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Autore: Helena Velena    02/11/2010    1 recensioni
L'indicibile e infatti mai narrato rapporto tra Severus Snape e il Supremo Inquisitore di Hogwarts, Dolores Jane Umbridge.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Dolores Umbridge, Remus Lupin, Severus Piton, Sirius Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.


Il Professor Snape aveva dalla sua l'intelligenza, l'audacia, e una certa consumata abilità nell'arte della dissimulazione. Non era quindi troppo preoccupato dall'arrivo della nuova titolare della cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, convinto com'era di trovarsi in una posizione abbastanza defilata, ma in ogni caso di vantaggio, dovuta alle sue abitudini schive, all'alone di dubbia moralità che emanava da lui, e alla sua espressione facciale, come di chi si trovasse costantemente sull'orlo di una crisi di vomito.
Queste qualità, coltivate e raffinate negli anni, gli avevano sempre garantito ottimi effetti respingenti nei confronti dell’intero genere umano.
"Ah, un giorno o l'altro vomiterò davvero sopra qualche studente," si scoprì a rimuginare tra sé mentre si affrettava con aria concentrata verso l'aula di Pozioni, la sua materia di competenza.
"E, come se non bastasse, ora arriva anche questa nuova seccatrice, questa primatista della mediocrità, che occupa la cattedra che dovrebbe essere mia..."
Snape, per il momento, era semplicemente preda della sua crisi di rigetto di inizio anno. Ce n’era stata una per ogni nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, e ora era costretto a digerire nientemeno che la Professoressa Dolores Umbridge, sentendosi particolarmente disgustato al pensiero della sua esistenza, e del suo incarico.
Per lui, le Arti Oscure erano innanzitutto Arti, quindi la loro conduzione, a favore o a difesa che fosse, doveva essere riservata solo ai pochi eletti che, come lui, ne avevano conosciuto e cavalcato la vertigine.
Percorrere quella strada era difficile, pericoloso, riservato a pochi, e la Cattedra di Difesa di Hogwarts era stata, da sempre, destinata ai grandi nomi. Be’, forse non esattamente così grandi, negli ultimi anni… E senza di essa, per Snape non ci sarebbe mai più stata nessuna possibilità di trascendenza, nessuna inebriante conquista della grandezza inaccessibile, e nessuna rinomanza. Mai più, dopo la rinuncia all’Oscuro Signore.
“Lo sa l’inferno quante volte ho tentato di ottenere quella cattedra, ma Silente l’ha assegnata a cani e porci, a emissari di Voldemort, a lupi mannari. A tutti, tranne che a me! E adesso ci si mette di mezzo anche il Ministero!”
La nuova arrivata, la nuova spina nel fianco, era infatti stata imposta a Hogwarts per la sua carica di Sottosegretario Anziano del Ministero della Magia dal ministro Cornelius Caramell, e il suo modo di fare declamatorio e fiscale aveva chiarito, fin dal sua arrivo, che il Ministero si sarebbe intromesso negli affari della scuola.
Da questa Dolores Umbridge, che gli altri professori avevano descritto come una presuntuosa impicciona invadente, e che non aveva risparmiato a nessuno un primo approccio fatto di velate minacce e accuse sottili, Snape non si aspettava certo un trattamento di favore.
Evidentemente, però, era stato lasciato per ultimo. Bene. Aspettava con malmostosa rassegnazione che arrivasse anche il suo turno di venire importunato, ma che fosse preoccupato, Severus Snape, questo no. Ci voleva ben altro!
“Appartengo ad una specie a sangue freddo”, pensava, “e posso essere velenoso…”

Quel mattino Snape aveva lezione, il terzo anno Tassorosso-Corvonero, un’accoppiata esasperante.
I Tassorosso erano generalmente ottusi, ci mettevano un’infinità di tempo a preparare tutto e la loro serenità bovina lo irritava.
Snape non ricordava, in tutta la sua carriera, nessuna pozione prodotta da un Tassorosso che racchiudesse un minimo di genio, anche se i Tassorosso erano comunque portati, doveva ammetterlo, a sviluppare delle prove corrette.
Per contro, i Corvonero erano dei maniaci dell’eccellenza e della perfezione, e volevano penetrare ogni sfaccettatura della materia, ancorché in modo teorico e astratto.
Le manifeste reazioni di insofferenza del loro professore non li scoraggiavano mai dal porre quella serie infinita di domande sul perché si usasse proprio questo e non quell’ingrediente, e non limitava tutti i loro “cosa succederebbe se” che lo obbligavano a sperticarsi in astruse spiegazioni, delle quali i corvonero sembravano comunque diffidare insoddisfatti, dietro ai loro occhietti intelligenti.
La Umbridge non si era ancora fatta viva, e Snape si sentì sollevato mentre usciva dalla classe, a lezione finita, con dimessa baldanza, scantonando dalla piccola folla di sciagurati Tassorosso e di perfidi Corvonero.

“Professor Snape, Professor Snape!” La voce che lo chiamava aveva svoltato l’angolo e si era immessa nel lungo corridoio. Arrivò di corsa il Professor Filius Vitious, con una convinzione tale che Snape non ebbe modo di eclissarsi in tempo.
Si fermò dunque lì dov’era, voltandosi con calcolata lentezza finché l’altro non lo raggiunse ansimando.
“Desidera, professor Vitious?” Disse poi sospirando, con un tono che avrebbe raggelato del ghiaccio. Ma Vitious era troppo concitato, e forse anche troppo abituato, per farci caso.
“Bisogna fare qualcosa, Snape, quella Umbridge sta ficcando il naso dappertutto… Controlla le lezioni, riferisce al Ministero… E’ stata nominata Inquisitore Supremo di Hogwarts, sa? E non sembra avere criteri sensati nelle sue valutazioni!”
“Ah davvero?” rispose Snape, senza scomporsi. “Controllare che lei non rompa qualche prezioso cimelio mentre i suoi allievi la fanno volare per la stanza non le sembra sensato?” E ci mise una punta di cattiveria, qui. Ma non più del solito.
“Si figuri che a un certo punto…” continuò Vitious facendo finta di niente, “ha tirato fuori un metro, e mi ha misurato, Snape! Ha misurato la mia statura, e scuoteva la testa!”
Snape alzò un sopracciglio e ritrasse un po’ il capo, come voler mettere meglio a fuoco il suo non altissimo interlocutore.
“Ah, davvero?” fece sottotono. Non poteva resistere.
“Oh, per Dio, Snape, la smetta! Qui la cosa si fa seria! Vorrei vedere se la Umbridge venisse nella sua aula e cominciasse a misurarle il naso con quella sua aria di disapprovazione!”
Snape rispose ancora una volta col suo “Ah, davvero?”, ma aveva accusato il colpo, e il suo tono si fece piccato.
“Evidentemente il mio naso le va a genio, visto che non ha ancora ritenuto opportuno limitare né me, ne lui. Quanto ad un eventuale giudizio sul mio operato, quella donna non troverà niente da ridire. Sono sicuro che le regole, le mie, che applico da sempre, hanno maglie più strette dei suoi criteri.”
“Ma è proprio per questo, Snape, che mi rivolgo a lei!” Vitious allungò una mano e afferrò il gomito del pozionista, volendo forse creare una sorta di intimità con quel soggetto inavvicinabile. In realtà, essendo tanto più basso, riuscì solo a sembrare il suo ombrello. Ma non perse di slancio.
“Ho parlato un po’ con tutti i colleghi, vede, e pensiamo… Proprio perché il suo lavoro e la sua serietà sono inappuntabili… La distrugga Snape! Con quella lingua che si ritrova, con quella faccia, lei può riuscirci! Faccia assaggiare a Dolores Umbridge il suo lato più tagliente, il suo lato affilato, per così dire… Restiamo uniti, stia dalla nostra parte… Per Silente, e per Hogwarts.”
Snape si rabbuiò ulteriormente, ma quella sua espressione significava solo che l’abitudine al controllo della facciata prendeva le solite piste conosciute, perché dentro di sé non poteva negare una certa sensazione di compiaciuta rivincita.
I colleghi professori, che di solito facevano comunella tra loro, e che l’avevano sempre escluso, adesso lo percepivano come il più forte, inattaccabile, affilato; e nel ruolo del loro pugnale, l’avevano finalmente accettato.
“Professor Vitious, non posso garantire nessuna performance”, si decise a rispondere dopo un sospiro, accentuando l’ultima parola con una pausa ad effetto, “ma in ogni caso quella ficcanaso non mi piace, ed entrambi sappiamo quanto spiacevole io possa diventare…”
Vitious annuì, guardandosi intorno con aria di cospirazione. “Bene, bene… A presto, allora” fece tra i denti, e col suo passetto rapido si allontanò.
L’atmosfera concentrata e sospesa si disperse, i rumori tornarono per i corridoi.
Snape si strinse nel suo mantello come per ricomporre una sorta di contegno dopo essersi sbottonato troppo, e riprese lentamente la sua direzione.
Ora il fatale incontro con l’odiata Umbridge si era caricato di attese ulteriori, e se Snape non fosse stato quel fuoriclasse del self control che era, l’esemplare campione di una specie a sangue freddo, sarebbe potuto apparire quasi divorato dall’ansia.
Durante il pranzo Snape prese il suo solito posto tra Minerva Mc Granitt e Whilelmina Caporal, non senza notare l’aria di aspettativa e tutti gli ammiccamenti che i colleghi sembravano rivolgergli di nascosto dalla Umbridge, posizionata cinque posti più in là lungo il tavolo dei professori.
Filius Vitious lo covava con lo sguardo, come se Snape fosse una sua scoperta, quasi avesse portato lui stesso un vassoio di specialità gastronomiche, da offrire e fare apprezzare.
L’atmosfera si fece presto pesante.
Snape avrebbe preferito essere ignorato e suscitare diffidenza come al solito, invece di trovarsi al centro di quella inconfessata adunanza, fatta di sguardi pieni di confidenza improvvisata.
Si sentiva osservato e aveva la sgradevole sensazione che gli altri commensali si servissero delle sue stesse pietanze appena dopo di lui, sorvegliando e scimmiottando le sue preferenze, quasi a ribadire la determinazione con cui lo ritenevano, ormai, una specie di esempio.
L’esasperazione di Snape toccò il culmine quando prese la senape, perché Sibilla Cooman, che fin dall’inizio del pasto era rimasta voltata verso di lui formando un angolo innaturale, nella smania di procurarsela rovesciò il vassoio degli arrosti, senza smettere mai di fissarlo da dietro gli occhiali telescopici.
Quel poco piacere che Snape ricavava dal cibo era ormai rovinato, per quel giorno.
Abbandonò la Sala Grande sempre più nervoso e sull’orlo dell’ulcera, ma nelle prossime ore, Snape ne era sicuro, la situazione non sarebbe certo migliorata. Il pomeriggio infatti sarebbe trascorso nella particolare insofferenza che solo le classi Grifondoro-Serpeverde, accoppiate tra loro, sapevano suscitargli. Con questo nefasto senso di anticipazione si ritrovò a imboccare la scala per il sotterraneo, diretto alla sua aula bieca.
"Eccoli là, gli indegni apprendisti della raffinata pratica delle Pozioni," pensò quando vide i suoi allievi. Tutti schierati ai loro posti. Eppure...
Sotto l’apparente velo di inibizione e rigore che le scolaresche esibivano con Snape, serpeggiava spesso una realtà invisibile, ad umano occhio di mago, e ben diversa.
I Serpeverde facevano i dispetti ai Grifondoro, e i Grifondoro si vendicavano dei Serpeverde, e la loro rivalità non faceva che crescere, raggiungendo livelli di grossolanità spregevole. La faida, naturalmente, distoglieva gli studenti dalla doverosa concentrazione, così necessaria in quella materia contorta, privando il professore anche di quel minimo di soddisfazione che i Tassorosso-Corvonero, almeno, sapevano restituirgli.
“Stramaledetta Umbridge,” Pensava Snape mentre il suo sguardo si disperdeva nella stanza. Cominciava ad averne abbastanza dell’attesa, voleva che il confronto iniziasse, voleva dare scacco a quella carogna il prima possibile.
Doveva prepararsi, mettersi al sicuro. In qualche modo…
Ma più si arrovellava, più le antiche insicurezze riaffioravano, da sotto la sua scorza velenosa. Presto o tardi la Umbridge sarebbe apparsa nell’aula, per controllare il suo rendimento e la conformità delle sue lezioni ai programmi ministeriali.
Snape era sempre stato terribilmente esigente con gli studenti, impeccabile come insegnante, ancorché spietato, e con lui le classi raggiungevano dei livelli impensabili. Ma bisognava alzare il tiro.
Scelse dunque un obbiettivo ambizioso: la preparazione della Pozione della Pace, che placava l’ansia e calmava l’agitazione.
Di regola era irrisolvibile, all’inizio del quinto anno, ma figurava nei programmi ministeriali, a differenza di quelle che trattava di solito, non di rado sue originali creazioni.
Tra i vari calderoni che non mostravano gli effetti che dovevano, ne scelse uno per tutti, e parlò come se sputasse:
“Potter, e questa cosa sarebbe…”
   
 
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