Ancora noi... di Exentia_dream (/viewuser.php?uid=48625)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Tornare ***
Capitolo 2: *** Addio papà... ***
Capitolo 3: *** Che piacere rivederti, Granger! ***
Capitolo 4: *** Chiarimenti... ***
Capitolo 5: *** Come all'inizio... ***
Capitolo 6: *** Strane sensazioni... ***
Capitolo 7: *** Quanto costa ribellarsi... ***
Capitolo 8: *** La cena (POV A SORPRESA) ***
Capitolo 9: *** Ricordi -Prima Parte... ***
Capitolo 10: *** Ricordi -Seconda Parte... ***
Capitolo 11: *** Sensi di colpa... ***
Capitolo 12: *** Sarebbe stato meglio se... ***
Capitolo 13: *** Natan... ***
Capitolo 14: *** Un giorno qualunque... ***
Capitolo 15: *** Incontri... ***
Capitolo 16: *** Essere indecisa... ***
Capitolo 17: *** Primo giorno di lavoro... ***
Capitolo 18: *** La proposta di Harry... ***
Capitolo 19: *** Tornare insieme... ***
Capitolo 20: *** Miss Parkinson... ***
Capitolo 21: *** L'invito... ***
Capitolo 22: *** La prova del vestito... ***
Capitolo 23: *** Confessione ***
Capitolo 24: *** Grazie, grazie davvero Cloe... ***
Capitolo 25: *** Serata tra amiche... ***
Capitolo 26: *** La seconda prova... ***
Capitolo 27: *** Un giorno in ospedale... ***
Capitolo 28: *** Convalescenza... ***
Capitolo 29: *** Ritorno al lavoro... ***
Capitolo 30: *** La festa degli innamorati... ***
Capitolo 31: *** Al risveglio... ***
Capitolo 32: *** Fraintendimenti... ***
Capitolo 33: *** Arrampicarsi agli specchi ***
Capitolo 34: *** Il test... ***
Capitolo 35: *** Nascondersi dietro un dito... ***
Capitolo 36: *** Come Amleto ***
Capitolo 37: *** La verità... ***
Capitolo 38: *** Pomeriggio insieme... ***
Capitolo 39: *** Un passo importante ***
Capitolo 40: *** Routine? ***
Capitolo 41: *** Ritorno... ***
Capitolo 42: *** Stupide incertezze ***
Capitolo 43: *** Momenti così... ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1: Tornare ***
Questi personaggi non mi appartengono, sono di
proprietà della Rowling...
Qualcuno penserà "Questa ci ha rotto!"... beh,
lo so e perdonatemi, ma l'ispirazione è così
forte che non mi va di chiuderla in un cassettino.
Suvvia, un pò di pietà.
Credo molto in questa storia e, oltre tutto, adoro la coppia
Draco/Hermione.
Spero piaccia anche a voi e che commenterete in tanti.
Un grazie di cuore a Sab (Sa Chan su EFP) per aver creato "La foderina"
di questa storia! Grazie...
Capitolo 1: Tornare.
Hermione
POV
-Nous
attirons
l'attention des passagers sur le vol 472 à destination de
Londres.
Odiavo il
francese, ma adoravo Parigi.
Adoravo le
luci, adoravo il profumo delle baguette appena sfornate, adoravo i
colori dei fiori attorno alla Tour Effeil, adoravo il sole che c'era, a
volte, anche d'inverno.
La voce
metallica dell'hostess riempì nuovamente l'aereoporto e
richiamò la mia attenzione.
Il gate stava
per chiudersi. -Cazzo.-
dovevo correre.
Arrivai
lì con il fiatone ed una marea di persone puntarono gli
occhi su di me. -Eh,- risi istericamente -sapete com'è... un
caffè al bar, qualche problemino al check-in...-
-Qu'est-ce une
fille stupide. Oies anglais ...
-Imbecille!
Tss- dissi indignata, decisa a chiudere lì la conversazione.
Quando
arrivammo all'aereo, attesi, quasi gentilmente, il mio turno. La rossa
tinta che mi aveva dato dell'oca si sarebbe seduta dopo di me.
Mi accomodai
sul sedile di pelle morbida, beandomi della sensazione di comfort: il
viaggio sarebbe durato meno di due ore.
Chiusi gli
occhi subito, dopo aver allacciato la cintura: volevo evitare il mal di
testa e il mal di stomaco.
Le luci soffuse
dell'abitacolo contribuirono a farmi rilassare, quindi, mi addormentai.
Tudum.
L'atterraggio fu alquanto brusco.
Mi svegliai di
soprassalto: l'immensa distesa di cemento dell'Heathrow. Ero a Londra.
-I passeggeri
possono lasciare l'aereo.- ci disse gentilmente l'hostess.
Mi alzai, presi
il bagaglio a mano e mi avviai.
Lasciai l'aereo
con un senso di nausea, leggero questa volta: dormire durante il volo
era stata un'ottima idea.
Mia madre
era lì ad aspettarmi, lo sapevo. Infatti, la vidi... mi
cercava con lo sguardo.
Era vestita di nero.
La salutai con
un abbraccio , poi le baciai una guancia. -Come stai, mamma?
Sorrise, ma
aveva gli occhi lucidi. -Bene, tesoro.
-Ti va un
caffè?
-Sì,
sì.
Le strinsi il
braccio e lasciai che si appoggiasse a me. Ci dirigemmo, poi, al bar.
Tremò
impercettibilmente. -Mamma, dai, calmati...
-Sediamoci.
-Sì.
Ci sedemmo ad
uno dei tavoli più vicini al bancone del bar.
Immediatamente, un camieriere ci avvicinò. -Salve. Volete
ordinare?
-Sì,-
risposi. -un caffè ed un cappuccino.
Il cameriere
annuì e andò via.
-Mi sei mancata
tanto, Hermione. Sai? Papà parlava spesso di te: eri il suo
orgoglio...- cominciò a piangere ed anche io sentivo le
lacrime premere agli occhi.
-Mamma...
mamma, ti prego.
-Oh, tesoro...-
disse, poggiando il viso tra le mani. -...perdonami. E' successo tutto
così in fretta, da un giorno all'altro.
-Mamma, vedrai
che papà adesso starà bene... sarà in
un posto migliore. E non vorrebbe vederti così.- non credevo
molto a ciò che dicevo, ma quelle mi sembravano le uniche
parole che potessero confortare mia madre. -So che è
difficile... ora su, fammi un sorriso.
Cercò
di accontentarmi, quindi, asciugò gli occhi con un
fazzoletto di stoffa. -Va bene?
-Sì.
-Prego.- il
camieriere appoggiò sul tavolo il vassoio con i
caffè e due bicchieri d'acqua.
-Può
portarmi anche il conto?
-Certo.
-Grazie.
Bevemmo in
silenzio. Mi guardavo continuamente intorno.
-Allora,
cara... come va con Henri?
-Bene.- mentii.
Passai un dito
sulla fede: quante cose erano cambiate dal giorno in cui mi ero
sposata... ed erano passati solo due anni.
-Verrà
a Londra?
-Probabilmente.
-Ne sarei
davvero felice.
-Lo immagino.-
sorrisi.
Intanto, il
cameriere aveva poggiato lo scontrino sul tavolo. -Ecco a lei.
-Aspetti.-
dissi porgendogli i soldi. -Il resto è mancia.
-La ringrazio,
signora.
Lasciammo il
tavolo e, poco dopo, uscimmo in strada.
il vento
soffiava forte e freddo, così mi strinsi ancora
più nel cappotto e avvolsi la sciarpa al collo.
-Hermione, ti
spiace guidare?
-Niente affatto.
-Grazie.
Salii
nell'auto, chiusi lo sportello e allacciai la cintura.
Amavo guidare:
mi faceva sentire libera.
Misi in moto e
partii.
-Londra, sono tornata!
Il viaggio dall'aereoporto a casa fu silenzioso. Mia madre
non era di molte parole ed io altrettanto.
Mi stavo beando, piuttosto, del verde degli alberi che si riflettevano
nei finestrini dell'auto. Quanto mi era mancata la mia città?
Troppo...
Eppure, quando andai via, mi sembrò di aver preso la
decisione giusta... Ovviamente, col tempo e soprattutto tornando, mi
ero resa conto di aver sbagliato. Qui c'era tutto di me: la mia
infanzia, la mia adolescenza... come potevo lasciarmi tutta una vita
alle spalle?
Non potevo, semplice.
Parcheggiai nello spazio di fronte al cancelletto di casa. -Dio, quanto
tempo...
-Quattro anni, cara.
-Già...
Entrai in casa.
Il senso di solitudine e abbandono m'investì per primo. Pian
piano, poi, arrivarono tutte le altre emozioni: la nostalgia degli anni
passati, la felicità di essere tornata.
E, dopo tanto tempo, mi ricordai di lui: Draco Malfoy.
Chissà, alla fine, che ne aveva fatto della sua vita.
-Hermione.- Santa donna mia madre. Mi distraeva dai miei pensieri al
momenti giusto: il momento prima che scoppiassi in lacrime.
Ora però, ero cresciuta... non ero più debole.
-Sì?
-Pizza?
-Assolutamente. Ora, però, vado di sopra. Voglio darmi una
rinfrescata... anzi,- dissi tremando - una riscaldata.
-Gli asciugami sono al solito posto.
-Grazie mamma.- la baciai e salii in camera. Era ancora come l'avevo
lasciata: la stanza
rosa
.
Troppi ricordi...
Andai in bagno
e iniziai a riempire la vasca.
Legai i capelli, poi mi immersi completamente nell'acqua bollente,
mentre l'odore del bagnoschiuma alla vaniglia si diffondeva.
La mancanza di papà si sentiva davvero tanto e,
proprio come immaginavo, non sarebbe stato affatto facile.
Qualcuno suonò al campanello e, quindi, mi svegliai. Non mi
ero neanche resa conto di essermi addormentata.
-Hermione... dai, scendi. Le pizze sono già in tavola.
-Sì, mamma.- mi avvolsi nell'accappatoio e indossai qualcosa
di comodo. Infilai le pantofole ai piedi e corsi in cucina.
-Mmm, ho una fame da lupi.
-Allora speriamo che le pizze siano buone.
-Mh.- cercai di rispondere, mentre avevo già addentato un
trancio della mia quattro formaggi.
-Domani sarò via per tutta la mattinata cara.
-Ah...
-Se vuoi...
-Oh no, grazie. Resterò qui a disfare le valigie.
Ora sono davvero a pezzi.- dissi, mentre sparecchiavo la
tavola dai residui della nostra cena.
-Vai a letto, qui ci penso io.
-Mamma, ti prego. Ormai, sono abituata.
-Allora ti dò una mano.
-D'accordo. Se proprio insisti.- le sorrisi.
-Sei un angelo, figlia mia.- disse, mentre asciugava una lacrima.
-Su, andiamo.- finsi di non vederla: sapevo che odiava mostrarsi debole.
-Sì.
Salimmo insieme e, arrivati fuori la porta della mia camera,
mi diede un bacio. Poi si diresse verso una camera che non
era la sua.
-Mamma, ma quella non è la tua camera.
-No...
-Beh?
-Quella camera è rimasta chiusa da quando tuo padre
è morto. E' una specie di reliquia...
-Oh...
-Buonanotte, Hermione.
-'Notte.
Mi chiusi la porta alle spalle e mi sistemai sotto le coperte. Sentivo
gli occhi chiudersi e le lacrime premere. Decisi che sarebbe stato
meglio dormire, così guardai fuori dalla finestra... pioveva.
***
Angolo autrice:
Ovviamente, dal primo capitolo non è molto
chiara la situazione, ma pazientate un pò.
Henri è francese ed è il marito della nostra
carissima Hermione.
Draco Malfoy? E' un pò presto per vederlo, ma disperatevi:
ci sarà anche un POV DRACO. *me fa gli occhi
dolci*. Credete
che questo basterà a farmi perdonare da voi?
Ora, carissime lettrici, aspetto le vostre recensioni.
Un bacio, la vostra Exentia_dream.
|
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Capitolo 2 *** Addio papà... ***
Capitolo
2: Addio papà...
Hermione
POV
Sentivo ancora la pioggia battere contro i vetri della
finestra. Guadai la sveglia: erano le 4.38.
Troppo presto
per alzarmi, troppo tardi per provare a riaddormentarmi.
Non sapevo che
fare... Henri non aveva ancora telefonato e questo mi preoccupava.
Avevo provato a farlo io, ma il suo cellulare risulatava sempre
staccato.
Continuai a
girarmi e rigirarmi nel letto, tirando ogni volta la trapunta che
scivolava, fino a che non cadde completamente sul pavimento.
Erano passati
appena dieci minuti e la mia pazienza stava perdendo l'equilibrio.
Mi alzai dal
letto e andai in cucina, per prepararmi un caffè.
Quando fu
pronto, mi sedetti e lo sorseggiai lentamente: era amaro e lo preferivo
così. Ad ogni sorso credevo di scaldarmi un pò,
ma in verità stavo gelando.
Forse, sarebbe
stato meglio se mi fossi tenuta impegnata in qualcosa... qualcosa di
noioso, come disfare le valigie.
Tornai su e mi
fermai all'apice delle scale. Guardai la porta di quella che una volta
era stata la camera
dei miei genitori. Camminai piano e l'aprii lentamente.
Era vero: era
una reliquia. Sul letto sembrava esserci ancora l'impronta
del corpo di papà.
Entrai e chiusi la porta dolcemente, poi mi diressi verso l'armadio e
l'aprii.
Tutte le sue camicie, i suoi pantaloni erano ancora lì. Il
suo profumo
faceva bella mostra di sè sul comò.
Ne misi un pò sul polso e aspettai che sfumasse.
Mi sembrò di averlo accanto, mi sembrò che fosse
tornato.
Ne fui felice, ma allo stesso tempo mi sentii mancare: il vuoto che
stava scavando la sua assenza non sarebbe stato facile da riempire
nè per me, nè per mia madre.
Posai il profumo e aprìì il cassetto. Spostai
l'intimo e presi una scatola di cartone.
La strinsi prima al petto, poi mi sedetti sulla poltrona
a dondolo che papà amava tanto.
Aprii la scatola e cominciai a spostare alcuni fogli, alcune foto...
poi la trovai: la corona
della festa del papà. Quindi, la girai e trovai il
bigliettino ancora spillato. Tornai con la mente a quel giorno...
-Steven, il pranzo
è pronto.
-Arrivo.
-Dai, Hermione, nascondi la corona, prima che arrivi papà.
-Va bene.- spostai la sedia, facendo più rumore del dovuto:
ero emozionata.
Vidi papà che prima entrò in cucina, poi si
allontanò di nuovo. Mi ero impressionata?
-Allora?- chiese da un'altra stanza -Siete proprio sicure che il pranzo
sia pronto?
-Sì, sì.- dissi io -Adesso puoi venire,
papà.
Mamma gli fece l'occhiolino e sorrise. Ero convinta di aver fatto tutto
per bene, senza che papà se ne fosse accorto. Lo guardai
speranzosa.
Quando mi raggiunse, papà mi scompigliò i
capelli. Spostò la sedia. -E questa che cos'è?-
disse meravigliato.
-E' il regalo per la festa del papà.
-E' una corona.
Annuii felice.-Perchè tu sei il re del mio cuoricino.
Papà mi abbracciò forte.- E tu sei la mia
principessa.
-C'è anche una letterina, papà. Non la leggi?
-No.
-E perchè?- chesi delusa.
-Devi leggerla tu.
-Va bene.- sorrisi ancor di più.- Però non so
leggere molto bene. Ho sei anni, sono ancora piccola.
-Non importa.
-Allora, leggo?
-Sì.-
Guardai mamma: guardava mio padre e me con uno sguardo pieno di amore.
Presi coraggio e fiato, in maniera teatrale. -19 Giugno 1991.
Caro papà, ti regalo questa corona per la tua festa
perchè tu sei il papà migliore del mondo. Ti
voglio tanto bene, la tua Hermione.-
-Brava!- disse fiero. Mi baciò la testa e lo guardai: aveva
gli occhi lucidi.
Mi emozionai come allora, rileggendo quelle poche righe. E anche io
come papà mi ritrovai con gli occhi lucidi. Guardai ancora
la corona, poi lasciai che per un pò le lacrime mi tenessero
compagnia.
Sorrisi anche, ripensando a quanto ero ingenua da
bambina...
Posai la corona nella scatola e sistemai tutto com'era prima che
entrassi. Poi uscii e chiusi la porta.
Tornai in camera mia e guardai la sveglia: le 6, 22.
Mi rimisi a letto e mi sistemai su un lato. Chiusi per un pò
gli occhi, poi presi il cellullare e provai a richiamare Henri.
Niente...
Sentii la porta della camera aprirsi e alzai il capo. -Mamma...
-Oh, sei già sveglia?
-Sì.
-Hermione, tra un pò vado via: devo sistemare le ultime cose
per il funerale.
-Se vuoi, faccio io...
-No.
-Mamma?
-Sì?
-Oggi fa freddo.
-Lo so.- mi guardò e sorrise. -Sembri una bambina con i
capelli così scompligliati.
-Beh, grazie. -dissi con voce fintamente offesa. La feci sorridere e mi
sentii immediatamente meglio.
-Vado a fare una doccia.
-Ok.
Mi alzai dal letto e andai in cucina. Preparai dell'altro
caffè, poi, presi dal mobile i croissant e i cereali e dal
frigo il succo di frutta all'arancia e il latte.
Apparecchai la tavola
e aspettai mamma.
-Hermione, io vad...- si fermò a guardare la colazione.
-Cara, non dovevi.
-Sapevo che avresti fatto tardi, quindi ho... ti va di fare
colazione insieme?
Si sedette e mi sorrise ancora. -Sei un'ottima figlia.
-Grazie.- riempii la tazza di latte e cereali e cominciai a mangiare.
Mamma, invece addentò un croissant e bevve un pò
di succo.
Si alzò e iniziò a sparecchiare. -E' tardi...
-Lascia, mamma. Pulisco io.
-Grazie ancora, cara.- afferrò il cappotto e uscì.
-Figurati.- dissi, senza che lei mi sentisse, ovviamente.
Mi alzai per sparecchiare, ma il telefono di casa cominciò a
squillare, quindi risposi.
-Casa Granger?
-Sì, chi è?
-Sono Ginny Weasley.
-Gynny,- sorrisi -Sono Hermione... che piacere sentirti.
-Oh Dio, che figura! Sei davvero tu?
-In carne ed ossa.
-Ma quando sei tornata?
-Sono arrivata qui ieri sera, sul tardi.
-E non mi hai neanche avvisata?
-Beh, ho avuto da fare...
-Immagino.- ci fu un attimo di silenzio. -Herm, come stai?
-Che dirti? Sto male, ma mia madre sta cadendo a pezzi, quindi...
-Harry mi ha detto che oggi ci sarà il funerale.
-Sì.
-Ho chiamato perchè ho avuto i risultati dell'autopsia.
-E...?
-Sai che tuo padre era stato al pronto soccorso, no?
-Sì.
-I medici dissero che era in stato di ansia reattiva, invece...
-Invece...
-Dovreste sporgere denuncia.
-Non so.
-Herm, sei un ottimo avvocato: potresti vincere la causa.
-Non cambierebbe molto: nessuno mi ridarà mio padre, neanche
dopo aver vinto la causa.
-Lo so, ma...
-Ci vuole una gran forza d'animo, Ginny e in questo momento non ne ho.
-Io ci sarò sempre, lo sai...
-Sì, grazie.
-Ora devo andare: Matt
chiama.
-Come mai è da te?
-Oh, sai... Ron, Luna...
-Ah... Beh, dà un bacio al piccolo da parte mia.
-Ciao Herm.
-Ciao Ginny.
Andai in camera e cominciai a disfare la valigia. Poi, il cellulare
iniziò a vibrare. -Henri.-,
pensai immediatamente. Invece, la scritta mamma era impressa sul
display. -Pronto?
-Hermione, sei pronta?
-Per...?
-Sono quasi le dieci cara...
-Oh.- dissi, poi mi ricordai che il funerale era stato anticipato alle
10,30, -Sì, sì sono prontissima. Tu dove sei?
-Dalla sarta.
-Bene. Io sono pronta, ti aspetto.- Corsi in bagno e feci una doccia
veloce.
Mi vestii
prettamente di nero e mi truccai leggermente. Sistemai i capelli in un
semplice chignon, poi andai in cucina a bere un ultimo sorso di
caffè.
In quel preciso istante, mamma rientrò e mi baciò
una guancia. -Sei pronta davvero.
-Certo! Cosa credevi?
-Andiamo.- disse, mentre usciva sul pianerottolo di casa. -Guidi tu.
-Ovvio.
Salimmo in auto e allacciammo le cinture. -Sai dov'è il
cimitero, vero?
-Sì.
-La messa sarà celebrata lì.
-Come voleva papà...
-Sì.
Arrivammo al cancello del cimitero, quindi parcheggiai l'auto e scesi.
Abbassai immediatamente gli occhiali per coprire le lacrime e mi
avviai. Mamma camminava poco più avanti di me: poteva
sembrare forte, ma non lo era e, più grave,non era
totalmente lucida: quella parte di lei che non aveva
accettato la morte di papà era ancora troppo presente.
Ma era anche normale: papà era morto da una settimana
soltanto.
Arrivammo di fronte al fosso in cui sarebbe stata calata la tomba.
C'erano già Harry,
Lily
e James
Potter, Ginny,
Ron
e Luna.
Mi strinsero e mi baciarono tutti, tranne James. C'era sempre stato una
sorta di imbarazzo tra noi.
Mi erano mancati immensamente tutti, ad eccezione di nessuno.
Il piccolo Matt si aggrappò ad un braccio. -E tu chi sei?
-Ciao piccolo...
-Lei è zia Hermione.- disse Ron, sorridendo. -Ben tornata.-
mi disse, accarezzandomi una guancia.
Il parroco ci raggiunse pochi minuti dopo. -Salve signora Granger. Ciao
Hermione.
-Salve padre.
-Cominciamo?- annuii, sistemandomi gli occhiali. Strinsi la mano di mia
madre e Ginny mi cinse le spalle con un braccio.
Piansi per ogni singola parola che il prete pronunciò e per
il senso di vuoto che sentivo dentro. Soprattutto, piansi
perchè avrei rivisto mio padre solo in foto e non avrei
potuto più abbracciarlo.
La messa fu
breve, così due uomini calarono la bara di papà
nel fosso. Presi un pò di terra con le mani e la gettai
sulla
bara, in segno di saluto.
Quando tutto finì, guardai per l'ultima volta la foto
sulla tomba: era sempre così buffo e divertente.
Mamma si avviò all'auto con gli altri. Io ed Harry rimanemmo
lì. Avrei voluto che al suo posto ci fosse stato mio marito,
avrei voluto che avrebbe asciugato le mie lacrime e che mi
avrebbe sostenuta... invece, c'era il mio migliore amico a farlo.
Mi abbracciò ancora e gli sorrisi. Poi, guardai il cielo: il
sole splendeva e non c'erano nuvole.
Era proprio una giornata serena, tranquilla: la giornata in cui
papà avrebbe desiderato sentirsi dire addio.
***
Angolo autrice:
Questo
capitolo è davvero triste, a mio parere, ed è
stato abbastanza difficile da scrivere.
Per quanto riguarda i
genitori di Hermione, non credo che siano mai stati nominati
nè che siano mai stati interpretati da qualcuno,quindi ho
lasciato spazio all'immaginazione.
Da come avrete capito,
Ron e Luna sono sposati e Matt è loro figlio, carino eh?
La morte del padre di
Hermione: è un fatto realmente accaduto, a Roma.
Che altro dire?
Lo
spoiler: chi sarà mai? Su, su... vediamo se
avete capito...
Ringrazio
infinitamente:
dramy96123
per
la recensione. eccoti accontentata! Eh sì, Henri ed Hermione
hanno alcuni problemini... seguendo la storia noterai che alcuni
problemi sono davvero stupidi, altri, invece, sono davvero importanti.
Sono
comunque abbastanza delusa: una storia senza recensioni, di solito,
è una storia che non piace. Non so se la mia è
tra queste, quindi vi prego di lasciare una recensione, anche se
piccolissima... Ho bisogno del vostro parere per sapere se devo o no
continuare questa ff.
Ringrazio, per aver inserito la mia storia tra le seguite:
Axel_Twilight_93
Books
excel sana
LyliRose
Nia Nya
path94
prettyvitto
tykisgirl.
Un gigantesco
grazie a Sa
Chan.
Un bacio a
tutti/e e Buona Lettura.
|
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Capitolo 3 *** Che piacere rivederti, Granger! ***
Capitolo 3: Che piacere rivederti, Granger!
Hermione POV
Mi ero addormentata con
la voglia di uscire e camminare per le strade della mia
città.
Una volta sveglia,
avevo fatto una doccia veloce, mi ero vestita
e truccata. Poi, ero andata in cucina a bere un caffè al
volo.
Mamma era
già uscita con l'auto e la domestica era già
arrivata, quindi uscii. Mi chiusi la porta alle spalle e feci un bel
respiro profondo.
Il cielo grigio mi
accolse, freddo e gelido come sempre.
Avevo voglia di
rivisatare il luogo in cui avevo passato tanto tempo durante la mia
adolescenza. Guardavo con meraviglia e curiosità ogni angolo
di quelle strade, poi mi fermai e l'emozione mi sovrastò:
aprii la porta e un campanellino trillò riempiendo
l'ambiente del suo tintinnio allegro.
Girai per i corridoi,
ammirando ogni cosa ci fosse. Amavo l'odore dei libri ed anche la
polvere che c'era lì dentro.
Presi un libro, uno
qualsiasi... di solito, leggevo la trama della storia, ma stavolta non
l'avevo fatto.
In realtà,
non m'importava granchè. Ero solo curiosa di tornare nella
vecchia libreria e uscirne a mani vuote non sembrava carino.
Pagai e salutai l'uomo
che era dietro al bancone, poi uscii e tornai in strada.
La mia Londra non era
cambiata. Una città, in fondo, non cambia mai... sono le
persone che la vedono diversa.
M'incamminai lentamente
per i viali alberati del Green Park: guardavo le coppiette di anziani
che, dopo anni, ancora si tenevano per mano: quanto amore nei loro
gesti rallentati solo dalla vecchiaia e dal peso degli abiti.
Di amori
così ce n'erano pochi, adesso. Una volta, i matrimoni
duravano anni, decenni... ora, non era più così:
il mio matrimonio ne era la prova. Forse...
Mi sedetti su una
panchina, appena ne trovai una libera.
Aprii il libro.
Qualcosa di duro mi
colpì la testa. -Una palla.- dissi, sorridendo, mentre una
signora anziana mi osservava. -Maledette palle.- pensai,
invece tra me e me.
un bimbo di dieci anni
o poco più si avvicinò. -Grazie, signora.
-Prego.
-Hai visto castoro? Sei
anche cieca. Hai l'apparecchio e sei cieca.
Sorrisi ancora. Una
volta, anch'io ero un castoro... il suo castoro. Una
volta, tanto tempo fa...
Ero andata via dalla
mia città per lui. Ero tornata per la morte di mio padre...
Ero andata via a
gennaio. Ero tornata lo stesso mese, di sei anni dopo.
Il tempo mi aveva
cambiata: ero una donna, ormai.
Ero sposata, avevo una
famiglia... no, non era vero: non avevo figli, non potevo averne... o
meglio, mio marito non poteva darmene.
Più volte,
mi aveva proposto la via dell'adozione, ma avevo sempre rifiutato:
avere un figlio che non fosse realmente suo, col tempo, l'avrebbe fatto
sentire un fallito ed io non volevo che succedesse.
Henri non lo meritava.
Era stato la mia ancora
di salvezza, dal momento in cui l'aereo atterrò
all'aereoporto Charles de Gaulle. E' stato una guida, un amico, un
amante ed ora un marito. Anche se poi, le cose si sono complicate...
Le gocce di pioggia
iniziarono a scivolarmi addosso. Mi coprii immediatamente il capo,
mentre la pioggia diventava più insistente. Feci in tempo a
posare il libro in borsa.
Presi il cellulare e
cercai di chiamare Henri. Pluff.
In acqua. -Merda!
Proseguii a piedi e
senza ombrello. Di un taxi neanche l'ombra.
La pioggia
ormai era talmente fitta che faticavo a riconoscere i profili dei
palazzi e le fattezze dell'asfalto su cui camminavo. Infatti,
inciampai. -Odiose pozze d'acqua. Maledetta pioggia e bastardo
meteorologo.- dissi, alzandomi. Ero zuppa.
-Signorina, le serve
aiuto?
-Signora. No, grazie.-
risposi stizzita. L'uomo se ne andò, senza
proferire parola. -E fanculo anche ai taxi.
-Ah, quanto ti capisco.
Londra è una città impossibile.- disse una donna.
Aveva più o meno la mia età: alta, pelle chiara,
capelli biondi e occhi azzurri. Bellissima.
-Sì.
-Piacere.- disse,
stringendomi la mano. -Io sono Cloe.
-Hermione.-
-Beh, io vivo a
Kensingoton street.
-Anche io.
-Se ti va...
-Oh, no grazie. Ho
delle commissioni da fare.
-Bene. Allora
arrivederci... Hermione, vero?
-Esatto. Arrivederci
Cloe.
Attraversai la strada,
sperando che nessun'auto passasse. Quando arrivai all'atro marciapiede,
mi fermai sotto gli archi di un piccolo negozio di dolci.
Entrai ed attesi che
qualcuno venisse al bancone.
Dopo qualche minuto,
una bella ragazza mi salutò. -Buonasera signora, desidera?
-Vorrei una bella torta.
-Che gusto?
-Non so.
-Mi segua.- disse,
uscendo dal bancone. -Dia un'occhiata alla nostra esposizione.
-Quella.- dissi appena vidi la torta.
-Non vuole pensarci un
pò su?
-No, voglio quella.
Grazie.
La ragazza chiuse la
torta nell'apposita scatola e me la porse. Pagai e uscii dal negozio.
Casa Weasley era poco
lontana, quindi percorsi quel tratto di strada camminando sotto gli
archi e le volte dei negozi.
Quando arrivai, la
pioggia era diminuita. Bussai alla porta e Ginny aprì poco
dopo. -Hermione.
-Ciao.
-Ma... cosa?
-Questa è
per te, cioè, per noi.
-Noi chi?
-Tu ed io.
-Ah, bene.
-Su, fammi entrare.
-Oh, che sbadata: non
te l'ho detto, vero?
-No. Sei molto
scostumata signorina Weasley.- rise. -Riesco ancora ad imitarla alla
perfezione, visto?
-Sì.-
Entrammo. -Sei zuppa, dai vieni ad asciugarti un pò.-
Andammo in bagno e Ginny mi diede il phon.
Quando finii, spazzolai
i capelli, poi ci accomodammo in cucina. Sembrava ancora di rivedermi
bambina. -Non è cambiato nulla...
-Certo che è
cambiato qualcosa...
Mi guardai intorno. -Io
non lo vedo.
-Ah no?
-No.
-Bene. Allora aspetta
un secondo.
-Ok.- aspettai, fino a
che Ginny non tornò in cucina.
-Io qualcosa di diverso
lo vedo.- disse, porgendomi una foto.
-Ginny... ce l'hai
ancora.
-Non potrei mai
metterla via...
-In effetti, qualcosa
è cambiato.- sorrisi. -Eri uno gnomo!
Il telefono di Ginny
iniziò a squillare e lei rispose. -Pronto?- la osservavo,
mentre tranquilla preparava il caffè.- Perfetto.- prendeva
le tazze dalla credenza. -No, va benissimo così... ti
aspetto.
-Chi era?- chiesi con
curiosità.
-Una sorpresa, mia cara.
-Oh...
-E' una persona che non
vedi da anni.
-Draco.- pensai, ma lasciai che quel
pensiero mi lasciasse. -Non ho proprio idea di chi possa essere.
-Meglio
così.- disse. -Sarà qui tra meno di quindici
minuti, quindi per la torta aspetteremo il suo arrivo.
-Quindi, non mi dirai
chi è, vero?
-Per niente al mondo.
Anzi, ti ho già detto troppo.
-Ci sono molte persone
che non vedo da anni.- mi rattristai e Ginny dovette capirlo,
perchè cambiò immediatamente argomento.
-Domani, ti
và se pranziamo insieme?
-D'accordo.
-Sai, Herm... credo che
sia il caso che tu mi aiuti.
-A fare cosa?
-A trovare un lavoro...
-Certo. Sai
già in che cam...?- suonò il campanello e Ginny
mi guardò per un solo secondo. In quel secondo
però, vidi nel suo sguardo troppe emozioni: eccitazione,
sorpresa...
-Ciao Ginny.- sentii
una voce maschile che non riconobbi, allora rimasi seduta.
-Seguimi...- disse
Ginny. -...c'è una sorpresa per te.
Mi conosceva o la
sorpresa era la torta? Mi alzai per prendere un bicchiere d'acqua,
quindi, quando l'ospite arrivò in cucina, ero di spalle.
-No.- disse l'uomo.
-Non dirmi che è lei!
-Certo che è
lei.- non avevo il coraggio di voltarmi. Rimasi nella stessa posizione
non so per quanto tempo, fino a che Ginny non si avvicinò a
me e mi girò con la forza. -E' lei in carne ed ossa.
A pochi passi da me,
ora, si trovava uno dei ragazzi più belli del liceo: erano
passati anni ed era diventato un uomo, ma era sempre bellissimo...
anzi, con quel filo di barba, lo era ancora di più.
Gli andai incontro e lo
abbracciai forte. Gli occhi mi si riempirono di lacrime e lo strinsi
ancora di più. - Blaise...- dissi con la voce spezzata
dall'emozione.
-Hermione... sei
stupenda!
-Grazie.- dissi, senza
aggiungere altro: ero felicissima. Quanto era cambiato: era diventato
più alto e il viso non era più paffuto, anzi...
-Ho saputo di tuo
padre... mi dispiace.
-E' stato un brutto
colpo, ma supereremo anche questo.
-Non lo dubito.- si
sedette accanto a me e mi prese le mani. -Che piacere rivederti,
Granger!- addentò un pezzo di torta e lo gustò a
lungo. -Mh, buonissima!
-Già.- avrei
voluto chiedergli tante cose: lui sapeva, lui sapeva tutto.
-Allora... il
matrimonio come sta andando?
-Prosegue...
-Ne sono felice.
Sorrisi. -Non
chiedermi come prosegue.- implorai mentalmente.
-Sì, anche io.
-Ehy, ci sono anche
io.- disse Ginny.
-Oh, a proposito...-
Blaise cambiò espressione. - ...in ospedale ci
sarà bisogno di noi.
-Come sempre:
giovedì e venerdì.
-No. Ce ne
sarà bisogno anche domani.
-Oh...- Ginny mi
guardò sconsolata. -Ma io domani avevo appuntamento con...
-Disdici ogni
appuntamento.
-Non preoccuparti,
Ginny. Sarà per un'altra volta.- dissi, prendendo la borsa e
il cappotto. -Ora vado.
-Quanto ti fermerai?-
mi chiese Blaise.
-Non so. Forse, un paio
di settimane.
-Bene. Allora ti
prometto che tu e la rossa, qui, recupererete l'appuntamento. In
più...- aggiunse, facendo l'occhiolino e assumento un tono
di voce fintamente sensuale - hai vinto l'appuntamento dei tuoi sogni...
-E sarebbe con...?-
chiesi fintamente curiosa.
-Con me, ovviamente.
Io e Ginny ridemmo. Poi
salutai Blaise con un bacio, mentre Ginny mi accompagnò alla
porta. -Grazie...
-Di niente.
-Sapevo che ti avrebbe
fatto piacere rivederlo... so anche che...
-Oh, no, non
preoccuparti. Ne sono stata davvero felice: nessun rimorso, nessun
ricordo. E' tutto ok.- mentii.
-Perfetto. Ci
sentiamo.- mi baciò una guancia e andai via.
Avevo mentito alla mia
migliore amica, ma come potevo dirle che i ricordi mi avevano investita?
Non potevo farlo e,
soprattutto, non volevo farlo. Ammetterlo a me stessa sarebbe stato un
bel problema... ed io non volevo avere problemi di nessun genere,
soprattutto quando si trattava del mio passato.
Era finito tutto tanti
anni fa ed era stato giusto così.
Spoiler Capitolo 4:
-E tu che ci fai qui?
-Sono venuto per te...
-Oh.- dissi. Sul
viso,forse, avevo un'espessione mista tra sorpresa, rabbia e malinconia.
-Mi fai entrare?-
guardai l'interno della casa, poi guardai lui.
-Sì...
***
Angolo
autrice:
Questo è un capitolo
di passaggio.
C'è stato un incontro che potrà essere importante
o meno, questo lo saprete solo continuando a leggere.
-Cloe: avrà un ruolo fondamentale. Poi, capirete...;
-Ginny: è un'infermiera e vive ancora con i genitori, penso
che l'abbiate capito;
-Blaise: ho cercato e ricercato, ma Blaise è di colore e non
ha affatto gli occhi blu. Lo dice anche la Rowling nel sesto libro.
Quindi, per chiunque creda che Blaise abbia gli occhi blu, RICREDETEVI
^.^ Anche lui è infermiere, nel reparto pediatria... che
dolce, vero?
Credo che per quanto riguarda il capitolo non ci sia altro da
aggiungere.
Risposte
alle recensioni:
LyliRose: Grazie mille per
l'incoraggiamento. Eh sì, la storia è agli inizi,
ma proprio per questo mi piacerebbe più coinvolgimento da
parte chi legge. Draco... Draco arriverà, pazienta un
pò.
Axel_Twilight_93: Grazie anche a te!
La storia
è molto complicata, quindi c'è da capirne ogni
sfumatura e per questo cercherò di descrivere al meglio le
sensazioni dei protagonisti. Per quanto riguarda l'aggiornamento: mi
piacerebbe postare ogni uno o due giorni. So quanto sia snervante
aspettare, quindi, se il tempo te lo permette, la mia storia
è qui... Per quanto riguarda i compiti, su su... corri a
studiare u.un Grazie ancora.
sa chan: Eccomi qui. Sono stata
abbastanza veloce o sarò punita dal forcone? Grazie ancora
per il sostegno che mi dai e per le immagini... Ah, se non ci fossi tu.
Allora, che ne pensi di questo capitolo? L'incontro ti è
piaciuto?
Gin 92: Grazie davvero! So che a volte
è più facile leggere soltanto, ma per chi scrivi
è importante conoscere il parere di chi legge. Draco
comparirà prima o poi, o forse mai... chissà!
Grazie ancora.
Ringrazio per aver
inserito la mia storia tra le seguite:
ali_smile
Axel_Twilight_93
Books
Choo
excel sana
Gin 92
lady_rose
LyliRose
Nia Nya
path94
prettyvitto
sa chan
tykisgirl
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Capitolo 4 *** Chiarimenti... ***
Capitolo
4: Chiarimenti...
Hermione POV
Ero a Londra da una settimana,
ma da parte di Henri non avevo ricevuto ancora nessun segno di vita.
Avevo cambiato
cellulare e numero, ma l'avevo chiamato e gli avevo lasciato almeno
cinque messaggi in segreteria.
Mi mancava quello che
era una vota...
Andai a fare una
doccia, poi mi vestii
e mi truccai un pò. Mi guardai allo specchio e cominciai a
piangere. -Cos'è che non va in me?
Il campanello
suonò e corsi ad aprire: Ginny ed Harry entrarono e mi
abbracciarono forte.
Avevo gli occhi rossi e
gonfi. -Che è successo, Herm?
-Niente, Ginny.
-Niente è
davvero poco per ridurti in questo stato. -Dovevo dirle la
verità? - Siamo i tuoi migliori amici...
A volte, credevo che
Ginny mi leggesse nel pensiero. -D'accordo. Si tratta di Henri.
-Lo sapevo! Non mi
è mai piaciuto quel tipo, ma tu "é un'ottima
persona, se non fosse stato per lui..."
-Harry! Non serve a
niente stare qui e dire "Te l'avevo detto!"- lo rimproverò
Ginny.
-No, hai ragione.
-Cos'è
successo, Herm?
-Non lo so...
Quando
tornò da lavoro, ero sul divano in preda ad una crisi di
panico.
-Ho
fame.
-Henri...-
cercai di chiamarlo, sperando che mi chiedesse cos'era successo.
Invece, mi aveva baciato i capelli ed era andato in bagno a lavarsi.
Così,
mi diressi in cucina e inizia a cucinare: non avevo neanche la forza di
sollevare una forchetta, ma strinsi i denti e gli cucinai un
pò di brodo.
-Hermione,-
mi chiamò dalla stanza da letto. -Il pigiama, l'intimo...
non l'hai preparato.
-Scusami,
Henri... sai, è che papà...
-Scusami
Henri!- cominciò ad urlare. -Sei stanca, Hermione?
-No.
-E
allora perchè non fai il tuo dovere di moglie?- urlava
sempre di più.
-Ti
prego, abbassa la voce...
-Ti
vergogni che la gente sappia quanto sei inutile in questa casa?
-Io
non sono inutile...
-Ah
no? E in cosa saresti utile?
-Henri,
vedi... papà... mi ha telefonata mia madre...
-E
certo! Perchè è più importante parlare
al telefono con tua madre che servire tuo marito, vero?
CI
rinunciai. -La cena è pronta. Ti aspetto in cucina.-
Ovviamente, non venne e mi toccò buttare tutto.
Quando
andai a dormire, notai che nel letto non c'era, così andai
nella camera degli ospiti: era lì. E già dormiva.
Tornai
in camera da letto e preparai le valigie, poi mi addormentai.
La
mattina, di buon'ora, ero già pronta per andare via.
-Dove
vai?- mi chiese.
-Buongiorno.
-Buongiorno?
Fanculo il tuo buongiorno. Che cazzo sono queste valigie... vuoi andare
via?
-Tesoro...
-No,
Hermione, non chiamarmi tesoro.- urlava.
-Sta
zitto.- gli ordinai. Il mio tono si era alzato di qualche ottava. -Mio
padre è morto.
-Cosa?
Perchè non me l'hai detto?- disse, accarezzandomi il braccio.
-Ci
sto provando da due giorni.- dissi, con la voce ridotta quasi ad un
sospiro.
-Vorresti
dire che è colpa mia? Che non ti presto abbastanza
attenzioni?- aveva ricominciato ad urlare.
-Vado
a Londra, Henri. Appena sono lì, ti chiamo.- cercai di
baciarlo, ma mi respinse.
Chiusi
la porta e andai via.
-Hermione, non puoi
continuare così. Sei sposata da due anni...
-Harry, ti prego.
-Ma ti maltratta...
-No, Harry non lo fa.
Forse, è solo stressato per il troppo lavoro.
-Anche tu lavori,
Hermione... e finito allo studio, ricominci a casa.
-Harry ha ragione.-
intervenne Ginny. -Perchè non ti allontani un pò?
-E' mio marito...
-E tu sei sua moglie.
Proprio per questo non può trattarti così.
Hermione... ti conosco da quando eri una bambina e sei la persona
più fantastica di questo mondo... Ginny, non offenderti.- mi
scappò un sorriso. - Non meriti tutto questo.
-Mi ha sempre aiutata.-
Harry scosse il capo, Ginny, invece, mi indirizzò uno
sgaurdo implorante.
-In cosa?
-Quando sono arrivata
in Francia, non sapevo neanche come si dicesse "Salve!"
-Avresti potuto
imparare da sola.
-No...
-Sai una cosa? Ti ho
vista stare male in tante occasioni, ma mai così... E ti ho
vista felice solo con una persona...
-Smettila.- Qualcuno,
fortunatamente, bussò alla porta. -Vado.
-Sì...
Mi avviai e asciugai le
lacrime, prima di aprire. -E tu che ci fai qui?- chiesi, meravigliata.
-Sono venuto per te...
-Oh.- dissi. Sul
viso,forse, avevo un'espessione mista tra sorpresa, rabbia e malinconia.
-Mi fai entrare?-
guardai l'interno della casa, poi guardai lui.
-Sì...
-Hermione...- disse
-Henri, qui ci sono
Ginny ed Harry. Ti ricordi di loro, vero?
-Certo. Ciao Herry.-
disse, stringendogli la mano. -Ciao Ginny.
-Henri.- dissero
all'unisono a mò di saluto.
-Allora come state?
-Noi bene.- rispose
Harry, sottolineando in modo troppo evidente quel noi.
-E tu come stai?-
chiese, poi, rivolgendosi a me.
-Oh, sto bene.
-Hai pianto?
-No. Allergia agli
occhi.
-Capisco.
-Beh,- disse Ginny.
-Noi abbiamo un pò da fare... se non vi dispiace...
-Figurati...- disse
Henri.
-Ginny, Harry grazie.
-Ci accompagni alla
porta?
-Certo.
Arrivati sull'uscio,
Harry mi guardò. -Hermione, ti prego... hai venticinque
anni, non...
-Harry...
-Andiamo.- disse Ginny,
vedendo che Henri ci aveva raggiunti.
Poggiò le
mani sulle mie spalle ed io chiusi la porta. -Mi sei mancata.- disse,
girandomi in modo che mi trovassi di fronte a lui.
-Henri...-
iniziò a baciarmi il collo, le labbra, i lobi.
-Herm...- mi tolse la
felpa e la maglietta e iniziò ad accarezzarmi i seni.
-Ti prego...-
spostò il reggiseno, poi iniziò a sbottonare i
jeans e a toccarmi.
-Non mi vuoi?- No, non
lo volevo. Non adesso.
-Ti prego...- fu tutto
inutile: mi spogliò completamente, posando sul pavimento
anche l'intimo.
Lui abbassò
semplicemente i pantaloni e i boxer, poi mi penetrò.
Mi fece male.... non
tanto per la smania e per la violenza con cui era entrato in me, quanto
per il fatto che prima di tutto avesse desiderato solo il mio corpo:
non un bacio dolce, non una carezza...
Mi rivestii e andai in
cucina. Lui mi raggiunse. -Vado a fare una doccia.
Non risposi. Cosa c'era
di dire?
Mi sedetti e cominciai
a piangere. Affondai le unghie nella pelle per far sbollire la rabbia:
il dolore che provavo facendomi male da sola non era minimamente
paragonabile al male che mi faceva mio marito. -Se non lo amassi solo per
metà...
Avevo iniziato a
preparare la cena, per distrarmi, per non pansare. Le parole di Harry
mi riempivano le orecchie e lo sgaurdo implorante di Ginny mi era
rimasto impresso nella mente. Sistemai il ruoto nel forno...
Non potevo andare
avanti in quel modo, non potevo farmi condizionare dai miei migliori
amici: certo, mi volevano bene, ma cosa ne sapevano della vita che
avevo lontana da Londra?
Ma poi... che vita
avevo? Era questa la domanda che dovevo pormi.
Asciugai un'altra
lacrima, quando sentii la porta d'ingresso aprirsi e ringraziai il
cielo. -Mamma?
-Sì...
-Mamma, è...
-Sono venuto a
salutarti, Meredith.- disse mio marito, mentre scendeva le scale. Aveva
indossato una tuta e le scarpe da ginnastica.
-Oh, che piacere Henri.
-Il piacere
è sempre mio.
-Come stai?
-Benone. Herm, che
cucini?- Scostumato, non aveva neanche chiesto a mia madre come stesse.
-Pollo.- risposi fredda.
-Se non vi dispiace,
-disse. -vado a guardare un pò di tv.
-Fai pure. - risposi.
Mamma si
avvicinò e mi osservò a lungo. -Cos'hai?
-Niente... le cipolle.
-Le cipolle? Sarà...
-Ma cosa credi?- le dissi. La mia voce tremò: avevo paura,
non volevo che mamma sapesse.
-Non credo niente.
-E fai bene. Ora su, va a lavarti chè la cena è
quasi pronta.
-Abbiamo invertito i ruoli?- mi chiese, ridendo.
Risi anche
io. Aspettai che lasciasse la cucina, poi lasciai libero sfogo
al mio pianto. Come avevo potuto arrivare a tanto?
Mi faceva male lo
stomaco: troppo forte, troppo prepotente. Non mi ero mai permessa di
pensare che i nostri rapporti potessero essere descritto con la frase
"fare l'amore", era sempre stato sesso e lo sapevo bene... ma Henri
stava andando davvero oltre: questa era violenza.
Asciugai l'ennesima
lacrima, poi presi il ruoto dal forno e portai tutto in tavola.
Chiamai mamma e Henri e
mangiammo: loro chiacchieravano, io rimasi in silenzio. Non ascoltai
una parola di quello che dissero, mi limitai solo a sorridere ed
annuire ogni volta che sentivo il mio nome.
Quando finimmo di
mangiare, Henri andò a cambiarsi e ad indossare il pigiama.
Io sparecchiai e lasciai che mamma andasse a letto. Poi, mi sedetti sul
divano.
Poco dopo, Henri si
accomodò affianco a me. -Ora,
ne parliamo...- disse con la finta calma di chi cerca di nascondere un
tono di voce minaccioso.
-Non mi va.
-Invece sì.
Sei andata via, mi hai lasciato da un giorno all'altro...
-Non ti ho lasciato,
Henri. Sono venuta ad aiutare mia madre...
-Certo...
-Sì.
-Beh, resta di fatto
che io sono stato solo...
-Mi dispiace.- ed era
vero, mi dispiaceva, ma dubitavo fortemente che avesse passato tanto
tempo da solo: se mi avesse tradita, di certo non sarebbe stata la
prima volta.
Mi colpì in
pieno volto. -Sai dire solo questo?
-I-io...- provai a
controbattere, ma andò via e mi lasciò da sola.
-Dormo in camera tua.-
disse, quando era ormai a metà delle scale.
-D'accordo.- mi toccava
dormire sul divano. Posai la mano sulla guancia: ormai, non era
più lo schiaffo a bruciare, bensì l'umiliazione.
Provai a mettermi
comoda, ma non ci riuscivo.
Il ticchettio dell'orologio a parete, quello che per anni era l'unico
rumore che riusciva a rilassarmi, ora mi dava i nervi. Rimasi nella
stessa posizione per un paio di ore: lo sguardo fisso al nulla, la
mente vuota da ogni pensiero.
Andai in cucina a prendere un pò d'acqua e guardai le scale:
salii in silenzio e aprii la porta della mia camera.
Lo guardai, mentre dormiva: poteva sembrare il marito migliore del
mondo.
Cos'era cambiato?
Perchè non era più l'unico ragazzo a cui avevo
voluto un bene dell'anima, dopo Draco?
Forse, il problema era
questo: parte di me era rimasta legata al passato e a ciò
che avevo perso... Henri, però, ne era a conoscenza. Sapeva
bene che Draco era la persona più importante della mia vita.
Sapeva che parte di me, anche se ben nascosta, sarebbe sempre
appartenuta a Draco.
No, il problema non era
questo...
Gli accarezzai il viso,
dolcemente. In cambio, lui mi strinse il polso con tanta forza che
stavo quasi per urlare dal dolore. -Che ci fai qui?- mi chiese brusco.
-Volevo darti la
buonanotte.
-Non sono
più un bambino, non mi serve il bacio della buonanotte.
-Non ho detto questo...
credo che dovremmo parlare...
-Per me abbiamo parlato
ed abbiamo chiarito tutto.
-Tu credi?
-Sì.- mi
abbracciò e poggiai il viso al suo petto. -Ti voglio bene,
Hermione.
-Te ne voglio anche
io.- mi fece posto e mi stesi accanto a lui.
Mai un ti amo dalle sue
labbra... per lui il matrimonio era un semplice contratto, un modo per
legare qualcuno alla propria persona, che ci fosse rispetto o meno non
era importante... tutto questo, però, me l'aveva detto dopo
avermi sposata.
Non avevo il coraggio
per divorziare o per annullare il matrimonio... per questo, mi ero data
da fare ed avevo iniziato l'università: per non essere
vittima di tanto squallore, per non fare i conti con la mia coscienza
e, soprattutto, per non ammettere quanto avessi sbagliato.
Spoiler
Capitolo 5:
Spostò la
mia sedia e attese che mi accomodassi, poi mi avvicinò al
tavolo e anche lui andò a sedersi. Sorrisi. -Che gentiluomo.
-Ne dubitavi?
Scossi il capo.
-Affatto.
-Bene.
-E tutto come
all'inizio...
-Più
o meno.
***
Angolo
autrice:
-Henri: è un personaggio molto complicato, con un carattere
difficile e una brutta identificazione della vita. Credo abbiate notato
quanto sia materiale, no? ;
-Ginny e Harry: non lo sopportano, avrete capito anche questo. In
seguito, sarà spiegato il perchè, quindi, se
siete curiose continuate a leggere.
Per quanto riguarda il capitolo... non ho molto da dire, a parte che
non è stato facile scriverlo. Ce ne saranno di
più difficili e brutti, di questo ne sono certa.
Lo spoiler: chi sarà mai l'uomo che tiene compagnia alla
nostra cara Hermione? Vediamo un pò chi riesce ad
indovinarlo :P
Risposte
alle recensioni:
Axel_Twilight_93:
Grazie mille per i complimenti, davvero. Mi lusinghi. Beh, la tua
fantasia ha preso una bella rincorsa xD Spero che anche questo capitolo
ti piaccia.
sa
chan: Ecco a te il nuovo capitolo. Che ne pensi? Ti piace?
Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le seguite:
ali_smile
Axel_Twilight_93
Books
Choo
excel sana
Gin 92
lady_rose
LyliRose
MissChanel
myllyje
Nia Nya
OneLove4
path94
Poseidonia
prettyvitto
sa chan
tykisgirl
Ringrazio per aver inserito la mia storia tra
le preferite:
amorelove
deme
Ringrazio anche i lettori silenziosi.
Vi prego però di lasciare una piccola recensione,
semplicemente per farmi capire cosa ne pensate della storia.
A me piace molto coinvolgere chi legge e mescolare le mie idee con le
loro, quindi, se non vi dispiace... lo spazio delle recensioni
è qui :D
Un bacio, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 5 *** Come all'inizio... ***
Capitolo 5: Come
all'inizio...
Hermione POV
Sentivo mamma che cercava di fare quanto meno rumore possibile ed in
realtà ci riusciva benissimo.
Ero solo io ad
essere troppo tesa, i miei sensi ad essere troppo in allerta.
Henri dormiva
e, durante la notte, aveva occupato quasi tutto il letto. Ero riuscita
a tenere un pò di spazio per me facendo forza nelle
ginocchia: era egoista anche in questo, pur se involontariamente.
Mi alzai dal
letto, muovendomi poco, per non svegliarlo. Lo sentii mugugnare
qualcosa di incomprensibile, cambiò posizione e si
coprì meglio.
Andai in bagno
a lavare il viso e le mani. Avevo ancora il segno dello schiaffo:
dovevo coprirlo.
Erano appena le
otto ed era presto per vestirmi, ma non potevo fare altrimenti: non
volevo che mamma mi vedesse in quello stato nè che guardasse
Henri in modo diverso.
Non volevo che
vedesse quello che in realtà era, volevo renderla cieca...
non le serviva altro dolore.
Riempii la
vasca e mi immersi: avevo bisogno di rilassarmi e di capire.
Cosa c'era da
capire? La verità era che Henri era stato un bravo attore:
si era nascosto per cinque anni dietro la maschera del buon fidanzato e
buon marito, poi, d'un tratto...
-Hermione.
-Sono in bagno.
Mi raggiunse e
mi accarezzò le spalle. -Sei stupenda.
-Grazie.
-Oggi... ti va
se passiamo una giornata insieme? Da soli.
-Certo.
-Ho davvero
bisogno di stare con te.
-D'accordo.-
Forse, però... si trattava davvero solo di un periodo
negativo. -A che ora usciamo?
-Appena sei
pronta.- mi guardò ancora, poi sorrise. -Dammi un bacio.
Lo accontentai
e rividi nei suoi occhi la stessa luce che c'era anni fa. Forse, non
tutto era perso tra me e lui...
Rimasi ancora
un pò nella vasca, poi mi avvolsi nell'accappatoio. Andai in
camera per vestirmi
e truccarmi.
Andai in cucina
e salutai mamma con un bacio. -Sei bellissima, questa mattina.
-Grazie.-
sorrisi. -Non aspettarci per pranzo.
-Non ci
sarò neanche io, cara. Il lavoro mi terrà
impegnata anche il pomeriggio.
-Meglio, no?
-Certo. Anzi,
devo proprio andare.
-Ciao mamma.
Uscì
ed io rimasi sola in cucina. Preparai il caffè, mentre
aspettavo Henri che scendesse.
Guardai fuori
dalla finestra e anche oggi pioveva. Nei giorni così ero
davvero nostalgica: erano i giorni che più amavamo, io e
lui. Io e Draco.
Da quando tutto
era finito e, ancor di più da quando ero tornata a Londra,
il suo ricordo spesso faceva capolino nella mia mente. Dovevo mandarlo
via lo sapevo, ma ripensavo, di tanto in tanto alle parole di Harry.
-Hermione.
-Henri, ti ho
preparato il caffè.
-Se fossi ogni
giorno così premurosa, saresti un'ottima moglie.- sorrise.
Gli sorrisi
anche io, tristemente però... -Dai, andiamo.
Uscimmo. Lui mi
cinse la vita e mi aprii la portiera. Dopo sei anni, non riuscivo a
capire chi fosse realmente... e ne avevo paura.
Mentre Hanri
metteva in moto, Cloe si fermò a salutarmi. -Come stai?
-Bene, grazie e
tu?
-Bene. Cloe,
lui è mio marito.
-Piacere.-
disse Henri, tendendole la mano.
-Piacere mio.-
rispose Cloe. Strinse rigorosamente la mano e sorrise più
del dovuto, ma non le badai: non ero gelosa di Henri.
In vita mia ero
stata gelosa di una sola persona: avevo paura di perderlo, come poi
è successo...
-Arrivederci
Cloe.
-Arrivederci.-
disse, salutandoci con la mano.
-Come l'hai
conosciuta?
-Per caso. La
settimana scorsa ero and...
-Ok, ok. Non
m'interessa.
A me
interessava che sapesse. Per rispetto nei suoi confronti e per sentirmi
importante, non per altro. -Lui
non è Draco...
Ed era vero:
nessuno mi aveva mai amata come aveva fatto lui. Nei tempi sbagliati,
forse, ma almeno era amore.
Tutt'ora ne ero
convinta, solo che il destino o qualsiasi cosa si era messa tra di noi
era stata più forte. O, semplicemente, eravamo noi ad essere
troppo deboli... -Dove andiamo?
-Non ne ho idea.
-Bene.
-Avevo pensato
di portarti a pranzo fuori...
-Sì.
-Ma... dove?
-Oh, ti ci
porto io.
-E paghi tu?
-Se vuoi...
-Dovrai farlo
davvero: ho dimenticato il portafogli a casa.
-D'accordo.-
Era sempre così, ogni volta...
Passammo prima
in farmacia, per comprare della pomata: avevo dei lividi intorno ai
polsi, dovuti al fatto che Henri, ogni volta lo rifiutavo, li stringeva
forte.
Quando tornai
in macchina, mi sorrise. -Mi dispiace.- disse. -Non accadrà
più.
Una promessa.
Una promessa che, forse, avrebbe infranto da qui a poche ore. Mi
limitai a sorridere. -Fermati qui.- dissi.
-Cosa
c'è?
-Il ristorante
è qui vicino.
-Bene.
-Ho voglia di
passeggiare un pò...
-Con questo
tempo? Tu sei pazza!- come sempre.
Era questo che
avevo sempre odiato di Henri: non vedeva le sfumature. Per lui era
tutto bianco o tutto nero. Il grigio non esisteva... Quello era il mio
colore preferito e sapevo anche il perchè. -Dobbiamo
parlare, Henri...
-Mi pare che ne
abbiamo già discusso, no?
-Sì,
certo...- ma di cosa avevamo discusso?
-Andiamo.-
scese dall'auto e venne ad aprirmi la portiera.
Scesi anch'io
dall'auto e lanciai un'occhiata all'Old Park. Mi mancavano le giornate
trascorse lì e per questo volevo ritornarci... ma Henri non
lo capiva.
A suo parere, i
ricordi erano solo stupide proiezioni di una vita illusoria. Mi
chiedevo, pur se non volevo ammetterlo, se quest'uomo avesse mai amato
davvero in vita sua.
Mi
trascinò nel ristorante
con più forza del dovuto o, forse, così mi era
parso per il fatto che mi ero persa nei miei pensieri.
-Prego.- un
cameriere ci avvicinò e ci fece accomodare ad un tavolo.
L'ambiente era
ampio e illuminato da luci soffuse. Il parquet era ancora perfettamente
lucido.
I
menù erano sistemati tra i bicchieri. -Grazie.- disse Henri,
poco prima che il cameriere si allontanasse.
Spostò
la mia sedia e attese che mi accomodassi, poi mi avvicinò al
tavolo e anche lui andò a sedersi. Sorrisi. -Che gentiluomo.
-Ne dubitavi?
Scossi il capo.
-Affatto.
-Bene.
-E' tutto come
all'inizio...
-Più
o meno.- Inclinai il capo, guardandolo con aria interrogativa.
-All'iniziò, o almeno al primo appuntamento, pranzammo in un
ristorante francese.- spiegò. -Ora, siamo in un ristorante
cinese.
-Giapponese.
Comunque, il luogo non è importante, no?
-Certo.-
rispose. -Certo che lo è.
-Oh.- risposi
delusa. -Mangiamo?
-Sì.
Presi il
menù e lessi velocemente le portate. -Riso alla cantonese ed
involtini primavera. Ti và?
-Tu
mangia quello che vuoi. Per me ordino riso, ananas e pinoli.
-Come vuoi...
Henri fece
cenno al cameriere di avvicinarsi. Gli chiese dell'acqua naturale, poi
chiese del vino e ne spiegò i minimi particolari:
marca, annata, vigneto. L'uomo si allontanò dopo aver preso
le ordinazioni.
- Quanto
tempo...
-Mh?
-Che non
passiamo una giornata insieme, così...
-Sei sempre
impegnata con il lavoro.
-Anche tu lo
sei.
-A proposito
del lavoro, perdonami se, a volte, sono violento... Sai, mi stressa. I
pazienti sono incontentabili.
-Figurati.
Vorrei solo che non te la prendessi con me.
-Ma io non me
la prendo con te.- mi strinse le mani e mi guardò negli
occhi. -Sei mia moglie.
-Sì.-
sorrisi e lui fece lo stesso. Mi sentii tranquilla.
Qualche minuto
dopo, il camierere tornò con l'acqua e con il vino ed Henri
me ne versò nel bicchiere. -Assaggialo.
-Poco, Henri.
-Una donna che
non beve del vino è una donna a metà.
-Una vera donna
non si riconosce da questo.
-Non solo.
-Mh.
-Vedi una donna
vera è brava in tutto: nel letto, fuori dal letto.
Io per lui non
lo ero, lo sapevo. -I piaceri del sesso non sono la cosa più
importante in una coppia.
-Vero.
Il camierere si
avvicinò di nuovo al nostro tavolo e ci servì le
portate. -Buon appetito.
-Non mangi?-
gli chiesi, mentre portavo alla bocca il primo involtino.
-Ti guardo.
-Perchè?
-Sei davvero
molto bella.
-Grazie.
-A volte, sono
proprio stupido: lascio che la stanchezza mi appanni la vista e non
riesco a vederti.
Arrossii. -Sei
già ubriaco?
-Può
darsi.
-D'accordo.
Finimmo di
mangiare in un silenzio quasi religioso. Sentivo i suoi occhi addosso e
ne ero soddisfatta.
La mia
autostima di donna stava risalendo al livello di sufficienza, quindi
sorrisi.
-Fallo di nuovo.
-Cosa?- chiesi.
-Sorridi e
tocca i capelli.- lo accontentai.
-Perchè?
-Non
c'è un perchè, ti ho chiesto di farlo e basta.
Guardai
altrove, poi ripresi a mangiare. Così, nello stesso silenzio
di poco prima, trascrorse il resto del tempo.
Henri si
alzò e si avvicinò a me. Mi baciò
dolcemente la guancia e aspettò che mettessi il cappotto,
poi ci avviammo all'uscita.
Pagai e mi
diressi all'auto. Pioveva ancora e, ancora una volta, i miei pensieri
si rivolsero a quello che in quella stessa strada avevo vissuto anni
fa. Spostai i capelli dalle spalle, per mandare via quei ricordi:
facevano male. -Grazie.- dissi, senza troppo entusiasmo.
-Per cosa?
-Per la bella
giornata.
-Ce lo
meritiamo, no?
-Decisamente.
Partì
e puntò gli occhi sulla strada. Io guardavo fuori dal
finestrino, come sempre, per rubare un pò della mia
città e portarla con me.
Henri mi prese
la mano e la baciò.
Finalmente...
Il mio
matrimonio non era finito. Forse, valeva la pena salvare quel
pò che era rimasto...
Tornammo a casa
nel primo pomeriggio. -Ho voglia di un buon caffè.- disse,
sistamandosi sul divano.
-Vado a
prepararlo.- Andai in un cucina, inserii la spina della macchinetta e
avviai.
Presi le tazze
dalla credenza, le riempii e le sistemai, insieme alla zuccheriera, sul
vassoio. Sentii dei passi che si avvicinavano, avvertii un profumo
familiare e chiusi gli occhi.
Henri mi
accarezzò la schiena e i fianchi, poi mi voltò
dolcemente verso di lui. Prese un sorso di caffè, poi mi
baciò.
Accarezzò
con più decisione la mia spalla, per iniziare, poi, a
baciarmi il collo. -Ti voglio.
-Henri...
-Non vuoi farlo?
-Non qui.
-Allora andiamo
di sopra.
-Ok.
Continuò
a baciarmi, mentre salivamo le scale. Non lasciò la mia
bocca neanche mentre apriva la porta della mia camera.
Mi
adagiò sul letto e mi spogliò lentamente. Mi
baciò i seni e la pelle, fino all'ombelico.
Mi tolse i
jeans, li sistemò accanto al letto e mi tolse gli slip.
Risalì lentamente con la bocca fino ad arrivare alla mia e
cominciò a toccarmi.
Mi piaceva e lo
sapeva. Mi penetrò dolcemente, all'inizio.
Presto, le
spinte divennero rapide e violente. -Henri...
-Hermione...
ah...- era così: ogni volta che era all'apice del piacere,
chiamava il mio nome.
Quando
arrivò, si spostò e andò a lavarsi. Io
rimasi lì.
Henri non si preoccupava molto del mio piacere, ma poco importava: il
piacere vero, l'avevo provato quando ero stata davvero innamorata e,
soprattutto, l'avevo provato quando avevo fatto l'amore.
Quello, che ci
fosse affetto o meno, ero sesso. Punto.
Henri
tornò in camera e si sistemò sul letto, poi mi
abbracciò. Non era un uomo tanto cattivo. Quando voleva
sapeva essere dolce.
Ripensai agli
anni trascorsi in Francia ed ai momenti sereni che avevo vissuto con
lui: i primi periodo erano davvero stati piacevoli. Erano stati
tranquilli come la giornata appena trascorsa e, almeno speravo, come
quelle che avremmo trascorso poi.
Ancora una
volta mi trovai a sorridere: ora, era tutto come all'inizio...
Spoiler
Capitolo 6:
-Smettila, Draco.- gli dissi, spingendolo.
-Ti prego. Ti prego, non piangere. Non rendere tutto più
difficile... Non hai idea di quanto mi costi tutto questo. Io ti amo,
da morire...- risi.- Credimi.
***
Angolo
Autrice:
Eccomi qui, con il sesto capitolo.
Allora? Avete visto che, in fondo, Henri non è
così cattivo?
O tutta questa "dolcezza" non vi ha fatto cambiare idea su di lui?
Questo è stato un capitolo molto leggero e facile da
scrivere e spero che vi piaccia...
Lo spoiler: cosa ne pensate? Vi dò solo un piccolo
consiglio: non lasciatevi ingannare dalle apparenze... non tutto
è quello che sembra.
Risposte
alle recensioni:
Axel_Twilight_93: Sono felice che il
capitolo ti sia piaciuto ^.^ Eee Grazie per aver inserito la mia storia
tra le preferite. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.
Gin
92:
Grazie
per
aver recensito. Mi piace molto l'idea di rimanere Draco come presenza
mistica, ma lui comparirà... però, non
è detto che incotri la nostra cara Hermione, no? Eh beh, il
ragazzo misterioso non era Blaise ^.^ Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto.
OneLove4: Grazie per i
complimenti alla storia e, sì, Henri non è
proprio una zolletta di zucchero. Allora, per l'appuntamento avevi
pensato a Draco, eh? No, non si trattava di lui... Spero che questo
capitolo ti sia piaciuto. ^.^
sa chan: Immagino che
qui avresti usato molto volentieri il forcone... Gli epiteti usati per
Henri lasciamoli alle conversazioni private xD. Hermione non fa niente,
è molto debole in questo... Voldemort... eh beh... Cavoli,
peccato che i personaggi sono OOC, altriementi l'avrebbe sistemato per
bene , no? Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e che ancora una
volta io abbia scansato la punizione del forcone ^.^
Rosa di cenere:
Grazie grazie grazie per ogni
singola parola che hai scritto nelle recensioni! Mi lusinghi tantissimo
e non credo di meritarlo, quindi, ti lascio immaginare quanto mi faccia
piacere non liberarmi di te ^.^ Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto e spero che la storia continui a piacerti tanto. Grazie ancora
<3
Ringrazio
per aver inserito la mia storia tra le seguite:
ali_smile
Axel_Twilight_93
BibiBarbara
Choo
excel sana
Gin 92
jalilah
lady_rose
LyliRose
MissChanel
myllyje
Nerazzurra
Nia Nya
noiaia
OneLove4
path94
Poseidonia
prettyvitto
Rosa di cenere
sa chan
tykisgirl
Ringrazio
per aver inserito la mia storia tra le preferite:
amorelove
Axel_Twilight_93
deme
Rosa di cenere
Siete aumentate
e questo mi rende davvero felice. Grazie mille ancora a chi mi sostiene
seguendo e recensendo la mia storia e a chi, semplicemente, mi fa
occupare un posto in questo sito ^.^
Infine,
ringrazio i lettori silenziosi. Grazie davvero.
Un bacio, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 6 *** Strane sensazioni... ***
Capitolo 6: Strane sensazioni...
Hermione
POV
La pioggia, come sempre, batteva contro la finestra. Era dolce e
rilassante.
Guardai la
sveglia sul comodino: erano le 9. Avevo dormito più del
solito ed era un buon segno...
In senso di
oppressione e la voglia di scappare lontano dalla vita che avevo a
Parigi sembravano diminuiti. Guardai la fede... sentivo che era
più leggera.
Da un anno a
questa parte, non rappresentava altro che un peso: il peso dei miei
errori o di quelli che credevo essere tali.
Ora come ora,
ero pronta davvero a salvare il mio matrimonio: il ritorno a Londra e
il ricordo costante di Draco non avrebbero mandato all'aria tutti gli
anni in cui mi ero impegnata a costruire, anzi, a ricostruire la mia
vita.
Guardai Henri:
avevamo passato la notte abbracciati e, di tanto in tanto, mi aveva
baciato la fronte e accarezzato i capelli.
Sì,
quei periodi bui erano solo dei momenti e, da qui a poco tempo,
sarebbero stati solo dei brutti ricordi.
Henri
girò il viso, sorridendo. Mi baciò e
tentò di aprire gli occhi.
-Non ce la
farai!- dissi ridendo.
-Scommetti?
-Sì.-
tentò di portare le mani agli occhi per stropicciarli.
-Così non vale.
-Oh, allora mi
arrendo.
-Perfetto. Ho
vinto io.
-Tu vinci
sempre.
-A volte...
-Beh,- disse,
stringendomi a sé. -che ne dici se oggi ce ne stiamo qui,
nel letto... senza far niente?
-No, Henri.
-Ma
è domenica!
-E allora?- gli
chiesi, spostandomi da lui quel tanto da poterlo guardare negli occhi.
-Allora ho
voglia di rimanere a letto.
-Ok.- dissi,
alzandomi. -Tu resti a letto, io esco.
-E dove hai
intenzione di andare?
-Al cimitero...
da papà.
-Come vuoi.
Andai in bagno
e riempii la vasca. Legai i capelli e m’immersi.
Il tepore e il
profumo di lavanda mi avvolsero e mi rilassai ancor di più.
Chiusi gli occhi...
Una strana
angoscia mi attanagliò improvvisamente lo stomaco e ne ebbi
paura: quella, era la sensazione che provavo quando stavo per perdere
qualcosa di importante.
Cercai di
isolare l'angoscia e di pensare ad altro...
Rabbrividii
quando il vento mi sfiorò le spalle e mi costrinse ad aprire
gli occhi: la finestra era aperta, quindi, mio malgrado, mi avvolsi
nell'accappatoio e la chiusi.
Mi guardai allo
specchio e mi soffermai sui miei occhi: erano spenti e tristi, delusi.
Le sfumature del caramello che li caratterizzavano quand'ero bambina
erano sparite...
Mi osservai,
mentre lasciavo prendere alle mie labbra la forma di un sorriso: bello,
non c'era niente da dire, ma era tirato, finto.
Mi sentivo una
bambola di porcellana che era stata rotta e a cui avevano incollato i
pezzi che si erano persi in seguito ad ogni caduta.
Scossi il capo:
erano solo inutili pensieri, sensazioni che avevo provato durante i
periodi tristi del mio matrimonio, ma si sarebbero allontanate.
Quello che
provavo adesso era solo un riflesso di quello che avevo provato. Un
riflesso, nulla più.
Mi vestii
e mi truccai. Tornai in camera e salutai Henri con un bacio.
Poi, indossai
il cappotto, presi le chiavi dell’auto dell’auto
dalla tasca dei pantaloni di mio marito ed uscii.
Mi fermai sul
marciapiede e salutai Cloe. –Buongiorno.
-Ciao Hermione.
-Hai bisogno di
un passaggio?
-No, grazie.
Sto rientrando.
-Ok.- sorrisi.
–Allora, io vado.
-Emh…
ti va di prendere un caffé insieme nel pomeriggio.
-Certo.
-Verso le
cinque?
-Bene.
-Perfetto. Ciao
Cloe.
-A
più tardi. Ciao Hermione.
Poi, salii in
auto e mi diressi al cimitero.
Non amavo stare
nel silenzio: pensavo troppo, quindi accesi la radio.
But
all the miles that separate disappear now when I'm dreaming of your
face …I'm here without you baby,but you're still on my
lonely mind…
-Cominciavo
bene, eh?- dissi, parlando come se ci fosse qualcuno accanto a me.
Mi fermai
all’incrocio e aspettai che il semaforo si facesse verde. Una
Bmw
nera mi coprì per un po’ la visuale.
I vetri
dell’auto erano scuri e riuscii a vedere poco…
quel poco, però, mi fece fermare il cuore.: alla guida
dell'auto c’era un uomo ed era biondo. Non riuscii a
distinguere i contorni del viso a causa dei vetri scuri e della
pioggia, ma riuscii a vedere che portava gli occhiali.
Scossi il capo
per impedirmi di piangere, poi spensi la radio. –Non era
lui…- eppure, per un po’, avevo
sperato di poterlo vedere.
Nel frattempo
al semaforo era scattato il verde ed io ero ripartita.
Arrivai al
cimitero, scesi dall’auto, aprii l’ombrello e andai
diretta alla tomba di papà.
C’erano
tanti fiori ed era strano perché né io
né mamma eravamo più tornate qui. Restai un
po’ a guardare la foto, poi la baciai e mi avviai
all’auto.
Odiavo il senso
di vuoto che provavo quando un pezzo di marmo mi ricordava che la morte
di papà era reale.
Al cancello del
cimitero feci il segno della croce e salii in auto. Osservavo la strada
e, girato l’angolo, i ricordi mi investirono.
Pioveva
quella sera. Più del solito.
Era
di spalle e tremava. –Perdonami.
-Di
cosa?- non rispose. –Di cosa?- urlai.
Sentivo
che il mondo stava per crollarmi addosso, sentivo che sarei caduta e
che, questa volta, lui non mi avrebbe teso la mano per aiutarmi.
Aspettavo che parlasse e mi costringevo a non piangere.
-E’
incinta.
-Mi
hai giurato che la stavi lasciando.
-Ed
era così, ma que-quella volta che abbiamo litigato, i-io ero
a pezzi e lei…
-E’
finita, Draco?
-Deve
esserlo per forza.
Mi
sentii morire e l’orgoglio mi offuscava la mente.
–Perché?
Avrei
voluto dirgli tante cose, ferirlo nel profondo…
però, anche mentre tutto stava finendo, l’amore
che entrambi provavamo era quasi palpabile.
Dovevo
lasciarlo andare, lo sapevo… ma non potevo.
Cominciai
a piangere senza neanche rendermene conto. Me ne accorsi quando sentii
le mani sul viso e le sue dita che mi asciugavano le lacrime agli
angoli degli occhi.
A
cosa serviva se poi avrei pianto ancora?
-‘Mione…
-Smettila
Draco.- gli dissi, spingendolo.
-Ti
prego, ti prego, non piangere. Non rendere tutto più
difficile… Non hai idea di quanto mi costi tutto questo. Ti
amo, da morire…- risi. –Credimi!
Gli
presi la mano e la baciai, la odorai.
Chiusi
gli occhi e, mentre li stavo riaprendo sentii le sue labbra sulle mie.
Mi baciava disperato ed io piangevo allo stesso modo.
Poi,
lo allontanai e lo guardai negli occhi. –Non farlo.
-Devo
farlo. Perdonami…- disse, allontanandosi di più e
lasciandomi la mano.
Gli
afferrai il polso. –Resta.
-Lasciami
andare, ti prego…
-Non
posso.
Ma
andò via…
Il suono
assordante dei clacson mi riportò alla realtà.
Dallo
specchietto retrovisore chiesi scusa, alzando la mano e ripartii.
Arrivai a casa
e mi sistemai di peso sul divano.
§
Feci una doccia
veloce e mi vestii
in modo diverso.
Camminavo per
il corridoio e riuscii a vedere Henri seduto sul divano.
–Allora, io vado.
-Dove?
-Te
l’ho già detto: Cloe mi ha invitata a prendere un
caffé.
-Pagherai tu?
-Mi
offrirò per farlo.
-Non voglio che
ci vai.
-Ma dai,
Henri… è un’amica.- guardai
l’orologio. Segnava le 16:59. –Vado.- dissi e lo
baciai.
Quando mi
chiusi la porta alle spalle, feci un bel respiro profondo e
l’ansia si fece riconoscere presto: avevo lo stomaco chiuso.
Salutai Cloe
con la mano, per far in modo che mi vedesse. –Ciao.
-Ciao.
-Andiamo con la
mia?- le chiesi, indicandole l’auto.
-ma no, andiamo
a piedi… che ne dici? C’è anche il sole.
-Perfetto.- le
sorrisi.
Già
nel primo pomeriggio la pioggia aveva dato un po’ di
tregua…
Ci incamminammo
in silenzio, con le mani nelle tasche della giacca: facevo ruotare la
fede intorno al dito e guardavo l’asfalto.
-Sei nuova di
qui?
-No, ho abitato
qui fino a 18 anni, poi sono andata via… in Francia.
-Che bella!
-Sì,
è molto bella.
-Come mai sei
andata via?
-Sai, a
diciotto anni si inseguono i sogni…
-Hai seguito il
grande amore?
-No.- il grande
amore l’avevo perso, era per questo che ero andata
via… altro che sogni. I miei sogni li avevo lasciati a
Londra.
-Entriamo qui.
-D’accordo.
Ci sedemmo ad
un tavolino e ordinammo due caffé.
Mi guardai
intorno. Il locale
aveva le pareti dipinte di bianco e viola e, sul nostro tavolo,
c’era un grande specchio. Le poltrone, gli sgabelli erano di
pelle nera. Erano comodi.
-Ho una
proposta da farti.
-Sarebbe?
-Mercoledì
sei invitata a cena da me.
-Oh, Cloe...
-Ovviamente,
è invitato anche Henri. Mio marito sarà felice di
conoscervi.- La osservai: sembrava soddisfatta, felice. Aveva una
strana espressione in viso, non avrei mai saputo descriverla.
-Grazie.-
sorrisi.
-Dalla Francia
all’Inghilterra.
-Già…
-Come farai con
la casa lì?
-Non mi sono
trasferita… Tra qualche giorno andrò via.
-Oh.-
dal suo viso scomparve l’espressione di poco prima.
Bevemmo il
caffé, poi, ci avviammo alla cassa e porsi i soldi al
cassiere. –Prego.
-Hermione, no,
offro io…
-Cloe, ti
prego. Mercoledì ci hai invitati a cena da te e d ho
accettato… lascia che paghi io.
Pagai e uscimmo
dal bar.
Proseguimmo
tranquille, parlando del più e del meno.
Mi
raccontò di suo figlio, di suo marito, del suo lavoro.
-Ciao Hermione.
-Ciao Cloe.- le
dissi, quando fui vicino alla porta di casa.
Aprii la porta
e salii le scale per entrare in camera mia. Salutai Henri.
–Ti sei divertita?
-E’
stata una bella uscita.
-Sono le quasi
le otto.
-Lo so.
-Buon per te.
-Mercoledì
siamo a cena da lei.
-Fra tre giorni?
-Sì,
mercoledì.
-Bene.
-Vieni qui.-
gli dissi, sedendomi sul letto e avvicinandomi a lui per baciarlo.
-Ho da fare.
Si
allontanò ed uscii dalla stanza.
Rimasi sola e
guardai la fede: non sapevo più cosa pensare del mio
matrimonio.
Un giorno,
sembrava che c’era qualcosa da salvare, il giorno dopo,
sembrava non esserci alcuna possibilità di farlo.
Sentii la porta
di casa aprirsi e mamma ed Henri che parlavano.
Mi stesi sul
letto. Chiusi gli occhi, quando sentii la porta chiudersi.
Mi sentivo
sull’orlo di una crisi di nervi. Quella strana sensazione mi
prese di nuovo allo stomaco: strinsi i pugni forte, fino a tremare, poi
cominciai a piangere.
Qualcuno
bussò alla porta. –Avanti.
-Hermione…
-Mamma.-
asciugai gli occhi prima di alzarmi dal letto.
-E’
successo qualcosa?
-Dov’è
Henri?
-E’
uscito.
-Ah…
-Cos’è
successo, Herm?
-Niente, mamma,
tranquilla.- le sorrisi.
-La cena
è già pronta.
-Non mi va,
scusami. Preferisco non cenare, ti dispiace?
-No,
cara… se non te la senti.- mi guardò. Voleva
capire, ma non gliene avrei dato modo. -Buonanotte.
-Ciao mamma.
Aspettai che
uscisse dalla stanza, poi mi abbandonai al mio pianto, fino allo
stremo. Fino ad addormentarmi…
Spoiler capitolo 7:
-Esci fuori da
casa mia.- sentivo mamma urlare.
-Ma...
-Nessun ma. Hai
rovinato la vita di mia figlia... sparisci immediatamente da qui.
Iniziai a
piangere. Non c'era nessun forse: era tutto finito e questa volta per
sempre.
***
Angolo Autrice:
Eccomi qui.
-Hermione: quanti ricordi che affollano la sua mente, eh? Poverina.
-Henri: è tornato ad essere antipatico e, chissà,
che non sia solo la gelosia... voi che ne pensate?
-Cloe: è strana, vero? Ma chissà, forse forse, ha
qualcosa da nascondere.
-La mamma di Hermione: non è passiva, nè stupida.
Rispetta soltanto il silenzio di sua figlia ed è da tenere
presente che non conosce realmente Henri, nè i problemi che
Hermione deve affrontare.
Questo capitolo
ha un doppio ruolo: è di passaggio, in quanto non
è molto importante, ma è da qui che la storia
entra nel vivo... ma per sapere cosa succede, dovrete continuare a
leggere ^.^
-Lo spoiler:
Cosa ne pensate?
Risposte alle
recensioni:
Axel_Twilight_93: sei di nuovo
la prima, hai visto? Eh sì, Henri è molto
difficile da capire... Ecco qui a te il prossimo capitolo: sorpresa,
eh? Spero che anche questo ti dia piaciuto e grazie ancora per le
recensioni.
OneLove4: Grazie! Beh,
Henri ti è antipatico... forse, e sottolineo il forse, con
il tempo ti ricrederai. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto :P
Rosa
di cenere:
GRAZIE!
Non smetterò mai di ringraziarti... per i complimenti che
fai a me e alla storia *.* Mi lusinghi tantissimo con le tue parole.
Sono davvero felice che tu sia chiacchierona: non immagini quanto adoro
coinvolgere chi legge... Ma ora, passiamo al capitolo: Henri infido,
viscido... chissà che tu non abbia ragione! Ovviamente,
però, potresti avere anche torto. Il capitolo è
triste, certo... ma, fondamentalmente, Hermione lo è,
quindi... L'ingresso del biondino *.* Chissà quando
avverrà! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e spero
che la tua curiosità non si sia offesa per il lavoro che la
mia mente malvagia ha fatto muahuah. Grazie ancora...
sa
chan:
Ahaha
che carina! No, Henri non è finito in un pozzo, per tuo
dispiacere. Draco *.* No, non c'è neanche in questo
capitolo... Hermione non è sciocca: è molto
debole e spaventata. Bisogna pensare che per lei, Henri è
stato l'unico appiglio alla vita... l'unico che l'abbia tirata fuori
dal buco nero della solitudine. O forse, è stata la forza di
volontà che risiedeva in lei a salvarla,
chissà... Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e grazie
ancora!
Ringrazio chi ha
inserito la mia storia tra le seguite:
ali_smile
Axel_Twilight_93
BibiBarbara
Choo
excel sana
Gin 92
jalilah
lady_rose
LyliRose
MissChanel
myllyje
Nerazzurra
Nia Nya
noiaia
OneLove4
path94
Poseidonia
prettyvitto
Rosa di cenere
sa chan
tykisgirl
Veronica91
Ringrazio
chi ha inserito la mia storia tra le preferite:
amorelove
Axel_Twilight_93
deme
elenusiaHP
Rosa di cenere
Slytherin_Yuna
stordy
Ringrazio
chi ha inserito la mia storia tra le ricordate:
Grouben_Lavinia_Malfoy
Siete aumentate
ancora e ne sono felicissima *.* Grazie a tutte.
Grazie anche ai
lettori silenziosi .
Annuncio:
ho in mente una nuova storia... Mooolto violenta xD
Userò
i protagonisti della saga di Twilight che saranno OOC. Non vi
dirò di certo i pairing XD. In compenso però, vi
anticipo che Edward sarà il protagonista assoluto di questa
storia!
Domani,
posterò il prologo e spero che continuate a seguirmi. Grazie
in anticipo!
Un bacio, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 7 *** Quanto costa ribellarsi... ***
Capitolo 7: Quanto costa ribellarsi...
Hermione
POV
Quando mi
svegliai, mi accorsi di essere ancora vestita.
La testa mi
doleva esageratamente e facevo fatica a lasciare il letto: ogni volta
che ci
provavo, una fitta alla nuca mi spezzava il respiro.
Henri non era
rientrato e mamma si era fermata più volte di fronte alla
porta della mia
stanza. Me ne ero accorta perché, dalla soglia, avevo visto
la luce del
corridoio accendersi.
Feci forza sulla
gomiti e sulle ginocchia e riuscii ad alzarmi. Mi diressi in bagno, con
la
testa tra le mani.
Mi guardai allo
specchio: avevo il trucco sciolto e il rossetto sbavato. Le lacrime
avevano
lasciato il segno del loro cammino… Ero orribile.
Mi struccai e
lavai il viso, poi riempii la vasca.
Mi assicurai che
la finestra fosse chiusa, poi mi immersi nell’acqua.
Avevo bisogno di
rilassarmi e di non pensare a niente. Lasciai che l’acqua mi
bagnasse le punte
dei capelli, poi immersi anche la testa.
Sentii due mani
che mi tiravano su e riaprii immediatamente gli occhi. –Sei
impazzita?- mamma
era di fronte a me, con gli
occhi spalancati e il respiro affannato. –Che
diavolo stavi cercando di fare?
-Niente, io stavo
solo…
-Ti stavi
ammazzando.
-Ma che dici?
-E allora cosa
stavi facendo?
-Ho bagnato i
capelli, mamma. Ho fatto un tuffo nella vasca.- dissi rossa in viso per
l’imbarazzo.
-Ma come puoi pensare certe cose?!
-Scusami… è che
sono preoccupata.
-Sta tranquilla,
è tutto apposto.
-Ok, ti credo.
Adesso, vado a lavoro. Mi raccomando…- e andò via.
Scossi il capo e
sorrisi: mai in vita mia avevo pensato al suicidio. MAI.
Mi avvolsi
nell’accappatoio e tornai in camera. Mi appoggiai sul letto,
la schiena contro
la spalliera.
Guardavo il
telefono in modo insistente… e iniziò a
squillare. –Pronto?
-Dove sei?- mi
spaventai: la voce di Henri era piena di rabbia e sapevo cosa
significava.
–Dove cazzo sei?
-I-io…
-Sei a casa di
tua madre?
-No, cioè sì…- la
ragione si era spenta nel momento in cui avevo sentito la sua voce:
avevo
paura.
-Sto venendo lì.
-No, Henri…
-Sto venendo, ti
ho detto.
Posai il telefono
sul letto e mi vestii
in fretta. Indossai la camicia che Henri aveva lasciato
sulla sedia e andai in cucina.
Cominciai a
tremare e non per il freddo. I minuti sembravano interminabili e
l’ansia mi
stringeva lo stomaco sempre di più.
Quando suonarono
alla porta, mi alzai di scatto dalla sedia e corsi ad aprire.
Chiusi gli occhi
per non vedere, ma la sua voce mi anticipò. –Non
chiudere gli occhi: hai tante
cose da vedere.
-Henri, io non
capisco… ieri, sono uscita e…- mi
colpì in pieno viso, senza neanche chiudere
la porta. –Ma…
-Zitta! Sta zitta.
-Io…
-Tu, esatto. Tu
sei una stronza!
-Non ho fatto
niente, Henri.- un altro schiaffo mi colpì in pieno viso,
all’altezza
dell’occhio sinistro.
-Sai una cosa?
Sono stanco di tutto questo.
-Henri...
-Sei una fottuta
stronza.
-Fanculo.- gli
gridai, spingendolo.
Mi prese i polsi
e li strinse. –Ancora non hai capito che sono più
forte di te? Che ti piego
come voglio?
-Smettila.
-Sta zitta.
-No.- mi spinse,
facendomi cadere a terra e mi diede un calcio in pieno stomaco.
Un conato di
vomito che repressi mi lasciò in bocca un sapore acido.
Cominciai a piangere ed
Henri mi alzò, prendendomi per gli avambracci.
Allora, mi spinse
con più forza sul divano.
–Chiedimi scusa.
-No.
- L’hai voluto
tu, ricordatelo.
-No.- urlai:
sapevo cosa sarebbe successo e non volevo, ma lui portò i
miei polsi sopra la
testa e li strinse con una mano. Con l’altra mi
strappò la camicia e il resto
degli abiti.
Poi, si spogliò e
cominciò. Non mi chiese il permesso, non mi chiese di
parlare e chiarire,
niente.
Piansi: le spinte
con cui mi penetrava erano troppo forti.
Avevo provato a
ribellarmi, ma non era servito a niente, se non a peggiorare le cose.
Continuava a
spingere e a farmi male.
Il tessuto ruvido
del divano, tra l’altro, mi graffiava la schiena.
I polsi mi
facevano terribilmente male e sentivo il sangue colare lungo le braccia
a causa
dell'orologio
d'acciaio che indossava.
Era terribile.
Una sola volta,
in tanti anni insieme era successa la stessa cosa, ma
Henri mi aveva giurato che non sarebbe più
successo.
Piansi ancora più
forte quando, poi, ricordai la promessa di qualche giorno prima.
Cercai di far
fronte a quel po’ di forza che mi era rimasta e lo
allontanai. –Stronza.
-Sei un
bastardo.- urlai.
Mi diede un altro
schiaffo e cercava di colpirmi con i calci, mentre io raccoglievo gli
abiti e
cercavo di rivestirmi.
Mi afferrò per il
polso e lo strinse di nuovo. In quel momento entrò mia madre
ed Henri cercò di
fermarsi, ma lo schiaffo era comunque arrivato sul mio viso.
Avrei voluto
sprofondare, essere risucchiata dalla terra: mamma non avrebbe dovuto
vedere.
La guardai: aveva
gli occhi spalancati e lucidi, aveva le mani strette e tremava.
–Va via.- Henri
l’avvicinò e la guardò con aria di
sfida. –Esci fuori da casa mia.-
Sentivo mamma
urlare.
-Ma…
-Nessun ma. Hai
rovinato la vita di mia figlia… sparisci immediatamente da
qui.
Iniziai a
piangere. Non c’era nessun forse: era tutto finito e questa
volta per sempre.
Sentii la porta
sbattere violentemente, poi due braccia che mi avvolgevano le spalle.
-Mamma…- dissi, piangendo
ancora più forte e poggiando la fronte nelle sue mani.
-Shh, non
piangere. Non piangere…
-Non ne posso
più.
-E’ finito tutto.
Mi sistemai sul
divano e mi coprii meglio le gambe. Poi, chiusi gli occhi per non
piangere
ancora. Mamma si sedette accanto a me e mi accarezzava i capelli, nel
tentativo
di tranquillizzarmi.
Cosa mi stava
succedendo? Dov’erano finite la mia forza e la mia
determinazione? Non lo
sapevo…
Da sei anni, non
sapevo che fine avesse fatto la vera me. Rimasi sola sul divano, mentre
mamma
andò in cucina. -Pronto? Sì, sono Meredith
Granger. Perfetto, attendo in linea.
Non sapevo con
chi stesse parlando e non volevo saperlo.
Pian piano,
sentivo la voce di mamma e i rumori della casa attutirsi, poi non
sentii più
niente.
§
Uno
strano ronzio
mi infastidì il sonno e non riuscivo a capire
cos’era, poi i suoni aumentarono
e assunsero toni diversi, ma sempre pacati.
Aprii gli occhi e
mi guardai intorno. Mi ero addormentata sul divano, lo ricordavo bene.
Mamma mi
aveva coperta con un plaid
scozzese e mi aveva adagiato la testa su un cuscino.
Il ronzio, pian
piano, divenne voce, anzi voci.
Andai in camera
mia e indossai la tuta e il maglione che ero solita indossare quando
ero in
casa, poi mi appoggiai sul letto.
Mi alzai e mi
diressi in cucina.
Il tragitto mi
sembrò interminabile, mi girava la testa e barcollavo.
Il dolore alla
schiena, ai polsi e per tutto il corpo mi investì quasi
improvviso e le
immagini di qualche ora prima mi colpirono più forte dei
calci ricevuti.
Quando arrivai in
cucina, vidi Harry, Ginny e Ron seduti attorno al tavolo, Luna era
appoggiata,
insieme a mamma, al
ripiano della cucina.
Il piccolo Matt
giocava con un cubo in cui inserire varie formine. Era seduto sul
pavimento e
sorrideva. Sorrisi anche io.
-Herm…- la voce di
Harry mi distrasse. –Come stai?
-Bene.
-Tua mamma ci ha
raccontato tutto.
-Harry, non mi
pare il momento.- intervenne Ginny.
-Grazie.- le
dissi, senza neanche guardarla.
Non riuscivo a
guardare nessuno: mi vergognavo di aver
nascosto alle persone che più mi amavano la
verità su mio marito.
Il fatto era che
credevo che, con il tempo, sarebbe cambiato.
Una scommessa con
il destino che, ovviamente, avevo perso.
-Meredith,- disse
Luna, accarezzando la spalla di mia madre. – credo sia meglio
che noi andiamo.
-No, restate.-
chiesi, guardando ancora Matt.
-D’accordo.
Ginny si
avvicinò e mi strinse forte, così
ricominciai a piangere.
Mi portai
istintivamente le mani agli occhi per coprire le lacrime, ma lei mi
strinse più
forte. –Non devi nasconderti…
-I-io non so
come…
-Shh, tranquilla.
-E’ un viscido,
un verme.- continuò mia madre.
-Smettila.-
urlai. Non serviva che mi rinfacciassero la realtà.
-Smettila di fare
cosa?
-Di offenderlo.
-Io starei
offendendo Henri?
-Sì.
-Ti sembrano
offese? Non è un uomo, è un mostro.
-Non hai il
diritto di pensare questo di lui, né di cacciarlo di casa.
-Lui non ha il
diritto di trattarti in quel modo. Apri gli occhi, Hermione.
Stavo litigando
con mia madre, per la prima volta in vita mia. –Domani lo
rivedrò: dobbiamo
parlare, io e lui, da soli. Sarà
stato un momento…
-Un momento? Un
momento che dura da un anno?
-E’ il mio
matrimonio e devo salvarlo.
-Non c’è niente
da salvare con lui. Credi che sia tanto stupida? Credi che un
po’ di trucco
riuscisse a coprire i lividi che avevi addosso? O che non ti abbia mai
sentito
piangere? Devi salvarti tu, devi lasciar perdere la mania di voler far
andare
tutto per il verso giusto.
-Domani sera
abbiamo una cena e ci andremo.
-Bene…e così sia!
Ma da giovedì non lo dovrai rivedere più.
-Mi stai
proibendo di vedere mio marito.
-Sì.
-Hermione,- Ron
si avvicinò e mi poggiò le mani sulle spalle, mi
guardò negli occhi. –Ti
vogliamo un bene dell’anima e lo sai: abbiamo appoggiato ogni
tua scelta, anche
quando ci faceva male.
-Ron…
-Lasciami
parlare.
-D’accordo.
-Ora, tocca a te:
ti farà male e lo sappiamo tutti, ma provaci.
-A fare cosa?
-A lasciarlo
andare.
-Ma io... domani…
-E domani andrai
a quella cena, insieme ad Henri.
-Poi, basta.-
aggiunsi, sollevata.
Il mio incubo non
era ancora finito, lo sapevo bene, ma il pensiero di essere lontana da
lui mi
fece sentire leggera.
Spostai una sedia
e mi sedetti, poggiando il gomito sul tavolo e la testa sulla mano.
-Herm…- disse
mamma, porgendomi una tazza di tè.
-Perdonami. E’ la
rabbia.
-Non devi
giustificarti, ti capisco…
-Ok.- le sorrisi.
Guardai i miei
amici e sentii gli occhi riempirsi di lacrime: come avevo potuto
arrivare a
questo?
Spostai gli occhi
sull’orologio e notai che erano le sei passate. Avevo dormito
molto e, quindi,
avevo saltato anche il pranzo.
-Meredith,
domani, potete venire in commissariato.
-Harry,- dissi,
cercando di mantenere un po’ di lucidità.
–non credi sia esagerato?
-Per niente.- mi
guardò. –Sei un avvocato e dovresti
saperlo…
-Sì, ma…
-Comincerai con
la denuncia, poi provvederai a preparare le carte per il divorzio.
Annuii.
–Fermatevi a cena.
Ginny e Luna si
guardarono, cercando ognuna conferma nel proprio compagno, poi
annuirono,
sorridendo. –Ad una sola condizione…
-Sarebbe?
-Mi cucinerai
quel piatto speciale?
Come potevo dire
loro di no? Entrambe mi guardavano con gli occhi da cucciolo bastonato.
-D’accordo.- Mi
alzai e mi diressi al frigorifero, quindi lo aprii. Diedi un occhiata e
mi
voltai verso di loro con aria sconsolata. –Non posso, non ci
sono gli
ingredienti.- tornai a sedermi.
-Mh… cosa c’è in
frigo?
-Pomodori,
formaggi vari, salumi…
-Pizze?- propose
Ron.
-Pizze!- dicemmo
in coro, sorridendo.
Mamma, Ginny e
Luna si diressero in salone per telefonare la pizzeria e ordinare le
pizze, Ron
prese in braccio Matt e seguii le altre.
Harry, invece, si
sedette alla mia destra. –Hey…
-Hey…- lo
guardai, abbozzando un messo sorriso.
-Guarda qui…- mi
accarezzò la guancia e l’occhio. Passò
le mani fredde anche sui polsi.
Non risposi, mi
limitai a seguire i suoi movimenti, poi le lacrime mi riempirono gli
occhi e
piansi ancora. –I-io…
-Non hai nessuna
colpa, Herm…
-Non è vero.
-In effetti, è
così: sei così testarda!- sorrisi. –E
non sempre è un pregio, eh?
-Già…
-Difenditi meglio
che puoi…
-Farò del mio
meglio.
-Lo spero.- mi
guardò e rise. –Demone,- disse scrollandomi le
spalle e ridendo ancora di più.
–ridammi la mia migliore amica, quella combattiva, quella
rompiscatole… non
questa…- mi guardò con aria fintamente indignata.
– pecorella smarrita.
Risi anche io,
divertita dalle sue parole.
Sapevo che, però,
descrivevano perfettamente ciò che ero.
Basta, doveva
finire tutto. Era un promessa a me stessa: sarei stata felice.
Spoiler
Capitolo 8:
Tornammo in
cucina e trovai Cloe ed Henri seduti al tavolo: il vassoio con il dolce
ancora
coperto.
Ridevano e Cloe
gli aveva appena dato una pacca sulla spalla. –Giusto in
tempo.- disse, poi,
indicandoci il dolce.
***
Angolo
Autrice:
Eccomi
qui.
Lo so, mi odierete a morte per quello che ho fatto ad Hermione, ma
comprendetemi: senza una bella strigliata, non avrebbe aperto gli
occhi. Vi chiedo perdono in anticipo, ma spero che mi perdonerete con
il prossimo capitolo.
-Hermione: avete visto, no? Finalmente si è quasi decisa.
-Henri: è realmente viscido e infido. Diciamo che
è una persona con una mentalità molto fascista.
Ed è stupido, molto. Beh, speriamo che esca completamente di
scena xD
-La mamma di Hermione: è una gran donna e, finora,
è stata diciamo "passiva" perchè credeva che i
problemi di Hermione fossero gli stessi problemi di tutte le coppie, ma
avendo la realtà ad un palmo dal naso manda a quel paese la
ragione e l'etica.
Gli amici di Hermione: chi non vorrebbe averli?
Lo spoiler: allora? Avete qualche idea su quello che
succederà?
Risposte
alle recensioni:
Vi anticipo che alcune di voi si sono
avvicinate alla
realtà delle cose... chissà chi è ;)
sa
chan:
Sono
moolto offesa con te: niente baci eh? Va beeene. Allora
allontanerò l'entrata in scena di Draco, quindi, mie care
lettrice, puntate il forcone su di lei :P. Mi fa molto piacere che ti
sia emozionate e so che questo capitolo non ti piacerà per
niente, ma è davvero MOLTO importante, poi vedrai...
Rosa
di cenere :
collega
dalla mente malvagia xD Beh, se prima Henri ti era antipatico, credo
che ora lo odierai con tutta te stessa. Il biondo nell'auto, non
è detto che non sia Draco... e chissà che non
farà presto la sua comparsa. Come ho già detto,
Cloe è un personaggio molto particolare ed è
molto importante per la storia. Spero che la storia continui a piacerti
e grazie ancora per i complimenti.
Axel_Twilight_93: Questo
capitolo è davvero brutto, lo so. Sì, tutti
personaggi hanno una psicolgia complessa e la storia in sè
per sè non è facile da capire. Ti ringrazio
ancora per i complimenti, davvero...
La_Cla: Grazie mille
*.* Per i complimenti e perchè segui la mia storia. Come ho
già detto, Cloe è un personaggio molto difficile
da capire. Spero che continuerai a seguirmi, nonostante la cattiveria
che ho avuto in questo capitolo. Grazie ancora
dramy96123: Odialo, fai
benissimo. Non immagini quanto lo abbia odiato io, scrivendo questo
capitolo. Sono pazza, lo so: io lo invento e io lo odio. Hai detto
bene: Hermione è sempre stata forte, ma da quando Draco l'ha
lasciata ha perso un pò quella forza e si è
arresa a ciò che la vita le offriva. Mi chiedi se Draco
arriverà? lo spero anche io, proprio come spero che
continuerai a seguirmi e grazie *.*
MissChanel: Eccoti accontentata con il
capitolo. Immagino che non ti sia piaciuto molto e condivido
pienamente. Per quanto riguarda le tue ipotesi, capirai in seguito se
sono fondate o meno. Perdonami, ma non posso risponderti :P
In tanto, come hai potuto vedere, hai indovinato con chi urlava la
mamma di Hermione, anche se la causa non era quella. Di gran lunga,
credo avrebbe preferito il tradimento, non credi? Un bacio.
OneLove4: Beh, i tuoi pensieri possono
essere esatti come possono essere sbagliati, no? Lo so, non
è una risposta, ma capirai se non ti rispondo ancora xD
Continua a leggere e scoprirai la verità. Grazie per la
recensione.
miry16: Dici che
Cloe ti sarà antipatica? Chissà! La mamma di
Hermione è una gran donna... E, come vedi, ti ho
accontantata: Henri è stato cacciato di casa xD Grazie per
la recensione.
Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le seguite:
ali_smile
Axel_Twilight_93
BibiBarbara
bribry85
Choo
excel sana
Gin 92
jalilah
ladyrowena
lady_rose
LyliRose
myllyje
Nerazzurra
Nia Nya
noiaia
OneLove4
path94
PinkPrincess
Poseidonia
prettyvitto
Rosa di cenere
sa chan
tykisgirl
Veronica91
Ringrazio chi ha
inserito la mia storia tra le preferite:
amorelove
Axel_Twilight_93
deme
elenusiaHP
Luna_Lovy
Rosa di cenere
Slytherin_Yuna
stordy
Ringrazio
chi ha inserito la mia storia tra le ricordate:
Grouben_Lavinia_Malfoy
Ben trovate a chi
già c'era e ben venute alle "nuove".
Grazie anche ai lettori silenziosi. Grazie davvero per il vostro
sostegno.
AVVISO:
tra un pò posterò la storia di cui vi ho parlato
ieri. Si chiamerà "Revenge And Love".
Un bacio, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 8 *** La cena (POV A SORPRESA) ***
>
Capitolo 8: La cena
Draco POV
Mi chiusi nel
mio
studio,
con la cartellina delle denunce in mano.
Poggiai la
valigetta sulla scrivania e presi il pacchetto di sigarette dalla
tasca. Ne
accesi una, poi, mi rilassai sulla sedia e fumai.
Ogni volta che
aspiravo, rivolgevo un pensiero a qualcuno: il primo tiro, il
più leggero, lo
dedicavo a mio figlio: la sua presenza mi aveva salvato da tutto. Se
non ci
fosse stato lui, forse, avrei lasciato che il bisogno di distruggermi
avesse
avuto la meglio.
Il secondo lo
dedicavo a mia moglie, il terzo a miei genitori e così
via…
L’ultimo
tiro, il
più duro, il più difficile, lo dedicavo a
lei… sempre.
-Avanti.-
dissi,
dopo aver sentito che qualcuno aveva bussato alla porta. Sapevo che era
Cloe.
-Draco…
-Sì?
-Non prendere
impegni per questa sera…
-Come mai?
-Una coppia di
amici verrà a cena qui.
-Capisco.
-Non vuoi
sapere
di chi si tratta?
-Li
conoscerò
questa sera, no?
-Sì,
ma è meglio
che essere già informati.
-D’accordo.
Mi
guardò con
aria di sfida. –Henri Duval e sua moglie….
-Perfetto.
-Hermione
Granger.-
sbarrai gli occhi e vidi che sorrideva. –Qualcosa non va?
Certo che
c’era
qualcosa che non andava. –No, tranquilla.
-Bene.
-Cloe, chiudi
la
porta quando esci.
Mi
obbedì.
Non mi
preoccupai
neanche che si fosse allontanata abbastanza e, d’istinto,
scaraventai a terra
tutto quello che era sulla scrivania.
Avrei voluto
urlare, ma non potevo. Appoggiai la testa sulle mani e strinsi forte
alcune ciocche di capelli,
come a mandare via il dolore che per tanti anni avevo represso.
Sentire il suo
nome era stato un colpo di pistola al cuore.
Mi alzai dalla
sedia e raccolsi quasi tutto quello che avevo fatto cadere, poi, presi
un’altra
sigaretta dal pacchetto e l’accesi.
Fumare e
agitarmi
tanto non sarebbe servito a niente, lo sapevo.
Mi appoggiai
alla
scrivania. –Perché? Cazzo!
Cloe lo sapeva,
non poteva farmi questo, non adesso: avevo imparato a volerle bene e a
non
odiarla per quello che mi aveva obbligato a fare.
Ed ora? Aveva
intenzione di distruggere tutto?
-Papà,-
Natan
entrò nello studio e mi guardò. – devi
farmi bello.
-E
perché mai?-
mi inginocchiai per permettergli di guardarmi negli occhi senza che
alzasse la
testa. –Sei già bello.
Scosse il capo.
–Più bello ancora, per gli amici della mamma.
-Va bene.
-Sai a che ora
arrivano?
-No.
-Quando la
lancetta grande sta qui.- disse indicandomi l’orario
sull’orologio che avevo al
polso. Sarebbero arrivati alle 20 ed erano le 19:30.
-Cazzo!-
pensai.
Poi sorrisi. –Corriamo in bagno.
Lo rincorsi per
il corridoio, fino a che non riuscii a prenderlo.
Ovviamente, adoravo
lasciarlo vincere. Lo presi in braccio, quindi, lo feci sedere sul
ripiano del
lavabo.
Rideva e giocava
a non far arrivare le mie mani nei capelli, agitando le sue manine.
–Ora
basta.- mi disse con aria seria. –Fammi bello!
Avrei voluto
ridere. –Agli ordini.- dissi, poi, portandomi una mano alla
fronte a mò di
saluto militare.
Presi un po’ di
gel dal tubetto e glielo passai nei capelli, sistemandoli nel modo che
lui
preferiva.
Gli sistemai il
colletto della camicia e gli allacciai le scarpe. –Hai finito?
-Sì.
-Andiamo.- si
guardò allo specchio. –Sono proprio bello, vero?
-Sì.- lo guardai,
mentre si allontanava.
Poi, guardai
l’orologio e strinsi i pugni: tra meno di cinque minuti
sarebbe arrivata la
donna che per anni mi aveva rubato il sonno.
La donna che,
inconsapevolmente, aveva portato con sé la mia
felicità.
Tornai nello
studio, con tutta l’intenzione di fumare un’altra
sigaretta e rilassarmi o,
almeno, di provarci.
-Draco, sei
pronto?- mi domandò Cloe, fermandosi sulla porta dello
studio.
Era bella, nessun
dubbio: indossava un pantalone nero e una maglia dello stesso colore,
nessun
accessorio, niente che spezzasse tanta serietà.
-Monocromatica.- pensai.
–Sì, sono
pronto.
-Così?
-Cos’ho che non
va?
-Hai la camicia
sgualcita e il nodo della cravatta è allentato.- si
avvicinò. –Fatti sistemare.
-Sto bene.- le
scostai le mani con violenza e mi guardò quasi soddisfatta.
-Sei sciatto, non
farai bella figura.
Sorrisi. Ad Hermione piacevo così.
–Io
sono così, Cloe.
-Come vuoi.
Qualcuno bussò
alla porta e Natan cominciò a correre per i corridoi.
–Mamma, eccoli, sono
loro…
-Calmati piccola
peste.- gli dissi,strizzandogli l’occhio.
-Arrivo.- gridò
Cloe, guardandomi negli occhi. –Buon divertimento caro.
-Fanculo.- dissi
quando lasciò lo studio.
-Salve Cloe.- una
voce maschile mi raggiunse e mi innervosì
all’istante.
Andai in
soggiorno, con il miglior sorriso stampato sul viso.
Quando la vidi,
sentii il cuore in gola: aveva lo sguardo rivolto a Natan che si stava
presentando. –Io sono Natan. tu come ti chiami?
-Hermione.-
sorrise.
-Vieni.- le prese
la mano. –Lui è il mio papà.
Alzò lo sguardo e
il sorriso che aveva si spense immediatamente.
Non so per quanto
tempo restammo immobili a guardarci, né quanti pensieri
affollarono le nostre
menti. Sapevo che anche lei stava ricordando, lo leggevo nei suoi occhi.
Mi tese la mano.
–Piacere, Hermione.
-Draco.- dissi,
poi le presi la mano e l’accarezzai.
La ritirò
velocemente e si rivolse a Cloe. –Ti serve aiuto?
-No.- rispose mia
moglie, raggiungendomi e stringendomi forte. –E’
tutto pronto, vero amore?
-Sì.- guardai
Hermione, poi mi staccai da Cloe. –Andiamo a sederci.
-Draco, mentre
sistemo la tavola, perché non fai vedere la casa ai nostri
ospiti?
-Venite.- dissi.
Henri ed Hermione
si incamminarono nella direzione che avevo indicato loro e,
istintivamente,
l’accompagnai, poggiandole una mano sulla schiena.
Si voltò a
guardarmi: aveva gli occhi lucidi e colmi di paura. L’occhio
sinistro era più gonfio. –Perché?
Terminato il giro
della casa, ci accomodammo: lei accanto a suo marito e di fronte a
Cloe. Natan
prese posto a capo tavola, di fianco a lei. –Sei proprio
bella.- le disse.
Lei arrossì e
abbozzò un sorriso.
Mio figlio era un
gran bugiardo: Hermione era stupenda.
I suoi occhi
cercarono di evitarmi per tutto il tempo della maledetta cena. I miei,
invece,
erano fissi su di lei: cercavo di cogliere ogni cambiamento, ogni
sfumatura.
Cercai di
catturare ogni particolare, anche il più insignificante:
avevo bisogno di
riempire gli occhi di tutta la semplice bellezza che mi era mancata in
questi
anni, soprattutto perchè avevo la consapevolezza di doverla
perdere ancora.
Le guardai gli
occhi, il collo, le spalle, i polsi.
Notai che portava
due grandi bracciali e, sotto di essi, dei lividi enormi e dei graffi.
Cercava di
nasconderli. Me ne resi conto quando, dopo aver notato che la stavo
osservando,
tentò di allungare le maniche della maglia.
-Allora,- Cloe
interruppe i miei pensieri. –da quanto siete sposati?
-Due anni.-
rispose Henri.
-E, forse sarò
indiscreta, quindi, perdonatemi … come mai non avete ancora
figli?
-Mia moglie-
rispose ancora lui –non può averne.
Un nodo mi
strinse lo stomaco: non potevo crederci. Avere un figlio era il suo
desiderio
più grande, come aveva potuto la vita essere tanto crudele
con lei?
A quante altre
gioie aveva rinunciato in tutti questi anni?
Per la prima
volta da quando era iniziata la serata, Hermione l’aveva
guardato e gli occhi
le si riempirono di indignazione.
Riuscii a vedere
il muscolo del braccio sinistro contrarsi e immaginai la sua mano
mentre si
chiudeva in un pugno.
Tentò di dire
qualcosa, ma, quando lui le strinse la mano, tremò e
tornò a fissare il piatto.
La conoscevo bene
e sapevo che tremava solo in due occasioni: quando era spaventata ed
arrabbiata
e quando era felice.
Di certo però,
non era per niente felice.
O, forse, era
solo l’impressione di uno stupido che in tanti anni non aveva
smesso di
pensarla.
La mano di Henri
era ancora sulla sua e lei tremava ancora. Serrai le labbra.
Quando finimmo di
cenare, Natan richiamò la sua attenzione, toccandole il
braccio e lei lo
guardò. –Vuoi vedere la mia camera?
-Di nuovo?- disse
con tono divertito e flebile. Un sussurro, il suono più
bello che avessi mai
sentito. Si alzò, tenendo ancora la mano di Natan.
–Posso?
-Certo. Anzi,
Draco tienile compagnia.- disse Cloe.
Mi alzai in
silenzio e la seguii. Ancora una volta, fui tentato dalla voglia di
toccarla,
ma resistetti.
Restammo in
silenzio, io e lei, mentre Natan continuava a parlare.
Ero certo che
Hermione non lo ascoltasse, che anche lei come me era persa nei
pensieri e
nelle domande.
Entrammo nella
camera di mio figlio e lui le indicò un piccolo castello su
cui erano
posizionati i cavalieri e il re. –Eccolo.
-E’ bellissimo.
Si appoggiò alla
scrivania, mentre guardava Natan giocare. Io, invece, mi sedetti sul
letto.
Se non ci fosse
stato Natan, le sarei saltato addosso… se non ci fosse stato
Natan,
sicuramente, non avrei mai fatto questi pensieri.
–Papà…- mi chiamò sedendosi
sulle mie gambe.-… vuoi giocare con me?
-Non adesso.
-E dai…-
mise il broncio.
Non amavo vederlo così,
ma restare in questa stanza non sarebbe stata una buona idea.
-Natan,- lo
chiamò. – la mamma sta portando il
dolce… ed io ne ho tanta voglia, mi fai
compagnia?- concluse inginocchiandosi per guardarlo meglio negli occhi.
-Sììì!
Continuai ad
osservarla: ricordavo bene quanto fosse dolce, ma vederla era
tutt’altra cosa.
Era dolce ed era
debole…
Tornammo in
cucina e trovai Cloe ed Henri seduti al tavolo: il vassoio con il dolce
ancora
coperto.
Ridevano e Cloe
gli aveva appena dato una pacca sulla spalla. –Giusto in
tempo.- disse, poi,
indicandoci il dolce.
Ci sedemmo e lo
mangiammo.
Hermione continuò
a stare in silenzio e a parlare solo quando le veniva posta una domanda.
Henri, invece,
era stato loquace per tutta la serata. Sembrava molto simpatico, ma,
pur non
conoscendolo, provavo uno strano senso di repulsione verso di lui: il
modo in
cui guardava Hermione, il modo in cui si rivolgeva a lei…
come se non valesse
niente, come se la disprezzasse… come se non fosse la
creatura più bella di
questo mondo.
A mezzanotte
precisa, Hermione e suo marito andarono via.
Ci stringemmo
solo la mano, niente di intimo. In quel frangente di tempo, le emozioni
mi
riempirono la testa: ero felice per averla rivista, ma era distrutto
perché
l’avrei persa ancora e non avevo avuto la
possibilità di dirle che mi era
mancata infinitamente.
Andai in bagno
per lavarmi, quindi mi spogliai e m’infilai sotto la doccia.
Lasciai che
l’acqua calda mi sciogliesse i muscoli e mi allontanasse dai
ricordi.
Massaggiai i capelli con più forza quando, chiudendo gli
occhi, immaginai il
viso di Hermione.
Non era la prima
volta che mi capitava, certo, ma ora, di lei, avevo
un’immagine che non mi
piaceva: vedevo i suoi occhi privi di ogni luce, vedevo le sue mani
troppo
gracili, vedevo le sue spalle leggermente ricurve, come se non avesse
più la
forza di affrontare niente.
Mi costrinsi a
non pensare e lavai via la schiuma, quindi uscii dalla vasca e mi
asciugai. Poi,
mi sistemai a letto e odorai la mano: il suo profumo era ancora
lì, nonostante
l’odore del bagnoschiuma.
Avevo bisogno di
non pensare: troppe emozioni in poco tempo mi facevano male.
Cloe, dopo aver
messo Natan a dormire, si mise a letto e si appoggiò sul mio
petto. –Bella
serata, no?
-Bellissima.-
risposi.
Poi, mi girai,
dandole le spalle e chiudendo gli occhi.
L’immagine di
Hermione sempre lì…
Spoiler capitolo 9:
-…’Mio…
-Voglio farlo.
-No, ‘Miò, ascoltami… se
non sei pronta…
Lo guardai negli occhi. –Voglio fare
l’amore con te.
Sorrise, poi cominciò a baciarmi.
Sentivo
le sue mani che salivano
lentamente e il mio cuore che continuava a perdere i battiti.
***
Angolo
Autrice:
Saalve a tutte!
Finalmente, è arrivato Draco, siete contente? Spero di
sì...
Ma, veniamo a noi. Questo capitolo è stato un parto
plurigemellare, anche se non sembra: ero indecisa sul ruolo di Cloe, su
come si sarebbe comportata Hermione e come si sarebbe comportato Henri
(è stato un pò buono, su u.u)... in particolare
ero indecisa a quele dei due "protagonisti" affidare il POV.
-Natan: non trovate sia bellissimo? Che ci crediate o no,
sarà davvero importante la sua presenza in questa storia;
-Cloe: c'è chi pensa che se la faccia con Henri e chi non la
vede ancora di buon occhio per motivi a me sconosciuti... suvvia, non
giudicate in fretta :P ;
-Henri: sarà stronzo e quant'altro e di certo non si
è risparmiato, ma almeno conosce le regole del bon ton :P;
-Hermione: vi aspettavate un comportamento diverso? Anche io avrei
voluto farla saltare addosso a Draco, ma la storia ha i suoi tempi e
ovviamente, Hermione è una donna matura che non sempre
esprime i propri desideri;
-Draco: *.* E' quiii. Finalmente, direte voi...E' un pò
contraddittorio: prima tocca la schiena di Hermione, poi non le rivolge
mai la parola...lo so, ma immaginate cosa abbia significato
per lui questo incontro... Ahhh, ma noi a lui perdoniamo tutto, vero?
Lo spoiler: Allora? Allora? Qualcuna di voi ha qualche idea? Su su,
lasciatemene qualcuna nelle recensioni e vediamo un pò chi
di voi indovina cosa succederà :P
Risposte alle recensioni:
sa chan:
Beh, non ci speravi, ma Draco è qui xD Credi che Cloe se la
faccia con Henri? Chissà... Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto :P e grazie per il bacio XD
OneLove4:
Non sei stata affatto pesante, Henri è un porco davvero ;P
Meredith è fantastica, niente da dire contro di lei... Spero
che questo capitolo ti sia piaciuto.
Axel_Twilight_93:
Ecco a te il capitolo.. allora, il tuo cervellino aveva avuto un'idea
simile? O immaginava altro? Spero che questo capitolo ti sia piaciuto...
Rosa di
cenere: Grazie per i complimenti, mi lusinghi troppo e non
smetterò mai di dirtelo... Hermione ha aperto gli occhi, ma
non dimentichiamo che è molto testarda, eh... Per quanto
riguarda le recensioni, non preoccuparti e se ti fa piacere, posso fare
un salto nelle tue ff. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto.
Ringrazio per aver
inserito la mia storia tra le seguite:
ali_smile
Axel_Twilight_93
BibiBarbara
bribry85
Choo
excel
sana
fiore
di ren
Gin
92
jalilah
ladylala
ladyrowena
lady_rose
LilyRose
MissChanel
myllyje
Nerazzurra
Nia
Nya
noiaia
OneLove4
path94
pinilla87
PinkPrincess
Poseidonia
prettyvitto
Rosa
di cenere
sa
chan
sarahoara
tykisgirl
Veronica91
Ringrazio
per aver inserito la mia storia tra le preferite:
amorelove
Axel_Twilight_93
deme
elenusiaHP
Luna_Lovy
Rosa
di cenere
Slyterin_Yuna
stordy
testacalda_92
Ringrazio per
aver inserito la mia storia tra le ricordate:
Grouben_Lavinia_Malfoy
Come
al solito, dò il benvenuto alle "nuove". Grazie davvero.
Grazie anche ai
lettori silenziosi.
Avviso:
ho postato il prologo di "Revenge and Love", che ne dite
di fare un saltito e farmi sapere cosa ne pensate?
Un
consiglio piccolo piccolo: fate anche un saltito nella
pagina di sa chan (la mia grafica personale)... e leggete qualcosa di
suo.
Ci sono storie
che a me piacciono molto e, tra l'altro, mi fanno ridere un sacco.
Un bacio,
la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 9 *** Ricordi -Prima Parte... ***
Capitolo 9: Ricordi -Prima Parte...
Hermione POV
Quando aprii gli
occhi, mi accorsi che mi veniva difficile anche respirare.
Sistemai meglio
la testa sul cuscino, maledicendo tutti i liquori che papà
aveva conservato
nella vetrina del salone.
Finita la cena,
Henri mi aveva riaccompagnata a casa, senza dire una parola, senza
guardarmi.
Quindi, una volta
rientrata, mi ero seduta sul grande tappeto e avevo iniziato a mandare
giù ogni
sorta di liquore. Non tanto per le
umiliazioni che mi aveva regalato Henri, ma per rivisto lui.
Viveva qualche
metro distante da me e, da quando ero arrivata a Londra, non
l’avevo mai visto.
Bello come il
sole, dolce come non mai… e padre.
Lo sapevo, certo…
era per quello che era finito tutto, ma vederlo in quelle vesti era
stato un
colpo troppo forte: quei momenti avrei dovuto viverli io.
Quando avevo
visto l’auto, fuori casa sua, mi ritornò in mente
l’emozione che avevo provato
all’incrocio e mi ero chiesta il perché, ma poi
l’ho capito da me…
Quando gli avevo
stretto la mano, le farfalle allo stomaco e i brividi lungo la spina
dorsale
erano le emozioni più banali che avevo provato.
Avevo sentito il
cuore accelerare. La voglia di baciarlo e di sentire il calore del suo
corpo
sotto le mani mi aveva investita.
I ricordi non
erano più nella mia mente, mi sembrava di averli
lì e di poterli guardare come
si fa con un film al cinema.
Tutto l’amore che
provavo per lui, quell’amore che avevo nascosto, era tornato
a farsi sentire
prepotentemente nelle vene, nel cuore, nella testa.
Non riuscivo a
crederci.
Tutt’ora, dopo
una sbronza memorabile e un mal di testa di altri tempi, non riuscivo a
farlo.
Mi diressi in
bagno e riempii la vasca.
Nel frattempo,
disinfettai i graffi e massaggiai i lividi con la pomata.
Il dolore allo
stomaco non era passato, anzi era diventato ancora più forte.
Più di tutto,
però, faceva male il cuore: non amavo Henri,
l’avevo sempre saputo, ma credevo
nel mio matrimonio, ecco tutto.
Quando mi immersi
nella vasca, il ricordo di Draco e del nostro primo San Valentino mi
riempii la
mente e gli occhi.
-Chiudi
gli occhi.
-Ma non vedo niente.
-Non devi vedere niente, stupido.
-Ma dove mi stai portando?
-E’ una sorpresa!
-Posso fidarmi?
-Dipende dai punti di vista…
-Ma, ma… piccolo castoro cosa ti è venuto
in mente?
-Shh, zitto. Dammi la mano e seguimi.
Chiuse gli occhi e mi seguì. Feci segno al
portiere di darmi le chiavi dell’appartamento,
quindi,allungò la mano e mi consegnò un ciondolo
in pezza a forma di
cuore.
Inciampò al primo gradino. –Maledetta.- mi
disse con tono scherzoso.
-Aspetta a maledirmi.
Quando arrivammo, infilai la chiave nella
toppa e aprii la porta. –‘Miò…
-Shh, Draco. Aspetta qui e non aprire gli
occhi.
Sapevo che non mi avrebbe ascoltato,
quindi, dopo essere entrata, chiusi la porta.
Accesi le candele e sistemai i petali che
avevo sparso sul pavimento.
Sul letto,
sistemai anche la scatola che
conteneva il regalo accanto al dolce che avevo preparato per lui.
Aprii la porta e gli presi la mano, per
permettergli di entrare. –Hai visto? Sono stato
bravo…
-Come no!
-Cos’è questo odore?
-Draco, ascoltami. Ora dovrai aprire gli
occhi, però non devi ridere.
-Perché dovrei ridere?
-Shh. Sei pronto?
-Sì.
-Uno, due, tre.
Quando aprì gli occhi, rimase per un po’
immobile, poi la bocca si stese fino a formare un sorriso stupendo e
gli occhi
gli si illuminarono.
Ero entusiasta di essere io la causa di
tanta felicità…
Mi chiusi per un po’ nel mio mondo,
complimentandomi per la buna riuscita della sorpresa, quindi, quando mi
baciò,
rimasi imbambolata.
Ricambiai quasi subito e lo strinsi forte
a me. I suoi baci mi toglievano il fiato, mi facevano sentire viva.
-Ti amo.
-Vieni con me.- lo portai in bagno, dove
c’era una grande vasca
idromassaggio. –Questo è il regalo vero.
-In che senso?
-Beh, tu volevi fare un bagno in una vasca
così ed eccola qui.
-Tu sei pazza, castoro!- mi spinse sulla
fronte con l’indice.
-Dai, spogliati.
-Hey… vuoi portarmi sulla cattiva strada?
-No, voglio solo provare l’idromassaggio.-
gli feci la linguaccia e tornai in camera.
Presi la scatola con il regalo e glielo
portai in bagno.
Quando la aprì, ne tirò fuori una busta,
dentro la quale ci avevo sistemato i costumi.
-E questi? Siamo a febbraio, lo sai?
-Sì, ma mica credi che io entri in quella
vasca nuda?
-Ah no?
-No. Perciò, va in camera e lasciami
spogliare in santa pace.
Andò anche lui a mettere il costume e mi
raggiunse poco dopo.
Io mi ero già immersa nell’acqua e avevo
avviato il programma per il massaggio.
-Sei bellissima.- disse, sistemandosi
accanto a me.
-Anche tu.
Mi baciò. Un bacio che sapeva di vero, di
felicità.
Un bacio che dolcemente diventava più
voglioso.
-‘Miò… ti desidero.
-Draco…
-Se non vuoi,non fa niente.- Abbassai lo
sguardo, imbarazzata. Come mi era venuto in mente di rovinare un
momento così
magico? –Però, ti prego, non smettere di baciarmi.
-D’accordo.
Mi avvicinai ancor di più a lui e lo
baciai.
Ricambiò. Gli appoggiai una mano dietro al
collo e lo attirai ancora di più a me.
Avevo paura, certo, ma non potevo non
ammettere a me stessa quanto lo desiderassi.
Volevo che la mia prima volta sarebbe
stata magica e non m’importava dove, se in un albergo o in
un’auto o su un
divano… l’importante per me era stare con lui.
Si sistemò su un fianco, poi mi cinse la
vita con le sue braccia.
Gli appoggiai le mani sulle spalle, in
modo da fargli toccare le pareti della vasca con la schiena, quindi mi
sedetti
a cavalcioni su di lui.
Mi staccai dalla sua bocca, poi gli presi
le mani e le baciai.
-…’Mio…
-Voglio farlo.
-No, ‘Miò, ascoltami… se non sei
pronta…
Lo guardai negli occhi. –Voglio fare
l’amore con te.
Sorrise, poi cominciò a baciarmi.
Sentivo le sue mani che salivano
lentamente e il mio cuore che continuava a perdere i battiti.
I suoi baci divennero sempre più intesi e
le sue mani si insinuarono sotto il costume.
Mi strinse delicatamente i seni e con la
bocca lasciava le scie del suo sapore sul collo.
Cominciai ad accarezzargli il petto, la
pancia.
Sentivo la sua eccitazione aumentare e per
questo sorrisi.
Gli scostai leggermente il costume e lui
slacciò il mio.
Si alzò ed uscì dalla vasca, poi mi prese
in braccio e mi portò sul letto.
Si appoggiò su di me e riprese a baciarmi.
-…sei stupenda.
Mi accarezzò le gambe e mi sfiorò proprio
lì…
Con la lingua scese sui seni e li baciava.
Mi stava facendo impazzire, quindi gli
strinsi le gambe intorno alla vita e mi portai avanti con il bacino.
Mi penetrò con un dito e mi sentii
smorzare il fiato.
Non volevo lamentarmi, quindi mi morsi la
lingua. –Dra- Draco…
Giocò per un po’ con le dita, senza
lasciare mai la mia bocca o i miei seni.
Poi, mi penetrò.
Anche se mi fece male, riuscii a capire
quanto fossero dolci i suoi movimenti.
Sentirlo in me era la sensazione più bella
del mondo: in quel momento, mi sentii completa davvero.
-Fatti sentire…- mi disse.
Aveva la voce roca: i suoi gemiti mi
sembravano dei suoni meravigliosi e immaginai che per lui dovesse
essere lo
stesso, quindi, lasciai che la voce uscisse.
Ad ogni spinta, sentivo i sensi
allontanarsi da me e sempre più forte sentivo una strana
sensazione al basso
ventre.
Quando arrivai, lui mi sorrise. Era
felice, potevo capirlo dai suoi occhi.
Continuò a spingere, fino a che non arrivò
anche lui.
Avevo sbagliato: la completezza reale era
sentirlo arrivare in me e sapere che non avrebbe desiderato altro.
Lo baciai, senza lasciarlo uscire. –Ti
amo. Ti amo, ti amo…
-Ti amo anche io castoro… Tu sei la mia
vita.
Poi, andammo a lavarci e ci stendemmo sul
letto.
Mi attirò a sé e mi lasciò appoggiare
la
testa sul suo petto. Riuscivo a sentire i battiti del mio e del suo
cuore che diventavano un tutt’uno. –Già
dormi?
-Quasi…
-Il regalo più bello sei tu!- mi baciò la
fronte e mi strinse di più.
Lo amavo.
Sentii
il
cellulare squillare, allora uscii dalla vasca e mi avvolsi
nell’accappatoio.
-Pronto?
-Hey…
-Chi è?
-Come “chi è?”…
sono Blaise.
-Umh, perdonami.
-No, mi dispiace
non posso farlo.
-Beh, sai, una voce
tanto sexy non credevo appartenesse a te.- dissi, scherzando.
-Oltraggio.
-Dai…
-Ok, la smetto.
Come stai?
-Blaise…
-Ho saputo, Herm,
non preoccuparti.
-Oh… certo che le
voci si spandono in fretta, eh?
-Tra buoni amici
sì. Comunque, ti ho chiamata anche per un altro motivo.
-E sarebbe?
-Ricordi che la
settimana scorsa hai vinto un appuntamento?
-Mmh, lasciami
pensare… per caso, stai parlando dell’appuntamento
con quell’uomo bellissimo,
dagli occhi stupendi e la voce seducente?
-Ovvio…
-Ah, allora, puoi
dirgli che non ho alcuna intenzione di uscire con lui?
-E’ perché mai?
-Beh, perché io
voglio un appuntamento con Blaise Zabini.
-Hermione
Granger, mi stupisci: quell’uomo bellissimo del quale poco fa
hai elencato le
doti migliori è Blaise
Zabini.-
ridemmo. –Scherzi a parte, ti va di andare a prendere un
caffé?
-Va bene.
-Ti basta
mezz’ora?
-Assolutamente.
-Perfetto. A tra
poco, allora…
-Ok. Ciao Blà.
Posai il
cellulare sul comodino e aprii l’armadio.
Guardai fuori
dalla finestra e vidi che c’era il sole, poi, presi il
cellulare e richiamai
Blaise. –Sportiva o elegante?
-L’uomo
bellissimo ti adora in qualsiasi modo.
-Cretino.
-Sportiva, dai.
Io sono in tuta.
-Perfetto, a tra
poco.
Tornai
all’armadio e sistemai gli abiti sul letto, poi andai in
bagno a dare una
sistemata ai capelli.
Mi
vestii e mi
truccai, poi scesi in salone e mi sedetti sul divano ad aspettare.
Bip.
Il
cellulare
mi
avvisò che mi era arrivato un messaggio, quindi, lo lessi.
<< Esci ,Blaise >>
Presi il cappotto
e uscii. Chiusi la porta alle spalle e salii in auto. –Ciao
Blà.
-Ciao.- mi baciò
una guancia. –Andiamo?
-Sì.
Spoiler
capitolo 10:
-Tu credi davvero
che abbia dimenticato tutto?
-Non m'importa,
adesso...
-Come non
detto...
-Cosa?
-Lo ami
ancora!- rimasi in silenzio.
Era arrivato il
momento di fare i conti con il mio cuore.
***
Angolo
Autrice:
Benvenuteeee.
Ecco a voi il
nuovo capitolo... cosa ne pensate?
-Blaise:
è un angelo, credetemi... nel prossimo capitolo ve ne
renderete conto;
-Hermione: non
ho molto da dire su di lei, anzi proprio niente a dire la
verità.
Come avete
notato, il capitolo è incentrato su un flashback, vi
è piaciuto?
Lo spoiler:
ah... chissà cosa succederà poi... Continuate a
seguirmi :P
Risposte
alle recensioni:
OneLove4: Grazie
mille, davvero! Eh sì, Natan somiglia molto a Draco... e
lui, beh, lui lo amerai ancora di più, se è
possibile! Grazie per la recensione. Spero che anche questo capitolo ti
sia piaciuto. Un bacio.
Rosa di cenere:
Ecco a te il nuovo capitolo... Non ti ho fatto aspettare molto
perchè non voglio averti sulla coscienza xD Ahaha. Bene,
passiamo al capitolo: Natan somiglia molto al padre, anche
caratterialmente *.*. Il comportamento di Cloe lo capirai presto :P
Grazie mille per i complimenti, non mi abituerò mai a tante
belle parole. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio.
Axel_Twilight_93: Esatto, hai
indovinto! Era uno spoiler xD. Beh, Draco finalmente è qui
*.* Natan è dolcissimo e Cloe è strana, ma
prestro capirai il suo comportamento... Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto. Un bacio.
sa
chan:
Non te lo aspettavi eh? Invece Draco è comparso :P. Ancora
una volta ti ripeto di non giudicare Cloe troppo in fretta: dalle
tempo, poi mi dirai :P Spero che il capitolo ti sia piaciuto, anche non
essendo del tutto HOT. Un bacio.
dramy96123: Grazie per
la recensione... Cloe avrà i suoi buoni motivi per
comportarsi così, non credi? Diciamo che è una
donna strana, ma realista e non per forza stronza. E, purtroppo, Henri
non verrà scaraventato da un ponte in fiamme ahah, anche se
lo vorrei, credimi. Beh, spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Ps:
sono a metà della tua ff. Presto lascerò un
commentino. Un bacio.
Ringrazio per aver
inserito la mia storia tra le seguite:
Ringrazio
per aver inserito la mia storia tra le preferite:
Ringrazio per aver inserito la mia storia tra le ricordate:
Ovviamente, ringrazio anche i lettori silenziosi e coloro che dedicano
un secondino del loro tempo alla mia storia.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 10 *** Ricordi -Seconda Parte... ***
Capitolo 10: Ricordi
–Seconda Parte...
Hermione POV
-Sei davvero
bellissima.
-Grazie.
-L’uomo
bellissimo ha un certo debole per le felpe dell’Adidas.
-L’ho messa
apposta.
-Ti ringrazio,
allora…
Rimanemmo per un
po’ in silenzio, poi sentii i suoi occhi addosso.
–Che fai? Guardi?
-E’ che sei
cambiata molto in questi anni…
-Già…
-L’uomo
bellissimo ha una proposta indecente.
-E sarebbe?-
dissi, sistemandomi su di un fianco per guardarlo meglio.
-Lo so, sono
pazzo: sono le dieci del mattino, ma io ne ho tanta voglia.- mi
guardò con gli
occhi pieni di desiderio e, anche se sapevo che mi stavo
impressionando,
avvertii una strana sensazione.
-Di-di cosa?
-E’ un desiderio
che non riesco a gestire da un po’ di tempo…
è voglia di…- disse,l
avvicinandosi al mio orecchio. -… hot-dog.
-Blaise,- dissi,
tirando un sospiro di sollievo. –mi hai fatto prendere un
colpo.
-Ti va?
-No, a quest’ora
è davvero presto per me: il mio stomaco non è
primitivo come il tuo.
-D’accordo.- si
fermò poco più avanti ed uscii dalla macchina.
Avevo avuto paura
di uno dei miei migliori amici, cosa mi stava succedendo?
Come avevo potuto
minimamente pensare che quel desiderio che avevo negli occhi di Blaise
fosse
rivolto a me?
Quando rientrò in
auto, avevo in mano due fagotti. –Blaise…
-Shh, donna.
L’uomo bellissimo non ammette risposte negative.
-Ok.- dissi,
prendendo l’hot-dog che mi stava porgendo.
-Sei sbiancata
prima, ho detto qualcosa che non andava?
-No…
-E allora?
Dovevo dirgli la
verità e passare per la stupida che se la tirava?
–In realtà… ho avuto un po’
paura: non li avevo mai visti i tuoi occhi così…
vogliosi?
-Credevi fossero
così per te?
-Non so,ma mi
sono spaventata.
-Sei una donna
bellissima, Hermione Granger e chiunque potrebbe desiderarti, me
compreso. Ma
sei una mia carissima amica e, soprattutto, sei la donna che il mio
migliore amico
ha amato da sempre…
Rimasi in
silenzio, mentre distoglievo lo sguardo da Blaise.
Cercai di
allontanare i miei pensieri dal significato di quelle parole, quindi le
fusa
del motore che si metteva in moto mi fece sobbalzare.
Anche Blaise
rimase in silenzio. Non aggiunse altro e tenne gli occhi fissi sulla
strada per
un po’.
-…chiunque
potrebbe desiderarti...
Chiusi gli
occhi
e scossi la testa, quindi non mi accorsi che Blaise aveva parcheggiato
ed era
uscito dall’auto.
Mi bussò
dall’esterno del finestrino e gli rivolsi il mio sorriso
migliore, sperando di
non sembrare troppo ebete. –E’ bellissimo.
-E’ un luna park.
-Ma è mattina,
Blaise, non sarà chiuso?
-La caffetteria
no: i migliori frappé del mondo, secondo me, li fanno qui.
-Ah…
-Credi che
abbiano qualche ingrediente segreto? Magari occhi di rana o code di
lucertole.
-Blà, che
schifo.- dissi ridendo insieme a lui.
-Dai, andiamo.-
mi affiancò durante il tragitto, ma non mi prese la mano,
non mi strinse per le
spalle.
Non pretendeva
nulla in cambio la sua amicizia, nulla di fisico almeno: ovviamente, a
mio
parere si dà amore per riceverne.
Un amore, che sia
affetto o amore vero, a senso unico è qualcosa di sadico,
masochista.
-Scegli.
Mi fermai di
fronte al tabellone su cui erano scritti tutti i gusti di
frappé e sorrisi:
c’era di tutto… fragola, albicocca, banana,
cioccolato. –Cioccolato.
-La solita.- mi
sorrise, poi si rivolse alla ragazza che era dietro al bancone.
–Un frappé a
cioccolato e l’altro, mmh… l’altro.
Sceglilo tu il gusto: lascio a te la scelta
del mio piacere.- le disse, sfoggiando il suo sorriso più
sensuale.
La ragazza
arrossì violentemente, quindi si calò dietro al
bancone per prendere il vassoio
e i bicchieri.
Noi, nel
frattempo, ci allontanammo. –Sei proprio uno stronzo, Blaise
Zabini.
-Ma cosa ho
fatto?- mi chiese con voce fintamente inconsapevole.
-Quella povera
ragazza rischiava di prendere fuoco.
Rise di gusto ed
io lo seguii. Quanto mi era mancato Blaise.
-Grazie.- disse
poi alla ragazza che ci aveva servito i frappé. Ancora una
volta le sorrise e,
ancora una volta, lei arrossì.
Sorrisi e gli
diedi un calcio agli stinchi.
-Ooh…- disse
dolorante, mentre la ragazza prese a ridere e il rossore del viso le si
stemperò leggermente.
Sorrisi di più e
Blaise mi lanciò un’occhiata di fuoco.
Appena la ragazza
fu lontana, gli scoppia a ridere in faccia. –Ah
ah…- dissi, muovendo la testa
da destra e sinistra a mò di dispetto.
-Donna! Come osi
deviare i miei piani di conquista?- dissi con tono austero.
–Era proprio carina
e ha riso di me.- aggiunse poi con voce da bambino.
Era davvero
unico. –Blà dai, quando andrai a pagare le darai
il numero, su. Non abbatterti.
-Perché, secondo
te, dovrei pagare io?
-Ovvio.- sorrisi,
con la cannuccia tra le labbra.
Sorrise e
cominciò a bere il suo frappé.
–Vaniglia… ADORO quella ragazza.
-Ti ricordi
quando bevesti quel “coso”
che credevi
fosse frappé a vaniglia?
-Era colla
vinilica diluita con l’acqua.
Cominciammo a
ridere, fino alle lacrime. Ed era così ogni volta che
ricordavamo qualcosa.
-E ti ricordi invece
quando Harry mi ha buttata nella pozzanghera della scuola?
-Eri una vipera,
credimi. Insopportabile.
-Lo so.- gli feci
l’occhiolino.
-E ti ricordi
quando al Luna Park, Ginny tentò di baciare Harry e lui si
scansò?
-Sì.
-Però, dai,
quella sera un bacio c’è stato.- disse, alzando le
sopracciglia.
-Tra me e Draco-
dissi, diventando più triste.
-Già…- Guardai
Blaise e capii dalla sua espressione che non era quella la risposta che
si
aspettava: quella sera c’era stato anche il bacio tra lui e
Lavanda, ma l’unico
bacio che avrei ricordato per tutta la vita sarebbe stato quello che mi
aveva
dato Draco.
-Sei una bambina,
Granger.
-Io sarei una bambina?
-Sì. Sei gelosa?
-Di te? Figurati.
-Allora che diavolo hai?
Sorrisi: certo che ero gelosa, ma sapevo
che non avrei dovuto esserlo… in fondo, prima di me,
c’era stata la sua ragazza c’era
tutt’ora.
Draco non avrebbe mai saputo dei miei
sentimenti verso di lui. –Non ho niente.
-Perché fai così?
-Così come?
-Perché non ammetti che provi qualcosa?
-Sì, provo qualcosa…
-Cosa?- vidi i suoi occhi riempirsi di
aspettative.
-Un fastidio enorme quando credi di essere
l’uomo dei miei sogni.
Si avvicinò. –Non lo sono?
-N-non… non lo sei.
-E chi te lo dice?
-Il mio cuore.
-E se io facessi una cosa, il tuo cuore
cosa direbbe?
-Cosa? Malfoy, stai lontano da me. Non ti
avvicin…
Le parole mi morirono in gola.
Mi baciò… avevo la sua bocca sulla mia.
Riuscivo a sentire il suo profumo ed era
ancora più dolce, ancora più bello.
Mi mise una mano dietro la nuca e con
l’altra mi stringeva la vita, per evitare che mi agitassi
tanto.
Le mie mani rimasero immobili lungo i
fianchi.
Quando si staccò, sembrava soddisfatto.
Io mi sentivo le guance di fuoco e ci
avrei scommesso la testa che avevo anche gli occhi lucidi.
–Allora, Granger?
Vuoi ancora negare?
-Non ho provato niente.
-Ah no? Allora perché il tuo cuore batteva
tanto forte?
Voleva sapere il perché… le lo chiedeva
pure? Il mio cuore non avrebbe mai desiderato altro.
Il mio cuore batteva proprio perché, di
tanto in tanto, lui mi regalava qualche sorriso, qualche sguardo.
–Per la
paura…
-Ho paura anche io. - disse. – E’ un
sentimento che non riesco più a gestire, ma
c’è, quindi…
-Non farlo.
-Io provo le stesse cose, ‘Mione…
-Non chiamarmi così.
Mi baciò ancora. Però, era un bacio che
chiedeva il permesso, era un bacio che voleva conferme.
Come potevo non dargliene? Certo, era
fidanzato e tutto il resto, ma… io lo amavo.
Mi allungai sulle punte e gli misi le mani
dietro al collo per avvicinarlo ancora.
Lo baciai con trasporto e mai, mai nessun
bacio prima di quello era stato bello e desiderato.
–Andrà tutto bene, te lo
prometto.
-Ho paura…
-Andrà tutto bene.- mi disse, poggiando la
fronte sulla mia.
-Draco, Hermio… oh, scusate, abbiamo
interrotto qualcosa?
-No.- disse Draco, prendendomi la mano.
–In realtà è appena cominciato
qualcosa…
Sorrisi, poi m’incamminai insieme a lui
verso Blaise, Lavanda, Ginny ed Harry.
-Comunque…-
aggiunsi. –nulla di importante, no?
-Certo.- disse
lui, con tono distaccato.
-Un bacio che
tutti avranno dimenticato.- risi istericamente.
–Chissà come ho fatto a
ricordarmene proprio io. –risi ancora.
-Tu
credi davvero che lui abbia dimenticato tutto?
-Non m'importa, adesso...
-Come non detto...
-Cosa?
-Lo ami ancora!- rimasi in silenzio.
Era arrivato il momento di fare i conti con il mio cuore.
-Andiamo?
-Sì.
-Sì.
Ci
dirigemmo verso l’auto e aprimmo le portiere
contemporaneamente e, sempre
insieme, ci sedemmo sui sedili. –Che tempismo.
-Perfetto,
Granger.
Mi
sorrise. –Lavanda come sta?
-E’ a
Milano per una sfilata.
Lavanda
era diventata una modella: era riuscita a realizzare il suo grande
sogno grazie
alle sue capacità, certo, ma anche grazie alla presenza di
Blaise che credeva
in lei ciecamente.
La
invogliava in ogni cosa che lei provava e la sosteneva quando le cose
non andavano
come desiderava… Per questo, Lavanda ci è
riuscita.
Erano
felici insieme, davvero ed io ero felice per loro.
Quando
arrivammo fuori casa mia, scesi dall’auto e Blaise mi
raggiunse. –Grazie.
–dissi.
Il
rumore di una portiera d’auto che si chiudeva mi distolse dal
discorso che mi
ero preparata a fare a Blaise.
Spostammo
lo sguardo e lo vidi.
Draco
mi guardò per un secondo che mi sembrò
interminabile, poi chiuse gli occhi e
voltò la testa verso Blaise.
Quando
li riaprii riuscii a vedere la sorpresa che li investirono: chi si
aspettava di
trovare?
-Draco,
sono subito da te.- disse Blaise, poi si tornò a guardarmi.
–Almeno a te
stessa, Herm, non mentire, ti prego.
-Ciao,
Blaise.- e salii le scale quasi di corsa.
Chiusi
la porta come se qualcuno di pericoloso mi stesse inseguendo.
E in
effetti, era proprio così: mi stavano inseguendo i ricordi e
alcuni, mi avevano
già raggiunto.
Era
un gioco troppo pericoloso, qualcosa a cui non ero ancora pronta.
Salii
in camera mia e andai in bagno per riempire la vasca, poi tornai a
stendermi
sul letto.
Il
rumore dell’acqua mi rilassava, mi impediva di pensare.
Mamma
scendeva e saliva le scale e, spesso si affacciava a guardare come
stavo. Le
sorridevo sempre.
Andai
in bagno e mi immersi nell’acqua.
Sollievo.
Un immediato sollievo mi fasciò il corpo: sentivo i muscoli
rilassarsi, allo
stesso modo del dolore fisico.
I
ricordi erano fermi lì, pronti per essere vissuti.
Ed io
volevo riviverli, senza dubbio… ma quanto avrebbe fatto male?
Spoiler
capitolo 11:
L’etichetta
metallica e dorata faceva bella mostra di sé e del nome che
c’era scritto su. H.Potter,
scritto di nero e in grassetto per la prima volta mi sembrava il nome
di un
eroe… il nome di colui che mi avrebbe aiutato.
Presi
coraggio e bussai alla porta. –Avanti.
-Potter…
-Ah,
sei tu. Prego accomodati.
Entrai
e mi sedetti. Lo fissai, mentre lui continuava a stare chino sui suoi
documenti. –Devo parlarti.
-Aspetta
cinque minuti.- disse, portando la lingua all’angolo della
bocca e chiudendola
tra le labbra.
-E’
urgente. Si tratta di…
***
Angolo Autrice:
Il
rapporto tra Blaise ed Hermione è profondo quanto quello che
c'è tra un fratello ed una sorella.
Si capiscono al volo e sanno tutto l'uno dell'altra. Harry e Ginny sono
in assoluto i migliori amici, Blaise, invece, è uno dei
migliori amici di Hermione, ma in assoluto, è il migliore
amico di Draco.
Questo capitolo, come avete visto anche quello precedente, ruota
intorno ad un flashback.
-Hermione: per un pò è spaventata per quello che
ha dovuto subire, quindi, anche in uno sguardo comprensivo le pare di
rividere lo sguardo di Henri;
-Blaise: non credo di avere molto da dire su di lui: è un
ottimo amico e conosce bene Hermione, quindi cerca di aiutarla;
-Draco: avrebbe potuto salutarla, lo so... ma credo che anche lui si
senta molto in imbarazzo e, quindi non sappia come comportarsi.
Lo spoiler: di chi si tratta secondo voi? E chi è a parlare
Risposte alle
recensioni:
OneLove4:
Sì, il rapporto che c'è tra Blaise ed Hermione
è molto curioso, ma come ho già spiegato
nell'angolo autrice, si amano come si amano un fratello ed una sorella;
grazie per la recensione, un bacio.
Rosa di
cenere: Grazie mille, duemila, tremila e continua
finchè vorrai. Sono davvero felice che la storia ti piaccia
tanto e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto allo stesso
modo del precedente. Blaise è dolcissimo, lo so *.*
Lo adoro anche io, quindi, ti capisco. Attenta con la sediolina :P se
sbatti troppo forte, va a finire che ti fai male e non riuscirai
più a lasciarmi i tuoi commenti e mi dispiacerebbe
tantissimo. Un bacio.
Axel_Twilight_93:
Sìì, sei stata bravissima: sei stata l'unica ad
aver indovinato :P Concordo pienamente con te sul fatto che Blaise sia
analizzato poco nei libri ed è per questo che ho deciso di
farlo conoscere meglio, almeno per come l'ho sempre immaginato io. Sono
felice che il capitolo ti sia piaciuto tanto e spero che questo ti sia
piaciuto altrettanto. Un bacio.
sa chan:
ti giuro, TI GIURO che arriverà il capitolo HOT. Ahaha, hai
ragione pienamente su quello che hai pensato di Cloe, anche se non ci
hai azzeccato su tutto :P
Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto tanto e sì,
Blaise, come altri personaggi, sarà molto importante per la
coppia. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto come quello
precendente. Un bacio.
dramy96123:
ecco a te il capitolo xD Cosa ne pensi? Sono davvero contenta che il
capitolo precedente ti sia piaciuto tanto e che tu lo abbia definito
"perfetto" mi lusinga tantissimo. Un bacio.
Ringrazio chi ha inserito la mia storia tra le seguite:
Ringrazio chi
ha inserito la mia storia tra le preferite:
Ringrazio chi
ha inserito la mia storia tra le ricordate:
Siete aumentate
e sono FELICISSIMA *.* Grazie per il sostegno che mi date... vi adoro.
Un bacio anche
ai lettori silenziosi.
A presto, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 11 *** Sensi di colpa... ***
Capitolo 11: Sensi
di colpa...
Draco POV
Avevo passato
la notte insonne, rigirandomi nel letto, entrando ed uscendo dallo
studio, sedendomi sul divano nel salone, andando fuori al balcone per
fumare…
Ero irrequieto,
mi sentivo come se mi mancasse qualcosa…
E non si
trattava solo di qualcosa di fisico: andava ben oltre la
fisicità.
Mi ero abituato
all’assenza di dialogo, all’assenza
di complicità e del bisogno di comprendersi,
però, da quando avevo visto Hermione tutto quello a cui mi
ero abituato, mi era sembrato banale, stupido.
Tutto quello a
cui mi ero abituato era diventato qualcosa da cui avrei
voluto fuggire: necessitavo di ritrovare la complicità di
chi si ama, il capirsi senza parlare…
Piccole cose di
cui non potevo vantarmi di avere con Cloe.
Quando
l’orologio aveva segnato le otto, mi ero sentito come
libero da un peso enorme, quindi ero andato a vestirmi con la voglia di
uscire di casa.
Ora, ero in
ufficio e continuavo a pensare.
Vidi Cho
entrare nell’ufficio e mi sorrise. –Buongiorno
commissario.
-Salve Cho.
-Qui,- disse
poggiando una cartellina azzurra sulla scrivania.- ci sono
le denunce e qui,- disse posandone un’altra, accanto al
caffé che avevo preso poco prima. –ci sono i
ritrovamenti dei vari documenti.
-Grazie.
Efficiente come sempre.
-E’
il mio lavoro, Draco.
-Sì.
Una fitta alla
testa mi investì improvvisamente, quindi
portai le mani alle tempie e le massaggiai.
-C’è
qualcosa che non va?
-Brutta nottata.
-Mi dispiace.
-Anche a me.-
dissi, guardandola e sorridendole per tranquillizzarla.
-Passerà.
-Me lo auguro.-
guardai per un po’ fuori dalla finestra,
mentre Cho si era accomodata alla parte opposta della scrivania.
–C’è Potter?
-Non ancora.
-Capisco.
-Io
vado… il lavoro chiama.
-Sempre
all’opera, eh?
-Senza di me,
le strade londinesi sarebbero piene di malviventi.
-Sei
un’ottima poliziotta.
-Grazie.
Uscì
dal mio ufficio e mi ritrovai solo. Poggiai la mano
intorno al bicchiere di caffé e con il dito ne sfioravo il
bordo.
Mi sentii
fragile, di plastica, proprio come quel bicchiere.
Lo osservavo
come fosse un’opera d’arte, poi,
d’un tratto, mi ridestai dai miei pensieri e bevvi
velocemente il caffé: si era freddato e faceva schifo.
Mi alzai e
posai il bicchiere su una mensola dell’archivio
che avevo nell’ufficio, in ricordo di questo momento della
mia vita.
Vidi per un
po’ il vetro della porta oscurarsi e mi girai a
guardarla: riuscii a distinguere una sagoma che si allontanava di
fretta, trascinata da qualcun altro.
Erano due
uomini, ne ero certo.
Aprii il
cassetto della scrivania, presi la ceneriera e la poggiai sul
bordo della finestra.
Poi, con la
sedia mi avvicinai e accesi una sigaretta.
Questa volta,
il fumo mi portò un forte bruciore allo
stomaco e alla gola.
Tossii e non
riuscivo a smettere, quindi mi alzai, aprii la
porta dell’ufficio e mi diressi alla macchinetta delle bibite.
Inserii una
moneta e digitai il numero che segnava l’acqua,
naturale, ovviamente.
Bevvi
più della metà dell’acqua e, per
il troppo impeto, avevo deformato la bottiglia.
La plastica era
davvero troppo fragile…
La plastica mi
somigliava davvero troppo.
Bevvi ancora,
fino a rimanere la bottiglia vuota, poi la strinsi e la
gettai nel contenitore lì accanto.
Mi avviai lungo
in corridoio e proseguii dritto anche dopo aver passato
il mio ufficio.
Mi fermai
qualche metro più avanti. Ci voleva
coraggio…
Si trattava di
aprire le porte al mio passato… ad un passato
che io avevo mandato via e che non ero del tutto convinto di sapere in
che modo si fosse evoluto.
L’etichetta
metallica e dorata faceva bella mostra di
sé e del nome che c’era scritto su. H.Potter,
scritto di nero e in grassetto per la prima volta mi sembrava il nome
di un eroe… il nome di colui che mi avrebbe aiutato.
Presi coraggio
e bussai alla porta. –Avanti.
-Potter…
-Ah, sei tu.
Prego accomodati.
Entrai e mi
sedetti. Lo fissai, mentre lui continuava a stare chino sui
suoi documenti. –Devo parlarti.
-Aspetta cinque
minuti.- disse, portando la lingua all’angolo
della bocca e chiudendola tra le labbra.
-E’
urgente. Si tratta di…
-Avanti,
Malfoy, parla.
Facile a dirsi:
sentivo un nodo in gola che mi impediva di parlare,
quasi a voler bloccare le mie domande. –I-io…
-Sei diventato
anche balbuziente?
Magari…
se così fosse stato, in un modo o
nell’altro, sarei riuscito a farmi capire.
Ci riprovai.
Respirai profondamente, ma mi sembrava di non aver
abbastanza fiato per continuare… eppure, sarebbe bastata una
sola parola, un solo nome. –I-io…
-Sì,
tu. Che diavolo ti prende?
Chiusi gli
occhi e li strinsi forte, cercai di concentrarmi sul dolore
che sentivo al petto per calmarlo. –Hermione. Si tratta di
Hermione.- dissi tutto d’un fiato.
-E cosa vuoi
sapere?
Sarebbe stato
più difficile del previsto: non era bastato un
nome.
O Harry era
tremendamente infame, tanto da volermi vedere strisciante
come una serpe… o, forse, mi trattava da uomo innamorato che
aveva dovuto rinunciare a ciò che realmente desiderava.
Non mi aveva
mai rinfacciato niente e questo mi bastava per
giustificare il suo comportamento. –Voglio sapere come
sta…
Mi
fissò per un po’, studiandomi.
–Bene.- rispose infine con tono distaccato.
Era una bugia.
Il mio lavoro mi aveva insegnato tante cose e questa era
una delle tante. –L’ho incontrata: Cloe ha invitato
a cena lei e suo marito.
-Che piacere,
no?
-Non prendermi
per il culo, Potter…
-Non
l’ho mai fatto.
-Io non sono
affatto cieco.
-Non lo metto
in dubbio…
-Dimmi come sta.
-L’hai
vista, no?
-Sì.
-Allora
perché lo chiedi a me?
-Perché
li ho visti quei segni.
Finalmente,
poggiò la penna sulla scrivania e
allontanò i documenti che stava studiando.
Sistemò
i gomiti sul tavolo e avvicinò le mani
alla bocca, giocando con le dita.
Era indeciso
tra il dirmi la verità o mentirmi
spudoratamente. –L’ha violentata.
Vidi i suoi
occhi riempirsi di rabbia e mi vidi riflesso anche io: i
miei occhi erano un inferno di fiamme.
Immaginai
Hermione in lacrime, costretta a fare ciò che non
voleva.
La immagino
mentre soffriva in silenzio e mentre cercava di ribellarsi.
Ecco il
perché di quello sguardo spento, ecco il
perché di quell’aura di paura che la circondava.
Mi alzai ed
uscii furioso dall’ufficio di Harry e mi diressi,
quindi, nel mio.
Infilai la
giacca e presi il cellulare. Digitai in fretta il numero ed
aspettai che qualcuno rispondesse.
Il tu-tu del
telefono mi innervosiva e stare fermo non mi aiutava a
calmarmi.
Misi il
vivavoce e iniziai a camminare per l’ufficio.
–Pronto.
-Blaise.- mi
sedetti e presi il telefono in mano, per togliere il
vivavoce e portarlo vicino all’orecchio.
-Draco…
-Sei uno
stronzo.
-Perché?
-Come hai
potuto non dirmi niente?
-A cosa sarebbe
servito dirtelo?
-Ma ti rendi
conto che quell’uomo è una bestia.
-Me ne rendo
conto perfettamente, ma sta di fatto che nessuno
può far niente, tu soprattutto, non credi?
-…
ma lei è in pericolo costante.
-Non le
importa, Draco. Non ha mai perso e non ha intenzione di farlo
adesso.
-E quindi?
-E quindi? Ci
credeva in quel matrimonio e di certo non
lascerà che segni la sua prima sconfitta.
-Ma…
che cazzo stai dicendo?
-Sto dicendo
che lei è così e tu la conosci:
sarà disposta a fingere di stare bene pur di non ammettere a
sé stessa che il suo matrimonio è finito e che
è tutto inutile, che non c’è
più niente da salvare.
Aveva ragione:
non si sarebbe arresa. Avrebbe continuato a provare,
fino a non essere più sé stessa. -Dobbiamo fare
qualcosa.
-Sto cercando
di farle ricordare i tempi in cui era felice…
non posso altro, mi dispiace.
-Faglieli
rivivere.
-Draco,
Hermione era felice con te…- rimase in silenzio, in
attesa di una risposta. Cosa potevo dirgli? –Scusami, devo
andare.
-Sì,
sì. Ciao.
Guardai il
bicchiere di plastica che poco prima avevo appoggiato sulla
mensola e sorrisi beffardo: ora, mi sentivo ancora più
fragile.
Non riuscivo a
credere che un uomo qualsiasi avesse potuto infangare la
sacralità del corpo di Hermione, che l’avesse
potuta distruggere stringendola appena.
Lei, per me,
era di cristallo e non mi sarei mai perdonato tutto il
dolore che le avevo procurato quando eravamo stati insieme.
Ma un modo per
rimediare l’avrei trovato: doveva capire,
doveva aprire gli occhi.
Lei non
meritava un uomo simile… anzi, era lui a non
meritare lei.
Lei che era
così bella, così dolce…
lei che era perfetta ed unica in ogni movimento… non poteva
essere un giocattolo.
Mi alzai e
uscii dal commissariato.
Entrai in auto
con in testa mille dubbi, ma sapevo che niente mi
avrebbe fermato.
Forse, stavo
sbagliando… poco importava.
Avevo deciso di
perderla, a patto che provasse ad essere felice con
qualcun altro, non che si rovinasse la vita.
I sensi di
colpa mi travolsero in meno di un secondo e sentii lo
stomaco contorcersi.
Il vuoto che
avevo nel petto aumentò a dismisura nel giro di
pochi attimi: se Hermione stava vivendo quella situazione era solo per
colpa mia.
Per colpa della
mia codardia, per colpa della mia paura…
Dovevo porre
fine a tutto il dolore che stava provando, anche se non
ero certo che lei lo volesse.
Se mai
l’avessi rincontrata e, se mai le avessi parlato di
quello che pensavo, avrebbe potuto perfettamente sbattermi la porta in
faccia o mandato a quel paese.
Mi avrebbe
chiesto se mi sembrava questo il modo di entrare nella sua
vita, mi avrebbe chiesto perché non mi fossi ricordato prima
di lei.
Il problema era
uno, anzi due: il primo era che io non avevo smesso un
attimo di ricordarla;
il secondo era
che lei era entrata di nuovo nella mia vita nel momento
in cui aveva varcato la soglia di casa mia.
E’
stata un uragano, una ventata di aria fresca e pulita.
Mi ridestai dai
miei pensieri e partii.
Una volta in
strada, mi sembrò che le vie di Londra non
fossero mai state tanto trafficate come in questo momento.
Accesi una
sigaretta e svoltai l’angolo.
Il traffico,
anche qui, era intenso e fastidioso: rallentava il mio ego
da buon samaritano e faceva crescere a dismisura i miei sensi di colpa.
Parcheggiai
poco più avanti, poi lasciai l’auto.
Ero lontano da
casa, ma cosa poteva qualche chilometro da fare a piedi,
confronto alla distanza che mi aveva impedito di conoscere la
realtà dei giorni che Hermione aveva vissuto senza di me?
Cominciai ad
accelerare il passo, fino a correre.
Svuotai la
mente da tutto e mi fermai di fronte una porta di mogano
scuro.
Guardai per un
po’ il legno che mi divideva da quello che
avevo sempre temuto: sarebbe stato un viaggio senza ritorno dopo il
quale non mi sarei sentito più parte della vita che avevo
deciso di vivere.
Bussai al
campanello e attesi che qualcuno mi aprisse, quindi mi voltai
di spalle.
-Prego?
Avrei
riconosciuto quella voce tra altre mille. Mi girai per
guardarla.
Arrossì
leggermente e ancora una volta gli occhi le si
riempirono di paura. Avrei voluto abbracciarla, avrei voluto baciarla e
dirle che sarebbe andato tutto bene.
Ingoiai il nodo
che avevo in gola e cercai di assumere un tono
autorevole o, almeno, neutro. -Cercavo la signora Meredith Granger.
E’ in casa?
-Sì.-
mi lasciò entrare, senza dire niente.
Quando le
passai accanto e sentii il suo profumo, tutto il desiderio
che avevo di baciarla mi attraversò il corpo e senza che
potessi controllarmi mi ritrovai con gli occhi nei suoi.
***
Angolo
Autrice:
Eccomi qui con il nuovo
capitolo.
-Draco: non lo
immaginate dannatamente sexy con la divisa da
poliziotto? Io sì. *.* Proprio per questo, ho deciso di
fargli fare questo lavoro, insieme a Potter ovviamente. In questo
capitolo Draco è investito dai sensi di colpa:
crede che Hermione abbia sposato l'uomo sbagliato per colpa sua e,
diciamocela tutta, non ha tutti i torti a pensarla così;
-Harry: avrebbe
potuto evitare di dirglielo, vero? NO. E' vero che
è amico di Hermione, ma sa bene quali sono i sentimenti di
Draco nei suoi confronti;
-Blaise: lui
sì che avrebbe potuto dirglielo... ma credete
sia bello vedere il migliore amico che si logora nei sensi di colpa per
quello che ha fatto e perchè ora non può
rimediare? Quindi, credo che Blaise abbia preferito tacere proprio per
questo.
Lo spoiler: non
c'è XD. Perchè? Per due motivi:
1) voglio lasciarvi volare taaanto con la fantastia;
2) Il prossimo
capitolo non è ancora stato
"programmato" XD
Risposte
alle recensioni:
OneLove4:
esatto! Gli unici che chiamano per cognome Harry sono i serpeverde ;P
No, la McGranitt non c'è... diciamo che è passata
a miglior vita xD A presto.
Rosa di cenere:
mi fai sbellicare dalle risate, credimi XD No, non hai detto nessuna
cavolata, visto? Anche io adoro Blaise: è unico! Spero che
anche questo capitolo ti sia piaciuto e grazie come sempre per i
complimenti che mi fai: mi rendi felicissima. Un bacio;
dramy96123:
Sì, mi hai già detto che adori Blaise... anche io
*.* Perdonamiiii, non volevo farti venire voglia di un
frappè al cioccolato... Scusa -.-' Mi fa piacere che il
capitolo ti sia piaciuto tanto, davvero e... mi dispiace per te, ma
Henry non affogherà neanche in un fiume di veleno. Di certo
non sarà trattato con i guanti :@ Un bacio;
sa chan: no,
continuare la frase NO! Muahuahuah. BASTA! Cloe la rivedrai presto, non
temere ed abbi solo un pò di pazienza xD L'altra fic, da
come hai potuto vedere, l'ho aggiornata e ti ringrazio anche per il
commento. Mi fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto. A presto;
MissChanel:
ma nooo che non voglio ucciderti... come farei se tu non commentassi
più questa storia? Ci hai azzeccato che Cloe è la
moglie di Draco e come vedi ti ho postato il capitolo, sei contenta? Un
bacio;
Axel_Twilight_92:
grazieee. Sì, anche io credo che comportarsi come se tra
loro non ci fosse più niente sarebbe stata al quanto....
strano. Quindi, proprio per questo ho deciso di non farli salutare...
ecco a te il prossimo capitolo :P Un bacio.
Ringrazio
chi ha inserito la mia storia tra le seguite:
Ringrazio
chi ha inserito la mia storia tra le preferite:
.
Ringrazio chi
ha inserito la mia storia tra le ricordate:
|
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Capitolo 12 *** Sarebbe stato meglio se... ***
Capitolo 12:
Sarebbe stato meglio se...
Hermione POV
Mi
sentii da
subito inadeguata:
sia per l'abbigliamento, sia per tutto ciò che ero...
Draco si era girato di scatto e mi aveva spaventata: aveva poggiato una
mano al muro all’altezza della mia spalla, mente con
l’altra mi accarezzava la guancia.
Era di fronte a
me, a pochissimi centimetri dalle mie labbra.
Vidi la sua
mascella contrarsi, segno che stava ingoiando e che si stava
trattenendo dal fare qualcosa.
-Hermione, chi
è?- la voce di mamma ci raggiunse prima della sua figura,
quindi Draco si allontanò da me e fissò le scale.
-Signora
Granger, ho bisogno di parlare con lei.
-E’
successo qualcosa?
-Solo
un… è una questione delicata, gradirei parlarne
in privato.- disse, guardandomi per un solo secondo.
Ero rimasta in
apnea, con lo sguardo fisso sul suo viso: serio, tirato, arrabbiato.
Ancora non
avevo ripreso a respirare, ma sentivo il bisogno di ascoltare la sua
voce. –Posso essere presente?
-Mi
dispiace…
-E’
mia figlia, può assistere.
-Perfetto.
-Prego, si
accomodi.- disse mamma, indicandogli la cucina.
Lo seguii e
ascoltai i suoi passi, come se dovessi farmi condurre e come se fosse
giusto farmi incantare da quel rumore.
Arrivati in
cucina, si voltò un attimo a guardarmi, la durata di un
battito di ciglia, poi si sedette.
Affiancai
mamma, appoggiata al ripiano della cucina.
-Signora,
abbiamo trovato il medico che ha effettuato la diagnosi di suo marito
al pronto soccorso.
-Mio marito
è morto, signor Malfoy…
-E nessuno
potrà farlo tornare in vita, ma deve essere fatta giustizia:
suo marito non sarebbe morto se gli infermieri e i medici fossero stati
più attenti.
Tornò
a guardarmi e, con un cenno del capo, indicò i miei polsi.
Li coprii,
abbassando le maniche e mi nascosi dietro i capelli che scendevano
sulle spalle.
-Signor Malfoy,
la ringrazio per l’interessamento, ma non mi pare il
caso… la legge non è mai stata dalla parte di chi
non ha una posizione. Adesso, mi scusi, ma devo tornare a lavoro.
Arrivederci.- gli porse la mano e lui la strinse con gentilezza.
Quando mamma fu
fuori, il silenzio che c’era in cucina sembrava essere sul
punto di spezzarsi.
Respirai
profondamente e cercai di rilassarmi. –Cosa sono quei lividi?
-Seguirò
io la causa di papà.
-Non cambiare
discorso.
-Non credo
t’importi e, comunque, la causa di mio padre è
molto più importante.
-Quant’è
che va avanti questa storia?
-E’
la mia vita, quindi, stanne fuori. Piuttosto, dimmi cosa devo fare.
-Mandalo via.
-Parlo della
causa.
-Devi solo
venire in commissariato e leggere le denunce, le varie
pratiche… giusto per informarti un po’.
-Perfetto.
-Non meriti di
essere trattata così.
Guardai
l’orologio… dovevo staccare il mio sguardo da lui.
–Credo sia meglio che tu vada.
Avrei voluto
che rimanesse, ma poi? A cosa saremo arrivati?
Sarebbe stato
meglio se fosse andato via, se non fosse mai entrato in questa casa.
Sarebbe stato
meglio se il mio cuore si fosse riabituato ad essere presente in rare
occasioni, come del resto aveva fatto per anni. Il punto era che, da
quando l’avevo rivisto, il mio cuore aveva ripreso a battere.
-Tu vuoi che me
ne vada?
-Sì.
-Guardami negli
occhi.
Avevo imparato
a mentire in tanti anni e non mi sarebbe risultato difficile farlo
ancora, quindi alzai la testa, per fissarlo negli occhi.
–I-io…
No, con Draco
ancora non ero capace di mentire.
Ancora una
volta, ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio. Ancora una
volta, vidi la sua mascella contrarsi e, ancora una volta, sentii la
sua mano che mi sfiorava il viso.
Una carezza
delicata, sottile, unica… che non aveva secondi fini.
Forse…
-Chiedimi di
restare.
-Va via.
Un
macigno… ecco cos’erano quelle parole.
-Accompagnami
alla porta, allora…
Gli feci strada
lungo il piccolo corridoio, ma lui mi fermò afferrandomi
delicatamente per i polsi.
Alzò
le maniche della maglia e guardò i segni che
c’erano ancora sulla mia pelle, poi portò le mani
alla bocca e le baciò, fino ad arrivare ai polsi.
Quando ci
passò su le labbra, i graffi presero un po’ a
bruciare, ma era un dolore piacevole, dolce.
Chiusi per un
attimo gli occhi e, quando li riaprii, le sue labbra erano a pochissimi
millimetri dalle mie.
Tremai: sentii
i battiti del cuore accelerare tanto da riempirmi le orecchie, lo
stomaco contorcersi e la ragione venir meno.
Non poteva
farmi ancora quest’effetto…
Cercai di
distrarmi, ma Draco Malfoy sarebbe stato sempre il mio punto debole.
Richiamai tutta
la mia forza di volontà e quel pizzico di
lucidità che ancora avevo a disposizione, quindi, ripensai
ad Henri.
Un conato di
vomito mi riempii la bocca di un sapore acido e lo rimandai
giù, poi, tornai a guardare Draco. –La porta
è lì… se non mi lasci, credo che non
ci arriveremo mai.
-Vuoi davvero
che vada via?
-Sì.-
avevo lo sguardo fisso sul pavimento e non riuscii a vedere
l’espressione che si era disegnata sul suo viso.
La mia potevo
immaginarla. Mi sentivo la brutta copia di una maschera veneziana:
avevo le labbra tirate su un lato, per trovare la forza di non piangere
e gli occhi serrati per non lasciare alle lacrime via libera.
Sentivo un
vuoto al petto e sapevo che sarebbe diventato una voragine, non appena
Draco sarebbe andato via.
S’incamminò
alla porta senza aspettarmi, quindi, mi spostò e mi
appoggiò delicatamente al muro.
Avere le sue
mani addosso era un’emozione che, con il tempo, non avevo
più provato, ma che emanava il suo ricordo ogni volta che
pensavo a lui… e riprovarla era un po’ come
infrangere il giuramento che avevo fatto a me stessa anni fa: Draco
Malfoy non sarebbe stato più capace di farmi sentire viva.
Uno stupido,
insensato giuramento fatto in un momento di rabbia, nel momento in cui
mi ero sentita sola più che mai.
-Ti aspetto
dopodomani al commissariato. Capisco che tu non voglia avere niente a
che fare con me, quindi, darò le pratiche a Potter e te le
sbrigherai con lui.
In quel preciso
istante, il mio cellulare iniziò a squillare. Lo presi
velocemente dalla tasca e risposi. –Pronto?
Era Henri.
Mi
bastò sentire la sua voce per tremare come se fossi una
foglia al vento.
Tremavo
dall’interno del corpo e, quindi, lasciai cadere il cellulare
sul pavimento.
Draco mi
guardò e vidi i suoi occhi spalancarsi e prendere
consapevolezza: non era certa che lui sapesse, ma non
m’importava.
In quel
momento, avrei solo voluto chiudermi in una stanza e non uscirne
più o, magari, rendermi invisibile.
-Cosa succede?
-Sta venendo
qui.- dissi.
Tremai ancora
più forte al ricordo di quello che era successo
l’ultima volta che Henri aveva messo piede in casa.
Cominciai a
piangere e mi coprii gli occhi con le mani.
Sentii Draco
avvicinarsi e mi strinse forte. –Non avere paura…
-Come faccio?
-Denuncialo.
-Come faccio?-
continuavo a ripetere a me stessa.
Era una
richiesta disperata di aiuto più che una domanda: da sola e,
forse, anche con l’appoggio di qualcuno, non sarei stata
capace di far niente.
Henri mi teneva
in pugno.
Solo qualcuno
dall’esterno avrebbe potuto salvarmi.
–Andrà tutto bene… qui con te ci sono
io.- una promessa.
La porta di
casa si spalancò e l’odore pungente di Henri
riuscì, anche da lontano, a perforarmi i sensi e ad
inquinarmi i polmoni.
Mi appoggiai
con più forza al corpo di Draco e porta le mani al petto,
stringendo la sua divisa all’altezza del petto.
-Puttana.-
disse Henri con un filo di voce, ma istintivamente portai le mani alle
orecchie: non volevo sentire. Quello che in realtà era un
sussurro, a me era sembrato un grido fortissimo accompagnato da
un’eco troppo amplificata.
-Henri, ti
prego di uscire da questa casa.- disse Draco con tono gentile, ma che
di certo non nascondeva il carattere di minaccia che aveva quella
richiesta.
-Zitto stronzo.
-Modera i
termini. Ti ripeto di lasciare questa casa.
-Hai mai
assaggiato il sangue, stronzo?
Si stava
mettendo male: avrei voluto fuggire.
Mi raggomitolai
in un angolo, le mani sempre alle orecchie e gli occhi serrati.
-Vuoi prendermi
a pugni?
-Mi pare il
minimo…
-Dai, fallo.
-Credi che
indossare una divisa ti renda più forte?
-Affatto.
-Gli uomini non
sono quelli come te.
-Neanche quelli
come te.
Sentii il suono
di pugno e aprii gli occhi: Draco aveva il capo rivolto verso il muro,
mentre Henri si massaggiava la mano.
Un altro pugno.
–Basta! Basta.- Urlai, in preda ad una crisi.
Mi alzai e mi
diressi a passi veloci verso Henri e lo spintonai. –Stronza.
-Vattene.
Vattene via… Sei un bastardo.- Mi diede uno schiaffo, ma il
dolore non riuscì a fermarmi, anzi… mi
servì per lasciar libero sfogo alla mia rabbia.
–Esci fuori da questa casa.
-Come ti
permet…
-Immediatamente.
Non voglio vederti mai più, stronzo.
-Non sfidarmi:
sei quello che sei grazie a me.
-No, io sono
quello che sono grazie a me. Tu non hai mai fatto niente per me.
-Ah no?
-No. Credi che
qualche regalo, di tanto in tanto, mi abbia spinto a diventare avvocato?
-Qualche
regalo? Ti ho vestito da capo a piedi.
-E allora? Sai
una cosa?- dissi, correndo in camera mia.
Arrivata in
camera, chiusi la porta, presi la valigia e l’aprii, poi
aprii l’armadio e lo svuotai.
Riempii la
valigia di tutti gli abiti che avevo portato a Londra, senza neanche
preoccuparmi di sistemarli.
Svuotai anche i
cassetti, poi tornai in salone, trascinando la valigia ancora
mezz’aperta.
-Cosa? Cosa
devo sapere?
-Riprenditeli i
tuoi regali. Riprenditi tutto quello che mi hai dato.- lo colpii con un
calcio tra le gambe e lo vidi piegarsi. Gli tirai i capelli e lo colpii
con tutta la forza che avevo. –Tutto. Sarebbe stato meglio se
non ti avessi mai conosciuto, se non fossi mai entrata nella tua vita,
se non ti avessi mai dato modo di intralciare il mio cammino.
-Solo questo?-
disse, alzandosi e guardandomi negli occhi.
-No. Riprenditi
anche gli insulti che mi hai fatto.- gli sputai in faccia con tutto il
disprezzo che provavo verso di lui, poi lo spinsi fuori di casa,
buttandogli la valigia ai piedi. –E smettila di dire che sono
io a non poter avere figli: prenditela con te e con la tua impotenza,
perdente!- chiusi la porta, sbattendola forte.
Mi sedetti sul
divano e cominciai a piangere.
Mi sentivo
libera da ogni angoscia, da ogni paura…
Qualcuno mi
accarezzò le spalle e quasi urlai dallo spavento, quindi mi
voltai a guardare chi fosse.
Draco…
avevo dimenticato che fosse lì.
Lo abbracciai
forte e lui mi accarezzò i capelli per tutto il tempo.
Quando riuscii
a calmarmi, quando i singhiozzi non mi impedirono più di
parlare, presi un respiro profondo e guardai Draco. Gli passai un dito
all’angolo della bocca, dove il sangue si stava raggrumando.
-Cavoli se ci
dai dentro!
Sorrisi.
–Mi… mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a
questo… schifo.
-Sei forte,
Granger!- sorrise a sua volta, poi con il pollice e l’indice
mi catturò il polso per fissare i suoi occhi nei miei.
Ora, la voglia
di baciarlo era più forte che mai e mi avvicinai a lui. Nel
frattempo, la mia mano si era aperta e lui ci aveva appoggiato su prima
le labbra, poi la guancia.
Chiusi gli
occhi per un solo istante. –Va via, Draco.
Mi
lasciò il viso e mi baciò dolcemente la fronte,
sistemandomi i capelli sulle spalle.
Si
alzò dal divano e andò via, chiudendo la porta.
Ero rimasta
sola: avevo perso Henri perché l’avevo
voluto…e avevo perso di nuovo Draco, perché
l’aveva voluto il destino.
Ma chi
l’avrebbe spiegato al mio cuore?
Spoiler capitolo 13:
Continuai a fissare il
vuoto, come se non esistesse cosa più interessante, poi il
cellulare iniziò a suonare. -Pronto?
-Hermione, ciao, sono Cloe.
Per un attimo, trattenni il respiro. -Dimmi.
-Potresti farmi un piacere?
-Certo.
-Natan ha la febbre ed io ho urgente bisogno di uscire. Draco non
c'è e allora mi chiedevo se potresti...
-Certo.- non le lasciai terminare la frase.
Sapevo che ero sul un punto di non ritorno, ma in fondo, era mai stato
diversamente? No, fingevo solo di essere andata via dal passato.
Forse, ogni passo verso Draco era un errore, ma era stato anche un
errore scappare via da lui.
Presi la borsa e uscii di casa.
Quando mi trovai di fronte casa Malfoy, mi fermai ed osservai
la porta: era di legno scuro a doppi battenti. Negli angoli in alto
c'erano due vetri su cui erano disegnati dei rami, negli angoli in
basso erano disegnati, sempre con il legno massiccio, dei fiori.
Nulla di quella casa rispecchiava Draco,a parte la stanza di Natan.
Mi sistemai la giacca e bussai al campanello.
***
Angolo
Autrice
Eccomi
qui! Chiedo ancora una volta scusa per non aver lasciato lo spoiler nel
prossimo capitolo... ma spero che mi perdoniate *.*
Questo capitolo è stato un pò difficile da
scrivere... A dire la verità avevo tante tante parole da far
dire ad Henri, ma non volevo rovinare la femminilità di
Hermione quando c'era anche Draco, anche se... BRAVA HERMIONE!
-Hermione: contente? Si è svegliata e si è data
una mossa;
-Meredith: cercate di capire il suo rifiuto all'aiuto di Draco... si
sente sconfitta per la morte del marito e spesso dimentica che Hermione
è un avvocato;
-Draco: non trovate sia meraviglioso il discorso tra i due? A me
è piaciuto tantissimo il suo personaggio in questo capitolo,
perchè ha esposto i due lati del suo carattere;
-Henri: ha ricevuto una piccola parte di ciò che si
meritava, no? Chissà che fine farà...
Lo spoiler: non dice niente di che, lo so, ma
perdonatemi xD Il capitolo è scritto solo a
metà...
Risposte
alle recensioni:
sa chan: Ecco a te il capitolo. Spero
che il forcone non sia già pronto. Mi fa davvero piacere che
lo scorso capitolo ti sia piaciuto tanto *.* e comunque sì,
quella faccina è stupenda. Un bacio;
Rosa
di cenere: Ahaha, la tua recensione mi ha
fatto morire dalle risate. Lo so che sono stata bastardissima a
interrompere li il capitolo, ma un pò di suspence ci vuole,
no? Ti ringrazio come sempre per tutti i complimenti che mi fai: mi
rendi felice. Mi fa piacerissimo che i capitoli ti piacciano
tanto *.*. Un bacio;
banvany:
Benvenuta! Sono
davvero felice che la storia ti piaccia e che non risulti banale.
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e spero di
doverti ringraziare anche nel prossimo capitolo. Un bacio;
Axel_Twilight_93: Eccoci qui! Chiedo scusa anche
a te per aver interrotto il capitolo precendente in quel modo, ma spero
che mi abbia perdonata ^^. Un bacio;
OneLove4: Eh
sì, lasciarvi senza spoiler è stata un
pò una cattiveria. Spero che questo capitolo ti sia
piaciuto, un bacio;
dramy96123:
Ahahah, mi spaventi con i tuoi istinti omicidi, ma, mi dispiace
deluderti, Henri non morirà di Crociatus XD. Mi fa piacere
che tu abbia trovato il frappè e mi dispiace averti fatto
venire lo sfizio nel momento in cui non potevi uscire di casa. Ecco a
te il capitolo. Un bacio;
Gin92: Ecco
a te il capitolo. Mi fa davvero piacere che ti abbia sorpresa la
presenza di Draco... da come hai potuto vedere in questo
capitolo,Hermione ha capito che non c'è niente da salvare
con Henri... Per quanto riguarda Cloe, hai già
detto che è una domanda che troverà risposta nei
prossimi capitoli, ma posso confermarti che lei sapeva di Hermione.
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e chiedo scusa anche a te per
quanto riguarda lo spoiler. Un bacio.
Ringrazio
per aver inserito la mia storia tra le seguite:
Siete
aumentati ancora, grazieee!
Davvero, senza di voi e i vostri commenti la storia non andrebbe avanti
e sono felice che molte persone seguano questa mia pazzia. Vi ringrazio
infinitamente.
Ringrazio anche i lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 13 *** Natan... ***
Capitolo 13:
Natan...
Hermione
POV
Salii in
camera,
senza neanche concedermi il tempo di realizzare ciò che era
successo.
Chiusi la
porta,
come se volessi difendermi da qualcosa che in realtà non
esisteva: era solo la mia
ossessione di persecuzione, la mia paura che Henri tornasse da un
momento
all’altro.
Mi appisolai un
po’ sul letto, ma ci rinunciai quando mi resi conto che, ogni
volta che
chiudevo gli occhi, Draco era lì.
Mi sentivo
devastata al pensiero che era stato così facile lasciarlo
entrare di nuovo
nella mia vita, anche se continuavo a non volerlo ammettere: Draco
c’era, anzi,
non era mai andato via.
Ero in uno
stato
di sonnolenza, ma riuscivo a distinguere bene i rumori che mi
circondavano: le
auto, le signore che parlavano, i bambini che giocavano, il mio
cellulare che
squillava... il mio cellulare!
Sobbalzai. Ero
talmente assente a me stessa che parlavo di me in terza persona e
neanche mi
rendevo conto di quello che succedeva intorno.
Mi sentivo come
se passassi i miei giorni in una bolla di sapone che era scoppiata
grazie ad
Henri, certo, ma che si ricostruiva immediatamente dopo
l’esplosione.
Mi alzai dal
letto ed andai in salone dove avevo lasciato il cellulare, ma quando lo
raccolsi dal pavimento, aveva già smesso di squillare,
quindi, lo appoggiai sul
cuscino del divano e mi sedetti anche io.
Aspettai che
suonasse ancora.
Continuai
a fissare il vuoto, come se non esistesse cosa più
interessante, poi il
cellulare iniziò a suonare. -Pronto?
-Hermione, ciao, sono Cloe.
Per un attimo, trattenni il respiro. -Dimmi.
-Potresti farmi un piacere?
-Certo.
-Natan ha la febbre ed io ho urgente bisogno di uscire. Draco non
c'è e allora
mi chiedevo se potresti...
-Certo.- non le lasciai terminare la frase.
Sapevo che ero sul un punto di non ritorno, ma in fondo, era mai stato
diversamente? No, fingevo solo di essere andata via dal passato.
Forse, ogni passo verso Draco era un errore, ma era stato anche un
errore
scappare via da lui.
Presi la borsa e uscii di casa.
Quando mi trovai di fronte casa Malfoy, mi fermai ed osservai la porta:
era di
legno scuro a doppi battenti. Negli angoli in alto c'erano due vetri su
cui
erano disegnati dei rami, negli angoli in basso erano disegnati, sempre
con il
legno massiccio, dei fiori.
Nulla di quella casa rispecchiava Draco,a parte la stanza di Natan.
Mi sistemai la giacca e bussai al campanello.
Cloe aprì la
porta e mi sorrise raggiante. –Grazie.- mi baciò
una guancia, stringendomi.
–Vieni, entra.
-Sì.
-Allora, qui c’è
tutto l’occorrente: aerosol, antibiotici. Dubito che tu
sappia qualcosa in
materia, ma ai bambini l’antibiotico va dato in base al peso.
Ma come si
permetteva? Era vero che io non ero ancora mamma, ma non significava
certo che
fossi incompetente. –Lo so, Cloe.
-E qui,- mi porse
un sacchetto. –ci sono i vari misurini.
-Bene.
-Ora vado, ci
vediamo tra un po’. Spero di trovarti ancora nel pieno delle
tue facoltà: Natan
è un diavolo.
Sorrisi, senza
risponderle. Come si poteva paragonare un bambino ad un diavolo? Ogni
bambino,
anche se irrequieto è un angelo, un dono di Dio…
Quando Cloe uscì
di casa, mi diressi in camera di Natan. –Ciao.- disse,
scoprendosi velocemente
dalle coperte e saltandomi al collo.
-Ciao piccolo.
Come ti senti?
-Un po’ giù.
-Allora, mettiamoci
a letto e giochiamo, d’accordo?
-Sìì.
Mi sedetti di
fronte a lui, all’angolo destro del letto per non occupare
troppo spazio e per
non impedirgli i movimenti.
Raccolsi qualche
giocattolo e lo imitai mentre muoveva i vari personaggi.
Squillò ancora il
cellulare, quindi mi alzai per prendere la borsa. –Scusami un
attimo.- Andai
nel corridoio e risposi. –Pronto?
-Spiegami un po’…
da quando ti hanno privato delle mani?
-Perché?
-Non mi hai
chiamata più!
-Emh… scusami. Ho
la testa altrove.
-Io credo che tu
non ce l’abbia proprio.
-In effetti.
-Vengo a
prenderti e andiamo a prendere un caffé.
-Non posso.
-Come mai?
-Ho il bimbo con
la febbre.
-Sei diventata
madre e non lo sapevo?
-Non è mio
figlio…
-E di chi,
allora?
-Draco.
Sprofondai
nell’istante in cui Ginny mi regalò il suo
silenzio e ripensai alle parole che
avevo detto: volevo bene a Natan come se fosse mio figlio
perché desideravo che
fosse tale.
Desideravo
sentirlo mio, rimboccargli le coperte e coccolarlo quando stava
male…
-Draco?- mi
chiese dopo una lunga pausa.
-Sì.
-Mi sono persa
qualcosa, vero?
-Un bel po’ di
cose, direi…
-Dovrai
raccontarmi tutto, quindi non dimenticare i particolari. Ora, torna dal
bimbo…
ci sentiamo.
-Sì, ciao.-
tornai in camera e mi sedetti accanto a Natan. –Eccomi.
-Era il tuo
fidanzato? Sai che mi è antipatico?
-No, non era il
mio fidanzato… e comunque…
-E’ così brutto:
è tutto nero.
Risi. In effetti,
Henri era scuro di carnagione ed anche i capelli erano scuri.
–D’accordo, non
ti piace e ti perdono.
-Tu, invece, sei
così bella.
-Grazie, che
gentiluomo.
-Sei anche più
bella di mamma, perché tu sei dolce.
E questo cosa
significava? –Natan, è meglio…
-Lei non gioca
mai con me, è sempre sul divano a guardare la televisione,
oppure esce: dice
che va a lavorare, ma lei non lavora.
-E tu che ne sai?
-Lo dice sempre
papà quando litigano. Anche se mi copro le orecchie con le
mani, li sento lo stesso.
-Cosa le dice,
Natan?
-Dice “Credi che
andare dall’estetista sia un lavoro?” e lei ride.
-Ascoltami…
Ma non mi
ascoltò, anzi, si accoccolò sul mio seno e
continuò a parlare. –Papà vorrebbe
solo che mamma gli preparasse il caffé, che mangiassero
insieme, che si
ricordasse di venirmi a prendere a scuola e che…
-La mamma è solo
stressata.
-Ma non fa
niente, non fa mai niente lei.
Guardai l’orologio
e notai che erano le 12, 04. –Hai fame?
-Tantissima.
-Allora, cosa
vuoi mangiare?
-Le patatine.
-Non puoi,
tesoro: fanno male al pancino.- dissi, solleticandolo.
Era bellissimo
quando rideva: somigliava a Draco e non mi sarei mai stancata di
sentire il
suono della sua risata.
Una risata
cristallina, pura, vera. –Va bene…- disse tornando
serio. –Allora… voglio
quella cosa arancione.
-Cos’è quella
cosa arancione, Natan?
-Quella cosa… è
rotonda.
-La zucca?
-Si, la zucca.
-Resta qui, chè
vado in cucina a prepararla.
-Tu mangi con me,
vero?- fece gli occhi da cucciolo, anche se non dovette sforzarsi
troppo.
-Va bene.
Sorrisi. Non
c’era alcun dubbio: Draco aveva messo al mondo un
sé stesso in miniatura,
perfetto in ogni dettaglio, tranne nel colore degli occhi.
Un piccolo
particolare, irrilevante… per il resto, quel bambino era
tutto suo padre.
Una volta in
cucina, aprii il frigorifero per controllare che ci fosse la zucca,
quindi
cominciai a tagliarla e a lavarla, poi la sistemai nella pentola e la
misi a
cuocere.
Mi sentivo in
imbarazzo a dover aprire i mobili di una casa che non era la mia, ma
non avevo
altra scelta.
Soprattutto
perché, altrimenti, Natan sarebbe rimasto digiuno.
-Hermione.
Hermione.
Tornai nella sua
camera per vedere cos’era successo. – Natan?- dissi
preoccupata per il tono di
voce con cui mi aveva chiamata.
-Questo è il mio
cartone preferito, vuoi guardarlo con me?- Mi sedetti ai piedi del
letto e lui
mi accarezzò uno spalla. –Vicino a me…
Come poteva un
bambino così dolce essere definito
“diavolo” da sua madre?
Non me ne
capacitavo.
Mi alzai e mi
sistemai di fianco a lui, in modo da lasciargli quanto più
spazio possibile e
lui mi coprì le braccia con un po’ della sua
coperta, poi, prese una ciocca dei
miei capelli e cominciò ad avvolgerla attorno
all’indice.
Lo osservavo:
aveva la bocca distesa in un leggero sorriso e gli occhi arrossati
dalla
febbre, ma sereni.
Mi guardò negli
occhi e sorrise.
Gli accarezzai i
capelli, poi mi scusai ed andai a controllare la zucca.
Era cotta, ma
odiavo sentirne la consistenza in bocca, quindi frugai nei vari
cassetti e,
dopo aver trovato il mixer pimer, lo immersi nella pentola e passai la
zucca
fino a farla diventare una crema.
Mi sentii tirare
la maglia e mi voltai. –Questa.- Natan mi stava porgendo un
barattolo
contenente della pasta.
-Va bene. Ora
però torna a letto…
-Ho messo la
vestaglia come papà, così non ho freddo e posso
stare qui.
Presi il
barattolo dalle manine di Natan e pesai la pasta, quindi, la versai
nella
pentola, mente lui andò a stendersi sul divano.
Apparecchiai la
tavola in totale disagio, girando, di tanto in tanto, il contenuto
della
pentola.
Quando fu pronto,
con il mestolo misi la pasta nei piatti e li portai a tavola.
–Natan, è pronto.
Si sedette a
tavola e sistemò il tovagliolo intorno al collo. Poi, mi
sorrise e ingoiò il
primo boccone. –E’ buonissima.- disse,
sputacchiando qui e lì.
-Sono felice.
-E’ buona perché
non ci sono i pezzi: a me mi fanno schifo!
Sorrisi: un altro
particolare che aveva ereditato da Draco, “ a me
mi…” lo diceva sempre anche
lui, anche se sapeva che era grammaticalmente sbagliato. –Non
si dice “mi fa
schifo”, Natan.- lo rimproverai bonariamente.
-Scusa. Ma lo sai
che anche quando mi sgridi sei più brava di mamma?
Non risposi e
aspettai che finisse di mangiare. –Vuoi qualche altra cosa?
-No.- si
massaggiò la pancia in segno che era sazio.
Mi alzai e versai
nel misurino 5 ml di antibiotico: faceva venire il vomito
già dall’odore.
Mi avvicinai
comunque a Natan. –Sei pronto?
-Non mi piace.
-Lo so, ma se
vuoi che la gola non bruci più, devi prenderlo.
-Ma puzza.
-Facciamo un
patto: tu bevi l’antibiotico…
-…e tu mi compri
un gelato?
-No, farò di più:
appena starai bene, ti porterò al luna park.
-Affare fatto!-
disse, stringendomi la mano come se fosse un uomo adulto.
Sorrisi e riuscii
a sentire il disgusto che provava lui mentre ingoiava
l’antibiotico: riuscii a
capire dall’espressioni che si susseguirono sul suo viso ogni
sapore che aveva
sentito.
E non mi
meravigliai di questo: il mio lavoro, per la maggior parte del tempo,
comportava lo studio delle espressioni e degli atteggiamenti che le
persone
assumevano. –Ora, però, fila a letto, giovanotto.
-Sì, ho pure
sonno. Mi fai compagnia?
-Va bene.
Aspettai che
Natan si sistemasse, poi mi sedetti accanto a lui.
Mi prese
l’orecchio e cominciò a massaggiarlo e pochi
minuti dopo, mi ritrovai a
fissarlo mentre dormiva beato.
Ripensai a tutto
quello che mi aveva detto poco prima, a quanto Draco soffrisse per
l’assenza di
Cloe, mentre lui le chiedeva i gesti che una moglie avrebbe dovuto fare
automaticamente, per il desiderio di farli.
Doveva sentirsi
un po’ come mi sentivo io con Henri, con la differenza che io
gli davo troppo e
non venivo apprezzata.
Per questo, io e
Draco ci sentivamo parti mancanti di un puzzle disegnato al contrario,
perché
noi non eravamo solo pronti a ricevere, ma anche a dare…
cosa che, in questo
mondo, stava a significare essere deboli.
Quando stavamo
insieme non c’era stato giorno in cui non ci fossimo
completati a vicenda,
anche quando litigavamo: io ricevevo da lui quello che mi mancava e
viceversa.
Cloe rientrò in
casa e mi guardò, mentre mi alzavo dal divano per andarle
incontro e darle una
mano con le buste.
Mi aveva chiamato
dicendo che aveva urgente bisogno di uscire, quindi un po’ di
shopping per lei
era più importante di suo figlio? –Che guardi?- mi
chiese, con tono sarcastico.
-Niente… credevo
solo avessi da fare qualcosa di importante.
-Infatti, è così,
non vedi?- disse, mettendomi davanti agli occhi una piccola busta della
farmacia che conteneva qualche scatola di medicinali.
-Quasi quattro
ore per passare in farmacia?
-Non credo siano
affari tuoi.
-Non lo sono,
certo, ma tuo figlio è a letto con la febbre alta.
-Appunto, hai
detto bene: è mio figlio e lo cresco a modo mio.
-Lo cresco cosa
significa, Cloe? Chiedi piaceri a chiunque per liberarti di lui e
andare in
giro per Londra?
-Ti è pesato
badare a lui?
-No, anzi, ci
passerei giorni interi accanto a Natan, ma questo non significa che tu
debba
approfittarne.
-Ci passeresti
giorni con Natan o con Draco?
-Co-cosa?
-Credi che non
abbia notato come vi guardavate, quella sera?
-No-non…
-Credevi che non
sapessi niente? Io sapevo tutto di te, dall’inizio e ti
conoscevo già prima di
scontrarti al parco.
-Tu…
-Sì.
-I-io… davvero,
non so…
-La grande
Hermione Granger, uno dei migliori avvocati di Parigi, che balbetta di
fronte
ad un’insulsa donna londinese.
-Devo andare,
Cloe…
-Va pure, cara.
-Dai un bacio a
Natan da parte mia, quando si sveglia…
-Ne darò anche
uno a Draco, quando torna dal lavoro.
Un pugno allo
stomaco, una gomitata in pieno viso, un calcio al centro della schiena.
–Ciao.
Scappai via come
una codarda, come chi ha paura di fare i conti con la realtà
che le è sempre
stata di fronte.
Più che altro, mi
sentivo tradita: Cloe sapeva e questo, per un verso, voleva dire che mi
aveva
invitata a cena con lo scopo di farmi soffrire.
A meno che non
avesse qualche altro motivo per architettare tutto… ma cosa
poteva giustificare
un comportamento simile?
E alla fine,
l’unica cosa che in realtà m’importava
non era trovare un motivo per
giustificare Cloe, ma una scusa plausibile da raccontare a me stessa
per
spiegare che tanto
dolore non dipendesse
dalla presenza di Draco nella mia vita.
Senza neanche
rendermene conto, mi ero rintanata sotto le coperte, nella mia stanza e
avevo
cominciato a piangere.
Sentivo la
schiena scossa dai singhiozzi, ma non riuscivo a fermarmi.
Avevo bisogno di
piangere, di mandare via da me la disperazione: la consapevolezza di
voler
ancora Draco al mio fianco era lacerante.
Non potevo
averlo, ma allo stesso tempo, non mi sentivo pronta a perdere anche il
desiderio di lui…
Spoiler Capitolo 14:
La
prossima
tappa, sarebbe stata il negozio di articoli sportivi, quindi camminai
ancora
per i corridoi di quell’immenso ammasso di cemento e, quando
vidi la vetrina
del negozio che m’interessava, avanzai il passo.
Entrai ed anche
qui provai qualche felpa, qualche paio di scarpe, pagai ed andai via.
Mi fermai al bar per bere
qualcosa e...
***
Angolo
Autrice:
Eccomi
qui! Vi ho fatto aspettare, eh? Lo so e perdonatemi, ma questo per me
non è affatto un periodo facile, ma non mi dimentico di voi,
anzi...
E' stato un capitolo difficile da scrivere: calarsi nei panni di un
bambino è sempre difficile.
I "discorsi" tra Draco e Cloe, per quanto riguarda le loro litigate,
sono realissimi e, ogni riferimento è puramente casuale.
-Natan: è molto legato a Cloe, ma adora Hermione per la
dolcezza e perchè lei lo fa sentire importante: gioca con
lui con il piacere di farlo e non cerca di fare altro;
-Hermione: adora i bambini, in particolare Natan perchè
appartiene a Draco che è una parte importante della sua
vita. Per quanto riguarda il dialogo che ha con Cloe, per lei
è come ricevere una secchiata di acqua gelata in pieno
inverno, capite cosa intendo?
-Cloe: la odierete tantissimo in questo capitolo, ma cercate di capire
anche lei... Inoltre, non giudicatela in fretta: Cloe ha ancora un
ruolo importante e fondamentale per Draco ed Hermione. In seguito,
poi... capirete perchè continuo a dirvi di non giudicarla in
fretta.
Lo spoiler: volate con la fantasia e ditemi secondo voi cosa
succederà quando Hermione si ferma al bar. Ditemi secondo
voi cosa ci sarà dopo "e..."
Risposte
alle recensioni:
sa chan:
Ecco a te il capitolo, con le risposte a tutte le domande che ti sei
fatta! Hermione manda via Draco e MENOMALE... non c'è un
perchè preciso, ma io credo che l'attesa, in alcuni casi,
aumenti il desiderio xD Spero davvero che questo capitolo ti piaccia
come il precedente. Grazie per i complimenti *-* Un bacio;
OneLove4:
Sono felice che ti sia piaciuta la reazione di Hermione e che ti abbia
fatto ridere, un bacio;
Axel_Twilight_93:
Grazie...sono felice che il capitolo ti sia piaciuto e soprattutto che
tu mi abbia perdonata. Hai ragione, ce ne sarebbero di cose da dire, ma
credo che nei momenti di rabbia, il cervello non sia tanto collegato xD
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio;
Dramy96123:
Draco non risponde ai pugni per rispetto di Hermione: come hai visto
lei non reagisce prima che lui riceva il secondo pugno. In
più, non dimentichiamo che il suo lavoro gli impone di
limitarsi xD Mi dispiace aver mandato a morte il tuo ennesimo piano di
morte, ma in fondo in fondo, Henri mi fa pena XD. Grazie dei
complimenti e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio;
Rosa di cenere:
Grazie, grazie, grazie! Mi lusinghi troppo, davvero! Ma mi fa piacere
che la storia ti piaccia tanto... da come hai potuto vedere, ieri non
ho postato nessun capitolo, proprio perchè tu non c'eri xD
Draco *.* lo penso anche io.
Hermione si è svegliata e diciamo che ha messo da parte
tutta la sua classe e il bon ton per togliere di mezzo Henri, ma non
credere che tutto sia finito, eh... forse, non è tutto
così come sembra! Ti ringrazio ancora per i complimenti *-*
e spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio;
banvary: che
gioia ritrovarti ^.^ Grazie per i complimenti al capitolo e spero che
questo ti sia piaciuto allo stesso modo. Draco, l'hai già
detto tu, è perfetto di suo e mi fa piacere che con la
divisa ti ispiri xD. Un bacio;
Gin92:
Alla faccia! Sì, finalmente Hermione è riuscita a
mandarlo via, ma come ho già detto, non tutto è
come sembra.
Ho molta voglia di scrivere che Hermione cede e che bacia Draco *.*, ma
credo sia ancora presto xD e non so SE accadrà ^^ Spero che
questo capitolo ti sia piaciuto allo stesso modo di quello precendente.
Un bacio.
Ringrazio per aver
inserito la mia storia tra le seguite:
Ringrazio per aver
inserito la mia storia tra le preferite:
Ringrrazio
per aver inserito la mia storia tra le ricordate:
|
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Capitolo 14 *** Un giorno qualunque... ***
Capitolo
14: Un giorno qualunque...
Hermione POV
Quando
mi svegliai, trovai un biglietto di mamma sul comodino.
Mi aveva scritto che era uscita per svagarsi un po’. In
effetti, il lavoro le toglieva parecchio tempo e non era mai in casa
proprio per questo, quindi uscire per distrarsi mi sembrava un ottimo
modo per trascorrere la giornata, soprattutto per lei che non riusciva
ancora a sopportare l’assenza di papà.
Andai in bagno a lavare il viso e le mani, andai in cucina e avviai la
macchinetta del caffé e mi sedetti, mentre aspettavo.
Il cielo di Londra era ancora illuminato dal tenue sole invernale e
sorrisi.
Mi sembrava un segno di buon auspicio, un buongiorno gridato dalla
città.
Riempii la tazza col caffé e tornai a sedermi con il
cellulare tra le mani, quindi, digitai il numero di Ginny e attesi una
risposta.
Probabilmente, era già a lavoro e aveva lasciato il
cellulare nell’armadietto, quindi decisi di andare in
ospedale.
Salii in camera per vestirmi e mi ricordai di aver svuotato
l’armadio e di aver lanciato la valigia ad Henri, quindi
infilai gli abiti del giorno precedente ed uscii di casa, prendendo al
volo la borsa.
Mamma mi aveva lasciato l’auto, quindi non avrei impiegato
molto tempo per fare un giro ai grandi magazzini e andare poi in
ospedale.
Una volta partita, accesi la radio e cominciai a cantare.
Non volevo ascoltarmi, né tanto meno dare voce ai miei
pensieri, quindi, qualsiasi attività tenesse impegnata la
mia mente era un toccasana.
Parcheggiai l’auto e la chiusi, poi mi avviai al centro
commerciale.
Sapevo già di cosa avevo bisogno, quindi, andai direttamente
nei negozi che mi interessavano.
Provai qualche jeans e qualche felpa. E portai nel camerino anche
qualche vestitino.
Decisi di acquistarli, quindi pagai e uscii dal negozio.
Mi fermai di fronte alla vetrina del negozio di calzature e osservai i
tipi di scarpe che andavano di moda quest’anno, quindi entrai
e diedi alla commessa la misura delle scarpe e le spiegai i modelli che
m’interessavano.
Mi sedetti sullo sgabello e provai le scarpe, alzandomi per camminarci
un po’ su.
Anche qui, pagai ed uscii.
La prossima tappa, sarebbe stata il negozio di articoli sportivi,
quindi camminai ancora per i corridoi di quell’immenso
ammasso di cemento e, quando vidi la vetrina del negozio che
m’interessava, avanzai il passo.
Entrai ed anche qui provai qualche felpa, qualche paio di scarpe, pagai
ed andai via.
Mi fermai al bar per bere qualcosa e, quando il cameriere mi
servì la premuta d’arancia che avevo ordinato, mi
girai.
Di fronte a me c’era un uomo seduto al tavolino e mi dava le
spalle: era biondo ed aveva la stessa statura di Draco, le stesse
spalle larghe… ma non era lui.
Me lo diceva il mio cuore che, pur vedendo dei lineamenti familiari,
non aveva accennato a battere più forte.
Ebbi la mia conferma quando l’uomo si girò. Mi
guardò ed alzò il suo bicchiere come a voler fare
un brindisi.
Mi girai velocemente per dargli le spalle e pagai il cameriere, dopo di
che andai via.
Mi diressi al bagno per cambiarmi ed indossare gli abiti nuovi che
avevo acquistato.
Avevo bisogno di vedermi diversa, anche se solo negli abiti che
indossavo… era un pensiero stupido, me ne resi
conto subito dopo averlo formulato, ma quei vestiti mi ricordavano
Henri e il mio modo di cacciarlo via.
Mi ricordavano Draco e le sue carezze tentatrici e mi ricordavano Natan
e le verità che inconsapevolmente mi aveva rivelato.
Mi spogliai lentamente, quasi indecisa a voler mandar via quei ricordi
che portavo addosso.
Quando rimasi in intimo, mi guardai i piedi e risalii a guardare le
gambe.
Chiusi gli occhi, immaginando le carezze che tanto mi erano mancate,
poi mi ridestai e mi vestii
velocemente.
Non potevo permettermi di sognare lui, né tantomeno
desiderarlo al punto di sentire addosso le sue carezze, il calore delle
sue mani, la morbidezza delle sue labbra sottili.
-Smettila!- mi rimproverai ad alta voce.
Quando uscii dalla toilette, mi trovai di fronte una bambina che mi
guardava con tanto di occhi aperti.
Mi limitai a sorridere, immaginando i suoi pensieri, poi mi diressi nei
corridoi dei grandi magazzini.
Tornai al parcheggio ed entrai in auto.
Mi guardai le mani e mi accorsi che portavo ancora la fede.
Ci voleva coraggio a metterla via: avrei dovuto ammettere il mio
fallimento, il secondo della mia vita, ma non di certo il
più grande.
Il mio più grande fallimento era la storia con Draco.
Avrei dovuto riprendere in mano le redini della mia vita e avrei dovuto
cominciare dalle cose più impegnative.
Per prima cosa, avrei dovuto trovare un lavoro e fittare casa per non
privare mamma della quotidianità a cui si era abituata.
Inoltre, avevo bisogno dei miei spazi, della mia privacy e per quanto
mamma provasse a rispettarla, non ci riusciva mai completamente.
Misi in moto ed uscii dal parcheggio.
Durante il tragitto, cercai di svuotare la mente da ogni pensiero, da
ogni preoccupazione, da ogni desiderio che ero costretta a reprimere.
Arrivai di fronte all’entrata dell’ospedale e presi
il cellulare dalla borsa per chiamare Ginny, ma mi trovai a rispondere.
–Ginny!- ed ero sempre più convinta che quella
ragazza fosse capace di leggermi nel pensiero. – Stavo per
chiamarti.
-Ho visto la tua chiamata e…
-Sono fuori all’entrata dell’ospedale.
-Dammi dieci minuti e sono da te.
-Bene, ciao.
Staccai la telefonata e posai il cellulare in borsa.
Parcheggiai meglio ed appoggiai i gomiti al volante, appoggiando il
mento nel palmo della mano destra.
I miei occhi si posarono sull’enorme edificio. Incuteva quasi
terrore,a guardarlo così.
Era alto diversi piani ed era grigio scuro, in perfetto pendant con il
cielo nuvoloso di Londra ed anche con la mia anima.
Sobbalzai quando Ginny aprì la portiera e si sedette sul
sedile del passeggero. –Ciao.- mi disse, baciandomi su una
guancia.
-Mi hai fatto prendere un colpo.
-L’ho notato.- sorrise. –Ho invitato Blaise, ti
dispiace?
Scossi il capo. –Affatto.
Adoravo essere in sua compagnia, in più avevo bisogno di
parlare con lui.
Pochi minuti dopo, Blaise si sistemò sui sedili posteriori.
–Siamo sicuri con te alla guida?
-Hai qualche dubbio?- gli chiesi, girandomi per guardarlo.
-Abbastanza.- mi sorrise e misi in moto.
Restammo in silenzio, fino a chè Ginny non lo
spezzò. –Ho fame.
-Andiamo a mangiare qualcosa?
-Dove?
-A casa mia.
Su questo non eravamo cambiati: parlavamo sempre contemporaneamente,
coprendo le altre voci con le nostre.
Alla fine, assecondammo l’idea di Ginny e presi la strada che
portava a casa sua.
Per il resto del viaggio, ci azzuffammo sul piatto da cucinare.
-Mangeremo a seconda di quello che ho in frigo.- decretò
Ginny. –Ora smettetela di fare le oche.
-Io sono un uomo, Ginny.
-Allora sei un papero.
Risi. Ginny era meravigliosa: trovava sempre la soluzione migliore e se
ne usciva con questi paragoni da cabaret.
L’adoravo. Non per niente era la mia migliore amica.
Arrivammo fuori casa di Ginny ed aspettai che lei e Blaise scendessero
dall’auto, poi parcheggiai e scesi anche io.
Entrai direttamente in casa, visto che Ginny aveva lasciato la porta
aperta.
Mentre stavo per richiudere la porta, qualcuno la bloccò e
la riaprii.
Sbarrai gli occhi dallo spavento.
In quel breve susseguirsi di secondi, sentii il cuore riempirsi di
terrore e pulsare più forte. Un solo nome mi riempii la
mente e stavo per pronunciarlo, quando l’immagine di Harry
riempì la mia visuale.
Tirai un sospiro di sollievo. –Harry?!
-Certo chi credevi che fosse?
-Ne-nessuno.
Chiuse la porta e mi cinse le spalle con le sue braccia, poi mi
baciò una guancia. –Come stai?
-Meglio.
Andammo in cucina e Ginny si era già messa
all’opera ai fornelli, mentre Blaise stava apparecchiando il
tavolo.
Harry si avvicinò a Ginny e la baciò. Io guardai
Blaise e gli rivolsi un sorriso triste.
Mi sedetti al tavolo e gli altri mi imitarono.
Mi guardavano, come se si aspettassero qualcosa da me e sapevo di dover
dar loro delle spiegazioni. –Ho rivisto Draco.
-Lo so.- rispose Harry. –E’ venuto nel mio ufficio
e mi ha chiesto di quei segni che hai sulle braccia… e io
gli ho detto la verità.
-Ieri sono stata a casa sua, perché sua moglie mi aveva
chiesto un piacere.
-E com’è stato?- mi chiese Ginny.
Non era mai stato facile esprimere i miei sentimenti a voce, ma dovevo
farlo. –Strano. Natan mi ha raccontato che Draco e Cloe
litigano spesso, perché lei non è una buona
moglie.
-In che senso?
-Non si occupa di lui.
-Io lo conosco bene, Herm.- intervenne Blaise. –E so che se
anche Cloe fosse una buona moglie, a lui non basterebbe
perché non è la donna che ama e che avrebbe
voluto al suo fianco… lasciando stare il fatto che Cloe
davvero non lo cura.
-E’ la vita che ha voluto scegliere lui, Blaise.
-Si è sentito obbligato a farlo.
-Io ero pronta a tutto e voi lo sapete. Non m’importava di
niente: gli sarei stata accanto e avrei affrontato ogni cosa con lui.
-Ha avuto paura, era un bambino anche lui, Herm.
Abbassai lo sguardo quasi colpevole.
Nessuno di loro aveva torto, ma allo stesso modo nessuno di loro
avrebbe potuto capire il mio dolore.
-Ti ama ancora, lo sai no?
-I-io…
-E lo ami anche tu!
-E’ passato tanto tempo, le cose cambiano.- dissi, cercando
di ingoiare il nodo che mi si era formato in gola.
-Possono cambiare le cose: una montagna può consumarsi per
via del vento, un fiume può seccarsi per via del troppo sole
o può superare le sue rive per la troppa pioggia…
le persone modificano il loro carattere: possono peggiorare o
migliorare. Ma i sentimenti non cambiano, quando sono reali.
-Non è tutta poesia, Ginny. Lo sapete bene tutti quanti.
-E com’è allora? Per quanto tempo ancora negherai
che provi ancora qualcosa per lui?
-Non è facile come credete.
-E allora com’è?
-Non lo so.
Per tutto il tempo del pranzo non facemmo altro che parlare di Draco,
poi Blaise ed Harry andarono in salone a guardare un po’ di
televisione.
-Hermione…- disse Ginny prendendomi le mani.
-…dimmi la verità.
-Non c’è niente da dire.
-Ah no?
-No.
Mi guardò la mano sinistra e mi tolse la fede.
–Questa mettila via. E’ inutile continuare a
portarla, non credi?
-E’ un’abitudine.
-… che dovrai cancellare. Ascoltami: farà male
fare chiarezza nel cuore dopo tanti anni, ma ne varrà la
pena.
-Non so se voglio farlo, Ginny.- guardai l’orologio ed era
già pomeriggio inoltrato. –Devo tornare a casa.
-Ti prego, pensaci…
-Vedremo Ginny.
Andai in salone e salutai Harry e Blaise con un gesto della mano.
–Dove vai?- mi chiese Blaise.
-Torno a casa.
-Ti spiace darmi un passaggio?
-Certo che no!
Prima di raggiungermi sull’uscio della porta, vidi che si
trattenne a scambiare qualche parola con Ginny ed entrambi non mi tolsero gli
occhi di dosso.
Quando Blaise chiuse la portiera dell’auto, aveva un sorriso
da ebete stampato sul viso.
Mi guardò ancora una volta e il suo sorriso si spense per un
attimo, poi tornò ad attraversargli il viso da un orecchio
all’altro.
-Emh… se non metti in moto non arriveremo mai a casa.
Assottigliai lo sguardo, come a voler indagare la sua espressione e il
suo tono di voce. –Cosa state tramando?
-Chi?
-Tu e la rossa.
-Niente, Hermione… ma come ti vengono in mente certi
pensieri?
-Vi conosco bene.
Lasciai cadere lì il discorso e misi in moto.
Blaise abitava qualche isolato più avanti, quindi qualche
minuto dopo già non ero più in sua compagnia.
Mi aveva salutata con un bacio sulla guancia, ricordandomi le parole di
Ginny.
Tornai a casa ed ero stanca psicologicamente, quindi salutai mamma con
un bacio e la strinsi forte.
Mi era mancata tanto. La guardai negli occhi e li vidi finalmente
più sereni, liberi da quasi tutte le nubi che li oscuravano
e che impedivano loro di brillare.
–Sei stanca, vero?- mi chiese.
-Molto.
-Andiamo.
Insieme ci dirigemmo al piano superiore ed entrammo nelle rispettive
camere.
Quando chiusi la porta, mi guardai la mano sinistra e mi sentii
leggera, libera da ogni obbligo.
La fede, negli ultimi tempi, era diventata un peso ulteriore ai miei giorni
e non averla mi permetteva di respirare più facilmente.
Feci una doccia veloce, poi mi sistemai a letto, stendendomi su un lato
e guardando fuori dalla finestra.
Ripensai ancora una volta alle parole di Ginny, di Blaise ed Harry e mi
sembrò di perdere qualche battito al cuore. Chiusi gli occhi
con la speranza di allontanare i dubbi, anche se inutilmente: ogni mio
dubbio era legato a Draco e non avrei mai potuto allontanare lui dal
mio cuore.
Spoiler Capitolo 15:
Entrò
lasciando la porta aperta e si piazzò di fronte. Aveva gli
occhi ridotti a due fessure, poi si avvicinò ancora di
più. -Esci immediatamente fuori di qui!
Lo guardai...
***
Angolo
Autrice:
Salve a
tutte!
Avete visto? Il nuovo capitolo è QUI!! Festeggiamo!
Cretinate a parte, come avrete visto, il capitolo è solo di
passaggio, anche se i discorsi fatti dai 3 amici di Hermione la faranno
riflettere davvero tanto!
Il titolo è mezzo rubato dal singolo di Marco Mengoni, "In
un giorno qualunque" che personalmente amo!
-Ginny: non è romanticissima? Io la ADORO! E' un'ottima
amica e conosce perfettamente Hermione, quindi...
-Harry: dà man forte alla sua fidanzata, ovviamente. Ma non
è adorabile?
-Blaise: per chi è già pazza di lui, beh, non
c'è molto da dire! E' un amico fantastico e
chissà cosa stanno tramando lui e la rossa, eh?
Hermione: povera! E' in profonda crisi con sè stessa.
L'avevate capito, no?
Lo spoiler: piccolo piccolo xD Non linciatemi, vi prego. Ma il capitolo
sarà mooolto importante!
Risposte
alle recensioni:
Sailor Saturn:
Ecco a te il continuo! Immagino che Blaise ti piaccia ancora di
più! Sono davvero felice che la storia ti piaccia e spero di
doverti ringraziare anche nel prossimo capitolo! Un bacio;
sa chan:
Ahahah! Immagino come tu odi Cloe in questo momento xD, ma aspetta
ancora un pò prima di giudicare :P Natan è
dolcissimo, non c'è niente da dire *.* E
chissà che non racconti qualcosa al papà. Un
bacio;
dramy96123:
Mi dispiace tantissimo per i tuoi piani omicidi xD Perdonami! Cloe non
si è per niente comportata bene, ma come ho già
detto, aspettate a giudicare! Henri mi fa pena nel senso brutto della
parola, non nel senso di tenerezza, capito? :D Beh, per quanto riguarda
lo spoiler precedente, hai avuto la tua risposta! Inizialmente, c'era
l'idea di farle incontrare Draco, ma poi la mia mente malata ha
immaginato tutt'altro luogo per il loro incontro! Un bacio;
Axel_Twilight_93:
ecco a te il capitolo! Avevi immaginato qualcosa? xD Natan è
dolcissimo, non c'è alcun dubbio! Un bacio;
Rosa di cenere:
e io ADORO le tue recensioni. In primo luogo, mi fanno morire dal
ridere xD poi, mi riempi sempre di complimenti e mi fa davvero piacere
che hai questa grande reputazione di me *.*
Mi dispiace che il fato ti si sia ritorto contro XD, spero che da
questo capitolo in poi ti aiuti a commentare prima! Natan è
dolcissimo ed effettivamente fai bene a chiamarlo piccolo Draco,
perchè somiglia molto al padre! Hermione tratta
così Natan sia perchè adora i bambini, lui in
particolare, sia perchè trova in lui un modo per stare
più vicina a Draco almeno con il pensiero e, soprattutto,
perchè desidera che lui fosse stato suo figlio. Cloe
è una stronza in questo capitolo e di certo non
sarà una santa nei prossimi, ma prima o poi vi
farò cambiare idea su di lei! Grazie mille per i tuoi
complimenti, grazie davvero *.*, spero che anche questo capitolo ti sia
piaciuto. Un bacio.
Ringrazio le 44
che mi hanno inserito nelle seguite, le 16 che mi hanno
inserito nelle preferite e le 3
che mi hanno inserito nelle seguite!
Avrei voluto scrivere anche questa volta i vostri nomi, ma NVU mi sta
dando un pò di problemi.
Grazie davvero tanto, continuate ad aumentare e mi rendete felice!
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 15 *** Incontri... ***
Capitolo 15: Incontri...
Draco POV
Erano stati
giorni d’inferno: Natan aveva avuto la febbre, mentre Cloe si
era occupata di lui raramente.
Il lavoro
grosso toccava a me la sera, quando tornavo dal lavoro. Di pomeriggio,
mi chiedevo chi svolgesse il compito di fare da madre a mio figlio.
Cloe non era
mai stata in grado di farlo: aveva deciso di rimanere incinta per fare
un torto a me e ad Hermione.
Era a
conoscenza dei miei sentimenti per lei e sapeva che l’avrei
lasciata subito dopo quella maledetta festa in maschera, ma avrebbe
fatto di tutto pur di tenermi legato a lei.
Non mi amava e
ne ero certo: era affetto che non andava oltre, era abitudine, era
l’egoismo di tenermi accanto per impedire ad un amore vero di
vivere.
E per questo
l’avevo disprezzata per tanto tempo.
L’avevo
sposata sotto obbligo di suo padre: di certo, non volevo perdere mio
figlio. Pur non essendo ancora nato, sapevo che sarebbe stato
l’unica cosa che mi avrebbe dato un motivo valido per vivere
e non sprofondare nel baratro della depressione.
L’alcool
mi faceva compagnia ogni sera, prima di andare a dormire e mi sembrava
di non poterne fare a meno.
Il mio odio
verso Cloe cresceva a dismisura e questo mi spaventava
perché, spesso e volentieri, la mia mente aveva immaginato i
modi più impensabili per toglierla di mezzo e restare solo
con mio figlio.
Poco alla
volta, dopo la nascita di Natan, avevo deciso per amor suo di
affezionarmi a Cloe, anche per poter vivere una vita decente.
Le cose erano
precipitate dopo il primo compleanno del piccolo, un giorno tanto
importante che lei aveva dimenticato: aveva preferito uscire con le sue
amiche invece che festeggiare suo figlio.
Per questo il
disprezzo era tornato a farsi vivo nei suoi confronti e sarebbe stato
difficile mandarlo via, soprattutto dopo aver rivisto Hermione.
Come avevo
potuto pensare di riuscire a nascondere tanto amore? Dove avevo
nascosto tutto quel tormento che provavo nell’anima? Come
avevo potuto non farlo trasparire dai miei occhi?
Mi appoggiai
con una mano sulla scrivania, mentre con l’altra cercai di
spostare i capelli dagli occhi, poi l’affiancai
all’altra.
Sbuffai
sonoramente e mi gettai di peso sulla sedia.
In
quell’istante, il sole che entrava dalla finestra di fronte
al mio ufficiò si offuscò.
Qualcuno
entrò lasciando la porta aperta e mi si piazzò di
fronte. Aveva gli occhi ridotti a due fessure, poi si
avvicinò ancora di più. -Esci immediatamente
fuori di qui!- Lo guardai... -Alza il culo da quella sedia.
-Dovrei
obbedirti?
-Muoviti.
Mi alzai
lentamente, non perché volevo piegarmi al suo volere, ma
semplicemente perché avevo una gran voglia di prenderlo a
schiaffi.
Ero un
commissario, certo, ma non avevo dimenticato l’affronto che
avevo ricevuto da parte sua.
Indietreggiò
di poco ed io sorrisi beffardo. –Mi sto muovendo…
-Ti avviso:
stai lontano da Hermione. Stai fuori dalla nostra vita.
-Io sto fuori
dalla vita dei mariti che si comportano da uomini e tu non sei tra
questi.
-Io ti spacco
la faccia, stronzo!- mi tirò un pugno.
Passai il dorso
della mano all’angolo destro della bocca, poi ghignai.
Ora, in assenza
di Hermione, avrei potuto prenderlo a pugni e non mi sarei risparmiato.
Mi avvicinai di
un passo e mi trovai a toccargli la fronte.
Riuscivo a
sentire il suo alito e sapeva di rum invecchiato di almeno cinque anni,
poi fissai i miei occhi nei suoi. Erano castani, tendenti al verde, e
piatti.
Erano gli occhi
di un uomo ubriaco che non conosceva altro che il lato materiale della
vita. –Non sfidarmi.
Non
c’era nessuna minaccia nelle mie parole, era solo un
consiglio.
–Stronzo.
-Lo dico per
te…
-Credi che
abbia paura, stronzo?
-Sei monotono
con le parole.
-Stronzo.
-Mh.- mi
allontanai poco da lui, poi caricai il pugno e lo colpii sul
sopracciglio sinistro.
Continuò
a guardarmi, mentre il suo sguardo si riempiva di una follia pura, che
superava l’immaginabile. –Stai giocando con il
fuoco.
Alzai le mani,
in segno di resa, tenendo stampato sul viso il solito ghigno di
soddisfazione. Ero nel mio ambiente e avevo più di un motivo
valido per pestarlo a sangue: legittima difesa, prima di tutto.
Lo spinsi, fino
a fargli toccare le mensole dell’archivio. Poi, mi avvicinai
di nuovo al suo viso.
Avrei voluto
sputargli in faccia, ma non sarebbe bastato a farmi sfogare tutta la
rabbia che avevo in corpo.
Quando ancora
una volta, urtò vicino alle mensole, il bicchiere di
plastica che avevo conservato la settimana precedente cadde e lui lo
schiacciò con il piede.
Una cretinata,
la goccia che fece traboccare il vaso.
Dedicai
un’altra serie di pugni al suo sopracciglio, mentre il sangue
scorreva sul suo viso e sporcava la mia mano.
Non urlava, non
accennava a disegnare sul suo viso una smorfia di dolore se non per
pochi attimi.
Il suo sorriso
derisorio era sempre lì e più rideva,
più cresceva in me la voglia di colpirlo.
Potter
entrò nel mio ufficio nel momento in cui Henri mi
colpì alla mascella. Lo vidi spalancare gli occhi, tanto che
sembrava gli uscissero dalle orbite. –‘Cazzo stai
facendo?
-Fatti i cazzi
tuoi, stronzo!
-Eh no, stronzo
chiamati da solo.- commentò Harry prima di tirargli un pugno
in pieno viso. –Ti è chiaro?
Così
Henri allentò la presa sul collo della mia camicia e si
dedicò a Potter, anche essendo visibilmente in svantaggio.
Sarei rimasto
lì a guardare quella scena per ore, avrei voluto vederlo
strisciare come una serpe a cui è stata tagliata la coda,
invece, li interruppi e li invitai a sedersi.
Strattonai
più di una volta quel deficiente, mentre Harry si era
appoggiato alla parete libera. –Cosa sei venuto a fare qui?
-Te
l’ho detto stronzo.
-Modera i
termini.- esordì Harry.- E sta lontano da Hermione. Non mi
piaci, non mi sei mai piaciuto, ma adesso hai superato ogni
limite… quindi, fuori dalle palle.
-Non crederete
davvero di spaventarmi con queste minacce? Lei è mia e la
piego al mio volere come e quando mi pare.
-Brutto
porco…- stavo per alzarmi e tirargli un altro pugno, ma
Harry mi appoggiò le mani sulle spalle e mi
allontanò da lui.
-Pensa al tuo
lavoro. Qui dentro, ci vai a perdere tu se assumi questi comportamenti.
Aveva ragione:
nella centrale di polizia, io ero il buono. L’uomo di tutto
punto dagli ideali forti e dall’attiva propensione
verso il rispetto delle regole.
Dentro,
però… fuori da quelle mura e senza la divisa, ero
un uomo qualunque.
Sorrisi di
scherno. –Hai ragione, Potter. Porta questo stronzo
fuori…
Mi
obbedì e lo prese per una spalla per invitarlo ad alzarsi.
Prima di chiudere la porta, mi guardò con aria di sfida.
–Non finisce qui, biondo slavato. E non sarai solo tu a farti
male.
Il mio pensiero
corse immediatamente a Natan, quindi mi avvicinai svelto alla porta, ma
quasi non ci andavo a sbattere tanto era stato veloce quel bastardo.
Tornai a
sedermi ed estrassi con forza una sigaretta dal pacchetto e
l’accesi.
Aspirai e
ricacciai il fumo e mi calmai per quanto mi era possibile, poi
appoggiai le spalle allo schienale e chiusi gli occhi.
-L’ho
mandato via- disse Potter, aprendo la porta dell’ufficio e
restando sull’uscio.-… anche se ha opposto
più resistenza del solito.
-Bene.-
richiuse la porta e chiusi di nuovo gli occhi.
-Ah,
Malfoy… ma come ti è venuto in mente di dargli
tutti quei pugni?
-Cazzi miei,
Potter. Va via.
-D’accordo.-
chiuse la porta.
Il tempo di
appoggiarmi di nuovo allo schienale e la porta tornò ad
aprirsi. –Mi hai rotto i ciglioni, Pot…- ma le
parole mi morirono in gola.
Di fronte a me,
c’era Hermione
con lo sguardo divertito e un sorriso comprensivo stampato sul viso.
–Non cambierete mai, eh?
-Buongiorno.-
non trovai altre parole. Era come se in sua presenza il mio cervello
non connettesse più.
-Ciao. Sono
venuta qui per i documenti della causa di papà.
-Ah
sì. Li avevo dati a Potter, ma…
-Lo so. So
tutto… e comunque non sei il diavolo, quindi non
sarà un inferno lavorare insieme, no?
-Certo!
-Bene!
Bene un cazzo!
Si rendeva conto di quello che mi stava chiedendo?
Come poteva
dirmi che lavorare insieme non sarebbe stato un inferno?
E va bene che
per me lei era un angelo caduto in terra, ma lavorare insieme senza
poterla toccare o baciare…
In fondo,
però, aveva ragione: non sarebbe stato un inferno
perché sarebbe stato peggio!
Il desiderio di
lei avrebbe bruciato più di tutte le fiamme che
c’erano li giù.
-Accomodati.-
osservai ogni movimento, fino a che non si sedette e mi ritrovai a
guardarla negli occhi. –Da dove cominciamo?
-Dall’inizio,
direi.
-Spiritosa.-
non avevo di certo dimenticato la sua sottile ironia, il suo ridere per
una frase che non aveva alcun senso.
-Draco…
credo che lavoreremo per un po’ insieme e non vorrei crearti
problemi.
-Tranquilla,
non mi crei alcun problema. E’ un piacere per me lavorare con
uno dei migliori avvocati di Parigi.
-Grazie.-
sorrise.
-Non hai freddo?
-No. E comunque
ho il cappotto in auto.
-Sei sportiva,
Granger!
-Sì,
diciamo che l’iter fuori dai tribunali mi vede sportiva.
Davanti ad un giudice è diverso.
-Ovvio.
-L’informalità
mi rappresenta molto di più.
-La
formalità?
-Non sempre: a
volte, odio come cadono gli abiti addosso.
-Beh,
avrà il piacere di vederlo il giudice il tuo abito formale.
-Credo dovrai
vedermi anche tu, dato che in tribunale avrò bisogno di te.
-Per me sei
sempre bella, ‘Miò.
Chiusi gli
occhi, pentendomi immediatamente per aver detto quella frase. Ma come
mi ero permesso di dar voce ai miei pensieri?
Alzai lo
sguardo e mi trovai i suoi occhi di fronte: erano dorati,
più belli di quanto li ricordassi.
L’ultima
volta che li avevo visti, erano tristi e vuoti. Piatti.
Ora invece,
erano attraversati da una luce strana. Sorrise. –Grazie.
Ci guardammo
negli occhi per un tempo che mi sembrò interminabile, poi
lei distolse lo sguardo e parve accorgersi adesso dei segni che avevo
sul viso.
-Cominciamo?-
dissi, abbassando la testa.
-Cos’hai
qui?
-Niente.
-Chi ti ha
preso a pugni, Draco?
-Nessuno.
-Hai visto
Henri?- Non risposi e distolsi velocemente lo sguardo. –Lo
prendo come un sì.
Puntai i miei
occhi nei suoi e mi sentii mancare.
Ero orgoglioso,
certo, ma rincorrere dietro all’idea che non
l’amassi ancora era da stupidi… quindi, non aveva
senso che mentissi a me stesso.
Non avevo
dovuto chiedermi per troppo tempo cos’era quel fastidio allo
stomaco che avevo provato quando l’avevo vista con suo marito
e, quindi, era stato facile ammettere i miei sentimenti per lei.
C’erano
troppe parole non dette nei nostri sguardi, troppi i silenzi che
volevano aver voce.
Erano talmente
profondi e tanto dipendenti l’uno dall’altro che
chiunque se ne sarebbe accorto se ci avesse visti in
quest’istante.
Quando sentii
il tocco freddo della sua mano sulla bocca, rabbrividii.
Riuscii a
sentire il suo profumo fresco inebriarmi i sensi e socchiusi gli occhi.
Le presi la
mano e l’allontanai dal mio viso: le sue carezze mi
annebbiavano la ragione.
Se avesse
continuato a tentarmi in quel modo sarebbe stato più
difficile del dovuto collaborare alla sua causa e non potevo lasciarmi
cadere.
Non ero del
tutto convinto dei suoi sentimenti… anche se una parte di me
continuava a ripetermi che anche lei mi amava ancora, l’altra
parte di me, quella razionale, mi suggeriva di non illudermi: conoscevo
bene Hermione e anche se avesse provato ancora qualcosa per me, non
l’avrebbe ammesso tanto facilmente.
-E’
stato un piacere per me.
-Siete due
stupidi!
-Lo stupido
è lui che non ha capito quanto fosse prezioso il gioiello
che aveva tra le mani.
La vidi
arrossire e mi maledissi: ogni parola che le dedicavo usciva dalla mia
bocca anche contro la mia volontà.
La guardai, mi
sentii spinto da una voglia che conoscevo fin troppo bene ad
avvicinarmi ed assecondai la voce della mia coscienza…
Forse, stavo
sbagliando, ma cosa importava?
Qualsiasi cosa
fatta con lei o pensando a lei, sarebbe stata un viaggio senza ritorno.
Mi avvicinai,
ma il suo cellulare cominciò a squillare.
-Cellulare del cazzo!-
la guardai. –Prego.- le feci segno con la mano indicandole la
borsa.
-Scusami.- ed
uscii dall’ufficio.
Mi rimase solo
con i miei pensieri, con la mia confusione.
Cosa stavo
facendo? Me lo chiedevo, ma non riuscivo a sentirmi in colpa.
Rientrò,
chiudendosi lentamente la porta alle spalle.
-Cominciamo?
-Sì.
Aprii la
cartellina che conteneva le informazioni sulla denuncia che riguardava
il caso di suo padre. –Mi.. mi dispiace.
-Di cosa?
-Per tuo padre.
-Oh…-
vidi il suo sguardo diventare triste. La sua mano tremò
percettibilmente, ma prima che potessi dirle qualcosa per consolarla, i
suoi occhi si riempirono di determinazione. –Non facciamo
distrarre da altro.
-Sì.
Per tutto il
tempo, ci concentrammo sul nome degli infermieri, dei medici, della
prognosi con cui avevano mandato a casa un povero uomo.
Niente in lei
lasciava trapelare la sua insicurezza e vederla in quel modo mi rendeva
felice: era forte, indistruttibile. Una maschera che mostrava al mondo
intero, ma non a me.
O meglio, ero
io che riuscivo a vedere oltre quella maschera: la conoscevo meglio di
quanto conoscessi me stesso.
Le ore
passarono velocemente e, troppo presi dal nostro lavoro, non ci eravamo
neanche preoccupati di pranzare.
Era sera
inoltrata quando la vidi raccogliere la borsa e sistemarsela, portando
i capelli dietro le spalle. –Vai via?
-Sì,
è tardi e mamma è da sola.
-Bene.
-Ci vediamo,
Malfoy!
Mi alzai per
aprirle la porta, quindi mi posizionai alle sue spalle. Probabilmente
non se ne accorse, perché quando si voltò per
dire qualcosa, restò a bocca aperta.
Permisi ancora
una volta a me stesso di perdermi nei suoi occhi e lentamente mi
avvicinai alle sue labbra.
Quanto le
desideravo!
All’ultimo
istante, vidi la sua bocca tremare, quindi, facendo forza
sull’ultimo barlume di lucidità, imposi un cambio
di direzione alle mie labbra e le baciai una guancia.
–Buonanotte, Granger.
Spoiler capitolo 15:
-Sono stanco di
farti capire con i gesti quello che provo. Sono sempre lì a
mandarti segnali, ma è come se tu non li vedessi...
-Ti sei mai
chiesto se magari non voglia vederli perchè mi fanno male?
***
Angolo
Autrice:
Eccomi di nuovo
qui ^.^
Spero che
questo capitolo vi sia piaciuto... a me non convince molto!
Passiamo ai personaggi:
-Draco:
credo di averlo reso troppo dolce, ma giustifico il fatto che ammetta
facilmente i suoi sentimenti: è un uomo che ha perso la
donna che amava davvero e averla "ritrovata" è un qualcosa
che l'ha scombussolato, ma l'ha reso attivo nei confronti della vita,
quindi, a suo parere non ha senso perdere tempo per trovare risposte
che già conosce.
-Hermione: non
ho niente da dire, a parte BEATA LEI!
-Henri:
stronzo, bastardo e per la seconda volta ha picchiato Draco.
Chissà in che condizione sarà il suo viso
adesso...
-Harry: si
è dato da fare, avete visto?
Lo spoiler:
cosa ne pensate?
Beh, ora vi
lascio.
Ho risposto
alle recensioni con il nuovo programma.
Ringrazio le 48
seguite, le 20
preferite e le 4
ricordate.
Siete aumentate
ancora vi ringrazio infintamente per il vostro sostegno, pur se
silenzioso.
A presto, la
vostra Exentia_dream
Ho cercatodi
accontentare qualcuno che chiedeva la morte di Henri.. certo,
qui non è morto, ma almeno ha ricevuto una bella scazzottata.
|
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Capitolo 16 *** Essere indecisa... ***
Capitolo 16: Essere
Indecisa...
Hermione POV
‘Miò.
Nessuno mi
chiamava così da anni. Nessuno mi aveva mai chiamata
così, a parte lui.
Era da una
settimana che lavoravo fianco a fianco con Draco e più di
una volta ci eravamo trovati vicini. Troppo vicini.
Lavorare con
lui non era affatto pesante, anzi. Era piacevole fin troppo.
Quel
pomeriggio, come ogni volta che ci decidevamo di riposare un
po’, ero andata a prendere del caffé alla
macchinetta che si trovava nell’atrio dell’edificio.
-Hermione?-
Harry si avvicinò. -Puoi venire nel mio ufficio? Ho bisogno
di parlarti.
-Sì.
Dammi il tempo di portare il caffé a Draco e sono da te.
-Grazie.- e
andò via.
Aprii la porta
dell’ufficio ed entrai, quindi tentai di chiuderla con la
gamba, ma Draco si alzò e prese i bicchieri dalle
mie mani. –Dai a me…-disse.
Era sempre
gentile, sempre educato.
-Devo andare
nell’ufficio di Harry, ti dispiace?
-Fa pure! Qui
continuo io.
Avevamo
cominciato delle ricerche sul fenomeno che aveva causato la morte di
mio padre e sulle possibili cure che avrebbe potuto ricevere,
perché, prima di essere di fronte ad un giudice, volevo
essere informata su ogni cosa e valutare la situazione sia dalla parte
dell’accusatore sia da quella dell’accusato.
Gli sorrisi ed
uscii.
Arrivai di
fronte alla porta dell’ufficio di Harry e bussai.
–Avanti.
-Sono io.-
dissi, aprendo la porta.
-Herm, vieni.
Siediti
Mi accomodai e
guardai il mio migliore amico con aria interrogativa. –Allora?
-Allora…
beh, volevo farti una proposta.
-Oh…
-Sì.
Avrai del tempo per decidere prima di accettare e se accetterai, potrai
cominciare da subito o dopo la causa di tuo padre… insomma,
hai il libero arbitrio.
-Di cosa si
tratta?- mi feci curiosa.
-So che hai
intenzione di fittare casa e vivere qui, quindi immagino che ti serva
un lavoro.
-Un lavoro mi
servirebbe comunque.
-Gli affitti
qui sono abbastanza alti. Inoltre, credo che Henri non
sborserà neanche un soldo, visto che non avete
figli.
-Non
avrà bisogno di sborsare alcunché. Ho deciso di
riprovarci.
-Cosa?
-Sì.
Mica posso far finire così il mio matrimonio?
-E vuoi
trovarti addosso tutti quei lividi?
-E’
stato un momento, Harry. E’ mio marito e non posso lasciarlo
solo.
-E’
un mostro. Ma hai visto cosa ha combinato a Malfoy?
-Non credo che
l’abbia fatto senza un motivo.
-Ah no?
-No.
-Allora
spiegami perché ti ha violentato, eh?
-Non mi ha
violentata!
-Ah no?
-No.
-Mi dispiace
che tu sia diventata tanto cieca: sei un avvocato e dovresti sapere
meglio di me certe cose…
-La violenza
fisica nasce nel momento in cui la vittima si oppone. Nel mio caso
è diverso, io ho acconsentito.
-Volevi fare
l’amore con lui, in quel momento?
Abbassai il
capo. Harry aveva ragione, ma ero testarda e nessuno mi avrebbe fatto
cambiare idea. –Accetto il lavoro, Harry. Ma ti prego di
stare fuori dalla mia vita privata.
-Sei la mia
migliore amica, Herm e non voglio che soffri.
-Io sono felice
accanto a mio marito.
-Sei felice
accanto ad un uomo che non ami?
-Lo amo, Harry.
-Oh, come no!
Si vede lontano mille miglia che l’amore che provi non
è indirizzato a lui.
-E a chi
sarebbe indirizzato, Harry?
-Lo sappiamo
bene entrambi.
-Io non lo so.
-Sono stanco di
farti capire con i gesti quello che provo. Sono sempre lì a
mandarti segnali, ma è come se tu non li vedessi...
-Ti sei mai
chiesto se magari non voglia vederli perchè mi fanno male?
Credi che a me faccia bene lavorare con lui e trovarmi in ogni
occasione a due passi dall’essere baciata? Devo provarci,
Harry. Ti prego, comprendimi.
-Herm, io sto
male quanto te a vederti piangere.
-Non mi vedi da
piangere da più di un mese.
-Gli occhi
rossi ti tradiscono. So quando piangi e ti conosco bene, quindi so
anche quand’è che fingi di stare bene. La
felicità che hai sempre desiderato è a pochi
passi da te. Qualche porta più avanti di questo ufficio.
-Mi dispiace.
Ho preso la mia decisione e la porterò avanti.
Non disse
niente, semplicemente mosse la mano, come a dire “Fai come
vuoi.”
Era stata una
decisione ben ponderata e per quanto mi sentissi bene a lavorare
accanto a Draco, credevo fosse un piacere dovuto solo al fatto di poter
rendere giustizia a mio padre. Nulla di più.
Aprii la porta
e arrossii immediatamente quando mi vidi riflessa in due iridi grigie e
tristi. –Ero solo venuto a chiamarti…
-Cos’hai
sentito?
-Niente di
importante.
-Ci stavi
spiando?
-Non le faccio
‘ste bambinate. Sono venuto ad avvisarti che ho trovato
qualcosa riguardo alle cure, ma vi ho sentiti parlare e…
-Comunque, non
sono affari che ti riguardano.
-Non credo.
Disse e, nel
frattempo ci eravamo incamminati nel corridoio ed eravamo entrati nel
suo ufficio. –Dimmi.- dissi riferendomi a quanto aveva
trovato per la causa.
-Ti sbagli di
grosso, lo sai?
-Su cosa?
-Tutto quello
che è tuo mi riguarda e, se permetti, la tua
felicità mi riguarda in primo luogo.
-Mi fai ridere.
Ti preoccupi ora della mia felicità?
-L’ho
sempre fatto.
-Non mi pare.
Ti ho pregato per restare insieme… e te ne sei andato.
-Avresti
sofferto troppo se fossi rimasto con te, stupida!
-Non avrei
sofferto.
-No? Saresti
stata felice sapendo che ero stato obbligato a sposare Cloe? O se mi
avessi visto insieme a lei? Magari ti avrei anche invitato al
matrimonio…
Prese una
sigaretta dal pacchetto e l’accese. –Tss.- fu la
mia unica risposta.
Quando
lasciò libero il fumo, sentii una fitta alla bocca dello
stomaco e conoscevo bene quella sensazione.
Era arrivato il
momento di affrontare le questioni rimaste in sospeso tanti anni fa.
Sapevo che
prima o poi mi sarei trovata di fronte al muro del passato, ma non
credevo facesse così male.
Quanto era
grande il rischio che stavo correndo? Troppo.
Lo guardai: la
sigaretta accesa che penzolava dalle labbra sottili.
La mascella
dritta, il naso perfetto, gli occhi grigi e intensi. Tremai.
Sentii la
voglia di accarezzarlo attraversarmi i muscoli, ma mi costrinsi a non
farlo, così iniziai a frugare nella borsa.
-Cosa cerchi,
Granger?
-Oh…una
cosa.- non cercavo niente.
Avevo solo il
bisogno di sfuggire dai suoi occhi e di spostare lo sguardo dalle mie
certezze che crollavano, dalle mie decisioni che perdevano di
consistenza.
-Se la smetti,
ho qualcosa da farti vedere.
-D’accordo.
Aprì
il cassetto della scrivania.-Ecco.- sorrise e si alzò dalla
sedia, per sistemarsi accanto a me.
Mi porse una
cornice e si appoggiò alla scrivania.
Guardai la
fotografia: c’eravamo noi, io e lui sorridenti su una
metà della foto. Sull’altra metà, un
mio primo piano.
Quella era una
delle foto che preferivo. Quando stavamo insieme, io conservavo la sua
gemella, con la differenza che il primo piano della mia fotografia
raffigurava il suo viso. –Ce l’hai
ancora…
-Non avrei mai
potuto metterla via.- lo guardai. -Se l’avessi fatto, ti
avrei persa davvero.
Avevo
già vissuto quella situazione, insieme a Ginny, ma le
emozioni che provai rivedendo quella foto erano del tutto diverse:
sentii la voglia improvvisa di tornare indietro, a quella sera.
Si
avvicinò lentamente, fino a che non sovrastò
anche la mia ombra.
Portò
una mano sotto al mio mento e mi sollevò il viso. Sentii il
calore affluire alle guance e il cuore battere più forte.
–Sono cambiate tante cose…
-Vero. Ma
sarebbe più giusto dar conto a quello che non è
mai cambiato.- Posò le labbra sulle mie.
Un bacio
leggero, morbido, ma carico di desiderio.
Un bacio che fu
interrotto da qualcuno che bussò alla porta del suo ufficio.
Si
allontanò da me e vidi le sue labbra muoversi velocemente e
sapevo che stava maledicendo colui che ci aveva interrotti.
Sorrisi,
conscia del fatto che la calma che sentivo in corpo era la tipica
quiete prima della tempesta.
Harry
entrò nell’ufficio e si accorse del colorito che
aveva assunto il mio viso, quindi guardò Draco e gli
sorrise. –Ho interrotto qualcosa?
-Sì,
Potter. Tu interrompi sempre qualcosa. Questa non è una
causa facile e abbiamo bisogno di concentrarci per venire a capo di
ogni componente a nostro favore.
-Oh…
-Ma se state
sempre a rompere i coglioni non andremo in tribunale neanche tra un
mese.
-Ero venuto a
portarti questo.- mi disse, appoggiando il mio cellulare sulla
scrivania.
-Grazie.
Poi,
uscì dall’ufficio, ma prima di chiudere la porta,
ammiccò a Draco –Lavorate, eh!- poi ci
strizzò l’occhio e andò via.
-Coglione.
-Smettila,
Draco.
-Smettila? Sai
quanto ho aspettato che arrivasse questo momento? E lui che fa? Mi
interrompe!
Risi divertita
dall’espressione che aveva in viso, poi tornò
serio e si sedette.
Mi strinse le
mani e mi sentii mancare il respiro, quasi come quando mi aveva baciato.
Guardai
l’orologio alla parete e mi resi conto che erano le 18
spaccate. –Devo andare.
-Aspetta un
secondo.
-Sì?
-Prima, ho
anche sentito che hai intenzione di fittare casa.
-Sì.
-Tieni…-
disse porgendomi una bustina di cartone. –Aprila quando
arrivi a casa.
-D’accordo.
Me ne andai
senza neanche guardarlo.
Sapevo che se
avessi incontrato ancora i suoi occhi sarei rimasta lì e
sarebbe stato difficile poi tornare indietro e far capire al mio cuore
che quella non era la strada giusta da percorrere.
Corsi in
macchina e chiusi in fretta la portiera.
Respirai a
fatica, come se non riuscissi ancora a riprendere fiato e tremavo.
Misi in moto e
riuscii a trattenere le lacrime fino al mio ritorno a casa.
Quando aprii la
porta, notai che mamma era ancora a lavoro, quindi lasciai libero sfogo
al mio pianto e affondai il viso nei cuscini del divano.
Come avevo
potuto lasciare che mi baciasse?
Eppure, un
semplice contatto tra due labbra era stato capace di risvegliare in me
il desiderio di amare e di volerlo sentire ancora addosso.
La voglia di
avere il suo profumo sulle mani, il suo sapore sulla labbra.
Cos’era?
Ero convinta di non amarlo più.
Ero convinta
che le emozioni che provavo quando lui era accanto a me erano dovute al
fatto che non avevo amato più con
l’intensità con cui avevo amato lui.
Erano emozioni
che non erano altro che il riflesso di ciò che mi mancava.
Salii al piano
superiore e aprii l’acqua per riempire la vasca, poi mi
immersi e, stranamente, le carezze dell’acqua calda non
riuscirono a rilassarmi.
Sentivo un peso
enorme sul cuore e sapevo che finché non avrei affrontato i
miei sentimenti e se non fossi stata sincera con me stessa, sarebbe
stato lì.
Avevo deciso di
tornare con Henri e perdonarlo, ma quel bacio aveva spazzato via ogni
briciola di certezza, ogni briciola di decisione.
Mi avvolsi
nell’accappatoio e mi diressi in camera.
Spostai la
borsa dal letto e l’appoggiai sulla sedia, ma cadde.
Tutto
ciò che c’era dentro, si rovesciò sul
pavimento e la bustina
di cartone che mi aveva dato Draco faceva forte contrasto con
il parquet.
La presi e la
osservai: era blu, con un piccolo fiocco di raso dello stesso colore
del cartone.
Mi
sembrò familiare.
La
agitai e distinsi un rumore metallico, quindi
l’aprii…
Spoiler capitolo 17:
Mi rigirai più volte la chiave tra le mani.
-Cos'è quel sorriso stupido?- mi chiese mamma.
-Niente.
Mi alzai dal divano e sistemai la chiave nella tasca dei jeans.
Aveva conservato tutto di noi, persino i ricordi che, dopo la nostra
separazione, sarebbe diventati dolorosi.
***
Angolo Autrice:
Salve a tutte!
Eccomi qui, sono tornata con un nuovo capitolo. Cosa ne pensate?
Spero davvero che vi sia piaciuto: non è proprio il bacio
che tutte aspettavate, ma è un passo significativo da parte
di Draco, no? In più, Hermione risentirà molto di
questo fatto... chissà se in bene o in male.
Ora però passiamo ai personaggi e vediamo di capirci
qualcosa di questa storia bacata come la mia mente.
-Hermione: qualcuno aveva pensato che lei fosse stata troppo fredda. In
realtà, da come avete visto, era intenta a decidere della
sua vita e del suo futuro insieme ad Henri. Era decisa a tornare con
lui, ma... Draco *.*
-Harry: adora ka sua migliore amica e la consoce meglio di quanto lei
conosce sè stessa.
-Draco: cos'altro c'è da dire?
Lo spoiler: cosa ne pensate? Avete già un'idea di cosa possa
succedere?
Ringrazio le 50
seguite, le 22
preferite e le 4
ricordate.
Siete aumentate ancora e mi rendete felicissima.
Senza il vostro sostegno, silenzioso o meno, questa storia non andrebbe
avanti e approfitto di questo piccolo spazio per dirvi ancora una volta
quanto siete importanti per me.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 17 *** Primo giorno di lavoro... ***
Capitolo 17: Primo
giorno di lavoro
Hermione POV
Quando mi svegliai, sentii la mano intorpidita dal freddo e sorrisi
ancora una volta. La chiave era ancora
tra le mani e non l’avevo lasciata per tutta la notte.
A
malincuore lasciai il letto, dato che erano le 8 in punto e volevo
essere puntuale per il mio primo giorno di lavoro.
Andai in bagno
e feci una doccia veloce, quindi mi avvolsi nell’accappatoio
e mi fermai di fronte all’armadio, incapace di decidere cosa
indossare.
Mi persi per un
po’ dietro a domande stupide sul modo di vestire di un
avvocato, rispondendo a me stessa che la formalità non era
mai uno sfregio sul posto di lavoro.
Inoltre, avevo
incontrato più volte altre donne che lavoravano al piano
superiore del dipartimento ed erano solite indossare dei tailleur con
gonne o pantaloni e, a volte, evitavano di indossare la giacca, visto
il caldo che c’era negli uffici a causa dei condizionatori.
Decisi di
imitarle e mi vestii
e mi truccai in fretta.
Andai in un
cucina e salutai mamma con un bacio.
-Come mai
già sveglia?
-Oggi
è il mio primo giorno di lavoro…
-Hai trovato un
lavoro?
-In
realtà, me l’ha offerto Harry ed io ho accettato.
-E’
magnifico.
-Sì…e,
a proposito di questo… volevo anche dirti che ho intenzioni
di fittare casa…
-Ma no,
Hermione, puoi restare qui.
-Ti ringrazio,
mamma…- dissi, addentando un croissant. –ma
è meglio che ognuna conservi il proprio spazio.
-Come vuoi,
cara.
-Ora, devo
proprio andare. Ci vediamo stasera.
-Prendi la
macchina!
-No, mamma,
tranquilla.
-Prendila,
cara. A me non serve…
-D’accordo.
Grazie!- uscii di casa e chiusi la porta, poi salii in auto e misi in
moto.
Mi sentivo
euforica e finalmente pronta a rimettermi in gioco, almeno
professionalmente.
Per tutta la
notte avevo evitato di pensare a Draco e al bacio che ci eravamo dati,
però la chiave che mi aveva dato riportava alla mente dei
ricordi ancora più dolorosi.
Proprio per
questo, l’avevo lasciata a casa, nascosta nel cassetto
dell’intimo.
Arrivai al
commissariato in talmente poco tempo, che non ero neanche riuscita a
sentire la voce della mia coscienza.
Raccolsi la
borsa dal sedile del passeggero e mi diressi verso l’entrata.
Presi il
cellulare dalla borse e cominciai a digitare il numero di Ginny, quando
mi scontrai contro qualcuno.
Alzai
lentamente lo sguardo, soffermandomi a guardare la camicia bianca di
buona fattura, i bottoni grigio chiaro, la cravatta nera con il nodo
allentato e il colletto non abbottonato. –Granger!
-Ciao Draco.
-Vuoi un
caffé?
-Sì.
E ci dirigemmo
verso la macchinetta. –Sei stupenda negli abiti
formali.
-Grazie.
Osservai ogni
movimento che Draco compiva. Aveva inserito la moneta
nell’apertura della macchinetta e la stoffa della camicia si
era totalmente stesa sul suo braccio, poi aveva rilassato i muscoli.
Mi porse il
bicchiere con il caffé e sorrise leggermente.
Bevvi il
caffé e lo osservai per tutto il tempo nascondendomi dietro
al bicchiere: mentre beveva, contraeva la mascella e chiudeva gli occhi
e, ad ogni sorso, allontanava il bicchiere dalle labbra e le muoveva,
tenendole chiuse per assaporare meglio il caffé.
-Hey…
-Oh, scusa.
-Ti sei
imbambolata!
Arrossii
violentemente e lui sorrise. –Pensavo. Perdonami.
-Doveva essere
proprio un bel pensiero.
-Lo era.
Se solo avessi
avuto il coraggio di ammettere a me stessa che era inutile scendere a
compromessi con il cuore e cercare di condurre una vita che
non volevo, se solo avessi messo da parte
l’orgoglio e avessi ammesso di aver perso sarebbe stato tutto
più facile.
Sarebbe bastato
avvicinarmi a lui, sfiorargli una guancia, accarezzargli i
capelli… non mi avrebbe respinta.
Il cellulare
prese a suonare, ma lo sentivo come se fossi chiusa in una campana di
vetro: una musica dolce che mi accompagnava a sfiorare con lo sguardo
la perfezione dell’amore vero.
-Il tuo
cellulare.
-Cosa?
-Sta squillando.
-Uhm,
è vero.- sorrisi.- Scusami un attimo.- mi allontanai
abbastanza, poi mi voltai per continuare a guardarlo.- Pronto?
-Ceni con me?
-No, mi
dispiace.
-Dobbiamo
parlare, Da soli.
-D’accordo.
Ora però sto lavorando, quindi non chiamarmi.
Chiusi la
telefonata e restai immobile a fissarlo.
Com’era
possibile che, nonostante avessi deciso di tornare con Henri,
continuassi a sentirmi dipendente da Draco?
Com’era
possibile che mi sentivo in dovere di dargli spiegazioni su ogni mia
decisione?
-Andiamo al
lavoro?
-Era Henri.- le
parole uscivano dalla mia bocca prima che riuscissi a pensare a quello
che stavo dicendo. –Stasera ceneremo insieme…
Mi
guardò, visibilmente irritato. Contrasse la mascella e
indurì lo sguardo: i suoi occhi non era più il
lago calmo in cui avevo nuotato fino a quel momento. Semplicemente il
lago si era ghiacciato. –Auguri.
-Draco,
aspetta.- gli strinsi il polso, ma riuscì a liberarsi dalla
mia presa e si allontanò, aprendo la porta del suo ufficio.
-Non devi darmi
spiegazioni, Hermione. Sei una donna, ormai…
-Ma
io…
-Buon lavoro.-
e mi baciò la fronte, riempiendo la mia visuale del legno
chiaro su cui l’etichetta adorata con il suo nome faceva
bella mostra di sé.
Mi diressi in
fondo al corridoio con il capo chino, colpevole.
Schiacciai il
pulsante per chiamare l’ascensore e attesi. Il plin delle
porte che si aprivano mi spaventò e mi colpì la
fronte con il palmo della mano.
Stupida, ecco
cos’ero.
Avevo pensato
un momento prima che Draco fosse l’amore della mia vita e un
momento dopo avevo accettato l’invito di Henri.
Dovevo chiarire
con me stessa quanto prima possibile: non potevo continuare ad andare
avanti in quel modo.
Aprii la porta
del mio ufficio e cominciai a sistemare le mie cose.
Perché
avevo detto a Draco che sarei andata a cena con Henri? Per ingelosirlo?
No, non avevo
bisogno di usare questi stupidi trucchetti per capire se fosse geloso o
meno. Mi bastava guardarlo negli occhi.
Forse, il mio
era solo un modo per allontanarlo da me…
Sì,
era così. Non potevano esserci altri motivi.
Dopo un paio di
ore, avevo finito di sistemare tutto e solo allora mi concessi di
guardare l’ufficio.
Era spazioso e
molto bello: la scrivania e alcuni mobili alle sue spalle erano di
legno chiaro.
Gli archivi
erano di legno rosso laccato e le poltrone erano nere, mentre le pareti
e il pavimento erano grigi.
Mi sentii
immediatamente a mio agio.
Decisi di
lasciar prendere all’ufficio un altro po’
d’aria, quindi chiusi la porta e mi diressi al piano
inferiore, per parlare con Harry.
Bussai alla
porta del suo ufficio. –Permesso?
-Oh, Herm,
vieni.
-Sì.-
entrai, tenendo la porta aperta a metà.
-Stavo appunto
parlando con Draco, di te.
Mi voltai come
se Harry avesse bestemmiato e arrossii. –Di me?. Riuscii a
chiedere con un nodo in gola.
-Sì.-
rispose Draco, cercando di sorridere, ma gli riuscì male.
–Harry mi stava dicendo del lavoro che ti ha affidato.
-Sì.
A proposito, grazie ancora.- dissi, rivolgendomi al mio migliore amico.
-Beh,- riprese
Draco. –avevo intenzione di chiedergli di affidarti un altro
caso.
-Come mai?
-Se tu
continuassi a seguire questo caso, dovremmo passare molto tempo
insieme… e non mi pare il caso.
-Oh, figurati
Draco, per me non fa nulla se lavoriamo insie…- non terminai
la frase.
-Non
prendiamoci per il culo, Hermione.
-Non ti prendo
per il culo, Malfoy.
-Allora se per
te non fa nulla, per me è il contrario, va bene? Harry,-
disse poi, voltando lo sguardo. –sarò io a
lasciare il caso.
-Ma, Malfoy.-
intervenne harry, sistemandosi gli occhiali sul naso.
-Ho deciso.
Buona giornata.- e se ne andò.
Uscii anche io
dall’ufficio, con l’intento di seguirlo, ma quando
le porte dell’ascensore che si aprivano, mi fermai a
guardarle e mi nascosi lì dentro, mentre Draco si era
voltato a guardarmi.
Premetti il
pulsante del secondo piano più di una volta e, quando le
porte si chiusero, mi permisi di respirare.
Stavo
scappando.
Corsi nel mio
ufficio, chiudendo la porta a chiave e mi gettai di peso sulla poltrona.
Appoggiai la
testa sui palmi delle mani e cominciai a piangere.
Non avrei mai
dovuto accettare di lavorare qui.
Lasciai che le
lacrime mi sciogliessero il trucco e mi addormentai lentamente.
Quando mi
svegliai, mi resi conto che la giornata di lavoro era finita da almeno
mezz’ora, quindi raccolsi la borsa ed uscii
dall’ufficio.
Quando arrivai
fuori al commissariato, mi fermai a salutare qualche collega conosciuto
qualche giorno prima, poi entrai in macchina e misi in moto.
Durante il
tragitto non mi permisi alcun pensiero su Draco o su quanto era
accaduto.
Arrivai a casa
in meno di venti minuti e corsi in camera, quindi riempii la vasca.
Legai i capelli
e mi struccai, poi mi immersi nella vasca e l’acqua bollente
mi accarezzò ogni muscolo, fino a farmi rilassare.
Questa sarebbe
stata la sera in cui avrei fatto i conti con i miei sentimenti, con i
miei desideri e, una volta tanto, avrei fatto parlare il cuore.
Avevo deciso di
far tacere la ragione, chè non sempre mi era servita a fare
le scelte migliori.
Mi insaponai
con il bagnoschiuma alla lavanda e mi avvolsi
nell’accappatoio.
Mi asciugai e
mi fermai in intimo di fronte all’armadio, indecisa su cosa
dover indossare: volevo essere elegante, ma non troppo.
Scelsi gli
abiti e mi vestii
velocemente, poi mi truccai.
Mentre riponevo
le trousse nell’armadietto del bagno, il mio cellulare
squillò e tornai in camera a prenderlo. –Pronto?
-Sono qui
fuori, esci.
-Dammi in un
minuto.
-Ancora?
-Preferisci che
non venga?
-No.
-Allora aspetta.
Aprii il
cassetto in cui avevo conservato la chiave che mi aveva dato Draco, poi
andai in cucina e mi sedetti accanto a mamma.
-Esci?
-Sì.-
Mi rigirai più volte la chiave tra le mani.
-Cos'è
quel sorriso stupido?
-Niente.- Mi
alzai dal divano e sistemai la chiave nella tasca dei jeans.
Ripensai a
Draco…Aveva conservato tutto di noi, persino i ricordi che,
dopo la nostra separazione, sarebbe diventati dolorosi.
Quella era la
chiave dell’appartamento in cui avevamo fatto
l’amore per la prima volta… ed era proprio come
l’avevo lasciata tanti anni fa.
Uscii e chiusi
dolcemente la porta, poi guardai Henri che mi apriva la portiera e
provai una strana sensazione allo stomaco.
Salii in auto e
mi baciò. Lo lasciai fare, anche se mi dette fastidio. Ero
sicura che quel disturbo era dovuto al fatto che avevo pensato a Draco
poco prima di vedere mio marito.
Partii e
appoggiò la sua mano sulla mia, poi ci guardammo negli occhi.
Spoiler capitolo 18:
-Cosa significa?
-Significa che
devi aiutarla.
-Non me lo
lascerà fare...
-La ami ancora,
vero?
-Che domanda
stupida, Potter.
-Rispondimi.
***
Angolo
Autrice:
Bentornate.
Sono convinta che a molte di voi questo capitolo non piacerà
per la decisione che ha preso Hermione, ma pazientate un
pò...
Ricordatevi che non tutto è quel che sembra e che non tutti
i mali vengono per nuocere e chi più ne ha più ne
metta... Ok, basta. Passiamo ai personaggi che è meglio?
-Hermione: mi fa una gran tenerezza. Purtroppo il suo orgoglio e la sua
testardaggine la spingono a prendere decisioni sbagliate: io non avrei
mai accettato l'invito di Henri, ma chissà...
-Draco: è meraviglioso, secondo me. Non ho altro da dire su
di lui.
-Harry: ah, il nostro Harry. In questo capitolo si è trovato
tra il timpano e la campana, povero!
-Henri: beh, vedremo!
lo spoiler: cosa ne pensate? Avete una vaga idea di quello che
succederà?
Ah ecco, dimenticavo: il prossimo capitolo partirà a narrare
dal momento in cui Hermione esce dall'ufficio di Hary per seguire Draco.
Il capitolo dopo ancora racconterà della cena tra Henri ed
Hermione.
Vi lascio alla lettura del capitolo. Ho parlato fin troppo questa sera.
Ringrazio le 52
seguite, le 23
preferite e le 4
ricordate! Spero che presto anche voi mi facciate sapere cosa pensate
della mia storia, anche se per me è già molto
importante che occupi un posto nelle vostre pagine! Grazie.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 18 *** La proposta di Harry... ***
Capitolo 18: La proposta
di Harry...
Draco POV
L’avevo
vista entrare in ascensore quasi come se stesse scappando. Da cosa, poi?
Forse, scappava dal suo orgoglio, dalla sua testardaggine, dalla sua
mania del cazzo di far funzionare tutto e per forza.
In questo momento odiavo quel lato del suo carattere, semplicemente
perché non la portava a niente, se non a sbagliare.
Stava rovinando la sua vita con le sue stesse mani e, per quanto avessi
sbagliato in passato nei suoi confronti, non potevo certo permetterle
di essere infelice. Non lo meritava.
Era colpa mia e lo sapevo bene. Non mi sarebbe di certo servito farle
fare la scelta giusta per non sentirmi un verme.
D’altra parte, però, non potevo obbligarla a
prendere decisioni diverse da quelle che realmente desiderava, anche
perché io non avrei potuto offrirle altro che bugie. E non
meritava neanche questo.
Accesi una sigaretta. Fumai con rabbia e finii in fretta, senza che
neanche me ne rendessi conto, stavo schiacciando il mozzicone nella
ceneriera.
Guardai la cenere: una polvere che nasceva dall’incedere dei
nostri pensieri, dei miei, almeno.
Poteva essere soffiata via, diventare parte del vento e volare dove
voleva: poteva trovarsi in qualunque posto, in qualunque momento.
Desiderai di essere cenere e volare fino a casa sua e dirle di non
andare, di non cadere in altri sbagli.
Sentii la porta sbattere contro la parete ed alzai lo sguardo. Harry
Potter era immobile di fronte a me, senza occhiali e con gli occhi
colmi di astio. –Dimmi perché vuoi abbandonare il
caso?
-Cazzi miei, Potter.
-Abbassa i toni, Malfoy, qui comando io. Ora dimmi perché
cazzo vuoi abbandonare il caso.
-Non voglio lavorare con lei, non l’hai capito?
-Perché?
-Stasera va a cena con suo marito e io non posso starle vicino senza
che…- mi interruppi. Era giusto raccontare a lui la
verità? Senza contare il fatto che, forse, sapeva che i miei
sentimenti per lei non erano cambiati. –E’ meglio
se non lavoriamo insieme, Potter. Tutto qui.
-Va a cena con Henri?
-Sì.
-L’ha perdonato?
-Non lo so. Non m’importa Potter, ma di certo io non sarei
andato a cena con lui se non avessi deciso di tornarci insieme.
-No, non può succedere.
-E’ la sua vita. Non provate perennemente a salvarla: se non
lo capisce da sola è inutile fare gli eroi.
-Parli bene tu.
-Cosa dovrei dire, secondo te?
-Non rinunciare a questo caso.
-Cosa significa?
-Significa che devi aiutarla.
-Non me lo lascerà fare...
-La ami ancora, vero?
-Che domanda stupida, Potter.
-Rispondimi.
Rimasi per un po’ in silenzio: se avessi risposto dicendo la
verità, avrei dovuto iniziare una dura lotta contro i
fantasmi del passato… di quel passato che avrei voluto fosse
stato il mio presente e il mio futuro. Quei fantasmi che mi
spaventavano, ma che mi rendevano consapevole del fatto che affrontarli
avrebbe significato mettere d’accordo mente e cuore e avrei
dovuto farlo di petto, non solo a parole come avevo fatto finora.
Guardai Harry, poi sorrisi. –Non ho mai smesso di farlo,
neanche un attimo.
Ecco: mi sembrò quasi di sentire il cuore che sbatteva
contro le pareti della ragione e si frantumava.
Nessuno avrebbe potuto capire quanto mi era costato andare via da lei e
quanto più caro ancora fosse il prezzo del dolore che avevo
pagato quando l’avevo vista con suo marito. Senza parlare del
dolore che provavo quando immaginavo che lui la toccasse o che la
baciasse o che lei potesse dedicare uno dei suoi sorrisi a quel verme.
Provavo un fastidio enorme a credere che lei potesse respirare per lui.
Una volta, avevo fatto i conti con me stesso ed ero riuscito a
convincermi di averla dimenticata.
Ne ero sicuro… eppure, mi era bastato trovarla di fronte a
me, con gli occhi dorati ed un sorriso dolce e tutte le mie certezze
erano tornate ad essere dubbi.
Dubbi nei confronti della persona che avevo avuto accanto per tanto
tempo e nei confronti della vita che avevo condotto fino a che lei non
era tornata.
-Non lasciare il caso.
-Ci sto di merda, Potter.
-Fallo per lei.
-Non c’è niente da fare per lei. - Ero esasperato.
Perché nessuno riusciva a capire le mie ragioni?
Perché nessuno sentiva l’odore di bruciato mentre
il mio orgoglio andava in fiamme?
-Lo sai che in fondo ti ama ancora.
-No, non lo so e non lo sa neanche lei.
-Lei non vuole ammetterlo, è diverso.
-Comunque sia, ha deciso di tornare con quel… con suo
marito. Cosa credi che possa fare?
-Riconquistala.
-Facile a dirsi, Potter.
-Mettila così: hai tutta la mia fiducia in questa storia e,
se permetti, conosco bene la mia migliore amica e so che è
solo questione di tempo.
Distolsi lo sguardo. Apparentemente stavo riflettendo, in
realtà avevo già deciso cosa rispondere.
Sarebbe stato meglio o peggio non lo sapevo, ma c’era in
gioco qualcosa di troppo grande per far finta che non ci fosse.
–Guai a te se mi hai riempito la testa di cazzate.
-Allora accetti?
-Precisamente cosa dovrei fare?
-Le ho affidato ogni caso di violenza sulle donne: tu sarai il suo
consulente, mentre lei sarà la consulente di ogni donna che
voglia denunciare il proprio marito o, comunque, qualcuno che la
maltratti.
-Mh.
-Starai a stretto contatto con lei e, ovviamente, non
c’è bisogno che te lo dica, perché
è già nella tua natura far notare le assonanze
nelle situazioni.
-Ovvio, Potter.
-Sul piano lavorativo, è questo il tuo compito. Sul piano
sentimentale, beh… sono cazzi tuoi, giusto?
-Vedo che impari in fretta!
-Diciamo che ti conosco da un bel po’!
-Già.
Finalmente anche lui si rilassò e si sedette nella poltrona
di fronte a me. –L’ho vista felice solo insieme a
te, anche se la situazione non era delle migliori. Ma so che puoi darle
la felicità che merita.
-Non dimenticarti di questo, Potter.- dissi, alzando la mano sinistra
per fargli vedere la fede.
-Il tuo matrimonio va a rotoli da anni, Malfoy. Si tiene in piedi solo
per via di Natan. Anzi, a dirla tutta, il tuo matrimonio non ha alcuna
base.
Touchè.
Chi poteva dargli torto?
Il mio matrimonio era nato da un obbligo e da una
responsabilità che mi gravava sulle spalle.
L’avevo accettata, anche se mi sembrava troppo grande per
essere affrontata da solo: avrei voluto che Hermione mi rimasse
accanto, ma avevo deciso per entrambi che la cosa più sana
da fare era chiudere la nostra storia.
Me ne ero pentito quasi subito e, quando ero pronto per tornare da lei,
ero venuto a sapere che era partita.
Un pugno allo stomaco, una stilettata al cuore.
Sapevo che non sarebbe tornata, che neanche l’amore che
provava per me le avrebbe fatto cambiare idea. Inoltre, ero stato io a
decidere per entrambi, quindi l’avevo lasciata andare e mi
ero rassegnato ad andare avanti senza di lei.
Harry mi aveva anche avvisato del suo matrimonio con il verme francese,
ma allora credevo che lui avesse potuto renderla felice.
Ovviamente, mi sbagliavo. –Sai cosa mi stai chiedendo, vero?
-Sì: ti sto chiedendo di riprenderti la vita che entrambi
volevate.
Quando si dice il destino… che brutto tiro che aveva avuto
in serbo per noi.
Mi alzai dalla sedia e aprii la finestra. Il vento freddo
m’investii in pieno e portò con sé
alcuni pensieri. –Non posso chiederle il divorzio, lo sai.
-Lo so, Malfoy… ma questo non significa che tu non possa
essere felice.
-Faresti diventare Hermione la mia amante?
-No, ma sarebbe sempre meglio che vederla insieme a quel tipo. Saresti
un… un diversivo per lei.
-Mi offendi così, Potter.
-Perdonami. Non intendevo proprio quello che ho detto. Diciamo
che… tu sarai la sua isola e lei sarà la tua.
-E’ un po’ illusorio, non credi?
-Deve pur esserci un modo per sfuggire dalla realtà quando
non ci piace, no?
-Non voglio usare la donna che amo come se fosse una valvola di sfogo.
Le farei ancora più male non potendole dare quello che lei
desidera da me.
-Il tuo discorso non fa una piega. Ma Hermione non può
tornare con Henri.
-C’è Blaise, ci sono tante altre persone che
possono farla innamorare, perché lo chiedi proprio a me?
-Perché so quanto ti ha amato. E so quanto tu la ami ancora.
-Sei proprio come la sabbia nelle mutande, Potter.
-Spero almeno che un giorno tu possa ringraziarmi.- ed uscì
dall’ufficio.
A mente quasi lucida e senza lo sguardo fiducioso di Potter, cominciai
a pensare alla proposta che avevo appena accettato.
Ero folle o cosa?
Come credevo di poter stare a stretto contatto con lei e non mettere in
gioco il cuore?
Presi la valigetta ed uscii dall’ufficio.
Il ritorno a casa avrebbe pesato ancora di più, ma dovevo
dar conto a mio figlio ed essere presente nella sua vita era il minimo
che potessi fare.
Misi in moto e mi avviai.
Quando arrivai a casa, aprii la porta e come al solito il buio mi
investì.
Odiavo non sentire il calore e l’accoglienza di casa mia e
l’unico che poteva rendermi felice era Natan.
Andai in camera sua e lo trovai seduto ai piedi del suo lettino, in
lacrime. –Natan, cos’è successo?
-Mamma… mamma…- tirava su col naso e non riusciva
a parlare.
-Hey campione, ho un’idea.
Sorrise. –Si?
-Sì, sì. Io e te, adesso andiamo a mangiare al
McDonald’s.
-Sìì.
Come poteva Cloe farlo piangere, quando il sorriso di Natan era la luce
più bella che potesse esistere?
-Andiamo.- lo presi in braccio, correndo per la casa e facendogli il
solletico. –Hai fame?
-Sì, tantissima. Papà, sai che l’amica
della mamma, ha giocato con me quando ho avuto la febbre?
-L’amica della mamma?
-Sì.
-Chi?
-Hermione. Quella signora bella, che è venuta a cena a casa
nostra.
Non avevo più dubbi, ormai, sul conto di Cloe: era una delle
donne più belle che avessi mai conosciuto.
Ma a livello di personalità era meno di zero.
Arrivammo al McDonald’s in pochissimo tempo: ero talmente
arrabbiato che sarei arrivato in Italia in meno di un’ora.
Avrei camminato a pel d’acqua tanto che correvo.
Scesi dall’auto e andai ad aprire la portiera a Natan, quindi
lo aiutai a scendere e lasciai che corresse ad aprire le porte del
locale. –Io voglio l’Happy Meal.
Trascorremmo la serata a ridere. Io ero assorto a sentire i suoi
racconti e lui gesticolava, come a farmi comprendere
l’importanza delle sue parole.
Era un angelo, era il dono più bello che la vita potesse
farmi e avrei reso felice anche lui in un modo o nell’altro.
Quando tornammo a casa, Natan già dormiva, quindi lo stesi
sul lettino e gli misi il pigiama alla bell’ e meglio, poi
gli rimboccai le coperte e lo lasciai dormire.
-Ti pare questa l’ora di tornare?
-Hai lasciato Natan a casa, da solo.
-E’ grande.
-Ha cinque anni, Cloe. E’ un bambino, ha bisogno di
attenzioni.
-Allora prestagliele tu le tue tanto decantate attenzioni.
-Sei una stronza, Cloe. Non meriti di essere madre di un bambino
così.
-Lo merita Hermione?
-Che cazzo c’entra Hermione, adesso?
-Sei tornato tardi anche questa sera.
-Stiamo parlando di te.
-Non voglio parlare di me. Sono stanca, vado a letto.
Le feci un gesto con la mano, come a dirle che poteva andare.
Se avessi potuto, l’avrei strangolata e ogni sera di
più aumentava in me la consapevolezza che questa non era la
vita che desideravo né per me, né per mio figlio.
Fumai l’ennesima sigaretta della giornata, poi andai in bagno
e lasciai che il getto bollente della doccia mi togliesse da dosso la
sensazione di schifo che provavo verso quella donna.
Poi, indossai il pigiama e tornai a sedermi sul divano.
Non avrei passato la notte nel letto al fianco di una persona che
disprezzavo. Anzi, non avrei passato nessun’altra notte
accanto a lei.
Prima di addormentarmi, ripensai ad Hermione e alla proposta che mi
aveva fatto Harry.
Forse, non era così folle l’idea che aveva avuto e
forse, anche se in minima parte, sarei potuto essere felice anche io.
Spoiler capitolo 19:
La bottiglia di
champagne era poggiata in un contenitore d’acciaio che
conteneva del ghiaccio e
al centro della tavola c’era un candeliere a tre braccia.
Sul lato
sinistro, invece, c’era un cesto con delle rose gialle.
Gialle, non rosse
come l’amore, come il rispetto; non bianche come la purezza,
come la riverenza.
Gialle come la
gelosia, come l’infedeltà, come la vergogna.
***
Angolo Autrice:
Ben
trovate care!
Sono un pò delusa del capitolo precedente... solo 3
recensioni!
Forse la storia non vi piace più? Vi prego di farmelo sapere.
Comunque, torniamo al capitolo: mi piace particolarmente, forse
perchè grazie alla proposta che Harry fa a Draco cambiaranno
molte cose.
Passiamo ai personaggi:
-Harry: vuole molto bene ad Hermione e, come avete visto, ha esposto le
sue ragioni a Draco. Lui sa bene quanto Hermione continui ad amarlo, ma
è anche vero che ultimamente non riesce a capire le scelte
della sua migliore amica. Non è comunque da trascurare il
fatto che non sopporti Henri e che ammiri molto Draco, anche se non lo
ammette;
-Cloe: odiatela, pure! Lasciate però un poco poco di spazio
per lei nel vostro cuoricino: prima o poi le vorrete molto bene;
-Natan: ta dan! ha detto a Draco che Hermione si è preso
cura di lui, avete visto? Quanto è dolce...
-Draco: cosa si può dire su di lui? E' un ottimo padre,
questo è poco, ma sicuro. E' molto combattuto
perchè non vorrebbe fermarsi a comquistare Hermione, ma
vorrebbe amarla e questo l'avevate capito anche voi, no?
Lo spoiler: non dice molto, ma come vi ho già accennato,
tratterà della cena tra Hermione e il vermiciattolo, come
molte di voi lo definite. MA... c'è un ma... cosa pensate
possa accadere?
Ringrazio le 54
seguite, le 24
preferite e le 4
ricordate.
Mi rendete felicissima, perchè continuate ad aumentare e,
come dico ormai in ogni "piè
di pagina" , senza il vostro sostegno, silenzioso o meno,
questa storia resterebbe in stallo, a marcire nei documenti xD
Grazie ancora a tutte quante.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 19 *** Tornare insieme... ***
Capitolo 19: Tornare insieme...
Hermione POV
Il locale era
illuminato da luci soffuse, ma chiare.
I tavoli erano apparecchiati con tovaglie di lino color della paglia e
le posate erano ben ordinate. Al centro di ogni tavolo, c’era
un cesto contenente dei fiori: lillà, margherite.
Un cameriere ci raggiunse. –Prego.
-Ho una prenotazione.
-Può dirmi il suo cognome, gentilmente?
-Duval.- era fiero.
Abbassai il capo e lasciai che mi conducesse lui, senza però
guardarlo negli occhi.
Arrivammo ad una terrazza piccola, coperta da un telo impermeabile per
non permettere alla pioggia di bagnare chi avesse deciso di cenare
lì.
Ovviamente, la terrazza era stata adibita apposta per noi, dato che
c’era un solo tavolo.
La tovaglia era chiara, come quelle che avevo visto nella sala, le
posate erano sistemate allo stesso modo e i bicchieri avevano il bordo
rivolto verso l’alto.
La bottiglia di champagne era poggiata in un contenitore
d’acciaio che conteneva del ghiaccio e al centro della tavola
c’era un candeliere a tre braccia.
Sul lato sinistro, invece, c’era un cesto con delle rose
gialle.
Gialle, non rosse come l’amore, come il rispetto; non bianche
come la purezza, come la riverenza.
Gialle come la gelosia, come l’infedeltà, come la
vergogna.
Henri si avvicinò e mi spostò la sedia,
permettendomi quindi di accomodarmi.
Mi sedetti e lasciai che lui mi avvicinasse al tavolo. Poi, si sedette
anche lui.
Mi prese le mani tra le sue. –Allora? Hai detto che stai
lavorando?
-Sì, al dipartimento di Harry.
-Ah. E in cosa consiste questo lavoro?
-Sono una specie di consulente.
-Da avvocato a consulente… bel salto di qualità.
Ridussi gli occhi a due fessure e lo guardai dura. –Non ho
ancora terminato la frase, Henri.
-Oh, beh, allora continua.
-Sarò una specie di consulente per la prima fase di ogni
caso, ovvero, prima delle denunce.
-E dopo?
-Dopo, se viene sporta la denuncia, io assisterò le clienti
nell’iter che parte dal momento in cui la denuncia viene
presentata ad un giudice, fino al termine della causa.
-Hai detto “le clienti”, in che campo opererai?
Acuto.
–Contro la violenza sulle donne.
Vidi il suo sguardo perdersi per un po’ nel vuoto, come se
qualcosa che abitava negli antri della sua mente lo stesse chiamando,
come se dovesse prestare attenzione a quello che succedeva dentro di
lui.
Non erano sensi di colpa, lo sapevo bene.
Secondo il mio modo di vedere le cose, per quanto sbagliato potesse
essere, Henri stava cercando di capire se quello che aveva usato su di
me fosse o meno definibile “violenza sulle donne”.
Lo era, lo era eccome, ma quando il suoi occhi tornarono ad essere
presenti, mi resi conto che secondo il suo ego non aveva commesso alcun
reato.
In realtà, la stupida ero stata io a non averlo denunciato.
Eppure avevo alle spalle molte persone che mi sostenevano…
sarebbe bastato così poco per essere libera.
Basta. Se avessi continuato a soffermarmi sui miei pensieri, la
decisione che avevo preso non sarebbe rimasta in piedi e sarei finita
col cambiare idea.
Mi versò un po’ di champagne nel bicchiere e ne
bevvi un sorso.
-Perdonami.- disse tutto d’un tratto. –Ti avevo
promesso che non sarebbe più accaduto e invece…
-E’ successo.
-Non volevo farlo, è solo che…
Qualsiasi giustificazione non sarebbe servita ad alleviare le ferite
che avevo dentro. –Era un momento Henri.- Eppure, io
continuavo a trovargli delle scusanti.
-Sì, proprio così. Ora, però, se me lo
permetterai…
-Non lo so, Henri.
-Le cose cambieranno, Herm. Io sarò il marito che hai sempre
sognato.
-Non lo so, davvero…
-Ti prego, credimi.
Cos’avevo? Ero così decisa a dirgli di
sì ed ora mi ritrovavo a temporeggiare, prima di dargli una
risposta? Non era da me.
Ero sempre stata decisa quando desideravo qualcosa: o sì o
no.
Ma, forse, il punto era proprio questo: desideravo davvero tornare con
Henri? Sì, diamine. Sì.
–D’accordo, Henri.
Sorrise.
Mi piaceva molto il suo sorriso… proprio per quello avevo
deciso di sposarlo e di dargli tante possibilità: quando
sorrideva, la cattiveria che aveva negli occhi andava via o, forse,
accentuava la sua presenza ed io non riuscivo a vederla.
Da quando stavo con Henri, il mio orgoglio era diventato
cieco… me l’avevano fatto notare più
persone, ma me n’ero accorta anche io, quando avevo iniziato
a non distinguere più il bene dal male.
Il cameriere si avvicinò a noi, spezzando il filo dei miei
pensieri. –I signori vogliono ordinare?
-Oh, ci scusi.- dissi, colma d’imbarazzo. –Non
abbiamo ancora guardato i menù.
-Si figuri signora.
-Grazie.- e il giovane si allontanò.
-Dovresti essere meno gentile.
-Dovresti essere più educato, Henri…
-Bah, tu e le tue manie di perfezione.
-Henri…
-Oh, sì. Perdonami.
Com’era possibile che non riusciva a rendersi conto
degli atteggiamenti che assumeva? –E’ meglio se ci
decidiamo.- dissi, indicando i menù con un gesto del capo.
-E’ un menù italiano, ti piace?
-Molto.- seguii con lo sguardo la scrittura elegante e lessi con
attenzione tutti gli ingredienti con cui erano cucinati i primi piatti.
–Pennette Napoli.
-Pomodoro e basilico? Che sapore avranno?
-Non so, ma voglio provarle.
-Gusti strani.- fece segno al cameriere di avvicinarsi e questi, dopo
poco, ci raggiunse tenendo in mano un taccuino di cuoio.
-Prego.
-Portaci un piatto di Pennette Napoli e l’altro di Cannelloni
Vegetariani.
-Per piacere,- intervenni per evitare che Henri trattasse ancora il
cameriere come se fosse un suo schiavo. –può
portarci anche dell’acqua naturale.
-Acqua? Ma sei per caso impazzita?
-La prego,- dissi ancora al cameriere.- per me porti
dell’acqua. Se il signore desidera altro…
-Certo che desidero altro. Portami il miglior vino che avete. Rosso.
-Certo.- il cameriere si allontanò, ma prima che Henri
togliesse i suoi occhi dal menù, mi lanciò uno
sguardo di disapprovazione e pietà.
-Mangi sempre i cannelloni vegetariani, Henri.
-Che male c’è? Credi che sia meglio un
po’ di pasta con il pomodoro e il basilico?
Preferii restare zitta. Osservai il panorama, ma ero talmente lontana
con i miei pensieri che non riuscii a memorizzare alcun tratto di quel
posto.
Dopo venti minuti di silenzio assoluto, il cameriere arrivò
al tavolo con i piatti e li sistemò sul tavolo, appoggiando
vicino al candeliere un contenitore con il formaggio. –Buon
appetito.
Portai alla bocca una sola pennetta e chiusi gli occhi per percepire
ogni sfumatura di sapore.
Il pomodoro era dolce, buono e il basilico rendeva leggermente
amarostico il sugo. Perfetto, un sapore sublime.
Sì, erano meglio le mie pennette pomodoro e basilico che i
cannelloni vegetariani che aveva ordinato Henri.
Aprii gli occhi e trovai i suoi a fissarmi. –Come sono?
-Molto buoni. Vuoi assaggiarne un po’?
-No, grazie.
Guardai il contenitore con il formaggio e decisi di non metterlo sulla
pasta: non volevo alterare il sapore del sugo.
La serata trascorse tranquilla. Henri non si lasciò
più andare a commenti o atteggiamenti fuori luogo.
Poi, arrivò il momento di pagare il conto. –Hai
con te il portafogli o pago io?
-Tranquilla. Ti ho invitato a cena fuori, sei mia ospite.
-Grazie mille.- nascosi bene il tono di sarcasmo con cui
l’avevo ringraziato, quindi non mi preoccupai molto della sua
reazione che, a dire la verità, neanche arrivò.
Scendemmo le scale che ci avevano portato in terrazza, tenendoci mano
nella mano.
Sorrisi quando arrivammo alla cassa ed Henri porse la carta di credito
alla cassiera.
Tornammo all’auto e mi aprì la portiera, quindi
attese che mi sistemai sul sedile del passeggero e la richiuse.
Entrò anche lui in auto e mise in moto, posando la mano
sulla mia ogni volta che ingranava la marcia.
Mi sorrideva, avvicinava le labbra alla mia fronte.
Si fermò di fronte al cancello di casa e accese la luce
accanto allo specchietto retrovisore.
-Non ti ancora detto che sei stupenda.
-Grazie.
-Se sorridi, lo sei ancora di più.
-Non è così facile farlo, Henri.
-Su, lasciamoci alle spalle tutti gli errori che abbiamo fatto, ti va?
-Sì, però ho paura.
-Non devi averne.
-Invece ne ho…
Mi baciò con delicatezza, anche se presto divenne
più impetuoso, più violento.
Lo lasciai fare e lo accompagnai in quel contatto che sembrava essere
una condanna.
Quando uscii dall’auto, corsi alla porta di casa e la
richiusi in fretta alla mie spalle.
Ancosa per una volta, anche se mi ero imposta il contrario, avevo fatto
tacere il cuore e avevo lasciato libero arbitrio alla ragione: il mio
cuore chiedeva troppo. Il mio cuore mi chiedeva di tornare indietro o
forse, era solo il mi osubconscio a percepire questo messaggio.
Andai in camera, affrettata per togliere le scarpe e stendermi un
po’.
Mi tirai su e portai una mano alle labbra. Erano ancora calde, ancora
umide del sapore di Henri.
Ripensai alla serata appena trascorsa, al bacio che avevo appena
ricevuto.
Non avevo sentito il battito del mio cuore accelerare, né la
voglia di stringermi a lui per rubare un altro po’ del suo
sapore.
Non avevo provato le stesse emozioni che avevo provato con Draco.
Decisi comunque di non pensarci e mi avviai in bagno per fare una
doccia.
Lasciai che l’acqua calda portasse con sé i
pensieri più scomodi, quelli che mi allontanavano dalla
decisione di salvare il mio matrimonio, quelli che mi portavano dritta
dritta tra le braccia di Draco.
Scrollai la testa e chiusi il getto d’acqua, quindi cominciai
ad insaponarmi. Identificare il profumo del bagnoschiuma mi distrasse
per un po’: era dolce, di fiori.
Niente, non ci riuscivo. Così afferrai la bottiglia del
sapone e lessi: iris e fiori di tiarè.
Aprii ancora l’acqua e lasciai che mi pulisse per bene dalla
schiuma, poi mi avvolsi nell’accappatoio e andai in camera.
Cominciai ad asciugarmi, ma mi persi immediatamente nei ricordi della
giornata.
I suoi occhi grigi… mi sembrava ancora di averli addosso,
prima carichi di desiderio, poi duri e freddi più del
ghiaccio.
Indossai il pigiama e mi sistemai sotto le coperte.
Era già passato un mese da quando ero arrivata a Londra e
quante cose erano cambiate: il mio matrimonio era stato messo
totalmente in discussione.
Avevo scoperto le carte sul tavolo ed aveva bluffato tutti, peggio che
in una partita di poker. Più di tutti, però avevo
bluffato me stessa.
Era giusto? No.
Eppure, c’era qualcosa in me che continuava a farmi credere
in quella vita… forse, era solo abitudine.
Fatto stava che avevo deciso e sarei stata irremovibile: in un modo o
nell’altro, dovevo capire dove avevo sbagliato e modificare
il modo di affrontare quegli attimi.
Non poteva finire tutto così, solo per uno schiaffo.
Uno schiaffo? Uno schiaffo o magari qualcosa in più.
C’era ancora qualche briciola di salvezza per questa storia,
no?
No.
Stupida coscienza. Era una voce, solo una voce fastidiosa a cui non
avrei dovuto dar conto.
Una voce che nasceva dal cuore, che mi suggeriva di scappare appena ero
in tempo, ma non mi sarei lasciata convincere, neanche di fronte
all’evidenza dei fatti. Sarei stata più
forte di ogni cosa ed avrei vinto su ogni cosa mi si fosse parata di
fronte.
Mi abbandonai lentamente al mondo dei sogni e sperai di non sognare
Draco, non di nuovo.
Ritrovarlo nei sogni era peggio che incontrarlo tutti i giorni nella
realtà.
Qualcuno mi aveva detto che i sogni erano un riflesso di ciò
che realmente desideriamo e sognarlo non giovava di certo alla
determinazione che avevo trovato per mandarlo via dalla mia vita.
La chiave dell'appartamento, però, era ancora
lì...
Spoiler capitolo 20:
Sul
lato destro della scrivania, il pc nuovo di zecca era ancora
imballato,quindi mi sporsi in quel lato per togliere la busta di
celophan dallo schermo e lo accesi.
-Non
provocarmi, però, Granger.
-Cosa ho fatto?
-E’
vero che saremo come due estranei- un colpo al cuore. Doloroso,
potente. -…ma è anche vero che sono un uomo.
Mi ricomposi e,
per far sparire in fretta il rossore dal viso, mi alzai e mi avvicinai
alla porta-finestra.
Due
estranei.
Due estranei
voleva dire salutarsi a stento, non sentire più il calore
delle sue mani addosso, non avere più i suoi occhi nei miei,
non trovarmi più a pochi millimetri dalla sua bocca.
E
ti sta bene?
Ci
pensai per po’. Per un po’ tanto…
***
Angolo Autrice:
Eccomi qui! Sono
tornata.
"Che rompipalle!", lo state pensando, lo so.
Per prima cosa, grazie per le recensioni: 8!
Comuunque, il nuovo capitolo è pronto per essere giudicato
da voi ^.^
Non vi piacerà questo capitolo, neanche un pò, ma come dico
sempre... PAZIENTATE un altro pò.
Bene. Vi spiego un pò come stanno le cose: è
appena iniziato febbraio (nella mia ff, ovviamente xD), quindi, non vi
spaventate se tra un pò ci sarà un titolo
"strano". Ops, spoiler!
Passiamo ai personaggi, che ne dite?
-Henri: lo
so, lo so... non vi comprerà di certo con questi sprazzi
improvvisi di dolcezza e amore, vero? Ma, in fondo in fondo in fondo in
fondo, tanto cattivo non è, vero Henri? Bah, meglio lasciar
perdere. Come avete potuto vedere in questo capitolo, il potere che ha
su Hermione sta diventando relativo, dato che ormai ne ha perso
parecchio;
-Hermione:
la pesterei a morte. Lo so, l'ho inventata io e la adoro, ma
è così testarda che mi bastona se non scrivo
quello che lei chiede xD. Scherzi a parte, è un mulo, anzi
peggio. Ormai è convinta che salvare il matrimonio con Henri
sia la cosa giusta da fare... aveva deciso di far parlare il cuore e
poi, il suo stupido orgoglio l'ha spinta a fare il contrario...
rispettiamo i suoi tempi, su... e speriamo che l'idea di Harry dia
buoni frutti, no?
Lo spoiler:
"due estranei"? Oddio! Cosa varrà mai dire? e soprattutto,
chi sarà che dice queste cose? Chissà...
Bene, ora, dopo questo chilometrico angolino d' "autrice" (con mooolte,
moooolte virgolette), vi lascio a riposare e a immaginare cosa
può succedere nel prossimo capitolo.
Ringrazio le 58
seguite, le 25
preferite e le 4
ricordate.
Non potete immaginare che gioia è per me vedere che
aumentate ogni volta *.*
Grazie mille anche ai lettori silenziosi e a chi perde anche un solo
secondo del suo tempo prezioso e lo dedica alla mia storia.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 20 *** Miss Parkinson... ***
Capitolo 20: Miss Parkinson...
Hermione
POV
Ero arrivata in
ufficio e avevo da subito aperto un po’ la porta finestra per
arieggiare e far entrare
un po’ d’aria fredda, quindi avevo sistemato il
cappotto all’attaccapanni e
avevo appoggiato il cardigan alla sedia.
Bussarono
alla
porta. –Avanti.
-Buongiorno,
Granger.
-Salve
Malfoy. Ti
serve qualcosa?
-Sì,
in realtà
volevo essere informato sulla linea che hai deciso di seguire per
questi casi.
-E
a te cosa
importa?
-Se dobbiamo
lavorare insieme, credo che sia giusto essere informato, no?
-Oh… quindi hai
deciso di… collaborare?
-In un certo
senso. Diciamo che Potter mi ha quasi obbligato.
-Non
può
obbligarti a fare qualcosa che non vuoi.
-Certo che può: è
il mio capo. E poi, chi ti ha detto che non voglio?
-Mi pare che lo
abbia detto tu.
-Ho detto che non
mi sembrava il caso continuare a lavorare insieme, dato
che…- si avvicinò e
sentii il cuore fare una capriola. –ogni volta che siamo
soli, è inevitabile
che succeda questo.- Continuò ad avvicinarsi, fino a
trovarsi a pochi
millimetri dalle mie labbra.
Mi guardò negli
occhi e sorrise, poi si allontanò.
Mi sistemai e
cercai di nascondere il rossore delle guance, lasciando che i capelli
mi
coprissero il viso. –Bene. Per quanto riguarda la linea di
lavoro, avevo
pensato di dividere il percorso in due fasi: la prima consultiva.
-Sarebbe?
-Sarebbero delle
sedute in presenza di uno psicologo e a cui, ovviamente,
assisterò anche io. La preferirei donna, dato che
può rispecchiarsi completamente nella mentalità
delle clienti.
-Interessante.
-La seconda fase,
comincerà quando le clienti decideranno di sporgere
denuncia. Da quel momento
in poi, sarò un po’ come la loro ombra.
-Complimenti,
Granger.
-Odio quando
usano il mio cognome per chiamarmi.
-E’ meglio se
manteniamo le distanze.
L’avevo guardato,
mentre tornava a sedersi e, a sua volta, mi aveva guardata con aria
interrogativa.
Forse, si
aspettava una risposta? –Bene.
-Bene.
Sul lato destro
della scrivania, il pc nuovo di zecca era ancora imballato,quindi mi
sporsi in
quel lato per togliere la busta di celophan dallo schermo e lo accesi.
-Non provocarmi,
però, Granger.
-Cosa ho fatto?
-E’ vero che
saremo come due estranei- un colpo al cuore. Doloroso, potente.
-…ma è anche
vero che sono un uomo.
Mi ricomposi e,
per far sparire in fretta il rossore dal viso, mi alzai e mi avvicinai
alla
porta-finestra.
Due
estranei.
Due estranei
voleva dire salutarsi a stento, non sentire più il calore
delle sue mani
addosso, non avere più i suoi occhi nei miei, non trovarmi
più a pochi
millimetri dalla sua bocca.
E
ti sta bene?
Ci pensai per
po’. Per un po’ tanto…
Diamine se mi
stava bene: ero sposata ed ero una donna seria. Una donna che avrebbe
provato
in tutti i modi di salvare l’insalvabile.
-…quindi, se non
ti dispiace…
Mi ero persa
parte del discorso e dalle aspettative che scorsi nei suoi occhi
dedussi che si
trattava di qualcosa di importante. –Figurati.- sorrisi,
sperando di non
sembrare una cretina.
-Allora, ci
vediamo.
-Sì.- ed uscii
dal mio ufficio.
Tornai a prestare
attenzione al mio lavoro, quindi, cominciai a creare le varie cartelle
sul
desktop del computer.
Come
due estranei.
La sua voce
fredda, tagliente mi sembrava così viva, come sei lui fosse
ancora lì a
parlare.
Non poteva una
semplice frase avere il potere di distrarmi tanto: erano solo parole,
niente di
più.
Guardai
l’orologio: erano le 9,15 e mi sentivo ancora assonnata,
perciò decisi di
uscire dall’ufficio e mi avviai alla macchinetta del
caffé per prenderne un
po’.
Inserii la
moneta
e premetti il tasto per avviare la preparazione del caffé.
Quando il
bicchiere fu pieno, lo presi e lo sorseggiai. Il sapore lasciava un
po’ a
desiderare: era acquoso e, sinceramente, lo preferivo carico, forte.
Gettai il
bicchiere del contenitore sito nell’angolo
dell’atrio, poi tornai nel mio
ufficio.
Richiusi la
porta
alle mie spalle e respirai profondamente, poi mi sedetti e presi il
cellulare
dalla borsa. Composi il numero di Ginny e avvia la chiamata.
-Pronto?
-Ti avevo data
per dispersa.
-Esagerata.
Dove
sei?
-A lavoro.
-Lavori? Da
quanto?
-Da…
ieri.-
sorrisi, immaginando Ginny che boccheggiava.
-Ah, giusto.
Harry me ne aveva parlato. Allora, come ti sembra?
-E’
l’inizio… e… hey,
perché non vieni a dare un’occhiata al mio ufficio?
-Mmh,
d’accordo.
-Ci conto, eh?
-Conta, conta.
Inizia a farlo da ora…
-Scusa?
-Uno, due,
tre…
-Sei una
stupida,
Ginevra Weasley.
-Hermione
Granger, non permetterti di usare questo tono con me.
-Ti aspetto,
dai.
-A tra poco,
Herm.
Mi rilassai
totalmente sulla sedia, con un sorriso sornione stampato sul viso.
Era da un
po’ che
non vedevo Ginny, né Blaise e avevo un bisogno immenso di
rispecchiarmi nei
suoi occhi e trovare la calma che ultimamente mi mancava.
Lo avrei
chiamato, appena la mia giornata lavorativa sarebbe finita. Nessuno
riusciva a
capirmi come lui, perché nessuno conosceva realmente Draco,
nessuno aveva mai
assistito alle nostre litigate…
Blaise
sì.
Non avevo
ancora
nessun caso su cui lavorare ed era così snervante stare
ferma, quindi aprii la
pagina di Internet. Volevo vederla assolutamente sia per
curiosità sia perché
le volevo un bene dell’anima.
Digitai il suo
nome nella barra di Google e cliccai sulla prima immagine per
ingrandirla: era
in bianco e nero, quindi il colore degli occhi e dei capelli non
potevano
essere distinti, ma era comunque una delle ragazze più belle
che avessi mai
visto.
I lineamenti
del
viso erano sottili e delicati, i capelli lisci le incorniciavano
perfettamente
il viso snello e il corpo era perfetto. Lavanda Brown era nata per
essere una
modella famosa: era sempre stata determinata ad essere ricordata e ci
stava riuscendo alla grande, visto che il suo nome compariva su ogni
rivista di moda.
Eppure, tanto
successo non le aveva dato alla testa, era sempre rimasta con i piedi
ben saldi
a terra e non aveva mai abbandonato il suo fidanzato storico.
Era una ragazza
meravigliosa: sempre dolce, sempre sorridente. Non c’era
niente che riusciva a
farle abbassare la testa e, quando si trattava di affrontare i
problemi, era
sempre lì, in prima linea, a testa alta.
L’avevo
sempre
invidiata per la sua forza… avrei voluto averne una briciola
di quanto ne aveva
lei.
Quando
bussarono
alla porta, quasi balzai dalla sedia. –Avanti.- dissi,
posando una mano sul
cuore, come a volerlo calmare.
Draco
entrò e
sorrise gentilmente, come si fa con una commessa al supermercato.
Il mio cuore
non
accennò a tranquillizzarsi, anzi, aumentò la sua
corsa folle.
-Ecco.- disse
mostrandomi un foglio.
-Cosa?
-La lista delle
migliori psicologhe.
-Ah?
-Ne abbiamo
parlato prima… ma tu eri persa in chissà quali
pensieri, quindi non mi hai
ascoltato.
-No,
sì, certo
che ho ascoltato, Malfoy! Ma per chi mi hai presa?
-Bah…
-Comunque,
dicevi: le migliori psicologhe?
-Sì.
-Fai un
po’
vedere.- e presi il foglio dalle sue mani e lessi velocemente.
Stavo per
posare
il foglio, quando lo ripresi.
I miei occhi
erano stati impegnati a cogliere ogni suo movimento e, quindi, avevano
notato
in ritardo che nella lista era presente un nome che conoscevo bene, che
avevo
odiato, ma che avevo imparato ad apprezzare.
Pansy
Parkinson.
-Sorpresa?- mi
chiede, intuendo immediatamente i miei pensieri, come se li stesse
seguendo con
un filo visibile solo a lui.
-Sì.
Sorrisi e mi
ricordai di quanto Pansy fosse brava ad entrare nei pensieri delle
persone, a
capirle anche con uno sguardo fugace.
In effetti, non
avrebbe potuto scegliere un mestiere più adatto a lei.
Continuai a
sorridere, pensando a quanto ci fossi realmente realizzati tutti, a
quanto
fossimo stati bravi ad avverare i nostri sogni, nonostante le
avversità.
Scossi il capo,
per impedire alle lacrime di uscire. L’emozione mi prendeva
sempre quando
ripensavo ai giorni in cui ero stata felice davvero, ai giorni in cui
ridere
per me era spontaneo e non mi pesava.
-C’è
qualcosa che
non va?
-No.
-La lista la
lascio qui, così puoi decidere con calma…
-No, portala.
Ho
già deciso.
-Sei veloce.
-Molto.
-Non ti sembra
troppo affrettata questa decisione? Bisogna essere selettivi
nell’ambito
lavorativo.
-Sono molto
selettiva in questi casi e, inoltre, conosco bene Pansy.
-D’accordo.
-Ti spiace se
fumo?
-Fai pure.
Portò
la
sigaretta alle labbra e l’accese, senza distogliere lo
sguardo dal mio.
Era abbastanza
lontano, ma riuscivo comunque a scorgere ogni sfumatura dei suoi occhi:
erano
grigi, con sottili venature verdi e azzurre.
Erano gelidi,
scostanti.
Sentii i
brividi
attraversarmi la spina dorsale e mi ritrovai con la pelle
d’oca, quindi
m’infilai il cardigan.
-Hai freddo?
-Un
po’.
-Il
riscaldamento
è acceso.
-Sì…-
dissi con
nonchalance, facendo cadere lì il discorso.
-Provvederai tu
a
chiamar…- ma non terminò la frase,
perché qualcuno bussò alla porta.
-Avanti.
Fui travolta da
una massa informe di capelli rossi. –Piove!
-Weasley?-
chiese
Draco.
-In carne, ossa
e
capelli come la paglia.
Rise di gusto.
–Ora vado. Granger, allora ci pensi tu?
-Sì,
grazie
mille.
Aspettammo che
Draco uscisse dall’ufficio, poi Ginny mi puntò gli
occhi addosso, riducendoli a
due fessure. –Granger?
-Sì.
-Ti chiama
Granger?
-Sì.
-Come se fossi
un’estranea?
Bam. Una
pugnalata dritta al petto. Mi ritrovai a boccheggiare, in cerca di
aria. Poi,
chiusi gli occhi e cercai di tornare in me. –Sì,
come un’estranea. Siamo due
estranei.
-Ma se vi siete
dati anche l’anima? Chi
volete prendere
in giro?!- disse, ammonendomi con lo sguardo.
-E’
la scelta
migliore per… per me e per lui.
-Sarà…
-Ora scusami,
ma
devo telefonare Pansy.
-Come mai?
-E’
una
psicologa.
-Hai intenzione
di farti curare da lei?
-Non
è per me,
Ginny.- dissi, indicandole con un gesto della mano l’ufficio.
-Oh…
capito!
Digitai il
numero
ed attesi. –Pronto?- una voce squillante ed allegra mi
riempii le orecchie.
-Pansy
Parkinson?
-Sì,
chi parla?
-Salve. Chiamo
a
nome del commissario Malfoy.
-Sì.
Gli serve
qualcosa?
-In un certo
senso.
-Mh.
-E’
possibile
avere un appuntamento con lei, nel pomeriggio?
-Mi dia un
attimo.
-Prego.- feci
segno a Ginny di non parlare e lei sorrise.
-Pronto?
-Sì?
-Nel pomeriggio
non è possibile, ma se il commissario Malfoy può
ricevermi tra un’ora…
-Perfetto.
-Allora a tra
poco. Arrivederci.
-A lei.
Tornai a
sedermi
e guardai Ginny. Sentivo finalmente che qualcosa in me stava tornando
al
proprio posto.
-Sei felice.
-Adesso
sì.
-Finalmente.
Il mio sorriso
si
spense quasi subito, quando ripensai ad Henri.
–Già…
-C’è
qualcosa che
dovrei sapere?
-No.- risposi
troppo in fretta.
-C’entra
quel
bastardo?
-Non
è un
bastardo.
Sbarrò
gli occhi,
come se avesse visto il diavolo in persona. –No, no. Dimmi
che non è vero.
Dimmi che è uno scherzo… non puoi averlo fatto.
Che cazzo ti è preso? Sei
impazzita?
-Ti prego,
almeno
tu…
-Almeno io? Hai
questo coraggio?
-I-io…
-Eh no, amica
mia. Pansy Parkinson non servirebbe alle tue clienti, perché
chiunque entra in
questo ufficio ha preso la decisione di abbandonare una vita di merda,
tu
invece continui a sguazzarci.
-Mi dispiace,
Ginny, ma ho bisogno di provarci.
Il rumore del
legno che veniva battuto mi salvò da una scenata epica.
–Sei una stupida.-
concluse.
-Avanti.-
dissi,
guardandola per l’ultima volta e indossando la mia maschera
di professionalità.
-Avvocato,
c’è la
signorina Parkinson.
-Sì,
la faccia
accomodare.
Quando
entrò,
Pansy
si guardò intorno con aria studiosa.
Era nella sua
indole studiare i minimi particolari dei luoghi in cui entrava: a suo
parere,
da quel che ricordo, anche i colori delle pareti parlavano della
personalità di
una persona.
Poi,
posò lo
sguardo su di me. riaprì e richiuse più volte gli
occhi.
Si
passò le mani
per strofinarli, poi spalancò la bocca. –Sto
sognando, vero?
-Affatto.
Mi alzai e le
corsi incontro per abbracciarla.
Sentii gli
occhi
riempirsi di lacrime e questa volta le lasciai libere. Poi, ci
staccammo e non
so per quanto tempo restammo a guardarci. –Non posso crederci.
-Credici,
credici.
-Hermione
Granger, l’avvocato più in gamba di tutta Parigi.
-E vogliamo
parlare di Pansy Parkinson, la psicologa che compare ai primi posti
nelle liste
delle più rinomate di tutta la Gran
Bretagna?
-Oh, basta,-
intervenne Ginny. –non potete escludermi.
Sorridemmo e
corremmo ad abbracciarla sia io che Pansy. –Dai,
su…- la ammonì dolcemente
Pansy.
-Non parlate di
Ginevra Weasley, la pediatra più dolce di tutti gli ospedali
londinesi?
-Ma certo che
parliamo anche di te.
Feci accomodare
Pansy e ci perdemmo per un po’ in chiacchiere futili.
Il matrimonio,
i
bambini, la vita di tutti i giorni insomma. Pansy era mamma di due
bambini
bellissimi: Abby,
la femminuccia di tre anni, e Colin
di otto mesi.
Mi aveva
mostrato
le loro foto e subito mi era saltata all’occhio la
somiglianza che avevano con
il padre e con la madre. Cedric Doggory era sempre stato un bellissimo
ragazzo
e Pansy non era da meno e parte della loro bellezza l’avevano
trasmessa ai
figli.
Non so quanto
tempo passammo a ridere e mi sentii in parte leggera.
L’altra
parte di
me, invece, pesava per l’invidia che provava verso le vite
perfette che le mie
amiche conducevano.
-Ero venuta qui
per
Malfoy, come mai non lo vedo.- disse, infine Pansy.
-In
realtà, ti ho
telefonata io…
-Davvero?
-Sì.
Volevo farti
una proposta.
-Dimmi pure.
-Harry mi ha
affidato un compito alquanto… arduo. E credo che sia
conveniente… no,
conveniente no. Credo che sia più giusto per le mie clienti
essere assistite
sia sul piano psicologico che su quello legislativo.
-Di cosa ti
occuperai?
-Violenza sulle
donne.- Ginny aveva mosso uno sguardo eloquente e pieno di
disapprovazione
verso di me.
Non aveva tutti
i
torti: parlavo di un qualcosa che mi riguardava in prima persona come
se fosse
lontana da me anni luce.
-E’
un ottimo
campo in cui operare. Mi stai chiedendo di lavorare insieme, giusto?
-Esatto.
-Bene: immagina
quante donne mi chiedono delle sedute solo per sfogare il proprio
dolore e i
propri timori. Spesso, però, il mio sostegno non
è sufficiente a dar loro il
coraggio per sporgere denuncia, perché non credono molto
nella legge.
-Sì.
-E credo che
avendo la presenza costante di qualcuno che valga davvero tanto in
quell’ambito
sia un appoggio importante.
-Ovviamente,
non
obbligherò nessuno a sporgere denuncia…
-Mi pare
ovvio,-
disse sorridendo. –ma lavorare insieme è un buon
inizio per indirizzarle verso
la “salvezza”.- concluse mimando le virgolette con
le mani.
-Esatto.
-Mi pare ottimo
l’inizio di questo rapporto di lavoro.
-Sì.
Ginny,-
dissi poi rivolgendomi a lei. –sei inclusa anche tu in
questo… come dire…
progetto.
-Io?
-Sì.
Immagino che
spesso e, purtroppo, siano vittime di violenza anche i bambini,
quindi…
-Molto spesso.
-Ecco. Per il
momento, ci occuperemo delle bambine. In questi giorni,
chiederò ad Harry di
espandere il mio lavoro anche per i bambini.
-Perfetto.-
dissero all’unisono le due.
Finimmo, quindi
di mettere a punto gli ultimi dettagli del nostro progetto, poi sia
Ginny che
Pansy andarono via.
Per tutto il
tempo, rimasi sola… non mi permisi di pensare, ovviamente:
il mio matrimonio
doveva rimanere in piedi.
Spoiler capitolo 21:
Quando
entrò nell'ufficio, mi guardò con gli occhi
colmi di una strana luce. Mi sorrise e si sedette sulla sedia
di fronte a me, poi appoggiò sulla scrivania un piccolo
foglio di cartoncino marrone su cui si stendevano dei rami rosa che
terminavano con un ricciolo.
-Cos'è?
-Un invito.
-Per?
-Oh, piccola
donna... aprilo e lo scoprirai...
Feci come mi
aveva detto e, prima di leggere, fui catturata dalla bellezza della
scrittura: era elegante e fine, tendeva verso il bordodestro del foglio.
Lessi il
contenuto, poi realizzai quello che realmente era scritto: era un
invito di ri-fidanzamento.
***
Angolo Autrice:
Nuovo capitolo.
Allora come avete potuto vedere, ci sono nuove comparse, tipo Pansy
Parkinson e per le amanti di Robert Pattynson, ci sarà anche
lui.
Sinceramente, è un personaggio che ho molto apprezzato nella
saga e mi è dispiaciuto che la zia Rowling lo abbia fatto
morire così. Povero :(
Comuuunque, qui è presente ed è il maritino della
nostra psicologa :P
Mi è piaciuto particolarmente scrivere questo capitolo:
adoro le rimpatriate ^.^
Passiamo ai personaggi:
-Ginny: odia
con tutta se stessa Henri e lo avete notate, no? Infatti, non condivide
la scelta della sua amica, ma non dimentichiamoci che lei e Blaise
stanno architettando qualcosa eh! E poi, la rossa ha a sua disposizione
la nuova arrivata :P;
-Pansy:
è una persona molto profonda, determinata e dolce. Vuole un
gran bene alla nostra Hermione, nonostante gli anni di distanza.
Avrà un ruolo importante e, forse, sarà l'unica
ad essere realmente FONDAMENTALE;
-Hermione:
testarda che non è altro. Le occhiatacce di Ginny
però la turbano, avete visto? Significherà
qualcosa? Sì, significa molto;
-Draco: l'ho
rimasto per ultimo, perchè è il personaggio
più interessante di tutta la saga. Come avete visto, ha
cambiato totalmente atteggiamento. Perchè? Beh,
perchè in questo modo confonderà Hermione e
confondendola aumenterà i suoi dubbi verso il suo
matrimonio. Ne avremo delle belle da vedere ^.^
Lo spoiler:
un invito. Di Ri-fidanzamento. E di chi sarà mai? Su su,
volate con la fantasia e ditemi un pò cosa ne pensate xD
Ringrazio
alle 61
seguite, alle 27
preferite e alle 4
ricordate.
Grazie, grazie, grazie mille! Aumentate ogni volta e mi rendete
felicissima *.* GRAZIE MILLE!
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 21 *** L'invito... ***
Capitolo 20: L'invito...
Hermione POV
Mi svegliai di
ottimo umore e scesi in cucina. Mamma stava apparecchiando la tavola
per fare
colazione, quindi l’aiutai e mi sedetti insieme a lei.
-Ho saputo di…
Henri.
-Ah sì?
-Sì.
-E chi te l’ha
detto?
-In realtà, ho
solo notato che hai rimesso la fede al dito.
-Sei un’ottima
osservatrice.- le dissi sorridendo.
-Non sorridere,
Hermione. Sei una stupida.
-Henri è mio
marito, mamma ed io mi ritengo abbastanza matura da poter prendere le
mie
decisioni senza chiedere il parere altrui.
-Nessuno lo mette
in dubbio, ma questo non significa che le tue scelte beneficino in tuo
favore.
-Henri è
cambiato.
-Oh, per Dio.
Come può un uomo cambiare in meno di dieci anni? Credi che
farti qualche moina
significhi che quel mostro sia cambiato?
-Non è solo
qualche moina.
-Portarti a cena
e dirti che sei bellissima, ecco cos’ha fatto.
-Ma cosa ne sai?
-Hermione, ho
voluto bene ad Henri fin dal primo giorno, ma mi sono dovuta ricredere.
Ora, credo
sia meglio che tu vada al lavoro. Non mi va di litigare e perdere la
stima che
ho in te.
-Fidati di me, ti
prego.
-L’ho già fatto
una volta, figlia mia. E me ne sono pentita. Ricordati che nella vita
serve il
cuore e le scelte in cui il cuore non c’è non sono
quelle giuste.
Il cellulare
squillò più di una volta, segno che Henri era
fuori ad aspettarmi. –Vado a
lavorare.
-Sì, corri.
Altrimenti torni qui con qualche altro livido.
La guardai
furiosa, poi uscii di casa, chiudendo forte la porta.
Il mio buon umore
era andato a farsi benedire, così come la mia smania di
apparire sorridente a
qualsiasi costo.
Quando entrai in
auto, salutai Henri con un bacio leggero sulle labbra e lui mise in
moto.
Che bell’inizio
anche con lui: continuava ad essere distante e a non dimostrarmi il
contrario.
O forse, era il mio nervosismo che mi permetteva di vederlo assente.
Per tutto il
tragitto, restammo in silenzio e sinceramente mi stavo innervosendo,
quindi
sbuffai rumorosamente.
-Qualcosa non va?
-No… anzi, va
tutto alla grande. Non vedi?
-Vedo il modo in
cui sei vestita…
non è troppo…
-Troppo?
-Nah, lascia
perdere.
-Bene.
-Ci vediamo più
tardi. Pranziamo insieme.
-In realtà, avrei
da fare all’ora di pranzo.
-Pranzeremo
insieme.
-Henri, ti ho
detto che da fare.
-TI.HO.DETTO.CHE.PRANZEREMO.INSIEME.
Uscii dall’auto e
chiusi la portiera con forza.
Mi avviai dritta
nel mio ufficio, senza quasi chiedere scusa a chiunque urtassi.
Quando finalmente
sentii il rumore della porta chiudersi dietro di me, mi rilassai.
Andai
a sedermi e attesi che arrivasse Pansy.
Nel
frattempo, accesi il pc e aprii la porta-finestra, poi tornai a sedermi
e
guardai la ceneriera in cui Draco aveva posato la cenere della sua
sigaretta,
il giorno precedente.
Il
mozzicone era ancora li.
Lo
presi in mano e lo guardai. Poi, sorrisi ricordandomi di quando gli
strappai la
sigaretta dalle mani e fumai per sentirmi grande, ma mi ritrovai a
tossire come
una matta.
Sentii
l’angoscia montare, quindi posai il mozzicone e svuotai la
ceneriera nel
cestino che avevo accanto alla scrivania.
Bussarono
alla porta e Pansy entrò tenendo adagiato sulla spalla Colin
e stringendo
nell’altra mano la borsa del bambino, la sua ventiquattrore e
le chiavi
dell’auto.
Inoltre,
era intenta a parlare al cellulare. –…prima che
puoi, per piacere. Grazie.- e
staccò la telefonata.
-Buongiorno.
-Perdonami.-
disse, battendo leggermente la
mano
dietro la schiena del bimbo. –Stamattina è stato
un inferno.
-Qualcosa
di grave?
-No.
E’ solo che Cedric è andato in azienda per
presentare un progetto. Mia madre mi
ha letteralmente abbandonata e quindi non ha potuto portare Abby
all’asilo e la
babysitter mi ha avvisata che non sarebbe potuta venire. Quindi, ho
dovuto
preparare in fretta la colazione a Cedric che aveva già
fatto tardi, ho dovuto
portare Abby a scuola e Colin…- si interruppe per guardare
il bimbo che aveva
appena fatto il “ruttino” che tanto
“ino” non era. -…è qui.-
concluse,
sorridendo.
-Cavoli…
-Sì,
non è normale per un bambino di soli otto mesi, ma che ci
vuoi fare… mangia
come un maialino.
Era
meravigliosa: sorrideva e non si avviliva, pur se tutto gravava sulle
sue spalle.
La
invidiavo. –E’ ancora più bello dal vivo.
-Grazie.
-Ciao
piccolino.- dissi, poi avvicinandomi a lei e toccando la bocca del
bimbo con
l’indice.
-Gli
piaci.
-Dici?
-Sì.
Guarda come ride. Puoi tenerlo un attimo? Vado a prendere il
porta-enfant.
-Figurati.-
Presi in braccio Colin, poi sorrisi e cominciai a fare voci strane e
facce
buffe. Adoravo la sua risata: era leggera, pulita. Come la risata di
Natan.
Quando
Pansy tornò, adagiai il piccolo nel porta-enfant e lo
appoggiai sulla
scrivania.
-Ci
sai fare con i bambini, eh?
-Mi
piacciono molto.
-Perché
non ne fai uno anche tu?
-Pansy… non immagini quanto desideri un bambino, ma Henri
non può averne e
quindi…
-Hai
mai pensato all’adozione?
-Sì,
però… ti sembrerà strano sentirlo dire
da me, visto che amo i bambini, ma
essere chiamata mamma da un bimbo che non è realmente mio
figlio mi sembra un
furto alla vera madre. Non mi sentirei mai in grado di riempire il
vuoto che
quel bimbo potrebbe sentire dentro di se… Immagino che anche
diventare mamma mi
spaventerebbe, ma almeno so che quel piccolo mi appartiene davvero.
E’ un
po’ strano come ragionamento…
-No,
invece: nessuna delle mie pazienti me l’ha mai spiegata da
questo punto di
vista ed è molto interessante. Continua…
-E
poi credevo che, col tempo, Henri avrebbe cominciato a
risentirne…
-A
proposito, come vanno le cose con lui?
Abbassai
lo sguardo e accarezzai la fede. –Bene, grazie.
Mi
sorrise mesta e tacque. Le sorrisi di rimando e tornai ad osservare la
fede,
poi nascosi la mano sotto la scrivania.
Colin
cominciò a piangere e Pansy lo prese in braccio, portando la
testa del piccolo
sulla sua spalla e parlandogli dolcemente. –Shh, Colin, shh.
Il
bimbo si tranquillizzò dopo poco e sorrise guardando sua
madre. Fece qualche
versetto strano, poi si addormentò lentamente e Pansy lo
sistemò di nuovo nel
porta-enfant.
-E’
un amore.
-Sì.
Vado a prendere del caffé, ne vuoi un po’?
-No,
grazie.
-Se
non ti spiace, vado anche a salutare Draco e Harry.
-Figurati,
fai pure.
Caricò
il peso del porta-enfant su di un braccio e mi lasciò sola.
Presi
il cellulare dalla borsa e cercai qualche numero utile nella rubrica,
per
registrarlo al telefono dell’ufficio.
Improvvisamente,
la porta si spalancò e quando
entrò nell'ufficio, mi
guardò con gli occhi colmi di una strana luce. Mi sorrise e
si sedette sulla
sedia di fronte a me, poi appoggiò sulla scrivania un
piccolo foglio di
cartoncino marrone su cui si stendevano dei rami rosa che terminavano
con un
ricciolo.
-Cos'è?
-Un invito.
-Per?
-Oh, piccola donna... aprilo e lo scoprirai...
Feci come mi aveva detto e, prima di leggere, fui catturata dalla
bellezza
della scrittura: era elegante e fine, tendeva verso il bordo destro del
foglio.
Lessi il contenuto, poi realizzai quello che realmente era scritto: era
un
invito
di ri-fidanzamento.
-Ginny
Weasley… ti ri-fidanzi con Harry?
-Tra tre mesi sposeremo, Hermione, mica posso non festeggiare il
mio fidanzamento ufficiale?
-Giusto.
-E tu sarai la mia testimone, quindi per te ho già tutto
pronto:
abito, parrucco e tutto il resto…
-Oh…
-Non dici niente?
-…non so cosa dire.
-Inizia a ringraziarmi.
-Grazie.
-Bene. All’ora di pranzo abbiamo la prova
dell’abito.
-Ma non devo sposarmi, Ginny.
-No, ma devi essere perfetta.
-Perché?
-La mia testimone non può essere brutta.
-Sono brutta?
-No, ma non metti in risalto la tua bellezza.
-Ginny, mi offendi.
-No, dico davvero… per esempio, oggi sei stupenda, ma
c’è qualcosa
che non va.
-E cosa?
-Non so… qualcosa negli occhi.
-Cos’hanno che non va?
-Sono… strani.
-Oddio, mi stai facendo preoccupare.- presi lo specchietto dalla
borsa e mi osservai attentamente: in effetti, le occhiaie erano pesanti
e ben
visibili, perché stavo dormendo poco e male.
–E’ solo un po’ di stanchezza,
Ginny.
-No, non intendevo le valigie che hai sotto gli occhi…
è nello sguardo.
Tornai a guardarmi nello specchio e ancora una volta, non potetti
dar torto alla mia migliore amica: i miei occhi non erano felici,
né sereni.
In me imperversava una sorta di tempesta, un uragano di nome Draco
che aveva portato non pochi danni al mio cuore, ma avrei continuato a
far finta
che tutto andasse bene.
Doveva andar bene. –Io non ci vedo niente di strano.
-Bah, forse mi sto impressionando.- disse, con un tono che
intendeva esattamente il contrario di ciò che aveva appena
detto.
Riuscii a percepire la tensione che si stava creando e pregai Dio
che facesse finire tutto quanto prima possibile. Probabilmente, in quel
momento
il Padre Nostro stava proprio ascoltando me, infatti Pansy
rientrò in ufficio
insieme a Colin che dormiva beatamente. –Scusami, Hermione,
ma harry e Draco
sono esasperanti quando iniziano a litigare.
-Ne so qualcosa.- affermò Ginny. –Ora
però vieni qui, fammi dare
un mega bacio al bimbo più bello che io abbia mai visto.
-Fai piano, perché dorme.- Pansy si sedette e
cominciò a parlare
con Ginny, mentre io cominciai ad allontanarmi dalla realtà.
Le loro voci mi giungevano lontane, ovattate. Capii che non era il
caso di perdermi dietro a pensieri che di certo non avrebbero giovato
al mio
voler restare con Henri.
-…quindi, come ho già fatto con Hermione, mi
sento in dovere di
dare anche a te l’invito.
-Come mai? Insomma, tu ed Harry siete già fidanzati.
-In effetti sì, diciamo che renderemo la cosa più
ufficiale e c’è
da contare che abbiamo deciso di sfatare la tradizione
dell’addio al nubilato,
quindi festeggeremo due cose insieme.
-Complimenti allora.
-Verrai, vero?
-Oh, Ginny, ti prometto che farò il possibile.
-Se il problema sono i bambini, puoi lasciarli a mia madre.
-...ma dai, povera Molly…
-Figurati,- dissi inserendomi nel loro discorso. –Molly adora
i
bambini e non le peserà certo passare una serata con i tuoi.
-Beh, allora… conta sulla mia presenza.
-Grazie!- disse Ginny, saltando letteralmente al collo di Pansy.
Entrambe si ricomposero. Sorrisi felice del fatto che dopo tanti
anni di distanza la nostra amicizia non si fosse rovinata.
-Draco mi ha letto che ti assisterà in ogni caso.
Cioè…
-Sì, avrò bisogno di lui per quanto riguarda le
testimonianze
delle clienti e la loro tutela.
-Stiamo mettendo su un’ottima squadra.
-A proposito di lavoro,- disse Ginny. In viso le si disegnò
un
espressione triste. -… qualche giorno fa, in pediatria
è arrivata una donna
dicendo che la figlia aveva degli arrossamenti e delle irritazioni
nelle parti
intime e l’ho visitata, ma…
-Ma?- chiesi, facendole segno di andare avanti.
-A me non sembrano degli arrossamenti causati da… che ne so,
un’irritazione da pannolino o da crema.
-Cosa pensi?
-Non so. Quella donna è arrivata in ospedale con un ragazzo
che
non ha alzato mai la testa mentre facevo delle domande alla mamma della
bambina.
-Credi che sia stato lui?
-A primo impatto, non ci ho pensato… poi ho
trovato…
-Falla visitare da un ginecolo.
-Ma ha due anni.
-Tu falla visitare e basta. Nel frattempo, cerca di rintracciare
la madre della piccola e fai in modo che venga qui, assieme al ragazzo
che l’ha
accompagnata in ospedale.
-D’accordo. Quando…?
-Immediatamente.
-Ci sentiamo telefonicamente.- disse Ginny ed uscii
dall’ufficio.
Mi portai le mani alle labbra, cercando di capire cos’altro
avrebbe potuto causare un’irritazione intima ad una bambina
di due anni se non
i pannolini o una crema con un Ph troppo alto.
-Hai già qualche teoria?
-Non voglio pensare che il ragazzo abbia abusato della bimba.
-Ma lo ritieni probabile?
-Mi auguro che non lo sia.
-A cosa andrebbe incontro?
-Beh, a parte ad una trafila di accuse, come già sai,
rischia di
avere l’ergastolo.
-Non è troppo?
-Forse, ma sono molto intransigente quando si tratta di violenza
sui bambini. Non capisco come cazzo si faccia a far dalle male a queste
anime
di Dio.- dissi, accarezzando delicatamente la guancia di Colin.
-Io credo che sarei capace di uccidere se qualche stronzetto
dovesse solo pensare di abusare di Abby.
Annuii e lasciai cadere lì il discorso. Poi, Pansy mi
salutò ed
andò via, visto che ormai Colin si era svegliato e non
voleva saperne di tranquillizzarsi.
Restai sola per un bel po’…
Spoiler capitolo 22:
-Ora,
dovresti
parlarmi un po’ di te.
-Emh, non ho
molto da dire di me.
-Allora te lo
dico io, d’accordo?
-Ok.
-Sei una donna
stupenda, che tende a nascondersi e a restare
all’ombra… hai bisogno di un
motivo valido per uscire allo scoperto e quando accade,
c’è poco da
meravigliarsi se il mondo resta accecato da tanta bellezza. Guarda le
spalle,
guarda il collo, guarda i seni…- disse, accarezzando le
parti del corpo che
nominava.
Mi rispecchiai
nei suoi occhi chiari: erano sinceri e dolci. Sorrisi, rossa in viso e
mi
sentii terribilmente in colpa verso me stessa. –Gra-grazie.
-Figurati,
Hermione.
***
Angolo
Autrice:
Eccomi quiiii!
Grazie mille come sempre per i complimenti che mi fate *.* Sono
felicissima!
Comunque, torniamo al capitolo. Come avete visto, finalmente il lavoro
di Hermione sta prendendo forma e questo potrebbe tenerla per un
pò lontano da Henri, contente? Inoltre, la nosta cara
protagonista ha deciso di non darla sempre vinta al mostriciattolo.
I personaggi:
-Pansy:
è una mamma dolcissima, visto? No, non sarà
cattiva, nè antipatica in questa storia... Pansy
è uno dei personaggi che mi piace molto e che credo zia
Rowling abbia tenuto un pò nell'ombra. In questo capitolo
non è stata molto d'aiuto, ma poi si darà da fare
xD;
-Ginny: che
amica! Non ho molto da dire su di lei, a dire il vero, a parte che la
adoro ^^;
-Henri:
è andato a sbattere contro un bel muro, eh? Hermione gli ha
detto no, yuppi! Lui, comunque, si è offeso molto e non
sarà di certo gentile e cortese;
-Meredith:
è una mamma fantastica che appoggia la figlia in ogni scelta
anche se questa storia di tornare con Henri proprio non le va a genio.
Comunque, ricordatevi delle parole che ha detto ad Hermione;
-Hermione:
BRAVA! Finalmente si è data una mossa e, anche se
è tornata con i. vermiciattolo, non vuol dire che ora si
faccia mettere i piedi in testa u.u.
-Lo spoiler:
DOVETE
dirmi cosa state immaginando. Il capitolo è già
pronto, quindi... però, sono curiosa di sapere cosa immagina
la vostra testolina. Su su.
Ringrazio le 62
seguite, le 29
preferite e le
4 ricordate.
Grazie davvero tante: mi rendete felicissima. Siete voi che fate andare
avanti questa storia, quindi il vostro sostegno per me è
indispensabile.
Grazie, ovviamente, anche ai lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 22 *** La prova del vestito... ***
Capitolo 22: La prova del vestito...
Hermione POV
L’ora di pranzo
arrivò in un batter d’occhio e mi ritrovai
travolta da una Ginny euforica al
limite. Mangiammo al volo un panino ad un bar a pochi isolati dal
dipartimento,
poi Ginny si offrì per guidare la sua auto. –No,
ti prego. Mi spaventi quando
sei così… lascia guidare me.
-No.- L’avevo
pregata più e più volte, ma non c’era
stato verso di smuoverla.
Partì e due metri
più avanti, il contachilometri segnava già i
centoventi all’ora. Mi strinsi forte
alla maniglia e allacciai di fretta la cintura. Non sarei sopravvissuta
a questo shock: sarebbe stato più divertente
andare sulle montagne russe del luna park.
Quando finalmente
arrivammo, ringraziai Dio di essere ancora viva, poi la mia migliore
amica mi
trascinò di fronte ad un palazzo enorme.
Entrammo e ci
dirigemmo all’ascensore. Ginny premette più volte
il pulsante, senza però che
l’ascensore scendesse al piano su cui ci
trovavamo.
Ticchettai la sua
spalle e le indicai un cartello che avvisava un guasto temporaneo
dell’ascensore. –Ci toccherà salire a
piedi.- dissi con aria affranta.
-Merda.
Ci avviammo con
passo svelto che divenne pesante e strascicato dopo tre rampe di scale.
Ginny,
ormai, aveva l’affanno e non cercava di nasconderlo.
-Non ne posso
più.- le dissi dopo aver appoggiato il piede sul
quarantaduesimo gradino.
-Ne vale la pena,
vedrai.
-Una sarta in un
negozio normale, no?
-No, Hermione.
Questa donna è la miglior sarta di tutto il paese.
-Non potevamo
semplicemente comprarlo un vestito?
-No.
-Io proprio non
ti capisco, Ginny.
Bussò ad un campanello
e, poco dopo, una donna sulla settantina ci aprii e ci fece accomodare.
Al centro del
locale c’era un enorme bancone zeppo di stoffe dai mille
colori e le spille, i
metri, gli aghi e fogli su cui erano appuntate le misure di svariate
clienti.
-Prego signore,
accomodatevi.
-Grazie.- dissi
timidamente, continuando ad osservare l’ambiente.
Era illuminato da
una luce forte e in un angolo abbastanza ampia c’era una
pedana circondata da
grandi specchi su cui, probabilmente, le modelle provavano gli abiti.
-Oh, che sbadata.
Piacere, io sono Minerva
Mcgranitt.
-Hermione
Granger.
-Ginevra Weasley.
-Chi di voi sarà
la mia prima modella?
-Io.- risposi,
dopo che Ginny mi aveva spinta in avanti con una leggera pressione
dietro la
schiena. La donna mi sorrise.
Le rughe le si formarono
dolci attorno a quel sorriso simpatico. Aveva gli occhi azzurri ed
un’espressione di immensa tenerezza. I capelli biondo chiaro
sistemati a caschetto. –Vai dietro al separè, cara
e spogliati.-
mi disse, indicandomi un separè di legno scuro poco lontano
dalla pedana.
Mi nascosi lì
dietro e cominciai a spogliarmi lentamente, mentre ascoltavo Ginny e la
sarta
che discutevano del vestito destinato alla mia migliore amica.
Mi posizionai sulla
pedana e attesi che Minerva si avvicinasse a me. –Vieni qui
cara e guardati
allo specchio e… dimmi cosa vedi.
Mi vidi riflessa
e quasi mi spaventai: ero dimagrita tantissimo e i capelli erano
diventati
crespi e indomabili. Avevo un colorito cereo e delle occhiaie ancora
più
profonde. –Una donna molto stanca.
-Risposta
sbagliata.
-Perché? Lei ci
vede altro?
-Sì.- disse
raggiungendomi sulla pedana e posizionandosi di lato, in modo da
potermi
muovere facilmente. –Guarda i tuoi occhi: il colore
è favoloso e la forma è
straordinaria, anche se… dovresti riposare un po’
di più.
-In effetti.
La sarta scese
dalla pedana e prese qualche campione di stoffa, poi li
sistemò ai miei piedi e
li guardò pensierosa.
Ne accostò uno
per volta al mio viso. Rosa, nero, amaranto, blu marino, verde.
–Questo,
decisamente.- disse, eliminando gli altri e tenendo solo quello blu.
–Ti piace?
Il blu non era il
mio colore preferito, ma se lo diceva lei. –Credo di
sì.
-Devi essere
decisa, figlia cara. O sì o no.
-Ok.
-Mmh, va meglio.
Allora guardati.- disse e accostò di nuovo il campione di
stoffa al viso,
all’altezza degli occhi. –Il blu è un
colore dalle diverse sfumature e questa è
quella che in assoluto preferisco. Inoltre, ti dona tantissimo: mette
in
risalto i tuoi occhi e la tua carnagione chiara.
-Davvero?
-Non lo vedi,
cara?
Mi guardai per un
po’ allo specchio e soffermai l’attenzione sul
contrasto che la pelle creava
con la stoffa e, a dir la verità, l’effetto mi
piaceva. Sorrisi. –Sì.
-Bene, ora dimmi
qual è il tuo colore preferito.
Non ci dovetti
pensare neanche un attimo. –Grigio.
-Descrivimi la
prima cosa che ti viene in mente. Che sia grigio, si intende, no?
-Platino fuso,
caldo e freddo allo stesso momento. Che cela una sorta di segreto che
mostra
solo alla persona di cui si fida ciecamente.- immaginai un paio di
occhi che mi guardavano desiderosi, poi arrabbiati, poi gelidi.
-Perfetto. Ora,
dovresti parlarmi un po’ di te.
-Emh, non ho
molto da dire di me.
-Allora te lo
dico io, d’accordo?
-Ok.
-Sei una donna
stupenda, che tende a nascondersi e a restare
all’ombra… hai bisogno di un
motivo valido per uscire allo scoperto e quando accade,
c’è poco da
meravigliarsi se il mondo resta accecato da tanta bellezza. Guarda le
spalle,
guarda il collo, guarda i seni…- disse, accarezzando le
parti del corpo che
nominava.
Mi rispecchiai
nei suoi occhi chiari: erano sinceri e dolci. Sorrisi, rossa in viso e
mi
sentii terribilmente in colpa verso me stessa. –Gra-grazie.
-Figurati, Hermione.
Non trovi anche tu, Ginny?
-Assolutamente.-
asserì sorridente.
-Vedi, Hermione,
l’abito è un qualcosa che ti descrive
perfettamente. Ti presenta al mondo così
come sei, anche se molti non lo capiscono. Quindi, permettimi di creare
l’abito
per te, per quella che sei, non per quella che vuoi apparire.
-D’accordo.
Minerva prese le
misure e le segnò su un foglio. Poi fu il turno di Ginny.
La stessa trafila
delle stoffe toccò a lei e Judith si trovò
indecisa tra il verde e l’azzurro.
Li accostava e li scostava continuamente prima ai capelli, poi agli
occhi, poi
alla pelle. –Tu sei la festeggiata, vero?
-Sì.
-Bene, allora…
bianco. Assolutamente bianco.
-Non crede sia un
po’ troppo matrimonio?
-Assolutamente
no. Ora parlami di te.
-Beh, sono molto
spontanea e schietta. Odio tenere il muso…
-Sei allegra e
questo si nota a primo impatto, sei fresca, solare per questo ho optato
per il
bianco. Non c’è colore che trasmetta
più luce del bianco e accostato
all’abbinamento che già ho in mente, i tuoi ospiti
resteranno incantati:
brillerai come una stella. Ovviamente, però, per il taglio
dell’abito
disporremo di una maggiore serietà.
-Perfetto. –Ginny
aveva gli occhi sognati: avrebbe indossato anche una busta di cartone
se quella
donna le avesse detto che le donava.
Minerva sorrise,
poi le chiese dei suoi colori preferiti e alla fine prese le sue misure
e le
segnò sullo stesso foglio su cui aveva segnato le mie.
Dopo più di
un’ora, salutammo Minerva e tornammo in commissariato.
-Sono stanca
morta.- disse Ginny, gettandosi di peso sulla poltrona.
-A chi lo dici.
-Oggi, ho
parlato
con la mamma della bimba: le ho fatto delle domande precise ed
è stata un po’
vaga nelle risposte. Le ho detto della visita ginecologica ed ha
accettato
tranquillamente.
-Le hai detto che
sua figlia sarà visitata da un ginecolo?- spalancai gli
occhi.
-Non proprio: ho
detto che bisognava fare delle analisi più accurate.
-Ok.
-In un modo o
nell’altro, però, dovrò spingerla a
parlare con Pansy.
-Potrebbe venire
lei in ospedale…
-Ottima idea.
-Vuoi un caffé?
-Sì.- così, uscii
dall’ufficio e mi avviai alla macchinetta.
Quando tornai,
Ginny passeggiava nell’ufficio con aria pensierosa, andando
dalla scrivania
alla porta e viceversa.
–Secondo te, quella era una sarta o una psicologa?
-Ma che domande
sono?
-Secondo me è
lesbica.
-Ma Ginny…
-Hai visto quanti
complimenti ha fatto?
-Ginny, è una
donna professionale, che fa bene il suo lavoro. Ora, per favore,
siediti e bevi
il tuo caffé, poi smamma.- dissi, sedendomi nella poltrona.
-Perché?
-Non vorrei che
Harry mi accusasse di rubarvi troppo tempo.
-Oh, è vero!
Harry… me n’ero quasi dimenticata.
-Mio Dio… povero
ragazzo.
-Ma su, è normale
essere così sbadate a sette mesi dal matrimonio.
-Non è affatto
normale: manca tanto tempo al matrimonio. Quando mancheranno pochi
giorni cosa
farai?
-Poi vedremo.- mi
rispose, facendo un sorriso che le attraversava tutto il viso.
-Credo che avrò
un bisogno vitale di Pansy, allora…
-Hey, guarda che
di lei hai bisogno adesso per quanto riguarda il tuo
matrimonio, non il mio.
Per tutto il
tempo, Henri non aveva fatto parte neanche minimamente dei miei
pensieri.
–Scherzavo, Ginny.
-Io non scherzo
affatto, Herm. Tu non ami tuo marito, punto.
-Non dire
cavolate.
-Sappiamo bene a
chi sono rivolti i tuoi pensieri.
-A lui.
-No, sono rivolti
a Malfoy.
-Sei ubriaca per
caso?
-"Il mio colore
preferito è il grigio e immagino il grigio come platino
fuso, un lago freddo e
caldo allo stesso momento…"- disse, con voce fintamente
lamentosa e
melodrammatica. –Stavi parlando degli occhi di Draco.
-Sei fuori di
testa.- mi leggeva nella mente. Ormai ne ero convinta.
-No, quella fuori
sei tu. Perché non hai detto che il tuo colore preferito
era… che ne so… il
rosso?
-Perché non lo è.
-E quale sarebbe
allora?
-Il grigio.
-Da quanto tempo
Il grigio è il tuo colore preferito.
-Da otto anni.-
sbottai irata.
Ginny mi guardò
soddisfatta e con un ghigno da vincitrice sulle labbra. –Vado
da Harry, Herm.
Ci sentiamo domani.- mi salutò con un bacio e
andò via.
Spoiler capitolo 23:
-Credevo che la
decisione di tornare con tuo marito includesse anche il pacchetto
sincerità.
-E’ una bugia a
fin di bene.
-Nessuna bugia lo
è: anche se all’inizio può sembrare
così, con il tempo ti distrugge.
-Immagino.
Mosse la mano dal
volante e lo spostò piano verso di me. Istintivamente,
cominciai a tremare
anche se il sangue che mi scorreva nelle vene scottava.
Uno strano calore
mi pervase, ma i brividi che avvertivo sotto pelle non potevano essere
ignorati.
Quando Draco,
infine, appoggiò la mano destra sul cambio, il mio cuore
rallentò bruscamente
la sua corsa, fino a fermarsi per un attimo.
***
Angolo
Autrice:
Muahuahuah!
Questa risata diabolica ci voleva proprio. Vi ho deviato alla grande e
sono fiera di me u.u.
Allora,
immagino che molte di voi siano rimaste a bocca aperta: non
è Draco, non è Blaise, non è Pansy. E'
Minerva Mcgranitt.
Inizialmente,
avevo pensato di non inserirla affatto nella storia, ma è
tanto simpatica xD, quindi un piccolo spazio tra queste righe l'ho
fatto occupare anche a lei.
Bene, passiamo
al capitolo: e' di passaggio, ma è stato fondamentale per
Hermione e per Ginny, che è sempre più convinta
del suo diabolico piano.
Dei personaggi
non ho molto da dire:
-Ginny: ci sta
riuscendo alla grande ad insitare il dubbio nell'orgoglio di Hermione;
-Hermione:
piano piano, anche se contro la sua volontà, si sta rendendo
conto che Draco è il suo pensiero fisso, a differenza di
Henri. Come avete potuto notare, quando Minerva le ha chiesto del suo
colore preferito, lei non ha minimamente fatto riferimento a suo marito.
-Lo spoiler:
questa volta, Draco c'è... ma cosa succederà?
Ho un'altra
domanda da farvi: secondo voi, la sto portando un pò per le
lunghe?
Aspetto il
vostro parere come sempre!
Ringrazio le 65 seguite, le 30 preferite e le 4 ricordate.
Non mi
stancherò mai di ringraziarvi e di essere felice del
sostegno che mi date.
Grazie anche ai
lettori silenziosi.
A presto, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 23 *** Confessione ***
Capitolo 23: Confessione...
Hermione POV
Il cellulare
squillò ininterrottamente per almeno tre volte, prima che mi
decidessi a rispondere. –Pronto?
-Finalmente!
Credevo ti fosse successo qualcosa.
Guardai la
sveglia sul comodino e mi resi conto con gran stupore che erano appena
le 7, 14. –Ma chi è?
-Hermione, sono
Pansy. Sono in ospedale.
Mi sedetti di
scatto sul letto e cercai di recuperare la lucidità che mi
caratterizzava. –Oddio, cos’è successo?
-La questione
della bambina…
-Oh.
Dammi… Tra un po’ sono lì.
-Avvisi tu
Draco?
-No, ti prego,
fallo tu.
-D’accordo.-
Chiusi la telefonata e corsi in bagno per fare una doccia veloce.
Mi asciugai in
fretta e presi dall’armadio il primo vestito
che mi saltò all’occhio e cercai di fare almeno un
abbinamento decente con le scarpe e il cappotto.
Scesi in cucina
e lasciai un biglietto a mamma per non farla preoccupare, poi uscii di
casa e mi chiusi la porta alle spalle.
Draco mi fece
un cenno con la testa e si avvicinò.
–‘Giorno. Andiamo insieme?
-Non
preoccuparti, chiamo Henri…
-Starà
dormendo a quest’ora, lascialo riposare.
-Non so, se ti
desse fastid…- non mi lasciò proseguire e mi
aprì la portiera dell’auto, indicandomi di
accomodarmi. –A me non costa nulla: andiamo nella stessa
direzione, no?
Annuii e salii
in auto.
Quando anche
Draco si accomodò, l’abitacolo si
riempì del suo odore fresco e virile, poi ci guardammo e
sentii qualcosa muoversi dentro, all’altezza del cuore.
Poi, mise in
moto e l’auto partì senza fare il minimo rumore.
Presi il
cellulare dalla borsa e risposi. –Pronto?
-Sei
già sveglia?
-Sì,
Henri: è stata un’emergenza e sono dovuta correre
in ospedale.
-Con chi sei
andata?- il suo tono si era alzato di qualche ottava e Draco mi
guardò con aria contrariata.
-Con Ginny.
-Ok, allora io
torno a dormire.
-Riposa bene.-
dissi, chiudendo la telefonata e posando il cellulare in borsa.
-In pace,
vorrai dire.
-Malfoy…
-Credevo che la
decisione di tornare con tuo marito includesse anche il pacchetto
sincerità.
-E’
una bugia a fin di bene.
-Nessuna bugia
lo è: anche se all’inizio può sembrare
così, con il tempo ti distrugge.
-Immagino.
Mosse la mano
dal volante e lo spostò piano verso di me. Istintivamente,
cominciai a tremare anche se il sangue che mi scorreva nelle vene
scottava.
Uno strano
calore mi pervase, ma i brividi che avvertivo sotto pelle non potevano
essere ignorati.
Quando Draco,
infine, appoggiò la mano destra sul cambio, il mio cuore
rallentò bruscamente la sua corsa, fino a fermarsi per un
attimo.
Guardai fuori
dal finestrino e cercai di regolarizzare il respiro.
-Sai
cos’è successo?
-No. Mi ha
chiamata Pansy, ma credo solo che abbiano capito da cosa sia
determinato quel rossore.
-Bene.
Arrivammo in
ospedale e chiesi ad un’infermiera su quale piano si trovasse
il reparto pediatria, poi ci dirigemmo veloci all’ascensore.
Entrammo
nell’abitacolo e premetti il pulsante che segnava il terzo
piano.
La salita
sembrava non finire mai. Draco aveva lo sguardo fisso su di me e non
sembrava avere intenzione di distoglierlo. Il silenzio che regnava tra
noi non era snervante, anzi era rilassante. Era una sensazione
piacevole e per un po’ mi beai di provarla. Eppure, mi
sentivo imbarazzata, quindi mi sentii in dovere di dire qualcosa.
–Ma quanto ci mette?- dissi, indicando con la mano
l’ascensore.
-La
formalità ti dona. Mette in risalto ogni tuo particolare.
-Grazie.
Cominciò
ad avvicinarsi lentamente ed ogni suo movimento, la distanza tra noi
diminuiva millimetricamente.
Plin. Uscii per
prima dall’abitacolo, visto che Draco mi aveva dato la
precedenza spostando la sua mano fuori.
La sala
d’attesa era ampia e illuminata e alle pareti erano disegnati
i personaggi di ogni cartone animato.
Ci dirigemmo
verso il corridoio della pediatria e dei lamenti mi giunsero alle
orecchie, quindi mi voltai nella direzione da cui proveniva il pianto e
vidi un ragazzo seduto su una poltroncina blu, messa a ridosso del
muro, che aveva il capo chino tra le mani.
-Hermione.-
disse Pansy, raggiungendomi. –Ciao Draco.
-Ciao.- dicemmo
all’unisono.
-Avevi ragione:
quell’irritazione non era dovuta a nessuna crema o pannolino.
-Che cavolo
state dicendo?- chiese Draco.
-Credo sia il
caso che ne parliate con Ginny. Ora, io devo andare dalla mamma della
bambina.
-Va bene. Draco
seguimi e non dire niente.- Mi obbedii ed entrammo nella stanza.
Ginny era
seduta ai piedi del letto e la bimba
era appoggiata ad un cuscino, con lo schienale del letto inclinato
verso l’alto.
La guardai. Era
bellissima: aveva i capelli tagliati a caschetto castani con diverse
sfumature di rosso, gli occhi grandi e castani, il viso pallido e
paffuto. Giocava con una bambola di pezza e le muoveva le braccia,
allargandole come a voler abbracciare qualcuno.
-Ciao.- le
dissi.
-Ciao.- mi
rispose, senza distogliere lo sguardo dal giocattolo.
-Cos’è
successo?- chiesi infine, guardando Ginny.
-Il ragazzo ha
confessato.
-Cosa?
-Sono andata in
sala d’attesa ad informare la mamma della bambina che stava
per iniziare la visita e lui è crollato.
-Cos’ha
detto?
-Ha iniziato a
piangere e…
-Dov’è?
-Nella sala
d’attesa.
-Bene.
Andiamo.- dissi a Draco e mi seguii.
Quando tornammo
nella sala, ci sedemmo di fronte al ragazzo che non accennò
a muovere il capo, quindi Draco tossì.
-Sono Hermione
Granger.- gli dissi, mentre iniziai a tendergli una mano che Draco
bloccò, dopo aver mosso il capo in segno di
diniego.
-Che mestiere
fa?- chiese il giovane.
-L’avvocato.
-Io sono Denny.
Non so cosa mi sia preso: i bambini mi hanno sempre fatto questo strano
effetto fin da quando ero un ragazzino, ma credevo che sarebbe passata.
Finora non ero mai arrivato a toccarli fisicamente…
l’avevo fatto sempre e solo con il pensiero.
-Cosa le hai
fatto?- chiesi con voce incrinata sia per il disprezzo sia per la
tenerezza che provavo verso quel ragazzo.
-L’ho
toccata. L’ho solo toccata.
-Precisamente-
Draco parlò con un filo di voce minaccioso. –cosa
le hai fatto?
-E’
un poliziotto?
-Draco Malfoy.
-Le avevo
cambiato il pannolino e la stavo lavando. E’…
è stato più forte di me: mi sono eccitato e ho
iniziato ad accarezzarla e…
-Quante volte
lo hai fatto?
-Ho iniziato un
mese fa… vedo la bimba tutti i giorni.
-La madre lo sa?
-No.
-Hai mai
pensato di…
-Vi prego.-
disse, piangendo ancora più forte. –Aiutatemi.
Mettetemi le manette e speditemi in carcere.
Aveva gli occhi
strapieni di lacrime ed era sinceramente pentito, ma questo non lo
scaglionava dai reati che aveva commesso su quella bambina e
chissà su quante altre.
-Avrai bisogno
di un avvocato e credo che sia il caso che tu provved…
-Vi prego, non
lo voglio un avvocato e non voglio che si faccia alcuna causa. Se la
mamma della bambina vuole denunciarmi che faccia pure, anzi,
deve farlo… ma vi prego, non avviate nessuna causa.
Burocraticamente,
non sarebbe stato impossibile, ma ci sarebbe voluto del tempo e non ne
avevamo. –Non so se sia possibile, visto il reato…
-Pagherò
ogni risarcimento.
-Credi che i
soldi possano restituire ad una mamma la dignità?
-No,
ma…
Assunsi
comunque un’espressione dolce in viso.
–E’ già molto che ti sia pentito e che
abbia confessato senza farci faticare troppo.
-Aiutatemi…
aiutatemi a smettere. Portatemi in carcere.
-Questo
è sicuro.- disse Draco, ammanettando i polsi che il ragazzo
aveva teso verso di lui.
Più
di me, lui avvertiva non solo il disprezzo verso il giovane, ma anche
la paura che qualcuno avesse potuto fare lo stesso male a Natan.
Subito dopo,
libero un polso dalla manetta e legò il cerchio metallico ad
un bracciolo della poltroncina.
-Non ti pare
esagerato?- chiesi, vista la disperazione negli occhi del giovane.
-Fosse per me,
Granger, gli darei la pena di morte ad occhi chiusi. O, meglio ancora,
la castrazione chimica.
Mi alzai e gli
feci segno di seguirmi ed entrammo in una stanzetta piccola, sita poco
più in là della stanza della piccola.
Guardai Pansy
che poneva delle domande alla donna la quale annuiva e, di tanto in
tanto, prendeva il viso tra le mani e piangeva.
Bussai alla
porta e Pansy ci fece cenno di entrare e accomodarci.
Poi, riprese a
parlare. –Loro sono l’avvocato Granger e il
commissario Malfoy.
La signora
annuì e ci guardò per un istante, poi
tornò a fissare di fronte a se. Vedevo nei suoi occhi tutto
il dolore e i sensi di colpa che pesavano e non le permettevano di
aprire la bocca con facilità le divoravano
l’anima. –Come ho fatto a non accorgermene? Come?
Era
così che si frantumava ogni certezza che ogni persona creava
nei proprio giorni: una distrazione, una bugia a cui si vuole credere
sia verità, un po’ di superficialità.
-Non poteva di
certo capirlo così signora, lei era assente.
-Avrei dovuto
capirlo dai suoi occhi: erano sempre rossi.
-Sua figlia
tende spesso a mettere il muso… da quello che ho potuto
vedere, è un po’ viziata.
-Sì,
è molto viziata…
-Quindi, da
madre che lavora dieci ore al giorno, avrebbe potuto pensare di tutto:
anche, per esempio, un giocattolo negato.
-Sì,
è vero… ma io sono sua madre…Becky
è mia figlia… Sono pessima! Più volte,
l’ho scoperto a spalmare la crema alla bimba, ma mai avevo
pensato ad una cosa del genere… cosa dirà Funny?
-Chi
è Funny?
-La mia prima
figlia.. è… è la fidanzata di Denny.
Mi odierà!
-Andrà
tutto bene…
Pansy stava
cercando di far alleviare il dolore che causava il senso di colpa, ma
la donna non aveva tutti i torti: come si fa a non rendersi conto di
una cosa tanto grave? Di un oltraggio tanto grande fatto nei confronti
del proprio figlio?
A volte,
però, la grandezza di un sentimento o di un qualcosa di
brutto si presenta con tale prepotenza ai nostri occhi che non
riusciamo a vederlo.
-Signora…
-Bulstrode, per
piacere. Mi chiami con il mio cognome da nubile.
-Signora
Bulstrode,- continuò Pansy, senza far alcuna domanda alla
richiesta della donna. –sentirsi in colpa adesso è
inutile.
-Il ragazzo ha
confessato e ha chiesto di farle sporgere denuncia a suo carico.-
continuai.
Poi, intervenne
Draco. –Lo abbiamo già ammanettato e stia certa
che la sua cella è già pronta.
-Vi ringrazio.
-Prego
signora,- disse infine Pansy. –ora vada da sua figlia.
La donna le
obbedì e ci rimase soli.
-E’
un bastardo.
-No, Draco. Non
è un bastardo: è malato e deve essere aiutato.
Per un
po’, discutemmo sul significato delle due parole, poi ci
decidemmo che la cosa più saggia da fare sarebbe stata
proseguire in commissariato, quindi portammo il giovane fino
all’auto e ci avviammo.
-Dovrò
far disinfettare l’auto.- disse Draco, con gli occhi colmi di
ira.
-Smettila.
-Questa feccia
è entrato nella mia auto e non voglio che l’aria
che respira mio figlio sappia di tale schifo.- sputò infine,
strattonando il ragazzo per il cappotto.
Lo capivo, ma
credevo che tanto astio non portasse a niente.
Certo, non
c’erano giustificazioni, ma era comunque da apprezzare il
passo che
Denny
aveva compiuto: non era mai facile ammettere di aver sbagliato,
soprattutto quando si sbagliava a discapito di un bambino o una bambina.
Entrammo in
commissariato e Draco sistemò Denny nella stanza in cui era
solito tenere gli interrogatori e chiuse la porta alle sue spalle,
azionando quindi le telecamere di controllo.
-Aspetteremo
che arrivi Pansy: parlerà un po’ con lui.
-Poi?
-Poi, il
ragazzo passerà la notte qui.
Poco dopo,
Pansy ci raggiunse ed andò direttamente nella stanza.
–Pansy Parkinson. Psicologa.
-La prego. Ho
fatto una cosa gravissima che non ha giustificazioni, ma vi prego
aiutatemi a curarmi da queste mie perversioni - disse il giovane,
ricominciando a piangere. –Mi salvi.
-Ci proveremo.-
disse Pansy, gelida.
Provava le
stesse emozioni di Draco ed erano comunque da comprendere.
Iniziò
l’i interrogatorio vero e proprio, quindi io attesi fuori
dalla stanza. Mi sedetti di fronte ad uno degli schermi che
trasmettevano tutto ciò che succedeva lì dentro
e, in ogni caso, avevo un’ottima visuale anche solo voltando
il capo, visto che l’enorme vetro della stanza era proprio
alla mia destra.
Inizialmente,
cercai di seguire le domande e le risposte, ma presto mi persi in
pensiero troppo lontani della realtà e, senza accorgermene,
cominciai a fissare Draco.
Spoiler
capitolo 24:
Aprii la busta ed estrassi quello che c'era all'interno. Spiegai il
foglio e lo lessi fino all'ultima riga: una richiesta di divorzio.
***
Angolo Autrice:
Allora... Questo
capitolo è bruttissimo. Non mi piace e non mi convince :S
Prima di tutto, odio la violenza sulle donne e per quanto riguarda la
storia, è un fatto realmente accaduto, PURTROPPO ed
è qui.
Per quanto riguarda le foto, non ho avuto pazienza di trovarle. Abbiate
pietà di me ^.^
Per quanto riguarda i personaggi, credo che non ci sia molto da dire:
Pansy, Ginny, Draco ed Hermione sono una squadra perfetta.
La cosa che più mi preme sapere è... lo spoiler: cosa ne
pensate? E' piccolo, ma credo che vi faccia volare lontano lontano con
la fantasia xD
Ringrazio le 69 seguite, le 32 preferite e le 4 seguite.
Siete aumentate ancora. Grazie.
Grazie anche ai lettori silenziosi.
Mi dispiace di avervi trascurato, ma ho pochissimo tempo a disposizione.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 24 *** Grazie, grazie davvero Cloe... ***
Capitolo
24: Grazie, grazie davvero Cloe...
Draco POV
Erano le 22,30 quando rientrai a casa e Cloe, stranamente, era sul
divano ad aspettarmi. -Buonasera.- le dissi, ricevendo in risposta il
silenzio.
Mi diressi
nello studio e chiusi la porta, poi slacciai la cravatta, mentre mi
avvicinavo alla scrivania.
Mi sedetti di
peso sulla sedia, facendola girare un po’ verso destra ed
appoggiai la valigetta ai miei piedi.
Gettai la testa
all’indietro e richiusi gli occhi: sentivo ancora un profumo
familiare e dolce che mi stuzzicava l’olfatto.
Era stato
stancante lavorare per tante ore senza tregua…
Di certo, non
sarei stato tanto flessibile nei confronti del ragazzo: altro che
castrazione chimica. Come poteva la madre della bimba restare tanto
impassibile e preoccuparsi solo di cosa avrebbe sua figlia maggiore?
Non avrei
resistito un attimo in più ad uccidere quel verme. Se avesse
solo osato sfiorare Natan, a quest’ora si sarebbe trovato
mutilato o non so cosa avrei fatto: di sicuro, sarei stato capace di
ucciderlo, senza provare risentimenti.
Mi ridestai dai
miei pensieri quando Cloe entrò nel mio studio e mi
guardò. –E’ più di una
settimana che torni tardi, ogni sera.
-Lavoro, Cloe.
-E’
il caso che ne parliamo, Draco?
-Di cosa?
-Non so, dimmi
tu…
-Io non ho
niente da dirti.
Mi diede una
busta gialla di cartone tra le mani. –Aprila.
-Cos’è?
-Aprila.- disse
ancora con voce fiera.
Posai la busta
sulla scrivania, portai le mani alla bocca e chiusi gli occhi.
Respirai
profondamente e tornai a guardare Cloe che mi fece cenno con la testa
di tornare alla busta.
La aprii ed
estrassi quello che c’era all’interno, poi spiegai
il foglio e lo lessi fino all’ultima riga: una richiesta di
divorzio.
Alzai di nuovo
gli occhi e mi rispecchiai nei suoi. Gelidi, piatti. Mi sentii
sprofondare e il mio pensiero corse direttamente a Natan.
–Non puoi farlo.- le dissi.
-Sì
che posso. Anzi, a dirla tutta, avresti dovuto farlo tu.
-Natan…
-Sì,
lo so. E’ stata paura la tua, ma devi stare tranquillo,
Draco: non perderai Natan. E’ tuo figlio e potrai vederlo
ogni volta che vorrai.
-Tu padre disse
che…- ma m’interruppe alzando una mano e sorrise.
-E’
la mia vita, non di mio padre. Ora, il suo parere non conta
più. Se ci siamo sposati è stato per volere della
mia famiglia ed eravamo entrambi troppo immaturi e spaventati per
opporci: io volevo questo bambino e tu anche… forse, non con
me, ma comunque sentivi che Natan ti apparteneva pur non essendo ancora
nato.- provai a ribattere, ma ancora una volta alzò la mano,
facendomi segno che dovevo continuare a stare zitto. Cloe parlava con
voce rassicurante, ma sentivo la terra cedere sotto ai miei piedi.
–Ora, siamo cresciuti e, almeno io ho capito: non avevo mai
visto Hermione, né il tuo modo di guardarla. Non mi hai mai
guardata così, in tutti questi anni… Quando gli
altri mi parlavano del vostro amore e mi dicevano che chiunque si
trovasse nei vostri paraggi riuscisse a sentirsene coinvolto, non
riuscivo a crederci. Poi, mi sono trovata in mezzo a voi…
-Cloe,
ascoltami…
-No, fammi
parlare. Molte mogli, credo che avrebbero fatto di tutto per tenersi il
proprio marito, arrivando ad umiliarsi. Io non voglio farlo: non voglio
mettere la dignità sotto ai piedi nel patetico tentativo di
tenerti ancora legato a me. Potrei riuscirci, sì…
in fondo, sei stato accanto a me in tutti questi anni, ma
l’amore che non provi per me pesa tantissimo,
perciò… ritieni libero.
-Ti ringrazio,
Cloe... ma non credo che sia il caso…
-Anch’io
ho trovato qualcun altro. Ecco giustificata la mia assenza…
mi dispiace per i comportamenti che ho avuto nei confronti di Natan:
avresti potuto denunciarmi ed ottenere il totale affidamento del
bambino e non so perché non l’hai fatto.
-E’
anche tuo figlio, Cloe.
-Sì.
Per un po’, ho provato un sentimento strano verso di lui: non
era amore materno, non solo: era misto a qualcosa di brutto. Credevo
Natan colpevole di questa unione forzata, anche se i colpevoli in prima
linea siamo stati noi.
-Cloe, stammi a
sentire adesso.
-Sì.
-Hai ragione
quando dici che avrei potuto denunciarti, ma togliere una madre ad un
bambino mi è sempre parso un qualcosa di…
crudele. Se hai intenzione di chiedermi il divorzio solo
per…Hermione…- mi costava nominarla a voce,
quindi chiusi per un po’ gli occhi prima di proseguire.
–mi pare azzardato, ma comprendo perfettamente il tuo stato
d’animo.
-Te lo ripeto,
Draco: ho trovato qualcun altro anche io.
-Da quanto?
-Due anni.
Ancora una
volta, mi sentii tradito e derubato a causa di un amore che avrebbe
potuto vivere tanti anni fa: credevo che Cloe mi amasse tanto da non
poter vivere senza di me, quindi avevo deciso di far soffrire Hermione
che era più forte. Credevo che fosse invincibile, che niente
avrebbe potuto abbatterla.
Avevo deciso di
soffrire, illudendomi di potercela fare. Non era stato così.
Se avessi
saputo che Cloe sarebbe riuscita ad andare avanti… senza che
neanche ce ne rendessimo conto, entrambi ci eravamo privati di una vita
che avremmo potuto vivere senza intralciarci, né farci male:
divisi nella quotidianità, ma uniti da un dono meraviglioso
che Dio aveva deciso di mandarci e che noi avevamo accolto, forse, nel
modo sbagliato.
-Natan?
-Ho
già parlato con il mio avvocato e ho optato per
l’affidamento condiviso. Volendo, avrei potuto chiedere
l’affidamento esclusivo, ma non mi pare giusto. Inoltre,
credo che finire in maniera pacifica sia un beneficio per Natan. Avrei
evitato la sentenza, ma sai che ogni decisione spetta al
giudice…
-Sì,
lo so.
-Mi basta una
firma, qui in fondo.- disse, poggiando le dita sul foglio e indicandomi
l’angolo in basso a destra.
Firmai e le
rivolsi un’occhiata di gratitudine. Mi sorrise felice e mi
baciò una guancia. –Ci vediamo, Cloe.
-Grazie…
-E per cosa?
-Ora, saremo
liberi entrambi.- sorrise ancora, come non le avevo mai visto fare in
tutti questi anni insieme e mi lasciò solo nello studio.
Mi alzai ed
andai in bagno, aprii il getto della doccia, aspettando che
l’acqua si facesse calda. Iniziai a spogliarmi e appoggiai
gli abiti sul ripiano del lavabo, poi m’infilai nella doccia.
Lasciai che le
carezze delle gocce d’acqua mi permettesse di comprendere le
sensazioni che provavo: erano troppe e non riuscivo a descriverle
neanche a me stesso. Quella che premeva più di tutte era la
paura di perdere Natan e, quindi, di dover vivere la mia vita senza il
piccolo ometto che le aveva dato un senso. La seconda era il senso di
leggerezza che mi attraversava i muscoli. Mi sentivo leggero, mi
sentivo libero, ma non potevo di certo permettermi di essere felice,
non ancora. Sapevo che non sarebbe stato facile abituarmi a stare
lontano da casa, perché la libertà che Cloe mi
aveva offerto su un piatto d’argento prevedeva che io
lasciassi questa casa.
Ma i suoi
genitori cosa avevano detto? Avrebbero accettato la decisione della
propria figlia? Di certo, Cloe si riteneva matura e indipendente tanto
da poter prendere decisioni che apportassero alla sua vita delle svolte
decisive.
O forse, aveva
solo deciso di essere felice: con me non lo era mai stata e
lo stesso era per me.
Avevamo vissuto
per anni in una costrizione che nessuno dei due aveva avuto il coraggio
di abbandonare: c’era troppo da perdere e non ne valeva la
pena, visto che nessuno dei due aveva a portata di mano la propria
felicità.
Cominciai ad
insaponarmi e massaggiai con una certa pressione ogni muscolo, come a
voler mandare via l’odore di una vita che non avevo mai
voluto, poi sciacquai via la schiuma.
Mi rilassai
ancora un po’ sotto il getto dell’acqua, poi
raccolsi l’asciugamano e me la poggiai addosso.
Frizionai il
telo ruvido sul corpo, poi indossai il pigiama e andai a salutare Natan.
Dormiva su un
lato e aveva la mano vicino alla bocca semiaperta. I capelli erano
calati sulla fronte e la coperta era avvolta sulla testa. Non ero mai
riuscito a spiegarmi come facesse un bimbo a trovarsi avvolto in quel
modo nelle coperte e sorrisi. Gli lasciai un bacio leggero sulla
fronte, poi gli sistemai le coperte e gli coprii le spalle.
Andai via,
rivolgendo un’ultima occhiata in direzione del piccolo e
chiusi la porta delicatamente.
Passai anche a
salutare Cloe, bussando alla porta. –Posso?
-Sì.-
era stesa sul letto e leggeva un libro. Sembrava rilassata.
Mi sedetti
accanto a lei e le sorrisi, poi lei chiuse il libro e alzò
gli occhi su di me: ora, riuscivo a distinguere ogni sfumatura di quel
meraviglioso azzurro. Ora, il suo sguardo era limpido e sereno.
–Sei sicura che stiamo facendo la cosa giusta?
-Sì,
Draco. E’ la cosa giusta per entrambi. Poi, per vivere quello
che ho creato al di fuori di questa casa, ho bisogno di essere libera
da ogni impegno.- disse, guardandosi la mano sinistra.
Non portava
più la fede e quando si accorse che la stavo guardando, mi
sorrise ancora di più. Poi, prese la mia mano e
sfilò anche la mia fede, aprii il cassetto del suo comodino
e la depose lì, accanto alla sua. –Da quanto tempo
non la porti?
-Un
po’. Ed è ora che la tolga anche tu.
-Va bene.
-Buonanotte.
-Ciao Cloe.
Mi alzai dal
letto e mi diressi in salone. Aprii il frigorifero e presi una
bottiglia, poi mi recai alla credenza e presi un bicchiere. Versai un
po’ d’acqua e la bevetti tutto d’un
fiato. Riposi il bicchiere nel lavatoio e andai a stendermi sul divano.
§
Mi svegliai di
soprassalto, finendo a terra. Mi grattai la testa e cercai di fare
forza sui gomiti.
Avevo fato un
sogno strano, che non mi piaceva, ma non lo ricordavo più.
Andai in cucina
per preparare il caffé, ma rimasi di stucco quando vidi Cloe
già in piedi che stava zuccherando una premuta
d’arancia.
Cos’era
successo? Forse, ci aveva ripensato…
-Buongiorno,
Draco.
-Ciao.
-Oggi,
accompagno Natan a scuola, quindi ho pensato di svegliarmi un
più presto.
-Perché
non l’hai mai fatto prima?
-Non lo so.
Però, meglio tardi che mai, no?
-Certo.- dissi
sorridendole. In fondo, non aveva tutti i torti.
Sorrise di
rimando. –E’ meglio che vada a svegliarlo.
-Sì.-
dissi, tendendo la mano per prendere la tazza di caffé.
Lo bevetti, poi
appoggiai la tazza nel lavatoio. Mi alzai e andai in bagno.
Feci una doccia
veloce e mi vestii con gli abiti che avevo preparato la sera precedente.
Presi le chiavi
dal mobile che c’era poco prima dell’entrata, poi
passai le mani tra i capelli di Natan.
-Papà!-
disse, sistemandosi i capelli. –Così mi fai
diventare brutto.
Poi, si
arrampicò al mio collo e mi diede un bacio forte.
–Ciao campione.
Salii in auto e
guardai Cloe e il bimbo che salivano nell’altra auto e si
allontanavano.
Misi in moto ed
accesi la radio per non pensare: avevo bisogno di rimanere lucido e di
non volare troppo con la fantasia.
Ero sempre
stato restio a sognare e ad illudersi, però, di tanto in
tanto, anch’io mettevo da parte il mio essere realista.
Quando arrivai
in ufficio, salutai Potter e Cho. Mi fermai per un po’ a
parlare con loro. –Hermione è già
arrivata?
-Non ancora.
-E’
successo qualcosa?
-Sì,
Potter. E credo che sia il caso di parlarne.
-Vuoi…
vuoi venire nel mio ufficio?
-D’accordo.
Cho nel
frattempo si era allontanata, quindi, io e Potter andammo nel suo
ufficio, chiudendoci la porta alle spalle –Allora?
-Cloe mi ha
chiesto il divorzio.
-Cazzo.
-Sì,
cazzo!
-E’
stato facile, no?
-Non ho fatto
niente, Potter! Così, dalla mattina alla sera ha detto che
è meglio per noi.
-Solo questo?
-No. Ha anche
detto che ha un altro.
Restò
per un po’ con la bocca aperta, poi si sistemò gli
occhiali sul naso, anche se erano perfettamente in ordine.
–WOW.
-Ho una fottuta
paura, Potter.
-E
perché?
-Per
Natan… e per Hermione.
-Che
c’entra Hermione?
-Sono a piede
libero, idiota…
-E?
-E finora, ho
cercato di… mi sono trattenuto per via di Cloe.
-Oh…-
disse, come se avesse appena colto il senso della discussione.
-Oh. Che
risposte di merda che sai dare, Potter.
-Bene.
-Bene?
-Sì.
-‘Cazzo
stai dicendo?
-Hermione non
sarà più la tua amante, no?
-Tu sei fuso,
Potter…- mi alzai dalla sedia e uscii dall’ufficio.
Appena chiusi
la porta, mi sentii trascinare in ascensore e mi ritrovai riflesso in
due occhi grandi e dorati. –Seguimi.- mi disse.
La sua voce che
riempiva l’abitacolo metallico e freddo, mi sembrò
un suono angelico. –Hermione…-
la guardai, poi le sorrisi.
Spoiler capitolo 25:
-Non dovevi essere così tenera.
-Scusami tanto se mi sento più fragile di... di...- non
terminai la frase e chiusi gli occhi, ripensando a tutto quello che mi
ero lasciata alle spalle...
***
Angolo
Autrice:
Salve a tutte!
Eccomi qui con il nuovo capitolo xD
Finalmente,
molte di voi cambieranno idea su Cloe! Alcune di voi, l'avevano
già pensato che c'entrasse Draco. Brave!!
Inoltre, volevo
fare una precisazione a chi ha recensito il capitolo scorso: non ho
voluto parlare prima per non deviare i pensieri di altre persone che
recensiscono questa storia.
In particolare,
rispondo a chi ha detto che la mia storia non è basata su
ricerche ben fatte: QUESTA, è una storia in certi punti (la
maggior parte) autobiografica, quindi, non ho affatto bisogno di
informarmi, come qualcuna ha detto. Anche io ho subito determinate cose
ed ho reagito proprio come Hermione. Non volevo i colori scuri addosso,
nè volevo chiudermi in me stessa, perchè l'avevo
sempre fatto, prima di reagire davvero e le mie decisioni precedenti
non mi portavano a niente, se non a ricevere sempre lo stesso
trattamento.
I miei genitori
mi hanno vista soffrire, ma hanno preferito che io capissi pienamente i
miei errori così come ha fatto Meredith e questo non vuol
dire che non mi amino o che siano superficiali, no?
Inoltre, non ho
affatto dimenticato il passato di Hermione e di Henri, nè di
quello che loro avevano in Francia: la storia non è finita.
Un'altra cosa
ancora, che forse non si è ben capito è il fatto
che io non ho detto che Pansy aiuterà Hermione: non
farà di lei una paziente, ma credo che un consiglio di
un'amica sia sempre utile.
Riguardo alla
squadra che ho messo su, mi pare di aver specificato di non sapere se
fosse possibile una cosa del genere. Se non l'ho fatto, chiedo scusa.
Per quanto
riguarda la violenza sulla bambina: io SONO contro e questo schifo non
ha solo lo scopo di far stare insieme Draco ed Hermione, ma anche di
trattare una realtà che viviamo tutti i giorni, anche
essendo al di fuori, a volte.
Quindi, vi
ringrazio se fino ad ora avete seguito ed ho anche accettato le vostre
critiche, ma se ritenete che la mia storia sia tanto superficiale, vi
prego di non leggerla più.
Non mi sento
minimante all'altezza di citare scrittori come Saviano o che ne so
quando si parla di me: sono molto modesta e mi ritengo meno di zero.
Avrei comunque
preferito essere contattata in privato.
Detto questo,
vi ringrazio ancora per aver perso del tempo a recensire.
Inoltre,
l'argomento "bambina" non verrà toccato più visto
che ha disgutato tante persone e che hanno creduto che tutta questa
situazione per me fosse un gioco. Mi chiedo come possa far tanto schifo
una verità di fronte a cui molte persone chiudono gli occhi
e cacciano voce in capitolo solo se è scritto in una storia.
Pernso che il ribrezzo dovremmo provarlo verso noi stesse quando non
parliamo e non cerchiamo di far finire questo schifo e non mi vanto di
certo di riuscire a farlo con la mia storiella. Purtroppo, la storia
doveva proseguire su un'altra linea, con approfondimenti e "analisi"
fatte dalla nostra Pansy, ma preferisco evitare.
Scusate lo
sfogo, ma dovevo farlo.
Passiamo ai
personaggi:
-Cloe: l'amate, lo
so! Ha un altro uomo e questo si è capito, ma chi
sarà mai? Bo, lo scoprirete solo leggendo :P;
-Draco: ha paura,
certo. Ha paura di perfere suo figlio, ma questo non
accadrà, state tranquille.
-Harry: è
felice, perchè con Draco libero, beh...
-Lo spoiler: piccolo
piccolo. Lo so, perdonatemi, ma sono talmente arrabbiata che non ho
finito di scrivere il capitolo e quella per il momento mi è
sembrata la parte più "interessante".
Scusate ancora
per il tempo che vi ho rubato con questo chilometrico angolo dedicato
ai miei pensieri da "autrice".
PS:
alle recensioni risponderò più
tardi. Ora ho una fame da lupi, quindi corro a cenare.
Ringrazio
le 72
seguite, le 33
preferite e le 6
ricordate.
Sono davvero
felice che aumentate sempre di più. Mi aiutate a portare
avanti questa storia e spero di non avervi delusa.
Grazie anche ai
lettori silenziosi.
A presto, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 25 *** Serata tra amiche... ***
Capitolo 25: Una serata tra amiche...
Hermione POV
L’avevo
trascinato nell’ascensore a forza per parlargli di una
questione importante e non ero riuscita a parlare dopo che mi aveva
sorriso: era come se avessi dimenticato tutto, anche se le parole erano
ben stampate nella mia mente.
Cercai di
contenermi e mi allontanai da lui. –Dobbiamo parlare.- gli
dissi.
Certo!
Cos’altro avremmo potuto fare, noi che avevamo deciso di
trattarci come due estranei?
-Di cosa?
-Mio
padre…
-Bene.
-Sì.
Quando le porte
dell’ascensore si aprirono, Draco mi diede la precedenza e,
quindi, mi seguì fino al mio ufficio.
Aprii la porta
e mi diressi verso la porta finestra per aprirla e far entrare un
po’ di luce, poi mi sedetti e feci cenno a Draco di
accomodarsi.
Aveva una
camicia grigio chiaro in perfetta armonia con i suoi occhi ed un paio
di pantaloni neri. I capelli erano leggermente tirati indietro, mentre
gli occhi erano illuminati di una strana luce. Mi accorsi che lo stavo
fissando con insistenza e, quindi, il sorriso che avevo visto nel suo
sguardo lo ritrovai sulla sua bocca. Sorrisi di rimando e abbassai il
viso per nascondere l’imbarazzo. Non avevo i capelli dietro
cui nascondermi perché li avevo legati in uno chignon.
Passai qualche
momento ad avviare il pc, a sistemare alcune carte, poi, presi dalla
borsa il figlio di cui avevo bisogno.
-Sono passata
in ospedale, ieri per salutare Ginny e ho chiesto la cartella clinica
di mio padre. Ho richiesto anche il documento con cui avevano
registrato il suo pronto soccorso.
-Cos’hai
trovato?
-L’infermiera
addetta a registrare è Padma Patil e ha scritto nei minimi
particolari i sintomi che mio padre le ha elencato.
-Quindi, non
è stata una sua mancanza.
-No, ma deve
comunque essere ascoltata.
-L’infermiere
che era di turno e che dava i codici ai pazienti era Cormac McLaggen.
Ascolteremo anche lui, pure se comunque aveva dato a mio padre un
codice rosso.
-Sei troppo
coinvolta il questa storia, forse dovresti starne fuori.
-Non ci penso
nemmeno.
-Il dottore?
-Beh, tu sai
chi è.
-Sì.
-Quindi, con la
denuncia di mamma, abbiamo ogni diritto di ascoltare anche lui e, se
è necessario, fargli pagare il suo errore.
-Vorresti farlo
finire in prigione?
-No, ma credo
sia il caso di radiarlo dall’albo dei medici: la carta
parlava e lui non l’ha ascoltata. La sua diagnosi
è stata totalmente sbagliata e ha fatto morire un uomo.
-Sai quanti
medici fanno morire i pazienti.
-Sì,
lo so. Ma almeno ci provano a salvarli, no?
-Anche questo
è vero.
-Jack Sloper
non ha affatto svolto il suo dovere di medico. Comunque, avrei bisogno
di una lista completa di medici ed infermieri che erano di turno in
ospedale quel giorno, a quell’ora.
-A quella ci
penso io.
-Grazie.
-E’
un passo importante quello che hai fatto.
-Sì
e ne sono felice. Mio padre merita giustizia.
Annuii e mi
sorrise lievemente, poi si alzò e fece per andare via.
–hai perfettamente ragione. Ora, però devo andare.
Questo lo prendo io.- disse, posando la mano sulla fotocopia del
documento del pronto soccorso.
Non portava la
fede, o forse, non l’aveva mai portata, ma prima non me
n’ero resa conto.
Purtroppo,
quando ero con lui, era come se i particolari del mondo intorno
scomparissero e restassero solo i suoi occhi.
-Ci vediamo.-
dissi, tornando in me e lo guardai mentre andava via.
Tornai a
guardare il pc e controllai le mail.
Una era di
Ginny e la lessi veloce: mi dava appuntamento a casa sua, alle 19 in
punto. Aveva parlato di una sorpresa e di un nuovo modo di essere
Hermione, cosa che in realtà avevo capito e mi spaventava a
morte. Fortunatamente, nella mail, c’era scritto che ci
sarebbe stata anche Pansy e Luna. La cosa si faceva molto
più allettante: restare sola con Ginny era assolutamente da
evitare, perché voleva dire pesare le parole, capire a cosa
volessero portare le sue domande. Era stressante.
Più
che altro, volevo non fare i conti con me stessa e ammettere che,
forse, in fondo, aveva ragione lei.
Accettai
l’invito e le raccomandai di non esagerare, pur sapendo che
non mi avrebbe ascoltato e avrebbe comunque fatto di testa sua.
Inviai la mail
e chiusi la casella della posta elettronica, poi mi alzai e mi
posizionai di fronte alla porta finestra. Pioveva e il freddo non era
pungente, ma fastidioso. Eppure, era proprio quella la giornata di cui
avevo bisogno per guardare oltre la coltre nubi che c’era
nella vita: paragonare le mie giornate al colore del cielo era davvero
ideale per capire quale piega stesse prendendo la mia vita.
Era tutto
grigio, tutto nuvoloso e coperto dalla nebbia: così sfocato,
così distante da me. Era la vita che avevo deciso di vivere
e sarei andata avanti così.
Il cellulare
cominciò a squillare e lo presi dalla borsa per rispondere.
–Pronto?
-Ciao.
-Buongiorno
Henri.
-Hai aspettato
molto stamattina?
-Un bel
po’, ma avevo pensato che non saresti venuto.
-Me ne sono
dimenticato.
-Sì,
ovvio.
-Non era poi
così importante, no?- la sua voce era lasciva,
così caustica.
-No, Henri,
tranquillo.
-Stasera…
-Ho un impegno
Henri.
-Con chi?
-Ginny.
-Quella…
-Non giudicare
la mia amica, Henri.
-Non ti sembra
di esserti svegliata troppo?
-Finalmente,
vorrai dire.
-Divertiti con
il tuo impegno, allora. E spera che quando ci rivedremo, non
sarò ancora tanto arrabbiato.
-Ciao.- dissi,
chiudendo la telefonata. Tremai ripensando al tono di voce sottile che
aveva usato. Avrei voluto non incontrarlo, finché non si
fosse calmato, perché sapevo, in cuor mio che Henri non
sarebbe cambiato mai davvero.
Mi sedetti e
cercai di tranquillizzarmi, quindi respirai a fondo e toccai la fede
con il dito. La tolsi e guardai l’incisione nel grembo
dell’anello: il 28 giugno 2008 avevo firmato la lenta e
sanguinosa discesa che lentamente mi stava portando a toccare il fondo.
Avevo bisogno
di un caffé amaro, per sentire ancora il sapore sulla lingua
di qualcosa che non fosse la paura, che non fosse la voglia di scappare.
Andai alla
macchinetta automatica e inserii la moneta nella fessura, poi premetti
il pulsante che indicava il caffé ed attesi che il bicchiere
fosse pieno, poi lo presi e bevvi lentamente.
Avere la bocca
amara era di vitale importanza per me, per il risveglio totale della
mia mente, anche se, ultimamente, sembrava essere in perenne stand by.
Tornai in
ufficio e chiusi la porta-finestra, visto che ormai faceva freddo anche
all’interno e avviai il condizionatore.
Non riuscivo a
stare un attimo ferma: mi giravo sulla sedia, toccavo la tastiera del
computer, scrivevo e cancellavo. Era un inferno. Avevo bisogno di
Harry, ecco tutto.
Mi alzai ed
uscii di nuovo dall’ufficio per dirigermi al piano inferiore
e bussare alla porta del suo ufficio, ma non appena toccai la porta,
Cho mi avvisò che Harry era uscito un momento, ma che
sarebbe tornato a breve, quindi mi accomodai comunque e chiusi la porta
alle mie spalle.
L’ufficio
di Harry era spazioso, ma poco illuminato: gli scaffali erano colmi di
fascicoli e alcuni libri. Sulle mensole più in alto,
c’erano dei titoli e dei documenti di varie premiazioni e
sulla parete a destra facevano bella mostra il diploma e la laurea
ottenute a pieni voti.
La scrivania
era di faggio chiaro e su di essa c’erano il pc, la
stampante, una ceneriera piena di mozziconi che sicuramente erano
appartenuti a Draco e, nell’angolo a sinistra, accanto al
computer, c’era una cornice dorata che conteneva una delle mie
foto preferite: Harry e Ginny erano l’uno di fronte
all’altra, con gli occhi semichiusi, segno che stavano per
baciarsi. Quello era stato il loro primo bacio e l’avevo
ritenuto un momento importante da immortalare.
L’avevo
scattata in un Natale di qualche anno prima che partissi, infatti Harry
aveva ancora gli occhiali rotondi. Il loro amore sembrava poter essere
toccato anche attraverso un fermo immagine, tanto che era profondo.
-Potter- disse
una voce che conoscevo fin troppo bene. –ho bisogno di
t…
-Harry non
c’è.- gli dissi interrompendolo.
-Ah.
Tu… da quanto stai aspettando?
-Poco.
-Ok. Io torno
più tardi.
-Se vuoi, puoi
farmi compagnia.
-D’accordo.-
si sedette e mi guardò per un secondo, poi volse lo sguardo
altrove.
Continuai a
guardarlo, soffermandomi più volte sulla mano sinistro dove
non c’era la fede.
Avrei voluto
avere il coraggio di chiedergli se fosse tutto a posto, se le cose con
Natan andavano bene e se Cloe si stesse curando di lui, ma decisi di
restare in silenzio e di guardare altrove, prima che la mia mente
degenerasse e si ponesse domande che non erano affatto comode. Harry ci
avvisò del suo arrivo prima ancora di entrare
nell’ufficio: la sua voce riempì l’atrio.
Quando
finalmente entrò nell’ufficio ci guardò
meravigliati. –Draco, Hermione.
-Sì,
Potter, siamo noi.
-Che-che ci
fate qui?
-Io ero venuti
a dirti che avevo bisogno di un mandato. Lei- dissi indicandomi e mi
sentii quasi mancare. Per lui ormai, non avevo più un nome.
–non so cosa ci faccia qui.
-Bene.- Disse
Harry, sedendosi dall’altra parte della scrivania.
Prese dal
cassetto un foglio da compilare e lo firmò, poi lo
consegnò a Draco che andò via, salutandolo. A me
non rivolse neanche uno sguardo fugace.
-Io…
io avevo bisogno di parlare con te.
-Dimmi.
-Non so cosa mi
stia succedendo.
-Riguardo a
cosa?
-Alla mia vita.
-Oh,
beh… è da un bel po’ che non ti
capisco, quindi…
-Non puoi
aiutarmi?
-Sei tu che
devi aiutare te stessa, Hermione. Più di una volta, abbiamo
messo la realtà dei fatti avanti ai tuoi occhi, ma sei cieca
e, purtroppo, la cecità non si cura.
-Ci vuole un
miracolo per curare la cecità, Harry.
-Esatto.-
Abbassai la testa ed Harry si sporse per farmi alzare lo sguardo,
prendendomi il mento tra le mani. –Ti voglio un bene
dell’anima. Sei la mia migliore amica dai tempi
dell’asilo: si parla di vent’anni fa e vederti
soffrire mi fa male. Sì che posso aiutarti e voglio farlo,
ma deve partire tutto da qui.- disse, toccandomi la fronte con
l’indice della mano sinistra. –Nel cuore, anche se
ancora non lo sai, hai già fatto la tua scelta.
Sarà difficile renderti conto che è
così e più difficile ancora sarà
accettarla, ma ce la farai. Io credo in te.
-Grazie.- gli
baciai una guancia, poi mi alzai e andai via dal suo ufficio.
Nel corridoio,
ringraziai Cho e poi entrai nell’ascensore.
Il resto del
tempo trascorse con un velocità impressionante: il tempo di
accendere il pc e leggere la mail di conferma che mi aveva mandato
Ginny, il tempo di sistemare un po’ nei cassetti della
scrivania ed erano già quasi le sette.
Mi avvicinai di
nuovo alla porta-finestra e il cielo si era incupito ancora,
così come avevo visto incupire la mia vita nel momento in
cui Harry aveva detto che la decisione nel mio cuore già
l’avevo presa. Perché allora, non riuscivo a
sentire la sua voce?
Forse Harry
aveva ragione: ero io a voler essere cieca, io a voler essere sorda.
Maledetta me e
il mio orgoglio.
A cosa mi
portava insistere tanto su qualcosa che non aveva una fine decente?
A soffrire, a
stare male e a piangere.
Indossai il
cappotto ed uscii dall’ufficio, chiudendo la porta a chiave.
Entrai
nell’ascensore e premetti il pulsante che mi avrebbe portata
al primo piano.
Posai le chiavi
nella teca di vetro posta sotto il grande bancone che c’era
nell’atrio, poi uscii dal dipartimento e mi chiusi in
macchina, azionando subito l’aria condizionata.
Misi in moto e
partii diretta verso casa di Ginny. A mio favore, quella giornata, il
traffico era poco, quindi la viabilità era scorrevole.
Arrivai lì in dieci minuti e bussai alla porta.
Ginny mi
aprì e mi abbracciò. –Sei in anticipo.
-Lo so!
-Dai, entra.-
disse, tirandomi all’interno della casa.
-Cos’hai
in mente questa volta?
-Una specie di
ritorno al liceo.
-Oddio.
-Sì,
hai detto bene.
Entrammo nella
sua stanza
e mi sedetti alla scrivania, mentre Ginny cominciò a
prendere dall’armadio due accappatoi, degli asciugamani e
varie piastre. –Mi spaventi.
-Fai bene ad
essere spaventata, mia cara.
-Lo sono sempre
di più.
-Su, infilati
nella doccia e lavati. Hai un brutto odore addosso.
-Hey, io non
puzzo.
-Non ho detto
questo, ma io non sopporto l’odore del commissariato.
-Ok.
Feci come mi
aveva detto e dopo poco mi avvolsi nell’accappatoio verde che
Ginny mi aveva dato. Lei adorava il verde, era il suo colore preferito
perché adorava la natura, le immense distese
d’erba e gli occhi di Harry.
Mi asciugai e
cominciai ad indossare l’intimo, mentre Ginny era uscita
dalla doccia e si stava asciugando.
-Cavoli…
sei già più carina.
-Grazie.-
sorrisi e in realtà vidi anche io le occhiaie meno gonfie e
il viso meno tirato. Stavo addirittura sorridendo.
-Senti Herm.-
la guardai preoccupata per il tono perentorio che aveva usato.
–Ora, preparati.
-A cosa?
-Vedrai.
-No, mi
dispiace. Per prepararmi devo almeno sapere di cosa si tratta.
-Shh, chiudi
gli occhi.
La ascoltai e
camminai per un po’ nel buio più totale.
Quando riaprii
gli occhi, mi trovavo nella stanzetta e sul letto c’erano due
completi: uno grigio e nero, l’altro rosso e bianco.
-Cosa sono?-
chiesi con gli occhi spalancati.
-Quello- disse
Ginny indicando il completo nero. –è tuo.
L’altro, ovviamente e mio.
§
Mi ritrovai vestita
contro la mia volontà: Ginny era una dittatrice nata e il
fatto che riuscisse a soggiogare anche me, mi preoccupava e non poco.
Pansy ci aveva raggiunte sotto casa di Ginny ed eravamo andate, quindi,
con la sua auto.
Entrammo in un pub
ed ordinammo tre birre e qualche stuzzichino.
Pansy indossava
un completo simile al nostro, differenziava solo nei colori che erano
azzurro e giallo. –Allora? Come va con Henri?- mi chiese di
punto in bianco.
-Bene.
-Ha continuato
a minacciarti?
-No.- abbassai
gli occhi, dimentica del fatto che Pansy conoscesse il significato di
ogni movimento.
-Per me, non
doveva tornarci insieme.- dissi Ginny, diretta e velenosa come sempre.
-Dopo quanto
tempo?
-Neanche due
settimane.
-Beh…
è mio marito, Pansy. Cercate di capirmi almeno su questo.
-Ti capiamo
eccome, Herm. Eccome se ti capiamo: Cedric non è mai stato
un santo, Harry tanto meno, ma non si sono mai permessi di trattarci
come Henri tratta te.
-Non
è sempre così…
-Avevi un
ottimo lavoro a Parigi, una carriera invidiabile, una casa
meravigliosa…
-Sono tornata
per il funerale di papà.
-E per scappare
un po’ da quella realtà.
Pansy era
rimasta in silenzio per tutto il tempo che io e Ginny discutevamo,
limitandosi solo a lanciarmi delle occhiate amichevoli, ma per niente
comprensive.
-No, Ginny. Ed
anche se così fosse stato, non sarebbe servito a niente,
perché ero convinta che Henri mi avrebbe seguito fin qui.
-Non
dovevi essere così tenera.
-Scusami tanto
se mi sento più fragile di… di…- non
terminai la frase e chiusi gli occhi, ripensando a tutto quello che mi
ero lasciata alle spalle.
Entrai
nello studio tentennando sul da fare, ma quando vidi Hanna, decisi che
era giusto dirle come stavano le cose.
-Hermione,
prego accomodati.
-Signora
Abbott, ho un problema.
-Dimmi
tutto, cara.
Adoravo
la signora Abbott per la comprensione che mostrava verso chi lavorava e
portava avanti con i propri sacrifici lo studio legale che lei stessa
aveva fatto nascere. –Mio padre è defunto e dovrei
partire per Londra.
-Quanto
tempo ti serve cara?
-Non
lo so.
-Hai
bisogno di un’aspettativa.
-No.-
dissi posando una busta bianca sulla scrivania. -Questa è la
mia lettera di dimissioni.
-C’entra
solo la morte di tuo padre.
Quella
donna mi conosceva bene ed aveva vissuto insieme a me lo scorrere della
mia vita da quando avevo messo piede in Francia. –Diciamo che
è il pretesto.
-Va
bene. Accetto le tue dimissioni anche se con grande dispiacere, ma
sappi che se un giorno deciderai di tornare qui…
-Lo
so, ci sono tante persone che aspirano ad entrare qui.
-No,
per te la porta sarà sempre aperta. Il tuo ufficio
resterà vuoto e nessuno vi metterà piede,
sarà una reliquia per me.
-Grazie
mille signora Abbott- la abbracciai ed entrambe ci ritrovammo commosse:
avevamo passato tanti anni a collaborare e non sarebbe stato facile di
certo trovare qualcun altro con le capacità e la
determinazione che aveva quella donna o con la passione che metteva nel
proprio lavoro.
-Senti
Hermione, io ho analizzato tantissime persone. Con te non posso farlo,
perché sei una mia amica e non sarei oggettiva per
niente… ma credimi, quello che stai vivendo è un
periodo di merda ed hai bisogno di reagire.
-Sto reagendo,
Pansy. Vedi, non indosso quasi mai i colori scuri, mi trucco, vado a
lavoro, cerco di condurre una vita normale.
-Questa non
è una reazione a quello che ti succede: è una
reazione a te stessa e al modo in cui affrontato le cose in precedenza.
-Io sono felice.
-Non
prendiamoci in giro, Herm.- disse Ginny, entrando come un treno in
corsa nel discorso. –in vita tua ti ho vista felice accanto
ad una sola persona.
-Non metterlo
in mezzo.
-Lo metto in
mezzo eccome, Herm.
-Draco
è il mio passato.
-Un passato che
non passa.
Una stilettata
al cuore, una pugnalata in mezzo alle scapole, un impatto con una
realtà che mi toglieva il fiato. –Sono andata
avanti da sola per anni.
-E ti sei
ritrovata nella merda, perché hai fatto una scelta sbagliata.
-Io ce
l’ho fatta almeno, non ho chiesto aiuto a nessuno.
-Hai sbagliato.
Noi eravamo qui, pronti a sorreggerti e tu hai deciso di andare via, di
allontanarti.
-Non avete
neanche provato a fermarmi.
-Saresti andata
via lo stesso.
-Sì.
-Visto? Sarebbe
stato inutile.
-Almeno, avrei
avuto la certezza che qualcuno disposto ad aiutarmi ci fosse stato se
avessi deciso di tornare.
-Sei stata una
stupida a credere il contrario.
-Ho fatto le
mie scelte.
-Avresti potuto
fare di meglio.
-Ora
smettetela, ci stanno guardando tutti.- disse Pansy, alzando
leggermente la mano per indicare la sala.
In effetti, i
toni delle nostre voci erano salite di qualche ottava.
Ripensai alle
parole che mi aveva detto Ginny e mi sentii offesa nel profondo.
Non
perché fosse la verità, ma perché mi
sentii inferiore a chiunque toccasse questa terra. Mi sentii una
fallita, mi sentii meno di zero.
La mia
autostima stava per scendere sotto il livello delle donne che si
sentivano una nullità.
Mi ero
ritrovata ad avere venticinque anni, ad essere una donna con un
matrimonio che andava a rotoli, realizzata solo a livello lavorativo.
Per il resto,
non avevo nessun trofeo da mostrare a chi lo chiedesse.
La serata
terminò poco dopo e quando mi ritrovai da sola, nella mia
stanza al buio, cominciai a piangere e a stringere le mani fino a
sentire le unghie che incidevano i loro segni nei palmi delle mani.
Sarei andata
avanti con il mio matrimonio, pur se contro il giudizio degli altri: di
mamma, di Ginny, di Harry.
Ce
l’avrei fatta. Avrei salvato il mio matrimonio… i
dubbi che avevo cominciato a provare, li avrei rinchiusi
nell’angolo più remoto della mia anima,
così come tanto anni fa avevo fatto con Draco e i ricordi
che avevo di lui.
Spoiler capitolo 26:
Era un ragazzo
bellissimo: i capelli biondi, gli occhi chiarissimi.
Era alto e con
un fisico ben piazzato: le spalle larghe, il busto scolpito che si
intravedeva benissimo dalla camicia che indossava. Aveva
l’aria da duro, ma dietro a quelle lastre di ghiaccio che
sembravano i suoi occhi, era facile scorgere una personalità
fragile, dolce.
***
Angolo Autrice:
Eccomi qui con
il nuovo capitolo.
Scusatemi per
il ritardo, ma ho avuto un po’ da fare xD
Passiamo al
capitolo. Mi è piaciuto molto scriverlo e mi piace
particolarmente, anche se non è di rilevante importanza
nella storia. C’è stata una discussione un
po’ più cruda tra le due amiche e i rapporti non
saranno più idilliaci, ma non preoccupatevi.
I personaggi.
Ci sono un po’ tutti, visto? E se ne vedranno di nuovi.
-Hermione: che testa
duraa! La picchierei.
-Draco: quanto
è strano, vero? Diciamo che anche lui non sa come
comportarsi visto che gli è crollato sulle spalle il
divorzio e la certezza dell’amore che prova nei confronti di
Hermione comunque lo sbanda.
-Harry: che grande
amico, avete visto? Quanto è dolce **
-Pansy: la scena in
cui zittisce Hermione e Ginny mi ha fatto morire dalle risate!
-Ginny: è
dura, è sfacciata a dire la verità ad Hermione,
ma credetemi, fa bene.
-Lo spoiler: chi
sarà mai il personaggio misterioso? Beh, fatemi sapere cosa
ne pensate.
Scusatemi ancora, ma la cena è pronta in tavola, quindi vi
risponderò più tardi alle recensioni.
Ringrazio le 77
seguite, le 34
preferite e le 7
seguite.
Siete aumentate
ancora e vi ringrazio infinitamente.
Ringrazio anche
i lettori silenziosi.
A presto, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 26 *** La seconda prova... ***
Capitolo 26: La seconda prova...
Hermione POV
Erano passati tre giorni dalla
litigata del pub ed io e Ginny non ci eravamo né
più viste, né più sentite.
Mi sentivo ferita per
quello che aveva detto. Poteva anche aver ragione, ma parlarmi in quel
modo l’aveva portata dalla parte del torto anche per la voce
della mia coscienza.
Ancora non riuscivo a
dormire, ripensando a quelle parole. Ginny era la mia migliore amica
praticamente da sempre e mi aveva ferita tantissimo.
Davvero non riuscivo a
chiudere occhio neanche per qualche ora: nel letto continuavo a girarmi
e rigirarmi. Ed, infatti, le mie occhiaie erano peggiorate tantissimo e
neanche il trucco riusciva a coprirle del tutto.
Inoltre, dopo la
nottata appena trascorsa, non avevo affatto voglia di fare niente.
Neanche di andare a lavoro, ma ero solita mantenere gli impegni che
prendevo, quindi, mi alzai dal letto e mi avviai in bagno per fare una
doccia.
Avevo guardato
l’ora alla sveglia sul comodino ed ero in netto anticipo,
rispetto all’orario di lavoro e mi sentii più
sollevata del fatto che avrei avuto più tempo per cercare di
rilassarmi.
Aprii il getto
d’acqua e decisi, alla fine di riempire la vasca e fare un
bagno, quindi legai i capelli e versai nell’acqua il sapone
al gusto che preferivo. Lo sceglievo in base all’umore: mi
sentivo dolce, in fondo. Più di tutto, però, mi
sentivo trascurata, lasciata in balia dell’umidità
e del freddo di febbraio.
Mora e muschio. Aprii
il tappo della bottiglia e respirai l’odore, poi attesi che
la schiuma prendesse consistenza.
Chiusi
l’acqua e mi immersi, fino a coprire le spalle e chiusi gli
occhi, per godere appieno di quella sensazione di benessere che
l’acqua calda aveva da sempre su di me.
Eppure, non riuscivo a
sentirmi bene. Non da ore, non da giorni. Da mesi. Da anni.
Provavo dei sentimenti
strani e, a volte, contraddittori. Erano sensazioni che nascevano dallo
stomaco e facevano male. A volte, se ne stavano lì, in
fondo, buoni e non mi davano fastidio. In un certo senso, mi facevano
anche sentire bene, perché mi sentivo viva. Altre volte,
invece facevano talmente male che mi sembrava che da un momento
all’altro potessero uscirmi dal corpo e farmi male anche
dall’esterno. In quei momenti, mi sentivo morta e priva di
forze.
Provai ad alzarmi, ma
sentii la forza che avevo messo nelle braccia venire meno, quindi ci
riprovai, riuscendoci dopo qualche tentativo.
Mi avvolsi
nell’accappatoio e mi asciugai, frizionando con forza la
pelle per risvegliarmi un po’ dall’intorpidimento
che avevo accumulato durante il bagno.
Tornai nella stanza e
mi vestii
in fretta, per evitare di sentire troppo freddo, poi scesi in cucina a
bere un po’ di caffé.
Ne avevo un estremo
bisogno ultimamente. Un bisogno talmente forte da portarmi
all’esagerazione nel berlo.
Infilai il cappotto e
presi le chiavi dell’auto che mamma mi aveva lasciato sul
mobile all’entrata.
Pensai al fatto che,
con tutta l’autonomia che quella donna aveva sempre avuto, si
era ridotta ad essere dipendente da qualcun altro per rendere
indipendente me, senza farmelo minimamente pesare.
Mamma era una donna
meravigliosa e mi sentii ingrata, improvvisamente e con una potenza
tale da farmi quasi balzare indietro per l’impatto.
Avrei dovuto fare
qualcosa per renderla felice, qualcosa per ringraziarla di tutto quello
che lei aveva sempre fatto per me.
Aprii la porta di casa
e la chiusi velocemente alle mie spalle, poi mi avviai
all’auto e misi in moto, accendendo l’aria
condizionata.
Ero talmente distratta
che avevo dimenticato che il motore dell’auto doveva prima
riscaldarsi per poter cacciare fuori aria calda.
A cosa sarei arrivata,
continuando di questo passo?
La strada era sgombra
da qualsiasi mezzo, eccezione fatta per gli autobus e i taxi.
Gialli, lenti e
bellissimi. Li adoravo.
Erano uno degli aspetti
di Londra che amavo di più: da bambina, dopo aver visto un
film assieme a papà, avevo sognato di poter salire su un
taxi, pagare l’autista e dire la frase ad effetto “Segua
quell’auto.”
In parte, lo desideravo
tutt’ora: un desiderio che non riuscivo a realizzare, lo
conservavo da qualche parte nella mia mente e lo ricacciavo quando
sentivo il bisogno di ricordare.
Quando arrivai al
dipartimento, quasi mi meravigliai che fosse passato così
poco tempo da quando ero uscita di casa.
Respirai a fondo e
uscii dall’auto, chiudendo la portiera con poca foga, quindi
dovetti riaprirla e richiuderla.
Quante
cose avrei dovuto ripetere ancora?
Entrai, salutando i
colleghi che solitamente incontravo a quell’ora
all’entrata.
Mi fermai per un attimo
di fronte alla porta di Draco, vogliosa di bussare e vedere i suoi
occhi.
Se li avessi visti, se
avessi avuto di nuovo l’opportunità di navigare in
quel lago, forse avrei intrapreso un altro viaggio senza ritorno.
Forse, sarei stata di nuovo male e più confusa di quanto mi
sentissi in questo momento.
Se non li avessi visti,
sarei ancora stata capace di ragionare e di lasciare che tutto il
chiasso che sentivo dentro svanisse da sé. Forse, sarebbe
stato meglio così.
Avevo deciso di andare
via, quindi, mi incamminai nel corridoio ed arrivai
all’ascensore. Premetti il pulsante.
Quando le porte
metalliche si riaprirono, annunciate dal solito plin, entrai
nell’abitacolo con una sensazione di delusione che mi pesava
sulle spalle.
Avrei tanto voluto che
qualcuno fermasse la chiusura delle porte.
Qualcuno biondo,
alto…
Qualcuno, chiunque esso
sia stato.
Arrivai in ufficio ed
azionai subito il condizionatore, non aprendo come mio solito la
porta-finestra. Sentivo troppo freddo e non avrei sopportato un filo di
vento sulla pelle.
Mi sedetti ed attesi
che il calore si diffondesse nella stanza,ì. Nel frattempo
accesi il computer e mi strinsi un po’ di
più nelle spalle.
Quando finalmente
l’ambiente si era riscaldato abbastanza e lo spensi il
condizionatore, qualcuno bussò alla porta. –Avanti.
-Granger… ci
sono ospiti.
-Ospiti?
-Sì, nella
sala interrogatorio.
-Oh.- dissi,
raggiungendo Draco e chiudendo la porta dell’ufficio.
-Vuoi prima un
caffé?
-No, grazie.
Entrammo in ascensore,
entrambi senza guardarci negli occhi. Non avevo il coraggio di farlo e,
più di tutto, non volevo sapere in quale mondo sarei caduta
questa volta.
-Vuoi…
entrare?
-No, se posso resto
fuori.
-D’accordo.
-Grazie.
Mi sedetti dietro al
vetro della sala, guardando dentro chi ci fosse.
Seduto su una sedia,
tenuta a debita distanza dal tavolo, c’era, probabilmente, Cormac
McLaggen.
Era un ragazzo
bellissimo: i capelli biondi, gli occhi chiarissimi.
Era alto e con un
fisico ben piazzato: le spalle larghe, il busto scolpito che si
intravedeva benissimo dalla camicia che indossava. Aveva
l’aria da duro, ma dietro a quelle lastre di ghiaccio che
sembravano i suoi occhi, era facile scorgere una personalità
fragile, dolce.
Sorrideva, tenendo per
mano una ragazza, che doveva probabilmente essere Padma
Patil.
Era una ragazza ancor
più bella del ragazzo: era di una bellezza orientale
straordinaria. Aveva gli occhi scuri, di un taglio meraviglioso che
avrebbe fatto invidia ai migliori ritratti di principesse orientali, la
bocca carnosa e il naso dritto e perfetto. Altro che top model
americane.
Si sorridevano, come
per rassicurarsi a vicenda. –Andrà bene.- le disse
lui ad un certo punto, stringendole di più la mano.
Quello che
però rapì la mia attenzione maggiormente fu
preceduto dal rumore di una porta che si chiudeva.
Draco si
avvicinò a loro a passo lento e deciso, poi si
appoggiò al tavolo, aprendo sulla sua superficie entrambe le
braccia. Era di spalle rispetto a me, quindi mi soffermai ad osservare
il disegno che i suoi muscoli creavano: erano tesi, pronti.
Quante
volte ho accarezzato quei muscoli…
Scossi il capo per
mandare via quel pensiero, quindi tornai a concentrarmi su quello che
succedeva nella sala.
-Buongiorno signori.-
disse.
-Salve.- risposero
entrambi.
-Sapete
perché siete qui, vero?- Ancora una volta risposero
entrambi.- Signorina Patil, parlerò prima con lei.
-Va bene,
però, volevo dirle che io non c’entro.
-Non la stiamo
accusando, signorina. E ricordi di rispondere solo alle domande che le
porrò, poiché ogni cosa può essere
usata contro di voi.
-Sì.
-A che ora il signor
Granger è arrivato in ospedale.
-Verso le 20.
-Cosa le ha detto
quando si è avvicinato al banco, dove lei stava lavorando?
-Il signor Granger
balbettava, quindi è stata la signora a dirmi quali fossero
i sintomi.
-Quali sintomi le ha
elencato?
-Tremore e dolore al
braccio sinistro, dolore al petto, fatica nel respirare.
-Li ha elencati tutti.
Qui, però, ce n’è uno in
più.- disse, indicando sulla carta un punto preciso.
-Sì,- la
ragazza rispose prontamente, senza neanche aspettare che Draco le
mostrasse il referto. -ricordo bene quel particolare. Avevo capito
subito che qualcosa non andava proprio dalla sudorazione eccessiva del
paziente, quindi l'ho segnato come porbabile sintomo.
-Capisco. Poi, cos'ha
fatto?
-Poi, ho stampato il
foglio che adesso ha lei tra le mani e l'ho dato al collega qui
presente.
-Bene. Signor McLaggen.
Quando la signorina Patil le ha dato il referto, cos'ha fatto?
-L'ho letto ed ho
registrato il codice rosso, dopodiché ho sistemato il
paziente sulla barella e l'ho messo in attesa in corridoio. Quando il
dottore è passato di lì, qualche minuto dopo, ho
portato il signor Granger a controllo, ma il tremore al braccio era
cessato e, a quanto detto da lui, anche il dolore al petto.
-Il dottore cos'ha
detto?
-Ha fatto qualche
domanda al paziente, poi sono andato via.
-Capisco.- disse Draco,
portando una delle mani alla testa per poi riappoggiarla al tavolo. -Va
bene signori, potete andare. Grazie.
-Non è la
prima volta che succede una cosa del genere, ma nessuno ha avuto il
coraggio di denunciare.
-Metteremo fine a tutto
questo.
-Arrivederci.
-Arrivederci.- Draco li
accompagnò alla porta dell'aula, uscendo dopo di loro.
Si avvicinò
a me e mi sorrise. -E' andata bene, no?
-Abbastanza. Il dottore
credo che lo sentiremo domani.
-Va bene.
-Granger, cosa
c'è che non va?
-E' tutto apposto.
-Ne dubito. Hai una
faccia.- Mi portai le mani al viso e lo toccai. -Intendevo le occhiaie,
Granger.
-Oh. Dormo poco.
-Immagino.
-Non immaginare niente,
Malfoy.
-Le attività
notturne costano sonno e fatica.
-Le mie
attività notturne non t'interessano. E comunque, si tratta
di preoccupazioni.
-Dovute a...?
-Non t'interessano.
-Va bene, Granger.
-Che ore sono?
-Quasi le tredici.
-Mh.
-Il Martedì
è sempre noioso qui.
-Martedì?
-Sì.
-Oggi è
Martedì?
-Sì, Granger.
-Oggi è
Martedì.
-Ti si è
inceppato il disco?
-Oh, merda! Ho la prova.
-La prova?
-Sì.
Scusami, devo andare.
-D'accordo.
Corsi all'ascensore ed
attesi che le porte si chiudessero e che l'ascensore mi portasse al
piano che avevo richiesto. Mi sentii pervasa da un senso di ansia che
mi sembrava troppo grande da sopportare.
Innanzitutto, non
ricordavo se avessi preso o meno appuntamento con Ginny, se venisse a
prendermi lei o meno.
Comunque, presi la
borsa, le chiavi dell'auto e mi avviai di corsa fuori dal dipartimento,
senza neanche mangiare.
Entrai in auto e mi
fermai per un momento a respirare. La testa mi faceva male, lo stomaco
mi girava vorticosamente e sentii salire un conato di vomito che
trattenni.
Misi in moto e mi
avviai lentamente tra le strade di Londra. Il sole si nascondeva a
tratti dietro alle nuvole, ma anche quando brillava senza ombre, non
riuscivo a trarne calore.
Fermai l'auto e
parcheggiai meglio, ma dovetti fermarmi ancora una volta: lo stomaco
aveva ricominciato a girare. Forse era la fame e l'ansia che provavo a
farmi questo effetto.
Entrai in un bar poco
distante dal cancello in cui sarei dovuta entrare per andare dalla
sarta, poi salutai il barista e gli chiesi di darmi una fetta di
Cheesecake.
Pagai il conto e uscii
per avvicinarmi all'auto e mangiare la fetta di dolce. Ne portai un
pò alla bocca, ma l'odore mi diede fastidio e il sapore
ancora peggio: il dolce era buonissimo, ma disturbò ancora
di più il mio voltastomaco.
Gettai il dolce in un
cassonetto lì vicino, poi entrai nel palazzo e mi avviai
all'ascensore.
Il cartello che ne
segnalava il guasto era stato rimosso, quindi premetti il pulsante per
richiamare l'ascensore ed attesi.
Mi parve di aspettare
un'eternità, un tempo che sembrava avere un peso tutto a
sè.
Quando le porte
dell'ascensore si aprirono, entrai nell'abitacolo e mi strinsi nelle
spalle. Se era possibile, sentii ancora più freddo.
Premetti il pulsante
del piano su cui era sita la sarta e le porte dell'ascensore si
chiusero.
Anche la testa
cominciò a girare, quindi la presi tra le mani e trattenni
un altro conato di vomito.
L'ascensore
sussultò per un po’ e mi spaventai. Mi mantenni
alla barra metallica posta sotto allo specchio e tutto
intornò cominciò a girare.
Quando le porte si
aprirono, mi permisi di respirare a fondo per cercare di calmare il
dolore, l'ansia. Poi, bussai al campanello e Minerva venne ad aprirmi
sorridente come sempre. -Buongiorno, Hermione.
-Salve.
-Prego, entra.
-Grazie.
-Ginevra è
in ritardo?
-Non so...- dov'era
Ginny?
Aveva forse deciso di
non presenziare alla seconda prova dell'abito pur di evitarmi? O forse,
era davvero in ritardo? O forse, l'aveva dimenticato?
Presi il cellulare
dalla borsa e feci il numero di Ginny, poi portai il cellulare vicino
all'orecchio: squillava, ma nessuno rispondeva.
Riprovai, ma Ginny
staccò la telefonata.
-Sta arrivando.- disse,
infine Minerva. -Ha appena bussato al citofono.
-Oh.- non avevo sentito
alcun suono. -Bene.
-Nel frattempo, cara,
vieni qui. Cominciamo la prova del tuo abito.-la seguii sulla pedana e
lei cominciò a sistemare la stoffa blu sulla mia pelle.
-Aspetta un secondo.
-Sì.
-Vado ad aprire la
porta alla tua amica. Con permesso.
-Prego.
Si allontanò
e dopo poco, dallo specchio, vidi Ginny parlottare in modo simpatico
con la sarta. Poi, mi guardò e il suo sguardò si
riempì di rimprovero.
-Vieni Ginny,
accomodati.
-Sì.
-Ciao.- la salutai, ma
non mi rispose.
Mi sentii di nuovo
male, di nuovo con un peso che mi premeva nel petto.
Minerva si
avvicinò di nuovo a me, dedicandomi il suo tempo e mostrando
in ciò che aveva reso quel pezzo di stoffa tutta la sua
bravura.
-Tesoro, ti trovo...
più stanca.
-Sto lavorando molto.
-Dovresti prenderti un
periodo di riposo. Il tuo lavoro ti uccide.
-Sì,
può darsi.
-Bene. L'abito
è quasi pronto. Manca solo qualche piccolo dettaglio.
-Per me è
perfetto così.
-Ho un'idea ben precisa
di te, quindi non m'importa se per te è perfetto
così l'abito. Per l'idea che ho di te, l'abito ha bisogno di
qualche dettaglio. Poi, per quanto riguarda gli accessori, permettimi
di occuparmene.
-Va bene.
-Grazie.
-Ci vediamo la
settimana prossima allora.
-Sì.
Arrivederci Minerva.- uscii quasi dopo un'ora dallo studio della sarta
e mi ricordai di un particolare: nella mail, Ginny aveva detto che
sarebbe venuta anche Luna alla nostra rimpatriata, ma la bionda non si
era presentata.
Decisi di fare un salto
da lei, perchè non la vedevo dalla cena a casa mia e
perchè volevo salutare Matt. Però, sentivo la
necessità di passare per casa e fare una doccia e,
soprattutto, vestirmi con abiti più comodi.
Misi in moto e presi la
strada per tornare a casa.
Quando finalmente
arrivai a casa, parcheggiai l'auto e mi fermai prima di scendere: mi
girava di nuovo la testa.
Mi costrinsi comunque a
scendere dall'auto e a salire le scale per arrivare alla porta. La
aprii e la richiusi subito dopo alle mie spalle. Mamma era tornata dal
lavoro ed era andata di nuovo via. Il suo passaggio era segnato dalla
lavastoviglie in funzione. Andai in cucina e bevvi un bicchiere
d'acqua. Due. Tre.
L'acqua fredda mi
rinvigorì abbastanza, quindi salii le scale per andare nel
mio bagno e fare una doccia.
Mi spogliai lentamente,
mentre l'acqua raggiungeva la temperatura che desideravo, poi lasciai
che il mio corpo si bagnasse del tepore dell'acqua.
Mi massaggiai la pelle
con un bagnoschiuma a caso, senza dare importanza a quale profumo
fosse, poi mi sciacquai e mi avvolsi nell'accappatoio.
Indossai l'intimo e mi vestii
lentamente, poi andai a sedermi sul divano, perchè il
voltastomaco era tornato.
Spoiler capitolo 27:
-In realtà,
sapevo di cosa avremmo parlato, quindi ho preferito evitare.
-Come mai?
-Sei una donna matura,
Hermione ed ogni decisione spetta a te. Importi di capire cosa provi
per Draco è solo un modo per allontanarti da lui... ci sono
cose che devono seguire il prorpio corso e non è detto che
tornino come prima...
-Stai parlando ancora
di Draco?
-Sì. Se
provi ancora qualcosa per lui, prima o poi, lo capirai da sola... se
vorrai.
***
Angolo Autrice:
Eccomi qui.
Scusatemi il ritardo
XD. Lo so, lo spoiler ha dato l'impressione di essere qualcos'altro.
Passiamo subito al
capitolo, che ne dite?
E' un capitolo di
passaggio, come il prossimo. Però, le cose come avete visto
si sono complicate tra le due amiche.
I personaggi:
-Hermione:
è angosciata da qualcosa, ma cosa sarà mai? Beh,
vedremo;
-Draco: non lo avete
immaginato durante l'interrogatorio? Io sì **;
-Minerva: la adoro,
niente da dire e fa il suo lavoro nel migliore dei modi;
-Ginny: è
incavolata nera con la sua amica, ma di certo non ha dimenticato il suo
piano e quello di Blaise. In realtà, ha pensato che far
sentire ad Hermione anche la sua mancanza, fosse un buon modo per farle
provare quelle sensazioni che prova nei confronti di Draco;
-Lo spoiler: cosa ne
pensate? Su su, fatemi sapere cosa ne pensate....
Ringrazio le 78
seguite, le 36
preferite e le 6
ricordate.
Ringrazio ovviamente
anche i lettori silenziosi.
Ho un annuncio: per chi
ama le Dramione, ne ho in corso un'altra che comprende tutto
ciò che appartiene realmente a Draco ed Hermione, quindi la
storia è provvista di bacchette, incantesimi, Hogwards e
tutto il resto. Se vi va, fate un salto.
Il titolo è Since
I Kissed You.
Alla prossima, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 27 *** Un giorno in ospedale... ***
Capitolo 27: Un giorno in ospedale...
Hermione POV
Tentai
di muovermi, ma sentivo le braccia pesanti. Aprii gli occhi e, dato che
riuscii a vedere sotto il soffitto, mi resi conto che ero stesa.
-Si è svegliata.
Non riconobbi immediatamente quella voce, ma mi era familiare.
Sentii qualcuno che mi toccava il braccio, all’altezza della
piegatura del gomito e mi voltai. Vidi una donna vestita di bianco.
Un’infermiera. –Dove sono?
-Hermione…
-Luna?
-Sì. Sei in ospedale.
-Cos’è successo?- mi tirai su, trascinando con me
l’ago ed il filo trasparente che lo tenevano legato ad una
sacca di liquido.
-Sei svenuta.
-E tu che ci fai qui?
-Dovevo fare un favore a tua madre e quando ho bussato alla porta di
casa non mi ha risposto nessuno.
-La porta era chiusa.
-Tua madre è arrivata poco dopo di me.
-Chi mi ha portata fin qui?
-Draco.
-Co-come…
-Per quanto ne so, doveva parlare con tua madre
dell’interrogatorio.
-Oh…
-Ora dov’è?
-Draco?
-No, mia madre.
-E’ qui fuori. Vuoi che la chiamo?
-Sì, grazie.
Quando Luna lasciò la stanza, sentii i miei pensieri fremere
per essere ascoltati, ma i movimenti dell’infermiera mi
distrassero tanto che decisi di ascoltare i miei pensieri quando fossi
rimasta davvero da sola.
La vidi regolare il flusso di quel liquido nella sacca e, poi,
sistemarmi l’ago che avevo spostato con i miei movimenti.
Mi appoggiò sulla fronte uno strano macchinario con cui
misurò la pressione, poi si congedò.
–E’ tutto a posto, signora Granger. E’
stato solo un mancamento.
-Grazie.- La guardai uscire e mi sistemai sul cuscino.
Draco mi aveva portato fin qui. Ed ora, dov’era?
Volevo saperlo davvero, almeno per ringraziarlo… volevo
saperlo per vedere se fosse preoccupato o meno.
La porta della camera si aprì e mi ritrovai di fronte il
viso preoccupato di mia madre. –Come stai?
-Bene, mamma.
-Mi hai spaventata.- disse prima di abbracciarmi.
Cercai di fare lo stesso, ma i miei movimenti risultarono al quanto
impacciati. –Mamma.
-Lascia perdere, tesoro e stai attenta: non muoverti troppo.
-Volevo abbracciarti.
-Vuoi mangiare qualcosa?
-No, sto bene così.
-Hai sete?
-No, davvero. Credo che questa cosa- dissi indicando la sacca sostenuta
da un’asta di acciaio- serva proprio a questo. Tu, come stai?
-Adesso sono tranquilla. Sai, se non fosse stato per il signor
Malfoy… è stato così gentile: ha
insistito per accompagnarti personalmente in ospedale.
-Henri?
-L’ho chiamato poco fa, anche se…- fece un gesto
con la mano, come a voler lasciare il discorso sospeso, ma mettendo in
chiaro con quali parole avrebbe voluto concludere quel discorso.
-Cosa gli hai detto?
-Che sei in ospedale e che ti sei sentita male.
-Capisco.
-Cosa… come ti sei sentita in questi giorni?
-Nervosa. Ho avuto dei forti capogiri e, a volte, anche il voltastomaco
mi ha dato fastidio.- vidi i suoi occhi velarsi dall’emozione
e sapevo bene dove fosse volata la sua fantasia, ma, al contempo, il
suo viso assunse un espressione disgustata. –Non sono
incinta, mamma, tranquilla.
Il suo viso perse entrambe le espressioni e tornò a fissarmi
bonariamente. –Ne sarei stata felice, ma sai quanto io non
sopporti tuo marito.
-Lo so, mamma.
-Luna, mentre dormivi, mi stava parlando di una rimpatriata…
-Sì, a proposito mamma, potresti chiamarla. Devo chiederle
una cosa.
-Certo. Io ne approfitto per andare a casa e prenderti qualche vestito
comodo. Il dottore ha detto che ti dimetteranno in serata.
-Grazie.- le dissi.
Mamma uscì dalla stanza e poco dopo, vidi Luna sedersi al
mio fianco. –Hey…
-Hey…
-Come ti senti?
-Non lo so. Stavo venendo da te, prima di… svenire.
-Come mai?
-Ti aspettavo alla rimpatriata.
-Oh, me ne sono dimenticata.
-Guadami bene Lune Lovegood in Weasley: sono un avvocato, capisco
quando una persona mente.
-D’accordo. Se ti dico che ho voluto farmi gli affari miei.
-Interessante, continua.
-In realtà, sapevo di cosa avremmo parlato, quindi ho
preferito evitare.
-Come mai?
-Sei una donna matura, Hermione ed ogni decisione spetta a te. Importi
di capire cosa provi per Draco è solo un modo per
allontanarti da lui... ci sono cose che devono seguire il proprio corso
e non è detto che tornino come prima...
-Stai parlando ancora di Draco?
-Sì. Se provi ancora qualcosa per lui, prima o poi, lo
capirai da sola... se vorrai.
-Già.
Guardai al di là del letto. Com’era possibile che
il mo orgoglio mi rendesse tanto cieca: l’amore che provavo
per Draco lo vedevano tutti, tranne io.
O meglio, lo vedevo, ma era sfumato, confuso da qualcosa di troppo
presente nella mia vita. L’immagine del viso di Henri mi
riempì i pensieri, ma mi accorsi di quanto avessi paura di
quel sorriso.
Forse, dovevo davvero dare un taglio a tanto dolore.
Ma, anche se l’avessi fatto, e, anche se avessi accettato di
provare ancora qualcosa per Draco, quei sentimenti sarebbero comunque
rimasti illusioni sospese in aria, perché lui aveva deciso
di tenermi fuori dalla sua vita anni fa, quando aveva deciso di
lasciarmi, nonostante tutto…
La sala era piena di
gente e, fosse stato per me, non avrei messo piede nel locale: sarei
rimasta nel mio letto a piangere, perché liberarmi del
dolore sarebbe stata la cosa migliore da fare in ogni caso.
Una festa in maschera.
Un vestito che avevo odiato dal primo momento, eppure,
l’avevo indossato ed ero andato a quella maledetta festa.
-Stammi a sentire,
catwoman, adesso devi divertirti.
-Non sono in vena,
Ginny.- e con lo sguardo andai oltre le sue spalle.
-Sai che
verrà, ma è inutile aspettarlo.
-Lo so.- sapevo entrambe
le cose, ma niente poteva impedirmi di sentire la voce della mia
fiducia.
Non è impossibile.
Ed era vero, perché avrei accettato qualsiasi cosa, pur di
averlo al mio fianco.
Mi sedetti su una
poltrona, in un privè con le tendine viola e bevvi il mio
bicchiere di cocktail rubato dal vassoio di un cameriere.
Lo sorseggiai
lentamente, quando mi sentì posare una mano sulla spalla.
Mi girai con una
velocità che spaventò anche me. Avevo
riconosciuto il suo odore, prima ancora che la sua mano mi toccasse e
non mi ero spaventata a quel contatto. –Ciao.- mi aveva detto.
Mi aggrappai al suo
collo con tutta la forza che possedevo in corpo e lo baciai, ma lui
oppose resistenza.
Mi allontanai,
sciogliendolo da mio abbraccio e lo guardai negli occhi.
–Smettila di farti male.- mi disse con voce dura.
-Perché sei
venuto qui, allora? Credi che possa essere indifferente o credi che da
un momento all’altro il mio amore per te possa svanire nel
nulla?
-Perdonami.
-Non posso farlo.
-Hai ragione, non dovrei
essere qui.- mi accarezzò una guancia, soffermandosi
all’angolo delle labbra. Sorrise.
Poi, mi
attirò a sé, portando una mano dietro alla mia
nuca e l’altra attorno alla vita. Mi baciò, come
non aveva mai fatto.
Mi leccò il
labbro inferiore, per poi insinuare la sua lingua contro alla mia.
Mi feci trovare pronta:
non desideravo altro che sentire ancora il suo sapore.
Però, lo
trovai diverso: era dolce, sulla punta, ma in fondo, oltre quel sapore,
c’era l’amaro.
L’amare
dell’ultimo bacio, l’amaro dell’addio.
In
quell’istante, quando quel sapore riempì la mia
bocca, sentii la terra sgretolarsi sotto ai piedi, assieme alla
speranza che non sarebbe stato impossibile. Assieme al mio cuore e alla
mia stessa anima. In quell’ultimo bacio, mi ero regalata
completamente a lui, dandogli anche la briciola più insulsa
del mio essere.
Mi staccai da lui,
imponendo al mio cervello di trovare la lucidità che perdeva
ogni qualvolta Draco mi sfiorava. –Posso accettarlo.
-Addio, Hermione.
Ed era andato via, come
una settimana prima.
Però, non
c’era la pioggia a confondere i lineamenti della sua
immagine. Non c’era la pioggia a nascondere le mie lacrime,
né il vento a portarle via o a farmi chiudere gli occhi per
non vedere le sue spalle allontanarsi.
Ero sola… e
lui lontano. Più di prima.
-Hermione? Hermione?
Scossi la testa, sentendo le lacrime premere per uscire e chiusi per un
attimo gli occhi, poi mi voltai e vidi, accanto a Luna, Blaise, nella
sua tenuta da infermiere. Sorrisi. –Chi non muore si rivede.
-E’ tutto ok?
-Sì, scusate. Ero soprappensiero.
-Come ti senti?- mi chiese Blaise.
-Bene.- il suo sorriso mi tranquillizzò e mi
ricordò quante volte mi era stato accanto ad asciugarmi le
lacrime.
Ancora una volta, mi ritrovai a pensare al fatto che lui,
più di tutti, aveva vissuto quella storia insieme a noi.
Noi. Me e lui. Me e Draco.
-Riprenditi in fretta e vedi di non fare più
questi scherzi.
-Oh, beh…
-Ti aspetta una sorpresa.
-Chi è?
-Magari è un oggetto, no?
-Nah, ne dubito.
-Credi?
-Ok, cos’è?
-Lo vedrai.
-Quando?
-Alla festa di Ginny e Harry.
-Interessante. Ma, se non fosse di mio gradimento?
-Lo sarà di sicuro.
Bussarono alla porta e mamma entrò, mostrandomi uno zaino in
cui aveva portato i miei abiti.
-Blaise, dovrei vestirmi.
-Fa pure.
-Dovresti uscire.- gli disse, sorridendo.
-Lo so. Non vorrei mai vederti in mutande, signora Granger. Sarebbe uno
spettacolo orripilante.
-Dici sul serio?
-No, ma sono fedele.
Sì, Blaise era fedele. Era fedele a Lavanda, la sua
fidanzata storica, quella di cui era innamorato dal primo anno di liceo.
Era fedele a me, che ero sua amica e che lo volevo bene come se fosse
stato un fratello, essendo ricambiata allo stesso modo.
Era fedele al suo migliore amico, quello da cui non si era separato
neanche per un istante, neanche quando le situazioni erano troppo
scomode. Il suo unico miglior amico, quello con cui aveva spartito ogni
momento di felicità e di dolore, con cui aveva preso le
decisioni più difficili. Quello che non l’aveva
abbandonato, quando si era chiuso a riccio in se stesso per
la mancanza di Lavanda.
Il suo unico miglior amico…il mio unico amore.
Quando Blaise, uscii dalla stanza, presi lo zaino che mamma aveva
sistemato sul letto e ne estrassi i vestiti, poi andai in bagno per
indossarli.
Non mi sarei lavata lì dentro: per quanto i bagni fossero
puliti, l’odore fastidioso di disinfettante misto
all’odore di medicinale mi dava il voltastomaco e non avevo
affatto voglia di vomitare.
Mi vestii in fretta e mi permisi uno sguardo all’abbigliamento:
sportivo e semplice.
Poteva andare.
Uscii dal bagno e tornai a sedermi sul letto. –Grazie.
-Ho preso le prime cose che ho trovato.
-Vanno benissimo.
-Hai fatto degli ottimi acquisti, sai?
-Lo so.- le sorrisi.
-Blaise è ancora qui fuori, lo faccio entrare.
-Oh sì. Che stupida.
Mamma andò ad aprire la porta e lui entrò
sorridendo. –Cavolo quanto sei lenta!
-Hey, sono i postumi del mio malore.
-Spero di non svenire mai, allora.
-Sono infettiva, sai? Se ti baciassi…
-Permettimi di rifiutare.
Sorridemmo. –Avevo completamente dimenticato che fossi qui
fuori.
-Oh, signora.- disse rivolgendosi a mamma. –sua figlia
è un’ingrata. Non merita affatto la mia amicizia.
-Hai proprio ragione.
Non aveva smesso un attimo di ridere da quando quella conversazione era
cominciata e Luna l’aveva imitata perfettamente, tenendo in
braccio il piccolo Matt che si era addormentato.
Gli sprazzi di felicità gratuita, come questa, erano quelli
che più mi mancavano nella vita che avevo iniziato a
condurre andando a Parigi.
-Comunque,- disse Blaise tornando serio. –tra
un’ora al massimo ti dimetteranno e tu sarai libera di
svolazzare qui e lì. Ti raccomando solo di non essere
costantemente sotto stress.
-Tu sei un pediatra.
-E tu sei una bambina viziata che non vuole capire qual è la
fonte reale del suo stare male.- mi aveva indirizzato uno sguardo a cui
non servirono parole per essere interpretato.
Mamma e Luna calarono il capo, mentre io mi sforzai di sostenere gli
occhi perfetti di Blaise. –Hai ragione.
-Lavorerò di meno.
-Non intendevo questo. Comunque, faresti bene a prenderti un riposo
lavorativo di qualche giorno.
-Grazie.
-Ci vediamo. Arrivederci signora Granger, ciao Luna.- disse ed
uscì dalla stanza.
Sapevo che non appena avrei staccato gli occhi dalla porta chiusa, mi
sarei ritrovata gli occhi di mamma e Luna puntati addosso, quindi mi
alzai e mi diressi alla finestra ed osservai la stanza:
era… pulita.
Una stanza singola, con le pareti colorate di un azzurro tenue che, per
certi versi, trasmetteva tranquillità per altri, mi sembrava
di provare la strana sensazione di dover morire da un momento
all’altro e di dovermi abituare a quell’azzurro
perenne.
Scossi la testa, inorridita dai miei pensieri. Forse, la sensazione che
avevo provato si era dipinta sul mio volto, perché vidi
mamma avvicinarsi e abbracciarmi. –Va tutto bene, tesoro?
-Sì. Voglio solo andare via da qui.
-Tra un po’ sarai a casa.
Gli ultimi venti minuti mi videro impegnata in chiacchiere leggere e
piacevoli: cosa avrei voluto mangiare, come procedeva il lavoro, quando
ero andata in giro a fare tanto shopping.
Ringraziai mentalmente Luna. Lei era una delle poche che, nella vita,
mi metteva di fronte all’evidenza dei fatti con prepotenza:
prefeva aspettare che me ne accorgessi da sola.
Le sorrisi, consapevole del fatto che lei avesse capito.
Un’infermiera venne ad avvisarci che avrei potuto lasciare
l’ospedale, quindi, ci recammo nell’atrio per
firmare dei documenti e fare l’ultimo controllo.
Salutai il medico con un sorriso cordiale, seguita a ruota dalle mie
accompagnatrici, poi uscimmo dall’ospedale.
-Ci vediamo, Herm.
-Non passi per casa?
-No,Matt tra un po’ si sveglierà e avrà
fame. Se ti va, passo domani con Ron.
-D’accordo.
-Arrivederci signora Granger.
-Ciao cara, buona serata.
-Guido io.- dissi, avviandomi alla portiera.
-Non se ne parla proprio.
-Va bene.
Quando entrambe fummo in auto, chiusi gli occhi e mi lasciai cullare
dal tremolio del motore.
Non ebbi il tempo di pensare, poiché, pochi minuti dopo,
sentì l’auto fare strane manovre e fermarsi, segno
che mamma aveva parcheggiato. –Su,- disse aprendo la porta.-
vado a cucinare qualcosa di caldo.
-No, mamma, lascia stare. Non ne ho voglia.
-Hermione…
-Sono stanca. Vorrei dormire un po’.
-Buonanotte allora.
Mi avviai per le scale e mi sentii debole al punto di dubitare del
fatto che avessi potuto indossare il pigiama, ma contro i miei
pensieri, ritrovai anche la forzadi fare una doccia, di scoprire il
letto e coprirmi fin sopra la testa: il freddo non mi aveva abbandonata.
Guardai il cellulare e mi accorsi che, ancora una volta, di Henri non
c’era neanche una telefonata.
Poi, chiusi gli occhi.
Spoiler capitolo 28:
Era di fronte a me, seduto sul letto, con la mano che tremava sulla
coperta.
Avrei dovuto essere felice di averlo qui, ma mi ritrovai ad esserne
terrorizzata.
Io e lui soli, in una stanza chiusa…
Forse, era solo suggestione, la mia. Strinsi più forte il
lenzuolo, fino a trovare le nocche delle mani bianche.
–Ciao…- dissi timorosa.
Alzò il suo sguardo su di me e vidi un lampo di pura rabbia
attraversare i suoi occhi.
Alzò la mano, con il palmo aperto come se avesse voluto
accarezzarmi, poi qualcuno aprì la porta.
***
Angolo Autrice:
Eccomi qui, con il nuovo capitolo.
Come avete potuto vedere, Hermione non è incinta:
è solo lo stress a giocarle brutti scherzi.
Qualcuna di voi l’aveva pensato, eh? Beh, mi dispiace per
aver deluso le vostre aspettative XD
Passiamo al capitolo: Tornano in scena Luna e Blaise, contente?
Draco è il nostro eroe, anche se compare indirettamente tre
queste righe. Il flashback: pensare queste cose in ospedale,
certo… non è il miglior modo per ricordare, ma a
mio parere, i ricordi fanno capolino alla mente nei momenti in cui
siamo più fragili, sia emotivamente che fisicamente.
Cosa ne pensate?
I personaggi:
-Hermione:
cosa sono questi pensieri, eh? Non era lei quella a voler tenere in
piedi il suo matrimonio? Certo, ed è ancora
così… solo che, ogni tanto…;
-Luna:
è una persona molto discreta e, come ha detto Herm, non
impone le cose con prepotenza e, forse, il suo atteggiamento
è il migliore che possa assumere avendo una testa dura come
amica;
-Meredith:
la trovo straordinaria, niente da dire su di lei.
-Blaise:
è tornato! Come lo avete trovato? Io lo adoro **.
Bene, concludo qui con la descrizione dei personaggi.
-Lo spoiler:
cosa state immaginando?
Ringrazio le 79
seguite, le 37
preferite e le 7
ricordate.
Grazie davvero, anche ai lettori silenziosi.
Spazio
AUTOpubblicità: per gli
amanti della coppia Draco/Hermione, ho iniziato una nuova ff, Since I
Kissed You.
Per chi invece ama la coppia Edward/Bella è in corso una ff
che è già al quarto o quinto capitolo, Revenge and
Love.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 28 *** Convalescenza... ***
Capitolo 28: Convalescenza...
Hermione POV:
Non avrei
saputo dire per quanto avevo dormito: il mal di testa pulsante e il
freddo che sentivo, però, mi sembravano segni di un lungo
riposo.
Anche se, di certo non era stato uno dei migliori: il mio sonno era
stato popolato dagli incubi. Anzi, un incubo: Draco era al centro
esatto della strada e pioveva, un’auto che sfrecciava a tutta
velocità lo investiva in pieno ed io lo ritrovavo tra le mie
braccia morente.
Vedevo i suoi occhi chiudersi lentamente, segno che mi stava
abbandonando. Mi stava lasciando per sempre.
Forse, quel sogno era un segnale. Ma cosa voleva significare?
Mi sedetti nel letto. Forse, era pomeriggio inoltrato…
Sentivo le voci proveniente dal piano inferiore e mi sporsi in avanti,
come a voler sentire meglio. Le voci, però, erano sommesse
dalla porta chiusa e, probabilmente, gli interlocutori cercavano di
tenere bassi i loro toni.
Mi sistemai meglio, tirai su la coperta che durante la notte era
scivolata e ora giaceva per metà sul pavimento.
Cercai di chiamare mamma, ma la mia voce risultò essere
rauca e quasi cavernosa, a causa del lungo silenzio. Avevo sete, quindi
decisi di lasciare il letto ed indossare qualcosa di comodo.
Prima, avevo bisogno di una doccia e andai in bagno ed aprii il getto
d’acqua.
Nel frattempo, legai i capelli, conscia del fatto che se avessi fatto
anche lo shampoo avrei potuto ritrovarmi l’influenza.
Mi infilai nella doccia e m’insaponai di fretta,
risciacquandomi allo stesso modo.
Mi avvolsi nell’accappatoio e cercai di trarne quanto
più calore possibile dalla spugna azzurro chiaro.
Mi asciugai e mi vestii,
poi scesi al piano inferiore.
La cucina era illuminata poco ed entrai quasi in punta di piedi per non
interrompere con irruenza il discorso che teneva impegnata mamma e non
so chi altri.
-Oh, Hermione…- disse lei, accorgendosi di me.
–Entra.
-Buonasera.
Intanto, mi soffermai a guardare l’altra persona nella
stanza, anche se gli occhi non si erano ancora abituati alla luce,
tenue, certo, ma pur sempre una luce diversa.
-Buonasera.- rispose.
Allora, la mia visuale si riempì dell’immagine: i
capelli biondi erano sistemati all’indietro con il gel, gli
occhi grigi erano inespressivi, ma riuscii comunque a cogliere un
leggero imbarazzo.
Draco.
Lo guardai e notai le sue occhiaie, lievi, pallide. Il sorriso era
tirato e il leggero filo di barba si adattava perfettamente ai
movimenti delle guance.
-Ti senti meglio?- chiese mia madre, interrompendo quella
lunga pausa di silenzio che era calata.
-Sì, grazie.
-Il signor Malfoy...
-Mi chiami Draco, per favore.- sorrise.
-Draco si è offerto per andare in farmacia, a prendere le
medicine che il medico ti ha prescritto.
-Oh, non ce n’è bisogno…
-Ci sono già andato. Anzi,- disse guardando
l’orologio.- dovresti prenderne qualcuno adesso.
-Grazie.
Il telefono squillò e mamma corse a rispondere.
–Pronto. Oh, ciao, che sorpresa!- La sua voce si affievoliva
mano a mano che salivo con lo sguardo lungo la figura di Draco.
Le scarpe nere, lucide venivano coperte alla loro estremità
dai pantaloni neri di buona fattura. La camicia era tenuta
fuori e i bottoni del colletto erano sbottonati. La giacca era
completamente aperta. –Stai meglio? Davvero?
-Sì.
-Mi hai fatto preoccupare.
-Mi dispiace.
-Credevo che…- chiuse per un po’ i pugni, poi li
riaprì. -…che tuo marito ti avesse di nuovo
maltrattata.
-Non lo vedo quasi mai.
-Meglio allora.
-Come sta Cloe?
-Bene.
-E Natan?
-Oh, benissimo direi.
-Natan mi ha raccontato un po’ come vanno le cose tra
voi…- perché glielo stavo chiedendo? Mi sentii
immediatamente in imbarazzo, quindi, feci un gesto con la mano per
fargli capire che potevamo far cadere il discorso lì.
-Le cose sono migliorate.
-Oh.- ne avevano parlato: forse ed avevano deciso di trattarsi come un
vero marito ed una vera moglie. Com'era giusto che fosse...
-Cloe ha chiesto il divorzio.
Non risposi. Rimasi per un po’ immobile, a boccheggiare, come
a voler prendere aria.
-Hermione… non hai idea di chi abbia telefonato. Ma no, non
te lo dico: sarà una sorpresa.
Draco sorrise e dopo averlo guardato ancora una volta, lo imitai,
rivolgendo il mio sorriso a mamma.
-Arrivederci signora Granger.
-Arrivederci Draco. E grazie mille.
-Arrivederci Hermione.- non gli risposi ancora. Lo guardai andare via e
i ricordi che quella scena portò con sé mi
colpirono come uno schiaffo in pieno viso, ma il dolore fu almeno dieci
volte maggiore.
Mamma tornò in cucina e mi trovò ancora
sorridendo, nonostante l’enorme sforzo che mi costasse quel
gesto. –Allora,- le chiesi, curiosa davvero. –chi
ha telefonato?
-Lo saprai domani.
-Devo aspettare fino a domani?- Misi su un finto broncio, tanto per non
far pesare a mamma lo stato in cui mi sentivo.
Almeno dopo tutte le delusioni che le avevo dato, non mi sembrava
giusto farla sentire colpevole anche di qualcosa in cui lei non aveva
colpe.
Sorrisi ancora e mi alzai, avvicinandomi al fornello. –Cosa
fai?
-Ho un po’ di fame.
-Siediti, ti preparo qualcosa.
-No mamma, tranquilla. Faccio io
-Siediti e lascia fare a me. Di cosa hai voglia?
-Non saprei.
-Hai freddo?
-Abbastanza.
-Ok, allora… ti va una minestra vegetale?
Storsi il naso. –Con le verdure?
-No. Solo patate e carote.
-Ok.
-E’ molto cambiato Draco.
-Sì.
-Lo ricordo quando era davvero un bambino… sempre bello.
-Già.
-Sareste stati davvero bene insieme.
-Non mi pare il caso di parlare di questo.
-Sì, hai ragione.
Suonarono alla porta e solo allora mi resi conto di quanto in
realtà fosse tardi. –Vado io.
-Grazie.
Lungo il corridoio, camminavo piano, perché mi sembrava di
sentire ancora l’odore di pioggia e di cuoio che era sulla
pelle di Draco.
Ed io lo conoscevo bene quel profumo, per tutte le volte che
l’avevo respirato.
Aprii la porta con lentezza snervante, poi alzai piano il viso, sapendo
già dalle scarpe chi avrei trovato di fronte ai miei occhi.
Henri sorrise e lo imitai, poi mi diede un bacio a fior di labbra,
stringendomi il polso.
Era il segno che appartenessi a lui.
Mi sentii terribilmente delusa: speravo fosse qualcun altro, e non per
forza volevo che fosse Draco.
Bugiarda e stupida.
Lasciai passare Henri per primo, poi lo seguii.
Ero talmente nervosa che mi spaventai quando lui si fermò
nel corridoio: sembrava che stesse respirando e tremai al pensiero che
potesse cogliere anche lui, tra gli altri odori, il profumo che per
anni avevo amato.
-Che buon odore.
-Emh… di cosa?
-Di… minestra? E’ possibile?
-Oh sì. Mamma sta cucinando.
-Come mai?
-Ho fame.
-Non sai cucinarti da sola, bambina viziata?
-Sì, ma ha insistito per farlo e per non farmi stancare.
-Ti stanchi troppo facilmente. Dovresti lavorare sul serio per capire
cos’è la fatica.
-Credo di saperlo…
-Non credo affatto.- disse, stringendomi con forza le braccia, poco
più in alto dei gomiti.
-Mi fai male.- cercai di sopprimere un urlo di dolore e di parlare con
voce più bassa possibile.
-Non contraddirmi. MAI.Più.
-Hermione?- mamma mi raggiunse in corridoio e mi guardò con
aria stranita. Le sorrisi per tranquillizzarla. –Oh, Henri,
sei tu. Non ti aspettavo.
-Lo immagino.
-Ci sono visite che uno eviterebbe volentieri.
-Ovvio. E’ abbastanza noioso andare in giro a trovare i
malati.- mi abbracciò dolcemente: quanto odiavo il suo modo
di fingere.
Sapevo che la frase di mamma era indirizzata a lui e spiegava
chiaramente che non voleva vederlo, ma Henri, per un motivo o per un
altro, aveva frainteso.
O, forse, aveva dato alla frase il significato che gli conveniva.
-Ceni con noi?
-No, però conservamene un po’: domani
sarò a pranzo qui e voglio la minestra.
-D’accordo.
Lo riaccompagnai alla porta. –Ci vediamo domani.
Arriverò verso le tredici, quindi, fai trovare tutto pronto.
-Sì.
-Stammi bene.
Chiusi la porta e sentii le lacrime premere per uscire dagli occhi,
quindi, strinsi i pugni.
Mi era passata la fame, ma non avevo voglia di far preoccupare mamma,
così mi avviai in cucina e mi sedetti al tavolo.
-Che faccia tosta. Insolente, scorbutico, pezzo di mer…
-Mamma, sono qui.
-Oh…
In altre situazioni, avrei riso del suo borbottare da sola. Ora,
invece, me ne sentii infastidita, anche se le sue parole descrivevano
alla perfezione il modo di essere di Henri.
Chiusi gli occhi e non so per quanto tempo rimasi così. Li
riaprii solo quando sentii il rumore dei piatti che venivano poggiati
l’uno sopra all’altro.
Quando mamma mise i piatti a tavola, mi sforzai di assumere
l’aria di una persona tranquilla, per darle almeno la
soddisfazione per aver cucinato. –Grazie.
-E’ tutto a posto?
-Sì.- mi portai un cucchiaio di minestra alla bocca e ne
gustai ogni sapore. Persino il retrogusto di quell’intruglio
era dolce. –E’ buonissima.
-Mi fa piacere.
Mangiai tutto ed aspettai che anche mamma finisse, poi tolsi i piatti
dalla tavola e li sistemai nella lavastoviglie: non volevo dare altre
noie a facendole lavare i piatti.
-Precisamente, che ore sono?
-Perché non guardi l’orologio?
Le lanciai un’occhiata abbastanza eloquente e dovette capire
che per me lo scorrere del tempo era una vera spina nel fianco,
soprattutto se quel tempo non lo vivevo. –Mmh…-
mugugnai.
-Sono le nove.
-Cavoli. Mi sento… intontita.
-Devi riposare ancora un po’.
-Sì.
-Saranno un altro paio di giorni, Hermione… poi, sarai
libera.
-Oh, grazie sceriffo.
-Ma si figuri. La buona condotta ha giocato a suo favore, cara
prigioniera.
Adoravo giocare in questo modo con mamma e farlo mi ricordava
papà e a quando anche lui partecipava attivamente ad essere
un prigioniero o un dottore o qualsiasi altro protagonista delle
scenette che mettevamo su in pochi istanti: era sempre divertente.
Mi mancava infinitamente ed era troppo tempo che non andavo al
cimitero. Avevo davvero voglia di andarci e guardare la sua fotografia:
avrei potuto farlo sfogliando gli album di famiglia, ma forse, avevo
bisogno di un impatto violento con la realtà.
-Andiamo a letto?
Mamma annuii e ci avviammo insieme alle scale ed ognuna
entrò nella propria camera.
Indossai in fretta il pigiama e mi rintanai nel letto, coprendomi fino
all’ultimo capello, poi mi addormentai.
§
Mi ero risvegliata per non so quale motivo: non avevo affatto passato
una bella nottata. Mi ero svegliata più volte, faticando poi
a riprendere sonno.
Avevo preso il cellulare dal comodino, perché avevo voglia
di sentire Ginny: mi mancava infinitamente.
Avevo portato agli sgoccioli un’amicizia per difendere un
matrimonio che aveva basi su cosa? Su niente.
L’unico pilastro che forse reggeva era proprio il mio
orgoglio e non potevo permettermi di perdere la mia vita, le mie
amicizie solo per un angolazione del mio carattere che sapevo di dover
affievolire o usare con chi lo avrebbe meritato.
Nonostante i rimproveri mentali che mi ero fatta, decisi che non era
ancora il caso di telefonare a Ginny…
Guardai l’orario segnato sul display del cellulare e mi resi
conto che, ancora una volta, avevo saltato la colazione e il pranzo e
comunque non avevo fame.
Il tempo mi sembrava scorresse troppo velocemente: ero passati
già due giorni da quando ero uscita dall’ospedale
e mi sentivo bloccata nella noia e nelle abitudini che non amavo.
Il cellulare squillò e risposi quasi subito.
–Pronto?
-Dove sei?
-A casa.
-Oggi ho pranzato insieme alla svitata.
-Chi sarebbe?
-Tua madre.
-Henri, non ti permetto di parlare così.
-Resta di fatto che non mi hai preparato il pranzo.
-Sono stanca Henri, sono debole…
-Non m’importa. Comunque, tra un quarto d’ora
sarò da te.
-Oh…
Mi diressi in bagno per riempire la vasca e cercare di rilassarmi,
facendomi cullare dal calore dell’acqua e
dall’odore di bagnoschiuma.
Legai i capelli e attesi che la vasca si riempisse e che il sapone al
latte d’asina formasse una leggera schiuma.
Mi spogliai e sistemai il pigiama in una cesta che tenevo in bagno
apposta per gli abiti che volevo lavare, poi mi immersi
nell’acqua lentamente e attesi che le gambe si abituassero al
calore.
Quando anche le spalle si ritrovarono ad essere accarezzate
dall’acqua e dalla schiuma, chiusi gli occhi, cercando di
tenere lontani i ricordi che mi avrebbero fatto male.
Il vapore che aveva riempito il bagno mi intontiva un po’, ma
era meglio per la mia memoria che, ultimamente, dava segni di voler
ricordare per forza.
Uscii dalla vasca di malavoglia e mi avvolsi
nell’accappatoio, per prendere calore e andai nella mia
camera per vestirmi: volevo indossare qualcosa di carino, visto che, a
detta di mamma, oggi ci sarebbe stata una sorpresa per me.
Mi vestii
e sistemai i capelli in uno chignon stretto, poi sistemai il letto e mi
ci poggia su.
Henri arrivò poco dopo, con il sorriso stampato sulla faccia.
Sentii le membra attorcigliarsi e farmi male, ma cercai di tenere a
bada il dolore e gli sorrisi di rimando.
Si accomodò sul letto e posò i suoi
occhi sul mio abbigliamento.
-Ti pare il caso di vestirti così?
-Cos’ho che non va?
-Sei in casa, Hermione. Certi abiti dovresti tenerli per uscire. E poi,
questa… cosa- disse, prendendo tra le mani il maglione e sul
suo viso si dipinse il disgusto.- è corta per essere
indossata così.
-Non è corto, Henri…
-Continui a contraddirmi?
-Non è una contraddizione: è un dato di fatto,
vedi?- gli dissi, alzandomi e mostrandogli che in realtà il
maglione era più lungo di quanto lui pensasse.
Mi strinse il polso e mi riportò sul letto.
-E’ corto.
-Per me non lo è.
Mamma entrò in camera e non degnò Henri di uno
sguardo. Mi sorrise. –C’è una persona
che vorrebbe parlarti. Di lavoro.- si affrettò a chiarire.
-Oh, falla entrare.
Aprì di più la volta e il mio cuore
mancò qualche colpo quando vidi i suoi occhi puntati
addosso. –Buonasera Hermione. Henri.
-Draco.- rispose Henri a mò di saluto.
-Dovrei parlarti. Riguarda il caso…
-Sì, accomodati.
-Henri, credo sia il caso che li lasciamo soli.- disse mamma e quasi
avrei voluto che in quel momento avesse taciuto.
Henri si alzò ed uscì dalla camera, non prima di
avermi lanciato un’occhiata colma di
disapprovazione… ed io sapevo bene cosa significava quello
sguardo: altri lividi, altre parole forti nei miei confronti e magari
altra violenza gratuita.
Attesi che la porta si chiuse, poi feci segno a Draco di sedersi.
Lo guardai e notai una piccola ruga che gli attraversava la fronte: era
teso.
I capelli erano scompigliati e bagnati, segno che fuori, al di
là delle tende, il cielo stava piangendo.
Gli occhi erano fissi sulle mie mani e il sorriso era tirato,
circondato da rughe leggere. Le fossette che si formano sulle guance
ogni volta che rideva, erano appena accennate e, per quel
po’, erano nascoste dal leggero filo di barba bionda.
Avrei voluto accarezzargli la fronte e le guance e la fronte e far
distendere quelle rughe. Avrei voluto far tornare sul suo viso la
perfezione. Avrei voluto dirgli di non stare in pensiero: qualsiasi
cosa lo stava preoccupando, si sarebbe risolta.
Il silenzio era perfetto in quel momento, perché ci sarebbe
voluto un coraggio immenso per spezzare il filo di quei pensieri che
forse entrambi stavamo seguendo.
Era di fronte a me, seduto sul letto, con la mano che tremava sulla
coperta.
Avrei dovuto essere felice di averlo qui, ma mi ritrovai ad esserne
terrorizzata.
Io e lui soli, in una stanza chiusa…
Forse, era solo suggestione, la mia. Strinsi più forte il
lenzuolo, fino a trovare le nocche delle mani bianche.
–Ciao…- dissi timorosa.
Alzò il suo sguardo su di me e vidi un lampo di pura rabbia
attraversare i suoi occhi.
Alzò la mano, con il palmo aperto come se avesse voluto
accarezzarmi, poi qualcuno aprì la porta.
Maledissi quell’interruzione e cercai di assumere
un’espressione tranquilla.
Mamma era ferma sulla porta e mi guardava con aria dispiaciuta.
–Ho interrotto qualcosa?
-No, mamma, entra.
-In realtà, c’è una sorpresa per te.
-Davvero?
Fui felice che qualcosa di buono avesse interrotto quel momento.
Mi ritrovai quasi stritolata da un abbraccio dolcissimo e, senza sapere
il perché, mi ritrovai con gli pieni di lacrime.
Mi staccai dall’abbraccio e guardai la persona che avevo di
fronte: gli occhi azzurri e i capelli lunghi biondi che le ricadevano
sulle spalle erano mossi.
Il sorriso era coinvolgente e le labbra sottili erano leggermente
truccate.
Mia cugina fece un giro su se stessa e sorrise ancora, puntandomi i
suoi occhi nei miei. Era più grande di me di qualche anno,
ma eravamo sempre andate d’accordo:
l’età non era mai stata un problema tra noi.
Adesso, avrebbe dovuto avere i suoi ventotto anni. La guardai ancora un
po’. -Daphne.-
non la vedevo da anni.
-Quanto mi sei mancata.
-Oh Dio, ma sei… sei bellissima.
-Fatti abbracciare ancora.
Poggiai la testa sulla sua spalle e, quindi riuscii a vedere il suo
accompagnatore: in vita mia l’avevo visto una sola volta.
Era alto e ben piazzato, i capelli di un biondo scuro incorniciavano il
suo viso tondo e gli occhi verdi erano illuminati dalla
felicità che provava, giustamente, stando accanto a Daphne.
Seamus
Finnigan.
Da subito, il suo nome mi era sembrato divertente.
Si era comunque mostrato molto intelligente e abile nel suo lavoro: era
un giornalista affermato e lavorava, almeno da quando l’avevo
conosciuto, al The Financial Time.
Forse, era più giovane della sua compagna.
-Come state?- chiesi ad entrambi e feci segno a Seamus di sedersi.
-Bene. Siamo appena tornati dal viaggio di nozze.
-Vi siete sposati?
-Certo! Credevi che sarei rimasta zitella per sempre?
-Niente affatto.
-Ha fatto un ottimo affare, sai?- disse il giovane, indicandosi.
-Non ne dubito.
Mi girai verso Draco per ridere e mi accorsi che, per tutto quel tempo,
era stato in silenzio.
Daphne se ne accorse e voltò la testa verso di lui.
–E’ tuo marito?- mi chiese.
-No, è un mio collega.
-Mmm.
-Greengrass in Finnigan… suona bene.
Mamma, che nel frattempo era tornata in cucina, salì in
camera offrendoci del caffé caldo e fu seguita da Henri.
-Grazie zia.- dissero gli sposi all’unisono.
-Lui è mio marito.- dissi indicando Henri che si era fermato
sulla soglia della porta.
Si strinsero la mano, come prevedeva ogni formalità di
presentazione e si sorrisero.
Discorremmo degli argomenti più svariati: Daphne mi
raccontò che durante il viaggio di nozze era stata in Italia
e in Grecia.
Seamus, invece, parlò per un po’ con Draco del suo
lavoro ed espose le sue teorie sulla politica adottata da certi stati.
Henri rimase in disparte, fissandomi di tanto in tanto con il suo
sguardo accusatore ed ogni volta che succedeva, mi ritrovavo gli occhi
gelidi di Draco dritti nei miei: quella situazione mi spaventava e non
poco.
-Arrivederci.- disse Draco, quasi un’ora dopo.
Quando si alzò dal letto e quando uscì dalla
camera, sentii il vuoto farsi spazio in me.
Mi mancava qualcosa… o, forse qualcuno.
Henri mi raggiunse sul letto e si sedette proprio allo stesso posto di
Draco, ma il suo peso e la sua presenza non erano le stesse: qualcosa
in lui mi infastidiva.
Continuai, comunque, a sorridere e a parlare con Daphne.
Seamus, di tanto in tanto, faceva qualche battuta che mi divertiva
realmente e, quindi, non potevo fare a meno di ridere.
Il tempo, però, trascorse in fretta e, poco dopo, Daphne mi
disse che sarebbe andata via.
-Perché non restare qui?- le chiesi.
-Sì, Daphne… mi farebbe davvero piacere. Sei la
mia nipote preferita e, poi, questo giovanotto è davvero
simpatico.
-Ma no, zia… non voglio disturbare.
-Non disturbi affatto: qui c’è una camera degli
ospiti, quindi… avrete tutto lo spazio che vi serve.
-Io vado.- disse Henri, forse sperando di ricevere lo stesso
trattamento.
-Arrivederci.- rispose fredda mamma, per poi tornare a parlare con la
nipote.
Baciai Henri sulle labbra con un bacio leggero e provai uno strano
senso di nausea, poi lo guardai mentre usciva dalla stanza e mi sentii
sollevata.
Ripensai alle parole di mamma: aveva parlato della camera degli ospiti,
quindi, questo significava che lei avrebbe dormito, per la prima volta
dopo la morte di papà, in quella che era stata la loro
camera.
Le avrebbe fatto male, l’avrebbe distrutta…
-Mamma, perché non dormi con me?- le chiesi quando finimmo
di cenare.
-Hermione… non sei un po’ grande?
-Ogni tanto mi è concesso tornare bambina, no?
-Certo.
-Bene, allora dormi con me…
Ci dirigemmo nella mia camera e mi sistemai sul lato per farle spazio,
poi ci lasciammo cullare dalla stanchezza della giornata.
Spoiler capitolo 29:
Avrei voluto abbracciarla e dirle che mi era mancata. Più di
quanto anche la mia immaginazione avrebbe potuto immaginare.
Invece rimasi lì, a fissare la sua figura di fronte a me e
abbassai gli occhi quando i suoi vollero incatenarsi ai miei: la paura
di ammettere di aver sbagliato fin dal primo momento era pesante.
-Te lo dico per l’ultima volta… è in
gioco la tua felicità.
***
Angolo
Autrice:
Scusatemi infinitamente per il ritardo.
Chiedo perdono in ginocchio, ma abbiate pietà di me: ho
avuto problemi con il pc e mi sono disperata tantissimo anche io.
Comunque, per grazia divina (almeno spero xD), sono tornate a rompervi
le scatole.
Il capitolo, come avete visto, è più lungo di
quelli precedenti. Non c’è un motivo
preciso…
Comunque, passiamo ai personaggi?
-Hermione:
cosa le sta succedendo? Henri la infastidisce; Draco la
spaventa… ODDIO!;
-Henri:
stronzo e bastardo, niente da dire;
-Draco:
perché ha avuto quella reazione? E chi lo sa…
fatto sta, che è spaventato ed è comprensibile:
nonostante sapesse che il suo matrimonio era un fallimento, essere
messo di fronte alla realtà dei fatti, per lui è
doloroso;
-Meredith:
la parte in cui saluta Henri mi fa morire dal ridere e la trovo sempre
fantastica;
-Daphne Greengrass:
cugina di Hermione? Ma sì… questa storia non
tiene conto degli screzi che ci sono nel libro… Ah, per
quanto riguarda il personaggio, l’ho immaginato come avete
visto dal collegamento. Voi, chi avreste messo al suo posto?;
-Seamus Finnigan:
marito di Daphne? Ma sì, anche qui. Lo trovo un personaggio
divertente e affascinante per il carattere che zia Rowling non ha
descritto nei minimi particolari.
-Lo spoiler:
cosa ne pensate? Fatemi sapere.
Scusatemi per la lunghezza di quest’angolo dedicato al mio
delirio.
Ringrazio le 83
seguite, le 39
preferite e le
7 ricordate.
Grazie davvero tantissime: senza il vostro sostegno, senza il vostro
appoggio anche silenzioso questa storia non avrebbe avuto un seguito.
Grazie infinitamente.
Risponderò alle recensioni del capitolo precedente massimo
entro domani pomeriggio.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 29 *** Ritorno al lavoro... ***
Capitolo 29: Ritorno al lavoro...
Hermione POV
Mi ero
vestita ed
ero uscita di casa per andare al lavoro, anche se non mi sentivo in
gran forma.
Però, stare ferma
mi innervosiva ed ero certa che facesse male più di un
po’ di impegno mentale.
Avevo acceso il
pc ed aperto la porta-finestra. Il mio ufficio mi era mancato e di
certo non ne
ricordavo ancora tutti i dettagli, ma qualcosa mi sembrava fosse
cambiato lì
dentro.
Sulla scrivania,
il pc era allo stesso posto, così come le fotografie e le
cartelline dei casi.
Forse, in più
c’era il portapenne di legno chiaro.
Sulle mensole,
era tutto uguale a come l’avevo lasciato, a parte
l’enorme vaso
grigio con una
pianta di cui non conoscevo il nome: riuscivo a vedere solo le enormi
foglie
uscire dall’apertura del vaso.
Non ero mai stata
esperta di botanica e neanche mi piaceva ad essere sincera.
Sentii bussare
alla porta e sistemai dei fogli sulla scrivania. –Avanti.
-Ciao.
-Buongiorno.
-Come stai oggi?
-Molto meglio,
grazie.
-Figurati. Ieri,
ero venuto a dirti che ho interrogato il medico che ha visitato tuo
padre.
-Oh. Com’è
andata?
-Abbastanza bene,
direi. Avrei preferito che tu ci fossi…
-Mi dispiace.
-Fa niente…
Lo guardai e
notai che aveva fatto la barba e che le rughe dovute alla
preoccupazione erano
quasi sparite.
-Stai bene.-
disse, indicando il vestito formale che
avevo usato.
-Grazie.- sentii
il sangue affluire alle guance e, di sicuro, il pallone che mi
caratterizzava
quel giorno era andato a fare un giro da qualche altra parte.
Sorrise. –Henri
mi è sembrato…
-E’ tutto ok,
Draco. Davvero.
-Dovresti stare
attenta, lo sai: ho notato il modo in cui ti guardava.
-So badare a me
stessa.
-Mh.- borbottò
qualcosa che non riuscii a comprendere chiaramente.
Avevo colto le
parole sprecato, inutile,
meravigliosa… Nient’altro.
Mi salutò con la
mano ed io non mi mossi di un centimetro. Mi ero resa conto dello
strano
effetto che Draco aveva cominciato ad avere su di me: mi tremavano le
gambe e
balbettavo, a volte, quando mi faceva un complimento.
Erano sensazione
che, fino a prima che finissi in ospedale, erano lievi e sfocate.
Forse, a
causa della mia testardaggine e dalla mia voglia di voler far
funzionare
qualcosa che era difettoso dal primo momento.
Ora, però, le
cose erano cambiate: quando Draco andava via, tutto intorno si riempiva
del
vuoto della sua immagine, della mancanza che provavo nei suoi
confronti.
Scossi la testa,
per cacciare via quei pensieri che non mi conveniva affrontare, poi, mi
dedicai
ad attività futili al pc.
Mi sentivo come
se la mia anima si fosse staccata dal corpo, perché il vuoto
che avevo dentro
mi gelava e, in più, la mia attenzione era focalizzata su
tutt’altro: ero
davvero decisa a mandare avanti il mio matrimonio? A prendere in giro
me stessa
e ad affondare il pugnale più in fondo nella
ferità?
Non lo sapevo…
Mi alzai e decisi
che era meglio se non pensassi a quello che nella mia testa andava ad
occupare
uno spazio sempre maggiore, quindi osservai bene l’ufficio,
in cerca di
scorgere qualche reale cambiamento.
Niente. Niente
almeno che saltasse ai miei occhi. Presi il cellulare dalla borsa e
scrissi un
messaggio a Ginny, ricordandole che oggi avremmo avuto
l’ultima prova del
vestito.
Inviai ed attesi
che la busta da lettere scomparisse dal display, poi, sistemai il
cellulare
sulla scrivania, speranzosa di ricevere una risposta.
Lo fissavo con
insistenza tale che mi pareva che, di tanto in tanto, il display si
illuminasse.
Niente.
Guardai l’ora dal
pc e mi resi conto che erano passati solo cinque minuti da quando avevo
inviato
il messaggio: forse, Ginny era al lavoro.
Forse, non lo
aveva ancora letto. Forse, c’erano stati problemi con la
linea e ancora non le
era arrivato.
Fatto stava, che
non avevo ancora ricevuto una risposta.
Altri cinque
minuti.
Interminabili,
lenti, beffardi…
Tempo bastardo.
Cinque minuti ancora. Niente.
Le mani si mossero
prima ancora che decidessi e presero il cellulare per formulare il
numero di
Ginny.
Uno squillo, due,
tre… La segreteria telefonica.
Attesi il bip e
cominciai a parlare. –Emh… ciao. Oggi, abbiamo
l’ultima prova e Minerva ci
aspetta per le due. Cioè, tra poco. Ho voluto
ricordartene…
Staccai la
telefonata, un po’ delusa.
Mi avrebbe
richiamata, ne ero certa.
Appoggiai di
nuovo il cellulare sulla scrivania e continuai a fissarlo.
Purtroppo per me,
al lavoro la situazione era fiacca e nessuno entrava nel mio ufficio
per
distrarmi. Dovevo fare da sola, ma non trovavo niente di tanto
interessante da
mettere da parte il pensiero di Ginny.
In mente, mi
tornarono le parole di Draco: avevano interrogato il medico e avrei
voluto
saperne di più, ma forse non era il caso di mettere alla
prova il mio limite di
sopportazione: lo stavo già superando di mio.
L’orario sullo
schermo illuminato del pc, mi fece rinsavire e quindi mi alzai di
corsa, per
uscire dall’ufficio e raggiungere Minerva.
Salii in fretta
nell’auto e accesi il motore, poi aprii il finestrino
perché, nonostante il
freddo che avevo addosso, mi sentivo soffocare.
Un’altra
sensazione che provavo quando nei paraggi non c’era Draco.
Era sbagliato e
troppo pericoloso, ma mi sembrava di non riuscire a gestire quelle
emozioni:
era fortissime. Più di me, più della mia forza di
volontà.
Non avrei mai
potuto dimenticare i sentimenti che avevo provato in modo sincero nei
suoi
confronti, ma ero certa che si fossero affievolite. Almeno, prima di
trovarmi
in questa situazione.
Finalmente
parcheggiai l’auto e notai che Ginny era già qui.
Sarebbe toccato a
me, adesso, fare un passo verso di lei, no?
Premetti il
pulsante ed attesi che l’ascensore arrivasse al piano terra,
prima di portarmi
a destinazione.
L’atrio del
palazzo era davvero luminoso ed ampio: le pareti erano dipinte con
della
pittura che dava l’effetto del marmo. Era talmente reale che
per accorgermi che
fosse pittura, avevo dovuto toccare il muro.
Al centro
dell’atrio, faceva bella mostra di sé un lampadario
antico.
Alla base, c’era
un grande cerchio color dell’oro, da cui partiva il fulcro a
forma di goccia
che teneva uniti altri strascichi di metallo che assumevano la forma di
braccia
di un candeliere.
L’illuminazione
era adatta al luogo e allo stile con cui era stato costruito il palazzo.
Mi accorsi che le
porte dell’ascensore erano aperte quando un uomo anziano, mi
chiese il permesso
per passare.
Entrai
nell’abitacolo metallico e premetti il pulsante del piano
della sarta.
Anche in quel
momento cercai di non pensare a come avrebbe reagito Ginny…
di certo non potevo
salutarla come se niente fosse successo, ma non potevo più
non parlarle.
Minerva mi aprì
raggiante come sempre e mi abbracciò. –Buonasera.
-Salve.
-Ginevra è già
qui: è fantastica vestita in quel modo.
-Oh, non ne
dubito.
Avevamo
cominciato a camminare, quindi mi ero ritrovata nella stanza dove
c’era la
pedana. Ginny era intenta a guardarsi allo specchio e sorrideva: era
davvero
fantastica.
-Ginevra, è
arrivata anche Hermione: adesso siamo al completo.
-Ciao.- le dissi,
timorosa.
Mi diede di nuovo
le spalle. –Ciao.
Almeno, però, mi
aveva salutata.
Mi sedetti ed
attesi che Minerva finisse il suo lavoro, mentre io mi perdevo ad
ascoltare
quella voce dolce e rassicurante.
Spiegava a Ginny
come muoversi nel vestito, senza sentirsi troppo impacciata.
Mi raggiunse e mi
toccò una spalla ed io la guardai con aria interrogativa.
Non mi ero accorta
che la mia amica era andata a cambiarsi e che, quindi, era il mio turno
di
provare il vestito.
Andai al separè e
mi spogliai facendo attenzione a non toccare i vestiti appesi alla
parete alle
mie spalle.
Minerva mi passò
l’abito ed io lo indossai.
Quando uscii dal
separè, Minerva mi sorrise e mi invitò ad
indossare le scarpe e gli accessori,
poi mi fece guardare nell’enorme specchio.
L’effetto era
davvero carino. Sorrisi.
–Ovviamente,-
disse, interrompendo il flusso
dei miei pensieri. –devi tener conto che in questo momento
non hai un trucco
adatto al vestito. Per quanto riguarda gli accessori: ho preferito non
farti indossare
una collana, perché c’è la
particolarità sulla bretella della spalla. Gli
orecchini, ho preferito fossero piccoli, per mettere più in
risalto gli occhi.
Il bracciale, lo indosserai sul braccio destro, perché anche
all’altezza della
vita c’è la particolarità.- mi
strizzò l’occhio e sorrise ancora.
Era una forza
della natura nel suo campo. –Grazie.- dissi soltanto.
-Le scarpe… oh
beh, cosa avrei da dire? Richiamano il tutto, visto che hanno
questa… diciamo
multicaratteristica. Sei uno schianto.
-Vero.- rispose
Ginny.
Sentii
immediatamente le lacrime inondarne gli occhi e cercai in tutti i modi
di
ricacciarle indietro. Con una, minuscola, salata e stupida lacrima il
mio
tentativo fallì.
Minerva sistemò
gli abiti nelle apposite custodie di plastica e ce li
consegnò, insieme
ovviamente alle scarpe e agli accessori.
Ci ringraziò
finché uscimmo e ci sorrise più volte,
ricordandoci del fatto che piacere a noi
stesse esaltasse la nostra bellezza.
Poi, una volta
chiusa la porta, io e Ginny ci ritrovammo sole: prendemmo
l’ascensore in
silenzio, guardando entrambe il pavimento, in direzioni opposte,
però.
Nessuna delle due
osava dire una parola. Forse, anche un respiro di troppo sarebbe stato
una
catastrofe.
Uscimmo dal
palazzo e ci avviammo alle nostre auto. –Ci vediamo alla
festa…
-Sii puntuale.
-Sì.
-Come va con… tuo
marito?- finire la domanda le costò tantissimo, me ne ero
accorta dal modo in
cui aveva stretto le labbra, prima appunto di concludere.
-Non so, Ginny.
Mi sento cambiata…
-Ti va di
parlarne?
-Forse. Vieni da
me?
-Sì.
-Allora, ci
vediamo a casa.
Salii in auto e
mi avviai. La reazione di Ginny mi aveva meravigliato, ma sapevo che,
nonostante gli screzi che c’erano stati, il suo bene nei miei
confronti non
sarebbe mai cambiato: sarei sempre stata la sua migliore amica e lei lo
sarebbe
stata per me.
Sulla nostra
amicizia, ci avremmo scommesso la vita.
Quando aprii la
porta di casa, seguita a ruota da Ginny, Daphne e Seamus erano seduti
sul
divano a parlottare con mamma.
Gli andai
incontro abbracciandoli e per un po’ Ginny si
fermò a parlare con loro,
sedendosi accanto a mamma. –Si è parlato molto del
tuo matrimonio, Daphne.
-Beh, immagino di
aver destato non poca invidia.
-Ovvio.
-Volete un po’ di
caffé?
-Solo un
bicchiere d’acqua, se è possibile.- chiese Ginny,
mentre gli altri risposero
muovendo la testa in senso di diniego.
Andai in cucina e
versai l’acqua nel bicchiere, poi lo portai alla mia amica.
Salimmo in
camera, dopo che si fu congedata da tutti e chiusi la porta.
-Accomodati.
-Grazie.
Certo, era non
poco imbarazzante dover parlare dopo un po’ di tempo, senza
avere argomenti più
leggeri da trattare.
-Come va, con
Harry? I preparativi della festa?
-Procede tutto
bene.
-Ne sono felice.
-Vorrei esserlo
anche io. Per te.
Non risposi e lei
sorrise. –Sai che Harry dovrebbe farti un regalo?
-Lo so.
-Hai già idea di
cosa abbia in mente.
-Credo che voglia
regalarmi un viaggio.
-Wow.
-Già, wow. Henri?
-Lo stesso,
Ginny. Io, invece, mi sento cambiata tantissimo nei suoi confronti:
è come se
la sua presenza mi desse la nausea.
-Buon segno.
-…invece, con
Draco…- oh no! Avevo firmato la mia condanna a morte.
-Oh, senti
Hermione. E’ inutile prenderci in giro: Henri è
uno stronzo e tu non lo ami.
Puoi volergli bene, perché ti sei affezionata a lui.
-Non è un cane, Ginny.
-No, è peggio. Ma
questo non cambia che tu sia ancora innamorata di Draco.
-Non ne sono
sicura.
-Ah no? E cosa
stavi per dire poco fa.
-Niente.
-Se hai
intenzione di continuare a mentire anche a te stessa, non vedo il
motivo della
mia presenza qui.
-Non te ne
andare.
-Datevi un’altra
possibilità.
-Sono cambiate
tante cose…
-Qualcuno una
volta disse che sotto la cenere di un incendio,
c’è sempre il fuoco.
-Non ha senso e
lo sai anche tu.
-Vorresti negare
che lo desideri più di ogni altra cosa al mondo?
-Non ho mai
parlato di desiderio.
-Tu no, ovvio:
sai gestirle le parole. Ma i tuoi occhi no e dicono la
verità.
-Non posso, lo
sai. Mio marito…
-Fanculo tuo
marito.- si alzò quasi di scatto dalla sedia. –Hai
anche il coraggio di usare
il pronome possessivo? Io mi vergognerei di ritenere mio qualcosa di
così
schifoso e viscido. Non è un uomo, è un mostro e
tu continui a voler stare con
lui.
-Ginny, ti prego.
-“Ginny, ti
prego”- mi scimmiottò. –Dovresti pregare
Dio che ti dia un po’ di buon senso,
Hermione. Sai una cosa? Ho sempre ammirato la tua determinazione e
avrei pagato
per averne almeno la metà, ma di certo non l’avrei
usata per fare del male a me
stessa. Il tuo è masochismo.
-Ginny…
Mi zittì facendo
un gesto con la mano e chiuse gli occhi.
Avrei
voluto abbracciarla e dirle che mi era mancata. Più di
quanto anche la mia
immaginazione avrebbe potuto immaginare.
Invece rimasi lì, a fissare la sua figura di fronte a me e
abbassai gli occhi
quando i suoi vollero incatenarsi ai miei: la paura di ammettere di
aver
sbagliato fin dal primo momento era pesante.
-Te lo dico per l’ultima volta… è in
gioco la tua felicità. Ha sbagliato,
certo. Ma era poco più di un bambino: ora è un
uomo e sa quello che vuole.
-Ne
ha parlato con te?
-No.
Ma non servono di certo le parole per capire quanto ancora ti ami.
-Ho
paura…
-Tornare
indietro non è difficile come credi… potresti
essere felice, Herm… felice
davvero.
Non
risposi e lasciai che la mia mente desse vita alla propria
interpretazione del
mio silenzio. Il cuore, invece, l’aveva interpretato tanto
tanto tempo prima.
-Torniamo
da Daphne.- proposi e Ginny, ancora una volta, sorrise.
Scendemmo
le scale e ci sedemmo sul tappeto, vicino al camino che Seamus aveva
acceso e
cominciammo a raccontare di quello che avevamo combinato da bambine:
Seamus non
sapeva molto dell’infanzia di Daphne e, a detta nostra, doveva sapere.
Gli
raccontammo di quando sua moglie era caduta dai pattina a rotelle; di
quando
aveva dato fuoco alla tenda in cucina della nonna; di quando aveva
provato a tingersi
e tagliarsi i capelli da sola, ritrovandosi con una zazzera cortissima
e
spettinata e arancione.
Ridemmo
fino alle lacrime e Seamus, durante il racconto, guardava Daphne con
sguardo
stupito: non riconosceva in quella bambina pestifera, la sua
meravigliosa
moglie.
-Daphne,-
disse infine Ginny. –non sapevo quando saresti tornata, ma
l’ho comunque fatto
anche per te.
-Cosa?
-L’invito
al mio fidanzamento.
-Oddio!
Ti sposi anche tu?
-Sì,
l’avresti mai detto?
-Affatto.
Ginny
le diede l’invito ed uscii seguita da Daphne, suo marito e
mamma.
Rimasi
sola in casa e ripensai alle parole che mi aveva detto Ginny.
Non
era il caso di ascoltarla: c’era ancora una speranza che il
mio matrimonio
potesse funzionare ed io l’avrei sfruttata.
Spoiler capitolo 30:
-Hermione.
Hermione. Draco. Harry. Draco. Hermione. Draco. Draco. Draco. I
biglietti sono
finiti.
-Bene,-
disse Ginny. –i candidati sono stati scelti: Hermione con tre
voti e Draco con
quattro.
Maledissi
l’intero gruppo di persone che mi ritrovavo di fronte, ma non
potevo tirarmi
indietro.
Sbirciai
per un po’ verso la porta d’entrata, per vedere se
Henri fosse arrivato o meno.
Poi
mi voltai. E lo vidi… Bello come non mai: la giacca semplice
ricadeva
perfettamente sul suo corpo e i jeans fasciavano i muscoli delle gambe
come se
fossero una seconda pelle. Draco si era posizionato di fronte a me,
sorridendo
come non faceva da giorni, forse. -Mi sa che dobbiamo muoverci, se
vogliamo
tornare in tempo per la torta.
-Lo
credo anche io.
-Bene.
Cominciamo. Uno.
Leggemmo
in silenzio le parole scritte sul primo biglietto, poi ci guardammo
negli
occhi. – il frigorifero.- dicemmo all’unisono.
***
Angolo
Autrice:
Salve
a tutteee.
Prima
di tutto: Buon Natale.
Colgo
l’occasione per augurare di passare delle giornate magnifiche
a tutti e spero
che abbiate ricevuto tanti regali.
Il
mio Babbo Natale non è stato molto buono… ma la
vita è così.
Passiamo
al capitolo: Ginny ed Hermione hanno avuto un bel riavvicinamento, non
credete?
Certo,
la rossa è sempre molto diretta, ma è il suo modo
di essere e nessuno può
giudicarla…
I
personaggi:
-Hermione:
quanto cavolo è testarda? Ancora con Henri? Sì,
purtroppo… ha molta paura di
ammettere ciò che prova, ma forse, dobbiamo darle solo un
po’ di tempo;
-Ginny:
è così sincera che, a volte, neanche si preoccupa
di poter ferire i sentimenti
altrui e in questo non le diamo di certo ragione. Ma il suo modo di
fare aiuta
spesso a mettere le persone di fronte alla realtà dei fatti;
-Draco:
è preoccupato per Hermione, ma lui di certo non se la cava
meglio: il peso di
ciò che gli è successo, grava sulle sue spalle e,
anche se Cloe non è più un
“problema”, la paura di aver sbagliato nei
confronti di Natan è forte. Proprio
per questo, il suo comportamento, a volte, confonde;
-Daphne,
Seamus, Meredith: sono soltanto di passaggio;
-Minerva:
io adoro sempre di più questa donna!
-Lo
spoiler: cosa ne pensate? Avete visto? Ho scritto tanto tanto.
Ricordatevi solo
di non far volare troppo la vostra fantasia xD non è tutto
oro quel che
luccica.
Ringrazio
le 84
seguite, le 41
preferite e le7
ricordate.
Grazie
anche ai lettori silenziosi e ancora una volta Buon
Natale!
|
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Capitolo 30 *** La festa degli innamorati... ***
Capitolo 30: La festa degli innamorati...
Hermione POV
Ginny mi aveva
tirato fuori dal letto alle otto in punto ed avrei voluto ucciderla.
Mi aveva
praticamente trascinata in bagno e vestita, visto che, questa sera
avremmo festeggiato il suo fidanzamento con Harry.
Una volta
entrate nel salone, due ragazze ci presero sotto braccio e di portarono
in due camerini diversi.
La ragazza che
si sarebbe occupata di me, chiuse la porta a soffietto del camerino e
mi sorrise. –Pronta?
-Sì.
-Mi faccia
vedere il vestito.
-Dammi del tu,
per piacere.
-Va bene.
Appesi la
gruccia al gancio posto sul muro ed aprii delicatamente la ceneriera.
La ragazza,
che, per quanto era scritto sul cartellino che portava al camice, si
chiamava Hannah,
osservò con attenzione il vestito, soffermandosi su ogni
particolare.
-Spero che non
faccia troppo freddo, questa sera.- dissi, guardando le spalline del
vestito e le scarpe aperte.
-Dove si
terrà la festa?
-A casa della
mia amica. Ovviamente è già arredata e ci sono i
riscaldamenti…
-E’
proprio un bell’abito. Complimenti.
-Grazie.
-Piega la testa
nell’incavo, qui.- disse Hannah, indicandomi il lavabo.
–Perfetto così.
Quando
l’acqua calda cominciò a scivolarmi tra i capelli,
il senso di beatitudine mi intorpidì i sensi.
Hannah
cominciò a massaggiarmi la cute, con movimenti piccoli e
circolari che andavano dall’attaccatura del collo alla fronte
e alle tempie.
La schiuma
dello shampoo attutiva un po’ il tocco delle dita della
ragazza, ma era comunque piacevole e rilassante.
Quando Hannah
sciacquò la schiuma dai capelli, il suo massaggio
cambiò: le dita erano aperte e andavano dalla fronte alle
punte dei capelli.
Fece lo stesso
movimento per quattro volte, fino a che i capelli non presentassero
tracce di shampoo.
Poi, ancora una
volta, mi rilassai per via del massaggio circolare e di quello fatto
con la mano aperta.
Sentii un
rumore fastidioso e mi accorsi che era l’aggeggio per
aspirare l’acqua dai capelli che, poi, furono avvolti in
un’asciugamani bianca.
-Grazie.-
dissi, alzandomi dalla sedia per fare lo shampoo e sedendomi su quella
per le acconciature.
-Sinceramente,
opterei per qualcosa di semplice: il vestito è molto
particolare e fare anche un’acconciatura così mi
sembrerebbe eccessivo. Che ne dici di un riccio definito, in parte
raccolto qui, sulla nuca?
-Va benissimo.
Cominciò
a stirare, arricciare, legare e quant’altro, mentre io
continuavo a godermi quella sensazione di tranquillità: mai
una volta mi ero sentita tesa o spaventata da qualcosa.
L’ansia,
che solitamente faceva capolino per venirmi a trovare, era andata
chissà dove.
-Ho cambiato
idea: l’acconciatura che ti ho proposto prima, richiede
l’uso di forcine particolari e non credo sia il caso di
usarle, a meno che tu non voglia essere al centro
dell’attenzione.
-No, ti prego.
-Perfetto.
Allora, direi che va bene il capello liscio, tirato
all’indietro con l’uso di forcine semplice.
-Sei tu
l’artista, non io.- sorrisi e lei fece lo stesso.
–Mi affido completamente a te.
Dopo
un’ora buona, che avevo trascorso seguendo i gesti di Hannah
più che a concentrarmi su ciò che provavo, i
capelli erano perfettamente ordinati in un’acconciatura
splendida, più bella di quanto l’avessi
immaginata. Avevo notato anche che i capelli erano di una
tonalità più chiara del mio biondo scuro- castano
naturale. –Non è tintura: è uno shampoo
colorante che va via dopo tre o quattro risciacqui.
-Oh, non
preoccuparti. Anche se fosse stata tintura, mi sarebbe piaciuto.
-Bene, ora, se
ti va, puoi rilassarti un po’. Dopo, cominceremo il trucco.
-Vorrei andare
a vedere Ginny.
-Prego.
Uscii dal
camerino e mi diressi in quello accanto a me. Ginny era intenta a
sfogliare un giornale, mentre la ragazza che si stava occupando di lei,
era intenta ad annodare i capelli e stringerli con dei torciglioni, e
poi a posarli sulla nuca, prima di tenerli fermi con una forcina.
Mi schiarii la
voce, tossendo e Ginny alzò lo sguardo: era di spalle allo
specchio e sapevo che non avrebbe voluto vedere l’opera
finché non fosse finita.
-Oddio! Sei
bellissima.
-Dovresti
vederti: tu lo sei ancora di più.
Il suo
cellulare squillò, avvisando che le era arrivato un
messaggio e lei mosse qualche pulsante.
Sorrise prima
di iniziare a scrivere qualcosa e sospirò come se fosse
stata soddisfatta di vincere una causa difficilissima. –Ah,-
disse, interrompendo la ragazza. –abbiamo detto che
l’acconciatura cadrà su un lato o su due?
-Uno.
-Grazie.
Hannah era
molto più simpatica!
-Era Harry?-
chiesi indicando il cellulare.
-No, era
Blaise. Mi ha avvisato che a casa era quasi tutto pronto. Mancano
ovviamente il cibo e le bevande.
-Ha organizzato
tutto lui?
-No, solo
qualche piccolo particolare.
-Capito.
-Henri?
-Non
verrà: odia le feste.
-Oh, mi
dispiace.- disse con tono fintamente dispiaciuto e non provò
neanche a mascherarlo.
-Certo, anche a
me.- mi guardò strabuzzando gli occhi ed io stessa mi
meravigliai di aver usato un tono di voce simile al suo.
Passai forse
una buona mezz’ora a chiacchierare con lei e mi sentii
emozionata pensando che di li a poco si sarebbe fidanzata e poi sposata.
Era uno dei
suoi desideri più grandi ed era ad un passo dal vederlo
diventare realtà.
Un
po’ la invidiavo, perché ogni sua decisione era
dettata dai sentimenti, dal cuore e non dalla razionalità,
al contrario di me.
Ginny si
lasciava andare alle emozioni più forti e mai avrebbe fatto
l’errore di sposare un uomo che avrebbe solo creduto di amare.
Hannah si
affacciò al camerino e capii che era il momento di
continuare con il mio restauro, quindi mi alzai dalla poltroncina su
cui mi ero seduta e mi ero diretta nel camerino.
Lì,
la ragazza, aveva ripreso ad osservare il vestito e, man mano, prendeva
da un enorme baule i prodotti per truccarmi.
-Accomodati.-
disse, accorgendosi della mia presenza e indicandomi la sedia che avrei
dovuto occupare, diversa da quelle su cui mi ero seduta prima.
–Useremo le tonalità del grigio: chiare e scure,
per riprendere la particolarità dell’abito. Per
quanto riguarda il trucco delle labbra useremo un lucidalabbra
semplice, niente di più.
Cominciò
a prendersi cura del mio viso e passò una spugna leggera a
stendere il fondotinta.
-Sei davvero
bravissima,- le dissi, complimentandomi sinceramente del lavoro che
stava facendo. –Però, davvero basta un
po’ di ombretto e mascara.
-Vedi,- disse
lei fermandosi e sedendosi di fronte a me. Avevo aperto gli occhi a
causa del silenzio che si stava protraendo. –Il mio lavoro
non è solo passare una piastra tra i capelli o mettere un
po’ di trucco in faccia alla gente: io devo cogliere il bello
delle persone e metterlo in risalto. E non è facile,
permettimi di usare le tue parole, non è solo un
po’ di ombretto e mascara. Mettere in risalto vuol dire dare
luminosità alla pelle, far brillare gli occhi di luce
propria, far parlare il sorriso, lasciare gli altri senza fiato. Ora,
se non ti dispiace, riprendo a truccarti.
Mai in vita mia
avevo visto delle persone lavorare con tanta devozione. Hannah, come
Minerva, aveva il potere di far sentire le persone importanti, anche
nei gesti che per una donna possono sembrare ordinari, come truccarsi o
comprare un vestito.
Sentivo i
pennelli che sfregavano delicatamente le palpebre e mi rilassai
completamente, rimanendo un po’ estranea alle sensazioni che
provavo sul corpo e, soprattutto, dai pensieri che mi vorticavano nella
mente.
Quando Hannah
mi avvisò di aver finito con il trucco,
mi disse che avrebbe comunque cominciato il manicure e la pedicure
La vidi frugare
in un baule più piccolo, da cui estraeva di tanto in tanto
degli smalti, l’acetone, i cerchietti di ovatta, le
lime…
Si sedette di
fronte a me e mi porse dei catini in cui mi fece adagiare i piedi e le
mani.
Osservai ogni
suo minino movimento e mi resi conto di quanto amasse il suo mestieri e
di quanto fosse fiera delle sue capacità.
Il proprietario
del locale doveva aver avuto non pochi complimenti per la scelta delle
dipendenti.
Solo allora mi
concessi di guardarla veramente: aveva i lineamenti fini, il naso
dritto e la punta leggermente all’insù, gli occhi
piccoli e azzurri. I capelli erano di una sfumatura biondo-rossicci ed
erano tenuti lontani dagli occhi grazie ad un frontino leggero.
Limava
delicatamente le unghie e le smaltava prima con lo smalto trasparente,
poi con quello argentato, solo all’estremità
dell’unghia.
-Abbiamo
finito.- mi disse.
Le sorrise e
guardai l’orologio alla parete: erano già le 17,
35 e tra meno di un’ora sarebbe iniziata la festa.
Ginny
entrò nel camerino dove io ero stata preparata e ci
guardammo entrambe a bocca aperta.
Era davvero
bellissima. –Ci vestiremo a casa, sbrigati.
Non ebbi
neanche il tempo di guardarmi allo specchio, visto che Ginny, come la
mattina, i aveva trascinata di forza fuori dal salone.
Avevo fatto
appena in tempo a ringraziare Hannah e mi ero trovata seduta sul sedile
dell’auto di Ginny che già aveva messo in moto e
correva verso casa sua.
§
Avevo
tranquillizzato
Ginny da un attacco di ansia e le avevo detto tantissime
volte che era bellissima.
Non mentivo
affatto: il vestito, completo di trucco e parrucco, la rendeva un
angelo.
Era bianco e
senza spalline e, sotto il seno, portava un enorme cintura dorata,
fatta di strass e brillantini. I sandali erano dorati e legavano la
caviglia di Ginny con un cinturino sottile.
Gli accessori,
un bracciale e un paio di orecchini a cerchio, erano dorati.
La pettinatura
era perfetta per il vestito che Ginny indossava.
Il
trucco
era spettacolare.
Quando
finalmente si calmò, mi sorrise. –Ora tocca a te.
-Cosa?
-Guardarti allo
specchio.
Mi voltai e
impiegai un po’ di tempo ad alzare gli occhi.
Perfetta.
Non
mi ero mai piaciuta particolarmente, ma mentre vedevo la mia immagine
riflessa nello specchio, mi rendevo conto di quanto io mi scoraggiassi.
Non
c’era nulla fuori posto. Merito di Minerva e Hannah.
La serata
sembrò prendere tutta un’altra piega e sorrisi.
-Ginny, questa
è la tua serata. Voglio solo che non dimentichi che sei
straordinaria. Ti ringrazio di tutto davvero.- Ginny si era offerta di
pagare anche la mia parte e, per convincermi, aveva usato la scusa del
mio ruolo: ero la testimone e da tale avrei dovuto comprare le fedi,
perciò lei mi avrebbe anticipato il regalo.
Potevo dirle di
no? No, appunto.
Scendemmo le
scale, guardando il salone quasi pieno di gente.
Harry
e Cedric si avvicinarono a noi, sorridendo.
Harry corse
incontro alla sua amata e la baciò con passione, mentre io e
Cedric ci eravamo fermati a sorridere a Pansy che ci aveva appena
raggiunti.
La serata era
cominciata nel migliore dei modi: i tavoli erano imbanditi con tovaglie
bianche ed erano colmi di portate di ogni genere.
Le bevande non
mancavano mai e la musica era spettacolare.
Si erano
già fatte le 22, quando mi avvicinai al tavolo per prendere
un bicchiere di champagne, quando mi soffermai a guardare
La voce di
Ginny risuonò nel salone. –Volevo ringraziarvi per
essere qui e, vi prego, adesso di prestarmi un po’ di
attenzione. Durante le feste, da adolescente, amavo fare il gioco della
bottiglia. Ora, invece, ho deciso di fare qualcosa di più
faticoso.
Ovviamente, la
coppia sarà scelta a caso. Il mio collega,-
indicò Blaise. –vi ha già dato dei
fogli su cui scrivere i nomi delle persone che vorreste far partecipare
a questo gioco. Io ed Harry estrarremo i biglietti dal sacchetto. Le
persone a cui toccherà giocare saranno quelle che
riceveranno più voti e non potranno tirarsi indietro, quindi
Ron, nel caso uscisse Luna e, che ne so, Cedric, non fare scenate di
gelosia, d’accordo?
-D’accordo.-
borbottò Ron , rosso ancora di più per il
fastidio che gli dava quell’idea.
Cedric mi diede
una gomitata leggera e lo guardai. –Buonasera Hermione,
bentornata a casa.
-Grazie, Cedric.
-Vado da Pansy,
altrimenti mi da per disperso.
-A dopo.
La voce di
Ginny ancora una volta richiamò l’attenzione dei
presenti. –Si tratta di una caccia al tesoro, alla fine di
cui, se la coppia riuscirà a trovare ogni indizio,
vincerà un premio. Colgo l’occasione per
augurare un buon San Valentino a tutti gli innamorati. Bene, votate.
Quando tutti i
presenti avevano depositato il loro biglietto nel sacchetto, Harry
inserì la mano all’interno di esso e estrasse il
primo bigliettino, il secondo, il terzo e così via, mentre
annunciava ad alta voce i nomi dei candidati. -Hermione.
Hermione. Draco. Harry. Draco. Hermione. Draco. Draco. Draco. I
biglietti sono finiti.
-Bene,- disse
Ginny. –i candidati sono stati scelti: Hermione con tre voti
e Draco con quattro.
Maledissi
l’intero gruppo di persone che mi ritrovavo di fronte, ma non
potevo tirarmi indietro.
Sbirciai per un
po’ verso la porta d’entrata, per vedere se Henri
fosse arrivato o meno.
Poi mi voltai.
E lo vidi…
Bello come non mai: la giacca semplice ricadeva perfettamente sul suo
corpo e i jeans fasciavano i muscoli delle gambe come se fossero una
seconda pelle. Draco si era posizionato di fronte a me, sorridendo come
non faceva da giorni, forse. -Mi sa che dobbiamo muoverci, se vogliamo
tornare in tempo per la torta.
-Lo credo anche
io.
-Bene.
Cominciamo. Uno.
Leggemmo in
silenzio le parole scritte sul primo biglietto, poi ci guardammo negli
occhi. – il frigorifero.- dicemmo all’unisono.
-Noi vi
aspetteremo qui.- dissero Blaise. Appena però, entrammo in
cucina, sentimmo la musica che ricominciava a suonare.
Aprimmo il
frigorifero e trovammo un altro biglietto. Il contenuto era in rima.
Ci guardammo
ancora una volta. –Il terrazzo.
Aprimmo la
porta-finestra e il freddo pungente mi colpì le spalle e le
gambe. Vidi un biglietto sistemato tra i rami di una piantina e lo
presi, poi rabbrividii e tremai.
Draco mi
sorrise. Mi parve che il mondo si fosse fermato, come se i rumori
intorno avessero cessato di esserci.
Mi porse la
mano ed io la presi, lasciando che mi accompagnasse in un angolo
più appartato. –Sei bellissima.
-Anche tu lo
sei…- Mi sentii avvampare e mi resi conto che lui sorrideva,
sicuro di sé. Mi accarezzò una guancia. Abbassai
gli occhi sul biglietto per leggerne il contenuto. –Credo che
si tratti del garage.
-Andiamo allora.
Tornammo nel
corridoio, dove c’era anche la porta che portava in garage e
scendemmo le scale.
Ringraziai
mentalmente Minerva per aver scelto delle scarpe belle e comode.
-Ecco.- dissi
aprendo l’altro biglietto. –Oddio.
-Cosa
c’è?
-Non riesco a
capire.
-Fa vedere un
po’.- lesse con attenzione e mi guardò.
–Potrebbe essere stanza da letto?
-Sì,
potrebbe.
-Allora andiamo.
Passammo per il
salone, dove c’era qualcuno seduto sul divano, qualcun altro
fumava fuori alla porta d’entrata e nessuno ci
degnò di uno sguardo, mentre prendemmo a salire le scale.
Arrivati nella
stanza da letto, che doveva essere quella degli ospiti,
perché quella di Ginny l’avevo già
vista, ci rendemmo conto che non c’era nessun biglietto.
Guardai Draco. –Non c’è niente.
-Vedo.- mi
accarezzò di nuovo il viso e passò le dita anche
sulla bocca. –E’ difficile, lo sai?
-Cosa?
-Far finta di
essere due estranei. Far finta di non provare niente.
-Non bisogna
far finta…
-Intendi dire
che non bisogna far finta perché possiamo permetterci di
provarlo?
-No, intendo
dire che non proviamo niente, quindi anche se non fingessimo, sarebbe
tutto uguale.
-Ci siamo
nascosti per così tanto tempo da ciò che
veramente desideriamo, che ora ci sembra di non volerlo più.
-Forse
perché non è importante.
-Vorresti dire
che non vorresti essere qui? A pochi centimetri da me?
-No.- mi
baciò con rabbia, e mi morse con delicatezza il labbro
inferiore, poi lo leccò per permettere alla sua lingua di
incontrare la mia.
Quando schiusi
la bocca, lo sentii sospirare e portò una mano dietro alla
mia testa e l’altra alla vita, per attirarmi di
più a sé, e per non permettermi di scappare via.
Lo allontanai.
–Non respingermi.
-E’
impossibile, lo sai.
-Non
è impossibile e neanche difficile.
-Non ne sono
così convinta.
-Lasciarti la
felicità alle spalle è molto più
difficile di riaccettarla nella tua vita. Tornare indietro non
è difficile… ti basta solo dire sì.
Iniziò
ad accarezzarmi la spalla scoperta e liberò
l’altra dalla bretella che la copriva.
Abbassò
lentamente il vestito ed io non riuscivo a muovermi di un millimetro.
Avrei voluto reagire, ma la mia coscienza e la mia forza di
volontà avevano fatto le valigie. Non c’erano.
Quando Draco
tornò a baciarmi, sentii il desiderio impossessarsi di me,
passarmi nelle vene, toccare il cuore che batteva come un forsennato e
arrivare al cervello.
Gli passai le
mani tra i capelli e lo attirai a me, poi, gli tolsi la giacca e gli
sbottonai la camicia.
Rivedere il suo
corpo, mi fece quasi commuovere. Sentivo le lacrime premere per uscire
e la consapevolezza di non aver desiderato altro in tutta la mia vita
si fece violentemente spazio dentro di me.
Lasciai che mi
adagiasse sul letto e sbottonai la cintura e i bottoni dei jeans. Draco
cominciò a baciarmi il collo e a spingere il suo bacino
verso il mio. Sentivo chiaramente la sua impazienza, ma sapevo che si
sarebbe dedicato prima a me, al mio piacere e poi avrebbe pensato a lui.
Mi
baciò i seni, li accarezzò quasi con riverenza e
quando si era liberato dei jeans fissò i suoi occhi nei
miei: c’era rabbia, c’era felicità,
c’era desiderio.
Desiderio di me.
Con le dita, mi
accarezzò le gambe e le cosce, fino a che non gli permisi di
più e le aprii, lasciandogli un accesso migliore.
Mi
accarezzò e piano, come se fosse stata la prima volta,
lasciò entrare un dito dentro di me.
Sentivo il suo
tocco freddo e mi sentivo bene, mi sentivo soddisfatta.
Mi
baciò ancora e scesa ancora sui seni, sulle costole, intorno
all’ombelico e poi risaliva, mentre con l’altra
mano non dava tregua alla lenta tortura a cui mi stava sottoponendo.
Quando mi
sembrò di essere all’apice, alzai il bacino verso
di lui e, allora, la sua mano mi lasciò.
Gli presi le
spalle e lo attirai di più a me, per baciarlo ancora.
In quel
frangente la mia intimità sfiorò la sua
eccitazione la sentii tremare di desiderio.
Entrò
in me, deciso, ma si fermò per darmi il tempo di abituarmi
alla sua presenza.
In tanti anni,
mai più avevo provato quelle emozioni: il senso di
completezza, il senso di felicità. La voglia di abbandonarsi
totalmente.
Prese a
muoversi lentamente e mi resi conto che le sue mani stringevano le mie,
mentre lui si teneva sui gomiti per non pesarmi addosso.
Mi prese i
fianchi e invertì le posizioni. Il ricordo della nostra
prima volta diventò quasi reale e chiusi gli occhi per un
po’ .
Sentii di nuovo
la sua eccitazione tremare e, allora mi mossi, lentamente, avanti e
indietro.
I suoi gemiti
erano il suono più bello che avessi mai sentito e i miei
ricordi non rendevano affatto giustizia a quella dolce melodia, alla
perfezione di quel suono né del corpo da cui proveniva.
Mi tornarono in
mente le parole di Luna, quel giorno in ospedale. Se provi qualcosa per lui, prima
o poi, lo capirai da sola… se vorrai.
Ed io lo
volevo: volevo che quel momento non finisse mai, volevo che tutto
potesse fermarsi a com’era adesso, senza preoccupazioni,
senza paure. Io e lui e il resto non contava.
Cambiai
movimento, facendo dei piccoli cerchi con il bacino. Sapevo che a lui
piaceva così. –Hermione…
-Oh, Dra- Draco.
Ero vicina
all’apice di nuovo, mentre lui chiamava il mio nome e mi
sfiorava i seni, li baciava e li mordeva dolcemente.
Il mio ritmo
divenne più veloce, fino a che non sentii di non farcela e
allora lasciai libero sfogo al suono del piacere. –Ah..
ah… ah…
Draco mi
accompagnò ad ogni gemito, assecondò ogni mio
movimento e, quando mi spinse ancora giù, per penetrare di
più e mi tenne ferma, mi resi conto che anche lui, come me,
aveva toccato il piacere.
Mi accasciai
sul suo petto e lui mi accarezzò i capelli. –Mi
sei mancata tantissimo.
-Mi sei mancato
anche tu…
-Io ti amo
ancora, lo sai, vero?
-Era tutto
organizzato?
-Non ne ho
idea, ma credo che dovremmo scendere.
-Sì.
-Vorrei restare
qui, per sempre.
-Già.
-Potremmo farlo.
-Sì?
-Sì.
Concediamoci questa follia.
-Va bene.
-Resta con me.
-Questa notte?
Sentii i
muscoli del collo tendersi, segno che era teso.
–Sì… stanotte.
Prese il mio
tra le dita e mi alzò il viso, per farsi guardare.
–Resto con te.
-Ti amo davvero.
Tornai con la
testa sul suo petto e lasciai che mi abbracciasse. Sentivo il suo cuore
che pian piano assumeva un ritmo più regolare,
più tranquillo.
Il mio batteva
al suo stesso modo.
Ed io mi
sentivo emozionata, felice. Completa, come non mi sentivo da una vita.
Anzi, da quando nella mia vita lui era andato via.
-Hai un buon
odore.- sapevo che era l’odore della sua pelle, quello che io
avevo definito l’odore dell’amore.
-Dicono che
esistono persone che non smettono mai di amarsi… lo sai il
perché?
-No.
-Perché
ciò che le lega è più forte di
ciò che le divide. E’ vero, sai?
-Sì…
Così,
mi addormentai e sentii le sue carezze farsi più lontane, a
causa della lucidità che il sonno mi portava via.
–Ci ameremo sempre e lo sai. Tra noi, finirà solo
quando smetteremo di crederci… ed io non lo farò
mai.
Spoiler capitolo 31:
Sentivo i suoi
capelli solleticarmi il collo e, anche nel dormiveglia, sapevo
riconoscere l’odore della sua pelle.
Era sempre
stato dolce e bellissimo. Alla vaniglia.
Le accarezzavo
la schiena e quel continuo fare su e giù non mi aveva
stancato i muscoli.
Era di nuovo
mia e me ne sentivo estremamente fiero. Era stato facile farla cedere
al desiderio, certo. Il difficile sarebbe arrivato dopo, quando si
sarebbe svegliata.
***
Angolo
Autrice:
Oddio, questo
capitolo non mi piace per niente…
Però,
comunque… Lascio a voi il giudizio.
Non mi
prolungherò a spiegarvi i personaggi e
quant’altro… vi auguro solo una buona lettura.
Come sempre,
ringrazio le 90
seguite, le 42
preferite e le 8
ricordate.
Grazie per il
sostegno che mi date.
Grazie anche ai
lettori silenziosi…
A presto, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 31 *** Al risveglio... ***
Capitolo 31: Al risveglio...
Draco POV
Non mi
sembrava ancora vero.
Sentivo il suo respiro addosso, sentivo il suo odore che mi inebriava i
sensi e non riuscivo ancora a crederci.
Ogni secondo, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni notte in questi
sei anni ho sognato di vivere questo momento e, a dirla tutta, la paura
che tutto potesse sparire da un momento all’altro
era ancora forte.
Non sarebbe stata la prima volta che Hermione fosse stata solo frutto
della mia immaginazione.
Ora, però, era così reale. Vera.
Presi il cellulare dal comodino e mi resi conto che, ormai, erano quasi
le due di notte: non avevo fatto caso alla musica che pian piano
diventava un rumore lontano, fino a sparire.
Anche il vociare era poco più che un sussurro.
Probabilmente, la casa era vuota.
Aprii il menu, per scrivere un messaggio e feci correre veloci le dita
sulla tastiera del cellulare.
<< Se questa è opera vostra, vi giuro, che vi
farò una statua d’oro!>>
Inviai il messaggio sia a Ginny che a Blaise, poi sentii delle urla di
vittoria provenire dal piano inferiore e sorrisi.
Tornai a guardare il miracolo che avevo tra le braccia: la coprii e
vidi il suo sorriso distendersi leggermente.
Con gli occhi chiusi, sembrava addirittura finta, tanto era bella.
Le spostai una ciocca di capelli dal viso e lei sussurrò
piano il mio nome. Mi sentivo come in Paradiso. Un Paradiso in cui non
c’era nessun Dio, nessun santo e nessun angelo con lei ali.
Non c’era nuvole, ma soltanto una luce abbagliante e
bellissima e un calore immenso che nascevano da un unico punto: lei.
Era così fragile tra le mie mani… Come faceva
quel pazzo a maltrattarla?
Come osava solo sfiorare l’idea di farle del male?
Ogni cosa di lei mi era mancata.
Finalmente, dopo anni, ero tornato a fare l’amore insieme
alla persona che mi aveva insegnato ad amare e a soffrire.
Quanti sbagli avevo fatto e quante volte l’avevo ferita,
ferendo anche me stesso?
Troppe. Ma volevo proteggerla dal male del mondo che la circondava e
credevo che lasciandola, lei sarebbe stata più felice.
Mio figlio l’avrebbe fatta soffrire, perciò avevo
deciso di allontanarla… per salvarla. Invece,
l’avevo spinta nelle braccia del più infido degli
uomini.
Al pensiero delle sue mani che la picchiavano, mi sentii male, ma
pensarlo mentre l’accarezzava mi faceva un male fisico.
Per un po’ pensai a Natan, a quanto la sua adorazione per
Hermione superasse i limiti del normale.
Gli avrei fatto male, presentandogliela come l’amore della
mia vita? E Cloe? Aveva davvero già qualcuno accanto, o
l’aveva detto solo per lasciarmi libero?
Non lo sapevo…
Lentamente, sentii la lucidità abbandonarmi e lanciarmi in
un mondo totalmente diverso da quello in cui passavo le mie ore da
sveglio.
Quel mondo era, di solito, fatto di un viso meraviglioso che avrei
voluto contemplare per anni, secoli, millenni ed ora, quel viso, lo
potevo trovare inclinando un po’ la testa.
I miei occhi la cercarono e, dato che la penombra della stanza le
oscurava parte del viso, mi accontentai di immaginare la
metà di quel sorriso nascosto dalle ombre.
Sembrava così serena… ed io ero così
felice: era stato il San Valentino più bello di tutto la mia
vita.
Sapevo, però, che prima o poi, tutto sarebbe
finito: sentivo i suoi capelli solleticarmi il collo e, anche
nel dormiveglia, sapevo riconoscere l’odore della sua pelle.
Era sempre stato dolce e bellissimo. Alla vaniglia.
Le accarezzavo la schiena e quel continuo fare su e giù non
mi aveva stancato i muscoli.
Era di nuovo mia e me ne sentivo estremamente fiero. Era stato facile
farla cedere al desiderio, certo. Il difficile sarebbe arrivato dopo,
quando si sarebbe svegliata.
Il peggio, poi, sarebbe stato far entrare nel mio cervello
l’idea che averla amata ancora, fosse stata solo
un’illusione.
Quanto mi sarebbe costata questa voglia di amarla? Quanto sangue avrei
perso quando se ne sarebbe andata?
Eppure, mi aveva promesso che sarebbe rimasta con me.
-Sì… stanotte.- Aveva detto. Le era tremata la
voce, i suoi occhi si erano fatti lucidi e la sua mano si era mossa
impercettibilmente.
Solo stanotte, non un minuto di più sarebbe rimasta con me.
O forse, avrebbe deciso di restare con me, ogni notte. Per sempre.
Chiusi gli occhi e mi sentii stanco, impaurito…
La sentivo muoversi e tremare ed ogni volta la stringevo un
po’ di più, per farle capire che non era sola, che
l’avrei protetta anche dai suoi incubi peggiori.
Avevo paura di addormentarmi del tutto, perché ero sicuro
che fosse tutto un sogno.
Però, l’incoscienza ci mise poco a prendere il
controllo totale sulla mia mente, quindi, lasciai che la stanchezza
avesse la meglio sugli occhi e mi addormentai.
§
Sentii un freddo improvviso riempirmi il petto ed aprii gli
occhi e mossi le mani, in cerca di lei.
Non c’era.
Mi alzai di scatto e mi misi a sedere in mezzo al letto.
La vidi mentre era in ginocchio a raccogliere i suoi indumenti e
piangere sommessamente.
-Cosa stai facendo?
-Devo tornare da Henri, Draco…
-Non puoi andartene.
-Devo farlo… non posso far finire il mio matrimonio.
-Resta.- forse, farle la richiesta che lei aveva fatto a me tanti anni
prima mi sembrò la mossa migliore da fare.
Si era rivestita e il vestito blu la faceva sembrare ancora
più bella della sera precedente.
Si stava guardando allo specchio e aveva sistemato i capelli.
Aveva passato l’ombretto sugli occhi e stava mettendo il
mascara.
Avrei voluto stringerla e dirle che non c’era bisogno di
truccarsi: avrei voluto dirle che era bellissima anche appena sveglia,
senza trucco. Era bellissima anche dopo aver pianto con gli occhi gonfi
e rossi.
La vedevo così fragile e mi sentivo in colpa per il male che
le avevo fatto.
Avevo visto le sue labbra colorarsi di rossetto e, poi, unirsi tra loro
per trovarsi dischiuse.
Le ero corso incontro, ancora nudo e l’avevo stretta a me,
più che potevo.
-Lasciami andare….
-Non posso e lo sai.
-Ti prego.
-No, ti prego io di non andare…
Mi aveva fissato negli occhi e avevo visto le sue labbra tremare.
La baciai e le accarezzai la schiena perché sapevo di
poterla rilassare solo in quel modo.
All’inizio, mi aveva respinto, aveva fatto resistenza e aveva
cercato di allontanarmi, ma, alla fine, aveva ceduto.
Non avrei mai approfittato del suo dolore e se insistevo a baciarla era
perché avevo capito che anche da parte sua non era cambiato
niente: anche lei mi amava ancora, o meglio, non aveva mai smesso di
farlo.
Restare estranei. Come avevo potuto solo immaginare di riuscire a
fingere in quel modo?
Per quanto mi sentissi in colpa nei confronti di Natan, mi ero reso
conto che farlo vivere in una bugia era stata la cosa peggiore che
avessi mai potuto fare per lui e, poi, avevo fatto male anche a me
stesso.
Quando sentii la sua lingua che accarezzava la mia e le sua mani
stringersi intorno ai miei capelli, l’avevo sollevata di peso
e l’avevo adagiata sul letto, e mi ero appoggiato su di lei,
senza pesarle addosso.
L’avevo guardata negli occhi e mi ero visto riflesso in un
mondo di cui avevo sempre voluto far parte.
I tempi forse erano stati sbagliati, ma mai avevo smesso di desiderare
il suo amore.
Ogni notte, ogni giorno avevo immaginato come sarebbe stato se non
l’avessi lasciata, se avessi ascoltato la sua supplice se
avessi avuto il coraggio di amarla come meritava.
Ero sceso per baciarle il collo e la spalle e l’avevo sentita
sospirare, per questo avevo continuato a baciarla e a sfiorare la sua
pelle.
I brividi che vedevo sulla sua pelle, riuscivo a sentirli nel cuore e
nelle vene: ero talmente emozionato e tanto spaventato che una parte di
me, forse quella razionale, mi diceva che prima o poi, nolente o
volente, tutto sarebbe finito.
Ed era questo che mi spaventava di più.
Le avevo accarezzando alle gambe ed ero risalito sui fianchi.
Le avevo tolto il vestito, anche se un po’ impacciato, e
avevo accarezzato ogni centimetro di quelle pelle che avevo desiderato
per anni.
Quando sentii le sue mani risalire lungo la schiena, avevo trattenuto
il fiato.
Il suo respiro sul collo mi eccitava al punto che non riuscivo a capire
per quanto avrei resistito.
Questo non importava però: l’importante era che
lei capisse che per me non era mai stata un oggetto e per questo
continuai a dedicarmi a lei, toccandola nei punti che le davano un
piacere maggiore.
Aveva aperto di più le gambe e mi aveva attirato a
sé, stringendomele attorno ai fianchi e capii che non voleva
più aspettare.
Entrai in lei e mi sentii completo, soddisfatto, in pace con il
mondo… anzi, il mondo intorno sembrava non esistere
più. Ero felice.
I suoi gemiti, il suo respiro affannato era qualcosa di meraviglioso e
mi mandavano totalmente in estasi.
C’era qualcosa in lei che era sempre stato di più:
forse, il suo modo di amare, il suo modo di fare….
La amavo. La amavo con tutto me stesso.
Avevo dimenticato quanto potesse essere bello amare con il corpo, con
la mente, con il cuore e l’avevo ricordato solo guardando lei.
Tanti anni trascorsi a fingere che tanto amore non ci fosse nelle mie
vene e ritrovarmi di fronte a lei, con la difficoltà di
dover nascondere quel sentimento tanto forte che sarebbe stato comunque
inutile fingere.
Solo lei sembrava non vederlo, solo lei sembrava non volerlo accettare.
L’avevo sentita arrivare e i suoi gemiti più
violenti mi avevano dato la conferma.
Ero vicinissimo all’apice e le sue mani che mi spingevano a
toccarla, che si stringevano alle mie non facevano altro che
allontanare quel barlume di lucidità che mi aveva
caratterizzato da sempre con Cloe: con lei era sempre stato sesso,
nulla di più.
Avevo provato del disgusto paragonabile all’odio che provavo
ripensando al male che avevo fatto ad Hermione, per questo avevo smesso
di andare a letto con Cloe quasi subito dopo la nascita di Natan.
Con Hermione invece, qualsiasi cosa sembrava essere indolore, qualsiasi
cosa era facile come respirare.
Però, l’assenza di dolore era dovuta al fatto che
mi sentivo ancora in Paradiso, lo sapevo bene.
Non appena tutto sarebbe finito, il dolore sarebbe tornato…
proprio come quando pochi minuti prima l’avevo vista
rivestirsi.
Un dolore troppo forte, un dolore troppo reale e bastardo.
Se solo avessi potuto, avrei fermato le lancette
dell’orologio per vivere in quell’istante per
sempre.
Quando anche io non riuscii più a trattenere il mio piacere,
mi ero lasciato andare, cadendo esausto sul suo seno.
L’odore della sua pelle era ancora più bello dopo
aver fatto l’amore: la vaniglia era mista al piacere che
aveva provato.
Volevo guardarla negli occhi, sentivo il bisogno di vedere che anche
lei era felice come lo ero io, però, quando i miei occhi
incrociarono i suoi, mi resi conto che c’era una nota di
malinconia troppo forte.
-Draco…- aveva detto con voce tremante, rotta dai singhiozzi.
Aveva ricominciato a piangere e solo per colpa mia. –Non dire
niente, ti prego.
-I-io…
-Se vuoi andare, vai… Non ti costringo a stare qui.
-Mi-mi dispiace.
-Già…
Si era di nuovo alzata dal letto ed era andata nel bagno che si trovava
nella stanza, portando con sé i suoi abiti.
I lividi intorno alle braccia erano ancora lì, segno che suo
marito, quell’essere inutile, non aveva ancora smesso di
maltrattarla e mi chiedevo come potesse trattarla male quando
c’era al mondo qualcuno che avrebbe pagato per ricevere da
lei le attenzioni che dedicava a lui.
Avrei davvero dato l’anima al diavolo per vederla felice e
non per forza con me, ma lontano da quel verme. Lontano dalle braccia
dell’uomo verso cui l’avevo spinta lasciandola.
I sensi di colpa non mi avrebbero dato pace: finché era
stata lontana, finché la sua realtà quotidiana
potevo solo immaginarla, i miei giorni erano stati vivibili.
Quando però mi ero schiantato con quella realtà
che non avrei mai voluto conoscere, il dolore allo stomaco era
diventato insopportabile, troppo vero e meritato.
Il dolore di Hermione l’avevo causato io, per la mia paura di
amarla, per la mia vigliaccheria… e meritavo di soffrire
insieme a lei. Insieme, ma lontani…
Spoiler capitolo 32:
Scesi dall’auto e mi soffermai per un po’ a
guardare l’enorme cancello di ferro scuro
all’entrata del cimitero.
Mi avviai lentamente verso la tomba di papà e, quando vidi
la fotografia, mi sentii meglio, visto che il sorriso sul viso di
papà sembrava più ampio.
-Non guardarmi così… so che avresti voluto la mia
felicità e so che hai visto cosa è successo. Sono
cambiate così tante cose… però, una
cosa è rimasta uguale o, forse, è solo diventata
più forte… lo amo ancora?...
***
Angolo Autrice:
Eccomi quiiii. Scusate l’immenso ritardo, ma cercate di
capirmi: non è l’ispirazione che manca, ma il
tempo.
Beh, che dire del capitolo?
E’ un POV Draco ed è totalmente incentrato sulla
coppia e sui pensieri di Draco.
Se le scene “hot” vi sembrano troppo banali, vi do
completamente ragione, ma non riesco davvero a descrivere queste scene
con leggerezza dato che per me, fare l’amore e le sensazioni
che si provano in quel momento non possono essere descritte facilmente,
anzi… non possono essere descrivere affatto dato che sono
totalmente diverse da ciò che si può scrivere.
I personaggi:
-Draco: sta malissimo, ma almeno ha superato la confusione per quanto
riguarda Natan, no? Ha capito che la cosa migliore per suo figlio
è non farlo vivere in una bugia. Credo che tutti,
più o meno, la pensiamo in questo modo;
-Hermione: vuole tornare da Henri e, nonostante può sembrare
immaturo da parte sua andare via in quel modo, ricordiamoci che
è stata abbandonata da Draco mentre lei gli chiedeva di
amarla. Gli aveva detto che avrebbe accettato qualsiasi conseguenza, ma
lui è andato via lo stesso. Certo, l'ha fatto per il suo
bene, ma questo non cambia che l'ha abbandonata.
-Lo spoiler: cosa ne pensate?
Ringrazio le 95
seguite, le
8 ricordate e le 45
preferite.
Grazie anche ai lettori silenziosi e a chiunque dedichi un
pò di tempo a questa storia.
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 32 *** Fraintendimenti... ***
Capitolo 32: Fraintendimenti...
Hermione POV
Avevo
passato la
mattina intera e tutto il pomeriggio lontana da casa, lontana dal
dipartimento
e avevo spento il telefono: a mente lucida, mi ero accorta che era
davvero
tutto programmato e, per questo, mi ritrovavo ad odiare tre persone:
Blaise,
Ginny e Draco.
Blaise perché
sapeva la verità e sapeva che se avessi solo sfiorato
l’idea di amare di nuovo
Draco, avrei ripreso a sanguinare dalle ferite che erano coperte solo
da un po’
garza vecchia e sottile.
Ginny perché era
la mia migliore amica ed era diventata calcolatrice nei confronti della
mia
vita e della mia saluta mentale: almeno lei aveva vissuto in parte il
dolore
che mi aveva fatto provare Draco gratuitamente, lasciandomi da sola.
Draco perché ne
aveva approfittato di buona lena: aveva rigirato la mia confusione a
favore suo
e mi aveva trascinata in un letto che non era nient’altro che
il posto in cui
mi voleva quella notte. Solo quella notte… e non aveva
neanche insistito per
tenermi accanto.
Certo, non gli
avrei detto sì.
Anzi, a dirla
tutta, mi aveva pregato di restare, ma cosa si aspettava? Che lo
accogliessi a
braccia aperte e che gli dicessi che era tutto a posto? No, almeno me
lo auguro
per lui.
Però, non
riuscivo a fare a meno di pensare quanto ne aveva
approfittato…
Erano quasi le
otto di sera quando tornai a casa e vidi Ginny alzarsi dal divano
seguita da
mamma. –Hermione, ma dove sei finita? Ho provato a chiamarti,
ma avevi il
telefono spento… al lavoro…
-Zitta Ginevra
Weasley: sei l’amica più subdola che sia mai
esistita sulla faccia della terra.
-Hermione, ma
come ti permetti?- chiese mamma, infastidita dal mio tono e imbarazzata
per le
parole troppo dure che stavo rivolgendo alla rossa.
-No, Meredith, ti
prego… forse ha ragione, ma credo che sia meglio che ne
parliamo da sole.
-E perché? Perché
vuoi nascondere i complotti schifosi che fai assieme ai tuoi compari?
-Smettila, non è
come credi.
-Ah no? E allora
com’è?
-Lasciami
parlare.
-No, Ginny.-
l’avevo guardata negli occhi ed avevo sentito le lacrime
premere per uscire.
Ero accecata dalla rabbia, ma non volevo darle la soddisfazione di
vedermi
piangere. –Vado di sopra. Buonanotte mamma.
Avevo
chiuso la porta,
sbattendola troppo forte e mi ero buttata sul letto, trovandomi
già a pancia
sotto a riempire il cuscino di lacrime: mi sentivo tradita dalle
persone più
importanti della mia vita. Ero arrabbiata con il mondo intero.
Ed anche con
Harry, perché era sicuramente al corrente di tutto.
I miei migliori
amici mi aveva usata come un giocattolo e messa nelle mani del
burattinaio
sbagliato.
Sentivo i brividi
salire lungo la schiena ogni volta che ripensavo alle labbra di Draco
sulle mie
e questo mi spaventava, visto che mi ero ritrovata a baciarlo con un
desiderio
incontrollabile: avere fatto l’amore con lui era stato uno
degli errori più grandi
di tutta la mia vita.
Questo non me lo
sarei mai perdonata.
§
Ero scivolata nel
peggiore degli incubi, visto che non riuscivo a vedere altro che
immagini di
quella notte passata con Draco.
Era come se la
mia anima si fosse staccata dal corpo e mi vedevo felice mentre lui mi
accarezzava, mentre mi baciava.
Avevo guardato
bene nei suoi occhi e non avevo visto neanche una punta di cattiveria e
per
questo, anche nel sonno, mi ero resa conto di quanto a volte volessi
essere
cieca: forse, troppo presa da un desiderio che non credevo di voler o
di poter
realizzare ancora, avevo lasciato che le emozioni mi annebbiassero la
vista e
per un po’ avevo visto Draco come il principe azzurro che
salva la principessa
dalle grinfie di uno stregone cattivo.
Non avevo capito
subito che, invece, lo stregone mi aveva attirato a sé come
fanno i serpenti a
sonagli con le loro vittime.
Mi ero messa a
pancia in su, per respirare meglio e avevo asciugato le lacrime del
buongiorno.
Non avevo voglia di far niente, se non di scappare via da Londra: ero
andata
via dalla mia città per non soffrire ancora e, dopo essere
tornata, stavo
soffrendo ancora di più.
Mi alzai dal
letto e mi chiusi in bagno, sempre sbattendo forte la porta, poi avevo
aperto
il getto d’acqua e mi ci ero buttata senza aspettare che
l’acqua fosse calda.
Volevo allontanare quei ricordi e volevo pulirmi dalla sensazione di
ribrezzo
che provavo verso me stessa: avevo bisogno di una doccia ghiacciata.
Sentivo l’acqua
fredda graffiarmi la pelle, ma il dolore fisico mi distraeva e questo poteva essere
solo un bene per me.
Chiusi il getto d’acqua e per un po’ rimasi ferma a
fissare le mattonelline
della doccia: erano piccole e rosa. Alcune piccole e di colore giallo
tenue, ad
intervalli regolari, spezzavano la striscia rosa.
Mi avvolsi
nell’accappatoio cercando inutilmente di trovare un
po’ di calore, visto che il
gelo era anche nella stanza.
Mi diressi verso
l’armadio e mi fermai a decidere cosa indossare quella
giornata: non sarei
andata a lavorare, perché non mi sentivo pronta a vedere le
loro facce…
C’era una persona
che avrei voluto vedere e che mi mancava tantissimo, quindi, senza
ombra di
dubbio, la mia destinazione sarebbe stata l’unico posto in
cui potevo ricordare
che una parte di lui fosse ancora accanto a me.
Mi vestii
di
fretta, cercando di muovermi un po’ per recuperare calore,
poi sistemai il
letto.
Scesi in cucina e
mamma era lì che mi guardava con aria imbronciata.
–Non guardami così… tu non
sai cosa mi ha fatto.
-Lo so eccome,
invece.
-Ah, davvero?
-Sì: vuole che tu
sia felice. Lo vogliamo tutti.
-Io sono felice.
-Senti Hermione,
io non so cosa ci sia stato realmente tra te e Draco Malfoy, ma in quel
periodo
della tua vita eri serena e sorridevi sempre. Non so se sei andata via
per
colpa sua o perché realmente in Francia ci fosse la migliore
università di
giurisprudenza, ma quando siete stati in questa stanza io ho sentito
quello che
c’era nell’aria e non era solo tensione: ci sono
sentimenti che non devono per
forza essere urlati, per far sì che gli altri li vedano.
-Tu non sai
niente mamma e, ti prego, non ne voglio parlare più.
-Ora ne parliamo
e tu mi ascolti: sono stanca di vederti soffrire dietro a quel
bastardo! Sei
mia figlia Hermione e per quanto Draco possa averti fatto male, non
sarà mai
eguagliabile al male che ti fa tuo marito ogni giorno.
-E’ tardi, mamma.
Ho da fare.- presi le chiavi dell’auto ed uscii di casa e, di
corsa, mi chiusi
nell’abitacolo grigio chiaro dell’auto.
Mi resi conto che
il colore del vellutino dei sedili mi ricordava gli occhi di Draco e
maledissi
la mia memoria che non riusciva a dimenticare i particolari di quel
viso
perfetto.
Avviai il motore
e attesi che si riscaldasse al punto da poter accedere l’aria
condizionata
senza prima congelare di nuovo.
Poi, quando
sentii il calore solleticarmi il viso, partii e mi inserii in corsia.
C’era traffico ed
io odiavo il traffico, perché mi dava adito di pensare e
ricordare quanto fossi
stata bene tra le sue braccia.
Scossi la testa:
il piacere fisico non doveva farmi perdere il controllo.
Però, mi ero
sentita felice davvero. Scossi di nuovo la testa: un riflesso
incondizionato.
Presi il
cellulare dalla borsa e digitai il numero. –Henri?
-Hermione…
-Sì, emh… come
stai?
-Un po’ stanco a
dire la verità.
-Come mai?
-La settimana
prossima torneremo in Francia.
No. –Come mai?
-Perché la nostra
vita è lì: casa, lavoro… a Londra non
abbiamo niente di importante.
-Ho la mia
famiglia e i miei amici.
-Puoi farne a
meno.
-Ne parliamo dopo
Henri.
-Sì, ciao.
Sentivo i nervi
raggiungere la pelle e arrivare alle corde vocali per dare libero sfogo
al mio
nervosismo, ma mi trattenni stringendo il volante.
Non volevo
tornare in Francia, né riprendere la vita che avevo
costruito con tanti sforzi…
non mi mancava affatto il senso di non completezza che avvertivo
lì.
Quella casa, quel
lavoro, quelle giornate uggiose e forzate… niente mi mancava
della vita lì.
Volevo restare a
Londra per mamma, per i miei amici…
I clacson delle
altre auto contribuivano a non tranquillizzarmi e allora sporsi la
testa dal
finestrino e vidi che a bloccare la strada c’era qualcuno che
non riusciva a
fare manovra e parcheggiare.
Odiavo chi non
sapendo guidare si metteva alla guida di un enorme auto nera: avrei
voluto
scendere e dirgliene quattro, ma mi limitai ancora una volta a restare
in auto.
Quando la fila d’auto si mosse di qualche centimetro, mi
infilai in una
stradina secondaria e proseguii nella direzione indicata dalla freccia:
avrei
dovuto fare il giro del mondo prima di poter arrivare al cimitero da
papà.
Almeno però, la
strada era libera.
Per tutto il
tragitto non ci avevo incontrato traffico e, per questo, ero arrivata
al
cimitero prima di quanto avessi sperato.
Scesi
dall’auto e mi soffermai per un po’ a guardare
l’enorme cancello di ferro scuro
all’entrata del cimitero.
Mi avviai lentamente verso la tomba di papà e, quando vidi
la fotografia, mi
sentii meglio, visto che il sorriso sul viso di papà
sembrava più ampio.
-Non guardarmi così… so che avresti voluto la mia
felicità e so che hai visto
cosa è successo. Sono cambiate così tante
cose… però, una cosa è rimasta uguale
o, forse, è solo diventata più forte…
lo amo ancora?- sospirai. –Sì, per questo
lo odio. Mi ha ferita di nuovo, papà.
Guardai
ancora la foto e mi sembrò di vedere lo sguardo che
papà mi rivolgeva quando
voleva rimproverarmi e sorrisi.
Anche
mamma mi aveva rimproverata e aveva quasi alzato la voce, ma sapevo che
in
parte aveva ragione e non potevo di certo darle torto sul fatto che non
fossi
felice.
Continuai
a guardare la foto di papà, con un sorriso lieve stampato
sul viso: se ci fosse
stato lui, forse, tante cose sarebbero andate diversamente…
in modo migliore,
in modo peggiore, non potevo saperlo, ma parlare con lui era sempre
stato
meglio che parlare con mamma, perché papà cercava
di capire le mie motivazioni
e mi lasciava sbagliare.
Certo,
era felice quando tornavo da lui e mi accorgevo di aver sbagliato e gli
davo
ragione: in questo lato del mio carattere, ero totalmente uguale a lui.
Mi
mancava tantissimo e pensare che il suo corpo o, forse quello che ne
rimaneva,
era immobile in una bara di legno, nascosta dietro ad
un’enorme lastra di
pietra mi faceva gelare il sangue nelle vene.
Avevo
sempre pensato alla morte di una persona cara come ad un omicidio in
cui non
c’è un colpevole…
Dare
la colpa a Dio non mi sembrava giusto, visto che non credevo che nel
destino
l’Onnipotente ci mettesse del suo: a mio parere, Dio ci dava
ogni capacità di
intendere e volere… il destino lo scrivevamo noi.
Per
il mio destino, avevo dei progetti ben precisi che prevedevano la
presenza di
molte persone nella mia vita, per questo avevo impugnato la mia penna
preferita
ed avevo cominciato a scrivere nel grande libro della mia vita.
Poi,
l’inchiostro andava scemando e alcuni nomi veniva scritti in
modo sbiadito… per
questo, molte persone erano andate via dalla mia vita, in un modo o
nell’altro.
Asciugai
una lacrima all’angolo degli occhi e mi alzai, senza staccare
lo sguardo dalla
foto di papà.
Avrei
voluto rimanere lì ancora un po’, ma stare ad
osservare una lapide mi sembrava
stupido: non era quello il modo in cui volevo ricordare papà.
Non
mi serviva far vedere alla gente che la figlia di Steven Granger
passava le ore
intere a piangere il suo defunto padre.
No,
mio padre era nel mio cuore ed era il posto che gli avrei riservato per
tutta
la durata della mia vita.
Mi
avviai all’uscita, sentendo un fardello minore che pesava
sull’anima.
Quando
arrivai all’auto, mi resi conto che c’era un enorme
urto sulla fiancata e mi
trattenni dal bestemmiare, ma non feci di certo attendere un urlo di
esasperazione: la giornata era cominciata male e quella precedente era
finita
nel peggiore dei modi.
Aprii
la portiera e la chiusi con forza, poi cercai di rilassarmi e chiusi
gli occhi,
facendo dei respiri profondi per regolarizzare il respiro: dovevo
calmarmi,
dovevo tenere la mente lucida o avrei davvero dato di matto.
Mi
conveniva? No di certo.
Misi
in moto e mi inserii sulla strada, evitando di urtare le auto
parcheggiate in
seconda fila, poi mi fermai al semaforo.
Il
verde sembrava impiegarci sempre troppo per scattare e farmi ripartire,
soprattutto quando avevo troppi pensieri da gestire.
Volevo
evitare di soffermarmi su certi particolari, ma davvero non riuscivo a
cacciare
dalla mente la sensazione che avevo provato mentre Draco mi
abbracciava, mentre
mi accarezzava: era stato come tornare a vivere e ricadere nel mio
inferno
personale, quando poi avevo capito che era stato tutto programmato.
Ero
delusa da me stessa, soprattutto: ero un avvocato, il migliore di
Parigi
secondo i periodici francesi ed ero caduta in uno dei tranelli
più semplici.
Era
stato così facile avere davanti agli occhi ciò
che desideravo in quel momento e
non ciò che realmente avrei dovuto vedere.
Ero
ripartita e la strada di fronte a me era libera, senza traffico ed era
stato
facile ingranare la quinta pochi minuti dopo.
Non
c’era niente di meglio per una che non voleva evitare i
propri fantasmi di una
strada non trafficata che permetteva un viaggio diretto.
Fermarsi,
per me, avrebbe significato dover mettere le unghie nel terreno e
tenermi con
tutta la forza per non scivolare giù, dove mi aspettavano il
mio dolore e le
mie paure.
Lì
era tutto buio ed io del buio avevo paura se non c’era
qualcuno al mio fianco…
qualcuno di cui mi fidavo davvero, qualcuno per cui avrei potuto
coltivare
tutto l’amore che avevo in corpo.
Quel
qualcuno non c’era al mio fianco e di certo non potevo
credere che fosse Henri.
C’era
una cosa nella mia vita di cui ero assolutamente certa: Henri era
importante
per me, certo, ma non era l’uomo che avevo desiderato al mio
fianco né la
persona che amavo.
Però,
nei suoi confronti, provavo un enorme senso di gratitudine…
non era un santo e
nessuno lo metteva in dubbio, ma almeno non aveva mai programmato un
gesto
tanto vile verso di me.
Scossi
la testa e parcheggiai nel vialetto di casa. Mi imposi di non guardare
in
direzione della casa di Draco. Avevo lottato a lungo per evitai ai miei
occhi
di voltarsi ed ero riuscita ad entrare in casa, sbattendo forte la
porta.
Mamma
non c’era e riuscivo a sentire il silenzio che mi urlava
contro: avevo
sbagliato con lei e avrei dovuto chiederle scusa, ma ferirmi a quel
modo solo
per dirmi la verità era quasi un colpo di spada volontario
all’altezza del
cuore.
Mi
aggrappai al divano quando la testa cominciò a girare
vorticosamente: vedevo le
pareti della stanza mischiarsi in alchimie di forme strane e
meravigliose, ma a
guardare quello spettacolo, lo stomaco si ritorceva su se stesso e
stringeva
tanto da far male.
Appena
tutto intorno sembrò tornare al proprio posto, andai in
bagno e mi chinai sulla
tazza.
Sentii
il conato di vomito, anticipato dal sapore amaro che mi aveva riempito
la
bocca, salire su per la gola.
Strinsi
i capelli con le mani e li portai dietro alla testa e chiusi gli occhi.
Quando
mi sentii in grado di rialzarmi, mi diressi al lavandino e sciacquai la
bocca.
Odiavo vomitare e, sinceramente, mi spaventava anche: da bambina,
facevo sempre
fatica a tornare a respirare dopo aver vomitato.
Ora,
era la stessa identica cosa: non riuscivo a riempire i polmoni
d’aria. Facevo
dei respiri profondi , ma l’aria non sembrava mai abbastanza.
Il
respiro era ancora affannato quando qualcuno bussò alla
porta e mi levai di
malavoglia dal lavabo.
Quando
aprii, il sorriso di Henri fece ancora più forti i dolori
allo stomaco e feci
uno sforzo enorme per sorridergli.
Mi
accarezzò il viso, con troppa materialità, ma
almeno non era uno schiaffo.
O,
forse, ne era solo l’anticipo.
-Ciao…
-Sei
sola?
-Sì.
Mi
baciò con foga, come non faceva da un po’.
Sentivo
un sapore amaro che non era l’acidità del vomito,
ma tutt’altro: era un
retrogusto di un sapore che avevo amato e di cui ero stata privata.
Eppure,
continuai a baciare mio marito: era giusto ciò che stavo
facendo, non quello
che avevo fatto alla festa di fidanzamento di Ginny.
Henri
mi aveva presa di peso e mi aveva trascinata sul divano, privandomi in
fretta
del cappotto che non avevo avuto tempo di togliere e della maglietta.
Il
reggiseno e i jeans erano volati sul pavimento, accanto agli indumenti
che già
erano lì.
Anche
lui si era spogliato in fretta ed avevo soltanto spostato gli slip per
entrare
in me ed era stato doloroso.
Lo
sentivo muoversi ad un ritmo già troppo veloce e mi limitai
a stringere i denti
per non urlare, ma sapevo di dover continuare.
Era
uno dei modi per far calmare Henri e uno dei modi per fargli capire che
io ero
presente e che lo volevo nella mia vita.
Gli
stringevo i capelli e i suoi ricci scuri assumevano le sembianze dei
capelli
biondi e lisci di Draco, per questo avevo deciso di riaprire gli occhi
e di
guardare un punto fisso davanti a me.
Stringevo
le spalle di mio marito e mi sembrava di stringerne altre,
più sottili, ma
altrettanto muscolose.
Le
labbra che stavo baciando, mi sembrarono più sottili e
dritte.
Avevo
aperto di nuovo gli occhi ed avevo cominciato a fissare
l’angolo al soffitto:
la macchia d’umidità più giallognola
rispetto alla pittura del salone faceva
bella mostra di sé e si stendeva lungo la linea che divideva
il soffitto dalla
parete verticale.
Qualche
minuto dopo, lo vidi mentre si rivestiva e si sedeva accanto a me.
Nel
frattempo, io mi ero alzata dal divano, avevo raccolto gli abiti dal
pavimento
e mi ero diretta in bagno per lavarmi.
Mi
ero guardata allo specchio e non vedevo riflessa la stessa persona che
avevo
visto nello specchio a casa di Ginny ed avevo sentito una stretta al
cuore e
avevo sentito mancare il respiro.
Mi
ero infilata nella doccia e avevo aperto il getto d’acqua,
aspettando che fosse
calda e che mi togliesse un po’ dello sporco che sentivo
nell’anima.
Mi
insaponai e mi risciacquai con cura, impiegando più tempo
del normale nelle
carezze che di solito non prodigavo alla mia pelle e mi ero avvolta
nell’accappatoio, cercando di trarne calore e di rilassarmi
con la morbidezza
della spugna.
Mi
ero rivestita,
indossando qualcosa di comodo e mi ero anche truccata, più
pesante della mattina, per nascondere qualche segno rosso che avevo sul
viso.
Ero
tornata al piano di sotto e avevo sorrido ad Henri che si era sistemato
sul
divano, sistemandomi accanto a lui.
Avevo
sentito le sue braccia cingermi le spalle e le sue mani posarsi sul mio
viso
per darmi dei leggeri buffetti. Se fosse stato sempre così,
non avrei mai avuto
dubbi sul mio matrimonio, né sulla mia vita con lui.
Non
volevo un uomo perfetto, che non aveva il coraggio di dire la propria
opinione,
però, di certo, non lo volevo violento come era Henri in
alcune occasioni.
-Me
ne vado.
-Non
vuoi cenare qui?
-Non
mi va.
-D’accordo.
-Avvisa
tua madre che tra una settimana partiremo.
Sentii
di nuovo la testa girare e portai automaticamente una mano sullo
stomaco,
premendo leggermente. –Non potremmo restare ancora?
-Venire
a Londra ci ha creato solo problemi e lo sai che io odio essere
violento con
te.
-Va
bene, allora: stasera glielo dirò.
Accompagnai
Henri alla porta e mi soffermai all’uscio anche dopo che lui
era partito con la
sua auto.
Tornare
in Francia, forse, era la cosa migliore da fare per salvare il mio
matrimonio e
lo avrei detto a mamma, anche a costo di litigare con lei.
Ero
tornata a sedermi sul divano e cercavo
di stare ferma quanto più possibile, perché non
avevo affatto voglia di
vomitare ancora e volevo calmare al più presto il mal di
testa e fermare quel
vorticare insensato.
Chiusi
gli occhi e feci dei respiri profondi, ma non riuscii a trattenermi a
lungo,
quindi corsi in bagno e mi gettai sulla tazza, di nuovo.
Ringraziai
la mia mente per la brillante idea di legare i capelli.
Gli
occhiali li avevo buttati sul pavimento mentre correvo, nel tentativo
di non
sporcare il corridoio.
Ero
sul punto di credere che avrei vomitato anche l’anima, quando
i conati di vomiti
si calmarono, fino a sparire e, ancora una volta, stavo lottando con la
mia
inutile paura di non riuscire a respirare.
Quando
mi sentii in grado di reggermi in piedi, mi alzai e, mantenendomi al
marmo del
lavabo, tornai a lavarmi i denti e a camminare piano per tornare al
divano.
Mamma
aveva avuto ragione quando mi aveva suggerito di restare ancora un
po’ a casa
prima di tornare al lavoro: ero ancora troppo debole e bere qualche
drink
alcolico alla festa di fidanzamenti di Ginny e Harry era stato davvero
una
pessima idea.
Questa
volta, mi sarei presa una bella vacanza dal lavoro, visto che avrei
dovuto
prendere l’aereo tra una settimana e ricominciare la mia vita
di prima.
Mi
ero chinata a raccogliere gli occhiali, quando sentii la porta aprirsi
e i
passi di mamma che si avvicinavano. –Stai bene?- mi chiese.
-Sì.
Mi gira un po’ la testa.
-Stenditi
sul divano, Hermione: dovevi riposare ancora prima di tornare al lavoro.
-Hai
decisamente ragione.
-Vuoi
che ti prepari qualcosa di caldo?
-No,
lascia stare. Piuttosto, siediti… devo… devo
parlarti.
-Ok.-
attesi che prendesse posto e che si sistemasse meglio accanto a me, sul
divano,
poi la guardai e cercai di non far tremare la voce. –Allora?-
mi chiese.
-Tra
una settimana vado via.
-Nella
casa nuova? L’hai sistemata?- vidi il sorriso sul suo viso e
mi sentii mancare
e di nuovo la testa prese a girare.
-No,
mamma… torno in Francia. Io e Henri torniamo in Francia.
Si
alzò dal divano senza dire niente e si diresse in cucina.
Sentivo i rumori
delle pentole che si urtavano e delle ante dei mobili che sbattevano:
era
arrabbiata.
Decisi
che sentire il silenzio di quella rabbia non mi avrebbe fatto bene e,
quindi,
mi diressi in camera mia.
Sistemai
le coperte sul letto e accesi la televisione, prima di stendermi e
coprirmi fin
sotto al naso: l’odore dell’ammorbidente mi
infastidiva e, quindi, mi alzai e
decisi di cambiare coperta. Presi quella
rosa antico che amavo quando ero bambina:
era chiusa in una busta di cellophane e non aveva odori, quindi la misi
sul
letto e piegai quella che c’era prima.
Finita
l’operazione del cambio-coperta, ero tornata a letto ed avevo
focalizzato la
mia attenzione sulle immagini in movimento trasmesse alla televisione:
era un
bel film che avevo più di una volta in passato e ne
ricordavo ancora spezzoni
dei dialoghi, per questo, poco alla volta, sentii il sonno arrivare
insieme ad
un bel mal di testa.
Quando
davvero non riuscii più a tenere gli occhi aperti, mi
sistemai sul fianco e
lasciai che la stanchezza mi portasse lontano.
I
rumori al di fuori dalla mia camera, mi giungevano ovattati e lontani e
mi
rilassavano. Persino lo squillare del telefono non mi dava alcun
fastidio e
sorrisi inconsciamente, poi, in pochi istanti, mi ritrovai di nuovo
piegata
sulla tazza a vomitare ancora. –Cristo!
Lavai
di nuovo i denti e con una lentezza estrema tornai a letto e mi
addormentai,
dopo aver guardato che il cielo, fuori dalla finestra, era colorato di
arancione e grigio.
Spoiler capitolo 33:
-Non
è come credi, stupida!
-Ti aspetti che
ti creda ancora?
-DEVI CREDERMI.
-No, mi
dispiace: sei una schifosa, una stronza.
-No, l'unica
stronza e schifosa qui sei tu: sei talmente succube di tuo marito che
invece di accettare la realtà, preferisci affibiarmi il
ruolo di calcolatrice e cinica amica. No, Hermione... anzi, sai cosa ti
dico? Mi dispiace aver fatto di tutto per farti capire dove sta di casa
la vera felicità.
***
Angolo
Autrice:
Eccomi tornata.
Lo so, mi odierete a morte, ma, VI SUPPLICO, posate ogni tipo di arma
che avete preso per uccidermi *occhioni da cucciola*.
Questo capitolo
è stato davvero difficile da scrivere, per questo ci
è voluto un pò di tempo in più.
E, cercate di
capirmi.. è un periodo bruttissimo che non so quando
passerà...
Intanto, cerco
di tirarmi su vedendo dei lieto fine nelle mie storie, dato che la vita
me ne ha privato!
Torniamo al
capitolo, su, che è meglio, oppure lacrimo come una fontana
e non la smetto più.
Il capitolo
è davvero molto ma molto importante...
-Hermione:
è cocciuta, certo, però almeno sa che non vuole
tornare in Francia. E' di nuovo malata (magari avesse anche la pelle di
un mulo!), ma forse questo malore le impedirà di partire;
-Henri:
è uno stronzo senza cuore e ne ha approfittato, ma
tranquille: avrà ciò che si merita.
-Meredith: al
posto suo avrei riempito Hermione di botte e le avrei anche ordinato di
dormire fuori al freddo e al gelo, ma è una mamma e, anche
se non condivide le scelte di sua figlia, fa di tutto per lei.
-Lo spoiler:
Che paroloni, eh? Cosa ne pensate?
Ringrazio le 98
seguite, le 46
preferite e le 8
ricodate.
Grazie mille a
voi e ai lettori silenziosi e a chi semplicemente spende un
pò del suo tempo, leggendo anche una sola riga di questa
storia.
Spazio AUTOpubblicità: per
chiunque ami la coppia DRACO/HERMIONE, ho in corso una fic che si
svolge ad Hogwarts -Since I
Kissed You. Se vi va, passate anche
di lì.
A presto, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 33 *** Arrampicarsi agli specchi ***
Capitolo 33: Arrampicarsi agli specchi...
Hermione POV
La
notte era
trascorsa davvero male: non avevo dormito per il fastidio che provavo
allo
stomaco e per il tremendo mal di testa che non accennava ad andare via,
neanche
dopo aver preso un antidolorifico.
Il cellulare mi aveva
dato problemi con la linea e la batteria e, quindi, l’avevo
lanciato sulla
scrivania e l’impatto lo aveva smontato letteralmente.
Le auto erano
passate e ripassate di qui, suonando anche il clacson in piena notte.
Un inferno.
E dire che la
giornata era cominciata peggio sarebbe stato un eufemismo.
Il caffé mi aveva
dato la nausea, al punto da spedirmi dritta in bagno a vomitare.
La macchina non
voleva saperne di partire e, una volta partita a singhiozzo, il
traffico mi
aveva innervosita ancora di più.
Arrivata
in
ufficio, poi, mi ero scontrata con l’ultima persona che avrei
voluto vedere:
Draco mi aveva anche sorriso, come se non fosse successo niente alla
festa di
fidanzamento di Harry e Ginny.
-Buongiorno.- mi
aveva detto ed io ero andata via, senza neanche guardarlo negli occhi.
Il condizionatore
mi stava abbandonando al freddo che sentivo e la scrivania mi sembrava
una
trincea di guerra.
Insomma, era
cominciata una giornata di merda.
Forse, era
davvero arrivato il momento di tornare in Francia.
Quando finii di
ripassare mentalmente le disgrazie di quella giornata, mi lasciai
cadere sulla
sedia ed attesi che il computer si accendesse, per tenermi distratta.
Qualcuno bussò
alla porta ed attese che dicessi “Permesso”, ma non
lo feci, semplicemente
perché non riuscivo a parlare: il mal di gola era uno dei
sintomi
dell’influenza che odiavo.
Allora Pansy aprì
la porta e, quando mi vide farle cenno con la mano di entrare, la
richiuse alle
sue spalle. –Ciao.- il sorriso sornione sulle labbra.
-Ciao.
-Come stai?
-Bene, grazie.
-Non ci vediamo
dalla festa di Ginny.
-Già.
-L’hai più
sentita?
-Sì, l’ho vista a
casa.
-D’accordo…
senti, Herm…
-Pansy, qui non
c’è davvero niente da fare, quindi, se vuoi andare
a casa…
-Non era questo
che volevo chiederti, ma va bene. Ne parleremo in altro momento.-
disse,
uscendo e mandandomi un bacio con la punta delle dita.
Volevo davvero
restare da sola?
No, non volevo
pensare, ma dedicarmi a trovare dei cambiamenti che
nell’ufficio non c’erano
stati mi sembrava un passatempo stupido.
Però, al pensiero
di dover partire per la Francia, mi sentii quasi
in obbligo di catturare quante più
immagini possibili dei miei giorni qui a Londra.
Posai lo sguardo
sul piccolo divanetto
grigio e sui cuscini rossi sparsi su di esso.
Sul tavolino e
sulle mensole, non lasciandomi sfuggire neanche un granello di polvere
solare
che entrava da una fessura della porta-finestra.
Sul pavimento e
sulle pareti.
Tornai in me
quasi con le lacrime agli occhi, quando qualcun altro bussò
alla porta. –Avanti.-
riuscii a dire questa volta.
La mia visuale si
riempì immediatamente dei suoi capelli e del suo sguardo:
sembravano fuoco
vivo. –Adesso, io e te parliamo.- esordì.
-Non ho nulla da
dirti, Ginevra.
-Oh, ne hai
eccome di cose da dirmi. Devo ricordarti la scenata che hai fatto a
casa di tua
madre?
-Devo ricordarti
per caso quello che tu hai fatto a me?
-Io non ti ho
fatto niente, Hermione.
-Ah no? Spingermi
in un letto con Draco non è stato niente?
-Non
è come credi, stupida!
-Ti aspetti che ti creda ancora?
-DEVI CREDERMI.
-No, mi dispiace: sei una schifosa, una stronza.
-No, l'unica stronza e schifosa qui sei tu: sei talmente succube di tuo
marito
che invece di accettare la realtà, preferisci affibbiarmi il
ruolo di
calcolatrice e cinica amica. No, Hermione... anzi, sai cosa ti dico? Mi
dispiace aver fatto di tutto per farti capire dove sta di casa la vera
felicità.
-La
vera felicità sta di casa in Francia, insieme a mio marito.
E tu mi hai fatta
finire in un letto insieme a Draco.
-Oh
no, mi dispiace Hermione Granger, questo non te lo concedo: sei una
donna
matura e Dio ti ha donato la capacità di intendere e di
volere. Vi avevo
condotti in quella stanza per permettervi di parlare come si deve, di
chiarirvi. Se siete finiti col fare l’amore, forse, vuol dire
che tante parole
non sarebbero servite. Forse, quello che dovevate dirvi sarebbe stato
superfluo, perché vi avrebbe allontanato dai vostri desideri.
-E’
stato sesso.- dissi, in un sussurro.
-Non
è stato sesso e lo sai bene.
-E’
colpa tua.
-No.
Non è colpa di nessuno. Lui desiderava da tanto tempo amarti
di nuovo e tu
altrettanto, forse più di lui… per questo, siete
finiti in quel letto.
-Non
è vero…- Sentii le gambe cedere e la testa prese
a vorticare velocemente.
Avevo
davvero desiderato fare l’amore con Draco ed avevo dato la
colpa ai miei
migliore amici per non ammetterlo? Forse sì… ma a
cosa sarebbe servito? In
fondo, avevo ammesso di amarlo ancora.
Sentii
gli occhi riempirsi di lacrime e lo stomaco stringersi in una morsa,
così corsi
in bagno e mi piegai sulla tazza.
-Hermione?
Hermione cos’hai?- Ginny si era piegata accanto a me e mi
teneva la fronte con
una mano.
Quando
rialzai la testa, mi diressi al lavabo e mi sciacquai la bocca. Poi, la
guardai: aveva il viso tirato e lo sguardo preoccupato. –Non
è niente.- le
risposi, mentendole.
-Da
quanto tempo è così?
-E’
lo stress, Ginny. Proprio come qualche settimana fa.
-Non
vomitavi così spesso.
-Che
ne sai che vomito spesso?
-Me
lo dice tua madre.
-Mamma?
-Lei
ti sente, ti ascolta, anche quando credi che non lo faccia.
-Sto
bene.
-Facciamo
un test.
-Non
è niente, Ginny. E poi, Henri non può avere figli.
-Lui
no, ma Draco sì.
Realizzai
dopo un po’ quale fosse il senso di quelle parole e la mia
mente cominciò a
viaggiare, anche se le immagini erano sfocate ed indistinte.
–Sto bene.
Ginny
mi abbracciò e sentii il suo respiro farsi più
pesante, segno che aveva
iniziato a piangere.
La
seguii a ruota e, quando la prima lacrima lasciò gli occhi,
mi sentii più
leggera. –Ti prego,- mi disse, non sciogliendo
l’abbraccio. –fallo per te. Per
te e nessun altro.
-Non
posso.
-E se
fosse come penso?
-Non
lo è.
-Ma
se fosse?
-Non
sarebbe figlio di Draco.
-Ne
sei certa?
-Ho
fatto sesso con Henri.
-Sesso…
I miracoli non esistono, Hermione. Henri non potrà avere
figli mai e poi mai. E
tu non sei di certo la Madonna…
-Non voglio
fare il test.
-Lo
compriamo, poi, quando ti sentirai pronta…- questa volta mi
guardò negli occhi
e ci vidi riflesse le mie stesse emozioni: paura, speranza.
-Va
bene.
-Hermione?-
sentii chiamare dall’ufficio. Una voce maschile che riconobbi
immediatamente.
-Vai
di là.- ordinò la rossa.
-E
tu?
-Resto
qui, per adesso. Voi, dovete parlare.
Le
baciai una guancia ed uscii dal bagno. –Sì?- dissi
chiudendo la porta.
-Ciao…
-Ciao.
-Volevo
parlarti.
-Riguardo
a cosa?
Vidi
i suoi occhi vagare per l’ufficio e le sue labbra tremare
impercettibilmente e
capii che era in difficoltà e che stava per mentirmi.
–La causa di tuo padre.
-Ah.-
lo sapevo, eppure ci rimasi male.
-Sì.
Il dottore dovrà essere ascoltato e, ovviamente,
sarà presente anche il suo
avvocato. Se tu…
-Sì,
voglio esserci.
-Bene.-
si avvicinò e posò la sua mano sulla mia guancia.
Era
così calda e così fredda al tempo stesso: il
calore era dettato, forse, dal
desiderio che avevo di lui e dalle certezze che mi aveva dato Ginny. Il
freddo
era dovuto al fatto che sarei ripartita per la Francia,
che avrei ripreso
la vita che avevo costruito lì, senza di lui.
-Draco…
-Sì?-
gli occhi grandi, colmi di speranza.
-Come
sta Natan?
-Benone.
-Sa
del divorzio?
-Sì e
non l’ha presa male. Anzi, Cloe gli ha fatto conoscere il suo
compagno e lui ne
è entusiasta.
-Il
suo compagno?
-Sì.
Theodore Nott.
Rimasi
con la bocca aperta al pensiero di Cloe che presentava, neanche qualche
settimana dopo il divorzio, il suo compagno a suo figlio. Non gli aveva
neanche
lasciato il tempo di abituarsi all’idea che i suoi genitori
non stessero più
vicini.
Gli
aveva sbattuto in faccia una verità che, forse, neanche gli
adulti avrebbero
potuto capire o accettare facilmente. E lei l’aveva fatto con
suo figlio di
quasi sei anni.
Però,
ovviamente, non potevo sindacare sul suo modo di essere
mamma… né sul suo modo
di essere moglie. –Lo conosco?
-No.
Non lo conosco neanche io, a dire la verità.
-Ah,
d’accordo.
-Ci
vediamo, Granger.- e staccò la mano dal mio viso ed
uscì dall’ufficio.
Sentivo
di nuovo le lacrime pungermi gli occhi e, senza che neanche me ne
accorgessi,
mi ritrovai inginocchiata a terra, con il viso tra le mani.
Sentii
una porta chiudersi e due piccole mani appoggiarsi sulle mie spalle.
–Credi
ancora che sia solo sesso?
-Non
lo so, Ginny.
-Hai
la felicità a portata di mano, Herm… per la
seconda volta. Ed è raro che la
vita conceda una seconda opportunità… non
capiterà più, lo sai?
-Ho
paura.
-Nessuno
ti da certezze, hai ragione… ma male che vada, avrai tolto
dalle palle tuo
marito.
-Ginny…-
le dissi, per stemperare l’entusiasmo che aveva avuto nella
voce, terminando la
frase.
-Lo
so, ma non posso farci molto: non mi è simpatico. Preferirei
che tu restassi
qui e che lui se ne tornasse da solo in Francia a buttare quel brutto
muso in
qualche bar spocchioso.
-Sai
che non sarà così.
-Ci
spero comunque.
-Come
vuoi…
-Ti
voglio bene davvero, Herm e mi dispiace che tu abbia pensato quelle
cose di me.
-Ero
arrabbiata, scusami.
-Già
fatto.
La
guardai, mentre usciva dal mio ufficio e il freddo non c’era
più: il ghiaccio
che sentivo dentro cominciava a pungere nell’anima e sulla
pelle.
Mi
sedetti sulla sedia e guardai ancora un po’ la porta,
sperando che entrasse
qualcuno per farmi compagnia e per parlare un po’: volevo
sfogarmi e capire
cosa mi stava succedendo.
Volevo
davvero partire?
Da
sola non riuscivo a darmi alcuna risposta e, purtroppo, sapevo che
Harry non
era nel suo ufficio, perciò, accesi il pc e cercai qualche
informazione su
argomenti che non mi interessavano realmente, ma, almeno, davano il
tempo ai miei
pensieri di mettersi in ordine.
Non
sarebbe servito a niente stare ancora lì, a fare finta che
quei pensieri non ci
fossero e il non ascoltarli mi aveva portata ad un punto di non ritorno
da me
stessa: mi sentivo annullata e completa allo stesso tempo, come se in
me ci fossero
due persone.
E, in
effetti, era proprio così: c’era Hermione, quella
razionale che avrebbe voluto
tornare in Francia e proseguire la vita insieme ad Henri e alle sue
abitudini.
Poi,
c’era l’altra Hermione, quella vera probabilmente,
che desiderava restare a
Londra e dare una seconda possibilità alla persona che le
aveva insegnato ad
amare e soffrire. Hermione, quella che aveva voglia di ascoltare i
consigli di
chi le voleva bene e che aveva bisogno che le parole di conforto
fossero anche
vere. Quella che voleva credere in qualcosa e che aveva il desiderio di
poter
pronunciare quelle due parole che da anni non riusciva a dire, se non
pensando
ad una persona in particolare.
E,
poi… a parte queste due personalità, sentivo
crescere la speranza che fosse
tutto vero e non un sogno: di Draco o no, io desideravo un figlio.
Asciugai
una lacrima all’angolo di un occhio e concentrai lo sguardo
su qualcosa di meno
luminoso del monitor del computer e sentii la testa far meno male,
così mi
rilassai anche sulla sedia.
Alzando
lo sguardo, per la prima volta, mi resi conto che il soffitto non era
tutto bianco,
come avevo sempre pensato. La controsoffittatura a cupola era messa in
evidenza
da gli incavi laterali e squadrati del muro e, proprio su di essi, il
bianco
diventava una bella sfumatura di grigio.
La
mia vita ruotava tutto intorno a quel colore: il soffitto e le pareti
dell’ufficio,
il divano, le scarpe per la festa di fidanzamento di Ginny, i suoi occhi.
Era
davvero così facile ammettere i propri sentimenti? Bastava
davvero mettere da
parte ogni difesa e lasciare che il cuore e la mente ne discutessero
tra loro?
Bastava davvero far finta che le urla che si lanciavano non ci fossero,
fino a
che una delle due parti si fosse arrese e avrebbe dato ragione
all’altra?
Ora
avevo la risposta. Sì.
Ci
avevo messo tanto tempo a capire quale fosse il modo per far parlare il
cuore
e, in seguito alla brutta delusione che mi aveva dato Draco, lo avevo
imbavagliato per bene e messo a tacere a dovere. Ed avevo dato il
totale
controllo al mio cervello.
Però,
era bastato allentare un po’ il bavaglio…
Mi
ridestai dai miei pensieri quando un altro conato di vomito mi aveva
colta e
maledissi la mia mancanza di anticorpi.
Altro
che cuore, avrei voluto imbavagliare lo stomaco!
Ancora
una volta, come ormai facevo da un po’, mi ritrovai
inginocchiata alla tazza a
lasciare un po’ di me negli scarichi di Londra.
Sciacquai
la bocca e tornai alla scrivania, poi decisi di andare da Harry e, se
non fosse
ancora arrivato, lo avrei aspettato seduta comodamente nel suo ufficio.
Chiusi
la porta e mi avviai all’ascensore. Mi specchiai nelle porte
metalliche ancora
chiuse e vidi il riflesso della bruttezza: gli occhi erano cerchiati da
profonde occhiaie livide e il colorito del viso era smorto e apatico.
Sembravo
uno zombie.
Mi
meravigliai del fatto che Ginny non avesse commentato il mio aspetto,
ma forse,
voleva solo far vedere ai miei occhi a cosa mi aveva portata la mia
testardaggine.
Quando
le porte dell’ascensore si aprirono, entrai ed premetti il
pulsante che mi
avrebbe portata al piano inferiore.
In
ascensore, la temperatura era leggermente più bassa che nei
corridoio e negli
uffici e lo stavo notando solo adesso: la maggior parte delle volte che
ero
entrata in ascensore, ero in compagnia di Draco e credevo che tanto
calore
dipendesse dall’impianto di riscaldamento
dell’abitacolo.
Mi
ero appena resa conto che non era così: Draco mi dava calore.
Uscita
dall’ascensore, mi avviai spedita all’ufficio di
Harry e stavo per aprire la
porta quando mi accorsi che era con qualcuno. –Certo,- stava
dicendo. –fai quello
che vuoi.
Nessuna
risposta, se non il rumore della sedia che veniva spostata sul
pavimento senza
essere sollevata. Supposi che era in compagnia di Ginny.
Bussai
piano alla porta e la voce di Harry che mi dava il permesso di entrare
mi fece
quasi spaventare, dato che mi ero incantata a guardare la maniglia.
Entrai
e posai subito lo sguardo verso colui che teneva compagnia al mio
migliore
amico e restai a boccheggiare per un bel po’.
–Ciao.- mi disse.
Mai e
ripeto mai avrei creduto di poterlo incontrare qui. In questo posto
–guardai l’orologio-
a quest’ora. –Ciao Natan.
-Perché
sei qui?- mi chiese dolcemente.
-Lavoro
qui, piccolino e tu? Cosa ci fai qui?
-Mamma
mi ha detto di stare un po’ con Harry, mentre lei
è con papà.
-Papà?
-Sì.
C’è anche Theo.
Harry
mi guardò con aria interrogativa e, da questa, dedussi che
Draco non gli aveva
raccontato niente. –Theo?
-Sì,
il suo nuovo fidanzato. E’davvero frigo.
-E’
davvero che?- mi chiese Harry, facendo un’espressione davvero
buffa.
Natan
scoppiò a ridere ed io feci lo stesso. –Frigo!
Significa quando uno è bello e
simpatico.
-Si
dice figo.- lo corresse il mio
amico.
-E
cosa ho detto io?- tale e quale a suo padre: cadeva sempre con i piedi
per
terra.
-Hai
detto frigo.
-A me
il mio amico mi ha detto che si dice così.
Sorrisi,
ricordando a quella volta che, per via di frasi del genere, avevo
paragonato
Natan a suo padre: erano identici nel carattere e nel modo di porsi.
Se
non avessi saputo che lui era davvero suo padre, me ne sarei accorta da
queste
loro affinità.
E mi
sentivo immensamente adorante nei confronti di quel bimbo: sentivo di
amarlo
allo stesso modo in cui amavo Draco e, anche se sembravano strano anche
a me,
mi resi conto, quando gli scompigliai i capelli che era proprio
così.
-Natan…-
lo chiamai per avere la sua attenzione.
-Sì?
-Com’è
Theo?
-E’
alto e ha i capelli neri e gli occhi neri e ha un sacco di muscoli,
anche se
però non si vedono e gioca a calcio e ha una macchina enorme
e…
-Natan,
vuoi bere un po’?- le chiesi dolce, per fermare la sua
parlantina ed impedirgli
di affannare ancora di più.
-Sì,
grazie.
Uscii
dall’ufficio e mi avviai alla macchinetta. Inserì
la moneta e salutai
Draco con un cenno del capo: stava
bevendo il suo caffé e stava aspettando che si riempisse un
altro bicchiere. –Ho
visto Natan.- esordii.
-Sì,
è con Harry.
-E’
tutto ok?
-Mh-
fece spallucce. –Lo credevo più balestrato.
Era
tranquillo e nulla in lui non vedevo davvero nessun sintomi di
nervosismo. Persino
gli occhi erano tranquilli. Ci avrei scommesso, perché avevo
imparato a
conoscerlo in quel tempo che eravamo insieme e aveva capito che quando
mentiva
portava le mani nelle tasche.
E,
dopo aver buttato il bicchiere da cui aveva bevuto, aveva le mani stese
lungo i
fianchi. Non mi stava mentendo e mi sentii sollevata di fronte al fatto
che
stesse più male.
Tornai
in me e mi ricordai di dover portare un po’ d’acqua
a Natan. Non sapevo se gli
piacesse naturale o meno, ma avevo vergogna di chiederlo a Draco e non
volevo
che pagasse lui.
Inserii
la moneta e pigiai il testo dell’acqua naturale ed attesi che
dal distributore
uscisse la bottiglia, poi salutai di nuovo Draco e tornai in ufficio,
da Harry
e Natan. –Ecco.
-Come
fai a sapere che mi piace l’acqua naturale?- mi chiese
curioso.
-L’ho
immaginato.
Mi
sorrise e mi sentii immersa in una tenerezza assurda mentre lo guardavo
aprire
il tappo e bere direttamente dal collo della bottiglia. Un
po’ di acqua gli
scappò agli angoli della bocca e presi subito un fazzoletto
per asciugarlo.
-Grazie.
Harry
lo guardò e gli fece un cenno di assenso e Natan
arrossì. –Su,
diglielo.
-Cosa?-
chiesi.
-Hermione…-
cominciò a parlare Natan, insicuro e con gli occhi che
correvano lungo tutta l’ufficio.
-…vuoi… vuoi diventare la fidanzata del mio
papà? Tu sei così bella e a me mi
sei simpatica… e…
-Natan…
-No,
va bene ho capito. Scusa, io volevo solo che papà avesse una
fidanzata come ce
l’ha mamma un fidanzato nuovo.
Mi
sentii una stronza a vederlo così triste. –Ne
riparleremo, va bene?
-Me
lo prometti?
-Sì,
te lo prometto.
Bussarono
alla porta dell’ufficio di Harry e, dopo il suo consenso,
Draco entrò e venne a
portare via Natan.
Lo
osservai mentre lo prendeva in braccio e avevo visto i loro occhi
illuminarsi:
si adoravano.
Poi,
mi ricordai della domanda di Natan e regalai ad Harry uno di quegli
sguardi che
avevo imparato ad usare con Henri quando mi maltrattava.
–Tu…
-Io?
-Sì,
proprio tu, Harry Potter. Cosa diavolo ti è saltato in testa?
-A me
niente. Ti giuro che ha fatto tutto il piccolo, da solo.
-Ah,
certo. Si è anche invogliato a parlare da solo?
-No,
lì l’ho incoraggiato io.- disse, vittorioso.
Alzai
gli occhi al cielo. –Ho visto Harry che l’hai
incoraggiato tu. Sai, ero
presente anche io…
-Ah,
giusto… comunque, ciò non cambia che Natan ha
ragione: saresti perfetta accanto
a Draco.
-Harry,
sei adulto e puoi capirmi: ho un matrimonio da salvare.- pronunciavo
quelle
parole ed ero io stessa a non crederci.
-Devi
salvare te stessa, Herm.
-Sai
quanto ho sofferto per questa storia.
-Non
immagini quanto abbia sofferto lui: era tutti i giorni di fronte a me e
sembrava che ogni giorno perdesse un pezzo di sé.
-Beh,-
dissi urlando. –nessuno gli obbligato a stare con Cloe.
-L’ha
fatto per te: si stava rovinando la vita e lo sapeva, ma voleva che tu
fossi
salva che trovasse la felicità che lui non poteva darti.
-Poteva
darmela eccome la felicità: io ero felice con lui. Poco
importava del posto o
delle difficoltà, Harry.
-Ha
avuto paura ed era giovane… l’ha capito con il
tempo.
-Mio
marito mi è stato sempre vicino, Harry: mi ha sostenuta,
incoraggiata, sorretta…
-Ti
ha sotterrata, Herm… ti stai arrampicando sugli specchi.
-Sto
dicendo la verità.
-La
verità un cazzo! Questa è la verità a
cui tu vuoi credere… vorrei darti i miei
occhi per farti vedere a cosa ti sei ridotta. Forse capiresti.-
sbottò.
Sentii
di nuovo gli occhi riempirsi di lacrime e facevo fatica a respirare.
Uno
schiaffo, un pugno, un calcio in pieno stomaco, una botta alla testa
avrebbero
fatto meno male di quelle parole.
Aprii
la porta per andare via dall’ufficio e la rimasi aperta,
nella fretta di
scappare, correre a piedi al secondo piano e chiudermi nel bagno del
mio
ufficio.
Chiusi
forte la porte alle mie spalle e mi ero accasciata sul pavimento, una
mano
ancora poggiata alla maniglia.
Ero
riuscita a prendere il cellulare e avevo premuto il tasto
dell’ultima
telefonata.
Ad ogni
squillo sentivo un po’ della mia forza andare via. A
metà dell’ultimo squillo,
qualcuno rispose e quella voce mi sembrò la più
bella dell’intero universo,
anche se distorta dal mio udito in panne. –Ginny,
aiutami…- soffiai debolmente.
Attesi
pochi minuti, mentre mi sentivo sempre più lontana da dove
realmente ero. Poi,
sentii una porta sbattere e un movimento d’aria poco lontano
da me che mi destò
un po’. Guardai Ginny e sorrisi.
Poi,
il buio totale.
Spoiler capitolo 34:
-Sei
pronta?
-No. Neanche un
pò...
-Allora, corri.
Dai, sono curiosa!
Mi alzai e
presi l'oggetto che tanto mi spaventava. Non osavo guardarlo: avevo una
paura folle di leggerlo. -Tieni.
Quando Ginny lo
prese, lo osservò per bene e mi guardò -Altro che
influenza...
-E' una febbre
da cavallo, vero?
***
Angolo Autrice:
Lo so! Perdonatemi per l'immenso ritardo, ma PURTROPPO è
ricominciata la vita impegnata di tutti tutti tutti i giorni.
E, in più, ho trovato non poche difficoltà a
scrivere questo capitolo e mettete in conto che il mio periodo nero non
accenna a voler finire e un pò lo voglio anche io! Insomma,
me le vado proprio a cercare.
Bene, parliamo del capitolo:
E' stato davvero difficile spiegare le ragioni di Hermione e sono
felice che molte di voi adesso la capiscano, ma più
difficile ancora è stato descrivere i suoi pensieri
contrastanti, quindi vi chiedo ancora di perdonarmi per il ritardo.
Il litigio tra le due amiche l'ho vissuto in prima linea e posso
assicurarvi che ha fatto davvero male dire e sentirsi dire quelle
parole.
I personaggi:
-Hermione:
ha paura di tutto e non posso darle torto. Sta soppensando l'idea di
non stare più con Henri e credo che il dubbio che le ha
insinuato Ginny non sia una cosa da niente;
-Ginny: cavoli,
io la adoro. Non so realmente che carattere abbia nei libri di zia
Rowling, ma io una Ginny così la AMO. E' convinta che la
terapia d'urto funzioni con la sua amica e speriamo che non abbia torto;
-Draco:
l'avete visto preoccupato e insicuro... aspettatevi una bella litigata!
Non si sa con chi, ovviamente, ma sfogherà per bene la sua
rabbia;
-Pansy: era
da un pò che non la vedevamo e credo che la vedremo davvero
poco in seguito;
-Harry: in
questo capitolo, giuro che avrei voluto costruirgli la statua di
platino; crediate che abbia ragione?;
-Natan:
quanto è bello e dolce e coccoloso. Lo stringerei forte e lo
strapazzerei di coccole. Lo amo incondizionatamente e credo che abbia
davvero ragione su tutto ciò che dice... soprattutto su
Theo: è frigo! Ho sempre creduto che fosse freddo e
scostante xD;
-Lo spoiler:
cosa ne pensate?
Ringrazio le 103
seguite, le 47
preferite e le 9
ricordate! Grazie davvero mille! Ne siete sempre di più e mi
date una gioia immensa.
Grazie,
ovviamente anche ai lettori silenziosi e spero che prima o poi
troverete il coraggio di farmi sentire la vostra voce o, meglio dire,
farmi leggere le vostre parole xD
Beh, vi do una cattiva notizia xD: ho avuto l'ispirazione su un'altra
fanfic che tratterà interamente della coppia Alice/Jasper...
cosa ne pensate? Comincio?
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 34 *** Il test... ***
Capitolo 34: Il test...
Hermione POV
Sentivo
la gola arsa e le labbra umide e, sforzandomi più di quanto
potessi fare, mi costrinsi ad aprire la bocca e lasciare che il liquido
freddo portasse via con se l’arido che mi impediva di parlare.
Eppure, non
riuscivo ancora ad aprire gli occhi. –Hermione- riconoscevo
la voce di Ginny e il suo profumo che mi arrivava prepotentemente alle
narici e mi causava un forte dolore allo stomaco.
Sentivo le
palpebre tremare, mentre cercavo di aprirle, ma non ci riuscivo.
Sbuffai dopo
aver provato per l’ennesima volta di aprire gli occhi e
allora sentii Ginny sospirare. –Almeno,sei viva. Mi hai fatto
prendere uno spavento. Non farne più di questi scherzi: ne
va della mia sanità mentale, Hermione Granger.
Riuscii a
sorridere. Me ne resi conto dal movimento dei muscoli del viso e della
loro tensione per restare tesi.
Rinunciai per
qualche istante nell’impossibile impresa di aprire gli occhi
e mi concentrai sui rumori che sentivo, giusto per ricordare dove
fossi, ma non riuscivo davvero a ricordare.
Ero distesa su
qualcosa di morbido, liscio. Ero al caldo, un caldo artificiale
però, che non era il calore di casa mia.
Forse, ero a
casa di Ginny o, forse, ero in ufficio.
Cercai di
mettere a fuoco l’ultima immagine che avevo visto prima di
chiudere gli occhi, prima di vedere solo il nero.
Ricordavo una
porta di legno chiaro e un bagno. Nell’ufficio. Ero
nell’ufficio.
Mi sforzai
ancora un po’ e riuscii ad aprire gli occhi.
Inizialmente,
la luce mi impedì di vedere altro che bianco, poi, pian
piano, ogni oggetto assunse le proprie sembianze.
Spostai lo
sguardo sulla figura di Ginny e le sorrisi di nuovo. –Mi fa
male la testa.
-In effetti,
hai preso una bella botta.
-Ah
sì?
-Sì.
Quando sono arrivata, mi sei svenuta tra le braccia.
-Non ricordo
nulla.
-Vuoi andare in
ospedale?
-No, preferisco
tornare a casa.
-Chiamiamo un
medico?
-No, davvero.
-Allora, che ne
dici se compriamo quel famoso test.
-Non lo so,
Ginny. Forse, è solo un po’ d’influenza.
-Può
darsi, ma non è meglio averne la certezza?
-Come
vuoi…
-Se fosse
vero… oddio, Herm… che emozione!
-Ginny, non
correre con la fantasia, ok?
-Sì,
va bene.
Vedevo i suoi
occhi riempirsi di speranza e illuminarsi di una gioia che per il
momento non stava né in cielo né in terra.
Però,
mi sentivo allo stesso modo e in me quella speranza cresceva ogni
secondo di più
Oltre
all’entusiasmo, oltre alla gioia che mi avrebbe regalato il
realizzarsi di quel sogno, più di tutto sentivo la paura che
cominciava a rosicarmi lo stomaco.
Mi sistemai sul
divano, appoggiando la schiena ai cuscini e guardai di nuovo Ginny per
non restare ferma sui pensieri che si stavano aggrovigliando nella mia
mente. –Andiamo a casa.
-E’
passato Draco, prima.
-Quando?
-Mentre eri
svenuta e… voleva restare qui.
-No,
Ginny… io non…
-Lo so, Herm,
per questo gli ho detto di non preoccuparsi.
-Grazie.
-Dovresti
parlarne con lui.
-Non siamo
ancora sicure di niente
-Giusto, ma lo
farai, vero?
-Forse.- Sapevo
che non l’avrei fatto perché non ne avrei avuto il
coraggio, pur sapendo che avrei sbagliato.
Spostai lo
sguardo altrove e concordai con me stessa che era stata la mossa
sbagliata, ma già che c’ero, guardai ogni angolo
dell’ufficio.
-Andiamo, dai.
-Sì.
Mi alzai piano
dal divano, perché mi girava la testa e non volevo di certo
sentirmi di nuovo male e poi la paura di vomitare e la frequenza con
cui la provavo ultimamente mi preoccupava e non poco.
Quando
raggiunsi la porta, a passi di formica, mi rilassai e respirai
l’aria leggermente più fredda che c’era
al di fuori del mio ufficio.
L’odore
di caffé bruciato e di plastica mi colpì in pieno
e chiusi gli occhi con forza per evitare che gli sforzi di vomito mi
sovrastassero, poi, respirai a fondo e mi avviai verso
l’ascensore.
Aperte le porte
metalliche, entrai all’interno e l’odore di chiuso
mi sembrò peggio di un pugno allo stomaco.
Trattenni il
respiro per tutto il tempo e scossi il capo quando Ginny mi
guardò con aria interrogativa.
I suoi occhi da
curiosi passarono ad essere soddisfatti e sorrise.
Non sapevo cosa
precisamente le stava passando per la testa, ma sapevo con assoluta
certezza che era pericoloso e non poco. Pericoloso proprio come
l’ultima volta in cui avevo lasciato che la sua fantasia
volasse… ed ero finita in un letto insieme alla persona a
cui avevo detto addio sei anni prima.
O almeno,
credevo di avergli detto addio. L’avevo creduto fino a che
non l’avevo rivisto e il pensiero di non volerlo perderlo era
diventato dubbio e si era insinuato pian piano nelle mie vene, nei miei
muscoli e nel cervello fino a che non ha raggiunto il cuore ed
è diventato una certezza.
Volevo che, in
un modo o nell’altro, che Draco facesse parte della mia vita:
amante, amico… padre del figlio della speranza che covavo
nel cuore e, forse, nel ventre.
Amico forse no:
al solo pensiero, mi chiedevo quanto sarebbe stato difficile fingerlo
di non desiderarlo con tutta me stessa o lasciare intendere che
l’interesse che provavo per lui fosse solo semplice
preoccupazione di un’amica.
Impossibile.
Quando le porte
dell’ascensore si aprirono con il solito plin, uscii
dall’abitacolo con una fretta tale che qualcuno avrebbe
potuto pensare che mi stessero minacciando con una pistola alla schiena.
Respirai a
pieni polmoni l’aria dell’atrio che sembrava essere
più pulita e mi appoggiai al muro perché sentivo
le gambe deboli e avevo davvero paura di poter cadere.
Ginny mi si
avvicinò e mi appoggiò le mani alle spalle.
–Credi davvero che sia solo influenza?
-Ne sono
sicurissima.
-Però
mi lasci comprare il test.
-Solo per darti
la conferma che sto bene e che non è come credi.
-In questo
caso, mi auguro il contrario.
-Di cosa
parlate voi due?- ci chiese una voce maschile sottile e delicata.
Non poteva
essere la voce di Draco perché la sua era roca, certo, ma
mille volte più bella di quella che avevo appena sentito.
Mi voltai e
vidi Harry che abbracciava Ginny, cingendole le spalle e dandole un
bacio poco casto.
Si guardarono
negli occhi e trovai conferma a ciò che avevo pensato tempo
prima entrando nello studio di Harry e guardando una foto che io stessa
avevo scattato anni prima. Sorrisi e mi incantai a guardarli.
Mi resi conto
che averli odiati in quei giorni era stato davvero inutile e
autolesionista da parte mia, perché avevo capito che loro
non c’entravano con ciò che era successo: ero
stata io a scegliere di lasciarmi andare.
Nessuno mi
aveva obbligato ad amare di nuovo Draco, né lui stesso mi
aveva impedito di andare via: la porta era sempre rimasta libera dalla
chiave e mi sarebbe bastato abbassare la maniglia e andare via.
-Hey…
la smetti di guardarci così?
-Scusami,
Ginny.- la guardai e sorrisi vedendo le sue guance colorirsi di
imbarazzo.
-Dai, non fare
così… ti perdono per questa volta. Ma la prossima
volta che ti becco a guardare con occhi sognanti la mia futura
moglie… beh, mi fai pensare male di te, lo sai?
-Harry!- dissi
con voce un po’ più alta, ma comunque divertita.
-Cos’ho
detto?- sbarrò gli occhi, con aria simpatica.
-Nulla, Harry.-
risi di gusto come non facevo da un po’.
-Senti, amore,
noi andiamo. Hermione non si sente molto bene…
-Cos’ha?
-Nulla di che,
Harry. Lo sai, la signora qui è a corto di anticorpi e,
quindi, l’influenza è sempre a braccetto con lei.
-Oddio, Ginny,
non chiamarmi signora. Mi fai sentire vecchia.
-Ma tu sei
vecchia, Hermione. Andiamo, su.
-Ciao.- disse
Harry, baciandomi su una guancia e dedicandosi con tanta passione alle
labbra di Ginny.
A lungo
guardarli però, sentivo uno strano fastidio: mi sentivo un
po’ invidiosa della loro felicità e mi sentii
un’amica ingrata per questo.
Ginny si
sistemò al mio braccio e mi condusse fuori dal distretto,
non lasciandomi mai la mano.
Si
sistemò al posto del guidatore e accelerò,
inserendosi direttamente sulla strada che mi avrebbe portata a casa,
senza dar importanza al rispetto dei segnali stradali o delle norme di
precedenza.
Per tutto il
tragitto, tenni gli occhi fissi sulla strada che scorreva veloce sotto
le ruote dell’auto.
-Hai paura,
vero?- mi chiese, come se fosse la cosa più ovvia e facile a
cui rispondere.
Continuai a
guardare l’asfalto, riflettendo su ciò che volevo
dire e su ciò che avrei dovuto dire. –No, Ginny,
non ho paura: è una semplice influenza. L’hai
detto anche tu che sono a corto di anticorpi.
-Questo
è quello che ho a Harry per non farlo preoccupare, ma sai
bene che penso tutt’altro e ne sono totalmente convinta.
-Ti sbagli,
Ginny.
-Sbaglio molto
raramente, amica mia. Non dimenticare che ci ho preso sul fatto che ami
ancora Draco.
-Non ho detto
che lo amo.
-No,
è vero, ma metterti in ginocchio a piangere solo
perché ti ha mentito su ciò che voleva dirti
significa amarlo.
-Su questo
potresti anche avere ragione, ma su ciò che pensi adesso
stai sbagliando di grosso.
-Beh, quando si
comincia a pescare si parte sempre con l’idea di prendere una
bella carpa.
-Ti ritroverai
con uno stivale all’amo.
-Tutto
è possibile.- fermò l’auto e
sbottonò la cintura di sicurezza. –Aspettami qui,
ok?
-D’accordo.-
mi guardai intorno e capii che ero a pochi isolati da casa,
parcheggiata sul marciapiedi della farmacia.
Ginny insisteva
a voler avere la sua prova e proprio questa era la mia grande paura: se
davvero stessi aspettando un figlio da Draco, come avrei gestito la
situazione?
Non lo sapevo e
non sapere mi mandava in tilt. Il mio cervello aveva bisogno di avere
tutto sotto controllo per far si che mi sentissi sicura e di poter
essere in grado di poter prendere delle decisioni.
Essere
razionale, forse, sarebbe stata la decisione migliore da seguire, ma,
finora, la razionalità mi aveva portata a privarmi di me
stessa.
Ed ora, se
quello che pensava Ginny fosse stato vero, non potevo di certo privare
mio figlio di avere una madre che valesse qualcosa.
Mio figlio. Mi
sembrava così strano pensare ad un essere minuscolo che
poteva appartenermi in quel modo.
Un
po’ di sesso con Draco, forse, aveva avuto il potere di far
avverare il mio desiderio.
Sesso. Suonava
inadeguato quel termine per descrivere ciò che
c’era stato tra me e lui: tutta la passione, tutto il
desiderio, tutto l’amore con cui l’avevo amato non
poteva essere solo sesso.
Sesso era
quello che avevo sempre fatto con Henri.
Quando mi
ricordai di lui, scrollai il capo e mi resi conto che l’auto
era ripartita e Ginny la stava guidando come se io non esistessi.
–Hai finito?
-Di fare cosa?-
chiesi del tutto inconsapevole di cosa significava quella domanda.
-Non mi hai
sentita arrivare.
-Certo.
-Ah
sì?
-Sì.
-Bene, allora
rispondimi.
-Emh…-
cercai di fare mente locale su quali fossero le domande che Ginny era
solita fare quando rientrava in auto. –Credo che sei stata
più veloce del solito.
-Oh, grazie.
-Visto? Ti ho
sentita arrivare!- dissi fiera di me, sorridendo visto che ci avevo
preso.
-Hermione…
sai che non è questo che ti ho chiesto, vero?
-Certo che
è questo. Mi hai anche ringraziata!
-Ti ho chiesto
quando hai intenzione di fare questo test, Hermione. Essere stata
veloce o meno non m’importa quanto questo.- disse, alzando
una scatola di cartone bianco e azzurro di forma rettangolare che, di
sicuro, conteneva l’esito del dubbio che mi stava
attanagliando le membra.
-Ok, hai
ragione: non ti ho sentita. Stavo… stavo pensando.
-A cosa?
-A quello che
è successo… i-io non mi capisco più:
mi sento come se in tanti anni non avessi mai vissuto.
-Ed
è così: hai sopravvissuto, Herm. Nessuno potrebbe
vivere lontano dalla persona che ama davvero… anche Draco ha
sopravissuto.
-Lui
l’ha fatto molto meglio.
-Ha avuto molta
più classe di te nel rovinarsi la vita: non ha mai amato
Cloe, ma ha potuto riversare l’amore che provava per te su
suo figlio e amarlo molto di più di quanto si possa amare un
figlio. Tu, invece, l’hai trovato manesco ed anche impotente.
-Oh, Ginny, non
essere perfida: Henri è tutto quello che vuoi, ma impotente
no.
-Si
alzerà pure, ma vale come se non se il suo… come
se non funzionasse.
Risi
perché Ginny sapeva essere diretta anche in argomenti che mi
imbarazzavano totalmente.
A volte, avrei
voluto avere il suo carattere forte e determinato nel momento in cui
c’era bisogno di essere in quel modo.
A modo mio,
anche io ero forte, ma nei momenti in cui tanta forza e tanta
determinazione non servivano a niente se non a distruggermi.
Quando Ginny
fermò l’auto, portai automaticamente una mano alla
bocca, per non lasciarmi sopraffare dai conati di vomito: la
frenata mi era sembrata troppo brusca ed avevo sentito lo stomaco
contrarsi fino a farsi male.
Scesi
dall’auto e mi tenni alla portiera anche dopo averla chiusa e
mi avvia piano verso le scale e le salii con molta più
cautela di quanto avessi fatto di solito, per questo Ginny scosse il
capo e mi sostenne per il braccio.
Aprii la porta
e mi sedetti sul divano, portando le gambe sui cuscini. –Mi
sento a pezzi.
-Vuoi fare una
cosa per me?
-Dimmi.
-Vai in camera
tua, fai una doccia e poi vai a letto, ok?
-Ok.
-Ci vediamo,
Herm.
-Ciao Ginny.
La guardai
mentre andava via e si chiudeva la porta dietro di sé.
Mi
mancò immediatamente la sua compagnia, quindi, per non
pensarci, mi avviai piano verso le scale.
Quando arrivai
in camera mia, l’odore di detersivo mi riempì i
polmoni e non mi dava la nausea, quindi entrai in camera e chiusi la
porta alle mie spalle.
Mi avviai in
bagno ed aprii il getto d’acqua versando un po’ di
bagnoschiuma dall’odore neutro, poi tornai in camera e presi
il pigiama dall’armadio.
Quando mi
sembrò che l’acqua avesse raggiunto la temperatura
che desideravo chiusi il getto e mi spogliai lentamente.
I vestiti
sembravano avere il peggio di ogni odore che avevo sentito in ufficio e
per strada e li appoggiai sul lavabo.
Mi guardai allo
specchio e legai i capelli in uno chignon mal riuscito, poi mi sistemai
di lato e portai le mano sotto la pancia: non sembrava più
gonfia, ma, d’altra parte, se pur fosse stato vero, era
troppo presto per vedere qualcosa.
Accarezzai la
pancia, come credevo facesse ogni mamma in dolce attesa e sorrisi al
mio riflesso: sarebbe stato davvero bello poter accarezzare
l’amore che avevo provato per Draco e che sarebbe cresciuto
dentro di me, giorno dopo giorno, fino a regalarmi la prova vivente di
quel sentimento tanto forte.
Mi allontanai
dallo specchio e mi immersi nell’acqua calda.
I pensieri che
mi affollavano la mente sembravano svanire con il calore che mi
avvolgeva i muscoli e mi sentii rilassata totalmente, tanto che da
lì a poco credevo di potermi addormentare.
Mi insaponai,
massaggiandomi delicatamente e lasciai per un po’
il sapone sulla pelle e beandomi di quel profumo che non mi dava il
voltastomaco, poi mi avvolsi nell’accappatoio e mi asciugai,
massaggiando con più pressione rispetto a prima.
Infilai il
pigiama e mi sistemai a letto, coprendomi fin sopra ai capelli.
§
Avevo riaperto
gli occhi, non so dopo quante ore di sonno, per via del telefono che
squillava.
Mi alzai per
andare a rispondere ed aprii la porta di camera mia, però,
in quello stesso istante, mamma rispose alla telefonata e mi soffermai
ad ascoltare.
-Pronto?...
sì, ciao. Tutto bene, grazie. Hermione? No, è a
letto… Sì, sì. Suo marito è
qui… certo, come no!... Beh, se tornasse con
Draco… sì, infatti… sarebbe una vera
delusione.- mi sentii colpita in pieno petto da quelle parole e sentivo
l’aria nei polmoni che iniziava a mancare.
Mi lasciai
cadere, senza neanche preoccuparmi di spostarmi da lì o di
chiudere la porta per evitare che mamma capisse che avevo ascoltato
ogni singola parola.
Avevo
finalmente le idee chiare su cosa fare, convinta che mamma sarebbe
stata fiera della decisione che avevo preso ed invece ne sarebbe
rimasta delusa.
Sentivo di
nuovo i sensi di colpa e i dubbi arrampicarsi su per le gambe e
riempirmi la mente di nuovo fumo, così lasciai che le
lacrime dessero sfogo alla rabbia che sentivo in corpo.
Non poteva
andare tutto male: quando finalmente avevo capito quale fosse la cosa
giusta da fare per me, i castelli delle mie decisioni stavano crollando
per delle banali frasi sconnesse.
Con chi stava
parlando mamma? Come poteva dire quelle cose di me e Draco se fino a
poco tempo prima mi aveva spronato a lasciare mio marito per cominciare
ad essere felice?
Non riuscivo a
capire ed ogni istante mi sembrava più difficile da
affrontare perché non ero più certa di nulla:
avrei voluto sprofondare in un turbine di emozioni positive per
sentirmi un po’ felice o, magari, avrei voluto saper leggere
nella mente delle persone che mi erano attorno per sapere cosa si
aspettavano da me e per non deluderle.
Sentii il
cellulare squillare e mi diressi verso il letto, sedendomi e
rispondendo. –Pronto?
-Sto venendo.
-Oh…
sì, ma che ore sono?
-Le quattro e
qualche minuto.
-Credevo di
aver dormito per ore.
-E invece hai
dormito pochissimo. Sei pronta?
-No…
-Ci vediamo tra
poco.
-Ok, a tra poco.
Mi alzai dal
letto e mi diressi in bagno.
Aprii il
cassetto dove avevo nascosto il test che Ginny aveva comprato e mi
sforzai di aprire la scatola.
Lo guardai per
un po’, totalmente spaventata all’idea di
ciò che avrei letto dopo averlo usato.
Comunque, mi
diressi al gabinetto e usai l’oggetto che mi avrebbe rivelato
la verità e che mi avrebbe tolto dalla testa ogni dubbio.
Allo stesso
momento, però, mi avrebbe scaraventata nel baratro del
terrore.
Riposi il test
nella scatola e lo portai con me nella mia stanza, tenendolo stretto
tra le mani per paura che cadesse e che la mia speranza di avere la
situazione sotto controllo, avendo almeno una certezza, andasse in fumo.
Guardai per un
po’ le mani e mi resi conto di non avere la fede. Non
ricordavo neanche se l’avevo rimessa o meno dopo aver fatto
pace con Henri, ma poco importava: il peso che stava avendo il mio
matrimonio non era più rappresentato solo da
quell’anello dorato.
Poggiai la
scatola sul comodino e mi sdraiai sul letto, prendendo il termometro e
mettendolo sotto all’ascella.
In
quell’istante, la porta della mia stanza si aprì
leggermente e vidi Ginny che entrava sorridendo. –Allora?
-Cosa?
-L’hai
fatto?
-Sì.
-E allora?
-Non lo so.
-Guardiamo!
-Ginny…
-Sei pronta?
-No. Neanche un
po’...
-Allora, corri.
Dai, sono curiosa!
Mi alzai e
presi l'oggetto che tanto mi spaventava. Non osavo guardarlo: avevo una
paura folle di leggerlo. -Tieni.
Quando Ginny lo
prese, lo osservò per bene e mi guardò -Altro che
influenza...
-E' una febbre
da cavallo, vero?- tolsi il termometro, ma non lo guardai.
Gli occhi di
Ginny mi avevano già dato una risposta e, benché
desiderassi con tutta me stessa essere madre, sentii il mondo
sgretolarsi sotto ai miei piedi e avrei voluto ricevere
tutt’altra risposta.
Avrei voluto
non saper interpretare le parole che le persone non dicevano e che
esprimevano con gli occhi. –Tanti auguri, Hermione.
Sentii di nuovo
gli occhi chiudersi e, di nuovo, i rumori diventare lontani ed ovattati.
Poi, di nuovo
il nero.
Spoiler capitolo 35:
-Sono stata in ospedale a fare qualche visita.
-Non hai bisogno di visite: sei sana come un pesce.
-Sono incinta.
-Sapevo che eri tu ad avere un problema.
-Non è tuo figlio.
- Che cazzo stai dicendo?- mi chiese con gli occhi ridotti a due
fessure.
Sapevo che dovevo dirgli la verità sul fatto che non fosse
lui il padre del bambino che portavo in grembo, ma d'altra parte,
volevo proteggere Draco dalla rabbia di mio marito.
La porta del bagno si aprì e Ginny tornò in
camera, saltando come avrebbe fatto una bambina- Quando lo dirai a
Draco...- disse, zittendosi immediatamente. Vidi i suoi occhi riempirsi
di terrore e mi guardò come se avesse capito che di
lì a poco avrei anche rischiato la mia gravidanza. -...
quando dirai a Draco di aver incontrato il dottore che ha curato tuo
padre.
-Va via.- le ordinò Henri.
***
Angolo
Autrice:
Scusatemi,
davvero.
L'immenso
ritardo è una delle cose che io non sopporto eppure, ho
ritardato anche io.
Purtroppo, il
mio periodo nero non accenna a finire e, in più, non ho
potuto sfogare la mia rabbia scrivendo, poichè anche il
computer è andato a farsi benedire.
E' tornato da
me dopo due settimane e mezzo e mi è mancato infinitamente,
proprio come voi.
Credetemi,
senza il vostro sostegno è stato davvero difficile passare
le giornate senza pensare solo alle cose brutte.
Bene, la smetto
di annoiarvi con i miei problemi e vi lascio ai personaggi.
-Hermione: beh, si
è decisa finalmente, ma a quanto pare, qualcuno la sta
facendo ricredere;
-Ginny: io la voglio
nella mia vita perchè è un'amica spettacolare,
non trovate?;
-Meredith: non
è quello che credete, poi verrà spiegato in
seguito, ma non lasciatevi influenzare da ciò che avete
letto;
-Draco: non
è stato protagonista, ma ci sarà sempre xD.
Ringrazio le 104
seguite, le 50
preferite e le 11
ricordate!
Inoltre,
ringrazio i lettori silenziosi e spero che, prima o poi, troviate il
coraggio di farmi leggere cosa ne pensate.
A presto, la
vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 35 *** Nascondersi dietro un dito... ***
Capitolo 35: Nascondersi dietro un dito...
Hermione
POV
Non avevo
chiuso
occhio e, ormai a conoscenza di quale fosse la causa dei miei malori,
la nausea
sembrava minore rispetto alle altre volte.
Il mal di testa,
invece, era diventato insopportabile, semplicemente perché
avevo passato tutta
la notte a pensare a come avrebbe reagito Henri.
Perché
gliel’avrei detto e gli avrei detto la verità.
Mi spaventava il
fatto che potesse di nuovo mettermi le mani addosso o, conoscendolo
bene, avevo
il terrore che potesse prendermi a calci nella pancia pur di non subire
quell’affronto.
Il problema,
però, sarebbe stato dirlo o non dirlo a Draco.
Una parte di me
aveva una gran voglia di dirglielo per essere felice insieme a lui e
poter
cominciare quella vita che da sempre sognavo.
L’altra parte di
me, invece, voleva nasconderglielo per impedirgli di complicarsi ancora
la vita
e perché avevo paura di una sua reazione. Più di
tutto, c’era la paura che lui
potesse non accettare questo bambino.
In ogni modo,
qualsiasi sarebbe stata la mia decisione, gli avrei fatto un torto e
gli avrei
creato delle complicazioni: se Draco l’avesse saputo e avesse
accettato,
avrebbe dovuto spiegarlo a Cloe e soprattutto a Natan.
Quanto
sarebbe
stato difficile per lui spiegare a suo figlio che avrebbe avuto un
fratellino o
una sorellina da una donna che non era sua madre?
E Natan come avrebbe reagito?
Certo, mi aveva
chiesto di diventare la fidanzata di suo padre e aveva messo il muso
quando non
gli avevo risposto con un sì, però, chi poteva
assicurarmi che l’avrebbe presa
bene?
Se Draco, invece,
non avesse accettato, probabilmente, sarebbe stato come perderlo di
nuovo, come
sei anni prima.
Guardai l’orario
sul display del cellulare e decisi che avrei potuto rilassarmi, visto
che era
ancora presto.
Avevo preso
appuntamento in ospedale alle 11 ed erano appena le 9.
Mi sistemai sul
cuscino e sentii una fitta leggera colpirmi alla schiena e sorrisi,
nonostante
il dolore, perché ormai sapevo che la causa di quei dolori
momentanei sarebbe
diventata la gioia della mia vita.
Perché io volevo
tenerlo quel bambino. E, se fosse stato necessario, gli avrei fatto da
madre e
da padre.
Mi sentivo
euforica anche verso quella prospettiva e non mi spaventava affatto,
anche se
sapevo che sarebbe stato difficile.
In compenso,
avrei visto realizzarsi il mio più grande desiderio.
Fin da quando ero
bambina e giocavo con le bambole, sognavo di stringere tra le mani un
bebé
avvolto in un plaid morbido e colorato.
Infatti, trattavo
le bambole con una riverenza tale che mamma sorrideva a guardarmi
mentre
giocavo.
Per quanto tempo
avevo desiderato avere un figlio? Tantissimo e
“tantissimo” mi sembrava ancora
una parola inadatta per esprimere la profondità e
l’ardore con cui lo
desideravo.
Guardai fuori
dalla finestra e il sole mi rallegrò. Mi sembrò
di sentire il calore invadermi
la pelle e sorrisi.
Marzo era
cominciato da poco più di dieci giorni, ma aveva fatto il
suo ingresso
trionfale nel migliore dei modi: le giornate erano calde e soleggiate,
per
quanto potesse permettere il clima londinese.
O, forse, ero io
ad emanare tanto calore.
Sembrava strano
anche a me, ma mi sentivo più in forze di quanto in
realtà non fossi.
Sentivo mamma che
trafficava in corridoio e i suoi passi felpati mi rilassarono, eppure,
allo
stesso tempo, mi rabbuiai: cosa avrei detto a lei?
L’avrei delusa
ancora ed ero certa che sarebbe successo, perché
così le avevo sentito dire non
so a chi.
Quelle parole mi
avevano colpito più forte di un pugno allo stomaco e, a
dirla tutta, anche di
più.
Sarebbe stato
meglio essere picchiata da Henri perché, in quel caso, il
dolore sarebbe stato
solo fisico e sarebbe passato.
Le sue parole,
invece, si erano impresse nell’anima e bruciavano tanto, fino
a farmi mancare
il respiro.
Mi trovai a
boccheggiare, ripensando al tono che mamma aveva usato durante quella
telefonata.
La parola delusione mi vorticava
rumorosamente
nella mente e sembrava risuonarmi nelle orecchie, nella sua continua
eco.
Qualcuno, però,
decise di aiutarmi, infatti il cellulare prese a squillare e mi
allontanò dai
miei pensieri tristi.
Guardai il
display e per un po’ fissai il nome che si illuminava a tempo
con la suoneria.
Risposi. –Pronto?
-Sei pronta?
-Sono ancora a
letto, Ginny.
-E allora,
alzati, lavati, vestiti e abbracciami forte quando mi vedrai entrare in
camera
tua.
-Perché dovrei
abbracciarti?
-Perché sono la
tua migliore amica.- la sentii ridere e sorrisi anche io.
-D’accordo.
-Ci vediamo tra
poco.
Posai il telefono
e mi diressi in bagno, aprii la vasca e, poi, tornai in camera per
scegliere
cosa indossare.
Cosa si indossava
per andare da un ginecologo? Dovevo essere formale o no?
Guardai
l’armadio, sentendomi persa di fronte
all’indecisione che provavo, però mi
sforzai di trovare qualcosa di adatto e comodo, soprattutto.
Quello che sapevo
con assoluta certezza era che dovevo indossare l’intimo
bianco, però non volevo
sembrare troppo nonna.
Presi dal
cassetto uno slip bianco un po’ sgambato e il reggiseno dello
stesso colore.
Tornai in bagno e
chiusi il getto d’acqua, poi mi immersi nella vasca, versando
direttamente
sulla pelle il bagnoschiuma al talco.
Quando le
bollicine si posano sull’acqua mi sembrò di
tornare bambina e mi ricordai di
quanto mi divertisse soffiarle via, anche se non sempre ci riuscivo e
mi
ritrovavo spesso e volentieri con il fiato corto e le guance rosse per
la
fatica.
Tornai a soffiare
sulla schiuma e risi come non facevo da tempo e mi sentivo felice.
Comunque, dopo
quasi mezz’ora, decisi che avevo passato abbastanza tempo
nell’acqua e, quindi,
mi alzai e mi avvolsi nell’accappatoio.
Frizionai con
delicatezza la spugna sulla pelle e poi indossai l’intimo.
Mi guardai allo
specchio e portai istintivamente le mani al grembo: mi sentivo
già in dovere di
difendere quella gioia che, forse, all’interno del ventre
ancora non si era
formata.
Però,
l’accarezzai e mi vidi più bella e il viso era
illuminato da una luce diversa
che sapeva di felicità che per poco ancora avrei dovuto
reprimere.
Tornai in camera
e sistemai i vestiti sul letto, per vedere l’effetto completo
che avrebbero
fatto e decretai che poteva andar bene: un paio di jeans e degli
stivali bassi
erano abbastanza comodi e non troppo eleganti, né tanto meno
sportivi.
Mi vestii
lentamente, muovendomi con attenzione e mi sentii paranoica al limite.
Forse,
continuando così, sarei diventata ossessiva e petulante e un
po’ mi spaventò l’idea
di poter diventare così, prima ancora di dare alla luce mio
figlio.
Quando finii di
vestirmi, aprii la finestra e sistemai il letto.
Mi resi conto di
non aver mai dedicato tante attenzioni alla mia casa in Francia e
sapevo
perfettamente il perché: non la sentivo mio e per questo non
m’importava di
farla apparire bella e pulita.
In una casa che
avevo sentito mia per davvero c’ero stata durante un San
Valentino di tanti
anni prima e durante l’estate dello stesso anno.
Mi piaceva pulire
e spostare gli oggetti per rendere la casa accogliente e calorosa.
Ero una
ragazzina, certo, eppure mi sentivo già matura e pronta ad
affrontare una vita
da donna sposata. Con Draco, però… con Henri era
sempre stato diverso.
Sentii il
campanello suonare e poco dopo mamma che salutava allegramente Ginny e
le disse
che ero ancora in camera mia a dormire.
Ovviamente,
indaffarata con le faccende di casa non aveva sentito che mi ero
svegliata e,
oltretutto, non le avevo ancora dato il buongiorno.
Sentii i passi di
Ginny salire le scale e, dato che erano pesanti, capii che stava
correndo, poi
si aprii la porta della mia camera. –Chiudi gli occhi.
-Ma dai, Ginny…
-Chiudi gli
occhi, ho detto.
-D’accordo.
Sentii il rumore
di una busta di cartone che veniva poggiata sulla scrivania di legno e
cercai
di sbirciare, ma quando aprii gli occhi, mi trovai di fronte la faccia
imbronciata della mia migliore amica. –Ti avevo detto di
chiudere gli occhi.
-Ma voglio
vedere, dai. Sono curiosa.
-Mh.- sembrò
pensarci su per un po’, poi mi sorrise.
–D’accordo.
Quando si spostò
di lato, rispetto alla sedia su cui ero seduta, vidi una busta
marroncina su
cui faceva bella mostra di sé il nome del negozio.
Harrods era uno
dei miei negozi preferiti e ci avevo passato ore a sbavare sulle borse
esposte
sulle mensole.
Quanti progetti
che avevo per il mio futuro in quegli anni.
Quei tempi mi
sembravano così lontani e a ripensare a quanto ero ingenua,
mi sentivo tutt’ora
stupida.
Allungai le mani
verso la busta e la aprii, timorosa e felice al contempo.
Ne estrassi un
pacchetto quadrato avvolto da una carta
regalo su cui c’erano disegnati tanti animaletti.
Guardai Ginny e
vidi i suoi occhi fissi sulla scatola che avevo tra le mani, quindi, mi
sbrigai
a strappare la busta e a conservarne un pezzo nel cassetto della
scrivania.
Era un rito che
io e la mia migliore amica facevamo sin da quando eravamo bambine e
sorrisi
quando aprii il contenitore metallico in cui tenevo tutti i pezzi di
carta da
regalo.
Aprii lentamente
il coperchio della scatola e spiegai il contenuto.
Sentii gli occhi
riempirsi di lacrime e la gola stringere da un groppo che mi sembrava
troppo
grande per essere ignorato.
La felpa
era
bellissima: sul davanti, c’era disegnato un leoncino con del
cotone giallo e su
di esso, la scritta Jungle cucita di grigio e giallo.
Anche il colore
della felpa mi sembrò abbastanza adatto nel caso che fosse
stato un maschio o
una femmina, ma quello che mi colpì maggiormente furono le
orecchiette
dell’animale cucite sul cappuccio della felpa.
Forse, stavo
davvero correndo con la fantasia, ma immaginai un bimbo biondo e con
gli occhi
castani che indossava quella felpa e il suo visino dolce mi
impedì di
trattenere le lacrime.
Sentivo scorrerle
sul viso e fermarsi sul mento… e mi sentii felice e completa
perché per la
prima volta, in tutta la mia vita, stavo piangendo di gioia e no avrei
mai
voluto smettere di farlo.
Ginny mi
abbracciò e mi diede di nuovo gli auguri. Nei suoi occhi
vedevo le lacrime che
aveva trattenuto e, ancora una volta, non riuscii a trattenermi dal
provare
tanta felicità e dimostrarla alla persona che mi era sempre
stata accanto, nel
bene e nel male e nonostante la distanza.
Ricambiai
calorosamente il suo abbraccio e, quando mi staccai, controllai allo
specchio
che aspetto avessi dopo aver pianto.
Di certo, non
volevo che il mio ginecolo mi vedesse come una donna sciatta che si
trascura
pur essendo nella dolce attesa dell’unica cosa che davvero
fosse meravigliosa
in questa vita.
Spalmai un po’ di
correttore sotto gli occhi e mi avviai insieme a Ginny verso la porta
di casa.
Salutai mamma con
un bacio sulla guancia e la strinsi forte a me, come non facevo da
molto tempo.
Forse, l’ultima
volta che l’avevo abbracciata era stato durante il giorno in
cui ero stata in
ospedale o, forse, dopo l’arrivo di Daphne e Seamus.
Salii in auto e
Ginny mise in moto, in direzione dell’ospedale.
§
L’attesa
fu
snervante.
Le ore sembrarono
interminabili e il ticchettare delle lancette dell’orologio
di metallo
nell’enorme sala d’attesa mi snervò
ancora di più.
Quando finalmente
una bella ragazza
di colore annunciò che era arrivato il mio turno mi alzai
dalla sedia e mi feci accompagnare da lei all’interno dello
studio.
Molto
gentilmente, la ragazza avvisò al ginecologo il cognome
della prossima paziente
e allora mi fece segno con la mano di entrare e mi sorrise.
Chiesi se Ginny
potessi tenermi compagnia e il suo sorriso divenne ancora
più luminoso. –E’ la
prima gravidanza, vero?
-Sì.
-Prego.- disse
anche a Ginny, indicandole allo stesso modo di entrare nello studio.
-Grazie, Angelina.-
disse il dottore.
-Prego.
Il dottore era
seduto dietro alla scrivania ed era intento a scrivere su dei fogli di
carta
con una scrittura strana.
Quando si decise
ad alzare lo sguardo, ci sorrise con aria formale e ci disse di
accomodarci.
Era molto giovane
o, forse, appariva più giovane di quanto in
realtà non fosse.
-Salve, signora?
-Granger.- Ginny
mi guardò, strabuzzando gli occhi e le rivolsi uno sguardo
supplice.
-Quanti anni ha,
signora Granger?
-Venticinque.
-E’ la prima
gravidanza?
-Sì.
-Sa da quanto
tempo è in attesa?
-Non esattamente.
-Prego, allora.
Si accomodi sul lettino.
Mi precedette e
stese sul lettino uno strato di un materiale che mi sembrava fatto di
tovaglioli da cucina. –Grazie.- dissi, stendendomi.
-Si alzi la
maglietta, signora. E sbottoni anche un po’ i pantaloni.
Sbuffai quasi senza
farmi sentire e mi benedissi per la brillante idea di depilarmi.
-Posso
avvicinarmi?- chiese Ginny.
-Prego.
-Grazie.
Non appena Ginny
mi fu vicina le strinsi la mano ed intrecciai le mie dita con le sue,
poi mi
concentrai sui movimenti del dottore.
Trattenni il
fiato non appena il dottore mi appoggiò sulla pancia un gel
davvero freddo e,
poi, con il tester dell’ecografia lo spalmò.
–Guardi lo schermo, signora.
Non riuscivo
davvero a distinguere nulla: era tutto grigio e nero, ma d’un
tratto sentii un
rumore strano che non riconobbi.
Eppure, non
appena quel suono riempii la stanza, i miei occhi si riempirono di
lacrime.
Cercai di
trattenermi e guardai Ginny, mentre guardava lo schermo con aria
sognante e
totalmente rapita.
Non potevo
crederci. Non riuscivo a credere che fonte di tanta gioia potesse
essere un
puntino nel mio ventre.
-Questo è il
battito del suo bambino, signora Granger.
Allora capii che
per essere mamma si deve amare il proprio bambino prima ancora che
nasca e
saper riconoscere tutto ciò che gli apparteneva pur non
sapendo di cosa si
trattasse.
Il dottore
allontanò il tester dalla pancia e mi sorrise, poi, mi porse
le immagini
dell’ecografia.
Mi asciugai il
gel con un tovagliolo di dimensioni sproporzionate e mi sistemai la
maglia.
Tornai a sedermi
sulla sedia di fronte alla scrivania. –Dottore...- riuscii a
dire con un filo
di voce.
-Il feto è in
ottime condizioni, signora. E’ alla quarta settimana di
gravidanza e non ci
sono complicazioni. Come ha potuto sentire, il battito del suo bambino
è
perfetto.
-E’ presto per
sapere se è maschio e femmina?- chiese Ginny con
l’aria di una bambina che sta
per ricevere il più bel regalo di Natale.
-Sì, è presto. Il
feto, comunque, deve essere tenuto sotto controllo, dato che
è ancora in fase
di formazione, quindi, mi farebbe piacere visitarla ogni quindici-
venti
giorni.
-Perfetto,
dottore. Scusi, per il pagamento…
-Non ci sono
problemi, signora Granger. Il pagamento, solitamente, lo riscuoto a
fine
operato, dopo il parto.
-Grazie, dottor
Paciock.-
gli strinsi la mano e lo stesso fece Ginny, poi, insieme, uscimmo
dall’ufficio del ginecologo.
Mi ritrovai per i
corridoi che quasi saltellavo dalla contentezza e vedevo il mondo come
non
l’avevo mai visto: mi sembrava davvero di essere circondata
da arcobaleni e
nuvole rosa.
Quando tornammo
in auto, però, la tristezza mi invase e allora fissai
l’asfalto che scivolava
sotto i pneumatici lisci. –Cosa c’è?- mi
chiese Ginny.
-Devo dirlo ad
Henri.
-Già…
Il viaggio
proseguì in silenzio ed era quello che mi aveva spaventato
più di tutto prima
del ritorno a casa.
Anche lì, mentre
tutto scorreva, il tempo mi sembrava durasse troppo ed avevo voglia di
allontanare di chilometri il momento in cui avrei detto la
verità a mio marito.
Mi accorsi che
Ginny aveva parcheggiato l’auto solo quando il panorama
davanti ai miei occhi
non cambiava e rimaneva sempre stabile. –Siamo a casa, Herm.
-Me ne sono
accorta.
-Non voglio
vederti così…
-Ho paura.
-Ti sarò vicina,
te lo prometto.
-Sì.- scesi
dall’auto e mi sembrò di poter svenire da un
momento all’altro quando vidi
l’auto di Henri ferma già poco lontana da casa.
Salii gli scalini
e respirai profondamente, quasi a trattenere quanta più aria
possibile per
poterla cacciare fuori nel momento in cui non ce l’avrei
più fatta a trattenere
le urla.
Aprii la porta e
vidi Henri seduto sul divano. –Buonasera.- mi disse,
guardando di striscio
Ginny.
-Vado di sopra.
-D’accordo.
Se avessi avuto
le ali sotto ai piedi, probabilmente, sarei stata meno veloce.
Mi rinchiusi in
fretta la porta alle spalle e vidi Ginny mentre si sistemava sul letto,
incrociando le gambe. –Tua madre non c’è.
-No.- ma il
pensiero era altrove. Molto lontano dal fatto che mia mamma fosse in
casa o
meno.
-Vado in bagno.
-Ok.
Mi scostai dalla
porta e mi sedetti alla scrivania, riaprendo la busta in cui
c’era il regalo
che Ginny aveva fatto al mio bambino.
Sentii dei passi
su per le scale e chiusi gli occhi per evitare di piangere.
Mi sembrava
impossibile che tanta gioia potesse passare in secondo piano quando si
provava
tanta paura verso il compagno di una vita.
La porta della
camera si aprì e mio marito entrò, senza chiedere
il permesso ovviamente.
-Sono qui da più
di un’ora.
-Sono
stata in ospedale a fare qualche visita.
-Non hai bisogno di visite: sei sana come un pesce.
-Sono incinta.
-Sapevo che eri tu ad avere un problema.
-Non è tuo figlio.
- Che cazzo stai dicendo?- mi chiese con gli occhi ridotti a due
fessure.
Sapevo che dovevo dirgli la verità sul fatto che non fosse
lui il padre del
bambino che portavo in grembo, ma d'altra parte, volevo proteggere
Draco dalla
rabbia di mio marito.
La porta del bagno si aprì e Ginny tornò in
camera, saltando come avrebbe fatto
una bambina- Quando lo dirai a Draco...- disse, zittendosi
immediatamente. Vidi
i suoi occhi riempirsi di terrore e mi guardò come se avesse
capito che di lì a
poco avrei anche rischiato la mia gravidanza. -... quando dirai a Draco
di aver
incontrato il dottore che ha curato tuo padre…
-Va via.- le ordinò Henri.
-Mi dispiace, ma
non ho alcuna intenzione di farlo.
-Ti ho detto di
andare via.
-Ed io ti ho
detto che non me ne andrò.
-Va via.
-Senti, pezzo di
merda francesino del cazzo, non osare toccare Hermione neanche con il
pensiero
perché, prima, ti spezzo le ossa uno alla volta e, secondo,
ti stritolo le
palle e non potrai neanche difenderti.
-Credi di
spaventarmi?
-E tu credi che
io sia debole come lei?- disse, indicandomi con un movimento del mento
sottile
e chiarissimo.
-Sei una puttana,
Hermione Granger. Ma sai una cosa? Non ho voglia di parlare con
te… andrò a parlare con
il padre di tuo figlio. Draco.-
uscì da camera mia mentre ancora
minacciava quelle parole e allora portai le mani alla pancia,
perché mi sentii
quasi strappare qualcosa dall’interno e la vista mi si
annebbiò totalmente.
Prima di perdere
i sensi, però, vidi Ginny seguire Henri per le scale.
§
Quando riaprii
gli occhi, riuscivo a guardare la stanza da tutt’altra
prospettiva rispetto a
come avrei dovuto guardarla svenendo: infatti, il soffitto era
esattamente
sopra la mia testa, e la scrivania di fronte al letto.
Chi mi aveva
messa a letto?
Ero sola e le
coperte mi arrivavano fino al collo, segno che qualcuno le aveva
rimboccate e
sorrisi ripensando a quante volte mamma mi aveva coccolata con quel
gesto anche
quando ero adolescente e tante attenzioni mi infastidivano.
Girai la testa,
per guardarmi un po’ intorno e notai che sul comodino
c’era un bicchiere
d’acqua e ringrazia mentalmente chiunque avesse avuto tanta
premura di me, poi
mi sporsi per berne un lungo sorso.
Sentii la gola
che si rinfrescava e mi sentii immediatamente meglio.
Poi,
però, la mia
mente tornò alla scenata di Henri e allora mi fiondai
giù dal letto e aprii di
fretta la borsa, rovesciando tutto il contenuto sulla scrivania.
Presi il
cellulare e digitai il numero di Ginny.
Uno, due, tre
squilli ma lei non rispondeva e allora mi sembrò che
l’ansia stesse cominciando
a sovrastarmi e cominciai a respirare a fatica.
La porta della
stanza si aprì con uno scatto violento e sospirai di
sollievo quando vidi la
testa rossa della mia migliore amica fare capolino e corrermi incontro
per
stringermi. –Cos’è successo, Ginny?- le
chiesi, avendo paura della risposta.
-Niente di
importante, Herm. Stai tranquilla.
-E’
andato da
Draco?- conclusi con un sospiro forzato.
-No, Herm.
Harry
lo ha fermato.
-Davvero?-
sbarrai gli occhi, ma mi trattenni dall’esultare:
probabilmente, Ginny mi stava
mentendo per non farmi preoccupare.
-Sì.
Cioè… Henri
è riuscito a dare più di un pugno al biondo, ma
Harry lo ha arrestato per
violenza su un pubblico ufficiale.
Mi sentivo
sollevata da quell’affermazione e felice che Draco ne fosse
uscito quasi
illeso, però, la mia preoccupazione stava nel fatto di
sapere se Henri gli
avesse detto o meno qualcosa. –Cosa gli ha detto?
-Niente, Herm.
All’inizio, gli ha dato solo addosso, poi ha usato epiteti
poco casti che la
mia nipotina non deve sentire- posò le mani sul pancione,
come se stesse
coprendo davvero un paio di orecchie.
Sorrisi. -Non
sappiamo ancora se è femmina…
-Beh, io
voglio che
lo sia.
-D’accordo,
allora, se sarà una femmina, le farai da madrina di
battesimo.
-Dici davvero?
-Sì,
però ci
penseremo a tempo debito. Ora, dimmi Henri cosa ha detto a Draco.
-Nulla, ma
Harry
adesso, credo almeno, che lo stia interrogando per capire
perché ha picchiato
Draco.
-Possiamo
andare
al distretto?
-No, devi
restare
a letto.
Qualcuno
suonò
alla porta e guardai Ginny con aria interrogativa, visto che a
quell’ora, mamma
doveva essere ancora a lavoro. –Chi c’è
oltre a te?
-Tua madre.
L’ho
chiamata e le ho detto di tornare prima perché avevi avuto
un malore.
-Oddio, Ginny.
-Shh. Meredith,
prego, entra.
-Ragazze, vi ho
portato un po’ di tè.
-Grazie mamma.
-Come ti senti,
tesoro?
-Bene.
E’ stato
un piccolo capogiro.
Mamma si
appoggiò
alla scrivania e mi guardò, come se avesse voluto studiarmi.
I suoi occhi
vagano sul mio corpo, soffermandosi di tanto in tanto su dei punti che
mi
sembravano potessero tradire il mio stato.
Le sorrisi, per
rassicurarla e lei ricambiò. –Mi nascondi qualcosa?
-No, mamma,
affatto.
-Io credo il
contrario.- in quel momento, mi ricordai di cosa avevo pensato quella
mattina,
durante la visita ginecologica. Una madre sa quando si tratta del
proprio
figlio, pur non conoscendolo ancora e, dopo averlo dato alla luce, sa
quand’è
che il proprio figlio mente, se sta male o bene. –Ma, lascio
correre questa
volta. In fondo, Ginny mi ha appena dato una bellissima notizia.
Sbiancai e mi
ammutolì all’istante. Dopo qualche secondo,
però, mi forzai a parlare-
Davvero?- chiesi con una risata abbastanza isterica.
-Sì.
E dovresti
esserne contenta anche tu.
-Oh, lo sono.-
non riuscivo a crederci che Ginny le avesse detto della gravidanza.
-Finalmente,
quel
verme ha avuto ciò che merita.
Avrei voluto
saltare e urlare dal sollievo, ma mi trattenni e continuai a sorridere,
cercando di togliermi dalla faccia quell’aria da ebete.
–Sì…
Spoiler capitolo
36:
–Non
ha avuto nessun
significato: è stato solo sesso, in
onore dei vecchi tempi.
-Allora,
perché piangi?-
mi strinse a sé. Sentivo il suo profumo e cercai di
trattenere le lacrime: avrei
perso ancora? –Resta.
-Non posso.
-E’
vero, non puoi…-
dissi, con un filo di voce, quasi a volere che quella che quella
richiesta sussurrata
potesse essere accettata e taciuta con le sue labbra.
***
Angolo
Autrice:
saaalve gente!
Sono tornata.
il capitolo
è più lungo del solito per farmi perdonare
dell'immenso ritardo!
E spero che vi
sia piaciuto ^^
Ci voleva che
capitassero delle cose belle ad Hermione, no?
Inoltre, voelvo
scusarmi con chiunque avesse dei figli, dato che credo di non aver
descritto al meglio le sensazioni che si possono provare.
Non essendo
mamma, ho solo provate ad immaginarle xD
A parte questo,
spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e mi dispiace che lo
scorso abbia ricevuto solo 3 recensioni.
Ma dove siete
finite? :(
Ok, passiamo ai
personaggi:
-Hermione: ora la amo
davvero! Dal momento in cui ha detto ad Henri del bambino, ho
cominciato a costruirle una piccola statuina d'oro;
-Ginny: non ha detto
nulla a Meredith e sono davvero davvero contenta che abbia risposto per
le rime al nostro caro e adorato e taaanto amato francesino;
-Meredith:
è a dir poco fantastica e, in fondo, sospetta qualcosina a
proposito di sua figlia;
-Henri: finalmente
ha avuto ciò che meritava e molte di voi saranno contente (
o almeno spero).
-Lo spoiler:
cosa ne pensate?
Va
bene, a parte questo, non ho altro da dire. Mi ritiro nelle mie stanze.
Ringrazio le 108
seguite, le 54
preferite e le 11
ricordate.
Grazie davvero
infinite anche ai lettori silenziosi e a chi passa un attimo del suo
tempo a visitare la mia pagina.
Alla prossima,
la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 36 *** Come Amleto ***
Capitolo 36: Come Amleto...
Draco POV
Ricevere una
scazzottata senza conoscerne il motivo non è mai stato il
massimo a cui io
abbia aspirato scegliendo questo mestiere.
Né, tanto meno,
se a scazzottarmi era l’uomo che più odiavo al
mondo e che continuava a
ripetermi “pezzo di merda”,
“bastardo”, “stronzo”.
Forse, erano
presenti solo quei vocaboli nel suo repertorio e poi –Da che
pulpito…- conclusi
a voce alta, quindi Harry si voltò nella mia direzione.
-Cosa?
-Pensavo, Potter.
-Ah, capisco.
Secondo te, perché lo ha fatto?
-Non ne ho idea.
-Credi che abbia
saputo di te e…
Non concluse la
frase e lasciò che il silenzio riempisse la stanza ed io lo
imitai. Poi
sospirai. –Ne dubito: Hermione ora è codarda e non
avrebbe mai avuto il
coraggio di lasciarlo e dirgli la verità.
-In effetti.
-Da quant’è che
non la vedi?
-Da un po’.
Mi alzai dalla
sedia e mi diressi alla porta, fermandomi sull’uscio.
–Vuoi un po’ di caffé?
-Macchiato,
Malfoy.
-Le femmine bevono
il caffé macchiato.
-E lo bevo anche
io.
-Allora sei
femmina.
-No, Malfoy, sono
un maschio.
-Metteresti mai
dei tacchi fucsia?
-No.
-Allora perché bevi
il caffé macchiato?
-Oooh, fanculo,
Malfoy. Non lo voglio più.
-D’accordo.-
chiusi la porta sorridendo e ripensai a quante volte erano state Ginny
e
Hermione a concludere questi teatrini o quante altre volte anche loro
avevano
cominciato ad avere dei dubbi esistenziali ed entravano animatamente
nel
discorso, portando, ovviamente, la ragione dalla loro parte.
Arrivai alla
macchinetta del caffé, inserii la moneta e digitai il
caffé macchiato per
Potter.
Cosa diavolo ci
trovava di buono? Alla fine, era solo latte allungato con
chissà quale
porcheria, mica era latte vero?
Quando il
bicchiere fu pieno, inserii un’altra moneta e digitai il mio
caffè.
Sentii il rumore
delle pesanti porte di ferro chiudersi e alzai il capo, così
vidi Hermione
che
avanzava a passi svelti verso il corridoio e, poco dietro di lei, vidi
Ginny
che si dirigeva nell’ufficio del fidanzato.
Eh
no, cazzo! Gli ho fatto anche il caffè
macchiato!
Presi il
bicchiere dalla macchinetta e allungai il passo per impedire alla rossa
di
arrivare prima di me. Però, quando vidi le due ferme davanti
all’ascensore che
discutevano fitte fitte, mi incuriosii e mi avvicinai.
–Buongiorno.
Hermione spalancò
gli occhi, come se avesse ricevuto un pugno in pieno stomaco e ci volle
un bel po’
prima che potesse riprendersi. –Ciao.- dissero, infine,
all’unisono.
-Come state?-
parlavo al plurale, ma riuscivo a togliere gli da lei.
Mi sembrava
diversa: gli occhi sembravano felici e più luminosi, il
sorriso era sincero e,
a parte questo, sembrava che brillasse di luce propria, come se sulla
sua pelle
ci fossero state tante piccole schegge di diamante.
-Bene.- rispose
infine.
Qualcosa in lei,
però, mi sembrava fin troppo familiare.
Continuai ad
osservarla, studiando ogni movimento del suo viso. –Sei
preoccupata?- in fondo
agli occhi, ben nascosta dalla felicità che provava in quel
momento, c’era una
specie di lotta interna.
-Un po’, a dire
la verità. E’ tanto che non sono in ufficio.
-Oh… certo. Io
stavo parlando con Harry, gli dovevo portare il caffè. Ci
vediamo.
-Draco?
-Sì.- mi voltai a
guardare la rossa.
-Puoi dire a
Harry che lo raggiungo dopo.
-Sì.
-Grazie.
-Prego.- e tornai
al mio ufficio.
Potter si era
comodamente seduto sulla mia sedia e stava allegramente giocando con il
mio computer.
Non potevo fare
niente: a suo parere, mi aveva salvato la vita da un mostro terribile e
con una
forza distruttiva altamente superiore alla mia e, per questo, gli era
dovuto
fare tutto ciò che voleva nel mio ufficio.
Eroe
del cazzo!
E poi, quel
mostro terribile da cui diceva di avermi salvato era riuscito a darmi
più di un
pugno semplicemente perché io ero rimasto seduto.
Contava qualcosa,
no?
-Finalmente!-
esordì, sistemandosi gli occhiali sul naso.
-Non hai mai
pensato di usare le lentine?
-Gli occhiali mi
rendono sexy.
-No, ti rendono
sfigato.
-Non credo.- e
simulò un sorriso ammiccante che mi fece capovolgere lo
stomaco.
-Ti prego.- feci
segno con la mano che finisse. –Almeno, cambia montatura.
-Ma mi ci sono
affezionato.
-Oddio, Potter,
sei irrecuperabile. A proposito, ho incontrato Ginny.
-Davvero?
-Non sapevi che
venisse qui?
-No.
-Comunque, ha
detto che verrà dopo da te.
-Le hai detto che
l’avrei aspettata con ansia?
-No, Potter. E
ora fuori dai coglioni.
-Ti ho salvato la
vita e potrei rimettere fuori il tuo acerrimo nemico.
-Oh, che paura!
Devo lavorare.
-D’accordo. Alla
prossima.- uscì dall’ufficio e mi rilassai sulla
mia poltrona girevole.
Il caffè ormai
era freddo e faceva più schifo del solito, quindi gettai il
bicchiere nel
cestino di plastica che avevo sotto alla scrivania.
Mi ritrovai a
fissare la porta e a pensare cosa potesse essere quell’ombra
negli occhi di
Hermione.
Paura o
incertezza?
Era felice per
aver lasciato Henri e perché era finito in galera o quella
felicità era dovuta
al fatto che già aveva trovato modo per rimetterlo fuori?
Mi sentii un po’ come
Amleto: al posto della penna che stringevo tra le mani, immaginai un
teschio e
fissavo in quel punto come se aspettavo una qualche risposta.
Decisi che
sarebbe stato meglio distrarmi, per evitare di correre nel suo ufficio
e chiederle
spiegazioni su tante cose a cui risposte per quanto riguarda i miei
sentimenti
ne avevo già trovate.
Presi il
cellulare e chiamai Cloe. –Pronto?- rispose.
-Ciao… come stai?
-Bene, tu?
-Bene. Natan?
-Sta giocando con
Theo.
-Puoi passarmelo?
-Certo. Natan, c’è
papà al telefono.
-Papà, papà- lo
sentivo urlare prima di prendere il cellulare tra le mani.
–Papà, ciao.
-Hey, campione.
Ti stai divertendo, vero?
-Sì, Theo mi sta
insegnato a giocare a basket.
-Wow.- mi sentii
invidioso verso quell’uomo perché, a causa del mio
lavoro, non avevo mai avuto
tanto tempo da trascorrere con mio figlio e, quando ne avevo avuto, lui
era
piccolo e ancora non sapeva camminare.
D’altro canto,
poi, avevo messo in chiaro il rapporto che avrebbe dovuto esserci tra
Theo e
mio figlio: gli avevo detto che, qualunque fosse la situazione tra me e
Cloe,
Natan sarebbe sempre stato mio figlio e lui non avrebbe dovuto fargli
da secondo
padre e lui aveva accettato di buon grado.
-Lo sai che sto
vincendo?
-Non ne avevo il
minimo dubbio. Qualche volta, insegnerai anche a me a giocare.
-Perderai di
sicuro contro di me: sono davvero forte.
-Ah, ma davvero?
-Sì, sì. Papà?-
bisbigliò nella cornetta.
-Perché parli
così?
-Perché devo
chiederti una cosa.
-D’accordo.
-Hai visto
Hermione?
-Il tempo di un
saluto, perché?
-Dopo la vedrai?
-Non lo so,
Natan.
-Allora, dille di
pensare a quello che le ho detto.
-Cosa le hai
detto, piccola peste?
-Ora devo andare,
ciao papà.- e staccò la telefonata.
Ero rimasto con
il cellulare all’orecchio, come un cretino.
L’Amleto che c’era in me tornò a
studiare il suo teschio e cominciò ad interrogarlo su cosa
mio figlio avesse
potuto dire ad Hermione, ma non riuscivo a trovare nessuna richiesta
che Natan
avesse potuto farle.
Forse, le aveva
chiesto di andare a prendere un gelato insieme… al massimo,
avrebbe potuto
chiedere di guardare un cartone insieme.
In fondo, Natan
era ancora un bambino.
Io non lo ero
più, da tanto tempo, ma in quel momento non riuscii a
frenare la curiosità e mi
fiondai alla porta.
Premetti il
pulsante per chiamare l’ascensore, ma il numero rosso sul
piccolo display mi
suggeriva che avrei dovuto aspettare un bel po’.
Se avessi preso
le scale, avrei fatto prima, però, magari, sarei entrato
nell’ufficio di
qualcun altro perché non ero sicuro che le scale sbucassero
nel corridoio dove
lavorava Hermione.
Le porte dell’ascensore
si aprirono e per poco non mi scontrai con Ginny. –Oggi sei
una maledizione,
Malfoy.
-Pure tu,
Weasley.
-Come mai ai
piani alti?
-Devo parlare con
Hermione, quindi…
-Oh, prego.- mi
fece segno con la mano di entrare in ascensore, mentre lei si
affiancava alla
porta per uscire. –In bocca al lupo.
Quando la rossa
fu fuori dall’ascensore, premetti il pulsante e le porte si
richiusero con il
solito rumorino fastidioso.
Chi aveva
inventato il plin?
L’attesa, mentre
l’ascensore saliva, mi sembrò eterna,
perché non sapevo cosa in realtà avrei
voluto dirle e un po’, un po’ tanto in
verità, mi spaventava cosa lei avrebbe
potuto rispondermi.
Il plin riempì di nuovo
l’abitacolo
metallico e le porte si aprirono.
Uscii e respirai
a pieni polmoni, per cercare di avere almeno l’aspetto di una
persona sicura il
che, mi risultò al quanto strano da pensare: ero un
commissario e dovevo per
forza avere l’aria sicura e autoritaria, ma con Hermione non
sapevo se fossi
riuscito a mantenere questa facciata.
La porta del suo
ufficio era chiusa e la luce della porta-finestra arrivava fino alle
piccole
veneziane di plastica sistemate alla porta.
Bussai deciso, perché
se ci avessi pensato ancora un attimo sarei tornato indietro e i dubbi mi avrebbero
consumato a poco a
poco.
Poi, sarebbe
entrato in gioco l’orgoglio che, non so come, ancora doveva
fare capolino per
fermarmi. –Avanti.- sentii dire e presi un altro respiro
profondo.
Cazzo! Aprii la porta ed
entrai, richiudendola in fretta alle mie
spalle. –Volevo parlarti.- le dissi, giocando con le
veneziane, chiudendole.
Non le mossi da
come le avevo messe, perché non sapevo usarle quel tubicino
di plastica dura e,
a dirla tutta, credevo anche di averlo rotto.
-Certo, del
dottore. Prego, siediti. Non ho nessun caso su cui lavorare…
Mi sedetti, come
mi aveva chiesto. -No.
-No?
-Allora, di
Henri? Mi dispiace tantissimo per ciò che ha fatto e sono
felice di come lo
abbiate sistemato, ma non ho intenzione di tirarlo fuor…
-No, non voglio
parlare di Henri.- ancora una volta, la vidi spalancare gli occhi e
ancora una
volta mi ritrovai ad essere Amleto che fissava il suo teschio.
Dirglielo o non
dirglielo?
Preporle di
essere ciò che eravamo prima che lei andasse via o lasciare
le cose come
stavano adesso?
-Di cosa allora?-
chiese, come se non le importasse affatto di quale fosse
l’argomento da
trattare.
-Di noi, della
festa di fidanzamento di Ginny e Harry e di quello che è
successo.
-Ho del lavoro da
sbrigare, Draco.
-Hai appena detto
di non avere alcun
caso.
-Il mio lavoro
non tratta solo casi.
-Sei un’ avvocato,
non puoi trattare altro che i casi che ti vengono presentati e solo se
tu
decidi di accettarli, quindi, non prendermi per il culo.
-Sei stato tu a
dire che dovevamo comportarci come due estranei.
-L’ho fatto perché
tu eri troppo presa a salvare il tuo matrimonio per vedere quanto mi
facesse
male la tua presenza qui.
-Stai dicendo che
ti dà fastidio che io sia tornata a Londra.
-Sto dicendo che
l’hai fatto di nuovo!- mi resi conto dal tono che avevo usato
che la stavo
accusando.
-Cosa?
-Sei entrata
nella mia vita, Granger.
-Scusami tanto!-
urlò. –Non avrei mai voluto conoscere Cloe e
scoprire che era tua moglie, né avrei
voluto essere invitata a cena a casa tua. Come credi che mi sia
sentita, eh,
quando tuo figlio si è seduto sulle tue gambe e ti ha
chiesto di giocare?
-Io…
-No, sta zitto.
Quella scena avrei dovuto viverla in prima persona… invece
sei andato via.
-Può sempre
cominciare quella vita per noi, lo sai. Non è tardi per
avere un figlio nostro,
Hermione e vivrai tutte le scene che vuoi in prima persona.
Portò una mano
sul ventre ed avevo visto i suoi occhi riempirsi di una nuova speranza,
ma
subito dopo aveva chinato il capo. -Non c’è nulla
più tra noi, Draco.- si era
alzata e si era sistemata di fronte alla porta-finestra, dandomi le
spalle.
-Dici? E cosa ne
pensi di quella notte?
–Non
ha avuto nessun significato: è stato solo sesso, in onore
dei vecchi tempi.
-Allora, perché piangi?- mi strinse a sé. Sentivo
il suo profumo e cercai di
trattenere le lacrime: avrei perso ancora? –Resta.
-Non posso.
-E’ vero, non puoi…- dissi, con un filo di voce,
quasi a volere che quella che
quella richiesta sussurrata potesse essere accettata e taciuta con le
sue labbra. -… non
puoi andare via…
La strinsi forte
e lasciai che si sfogasse per un po’.
Da quanto tempo
tratteneva quelle lacrime? Quante ne aveva già versate?
L’abbracciavo più
forte ad ogni singhiozzo. –Sono incinta, Draco.
Mi parve di
sentire quasi il crac di un cuore
che
si spezzava e dal vuoto che sentii nel petto capii che era il mio.
Era incinta e mi
avrebbe abbandonato così, senza dare altra
possibilità a quello che aveva tanto
decantato come l’amore della sua vita. –Tuo marito
non può avere figli…
-Lo so.
-E, oltre a lui,
sei stata con me…- la baciai, con tutta la rabbia che avevo
provato.
Però, si stava facendo strana anche un filo di speranza che
non tutto potesse
essere perso per sempre.
-Non è figlio
tuo.
Un altro crac e mi parve di provare
la sensazione
di cadere nel vuoto ad occhi chiusi, senza poter vedere quando la
caduta
sarebbe terminata né su quale terreno sarei caduto.
La allontanai e
la guardai negli occhi. –Chi è il padre?
Anche lei mi
guardò per un bel po’ di minuti, ma non rispose.
Le sue labbra
tremavano e i suoi occhi vagano per l’ufficio, ma
ciò che realmente mi sembrava
importante era sentire la sua voce e conoscere il nome di chi altri
l’aveva
amata. –Devo andare, Draco è tardi.- ed
uscì dal suo ufficio.
Rimasi lì, a
fissare un punto indefinito di fronte a me, sentendo che le lancette
dell’orologio
a parete scandivano il tempo più velocemente di come in
realtà stesse
trascorrendo per me.
Ancora una volta,
mi sentii come Amento: stavo morendo piano, troppo lentamente.
E il veleno nelle
vene faceva male, bruciava.
Spoiler
capitolo 37:
Sembrava di
essere di fronte ad una giuria in tribunale. Come imputato.
-Devi dirglielo.
-Gli
complicherei la vita.
-E' stato lui a
dirti che vuole ricominciare, no?
-Sì,
ma non si aspetta di certo questo.
-Il fatto che
tu sia incinta non cambia le cose.
-Senti,
Herm...- disse Luna, di punto in bianco. Era stata l'unica a non dire
ancora niente. -Non ti ho mai costretta a niente e, a dir la
verità, avrei evitato di fare tante cose che hanno fatto
Pansy e Ginny, ma su questo devo darti torto: devi dirglielo.- sentii
la porta aprirsi e decretai che doveva essere Pansy che stava
rientrando dal bagno. -Draco ha diritto di sapere e tu hai il dovere di
metterlo a conoscenza dei fatti. Questo
è
anche affar suo e deve sapere...
-Cosa dovrei
sapere?
Mi
voltai a guardare verso la porta e avrei voluto essere risucchiata
negli inferi.
***
Angolo
Autrice:
Eccomi tornataaa!
Ah, le cose si stanno complicando un pò per i nostri
piccioncini, ma, sinceramente, ho deciso di abbreviare un pò
i tempi!
Come avrete visto, il capitolo era un Draco POV: mi era mancato
tantissimo **
Passiamo ai personaggi:
-Draco: io
lo trovo meraviglioso e debole in questo capitolo, ma credo che sia
normale visto che ha divorziato con sua moglie, visto che non abita
più in casa con suo figlio e visto che l'unica donna che ama
continua a rifiutarlo;
-Hermione:
è tornata ad essere testona e stupida;
-Ginny: la
adoro sempre, perchè è meravigliosa;
-Harry: ma
lo immaginate con i tacchi fucsia? La parte in cui discute con Draco
sul caffé l'ho vissuta in prima persona, solo che la
scenetta si svolgeva tra il mio ragazzo e mio cugino xD;
-Lo spoiler:
cosa ne pensate? Vi dico solo che Hermione ne verrà fuori,
ma come? Fatemi sapere cosa ne pensate.
Ringrazio le 113
seguite, le 55
seguite, le 14
ricordate.
E, ovviamente, un grazie enorme va ai lettori silenziosi che fanno
salire le visite a cifre esorbitanti!
A presto, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 37 *** La verità... ***
Capitolo 37: La verità...
Hermione POV
Mi ero guardata
allo specchio prima di uscire e i tacchi delle scarpe mi erano sembrati
terribilmente alti per lo stato in cui ero.
Riuscivo ancora a
portarli bene, ma avevo
paura di poter
cadere.
Uscii di casa e
mi avviai all’auto.
Aprii la portiera
e mi sedetti sul sedile: mi sembrava scomodo e poco confortevole.
Cercai di trovare
la posizione ottimale, visto che la schiena mi faceva male in ogni modo
in cui
mi mettessi.
Avviai il motore
ed attesi per un po’ prima di partire, poi ingranai la prima
e premetti il
piede sull’acceleratore.
Mi sentivo felice
e distrutta allo stesso modo: avevo rifiutato di nuovo di poter essere
felice e
avevo allontanato da me la possibilità di poter vivere la
vita che volevo per
me e per mio figlio.
Avrei precluso
anche a lui la possibilità di vivere
tranquillamente… e mi sentii una mamma
deplorevole.
Come potevo far
del male a mio figlio prima ancora che nascesse? Eppure, lo stavo
facendo e mi
sentivo anche in dovere di farlo, per proteggerlo dal male che io,
insieme con
Draco e con la presenza ossessiva di Henri, gli avrei fatto.
Ed ero felice
perché sapevo che qualsiasi sarebbe stata la mia scelta, mio
figlio sarebbe
stato con me ed avrei potuto indirizzare a lui l’amore che
provavo verso suo
padre.
Perché continuavo
a respingerlo, però, nonostante i suoi tentativi di tornare
insieme, non
riuscivo a capirlo: avevo paura, certo e non poca, ma
cos’altro?
Non lo sapevo e
per trovare una risposta a tutte le mie domande avrei dovuto guardarmi
dentro a
lungo e non ne avevo né il tempo né la voglia.
Parcheggiai
l’auto e mi avviai al distretto camminando piano, sempre per
paura di poter
inciampare e cadere.
Quando aprii le
porte, mi ritrovai quasi a scontrarmi con qualche collega e salutai Cho
che,
come al solito, era dietro all’enorme bancone che
c’era nell’atrio.
Mi sorrise e mi
dedicò uno dei suoi sguardi più dolci e
compassionevoli.
Un po’ mi sentii
infastidita da tanta pietà, però era ovvio che mi
guardasse così dopo la
scenata che mio marito aveva fatto lì qualche giorno prima.
L’avrei
incontrato di sicuro, giusto per ricordargli per quale motivo
l’avevo lasciato
con il cuore prima ancora che con la mente e prima ancora che
tornassimo
insieme già sentivo di non essere sua moglie.
Avevo sbagliato a
tornare con lui ed ora ne stavo pagando le conseguenze.
Avevo fatto le
scale a piedi e mi ero rintanata nel mio ufficio, seduta sulla mia
sedia ed
avevo portato le gambe al petto.
Mi sentivo male:
la nausea imperversava nel mio stomaco e stavo facendo di tutto pur di
non
vomitare ancora, ma non riuscivo a capire se fosse solo quello il mio
problema.
Ovvero, sapevo
bene qual era il mio problema.
Bussarono alla
porta dell’ufficio, allora rimisi i piedi a terra e invitai
chiunque ci fosse
li dietro ad aprire la porta e ad entrare.
-Buongiorno,
Herm.
-Ciao, Ginny. Già
qui?
-Sì, ho un po’ di
cose da fare oggi e volevo sapere cosa è successo ieri.
-Nulla, Ginny.
-Ti ha chiesto
qualcosa?
-Sì.
-E tu?
-Gli ho detto che
non è figlio suo.
-Capito. Beh, ora
devo andare… casomai, ci vediamo più tardi.
-Va bene.
Sapevo che avrei
dovuto essere preoccupata da tanta calma
e sapevo che Ginny aveva già progettato
qualcosa, ma il pensiero di
Draco che mi chiedeva di tornare con lui tornava a fare capolino nella
mia
mente e sentivo il cuore stringersi.
Avevo paura e
stavo male: stavo tornando ad essere testarda e a danneggiare me stessa
con la
storia di voler far tutto da sola.
E sentivo ogni
giorno di più che non ce l’avrei fatta e che avrei
avuto bisogno di qualcuno.
Volevo avere
bisogno di qualcuno e sapevo anche di chi, ma avevo paura di ammetterlo
con me
stessa e ammetterlo con lui: lo volevo al mio fianco, ma sapevo che
avrei corso
troppi rischi sbilanciandomi tanto.
Tanto amore
portava sempre con sé tanto dolore? O ero semplicemente io
che non riuscivo ad
amare senza soffrire?
Si poteva davvero
provare nostalgia per un dolore tanto atroce, come quello che veniva
causato
dalla perdita di una persona?
Avevo troppe
domande a cui rispondere, domande che si erano aggiunte a quelle
precedenti che
avevo nel cuore.
Troppe domande e
poche, pochissime risposte.
Dovevo trovare
almeno una risposta o sarei finita col piangermi addosso e rovinare la
vita a
mio figlio e più di tutto, dovevo mettere al corrente anche
mamma riguardo alla
mia gravidanza.
Il cellulare era
ancora da spento e lo posai nella borsa, poi mi alzai dalla sedia per
appoggiarmi alla porta-finestra: avevo bisogno di aria e non riuscivo a
respirare.
Sentivo un groppo
stringermi la gola e mi sentivo soffocare. Non riuscivo neanche a
muovere le
braccia: avevo portato le mani alla gola con enorme fatica e poi le
avevo
agitate davanti al viso, ma proprio non riuscivo a recuperare
l’aria di cui
necessitavo.
Era il senso di
colpa a fare quest’effetto e lo sapevo bene:
l’avevo provato fin troppe volte
quando ero in Francia e prima ancora di andarci.
L’avevo provato
nei confronti dei miei genitori e dei miei amici quando avevo deciso di
partire, poi, l’avevo provato nei confronti di Draco, la
prima volta durante la
quale mi ero spogliata con Henri e per tutto il resto del tempo, mi ero
sentita
in colpa verso me stessa.
Mi ero solo fatta
del male e non volevo più provare quelle sensazioni,
soprattutto ora che avevo
in grembo un’altra creatura da curare, una creatura che non
meritava affatto di
soffrire come avevo sofferto io.
Il compito di una
buona madre era quello di proteggere il proprio figlio ed io
l’avrei fatto,
sempre.
Sentivo l’acido
del vomito salirmi per la gola e corsi in bagno, inchinandomi di fronte
alla
tazza.
Mi sarebbe
bastato respirare profondamente, chiudere gli occhi e pensare a qualche
altra
cosa per non essere investita dalla paura di vomitare, ma non ci
riuscivo: la
mia mente sembrava non volersi staccare da quella sensazione tremenda
ed,infine, mi arresi e smisi di lottare contro il nodo allo stomaco.
Dovevo liberarmi
di quella paura e prima l’avrei affrontata, prima avrei
smesso di provarla.
Mi alzai facendo
forza sui gomiti, se quel po’ che mi era rimasta poteva
essere definita forza,
poi proseguii verso la porta del mio ufficio, reggendomi al muro.
Non ce la facevo
neanche a tenermi in piedi e avrei tanto voluto che questa gravidanza
non mi
sarebbe costata tanta fatica, ma sapevo che almeno questo sarebbe
rimasta
un’utopia.
O, forse, ero io
che richiedevo troppi sforzi a me stessa e alla mia salute.
Tornai a sedermi
alla sedia, di fronte alla scrivania e appoggiai il capo sulla
superficie
legnosa, poi chiusi gli occhi.
Avevo la
sensazione che la stanza avesse cominciato a girare e portai le mani
sulle
tempie: avrei voluto poter fermare tutto.
Sapevo che il
casino che sentivo, in realtà, era solo nella mia testa e
più provavo a non
sentirlo, più si faceva forte. Non avrei resistito a lungo,
perciò, andai a
recuperare la borsa e a prendere un’aspirina.
Avevo bisogno di
acqua, perché da sola, l’aspirina faceva davvero
schifo.
Mi avviai al
corridoio, camminando sempre a ridosso del muro.
Mettere i tacchi
non era stata affatto una buona idea ed ora potevo averne
l’assoluta certezza.
Alla macchinetta
c’era la fila, perciò mi sedetti sulle sedie che
erano sistemate nell’atrio del
piano superiore.
Volevo bere e
prendere in fretta quell’aspirina e far passare in fretta il
mal di testa che
mi stava letteralmente forando il cervello e, inoltre, volevo poter
pensare,
per la prima volta in vita mia.
Se avessi pensato
a cosa in realtà avevo fatto il giorno prima, forse avrei
capito quali sbagli
mi avevano portata ad essere ciò che ero e li avrei evitati
in futuro, mentre
adesso avrei cercato di rimediare.
Ce l’avrei fatta,
certo: mi sarebbe bastato impegnarmi molto più del normale e
mettere a tacere
per un bel po’ il cervello, lasciando l’agio di
parlare solo al mio cuore e
prendere le decisioni che lui dettava, anche se avrebbero fatto male.
Quando un po’ di
persone si allontanarono dalla macchinetta, mi alzai ed inserii la
moneta, poi
premetti sul pulsante dell’acqua naturale ed attesi che la
bottiglina uscisse.
Dopo averla
raccolta, tornai in ufficio e chiusi la porta alle mie spalle.
Sistemai
l’aspirina sulla lingua e bevvi quanta più acqua
possibile, per far in modo che
la pillola scendesse giù per la gola e chiusi gli occhi,
cercando di non
pensare al fatto che mi venisse nuovamente da vomitare.
Riuscii ad
ingoiare la pillala dopo qualche tentativo e pensai di essere davvero
troppo
debole su queste piccolezze e cominciai a spaventarmi: come avrei fatto
ad
affrontare l’arrivo di un figlio che avrebbe avuto la febbre,
la varicella e il
morbillo e quant’altro, se non riuscivo a badare a me stessa
con la serietà che
serviva?
Mi accomodai sul
divano e stesi anche i piedi, visto che sentivo anche le gambe pesanti,
poi
bussarono alla porta. –Avanti.
-Herm?
-Pansy, che ci fa
qui?
-Passavo per
sapere come stai… è da un po’ che non
ci vediamo, no?
-Sì. Sto bene,
comunque, grazie. E tu?
-Molto bene.
-Oh, scusami.-
dissi, sistemandomi sul divano. –Accomodati.
-Grazie.- Pansy
si sedette e mi sorrise. –Ho avuto un po’ da fare
con i bambini e Cedric è
stato fuori.
-Tranquilla,
davvero.
-Ho saputo di
Henri…
-Già.
-Come stai?
-Mi sento
sollevata: credo che questo sarebbe stato comunque l’unico
modo per far finire
il nostro matrimonio.
-Io credo che
avresti solo dovuto convincerti che non c’era nulla da
salvare e sarebbe stato
tutto più facile anche per te.
-Può darsi.-
sorridemmo. Ci interruppero i tocchi di qualcuno che bussava alla
porta.
–Avanti.
Vidi entrare
Ginny seguita da Ron e Luna e allora cominciai a preoccuparmi sul
serio.
–Ciao.- mi dissero in coro.
-Che sta
succedendo qui?
-Dovresti dircelo
tu.- mi disse Ron, incrociando le braccia al petto.
-No, aspettiamo
che arrivi anche Harry, poi vi spiegherò tutto.
-Ginny dovresti
spiegare qualcosa a me, non a loro.
-Sei inclusa
nella spiegazione che farò dopo, Herm.
-No, mi spieghi
adesso.
-Dopo.
Restai immobile
sul divano: era come se il corpo si rifiutasse di fare qualsiasi
movimento gli
comandasse il cervello e mi maledissi per aver preso
l’aspirina, dato che non
avevo per niente l’aria di una che stava soffrendo i mal di
testa. –Senti,
Ginny… fammi capire cos’è: una
rimpatriata?
-Più o meno.
-Dovuta a cosa?-
guardai ad uno ad uno i miei amici e mi resi conto che tutti avevano in
mano
qualcosa che aveva tutto l’aspetto di essere un regalo.
-Lo faccio per il
tuo bene.
Lo faceva per me,
quindi voleva che dicessi a tutti della gravidanza o, forse, lo aveva
già fatto
lei. Non volevo crederci, però era evidente che fosse
così.
Fatto stava che
poterlo dire a qualcun altro mi sembrò un’idea
allettante e il fatto che
qualcuno non fosse Draco poteva solo essere una cosa positiva.
Ovviamente,
l’idea di Ginny di far sapere a tutti che fossi incinta
includeva dir loro
anche la verità e non avrei potuto sopportarlo che lo avesse
saputo Draco.
Avrei dovuto dirglielo, prima o poi e sapevo che quel poi
avrebbe fatto soffrire il bambino e allontanato Draco
dall’accettare quella verità il prima possibile:
non volevo obbligarlo a fargli
da padre, ma volevo che sapesse.
Solo che mi
sentivo ancora troppo codarda per affrontare quei momenti anche solo
con il
pensiero.
Tornai a guardare
i miei amici e allora trovai il coraggio di parlare.
–Cos’hai lì, Luna?
-Oh, vuoi vedere?
L’ho presa a Matt venendo qui.- mi disse aprendo la busta ed
estraendone una
tuta
bianca e grigia dell’Adidas che mi piacque molto.
Allora sorrisi e
mi rilassai: Ginny non l’aveva ancora detto a nessuno.
Ancora una volta,
bussarono alla porta ed ero convinta che si trattasse di Harry,
perciò mi alzai
per aprire la porta e la rimasi socchiusa, sapendo che il mio migliore
amico
non aveva bisogno di tanti convenevoli.
Tornai a sedermi
ed attesi un po’, fissando la porta, poi, un viso un
po’ più scuro di quello
dei presenti fece capolino oltre la soglia. –Blaise?- chiesi,
poi mi rivolsi a
Ginny. –Anche lui?
-E’ il suo
migliore amico e deve sapere.
-Ginevra Weasley.
-Hermione
Granger.- e finimmo lì la discussione.
Sapevo che
sarebbe stato inutile continuare a discutere, per questo mi sistemai
meglio sul
divano e guardai Pansy che mi sorrise dolcemente.
Non volevo la
loro compassione: ero una donna forte che si era immersa con le proprie
mani in
quella storia e da sola avrei affrontato tutte le difficoltà.
Sapevo che
sarebbe finita male se avessero voluto mostrarmi la loro
pietà, anche se in
realtà sapevo che si trattava di affetto sincero.
-Salve.- disse
timidamente Blaise, poi si appoggiò al muro accanto al
divano.
Mi prese la mano
e cominciò a giocare con le mie dita. Mi era mancato
immensamente e non lo
vedevo forse dalla festa di Ginny anche perché, da quando
era tornata Lavanda,
lui si era dedicato anima e corpo alla sua donna.
-Potete spiegarmi
perché mi avete fatto correre qui?- dissi Harry entrando
come un ciclone.
-Non lo so
neanche io.- ammisi, guardando Ginny con
gli occhi ridotti a due fessure.
-D’accordo,-
disse la rossa. –ora vi racconto tutto. Hermione…
è tornata con Draco. Per una
notte sola.- si affrettò ad aggiungere, dopo che la guardai
con aria truce.
–Alla festa di fidanzamento mia e di Harry. E’
stata male e lo sapete tutti
quanti: inizialmente, credevo anche io che si trattasse di una ricaduta
di quel
che aveva avuto qualche settimana prima della festa, poi,
però, i malori non
smettevano e le ho suggerito di comprare un test.
-Di cosa, Ginny?-
chiese Harry che aveva sempre avuto difficoltà con quelle
semplici questioni
femminili.
-Un test di
gravidanza, Harry. Ed è risultato positivo, quindi, signore
e signori, Hermione
è incinta di un mese e mezzo e sappiamo benissimo che il
padre non potrebbe
essere Henri.
-Sei stata anche
con Henri?- chiese nuovamente Harry.
-E’ mio marito,
Harry…
-Era.- mi
corresse Ginny. –Il punto, comunque, è che Draco
sa che Hermione è incinta e sa
che il bambino non è suo.
-E chi gliel’ha
detto?- fu Blaise a parlare questa volta.
-Hermione.- disse
Ginny, come se la conclusione fosse stata ovvia per tutti.
Avrei voluto
sotterrarmi o almeno poter coprire l’imbarazzo che sentivo
crescere addosso:
ogni singola parola che avevo ascoltato, mi aveva fatto capire quanto
in realtà
la situazione fosse grave e, fino a quel momento, avevo preso tutto
sotto
gamba.
-E perché?
Forse, avrei
dovuto parlare e dare ai miei amici qualche spiegazione. In fondo,
meritavano
di sapere qualcosa ed io meritavo di sfogarmi un po’.
–Ho avuto paura e ne ho
ancora: sapete benissimo quello che provo ancora per Draco e sapete che
lui ha
già una famiglia.
-Ha divorziato,
Herm: la sua famiglia adesso è solo suo figlio Natan e
questo che nascerà, se
glielo dirai.
-Hai ragione,
Blaise, ma i documenti per il divorzio sono stati presentati da poco e
non
voglio che si senta schiacciato da una responsabilità tanto
grande.
-Vuoi
precludergli la possibilità di conoscere suo figlio o di
dare un padre ad un
bambino?
-No, affatto.
-Beh, mi pare che
lo tu lo stia facendo.- eravamo solo io e Blaise a parlare e lui poteva
davvero
essere l’unico ad avere voce in capitolo, visto che era il
migliore amico di
Draco. Tutti gli altri tacevano.
Li guardai ad uno
ad uno e in ogni sguardo riuscivo a leggere delle emozioni diverse.
Quello che
però mi rimase impresso fu quello di Ginny: mi
sembrò che chiedesse perdono.
Cosa avevo da
perdonarle? Non lo sapevo, ma di certo quello che aveva combinato
andava a mio beneficio:
avevo bisogno di parlarne con qualcuno e non tenermi tutto dentro.
Mi ero alzata al
centro della stanza, mentre tutti si erano sistemati a ridosso della
parete e
mi guardavano. –Non mi pare il caso di dirglielo adesso.
-E quando hai
intenzione di dirglielo?
-Non lo so.
-Lui ti ama.
-Lo so…- vidi
Pansy uscire e mi fece segno che sarebbe andata in bagno. Le sorrisi
per quel
po’ che ancora mi riusciva. Sentivo le lacrime premere per
uscire ed io mi
sentivo troppo debole per poterle trattenere, perciò lasciai
libero sfogo al
mio pianto.
-E allora cosa
aspetti?- non risposi perché in realtà non
c’erano risposte che potessero
giustificare il mio comportamento. – Herm…
-Vi prego, voi…
voi non potete capire: è tutto così complicato,
così difficile da gestire ed io
non ci riesco. Sento che tutto mi sfugge dalle mani e…
-Herm…- Sembrava
di essere di fronte ad una giuria in tribunale.
Come imputato. -Devi dirglielo.
-Gli complicherei la vita.
-E' stato lui a dirti che vuole ricominciare, no?
-Sì, ma non si aspetta di certo questo.
-Il fatto che tu sia incinta non cambia le cose.
-Senti, Herm...- disse Luna, di punto in bianco. Era stata l'unica a
non dire
ancora niente. -Non ti ho mai costretta a niente e, a dir la
verità, avrei
evitato di fare tante cose che hanno fatto Pansy e Ginny, ma su questo
devo
darti torto: devi dirglielo.- sentii la porta aprirsi e decretai che
doveva
essere Pansy che stava rientrando dal bagno. -Draco ha diritto di
sapere e tu
hai il dovere di metterlo a conoscenza dei fatti. Questo è
anche affar
suo e deve sapere...
-Cosa dovrei sapere?
Mi voltai a guardare verso la porta e avrei voluto essere risucchiata
negli
inferi.
Avrei
voluto tante altre cose, ma non che lui mi fosse di fronte. Mi guardava
con gli
occhi spalancati e la bocca dritta, tutt’altro che invitante
e simpatica.
Avevo
paura in quel momento, paura che tutto ciò che avevo cercato
di costruire
intorno a me potesse crollare come sabbia accarezzata dal mare.
Dovevo
farlo, adesso o mai più.
Dovevo
dirgli la verità. Lo dovevo a lui, a mio figlio e a me
stessa. –Potete… potete
lasciarci soli.
Tutti
annuirono e si alzarono lentamente dalle loro postazione e Ginny venne
ad
abbracciarmi. –Ti voglio bene.
-Sì,
anche io.
Quando
tutti furono fuori e chiusero la porta, mi ritrovai di fronte ai suoi
occhi e
cercai di soppesare le parole una ad una, per evitare che lui potesse
fraintendere, poi mi appoggiai alla scrivania.
Proseguii
lentamente sul suo corpo con gli occhi umidi di pianto, soffermandomi
sulle
mani e mi parve di provare nuovamente le sensazioni che avevo provato
quella
notte, quando avevo fatto di nuovo l’amore con lui.
Sorrisi
pensando che era tutto cominciato da lì.
–Cos’hai da ridere, Granger?
-Stavo
sorridendo, Malfoy…
-Non
ne vedo il motivo.
-Ti
ho mentito.
-Su
cosa?
-Tante
cose… ma, non è come credi?
-Ah
no? E come dovrebbe essere? Sei venuta a letto con me, per cosa? Per
dirmi
addio?
-No,
perché lo desideravo.
-Come
desideravi entrare nel letto di un altro uomo che ti ha messa incinta?
-Draco,
ascoltami…
-No,
ascoltami tu: credevo che ci sarebbe potuto essere un futuro per noi,
che non
tutto era finito sei anni fa… invece…
-Sei
tu il padre.- l’avevo detto tutto d’un fiato, per
evitare di pensarci troppo e
trovarmi con la stupida idea di tacere.
-Come
no, sono io il padre! Ed io che ero felice che tu piacessi tanto a
Natan e
progettavo di dirglielo che ti amo ancora.- sapevo che sarebbe andato
avanti
così per un bel po’, perciò lo lasciai
fare: se ne sarebbe accorto da solo.
–Quando mi ha detto che voleva che io e te ci mettessimo
insieme, mi sono
sentito al settimo cielo, perché sapevo che il mio amore per
te non avrebbe
deluso mio figlio. E sono rimasto con il fiato sospeso fino ad ora per
sapere
cosa ti avesse chiesto lui ed ora mi sento dire che sono io il padre.-
concluse,
con il respiro pesante. Poi, lo vidi cambiare espressione e poco alla
volta, il
rosso che gli aveva colorato il viso sparì. –Sono
io il padre?
-Sì…-
abbassai gli occhi, perché non sapevo davvero che tipo di
reazione aspettarmi.
Sentii
i suoi passi pesanti avvicinarsi, poi mi ritrovai stretta tra le sue
braccia.
–Dimmi che non stai scherzando.
-E’
la verità, Draco.- alzai lentamente lo sguardo, dopo che lui
mi aveva messo le
mani sul viso e muoveva le dita come a volermi accarezzare.
-Ti
amo ‘Miò.- e mi baciò con tutta la
rabbia che non era riuscito a sfogare ed io
mi lasciai andare.
Quanto
mi sarebbe costato rinunciare di nuovo alla mia felicità?
Troppo. E non potevo
essere sempre io a rimetterci: una vita insieme a lui era uno scambio
equo con
un po’ di dolore e una litigata epica con mio marito, una
volta che gli avrei
detto tutta la verità.
Mi
chiedevo se sarebbe mai sparito davvero dalla mia vita.
E poi
c’era mamma… chissà in che maniera
l’avrei delusa. Una vita con Draco, però,
valeva anche questo.
Spoiler capitolo 38:
Mi ero
svegliata con la sensazione che mancasse un solo tassello al mio puzzle
perfetto e ad avevo continuato a sentirmi così per tutta la
giornata, per questo volevo che le parole di Ginny fossero la
verità. -Ero io al telefono...
-Io l'ho sentita quella frase, Ginny ed ho paura.
-Ti sentivi così anche quando dovevi dirlo a Draco e
guardati adesso: sei stupenda.
-Grazie.
-"Delusione"- dissi, virgolettando la parola con le mani. -per quanto
riguardava la tua decisione di tornare con Henri. Tua madre adoro Draco.
-Dici?
-Dico, dico.
***
Angolo Autrice:
Salve a tutte. Sono tornata.
Volevo dirti che sono talmente felice del numero di lettori che sta
registrando questa storia che mi metterei a saltare xD.
Passiamo ai personaggi:
-Hermione:
finalmente si è svegliata ed ha detto la verità,
però c'è ancora una piccola cosa che la preoccupa;
-Ginny: ma
come fa a pensare a tutte queste cose?;
-Luna:
è una santa;
-Ron: in
questo capitolo e nella storia in generale mi è davvero
simpatico, voi cosa ne pensate?;
-Harry: mi
fa morire dal ridere;
-Pansy: il
suo non parlare è dovuto al fatto che rispetta la sua amica
e in quanto psicologa non vuole esprimere giudizi che potrebbero
influenzare le sue scelte;
-Blaise:
credo che siate tutte d'accordo con me sul fatto che è unico;
-Draco: non
ho davvero nulla da dire su di lui: è sempre perfetto e in
questo capitolo lo ho adorato.
-Lo spoiler:
cosa ne pensate?
Ringrazio
le 119
seguite, le 58
preferite e le 14
ricordate.
Grazie anche ai lettori silenziosi.
A presto, la vostra Exentia_dream
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Capitolo 38 *** Pomeriggio insieme... ***
Pomeriggio insieme
Hermione POV
Mai in vita mia mi ero sentita così.
Il sole mi accarezzava gli occhi, mentre il cinguettio degli uccelli mi solleticava le orecchie e mi faceva sorridere.
Marzo era un mese piovoso e Londra non era di certo la città del sole, ma la giornata appena cominciata si preannunciava fantasticamente: sembrava primavera inoltrata.
Spostai le coperte e poggiai i piedi sul pavimento, facendo attenzione a non inciampare nello scendiletto.
Mi sentivo anche un po’ goffa, ma era una sensazione bellissima: camminavo piano, mi voltavo lentamente e facevo attenzione a ciò che mangiavo per difendere un esserino che era poco più grande di un cuore umano. O, forse, era ancora più piccolo dell’organo vitale di ogni uomo.
Era già quello per me: era fondamentale la sua presenza, come se fosse stato davvero il mio cuore o i miei polmoni.
Quando arrivai in bagno, mi guardai allo specchio e sorrisi. Mi vedevo bella, felice.
Legai i capelli in una coda disordinata, poi tornai nella mia camera.
Spostai la tenda ed aprii la finestra, respirando i profumi di Marzo e accogliendo sul viso i tiepidi raggi del sole mattutino.
Mi fermai per un po’ a guardare le auto che passavano nel viale, le signore che passeggiavano a piedi e i bambini che giocavano nel cortile di fronte. Ce n’era una che era davvero dolcissima: aveva dei bellissimi boccoli biondi, legati in due trecce ed un viso paffuto, così tenero che avrei voluto riempirlo di baci.
I bambini erano la cosa più bella dell’universo e non solo per la loro innocenza, ma anche per il suono delle loro risate, per la loro curiosità, per i loro occhi grandi di fronte alle cose nuove. Erano meravigliosi.
Il cellulare prese a suonare e andai a prenderlo dal comodino. –Pronto?
-Buongiorno.
-Buongiorno!
-Dormito bene?
-Benissimo. Tu?
-Anche… mi sei mancata.- era stupendo sentire la sua voce assonnata e roca. –Mi sono appena svegliato.
-L’avevo capito.
-Senti, ‘Mio… oggi sei libera, a ora di pranzo?
-Mmh, fammi pensare un secondo… No, non credo.
-De- devi vederti con qualcuno?
-Più o meno.
-Oh, d’accordo, allora… fa niente. Sarà per la prossima volta.
-Già.
-Hai… dormito bene?
-Me lo hai già chiesto.
-Sì, è vero.
-Hai fatto colazione?
-Non ancora?
-Dovresti mangiare, lo sai?
-Sì, lo so. Vado tra un po’.
-Chi è?
-Dove?
-No, dico… con chi devi vederti?
-Beh, sai, non è ancora confermato…
-Come mai?
-Non so se sia libero a quell’ora o meno.
-Quindi, è un uomo?
-Certo che è un uomo…
-Granger, sul serio, chi è?
-Ha i capelli biondi, sempre un po’ spettinati…
-Mi prendi in giro?
-No.
-Mi stai chiedendo un appuntamento?
-Mh…
-Granger?
-Sì.
-Sì, cosa?
-Ti sto chiedendo un appuntamento.
-Mmh… fammi pensare. Oggi?
-Sì.
-A ora di pranzo?
-Sì.
-No, mi dispiace, ho un impegno.
-Davvero?
-Sì.-Ci ero rimasta male ed avevo messo il broncio. –D’accordo, fa niente.
-Sono davvero molto impegnato a quell’ora.
-Ok.- avrei voluto chiedergli cos’aveva di meglio da fare che stare con me, ma rimasi in silenzio.
-Devo incontrare due persone molto importanti.
-Va bene. Ora, vado a fare colazione: lo stomaco reclama.- lo dissi ridendo, per nascondere il nervosismo e la collera che provavo.
-Ok. Mi raccomando…
-A cosa?
-A voi: oggi voglio passare tutta la giornata con voi.-Oh.- mi ritrovai a sorridere come un’ebete, a ticchettare le dita della mano contro il mobile e a dondolare i piedi sollevati da terra, visto che
mi ero seduta comodamente sul letto. –Va bene.
-A dopo. Ti amo.
-A dopo.- posai il cellulare e mi stesi nuovamente sulle lenzuola.
Quella sensazione di leggerezza mi portava indietro con gli anni. Mi sentivo come quando ero bambina ed ero felice per una sorpresa ricevuta o per aver imparato un nuovo gioco.
Mi alzai e poggiai la trapunta sul davanzale per farle prendere un po’ d’aria prima di lavarla e feci la stessa operazione per le lenzuola e le federe dei cuscini.
Aprii l’armadio e guardai un po’ tra le coperte che c’erano lì dentro. Ne avrei presa una più leggera, perché cominciavo a sentir caldo la notte.
Guardai ancora un po’, ma l’indecisione era parte integrante del mio carattere, anche nelle cose più banali, come potevano essere la scelta del dentifricio, l’accappatoio da usare e cose del genere.
Ero un’indecisa cronica, non c’era altro da dire.
Decisi comunque di spolverare la scrivania e rimettere in ordine le cianfrusaglie che c’erano sulla sua superficie: comincia a spostare gli orecchini e le collane, riponendole in un bauletto di legno, dove tenevo tutti oggetti simili.
Mi sentivo finalmente una donna realizzata: quando ero in Francia, non amavo pulire la casa, renderla presentabile a possibili ospiti, perché non c’era nessuno che tornava la sera e si accorgeva che qualcosa era cambiato, che era diverso. Vivere la mia casa, insieme a mio marito, renderla accogliente e calorosa era ciò che avevo sempre desiderato, ma non avevo scelto un uomo con cui poter condividere le piccolezze della vita.
Anche per questo avevo cominciato a trascurare me stessa.
Ora, invece, avevo voglia di fare di tutto e di più.
La sveglia sul comodino segnava mezzogiorno preciso ed io dovevo ancora rifare il letto e fare una doccia, vestirmi e truccarmi.
Suonarono al campanello e sentii mamma aprire la porta e salutare.
Mamma. Il macigno che pendeva dal mio cuore cadde sullo stomaco e mi parve quasi di sentire il rumore di qualcosa che andava in frantumi.
Il mondo magico della leggerezza e delle felicità, probabilmente, esisteva solo tra le pareti rosa della mia camera: oltre quella porta, c’erano i sensi di colpa e le paure che non avevo il coraggio di affrontare.
Ginny mi salutò stringendomi forte. –Che ci fai qui?- le chiesi, realmente meravigliata.
-Sorpresa.
Sorrisi quando mi accarezzò la pancia. –Comincia a vedersi, eh?
-Un po’.
Ero felice di poter provare la gioia di diventare madre: era una prerogativa che mi ero privata quando avevo deciso di sposare Henri, perché almeno sul fatto che non potesse avere figli era stato sincero sin dal primo momento; d’altra parte, forse, diventare madre avendo accanto un uomo come lui mi spaventava: come avrei potuto far vivere un bambino in un ambiente distaccato e violento rispetto alla realtà che lui avrebbe dovuto vivere?
Non mi ero mai privata di immaginare la mia vita con Henri e con un figlio, ma non mancavano le immagini in cui lui mi picchiava o mi urlava contro in presenza del bambino.
Se avessi fatto un figlio con lui, probabilmente, avrei avuto una mente malata… anche se, forse, ce l’avevo realmente visto che avevo deciso comunque di sposarlo.
Poggiai anche io la mano sulla pancia, stringendo tra le mie dita quelle di Ginny.
-Ho paura
-Di cosa?-Non mi sento completa.
-Per tua madre?
-Sì… io vorrei dirglielo, ma… non posso, Ginny. Rovinerei tutto e… la deluderei.
Mi ero svegliata con la sensazione che mancasse un solo tassello al mio puzzle perfetto e ad avevo continuato a sentirmi così per tutta la
giornata, per questo volevo che le parole di Ginny fossero vere. -Ero io al telefono...
-Io l'ho sentita quella frase, Ginny ed ho paura.
-Ti sentivi così anche quando dovevi dirlo a Draco e guardati adesso: sei stupenda.
-Grazie.
-"Delusione"- disse, virgolettando la parola con le mani. -per quanto riguardava la tua decisione di tornare con Henri. Tua madre adoro Draco.
-Dici?
-Dico, dico.
La abbracciai e la sentii dire,
sospirando, che ce l’avrei fatta e sorrise.
La imitai e la strinsi più forte.Come avrei fatto senza di lei? Come avrei affrontato tutte le difficoltà se lei non fosse stata accanto a me?
Quando ero in Francia, avevo sentito tantissimo la mancanza di tutti gli altri, ma la sua quasi mi toglieva il fiato, come quella di Draco.
Inizialmente, le telefonate tra noi duravano ore, ma per via di Henri e del lavoro di Ginny, i contatti erano diventati più radi, fino a sparire del tutto. A volte anche per mesi interi.
Ora era con me. Non l’avrei lasciata più.
-Gin?
-Sì?
-Vuoi aiutarmi?
-Certo.
-Draco mi ha invitata a pranzo e non so cosa indossare.
-A pranzo soltanto?
-Non lo so.
-Non gliel’hai chiesto?
-No.- abbassai lo sguardo, vergognosa del fatto che ero talmente felice di parlare con lui al telefono che, a volte, dimenticavo anche di respirare. Presi comunque il cellulare e premetti il tasto che inviava la chiamata.
Gli squilli si susseguivano troppo lentamente e, non so per quale motivo, sentivo l’ansia crescere dentro. –Pronto?
-Malfoy! Quanto ci vuole per rispondere?
-Scusa, avevo il cellulare in tasca.
-Oh, scusami tu.
-Dimmi.
-Volevo… volevo chiederti se oggi…- mi sentivo imbranata come una ragazzina alla prima cotta. Ginny mi invogliava con la mano a
proseguire. –cammineremo molto?
-Abbastanza, perché?
-Ok, a tra poco.- staccai la telefonata senza neanche aspettare la risposta e senza dargliene una, gettando il cellulare sul letto ancora sfatto e mi coprii il viso.
-Herm!
-Oh mio Dio, che domanda stupida!
Scoppiammo entrambe a ridere fino alle lacrime. –Sei sempre stata così?
-Non lo so.- riuscimmo a dire dopo vari tentativi di parlare. Ovviamente fallivano uno dietro all’altro.
Tentammo di ricomporci, per quello che almeno ci era possibile: Ginny aveva il mascara colato sotto gli occhi e parte della matita e dell’ombretto era finita sulle guance, trascinata dalle mani che cercavano di portare via le lacrime.
-Cammineremo molto.- continuava a ripetere Ginny, alzando gli occhi al cielo.
Cosa avevo detto di male?
Certo, avrei potuto chiedere tante, tantissime altre cose, ma mi sarebbero comunque sembrate domande troppe stupide.
No, non sarebbe stato proprio così, perché se gli avessi chiesto dove saremmo andati, magari, la telefonata sarebbe sembrata più sensata.
–Hai intenzione di prendermi in giro ancora per molto?- chiesi, fintamente offesa.
-No, solo qualche altro minuto, giusto il tempo per decidere quali mutande dovrai indossare.
Erano già passati quarantacinque minuti.
Mi alzai dalla sedia e mi avvia al cassetto dell’intimo, scegliendo a caso slip e reggiseno, poi mi avviai in bagno.
Aprii il getto dell’acqua e riempii l’acqua con un bagnoschiuma alla vaniglia: mi sentivo tranquilla e volevo che il profumo della mia pelle descrivesse perfettamente quello che avrebbe avuto anche il mio stato d’animo.
Pensieri strani di una donna che si avviava a vivere il momento più bello della sua vita.
Attesi che l’acqua arrivasse al bordo della vasca, poi mi immersi, calandomi poco alla volta e tenendo ben strette le mani sulla porcellana della vasca. Un’azione che facevo regolarmente da un mese e mezzo.
Mi sentivo quasi fiera di me stessa per le attenzioni che dedicavo a mio figlio, senza che nessuno me lo avesse insegnato, ma, ovviamente, sapevo che quelle erano cose che chiunque avrebbe potuto fare.
Avrei dovuto comprare un libro sulle donne in gravidanza!
Sentivo Ginny trafficare nell’altra stanza e le porte dell’armadio aprire e chiudersi in continuazione. Prestai per un po’ la mia attenzione, per capire cosa stesse succedendo oltre quelle pareti sottili, ma non riuscivo a collegare il ticchettio che producevano i tacchi vertiginosi di Ginny e il resto dei rumori.
Probabilmente ero già partita per il viaggio di relax che puntualmente partiva dal mio bagno per giungere a mete lontane e desiderate.
Nessuno scalo, volo diretto. Andata e ritorno.
Ogni suono si affievolì fino a sparire e poggiai il capo sul bordo, facendo aderire perfettamente le spalle allo schienale della vasca.
Era una sensazione meravigliosa: mi sentivo presente con il corpo nel mondo in cui vivevo e i miei sensi erano svegli, ma la mente era in tutt’altra parte del mondo, con altre persone, con altri costumi.
Mi sarebbe piaciuto poter visitare l’India o, magari, il Madagascar… mi sarebbe piaciuto fare un viaggio, in qualsiasi posto del mondo, tranne Parigi.
Parigi era una città che avevo sempre adorato, ma trascorrere lì sei anni della mia vita insieme ad una persona che non avevo mai amato e che mai aveva amato me, mi aveva permesso di scorgere non solo il bello di quella città: i latin lover, gentiluomini francesi non esistevano realmente, come in ogni altro luogo.
Non so perché avevo sempre creduto che non fosse così. Henri mi era apparso dal primo giorno come il mio salvatore, il principe che mi avrebbe portata al sicuro dall’oscurità della foresta e non mi ero resa conto che la foresta che tanto mi spaventava era la sua casa.
Sentii l’acqua incresparsi sulla pelle, dato che avevo mosso le gambe per stendere un po’ i muscoli. Mi beai di quel piacevole dolore che provocavano i miei muscoli un po’ indolenziti, poi un bel po’ di schiuma mi colpì in pieno viso.
Aprii gli occhi, spostando la schiuma dagli occhi e dalla bocca e vidi Ginny che sorrideva, seduta sul bidet.
-Ho rifatto il letto: ti ho cambiato le lenzuola ed anche la trapunta. Mi dispiaceva vederlo così…
-Oh, Gin, grazie, ma non dovevi.
-Ti ho anche preparato qualcosa da indossare, perché, è vero che sei migliorata molto in gusto di vestiti, ma questa è una giornata particolare…
-Non mi hai mica preparato un abito da sera?
-Hey, lasciami finire.
-D’accordo. Prego, continua.
-E’ una giornata particolare, ma sei bellissima pur essendo semplice, quindi, niente tacchi, niente gonne o abiti da sera.
-Grazie.
-Lo faccio per il mio nipotino o nipotina.- sorrise, di un sorriso che gli illuminava gli occhi e lo stesso feci anche io.
Non era possibile che mi sentissi così felice, non era possibile che davvero stessi vivendo una vita tranquilla.
Scossi la testa per allontanare quel pensiero, ma la paura che la mia piccola bolla di felicità fosse stata troppo fragile per sopportare le avversità era davvero grande.- Harry dov’è?- chiesi. Mi interessava visto che non lo avevo neanche sentito.
-Dove vuoi che sia? Aveva ragione Malfoy quando lo chiamava "San Potter"- imitò malamente la voce di Draco.- è sempre lì a lavorare, a sperare che succeda qualcosa di brutto affinché lui possa intervenire e salvare la situazione.-E’ fatto così.
-Soffre di mania di grandezza!- concluse.
-Può darsi.
-Tu, invece, soffri di bradisismo.
-Eh?
-Sei lentaaa. Vuoi muoverti? Sai che ore sono?
-No.
-E’ ora di pranzo.
-Oh Cristo!- mi ero levata su con troppa fretta, tanto che la testa cominciò a girare, ma mi aggrappai a Ginny e mi avvolsi nell’accappatoio.
Sorrisi per rassicurarla, ma mi tenetti a lei finchè non arrivammo a letto su cui lei aveva sistemato un completo di jeans ed una canotta.
Aveva sistemato il letto perfettamente ed aveva scelto una delle trapunte più belle; le lenzuola le avrei viste quando sarei andata a dormire.
La abbracciai forte, sentendo le lacrime premere per uscire. –Mi soffochi, Herm.
-Scusami. Emh… grazie.
-Figurati.
Mi vestii in silenzio, sotto lo sguardo attento e strano –allarmato?- di Ginny: aveva gli occhi spalancati e la bocca serrata in una retta perfetta.
Mi chiesi anche perché mi guardava in quel modo, mentre mi truccavo, ma non ebbi il coraggio di chiederlo a lei, perciò continuai in quello che stavo facendo.
Soffiai via un po’ di fard dal pennello e lo passai sugli zigomi, per dare loro la possibilità di sembrare un po’ più alti.
Da quando ero arrivata a Londra avevo messo un paio di chili, ma li avevo ripersi subito dopo l’arrivo di Henri: ero tornata ad essere la sposa cadavere, come mi definiva sempre simpaticamente la nonna di Henri. Di tutta la famiglia, lei era l’unica a cui avevo voluto un bene dell’anima, poi, era andata via e mi aveva lasciata sola in quel covo di "serpenti a due facce". Sempre parole sue.
La gravidanza, però, mi regalava qualche etto in più, poco alla volta. Speravo solo di non diventare un pallone tanto da nascondere addirittura il pancione o, magari, farlo passare per un pancione gonfio di grasso invece che per un pancione riempito da un figlio che avevo desiderato
per anni.
Sistemai i capelli nella coda che avevo tirato su poche ore prima, poi, feci una giravolta su me stessa, per dare alla mia migliore amica la
possibilità di guardami.
Fece solo uno strano movimento con la bocca, poi annuì, senza dir niente.
Ci rimasi un po’ male, perché volevo che mi dicesse cosa pensava, come stavo o se avevo esagerato con il trucco, ma niente, continuò a restare in silenzio.-Ho voglia di un caffè.- esortai, tanto per spezzare quell’imbarazzo.
-Sì, anche io.
Scendemmo le scale e trovai mamma che trafficava ancora per il salotto, con in mano la sua tazza bianca. –Buongiorno.- mi salutò con un
bacio.
-Non sei andata a lavoro?
-Ci vado adesso, anzi, puoi prendermi il cappotto? Ho avuto delle cose da sistemare prima… Tu esci?
-Sì.
-Dove vai di bello?
Guardai Ginny e capii dai suoi occhi che, secondo lei, quello era il momento perfetto per dire tutta la verità. –Andremo un po’ in giro. Una
specie di rimpatriata al femminile.
-Ci sarà anche Daphne?
-Non lo so… magari le telefono.
-Fallo adesso, così ne approfitto per salutarla.
Merda! E ora?
Sorrisi e presi il telefono dalla base, poi, digitai il numero di Daphne.
Mi sentivo terribilmente in colpa per aver mentito a mamma, ma, nonostante le parole di Ginny e la devozione che mamma più di una volta aveva espresso nei confronti di Draco, la paura ebbe la meglio sul mio coraggio.
Mi resi conto che qualcuno aveva risposto dopo il secondo "Pronto."
-Hey, Seamus. Buongiorno.
-Chi è?
-Hermione.
-Oh, ciao… scusami, tutto bene?
-Sì, benissimo. A voi?
-Bene, bene.- il silenzio che seguì fu imbarazzante almeno quanto lo sarebbe stato ballare la conga in mezzo ad un cerchio di uomini armati.
–Cercavi Daphne?
-Sì, grazie.
Sentivo le loro voci, ma non capivo quello che stavano dicendo: solo dal tono, riuscì a capire che mia cugina fosse affaticata.
-Pronto?
-Scusa se ti ho disturbata, davvero.
-Ma no, come stai?
-Benissimo… senti, Dà volevo farti una proposta.- Fa che rifiuti, fa che rifiuti. –Ti andrebbe di uscire un po’?
-Oh, Herm… tra un po’ comincio il turno.
-Tranquilla, non fa niente.
-Mi dispiace, davvero.
-Non ti preoccupare, sarà per la prossima volta.
-D’accordo.
-Mamma voleva salutarti.
-Davvero? Su, passamela.
Diedi il telefono a mamma e mi avviai in cucina a prendere il caffè per me e Ginny.
Esultai e, se avessi potuto, avrei ballato davvero la conga e il can-can.
Bevvi il caffè lentamente, attendendo che mamma andasse via: salutò me e Ginny e mi avvisò che le sarebbe servita l’auto, poi chiuse la porta alle sue spalle.
-Quando glielo dirai?
-Non lo so ancora.
-Certo che, se Daphne avesse accettato…
-Non voglio neanche pensarci, credimi.
Il cellulare prese a squillare e lo estrassi dalla borsa, guardando per un po’ il nome che appariva ad intermittenza sul display: non riuscivo ancora a credere di poter ricevere di nuovo le sue telefonate.
Credevo di essermi abituata al suo silenzio, in sei anni trascorsi lontano da lui, e invece, proprio quando avevo capito di non averlo mai dimenticato, mi ero resa conto di quanto in realtà mi mancassero le sue attenzioni.
-Pronto?
-Ciao.- disse. Dalla voce sembrava che stesse ridendo.
-Ciao.
-Sei pronta?
-Sì… quasi.- specificai per non sembrare una ragazzina che si prepara dieci ore per il suo primo appuntamento.
-Sono fuori casa tua. Fa con calma.
-D’accordo.- attaccai la telefonata e mi ritrovai con le mani sulle guance a sorridere come una demente.
Non volevo sembrare una ragazzina alle prese con la sua prima cotta, né una che si preparava dieci ore prima per il suo appuntamento. Non volevo sembrare ciò che in realtà ero diventata da quando Draco mi aveva confessato di amarmi ancora.
Ginny mi prese sottobraccio, mentre io continuavo a tenere l’espressione di poco prima, poi, prima di aprire la porta, si fermò e poggiò le sue mani poco più su dei miei gomiti. –Devi essere felice. Ti voglio bene.- mi strinse forte ed io la strinsi a me.
-Andiamo.
Uscimmo dalla porta e Ginny salutò Draco con la mano. –Ciao rossa.- esordì lui.
Antipatico. Era sempre il solito, non sarebbe cambiato mai.
La mia migliore amica gli regalò una linguaccia degna di quel saluto, poi sparì con la sua auto.
Draco mi venne incontro e mi salutò con un bacio a fior di labbra e mi accarezzò la schiena. Il suo tocco riusciva ancora a farmi rabbrividire: non avrei mai creduto di poter provare ancora una sensazione del genere.
Mi scorsi per approfondire il bacio, ma lui era già allontanato dalle mie labbra.
Mi aprì la portiera ed attese che mi accomodassi sul sedile del passeggero prima di fare il giro dell’auto e sedersi sul sedile del guidatore.
Quando richiuse la portiera mi guardò con la stessa espressione con cui mi aveva guardata Ginny mentre mi truccavo.
Probabilmente, dovevo avere un aspetto orrendo, visto che anche lui mi guardava in quel modo: gli occhi spalancati, la bocca dritta.
Poggiò una mano sul mio ventre e l’altra sulla guancia, poi si sporse per baciarmi.
Gli lasciai immediatamente libero accesso e quando la sua lingua carezzò la mia, mi sentii come se stessi per esplodere dal desiderio che avevo avuto della sua bocca.
Continuò a baciarmi per un tempo indefinito, poi mi staccai, perché necessitavo di una buona quantità di aria. Nell’auto, galleggiava l’odore del suo dopobarba e me ne riempii i polmoni più che potevo, per paura che avrei potuto dimenticare quel profumo, poi lo guardai di sbieco.
Perché prima ti sei allontanato?
-Granger, questi sono atti osceni in luogo pubblico. Dovresti sapere meglio di me quali rischi si corrono in caso di denuncia.
-Oh…- rimasi senza parole. Per un momento, avevo creduto che non mi desiderasse più, che già fosse stanco di avermi per sé.
Sorrisi, mentre lui si avvicinò per baciarmi ancora allo stesso modo o, magari, anche meglio del bacio precedente.
§
Ci eravamo seduti su una delle tante panchine del Green Park, uno accanto all’altra e lo avevo abbracciato forte.
Avevamo anche mangiato e avuto una specie di discussione: Draco voleva per forza che mangiassi sano e pulito, mentre io avevo una gran voglia di hot-dog, quelli del carretto che c’era fuori al parco. Aveva provato a convincermi dicendo che tutto quel cibo malsano avrebbe fatto male al bambino e sapevo che aveva ragione, ma io volevo l’hot-dog.
Anzi, il punto era proprio quello: era il bambino a volerlo.
Alla fine, comunque, aveva ceduto e mi aveva offerto ciò che volevo, facendomi promettere che però non avrei aggiunto alcuna salsa.
Mi aveva accarezzato i capelli prima e baciato poi, voltando il mio viso verso il suo.
Mi guardava negli occhi, senza dire nulla, come dal grigio nuvoloso delle sue iridi fosse capace di farmi capire quali fossero i suoi pensieri, come se avesse paura di dirli ad alta voce.
Sorrisi e mi allungai a posare le mie labbra sulle sue.
Stavo bene, ero felice e continuavo a chiedermi come avessi potuto privarmi di tanta gioia? Come avevo fatto a sopravvivere senza di lui? E come avevo potuto pensare di averlo dimenticato.
-Vuoi un cappuccino?
-Sì.
-‘Mio…
-Mh?
-Sei bellissima.- e si allontanò per andare a prendere il mio cappuccino e, ovviamente qualcosa per lui.
Sentivo l’emozione per quelle parole fermarsi in gola e, quando ormai ero sola, lasciai che qualche lacrime scivolasse sul mio viso.
Tutto quello che stavo vivendo da due giorni mi sembrava troppo surreale, troppo bello per essere vero.
Prima di allora, non mi ero mai reso conto di quanto la presenza di Henri fosse un ostacolo a tutto ciò che avevo sempre desiderato, eppure, avevo insistito ad averlo accanto, a restare con lui, a provare e riprovare. Tutto inutile. E dannoso, ma solo per me.
E, da quando l’avevo lasciato, anzi, da quando avevo capito di amare ancora Draco, non mi ero permessa del tempo per restare da sola, perché volevo essere felice, finalmente felice. Non m’importava di quello che avrebbe pensato la gente. Mi importava solo di me, di mio figlio e di Draco.
Gli occhi, le critiche degli altri, soprattutto di quelle persone che non erano all’altezza di giudicarmi, erano al di fuori della mia bolla di felicità e non avrei permesso a nessuno di creare neanche un minimo graffio alla sfera n cui vivevo.
Quando Draco tornò con in mano un cappuccino, una brioche e un caffè semplice, mi trovò in una posizione leggermente diversa: avevo poggiato sulla panchina la parte alta del sedere, in modo da poter poggiare la testa sullo schienale. Mi sorrise.
-Ciao.- lo salutai con un dono di voce che avrebbe avuto chiunque si fosse svegliato da poco. In realtà, ero solo stata troppo tempo in silenzio, mentre piangevo.
-Stanca?
-No.
-Tieni.- mi porse il cappuccino e la brioche. –Ho pensato che avessi fame.
-Shì.- dissi, tenendo in bocca un pezzo di quella goduria.
Era una brioche semplice, vuota, ma aveva un sapore superbo: lo zucchero a velo sulla superficie oleosa la rendeva perfetta.
Un sapore così dolce, così effimero era… non avevo termini per definirla, ma, semmai sarebbe venuta la fine del mondo, avrei portato in salvo con me tonnellate di brioche.
Draco era rimasto lì a guardarmi, con la bocca spalancata. –Oh mio Dio, dovevi proprio aver fame.
Non ne aveva presa una di brioche, ma ben cinque e le avevo mangiate tutte io, dando a lui solo un pezzo di quella che avevo in mano. Lo avevo preso e mangiato, giusto per assaggiarlo e provare se tutto quello che avevo detto riguardo al sapore meraviglioso che aveva quel dolce fosse vero, poi mi aveva sorriso.
-Passeggiamo un po’?
-Ok.- mi aveva preso per mano, attendendo con pazienza che sistemassi la borsa e il resto che era davvero inutile sistemare, dato che non era fuori posto, però, volevo passare quanto più tempo con lui.
Forse, avevo davvero sbagliato tutto nella mia vita, ma ero decisa a recuperare tutti i miei errori ed evitare di farne altri, perché non avevo più voglia di farmi passare la voglia di desiderare qualcosa, perciò, se in quel momento desideravo amare Draco, lo avrei amato.
E se avessi desiderato mangiare un enorme frappè a fragola lo avrei mangiato.
Oooh, un frappè a fragola
-Cosa?- mi chiese Draco.
Probabilmente, dovevo aver pensato ad alta voce. –Niente…
-Hai detto "frappè a fragola"?
-L’ho pensato!-Perché lo vuoi?
-No, l’ho pensato perché… l’ho pensato e basta.
-Dai…
-No, davvero.
-‘Mio…
-Dico davvero.
-‘Mio…
-Oh, e va bene: ho una gran voglia di frappè a fragola.
-Andiamo!- mi aveva cinto le spalle con un braccio e ancora una volta mi aveva baciata.
Mi ero fermata- credevo all’ombra di qualche albero visto che non sentivo più il calore del sole pomeridiano sul viso- per baciarlo come meritava e soprattutto come io desideravo: la sua bocca mi era mancata tanto che, per tanto tempo, avevo evitato di baciare mio marito. All’inizio era stato così.
In quel periodo, provavo una gran tenerezza per lui e per le attenzione che mi dedicava continuamente, senza che io ne ricambiassi una. Poi, tutto era cambiato.
Scossi la testa e ripresi a baciare Draco con tutta la passione che avevo in corpo, privandomi quanto più possibile dell’aria che c’era intorno.
Quando proprio non ce l’avevo fatta più, avevo poggiato la fronte sul suo naso ed avevo respirato il profumo della sua bocca, della sua pelle. Lo desideravo, lo desideravo con tutta me stessa: desideravo fare l’amore con lui e sentirlo addosso, senza freni inibitori.
-Draco…
-Mh?- avevamo ancora le labbra incatenate a quelle dell’altra, ma sentivo il bisogno di dirglielo.
-Ti voglio.
-Mmh.- mi strinse di più a sé, in modo da far combaciare perfettamente al suo corpo.
Il suo profumo, ancora una volta, mi investì i sensi e mi resi conto che realmente mi faceva girare la testa e lo stomaco, nonostante fosse bellissimo.
Mi staccai dalle sue labbra. –Scusami…
-Per cosa?
-Credo di avere un po’ di nausea.
-Vuoi tornare a casa?
-Sì.
Non c’era offesa sul suo viso, né felicità. Solo preoccupazione: forse, pur avendo già vissuto questi momenti, si sentiva impacciato e spaventato dagli improvvisi sbalzi d’umore che una donna incinta poteva avere.
Gli sorrisi e gli strinsi le mani. Mi sentivo in dovere di ringraziarlo, perché in soli due giorni mi aveva dato quello che Henri non mi aveva mai dato in sei anni, ma mi risultava davvero difficili trovare parole che avrebbero potuto rendere spiegabile tutta la gratitudine che provavo verso di lui.
Il confronto tra lui e Henri sarebbe stato sempre presente nella mia mente, ma Draco avrebbe stravinto alla grande. Sempre.
Arrivammo all’uscita del Green Park ancora mano nella mano e Draco aveva il volto più rilassato: la piccola ruga che gli si disegnava sulla fronte era sparita e mi sentì sollevata anche io, perché non volevo dargli noie, né farlo preoccupare per un po’ di nausea. Certo, avevo paura di vomitare, ma, prima o poi, sarebbe finito tutto.
-Ti senti un po’ meglio?- mi chiese quando entrammo in auto.
-Decisamente. Grazie.- era poco, troppo poco: non aveva senso ringraziarlo con un semplice "grazie".
-Di niente. Ti amo e lo sai che farei di tutto. Per voi.
Non avrei mai saputo essere come lui, nelle parole, nei gesti e in tutto quello che lo rendeva perfetto.
Lo amavo anche per questo.
Sentii le fusa del motore solleticarmi le gambe ed arrampicarsi sulla schiena e chiusi gli occhi, facendomi cullare da quel massaggio dolce e rilassante. Distesi le labbra in un sorriso. –Quest’auto è una beauty farm.
Sentii il soffio del suo riso riempire il silenzio attorno, allora aprii gli occhi e lo guardai: aveva lo sguardo puntato sulla strada che scivolava sotto le ruote dell’auto, e una mano sul cambio, stretta attorno alla mia.
Erano i piccoli gesti che mi dedicava che mi facevano sentire così importante, come se per lui fossi vitale come lo era l’aria: cercava sempre di stare in contatto con me e, anche quando era lontano, mi osservava, mi studiava e mi sorrideva.
Quando era a lavoro, mi telefonava per chiedermi come stavo, se avessi bisogno di qualcosa. Eravamo tornati insieme solo da due giorni, ma avevo capito che era tutto ciò che volevo sempre nella mia vita. Ogni giorno, ogni istante.
Avevo chiuso di nuovo gli occhi, beandomi delle carezze che Draco si prodigava fare sul dorso della mia mano e del massaggio che partiva dal motore dell’auto.
Anche la musica mi aiutava a rilassarmi, visto che era poco più alta di un sussurro.
Sentii l’auto rallentare e sentii l’ansia crescere, perché ero convinta che fossimo già arrivati a casa e che avremmo già dovuto separarci e ciò trovò conferma quando Draco mi baciò.
La frenesia con cui sentii le sue labbra premere sulle mie mi spaventò e allora aprii gli occhi, staccandomi da lui.
Tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che eravamo fermi in mezzo al traffico e non fuori al cancelletto di casa, allora sorrisi ancora. –Sai che questi baci potrebbero provocarmi un infarto.
-Sai che per tanti anni ho sperato che questo accadesse.- e mi baciò ancora.
Gli posai le mani sul petto e, ancora una volta, lo allontanai. –Hai sperato che mi venisse un infarto?
-No, ho sperato di baciarti ancora. –un bacio a stampo. –E ancora.- un altro bacio. –E un altro ancora.- un altro bacio. –E ancora…
Una marea di clacson ci investirono e gli autisti suonarono talmente forte che balzammo letteralmente sui sedili e ci ritrovammo con le spalle incollate agli schienali. –Oddio, metti in moto.
-Paura, eh?
-Scemo!- gli diedi un leggero pugno sul braccio e scoppiai a ridere alla vista della sua faccia fintamente contorta dal dolore.
-Che male! Tu sì che sei forte… potresti fare boxe.
-E tu sei così fragile che anche una folata di vento ti metterebbe al tappeto. – ed avevo concluso la frase assumendo un’aria fiera e trionfante.
Ovviamente, non era vero: di muscoli ne aveva tanti, anche se non vistosi come quelli dei culturisti, ma era perfetto così. Quella davvero fragile e senza neanche un muscolo ero proprio io, però mi sentivo forte come se avessi fatto anni di palestra, di boxe e di tutte le arti marziali presenti sulla faccia della Terra.
Tutto quello che avevo appena sognato era a pochi, pochissimi millimetri da me e mi resi conto che tutte le domande che mi ero posta da quando ero arrivato a Londra erano stati solo stupidi dubbi, stupide paure che non avrei dovuto provare, perché l’unica certezza che avevo sempre avuto nella mia vita era l’amore che avevo provato e che provavo ancora per Draco.
Erano quasi le sette di sera, il traffico per le strade di Londra era denso e scorreva lento, ma non era mai stato tanto piacevole essere imbottigliati tra migliaia di auto, anche perché l’aria fresca della sera era piacevole a contatto con la pelle.
-Odio il traffico!-esordì.
-Perché?
-Toglie tantissimo tempo alle persone.
-Quindi, non hai voglia di stare con me?
-Certo che ho voglia di stare con te, come può venirti in mente una cosa del genere? E’ solo che stai scomoda e vorrei farti stendere su un letto comodo e…
-Sto bene, davvero. Mi basta stare con te.
Posò la sua mano sulla mia guancia e mi attirò per baciarmi ancora ed io risposi con tutto l’ardore che scorreva nelle mie vene.
Dopo altri dieci minuti trascorsi nel traffico, che avevamo impegnato assaporandoci l’un l’altra, eravamo arrivati fuori al cancelletto di casa.
Lo guardai con aria imbronciata. –Non voglio andare via…
-Anch’io vorrei che rimanessi, ma credo sia meglio che tu dorma in un letto comodo.
-Tu dove dormirai?- non gliel’avevo ancora chiesto e mi sentii tremendamente una donna inutile: come avevo potuto non preoccuparmi di dove dormisse o cosa mangiasse?
-Stasera tornerò in albergo, mentre aspetto di trovare casa.
-I-io…
-Sei stanchissima, vai.- mi baciò ancora e poggiò la mano sul ventre. –Vengo a prenderti domani, alla stessa ora.
-Hey, non stai esagerando un po’.
-Ho perso troppo del suo tempo.- disse, facendo una leggera pressione sulla pancia. –e per troppo tempo non ho vissuto te, quindi… lasciami recuperare.
Lo amavo. Con tutta me stessa, con tutte le cellule, con tutta l’anima, con tutto ciò che era vivo in me. –Buonanotte.- gli avevo detto dopo averlo baciato ed essere uscita dall’auto.
-Ti amo.
Angolo Autrice:
Lo so, siete livere di linciarmi!
E' un pò che non pubblico questa storia e il motivo è sempre quello: il capitolo era quasi finito, ma mentre stavo scrivnedo il finale, il pc è LETTERALMENTE andato in fumo: ho pianto per giorni, credetemi!
Ma, come potete vedere, sono tornata e spero che ne siate contente xD
Il capitolo è un pò più corposo degli altri, ma davvero un pò.
Non starò qui a straparlare del capitolo o dei personaggi e roba varia.
Vi avviso solo che non ci saranno i collegamenti alle immagini perchè non so usare bene l'editor del sito!
Ringrazio le 118 seguite, le 60 preferite, le 14 preferite!Grazie mille.
Alla prossima, la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 39 *** Un passo importante ***
Capitolo
39:
Un passo importante…
HERMIONE
POV
Avevo trascorso una
settimana meravigliosa in compagnia di Draco, ma c’era
qualcosa che non andava,
che mi spaventava. Come se non avessimo cominciato con il piede giusto.
Avevo creduto per
un po’ che non mi importasse della gente, che il loro
giudizio non fosse
importante, ma non era sempre così: la parte di me che dava
conto a quello che
pensava la gente, a volte, faceva capolino alla mia coscienza e mi
rendevo
realmente conto di quanto pesassero gli sguardi delle persone pettegole
che,
non appena udivano le fusa del motore dell’auto di Draco, si
affacciavano per
guardare se ci baciavamo o meno e poi guardavano verso la casa in cui
avevano
vissuto insieme Draco e Cloe.
Non la vedevo da
tempo, perciò per un po’ non avevo pensato a lei,
ma vedere Draco premuroso, così premuroso,
aveva fatto nascere in
me una gelosia che non avevo mai provato in tutta la mia vita.
Più lo guardavo
e più nella mia mente nascevano le domande e gli inevitabili
paragoni: è stato
così dolce anche con lei? La curava in questo modo? Le
dedicava tutte queste
attenzioni?
Mi ero ritrovata
gelosa di un passato di cui per anni avevo finto di ignorare
l’esistenza e ora,
invece, era presente in ogni mio pensiero.
Era da stupidi,
probabilmente, credere che non c’era stato più
nulla tra loro dopo la nascita
di Natan.
Forse, tutto era
cominciato nel momento in cui Draco mi aveva detto di dover incontrare
Cloe.
Avevo sentito per un po’ la lucidità del mio
cervello che mi abbandonava e un
po’ di ossigeno era tornato quando mi aveva chiesto se avevo
voglia di
accompagnarlo.
Non l’avrei fatto
per svariati motivi, ma più di ogni altra cosa, non
l’avrei fatto perché non
sarei stata capace di guardare negli occhi una donna che era stata
capace di
mentirmi in quel modo e che mi aveva rivolto parole tanto cattiva,
soprattutto
credendo al fatto che fossi io a non poter avere figli e non Henri.
Di Henri, intanto,
non avevo assolutamente voluto saperne più: probabilmente,
aveva pagato un
abile avvocato o qualcuno gli aveva pagato la cauzione ed era uscito di
galera,
ma non m’importava: avevo messo una pietra sul mio passato e
avevo fatto
giurare a tutti di non parlarne più.
Quell’uomo sarebbe
stato uno dei miei rimpianti più grandi, perché
avevo buttato all’aria tanti
anni in una vita che mi aveva spento lentamente il cuore.
Non amavo parlar
male delle persone, ma su di lui non riuscivo proprio a contenermi.
Guardai l’orario
segnato sul display del cellulare e mi resi conto che avevo dormito
più del
solito.
Il tempo passava e
non ero capace di trovare il coraggio: avevo trascorso
un’intera settimana a
pensare a cosa avrei dovuto dire, come dirlo, ma era la convinzione di
farlo
che mi mancava.
Ed anche una paura
folle che mamma potesse non accettare, non capire.
Le piaceva Draco e
questo lo sapevo bene, ma, probabilmente, la notizia di diventare nonna
in
questo modo l’avrebbe sconvolta.
Ma sapevo che non
potevo più rimandare: anche da stesa, la leggera
protuberanza al ventre era
visibile.
Inoltre, era una
donna anche lei e, sebbene fosse in menopausa da un po’, non
aveva di certo
dimenticato come funzionava il corpo di una donna.
Da sola non ce
l’avrei fatta. Mai.
Presi il telefono e
premetti direttamente il tasto che inviava la chiamata, dato che il
nome della
persona in cima alla lista era proprio quella con cui volevo parlare.
Al secondo squillo,
sentii un vociare indistinto. –Pronto?
-Herm, scusa, c’è
Ron qui…
-Oh, allora
richiamo…
-No, tranquilla.
-Davvero, Ginny.
-Ecco, sono tutta
tua.
-Come stai?
-Bene.- sapevo che
aveva litigato con Harry e sapevo che non era vero, ma non voleva che
mi
preoccupassi ed io non volevo sembrare troppo invadente,
perciò cercai di
rispettare il suo silenzio. –Allora, dimmi.
-Beh, ci ho pensato
a lungo e credo che sia arrivato il momento di dirlo a mamma
e… volevo che ci
foste anche tu ed Harry.
Avevo toccato un
brutto tasto, ma probabilmente, questo li avrebbe riavvicinati: non si
parlavano da giorni e, forse, se Ginny l’avesse telefonato,
le cose sarebbero
un po’
migliorate tra loro.
-Lo chiami tu?-
ovviamente, i miei buoni propositi andarono a farsi friggere.
-Veramente, avevo
pensato che potessi farlo tu.
-In questo caso,
credo che verrò da sola.
-Ok, senti, ho
bisogno anche di Harry.- restai per un po’ in silenzio,
cercando di creare
un’alternativa, ma nulla. –D’accordo, lo
chiamo io.
-Bene.
-Solo… puoi passare
a prendermi?
-Certo, tra quanto?
Guardai l’orologio
e mi resi conto che l’ora in cui Draco avrebbe dovuto
incontrare Cloe si stava
avvicinando inesorabilmente e decisi che non avrei voluto passare un
minuto di
quel tempo da sola, a crogiolarmi nella mia gelosia. –Tra
un’ora.
-A tra poco.- e
staccò la telefonata senza neanche salutarmi.
Mi rendevo
perfettamente conto che essere in bilico a pochi mesi dal matrimonio
era
qualcosa che provocava quasi un male fisico, soprattutto se si
è in bilico
lontano dalla persona che si amava: Harry era davvero troppo preso dal
suo
lavoro e Ginny si sentiva trascurata e le era sorto il dubbio che il
suo
fidanzato storico non l’amasse più.
Ovviamente, quel
dubbio non aveva nessuna base su cui posare, ma Ginny aveva sempre
avuto il
terrore di perdere Harry e questo, spesso e volentieri,
l’aveva portata ad
andare un po’ oltre con la fantasia: Harry la adorava, la
idolatrava, anche se
il lavoro lo faceva apparire distante.
Sapevamo tutti bene
che Harry, comunque, poneva in eguale misura sui piatti della bilancia
il
lavoro e l’amore. Lo faceva dai tempi del liceo.
Mi alzai dal letto
quando l’ennesimo lamento del mio stomaco mi
riempì le orecchie: avevo fame e
non sapevo di cosa ed ero certa del fatto che mancasse qualcosa e, quel
qualcosa fosse proprio quello di cui avevo voglia.
Mi girava la testa
vorticosamente e, per scendere al piano inferiore, tenni una presa
salda lungo
tutta la durata della scala: ero diventata iperprotettiva anche nei
miei
confronti.
Mamma non c’era e
quando capitava che fossi sola a casa, tiravo un sospiro di sollievo,
perché si
allontanava il tempo di darle la notizia.
Chissà come la prenderà.
A quel pensiero,
sentivo le membra contorcersi.
Mi preoccupavo più
di come avrebbe vissuto mio figlio una situazione simile,
perché se anche mia
madre non avesse accettato, non le avrei permesso di non conoscere suo
nipote e
a lui o a lei non avrei privato di conoscere sua nonna.
Eppure mamma era
una donna a modo, sempre aperta al dialogo, non capivo
perché mi preoccupavo
tanto.
Guardai le gocce di
caffé che lentamente, ad una ad una, riempivano il bricco di
vetro posto sotto
la macchinetta elettrica e mi chiedevo come potesse quel po’
di liquido scuro
dare tanta carica.
Cominciai a mordicchiare
un croissant imbustato e bevvi un sorso d’acqua.
Il caffé non era
ancora pronto, perciò decisi di vestirmi, nel frattempo.
Mi avviai e salii
lentamente le scale, facendo attenzione a non inciampare nei gradini o
nel
tappeto posto sulla superficie lineare in cima alle scale, cosa che mi
capitava
molto spesso da un po’ di tempo.
Non appena fui
nella mia stanza, mi diressi verso l’armadio e presi un
completo che avevo
preparato per chissà quale occasione: qualcosa di semplice,
senza troppi
gangheri e un paio di bamboline.
Mi avviai in bagno,
avviai il getto della doccia ed attesi che fosse caldo.
Il mese di Marzo
stava regalando a Londra delle giornate di sole meravigliose, ma il
freddo era
comunque pungente.
Entrai nella doccia
e mi insaponai lentamente con un bagnoschiuma a caso: non avevo alcuna
voglia
di dare peso a dei gesti insignificanti come quello di scegliere il
bagnoschiuma, perché la mia mente era da
tutt’altra parte.
Avevo promesso a
Draco che l’avrei chiamato non appena mi fossi svegliata e
lui mi aveva
promesso di non farsi prendere dalle preoccupazioni inutili,
perciò mi avrebbe
lasciata dormire. Ma io non l’avevo chiamato.
Non c’era nessun
motivo per non farlo, sentivo solo che non volevo disturbarlo: forse
era a
lavoro o, forse, aveva anticipato l’appuntamento con Cloe ed
erano insieme.
Forse non avrei resistito
troppo a lungo in quella situazione e il pensiero di aver corso troppo,
sotto
le carezze dell’acqua calda e del
bagnoschiuma, divenne una certezza che mi
riempì in pochi istanti il cuore.
Forse, avremmo
dovuto prenderci il tempo necessario per capire a cosa realmente
stavamo
andando incontro, tutti e due: avevamo corso troppo ed ora si stava
cominciando
a vedere il risultato sull’asfalto della nostra vita: troppi
dossi non erano
stati stesi e non erano diventati un tutt’uno con la via che
avremmo dovuto
percorrere.
O, probabilmente,
ero diventata paranoica e paurosa.
Ne avrei parlato
con Draco, perché aveva il diritto di sapere, ora
più che mai: se anche
avessimo decidere di chiudere, avremmo dovuto mettere in chiaro tutte
le cose
riguardo a nostro figlio.
Uscii dalla doccia
e mi avvolsi nell’accappatoio più che potevo.
Sentivo lo stomaco scosso dalla
nausea e il mio corpo dai brividi causati dal freddo, perciò
cercai di asciugarmi
velocemente.
Mi ricordai del
caffé solo quando ripensai a cosa avevo mangiato che aveva
potuto causarmi la
nausea e scesi in cucina ancora in accappatoio.
Spensi la
macchinetta e mi affrettai a rispondere al cellulare che aveva preso a
suonare.
Era posto accanto
al lavandino, perciò risposi, probabilmente, al secondo
squillo. –Pronto?
-Sei pronta?
-Devo solo
vestirmi.
-Sono fuori casa
tua.
-Ti apro.- e
staccai la telefonata.
Quando aprii la
porta, la tristezza di Ginny mi permeò sotto la pelle.
-Che hai?- mi
chiese e mi resi conto di avere gli occhi colmi di lacrime.
-Non voglio vederti
in questo stato.
-Lo dicevo anche
io, quando stavi con quello. Ora hai capito cosa si prova a dover
guardare
un’amica distrutta dal dolore e non poter far niente?
-C’è un modo in cui
posso aiutarti, ma devi lasciarmi fare…
-Non serve che gli
parli: sarà sempre la stessa storia.
-Ginny…
-Lo so bene, Herm:
lo conosco da quando era un bambino ed è sempre stato
così. Ci sto seriamente
pensando: forse non è il caso che ci sposiamo.
-Sei impazzita o
cosa?
-Dico sul serio,
non mi sento ancora pronta: è già difficile
adesso, figuriamoci dopo.
Restai in silenzio,
perché in fin dei conti aveva ragione: il matrimonio aveva
dato ad Henri la
convinzione che, una volta diventata sua moglie, avrei potuto e dovuto sopportare tutto quello che lui
avrebbe fatto.
Probabilmente, il
matrimonio avrebbe cambiato anche Harry, ma tenni questi pensieri per
me,
evitando di riempire la testa di Ginny di idee folli.
Le strinsi la mano
e aspettai che mi guardasse negli occhi prima di parlare.
–Passerà…
-Sarà sempre così.
-Dai un po’ di
fiducia all’amore che Harry prova per te. E’ un
periodo difficile in
commissariato. Credimi, passerà.
-Lo spero. Và a
vestirti o farai tardi.
-Sì.
Risalii la scala in
un silenzio quasi religioso, forse, per darmi il tempo di pensare a
cosa fare
una volta arrivata in commissariato e avrei avuto modo di parlare con
Harry.
Indossai
velocemente gli abiti
che avevo sistemato sul letto e feci giusto una passata
di mascara sulle ciglia e una di rossetto sulle labbra, poi tornai in
salone e
servii un po’ di caffé a Ginny.
Era seduta sul
divano, con lo sguardo rivolto verso la finestra: sembrava persa nei
meandri di
qualche ricordo e dal sorriso lieve che teneva sul viso, doveva
trattarsi di un
ricordo felice.
Posai la tazza sul
tavolino basso che era di fronte al divano e lasciai Ginny
lì per un bel po’:
si sarebbe risvegliata da sola ed io speravo che quel ricordo le
portasse alla
mente le dimostrazioni che Harry le aveva dato ogni volta che lei non
si era
fidata del loro amore.
Mi sedetti di
fronte a lei e la osservai a lungo: sembrava stanca.
Aveva gli occhi
cerchiati, sulla fronte una piccola ruga e le lentiggini erano ancora
più
evidenti ora che la pelle aveva assunto una tonalità di
bianco più chiara.
Era bellissima,
eppure qualcosa in quell’espressione faceva a pugni con la Ginny
che conoscevo.
Era sicuramente la
tristezza che traspariva dal suo viso: non era abituata a vedere la mia
migliore amica triste, perché era stata sempre lei a salvare
me, nonostante avesse
un paio di anni meno.
Era sempre stata
più grande della sua età.
Quando si ridestò,
aveva gli occhi grandi di meraviglia e mi chiese perché la
stavo fissando in
quel modo. Semplicemente le sorrisi, poi infilai il cellulare nella
tasca dei
jeans ed aprii la porta d’entrata.
Una volta in auto,
rimanemmo in silenzio per un po’.
Io contemplavo il
traffico, lei pensava ad Harry.
Da quando ero in
sua compagnia, non avevo indirizzato un solo pensiero a Draco e mi
sentii in
colpa, ma decisi che se non volevo star male, quella era la cosa giusta
da
fare.
Arrivammo al
commissariato dopo venti minuti e mi affrettai a salutare Ginny con un
bacio
sulla guancia, poi mi avviai.
Cho mi salutò
cordialmente e mi chiese come andava la gravidanza, perché
non avevo ancora
chiesto la maternità e se avevo mai immaginato come sarebbe
stato mio figlio,
se sarebbe stato maschio o femmina.
Restai a parlare
con lei per dieci minuti buoni -il tempo che Harry scendesse al piano
che gli
spettava –Cho mi aveva avvisato che c’era qualcosa
da risolvere al terzo
piano-, quindi le sorrisi e mi incamminai verso l’ufficio in
fondo al
corridoio.
Non appena aprì,
Harry mi strinse forte e capii che avrebbe voluto non pesarmi troppo,
visto che
tratteneva di schiacciarmi con la sua massa corporea. Non era
estremamente
muscoloso, ma non era neanche tanto snello e fragile.
-Ho bisogno di te.-
dicemmo all’unisono, poi ci guardammo negli occhi e
sorridemmo. Un sorriso
dolce, senza malizia.
-Prima tu.
-No, dai: la tua
richiesta sarà sicuramente più breve e, poi,
ricorda che un uomo deve dare la
precedenza alle donne, in particolar modo se sono incinte.
-Ok. Stasera…
vorrei che fossi ospite a casa mia. A cena.
-Perché?
-Devo dirlo a
mamma.
-Io a cosa ti
servo?
-Mi darai coraggio…
e prenderai le mie parti, se mai qualcosa dovesse andar male.
-Sei troppo…
-No, non ho nessun
pregiudizio: non mi sono mai trovata di fronte ad un argomento del
genere con
mia madre, se non in maniera ipotetica, quindi… ci sarai?
-Ovvio. Viene anche
lei?
-Lei ha un nome e,
sì, verrà.
-Bene.
-Credo che tu la
stia trascurando un po’ troppo.
-Sono solo
impegnato con il lavoro.
-Il lavoro, a
volte, può anche aspettare.
-Hermione…
-Mi rendo conto
che, in alcuni casi, quella che ho appena detto è la cazzata
più assurda del
mondo, ma nel tuo caso no: tu hai una vita privata e una donna che ti
ama
follemente e che sente di non essere ricambiata.
-Come può credere
questo?
-Può eccome.
-Cosa devo fare?
-Chiedile scusa e
dedicale più tempo.
-Come faccio con il
lavoro?
-Lascia per un po’
le carte da parte…
-Verrà anche Draco
questa sera?
-In real…
Bussarono alla
porta e pregai Dio con tutte le mie forze che non fosse
l’uomo che il mio
migliore amico aveva appena nominato.
Guardai l’orologio
e mi resi conto che l’appuntamento, probabilmente, era finito
da un bel po’.
Quando la porta si
aprì, promisi a me stessa che avrei fatto un bel discorsetto
con Dio e mi
limitai ad assumere l’espressione più neutra del
mondo: in realtà, una parte di
me sapeva di dover dar voce ai pensieri che avevano affollato la mia
mente
nella mattinata, l’altra metà aveva paura che
Draco condividesse quei pensieri.
Lo guardai mentre
portava indietro, con la mano, i capelli biondi scivolati sulla fronte
e si
sedeva nella sedia accanto alla mia.
Poggiò la sua mano
sulla mia, mentre io guardai Harry. Lo vidi incrinare le sopracciglia e
mossi
la testa in senso di diniego: avrebbe capito che non era il momento di
parlarne.
Draco, invece,
continuava a sorridere.
-Allora, stasera
sei dei nostri?
-Per?- chiese
Draco, rivolgendosi ad Harry con la voce, ma guardando me.
-Hermione ha deciso
di parlarne con Meredith.
-E’ fantastico.
-Già.- conclusi con
poco entusiasmo, inserendomi tristemente nella conversazione.
-A che ora?- chiesero
i due uomini che mi tenevano compagnia.
-Alle otto.
-Perfetto.
Salutai Harry ed
uscii dal suo ufficio, seguita da Draco.
Mi cinse la vita
con entrambe le braccia e avvicinò il suo viso al mio.
–Come ti senti?
-Un po’… l’odore di
fumo mi dà fastidio.
-Scusami.
-Non ti preoccupare.
Com’è andata oggi?
Vidi un sorriso
dolce nascere sulle sue labbra e sentii un tuffo al cuore.
–Bene.- disse, dopo
troppo tempo.
-Ne sono felice.
-Lo sono anche io.
Vuoi che ti accompagni a casa?
-Sì.
§
Avevo
guardato nel
frigorifero e avevo notato che c’erano tutti gli ingredienti
che mi sarebbero
serviti.
O mamma è andata a fare la spesa di
recente
o è una maga e sa che deve succedere qualcosa.
Ebbi paura dei miei
stessi pensieri, perciò mi immersi in una profonda ed
accurata pulizia di tutto
ciò che mi sarebbe servito: dalle verdure alle posate.
Mi tornò in mente
il sorriso che era nato sulle labbra di Draco quando gli avevo chiesto
com’era
andata con Cloe e sentii di nuovo lo stomaco chiudersi in una morsa.
Erano solo un paio
di ore che non ci vedevamo, perché mi aveva riaccompagnata a
casa, ma non l’avevo
lasciato entrare, né l’avevo salutato come
meritava –un semplice bacio a
stampo, non di più- e lui, dal canto suo, non mi aveva
chiesto perché mi
comportassi in quel modo.
Non volevo che fosse
presente, ma sapevo che non sarebbe stato giusto nei suoi confronti.
Solo che non
sopportavo l’idea di non sapere cosa fosse successo durante
l’incontro che aveva
avuto con Cloe… e quel sorriso, la sua risposta vaga, la sua
aria stanca.
Tutto mi faceva
pensare che era successo qualcosa che non mi sarebbe piaciuto sapere.
Strinsi i denti e
cominciai ad imburrare la teglia del forno, poi lasciai che il tempo
scorresse
mentre io cucinavo, senza mai guardare l’orologio.
§
Solo
quando
bussarono alla porta mi resi conto di essere impresentabile: avevo i
capelli
legati in uno chignon posto al centro esatto della nuca, dal quale
usciva
qualche riccio ribelle e mi ricadeva sulla fronte o sulle guance, avevo
un po’ di
farina pochi millimetri più in basso degli occhi e sulla
fronte e il trucco
leggermente sbavato.
Suonarono ancora
una volta, e mi affrettai a chiedere con un tono di voce incerto un chi
è? tremante.
Era Ginny, perciò
aprii senza neanche sistemarmi e notai i suoi occhi grandi che mi
guardavano
increduli. –Erano anni che non ti vedevo in questo stato. Vai
a sistemarti un po’.
-Sì, dovrei
proprio.
-Ti accompagno.
-Grazie.
Salimmo le scale in
silenzio, poi, una volta in camera, io mi infilai direttamente nel box
della
doccia, mentre Ginny rimase in camera.
Sentivo solo il
rumore dell’acqua che cadeva lungo le pareti e contro la
cabina ed avrei voluto
rilassarmi sotto quelle delicate carezze calde, ma feci in fretta e mi avvolsi
nell’accappatoio.
Tornai in camera e,
ancora in accappatoio, estrassi dall’armadio un paio di jeans
ed una maglietta,
poi mi recai verso il mobile dell’intimo.
Ginny stette per
tutto il tempo seduta sul letto, con lo sguardo perso nel vuoto e le
labbra che
disegnavano una linea dritta: non volevo disturbarla o staccarla dai
suoi
pensieri, perciò mi vestii
e poi presi a truccarmi in silenzio.
La osservavo dallo
specchio e solo quando sentii la voce di mamma provenire dal piano
inferiore mi
mossi a darle una leggera spinta. –Che
c’è?- mi chiese, quasi spaventata.
-E’ arrivata mamma.
-Sei già pronta?
-Sì.
-Non hai freddo con
quella maglia? E’ leggera.
-No, ho davvero
molto caldo. Credo che sia per via della gravidanza.
-D’accordo.
E scendemmo in
cucina. Avevo una tale fretta di farmi vedere che mi sembrò
di essere tornata
bambina e combinavo un guaio: correvo dalla mamma per non rendere
palese la mia
colpevolezza, ma, ovviamente, quello era il modo meno scaltro per farlo.
Allora, però, non
ero ancora un abile avvocato.
-Buonasera.- dissi,
mentre mamma sbirciava nel forno.
-Ciao.- salutò me e
Ginny con un bacio sulla guancia. –E’
un’occasione speciale.
-Più o meno.
-Figlia mia, fa un
freddo tremendo: cambiati quella maglia.
-No, mamma ho
caldo, è per via dell…
-Del?- mi disse,
interrompendo nel punto giusto la mia frase.
-Della fretta: ho
cucinato e mi sono accorta di aver fatto tardi quando Ginny
è arrivata qui,
perciò ho fatto una doccia veloce e… ed eccomi
qui.
Avevo guardato la
mia amica con l’aria supplichevole di pietà, ma
avevo trovato solo il
rimprovero nel suo sguardo.
Dovevo dire
assolutamente la verità a mamma, ma, visto che Harry aveva
avuto la brillante
idea di invitare Draco –brillante ed anche giusta, tra
l’altro-, avevo deciso
di parlarne in sua presenza.
Gli avevo accennato
in auto di cosa si sarebbe parlato a casa, perciò, poteva
tirarsi indietro da
un momento all’altro se non si fosse sentito pronto.
Mi sedetti accanto
a Ginny e le presi la mano. –Si sistemerà tutto.
-Non mi va di
parlarne adesso.
-Va bene, ma non
stare così.
-Gli hai parlato?
-Sì…
-Grazie.
-Grazie a te. Per
tutto quello che fai per me.
Dopo pochi minuti,
arrivarono Draco e Harry che vennero a baciarci con un bacio leggero
sulle
labbra. Avrei solo voluto non essere tanto presa dai miei dubbi nei
confronti
di Draco, per poterlo baciare come desideravo davvero, come avevo fatto
nei
giorni precedenti.
Se lo amavo tanto,
come poteva un semplice dubbio farmi allontanare tanto da lui?
Gli sorrisi e
invitai sia lui che Harry ad accomodarsi in cucina.
–E’ quasi pronto.
Mamma era intenta a
spiare ogni pietanza che avevo riposto sul marmo del lavandino, poi si
voltò
verso di noi. –Credo di essere di troppo qui.- sorrise,
tristemente.
-In realtà, sei
proprio l’ospite più importante,
perciò, siediti con noi.- non sapevo da dove
uscisse tutto quel coraggio, ma lo sentivo scorrere nelle vene.
Sorrisi e sistemai
sulla tavola le bottiglie di vino e una di acqua, poi estrassi la
teglia dal
forno, riempiendo i piatti dei miei ospiti con il petto di pollo al
limone.
Mi sedetti e
guardai mamma.
Draco mi strinse la mano e vidi mamma che mi rivolgeva uno sguardo
strano:
doveva essere la luce o, forse le lacrime che mi riempivano gli occhi,
ma non
capivo se ci fosse commozione o delusione in quello sguardo.
Mangiammo per un po’
in silenzio, con la compagnia dei rumori delle forchette che venivano
posate
sul piatti, dei bicchieri che si riempivano di vino.
Io bevvi solo dell’acqua,
senza che nessuno mi chiedesse il perché della mia scelta.
Quando posai per l’ennesima
volta il bicchiere sul tavolo, guardai Ginny e Harry –a Draco
rivolsi uno
sguardo molto più breve-, poi mi schiarii la voce.
-E’ successo
qualcosa?- mi chiese mamma, spaventata.
-Sì… c’è una cosa
che devi sapere.- Draco mi stringeva la mano delicatamente, mentre io
cominciai
a torturare le sue dita.
-Lo so già, cara…
nel quartiere non si parla di altro.
La mia stessa
saliva mi andò di traverso e fui investita da violenti colpi
di tosse. –Lo sai
già?
-Ma certo…
Guardai tutti i
miei ospiti con gli occhi, probabilmente, fuori dalle orbite, poi presi
di
nuovo coraggio. –Cosa sai, esattamente?
-Che tu e il signor
Malfoy avete cominciato a frequentarvi.
Una parte di me
tirò un sospiro di sollievo sapendo che nessuno ancora
sapeva della gravidanza,
l’altra, invece, fu come schiacciata da un peso enorme
perché la parte più
difficile ancora doveva arrivare. –Sì.- dissi
semplicemente.
-E, poi, è chiaro:
è comprensibile da come vi guardate e le vostre
mani… beh, solo un cieco non
avrebbe potuto vederle. E, se anche fossi stata cieca e non avrei
visto, me ne
sarei resa conto da quello che entrambi riuscite a trasmettere.
La situazione si
faceva sempre più complicata: sentivo mamma parlare, ma la
sua voce era lontana
e, per questo, mi risultava difficile comprendere ciò che
stava dicendo.
Recuperai tutta l’aria
di cui necessitavo e mi resi conto solo che mamma mi guardava con gli
occhi
spalancati.
La voce fioca di
Draco mi giunse poco dopo. Un sussurro a pochi millimetri dal mio
orecchio. –L’hai
detto…
Serrai le labbra ed
attesi una reazione di mamma, che non arrivò.
Solo Ginny spezzò
il silenzio che si era creato, proponendo di continuare con la cena.
Mamma continuava a
fissarmi con la stessa espressione, io continuavo a tenere gli occhi
fissi nel
piatto pieno.
Mi era anche
passata la fame, ma mi sforzai di buttare qualcosa nello stomaco o
avrei corso
il rischio di avere un collasso.
Il tempo dall’inizio
della cena al dolce sembrò interminabile e mai una volta
mamma aveva guardato
Draco. Non sapevo spiegarmi per quale motivo, ma qualunque fosse, il
peso di
quello sguardo era davvero immenso e da sola non lo avrei sopportato un
secondo
di più.
Mi alzai e lasciai
il tavolo per correre in bagno. Mi sentivo scossa dai fremiti del
vomito,
perciò senza fare troppe storie, mi chinai sulla tazza ed
attesi.
Mi decisi a dare
libero sfogo a tutto quando un sapore amaro mi riempì la
bocca, poi sentii una
mano sottile posarsi sulla mia fronte.
Sapevo con certezza
che fosse Ginny, perciò cominciai a piangere, posando la
fronte sul mio
braccio. –Sapevo che sarebbe andata a finire così,
lo sapevo. L’ho delusa e non
accetterà mai questo figlio, pure se è di Draco.
-E’ di Draco?
Mi issai in fretta,
nonostante mi girasse la testa e guardai la persona che avevo di fronte
negli
occhi. –Credevo fosse Ginny.- mi affrettai a chiarire.
-Il bambino è di
Draco?
-Sì.
-Io… io credevo
fosse di quel verme. No, Hermione, non mi hai delusa:
diventerò nonna. Oh mio
Dio, è una cosa meravigliosa.
Mi strinse e sentii
le sue lacrime che mi bagnavano la maglia. –Mi… mi
dispiace che…
-Come ho fatto a
non rendermene conto? Oh Dio, tu mi hai resa la donna più
felice di tutta
Londra. Finalmente, figlia mia, hai capito qual era la cosa giusta da
fare.
-Ti voglio bene.-
non avrei osato aggiungere altro e, in quel momento, tutto era svanito
dalla
mia mente, perfino i dubbi su Draco.
-Quanti mesi?- mi
chiese allontanandosi.
-Due.
-Quando avevi
intenzione di dirmelo?
Sorrisi. –Avevo solo
paura della tua reazione.
Mi strinse ancora a
sé, poi posò la sua mano sul mio ventre.
–In effetti, comincia anche a vedersi
un po’.
-Sì.
-Sarai bellissima
con il pancione e sarai un’ottima madre.
-Lo spero.
-Non devi aver
paura.
Qualcuno bussò alla
porta e mi resi conto che era Draco solo quando entrò.
–E’ tutto a posto?
Mamma gli si gettò
al collo e lui mi guardò con aria sorpresa, così
gli sorriso e gli mimai un “lo
sa”.
Vidi che posava
lentamente le mani dietro le spalle di mamma e la ringraziò,
non so per cosa,
ma mi limitai ad aggiungermi a loro: dubbi o no, Draco era sempre il
padre di
mio figlio e l’unico che avesse fatto avverare il mio
più grande sogno.
Tornammo in cucina
e strinsi la mano a Draco.
Avevo voglia di
farlo e mi ero resa conto, nel corso della serata, che non potevo
trattarlo in
quel modo senza che lui ne conoscesse il motivo. Era anche vero che non mi aveva chiesto nulla,
ma, forse, aveva
pensato che il mio comportamento era dettato dal nervosismo e dalla
paura che
provavo prima di dirlo a mamma.
Mi sedetti a tavola
e sorrisi: ora che la persona più importante della mia vita
era a conoscenza di
una delle verità più spettacolari del mondo, mi
sentivo in pace con me stessa e
con l’universo intero.
La cena finì dopo
poco, ma la prima ad andar via fu mamma che, essendo tornata da una
dura
giornata di lavoro, chiese chiusa e si rifugiò in camera sua.
Ginny e Harry si
trattennero, perciò accesi la macchinetta automatica del
caffé e ci accomodammo
in salotto.
I miei due migliori
amici si sedettero distanti e fu Draco ad aprire il discorso.
–Perché vi
comportate così?- avrei voluto che avesse rivolto quella
domanda a me, ma
stetti in silenzio e, come lui, attesi una risposta.
-Non lo so,
chiedilo al tuo capo.
-Ginny- riprese
Harry. –non lo faccio volontariamente. Ho tantissimo lavoro
da sbrigare.
-Beh, mettilo da
parte: esisto anche io nella tua vita e tra poco diventerò
tua moglie. Forse.
-Che significa
forse?
Tirai Draco per un
braccio e mi feci accompagnare da lui in cucina, per lasciare a quei
due un po’
di intimità.
-Quanto zucchero?-
gli chiesi.
-Tu cos’hai?
Credevo fosse per via di tua madre, ma ora che lo sa e che ne
è contenta, vuoi
spiegarmi?
-Cosa hai fatto
oggi?
-Niente di
importante.
-Ti sei visto con
Cloe.
-Sì, te l’avevo
detto.
-Lo so, ma non so
cosa avete fatto, di cosa avete parlato.
-Sei gelosa.
-No, solo che non
mi va di essere presa in giro: l’ho visto quel sorrisino, in
commissariato, e
avevi l’aria stanca. Mi hai dato una risposta vaga e non ha
detto una parola
mentre mi riaccompagnavi a casa.
-Oh, Hermione…
-No, ti prego.
Risparmiami il tono di chi giura di non aver fatto nulla di grave.
-Ma è così. E,
comunque, non dovresti agitarti tanto: fa male al bambino.
-Andiamo in
salotto.- dissi, con il vassoio e le tazze colme di caffé
tra le mani.
Mi seguì in
silenzio lungo il corridoio e, quando ci sedemmo, fu lui a prendere le
distanze. Probabilmente, era offeso o ero stata io a cogliere nel
segno, fatto
stava che, almeno Harry e Ginny sembravano stare meglio.
Bevemmo, ognuno con
gli occhi nella propria tazza, senza proferire parola, senza spezzare
il
silenzio che si era creato.
Draco mi guardò per
un attimo ed io feci lo stesso, solo che non fui capace di sostenere i
suoi
occhi: ci voleva coraggio per decidere ed io non ne avevo.
Non in quel
momento, almeno.
Ginny e Harry ci
salutarono dopo pochi minuti, forse una ventina e rimanemmo io e Draco.
Lui guardava la
televisione e io sparecchiavo le tazze del caffé, dopo aver
rifiutato il suo
aiuto.
Sciacquai le tazze,
i piatti, i bicchieri, le posate e sistemai il tutto nella
lavastoviglie, poi,
asciugai le mani ed avviai il lavaggio.
Tornai a sedermi
sul divano, accanto a Draco che si era spostato dalla poltrona.
-Perché?
-Perché cosa?- gli
chiesi.
-Questa cosa…
-Non lo so, ma ho
bisogno di capire.
-Se è una questione
di gelosia, posso capire, cercherò di evitare…
-Non è solo gelosia
per i vostri incontri: è normale che avvengano e tu non puoi
evitare, perché hai
un figlio con quella donna.
-Allora cos’è?
-Non lo so.
-Sei già stanca?
-No.
-Cosa hai
intenzione di fare?
-Credo che sia
meglio prendersi del tempo, per pensare.
-In questo modo
finisce.
-Non è detto.
-Ci abbiamo messo
così tanto a ritrovarci, perché proprio ora?
-Non lo so.-
sentivo la gola stretta da un nodo, ma cercavo di non darlo a capire.
–Abbiamo
corso troppo, non ci siamo dati il tempo di capire cosa volevamo
davvero che
siamo stati travolti da questa responsabilità immensa,-
dissi, toccandomi la
pancia. –per questo, credo che ci serva del tempo.
-Ti telefono
domani.- disse alzandosi.
-No, preferisco di
no.
-D’accordo.
-Ti accompagno alla
porta.
Mi alzai e
camminai, precedendolo, verso la porta.
La aprii e Draco mi
si piazzò di fronte. –Ne sei convinta?
-Credo che per il
momento sia meglio così.
-Allora,…
-Ciao.- conclusi,
in imbarazzo.
Mi posò un bacio
sulla fronte ed uno sulla guancia, vicino all’angolo sinistro
delle labbra, poi
andò via.
Vidi le sue spalle
piegarsi per aprire la portiera dell’auto e mi
sembrò stanco, infinitamente
stanco.
Quando cominciai ad
avere freddo, decisi che non sarei rimasta lì a guardare la
sua auto mentre si
allontanava, anche perché, altrimenti, il discorso che avevo
appena fatto non
avrebbe avuto senso.
Tornai in casa e
bevvi un altro po’ di caffé. Nonostante la
caffeina, però, sentivo il sonno
pesare sulle palpebre e decisi di andare a letto.
Mi incamminai e
salii piano la scala lentamente, poi passai a dare il bacio della
buonanotte a
mamma: dormiva di un sonno pesante, ma il sorriso era presente sul suo
viso.
Mi sentivo bene
sapendo di averla resa felice, di non averla delusa.
Tornai nella mia
camera e indossai il pigiama che avevo sistemato sotto al cuscino, poi,
guardai
il cellulare, più che per abitudine che perché mi
aspettavo qualcosa, perciò,
quando vidi che c’era un messaggio non letto mi affrettai a
leggerlo.
«Credo che questo
tempo sia inutile, ma se tu credi che sia necessario, ti rispetto e ti
lascerò
il tempo che ti serve per pensare… solo… non
farti accecare da quella gelosia
inutile che dici di non provare e pensa che, finalmente, potremmo stare
insieme. Buonanotte ‘Mio. Ti amo.»
Posai il cellulare
sul comodino e mi infilai sotto le coperte.
Nonostante gli
avessi chiesto di non cercarmi per un po’, aveva voluto
ricordarmi che ci
sarebbe stato e che mi avrebbe rispettata, cosa che, con Henri, non era
mai
successa né sarebbe successa con il tempo.
Mi addormentai con
il sorriso sulle labbra e la consapevolezza che, pure se avessi deciso
di
chiudere la storia con Draco, non sarei andata incontro a violenze e
cose
tipiche del mio ex marito.
Decisi che l’indomani
sarei anche andata a lavorare, a spolverare almeno un po’
l’ufficio, visto che
i miei progetti erano falliti prima ancora di cominciare.
Chiusi gli occhi e
lasciai che Morfeo mi cullasse tra le sue braccia, mentre, in
lontananza, le
fusa di qualcosa mi facevano compagnia.
Spoiler capitolo 40:
-Ecco
perché non
volevo dirtelo.
-Avevi paura di me…
-In un certo senso.
-Credi che lo
faccia per il tuo male?
-No, affatto.-
però, nonostante la felicità che provavo per la
possibilità di diventare mamma,
c’era qualcosa in me che faceva a pugni con
quell’atmosfera perfetta: mi
mancava qualcuno. Mi mancava infinitamente qualcuno…
Angolo
Autrice:
Sono
tornata per la
gioia di qualcuno e la disperazione di qualcun altro xD.
Ora, sono
completamente a vostra disposizione: la scuola è finita e,
finalmente, ho il
mio diploma appeso alla parete della mia camera. Il voto non
è di certo dei
migliori, ma va bene così.
Non starò qui a
parlare del capitolo o dei personaggi o di cose varie: mi avete letto
per
troppo tempo, visto che il capitolo è più
corposo, e credo di avervi annoiato
abbastanza.
Ringrazio
le 129
seguite, le 63
preferite e le 17
ricordate.
Grazie <3
|
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Capitolo 40 *** Routine? ***
Capitolo 40: Routine?
Hermione
POV:
Mi ero
addormentata con la sensazione che mi mancasse qualcosa, non
qualcuno… ed era strano, perché non avevo mai
pensato al vuoto che sentivo dentro, a volte, sotto questo aspetto:
avevo sempre creduto che quello che mi mancava fosse la presenza di un
uomo accanto, di un uomo che amavo.
Ed ora mi
rendevo conto che non era così.
Non solo, almeno.
Erano trascorsi
due giorni da quando avevo deciso di darmi del tempo e, a lavoro, avevo
incrociato Draco un paio di volte, ma era sempre di spalle. Ed era
stato meglio così: cominciavo a capire che, forse, questo
togliersi del tempo sarebbe stato inutile e dannoso, soprattutto per
noi che di tempo ne avevamo perso già tanto.
Mi levai dal
letto e feci una doccia veloce, poi mi avvolsi
nell’accappatoio e mi diressi in camera, dove avevo
già preparato ciò che avrei dovuto indossare.
Da un
po’ di giorni, mi sembrava di non avvertire il freddo,
perciò indossavo sempre qualcosa di leggero e portavo con me
il cappotto.
Mi vestii
lentamente e cominciai a truccarmi senza troppa voglia.
Avvertivo una
strana sensazione allo stomaco, come se dovesse succedere qualcosa, ma
non mi lasciai spaventare, nonostante il mio istinto avesse sempre
ragione.
Quando finii di
truccarmi, infilai le scarpe e scesi lentamente le scale, dato che sui
tacchi alti, il mio equilibrio era abbastanza precario.
Mi tenevo salda
alla ringhiera, lasciando comunque che la mano scivolasse sul legno.
Quando arrivai
in cucina, mi avviai verso la macchinetta del caffè e presi
dal tavolo una fetta di pane tostato.
–No,
questo no.- disse mamma, spegnendo la macchinetta del caffè.
La lasciai
fare, anche perché non avevo questa gran voglia, ma bevvi
volentieri il bicchiere di succo d’arancia che mamma aveva
posato accanto al cestino del pane.
Mi diede un
leggero bacio sulla guancia, poi andò via dicendo che
sarebbe rientrata tardi e che mi avrebbe lasciato l’auto.
L’accettai
volentieri: inizialmente, era Draco che mi accompagnava nel tragitto da
casa al commissariato, ma, da quando avevo preso quella decisione,
avevo anche rifiutato il suo passaggio, quindi, mi sarebbe toccato fare
la strada a piedi.
-Buon lavoro.-
dissi al vuoto, dato che mamma era già andata via.
La casa vuota,
adesso, era davvero indescrivibile: in ogni angolo c’erano
dei ricordi, antichi o recenti, ma non era questo
l’importante… importante era
l’intensità e l’emozione con cui si
presentavano di fronte ai miei occhi.
Cercai di
trattenere le lacrime e, dopo averne pianto due o tre, riuscii nel mio
intento.
Andai a lavarmi
i denti, poi presi le chiavi dell’auto dal tavolino nel
salotto e mi avviai verso la porta.
L’aria,
probabilmente, doveva essere abbastanza fredda, visto che tutti i
passanti erano avvolti nei loro cappotti pesanti e nelle loro sciarpe.
Salii
nell’auto, misi in moto ed ingranai la prima.
Mai come in
quel momento, le strade di Londra erano libere da ogni ingorgo e questo
non fece altro che aumentare la sensazione che provavo: non sapevo in
che modo interpretarla, ma, di solito, quando doveva accadere qualcosa
di bello, incontravo mille contrattempi.
Per questo, mi
sentii un po’ spaventata.
Imboccai la via
che mi avrebbe condotta al commissariato in un tempo minore ed accesi
la radio, subito dopo aver terminato la curva.
Non ero mai
stata spericolata alla guida e neanche tanto prudente, infatti, a
volte, mi era capitato di stare al telefono e impegnare una mano per
impugnare il volante e cambiare le marce, ma, adesso, avevo adottato
tutte le attenzioni e le prudenze possibili. Per me, ma soprattutto per
il più bel dono che Dio avesse potuto farmi: non era ancora
nato, ma era come se fosse con me, perché era una parte di
me.
Arrivai al
lavoro pochi minuti dopo essere uscita di casa, perciò mi
concessi del tempo per rilassarmi sul sedile dell’auto.
Respirai a fondo e giocherellai con il ciondolo che mamma teneva vicino
alle chiavi.
Mi ricordai
delle chiavi che Draco mi aveva dato, quelle della casa che sentivamo
nostra, in cui ci rifugiavamo ogni volta che avevamo bisogno di stare
da soli o di scappare dal mondo: era stato un regalo di nonna, per il
mio diciottesimo compleanno ed io avevo voluto condividerlo con
lui…
Scesi
dall’auto e mi avviai verso il dipartimento.
All’interno
salutai con un cenno della mano Harry che parlava con un uomo, mi
diressi verso Cho per prendere le chiavi del mio studio e le sorrisi.
–Buongiorno.
-Buongiorno.
Come sta, avvocato?
-Va bene,
però ti prego di darmi del tu e di chiamarmi per nome.
-D’accordo.
Ecco le su… le tue chiavi.
-Grazie e buona
giornata.- asserì con il capo e mi allontanai.
Lungo il
corridoio, cercai di tenere gli occhi bassi, ma, arrivata
all’altezza della porta dietro cui sapevo esserci Draco, i
miei occhi, contro il comando della mente, stettero immobili a guardare
il vetro patinato.
Non scorgevo
nessuna ombra, nessun movimento e dall’interno non proveniva
alcun rumore.
-Non
c’è.- mi disse Harry. Non l’avevo
guardato, ma sapevo che quella voce apparteneva a lui.
Sorrisi, di un
sorriso amaro, triste. –Grazie.- poi, abbassai il capo e
corsi verso l’ascensore, come a volermi riparare dalla
notizia che mi aveva appena dato il mio migliore amico, come a volermi
difendere dal dolore che quelle parole avevano provocato in me.
Sentii il cuore
perdere qualche battito e respirai più a fondo, per non
piangere, poi le porte dell’ascensore si aprirono.
§
Sentivo il
cellulare squillare, ma la suoneria mi giungeva lontana.
Realizzai che
era il mio cellulare e mi levai dalla sedia per estrarlo dalla borsa.
–Pronto?
-Eri impegnata
o cosa per non rispondere alle mie telefonate?
Era una voce da
uomo, ma non la riconobbi immediatamente, perciò guardai sul
display il nome che era segnato. –Ciao.- sorrisi.
-E’
un po’ che non ci si sente, ti ho disturbata?
-No, devo
essermi addormentata.
-Donna, tu
lavori troppo.
-Non
è affatto vero e lo sai.
-Allora cosa ti
toglie tempo, tanto da non poter dedicarne un attimo ad un tuo amico?
-Mi dispiace,
Blaise, davvero…
-Fa niente.
Come stai?
-Non lo so.
-Ho
saputo…
-Di mia madre?
-No, di quello
che hai deciso riguardo a Draco.
-Già…
-Perché?
-Abbiamo corso
troppo: Natan è ancora in bilico per quanto riguarda
l’affidamento, il divorzio è ancora in corso e
Draco si è ritrovato con questa responsabilità
enorme sulle spalle. E io non sopporto non sapere cosa fa quando si
incontra con Cloe, arrivo a lavoro e non lo trovo…
-Sei gelosa,
allora?
-No, ma ho
paura di soffrire di nuovo.
-E’
stato da me, comunque. E’ andato via dieci minuti fa.
-Sei suo amico,
è normale che tu lo difenda.
-Io non difendo
nessuno: non sono un avvocato e sai quanto ti voglio bene,
perciò, se Draco sbagliasse, te lo direi.
-Grazie.
-Di niente.
Questa specie di pausa è inutile…
-Abbiamo solo
bisogno di rallentare.
-Credi che
rallentare voglia dire far finta che non esista?
-Non sto
facendo questo.
-Sì,
invece: non gli telefoni, non lo saluti, non rispondi alle sue
telefonate.
-Non mi ha mai
telefonata, in questi due giorni.
-No?
-No.
-Ah, allora
voleva dire questo.
-Questo cosa?
-Nah, niente di
importante.
-Ora me lo dici.
-Davanti ad un
bel caffè.
-D’accordo.
-Tra
un’ora?
-Tra
un’ora.
-Ho una
sorpresa per te.
-D’accordo.
Staccai la
telefonata e mi recai nel bagno per darmi una rinfrescata. Mi guardai
allo specchio che avevo fatto portare qualche settimana prima e mi resi
conto di essere pallida.
Presi dalla
borsa qualche moneta ed uscii dall’ufficio, per dirigermi
verso la macchinetta del caffè.
Inserii la
moneta nella fessura e digitai un caffè stretto e zuccherato.
Portavo avanti
una gravidanza di pochi mesi, ma avevo già cambiato
totalmente i gusti e non sapevo se era un bene o no.
Estrassi il
bicchiere colmo di caffé e lo sorseggiai lentamente: era
bollente e mi resi conto che mi dava fastidio al palato,
perché quasi pungeva, ma odiavo il caffè freddo,
perciò mi sforzai di berlo.
Mi sedetti
nelle poltroncine di plastica che erano poste a ridosso del muro e che
erano tenute insieme da una lunga asta di acciaio doppio e poliedrico.
Non riuscivo a
trovare una posizione comoda, ma sentivo la testa che girava
vorticosamente.
Stavo
cominciando ad associare troppi malori alla gravidanza ed ero convinta
di dover fare qualche controllo, ma cercavo di aspettare di tornare dal
ginecologo e conoscere gli esiti sul proseguimenti della gravidanza.
Avrei voluto
Draco al mio fianco quel giorno, ma sapevo che sarebbe stato troppo
presto e, probabilmente, saremmo rimasti in questa situazione di stallo
ancora per un bel po’.
Tornai in
ufficio, camminando vicino al muro per non rischiare di perdere
l’equilibrio e chiusi la porta alla mie spalle.
Volevo stare da
sola, in silenzio, senza i rumori dei corridoi.
Guardai
l’orologio: erano passati trentacinque minuti e mi sembrava
che fosse passata un’eternità da quando Blaise mi
aveva chiamata. Avevo perso persino la cognizione del tempo ed ero
sicuramente diventata ipocondriaca: ogni cosa mi sembrava grave,
più di quanto non lo fosse in realtà.
Finito di bere
il caffè, gettai il bicchiere nel contenitore posto sotto la
scrivania e andai in bagno a stendere un po’ di fard sulle
guance, per dare quel po’ di colore che non avrebbe fatto
preoccupare nessuno: visto il colorito cereo della mia pelle
chiunque avrebbe pensato che non fossi in salute, mentre io mi sentivo
benissimo, se si mettevano da parte i mal di testa.
Estrassi dalla
borsa il necessario per truccarmi e decisi di calcare un po’
la matita sugli occhi.
Feci il tutto
con una lentezza estenuante, poi, tornai nell’ufficio e mi
sedetti sul divano, portando i piedi all’altro capo,
poggiandoli su un cuscino: mi sentivo esausta.
Il mal di testa
era ormai una compagnia fissa nelle mie giornate e avevo imparato a
gestirlo bene; era il vorticare che mi dava anche la nausea e quella
proprio non riuscivo a sopportarla.
Dovetti essermi
addormentata di nuovo, visto che sentivo la suoneria del cellulare come
se fosse lontana. Mi alzai dal divano e risposi. –Pronto?
-Ciao.
-Dormivi?
-E’
probabile.- sorrisi.
-Sono qui.
-D’accordo.
-Ti aspetto qui
o ti vengo incontro?
-Resta
lì.
-Ok.
Uscii
dall’ufficio e chiusi la porta con la chiave, poi mi diressi
verso l’ascensore.
L’odore
ferroso dell’abitacolo mi ricordava un po’ quello
del sangue, perciò coprii il naso con una mano ed ispirai
l’odore del profumo che avevo messo la mattina.
Il plin che
rimbombava nell’ambiente ogni volta che le porte
dell’ascensore si aprivano mi fece sobbalzare e mi ritrovai
con il fiato corto.
Quando mi resi
conto che non era successo nulla di grave, respirai lentamente e mi
avviai verso l’uscita. Non avrei mai voluto farlo.
La porta
dell’ufficio di Draco si aprì e mi parve come se i
riflettori si fossero accesi sulle due figure che avevo davanti: Draco
che sorrideva amorevole e che stringeva la mano a Cloe, poggiandole
l’altra su una spalla.
Non seppi
interpretare né gli sguardi né i sorrisi che si
erano scambiati, ma sentii che il mio corpo decise di rallentare il
passo, fino a fermarsi e nascondersi.
Guardai la
scena da un’angolazione che mi pareva assurda, ma non era la
visuale che m’interessava: parlavano fitto e con un tono di
voce talmente basso che, forse, sarebbe stato difficile sentirlo
persino da vicino.
Ricordavo che
pure prima di divorziare si comportassero in questo modo, ma nonostante
i centimetri che li dividevano –che dovevano essere
più di sessanta o settanta-, mi sentivo tradita nel profondo
per quella specie di intimità che ancora conservavano.
Attesi che
Draco tornasse nel suo ufficio e chiudesse la porta, mentre Cloe si
avviava verso l’uscita. Solo allora cominciai di nuovo a
mettere un piede dietro l’altro e a camminare, con
il mio costante equilibrio incerto.
-Hermione.
Maledetto
Harry Potter.
Vidi Cloe che
si voltava a guardarmi con aria tranquilla, poi mi voltai a guardare
Harry, ma la mia attenzione fu rapita dall’espressione
attonita di Draco.
Avevo riaperto
la porta ed era uscito nel corridoio. Cercai di ignorarlo e mi rivolsi
ad Harry. –Sì?
-Stai tornando
a casa?
-No, ho un
appuntamento.
-Ah,
ok… allora, buona serata.
-Avevi bisogno
di qualcosa?
-Niente di
importante.
-Buona serata
anche a te, allora.
Sentii la voce
di Draco, poco più alta di un sussurro chiamare il mio nome,
ma feci finta di non sentirla, poi, mi recai verso l’uscita a
passi veloci.
Quando aprii la
portiera dell’auto di Blaise, vidi Cloe che dalla sua auto mi
sorrideva: non capivo che sorriso fosse –se perfido,
vittorioso o un semplice sorriso di cortesia-, ma il pensiero di quello
che sarebbe successo dopo quell’evento quasi mi
spaventò: probabilmente, si sarebbe sparso il pettegolezzo
che Hermione Granger tradisse il suo compagno con un altro.
Perché,
nonostante i vetri scuri dell’auto di Blaise, la sagoma di
uomo era abbastanza visibile.
Seduta
comodamente sul sedile, chiusi la portiera.
§
-Sei di pessimo
umore.- disse, dopo una buona mezz’ora passata a parlare di
svariati argomenti.
-Vorrei vedere
te, se ti trovassi di fronte l’ultima scesa che avresti mai
voluto vedere.
-Cos’hai
visto?
-Credevo che
avessero divorziato perché non si amassero
più…
-Non si sono
mai amati, Hermione.
-Hai mai visto
come si guardano?
-Non si
guardano in nessun modo, credimi: ho passato sei anni con loro.
-Io li ho visti
oggi.
-Non hai
pensato solo che Draco gli fosse grato per quello che Cloe sta facendo?
-Cosa sta facendo?
-Sai che è
stata lei a chiedere il divorzio? Che ha scelto l’affidamento
condiviso?
-No, non lo
sapevo… ma io ho visto come si guardano.
-Stai
diventando paranoica.
-Può
darsi, ma…
-Ma cosa?
-Sono sempre
più convinta della decisione che ho preso.
-Io credo
sempre che sia quella sbagliata…
-Chissà.
Quando un
cameriere si avvicinò, Blaise mi chiese se volessi qualche
altra cosa e ordinai un mocaccino. Lui ordinò una tazza di
caffèlatte.
Restammo in
silenzio ed io non avevo nessuna voglia di dare ancora voce ai miei
pensieri.
Nonostante il
bruciore che avvertivo alla gola, allo stomaco e al cuore, avevo preso
un'altra decisione fondamentale per me, per la mia vita e per questo
bambino, pure se non ci fosse stato Draco nei nostri giorni.
-Come va la
gravidanza?- mi chiese Blaise, rompendo la bolla di silenzio intorno a
noi.
-Credo bene:
non so se tanti sintomi siano normali, provocati dalla gravidanza,
visto che è tutto soggettivo.
-Hai letto
qualcosa in proposito?
-Sì,
alcune donne non hanno neanche avuto la nausea. Beate loro…
Il cameriere
posò sul tavolo quello che avevamo ordinato, poi
andò via, senza dire nulla.
Guardai Blaise
per un po’, mentre era impegnato a muovere una mano sulla sua
coscia.
-Ti avevo detto
che ci sarebbe stata una sorpresa?
-Mi pare di
sì.
-Beh, la vedrai
tra un po’. Più o meno tra un’ora.
-D’accordo.
Avevo molte
cose da chiedere a Blaise, cose che, probabilmente avrei dovuto
chiedere prima, ma, ora che mi trovavo di fronte ad una persona che era
stata fondamentale nel mio passato e ora che avevo solo
un’ora a disposizione, mi resi conto che non avrei potuto
più rimandare.
-Che
c’è?
-Perché?
-Mi guardi in
un modo…
-Cos’ha
fatto in tutti questi anni?
-E’
andato all’università e ha lavorato per pagarsi
gli studi.
-Si
è sposato in chiesa?
-No.-
sorrideva. Probabilmente, aspettava di rispondere a queste domande da
parecchio tempo e gli stavo offrendo la possibilità di farlo
su un piatto d’argento. L’avrei anche pagato, se
fosse stato necessario.
-Lucius e
Narcissa?
-Non gli
parlano da quando si è sposato: non volevano, non hanno mai
visto Cloe di buon occhio. Ha sempre amato te. Sempre. Ogni mattina,
prima di andare al lavoro, si fermava fuori casa tua e guardava la
finestra della tua camera. Quando ha saputo di dover vivere nello
stesso quartiere in cui avevi vissuto tu si è sentito un
po’ meglio, perché diceva di sentirti
più vicina.- sorrisi, senza interrompere. –Sono
passati gli anni e nessuno gli ha più parlato di te,
perché capivano quanto fosse difficile per lui: era
diventato quasi un dolore fisico.- sapevo bene quanto facesse male il
pensiero di qualcuno che si è allontanato, per
volontà del destino, per la mancanza di forza o coraggio.
–Solo un giorno, Harry ha deciso di parlare chiaro con lui:
gli disse che ti saresti sposata e che tutti saremmo venuti al tuo
matrimonio. Si sentì crollare il mondo addosso. E’
stato assente sul lavoro per non so quanto tempo e nessuno gli ha mai
chiesto il perché. Soprattutto Harry che lo aveva sempre
visto attivo. Anche per questo nessuno gli ha più parlato di
te, perché il solo sentire il tuo nome lo faceva diventare
uno zombie.
-Mi sono
sentita allo stesso modo, forse peggio.
-Lo so e
l’ha capito anche lui.
-Non credo.
-Posso
assicurartelo. Era il tuo compleanno, il primo dopo il tuo
matrimonio, quando l’ho trovato fuori casa mia, seduto sulle
scale, ubriaco da far schifo. Mi ha solo detto che aveva capito e che
avrebbe dovuto chiederti scusa per l’eternità e
che forse, quella di sposarti con un altro, era stata la scelta
migliore, perché meritavi di essere felice.
-Felice,
certo…
-Nessuno sapeva
che tuo marito fosse quel genere di uomo, ma allora credevamo tutti che
potesse renderti felice.
-Ho fatto io
l’errore di credere che le cose sarebbero andate
diversamente, che sarei stata felice.
-E’
comprensibile: con il tempo anche la speranza muore.
-Vero.- sapevo
che Blaise conosceva ogni piega di quella storia, ma non avrebbe mai
potuto capire il dolore che avevo provato io o quello di Draco,
perché una cosa era parlarne, cercare di spiegarlo,
un’altra era viverlo e sentirlo bruciare in ogni parte dentro
e fuori dal corpo.
-Non sprecare
altro tempo.
-Ho troppa
paura.
-Stare
così non ti aiuterà a stare meno male, poi, hai
frainteso tutto, credimi.
-Non ne sono
molto convinta.
Sentii un paio
di mani posarsi sui miei occhi e capii dall’odore che
dovevano appartenere ad una donna.
Aveva le dita
sottili e nessun anello, perciò scartai l’idea che
fosse Ginny. O Luna o Pansy.
Non poteva
neanche trattarsi di Lavanda, visto che Blaise mi aveva informato del
fatto che fosse partita per la Germania mentre eravamo in auto. Cercai
di scavare nella mente, ma non riuscivo ad individuare nessuna figura
femminile.
Mi arresi, dopo
qualche minuto di resistenza forzata e quando la donna mi si sedette di
fronte sorrisi felice: avevo creduto che non fosse lei, invece, di
fronte a me, c’era proprio Lavanda Brown, la modella
più richiesta del momento.
-Ciao.- disse
con dolcezza, prima di abbracciarmi forte.
-Blaise mi
aveva detto che eri partita.
-In effetti
è vero, perché, sai, devo partire tra qualche
giorno. Mi dispiace non essere passata da te prima, ma ho avuto tanti
impegni: set fotografici, interviste.
-Non ti
preoccupare.
-Come stai?
-Bene... e tu?
-Sto bene...
-Sei bellissima.
-Grazie.
Scusa la domanda, ma hai visto anche tu che Blaise è
abbastanza bravo a mentire…- si guardarono e sorrisero
complici. Li invidiavo. -…ma… è vero
che sei…
-Su, diglielo
che tu e Draco siete tornati insieme.
-Sì,
è vero.- sorrisi, cercando di mandare via il pensiero che,
forse, sarebbe finito tutto di lì a poco. Di nuovo.
-Oh Dio,
finalmente. E come vanno le cose? Insomma, avete deciso di sposarvi?
-Per il
momento, abbiamo deciso di avere un figlio.
-Davvero? E
avete già deciso tra quanto tempo?
-Nascerà
fra sette mesi.
-Sei incinta?
-Sì.
-Congratulazioni.-
Lavanda mi abbracciò e mi sentii felice: mi resi conto di
quanto fossi favorita dalla sorte ad avere qualcosa di così
meraviglioso dentro di me.
-Mi sono persa
troppi anni di questa amicizia, raccontami tutto.
Le raccontai
per sommi capi del mio matrimonio finito e di quello di Draco, della
festa di fidanzamento di Ginny, del giorno in cui Draco era venuto a
conoscenza della mia gravidanza, di quello in cui l’avevo
saputo mamma. Insomma, tutti i discorsi ruotavano intorno a me.
-E tu?
-Io sono sempre
in giro per il mondo e sai,- disse dopo che Blaise si fu allontanato
per andare a prendere qualcosa che aveva lasciato in auto.
–credo che tra poco abbandonerò tutto. Forse un
anno o due.
-Perché?
-Ho bisogno di
stabilità e, per quanto Blaise si dimostra sempre
comprensivo, capisco che questa situazione gli fa male. E fa male anche
a me: desidero una casa che sia sempre la stessa, non una camera
d’albergo in cui passare le notti da sola, desidero avere un
figlio e questo lavoro non mi permette di vivere la vita che vorrei. Mi
fa guadagnare molto, è vero, ma non mi rende davvero felice.
-Sono sicura
che farai la cosa giusta.
-Me lo auguro:
odio dovermi pentire delle mie decisioni.
-Già…-
lo odiavo anche io e sapevo bene quanto risentimento si provasse,
quanto bruciasse la sensazione di sentirsi una fallita.
-E poi, ho
bisogno di stare vicino alla mia famiglia, ai miei amici…
-Ti capisco
perfettamente.
-Lo so,
perciò te ne parlo. Allora, com’è stato
vivere a Parigi?
-La
città è fantastica e anche le persone sembravano
essere molto amichevoli, gentili.
-Non tutte sono
così.
-Lo so e posso
affermarlo con certezza.
-Però,
dai, almeno ti consolavi con la Tour
Eiffel.
-Ma sai che da
casa mia si vedeva abbastanza bene? Godevo di una vista meravigliosa.
-Almeno quello.
-Già.
-E, ora, Draco
come mai non è qui?
-E’ a
lavoro… sai, lui e il suo senso della giustizia,
dell’impegno sociale.
-Sempre molto
attivo.
-Sempre.
Sorridemmo e
vedemmo arrivare Blaise, allora cambiammo totalmente argomento.
Parlammo per un
po’ del lavoro che avevo avuto grazie a Harry, del mio
studio, degli appuntamenti che avevo avuto con Blaise.
Guardai
l’orologio e mi resi conto che erano quasi le otto: erano
passate tre ore e mai il tempo era stato così veloce.
Salimmo tutti e
tre in auto e Blaise mi accompagnò al dipartimento.
–Vuoi salire a vedere lo studio?- chiesi a Lavanda, la quale
annuì.
Solo quando ci
trovammo all’interno dello studio e quando Lavanda si sedette
sul divano, mi presi tutto il tempo di guardarla: era cambiata, non
aveva più i lineamenti di un’adolescente e lo
sapevo perché avevo trovato la sua foto anche su parecchie
riviste francesi, ma vederla dal vivo era
tutt’un’altra sensazione.
Mi sentivo come
se fossi la sorella maggiore che constatava quanto sia cresciuta la
sorella più piccola, eppure Lavanda era anche più
grande di me di qualche mese.
La guardai
sorridendo, mentre, sempre seduta, lei osservava il mio studio.
–E’ davvero bello. E’ accogliente e ci
sono i miei colori preferiti qui dentro. Semmai dovessi far causa a
qualcuno verrò da te, perciò segna già
il mio nome sulla lista dei tuoi clienti.
-Mi auguro che
tu non debba mai farlo.
-Lo so,
è scocciante stare in un’aula di tribunale.
-Non per
questo, non per me almeno…
Uscimmo dallo
studio dopo quindici o venti minuti e ci incamminammo verso
l’ascensore.
Quando le porte
si chiusero, sentii la strana sensazione che avevo provato la mattina
stessa avvolgermi lo stomaco e, con il pensiero, tornai alla scena che
avevo visto nel pomeriggio, prima di entrare nell’auto di
Blaise.
Cloe era una
donna che mi aveva sempre spaventata, a parte il giorno in cui
l’avevo conosciuta.
Osservai
Lavanda per distrarmi e mi accorsi che si guardava intorno con aria
meravigliata, come se non avesse mai visto un’ ascensore.
-Ti
sembrerà strano- disse, intercettando i miei pensieri.
–ma sono queste le cose che mi meravigliano. Sono
così abituata a vedere quei posti fantastici, che la
semplicità delle cose che ci sono anche a casa mia mi lascia
senza parole.
Sorrisi, senza
rispondere.
Ci salutammo al
fianco della mia auto, poi mi ritrovai sola all’interno
dell’abitacolo scaldato dall’aria condizionata che
avevo acceso prima di entrare.
Da sola, in
quel parcheggio al buio, mi sembrava di vedere il sorriso di Cloe
ovunque.
Mi spaventai e
misi in moto l’auto, ripartendo poco dopo.
§
Mamma era in
cucina e aveva apparecchiato la tavola, in attesa di cenare insieme.
-Buonasera.-
dissi, posando la borsa all’appendiabiti.
-Com’è
andata al lavoro?
-Bene. Sono
anche uscita con Blaise e Lavanda.
-Lavanda Brown?
-Sì.
-Che cara
ragazza…
-Già.
-Ho preparato
la cena.
-Lo so, ho
sentito un buon odore, appena ho aperto la porta.
-Grazie.
Cenammo in
silenzio per la maggior parte del tempo, a parte nei momenti in cui
mamma mi chiedeva quali fossero i sintomi che mi portava la gravidanza
e quali quelli che mi davano maggiore noia.
-La nausea.-
risposi, spalancando gli occhi.
Mamma rise e la
imitai. –Come ho fatto a non accorgermene?
-Non
è colpa tua: sono stata brava a nasconderlo.
-Può
darsi…
Cominciai a
sparecchiare la tavola, ma mamma mi fermò, bloccandomi con
la mano sulla superficie legnosa. –Mamma, dai…
-Tu devi stare
a riposo. La gravidanza ti spossa abbastanza, non devi sprecare altre
energie, Hermione…
-Ma sono cose
che dovrei fare se fossi in una casa mia, insieme a mio marito.
-No, le farebbe
lui.
-Mamma, ti
prego.
-Torna a
sederti.
-Ecco
perché non volevo dirtelo.
-Avevi paura di
me…
-In un certo
senso.
-Credi che lo
faccia per il tuo male?
-No, affatto.-
Mamma non avrebbe mai fatto nulla per farmi male prima, figuriamoci se
l’avrebbe fatto ora che anche il suo sogno stava per
realizzarsi.
In
quell’istante mi sentii felice di poter rendere felice la
donna che amavo più di ogni altra cosa, però,
nonostante la felicità che provavo per la
possibilità di diventare mamma, c’era qualcosa in
me che faceva a pugni con quell’atmosfera perfetta: mi
mancava qualcuno. Mi mancava infinitamente qualcuno…
Draco non mi
aveva chiamata in quei due giorni e sapevo già che non
l’avrebbe fatto, perché la sua teoria di coppia
gettava le basi sul rispetto verso l’altro, verso qualsiasi
richiesta avanzata dall’altro, a meno che non si trattasse di
qualche pazzia o fosse estremamente deleteria ai danni
dell’altro.
Per questo mi
aveva regalato il suo silenzio.
Aiutai comunque
mamma a togliere la tovaglia e a passarle i piatti che avrebbe messo
nella lavastoviglie, poi, mi diede il bacio della buonanotte e
andò a dormire.
Io, invece,
tolsi le scarpe e mi poggiai con tutto il corpo sul divano nel salone.
Accesi la televisione per non pensare ad altro e mi soffermai a
guardare un film in bianco e nero di cui non conoscevo il titolo.
Durante tutta
la giornata –e nei giorni precedenti- non avevo mai avvertito
tanto la sua assenza. Non sapevo spiegarmi il perché, ma ero
convinta che dipendesse tutto da quello che mi aveva raccontato Blaise
che, tra tutti gli amici, era stato l’unico a dare voce al
dolore di Draco. E si era permesso di farlo perché era
l’unico che lo conosceva davvero bene, persino meglio di
quanto lo conoscessi io.
Eppure, in
quegli occhi spalancati non ci avevo colto segno di colpevolezza, ma
solo una meraviglia tale che mi aveva bloccato l’aria nei
polmoni. Solo che da parecchio tempo non riuscivo a interpretare bene i
segnali che le persone mi inviavano, nonostante fossi ritenuta
l’avvocato più brillante di tutta Parigi.
O,
probabilmente, era l’aria di Londra che mi appannava i sensi.
Londra, con i suoi temporali inaspettati a fine marzo e a fine giornata.
Un lampo
illuminò il salone, creando delle ombre che mi
spaventarono.
Avevo una paura
tremenda dei temporali e mi chiedevo se fossi diventata in grado di
proteggere mio figlio dalle cose di cui io stessa avevo paura; mi
chiedevo come avrei fatto se non mi fossi sentita in grado di essere
mamma, ma erano pensieri che, ormai, ricorrevano fissi alla mia mente
ed erano pensieri che mi demoralizzavano tanto da farmi credere, a
volte, che davvero non ce l’avrei fatta.
Quando sentii
il cellulare vibrare, balzai dal divano e mi ritrovai con le ginocchia
sul tappeto.
Non risultava
nessun numero e la scritta sconosciuto si illuminava ad intermittenza
sul display. Mi sentivo come se fossi in un film del terrore, nel
momento in cui l’assassino telefonava alla vittima e per
dirle che a breve sarebbe morta.
Ed era anche
sabato sera.
Premetti il
tasto di risposta con mani tremanti. –Pronto?- la mia voce
esprimeva perfettamente il mio stato d’animo.
-Non avere
paura, sono io.
-Ciao.- tirai
un sospiro di sollievo perché non era nessun pazzo maniaco
che avrebbe voluto uccidermi, ma soprattutto perché sentii
la sua voce.
Solo in quel
momento mi fu chiaro quanto in realtà avessi bisogno di lui,
anche se non l’avrei ammesso, perché quel sorriso
che aveva rivolto a Cloe era ancora troppo vivo nella mia mente.
-Sono qui
fuori, mi fai entrare?
Staccai la
telefonata e andai ad aprire la porta: era lì fuori, zuppo.
-Entra.- gli
dissi con voce piatta.
Ero felice di
vederlo, ma c’era qualcosa che mi impediva di renderlo
partecipe della mia felicità.
-Sei ancora
vestita?
-Sì,
se mi dai un minuto, vado a mettermi comoda e… ho ancora
qualcosa di tuo qui, dovrebbe essere una tuta. Usa il bagno, se vuoi.-
mi avviai per le scale e aprii l’armadio dove sapevo di
tenere una tuta di Draco: era lì da anni, da quando
gliel’avevo rubata perché lui aveva rubato una mia
t-shirt.
Era avvolta nel
cellophane, così la sciolsi e la poggiai sul letto, poi mi
avviai in bagno per fare una doccia veloce.
Sfregai
comunque con delicatezza il bagnoschiuma sulla pelle, poi risciacquai
con cura e mi avvolsi nell’accappatoio.
Mi
vestii, indossando anch’io una tuta, poi, presi
quella di Draco e tornai al piano inferiore.
Lo trovai in
piedi, vicino alla porta. –Ecco.- gli porsi la tuta.
–Non sei…
-Aspettavo che
tornassi.
-Oh.- e lo
guardai allontanarsi e perdersi nel buio del corridoio.
Accesi uno
delle applique che mamma teneva nel salone, per non fare troppa luce e
disturbare il suo sonno, poi andai in cucina ed avviai la macchinetta
del caffè.
Vidi il bricco
riempirsi più velocemente e capii che mamma aveva riempito
il motore, poi, quando sentii la porta del bagno aprirsi, poggiai su un
vassoio le tazze ed un portacenere e tornai in salone.
Draco stava
frizionando i capelli con un asciugamani, poi si voltò verso
di me. –Non hai freddo?
-No.
-Metti almeno un paio di calzini...
-Sto bene così.
-Il portacenere non
serve: ho smesso.
Mi
posò le mani sul ventre e fui felice di capire che l'aveva
fatto per nostro figlio, poi calò un
silenzio quasi tombale, in cui ci guardammo negli occhi.
-Dobbiamo parlarne.- disse, con un tono decisamente troppo convinto.
-Non
c’è molto da dire.
-Invece
sì: voglio capire il perché.
-Non
saprei dirti… sono tante cose.
-Tante cose,
quali?
-Prima credevo
solo che avessimo corso troppo e che dovessimo rallentare. Ora, invece,
credo che ci sia tanto altro su cui tu devi fare chiarezza.
-Cosa intendi?
-Il modo in cui
hai guardato Cloe.
-Mi sta
aiutando molto per la questione di Natan.
-Quante volte
è venuta in commissariato?
-Questa
è la prima volta.
-Non lo
so… non riesco a crederti.
-Cos’è
cambiato?
-Non avevo mai
visto, prima.
-E’
tutto così ridicolo: abbiamo perso così tanto
tempo a cercarci e ora mi mandi via.
-Sì,
credo che sia giusto così.
-Non pensare se
sia giusto o meno. E’ quello che vuoi?
Mi sentii
colpita nel centro del cuore e, guardando nei suoi occhi grigi e
intensi, mi resi conto che no, non era quello che volevo, ma seguire
l’istinto aveva dato frutti peggiori che seguire la ragione.
–Sì.
-Vuoi ancora
tempo per pensare?
-Non lo so.
-Questo me lo
devi.
-Va bene.
-No, andrebbe
bene se tornassi con me.
-Non lo
farò. Non adesso, almeno.
-Ho una cosa da
darti.
-Cos’è?
-Il mio mp3,
niente di che… volevo che tu ascoltassi una canzone.
-Va bene.
-Ce
n’è una sola, qui dentro.- disse, muovendo
l’aggeggio.
Per un attimo
sorrise e, con indosso quella tuta che gli stava ancora alla
perfezione, mi tornarono alla mente tutte le serate trascorse nei
nostri falsi pigiama party, insieme a Ginny e Harry, nel nostro
appartamento poco fuori Londra.
-Grazie.-
dissi, quando mi porse l’mp3.
-Credo sia ora
di andare.
Guardai
l’orologio e mi resi conto che era davvero tardi. Ancora una
volta, il tempo aveva accelerato il suo corso.
Nonostante il
fatto che non sapessi cosa fare, avevo bisogno di sentirlo vicino.
–Sì.- risposi infine.
-Vuoi venire
con me? Dormiamo insieme…
-No, resto qui.
-Hai paura dei
temporali.
-Passerà.
-Mi manchi.
-Credo che ti
manchi Cloe, non io.- abbassai lo sguardo e sentii le sue dita
sfiorarmi il mento e tirarlo su.
-Mi manchi tu,
mi sei sempre mancata tu. E’ con te che voglio stare,
ricordalo sempre.
-Certo…
-Buonanotte,
‘Mio… Ti amo.
-Sì.
-Davvero.
Mi
baciò delicatamente sulle labbra, senza approfondire il
bacio, senza pretendere nulla di più, poi si
avviò alla sua auto e mi sorrise, salutandomi di nuovo con
la mano.
Feci lo stesso
poi, tornai dentro casa.
Tornai a
sedermi sul divano, infilai le cuffie nelle orecchie e schiacciai il
tasto che avrebbe fatto partire la canzone, poi tutto intorno si
riempì di quella.
Spoiler
capitolo 41:
-Che bisogno
c’è di farlo?
-E’
un problema mio, non tuo.
-Potrebbe farti
del male.
-Ci sono tante
cose che devo risolvere ed è quello che voglio fare.
-Non te lo
permetterò.
-Tu non sei
nessuno per non permettermi di rivedere Henri.
Angolo
Autrice:
Saaalve gente.
Molti di voi
saranno in vacanza, mentre io scrivo per cercare di recuperare il tempo
perso (questa è anche una scusa per non demoralizzarmi a
causa delle poche recensioni) xD
Bene, questo
capitolo è puramente di passaggio e questi sono i
più importanti, credo.
Sono cambiate
un po’ di cose, è vero, ma presto ci saranno altri
cambiamenti (non si sa se saranno positivi o negativi).
Ora, invece di
fermarmi a parlare dei personaggi o dello SPOILER che sembra davvero
davvero tremendo, ho intenzione di indire un sondaggio.
TATTATATAAAA:
Hermione
è incinta, lo sappiamo tutti ed è anche troppo
presto perché io decida quale sarà il sesso del
bambino… ma voi come lo vorreste? Maschio o femmina?
Aspetto le
risposte nelle recensioni e, ovviamente, il risultato lo scoprirete
insieme alla nostra riccia.
Un bacio e buon
proseguimento di serata. -.- ‘ ci manca solo la
voce che dice “Da Italia Uno.”
Alla prossima,
la vostra Exentia_dream
|
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Capitolo 41 *** Ritorno... ***
Ritorno…
-Harry- dissi,
posando la borsa nella sedia accanto alla mia. –ho bisogno di
un favore.
-Tutto quello che
vuoi.
-Devo vedere
Henri.
-Cosa?- gli occhi
spalancati, la bocca aperta che disegnava sul suo viso
l’espressione di chi non
ha capito bene.
-Hai capito,
Harry, perciò, metti via quell’espressione da
pesce lesso e dimmi dove devo
andare.
-Che bisogno c’è
di
farlo?
-E’ un problema mio, non tuo.
-Potrebbe farti del male.
-Ci sono tante cose che devo risolvere ed è quello che
voglio fare.
-Non te lo permetterò.
-Tu non sei nessuno per non permettermi di rivedere Henri.
-La
solita testa dura. D’accordo, allora lo rivedrai qui.
-Qui?
-Sì,
nella sala degli interrogatori.
-Ma è
vetrata ed io non voglio che ci vedano.- non volevo che Draco potesse
vedere o,
addirittura, sentire quello che avevo da dire a Henri.
-Abbasserai
le tende.
-E
magari metto anche un bel vaso di fiori sul quel tavolo, eh?
-Non
fare la simpatica, Herm.
-Io
non sto facendo la simpatica, Harry: sono venuta qui per chiederti un
favore e
ti stai tirando indietro. Eppure, cazzo, si tratta di me…
-Appunto.-
urlò, senza lasciarmi finire la frase. –Proprio
perché si tratta di te, voglio
che tu sia al sicuro. Vuoi rivedere quel pezzo di merda? Va bene, lo
rivedrai,
ma poi non venire più a piangere da me, perché,
credimi, sono davvero stanco.-
gli occhi ridotti a due fessure, ma carichi di rabbia, la bocca dritta,
le
narici leggermente aperte.
Non
avevo capito dove volesse andare a parare e non avevo neanche voglia di
pensarci, perciò raccolsi la borsa ed andai via, senza
neanche salutarlo.
Ero
andata da lui con le migliori intenzioni, soprattutto, mettendo prima
da parte
il nervosismo che sentivo nello stomaco da quando mi ero svegliata.
Quando entrai nell’ascensore, mi ritrovai in
compagnia di un uomo dalle spalle larghe e estremamente muscolose
– si
vedeva bene, nonostante la giacca. Doveva
essere della sicurezza.
Abbassai
lo sguardo e mi limitai a premere il pulsante del secondo piano.
Il
silenzio era imbarazzante, ma
riempirlo
di cretinate, forse, sarebbe stato anche peggio.
Tossii,
perché il profumo acre di quell’uomo mi prese alla
gola, ma cercai di
trattenere quanta più aria possibile e non tossire
più
Quando
le porte si aprirono, affrettai il passo per uscire
dall’abitacolo e respirai a
pieni polmoni l’aria di chiuso e di caffé che era
meglio di quel profumo.
Mi
sedetti nella sedia girevole che avevo dietro la scrivania e presi dal
cassetto
i documenti che avevo preparato: era stata una scelta difficile, ma, in
fondo,
avevo già deciso prima ancora che mi si presentasse
l’idea.
Credevo
che fosse per il fatto di aver capito di essere ancora innamorata di
Draco, ma,
probabilmente, quella consapevolezza era stata solo la goccia che aveva
fatto
traboccare il vaso: più di una volta, durante il mio
matrimonio, mi ero chiesta
se era quella la vita che volevo, se sarei stata felice e la risposta,
ovviamente, era sempre stata negativa.
Tendevo
a farla apparire positiva ai miei occhi e a quelli degli altri solo per
cercare
di salvare qualcosa e per non vedere scritta sulla mia fronte a
carattere
cubitali la dicitura “fallita”, perché
sarebbe stato davvero imbarazzante e
fuori luogo.
Ma,
veramente imbarazzante e fuori luogo era stata la cecità con
cui mi ero
ostinata a vivere pur di non ammettere di aver perso.
Se
non fossi tornata a Londra, probabilmente, avrei vissuto
chissà quanto altro
tempo in quello stato e, con il passare degli anni, non me lo sarei mai
perdonato.
Presi
il telefono e digitai un numero, poi portai la cornetta
all’orecchio.
-Bonjour?
-Salut,
je suis
Hermione Granger .. Je
pourrais en parler à
l'avocat Abbott?
-Oui, un
instant
que je passe
sur sa ligne.
Attesi, giocherellando con una matita e
quando il mio superiore rispose, sentii la malinconia assalirmi.
–Pronto?
-Signora Abbott, salve…
-Oh cielo, Hermione, come stai?
-Sto… bene… me la cavo qui…
-Il tuo ufficio è ancora intatto,
nessuno ancora ci ha messo piede.
Sorrisi. –Grazie, davvero, ma…
-Hai già trovato lavoro?
-Sì.
-Su, raccontami: è successo qualcosa di
bello?
Erano successe così tante cose belle
che non sapevo da dove avrei dovuto cominciare. Inoltre, proprio con
lei non
potevo trattenermi, perché era stata l’unica
compagnia, l’unica con cui avevo
potuto confidarmi; una specie di guida da seguire sempre.
–Non so…- risposi,
dopo un po’.
-Suvvia.. Henri?
-Noi no- non stiamo più insieme.
-Oh, e come mai? Insomma, sapevo che
tante cose non andavano e che… dì la
verità: hai conosciuto l’uomo della tua
vita?- la voce carica di allegria.
-In realtà, lo conoscevo già. Ma non è
solo questo: sono successe tante cose che mi hanno portato a capire che
Henri
non era l’uomo giusto per me e per mio figlio.
-Tuo figlio? Hai un figlio?
-Sì, no… cioè… non ancora.
-Dio Santo, Hermione, e cosa aspettavi
a dirmelo? Complimenti, davvero. Finalmente…
-Già.
-E, dimmi, sarà figlio di questo
fantastico uomo?
-Sì.
Passammo quasi due ore al telefono,
parlando di cose futili, importanti, piacevoli, spiacevoli e, alla
fine,
promettemmo che non avremmo perso i contatti.
Nell’esatto momento in cui posai la
cornetta del telefono, Cho mi avvisò che Harry voleva
parlarmi.
Restai di nuovo sola, mentre sistemavo
tutto il necessario nella borsa.
Mi levai dalla sedia, tenendomi salda
alla scrivania, perché il capogiro che mi aveva colpito non
accennava a
calmarsi.
-Ti senti bene?
-Si… mi gira solo la testa.
-E’ normale durante la gravidanza.-
sorrise. –Ti accompagno.
-Grazie
§
Erano
passati
altri tre giorni, cullati nel silenzio più assoluto.
Era un bene per
me, me ne rendevo conto e mi rendevo conto di quanto Draco mi
rispettasse
davvero, nonostante i suoi sentimenti.
Sorrisi tra me e
me, sentendomi anche un po’ in colpa per essermi imposta una
pausa di cui io
stessa avevo paura.
Per giorni e
notti intere avevo ascoltato la canzone sul suo mp3 ed avevo trovato le
risposte a tutte le mie domande.
Riflettendo da
sola non sarei arrivata a nessuna conclusione e, soprattutto, semmai
avessi
tratto qualche ipotesi, non avrei potuto confrontarla con la
realtà…
Era il nostro
tempo adesso e non volevo più sprecarne neanche un attimo.
Il nostro tempo
era stato rimandato per troppo tempo e non era giusto.
Sapevo che mi
stava aspettando, sapevo che in fondo, anche lui aveva sempre
desiderato che
arrivasse questo momento.
Prima, però,
prima di poter cominciare la mia vita con lui come volevo, dovevo
finire
qualcosa che in realtà non era mai cominciato.
Guardai i fogli
sulla scrivania ancora un po’, poi mandai un messaggio a
Harry per avvisarlo che
accettavo di incontrare Henri in commissariato… era una
questione davvero importante
e dopo aver saputo che era ancora in prigione, mi sentii più
tranquilla.
Il telefono
squillò dopo dieci minuti e Harry mi avvisò che
avrei dovuto aspettare almeno
un’ora per incontrare il mio ex marito. Ci rimasi abbastanza
male perché avevo
una certa fretta a risolvere quella questione.
Per ingannare il
tempo, rimisi le cuffie dell’mp3 e riascoltai per
l’ennesima volta la sua
canzone.
Anche io avevo
colpe riguardo alla fine della nostra storia: ero andata via senza
lottare, limitandomi
ad un semplice:
“RESTA” che per me a quell’epoca valeva
più di ogni altro gesto.
E alla fine, ero
stata io quella che era andata via. Via da Londra, via dal dolore, via
da lui…
Far
away, troppo lontana. In
Francia, in un’altra
nazione dell’Europa, in un altro mondo.
La chiacchierata
con Blaise mi aveva aperto gli occhi e aveva ridato aria ai miei
polmoni e
battiti al mio cuore. Non aveva di certo cancellato dai miei ricordi il
sorriso
che Draco aveva rivolto a Cloe né il ritardo con cui aveva
risposto alla mia
domanda, ma aveva aperto nuove prospettive, mi aveva dato una nuova
voglia di
credere in lui.
Lo dovevo a me,
lo dovevo a lui e quel noi che per troppo tempo ci aveva visti divisi,
ma
soprattutto lo dovevo a nostro figlio.
Too
long. Troppo tempo. Troppo
tempo tolto ad una
storia che è sempre esistita , nonostante la distanza,
nonostante ci fossero
altre persone di mezzo, nonostante
tutto.
Nel frattempo la
sensazione di fare la cosa giusta si stava facendo strada in me sempre
di più,
man mano che le note suonavano e riempivano le cuffie e tutto quello
che mi
circondava.
Come avevo potuto
credere che allontanarsi fosse la cosa giusta? Come avevo potuto
credere che
fosse necessario rallentare?
Too
late. Troppo tardi: era
semplicemente troppo
tardi per pensare di poter tornare indietro, a quando non lo amavo
ancora; era
troppo tardi per credere di poterne fare a meno; troppo tardi per
privarmene e
credere di poter star bene.
Ancora una volta
ascoltai quella canzone e ancora una volta ripetevo quelle parole come
un mantra,
ma non dovevo più convincermi di niente, perché
avevo preso la mia decisione e
questa volta non avrei cambiato idea. Che senso avrebbe avuto farlo?
Nessuno,
appunto.
Allora perché
avrei dovuto farlo? C’erano solo motivi che mi spingevano da
lui ed io avrei
seguito quei motivi come Hansel e Gretel avrebbero seguito le molliche
di pane
che avevano lasciato lungo il loro cammino. Draco era la mia casa di
pan di
zenzero e non c’era nessuna strega da temere.
Anzi, era tutto
lì per essere vissuto come aveva sempre meritato. Ero stanca
di togliere tempo
al mio stare bene ed ero stanca di essere paranoica: dovevo e volevo
credere alle
sue spiegazioni, ai suoi occhi.
Just one chance. Solo una
possibilità, anche se questo
amore ha sempre meritato molto più di un’unica
possibilità, ha meritato molto
di più di una fine senza senso e di un addio in cui nessuno
dei due ha mai
creduto.
Era tempo di
darci quella chance, era tempo di viverci.
Sentii il
cellulare vibrare e lo presi dalla tasca guardandolo quasi meravigliata.
Avevo dimenticato
quanto fosse piccolo e sorrisi per il pensiero stupido che mi
passò per la
mente.
Harry mi aveva
mandato un messaggio in cui mi avvisava che Henri era nella sala degli
interrogatori.
Guardai ancora la
documentazione che avevo sulla scrivania e sentii una fitta allo
stomaco: ero
decisa, ma chiudere una storia in cui mi ero impegnata tanto mi faceva
sentire
una fallita.
Meglio così,
perché se da un lato c’era il fallimento,
dall’altro c’era la gloria di un
amore perso, mai dimenticato e ritrovato che ben presto sarebbe stato
davvero
completo, grazie a questo figlio che era in arrivo.
Presi tutti i
fogli e mi avviai verso l’ascensore.
Non so quanto
tempo aspettai, non so quale profumo ci fosse nell’abitacolo,
non so quanti
passi feci per arrivare alla sala degli interrogatori…
sapevo solo che quel
tempo era mio, sapevo che il profumo che sentivo era quello della
libertà dopo
anni di prigionia, sapevo che qualsiasi fosse il numero dei passi fatti
non era
niente rispetto a quelli che avrei voluto fare per raggiungere Draco.
Mi soffermai
sulla porta e presi un lungo respiro. Ci voleva coraggio, ce ne voleva
tanto…
Poggiai la mano
sulla maniglia e la girai.
Quando entrai la
luce soffusa per un po’ mi oscurò la vista,
perciò feci fatica a capire quale
espressione ci fosse sul viso di Henri.
Usavo poche volta
l’appellativo di ex marito, perché non
l’avevo mai sentito tale, né ex né
marito. Era semplicemente un estraneo.
Eravamo due
estranei.
Mi guardai
intorno e come aveva detto Harry le tendine erano calate. Sorrisi,
pensando al
vaso con i fiori a cui aveva sarcasticamente accennato la mattina.
Tornai seria
quando un sospiro spazientito di Henri riempì
l’ambiente. Quindi posai i fogli
sul tavolo posto al centro della sala e li diressi verso
l’uomo che avevo di
fronte.
Non volevo
sedermi, non volevo avere nessuna specie di intimità con lui.
-E’ una pratica
di divorzio.- annunciai, visto lo sguardo strano che Henri rivolgeva a
quei
fogli.
-E cosa dovrei
farmene?
-Tu niente, devi
solo firmarli.
-Devo? Sono
obbligato a farlo?
-In un certo
senso. Puoi anche non farlo.
-Allora non lo
faccio.
-Ovviamente,
andrai incontro a delle sanzioni penali e dovrai pagare un buon
avvocato che ti
tiri fuori dal guaio in cui sei.- Sapevo quanto Henri fosse legato ai
soldi e
quanto non ci capisse nulla di questioni legali. Stavo giocando sporco,
ma era
proprio ciò che si meritava.
-E’ perché ti sei
fatta mettere incinta?
-E’ per tante
cose.- preferii non rispondere alla sua provocazione.
-La madre troia e
il bambino bastardo.
-Non potrà mai
esserlo più quanto lo sia tu, perciò non me ne
preoccupo.
Scoppiò in una
risata fragorosa e cattiva ed io abbassai lo sguardo. Non sapevo
perché, ma
ebbi paura di una sua reazione.
Che ci fu, ma non
fu quello che credevo. Si alzò dalla sedia e mi si
avvicinò. Mi guardò per un
po’ negli occhi e mi sputò sulla camicetta,
all’altezza del ventre.
Mi sentii ferita
e offesa, soprattutto perché mi sentii incapace di difendere
il mio bambino.
Decisi che non
era quello il momento di mostrarmi fragile, quindi alzai il capo in
segno di
sfida.
-Visto com’è
facile colpire il bastardo?- mi chiese con un sorriso malvagio stampato
in
faccia.
-Per te non sarà
affatto facile, perché tra un po’ tornerai in
prigione e nel caso uscissi non
potrai stare a meno di cinquecento metri da me. Suo padre, invece,
sì che potrà
toccarlo.
-Toccherà anche
te, eh, puttanella?
-L’ha già fatto e
continuerà a farlo. Amo come lo fa, molto molto diversamente
da come facevi tu.
Vidi il suo
braccio tendersi verso l’alto e chiusi gli occhi per la
paura, ma in quel
momento, ringraziando Dio, qualcuno aprì la porta e
annunciò che il mio
incontro era finito.
Avevo quasi
dimenticato quanta paura avessi di quell’individuo che non
meritava neanche di
essere chiamato con quell’appellativo.
L’istante dopo,
però, mi tornarono nella mente le urla, le minacce
soprattutto il dolore
fisico. Mi sentii come se fossi tornata indietro nel tempo, a pochi
mesi prima
che nella mia vita il sole brillasse di nuovo. C’era ancora
qualche nuvola, ma
anche i raggi più nascosti mi facevano sentire il proprio
calore.
Non avrei potuto
chiedere di meglio.
Mi ricordai delle
carte che Henri avrebbe dovuto firmare e prima che l’uomo che
aveva aperto la
porta lo portasse via, gli porsi la penna.
Firmò in silenzio
e mi dedicò uno sguardo sprezzante e carico di odio.
Ora il mondo
girava davvero nel verso giusto. Mi sentivo invincibile, non
c’era più niente
che potesse andare male.
Avevo la certezza
nel cuore che nessuno avrebbe più potuto farmi male e sapevo
che Draco sarebbe
stato al mio fianco.
Rimasi qualche
altro minuto nella sala degli interrogatori, mi sedetti e guardai i
granelli di
polvere che alla luce del sole volteggiavano e si posavano lentamente
sul
tavolo.
Ne spostai
qualcuno con il dito, disegnando sulla superficie legnosa un piccolo
cuore: mi
sembrò di essere tornata a scuola, a quando sui fogli di
quaderno non facevo
altro che scrivere il suo nome con tanti cuori accanto. Uno con la
penna rossa,
l’altro con la penna blu.
Giochi di
ragazzina che però descrivevano tutto l’amore e la
dipendenza che avevo nei
suoi confronti. Una dipendenza bellissima, che per tanti anni mi ha
fatto male;
un amore che sembrava uccidermi quando ero in Francia e ripensavo a
lui, ma che
ora mi dava la forza di affrontare ogni cosa.
Tornai nel mio
ufficio, con il cuore più leggero e con lo stomaco un
po’ più pieno: mi ero
fermata a bere un caffé e avevo rubato a Harry un pacchetto
di cracker.
Mi sedetti sul
divano e liberai i piedi dalle scarpe. Mi sentii immediatamente
più sollevata,
ma sapevo che non erano stati i tacchi a darmi il tormento per tutta la
mattinata: il pensiero di dover dire a Henri come stavano le cose, la
paura
della sua reazione, il sollievo vedendo che si era soffermato solo a
brutte
parole. Non mi feriva con le sue frasi, non più.
Con il tempo,
durante gli anni del matrimonio, avevo imparato ad ignorarlo, anche se
a volte
ancora ci rimanevo male… ma non avevo nessuno da amare come
amavo mio figlio e
Draco.
Ora loro c’erano,
erano presenti nella mia vita e speravo che questo sogno durasse in
eterno. Mi
sarei impegnata per far sì che ciò accadesse.
Chiusi gli occhi
e mi rilassai totalmente
-Credo
che sia meglio prendersi del tempo,
per pensare.
-In questo modo finisce.
-Non è detto.
-Ci abbiamo messo così tanto a ritrovarci,
perché proprio ora?
Parte
del
discorso di quella sera mi tornava in mente e mi faceva male.
Io stessa non
capivo come avevo potuto pretendere di avere del tempo per pensare. A
cosa, poi?
Non lo sapevo…
forse, dovevo solo avere la certezza che io amassi realmente Draco,
forse
dovevo liberarmi dai fantasmi ancora vivi nel mio presente e chiudere
con il
mio passato francese.
Sì, avevo solo
bisogno di questo ed ora che ero riuscita in tutte queste piccole cose
potevo
tornare in quel bulbo sicuro, il mio posto nel mondo.
-…perché
proprio ora?
A giorni di
distanza, quindi, avevo trovato
una risposta ad una domanda che poteva sembrare stupida, ma che in
realtà era l’unica
a cui non seppi rispondere quella sera.
Perché ora? Perché
era giusto farlo, tenerlo fuori dai problemi che mi ero creata con le
mie mani.
Dovevo risolverli da solo, senza gravare sulle sue spalle.
Ero una donna,
ero cresciuta e dovevo prendermi le mie responsabilità,
andare loro incontro ed
affrontarne le conseguenze.
Ce l’avevo fatta
e ci ero riuscita da sola: mi ero messa alla prova e quindi sapevo di
poter
affrontare qualsiasi altra cosa, sapevo che sarei stata una buona madre
o che,
almeno, mi sarei impegnata ad esserlo.
§
La
giornata, nel
complesso, era stata piatta, ma mi sentivo stanca.
Mi facevano male
le gambe e la testa. Nessun conato di vomito, nessuno sbalzo di
pressione…
almeno questo!
Tornai a casa reggendomi in piedi a fatica e guardai
l’orologio: erano le otto
di sera e fuori il cielo era abbastanza nuvoloso.
Probabilmente, la
pioggia era lì pronta a scendere giù!
Mamma non c’era e
mi aveva lasciato un biglietto con su scritto che sarebbe rientrata
tardi,
perciò mi avviai in cucina, scalza, e mi versai un bicchiere
di latte freddo e
senza zucchero.
Non avevo nessuna
voglia in particolare, ma mi piaceva fare un po’ la
capricciosa.
Sorrisi tra me e
me, pensando a quanto mi avesse resa infantile questa gravidanza e
pensai anche
che questo, in parte, mi avrebbe avvicinato al mio bambino.
Pensai a Draco.
Presi il telefono
dalla borsa e avviai la telefonata.
Uno squillo.
Non l’avevo visto
neanche una volta durante la giornata e, a dirla tutta, non avevo
guardato
nemmeno la porta del suo ufficio. Temevo che mi vedesse e che
fraintendesse
quello che era successo con Henri.
Due squilli.
Certo, non c’era granché
da fraintendere: eravamo un uomo e una donna che uscivano da una sala
interrogatori, accompagnati da un uomo in divisa.
Tre squilli.
L’ansia cresceva
ad ogni squillo a cui non rispondeva e pian piano il panico si
arrampicava
dalle caviglie.
Quando attaccò la
segreteria, mi sembrò che un peso enorme mi fosse crollato
sulle spalle.
Lasciai il
telefono sul tavolo in cucina e mi avviai su, in camera mia, nel bagno,
nel box
doccia, per mandare via quei pensieri tremendamente brutti dalla mia
mente.
Improvvisamente,
l’immagine di Draco che sorrideva a Cloe tenendole una mano
sulla spalla mi
riempì la visuale e mi sentii mancare. Mi si riempirono gli
occhi di lacrime e
tirai su col naso.
L’acqua mi
accarezzava la pelle e contemporaneamente
quell’immagine mi pungeva: bruciava davvero tanto.
Sfregai con forza
ogni parte del corpo, come a volermi pulire da quel dolore, da quei
dubbi, da
tutto quello che mi aveva annebbiato le certezze che avevo costruito in
quel
maledetto tempo in cui mi ero allontanata da lui.
Ora, però, quei
colori sembravano sbiaditi… ma io credevo davvero alle mie
convinzioni e pensai
a come facesse lui ad essere indifferente ai pensieri di me e Henri
insieme.
La risposta era
semplice: io ce la facevo ad andare avanti grazie all’amore
che provavo per lui
ed ero sicura che per lui fosse lo stesso.
Avevamo un
passato alle spalle, un tempo in cui non ci eravamo appartenuti, ma non
aveva
importanza, perché ora eravamo di noi e sarebbe stato
inutile continuare a
pensarci.
Avremmo potuto
vivere la nostra storia, avremmo avuto i nostri ricordi belli e brutti.
Ce l’avrei fatta.
Quando mi
convinsi totalmente di quel pensiero, uscii dalla doccia e mi avvolsi
nell’accappatoio:
anche la mia pelle sembrava avere un’altra consistenza,
impressione dovuta al
fatto che mi sentivo meglio, che avevo mandato via tutte le mie paure.
Indossai la tuta
che avevo indossato l’ultima volta insieme a Draco e tornai
in cucina.
Guardai l’orologio
e notai che la mia doccia veloce era durata molto più del
solito. Erano le nove
e mezza passate e la pioggia batteva contro i vetri.
Il telefono
squillava e risposi senza guardare chi fosse.
-Pronto?
-Cristo Santo, ‘Miò…
va tutto bene?
-Sì.
-E’ la dodicesima
telefonata che faccio, è successo qualcosa?
-No.
-Come mai non hai
risposto?
-Stavo facendo una doccia. Dovrei parlarti.- aggiunsi tutto
d’un fiato, con
tono serio.
Dall’altra parte
della cornetta il silenzio assoluto, poi un sospiro rassegnato.
–D’accordo.
-Appena ti è
possibile, fai con calma…
-Prima ne
parliamo e meglio sarà. Passo tra un po’ a casa
tua.
-Va bene.
Staccai la
telefonata con la sensazione che Draco avesse equivocato le cose, ma
non mi
feci prendere dall’ansia.
Anzi, aprii il
frigorifero e tirai fuori il necessario per fare dei toast e due minuti
dopo
suonarono alla porta.
Asciugai le mani e
corsi ad aprire con il cuore in gola: non vedevo l’ora di
poter parlare con lui.
Ogni amore
sbagliato ha il suo costo e non l’avevamo pagato abbastanza
caro, ma almeno lui
era bravo a nascondere i graffi, perciò meritava tutta la
felicità di questo
mondo ed io gliel’avrei data in ogni modo.
Meritava di
sapere la verità, anche se fosse stata negativa. La mia non
lo era, la nostra
non lo era.
Mi sentii
invadere dalla felicità, ma quando aprii la porta il mio
cuore sprofondò con un
tonfo sordo e tutto l’ottimismo crollò come un
castello di sabbia.
Spoiler
capitolo 42:
-Credi che siamo
tutti a tua disposizione? Che siamo dei pupazzi con cui giocare?
-I-io non capisco
cosa c’entra questo.
-C’entra eccome.
-No, ti ho detto
che ho capito come stanno le cose, che voglio stare con te…
che quel tempo è
stato inutile.
-Ora quel tempo
serve a me. Mi dispiace.
Angolo
autrice:
Beh, questo
capitolino ci ha messo un bel po’ ad essere scritto e
purtroppo sarà così anche
per i prossimi…
Il lavoro mi sta
distruggendo e con questa crisi ne sono davvero felice.
E spero che
sarete felici anche voi.
Questo capitolo è
particolarmente importante per me ed anche per Hermione…
Detto questo, vi
ricordo del “sondaggio” sul bimbo dei nostri due
protagonisti:
Femmina
o
maschio?
Spero di poter
leggere i vostri commenti, positivi o negativi.
Un bacio e a presto.
La vostra
Exentia_dream
|
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Capitolo 42 *** Stupide incertezze ***
Stupide Incertezze...
POV Draco:
Ritrovarsi dopo tutto quel tempo e lasciare che il destino facesse il suo corso senza intralci e vedere che lei buttava tutto all’aria così, per chissà quale motivo, mi dava i nervi: avevo sopportato il suo silenzio per giorni interi -perché a mio parere quando una persona ama rispetta anche le richieste più assurde- ma il suo silenzio era diventato pesante, soprattutto dopo averla vista uscire dalla sala interrogatori insieme a Henri: la mezz’ora più lunga della mia vita. Non sapevo davvero cosa pensare. Cosa avrebbe fabbricato il mio cervello durante il resto della giornata? Quanto sarei andato in paranoia e in gelosia a causa di quella scena?
Certo, con loro c’era una guardia, ma in quel momento mi sono sentito paralizzato dalla paura, perché non ero riuscito ad interpretare l’espressione di Hermione: non sapevo se fosse terrore, eccitazione, incertezza, vittoria o forse tutte queste emozioni insieme… fatto stava che provavo una strana sensazione.
In realtà, era una sensazione che conoscevo bene e in bocca sentivo già il sapore della sconfitta, della perdita… proprio come era successo anni prima, quando seppi della sua partenza.
Ero seduto sulle scale ad aspettare Blaise: mi meravigliai che non fosse in casa, visto che sapevo con certezza che per quella giornata non aveva impegni.
Sentivo il freddo nelle ossa e il cappotto non scaldava abbastanza… forse a causa dell’umidità o forse perché sentivo che stava per succedere qualcosa: la morsa allo stomaco non annunciava mai niente di positivo ed io ero troppo scettico per poter credere in un miracolo.
Sapere della gravidanza di Cloe era stato tremendo: il mio futuro si era trasformato completamente ed io non potevo tirarmi indietro.
Non sapevo com’era cominciato tutto, come mi ero riavvicinato a Cloe, ma sapevo perfettamente il perché: avevo preso la decisione di stare con Hermione e lei mi aveva lasciato per uno schiaffo. Avevo capito che i propri errori si pagano sempre, anche se a volte con un prezzo troppo alto.
Passai due settimane chiuso in casa, attaccato alla cornetta del telefono, senza sentire la sua voce neanche per un attimo.
Il tempo sembrava essersi fermato, il cuore non batteva più e quando Blaise venne a prendermi per portarmi ad una festa in maschera mi apparve nelle vesti di un angelo salvatore: non ero presente a me stesso, in nessuna parte del corpo. Ero uno zombie.
Quando arrivai a quella festa, avevo il cervello appannato dal dolore e una pacca sulla spalla mi fece capire quanto realmente fossi in quel luogo, circondato da quelle persone e da splendidi corpi di donna, di cui il più coperto indossava trenta centimetri di stoffa.
-Su, amico: dacci dentro! Questa è la vita!
Il sorriso di Blaise mi fece sorridere e in quel momento capii fino a che punto mi ero lasciato andare, in che misura mi ero abbandonato all’incertezza.
Non so quanto tempo passai a parlare con lei di cose inutili prima che si ripresentasse. –Quindi sei qui con Blaise?
-Sì.- ero di poche parole, ma che m’importava? Non avevo nessuna voglia di fare conversazione.
-Ricominciam?- la guardai con aria scettica. Cosa intendeva? Mi tese la mano.-Io sono Cloe.
-Draco.- la guardai e, per quanto bellissima, pensai ancora una volta quanto mi sembrasse stupida: un immenso giro di parole per dirmi il suo nome con la speranza di recuperare una storia che non era mai iniziata. Il suo nome: quattro lettere, nulla di particolare.
Un bicchiere dopo l’altro, ognuno di un colore diverso, e il cervello si chiuse come una valigia mentre la vista si annebbiò totalmente.
Al mattino ricordavo lontanamente un profumo fiorato e dei capelli biondi, poi il vuoto.
Un messaggio sul cellulare mi avvertiva che era stata una notte stupenda… peccato che non ne ricordassi un attimo.
Guardai alla finestra e non riconobbi le tende e mi sentii smarrito.
Poche settimane dopo seppi che la ragazza con cui avevo fatto sesso e i cui lineamenti nella mia mente si sostituivano a quelli di Hermione era incinta, incinta di mio figlio: dovevo scegliere tra il dovere e quell’amore che ti cambia la vita.
Scelsi il dovere.
Avevo voglia di farmi male, per comparare almeno un po’ il dolore che avevo provocato ad Hermione: i suoi occhi lucidi, la sua richiesta di restare ancora vivi nei pensieri. Stavo cominciando a perdermi nei particolari della sera in cui avevo distrutto la mia storia, una sera di cui malauguratamente ricordavo tutto.
Purtroppo o forse per fortuna, Blaise accostò l’auto.-Ehy, sei qui da molto?
-Non lo so.
-Sali… c’è una cosa che devi sapere.
Di nuovo la fitta allo stomaco, ma sorrisi e aprii lo sportello. Avrei voluto alleggerire la tensione, ma la serietà di Blaise mi dissuase da ogni tentativo. Quindi abbassai lo sguardo e fissai un punto qualsiasi. –Cosa c’è?
-Se n’è andata.
-Nella casa fuori città?
-Lontano dall’Inghilterra- rimasi in silenzio. –E’ stata la decisione giusta per lei: ha diciotto anni e una vita davanti a sé.- Blaise parlava, ma io non lo ascoltavo già più.-In fondo, che motivo aveva di restare qui? Tra voi è finita e tu hai deciso di stare con Cloe…
-Sta zitto! Non è finito niente… NIENTE!- forse tremavo, ma non per il freddo. Avevo di nuovo il cervello e la vista appannati, ma questa volta per via dei ricordi e delle lacrime. –Portami da lei.
-E’ già partita.
-Dimmi dov’è.
-Draco… a cosa serve? Ora hai la tua vita, la tua famiglia, il tuo posto nel mondo… lasciale trovare il suo.
-E’ lei la mia vita, la mia famiglia e il mio posto nel mondo. Devo raggiungerla.
-La ami, Draco? La ami davvero?
-Sì.
-Allora lasciala andare.
E strinsi i pugni…
Il rumore della porta che si richiudeva mi riportò al presente.
-Come va?
-Potrebbe andare meglio.
-Hermione mi ha chiesto di incontrare Henri e ho preferito…- non gli lasciai terminare la frase e misi fine al discorso alzando la mano con il palmo aperto poco sopra la mia testa.
-L’ho vista. E’ tutto okay.
Harry mi guardò sconcertato, con un sopracciglio sollevato, ma lasciò cadere lì. Apprezzai lo sforzo, ma l’imbarazzo che trasmetteva mi fece pensare che parlava per creare un alibi alla sua migliore amica.
-In realtà…
-Davvero Harry, è tutto okay.- il suo volerla giustificare mi rabbuiò parecchio: c’era qualcosa che Hermione voleva nascondermi? Qualcosa che non voleva sapessi o forse il contrario e non aveva il coraggio di dirlo?
Mi sembrò di avere di nuovo di fronte l’espressione di Blaise, una sera del mio passato… ora, invece, di fronte a me c’era Harry Potter, in un pomeriggio del mio presente.
Raccolsi qualche foglio dalla scrivania e finsi di sistemarlo, cercando di evitare di dare voce ai miei dubbi… avrei potuto provare a fare conversazione, ma non riuscivo a trovare argomenti; avrei potuto trovare una scusa qualsiasi per uscire dall’ufficio, ,a non riuscii neanche in quello, o forse non lo feci perché il caos che regnava lì dentro rispecchiava quello che avevo io all’interno.
Squillo il telefono e tirai un sospiro di sollievo quando sentii la voce di Natan. –Papà, sstai lavorando?
-Ora no.
-Hai già arresstato qualche ladro?
-No, oggi non c’è stata nessuna rapina.
-Ma non puoi ssaperlo sse ssei ssempre sseduto. Fai come l’Uomo Ragno: usa una masschera e vola sui tetti.
Sorrisi: adoravo la sua voce da bambino e il suo modo di strascicare le esse. –E come deve essere questa maschera?
-Rosssa. Anzi no, verde. No, no, no: arancione.
-Va bene.
-E poi devi scegliere un potere: l’Uomo Ragno ha le ragnatele, tu cosa vuoi?
-Non lo so, scegli tu!
-Mmmh… non lo sso…- mi beai della sua fantasia e mi lasciai trasportare dalla sensazione di leggerezza che mi pervase i muscoli. –Forsse dei raggi magici che diventano manette.
-Dei raggi… colorati?
-Sì, verdi. Sarai fortissimo!- sentii Cloe che chiedeva il telefono. –Papà, ti voglio bene. Buonanotte.
-Buonanotte, campione.
-Ehy.- la voce familiare di Cloe.
-Ciao, come va?
-Bene… senti, domani puoi passare di qui: ho delle commissioni da fare e non so a chi lasciare Natan…
-Nessun problema. A che ora?
-Appena puoi.
-Alle nove sono lì. A domani.
-Perfetto, grazie. Ciao.
-Ciao.
Sentivo di nuovo un peso indefinito sulle spalle, a cui si aggiungeva il peso della situazione che si era creata con Cloe: avevamo trascorso tanti anni insieme, senza mai conoscerci davvero, ma l’estraneità che aveva cominciato a dividerci dopo la separazione era un qualcosa a cui faticavo ad abituarmi. Una maschera che non riuscivo a portare.
Strano, visto che era cominciata con una maschera ed era continuata allo stesso modo.
Forse, sentivo il bisogno di conoscerla con sincerità: non come compagna di vita, ma nel suo ruolo di madre di mio figlio.
Lo dovevo soprattutto a Natan, ma anche a me e a Cloe: non c’era amore tra noi, ma rispetto sì… quello doveva esserci per forza.
Mi resi conto che Harry era andato via quando trovai il coraggio di chiedergli di Hermione, quindi guardai di fronte a me e cominciai a ridere.
Devo essere pazzo.
Sapevo che quella risata era solo il rilascio di un nervosismo che mi opprimeva da giorni.
Posai la nuca sulla testiera e chiusi occhi.
E intanto, altre domande si erano rannicchiate nella mia mente.
Doveva essere passato parecchio tempo, perché erano venute e andate tante persone, ma il mio ufficio era rimasto chiuso. Forse mi ero addormentato, forse ero stato assorbito da quei pensieri che cancellano il mondo intorno o forse non era passato tutto quel tempo.
Ancora una volta avevo perso la cognizione di me stesso, di quello che realmente mi circondava e di quello che invece avrei voluto intorno.
Era stato un ragazzino senza freni, che non aveva paura di sbagliare e che imparava dai propri errori. Mi ritrovavo ad essere un uomo che prima di agire rifletteva mille volte, stanco di fare errori e di imparare da essi. Avevo cominciato ad insegnare, ad essere il punto di riferimento di qualcuno che mi vedeva come un eroe e non solo di me stesso e questo mi faceva sentire importante: era un qualcosa che mi dava gioia e il fatto di averlo fatto con Natan e di non poterlo fare con il figlio che davvero avevo sempre desiderato mi distruggeva.
Ero pessimo.
Uscii dall’ufficio con il bisogno pressante di prendere un po’ d’aria e di bere un caffè. Non sapevo cosa provare: ero deluso dal fatto che Hermione non chiamasse, soprattutto perché vederla con Henri aveva fatto crescere in me il dubbio che tutto quello che c’era stato non era stato importante.
Cosa ci faceva con lui? Perché continuava con il suo silenzio? Avrei accettato la fine, ma ne volevo la conferma. Me lo doveva: non poteva permettersi di lasciarmi in bilico.
Se non fosse successo nulla tra di noi, avrei potuto capirla… ma tra di noi c’era un figlio e doveva darmi una spiegazione.
Mi sentivo così lontano da quelli che eravamo stati fino a pochi giorni prima.
Quando arrivai alla macchinetta del caffè, decisi che non era il caso di assumere altra caffeina e innervosirsi ancora di più. La rabbia, la frustrazione non mi avrebbero portato a niente, nemmeno a migliorare la situazione.
Sarebbe servita tanta razionalità.
Tornai nel mio ufficio e mi sedetti di peso nella sedia che, per via della spinta, roteò un po’.
Notai che il display del cellulare era acceso e lo raccolsi con la fretta di chi spera in qualcosa di buono. C’era un messaggio in segreteria e lo ascoltai.
Avviai la telefonata, muovendo le dita con una rapidità di cui io stesso rimasi impressionato, ma gli squilli non accennavano a finire e dall’altra parte del telefono attaccò la segreteria.
Di nuovo la sensazione allo stomaco mi avvertiva che non sarebbe successo nulla di positivo e il fatto che Hermione non rispondesse a telefono me ne dava la prova.
Avvia di nuovo la chiamata e ancora una volta attaccò la segreteria.
Una, due, tre volte ancora.
Non sapevo cosa fare e allora decisi di aspettare e, per quanto la razionalità fosse il mio forte, la preoccupazione prese il sopravvento: forse era successo qualcosa, forse Hermione aveva bisogno di aiuto, forse si era sentita male e per questo non rispondeva al telefono.
Nel frattempo uscii dall’ufficio e mi infilai in auto, pronto per tornare nell’albergo in cui alloggiavo. Avevo bisogno di una doccia per schiarirmi le idee, per distendere i muscoli. Avevo bisogno di tante cose, tranne di quell’ostinato nervosismo che, per un motivo o per un altro, veniva sempre a farmi compagnia.
Agitarmi non serviva a niente, ma di stare calmo non se ne parlava proprio. Come potevo far finta di non sentire quella brutta sensazione?
Riprovai ancora a telefonarle e quando mi rispose mi sentii invaso da due emozioni totalmente contrastanti tra loro: ero sollevato perché sapevo che stava bene ed ero arrabbiato perché non credevo di meritare ulteriori tempi di rimando. Dovevo avere le mie spiegazioni.
-Cristo Santo, ‘Miò… va tutto bene?
-Sì.
-E’ la dodicesima telefonata che faccio, è successo qualcosa?
-No.
-Come mai non hai risposto?
-Stavo facendo una doccia. Dovrei parlarti.
Era come se un enorme pezzo di mondo mi fosse caduto sulle spalle: era un peso che non riuscivo a sostenere.
Capii che non c’era molto di cui parlare. Sarebbero bastate due parole: “E’ finita!” e il discorso sarebbe finito lì. La serietà con cui Hermione parlava non lasciava spazio ai dubbi, alle speranze e neanche alle illusioni. Il dolore allo stomaco era una brutta manifestazione del mio sesto senso, ma non sbagliava mai. –D’accordo.- risposi con voce totalmente piatta.
-Appena ti è possibile, fai con calma…
-Prima ne parliamo e meglio sarà. Passo tra un po’ a casa tua.- ero in auto, a pochi isolati da casa sua. Se la nostra storia doveva finire sarebbe stato meglio farlo immediatamente: rimandare non avrebbe fatto altro che accrescere la mia delusione, il mio dolore e soprattutto la sua voglia di riprendere la sua vita, magari da dove l’aveva lasciata.
-Va bene.
Probabilmente, in quell’istante il mio orologio smise di correre dietro al tempo che correva e rallentava a suo piacimento: eravamo entrambi stanchi di quello che ci succedeva… però, io dovevo continuare a camminare, a dare senso al mio tempo, a correre, a vivere.
Improvvisamente mi sentii come se le gambe e le braccia non mi appartenessero più: aprii la portiera, scesi dall’auto e premetti il tasto dell’antifurto, ma non ero io a farlo. Forse era lo spirito di sopravvivenza, forse era quella piccola fiammella di speranza che barcollava, ma ancora c’era.
Bussai alla porta e con gli occhi assenti attesi che Hermione aprisse.
Quando il legno si spostò e la vidi mi apparve diversa da com’era sempre stata: c’era qualcosa in lei che non le apparteneva, ma non capii di cosa si trattava.
-Ciao.
-Vieni, entra.
La seguii, ma non ero lì. Ero in un ricordo del passato.
-Credi che riusciremo a restare insieme sempre?
-Che domanda!
-Dico sul serio: credi che ci ameremo sempre, anche se le nostre strade si divideranno?
-Sì, credo di sì. Perché me lo chiedi?
-Ho la sensazione che non resteremo insieme?
-Io non direi.
-Se succedesse, ti amerò sempre.
-Davvero?
-Sì.
-E se un giorno dovessimo rincontrarci, non ti lascerò.
Non risposi perché l’emozione mi strinse la gola e le parole restarono bloccate nei pensieri, ma con il cuore le promisi che sarei rimasto con lei, anche se solo con il pensiero.
Promisi che l’avrei amata sempre e che semmai ci fossimo lasciati e avessimo avuto un’altra occasione, non l’avrei lasciata andare.
Una promessa che forse avevo mantenuto solo io, perché avevo la netta impressione che per lei quel giuramento non valesse più niente: si stava tirando indietro, mi avrebbe lasciato.
-Come stai?
-Bene.- aveva lo sguardo calato sui suoi toast e le tremavano leggermente le mani.
La guardavo: era mia, era sempre stata mia, perché voleva andarsene?
Una domanda stupida, a cui sarebbe stato stupido rispondere.
-Mi fa piacere.
-Draco… è inutile girarci intorno.
-Lo so, ma aspettavo che cominciassi tu a parlare.
-Ho rivisto Henri.
-Lo so.
-Te l’ha detto Harry?
-Sì, ma vi ho visti.
-Avrei voluto dirtelo, ma non ne ho avuto il tempo.
-Certo, perché tornare a casa per fare qualche toast era troppo impegnativo: richiede così tanto tempo fare un toast che non hai potuto rubare dieci minuti del tuo tempo per passare nel mio ufficio e farmi sapere che stavi bene, che avevi deciso di tornare con tuo marito. Almeno la decenza di avvisarmi. Credevo fossi cresciuta.
La vidi irrigidirsi. –Infatti: quello che non è cresciuto sei tu. Non sono tornata con Henri, altrimenti te l’avrei detto.
-Ah, certo.
-Vuoi litigare, Draco?
-No, voglio una risposta.
-A cosa?
-Al tuo silenzio: mi hai chiesto del tempo e ne hai avuto, poi mi richiami… per cosa? Per dirmi cosa?
-Non serve irritarsi, Draco, davvero.
-Credo di aver aspettato abbastanza.
-Voglio stare con te, okay? Quel tempo è stato inutile e…
Nonostante il sollievo e la felicità che provai in quel momento, la rabbia ebbe il sopravvento, perché mi sentii privato di un tempo che avrei potuto passare con lei e con nostro figlio; perché mentre io ero lì ad aspettare, lei giocava con i suoi inutili giri di parole.-Credi che siamo tutti a tua disposizione? Che siamo dei pupazzi con cui giocare?
-I-io non capisco cosa c’entra questo.
-C’entra eccome.- era il fatto che lei non andasse subito al sodo che mi innervosiva: era sempre stata così, ma stare sulle spine in una situazione così importante faceva male e sanguinare non era affatto piacevole.
-No, ti ho detto che ho capito come stanno le cose, che voglio stare con te… che quel tempo è stato inutile.
-Ora quel tempo serve a me. Mi dispiace.- mi alzai e mi diressi verso la porta.
Lei mi seguì. –Cosa vuoi? Mi dici che vuoi una risposta e poi non ne sei contento, eh?
-No, non ne sono contento.
-Sei sempre stato bravo ad andare via…
-Allora farò quello in cui sono tanto bravo.- i suoi occhi si riempirono di lacrime e mi ritrovai a fissare il legno massiccio della porta.
Ero fuori casa e mi sembrò che il mondo si frantumasse sotto i miei piedi.
Mi sembrava di sentire il suo respiro affannato dal pianto e allora bussai con la mano chiusa a pugno.
-Vai via, Draco.
-Mi dispiace, ‘Miò. Sono arrabbiato: ho aspettato per giorni una telefonata e poi ti ritrovo a fare toast.
-Ne avevo voglia.- sorrisi, perché la immaginai sorridere. –Sei un bambino: non ti sopporto quando fai così.
-Fammi entrare.
-No.
-Ti prego…
La porta si aprii di nuovo e vidi Hermione mentre asciugava le lacrime con il polso e tirava su col naso. La abbracciai e immaginai di poterla stritolare, ma avevo così tanta voglia di sentirla addosso che non riuscivo a contenere lo slancio e la forza con cui stringerla.
In fondo, aveva ragione: mi aveva chiesto di restare tanti anni prima ed io ero andato via… non potevo farlo più, non ora che il mio mondo aveva tutto quello di cui avevo bisogno.
Ero diventato diffidente nei confronti della vita e non avrei puntato uno spicciolo su nessuna scommessa su me stesso, ma lei mi aveva ridato il coraggio di ricredere e scoprire le carte.
-Ho fame.- disse, con la voce coperta dal mio petto.
-Andiamo.
Mentre mi incamminavo verso la cucina, il telefono suonò e il disegno di un messaggio s’illuminava sul display.
<>
Mi sentii dispiaciuto perché non avrei visto mio figlio, ma avrei passato del tempo con la donna che amavo: ne avevamo troppo da recuperare e forse non ci saremmo riusciti del tutto…
Ma la notte era giovane ed io volevo vederla invecchiare e diventare di nuovo bambina… insieme a lei.
Angolo Autrice:
Salve popolo di EFP... la notte è giovane anche per me, chissà per chi altri.
Sono un po' delusa perchè la storia sta ricevendo pochi commenti e non so più se continuare su questa lunghezza d'onda o cancellare tutto... vi chiedo di commentare anche per dirvi che non vi piace, perchè il vostro parere per me è davvero importante.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero che ricomincerete a seguire questa storia.
Buonanotte a tutti,
la vostra Exentia_dream |
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Capitolo 43 *** Momenti così... ***
Momenti così….
POV HERMIONE:
Ripensavo spesso al mio ritorno a Londra, a casa mia.
Da adolescente era il posto da cui volevo andar via, senza sapere che tornando la mia vita sarebbe cambiata e cominciare finalmente ad andare sulla giusta strada.
E ne ero felice.
Avevo ritrovato quello che a Parigi avevo creduto di aver perso: gli amici, l'amore, la felicità.
Erano cambiate tante cose.
Mi ero preclusa la felicità per molto anni, l'avevo ritrovata solo tornando. Quanto tempo avevo sprecato?
Il tempo faceva il suo corso e tra poco Ginny e Harry si sarebbero sposati. Oggi io e lei avevamo l'ultima prova degli abiti.
Nove giorni. Soltanto nove giorni al loro grande giorno.
In più, stavo per realizzare il mio sogno più grande: quello di diventare madre.
Meno di due mesi: sarebbe arrivato settembre ed anche il dono più bello.
-Audrey: forza nobile.
-No.
-Courtney: relativo alla corte.
-No.
-Ella...
-Sì.
-Non vuoi sapere cosa significa?
-No, mi piace già.
-Ella: bellissima fata.
-L'avevo detto che questo nome mi piaceva.
Eravamo seduti sul divano della casa poco distante dal centro di Londra, avevo le gambe stese sulle sue.
-Come ti senti?
-Completa.
Ed era vero: in un piccolo spazio avevo tutto ciò di cui avevo bisogno per essere felice.
C'era lui che teneva le mani intrecciate alle mia, immobili, sul mio ventre.
Ella per me era quanto di più meraviglioso potesse esserci in questo mondo ed era il centro di qualcosa di eternamente importante: parlavo spesso con lei, come se già mi sedesse accanto. Parlavo con lei prima ancora di sapere se fosse stata maschio o femmina. E l'accarezzavo, con la speranza che il mio calore e il mio amore gli arrivassero anche attraverso il tatto, non solo attraverso la voce e il cuore.
Avevamo deciso di vivere insieme in quella casa e non sarebbe potuto essere altrimenti: lì, tra quelle mura, il nostro amore era nato e cresciuto. Da lì a poco, tra quelle mura, sarebbe nata nostra figlia.
Ella: bellissima fata.
Tornai in me quando sentii un piccolo lamento e guardai dritto davanti a me: mamma era seduta e mi teneva la mano, con le lacrime agli occhi. Aprì di più gli occhi che si riempirono di meraviglia quando vide i movimenti che la mia bambina faceva dentro di me: agitava lentamente una manina sul ginocchio, come se si stesse accarezzando.
Meraviglia e ancora lacrime. Ma non era il dolore che le rigava il viso. Era la gioia.
Era la gioia per una nuova vita che nasce, che forse avrebbe voluto condividere con un'altra vita che, invece, se n'era andata. Ma mamma lo sapeva: papà le era sempre vicino.
-Bene, signora Granger. Procede tutto bene. La bambina è in ottima salute, gli organi interni sono a posto e il battito cardiaco l'ha sentito anche lei, quindi...
-Ha sentito che cuoricino? Questa è la musica migliore mai ascoltata. Altro che Mozart e Beethoven. Tsz.
Rimasi perplessa, così come il dottore che mi guardò e sorrise.
-Arrivederci, dottor Paciock.
-Arrivederci e ancora auguri.
Salimmo in auto, poi mi girai a guardare mamma.
-La smetti?- la rimproverai dolcemente.
-Ma hai sentito il suo cuoricino. Tu-tum, tu-tum...
-Sì, l'ho sentito.- poi, scoppiai a ridere al ricordo dell'espressione del ginecologo: un misto tra il divertirsi e il preoccuparsi seriamente per la salute mentale di una donna che presto sarebbe diventata nonna. Rideva anche lei.
-Non ridere di me.
-Non rido di te, mamma. Rido con te.- sperai che avesse sentito l'enfasi dell'ultima frase.
Guardai l'orologio e mi accorsi di essere in ritardo per l'appuntamento con Ginny, così proposi a mamma di accompagnarmi e lei accettò volentieri. Minerva non ci avrebbe perdonato se avessimo tardato all'ultima prova.
L'ultima.
§
-Solleva le braccia, Hermione.- Minerva misurava col suo metro da sarta, inseriva spilli, tirava da un lato, poi dall'altro. Faceva dei segni sulla stoffa, poi ancora spilli.
Si passò una mano sulla fronte, per spostare qualche capello che le ricadeva sulla fronte. -Ho rovinato un vestito bellissimo.
-Non hai rovinato niente. Con il pancione, anzi, lo renderai ancora più bello.- sorrise e capii che era sincera.
Continuò per un po' a mettere spilli qui e lì, poi fu il turno di Ginny.
L'abito era perfetto: non aveva bisogno di nessuna modifica e lei, vestita di bianco e con un piccolo diadema tra i capelli, era stupenda.
La sua felicità sembrava uscirle dagli occhi, dal petto e farsi persona.
Finalmente, dopo la crisi passeggera che aveva avuto con Harry, aveva la certezza che porta con sé la consapevolezza di fare la cosa giusta.
Inoltre, la gioia che l'abito le stesse bene era accompagnata- se non divorata- dalla gioia di poter diventare la moglie dell'uomo che più aveva amato in tutta la sua vita. Non vedeva l'ora di potersi svegliare con lui ogni mattina.
Per un attimo, tornai indietro nel tempo: mi chiesi se anche io mi sentissi allo stesso modo e, seppur non contenta al cento per cento, speravo di poter costruire qualcosa di bello insieme a Henri.
Forse, anche Draco aveva provato le stesse sensazioni.
-Siete bellissime.- disse mamma con un filo di voce. Nei suoi occhi ancora l'emozione.
-Bene. Gli abiti saranno pronti dopodomani. L'abito di Hermione, in effetti, perché il tuo- disse rivolgendosi a Ginny- ti sta alla perfezione.- poi, si accomodò di fronte a noi.
-Grazie, Minerva.- Ginny era... non avrei saputo descrivere la sua espressione, perché era così pura che avevo paura di poterla rovinare con qualsiasi aggettivo, seppur bellissimo.
-Come ti senti?
-Non lo so. Sono così... emozionata, spaventata... pronta.
-Ecco. Questa è la parola giusta: pronta. E se ti senti pronta, vuol dire che sai che è il momento giusto, che è la persona giusta. Che è tutto giusto.
Parlammo ancora un po': mi chiese della gravidanza, del nome della bambina. Ginny le annunciò che sarebbe stata la madrina di battesimo di Ella e mia madre le raccontò del suo cuoricino che batteva. In realtà, glielo fece ascoltare, visto che l'aveva registrato sul cellulare.
Quando uscimmo dalla sartoria, strinsi le mani della migliore amica e- visto che aveva l'auto parcheggiata poco distante- dissi a mamma che sarei rientrata più tardi.
Avevo il bisogno e il desiderio di stare da sola con la mia migliore amica.
-Caffè?
-Cappuccino. Ti prego, portami in un bar: ho fame.- dissi, spalancando gli occhi.
Ginny rise.-Se continui così. il tuo vestito non sarà pronto neanche per il giorno del matrimonio.
-Ma non è colpa mia. E' Ella che ha fame.- come se questo avesse potuto giustificare la quantità di cibo che mangiavo.
-Lo so.- disse, accarezzando il pancione, poi, approfittando di una sosta dovuta al traffico, si calò leggermente. -Ehy, piccolina... lo so che hai fame e vorresti mangiare, ma vedi... zia Ginny tra nove giorni si sposa e la tua mamma dovrebbe entrare nell'abito, altrimenti cosa indosserà quel giorno?
Sorrisi e mi commossi: Ella era una parte importante della mia vita, anche se non potevo ancora stringerla tra le braccia. E il fatto che tutti parlassero con lei mi rendeva felice: mi faceva capire che per tutti era già lì.
Arrivammo al bar poco dopo e scesi quasi di corsa dal’auto per fondarmi al mio tavolo preferito, quello vicino alla finestra.
Il passare delle auto, delle persone mi faceva pensare allo scorrere della vita: alcune persone entrano nelle vite di corsa, se ne vanno allo stesso modo; altre camminano piano, come se non volessero far rumore o non volesse disturbare; altre si fermano un po’ di tempo; altre aspettano qualcosa di migliore che le porti via, perché tra l’autobus e il taxi, chi è che non preferisce il secondo??
Ordinammo un caffè, un cappuccino, due cornetti ai frutti di bosco e un succo di frutta alla pesca. Giusto per non rinunciare a niente.
Guardai Ginny. -Sarai splendida.
-Sono così... ho paura.- disse seria. -Ho paura perché io mi sento pronta, ma Harry? Non voglio chiederglielo e lui non fa altro che evitare l'argomento "matrimonio", come se questa cosa lo spaventasse, come se parlandone quel giorno venisse prima.
-Ha paura anche lui, no? Magari non vuole parlarne per... perché, forse, ancora non ha realizzato ciò che sta per accadere o perché ancora non crede che sia vero.
Rimase per un po' in silenzio, a soppesare le mie parole. -Sì, forse è così. Me lo auguro.
Diedi un morso al cornetto e mi sentii scaraventata in un paradiso di dolcezza che non disgustava. -Dovremmo venire a fare colazioni qui ogni mattina.
-Sì, come no. Così prima di partorire scoppi e la bambina sembrerà un giavellotto.
-Non prendermi in giro.
-Non lo sto facendo.- strizzò l'occhio.
-Ginny?
-Mh?
-Come la immagini?
-Bellissima. Come te. O forse, bionda con gli occhi castani. O castana con gli occhi azzurri. Non lo so: ogni giorno la immagino diversamente. A volte, faccio anche il pensiero che sia un maschio e non una femmina.
-E' una femmina.
-Lo so, ma tanto non cambia niente se immagino un po', no?
-In effetti.
-Nove giorni. Oh mio Dio, non riesco a crederci. Sogno questo giorno da anni, da anni e ora sta per arrivare. Ti rendi conto? Nonostante i litigi, le crisi, gli addii, io e Harry ci sposeremo e, dopo tutto quello che abbiamo superato, vuol dire che ci amiamo davvero. Non posso crederci. Mi guardavo con quel vestito e immaginavo Harry nel suo abito e volevo piangere. Tremavo... vedevi come tremavo?
-Sì. Sono felice come te. E' quello che hai sempre sognato e il coronamento del tuo sogno è quello che hai sempre meritato.
-Come farei senza di te?
-E io senza di te?
Sorridemmo, poi uscimmo dal bar.
In auto parlammo del più e del meno, entrambe con la gioia negli occhi e nel cuore.
Quando arrivammo fuori il cancelletto di casa, l'abbracciai forte. Forse troppo.
-Domani colazione?
-Sì.
-Cornetti ai frutti di bosco?
-Quattro.
-Due: uno ciascuno.
-Tre: due a me, uno a te.
-Vedremo.
-Ti adoro, Gin.
-Anche io.
Un leggero bacio sulla guancia, poi rientrai a casa.
Vuota.
Mi soffermai a guardare la foto di papà e sorrisi.
Pensai che mi mancava tantissimo e che avrei dovuto ringraziarlo: ero tornata a Londra per il suo funerale ed ora, a Londra, mi ritrovavo ad essere felice e a stringere tra le mani la vita che avevo sempre voluto.
Qualcuno una volta ha detto che anche dall'asfalto può nascere un fiore. Nessuna frase, prima, mi era sembrata più vera.
Se ci fosse stato anche lui, certo, sarei stata ancora meglio, ma sapevo che da lassù mi sarebbe stato vicino. Ed io lo sentivo. Lo sentivo qui.
POV DRACO:
Ella, Ella, Ella. Ella.
Il nome di mia figlia non faceva che vorticarmi in testa.
Mi stesi sul letto della mia camera d'albergo, contento di tutta quella felicità. Forse troppa e questo mi spaventava un po'.
Chiusi gli occhi.
-Draco.- brutto segno: Potter non mi chiamava mai per nome. Tranne quando... -Dobbiamo parlare.
-Mia moglie lo direbbe meglio.
-Sono serio, non scherzare.
-E di certo non avrebbe la tua espressione.- dissi ridendo.
-Sono serio.
-L'hai già detto.
-E lo ripeto: sono serio.
-Beh, Potter, sei già nel mio ufficio. La porta è chiusa, quindi, siediti e parliamo.
Si sedette, ma continuava a guardarsi intorno, come se stesse cercando le parole. -Nessuno voleva che te lo dicessi.
-Quindi lo sanno già tutti. Strano che io non ne sappia niente, visto che riguarda me.
-In realtà non si tratta di te...- lo guardai con aria interrogativa. -Gli altri credono che sia così. Io, invece, credo di dovertelo dire, giusto per mettere un punto lì e finire questa specie di agonia.
-Un punto, dove?
-Hermione si sposa.
Un sasso, una montagna, una valanga. Un punto, sì, alla mia vita. Alle mie illusioni, ai miei desideri nascosti. Un punto a me e lei, a quello che eravamo stati, a quello che avrei voluto tornassimo ad essere.
-Devo andare.
-Non serve che scappi, era giusto che lo sapessi.
-Sì, sì, lo so. Ma ora devo andare.- mi prese per un braccio e mi trattenne un po'. -Potter, lasciami andare.- La mia voleva essere una minaccia, ma non appena Harry allontanò la sua mano, mi resi conto che in realtà era una richiesta disperata.
Avrei preso il primo volo per Parigi, avrei attraversato l'oceano a nuoto, avrei fatto di tutto.
Salii in auto e non so come, non so in quanto tempo mi ritrovai all'aeroporto, con in mano un biglietto per la Francia.
Erano passate ore, ore e ancora ore. Guardai il biglietto e lo accartocciai: non potevo privarla della possibilità di essere felice. Non potevo andare da lei, dirle che non doveva farlo, dirle di venire via con me.
Non potevo perché sei anni prima mi aveva chiesto di restare ed io me n'ero andato. Non potevo perché lei era andata via per non vedermi più, per non guardarmi mentre la mia vita andava avanti con un figlio e una moglie.
Non potevo perché l'amavo troppo.
Tornai a casa, chiudendo forte la porta alle mie spalle. Cloe non disse niente, il bambino dormiva e il mio silenzio mi faceva male: avrei voluto che qualcuno dicesse qualcosa, che la donna che avevo affianco urlasse perché ero rientrato tardi... ma niente. Silenzio e basta.
Silenzio e insonnia. Silenzio e sigarette. Silenzio e dolore.
Silenzio e l'immagine di Hermione che camminava verso l'altare.
Ero cosciente e probabilmente ci ero caduto apposta in quel ricordo, per ricordarmi cosa fosse il dolore, quanto male potesse fare.
Squillò il cellulare. -Pronto?
-Dormivi?
-No.
-Perfetto...
-Perché?
-Perché ho proprio tantissima voglia di vederti.
-Va bene.- sorrisi.
Come avrei potuto non sorridere sentendo la sua voce, la sua dolcezza infinita?
-Verso che ora...
-Tra poco. Pochissimo.
Posai il telefono, misi la giacca e lasciai l'albergo: avevo fretta di vederla e di sapere com'era andata la visita, come stava Ella e come stava lei.
Salii in auto e dopo cinque minuti ero fuori casa sua. Rimasi un po' lì a guardare la mia vecchia casa, senza nostalgia della vita che avevo vissuto lì. Di mio figlio sì, ma quella era una nostalgia a cui dovevo abituarmi ogni giorno, fino alla sera: su una cosa eravamo d'accordo io e Cloe: avrei potuto vedere Natan ogni giorno, in qualsiasi momento desiderassi farlo.
Lo avrei visto la sera, insieme a Hermione e saremmo andati al McDonald's.
Bussai alla porta e quando mi aprì vidi i suoi occhi pieni di lacrime. -Cos'è successo?
-Guardavo le foto di papà.
-Non devi essere triste.
-Non lo sono... un po' sì, ma spero che da lassù mi guardi e allora divento meno triste.- sorrise. -I tuoi?
-Non li vedo da un po'.
-Un po', quanto?
-Sei anni.
-Non conoscono Natan?
-Sì, l'hanno visto...
-Dovresti andare da loro...
-Sì, prima o poi. Non volevano che sposassi Cloe... Ora, dovrebbero solo essere contenti per me.- La baciai.
Quante cose non sarebbero successe se avessi ascoltato la sua richiesta tanti anni prima? Come sarebbero stati i rapporti con i miei genitori in questi anni? Quanti anni avrebbe avuto il mio primo figlio con lei? Sarebbe stata lo stesso una femmina o sarebbe stato un maschio?
-Vado a truccarmi un po'.
-Aspetta, vieni qui. Com'è andata?
-Benissimo: Ella è perfetta salute, sta bene e cresce. Il suo cuore batte normalmente...
-E tu come stai?
-Sono felice.
La baciai, poi lasciai che andasse a prepararsi.
Restai per un po' da solo con i miei pensieri e, ogni tanto, c'era qualcosa che mi disturbava.
-Ti sbagli di grosso, lo sai?
-Su cosa?
-Tutto quello che è tuo mi riguarda e, se permetti, la tua felicità mi riguarda in primo luogo.
-Mi fai ridere. Ti preoccupi ora della mia felicità?
-L’ho sempre fatto.
-Non mi pare. Ti ho pregato per restare insieme… e te ne sei andato.
-Avresti sofferto troppo se fossi rimasto con te, stupida!
-Non avrei sofferto.
-No? Saresti stata felice sapendo che ero stato obbligato a sposare Cloe? O se mi avessi visto insieme a lei? Magari ti avrei anche invitato al matrimonio…
–Ce l’hai ancora…
-Non avrei mai potuto metterla via. Se l’avessi fatto, ti avrei persa davvero.
–Sono cambiate tante cose…
-Vero. Ma sarebbe più giusto dar conto a quello che non è mai cambiato.
–E’ meglio se non lavoriamo insieme, Potter. Tutto qui.
-Va a cena con Henri?
-Sì.
-L’ha perdonato?
-Non lo so. Non m’importa Potter, ma di certo io non sarei andato a cena con lui se non avessi deciso di tornarci insieme.
-No, non può succedere.
-E’ la sua vita. Non provate perennemente a salvarla: se non lo capisce da sola è inutile fare gli eroi.
-Parli bene tu.
-Cosa dovrei dire, secondo te?
-Non rinunciare a questo caso.
-Cosa significa?
-Significa che devi aiutarla.
-Non me lo lascerà fare...
-La ami ancora, vero?
-Che domanda stupida, Potter.
-Rispondimi.
Troppi ricordi mi affollavano la mente. Ricordi di quando l'avevo persa ancora e di quando credevo di non poterla più avere.
Poi, come il sole dopo tanta pioggia, un ricordo che mi calmò.
-L’ho vista felice solo insieme a te, anche se la situazione non era delle migliori. Ma so che puoi darle la felicità che merita.
-C’è Blaise, ci sono tante altre persone che possono farla innamorare, perché lo chiedi proprio a me?
-Perché so quanto ti ha amato. E so quanto tu la ami ancora.
-Sei proprio come la sabbia nelle mutande, Potter.
-Spero almeno che un giorno tu possa ringraziarmi.
Harry Potter aveva avuto ragione: eravamo tornati insieme, eravamo felici. Avrei dovuto ringraziarlo.
-Andiamo?- Hermione, nel frattempo, era tornata in salone, bella come sempre, e mi sorrideva.
Uscimmo dalla porta e Natan era già lì che ci aspettava.
Salì in auto, diede un bacio a me ed uno a Hermione, ci guardò e sorrise.
-Dove andiamo?
-Dove vuoi.
-McDonald's?
-McDonald's.
-MCDONAAAAALD'S!!!
Angolo Autrice:
Ciao a tutte… prima di tutto vorrei chiedervi scusa per aver abbandonato completamente la storia, ma le poche recensioni mi hanno lasciata un po’ delusa e senza voglia di scrivere.
Ora sono tornata e spero che siate ancora tutte presenti e curiose e, soprattutto, innamorate di questa storia.
L’ho riletta e, nonostante i vari orrori grammaticale, mi sono resa conto che è una storia che merita un seguito… non perché sia bellissima, ma per rispetto di chi l’ha sempre seguita.
E quindi, eccomi qui con un nuovo capitolo.
Come avrete letto, le cose finalmente si sono sistemate e Hermione e Draco sono felici.
Volevamo solo questo, no?
Vi devo confessare che è stato difficile riprendere questa storia tra le mani e ricominciare a scrivere… spero che vi piaccia e che qualcuno mi lasci anche un piccolo commentino.
A presto, la vostra Exentia_dream |
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