A sangue freddo

di Helena Velena
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La crisi di rigetto d'inizio d'anno ***
Capitolo 2: *** L'Oscuro Vendicatore ***
Capitolo 3: *** Una serata da far passare ***
Capitolo 4: *** Quando i nervi ti abbandonano ***
Capitolo 5: *** Il cielo sopra Merlino ***
Capitolo 6: *** Le cento erbe di Severus Snape ***
Capitolo 7: *** Quieto vivere ***
Capitolo 8: *** Gli oscuri fluidi ***
Capitolo 9: *** A patti coi gatti ***
Capitolo 10: *** Appuntamento a Hogsmeade ***
Capitolo 11: *** A bagno con le ortiche ***
Capitolo 12: *** Baruffa coi Centauri ***
Capitolo 13: *** Una serata con l'Oscuro Signore ***
Capitolo 14: *** Epilogo col morto ***



Capitolo 1
*** La crisi di rigetto d'inizio d'anno ***


Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.


Il Professor Snape aveva dalla sua l'intelligenza, l'audacia, e una certa consumata abilità nell'arte della dissimulazione. Non era quindi troppo preoccupato dall'arrivo della nuova titolare della cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, convinto com'era di trovarsi in una posizione abbastanza defilata, ma in ogni caso di vantaggio, dovuta alle sue abitudini schive, all'alone di dubbia moralità che emanava da lui, e alla sua espressione facciale, come di chi si trovasse costantemente sull'orlo di una crisi di vomito.
Queste qualità, coltivate e raffinate negli anni, gli avevano sempre garantito ottimi effetti respingenti nei confronti dell’intero genere umano.
"Ah, un giorno o l'altro vomiterò davvero sopra qualche studente," si scoprì a rimuginare tra sé mentre si affrettava con aria concentrata verso l'aula di Pozioni, la sua materia di competenza.
"E, come se non bastasse, ora arriva anche questa nuova seccatrice, questa primatista della mediocrità, che occupa la cattedra che dovrebbe essere mia..."
Snape, per il momento, era semplicemente preda della sua crisi di rigetto di inizio anno. Ce n’era stata una per ogni nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, e ora era costretto a digerire nientemeno che la Professoressa Dolores Umbridge, sentendosi particolarmente disgustato al pensiero della sua esistenza, e del suo incarico.
Per lui, le Arti Oscure erano innanzitutto Arti, quindi la loro conduzione, a favore o a difesa che fosse, doveva essere riservata solo ai pochi eletti che, come lui, ne avevano conosciuto e cavalcato la vertigine.
Percorrere quella strada era difficile, pericoloso, riservato a pochi, e la Cattedra di Difesa di Hogwarts era stata, da sempre, destinata ai grandi nomi. Be’, forse non esattamente così grandi, negli ultimi anni… E senza di essa, per Snape non ci sarebbe mai più stata nessuna possibilità di trascendenza, nessuna inebriante conquista della grandezza inaccessibile, e nessuna rinomanza. Mai più, dopo la rinuncia all’Oscuro Signore.
“Lo sa l’inferno quante volte ho tentato di ottenere quella cattedra, ma Silente l’ha assegnata a cani e porci, a emissari di Voldemort, a lupi mannari. A tutti, tranne che a me! E adesso ci si mette di mezzo anche il Ministero!”
La nuova arrivata, la nuova spina nel fianco, era infatti stata imposta a Hogwarts per la sua carica di Sottosegretario Anziano del Ministero della Magia dal ministro Cornelius Caramell, e il suo modo di fare declamatorio e fiscale aveva chiarito, fin dal sua arrivo, che il Ministero si sarebbe intromesso negli affari della scuola.
Da questa Dolores Umbridge, che gli altri professori avevano descritto come una presuntuosa impicciona invadente, e che non aveva risparmiato a nessuno un primo approccio fatto di velate minacce e accuse sottili, Snape non si aspettava certo un trattamento di favore.
Evidentemente, però, era stato lasciato per ultimo. Bene. Aspettava con malmostosa rassegnazione che arrivasse anche il suo turno di venire importunato, ma che fosse preoccupato, Severus Snape, questo no. Ci voleva ben altro!
“Appartengo ad una specie a sangue freddo”, pensava, “e posso essere velenoso…”

Quel mattino Snape aveva lezione, il terzo anno Tassorosso-Corvonero, un’accoppiata esasperante.
I Tassorosso erano generalmente ottusi, ci mettevano un’infinità di tempo a preparare tutto e la loro serenità bovina lo irritava.
Snape non ricordava, in tutta la sua carriera, nessuna pozione prodotta da un Tassorosso che racchiudesse un minimo di genio, anche se i Tassorosso erano comunque portati, doveva ammetterlo, a sviluppare delle prove corrette.
Per contro, i Corvonero erano dei maniaci dell’eccellenza e della perfezione, e volevano penetrare ogni sfaccettatura della materia, ancorché in modo teorico e astratto.
Le manifeste reazioni di insofferenza del loro professore non li scoraggiavano mai dal porre quella serie infinita di domande sul perché si usasse proprio questo e non quell’ingrediente, e non limitava tutti i loro “cosa succederebbe se” che lo obbligavano a sperticarsi in astruse spiegazioni, delle quali i corvonero sembravano comunque diffidare insoddisfatti, dietro ai loro occhietti intelligenti.
La Umbridge non si era ancora fatta viva, e Snape si sentì sollevato mentre usciva dalla classe, a lezione finita, con dimessa baldanza, scantonando dalla piccola folla di sciagurati Tassorosso e di perfidi Corvonero.

“Professor Snape, Professor Snape!” La voce che lo chiamava aveva svoltato l’angolo e si era immessa nel lungo corridoio. Arrivò di corsa il Professor Filius Vitious, con una convinzione tale che Snape non ebbe modo di eclissarsi in tempo.
Si fermò dunque lì dov’era, voltandosi con calcolata lentezza finché l’altro non lo raggiunse ansimando.
“Desidera, professor Vitious?” Disse poi sospirando, con un tono che avrebbe raggelato del ghiaccio. Ma Vitious era troppo concitato, e forse anche troppo abituato, per farci caso.
“Bisogna fare qualcosa, Snape, quella Umbridge sta ficcando il naso dappertutto… Controlla le lezioni, riferisce al Ministero… E’ stata nominata Inquisitore Supremo di Hogwarts, sa? E non sembra avere criteri sensati nelle sue valutazioni!”
“Ah davvero?” rispose Snape, senza scomporsi. “Controllare che lei non rompa qualche prezioso cimelio mentre i suoi allievi la fanno volare per la stanza non le sembra sensato?” E ci mise una punta di cattiveria, qui. Ma non più del solito.
“Si figuri che a un certo punto…” continuò Vitious facendo finta di niente, “ha tirato fuori un metro, e mi ha misurato, Snape! Ha misurato la mia statura, e scuoteva la testa!”
Snape alzò un sopracciglio e ritrasse un po’ il capo, come voler mettere meglio a fuoco il suo non altissimo interlocutore.
“Ah, davvero?” fece sottotono. Non poteva resistere.
“Oh, per Dio, Snape, la smetta! Qui la cosa si fa seria! Vorrei vedere se la Umbridge venisse nella sua aula e cominciasse a misurarle il naso con quella sua aria di disapprovazione!”
Snape rispose ancora una volta col suo “Ah, davvero?”, ma aveva accusato il colpo, e il suo tono si fece piccato.
“Evidentemente il mio naso le va a genio, visto che non ha ancora ritenuto opportuno limitare né me, ne lui. Quanto ad un eventuale giudizio sul mio operato, quella donna non troverà niente da ridire. Sono sicuro che le regole, le mie, che applico da sempre, hanno maglie più strette dei suoi criteri.”
“Ma è proprio per questo, Snape, che mi rivolgo a lei!” Vitious allungò una mano e afferrò il gomito del pozionista, volendo forse creare una sorta di intimità con quel soggetto inavvicinabile. In realtà, essendo tanto più basso, riuscì solo a sembrare il suo ombrello. Ma non perse di slancio.
“Ho parlato un po’ con tutti i colleghi, vede, e pensiamo… Proprio perché il suo lavoro e la sua serietà sono inappuntabili… La distrugga Snape! Con quella lingua che si ritrova, con quella faccia, lei può riuscirci! Faccia assaggiare a Dolores Umbridge il suo lato più tagliente, il suo lato affilato, per così dire… Restiamo uniti, stia dalla nostra parte… Per Silente, e per Hogwarts.”
Snape si rabbuiò ulteriormente, ma quella sua espressione significava solo che l’abitudine al controllo della facciata prendeva le solite piste conosciute, perché dentro di sé non poteva negare una certa sensazione di compiaciuta rivincita.
I colleghi professori, che di solito facevano comunella tra loro, e che l’avevano sempre escluso, adesso lo percepivano come il più forte, inattaccabile, affilato; e nel ruolo del loro pugnale, l’avevano finalmente accettato.
“Professor Vitious, non posso garantire nessuna performance”, si decise a rispondere dopo un sospiro, accentuando l’ultima parola con una pausa ad effetto, “ma in ogni caso quella ficcanaso non mi piace, ed entrambi sappiamo quanto spiacevole io possa diventare…”
Vitious annuì, guardandosi intorno con aria di cospirazione. “Bene, bene… A presto, allora” fece tra i denti, e col suo passetto rapido si allontanò.
L’atmosfera concentrata e sospesa si disperse, i rumori tornarono per i corridoi.
Snape si strinse nel suo mantello come per ricomporre una sorta di contegno dopo essersi sbottonato troppo, e riprese lentamente la sua direzione.
Ora il fatale incontro con l’odiata Umbridge si era caricato di attese ulteriori, e se Snape non fosse stato quel fuoriclasse del self control che era, l’esemplare campione di una specie a sangue freddo, sarebbe potuto apparire quasi divorato dall’ansia.
Durante il pranzo Snape prese il suo solito posto tra Minerva Mc Granitt e Whilelmina Caporal, non senza notare l’aria di aspettativa e tutti gli ammiccamenti che i colleghi sembravano rivolgergli di nascosto dalla Umbridge, posizionata cinque posti più in là lungo il tavolo dei professori.
Filius Vitious lo covava con lo sguardo, come se Snape fosse una sua scoperta, quasi avesse portato lui stesso un vassoio di specialità gastronomiche, da offrire e fare apprezzare.
L’atmosfera si fece presto pesante.
Snape avrebbe preferito essere ignorato e suscitare diffidenza come al solito, invece di trovarsi al centro di quella inconfessata adunanza, fatta di sguardi pieni di confidenza improvvisata.
Si sentiva osservato e aveva la sgradevole sensazione che gli altri commensali si servissero delle sue stesse pietanze appena dopo di lui, sorvegliando e scimmiottando le sue preferenze, quasi a ribadire la determinazione con cui lo ritenevano, ormai, una specie di esempio.
L’esasperazione di Snape toccò il culmine quando prese la senape, perché Sibilla Cooman, che fin dall’inizio del pasto era rimasta voltata verso di lui formando un angolo innaturale, nella smania di procurarsela rovesciò il vassoio degli arrosti, senza smettere mai di fissarlo da dietro gli occhiali telescopici.
Quel poco piacere che Snape ricavava dal cibo era ormai rovinato, per quel giorno.
Abbandonò la Sala Grande sempre più nervoso e sull’orlo dell’ulcera, ma nelle prossime ore, Snape ne era sicuro, la situazione non sarebbe certo migliorata. Il pomeriggio infatti sarebbe trascorso nella particolare insofferenza che solo le classi Grifondoro-Serpeverde, accoppiate tra loro, sapevano suscitargli. Con questo nefasto senso di anticipazione si ritrovò a imboccare la scala per il sotterraneo, diretto alla sua aula bieca.
"Eccoli là, gli indegni apprendisti della raffinata pratica delle Pozioni," pensò quando vide i suoi allievi. Tutti schierati ai loro posti. Eppure...
Sotto l’apparente velo di inibizione e rigore che le scolaresche esibivano con Snape, serpeggiava spesso una realtà invisibile, ad umano occhio di mago, e ben diversa.
I Serpeverde facevano i dispetti ai Grifondoro, e i Grifondoro si vendicavano dei Serpeverde, e la loro rivalità non faceva che crescere, raggiungendo livelli di grossolanità spregevole. La faida, naturalmente, distoglieva gli studenti dalla doverosa concentrazione, così necessaria in quella materia contorta, privando il professore anche di quel minimo di soddisfazione che i Tassorosso-Corvonero, almeno, sapevano restituirgli.
“Stramaledetta Umbridge,” Pensava Snape mentre il suo sguardo si disperdeva nella stanza. Cominciava ad averne abbastanza dell’attesa, voleva che il confronto iniziasse, voleva dare scacco a quella carogna il prima possibile.
Doveva prepararsi, mettersi al sicuro. In qualche modo…
Ma più si arrovellava, più le antiche insicurezze riaffioravano, da sotto la sua scorza velenosa. Presto o tardi la Umbridge sarebbe apparsa nell’aula, per controllare il suo rendimento e la conformità delle sue lezioni ai programmi ministeriali.
Snape era sempre stato terribilmente esigente con gli studenti, impeccabile come insegnante, ancorché spietato, e con lui le classi raggiungevano dei livelli impensabili. Ma bisognava alzare il tiro.
Scelse dunque un obbiettivo ambizioso: la preparazione della Pozione della Pace, che placava l’ansia e calmava l’agitazione.
Di regola era irrisolvibile, all’inizio del quinto anno, ma figurava nei programmi ministeriali, a differenza di quelle che trattava di solito, non di rado sue originali creazioni.
Tra i vari calderoni che non mostravano gli effetti che dovevano, ne scelse uno per tutti, e parlò come se sputasse:
“Potter, e questa cosa sarebbe…”

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Capitolo 2
*** L'Oscuro Vendicatore ***


Fine della giornata lavorativa, fine di ogni tentazione, ovvero dell’impulso di strangolare gli studenti.
Nella fretta di lasciarseli alle spalle Snape si ritrovò ad attraversare il cortile, dove un piccolo gruppo di marmaglia giovanile stava rapidamente trasformandosi in una folla rumorosa.
In mezzo a tutti spiccavano due noti spilungoni, i gemelli Weasley, che tenevano banco chinandosi verso gli astanti e scribacchiando su un taccuino.
Quando Fred (o forse George), vedendo Snape avvicinarsi, emise un deciso “wow” e si illuminò di soddisfazione, anche il resto della folla si voltò all’unisono a guardare il professore.
Snape fu colto alla sprovvista, e si vergognò come un ladro. Si affrettò a guadagnare una posizione meno esposta, portandosi rasente al muro del portico, mentre dal gruppo si levavano urla scomposte e acclamazioni disordinate degne delle più buzzurre tifoserie di Quidditch.
Dietro di lui passavano gli allievi provenienti dal sotterraneo, dalla lezione di pozioni appena terminata.
Snape fece un cenno a Draco Malfoy e quello gli si avvicinò lusingato, con la sua faccia da schiaffi.
“Sapresti dirmi, Malfoy, cosa sta succedendo laggiù?” chiese con aria perplessa e disarmata, di cui si pentì subito.
Malfoy giocherellò con due falci che teneva in mano prima di rispondergli, evasivo e un po’ beffardo: “I Weasley stanno raccogliendo scommesse, Signore”.
“Ovvio”, pensò Snape, però non spiegava il loro entusiasmo nei suoi confronti.
Se voleva ottenere qualche risposta sensata da quella piccola serpe, verde o no, doveva insistere di più, anche se, oscuramente, già intuiva qualcosa… Qualcosa che non voleva sapere.
“Scommesse, Malfoy? Questo apparirebbe evidente a qualsiasi deficiente decerebrato. Ma tu sai fare meglio di così, non è vero?”
Lo sguardo del Professore di Pozioni si ricompose, tornando torvo e penetrante come al solito. Snape lo rivolse a Malfoy e lo bucò.
Il giovane Serpeverde non era abituato ad affrontare il lato oscuro di Snape.
Quest’ultimo, per lui, era una specie di mentore, disumano e impenetrabile sì, decisamente spietato, ma in un modo benevolo, paterno e rassicurante. Decise di non menare il can per l’aia.
“Scommettono su di lei, Signore, su lei e la Umbridge… Uhm... Su chi avrà la meglio tra di voi. La danno per favorito e la chiamano il loro… Ehm… Oscuro Vendicatore.”
“Sei sicuro? Anche i Grifondoro?” sussurrò Snape con un gemito.
Malfoy faceva di si con la sua faccia da schiaffi.
Dal centro del cortile una decina di ragazzi intonarono un ritornello di cui Snape colse solo la frase “Snape Severus Professore… Nostro Oscur Vendicatore…”, prima che, con una speciale tecnica di Occlumanzia che riguardava l’esclusione dell’udito, decidesse di risparmiarsi il resto.
“Ho capito. Puoi andare, Malfoy” riuscì alla fine ad articolare, e Malfoy se ne andò, giocherellando ostentatamente con le sue falci.
Sconvolto e lacerato nell’anima (quel che ne restava), Snape si ritirò in fretta nel suo ufficio, sfuggendo lungo la strada da tutti gli sguardi così orgogliosi di lui.
“Ignobili mentecatti, ma non capite che vi disprezzo tutti?” ripeteva dentro di sé. Ma poi, quando si calmò, non poté fare a meno di apprezzare quanto “Oscuro Vendicatore” fosse in assonanza con “Oscuro Signore”, e una parte importante di lui si esaltò per la soddisfazione.
Venisse pure la megera! Snape l’ex Mangiamorte, Snape la spia che ingannava Voldemort, nonché Snape Professore di Pozioni (L’Oscuro Vendicatore) l’avrebbe schiacciata, respinta con la sua corazza velenosa, il suo sguardo senza pietà e il suo spirito dannatamente affilato!
“Ma come siamo eroici, Severus” si disse subito dopo, constatando quanto gli venisse naturale fare del malevolo sarcasmo anche verso sé stesso.
“Si prepara la battaglia del secolo… Severus Snape contro una burocrate di mezza età… Patetico.”
Ma non poteva farci niente, la prospettiva dello scontro lo entusiasmava. Si sentiva forte, inarrivabile… Si sentiva inespugnabile! Il suo colorito, da giallo pallido si era fatto verdastro, segno che era risoluto e carico.
Appena in tempo.
Un gufo urgente, che come tale travolse il suo calcinatore preferito, gli consegnò l’orrido avviso che l’indomani Dolores Jane Umbridge avrebbe presenziato alla sua prima lezione della giornata.

Silenzio in classe.
“Avrete notato” disse Snape con la sua voce bassa e sarcastica, “che oggi abbiamo un’ospite”.1 La scolaresca non diede segni o reazioni di sorta, ma Snape poteva sentire che gli studenti erano tutti dalla sua… o quasi.
La Umbridge si era accomodata in fondo all’aula, e prendeva appunti.
Snape iniziò a emanare ondate di acredine e malanimo, componendo una sorta di barriera di nequizia che, nelle sue intenzioni, doveva annientare la volontà del suo nemico.
Dopo una buona mezz’ora passata così, a emanare emozioni negative, apparentemente senza risultati - poiché la Umbridge continuava puntigliosamente a scribacchiare dal suo angolino, del tutto indisturbata - Snape si mise a girare tra i calderoni, facendo finta di controllare le pozioni.
Da dietro di lui arrivò infine un raccapricciante “hem hem” che gli fece accapponare anche l’anima (quel che ne restava). Sapeva che lei stava per attaccare, e si preparò mentalmente.
“Guardami, insignificante piattola, sono pericoloso, selvaggio, profondamente sanguinario… Posso schiacciarti se voglio, e puoi scommettere che lo voglio… Sono pericoloso, terribile, spietato… Appartengo ad una specie a sangue freddo, e posso uccidere…”
Visto da fuori, Snape appariva disumano e imperscrutabile, tenebroso e perturbante (più o meno come al solito), tranne che per una lama di luce nera in fondo agli occhi, a guardarci bene. Una luce pericolosa, ma chiaramente intuibile.
La Umbridge, però, si trovava alle sue spalle, e nulla di tutto questo poteva intimorirla. Parlò dunque al Professore rivolgendosi alla sua nuca, coperta dai capelli neri e stopposi, che al massimo potevano emanare trascuratezza e scarsa cura di sé.
“La classe sembra molto avanzata per il suo livello” disse brusca la Umbridge alla schiena di Snape. “Ma mi stavo chiedendo se sia il caso di insegnare loro una pozione come la Soluzione Corroborante. Credo che il ministero preferirebbe che fosse esclusa dal programma”.2
“Il Ministero lo preferirebbe… Ma nel programma c’è!” Pensò Snape, spiazzato, ripercorrendo in un secondo tutto il programma ministeriale a memoria. Quella degenerata non giocava precisamente secondo le regole, delle quali Snape era un prodotto incarnato. Dove altro sarebbe andata a parare? Il terreno cominciò lentamente a sgretolarsi e a mancargli da sotto.
“Bene… da quanto tempo insegna a Hogwarts?”3 chiese la Umbridge, con la piuma pronta sulla tavoletta.
“Quattordici anni” rispose Snape.
“So che prima aveva fatto domanda per la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure…” continuò la Umbridge.
“Si” rispose piano Snape.
“Ma non ha avuto successo?”
Snape fece una smorfia.
“Evidentemente”.
La Professoressa Umbridge prese nota.
“E tutti gli anni, da quando è arrivato qui a scuola, ha fatto regolarmente domanda per quel posto, se non sbaglio”.
“Si” confermò Snape muovendo appena le labbra. Sembrava furibondo, era furibondo! La maledetta carogna era andata a colpire proprio lì, centrando il suo punto indifeso, aveva messo il dito proprio lì, dentro la ferita aperta.
“Ha idea della ragione per cui Silente gliel’ha rifiutato con tanta costanza?” chiese la Umbridge.
“Le suggerisco di domandarlo a lui” rispose Snape con uno scatto.4
“Oh, lo farò” disse la Umbridge con un dolce sorriso. “Nel corso degli ultimi anni l’insegnamento di Difesa contro le Arti Oscure è stato terribilmente frammentario e discontinuo, con un continuo cambio di insegnanti che pare non abbiano seguito alcun programma approvato dal Ministero” proseguì irrigidendosi impettita nel suo inquietante tailleur rosa.
“Quanto al loro… hem hem… bagaglio di qualità personali, umane… Si sono avvicendati alla cattedra, come sappiamo, emissari di Voldemort, lupi mannari, Mangiamorte camuffati… ”
La Umbridge fece una pausa per squadrare da capo a piedi la figura di Snape.
“E vede, Severus…” continuò, “non ho potuto fare a meno di chiedermi… Che cos’ha lei che non va… Più di loro?”
L’Oscuro Vendicatore salutò Snape con mestizia, e svanì per sempre dalla dimensione del possibile. Il Professore di Pozioni era ridotto all’angolo, cinereo, conciato come uno straccio. Era l’ombra della solita ombra di sé.
Concordare con la Umbridge sulla pessima scelta dei titolari della cattedra equivaleva a prendere le distanze da Silente, a svergognarlo e tradirlo. Altrimenti, l’alternativa consisteva nel passare per un incompetente, per un individuo sospetto, o peggio, per un combattente mediocre. Oh si, poteva conformarsi all’immagine prospettata dalla Umbridge, quella del mago equivoco, più miserabile dei precedenti insegnanti, non all’altezza della Cattedra di Arti Oscure. Mai!
Paralizzato nell’animo, non si sbilanciò.
“Immagino che sia rilevante, vero?” domandò Snape, stringendo gli occhi neri.
“Oh, si” rispose la Umbridge. “Si, il Ministero vuole un quadro completo del… ehm… bagaglio di esperienze degli insegnanti”.5
Gli voltò le spalle e andò a interrogare la classe sulla qualità delle lezioni.
Il Professore vacillò, appoggiandosi a un calderone. La sconfitta era totale.
Avvertiva con pressante chiarezza una nota di muto biasimo provenire dagli studenti presenti: delusione, disdegno, diffidenza. Era stato l’eroe di Hogwarts per un giorno, ma aveva fallito. E con questo, la vita di Snape tornò alla sua solita desolazione.

Note di fine capitolo:
Ho ripreso alcuni passi dall’originale HP5 “Harry Potter e l’Ordine della Fenice” perché volevo che il racconto si amalgamasse a quanto “realmente” accaduto, e c’erano alcuni punti in cui la traccia che segue Snape non poteva prescindere dalla vera trama. L’originale è mischiato al testo del racconto.

[1] Dall’originale HP5 “Harry Potter e l’Ordine della fenice”, pp. 348-349 come diversi altri passi in questo capitolo.
[2] Idem.
[3] Idem.
[4] Idem.
[5] Idem.

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Capitolo 3
*** Una serata da far passare ***


Venti minuti di tedio. L’essenza di facocero, unita alla polvere di veccia e ad altre componenti, decantate per ore, sobbolliva nel calderone, ma per quel lasso di tempo non c’era più niente da fare. Maledizione!
Snape passava così le sue serate, immerso nei suoi ingredienti e nei suoi vapori, nelle minuziose misurazioni che lo aiutavano a non pensare. E della pozione Affilata Membra, capace di rimettergli insieme i nervi laceri, c’era sempre un gran bisogno…
Tutto sommato, si trattava di una pozione laboriosa, abbastanza impegnativa. Be', non certo un banco di prova commisurato alla sua padronanza della materia, però la Affilata era intrigante, sufficientemente stimolante, adatta ad assorbire la sua natura nervina per qualche ora. Insomma, era quel che ci voleva per l’ennesima, sgradevole serata da far passare, in un modo o nell’altro.
E come sempre, giusto a metà della preparazione, c’erano quei venti minuti, non uno di più, di bollitura semplice, prima della sequenza finale. Venti minuti, non uno di meno, senza azioni, dosaggi o interferenze, come se la stessa pozione non volesse aver niente a che fare con lui, per un po’.
Da solo, coi fantasmi di una vita insostenibile.
La pozione cominciò a sprigionare una tromba d’aria color panna acida, segno che fino a quel punto il tempismo era stato perfetto.
“Hem hem!” udì Snape, da dietro la porta della sua stanza nel sotterraneo, e senza ulteriore indugio, Dolores Umbridge piombò nella sua privacy.
“Mi domandavo, Professor Snape, cosa la tenesse impegnato nel suo tempo libero, quando non è in servizio” fece, col suo tono sgradevole, piantandosi nel mezzo della stanza. “Sa, lei è uno degli insegnanti più chiacchierati… Mi incuriosisce!”
Mentre lei scandagliava con sguardo sospettoso il calderone, Snape riuscì in qualche modo a dominarsi e a non buttarcela dentro. Poi, stemperando un poco il suo tono più velenoso in un appena malcelato sarcasmo, le rispose.
“La incuriosisco, signora Umbridge? Quale privilegio, visto che non vado esattamente famoso per le mie attrattive, generalmente...”
Ma non doveva esagerare, si disse, tirare troppo la corda della provocazione.
Quella donna limitata e meschina era stata nominata Inquisitore Supremo di Hogwarts dal Ministero della Magia, col potere di licenziare gli insegnanti che non riteneva conformi alla sua nuova linea di moralità e disciplina.
Era anche evidente che il suo vero obbiettivo fosse controllare Albus Silente, creandogli terra bruciata intorno.
Snape era consapevole che l’ambiguità del proprio ruolo, a Hogwarts, la diffidenza da cui era abitualmente circondato, poteva ancora una volta tornare a suo vantaggio. Doveva sfruttare il fatto di non sembrare il genere di professore, e di uomo, armonizzato con Silente o il suo entourage, e doveva cercare di mantenere la sua posizione all’interno della scuola. Se possibile, spingersi anche più in là…
“Severus, dovrebbe sapere che non c’è bisogno di professori attraenti, qui, ma di professori preparati” riprese la Umbridge, non senza aver accentuato la sua carica di molestia. “Preparati e… Hem hem! Senza eccessi! Mi sono informata su di lei, sa? Le sue qualifiche per la cattedra di Pozioni non lasciano certo margini di dubbio. Oh, si! E lei è capace, diligente, rigoroso. Non è certo un perdigiorno come la Cooman, o un sempliciotto incolto come Hagrid. Ma devo sapere… Se lei mi seguirà, se si conformerà! La nuova Hogwarts ha bisogno, innanzitutto, di tradizione, concretezza e responsabilità!”
“Il mio nome è Severus, signora, cosa crede che significhi?” Sibilò Snape per tutta risposta, penetrandola controvoglia con quel suo sguardo freddo e ombroso, decisamente intriso di dedizione, controllo e disciplina. “Questo nome lapidario ha finito per riassumere la mia vita. Le sembro per caso un gaudente? Un innovatore? Un libertario, forse?”
“Può darsi, Severus, può darsi. Lei è consapevole del suo valore, e lo è giustamente. Ma lei è anche molto orgoglioso e, mi sbaglio? E’ un’aria di sufficienza quella che percepisco anche ora che ci stiamo… hem hem! Conoscendo meglio?
“Ecco, maledetta donna, dove vuoi arrivare,” pensò Snape. “Vuoi ridurmi a una specie di servo!”
Filtrò in fretta il proprio sguardo, rendendolo intriso della qualità più servile, come faceva spesso con l’Oscuro Signore. Era superallenato a farlo, e gli riuscì bene.
“Non è nelle mie abitudini, signora, lasciarmi coinvolgere in futili scambi di idee con quanti mi circondano, qui a Hogwarts. Tuttavia lei deve ancora iniziare a conoscermi… meglio…”
Sottolineò quel meglio con un calibrato gesto di arrendevole subordinazione. Ecco, adesso era sicuro di averla ormai dalla sua, al modico prezzo di un tremendo voltastomaco.
“Eccellente! Lei mi sta bene, Severus… per ora. Continui a tener fede al suo nome, e capisca in fretta qual è la nuova autorità, qui! Buonanotte.”
E con questo, la perfida inquisitrice in rosa riprese la porta da cui era venuta.
“Ma fatti schiantare!” pensò Snape, reprimendo un gesto di stizza dopo l’altro per il timore che lei potesse tornare indietro e sorprenderlo così, con un pugno sollevato o mentre si mordeva una mano dalla frustrazione.
La pozione ormai era rovinata, considerò quando i suoi pensieri ritrovarono un ordine preciso. I venti minuti erano abbondantemente trascorsi durante il colloquio, o meglio, durante quella deliberata messa a punto del suo tracollo, e nel calderone si era formata una spessa crosta maleodorante.
L’ora si era fatta tarda, col solo vantaggio che la serata era finalmente passata. E la sua vita, se possibile, era peggiorata.

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Capitolo 4
*** Quando i nervi ti abbandonano ***


Dopo la solita notte irrequieta, appena più schifosa del solito, il Professor Snape si svegliò di consueto malumore, accentuato dalla consapevolezza che il suo prezioso calderone personale, solitamente mantenuto in pieno splendore e in efficienza, era ridotto a ben misera cosa.
Dal nervoso, saltò il caffè.
Le lezioni del mattino si trascinarono (Grifondoro-Serpeverde) ma, in qualche modo miracoloso, alla fine, terminarono.
Snape era ossessionato dallo stato del suo calderone, e sacrificò il pranzo per avere il tempo di riportare il risultato dell’attività della sera prima, il doloroso scempio di strumenti e ingredienti, allo stato dell’arte.
“Maledetta Umbridge! E poi mi dicono che sono dimagrito, che deperisco. Come se non bastassero gli studenti e L’Oscuro Signore, a spingermi ogni giorno verso la mia fine.”
Non poté fare a meno di maledire ulteriormente la Umbridge per tutto il tempo che ci volle a ripulire ogni cosa, inframmezzando imprecazioni a denti stretti a tutti i Tergeo e i Gratta e Netta che si resero necessari.
Affrettandosi e con un crampo alla bacchetta, riuscì comunque a sbrigarsi per tempo, prima che le lezioni del pomeriggio (Tassorosso-Corvonero) finissero di consumargli la giornata.
Nell’ora del definitivo azzeramento degli zuccheri nel sangue, che gli procurava come sempre desideri suicidi aggiuntivi, Snape ritirò le fiaschette con le pozioni degli studenti e congedò la classe.
I suoi nervi erano abituati a sostenerlo ben oltre le reali disponibilità di nutrimento nel suo corpo, erano esercitati a tenerlo insieme durante le interminabili torture di Lord Voldemort, che il pozionista affrontava a digiuno, e sapevano fargli superare le crisi di vomito parossistico che seguivano, alcune volte, alla Maledizione Cruciatus, però anche Snape aveva un limite.
Si ritrovò con una fame da lupo mannaro e fu quasi contento di scendere nel salone comune, per la cena. Anzi, fu quasi del tutto contento mentre varcava la soglia della mensa, e percepì nell’aria l’odore inconfondibile della sua pietanza preferita… I crauti!
I ragazzi stavano rumorosamente prendendo posto ai tavoli, e alcuni professori indugiavano in piedi davanti alle porte della Sala Grande per scambiarsi le ultime piccole notizie, e forse fu per questo, o forse fu perché dentro di sé era segretamente rapito dal pensiero dei crauti, che Snape non si accorse subito della novità.
Minerva Mc Granitt sedeva nel lato sbagliato della lunga tavola, oltre lo spartiacque del seggio di Silente; sedeva, insomma, fuori posto, con effetto stridente.
Snape si posizionò a rilento dove sapeva di dover stare, avvertendo finalmente il vuoto lasciato dalla Mc Granitt accanto a lui.
Detestava i cambiamenti di quel genere, la rottura delle piccole abitudini, e trovava che la Mc Granitt fosse uno dei pochi esseri umani limitatamente sopportabili. Era il suo modo di esserle affezionato.
"Hem hem!"
Dolores Umbridge stazionava in piedi alla sua destra, davanti alla sedia del posto accanto al suo, e lo fissava coi suoi occhioni inquietanti, da cocker posseduto dal demonio.
Illuminato da un arcano istinto cavalleresco che non sapeva di padroneggiare, Snape intuì che lei si aspettava qualcosa di ben preciso. Superando il disgusto e lo sgomento, poiché aveva finalmente capito che il posto vuoto l'avrebbe occupato lei, si alzò in piedi, rigido e compito, per accostarle la sedia mentre lei si accomodava.
"Severus, lei è proprio un gentleman, sa? Come non se ne vedono più" pigolò la Umbridge, rassettandosi i lembi del tailleur.
"Si potrebbe pensare che sono un tradizionalista" rispose Snape, restando nel gioco il minimo indispensabile.
Per troncare la conversazione, si concentrò sulle vettovaglie, anche perché erano apparsi i crauti. Se ne servì una generosa porzione, accompagnandoli con dei salsicciotti bianchi.
La Umbridge lo stava studiando, scandalizzata.
“Non mi dica, Severus… Che le piacciono quei cosi!” fece in un soffio, boccheggiando disorientata.
Snape alzò la testa dal piatto, con aria afflitta, preparandosi a ricevere l’imminente bordata.
“I crauti derivano dalla dieta germanica babbana, e non appartengono alla nostra tradizione” non tardò a squittire la Umbridge, stizzita.
“Dobbiamo rammentare che ogni elemento forestiero ci confonde e ci allontana dai nostri antichi fondamenti, dalle nostre radici! E lei, Severus, metta via quei crauti, non posso vederli! Il Ministero dovrebbe proibirli! Non oserà mangiarli, vero?”
“E come potrei, signora? Ovviamente, li avevo presi solo per studiarli… Ci si distillano interessanti veleni…” rispose Snape, più inacidito dei suoi crauti, spingendo a malincuore il piatto lontano da lui.
“Ecco, venga, prenda la zuppa di gallina” disse la Umbridge con la sua stridula dolcezza, mentre gliene serviva premurosamente una porzione. E rimase lì, a contemplarlo, con quei suoi rigidi occhioni da cocker all’ultimo stadio del cimurro.
Snape iniziò a sorbire il suo brodo. Sapeva resistere alle torture di Voldemort, e poteva sopportare la gallina, che naturalmente non gli piaceva. Quella donna però era più pericolosa dell’Oscuro Signore, per certi aspetti, e non era prudente contrariarla. Ogni tanto gettava un’occhiata malinconica ai crauti che si freddavano…
“Così va meglio, vero? Dovrebbe mettere su qualche chilo, Severus, così pallido e sciupato non può fare una buona impressione al Ministero” considerò la Umbridge, con sincera preoccupazione.
“Ma per fortuna d’ora in poi pranzeremo sempre vicini. Potrò tenerla d’occhio! E’ stata una mia idea, sa? Voglio dire, lo scambio di posto con la Mc Granitt. Silente non ha potuto opporsi, vede, io… Hem hem…” gli prese la mano tra le sue, si fece impercettibilmente più vicina, abbassando gli angoli delle sopracciglia in una specie di maschera grottesca che comunicava struggimento.
“Io… ci tengo così tanto a lei…”
Snape inghiottì il boccone di gallina, che non aveva ancora masticato. Represse un urlo, le budella gli si annodarono... La Umbridge stava flirtando con lui!
“Mi… spia… ce, ho un… un…” farfugliò Snape, alzandosi in piedi nel più completo marasma.
“Un impegno, urgente, mi…”
“Non si preoccupi, Severus. So capire, e so apprezzare… gli uomini impegnati. Come lei. Ho una grande pazienza, proverbiale e tenace... E so aspettare, se c’è qualcosa che ne vale la pena.”
Snape si allontanò veloce dalla Sala Grande, piegato in due come se dovesse rimettere l'anima (quel che ne restava).
Lei lo guardò sparire con lo sguardo innamorato, avido, coi suoi occhioni spigolosi, da cocker arrostito in porchetta.

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Capitolo 5
*** Il cielo sopra Merlino ***


Dopo la sua prima cenetta con la Umbridge, Snape consumò quattro Affilata Membra e otto Pozioni della Pace per ritrovare una sorta di equilibrio mentale. Appena ci riuscì, chiese udienza a Silente.
Arrivò nella stanza della torre in versione pietrificata, le labbra ridotte a due linee scure, i neri occhi sgomenti, cerchiati di grigio.
"Albus, sono perduto, la mia mente vacilla. Ho bisogno del tuo consiglio, è... personale" disse con un filo di voce.
Silente si aggiustò gli occhiali da dietro la scrivania, poi scoppiò a ridergli in faccia.
"Sembra che tu abbia fatto conquiste, eh Severus? Vecchio rubacuori! Ma del resto, quando si insiste a fare il bel tenebroso, bisogna pur farci i conti, alla fine. Ah! Ah! Ah!"
"Lo sapevi... già?"
"Tutta Hogwarts lo sa, dal sotterraneo dei Serpeverde alla torre dei Corvonero. E, a dire la verità, neanche io ricordo un pettegolezzo più gustoso almeno da cinquant'anni a questa parte. Ah! Ah! Ah!"
"Me lo immagino" sibilò Snape "che discrezione! Perché non mi stupisce che gli intelletti limitati non manchino mai l'occasione di impicciarsi in affari che non li riguardano?"
Snape stava uscendo dalla morsa della paralisi, ritrovando la sua lingua velenosa e il suo sarcasmo.
Come sempre, l'affetto e la spontaneità del vecchio mago avevano il potere di placarlo e rincuorarlo, suo malgrado, facendolo tornare se stesso, cioè il solito infame bastardo.
Silente se lo prese sottobraccio e lo spostò dalla porta, dove Snape si era pietrificato.
"Fossi in te ci farei un pensierino, comunque. La Umbridge è un'ereditiera niente male per la sua età!"
"Non… deridermi! Non lo permetto neanche a te... Sono un pozionista, e posso essere velenoso, sai?" Snape finalmente ritrovò il suo sorrisetto sprezzante.
"Però Albus, in effetti..." riprese concentrandosi, trascinando le parole "quella Umbridge, o meglio quella sanguisuga, sospetto che voglia qualcosa da me, qualcosa di molto sordido, a parte la mia... virile prestanza. Se tu non agisci per fermarla..."
"Non posso, Severus. Magari potessi" lo interruppe Silente, con improvvisa gravità, voltandosi verso la parete. "Sta torturando gli studenti, lo sapevi? Temo che proseguirà come un bulldozer, togliendomi un potere dopo l'altro, finché lei e Caramell non arriveranno dove vogliono".
Il vecchio mago mutò ancora d'umore, ritornando alla sua gaia leggerezza trasognata.
"Ma tu" disse rivolto a Snape, puntandogli un dito sul petto "tu dovresti andarci d'accordo! Tutte quelle regole, quelle punizioni, quella disciplina..."
"Le regole e la disciplina servono per raggiungere scopi superiori, per elevarsi, per temprarsi" scattò Snape, con una smorfia di sdegno.
"Non devono essere fini a se stesse! Non hanno valore, asservite all'ignoranza! Questa è perversione, è... vile burocrazia. Io… non sono… così!"
Il viso di Silente si addolcì, e quando questo succedeva, per Snape, ogni sua parola diventava un imperativo ipnotico.
"Lo so. Chi ti conosce più di me, Severus? Stavo solo pensando che casualmente, ancora una volta, ti trovi in una posizione strategica, favorevole al mio proposito. Puoi facilmente sembrare il bacchettone ideale per la Umbridge, mentre la profonda dedizione che ti lega a me non è nota a nessuno, all'infuori di noi due... Ti ricorda qualcosa?"
"Dovrei fare il doppio gioco con la Umbridge... come con l'Oscuro signore?" disse piano Snape, esausto. "Capisco” proseguì. “L'eventualità in effetti aveva già sfiorato la mia mente, e avevo anche preparato il terreno per bene. Tuttavia... l'infatuazione della Umbridge... nei miei confronti... stravolge ogni piano."
E Snape avvampò, ovviamente di verde.
"Fossi in te non rimetterei l'idea così in fretta. Sono quasi certo che tu sarai l'ultimo... l'unico piano".
Nel dire ciò, Silente aveva assunto quella sua aura profetica che riservava solo alle grandi occasioni. Cominciò a camminare lentamente, in tondo, con le mani allacciate dietro la schiena. Sembrava riflettere sui misteri più reconditi, la suspance aumentava.
Ad un tratto si fermò.
"Fosche nubi si addensano sopra il mio capo, caro Severus" mormorò infine Silente con fare ispirato, indicando fuori dalla finestra.
"Vedi quella là, a forma di avvoltoio? E vedi, più in alto, quella che sembra una carogna? E il cappio, formato da quei cirri? E i due ossi incrociati laggiù..."
Andò avanti per un pezzo ad additare nuvole dal significato funesto, mentre Snape annuiva, un po’ perplesso.
"... Questi segni del cielo rivelano che non resterò al mio posto molto a lungo, e se non sarò qui, non potrò fare la differenza. Spetta a te, Severus, proteggere Hogwarts in mia assenza. Non lascerei questo incarico in mani diverse.”
“Ma non possono… Non oseranno…” replicò Snape, indignato.
“Sai cos’è questo?” insistette Silente, indicando una targa sul muro.
“E’ l’Ordine di Merlino, Prima Classe, la massima onorificenza del mondo magico, che mi hanno revocato. Come vedi, osano, eccome! L’unica possibilità di Hogwarts, temo… dipende da come saprai… lavorarti la Umbridge”.
Silente fece l’occhiolino.
Snape ci mise un po’ a misurare la portata di quella scioccante allusione.
“... Albus? vuoi anche che io diventi la tua sgualdrina, adesso?” sbottò.
“Ho fatto la spia per te, ho mentito per te, ho corso rischi mortali per te… 6 Ma questo no, questo non riuscirai a farmelo fare!”
Il vecchio cercò di fare una faccia seria, mentre, appoggiandogli una mano su una spalla, gli rispondeva: “Severus, forse non ci sarà bisogno che tu vada proprio fino in fondo!”



Note di fine capitolo:
[6] Dall’originale HP7 “Harry Potter e i Doni della Morte”, pag. 631.

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Capitolo 6
*** Le cento erbe di Severus Snape ***


I mesi a venire si prospettavano pieni di nuove minacce spinose, per Snape. Un intero Ungaro Spinato di minacce, per la precisione.
Aveva accettato a testa bassa il ruolo del favorito della Umbridge, per dare una possibilità di sopravvivere alla causa di Silente, ed era diventato una preda: l’oggetto di un corteggiamento grottesco, aborrito quanto esplicito.
La Umbridge non mancava di manifestargli il suo insistente interesse ogni volta che lo incontrava, o nel corso delle interminabili “cenette” durante le quali Snape non riusciva mai veramente a sfamarsi.
Certe volte se la ritrovava in classe, in prima fila, seduta su una poltrona rosa di cattivo gusto, che toccava a lui farle apparire. Lei lo divorava con gli occhi, letteralmente, intensamente, tanto che al professore sembrava di dissolversi, aspirato a forza da una superiore bramosia, come capita coi Dissennatori.
Fortunatamente, Snape era un fanatico del mantello, altrimenti la sensazione inequivocabile di essere spogliato col pensiero sarebbe stata anche più forte, violenta… da succhiargli via la pelle giallastra.
I professori, gli studenti, e gli altri esseri che popolavano Hogwarts lo avevano in odio e lo evitavano più che mai, naturalmente. Vedendolo così in intimità col “grosso rospo flaccido”, (questo era il soprannome ufficiale della Umbridge), non potevano che trovare sospetta l’apparente facilità con cui Snape sembrava essersi adeguato all’inclemenza del nuovo regime, controllato dal Ministero.
Nessuno immaginava, invece, che la strenua lotta del Professore di Pozioni per la sua salvezza proseguisse giorno dopo giorno, senza quartiere.
Snape era costretto a parare colpo su colpo tutte le avances della Umbridge, e si schermiva dietro un comportamento monacale e riservato. Faceva la parte della vergine virtuosa, afflitta da un trascorso passionale pieno di complessi e inibizioni.
“Evidentemente non è così difficile credermi una sorta di asessuato”, considerava Snape, con l’orgoglio virile sotto le scarpe. E intanto, quel suo personaggio ritroso, equivoco, definito in anni di solitudine e frustrazione, risultava terribilmente plausibile, funzionava in sempre nuovi contesti.
“Lo faccio per Silente, dannazione” si ripeteva.
La situazione era delicata però, pericolosa, sempre in equilibrio precario.
Non poteva oltraggiare l'Inquisitore Supremo di Hogwarts, né ferire la sua turpe spasimante, e un po’ doveva stare al gioco. Gestire tutto da solo, in segreto...
“Una vergine sacrificale”, pensava spesso, ridacchiando isterico, nelle notti senza respiro. Faceva miracoli per temporeggiare, ma ormai, entro pochi giorni, la Umbridge avrebbe preteso il saldo del conto in sospeso.
“Sacrificale, ma non inerme…” rimuginava la sera del venerdì in cui concepì l’idea che poteva salvargli l’anima (quel che ne restava).
Al nuovo far del giorno, Snape si mise all’opera intorno al calderone.
Tirò fuori un vecchia camicia di Serpeverde, ricoperta da una colonia di muffe e da confusi appunti, che risalivano entrambi a circa vent’anni prima (aveva il vizio di scrivere dove gli capitava, quando veniva travolto dall’impeto dell’ispirazione).
“Eccola. Gioisci, Severus… se ti ricordi come si fa.”
Ora rammentava perfettamente tutti i dettagli dell’idea troppo presto abbandonata.
Sul colletto della camicia la sua grafia contorta aveva tracciato le parole Alterna Anguillae, ripartite su ciascuna delle due punte. Più sotto, e sulle maniche, si dipanava la formula di una pozione rivoluzionaria. Era quasi del tutto completa, salvo un paio di punti critici che in gioventù non aveva saputo risolvere, e una frase oscura, resa illeggibile dalle muffe.
Ora, con la sicurezza del grande pozionista che era diventato, che gli era costata la metà del sangue, tutte le soluzioni per l’Alterna Anguillae gli si affacciavano trasparenti.
Grazie all’Anguillae avrebbe forse potuto cavarsi con stile dalle grinfie della megera, con la classe tipica di un Serpeverde, sempre ispirato dai rettili.
Be’, l’anguilla era tecnicamente un pesce, in verità, ma un pesce serpentiforme, sfuggente e predatore.
Snape sapeva bene che non avrebbe potuto servirsi degli incantesimi più comuni, contro la Umbridge: non l’Oblivion, non il Confundus, non la Maledizione Imperius.
Non potevano essere impiegate nemmeno le pozioni più conosciute, perché tutti questi espedienti erano fin troppo noti nel mondo della magia, e la Umbridge avrebbe potuto riconoscerne facilmente le caratteristiche e gli effetti.
Ci voleva qualcosa di inedito, di mai tentato, come l’Anguillae.
“Soluzione di citrato di ferro e china… e due gocce di Gundemaro” salmodiava Snape, fluttuando con spiritato raccoglimento dal calderone alle mensole cariche di recipienti impolverati.
“Otto secondi di fiamma viva… rimescolare… il mordente, adesso…”
Tirò fuori un essere viscido da un vaso pieno di liquido salmastro.
“Il bulbo rachidiano dell’anguilla… e la terza parte del lobo olfattivo…”
Snape si portò con un passo deciso al centro della stanza, ed estrasse la bacchetta.
“… Silencio!” intimò.
Solo con l’incantesimo tacitante la difficile preparazione poteva condursi per il meglio, poiché l’Anguillae doveva maturare nel silenzio e nel mistero.
“Tenebrae Maxima!”
Ogni luce si dissolse, e le energie smorzate dell’ambiente cominciarono a interagire con la pozione, per coagularla e comporla.
Da questo punto in poi Snape doveva lavorare nel buio più completo, rovistando a tentoni tra gli ingredienti che maceravano nei vaselli, o tra i pesanti recipienti di peltro sulle scaffalature. l’Alterna Anguillae non avrebbe perdonato il minimo errore con le temperature del fuoco, né la più piccola imprecisione nei gesti, fino alla trasmutazione finale.
La preparazione terribile continuò per l’intero pomeriggio, per tutta la notte e la mattina successiva, senza che Snape potesse smettere di lavorarvi neanche un minuto.

“Finite Incantatem” sussurrò Snape in un rantolo.
Luci e suoni tornarono dal nulla.
Scarmigliato, l’aria esausta, gli abiti inzuppati e macchiati perché aveva sudato verde lungo tutta la durata dell’opera, il Maestro di Pozioni salutò con orgoglio la sua nuova, geniale creazione, un’ampolla contenente un liquido color giallo petrolio argentato.
Si accasciò sulla poltrona del suo studio, svuotato di ogni energia, versandosi un caffè rancido che risaliva ad almeno tre giorni prima.
“La colazione dei campioni”, si disse Snape, facendo una smorfia.
Con l’istinto infallibile del Magister sapeva già per certo che l’Anguillae sarebbe stata efficace, anche se non c’era alcun modo di sperimentarla, prima del momento dell’utilizzo effettivo.
E poi, doveva ancora trovare il modo di farla trangugiare alla Umbridge, a quella vipera sospettosa, così vigile e ben guardata. Per la precisione, dovevano berla entrambi, insieme, nello stesso momento.
L’Alterna Anguillae era concepita come una pozione di reciprocità e di ambienza. Agiva sfasando impercettibilmente il riverbero dei piani temporali dei due soggetti coinvolti, alterandone le linee del destino, fino a rendere pressoché impossibile la loro compresenza nel qui-ed-ora.
L’effetto generale dell’Alterna Anguillae, la sua bellezza, si manifestava come una messa in opera assolutamente casuale di piccoli ostacoli e contrattempi, che impedivano, a coloro che venivano legati nell’incanto, di interagire e di incontrarsi. Come prometteva il nome, i loro destini divenivano scivolosi, instabili, inafferrabili… Più sfuggenti di una anguilla.
Abbandonato supino nella sua poltrona, praticamente in fin di vita, Snape si lasciò vincere dal suo tipico sonno nervoso, sognando fondali di fiume.
Dopo pochi minuti una specie di artiglio lo ghermì, strappandolo a forza dalla liquida semi-incoscienza. Dolores Umbridge era china su di lui, e lo scuoteva tirandolo per le braccia grevi.
“Mai che si prenda la briga di bussare, la dannata” pensò subito, Snape, riemergendo dai suoi abissi.
“Severus! Cosa fa? Dorme? Non l’ho vista a pranzo, né a cena. Non l’ho vista… da nessuna parte!” lo apostrofò lei in falsetto.
Snape tentò debolmente di sollevarsi dalla poltrona, ma la mano della Umbridge ora lo inchiodava giù, pesante e imperativa, come la zampa di una leonessa sulla preda.
"Ero immerso nel lavoro, fatalmente... e devo aver perso... la cognizione del tempo" rispose lui con tono neutro, indicando la piccola traccia di fumo che ancora si levava dal calderone.
La donna orribile, intanto, si era seduta accanto a lui, ancora completamente sdraiato sulla poltrona reclinabile.
"Ma non puoi sparire per due giorni, Severus..." il tono della Umbridge si fece roco e spezzato, simile a tubature malfunzionanti. "Mi spettano... hem hem! gli arretrati..."
La mano che ancora inchiodava il torace di Snape alla poltrona si sollevò, e un dito cominciò a seguire i contorni delle sue labbra, fino alla piega amara della bocca, fino al mento, la barba non rasata, e più giù... Il respiro di lei si fece affannoso, pesante, con rumori di risucchio.
Snape si drizzò a sedere di scatto, raccapricciato, terrorizzato; e il suo viso, le sue labbra, la sua barba... insomma, tutte le cose della sua faccia, si ritrovarono a pochi millimetri da lei.
Non ricordava di aver mai affrontato qualcosa di più spaventoso di quel rossetto color gorilla.
Ma all'ultimo momento, manovrando disperatamente, riuscì a sottrarsi allo scempio, e chinò la testa in un falso gesto di pudicizia.
“Dolores, lei lo sa bene…" cominciò a dire, le gote imporporate di verde.
"Non sono un tipo fisico, il mio ardimento è tutto nel mio lavoro. Crede che sia facile offrirmi a lei, sapendo di non essere all’altezza? Voglio dire, come uomo?”
L’aveva bevuta? Chissà… Snape cercò di assumere un’aria ancor più desolata.
“Sono solo un pozionista... appartengo ad una specie a sangue freddo, e non so… andare oltre... questo.”
La Umbridge mollò la presa, si alzò e si drizzò impettita, con gli occhi che fiammeggiavano.
"Invece... si dà il caso... che ci andrai, Severus!" disse infine, passando a un secco tono di comando. "Te lo posso assicurare. Se ci tieni al tuo lavoro pidocchioso!"
“Ma che bel risultato… Se adesso mi cava gli occhi, non saprei darle torto”, commentò una vocina sprezzante nella testa di Snape. L’aveva fatta inviperire, e non poteva permetterselo. Ma da quando erano passati a darsi del tu?
"E va bene, Dolores, hai ragione. Abbiamo aspettato troppo. Lo… facciamo ora!” rispose infine, con il cuore pesante, torbido, ricolmo di guano.
“Dammi solo qualche minuto ancora... i lunghi anni non hanno avuto pietà della mia ultima volta. Devo prepararmi, a modo mio... sciogliermi un po'..."
Si vedeva come dall’esterno, adesso, orribilmente manierato, sempre più patetico, e avrebbe voluto prendersi a schiaffi da solo. Ma questa volta funzionò.
La Umbridge si ricompose con soddisfazione nella sua inquietante dolcezza, tutta pervasa da un’intensità golosa, piena di anticipazione. Sembrava un caimano che digerisce la sua preda.
Snape riguadagnò la posizione eretta, e prese una strana bottiglia dal vetro lavorato, decorato con serpenti. Conteneva un impossibile distillato alcolico dal tasso di almeno centoventi gradi, che mandava bagliori neri, poco rassicuranti.
"E’ Centerbe Nere, lo preparo io... Le Erbe nere possiedono proprietà stimolanti... l'alcool farà il resto. Alla tua, Dolores" disse, “Se hai coraggio…”
Le spinse in mano un bicchierino, e le versò da bere, trapassandola col suo sguardo magnetico e imperscrutabile, che ora sembrava sfidarla.
“Siamo sicuri che non mi stai avvelenando, Severus?” disse lei, rimanendo nel gioco. “Sicuri che questa cosa non irretirà i miei sensi, che non mi trasformerò in un rospo?”
“Sei già un rospo, maledizione” protestò la mente di Snape, ma la sua voce suadente sussurrò:
“L’Inquisitore Supremo di Hogwarts... se ne accorgerebbe, non credi?”
“Oh, certamente… e farebbe in modo che il suo pozionista… venisse scuoiato all’istante. Alla tua, Severus!”
E con questo, la donna malefica trangugiò il suo Centerbe Nere.
Snape cercò di ignorare il brivido intenso, come di scorticamento, che percorreva la sua pelle, e si affrettò a bere con lei.
Poi restarono a guardarsi turbati, mentre il tempo si fermava e il destino si riavviava.
Qualcuno bussò alla porta, ed entrò il custode Argus Gazza, che fece un inchino ripugnante, dei suoi.
“Signora Umbridge, un informatore della Locanda Testa di Porco dice di avere notizie urgenti. L’aspetta nel suo ufficio, dice.”
“Sì, certo, arrivo subito” rispose prontamente l’arpia. “Mi perdoni, Severus, con tutte le faccende della scuola sono sempre così impegnata…”
Dolores Umbridge levò il disturbo in meno di un secondo, mentre Snape provava, grato, la sensazione di aver tolto la testa dal ceppo del boia.
Oh, si… l’Alterna Anguillae funzionava… Erano bastate poche gocce aggiunte di nascosto mentre preparava i bicchieri, e non gli erano nemmeno tremate le mani. Come esperto avvelenatore, Snape sapeva il fatto suo.
Compiaciuto e rilassato per lo scampato pericolo, si scolò l’intera bottiglia di Centerbe Nere, senza nemmeno farci caso. Poi, tornò a sdraiarsi sulla poltrona, abbandonandosi finalmente ad un meritato coma etilico ristoratore.

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Capitolo 7
*** Quieto vivere ***


Per tutto il giorno seguente, un bieco lunedì, il Professor Snape non vide la collega Umbridge da nessuna parte. Le lezioni risultarono sgombre della sua presenza, non ci fu bisogno della perfida poltrona in classe.
Quando Snape si muoveva per i corridoi, la Umbridge, casualmente, aveva appena voltato l’angolo, e se lui passava davanti alla sua porta aperta, lei nel frattempo era già chiusa dentro il bagno.
Questi continui disallineamenti temporali, così come i contrattempi che si moltiplicavano, apparivano tanto naturali quanto ordinari, e proprio in questo risiedeva la potenza del sortilegio… Sembrava tutto normale così.
Se la Umbridge cercava Snape da qualche parte, c'era sì qualcuno che l’aveva appena visto lì, gli aveva parlato adesso… ma lui era sempre appena andato via! E se infine si riunivano nello stesso luogo (tempo e destino dovevano riallinearsi, ogni tanto), la loro attenzione veniva perturbata da qualche cosa che capitava, e non riuscivano più, neanche volendo, a guardarsi in faccia.
All’ora di cena, Snape si sedette con sospettosa circospezione al suo solito posto, coi gomiti sul tavolo e le mani unite davanti al viso chinato in avanti. Non osava guardarsi troppo intorno, e sulle prime si limitò a restare immobile, con gli occhi semichiusi e la faccia schifata, nascosta dietro ai capelli stopposi e spioventi.
Improvvisamente, come se fosse stato colpito da uno Schiantesimo, il tavolo traballò brutalmente, per via di due mani enormi che l’avevano brancato in malo modo. Con rumori di rovina, Rubeus Hagrid si era incuneato a forza nel posto vuoto.
Snape rimase senza fiato, un po’ per la sorpresa, un po’ perché un gomito l’aveva centrato nello stomaco.
“Buonasera, Professor Snape, come se la passa? Uh… no, non dica niente, non ha mica una bella cera, peggio del solito, mi sembra” lo salutò il gigante, al massimo della sua educazione. Snape si offese subito.
“E lei, Hagrid, si è guardato nello specchio, recentemente? Che scusa avrebbe, mi dica, per quella poltiglia che si ritrova, al posto della faccia?” Rispose velenoso.
Effettivamente, Hagrid aveva il viso tutto tumefatto, pieno di tagli e di sangue rappreso.
“Sarebbe che sono andato in missione segretissima, per dei mesi, mandato da Silente. Ma non ci posso dire niente, a parte che era pericoloso!” rispose Hagrid, toccandosi le croste sulla faccia.
“Lo vedo” continuò Snape, rabbonendosi un poco. “E comunque… bentornato anche a lei… Professore”.
Stava finalmente realizzando che, se Hagrid si trovava accanto a lui, probabilmente la Umbridge era stata sbattuta da un’altra parte. E sorrise, sprezzante ma compiaciuto, guardandosi intorno curioso. Eccola là, infatti, proprio all’estremo confine del tavolo!
Ma Hagrid lo richiamò con una gomitata nelle costole.
“Non siamo mica mai stati seduti vicini al tavolo, io e lei, eh?”
“E come mai stavolta sì?” lo incalzò Snape, curioso.
“Abbiamo parlato, con Silente e quella là del Ministero, poi lei è andata via ma ci è sembrato a tutti meglio così”.
Snape aveva sempre evitato di proposito la vicinanza di Hagrid, soprattutto a tavola. Quel palla di lardo gigante non stava fermo un attimo, e ruttava e sputava, e schizzava il sugo dappertutto. Più di una volta aveva persino infilzato la mano del Professor Vitious con la forchetta, per pura distrazione. Ma stavolta, a conti fatti, sentiva che, ad averlo vicino, ci avrebbe proprio guadagnato.
“Si potrebbe dire… letteralmente… tutto grasso che cola” ridacchiò Snape dentro di sé, mentre apparivano le portate.
Hagrid si agitò come un bambino, facendo tremare il pavimento.
“Uh, ma che meraviglia, wurstel e crauti! Sarebbe che si è campato di radici e poco altro, là nelle montagne! Ahi, questo non lo dovevo dire. Ma non ci dispiace se li prendo io, non ci piacciono mica, a lei, vero? Non piacciono mai a nessuno, i crauti…”
E Hagrid si appropriò di tutto il vassoio, senza né uno né due.

A Hogwarts le settimane trascorrevano opprimenti e indigeste, scandite solo dall’imposizione degli aberranti decreti che Dolores Umbridge faceva appendere in bacheca dal suo fido Gazza. Tutta la scuola si trovava sottomessa a quella nuova tirannia, che non guardava in faccia a nessuno.
Snape, invece, era riuscito a modo suo a sottrarsi dalle grinfie della Umbridge, perlomeno dalla sua sfera di influenza diretta, ed aveva ritrovato il suo quieto vivere; o meglio, era tornato alle consuete, torve inquietudini, libero di augurarsi ogni giorno la morte, ma per i soliti e rassicuranti orrori personali.
Ululati di disperazione, udibili fin nel sotterraneo di Serpeverde, gli notificarono che Sibilla Cooman era stata licenziata, infine, come del resto si aspettavano tutti. Per un po’ venne sospeso anche il Quidditch, ma purtroppo lo ripristinarono quasi subito, e Snape, che come capo di Serpeverde era costretto ad occuparsi della sua brava quota di “cretini sulle scope”, dovette rinunciare alla gradita prospettiva di liberarsi della squadra.
Verso la fine dell'anno diversi Mangiamorte dei più efferati progettavano di evadere da Azkaban; erano tutte vecchie conoscenze di Snape, che a proposito di feccia non si era proprio fatto mancare niente, in gioventù.
La stagione dell'Oscuro Signore ritornò presto in piena attività, e sempre più frequentemente il Marchio Nero reclamava i seguaci di Lord Voldemort al fianco del padrone.
A Snape capitava soprattutto nel cuore della notte, o nei momenti più imbarazzanti, o a metà di una pozione laboriosa.
Quel segno oscuro, di cattivo gusto gotico, che gli era stato imposto a fuoco neanche fosse stato un vitello, si metteva a bruciare e a pulsare all'improvviso, diffondendo tracce di fumo e una certa puzza di pollo bruciato, che gli dava il voltastomaco.
Oltre a fargli un male del demonio, gli provocava anche un certo ribrezzo, a vederlo lì, a contorcersi sul suo avambraccio sinistro.
Prendere il Marchio Nero era una scelta definitiva, nessun Mangiamorte l'avrebbe mai potuto togliere... O perlomeno, non prima della fine dei giorni di Voldemort, che però si era reso immortale.
"... Probabilmente solo per fare un dispetto a noi segnati" pensava spesso Snape, grattandosi il Marchio Nero, che, se non doleva, prudeva.
Quando il Marchio chiamava, Snape doveva immediatamente Materializzarsi al fianco di Lord Voldemort, che l’aveva lasciato in vita, finora, solo perché gli faceva limitatamente comodo avere un informatore collocato a Hogwarts, una spia attaccata alle gonne di Silente.
Snape si trovava coinvolto in un contrasto sempre più duro con Voldemort, il quale si fidava di lui come di una serpe allevata in seno. E là dove la fiducia non arrivava, L’Oscuro Signore preferiva la mano pesante, lo umiliava, lo torturava, e soprattutto cercava di violare la sua mente.
Con la faccia a terra e respirando polvere, la testa schiacciata sotto il piede del suo Signore, Snape riusciva ancora ad insultarlo e imprecare tra sé, mentre resisteva a tutti gli attacchi mentali e alla dirompente Legilimanzia di quell’oscuro, inarrivabile Maestro; perché il tristo pozionista, l’annoiato professore, quello straccio d’uomo, insomma, era insospettabilmente forte, sotto i suoi scomposti capelli neri, ed era, all’insaputa di tutti, un Occlumante eccezionale.
Tra i soliti fiocchi di neve fastidiosi, che tendevano ad accumularsi nel paesaggio, ad Hogwarts arrivarono le vacanze di Natale, nessuno sapeva da dove.

Il Professor Snape si Materializzò senza entusiasmo in mezzo alla bruma, nel suo solito vicolo nascosto, e Londra gli piaceva poco.
Coprì in fretta una breve distanza, e attraversò con infinita circospezione il viale di Grimmauld Place, N° 12, più che altro impegnato a non pestare le cacche dei cani dei babbani, che fiorivano sul marciapiede davanti ai quattro scalini dell’avita residenza dei Black.
Ad aprirgli la porta c’era Remus J. Lupin, uno dei pochi membri dell’Ordine della Fenice che non preferisse vederlo morto.
“Ah Severus, accomodati. E’ successo qualcosa? E’ morto qualcuno… Silente?” Lupin lo pilotò in cucina, con aria eccessivamente allarmata.
“Puoi farti passare il crepacuore, Remus… tra l’altro… ti sembra garbato farmi sempre sentire come l’uccello del malaugurio?” ribatté Snape con voce bassa e annoiata. “Sono qui solo per parlare con Potter. Dov’è?”
Lupin gli fece un timido sorriso.
“Harry è in bagno. Ci metterà un po’, accomodati intanto” rispose, porgendogli una sedia.
Snape si sedette irrigidito, con fatica e con dolore, notò Lupin, e a Snape bastò un’occhiata obliqua per vedere quanto Lupin fosse frusto e messo male, peggio del solito: pesanti graffi gli solcavano la fronte, e mostrava una preoccupante faccia gonfia che nel complesso ricordava una crostata di sangue.
“Oserei sospettare… che non hai preso la Pozione Antilupo, all’ultimo plenilunio…” insinuò Snape, che aveva un certo occhio clinico per le disgrazie.
Lupin crollò la testa, sorridendo con espressione sconfitta, amareggiata.
“No, invece, l’ho presa. Ma non era buona, temo. Mi sono trasformato lo stesso in un Lupo Mannaro, dei più efferati, e quando sono tornato umano mi è rimasta la coda!” Indicò uno strano rigonfiamento nel retro dei pantaloni rattoppati.
“Non era una delle mie, vero?” boccheggiò Snape con orrore.
“Oh, no, certo che no, le tue le ho finite settimane fa” lo rassicurò Lupin. “Mi sono rivolto a un pozionista di Nocturne Alley, uno che non fa domande, sai? Queste cose non si possono trattare alla luce del sole, noi Mannari siamo discriminati. E questo Judas Belzer non va troppo per il sottile…”
“E…?” lo incalzò Snape.
“E appunto, non va troppo per il sottile! Soprattutto quando prepara le pozioni, le fa male, evidentemente!”
Lupin si abbandonò crucciato sulla sedia, mentre Snape, con la faccia schifata, si guardava ostentatamente le unghie.
Dopo un lungo silenzio carico di disagio, Snape, levando gli occhi in uno sguardo di rimprovero, si decise a intervenire.
“La Pozione Antilupo è difficile, insidiosa… ti farò avere una fornitura annuale appena posso, Remus. Ma fossi in te, non mi rivolgerei più a certi scriteriati, a ciarlatani senza scrupoli. In queste cose non si risparmia.”
“Grazie, Severus, io…”
“Non… lo faccio… per te!” si affrettò a farfugliare Snape “lo faccio per la mia Arte. Se posso evitare che si diffondano pozioni mediocri, o, peggio ancora indecenti…”
“Grazie, Severus, ti ripagherò” lo interruppe Lupin con decisione.
Snape fece un sorrisetto sarcastico. Lo sapevano tutti che Lupin non aveva il becco di un quattrino, e infatti, in un modo o nell’altro, riusciva sempre a scroccare l’Antilupo tutte le volte che si incontravano.
“Ma Potter non esce più dal bagno? Che cos’ha, è stitico?” sbuffò Snape, per sottrarsi alla situazione.
“Eh, povero ragazzo, con i guai che sta passando, non mi stupirebbe” rispose Lupin, senza dar peso all’espressione di Snape, che lo stava metaforicamente avvelenando.
“Voldemort è penetrato nella sua mente, lo sapevi? O forse, al contrario, Harry è in contatto con la mente di Voldemort. In ogni caso, non augurerei questo a nessuno. Nemmeno a te, Severus…”
Lupin gli allungò un sorrisetto pieno di sottintesi.
“Silente mi ha incaricato di addestrare Potter nell’Occlumanzia, infatti” disse Snape noncurante, perché aveva capito a cosa l’altro volesse alludere. “Sono venuto qui per dirglielo, se solo si sbrigasse a… finire quello che sta… facendo… in bagno.”
“Lasciami dire, non hai una bella cera, Severus” riattaccò Lupin, col sorrisetto di prima, ancora più intenso. “Tremi… non sei te stesso. L’Oscuro Signore, scommetto. Quando? Ieri? Stanotte?”
Anche Lupin aveva un certo occhio clinico, per le disgrazie.
“Remus, ti avverto, non sono cose che ti…”
“Certo, Severus, tu ti reputi superiore a tutti noi, un modello inaccessibile, in confronto a me. Ti ho sempre disgustato, lo so. Ma… credo che io e te, invece, abbiamo così tanto in comune. Siamo sempre ridotti male, pestati, feriti, sia nel corpo che nell’anima… Due stracci, due rifiuti umani…”
“Remus, non aggiungere una parola…”
Lupin assunse un’aria disarmante, allargando le braccia.
“Sto solo cercando di dirti che apprezzo quello che fai per la Causa. Sono l’unico, sai? Perché ti capisco.”
L’atteggiamento dolciastro e remissivo di Lupin sortiva sempre l’effetto voluto, cioè che Snape non si stizzisse fino al limite. Con questa scusa, riusciva a dirgli di tutto, lo copriva di insulti, e alla fine gli faceva fare quello che voleva. Sempre, matematicamente.
“Bevi con me, Severus”.
Lupin gli versò un bicchiere di liquore, posando con cura la bottiglia in bella vista. Era quasi vuota, restavano quattro dita scarse.
“Licantropo sfacciato…” mormorò Snape, sopraffatto. “Vorresti farmi capire che ti resta solo quello?”
“Della cassa di Centerbe Nere che mi hai mandato il mese scorso? Be’, si…”
Lupin lo artigliò col suo sorriso che poteva commuovere anche i sassi. “E’ ottimo, contro la depressione,” riprese, “ e vedi dunque, quante cose abbiamo in comune? Il Centerbe nere, il fatto che siamo soli come cani, due disgraziati, due miserabili pezzenti…”
“Io non sono depresso!” protestò Snape.
“…Due falliti impenitenti, che ricorrono all’alcool…”
“Ti farò avere un’altra cassa, Remus, basta che la smetti”.
“Oh, grazie, Severus, te lo pagherò, comunque. Sono un po’ a corto, attualmente, ma… Wow, il Centerbe Nere di Severus Snape! Sai, è il migliore sulla piazza, come lo fai tu non se ne trova…”
“Non se ne trova, perché lo faccio solo io, perché l’ho inventato io, e la ricetta è segreta!” rispose Snape mordace. “Non darti pena per i soldi. Le Erbe Nere crescono lungo i tubi dei cessi di Hogwarts, ne trovo in abbondanza, a gratis, nei miei sotterranei”.
Lupin fece una faccia di riconoscente commozione.
“Ma a proposito di cessi… E Potter?”

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Capitolo 8
*** Gli oscuri fluidi ***


Snape se ne stava nel suo studio, seduto nella penombra di un giorno come un altro, mentre altrove, fuori dalla finestra a bocca di lupo, si affacciava una primavera rifulgente.
Rigirava tra le dita una piccola pergamena rosa di gusto smanceroso, che Draco Malfoy gli aveva recapitato con un ghigno.
“Non significa nulla… Non implica necessariamente… quello” pensava tra sé, mentre studiava la calligrafia infiocchettata di Dolores Umbridge, cercando di negare ogni raccapricciante presentimento. Ma all’ora convenuta nella lettera, si avviò verso i piani superiori, con la sensazione che una mano omicida gli attanagliasse la gola.
Possibile che gli effetti dell’Alterna Anguillae si fossero esauriti così, di punto in bianco?
A giudicare dal fatto che il rospo in gonnella lo stesse aspettando fuori da una porta, appostato nel corridoio, si…
La mano alla gola si serrò trionfante fino in fondo.
“Ma prego, Severus, entri, l’aspettavo” cantilenò la Umbridge con gli occhi avidi, mentre chiudeva la porta alle loro spalle.
Snape non varcava da tempo la soglia di quella stanza assurda, e ci mise un po’ a scacciare l’impressione di trovarsi proiettato in uno scherzo di cattivo gusto: pareti di pietra imbiancate di rosa, cortine e tende a fiorami, nelle sfumature del rosa, e rosa anche i tappeti, le suppellettili e gli accessori.
Appesa a lunghi nastri, larghi sei dita, e sempre rosa, c’era l’aborrita collezione di piattini in ceramica, dalle cornici fiorate e infiocchettate, nei vari toni del rosa.
I piatti raffiguravano ciascuno un gattino sdolcinato che si muoveva nel suo tondo, ammiccando e miagolando sommessamente, e valevano da soli l’incipiente attacco di colite spastica che stava tormentando lo sventurato pozionista.
Sfortunatamente per Snape, nulla di tutto questo si rivelò uno scherzo, né un incubo, né l’anticamera dell’inferno, perché si trattava ben di peggio: l’ufficio dell’Inquisitore Supremo di Hogwarts, Dolores J. Umbridge, che ora stava caracollando dietro alla sua scrivania.
Il Professore di Pozioni si sedette rigido dall’altro lato, di fronte a lei.
“Mi devo rammaricare di essere stata a lungo assente, con lei, troppo impegnata, temo, negli ultimi mesi” intonò la Umbridge con la sua voce di testa, da cui traspariva una confidenziale gentilezza sanguinaria. “Ma eravamo a metà di un discorso, noi due…”
“La mia attività come insegnante deve ancora superare la sua verifica…” buttò lì Snape con un soffio, senza crederci nemmeno lui.
Il viso della Umbridge si oscurò, ma subito il suo mieloso sorriso forzato si riaffacciò familiare, sotto quegli occhi che accoltellavano.
“Severus, non ha bisogno di spiegarmi… o meglio, mi ha già spiegato a sufficienza, quanto difficili, innaturali siano… hem hem! certe prestazioni, per lei…”
“Ovvio, non ha dimenticato. Punta sempre alla stessa cosa, me!” pensò Snape, con stomacata rassegnazione.
“…E la capisco, le credo!” continuò la Umbridge, gli occhi comprensivi sopra il sorriso feroce. “Lei non è mai stato un uomo, Severus, lei non è mai stato niente.”
Fece una piccola pausa significativa, ricolma di delicata indulgenza, che però le riuscì male, mentre Snape passava rapidamente dal sollievo alla incredulità contrariata.
“Mi sono informata, ad ogni modo, su di lei. Ho chiesto in giro, perché credevo in lei… A tutti i suoi colleghi, alle amicizie occasionali, a tutte le sue conoscenze, anche al Ministero… E il risultato, sempre lo stesso: nessun pettegolezzo, nessuna relazione, niente di niente! Sono tutti d’accordo nel giudicarla un… hem hem! Un individuo… neutro.”
Snape, dietro la sua maschera indecifrabile, eppure leggermente confusa, stava per essere annientato da una nuova forma di paranoia.
Tutti chi? Chi è che diceva che… Lui… non era… Che?
“La prego, non si imbarazzi, Severus, non deve vergognarsi di me. Io la capisco, adesso, io la compatisco. Lei appartiene davvero ad una specie a sangue freddo… niente attrazione, niente desiderio, nessuna esperienza …”
Snape represse in tempo la voglia di saltarle alla gola, mentre il suo celebrato sangue freddo ribolliva di furia omicida. Passava davvero per un mezzo uomo, agli occhi dell’intero mondo magico? Oh, si, anche per meno di mezzo, a giudicare dalla convinzione della Umbridge, dalle sue testimonianze.
Si immaginò, senza una logica plausibile, Malocchio Moody e Sirius Black che ridevano alle sue spalle, facendo il verso alla sua supposta natura troppo algida, per non dire virilmente difettosa.
Con respiri profondi che per poco non gli lacerarono i polmoni peggio del Sectumsempra, Snape riuscì infine, attraverso un enorme sforzo di volontà, a raffreddare di nuovo il suo sangue freddo.
“Ma se il rospo lo crede… se crede che io davvero non sappia, non possa... allora forse riesco ancora a salvarmi dalle sue voglie…” pensava ossessivamente, non del tutto convinto.
La Umbridge, intanto, aveva posato sul tavolo un’inquietante scatola piena di fiale color veleno. Sul lato del cartone era stampigliato un timbro, tutto sbavato, che Snape non riusciva a decifrare.
“Cosa fa, adesso, mi uccide?” pensò di riflesso, attraversato, chissà perché, dall’immagine della mantide che si libera del maschio, quando ormai è inservibile.
La Umbridge si immobilizzò al rallentatore davanti a lui, leggermente chinata in avanti, fissando il suo sguardo carnivoro negli occhi neri e confusi della sua preda.
“Io non rinuncio facilmente… e non rinuncio a te!” sussurrò infine, col tono basso e calmo della lucida esaltazione. Fece quattro passetti rifiniti lungo il tavolo, e solo allora si ricompose, con le mani unite, posate in grembo.
“Se lo si osserva dalla giusta prospettiva, si troverà immancabilmente che ogni problema ha la sua soluzione, come recita l’Articolo Ventiquattro del Prontuario del Ministero…” continuò poi, evidentemente ispirata ai grandi discorsi. “E finora, sono costretta ad ammettere, avevo affrontato il nostro problema dal verso sbagliato…”
Snape non capiva. E come poteva?
“Ma il nostro problema, Severus, ha in realtà una soluzione semplice… questa!”
Gli mise in mano la scatola di cartone, senza tanti complimenti.
Il timbro, da vicino, risultava comprensibile: c’era scritto “Gli Oscuri Fluidi di Judas Belzer, Filtri e Pozioni di qualità, Nocturne Alley, N° 7, Londra”, mentre sulle fiale un’etichetta giallastra riportava: “Primae Virilis”.
Snape non capiva, e non voleva capire.
“Pozioni? Sono per me? Cosa dovrei farci?” domandò con cautela.
“Ma assumerle, naturalmente, berle, curarti, con regolarità!” rispose la Umbridge, mentre le zanne le sfavillavano.
Snape aveva capito, e preferiva morire.
Solo ora si era ricordato con orrore anche di quel nome, Judas Belzer, il pozionista incompetente di Nocturne Alley, che aveva venduto la mefitica Antilupo a Remus Lupin. E la preparazione della Primae Virilis era così instabile, la sua posologia così lunga, impregnante, invasiva, e gli effetti in caso di errore nella composizione… talmente incalcolabili, che in pratica avrebbe fatto meglio ad avvelenarsi direttamente.
Tutto il suo corpo cominciò lentamente a inclinarsi all’indietro, significando il cieco istinto di sottrarsi, il desiderio spasmodico di fuga.
“Io non assumo pozioni azzardate, a meno che non le prepari io stesso…” dichiarò agitandosi sulla sedia “e tanto meno le pozioni di questo Belzer, che so per certo essere un vero cane, un venditore di fumo, una minaccia, in effetti, per la mia categoria…”
“I pozionisti!” sbottò la Umbridge, spazientita, “ciascuno convinto che solo le proprie creazioni siano degne delle loro interiora! Ma se proprio devo dirlo, Severus, il tuo Veritaserum non mi sembra un granché!”
Snape si raggelò. Era lui che le forniva ingenti scorte di Veritaserum, utilizzate per estorcere informazioni agli allievi. La Umbridge, infatti, era convinta che un gruppo clandestino di studenti, capitanato da Potter, stesse tramando alle sue spalle.
Ingrato destino, quello del pozionista, tutti chiedevano pozioni per questo e per quello, aspettandosi miracoli, ma poi, immancabilmente, tornavano insoddisfatti a lamentarsi.
La faccenda del Veritaserum, però, era di un'altra natura; Snape ne forniva apposta una versione contraffatta, per boicottare le indagini della Umbridge e favorire i piani di Silente, i quali potevano riassumersi in un semplice concetto: proteggere Potter, qualunque stupido, rovinoso disastro potesse tentare di provocare.
Meglio sviare il discorso, a questo punto, e passare da pozionista mediocre, purché lei non sospettasse mai…
Snape chinò la testa, non poteva tradirsi, non poteva tradire Silente, dannazione!
“Faccio quello… che posso” rispose infine, simulando una specie di broncio.
La Umbridge capì in fretta di avere vinto la sua battaglia.
“Queste pozioni ti renderanno di nuovo uomo!” concluse lei, zuccherosa e irremovibile, “e dopo tre mesi di cura, quando tutti i tuoi ormoni saranno come dovrebbero essere, potremo finalmente…”
Non finì la frase, ma un rivolo di bava che le scendeva da un angolo della bocca rese lo stesso le sue intenzioni piuttosto chiare.
“Queste le terrò io” aggiunse, appropriandosi della scatola. “Ne assumerai una al giorno, a cena. Quando posso vederti.” E con un solo cenno del capo lo liquidò, senza tante cerimonie.

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Capitolo 9
*** A patti coi gatti ***


L'alba del giorno dopo, un sabato senza attrattive, non fu clemente con Snape, che si svegliò di soprassalto, con dolori in tutto il corpo, sudando verde e freddo.
Nonostante la mente poco lucida, si tolse tutti gli indumenti e cominciò a ispezionarsi davanti allo specchio, sapendo bene che non c'erano troppe illusioni a cui aggrapparsi, perché quel malessere non aveva misteri.
"E va bene, Severus..." disse alla propria immagine riflessa, guardando dritto negli occhi le proprie occhiaie color vinaccia, "vediamo quanti arti ti sono rimasti, quali organi sono da buttare..."
La sera prima, a cena, una Dolores Umbridge scodinzolante e maliziosa, riapparsa casualmente alla sua destra, gli aveva propinato la prima fiala di Primae Virilis. Gli effetti non si erano fatti attendere, evidentemente.
Snape si ritrovò coperto di radi peli sottili, lunghi più di un metro, che gli crescevano dietro la schiena, e in più, notò con orrore infinito e altrettanto raccapriccio, gli si stavano formando addosso delle piccole protuberanze carnose, che avevano tutta l'aria di essere delle mammelle in miniatura.
Ne trovò una sul retro di un polpaccio, un'altra su di un ginocchio, mentre un paio si erano formate all'interno del suo avambraccio sinistro, proprio sotto il teschio del Marchio Nero, rendendolo ancora più osceno del solito.
"Devo dargliene atto... questo Judas Belzer è un genio" si disse da solo, con voce tagliente. "I suoi errori casuali si rivelano assai più potenti della stessa Magia dell'Oscuro Signore".
Si soffermò un minuto a immaginare come avrebbe reagito l'Oscuro vedendo la nuova versione del Marchio.
"O si sbudella dal ridere, o è la volta che mi ammazza con l’Avada Kedavra", concluse semplicemente, con un'alzata di spalle; la sua attenzione intanto era stata calamitata da un piccolo foruncolo, che faceva capolino da sopra a una guancia, e che sembrava lievitare lentamente. Snape lo osservò da vicino, cercando di rimanere freddo e obiettivo.
"Ah, maledizione, in faccia no!"
Sapeva di non avere scelta, l'aveva previsto, si era già organizzato. Doveva inventare un antidoto al più presto, qualcosa che contrastasse l’inquietante preparato, partendo dalla casistica dei suoi effetti.
Snape fece per rivestirsi, e per prima cosa posò lo sguardo sulle mutande, quelle grigie (veramente, le aveva tutte grigie, da sempre) e trasalì.
Le mutande erano le protagoniste del suo peggior ricordo di gioventù, uno di quei segreti per cui avrebbe preferito morire, piuttosto di rivelarlo a chicchessia. Siccome doveva cambiarsi le mutande quasi ogni giorno, la vergognosa sofferenza si riproponeva come una persecuzione costante, che non migliorava certo la qualità della sua vita, già così grama di suo.
Snape cercò di distrarsi, di non pensarci, e si rivestì in fretta.
Il problema della contropozione non era tanto quello di trovare un antidoto alla Primae Virilis, il che sarebbe stato alquanto facile, per Snape, ma piuttosto di ricostruire la versione mutante, prodotta da Belzer e dai suoi errori grossolani, e tutto questo senza disporre di uno straccio di campione.
Non fece in tempo a buttare giù le prime formule che qualcuno bussò alla porta.
Argus Gazza, il custode di Hogwarts, si presentò con una pila di oggetti appiattiti e preoccupanti, fasciati con la carta. I pacchi gli ingombravano le braccia da sotto la sua tipica postura ingobbita, ma nonostante questo, e nonostante la sua gatta appollaiata sulla spalla, si fregava le mani.
“Dove li vuole appesi, questi?” grugnì.
“Sarebbero?” fece di rimando Snape, alzando con fastidio la testa dalle sue carte.
“Ah, non lo sa? Allora è una sorpresa, eh?”
Gazza cominciò a scartare i primi oggetti, che, uno dopo l’altro, si rivelarono quasi subito in tutta la loro mostruosità, componendo una piccola collezione di vezzosi piatti di ceramica del tutto simili a quelli esposti nell’ufficio della Umbridge, con tanto di gattini animati e zampettanti.
“La Ministra Inquisitrice Dolores Umbridge dice che il vostro segreto Lei-sa-quale conta molto, per lei, e le manda questi, con la preghiera di pensarla sempre” disse Gazza, la voce gracchiante, come se avesse imparato quella frase a memoria.
Snape si avvicinò agli aborriti oggetti, notando che erano stati forniti anche i nastri rosa per appenderli.
“E dove dovrei metterli?” chiese, reprimendo un conato di vomito.
“Be’, sono una trentina, Professore, li si mette in camera sua, nel suo studio, nell’aula di Pozioni… in tutti i posti che bazzica lei, insomma. Ne vengono cinque o sei per ogni stanza, una bella composizione, direi”.
“Li metta dove crede, Argus” disse fiacco Snape, che aveva problemi più urgenti, e si seppellì di nuovo nelle sue pergamene.
Gazza trafficò un po’ con una scaletta, e i piattini cominciarono a prendere il loro tipico assetto perverso su di una parete.
A mano a mano che venivano appesi, i gatti iniziavano a rotolarsi e ad emettere soffocati versetti, simili a pigolii: miuuu, miuuu... mentre Snape faticava a concentrarsi.
“Uhm… si… potrebbe esserci stato un errore qui, prima dell’aggiunta dell’Arboscello Stricapugni. Belzer evidentemente non ha utilizzato il mestolo obliquo, bensì quello normale e…”
“Professor Snape, il siamese lo preferisce qui o sul letto?” lo interrogò Gazza partecipe, coi suoi occhi sporgenti.
“Se fosse vivo, cosa che non è, purtroppo, il siamese lo preferirei strangolato” sbottò Snape, che non poteva più trattenere il suo veleno.
Gazza capì che non era aria.
“Allora è meglio sul letto. Vado a fare le altre stanze, allora”.
Snape cercò di calmarsi e iniziò a cercare le disgustose Ghiandole di Plath, ma aprì il cassetto sbagliato, quello delle mutande.
Il solito doloroso ricordo lo colpì come una staffilata, emergendo con compiaciuta crudeltà da sotto il pelo della coscienza. Richiuse in fretta il cassetto, sperando con quel gesto di fare lo stesso anche con la profonda ferita dentro all’anima (quel che ne restava).
Svuotò la mente e tornò al lavoro.
Dopo un’ora aveva già composto un primo siero, che sembrava promettere bene nel contrastare almeno i peli, ma nel momento più delicato venne di nuovo interrotto da Gazza.
“Signore, il persiano non va d’accordo col siamese, di là, vedesse come si azzuffano, come si mordono! E nell’aula di Pozioni, il gatto d’angora ha perso il pelo sopra le vasche di macerazione… Bisogna ricombinarli un po’ tutti, si capisce, spostarli di qua”.
Snape non disse niente, e Gazza si rimise all’opera con la scaletta.
Venne finalmente il momento agognato di accendere il fuoco sotto al calderone, di fare i primi tentativi concreti contro la malattia ripugnante.
Tutto preso dalla sua infinita concentrazione, Snape non si accorse subito del rumoroso trapestio intorno a lui: più Gazza cercava di ricombinare i piatti, meno quei gatti sembravano trovare pace, azzuffandosi furiosi e implacabili, urlando e rincorrendosi da un tondo all’altro.
“Meglio di così non vengono” disse infine Gazza, costernato e sudaticcio, perché si era impegnato davvero per trovare la migliore sistemazione a quei mostri, che tanto gli piacevano.
Snape si guardò intorno analitico, apprezzando lo sfacelo.
“Ma com’è possibile” si decise a rispondere, “dalla Umbridge ce ne saranno almeno duecento, di questi orrori, tutti appesi vicini, in pacifica convivenza… solo i miei hanno questi insormontabili problemi caratteriali?”
“Magari non gli piacciono i sotterranei, si innervosiscono”, fece Gazza, ponderoso. “Be’, appenderli, li ho appesi. Buon pomeriggio, allora, Professor Snape.”

Dopo la cena obbligatoria, dopo la seconda dose di Primae Virilis per meglio dire, Snape si ritirò nelle sue camere, sollevato perché protetto dall’antidoto che aveva finito di mettere a punto verso il crepuscolo.
Ma a che stadio era la regressione della malattia? Di nuovo, si controllò allo specchio. Bene… I peli e le escrescenze si stavano riassorbendo, e il Marchio Nero era tornato al suo solito genere maschile.
Inesorabile come un appuntamento col destino, arrivò il momento di rimettersi le mutande, e il ricordo intollerabile, questa volta non represso per tempo, si sviluppò senza controllo in una sorta di visione col sonoro:


…James Potter gridò: “Expelliarmus!”
La bacchetta di Snape fece un volo di tre metri e cadde sull’erba dietro di lui. Sirius Black sbottò in una risata simile a un latrato.
“Impedimenta!” disse, puntando a sua volta la bacchetta su Snape, e facendolo cadere a terra lungo disteso…
“Lascialo stare” disse Lily, fissandolo disgustata. “Che cosa ti ha fatto?”
“Be’…” rispose James, fingendo di ponderare la questione, “è più il fatto che esiste, non so se mi spiego…”
…James ruotò su sé stesso, partì un secondo lampo di luce e un attimo dopo Snape penzolava per aria all’ingiù, la veste che gli ricadeva sopra la testa mostrando le pallide gambe ossute e un paio di mutande grigiastre…
“Bene” disse James, che sembrava furibondo. “Bene…”
… “Allora… chi vuole vedermi togliere le mutande a Mocciosus?”
7

E mai, mai più, per nessuna volta nella vita, Mocciosus riuscì a ricordare quale fosse l’incantesimo (Accio Mutande?) con cui le mutande gli furono strappate.
Uaaaaaaaaaoooooo! Uaaaaaaaaaoooooo!
Delle grida disumane che si propagavano nella stanza distolsero Snape dal ricordo mai superato, lo riportarono alla realtà.
“Ah, già, il dannato siamese”. Alla fine, era rimasto in camera da letto…
Si stese esausto sotto le coperte, nella speranza di dormire, di lasciarsi anche quella giornata alle spalle, ma i gatti tentarono di uccidersi l'un l'altro per tutta la notte.


Note di fine capitolo:
[7] Dall’originale HP5 “Harry Potter e l’Ordine della fenice”, pp. 603-607.

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Capitolo 10
*** Appuntamento a Hogsmeade ***


“… E se le istruzioni sono state seguite correttamente, la mistura nel vostro calderone dovrebbe diventare color topo… Si? E ora cosa c’è?”
Draco Malfoy era entrato senza bussare nell’aula, interrompendo in malo modo la lezione di Pozioni del Professor Snape. Gli consegnò col solito ghigno l’ormai familiare lettera rosa, profumata alla rosa, e si congedò.
Snape non poté fare a meno di considerare quanto Malfoy fosse divenuto arrogante, da quando faceva parte della Squadra d’Inquisizione della Umbridge. Non che non lo fosse stato anche prima, arrogante, Malfoy… Ma non certo col Professore di Pozioni, col suo idolo spietato.
Da come si mettevano le cose, sembrava perciò che Dolores Umbridge gli desse dei punti anche in questo.
Si rassegnò a leggere l’aborrita lettera, la calligrafia pomposa, tra le risatine generali e gli scambi di gomitate dei suoi studenti.

Mio adorato Severus,

Ti aspetto questo pomeriggio con trepidazione alla sala da tè di Madama Piediburro, a Hogsmeade.
Non mancare, pena la morte! Ci vediamo lì alle quattordici.
Per sempre tua,

Dolores Jane Umbridge
Preside e Inquisitore Supremo di Hogwarts

Già, Il Preside di Hogwarts.
Tutta colpa del rovinoso Potter, come sempre!
Alla fine, il rovinoso Potter si era fatto scoprire, ovviamente, lui e il suo gruppo clandestino di imbranati, e il Ministero ne aveva approfittato per montare un’accusa di cospirazione nei confronti di Silente.
Ma lui, Albus, il vecchio mago furbo, era fuggito dal castello, nessuno sapeva dove, lasciando Snape da solo, a combattere in prima linea per La Causa.
Era lo stesso che dire: lasciandolo in pasto a Dolores Umbridge.
“Che a quanto pare, oggi inizierà ad assaggiare…” pensò Snape, con un brivido gelato.
Alla fine della lezione si preparò per il suo calvario.
"Che giornata orripilante", rimuginava percorrendo i corridoi di Hogwarts, affrettandosi verso l’uscita, verso Hogsmeade.

Arrivò con mezz’ora di anticipo in quel posto orribile, la sala da tè, un solo proposito già ben chiaro in mente: ubriacarsi per tempo.
Da ubriaco, pensava Snape, poteva forse arginare, almeno in parte, la vagonata di degradazione che la giornata gli avrebbe certo riservato, anche se, con tutte le pozioni e gli antidoti che aveva in corpo, l’alcool non poteva fare miracoli.
Nel piccolo locale sdolcinato, affollato da giovani coppiette che pomiciavano, ogni centimetro di spazio era ricoperto di fiocchi e trine, in perfetto stile Umbridge. La giunonica proprietaria, e il suo chignon di capelli unti, non facevano eccezione.
Snape fece rapido un piccolo cenno, sedendosi a un tavolo, e Madama Piediburro lo raggiunse subito per l’ordinazione, facendogli gli occhi dolci.
Evidentemente, uno scapolo adulto, lì dentro, era una rarità.
“Cosa ti porto, mio caro?” chiese la Madama, melodiosa.
“Vino Elfico, rosso sangue. Iniziamo con due bottiglie, magari” rispose il bel tenebroso.
Fece in tempo a scolarsene tre, invece, perché la Umbridge arrivò con marcato ritardo. Snape notò subito che aveva un’aria strana, circospetta, e ben poco romantica.
Non che gli dispiacesse… Ma qualcosa non quadrava.
Lei gli agganciò addosso i suoi occhi spregevoli, che ora però apparivano ricolmi di incantato stupore, di un ardore misterioso mai dimostrato prima; sembrava… La venerazione di una falena, la prima volta che vede la luce.
Ordinò un tè e cominciò a parlargli con aria spiritata, complice, gettando occhiate alle coppiette tutto intorno.
“Penseranno che siamo qui per la nostra Love Story, Severus. E’ perfetto.”
“E… invece?” articolò Snape, incredulo.
“E invece, ora che so chi sei, tu mi presenterai a Lord Voldemort!”
Snape si soffocò nel suo Vino Elfico.
“Non negare, Severus, sei tuttora un Mangiamorte, sei fedele all’Oscuro Signore, me l’hanno detto i gatti!” Continuò la Umbridge, sempre più infervorata.
“Come, i gatti?” rantolò Snape, ancora sotto shock.
“Certo, i gatti! Non te li ho dati a caso, i miei tesorucci… Hai presente i ritratti dei presidi, nell’ufficio di Silente? Quelli che costituivano la sua rete di spionaggio? Be’, i miei gatti sanno fare di meglio! Ti osservano tutto il giorno, e riferiscono!”
Snape rimise su alla bell’e meglio la sua faccia da doppio gioco, riaprì la valvola del suo sangue freddo, aiutato da un bicchiere in più.
"In passato forse, sono stato un Mangiamorte, ma ho smesso quasi subito, e per sempre" tagliò corto, dopo una pausa.
"Invece io so che il Marchio Nero ancora ti chiama, che sparisci nel cuore della notte. Torni con un aspetto selvaggio, sanguinario, perché sei schiavo più che mai delle Arti Oscure e dell'Oscuro Signore!"
Snape non disse niente, e come spesso faceva, non si sbilanciò. Il terreno era minato, e probabilmente era davvero meglio passare per un Mangiamorte che per una spia troppo fedele a Silente. Almeno con la Umbridge.
Lei riattaccò incalzante, con insistenza fanatica.
"Ho già provato, ripetutamente, ad entrare nella sfera dell'Oscuro Signore. Al Ministero non sono pochi coloro che portano la Maschera d'Argento e il Marchio Nero. Ho pregato Augustus Rookwood, a suo tempo, Barty Crouch, Lucius Malfoy... ma nessuno si espone."
"Sei come un pugno nello stomaco, e nessuno rischia la collera di Voldemort per una come te..." pensò Snape, sapendo di andare molto vicino alla verità.
"Lo farai tu! Tu non puoi negarmelo" dichiarò la Umbridge con gelo stizzito.
"Dolores, ma non... funziona... così, con L'Oscuro Signore. Non si può andare da lui per... presentare gli amici. Deve essere lui a notarti, a convocarti, se ti ritiene degna..."
"Tu, Severus, mi riterresti degna?"
"Io… naturalmente… si, ma… "
"Bene, tu mi porterai da Voldemort!"
Snape accarezzò per un momento l’idea di portarcela davvero, da Voldemort. Chissà, se era fortunato, magari gliela ammazzava. Subito dopo, però, sarebbe toccato a lui.
“E va bene, Dolores. Se ci sarà occasione, se potrò osare, e se vedrò una via… ti porterò dal mio Signore.”
Che invenzione, le menzogne, non costavano niente!
La Umbridge si gonfiò tutta, dilatandosi di soddisfazione, come un rospo che si fosse abbuffato con le mosche. Senza nessun preavviso, posò una mano sulla coscia del suo cavaliere.
Snape si sforzò di non reagire, mentre sentiva la gamba che moriva.
“So che è troppo presto”, sospirò lei, ai limiti dell’indecenza. “Mancano due mesi alla fine della cura. Ma i gatti me lo diranno, se non mi resterai fedele”.

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Capitolo 11
*** A bagno con le ortiche ***


A Hogwarts era cominciato il periodo dei G.U.F.O., gli Esami Finali di Abilitazione Ordinaria.
In un tardo pomeriggio nefasto tra i tanti, Snape, strappato a forza agli affari suoi, si trovò costretto a seguire Draco Malfoy lungo i corridoi e per gli scaloni del castello. Era diretto all’ufficio di Dolores Umbridge, che l’aveva convocato d’urgenza.
Subito dentro la porta, che Draco gli stava tenendo aperta, Snape capì quanto gravemente gli eventi stessero precipitando, senza controllo. C’era il rovinoso Potter vicino al camino, e quattro dei suoi amici erano stati immobilizzati dalla Squadra d’Inquisizione.
“Voleva vedermi, Signora Preside?”
“Ah, Professor Snape”. La Umbridge si alzò sorridendo. “Si, gradirei avere al più presto un’altra bottiglia di Veritaserum”.8
“Ha usato l’ultima che avevo per interrogare Potter rispose lui, “non l’avrà consumato tutto? Le avevo spiegato che tre gocce sarebbero bastate”.9
La Umbridge arrossì. La sua voce trattenuta risentiva dell’impossibilità di rivolgersi a lui con la consueta, bieca, confidenza estorta. Davanti al mondo, in quel momento, loro erano il Preside e il Professore.
“Ma può prepararne dell’altro, no?”
“Certo” rispose Snape, arricciando le labbra. “Dato che serve un intero ciclo lunare perché sia pronto, dovrei poterglielo consegnare più o meno fra un mese”.10
“Un mese?” Gracidò la Umbridge, gonfiandosi come un rospo. “Un mese? A me serve adesso, Snape! Ho appena sorpreso Potter che usava il mio camino per comunicare con una o più persone sconosciute!”11
“Ovvio”, pensò Snape. Mai che Potter rimanesse tranquillo al suo posto. E dov’era Silente, che solo sapeva quali decisioni andassero prese per salvaguardare quel ragazzo? E cosa poteva fare lui, il Professore di Pozioni, con le mani legate dalla concupiscenza di quella donna dannata?
Temporeggia, Severus. A mente lucida, a sangue freddo.
Potter intanto lo guardava insistentemente, guardava proprio lui, non c’erano dubbi. Gli si aggrappava con lo sguardo, con una strana espressione disperata.
“Ha preso Felpato!” gli urlò a un tratto, sgomento, al termine di quella muta preghiera. “Ha portato Felpato nel posto dov’è nascosta!”12
Snape soffocò a stento un conato di esasperazione.
Tutti i mesi faticosi, passati a tenere in piedi il suo ruolo di outsider, di personaggio estraneo alla sospetta intesa tra Potter e Silente, e le infinite energie spese per sopportare la Umbridge… Rischiava di finire tutto alle ortiche, grazie a una frase sola.
“Felpato? Esclamò la Professoressa Umbridge, lo sguardo avido che scorreva da Potter a Snape. “Che cos’è Felpato? Dov’è nascosta che cosa? Che cosa significa, Snape?”13
Il Professore di Pozioni era l’unico al mondo che potesse interpretare correttamente quella frase ermetica.
Si trovava suo malgrado all’incrocio di tutti gli avvenimenti, di tutte le informazioni, e i ripetuti contatti con la mente di Potter, durante le lezioni di Occlumanzia, avevano creato tra i due una sorta di oscuro codice d'intesa.
Infine, Snape rimaneva pur sempre l’ultimo membro attivo dell’Ordine della Fenice, ad Hogwarts. Con le dita sulla maniglia della porta, cercò di non lasciarsi sopraffare dalla consapevolezza di tutta quella responsabilità.
“Non ne ho la minima idea” rispose quindi, gelido. “ Potter, se mai mi venisse voglia di sentirmi urlare delle assurdità, ti somministrerò una Pozione Tartagliante”.14
Riuscì infine a defilarsi per i corridoi, sapendo bene che toccava soltanto a lui tentare di ricucire in qualche modo la situazione, la quale era precipitata grazie all’acume del solito, rovinoso Potter.
Decise di passare all’azione, con la sagacia della spia che i troppi eventi sciagurati della vita gli avevano inculcato di prepotenza.
La prima mossa logica, e avrebbe preferito impiccarsi, piuttosto, consisteva nel contattare Sirius Black, alias Felpato, il padrino di Potter, il simpatico amico di suo padre che aveva contribuito a strappare le mutande del giovane Mocciosus, in una lontana gioventù da incubo.
Snape era sicuro che Potter si fosse avventurato nell’ufficio della Umbridge proprio con quello scopo, comunicare con Sirius attraverso l’unico camino che la Preside Inquisitrice non avesse messo sotto controllo.
Ma i membri dell’Ordine della Fenice, naturalmente, disponevano di altri, potenti mezzi per comunicare fra loro…
Snape era un inarrivabile pozionista, e il suo stile riguardava le pozioni.
Si affrettò nel suo studio privato, trascinando fuori dal suo angolo polveroso il calderone taglia Maxima, in pratica il pentolone di un gigante che pesava dei quintali.
Cominciò a versargli dentro il contenuto di diverse damigiane, altrettanto pesanti, e poi preparò alcuni ingredienti freschi che dovevano essere aggiunti a freddo, all’ultimo momento.
“Ecco l’ortica, le carote a rondelle, il sedano cornuto…” sussurrò Snape, col fiato corto per lo sforzo fisico; e sotto la sua mano abile, la Pozione dello Spostamento Fluido raggiunse in fretta il giusto grado di saturazione vegetale.
Via il mantello, la veste, le scarpe… Snape tenne addosso solo le mutande. Cercando di ignorarle, si immerse completamente nel calderone. Le ortiche sminuzzate e le verdure a tocchetti, che galleggiavano nel liquido opaco intorno a lui, facevano apparire le sue membra filacciose come una specie di brasato crudo, in attesa di essere cucinato.
“Grimmauld Place, N° 12, stanza di Sirius Black” gorgogliò facendo le bolle, e una figura liquida che ripeteva i suoi connotati si materializzò al segretissimo Quartier Generale dell’Ordine della Fenice.

"Ma guarda..." fece Sirius alla forma fluida, con la sua aria da filibustiere. "Il vecchio trucco del brodo! Ma non rinnovi mai il repertorio, Snape?".
L'odio assopito, decennale e profondo, che intercorreva tra loro, tornò vivo in meno di un secondo.
Sirius Black era senza dubbio il membro dell'Ordine della Fenice che più disprezzava Snape, e molto probabilmente desiderava davvero vederlo morto. Era stato il migliore amico di James Potter, e aveva condiviso con lui il passatempo di tormentare il giovane Mocciosus. Ma sopra ogni cosa, dopo tutti quegli anni, non si fidava del Mangiamorte che Snape, in seguito, era diventato.
Sirius si mise a sedere con le braccia incrociate dietro la testa, dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia, ostentando la sua tipica sicurezza di sé, o meglio, la sua presunzione.
"E tu, non cadi mai dalla sedia, Black?" disse Snape tagliente. "Ero venuto per accertarmi che tu non fossi in pericolo. Ma magari, se aspetto un altro po', potrei vedere la tua testa spaccarsi sul pavimento... E non avrei fatto un viaggio a vuoto."
Lo sguardo liquido e quello solido si scambiarono promesse di morte, ma quasi subito, una volta registrate le parole, barlumi di consapevolezza ed incredulità salirono al pelo della mimica sprezzante di Black.
Snape ricominciò la sua spiegazione, ricomponendosi a sua volta, nel suo gelo.
"Credo che il tuo figlioccio, Potter..." (pronunciò Potter come se sputasse) "abbia avuto una falsa visione, inviata dall'Oscuro Signore. Voldemort deve avergli fatto credere di averti catturato, e di averti rinchiuso e torturato al Ministero della Magia, e se sono qui..."
"Harry? Gli è successo qualcosa?" lo interruppe Sirius, spaventato.
"Potrebbe... succedergli" continuò snape, abbassando la voce di un tono. "E' con la Preside, adesso. E' molto pericolosa, a modo suo, e crede che Potter... abbia cercato di mettersi in contatto con Silente".
"... E invece era me, che Harry voleva trovare?" realizzò Sirius.
"Si" rispose Snape, guardandolo con aria di compatimento, come a sottolineare quanto fosse tardo di comprendonio. "E ora è meglio per tutti che io torni a Hogwarts, che vada a cercarlo..."
Fece appena per voltarsi, iniziando a pronunciare la formula che avrebbe riportato la sua sagoma, fluida e seminuda, dentro al calderone, quando Sirius gli parlò di nuovo.
"Per favore, fammi avere notizie di Harry, se puoi, e... oh, a proposito, Snape..."
Il pozionista esitò, titubante. Possibile che Sirius lo volesse ringraziare?
"Complimenti per le mutande!" disse invece. "Vedo che il tuo gusto in fatto di abbigliamento intimo non è cambiato!"


Note di fine capitolo:
[8] Dall’originale HP5 “Harry Potter e l’Ordine della fenice”, pp. 692-694 come diversi altri passi in questo capitolo.
[9]/[14] - Idem.

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Capitolo 12
*** Baruffa coi Centauri ***


Snape si rivestì immediatamente, subito fuori dal calderone, ancora sbrodolante di brodo. Cercò ansioso per il castello, vide Potter in ogni angolo, ma tutti gli avvistamenti si rivelarono scherzi contorti della sua mente. Nessuna traccia nemmeno di Dolores Umbridge.
Infine, decise di provare con Malfoy.
La piccola serpe bionda era con Potter, l'ultima volta che li aveva visti, e la sua Squadra d'Inquisizione risultava sempre immischiata in qualunque cosa torbida succedesse, e sapeva sempre tutto.
Trovò Draco nella sala comune di Serpeverde, coperto di violacee tumefazioni sul viso. Approfittò subito del vantaggio morale, e tanto meglio che il machiavellico bastardo non capisse dove lui voleva arrivare.
"Potrei sbagliarmi, Malfoy..." attaccò Snape, lento e mellifluo, "ma dai segni che hai sul viso sembrerebbe che tu stia apprezzando i postumi di... una Fattura Orcovolante... assolutamente superba, direi".
Malfoy fece una breve smorfia.
"Non sbaglia, Signore" rispose a disagio.
Snape lo infilzò col suo sguardo di ossidiana.
"Te le fai dare da Potter, Malfoy? E' questo, che ti ho insegnato?"
Malfoy girò lo sguardo da un'altra parte, poi lo abbassò al pavimento, infine chiuse gli occhi per la rabbia e l'indignazione, e a denti stretti digrignò una serie di ringhi da cane rabbioso che nessun cane sarebbe stato in grado di decifrare.
Snape percepì vagamente il nome di Ginny Weasley. Che fosse stata lei, a lanciare l'Orcovolante? Ma questa pista non approdava a nulla.
"Ma la Preside... non ha fatto nulla per punirli?" provò a buttare lì Snape (chiunque loro fossero, non si capiva niente dal racconto di Malfoy). E non era bene scoprire il suo gioco, fare domande dirette.
"Oh, si" rispose il bastardo biondo, evidentemente esaltato dal ricordo. "Voleva usare la Maledizione Cruciatus con Potter, ma poi la Granger, vedesse come piangeva, Signore! ha confessato dove nascondevano l'arma segreta di Silente. Credo che la Professoressa Umbridge li torturerà, quando torneranno dalla foresta..."
"Bene, Malfoy. Se potrò, li torturerò anch'io" rispose Snape soprappensiero, tanto per farlo contento. E intanto rifletteva.
Non esisteva nessuna arma segreta di Silente, ne era certo. Non poteva che trattarsi di uno stratagemma, di quelli rovinosi, stile Potter. Ma che cosa?
Ah, ecco, maledizione! Aveva capito.
Tornò quasi correndo nel suo studio, si spogliò e si rimise a mollo nel calderone. Questa volta la sua immagine liquida, sciabordando in Grimmauld Place, N° 12, incontrò i membri principali dell'Ordine: Malocchio Moody, Ninfadora Tonks, Remus Lupin, e Kingsley Shaklebolt. Mancava solo Black, vivaddio.
Lupin era attaccato a una bottiglia di Centerbe nere, e a giudicare dai bicchieri accumulati su di un tavolo, sembrava proprio che ne avesse offerto a tutti gli altri.
“Non mi aspettavo… di trovarvi qui” farfugliò Snape nauseato. “Ma soprattutto mi sembra a dir poco fuori luogo, da parte vostra… mettervi a fare bisboccia in un momento come questo”.
Si sentiva imbrogliato. Lui era considerato come una sorta di avanzo, l’ultima ruota del carro, nell’Ordine della Fenice, veniva sospettato e vilipeso da tutti; ed erano ore che stava correndo a destra e a manca per la Causa, peggio di un galoppino, mentre i gloriosi Membri Principali, tra cui alcuni Auror, si godevano la serata intorno al fuoco, accompagnandosi in amicizia con un buon bicchiere.
“Sirius ci ha allertati. Stiamo aspettando Silente. Dovrebbe arrivare a momenti” ribatté qualcuno, Snape non avrebbe saputo dire chi, perché non stava più ascoltando.
“Be’, sappiate… sempre se vi interessa, che Potter, secondo me, sta finendo dritto nella trappola di Voldemort! Credo che voglia andare al Ministero, e se ho ragione… Lo troverete all’Ufficio Misteri, probabilmente morto.”
Si guardò intorno, constatando di avere raggiunto il suo scopo. Era attorniato da una trepida attenzione inorridita.
“… ma se ho torto,” proseguì con enfasi melodrammatica, “lo troverò io, nella Foresta Proibita di Hogwarts. Auguratevi… che sia… così!”
Stava per fare la sua uscita di scena quando entrò nella stanza Sirius Black.
“Che vi dicevo?” esclamò Sirius, beffardo, indicandolo. “Ecco di nuovo la brodaglia. Ve l’avevo detto, che sarebbe tornato!”
E gli voltò le spalle, tracannando d’un fiato il suo bravo calice di Centerbe Nere.

La Foresta Proibita di Hogwarts non si chiamava così per caso, o per invitare i turisti a farci dei pic-nic.
Addentrandosi nel folto del bosco, Snape si strappava gli indumenti nei rami, e le spine dei rovi gli si impigliavano nei capelli, ora del tutto arruffati.
Il sole era tramontato, ormai, ma il cuore della foresta non l’avrebbe saputo dire.
Mentre il mago cercava di aggirare un grosso tronco coperto di aculei, sbucarono sibilando alcune frecce che gli inchiodarono il mantello al legno, e, con gran rimbombo sordo del terreno, una cinquantina di Centauri, scalpitanti e poco amichevoli, lo circondarono di netto.
Gli misero le mani addosso, per strapparlo dal tronco e trascinarlo in mezzo a loro.
Snape tentò di divincolarsi, di resistere, di fuggire, ma tutto ciò che ottenne fu la carica selvaggia dei Centauri, che lo strattonarono violentemente, lo trascinarono sul terreno, finché fu domo.
Rimase con la sola veste nera, stracciata e senza maniche, che sembrava la corta tunica degli antichi soldati romani, solo tinta nel bitume.
Certo, Snape avrebbe potuto stendere tutti quegli esseri anche da solo, annientarli con qualche incantesimo efferato dei suoi, con un paio di colpi di bacchetta, ma la situazione politica coi Centauri era delicata.
Il Ministero li osteggiava, riduceva costantemente il loro territorio, mentre Silente aveva cercato fino all’ultimo di approfittare del malcontento per tirarli dalla sua parte.
Silente, sempre lui, maledizione! Un laccio bianco e irridente che gli legava le mani. Senza fine. Meglio cercare di essere diplomatici, se i Centauri non lo facevano a pezzi prima.
Dal gruppo che lo circondava, si fece avanti un tipo bruno che doveva essere il capo.
“Sei del Ministero della Magia anche tu?” gli chiese con voce sovrumana, risonante.
“Non ho nulla a che fare, col… Ministero” rispose Snape, lasciando trapelare il suo disprezzo, calcando sull’accento della parola Ministero.
“Eppure questa donna ti conosce, dice che ti renderai garante per lei” continuò il Centauro, e da dietro il gruppo un paio di individui nerboruti trasportarono Dolores Umbridge, quasi di peso, davanti a Snape.
Era stata strapazzata anche lei, evidentemente, e sembrava infeltrita.
“Severus! Ah, Severus, diglielo! Sono Sottosegretario Anziano, queste bestie non possono…” stava gridando lei, con voce acuta.
I Centauri si infuriarono all’unisono, sbuffando e raspando il terreno con gli zoccoli pesanti.
“Questa umana ci chiama bestie!” disse il Centauro capo, rivolgendosi a Snape. “Cosa ci rispondi? E’ un’offesa che va lavata nel sangue, per le nostre tradizioni…” Lo squadrò dall’altro in basso, e continuò. “Ma voi siete… Umani…” terminò, con disprezzo palpabile.
Gli occhi argento del Centauro si aspettavano qualcosa da lui.
Snape avvertì dolore a un braccio, e si rassegnò alla certezza che i Centauri avessero cominciato a trafiggerlo con le frecce, in una specie di barbara esecuzione.
Ma il dolore aveva qualcosa di familiare.
Guardò verso il basso il suo avambraccio esposto, e comprese che il Marchio Nero aveva preso vita. Il teschio digrignava i denti, il serpente si contorceva… Si sprigionava del fumo, e una luce verde brillava sinistra, e quindi… Con i soliti effetti speciali, l’Oscuro Signore lo stava chiamando a sé.
Appoggiò due dita sul Marchio, preparandosi a raggiungere Lord Voldemort, che non tollerava nessun ritardo, e non conosceva perdono.
La Umbridge intuì cosa stesse per fare, e con agilità insospettata si lanciò verso di lui, giusto in tempo per abbarbicarsi alla sua spalla, l’estasi sul viso, in una sorta di miracolo esaudito.

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Capitolo 13
*** Una serata con l'Oscuro Signore ***


Dolores Umbridge e Severus Snape si Materializzarono a braccetto in una radura spettrale, tra fitti alberi che ululavano di rancore.
Un’ombra scura, il frusciare di una veste scomposta… All’improvviso Lord Voldemort si profilò davanti a loro, nell’aria profonda instabile, densa di energie. La fredda luce di una bruma impalpabile, verdastra e vile, lo contornava.
Senza avere pietà dell’inquieta assenza di parole, una voce contrastata, da psicopatico, si levò risonante e stridula, con una sorda eco nel sottofondo palpitante.
“Severus Snape, Finalmente! Ti ho distolto dai tuoi beveroni? Qualcosa di esplosivo, suppongo!”
Snape si guardò avvilito, le vesti strappate, sentendosi uno straccione. Da dove avrebbe potuto raccattare il proprio orgoglio, la propria dignità? E come fare a impadronirsi di nuovo del suo sangue freddo, così necessario nel tenere testa, per quanto possibile, a quella Volontà insuperabile?
Si inginocchiò, chinando la testa.
“Mio Signore…” mormorò.
“Oh, ma vedo che abbiamo ospiti!” cantilenò Voldemort, indicando vagamente la Umbridge, con la bacchetta che ondeggiava.
“Siamo stati scortesi, nelle presentazioni! E’ la tua fidanzata, Severus? La tua amante, forse?”
Voldemort si muoveva intorno a grandi passi, e gesticolava, agitando le braccia, con la veste che si gonfiava nel vento.
Era il suo modo normale di fare, da rockstar sul palcoscenico.
Dolores Umbridge si raddrizzò impettita, in tutta la sua scarsa statura.
“La sua amante?” disse quindi, tagliente e soave al contempo. “No, non credo proprio, Lord Voldemort. Come saprà certamente, il nostro Severus non sa che farsene di… ehm ehm! Di ciò che la natura gli ha fornito in quanto uomo”. E fece un cenno inequivocabile, diretto al grembo di Snape.
Voldemort stirò la sua faccia da rettile in un’espressione allibita.
“Come, cosa, chi?” esclamò interrompendola, con tono teatrale, venato di isteria. “Stiamo parlando di Pi-Esse-Pi?”
“Pi-Esse-Pi?” gli fece eco la Umbridge, interrogativa.
“Ma sì! Pestello Senza Perdono, lo chiamavamo ai vecchi tempi… Sa, per via di quell’aggeggio cilindrico, che usano i pozionisti, per sminuzzare le erbe…” Voldemort si mise a mimare con le mani.
“Capito, il doppio senso?” continuò, trascinato dall’ilarità. “Il pestello, il mortaio… le Maledizioni Senza Perdono…”
Voldemort girò gli occhi in alto, ricordando con piacere il passato.
“Potrei raccontarle certe cose, di Severus, qui… Ah, i vecchi tempi dei Mangiamorte, quando andavamo a caccia di vergini, ogni notte…”
La umbridge si gonfiò apoplettica, rossa in faccia, furiosamente indignata. Snape, o meglio, Pi-Esse-Pi, l’aveva sempre ingannata, le aveva mentito, spudoratamente, senza perdono.
Intanto, l’Oscuro Signore aveva smesso di ridere. La sua espressione si era fatta disumana e terribile. L’improvviso silenzio sembrava pregno di odio consumato.
“Ho poco tempo, Severus, e devo prendere decisioni” disse con tono basso, minaccioso, facendo iniettare di sangue i suoi occhi rossi.
“Ora, per favore dimmi, senza le solite reticenze, tutto quello che sai di Silente. Dov’è?”.
Snape tirò su la cortina dell’Occlumanzia.
“Non posso dirlo, mio Signore. E’ scomparso da tempo”.
“E tu non ne sai niente? I miei fedeli sono già al Ministero, e prenderanno Potter. Ma se Silente si intromette, il gioco si fa serio. E dovrò intervenire…”
Lo afferrò per le spalle, spietato e deciso.
“Non… so… nulla… Mio Signore”. Sussurrò Snape.
“Devo crederti, Severus? Andare, o non andare? Allora, cosa mi consigli?”
Lo scaraventò lontano, a terra, puntò la bacchetta e gridò:
“Crucio! Crucio! Crucio…”
Snape si contorceva con spasmi atroci nella polvere, sotto la Maledizione Cruciatus, la tortura del dolore.
“Crucio! Crucio! …Bah.” Si scoraggiò Voldemort. “Quest’uomo non ha paura del dolore, non teme la morte, è questa la fregatura, con lui!” declamò, rivolgendosi agli alberi.
Snape era ancora a terra, si era messo in ginocchio, tremando.
“Legilimens!” Voldemort gli penetrò la mente con la sua, la mise a soqquadro, ma non vi trovò nulla che riguardasse Silente.
Snape era riuscito a nascondere bene l’informazione che gli era rimbalzata addosso, quasi per caso, in Grimmauld Place. Silente stava per arrivare, per intervenire. Un’informazione vitale, che faceva la differenza tra la vita e la morte… In molti sensi.
“Legilimens… A-ha!” si rallegrò Lord Voldemort. “Ma allora, c’è qualcosa che temi, dopotutto….”
Gli prese la testa fra le mani, quasi con tenerezza.
“Sei mio, Severus?”
“Sono Vostro da sempre, mio Signore…”
“La Maledizione Imperius, sai, è di due tipi…” proseguì Voldemort, suadente. “Quella che ti controlla senza coscienza, e quella che ti lascia ogni consapevolezza… Si, sarà divertente!”
Si raddrizzò con le braccia aperte, come per ricevere un’ovazione.
“Signora! Si avvicini al nostro Severus, per favore” ordinò, rivolgendosi alla Umbridge, che finora era rimasta sullo sfondo.
Voldemort li spinse entrambi vicini, affiancati. Poi tornò da Snape, con quella bieca tenerezza.
“Sei mio, Severus, sicuro?”
“Si”.
“E allora, come dicono i babbani… Mi casa es su casa, signora. Si serva!”
Arretrò di un passo, levò la bacchetta… “Imperio!”
Un raggio bianco e ramificato penetrò la fronte di Snape, che cominciò a muoversi verso la Umbridge come un felino, mentre la sua anima (quel che ne restava) si abbatteva in agonia.
Controllato e posseduto da una volontà non sua, proseguì quel copione senza scampo, per il resto della lunga notte.
Abbandonato in ciò che non avrebbe mai, neanche negli incubi, immaginato di fare, fu costretto a sentire gli alberi che urlavano intorno a lui. E per quattro volte, anche la Umbridge.

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Capitolo 14
*** Epilogo col morto ***


Se ne stava sdraiato immobile, con gli occhi aperti immobili, senza l'aria di essere vivo. La poca luce del sotterraneo ribadiva la sua assenza smarrita.
Soltanto nel piccolo spazio del letto riusciva a credere di essere ancora intero, e di potere resistere, non intaccato, all'aria che lo consumava, alla polvere che respirava.
A sangue freddo adesso, finalmente, realizzava.
Non per il dominio lucido della mente, ma perché nella morte, di certo, il sangue è freddo, non ha calore.
Con le braccia distese lungo il corpo, come se fosse morto, stringeva ancora, appena, la sua bacchetta: tenuta parallela alla figura, nella destra.

Qualche rumore di vesti e di vecchiaia fece capire alla stanza, in segreto ascolto, che era entrato Silente; veniva a trovare un vecchio compagno, un vecchio amico, per la prima volta.
Il morto reagì con ulteriore immobilità, se possibile più accentuata.
"Severus, ti ho portato la soluzione. Perché nella vita, o si è parte del problema, o si è parte della soluzione, e allora scelgo... questo!"
Il vecchio mago reggeva in grembo una cesta piena di golosità di Mielandia, Cioccorane, Gelatine Tutti I Gusti Più Uno, e tante altre squisitezze da Hogsmeade. Sapeva che il suo amico non poteva resistere.
"Mi hai scambiato per Potter? Sono patetico fino a questo punto?" disse infatti Snape, risorto alla sua acetosità.
"Oh, scusami, Severus, sono troppo abituato coi ragazzi, sai, quando finiscono in infermeria..." si schermì Silente, divertito.
Snape sollevò a fatica un braccio, allungando la bacchetta.
"Evanesco" sussurrò, con voce appena udibile, e ogni cosa nella cesta svanì.
"Be', era una gag, Severus" chiarì Silente.
Snape ritornò cadavere.
Silenzio.

"Sei stato duramente spezzato, Severus, lo capisco."
"Come ogni volta. Come tutte le altre volte" disse Snape, con tono inesistente.
"Ti sono grato, sai?"
"Figurati."
"E ti capisco."
"No, non puoi. E non sei qui per questo."
"Vero."
Silenzio.

"Non sei mai venuto... ai miei capezzali... prima… Perché stavolta si?"
"Sei rintanato qui da tre giorni."
"E...?"
Nessuna risposta.

I due uomini sondavano le reciproche profondità, in quell'atmosfera attenuata, immobile, sospesa nel silenzio. Erano in intimità da sempre, e non se lo erano mai confessato.
Dal modo in cui si capivano, senza parole, tutto era detto.

Silente tirò su col naso, con fare evasivo. Tentò inutilmente di guardare fuori, ma la finestra a bocca di lupo gli proponeva soltanto una soluzione inservibile.
Girò lo sguardo in alto, altrove, imbarazzato. Le rivelazioni peggiori dovevano ancora venire.

"Mi dispiace, Severus. La Umbridge, alla fine... ha ottenuto quello che voleva..."
"Già".
"E' ancora qui a Hogwarts, a proposito, in infermeria. Sta raccontando a tutti di averti, sai... avuto..."
Dal letto giunse solo un lungo sibilo.
"Ma naturalmente," proseguì Silente, "omette il piccolo particolare di Lord Voldemort. Racconta solo di come l'hai salvata dai centauri, e di come voi due... dopo... nella foresta..."
"Non mente. Era, una foresta".
"Già".
Silenzio.

"Non voglio la tua pietà".
"Non sono qui per questo".

"... Albus?"
"Sì?"
"Mi dici perché sei qui?"
Silente, di nuovo, non rispose.

"... Hai finito la tua cassa di Centerbe Nere?"

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