse, a causa della mia testardaggine e dalla mia voglia di voler far funzionare qualcosa che era difettoso dal primo momento.
Ora, però, le cose erano cambiate: quando Draco andava via, tutto intorno si riempiva del vuoto della sua immagine, della mancanza che provavo nei suoi confronti.
Scossi la testa, per cacciare via quei pensieri che non mi conveniva affrontare, poi, mi dedicai ad attività futili al pc.
Mi sentivo come se la mia anima si fosse staccata dal corpo, perché il vuoto che avevo dentro mi gelava e, in più, la mia attenzione era focalizzata su tutt’altro: ero davvero decisa a mandare avanti il mio matrimonio? A prendere in giro me stessa e ad affondare il pugnale più in fondo nella ferità?
Non lo sapevo…
Mi alzai e decisi che era meglio se non pensassi a quello che nella mia testa andava ad occupare uno spazio sempre maggiore, quindi osservai bene l’ufficio, in cerca di scorgere qualche reale cambiamento.
Niente. Niente almeno che saltasse ai miei occhi. Presi il cellulare dalla borsa e scrissi un messaggio a Ginny, ricordandole che oggi avremmo avuto l’ultima prova del vestito.
Inviai ed attesi che la busta da lettere scomparisse dal display, poi, sistemai il cellulare sulla scrivania, speranzosa di ricevere una risposta.
Lo fissavo con insistenza tale che mi pareva che, di tanto in tanto, il display si illuminasse.
Niente.
Guardai l’ora dal pc e mi resi conto che erano passati solo cinque minuti da quando avevo inviato il messaggio: forse, Ginny era al lavoro.
Forse, non lo aveva ancora letto. Forse, c’erano stati problemi con la linea e ancora non le era arrivato.
Fatto stava, che non avevo ancora ricevuto una risposta.
Altri cinque minuti.
Interminabili, lenti, beffardi…
Tempo bastardo. Cinque minuti ancora. Niente.
Le mani si mossero prima ancora che decidessi e presero il cellulare per formulare il numero di Ginny.
Uno squillo, due, tre… La segreteria telefonica.
Attesi il bip e cominciai a parlare. –Emh… ciao. Oggi, abbiamo l’ultima prova e Minerva ci aspetta per le due. Cioè, tra poco. Ho voluto ricordartene…
Staccai la telefonata, un po’ delusa.
Mi avrebbe richiamata, ne ero certa.
Appoggiai di nuovo il cellulare sulla scrivania e continuai a fissarlo.
Purtroppo per me, al lavoro la situazione era fiacca e nessuno entrava nel mio ufficio per distrarmi. Dovevo fare da sola, ma non trovavo niente di tanto interessante da mettere da parte il pensiero di Ginny.
In mente, mi tornarono le parole di Draco: avevano interrogato il medico e avrei voluto saperne di più, ma forse non era il caso di mettere alla prova il mio limite di sopportazione: lo stavo già superando di mio.
L’orario sullo schermo illuminato del pc, mi fece rinsavire e quindi mi alzai di corsa, per uscire dall’ufficio e raggiungere Minerva.
Salii in fretta nell’auto e accesi il motore, poi aprii il finestrino perché, nonostante il freddo che avevo addosso, mi sentivo soffocare.
Un’altra sensazione che provavo quando nei paraggi non c’era Draco. Era sbagliato e troppo pericoloso, ma mi sembrava di non riuscire a gestire quelle emozioni: era fortissime. Più di me, più della mia forza di volontà.
Non avrei mai potuto dimenticare i sentimenti che avevo provato in modo sincero nei suoi confronti, ma ero certa che si fossero affievolite. Almeno, prima di trovarmi in questa situazione.
Finalmente parcheggiai l’auto e notai che Ginny era già qui.
Sarebbe toccato a me, adesso, fare un passo verso di lei, no?
Premetti il pulsante ed attesi che l’ascensore arrivasse al piano terra, prima di portarmi a destinazione.
L’atrio del palazzo era davvero luminoso ed ampio: le pareti erano dipinte con della pittura che dava l’effetto del marmo. Era talmente reale che per accorgermi che fosse pittura, avevo dovuto toccare il muro.
Al centro dell’atrio, faceva bella mostra di sé un lampadario antico.
Alla base, c’era un grande cerchio color dell’oro, da cui partiva il fulcro a forma di goccia che teneva uniti altri strascichi di metallo che assumevano la forma di braccia di un candeliere.
L’illuminazione era adatta al luogo e allo stile con cui era stato costruito il palazzo.
Mi accorsi che le porte dell’ascensore erano aperte quando un uomo anziano, mi chiese il permesso per passare.
Entrai nell’abitacolo metallico e premetti il pulsante del piano della sarta.
Anche in quel momento cercai di non pensare a come avrebbe reagito Ginny… di certo non potevo salutarla come se niente fosse successo, ma non potevo più non parlarle.
Minerva mi aprì raggiante come sempre e mi abbracciò. –Buonasera.
-Salve.
-Ginevra è già qui: è fantastica vestita in quel modo.
-Oh, non ne dubito.
Avevamo cominciato a camminare, quindi mi ero ritrovata nella stanza dove c’era la pedana. Ginny era intenta a guardarsi allo specchio e sorrideva: era davvero fantastica.
-Ginevra, è arrivata anche Hermione: adesso siamo al completo.
-Ciao.- le dissi, timorosa.
Mi diede di nuovo le spalle. –Ciao.
Almeno, però, mi aveva salutata.
Mi sedetti ed attesi che Minerva finisse il suo lavoro, mentre io mi perdevo ad ascoltare quella voce dolce e rassicurante.
Spiegava a Ginny come muoversi nel vestito, senza sentirsi troppo impacciata.
Mi raggiunse e mi toccò una spalla ed io la guardai con aria interrogativa. Non mi ero accorta che la mia amica era andata a cambiarsi e che, quindi, era il mio turno di provare il vestito.
Andai al separè e mi spogliai facendo attenzione a non toccare i vestiti appesi alla parete alle mie spalle.
Minerva mi passò l’abito ed io lo indossai.
Quando uscii dal separè, Minerva mi sorrise e mi invitò ad indossare le scarpe e gli accessori, poi mi fece guardare nell’enorme specchio.
L’effetto era davvero carino. Sorrisi.
 –Ovviamente,- disse, interrompendo il flusso dei miei pensieri. –devi tener conto che in questo momento non hai un trucco adatto al vestito. Per quanto riguarda gli accessori: ho preferito non farti indossare una collana, perché c’è la particolarità sulla bretella della spalla. Gli orecchini, ho preferito fossero piccoli, per mettere più in risalto gli occhi. Il bracciale, lo indosserai sul braccio destro, perché anche all’altezza della vita c’è la particolarità.- mi strizzò l’occhio e sorrise ancora.
Era una forza della natura nel suo campo. –Grazie.- dissi soltanto.
-Le scarpe… oh beh, cosa avrei da dire? Richiamano il tutto, visto che hanno questa… diciamo multicaratteristica. Sei uno schianto.
-Vero.- rispose Ginny.
Sentii immediatamente le lacrime inondarne gli occhi e cercai in tutti i modi di ricacciarle indietro. Con una, minuscola, salata e stupida lacrima il mio tentativo fallì.
Minerva sistemò gli abiti nelle apposite custodie di plastica e ce li consegnò, insieme ovviamente alle scarpe e agli accessori.
Ci ringraziò finché uscimmo e ci sorrise più volte, ricordandoci del fatto che piacere a noi stesse esaltasse la nostra bellezza.
Poi, una volta chiusa la porta, io e Ginny ci ritrovammo sole: prendemmo l’ascensore in silenzio, guardando entrambe il pavimento, in direzioni opposte, però.
Nessuna delle due osava dire una parola. Forse, anche un respiro di troppo sarebbe stato una catastrofe.
Uscimmo dal palazzo e ci avviammo alle nostre auto. –Ci vediamo alla festa…
-Sii puntuale.
-Sì.
-Come va con… tuo marito?- finire la domanda le costò tantissimo, me ne ero accorta dal modo in cui aveva stretto le labbra, prima appunto di concludere.
-Non so, Ginny. Mi sento cambiata…
-Ti va di parlarne?
-Forse. Vieni da me?
-Sì.
-Allora, ci vediamo a casa.
Salii in auto e mi avviai. La reazione di Ginny mi aveva meravigliato, ma sapevo che, nonostante gli screzi che c’erano stati, il suo bene nei miei confronti non sarebbe mai cambiato: sarei sempre stata la sua migliore amica e lei lo sarebbe stata per me.
Sulla nostra amicizia, ci avremmo scommesso la vita.
Quando aprii la porta di casa, seguita a ruota da Ginny, Daphne e Seamus erano seduti sul divano a parlottare con mamma.
Gli andai incontro abbracciandoli e per un po’ Ginny si fermò a parlare con loro, sedendosi accanto a mamma. –Si è parlato molto del tuo matrimonio, Daphne.
-Beh, immagino di aver destato non poca invidia.
-Ovvio.
-Volete un po’ di caffé?
-Solo un bicchiere d’acqua, se è possibile.- chiese Ginny, mentre gli altri risposero muovendo la testa in senso di diniego.
Andai in cucina e versai l’acqua nel bicchiere, poi lo portai alla mia amica.
Salimmo in camera, dopo che si fu congedata da tutti e chiusi la porta.
-Accomodati.
-Grazie.
Certo, era non poco imbarazzante dover parlare dopo un po’ di tempo, senza avere argomenti più leggeri da trattare.
-Come va, con Harry? I preparativi della festa?
-Procede tutto bene.
-Ne sono felice.
-Vorrei esserlo anche io. Per te.
Non risposi e lei sorrise. –Sai che Harry dovrebbe farti un regalo?
-Lo so.
-Hai già idea di cosa abbia in mente.
-Credo che voglia regalarmi un viaggio.
-Wow.
-Già, wow. Henri?
-Lo stesso, Ginny. Io, invece, mi sento cambiata tantissimo nei suoi confronti: è come se la sua presenza mi desse la nausea.
-Buon segno.
-…invece, con Draco…- oh no! Avevo firmato la mia condanna a morte.
-Oh, senti Hermione. E’ inutile prenderci in giro: Henri è uno stronzo e tu non lo ami. Puoi volergli bene, perché ti sei affezionata a lui.
-Non è un cane, Ginny.
-No, è peggio. Ma questo non cambia che tu sia ancora innamorata di Draco.
-Non ne sono sicura.
-Ah no? E cosa stavi per dire poco fa.
-Niente.
-Se hai intenzione di continuare a mentire anche a te stessa, non vedo il motivo della mia presenza qui.
-Non te ne andare.
-Datevi un’altra possibilità.
-Sono cambiate tante cose…
-Qualcuno una volta disse che sotto la cenere di un incendio, c’è sempre il fuoco.
-Non ha senso e lo sai anche tu.
-Vorresti negare che lo desideri più di ogni altra cosa al mondo?
-Non ho mai parlato di desiderio.
-Tu no, ovvio: sai gestirle le parole. Ma i tuoi occhi no e dicono la verità.
-Non posso, lo sai. Mio marito…
-Fanculo tuo marito.- si alzò quasi di scatto dalla sedia. –Hai anche il coraggio di usare il pronome possessivo? Io mi vergognerei di ritenere mio qualcosa di così schifoso e viscido. Non è un uomo, è un mostro e tu continui a voler stare con lui.
-Ginny, ti prego.
-“Ginny, ti prego”- mi scimmiottò. –Dovresti pregare Dio che ti dia un po’ di buon senso, Hermione. Sai una cosa? Ho sempre ammirato la tua determinazione e avrei pagato per averne almeno la metà, ma di certo non l’avrei usata per fare del male a me stessa. Il tuo è masochismo.
-Ginny…
Mi zittì facendo un gesto con la mano e chiuse gli occhi.

Avrei voluto abbracciarla e dirle che mi era mancata. Più di quanto anche la mia immaginazione avrebbe potuto immaginare.
Invece rimasi lì, a fissare la sua figura di fronte a me e abbassai gli occhi quando i suoi vollero incatenarsi ai miei: la paura di ammettere di aver sbagliato fin dal primo momento era pesante.
-Te lo dico per l’ultima volta… è in gioco la tua felicità. Ha sbagliato, certo. Ma era poco più di un bambino: ora è un uomo e sa quello che vuole.
-Ne ha parlato con te?
-No. Ma non servono di certo le parole per capire quanto ancora ti ami.
-Ho paura…
-Tornare indietro non è difficile come credi… potresti essere felice, Herm… felice davvero.
Non risposi e lasciai che la mia mente desse vita alla propria interpretazione del mio silenzio. Il cuore, invece, l’aveva interpretato tanto tanto tempo prima.
-Torniamo da Daphne.- proposi e Ginny, ancora una volta, sorrise.
Scendemmo le scale e ci sedemmo sul tappeto, vicino al camino che Seamus aveva acceso e cominciammo a raccontare di quello che avevamo combinato da bambine: Seamus non sapeva molto dell’infanzia di Daphne e, a detta nostra, doveva sapere.
Gli raccontammo di quando sua moglie era caduta dai pattina a rotelle; di quando aveva dato fuoco alla tenda in cucina della nonna; di quando aveva provato a tingersi e tagliarsi i capelli da sola, ritrovandosi con una zazzera cortissima e spettinata e arancione.
Ridemmo fino alle lacrime e Seamus, durante il racconto, guardava Daphne con sguardo stupito: non riconosceva in quella bambina pestifera, la sua meravigliosa moglie.
-Daphne,- disse infine Ginny. –non sapevo quando saresti tornata, ma l’ho comunque fatto anche per te.
-Cosa?
-L’invito al mio fidanzamento.
-Oddio! Ti sposi anche tu?
-Sì, l’avresti mai detto?
-Affatto.
Ginny le diede l’invito ed uscii seguita da Daphne, suo marito e mamma.
Rimasi sola in casa e ripensai alle parole che mi aveva detto Ginny.
Non era il caso di ascoltarla: c’era ancora una speranza che il mio matrimonio potesse funzionare ed io l’avrei sfruttata.

 

 

Spoiler capitolo 30:
-Hermione. Hermione. Draco. Harry. Draco. Hermione. Draco. Draco. Draco. I biglietti sono finiti.
-Bene,- disse Ginny. –i candidati sono stati scelti: Hermione con tre voti e Draco con quattro.
Maledissi l’intero gruppo di persone che mi ritrovavo di fronte, ma non potevo tirarmi indietro.
Sbirciai per un po’ verso la porta d’entrata, per vedere se Henri fosse arrivato o meno.
Poi mi voltai. E lo vidi… Bello come non mai: la giacca semplice ricadeva perfettamente sul suo corpo e i jeans fasciavano i muscoli delle gambe come se fossero una seconda pelle. Draco si era posizionato di fronte a me, sorridendo come non faceva da giorni, forse. -Mi sa che dobbiamo muoverci, se vogliamo tornare in tempo per la torta.
-Lo credo anche io.
-Bene. Cominciamo. Uno.
Leggemmo in silenzio le parole scritte sul primo biglietto, poi ci guardammo negli occhi. – il frigorifero.- dicemmo all’unisono.

 

 

***
Angolo Autrice:

Salve a tutteee.
Prima di tutto: Buon Natale.
Colgo l’occasione per augurare di passare delle giornate magnifiche a tutti e spero che abbiate ricevuto tanti regali.
Il mio Babbo Natale non è stato molto buono… ma la vita è così.
Passiamo al capitolo: Ginny ed Hermione hanno avuto un bel riavvicinamento, non credete?
Certo, la rossa è sempre molto diretta, ma è il suo modo di essere e nessuno può giudicarla…
I personaggi:
-Hermione: quanto cavolo è testarda? Ancora con Henri? Sì, purtroppo… ha molta paura di ammettere ciò che prova, ma forse, dobbiamo darle solo un po’ di tempo;
-Ginny: è così sincera che, a volte, neanche si preoccupa di poter ferire i sentimenti altrui e in questo non le diamo di certo ragione. Ma il suo modo di fare aiuta spesso a mettere le persone di fronte alla realtà dei fatti;
-Draco: è preoccupato per Hermione, ma lui di certo non se la cava meglio: il peso di ciò che gli è successo, grava sulle sue spalle e, anche se Cloe non è più un “problema”, la paura di aver sbagliato nei confronti di Natan è forte. Proprio per questo, il suo comportamento, a volte, confonde;
-Daphne, Seamus, Meredith: sono soltanto di passaggio;
-Minerva: io adoro sempre di più questa donna!
-Lo spoiler: cosa ne pensate? Avete visto? Ho scritto tanto tanto. Ricordatevi solo di non far volare troppo la vostra fantasia xD non è tutto oro quel che luccica.

 
Ringrazio le 84 seguite, le 41 preferite e le7 ricordate.
Grazie anche ai lettori silenziosi e ancora una volta Buon Natale!


 

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Capitolo 30
*** La festa degli innamorati... ***


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Capitolo 30: La festa degli innamorati...


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Ginny mi aveva tirato fuori dal letto alle otto in punto ed avrei voluto ucciderla.
Mi aveva praticamente trascinata in bagno e vestita, visto che, questa sera avremmo festeggiato il suo fidanzamento con Harry.
Una volta entrate nel salone, due ragazze ci presero sotto braccio e di portarono in due camerini diversi.
La ragazza che si sarebbe occupata di me, chiuse la porta a soffietto del camerino e mi sorrise. –Pronta?
-Sì.
-Mi faccia vedere il vestito.
-Dammi del tu, per piacere.
-Va bene.
Appesi la gruccia al gancio posto sul muro ed aprii delicatamente la ceneriera.
La ragazza, che, per quanto era scritto sul cartellino che portava al camice, si chiamava Hannah, osservò con attenzione il vestito, soffermandosi su ogni particolare.
-Spero che non faccia troppo freddo, questa sera.- dissi, guardando le spalline del vestito e le scarpe aperte.
-Dove si terrà la festa?
-A casa della mia amica. Ovviamente è già arredata e ci sono i riscaldamenti…
-E’ proprio un bell’abito. Complimenti.
-Grazie.
-Piega la testa nell’incavo, qui.- disse Hannah, indicandomi il lavabo. –Perfetto così.
Quando l’acqua calda cominciò a scivolarmi tra i capelli, il senso di beatitudine mi intorpidì i sensi.
Hannah cominciò a massaggiarmi la cute, con movimenti piccoli e circolari che andavano dall’attaccatura del collo alla fronte e alle tempie.
La schiuma dello shampoo attutiva un po’ il tocco delle dita della ragazza, ma era comunque piacevole e rilassante.
Quando Hannah sciacquò la schiuma dai capelli, il suo massaggio cambiò: le dita erano aperte e andavano dalla fronte alle punte dei capelli.
Fece lo stesso movimento per quattro volte, fino a che i capelli non presentassero tracce di shampoo.
Poi, ancora una volta, mi rilassai per via del massaggio circolare e di quello fatto con la mano aperta.
Sentii un rumore fastidioso e mi accorsi che era l’aggeggio per aspirare l’acqua dai capelli che, poi, furono avvolti in un’asciugamani bianca.
-Grazie.- dissi, alzandomi dalla sedia per fare lo shampoo e sedendomi su quella per le acconciature.
-Sinceramente, opterei per qualcosa di semplice: il vestito è molto particolare e fare anche un’acconciatura così mi sembrerebbe eccessivo. Che ne dici di un riccio definito, in parte raccolto qui, sulla nuca?
-Va benissimo.
Cominciò a stirare, arricciare, legare e quant’altro, mentre io continuavo a godermi quella sensazione di tranquillità: mai una volta mi ero sentita tesa o spaventata da qualcosa.
L’ansia, che solitamente faceva capolino per venirmi a trovare, era andata chissà dove.
-Ho cambiato idea: l’acconciatura che ti ho proposto prima, richiede l’uso di forcine particolari e non credo sia il caso di usarle, a meno che tu non voglia essere al centro dell’attenzione.
-No, ti prego.
-Perfetto. Allora, direi che va bene il capello liscio, tirato all’indietro con l’uso di forcine semplice.
-Sei tu l’artista, non io.- sorrisi e lei fece lo stesso. –Mi affido completamente a te.
Dopo un’ora buona, che avevo trascorso seguendo i gesti di Hannah più che a concentrarmi su ciò che provavo, i capelli erano perfettamente ordinati in un’acconciatura splendida, più bella di quanto l’avessi immaginata. Avevo notato anche che i capelli erano di una tonalità più chiara del mio biondo scuro- castano naturale. –Non è tintura: è uno shampoo colorante che va via dopo tre o quattro risciacqui.
-Oh, non preoccuparti. Anche se fosse stata tintura, mi sarebbe piaciuto.
-Bene, ora, se ti va, puoi rilassarti un po’. Dopo, cominceremo il trucco.
-Vorrei andare a vedere Ginny.
-Prego.
Uscii dal camerino e mi diressi in quello accanto a me. Ginny era intenta a sfogliare un giornale, mentre la ragazza che si stava occupando di lei, era intenta ad annodare i capelli e stringerli con dei torciglioni, e poi a posarli sulla nuca, prima di tenerli fermi con una forcina.
Mi schiarii la voce, tossendo e Ginny alzò lo sguardo: era di spalle allo specchio e sapevo che non avrebbe voluto vedere l’opera finché non fosse finita.
-Oddio! Sei bellissima.
-Dovresti vederti: tu lo sei ancora di più.
Il suo cellulare squillò, avvisando che le era arrivato un messaggio e lei mosse qualche pulsante.
Sorrise prima di iniziare a scrivere qualcosa e sospirò come se fosse stata soddisfatta di vincere una causa difficilissima. –Ah,- disse, interrompendo la ragazza. –abbiamo detto che l’acconciatura cadrà su un lato o su due?
-Uno.
-Grazie.
Hannah era molto più simpatica!
-Era Harry?- chiesi indicando il cellulare.
-No, era Blaise. Mi ha avvisato che a casa era quasi tutto pronto. Mancano ovviamente il cibo e le bevande.
-Ha organizzato tutto lui?
-No, solo qualche piccolo particolare.
-Capito.
-Henri?
-Non verrà: odia le feste.
-Oh, mi dispiace.- disse con tono fintamente dispiaciuto e non provò neanche a mascherarlo.
-Certo, anche a me.- mi guardò strabuzzando gli occhi ed io stessa mi meravigliai di aver usato un tono di voce simile al suo.
Passai forse una buona mezz’ora a chiacchierare con lei e mi sentii emozionata pensando che di li a poco si sarebbe fidanzata e poi sposata.
Era uno dei suoi desideri più grandi ed era ad un passo dal vederlo diventare realtà.
Un po’ la invidiavo, perché ogni sua decisione era dettata dai sentimenti, dal cuore e non dalla razionalità, al contrario di me.
Ginny si lasciava andare alle emozioni più forti e mai avrebbe fatto l’errore di sposare un uomo che avrebbe solo creduto di amare.
Hannah si affacciò al camerino e capii che era il momento di continuare con il mio restauro, quindi mi alzai dalla poltroncina su cui mi ero seduta e mi ero diretta nel camerino.
Lì, la ragazza, aveva ripreso ad osservare il vestito e, man mano, prendeva da un enorme baule i prodotti per truccarmi.
-Accomodati.- disse, accorgendosi della mia presenza e indicandomi la sedia che avrei dovuto occupare, diversa da quelle su cui mi ero seduta prima. –Useremo le tonalità del grigio: chiare e scure, per riprendere la particolarità dell’abito. Per quanto riguarda il trucco delle labbra useremo un lucidalabbra semplice, niente di più.
Cominciò a prendersi cura del mio viso e passò una spugna leggera a stendere il fondotinta.
-Sei davvero bravissima,- le dissi, complimentandomi sinceramente del lavoro che stava facendo. –Però, davvero basta un po’ di ombretto e mascara.
-Vedi,- disse lei fermandosi e sedendosi di fronte a me. Avevo aperto gli occhi a causa del silenzio che si stava protraendo. –Il mio lavoro non è solo passare una piastra tra i capelli o mettere un po’ di trucco in faccia alla gente: io devo cogliere il bello delle persone e metterlo in risalto. E non è facile, permettimi di usare le tue parole, non è solo un po’ di ombretto e mascara. Mettere in risalto vuol dire dare luminosità alla pelle, far brillare gli occhi di luce propria, far parlare il sorriso, lasciare gli altri senza fiato. Ora, se non ti dispiace, riprendo a truccarti.
Mai in vita mia avevo visto delle persone lavorare con tanta devozione. Hannah, come Minerva, aveva il potere di far sentire le persone importanti, anche nei gesti che per una donna possono sembrare ordinari, come truccarsi o comprare un vestito.
Sentivo i pennelli che sfregavano delicatamente le palpebre e mi rilassai completamente, rimanendo un po’ estranea alle sensazioni che provavo sul corpo e, soprattutto, dai pensieri che mi vorticavano nella mente.
Quando Hannah mi avvisò di aver finito con il trucco, mi disse che avrebbe comunque cominciato il manicure e la pedicure
La vidi frugare in un baule più piccolo, da cui estraeva di tanto in tanto degli smalti, l’acetone, i cerchietti di ovatta, le lime…
Si sedette di fronte a me e mi porse dei catini in cui mi fece adagiare i piedi e le mani.
Osservai ogni suo minino movimento e mi resi conto di quanto amasse il suo mestieri e di quanto fosse fiera delle sue capacità.
Il proprietario del locale doveva aver avuto non pochi complimenti per la scelta delle dipendenti.
Solo allora mi concessi di guardarla veramente: aveva i lineamenti fini, il naso dritto e la punta leggermente all’insù, gli occhi piccoli e azzurri. I capelli erano di una sfumatura biondo-rossicci ed erano tenuti lontani dagli occhi grazie ad un frontino leggero.
Limava delicatamente le unghie e le smaltava prima con lo smalto trasparente, poi con quello argentato, solo all’estremità dell’unghia.
-Abbiamo finito.- mi disse.
Le sorrise e guardai l’orologio alla parete: erano già le 17, 35 e tra meno di un’ora sarebbe iniziata la festa.
Ginny entrò nel camerino dove io ero stata preparata e ci guardammo entrambe a bocca aperta.
Era davvero bellissima. –Ci vestiremo a casa, sbrigati.
Non ebbi neanche il tempo di guardarmi allo specchio, visto che Ginny, come la mattina, i aveva trascinata di forza fuori dal salone.
Avevo fatto appena in tempo a ringraziare Hannah e mi ero trovata seduta sul sedile dell’auto di Ginny che già aveva messo in moto e correva verso casa sua.

§

Avevo tranquillizzato Ginny da un attacco di ansia e le avevo detto tantissime volte che era bellissima.
Non mentivo affatto: il vestito, completo di trucco e parrucco, la rendeva un angelo.
Era bianco e senza spalline e, sotto il seno, portava un enorme cintura dorata, fatta di strass e brillantini. I sandali erano dorati e legavano la caviglia di Ginny con un cinturino sottile.
Gli accessori, un bracciale e un paio di orecchini a cerchio, erano dorati.
La pettinatura era perfetta per il vestito che Ginny indossava.
Il trucco era spettacolare.
Quando finalmente si calmò, mi sorrise. –Ora tocca a te.
-Cosa?
-Guardarti allo specchio.
Mi voltai e impiegai un po’ di tempo ad alzare gli occhi.
Perfetta.
Non mi ero mai piaciuta particolarmente, ma mentre vedevo la mia immagine riflessa nello specchio, mi rendevo conto di quanto io mi scoraggiassi.
Non c’era nulla fuori posto. Merito di Minerva  e Hannah.
La serata sembrò prendere tutta un’altra piega e sorrisi.
-Ginny, questa è la tua serata. Voglio solo che non dimentichi che sei straordinaria. Ti ringrazio di tutto davvero.- Ginny si era offerta di pagare anche la mia parte e, per convincermi, aveva usato la scusa del mio ruolo: ero la testimone e da tale avrei dovuto comprare le fedi, perciò lei mi avrebbe anticipato il regalo.
Potevo dirle di no? No, appunto.
Scendemmo le scale, guardando il salone quasi pieno di gente.
Harry e Cedric si avvicinarono a noi, sorridendo. 
Harry corse incontro alla sua amata e la baciò con passione, mentre io e Cedric ci eravamo fermati a sorridere a Pansy che ci aveva appena raggiunti. 
La serata era cominciata nel migliore dei modi: i tavoli erano imbanditi con tovaglie bianche ed erano colmi di portate di ogni genere.
Le bevande non mancavano mai e la musica era spettacolare.
Si erano già fatte le 22, quando mi avvicinai al tavolo per prendere un bicchiere di champagne, quando mi soffermai a guardare
La voce di Ginny risuonò nel salone. –Volevo ringraziarvi per essere qui e, vi prego, adesso di prestarmi un po’ di attenzione. Durante le feste, da adolescente, amavo fare il gioco della bottiglia. Ora, invece, ho deciso di fare qualcosa di più faticoso.
Ovviamente, la coppia sarà scelta a caso. Il mio collega,- indicò Blaise. –vi ha già dato dei fogli su cui scrivere i nomi delle persone che vorreste far partecipare a questo gioco. Io ed Harry estrarremo i biglietti dal sacchetto. Le persone a cui toccherà giocare saranno quelle che riceveranno più voti e non potranno tirarsi indietro, quindi Ron, nel caso uscisse Luna e, che ne so, Cedric, non fare scenate di gelosia, d’accordo?
-D’accordo.- borbottò Ron , rosso ancora di più per il fastidio che gli dava quell’idea.
Cedric mi diede una gomitata leggera e lo guardai. –Buonasera Hermione, bentornata a casa.
-Grazie, Cedric.
-Vado da Pansy, altrimenti mi da per disperso.
-A dopo.
La voce di Ginny ancora una volta richiamò l’attenzione dei presenti. –Si tratta di una caccia al tesoro, alla fine di cui, se la coppia riuscirà a trovare ogni indizio, vincerà un premio.  Colgo l’occasione per augurare un buon San Valentino a tutti gli innamorati. Bene, votate.
Quando tutti i presenti avevano depositato il loro biglietto nel sacchetto, Harry inserì la mano all’interno di esso e estrasse il primo bigliettino, il secondo, il terzo e così via, mentre annunciava ad alta voce i nomi dei candidati.  -Hermione. Hermione. Draco. Harry. Draco. Hermione. Draco. Draco. Draco. I biglietti sono finiti.
-Bene,- disse Ginny. –i candidati sono stati scelti: Hermione con tre voti e Draco con quattro.
Maledissi l’intero gruppo di persone che mi ritrovavo di fronte, ma non potevo tirarmi indietro.
Sbirciai per un po’ verso la porta d’entrata, per vedere se Henri fosse arrivato o meno.
Poi mi voltai. E lo vidi… Bello come non mai: la giacca semplice ricadeva perfettamente sul suo corpo e i jeans fasciavano i muscoli delle gambe come se fossero una seconda pelle. Draco si era posizionato di fronte a me, sorridendo come non faceva da giorni, forse. -Mi sa che dobbiamo muoverci, se vogliamo tornare in tempo per la torta.
-Lo credo anche io.
-Bene. Cominciamo. Uno.
Leggemmo in silenzio le parole scritte sul primo biglietto, poi ci guardammo negli occhi. – il frigorifero.- dicemmo all’unisono.
-Noi vi aspetteremo qui.- dissero Blaise. Appena però, entrammo in cucina, sentimmo la musica che ricominciava a suonare.
Aprimmo il frigorifero e trovammo un altro biglietto. Il contenuto era in rima.
Ci guardammo ancora una volta. –Il terrazzo.
Aprimmo la porta-finestra e il freddo pungente mi colpì le spalle e le gambe. Vidi un biglietto sistemato tra i rami di una piantina e lo presi, poi rabbrividii e tremai.
Draco mi sorrise. Mi parve che il mondo si fosse fermato, come se i rumori intorno avessero cessato di esserci.
Mi porse la mano ed io la presi, lasciando che mi accompagnasse in un angolo più appartato. –Sei bellissima.
-Anche tu lo sei…- Mi sentii avvampare e mi resi conto che lui sorrideva, sicuro di sé. Mi accarezzò una guancia. Abbassai gli occhi sul biglietto per leggerne il contenuto. –Credo che si tratti del garage.
-Andiamo allora.
Tornammo nel corridoio, dove c’era anche la porta che portava in garage e scendemmo le scale.
Ringraziai mentalmente Minerva per aver scelto delle scarpe belle e comode.
-Ecco.- dissi aprendo l’altro biglietto. –Oddio.
-Cosa c’è?
-Non riesco a capire.
-Fa vedere un po’.- lesse con attenzione e mi guardò. –Potrebbe essere stanza da letto?
-Sì, potrebbe.
-Allora andiamo.
Passammo per il salone, dove c’era qualcuno seduto sul divano, qualcun altro fumava fuori alla porta d’entrata e nessuno ci degnò di uno sguardo, mentre prendemmo a salire le scale.
Arrivati nella stanza da letto, che doveva essere quella degli ospiti, perché quella di Ginny l’avevo già vista, ci rendemmo conto che non c’era nessun biglietto. Guardai Draco. –Non c’è niente.
-Vedo.- mi accarezzò di nuovo il viso e passò le dita anche sulla bocca. –E’ difficile, lo sai?
-Cosa?
-Far finta di essere due estranei. Far finta di non provare niente.
-Non bisogna far finta…
-Intendi dire che non bisogna far finta perché possiamo permetterci di provarlo?
-No, intendo dire che non proviamo niente, quindi anche se non fingessimo, sarebbe tutto uguale.
-Ci siamo nascosti per così tanto tempo da ciò che veramente desideriamo, che ora ci sembra di non volerlo più.
-Forse perché non è importante.
-Vorresti dire che non vorresti essere qui? A pochi centimetri da me?
-No.- mi baciò con rabbia, e mi morse con delicatezza il labbro inferiore, poi lo leccò per permettere alla sua lingua di incontrare la mia.
Quando schiusi la bocca, lo sentii sospirare e portò una mano dietro alla mia testa e l’altra alla vita, per attirarmi di più a sé, e per non permettermi di scappare via.
Lo allontanai. –Non respingermi.
-E’ impossibile, lo sai.
-Non è impossibile e neanche difficile.
-Non ne sono così convinta.
-Lasciarti la felicità alle spalle è molto più difficile di riaccettarla nella tua vita. Tornare indietro non è difficile… ti basta solo dire sì.
Iniziò ad accarezzarmi la spalla scoperta e liberò l’altra dalla bretella che la copriva.
Abbassò lentamente il vestito ed io non riuscivo a muovermi di un millimetro. Avrei voluto reagire, ma la mia coscienza e la mia forza di volontà avevano fatto le valigie. Non c’erano.
Quando Draco tornò a baciarmi, sentii il desiderio impossessarsi di me, passarmi nelle vene, toccare il cuore che batteva come un forsennato e arrivare al cervello.
Gli passai le mani tra i capelli e lo attirai a me, poi, gli tolsi la giacca e gli sbottonai la camicia.
Rivedere il suo corpo, mi fece quasi commuovere. Sentivo le lacrime premere per uscire e la consapevolezza di non aver desiderato altro in tutta la mia vita si fece violentemente spazio dentro di me.
Lasciai che mi adagiasse sul letto e sbottonai la cintura e i bottoni dei jeans. Draco cominciò a baciarmi il collo e a spingere il suo bacino verso il mio. Sentivo chiaramente la sua impazienza, ma sapevo che si sarebbe dedicato prima a me, al mio piacere e poi avrebbe pensato a lui.
Mi baciò i seni, li accarezzò quasi con riverenza e quando si era liberato dei jeans fissò i suoi occhi nei miei: c’era rabbia, c’era felicità, c’era desiderio.
Desiderio di me.
Con le dita, mi accarezzò le gambe e le cosce, fino a che non gli permisi di più e le aprii, lasciandogli un accesso migliore.
Mi accarezzò e piano, come se fosse stata la prima volta, lasciò entrare un dito dentro di me.
Sentivo il suo tocco freddo e mi sentivo bene, mi sentivo soddisfatta.
Mi baciò ancora e scesa ancora sui seni, sulle costole, intorno all’ombelico e poi risaliva, mentre con l’altra mano non dava tregua alla lenta tortura a cui mi stava sottoponendo.
Quando mi sembrò di essere all’apice, alzai il bacino verso di lui e, allora, la sua mano mi lasciò.
Gli presi le spalle e lo attirai di più a me, per baciarlo ancora.
In quel frangente la mia intimità sfiorò la sua eccitazione la sentii tremare di desiderio.
Entrò in me, deciso, ma si fermò per darmi il tempo di abituarmi alla sua presenza.
In tanti anni, mai più avevo provato quelle emozioni: il senso di completezza, il senso di felicità. La voglia di abbandonarsi totalmente.
Prese a muoversi lentamente e mi resi conto che le sue mani stringevano le mie, mentre lui si teneva sui gomiti per non pesarmi addosso.
Mi prese i fianchi e invertì le posizioni. Il ricordo della nostra prima volta diventò quasi reale e chiusi gli occhi per un po’ .
Sentii di nuovo la sua eccitazione tremare e, allora mi mossi, lentamente, avanti e indietro.
I suoi gemiti erano il suono più bello che avessi mai sentito e i miei ricordi non rendevano affatto giustizia a quella dolce melodia, alla perfezione di quel suono né del corpo da cui proveniva.
Mi tornarono in mente le parole di Luna, quel giorno in ospedale.  Se provi qualcosa per lui, prima o poi, lo capirai da sola… se vorrai.
Ed io lo volevo: volevo che quel momento non finisse mai, volevo che tutto potesse fermarsi a com’era adesso, senza preoccupazioni, senza paure. Io e lui e il resto non contava.
Cambiai movimento, facendo dei piccoli cerchi con il bacino. Sapevo che a lui piaceva così. –Hermione…
-Oh, Dra- Draco.
Ero vicina all’apice di nuovo, mentre lui chiamava il mio nome e mi sfiorava i seni, li baciava e li mordeva dolcemente.
Il mio ritmo divenne più veloce, fino a che non sentii di non farcela e allora lasciai libero sfogo al suono del piacere. –Ah.. ah… ah…
Draco mi accompagnò ad ogni gemito, assecondò ogni mio movimento e, quando mi spinse ancora giù, per penetrare di più e mi tenne ferma, mi resi conto che anche lui, come me, aveva toccato il piacere.
Mi accasciai sul suo petto e lui mi accarezzò i capelli. –Mi sei mancata tantissimo.
-Mi sei mancato anche tu…
-Io ti amo ancora, lo sai, vero?
-Era tutto organizzato?
-Non ne ho idea, ma credo che dovremmo scendere.
-Sì.
-Vorrei restare qui, per sempre.
-Già.
-Potremmo farlo.
-Sì?
-Sì. Concediamoci questa follia.
-Va bene.
-Resta con me.
-Questa notte?
Sentii i muscoli del collo tendersi, segno che era teso. –Sì… stanotte.
Prese il mio tra le dita e mi alzò il viso, per farsi guardare. –Resto con te.
-Ti amo davvero.
Tornai con la testa sul suo petto e lasciai che mi abbracciasse. Sentivo il suo cuore che pian piano assumeva un ritmo più regolare, più tranquillo.
Il mio batteva al suo stesso modo.
Ed io mi sentivo emozionata, felice. Completa, come non mi sentivo da una vita. Anzi, da quando nella mia vita lui era andato via.
-Hai un buon odore.- sapevo che era l’odore della sua pelle, quello che io avevo definito l’odore dell’amore.
-Dicono che esistono persone che non smettono mai di amarsi… lo sai il perché?
-No.
-Perché ciò che le lega è più forte di ciò che le divide. E’ vero, sai?
-Sì…
Così, mi addormentai e sentii le sue carezze farsi più lontane, a causa della lucidità che il sonno mi portava via. –Ci ameremo sempre e lo sai. Tra noi, finirà solo quando smetteremo di crederci… ed io non lo farò mai.


Spoiler capitolo 31:
Sentivo i suoi capelli solleticarmi il collo e, anche nel dormiveglia, sapevo riconoscere l’odore della sua pelle.
Era sempre stato dolce e bellissimo. Alla vaniglia.
Le accarezzavo la schiena e quel continuo fare su e giù non mi aveva stancato i muscoli.
Era di nuovo mia e me ne sentivo estremamente fiero. Era stato facile farla cedere al desiderio, certo. Il difficile sarebbe arrivato dopo, quando si sarebbe svegliata.


***
Angolo Autrice:

Oddio, questo capitolo non mi piace per niente…
Però, comunque… Lascio a voi il giudizio.
Non mi prolungherò a spiegarvi i personaggi e quant’altro… vi auguro solo una buona lettura.

Come sempre, ringrazio le 90 seguite, le 42 preferite e le 8 ricordate.
Grazie per il sostegno che mi date.
Grazie anche ai lettori silenziosi…
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 31
*** Al risveglio... ***


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Capitolo 31: Al risveglio...

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Non mi sembrava ancora vero.
Sentivo il suo respiro addosso, sentivo il suo odore che mi inebriava i sensi e non riuscivo ancora a crederci.
Ogni secondo, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni notte in questi sei anni ho sognato di vivere questo momento e, a dirla tutta, la paura che tutto potesse sparire da un  momento all’altro era ancora forte.
Non sarebbe stata la prima volta che Hermione fosse stata solo frutto della mia immaginazione.
Ora, però, era così reale. Vera.
Presi il cellulare dal comodino e mi resi conto che, ormai, erano quasi le due di notte: non avevo fatto caso alla musica che pian piano diventava un rumore lontano, fino a sparire.
Anche il vociare era poco più che un sussurro. Probabilmente, la casa era vuota.
Aprii il menu, per scrivere un messaggio e feci correre veloci le dita sulla tastiera del cellulare.
<< Se questa è opera vostra, vi giuro, che vi farò una statua d’oro!>>
Inviai il messaggio sia a Ginny che a Blaise, poi sentii delle urla di vittoria provenire dal piano inferiore e sorrisi.
Tornai a guardare il miracolo che avevo tra le braccia: la coprii e vidi il suo sorriso distendersi leggermente.
Con gli occhi chiusi, sembrava addirittura finta, tanto era bella.
Le spostai una ciocca di capelli dal viso e lei sussurrò piano il mio nome. Mi sentivo come in Paradiso. Un Paradiso in cui non c’era nessun Dio, nessun santo e nessun angelo con lei ali.
Non c’era nuvole, ma soltanto una luce abbagliante e bellissima e un calore immenso che nascevano da un unico punto: lei.
Era così fragile tra le mie mani… Come faceva quel pazzo a maltrattarla?
Come osava solo sfiorare l’idea di farle del male?
Ogni cosa di lei mi era mancata.
Finalmente, dopo anni, ero tornato a fare l’amore insieme alla persona che mi aveva insegnato ad amare e a soffrire.
Quanti sbagli avevo fatto e quante volte l’avevo ferita, ferendo anche me stesso?
Troppe. Ma volevo proteggerla dal male del mondo che la circondava e credevo che lasciandola, lei sarebbe stata più felice.
Mio figlio l’avrebbe fatta soffrire, perciò avevo deciso di allontanarla… per salvarla. Invece, l’avevo spinta nelle braccia del più infido degli uomini.
Al pensiero delle sue mani che la picchiavano, mi sentii male, ma pensarlo mentre l’accarezzava mi faceva un male fisico.
Per un po’ pensai a Natan, a quanto la sua adorazione per Hermione superasse i limiti del normale.
Gli avrei fatto male, presentandogliela come l’amore della mia vita? E Cloe? Aveva davvero già qualcuno accanto, o l’aveva detto solo per lasciarmi libero?
Non lo sapevo…
Lentamente, sentii la lucidità abbandonarmi e lanciarmi in un mondo totalmente diverso da quello in cui passavo le mie ore da sveglio.
Quel mondo era, di solito, fatto di un viso meraviglioso che avrei voluto contemplare per anni, secoli, millenni ed ora, quel viso, lo potevo trovare inclinando un po’ la testa.
I miei occhi la cercarono e, dato che la penombra della stanza le oscurava parte del viso, mi accontentai di immaginare la metà di quel sorriso nascosto dalle ombre.
Sembrava così serena… ed io ero così felice: era stato il San Valentino più bello di tutto la mia vita.
Sapevo, però, che prima o poi, tutto sarebbe finito:  sentivo i suoi capelli solleticarmi il collo e, anche nel dormiveglia, sapevo riconoscere l’odore della sua pelle.
Era sempre stato dolce e bellissimo. Alla vaniglia.
Le accarezzavo la schiena e quel continuo fare su e giù non mi aveva stancato i muscoli.
Era di nuovo mia e me ne sentivo estremamente fiero. Era stato facile farla cedere al desiderio, certo. Il difficile sarebbe arrivato dopo, quando si sarebbe svegliata.
Il peggio, poi, sarebbe stato far entrare nel mio cervello l’idea che averla amata ancora, fosse stata solo un’illusione.
Quanto mi sarebbe costata questa voglia di amarla? Quanto sangue avrei perso quando se ne sarebbe andata?
Eppure, mi aveva promesso che sarebbe rimasta con me.
-Sì… stanotte.- Aveva detto. Le era tremata la voce, i suoi occhi si erano fatti lucidi e la sua mano si era mossa impercettibilmente.
Solo stanotte, non un minuto di più sarebbe rimasta con me. O forse, avrebbe deciso di restare con me, ogni notte. Per sempre.
Chiusi gli occhi e mi sentii stanco, impaurito…
La sentivo muoversi e tremare ed ogni volta la stringevo un po’ di più, per farle capire che non era sola, che l’avrei protetta anche dai suoi incubi peggiori.
Avevo paura di addormentarmi del tutto, perché ero sicuro che fosse tutto un sogno.
Però, l’incoscienza ci mise poco a prendere il controllo totale sulla mia mente, quindi, lasciai che la stanchezza avesse la meglio sugli occhi e mi addormentai.
 
§

 Sentii un freddo improvviso riempirmi il petto ed aprii gli occhi e mossi le mani, in cerca di lei.
Non c’era.
Mi alzai di scatto e mi misi a sedere in mezzo al letto.
La vidi mentre era in ginocchio a raccogliere i suoi indumenti e piangere sommessamente.
-Cosa stai facendo?
-Devo tornare da Henri, Draco…
-Non puoi andartene.
-Devo farlo… non posso far finire il mio matrimonio.
-Resta.- forse, farle la richiesta che lei aveva fatto a me tanti anni prima mi sembrò la mossa migliore da fare.
Si era rivestita e il vestito blu la faceva sembrare ancora più bella della sera precedente.
Si stava guardando allo specchio e aveva sistemato i capelli.
Aveva passato l’ombretto sugli occhi e stava mettendo il mascara.
Avrei voluto stringerla e dirle che non c’era bisogno di truccarsi: avrei voluto dirle che era bellissima anche appena sveglia, senza trucco. Era bellissima anche dopo aver pianto con gli occhi gonfi e rossi.
La vedevo così fragile e mi sentivo in colpa per il male che le avevo fatto.
Avevo visto le sue labbra colorarsi di rossetto e, poi, unirsi tra loro per trovarsi dischiuse.
Le ero corso incontro, ancora nudo e l’avevo stretta a me, più che potevo.
-Lasciami andare….
-Non posso e lo sai.
-Ti prego.
-No, ti prego io di non andare…
Mi aveva fissato negli occhi e avevo visto le sue labbra tremare.
La baciai e le accarezzai la schiena perché sapevo di poterla rilassare solo in quel modo.
All’inizio, mi aveva respinto, aveva fatto resistenza e aveva cercato di allontanarmi, ma, alla fine, aveva ceduto.
Non avrei mai approfittato del suo dolore e se insistevo a baciarla era perché avevo capito che anche da parte sua non era cambiato niente: anche lei mi amava ancora, o meglio, non aveva mai smesso di farlo.
Restare estranei. Come avevo potuto solo immaginare di riuscire a fingere in quel modo?
Per quanto mi sentissi in colpa nei confronti di Natan, mi ero reso conto che farlo vivere in una bugia era stata la cosa peggiore che avessi mai potuto fare per lui e, poi, avevo fatto male anche a me stesso.
Quando sentii la sua lingua che accarezzava la mia e le sua mani stringersi intorno ai miei capelli, l’avevo sollevata di peso e l’avevo adagiata sul letto, e mi ero appoggiato su di lei, senza pesarle addosso.
L’avevo guardata negli occhi e mi ero visto riflesso in un mondo di cui avevo sempre voluto far parte.
I tempi forse erano stati sbagliati, ma mai avevo smesso di desiderare il suo amore.
Ogni notte, ogni giorno avevo immaginato come sarebbe stato se non l’avessi lasciata, se avessi ascoltato la sua supplice se avessi avuto il coraggio di amarla come meritava.
Ero sceso per baciarle il collo e la spalle e l’avevo sentita sospirare, per questo avevo continuato a baciarla e a sfiorare la sua pelle.
I brividi che vedevo sulla sua pelle, riuscivo a sentirli nel cuore e nelle vene: ero talmente emozionato e tanto spaventato che una parte di me, forse quella razionale, mi diceva che prima o poi, nolente o volente, tutto sarebbe finito.
Ed era questo che mi spaventava di più.
Le avevo accarezzando alle gambe ed ero risalito sui fianchi.
Le avevo tolto il vestito, anche se un po’ impacciato, e avevo accarezzato ogni centimetro di quelle pelle che avevo desiderato per anni.
Quando sentii le sue mani risalire lungo la schiena, avevo trattenuto il fiato.
Il suo respiro sul collo mi eccitava al punto che non riuscivo a capire per quanto avrei resistito.
Questo non importava però: l’importante era che lei capisse che per me non era mai stata un oggetto e per questo continuai a dedicarmi a lei, toccandola nei punti che le davano un piacere maggiore.
Aveva aperto di più le gambe e mi aveva attirato a sé, stringendomele attorno ai fianchi e capii che non voleva più aspettare.
Entrai in lei e mi sentii completo, soddisfatto, in pace con il mondo… anzi, il mondo intorno sembrava non esistere più. Ero felice.
I suoi gemiti, il suo respiro affannato era qualcosa di meraviglioso e mi mandavano totalmente in estasi.
C’era qualcosa in lei che era sempre stato di più: forse, il suo modo di amare, il suo modo di fare….
La amavo. La amavo con tutto me stesso.
Avevo dimenticato quanto potesse essere bello amare con il corpo, con la mente, con il cuore e l’avevo ricordato solo guardando lei.
Tanti anni trascorsi a fingere che tanto amore non ci fosse nelle mie vene e ritrovarmi di fronte a lei, con la difficoltà di dover nascondere quel sentimento tanto forte che sarebbe stato comunque inutile fingere.
Solo lei sembrava non vederlo, solo lei sembrava non volerlo accettare.
L’avevo sentita arrivare e i suoi gemiti più violenti mi avevano dato la conferma.
Ero vicinissimo all’apice e le sue mani che mi spingevano a toccarla, che si stringevano alle mie non facevano altro  che allontanare quel barlume di lucidità che mi aveva caratterizzato da sempre con Cloe: con lei era sempre stato sesso, nulla di più.
Avevo provato del disgusto paragonabile all’odio che provavo ripensando al male che avevo fatto ad Hermione, per questo avevo smesso di andare a letto con Cloe quasi subito dopo la nascita di Natan.
Con Hermione invece, qualsiasi cosa sembrava essere indolore, qualsiasi cosa era facile come respirare.
Però, l’assenza di dolore era dovuta al fatto che mi sentivo ancora in Paradiso, lo sapevo bene.
Non appena tutto sarebbe finito, il dolore sarebbe tornato… proprio come quando pochi minuti prima l’avevo vista rivestirsi.
Un dolore troppo forte, un dolore troppo reale e bastardo.
Se solo avessi potuto, avrei fermato le lancette dell’orologio per vivere in quell’istante per sempre.
Quando anche io non riuscii più a trattenere il mio piacere, mi ero lasciato andare, cadendo esausto sul suo seno.
L’odore della sua pelle era ancora più bello dopo aver fatto l’amore: la vaniglia era mista al piacere che aveva provato.
Volevo guardarla negli occhi, sentivo il bisogno di vedere che anche lei era felice come lo ero io, però, quando i miei occhi incrociarono i suoi, mi resi conto che c’era una nota di malinconia troppo forte.
-Draco…- aveva detto con voce tremante, rotta dai singhiozzi.
Aveva ricominciato a piangere e solo per colpa mia. –Non dire niente, ti prego.
-I-io…
-Se vuoi andare, vai… Non ti costringo a stare qui.
-Mi-mi dispiace.
-Già…
Si era di nuovo alzata dal letto ed era andata nel bagno che si trovava nella stanza, portando con sé i suoi abiti.
I lividi intorno alle braccia erano ancora lì, segno che suo marito, quell’essere inutile, non aveva ancora smesso di maltrattarla e mi chiedevo come potesse trattarla male quando c’era al mondo qualcuno che avrebbe pagato per ricevere da lei le attenzioni che dedicava a lui.
Avrei davvero dato l’anima al diavolo per vederla felice e non per forza con me, ma lontano da quel verme. Lontano dalle braccia dell’uomo verso cui l’avevo spinta lasciandola.
I sensi di colpa non mi avrebbero dato pace: finché era stata lontana, finché la sua realtà quotidiana potevo solo immaginarla, i miei giorni erano stati vivibili.
Quando però mi ero schiantato con quella realtà che non avrei mai voluto conoscere, il dolore allo stomaco era diventato insopportabile, troppo vero e meritato.
Il dolore di Hermione l’avevo causato io, per la mia paura di amarla, per la mia vigliaccheria… e meritavo di soffrire insieme a lei. Insieme, ma lontani…


Spoiler capitolo 32:
Scesi dall’auto e mi soffermai per un po’ a guardare l’enorme cancello di ferro scuro all’entrata del cimitero.
Mi avviai lentamente verso la tomba di papà e, quando vidi la fotografia, mi sentii meglio, visto che il sorriso sul viso di papà sembrava più ampio.
-Non guardarmi così… so che avresti voluto la mia felicità e so che hai visto cosa è successo. Sono cambiate così tante cose… però, una cosa è rimasta uguale o, forse, è solo diventata più forte… lo amo ancora?...

***
Angolo Autrice:

Eccomi quiiii. Scusate l’immenso ritardo, ma cercate di capirmi: non è l’ispirazione che manca, ma il tempo.
Beh, che dire del capitolo?
E’ un POV Draco ed è totalmente incentrato sulla coppia e sui pensieri di Draco.
Se le scene “hot” vi sembrano troppo banali, vi do completamente ragione, ma non riesco davvero a descrivere queste scene con leggerezza dato che per me, fare l’amore e le sensazioni che si provano in quel momento non possono essere descritte facilmente, anzi… non possono essere descrivere affatto dato che sono totalmente diverse da ciò che si può scrivere.
I personaggi:
-Draco: sta malissimo, ma almeno ha superato la confusione per quanto riguarda Natan, no? Ha capito che la cosa migliore per suo figlio è non farlo vivere in una bugia. Credo che tutti, più o meno, la pensiamo in questo modo;
-Hermione: vuole tornare da Henri e, nonostante può sembrare immaturo da parte sua andare via in quel modo, ricordiamoci che è stata abbandonata da Draco mentre lei gli chiedeva di amarla. Gli aveva detto che avrebbe accettato qualsiasi conseguenza, ma lui è andato via lo stesso. Certo, l'ha fatto per il suo bene, ma questo non cambia che l'ha abbandonata.
-Lo spoiler: cosa ne pensate?

Ringrazio le 95 seguite, le 8 ricordate e le 45 preferite.
Grazie anche ai lettori silenziosi e a chiunque dedichi un pò di tempo a questa storia.
A presto, la vostra Exentia_dream


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Capitolo 32
*** Fraintendimenti... ***


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Capitolo 32: Fraintendimenti...

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Avevo passato la mattina intera e tutto il pomeriggio lontana da casa, lontana dal dipartimento e avevo spento il telefono: a mente lucida, mi ero accorta che era davvero tutto programmato e, per questo, mi ritrovavo ad odiare tre persone: Blaise, Ginny e Draco.
Blaise perché sapeva la verità e sapeva che se avessi solo sfiorato l’idea di amare di nuovo Draco, avrei ripreso a sanguinare dalle ferite che erano coperte solo da un po’ garza vecchia e sottile.

Ginny perché era la mia migliore amica ed era diventata calcolatrice nei confronti della mia vita e della mia saluta mentale: almeno lei aveva vissuto in parte il dolore che mi aveva fatto provare Draco gratuitamente, lasciandomi da sola.

Draco perché ne aveva approfittato di buona lena: aveva rigirato la mia confusione a favore suo e mi aveva trascinata in un letto che non era nient’altro che il posto in cui mi voleva quella notte. Solo quella notte… e non aveva neanche insistito per tenermi accanto.

Certo, non gli avrei detto sì.

Anzi, a dirla tutta, mi aveva pregato di restare, ma cosa si aspettava? Che lo accogliessi a braccia aperte e che gli dicessi che era tutto a posto? No, almeno me lo auguro per lui.

Però, non riuscivo a fare a meno di pensare quanto ne aveva approfittato…

Erano quasi le otto di sera quando tornai a casa e vidi Ginny alzarsi dal divano seguita da mamma. –Hermione, ma dove sei finita? Ho provato a chiamarti, ma avevi il telefono spento… al lavoro…

-Zitta Ginevra Weasley: sei l’amica più subdola che sia mai esistita sulla faccia della terra.

-Hermione, ma come ti permetti?- chiese mamma, infastidita dal mio tono e imbarazzata per le parole troppo dure che stavo rivolgendo alla rossa.

-No, Meredith, ti prego… forse ha ragione, ma credo che sia meglio che ne parliamo da sole.

-E perché? Perché vuoi nascondere i complotti schifosi che fai assieme ai tuoi compari?

-Smettila, non è come credi.

-Ah no? E allora com’è?

-Lasciami parlare.

-No, Ginny.- l’avevo guardata negli occhi ed avevo sentito le lacrime premere per uscire. Ero accecata dalla rabbia, ma non volevo darle la soddisfazione di vedermi piangere. –Vado di sopra. Buonanotte mamma.
Avevo chiuso la porta, sbattendola troppo forte e mi ero buttata sul letto, trovandomi già a pancia sotto a riempire il cuscino di lacrime: mi sentivo tradita dalle persone più importanti della mia vita. Ero arrabbiata con il mondo intero.
Ed anche con Harry, perché era sicuramente al corrente di tutto.

I miei migliori amici mi aveva usata come un giocattolo e messa nelle mani del burattinaio sbagliato.

Sentivo i brividi salire lungo la schiena ogni volta che ripensavo alle labbra di Draco sulle mie e questo mi spaventava, visto che mi ero ritrovata a baciarlo con un desiderio incontrollabile: avere fatto l’amore con lui era stato uno degli errori più grandi di tutta la mia vita.

Questo non me lo sarei mai perdonata.

 

§

 

Ero scivolata nel peggiore degli incubi, visto che non riuscivo a vedere altro che immagini di quella notte passata con Draco.
Era come se la mia anima si fosse staccata dal corpo e mi vedevo felice mentre lui mi accarezzava, mentre mi baciava.
Avevo guardato bene nei suoi occhi e non avevo visto neanche una punta di cattiveria e per questo, anche nel sonno, mi ero resa conto di quanto a volte volessi essere cieca: forse, troppo presa da un desiderio che non credevo di voler o di poter realizzare ancora, avevo lasciato che le emozioni mi annebbiassero la vista e per un po’ avevo visto Draco come il principe azzurro che salva la principessa dalle grinfie di uno stregone cattivo.
Non avevo capito subito che, invece, lo stregone mi aveva attirato a sé come fanno i serpenti a sonagli con le loro vittime.
Mi ero messa a pancia in su, per respirare meglio e avevo asciugato le lacrime del buongiorno. Non avevo voglia di far niente, se non di scappare via da Londra: ero andata via dalla mia città per non soffrire ancora e, dopo essere tornata, stavo soffrendo ancora di più.
Mi alzai dal letto e mi chiusi in bagno, sempre sbattendo forte la porta, poi avevo aperto il getto d’acqua e mi ci ero buttata senza aspettare che l’acqua fosse calda. Volevo allontanare quei ricordi e volevo pulirmi dalla sensazione di ribrezzo che provavo verso me stessa: avevo bisogno di una doccia ghiacciata.
Sentivo l’acqua fredda graffiarmi la pelle, ma il dolore fisico mi distraeva  e questo poteva essere solo un bene per me. Chiusi il getto d’acqua e per un po’ rimasi ferma a fissare le mattonelline della doccia: erano piccole e rosa. Alcune piccole e di colore giallo tenue, ad intervalli regolari, spezzavano la striscia rosa.
Mi avvolsi nell’accappatoio cercando inutilmente di trovare un po’ di calore, visto che il gelo era anche nella stanza.
Mi diressi verso l’armadio e mi fermai a decidere cosa indossare quella giornata: non sarei andata a lavorare, perché non mi sentivo pronta a vedere le loro facce…
C’era una persona che avrei voluto vedere e che mi mancava tantissimo, quindi, senza ombra di dubbio, la mia destinazione sarebbe stata l’unico posto in cui potevo ricordare che una parte di lui fosse ancora accanto a me.
Mi vestii di fretta, cercando di muovermi un po’ per recuperare calore, poi sistemai il letto.
Scesi in cucina e mamma era lì che mi guardava con aria imbronciata. –Non guardami così… tu non sai cosa mi ha fatto.
-Lo so eccome, invece.
-Ah, davvero?
-Sì: vuole che tu sia felice. Lo vogliamo tutti.
-Io sono felice.
-Senti Hermione, io non so cosa ci sia stato realmente tra te e Draco Malfoy, ma in quel periodo della tua vita eri serena e sorridevi sempre. Non so se sei andata via per colpa sua o perché realmente in Francia ci fosse la migliore università di giurisprudenza, ma quando siete stati in questa stanza io ho sentito quello che c’era nell’aria e non era solo tensione: ci sono sentimenti che non devono per forza essere urlati, per far sì che gli altri li vedano.
-Tu non sai niente mamma e, ti prego, non ne voglio parlare più.
-Ora ne parliamo e tu mi ascolti: sono stanca di vederti soffrire dietro a quel bastardo! Sei mia figlia Hermione e per quanto Draco possa averti fatto male, non sarà mai eguagliabile al male che ti fa tuo marito ogni giorno.
-E’ tardi, mamma. Ho da fare.- presi le chiavi dell’auto ed uscii di casa e, di corsa, mi chiusi nell’abitacolo grigio chiaro dell’auto.
Mi resi conto che il colore del vellutino dei sedili mi ricordava gli occhi di Draco e maledissi la mia memoria che non riusciva a dimenticare i particolari di quel viso perfetto.
Avviai il motore e attesi che si riscaldasse al punto da poter accedere l’aria condizionata senza prima congelare di nuovo.
Poi, quando sentii il calore solleticarmi il viso, partii e mi inserii in corsia.
C’era traffico ed io odiavo il traffico, perché mi dava adito di pensare e ricordare quanto fossi stata bene tra le sue braccia.
Scossi la testa: il piacere fisico non doveva farmi perdere il controllo.
Però, mi ero sentita felice davvero. Scossi di nuovo la testa: un riflesso incondizionato.
Presi il cellulare dalla borsa e digitai il numero. –Henri?
-Hermione…
-Sì, emh… come stai?
-Un po’ stanco a dire la verità.
-Come mai?
-La settimana prossima torneremo in Francia.

No. –Come mai?
-Perché la nostra vita è lì: casa, lavoro… a Londra non abbiamo niente di importante.
-Ho la mia famiglia e i miei amici.
-Puoi farne a meno.
-Ne parliamo dopo Henri.
-Sì, ciao.
Sentivo i nervi raggiungere la pelle e arrivare alle corde vocali per dare libero sfogo al mio nervosismo, ma mi trattenni stringendo il volante.
Non volevo tornare in Francia, né riprendere la vita che avevo costruito con tanti sforzi… non mi mancava affatto il senso di non completezza che avvertivo lì.
Quella casa, quel lavoro, quelle giornate uggiose e forzate… niente mi mancava della vita lì.
Volevo restare a Londra per mamma, per i miei amici…
I clacson delle altre auto contribuivano a non tranquillizzarmi e allora sporsi la testa dal finestrino e vidi che a bloccare la strada c’era qualcuno che non riusciva a fare manovra e parcheggiare.
Odiavo chi non sapendo guidare si metteva alla guida di un enorme auto nera: avrei voluto scendere e dirgliene quattro, ma mi limitai ancora una volta a restare in auto. Quando la fila d’auto si mosse di qualche centimetro, mi infilai in una stradina secondaria e proseguii nella direzione indicata dalla freccia: avrei dovuto fare il giro del mondo prima di poter arrivare al cimitero da papà.
Almeno però, la strada era libera.
Per tutto il tragitto non ci avevo incontrato traffico e, per questo, ero arrivata al cimitero prima di quanto avessi sperato.

Scesi dall’auto e mi soffermai per un po’ a guardare l’enorme cancello di ferro scuro all’entrata del cimitero.
Mi avviai lentamente verso la tomba di papà e, quando vidi la fotografia, mi sentii meglio, visto che il sorriso sul viso di papà sembrava più ampio.
-Non guardarmi così… so che avresti voluto la mia felicità e so che hai visto cosa è successo. Sono cambiate così tante cose… però, una cosa è rimasta uguale o, forse, è solo diventata più forte… lo amo ancora?- sospirai. –Sì, per questo lo odio. Mi ha ferita di nuovo, papà.
Guardai ancora la foto e mi sembrò di vedere lo sguardo che papà mi rivolgeva quando voleva rimproverarmi e sorrisi.
Anche mamma mi aveva rimproverata e aveva quasi alzato la voce, ma sapevo che in parte aveva ragione e non potevo di certo darle torto sul fatto che non fossi felice.
Continuai a guardare la foto di papà, con un sorriso lieve stampato sul viso: se ci fosse stato lui, forse, tante cose sarebbero andate diversamente… in modo migliore, in modo peggiore, non potevo saperlo, ma parlare con lui era sempre stato meglio che parlare con mamma, perché papà cercava di capire le mie motivazioni e mi lasciava sbagliare.
Certo, era felice quando tornavo da lui e mi accorgevo di aver sbagliato e gli davo ragione: in questo lato del mio carattere, ero totalmente uguale a lui.
Mi mancava tantissimo e pensare che il suo corpo o, forse quello che ne rimaneva, era immobile in una bara di legno, nascosta dietro ad un’enorme lastra di pietra mi faceva gelare il sangue nelle vene.
Avevo sempre pensato alla morte di una persona cara come ad un omicidio in cui non c’è un colpevole…
Dare la colpa a Dio non mi sembrava giusto, visto che non credevo che nel destino l’Onnipotente ci mettesse del suo: a mio parere, Dio ci dava ogni capacità di intendere e volere… il destino lo scrivevamo noi.
Per il mio destino, avevo dei progetti ben precisi che prevedevano la presenza di molte persone nella mia vita, per questo avevo impugnato la mia penna preferita ed avevo cominciato a scrivere nel grande libro della mia vita.
Poi, l’inchiostro andava scemando e alcuni nomi veniva scritti in modo sbiadito… per questo, molte persone erano andate via dalla mia vita, in un modo o nell’altro.
Asciugai una lacrima all’angolo degli occhi e mi alzai, senza staccare lo sguardo dalla foto di papà.
Avrei voluto rimanere lì ancora un po’, ma stare ad osservare una lapide mi sembrava stupido: non era quello il modo in cui volevo ricordare papà.
Non mi serviva far vedere alla gente che la figlia di Steven Granger passava le ore intere a piangere il suo defunto padre.
No, mio padre era nel mio cuore ed era il posto che gli avrei riservato per tutta la durata della mia vita.
Mi avviai all’uscita, sentendo un fardello minore che pesava sull’anima.
Quando arrivai all’auto, mi resi conto che c’era un enorme urto sulla fiancata e mi trattenni dal bestemmiare, ma non feci di certo attendere un urlo di esasperazione: la giornata era cominciata male e quella precedente era finita nel peggiore dei modi.
Aprii la portiera e la chiusi con forza, poi cercai di rilassarmi e chiusi gli occhi, facendo dei respiri profondi per regolarizzare il respiro: dovevo calmarmi, dovevo tenere la mente lucida o avrei davvero dato di matto.
Mi conveniva? No di certo.
Misi in moto e mi inserii sulla strada, evitando di urtare le auto parcheggiate in seconda fila, poi mi fermai al semaforo.
Il verde sembrava impiegarci sempre troppo per scattare e farmi ripartire, soprattutto quando avevo troppi pensieri da gestire.
Volevo evitare di soffermarmi su certi particolari, ma davvero non riuscivo a cacciare dalla mente la sensazione che avevo provato mentre Draco mi abbracciava, mentre mi accarezzava: era stato come tornare a vivere e ricadere nel mio inferno personale, quando poi avevo capito che era stato tutto programmato.
Ero delusa da me stessa, soprattutto: ero un avvocato, il migliore di Parigi secondo i periodici francesi ed ero caduta in uno dei tranelli più semplici.
Era stato così facile avere davanti agli occhi ciò che desideravo in quel momento e non ciò che realmente avrei dovuto vedere.
Ero ripartita e la strada di fronte a me era libera, senza traffico ed era stato facile ingranare la quinta pochi minuti dopo.
Non c’era niente di meglio per una che non voleva evitare i propri fantasmi di una strada non trafficata che permetteva un viaggio diretto.
Fermarsi, per me, avrebbe significato dover mettere le unghie nel terreno e tenermi con tutta la forza per non scivolare giù, dove mi aspettavano il mio dolore e le mie paure.
Lì era tutto buio ed io del buio avevo paura se non c’era qualcuno al mio fianco… qualcuno di cui mi fidavo davvero, qualcuno per cui avrei potuto coltivare tutto l’amore che avevo in corpo.
Quel qualcuno non c’era al mio fianco e di certo non potevo credere che fosse Henri.
C’era una cosa nella mia vita di cui ero assolutamente certa: Henri era importante per me, certo, ma non era l’uomo che avevo desiderato al mio fianco né la persona che amavo.
Però, nei suoi confronti, provavo un enorme senso di gratitudine… non era un santo e nessuno lo metteva in dubbio, ma almeno non aveva mai programmato un gesto tanto vile verso di me.
Scossi la testa e parcheggiai nel vialetto di casa. Mi imposi di non guardare in direzione della casa di Draco. Avevo lottato a lungo per evitai ai miei occhi di voltarsi ed ero riuscita ad entrare in casa, sbattendo forte la porta.
Mamma non c’era e riuscivo a sentire il silenzio che mi urlava contro: avevo sbagliato con lei e avrei dovuto chiederle scusa, ma ferirmi a quel modo solo per dirmi la verità era quasi un colpo di spada volontario all’altezza del cuore.
Mi aggrappai al divano quando la testa cominciò a girare vorticosamente: vedevo le pareti della stanza mischiarsi in alchimie di forme strane e meravigliose, ma a guardare quello spettacolo, lo stomaco si ritorceva su se stesso e stringeva tanto da far male.
Appena tutto intorno sembrò tornare al proprio posto, andai in bagno e mi chinai sulla tazza.
Sentii il conato di vomito, anticipato dal sapore amaro che mi aveva riempito la bocca, salire su per la gola.
Strinsi i capelli con le mani e li portai dietro alla testa e chiusi gli occhi.
Quando mi sentii in grado di rialzarmi, mi diressi al lavandino e sciacquai la bocca. Odiavo vomitare e, sinceramente, mi spaventava anche: da bambina, facevo sempre fatica a tornare a respirare dopo aver vomitato.
Ora, era la stessa identica cosa: non riuscivo a riempire i polmoni d’aria. Facevo dei respiri profondi , ma l’aria non sembrava mai abbastanza.
Il respiro era ancora affannato quando qualcuno bussò alla porta e mi levai di malavoglia dal lavabo.
Quando aprii, il sorriso di Henri fece ancora più forti i dolori allo stomaco e feci uno sforzo enorme per sorridergli.
Mi accarezzò il viso, con troppa materialità, ma almeno non era uno schiaffo.
O, forse, ne era solo l’anticipo.
-Ciao…
-Sei sola?
-Sì.
Mi baciò con foga, come non faceva da un po’.
Sentivo un sapore amaro che non era l’acidità del vomito, ma tutt’altro: era un retrogusto di un sapore che avevo amato e di cui ero stata privata.
Eppure, continuai a baciare mio marito: era giusto ciò che stavo facendo, non quello che avevo fatto alla festa di fidanzamento di Ginny.
Henri mi aveva presa di peso e mi aveva trascinata sul divano, privandomi in fretta del cappotto che non avevo avuto tempo di togliere e della maglietta.
Il reggiseno e i jeans erano volati sul pavimento, accanto agli indumenti che già erano lì.
Anche lui si era spogliato in fretta ed avevo soltanto spostato gli slip per entrare in me ed era stato doloroso.
Lo sentivo muoversi ad un ritmo già troppo veloce e mi limitai a stringere i denti per non urlare, ma sapevo di dover continuare.
Era uno dei modi per far calmare Henri e uno dei modi per fargli capire che io ero presente e che lo volevo nella mia vita.
Gli stringevo i capelli e i suoi ricci scuri assumevano le sembianze dei capelli biondi e lisci di Draco, per questo avevo deciso di riaprire gli occhi e di guardare un punto fisso davanti a me.
Stringevo le spalle di mio marito e mi sembrava di stringerne altre, più sottili, ma altrettanto muscolose.
Le labbra che stavo baciando, mi sembrarono più sottili e dritte.
Avevo aperto di nuovo gli occhi ed avevo cominciato a fissare l’angolo al soffitto: la macchia d’umidità più giallognola rispetto alla pittura del salone faceva bella mostra di sé e si stendeva lungo la linea che divideva il soffitto dalla parete verticale.
Qualche minuto dopo, lo vidi mentre si rivestiva e si sedeva accanto a me.
Nel frattempo, io mi ero alzata dal divano, avevo raccolto gli abiti dal pavimento e mi ero diretta in bagno per lavarmi.
Mi ero guardata allo specchio e non vedevo riflessa la stessa persona che avevo visto nello specchio a casa di Ginny ed avevo sentito una stretta al cuore e avevo sentito mancare il respiro.
Mi ero infilata nella doccia e avevo aperto il getto d’acqua, aspettando che fosse calda e che mi togliesse un po’ dello sporco che sentivo nell’anima.
Mi insaponai e mi risciacquai con cura, impiegando più tempo del normale nelle carezze che di solito non prodigavo alla mia pelle e mi ero avvolta nell’accappatoio, cercando di trarne calore e di rilassarmi con la morbidezza della spugna.
Mi ero rivestita, indossando qualcosa di comodo e mi ero anche truccata, più pesante della mattina, per nascondere qualche segno rosso che avevo sul viso.
Ero tornata al piano di sotto e avevo sorrido ad Henri che si era sistemato sul divano, sistemandomi accanto a lui.
Avevo sentito le sue braccia cingermi le spalle e le sue mani posarsi sul mio viso per darmi dei leggeri buffetti. Se fosse stato sempre così, non avrei mai avuto dubbi sul mio matrimonio, né sulla mia vita con lui.
Non volevo un uomo perfetto, che non aveva il coraggio di dire la propria opinione, però, di certo, non lo volevo violento come era Henri in alcune occasioni.
-Me ne vado.
-Non vuoi cenare qui?
-Non mi va.
-D’accordo.
-Avvisa tua madre che tra una settimana partiremo.
Sentii di nuovo la testa girare e portai automaticamente una mano sullo stomaco, premendo leggermente. –Non potremmo restare ancora?
-Venire a Londra ci ha creato solo problemi e lo sai che io odio essere violento con te.
-Va bene, allora: stasera glielo dirò.
Accompagnai Henri alla porta e mi soffermai all’uscio anche dopo che lui era partito con la sua auto.
Tornare in Francia, forse, era la cosa migliore da fare per salvare il mio matrimonio e lo avrei detto a mamma, anche a costo di litigare con lei.
Ero tornata a sedermi sul divano e  cercavo di stare ferma quanto più possibile, perché non avevo affatto voglia di vomitare ancora e volevo calmare al più presto il mal di testa e fermare quel vorticare insensato.
Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi, ma non riuscii a trattenermi a lungo, quindi corsi in bagno e mi gettai sulla tazza, di nuovo.
Ringraziai la mia mente per la brillante idea di legare i capelli.
Gli occhiali li avevo buttati sul pavimento mentre correvo, nel tentativo di non sporcare il corridoio.
Ero sul punto di credere che avrei vomitato anche l’anima, quando i conati di vomiti si calmarono, fino a sparire e, ancora una volta, stavo lottando con la mia inutile paura di non riuscire a respirare.
Quando mi sentii in grado di reggermi in piedi, mi alzai e, mantenendomi al marmo del lavabo, tornai a lavarmi i denti e a camminare piano per tornare al divano.
Mamma aveva avuto ragione quando mi aveva suggerito di restare ancora un po’ a casa prima di tornare al lavoro: ero ancora troppo debole e bere qualche drink alcolico alla festa di fidanzamenti di Ginny e Harry era stato davvero una pessima idea.
Questa volta, mi sarei presa una bella vacanza dal lavoro, visto che avrei dovuto prendere l’aereo tra una settimana e ricominciare la mia vita di prima.
Mi ero chinata a raccogliere gli occhiali, quando sentii la porta aprirsi e i passi di mamma che si avvicinavano. –Stai bene?- mi chiese.
-Sì. Mi gira un po’ la testa.
-Stenditi sul divano, Hermione: dovevi riposare ancora prima di tornare al lavoro.
-Hai decisamente ragione.
-Vuoi che ti prepari qualcosa di caldo?
-No, lascia stare. Piuttosto, siediti… devo… devo parlarti.
-Ok.- attesi che prendesse posto e che si sistemasse meglio accanto a me, sul divano, poi la guardai e cercai di non far tremare la voce. –Allora?- mi chiese.
-Tra una settimana vado via.
-Nella casa nuova? L’hai sistemata?- vidi il sorriso sul suo viso e mi sentii mancare e di nuovo la testa prese a girare.
-No, mamma… torno in Francia. Io e Henri torniamo in Francia.
Si alzò dal divano senza dire niente e si diresse in cucina. Sentivo i rumori delle pentole che si urtavano e delle ante dei mobili che sbattevano: era arrabbiata.
Decisi che sentire il silenzio di quella rabbia non mi avrebbe fatto bene e, quindi, mi diressi in camera mia.
Sistemai le coperte sul letto e accesi la televisione, prima di stendermi e coprirmi fin sotto al naso: l’odore dell’ammorbidente mi infastidiva e, quindi, mi alzai e decisi di cambiare coperta. Presi quella rosa antico che amavo quando ero bambina: era chiusa in una busta di cellophane e non aveva odori, quindi la misi sul letto e piegai quella che c’era prima.
Finita l’operazione del cambio-coperta, ero tornata a letto ed avevo focalizzato la mia attenzione sulle immagini in movimento trasmesse alla televisione: era un bel film che avevo più di una volta in passato e ne ricordavo ancora spezzoni dei dialoghi, per questo, poco alla volta, sentii il sonno arrivare insieme ad un bel mal di testa.
Quando davvero non riuscii più a tenere gli occhi aperti, mi sistemai sul fianco e lasciai che la stanchezza mi portasse lontano.
I rumori al di fuori dalla mia camera, mi giungevano ovattati e lontani e mi rilassavano. Persino lo squillare del telefono non mi dava alcun fastidio e sorrisi inconsciamente, poi, in pochi istanti, mi ritrovai di nuovo piegata sulla tazza a vomitare ancora. –Cristo!
Lavai di nuovo i denti e con una lentezza estrema tornai a letto e mi addormentai, dopo aver guardato che il cielo, fuori dalla finestra, era colorato di arancione e grigio.

Spoiler capitolo 33:
-Non è come credi, stupida!
-Ti aspetti che ti creda ancora?
-DEVI CREDERMI.
-No, mi dispiace: sei una schifosa, una stronza.
-No, l'unica stronza e schifosa qui sei tu: sei talmente succube di tuo marito che invece di accettare la realtà, preferisci affibiarmi il ruolo di calcolatrice e cinica amica. No, Hermione... anzi, sai cosa ti dico? Mi dispiace aver fatto di tutto per farti capire dove sta di casa la vera felicità.

 
***
Angolo Autrice:

Eccomi tornata. Lo so, mi odierete a morte, ma, VI SUPPLICO, posate ogni tipo di arma che avete preso per uccidermi *occhioni da cucciola*.
Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere, per questo ci è voluto un pò di tempo in più.
E, cercate di capirmi.. è un periodo bruttissimo che non so quando passerà...
Intanto, cerco di tirarmi su vedendo dei lieto fine nelle mie storie, dato che la vita me ne ha privato!
Torniamo al capitolo, su, che è meglio, oppure lacrimo come una fontana e non la smetto più.
Il capitolo è davvero molto ma molto importante...
-Hermione: è cocciuta, certo, però almeno sa che non vuole tornare in Francia. E' di nuovo malata (magari avesse anche la pelle di un mulo!), ma forse questo malore le impedirà di partire;
-Henri: è uno stronzo senza cuore e ne ha approfittato, ma tranquille: avrà ciò che si merita.
-Meredith: al posto suo avrei riempito Hermione di botte e le avrei anche ordinato di dormire fuori al freddo e al gelo, ma è una mamma e, anche se non condivide le scelte di sua figlia, fa di tutto per lei.
-Lo spoiler: Che paroloni, eh? Cosa ne pensate?

Ringrazio le 98 seguite, le 46 preferite e le 8 ricodate.
Grazie mille a voi e ai lettori silenziosi e a chi semplicemente spende un pò del suo tempo, leggendo anche una sola riga di questa storia.

Spazio AUTOpubblicità: per chiunque ami la coppia DRACO/HERMIONE, ho in corso una fic che si svolge ad Hogwarts -Since I Kissed You. Se vi va, passate anche di lì.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 33
*** Arrampicarsi agli specchi ***


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Capitolo 33: Arrampicarsi agli specchi...


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La notte era trascorsa davvero male: non avevo dormito per il fastidio che provavo allo stomaco e per il tremendo mal di testa che non accennava ad andare via, neanche dopo aver preso un antidolorifico.

Il cellulare mi aveva dato problemi con la linea e la batteria e, quindi, l’avevo lanciato sulla scrivania e l’impatto lo aveva smontato letteralmente.
Le auto erano passate e ripassate di qui, suonando anche il clacson in piena notte.
Un inferno.
E dire che la giornata era cominciata peggio sarebbe stato un eufemismo.
Il caffé mi aveva dato la nausea, al punto da spedirmi dritta in bagno a vomitare.
La macchina non voleva saperne di partire e, una volta partita a singhiozzo, il traffico mi aveva innervosita ancora di più.
Arrivata in ufficio, poi, mi ero scontrata con l’ultima persona che avrei voluto vedere: Draco mi aveva anche sorriso, come se non fosse successo niente alla festa di fidanzamento di Harry e Ginny.
-Buongiorno.- mi aveva detto ed io ero andata via, senza neanche guardarlo negli occhi.
Il condizionatore mi stava abbandonando al freddo che sentivo e la scrivania mi sembrava una trincea di guerra.
Insomma, era cominciata una giornata di merda.
Forse, era davvero arrivato il momento di tornare in Francia.
Quando finii di ripassare mentalmente le disgrazie di quella giornata, mi lasciai cadere sulla sedia ed attesi che il computer si accendesse, per tenermi distratta.
Qualcuno bussò alla porta ed attese che dicessi “Permesso”, ma non lo feci, semplicemente perché non riuscivo a parlare: il mal di gola era uno dei sintomi dell’influenza che odiavo.
Allora Pansy aprì la porta e, quando mi vide farle cenno con la mano di entrare, la richiuse alle sue spalle. –Ciao.- il sorriso sornione sulle labbra.
-Ciao.
-Come stai?
-Bene, grazie.
-Non ci vediamo dalla festa di Ginny.
-Già.
-L’hai più sentita?
-Sì, l’ho vista a casa.
-D’accordo… senti, Herm…
-Pansy, qui non c’è davvero niente da fare, quindi, se vuoi andare a casa…
-Non era questo che volevo chiederti, ma va bene. Ne parleremo in altro momento.- disse, uscendo e mandandomi un bacio con la punta delle dita.
Volevo davvero restare da sola?
No, non volevo pensare, ma dedicarmi a trovare dei cambiamenti che nell’ufficio non c’erano stati mi sembrava un passatempo stupido.
Però, al pensiero di dover partire per la Francia, mi sentii quasi in obbligo di catturare quante più immagini possibili dei miei giorni qui a Londra.
Posai lo sguardo sul piccolo divanetto grigio e sui cuscini rossi sparsi su di esso.
Sul tavolino e sulle mensole, non lasciandomi sfuggire neanche un granello di polvere solare che entrava da una fessura della porta-finestra.
Sul pavimento e sulle pareti.
Tornai in me quasi con le lacrime agli occhi, quando qualcun altro bussò alla porta. –Avanti.- riuscii a dire questa volta.
La mia visuale si riempì immediatamente dei suoi capelli e del suo sguardo: sembravano fuoco vivo. –Adesso, io e te parliamo.- esordì.
-Non ho nulla da dirti, Ginevra.
-Oh, ne hai eccome di cose da dirmi. Devo ricordarti la scenata che hai fatto a casa di tua madre?
-Devo ricordarti per caso quello che tu hai fatto a me?
-Io non ti ho fatto niente, Hermione.
-Ah no? Spingermi in un letto con Draco non è stato niente?

-Non è come credi, stupida!
-Ti aspetti che ti creda ancora?
-DEVI CREDERMI.
-No, mi dispiace: sei una schifosa, una stronza.
-No, l'unica stronza e schifosa qui sei tu: sei talmente succube di tuo marito che invece di accettare la realtà, preferisci affibbiarmi il ruolo di calcolatrice e cinica amica. No, Hermione... anzi, sai cosa ti dico? Mi dispiace aver fatto di tutto per farti capire dove sta di casa la vera felicità.
-La vera felicità sta di casa in Francia, insieme a mio marito. E tu mi hai fatta finire in un letto insieme a Draco.
-Oh no, mi dispiace Hermione Granger, questo non te lo concedo: sei una donna matura e Dio ti ha donato la capacità di intendere e di volere. Vi avevo condotti in quella stanza per permettervi di parlare come si deve, di chiarirvi. Se siete finiti col fare l’amore, forse, vuol dire che tante parole non sarebbero servite. Forse, quello che dovevate dirvi sarebbe stato superfluo, perché vi avrebbe allontanato dai vostri desideri.
-E’ stato sesso.- dissi, in un sussurro.
-Non è stato sesso e lo sai bene.
-E’ colpa tua.
-No. Non è colpa di nessuno. Lui desiderava da tanto tempo amarti di nuovo e tu altrettanto, forse più di lui… per questo, siete finiti in quel letto.
-Non è vero…- Sentii le gambe cedere e la testa prese a vorticare velocemente.
Avevo davvero desiderato fare l’amore con Draco ed avevo dato la colpa ai miei migliore amici per non ammetterlo? Forse sì… ma a cosa sarebbe servito? In fondo, avevo ammesso di amarlo ancora.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e lo stomaco stringersi in una morsa, così corsi in bagno e mi piegai sulla tazza.
-Hermione? Hermione cos’hai?- Ginny si era piegata accanto a me e mi teneva la fronte con una mano.
Quando rialzai la testa, mi diressi al lavabo e mi sciacquai la bocca. Poi, la guardai: aveva il viso tirato e lo sguardo preoccupato. –Non è niente.- le risposi, mentendole.
-Da quanto tempo è così?
-E’ lo stress, Ginny. Proprio come qualche settimana fa.
-Non vomitavi così spesso.
-Che ne sai che vomito spesso?
-Me lo dice tua madre.
-Mamma?
-Lei ti sente, ti ascolta, anche quando credi che non lo faccia.
-Sto bene.
-Facciamo un test.
-Non è niente, Ginny. E poi, Henri non può avere figli.
-Lui no, ma Draco sì.
Realizzai dopo un po’ quale fosse il senso di quelle parole e la mia mente cominciò a viaggiare, anche se le immagini erano sfocate ed indistinte. –Sto bene.
Ginny mi abbracciò e sentii il suo respiro farsi più pesante, segno che aveva iniziato a piangere.
La seguii a ruota e, quando la prima lacrima lasciò gli occhi, mi sentii più leggera. –Ti prego,- mi disse, non sciogliendo l’abbraccio. –fallo per te. Per te e nessun altro.
-Non posso.
-E se fosse come penso?
-Non lo è.
-Ma se fosse?
-Non sarebbe figlio di Draco.
-Ne sei certa?
-Ho fatto sesso con Henri.
-Sesso… I miracoli non esistono, Hermione. Henri non potrà avere figli mai e poi mai. E tu non sei di certo la Madonna
-Non voglio fare il test.
-Lo compriamo, poi, quando ti sentirai pronta…- questa volta mi guardò negli occhi e ci vidi riflesse le mie stesse emozioni: paura, speranza.
-Va bene.
-Hermione?- sentii chiamare dall’ufficio. Una voce maschile che riconobbi immediatamente.
-Vai di là.- ordinò la rossa.
-E tu?
-Resto qui, per adesso. Voi, dovete parlare.
Le baciai una guancia ed uscii dal bagno. –Sì?- dissi chiudendo la porta.
-Ciao…
-Ciao.
-Volevo parlarti.
-Riguardo a cosa?
Vidi i suoi occhi vagare per l’ufficio e le sue labbra tremare impercettibilmente e capii che era in difficoltà e che stava per mentirmi. –La causa di tuo padre.
-Ah.- lo sapevo, eppure ci rimasi male.
-Sì. Il dottore dovrà essere ascoltato e, ovviamente, sarà presente anche il suo avvocato. Se tu…
-Sì, voglio esserci.
-Bene.- si avvicinò e posò la sua mano sulla mia guancia.
Era così calda e così fredda al tempo stesso: il calore era dettato, forse, dal desiderio che avevo di lui e dalle certezze che mi aveva dato Ginny. Il freddo era dovuto al fatto che sarei ripartita per la Francia, che avrei ripreso la vita che avevo costruito lì, senza di lui.
-Draco…
-Sì?- gli occhi grandi, colmi di speranza.
-Come sta Natan?
-Benone.
-Sa del divorzio?
-Sì e non l’ha presa male. Anzi, Cloe gli ha fatto conoscere il suo compagno e lui ne è entusiasta.
-Il suo compagno?
-Sì. Theodore Nott.
Rimasi con la bocca aperta al pensiero di Cloe che presentava, neanche qualche settimana dopo il divorzio, il suo compagno a suo figlio. Non gli aveva neanche lasciato il tempo di abituarsi all’idea che i suoi genitori non stessero più vicini.
Gli aveva sbattuto in faccia una verità che, forse, neanche gli adulti avrebbero potuto capire o accettare facilmente. E lei l’aveva fatto con suo figlio di quasi sei anni.
Però, ovviamente, non potevo sindacare sul suo modo di essere mamma… né sul suo modo di essere moglie. –Lo conosco?
-No. Non lo conosco neanche io, a dire la verità.
-Ah, d’accordo.
-Ci vediamo, Granger.- e staccò la mano dal mio viso ed uscì dall’ufficio.
Sentivo di nuovo le lacrime pungermi gli occhi e, senza che neanche me ne accorgessi, mi ritrovai inginocchiata a terra, con il viso tra le mani.
Sentii una porta chiudersi e due piccole mani appoggiarsi sulle mie spalle. –Credi ancora che sia solo sesso?
-Non lo so, Ginny.
-Hai la felicità a portata di mano, Herm… per la seconda volta. Ed è raro che la vita conceda una seconda opportunità… non capiterà più, lo sai?
-Ho paura.
-Nessuno ti da certezze, hai ragione… ma male che vada, avrai tolto dalle palle tuo marito.
-Ginny…- le dissi, per stemperare l’entusiasmo che aveva avuto nella voce, terminando la frase.
-Lo so, ma non posso farci molto: non mi è simpatico. Preferirei che tu restassi qui e che lui se ne tornasse da solo in Francia a buttare quel brutto muso in qualche bar spocchioso.
-Sai che non sarà così.
-Ci spero comunque.
-Come vuoi…
-Ti voglio bene davvero, Herm e mi dispiace che tu abbia pensato quelle cose di me.
-Ero arrabbiata, scusami.
-Già fatto.
La guardai, mentre usciva dal mio ufficio e il freddo non c’era più: il ghiaccio che sentivo dentro cominciava a pungere nell’anima e sulla pelle.
Mi sedetti sulla sedia e guardai ancora un po’ la porta, sperando che entrasse qualcuno per farmi compagnia e per parlare un po’: volevo sfogarmi e capire cosa mi stava succedendo.
Volevo davvero partire?
Da sola non riuscivo a darmi alcuna risposta e, purtroppo, sapevo che Harry non era nel suo ufficio, perciò, accesi il pc e cercai qualche informazione su argomenti che non mi interessavano realmente, ma, almeno, davano il tempo ai miei pensieri di mettersi in ordine.
Non sarebbe servito a niente stare ancora lì, a fare finta che quei pensieri non ci fossero e il non ascoltarli mi aveva portata ad un punto di non ritorno da me stessa: mi sentivo annullata e completa allo stesso tempo, come se in me ci fossero due persone.
E, in effetti, era proprio così: c’era Hermione, quella razionale che avrebbe voluto tornare in Francia e proseguire la vita insieme ad Henri e alle sue abitudini.
Poi, c’era l’altra Hermione, quella vera probabilmente, che desiderava restare a Londra e dare una seconda possibilità alla persona che le aveva insegnato ad amare e soffrire. Hermione, quella che aveva voglia di ascoltare i consigli di chi le voleva bene e che aveva bisogno che le parole di conforto fossero anche vere. Quella che voleva credere in qualcosa e che aveva il desiderio di poter pronunciare quelle due parole che da anni non riusciva a dire, se non pensando ad una persona in particolare.
E, poi… a parte queste due personalità, sentivo crescere la speranza che fosse tutto vero e non un sogno: di Draco o no, io desideravo un figlio.
Asciugai una lacrima all’angolo di un occhio e concentrai lo sguardo su qualcosa di meno luminoso del monitor del computer e sentii la testa far meno male, così mi rilassai anche sulla sedia.
Alzando lo sguardo, per la prima volta, mi resi conto che il soffitto non era tutto bianco, come avevo sempre pensato. La controsoffittatura a cupola era messa in evidenza da gli incavi laterali e squadrati del muro e, proprio su di essi, il bianco diventava una bella sfumatura di grigio.
La mia vita ruotava tutto intorno a quel colore: il soffitto e le pareti dell’ufficio, il divano, le scarpe per la festa di fidanzamento di Ginny, i suoi occhi.
Era davvero così facile ammettere i propri sentimenti? Bastava davvero mettere da parte ogni difesa e lasciare che il cuore e la mente ne discutessero tra loro? Bastava davvero far finta che le urla che si lanciavano non ci fossero, fino a che una delle due parti si fosse arrese e avrebbe dato ragione all’altra?
Ora avevo la risposta. Sì.
Ci avevo messo tanto tempo a capire quale fosse il modo per far parlare il cuore e, in seguito alla brutta delusione che mi aveva dato Draco, lo avevo imbavagliato per bene e messo a tacere a dovere. Ed avevo dato il totale controllo al mio cervello.
Però, era bastato allentare un po’ il bavaglio…
Mi ridestai dai miei pensieri quando un altro conato di vomito mi aveva colta e maledissi la mia mancanza di anticorpi.
Altro che cuore, avrei voluto imbavagliare lo stomaco!
Ancora una volta, come ormai facevo da un po’, mi ritrovai inginocchiata alla tazza a lasciare un po’ di me negli scarichi di Londra.
Sciacquai la bocca e tornai alla scrivania, poi decisi di andare da Harry e, se non fosse ancora arrivato, lo avrei aspettato seduta comodamente nel suo ufficio.
Chiusi la porta e mi avviai all’ascensore. Mi specchiai nelle porte metalliche ancora chiuse e vidi il riflesso della bruttezza: gli occhi erano cerchiati da profonde occhiaie livide e il colorito del viso era smorto e apatico. Sembravo uno zombie.
Mi meravigliai del fatto che Ginny non avesse commentato il mio aspetto, ma forse, voleva solo far vedere ai miei occhi a cosa mi aveva portata la mia testardaggine.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, entrai ed premetti il pulsante che mi avrebbe portata al piano inferiore.
In ascensore, la temperatura era leggermente più bassa che nei corridoio e negli uffici e lo stavo notando solo adesso: la maggior parte delle volte che ero entrata in ascensore, ero in compagnia di Draco e credevo che tanto calore dipendesse dall’impianto di riscaldamento dell’abitacolo.
Mi ero appena resa conto che non era così: Draco mi dava calore.
Uscita dall’ascensore, mi avviai spedita all’ufficio di Harry e stavo per aprire la porta quando mi accorsi che era con qualcuno. –Certo,- stava dicendo. –fai quello che vuoi.
Nessuna risposta, se non il rumore della sedia che veniva spostata sul pavimento senza essere sollevata. Supposi che era in compagnia di Ginny.
Bussai piano alla porta e la voce di Harry che mi dava il permesso di entrare mi fece quasi spaventare, dato che mi ero incantata a guardare la maniglia.
Entrai e posai subito lo sguardo verso colui che teneva compagnia al mio migliore amico e restai a boccheggiare per un bel po’. –Ciao.- mi disse.
Mai e ripeto mai avrei creduto di poterlo incontrare qui. In questo posto –guardai l’orologio- a quest’ora. –Ciao Natan.
-Perché sei qui?- mi chiese dolcemente.
-Lavoro qui, piccolino e tu? Cosa ci fai qui?
-Mamma mi ha detto di stare un po’ con Harry, mentre lei è con papà.
-Papà?
-Sì. C’è anche Theo.
Harry mi guardò con aria interrogativa e, da questa, dedussi che Draco non gli aveva raccontato niente. –Theo?
-Sì, il suo nuovo fidanzato. E’davvero frigo.
-E’ davvero che?- mi chiese Harry, facendo un’espressione davvero buffa.
Natan scoppiò a ridere ed io feci lo stesso. –Frigo! Significa quando uno è bello e simpatico.
-Si dice figo.- lo corresse il mio amico.
-E cosa ho detto io?- tale e quale a suo padre: cadeva sempre con i piedi per terra.
-Hai detto frigo.
-A me il mio amico mi ha detto che si dice così.
Sorrisi, ricordando a quella volta che, per via di frasi del genere, avevo paragonato Natan a suo padre: erano identici nel carattere e nel modo di porsi.
Se non avessi saputo che lui era davvero suo padre, me ne sarei accorta da queste loro affinità.
E mi sentivo immensamente adorante nei confronti di quel bimbo: sentivo di amarlo allo stesso modo in cui amavo Draco e, anche se sembravano strano anche a me, mi resi conto, quando gli scompigliai i capelli che era proprio così.
-Natan…- lo chiamai per avere la sua attenzione.
-Sì?
-Com’è Theo?
-E’ alto e ha i capelli neri e gli occhi neri e ha un sacco di muscoli, anche se però non si vedono e gioca a calcio e ha una macchina enorme e…
-Natan, vuoi bere un po’?- le chiesi dolce, per fermare la sua parlantina ed impedirgli di affannare ancora di più.
-Sì, grazie.
Uscii dall’ufficio e mi avviai alla macchinetta. Inserì la moneta  e salutai Draco con un cenno del capo: stava bevendo il suo caffé e stava aspettando che si riempisse un altro bicchiere. –Ho visto Natan.- esordii.
-Sì, è con Harry.
-E’ tutto ok?
-Mh- fece spallucce. –Lo credevo più balestrato.
Era tranquillo e nulla in lui non vedevo davvero nessun sintomi di nervosismo. Persino gli occhi erano tranquilli. Ci avrei scommesso, perché avevo imparato a conoscerlo in quel tempo che eravamo insieme e aveva capito che quando mentiva portava le mani nelle tasche.
E, dopo aver buttato il bicchiere da cui aveva bevuto, aveva le mani stese lungo i fianchi. Non mi stava mentendo e mi sentii sollevata di fronte al fatto che stesse più male.
Tornai in me e mi ricordai di dover portare un po’ d’acqua a Natan. Non sapevo se gli piacesse naturale o meno, ma avevo vergogna di chiederlo a Draco e non volevo che pagasse lui.
Inserii la moneta e pigiai il testo dell’acqua naturale ed attesi che dal distributore uscisse la bottiglia, poi salutai di nuovo Draco e tornai in ufficio, da Harry e Natan. –Ecco.
-Come fai a sapere che mi piace l’acqua naturale?- mi chiese curioso.
-L’ho immaginato.
Mi sorrise e mi sentii immersa in una tenerezza assurda mentre lo guardavo aprire il tappo e bere direttamente dal collo della bottiglia. Un po’ di acqua gli scappò agli angoli della bocca e presi subito un fazzoletto per asciugarlo.
-Grazie.
Harry lo guardò e gli fece un cenno di assenso e Natan arrossì.  –Su, diglielo.
-Cosa?- chiesi.
-Hermione…- cominciò a parlare Natan, insicuro e con gli occhi che correvano lungo tutta l’ufficio. -…vuoi… vuoi diventare la fidanzata del mio papà? Tu sei così bella e a me mi sei simpatica… e…
-Natan…
-No, va bene ho capito. Scusa, io volevo solo che papà avesse una fidanzata come ce l’ha mamma un fidanzato nuovo.
Mi sentii una stronza a vederlo così triste. –Ne riparleremo, va bene?
-Me lo prometti?
-Sì, te lo prometto.
Bussarono alla porta dell’ufficio di Harry e, dopo il suo consenso, Draco entrò e venne a portare via Natan.
Lo osservai mentre lo prendeva in braccio e avevo visto i loro occhi illuminarsi: si adoravano.
Poi, mi ricordai della domanda di Natan e regalai ad Harry uno di quegli sguardi che avevo imparato ad usare con Henri quando mi maltrattava. –Tu…
-Io?
-Sì, proprio tu, Harry Potter. Cosa diavolo ti è saltato in testa?
-A me niente. Ti giuro che ha fatto tutto il piccolo, da solo.
-Ah, certo. Si è anche invogliato a parlare da solo?
-No, lì l’ho incoraggiato io.- disse, vittorioso.
Alzai gli occhi al cielo. –Ho visto Harry che l’hai incoraggiato tu. Sai, ero presente anche io…
-Ah, giusto… comunque, ciò non cambia che Natan ha ragione: saresti perfetta accanto a Draco.
-Harry, sei adulto e puoi capirmi: ho un matrimonio da salvare.- pronunciavo quelle parole ed ero io stessa a non crederci.
-Devi salvare te stessa, Herm.
-Sai quanto ho sofferto per questa storia.
-Non immagini quanto abbia sofferto lui: era tutti i giorni di fronte a me e sembrava che ogni giorno perdesse un pezzo di sé.
-Beh,- dissi urlando. –nessuno gli obbligato a stare con Cloe.
-L’ha fatto per te: si stava rovinando la vita e lo sapeva, ma voleva che tu fossi salva che trovasse la felicità che lui non poteva darti.
-Poteva darmela eccome la felicità: io ero felice con lui. Poco importava del posto o delle difficoltà, Harry.
-Ha avuto paura ed era giovane… l’ha capito con il tempo.
-Mio marito mi è stato sempre vicino, Harry: mi ha sostenuta, incoraggiata, sorretta…
-Ti ha sotterrata, Herm… ti stai arrampicando sugli specchi.
-Sto dicendo la verità.
-La verità un cazzo! Questa è la verità a cui tu vuoi credere… vorrei darti i miei occhi per farti vedere a cosa ti sei ridotta. Forse capiresti.- sbottò.
Sentii di nuovo gli occhi riempirsi di lacrime e facevo fatica a respirare.
Uno schiaffo, un pugno, un calcio in pieno stomaco, una botta alla testa avrebbero fatto meno male di quelle parole.
Aprii la porta per andare via dall’ufficio e la rimasi aperta, nella fretta di scappare, correre a piedi al secondo piano e chiudermi nel bagno del mio ufficio.
Chiusi forte la porte alle mie spalle e mi ero accasciata sul pavimento, una mano ancora poggiata alla maniglia.
Ero riuscita a prendere il cellulare e avevo premuto il tasto dell’ultima telefonata.
Ad ogni squillo sentivo un po’ della mia forza andare via. A metà dell’ultimo squillo, qualcuno rispose e quella voce mi sembrò la più bella dell’intero universo, anche se distorta dal mio udito in panne. –Ginny, aiutami…- soffiai debolmente.
Attesi pochi minuti, mentre mi sentivo sempre più lontana da dove realmente ero. Poi, sentii una porta sbattere e un movimento d’aria poco lontano da me che mi destò un po’. Guardai Ginny e sorrisi.
Poi, il buio totale.

Spoiler capitolo 34:
-Sei pronta?
-No. Neanche un pò...
-Allora, corri. Dai, sono curiosa!
Mi alzai e presi l'oggetto che tanto mi spaventava. Non osavo guardarlo: avevo una paura folle di leggerlo. -Tieni.
Quando Ginny lo prese, lo osservò per bene e mi guardò -Altro che influenza...
-E' una febbre da cavallo, vero?

***
Angolo Autrice:

Lo so! Perdonatemi per l'immenso ritardo, ma PURTROPPO è ricominciata la vita impegnata di tutti tutti tutti i giorni.
E, in più, ho trovato non poche difficoltà a scrivere questo capitolo e mettete in conto che il mio periodo nero non accenna a voler finire e un pò lo voglio anche io! Insomma, me le vado proprio a cercare.
Bene, parliamo del capitolo:
E' stato davvero difficile spiegare le ragioni di Hermione e sono felice che molte di voi adesso la capiscano, ma più difficile ancora è stato descrivere i suoi pensieri contrastanti, quindi vi chiedo ancora di perdonarmi per il ritardo.
Il litigio tra le due amiche l'ho vissuto in prima linea e posso assicurarvi che ha fatto davvero male dire e sentirsi dire quelle parole.
I personaggi:
-Hermione: ha paura di tutto e non posso darle torto. Sta soppensando l'idea di non stare più con Henri e credo che il dubbio che le ha insinuato Ginny non sia una cosa da niente;
-Ginny: cavoli, io la adoro. Non so realmente che carattere abbia nei libri di zia Rowling, ma io una Ginny così la AMO. E' convinta che la terapia d'urto funzioni con la sua amica e speriamo che non abbia torto;
-Draco: l'avete visto preoccupato e insicuro... aspettatevi una bella litigata! Non si sa con chi, ovviamente, ma sfogherà per bene la sua rabbia;
-Pansy: era da un pò che non la vedevamo e credo che la vedremo davvero poco in seguito;
-Harry: in questo capitolo, giuro che avrei voluto costruirgli la statua di platino; crediate che abbia ragione?;
-Natan: quanto è bello e dolce e coccoloso. Lo stringerei forte e lo strapazzerei di coccole. Lo amo incondizionatamente e credo che abbia davvero ragione su tutto ciò che dice... soprattutto su Theo: è frigo! Ho sempre creduto che fosse freddo e scostante xD;
-Lo spoiler: cosa ne pensate?

Ringrazio le 103 seguite, le 47 preferite e le 9 ricordate! Grazie davvero mille! Ne siete sempre di più e mi date una gioia immensa.

Grazie, ovviamente anche ai lettori silenziosi e spero che prima o poi troverete il coraggio di farmi sentire la vostra voce o, meglio dire, farmi leggere le vostre parole xD
Beh, vi do una cattiva notizia xD: ho avuto l'ispirazione su un'altra fanfic che tratterà interamente della coppia Alice/Jasper... cosa ne pensate? Comincio?
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 34
*** Il test... ***


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Capitolo 34: Il test...

Image and
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Sentivo la gola arsa e le labbra umide e, sforzandomi più di quanto potessi fare, mi costrinsi ad aprire la bocca e lasciare che il liquido freddo portasse via con se l’arido che mi impediva di parlare.
Eppure, non riuscivo ancora ad aprire gli occhi. –Hermione- riconoscevo la voce di Ginny e il suo profumo che mi arrivava prepotentemente alle narici e mi causava un forte dolore allo stomaco.
Sentivo le palpebre tremare, mentre cercavo di aprirle, ma non ci riuscivo.
Sbuffai dopo aver provato per l’ennesima volta di aprire gli occhi e allora sentii Ginny sospirare. –Almeno,sei viva. Mi hai fatto prendere uno spavento. Non farne più di questi scherzi: ne va della mia sanità mentale, Hermione Granger.
Riuscii a sorridere. Me ne resi conto dal movimento dei muscoli del viso e della loro tensione per restare tesi.
Rinunciai per qualche istante nell’impossibile impresa di aprire gli occhi e mi concentrai sui rumori che sentivo, giusto per ricordare dove fossi, ma  non riuscivo davvero a ricordare.
Ero distesa su qualcosa di morbido, liscio. Ero al caldo, un caldo artificiale però, che non era il calore di casa mia.
Forse, ero a casa di Ginny o, forse, ero in ufficio.
Cercai di mettere a fuoco l’ultima immagine che avevo visto prima di chiudere gli occhi, prima di vedere solo il nero.
Ricordavo una porta di legno chiaro e un bagno. Nell’ufficio. Ero nell’ufficio.
Mi sforzai ancora un po’ e riuscii ad aprire gli occhi.
Inizialmente, la luce mi impedì di vedere altro che bianco, poi, pian piano, ogni oggetto assunse le proprie sembianze.
Spostai lo sguardo sulla figura di Ginny e le sorrisi di nuovo. –Mi fa male la testa.
-In effetti, hai preso una bella botta.
-Ah sì?
-Sì. Quando sono arrivata, mi sei svenuta tra le braccia.
-Non ricordo nulla.
-Vuoi andare in ospedale?
-No, preferisco tornare a casa.
-Chiamiamo un medico?
-No, davvero.
-Allora, che ne dici se compriamo quel famoso test.
-Non lo so, Ginny. Forse, è solo un po’ d’influenza.
-Può darsi, ma non è meglio averne la certezza?
-Come vuoi…
-Se fosse vero… oddio, Herm… che emozione!
-Ginny, non correre con la fantasia, ok?
-Sì, va bene.
Vedevo i suoi occhi riempirsi di speranza e illuminarsi di una gioia che per il momento non stava né in cielo né in terra.
Però, mi sentivo allo stesso modo e in me quella speranza cresceva ogni secondo di più
Oltre all’entusiasmo, oltre alla gioia che mi avrebbe regalato il realizzarsi di quel sogno, più di tutto sentivo la paura che cominciava a rosicarmi lo stomaco.
Mi sistemai sul divano, appoggiando la schiena ai cuscini e guardai di nuovo Ginny per non restare ferma sui pensieri che si stavano aggrovigliando nella mia mente. –Andiamo a casa.
-E’ passato Draco, prima.
-Quando?
-Mentre eri svenuta e… voleva restare qui.
-No, Ginny… io non…
-Lo so, Herm, per questo gli ho detto di non preoccuparsi.
-Grazie.
-Dovresti parlarne con lui.
-Non siamo ancora sicure di niente
-Giusto, ma lo farai, vero?
-Forse.- Sapevo che non l’avrei fatto perché non ne avrei avuto il coraggio, pur sapendo che avrei sbagliato.
Spostai lo sguardo altrove e concordai con me stessa che era stata la mossa sbagliata, ma già che c’ero, guardai ogni angolo dell’ufficio.
-Andiamo, dai.
-Sì.
Mi alzai piano dal divano, perché mi girava la testa e non volevo di certo sentirmi di nuovo male e poi la paura di vomitare e la frequenza con cui la provavo ultimamente mi preoccupava e non poco.
Quando raggiunsi la porta, a passi di formica, mi rilassai e respirai l’aria leggermente più fredda che c’era al di fuori del mio ufficio.
L’odore di caffé bruciato e di plastica mi colpì in pieno e chiusi gli occhi con forza per evitare che gli sforzi di vomito mi sovrastassero, poi, respirai a fondo e mi avviai verso l’ascensore.
Aperte le porte metalliche, entrai all’interno e l’odore di chiuso mi sembrò peggio di un pugno allo stomaco.
Trattenni il respiro per tutto il tempo e scossi il capo quando Ginny mi guardò con aria interrogativa.
I suoi occhi da curiosi passarono ad essere soddisfatti e sorrise.
Non sapevo cosa precisamente le stava passando per la testa, ma sapevo con assoluta certezza che era pericoloso e non poco. Pericoloso proprio come l’ultima volta in cui avevo lasciato che la sua fantasia volasse… ed ero finita in un letto insieme alla persona a cui avevo detto addio sei anni prima.
O almeno, credevo di avergli detto addio. L’avevo creduto fino a che non l’avevo rivisto e il pensiero di non volerlo perderlo era diventato dubbio e si era insinuato pian piano nelle mie vene, nei miei muscoli e nel cervello fino a che non ha raggiunto il cuore ed è diventato una certezza.
Volevo che, in un modo o nell’altro, che Draco facesse parte della mia vita: amante, amico… padre del figlio della speranza che covavo nel cuore e, forse, nel ventre.
Amico forse no: al solo pensiero, mi chiedevo quanto sarebbe stato difficile fingerlo di non desiderarlo con tutta me stessa o lasciare intendere che l’interesse che provavo per lui fosse solo semplice preoccupazione di un’amica.
Impossibile.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono con il solito plin, uscii dall’abitacolo con una fretta tale che qualcuno avrebbe potuto pensare che mi stessero minacciando con una pistola alla schiena.
Respirai a pieni polmoni l’aria dell’atrio che sembrava essere più pulita e mi appoggiai al muro perché sentivo le gambe deboli e avevo davvero paura di poter cadere.
Ginny mi si avvicinò e mi appoggiò le mani alle spalle. –Credi davvero che sia solo influenza?
-Ne sono sicurissima.
-Però mi lasci comprare il test.
-Solo per darti la conferma che sto bene e che non è come credi.
-In questo caso, mi auguro il contrario.
-Di cosa parlate voi due?- ci chiese una voce maschile sottile e delicata.
Non poteva essere la voce di Draco perché la sua era roca, certo, ma mille volte più bella di quella che avevo appena sentito.
Mi voltai e vidi Harry che abbracciava Ginny, cingendole le spalle e dandole un bacio poco casto.
Si guardarono negli occhi e trovai conferma a ciò che avevo pensato tempo prima entrando nello studio di Harry e guardando una foto che io stessa avevo scattato anni prima. Sorrisi e mi incantai a guardarli.
Mi resi conto che averli odiati in quei giorni era stato davvero inutile e autolesionista da parte mia, perché avevo capito che loro non c’entravano con ciò che era successo: ero stata io a scegliere di lasciarmi andare.
Nessuno mi aveva obbligato ad amare di nuovo Draco, né lui stesso mi aveva impedito di andare via: la porta era sempre rimasta libera dalla chiave e mi sarebbe bastato abbassare la maniglia e andare via.
-Hey… la smetti di guardarci così?
-Scusami, Ginny.- la guardai e sorrisi vedendo le sue guance colorirsi di imbarazzo.
-Dai, non fare così… ti perdono per questa volta. Ma la prossima volta che ti becco a guardare con occhi sognanti la mia futura moglie… beh, mi fai pensare male di te, lo sai?
-Harry!- dissi con voce un po’ più alta, ma comunque divertita.
-Cos’ho detto?- sbarrò gli occhi, con aria simpatica.
-Nulla, Harry.- risi di gusto come non facevo da un po’.
-Senti, amore, noi andiamo. Hermione non si sente molto bene…
-Cos’ha?
-Nulla di che, Harry. Lo sai, la signora qui è a corto di anticorpi e, quindi, l’influenza è sempre a braccetto con lei.
-Oddio, Ginny, non chiamarmi signora. Mi fai sentire vecchia.
-Ma tu sei vecchia, Hermione. Andiamo, su.
-Ciao.- disse Harry, baciandomi su una guancia e dedicandosi con tanta passione alle labbra di Ginny.
A lungo guardarli però, sentivo uno strano fastidio: mi sentivo un po’ invidiosa della loro felicità e mi sentii un’amica ingrata per questo.
Ginny si sistemò al mio braccio e mi condusse fuori dal distretto, non lasciandomi mai la mano.
Si sistemò al posto del guidatore e accelerò, inserendosi direttamente sulla strada che mi avrebbe portata a casa, senza dar importanza al rispetto dei segnali stradali o delle norme di precedenza.
Per tutto il tragitto, tenni gli occhi fissi sulla strada che scorreva veloce sotto le ruote dell’auto.
-Hai paura, vero?- mi chiese, come se fosse la cosa più ovvia e facile a cui rispondere.
Continuai a guardare l’asfalto, riflettendo su ciò che volevo dire e su ciò che avrei dovuto dire. –No, Ginny, non ho paura: è una semplice influenza. L’hai detto anche tu che sono a corto di anticorpi.
-Questo è quello che ho a Harry per non farlo preoccupare, ma sai bene che penso tutt’altro e ne sono totalmente convinta.
-Ti sbagli, Ginny.
-Sbaglio molto raramente, amica mia. Non dimenticare che ci ho preso sul fatto che ami ancora Draco.
-Non ho detto che lo amo.
-No, è vero, ma metterti in ginocchio a piangere solo perché ti ha mentito su ciò che voleva dirti significa amarlo.
-Su questo potresti anche avere ragione, ma su ciò che pensi adesso stai sbagliando di grosso.
-Beh, quando si comincia a pescare si parte sempre con l’idea di prendere una bella carpa.
-Ti ritroverai con uno stivale all’amo.
-Tutto è possibile.- fermò l’auto e sbottonò la cintura di sicurezza. –Aspettami qui, ok?
-D’accordo.- mi guardai intorno e capii che ero a pochi isolati da casa, parcheggiata sul marciapiedi della farmacia.
Ginny insisteva a voler avere la sua prova e proprio questa era la mia grande paura: se davvero stessi aspettando un figlio da Draco, come avrei gestito la situazione?
Non lo sapevo e non sapere mi mandava in tilt. Il mio cervello aveva bisogno di avere tutto sotto controllo per far si che mi sentissi sicura e di poter essere in grado di poter prendere delle decisioni.
Essere razionale, forse, sarebbe stata la decisione migliore da seguire, ma, finora, la razionalità mi aveva portata a privarmi di me stessa.
Ed ora, se quello che pensava Ginny fosse stato vero, non potevo di certo privare mio figlio di avere una madre che valesse qualcosa.
Mio figlio. Mi sembrava così strano pensare ad un essere minuscolo che poteva appartenermi in quel modo.
Un po’ di sesso con Draco, forse, aveva avuto il potere di far avverare il mio desiderio.
Sesso. Suonava inadeguato quel termine per descrivere ciò che c’era stato tra me e lui: tutta la passione, tutto il desiderio, tutto l’amore con cui l’avevo amato non poteva essere solo sesso.
Sesso era quello che avevo sempre fatto con Henri.
Quando mi ricordai di lui, scrollai il capo e mi resi conto che l’auto era ripartita e Ginny la stava guidando come se io non esistessi. –Hai finito?
-Di fare cosa?- chiesi del tutto inconsapevole di cosa significava quella domanda.
-Non mi hai sentita arrivare.
-Certo.
-Ah sì?
-Sì.
-Bene, allora rispondimi.
-Emh…- cercai di fare mente locale su quali fossero le domande che Ginny era solita fare quando rientrava in auto. –Credo che sei stata più veloce del solito.
-Oh, grazie.
-Visto? Ti ho sentita arrivare!- dissi fiera di me, sorridendo visto che ci avevo preso.
-Hermione… sai che non è questo che ti ho chiesto, vero?
-Certo che è questo. Mi hai anche ringraziata!
-Ti ho chiesto quando hai intenzione di fare questo test, Hermione. Essere stata veloce o meno non m’importa quanto questo.- disse, alzando una scatola di cartone bianco e azzurro di forma rettangolare che, di sicuro, conteneva l’esito del dubbio che mi stava attanagliando le membra.
-Ok, hai ragione: non ti ho sentita. Stavo… stavo pensando.
-A cosa?
-A quello che è successo… i-io non mi capisco più: mi sento come se in tanti anni non avessi mai vissuto.
-Ed è così: hai sopravvissuto, Herm. Nessuno potrebbe vivere lontano dalla persona che ama davvero… anche Draco ha sopravissuto.
-Lui l’ha fatto molto meglio.
-Ha avuto molta più classe di te nel rovinarsi la vita: non ha mai amato Cloe, ma ha potuto riversare l’amore che provava per te su suo figlio e amarlo molto di più di quanto si possa amare un figlio. Tu, invece, l’hai trovato manesco ed anche impotente.
-Oh, Ginny, non essere perfida: Henri è tutto quello che vuoi, ma impotente no.
-Si alzerà pure, ma vale come se non se il suo… come se non funzionasse.
Risi perché Ginny sapeva essere diretta anche in argomenti che mi imbarazzavano totalmente.
A volte, avrei voluto avere il suo carattere forte e determinato nel momento in cui c’era bisogno di essere in quel modo.
A modo mio, anche io ero forte, ma nei momenti in cui tanta forza e tanta determinazione non servivano a niente se non a distruggermi.
Quando Ginny fermò l’auto, portai automaticamente una mano alla bocca, per non  lasciarmi sopraffare dai conati di vomito: la frenata mi era sembrata troppo brusca ed avevo sentito lo stomaco contrarsi fino a farsi male.
Scesi dall’auto e mi tenni alla portiera anche dopo averla chiusa e mi avvia piano verso le scale e le salii con molta più cautela di quanto avessi fatto di solito, per questo Ginny scosse il capo e mi sostenne per il braccio.
Aprii la porta e mi sedetti sul divano, portando le gambe sui cuscini. –Mi sento a pezzi.
-Vuoi fare una cosa per me?
-Dimmi.
-Vai in camera tua, fai una doccia e poi vai a letto, ok?
-Ok.
-Ci vediamo, Herm.
-Ciao Ginny.
La guardai mentre andava via e si chiudeva la porta dietro di sé.
Mi mancò immediatamente la sua compagnia, quindi, per non pensarci, mi avviai piano verso le scale.
Quando arrivai in camera mia, l’odore di detersivo mi riempì i polmoni e non mi dava la nausea, quindi entrai in camera e chiusi la porta alle mie spalle.
Mi avviai in bagno ed aprii il getto d’acqua versando un po’ di bagnoschiuma dall’odore neutro, poi tornai in camera e presi il pigiama dall’armadio.
Quando mi sembrò che l’acqua avesse raggiunto la temperatura che desideravo chiusi il getto e mi spogliai lentamente.
I vestiti sembravano avere il peggio di ogni odore che avevo sentito in ufficio e per strada e li appoggiai sul lavabo.
Mi guardai allo specchio e legai i capelli in uno chignon mal riuscito, poi mi sistemai di lato e portai le mano sotto la pancia: non sembrava più gonfia, ma, d’altra parte, se pur fosse stato vero, era troppo presto per vedere qualcosa.
Accarezzai la pancia, come credevo facesse ogni mamma in dolce attesa e sorrisi al mio riflesso: sarebbe stato davvero bello poter accarezzare l’amore che avevo provato per Draco e che sarebbe cresciuto dentro di me, giorno dopo giorno, fino a regalarmi la prova vivente di quel sentimento tanto forte.
Mi allontanai dallo specchio e mi immersi nell’acqua calda.
I pensieri che mi affollavano la mente sembravano svanire con il calore che mi avvolgeva i muscoli e mi sentii rilassata totalmente, tanto che da lì a poco credevo di potermi addormentare.
Mi insaponai, massaggiandomi delicatamente e  lasciai per un po’ il sapone sulla pelle e beandomi di quel profumo che non mi dava il voltastomaco, poi mi avvolsi nell’accappatoio e mi asciugai, massaggiando con più pressione rispetto a prima.
Infilai il pigiama e mi sistemai a letto, coprendomi fin sopra ai capelli.

§

Avevo riaperto gli occhi, non so dopo quante ore di sonno, per via del telefono che squillava.
Mi alzai per andare a rispondere ed aprii la porta di camera mia, però, in quello stesso istante, mamma rispose alla telefonata e mi soffermai ad ascoltare.
-Pronto?... sì, ciao. Tutto bene, grazie. Hermione? No, è a letto… Sì, sì. Suo marito è qui… certo, come no!... Beh, se tornasse con Draco… sì, infatti… sarebbe una vera delusione.- mi sentii colpita in pieno petto da quelle parole e sentivo l’aria nei polmoni che iniziava a mancare.
Mi lasciai cadere, senza neanche preoccuparmi di spostarmi da lì o di chiudere la porta per evitare che mamma capisse che avevo ascoltato ogni singola parola.
Avevo finalmente le idee chiare su cosa fare, convinta che mamma sarebbe stata fiera della decisione che avevo preso ed invece ne sarebbe rimasta delusa.
Sentivo di nuovo i sensi di colpa e i dubbi arrampicarsi su per le gambe e riempirmi la mente di nuovo fumo, così lasciai che le lacrime dessero sfogo alla rabbia che sentivo in corpo.
Non poteva andare tutto male: quando finalmente avevo capito quale fosse la cosa giusta da fare per me, i castelli delle mie decisioni stavano crollando per delle banali frasi sconnesse.
Con chi stava parlando mamma? Come poteva dire quelle cose di me e Draco se fino a poco tempo prima mi aveva spronato a lasciare mio marito per cominciare ad essere felice?
Non riuscivo a capire ed ogni istante mi sembrava più difficile da affrontare perché non ero più certa di nulla: avrei voluto sprofondare in un turbine di emozioni positive per sentirmi un po’ felice o, magari, avrei voluto saper leggere nella mente delle persone che mi erano attorno per sapere cosa si aspettavano da me e per non deluderle.
Sentii il cellulare squillare e mi diressi verso il letto, sedendomi e rispondendo. –Pronto?
-Sto venendo.
-Oh… sì, ma che ore sono?
-Le quattro e qualche minuto.
-Credevo di aver dormito per ore.
-E invece hai dormito pochissimo. Sei pronta?
-No…
-Ci vediamo tra poco.
-Ok, a tra poco.
Mi alzai dal letto e mi diressi in bagno.
Aprii il cassetto dove avevo nascosto il test che Ginny aveva comprato e mi sforzai di aprire la scatola.
Lo guardai per un po’, totalmente spaventata all’idea di ciò che avrei letto dopo averlo usato.
Comunque, mi diressi al gabinetto e usai l’oggetto che mi avrebbe rivelato la verità e che mi avrebbe tolto dalla testa ogni dubbio.
Allo stesso momento, però, mi avrebbe scaraventata nel baratro del terrore.
Riposi il test nella scatola e lo portai con me nella mia stanza, tenendolo stretto tra le mani per paura che cadesse e che la mia speranza di avere la situazione sotto controllo, avendo almeno una certezza, andasse in fumo.
Guardai per un po’ le mani e mi resi conto di non avere la fede. Non ricordavo neanche se l’avevo rimessa o meno dopo aver fatto pace con Henri, ma poco importava: il peso che stava avendo il mio matrimonio non era  più rappresentato solo da quell’anello dorato.
Poggiai la scatola sul comodino e mi sdraiai sul letto, prendendo il termometro e mettendolo sotto all’ascella.
In quell’istante, la porta della mia stanza si aprì leggermente e vidi Ginny che entrava sorridendo. –Allora?
-Cosa?
-L’hai fatto?
-Sì.
-E allora?
-Non lo so.
-Guardiamo!
-Ginny…
-Sei pronta?
-No. Neanche un po’...
-Allora, corri. Dai, sono curiosa!
Mi alzai e presi l'oggetto che tanto mi spaventava. Non osavo guardarlo: avevo una paura folle di leggerlo. -Tieni.
Quando Ginny lo prese, lo osservò per bene e mi guardò -Altro che influenza...
-E' una febbre da cavallo, vero?- tolsi il termometro, ma non lo guardai.
Gli occhi di Ginny mi avevano già dato una risposta e, benché desiderassi con tutta me stessa essere madre, sentii il mondo sgretolarsi sotto ai miei piedi e avrei voluto ricevere tutt’altra risposta.
Avrei voluto non saper interpretare le parole che le persone non dicevano e che esprimevano con gli occhi. –Tanti auguri, Hermione.
Sentii di nuovo gli occhi chiudersi e, di nuovo, i rumori diventare lontani ed ovattati.
Poi, di nuovo il nero.

Spoiler capitolo 35:
-Sono stata in ospedale a fare qualche visita.
-Non hai bisogno di visite: sei sana come un pesce.
-Sono incinta.
-Sapevo che eri tu ad avere un problema.
-Non è tuo figlio.
- Che cazzo stai dicendo?- mi chiese con gli occhi ridotti a due fessure.
Sapevo che dovevo dirgli la verità sul fatto che non fosse lui il padre del bambino che portavo in grembo, ma d'altra parte, volevo proteggere Draco dalla rabbia di mio marito.
La porta del bagno si aprì e Ginny tornò in camera, saltando come avrebbe fatto una bambina- Quando lo dirai a Draco...- disse, zittendosi immediatamente. Vidi i suoi occhi riempirsi di terrore e mi guardò come se avesse capito che di lì a poco avrei anche rischiato la mia gravidanza. -... quando dirai a Draco di aver incontrato il dottore che ha curato tuo padre.
-Va via.- le ordinò Henri.


***
Angolo Autrice:

Scusatemi, davvero.
L'immenso ritardo è una delle cose che io non sopporto eppure, ho ritardato anche io.
Purtroppo, il mio periodo nero non accenna a finire e, in più, non ho potuto sfogare la mia rabbia scrivendo, poichè anche il computer è andato a farsi benedire.
E' tornato da me dopo due settimane e mezzo e mi è mancato infinitamente, proprio come voi.
Credetemi, senza il vostro sostegno è stato davvero difficile passare le giornate senza pensare solo alle cose brutte.
Bene, la smetto di annoiarvi con i miei problemi e vi lascio ai personaggi.
-Hermione: beh, si è decisa finalmente, ma a quanto pare, qualcuno la sta facendo ricredere;
-Ginny: io la voglio nella mia vita perchè è un'amica spettacolare, non trovate?;
-Meredith: non è quello che credete, poi verrà spiegato in seguito, ma non lasciatevi influenzare da ciò che avete letto;
-Draco: non è stato protagonista, ma ci sarà sempre xD.

Ringrazio le 104 seguite, le 50 preferite e le 11 ricordate!
Inoltre, ringrazio i lettori silenziosi e spero che, prima o poi, troviate il coraggio di farmi leggere cosa ne pensate.
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 35
*** Nascondersi dietro un dito... ***


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Capitolo 35: Nascondersi dietro un dito...


Image and
video hosting by TinyPicHermione POV
Non avevo chiuso occhio e, ormai a conoscenza di quale fosse la causa dei miei malori, la nausea sembrava minore rispetto alle altre volte.

Il mal di testa, invece, era diventato insopportabile, semplicemente perché avevo passato tutta la notte a pensare a come avrebbe reagito Henri.
Perché gliel’avrei detto e gli avrei detto la verità.
Mi spaventava il fatto che potesse di nuovo mettermi le mani addosso o, conoscendolo bene, avevo il terrore che potesse prendermi a calci nella pancia pur di non subire quell’affronto.
Il problema, però, sarebbe stato dirlo o non dirlo a Draco.
Una parte di me aveva una gran voglia di dirglielo per essere felice insieme a lui e poter cominciare quella vita che da sempre sognavo.
L’altra parte di me, invece, voleva nasconderglielo per impedirgli di complicarsi ancora la vita e perché avevo paura di una sua reazione. Più di tutto, c’era la paura che lui potesse non accettare questo bambino.
In ogni modo, qualsiasi sarebbe stata la mia decisione, gli avrei fatto un torto e gli avrei creato delle complicazioni: se Draco l’avesse saputo e avesse accettato, avrebbe dovuto spiegarlo a Cloe e soprattutto a Natan.
Quanto sarebbe stato difficile per lui spiegare a suo figlio che avrebbe avuto un fratellino o una sorellina da una donna che non era sua madre?
E Natan come avrebbe reagito?
Certo, mi aveva chiesto di diventare la fidanzata di suo padre e aveva messo il muso quando non gli avevo risposto con un sì, però, chi poteva assicurarmi che l’avrebbe presa bene?
Se Draco, invece, non avesse accettato, probabilmente, sarebbe stato come perderlo di nuovo, come sei anni prima.
Guardai l’orario sul display del cellulare e decisi che avrei potuto rilassarmi, visto che era ancora presto.
Avevo preso appuntamento in ospedale alle 11 ed erano appena le 9.
Mi sistemai sul cuscino e sentii una fitta leggera colpirmi alla schiena e sorrisi, nonostante il dolore, perché ormai sapevo che la causa di quei dolori momentanei sarebbe diventata la gioia della mia vita.
Perché io volevo tenerlo quel bambino. E, se fosse stato necessario, gli avrei fatto da madre e da padre.
Mi sentivo euforica anche verso quella prospettiva e non mi spaventava affatto, anche se sapevo che sarebbe stato difficile.
In compenso, avrei visto realizzarsi il mio più grande desiderio.
Fin da quando ero bambina e giocavo con le bambole, sognavo di stringere tra le mani un bebé avvolto in un plaid morbido e colorato.
Infatti, trattavo le bambole con una riverenza tale che mamma sorrideva a guardarmi mentre giocavo.
Per quanto tempo avevo desiderato avere un figlio? Tantissimo e “tantissimo” mi sembrava ancora una parola inadatta per esprimere la profondità e l’ardore con cui lo desideravo.
Guardai fuori dalla finestra e il sole mi rallegrò. Mi sembrò di sentire il calore invadermi la pelle e sorrisi.
Marzo era cominciato da poco più di dieci giorni, ma aveva fatto il suo ingresso trionfale nel migliore dei modi: le giornate erano calde e soleggiate, per quanto potesse permettere il clima londinese.
O, forse, ero io ad emanare tanto calore.
Sembrava strano anche a me, ma mi sentivo più in forze di quanto in realtà non fossi.
Sentivo mamma che trafficava in corridoio e i suoi passi felpati mi rilassarono, eppure, allo stesso tempo, mi rabbuiai: cosa avrei detto a lei?
L’avrei delusa ancora ed ero certa che sarebbe successo, perché così le avevo sentito dire non so a chi.
Quelle parole mi avevano colpito più forte di un pugno allo stomaco e, a dirla tutta, anche di più.
Sarebbe stato meglio essere picchiata da Henri perché, in quel caso, il dolore sarebbe stato solo fisico e sarebbe passato.
Le sue parole, invece, si erano impresse nell’anima e bruciavano tanto, fino a farmi mancare il respiro.
Mi trovai a boccheggiare, ripensando al tono che mamma aveva usato durante quella telefonata.
La parola delusione mi vorticava rumorosamente nella mente e sembrava risuonarmi nelle orecchie, nella sua continua eco.
Qualcuno, però, decise di aiutarmi, infatti il cellulare prese a squillare e mi allontanò dai miei pensieri tristi.
Guardai il display e per un po’ fissai il nome che si illuminava a tempo con la suoneria. Risposi. –Pronto?
-Sei pronta?
-Sono ancora a letto, Ginny.
-E allora, alzati, lavati, vestiti e abbracciami forte quando mi vedrai entrare in camera tua.
-Perché dovrei abbracciarti?
-Perché sono la tua migliore amica.- la sentii ridere e sorrisi anche io.
-D’accordo.
-Ci vediamo tra poco.
Posai il telefono e mi diressi in bagno, aprii la vasca e, poi, tornai in camera per scegliere cosa indossare.
Cosa si indossava per andare da un ginecologo? Dovevo essere formale o no?
Guardai l’armadio, sentendomi persa di fronte all’indecisione che provavo, però mi sforzai di trovare qualcosa di adatto e comodo, soprattutto.
Quello che sapevo con assoluta certezza era che dovevo indossare l’intimo bianco, però non volevo sembrare troppo nonna.
Presi dal cassetto uno slip bianco un po’ sgambato e il reggiseno dello stesso colore.
Tornai in bagno e chiusi il getto d’acqua, poi mi immersi nella vasca, versando direttamente sulla pelle il bagnoschiuma al talco.
Quando le bollicine si posano sull’acqua mi sembrò di tornare bambina e mi ricordai di quanto mi divertisse soffiarle via, anche se non sempre ci riuscivo e mi ritrovavo spesso e volentieri con il fiato corto e le guance rosse per la fatica.
Tornai a soffiare sulla schiuma e risi come non facevo da tempo e mi sentivo felice.
Comunque, dopo quasi mezz’ora, decisi che avevo passato abbastanza tempo nell’acqua e, quindi, mi alzai e mi avvolsi nell’accappatoio.
Frizionai con delicatezza la spugna sulla pelle e poi indossai l’intimo.
Mi guardai allo specchio e portai istintivamente le mani al grembo: mi sentivo già in dovere di difendere quella gioia che, forse, all’interno del ventre ancora non si era formata.
Però, l’accarezzai e mi vidi più bella e il viso era illuminato da una luce diversa che sapeva di felicità che per poco ancora avrei dovuto reprimere.
Tornai in camera e sistemai i vestiti sul letto, per vedere l’effetto completo che avrebbero fatto e decretai che poteva andar bene: un paio di jeans e degli stivali bassi erano abbastanza comodi e non troppo eleganti, né tanto meno sportivi.
Mi vestii lentamente, muovendomi con attenzione e mi sentii paranoica al limite.
Forse, continuando così, sarei diventata ossessiva e petulante e un po’ mi spaventò l’idea di poter diventare così, prima ancora di dare alla luce mio figlio.
Quando finii di vestirmi, aprii la finestra e sistemai il letto.
Mi resi conto di non aver mai dedicato tante attenzioni alla mia casa in Francia e sapevo perfettamente il perché: non la sentivo mio e per questo non m’importava di farla apparire bella e pulita.
In una casa che avevo sentito mia per davvero c’ero stata durante un San Valentino di tanti anni prima e durante l’estate dello stesso anno.
Mi piaceva pulire e spostare gli oggetti per rendere la casa accogliente e calorosa.
Ero una ragazzina, certo, eppure mi sentivo già matura e pronta ad affrontare una vita da donna sposata. Con Draco, però… con Henri era sempre stato diverso.
Sentii il campanello suonare e poco dopo mamma che salutava allegramente Ginny e le disse che ero ancora in camera mia a dormire.
Ovviamente, indaffarata con le faccende di casa non aveva sentito che mi ero svegliata e, oltretutto, non le avevo ancora dato il buongiorno.
Sentii i passi di Ginny salire le scale e, dato che erano pesanti, capii che stava correndo, poi si aprii la porta della mia camera. –Chiudi gli occhi.
-Ma dai, Ginny…
-Chiudi gli occhi, ho detto.
-D’accordo.
Sentii il rumore di una busta di cartone che veniva poggiata sulla scrivania di legno e cercai di sbirciare, ma quando aprii gli occhi, mi trovai di fronte la faccia imbronciata della mia migliore amica. –Ti avevo detto di chiudere gli occhi.
-Ma voglio vedere, dai. Sono curiosa.
-Mh.- sembrò pensarci su per un po’, poi mi sorrise. –D’accordo.
Quando si spostò di lato, rispetto alla sedia su cui ero seduta, vidi una busta marroncina su cui faceva bella mostra di sé il nome del negozio.
Harrods era uno dei miei negozi preferiti e ci avevo passato ore a sbavare sulle borse esposte sulle mensole.
Quanti progetti che avevo per il mio futuro in quegli anni.
Quei tempi mi sembravano così lontani e a ripensare a quanto ero ingenua, mi sentivo tutt’ora stupida.
Allungai le mani verso la busta e la aprii, timorosa e felice al contempo.
Ne estrassi un pacchetto quadrato avvolto da una carta regalo su cui c’erano disegnati tanti animaletti.
Guardai Ginny e vidi i suoi occhi fissi sulla scatola che avevo tra le mani, quindi, mi sbrigai a strappare la busta e a conservarne un pezzo nel cassetto della scrivania.
Era un rito che io e la mia migliore amica facevamo sin da quando eravamo bambine e sorrisi quando aprii il contenitore metallico in cui tenevo tutti i pezzi di carta da regalo.
Aprii lentamente il coperchio della scatola e spiegai il contenuto.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e la gola stringere da un groppo che mi sembrava troppo grande per essere ignorato.
La felpa era bellissima: sul davanti, c’era disegnato un leoncino con del cotone giallo e su di esso, la scritta Jungle cucita di grigio e giallo.
Anche il colore della felpa mi sembrò abbastanza adatto nel caso che fosse stato un maschio o una femmina, ma quello che mi colpì maggiormente furono le orecchiette dell’animale cucite sul cappuccio della felpa.
Forse, stavo davvero correndo con la fantasia, ma immaginai un bimbo biondo e con gli occhi castani che indossava quella felpa e il suo visino dolce mi impedì di trattenere le lacrime.
Sentivo scorrerle sul viso e fermarsi sul mento… e mi sentii felice e completa perché per la prima volta, in tutta la mia vita, stavo piangendo di gioia e no avrei mai voluto smettere di farlo.
Ginny mi abbracciò e mi diede di nuovo gli auguri. Nei suoi occhi vedevo le lacrime che aveva trattenuto e, ancora una volta, non riuscii a trattenermi dal provare tanta felicità e dimostrarla alla persona che mi era sempre stata accanto, nel bene e nel male e nonostante la distanza.
Ricambiai calorosamente il suo abbraccio e, quando mi staccai, controllai allo specchio che aspetto avessi dopo aver pianto.
Di certo, non volevo che il mio ginecolo mi vedesse come una donna sciatta che si trascura pur essendo nella dolce attesa dell’unica cosa che davvero fosse meravigliosa in questa vita.
Spalmai un po’ di correttore sotto gli occhi e mi avviai insieme a Ginny verso la porta di casa.
Salutai mamma con un bacio sulla guancia e la strinsi forte a me, come non facevo da molto tempo.
Forse, l’ultima volta che l’avevo abbracciata era stato durante il giorno in cui ero stata in ospedale o, forse, dopo l’arrivo di Daphne e Seamus.
Salii in auto e Ginny mise in moto, in direzione dell’ospedale.

§

L’attesa fu snervante.
Le ore sembrarono interminabili e il ticchettare delle lancette dell’orologio di metallo nell’enorme sala d’attesa mi snervò ancora di più.
Quando finalmente una bella ragazza di colore annunciò che era arrivato il mio turno mi alzai dalla sedia e mi feci accompagnare da lei all’interno dello studio.
Molto gentilmente, la ragazza avvisò al ginecologo il cognome della prossima paziente e allora mi fece segno con la mano di entrare e mi sorrise.
Chiesi se Ginny potessi tenermi compagnia e il suo sorriso divenne ancora più luminoso. –E’ la prima gravidanza, vero?
-Sì.
-Prego.- disse anche a Ginny, indicandole allo stesso modo di entrare nello studio.
-Grazie, Angelina.- disse il dottore.
-Prego.

Il dottore era seduto dietro alla scrivania ed era intento a scrivere su dei fogli di carta con una scrittura strana.
Quando si decise ad alzare lo sguardo, ci sorrise con aria formale e ci disse di accomodarci.
Era molto giovane o, forse, appariva più giovane di quanto in realtà non fosse.
-Salve, signora?
-Granger.- Ginny mi guardò, strabuzzando gli occhi e le rivolsi uno sguardo supplice.
-Quanti anni ha, signora Granger?
-Venticinque.
-E’ la prima gravidanza?
-Sì.
-Sa da quanto tempo è in attesa?
-Non esattamente.
-Prego, allora. Si accomodi sul lettino.
Mi precedette e stese sul lettino uno strato di un materiale che mi sembrava fatto di tovaglioli da cucina. –Grazie.- dissi, stendendomi.
-Si alzi la maglietta, signora. E sbottoni anche un po’ i pantaloni.
Sbuffai quasi senza farmi sentire e mi benedissi per la brillante idea di depilarmi.
-Posso avvicinarmi?- chiese Ginny.
-Prego.
-Grazie.
Non appena Ginny mi fu vicina le strinsi la mano ed intrecciai le mie dita con le sue, poi mi concentrai sui movimenti del dottore.
Trattenni il fiato non appena il dottore mi appoggiò sulla pancia un gel davvero freddo e, poi, con il tester dell’ecografia lo spalmò. –Guardi lo schermo, signora.
Non riuscivo davvero a distinguere nulla: era tutto grigio e nero, ma d’un tratto sentii un rumore strano che non riconobbi.
Eppure, non appena quel suono riempii la stanza, i miei occhi si riempirono di lacrime.
Cercai di trattenermi e guardai Ginny, mentre guardava lo schermo con aria sognante e totalmente rapita.
Non potevo crederci. Non riuscivo a credere che fonte di tanta gioia potesse essere un puntino nel mio ventre.
-Questo è il battito del suo bambino, signora Granger.
Allora capii che per essere mamma si deve amare il proprio bambino prima ancora che nasca e saper riconoscere tutto ciò che gli apparteneva pur non sapendo di cosa si trattasse.
Il dottore allontanò il tester dalla pancia e mi sorrise, poi, mi porse le immagini dell’ecografia.
Mi asciugai il gel con un tovagliolo di dimensioni sproporzionate e mi sistemai la maglia.
Tornai a sedermi sulla sedia di fronte alla scrivania. –Dottore...- riuscii a dire con un filo di voce.
-Il feto è in ottime condizioni, signora. E’ alla quarta settimana di gravidanza e non ci sono complicazioni. Come ha potuto sentire, il battito del suo bambino è perfetto.
-E’ presto per sapere se è maschio e femmina?- chiese Ginny con l’aria di una bambina che sta per ricevere il più bel regalo di Natale.
-Sì, è presto. Il feto, comunque, deve essere tenuto sotto controllo, dato che è ancora in fase di formazione, quindi, mi farebbe piacere visitarla ogni quindici- venti giorni.
-Perfetto, dottore. Scusi, per il pagamento…
-Non ci sono problemi, signora Granger. Il pagamento, solitamente, lo riscuoto a fine operato, dopo il parto.
-Grazie, dottor Paciock.- gli strinsi la mano e lo stesso fece Ginny, poi, insieme, uscimmo dall’ufficio del ginecologo.
Mi ritrovai per i corridoi che quasi saltellavo dalla contentezza e vedevo il mondo come non l’avevo mai visto: mi sembrava davvero di essere circondata da arcobaleni e nuvole rosa.
Quando tornammo in auto, però, la tristezza mi invase e allora fissai l’asfalto che scivolava sotto i pneumatici lisci. –Cosa c’è?- mi chiese Ginny.
-Devo dirlo ad Henri.
-Già…
Il viaggio proseguì in silenzio ed era quello che mi aveva spaventato più di tutto prima del ritorno a casa.
Anche lì, mentre tutto scorreva, il tempo mi sembrava durasse troppo ed avevo voglia di allontanare di chilometri il momento in cui avrei detto la verità a mio marito.
Mi accorsi che Ginny aveva parcheggiato l’auto solo quando il panorama davanti ai miei occhi non cambiava e rimaneva sempre stabile. –Siamo a casa, Herm.
-Me ne sono accorta.
-Non voglio vederti così…
-Ho paura.
-Ti sarò vicina, te lo prometto.
-Sì.- scesi dall’auto e mi sembrò di poter svenire da un momento all’altro quando vidi l’auto di Henri ferma già poco lontana da casa.
Salii gli scalini e respirai profondamente, quasi a trattenere quanta più aria possibile per poterla cacciare fuori nel momento in cui non ce l’avrei più fatta a trattenere le urla.
Aprii la porta e vidi Henri seduto sul divano. –Buonasera.- mi disse, guardando di striscio Ginny.
-Vado di sopra.
-D’accordo.
Se avessi avuto le ali sotto ai piedi, probabilmente, sarei stata meno veloce.
Mi rinchiusi in fretta la porta alle spalle e vidi Ginny mentre si sistemava sul letto, incrociando le gambe. –Tua madre non c’è.
-No.- ma il pensiero era altrove. Molto lontano dal fatto che mia mamma fosse in casa o meno.
-Vado in bagno.
-Ok.
Mi scostai dalla porta e mi sedetti alla scrivania, riaprendo la busta in cui c’era il regalo che Ginny aveva fatto al mio bambino.
Sentii dei passi su per le scale e chiusi gli occhi per evitare di piangere.
Mi sembrava impossibile che tanta gioia potesse passare in secondo piano quando si provava tanta paura verso il compagno di una vita.
La porta della camera si aprì e mio marito entrò, senza chiedere il permesso ovviamente.
-Sono qui da più di un’ora.

-Sono stata in ospedale a fare qualche visita.
-Non hai bisogno di visite: sei sana come un pesce.
-Sono incinta.
-Sapevo che eri tu ad avere un problema.
-Non è tuo figlio.
- Che cazzo stai dicendo?- mi chiese con gli occhi ridotti a due fessure.
Sapevo che dovevo dirgli la verità sul fatto che non fosse lui il padre del bambino che portavo in grembo, ma d'altra parte, volevo proteggere Draco dalla rabbia di mio marito.
La porta del bagno si aprì e Ginny tornò in camera, saltando come avrebbe fatto una bambina- Quando lo dirai a Draco...- disse, zittendosi immediatamente. Vidi i suoi occhi riempirsi di terrore e mi guardò come se avesse capito che di lì a poco avrei anche rischiato la mia gravidanza. -... quando dirai a Draco di aver incontrato il dottore che ha curato tuo padre…
-Va via.- le ordinò Henri.

-Mi dispiace, ma non ho alcuna intenzione di farlo.
-Ti ho detto di andare via.
-Ed io ti ho detto che non me ne andrò.
-Va via.
-Senti, pezzo di merda francesino del cazzo, non osare toccare Hermione neanche con il pensiero perché, prima, ti spezzo le ossa uno alla volta e, secondo, ti stritolo le palle e non potrai neanche difenderti.
-Credi di spaventarmi?
-E tu credi che io sia debole come lei?- disse, indicandomi con un movimento del mento sottile e chiarissimo.
-Sei una puttana, Hermione Granger. Ma sai una cosa? Non ho voglia di parlare con te… andrò a parlare con il padre di tuo figlio. Draco.- uscì da camera mia mentre ancora minacciava quelle parole e allora portai le mani alla pancia, perché mi sentii quasi strappare qualcosa dall’interno e la vista mi si annebbiò totalmente.
Prima di perdere i sensi, però, vidi Ginny seguire Henri per le scale.

§

Quando riaprii gli occhi, riuscivo a guardare la stanza da tutt’altra prospettiva rispetto a come avrei dovuto guardarla svenendo: infatti, il soffitto era esattamente sopra la mia testa, e la scrivania di fronte al letto.
Chi mi aveva messa a letto?
Ero sola e le coperte mi arrivavano fino al collo, segno che qualcuno le aveva rimboccate e sorrisi ripensando a quante volte mamma mi aveva coccolata con quel gesto anche quando ero adolescente e tante attenzioni mi infastidivano.
Girai la testa, per guardarmi un po’ intorno e notai che sul comodino c’era un bicchiere d’acqua e ringrazia mentalmente chiunque avesse avuto tanta premura di me, poi mi sporsi per berne un lungo sorso.
Sentii la gola che si rinfrescava e mi sentii immediatamente meglio.
Poi, però, la mia mente tornò alla scenata di Henri e allora mi fiondai giù dal letto e aprii di fretta la borsa, rovesciando tutto il contenuto sulla scrivania.
Presi il cellulare e digitai il numero di Ginny.
Uno, due, tre squilli ma lei non rispondeva e allora mi sembrò che l’ansia stesse cominciando a sovrastarmi e cominciai a respirare a fatica.
La porta della stanza si aprì con uno scatto violento e sospirai di sollievo quando vidi la testa rossa della mia migliore amica fare capolino e corrermi incontro per stringermi. –Cos’è successo, Ginny?- le chiesi, avendo paura della risposta.
-Niente di importante, Herm. Stai tranquilla.
-E’ andato da Draco?- conclusi con un sospiro forzato.
-No, Herm. Harry lo ha fermato.
-Davvero?- sbarrai gli occhi, ma mi trattenni dall’esultare: probabilmente, Ginny mi stava mentendo per non farmi preoccupare.
-Sì. Cioè… Henri è riuscito a dare più di un pugno al biondo, ma Harry lo ha arrestato per violenza su un pubblico ufficiale.
Mi sentivo sollevata da quell’affermazione e felice che Draco ne fosse uscito quasi illeso, però, la mia preoccupazione stava nel fatto di sapere se Henri gli avesse detto o meno qualcosa. –Cosa gli ha detto?
-Niente, Herm. All’inizio, gli ha dato solo addosso, poi ha usato epiteti poco casti che la mia nipotina non deve sentire- posò le mani sul pancione, come se stesse coprendo davvero un paio di orecchie.
Sorrisi. -Non sappiamo ancora se è femmina…
-Beh, io voglio che lo sia.
-D’accordo, allora, se sarà una femmina, le farai da madrina di battesimo.
-Dici davvero?
-Sì, però ci penseremo a tempo debito. Ora, dimmi Henri cosa ha detto a Draco.
-Nulla, ma Harry adesso, credo almeno, che lo stia interrogando per capire perché ha picchiato Draco.
-Possiamo andare al distretto?
-No, devi restare a letto.
Qualcuno suonò alla porta e guardai Ginny con aria interrogativa, visto che a quell’ora, mamma doveva essere ancora a lavoro. –Chi c’è oltre a te?
-Tua madre. L’ho chiamata e le ho detto di tornare prima perché avevi avuto un malore.
-Oddio, Ginny.
-Shh. Meredith, prego, entra.
-Ragazze, vi ho portato un po’ di tè.
-Grazie mamma.
-Come ti senti, tesoro?
-Bene. E’ stato un piccolo capogiro.
Mamma si appoggiò alla scrivania e mi guardò, come se avesse voluto studiarmi.
I suoi occhi vagano sul mio corpo, soffermandosi di tanto in tanto su dei punti che mi sembravano potessero tradire il mio stato.
Le sorrisi, per rassicurarla e lei ricambiò. –Mi nascondi qualcosa?
-No, mamma, affatto.
-Io credo il contrario.- in quel momento, mi ricordai di cosa avevo pensato quella mattina, durante la visita ginecologica. Una madre sa quando si tratta del proprio figlio, pur non conoscendolo ancora e, dopo averlo dato alla luce, sa quand’è che il proprio figlio mente, se sta male o bene. –Ma, lascio correre questa volta. In fondo, Ginny mi ha appena dato una bellissima notizia.
Sbiancai e mi ammutolì all’istante. Dopo qualche secondo, però, mi forzai a parlare- Davvero?- chiesi con una risata abbastanza isterica.
-Sì. E dovresti esserne contenta anche tu.
-Oh, lo sono.- non riuscivo a crederci che Ginny le avesse detto della gravidanza.
-Finalmente, quel verme ha avuto ciò che merita.
Avrei voluto saltare e urlare dal sollievo, ma mi trattenni e continuai a sorridere, cercando di togliermi dalla faccia quell’aria da ebete. –Sì…

Spoiler capitolo 36:
–Non ha avuto nessun significato: è stato solo sesso, in onore dei vecchi tempi.
-Allora, perché piangi?- mi strinse a sé. Sentivo il suo profumo e cercai di trattenere le lacrime: avrei perso ancora? –Resta.
-Non posso.
-E’ vero, non puoi…- dissi, con un filo di voce, quasi a volere che quella che quella richiesta sussurrata potesse essere accettata e taciuta con le sue labbra.


***
Angolo Autrice:

saaalve gente! Sono tornata.
il capitolo è più lungo del solito per farmi perdonare dell'immenso ritardo!
E spero che vi sia piaciuto ^^
Ci voleva che capitassero delle cose belle ad Hermione, no?
Inoltre, voelvo scusarmi con chiunque avesse dei figli, dato che credo di non aver descritto al meglio le sensazioni che si possono provare.
Non essendo mamma, ho solo provate ad immaginarle xD
A parte questo, spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e mi dispiace che lo scorso abbia ricevuto solo 3 recensioni.
Ma dove siete finite? :(
Ok, passiamo ai personaggi:
-Hermione: ora la amo davvero! Dal momento in cui ha detto ad Henri del bambino, ho cominciato a costruirle una piccola statuina d'oro;
-Ginny: non ha detto nulla a Meredith e sono davvero davvero contenta che abbia risposto per le rime al nostro caro e adorato e taaanto amato francesino;
-Meredith: è a dir poco fantastica e, in fondo, sospetta qualcosina a proposito di sua figlia;
-Henri: finalmente ha avuto ciò che meritava e molte di voi saranno contente ( o almeno spero).
-Lo spoiler: cosa ne pensate?
Va bene, a parte questo, non ho altro da dire. Mi ritiro nelle mie stanze.

Ringrazio le 108 seguite, le 54 preferite e le 11 ricordate.
Grazie davvero infinite anche ai lettori silenziosi e a chi passa un attimo del suo tempo a visitare la mia pagina.
Alla prossima, la vostra Exentia_dream


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Capitolo 36
*** Come Amleto ***


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Capitolo 36: Come Amleto...


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Ricevere una scazzottata senza conoscerne il motivo non è mai stato il massimo a cui io abbia aspirato scegliendo questo mestiere.
Né, tanto meno, se a scazzottarmi era l’uomo che più odiavo al mondo e che continuava a ripetermi “pezzo di merda”, “bastardo”, “stronzo”.
Forse, erano presenti solo quei vocaboli nel suo repertorio e poi –Da che pulpito…- conclusi a voce alta, quindi Harry si voltò nella mia direzione.
-Cosa?
-Pensavo, Potter.
-Ah, capisco. Secondo te, perché lo ha fatto?
-Non ne ho idea.
-Credi che abbia saputo di te e…
Non concluse la frase e lasciò che il silenzio riempisse la stanza ed io lo imitai. Poi sospirai. –Ne dubito: Hermione ora è codarda e non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciarlo e dirgli la verità.
-In  effetti.
-Da quant’è che non la vedi?
-Da un po’.
Mi alzai dalla sedia e mi diressi alla porta, fermandomi sull’uscio. –Vuoi un po’ di caffé?
-Macchiato, Malfoy.
-Le femmine bevono il caffé macchiato.
-E lo bevo anche io.
-Allora sei femmina.
-No, Malfoy, sono un maschio.
-Metteresti mai dei tacchi fucsia?
-No.
-Allora perché bevi il caffé macchiato?
-Oooh, fanculo, Malfoy. Non lo voglio più.
-D’accordo.- chiusi la porta sorridendo e ripensai a quante volte erano state Ginny e Hermione a concludere questi teatrini o quante altre volte anche loro avevano cominciato ad avere dei dubbi esistenziali ed entravano animatamente nel discorso, portando, ovviamente, la ragione dalla loro parte.
Arrivai alla macchinetta del caffé, inserii la moneta e digitai il caffé macchiato per Potter.
Cosa diavolo ci trovava di buono? Alla fine, era solo latte allungato con chissà quale porcheria, mica era latte vero?
Quando il bicchiere fu pieno, inserii un’altra moneta e digitai il mio caffè.
Sentii il rumore delle pesanti porte di ferro chiudersi e alzai il capo, così vidi Hermione che avanzava a passi svelti verso il corridoio e, poco dietro di lei, vidi Ginny che si dirigeva nell’ufficio del fidanzato.

Eh no, cazzo! Gli ho fatto anche il caffè macchiato!
Presi il bicchiere dalla macchinetta e allungai il passo per impedire alla rossa di arrivare prima di me. Però, quando vidi le due ferme davanti all’ascensore che discutevano fitte fitte, mi incuriosii e mi avvicinai. –Buongiorno.
Hermione spalancò gli occhi, come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco e ci volle un bel po’ prima che potesse riprendersi. –Ciao.- dissero, infine, all’unisono.
-Come state?- parlavo al plurale, ma riuscivo a togliere gli da lei.
Mi sembrava diversa: gli occhi sembravano felici e più luminosi, il sorriso era sincero e, a parte questo, sembrava che brillasse di luce propria, come se sulla sua pelle ci fossero state tante piccole schegge di diamante.
-Bene.- rispose infine.
Qualcosa in lei, però, mi sembrava fin troppo familiare.
Continuai ad osservarla, studiando ogni movimento del suo viso. –Sei preoccupata?- in fondo agli occhi, ben nascosta dalla felicità che provava in quel momento, c’era una specie di lotta interna.
-Un po’, a dire la verità. E’ tanto che non sono in ufficio.
-Oh… certo. Io stavo parlando con Harry, gli dovevo portare il caffè. Ci vediamo.
-Draco?
-Sì.- mi voltai a  guardare la rossa.
-Puoi dire a Harry che lo raggiungo dopo.
-Sì.
-Grazie.
-Prego.- e tornai al mio ufficio.
Potter si era comodamente seduto sulla mia sedia e stava allegramente giocando con il mio computer.
Non potevo fare niente: a suo parere, mi aveva salvato la vita da un mostro terribile e con una forza distruttiva altamente superiore alla mia e, per questo, gli era dovuto fare tutto ciò che voleva nel mio ufficio.

Eroe del cazzo!
E poi, quel mostro terribile da cui diceva di avermi salvato era riuscito a darmi più di un pugno semplicemente perché io ero rimasto seduto.
Contava qualcosa, no?
-Finalmente!- esordì, sistemandosi gli occhiali sul naso.
-Non hai mai pensato di usare le lentine?
-Gli occhiali mi rendono sexy.
-No, ti rendono sfigato.
-Non credo.- e simulò un sorriso ammiccante che mi fece capovolgere lo stomaco.
-Ti prego.- feci segno con la mano che finisse. –Almeno, cambia montatura.
-Ma mi ci sono affezionato.
-Oddio, Potter, sei irrecuperabile. A proposito, ho incontrato Ginny.
-Davvero?
-Non sapevi che venisse qui?
-No.
-Comunque, ha detto che verrà dopo da te.
-Le hai detto che l’avrei aspettata con ansia?
-No, Potter. E ora fuori dai coglioni.
-Ti ho salvato la vita e potrei rimettere fuori il tuo acerrimo nemico.
-Oh, che paura! Devo lavorare.
-D’accordo. Alla prossima.- uscì dall’ufficio e mi rilassai sulla mia poltrona girevole.
Il caffè ormai era freddo e faceva più schifo del solito, quindi gettai il bicchiere nel cestino di plastica che avevo sotto alla scrivania.
Mi ritrovai a fissare la porta e a pensare cosa potesse essere quell’ombra negli occhi di Hermione.
Paura o incertezza?
Era felice per aver lasciato Henri e perché era finito in galera o quella felicità era dovuta al fatto che già aveva trovato modo per rimetterlo fuori?
Mi sentii un po’ come Amleto: al posto della penna che stringevo tra le mani, immaginai un teschio e fissavo in quel punto come se aspettavo una qualche risposta.
Decisi che sarebbe stato meglio distrarmi, per evitare di correre nel suo ufficio e chiederle spiegazioni su tante cose a cui risposte per quanto riguarda i miei sentimenti ne avevo già trovate.
Presi il cellulare e chiamai Cloe. –Pronto?- rispose.
-Ciao… come stai?
-Bene, tu?
-Bene. Natan?
-Sta giocando con Theo.
-Puoi passarmelo?
-Certo. Natan, c’è papà al telefono.
-Papà, papà- lo sentivo urlare prima di prendere il cellulare tra le mani. –Papà, ciao.
-Hey, campione. Ti stai divertendo, vero?
-Sì, Theo mi sta insegnato a giocare a basket.
-Wow.- mi sentii invidioso verso quell’uomo perché, a causa del mio lavoro, non avevo mai avuto tanto tempo da trascorrere con mio figlio e, quando ne avevo avuto, lui era piccolo e ancora non sapeva camminare.
D’altro canto, poi, avevo messo in chiaro il rapporto che avrebbe dovuto esserci tra Theo e mio figlio: gli avevo detto che, qualunque fosse la situazione tra me e Cloe, Natan sarebbe sempre stato mio figlio e lui non avrebbe dovuto fargli da secondo padre e lui aveva accettato di buon grado.
-Lo sai che sto vincendo?
-Non ne avevo il minimo dubbio. Qualche volta, insegnerai anche a me a giocare.
-Perderai di sicuro contro di me: sono davvero forte.
-Ah, ma davvero?
-Sì, sì. Papà?- bisbigliò nella cornetta.
-Perché parli così?
-Perché devo chiederti una cosa.
-D’accordo.
-Hai visto Hermione?
-Il tempo di un saluto, perché?
-Dopo la vedrai?
-Non lo so, Natan.
-Allora, dille di pensare a quello che le ho detto.
-Cosa le hai detto, piccola peste?
-Ora devo andare, ciao papà.- e staccò la telefonata.
Ero rimasto con il cellulare all’orecchio, come un cretino. L’Amleto che c’era in me tornò a studiare il suo teschio e cominciò ad interrogarlo su cosa mio figlio avesse potuto dire ad Hermione, ma non riuscivo a trovare nessuna richiesta che Natan avesse potuto farle.
Forse, le aveva chiesto di andare a prendere un gelato insieme… al massimo, avrebbe potuto chiedere di guardare un cartone insieme.
In fondo, Natan era ancora un bambino.
Io non lo ero più, da tanto tempo, ma in quel momento non riuscii a frenare la curiosità e mi fiondai alla porta.
Premetti il pulsante per chiamare l’ascensore, ma il numero rosso sul piccolo display mi suggeriva che avrei dovuto aspettare un bel po’.
Se avessi preso le scale, avrei fatto prima, però, magari, sarei entrato nell’ufficio di qualcun altro perché non ero sicuro che le scale sbucassero nel corridoio dove lavorava Hermione.
Le porte dell’ascensore si aprirono e per poco non mi scontrai con Ginny. –Oggi sei una maledizione, Malfoy.
-Pure tu, Weasley.
-Come mai ai piani alti?
-Devo parlare con Hermione, quindi…
-Oh, prego.- mi fece segno con la mano di entrare in ascensore, mentre lei si affiancava alla porta per uscire. –In bocca al lupo.
Quando la rossa fu fuori dall’ascensore, premetti il pulsante e le porte si richiusero con il solito rumorino fastidioso.
Chi aveva inventato il plin?
L’attesa, mentre l’ascensore saliva, mi sembrò eterna, perché non sapevo cosa in realtà avrei voluto dirle e un po’, un po’ tanto in verità, mi spaventava cosa lei avrebbe potuto rispondermi.
Il plin riempì di nuovo l’abitacolo metallico e le porte si aprirono.
Uscii e respirai a pieni polmoni, per cercare di avere almeno l’aspetto di una persona sicura il che, mi risultò al quanto strano da pensare: ero un commissario e dovevo per forza avere l’aria sicura e autoritaria, ma con Hermione non sapevo se fossi riuscito a mantenere questa facciata.
La porta del suo ufficio era chiusa e la luce della porta-finestra arrivava fino alle piccole veneziane di plastica sistemate alla porta.
Bussai deciso, perché se ci avessi pensato ancora un attimo sarei tornato indietro  e i dubbi mi avrebbero consumato a poco a poco.
Poi, sarebbe entrato in gioco l’orgoglio che, non so come, ancora doveva fare capolino per fermarmi. –Avanti.- sentii dire e presi un altro respiro profondo.

Cazzo! Aprii la porta ed entrai, richiudendola in fretta alle mie spalle. –Volevo parlarti.- le dissi, giocando con le veneziane, chiudendole.
Non le mossi da come le avevo messe, perché non sapevo usarle quel tubicino di plastica dura e, a dirla tutta, credevo anche di averlo rotto.
-Certo, del dottore. Prego, siediti. Non ho nessun caso su cui lavorare…
Mi sedetti, come mi aveva chiesto. -No.
-No?
-Allora, di Henri? Mi dispiace tantissimo per ciò che ha fatto e sono felice di come lo abbiate sistemato, ma non ho intenzione di tirarlo fuor…
-No, non voglio parlare di Henri.- ancora una volta, la vidi spalancare gli occhi e ancora una volta mi ritrovai ad essere Amleto che fissava il suo teschio.
Dirglielo o non dirglielo?
Preporle di essere ciò che eravamo prima che lei andasse via o lasciare le cose come stavano adesso?
-Di cosa allora?- chiese, come se non le importasse affatto di quale fosse l’argomento da trattare.
-Di noi, della festa di fidanzamento di Ginny e Harry e di quello che è successo.
-Ho del lavoro da sbrigare, Draco.
-Hai appena detto di non  avere alcun caso.
-Il mio lavoro non tratta solo casi.
-Sei un’ avvocato, non puoi trattare altro che i casi che ti vengono presentati e solo se tu decidi di accettarli, quindi, non prendermi per il culo.
-Sei stato tu a dire che dovevamo comportarci come due estranei.
-L’ho fatto perché tu eri troppo presa a salvare il tuo matrimonio per vedere quanto mi facesse male la tua presenza qui.
-Stai dicendo che ti dà fastidio che io sia tornata a Londra.
-Sto dicendo che l’hai fatto di nuovo!- mi resi conto dal tono che avevo usato che la stavo accusando.
-Cosa?
-Sei entrata nella mia vita, Granger.
-Scusami tanto!- urlò. –Non avrei mai voluto conoscere Cloe e scoprire che era tua moglie, né avrei voluto essere invitata a cena a casa tua. Come credi che mi sia sentita, eh, quando tuo figlio si è seduto sulle tue gambe e ti ha chiesto di giocare?
-Io…
-No, sta zitto. Quella scena avrei dovuto viverla in prima persona… invece sei andato via.
-Può sempre cominciare quella vita per noi, lo sai. Non è tardi per avere un figlio nostro, Hermione e vivrai tutte le scene che vuoi in prima persona.
Portò una mano sul ventre ed avevo visto i suoi occhi riempirsi di una nuova speranza, ma subito dopo aveva chinato il capo. -Non c’è nulla più tra noi, Draco.- si era alzata e si era sistemata di fronte alla porta-finestra, dandomi le spalle.
-Dici? E cosa ne pensi di quella notte?

–Non ha avuto nessun significato: è stato solo sesso, in onore dei vecchi tempi.
-Allora, perché piangi?- mi strinse a sé. Sentivo il suo profumo e cercai di trattenere le lacrime: avrei perso ancora? –Resta.
-Non posso.
-E’ vero, non puoi…- dissi, con un filo di voce, quasi a volere che quella che quella richiesta sussurrata potesse essere accettata e taciuta con le sue labbra.
-… non puoi andare via…
La strinsi forte e lasciai che si sfogasse per un po’.
Da quanto tempo tratteneva quelle lacrime? Quante ne aveva già versate?
L’abbracciavo più forte ad ogni singhiozzo. –Sono incinta, Draco.
Mi parve di sentire quasi il crac di un cuore che si spezzava e dal vuoto che sentii nel petto capii che era il mio.
Era incinta e mi avrebbe abbandonato così, senza dare altra possibilità a quello che aveva tanto decantato come l’amore della sua vita. –Tuo marito non può avere figli…
-Lo so.
-E, oltre a lui, sei stata con me…- la baciai, con tutta la rabbia che avevo provato.
Però, si stava facendo strana anche un filo di speranza che non tutto potesse essere perso per sempre.
-Non è figlio tuo.
Un altro crac e mi parve di provare la sensazione di cadere nel vuoto ad occhi chiusi, senza poter vedere quando la caduta sarebbe terminata né su quale terreno sarei caduto.
La allontanai e la guardai negli occhi. –Chi è il padre?
Anche lei mi guardò per un bel po’ di minuti, ma non rispose.
Le sue labbra tremavano e i suoi occhi vagano per l’ufficio, ma ciò che realmente mi sembrava importante era sentire la sua voce e conoscere il nome di chi altri l’aveva amata. –Devo andare, Draco è tardi.- ed uscì dal suo ufficio.
Rimasi lì, a fissare un punto indefinito di fronte a me, sentendo che le lancette dell’orologio a parete scandivano il tempo più velocemente di come in realtà stesse trascorrendo per me.
Ancora una volta, mi sentii come Amento: stavo morendo piano, troppo lentamente.
E il veleno nelle vene faceva male, bruciava.


Spoiler capitolo 37:

Sembrava di essere di fronte ad una giuria in tribunale. Come imputato.
-Devi dirglielo.
-Gli complicherei la vita.
-E' stato lui a dirti che vuole ricominciare, no?
-Sì, ma non si aspetta di certo questo.
-Il fatto che tu sia incinta non cambia le cose.
-Senti, Herm...- disse Luna, di punto in bianco. Era stata l'unica a non dire ancora niente. -Non ti ho mai costretta a niente e, a dir la verità, avrei evitato di fare tante cose che hanno fatto Pansy e Ginny, ma su questo devo darti torto: devi dirglielo.- sentii la porta aprirsi e decretai che doveva essere Pansy che stava rientrando dal bagno. -Draco ha diritto di sapere e tu hai il dovere di metterlo a conoscenza dei fatti. Questo è anche affar suo e deve sapere...
-Cosa dovrei sapere?
Mi voltai a guardare verso la porta e avrei voluto essere risucchiata negli inferi.


***
Angolo Autrice:

Eccomi tornataaa!
Ah, le cose si stanno complicando un pò per i nostri piccioncini, ma, sinceramente, ho deciso di abbreviare un pò i tempi!
Come avrete visto, il capitolo era un Draco POV: mi era mancato tantissimo **
Passiamo ai personaggi:
-Draco: io lo trovo meraviglioso e debole in questo capitolo, ma credo che sia normale visto che ha divorziato con sua moglie, visto che non abita più in casa con suo figlio e visto che l'unica donna che ama continua a rifiutarlo;
-Hermione: è tornata ad essere testona e stupida;
-Ginny: la adoro sempre, perchè è meravigliosa;
-Harry: ma lo immaginate con i tacchi fucsia? La parte in cui discute con Draco sul caffé l'ho vissuta in prima persona, solo che la scenetta si svolgeva tra il mio ragazzo e mio cugino xD;
-Lo spoiler: cosa ne pensate? Vi dico solo che Hermione ne verrà fuori, ma come? Fatemi sapere cosa ne pensate.

Ringrazio le 113 seguite, le 55 seguite, le 14 ricordate.
E, ovviamente, un grazie enorme va ai lettori silenziosi che fanno salire le visite a cifre esorbitanti!
A presto, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 37
*** La verità... ***


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Capitolo 37: La verità...


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Mi ero guardata allo specchio prima di uscire e i tacchi delle scarpe mi erano sembrati terribilmente alti per lo stato in cui ero.
Riuscivo ancora a portarli bene, ma  avevo paura di poter cadere.
Uscii di casa e mi avviai all’auto.
Aprii la portiera e mi sedetti sul sedile: mi sembrava scomodo e poco confortevole.
Cercai di trovare la posizione ottimale, visto che la schiena mi faceva male in ogni modo in cui mi mettessi.
Avviai il motore ed attesi per un po’ prima di partire, poi ingranai la prima e premetti il piede sull’acceleratore.
Mi sentivo felice e distrutta allo stesso modo: avevo rifiutato di nuovo di poter essere felice e avevo allontanato da me la possibilità di poter vivere la vita che volevo per me e per mio figlio.
Avrei precluso anche a lui la possibilità di vivere tranquillamente… e mi sentii una mamma deplorevole.
Come potevo far del male a mio figlio prima ancora che nascesse? Eppure, lo stavo facendo e mi sentivo anche in dovere di farlo, per proteggerlo dal male che io, insieme con Draco e con la presenza ossessiva di Henri, gli avrei fatto.
Ed ero felice perché sapevo che qualsiasi sarebbe stata la mia scelta, mio figlio sarebbe stato con me ed avrei potuto indirizzare a lui l’amore che provavo verso suo padre.
Perché continuavo a respingerlo, però, nonostante i suoi tentativi di tornare insieme, non riuscivo a capirlo: avevo paura, certo e non poca, ma cos’altro?
Non lo sapevo e per trovare una risposta a tutte le mie domande avrei dovuto guardarmi dentro a lungo e non ne avevo né il tempo né la voglia.
Parcheggiai l’auto e mi avviai al distretto camminando piano, sempre per paura di poter inciampare e cadere.
Quando aprii le porte, mi ritrovai quasi a scontrarmi con qualche collega e salutai Cho che, come al solito, era dietro all’enorme bancone che c’era nell’atrio.
Mi sorrise e mi dedicò uno dei suoi sguardi più dolci e compassionevoli.
Un po’ mi sentii infastidita da tanta pietà, però era ovvio che mi guardasse così dopo la scenata che mio marito aveva fatto lì qualche giorno prima.
L’avrei incontrato di sicuro, giusto per ricordargli per quale motivo l’avevo lasciato con il cuore prima ancora che con la mente e prima ancora che tornassimo insieme già sentivo di non essere sua moglie.
Avevo sbagliato a tornare con lui ed ora ne stavo pagando le conseguenze.
Avevo fatto le scale a piedi e mi ero rintanata nel mio ufficio, seduta sulla mia sedia ed avevo portato le gambe al petto.
Mi sentivo male: la nausea imperversava nel mio stomaco e stavo facendo di tutto pur di non vomitare ancora, ma non riuscivo a capire se fosse solo quello il mio problema.
Ovvero, sapevo bene qual era il mio problema.
Bussarono alla porta dell’ufficio, allora rimisi i piedi a terra e invitai chiunque ci fosse li dietro ad aprire la porta e ad entrare.
-Buongiorno, Herm.
-Ciao, Ginny. Già qui?
-Sì, ho un po’ di cose da fare oggi e volevo sapere cosa è successo ieri.
-Nulla, Ginny.
-Ti ha chiesto qualcosa?
-Sì.
-E tu?
-Gli ho detto che non è figlio suo.
-Capito. Beh, ora devo andare… casomai, ci vediamo più tardi.
-Va bene.
Sapevo che avrei dovuto essere preoccupata da tanta calma  e sapevo che Ginny aveva già progettato qualcosa, ma il pensiero di Draco che mi chiedeva di tornare con lui tornava a fare capolino nella mia mente e sentivo il cuore stringersi.
Avevo paura e stavo male: stavo tornando ad essere testarda e a danneggiare me stessa con la storia di voler far tutto da sola.
E sentivo ogni giorno di più che non ce l’avrei fatta e che avrei avuto bisogno di qualcuno.
Volevo avere bisogno di qualcuno e sapevo anche di chi, ma avevo paura di ammetterlo con me stessa e ammetterlo con lui: lo volevo al mio fianco, ma sapevo che avrei corso troppi rischi sbilanciandomi tanto.
Tanto amore portava sempre con sé tanto dolore? O ero semplicemente io che non riuscivo ad amare senza soffrire?
Si poteva davvero provare nostalgia per un dolore tanto atroce, come quello che veniva causato dalla perdita di una persona?
Avevo troppe domande a cui rispondere, domande che si erano aggiunte a quelle precedenti che avevo nel cuore.
Troppe domande e poche, pochissime risposte.
Dovevo trovare almeno una risposta o sarei finita col piangermi addosso e rovinare la vita a mio figlio e più di tutto, dovevo mettere al corrente anche mamma riguardo alla mia gravidanza.
Il cellulare era ancora da spento e lo posai nella borsa, poi mi alzai dalla sedia per appoggiarmi alla porta-finestra: avevo bisogno di aria e non riuscivo a respirare.
Sentivo un groppo stringermi la gola e mi sentivo soffocare. Non riuscivo neanche a muovere le braccia: avevo portato le mani alla gola con enorme fatica e poi le avevo agitate davanti al viso, ma proprio non riuscivo a recuperare l’aria di cui necessitavo.
Era il senso di colpa a fare quest’effetto e lo sapevo bene: l’avevo provato fin troppe volte quando ero in Francia e prima ancora di andarci.
L’avevo provato nei confronti dei miei genitori e dei miei amici quando avevo deciso di partire, poi, l’avevo provato nei confronti di Draco, la prima volta durante la quale mi ero spogliata con Henri e per tutto il resto del tempo, mi ero sentita in colpa verso me stessa.
Mi ero solo fatta del male e non volevo più provare quelle sensazioni, soprattutto ora che avevo in grembo un’altra creatura da curare, una creatura che non meritava affatto di soffrire come avevo sofferto io.
Il compito di una buona madre era quello di proteggere il proprio figlio ed io l’avrei fatto, sempre.
Sentivo l’acido del vomito salirmi per la gola e corsi in bagno, inchinandomi di fronte alla tazza.
Mi sarebbe bastato respirare profondamente, chiudere gli occhi e pensare a qualche altra cosa per non essere investita dalla paura di vomitare, ma non ci riuscivo: la mia mente sembrava non volersi staccare da quella sensazione tremenda ed,infine, mi arresi e smisi di lottare contro il nodo allo stomaco.
Dovevo liberarmi di quella paura e prima l’avrei affrontata, prima avrei smesso di provarla.
Mi alzai facendo forza sui gomiti, se quel po’ che mi era rimasta poteva essere definita forza, poi proseguii verso la porta del mio ufficio, reggendomi al muro.
Non ce la facevo neanche a tenermi in piedi e avrei tanto voluto che questa gravidanza non mi sarebbe costata tanta fatica, ma sapevo che almeno questo sarebbe rimasta un’utopia.
O, forse, ero io che richiedevo troppi sforzi a me stessa e alla mia salute.
Tornai a sedermi alla sedia, di fronte alla scrivania e appoggiai il capo sulla superficie legnosa, poi chiusi gli occhi.
Avevo la sensazione che la stanza avesse cominciato a girare e portai le mani sulle tempie: avrei voluto poter fermare tutto.
Sapevo che il casino che sentivo, in realtà, era solo nella mia testa e più provavo a non sentirlo, più si faceva forte. Non avrei resistito a lungo, perciò, andai a recuperare la borsa e a prendere un’aspirina.
Avevo bisogno di acqua, perché da sola, l’aspirina faceva davvero schifo.
Mi avviai al corridoio, camminando sempre a ridosso del muro.
Mettere i tacchi non era stata affatto una buona idea ed ora potevo averne l’assoluta certezza.
Alla macchinetta c’era la fila, perciò mi sedetti sulle sedie che erano sistemate nell’atrio del piano superiore.
Volevo bere e prendere in fretta quell’aspirina e far passare in fretta il mal di testa che mi stava letteralmente forando il cervello e, inoltre, volevo poter pensare, per la prima volta in vita mia.
Se avessi pensato a cosa in realtà avevo fatto il giorno prima, forse avrei capito quali sbagli mi avevano portata ad essere ciò che ero e li avrei evitati in futuro, mentre adesso avrei cercato di rimediare.
Ce l’avrei fatta, certo: mi sarebbe bastato impegnarmi molto più del normale e mettere a tacere per un bel po’ il cervello, lasciando l’agio di parlare solo al mio cuore e prendere le decisioni che lui dettava, anche se avrebbero fatto male.
Quando un po’ di persone si allontanarono dalla macchinetta, mi alzai ed inserii la moneta, poi premetti sul pulsante dell’acqua naturale ed attesi che la bottiglina uscisse.
Dopo averla raccolta, tornai in ufficio e chiusi la porta alle mie spalle.
Sistemai l’aspirina sulla lingua e bevvi quanta più acqua possibile, per far in modo che la pillola scendesse giù per la gola e chiusi gli occhi, cercando di non pensare al fatto che mi venisse nuovamente da vomitare.
Riuscii ad ingoiare la pillala dopo qualche tentativo e pensai di essere davvero troppo debole su queste piccolezze e cominciai a spaventarmi: come avrei fatto ad affrontare l’arrivo di un figlio che avrebbe avuto la febbre, la varicella e il morbillo e quant’altro, se non riuscivo a badare a me stessa con la serietà che serviva?
Mi accomodai sul divano e stesi anche i piedi, visto che sentivo anche le gambe pesanti, poi bussarono alla porta. –Avanti.
-Herm?
-Pansy, che ci fa qui?
-Passavo per sapere come stai… è da un po’ che non ci vediamo, no?
-Sì. Sto bene, comunque, grazie. E tu?
-Molto bene.
-Oh, scusami.- dissi, sistemandomi sul divano. –Accomodati.
-Grazie.- Pansy si sedette e mi sorrise. –Ho avuto un po’ da fare con i bambini e Cedric è stato fuori.
-Tranquilla, davvero.
-Ho saputo di Henri…
-Già.
-Come stai?
-Mi sento sollevata: credo che questo sarebbe stato comunque l’unico modo per far finire il nostro matrimonio.
-Io credo che avresti solo dovuto convincerti che non c’era nulla da salvare e sarebbe stato tutto più facile anche per te.
-Può darsi.- sorridemmo. Ci interruppero i tocchi di qualcuno che bussava alla porta. –Avanti.
Vidi entrare Ginny seguita da Ron e Luna e allora cominciai a preoccuparmi sul serio. –Ciao.- mi dissero in coro.
-Che sta succedendo qui?
-Dovresti dircelo tu.- mi disse Ron, incrociando le braccia al petto.
-No, aspettiamo che arrivi anche Harry, poi vi spiegherò tutto.
-Ginny dovresti spiegare qualcosa a me, non a loro.
-Sei inclusa nella spiegazione che farò dopo, Herm.
-No, mi spieghi adesso.
-Dopo.
Restai immobile sul divano: era come se il corpo si rifiutasse di fare qualsiasi movimento gli comandasse il cervello e mi maledissi per aver preso l’aspirina, dato che non avevo per niente l’aria di una che stava soffrendo i mal di testa. –Senti, Ginny… fammi capire cos’è: una rimpatriata?
-Più o meno.
-Dovuta a cosa?- guardai ad uno ad uno i miei amici e mi resi conto che tutti avevano in mano qualcosa che aveva tutto l’aspetto di essere un regalo.
-Lo faccio per il tuo bene.
Lo faceva per me, quindi voleva che dicessi a tutti della gravidanza o, forse, lo aveva già fatto lei. Non volevo crederci, però era evidente che fosse così.
Fatto stava che poterlo dire a qualcun altro mi sembrò un’idea allettante e il fatto che qualcuno non fosse Draco poteva solo essere una cosa positiva.
Ovviamente, l’idea di Ginny di far sapere a tutti che fossi incinta includeva dir loro anche la verità e non avrei potuto sopportarlo che lo avesse saputo Draco. Avrei dovuto dirglielo, prima o poi e sapevo che quel poi avrebbe fatto soffrire il bambino e allontanato Draco dall’accettare quella verità il prima possibile: non volevo obbligarlo a fargli da padre, ma volevo che sapesse.
Solo che mi sentivo ancora troppo codarda per affrontare quei momenti anche solo con il pensiero.
Tornai a guardare i miei amici e allora trovai il coraggio di parlare. –Cos’hai lì, Luna?
-Oh, vuoi vedere? L’ho presa a Matt venendo qui.- mi disse aprendo la busta ed estraendone una tuta bianca e grigia dell’Adidas che mi piacque molto.
Allora sorrisi e mi rilassai: Ginny non l’aveva ancora detto a nessuno.
Ancora una volta, bussarono alla porta ed ero convinta che si trattasse di Harry, perciò mi alzai per aprire la porta e la rimasi socchiusa, sapendo che il mio migliore amico non aveva bisogno di tanti convenevoli.
Tornai a sedermi ed attesi un po’, fissando la porta, poi, un viso un po’ più scuro di quello dei presenti fece capolino oltre la soglia. –Blaise?- chiesi, poi mi rivolsi a Ginny. –Anche lui?
-E’ il suo migliore amico e deve sapere.
-Ginevra Weasley.
-Hermione Granger.- e finimmo lì la discussione.
Sapevo che sarebbe stato inutile continuare a discutere, per questo mi sistemai meglio sul divano e guardai Pansy che mi sorrise dolcemente.
Non volevo la loro compassione: ero una donna forte che si era immersa con le proprie mani in quella storia e da sola avrei affrontato tutte le difficoltà.
Sapevo che sarebbe finita male se avessero voluto mostrarmi la loro pietà, anche se in realtà sapevo che si trattava di affetto sincero.
-Salve.- disse timidamente Blaise, poi si appoggiò al muro accanto al divano.
Mi prese la mano e cominciò a giocare con le mie dita. Mi era mancato immensamente e non lo vedevo forse dalla festa di Ginny anche perché, da quando era tornata Lavanda, lui si era dedicato anima e corpo alla sua donna.
-Potete spiegarmi perché mi avete fatto correre qui?- dissi Harry entrando come un ciclone.
-Non lo so neanche io.- ammisi, guardando Ginny con  gli occhi ridotti a due fessure.
-D’accordo,- disse la rossa. –ora vi racconto tutto. Hermione… è tornata con Draco. Per una notte sola.- si affrettò ad aggiungere, dopo che la guardai con aria truce. –Alla festa di fidanzamento mia e di Harry. E’ stata male e lo sapete tutti quanti: inizialmente, credevo anche io che si trattasse di una ricaduta di quel che aveva avuto qualche settimana prima della festa, poi, però, i malori non smettevano e le ho suggerito di comprare un test.
-Di cosa, Ginny?- chiese Harry che aveva sempre avuto difficoltà con quelle semplici questioni femminili.
-Un test di gravidanza, Harry. Ed è risultato positivo, quindi, signore e signori, Hermione è incinta di un mese e mezzo e sappiamo benissimo che il padre non potrebbe essere Henri.
-Sei stata anche con Henri?- chiese nuovamente Harry.
-E’ mio marito, Harry…
-Era.- mi corresse Ginny. –Il punto, comunque, è che Draco sa che Hermione è incinta e sa che il bambino non è suo.
-E chi gliel’ha detto?- fu Blaise a parlare questa volta.
-Hermione.- disse Ginny, come se la conclusione fosse stata ovvia per tutti.
Avrei voluto sotterrarmi o almeno poter coprire l’imbarazzo che sentivo crescere addosso: ogni singola parola che avevo ascoltato, mi aveva fatto capire quanto in realtà la situazione fosse grave e, fino a quel momento, avevo preso tutto sotto gamba.
-E perché?
Forse, avrei dovuto parlare e dare ai miei amici qualche spiegazione. In fondo, meritavano di sapere qualcosa ed io meritavo di sfogarmi un po’. –Ho avuto paura e ne ho ancora: sapete benissimo quello che provo ancora per Draco e sapete che lui ha già una famiglia.
-Ha divorziato, Herm: la sua famiglia adesso è solo suo figlio Natan e questo che nascerà, se glielo dirai.
-Hai ragione, Blaise, ma i documenti per il divorzio sono stati presentati da poco e non voglio che si senta schiacciato da una responsabilità tanto grande.
-Vuoi precludergli la possibilità di conoscere suo figlio o di dare un padre ad un bambino?
-No, affatto.
-Beh, mi pare che lo tu lo stia facendo.- eravamo solo io e Blaise a parlare e lui poteva davvero essere l’unico ad avere voce in capitolo, visto che era il migliore amico di Draco. Tutti gli altri tacevano.
Li guardai ad uno ad uno e in ogni sguardo riuscivo a leggere delle emozioni diverse. Quello che però mi rimase impresso fu quello di Ginny: mi sembrò che chiedesse perdono.
Cosa avevo da perdonarle? Non lo sapevo, ma di certo quello che aveva combinato andava a mio beneficio: avevo bisogno di parlarne con qualcuno e non tenermi tutto dentro.
Mi ero alzata al centro della stanza, mentre tutti si erano sistemati a ridosso della parete e mi guardavano. –Non mi pare il caso di dirglielo adesso.
-E quando hai intenzione di dirglielo?
-Non lo so.
-Lui ti ama.
-Lo so…- vidi Pansy uscire e mi fece segno che sarebbe andata in bagno. Le sorrisi per quel po’ che ancora mi riusciva. Sentivo le lacrime premere per uscire ed io mi sentivo troppo debole per poterle trattenere, perciò lasciai libero sfogo al mio pianto.
-E allora cosa aspetti?- non risposi perché in realtà non c’erano risposte che potessero giustificare il mio comportamento. – Herm…
-Vi prego, voi… voi non potete capire: è tutto così complicato, così difficile da gestire ed io non ci riesco. Sento che tutto mi sfugge dalle mani e…
-Herm…- Sembrava di essere di fronte ad una giuria in tribunale. Come imputato. -Devi dirglielo.
-Gli complicherei la vita.
-E' stato lui a dirti che vuole ricominciare, no?
-Sì, ma non si aspetta di certo questo.
-Il fatto che tu sia incinta non cambia le cose.
-Senti, Herm...- disse Luna, di punto in bianco. Era stata l'unica a non dire ancora niente. -Non ti ho mai costretta a niente e, a dir la verità, avrei evitato di fare tante cose che hanno fatto Pansy e Ginny, ma su questo devo darti torto: devi dirglielo.- sentii la porta aprirsi e decretai che doveva essere Pansy che stava rientrando dal bagno. -Draco ha diritto di sapere e tu hai il dovere di metterlo a conoscenza dei fatti. Questo è anche affar suo e deve sapere...
-Cosa dovrei sapere?
Mi voltai a guardare verso la porta e avrei voluto essere risucchiata negli inferi.

Avrei voluto tante altre cose, ma non che lui mi fosse di fronte. Mi guardava con gli occhi spalancati e la bocca dritta, tutt’altro che invitante e simpatica.
Avevo paura in quel momento, paura che tutto ciò che avevo cercato di costruire intorno a me potesse crollare come sabbia accarezzata dal mare.
Dovevo farlo, adesso o mai più.
Dovevo dirgli la verità. Lo dovevo a lui, a mio figlio e a me stessa. –Potete… potete lasciarci soli.
Tutti annuirono e si alzarono lentamente dalle loro postazione e Ginny venne ad abbracciarmi. –Ti voglio bene.
-Sì, anche io.
Quando tutti furono fuori e chiusero la porta, mi ritrovai di fronte ai suoi occhi e cercai di soppesare le parole una ad una, per evitare che lui potesse fraintendere, poi mi appoggiai alla scrivania.
Proseguii lentamente sul suo corpo con gli occhi umidi di pianto, soffermandomi sulle mani e mi parve di provare nuovamente le sensazioni che avevo provato quella notte, quando avevo fatto di nuovo l’amore con lui.
Sorrisi pensando che era tutto cominciato da lì. –Cos’hai da ridere, Granger?
-Stavo sorridendo, Malfoy…
-Non ne vedo il motivo.
-Ti ho mentito.
-Su cosa?
-Tante cose… ma, non è come credi?
-Ah no? E come dovrebbe essere? Sei venuta a letto con me, per cosa? Per dirmi addio?
-No, perché lo desideravo.
-Come desideravi entrare nel letto di un altro uomo che ti ha messa incinta?
-Draco, ascoltami…
-No, ascoltami tu: credevo che ci sarebbe potuto essere un futuro per noi, che non tutto era finito sei anni fa… invece…
-Sei tu il padre.- l’avevo detto tutto d’un fiato, per evitare di pensarci troppo e trovarmi con la stupida idea di tacere.
-Come no, sono io il padre! Ed io che ero felice che tu piacessi tanto a Natan e progettavo di dirglielo che ti amo ancora.- sapevo che sarebbe andato avanti così per un bel po’, perciò lo lasciai fare: se ne sarebbe accorto da solo. –Quando mi ha detto che voleva che io e te ci mettessimo insieme, mi sono sentito al settimo cielo, perché sapevo che il mio amore per te non avrebbe deluso mio figlio. E sono rimasto con il fiato sospeso fino ad ora per sapere cosa ti avesse chiesto lui ed ora mi sento dire che sono io il padre.- concluse, con il respiro pesante. Poi, lo vidi cambiare espressione e poco alla volta, il rosso che gli aveva colorato il viso sparì. –Sono io il padre?
-Sì…- abbassai gli occhi, perché non sapevo davvero che tipo di reazione aspettarmi.
Sentii i suoi passi pesanti avvicinarsi, poi mi ritrovai stretta tra le sue braccia. –Dimmi che non stai scherzando.
-E’ la verità, Draco.- alzai lentamente lo sguardo, dopo che lui mi aveva messo le mani sul viso e muoveva le dita come a volermi accarezzare.
-Ti amo ‘Miò.- e mi baciò con tutta la rabbia che non era riuscito a sfogare ed io mi lasciai andare.
Quanto mi sarebbe costato rinunciare di nuovo alla mia felicità? Troppo. E non potevo essere sempre io a rimetterci: una vita insieme a lui era uno scambio equo con un po’ di dolore e una litigata epica con mio marito, una volta che gli avrei detto tutta la verità.
Mi chiedevo se sarebbe mai sparito davvero dalla mia vita.
E poi c’era mamma… chissà in che maniera l’avrei delusa. Una vita con Draco, però, valeva anche questo.

 

 Spoiler capitolo 38:

Mi ero svegliata con la sensazione che mancasse un solo tassello al mio puzzle perfetto e ad avevo continuato a sentirmi così per tutta la giornata, per questo volevo che le parole di Ginny fossero la verità. -Ero io al telefono...
-Io l'ho sentita quella frase, Ginny ed ho paura.
-Ti sentivi così anche quando dovevi dirlo a Draco e guardati adesso: sei stupenda.
-Grazie.
-"Delusione"- dissi, virgolettando la parola con le mani. -per quanto riguardava la tua decisione di tornare con Henri. Tua madre adoro Draco.
-Dici?
-Dico, dico.

***
Angolo Autrice:

Salve a tutte. Sono tornata.
Volevo dirti che sono talmente felice del numero di lettori che sta registrando questa storia che mi metterei a saltare xD.
Passiamo ai personaggi:
-Hermione: finalmente si è svegliata ed ha detto la verità, però c'è ancora una piccola cosa che la preoccupa;
-Ginny: ma come fa a pensare a tutte queste cose?;
-Luna: è una santa;
-Ron: in questo capitolo e nella storia in generale mi è davvero simpatico, voi cosa ne pensate?;
-Harry: mi fa morire dal ridere;
-Pansy: il suo non parlare è dovuto al fatto che rispetta la sua amica e in quanto psicologa non vuole esprimere giudizi che potrebbero influenzare le sue scelte;
-Blaise: credo che siate tutte d'accordo con me sul fatto che è unico;
-Draco: non ho davvero nulla da dire su di lui: è sempre perfetto e in questo capitolo lo ho adorato.
-Lo spoiler: cosa ne pensate?

Ringrazio le 119 seguite, le 58 preferite e le 14 ricordate.
Grazie anche ai lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream

 

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Capitolo 38
*** Pomeriggio insieme... ***


Pomeriggio insieme

Hermione POV
Mai in vita mia mi ero sentita così.
Il sole mi accarezzava gli occhi, mentre il cinguettio degli uccelli mi solleticava le orecchie e mi faceva sorridere.
Marzo era un mese piovoso e Londra non era di certo la città del sole, ma la giornata appena cominciata si preannunciava fantasticamente: sembrava primavera inoltrata.
Spostai le coperte e poggiai i piedi sul pavimento, facendo attenzione a non inciampare nello scendiletto.
Mi sentivo anche un po’ goffa, ma era una sensazione bellissima: camminavo piano, mi voltavo lentamente e facevo attenzione a ciò che mangiavo per difendere un esserino che era poco più grande di un cuore umano. O, forse, era ancora più piccolo dell’organo vitale di ogni uomo.
Era già quello per me: era fondamentale la sua presenza, come se fosse stato davvero il mio cuore o i miei polmoni.
Quando arrivai in bagno, mi guardai allo specchio e sorrisi. Mi vedevo bella, felice.
Legai i capelli in una coda disordinata, poi tornai nella mia camera.
Spostai la tenda ed aprii la finestra, respirando i profumi di Marzo e accogliendo sul viso i tiepidi raggi del sole mattutino.
Mi fermai per un po’ a guardare le auto che passavano nel viale, le signore che passeggiavano a piedi e i bambini che giocavano nel cortile di fronte. Ce n’era una che era davvero dolcissima: aveva dei bellissimi boccoli biondi, legati in due trecce ed un viso paffuto, così tenero che avrei voluto riempirlo di baci.
I bambini erano la cosa più bella dell’universo e non solo per la loro innocenza, ma anche per il suono delle loro risate, per la loro curiosità, per i loro occhi grandi di fronte alle cose nuove. Erano meravigliosi.
Il cellulare prese a suonare e andai a prenderlo dal comodino. –Pronto?
-Buongiorno.
-Buongiorno!
-Dormito bene?
-Benissimo. Tu?
-Anche… mi sei mancata.- era stupendo sentire la sua voce assonnata e roca. –Mi sono appena svegliato.
-L’avevo capito.
-Senti, ‘Mio… oggi sei libera, a ora di pranzo?
-Mmh, fammi pensare un secondo… No, non credo.
-De- devi vederti con qualcuno?
-Più o meno.
-Oh, d’accordo, allora… fa niente. Sarà per la prossima volta.
-Già.
-Hai… dormito bene?
-Me lo hai già chiesto.
-Sì, è vero.
-Hai fatto colazione?
-Non ancora?
-Dovresti mangiare, lo sai?
-Sì, lo so. Vado tra un po’.
-Chi è?
-Dove?
-No, dico… con chi devi vederti?
-Beh, sai, non è ancora confermato…
-Come mai?
-Non so se sia libero a quell’ora o meno.
-Quindi, è un uomo?
-Certo che è un uomo…
-Granger, sul serio, chi è?
-Ha i capelli biondi, sempre un po’ spettinati…
-Mi prendi in giro?
-No.
-Mi stai chiedendo un appuntamento?
-Mh…
-Granger?
-Sì.
-Sì, cosa?
-Ti sto chiedendo un appuntamento.
-Mmh… fammi pensare. Oggi?
-Sì.
-A ora di pranzo?
-Sì.
-No, mi dispiace, ho un impegno.
-Davvero?
-Sì.-Ci ero rimasta male ed avevo messo il broncio. –D’accordo, fa niente.
-Sono davvero molto impegnato a quell’ora.
-Ok.- avrei voluto chiedergli cos’aveva di meglio da fare che stare con me, ma rimasi in silenzio.
-Devo incontrare due persone molto importanti.
-Va bene. Ora, vado a fare colazione: lo stomaco reclama.- lo dissi ridendo, per nascondere il nervosismo e la collera che provavo.
-Ok. Mi raccomando…
-A cosa?
-A voi: oggi voglio passare tutta la giornata con voi.-Oh.- mi ritrovai a sorridere come un’ebete, a ticchettare le dita della mano contro il mobile e a dondolare i piedi sollevati da terra, visto che
mi ero seduta comodamente sul letto. –Va bene.
-A dopo. Ti amo.
-A dopo.- posai il cellulare e mi stesi nuovamente sulle lenzuola.
Quella sensazione di leggerezza mi portava indietro con gli anni. Mi sentivo come quando ero bambina ed ero felice per una sorpresa ricevuta o per aver imparato un nuovo gioco.
Mi alzai e poggiai la trapunta sul davanzale per farle prendere un po’ d’aria prima di lavarla e feci la stessa operazione per le lenzuola e le federe dei cuscini.
Aprii l’armadio e guardai un po’ tra le coperte che c’erano lì dentro. Ne avrei presa una più leggera, perché cominciavo a sentir caldo la notte.
Guardai ancora un po’, ma l’indecisione era parte integrante del mio carattere, anche nelle cose più banali, come potevano essere la scelta del dentifricio, l’accappatoio da usare e cose del genere.
Ero un’indecisa cronica, non c’era altro da dire.
Decisi comunque di spolverare la scrivania e rimettere in ordine le cianfrusaglie che c’erano sulla sua superficie: comincia a spostare gli orecchini e le collane, riponendole in un bauletto di legno, dove tenevo tutti oggetti simili.
Mi sentivo finalmente una donna realizzata: quando ero in Francia, non amavo pulire la casa, renderla presentabile a possibili ospiti, perché non c’era nessuno che tornava la sera e si accorgeva che qualcosa era cambiato, che era diverso. Vivere la mia casa, insieme a mio marito, renderla accogliente e calorosa era ciò che avevo sempre desiderato, ma non avevo scelto un uomo con cui poter condividere le piccolezze della vita.
Anche per questo avevo cominciato a trascurare me stessa.
Ora, invece, avevo voglia di fare di tutto e di più.
La sveglia sul comodino segnava mezzogiorno preciso ed io dovevo ancora rifare il letto e fare una doccia, vestirmi e truccarmi.
Suonarono al campanello e sentii mamma aprire la porta e salutare.
Mamma. Il macigno che pendeva dal mio cuore cadde sullo stomaco e mi parve quasi di sentire il rumore di qualcosa che andava in frantumi.
Il mondo magico della leggerezza e delle felicità, probabilmente, esisteva solo tra le pareti rosa della mia camera: oltre quella porta, c’erano i sensi di colpa e le paure che non avevo il coraggio di affrontare.
Ginny mi salutò stringendomi forte. –Che ci fai qui?- le chiesi, realmente meravigliata.
-Sorpresa.
Sorrisi quando mi accarezzò la pancia. –Comincia a vedersi, eh?
-Un po’.
Ero felice di poter provare la gioia di diventare madre: era una prerogativa che mi ero privata quando avevo deciso di sposare Henri, perché almeno sul fatto che non potesse avere figli era stato sincero sin dal primo momento; d’altra parte, forse, diventare madre avendo accanto un uomo come lui mi spaventava: come avrei potuto far vivere un bambino in un ambiente distaccato e violento rispetto alla realtà che lui avrebbe dovuto vivere?
Non mi ero mai privata di immaginare la mia vita con Henri e con un figlio, ma non mancavano le immagini in cui lui mi picchiava o mi urlava contro in presenza del bambino.
Se avessi fatto un figlio con lui, probabilmente, avrei avuto una mente malata… anche se, forse, ce l’avevo realmente visto che avevo deciso comunque di sposarlo.
Poggiai anche io la mano sulla pancia, stringendo tra le mie dita quelle di Ginny.
-Ho paura
-Di cosa?-Non mi sento completa.
-Per tua madre?
-Sì… io vorrei dirglielo, ma… non posso, Ginny. Rovinerei tutto e… la deluderei.
Mi ero svegliata con la sensazione che mancasse un solo tassello al mio puzzle perfetto e ad avevo continuato a sentirmi così per tutta la
giornata, per questo volevo che le parole di Ginny fossero vere. -Ero io al telefono...
-Io l'ho sentita quella frase, Ginny ed ho paura.
-Ti sentivi così anche quando dovevi dirlo a Draco e guardati adesso: sei stupenda.
-Grazie.
-"Delusione"- disse, virgolettando la parola con le mani. -per quanto riguardava la tua decisione di tornare con Henri. Tua madre adoro Draco.
-Dici?
-Dico, dico.
La abbracciai e la sentii dire,
sospirando, che ce l’avrei fatta e sorrise.
La imitai e la strinsi più forte.Come avrei fatto senza di lei? Come avrei affrontato tutte le difficoltà se lei non fosse stata accanto a me?
Quando ero in Francia, avevo sentito tantissimo la mancanza di tutti gli altri, ma la sua quasi mi toglieva il fiato, come quella di Draco.
Inizialmente, le telefonate tra noi duravano ore, ma per via di Henri e del lavoro di Ginny, i contatti erano diventati più radi, fino a sparire del tutto. A volte anche per mesi interi.
Ora era con me. Non l’avrei lasciata più.
-Gin?
-Sì?
-Vuoi aiutarmi?
-Certo.
-Draco mi ha invitata a pranzo e non so cosa indossare.
-A pranzo soltanto?
-Non lo so.
-Non gliel’hai chiesto?
-No.- abbassai lo sguardo, vergognosa del fatto che ero talmente felice di parlare con lui al telefono che, a volte, dimenticavo anche di respirare. Presi comunque il cellulare e premetti il tasto che inviava la chiamata.
Gli squilli si susseguivano troppo lentamente e, non so per quale motivo, sentivo l’ansia crescere dentro. –Pronto?
-Malfoy! Quanto ci vuole per rispondere?
-Scusa, avevo il cellulare in tasca.
-Oh, scusami tu.
-Dimmi.
-Volevo… volevo chiederti se oggi…- mi sentivo imbranata come una ragazzina alla prima cotta. Ginny mi invogliava con la mano a
proseguire. –cammineremo molto?
-Abbastanza, perché?
-Ok, a tra poco.- staccai la telefonata senza neanche aspettare la risposta e senza dargliene una, gettando il cellulare sul letto ancora sfatto e mi coprii il viso.
-Herm!
-Oh mio Dio, che domanda stupida!
Scoppiammo entrambe a ridere fino alle lacrime. –Sei sempre stata così?
-Non lo so.- riuscimmo a dire dopo vari tentativi di parlare. Ovviamente fallivano uno dietro all’altro.
Tentammo di ricomporci, per quello che almeno ci era possibile: Ginny aveva il mascara colato sotto gli occhi e parte della matita e dell’ombretto era finita sulle guance, trascinata dalle mani che cercavano di portare via le lacrime.
-Cammineremo molto.- continuava a ripetere Ginny, alzando gli occhi al cielo.
Cosa avevo detto di male?
Certo, avrei potuto chiedere tante, tantissime altre cose, ma mi sarebbero comunque sembrate domande troppe stupide.
No, non sarebbe stato proprio così, perché se gli avessi chiesto dove saremmo andati, magari, la telefonata sarebbe sembrata più sensata.
–Hai intenzione di prendermi in giro ancora per molto?- chiesi, fintamente offesa.
-No, solo qualche altro minuto, giusto il tempo per decidere quali mutande dovrai indossare.
Erano già passati quarantacinque minuti.
Mi alzai dalla sedia e mi avvia al cassetto dell’intimo, scegliendo a caso slip e reggiseno, poi mi avviai in bagno.
Aprii il getto dell’acqua e riempii l’acqua con un bagnoschiuma alla vaniglia: mi sentivo tranquilla e volevo che il profumo della mia pelle descrivesse perfettamente quello che avrebbe avuto anche il mio stato d’animo.
Pensieri strani di una donna che si avviava a vivere il momento più bello della sua vita.
Attesi che l’acqua arrivasse al bordo della vasca, poi mi immersi, calandomi poco alla volta e tenendo ben strette le mani sulla porcellana della vasca. Un’azione che facevo regolarmente da un mese e mezzo.
Mi sentivo quasi fiera di me stessa per le attenzioni che dedicavo a mio figlio, senza che nessuno me lo avesse insegnato, ma, ovviamente, sapevo che quelle erano cose che chiunque avrebbe potuto fare.
Avrei dovuto comprare un libro sulle donne in gravidanza!
Sentivo Ginny trafficare nell’altra stanza e le porte dell’armadio aprire e chiudersi in continuazione. Prestai per un po’ la mia attenzione, per capire cosa stesse succedendo oltre quelle pareti sottili, ma non riuscivo a collegare il ticchettio che producevano i tacchi vertiginosi di Ginny e il resto dei rumori.
Probabilmente ero già partita per il viaggio di relax che puntualmente partiva dal mio bagno per giungere a mete lontane e desiderate.
Nessuno scalo, volo diretto. Andata e ritorno.
Ogni suono si affievolì fino a sparire e poggiai il capo sul bordo, facendo aderire perfettamente le spalle allo schienale della vasca.
Era una sensazione meravigliosa: mi sentivo presente con il corpo nel mondo in cui vivevo e i miei sensi erano svegli, ma la mente era in tutt’altra parte del mondo, con altre persone, con altri costumi.
Mi sarebbe piaciuto poter visitare l’India o, magari, il Madagascar… mi sarebbe piaciuto fare un viaggio, in qualsiasi posto del mondo, tranne Parigi.
Parigi era una città che avevo sempre adorato, ma trascorrere lì sei anni della mia vita insieme ad una persona che non avevo mai amato e che mai aveva amato me, mi aveva permesso di scorgere non solo il bello di quella città: i latin lover, gentiluomini francesi non esistevano realmente, come in ogni altro luogo.
Non so perché avevo sempre creduto che non fosse così. Henri mi era apparso dal primo giorno come il mio salvatore, il principe che mi avrebbe portata al sicuro dall’oscurità della foresta e non mi ero resa conto che la foresta che tanto mi spaventava era la sua casa.
Sentii l’acqua incresparsi sulla pelle, dato che avevo mosso le gambe per stendere un po’ i muscoli. Mi beai di quel piacevole dolore che provocavano i miei muscoli un po’ indolenziti, poi un bel po’ di schiuma mi colpì in pieno viso.
Aprii gli occhi, spostando la schiuma dagli occhi e dalla bocca e vidi Ginny che sorrideva, seduta sul bidet.
-Ho rifatto il letto: ti ho cambiato le lenzuola ed anche la trapunta. Mi dispiaceva vederlo così…
-Oh, Gin, grazie, ma non dovevi.
-Ti ho anche preparato qualcosa da indossare, perché, è vero che sei migliorata molto in gusto di vestiti, ma questa è una giornata particolare…
-Non mi hai mica preparato un abito da sera?
-Hey, lasciami finire.
-D’accordo. Prego, continua.
-E’ una giornata particolare, ma sei bellissima pur essendo semplice, quindi, niente tacchi, niente gonne o abiti da sera.
-Grazie.
-Lo faccio per il mio nipotino o nipotina.- sorrise, di un sorriso che gli illuminava gli occhi e lo stesso feci anche io.
Non era possibile che mi sentissi così felice, non era possibile che davvero stessi vivendo una vita tranquilla.
Scossi la testa per allontanare quel pensiero, ma la paura che la mia piccola bolla di felicità fosse stata troppo fragile per sopportare le avversità era davvero grande.- Harry dov’è?- chiesi. Mi interessava visto che non lo avevo neanche sentito.
-Dove vuoi che sia? Aveva ragione Malfoy quando lo chiamava "San Potter"- imitò malamente la voce di Draco.- è sempre lì a lavorare, a sperare che succeda qualcosa di brutto affinché lui possa intervenire e salvare la situazione.-E’ fatto così.
-Soffre di mania di grandezza!- concluse.
-Può darsi.
-Tu, invece, soffri di bradisismo.
-Eh?
-Sei lentaaa. Vuoi muoverti? Sai che ore sono?
-No.
-E’ ora di pranzo.
-Oh Cristo!- mi ero levata su con troppa fretta, tanto che la testa cominciò a girare, ma mi aggrappai a Ginny e mi avvolsi nell’accappatoio.
Sorrisi per rassicurarla, ma mi tenetti a lei finchè non arrivammo a letto su cui lei aveva sistemato un completo di jeans ed una canotta.
Aveva sistemato il letto perfettamente ed aveva scelto una delle trapunte più belle; le lenzuola le avrei viste quando sarei andata a dormire.
La abbracciai forte, sentendo le lacrime premere per uscire. –Mi soffochi, Herm.
-Scusami. Emh… grazie.
-Figurati.
Mi vestii in silenzio, sotto lo sguardo attento e strano –allarmato?- di Ginny: aveva gli occhi spalancati e la bocca serrata in una retta perfetta.
Mi chiesi anche perché mi guardava in quel modo, mentre mi truccavo, ma non ebbi il coraggio di chiederlo a lei, perciò continuai in quello che stavo facendo.
Soffiai via un po’ di fard dal pennello e lo passai sugli zigomi, per dare loro la possibilità di sembrare un po’ più alti.
Da quando ero arrivata a Londra avevo messo un paio di chili, ma li avevo ripersi subito dopo l’arrivo di Henri: ero tornata ad essere la sposa cadavere, come mi definiva sempre simpaticamente la nonna di Henri. Di tutta la famiglia, lei era l’unica a cui avevo voluto un bene dell’anima, poi, era andata via e mi aveva lasciata sola in quel covo di "serpenti a due facce". Sempre parole sue.
La gravidanza, però, mi regalava qualche etto in più, poco alla volta. Speravo solo di non diventare un pallone tanto da nascondere addirittura il pancione o, magari, farlo passare per un pancione gonfio di grasso invece che per un pancione riempito da un figlio che avevo desiderato
per anni.
Sistemai i capelli nella coda che avevo tirato su poche ore prima, poi, feci una giravolta su me stessa, per dare alla mia migliore amica la
possibilità di guardami.
Fece solo uno strano movimento con la bocca, poi annuì, senza dir niente.
Ci rimasi un po’ male, perché volevo che mi dicesse cosa pensava, come stavo o se avevo esagerato con il trucco, ma niente, continuò a restare in silenzio.-Ho voglia di un caffè.- esortai, tanto per spezzare quell’imbarazzo.
-Sì, anche io.
Scendemmo le scale e trovai mamma che trafficava ancora per il salotto, con in mano la sua tazza bianca. –Buongiorno.- mi salutò con un
bacio.
-Non sei andata a lavoro?
-Ci vado adesso, anzi, puoi prendermi il cappotto? Ho avuto delle cose da sistemare prima… Tu esci?
-Sì.
-Dove vai di bello?
Guardai Ginny e capii dai suoi occhi che, secondo lei, quello era il momento perfetto per dire tutta la verità. –Andremo un po’ in giro. Una
specie di rimpatriata al femminile.
-Ci sarà anche Daphne?
-Non lo so… magari le telefono.
-Fallo adesso, così ne approfitto per salutarla.
Merda! E ora?
Sorrisi e presi il telefono dalla base, poi, digitai il numero di Daphne.
Mi sentivo terribilmente in colpa per aver mentito a mamma, ma, nonostante le parole di Ginny e la devozione che mamma più di una volta aveva espresso nei confronti di Draco, la paura ebbe la meglio sul mio coraggio.
Mi resi conto che qualcuno aveva risposto dopo il secondo "Pronto."
-Hey, Seamus. Buongiorno.
-Chi è?
-Hermione.
-Oh, ciao… scusami, tutto bene?
-Sì, benissimo. A voi?
-Bene, bene.- il silenzio che seguì fu imbarazzante almeno quanto lo sarebbe stato ballare la conga in mezzo ad un cerchio di uomini armati.
–Cercavi Daphne?
-Sì, grazie.
Sentivo le loro voci, ma non capivo quello che stavano dicendo: solo dal tono, riuscì a capire che mia cugina fosse affaticata.
-Pronto?
-Scusa se ti ho disturbata, davvero.
-Ma no, come stai?
-Benissimo… senti, Dà volevo farti una proposta.- Fa che rifiuti, fa che rifiuti. –Ti andrebbe di uscire un po’?
-Oh, Herm… tra un po’ comincio il turno.
-Tranquilla, non fa niente.
-Mi dispiace, davvero.
-Non ti preoccupare, sarà per la prossima volta.
-D’accordo.
-Mamma voleva salutarti.
-Davvero? Su, passamela.
Diedi il telefono a mamma e mi avviai in cucina a prendere il caffè per me e Ginny.
Esultai e, se avessi potuto, avrei ballato davvero la conga e il can-can.
Bevvi il caffè lentamente, attendendo che mamma andasse via: salutò me e Ginny e mi avvisò che le sarebbe servita l’auto, poi chiuse la porta alle sue spalle.
-Quando glielo dirai?
-Non lo so ancora.
-Certo che, se Daphne avesse accettato…
-Non voglio neanche pensarci, credimi.
Il cellulare prese a squillare e lo estrassi dalla borsa, guardando per un po’ il nome che appariva ad intermittenza sul display: non riuscivo ancora a credere di poter ricevere di nuovo le sue telefonate.
Credevo di essermi abituata al suo silenzio, in sei anni trascorsi lontano da lui, e invece, proprio quando avevo capito di non averlo mai dimenticato, mi ero resa conto di quanto in realtà mi mancassero le sue attenzioni.
-Pronto?
-Ciao.- disse. Dalla voce sembrava che stesse ridendo.
-Ciao.
-Sei pronta?
-Sì… quasi.- specificai per non sembrare una ragazzina che si prepara dieci ore per il suo primo appuntamento.
-Sono fuori casa tua. Fa con calma.
-D’accordo.- attaccai la telefonata e mi ritrovai con le mani sulle guance a sorridere come una demente.
Non volevo sembrare una ragazzina alle prese con la sua prima cotta, né una che si preparava dieci ore prima per il suo appuntamento. Non volevo sembrare ciò che in realtà ero diventata da quando Draco mi aveva confessato di amarmi ancora.
Ginny mi prese sottobraccio, mentre io continuavo a tenere l’espressione di poco prima, poi, prima di aprire la porta, si fermò e poggiò le sue mani poco più su dei miei gomiti. –Devi essere felice. Ti voglio bene.- mi strinse forte ed io la strinsi a me.
-Andiamo.
Uscimmo dalla porta e Ginny salutò Draco con la mano. –Ciao rossa.- esordì lui.
Antipatico. Era sempre il solito, non sarebbe cambiato mai.
La mia migliore amica gli regalò una linguaccia degna di quel saluto, poi sparì con la sua auto.
Draco mi venne incontro e mi salutò con un bacio a fior di labbra e mi accarezzò la schiena. Il suo tocco riusciva ancora a farmi rabbrividire: non avrei mai creduto di poter provare ancora una sensazione del genere.
Mi scorsi per approfondire il bacio, ma lui era già allontanato dalle mie labbra.
Mi aprì la portiera ed attese che mi accomodassi sul sedile del passeggero prima di fare il giro dell’auto e sedersi sul sedile del guidatore.
Quando richiuse la portiera mi guardò con la stessa espressione con cui mi aveva guardata Ginny mentre mi truccavo.
Probabilmente, dovevo avere un aspetto orrendo, visto che anche lui mi guardava in quel modo: gli occhi spalancati, la bocca dritta.
Poggiò una mano sul mio ventre e l’altra sulla guancia, poi si sporse per baciarmi.
Gli lasciai immediatamente libero accesso e quando la sua lingua carezzò la mia, mi sentii come se stessi per esplodere dal desiderio che avevo avuto della sua bocca.
Continuò a baciarmi per un tempo indefinito, poi mi staccai, perché necessitavo di una buona quantità di aria. Nell’auto, galleggiava l’odore del suo dopobarba e me ne riempii i polmoni più che potevo, per paura che avrei potuto dimenticare quel profumo, poi lo guardai di sbieco.
Perché prima ti sei allontanato?
-Granger, questi sono atti osceni in luogo pubblico. Dovresti sapere meglio di me quali rischi si corrono in caso di denuncia.
-Oh…- rimasi senza parole. Per un momento, avevo creduto che non mi desiderasse più, che già fosse stanco di avermi per sé.
Sorrisi, mentre lui si avvicinò per baciarmi ancora allo stesso modo o, magari, anche meglio del bacio precedente.

 

§

 

 
Ci eravamo seduti su una delle tante panchine del Green Park, uno accanto all’altra e lo avevo abbracciato forte.
Avevamo anche mangiato e avuto una specie di discussione: Draco voleva per forza che mangiassi sano e pulito, mentre io avevo una gran voglia di hot-dog, quelli del carretto che c’era fuori al parco. Aveva provato a convincermi dicendo che tutto quel cibo malsano avrebbe fatto male al bambino e sapevo che aveva ragione, ma io volevo l’hot-dog.
Anzi, il punto era proprio quello: era il bambino a volerlo.
Alla fine, comunque, aveva ceduto e mi aveva offerto ciò che volevo, facendomi promettere che però non avrei aggiunto alcuna salsa.
Mi aveva accarezzato i capelli prima e baciato poi, voltando il mio viso verso il suo.
Mi guardava negli occhi, senza dire nulla, come dal grigio nuvoloso delle sue iridi fosse capace di farmi capire quali fossero i suoi pensieri, come se avesse paura di dirli ad alta voce.
Sorrisi e mi allungai a posare le mie labbra sulle sue.
Stavo bene, ero felice e continuavo a chiedermi come avessi potuto privarmi di tanta gioia? Come avevo fatto a sopravvivere senza di lui? E come avevo potuto pensare di averlo dimenticato.
-Vuoi un cappuccino?
-Sì.
-‘Mio…
-Mh?
-Sei bellissima.- e si allontanò per andare a prendere il mio cappuccino e, ovviamente qualcosa per lui.
Sentivo l’emozione per quelle parole fermarsi in gola e, quando ormai ero sola, lasciai che qualche lacrime scivolasse sul mio viso.
Tutto quello che stavo vivendo da due giorni mi sembrava troppo surreale, troppo bello per essere vero.
Prima di allora, non mi ero mai reso conto di quanto la presenza di Henri fosse un ostacolo a tutto ciò che avevo sempre desiderato, eppure, avevo insistito ad averlo accanto, a restare con lui, a provare e riprovare. Tutto inutile. E dannoso, ma solo per me.
E, da quando l’avevo lasciato, anzi, da quando avevo capito di amare ancora Draco, non mi ero permessa del tempo per restare da sola, perché volevo essere felice, finalmente felice. Non m’importava di quello che avrebbe pensato la gente. Mi importava solo di me, di mio figlio e di Draco.
Gli occhi, le critiche degli altri, soprattutto di quelle persone che non erano all’altezza di giudicarmi, erano al di fuori della mia bolla di felicità e non avrei permesso a nessuno di creare neanche un minimo graffio alla sfera n cui vivevo.
Quando Draco tornò con in mano un cappuccino, una brioche e un caffè semplice, mi trovò in una posizione leggermente diversa: avevo poggiato sulla panchina la parte alta del sedere, in modo da poter poggiare la testa sullo schienale. Mi sorrise.
-Ciao.- lo salutai con un dono di voce che avrebbe avuto chiunque si fosse svegliato da poco. In realtà, ero solo stata troppo tempo in silenzio, mentre piangevo.
-Stanca?
-No.
-Tieni.- mi porse il cappuccino e la brioche. –Ho pensato che avessi fame.
-Shì.- dissi, tenendo in bocca un pezzo di quella goduria.
Era una brioche semplice, vuota, ma aveva un sapore superbo: lo zucchero a velo sulla superficie oleosa la rendeva perfetta.
Un sapore così dolce, così effimero era… non avevo termini per definirla, ma, semmai sarebbe venuta la fine del mondo, avrei portato in salvo con me tonnellate di brioche.
Draco era rimasto lì a guardarmi, con la bocca spalancata. –Oh mio Dio, dovevi proprio aver fame.
Non ne aveva presa una di brioche, ma ben cinque e le avevo mangiate tutte io, dando a lui solo un pezzo di quella che avevo in mano. Lo avevo preso e mangiato, giusto per assaggiarlo e provare se tutto quello che avevo detto riguardo al sapore meraviglioso che aveva quel dolce fosse vero, poi mi aveva sorriso.
-Passeggiamo un po’?
-Ok.- mi aveva preso per mano, attendendo con pazienza che sistemassi la borsa e il resto che era davvero inutile sistemare, dato che non era fuori posto, però, volevo passare quanto più tempo con lui.
Forse, avevo davvero sbagliato tutto nella mia vita, ma ero decisa a recuperare tutti i miei errori ed evitare di farne altri, perché non avevo più voglia di farmi passare la voglia di desiderare qualcosa, perciò, se in quel momento desideravo amare Draco, lo avrei amato.
E se avessi desiderato mangiare un enorme frappè a fragola lo avrei mangiato.
Oooh, un frappè a fragola
-Cosa?- mi chiese Draco.
Probabilmente, dovevo aver pensato ad alta voce. –Niente…
-Hai detto "frappè a fragola"?
-L’ho pensato!-Perché lo vuoi?
-No, l’ho pensato perché… l’ho pensato e basta.
-Dai…
-No, davvero.
-‘Mio…
-Dico davvero.
-‘Mio…
-Oh, e va bene: ho una gran voglia di frappè a fragola.
-Andiamo!- mi aveva cinto le spalle con un braccio e ancora una volta mi aveva baciata.
Mi ero fermata- credevo all’ombra di qualche albero visto che non sentivo più il calore del sole pomeridiano sul viso- per baciarlo come meritava e soprattutto come io desideravo: la sua bocca mi era mancata tanto che, per tanto tempo, avevo evitato di baciare mio marito. All’inizio era stato così.
In quel periodo, provavo una gran tenerezza per lui e per le attenzione che mi dedicava continuamente, senza che io ne ricambiassi una. Poi, tutto era cambiato.
Scossi la testa e ripresi a baciare Draco con tutta la passione che avevo in corpo, privandomi quanto più possibile dell’aria che c’era intorno.
Quando proprio non ce l’avevo fatta più, avevo poggiato la fronte sul suo naso ed avevo respirato il profumo della sua bocca, della sua pelle. Lo desideravo, lo desideravo con tutta me stessa: desideravo fare l’amore con lui e sentirlo addosso, senza freni inibitori.
-Draco…
-Mh?- avevamo ancora le labbra incatenate a quelle dell’altra, ma sentivo il bisogno di dirglielo.
-Ti voglio.
-Mmh.- mi strinse di più a sé, in modo da far combaciare perfettamente al suo corpo.
Il suo profumo, ancora una volta, mi investì i sensi e mi resi conto che realmente mi faceva girare la testa e lo stomaco, nonostante fosse bellissimo.
Mi staccai dalle sue labbra. –Scusami…
-Per cosa?
-Credo di avere un po’ di nausea.
-Vuoi tornare a casa?
-Sì.
Non c’era offesa sul suo viso, né felicità. Solo preoccupazione: forse, pur avendo già vissuto questi momenti, si sentiva impacciato e spaventato dagli improvvisi sbalzi d’umore che una donna incinta poteva avere.
Gli sorrisi e gli strinsi le mani. Mi sentivo in dovere di ringraziarlo, perché in soli due giorni mi aveva dato quello che Henri non mi aveva mai dato in sei anni, ma mi risultava davvero difficili trovare parole che avrebbero potuto rendere spiegabile tutta la gratitudine che provavo verso di lui.
Il confronto tra lui e Henri sarebbe stato sempre presente nella mia mente, ma Draco avrebbe stravinto alla grande. Sempre.
Arrivammo all’uscita del Green Park ancora mano nella mano e Draco aveva il volto più rilassato: la piccola ruga che gli si disegnava sulla fronte era sparita e mi sentì sollevata anche io, perché non volevo dargli noie, né farlo preoccupare per un po’ di nausea. Certo, avevo paura di vomitare, ma, prima o poi, sarebbe finito tutto.
-Ti senti un po’ meglio?- mi chiese quando entrammo in auto.
-Decisamente. Grazie.- era poco, troppo poco: non aveva senso ringraziarlo con un semplice "grazie".
-Di niente. Ti amo e lo sai che farei di tutto. Per voi.
Non avrei mai saputo essere come lui, nelle parole, nei gesti e in tutto quello che lo rendeva perfetto.
Lo amavo anche per questo.
Sentii le fusa del motore solleticarmi le gambe ed arrampicarsi sulla schiena e chiusi gli occhi, facendomi cullare da quel massaggio dolce e rilassante. Distesi le labbra in un sorriso. –Quest’auto è una beauty farm.
Sentii il soffio del suo riso riempire il silenzio attorno, allora aprii gli occhi e lo guardai: aveva lo sguardo puntato sulla strada che scivolava sotto le ruote dell’auto, e una mano sul cambio, stretta attorno alla mia.
Erano i piccoli gesti che mi dedicava che mi facevano sentire così importante, come se per lui fossi vitale come lo era l’aria: cercava sempre di stare in contatto con me e, anche quando era lontano, mi osservava, mi studiava e mi sorrideva.
Quando era a lavoro, mi telefonava per chiedermi come stavo, se avessi bisogno di qualcosa. Eravamo tornati insieme solo da due giorni, ma avevo capito che era tutto ciò che volevo sempre nella mia vita. Ogni giorno, ogni istante.
Avevo chiuso di nuovo gli occhi, beandomi delle carezze che Draco si prodigava fare sul dorso della mia mano e del massaggio che partiva dal motore dell’auto.
Anche la musica mi aiutava a rilassarmi, visto che era poco più alta di un sussurro.
Sentii l’auto rallentare e sentii l’ansia crescere, perché ero convinta che fossimo già arrivati a casa e che avremmo già dovuto separarci e ciò trovò conferma quando Draco mi baciò.
La frenesia con cui sentii le sue labbra premere sulle mie mi spaventò e allora aprii gli occhi, staccandomi da lui.
Tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che eravamo fermi in mezzo al traffico e non fuori al cancelletto di casa, allora sorrisi ancora. –Sai che questi baci potrebbero provocarmi un infarto.
-Sai che per tanti anni ho sperato che questo accadesse.- e mi baciò ancora.
Gli posai le mani sul petto e, ancora una volta, lo allontanai. –Hai sperato che mi venisse un infarto?
-No, ho sperato di baciarti ancora. –un bacio a stampo. –E ancora.- un altro bacio. –E un altro ancora.- un altro bacio. –E ancora…
Una marea di clacson ci investirono e gli autisti suonarono talmente forte che balzammo letteralmente sui sedili e ci ritrovammo con le spalle incollate agli schienali. –Oddio, metti in moto.
-Paura, eh?
-Scemo!- gli diedi un leggero pugno sul braccio e scoppiai a ridere alla vista della sua faccia fintamente contorta dal dolore.
-Che male! Tu sì che sei forte… potresti fare boxe.
-E tu sei così fragile che anche una folata di vento ti metterebbe al tappeto. – ed avevo concluso la frase assumendo un’aria fiera e trionfante.
Ovviamente, non era vero: di muscoli ne aveva tanti, anche se non vistosi come quelli dei culturisti, ma era perfetto così. Quella davvero fragile e senza neanche un muscolo ero proprio io, però mi sentivo forte come se avessi fatto anni di palestra, di boxe e di tutte le arti marziali presenti sulla faccia della Terra.
Tutto quello che avevo appena sognato era a pochi, pochissimi millimetri da me e mi resi conto che tutte le domande che mi ero posta da quando ero arrivato a Londra erano stati solo stupidi dubbi, stupide paure che non avrei dovuto provare, perché l’unica certezza che avevo sempre avuto nella mia vita era l’amore che avevo provato e che provavo ancora per Draco.
Erano quasi le sette di sera, il traffico per le strade di Londra era denso e scorreva lento, ma non era mai stato tanto piacevole essere imbottigliati tra migliaia di auto, anche perché l’aria fresca della sera era piacevole a contatto con la pelle.
-Odio il traffico!-esordì.
-Perché?
-Toglie tantissimo tempo alle persone.
-Quindi, non hai voglia di stare con me?
-Certo che ho voglia di stare con te, come può venirti in mente una cosa del genere? E’ solo che stai scomoda e vorrei farti stendere su un letto comodo e…
-Sto bene, davvero. Mi basta stare con te.
Posò la sua mano sulla mia guancia e mi attirò per baciarmi ancora ed io risposi con tutto l’ardore che scorreva nelle mie vene.
Dopo altri dieci minuti trascorsi nel traffico, che avevamo impegnato assaporandoci l’un l’altra, eravamo arrivati fuori al cancelletto di casa.
Lo guardai con aria imbronciata. –Non voglio andare via…
-Anch’io vorrei che rimanessi, ma credo sia meglio che tu dorma in un letto comodo.
-Tu dove dormirai?- non gliel’avevo ancora chiesto e mi sentii tremendamente una donna inutile: come avevo potuto non preoccuparmi di dove dormisse o cosa mangiasse?
-Stasera tornerò in albergo, mentre aspetto di trovare casa.
-I-io…
-Sei stanchissima, vai.- mi baciò ancora e poggiò la mano sul ventre. –Vengo a prenderti domani, alla stessa ora.
-Hey, non stai esagerando un po’.
-Ho perso troppo del suo tempo.- disse, facendo una leggera pressione sulla pancia. –e per troppo tempo non ho vissuto te, quindi… lasciami recuperare.
Lo amavo. Con tutta me stessa, con tutte le cellule, con tutta l’anima, con tutto ciò che era vivo in me. –Buonanotte.- gli avevo detto dopo averlo baciato ed essere uscita dall’auto.
-Ti amo.







Angolo Autrice:
Lo so, siete livere di linciarmi!
E' un pò che non pubblico questa storia e il motivo è sempre quello: il capitolo era quasi finito, ma mentre stavo scrivnedo il finale, il pc è LETTERALMENTE andato in fumo: ho pianto per giorni, credetemi!
Ma, come potete vedere, sono tornata e spero che ne siate contente xD
 Il capitolo è un pò più corposo degli altri, ma davvero un pò.
Non starò qui a straparlare del capitolo o dei personaggi e roba varia.
Vi avviso solo che non ci saranno i collegamenti alle immagini perchè non so usare bene l'editor del sito!


Ringrazio le 118 seguite, le 60 preferite, le 14 preferite!Grazie mille.
Alla prossima, la vostra Exentia_dream


 

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Capitolo 39
*** Un passo importante ***


Capitolo 39: Un passo importante…

 

HERMIONE POV
Avevo trascorso una settimana meravigliosa in compagnia di Draco, ma c’era qualcosa che non andava, che mi spaventava. Come se non avessimo cominciato con il piede giusto.
Avevo creduto per un po’ che non mi importasse della gente, che il loro giudizio non fosse importante, ma non era sempre così: la parte di me che dava conto a quello che pensava la gente, a volte, faceva capolino alla mia coscienza e mi rendevo realmente conto di quanto pesassero gli sguardi delle persone pettegole che, non appena udivano le fusa del motore dell’auto di Draco, si affacciavano per guardare se ci baciavamo o meno e poi guardavano verso la casa in cui avevano vissuto insieme Draco e Cloe.
Non la vedevo da tempo, perciò per un po’ non avevo pensato a lei, ma vedere Draco premuroso, così premuroso, aveva fatto nascere in me una gelosia che non avevo mai provato in tutta la mia vita. Più lo guardavo e più nella mia mente nascevano le domande e gli inevitabili paragoni: è stato così dolce anche con lei? La curava in questo modo? Le dedicava tutte queste attenzioni?
Mi ero ritrovata gelosa di un passato di cui per anni avevo finto di ignorare l’esistenza e ora, invece, era presente in ogni mio pensiero.
Era da stupidi, probabilmente, credere che non c’era stato più nulla tra loro dopo la nascita di Natan.
Forse, tutto era cominciato nel momento in cui Draco mi aveva detto di dover incontrare Cloe. Avevo sentito per un po’ la lucidità del mio cervello che mi abbandonava e un po’ di ossigeno era tornato quando mi aveva chiesto se avevo voglia di accompagnarlo.
Non l’avrei fatto per svariati motivi, ma più di ogni altra cosa, non l’avrei fatto perché non sarei stata capace di guardare negli occhi una donna che era stata capace di mentirmi in quel modo e che mi aveva rivolto parole tanto cattiva, soprattutto credendo al fatto che fossi io a non poter avere figli e non Henri.
Di Henri, intanto, non avevo assolutamente voluto saperne più: probabilmente, aveva pagato un abile avvocato o qualcuno gli aveva pagato la cauzione ed era uscito di galera, ma non m’importava: avevo messo una pietra sul mio passato e avevo fatto giurare a tutti di non parlarne più.
Quell’uomo sarebbe stato uno dei miei rimpianti più grandi, perché avevo buttato all’aria tanti anni in una vita che mi aveva spento lentamente il cuore.
Non amavo parlar male delle persone, ma su di lui non riuscivo proprio a contenermi.
Guardai l’orario segnato sul display del cellulare e mi resi conto che avevo dormito più del solito.
Il tempo passava e non ero capace di trovare il coraggio: avevo trascorso un’intera settimana a pensare a cosa avrei dovuto dire, come dirlo, ma era la convinzione di farlo che mi mancava.
Ed anche una paura folle che mamma potesse non accettare, non capire.
Le piaceva Draco e questo lo sapevo bene, ma, probabilmente, la notizia di diventare nonna in questo modo l’avrebbe sconvolta.
Ma sapevo che non potevo più rimandare: anche da stesa, la leggera protuberanza al ventre era visibile.
Inoltre, era una donna anche lei e, sebbene fosse in menopausa da un po’, non aveva di certo dimenticato come funzionava il corpo di una donna.
Da sola non ce l’avrei fatta. Mai.
Presi il telefono e premetti direttamente il tasto che inviava la chiamata, dato che il nome della persona in cima alla lista era proprio quella con cui volevo parlare.
Al secondo squillo, sentii un vociare indistinto. –Pronto?
-Herm, scusa, c’è Ron qui…
-Oh, allora richiamo…
-No, tranquilla.
-Davvero, Ginny.
-Ecco, sono tutta tua.
-Come stai?
-Bene.- sapevo che aveva litigato con Harry e sapevo che non era vero, ma non voleva che mi preoccupassi ed io non volevo sembrare troppo invadente, perciò cercai di rispettare il suo silenzio. –Allora, dimmi.
-Beh, ci ho pensato a lungo e credo che sia arrivato il momento di dirlo a mamma e… volevo che ci foste anche tu ed Harry.
Avevo toccato un brutto tasto, ma probabilmente, questo li avrebbe riavvicinati: non si parlavano da giorni e, forse, se Ginny l’avesse telefonato, le cose sarebbero un  po’ migliorate tra loro.
-Lo chiami tu?- ovviamente, i miei buoni propositi andarono a farsi friggere.
-Veramente, avevo pensato che potessi farlo tu.
-In questo caso, credo che verrò da sola.
-Ok, senti, ho bisogno anche di Harry.- restai per un po’ in silenzio, cercando di creare un’alternativa, ma nulla. –D’accordo, lo chiamo io.
-Bene.
-Solo… puoi passare a prendermi?
-Certo, tra quanto?
Guardai l’orologio e mi resi conto che l’ora in cui Draco avrebbe dovuto incontrare Cloe si stava avvicinando inesorabilmente e decisi che non avrei voluto passare un minuto di quel tempo da sola, a crogiolarmi nella mia gelosia. –Tra un’ora.
-A tra poco.- e staccò la telefonata senza neanche salutarmi.
Mi rendevo perfettamente conto che essere in bilico a pochi mesi dal matrimonio era qualcosa che provocava quasi un male fisico, soprattutto se si è in bilico lontano dalla persona che si amava: Harry era davvero troppo preso dal suo lavoro e Ginny si sentiva trascurata e le era sorto il dubbio che il suo fidanzato storico non l’amasse più.
Ovviamente, quel dubbio non aveva nessuna base su cui posare, ma Ginny aveva sempre avuto il terrore di perdere Harry e questo, spesso e volentieri, l’aveva portata ad andare un po’ oltre con la fantasia: Harry la adorava, la idolatrava, anche se il lavoro lo faceva apparire distante.
Sapevamo tutti bene che Harry, comunque, poneva in eguale misura sui piatti della bilancia il lavoro e l’amore. Lo faceva dai tempi del liceo.
Mi alzai dal letto quando l’ennesimo lamento del mio stomaco mi riempì le orecchie: avevo fame e non sapevo di cosa ed ero certa del fatto che mancasse qualcosa e, quel qualcosa fosse proprio quello di cui avevo voglia.
Mi girava la testa vorticosamente e, per scendere al piano inferiore, tenni una presa salda lungo tutta la durata della scala: ero diventata iperprotettiva anche nei miei confronti.
Mamma non c’era e quando capitava che fossi sola a casa, tiravo un sospiro di sollievo, perché si allontanava il tempo di darle la notizia.
Chissà come la prenderà.
A quel pensiero, sentivo le membra contorcersi.
Mi preoccupavo più di come avrebbe vissuto mio figlio una situazione simile, perché se anche mia madre non avesse accettato, non le avrei permesso di non conoscere suo nipote e a lui o a lei non avrei privato di conoscere sua nonna.
Eppure mamma era una donna a modo, sempre aperta al dialogo, non capivo perché mi preoccupavo tanto.
Guardai le gocce di caffé che lentamente, ad una ad una, riempivano il bricco di vetro posto sotto la macchinetta elettrica e mi chiedevo come potesse quel po’ di liquido scuro dare tanta carica.
Cominciai a mordicchiare un croissant imbustato e bevvi un sorso d’acqua.
Il caffé non era ancora pronto, perciò decisi di vestirmi, nel frattempo.
Mi avviai e salii lentamente le scale, facendo attenzione a non inciampare nei gradini o nel tappeto posto sulla superficie lineare in cima alle scale, cosa che mi capitava molto spesso da un po’ di tempo.
Non appena fui nella mia stanza, mi diressi verso l’armadio e presi un completo che avevo preparato per chissà quale occasione: qualcosa di semplice, senza troppi gangheri e un paio di bamboline.
Mi avviai in bagno, avviai il getto della doccia ed attesi che fosse caldo.
Il mese di Marzo stava regalando a Londra delle giornate di sole meravigliose, ma il freddo era comunque pungente.
Entrai nella doccia e mi insaponai lentamente con un bagnoschiuma a caso: non avevo alcuna voglia di dare peso a dei gesti insignificanti come quello di scegliere il bagnoschiuma, perché la mia mente era da tutt’altra parte.
Avevo promesso a Draco che l’avrei chiamato non appena mi fossi svegliata e lui mi aveva promesso di non farsi prendere dalle preoccupazioni inutili, perciò mi avrebbe lasciata dormire. Ma io non l’avevo chiamato.
Non c’era nessun motivo per non farlo, sentivo solo che non volevo disturbarlo: forse era a lavoro o, forse, aveva anticipato l’appuntamento con Cloe ed erano insieme.
Forse non avrei resistito troppo a lungo in quella situazione e il pensiero di aver corso troppo, sotto le carezze dell’acqua calda e del
bagnoschiuma, divenne una certezza che mi riempì in pochi istanti il cuore.
Forse, avremmo dovuto prenderci il tempo necessario per capire a cosa realmente stavamo andando incontro, tutti e due: avevamo corso troppo ed ora si stava cominciando a vedere il risultato sull’asfalto della nostra vita: troppi dossi non erano stati stesi e non erano diventati un tutt’uno con la via che avremmo dovuto percorrere.
O, probabilmente, ero diventata paranoica e paurosa.
Ne avrei parlato con Draco, perché aveva il diritto di sapere, ora più che mai: se anche avessimo decidere di chiudere, avremmo dovuto mettere in chiaro tutte le cose riguardo a nostro figlio.
Uscii dalla doccia e mi avvolsi nell’accappatoio più che potevo. Sentivo lo stomaco scosso dalla nausea e il mio corpo dai brividi causati dal freddo, perciò cercai di asciugarmi velocemente.
Mi ricordai del caffé solo quando ripensai a cosa avevo mangiato che aveva potuto causarmi la nausea e scesi in cucina ancora in accappatoio.
Spensi la macchinetta e mi affrettai a rispondere al cellulare che aveva preso a suonare.
Era posto accanto al lavandino, perciò risposi, probabilmente, al secondo squillo. –Pronto?
-Sei pronta?
-Devo solo vestirmi.
-Sono fuori casa tua.
-Ti apro.- e staccai la telefonata.
Quando aprii la porta, la tristezza di Ginny mi permeò sotto la pelle.
-Che hai?- mi chiese e mi resi conto di avere gli occhi colmi di lacrime.
-Non voglio vederti in questo stato.
-Lo dicevo anche io, quando stavi con quello. Ora hai capito cosa si prova a dover guardare un’amica distrutta dal dolore e non poter far niente?
-C’è un modo in cui posso aiutarti, ma devi lasciarmi fare…
-Non serve che gli parli: sarà sempre la stessa storia.
-Ginny…
-Lo so bene, Herm: lo conosco da quando era un bambino ed è sempre stato così. Ci sto seriamente pensando: forse non è il caso che ci sposiamo.
-Sei impazzita o cosa?
-Dico sul serio, non mi sento ancora pronta: è già difficile adesso, figuriamoci dopo.
Restai in silenzio, perché in fin dei conti aveva ragione: il matrimonio aveva dato ad Henri la convinzione che, una volta diventata sua moglie, avrei potuto e dovuto sopportare tutto quello che lui avrebbe fatto.
Probabilmente, il matrimonio avrebbe cambiato anche Harry, ma tenni questi pensieri per me, evitando di riempire la testa di Ginny di idee folli.
Le strinsi la mano e aspettai che mi guardasse negli occhi prima di parlare. –Passerà…
-Sarà sempre così.
-Dai un po’ di fiducia all’amore che Harry prova per te. E’ un periodo difficile in commissariato. Credimi, passerà.
-Lo spero. Và a vestirti o farai tardi.
-Sì.
Risalii la scala in un silenzio quasi religioso, forse, per darmi il tempo di pensare a cosa fare una volta arrivata in commissariato e avrei avuto modo di parlare con Harry.
Indossai velocemente gli abiti che avevo sistemato sul letto e feci giusto una passata di mascara sulle ciglia e una di rossetto sulle labbra, poi tornai in salone e servii un po’ di caffé a Ginny.
Era seduta sul divano, con lo sguardo rivolto verso la finestra: sembrava persa nei meandri di qualche ricordo e dal sorriso lieve che teneva sul viso, doveva trattarsi di un ricordo felice.
Posai la tazza sul tavolino basso che era di fronte al divano e lasciai Ginny lì per un bel po’: si sarebbe risvegliata da sola ed io speravo che quel ricordo le portasse alla mente le dimostrazioni che Harry le aveva dato ogni volta che lei non si era fidata del loro amore.
Mi sedetti di fronte a lei e la osservai a lungo: sembrava stanca.
Aveva gli occhi cerchiati, sulla fronte una piccola ruga e le lentiggini erano ancora più evidenti ora che la pelle aveva assunto una tonalità di bianco più chiara.
Era bellissima, eppure qualcosa in quell’espressione faceva a pugni con la Ginny che conoscevo.
Era sicuramente la tristezza che traspariva dal suo viso: non era abituata a vedere la mia migliore amica triste, perché era stata sempre lei a salvare me, nonostante avesse un paio di anni meno.
Era sempre stata più grande della sua età.
Quando si ridestò, aveva gli occhi grandi di meraviglia e mi chiese perché la stavo fissando in quel modo. Semplicemente le sorrisi, poi infilai il cellulare nella tasca dei jeans ed aprii la porta d’entrata.
Una volta in auto, rimanemmo in silenzio per un po’.
Io contemplavo il traffico, lei pensava ad Harry.
Da quando ero in sua compagnia, non avevo indirizzato un solo pensiero a Draco e mi sentii in colpa, ma decisi che se non volevo star male, quella era la cosa giusta da fare.
Arrivammo al commissariato dopo venti minuti e mi affrettai a salutare Ginny con un bacio sulla guancia, poi mi avviai.
Cho mi salutò cordialmente e mi chiese come andava la gravidanza, perché non avevo ancora chiesto la maternità e se avevo mai immaginato come sarebbe stato mio figlio, se sarebbe stato maschio o femmina.
Restai a parlare con lei per dieci minuti buoni -il tempo che Harry scendesse al piano che gli spettava –Cho mi aveva avvisato che c’era qualcosa da risolvere al terzo piano-, quindi le sorrisi e mi incamminai verso l’ufficio in fondo al corridoio.
Non appena aprì, Harry mi strinse forte e capii che avrebbe voluto non pesarmi troppo, visto che tratteneva di schiacciarmi con la sua massa corporea. Non era estremamente muscoloso, ma non era neanche tanto snello e fragile.
-Ho bisogno di te.- dicemmo all’unisono, poi ci guardammo negli occhi e sorridemmo. Un sorriso dolce, senza malizia.
-Prima tu.
-No, dai: la tua richiesta sarà sicuramente più breve e, poi, ricorda che un uomo deve dare la precedenza alle donne, in particolar modo se sono incinte.
-Ok. Stasera… vorrei che fossi ospite a casa mia. A cena.
-Perché?
-Devo dirlo a mamma.
-Io a cosa ti servo?
-Mi darai coraggio… e prenderai le mie parti, se mai qualcosa dovesse andar male.
-Sei troppo…
-No, non ho nessun pregiudizio: non mi sono mai trovata di fronte ad un argomento del genere con mia madre, se non in maniera ipotetica, quindi… ci sarai?
-Ovvio. Viene anche lei?
-Lei ha un nome e, sì, verrà.
-Bene.
-Credo che tu la stia trascurando un po’ troppo.
-Sono solo impegnato con il lavoro.
-Il lavoro, a volte, può anche aspettare.
-Hermione…
-Mi rendo conto che, in alcuni casi, quella che ho appena detto è la cazzata più assurda del mondo, ma nel tuo caso no: tu hai una vita privata e una donna che ti ama follemente e che sente di non essere ricambiata.
-Come può credere questo?
-Può eccome.
-Cosa devo fare?
-Chiedile scusa e dedicale più tempo.
-Come faccio con il lavoro?
-Lascia per un po’ le carte da parte…
-Verrà anche Draco questa sera?
-In real…
Bussarono alla porta e pregai Dio con tutte le mie forze che non fosse l’uomo che il mio migliore amico aveva appena nominato.
Guardai l’orologio e mi resi conto che l’appuntamento, probabilmente, era finito da un bel po’.
Quando la porta si aprì, promisi a me stessa che avrei fatto un bel discorsetto con Dio e mi limitai ad assumere l’espressione più neutra del mondo: in realtà, una parte di me sapeva di dover dar voce ai pensieri che avevano affollato la mia mente nella mattinata, l’altra metà aveva paura che Draco condividesse quei pensieri.
Lo guardai mentre portava indietro, con la mano, i capelli biondi scivolati sulla fronte e si sedeva nella sedia accanto alla mia.
Poggiò la sua mano sulla mia, mentre io guardai Harry. Lo vidi incrinare le sopracciglia e mossi la testa in senso di diniego: avrebbe capito che non era il momento di parlarne.
Draco, invece, continuava a sorridere.
-Allora, stasera sei dei nostri?
-Per?- chiese Draco, rivolgendosi ad Harry con la voce, ma guardando me.
-Hermione ha deciso di parlarne con Meredith.
-E’ fantastico.
-Già.- conclusi con poco entusiasmo, inserendomi tristemente nella conversazione.
-A che ora?- chiesero i due uomini che mi tenevano compagnia.
-Alle otto.
-Perfetto.
Salutai Harry ed uscii dal suo ufficio, seguita da Draco.
Mi cinse la vita con entrambe le braccia e avvicinò il suo viso al mio. –Come ti senti?
-Un po’… l’odore di fumo mi dà fastidio.
-Scusami.
-Non ti preoccupare. Com’è andata oggi?
Vidi un sorriso dolce nascere sulle sue labbra e sentii un tuffo al cuore. –Bene.- disse, dopo troppo tempo.
-Ne sono felice.
-Lo sono anche io. Vuoi che ti accompagni a casa?
-Sì.

 

 

 

§

 

 

Avevo guardato nel frigorifero e avevo notato che c’erano tutti gli ingredienti che mi sarebbero serviti.
O mamma è andata a fare la spesa di recente o è una maga e sa che deve succedere qualcosa.
Ebbi paura dei miei stessi pensieri, perciò mi immersi in una profonda ed accurata pulizia di tutto ciò che mi sarebbe servito: dalle verdure alle posate.
Mi tornò in mente il sorriso che era nato sulle labbra di Draco quando gli avevo chiesto com’era andata con Cloe e sentii di nuovo lo stomaco chiudersi in una morsa.
Erano solo un paio di ore che non ci vedevamo, perché mi aveva riaccompagnata a casa, ma non l’avevo lasciato entrare, né l’avevo salutato come meritava –un semplice bacio a stampo, non di più- e lui, dal canto suo, non mi aveva chiesto perché mi comportassi in quel modo.
Non volevo che fosse presente, ma sapevo che non sarebbe stato giusto nei suoi confronti.
Solo che non sopportavo l’idea di non sapere cosa fosse successo durante l’incontro che aveva avuto con Cloe… e quel sorriso, la sua risposta vaga, la sua aria stanca.
Tutto mi faceva pensare che era successo qualcosa che non mi sarebbe piaciuto sapere.
Strinsi i denti e cominciai ad imburrare la teglia del forno, poi lasciai che il tempo scorresse mentre io cucinavo, senza mai guardare l’orologio.

 

 

§

 

 

Solo quando bussarono alla porta mi resi conto di essere impresentabile: avevo i capelli legati in uno chignon posto al centro esatto della nuca, dal quale usciva qualche riccio ribelle e mi ricadeva sulla fronte o sulle guance, avevo un po’ di farina pochi millimetri più in basso degli occhi e sulla fronte e il trucco leggermente sbavato.
Suonarono ancora una volta, e mi affrettai a chiedere con un tono di voce incerto un chi è? tremante.
Era Ginny, perciò aprii senza neanche sistemarmi e notai i suoi occhi grandi che mi guardavano increduli. –Erano anni che non ti vedevo in questo stato. Vai a sistemarti un po’.
-Sì, dovrei proprio.
-Ti accompagno.
-Grazie.
Salimmo le scale in silenzio, poi, una volta in camera, io mi infilai direttamente nel box della doccia, mentre Ginny rimase in camera.
Sentivo solo il rumore dell’acqua che cadeva lungo le pareti e contro la cabina ed avrei voluto rilassarmi sotto quelle delicate carezze calde, ma feci in  fretta e mi avvolsi nell’accappatoio.
Tornai in camera e, ancora in accappatoio, estrassi dall’armadio un paio di jeans ed una maglietta, poi mi recai verso il mobile dell’intimo.
Ginny stette per tutto il tempo seduta sul letto, con lo sguardo perso nel vuoto e le labbra che disegnavano una linea dritta: non volevo disturbarla o staccarla dai suoi pensieri, perciò mi vestii e poi presi a truccarmi in silenzio.
La osservavo dallo specchio e solo quando sentii la voce di mamma provenire dal piano inferiore mi mossi a darle una leggera spinta. –Che c’è?- mi chiese, quasi spaventata.
-E’ arrivata mamma.
-Sei già pronta?
-Sì.
-Non hai freddo con quella maglia? E’ leggera.
-No, ho davvero molto caldo. Credo che sia per via della gravidanza.
-D’accordo.
E scendemmo in cucina. Avevo una tale fretta di farmi vedere che mi sembrò di essere tornata bambina e combinavo un guaio: correvo dalla mamma per non rendere palese la mia colpevolezza, ma, ovviamente, quello era il modo meno scaltro per farlo.
Allora, però, non ero ancora un abile avvocato.
-Buonasera.- dissi, mentre mamma sbirciava nel forno.
-Ciao.- salutò me e Ginny con un bacio sulla guancia. –E’ un’occasione speciale.
-Più o meno.
-Figlia mia, fa un freddo tremendo: cambiati quella maglia.
-No, mamma ho caldo, è per via dell…
-Del?- mi disse, interrompendo nel punto giusto la mia frase.
-Della fretta: ho cucinato e mi sono accorta di aver fatto tardi quando Ginny è arrivata qui, perciò ho fatto una doccia veloce e… ed eccomi qui.
Avevo guardato la mia amica con l’aria supplichevole di pietà, ma avevo trovato solo il rimprovero nel suo sguardo.
Dovevo dire assolutamente la verità a mamma, ma, visto che Harry aveva avuto la brillante idea di invitare Draco –brillante ed anche giusta, tra l’altro-, avevo deciso di parlarne in sua presenza.
Gli avevo accennato in auto di cosa si sarebbe parlato a casa, perciò, poteva tirarsi indietro da un momento all’altro se non si fosse sentito pronto.
Mi sedetti accanto a Ginny e le presi la mano. –Si sistemerà tutto.
-Non mi va di parlarne adesso.
-Va bene, ma non stare così.
-Gli hai parlato?
-Sì…
-Grazie.
-Grazie a te. Per tutto quello che fai per me.
Dopo pochi minuti, arrivarono Draco e Harry che vennero a baciarci con un bacio leggero sulle labbra. Avrei solo voluto non essere tanto presa dai miei dubbi nei confronti di Draco, per poterlo baciare come desideravo davvero, come avevo fatto nei giorni precedenti.
Se lo amavo tanto, come poteva un semplice dubbio farmi allontanare tanto da lui?
Gli sorrisi e invitai sia lui che Harry ad accomodarsi in cucina. –E’ quasi pronto.
Mamma era intenta a spiare ogni pietanza che avevo riposto sul marmo del lavandino, poi si voltò verso di noi. –Credo di essere di troppo qui.- sorrise, tristemente.
-In realtà, sei proprio l’ospite più importante, perciò, siediti con noi.- non sapevo da dove uscisse tutto quel coraggio, ma lo sentivo scorrere nelle vene.
Sorrisi e sistemai sulla tavola le bottiglie di vino e una di acqua, poi estrassi la teglia dal forno, riempiendo i piatti dei miei ospiti con il petto di pollo al limone.
Mi sedetti e guardai mamma.
Draco mi strinse la mano e vidi mamma che mi rivolgeva uno sguardo strano: doveva essere la luce o, forse le lacrime che mi riempivano gli occhi, ma non capivo se ci fosse commozione o delusione in quello sguardo.
Mangiammo per un po’ in silenzio, con la compagnia dei rumori delle forchette che venivano posate sul piatti, dei bicchieri che si riempivano di vino.
Io bevvi solo dell’acqua, senza che nessuno mi chiedesse il perché della mia scelta.
Quando posai per l’ennesima volta il bicchiere sul tavolo, guardai Ginny e Harry –a Draco rivolsi uno sguardo molto più breve-, poi mi schiarii la voce.
-E’ successo qualcosa?- mi chiese mamma, spaventata.
-Sì… c’è una cosa che devi sapere.- Draco mi stringeva la mano delicatamente, mentre io cominciai a torturare le sue dita.
-Lo so già, cara… nel quartiere non si parla di altro.
La mia stessa saliva mi andò di traverso e fui investita da violenti colpi di tosse. –Lo sai già?
-Ma certo…
Guardai tutti i miei ospiti con gli occhi, probabilmente, fuori dalle orbite, poi presi di nuovo coraggio. –Cosa sai, esattamente?
-Che tu e il signor Malfoy avete cominciato a frequentarvi.
Una parte di me tirò un sospiro di sollievo sapendo che nessuno ancora sapeva della gravidanza, l’altra, invece, fu come schiacciata da un peso enorme perché la parte più difficile ancora doveva arrivare. –Sì.- dissi semplicemente.
-E, poi, è chiaro: è comprensibile da come vi guardate e le vostre mani… beh, solo un cieco non avrebbe potuto vederle. E, se anche fossi stata cieca e non avrei visto, me ne sarei resa conto da quello che entrambi riuscite a trasmettere.
La situazione si faceva sempre più complicata: sentivo mamma parlare, ma la sua voce era lontana e, per questo, mi risultava difficile comprendere ciò che stava dicendo.
Recuperai tutta l’aria di cui necessitavo e mi resi conto solo che mamma mi guardava con gli occhi spalancati.
La voce fioca di Draco mi giunse poco dopo. Un sussurro a pochi millimetri dal mio orecchio. –L’hai detto…
Serrai le labbra ed attesi una reazione di mamma, che non arrivò.
Solo Ginny spezzò il silenzio che si era creato, proponendo di continuare con la cena.
Mamma continuava a fissarmi con la stessa espressione, io continuavo a tenere gli occhi fissi nel piatto pieno.
Mi era anche passata la fame, ma mi sforzai di buttare qualcosa nello stomaco o avrei corso il rischio di avere un collasso.
Il tempo dall’inizio della cena al dolce sembrò interminabile e mai una volta mamma aveva guardato Draco. Non sapevo spiegarmi per quale motivo, ma qualunque fosse, il peso di quello sguardo era davvero immenso e da sola non lo avrei sopportato un secondo di più.
Mi alzai e lasciai il tavolo per correre in bagno. Mi sentivo scossa dai fremiti del vomito, perciò senza fare troppe storie, mi chinai sulla tazza ed attesi.
Mi decisi a dare libero sfogo a tutto quando un sapore amaro mi riempì la bocca, poi sentii una mano sottile posarsi sulla mia fronte.
Sapevo con certezza che fosse Ginny, perciò cominciai a piangere, posando la fronte sul mio braccio. –Sapevo che sarebbe andata a finire così, lo sapevo. L’ho delusa e non accetterà mai questo figlio, pure se è di Draco.
-E’ di Draco?
Mi issai in fretta, nonostante mi girasse la testa e guardai la persona che avevo di fronte negli occhi. –Credevo fosse Ginny.- mi affrettai a chiarire.
-Il bambino è di Draco?
-Sì.
-Io… io credevo fosse di quel verme. No, Hermione, non mi hai delusa: diventerò nonna. Oh mio Dio, è una cosa meravigliosa.
Mi strinse e sentii le sue lacrime che mi bagnavano la maglia. –Mi… mi dispiace che…
-Come ho fatto a non rendermene conto? Oh Dio, tu mi hai resa la donna più felice di tutta Londra. Finalmente, figlia mia, hai capito qual era la cosa giusta da fare.
-Ti voglio bene.- non avrei osato aggiungere altro e, in quel momento, tutto era svanito dalla mia mente, perfino i dubbi su Draco.
-Quanti mesi?- mi chiese allontanandosi.
-Due.
-Quando avevi intenzione di dirmelo?
Sorrisi. –Avevo solo paura della tua reazione.
Mi strinse ancora a sé, poi posò la sua mano sul mio ventre. –In effetti, comincia anche a vedersi un po’.
-Sì.
-Sarai bellissima con il pancione e sarai un’ottima madre.
-Lo spero.
-Non devi aver paura.
Qualcuno bussò alla porta e mi resi conto che era Draco solo quando entrò. –E’ tutto a posto?
Mamma gli si gettò al collo e lui mi guardò con aria sorpresa, così gli sorriso e gli mimai un “lo sa”.
Vidi che posava lentamente le mani dietro le spalle di mamma e la ringraziò, non so per cosa, ma mi limitai ad aggiungermi a loro: dubbi o no, Draco era sempre il padre di mio figlio e l’unico che avesse fatto avverare il mio più grande sogno.
Tornammo in cucina e strinsi la mano a Draco.
Avevo voglia di farlo e mi ero resa conto, nel corso della serata, che non potevo trattarlo in quel modo senza che lui ne conoscesse il motivo. Era anche vero che non  mi aveva chiesto nulla, ma, forse, aveva pensato che il mio comportamento era dettato dal nervosismo e dalla paura che provavo prima di dirlo a mamma.
Mi sedetti a tavola e sorrisi: ora che la persona più importante della mia vita era a conoscenza di una delle verità più spettacolari del mondo, mi sentivo in pace con me stessa e con l’universo intero.
La cena finì dopo poco, ma la prima ad andar via fu mamma che, essendo tornata da una dura giornata di lavoro, chiese chiusa e si rifugiò in camera sua.
Ginny e Harry si trattennero, perciò accesi la macchinetta automatica del caffé e ci accomodammo in salotto.
I miei due migliori amici si sedettero distanti e fu Draco ad aprire il discorso. –Perché vi comportate così?- avrei voluto che avesse rivolto quella domanda a me, ma stetti in silenzio e, come lui, attesi una risposta.
-Non lo so, chiedilo al tuo capo.
-Ginny- riprese Harry. –non lo faccio volontariamente. Ho tantissimo lavoro da sbrigare.
-Beh, mettilo da parte: esisto anche io nella tua vita e tra poco diventerò tua moglie. Forse.
-Che significa forse?
Tirai Draco per un braccio e mi feci accompagnare da lui in cucina, per lasciare a quei due un po’ di intimità.
-Quanto zucchero?- gli chiesi.
-Tu cos’hai? Credevo fosse per via di tua madre, ma ora che lo sa e che ne è contenta, vuoi spiegarmi?
-Cosa hai fatto oggi?
-Niente di importante.
-Ti sei visto con Cloe.
-Sì, te l’avevo detto.
-Lo so, ma non so cosa avete fatto, di cosa avete parlato.
-Sei gelosa.
-No, solo che non mi va di essere presa in giro: l’ho visto quel sorrisino, in commissariato, e avevi l’aria stanca. Mi hai dato una risposta vaga e non ha detto una parola mentre mi riaccompagnavi a casa.
-Oh, Hermione…
-No, ti prego. Risparmiami il tono di chi giura di non aver fatto nulla di grave.
-Ma è così. E, comunque, non dovresti agitarti tanto: fa male al bambino.
-Andiamo in salotto.- dissi, con il vassoio e le tazze colme di caffé tra le mani.
Mi seguì in silenzio lungo il corridoio e, quando ci sedemmo, fu lui a prendere le distanze. Probabilmente, era offeso o ero stata io a cogliere nel segno, fatto stava che, almeno Harry e Ginny sembravano stare meglio.
Bevemmo, ognuno con gli occhi nella propria tazza, senza proferire parola, senza spezzare il silenzio che si era creato.
Draco mi guardò per un attimo ed io feci lo stesso, solo che non fui capace di sostenere i suoi occhi: ci voleva coraggio per decidere ed io non ne avevo.
Non in quel momento, almeno.
Ginny e Harry ci salutarono dopo pochi minuti, forse una ventina e rimanemmo io e Draco.
Lui guardava la televisione e io sparecchiavo le tazze del caffé, dopo aver rifiutato il suo aiuto.
Sciacquai le tazze, i piatti, i bicchieri, le posate e sistemai il tutto nella lavastoviglie, poi, asciugai le mani ed avviai il lavaggio.
Tornai a sedermi sul divano, accanto a Draco che si era spostato dalla poltrona.
-Perché?
-Perché cosa?- gli chiesi.
-Questa cosa…
-Non lo so, ma ho bisogno di capire.
-Se è una questione di gelosia, posso capire, cercherò di evitare…
-Non è solo gelosia per i vostri incontri: è normale che avvengano e tu non puoi evitare, perché hai un figlio con quella donna.
-Allora cos’è?
-Non lo so.
-Sei già stanca?
-No.
-Cosa hai intenzione di fare?
-Credo che sia meglio prendersi del tempo, per pensare.
-In questo modo finisce.
-Non è detto.
-Ci abbiamo messo così tanto a ritrovarci, perché proprio ora?
-Non lo so.- sentivo la gola stretta da un nodo, ma cercavo di non darlo a capire. –Abbiamo corso troppo, non ci siamo dati il tempo di capire cosa volevamo davvero che siamo stati travolti da questa responsabilità immensa,- dissi, toccandomi la pancia. –per questo, credo che ci serva del tempo.
-Ti telefono domani.- disse alzandosi.
-No, preferisco di no.
-D’accordo.
-Ti accompagno alla porta.
Mi alzai e camminai, precedendolo, verso la porta.
La aprii e Draco mi si piazzò di fronte. –Ne sei convinta?
-Credo che per il momento sia meglio così.
-Allora,…
-Ciao.- conclusi, in imbarazzo.
Mi posò un bacio sulla fronte ed uno sulla guancia, vicino all’angolo sinistro delle labbra, poi andò via.
Vidi le sue spalle piegarsi per aprire la portiera dell’auto e mi sembrò stanco, infinitamente stanco.
Quando cominciai ad avere freddo, decisi che non sarei rimasta lì a guardare la sua auto mentre si allontanava, anche perché, altrimenti, il discorso che avevo appena fatto non avrebbe avuto senso.
Tornai in casa e bevvi un altro po’ di caffé. Nonostante la caffeina, però, sentivo il sonno pesare sulle palpebre e decisi di andare a letto.
Mi incamminai e salii piano la scala lentamente, poi passai a dare il bacio della buonanotte a mamma: dormiva di un sonno pesante, ma il sorriso era presente sul suo viso.
Mi sentivo bene sapendo di averla resa felice, di non averla delusa.
Tornai nella mia camera e indossai il pigiama che avevo sistemato sotto al cuscino, poi, guardai il cellulare, più che per abitudine che perché mi aspettavo qualcosa, perciò, quando vidi che c’era un messaggio non letto mi affrettai a leggerlo.


«Credo che questo tempo sia inutile, ma se tu credi che sia necessario, ti rispetto e ti lascerò il tempo che ti serve per pensare… solo… non farti accecare da quella gelosia inutile che dici di non provare e pensa che, finalmente, potremmo stare insieme. Buonanotte ‘Mio. Ti amo.»


Posai il cellulare sul comodino e mi infilai sotto le coperte.
Nonostante gli avessi chiesto di non cercarmi per un po’, aveva voluto ricordarmi che ci sarebbe stato e che mi avrebbe rispettata, cosa che, con Henri, non era mai successa né sarebbe successa con il tempo.
Mi addormentai con il sorriso sulle labbra e la consapevolezza che, pure se avessi deciso di chiudere la storia con Draco, non sarei andata incontro a violenze e cose tipiche del mio ex marito.
Decisi che l’indomani sarei anche andata a lavorare, a spolverare almeno un po’ l’ufficio, visto che i miei progetti erano falliti prima ancora di cominciare.
Chiusi gli occhi e lasciai che Morfeo mi cullasse tra le sue braccia, mentre, in lontananza, le fusa di qualcosa mi facevano compagnia.

 

 

Spoiler capitolo 40:

-Ecco perché non volevo dirtelo.
-Avevi paura di me…
-In un certo senso.
-Credi che lo faccia per il tuo male?
-No, affatto.- però, nonostante la felicità che provavo per la possibilità di diventare mamma, c’era qualcosa in me che faceva a pugni con quell’atmosfera perfetta: mi mancava qualcuno. Mi mancava infinitamente qualcuno…

 

 


Angolo Autrice:

Sono tornata per la gioia di qualcuno e la disperazione di qualcun altro xD.
Ora, sono completamente a vostra disposizione: la scuola è finita e, finalmente, ho il mio diploma appeso alla parete della mia camera. Il voto non è di certo dei migliori, ma va bene così.
Non starò qui a parlare del capitolo o dei personaggi o di cose varie: mi avete letto per troppo tempo, visto che il capitolo è più corposo, e credo di avervi annoiato abbastanza.

Ringrazio le 129 seguite, le 63 preferite e le 17 ricordate. 

Grazie <3

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Capitolo 40
*** Routine? ***


Capitolo 40: Routine?

Hermione POV:
Mi ero addormentata con la sensazione che mi mancasse qualcosa, non qualcuno… ed era strano, perché non avevo mai pensato al vuoto che sentivo dentro, a volte, sotto questo aspetto: avevo sempre creduto che quello che mi mancava fosse la presenza di un uomo accanto, di un uomo che amavo.
Ed ora mi rendevo conto che non era così. Non solo, almeno.
Erano trascorsi due giorni da quando avevo deciso di darmi del tempo e, a lavoro, avevo incrociato Draco un paio di volte, ma era sempre di spalle. Ed era stato meglio così: cominciavo a capire che, forse, questo togliersi del tempo sarebbe stato inutile e dannoso, soprattutto per noi che di tempo ne avevamo perso già tanto.
Mi levai dal letto e feci una doccia veloce, poi mi avvolsi nell’accappatoio e mi diressi in camera, dove avevo già preparato ciò che avrei dovuto indossare.
Da un po’ di giorni, mi sembrava di non avvertire il freddo, perciò indossavo sempre qualcosa di leggero e portavo con me il cappotto.
Mi vestii lentamente e cominciai a truccarmi senza troppa voglia.
Avvertivo una strana sensazione allo stomaco, come se dovesse succedere qualcosa, ma non mi lasciai spaventare, nonostante il mio istinto avesse sempre ragione.
Quando finii di truccarmi, infilai le scarpe e scesi lentamente le scale, dato che sui tacchi alti, il mio equilibrio era abbastanza precario.
Mi tenevo salda alla ringhiera, lasciando comunque che la mano scivolasse sul legno.
Quando arrivai in cucina, mi avviai verso la macchinetta del caffè e presi dal tavolo una fetta di pane tostato.
–No, questo no.- disse mamma, spegnendo la macchinetta del caffè.
La lasciai fare, anche perché non avevo questa gran voglia, ma bevvi volentieri il bicchiere di succo d’arancia che mamma aveva posato accanto al cestino del pane.
Mi diede un leggero bacio sulla guancia, poi andò via dicendo che sarebbe rientrata tardi e che mi avrebbe lasciato l’auto.
L’accettai volentieri: inizialmente, era Draco che mi accompagnava nel tragitto da casa al commissariato, ma, da quando avevo preso quella decisione, avevo anche rifiutato il suo passaggio, quindi, mi sarebbe toccato fare la strada a piedi.
-Buon lavoro.- dissi al vuoto, dato che mamma era già andata via.
La casa vuota, adesso, era davvero indescrivibile: in ogni angolo c’erano dei ricordi, antichi o recenti, ma non era questo l’importante… importante era l’intensità e l’emozione con cui si presentavano di fronte ai miei occhi.
Cercai di trattenere le lacrime e, dopo averne pianto due o tre, riuscii nel mio intento.
Andai a lavarmi i denti, poi presi le chiavi dell’auto dal tavolino nel salotto e mi avviai verso la porta.
L’aria, probabilmente, doveva essere abbastanza fredda, visto che tutti i passanti erano avvolti nei loro cappotti pesanti e nelle loro sciarpe.
Salii nell’auto, misi in moto ed ingranai la prima.
Mai come in quel momento, le strade di Londra erano libere da ogni ingorgo e questo non fece altro che aumentare la sensazione che provavo: non sapevo in che modo interpretarla, ma, di solito, quando doveva accadere qualcosa di bello, incontravo mille contrattempi.
Per questo, mi sentii un po’ spaventata.
Imboccai la via che mi avrebbe condotta al commissariato in un tempo minore ed accesi la radio, subito dopo aver terminato la curva.
Non ero mai stata spericolata alla guida e neanche tanto prudente, infatti, a volte, mi era capitato di stare al telefono e impegnare una mano per impugnare il volante e cambiare le marce, ma, adesso, avevo adottato tutte le attenzioni e le prudenze possibili. Per me, ma soprattutto per il più bel dono che Dio avesse potuto farmi: non era ancora nato, ma era come se fosse con me, perché era una parte di me.
Arrivai al lavoro pochi minuti dopo essere uscita di casa, perciò mi concessi del tempo per rilassarmi sul sedile dell’auto. Respirai a fondo e giocherellai con il ciondolo che mamma teneva vicino alle chiavi.
Mi ricordai delle chiavi che Draco mi aveva dato, quelle della casa che sentivamo nostra, in cui ci rifugiavamo ogni volta che avevamo bisogno di stare da soli o di scappare dal mondo: era stato un regalo di nonna, per il mio diciottesimo compleanno ed io avevo voluto condividerlo con lui…
Scesi dall’auto e mi avviai verso il dipartimento.
All’interno salutai con un cenno della mano Harry che parlava con un uomo, mi diressi verso Cho per prendere le chiavi del mio studio e le sorrisi. –Buongiorno.
-Buongiorno. Come sta, avvocato?
-Va bene, però ti prego di darmi del tu e di chiamarmi per nome.
-D’accordo. Ecco le su… le tue chiavi.
-Grazie e buona giornata.- asserì con il capo e mi allontanai.
Lungo il corridoio, cercai di tenere gli occhi bassi, ma, arrivata all’altezza della porta dietro cui sapevo esserci Draco, i miei occhi, contro il comando della mente, stettero immobili a guardare il vetro patinato.
Non scorgevo nessuna ombra, nessun movimento e dall’interno non proveniva alcun rumore.
-Non c’è.- mi disse Harry. Non l’avevo guardato, ma sapevo che quella voce apparteneva a lui.
Sorrisi, di un sorriso amaro, triste. –Grazie.- poi, abbassai il capo e corsi verso l’ascensore, come a volermi riparare dalla notizia che mi aveva appena dato il mio migliore amico, come a volermi difendere dal dolore che quelle parole avevano provocato in me.
Sentii il cuore perdere qualche battito e respirai più a fondo, per non piangere, poi le porte dell’ascensore si aprirono.



§



Sentivo il cellulare squillare, ma la suoneria mi giungeva lontana.
Realizzai che era il mio cellulare e mi levai dalla sedia per estrarlo dalla borsa. –Pronto?
-Eri impegnata o cosa per non rispondere alle mie telefonate?
Era una voce da uomo, ma non la riconobbi immediatamente, perciò guardai sul display il nome che era segnato. –Ciao.- sorrisi.
-E’ un po’ che non ci si sente, ti ho disturbata?
-No, devo essermi addormentata.
-Donna, tu lavori troppo.
-Non è affatto vero e lo sai.
-Allora cosa ti toglie tempo, tanto da non poter dedicarne un attimo ad un tuo amico?
-Mi dispiace, Blaise, davvero…
-Fa niente. Come stai?
-Non lo so.
-Ho saputo…
-Di mia madre?
-No, di quello che hai deciso riguardo a Draco.
-Già…
-Perché?
-Abbiamo corso troppo: Natan è ancora in bilico per quanto riguarda l’affidamento, il divorzio è ancora in corso e Draco si è ritrovato con questa responsabilità enorme sulle spalle. E io non sopporto non sapere cosa fa quando si incontra con Cloe, arrivo a lavoro e non lo trovo…
-Sei gelosa, allora?
-No, ma ho paura di soffrire di nuovo.
-E’ stato da me, comunque. E’ andato via dieci minuti fa.
-Sei suo amico, è normale che tu lo difenda.
-Io non difendo nessuno: non sono un avvocato e sai quanto ti voglio bene, perciò, se Draco sbagliasse, te lo direi.
-Grazie.
-Di niente. Questa specie di pausa è inutile…
-Abbiamo solo bisogno di rallentare.
-Credi che rallentare voglia dire far finta che non esista?
-Non sto facendo questo.
-Sì, invece: non gli telefoni, non lo saluti, non rispondi alle sue telefonate.
-Non mi ha mai telefonata,  in questi due giorni.
-No?
-No.
-Ah, allora voleva dire questo.
-Questo cosa?
-Nah, niente di importante.
-Ora me lo dici.
-Davanti ad un bel caffè.
-D’accordo.
-Tra un’ora?
-Tra un’ora.
-Ho una sorpresa per te.
-D’accordo.
Staccai la telefonata e mi recai nel bagno per darmi una rinfrescata. Mi guardai allo specchio che avevo fatto portare qualche settimana prima e mi resi conto di essere pallida.
Presi dalla borsa qualche moneta ed uscii dall’ufficio, per dirigermi verso la macchinetta del caffè.
Inserii la moneta nella fessura e digitai un caffè stretto e zuccherato.
Portavo avanti una gravidanza di pochi mesi, ma avevo già cambiato totalmente i gusti e non sapevo se era un bene o no.
Estrassi il bicchiere colmo di caffé e lo sorseggiai lentamente: era bollente e mi resi conto che mi dava fastidio al palato, perché quasi pungeva, ma odiavo il caffè freddo, perciò mi sforzai di berlo.
Mi sedetti nelle poltroncine di plastica che erano poste a ridosso del muro e che erano tenute insieme da una lunga asta di acciaio doppio e poliedrico.
Non riuscivo a trovare una posizione comoda, ma sentivo la testa che girava vorticosamente.
Stavo cominciando ad associare troppi malori alla gravidanza ed ero convinta di dover fare qualche controllo, ma cercavo di aspettare di tornare dal ginecologo e conoscere gli esiti sul proseguimenti della gravidanza.
Avrei voluto Draco al mio fianco quel giorno, ma sapevo che sarebbe stato troppo presto e, probabilmente, saremmo rimasti in questa situazione di stallo ancora per un bel po’.
Tornai in ufficio, camminando vicino al muro per non rischiare di perdere l’equilibrio e chiusi la porta alla mie spalle.
Volevo stare da sola, in silenzio, senza i rumori dei corridoi.
Guardai l’orologio: erano passati trentacinque minuti e mi sembrava che fosse passata un’eternità da quando Blaise mi aveva chiamata. Avevo perso persino la cognizione del tempo ed ero sicuramente diventata ipocondriaca: ogni cosa mi sembrava grave, più di quanto non lo fosse in realtà.
Finito di bere il caffè, gettai il bicchiere nel contenitore posto sotto la scrivania e andai in bagno a stendere un po’ di fard sulle guance, per dare quel po’ di colore che non avrebbe fatto preoccupare nessuno: visto il colorito cereo della mia pelle chiunque avrebbe pensato che non fossi in salute, mentre io mi sentivo benissimo, se si mettevano da parte i mal di testa.
Estrassi dalla borsa il necessario per truccarmi e decisi di calcare un po’ la matita sugli occhi.
Feci il tutto con una lentezza estenuante, poi, tornai nell’ufficio e mi sedetti sul divano, portando i piedi all’altro capo, poggiandoli su un cuscino: mi sentivo esausta.
Il mal di testa era ormai una compagnia fissa nelle mie giornate e avevo imparato a gestirlo bene; era il vorticare che mi dava anche la nausea e quella proprio non riuscivo a sopportarla.
Dovetti essermi addormentata di nuovo, visto che sentivo la suoneria del cellulare come se fosse lontana. Mi alzai dal divano e risposi. –Pronto?
-Ciao.
-Dormivi?
-E’ probabile.- sorrisi.
-Sono qui.
-D’accordo.
-Ti aspetto qui o ti vengo incontro?
-Resta lì.
-Ok.
Uscii dall’ufficio e chiusi la porta con la chiave, poi mi diressi verso l’ascensore.
L’odore ferroso dell’abitacolo mi ricordava un po’ quello del sangue, perciò coprii il naso con una mano ed ispirai l’odore del profumo che avevo messo la mattina.
Il plin che rimbombava nell’ambiente ogni volta che le porte dell’ascensore si aprivano mi fece sobbalzare e mi ritrovai con il fiato corto.
Quando mi resi conto che non era successo nulla di grave, respirai lentamente e mi avviai verso l’uscita. Non avrei mai voluto farlo.
La porta dell’ufficio di Draco si aprì e mi parve come se i riflettori si fossero accesi sulle due figure che avevo davanti: Draco che sorrideva amorevole e che stringeva la mano a Cloe, poggiandole l’altra su una spalla.
Non seppi interpretare né gli sguardi né i sorrisi che si erano scambiati, ma sentii che il mio corpo decise di rallentare il passo, fino a fermarsi e nascondersi.
Guardai la scena da un’angolazione che mi pareva assurda, ma non era la visuale che m’interessava: parlavano fitto e con un tono di voce talmente basso che, forse, sarebbe stato difficile sentirlo persino da vicino.
Ricordavo che pure prima di divorziare si comportassero in questo modo, ma nonostante i centimetri che li dividevano –che dovevano essere più di sessanta o settanta-, mi sentivo tradita nel profondo per quella specie di intimità che ancora conservavano.
Attesi che Draco tornasse nel suo ufficio e chiudesse la porta, mentre Cloe si avviava verso l’uscita. Solo allora cominciai di nuovo a mettere un piede dietro l’altro e a camminare, con il mio costante equilibrio incerto.
-Hermione.
Maledetto Harry Potter.
Vidi Cloe che si voltava a guardarmi con aria tranquilla, poi mi voltai a guardare Harry, ma la mia attenzione fu rapita dall’espressione attonita di Draco.
Avevo riaperto la porta ed era uscito nel corridoio. Cercai di ignorarlo e mi rivolsi ad Harry. –Sì?
-Stai tornando a casa?
-No, ho un appuntamento.
-Ah, ok… allora, buona serata.
-Avevi bisogno di qualcosa?
-Niente di importante.
-Buona serata anche a te, allora.
Sentii la voce di Draco, poco più alta di un sussurro chiamare il mio nome, ma feci finta di non sentirla, poi, mi recai verso l’uscita a passi veloci.
Quando aprii la portiera dell’auto di Blaise, vidi Cloe che dalla sua auto mi sorrideva: non capivo che sorriso fosse –se perfido, vittorioso o un semplice sorriso di cortesia-, ma il pensiero di quello che sarebbe successo dopo quell’evento quasi mi spaventò: probabilmente, si sarebbe sparso il pettegolezzo che Hermione Granger tradisse il suo compagno con un altro.
Perché, nonostante i vetri scuri dell’auto di Blaise, la sagoma di uomo era abbastanza visibile.
Seduta comodamente sul sedile, chiusi la portiera.



§


-Sei di pessimo umore.- disse, dopo una buona mezz’ora passata a parlare di svariati argomenti.
-Vorrei vedere te, se ti trovassi di fronte l’ultima scesa che avresti mai voluto vedere.
-Cos’hai visto?
-Credevo che avessero divorziato perché non si amassero più…
-Non si sono mai amati, Hermione.
-Hai mai visto come si guardano?
-Non si guardano in nessun modo, credimi: ho passato sei anni con loro.
-Io li ho visti oggi.
-Non hai pensato solo che Draco gli fosse grato per quello che Cloe sta facendo?
-Cosa sta facendo?
-Sai che è stata lei a chiedere il divorzio? Che ha scelto l’affidamento condiviso?
-No, non lo sapevo… ma io ho visto come si guardano.
-Stai diventando paranoica.
-Può darsi, ma…
-Ma cosa?
-Sono sempre più convinta della decisione che ho preso.
-Io credo sempre che sia quella sbagliata…
-Chissà.
Quando un cameriere si avvicinò, Blaise mi chiese se volessi qualche altra cosa e ordinai un mocaccino. Lui ordinò una tazza di caffèlatte.
Restammo in silenzio ed io non avevo nessuna voglia di dare ancora voce ai miei pensieri.
Nonostante il bruciore che avvertivo alla gola, allo stomaco e al cuore, avevo preso un'altra decisione fondamentale per me, per la mia vita e per questo bambino, pure se non ci fosse stato Draco nei nostri giorni.
-Come va la gravidanza?- mi chiese Blaise, rompendo la bolla di silenzio intorno a noi.
-Credo bene: non so se tanti sintomi siano normali, provocati dalla gravidanza, visto che è tutto soggettivo.
-Hai letto qualcosa in proposito?
-Sì, alcune donne non hanno neanche avuto la nausea. Beate loro…
Il cameriere posò sul tavolo quello che avevamo ordinato, poi andò via, senza dire nulla.
Guardai Blaise per un po’, mentre era impegnato a muovere una mano sulla sua coscia.
-Ti avevo detto che ci sarebbe stata una sorpresa?
-Mi pare di sì.
-Beh, la vedrai tra un po’. Più o meno tra un’ora.
-D’accordo.
Avevo molte cose da chiedere a Blaise, cose che, probabilmente avrei dovuto chiedere prima, ma, ora che mi trovavo di fronte ad una persona che era stata fondamentale nel mio passato e ora che avevo solo un’ora a disposizione, mi resi conto che non avrei potuto più rimandare.
-Che c’è?
-Perché?
-Mi guardi in un modo…
-Cos’ha fatto in tutti questi anni?
-E’ andato all’università e ha lavorato per pagarsi gli studi.
-Si è sposato in chiesa?
-No.- sorrideva. Probabilmente, aspettava di rispondere a queste domande da parecchio tempo e gli stavo offrendo la possibilità di farlo su un piatto d’argento. L’avrei anche pagato, se fosse stato necessario.
-Lucius e Narcissa?
-Non gli parlano da quando si è sposato: non volevano, non hanno mai visto Cloe di buon occhio. Ha sempre amato te. Sempre. Ogni mattina, prima di andare al lavoro, si fermava fuori casa tua e guardava la finestra della tua camera. Quando ha saputo di dover vivere nello stesso quartiere in cui avevi vissuto tu si è sentito un po’ meglio, perché diceva di sentirti più vicina.- sorrisi, senza interrompere. –Sono passati gli anni e nessuno gli ha più parlato di te, perché capivano quanto fosse difficile per lui: era diventato quasi un dolore fisico.- sapevo bene quanto facesse male il pensiero di qualcuno che si è allontanato, per volontà del destino, per la mancanza di forza o coraggio. –Solo un giorno, Harry ha deciso di parlare chiaro con lui: gli disse che ti saresti sposata e che tutti saremmo venuti al tuo matrimonio. Si sentì crollare il mondo addosso. E’ stato assente sul lavoro per non so quanto tempo e nessuno gli ha mai chiesto il perché. Soprattutto Harry che lo aveva sempre visto attivo. Anche per questo nessuno gli ha più parlato di te, perché il solo sentire il tuo nome lo faceva diventare uno zombie.
-Mi sono sentita allo stesso modo, forse peggio.
-Lo so e l’ha capito anche lui.
-Non credo.
-Posso assicurartelo. Era il tuo compleanno, il primo dopo il tuo matrimonio, quando l’ho trovato fuori casa mia, seduto sulle scale, ubriaco da far schifo. Mi ha solo detto che aveva capito e che avrebbe dovuto chiederti scusa per l’eternità e che forse, quella di sposarti con un altro, era stata la scelta migliore, perché meritavi di essere felice.
-Felice, certo…
-Nessuno sapeva che tuo marito fosse quel genere di uomo, ma allora credevamo tutti che potesse renderti felice.
-Ho fatto io l’errore di credere che le cose sarebbero andate diversamente, che sarei stata felice.
-E’ comprensibile: con il tempo anche la speranza muore.
-Vero.- sapevo che Blaise conosceva ogni piega di quella storia, ma non avrebbe mai potuto capire il dolore che avevo provato io o quello di Draco, perché una cosa era parlarne, cercare di spiegarlo, un’altra era viverlo e sentirlo bruciare in ogni parte dentro e fuori dal corpo.
-Non sprecare altro tempo.
-Ho troppa paura.
-Stare così non ti aiuterà a stare meno male, poi, hai frainteso tutto, credimi.
-Non ne sono molto convinta.
Sentii un paio di mani posarsi sui miei occhi e capii dall’odore che dovevano appartenere ad una donna.
Aveva le dita sottili e nessun anello, perciò scartai l’idea che fosse Ginny. O Luna o Pansy.
Non poteva neanche trattarsi di Lavanda, visto che Blaise mi aveva informato del fatto che fosse partita per la Germania mentre eravamo in auto. Cercai di scavare nella mente, ma non riuscivo ad individuare nessuna figura femminile.
Mi arresi, dopo qualche minuto di resistenza forzata e quando la donna mi si sedette di fronte sorrisi felice: avevo creduto che non fosse lei, invece, di fronte a me, c’era proprio Lavanda Brown, la modella più richiesta del momento.
-Ciao.- disse con dolcezza, prima di abbracciarmi forte.
-Blaise mi aveva detto che eri partita.
-In effetti è vero, perché, sai, devo partire tra qualche giorno. Mi dispiace non essere passata da te prima, ma ho avuto tanti impegni: set fotografici, interviste.
-Non ti preoccupare.
-Come stai?
-Bene... e tu?
-Sto bene...
-Sei bellissima.
-Grazie. Scusa la domanda, ma hai visto anche tu che Blaise è abbastanza bravo a mentire…- si guardarono e sorrisero complici. Li invidiavo. -…ma… è vero che sei…
-Su, diglielo che tu e Draco siete tornati insieme.
-Sì, è vero.- sorrisi, cercando di mandare via il pensiero che, forse, sarebbe finito tutto di lì a poco. Di nuovo.
-Oh Dio, finalmente. E come vanno le cose? Insomma, avete deciso di sposarvi?
-Per il momento, abbiamo deciso di avere un figlio.
-Davvero? E avete già deciso tra quanto tempo?
-Nascerà fra sette mesi.
-Sei incinta?
-Sì.
-Congratulazioni.- Lavanda mi abbracciò e mi sentii felice: mi resi conto di quanto fossi favorita dalla sorte ad avere qualcosa di così meraviglioso dentro di me.
-Mi sono persa troppi anni di questa amicizia, raccontami tutto.
Le raccontai per sommi capi del mio matrimonio finito e di quello di Draco, della festa di fidanzamento di Ginny, del giorno in cui Draco era venuto a conoscenza della mia gravidanza, di quello in cui l’avevo saputo mamma. Insomma, tutti i discorsi ruotavano intorno a me.
-E tu?
-Io sono sempre in giro per il mondo e sai,- disse dopo che Blaise si fu allontanato per andare a prendere qualcosa che aveva lasciato in auto. –credo che tra poco abbandonerò tutto. Forse un anno o due.
-Perché?
-Ho bisogno di stabilità e, per quanto Blaise si dimostra sempre comprensivo, capisco che questa situazione gli fa male. E fa male anche a me: desidero una casa che sia sempre la stessa, non una camera d’albergo in cui passare le notti da sola, desidero avere un figlio e questo lavoro non mi permette di vivere la vita che vorrei. Mi fa guadagnare molto, è vero, ma non mi rende davvero felice.
-Sono sicura che farai la cosa giusta.
-Me lo auguro: odio dovermi pentire delle mie decisioni.
-Già…- lo odiavo anche io e sapevo bene quanto risentimento si provasse, quanto bruciasse la sensazione di sentirsi una fallita.
-E poi, ho bisogno di stare vicino alla mia famiglia, ai miei amici…
-Ti capisco perfettamente.
-Lo so, perciò te ne parlo. Allora, com’è stato vivere a Parigi?
-La città è fantastica e anche le persone sembravano essere molto amichevoli, gentili.
-Non tutte sono così.
-Lo so e posso affermarlo con certezza.
-Però, dai, almeno ti consolavi con la Tour Eiffel.
-Ma sai che da casa mia si vedeva abbastanza bene? Godevo di una vista meravigliosa.
-Almeno quello.
-Già.
-E, ora, Draco come mai non è qui?
-E’ a lavoro… sai, lui e il suo senso della giustizia, dell’impegno sociale.
-Sempre molto attivo.
-Sempre.
Sorridemmo e vedemmo arrivare Blaise, allora cambiammo totalmente argomento.
Parlammo per un po’ del lavoro che avevo avuto grazie a Harry, del mio studio, degli appuntamenti che avevo avuto con Blaise.
Guardai l’orologio e mi resi conto che erano quasi le otto: erano passate tre ore e mai il tempo era stato così veloce.
Salimmo tutti e tre in auto e Blaise mi accompagnò al dipartimento. –Vuoi salire a vedere lo studio?- chiesi a Lavanda, la quale annuì.
Solo quando ci trovammo all’interno dello studio e quando Lavanda si sedette sul divano, mi presi tutto il tempo di guardarla: era cambiata, non aveva più i lineamenti di un’adolescente e lo sapevo perché avevo trovato la sua foto anche su parecchie riviste francesi, ma vederla dal vivo era tutt’un’altra sensazione.
Mi sentivo come se fossi la sorella maggiore che constatava quanto sia cresciuta la sorella più piccola, eppure Lavanda era anche più grande di me di qualche mese.
La guardai sorridendo, mentre, sempre seduta, lei osservava il mio studio. –E’ davvero bello. E’ accogliente e ci sono i miei colori preferiti qui dentro. Semmai dovessi far causa a qualcuno verrò da te, perciò segna già il mio nome sulla lista dei tuoi clienti.
-Mi auguro che tu non debba mai farlo.
-Lo so, è scocciante stare in un’aula di tribunale.
-Non per questo, non per me almeno…
Uscimmo dallo studio dopo quindici o venti minuti e ci incamminammo verso l’ascensore.
Quando le porte si chiusero, sentii la strana sensazione che avevo provato la mattina stessa avvolgermi lo stomaco e, con il pensiero, tornai alla scena che avevo visto nel pomeriggio, prima di entrare nell’auto di Blaise.
Cloe era una donna che mi aveva sempre spaventata, a parte il giorno in cui l’avevo conosciuta.
Osservai Lavanda per distrarmi e mi accorsi che si guardava intorno con aria meravigliata, come se non avesse mai visto un’ ascensore.
-Ti sembrerà strano- disse, intercettando i miei pensieri. –ma sono queste le cose che mi meravigliano. Sono così abituata a vedere quei posti fantastici, che la semplicità delle cose che ci sono anche a casa mia mi lascia senza parole.
Sorrisi, senza rispondere.
Ci salutammo al fianco della mia auto, poi mi ritrovai sola all’interno dell’abitacolo scaldato dall’aria condizionata che avevo acceso prima di entrare.
Da sola, in quel parcheggio al buio, mi sembrava di vedere il sorriso di Cloe ovunque.
Mi spaventai e misi in moto l’auto, ripartendo poco dopo.



§


Mamma era in cucina e aveva apparecchiato la tavola, in attesa di cenare insieme.
-Buonasera.- dissi, posando la borsa all’appendiabiti.
-Com’è andata al lavoro?
-Bene. Sono anche uscita con Blaise e Lavanda.
-Lavanda Brown?
-Sì.
-Che cara ragazza…
-Già.
-Ho preparato la cena.
-Lo so, ho sentito un buon odore, appena ho aperto la porta.
-Grazie.
Cenammo in silenzio per la maggior parte del tempo, a parte nei momenti in cui mamma mi chiedeva quali fossero i sintomi che mi portava la gravidanza e quali quelli che mi davano maggiore noia.
-La nausea.- risposi, spalancando gli occhi.
Mamma rise e la imitai. –Come ho fatto a non accorgermene?
-Non è colpa tua: sono stata brava a nasconderlo.
-Può darsi…
Cominciai a sparecchiare la tavola, ma mamma mi fermò, bloccandomi con la mano sulla superficie legnosa. –Mamma, dai…
-Tu devi stare a riposo. La gravidanza ti spossa abbastanza, non devi sprecare altre energie, Hermione…
-Ma sono cose che dovrei fare se fossi in una casa mia, insieme a mio marito.
-No, le farebbe lui.
-Mamma, ti prego.
-Torna a sederti.
-Ecco perché non volevo dirtelo.
-Avevi paura di me…
-In un certo senso.
-Credi che lo faccia per il tuo male?
-No, affatto.- Mamma non avrebbe mai fatto nulla per farmi male prima, figuriamoci se l’avrebbe fatto ora che anche il suo sogno stava per realizzarsi.
In quell’istante mi sentii felice di poter rendere felice la donna che amavo più di ogni altra cosa, però, nonostante la felicità che provavo per la possibilità di diventare mamma, c’era qualcosa in me che faceva a pugni con quell’atmosfera perfetta: mi mancava qualcuno. Mi mancava infinitamente qualcuno…
Draco non mi aveva chiamata in quei due giorni e sapevo già che non l’avrebbe fatto, perché la sua teoria di coppia gettava le basi sul rispetto verso l’altro, verso qualsiasi richiesta avanzata dall’altro, a meno che non si trattasse di qualche pazzia o fosse estremamente deleteria ai danni dell’altro.
Per questo mi aveva regalato il suo silenzio.
Aiutai comunque mamma a togliere la tovaglia e a passarle i piatti che avrebbe messo nella lavastoviglie, poi, mi diede il bacio della buonanotte e andò a dormire.
Io, invece, tolsi le scarpe e mi poggiai con tutto il corpo sul divano nel salone. Accesi la televisione per non pensare ad altro e mi soffermai a guardare un film in bianco e nero di cui non conoscevo il titolo.
Durante tutta la giornata –e nei giorni precedenti- non avevo mai avvertito tanto la sua assenza. Non sapevo spiegarmi il perché, ma ero convinta che dipendesse tutto da quello che mi aveva raccontato Blaise che, tra tutti gli amici, era stato l’unico a dare voce al dolore di Draco. E si era permesso di farlo perché era l’unico che lo conosceva davvero bene, persino meglio di quanto lo conoscessi io.
Eppure, in quegli occhi spalancati non ci avevo colto segno di colpevolezza, ma solo una meraviglia tale che mi aveva bloccato l’aria nei polmoni. Solo che da parecchio tempo non riuscivo a interpretare bene i segnali che le persone mi inviavano, nonostante fossi ritenuta l’avvocato più brillante di tutta Parigi.
O, probabilmente, era l’aria di Londra che mi appannava i sensi. Londra, con i suoi temporali inaspettati a fine marzo e a fine giornata.
Un lampo illuminò il salone, creando delle ombre che mi spaventarono.
Avevo una paura tremenda dei temporali e mi chiedevo se fossi diventata in grado di proteggere mio figlio dalle cose di cui io stessa avevo paura; mi chiedevo come avrei fatto se non mi fossi sentita in grado di essere mamma, ma erano pensieri che, ormai, ricorrevano fissi alla mia mente ed erano pensieri che mi demoralizzavano tanto da farmi credere, a volte, che davvero non ce l’avrei fatta.
Quando sentii il cellulare vibrare, balzai dal divano e mi ritrovai con le ginocchia sul tappeto.
Non risultava nessun numero e la scritta sconosciuto si illuminava ad intermittenza sul display. Mi sentivo come se fossi in un film del terrore, nel momento in cui l’assassino telefonava alla vittima e per dirle che a breve sarebbe morta.
Ed era anche sabato sera.
Premetti il tasto di risposta con mani tremanti. –Pronto?- la mia voce esprimeva perfettamente il mio stato d’animo.
-Non avere paura, sono io.
-Ciao.- tirai un sospiro di sollievo perché non era nessun pazzo maniaco che avrebbe voluto uccidermi, ma soprattutto perché sentii la sua voce.
Solo in quel momento mi fu chiaro quanto in realtà avessi bisogno di lui, anche se non l’avrei ammesso, perché quel sorriso che aveva rivolto a Cloe era ancora troppo vivo nella mia mente.
-Sono qui fuori, mi fai entrare?
Staccai la telefonata e andai ad aprire la porta: era lì fuori, zuppo.
-Entra.- gli dissi con voce piatta.
Ero felice di vederlo, ma c’era qualcosa che mi impediva di renderlo partecipe della mia felicità.
-Sei ancora vestita?
-Sì, se mi dai un minuto, vado a mettermi comoda e… ho ancora qualcosa di tuo qui, dovrebbe essere una tuta. Usa il bagno, se vuoi.- mi avviai per le scale e aprii l’armadio dove sapevo di tenere una tuta di Draco: era lì da anni, da quando gliel’avevo rubata perché lui aveva rubato una mia t-shirt.
Era avvolta nel cellophane, così la sciolsi e la poggiai sul letto, poi mi avviai in bagno per fare una doccia veloce.
Sfregai comunque con delicatezza il bagnoschiuma sulla pelle, poi risciacquai con cura e mi avvolsi nell’accappatoio.
Mi vestii, indossando anch’io una tuta, poi, presi quella di Draco e tornai al piano inferiore.
Lo trovai in piedi, vicino alla porta. –Ecco.- gli porsi la tuta. –Non sei…
-Aspettavo che tornassi.
-Oh.- e lo guardai allontanarsi e perdersi nel buio del corridoio.
Accesi uno delle applique che mamma teneva nel salone, per non fare troppa luce e disturbare il suo sonno, poi andai in cucina ed avviai la macchinetta del caffè.
Vidi il bricco riempirsi più velocemente e capii che mamma aveva riempito il motore, poi, quando sentii la porta del bagno aprirsi, poggiai su un vassoio le tazze ed un portacenere e tornai in salone.
Draco stava frizionando i capelli con un asciugamani, poi si voltò verso di me. –Non hai freddo?
-No.
-Metti almeno un paio di calzini...
-Sto bene così.
-Il portacenere non serve: ho smesso.
Mi posò le mani sul ventre e fui felice di capire che l'aveva fatto per nostro figlio, poi c
alò un silenzio quasi tombale, in cui ci guardammo negli occhi.
-Dobbiamo parlarne.- disse, con un tono decisamente troppo convinto.

-Non c’è molto da dire.
-Invece sì: voglio capire il perché.
-Non saprei dirti… sono tante cose.
-Tante cose, quali?
-Prima credevo solo che avessimo corso troppo e che dovessimo rallentare. Ora, invece, credo che ci sia tanto altro su cui tu devi fare chiarezza.
-Cosa intendi?
-Il modo in cui hai guardato Cloe.
-Mi sta aiutando molto per la questione di Natan.
-Quante volte è venuta in commissariato?
-Questa è la prima volta.
-Non lo so… non riesco a crederti.
-Cos’è cambiato?
-Non avevo mai visto, prima.
-E’ tutto così ridicolo: abbiamo perso così tanto tempo a cercarci e ora mi mandi via.
-Sì, credo che sia giusto così.
-Non pensare se sia giusto o meno. E’ quello che vuoi?
Mi sentii colpita nel centro del cuore e, guardando nei suoi occhi grigi e intensi, mi resi conto che no, non era quello che volevo, ma seguire l’istinto aveva dato frutti peggiori che seguire la ragione. –Sì.
-Vuoi ancora tempo per pensare?
-Non lo so.
-Questo me lo devi.
-Va bene.
-No, andrebbe bene se tornassi con me.
-Non lo farò. Non adesso, almeno.
-Ho una cosa da darti.
-Cos’è?
-Il mio mp3, niente di che… volevo che tu ascoltassi una canzone.
-Va bene.
-Ce n’è una sola, qui dentro.- disse, muovendo l’aggeggio.
Per un attimo sorrise e, con indosso quella tuta che gli stava ancora alla perfezione, mi tornarono alla mente tutte le serate trascorse nei nostri falsi pigiama party, insieme a Ginny e Harry, nel nostro appartamento poco fuori Londra.
-Grazie.- dissi, quando mi porse l’mp3.
-Credo sia ora di andare.
Guardai l’orologio e mi resi conto che era davvero tardi. Ancora una volta, il tempo aveva accelerato il suo corso.
Nonostante il fatto che non sapessi cosa fare, avevo bisogno di sentirlo vicino. –Sì.- risposi infine.
-Vuoi venire con me? Dormiamo insieme…
-No, resto qui.
-Hai paura dei temporali.
-Passerà.
-Mi manchi.
-Credo che ti manchi Cloe, non io.- abbassai lo sguardo e sentii le sue dita sfiorarmi il mento e tirarlo su.
-Mi manchi tu, mi sei sempre mancata tu. E’ con te che voglio stare, ricordalo sempre.
-Certo…
-Buonanotte, ‘Mio… Ti amo.
-Sì.
-Davvero.
Mi baciò delicatamente sulle labbra, senza approfondire il bacio, senza pretendere nulla di più, poi si avviò alla sua auto e mi sorrise, salutandomi di nuovo con la mano.
Feci lo stesso poi, tornai dentro casa.
Tornai a sedermi sul divano, infilai le cuffie nelle orecchie e schiacciai il tasto che avrebbe fatto partire la canzone, poi tutto intorno si riempì di quella.

Spoiler capitolo 41:

-Che bisogno c’è di farlo?
-E’ un problema mio, non tuo.
-Potrebbe farti del male.
-Ci sono tante cose che devo risolvere ed è quello che voglio fare.
-Non te lo permetterò.
-Tu non sei nessuno per non permettermi di rivedere Henri.


Angolo Autrice:
Saaalve gente.
Molti di voi saranno in vacanza, mentre io scrivo per cercare di recuperare il tempo perso (questa è anche una scusa per non demoralizzarmi a causa delle poche recensioni)  xD
Bene, questo capitolo è puramente di passaggio e questi sono i più importanti, credo.
Sono cambiate un po’ di cose, è vero, ma presto ci saranno altri cambiamenti (non si sa se saranno positivi o negativi).
Ora, invece di fermarmi a parlare dei personaggi o dello SPOILER che sembra davvero davvero tremendo, ho intenzione di indire un sondaggio.

TATTATATAAAA:
Hermione è incinta, lo sappiamo tutti ed è anche troppo presto perché io decida quale sarà il sesso del bambino… ma voi come lo vorreste? Maschio o femmina?
Aspetto le risposte nelle recensioni e, ovviamente, il risultato lo scoprirete insieme alla nostra riccia.
Un bacio e buon proseguimento di serata. -.- ‘  ci manca solo la voce che dice “Da Italia Uno.”

Alla prossima, la vostra Exentia_dream

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Capitolo 41
*** Ritorno... ***


Ritorno…

 

 

-Harry- dissi, posando la borsa nella sedia accanto alla mia. –ho bisogno di un favore.
-Tutto quello che vuoi.
-Devo vedere Henri.
-Cosa?- gli occhi spalancati, la bocca aperta che disegnava sul suo viso l’espressione di chi non ha capito bene.
-Hai capito, Harry, perciò, metti via quell’espressione da pesce lesso e dimmi dove devo andare.
 -Che bisogno c’è di farlo?
-E’ un problema mio, non tuo.
-Potrebbe farti del male.
-Ci sono tante cose che devo risolvere ed è quello che voglio fare.
-Non te lo permetterò.
-Tu non sei nessuno per non permettermi di rivedere Henri.

-La solita testa dura. D’accordo, allora lo rivedrai qui.
-Qui?
-Sì, nella sala degli interrogatori.
-Ma è vetrata ed io non voglio che ci vedano.- non volevo che Draco potesse vedere o, addirittura, sentire quello che avevo da dire a Henri.
-Abbasserai le tende.
-E magari metto anche un bel vaso di fiori sul quel tavolo, eh?
-Non fare la simpatica, Herm.
-Io non sto facendo la simpatica, Harry: sono venuta qui per chiederti un favore e ti stai tirando indietro. Eppure, cazzo, si tratta di me…
-Appunto.- urlò, senza lasciarmi finire la frase. –Proprio perché si tratta di te, voglio che tu sia al sicuro. Vuoi rivedere quel pezzo di merda? Va bene, lo rivedrai, ma poi non venire più a piangere da me, perché, credimi, sono davvero stanco.- gli occhi ridotti a due fessure, ma carichi di rabbia, la bocca dritta, le narici leggermente aperte.
Non avevo capito dove volesse andare a parare e non avevo neanche voglia di pensarci, perciò raccolsi la borsa ed andai via, senza neanche salutarlo.
Ero andata da lui con le migliori intenzioni, soprattutto, mettendo prima da parte il nervosismo che sentivo nello stomaco da quando mi ero svegliata.
Quando entrai nell’ascensore, mi ritrovai in compagnia di un uomo dalle spalle larghe e estremamente muscolose –  si vedeva bene, nonostante la giacca. Doveva essere della sicurezza.
Abbassai lo sguardo e mi limitai a premere il pulsante del secondo piano.
Il silenzio era imbarazzante,  ma riempirlo di cretinate, forse, sarebbe stato anche peggio.
Tossii, perché il profumo acre di quell’uomo mi prese alla gola, ma cercai di trattenere quanta più aria possibile e non tossire più
Quando le porte si aprirono, affrettai il passo per uscire dall’abitacolo e respirai a pieni polmoni l’aria di chiuso e di caffé che era meglio di quel profumo.
Mi sedetti nella sedia girevole che avevo dietro la scrivania e presi dal cassetto i documenti che avevo preparato: era stata una scelta difficile, ma, in fondo, avevo già deciso prima ancora che mi si presentasse l’idea.
Credevo che fosse per il fatto di aver capito di essere ancora innamorata di Draco, ma, probabilmente, quella consapevolezza era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: più di una volta, durante il mio matrimonio, mi ero chiesta se era quella la vita che volevo, se sarei stata felice e la risposta, ovviamente, era sempre stata negativa.
Tendevo a farla apparire positiva ai miei occhi e a quelli degli altri solo per cercare di salvare qualcosa e per non vedere scritta sulla mia fronte a carattere cubitali la dicitura “fallita”, perché sarebbe stato davvero imbarazzante e fuori luogo.
Ma, veramente imbarazzante e fuori luogo era stata la cecità con cui mi ero ostinata a vivere pur di non ammettere di aver perso.
Se non fossi tornata a Londra, probabilmente, avrei vissuto chissà quanto altro tempo in quello stato e, con il passare degli anni, non me lo sarei mai perdonato.
Presi il telefono e digitai un numero, poi portai la cornetta all’orecchio.
-
Bonjour?
-
Salut, je suis Hermione Granger .. Je pourrais en parler à l'avocat Abbott?
-Oui, un instant que je passe sur sa ligne.

Attesi, giocherellando con una matita e quando il mio superiore rispose, sentii la malinconia assalirmi. –Pronto?
-Signora Abbott, salve…
-Oh cielo, Hermione, come stai?
-Sto… bene… me la cavo qui…
-Il tuo ufficio è ancora intatto, nessuno ancora ci ha messo piede.
Sorrisi. –Grazie, davvero, ma…
-Hai già trovato lavoro?
-Sì.
-Su, raccontami: è successo qualcosa di bello?
Erano successe così tante cose belle che non sapevo da dove avrei dovuto cominciare. Inoltre, proprio con lei non potevo trattenermi, perché era stata l’unica compagnia, l’unica con cui avevo potuto confidarmi; una specie di guida da seguire sempre. –Non so…- risposi, dopo un po’.
-Suvvia.. Henri?
-Noi no- non stiamo più insieme.
-Oh, e come mai? Insomma, sapevo che tante cose non andavano e che… dì la verità: hai conosciuto l’uomo della tua vita?- la voce carica di allegria.
-In realtà, lo conoscevo già. Ma non è solo questo: sono successe tante cose che mi hanno portato a capire che Henri non era l’uomo giusto per me e per mio figlio.
-Tuo figlio? Hai un figlio?
-Sì, no… cioè… non ancora.
-Dio Santo, Hermione, e cosa aspettavi a dirmelo? Complimenti, davvero. Finalmente…
-Già.
-E, dimmi, sarà figlio di questo fantastico uomo?
-Sì.
Passammo quasi due ore al telefono, parlando di cose futili, importanti, piacevoli, spiacevoli e, alla fine, promettemmo che non avremmo perso i contatti.
Nell’esatto momento in cui posai la cornetta del telefono, Cho mi avvisò che Harry voleva parlarmi.
Restai di nuovo sola, mentre sistemavo tutto il necessario nella borsa.
Mi levai dalla sedia, tenendomi salda alla scrivania, perché il capogiro che mi aveva colpito non accennava a calmarsi.
-Ti senti bene?
-Si… mi gira solo la testa.
-E’ normale durante la gravidanza.- sorrise. –Ti accompagno.
-Grazie

 

 

 

§

 

 

 

 Erano passati altri tre giorni, cullati nel silenzio più assoluto.
Era un bene per me, me ne rendevo conto e mi rendevo conto di quanto Draco mi rispettasse davvero, nonostante i suoi sentimenti.
Sorrisi tra me e me, sentendomi anche un po’ in colpa per essermi imposta una pausa di cui io stessa avevo paura.
Per giorni e notti intere avevo ascoltato la canzone sul suo mp3 ed avevo trovato le risposte a tutte le mie domande.
Riflettendo da sola non sarei arrivata a nessuna conclusione e, soprattutto, semmai avessi tratto qualche ipotesi, non avrei potuto confrontarla con la realtà…
Era il nostro tempo adesso e non volevo più sprecarne neanche un attimo.
Il nostro tempo era stato rimandato per troppo tempo e non era giusto.
Sapevo che mi stava aspettando, sapevo che in fondo, anche lui aveva sempre desiderato che arrivasse questo momento.
Prima, però, prima di poter cominciare la mia vita con lui come volevo, dovevo finire qualcosa che in realtà non era mai cominciato.
Guardai i fogli sulla scrivania ancora un po’, poi mandai un messaggio a Harry per avvisarlo che accettavo di incontrare Henri in commissariato… era una questione davvero importante e dopo aver saputo che era ancora in prigione, mi sentii più tranquilla.
Il telefono squillò dopo dieci minuti e Harry mi avvisò che avrei dovuto aspettare almeno un’ora per incontrare il mio ex marito. Ci rimasi abbastanza male perché avevo una certa fretta a risolvere quella questione.
Per ingannare il tempo, rimisi le cuffie dell’mp3 e riascoltai per l’ennesima volta la sua canzone.
Anche io avevo colpe riguardo alla fine della nostra storia: ero andata via senza lottare,  limitandomi ad un semplice: “RESTA” che per me a quell’epoca valeva più di ogni altro gesto.
E alla fine, ero stata io quella che era andata via. Via da Londra, via dal dolore, via da lui…

Far away, troppo lontana. In Francia, in un’altra nazione dell’Europa, in un altro mondo.
La chiacchierata con Blaise mi aveva aperto gli occhi e aveva ridato aria ai miei polmoni e battiti al mio cuore. Non aveva di certo cancellato dai miei ricordi il sorriso che Draco aveva rivolto a Cloe né il ritardo con cui aveva risposto alla mia domanda, ma aveva aperto nuove prospettive, mi aveva dato una nuova voglia di credere in lui.
Lo dovevo a me, lo dovevo a lui e quel noi che per troppo tempo ci aveva visti divisi, ma soprattutto lo dovevo a nostro figlio.

Too long. Troppo tempo. Troppo tempo tolto ad una storia che è sempre esistita , nonostante la distanza, nonostante ci fossero altre persone di mezzo, nonostante  tutto.
Nel frattempo la sensazione di fare la cosa giusta si stava facendo strada in me sempre di più, man mano che le note suonavano e riempivano le cuffie e tutto quello che mi circondava.
Come avevo potuto credere che allontanarsi fosse la cosa giusta? Come avevo potuto credere che fosse necessario rallentare?

Too late. Troppo tardi: era semplicemente troppo tardi per pensare di poter tornare indietro, a quando non lo amavo ancora; era troppo tardi per credere di poterne fare a meno; troppo tardi per privarmene e credere di poter star bene.
Ancora una volta ascoltai quella canzone e ancora una volta ripetevo quelle parole come un mantra, ma non dovevo più convincermi di niente, perché avevo preso la mia decisione e questa volta non avrei cambiato idea. Che senso avrebbe avuto farlo? Nessuno, appunto.
Allora perché avrei dovuto farlo? C’erano solo motivi che mi spingevano da lui ed io avrei seguito quei motivi come Hansel e Gretel avrebbero seguito le molliche di pane che avevano lasciato lungo il loro cammino. Draco era la mia casa di pan di zenzero e non c’era nessuna strega da temere.
Anzi, era tutto lì per essere vissuto come aveva sempre meritato. Ero stanca di togliere tempo al mio stare bene ed ero stanca di essere paranoica: dovevo e volevo credere alle sue spiegazioni, ai suoi occhi.

 Just one chance. Solo una possibilità, anche se questo amore ha sempre meritato molto più di un’unica possibilità, ha meritato molto di più di una fine senza senso e di un addio in cui nessuno dei due ha mai creduto.
Era tempo di darci quella chance, era tempo di viverci.
Sentii il cellulare vibrare e lo presi dalla tasca guardandolo quasi meravigliata.
Avevo dimenticato quanto fosse piccolo e sorrisi per il pensiero stupido che mi passò per la mente.
Harry mi aveva mandato un messaggio in cui mi avvisava che Henri era nella sala degli interrogatori.
Guardai ancora la documentazione che avevo sulla scrivania e sentii una fitta allo stomaco: ero decisa, ma chiudere una storia in cui mi ero impegnata tanto mi faceva sentire una fallita.
Meglio così, perché se da un lato c’era il fallimento, dall’altro c’era la gloria di un amore perso, mai dimenticato e ritrovato che ben presto sarebbe stato davvero completo, grazie a questo figlio che era in arrivo.
Presi tutti i fogli e mi avviai verso l’ascensore.
Non so quanto tempo aspettai, non so quale profumo ci fosse nell’abitacolo, non so quanti passi feci per arrivare alla sala degli interrogatori… sapevo solo che quel tempo era mio, sapevo che il profumo che sentivo era quello della libertà dopo anni di prigionia, sapevo che qualsiasi fosse il numero dei passi fatti non era niente rispetto a quelli che avrei voluto fare per raggiungere Draco.
Mi soffermai sulla porta e presi un lungo respiro. Ci voleva coraggio, ce ne voleva tanto…
Poggiai la mano sulla maniglia e la girai.
Quando entrai la luce soffusa per un po’ mi oscurò la vista, perciò feci fatica a capire quale espressione ci fosse sul viso di Henri.
Usavo poche volta l’appellativo di ex marito, perché non l’avevo mai sentito tale, né ex né marito. Era semplicemente un estraneo.
Eravamo due estranei.
Mi guardai intorno e come aveva detto Harry le tendine erano calate. Sorrisi, pensando al vaso con i fiori a cui aveva sarcasticamente accennato la mattina.
Tornai seria quando un sospiro spazientito di Henri riempì l’ambiente. Quindi posai i fogli sul tavolo posto al centro della sala e li diressi verso l’uomo che avevo di fronte.
Non volevo sedermi, non volevo avere nessuna specie di intimità con lui.
-E’ una pratica di divorzio.- annunciai, visto lo sguardo strano che Henri rivolgeva a quei fogli.
-E cosa dovrei farmene?
-Tu niente, devi solo firmarli.
-Devo? Sono obbligato a farlo?
-In un certo senso. Puoi anche non farlo.
-Allora non lo faccio.
-Ovviamente, andrai incontro a delle sanzioni penali e dovrai pagare un buon avvocato che ti tiri fuori dal guaio in cui sei.- Sapevo quanto Henri fosse legato ai soldi e quanto non ci capisse nulla di questioni legali. Stavo giocando sporco, ma era proprio ciò che si meritava.
-E’ perché ti sei fatta mettere incinta?
-E’ per tante cose.- preferii non rispondere alla sua provocazione.
-La madre troia e il bambino bastardo.
-Non potrà mai esserlo più quanto lo sia tu, perciò non me ne preoccupo.
Scoppiò in una risata fragorosa e cattiva ed io abbassai lo sguardo. Non sapevo perché, ma ebbi paura di una sua reazione.
Che ci fu, ma non fu quello che credevo. Si alzò dalla sedia e mi si avvicinò. Mi guardò per un po’ negli occhi e mi sputò sulla camicetta, all’altezza del ventre.
Mi sentii ferita e offesa, soprattutto perché mi sentii incapace di difendere il mio bambino.
Decisi che non era quello il momento di mostrarmi fragile, quindi alzai il capo in segno di sfida.
-Visto com’è facile colpire il bastardo?- mi chiese con un sorriso malvagio stampato in faccia.
-Per te non sarà affatto facile, perché tra un po’ tornerai in prigione e nel caso uscissi non potrai stare a meno di cinquecento metri da me. Suo padre, invece, sì che potrà toccarlo.
-Toccherà anche te, eh, puttanella?
-L’ha già fatto e continuerà a farlo. Amo come lo fa, molto molto diversamente da come facevi tu.
Vidi il suo braccio tendersi verso l’alto e chiusi gli occhi per la paura, ma in quel momento, ringraziando Dio, qualcuno aprì la porta e annunciò che il mio incontro era finito.
Avevo quasi dimenticato quanta paura avessi di quell’individuo che non meritava neanche di essere chiamato con quell’appellativo.
L’istante dopo, però, mi tornarono nella mente le urla, le minacce soprattutto il dolore fisico. Mi sentii come se fossi tornata indietro nel tempo, a pochi mesi prima che nella mia vita il sole brillasse di nuovo. C’era ancora qualche nuvola, ma anche i raggi più nascosti mi facevano sentire il proprio calore.
Non avrei potuto chiedere di meglio.
Mi ricordai delle carte che Henri avrebbe dovuto firmare e prima che l’uomo che aveva aperto la porta lo portasse via, gli porsi la penna.
Firmò in silenzio e mi dedicò uno sguardo sprezzante e carico di odio.
Ora il mondo girava davvero nel verso giusto. Mi sentivo invincibile, non c’era più niente che potesse andare male.
Avevo la certezza nel cuore che nessuno avrebbe più potuto farmi male e sapevo che Draco sarebbe stato al mio fianco.
Rimasi qualche altro minuto nella sala degli interrogatori, mi sedetti e guardai i granelli di polvere che alla luce del sole volteggiavano e si posavano lentamente sul tavolo.
Ne spostai qualcuno con il dito, disegnando sulla superficie legnosa un piccolo cuore: mi sembrò di essere tornata a scuola, a quando sui fogli di quaderno non facevo altro che scrivere il suo nome con tanti cuori accanto. Uno con la penna rossa, l’altro con la penna blu.
Giochi di ragazzina che però descrivevano tutto l’amore e la dipendenza che avevo nei suoi confronti. Una dipendenza bellissima, che per tanti anni mi ha fatto male; un amore che sembrava uccidermi quando ero in Francia e ripensavo a lui, ma che ora mi dava la forza di affrontare ogni cosa.
Tornai nel mio ufficio, con il cuore più leggero e con lo stomaco un po’ più pieno: mi ero fermata a bere un caffé e avevo rubato a Harry un pacchetto di cracker.
Mi sedetti sul divano e liberai i piedi dalle scarpe. Mi sentii immediatamente più sollevata, ma sapevo che non erano stati i tacchi a darmi il tormento per tutta la mattinata: il pensiero di dover dire a Henri come stavano le cose, la paura della sua reazione, il sollievo vedendo che si era soffermato solo a brutte parole. Non mi feriva con le sue frasi, non più.
Con il tempo, durante gli anni del matrimonio, avevo imparato ad ignorarlo, anche se a volte ancora ci rimanevo male… ma non avevo nessuno da amare come amavo mio figlio e Draco.
Ora loro c’erano, erano presenti nella mia vita e speravo che questo sogno durasse in eterno. Mi sarei impegnata per far sì che ciò accadesse.
Chiusi gli occhi e mi rilassai totalmente

 -Credo che sia meglio prendersi del tempo, per pensare.
-In questo modo finisce.
-Non è detto.
-Ci abbiamo messo così tanto a ritrovarci, perché proprio ora?

 Parte del discorso di quella sera mi tornava in mente e mi faceva male.
Io stessa non capivo come avevo potuto pretendere di avere del tempo per pensare. A cosa, poi?
Non lo sapevo… forse, dovevo solo avere la certezza che io amassi realmente Draco, forse dovevo liberarmi dai fantasmi ancora vivi nel mio presente e chiudere con il mio passato francese.
Sì, avevo solo bisogno di questo ed ora che ero riuscita in tutte queste piccole cose potevo tornare in quel bulbo sicuro, il mio posto nel mondo.

 -…perché proprio ora?
A giorni di distanza, quindi, avevo trovato una risposta ad una domanda che poteva sembrare stupida, ma che in realtà era l’unica a cui non seppi rispondere quella sera.
Perché ora? Perché era giusto farlo, tenerlo fuori dai problemi che mi ero creata con le mie mani. Dovevo risolverli da solo, senza gravare sulle sue spalle.
Ero una donna, ero cresciuta e dovevo prendermi le mie responsabilità, andare loro incontro ed affrontarne le conseguenze.
Ce l’avevo fatta e ci ero riuscita da sola: mi ero messa alla prova e quindi sapevo di poter affrontare qualsiasi altra cosa, sapevo che sarei stata una buona madre o che, almeno, mi sarei impegnata ad esserlo.

 

 

 

 

§

 

 

 La giornata, nel complesso, era stata piatta, ma mi sentivo stanca.
Mi facevano male le gambe e la testa. Nessun conato di vomito, nessuno sbalzo di pressione… almeno questo!
Tornai a casa reggendomi in piedi a fatica e guardai l’orologio: erano le otto di sera e fuori il cielo era abbastanza nuvoloso.
Probabilmente, la pioggia era lì pronta a scendere giù!
Mamma non c’era e mi aveva lasciato un biglietto con su scritto che sarebbe rientrata tardi, perciò mi avviai in cucina, scalza, e mi versai un bicchiere di latte freddo e senza zucchero.
Non avevo nessuna voglia in particolare, ma mi piaceva fare un po’ la capricciosa.
Sorrisi tra me e me, pensando a quanto mi avesse resa infantile questa gravidanza e pensai anche che questo, in parte, mi avrebbe avvicinato al mio bambino.
Pensai a Draco.
Presi il telefono dalla borsa e avviai la telefonata.
Uno squillo.
Non l’avevo visto neanche una volta durante la giornata e, a dirla tutta, non avevo guardato nemmeno la porta del suo ufficio. Temevo che mi vedesse e che fraintendesse quello che era successo con Henri.
Due squilli.
Certo, non c’era granché da fraintendere: eravamo un uomo e una donna che uscivano da una sala interrogatori, accompagnati da un uomo in divisa.
Tre squilli.
L’ansia cresceva ad ogni squillo a cui non rispondeva e pian piano il panico si arrampicava dalle caviglie.
Quando attaccò la segreteria, mi sembrò che un peso enorme mi fosse crollato sulle spalle.
Lasciai il telefono sul tavolo in cucina e mi avviai su, in camera mia, nel bagno, nel box doccia, per mandare via quei pensieri tremendamente brutti dalla mia mente.
Improvvisamente, l’immagine di Draco che sorrideva a Cloe tenendole una mano sulla spalla mi riempì la visuale e mi sentii mancare. Mi si riempirono gli occhi di lacrime e tirai su col naso.
L’acqua  mi accarezzava la pelle e contemporaneamente quell’immagine mi pungeva: bruciava davvero tanto.
Sfregai con forza ogni parte del corpo, come a volermi pulire da quel dolore, da quei dubbi, da tutto quello che mi aveva annebbiato le certezze che avevo costruito in quel maledetto tempo in cui mi ero allontanata da lui.
Ora, però, quei colori sembravano sbiaditi… ma io credevo davvero alle mie convinzioni e pensai a come facesse lui ad essere indifferente ai pensieri di me e Henri insieme.
La risposta era semplice: io ce la facevo ad andare avanti grazie all’amore che provavo per lui ed ero sicura che per lui fosse lo stesso.
Avevamo un passato alle spalle, un tempo in cui non ci eravamo appartenuti, ma non aveva importanza, perché ora eravamo di noi e sarebbe stato inutile continuare a pensarci.
Avremmo potuto vivere la nostra storia, avremmo avuto i nostri ricordi belli e brutti.
Ce l’avrei fatta.
Quando mi convinsi totalmente di quel pensiero, uscii dalla doccia e mi avvolsi nell’accappatoio: anche la mia pelle sembrava avere un’altra consistenza, impressione dovuta al fatto che mi sentivo meglio, che avevo mandato via tutte le mie paure.
Indossai la tuta che avevo indossato l’ultima volta insieme a Draco e tornai in cucina.
Guardai l’orologio e notai che la mia doccia veloce era durata molto più del solito. Erano le nove e mezza passate e la pioggia batteva contro i vetri.
Il telefono squillava e risposi senza guardare chi fosse.
-Pronto?
-Cristo Santo, ‘Miò… va tutto bene?
-Sì.
-E’ la dodicesima telefonata che faccio, è successo qualcosa?
-No.
-Come mai non hai risposto?
-Stavo facendo una doccia. Dovrei parlarti.- aggiunsi tutto d’un fiato, con tono serio.
Dall’altra parte della cornetta il silenzio assoluto, poi un sospiro rassegnato. –D’accordo.
-Appena ti è possibile, fai con calma…
-Prima ne parliamo e meglio sarà. Passo tra un po’ a casa tua.
-Va bene.
Staccai la telefonata con la sensazione che Draco avesse equivocato le cose, ma non mi feci prendere dall’ansia.
Anzi, aprii il frigorifero e tirai fuori il necessario per fare dei toast e due minuti dopo suonarono alla porta.
Asciugai le mani e corsi ad aprire con il cuore in gola: non vedevo l’ora di poter parlare con lui.
Ogni amore sbagliato ha il suo costo e non l’avevamo pagato abbastanza caro, ma almeno lui era bravo a nascondere i graffi, perciò meritava tutta la felicità di questo mondo ed io gliel’avrei data in ogni modo.
Meritava di sapere la verità, anche se fosse stata negativa. La mia non lo era, la nostra non lo era.
Mi sentii invadere dalla felicità, ma quando aprii la porta il mio cuore sprofondò con un tonfo sordo e tutto l’ottimismo crollò come un castello di sabbia.

 

 

 

 

 

Spoiler capitolo 42:

-Credi che siamo tutti a tua disposizione? Che siamo dei pupazzi con cui giocare?
-I-io non capisco cosa c’entra questo.
-C’entra eccome.
-No, ti ho detto che ho capito come stanno le cose, che voglio stare con te… che quel tempo è stato inutile.
-Ora quel tempo serve a me. Mi dispiace.

 

 

Angolo autrice:

Beh, questo capitolino ci ha messo un bel po’ ad essere scritto e purtroppo sarà così anche per i prossimi…
Il lavoro mi sta distruggendo e con questa crisi ne sono davvero felice.
E spero che sarete felici anche voi.
Questo capitolo è particolarmente importante per me ed anche per Hermione…
Detto questo, vi ricordo del “sondaggio” sul bimbo dei nostri due protagonisti:
Femmina o maschio?
Spero di poter leggere i vostri commenti, positivi o negativi.
Un bacio e a presto.

 

La vostra Exentia_dream

 




 

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Capitolo 42
*** Stupide incertezze ***


Stupide Incertezze...


POV Draco:
Ritrovarsi dopo tutto quel tempo e lasciare che il destino facesse il suo corso senza intralci e vedere che lei buttava tutto all’aria così, per chissà quale motivo, mi dava i nervi: avevo sopportato il suo silenzio per giorni interi -perché a mio parere quando una persona ama rispetta anche le richieste più assurde- ma il suo silenzio era diventato pesante, soprattutto dopo averla vista uscire dalla sala interrogatori insieme a Henri: la mezz’ora più lunga della mia vita. Non sapevo davvero cosa pensare. Cosa avrebbe fabbricato il mio cervello durante il resto della giornata? Quanto sarei andato in paranoia e in gelosia a causa di quella scena?
Certo, con loro c’era una guardia, ma in quel momento mi sono sentito paralizzato dalla paura, perché non ero riuscito ad interpretare l’espressione di Hermione: non sapevo se fosse terrore, eccitazione, incertezza, vittoria o forse tutte queste emozioni insieme… fatto stava che provavo una strana sensazione.
In realtà, era una sensazione che conoscevo bene e in bocca sentivo già il sapore della sconfitta, della perdita… proprio come era successo anni prima, quando seppi della sua partenza.
 
 
Ero seduto sulle scale ad aspettare Blaise: mi meravigliai che non fosse in casa, visto che sapevo con certezza che per quella giornata non aveva impegni.
Sentivo il freddo nelle ossa e il cappotto non scaldava abbastanza… forse a causa dell’umidità o forse perché sentivo che stava per succedere qualcosa: la morsa allo stomaco non annunciava mai niente di positivo ed io ero troppo scettico per poter credere in un miracolo.
Sapere della gravidanza di Cloe era stato tremendo: il mio futuro si era trasformato completamente ed io non potevo tirarmi indietro.
Non sapevo com’era cominciato tutto, come mi ero riavvicinato a Cloe, ma sapevo perfettamente il perché: avevo preso la decisione di stare con Hermione e lei mi aveva lasciato per uno schiaffo. Avevo capito che i propri errori si pagano sempre, anche se a volte con un prezzo troppo alto.
Passai due settimane chiuso in casa, attaccato alla cornetta del telefono, senza sentire la sua voce neanche per un attimo.
Il tempo sembrava essersi fermato, il cuore non batteva più e quando Blaise venne a prendermi per portarmi ad una festa in maschera mi apparve nelle vesti di un angelo salvatore: non ero presente a me stesso, in nessuna parte del corpo. Ero uno zombie.
Quando arrivai a quella festa, avevo il cervello appannato dal dolore e una pacca sulla spalla mi fece capire quanto realmente fossi in quel luogo, circondato da quelle persone e da splendidi corpi di donna, di cui il più coperto indossava trenta centimetri di stoffa.
-Su, amico: dacci dentro! Questa è la vita!
Il sorriso di Blaise mi fece sorridere e in quel momento capii fino a che punto mi ero lasciato andare, in che misura mi ero abbandonato all’incertezza.
Non so quanto tempo passai  a parlare con lei di cose inutili prima che si ripresentasse. –Quindi sei qui con Blaise?
-Sì.- ero di poche parole, ma che m’importava? Non avevo nessuna voglia di fare conversazione.
-Ricominciam?- la guardai con aria scettica. Cosa intendeva? Mi tese la mano.-Io sono Cloe.
-Draco.- la guardai e, per quanto bellissima, pensai ancora una volta quanto mi sembrasse stupida: un immenso giro di parole per dirmi il suo nome con la speranza di recuperare una storia che non era mai iniziata. Il suo nome: quattro lettere, nulla di particolare.
Un bicchiere dopo l’altro, ognuno di un colore diverso, e il cervello si chiuse come una valigia mentre la vista si annebbiò totalmente.
 
Al mattino ricordavo lontanamente un profumo fiorato e dei capelli biondi, poi il vuoto.
Un messaggio sul cellulare mi avvertiva che era stata una notte stupenda… peccato che non ne ricordassi un attimo.
Guardai alla finestra e non riconobbi le tende e mi sentii smarrito.
Poche settimane dopo seppi che la ragazza con cui avevo fatto sesso e i cui lineamenti nella mia mente si sostituivano a quelli di Hermione era incinta, incinta di mio figlio: dovevo scegliere tra il dovere e quell’amore che ti cambia la vita.
Scelsi il dovere.
Avevo voglia di farmi male, per comparare almeno un po’ il dolore che avevo provocato ad Hermione: i suoi occhi lucidi, la sua richiesta di restare ancora vivi nei pensieri. Stavo cominciando a perdermi nei particolari della sera in cui avevo distrutto la mia storia, una sera di cui malauguratamente ricordavo tutto.
Purtroppo o forse per fortuna, Blaise accostò l’auto.-Ehy, sei qui da molto?
-Non lo so.
-Sali… c’è una cosa che devi sapere.
Di nuovo la fitta allo stomaco, ma sorrisi e aprii lo sportello. Avrei voluto alleggerire la tensione, ma la serietà di Blaise mi dissuase da ogni tentativo. Quindi abbassai lo sguardo e fissai un punto qualsiasi. –Cosa c’è?
-Se n’è andata.
-Nella casa fuori città?
-Lontano dall’Inghilterra- rimasi in silenzio. –E’ stata la decisione giusta per lei: ha diciotto anni e una vita davanti a sé.- Blaise parlava, ma io non lo ascoltavo già più.-In fondo, che motivo aveva di restare qui? Tra voi è finita e tu hai deciso di stare con Cloe…
-Sta zitto! Non è finito niente… NIENTE!- forse tremavo, ma non per il freddo. Avevo di nuovo il cervello e la vista appannati, ma questa volta per via dei ricordi e delle lacrime. –Portami da lei.
-E’ già partita.
-Dimmi dov’è.
-Draco… a cosa serve? Ora hai la tua vita, la tua famiglia, il tuo posto nel mondo… lasciale trovare il suo.
-E’ lei la mia vita, la mia famiglia e il mio posto nel mondo. Devo raggiungerla.
-La ami, Draco? La ami davvero?
-Sì.
-Allora lasciala andare.
E strinsi i pugni…
 
 
Il rumore della porta che si richiudeva mi riportò al presente.
-Come va?
-Potrebbe andare meglio.
-Hermione mi ha chiesto di incontrare Henri e ho preferito…- non gli lasciai terminare la frase e misi fine al discorso alzando la mano con il palmo aperto poco sopra la mia testa.
-L’ho vista. E’ tutto okay.
Harry mi guardò sconcertato, con un sopracciglio sollevato, ma lasciò cadere lì. Apprezzai lo sforzo, ma l’imbarazzo che trasmetteva mi fece pensare che parlava per creare un alibi alla sua migliore amica.
-In realtà…
-Davvero Harry, è tutto okay.- il suo volerla giustificare mi rabbuiò parecchio: c’era qualcosa che Hermione voleva nascondermi? Qualcosa che non voleva sapessi o forse il contrario e non aveva il coraggio di dirlo?
Mi sembrò di avere di nuovo di fronte l’espressione di Blaise, una sera del mio passato… ora, invece, di fronte a me c’era Harry Potter, in un pomeriggio del mio presente.
Raccolsi qualche foglio dalla scrivania e finsi di sistemarlo, cercando di evitare di dare voce ai miei dubbi… avrei potuto provare a fare conversazione, ma non riuscivo a trovare argomenti; avrei potuto trovare una scusa qualsiasi per uscire dall’ufficio, ,a non riuscii neanche in quello, o forse non lo feci perché il caos che regnava lì dentro rispecchiava quello che avevo io all’interno.
Squillo il telefono e tirai un sospiro di sollievo quando sentii la voce di Natan. –Papà, sstai lavorando?
-Ora no.
-Hai già arresstato qualche ladro?
-No, oggi non c’è stata nessuna rapina.
-Ma non puoi ssaperlo sse ssei ssempre sseduto. Fai come l’Uomo Ragno: usa una masschera e vola sui tetti.
Sorrisi: adoravo la sua voce da bambino e il suo modo di strascicare le esse. –E come deve essere questa maschera?
-Rosssa. Anzi no, verde. No, no, no: arancione.
-Va bene.
-E poi devi scegliere un potere: l’Uomo Ragno ha le ragnatele, tu cosa vuoi?
-Non lo so, scegli tu!
-Mmmh… non lo sso…- mi beai della sua fantasia e mi lasciai trasportare dalla sensazione di leggerezza che mi pervase i muscoli. –Forsse dei raggi magici che diventano manette.
-Dei raggi… colorati?
-Sì, verdi. Sarai fortissimo!- sentii Cloe che chiedeva il telefono. –Papà, ti voglio bene. Buonanotte.
-Buonanotte, campione.
-Ehy.- la voce familiare di Cloe.
-Ciao, come va?
-Bene… senti, domani puoi passare di qui: ho delle commissioni da fare e non so a chi lasciare Natan…
-Nessun problema. A che ora?
-Appena puoi.
-Alle nove sono lì. A domani.
-Perfetto, grazie. Ciao.
-Ciao.
Sentivo di nuovo un peso indefinito sulle spalle, a cui si aggiungeva il peso della situazione che si era creata con Cloe: avevamo trascorso tanti anni insieme, senza mai conoscerci davvero, ma l’estraneità che aveva cominciato a dividerci dopo la separazione era un qualcosa a cui faticavo ad abituarmi. Una maschera che non riuscivo a portare.
Strano, visto che era cominciata con una maschera ed era continuata allo stesso modo.
Forse, sentivo il bisogno di conoscerla con sincerità: non come compagna di vita, ma nel suo ruolo di madre di mio figlio.
Lo dovevo soprattutto a Natan, ma anche a me e a Cloe: non c’era amore tra noi, ma rispetto sì… quello doveva esserci per forza.
Mi resi conto che Harry era andato via quando trovai il coraggio di chiedergli di Hermione, quindi guardai di fronte a me e cominciai a ridere.
Devo essere pazzo.
Sapevo che quella risata era solo il rilascio di un nervosismo che mi opprimeva da giorni.
Posai la nuca sulla testiera e chiusi occhi.
E intanto, altre domande si erano rannicchiate nella mia mente.
 
 
 
Doveva essere passato parecchio tempo, perché erano venute e andate tante persone, ma il mio ufficio era rimasto chiuso. Forse mi ero addormentato, forse ero stato assorbito da quei pensieri che cancellano il mondo intorno o forse non era passato tutto quel tempo.
Ancora una volta avevo perso la cognizione di me stesso, di quello che realmente mi circondava e di quello che invece avrei voluto intorno.
Era stato un ragazzino senza freni, che non aveva paura di sbagliare e che imparava dai propri errori. Mi ritrovavo ad essere un uomo che prima di agire rifletteva mille volte, stanco di fare errori e di imparare da essi. Avevo cominciato ad insegnare, ad essere il punto di riferimento di qualcuno che mi vedeva come un eroe e non solo di me stesso e questo mi faceva sentire importante: era un qualcosa che mi dava gioia e il fatto di averlo fatto con Natan e di non poterlo fare con il figlio che davvero avevo sempre desiderato mi distruggeva.
Ero pessimo.
Uscii dall’ufficio con il bisogno pressante di prendere un po’ d’aria e di bere un caffè. Non sapevo cosa provare: ero deluso dal fatto che Hermione non chiamasse, soprattutto perché vederla con Henri aveva fatto crescere in me il dubbio che tutto quello che c’era stato non era stato importante.
Cosa ci faceva con lui? Perché continuava con il suo silenzio? Avrei accettato la fine, ma ne volevo la conferma. Me lo doveva: non poteva permettersi di lasciarmi in bilico.
Se non fosse successo nulla tra di noi, avrei potuto capirla… ma tra di noi c’era un figlio e doveva darmi una spiegazione.
Mi sentivo così lontano da quelli che eravamo stati fino a pochi giorni prima.
Quando arrivai alla macchinetta del caffè, decisi che non era il caso di assumere altra caffeina e innervosirsi ancora di più. La rabbia, la frustrazione non mi avrebbero portato a niente, nemmeno a migliorare la situazione.
Sarebbe servita tanta razionalità.
Tornai nel mio ufficio e mi sedetti di peso nella sedia che, per via della spinta, roteò un po’.
Notai che il display del cellulare era acceso e lo raccolsi con la fretta di chi spera in qualcosa di buono. C’era un messaggio in segreteria e lo ascoltai.
Avviai la telefonata, muovendo le dita con una rapidità di cui io stesso rimasi impressionato, ma gli squilli non accennavano a finire e dall’altra parte del telefono attaccò la segreteria.
Di nuovo la sensazione allo stomaco mi avvertiva che non sarebbe successo nulla di positivo e il fatto che Hermione non rispondesse a telefono me ne dava la prova.
Avvia di nuovo la chiamata e ancora una volta attaccò la segreteria.
Una, due, tre volte ancora.
Non sapevo cosa fare e allora decisi di aspettare e, per quanto la razionalità fosse il mio forte, la preoccupazione prese il sopravvento: forse era successo qualcosa, forse Hermione aveva bisogno di aiuto, forse si era sentita male e per questo non rispondeva al telefono.
Nel frattempo uscii dall’ufficio e mi infilai in auto, pronto per tornare nell’albergo in cui alloggiavo. Avevo bisogno di una doccia per schiarirmi le idee, per distendere i muscoli. Avevo bisogno di tante cose, tranne di quell’ostinato nervosismo che, per un motivo o per un altro, veniva sempre a farmi compagnia.
Agitarmi non serviva  a niente, ma di stare calmo non se ne parlava proprio. Come potevo far finta di non sentire quella brutta sensazione?
Riprovai ancora a telefonarle e quando mi rispose mi sentii invaso da due emozioni totalmente contrastanti tra loro: ero sollevato perché sapevo che stava bene ed ero arrabbiato perché non credevo di meritare ulteriori tempi di rimando. Dovevo avere le mie spiegazioni.
-Cristo Santo, ‘Miò… va tutto bene?
-Sì.
-E’ la dodicesima telefonata che faccio, è successo qualcosa?
-No.
-Come mai non hai risposto?
-Stavo facendo una doccia. Dovrei parlarti.
Era come se un enorme pezzo di mondo mi fosse caduto sulle spalle: era un peso che non riuscivo a sostenere.
Capii che non c’era molto di cui parlare. Sarebbero bastate due parole: “E’ finita!” e il discorso sarebbe finito lì. La serietà con cui Hermione parlava non lasciava spazio ai dubbi, alle speranze e neanche alle illusioni. Il dolore allo stomaco era una brutta manifestazione del mio sesto senso, ma non sbagliava mai. –D’accordo.- risposi con voce totalmente piatta.
-Appena ti è possibile, fai con calma…
-Prima ne parliamo e meglio sarà. Passo tra un po’ a casa tua.-  ero in auto, a pochi isolati da casa sua. Se la nostra storia doveva finire sarebbe stato meglio farlo immediatamente: rimandare non avrebbe fatto altro che accrescere la mia delusione, il mio dolore e soprattutto la sua voglia di riprendere la sua vita, magari da dove l’aveva lasciata.
-Va bene.
 
 
 
Probabilmente, in quell’istante il mio orologio smise di correre dietro al tempo che correva e rallentava a suo piacimento: eravamo entrambi stanchi di quello che ci succedeva… però, io dovevo continuare a camminare, a dare senso al mio tempo, a correre, a vivere.
Improvvisamente mi sentii come se le gambe e le braccia non mi appartenessero più: aprii la portiera, scesi dall’auto e premetti il tasto dell’antifurto, ma non ero io a farlo. Forse era lo spirito di sopravvivenza, forse era quella piccola fiammella di speranza che barcollava, ma ancora c’era.
Bussai alla porta e con gli occhi assenti attesi che Hermione aprisse.
Quando il legno si spostò e la vidi mi apparve diversa da com’era sempre stata: c’era qualcosa in lei che non le apparteneva, ma non capii di cosa si trattava.
-Ciao.
-Vieni, entra.
La seguii, ma non ero lì. Ero in un ricordo del passato.
 
-Credi che riusciremo a restare insieme sempre?
-Che domanda!
-Dico sul serio: credi che ci ameremo sempre, anche se le nostre strade si divideranno?
-Sì, credo di sì. Perché me lo chiedi?
-Ho la sensazione che non resteremo insieme?
-Io non direi.
-Se succedesse, ti amerò sempre.
-Davvero?
-Sì.
-E se un giorno dovessimo rincontrarci, non ti lascerò.
Non risposi perché l’emozione mi strinse la gola e le parole restarono bloccate nei pensieri, ma con il cuore le promisi che sarei rimasto con lei, anche se solo con il pensiero.
Promisi che l’avrei amata sempre e che semmai ci fossimo lasciati e avessimo avuto un’altra occasione, non l’avrei lasciata andare.


Una promessa che forse avevo mantenuto solo io, perché avevo la netta impressione che per lei quel giuramento non valesse più niente: si stava tirando indietro, mi avrebbe lasciato.
-Come stai?
-Bene.- aveva lo sguardo calato sui suoi toast e le tremavano leggermente le mani.
La guardavo: era mia, era sempre stata mia, perché voleva andarsene?
Una domanda stupida, a cui sarebbe stato stupido rispondere.
-Mi fa piacere.
-Draco… è inutile girarci intorno.
-Lo so, ma aspettavo che cominciassi tu a parlare.
-Ho rivisto Henri.
-Lo so.
-Te l’ha detto Harry?
-Sì, ma vi ho visti.
-Avrei voluto dirtelo, ma non ne ho avuto il tempo.
-Certo, perché tornare a casa per fare qualche toast era troppo impegnativo: richiede così tanto tempo fare un toast che non hai potuto rubare dieci minuti del tuo tempo per passare nel mio ufficio e farmi sapere che stavi bene, che avevi deciso di tornare con tuo marito. Almeno la decenza di avvisarmi. Credevo fossi cresciuta.
La vidi irrigidirsi. –Infatti: quello che non è cresciuto sei tu. Non sono tornata con Henri, altrimenti te l’avrei detto.
-Ah, certo.
-Vuoi litigare, Draco?
-No, voglio una risposta.
-A cosa?
-Al tuo silenzio: mi hai chiesto del tempo e ne hai avuto, poi mi richiami… per cosa? Per dirmi cosa?
-Non serve irritarsi, Draco, davvero.
-Credo di aver aspettato abbastanza.
-Voglio stare con te, okay? Quel tempo è stato inutile e…
Nonostante il sollievo e la felicità che provai in quel momento, la rabbia ebbe il sopravvento, perché mi sentii privato di un tempo che avrei potuto passare con lei e con nostro figlio; perché mentre io ero lì ad aspettare, lei giocava con i suoi inutili giri di parole.-Credi che siamo tutti a tua disposizione? Che siamo dei pupazzi con cui giocare?
-I-io non capisco cosa c’entra questo.
-C’entra eccome.- era il fatto che lei non andasse subito al sodo che mi innervosiva: era sempre stata così, ma stare sulle spine in una situazione così importante faceva male e sanguinare non era affatto piacevole.
-No, ti ho detto che ho capito come stanno le cose, che voglio stare con te… che quel tempo è stato inutile.
-Ora quel tempo serve a me. Mi dispiace.- mi alzai e mi diressi verso la porta.
Lei mi seguì. –Cosa vuoi? Mi dici che vuoi una risposta e poi non ne sei contento, eh?
-No, non ne sono contento.
-Sei sempre stato bravo ad andare via…
-Allora farò quello in cui sono tanto bravo.- i suoi occhi si riempirono di lacrime e mi ritrovai a fissare il legno massiccio della porta.
Ero fuori casa e mi sembrò che il mondo si frantumasse sotto i miei piedi.
Mi sembrava di sentire il suo respiro affannato dal pianto e allora bussai con la mano chiusa a pugno.
-Vai via, Draco.
-Mi dispiace, ‘Miò. Sono arrabbiato: ho aspettato per giorni una telefonata e poi ti ritrovo a fare toast.
-Ne avevo voglia.- sorrisi, perché la immaginai sorridere. –Sei un bambino: non ti sopporto quando fai così.
-Fammi entrare.
-No.
-Ti prego…
La porta si aprii di nuovo e vidi Hermione mentre asciugava le lacrime con il polso e tirava su col naso. La abbracciai e immaginai di poterla stritolare, ma avevo così tanta voglia di sentirla addosso che non riuscivo a contenere lo slancio e la forza con cui stringerla.
In fondo, aveva ragione: mi aveva chiesto di restare tanti anni prima ed io ero andato via… non potevo farlo più, non ora che il mio mondo aveva tutto quello di cui avevo bisogno.
Ero diventato diffidente nei confronti della vita e non avrei puntato uno spicciolo su nessuna scommessa su me stesso, ma lei mi aveva ridato il coraggio di ricredere e scoprire le carte.
-Ho fame.- disse, con la voce coperta dal mio petto.
-Andiamo.
Mentre mi incamminavo verso la cucina, il telefono suonò e il disegno di un messaggio s’illuminava sul display.
<>
Mi sentii dispiaciuto perché non avrei visto mio figlio, ma avrei passato del tempo con la donna che amavo: ne avevamo troppo da recuperare e forse non ci saremmo riusciti del tutto…
Ma la notte era giovane ed io volevo vederla invecchiare e diventare di nuovo bambina… insieme a lei.



Angolo Autrice:
Salve popolo di EFP... la notte è giovane anche per me, chissà per chi altri.
Sono un po' delusa perchè la storia sta ricevendo pochi commenti e non so più se continuare su questa lunghezza d'onda o cancellare tutto... vi chiedo di commentare anche per dirvi che non vi piace, perchè il vostro parere per me è davvero importante.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero che ricomincerete a seguire questa storia.
Buonanotte a tutti, 

la vostra Exentia_dream

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Capitolo 43
*** Momenti così... ***


Momenti così….
 
 
 
POV HERMIONE:
 
 
Ripensavo spesso al mio ritorno a Londra, a casa mia.
Da adolescente era il posto da cui volevo andar via, senza sapere che tornando la mia vita sarebbe cambiata e cominciare finalmente ad andare sulla giusta strada.
E ne ero felice.
Avevo ritrovato quello che a Parigi avevo creduto di aver perso: gli amici, l'amore, la felicità.
Erano cambiate tante cose.
Mi ero preclusa la felicità per molto anni, l'avevo ritrovata solo tornando. Quanto tempo avevo sprecato?
 Il tempo faceva il suo corso e tra poco Ginny e Harry si sarebbero sposati. Oggi io e lei avevamo l'ultima prova degli abiti.
 Nove giorni. Soltanto nove giorni al loro grande giorno.
In più, stavo per realizzare il mio sogno più grande: quello di diventare madre.
Meno di due mesi: sarebbe arrivato settembre ed anche il dono più bello.
 
-Audrey: forza nobile.
-No.
-Courtney: relativo alla corte.
-No.
-Ella...
-Sì.
-Non vuoi sapere cosa significa?
-No, mi piace già.
-Ella: bellissima fata.
-L'avevo detto che questo nome mi piaceva.
Eravamo seduti sul divano della casa poco distante dal centro di Londra, avevo le gambe stese sulle sue.
-Come ti senti?
-Completa.
Ed era vero: in un piccolo spazio avevo tutto ciò di cui avevo bisogno per essere felice.
C'era lui che teneva le mani intrecciate alle mia, immobili, sul mio ventre. 
Ella per me era quanto di più meraviglioso potesse esserci in questo mondo ed era il centro di qualcosa di eternamente importante: parlavo spesso con lei, come se già mi sedesse accanto. Parlavo con lei prima ancora di sapere se fosse stata maschio o femmina. E l'accarezzavo, con la speranza che il mio calore e il mio amore gli arrivassero anche attraverso il tatto, non solo attraverso la voce e il cuore.
Avevamo deciso di vivere insieme in quella casa e non sarebbe potuto essere altrimenti: lì, tra quelle mura, il nostro amore era nato e cresciuto. Da lì a poco, tra quelle mura, sarebbe nata nostra figlia.
Ella: bellissima fata.
 
 
 
Tornai in me quando sentii un piccolo lamento e guardai dritto davanti a me: mamma era seduta e mi teneva la mano, con le lacrime agli occhi. Aprì di più gli occhi che si riempirono di meraviglia quando vide i movimenti che la mia bambina faceva dentro di me: agitava lentamente una manina sul ginocchio, come se si stesse accarezzando.
Meraviglia e ancora lacrime. Ma non era il dolore che le rigava il viso. Era la gioia.
Era la gioia per una nuova vita che nasce, che forse avrebbe voluto condividere con un'altra vita che, invece, se n'era andata. Ma mamma lo sapeva: papà le era sempre vicino.
-Bene, signora Granger. Procede tutto bene. La bambina è in ottima salute, gli organi interni sono a posto e il battito cardiaco l'ha sentito anche lei, quindi...
-Ha sentito che cuoricino? Questa è la musica migliore mai ascoltata. Altro che Mozart e Beethoven. Tsz.
Rimasi perplessa, così come il dottore che mi guardò e sorrise.
-Arrivederci, dottor Paciock.
-Arrivederci e ancora auguri.
 
Salimmo in auto, poi mi girai a guardare mamma.
-La smetti?- la rimproverai dolcemente.
-Ma hai sentito il suo cuoricino. Tu-tum, tu-tum...
-Sì, l'ho sentito.- poi, scoppiai a ridere al ricordo dell'espressione del ginecologo: un misto tra il divertirsi e il preoccuparsi seriamente per la salute mentale di una donna che presto sarebbe diventata nonna. Rideva anche lei.
-Non ridere di me.
-Non rido di te, mamma. Rido con te.- sperai che avesse sentito l'enfasi dell'ultima frase.
Guardai l'orologio e mi accorsi di essere in ritardo per l'appuntamento con Ginny, così proposi a mamma di accompagnarmi e lei accettò volentieri. Minerva non ci avrebbe perdonato se avessimo tardato all'ultima prova.
L'ultima.
 
 
§
 
 
 
-Solleva le braccia, Hermione.- Minerva misurava col suo metro da sarta, inseriva spilli, tirava da un lato, poi dall'altro. Faceva dei segni sulla stoffa, poi ancora spilli.
Si passò una mano sulla fronte, per spostare qualche capello che le ricadeva sulla fronte. -Ho rovinato un vestito bellissimo.
-Non hai rovinato niente. Con il pancione, anzi, lo renderai ancora più bello.- sorrise e capii che era sincera.
Continuò per un po' a mettere spilli qui e lì, poi fu il turno di Ginny.
L'abito era perfetto: non aveva bisogno di nessuna modifica e lei, vestita di bianco e con un piccolo diadema tra i capelli, era stupenda.
La sua felicità sembrava uscirle dagli occhi, dal petto e farsi persona.
Finalmente, dopo la crisi passeggera che aveva avuto con Harry, aveva la certezza che porta con sé la consapevolezza di fare la cosa giusta.
Inoltre, la gioia che l'abito le stesse bene era accompagnata- se non divorata- dalla gioia di poter diventare la moglie dell'uomo che più aveva amato in tutta la sua vita. Non vedeva l'ora di potersi svegliare con lui ogni mattina.
Per un attimo, tornai indietro nel tempo: mi chiesi se anche io mi sentissi allo stesso modo e, seppur non contenta al cento per cento, speravo di poter costruire qualcosa di bello insieme a Henri.
Forse, anche Draco aveva provato le stesse sensazioni.
-Siete bellissime.- disse mamma con un filo di voce. Nei suoi occhi ancora l'emozione.
-Bene. Gli abiti saranno pronti dopodomani. L'abito di Hermione, in effetti, perché il tuo- disse rivolgendosi a Ginny- ti sta alla perfezione.- poi, si accomodò di fronte a noi.
-Grazie, Minerva.- Ginny era... non avrei saputo descrivere la sua espressione, perché era così pura che avevo paura di poterla rovinare con qualsiasi aggettivo, seppur bellissimo.
-Come ti senti?
-Non lo so. Sono così... emozionata, spaventata... pronta.
-Ecco. Questa è la parola giusta: pronta. E se ti senti pronta, vuol dire che sai che è il momento giusto, che è la persona giusta. Che è tutto giusto.
Parlammo ancora un po': mi chiese della gravidanza, del nome della bambina. Ginny le annunciò che sarebbe stata la madrina di battesimo di Ella e mia madre le raccontò del suo cuoricino che batteva. In realtà, glielo fece ascoltare, visto che l'aveva registrato sul cellulare.
Quando uscimmo dalla sartoria, strinsi le mani della migliore amica e- visto che aveva l'auto parcheggiata poco distante- dissi a mamma che sarei rientrata più tardi.
Avevo il bisogno e il desiderio di stare da sola con la mia migliore amica.
-Caffè?
-Cappuccino. Ti prego, portami  in un bar: ho fame.- dissi, spalancando gli occhi.
Ginny rise.-Se continui così. il tuo vestito non sarà pronto neanche per il giorno del matrimonio.
-Ma non è colpa mia. E' Ella che ha fame.- come se questo avesse potuto giustificare la quantità di cibo che mangiavo.
-Lo so.- disse, accarezzando il pancione, poi, approfittando di una sosta dovuta al traffico, si calò leggermente. -Ehy, piccolina... lo so che hai fame e vorresti mangiare, ma vedi... zia Ginny tra nove giorni si sposa e la tua mamma dovrebbe entrare nell'abito, altrimenti cosa indosserà quel giorno?
Sorrisi e mi commossi: Ella era una parte importante della mia vita, anche se non potevo ancora stringerla tra le braccia. E il fatto che tutti parlassero con lei mi rendeva felice: mi faceva capire che per tutti era già lì.
Arrivammo al bar poco dopo e scesi quasi di corsa dal’auto per fondarmi al mio tavolo preferito, quello vicino alla finestra.
Il passare delle auto, delle persone mi faceva pensare allo scorrere della vita: alcune persone entrano nelle vite di corsa, se ne vanno allo stesso modo; altre camminano piano, come se non volessero far rumore o non volesse disturbare; altre si fermano un po’ di tempo; altre aspettano qualcosa di migliore che le porti via, perché tra l’autobus e il taxi, chi è che non preferisce il secondo??
Ordinammo un caffè, un cappuccino, due cornetti ai frutti di bosco e un succo di frutta alla pesca. Giusto per non rinunciare a niente.
Guardai Ginny. -Sarai splendida.
-Sono così... ho paura.- disse seria. -Ho paura perché io mi sento pronta, ma Harry? Non voglio chiederglielo e lui non fa altro che evitare l'argomento "matrimonio", come se questa cosa lo spaventasse, come se parlandone quel giorno venisse prima.
-Ha paura anche lui, no? Magari non vuole parlarne per... perché, forse, ancora non ha realizzato ciò che sta per accadere o perché ancora non crede che sia vero.
Rimase per un po' in silenzio, a soppesare le mie parole. -Sì, forse è così. Me lo auguro.
 
Diedi un morso al cornetto e mi sentii scaraventata in un paradiso di dolcezza che non disgustava. -Dovremmo venire a fare colazioni qui ogni mattina.
-Sì, come no. Così prima di partorire scoppi e la bambina sembrerà un giavellotto.
-Non prendermi in giro.
-Non lo sto facendo.- strizzò l'occhio.
-Ginny?
-Mh?
-Come la immagini?
-Bellissima. Come te. O forse, bionda con gli occhi castani. O castana con gli occhi azzurri. Non lo so: ogni giorno la immagino diversamente. A volte, faccio anche il pensiero che sia un maschio e non una femmina.
-E' una femmina.
-Lo so, ma tanto non cambia niente se immagino un po', no?
-In effetti.
-Nove giorni. Oh mio Dio, non riesco a crederci. Sogno questo giorno da anni, da anni e ora sta per arrivare. Ti rendi conto? Nonostante i litigi, le crisi, gli addii, io e Harry ci sposeremo e, dopo tutto quello che abbiamo superato, vuol dire che ci amiamo davvero. Non posso crederci. Mi guardavo con quel vestito e immaginavo Harry nel suo abito e volevo piangere. Tremavo... vedevi come tremavo?
-Sì. Sono felice come te. E' quello che hai sempre sognato e il coronamento del tuo sogno è quello che hai sempre meritato.
-Come farei senza di te?
-E io senza di te?
Sorridemmo, poi uscimmo dal bar.
In auto parlammo del più e del meno, entrambe con la gioia negli occhi e nel cuore.
Quando arrivammo fuori il cancelletto di casa, l'abbracciai forte. Forse troppo.
-Domani colazione?
-Sì.
-Cornetti ai frutti di bosco?
-Quattro.
-Due: uno ciascuno.
-Tre: due a me, uno a te.
-Vedremo.
-Ti adoro, Gin.
-Anche io.
Un leggero bacio sulla guancia, poi rientrai a casa.
Vuota.
Mi soffermai a guardare la foto di papà e sorrisi.
Pensai che mi mancava tantissimo e che avrei dovuto ringraziarlo: ero tornata a Londra per il suo funerale ed ora, a Londra, mi ritrovavo ad essere felice e a stringere tra le mani la vita che avevo sempre voluto.
Qualcuno una volta ha detto che anche dall'asfalto può nascere un fiore. Nessuna frase, prima, mi era sembrata più vera.
Se ci fosse stato anche lui, certo, sarei stata ancora meglio, ma sapevo che da lassù mi sarebbe stato vicino. Ed io lo sentivo. Lo sentivo qui.
 
 
 
POV DRACO:
 
Ella, Ella, Ella. Ella.
Il nome di mia figlia non faceva che vorticarmi in testa.
Mi stesi sul letto della mia camera d'albergo, contento di tutta quella felicità. Forse troppa e questo mi spaventava un po'.
Chiusi gli occhi.
 
-Draco.- brutto segno: Potter non mi chiamava mai per nome. Tranne quando... -Dobbiamo parlare.
-Mia moglie lo direbbe meglio.
-Sono serio, non scherzare.
-E di certo non avrebbe la tua espressione.- dissi ridendo.
-Sono serio.
-L'hai già detto.
-E lo ripeto: sono serio.
-Beh, Potter, sei già nel mio ufficio. La porta è chiusa, quindi, siediti e parliamo.
Si sedette, ma continuava a guardarsi intorno, come se stesse cercando le parole. -Nessuno voleva che te lo dicessi.
-Quindi lo sanno già tutti. Strano che io non ne sappia niente, visto che riguarda me.
-In realtà non si tratta di te...- lo guardai con aria interrogativa. -Gli altri credono che sia così. Io, invece, credo di dovertelo dire, giusto per mettere un punto lì e finire questa specie di agonia.
-Un punto, dove?
-Hermione si sposa.
Un sasso, una montagna, una valanga. Un punto, sì, alla mia vita. Alle mie illusioni, ai miei desideri nascosti. Un punto a me e lei, a quello che eravamo stati, a quello che avrei voluto tornassimo ad essere.
-Devo andare.
-Non serve che scappi, era giusto che lo sapessi.
-Sì, sì, lo so. Ma ora devo andare.- mi prese per un braccio e mi trattenne un  po'. -Potter, lasciami andare.- La mia voleva essere una minaccia, ma non appena Harry allontanò la sua mano, mi resi conto che in realtà era una richiesta disperata.
Avrei preso il primo volo per Parigi, avrei attraversato l'oceano a nuoto, avrei fatto di tutto.
Salii in auto e non so come, non so in quanto tempo mi ritrovai all'aeroporto, con in mano un biglietto per la Francia.
Erano passate ore, ore e ancora ore. Guardai il biglietto e lo accartocciai: non potevo privarla della possibilità di essere felice. Non potevo andare da lei, dirle che non doveva farlo, dirle di venire via con me.
Non potevo perché sei anni prima mi aveva chiesto di restare ed io me n'ero andato. Non potevo perché lei era andata via per non vedermi più, per non guardarmi mentre la mia vita andava avanti con un figlio e una moglie.
Non potevo perché l'amavo troppo.
Tornai a casa, chiudendo forte la porta alle mie spalle. Cloe non disse niente, il bambino dormiva e il mio silenzio mi faceva male: avrei voluto che qualcuno dicesse qualcosa, che la donna che avevo affianco urlasse perché ero rientrato tardi... ma niente. Silenzio e basta.
Silenzio e insonnia. Silenzio e sigarette. Silenzio e dolore.
Silenzio e l'immagine di Hermione che camminava verso l'altare.
 
 
 
Ero cosciente e probabilmente ci ero caduto apposta in quel ricordo, per ricordarmi cosa fosse il dolore, quanto male potesse fare.
Squillò il cellulare. -Pronto?
-Dormivi?
-No.
-Perfetto...
-Perché?
-Perché ho proprio tantissima voglia di vederti.
-Va bene.- sorrisi.
Come avrei potuto non sorridere sentendo la sua voce, la sua dolcezza infinita?
-Verso che ora...
-Tra poco. Pochissimo.
Posai il telefono, misi la giacca e lasciai l'albergo: avevo fretta di vederla e di sapere com'era andata la visita, come stava Ella e come stava lei.
Salii in auto e dopo cinque minuti ero fuori casa sua. Rimasi un po' lì a guardare la mia vecchia casa, senza nostalgia della vita che avevo vissuto lì. Di mio figlio sì, ma quella era una nostalgia a cui dovevo abituarmi ogni giorno, fino alla sera: su una cosa eravamo d'accordo io e Cloe: avrei potuto vedere Natan ogni giorno, in qualsiasi momento desiderassi farlo.
Lo avrei visto la sera, insieme a Hermione e saremmo andati al McDonald's.
Bussai alla porta e quando mi aprì vidi i suoi occhi pieni di lacrime. -Cos'è successo?
-Guardavo le foto di papà.
-Non devi essere triste.
-Non lo sono... un po' sì, ma spero che da lassù mi guardi e allora divento meno triste.- sorrise. -I tuoi?
-Non li vedo da un po'.
-Un po', quanto?
-Sei anni.
-Non conoscono Natan?
-Sì, l'hanno visto...
-Dovresti andare da loro...
-Sì, prima o poi. Non volevano che sposassi Cloe... Ora, dovrebbero solo essere contenti per me.- La baciai.
Quante cose non sarebbero successe se avessi ascoltato la sua richiesta tanti anni prima? Come sarebbero stati i rapporti con i miei genitori in questi anni? Quanti anni avrebbe avuto il  mio primo figlio con lei? Sarebbe stata lo stesso una femmina o sarebbe stato un maschio?
-Vado a truccarmi  un po'.
-Aspetta, vieni qui. Com'è andata?
-Benissimo: Ella è perfetta salute, sta bene e cresce. Il suo cuore batte normalmente...
-E tu come stai?
-Sono felice.
La baciai, poi lasciai che andasse a prepararsi.
Restai per un po' da solo con i miei pensieri e, ogni tanto, c'era qualcosa che mi disturbava.
 
 
-Ti sbagli di grosso, lo sai?
-Su cosa?
-Tutto quello che è tuo mi riguarda e, se permetti, la tua felicità mi riguarda in primo luogo.
-Mi fai ridere. Ti preoccupi ora della mia felicità?
-L’ho sempre fatto.
-Non mi pare. Ti ho pregato per restare insieme… e te ne sei andato.
-Avresti sofferto troppo se fossi rimasto con te, stupida!
-Non avrei sofferto.
-No? Saresti stata felice sapendo che ero stato obbligato a sposare Cloe? O se mi avessi visto insieme a lei? Magari ti avrei anche invitato al matrimonio…

 
–Ce l’hai ancora…
-Non avrei mai potuto metterla via. Se l’avessi fatto, ti avrei persa davvero.
 
–Sono cambiate tante cose…
-Vero. Ma sarebbe più giusto dar conto a quello che non è mai cambiato.
 
 
–E’ meglio se non lavoriamo insieme, Potter. Tutto qui. 
-Va a cena con Henri?
-Sì.
-L’ha perdonato?
-Non lo so. Non m’importa Potter, ma di certo io non sarei andato a cena con lui se non avessi deciso di tornarci insieme.
-No, non può succedere.
-E’ la sua vita. Non provate perennemente a salvarla: se non lo capisce da sola è inutile fare gli eroi.
-Parli bene tu.
-Cosa dovrei dire, secondo te?
-Non rinunciare a questo caso.
-Cosa significa?
-Significa che devi aiutarla.
-Non me lo lascerà fare...
-La ami ancora, vero?
-Che domanda stupida, Potter.
-Rispondimi
.
 
Troppi ricordi mi affollavano la mente. Ricordi di quando l'avevo persa ancora e di quando credevo di non poterla più avere.
Poi, come il sole dopo tanta pioggia, un ricordo che mi calmò.
 
-L’ho vista felice solo insieme a te, anche se la situazione non era delle migliori. Ma so che puoi darle la felicità che merita.
 
-C’è Blaise, ci sono tante altre persone che possono farla innamorare, perché lo chiedi proprio a me?
-Perché so quanto ti ha amato. E so quanto tu la ami ancora.
-Sei proprio come la sabbia nelle mutande, Potter.
-Spero almeno che un giorno tu possa ringraziarmi.

 
Harry Potter aveva avuto ragione: eravamo tornati insieme, eravamo felici. Avrei dovuto ringraziarlo.
 
-Andiamo?- Hermione, nel frattempo, era tornata in salone, bella come sempre, e mi sorrideva.
Uscimmo dalla porta e Natan era già lì che ci aspettava. 
Salì in auto, diede un bacio a me ed uno a Hermione, ci guardò e sorrise.
-Dove andiamo?
-Dove vuoi.
-McDonald's?
-McDonald's.
-MCDONAAAAALD'S!!!
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Ciao a tutte… prima di tutto vorrei chiedervi scusa per aver abbandonato completamente la storia, ma le poche recensioni mi  hanno lasciata un po’ delusa e senza voglia di scrivere.
Ora sono tornata e spero che siate ancora tutte presenti e curiose e, soprattutto, innamorate di questa storia.
L’ho riletta e, nonostante i vari orrori grammaticale, mi sono resa conto che è una storia che merita un seguito… non perché sia bellissima, ma per rispetto di chi l’ha sempre seguita.
E quindi, eccomi qui con un nuovo capitolo.
Come avrete letto, le cose finalmente si sono sistemate e Hermione e Draco sono felici.
Volevamo solo questo, no?
Vi devo confessare che è stato difficile riprendere questa storia tra le mani e ricominciare a scrivere… spero che vi piaccia e che qualcuno mi lasci anche un piccolo commentino.


A presto, la vostra Exentia_dream

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