Our life together

di LindaWinchesterCullen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9Capitolo ***
Capitolo 10: *** 10Capitolo ***
Capitolo 11: *** 11Capitolo ***
Capitolo 12: *** 12Capitolo ***
Capitolo 13: *** 13Capitolo ***
Capitolo 14: *** 14Capitolo ***
Capitolo 15: *** 15Capitolo ***
Capitolo 16: *** 16Capitolo ***
Capitolo 17: *** 17Capitolo ***
Capitolo 18: *** 18Capitolo ***
Capitolo 19: *** 19Capitolo ***
Capitolo 20: *** 20Capitolo ***
Capitolo 21: *** 21Capitolo ***
Capitolo 22: *** 22Capitolo ***
Capitolo 23: *** 23Capitolo ***
Capitolo 24: *** 24Capitolo ***
Capitolo 25: *** 25Capitolo ***
Capitolo 26: *** 26Capitolo ***
Capitolo 27: *** 27Capitolo ***
Capitolo 28: *** 28Capitolo ***
Capitolo 29: *** 29Capitolo ***
Capitolo 30: *** 30Capitolo ***
Capitolo 31: *** 31Capitolo ***
Capitolo 32: *** 32Capitolo ***
Capitolo 33: *** 33Capitolo ***
Capitolo 34: *** 34Capitolo ***
Capitolo 35: *** 35Capitolo ***
Capitolo 36: *** 36Capitolo ***
Capitolo 37: *** 37Capitolo ***
Capitolo 38: *** 38Capitolo ***
Capitolo 39: *** 39Capitolo ***
Capitolo 40: *** Epilogo - Our life together ***



Capitolo 1
*** 1Capitolo ***




Capitolo 1



 





Come faccio?

Ho appena rovinato tutto quello che avevamo costruito in quattro anni…
“Bella muoviti sto uscendo!.”
Mi chiamo Isabella Swan ho ventidue anni e sono incinta. Ne sono al corrente da quasi una settimana ma ho una paura pazzesca di dirlo al mio ragazzo. Lo amo da impazzire e anche lui mi ama, me lo dimostra tutti i giorni, ma ho paura di come possa reagire.
Si è appena laureato in legge e oggi è il suo primo giorno di lavoro.

Bella ti prego esci da quel bagno.” La sua voce mi tira fuori dal vortice di pensieri nel quale sono imprigionata ormai da giorni. Eccomi” dissi uscendo dal bagno, mi diressi a passi veloci verso la cucina dove trovai un Edward sorridente come non lo avevo mai visto.

Era ora! Sto per andare,ti piace?” mi disse indicando il suo completo elegante. Ero talmente presa dai miei pensieri che non avevo notato quanto fosse bello quella mattina, il completo grigio stava benissimo con i suoi occhi verdi, luminosi come pietre preziose e i suoi capelli ramati.
Certo,sei una favola.”
Mi guardò con aria perplessa avvicinandosi e accarezzandomi una guancia ”Ti senti bene?”

“Certo, sto benissimo! Ora vai o farai tardi” Gli afferrai un braccio e lo trascinai verso la porta di casa “Non puoi fare tardi il tuo primo giorno come avvocato”

Mi sorrise “Lo sai che ti amo da impazzire vero?”

“Io di più, e…” Non mi face finire la frase che mi prese il viso fra le mani e mi baciò. Amavo il modo in cui lo faceva, era sempre così delicato e amorevole.
A che ora finisci all’università?” Mi domandò, ancora vicinissimo al mio viso “Non lo so” dissi, la sua vicinanza mi faceva sempre girare la testa. Mi sorrise “Io finicso alle sette, non dimenticarti la cena da Alice alle nove”
Già come dimenticarselo “Tua sorella non fa altro che ripetermelo”

Alice sorella minore di Edward, non che una delle mie migliori amiche dai tempi del liceo aveva organizzato una cena per riunire la nostra comitiva, visto che per via dei nostri impegni non riusciva ad incontrarsi neanche per un caffè “Sono sicura che mi chiamerà anche questa mattina per ricordarmelo” Edward rise “E’ molto probabile che lo faccia” Amavo la sua risata era sempre così genuina e piacevole. “Ora vai o farai tardi davvero!”

“Hai ragione,vado ci vediamo questa sera.” Ammise Buona giornata”.

Chiusi la porta e iniziai a vestirmi e truccharmi, visto che avevo appuntamento con Angela Weber, ci saremmo incontrate fuori l’università come ogni mattina. Ora come non mia avevo bisogno di lei, mi serviva qualcuno con qui confidarmi e lei era sempre stata una buona amica. Dopo essere stata pronta chiusi la porta di casa e mi diressi verso la mia macchina, una Mini Cooper regalatami da mio padre al mio ventunesimo compeanno, quando il mio telefono mi informò che era arrivato un messeggio. Presi il telefono dalla borsa e lessi il messaggio, era di Edward:

“Cavolo sono quì da solo un ora e già ho due casi da seguire.”

Sorrisi al pensiero di Edward indaffarato, aveva sempre dasiderato questa vita ed io ero felice che avesse realizzato il suo sogno e che adesso fosse realmente felice. Misi in moto, avrei risposto una volta arrivata a destinazione.
L’università era a ventiminuti dal nostro appartamento e dato che, stranamente per una città come New York, non c’era traffico arrivai in dieci minuti, ancora in tempo prima di incontrare Angela risposi ad Edward:

“Sono sicura che te la stai cavando alla grande perché sei una persona speciale.Ti amo”



 

VORREI FARE LA PREMESSA CHE QUESTA E' LA MIA PRIMA FF ,CONOSCO QST SITO DA UN PO' MA DI SOLITO LEGGO NON SCRIVO. MI E' VENUTA QUESTA IDEA APPENA UN ORA FA E SUBITO HO DECISO DI POSTARLA, SONO APERTA A QUALSIASI CRITICA NON ABBIATE PELI SULLA LINGUA!
UN BACIO

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Capitolo 2
*** 2Capitolo ***






Capitolo 2











 


“Edward mi stai ascoltando?” sentii la voce di Jasper che pronunciava il mio nome, ma mi resi conto di non aver sentito una parola di quello che mi ha detto.
“Scusa, ero sovrappensiero …” Pensavo a Bella e al suo strano comportamento. Da qualche giorno è distante e malinconica, ero convito che fosse stress dovuto allo studio, ma vedevo il suo tentativo di nascondere la cosa. Non era mai stata una buona bugiarda ed io la conoscevo meglio di chiunque altro per sapere che qualcosa non andava.
”Qualcosa non va?” mi chiese con aria preoccupata “No, scusa pensavo a delle cose” Jasper era come un fratello per me, ma non mi andava di raccontargli cose che riguardassero Isabella “E’ solo che sono un po’ stanco di stare chiuso in quest’ ufficio”

“Devi ammettere che questo è un gran bell’ufficio però” Come dargli torto, il mio ufficio era al quarantasettesimo piano in uno degli studi legali più importanti e potenti di New York “Già …”

“E poi tua madre ha fatto un ottimo lavoro per quanto riguarda l’arredamento” Mia madre si occupava d’arredamento da tutta la sua vita e sono sicuro che abbia arredato questo ufficio pensando che un giorno ci avrei lavorato io, era così fiera di me e aveva sempre appoggiato le mie scelte, sapeva che volevo fare l’avvocato e non il medico come voleva mio padre. Mio padre non mi aveva mai imposto di seguire le sue orme ma sono sicuro che quando ho lasciato l’università di medicina per passare a quella di giurisprudenza e trasferirmi a New York con Bella ci sia rimasto male, non ha protestato ma il giorno che gli ho riferito i miei cambiamenti di programmi ho colto della delusione nel suo sguardo.

“Stasera venite a cena tu e Bella vero?”sorrisi “perché ridi?” mi chiese Jasper con aria perplessa. Era strano il fatto che dimenticassi che il mio migliore amico fosse anche il fidanzato di mia sorella, forse perché mi trovavo davanti ad una persona molto riservata che non parlava quasi mai della sua vita privata, naturalmente il fatto che fossi il fratello della sua ragazza non aiutava per niente io stesso non avrei gradito sentire determinate cose su mia sorella che, anche se ormai aveva ventidue anni vedevo ancora come la mia sorellina.

“Ridevo perché stamattina io e Bella parlavamo proprio del fatto che Alice non fa altro che ricordarci questa cena.”

-“Ci tiene molto e una vita che non passiamo una serata in vostra compagnia e poi verranno anche Emmet e Rosalie” Cosa?
“Emmet e Rosalie sono in città?” Jasper mi guardò come se stesse guardando un idiota “Arrivano questo pomeriggio, perché non lo sapevi?” Emmet era mio fratello maggiore ed era diventato tenente in una base militare a Los Angeles, si era trasferito con sua moglie e suo figlio da ormai due anni.

Come mai io non sapevo che sarebbe venuto a trovarci?

“Non lo sapevo…” mormorai passandomi una mano fra i capelli.

“Strano perché ti ho mandato un messaggio tre e quattro giorni fa sulla segreteria telefonica, forse Bella l’ha ascoltato e si è dimenticata di avvertirti…” Già era una cosa molto probabile perché in questi giorni era continuamente sovrappensiero.

“Credo che sia cosi, deve esserselo dimenticato.”

“Come sta? E' da un po’che non la vedo.”

“Sta bene, è impegnata per via degli esami” lo informai. “Capisco il giornalismo non è una strada facile da intraprendere, ma lei è una ragazza in gamba e sono sicuro che se la caverà.”

Annuii alle sue parole. Avevo sempre creduto in lei io, così come l’ho amata dalla prima volta che i nostri sguardi si son incontrati al penultimo anno di liceo. Si era trasferita a Forks quando la madre si era risposata e lei essendo vissuta sempre con la madre, visto che i suoi genitori si ero lasciati quando lei era molto piccola sentiva di dover legare con il padre e si era trasferita lasciando la sua vita, per ricominciare con suo padre. Non le era mai pesato il fatto che avesse lasciato il suo vecchio liceo quasi alla fine, anzi si era impegnata nello studio per essere alla pari con gli altri. Era una ragazza speciale e ogni mattina svegliarmi con lei fra le braccia mi faceva benedire il fatto che mi amasse come io amavo lei.










RINGRAZIO LE PERSONE CHE HANNO RECENSITO LA MIA STORIA, SONO MOLTO CONTENTA DEI SUGGERIMENTI CHE HO RICEVUTO! SPERO CHE CONTINUERETE A LEGGERE QUESTA STORIA, PERCHE' A ME PIACE MOLTO E VORREI IMPARARE A TRASMETTERE ATTRAVERSO LA SCRITTURA OGNI TIPO DI SENTIMENTO. VI PREGO NON ABBANDONATEMI XD

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Capitolo 3
*** 3Capitolo ***





Capitolo 3








 

Frequentavo l’ultimo anno alla Columbia nella sezione di giornalismo, ero così felice di aver quasi finito gli studi. Se ripensavo alle notti insonni passate a studiare per gli esami e alle sgridate di Edward quando il mattino si rendeva conto che non avevo chiuso occhi perché troppo in ansia per un esame. Sacrifici inutili, pensai, non sarei mai riuscita adesso a completare gli studi, anzi se avessi avuto un aiuto da parte di qualche amico, sarei riuscita a laurearmi l’anno prossimo, ma questo significa rinunciare al praticantato alla Volturi.

La Volturi era uno dei giornali più rispettati di tutta la città e grazie a Carlisle, padre e Edward, ero riuscita ad avere un posto dopo la mia laurea come assistente del capo in persona. Il padre di Edward era un tesoro, per amore di suo figlio non faceva altro che aiutarci in tutto, ci pagava l’affitto e tutte le altre spese della casa, a Edward non pesava per niente dipendere dai suoi genitori durate i suoi studi universitari, mi diceva sempre che non poteva dare il massimo negli studi se si fosse trovato anche un lavoro.

Ora che aveva iniziato a lavorare si era ripromesso che avrebbe badato lui a noi senza l’aiuto di nessuno ma ora con l’arrivo di un bambino sarebbe cambiato tutto. Sarebbero cambiate le nostre abitudini ed io non volevo essere un peso…
Tutte queste preoccupazioni mi fecero venir voglia di piangere ma decisi di affrettarmi per incontrare qualche viso familiare e dimenticare per un po’ la situazione in cui mi trovavo, guardai l’orologio che segnava le dieci e mezzo e decisi di andare a vedere se Angela fosse arrivata.

Puntuale come l’era sempre stata, trovai la mia amica seduta sulle gradinate dell’università intenta a leggere un volantino. “Angela, buon giorno!” lei alzò il viso nella mia direzione “Bella sei arrivata finalmente, che fine avevi fatto?”
“Non mi sembra di essere in ritardo … sono appena le dieci e mezzo”Angela alzò gli occhi al cielo “Bella dovevamo incontrarci alle nove per andare all’incontro con il professor Green!” Avevo completamente dimenticato quell’incontro “Angela scusami tanto”

“Non fai altro che dimenticare le cose in questo periodo.” Mi portai una mano al viso,dovevo dirlo a qualcuno o non sarei più riuscita ad essere me stessa. Mi sedetti accanto a lei “Devo dirti una cosa che non ho detto a nessuno ma devo dirlo a qualcuno e so che tu in questo momento sei la persona giusta” mi guardò con aria preoccupata e unì le sue mani con le mie “Bella cosa c’è che non va? ” presi un lungo respiro.
“Sono incinta!”Angela sbiancò, come se avesse visto un fantasma “Non so cosa dire, mi aspettavo tutto tranne che questo….”
“Già, non dirlo a me” sorrisi il più possibile, non volevo sembra spaventata ai sui occhi “ Da quanto lo sai?” mi chiese “Sei giorni”risposi.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto poi all’improvviso mi guardo e disse “Edward come l’ha presa?”

“Non lo sa,non ho il coraggio di dirglielo.”Mi vergognai all’istante di quelle parole, la guardai imbarazzata “Perché non vuoi dirglielo? Come fai a tenerti un peso così grande da sola? Edward ha il diritto di saperlo e poi sono sicura che la prenderà bene,ti ama Bella. Tu non te ne accorgi forse, ma lui è pazzo di te!”
Io sapevo che Edward l’avrebbe presa bene, ma conoscendolo sapevo che le cose sarebbero cambiate: avrebbe rinunciato ai viaggi di lavoro, alle uscite con gli amice solo per starmi vicina ed io non volevo che cambiasse la sua vita per me. “Ho paura di rovinare i suoi piani, siamo così giovani e lui ha appena iniziato a lavorare sarei un peso per lui e poi ho l’università da finire e….” Non mi accorsi che stavo piangendo a dirotto, Angela mi abbracciò forte e disse “Lui ti ama e rinuncerebbe a tutto per te!”

”Ma io non voglio che debba cambiare la sua vita per me perché so che ha faticato tanto per arrivare dove è arrivato” La gente iniziava a fissarci, ma Angela continuava a stringermi “Ascoltami bene, è anche figlio suo e ha il diritto di sapere e poi prima o poi dovrai dirglielo per forza perché inizierà a vedersi”

“Lo so devo dirglielo - ma asciugai le lacrime con forza, prima che la mia amica mi porgesse un fazzoletto - ci ho provato ma ogni volta che mi guarda, perdo il coraggio” alzò gli occhi al cielo “Non fare la stupida, parlaci al più presto, sono sicura che insieme farete la cosa giusta e poi io ci sono sempre per te lo sai vero?” annuii tra i singhiozzi “Lo so, lo so”



CIAOOO
SONO TORNATA CON UN ALRTO CAPITOLO SPERO VI SIA PIACIUTO, RINGRAZIO TUTTE LE PERSONE CHE HANNO COMMENTATO L’ALTRO CAPITOLO E A TUTTE LE PERSONE CHE HANNO LETTO SENZA COMMENTARE VORREI CHIEDERE DI FARLO E DI SCRIVERE COSA NE PENSATE PERCHE' MI FAREBBE MOLTO PIACERE
UN BACIO. Linda *-*

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Capitolo 4
*** 4Capitolo ***






Capitolo 4



 

Avrei detto tutto a Edward appena visto a casa. Angela aveva ragione doveva sapere tutto era egoista da parte mia tenerlo all’oscuro, ma come gli avrei comunicato la notizia?

Pranzai con Angela e poi seguii tutte le lezioni, ormai erano le sei e non sapevo più, dove andare per prendere del tempo prima di tornare a casa. Decisi allora di andare in biblioteca, studiare un po’ e poi magari fare un giro tra i negozi della città, ma la mia amica non era molto d’accordo.

“Prima o poi dovrai tornare a casa Bella!”mi disse Angela con tono esasperato, la guardai sorpresa “Non capisco dove vuoi arrivare …” alzò gli occhi al cielo “Stai solo prendendo tempo e non dire che non è vero!” Era vero, questa storia mi stava facendo scoprire una parte di me che non conoscevo.

Non sapevo di essere così codarda, avrei dovuto superare la cosa al più presto. Guardai Angela “Hai ragione prima o poi dovrò parlargli comunque.” Angela sorrise “Brava vedo che stai ragionando”
“Si infatti, domani glielo dico! promesso”
Angela sbarrò gli occhi “ISABELLA! - urlò - Se non torni a casa e dici tutto a quel povero ragazzo giuro che lo faccio io!” Sembrava una pazza, mi faceva quasi paura, la conosceva da tanto tempo e sapevo avrebbe avuto il coraggio di fare quello che diceva. “Promettilo”
“Ok.” mormorai. 
“Devi prometterlo!” incalzò “Ok ... promesso”

La pioggia aveva creato, per la mia gioia, un traffico pazzesco. Ero lì tra le auto e non facevo altro che pensare a come gli avrei detto che ero incinta, meglio levare subito il cerotto pensai, appena lo vedo glielo dico punto! Senza peli sulla lingua, basta avere paura. Potevo avere paura di tutte le persone di questo mondo ma non del mio Edward, lui era il mio amore e con lui tutto sarebbe sempre andato bene.
Si posso farcela.

Arrivai nel viale del nostro palazzo ma per mia fortuna l’auto di Edward non c’era ancora, avrei avuto più tempo per elaborare un discorso almeno. Entrai in casa e decisi che magari una doccia mi avrebbe rilassato almeno un po’. Non so quanto tempo passai sotto la doccia ma, mi sentivo più carica. Sì, pensai ancora, posso farcela!
M’infilai una felpa di Edward e i pantaloni del pigiama, ora ci voleva un tè per rifocillarmi completamente.

Mi diressi in cucina “Ciao!” mi ritrovai davanti al sorriso più familiare del mondo “Hey … quando sei entrato?” Edward mi venne incontro “Cinque minuti fa, ma tu eri sotto la doccia” Rispose, poi mi baciò lentamente una guancia, poi l’altra fino ad arrivare alla bocca “Mi sei mancata …” Disse ancora sulle mie labbra.
Gli buttai le braccia al collo e lo strinsi forte “Anche tu!” Mi prese in braccio e mi poggiò su tavolo della cucina “Sei troppo bassa, non riesco a guardarti negli occhi” Scherzò “Sei tu quello troppo alto”Replicai poggiando la testa sul suo petto, mi baciò i capelli prima di sbuffare pesantemente “Sono stanco morto” Poverino non potevo comunicargli una notizia così importante se era stanco, decisi allora di cambiare argomento “Non mi hai ancora detto com’è andata la giornata … Com'è stato il tuo primo giorno?”
Mi diede un bacio a stampo “Bene, fare l’avvocato non è come nei film” Sorrise e proseguì “Ci sono troppe carte e guardare, firmare, gente da incontrare e domani dovrò uscire alle sei del mattino per incontrare gente della quale non me ne frega niente”
Lo guardai attentamente “Allora cuciniamo qualcosa velocemente e andiamo a letto, anche io sono stanca” Dissi, feci per alzarmi dal tavolo ma mi fermò e iniziò a fissarmi intensamente poi disse “Abbiamo la cena da Alice fra un ora!” Mi era completamente passato di mente E’ vero. Lo avevo dimenticato, è alle nove giusto?”
Edward continuava a fissarmi “Jasper mi ha detto che ci saranno anche Emmet e Rosalie.  Cazzo avevo dimenticato anche questo!lo guardai con fare implorante “Scusami! Hai ricevuto un messaggio in segreteria qualche giorno fa, ma ho scordato di dirtelo” Edward non la smetteva di fissarmi, abbassai lo sguardo Dimmi cos’hai Bella, non mentire perché non sei brava!” Il cuore mi batteva a mille e non ebbi il coraggio di alzare lo sguardo “Bella guard….” Non concluse la frase e entrambi fummo attirati dal rumore del campanello. Edward guardò in direzione della porta “Aspetti qualcuno?”

“No” Mi guardò e disse “Non muoverti, tu ed io non abbiamo finito di parlare” Non risposi e lui si allontanò verso la porta. Il mio pensiero andò ad Angela.
Che fosse venuta per controllare che avessi detto tutto a Edward?
Mi affrettai anch’io verso la porta, Edward aprì “Fratellino, anzi no scusa come devo chiamarti ora avvocato Cullen vero?”

Edward sussultò “Emmet!”disse abbracciando suo fratello “Non ti aspettavo a quest’ora, credevo di vederti da Alice ” – “Già, ma lo sai che mi piace fare sorprese” Rispose prima di posare il suo sguardo su di me  “Hey Bells fatti abbracciare, come stai?”Gli sorrisi avvicinandomi, grazie a lui avevo rimandato almeno per un po’ la mia conversazione con Edward. Mi venne incontro “Sei splendida come sempre” disse abbracciandomi. Come faceva a essere così grosso? Era questa la domanda che mi facevo ogni volta che lo vedevo, gli uomini della famiglia di Edward erano tutti così alti e belli pensai.
Edward chiuse la porta “Dov’è Rosalie? ” Domandai “In albergo ci mette sempre così tanto per vestirsi, allora ho pensato di fare prima un salto da voi”
“Johnny è con voi?” intervenne Edward “No è con mamma e papà a Forks,la mamma è venuta a trovarci e lo ha praticamente rapito” rispose ridendo, poi ci guardò aggrottando le sopracciglia “Cosa ci fate ancora così? Vestitevi che facciamo tardi e poi muoio di fame, conoscendo Alice avrà cucinato sicuramente qualcosa d’immangiabile”Sorrisi.
“Che c’è?” Domandò sorpreso “Alice ha imparato a cucinare?” Sorrisi ancora, non sapevo come rispondergli “Bene,come immaginavo. Allora andiamo lì, fingiamo di mangiare poi ci fingiamo stanchi ,ce ne andiamo e ordiamo un pizza in albergo! Che ne dite?” Edward guardò suo fratello con gli occhi sbarrati e disse “Mi sei mancato,lo sai?”
Emmett fece finta di pensarci sù “Si lo so, ma ora vestitevi siamo in ritardo”Rispose sorridendogli.





Passammo a prendere Rosalie in albergo e ci dirigemmo verso casa di Alice. Rosalie era bellissima come sempre, durante il viaggio in macchina mi raccontò un po’ di Jonathan e di quello che faceva a Los Angeles, sembrava molto felice della sua vita lì e di Emmet. Si amavano parecchio quei due pensai guardandoli. Le feci molte domande sui bambini ma quando sentii lo sguardo di Edward addosso decisi di stare zitta.

Arrivammo con un po’ di ritardo, infatti, fummo aperti da un’Alice molto imbronciata “Perché non rispettate gli appuntamenti?” ci accusò.
“Ciao anche a te Alice” Disse Emmet, la ragazza si precipitò fra le braccia del fratello e poi in quelle di sua moglie “Oh mi sei mancato tanto, scusami entrate” disse dopo aver salutato me ed Edward. Ci accomodammo e Jasper ci versò del vino “Allora? Cosa mi raccontate di nuovo?” Chiese Alice dalla cucina, sapevo che non si stesse rivolgendo a me ma non so come, risposi “Sono incinta!”

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Capitolo 5
*** 5Capitolo ***






Capitolo 5












 

Silenzio.

Mi guardarono tutti. Come cavolo mi era uscita una cosa del genere?Avevo parlato senza riflettere, era come se il mio stesso subconscio avesse voluto dare un taglio a quella situazione. Edward più di tutti mi fissava, il suo sguardo era sorpreso ma nei suoi occhi vedevo la delusione, la delusione di una persona che dopo averti dato tutto si rende conto di non averti dato abbastanza. Come potevo biasimarlo, io che gli avevo mentito per tutti questi giorni?

Avrei voluto prenderlo in disparte, spiegargli tutto e giurargli che non gli avrei nascosto più nulla, che lui non aveva colpe perché ero io la stupida che aveva paura. “Io …” cercai di dire qualcosa di sensato e allo stesso tempo adeguato a quella stupida situazione nella quale mi ero cacciata, ma inaspettatamente Edward parlò.

“Non avremmo dovuto dirvelo in questo modo ma Bella è fatta così, non riesce a nascondere niente”
Il cuore iniziò a battere in un modo disumano. Mi odiavo, lui si fidava di me, come avevo potuto dirlo a Edward in un modo, tanto brutto, per di più davanti a tutti?Notai una punta di sarcasmo nelle parole appena pronunciate, lo guardai intensamente sperando che capisse che mi dispiaceva ma la voce di Alice mi fece distogliere lo sguardo “E’ così che ci si comporta Bella?”

“Già è così che ci si comporta?” Replico Edward con un basso tono di voce, ma lo sentii ugualmente. Alice parve non sentirlo e proseguì “Come puoi dirci una cosa del genere così?” Non sapevo cosa dirgli “Io …” Riprovai.

“Dovremmo uscire a festeggiare!” Propose Emmet alzandosi, ma Rosalie lo strattonò obbligandolo a sedersi di nuovo. Alice lo guardò male “Non essere sciocco la cena e quasi pronta e ci ho messo tutto il giorno per prepararla” Poi guardò me e disse “Beh fatti abbracciare scema!” Mi strinse forte poi aggiunse senza farsi sentire da nessuno “Avresti dovuto dirlo prima a Edward però!” Non replicai.

Mi abbracciarono tutti per congratularsi, poi passarono a Edward che si limitò a sorridere in modo cortese, lo conoscevo da troppo tempo e sapevo quando sorrideva realmente. Mi sentivo davvero male a guardarlo e pregai che la serata finisse presto per parlare con lui.

Durante la cena non toccò cibo, si limitava a tenere la testa bassa e a rispondere solo se interpellato, cercai la sua mano sotto il grande tavolo da pranzo e la strinsi forte. Mi guardò ed io strinsi di più la sua mano, volevo che capisse che ero dispiaciuta e che ero stata una stupida, ci guardammo intensamente fino a quando una lacrima rigò il mio viso “Andiamo via “ disse improvvisamente.

Nessuno si lamentò del fatto che stessimo andando via così all’improvviso e stranamente neanche Alice fece storie. Ci salutò dicendomi che sarebbe venuta a trovarmi il giorno dopo, sarebbe venuta a sgridarmi ne ero convinta. Emmet e Rosalie sarebbero rimasti altri due giorni in città per questo ci dissero che ci sarebbero venuti a trovare sicuramente prima di partire.




 

******************




“Mi dispiace”  dissi appena Edward si chiuse alle spalle la porta di casa di Alice. “Non so perché non te l’ho detto prima …” Continuai cercando nuovamente le sue mani “Perché diavolo mi hai tenuto nascosto una cosa del genere? “ Mi accusò accogliendo comunque la mia mano nella sua e trascinandomi verso la macchina “Non lo so, avevo paura di come avresti reagito” Mi guardò sconvolto, come se avessi detto la cosa più stupida che l’uomo potesse pensare “Sali in macchina” Fu l’unica cosa che mi disse.

Non disse più una parola, io lo guardavo mentre guidava con lo sguardo fisso sulla strada. “Mi dispiace” Pronunciai quelle parole per la ventesima volta, stanca del suo silenzio “Stiamo insieme da quasi cinque anni e tu hai ancora paura delle mie reazioni Isabella?”disse senza togliere gli occhi dalla strada “Mi spieghi quale pensavi sarebbe stata la mia reazione, credevi che ti avrei mollato per strada, per caso?”
“Non lo so, era solo che non me la sentivo di comunicarti una notizia così enorme proprio ora che sei così entusiasta del tuo lavoro e…”

Si passò una mano fra i capelli stringendoli forte “Che cosa centra ora il mio lavoro?”Alzò la voce di qualche tono. Perché non mi capiva? Volevo solo aspettare prima di comunicargli una notizia così grande “Non avevo il coraggio di darti una notizia che ti avrebbe sconvolto questo periodo così importante della tua vita”
Edward rise “Ti rendi conto che l’unica persona sconvolta sei tu Bella? Ametto di essere sorpreso, è una cosa grande lo so. Ma non per questo mi suiciderò, il mio lavoro non centra nulla”disse ormai sotto casa nostra “Non hai voluto dirmelo perché dirlo ad alta voce avrebbe reso la cosa reale” piansi alle sue parole perché mi resi conto che aveva regione, ero io l'unico problema, io avevo paura di questa nuova situazione.

Salimmo in casa, Edward mi teneva stretta a sé mentre non riuscivo a smettere di piangere. “Andrà tutto bene” Sussurrò al mio orecchio entrando in casa, ero così fortunata ad averlo al mio fianco. Annuii “lo so - Risposi - Ora che lo sai, sono sicura che andrà tutto bene” Mi strinse forte a sé “Giurami che non mi terrai nascosto più niente” Mormorò “Lo giuro amore mio, lo giuro” dissi senza esitare.

 

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Capitolo 6
*** 6Capitolo ***





Capitolo 6






 

Libera, ecco come mi sentivo.

Perché non avevo detto tutto prima? Edward ed io avevamo parlato tutta la notte della mia gravidanza, naturalmente avremmo tenuto il bambino e affrontato la cosa insieme. Un senso di leggerezza m’invase mente e corpo, fino a quando il suono del campanello non mi riportò con i piedi per terra. Guardai l’orologio del comodino che segnava le otto e venti del mattino. Edward era uscito prestissimo quella mattina, malgrado avesse dormito sì o no un paio d’ore, io non mi sarei mai voluta alzare perché sapevo chi fosse alla porta. Scesi dal letto con calma e mi diressi verso il bagno, dove mi lavai i denti, mentre il campanello continuava a suonare impazientemente.

Sorrisi immaginando Alice dietro la porta che aspettava di essere aperta. Decisi di andare ad aprirla “Alice ma lo sai che ore sono?” Le dissi appena la vidi, non rispose, mi scansò e si sedette sul divano del salotto “Hai idea di quanto tempo ho aspettato prima che tu mi aprissi?” Urlò con finta aria arrabbiata “Dormivo” risposi.

“Ma sapevi, o sbaglio, che sarei venuta?”

Alzai le spalle “Sì, ma ti aspettavo in un orario decente!” Risposi stanca, sorrise “Tu vieni in casa mia, dici a tutti che sei incinta, poi scappi e pretendi che io venga da te dopo le dieci?” Disse ridendo. Mi sedetti accanto a lei sul divano “Già…comunque è tutto apposto, Edward ed io abbiamo chiarito tutto” La informai appoggiando la testa sulla spalliera del divano. Mi guardò con aria esasperata “Non esagerare con i dettagli Bella!” Alzai gli occhi al cielo “Che cosa vuoi sapere di preciso Alice Cullen?”

“Di quanto sei incinta?” Domandò seria.

“Non lo so sinceramente.” Risposi pensierosa. Non avevo fatto una visita specializzata, mi ero solo affidata a dei semplici test.

“Come fai a sapere che sei incinta? Hai fatto un test?” Chiese curiosa, sorrisi “Avevo un ritardo di venti giorni così ho fatto ben quattro test, tutti positivi!”mi guardò sbalordita.

“Questo risale a quando?” Ci pensai qualche momento. “La settimana scorsa” Risposi, rimase in silenzio per qualche minuto poi disse “Perché hai aspettato una settimana per dirlo a Edward?”
Mi morli il labbro inferiore “Perché dirlo ad alta voce lo avrebbe reso reale”Risposi ripensando alle parole che mi aveva detto la sera prima Edward.
“Hai paura?”Domandò guardandomi, non sembrava neanche una domanda “Non immagini neanche”Risposi sincera.

L’angoscia che mi aveva accompagnata per tutti quei giorni ritornò come un onda improvvisa “Andrà tutto bene, tu ed Edward siete una coppia affiatata. Sono sicura che saprete affrontare la cosa.”Mi rassicurò stringendo le mie mani fra le sue, le sorrisi nel modo più convincente che potessi. “ Lo so, è solo che ho paura” Confessai aggiustandomi una ciocca di capelli ribelle dietro l'orecchio “Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere …”

Passammo tutta la mattinata insieme, mi faceva piacere passare del tempo con lei perché era un tipo allegro e spensierato. Mi parlò del praticantato che avrebbe fatto presso una casa di moda a Parigi durante l’estate e del suo rapporto con Jasper, fino a quando non si fece l’ora di pranzo.
“Pranziamo insieme?” Chiese con tono speransoso.

“Certo, però devo fare una doccia prima!” Dissi alzandomi dal divano.

“Ok!sbrigati però.” Rispose.

M’infilai sotto la doccia a subito mi tornò il buon umore, l’acqua mi faceva sempre quest’effetto. Indossai un jeans chiaro, una maglia bianca e delle ballerine blu. Mi guardai allo specchio e decisi di truccarmi un po’ vista la faccia pallida che mi trovavo, decisi anche di legarmi i capelli. A un certo punto sentii il cellulare squillare in cucina “Bella, credo ti sia arrivato un messaggio!” Urlò Alice dal salotto.
“Lo so,arrivo.”Dissi camminando verso la cucina.”Sei pronta?” Domandò guardandomi. “Si, prendo il cellulare e andiamo.” Risposi.

Il cellulare conteneva un messaggio di Angela:

“Brava!!! Ho incontrato Edward e mi ha detto che gli hai rivelato tutto. Ero sicura che l’avresti fatto! Ti voglio bene. A. ”

 

**** *** ****

 

“Dobbiamo dirlo a nostri genitori” Disse Edward accarezzandomi i capelli. Mi strinsi più forte al suo petto, respirando IL suo profumo familiare.

“Lo so …” Fu l’unica cosa che riuscii a dire. Sapevo che avremmo dovuto dirlo alle nostre famiglie, io avrei deluso i miei genitori e Edward i suoi.

Mio padre non voleva che andassi a vivere con Edward perché non gli era mai andato a genio sin dai tempi del liceo, lo considerava un ragazzo poco serio rispetto a Jacob Black, figlio del suo migliore amico, che senza giri di parole mi faceva la corte dal mio primo giorno a Forks. Jacob aveva la mia stessa età e ora frequentava la facoltà di veterinaria di Forks, da bambini giocavamo insieme ma poi dopo il divorzio dei miei ho quasi smesso di andare a Forks, perdendo i suoi contatti. Quando ritornaii a stare da mio padre e l’ho rividi non lo riconoscetti immediatamente, perché era cambiato tantissimo: era altissimo, con la pelle bronzea e i capelli scuri corti, l’unica cosa che non era cambiata era il suo sorriso luminoso.

Edward continuava a stringermi forte e ad accarezzarmi i capelli lì nel nostro letto, mi scostai da lui per guardare l’orologio che segnava le tre del mattino.

“Domani non dovevi alzarti presto? Sono le tre, dovresti dormire” Lo informai tornando tra le sue braccia.

“Tuo padre mi ucciderà” disse Edward pensieroso. Non aveva neanche ascoltato quello che avevo detto.

“Non gli sei molto simpatico”risposi sorridendo, mi guardo e alzò gli occhi al cielo “Tuo padre mi odia, me l’ha detto apertamente quando gli
abbiamo detto che volevamo andare a vivere a New York insieme!”

Ridemmo entrambi per questa strana situazione nella quale c’eravamo cacciati, fino a quando un dubbio s’insinuò nella mia mente facendomi alzare di scatto dal letto.

“Che cosa diranno invece i tuoi genitori?” Sbottai spaventata. Edward si coprì il volto con la coperta.”Mmmmm non lo so …” Mormorò, gli tirai la coperta scoprendo il suo bellissimo viso “Edward …” Lo implorai.

“Non lo so!” Ripeté convinto mentre si alzava mettendosi nella mia stessa posizione “Almeno tu a loro piaci” aggiunse sorridendo.

Tornai a sdraiarmi stringendomi le ginocchia al petto per qualche minuto, fino a quando le braccia di Edward mi accolsero costringendomi a sedere sulle sue gambe. Cercai di appoggiare la testa sul suo petto ma Edward prese il mio viso fra le mani. “Stammi a sentire Bella, non mi interessa minimamente di quello che penseranno Charlie, mio padre o chiunque altro su questa terra! Perche io ti amo, capito?” Disse serio. Non aspettò una mia risposta e continuò “Non capisco tutta questa paura, non abbiamo quindici anni, siamo adulti e ti avrei sposata comunque incinta o no. ” sbottò. Spalancai gli occhi, avevo forse capito male?

“Che cosa hai detto?” Mormorai con voce impastata dallo stupore, Edward mi guardò perplesso “Appena sistemiamo tutto ci sposiamo, avrei voluto farti una proposta ufficiale ma mi è scappato” Confessò passandosi una mano fra i capelli. Gli gettai le braccia al collo, cercando di non piangere ma naturalmente non ci riuscii.

“Ricominci a piangere Isabella?” chiese esasperato.
Sorrisi continuando a tenerlo stretto a me “Anche io ti amo e si voglio sposarti, non ho bisogno di dichiarazioni ufficiali se sei tu a farmele.” Gli sussurrai all’orecchio, lui aumentò la stretta e mi bacio il collo.

Fine flashback

 




Un sorriso spuntò dalle labbra ripensando alla notte precedente.
“Perché sorridi?”chiese Alice incuriosita.

“Niente,scusami! Stavi dicendo?”le domandai, visto che non avevo ascoltato niente di quello che aveva detto.
“Non hai toccato cibo” Mormorò guardando il mio piatto ancora pieno.

“E’ da quando ho scoperto di essere incinta che mangio pochissimo … ho perso l’appetito” Risposi giocherellando con la mia forchetta. “Non
hai nessun tipo di voglia?” chiese apprensiva la mia amica, ci pensai qualche minuto.

“Devi farti visitare da un medico”continuò ancora, senza aspettare una risposta alla domanda precedente. “Si lo so, abbiamo preso appuntamento per domattina” risposi sicura.

Alice sorrise “Sto per diventare zia che bello!” Cantò emozionata, alzai gli occhi al cielo ”Sei già zia Alice” risposi divertita. Alice rise di gusto, tanto che le persone sedute a tavoli vicino al nostro si girarono a guardarci “E’ vero! Ma l’idea di Edward padre mi esalta.”

Le sorrisi. Edward sarebbe stato un ottimo padre ne ero sicura “Cioccolato” Dissi improvvisamente, Alice mi guardo perplessa “Cosa?” chiese.
“Mi hai chiesto che voglia avessi, mi va del cioccolato!” le risposi, sperando di rimanere per sempre felice come lo ero in quel momento.

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Capitolo 7
*** 7Capitolo ***



 

Capotolo 7




 


La vita ti offre sempre due strade: una facile da intraprendere e l’ altra difficile. La maggior parte delle persone, forse quelle codarde o intelligenti dipende dai punti di vista tende a scegliere la seconda.
I pochi che scelgono di affrontare le difficoltà sono proprio quelli che sanno vivere davvero, perche più la vita è difficile, più è sicuro che al traguardo ad aspettarti ci sia qualcosa di meraviglioso.

Isabella, lei era il mio traguardo meraviglioso ormai da tempo.

FLASHBACK

“Mio padre non mi darà mai il permesso di venire con te!” disse Bella stringendosi al mio braccio.
“Ci parlerò io e in un modo o nell’altro lo convincerò” risposi sicuro.
La guardai in quei suoi occhi color cioccolato “Portami con te”sussurrò con voce tremante.
“Promesso” risposi abbracciandola per essere più convincente.
Avevo cercato in tutti i modi di non arrivare a questa situazione ma la facoltà di medicina non faceva per me.
Ne avevo già parlato con i mie genitori che titubanti avevano accettato, ma non sarei partito senza Bella.
Avrei convinto suo padre.

FINE FLASHBACK








Corsi freneticamente verso l’albergo dove dovevo incontrarmi con Jasper.
Ero in ritardo come al solito.

Le porte automatiche si aprirono mostrandomi una hall molto elegante e raffinata. Il bianco era il colore predominante, con sfumature di oro sulle pareti.

Mi guardai intorno decidendo poi di chiedere informazione alla vecchia donna che si trovava alla reception quando una voce familiare mi arrivò alle orecchie “Edward!”
Mi voltai, trovando Jasper imbronciato “Che fine hai fatto?è quasi un ora che ti aspettiamo!”
Mi passai una mano fra i capelli “Sono già arrivati gli altri?” chiesi agitato.
Jasper alzò gli occhi al cielo “Certo, siamo qui da quasi un ora ho detto!”

Alzai le spalle, ero rimasto a guardare Bella dormire per non so quanto tempo e alla fine non avevo sentito la sveglia “Non siamo più all’università, lo sai? Dovresti imparare a rispettare gli appuntamenti!” mi sgridò il mio amico.
Sbadigliai “Non facciamoli aspettare allora”
Jasper mi lanciò un occhiataccia “Non capisco come tu faccia a prendere tutto alla leggera!” Sorrisi “Hai davvero un bel vestito stamattina lo sai?” dissi indicando il completo blu che aveva indossato.
Alzò gli occhi al cielo “Non sono tua sorella, risparmiati le ruffianate!” Mormorò avviandosi e lasciandomi indietro.

Risi. A volte Jasper sapeva essere molto divertente, vederlo arrabbiato era uno spasso. Lo avevo conosciuto all’università ed eravamo diventati subito amici, era una persona riservata al contrario di Alice ma ero molto felice di averli fatti incontrare e innamorare. Non avrei mai affidato la mia sorellina se non a lui.





 

**********************




Attraversammo un lungo corridoio fino a quando non arrivammo dinnanzi ad una porta dove si sentivano delle persone conversare.
Jasper bussò “Avanti!” riconobbi la voce di Caius.
Una volta entrati mi trovai davanti, seduto ad una lunga scrivania un uomo che parlava con il mio capo.
“Edward finalmente!” disse porgendomi la mano.
“Scusate il ritardo …” Sussurrai imbarazzato.
Lo sconosciuto si voltò: aveva gli occhi e i capelli castani e indossava un completo elegantissimo. Un pezzo grosso pensai.
“Accomodatevi – disse Caius indicandoci le poltrone – Edward voglio presentarti Harrison Norton!”continuò indicandomi l’uomo al suo fianco.
“Piacere” disse e io ricambiai.

Passammo quasi tre ore a parlare del suo caso. Harrison Norton era un famoso, almeno per Jasper e Caius perché io non lo avevo mai sentito, bancario accusato di frode, evasione e altre cose poco carine riguardanti il fisco. Lui naturalmente sosteneva che ci fosse un complotto contro la sua persona.
Jasper si intromise “Non riesco a capire cosa centriamo io ed Edward.” Chiese.
“Harry si è rivolto al mio studio e vi vorrebbe come legali.” Rispose Caius.
Sbarrai gli occhi. Come era possibile che un uomo così importante volesse come avvocati due novellini come me e Jasper?
“E perché proprio noi due?” domandai ancora
“Beh diciamo che Harrison è convinto che tutti gli avvocati siano corrotti, soprattutto quelli di New York” rispose ridendo.
Il bancario appoggio la testa allo schienale dalla poltrona e rise anche lui “Non è proprio così, ma posso dire che non mi fido facilmente delle persone e credo che gli avvocati giovani siano più affidabili e leali.”

Annuii.

Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, forse volevano farci riflettere sulla proposta di accettare o meno il caso.

“Scusate ma tra un po’ devo prendere un aereo – disse alzandosi improvvisamente e guardando il suo orologio – Spero che accettiate la mia richiesta, sembrate dei ragazzi in gamba.” Continuò stringendoci le mani.

Non risposi, c’era qualcosa che non mi piaceva in quell’uomo.

Una volta uscito Caius si alzò dirigendosi verso la grande vetrata della stanza “Se io fossi in voi accetterei il caso, quell’ uomo è un tipo orgoglioso e per tenere la sua fedina pulita farebbe di tutto! Sarebbe un buon modo per guadagnare un po’ di soldi, perché vi assicuro che quello che guadagnate adesso sono spiccioli al confronto.”

Ci avrei riflettuto.




 

DUE SETTIMANE DOPO




Guardai il sole sorgere attraverso la piccola finestra dell’aereo.
Bella come al solito dormiva fra le mie braccia. Avremmo passato il fine settimana a Forks, per dare a tutti la notizia della sua gravidanza, visto che avevamo scoperto che era incinta di quasi tre mesi.
Non vedevo suo padre dal giorno in cui gli parlai del nostro trasferimento.





FLASHCBACK



“Charlie, devo parlarti.” Dissi richiamando la sua attenzione.
Lo avevo invitato a pranzo per parlargli di Bella, che era stata temporaneamente rapita da Alice.
Ci trovavamo sulla terrazza che affacciava al giardino, lontani da tutti pensai, sarebbe stato l’occasione perfetta.
“Dimmi” rispose avvicinandosi.
“Sono stato ammesso alla Columbia e inizierò a frequentarla a partire dal prossimo novembre” iniziai.
Sbarrò gli occhi “Davvero? … Beh sono molto felice per te! – disse cercando di trattenere un sorriso – Sono sicuro che un po’ di lontananza rafforzerà il tuo rapporto con mia figlia” concluse poi dandomi una pacca sulla spalla ormai sorridendo.

Idiota, pensai. Come aveva potuto anche solo immaginare che avrei lasciato Bella qui e me ne sarei andato.
Gli sorrisi “Isabella viene con me!”mormorai convinto.
Fece un passo indietro stingendo i pugni “Cosa? - chiese – E’ fuori discussione!”
Scossi il capo “Bella ha deciso di venire con me e tu non puoi obbligarla a rimanere.”dissi, ma poi mene ne penti immediatamente.
“Sono suo padre e posso decidere quello che voglio!” sputò ormai arrabbiato.
Feci un respiro profondo “Ascolta, vedila in questo modo. Bella sta per diplomarsi e vuole fare la giornalista, tu sai quanto è brava non preferiresti che frequentasse una scuola come si deve? … e poi mio padre a molte conoscenze lì e posso assicurarti che lavorerebbe appena laureata, se non prima addirittura! – non rispose, lo stavo convincendo. Fare l’avvocato sarebbe stato il mio mestiere. – Non vedere il fatto che viene con me, pensa a lei e basta. E' un ottima occasione per lei”dissi in fine.
“E’ minorenne…” affermo credendo forse di aver trovato l’appiglio adatto.
“So quanti anni ha … ma pensaci, sarebbe un ott…” dei passi incerti mi fecero voltare.

Trovai Bella che ci fissava appoggiata alla porta “Che succede?” chiese.
Pensai per qualche secondo e decisi di giocarmi l’ultima carta.
Sapevo che l’unico punto debole di Charlie fosse proprio suo figlia alla quale difficilmente riusciva a dire di no.
“Niente … tuo padre ti ha dato il permesso di trasferirti con me a New York! ”risposi.

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Capitolo 8
*** 8Capitolo ***


 

Capitolo 8







 



Dopo un viaggio infinito arrivammo a Forks alle prime luci dell’alba.
Al contrario di Edward ero tornata più spesso a casa a trovare mio padre. Lui invece da quando si era trasferito si limitava alle feste più rilevanti come il Natale. Nessuno sa che la maggior parte delle volte che decideva di tornare a casa era per merito mio, che non senza litigarci gli ricordavo che avesse dei genitori. A mio parere trovava sempre qualche scusa per non tornare, dovevo convincerlo io a mollare quella città caotica e a staccare per qualche giorno.

“Questa città mi sorprende sempre, guarda piove!” disse Edward sarcastico.
“Anche a New York piove.” Risposi alzando gli occhi al cielo. Sarebbe stato sicuramente isoportabile questi giorni.
“A New York non piove trecentosessantacinque giorni l’anno.” ribatté sicuro prendendo entrambi i nostri bagagli.

Saremmo rimasti solo fino a domani, tempo che secondo Edward sarebbe bastato per rivelare il nostro improvviso ritorno nella nostra vecchia città. Mio padre era stato molto felice di sapere che sarei venuta a trovarlo, molto meno quando ho accennato a Edward.
“Comportati bene con mio padre” sbottai improvvisamente intrecciando la mia mano alla sua mentre ci stavamo dirigendo verso l’uscita. Un taxi ci stava attendendo al di fuori dell’aeroporto.
“Io sono sempre gentile ed educato con tuo padre è lui che mi provoca” rispose passandosi una mano fra i capelli spettinati.
“Tu promettilo.”insistetti.
“Non è a me che devi dire queste cose, ma a lui!”mormoro distaccato.
“Edward” incalzai attaccandomi a lui con entrambe le braccia e cercando di sembrare più supplichevole possibile.
“ok, ok promesso!” disse scocciato.



 

*******



Come stabilito un taxi venne a prenderci e ora ci avrebbe portati ognuno nelle nostre rispettive abitazioni.
Aveva già smesso di piovere, il bello di questa città erano proprio i cambiamenti climatici improvvisi. Il cielo era ancora nuvoloso ma tra le nuvole riuscivo a cogliere il sole che cercava di uscire.

“Spiegami perché vuoi andare a stare a casa tua” mormorò il mio ragazzo improvvisamente.
“Perché voglio stare un po’ con lui prima di comunicargli una notizia così importante - risposi baciandogli una guancia – sarà solo per questa notte”
“Ed io che faccio?” sbuffò fra i miei capelli.
“Stai con i tuoi genitori! Non li vedi da quasi un anno!” risposi ovvia.
“Ho portato con me dell’lavoro da finire” sussurrò pensieroso.
“Accetterai il caso del bancario?” chiesi curiosa, ma il taxista ci informo che eravamo arrivati.

Guardai fuori dal finestrino e ammirai nuovamente la mia dolce casetta, era sempre emozionante per me ritornarci perché suscitava in me ricordi piacevoli ed emozionanti legati molto spesso a Edward.
Scesi impaziente dal taxi, seguita poi da Edward che si diresse verso il porta bagagli.
“Bells, tesoro!”la voce più familiare che conoscessi mi arrivò alle orecchie. Vedere mio padre sull’uscio di casa dopo mesi di sole telefonate mi fece venire da piangere, gli corsi incontro impaziente di stringerlo forte.
“Ciao”dissi ormai fra le sue braccia.
“Come stai? Sei pallidissima,qualcosa non va?”disse dopo avermi fissata attentamente.
“Sto benissimo papà! - risposi in fretta, non ero mai stata in grado di mentire allora optai per cambiare discorso – Sei tu quello troppo magro, guardati.”
Naturalmente non ero riuscita a nascondere nulla, sebbene gli stessi sorridendo nel modo più convincente possibile, lui continuava a fissarmi cercando di cogliere chissà cosa.
“Buon giorno Charlie.” Mio padre si volto nella direzione di Edward che si stava avvicinando con la mia valigia. Come al solito mi aveva salvato da una situazione imbarazzante.
“Buon giorno - rispose educato, un po’ troppo educato pensai, quasi finto. Almeno si erano salutati e questo mi bastava – E’ di Bella quella?” domandò, indicando la mia valigia.
“Si” rispose passandogliela.
Charlie la prese, poi si guardò intorno “Allora ti aspetto dentro Bells …” mormorò voltandosi e avviandosi verso casa.

“Grazie”dissi avvinghiandomi a Edward.
“Ti avevo detto che mi sarei comportato bene ed io mantengo sempre le promesse!”chi è che mantiene sempre le promesse?alzai gli occhi al cielo scioccata.
“E va bene non sempre ma quando mi ci metto sono brav…” non lo lasciai finire che mi appropriai delle sue labbra e lo strinsi più forte che potevo.
“Ti amo” miagolò sulle mie labbra.
Il bacio si fece più intenso, con una mano mi teneva ferma la schiena come se avesse paura che scappassi e con l’altra mi teneva il viso. Sentivo il corpo andare a fuoco, come era possibile che dopo tutto questo tempo mi faceva ancora quest’effetto?
Improvvisamente s’ irrigidì “Sarà meglio che vada se vuoi che continui a fare il bravo” sussurrò sorridendo.
Sbuffai “Vieni questa sera?”ci pensò qualche secondo.
“Certo, a stasera”posò un altro dolce bacio sulle mie labbra, troppo breve per i miei gusti e andò via. Lo guardai allontanarsi e come immaginavo una volta arrivato al taxi si volto e mi sorrise, un sorriso che rivolgeva solo a me. Il mio sorriso.



Dopo essere entrata in casa e aver nuovamente abbracciato mio padre decisi di fare una doccia. Mi misi comoda indossando una tuta poiché non sarei uscita sicuramente da casa e mi diressi nel soggiorno.

“Non sono più abituato ad averti in casa” disse Charlie uscendo dalla cucina, alzai gli occhi al cielo “Papà ci siamo visti all’inizio dell’estate!”
“Si, lo so. Ma da quando ti sei trasferita è raro che tu decida di dormire in questa casa” disse con voce malinconica, non avevo mai pensato che gli facesse così piacere avermi a casa.
“Allora prometto che verrò a trovarti più spesso…” risposi.

L’intera mattinata la passammo a chiacchierare, placidamente sul divano, di tutto.
Mio padre era sempre stato un tipo loquace in certi aspetti, ma quando voleva qualcosa sapeva sempre come chiederla. Iniziò a domandarmi di Edward e del suo nuovo lavoro e in modo indiretto voleva sapere come si comportasse con me. Gli raccontati tutto quello che voleva sapere eliminando naturalmente litigi e cose varie, poi passammo a parlare delle novità che c’erano state in città fino a quando il sonno prese il sopravvento costringendomi ad andare nella mia vecchia stanza.



 

*********


Il suono del mio cellulare mi svegliò bruscamente facendo sobbalzare.
“Pronto?”dissi con la voce impastata dal sonno, senza guardare nemmeno chi fosse.
“Non dirmi che stavi dormendo, ti prego!” la voce di una donna mi arrivo alle orecchie, ma chi era? Mi raddrizzai cercando di capire chi fosse.
“Chi parla?”chiesi.
“Tesoro sono Esme” rispose dolce.
Come avevo fatto a non riconoscerla!?
“Ciao … Esme … scusami, come stai?” balbettai.
“Molto bene, grazie. Tu invece?” non sentivo da tempo la voce melodiosa della madre di Edward, era sempre stata cosi gentile con me.
“Bene…” mormorai.
“Ti ho telefono per dirti che sono molto felice che siate tornati per il fine settimana non vedevo mio figlio da troppo tempo e poi voglio invitarti a pranzo da noi domani. Ti avrei invitato questa sera ma Edward sta già venendo da te e poi sono sicura che tu voglia stare con tuo padre”
Non capivo come mai lui non riuscisse a capire la fortuna che aveva avuto nell’avere una madre del genere.
“Domani andrà benissimo” risposi.
“Bene, allora a domani tesoro”
“Si a domani” riagganciai e andai a vestirmi.

Edward stava arrivando, ciò voleva dire che mio padre sarebbe venuto a sapere il vero motivo della mia visita.
Scesi di sotto e lo vidi intento a cucinare delle frittelle.
“Papà, sono le sette di sera e tu cucini delle frittelle?” chiesi guardando l’orologio.
“Stamattina sei arrivata prestissimo e non hai fatto colazione e allora ho pensato che ti avrebbe fatto piacere mangiarne un po’” rispose porgendomi un piatto.
“Sta per arrivare Edward” lo avvertii alzando lo sguardo verso di lui.
“Perché?” chiese scocciato. Non riuscivo a capire perché quando si trattava di Edward diventava un'altra persona.
“Perché … vuole passare una serata con noi” mentii.
“Come ti pare…” fu l’ultima cosa che disse.


Rimanemmo in silenzio parecchio tempo,ero riuscita a fargli venire il mal umore solo dicendogli chi sarebbe venuto.
Il campanello suonò ed io corsi ad aprire “Non credo che sia il momento” mormorai ad Edward una volta visto.
“Cosa?”chiese, non capendo a che cosa mi riferissi.
“Mio padre è incazzato nero e se gli diciamo che sono incinta sono sicura che ci uccide!” sussurrai.
Edward rise “Non essere sciocca domani torneremo a New York, quando vuoi dirglielo?” chiese retorico.
Aveva ragione avrei dovuto affrontarlo prima o poi, mi scansai e lo feci entrare.
“Ciao Charlie” mio padre alzò lo sguardo verso la sua direzione
“…Ciao accomodati pure” rispose voltandosi nuovamente verso la tv.
Ci sedemmo entrambi sul divano, i minuti passavano ma mio padre non ci degnava di uno sguardo.
“Io e Bella dobbiamo parlarti”sbottò improvvisamente il mio ragazzo, lo guardai scioccata avrebbe potuto farmi un segnale prima di iniziare.
Mio padre mi guardò “Di cosa dovete parlarmi?”
“Io e Bella aspettiamo un bambino” Spiegò come se stesse parlando del tempo, il tatto non era mai stato un suo pregio.
Mille emozioni riuscii a cogliere sul viso di mio padre che ormai si era voltato completamente nella mia direzione. “E’ vero?” mi chiese.
“Perché dov…”iniziò Edward
“Sto parlando con mia figlia non intrometterti” lo ammonì mio padre.
“Bells è vero?” chiese ancora.
Mimai un si con la testa “Si papà è vero.”
“E perché non me lo hai detto stamattina?” chiese ancora pacato.
“Perch…”
“CHIUDI QUELLA CAZZO DÌ BOCCA! - urlò mio padre a Edward facendomi sobbalzare – sto parlando con lei non con te!”
“Papà ..”dissi vedendo che si alzava.
“No è colpa mia, sono stato io che ti ho permesso di frequentare questo idiota” disse agitando le mani in aria.
Edward strinse i pugni “Non lascerò che continui a insultarmi” mi disse.
“Hai ragione, scusami! L’idiota sono io che ho affidato mia figlia ad un drogato!”
Spalancai gli occhi, perché mio padre insisteva con quella storia?
Quando aveva sedici anni Edward ed Emett furono arrestati da mio padre perche travati in possesso di erba, stiamo parlando di una cosa successa anni fa.
“Non esagerare, la mia pazienza non è infinita!” sputò Edward alzandosi. Lo presi per mano e lo tirai cercando di farlo sedere di nuovo, ma era troppo forte per me cosi decisi di alzarmi anche io.
Mio padre rise “Che vuoi fare prendermi a pugni?”chiese sarcastico
“Lo avrei già fatto da anni sa non fosse per tua figlia” rispose.
“Ragazzi state esagerando” dissi cercando di calmarli, ma naturalmente fui ignorata.
“Sai non sono mai riuscito a capire come mai dopo la storia dell’arresto tuo padre abbia deciso di mandare solo tuo fratello alla scuola militare. Tuo padre è un uomo intelligente ma è sempre stato convinto che Emett avesse una cattiva influenza su di te. Ma in realtà sei tu quello marcio!”
Edward si portò una mano alla faccia “Lo hai sentito?” chiese esasperato.
“Perché non hai voluto ascoltarmi quando ti parlavo di Jake? Lui è un bravo ragazzo” mi chiese mio padre serio.
Ma era impazzito?
Non riuscivo a dire niente, ero completamente scioccata.
“Perché metti in mezzo quel coglione adesso?” chiese Edward, non lo vedevo così arrabbiato da tempo.
“Coglione? Almeno lui è riuscito a trovarsi un lavoro senza le raccomandazioni del padre!”
Edward si scagliò contro mio padre prendendolo per la camicia. Cercai di dividerli mettendomi fra loro.

“ORA BASTA! - urlai ormai in lacrime – ti prego” dissi voltandomi nella direzione di Edward, che lasciò andare mio padre.
“Non pensare a me pensa a Isabella - disse mio padre cercando di imitare la voce di Edward – Non è così che mi dicesti? Lo hai fatto solo perché qui non riuscivi a portartela a letto! Ecco perché lo hai fatto!”
Edward rise portandosi una mano fra i capelli “Se vuoi saperlo mi portavo a letto tua figlia già ai tempi del liceo” mi voltai nuovamente nella sua direzione e delusa gli tirai uno schiaffo.
“Fuori di qui!” dissi delusa.
“Non volevo, scu…” cercò di dire.
“FUORI!”urlai piangendo. Edward mi guardò per qualche secondo ancora, prima di voltarsi e sbattere la porta.
Mio padre mi mise una mano sulla spalla “Bells quel ragaz…”
Mi scostai da lui “VAFFANCULO!” gli urlai e corsi in camera mia.

Ero davvero esausta per quella situazione che andava ormai avanti da troppo tempo, ero esausta perché non riuscivo mai ad essere felice per lungo tempo. Piansi, piansi tutte le lacrime che avevo e mi addormentai.













NON RIESCO A CAPIRE SE LA STORIA VI INTERESSA, VOLETE CHE CONTINUI?
LASCIATE UN COMMENTO, ANCHE PICCOLO!

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Capitolo 9
*** 9Capitolo ***


Voglio dedicare questo capitolo alle 14 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, vi ringrazio immensamente! = D

BUON ANNO!

 




Capitolo 9








 


Cielo azzurro e un paesaggio magnifico mi si parano davanti, davanti a me un fiume. Decido, affascinata dal paesaggio di avvicinarmi. Petali bianchi circondano la riva del fiume, una tranquillità assoluta m’invade mente e corpo.

Dove sono?

Porto lo sguardo verso il sole luminoso che improvvisamente diventa scuro. Mi guardo intorno terrorizzata e in cerca di protezione, ma è tutto scuro e non vedo niente. Migliaia di persone mi urlano contro non riesco più a capire dove sono, sento le urla ma non riesco a vedere nessuno. Spaventata non riesco più a reggere il peso di quelle urla, mi getto nel fiume dinnanzi a me dove il quale non riesco più a risalire.


 


 


Il suono stridulo del mio cellulare mi sveglia per la seconda volta.

Mi guardo in torno, mi porto una mano al viso per convincermi che quello di prima era solo un incubo e riporto la testa sul cuscino.

Il cellulare continua a squillare sul comodino, non rispondo perche tanto so già chi è!

Decido di alzarmi per andare in bagno a sciacquarmi il viso. La casa è completamente buia, deve essere tardi penso.


Vado in bagno, mi guardo allo specchio: ho il viso pallido e gli occhi gonfi per le lacrime versate per quei due … imbecilli. Mi passo dell’acqua fresca sul viso per diminuire il rossore.

Ritorno in camera dove quel cellulare non ha smesso di squillare, lo prendo e il nome di Edward appare sullo schermo, rifiuto la chiamata.
Ritorno nel mio letto e cerco di riprendere il sonno sperando di non rifare quella specie d’incubo, in questo momento non mi va per niente di parlare né con lui né con nessuno.
Guardo l’orologio che segna le due di notte e decido di spegnere il cellulare per non essere più disturbata da lui, allungo la mano verso il cellulare sto per spegnerlo quando però arriva un messaggio, svogliatamente lo leggo:

“Affacciati alla finestra.”

Era realmente sotto casa? Beh sarebbe stato da lui fare una cosa del genere …
Ma poteva scordarselo non gli avrei dato la possibilità di girare la frittata a suo favore. Era sempre così con lui cercava di avere ragione anche quando aveva torto, ma non questa volta. Un altro messaggio arrivò velocemente:


“So che sei sveglia, affacciati!”

Prepotente.
Dopo tutto quello che aveva combinato non si degnava neanche di chiedermi scusa. Decisi allora di rispondergli:

“Potresti dire mi dispiace qualche volta…”

Oltre ad essere prepotente era anche un tipo molto anzi troppo orgoglioso. La risposta non tardò ad arrivare:

“Non ho intenzione di farlo per telefono, affacciati, ti prego. Dammi la possibilità di farmi perdonare, ti chiedo solo pochi minuti.”

Guadai verso la finestra ormai convinta, perché ero così debole?
Mi alzai e la aprii.
Edward in tutta la sua bellezza si trovava sotto di essa “Mi dispiace” sussurrò “Non volevo dire quella cosa a tuo padre, credimi”
Abbassai lo sguardo, riuscivo a vedere la luna riflessa nei suoi occhi.
“Mi dispiace ” disse ancora.
“Non credere di aver risolto le cose ritornando qui, sono molto delusa da te. Se non fosse stata per quella stupida frase che hai detto, ora sarei completamente dalla tua parte” dissi sussurrando, l’unica cosa che ci voleva in quel momento era che mio padre si svegliasse.
Aggrottò la fronte “Perché ora da che parte stai?”
Scossi il capo “Da nessuna delle due e poi non ci dovrebbero essere delle parti!” Non era e non sarebbe mai dovuta diventare una guerra. Mi sentivo come una bambina che doveva scegliere con chi andare a vivere dopo il divorzio dei genitori. Ci ero già passata e una volta mi era bastata.

“Bella mi hai visto ho cercato in tutti i modi di essere gentile con tuo padre ma lui non fa altro che attaccarmi dalla prima volta che l’ho visto!”disse agitando le mani.
Mio padre non era pazzo, ma nel modo in cui si comportava con Edward certe volte mi faceva ricredere.
“Tu che gli hai fatto?”domandai.
“Nulla, Isabella non vedo tuo padre da quanto? Quattro anni? Non gli ho fatto niente, almeno non volontariamente forse” rispose.
Mio padre mi aveva veramente deluso quel pomeriggio, non l’avevo mai visto così cattivo verso nessuno. Anzi non sapevo neanche lo potesse diventare, era sempre stato così gentile e buono con tutti. Le persone hanno lati che cercano sopprimere e mio padre era uno di queste purtroppo.
Sbuffai irritata.
“non sono stato perdonato vero?” chiese poco convinto.
“No! Sono ancora incazzata con te perché mi avevi fatto una promessa che non hai mantenuto”
Alzò gli occhi al cielo “Scendi, voglio portarti in un posto”sbottò improvvisamente
“Hai sentito quello che ho detto? E poi non dire sciocchezze sono le due del mattino e fa freddo” risposi sicura, ero già triste ci mancava solo un influenza.
“Sapevo che non sarebbe stata facile, per questo avevo un piano B. Non farti pregare, prometto che non te ne pentirai” affermò unendo le mani in segno di preghiera.
“Dove andiamo?” chiesi ormai convinta.
“E’ una sorpresa” rispose regalandomi uno dei sorrisi più belli che avessi mai visto sulle sue labbra.
Aveva vinto lui come al solito.


*****************************


“Dove mi stai portando?” chiesi nuovamente poggiando la testa allo schienale della macchina.
Edward non rispose, si limitò a mettere in moto la macchina.
“Allora?” incalzai.
“Te lo dico se mi dai un bacio” disse sorridendo.
Poteva scordarselo, non saremmo finiti a fare sesso nella macchina di suo padre “Ora che ci penso preferisco scoprirlo da sola”
Rise “Ti amo” mormorò tornando serio.
Perché sapeva essere così dannatamente dolce?
“Io no!” esclamai voltandomi verso il finestrino, non avrebbe vinto … almeno non subito.
Rise ancora “Tu no? Certo”
Non risposi, era ovvio che l’amassi volevo solo che capisse che mi aveva deluso e che si pentisse, ciò ovviamente non era accaduta visto il suo grado di divertimento.


La città era completamente buia ma riuscivo a capire dove ci trovavamo in quel momento, Edward fermò la macchina “Cosa ci facciamo nel parcheggio della nostra vecchia scuola?” domandai stupita.
“Hai deciso di darmi quel bacio?” ribatté scherzoso scendendo dalla macchina.
Sbuffai incrociando le braccia, Edward aprì la portiera “Vieni” disse porgendomi la mano. Accettai la sua mano e lui rise.
“Togliti quel sorriso da ebete dalla faccia, mi da sui nervi” dissi incamminandomi, le sue braccia calde mi cinsero le spalle.
Sentii il suo respiro sul collo, automaticamente mi strinsi a lui per sentirlo ancora più vicino. Iniziò a baciarmi la spalla fino ad arrivare al collo, uno strano brivido mi invase tutto il corpo.
“Me lo dai questo bacio adesso? Sto impazzendo” sussurrò tra i miei capelli.
OH SI SI SI SI Certo che si! Ero arrabbiata con lui ma non potevo resistere alla sua vicinanza. Mi voltai verso di lui, che non aveva smesso di abbracciarmi e difficilmente posai un leggerissimo bacio a stampo sulle sue labbra morbide “Fattelo bastare - dissi creando distanza tra i nostri corpi – portami dove devi portarmi” aggiunsi cercando di trattenere un sorriso. Edward aggrottò le sopracciglia “Vieni” disse con finto tono indignato.


Mi prese per mano e ci dirigemmo verso il retro dell’edificio e ci fermammo davanti a una porta a me familiare.
“Dimmi che non mi hai portato qui per fare una partita di basket” sbottai divertita.
Edward sorrise mettendosi una mano in tasca “Aspetta e vedrai” disse mostrandomi una chiave e infilandola nella serratura della porta della palestra, lo guardai sbigottita.
“Dove hai preso le chiavi della palestra?” alzò le spalle “le ho sempre avute” rispose aprendola.
Rimasi immobile, lui mi guardo”Dai non ci facevo niente di male, facevamo solo qualche tiro di notte e d’estate” sospirò.
“Non me lo avevi mai detto, però” aggiunsi scocciata. Quante cose non sapevo del suo passato?Sapevo che prima del mio arrivo e prima della partenza di Emmet fosse un ragazzo un po’ … vivace. Sapevo che aveva provato qualche droga e che fosse stato arrestato un paio di volte, Alice mi un giorno disse che se non fosse stato per Emmet, Edward prima o poi si sarebbe cacciato seriamente in un grosso guaio. Ma sapevo che quel ragazzo non c’era più ed io per questo evitavo di fare domande che riguardavano il suo passato.
“Non te l’ho detto perché non lo ritenevo importante” disse riportandomi alla realtà.

Entrare di nuovo in quel posto mi fece perdere un battito: troppi ricordi, troppe emozioni … Edward mi strinse la mano e mi sussurrò all’orecchio “Non muoverti” senza parole lo guardai allontanarsi nell’oscurità della palestra, mi guardai attorno e improvvisamente le luci si accesero.
Pochi secondi dopo era di nuovo al mio fianco “Ora voglio che mi dici la prima cosa che ti viene in mente pensando a questa palestra”
Ci pensai qualche secondo “Tu che giochi a basket?” chiesi scettica.
Edward aggrottò le sopracciglia “in un certo senso centra ma non è li che voglio arrivare. Ricordi la partita che facemmo contro il liceo di Port Angeles?”
Annuii “Certo, avete vinto” non capivo dove volesse arrivare.
“Quel giorni oltre alla partita ho vinto anche qualcos’altro”disse prendendo le mie mani e baciandone in dorsi.
Sentivo le lacrime pungere nei miei occhi, ormai avevo capito dove voleva arrivare, sorrise “Qui in questa palestra ci siamo baciati per la prima volta, ricordi?” annuii perché se avessi detto anche una parola sarei sicuramente scoppiata in lacrime.
“Proprio lì in alto” disse indicando il lato opposto della palestra.
L’immagine di noi due mi torno in mente, mi trovavo seduta in alto la partita era finita tutti esultavano Edward esausto e sudato si face spazio fra la folla mi raggiunse e mi baciò. Come avevo fatto a scordarlo?
“Voglio che tu vada su quella gradinata – lo guardai spaesata – vai.” mi diressi con le gambe che mi tremavano armai verso dove mi aveva detto.
Ad ogni passo sentivo le gambe sempre più molli arrivai in cima dove trovai un mazzo di rose rosse, le raccolsi e il cuore mi si fermò completamente: una scatolina di velluto grigio era posizionata sulla panchina.

La fissai per un momento interminabile fino a quando due braccia mi avvolsero “In questo posto è iniziata una fase della nostra relazione e qui voglio che ne inizi una nuova” sussurrò fra i miei capelli.
Edward raccolse la scatolina e l’aprì mostrandomi l’anello più bello che avessi mai visto.
Mi baciò la fronte “Isabella Swan – cominciò e io iniziai a piangere, Edward rise - ho solo detto il tuo nome” disse e mi baciò la fronte. Si schiarì la voce impacciato “Vorrei mettermi in ginocchio ma siamo su una gradinata” scossi il capo “N-n-non fa nien-te” balbettai.
Rise e continuò “Isabella Swan, prometto di amarti e rispettarti per il resto dei miei giorni … vuoi sposarmi?”

Gli gettai le braccia al collo stritolandolo “Si! Si, mille volte si amore mio”
Mi cinse la vita e mi guardò fisso negli occhi“Prometto di impegnarmi nel renderti felice e ogni volta che farò qualcosa di sbagliato sei autorizzata a prendermi a schiaffi, capito?Siamo una famiglia ormai: io ,tu e il bambino” Annuii “Si, una famiglia”
Mi prese il viso fra le mani e mi baciò come non aveva mai fatto.








POV CHARLIE


Mi affacciai alla finestra e vidi Bella che usciva con Edward.
Guardai l’orologio che segnava la dei e trenta della notte, dove andavano a quest’ora?
Portai le mani alla testa perché non capiva? Quel ragazzo non era per lei, non lo avevo mai voluto vicino a lei. Speravo che fosse una cotta passeggera ma poi sono andati a vivere insieme e io debolmente non sono riuscito a dirle di no.
Quel ragazzo non era per lei…

Flashback

Un auto ci passa davanti in una velocità disumana “Charlie ha visto?” disse Matt Cooper mio collega quel giorno, durante il turno di notte. Misi in moto l’auto e partimmo all’inseguimento dell’auto.
Mettemmo le sirene ma l’auto non rallentava fino a quando non decise di fermarsi. “Segna la targa” dissi al mio collega.

Scesi dall’auto e mi diressi verso la Mercedes nera
“Salve capo Swan” disse Emmet Cullen. Lo conoscevo perché suo padre era il primario della città.
“Ciao – dissi accendendo la torcia – stavi correndo lo sai …” chiesi.
“Si lo so è s…” iniziò ma lo fermai quando notai un ragazzo con la testa poggiata al finestrino “Chi è quello?”chiesi fermando la luce sul suo viso.
Emmet s’irrigidì “E’ mio fratello”
“Toglimi quella cazzo di luce dalla faccia idiota!” sbottò il ragazzo voltandosi. Aveva profondo taglio sanguinante sopra l’occhio.

“E’ ubriaco?” chiesi, ma conoscevo già la risposta.
“No, no e solo … stanco” lo difese il fratello.
Scossi la testa “Scendete!” dissi chiamando Matt immediatamente.
“Charlie senti ti prego facci andare a casa o ci metterai nei casini con nostro padre. Lo sto riportando a casa” disse quasi implorando indicando il fratello.
“Mi dispiace ma non posso farlo, scendete.” Se si fosse trattato solo di Emmet lo avrei lasciato andare ma Edward era già stato schedato alla centrale.

Emmet scese Edward no. Matt andò dalla sua parte per farlo scendere lo guardò e disse “Charlie il ragazzo è completamente fatto!”
Mi voltai verso il fratello “Da dove venite?” chiesi.
“Dalla festa dei Newton” rispose abbassando lo sguardo.
“Capo il ragazzo non si regge in piedi e poi sta sanguinando parecchio” mi informo il mio collega che cercava di sorreggere Edward.
“Perché è ferito?” chiesi ancora
“Non lo so era già così quando l’ho trovato. Senti è colpa mia , io l’ho perso di vista e non avrei dovuto …” disse il ragazzo.
Risi “Colpa tua? Tuo fratello non fa altro che combinare guai da quando vi siete trasferiti in questa città. Ci credi se ti dico che non l’ho mai visto sobrio! Quanti anni ha?”
“Diciassette … senti lui fa così perché non ci voleva venire in questa città, non è un cattivo ragazzo,va benissimo a scuola è solo arrabbiato con tutti ma prometto che ne parlerò con i miei genitori e… ”

Un urlo ci fece girare entrambi, Matt il mio collega aveva il viso ricoperto di sangue “Mi ha tirato una testata!” urlò mentre Edward rideva.
Emett sbarrò gli occhi “Cazzo Edward!”
Mi diressi verso il Matt che aveva ormai il naso rotto “Questa te la faccio pagare figlio di papà del cazzo!” urlò ancora. Mi diressi poi verso Edward che continuava a ridere “Si e drogato vero? Cosa ha preso?” Chiesi ma non ricevetti risposta.
Emett ormai era sconvolto “Senti se vuoi tu puoi andare, ma lui no!non posso fingere di non averlo visto in questo stato.”
Scosse il capo “Non posso lasciare mio fratello e comunque i nostri genitori sono fuori città! E quando scopriranno che lo avete arrestato se la prenderanno comunque con me!”


Quella fu una delle tante volte che arrestammo Edward. Dopo che Emmet fu mandato alla scuola militare, visto che si era addossato tutte le colpe, le cose andarono meglio. Edward cambiò amicizie e non lo vidi più fino a quando non iniziò a frequentare Bella.
Perché uno così dovrebbe far parte della vita di mia figlia? Non mi interessava se adesso era cambiato non lo volevo vicino a lei.

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Capitolo 10
*** 10Capitolo ***


 

 

Capitolo 10







 





Lacrime, l’unica cosa che la madre di Edward stava versando ormai da venti minuti erano lacrime.
“Sono così felice che vi sposiate! - disse per la centesima volta abbracciandomi – siete perfetti insieme, un po’ troppo giovani per un bambino ma tanto siete maturi abbastanza” concluse singhiozzando.

Edward alzò gli occhi al cielo “Mamma Emmett aveva la mia età quando ha avuto Jonathan” precisò.
Carlisle rise “Devi ammettere che tu e tuo fratello siete molto diversi però”
“Che vuoi dire?” sbottò Edward.
Lo fulminai con lo sguardo,perché era sempre sulle difensive?
Carlisle alzò le mani in segno di resa “Voglio solo dire che lui è più maturo di te in certi aspetti”
“Riusciremo a cavarcela” risposi intromettendomi.
“Non lo metto in dubbio”rispose cortese.
“Mi credi così incapace?” domandò, ancora, pensieroso.
Carlisle stava per ribattere ma fu bloccato da sua moglie“Ora basta, calma. Pensiamo alle cose importanti, quando avete intensione di sposarvi?” chiese cambiando argomento.

Sarei mai riuscita a reggere il passo di quella strana famiglia?

“Non lo sappiamo ancora … vorrei finire gli studi prima” sussurrai.
“Non è un po’ tardi? Il bambino sarà già nato a quel tempo.”domandò Esme sedendosi accanto a me sul divano dell’loro immenso soggiorno.
Scossi il capo “Non ho intenzione di sposarmi incinta”era ovvio, sarei stata diversa e io quel giorno volevo indossare l’abito che preferivo senza limitazioni per via del pancione.
“Non abbiamo fretta, mamma. E poi ci serve del tempo per trasferirci” disse Edward.
Mi voltai di scatto “Cosa?” non avevamo parlato di un possibile trasferimento.
Alzò le spalle “Non vorrai continuare a vivere in quel appartamento anche con il bambino?” chiese Edward retorico.

Amavo il nostro appartamento, ci aveva accompagnati in una fase della nostra vita. Ogni stanza ci rispecchiava: ogni colore scelto, ogni oggetto, ogni cosa era stata scelta insieme e mi sarebbe mancata.

Ma Edward aveva ragione quell’appartamento era troppo piccolo per un bambino …

“Ci sono molte belle case a New York, farò in modo di farvi aiutare da qualche mio conoscente che lavora lì ” cantò sua madre felice. Edward alzò gli occhi al cielo “Mamma possiamo farcela da soli, non scomodarti” disse ironico. Esme era un architetto e se le avessimo lasciato campo libero sarebbe stata capace di farci costruire una casa.
“Certo, voglio solo che il mio bambino scelga bene” rispose avvicinandosi a lui, stingendolo e baciandogli una guancia.
“Mamma!” protestò Edward arrossendo.
Carlisle rise “Ha ventiquattro anni Esme, ci ha dimostrato di saper badare a se stesso più di una volta. Sono sicuro che saprà scegliersi una casa da solo.”la rassicurò il marito.
Esme sembrò convincersi “Va bene. Tanto ci sarà Isabella con lui – rispose guardandomi – Tesoro tu sei l’unica ragazza che è riuscita a far rigare dritto mio figlio e per questo non smetterò mai di ringraziarti” abbassai lo sguardo imbarazzata.
Edward sbuffò “Dimenticherete mai il passato?”
“Certo, mi scusi avvocato! – esclamò felice – suona così bene, non trovate?” chiese dirigendosi in cucina.
“Non fa altro che ripeterlo” sussurrò Carlisle trattenendo un sorriso.
Lo guardai attentamente, le attenzioni lo imbarazzavano sempre.
Sapeva essere molto egocentrico quando voleva e non era mai stato una persona timida ma ormai sapevo quando era imbarazzato.


Improvvisamente fui colta da un capogiro che mi costrinse ad appoggiarmi a Edward. “C’è qualcosa che non va?” domandò apprensivo.
Cercai di scuotere la testa “E’ solo un capogiro, vado a bere un po’ d’acqua” risposi alzandomi, naturalmente cercò di seguirmi ma gli feci cenno che sarei riuscita ad andare da sola.
Mi diressi verso la cucina dove trovai sua madre intenta a cucinare.
“Bella tesoro, spero che ti piaccia il pollo” disse guardandomi.
Un forte odore mi arrivò alle narici, automaticamente mi portai una mano alla bocca. Esme mi corse incontro guardandomi spaventata “Tesoro, cosa c’è?”
Non riuscivo a parlare, mi girava tutto, mi piegai in avanti cercando di respirare, ma peggiorai la situazione.
Quell’odore era rivoltante “Mi serve un bagno” dissi senza togliermi la mano dalla bocca o le avrei rovinato il pavimento.




 

***************



Mi portai una mano al viso scostando una ciocca ribelle dal viso.
“Mi hai fatto preoccupare” disse Edward guardandomi.
“Guarda avanti, o faremo un incidente” risposi scocciata.
Amavo le sue attenzioni ma certe volte le trovavo esagerate, mi stava riaccompagnando a casa dopo che mi ero sentita male.
“Sei arrabbiata perché mi preoccupo per te?” chiese sarcastico.
“Non capisco perché mi riaccompagni a casa, sto bene adesso” sussurrai.
“Ricordi cosa ci ha detto il medico a New York? Ci ha detto che devi mangiare e riposare. Ma tu naturalmente non fai nessuna delle due.” Disse ormai arrabbiato.
“Non è colpa mia se non riesco a dormire, chi è venuto a prendermi alla tre del mattino ieri?” sbottai.
Alzò gli occhi al cielo “E per il cibo, di chi è la colpa?” domandò ancora.
“Non ho quasi mai fame, vuoi farmene una colpa adesso?” Non capivo come mai mi stesse sgridando “Non sono una bambina” dissi più a me che a lui.
“Ma ti comporti come tale certe volte, potresti sforzarti e mangiare visto che non lo fai solo per te” precisò.

Il mio medico la dottoressa McCartney mi aveva sottolineato che pesare cinquantadue chili e essere incinta di tre mesi suonava ridicolo nella stessa frase. Ma mangiare mi faceva stare spesso male e sotto consiglio di Carlisle avrei da oggi in poi cercato in tutti i modi di mangiare per poi prendere delle vitamine contro la nausea.
Non volevo far del male al mio bambino, istintivamente mi portai una mano alla pancia che ormai riuscivo a notare.
“Lo dici come se lo facessi di proposito e poi tuo padre è già stato esauriente a casa tua, quindi risparmiami la tua di paternale.” Lo pregai.
“Non mi sembra che tu abbia imparato qualcosa però visto che non hai mangiato niente questo pomeriggio a casa dei miei” precisò.
Lo guardai stupita, dove avrei trovato il tempo di mangiare se tutto il tempo lo avevo trascorso in bagno.
Mi portai entrambe le mani al viso per calmarmi “Mi padre non c’è, rimani con me a casa?” chiesi.
Si passò una mano fra i capelli “Non cambiare discorso” rispose freddo.
Sorrisi “Non sto cambiando discorso,se rimani con me mangio tutto quello che vuoi ” sussurrai facendo gli occhi dolci. Non mi andava di litigare anche questo pomeriggio.

Mi guardò per un istante per poi tornare con gli occhi sulla strada “Lo dici come se mi stessi facendo un favore, non devi mangiare solo oggi ma anche per i prossimi sei mesi”
Con quest’ultima frase mi fece arrabbiare di brutto, mi stava trattando male e non mi piaceva “Lo so cazzo, iniziamo a mangiare oggi! – sbottai adirata – Sei assurdo!” sembrava che fosse mia madre a rimproverarmi e questo, credetemi, era molto inquietante.


Non rispose.


Rimanemmo in silenzio per tutto il resto del viaggio, non sarei stata io a spezzarlo visto che avevo cercato in tutti i modi di non litigare.
Non dopo la splendida serata che avevamo trascorso la notte precedente, ma naturalmente Edward era in grado di sconvolgermi drasticamente.

Arrivammo davanti casa di mio padre e io senza salutare scesi dalla macchina sbattendo la portiera.
Presi le chiavi dalla borsa e aprii la porta di casa sbattendo anche quella, che però non si chiuse. Mi votai di scatto, Edward aveva bloccato la porta e stava entrando.
Lo guardai “Ordiniamo una pizza?” chiese cercando di nascondere un sorriso.
“Mangiatela da solo la tua pizza” risposi dirigendomi in salotto, mi dava sui nervi quando faceva così.

Mi sedetti sul divano portando le gambe al petto, Edward invece si diresse in cucina da dove tornò dopo pochi secondi “Tuo padre possiede un elenco telefonico?” chiese alle mie spalle.
Non risposi e lui si avvicinò scompigliandomi i capelli, mi voltai fulminandolo con lo sguardo.
“Sei adorabile quando ti arrabbi, lo sai? – disse inginocchiandosi davanti a me per mettersi alla mia altezza – diventi tutta rossa”concluse accarezzandomi una guancia.
Mi scostai da lui “In quel cassetto - risposi con tono distaccato, lui mi guardò perplesso – L’elenco telefonico è in quel cassetto” precisai indicando il cassetto accanto al televisore.

Mi guardò per qualche secondo e poi si diresse dove gli avevo detto, dopo aver preso quello che cercava si sedette accanto a me “Cosa vuoi mangiare?” domandò guardandomi intensamente, abbassai lo sguardo per non farmi incantare dai suoi splendidi occhi verdi “Faccio io allora” concluse mettendosi al telefono e sfogliando l’elenco.


Avrebbe mai fatto qualcosa senza stupirmi?

Era questa la domanda che mi stavo ponendo negli ultimi venti minuti, avevo guardato Edward mentre ordinava cibo italiano, cinese, giapponese, tailandese, indiano, messicano e altri ancora che non riuscivo a ricordare avendo ormai perso il conto. Lo guardai in silenzio aspettando che concludesse quelle telefonate assurde, fino a quando non riuscii più a sopportare le distanze.
Gattonai dalla sua parte del divano poggiando la testa sulle sue gambe “Ordina un dolce al cioccolato, già che ci sei” chiesi sorridendogli.
Mi accarezzò i capelli e chiese al suo interlocutore una torta al cioccolato, poi improvvisamente si alzò allontanandosi in cucina.
Al suo ritorno lo guardai spaesata “Perché ti sei allontanato?” domandai curiosa.

Alzò le spalle “Non c’era campo, non riuscivo a capire cosa diceva”rispose tornando sul divano.
Mi intrufolai tra le sue braccia e gli bacia il collo, Edward sorrise “Non sei più arrabbiata con me?”chiese.
Scossi il capo “Chi mangerà tutta quella roba?” chiesi a mia volta.
Rise “Mangeremo quello che troveremo commestibile. Sai, ho ordinato cibo in luoghi dove non credevo neanche ci fossero ristoranti”

Sorrisi. Come si faceva a non amarlo? Questa domanda mi face venire in mente mio padre e la sera precedente. Come faceva mio padre a non capire che Edward era l’uomo per me? L’uomo che mi avrebbe amato sempre e a qualunque costo.

Questa mattina mi aveva lasciato un biglietto dove mi avvisava che sarebbe andato a pranzo dai Black ma che sarebbe tornato in tempo per salutarmi prima del mio ritorno a New York, ci saremmo salutati senza chiarirci. Era da aspettarselo da un uomo come lui, non affrontava mai i problemi che mi riguardassero.
La gente diceva sempre che ero il suo punto debole, che quando si trattava di me mio padre cambiasse addirittura carattere. Ma allora perché si comportava così? L’unica cosa che chiedevo era la sua benedizione, volevo che fosse lui ad accompagnarmi all’altare …

Scossi il capo per cacciare via questi pensieri e guardai Edward.
Saremmo partiti questa sera alle sette per arrivare poi a mezzanotte a casa, provai uno strano sollievo al pensiero di lasciare questo posto.
“A cosa pensi?” mi chiese facendomi tornare alla realtà.
Gli passai un mano fra i capelli e lo guardai intensamente. Era sfacciatamente bello: i suoi occhi chiari, il suo naso dritto, le sue labbra piene. Amavo tutto di lui. “Spero che il bambino o bambina somigli a te” soffiai ad un centimetro dalle sue labbra.
“Che strano, è la stessa cosa che ho pensato io quando mi hai detto che eri incinta o meglio quando ho saputo che eri incinta”si corresse scherzando.
Risi e lui mi baciò dolcemente.

In un secondo mi trovai seduta sulle sue gambe, mi teneva stretta e mi baciava con passione. “Un figlio con i tuoi occhi …” continuò sulle mie labbra. Gli passai senza smettere di baciarlo nuovamente le mani fra i capelli, erano così morbidi al tatto e non potevo fare a meno di toccarli. Edward si stacco per riprendere fiato “Mio padre mi ha detto che possiamo fare l’amore anche se sei incinta” mormorò.
Mi irrigidii “Hai realmente chiesto una cosa del genere a tuo padre?” domandai scioccata.
Alzò le spalle “Bella sei incinta, credo che l’abbiano capito tutti che il nostro non è un amore platonico” rispose divertito.

Arrossii al pensiero di Carlisle che discuteva di certe cose con suo figlio.
“Non riuscirò più a guardarlo negli occhi senza ridergli in faccia” conclusi poggiando la testa sulla sua spalla.
Rise di gusto fino a quando il campanello non suonò e svogliatamente mi spostò di lato e andò ad aprire.

Tornò con un centinaio di buste “Sono arrivati quasi tutti contemporaneamente, non sono sicuro che sia finito qui però”
Mi alzai dandogli un bacio a stampo e andai a prendere delle posate.



Mi fece assaggiare tutto quello che c’era e che continuava ad arrivare, non avevo la nausea anzi mi stavo divertendo. Tra un boccone e l’altro non smettevamo di baciarci,Edward aveva uno stomaco di ferro e mangiava qualunque cosa non mi piacesse. “Ho deciso di accettare il lavoro che mi è stato proposto” disse improvvisamente bevendo un sorso d’acqua.
“Come mai?” chiesi curiosa anche se sapevo già la risposta.
“Perché voglio dimostrare alla mia famiglia, soprattutto a mio padre che posso cavarmela da solo.” Rispose alzando le spalle. Sbarrai gli occhi sapevo che il motivo fosse quello ma mi aspettavo che mi desse un'altra risposta.
“Non devi dimostrare niente a nessuno” sussurrai appoggiandomi a lui.
“Si invece, la gente tende sempre a ricordare il male e mai il bene” mormorò abbracciandomi.
“E il lavoro cosa centra?” chiesi ancora.
“Se vinciamo la causa quell’uomo ci riempirà di soldi. Così chiuderò il conto che mi ha aperto mio padre e la gente non potrà più dire che non sono indipendente” rispose.
“Con gente intendi mio padre, vero? Non dev…” mi mise un dito sulle labbra.
“Non parliamone adesso ti prego” annuii.
Aveva ragione, perchè rovinare quel momento?


Bussarono per la millesima volta alla porta “Basta!” urlai tirandolo per la camicia e facendolo ridere.
Mi baciò nuovamente, andò ad aprire e tornò con un enorme scatola bianca. “La torta – mormorò felice – credo che questa sia l’ultima cosa che riuscirò a mangiare, sperò che nessuno bussi più” scherzò
“Se bussano fingiamo di non esserci” risposi stando allo scherzo.
Ritornò a sedersi per terra al mio fianco “Ti senti bene?” chiese serio.
Annuii “Non rinuncio al cioccolato” risposi aprendo la scatola.

Mi trovai davanti una torta al cioccolato ben decorata con al centro una vecchia foto che ritraeva me ed Edward ai tempi delle superiori e sotto una scritta:

"Se mi ami sorridimi sempre, perchè ogni tuo sorriso mi fa stare bene"

 



Avrebbe mai fatto qualcosa senza stupirmi?


















Spero vi sia piaciuto il capitolo, avete nuovamente smesso di commentare. Perchè?
14 commenti all'ottavo capitolo, era troppo bello per continuare così? T.T




P.S.
DEDICO QUESTO CAPITOLO A
Vanderbilt!

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Capitolo 11
*** 11Capitolo ***




Capitolo 11















 

“Isabella, lasciami!” protestai davanti alla porta di casa di Charlie.
Eravamo lì ormai da dieci minuti e Bella insisteva perché io rimanessi, ma non potevo perché prima del nostro ritorno a casa avrei dovuto risolvere una questione.

“Ma partiamo fra due ore e non mi va di stare sola” mormorò con finta voce infantile, rimanendo attaccata al mio braccio.
Suo padre era a La Push e prima di andare a New York ci avrei parlato.
“Ho delle cose da sbrigare prima”dissi ricevendo uno sguardo indagatore.
“Che cosa devi fare?” chiese curiosa.
Lasciò il mio braccio e incrociò le braccia al petto, era così piccola rispetto a me …
La guardai dalla testa a piedi e una volta arrivato alle mani ammirai con orgoglio l’anello che portava sul suo anulare sinistro, simbolo della sua appartenenza e me.

Volevo che vivesse serena e per farlo sapevo che avesse bisogno dell’appoggio del padre, per questo avrei tentato ancora una volta di parlare con lui. Avevo deciso di non dirgli niente perché se non avesse funzionato le avrei dato un altro dispiacere e questo non mi sembrava giusto.
Notai poi la posizione delle sue braccia che delicatamente erano poggiate sulla sua pancia, leggermente pronunciata. Sorrisi pensando che tra meno di sette mesi sarei diventato padre.

“Perché sorridi?!” chiese spazientita, guardandomi con quei suoi enormi occhi color cioccolato.
Scossi il capo ritornando alla realtà “ A niente, devo fare qualche telefonata di lavoro e non posso attendere oltre” non era una bugia, avrei dovuto fare realmente una telefonata a Caius ma in un secondo momento.
Il suo viso si imbronciò “Non puoi farle qui?” chiese implorante.
Stavo cercando in tutti i modi di non arrivare a mentirle, ma non mi lasciò scelta “No, perché il materiale che mi serve è dai miei. Dai tanto ci rivediamo tra meno di due ore, lo hai detto anche tu o sbaglio? ”
Il suo viso cambiò espressione e sembrò convincersi “D’accordo, vattene” disse dandomi una spinta, che naturalmente non mi mosse di un centimetro.
“Sei troppo gracile e senza forze per riuscire a spingermi. Perché non ti riposi un oretta prima di riprovarci?” la provocai, baciandogli la fronte.
Si scansò da me “No, mangerò la tua faccia sulla torta invece!” rispose con uno sguardo vendicativo indicando la torta che le avevo fatto preparare.

Risi “Brava amore, mangiala tutta. Non dimenticare che io e il dottoressa McCartney ti vogliamo grassa” scherzai.
Alzò gli occhi al cielo “Sparisci, fa quello che devi fare e poi torna a riprendermi” rispose aprendomi la porta.
Mi avvicinai a lei per baciarla ma fece un passo indietro “Torna presto se vuoi baciarmi” sussurrò abbassando lo sguardo.
La guardai per un attimo, aveva ancora le braccia incrociate “Allora ciao” dissi attraversando la porta.
“Si, ci…” non le feci finire la frase che non appena alzò lo sguardo mi appropriai delle sue labbra.
Non oppose resistenza, anzi si alzò sulle punte per baciarmi meglio.
“Ti chiamo prima di passare a riprenderti, ok?” le chiesi sorridendo.
Annuì imbarazzata portandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio, la guardai attentamente per qualche secondo e uscii.
“Stacanovista!” la sentii sussurrare alle mie spalle prima che chiudesse la porta.




 

************




Girai per dieci minuti a vuoto per la città ritrovandomi infine nella foresta, al quel punto mi resi conto di essermi perso e di non essere mai stato a La Push.
Decisi allora di ritornare in città e chiedere informazione al primo passante che mi si presentava davanti.

Naturalmente per strada non incontrai nessuno per via della pioggia e dopo aver detto tutte le parolacce che il mio vocabolario conoscesse decisi di scendere e chiedere informazione.
Appena uscito la pioggia e il vento si accanirono sul mio corpo facendomi sobbalzare, eravamo solo a novembre ma sembrava di essere in pieno inverno.

Odiavo quella città.

Chiusi velocemente l’auto e senza pensarci entrai nel primo negozio che vidi.
Una volta entrato fui invaso da un calore che mi fece sentire subito meglio, mi passai una mano fra i capelli leggermente bagnati e mi guardai intorno incontrando alla mia sinistra un viso familiare.

“Edward, Edward Cullen?” chiese il ragazzo sorpreso.
Annuii guardando Mike Newton dall’altra parte della cassa “…Ciao Mike” risposi cortese.
Come avevo fatto ad entrare proprio nel negozio più sbagliato della città?
“Cosa ci fai da queste parti?” chiese ancora venendomi incontro.
“Sono venuto a trovare i miei genitori, senti sai dirmi come arrivare a La Push?” chiesi tagliando corto.
Mike era stato il mio migliore amico qui a Forks e per amicizia non intendo partite a freccette e playstation ma alcol e droghe varie. Per questo parlare con lui mi faceva ripensare ad un passato della quale mi vergognavo e per il quale non ero accettato dal padre di Bella.

“Non ci vediamo da anni e l’unica cosa che sai chiedermi sono delle stupide indicazioni stradali?” chiese a sua volta sorpreso.
Imprecai mentalmente decidendo di comportarmi in maniera diversa “Hai ragione, come stai?” domandai abbracciandolo e guardandolo seriamente in viso.
Era sempre il solito ragazzo:Alto, biondo, occhi azzurri. Portava però i capelli più corti e il viso era più maturo ma per il resto non era cambiato di una virgola.
Si passò una mano sul viso “… Vado avanti, ho saputo che tu sei diventato un avvocato invece! Congratulazioni.” Sussurrò dandomi una pacca sulla spalla.
“Tu cosa ci fai ancora qui, non avevi vinto una borsa di studio per il basket?” chiesi quando vecchi ricordi mi tornarono in mente.

Era sempre stato il migliore in campo e grazie a lui avevamo vinto il campionato più di una volta.
“Non ha funzionato” rispose passandosi nuovamente una mano sul viso.
Lo guardai attentamente quando realizzai il peggio “Sei diventato un tossico?” chiesi retorico, ma era più un’ affermazione.
Come avevo fatto a non accorgermene? Aveva delle profonde occhiaie ed era cadaverico in volto.

No, non era cambiato affatto.

Rise “Lo sono sempre stato Eddy e lo eri anche tu. Poi per tua fortuna ne sei uscito, ricordi quante ne abbiamo combinate insieme? – chiese tornando serio, feci un passo indietro – Passavamo nottate intere fuori casa a divertirci, fino a quando hai smesso di parlarmi così da un giorno all’altro” concluse pensieroso.
Mi passai una mano fra i capelli umidi “Non potevo farmi curare e continuare ad andarmene ancora in giro con te. Non avrebbe avuto senso – sospirò e io cambiai discorso – così ora lavori qui? ” chiesi guardandomi intorno.
“Già, questo negozio è dei miei genitori” rispose.
“Vuoi realmente rimanere in questa cittadina per sempre?” domandai senza pensare. Era questa la domanda che mi ero ripetutamente posto da quando lo avevo visto.
“Non è una mia scelta, la vita con me è ingiusta!” sussurrò guardando un punto indefinito della stanza.
“Non dire cazzate, il mondo sarà ingiusto finché continuerai a ridurti in questo stato.”
Sorrise “ Stai ancora con la figlia del capo Swan?” sbottò.

Lo guardai per un attimo prima di accontentarlo e cambiare nuovamente discorso.
Annuii “Si, abbiamo deciso di sposarci” risposi maledicendomi nuovamente per essere entrato in questo posto, ogni volta che ripensavo a lui lo immaginavo in tutti i luoghi del mondo, ma non ancora a Forks.
“Congratulazioni amico, è una bella ragazza sei molto fortunato. Jessica invece mi ha mollato un paio di anni fa”
Spalancai gli occhi “Come biasimarla Mike? Sei uno straccio. Devi farti curare” mormorai a bassa voce quando vidi un cliente entrare nel negozio.
“Buon pomeriggio – disse rivolgendosi all’uomo – Segui questa strada per un chilometro poi gira a destra, continua sempre dritto e troverai la riserva” disse aprendomi la porta.
“Mike …” avrei voluto dirgli mille cose in quel momento ma non ci riuscii.
“Non preoccuparti ci sto provando con tutte le mie forze, guarda – si mise una mano in tasca ed estrasse un medaglione – Questo è per ricordarmi che sono sobrio da quattro mesi.”

Sorrisi “Bravo – lo incoraggia – se mi dai un pezzo di carta ti scrivo il mio numero di cellulare così ci sentiamo”
Scasse il capo “Sei un bravo ragazzo, non farmi entrare nuovamente nella tua vita. Prometto che quando sarò pronto verrò a cercarti” rispose amaramente.

Riflettei sulle sue parole e ci salutammo.


Per tutto il resto del tragitto non feci altro che pensare a lui, come aveva fatto a ridursi i quello stato?
Ricordavo ancora, quando anni fa fu proprio lui ad impedire che mi uccidessi ingerendo pillole in quantità disumane.
E invece adesso io ero completamente pulito e lui era nella merda più assoluta. A quest’ora sarebbe dovuto essere capitano di qualche squadra importante e non il commesso di un negozio di pesca.

Alla fine riuscii ad arrivare a La Push.

La riserva era un posto magnifico, molto differente dalla città. Era incorniciata da alberi verdi e si respirava un aria diversa, un aria pulita.
Ora dovevo solo riuscire a scoprire la residenza dei Black e parlare con Charlie.
Guardai l’orologio che segnava ormai le cinque e mezza, sarei dovuto ritornare da Bella fra soli trenta minuti.
Spensi l’auto e decisi allora di usare il piano che avrei voluto attuare solo come ultima spiaggia. Presi il cellulare dalla tasca e dopo aver fatto scorrere la rubrica telefonai a Charlie.
Bella aveva insistito sul fatto che dovessimo avere i numeri dei rispettivi genitori per le emergenze e per fortuna avevo accettato.

“Pronto?”
Avrei preferito parlare con chiunque tranne che con lui, ma dovevo.
“Charlie sono Edward …” lo sentii sospirare intensamente.
“E’ successo qualcosa a mia figlia?” domandò.
“No, Bella sta benissimo. Sono io che voglio parlarti”
Rimase in silenzio per qualche secondo “Cosa vuoi?”
“Sono a La Push e vorrei incontrarti, non ho molto tempo prima di ripartire” conclusi sperando di avergli fatto capire che non avevamo neanche il tempo di insultarci.
“Io sono a casa di amici in questo momento e non posso mettermi a chiacchierare con te” sussurro sarcastico.
Strinsi i pugni “Non ho detto di voler perdere tempo al telefono con te! Voglio parlarti e come ti ho detto sono già nella riserva. Dimmi come arrivarci e sarò lì da te” risposi cercando di rimanere cortese il più possibile.

Sospirò nuovamente prima di accontentarmi.




Dopo aver seguito le sue indicazioni, che a mia sorpresa erano giuste, arrivai a destinazione.
Mi sarei aspettato che le sue indicazioni portassero in un burrone invece davanti a me c’era una vecchia casa rossa.
Rimasi fermo in auto e come previsto,dopo qualche minuto lo vidi uscire.
La pioggia continuava a cadere e allora decisi di invitarlo a raggiungermi in auto e dopo qualche tentennamento acconsentì.

“Che cosa vuoi?” chiese appena chiuso lo sportello.
Chiusi gli occhi per qualche secondo e poi cominciai “Voglio chiederti scusa – mi guardò sorpreso – scusa per qualunque cosa io ti abbia fatto. Perché credimi non ho mai avuto niente contro di te e non solo perché sei il padre della donna che amo”
Scosse la testa “Figliolo io non ho niente contro di te, avrei voluto solo che tu fossi stato lontano da mia figlia” sussurrò tranquillo come se non avesse detto niente di particolarmente assurdo.

“Perché, per il mio passato? Il passato è passato, pensiamo al presente” ringhiai.
Rise “Sai perché non mi vai a genio? Perché ti trovo un ragazzo pieno di rabbia repressa e ho paura che prima o poi tu possa sfogarla su mia figlia” concluse tornando serio.
Le sue parole mi ferirono come una lama tagliente “Non farei mai una cosa del genere. Io amo tua figlia e non le farei mai del male”
“Sono sicuro che tu tenga a lei, ma permetti il fatto che un padre voglia il meglio per la propria figlia? Quante cose hai combinato in passato? Sono sicuro che Bella non ne conosce neanche la metà”

Non risposi.

Io e Bella avevamo parlato spesso di me ma lei non mi aveva mai fatto domande specifiche e io avevo evitato di rivangare determinate cose del passato.
“L’unica ragione per cui ho lasciato che si trasferisse è perché so che ti ama e non mi avrebbe mai perdonato se gli e lo avessi impedito. E poi so anche che sarebbe sicuramente scappata di casa per raggiungerti”
Sorrisi pensando che se Isabella non avesse ricevuto il permesso di venire con me l’avrei rapita. “Ti ringrazio per averla lasciata andare allora”
Alzò le spalle “Non mi sei simpatico, questo lo sai vero?”
Annuii “La cosa è reciproca” risposi.
Mi guardò per qualche secondo “Sei sincero e questo devo ammettere che mi piace. Sai l’unico motivo per cui lascio che mia figlia stia con te è perché so che almeno la proteggeresti da qualunque male esterno”
“Amo tua figlia e ti prometto che farò di tutto perché sia felice ogni secondo della sua vita. Sono qui per chiederti una passibilità per dimostrarti che sono cambiato”

Volevo realmente che tutto si aggiustasse fra di noi, se qualche mese fa qualcuno mi avesse detto che sarei venuto fino a qui per chiedere scusa a Charlie gli avrei riso in faccia.
“Ieri sera l’ho sentita piangere per colpa mia e tu non puoi neanche immaginare il dolore che ho provato. Comunque aspettate un figlio adesso, non c’era bisogno che tu venissi fino a qui, una passibilità te l’avrei concessa comunque” sussurrò senza guardarmi in volto.
“Allora pace?” chiesi.
Si voltò verso di me facendo una smorfia “No. Diciamo una tregua, almeno finché continuerai a non piacermi”





Dopo essere riuscito almeno in parte nel mio intento, io e Charlie decidemmo di raggiungere Bella. L’ espressione del suo viso quando ci vide insieme fu esilarante.
“Cosa c’è?”chiese il padre ironico.
“Che co…” cercò di dire qualcosa ma fu bloccata da quest ultimo.
“Tesoro, mi dispiace di tutto. Scusa per come mi sono comportato negli ultimi anni. Io e … Edward abbiamo fatto due chiacchiere e ho promesso di imparare a conoscerlo per quello che è diventato. ” disse prendendola per mano.
Bella si buttò fra le braccia del padre ma i suoi occhi saettarono nei mie e si riempirono di lacrime, le sorrisi e decisi di lasciarli soli.
“Comincio a portare queste in macchina” sussurrai indicando i suoi bagagli.





 

***********




Alle sette fummo in aeroporto e dopo vari saluti e promesse partimmo, Bella era al settimo cielo. Sorrideva e non faceva altro che ripetermi che era sollevata e che adesso si sentiva più tranquilla.
“Quindi mi hai mentito quando mi hai detto che dovevi fare delle telefonate di lavoro” sussurrò perplessa.
Sobbalzai “Cazzo! Avrei dovuto fare entrambe le cose, ma l’ho dimenticato”

Mi ero completamente dimenticato di Caius, ma gli avrei parlato il giorno seguente. Avevo finalmente risolto un problema e adesso avrei messo apposto la nostra nuova vita.










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Capitolo 12
*** 12Capitolo ***




Capitolo 12








 

 


“L'espressione Nuovo giornalismo è stata coniata dal giornalista americano Tom Wolfee nel 1973. Con questo termine si indica un movimento di breve durata madi grande intensità che influenzò il mondo del giornalismo internazionale. Sempre al 1973 risale la pubblicazione dell'antologia omonima che diede voce, forma e notorietà al movimento. Nato negli anni '60 negli Stati Unitii e concentrato soprattutto qui a New York e in California, questo stile di scrittura giornalistica si presenta come una commistione di generi, una fusione fra letteraturae giornalismo. Il «Nuovo giornalismo» prevede l'introduzione di motivi tipici della narrativa, capaci di “catturare” il lettore, nelle strutture del giornalismo tradizionale. Il risultato sono opere innovative dal …” sbuffai giocherellando con la penna con la quale stavo prendendo appunti ormai da un ora.


Le lezioni di Storia Americana le avevo sempre trovate interessanti ma quella mattina non mi andava proprio di ascoltare il professor Green, Angela invece ascoltava con passione.

Mi portai una mano fra i capelli cercando di ritrovare l’attenzione quando sentii il cellulare vibrare nella borsa. Lo estrassi velocemente sperando che nessuno se ne fosse accorto, guardai lo schermo dove lampeggiava il nome di Alice e rifiutai la chiamata.
Prima che potesse richiamarmi digitai velocemente un messaggio dove la informavo che non potevo risponderle perché ero a lezione, ma che l’avrei richiamata entro dieci minuti.

Per un attimo avevo sperato che fosse Edward.

Da quando aveva accettato quello stupido caso non era mai in casa, erano settimane che non riuscivamo a stare più di un ora insieme.
Tornava la sera tardi e usciva presto al mattino, non aveva un attimo di tregua ed io iniziavo a sentirne la mancanza.
Come era possibile sentire la mancanza della persona con cui vivi?
Cercavo in tutti i modi di non fargli pesare niente, perché sapevo che stava lavorando tanto per non dover più chiedere niente alla famiglia.
Questa storia dell’indipendenza lo stava ossessionando, ma voleva essere indipendente e io lo stavo lasciando fare.

Gettai nuovamente il cellulare nella borsa ricordandomi di aver portato con me una barretta al cioccolato. Mi guardai intorno cercando di aprirla facendo il meno rumore possibile, ma naturalmente proprio quando cerchi di non essere rumorosa lo diventi.

La maggior parte dei ragazzi più vicini a me mi guardarono incuriositi cercando di capire cosa stessi facendo. Abbassai lo sguardo imbarazzata, ma la voglia di quella barretta ormai era troppo forte così l’aprii con un colpo secco. Angela mi lanciò un occhiataccia “Cosa c’è, sono incinta ricordi?” sussurrai portandomi alla bocca un pezzo di cioccolato.
Sorrise e allungò la mano “Ne voglio anche io!”
La guarda sorpresa porgendogliela e dopo averne preso un pezzo e avermi mimato un grazie tornammo alla lezione.

**** *** ****


Dopo la lezione lasciammo tutti l’aula a passi veloci. Il professor Green era un uomo molto colto ma anche estremamente noioso.

“Aspetto con ansia il mese di Giugno” sussurrò Angela una volta uscite dall’aula.
“Spero di esserci anche io” risposi pensierosa. Giugno era il mese previsto per la nostra laurea, almeno fino a quando le cose non erano cambiate.
“Certo che ci sarai! – affermo seria – sono sicura che ci riuscirai, perché sei una ragazza forte. So che non sarà facile ma ricordati che non sei sola”

Mi passai una mano sulla pancia ormai evidente “Il mio ultimo esame è a Marzo. Ciò vuol dire che sarò incinta di sette mesi … non credo che riuscirò a studiare. Faccio già fatica adesso” conclusi amara.

Dovevo iniziare ad accettare il fatto di dove cambiare i miei piani.

Se non fossi riuscita a laurearmi a Giugno avrei automaticamente perso il praticantato che ero riuscita ad ottenere grazie a Carlisle.

Cosa avrei fatto allora?

“Tu devi solo impegnarti sugli esami, ricordati che tra il tuo esame e il giorno della laurea ci sono ben tre mesi di pausa che tu potresti usare per scrivere la tesi. Ora concentrati solo su questi ultimi esami”
annuii poco convinta, sedendomi su una panchina del giardino del campus.
Angela rimase in piedi aspettando una risposta che invece non arrivò “Non capisco perché ti abbatti senza provare prima a combattere” chiese agitando le braccia al cielo.

Abbassai lo sguardo rialzandolo quando una voce familiare mi arrivò alle orecchie.
“Bella!” mi voltai di scatto.
Mia cognata era di fronte con un sorriso smagliante “Alice, cosa ci fai qui?” domandai sorpresa di vederla.
“Non avresti dovuto richiamarmi tu? – feci per risponderle, ma alzò una mano zittendomi – Non importa, perché ho una notizia strepitosa da darti”
La guardai per qualche secondo cercando di capire che cosa la facesse sorridere in quel modo. Non riusciva a stare ferma, le mani le tremavano e aveva gli occhi lucidi. “Vuoi che te lo dica o no?” urlò
improvvisamente facendomi sobbalzare.
Angela che stava assistendo alla scena iniziò a ridere.

Alice la guardò per un attimo per poi tornare a me “Il venti dicembre qui a New York, durante la settimana della moda … si terrà una mia sfilata!” concluse saltellando.
Pensai alle sue parole per non so quanto tempo, immobile, fino a quando non mi mostrò due inviti ufficiali “Ora ci credi? La mia collezione verrà presentata per la primissima volta” domandò con le lacrime agli occhi.
Mi alzai di scatto abbracciandola forte “Sono fiera di te, sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato” sussurrai sincera.
Alice annuì “Era da quando avevo sette anni che aspettavo questo momento - rispose staccandosi da me – Sei la prima persona a cui l’ho detto” concluse.
La guardai sorpresa “Davvero?”
Alzò gli occhi al cielo “Certo! Sei la mia migliore amica”
Mi passai una mano fra i capelli ripensando alle volte in cui consideravo quel folletto una rompiscatole.

“Ora però devo dirlo a Jasper, devo sbrigarmi se voglio raggiungere il suo ufficio in tempo – disse improvvisamente abbracciandomi - ci vediamo presto, il venti e fra tre settimane e io e te dobbiamo fare shopping!”
Alzai gli occhi al cielo “Certo, certo!”
Mi fece la linguaccia presentandosi poi ad Angela “Scusa la mia irruenza, io sono Alice la sorella di Edward”
“Lo avevo capito, vi somigliate molto” rispose sorridendogli.
Alice alzò le spalle “Io sono più carina però – la guardai divertita e le continuò – i mie fratelli saranno anche più alti di me, ma devi ammettere che io sono la più carina.”
Feci una smorfia “ A proposito di Edward, digli di rispondere alle mie chiamate … anzi no sto andando da lui adesso e gli farò una ramanzina come solo mia madre sa fare”

Scossi la testa “Non è colpa sua. In questo periodo è super impegnato anche per me.”
Mi guardò per un attimo “Vieni con me allora, sarà un pretesto per salutare quello stupido di mio fratello!” disse prendendomi la mano.
Guardai Angela che mi fece cenno di andare.
“Vai. Tanto abbiamo finito le lezioni per oggi e poi hai bisogno di distrarti un po’”
Annuii convinta. L’unica cosa che volevo era vedere Edward.

**** *** ****


La velocità con cui guidava Alice aveva un non so che di familiare. Non riusciva più a capire dove mi trovassi, i palazzi saettavano uno dopo l’altro davanti ai miei occhi. “Tu e tuo fratello avete un problema – mormorai agitata, mi guardò incuriosita non avendo capito a cosa mi riferissi – la velocità, entrambi al volante mi terrorizzate” precisai incrociando le braccia al petto.
Alice frenò bruscamente una volta arrivata a un semaforo.

Alzò le spalle portandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio “E’ una Porsche non posso andare a venti all’ora” Non risposi, lei e Edward si assomigliavano molto e quando si parlava di automobili, entrambi avrebbero sbranato chi li avesse contraddetti.

Mi portai le braccia al petto quando un brivido di freddo mi travolse violentemente.
Alice mi guardò con attenzione facendo scendere il suo sguardo sulla mia mano sinistra. In dieci secondi riuscii a cogliere migliaia di emozioni nel suo sguardo. Iniziai a spaventarmi quando si portò una mano alla bocca. “Cosa c’è?” chiesi preoccupata.

Sorrise strattonandomi violentemente la mano sinistra, la guardai sorpresa quando realizzai il motivo di tante emozioni. “Vi siete fidanzati ufficialmente, che carini che siete. – iniziò rigirandosi tra le mani il mio anello di fidanzamento – quest’anello è meraviglioso, mio fratello a buon gusto in fatto di gioielli!”

Dei clacson ci portarono bruscamente alla realtà, il semaforo era nuovamente verde. Sbuffò ripartendo a tutta velocità.

Continuammo il tragitto verso lo studio fantasticando, o meglio Alice fantasticava, sul mio matrimonio. Inizialmente si era arrabbiata per non essere stata informata del mio fidanzamento ufficiale, ma poi si era magicamente inoltrata nel mondo degli abiti da sposa, dei fiocchi, dei fiori e dei … cavalli.

Si, cavalli.

Alice mi raccontò di essere andata ad un matrimonio dove entrambi gli sposi era arrivati in chiesa a cavallo. Non volevo niente di tutto questo, volevo solo sposarmi con il mio amore senza questi futili abbellimenti. Ma naturalmente non ero riuscita a farglielo capire, così decisi di lasciarla parlare pregando di arrivare presto a destinazione.









“Questo sarebbe uno studio legale?” chiesi stupita dalla grandezza del palazzo che mi trovavo davanti.
Alice mi tirò per un braccio “Smettila di fare la provinciale. Siamo a New York è normale che ci siano i grattacieli e poi come mai non sei mai venuta in questo posto?”

Non avevo mai avuto ne l’occasione ne il desiderio di visitare il posto di lavoro di Edward, lui mi aveva parlato spesso della bellezza del suo ufficio ma non ci eravamo mai soffermati all’idea che io potessi venire a visitarlo.
Alice continuava a trascinarmi verso l’interno e prima di varcare l’entrata mi passai una mano fra i capelli per metterli in ordine.

L’interno del palazzo era ancora più bello dell’ esterno.

Il colore dominante era il marrone chiaro,tutto era illuminato dalla luce del sole che filtrava dalle grandi vetrate che circondavano l’edificio, infatti ovunque mi girassi riuscivo a vedere l’estero.
Le persone che entravano ed uscivano dallo stabile andavano di fretta, tutti erano impegnati a parlare con qualcuno o al telefono, tutte perfettamente vestite in modo professionale ed elegante.
Mi maledii pensando che avevo scelto il giorno sbagliato per indossare le Converse.

Guardai Alice che, perfettamente vestita come sempre, sembrava completamente a suo agio in quel posto.
“Buon giorno Grace, vorrei vedere Jasper” asserì sorridente alla segretaria che si trovava dietro ad un enorme scrivania di marmo.
La donna le sorrise “Buon giorno anche a te – rispose tamburellando con le mani sulla tastiera – è nel suo ufficio ”

Prendemmo un ascensore che ci portò al trentunesimo piano e dopo pochi minuti arrivammo nell’ufficio di Jasper. Non fu molto sorpreso di vederci li da lui, Alice doveva passare spesso pensai.
Dopo essersi congratulato a dovere con la sua ragazza il suo sguardo si posò su di me “Come stai Bella?” chiese improvvisamente.
Sorrisi “Sto bene, grazie. Sono venuta per fare un saluto a Edward visto che è sempre occupato”
Divenne serio “Hai ragione. Neanche io lo vedo spesso, a volte ci incrociamo per i corridoi però”

“Tu ed Edward non lavorate allo stesso caso?” chiesi perplessa.
Scosse la testa deciso “No, mi era stato offerto ma ho rifiutato – poggiò la schiena verso la sua poltrona in pelle e continuò – quell’uomo non ha una buona reputazione e credo che sia colpevole di tutti i reati di cui è accusato. È tanto ricco quanto marcio e non riesco a capire come abbia fatto Edward ad accettare. Non voglio spaventarti ma credo che stia facendo un grosso errore, io ho provato a parlargli ma non ha voluto ascoltarmi” Mi alzai di scatto dalla poltrona su cui avevo ascoltato il discorso di Jasper “Vado da lui!”



Seguii le indicazioni di Jasper e in pochi minuti mi trovai al novantatreesimo piano. Quel piano era estremamente silenzioso rispetto a gli altri, girai a sinistra come mi era stato indicato e davanti a me trovai una ragazza seduta dietro un elegante scrivania.
Aveva gli occhi chiari e i capelli di un rosso acceso.
“Posso aiutarla” chiese cordiale
Mi passai una mano tra i capelli “Edward … sto cercando Edward Cullen” sussurrai imbarazzata.
“Ha un appuntamento?” domandò ancora professionale.
Sorrisi mordendomi il labbro inferiore “E’ il mio fidanzato”

La ragazza si irrigidì guardandomi per qualche secondo “Capisco … - raccolse la cornetta del telefono che si trovava di fronte a lei e dopo aver premuto un tasto parlò – Edward c’è qui … la tua ragazza”
Passò qualche secondo e dopo la ragazza mi indicò il corridoio da seguire.
Mi incamminai e una volta girato l’angolo Trovai il mio ragazzo.

Edward senza giacca e con la cravatta allentata mi attendeva appoggiato alla porta di quello che sembrava essere il suo ufficio. Aveva il viso stanco ma non per questo mi negò del suo meraviglioso sorriso. La sua sola presenza mi tranquillizzava.
“Ciao” mormorai sul suo petto una volta arrivata tra le sue braccia.
Mi accarezzò i capelli dolcemente facendomi sentire finalmente serena.
“Quando Victoria mi ha detto che eri qui mi sono preoccupato, ma poi ho realizzato che se ti fosse successo qualcosa non saresti venuta fino a qui – sorrisi e lui continuo – poi ti ho vista e mi sono tranquillizzato completamente”
“Alice presenterà la sua prima collezione questo mese, durante la settimana della moda” le mie parole gli fecero fare un passo indietro “Dici davvero?”
Annuii “Si, siamo venute qui per questo. Ora è con Jasper nel suo ufficio”
Mi prese per mano portandomi nel suo ufficio “Vieni”

Entrai per la prima volta nel suo ufficio.
Edward si mosse veloce dietro alla scrivania prendendo il telefono, io invece diedi un occhiata in giro.
L’ufficio era enorme, almeno rispetto a quello di Jasper. La scrivania in legno scuro era messo al centro e ai lati erano posizionati due librerie dello stesso colore della scrivania.
Edward seduto sulla sua poltrona in pelle, rivolgendo lo sguardo verso l’ampia vetrata alle sue spalle parlava al telefono. Mi avvicinai e lui dolcemente mi prese per un fianco facendomi sedere sulle sue gambe.

Dopo qualche minuto riattaccò “Alice salirà tra poco” sussurrò sul mio collo.
Mi voltai verso di lui e dopo tanto tempo finalmente le nostre labbra si incontrarono.

Come avevo fatto a resistere cosi tanto?

Edward si staccò svogliatamente quando il telefono squillò.
“È colpa mia, ti ho disturbato scusa” mormorai dispiaciuta cercando di alzarmi dalle sue gambe.
“Non ti muovere” rispose trattenendomi tra le sue braccia.
Raccolse la cornetta e con tono scocciato rispose a mono sillabi al suo interlocutore. Poggiai la testa nell’incavo della sua spalla e lui cominciò a disegnare spirali immaginarie sul mio ventre gonfio, sorrisi per quel gesto inaspettato e poggiai la mia mano sulla sua.

Rimanemmo in quella posizione per qualche minuto fino a quando non bussarono alla porta “Un attimo – disse al suo interlocutore, coprì la cornetta con una mano - avanti”

La porta si aprì mostrando però non la ragazza bassa dai capelli castani che mi aspettavo, ma un ragazzo alto, moro e con gli occhi chiari. Mi alzai di scatto imbarazzata facendolo sorridere, Edward lo salutò con un cenno della mano continuando con la sua telefonata.
Il ragazzo si avvicinò porgendomi la mano “Tu devi essere Isabella, giusto? Io sono Brian”

Avvampai di vergogna quando mi parlò, annuii sapendo che il mio viso avrebbe sicuramente cambiato colore di lì a poco. Ricambiai il saluto porgendogli la mano “Si sono Bella piacere di conoscerti”
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, fino a quando Edward riagganciò.

“Ciao Brian”

“Ciao, vedo che sei impegnato quindi ti ruberò solo qualche minuto – disse indicandomi – Sono venuto solo a darti la conferma per Pskov e a portarti tutta la documentazione che ti serve”
Edward si portò le mani dietro la testa e chiuse gli occhi per qualche secondo, Brian rise “Se non ti eccita l’idea di andare in Russia, aspetta di scoprire la data del processo”

“Perché, per quando è fissata?” domandò con tono distaccato.
“Per la vigilia di natale, il ventiquattro Dicembre!” Edward aprì gli occhi di scatto.
“I russi non festeggiano il Natale?” chiese sarcastico, alzando la voce di qualche tono.

Per quello che ero riuscita a capire sarebbe dovuto andare un Russia per un processo e avrebbe dovuto essere li alla vigilia …
Brian alzò le spalle “Avranno fretta di mettere dietro le sbarre quei tre. Come dargli torto? Abbiamo praticamente vinto!Io, tu e Harry siamo riusciti ad incastrare tre dei maggiori esponenti della mafia russa”

Edward si passò una mano sul viso “Possiamo continuare a parlarne dopo? Ora non mi va”

Il ragazzo annuì “Certo. Dopo passa nel mio ufficio – rispose alzandosi – E’ stato un piacere Isabella” disse rivolgendosi a me. Lo salutai e lui si avvio verso la porta e quando la aprì per andarsene sobbalzò trovandosi Alice davanti.

“Ciao Alice” salutò dopo essersi ripreso dallo spavento.
“Ciao” rispose distrattamente la ragazza. Guardai Edward che aveva ancora le mani sul viso, sembrava stremato. Mi avvicinai mettendogli una mano sulla spalla, lui sobbalzò come se si fosse dimenticato che ci fossi anche io lì con lui. Alice corse verso il fratello abbracciandolo. “Sono così entusiasta Eddy” urlò felice. “Lo sono anche io per te, brava” rispose pacato, prima che un suono ci distrasse tutti.

Edward alzò gli occhi al cielo prendo uno dei pulsanti del telefono “Victoria dimmi” domandò
La ragazza rispose veloce “Ci sono gli amministratori della Phandom”
Capii che era il momento di andare, raccolsi la mia borsa e una volta che ebbe finito di parlare con la sua segretaria gli diedi un bacio a stampo.
“Ci vediamo a casa – dissi annodandogli la cravatta – non fare tardi”
Alice si intromise “Questa sera voglio uscire e festeggiare con voi, Edward tu devi esserci!”
“Cercherò di venire – promise, poi si rivolse a me – Ci sentiamo più tardi”
Annuii baciandolo nuovamente e andammo via.



Lasciammo quel grande palazzo per dirigerci poi nuovamente alla mia università dove avevo lasciato la macchina. Dopo aver salutato anche Alice mi diressi a casa dove dopo aver mangiato qualcosa mi sdraiai sul divano pensando a Edward e alla possibilità di passare il natale separati.






CIAO RAGAZZE, RINGRAZIO CHI HA RECENSITO LO SCORSO CAPITOLO.
LASCIATE UNA RECENSIONE SE VI VA'!
UN BACIO


 

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Capitolo 13
*** 13Capitolo ***



Capitolo 13




 


BELLA


Guardai l’orologio per la centesima volta.
Le dieci e un quarto.
“Alice, non credo che verrà” voltai lo sguardo verso mia cognata che da ormai un’ora teneva le braccia incrociate.
Sbuffò “Ho anche prenotato nel suo ristorante preferito per fargli piacere, ma non è servito a niente”
Capii che non sarebbe venuto appena mi chiese di farmi venire a prendere da Jasper e Alice.
Cercai di dire qualcosa per consolarla ma Jasper mi precedette.
“Che ne dite di ordinare? Si è fatto tardi” domandò. Lo guardai attentamente, aveva i tratti del viso molto tesi e sembrava più incazzato lui che lei.
Alice sbuffò prendendo il menù, io feci lo stesso continuando però a scrutare il suo ragazzo.
Conoscevo Jasper da qualche anno, lui ed Edward si erano conosciuti al college e anche se completamente diversi erano diventati amici.
Lui era calmo, silenzioso, educato e soprattutto riflessivo. Edward invece era testardo, istintivo, scorbutico quando era nervoso e petulante quando era costretto a fare una cosa che invece non gli andava di fare.
Erano così diversi, ma erano lo stesso diventati amici.
Edward non aveva peli sulla lingua ed era una testa calda per questo nove volte su dieci una semplice discussione si trasformava in una vera e propria rissa. Ai tempi del college mi ero abituata a vederlo ferito e avevo smesso di preoccuparmi perché sapevo che con lui c’era Jasper che in un modo a nell’altro lo avrebbe fatto ragionare.
Lui era, diciamo, la coscienza di Edward. Era lui che lo sgridava se studiava poco e che prendeva le sue difese in una discussione, ero tranquilla quando sapevo che era con lui.

Poi arrivò il giorno in cui conobbe Alice, quella sera non riuscivano a togliersi gli occhi di dosso l’uno dall’altra. Fu quello il momento in cui spostò la sua attenzione ad un altro componente della famiglia Cullen, Edward inizialmente fu un po’ scettico ma alla fine fu felice di vederli insieme. Anche io provavo simpatia per lui data la sua gentilezza e pacatezza, ma adesso davanti aveva uno sguardo diverso, non sembrava lui.

Passammo una serata tranquilla, quasi noiosa per il cattivo umore di Alice che a quanto pareva ci teneva parecchio alla presenza del fratello maggiore. Riuscii a ravvivarla solo quando le feci qualche domanda sulla sua collezione e a cosa si fosse ispirata. Jasper invece parlò meno del solito fino a quando non mi riaccompagnarono a casa.

Arrivammo davanti casa, ma l’auto di Edward non c’era.

“Quello stupido non è ancore rientrato, vuoi che rimaniamo con te tesoro? ” domandò Alice guardando l’orologio.
Scossi la testa “No Alice, non preoccuparti sono sicura che tra un po’ arriverà. Non è la prima volta che fa tardi”
Malgrado avessi un po’ paura a restare la notte solo in casa, non mi andava di restare ancora con loro, quella serata era stata troppo angosciante.

Così ci salutammo.

Entrai nel mio appartamento respirando il profumo familiare che lo riempiva. Poggiai la borsa sul tavolo del soggiorno e accesi le luci. Guardai l’orologio che segnava quasi mezza notte e sbuffai preoccupata come ormai ogni sera accadeva. Mi diressi in camera decisa a togliermi il vestito blu che lo stesso Edward mi aveva chiesto di mettere.

Perché mi chiami e mi dici cosa indossare se poi alla fine non vieni?

Lo sfilai e mi soffermai a guardare la mia immagine riflessa nello specchio dell’armadio e una volta rimasta in intimo, mi ammirai fiera. Il mio corpo stava cambiando, sfiorai la mia pancia con delicatezza immaginando il mio bambino e a come sarebbe stato essere madre.
Ci pensavo ormai tutti i giorni e ogni giorno mi rispondevo in modo diverso. Sarebbe andato tutto bene perché ero circondata da persone che gli avrebbero voluto bene, Edward in primis.

Ricordai il giorno in cui scoprii di essere incinta e alla stupida preoccupazione provata inizialmente. Aspettai che Edward uscisse di casa prima di fare un test, poi un altro, un altro e un altro ancora. Quella mattina piansi e non mi sarei mai immaginata serena come in quel momento.
Adesso volevo il mio bambino o bambina più di ogni altra cosa al mondo e non mi importava cosa avrei perso perché quello che avrei avuto in cambio sarebbe stata una gioia infinita. Gli ultimi controlli erano stati abbastanza positivi e per la gioia dalla mia dottoressa e di quella di Edward, nell’ultimo mese avevo preso qualche chilo. Ma naturalmente non era abbastanza:

“Non credere che sia finita qui Bella! Mi aspetto che tu raggiunga un peso decente prima di raggiungere il quinto mese di gravidanza. ”

Sorrisi pensando a quelle parole, che Edward non faceva altro che ricordarmi.
Rimasi a guardarmi per non so quanto tempo poi decisi di vestirmi, infilai il pigiama e andai a letto.
La morbidezza delle lenzuola mi face sentire subito meglio, ma non sarei riuscita a dormire se prima non avessi sentito Edward.
Raccolsi il cellulare e lo chiamai, la sua risposta non si fece attendere molto.
“Bella?”la sua voce era stanca, dall’altra parte del telefono riuscivo a sentire molte persone parlare tra loro.
“Sei ancora in ufficio, lo sai che ore sono?”
“Abbiamo ancora delle cose da fare, sarò a casa tra … un’ora. Tutto bene?”
Sbuffai “Si, sto bene. Ma è quasi l’una e ti voglio a casa”
“Un’ora e sono da te– ripeté – ora devo lasciarti, a dopo ok?”parlò veloce segno che fosse realmente occupato. “Si, a dopo” conclusi.

Riagganciai sprofondando tra le coperte.


EDWARD

“La questione è questa: per far sì che tutto vada come programmato, dobbiamo essere lì qualche giorno prima. Per assicurarci che Harry dica le cose giuste al momento giusto.” da un ora a quella parte Thomas non faceva altro che sparare cazzate.
Brian, esausto, alzò gli occhi al cielo. Eravamo rinchiusi nella sala specializzata alle conferenze ormai da ore e questa era l’ultima delle sue stupidaggini.
“Partiamo già il ventidue, vorresti partire domani per caso?” ringhiai.

Si passò una mano tra i capelli “ Partire prima non farebbe altro che migliorare la nostra situazione”
“Perché? Qualche giorno in più non cambierebbe niente, abbiamo praticamente vinto. Non abbiamo niente da migliorare sia noi che Harrison sappiamo già cosa dire.” scandii le parole una alla volta, visto che sembrasse non comprendere l’inutilità della sua proposta.
Rise sarcastico “Non riesco a capire come mai Harry ti abbia scelto in questa squadra, sei un ragazzino. Non riesci a cogliere l’importanza di questo processo, se vinciamo ci saranno aperte delle porte che tu neanche ti sogni.”

Un ragazzino?

Chiusi gli occhi e contai fino a tre, realizzando che non valeva affatto la pena mettergli le mani addosso, perché potevo tranquillamente rispondergli senza dare, come al solito, il peggio di me. Ma mi immaginai comunque mentre sbattevo la sua faccia contro l’elegante tavolo della sala riunioni nella quale ci trovavamo.
Quel tipo si sentiva il migliore e tendeva sempre a fare il capo, ma le persone che mi conoscono sanno che con me non funziona. Non avrei litigato con lui, perché era un mio collega e questo non avrebbe giovato a nessuno, così optai per una cosa migliore.
Mi alzai “Chiudi quella cazzo di bocca idiota, non è l’età che ti rende un uomo” presi il cappotto, realizzando che se avesse aperto di nuovo la sua bocca non avrei risposto delle mie azioni.
Brian che si trovava al mio fianco aggrottò la fronte “Dove stai andando?” chiese.
“A casa” risposi rigido.
“Ma Harry arriverà a minuti – precisò – siamo rimasti fino a tardi per incontrarlo prima che parta, non ha senso che tu te ne vada adesso”

Sospirai e cercai di ribattere quando Thomas parlo ancora “Lascialo andare, sta andando dalla sua ragazza. Come si chiama? Ah si Isabella, salutamela è carina”
Quando si trattava di Bella la regola di contare fino a tre non esisteva, cercai di scagliarmi contro di lui ma Brian mi si parò davanti “Spostati – gli urlai, poi mi rivolsi a Tom – Tu, non devi neanche pensare ad Isabella figurati nominarla. Ti ho detto di spostarti!” urlai ancora a Brian.
“No, ora ho capito perché volevi andartene. Vai ci parlerò io con Harry e poi ti riferirò delle decisioni prese” propose.
Thomas era rimasto lì fermo al suo posto quasi impaurito.
Lo guardai “Non voglio più sentire il suo nome uscire dalla tua lurida bocca, mi hai sentito?”
Alzò lo sguardo “stai esagerando amico, le ho solo fatto un complimento – cercai di fare un altro passo verso di lui ma Brian mi bloccò – ok ho capito, sta calmo!” aggiunse infine.

Soddisfatto guardai l’orologio, erano passate più di due ore dalla telefonata di Bella, cercai di calmarmi quando, una voce ormai familiare richiamò la nostra attenzione.
“Salve ragazzi, scusate se vi ho fatto aspett … che succede? ” Harry sull’uscio della porta ci guardava incuriosito.

Scossi la testa tornando al mio posto, la nottata non era ancora finita.


BELLA


Forti rumori mi tirarono fuori dallo stato di beatitudine in cui mi trovavo.
New York era splendida, l’unica sua pecca era il traffico, che non cessava mai. Il nostro appartamento era troppo vicino alle strade principali per non esserne colpito.
Aprii gli occhi trovandomi davanti un nuovo giorno.
Cercai poi, di stiracchiarmi quando due braccia mi avvolsero.
“Non alzarti ti prego, fingiamo che sia ancora notte profonda.”
Sorrisi voltandomi nella sua direzione e incontrando il suo volto stremato, aveva gli occhi chiusi e contornati da due occhiaie profonde.
Aveva i capelli più spettinati del solito e la bocca semi chiusa dal quale fuori usciva il suo dolce respiro.
“Inizio a credere che tu non faccia realmente l’avvocato, sei per caso un agente segreto? ” domandai ironica.
Sorrise appena “Oh magari lo fossi, era un dei miei sogni da bambino – mi strinse più forte a lui – Dormiamo ancora un po’ dai.”
Gli accarezzai il volto “A che ora sei rientrato?” domandai.
“Tardi …” rispose con la voce impastata dal sonno.
Ero realmente preoccupata per la sua salute mentale, Edward era troppo giovane per lavorare così tanto. Un giovane avvocato dovrebbe iniziare la sua carriera in modo graduale e non essere catapultato violentemente in un mondo a lui sconosciuto. Non dicevo che non ne fosse capace, ma credevo che i suoi primi casi dovessero essere più semplici e non così impegnativi.

Rimasi a guardarlo attentamente e quando il suo respiro si fece regolare capii che si era riaddormentato.



**** *** ****
 

“Cosa ne pensi di Richard?” domandai scettica. Edward, alle mie spalle, trattenne una risata. “Perché ridi è carino come nome” sussurrai giocherellando con la sua mano destra.
Mi baciò i capelli bagnati “Dovremmo uscire da qui dentro, l’acqua si sta raffreddando”
Eravamo nella nostra vasca da bagno da quasi un‘ora, ma non mi andava ancora di uscire. Scossi la testa “Mi piace stare qui con te, è tanto che non stiamo un po’insieme” ammisi.
Sospirò, riaprì nuovamente il rubinetto facendo uscire dell’altra acqua calda e poi mi strinse forte facendo aderire i nostri corpi.
“Mi spiace – sussurrò al mio orecchio – Oggi ti prometto che non ti lascerò sola neanche un attimo, faremmo tutto quello che vuoi.”

Sorrisi “Per tutta la giornata?” chiesi speranzosa e lui annuì.
“Spero solo che non comprenda lo stare in questa vasca tutto il giorno però, perché già non sento più le gambe”
Alzai gli occhi al cielo “Ancora cinque minuti. Che ne dici di Sophie? ”
Ci mise un po’ per rispondere “E’ carino …. Aggiungilo alla lista”
Sbuffai “Carino? Non voglio che il nome del nostro bambino sia carino, voglio qualcosa di bello. Dinne qualcuno tu adesso”
Non rispose, rimanemmo in silenzio per qualche minuto fino a quando mi voltai, nello spazio consentitomi dalla vasca,verso di lui. “Allora?” lo incitai.
“Isabella, conosceremo il sesso fra un mese. Perché non aspettiamo, così ci concentreremo su di un'unica categoria di nomi e sarà più facile scegliere.”

“Vedo che per te non è una cosa importante, ormai non fai altro che pensare al tuo stupido lavoro” sillabai, ma subito mi pentii.
Edward si passò entrambe le mani tra i capelli bagnati “Non essere egoista, qualunque cosa io faccia è per entrambi. Se lavoro non è solo perché mi piace ma è anche perché mi pagano!”
Si era arrabbiato.
Mi voltai per non sostenere il suo sguardo accusatore.
“Non volevo dire questo, è solo che mi sento trascurata. Viviamo sotto lo stesso tetto, ma non ci vediamo quasi mai.” Spiegai.
Mi accarezzò entrambe le spalle “Mi spiace” sussurrò.
“No, so che non lo fai di proposito e solo che anche Jasper mi ha detto che non vi vedete neanche più in ufficio. Mi ha detto anche che secondo lui Norton è un specie di imbroglione…”
“Cosa centra Jasper, adesso parlate alle mie spalle? E poi non capisco perche dica cose che non sa!” mi accusò rabbioso alzando la voce.
Mi rabbuiai “Non dovevamo fare tutto quello che volevo oggi? - gli ricordai – Non riesco a capire perché stiamo litigando adesso, nessuno ha parlato alle tue spalle.
Aprì la bocca per ribattere ma poi la richiuse recuperando un accappatoio ed uscendo dalla vasca. Lo fulminai con lo sguardo “Cinque minuti sono passati, esci o ti ammalerai” mormorò distaccato allungando la mano verso di me.

Rassegnata la accettai senza esitare.


Uno dei tanti lati negativi di Edward era proprio questo, non riusciva mai a finire una discussione con me. Quando si arrabbiava preferiva cambiare discorso, era come se preferisse fermarsi prima di affrontarmi completamente.

Facemmo colazione alle tre del pomeriggio visto che ci eravamo svegliati tardi e vista soprattutto la mia
voglia improvvisa di biscotti che stavo ormai divorando uno dietro l’altro. Parlammo di altre cose, fingendo di non aver discusso precedentemente “Alice ti ucciderà, ieri ci è rimasta male per la tua assenza” gli ricordai e il suo sguardo si fece pensieroso.
“Lo so, ieri sera mi ha inviato un messaggio di minacce. Mi farò perdonare, le comprerò una borsa o qualcosa del genere” annuii portandomi un altro biscotto alla bocca quando Edward mi tolse la confezione dalle mani.

“Vederti mangiare mi rende felice, ma credo che possa bastare per adesso”disse riportandoli nell’apposito scaffale.
Rimasi seduta per qualche secondo, poi lo seguii. Sentendo i miei passi, si voltò e io lo guardai in cagnesco “Ridammeli!” ordinai.
Scosse la testa “Ti sentirai male, non fare la bambina”
Lo guardai fisso nei suoi occhi verdi sperando in un cedimento, che naturalmente non trovai. “Spero che tua sorella ti prenda a calci” sussurrai sedendomi nuovamente sul tavolo della cucina.
Edward rise “Mi stai augurando il male per dei biscotti?” chiese con fare teatrale.
“Si!” risposi.
Si avvicinò prendendo il mio viso fra le mani e prima che riuscisse a dire qualcosa il suo cellulare squillò.
Sospirò pesantemente dirigendosi verso di esso “Avrei dovuto spegnerlo” mormorò.
Strinsi i pugni sperando che chiunque lo avesse telefonando, non stesse per rovinarci la giornata.
Sperai a vuoto.
Edward tornò dopo qualche minuto e dal suo sguardo capii subito la situazione.
“Fammi indovinare. Devi andare in ufficio” chiesi retorica.
Una strana smorfia si fece spazio sul suo viso, i suoi occhi e cristallini si incatenarono ai miei. Si avvicinò a me e mi tolse una ciocca ribelle dal viso “Non vado da nessuna parte, ti ho promesso che staremo insieme o sbaglio? - Non riuscii a trattenere un sorriso, mi baciò dolcemente la fronte – Usciamo, ti porto dove vuoi.”





Sfrecciavamo a tutta velocità sulle strade di Manhattan fino a ritrovarci a Brooklyn uno dei mie posti preferiti di tutta New York. Ero innamorata di quel posto da sempre: la trovavo magica, la gente era molto più con i piedi per terra rispetto a quella di Manhattan.
Poggia la testa al finestrino e rimasi a guardare Edward che attento, teneva gli occhi piantati davanti a se.
“Perché mi fissi?” chiese improvvisamente senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Alzai le spalle “Non c’è un motivo preciso” sussurrai facendolo sorridere.

Era così bello quando sorrideva.

Lasciammo l’auto in un parcheggio sotterraneo e ci dirigemmo verso l’esterno.
Una folata di vento freddo mi colpì violentemente il viso facendomi indietreggiare di qualche passo “Che freddo!” dissi portandomi una mano al viso.
Edward mi strinse a se “Credo che la temperatura si scesa drasticamente, siamo a dicembre comunque” sussurrò al mio orecchio.
Mi guardai intorno ritrovando i vecchi luoghi a me familiari: Io e Edward venivamo spesso qui durante i suoi anni universitari perché proprio a Brooklyn aveva frequentato un corso esterno ai suoi studi.
“Potremmo andare a trovare il professor Alston” proposi.
Fece una smorfia “Non siamo mai andati d’accordo io e lui. Dovremmo andare da qualche parte, invece, prima di morire congelati”propose a sua volta.

Passammo l’intero pomeriggio entrando e uscendo da un museo all’altro, visitammo i parchi, camminammo tanto senza stancarci mai. Il freddo era quello tipicamente Newyorkese, ormai eravamo abituati e per questo non ci facemmo più tanto caso.
Edward mi teneva sempre per mano, non mi lasciava un attimo.

Ci rifugiammo poi in un bar, dove ci riposammo per il lungo pomeriggio.

Il bar era molto tranquillo e perlopiù frequentato da studenti, per questo il silenzio regnava sovrano. Aveva tanti tavoli circolari tutti distanti l’uno dall’altro, noi scegliemmo un tavolo appartato.
“Dovremmo prendere casa qui a Brooklyn” propose improvvisamente sorseggiando il suo caffè.
Spalancai gli occhi, sorpresa “Abbiamo la nostra vita a Manhattan, non possiamo abbandonare tutto per trasferirci qui ” mormorai ovvia.
“Non intendevo questo – precisò immediatamente – So quanto ti piaccia questo posto e allora avevo pensato di prendere un appartamento qui senza contare la casa che dobbiamo comprare a Manhattan. Che ne dici? ” lo guardai spiazzata, mi sarebbe piaciuto avere una casa in un luogo così bello ma tra le tante cose che avremmo dovuto cambiare in quel periodo, una casa in più la trovavo solo un capriccio.
“Dovremmo concentrarci sulla casa a Manhattan, mi piacerebbe averne una qui ma, quella ha la precedenza.” Risposi.
Annuì “La metteremo in programma però – accarezzò la mia mano sinistra – Per quanto riguarda Manhattan, voglio che tu scelga la casa che preferisci senza badare al costo” alzai gli occhi al cielo .
La storia dell’indipendenza lo stava ossessionando “Edward …” pronuncia il suo nome con fare scocciato, incrociando le braccia al petto, lui mi guardò serio con quei suoi occhi cristallini
“Sto solo dicendo che dopo natale avremmo abbastanza soldi per comprare una casa nell’ Upper East Side se vogliamo, tutto qui.” Precisò offeso.

Strinsi nuovamente e più forte la sua mano “Il nostro quartiere va benissimo, non ho bisogno di andare a stare in una casa lussuosa, con dei vicini snob per essere felice e tu lo sai. Mi basti tu , l’Upper West Side andrà benissimo, ci troviamo bene e poi è vicino all’ università” conclusi sicura.
Mi guardò profondamente “Voglio solo che tu sia felice – sussurrò avvicinandosi al mio viso – l’ho promesso a tuo padre”
Mi appoggiai al tavolino e allungandomi senza sforzi gli diedi un bacio a stampo “Passiamo altre giornate come questa e lo sarò sempre” ammisi sincera.

Finimmo la nostra serata cenando in un ristorante di Long Island e dopo, stremati, decidemmo di tornare a casa. Il viaggio fu estremamente silenzioso, Edward era pensieroso e io lo lasciai stare.

Una volta arrivati Edward venne ad aprirmi la portiera “Signora Cullen” miagolò facendomi cenno di uscire. Scesi divertita dal modo in qui mi aveva chiamata, chiuse l’auto e ci avviammo verso il portone abbracciati. “Non ti ci abituare, l’ho fatto solo per finire la serata al meglio.” Scherzò.
“Credo che tu debba aprirmi sempre la porta se vuoi che diventi la signora Cullen” ordinai con tono giocoso.
Cercò di ribattere quando davanti a noi si presentò un uomo a me sconosciuto. Edward, sorpreso quanto me, si fermò all’istante.

“Io e te dobbiamo parlare.”



SALVE GENTE!
COSA NE PENSATE DI QUESTO CAPITOLO? EDWARD E BELLA HANNO TROVATO FINALMENTE DEL TEMPO PER STARE INSIEME E STANNO INIZIANDO A FARE DEI PROGETTI SERI.
BELLA SOFFRE PER LA LONTANANZA DA EDWARD CHE A SUA VOLTA SI STA INSERENDO SEMPRE DI PIU’ AL LAVORO.
SECONDO VOI CHI E’ QUESTA PERSONA CHE E’APPARSA IMPROVVISAMENTE?
P.S.
VI VA DI FARE UN GIOCO?
DI CHE SESSO VORRESTE IL BAMBINO DEI NOSTRI PICCIONCINI?
A SECONDA DEL SESSO SCELTO AGGIUNGETECI ANCHE UN NOME.
IO NON SO DECIDERMI QUINDI AIUTATEMI VOI!

COME SEMPRE DEDICO IL CAPITOLO A CHI HA RECENSITO QUELLO PRECEDENTE.
UN BACIO.

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Capitolo 14
*** 14Capitolo ***







Capitolo 14














 

Avete mai voluto avere più di due occhi?

Io, in quel momento sì. In quei pochi attimi in cui quell’uomo era apparso davanti a noi, il mio sguardo saettava da lui a Edward.

Era un uomo certamente elegante e dal modo in cui era vestito, poteva essere un avvocato o qualche altra persona raffinata. Mi rilassai, almeno non era un ladro. Indossava vestiti costosi e ricercati che mi ricordavano molto il modo di vestire di Carlisle.


“Che ci fai qui?” domandò il mio fidanzato, tranquillo. Io mi strinsi più forte al suo braccio ma lui si scansò da me, incominciando a cercare qualcosa all’interno della sua giacca. Lo guardai stupita fino a quando lo sconosciuto non attirò nuovamente la mia attenzione. “Potrei farti la stessa domanda Edward.” rispose con un filo d’ironia.
Il mio sguardo volò nuovamente su Edward che senza alzare lo sguardo continuava a tastare l’interno della sua giacca. “Sto parlando con te!” precisò l’uomo. Edward finalmente alzò lo sguardo verso il suo interlocutore “Lo so. – rispose acido, si rivolse poi a me – Tieni, fa freddo qui. Tu sali, ti raggiungo fra qualche minuto.” Guardai il mazzo di chiavi che teneva a mezz’aria, ragionando sulle sue parole.


Credeva realmente che lo avrei lasciato lì con quello sconosciuto?


Lo guardai in cagnesco facendogli alzare gli occhi al cielo e come se mi avesse letto nel pensiero, riportò la mano sui fianchi. “Bella ti presento Harrison Norton, il mio assistito” disse indicando l’uomo davanti a noi. Spalancai gli occhi per la sorpresa e guardai l’uomo che si trovava davanti a me come si guarda una persona della quale si è sentito molto parlare e che si è sempre voluto conoscere. Finalmente incontravo la persona che usava il mio uomo come un mulo da soma. Gli sorrisi, cortesemente e Edward parlò ancora “Harry lei è Isabella, la mia fidanzata”

Mi osservò per un attimo e poi fece un passo avanti stringendomi caldamente la mano “E’ un vero piacere” il tono di voce che mi aveva rivolto, era notevolmente più dolce rispetto a quello con cui si era rivolto in precedenza a Edward. Doveva essere molto in collera con lui, il modo in cui lo guardava era strano, quasi ostile.

Che cosa voleva a quell’ora della sera?

Guardai nuovamente Edward cercando di cogliere il reale significato della presenza di quell’uomo, quando quest’ultimo parlò “Perché non eri presente alla riunione questo pomeriggio?” domandò d’un tratto mettendosi le mani nelle tasche del cappotto. M’irrigidii. Edward aveva una riunione? La mia mente cercava di trovare una spiegazione, ma l’unica cosa che mi veniva in mente era che lo avevo costretto a uscire e a passare la giornata con me a discapito del suo lavoro. Sospirai e Edward alzò le spalle “Non mi andava di venire! Non avevate bisogno di me, conosco ciò che è importante per il processo e non c’era bisogno che io venissi. Se fossi venuto mi avreste solo fatto perdere una giornata” l’uomo spalancò gli occhi,sorpreso dalla risposta secca di Edward. Sorrisi, non lo conosceva per niente se si sorprendeva per così poco.

“Ammetto che la tua schiettezza è d’ammirare, ma non ti ho assunto per vederti solo quando ne hai voglia tu. Ho sempre bisogno di tutti i miei avvocati, è per questo che ti ho assunto” aveva pienamente ragione e per questo io mi sentivo sempre più in colpa. Edward sbuffò pesantemente prendendo la mia mano nella sua e infilandoci le chiavi di casa “Sali, ti raggiungo tra un po’ – feci per rispondere ma non mi diede il tempo – Cinque minuti e ti raggiungo” insistette.

Sbuffai sconfitta passandomi una mano tra i capelli, non aveva più senso che io rimanessi lì, salutai …
… e me ne andai.



Se fossi rimasta lì altri due minuti, avrei sicuramente detto a Harrison che era colpa mia se Edward non era stato presente al loro incontro. Lui lo sapeva benissimo, per questo mi aveva chiesto di lasciarli soli.

Rientrai in casa e una volta cambiata accesi la tv e aspettai pazientemente sul divano che Edward rientrasse. Il tempo scorreva ed io passavo da un canale all’altro fingendo d’interessarmi a quello che dicevano, ma la verità era che la mia testa era ancora concentrata su quello che stava succedendo disotto. Edward non mi avrebbe mai incolpato ma sapevo che l’unico motivo per cui non era andato al suo appuntamento ero io. Improvvisamente tutto mi apparve più chiaro, era il suo capo che lo aveva telefonato nel pomeriggio, ma lui aveva preferito uscire con me per non darmi un dispiacere.

Continuai a torturarmi tra i miei pensieri quando il campanello suonò riportandomi alla realtà, mi alzai velocemente ma una volta poggiato i piedi a terra fui colta da un capogiro che mi costrinse ad appoggiarmi alla parete più vicina. Respirai per qualche secondo portandomi entrambe le mani alla pancia.

Mi raddrizzai a fatica quando il campanello suonò nuovamente e senza togliere le mani dalla parete andai ad aprire. “Che cos’ hai?” domandò Edward allarmato una volta avermi vista. Si chiuse la porta alle spalle e mi sorresse mettendo un suo braccio dietro le mie spalle. “È solo un giramento di testa, non preoccuparti” risposi nel modo meno convincente che potessi. Cercai di rimettermi in piedi ma me lo impedì riportandomi sul divano. “Non muoverti” sussurrò al mio orecchio e si allontanò. Presi fiato. La gravidanza non mi dava tanti problemi, alcune mattine mi svegliavo con delle nausee e certe volte invece faticavo a stare in piedi, come adesso. Ormai mi ero abituata, ma Edward non la smetteva mai di preoccuparsi più del dovuto.

“Tieni” disse porgendomi un bicchiere d’acqua, lo raccolsi con entrambe le mani e ne bevvi un lungo sorso. Edward si tolse il cappotto e si sedette al mio fianco. “Sto bene” lo rassicurai, prima che potesse dire qualcosa. Annuì guardandomi accuratamente, mi voltai completamente verso di lui e poggiai la testa sullo schienale del divano “Ti ho messo nei guai, non volevo” sussurrai, Edward sospirò pesantemente chiudendo gli occhi “Tu non hai fatto niente, non incominciare. È solo che sono finito in mezzo a dei pignoli, ti assicuro che non avevano bisogno di me”

Mi avvicinai e lui mi avvolse tra le sue braccia “Non farti licenziare” scherzai facendolo ridere “Ammetto di avere un brutto carattere ma non credo che Harry possa arrivare a tanto” rispose accarezzandomi i capelli. Mi sarebbero mancate le sue carezze. Natale era vicino e ciò significava che ci saremmo separati per otto giorni, non era poi tanto lungo il periodo che avremmo trascorso divisi, ma per me era un’eternità. Da quando c’eravamo conosciuti non avevamo mai passato il natale divisi, ma questa volta era più che necessario “Parlami un po’ di Harrison, perché dovete andare in Russia?” chiesi curiosa.

Mi baciò la testa “Harry è un banchiere e tra le sue tante filiali, qualche anno fa ne ha aperta una a Pskov. Lì dopo un po’ ha ricevuto minacce da parte di alcuni membri della mafia russa che rivendicavano il territorio sul quale si trovava la banca. Gli erano state offerte due possibilità: lasciare quel posto o dare a loro mensilmente un quarto dei guadagni della struttura. Lui non ha esitato a denunciare gli uomini che lo avevano intimidito”

“Il vostro compito è di farli confessare?” domandai ingenuamente ancora.

Scosse la testa “No, le cose sono un po’ più complicate. I tre uomini denunciati hanno già ammesso la loro colpevolezza, ma in modo diverso: loro sostengono che insieme ad Harry abbiano aperto un vasto traffico di riciclaggio di denaro sporco e che lui una volta resosi conto dei vantaggi portati da quello che insieme avevano creato, li abbia traditi ed esclusi denunciandoli.”

Tante domande si formularono nella mia mente, una più di tutte voleva una risposta “Tu a chi credi?” chiesi scettica. “Lavoro per Harry è a lui che devo credere” lo guardai negli occhi, la sua risposta mi sorprese. Edward non era un tipo insicuro ma nella sua voce avevo colto un’ inspiegabile incertezza, difficile da non cogliere.


 

***** *** *****


I giorni passavano, più era vicina la data del processo e più Edward era sommerso di lavoro. Avevo avuto altre occasioni d’incontrare Brian, il suo collega, che più di una volta era venuto a casa nostra per lavorare con lui. Anch’io mi ero concentrata sugli esami, almeno quando ne avevo la possibilità. Un altro componente della famiglia di Edward, in quei giorni era inquieto.

“Queste sono perfette!” trillò Alice.
Sospirai. Da giorni non faceva altro che portarmi in giro per scegliere cosa avremmo indossato domani, il giorno della sua sfilata. Tutta la sua famiglia sarebbe venuta a vederla e questa non la tranquillizzava per niente. L’ansia che era ormai padrona della sua mente veniva trasformata in esuberanza e per questo non riusciva a stare ferma un attimo, spaventava persino le commesse nei negozi. La guardai mentre teneva in mano un paio di scarpe che sventolò poi nella mia direzione “Queste sono perfette per te, sono anche del tuo numero!” aggiunse sorridendo in modo inquietante.
Sbuffai guardando fuori dall’ampia vetrata che sovrastava il negozio, il clima era perfetto. Eravamo ormai sotto Natale ma la neve non aveva ancora toccato il suolo newyorkese. Alice tossì impaziente reclamando la mia attenzione.

Le scarpe erano bellissime, eleganti, di un nero lucido. Mi avvicinai estasiata, perfette pensai a mia volta fino a quando non mi accorsi del prezzo stabilito dall’etichetta. Guardai mia cognata “Costano ottocento dollari” mormorai e lei mi guardò come se non avessi ancora finito la frase “Non posso permettermele” conclusi ovvia. Mio padre mi pagava gli studi e mi aveva assolutamente vietato di trovarmi un lavoro, voleva che mi concentrassi sugli studi assicurandomi che avrebbe provveduto lui a me. Ma io sapevo quanti sacrifici facesse per mandarmi quel denaro e non l’avrei speso tutto per delle scarpe.

Alice mi guardò divertita “Puoi permetterti quello che ti pare sorellina, sei una Cullen ormai” replico. Alzai gli occhi al cielo rimettendo le scarpe al loro posto “Non mi comprerai queste scarpe!” Scandii bene ogni parola ma lei m’ignorò. Le riprese chiamando una commessa e dirigendosi verso la cassa. Era una delle persone più testarde che conoscevo, ma questa volta non avrebbe vinto. Mi diressi anch’io verso la cassa ma prima che potessi dire qualcosa Alice parlò “Io non voglio comprarti niente tesoro – disse scavando nella sua borsa ed estraendone una carta di credito – Edward mi ha dato la sua American Express e mi ha detto che potevamo usarla. Vuole rendermi felice e farsi perdonare per avermi spezzato il cuore tre settimane fa ” concluse con finta voce infantile. Quella ragazza non conosceva per nulla il senso del denaro, proveniva da una famiglia ricca e come Edward non aveva mai dovuto desiderare una cosa troppo a lungo prima di riceverla. In tutti i nostri anni d’amicizia non l’avevo mai vista trasandata o spettinata. Era sempre perfetta: aveva sempre le unghie curate e i capelli impeccabili. Da qualche parte, nel profondo, aveva naturalmente dei valori ma conoscendola avevo l’impressione che si sarebbe suicidata se il padre fosse diventato povero.

“Mio fratello vuole che anche la sua futura moglie sia felice e mi ha ordinato di costringerti a comprare tante belle cose e credimi un paio di Louboutin ti renderanno felice. Ti ho vista, so che ti piacciono e le comprerò ” concluse porgendo la carta di credito alla cassiera. Non risposi, tanto non sarebbe servito a niente.







“Spenderemo un milione di dollari per il vestito adesso?” domandai ironica, Alice mi
fece la linguaccia aprendomi la portiera della sua auto “Spiritosa, comunque no. Abbiamo già gli abiti per domani” rispose pensierosa, la guardai interrogativa “Abbiamo?” chiesi curiosa. Quale altra sorpresa mi aveva nascosto quel piccolo mostro “Domattina ti farò arrivare l’abito a casa, fa parte della mia collezione. Io tu e Rosalie li indosseremo per l’evento” spiegò. Sbarrai gli occhi, Alice e Rosalie sarebbero state magnifiche nella loro eleganza ed io? Io sarei stata quella goffa e pallida. Mi portai le mani al viso “Non preoccuparti, il vestito è splendido e blu, il colore che Edward preferisce vederti addosso. Non posso dirti altro lo vedrai domani” annuii. “È una mia creazione, abbi fiducia sarai più bella del solito” aggiunse felice.




















 

“Le scarpe che abbiamo preso ieri non vanno bene con il vestito, quindi te ne ho
prese delle altre, lascia i capelli sciolti e sarai perfetta. A stasera. A.”

 


Lessi per la millesima volta il biglietto che avevo trovato quella mattina nella scatola che conteneva il mio vestito. Erano ormai le otto e mi trovavo davanti allo specchio mentre attendevo l’arrivo di Edward, che naturalmente era in ritardo. Avevo fatto come mi aveva consigliato, lasciando che i miei boccoli castani ricadessero sulle spalle nude.

Il vestito era di un blu acceso, senza spalline e con la scollatura a cuore. Perfetto per la mia carnagione. Ammetto di essermi quasi commossa leggendo AliceCullen sull’etichetta, ma di essermi ripresa una volta viste le scarpe che quella ragazza mi aveva comprato. Si era forse scordata che ero incinta? Quei tacchi erano troppo alti per me e per la mia incolumità. Presi il cellulare e la chiamai.

“Pronto?”m’irrigidii. La sua voce era cupa, come se venisse dall’oltretomba. “Sono Bella, stai bene?” domandai preoccupata. “Non è proprio il momento di confidarsi Bella! Hai problemi con il vestito?” domandò acida. Respirai profondamente, sapevo che mi stesse trattando male solo perché era ansiosa “Sono le scarpe il mio problema, il vestito è perfetto. Come ti è venuto in mente di prendermi delle scarpe così alte, hai forse scordato che sono incinta?”

“Prima di chiamarmi le hai almeno provate mammina?- domandò con tono accusatorio – Sono le scarpe più comode e semplici da portare mai create, una donna in travaglio potrebbe ballarci la samba con quelle!”

Non mi diede il tempo di replicare che riattaccò. L’essere ansiosa non le dava il diritto di trattarmi il quel modo, ero in procinto di richiamarla quando la porta della mia stanza si spalancò. “Lo so, sono in ritardo – affermò Edward gettandosi completamente con la testa nel suo armadio – dammi il tempo di una doccia ”

Lo ignorai completamente “Tua sorella mi ha appena riattaccato il telefono in faccia” lo informai ferita. Rise “Non arrabbiarti, ha fatto la stessa cosa con mia madre e con Emmett questa mattina, è solo nervosa – Non risposi e lui alzò lo sguardo verso di me – Alice è fatta cos … ” spalancò il suoi grandi occhi verdi e io avvampai completamente, il tempo passava e lui non la smetteva di guardarmi.
“Smettila di fissarmi, è imbarazzante” sussurrai. Edward mi venne incontro e mi accarezzò una guancia “Sei meravigliosa, non dovrei farti uscire per quanto sei bella” Mi scansai divertita dal suo tocco “Non fare lo sdolcinato perché non ti si addice. Va a prepararti o arriveremo in ritardo” gli ricordai spingendolo verso il bagno.







Arrivammo nell’edificio scelto per la sfilata con venticinque minuti di ritardo. Mi guardai in torno rapita dalla bellezza di quel posto. Avevano addobbato l’atrio del complesso con tante piccole luci bianche che, volontariamente, ti portavano verso l’entrata della sfilata. Edward mi strinse la mano mentre ci facevamo strada tra le persone che come noi si trovavano all’evento. Per fortuna erano quasi tutti in piedi, segno che la sfilata non era neanche iniziata. Sospirai sollevata, almeno non ci saremmo subiti le grida di Alice.

“Edward, tesoro. Siamo qui!” ci girammo contemporaneamente verso Esme, che bellissima nel suo vestito nero, agitava una mano. Erano tutti lì: Esme. Carlisle, Emmett, Rosalie con il piccolo Jonathan e Jasper. Salutammo tutti calorosamente, fino a quando mi soffermai sulla bellezza sconvolgente di Rosalie che come me indossava una creazione di Alice. “Sei splendida, il vestito ti sta benissimo” disse prima che io potessi confessarle tutta la mia ammirazione. Scossi la testa decisa “Tu sei uno spettacolo Rose, vicino a te chiunque si sentirebbe insignificante, come me in questo momento ” ammisi.

“Nessuno si sente insignificante con una mia creazione addosso!” una voce familiare s’insinuò alle mie spalle, mi voltai. Alice ci fissava soddisfatta “Questi abiti vi stanno un amore, mi congratulo con me stessa” trillò battendo le mani. Rosalie rise, io no.

“Come ti vanno le scarpe?” domandò. “Scomode” risposi.
Era una menzogna, le scarpe erano comodissime mi sentivo come se stessi indossando delle pantofole o addirittura delle nuvole. Ma non glielo avrei detto, ero ancora arrabbiata con lei. Alzò le spalle “L’ importante è che tu le abbia indossate” rispose a sua volta e si diresse dalla sua famiglia, per un attimo pensai di togliermele e tirargliele in faccia ma Rose mi mise una mano sulla spalla “Non pensa realmente quello che dice, tra un paio d’ore sarà tutto finito e tornerà la solita pazza” annuii e la mia attenzione fu rapita da Jonathan che lentamente si dirigeva verso sua madre.

Era un bambino bellissimo, aveva dei grandi occhi azzurri e una testa piena di boccoli biondi. Rosalie sorrise estasiata, prendendolo fra le sue braccia e automaticamente il bambino si accoccolò con la testa sulla spalla di sua madre. “Sei già stanco amore?” domandò e lui annuì lentamente. Mi portai una mano alla pancia, gesto che ormai facevo sempre e Rosalie sorrise “Andrà tutto bene Isabella, sari un’ottima madre – sussurrò e i miei occhi si riempirono di lacrime – Oh ti prego non piangere, non volevo rattristarti!” si affrettò a spiegare. Mi passai una mano fra i capelli “Non son triste, è solo che ho un po’ paura. Ma so che andrà tutto bene” spiegai più a me che lei. Cercò di dirmi qualcosa ma si zittì improvvisamente, la guardai interrogativa quando due braccia mi avvolsero. Sorrisi, non avevo il bisogno di voltarmi perché il suo dolce profumo era inconfondibile
“Che ci fate qui in disparte? La sfilata sta per cominciare, dobbiamo prendere posto” sussurrò Edward al mio orecchio.




Alice non era l’unica studentessa che presentava la sua collezione, così avemmo il piacere di ammirare tantissimi abiti. Quando sul palco apparve tra le luci il nome di sua figlia, Esme al mio fianco trattenne il fiato. Applaudiva con vigore a ogni abito che usciva e informava tutte le persone che facevano apprezzamenti positivi, che la stilista fosse sua figlia. Tutto era impeccabile, ogni modella rispecchiava Alice in tutto e per tutto. Le scarpe, le maglie, i jeans, le borse, i gioielli, tutto rappresentava la sua vita quotidiana. Alla fine della sfilata Jasper balzò in piedi seguito poi da tutti noi, Alice uscì tra l’acclamazione e gli applausi dei presenti. Aveva gli occhi lucidi e salutava ai fotografi presenti.

Improvvisamente scese da palco e si diresse verso Rosalie, le sussurrò qualcosa ed entrambe velocemente si diressero verso di me. Le guardai impaurita “Cosa c’è?” domandai e Alice mi prese per mano. “Siete splendide e voglio che tutta New York conosca le mia cognate e poi avete i mie modelli migliori”


Fu un attimo e mi trovai in piedi, sul palco. I flash non cessavano ed io abbassai lo sguardo intimidita. “Mi dispiace” sussurrò Alice al mio orecchio. Alzai lo sguardo e le continuò “Non farei mai niente per farti del male. Queste scarpe sono perfette, lo so, ho visto il modo in cui cammini. È solo che mi sono arrabbiata quando mi hai chiamato, eri davvero convita che ti avrei fatto indossare qualcosa di pericoloso? Ti voglio bene non dimenticarlo mai”

Rosali sorrise “Ti avevo detto che sarebbe tornata” Annuii e Alice alzò un sopracciglio “Di che state parlando? – Alzammo entrambe le spalle e ridemmo complici – Perché non sorridete a fotografi, dolcezze? Il mio momento di gloria sta per terminare, almeno per adesso” consigliò. Ci guardammo per un attimo per poi metterci in posa sorridenti.










PIACIUTO IL CAPITOLO?
RINGRAZIO TUTTE LE PERSONE CHE SONO STATE AL MIO GIOCO =)
TUTTE LE RISPOSTE SONO STATE APPREZZATE.
ABBIAMO FINALMENTE SCOPERTO CHI ERA LA PERSONA MISTERIOSA DELLO SCORSO CAPITOLO E COSA VOLEVA.
UN BACIO GRANDE A TUTTE LE PERSONE CHE CON I LORO COMMENTI MI SOSTENGONO, ANCORA GRAZIE DI CUORE.
RECENSITE,COMMENTATE, DITEMI COSA NE PENSATE INSOMMA!!!.=D

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Capitolo 15
*** 15Capitolo ***








Capitolo 15








 

Ispirai a fondo rattristandomi maggiormente quando Edward recuperò la sua valigia dal pavimento dell’aeroporto. Mi guardò per un attimo, per poi passarsi una mano fra i capelli “È per questo, che ti avevo chiesto di non accompagnarmi fino a qui” mormorò.
Il giorno della sua partenza era arrivato ed io mio ero impuntata per accompagnarlo all’aeroporto. Ma per come stavano andando le cose, sarebbe stato meglio se lo avessi ascoltato, entrambi non avevamo la forza necessaria per salutarci. Il suo volo era arrivato e la nostra separazione era diventata ormai reale.

Il suo sguardo vagò per l’intera sala per poi posizionarsi su di me, allargò le braccia e io mi fiondai sul suo petto. Mi accarezzò i capelli “Mi raccomando comportati bene in questi giorni e mangia solo cose commestibili - esordì come se fosse mio padre, annuii guardandolo senza dire una parola – Se fossi rimasta a casa, adesso non avrei difficoltà a prendere il mio aereo” mi accusò.
I miei occhi si gonfiarono di lacrime ed Edward mi baciò dolcemente. Assaporai quel contatto con accuratezza fino a quando l’altoparlante non chiamò nuovamente il suo volo. Ci stringemmo ancora per un attimo per poi staccarci, abbassai lo sguardo ma lui mi prese il viso fra le mani costringendomi a guardarlo “Stai andando da tuo padre, stare con la tua famiglia ti distrarrà e sono sicuro che non ti mancherò affatto” scherzò cercando di rassicurarmi.

Scossi la testa “Devi telefonarmi sempre, non m’importa del fuso orario e se non lo farai quando torni ti uccido” lo minacciai seria. Rise “Promesso” rispose. Abbozzai un sorriso soddisfatto “Ti amo e chiamami quando arrivi” ansimai.
Mi sentivo una stupida, piangevo anche se sapevo che in meno di dieci giorni sarei stata nuovamente fra le sue braccia. “Anch’io ti amo – rispose stringendomi nuovamente – Non immagini quanto”







Lo guardai allontanarsi tra la gente, lì ferma. Non mi mossi fino a quando non lo vidi voltare l’angolo e anche in quel momento sarei voluta restare lì e aspettare che tornasse da me. Mi asciugai, sconfitta, le lacrime con forza e mi diressi verso l’uscita di quel grande edificio. L’inverno era ormai arrivato e con esso anche la neve, che ricopriva il settanta per cento della città.

Una volta fuori mi guardai intorno cercando di ricordare dove fosse la macchina quando il cellulare squillò. “Chi parla?” domandai continuando a girare tra le file del parcheggio.
Dal tuo tono di voce, deduco che mio fratello è partito. Stai venendo da me vero?” cantò il mio incubo peggiore.

Edward non voleva che rimanessi sola e per questo aveva incaricato Alice di farmi compagnia per quella notte. Aveva, infatti, spostato il suo volo per quella mattina mentre tutti suo colleghi erano già partiti la sera precedente. Naturalmente Alice preferiva che fossi io ad andare a dormire da lei, aveva sicuramente organizzato qualcosa. Il giorno seguente saremmo partite insieme per Forks dove avremmo passato le vacanze con le nostre rispettive famiglie. “Sono le otto del mattino e poi ho già un appuntamento. Ho anche l’auto di Edward, ci vediamo questa sera. Dovresti venirmi a prendere se per te non è un problema” la informai trovando finalmente la Volvo argentata di Edward. “Certo, ma verrò nel pomeriggio” dichiarò.

Entrai in auto “Ora devo lasciarti,sono al volante. Ci vediamo nel pomeriggio” promisi. Borbottò qualcosa e riattaccò. Misi in moto rendendomi conto di non aver mai guidato l’auto di Edward senza che ci fosse lui al mio fianco. La sua Volvo era molto semplice da guidare, ed estremamente comoda, per questo mi aveva fatto promettere che se fossi dovuta uscire l’avrei usata lasciando a casa il mio catorcio. Adoravo la mia auto, era perfetta per me, l’unico suo difetto era che tendeva a lasciarmi a piedi a volte. Era la mia prima auto, un regalo di mio padre che Edward aveva ormai imparato ad odiare. Si era offerto, più di una volta, di comprarmene una nuova ed io mi ero sempre prontamente rifiutata. Finché non fosse stata pericolosa per la mia incolumità, non avrei abbandonato la mia vecchia amica.

Uscii dal parcheggio e in pochi minuti mi ritrovai nel solito traffico newyorkese. I minuti passavano ma le auto erano sempre nella stessa posizione, piegai il collo di lato cercando di riuscire a vedere se, per strada, ci fossero dei problemi o un incidente. Ma non vidi nulla d’insolito, solo in normale e noiosissimo traffico. Sbuffai accendendo lo stereo e senza che mi sorprendessi più di tanto Kurt Cobain mi perforò i timpani. Edward ascoltava spesso la loro musica, soprattutto quando era di cattivo umore e in quel periodo lo era stato quasi tutti in giorni.
Quel genere di musica non faceva per me, per questo mi abbassai verso il cruscotto cercando qualsiasi altra cosa che non fossero i Nirvana. L’ordine non era il suo forte, in quel cruscotto che era pieno di carte mescolate a cd, non sarei mai riuscita a trovare niente per questo raccolsi tutte le cose che le mie mani riuscissero a contenere e le passai dall’lato del passeggero. Il mio sguardo fu catturato da qualcosa che non riuscì a raggiungere il sedile ma che cadde ai suoi piedi. Persi un battito quando l’unica cosa che non avrei mai voluto trovare in quella macchina mi si parò davanti. Raccolsi il pacchetto di sigarette fra le mani, iniziando a rigirarmelo fra le dita. Respirai profondamente ripensando ai quasi due anni passati tra tisane, cerotti e tutti i rimedi più strani che avessero la capacità di levargli quello stupido vizio.

Rabbia e delusione s’impossessarono della mia mente fino a quando dei clacson mi portarono bruscamente alla realtà. Ritornai al mio posto e mi diressi verso casa di Angela.




Angela aveva insistito perché l’andassi a trovare prima di partire per Forks e senza darmi spiegazioni, mi aveva pregato perché andassi quella mattina. Arrivai a casa sua dopo quasi quaranta minuti di traffico e senza smettere di pensare a quel bugiardo del mio fidanzato, parcheggiai.

Angela mi aprì con uno strano sorriso sul volto “Finalmente sei arrivata!” affermò trascinandomi all’interno del suo piccolo appartamento. La sua abitazione era molto vicina alla nostra università e all’azienda farmaceutica dove lavorava Ben, il suo ragazzo. Mi guardai intorno alla ricerca di quest’ultimo ma nella casa regnava il silenzio “Quando mi hai chiesto di venire da te così presto, credevo che ti fosse successo qualcosa di grave. Ma vedo che mi sono preoccupata per niente, stai benissimo” l’ accusai dirigendomi stancamente sul divano. Aspettai qualche secondo ma da Angela nessuna risposta, guardai alle mie spalle per capire cosa stesse facendo ma non la trovai. “Angela?” la chiamai e lei attraversò di corsa il corridoio di casa sua, posizionandosi al mio fianco.

Mi passai una mano fra i capelli, osservando il pacco bianco che aveva fra le mani. Sorrise “Buon Natale in anticipo” disse porgendomi il pacco.
Avvampai d’imbarazzo. Non ci eravamo mai scambiate regali a Natale e adesso ero completamente a mani vuote. “Angela … io …” alzò una mano bloccandomi “Aprilo prima di parlare - sospirai portandomi il pacchetto al petto – Comunque non è per te signorina” concluse. Alzai lo sguardo e lei mi face l’occhiolino.
Aprii curiosa la scatola e i miei occhi si riempirono di lacrime per la seconda volta quella mattina. Accarezzai con mano tremante la piccola tutina bianca che la mia amica aveva regalato al mio bambino. “Volevo essere la prima a regalarti qualcosa per il tuo bambino e visto che non sai ancora il sesso ho optato per un colore neutro. Dimmi che sono stata la prima ti prego!” poggiai la scatola di lato e mi gettai completamente su Angela.
Da quando avevamo scoperto che fossi incinta, io ed Edward non avevamo ancora comprato niente per il bambino. Angela mi aveva completamente spiazzata. “È perfetta, ti ringrazio” mi accarezzò la schiena dolcemente per poi sobbalzare improvvisamente. La guardai stupita e lei mi sorrise alzandosi “Ti ho preso anche un’altra cosa e prima che tu mi dica qualcosa ti assicuro che non è un vero regalo, l’ho visto e ho subito pensato a te, ma è una sciocchezza” aspettai in silenzio il suo ritorno.

Come era possibile che una semplice ragazza come me, fosse circondata da tante persone così splendide? Cosa avevo fatto per meritare di essere circondata da persone così speciali? Chiusi gli occhi portandomi entrambe la mani alla pancia. “Ti rendi conto di quanto siamo fortunati piccolo mio?” sussurrai, come se potesse rispondermi. Sorrisi e Angela si precipitò nuovamente al mio fianco.
Mi guardò per un attimo, forse, cercando di capire perché stessi sorridendo “L’altra volta mi hai detto che non sapevi che nome dare al tuo bambino o bambina così … beh io per caso ho trovato questo in una libreria e non ho resistito. tieni” parlò veloce e mi porse un libricino colorato. Lo raccolsi e sfogliandolo notai tanti elenchi di nomi in rosa e in blu. Mi portai un mano alla bocca, commossa, prima di stringerla nuovamente. “Ti voglio bene” mormorai sincera.



 

***********






“Faremo come quando eravamo alle superiori: ci faremo le unghie, guarderemo un film e mangeremo schifezze. Proprio come ai vecchi tempi” trillò emozionata. Alzai gli occhi al cielo ascoltando per la millesima volto il programma che Alice aveva preparato per la serata. “... solo che di notte non sgattaiolerai nella stanza di Edward ” concluse pensierosa recuperando le chiavi del suo appartamento dalla borsa. Alzai gli occhi di scatto e Alice mi fece la linguaccia “Credevi che non lo sapessi?” domandò retorica e io avvampai dall’imbarazzo.
Quando mio padre non era ancora a conoscenza della mia relazione con Edward, più di una volta ero andata a dormire da lui con la scusa del pigiama party con sua sorella. Passavo tutta la notte ad aspettare che Alice si addormentasse per poi ritornare prima dell’alba.

Edward era un ragazzo totalmente diverso da com’era adesso. Incrociai il suo sguardo per la prima volta fuori dalla mensa della scuola, qualche giorno dopo il mio arrivo. Era seduto sulle gradinate dell’entrata con altri ragazzi che ridevano e scherzavano tra di loro. Lui non parlava ne rideva, si limitava ad annuire e a guardare davanti a se. I nostri sguardi s’incrociarono per un attimo e da lì iniziò tutto. Più ci frequentavamo e più mi rendevo conto di non conoscere niente, di realmente significativo della sua vita. Inizialmente era difficile approcciarsi con lui, era spesso sulle difensive e tendeva a reagire d’istinto senza pensare alle conseguenze. Aveva terrificanti sbalzi d’umore, litigava con tutti fino a farsi sospendere. Spariva per giorni da scuola per poi tornare come se non se ne fosse mai andato. Con il trascorrere del tempo e il conoscerci, la situazione diminuì. Non mi davo il merito, al contrario della sua famiglia, del suo drastico cambiamento. La persona che era adesso era sempre stata dentro di lui. Edward non era un cattivo ragazzo, anzi la maggior parte dei difetti che aveva allora se li portava dietro anche adesso, ma in un modo più controllato.

“Vuoi passare la notte lì fuori?” la voce di Alice mi arrivò alle orecchie bloccando il mio viaggio nel passato. Mi guardai intorno rendendomi conto di essere rimasta fuori la sua porta. Sospirai chiudendomi la porta alle spalle “Jasper dov’è?” domandai. Alzò le spalle “A casa sua, dove vuoi che sia” rispose levandosi il cappotto. Sbarrai gli occhi. Alice e Jasper stavano insieme da ormai tre anni e avevano preso entrambi un appartamento nello stesso palazzo, anche se vivevano praticamente nella casa di lei. “Non voglio essere un peso Alice, Jazz poteva rimanere qui. Non mi sai scandalizzata nel vederlo in pigiama” scherzai facendola sorridere. “Non possiamo fare una serata fra ragazze con lui in giro – la sua voce era totalmente tranquilla, senza rimorsi – e poi è sempre impegnato” concluse pensierosa.
Feci una smorfia “Benvenuta nel club, Edward in questi giorni è stato intrattabile” mormorai.

Alice si passò una mano fra i capelli “Mio fratello sa essere un vero rompi palle, lo so. Ma adesso non è qui e noi smetteremo di parlare sia di lui che di Jasper” non mi diede il tempo di risponderle che mi prese per un braccio e mi trascinò in cucina.


Mi posizionò come se fossi una bambola, dietro il bancone della cucina “In questo periodo mangi troppa cioccolata – mormorò distrattamente aprendo il frigorifero – per questo ho preso qualcosa di buono ma nello stesso tempo salutare” si voltò nella mia direzione mostrandomi una strana torta. Alzai un sopracciglio quando me ne porse una fetta e lei sbuffò “Edward ti ha affidata a me e mi ha vietato di farti mangiare schifezze, ci tiene alla tua salute” si giustificò.
Abbozzai un sorriso prima di prendere quel piatto: Edward tiene alla mia salute, ma rovina la sua fumando.

Giocherellai con il pezzo di torta che si trovava nel mio piatto e senza che me ne rendessi conto, l’elegante dolce si trasformò in una strana poltiglia incomprensibile. “Sei silenziosa, qualcosa non va?” la voce di mia cognata mi portò alla realtà. Scossi la testa ritornando sulla mia poltiglia. Ma poi mi resi conto che dovevo sfogarmi con qualcuno prima di una telefonata di Edward o lo avrei sicuramente aggredito. Posai la posata, strofinandomi il viso con una mano “Edward ha ricominciato a fumare” dirlo ad alta voce mi fece salire la rabbia che per tutta la mattina avevo celato nel profondo. Alzai lo sguardo e quello che vidi non fece altro che incrementare il mio dispiacere. Alice non era affatto sorpresa.
“Non dirmi che lo sapevi, ti prego” l’avvertii, ma infondo sapevo già la risposta. Tenne la testa bassa, non rispose e io mi alzai.
Bugie, un’altra persona che mi aveva mentito. Mi diressi a passi veloci verso il soggiorno, dove recuperai il cappotto.

“Dove vai? Non agitarti, parliamone ” la sua voce era un sussurro, la tipica voce di chi si sente in colpa. Ridacchiai isterica cercando con lo sguardo la mia borsa, Alice se ne accorse “Ti stai comportando da bambina, l‘ho sorpreso nel suo ufficio un pò di tempo fa e mi ha chiesto di non dirtelo. Cosa avrei dovuto fare, è pur sempre mio fratello – si passò una mano fra i capelli, prima di aggiungere – Ringrazia il cielo che siano sigarette, quando aveva diciassette anni fumava cose peggiori” concluse agitando le mani.
Poteva una persona pensare cose tanto stupide?
Raccolsi la mia borsa prima di avvicinarmi lentamente verso di lei. Respirai a fondo cercando di riacquistare la calma “Due anni, ci ho messo due anni per farlo smettere – presi fiato, stingendo i pugni – Quando l’ho conosciuto fumava talmente tanto da non riuscire mai a finire i suoi allenamenti di basket” fece per parlare ma la bloccai alzando una mano a mezz’aria “Dopo il liceo le cose sono peggiorate. Non riusciva a camminare per più di un ora senza stancarsi e aveva solo ventidue anni. Non era una cosa normale per un ragazzo così giovane, quindi scusami se ho provato a farlo smettere e scusami se non sono abbastanza grata del fatto che sia passato dall’erba alla nicotina”

Non le diedi il tempo di dire niente, voltai le spalle e me ne andai.

Quella ragazza era così frivola certe volte e malgrado mi desse molto spesso sui nervi, le volevo bene e il fatto che mi avesse nascosto una cosa del genere mi aveva ferito profondamente.

Una volta in strada mi portai la sciarpa alla bocca per coprirmi, quando una folata di vento mi colpìfacendomi rabbrividire.
Camminai per un pò, avevo bisogno di calmarmi e schiarirmi le idee. La discussione con lei non era prevista e per questo mi trovavo nella fredda Manhattan senza automobile. Il sole stava per tramontare e se avessi voluto tornare a casa prima che facesse buio avrei dovuto sbrigarmi a chiamare un taxi. Mi avvicinai al ciglio della strada quando una mano si appoggiò alla mia spalla.

Mi voltai di scatto. “Non dovresti essere con Alice?” sospirai sollevata quando mi resi conto che fosse Jasper e non un maniaco. Sorrisi “Che ci fai qui?” domandai curiosa. Alzò un sopracciglio portandosi entrambe le mani nella tasche dei pantaloni. Non era facile mentirgli e dalla sua reazione avevo capito che il mio tentativo di sviare il discorso fosse fallito. “Avevo un appuntamento. Non hai risposto alla mia domanda comunque”

Come pensavo.

Mi passai una mano fra i capelli “Ero da lei fino a poco tempo fa, ma poi abbiamo avuto una discussione e non mi andava più di rimanere” ammisi.
“Sono sicuro che vi chiarirete” dichiarò convinto. Annuii. Dovevo solo calmarmi, sapevo che l’unica vera persona con cui fossi realmente arrabbiata fosse Edward. Alice era solo capitata nel momento sbagliato. Mi voltai nuovamente verso la strada chiamando un taxi. “Ora devo andare – lo avvisai sorridendo – Non credo che ci rivedremo prima di gennaio quindi … buon Natale” mormorai. Sorrise stingendomi calorosamente “Buon Natale anche a te”

Salii nel taxi e Jasper mi aiutò a chiudere la portiera, prima che partisse abbassai il finestrino “Posso farti una domanda Jasper?” chiesi. Mi guardò per un attimo prima di sorridermi e io continuai “Sapevi che Edward avesse ricominciato a fumare?” il suo sorriso si spense per qualche secondo e io intuii la risposta. Sospirai “Ho capito” alzai il finestrino e chiesi al taxista di portarmi a casa.














Un suono tremendamente familiare ma particolarmente stridulo si fece strada nella mia mente facendomi sobbalzare bruscamente. Mi portai entrambe le mani al viso sbuffando. Guardai l’orologio che segnava le quattro del mattino e senza esitare, mi alzai dal letto. Ero riuscita finalmente a prendere sonno malgrado lo stare sola mi terrorizzasse, adesso non sarei più riuscita a dormire. Camminai velocemente verso il salone sperando che chiunque fosse non portasse brutte notizie.

“Pronto?” sussurrai con la voce impastata dal sonno. Aspettai qualche secondo ma nessuno rispose. Il cuore iniziò a battermi in petto quando l’azione che avevo appena compiuto mi ricordò un vecchio film dell’orrore. “Chi parla?” chiesi ancora.
“Cosa ci fai a casa?” chiusi gli occhi sollevata, quando sentii la voce di Edward. Mi sedetti sul pavimento freddo del soggiorno poggiando le spalle al muro. “Sei arrivato?” chiesi. “Da venti minuti, ho chiamato a casa ma poi mi sono ricordato che eri da Alice. Stavo per riagganciare quando però hai risposto” portai la mano libera ai capelli stringendoli quasi a volerli strappare.
“Abbiamo discusso per colpa tua, così ho preferito tornare quì” lo informai. Avevo passato tutta la serata a trovare una spiegazione al fatto che tutti sapessero di Edward ma che nessuno mi avesse informato. A nessuno era interessato il fatto che io avessi speso energie a cercare di cambiare il suo stile di vita e che fumare non facesse bene a nessuno ingenerale. “Riesco a far incazzare la gente anche a tutti questi chilometri di distanza?” chiese ironico ma io non risposi “Cos’è successo?” domandò poi seriamente.

“Hai ripreso a fumare idiota?” domandai secca e la rabbia cominciò a risalire rumorosamente. Iniziavo a pensare che la gravidanza in tutto ciò avesse la sua parte, mi capitava di essere immensamente felice o improvvisamente triste senza riuscire a controllare la cosa. “Solo in questo periodo, non ho ricominciato completamente” rispose pacato e questo non fece altro che alimentare la mia collera. Per lui far arrabbiare o deludere una persona non contava più di tanto. “Hai idea di quanto questo mi faccia stare male? Ci abbiamo messo tantissimo per farti mettere da parte quella cattiva abitudine e tu hai rovinato tutto – ansimai – e come se non bastasse, lo sapevano tutti tranne me. Da quando conto così poco?”
Le lacrime cominciarono a farsi strada sul mio viso e senza che me ne rendessi conto cominciai a singhiozzare. La sua voce divenne allarmata “Amore non piangere, stai esagerando. Non volevo che ti arrabbiassi con me per questo non te l’ho detto” continuai a singhiozzare “Perché non mi dice mai niente?” domandai realizzando che, senza rendermene conto avevo completamente cambiato argomento. “Non mi lasci mai entrare completamente nella tua testa e … e qu-esto non mi sta più bene. No.” Mi portai una mano al petto cercando di calmarmi quando Edward parlò “Ti ho sempre detto tutto Isabella, non agitarti ti prego” scossi la testa come se lui potesse vedermi. “Non dirmi di stare calma Edward. Da quando ti conosco ho sempre evitato diversi argomenti che ti riguardassero ma ora sono stanca, stanca di dover sentire Alice dirmi di ringraziare il cielo per come sei adesso – presi fiato, scossa – Come faccio ad appezzare quello che sei, se non so chi eri prima. Chi eri Edward Cullen? ” Ispirai a fondo.
Mi sentii leggera come una piuma. Avevo sempre avuto quelle parole sulla punta della lingua ma non ero mai riuscita a pronunciarle. Mi asciugai le lacrime aspettandomi una risposta diversa da quella che invece ricevetti “Amore credo che tu sia stanca, da te è notte inoltrata non dovresti essere sveglia. Ti richiamo domani” Il mio cuore smise drasticamente di battere quando colsi il significato delle sue parole.
“Oh non disturbati, evita di farlo perché sarebbe inutile” lo avvisai ferita e riagganciai.



Mi accasciai sul lucido e freddo pavimento della stanza e continuai a piangere silenziosamente fino a quando il telefono non riprese a suonare. Mi alzai di scatto scaraventando l’apparecchio verso il televisore che per pochi centimetri non venne preso in pieno.
Mi portai poi lentamente sul divano e rimasi lì per un tempo indefinito pensando a quante emozioni avevo provato in un'unica giornata, fino a quando non bussarono alla porta. Mi alzai impaurita e andai a passi silenziosi verso di essa.

Era il momento sbagliato per essere rapinata pensai, mi guardai intorno e nel buio della notte cercai qualcosa per difendermi. Bussarono ancora e le mie mani cominciarono a tremare “Bella mi apri per favore?" la voce di Alice era dietro quella porta. L’aprii di scatto trovandomela in pigiama. “Edward mi ha detto…” non la feci finire di parlare che mi accasciai su di lei singhiozzando.

















Scusate immensamente il mio ritardo è solo che questo è stato un periodaccio per via dello studio, ma passiamo al capitolo.
Posso finalmente dire che questo è l'ultimo dei capitoli "tranquilli" della storia e che per un pò sarà tutto più complicato.

Recensite!
Un bacio. =)

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Capitolo 16
*** 16Capitolo ***






Capitolo16














 

La lontananza rimpicciolisce gli oggetti all'occhio, li ingrandisce al pensiero.

Arthur Schopenhauer















 


La piccola figura di Alice era rannicchiata al mio fianco. I raggi del sole sfioravano il suo viso infantile, mentre io dall’altra parte del letto rimanevo nell’ombra. Era rimasta sveglia a consolarmi e ad asciugare le mie lacrime fino a quando non colsi la stanchezza nei suoi occhi, finsi di addormentarmi aspettando che lei facesse lo stesso. Chiusi gli occhi aspettando che il sonno colpisse anche me. Ero stanca si, ma di una stanchezza diversa.

Esausta di dover misurare le parole, evitare discorsi e non fare domande. Abbattuta, perché non mi era mai stato chiesto apertamente di non pretendere niente. Delusa da me stessa, perché in fondo avevo paura delle cose che avrei potuto scoprire. Edward non parlava mai della sua adolescenza o degli avvenimenti capitati prima del mio arrivo a Forks, niente. Quel poco che sapevo mi era stato detto da altri, lui si era limitato a confermare. Non si era mai giustificato o arrabbiato, niente. Si limitava a far crollare il discorso cambiando argomento ed io lo lasciavo fare. Stupidamente avevo contribuito a costruire tra di noi un muro invisibile, un parete che lo circondava e che non mi era permesso oltrepassare.

Mi auto convincevo che l’unico Edward che m’interessava fosse quello al mio fianco. Quello che mi regalava cinquanta girasoli al mio compleanno, quello che mi stringeva a se di notte durante i temporali, quello che mi faceva ridere quando mi sentivo abbattuta, quello che durante le mie crisi di panico se anche impegnato mollava tutto e mi aiutava studiare, quello geloso di tutti i ragazzi che all’università mi rivolgevano la parola, quello che voleva sposarmi …

…. Quello che amavo alla follia.



Un singhiozzo uscì fortuitamente dalle mie labbra quando realizzai che anche in quel momento, lì rannicchiata sul nostro letto e col cuore squarciato in due, lo amavo. Qualunque cosa avrebbe fatto avrei comunque continuato a volerlo al mio fianco.

Ma allora perché mi sentivo uno schifo?

Perché ormai sei legata a lui in un modo quasi scandaloso e vuoi che lui sia completamente sincero con te, ma dall’altra parte hai paura di quello che tu possa scoprire. Scossi la testa energicamente scacciando quei pensieri così dolorosi e Alice cominciò muoversi. Si stiracchiò passandosi un mano sul viso, inspirai profondamente adottando un espressione rilassata prima che mi guardasse.

“Buon giorno” la sua voce era impastata dal sonno, posò i suoi grandi occhi azzurri su di me e il sorriso che si era creato sul suo viso scomparve. Si passò una mano tra i capelli arruffati prima di sedersi composta sul letto “Ho visto cadaveri più coloriti di te Bella” non risposi e lei continuò “Sono le … - guardò sul piccolo schermo del suo cellulare - … nove e un quarto, che ne dici di fare colazione?” chiusi gli occhi stringendomi fra le coperte, volevo rimanere il quella posizione per sempre o almeno fino a quando non avessi avuto bisogno di fare pipì. “Preferisco restare qui, tu vai e fa come se fossi a casa tua” pronunciai quella parole e aspettai che si allontanasse ma naturalmente non accadde.

Riaprii gli occhi trovandomela ad un centimetro dal viso, mi scansai “Alzati o ti spingerò giù dal
letto” mi minacciò.

 

*** * *** * ***


“Tu e mio fratello avete mai mangiato in questa cucina? È tutto così nuovo” Alice continuava a saltellare tra uno scaffale e l’altro cercando qualcosa per fare colazione. “Mangiamo spesso fuori” bofonchiai seduta su’una sedia e continuando a torturarmi una ciocca di capelli. Si sedette al mio fianco passandomi le uova che aveva preparato. “Mio fratello è un tipo difficile ma tu sei l’unica che sia riuscita ad addolcirlo, ti ama. So che stai male adesso, ma sono sicura che chiarirete tutto, non è la prima volta che litigate ” disse stringendomi una mano. La guardai implorante “Possiamo cambiare argomento? Ti prego”

“Voglio solo che tu sappia che tutto si risolverà, tutto qui” continuò.
Abbassai lo sguardo concentrandomi sulla mia colazione. “Come chiamerete la vostra bambina?” domandò d’un tratto.

Bambina?

Alzai lo sguardo verso di lei “Chi ti dice che sia una femmina?”alzò le spalle sorseggiando il suo caffè. “Sei quasi al quinto mese e quell’esserino non si è fatto ancora sentire, non sei mai stanca o affamata. Rosalie quando era incinta era una belva, ricordi? Se è così gentile deve essere per forza una signorina” affermò indicando la mia pancia.
Spalancai gli occhi prima d’iniziare a ridere per l’assurda teoria di Alice. Aggrottò le sopracciglia e la sua espressione mi fece ridere ancora di più. “Sono felice che tu abbia ripreso il sorriso, ma sono realmente curiosa. Allora?” sospirai cercando di ricompormi “Non lo so, ci sono molti nomi che mi piacciono. Se è femmina …” alzò una mano. “È femmina!” mi corresse ovvia. Sorrisi portando una ciocca ribelle dietro l’orecchio “Eleonore, avevo pensato a questo. Ma Angela mi ha regalato…” m’interruppe nuovamente.

“Lo adoro, lo trovo perfetto!” trillò battendo le mani “Non lasciare che Edward scelga il nome, non è mai stato bravo. Da bambino i miei gli regalarono un pappagallo e lui lo chiamò uccello” sorrisi appena.
“Se è maschio, ha proposto…” scosse la testa alzandosi “Sarà una bellissima bambina!” alzai le mani in segno di resa.






Il tempo passò lentamente. Aveva passato tutta la notte a sentirmi piangere, ma da grande amica che era, asciugò le mie lacrime ancora una volta quando Edward cercò di parlare con me nel pomeriggio. Alice, come se fossimo delle quattordicenni, parlò al mio posto beccandosi gli insulti dal fratello che gli urlava di passarmi il telefono. Non volevo sentire ne la sua voce, ne le sue spiegazioni. Gli avevo dato una possibilità ma l’aveva prontamente rifiutata, ora volevo essere lasciata in pace.

 

*** * *** * ***


Trascinai a fatica il mio trolley, trovandomi per la seconda volta in due giorni in aeroporto. Tornare a casa, da mio padre faceva crescere in me un senso di serenità e tranquillità, stati d’animo di cui avevo immensamente bisogno in quel momento. Occuparmi di Charlie mi avrebbe sicuramente distratto.
Guardai Alice, intenta a messaggiare. Sbuffò “Jasper ti saluta e dice che dovresti parlare con mio fratello, prima che impazzisca” M’immobilizzai “Edward sta tormentando anche lui vero?” domandai ironica.
“Oh no, sono stata io ad informarlo della situazione. Quei due non si parlano da un pò” risponde pensierosa. Non mi mossi e Alice continuò “Ho deciso di non mettermi in mezzo e prima che tu dica qualunque cosa, ti assicuro che io non so niente”

“Perché non si parlano?” domandai a mezza voce. Alice fece una smorfia “Non lo so, quando me ne sono accorta Jazz mi ha chiesto di starne fuori e io lo sto accontentando” concluse dispiaciuta.
Edward stava realmente litigando con il suo migliore amico?




“Grazie” sussurrai quando mia cognata prese posto al mio fianco in aereo. Mi guardò confusa e io sorrisi “Per essere mia amica e per essere stata con me tutto il giorno, sopportando i miei crolli emotivi” Agitò le mani “Tesoro sei mia amica, non devi mai ringraziarmi per queste cosa. Ti voglio bene, sei come una sorella per me” l’ abbracciai forte fino a quando un colpo di tosse non mi fece voltare. Una hostess ci lanciò un’occhiataccia “Stiamo per partire, dovreste allacciarvi la cintura” ci avvisò cordialmente.

 

*** * *** * ***


Guardavo le piccole gocce di pioggia e grandine urtare contro la finestra della mia vecchia stanza. Mi strinsi più forte al pigiama assaporando quel momento di assoluto silenzio. Mio padre era di sotto intento a preparare, con l’aiuto di mia madre e Phil, il pranzo natalizio. Io me ne stavo a guardare la pioggia, mentre di sotto erano convinti che io stessi ancora dormendo.
Erano passati ormai tre giorni da quando avevo ascoltato la voce di Edward e mancavano ormai cinque giorni al suo ritorno. Avrei dovuto affrontarlo senza via di scampo, ma sapevo di non essere abbastanza forte per farlo. Una volta visto, avrei pianto e sarei corsa a stringerlo come una stupida. Avrebbe vinto, ancora.

Scacciai dalla mente quei pensieri che mi tormentavano da tempo, avevo ancora qualche giorno prima di pensarci. Sospirai quando bussarono alla porta.
“È aperto” pronunciai quelle parole con un involontaria voce strozzata. “Sei sveglia tesoro?” mia madre aprì la porta con un dolce sorriso sulle labbra. “Buon Natale” aggiunse.
“Anche a te mamma” risposi con un sorriso. Mi guardò per un attimo “Mi dirai mai cosa ti passa per la testa Isabella?”chiuse la porta e si avvicinò a passi veloci verso di me. Scossi il capo alzandomi, non mi fece rispondere che aggiunse “E’ da quando sei arrivata che sei giù di morale”

Avevo cercato in tutti i modi di non rovinare le vacanze a nessuno, cercavo di sorridere ma mi ero resa conto che venire fino a qui fosse stato un enorme sbaglio. “Sto bene” mentii risedendomi e Renèe si accomodò al mio fianco, sul letto. Voltai lo sguardo verso la finestra cercando di non incrociare il suoi occhi.

Rimanemmo così per qualche minuto, o forse ore. So solo che per un po’ l’unico rumore nella stanza fu quello della pioggia. Non mi voltai verso di lei, sapevo che fosse li solo perché sentivo la sua presenza al mio fianco.

“E’ per Edward?” domandò d’un tratto. Sussultai senza voltarmi, non volevo cedere, per una volta volevo galleggiare nel mio dolore, da sola. “Sei preoccupata per via del processo?” domandò ancora e mi sentii mancare la terra sotto i piedi. Erano giorni che non lo sentivo, giorni che rifiutavo di parlargli tenendo il telefono spento, giorni in cui mi crogiolavo nella rabbia verso di lui. Dimenticando così, il reale motivo per cui eravamo fisicamente lontani. Il processo.

Aveva lavorato giorno e notte a quel caso, il giorno prima si era svolto e lo avevo dimenticato.
“Sono una persona orribile” singhiozzai e mia madre mi fu subito davanti. La maschera di forza che con difficoltà mi ero creata, si era sgretolata ancora una volta. “Chi dice una cosa del genere tesoro? Nessuno lo pensa” mi madre prese il mio viso fra le mani, asciugando le lacrime che avevo trattenuto troppo tempo. “Sono orribile” ripetei.

“Che succede?” M’irrigidii quando la voce di Charlie mi arrivò alle orecchie. Scossi la testa divincolandomi dalle braccia di mia madre. “Perché non bussi prima di entrare?” lo accusò mia madre. Mio padre sembrò non ascoltarla neanche, sentivo i suoi occhi su di me. “Bells cos’hai? – domandò ancora – Edward ti ha fatto qualcosa?” Ecco, in quell’ esatto momento una mia risposta avrebbe potuto cambiare il fragilissimo rapporto civile che mio padre ed Edward avevano istaurato.
Mi asciugai le lacrime con forza “No” sussurrai appena e lui fece un passo verso di me.
“Papà … sto bene – ripetei – Sono solo stanca” quelle parole,che avrebbero dovuto rassicurarlo uscirono invece come un vero e proprio lamento. “Stava parlando con me Charlie, perché non torni di sotto” ordinò mia madre con finto tono di richiesta. Mi portai le mani alla testa “Da quando non posso parlare con mia figlia?” ringhiò mio padre. Ci mancavano solo loro due. Sbuffai pesantemente alzandomi e dirigendomi verso il mio armadio. Recuperai un asciugamano voltandomi poi verso di loro “Andate entrambi disotto” sussurrai uscendo.

Dovevo rilassarmi e cercare di non pensare a niente, decisi così di abbandonarmi al getto caldo della doccia.

Mezz’ora dopo ero nuovamente nella mia stanza che per grazia ricevuta era vuota. Mi sedetti sul letto e per un po’ rimasi a fissare il vuoto, ma poi lo sguardo cadde sul mio cellulare. La tentazione di afferrarlo e riaccenderlo si fece strada nella mia testa, chiusi gli occhi e mentalmente mi feci il conto di che ore fossero in Russia.

Le otto di sera, perfetto pensai, potrei chiamarlo e chiedergli come stanno andando le cose o solo per sentire la sua voce. Scossi la testa, cercando di ricordarmi il reale motivo per cui fossi arrabbiata con lui. Perché ti ha tenuto nascosto delle sigarette? No. Perché io gli dicevo tutto e lui non mi aveva mai detto niente di significativo. Suonava talmente stupido anche solo a pensarlo, ma era la verità ero arrabbiata con lui perché mi sentivo in disparte. Mi alzai recuperando dei vestiti puliti.
Mentre mi vestivo continuavo a pensare a come fosse andato il processo, non volevo ancora parlargli ma volevo sapere. Così mi vennero in mente le uniche persone che avrebbero sicuramente saputo qualcosa, la sua famiglia.


Scesi lentamente le scale, malgrado avessi fretta non mi andava di spezzarmi l’osso del collo. Mi diressi in cucina e sotto gli occhi di tutti sollevai la cornetta del telefono, composi il numero. Pregai che a rispondere fosse Alice “Pronto?” ma naturalmente le mie preghiere non venivano ascoltate. Presi un respiro profondo “Buon Natale Esme” balbettai imbarazzata.
“Isabella, tesoro. Buon Natale anche a te” rispose cordiale, la sua voce era talmente dolce che riuscivo a vedere il suo sorriso.
“Puoi passarmi Alice?” domandai.
“Credo sia al telefono con Edward in questo momento. Tu lo hai già sentito questa mattina?” m’irrigidii.
Cosa le avrei raccontato adesso?
“Io … non … io” cercai di dire qualcosa ma dalla mia bocca uscirono solo suoni insensati.
“Ah Alice è qui te la passo, ciao tesoro e ancora buon Natale” parlò velocemente. Non mi diede il tempo di realizzare quello che stesse dicendo che mi passò sua figlia.
“Bella?” sussurrò.
“Si Alice, sono io – risposi – Volevo …” m’interruppi quando notai i miei genitori che mi fissavano. Alzai un sopracciglio verso di loro, che di rimando fecero finta di niente.
“Io e te dobbiamo parlare. Edward mi sta perseguitando!” urlò e io sobbalzai.
Mi guardai nuovamente intorno trovando i miei genitori intenti a fingere di non ascoltare la mia telefonata. Sbuffai “Puoi passarmi a prendere più tardi? Vorrei parlare con te di una cosa”

Decidemmo che ci saremmo viste nel pomeriggio e dopo qualche minaccia da parte sua, riagganciai.

Guardai verso il soggiorno trovando Charlie intento ad accendere il camino e Renèe curiosamente intenda a fissare le sue mani. Ecco da chi avevo appreso l’incapacità di fingere o mentire.

“Finalmente sei in piedi muso lungo, stavamo aspettando te per aprire i regali” Phil entrò dalla porta d’ingresso completamente coperto di neve.


Passammo tutta la mattinata a scartare regali e a mangiare cose varie, io cercai di liberare la mente e di godermi quei momenti in famiglia. Phil rispetto ai miei genitori che non facevano altro che concentrarsi su di me, sembrava volesse risollevarmi il morale. Non mi chiese che cosa avessi, si limitò solo a cercare di farmi ridere.


Ci rilassammo, dopo pranzo, sul divano e lui mi parlò del suo ultimo viaggio a Las Vegas per una partita contro la squadra locale. Risi ascoltando tutte le cose buffe che gli erano capitate, fino a quando non bussarono alla porta. Mio padre si diresse verso di essa, Phil continua a parlare indisturbato ma io ormai avevo smesso di ascoltarlo. Mi raddrizzai quando lo vidi ritornare con un pacco. Trattenni il fiato quando me lo porse. “Il fattorino ha detto che è per te” mormorò e io lo raccolsi, sapendo già di chi fosse.

Scartai la classica scatola da trasporto poste che conteneva una scatolina rettangolare, più piccola. Esitai per un attimo, ma poi scartai l’elegante carta e l’aprii. Phil ridacchiò “E’da parte di Edward vero? – annuii appena e lui continuò – Dal suo abbigliamento, la prima volta che l'ho incontrato, avevo già intuito che fosse ricco ma non sapevo che ti facesse dei regali così”
Mia madre gli lanciò un occhiataccia e io accarezzai il bracciale contenuto nella scatola.
Una catenina d’argento molto semplice con al margine un cristallo a forma di cuore. Aveva un milione di sfaccettature, perciò brillava in maniera impressionante persino sotto la luce smorzata dovuta al maltempo di Forks. Restai senza fiato.
Trovai anche un biglietto:

“Spero che questo regalo ti sia arrivato il giorno di Natale e non prima. Anche se mentre scrivo questo biglietto stai placidamente russando al mio fianco, quando lo leggerai saremmo lontani e sono più che sicuro che in quel momento starò sentendo la tua mancanza. Buon Natale amore mio, ti amo. Edward”















Continuai a torturarmi le mani mentre quella specie di jukebox non la smetteva di parlare. La
guardavo mentre guidava verso casa sua, ogni tanto agitava le mani ma non stavo ascoltando niente di niente. Voltai il capo verso il mio finestrino, l’avrei lasciata chiacchierare ancora un po’ prima di svelarle il reale motivo della mia visita. Chiusi gli occhi e uno stano silenzio si propagò nell’auto.

“Non mi stai affatto ascoltando!” riaprii gli occhi rendendomi conto di essere davanti a villa Cullen. Scendemmo e Alice mi lanciò un occhiataccia per poi ammorbidire, improvvisamente, la sua espressione. “Mia madre è felice che tu sia venuta” mormorò aprendo la porta di casa e io sorrisi.

“Isabella ciao” sentii la sua voce un secondo prima di vederla spuntare dalla cucina. Mi corse incontro, fermandosi infine ad un passo da me “Guardati, fatico ancora a crederci” mormorò e io alzai un sopracciglio fino a quando non capii a cosa si riferisse. Avvampai quando il suo sguardo si posò sul mio ventre rotondo, mi passai una mano fra i capelli “Anch’io” risposi.
Alice s’intromise trascinandomi per un braccio “Vieni Bella, voglio mostrarti i regali che ho ricevuto” cercai di liberarmi dalla presa ma purtroppo era decisamente più forte di me. Arrivammo nella sua stanza e lei chiuse la porta, la guardai incuriosita e lei sospirò “Non dire niente di Edward a mia madre o si preoccuperà” mi avvertì.

La guardai attentamente “Non sono qui per questo Alice” lo sguardo stupito che ricevetti mi offese. Credeva realmente che avrei messi in cattiva luce suo fratello?
“Non sono qui per questo, per chi mi hai preso?” sussurrai ancora. Incrociai le braccia al petto arrabbiata e lei tirò un sospiro di sollievo. Spalancai gli occhi “Fai sul serio? Non farei mai una cosa del genere, Alice!”
Alzò le spalle “Non ci sentiamo da quando siamo venute e poi d’un tratto mi chiedi di venirti a prendere … non è date.”

Mi guardai intorno sedendomi poi sul suo enorme letto a baldacchino “Sono venuta per chiederti di Edward – mormorai – Volevo sapere se ha dato notizie del processo” le parole mi uscirono veloci, mi sentivo incolpa. Mi osservò per un po’ prima di sedersi al mio fianco e stringermi una mano “Perché non lo chiami?” domandò seria. Abbassai lo sguardo e lei continuò “Ti basterebbe riaccendere il cellulare per mettere le cose apposto”

Ritirai la mano “Non c’è niente da mettere apposto Alice, ho solo chiesto sincerità e lui non vuole concedermela” pronunciare quella frase mi fece salire le lacrime agli occhi. Avrei mai smesso di piangere? Stavo diventando ridicola, prima o poi mi sarei prosciugata. “Come fa lui a darti quello che vuoi se tu non gli dai la possibilità di farlo?” voltai lo sguardo verso di lei quando notai la sua voce tremare, ma fummo interrotte.

“Ragazze vado a prendere Emmet e Rose all’aeroporto, credo che fra un po’ arriveranno ” disse Esme entrando. Alice si passò una mano fra i capelli “Lascia stare mamy vado io” non le diede il tempo di rispondere che si allontanò. Sua madre la guardò stupita per poi posare il suo sguardo su di me “Cosa è successo?” domandò sotto voce, forse non voleva farsi sentire da Alice.
“Nulla – mentii – anche io devo andare” dissi alzandomi, avevo discusso con un altro Cullen. Meglio andarsene prima di combinare altri guai.

Esme mi sorrise “Perché non mi fai compagnia per un po’? voglio mostrarti una cosa” pensai di rifiutare ma poi annuii.



Scendemmo le scale interne che portavano al loro garage sotterraneo. Non feci domande, mi limitai a seguirla in silenzio fino a quando non ci fermammo davanti a una tavola coperta. Si voltò verso di me sorridente “Ci sono voluti anni per farlo aggiustare – mormorò pensierosa – ma alla fine ce l’ho fatta” le sorrisi di rimando senza capire di che stesse parlando, sembrava realmente soddisfatta di se stessa anche se nel suo sguardo notavo un qualcosa di malinconico. Dopo qualche momento d’esitazione si avvicino alla tavola per poi scoprirla dal suo telo. Non era una tavola quella, ma un pianoforte. “Anni fa, questo strumento si trovava in salotto ed Edward lo suonava continuamente. Poi purtroppo è stato danneggiato, ma ora è completamente ricostruito” concluse soddisfatta. Quello strumento era bellissimo, di un nero lucido e aveva le sembianze di essere molto antico. Immaginai Edward suonare quel piano, ma non ci riuscii perché non lo avevo mai visto. Mi aveva detto che aveva preso lezioni da bambino, ma non mi aveva mai detto di possederne uno. “È davvero stupendo” sussurrai più a me stessa. “È il suo regalo di Natale, spero di non aver sbagliato a farlo aggiustare” mormorò. Scossi la testa “Sono sicura che ne sarà contento” la rassicurai ma lei sembrò non convincersene.

La signora Cullen aveva la capacità di riuscire a farti dire sempre di si. Eravamo passate dal suo seminterrato alla sua cucina e ora stavamo preparando un dolce. “Vedi Isabella, il segreto sta tutto nell’imparare a capire quante uova ci vogliono. Quando impari, non hai più bisogno di seguire nessuna stupida ricetta.” Annuii pensierosa. Erano venti minuti che non faceva altro che elencarmi i segreti per una crostata perfetta e tra una cucchiaiata e l’altra di farina mi faceva domande sul bambino. Quando eravamo di sotto l’avevo vista un po’ triste e non ero riuscita a lasciarla sola. “Ora che la crostata è in forno, che ne dici di un po’ di te?” domando.

“Certo, mi và” risposi. Mise a bollire l’acqua ma fu distratta dal suo cellulare. Si allontanò per qualche minuto per poi ritornare con uno strano sguardo. “Tesoro, devo andare all’ospedale con Carlisle, sai allestiscono una mensa per i poveri e hanno bisogno di me. Prometto che tornerò in pochissimo tempo, ti va di rimanere a sorvegliare la crostata. È la preferita di Emmet e vorrei che la trovasse al suo arrivo” mi guardò con quegli occhi così simili a quelli di Alice, quegli occhi alla quale era impossibile dire di no.“Ritorno subito” disse ancora.


In poco tempo mi ritrovai per la prima volta sola in quella grande casa. Passeggiai per i corridoi guardando tutte le loro foto di famiglia. Vidi Emmet vestito da super eroe, una foto dei tre fratelli al mare, Carlisle da giovane, Edward sorridente seduto sui gradini di una scala, portava gli stessi capelli spettinati sin da bambino. Sorrisi e sentii bussare alla porta, Esme era stata veloce pensai.

Ma alla porta trovai un’altra persona.

“E tu chi sei?” domandò la bellissima ragazza che si trovava davanti a me, aggrottai le sopracciglia “Dovrei farti io questa domanda” risposi quasi scocciata. Il suo sguardo divenne indagatore ma non rispose alla mia affermazione “Sono Kate, hai ragione sono stata sgarbata. perdonami” alzai le spalle e poi la guardai per bene. Era leggermente più alta di me, snella, bionda e con degli splendidi occhi azzurri. Avrebbe potuto passare per un angelo se non fosse stato per il suo abbigliamento … succinto.
“Sono un’amica di Edward so che non abita più qui da tempo, sono solo venuta a salutare la madre” la guardai ancora una volta cercando di scavare nella mia memoria, magari l’avevo già incontrata. “Non è in casa, nessuno è in casa ma puoi aspettare che torni. Sarà qui tra un pò” sussurrai, volevo che rimanesse per sapere che legame avesse con il mio Edward. Mi spostai di lato quando accetto di entrare e le offrii il te che ormai era pronto.

“Non sono ancora riuscita a capire chi sei” affermò d’un tratto.
“Isabella, la fidanzata di Edward” mormorai e vidi, in pochi secondi nei suoi occhi migliaia di emozioni diverse. Cercò di sembrare tranquilla “Sei incinta ” disse, non era una domanda quindi non risposi e lei non disse più nulla.

Guardai quella ragazza dalle bellezza quasi fastidiosa , giocherellare con il manico della sua tazza di tè fumante. Incrociò le gambe guardandomi dritta negl’occhi. “Da quanto tempo tu ed Edward state insieme?” domandò improvvisamente. Il modo in cui continuava a pronunciare il suo nome cominciava a infastidirmi. “Cinque anni a maggio” risposi orgogliosa. Non conoscevo nulla di quella ragazza, ma in lei avvertivo qualcosa che la mia mente non era ancora riuscita ad inquadrare. “Dall’anello che porti al dito, presumo che ti abbia chiesto di sposarlo” affermò poi. Non risposi nuovamente e lei continuò “Prevedibile, con un bambino in arrivo. Edward è sempre stato bravo nel rimediare agli errori”

Sussultai e il rumore di mille vetri infanti risuonò nella mia mente.













QUESTO CAPITOLO ANCORA NON MI CONVINCE, MA ORA HO SISTEMATO LEGGERMENTE UN PO' DI COSE E DAI POCHI COMMENTI RICEVUTI HO CAPITO CHE AD ALCUNE E' PIACIUTO.
CI SONO MOLTI PUNTI INTERROGATIVI : KATE, JASPER, IL PIANO, IL PROCESSO.... CURIOSE? XD
UN BACIO.

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Capitolo 17
*** 17Capitolo ***





Capitolo 17
















 

Le mie mani tremavano come foglie al vento autunnale. Avevo letteralmente perso il loro controllo, non riuscivo a stringerle o anche solo a muoverle. Sconvolta, guardai il liquido caldo del tè, circondato dai cocci del bicchiere, scorrere su tutto il pavimento del soggiorno. Le parole di quella ragazza mi avevano completamente spiazzato.

Perché dire una simile cattiveria?

Non mi sarei mai aspettata una frase del genere da una persona appena conosciuta e che della quale non sapevo nulla se non il nome. La guardai per un attimo, trovandola a sorseggiare la sua tazza di tè come se non stesse accadendo nulla intorno a se.
“Come ti permetti?” sibilai, ma il tono con cui avrei voluto dirlo si sgretolò tra le mie labbra, rendendo la mia voce bassa e roca. Alzò i suoi occhi verso di me, assumendo uno sguardo innocente.
“A cosa ti riferisci?” domandò tranquilla e quel poco di auto controllo che mi era rimasto, andò a farsi un giro ai Caraibi.
“Come diavolo ti permetti di dire una simile stupidaggine – ad ogni parola la mia voce aumentava di un tono, fino a quando mi ritrovai ad urlare – Non so quale sia il tuo rapporto con Edward, ma nessuno ti da il diritto di dire una cosa del genere sul mio bambino” strinsi i pugni cercando di alleviare il tremore alle mani che non cessava. Gli occhi cominciarono a pungermi, ma ricacciai ogni singola lacrima all’interno. Non le avrei dato la soddisfazione di vedermi piangere.

Poggiò il bicchiere sul tavolino che le si trovava davanti, per poi incrociare le braccia al petto “Sta calma, era solo un osservazione. Edward ha ventiquattro anni e sono più che sicura che un figlio non era nei suoi programmi, per questo sono arrivata alla conclusione che ti voglia sposare per aggiustare le cose. Ho goduto della sua … compagnia per un po’ di tempo e credimi lo conosco” concluse l’ultima frase con un po’ di titubanza, come se dietro a quelle parole ci fosse dell’altro.
Sospirai, incosciente di quello che avrei ascoltato dopo la mia semplice domanda. “Chi sei, dove hai conosciuto Edward?”

 

CINQUE GIORNI DOPO



Respirai lentamente: una, due , tre volte. Portai poi le braccia al petto, cercando di darmi conforto e sicurezza da sola. Mi ero ripromessa di essere meno infantile e dopo le parole di Kate, mi ero ripromessa anche di essere meno orgogliosa. Se Edward avesse voluto parlarmi, lo avrebbe fatto e costringerlo non sarebbe servito a niente. Le parole di quella ragazza, quello che mi aveva raccontato, avevano fatto crollare tutto il rancore che provavo per lui come un castello di carta durante un tornato. Ora mi sentivo sporca, perché quello che il mio cuore avrebbe voluto sentirsi dire da lui, gli era stato riferito da un’altra. Mi sentivo in colpa perche era come se l’avessi tradito, non voleva che io sapessi.

Ma io invece,sapevo.


Mi passai una mano sul viso, concentrandomi nel trovare tra la folla l’unica persona per il quale avevo provato in soli otto giorni, migliaia di emozioni diverse. Guardai l’orologio, il suo aereo doveva essere atterrato ma non riuscivo a trovarlo.
Quello era sempre stato il mio periodo dell’anno preferito. Il John F Kennedy era sempre affollato, ma questo era il periodo peggiore. I turisti, carichi di aspettative venivano a festeggiare il nuovo anno nella Grande mela. Vedevo turisti di tutti generi che una volta oltrepassati i fastidiosi metal detector, mostravano senza vergogna il loro entusiasmo nel trovarsi in una delle metropoli più belle del mondo. Provavo tenerezza guardando alcuni di loro, perché mi ricordavo molto quando anche io da bambina ero venuta il quel posto per la prima volta. Le luci della città rendevano quella notte splendida e davano all’ambiente un qualcosa di magico.
Avevo passato il Natale lontano da quel posto, credendo di andare in un luogo dove avrei trovato almeno la serenità familiare ma niente era bastato e ora mi sentivo peggio. Dopo il mio confronto con Kate io ed Edward ci eravamo sentiti. Nessuno dei due aveva accennato alla nostra ultima discussione, si era comportato come se ci fossimo già sentiti e chiariti un paio di ore prima: mi aveva chiesto se mi era piaciuto il suo regalo. Avevo stretto il cellulare, quasi a volerlo rompere, ma alla fine lo avevo ringraziato e basta. Ero stanca persino di essere stanca. Lo avevo chiamato con l’intenzione di dirgli quello che Kate mi aveva riferito, ma una volta parlatoci avevo avuto paura di ferirlo perché lui non voleva che io sapessi, così mi ero limitata fargli stupide domande sul posto in cui si trovava.

Il tempo della lontananza era passato e per la prima volta dopo quasi cinque anni, avrei preferito che fosse durato ancora qualche giorno. Mi mancava, ma non mi andava di fingere con lui.

“Sta aspettando qualcuno signorina?” sobbalzai voltandomi di scatto quando sentii la sua voce. Sorrise e io feci un passo indietro per poterlo guardare meglio. Aveva il viso stremato e marcato da delle occhiaie scure, coperte con i suoi occhiali da vista.
“Sei uno straccio” mormorai. Fece una smorfia passandosi entrambe le mani tra i capelli “Lo so” rispose. Ci guardammo ancora. Non sapevo cosa dirgli, era cose se mi sentissi in imbarazzo o addirittura fuori luogo. Fu lui a fare un passo verso di me abbracciandomi. Mi sciolsi completamente “Mi sei mancata tantissimo” sussurrò al mio orecchio. Chiusi gli occhi beandomi del suo profumo e delle sue braccia familiari. Rimasi immobile senza ricambiare l’abbraccio, ma lui sembrò non importarsene. “Come stai?” domando e io abbassai lo sguardo.

Mi stava prendendo in giro?

“Ed!” ci voltammo entrambi quando sentimmo la voce di Brian non troppo lontana da noi. Edward alzò un braccio per farsi vedere meglio e il suo collega ci raggiunse. “Ci stavamo preoccupando, sei sparito” lo accusò prima di vedermi.
Sorrise cordiale “Ciao Bella. Come va?” domando scettico. Sapeva del nostro litigio intuii. Alzai le spalle “Bene, grazie” risposi. Era molto difficile non notare la differenza trai i due. Brian era molto più rilassato e sereno rispetto a Edward, aveva il viso del suo solito colorito, gli occhi leggermente arrossati per la stanchezza ma niente di esageratamente preoccupante come il mio fidanzato. Non era stato il viaggio a stancare Edward, ma altro. Che avesse sofferto quanto me in questi giorni?
Improvvisamente mi ricordai delle volte in cui aveva cercato di parlarmi inveendo poi contro sua sorella che gli chiedeva di darmi tempo e mi sentii in colpa, per aver in qualche modo contribuito al suo stress. Mi aggrappai istintivamente a lui che a sua volta mi strinse a se. “Noi andiamo, ho bisogno di dormire nel mio letto” disse e Brian rise di gusto “Io ho fame, voglio mangiare qualcosa di decente. Credo che farò un salto al McDonald's” scherzò.

Parlarono ancora ma io smisi di ascoltare fino a quando Edward non mi trascinò verso l’esterno. Mi voltai e Brian ci salutò “Ci vediamo domani ragazzi.” Aggrottai la fronte, ma lui non sembrò accorgersene e se ne andò.
Ci dirigemmo al di fuori dell’edificio e il silenzio calò nuovamente tra di noi. Si limitò a seguirmi verso la macchina senza dire niente. Sentivo il suo sguardo sulla pelle. Trovammo la mia auto e dopo pochi minuti ci trovavamo tra le strade della nostra città. Malgrado la stanchezza visibile, Edward aveva insistentemente voluto guidare. Chiusi gli occhi e mi lasciai trascinare dal silenzio pesante e fastidioso che ci aveva seguito anche in macchina. Lo guardai di sottecchi prima di girarmi completamente verso il finestrino.
“Domani” disse improvvisamente ed io lo guardai confusa “Domani – ripeté – ti dirò tutto quello che vuoi sapere”
I miei occhi si gonfiarono di lacrime, ma cercai in tutti i modi di non farle uscire “Non devi dirmi niente Edward, va bene così” mentii.
Scosse la testa continuando a tenere lo sguardo fisse sulla strada “Guardaci Isabella. Non ci siamo visti per otto fottutissimi giorni e abbiamo paura di parlarci o sfiorarci. Non so cosa dirti, perché so che in realtà quello che vuoi sapere è ben altro. Noi non siamo così” Strinse le mani intorno al volante, quasi a volerlo fare a pezzi.

“Promettimi solo che ti ricorderai che quella persona ora non esiste più. Sono cambiato, davvero” annuii sorpresa della fragilità con cui aveva pronunciato quelle parole.

 

**** * *** * ****


Giocherellai nervosamente con il mio cellulare, quando un messaggio di Angela mi ricordò la data del nostro prossimo esame: 13 gennaio. Tra due settimane. Avevo studiato, ma non avevo più aperto un libro per via di tutti gli eventi che mi erano capitati nelle ultime settimane.

Sbuffai sprofondando tra le coperte ed Edward entrò nella nostra stanza con i capelli completamente fradici. Si sedette all’estremità del letto cominciando a sfogliare delle carte. Esitai per un attimo prima di gattonare verso di lui e passare l’asciugamano che aveva sulle spalle, sulla sua testa. “Non siamo ad agosto, ti prenderai un malanno così” sussurrai. Non rispose e io cominciai ad asciugargli i capelli, beandomi del profumo familiare che emanavano. Improvvisamente bloccò una mia mano, portandosela alle labbra. “Mi hai fatto impazzire in questi giorni” mormorò pensieroso senza voltarsi ed io gli gettai le braccia al collo.
In pochi secondi mi ritrovai, in lacrime, seduta sulle sue gambe e tra le sue braccia. “Scusami” mormorò e le sue parole mi fecero fermare il cuore. Avevo bisogno delle sue scuse quasi quanto avevo bisogno dell’aria. “Mi sento così stupida – ansimai – Vorrei avere la forza di essere arrabbiata conte, non solo quando siamo distanti ma anche quando siamo vicini. Ma è la cosa più improbabile che io possa fare” Edward mi cullò dolcemente e io continuai a sfogarmi fino a quando non mi sentii stravolta.

C’infilammo sotto le coperte e quando realizzai di essere finalmente a casa con Edward, il sonno scomparve. Gli accarezzai il capelli ormai asciutti e lui dopo otto giorni mi baciò dolcemente. Mi aggrappai a lui e senza rendermene conto una lacrima rigò il mio viso. Avevo così bisogno di sentirlo vicino ma nello stesso tempo era proprio lui la causa del mio dolore. Mi sentivo colpevole di conoscere cose che magari Edward voleva neanche che arrivasse alle mie orecchie.
“A Natale – deglutii, quando la sua presenza mi diede la forza di dirgli la verità – Ho … incontrato una persona a casa dei tuoi genitori ” lo guardai per un attimo prima di abbassare lo sguardo. Prese il mio viso fra le mani sollevandolo “Mia madre mi ha già detto di Kate, se è questo quello che stai cercando di dirmi” sbarrai gli occhi e lui continuò “Vorrei poterti dire di non credere a nulla di quello che è uscito dalla sua boccaccia, ma non so cosa ti abbia detto” strinsi le sue mani nelle mia “Perché non mi racconti tu la verità Edward?” lo pregai.

“Bella … io – cominciò, per poi scuotere la testa – hai ragione, questa storia è durata abbastanza” Si mise seduto e mi porse la mano, l’accettai e lui mi trascino davanti a lui facendo aderire il suo torace alla mia schiena. Mi abbracciò per qualche minuto, sentivo il suo cuore battere all’impazzata.
Gli accarezzai la mano per cercare di dargli coraggio. “Sono qui e ti amo” mormorai. Mi baciò i capelli e dopo un attimo di titubanza cominciò “Quando … mio padre ci informò che gli era stato offerto un ottimo posto di lavoro e che ci saremmo trasferiti a Forks, il mondo mi crollò letteralmente addosso. Avevo quindici anni ma ero un ragazzino, ero convinto che i mie genitori mi odiassero e che ce ne stessimo andando da Chicago solo per farmi un dispetto” cominciò ad accarezzarmi i capelli ed io pensai a come fosse possibile pensare che i tuoi genitori ti odino, soprattutto se i genitori in questione siano quelli di Edward. Esme era la persona più dolce e premurosa che io avessi mai incontrato.
“I miei fratelli non furono d’aiuto. Per Emmett un posto valeva l’altro perché in quel periodo aveva rotto con la sua ragazza ed Alice invece era, come lo è tuttora , facilmente comprabile quindi non si lamentò più di tanto. Io sono sempre stato quello problematico” si fermò per un attimo, il suo cuore aveva preso a battere normalmente. Feci un respiro di sollievo, ero felice che si fosse calmato. “Comunque ci trasferimmo in poco tempo, mio padre iniziò il suo nuovo lavoro e noi la scuola. Fu proprio lì che iniziarono i miei guai … ti ricordi di Mike Newton?” domandò improvvisamente, interrompendo il suo racconto.
Annuii. Mike era un ragazzo un po’ strano, se ne stava sempre per conto suo. Non aveva molti amici, ma ricordavo che avesse un ragazza a quei tempi. Lei teneva molto a lui, ma li avevo sorpresi più di una volta a litigare violentemente.
“Cosa centra lui con te?” domandai per capire dove volesse arrivare.
“Siamo stati …. amici per più di un anno e mezzo. Inizialmente non riuscivo ad inserirmi da nessuna parte, a Chicago giocavo a basket ma non mi andava di fare lo stesso anche li. Così mi ritrovai completamente solo. Pregai i miei genitori di cambiare idea o addirittura di lasciare che mi trasferissi da qualche parente, ma fu tutto inutile. – rispose – Avevo quindici anni quando incontrai Mike per la prima volta, eravamo dei ragazzini stupidi e in pochissimo tempo mi lasciai trascinare nel mondo degli stupefacenti”

Sussultai appena, dovevo cercare di controllarmi, volevo che si fidasse di me e che pensasse che fossi forte. Sapevo già che avesse provato delle droghe. “Sai, mi conosci. Non sono il tipo che si lascia influenzare, io volevo provare quelle droghe perché sapevo che c’era la possibilità che i miei lo venissero a sapere. Volevo punirli e farli soffrire per quello che mi stavano facendo e l’unico modo che conoscevo era quello di fare del male a me stesso”
Mi baciò i capelli “In poco tempo cominciai a fare uso di anfetamina, ketamina e altre cose che riuscissero a farmi staccare la spina per un po’ e che nello stesso tempo mi facessero del male. Quello strano gioco, divenne però una vera e propria dipendenza. Inizialmente riuscivo a controllarmi, lo facevo quando volevo ma poi diventò una cosa più grande di me. Non riuscivo a fermarmi, tornavo a casa completamente fatto. Facevo di tutto per non farmi notare quando al mattino non riuscivo a stare in piedi e litigavo con chiunque mi parlasse. A scuola mi creai un gruppo tutto mio, i miei voti si abbassarono drasticamente e fui sospeso due volte prima che i miei genitori cominciassero a preoccuparsi. Mia madre cominciò a starmi addosso e vederla preoccupata … mi piaceva. Non riusciva a capire cosa avessi e più si preoccupava e più io facevo quello che volevo. Emmett cominciò ad insospettirsi e una notte mi seguì”

Continuai a tenere la sua mano, ma chiusi gli occhi. Il fatto che non mi vedesse in volto era una vera fortuna. Non riuscivo ad immaginarmelo a bearsi della sofferenza della sua famiglia. “Un ragazzo aveva organizzato una festa a casa sua perché i suoi genitori erano andati fuori città. Lì ci facemmo la nostra dose di droghe, ma purtroppo ci fu un incidente e un ragazzo si gettò da una finestra. Emmett mi trovò e dopo aver chiamato un ambulanza mi portò via. Quella fu una delle prime volte che tuo padre ci fermò. Non me lo ricordo affatto, ricordo solo che il giorno dopo mi ritrovai in una cella in centrale. Non ricordavo assolutamente niente della sera prima, mio fratello mi spiegò poi che tuo padre mi aveva trovato un po’ stano e che dopo avermi perquisito mi aveva trovato addosso dell’erba. Emmett si assunse la colpa con la promessa che se non avessi smesso avrebbe detto tutto ai nostri genitori. Ci provai davvero, perché quella sera, alla festa oltre all’ambulanza si era presentata anche la polizia e avevano trovato molte persone sotto effetto di droghe. Mike era uno di quelle e così i genitori cercarono un ospedale e lo misero in cura. Il mio tentativo di stare alla larga dai guai durò pochissimo, perchè una sera al parco incontrai un ragazzo che mi era stato precedentemente presentato. James Nomadi.”

Il suo cuore ricominciò a battere forte e con lui il mio, non capivo cosa lo agitasse ma avevo la sensazione che tutte le cose scioccanti che dopo anni, aveva avuto la forza di raccontarmi non erano ancora finite. Si portò allora entrambe le mani sul viso, quasi a volerlo coprire. Mi voltai verso di lui e cercai di liberargli il viso dalle sue stesse mani quando parlò.
“Mi ritrovai così a fare uso di eroina, fu il periodo più devastante di tutta la mia vita” le sue parole mi crollarono addosso come un macigno. Era come se non riuscissi a trovare un legame con la persona che avevo davanti e quella del racconto. Trattenni il fiato e lasciai che prima le lacrime e poi i singhiozzi s’impossessassero di me.
Edward alzò lo sguardo nella mia direzione, mi guardò dritto negli occhi. “Spesi tutti i soldi che avevo tenuto da parte, poi incominciai a rubare in casa a mia madre, a Alice e a chiunque possedesse qualcosa di valore pur di procurarmi quello di cui avevo bisogno. Smisi completamente di mangiare, dormire e qualunque altra cosa facessi prima. Ero spaventato perché la vita mi era sfuggita di mano, ma non trovavo il coraggio di chiedere aiuto. Emmett dopo essersi preso la colpa per l’arresto e per l’erba fu spedito da mio padre in una scuola militare a Los Angeles. Mi sentivo solo, patetico, non sapevo più cosa fare. Pensai addirittura … - scosse la testa, come a voler scacciare un brutto ricordo – Un pomeriggio tornai a casa e mia madre m’informò che Alice aveva portato il suo nuovo fidanzato a casa”

Mi portai una mano alla bocca, avevo già capito dove voleva arrivare. “Non sono mai stato un tipo curioso, ma quella volta una stana intuizione mi disse di andare in soggiorno. La seguii e li trovai il mio spacciatore accanto a mia sorella minore. Non immagini come mi sono sentito in quel momento. Confessai tutto, James fu cacciato a calci mentre io grazie alle conoscenze di mio padre il giorno dopo partii per l’Alaska”
Poggiai la testa sul suo petto, cercando di tranquillizzarmi, quando capii che la parte drammatica della storia fosse terminata. Ma un moto di fastidio m’invase quando capii quale altro personaggio stesse arrivando “Qui entra in gioco Kate, vero?” mormorai ed Edward annuì.
“Suo padre Eleazar è stato un compagno di college di mio padre e possiede una clinica specializzata nel recupero dei tossici dipendenti. Ci sono rimasto sei mesi in quel posto. I primi periodi furono un inferno totale. Non riuscivo a mangiare senza dovermi sforzare e la maggior parte delle volte fino con il vomitare tutto. Persi peso e naturalmente dovetti anche lasciare la scuola, così persi l’anno e dovetti ripetere il quarto anno in un secondo momento.”
Alzai gli occhi di scatto “Cosa?” Mi accarezzo una guancia “Non ci saremmo neanche dovuti incontrare al liceo io e te – sussurrò – i mie genitori volevano che continuassi a studiare anche lì alla clinica, da privatista ma Eleazar lo sconsigliò suggerendo invece di tornare una volta guarito alla mia vecchia scuola. I mesi passavano e io cominciai ad annoiarmi, così un giorno vidi Kate e mi presentai. Volevo solo passare il tempo e distrarmi, non sapevo a cosa stesso andando incontro, così quando scoprii che fosse la figlia del mio medico l’allontanai. Non volevo una relazione stabile mentre lei sembrò innamorarsi sempre di più, mi stava addosso e io ero già pieno di problemi per caricarmene un altro”
“Mi ha detto che stavate insieme e che avevate programmato di andare alla stessa università” gli confessai e la voce mi uscì roca per il ricordo di quella bionda. Edward rise improvvisamente facendomi quasi spaventare “Credimi quella ragazza era completamente fuori di testa, ebbe il coraggio di dire a mio padre che un giorno mi avrebbe sposato. Ma io non le ho mai promesso niente, giuro. Quando mi hanno fatto uscire da quel posto non l’ho più vista e quando mia madre mi ha detto che vi eravate parlate, sapevo già che ti avrebbe detto qualche stronzata”

“Ha detto che il nostro bambino è un errore, per questo vuoi sposarmi” il ricordo di quelle parole maligne mi trafissero il cuore come la prima volta.
“Quella ragazza ha un cervello piccolo come un noce, non devi dare peso a quello che dice – mi strinse a lui – Non ci aspettavamo questo bambino, ma lo accoglieremo e ameremo in un modo che neanche s’immagina e poi non voglio che una stupidaggine come questa ti abbatta. Ti amo e quelli che dicono il contrario non valgono niente, ti amo e ti voglio sposare per questo. Capito?”
Annuii stringendolo forte e una stana sensazione di pace m’invase. Mi sentivo a casa.





















Ciao dolcezze
Edward si è finalmente aperto e ha confessato la sua storia.
Kate tornerà?
E' tutto chiarito tra i due?
Ditemi cosa ne pensate!!!
Kiss

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Capitolo 18
*** 18Capitolo ***




Capitolo 18








 

Quella mattina avrebbe potuto esserci il sole, poteva essere una mattinata piovosa, fuori poteva esserci un uragano, una bufera di neve, un tornado, gli alieni avrebbero potuto invadere l’intera Manhattan e noi non ce ne saremmo accorti. Ci eravamo completamente isolati. Avevamo spento i cellulari, staccato il telefono, chiuso porte e finestre. Avevamo bisogno di ritrovarci, solo io e lui e per farlo dovevamo lasciare il resto del mondo fuori.
Sarei rimasta così per sempre. Ascoltare nuovamente la sua risata, bruciare sotto i suoi baci e le sue carezze, era come fare un salto nel passato e ritornare a quando tutto tra di noi era più semplice.

“Così non avete risolto un bel niente” conclusi alla fine del suo racconto. Edward mi stava raccontando di come fosse andato il processo. Avevano passato il giorno seguente al loro arrivo, nell’incontrare testimoni o persone indagate indirettamente.
“Non ho detto questo Bella – mi corresse – Ho solo detto che non è andata come ci aspettavamo”
Lui o meglio il suo gruppo era estremamente convinto che sarebbe andato tutto come programmato, ma invece la situazione si era completamente ribaltata.
“Era come se fossimo noi i cattivi, la gente lì ci guardava come se fossimo dei vampiri. Credevamo che sarebbe stata una passeggiata, ma quei tre avevano un buon avvocato e il fatto che abbiano già ammesso la loro colpa non ci è stato d’aiuto. In quella città erano tutti convinti della colpevolezza di Harrison. Quando ci guardavano era come se pensassero: ma cosa cazzo cercano di dimostrare questi imbroglioni? E’ stato davvero frustrante all’inizio.”
“Dovrete tornare ancora lì?” domandai e una stana sensazione di vuoto m’invase. Un’altra separazione sarebbe stata catastrofica, non saremmo sopravvissuti.

Alzò le spalle “Tecnicamente la causa l’abbiamo vinta noi, sai il giudice ci ha dato ragione anche se più per mancanza di prove che per fiducia. Non sembrava molto convinto e poi non credo che quei tre si arrenderanno. È probabile che facciano ricorso. In tal caso si, dovremmo ritornarci.”
Sbuffai portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Fino a quando durerà questa situazione?”
“Quale situazione?” chiese senza voltarsi.
Mi morsi il labbro inferiore, sapevo che la mia domanda fosse stupida. “I viaggi lontano da me. Sarà sempre così?”
“È Harrison, lui è un tipo… complicato comunque non lavorerò sempre per lui. Sono stato assunto solo per determinati problemi, non sono il suo avvocato fisso. Abbiamo più di un accusa da eliminare, ma guarda il lato positivo amore. Tra un paio di mesi potremmo cominciare a pensare a dove trasferirci.” Concluse la sua frase agitando la mano destra in aria, dal suo tono di voce capivo come fosse orgoglioso di se stesso. Chi ero io per ostacolarlo?

“Avrai comunque l’occasione di incontrarli tutti questa sera comunque” mormorò pensieroso ed io sgranai gli occhi. “Di che cosa stai parlando?”
Dopo aver parlato tutto quel tempo con le sue spalle, si voltò nuovamente verso di me “Harry ha organizzato una festa a casa sua per festeggiare la nostra riuscita in Russia e poi perché è l’ultimo dell’anno. Non vorrai mica startene qui?” domandò sarcastico.
Collegai subito le parole pronunciate da Brian il giorno prima. Ecco perché aveva detto che ci saremmo visti domani.
“Quando avevi intenzione di dirmelo? Un ora prima della festa?” domandai impressionata.
“Certo che no! Era solo che ieri sera non mi sembrava il caso d’invitarti ad una festa” Aveva ragione, ma per fortuna le tensione della sera prima era completamente svanita. Feci per rispondergli quando però parlò ancora “Cazzo, sembra così facile quando sei tu a cucinare” bofonchiò sull’orlo di una crisi nervi.

Lo guardai divertita mentre, con fare sapiente, cercava di preparare delle semplici frittelle. Io ero seduta, come mio solito, sul tavolo della cucina e dalla mia posizione riuscivo solo a vederlo di spalle. “Se non ti lascerai aiutare, darai fuoco alla cucina” ridacchiai. C’era farina su tutto il piano cottura, per non parlare poi delle uova rotte qua e là.
“Smettila di prendermi per il culo, sto cercando di prepararti la colazione. Non è facile fare il romantico, non ostacolarmi” si lamentò voltandosi ancora e mostrandomi i suoi bellissimi occhi. “Non imparerai mai se non ti lasci insegnare, non hai mai cucinato niente in vita tua. Così ci avvelenerai … e poi lasciati dire una cosa, non sei affatto romantico quando dici le parolacce!” lo accusai divertita. Fece una smorfia “Non è vero che non ho mai cucinato niente, cuciniamo sempre insieme io e te ”

Scossi la testa “ Starmi vicino, non vuol dire aiutarmi. Tu fingi e poi ti prendi il merito” Chiuse gli occhi per un attimo per poi avvicinarsi a passi lenti “Questo non avresti dovuto dirlo” affermò con fare teatrale.
Sbiancai quando mi resi conto del suo intento. Aveva le mani completamente sporche d’impasto. “Non ci pensare neanche. Non osare toccarmi con quelle mani o giuro che ti tiro un calcio – continuò indisturbato ad avvicinarsi, ormai era ad un passo da me – Stai indietro” lo avvertii. Alzò le mani verso di me e io cercai di scappare verso il soggiorno. Mi afferrò per una gamba sporcandomi completamente il pigiama. Spalancai gli occhi stupita che l’avesse fatto davvero. “Così impari a provocarmi” pronunciò quelle parole soffocando una risata.
Si diresse nuovamente verso i fornelli, lasciandomi lì impietrita.

Aspettai qualche minuto, per fargli abbassare la guardia. Mi avvicinai poi a lui, trovandolo intento ad impiattare delle schifezze incomprensibili che lui aveva avuto il coraggio di chiamare frittelle.
“Ti ho già detto che non ho bisogno del tuo aiuto, so cavarmela anche da solo” mormorò senza alzare lo sguardo.
Colsi l’occasione al volo e in meno di un secondo gli scaraventai l’intera confezione di farina addosso. Alzò lentamente lo sguardo verso la mia direzione, mostrandomi il suo bellissimo corpo completamente bianco. Mi portai le mani alla bocca cercando di soffocare una risata. Mi guardò intensamente e io temetti il peggio. Calcolai la distanza che mi separava dalla porta del soggiorno per prepararmi ad una possibile fuga, quando però comincia a ridere.
Aggrottai le sopracciglia, non mi aspettavo una simile reazione “Sei talmente maldestra che non riesci neanche a vendicarti da sola, guardati allo specchio. Il sacchetto era rotto, ti sei infarinata quasi quanto me”

Continuava a ridere, allora mi diressi incredula verso lo specchio più vicino. Non ebbi il tempo di fare un passo, che il mio riflesso sul frigorifero confermò le parole di Edward. Sbuffai indispettita quando uno starnuto mi fece sobbalzare “Vaffanculo”
Rise ancora, scompigliandomi i capelli “Non abbatterti, sei carina anche mascherata da fantasma”
Gli feci la linguaccia “Non sei affatto divertente” mi lamentai.
Cercai di dirigermi in bagno per cambiarmi, ma mi tirò per un braccio facendomi aderire al suo torace. “Vieni qui” alitò.
Sussultai quando, con un gesto secco, mi sollevò da terra. Allacciai le gambe intorno al suo bacino e le braccia intorno al suo collo. Mi guardò per un attimo prima di strofinare il suo naso contro il mio.
“Dimmi che mi ami …” sussurrò ad un centimetro dalle mie labbra.
“Se questo potrà farmi evitare quelle schifezze, si. Ti amo” scherzai riferendomi alla colazione che aveva preparato. Il suo viso non cambiò di una virgola, continuava ad avere un espressione seria. Posai le mie labbra sulle sue e in pochissimo tempo ci ritrovammo a baciarci come se fosse la prima volta. Al contatto con la sua bocca il cuore cercò di uscirmi dal petto mentre Edward continuava a tenermi in braccio. Il modo in cui continuava a baciarmi aveva un non so che di possessivo. Mi teneva per i capelli, ma senza farmi male, premeva il suo viso contro il mio quasi come se avesse paura che scappassi. Mi era mancato quel contatto, mi era mancato lui.

Riprendemmo fiato ed Edward mi baciò il mento “Dimmi che tra noi non è cambiato niente e che quello che ti ho detto non ha cambiato la tua opinione su di me, dimmi che mi ami come quando ci siamo trasferiti in questa casa”
Lo guardai stupita dalla sua richiesta, ma lui continuava fissarmi quasi spaventato da una mia risposta. “Hai realmente bisogno di sentirtelo dire? Edward conosci già la mia risposta. Puoi vederla nei mie occhi o puoi capirlo dal battito accelerato del mio cuore quando ti sono vicina” gli baciai leggermente le labbra prima di continuare “Puoi capirlo dai miei baci, ma soprattutto puoi capirlo da lui” portai una mia mano sul mio pancione, accarezzandolo “Qui dentro ci sei tu, ci sono io, è una creatura tutta nostra nata dal nostro amore. Cosa meglio di questo può fartelo capire? Io non desidero altro che voi due. Ti amo Edward Cullen, sempre ”

 

*** * ** * ***


Tamburellai il pavimento con un piede, mentre con una mano tenevo aperta la porta della nostra stanza da letto. “Ti rendi conto vero che sono io la donna e tu l’uomo?” domandai sarcastica. Non distolse la sua attenzione dallo specchio “A cosa devo questa intelligente osservazione?” rispose continuando ad aggiustarsi i capelli.

“Edward se non ti muovi festeggeremo il nuovo anno in macchina” lo ripresi. Ma come al solito faceva di testa sua. Io ero già pronta da più di mezzora, lui invece no. “Sei così bella tu, non vuoi che sia alla tua altezza?” si giustificò.

Alzai gli occhi al cielo “Ruffiano, mi fanno già male i piedi. A fine serata ti toccherà portarmi in spalla” alzò le spalle “Va a sederti allora”
Gettai la spugna recuperando la borsetta e sprofondando sul divano del soggiorno. Riaccesi il cellulare che conteneva un messaggio di Alice:

 

Perché diavolo non riesco a rintracciarvi? Spero sia tutto apposta tra di voi! Chiamami quando puoi. Buon anno, vi voglio bene.

PS. Dì a mio fratello che deve farsi perdonare tutti gli insulti che mi ha rivolto negli ultimi giorni!!! ”


Sorrisi. L’avrei chiamata in serata, così da farle anche gli auguri. Alice mi fece venire in mente anche un'altra questione che dovevo chiarire con Edward. Io non centravo più di tanto, ma dovevo sapere.
Mi diressi nuovamente nella stanza e mi sedetti sul letto. Edward aveva in mano delle cravatte. “Amore, cravatta o senza?” domandò guardandomi. Ci pensai un attimo “Senza” risposi. Annuì gettando l’accessorio sul letto. Quasi mi mancò il respiro, quando una cosa ancora più importante mi venne in mente.

Come avevo fatto a scordarlo?

Mi alzai di scatto sotto gli occhi incuriositi del mio fidanzato e diressi verso il mio armadio. Dopo averlo aperto e recuperato quello che mi serviva mi avvicinai a lui.
“Ho letteralmente scordato di dartelo, scusami” sussurrai imbarazzata. Raccolse il pacco che avevo tra le mani. “Buon Natale in ritardo”
Mi guardò per un attimo, poi finalmente lo aprì. Rimase impalato per qualche secondo prima di guardarmi.
Alzò gli occhi al cielo “Non avresti dovuto prendermi una cosa così costosa Isabella” mi sgridò riferendosi all’orologio che gli avevo regalato.
Alzai le spalle “Sapevo che ti piacesse, non potevo non regalartelo” mi giustificai ricordandogli il giorno in cui lo vedemmo.

Si sporse verso di me dandomi un bacio a stampo “Grazie. Questo mi autorizzerà a farti qualsiasi regalo io voglia. Non voglio che tu spenda i tuoi soldi per me.”
M’illuminai quando vidi che lo indossava. Mi prese, poi, per mano “Andiamo, o festeggeremo il nuovo anno in macchina” scherzò ripetendo le mie parole.

 

* *** ** *** *


“Edward?” richiamai la sua attenzione e lui si voltò per un attimo per poi ritornare con lo sguardo sulla strada. “Dimmi” m’incitò.
Presi fiato. Ero un po’ impaurita, non volevo rovinare la nostra ritrovata tranquillità, ma volevo sapere il perché del suo litigio con Jasper.
“Alice mi ha detto una cosa – presi fiato ancora – Mi ha detto che tu e Jasper avete smesso di parlarvi ”
Aspettai una sua risposta ma non arrivò. Lo guardai per qualche minuto fino a quando non ci fermammo ad un semaforo.

“Mi conosci, sono una testa calda. Ti assicuro che non è successo nulla di grave comunque” si giustificò, ma senza guardarmi negli occhi.
“Edward” lo incitai a girarsi ma lui m’ignorò “Guardami” lo pregai e lui si voltò.
“Che cos’e successo?” domandai più precisamente. Se fosse capitato qualche tempo fa non avrei mai insistito, ma ci eravamo ripromessi che non ci saremmo mai più nascosti niente.
Si passò una mano fra i capelli “Ci siamo visti ed io gli ho chiesto il perché ti avesse riferito quelle cose su Harrison Norton e sul mio caso, lui mi ha esposto le sue motivazioni ed è finita lì” riportò le mani sul volante e premette sull’acceleratore quando il semaforo cambiò nuovamente colore.

Incrociai le braccia al petto infastidita dalla velocità con cui aveva risposto alla mia domanda. “Non mi piace quando cercano di metterti contro di me” sussurrò improvvisamente ed io sbarrai gli occhi. “Jasper è tu amico Edward. Non voleva metterti contro di me.” risposi sbalordita dalla sua affermazione.
“Oh, si certo. Dirti che lavoro per un criminale, è il modo migliore per dimostrare la sua amicizia” sputò arrabbiato.
“Come al solito è colpa mia, non avrei dovuto dirti quello che mi aveva detto” realizzai ad alta voce.
“Non è affatto … – urlò, per poi bloccarsi improvvisamente. Strinse i bugni intorno al volante – Pensala come ti pare, non mi va di litigare ” sputò con finta tranquillità. L’autocontrollo non faceva parte della sua natura.
“Non stiamo affatto litigando Edward, stiamo semplicemente parlando. Sei tu che ti stai scaldando, stai praticamente litigando da solo” risposi.
“Hai ragione, sarà meglio che stia zitto allora” rispose sarcastico.





Rimanemmo in silenzio per tutto il resto del viaggio. Persi letteralmente l’orientamento, non capivo più dove ci trovassimo ma non mi andava di domandargli niente. Era sempre stato così con lui. Un attimo ti portava in cielo con la sua dolcezza e la sua passione, ma più mi portava in alto e più si era vicini al fondo e ci ritrovavamo così come eravamo adesso: Incompresi l’uno dall’altro.

Voltai lo sguardo verso il finestrino, quando avvertii l’auto rallentare. Davanti a noi c’era una casa enorme. Rimasi letteralmente incantata da quell’edificio. Tutte le luci della casa erano accese, da lontano riuscivo a vedere gente entrare e gente intenta a parlare sui molteplici balconi. Il luogo era infine circondato da una cascata di verde. Mi voltai verso Edward, ma dalla sua espressione notai che non fosse la prima volta che veniva in quel posto. Ci avvicinammo alla grande entrata e un ragazzo mi aprì la portiera. Esitai per un attimo prima di accettare il suo aiuto a scendere.
“Buona sera” mormorò con tono gentile. Risposi al suo saluto e in un attimo si catapultò dalla parte di Edward e dopo essere entrato nella sua auto sparì.
Edward mi fu affianco ed io istintivamente gli porsi la mia mano, subito dopo la ritirai ma lui l’afferrò lo stesso. “Perdonami, sono una testa di cazzo” sussurrò ed io sorrisi stringendogli caldamente la mano “Ormai mi ci sono abituata” scherzai.

Fece per rispondere quando però fu interrotto. “Edward, sei arrivato finalmente” alzammo entrambi lo sguardo, lui sorrise ma io non riconobbi il ragazzo davanti a noi: era alto quasi quanto Edward, capelli biondi, corti e lisci. Decisamente bene vestito e ringraziai mentalmente Alice per avermi costretta a fare compere le settimane precedenti.
Non riuscii a vedere, però, i suoi occhi perché erano coperti da degli occhiali da sole. Nessuno portava gli occhiali da solo in piena sera. Si avvicinò a noi sorridendo ed Edward ricambiò il sorriso. “Perché diavolo porti gli occhiali da sole?” domandò.
Il ragazzo lo abbracciò calorosamente prima di rispondergli “Ti do un consiglio amico, non frequentare mai una ragazza impegnata – disse alzando gli occhiali e mostrandogli la macchia violacea che contornava il suo occhio sinistro. Si voltò poi verso di me – Ma tu non hai di questi problemi” concluse guardandomi.
Edward ridacchiò “Bella, lui è Eric Norton. Mio amico, nonché figlio di Harrison”
Dopo quelle parole notai subito la somiglianza con suo padre “È un vero piacere. Non vedevo l’ora di conoscerti, questo ragazzo non fa altro che parlare di te, è come se tu fossi fidanzata anche con tutto il resto dell’ufficio. ” scherzò abbracciandomi.
Sorrisi imbarazzata dal suo gesto ma ricambia comunque il suo abbraccio “Ora che ci siamo conosciuti sarà meglio entrare, c’è molta gente e gli alcolici potrebbero finire” c’informò serio.


Se l’esterno di quella casa era una favola, dentro era dieci volte meglio. Ci trovavamo all’interno del loro immenso soggiorno che come ci era stato precedentemente detto da Eric era stracolmo di gente. Quella stanza era piena di persone facoltose, perlopiù grandi dirigenti d’aziende e avvocati. Edward conosceva quasi tutti e così fui costretta salutare e stingere molte mani. Salutai Brian e tutti gli altri suoi colleghi, uno di loro sembrava spaventato dalla mia presenza e mi aveva quasi completamente ignorato. Avevo cercato Edward con lo sguardo, ma lui non ne era sembrato turbato.

Ci eravamo accomodati su di una poltrona e adesso lui era completamente concentrato in un incomprensibile conversazione con un suo collega. Annoiata voltai lo sguardo verso il lungo corridoio che si trovava alle mie spalle. Vidi Harrison, il suo capo, con uno sguardo rigido e arrabbiato percorrere velocemente la stanza dirigendosi così verso la terrazza. Alle sue spalle, qualche passo indietro una ragazzina dai lunghi capelli castano chiaro e un paio di bellissimi occhi azzurrini, lo seguiva. Avrà avuto si o no sedici anni e dall’impressionante somiglianza con Eric, capii subito che anche lei fosse sua figlia.

Portava, con il freddo di dicembre, un paio di pantaloncini di jeans una canotta a righe bianche e nere e un paio di stivali neri. Sorrisi pensando a come fosse strano il suo abbigliamento rispetto a noi, ma lei sembra non importarsene minimamente. Li seguii incuriosita, con lo sguardo fino a quando non sparirono dietro l’angolo. Eric dall’altra parte della sala, guardò come me la scena e dopo qualche secondo li raggiunse. Tornai con lo sguardo al mio fidanzato che come pochi minuti prima continuava la sua noiosissima conversazione con quell’ uomo a me sconosciuto. Bevvi un sorso del mio analcolico e pregai di riuscire ad ubriacarmi ugualmente, magari sarebbe stato tutto più divertente.

Poggiai la testa sullo schienale del divano sul quale ero seduta ormai da non so quanto tempo, quando mi passarono davanti Eric e sua sorella. Lui teneva un braccio intorno alla sua vita e la teneva stretta se, mentre con l’altra mano prese velocemente un bicchiere contenente dello champagne dal primo cameriere che gli era passato davanti. Lei invece indossava gli occhiali da sole del fratello, lasciando così in bella vista il suo occhio nero.
Sembrava realmente arrabbiato e la mia curiosità aumentò ancora di più quando Harrison si avvicinò al nostro divano.
“Harry, parlavamo proprio di te” trillò il signore con cui stava parlando Edward nelle ultime due ore.
Abbozzò un sorriso “Chi non lo fa, Richard?”scherzò.
“Sono in casa tua da tutto questo tempo e solo adesso ti fai vedere?” domandò giocoso Edward. Lui alzò le spalle rivolgendosi poi a me “È un piacere rivederti Isabella, sono felice che siate venuti”
Sorrisi per la millesima volta quella sera “Il piacere è reciproco, è davvero una bella festa” mormorai imbarazzata. Era una bugia, mi stavo annoiando ma ero più che sicura che quello riguardasse più la compagnia che la festa di per se. Il mio fidanzato mi stava completamente ignorando da ore.
“Edward dopo, quando saranno arrivati anche gli altri ragazzi voglio parlarvi. Non dimenticartelo” lo informò e dopo un cenno del capo si allontanò.



Passò altro tempo e se non fosse stato per l’imponente orologio che ornava la stanza, avrei scommesso che fossero trascorsi degli anni. A quella specie di riunione che si era creata intorno a noi, si erano aggiunte altre persone. Edward si trovava a suo agio in mezzo a tutta quella gente e per un attimo guardai oltre all’uomo che amavo e vidi in lui l’avvocato che aveva sempre voluto essere. Sospirai decidendo che sarebbe stato meglio fare un giro, che rimanere lì e fingere di capire quello che dicevano. Feci per alzarmi quando vidi nuovamente i figli di Harrison. Questa volta però sua figlia indossava un vestito più appropriato alla serata e aveva raccolto i capelli in una mezza coda.

“Dove vai?” la voce di Edward richiamò la mia attenzione. Tutti smisero di parlare, rivolgendo così il loro sguardo su di me. Avvampai imbarazzata “ In bagno”





Passeggia spensierata da un posto all’altro della casa. Feci un giro in quel bellissimo giardino che circondava la villa, ma l’aria troppo fredda mi costrinse a rientrare. Andai anche realmente in bagno e dopo una rapida occhiata allo specchio uscii ritrovandomi così nuovamente in quella noiosissima sala. Guardai Edward da lontano ritrovandolo nella stessa identica situazione in cui lo avevo lasciato. Mi passai una mano fra i capelli pregando che la serata passasse in fretta.
“Hey Bella, ti sei persa?” mi voltai trovando Eric alle mie spalle. Scossi la testa “No, sono solo andata a fare un giro. Questa casa è bellissima” risposi.
Sorrise “Vieni, voglio presentarti mia sorella” mormorò sparendo dietro ad una porta. Lo seguii incuriosita, trovandomi così nella cucina della casa. C’era un via vai di camerieri, tutti intenti a trasportare bevande e tartine. Quanto mi sarebbe piaciuto addentare un hamburger.

Cercai Eric con lo sguardo, trovandolo poi accanto a sua sorella. Lei seduta sul ripiano della cucina mangiucchiava qua e là un vassoio di tartine mente lui, in piedi beveva qualcosa da un bicchiere.
“Lei è Roxy” indicò sua sorella con un cenno della testa “Roxy lei è Isabella, la ragazza di Edward”
Sorrise porgendomi la mano “Ciao. Edward è uno schianto, complimenti per la scelta” sussurrò è io la guardai sorpresa. Suo fratello rise “Quando le ho detto che tu ed Edward state per sposarvi e che sei incinta, a stento tratteneva le lacrime” m’informò divertito e sua sorella cercò di tirargli un calcio ma lui si scansò.
“Non credere a nulla di quello che dice questo idiota è un bugiardo peggio di nostro padre” rispose lanciandogli un bicchiere di carta. Eric alzò le mani in segno di resa “Questa la prendo come un offesa, scordati di venire a dormire da me stanotte”
La ragazza si alzò di scatto correndo ad abbracciarlo “Ho formulato male la frase, nessuno è meglio di te fratellone”
Gli poggiò una mano sulla spalla “Così va meglio scimmietta – bevve un lungo sorso dal suo bicchiere svuotandolo – Ora dovete scusarmi, ma devo andare a salvaguardare il mio lavoro. Questo posto è pieno di potenziali clienti. Voi continuate pure a fare conoscenza” disse prima di sparire dietro la porta.

“Che lavoro fa?” domandai per spezzare li silenzio imbarazzante che si era venuto a creare.
“Dirige le industrie edili di famiglia, gli ho chiesto di mollare tutto e trasferirci su di un isola dei Caraibi, ma ha detto di no” scherzò.
Sorrisi e lei si alzò velocemente, i miei occhi s’illuminarono quando dopo aver aperto il frigo, si posiziono su di uno sgabello facendomi cenno di sedermi “La serata è ancora lunga, ti va di annegare nel gelato al cioccolato?”


Ci rilassammo completamente ed io cominciai anche a divertirmi. Parlammo parecchio e conversare con lei mi fece sentire nuovamente un adolescente. Mi raccontò della sua famiglia, del bellissimo rapporto che aveva con suo fratello e del fatto che la madre fosse morta quattro anni prima. Il padre non aveva affatto il tempo di starle attorno cosi l’aveva spedita in un collegio privato a Parigi. Frequentava il terzo anno ed era tornata solo per le vacanze.
“Amo quella città, è magica ed estremamente romantica” trillò affondando il cucchiaio nella sua porzione di gelato. “Se sono tornata qui è solo per stare con Eric”
Sorrisi “Il fatto che tu la veda come una città romantica, potrebbe riguardare anche un ragazzo?” domandai maliziosa e lei arrossì di botto.
Risi e lei abbasso la testa “Non dirlo a mio fratello o mi ucciderà. Mi vede ancora come la sorellina a cui comprare il lecca-lecca”
Scossi la testa “Non preoccuparti, terrò la bocca chiusa” le promisi.
“Ora parlami un po’ di te! – propose cercando di cambiare argomento – Da quanto tempo stai con Edward? ” domandò.
Presi fiato “Quasi cinque anni ormai, il tempo è volato”
“È davvero un bravo ragazzo, è venuto molto spesso qui da quando sono tornata e mi dispiace che abbia a che fare con mio padre” sussurrò seria.
“Non hai una buona opinione di lui, vedo” constatai dispiaciuta.

Alzò le spalle “Non solo l’unica, nessuno ce l’ha veramente. Chi lo elogia o finge o ne trae qualche profitto. Mio padre è un uomo troppo potente per avere dei nemici o dei problemi”
“Rimane comunque tuo padre e sono sicura che ti vuole bene” cercai di rassicurarla ma lei sbuffò “Io non volevo andare via da qui! Se ad una bambina le muore la madre, tu non l’allontani dai suoi cari. Lui invece l’ha fatto e quando mi sono fatta espellere, sai lui che ha fatto?” domandò ed io non ebbi il coraggio di dire niente.
“Ha comprato quel maledettissimo collegio, così è sicuro che io ci rimanga” la guardai mortificata dal dolore che riuscivo a leggere nei suoi occhi. Era una persona fragile lo vedevo e riuscivo a specchiarmi in certi aspetti del suo carattere. Allungai la mia mano verso la sua, stringendola forte. Non dicemmo nulla fino a quando uno dei camerieri venne poi ad informarci che era quasi mezza notte e che il padrone di casa voleva tutti nel soggiorno. Annuimmo, ma Roxy non si mosse.
“Io rimango ancora un po’ qui. Tanto non m’interessa quello che mio padre ha da dire, poi devo fare i bagli perché io e mio fratello andiamo a sciare in Austria” m’informò e il sorriso le ritornò sul volto. Istintivamente l’abbracciai “Buon viaggio allora, mi ha fatto piacere conoscerti”
Mi sorrise ed io mi voltai allontanandomi. “Bella?” mi chiamò ed io la guardai nuovamente. “Quando torno in città, potremmo vederci ancora. Che ne dici?” domandò titubante.
Annui convinta “Quando vuoi”


Oltrepassai svogliatamente il corridoio principale pensando a come mi sarei nuovamente annoiata. Mi guardai intorno cercando Edward, ma non lo vidi al posto in cui lo avevo lasciato. Mi diressi allora verso le porte della terrazza quando però qualcuno mi prese per un braccio. Mi voltai trovandolo.
“Dove diavolo sei finita?” mi domandò preoccupato. Aggrottai le sopracciglia, rendendomi però conto che fossi sparita per più di un ora.
“In quale bagno sei andata, quello di casa nostra?” domandò irritato.
Mi passai una mano fra i capelli “Ha ragione, sono stata in cucina e ho fatto la conoscenza di Roxy”
Il suo viso si rilassò “Avresti potuto avvisarmi, è da un po’ che ti cerco”
La sua espressione mi vece intenerire “Scusami, non era mia intenzione farti stare in pensiero e poi siamo in una casa cosa pensavi potesse succedermi?” fece una smorfia baciandomi dolcemente. “Zitta e vieni”

Ci dirigemmo verso Harrison, che come mi era stato precedentemente avvisato, stava tenendo il suo discorso. Non ascoltai una parola, la stanchezza iniziava a farsi sentire. Quando tutti ci spostammo in giardino per assistere a fuochi d’artificio, Edward portò un suo braccio intono alla mia vita per sostenermi. Era solo mezza notte ed io dormivo già in piedi. Le persone fecero il solito conto alla rovescia e quando lo spettacolo pirotecnico iniziò, tutti alzammo lo sguardo verso il cielo. Il mio sguardo cadde però in una delle tante grandi finestre della casa: Roxy guardava appoggiata alla finestra i fuochi ed era completamente sola.





ABITI BELLA*
















Si, lo so! vi starete chiedendo "Ma è lei?" XD
Si sono io e sono mooolto in anticipo perchè questo capitolo lo avevo in testa e non voleva saperne di rimanerci. Così ho ritagliato un pò di tempo e in un paio d'ore eccomi a postare.
In questo capitolo scopriamo un pò di cose e conosciamo altri personaggi
Ed e Bella continuano ad avere alti e bassi.
Ditemi tutto quello che pensate.
Un grosso bacio.
PS risponderò alle recensioni dello scorso capitolo domani! =D

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Capitolo 19
*** 19Capitolo ***




Capitolo 19






 

Poggiai una mano su quella di Edward cercando di bloccare il fastidioso ticchettio provocato dal mazzo di chiavi che tamburellava sulla sedia vuota al suo fianco. Mi guardò e notai l’ansia nei suoi occhi.
Sbuffai “Non ti facevo un tipo così ansioso, è solo una stupida formalità” lo rassicurai. Ci trovavamo al Bellevue Hospital Center e tra pochissimo avremmo finalmente scoperto il sesso del bambino. In questo mese di gravidanza si è soliti fare un’ecografia molto speciale che ti permette, oltre di conoscere il sesso, di capire se il bambino è in salute o se soffre di qualche sorta malattia. Avevo timore che qualcosa avesse potuto rompere la bolla di tranquillità che si era venuta a creare da quando Edward era tornato, ma continuavo a ripetermi che nostro figlio stava bene e che quella fosse solo una stupida formalità.
“Sono solo un po’ agitato, tutto qui” mormorò baciandomi una guancia.
Continuava a giocherellare con quel mazzo di chiavi, come se avesse l’intenzione di fuggire da un momento all’altro. Quella mattina, dopo la visita, sarebbe dovuto andare in ufficio ma ora avevo il timore che non avrebbe atteso fino alla fine.

“Alice è convita che sarà una bambina” lo informai cercando in qualche modo di farlo rilassare. Fece una smorfia “Se così sarà, non le daremo il suo nome. Non farti raggirare, è quello il suo intento” Ridacchiai recuperando, esausta, il mazzo di chiavi dalle sue mani “Non è affatto vero e poi a dire il vero un nome lo abbiamo già pensato. Manca solo il tuo consenso”
“A quale ti riferisci? Abbiamo pensato a tanti di quei nomi che adesso mi sembra di conoscere ogni singola persona nuova che incontro” scherzò e nei suoi occhi notai la curiosità più assoluta.
Scossi la testa, quando un idea un po’ folle mi venne in mente “Non te lo dirò adesso, lo faccio per scaramanzia. Se la McCartney ci dirà che è una femmina te lo rivelerò” Era una motivazione molto sciocca, ma nei giorni passati mi ero resa conto che desideravo immensamente una bambina. Mi ero immaginata tutta la sua vita e ora che eravamo giunti alla conclusione, volevo che anche lui fosse un po’ curioso. Non credevo che ci sarei rimasta poi così male se fosse stato un maschietto, l’importante è che fosse stato sano ma l’idea che dentro di me crescesse una bambina con le stesse sembianze di Edward mi esaltava.

Avevo sperato dal primo momento che il nostro bambino somigliasse a lui.

Aggrottò la fronte “Non credi di essere un po’ ingiusta? È anche mio questo figlio e dovrei contribuire alla scelta del suo nome” mormorò.
Scoppiai a ridere, le altre persone si fermarono a guardarmi, ma la sua espressione era troppo buffa per smettere. Sbuffo prima che la porta dello studio si aprisse mostrandomi il mio medico. L’ilarità svanì dal mio cure lasciando spazio all’ansia più assoluta. 
“Salve ragazzi, è il vostro turno. Siete pronti?” domandò cordiale. Edward mi guardò per un attimo rispondendo poi per entrambi “Certo, arriviamo” la donna annuì lasciandosi nuovamente soli. Mi passai una mano fra i capelli quando il mio fidanzato si alzò porgendomi la mano. L’accettai e lui mi strinse a se per un attimo che a me sembrò infinito “Andrà tutto bene, promesso”
 


Lo studio di Margaret McCartney era diventato, in questi mesi, un posto familiare. Ero davvero felice di aver incontrato una donna tanto gentile e professionale. Aveva dei capelli corvini che raccoglieva spesso in un elegante chignon. Avrà avuto sicuramente una cinquantina d’anni, ma aveva sempre il sorriso sulle labbra e questo non faceva altro che ringiovanirla.

“Allora, dimmi. Come stai Isabella?” domandò una volta chiusasi la porta alle spalle.
Feci un lungo respiro prima di rispondere “… bene, grazie”
La donna alzò i suoi occhi castani su di me. Sorrise “Non devi essere agitata” sussurrò facendo cenno di accomodarci sulla poltrona davanti a lei. Edward mi prese, nuovamente, per mano e ci dirigemmo dove ci era stato chiesto.
“Hai avuto qualche problema insolito in quest’ultimo mese?” domandò ancora.
Ci pensai un attimo prima di scuotere la testa. Avevo avuto altri problemi in quel mese ma la gravidanza centrava ben poco.
“Questo periodo potrai rilassarti quasi completamente, il quinto mese è il più tranquillo per quanto riguarda le nausee. – m’informò controllando la mia cartella – Avrai molto più appetito, ma ricordati di controllarti e di non stressarti. In questo periodo il bambino potrebbe anche fare i primi movimenti e per questo il tuo corpo tenderà ad allargarsi”
Una musica familiare risuonò nella stanza bloccando le raccomandazioni del mio medico e facendomi sobbalzare. Mi voltai al mio fianco lanciando un occhiataccia ad Edward che di rimando si scusò spegnendo il cellulare.
“Che ne dici di accomodarti sul lettino, così iniziamo” suggerì poi lei.
 


Sentii una leggera pressione quando finalmente la dottoressa posizionò, quell’arnese che in qui mesi avevo imparato a conoscere, sul mio ventre gonfio. Lo schermo al nostro fianco si accese ed Edward prese la mano che io istintivamente gli avevo posto. Sentii il cuore farsi sempre più veloce quando la dottoressa , con gli occhi puntati sul monitor, sorrise. “Guardate, è alto quasi venti centimetri e pesa duecentotrenta grammi e un po’ poco ma lo risolveremo”
“Sta bene?” domandò Edward e lei annuì con vigore “Si, ha tutti i valori nella norma. – si girò poi completamente verso di noi – il bambino si è girato per bene e posso dirvi il sesso se volete” ci informò.
Guardai il mio fidanzato per  un attimo prima di annuirle.

Passo un secondo interminabile nel quale pensai ad entrambe le possibilità. Se fosse stato un maschietto avrebbe giocato a basket come suo padre, sarebbe diventato un avvocato e magari sarebbe diventato sindaco e alla fine presidente. Una bambina invece avrebbe potuto fare la ballerina o il medico come Carlisle, si sarebbe potuta unire alla Croce Rossa e salvare tante vite. Magari avrebbe potuto seguire le mie di orme e intraprendere la carriera giornalistica. Mi passarono tante di quelle cose in mente che quasi mi dispiacque restringere il mio campo in un'unica direzione, quando la dottoressa disse “È una bambina”

Chiusi gli occhi assimilando quelle parole, mi portai la mano libera alla bocca cercando di trattenere le lacrime. Edward mi accarezzò dolcemente i capelli prima di sporgersi e baciarmi la fronte. Assaporai quel momento di pura dolcezza prima di sussurrargli le parole promesse “Eleonore, dai pure il benvenuto alla nostra Eleonore”
 

 

**** * *** * ****

 

EDWARD POV

 
“Dovremmo comprare del cherosene e dare fuoco all’intero tribunale” il tono profondamente esasperato di Brian, mi fece voltare il capo di scatto.
“Mi sembra un gesto un po’ estremo per risolvere i nostri problemi” risposi poggiando la schiena contro la mia poltrona. Chiusi gli occhi cercando di recuperare un po’ di concentrazione. Avrei dovuto finire in orario e riprendere Bella dalla sua amica Angela. “Qualcosa non va Eddy? Sei distante, ti ho appena detto che voglio commettere un omicidio di massa e non hai battuto ciglio”  constatò il mio collega. Riaprii gli occhi accennando un sorriso, quando il telefono squillò. Sospirai raccogliendo la cornetta  “Victoria?”
La voce della mia segretaria non si fece attendere “Edward, c’è qui il figlio del signor Norton. Vuole vederti.”
Poggiai il gomito sulla scrivania riflettendo a quale fosse stata l’idea migliore. Eravamo troppo impegnati e la sua presenza in quel momento ci avrebbe sicuramente rallentato. Era una brava persona, divertente un amico ma prendeva troppo le cose alla leggera e quello non era affatto il momento adatto. Lavoravamo per suo padre e una volta ero arrivato a pensare che lo facesse di proposito a distrarci. Pregai mentalmente che non fosse venuto a raccontarmi qualcosa di futile “Si, fallo entrare”

Riaggancia, alzandomi e sfilandomi la giacca e rimanendo così in camicia. Brian mi guardò incuriosito, ma non ebbi il tempo di dirgli niente che la porta si spalancò.
“Salve amici – Eric sembrava di buon umore, forse perché non aveva ancora incontrato suo padre quella mattina – Andiamo ragazzi è ora di pranzo, non potete restare chiusi qui dentro in questa nuvola di tristezza. Alzatevi voglio portarvi in un posto speciale”
Alzai gli occhi al cielo maledicendomi e Brian ridacchiò scioccato. Non avrei dovuto farlo entrare. “Ric guardaci, siamo sommersi dal lavoro non possiamo venire da nessuna parte e poi stiamo aspettando Thomas e Damien, non possiamo allontanarci” non mi era mai capitato di dover cercare una scusa così stupida, ma preferivo mentirgli che dirgli che eravamo troppo impegnati per stare dietro alle sue sciocchezze.
“Edward ha ragione, ti basta guardare lì per capire che siamo realmente sommersi di lavoro” mi appoggiò Brian indicando la mia scrivania completamente ricoperta di documenti.
“Perché non lasciate che lo arrestino?” domandò sarcastico ed io tornai a sedermi al mio posto “Beh perché ci sta pagando profumatamente ed io più di voi ho bisogno di soldi, visto che tra meno di cinque mesi nascerà mia figlia” confessai ed i miei amici sgranarono gli occhi. “È una femmina?” domandarono all’unisono ed io annuii compiaciuto.

“Congratulazioni Eddy, sono molto felice per voi. Roxy è rimasta molto colpita da Isabella, si sono promesse di rivedersi quando lei tornerà in città” sorrisi ricordando la stessa identica storia raccontatami da Bella. “Anche a lei ha fatto piacere”
Sorprendentemente riaprì la porta alle sua spalle uscendo “Sarà per la prossima volta, lavorate  e guadagnate avvocati” mormorò prima di andarsene.
Scossi la testa sorpreso dalla strana persona che avevo imparato a conoscere.
“Congratulazioni anche da parte mia amico” sussurrò Brian a sua volta. Mi passai la mano fra i capelli “Grazie, ora però concentriamoci su questo fottutissimo caso o Harrison  no ci darà un bel niente” scherzai.
 




Portai alla bocca il bicchiere di Jack Daniels, bevendone un lungo sorso. Guardai poi l’orologio che segnava le sette. Damien, il nostro nuovo collega, si alzò stiracchiandosi. “Sono esausto!”
Annuii d’accordo  con le sue parole “Anche io ho bisogno di uscire da qui, quest’ufficio comincia a starmi stretto”  l’informai alzandomi a mia volta., tutti furono della mia stessa opinione ed imitandomi uscimmo tutti dal mio ufficio, prendendo strade diverse.

Dieci minuti di pausa, proprio il tempo che mi servirebbe per una sigaretta, pensai. Mi passai una mano tra i capelli cercando di scacciare quel pensiero inopportuno. Avrei dovuto riprovare a smettere da solo, prima che Bella ricominciasse a rifilarmi quelle tisane rivoltanti.

“Avete finito Edward?” mi voltai inchiodando i miei occhi sulla mia segretaria.
Scossi la testa “Ne abbiamo ancora per un po’. Tu puoi andare se vuoi, non preoccuparti” la informai rendendomi conto di non avere bisogno del suo aiuto.
“No. – rispose velocemente, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio –  Rimango, ho ancora delle cose da fare e poi che assistente sarei se ti abbandonassi nel momento del bisogno?”
Sorrisi e le sue guance si colorarono di un rosso accesso. Aggrottai lo fronte, sorpreso dalla sua strana reazione quando una voce tremendamente familiare arrivò alle mie spalle. “Fratellone!” Non ebbi il tempo di muovere un muscolo che le piccole braccia di Alice mi avvolsero.  “Ci siamo visti ieri o sbaglio?” domandai sorpreso dalla sua euforica energia. si posizionò davanti a me guardandomi sospettosa “Cosa c’è, vi ho forse … disturbato?” domandò, calcando sull’ultima parola usata e lanciando un occhiataccia a Victoria.
 La guardai per un attimo, riflettendo su quello che aveva appena detto e sullo strano tono di voce che aveva usato, prima di prenderla per un braccio e trascinarla nel mio ufficio. Cercò di opporre resistenza, ma ero di gran lunga più forte di lei. “Lasciami!” urlò ma l’ignorai fino a quando non ci trovammo nel mio ufficio. Chiusi la porta e lei si massaggiò il polso con cui l’avevo trascinata. “Mi hai fatto male, imbecille!”

“Cos’era quello?” domandai irato e lei, con un gesto fluido della mano, si sistemò i capelli arruffati. “A cosa ti riferisci?” domandò innocente. Non risposi e lei incrociò le braccia al petto. “Scusa ma quella ragazza ti mangia con gli occhi, non te ne accorgi? – m’informò alzando le braccia al cielo – Lo sa quella rossa che sei praticamente sposato?”
Alzai gli occhi al cielo. L’unica cosa che mi ci voleva era una sorella paranoica. Riaprii la porta, facendole cenno di uscire “Fuori, ho tanti di quei pensieri in questo periodo, che le tue stupide paranoie non fanno altro che farmi venire il mal di testa” Portò le mani sui fianchi saldando inutilmente i piedi per terra. La trascinai nuovamente verso l’uscita, ma oppose resistenza aggrappandosi alla maniglia della porta. “Bravo, continua a non credermi mai”
“Addio Alice” mormorai spingendola.
Perché ogni volta che si trattava di lei, usciva in me la parte più infantile? 

“Ed io che ti avevo portato anche una cosa bellissima da vedere” la ignorai e lei continuò “Un bella cosa riguardo Bella” precisò. Mi fermai e lei si precipito su una delle poltrone davanti alla mia scrivania.
Contai fino a cinque cercando di recuperare il controllo necessario per non strangolarla, mi avvicinai poi a lei che di rimando sorrise energicamente.
Continuai a fissarla cercando di farle capire che non avevo tempo da perde. Sbuffò recuperando una rivista dalla sua borsa griffata. Esitai un attimo quando me la porse “Non ricordo di averti detto di comprarmi una rivista di moda, Alice” mormorai scocciato e mia sorella sbuffò ancora sbattendomi la rivista contro il petto “Pagina sedici”
Afferrai la rivista assecondando la sua richiesta. Girai pagina dopo pagina arrivando infine a quella indicatami. Rimasi scioccato.
“Sapevo che avresti fatto quella faccia. Immaginati la sua di faccia quando glielo mostrerò. Lei è sempre stata ….”

Smisi completamente di ascoltarla, concentrandomi completamente sulla bellissima figura della mia donna. Isabella sorridente aveva puntato gli occhi sull’obbiettivo. Il suo viso leggermente arrossato, i capelli che le ricadevano sulle spalle in eleganti curve, era semplicemente perfetta. Ricordavo il  momento in cui mia sorella aveva trascinato lei e Rosalie sul palco durante la sua prima sfilata. Il vestito che aveva indossato, il suo colore, risaltavo la sua pelle chiarissima e la rendeva quasi surreale. Era bellissima, lo era sempre, in ogni momento della giornata ma era come se non se ne accorgesse. Solo io riuscivo a vederlo, lei arrossiva quando le facevo notare quanto fosse perfetta.
Lessi l’ultima parte dell’ articolo:
 
– La giovanissima Alice Cullen, nuova promessa della Pratt Institute of Design di Manhattan porta una ventata di novità nel primo giorno della Settimana della moda newyorkese. La sua collezione sarebbe potuta passare tranquillamente come una collezione di un grande stilista se non fosse stata mostrata durante il giorno dedicato agli studenti talentuosi. Nella foto a destra vi mostriamo uno degli abiti che abbiamo più amato quel giorno. L’abito non ha sfilato ma è stato ben portato da un suo familiare, Isabella Swan fidanzata, in dolce attesa, del fratello della stilista. È stata invitata sul palco da quest’ultima durante la cerimonia di chiusura, e si è mostrata molto timida ai fotografi che senza scrupoli non si sono fatti scappare una tale bellezza. Speriamo di rivedere entrambe molto presto, l’America non può lasciarsi scappare un tale talento –
 
Guardai nuovamente la foto e un moto di gelosia mi assalì, quando mi resi conto di quanta gente avesse già potuto vede quella foto.
“A quando risale questa rivista?” domandai pensieroso.
“Questa non è una semplice rivista, questa è la rivista per eccellenza, è Vogue e ha scritto un articolo su di me” trillò emozionata.
Sorrisi scompigliandole i capelli “Non hai risposto alla mia domanda talento americano da non perdere” scherzai ripetendo le ultime parole dell’articolo.
S’illuminò “L’ ho preso stamattina, ma comunque sapevo che avrebbero parlato della sfilata perché mi avevano già avvisata. Appena sono stata  libera sono venuta a mostrarla a Jasper e poi a te” la sua voce traballò quando pronunciò il nome del suo ragazzo, ma io feci finta di non accorgermene.
“Bella impazzirà quando glielo mostrerò” ridacchiai immaginandomi la scena.
Annuì “Andrà fuori di testa e tu sarai costretto a sopportare le sue stupide paranoie per i prossimi sei mesi”
Alzai le spalle e lei continuò “Sarei voluta andare io da lei ma mi ha detto che è da una sua amica e che deve assolutamente studiare pei il suo prossimo esame”
Mi passai una mano fra i capelli “La conosci nel periodo degli esami entra sempre in paranoia e poi alla fine prende il massimo dai voti”
Annuì e improvvisamente i suoi occhi si dilatarono, quasi mi spaventai e le mi buttò le braccia al collo. “Congratulazioni per la bambina, fratellone. Ero venuta qui anche per questo ma quella strega dai capelli rossi mi ha distorto ogni pensiero”
Sciolsi l’abbraccio “Stai esagerando Alice. Victoria è una brava ragazza e non vuole niente da me a parte il lavoro”

Mi guardò scioccata alzandosi “Continua a vedere quello che non c’è e prima o poi te la ritroverai completamente nuda su questa scrivania. Ci vediamo” non mi diede il temo di replicare che s’incamminò verso l’uscita “Spero che Bella non se ne accorga, sai che sa essere molto insicura e in questo periodo è estremamente fragile” concluse uscendo.
 
Quella nanetta aveva la capacità di farmi sentire estremamente in colpa, anche quando non avevo niente da farmi perdonare. Andai verso uno dei cassetti della mia scrivania e pregai di trovare un pacchetto di sigarette sfuggito alla mia vista durante la mia recente fase di nuova disintossicazione dalla nicotina. La mia pausa non era ancora iniziata ed io dovevo fumare.
Scavai inutilmente, arrivando a svuotarlo completamente, ma quel cassetto era completamente sprovvisto di quello di cui avevo bisogno. Mi alzai rassegnato, sperando d’incontrare di sotto, qualche amico che me ne desse una. Presi la giacca e mi diressi verso la porta quando questa si aprì mostrandomi il viso affannato di Brian.
“Non crederai mai a quello che sto per dirti, per fortuna siamo già andati in pausa – stinsi i pugni dal nervosismo – L' avvocato dei russi è di sotto e vuole trovare un accordo con noi”

Addio sigaretta ristoratrice.
 

 

**** *** ****

 
“È fuori discussione!” conclusi categorico. Mi guardò con aria divertita, la stessa espressione con cui mi aveva osservato durante i giorni del processo nel suo paese. Dimitri Cèchov legale di tutti e tre gli indagati contro Harrison Norton era venuto, come mi era stato precedente informato, per trovare un accordo. “Noi non faremo un bel niente, il nostro cliente non ha bisogno di niente. Abbiamo già ottenuto gran parte di quello che ci spettava e in pochissimo tempo avremmo tutto il resto” aggiunsi.
Annuì incrociando le gambe con finta eleganza “Signore, mi ascolti attentamente. I miei clienti hanno già ammesso le loro colpe, sconteranno quello che gli spetta senza fare storie ma l’unica cosa che vogliono è che la colpa sia divisa in egual misura tra tutti i colpevoli. Non tutti tranne uno” disse cono tono volutamente controllato.

Chiusi gli occhi annoiato. La storia era sempre la stessa. “Infatti è quello che abbiamo fatto, tutti i colpevoli sconteranno quello gli spetta” mormorai massaggiandomi le tempie. “Lei conosce esattamente chi sono i mie clienti e sa bene quello che hanno già fatto e quello che sono capaci di fare per arrivare a quello che vogliono. Sono già in carcere e commettere qualche altra … azione e scontare qualche anno in più non li disturba affatto se a consolarli ci sarà quella splendida sensazione che ti lascia un altro tipo di giustizia privata”
Alzai il capo di scatto riaprendo gli occhi “Mi sta per caso minacciando?” domandai e un moto di rabbia m’invase completamente. Alzò le spalle e per un attimo lessi nei suoi occhi la soddisfazione per aver attirato finalmente la mia attenzione. “La loro famiglia è molto, molto numerosa e loro sono gli unici tre che li mantengo economicamente e che in un certo senso li sostiene. Sarebbero molto arrabbiati se venissero a sapere che l’americano di cui si fidavano li ha barbaramente pugnalati alle spalle e che adesso se la spassa indisturbato mentre i loro cari si addossano l’intera colpa. A quel punto io non potrei fare niente se decidessero di punire quelli che hanno permesso tutto questo – si aggiustò gli occhiali – Segua il mio consiglio e tutto si risolverà in modo semplice ed indolore”

Mi alzai bruscamente andando dall’altro lato del tavolo. Brian mi prese per un braccio ma io lo scansai avvicinandomi a quell’ essere. “Mi ascolti bene, avvocato. Il suo finto buonismo non mi scalfisce per niente, le consiglio di dire ai suoi amici che noi continueremo per la nostra strada e che continueremo ad affondarli perché è quello che si meritano. Nella mia vita non mi sono mai fatto intimorire da nessuno e non inizierò adesso. Ora fuori di qui, non abbiamo più niente da dirci”
Mi guardò per un attimo prima di alzarsi e sorridermi ironico “Sapevo che non mi avrebbe ascoltato, l’ho studiato un po’ quando eravate a Pskov ed era proprio come credevo. Non mi resta che dirvi ch ci rivedremo molto presto signori – mormorò guardando tutti in sala  - Soprattutto con lei avvocato, ci rivedremo presto.” Concluse guardandomi e accennando un leggero e cortese inchino poi si voltò e se ne andò.
 
Nella sala calò il silenzio, l’unica cosa che si sentiva era il rumore della pioggia fuori dalle finestre. Presi più di un lungo respiro per cercare di calmarmi e di rimettere le idee in chiaro. Guardai i miei colleghi, che increduli mi fissavano. Recuperai la giacca “Vado via anche io” mormorai e senza aspettare un risposta sbattei la porta.
 
 
 

 

Cosa ne pensate? *Corre a nascondersi*
PS. Avete visto i primi secondi del trailer di Breaking Dawn??? *o*

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Capitolo 20
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Capitolo 20








 

– L'intervento delle grandi potenze (Stati Uniti, Cina, Unione Sovietica e Gran Bretagna) condusse alla Conferenza di pace di Ginevra che si concluse nel luglio1954 in modo insoddisfacente per il movimento Vietminh (anche a causa della tendenza al compromesso da parte di Cina e Unione Sovietica): la penisola indocinese venne, infatti, divisa in quattro stati indipendenti: Laos, Cambogia, Vietnam del Nord e Vietnam del Sud separati dal 17º parallelo: nel Vietnam del Nord si costituì una repubblica popolare di tipo comunista guidata da Ho Chi Minh e dal movimento Vietminh (con capitale Hanoi), strettamente legata alla Cina e all'Unione Sovietica, mentre nel Vietnam del Sud si instaurò il governo autoritario del presidente cattolico Ngô Đình Diệm (con capitale Saigon), appoggiato economicamente e militarmente dagli Stati Uniti. –

Rilessi per la ventesima volta lo stesso paragrafo del mio libro di Storia America e mi vennero le lacrime agli occhi all’idea che il giorno seguente, avrei fatto sicuramente una pessima figura davanti al mio professore. La guerra del Vietnam, non mi era mai piaciuta. Anche durante il liceo, avevo sempre trovato difficoltà con questo argomento e l’indomani avrei dato l’esame più scadente di tutti i tempi. Scansai il libro, al mio fianco e con un gesto secco mi sdraiai a peso morto sui cuscini del letto e cominciai a guardare il soffitto.

Volevo chiudere con l’università al più presto, ero stanca e quei tre ultimi esami sembravano così distanti e impassabili che al loro solo pensiero un senso di nausea mi invadeva completamente .
Puoi farcela Isabella, mi ripetevo come un mantra.
Dovevo farcela, avrei superato i miei ultimi esami e mi sarei laureata, quello era il mio obbiettivo e avrei cercato di portarlo a termine con tutte le mie forze. Nessuno mi avrebbe mai perdonato il contrario, io per prima non sarei riuscita a sopravvivere con il senso di colpa di aver fatto spendere tutti quei soldi ai miei genitori inutilmente. La Columbia era costosa ed io sapevo che mio padre faceva dei sacrifici per pagarla, per questo senza esitare ripresi il libro ricominciando a studiare.


Passò qualche minuto, quando una serie di voci alterate arrivò alle mie orecchie. Guardai l’orologio e dopo essermi resa conto che la mezza notte era ormai passata da un pezzo, mi alzai.

Edward era nel soggiorno da ore e come capitava ormai spesso tutti i suoi colleghi lo avevano raggiunto e si erano messi a lavorare. Il giorno seguante sarebbe partito per Filadelfia e lì si sarebbe svolto l’ultimo atto di quello stupido processo che ci stava allontanando l’uno dall’altra. Nell’ultima settimana era stato totalmente intrattabile e lunatico, non aveva fatto altro che tornare tardi dall’ufficio e le poche volte che era a casa lo erano anche i suoi colleghi. Non avevamo avuto una sola conversazione decente, ed io lo avevo lasciato perdere pregando solo che il momento tanto atteso passasse in fretta. Quel pensiero mi provocò un leggero sollievo all’idea di vedere nuovamente il sorriso sul suo volto.
Quella data era diventata quasi un’ossessione per lui.

Ripensai al giorno in cui avevamo scoperto che avremmo avuto una bambina e a come fosse venuto a prendermi da casa di Angela. Il viso troppo teso, arrabbiato, pensieroso, non mi aveva rivoto la parola per quasi tutta la serata e una volta domandatogli cosa lo tormentasse mi aveva liquidato bruscamente“Niente che ti riguardi” aveva detto e si era poi scusato quando mi ero chiusa in camera arrabbiata dal suo comportamento.

Aprii leggermente la porta, non volevo spiare ne tantomeno mettermi ad origliare, volevo solo accertarmi che non stessero litigando.
“Non è così che funzionano le cose! Non dobbiamo mentire per chiudere questa storia.” Il tono di Edward era tranquillo ma con un velo di freddezza “Domani mattina chiuderemo questo capitolo con la verità dei fatti: lui non centra niente con questa storia, fine dei giochi.”

“Non sarebbe affatto mentire !” urlò una voce ed io sobbalzai.
“Abbassa la voce” lo intimò Edward e lui continuò obbedendogli “Fa come ti pare, il mio era solo un consiglio. Il modo in cui è andato via, era troppo tranquillo, come se avesse qualcosa in mente” replicò la voce scocciata ed offesa, lui non rispose ed io richiusi la porta. Stavano solo discutendo e non potevo permettermi di perdere altro tempo.


 

***** *** ****



“Cosa ci fai ancora in piedi?” sobbalzai uscendo bruscamente dalla mia bolla di concentrazione.
“Vuoi farmi venire un infarto!?” sussurrai alzando lo sguardo verso la figura di Edward. Non si mosse di un millimetro aspettando una mia risposta, sbuffai mostrandogli il grosso libro che avevo tra le mani “Ho un esame domani ricordi?” domandai sarcastica sperando che capisse a cosa mi riferissi. Non volevo essere infantile, volevo solo ricordargli che anche io facevo parte della sua vita. Alzò gli occhi al cielo e per un attimo lo vidi accennare un sorriso.

“Quando torno voglio trovarti addormentata” ordinò, prima di chiudere la porta e allontanarsi.
Mi alzai di scatto, riaprendo la porta, una volta essermi soffermata sulle sue parole. “Dove diavolo vai a quest’ora?” domandai esasperata e lui si voltò sconcertato, guardandomi con i suoi grandi occhi.
“Brian è qui e devo riaccompagnarlo a casa visto che sono stato io a portarlo da noi” spiegò passandosi una mano tra i capelli.
Mi incupii “È tardi” sentenziai e lui sghignazzò “Vuoi che lo lasci andare a piedi per la città di notte? Siamo a New York”

Sbuffai sperando che il povero Brian non avesse ascoltato la nostra conversazione. “Gli altri sono andati via?” chiesi ancora e lui annuì. “Muoviti e torna presto” lo raccomandai.

Tornai alla guerra in Vietnam e alle sue cause, cercando di metterci tutta la concentrazione ma una strana sensazione di ansia m’invase. Portai entrambe le mani sul viso e respirai a fondo quando il mio cellulare vibrò. Lo raccolsi lentamente tra le mani, sperando che non fosse l’ennesimo messaggio di auguri da parte di amici e parenti.
“Dimmi che non sono l’unica deficiente ancora in piedi per quest’esame”
Sospirai rispondendole velocemente:
“Aspetto con ansia il giorno in cui tutto questo finirà. A domani xoxo”
Ignorai la strana tensione che si era venuta a creare nella mia mente, anche Angela era in ansia e questo significava che non era una mia paranoia o uno dei tanti sintomi della gravidanza ma una semplice ansia pre-esame. Poggiai delicatamente una mano sul mio pancione accarezzandolo “Portami fortuna domani Eleonore, ne ho bisogno” sussurrai portando la testa sul cuscino.





Sentii il vuoto sotto di me e un profumo familiare arrivò alle mie narici, voltai il capo scontrandomi contro qualcosa di caldo e ruvido. Alzai lentamente una mano tastando contro il petto di Edward fasciato da una semplice maglietta. “Avresti almeno potuto raggiungere la tua parte del letto prima di addormentarti” mormorò poggiandomi delicatamente tra le coperte. “Riposati – sussurrò stampandomi un bacio sulla fronte – Domani andrai alla grande”
Strofinai il naso sul cuscino aspettando che il sonno mi richiamasse con se, quando mi alzai di scatto “Vietnam” urlai guardandomi intorno. Edward sobbalzò guardandomi preoccupato “Di cosa stai parlando?” domandò ed lo ignorai alzandomi e recuperando il mio libro dal comò.

Sbuffai dirigendomi verso il soggiorno.Come avevo fatto ad addormentarmi?

Feci una smorfia quando vidi il disordine che avevano creato nella sala da pranzo, ma la voglia di discutere era pari allo zero. Mi buttai a peso morto sul divano ricominciando a sfogliare il libro quando improvvisamente Edward si sedette al mio fianco, togliendomi il libro dalla mani. Lo guardai sorpresa cercando di riprendermelo ma lui si scansò “Quali sono le cose che non capisci?” domandò guardandomi negli occhi.
Poggiai la testa sullo schienale del divano “Faresti meglio a chiedermi quali sono le cose che ho capito” mormorai distrutta ma lui non rispose. Lo guardai attentamente e le profonde occhiaie che vidi non mi piacquero affatto. “Dovresti dormire Edward” constatai accarezzandogli il volto ma lui scosse la testa “Ti aiuto a ripetere, così fai prima e andremo a dormire” propose.
“Domani hai l’udienza” gli ricordai.
“E tu hai un esame. Ora che abbiamo dichiarato l’ovvio, smettiamola di perdere tempo.” il suo tono era scocciato, ma sapevo che voleva realmente aiutarmi. “Non capisco come non riesca ad entrarti in testa un avvenimento così semplice, la guerra in Vietnam è una parte significativa della nostra storia e potrebbero levarti la cittadinanza solo per il fatto che non la conosci”
Alzai gli occhi al cielo “Avevo dimenticato che fossi un secchione al liceo” constatai quando mi ricordai il fatto che Edward conosceva alla perfezione ogni singolo argomento che andasse dalla storia alla matematica.
Mi fulminò con lo sguardo “Vuoi che ti aiuti o no, asino che non sei altro?” annuii con vigore, sorvolando l’insulto appena ricevuto “Si, ti prego ne ho bisogno” ammisi.

**** *** ****


Mi agitai tra le coperte quando un’ondata di freddo improvviso mi invase, allungai un braccio dalla parte di Edward sperando che mi tenesse tra le sue braccia ma il suo lato era freddo e vuoto. Aprii gli occhi trovandomi completamente sola “Edward?” mormorai con la voce impastata dal sonno, ma il tono che avevo usato era talmente basso che anche se fosse stato al mio fianco non mi avrebbe sentito.
Mi diressi in soggiorno e la vista della sua valigetta mi confermò il fatto che non fosse ancora uscito. Mi strofinai il viso con le mani cercando di svegliarmi e guardai la poca luce che filtrava dalle finastre.
“Hey, è prestissimo” voltai il capo verso la cucina trovandolo appoggiato allo stipite della porta. Era completamente vestito e pettinato e reggeva una tazza di caffè.

Sorrise bevendone un sorso “Non dirmi che hai dimenticato tutto quello che ti ho spiegato” ridacchiò ed io lo ignorai fiondandomi fra le sue braccia. Rabbrividii a contatto con il suo corpo “Stavo morendo dal freddo e tu non eri lì a riscaldarmi” lo accusai.
“Torna a letto e prima di uscire alzerò il riscaldamento” mormorò baciandomi i capelli, scossi la testa alzando il viso verso di lui che senza pensarci mi lanciò un dolce bacio sulle labbra al retro gusto di caffè.
“Dovrei mettermi a ripassare …” pigolai, inorridita solo all’idea. Fece una smorfia “Andiamo Isabella, abbiamo smesso di studiare solo due ore fa. Sono sicuro che andrai benissimo, non preoccuparti torna a letto” suggerì convinto.
“Edward io non sono come te, devo ripetere prima di un esame, adesso ho le idee confuse”
Alzò gli occhi al cielo “Sei la solita esagerata e poi quell’argomento avresti dovuto già conoscerlo dalle elementari”
Lo guardai stizzita “Smettila di prendermi in giro e dimmi che ore sono.”
Sghignazzò “Le cinque” rispose una volta aver controllato il suo orologio.
“Credevo dovessi andare a Philadelphia non a pesca” scherzai “Perché sei già pronto a quest’ora?”
“Abbiamo delle cose da definire” sussurrò.
“In questo periodo non fai altro che definire cose” borbottai con voce infantile.

Mi accarezzo la schiena “Ho deciso di lasciare Harrison comunque” mi informò pacato, non ebbi il tempo di domandargli il perché di quella inaspettata informazione che il suo cellulare vibrò. Lo raccolse dalla tasca interna della giacca rifiutando la chiamata “ Ne riparliamo al mio ritorno, ora devo andare sono venuti a prendermi” sbuffai allentando la presa su di lui che però in risposta mi strinse nuovamente “A che ore hai l’esame?” domandò alle mie spalle e la stessa ansia che avevo provato poche ore prima ritornò prepotentemente “Questo pomeriggio, alle cinque” mormorai e lui mi baciò una spalla “Verrò” disse mollando la presa su di me.
Lo guardai dirigersi verso il divano e recuperare la sua valigetta “Dove?” domandai agitata, ma avevo già capito cosa intendesse.
“Al tuo esame – precisò divertito – Verrò ad assistere, almeno per raccoglie i frutti di una notte insonne” scherzò.

Non risposi e lui tornò a baciarmi nuovamente. Mi sistemò una ciocca dei capelli dietro l’orecchio, prima di guardarmi intensamente. Come al solito mi persi completamente nei suoi occhi e in meno di un secondo le nostre bocche si sfiorarono nuovamente ma vennero subito interrotte dal rumore del suo cellulare. Sospirò “Philadelphia è a due ore da qui e il processo è alle undici, devo sbrigare delle cose in ufficio ma sarò da te in orario”
Annuii “Ora và, prima che vengano a prenderti fino a qui” suggerii.
Lo guardai allontanarsi quando una domanda alla quale volevo assolutamente una risposta, mi si posò sulle punta della lingua “Edward?” si voltò, aprendo comunque la porta “Tu non credi affatto in Harrison Norton, vero?”
Avevo sempre pensato questo, avrebbe potuto dirmi qualsiasi cosa ma io lo conoscevo più di chiunque altro ed ero sicura che non credesse in quell’uomo. Lo faceva solo per denaro e per crearsi una buona reputazione nel settore.
Si passò una mano fra i capelli “Ora sono ancora un suo dipendente, chiedimelo domani”







EDWARD POV

Da quanto tempo ero diventato così? Mi ero ripromesso di prendere in mano la mia vita e di occuparmi di ogni singola cosa riguardasse la mia famiglia, eppure mi ero reso conto di non essere più lo stesso. Mi stavo cacciando in qualcosa più grande di me e adesso dovevo uscirne al più presto, negli ultimi giorni le cose allo studio avevano preso una piega pericolosa. Non volevo ammetterlo ad alta voce ma le parole di quell’avvocato mi avevano spaventato.
“… A quel punto io non potrei fare niente se decidessero di punire quelli che hanno permesso tutto questo …

Quella frase mi aveva colpito come una doccia fredda, non mi interessava in bel niente di tutta quella storia. Per me era solo un lavoro, non volevo avere un opinione al riguardo, avevo accettato quel lavoro solo perché sapevo che avrei guadagnato una somma enorme in poco tempo. Facevo il mio lavoro e basta, senza pensare a chi avesse realmente torto o regione. Lasciavo che le carte e i fatti parlassero al posto della mia coscienza, nessuno aveva trovato niente che potesse dimostrare la sua partecipazione al reato e per questo per me non era colpevole.
Ma era come se io fossi l’unico a pensarla così, per quella gente era una cosa personale, si erano sentiti traditi e presi in giro da Norton e per questo lo volevano dietro le sbarre.
Sarebbero molto arrabbiati se venissero a sapere che l’americano di cui si fidavano e che li ha barbaramente pugnalati alle spalle, adesso se la spassa indisturbato mentre i loro cari si addossano l’intera colpa.
Avrebbero fatto il possibile per avere giustizia e se non fossero riusciti nel loro intento:
“… A quel punto io non potrei fare niente se decidessero di punire quelli che hanno permesso tutto questo …

Pensai a Bella. Non volevo che si preoccupasse di niente, non volevo neanche venisse a sapere niente. Doveva pensare solo ad essere felice, basta e proprio per questo dovevo chiudere con quell’uomo.
La mia non era paura personale, anzi quando avevo capito a cosa si riverisse Cèchovnon avevo provato nessun tipo di timore. Non ero mai stato un tipo facilmente influenzabile, ma quando avevo visto Isabella tutte le mie certezze erano crollate come un castello di carte. Non si trattava solo di me, io e lei eravamo una cosa sola e se le fosse successo qualcosa sarei impazzito. Non volevo metterla in pericolo e per un attimo avevo pensato di abbandonare tutto immediatamente ma la mia parte orgogliosa si era fatto prepotentemente sentire: non potevo abbandonare il mio gruppo su due piedi per una stupida minaccia, io non ero così, avremmo vinto e me ne sarei andato.

Dopo oggi avrei ricevuto quello che mi spettava e ne sarei uscito completamente. Harrison aveva altri problemi da risolvere, ma avrebbe dovuto cercarsi un altro avvocato.

“Vuoi stare zitto Eddy? Mi sta venendo il mal di testa” alzai lo sguardo accennando un sorriso a Brian. Era strano come in così poco tempo fossimo diventati così amici, mi fidavo immensamente di lui. Guardai gli altri tutti seduti in modo fintamente rilassato e composto. “Che ore sono?” domandai.
Harrison, che non aveva fatto altro che comminare avanti e indietro per la sala, rispose “Le due. Siamo qui da tre ore, perché siamo qui da tre ore?” domandò agitato.
Sospirai passandomi una mano fra i capelli “Mantieni la calma, non puoi entrare in tribunale in questo stato, siediti” mormorai. M’ignorò completamente continuando con il suoi giri “Ti ho detto di sederti!” sbottai irritato. Si fermò improvvisamente, guardandomi sorpreso dal tono che avevo usato, continuammo a guardarci fino a quando non accetto il mio consiglio.

Vedemmo Thomas camminare frettolosamente verso di noi e un moto di agitazione crebbe dentro di me, sospirai aspettando che arrivasse a dirci il perché di questo strano ritardo.
“Questo posto è circondato dai giornalisti ragazzi” mi alzai di scatto andando verso l’imponente vetrata che circondava la sala in cui ci avevano messo. Guardai in basso e quello che vidi confermò quello che ci era stato riferito. “Quando ci daranno il permesso di entrare?” domando Damien.
“Tra qualche minuto, è tutto pronto per iniziare”
“Buon giorno signori” chiusi gli occhi quando risentii la voce che mi aveva dato il tormento per giorni. Mi voltai incrociando lo sguardo con Cèchov, mi salutò con un cenno della testa e nella sala calò il silenzio. “Come sta signor Norton, è preoccupato?” domandò al nostro assistito. Harrison entrò nel panico più totale, cominciò a torturarsi le mani e a sudare, non lo avevo mai visto così in questi mesi. “Non rispondere” m’intromisi e l’uomo sorrise “Era una semplice domanda di cortesia – si giustificò sorpreso, ma allo stesso tempo compiaciuto dalla sua agitazione – Non volevo farla agitare, mi scusi. Ero venuto solo a chiederle se vuole realmente andare fino in fondo con questa storia, sa i miei assistiti sono di sotto in una cella visto che sono stati ammanettati e loro sono impazienti di sentire il verdetto”
Strinsi i pungi, sorpreso dalla sua sfacciataggine “Il processo sta per iniziare o meglio: questa storia sta per concludersi, quindi mi faccia la cortesia di allontanarsi da noi. Ci diremo tutto quello che serve in tribunale”

Mi guardò per dei secondi interminabili, prima di allontanarsi con uno strano sorriso sulla faccia.
“Odio il suo accento!” mormorò Tom, ma io lo ignorai rivolgendomi ad Harrison “Manderai tutto all’aria con questo tuo comportamento, qual è il tuo problema?” ringhiai “Li dentro – continuai indicando la porta del tribunale – Non potremo parlare sempre al tuo posto”
“Dobbiamo entrare” sussurrò improvvisamente Brian tenendo gli occhi fissi sulla porta ormai spalancata del tribunale.
Si alzarono tutti, e dopo qualche attimo di esitazione ci incamminammo verso di essa.

 

***** **** *****


Mi passai una mano fra i capelli continuando a stringere più forte che potevo una penna. Avevamo finito e dato tutto quello che potevamo, ognuno aveva fatto la sua parte e perfino Harrison si era comportato come concordato anche se non era riuscito a togliere lo sguardo dai quei tre uomini dietro le sbarre, durante il suo interrogatorio. L’altra parte non era stata da meno, avevo imparato a stimare volontariamente, come avvocato, Cèchov. Con la sua parlantina era riuscito a metterci in difficoltà e a farci perdere molta di quella sicurezza che ci eravamo portati da casa, non sapevamo come sarebbe finita .Ora dovevamo solo attendere il verdetto.

“In piedi – ci guardammo per un attimo prima di obbedire – La corte distrettuale e federale della Pennsylvania è in seduta: la presiede il giudice Robert Carter”
Guardammo l’uomo entrare e prendere posto senza respirare, aspettando che dicesse qualcosa. Si mise gli occhiali e dopo un lungo minuto di silenzio parlò.

“Seduti – mormorò con un gesto della mano – Questa corte non è giunta ad una conclusione tanto facilmente, da una parte Harrison Norton ha presentato dei documenti che denunciano diffamazione da parte di Edgar Pushkin e dei fratelli Adrian e Nazan Enko, dall’altra i signori appena citati ammettono i loro reati accusando il signor Norton di averli affiancati nel riciclaggio di denaro sporco, coercizione di testimone e inquinamento di prove. Questo caso e stato portato in tribunale già due volte, due giurie diverse li hanno esaminati dando due giudizi diversi. Tutta via i documenti prodotti, dimostrano in modo esauriente a questa corte che la colpevolezza di Harrison Norton, per mancanza di prove è del tutto infondata”
Harry chiuse gli occhi rilasciando un sospiro di sollievo.

“Dichiaro quindi, l’imputato estraneo dei fatti e per questo non colpevole”
Nella sala calò un silenzio totale, nessuno fiatò. Non sapevo se fosse stato il verdetto a scioccare l’intera sala ma nessuno ebbe il coraggio di parlare per primo fino a quando non sentimmo delle urla provenire dal fondo della sala. Ci girammo tutti e una donna urlò delle cose incomprensibili verso la nostra direzione, fino a quando non venne portata fuori dalle guardie.
“La seduta è tolta” affermò poi il giudice alzandosi.
Harrison sbarrò gli occhi e dopo qualche secondo mi sorrise abbracciandomi.
“Sei grande, ti voglio come mio avvocato a tempo pieno”
Sbarrai gli occhi e lui continuò “Non te lo aspettavi, lo so. Non preoccuparti parleremo dopo della parte riguardante la tua paga” Scossi la testa cercando di rispondere ma fummo interrotti.
“Non è finita qui! Hai capito? È solo l’inizio, figlio di puttana!” ci irrigidimmo quando uno dei tre dietro le sbarre urlò cercando inutilmente di avvicinarsi.
“State attenti, tutti. Perché la pagherete, guardatevi le spalle lì fuori”
“Andiamo via da questo posto” propose Brian.
Annuimmo tutti raccogliendo le nostre cose e con qualche difficoltà uscimmo dalla sala.

“V-vi ringrazio tutti ragazzi – balbettò Harrison tremando come una foglia - Sapevo di aver fatto la scelta giusta quando vi ho assunto”
“È il nostro lavoro Harry, non devi ringraziarci” mormorò Thomas,
Mi guardai in torno “Il garage è da questa parte Eddy” m’informò Damien, quando si rese conto che stavo andando nella parte opposta alla loro.
Annuii “Lo so, non vengo con voi in ufficio – guardai l’orologio, e un moto di rabbia mi invase quando mi resi conto che sarei arrivato sicuramente in ritardo all’esame di Bella – Ho un altro appuntamento, ci vediamo domani”
Mi guardarono sconcertati ma non diedi loro il tempo di dire niente che gli diedi le spalle.
“Edward non scordarti della nostra chiacchierata, ti aspetto domani a casa mia” feci una smorfia e senza voltarmi alzai una mano in segno di saluto.

Camminai velocemente per l’edificio trovando in fine l’uscita. Avrei dovuto prendere un aereo per arrivare in tempo, e pregai mentalmente di riuscire a trovarne uno subito. Uscii da quel posto e l’aria fredda mi colpì violentemente, mi guardai intorno alla ricerca di un taxi, ma l’edificio era completamente circondato da giornalisti e questo mi impediva di vedere quello che cercavo.
Raccolsi il cellulare dalla tasca, avrei dovuto mandarle un messaggio per informale il mio ritardo.
“Avvocato Cullen?” Chiusi gli occhi sperando di non dovermi mettere a parlare con uno dei fastidiosi giornalisti che aspettava inutilmente che Harrison uscisse dalla porta principale. Mi voltai e in meno di un secondo, il suono di uno sparo squarciò il silenzio.

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Capitolo 21
*** 21Capitolo ***




Capitolo 21



 

Immaginai già la scena. Mi sarei seduta lì, davanti a lui e alla prima risposta sbagliata che avrei dato, Edward si sarebbe immischiato. Il professor Green gli avrebbe chiesto di non intromettersi durante il mio esame, ma il caratteraccio del mio fidanzato avrebbe preso il sopravvento così da provocare una rissa.
Ridacchiai “Avrei dovuto dirgli di non venire” mormorai.
Angela alzò lo sguardo dai suoi appunti “Ti riferisci a Edward?” annuii e quella scena tragicomica si fece strada nella mia mente. Lui che cercava di prendere le mie difese ma alla fine venivamo entrambi cacciati dall’università.
“Tu sei la prossima comunque” mi avvisò con voce ansiosa. Sospirai guardando da lontano il professore fare delle domande al ragazzo di fronte a lui. Aveva l’area annoiata e quasi infastidita. Dio fa che questa non sia una delle sue giornata storte, pensai.
“Sembra incazzato” constatò Angela dopo aver dato un occhiata al professore.
“Già …” sussurrai. Guardai ansiosa l’orologio e dopo aver guardato anche il cellulare sbuffai.
Dove diavolo sei Edward?
Mi alzai lentamente cercando di fare meno rumore possibile, Angela mi guardò incuriosita, le feci cenno di non preoccuparsi “Non sto scappando, voglio solo scoprire che fine abbia fatto il mio avvocato” mormorai e lei alzò gli occhi al cielo. 
Uscii dall’aula e mi sedetti su una delle panchine più vicine. Digitai velocemente il suo numero e dopo qualche secondo d’attesa, una voce fastidiosa mi informò che il suo cellulare fosse staccato. Per qualche minuto tenni lo sguardo fisso verso il lunghissimo corridoio che portava all’entrata dell’ edificio, ma di lui neanche l’ombra. Sperai che il suo caso si fosse concluso nel modo più gratificante possibile. Edward ci teneva davvero e non sarei riuscita a sopportare il suo muso lungo se quella storia non fosse finita come voleva. Riprovai, inutilmente, a richiamarlo ma quando la stessa scena di prima si ripeté, mi alzai tornando in aula.

Il mio cuore prese a battere pesantemente, quando vidi Angela agitare furiosamente le braccia la guardai stranita “Che cosa …?”
“È lei Isabella Swan?” mi voltai di scatto quando il professor Green pronunciò il mio nome. Annuii lentamente e lui sospirò “Dove era finita? È il suo turno”
Mi irrigidii di colpo voltandomi verso Angela che di rimando mi mimò un “In bocca al lupo”
 
“Potrebbe … essere interpretato, come un semplice istinto di sopravvivenza. Richard Nixon era un uomo di potere, almeno fino allo Scandalo Watergate.” Trattenni il respiro, dopo aver risposto usando esattamente le parole di Edward. Il professore mi guardò per un attimo prima di sorridermi, feci lo stesso cercando di sembrare rilassata. Raccolse il mio libretto degli esami, sfogliandolo “Ha un ottima media” mormorò ed io non mi mossi. Alzò lo sguardo “Il suo modo di studiare mi ha colpito, non ha solo letto dal testo che vi ho fatto comprare, ma è andata oltre ed ha approfondito molti argomenti che invece io vi ho solo accennato”

Non ho approfondito un bel niente, in una notte il mio fidanzato mi ha spiegato tutto quello che sapeva su questo dannatissimo argomento, avrei voluto dire ma mi limitai a sorridere ed annuire “L’ho trovato un argomento davvero interessante” mentii.
Improvvisamente sentii la porta dell’aula aprirsi, non mi voltai, sapevo già chi fosse.
“Per me è stato molto piacevole ascoltarla e non posso che darle il massimo dei voti”
Mi illuminai completamente alle sue parole e non riuscii a trattenermi dal mostrargli tutti e trentadue i mie denti. “La ringrazio” mormorai. Il professore si alzò stringendomi una mano “Le ho dato solo il giudizio che meritava”

Mi voltai, finalmente rilassata e felice, nella direzione di Angela. Il mio sorriso si spense , quando non vidi Edward al suo fianco ma Jasper. Esitai per un attimo prima di avvicinarmi. Ad ogni passo sentii l’inquietudine crescere dentro di me, lo guardai nei suoi occhi e notai troppe emozioni, per un ragazzo taciturno come lui. Angela era tesa, non per il suo esame, quella era una tensione diversa.
“Ciao … Cosa ci fai qui Jasper?” sussurrai e la voce mi morì in gola. Angela, si voltò verso la sua sedia cominciando a raccogliere velocemente le nostre cose.
“Che cosa è successo?” domandai con più coraggio. Jasper mi mise una mano sulla spalla “Promettimi che non ti agiterai” mormorò e Angela fu subito al mio fianco con entrambe le nostre borse. La guardai nel panico più totale prima di tornare a lui “È successo qualcosa ad Alice?” chiesi ancora. Quella situazione non mi piaceva affatto, perché non mi dicevano cosa stava succedendo?

Jasper sospirò scuotendo leggermente la testa “Edward …” sussurrò con voce strozzata e il mondo mi crollo addosso. “Ha avuto un incidente, Alice è già partita per Philadelphia e ha mandato me a prenderti”
Mi portati le mani alla bocca, cercando inutilmente di trattenere un gemito di dolore. Angela mi accarezzo le spalle “Non agitarti Bella, andrà tutto bene” continuò a ripetermi. “Che co –sa è successo? Dimmi che sta bene” lo pregai, ma era come se non volessi sentire una risposta. Sospirò “Andiamo in ospedale Bella, non so dirti di più”
Ospedale.
A quella parola sentii gli occhi pungere “Sta bene vero ?” domandai ancora ormai in lacrime e Jasper sospirò nuovamente “Non … so dirti altro credimi”
Strappai la mia borsa dalle mani della mia amica cominciando a dirigermi verso l’uscita. Jasper mi seguì immediatamente e con lui anche Angela. Mi  voltai verso di lei “Non muoverti da qui, fai il tuo esame” Le mie mani, così come il mio corpo tremavano, ma cercavo con tutto il cuore di non pensare a niente di negativo. Angela scosse la testa ed io gemetti “Ti prego, fai il tuo esame”
Mi strinse forte a se “Ti raggiungerò appena finito qui, lo giuro”
 

Quello fu il viaggio più lungo di tutta la mia vita. Ringraziai mentalmente Jasper per essere un ragazzo così taciturno. Piansi, piansi silenziosamente per tutto il viaggio e lui si limitò a rassicurarmi senza però chiedermi di smettere.
L’idea di non sapere come stesse il mio Edward mi logorava l’anima nel profondo. Jasper sapeva meno di me, Alice non rispondeva al cellulare e questo non faceva altro che alimentare le mie paure. Non sapevo che tipo d’incidente avesse avuto, ma il fatto che non fosse andato in auto mi tranquillizzava un pochino. Magari l’avrei trovato ferito e con qualche punto, era già capitato di trovarlo ferito ma quelle erano altre circostanze.
Strinsi le braccia al petto cercando di infondermi calore e protezione, guardai fuori dal finestrino intravedendo l’insegna della città.
“Siamo quasi arrivati” la sua voce calma, mi arrivò come un vero e proprio urlo.

Chiusi gli occhi, avrei voluto avere un po’ più di tempo, più tempo per rendermi conto di cosa stesse succedendo. L’idea che Edward stesse bene era solo nella mia testa e avevo paura della realtà, paura che fosse diversa da come l’avessi immaginata.

Edward sta bene, Edward sta bene, Edward sta bene, Edward sta bene. 
 
Attraversammo lentamente i corridoi dell’edificio. Jasper chiese informazione, mentre io continuai a stringermi le braccia al petto. Mi lasciai trascinare come una bambola da un posto all' atro fino a quando non trovammo Alice. Singhiozzai quando la vidi rannicchiata con le braccia strette alle gambe. Lei alzò lo sguardo e il suo viso pallido, bagnato dalle lacrime non fece altro che farmi stare peggio. In poche falcate la raggiungemmo e lei si attacco a Jasper singhiozzando convulsamente “Ho tanta paura Jasper, tanta”

Ricominciai a piangere anche io “Volete dirmi che cosa sta succedendo. Dove si trova Edward?” sussurrai. Alice mi guardò per un attimo, ma prima che potesse dire qualcosa il mio sguardo fu attirato da un viso familiare.
Brian, dall’altra parte del corridoio si fermò all’istante appena resosi conto della mia presenza. Le gambe si fecero improvvisamente molli alla vista dei suoi vestiti completamente sporchi di sangue.

**** *** ****

Sparato.
Avevano volontariamente sparato al mio Edward. Qualcuno aveva tentato di ucciderlo, lasciandomi così sola. Lasciandoci sole, a me e ad Eleonore. Cosa avrei fatto se, se ne fosse andato? Come avrei fatto a crescere la nostra bambina da sola?

Sembrava che avessi su di me una specie di maledizione, perché non riuscivo ad essere felice? Cosa avevo fatto di così grave da dover meritare tutto questo dolore.
Un singhiozzo sfuggì dalle mie labbra e Angela prese le mie mani tra le sue “Andrà tutto bene”
Non aveva fatto altro che dirmi la stessa frase da quando era arrivata. Sospirai guardando Alice, addormentata, tra le braccia di Jasper e Brian  che dall’altra parte della sala parlava con dei poliziotti. Mi alzai lentamente sotto gli occhi stanchi di tutti, quando gli uomini in divisa si furono allontanati.
“Dove vai?” domandò la mia amica.

Indicai Brian “Voglio solo chiedergli una cosa …” 
Camminai verso di lui tenendo una mano fissa sulla parete, per cercare di sorreggermi, il ragazzo mi guardò stupito prima di parlare “Bella mi dispiace …”
Alzai una mano “Perché proprio lui?” domandai e lui boccheggiò “Perché non tu o Damien, Harrison o quell’altro” la voce mi tremava ma avevo un profondo bisogno di sfogarmi.“Perché proprio il mio Edward, perché lui è in una sala operatoria e voi state bene?” domandai e le lacrime mi solcarono nuovamente il viso stanco.
Brian si alzò e cercò di abbracciarmi ma la vista dei suoi vestiti sporchi mi fece salire un forte senso di nausea. Indietreggiò e Angela mi fu subito accanto “Torniamo a sederci Bella, non dovresti agitarti”

Mi appoggiai a lei e lasciandomi trascinare come un insulsa bambola di pezza, ci voltammo per tornare ai nostri posti quando il rumore di una porta ci fece nuovamente ritornare sui nostri passi. Un medico teneva una cartellina tra le mani e camminava a testa bassa.
“Edward” sussurrai e lui alzò lo sguardo. “Siete qui per Edward Cullen?” domandò.
Annuii con vigore scostandomi da Angela e andandogli incontro. “Come sta?”
Mi guardò per un istante “ È un suo parente?” chiese scettico ed io annuii ancora, infastidita da tutte quelle domande inutili “È il mio fidanzato” precisai.
Si passò una mano sul viso “Non posso darle informazioni, mi dispiace. Ho bisogno di un parente” mormorò cercando di oltre passarmi.
Non mi mossi di un centimetro guardandolo implorante “È il mio fidanzato” mormorai senza però riuscire a smuoverlo. “Signorina, ho bisogno di un vero parente” precisò calcando su ogni singola parola. Un moto di rabbia m’invase e senza rendermene conto mi scaraventai contro di lui cercando di levargli la cartellina dalle mani. Angela e Brian cercarono di dividerci ma riuscii comunque a graffiare il volto dell’uomo. Jasper ed Alice mi fu subito accanto “La scusi, la prego. È preoccupata e non ha chiuso occhio”mormorò lui.
Delle infermiere uscirono da una stanza, inorridite da quello che era appena successo ma l’uomo le rassicurò rispedendole a fare quello che avevano interrotto.
Sbarrai gli occhi quando mi resi conto di quello che avevo fatto. “Sediamoci Bella” mormorò dolce Angela. Obbedii e la vergogna mi assalì completamente.
“Io – Alice si passò una mano fra i capelli – Io sono sua sorella” il medico guardò verso di me per qualche secondo prima di rivolgersi ad Alice.
“Siamo riusciti ad estrarre tutti e tre i proiettili, abbiamo dovuto ingessargli una gamba e fasciargli la spalla sinistra. Ma non sono questi i veri problemi”
Alzai lo sguardo trattenendo il fiato “Nella caduta, ha sbattuto violentemente la testa e adesso si è creato un rigonfiamento che preme contro il cranio”
“Si spieghi meglio” lo incalzò Alice.
L’uomo annuì “È come se una parte del cervello non avesse più spazio e questo potrebbe creare dei gravi danni celebrali. Per adesso gli abbiamo dato degli antibiotici ma se entro questa notte le  cose non dovessero migliorare, saremmo costretti ad operarlo alla testa”
Chiusi gli occhi appoggiando la testa sulla spalla della mia amica e sussultai quando sentii una mano sulla mia spalla. Riaprii gli occhi trovandomi l’uomo che avevo appena tentato di uccidere al mio fianco. Lo guardai cercando di capire cosa volesse. “Da quanto tempo è qui?” domandò. Ci pensai per un attimo rendendomi conto di non sapere neanche che ore fossero.
“Da questa sera, siamo arrivati intorno alle otto” Jasper parlò al mio posto e solo allora mi resi conto di quanti occhi avessi addosso.
“Dovrebbe andare a casa, mangiare e fare una bella dormita”
Sbuffai, esasperata ma nello stesso tempo sorpresa da quella richiesta così assurda. “Tornerò a casa solo quando lo farà anche Edward” mormorai.
“Il dottor Reeves ha ragione Bella …” cominciò Alice, ma la fulminai con lo sguardo zittendola.
“Non mi muovo da quì” ringhiai.
“Di quanti mesi è incinta?” domandò ancora.
Mi passai una mano fra i capelli “Voglio vedere Edward” sbottai.
Scosse la testa “Questo non è possibile, lo abbiamo appena operato. Risponda alla mia domanda, per favore”
Incrociai le braccia al petto “Cinque mesi...” sussurrai.
“Sono sicuro che lei sa meglio di me che nelle sue condizioni dovrebbe stare molto attenta.” Continuai a fissarlo “Non dovrebbe agitarsi e dovrebbe riposare e mangiare. Sono più che sicuro che è quello che vorrebbe anche il suo fidanzato”
L’ultima frase mi colpì come uno schiaffo e una lacrima mi rigò il volto. L’asciugai velocemente con una mano “So quello che devo fare”
Ridacchiò “Perché non lo sta facendo allora?”

***** **** *****

Il bar dell’ospedale aveva un non so che di deprimente.
Portai alla bocca il bicchiere contenete del tè caldo e dopo averne bevuto un sorso lo poggiai su tavolino su cui ci eravamo tutti seduti a mangiare qualcosa. Brian era andato a casa, con la promessa che sarebbe tornato il giorno dopo portando con se i suoi colleghi. Al suo posto era venuto Eric.
“Roxy sarebbe voluta venire, ma le ho detto di non farlo” mormorò ed io annuii svogliatamente. “Mettere piede in questo posto sarebbe la scelta più sbagliata del mondo in questo momento” concluse con voce strozzata che a nessuno passo inosservata.
“In che senso?” Jasper si posizionò agilmente con entrambi i gomiti sul tavolino, ignorando le occhiatacce di disapprovazione di Alice.
Eric alzò le spalle “Mio padre insieme ad Edward e agli altri, non hanno fatto altro che giocare con il fuoco. Quella è gente pericolosa, oggi è toccato ad Edward, domani a mio padre o a me, chi lo sa realmente. Siamo tutti in pericolo secondo me”
Quelle parole mi provocarono un brivido di terrore lungo la spina dorsale.
“Lui lo sapeva?” domandai improvvisamente ed Eric mi guardò, sorpreso dal fatto avessi ricominciato a parlare “Gli hai mai detto che stava giocando con il fuoco e che questa fosse una situazione pericolosa?” strinsi i pugni fino a quando le nocche non cambiarono colore.
Eric cercò di dire qualcosa ma Jasper s’intromise “Edward non ha mai ascoltato nessuno Bella. Lo conosci meglio di chiunque qui dentro” il suo tono mi fece rabbrividire “Quel ragazzo, fa sempre quello che gli pare. In tutti questi anni, non ha mai ascoltato un mio consiglio – in suo tono si calmò improvvisamente – Ascolta solo chi vuole ascoltare, cioè te” concluse.
Abbassai lo sguardo e il suono di un cellulare risuonò nel silenzio. Non mi mossi, non era il mio “È mia madre – mormorò Alice – Scusate, vado a rispondere e tu mangia per favore” ordinò posandomi leggermente una sua mano sulla spalla.
Sospirai guardando disgustata la fetta di torta che avevo davanti. Raccolsi la forchetta e in un attimo mi sentii al centro di tutto, alzai lo sguardo confermando a me stessa il fatto che tutti mi stessero guardando. “Smettetela di fissarmi è irritante”
Non se lo fecero ripetere una seconda volta che tutti distolsero sguardo fingendo di interessarsi ad altre cose. Portai alla bocca un pezzetto di quel dolce e la nausea più assoluta si impadronì del mio corpo. Mi coprii la bocca con una mano e con l’altra feci cenno ad Angela di non preoccuparsi. “Sto bene …” la rassicurai dopo qualche minuto.
Sentivo il tempo scorrermi addosso ma ogni volta che guardavo fuori da una delle vetrate di quell’ospedale, l’unica cosa che riuscivo a scorgere era il buio. Guardai l’orologio che segnava le tre del mattino e la paura venne a trovarmi nuovamente.
Il dottor Reeves aveva detto che avremmo dovuto aspettare il giorno dopo per comprendere le reali condizioni di Edward e tecnicamente ora era già domani.“Quando ci faranno sapere qualcosa?” domandai.
“Credo che debba prima passare la notte” constatò Jasper guardandosi intorno.
Alice tornò a sedersi e solo in quel momento mi resi conto che fosse stata lontana per tutto quel tempo. “I mie genitori stanno arrivando” la sua voce era tremante, troppo impaurita e difficile da sopportare. Jasper allargò le braccia e lei si strinse a lui chiudendo gli occhi.
Guardai Angela “Ti va di fare due passi, per favore?”
Piegò la testa di lato “Se mi prometti che dopo proverai a dormire un pò”
“Promesso” sussurrai e lei si alzò recuperando la sua giacca.  

 Camminammo per i corridoi di quell’edificio, senza dire una parola. Volevo solo starmene tranquilla con i miei fantasmi. Ripensai a come fosse iniziata quella mattina e a come fossero cambiate drasticamente le cose. Quella mattina, il mio unico pensiero era stato il mio stupidissimo esame. Avevo lasciato Edward uscire di casa, senza dirgli quanto lo amassi e adesso anche solo l’idea che potesse succedergli qualcosa di grave mi distruggeva nel profondo.

 Non poter più sentire il suo profumo, il suo sapore, le sue braccia calde che mi avvolgevano. Che fine avrei fatto io?
Da sola in quel mondo senza di lui, non avrei resistito un solo giorno. Era per lui che mi ero trasferita a New York, per lui avevo lasciato mio padre, con lui stavo costruendo una famiglia.
L’ennesimo singhiozzo sfuggì al mio controllo ed Angela sospirò. “Se do- vesse … se non dovesse farcela, co co- me faremo?” la mia era una constatazione ad alta voce, una paura che si era fatta strada lentamente nel mio cuore e pesante come un macigno aveva preso posizione senza smuoversi di un millimetro.
Come avrei fatto a crescere la nostra bambina da sola, come avrei fatto ad affrontare le difficoltà senza il suo aiuto?
“Sen-za il suo aiuto, no-non sarei neanche riu-scita a superare l’esame di que-sta mattina.” Poggiai la schiena alla parete più vicina “Figurati se riuscirei a crescere nostra figlia da sola”  constatai tutto d’un fiato.
Angela prese le mie mani fra le sue ma io la scansai lasciandomi scivolare lungo la parete fino a toccare terra.
I singhiozzi aumentarono fino a togliermi gran parte del re spiro, portai le mani ai capelli stringendoli. “Non sono niente senza di lui” le lacrime mi inondarono il viso e i respiri si fecero più convulsi, Angela sbarrò gli occhi “Non muoverti di qui, vado a chiamare qualcuno” sussurrò velocemente, prima di correre via.
 
Svegliati amore e torniamo a casa



 

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Capitolo 22
*** 22Capitolo ***




Capitolo 22





 

“Sei il ragazzo meno galante che io abbia mai conosciuto!” borbottai, e le mie gambe tremarono “Ti sembra giusto che debba portare io, questo scatolone così pesante?!?”
Ridacchiò, mostrandomi i suoi chiarissimi occhi “È roba tua e poi non ho intenzione di sfiorare quella schifezza”
Lo fulminai con lo sguardo e le porte dell’ascensore si aprirono, mostrandoci il nostro nuovo pianerottolo. Edward si portò le mani alla tasca dei pantaloni estraendone un mazzo di chiavi “Non ho niente contro di te amore è solo che avresti potuto lasciare quei cd orribili a casa tua, ma visto che ci tieni così tanto portateli da sola” mormorò aprendo la porta del nostro nuovo appartamento.
“Ringrazia il celo che io abbia le mani occupate, o ti avrei già preso a schiaffi”
Le mie parole lo divertirono parecchio, tanto da farlo scoppiare in una fragorosa risata. “Prego” disse, spostandosi di lato e facendomi cenno di entrare.
Camminai veloce e poggiai immediatamente lo scatolone sul pavimento. Mi passai una mano fra i capelli sudati e due braccia mi avvolsero da dietro.

“Ora hai le mani libere” sussurrò Edward al mio orecchio. Chiusi gli occhi accennando un sorriso “Idiota” mormorai stringendo le sue mani fra le mie.
“Guardati intorno” riaprii gli occhi assecondando la sua richiesta “Ci credi che da oggi in poi vivremo insieme?” sussultai alla sua constatazione.
“Non riesco ancora a credere che mio padre abbia acconsentito a tutto questo” pensai ad alta voce. Edward mi baciò una sballa “L’importante è che abbia detto di si” concluse stringendomi forte “Questo è quello che conta”

“Credi che sia sveglia?” la voce di Alice arrivò alle mie orecchie, scacciando via il ricordo in cui mi ero stancamente rifugiata. Ero sveglia da molto o forse non mi ero mai addormentata. Non riuscivo a ricordarlo e non mi importava.
“La polizia vuole parlare con lei” mormorò Jasper ed io rabbrividii solo al pensiero di passare un’altra giornata come quella precedente. Avrei preferito rimanere in quel letto di ospedale, che alzarmi e rivedere le facce preoccupate di tutti.
La stanza era quasi del tutto buia, le finestre erano chiuse a metà e lasciavano traspirare pochissima luce. “Aspetteranno Jasper, ha bisogno di riposare. La scorsa notte ho davvero temuto il peggio, hai visto anche tu come era agitata” mormorò con voce strozzata “Hanno dovuto darle un tranquillante, per farla dormire un pò” concluse ed io sussultai.
Non ricordavo assolutamente niente di quello che avevo appena sentito, l’ultima cosa che la mia mente aveva registrato era stata la mia passeggiata con Angela.
Poi il buio.
Poggia saldamente un gomito sul letto e facendo un pò di leva riuscii al alzarmi. Guardai alla mia destra trovando Alice e Jasper fuori la porta di quella stanza “Bella!” la voce di mia cognata risvegliò l’inquietudine nel mio cuore. La guardai avvicinarsi e sedersi su di una sedia accanto al letto. “Come ti senti?”
“Come sta Edward?” domandai a mia volta e lei si passò una mano fra i capelli “I medici lo stanno visitando, i miei genitori sono arrivati e naturalmente mio padre si è messo in mezzo” mormorò accennando un sorriso.
Mi guardai in torno rendendomi conto di non essere sullo stesso piano in cui si trovava Edward. “Dove siamo?” domandai ed Alice sbarrò gli occhi.
“In ospedale Bella …” rispose e ad ogni parola la sua voce diminuì di un tono fino a ridurla in un sussurro. Sospirai infastidita “Non sono impazzita Alice, so che siamo in ospedale. Ho guardato fuori dalla porta e ho notato che il colore delle pareti è diverso rispetto al piano in cui ci trovavamo ieri” precisai.
Annuì “Hai ragione, scusami. Siamo tre piani più sopra: reparto maternità”
Aggrottai la fronte scendendo dal letto “Non sono in travaglio, torniamo di sotto”
“Entrambi i tuoi genitori ti hanno telefonata questa notte, mi sono permessa di parlare io con loro visto che dormivi” m’informò frettolosa, cercando di cambiare argomento.
Sbuffai, non mi andava affatto di parlare con nessuno. Avrei sicuramente ricominciato a piangere fino allo sfinimento. “Tuo padre mi ha detto che è meglio non guardare la TV per i prossimi due giorni” sussurrò poi con cautela.
Mi irrigidii annuendo e lei continuò “Pare che fuori dal tribunale ci fossero molte persone e che un paio di loro, senza rendersene conto, siano riusciti a … riprendere la scena ” concluse a testa bassa.
Sentii una fitta al cuore, ma qualcuno tossi, richiamando la nostra attenzione. Alzai lo sguardo “Esme …”
“Ciao tesoro” sibilò avvicinandosi “Ti senti meglio?” domandò ed io annuii con vigore
“Certo” Quella non era del tutto una bugia. Stavo bene fisicamente e lei a quello si riferiva. Mi guardai intorno alla ricerca delle mie scarpe “Immagino che tu stia andando a casa adesso”
Alzai il capo di scatto incrociando i miei occhi con i suoi “Cosa? È fuori discussione” la informai categorica “Non vado da nessuna parte” mormorai cominciando ad allacciarmi le scarpe. Alzai nuovamente lo sguardo quando sentii bussare alla porta.

***** **** *****

Esme ed Alice furono invitate ad uscire ed io rimasi sola con due poliziotti.
“Non vogliamo farla agitare, ma abbiamo bisogno che lei risponda a qualche domanda” annuii sedendomi nuovamente al bordo del letto.
“Lei era al corrente della situazione in cui si trovava il suo fidanzato?” cominciò il primo ed io aggrottai la fronte “Cosa intende?” domandai a mia volta.
“Mi riferisco ai fratelli Enko. Lei sapeva che il suo fidanzato si fosse inserito in una guerra contro alcuni esponenti della mafia russa? ”
Mi portai una mano al viso, scuotendo leggermente la testa “No”
Non sarei mai arrivata anche solo ad immaginare una cosa del genere, Edward non esternava mai le sue paure o le sue preoccupazioni se non gli venivano fatte delle domande esplicite al riguardo. Ma io come facevo a saperlo?
“La mattina dell’incidente le è sembrato strano o ansioso? Come se sospettasse qualcosa.”
“No” risposi ancora. Avrei fatto molto prima se gli avessi detto che non sapevo un bel niente di niente, visto che il mio fidanzato tendeva a non parlarmi del suo lavoro.
“Può darci qualche informazione, qualunque cosa insolita le venga in mente?”domandò il secondo agente.
Ci pensai qualche secondo, prima di scuotere nuovamente la testa “Mi spiace”
Si guardarono per un attimo, prima che un di loro parlò “La ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato”
Annuii e dopo averli salutati uscii dalla stanza. “Un’altra cosa, signorina”
Sbuffai mentalmente, rimanendo sullo stipite della porta. “Potrebbe evitare di parlare con i giornalisti?”cominciò il primo.
“Non conosciamo ancora la gravità della situazione e quindi preferiremmo che determinate persone, non sappiano che l’avvocato abbia questo genere di legami affettivi”
Ero più che convinta, dallo sguardo mortificato che si erano affrettarmi a lanciarmi, che senza che me fossi accorta il mio sguardo doveva aver assunto un espressione impaurita.
“Il mio collega, non sta dicendo che lei è in pericolo. Il fatto è che non sappiamo con certezza quale possa essere la loro prossima mossa ed è per questo che le chiediamo di non uscire allo scoperto”
 
Attraversai il corridoio che separava il piano su cui mi trovavo con l’ascensore, voltai l’angolo trovandoci Alice e sua madre assorte nei loro pensieri.
“Hey …” mormorai ed entrambe voltarono lo sguardo nella mia direzione.
Esme si alzò porgendomi una tazza piena di tè caldo, esitai per un attimo prima di accettarlo “Grazie” borbottai.
Alice era intenta a disegnare su di un album enorme. “Che cosa stai facendo?” domandai bevendo un sorso del mio tè.
Alzò lo sguardo e quando si rese conto che fossi vicino a lei, richiuse l’album non permettendomi di vedere cosa stesse combinando. “Niente!” rispose alzandosi e riponendolo nella sua borsa.
“Di sotto, ci sono molte persone” sbottò improvvisamente cambiando argomento “Ci sono molte persone dello studio, non sapevo che mio fratello avesse tutti quegli amici”
Premetti il pulsante dell’ascensore e in pochi secondi ci trovammo nel suo interno. Sussultai quando guardai il mio riflesso allo specchio e un moto di frustrazione mi assalì. Il  viso troppo pallido, le occhiaie pronunciate, le labbra violacee “Dovresti fare un salto a casa” ignorai la proposta di Esme passandomi una mano fra i capelli.
Le porte si aprirono ed io sgattaiolai fuori senza preoccuparmi che entrambe mi stessero seguendo. Riconobbi subito il posto e mi diressi nel reparto dove tenevano Edward. Voltai l’angolo e realizzai quello che Alice mi aveva anticipato.
C’erano davvero molte persone in quella sala: conoscevo solo la metà dei presenti. Riconoscevo alcune persone dello studio, ma in quel momento non mi sentivo così lucida da mettermi a fare conoscenza degli altri. Jasper, Eric e Brian erano ancora lì.
Il primo mi sorrise alzandosi ma si bloccò improvvisamente, aggrottai la fronte e una mano si posò sulla mia spalla. “Carlisle … ciao” mormorai, una volta essermi voltata.
Mi guardò attentamente prima di parlare “Che cosa stai facendo, Isabella?”
Balbettai qualcosa di incomprensibile sotto la soggezione del suo sguardo di disapprovazione. “Vuoi che succeda qualcosa alla bambina?”
“Io …” cercai di dire qualcosa ma non me lo permise.
“Sei cadaverica. Vuoi che mio figlio ti veda in questo stato quando si sveglierà?”  il suo tono, così come il suo sguardo, mi scosse profondamente. Mi sentii un straccio e gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Carlisle sospirò e un singhiozzo sfuggì al mio controllo. “Edward starà bene Bella, l’ho visto io stesso” il mio cuore perse un battito e alzai lo sguardo verso di lui.
“Lo hai visto?” domandai e delle lacrime sfuggirono al mio controllo, rigandomi il viso. Annuì “È messo male, ma tutto sommato sta bene. Dobbiamo solo attendere che si svegli e posso assicurarti che ci vorranno delle ore prima che questo avvenga”
Mi portai una mano alla bocca, non sapendo se continuare a piangere o sorridere.
“Avevano parlato di qualcosa che premeva contro il cranio …” ricordai e lui fece una smorfia. “È stata una reazione alla caduta, ha battuto la testa ma tutto si è risolto con gli antibiotici e con qualche miracolo” scherzò.
“Che cosa è successo?” domandò Alice agitata, mi voltai verso di lei stringendola forte. “Edward è fuori pericolo” la informò suo padre ed Esme scoppiò in lacrime a sua volta.
Sentii Alice tremare fra le mie braccia,ma non riuscii a staccarmi da lei “Scusa tanto” sussurrai al suo orecchio “Ti ho trattato un schifo, non volevo”
Si staccò da me asciugandosi le lacrime “Non dirlo neanche per scherzo” rispose.
Scossi la testa “No, ho trattato tutti voi uno schifo, sapevo quello che facevo ma non riuscivo a controllarmi. Scusa”  Mi guardai intorno “Dove si trova Angela? Devo scusarmi anche con lei” Alice alzò le spalle.
“Il suo ragazzo è venuto a prenderla” rispose Jasper ed Alice si fiondò fra le sue braccia “Ha detto che sarebbe tornata, comunque” aggiunse sorridendo.
“Perché non ci hai avvisato che mio fratello era fuori pericolo?” ringhiò e lui alzò le mani “Lo so da cinque minuti, appena lo abbiamo saputo siete arrivate”
“Posso vederlo?” domandai a Carlisle e lui scosse la testa “Dobbiamo aspettare che si svegli, entro il pomeriggio lo farà sicuramente. Ora deve smaltire tutti gli antidolorifici che gli hanno somministrato”
Sbuffai ma la tranquillità mi avvolse completamente. Sentire quelle parole, sentire che Edward stava bene, che sarebbe tornato da me fece svanire tutti gli incubi che avevo immaginato nelle ultime ore. Improvvisamente la stanza cominciò a girare, poggiai una mano sulla parete più vicina cercando di sorreggermi. Respirai a fondo “Sto bene …” mormorai quando mi accorsi di avere i loro sguardo addosso.
“Se non vai a casa di tua spontanea volontà, saremo costretti a porti via da quì con la forza” minacciò Esme.

**** *** ****

“Dici davvero?” la voce squillante di Angela attraverso la cornetta mi fece sobbalzare. Annuii come se potesse vedermi “Si, dicono che si sveglierà fra qualche ora” mormorai e sentii gli occhi pungere per l’ennesima volta.
“Sono così felice, Bella. Ieri mi hai davvero spaventata” sussurrò con voce strozzata.
Sospirai, guardando fuori dal finestrino della macchina di Alice “Non sei la prima che me lo dice, scusami”
“Edward sta bene e questa è l’unica cosa importante, giusto?” chiese dolce.
Ridacchiai “Puoi dirlo forte”
“Stai per caso ridendo Isabella? Cosi mi spaventi” mormorò Alice ed io le feci una linguaccia. “Ora devo lasciarti Angela. Ci vediamo più tardi vero?”
“Certamente! A più tardi” 
“Sono così sollevata” mormorò improvvisamente Alice ed io chiusi gli occhi poggiando la testa conto lo schienale della vettura. “Non puoi neanche capire come mi sono sentita” ammisi e lei posò una mano sulla mia, continuando però a tenere gli occhi fissi sulla strada. “Ora è tutto finito”
Riaprii gli occhi “Ora però vorrei vederlo” sussurrai voltandomi verso di lei.
Alice si passò una mano fra i capelli “Prima ci faremo una doccia per fortuna”

“Vedo che sei attrezzata” constatai quando Alice tirò fuori dal suo bagagliaio, una borsa enorme. Alzò gli occhi al cielo, richiudendo l’auto e venendomi incontro “Secondo te mi sarei fatta una doccia a casa tua, per poi indossare gli stessi abiti che ho tenuto per tutta la notte?”
Alzai le spalle aprendo il portoncino del mio palazzo “Avrei potuto prestarti qualcosa io, sciocchina” constatai ovvia.
Scosse la testa “Ti voglio bene, lo sai. Ma nella lista delle cose che adoro di te, il tuo abbigliamento …” Ci pensò per un attimo per poi passarsi una mano fra i capelli “No, non credo sia neanche nella lista” concluse seria.
Le lanciai un’occhiataccia, prima di entrare in ascensore “Insultami ancora e sarai costretta ad andare a casa tua a fare la doccia” scherzai e lei ridacchiò.
“Sono stata incaricata di riportarti a casa e farti compagnia, non puoi impedirmelo e poi era già tutto pianificato” trillò.
 Aggrottai la fronte aprendo la porta dell’appartamento. “Cosa era già pianificato?” domandai scettica.
“Jazz e Brian sono tornati a casa questa notte, così gli ho chiesto di prepararmi una borsa con delle cose pulite visto che al tuo risveglio ti avremmo costretta a tornare a casa”
Il tono che aveva usato era così … ovvio. Cose fosse scontato che in un modo o nell’altro mi avrebbero ricondotto a casa. Sorrisi, al pensiero di avere così tante persone che tenessero a me, ma niente sarebbe mai stato abbastanza se Edward non fosse più stato nella mia vita.
“Ok, tu vai farti una doccia ed io cucino qualcosa. Poi ci daremo il cambio” annuii poco convinta e lei alzò gli occhi al cielo “Bella. Mi limiterò a cucinare dei pancakes …” precisò con tono offeso “Non capisco perche vi spaventiate tutti quando mi offro di cucinare, a Jasper piace la mia cucina”
Ridacchiai “A Jasper piaci tu, è diverso” mormorai allontanandomi, borbottò qualcosa di incomprensibile ma non ci feci caso.
Mi diressi in camera e dopo essermi guardata in giro per qualche minuto, presi i primi vestiti trovati nell’armadio e mi gettati sotto la doccia. Lasciai che l’acqua calda lavasse via tutte le inquietudini e che lasciasse in me solo la tranquillità più assoluta. Lavai i capelli, dovevo lasciare che il tempo passasse e niente mi avrebbe tenuta più occupata di quell’ammasso di boccoli annodati che si era venuto a creare. Prima di prendere il mio immancabile sciampo alla fragola, il mio sguardo cadde su quello di Edward e lo raccolsi tra le mani. Lo aprii e ne respirai il profumo familiare, tra qualche ora saremo di nuovo insieme, pensai.
 
La mia immagine allo specchio non era affatto migliorata, la pelle aveva preso colorito ma sapevo che era dovuto all’effetto dell’acqua calda e che di li a qualche minuto sarebbe tutto svanito. Sbuffai, anche se sapevo che la colpa fosse solo mia ed ero più che sicura che Edward mi avrebbe sgridato per il resto dei mie giorni per questo. Solo all’idea di sentire la sua voce il cuore prendeva a battere forte, non importava cosa mi avrebbe detto, la sua voce, quella volevo sentire.
Passai qualche altro minuto in bagno, prima di raggiungere la mia stanza e vestirmi. Erano già passate tre ore e ne sarebbero passate sicuramente altre tre prima di raggiungere Philadelphia. Il tempo passava ed io non ne era mai stata così felice.
Attraversai il corridoio che mi divideva dalla cucina e un buonissimo odore mi invase le narici. “Mi piace l’odore che sento” mormorai una volta ritornata in cucina.
Alice mi lanciò un occhiataccia “Finalmente sei tornata, cosa diavolo stavi facendo?”
La ignorai quando mi accorsi che stava di nuovo disegnando su quell’album, mi guardò per un attimo prima di accorgersi che fossi stata distratta dall’oggetto che aveva tra le mani. “Da quando, se così curiosa Isabella?” sussurrò alzandosi e riponendolo nella borsa. Alzai le spalle e lei parlò ancora “Mangia, io vado a levarmi questa dannata puzza di ospedale dalla pelle”

 Mi sedetti e cominciai a mangiucchiare con le mani qualche pancake ma il mio pensiero era ancora sull’album che fuoriusciva dalla borsa di mia cognata. Cosa mi stava nascondendo? Non era da lei nascondermi i suoi disegni.
Sobbalzai quando riapparve nuovamente davanti a me, recuperò la borsa “Questa la prendo io, è meglio” disse prima di sparire ancora.
Sorrisi divertita, prima di prendere il mio cellulare e dopo aver fatto un respiro profondo, composi il numero di mia madre. Passai quasi un quarto d’ora, al telefono con lei. Le spiegai quello che sapevo, le mi consolò ripetendomi che tutto sarebbe ritornato presto alla normalità e che non dovevo stressarmi perché non faceva bene alla bambina. Non piansi, forse finalmente le avevo finite le lacrime o forse mi ero semplicemente disidratata.
Con mio padre fu molto più facile, io e lui ci capivamo e l’unica cosa che mi disse fu che lui per me c’era sempre e che potevo chiamarlo quando voleva e a qualsiasi ora del giorno e della notte.
 Alice tornò dopo un bel po’ di tempo e stranamente era vestita molto casual. Indossava una semplice maglietta, un paio di jeans e della scarpe basse. “Non ti vedevo vestita così dai tempi delle superiori” mormorai stupita e lei sospirò “Ho chiesto a Jasper di prendermi qualcosa di pulito, ma non sapevo di dover specificare anche l’aggettivo carino”
 Trattenni una risata “Stai benissimo Alice, tanto non stiamo andando a cena fuori” cercai di rassicurarla, ma la sua espressione affranta aveva un non so che di divertente. Fece per rispondere ma io non alzai una mano zittendola “Tagliamo corto e torniamo da Edward”


“Sono passate quattro ore” sussurrai ansiosa, dove aver dato un occhiata all’orologio. Alice, non distolse la concentrazione dalla strada “Non preoccupiamoci inutilmente Bella, se fosse successo qualcosa mio padre ci avrebbe avvisate”
Abbassai lo sguardo, poco convinta di quello che mi aveva detto. Eravamo alla guida per la terza volta e sperai con tutte le forze, che una vota passata quella brutta storia di non mettere mai più piede in quella città. Improvvisamente, sentii le palpebre pesanti. Chiusi gli occhi e stranamente il sonno mi avvolse.
 
“Bella?” sentii la voce di Alice chiamarmi “Bella?” continuò facendo pressione su una mia spalla. Aprii lentamente gli occhi “Sveglia, siamo arrivate” precisò.
Mi passai una mano sul viso “Scusami, mi sono addormentata” mormorai con la voce impastata dal sonno. Alice raccolse la sua borsa prima di uscire dalla macchina, io feci lo stesso prrima che lei chiudesse l’auto.
Mi guardai intorno rendendomi conto di dove ci trovassimo. “Perché hai parcheggiato qui sotto?” domandai. Il parcheggio sotterraneo era spaventoso, troppo scuro e troppo freddo.
“Se fossi rimasta sveglia ti saresti accorta della pioggia che si è scatenata. Non potevo lasciare il mio tesoro lì a bagnarsi” la guardai scioccata, dal tono idiota che aveva usato guardando la sua auto.
“È una macchina … ” precisai e lei mi guardò indignata come se avessi detto la cosa più brutta di tutti i tempi. “È un Porsche, Bella”
Feci per ribattere, ma lei mi si posiziono davanti, prendendomi sotto braccio “Non credo che andremo mai d’accordo per quanto riguarda …”mi preparai ad ascoltare una delle sue tante perle di saggezza riguardante le auto sportive ma inaspettatamente si fermò. La guardai, seguendo poi il suo sguardo che puntava davanti a noi.
Sussultai una volta aver scrutato nell’oscurità, l’uomo davanti a noi. Alice si strinse a me con maggior forza. “Non abbiate paura dolcezze” una voce calma, ma nasale e tetra allo stesso tempo arrivo alle nostre orecchie.
“Muoviti” mormorò Alice, trascinandomi verso lo spiraglio di luce emanato dalla porta che conduceva alle scale. La seguii senza battere ciglio ma improvvisamente la porta si chiuse ed entrambe lanciammo un grido di paura.
“Non voglio farvi del male” preciso l’uomo, con tono scocciato. Respirai a fondo senza però riuscire a dire niente. “Mi hanno mandato qui per lasciare un semplicissimo messaggio. Chi delle due è Isabella?”
Sussultai e un gemito sfuggì dalle mie labbra. Il mio nome pronunciato dalla sua bocca era diverso, sporco “Shhhh. Non dire niente” sussurrò Alice poggiando la mano tremante sulla mia.
L’uomo ridacchiò, una risata strana inquietante. “Ho capito – mormorò con voce tranquilla, troppo tranquilla, come se stesse per esplodere da un momento all’altro – Oleg?”
Pronunciò quel nome e in meno di un secondo uno sparo, in lontananza, mise fine al silenzio. Entrambe urlammo, stringendoci sempre di più l’una all’altra. “Stai bene?” sussurrai con voce tremante e intrisa di paura ad Alice. “Si. Sto be…”
“Chi di voi due è Isabella?” urlò e le guance mi rigarono il viso per la milionesima volta.
“I – o, io sono Isabella” sussurrai stremata, preparandomi al peggio.
“Perché non lo hai detto prima? – domandò nuovamente con voce tranquilla, non mi diede il tempo di rispondere che riprese il suo monologo – Comunque, sono qui per lasciarti un messaggio: non è stato un errore lasciare il tuo compagno in vita” cominciò e solo allora collegai e capii chi fossero. “Diciamo che lo abbiamo usato come avvertimento. Non è stato un caso, se abbiamo scelto lui. Quel ragazzo dai capelli rossi ci da sui nervi, in aula non la finiva di parlare, parlare e ancora parlare siamo stati costretti a zittirlo un pò”

Cominciai a singhiozzare e lui rise, di una risata cattiva che mi dava la nausea “Andiamo bambolina, non è morto – ridacchiò ancora prendendosi gioco di me, per poi ricominciare a parlare con tono estremamente serio – Non perdiamoci in chiacchiere:  Di a quel figlio di puttana di stare lontano da tutto quello che ci riguarda o la prossima volta non sbaglieremo. Ad Harrison Norton, riferisci queste parole: Non ci siamo affatto scordati di te, digli che ha una settimana, sette giorni a partire da adesso per confessare le sue colpe o la prossima volta punteremo più in alto. Sono sicuro che l’aver sparato al suo avvocato preferito, non l’abbiano scalfito più di tanto, ma noi conosciamo i suoi veri punti deboli.”
Ascoltai tutto con la massima attenzione, con la paura che potesse chiedermi di ripetere ogni singola parola pronunciata. “Hai capito?” domandò in fine ed io annuii velocemente sperando di porre fine a quell’incubo “Si, ho … capito” balbettai.
“Bene, potete andare”  affermò e la porta del parcheggio si aprì nuovamente, mostrandoci la sua luce rassicurante. “Andate” disse ancora, questa vota con tono più deciso. Non ce lo facemmo ripetere una terza volta che cominciammo a comminare nel modo più veloce possibile verso le scale.
Raggiungemmo la porta e il rumore di un’auto che sfrecciava verso l’uscita ci arrivò alle orecchie, ma non ci voltammo.
 
“È stata la cosa più spaventosa che io abbia mai vissuto” singhiozzò Alice e tutti i presenti in quella sala d’aspetto sbarrarono gli occhi, una volta aver ascoltato il nostro racconto. Esme mi teneva per mano ma io non avevo fatto altro che fissare il vuoto.
In che situazione si era cacciato Edward? Dovevo avere paura per me e per tutte le persone che avevo intorno?
Non avrei mai dimenticato la voce di quell'uomo. “Scusate, ma devo fare una chiacchierata con mio padre” ringhiò Eric alzandosi e concentrando l'attenzione di tutti presenti su di lui.
Si avvicinò a me, passandomi una mano sulla spalla “Mi dispiace per tutto il male che mio padre ti sta procurando” mormorò ed io accennai un sorriso. Mi guardò per un attimo prima di allontanarsi.
“Questa storia si sta ingrandendo a dismisura” mormorò Brian e Carlisle sospirò “Noi non possiamo fare niente, dobbiamo solo starne fuori e lascire che se ne occupi chi ne è ingrado”
“La polizia sta arrivando” ci informò Jasper una volta aver riattaccato il cellulare, Alice sbuffò andandogli incontro. Lui le accarezzò i capelli “Mi dispiace, per quello che hai dovuto passare” sussurrò.
“Salve …” ci girammo tutti una volta aver ascoltato la voce acuta di un infermiera.
Sorrise “Siete la famiglia – guardò sulla  cartellina che aveva tra le mani – di Edward Cullen?” domandò e noi annuimmo tutti contemporaneamente.
Il cuore cominciò a battere di nuovo quando la ragazza pronunciò le parole che tutti avevamo atteso con tanta speranza. “Si è svegliato”



 

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Capitolo 23
*** 23Capitolo ***




Capitolo 23


 











Silenzio. Per qualche secondo nessuno fiatò, in quel momento tutto ci saremmo aspettati, ma non una notizia così piacevole. Dopo la paura che quella brutta esperienza ci aveva procurato, Edward senza rendersene conto ci aveva alleggeriti togliendoci una delle tante preoccupazioni.

In un secondo fummo in piedi, pronti ad andare da lui. Ma l’infermiera scosse la testa e alzò una mano fermandoci. “Si è svegliato solo da cinque minuti, non credo sia una buona idea entrare tutti insieme”
Tutti si fermarono e Carlisle annuì, girandosi verso di noi “La ragazza ha ragione, credo sia meglio entrare almeno due alla volta” mormorò ed io li scansai uno ad uno fino ad avvicinarmi alla giovane infermiera.
Sorrisi ansiosa “Inizio io, dove si trova la sua stanza?”
 
La ragazza mi guardò per un attimo, prima di sorridermi cordiale e farmi strada. Non ebbi il coraggio di voltarmi verso gli altri visto che mi ero precipitata senza consultarmi con loro. Tutta la sua famiglia era preoccupata per lui, lo sapevo, ma io dovevo vederlo subito.
“Sa, anche se ha subito un’operazione delicata, è molto lucido”mi rassicurò.
Mi passai una mano fra i capelli, chiedendomi il perché quella ragazza camminasse così lentamente. Superammo il lungo corridoio nel quale avevo passato la notte più brutta della mia vita, per poi girare l’angolo e sbucare in un altro corridoio identico al primo. 
Si fermò improvvisamente, volgendo lo sguardo verso di me “La seconda porta a sinistra” mormorò accompagnandosi con un gesto della mano.
Sospirai pesantemente prima di seguire le sue indicazioni e trovarmi davanti alla sua porta semichiusa.
 
“Non si preoccupi, è una cosa normalissima ma comunque più tardi le faremo tutti i controlli necessari” sentii la voce del dottor Reeves e il cuore perse un battito quando sentii anche la sua. “La smetta di darmi del lei, non ho compiuto neanche venticinque anni” era come se non avessi sentito la sua voce per  anni. Spalancai la porta e lui si voltò verso di me.
Non mi mossi e lui accennò un sorriso, guardandomi nel modo più dolce ma nello stesso tempo dispiaciuto che abbia mai visto  “Sapevo che saresti stata la prima ad entrare da quella porta” sussurrò con voce debole e stanca.
Mi portai una mano alla bocca, ricacciando le lacrime che traboccavano dai miei occhi “Guarda come sei ridotto …” ansimai e la voce mi morì letteralmente in gola alla vista della sua gamba destra ingessata, la spalla sinistra fratturata e un viso da fare invidia ad un fantasma.

Si passò una mano sul viso e solo in quel momento mi resi conto di essere ancora davanti alla porta. Avevo aspettato  parecchio per vederlo ma ero ancora lì ferma a guardarlo sperando che non fosse uno stupido sogno.
“Vieni ...” la sua voce era un sussurrò ma io non me lo feci ripetere due volte che mi fiondai fra le sue braccia. “Piano, non sono così in forma” scherzò ed io allentai la presa senza però staccarmi da lui.
“Stupido, sei uno stupido. Ecco cosa sei” singhiozzai e lui mi accarezzò una spalla.
“Sarà meglio che vada, ci vediamo dopo Edward” sussultai sentendo la voce del dottore, avevo letteralmente dimenticato la sua presenza.
Sentii la porta chiudersi e lui si scansò con fatica, facendomi posto sul suo letto. Lo guardai in volto, prima di sedermi al suo fianco. “Come ti senti?” domandai inutilmente, l’unica cosa che volevo era sentire la sua voce.
“Ho la testa in fiamme” confessò chiudendo gli occhi ed io mi allarmai “Lo hai detto al dottor Reeves?” domandai  preoccupata e lui annuì lentamente.
“Dopo mi daranno qualcosa. Tu stai bene, vero?” domandò  a sua volta con un tuono tendente quasi alla minaccia. Come se volesse farmi intendere che, avrei dovuto stare bene anche senza di lui “Si … certo, adesso si” risposi e lui si sporse verso di me, cercando di guardarmi negli occhi, forse alla ricerca di una risposta più convincente.
Abbassai, velocemente, lo sguardo e lui sospirò “Ti hanno già detto quello che mi è successo” non era una domanda ma una constatazione. Presi la sua mano sinistra nella mia, senza commettere movimenti bruschi e rischiare di farlo male. “Non parliamone adesso” lo implorai e lui non rispose.
 
Mi strinsi a lui con più forza e rimanemmo in quella posizione per qualche minuto, in silenzio, l’unica cosa che sentivo era il suono del suo respiro irregolare. “Non sei l’unica a volermi vedere, vero?” domandò improvvisamente ed io scossi la testa. Avrei dovuto staccarmi da lui per fare entrare qualcun altro, solo il pensiero mi faceva strare male. “C’è molta gente nella sala d’aspetto”  confessai e lui sbuffò.
Aggrottai la fronte guardandolo in volto “Cosa c’è?” domandai e lui indicò con un cenno della testa, alle nostre spalle. Mi voltai assecondandolo e avvampai di vergogna quando vidi, dietro l’enorme vetrata, tutte le persone che avevo lasciato in corridoio.  
 
  

**** ** **** 

 

 
“Non puoi immaginare la paura che ci hai fatto prendere!”
Da quando la sua famiglia era entrata quella era la frase che più avevano ripetuto. Edward annuì appena, continuando a tenere lo sguardo fisso su di me. Non aveva fatto altro, eravamo lì su quel letto e lui mi stringeva a se. Avevo cercato inutilmente di prendere posto su una delle sedie vicino al suo letto, ma lui me lo aveva impedito chiedendomi di restare fra le sue braccia.
Avevo così tanta nostalgia della sua presenza, che ero riuscita velocemente a scavalcare quel moto d’imbarazzo provocatomi dalla presenza dei suoi genitori, che di rimando erano troppo concentrati su loro figlio che sul’intera situazione.
“Alice, ora basta – mormorò Esme, a sua figlia – Credo che gli altri vogliano entrare anche loro a salutare Edward”
Alice s’imbronciò prima di alzarsi insieme ai suoi genitori “A dopo fratellone!”
 
Suo fratello sbuffò pesantemente portandosi una mano ai capelli “Non fare così, molte di quelle persone sono qui da prima che ci venissi io” sussurrai quasi risentita dal suo comportamento. I suoi amici non meritavano di essere trattati in quel modo, tenevano ad Edward mentre lui avrebbe preferito non vederli.
“Non mi hai ancora detto come è andato il tuo esame” sbottò ignorando la mia precedente richiesta. Sorrisi “Ho preso il massimo dei voti – lo informai e lui cercò di dire qualcosa ma lo conoscevo troppo bene e per questo era più che sicura di sapere quello che gli passasse per la mente – Risparmiami la parte in cui ti congratuli con te stesso e ti vanti della tua intelligenza” lo informai e lui sorrise baciandomi una guancia “Sapevo che ci saresti riuscita”

“Ovviamente!” scherzai prima di sentire bussare. Ci voltammo entrambi e dalla porta entrano i suoi colleghi di lavoro accompagnati da Jasper.
 
Brian fu il primo a parlare “Questo tipo di abbigliamento ti dona, amico” scherzò riferendosi al pigiamo ospedaliero che indossava. Edward accenno un sorriso “Sto bene, non preoccuparti” rispose con finto tono risentito.
“Siamo tutti sollevati e felici del fatto che tu ti sia ripreso” mormorò improvvisamente Jasper interrompendo lo stupido battibecco che si era venuto a creare fra i due.
Il suo tono era sincero e mi fece passare davanti agli occhi tutte le cose che quel bravo ragazzo aveva fatto per me in quei giorni. Malgrado il litigio con Edward, lui era rimasto al fianco mio e di Alice non solo perché fosse il fidanzato di quest’ultima ma perchè Edward era suo amico. Non si parlavano da molto, ma lui con grande maturità, pregio di cui il mio fidanzato era molto spesso sprovvisto, era riuscito a scavalcare ogni rancore ed era vento in suo soccorso.

Come previsto Edward cercò di ignorarlo ma io gli diedi un pizzicotto sperando di non essere vista da nessuno. “Grazie – si affrettò a rispondere sobbalzando – Grazie per essere passato a trovarmi”
Abbassai lo sguardo, cercando di trattenere una risata. Ero più che riuscita, nel mio intento. “Non devi ringraziarmi, sei mio amico” comentò lui.
“Jasper è stato molto gentile, Edward. È stato lui a venirmi a prendere, dopo … il tuo incidente”  anche se ero vicinissima a lui, il solo ricordo dei terribili momenti passati mi provocava brividi dolorosi.
Ripresi fiato “Si è praticamente preso cura di tutti” conclusi in un sussurro. Gli sarei stata riconoscente a vita, non avrei mai pensato che un ragazzo così posato nascondesse una tale bontà d’animo. Mi aveva sorpreso, ancora una volta.
 
“Qualcuno di voi deve dirmi che cosa è successo, non ricordo quasi niente” mormorò improvvisamente, ignorando me, il suo amico e cambiando argomento.
Mi rabbuiai anche se sapevo che per il suo carattere, quello che aveva appena fatto era già un grande sforzo.
“Bella?” alzai lo sguardo verso di lui, uscendo dal groviglio di pensieri in cui ero finita “Perché non vai a mangiare qualcosa, mentre io faccio due chiacchiere con i ragazzi?” chiese.
Scossi la testa “Non incominciare anche tu, ho già mangiato e non voglio muovermi da qui” sussurrai e lui alzò gli occhi al cielo.
“Per favore voglio parlare con i ragazzi, in privato” m’informò più esplicitamente ed io mi alzai chiudendomi la porta alle spalle.
 
 

EDWARD 

 
“Si è arrabbiata?” domandò Damien sorpreso ed io annuii “Credo di si ma non mi terrà il muso per sempre, il fatto che mi abbiano sparato giocherà a mio vantaggio per i prossimi dieci anni” scherzai ma loro mi guardarono scioccati.
“Non c’è niente di divertente Edward, ho ancora l’immagine di te che sputi sangue sui miei vestiti” sussurrò Brian.
“È stato un caso se siamo passati davanti al tribunale. Harry voleva vedere quanti giornalisti ci fossero, così abbiamo deciso di passare con l’auto proprio davanti all’entrata principale”
 
“Chi è stato a farmi questo?” domandai e sentii crescere, per la prima volta da quando mi ero svegliato in quel letto d’ospedale, l’inquietudine più assoluta.
“Quando, ti abbiamo … visto in quelle condizioni, chiunque sia stato era già sparito” rispose.

“Non sappiamo chi ha compiuto l’azione, ma sappiamo per certo chi sono stati i mandanti” sbottò improvvisamente Thomas.
Sospirai d’accordo con la sua affermazione. Sapevo chi fossero stati i mandanti e sapevo anche che quello era solo l’inizio.
“I poliziotti sono sulle tracce di chi ti ha sparato, anche se gli Enko hanno già rivendicato l’azione” Chiusi gli occhi e lui continuò “Quelli sono fuori di testa, inizio a credere che …”
“Cosa? – urlò Damien, interrompendolo – Che abbiano ragione? Che Harry centri qualcosa con loro?” domandò sconvolto.
“Sto solo dicendo che non avrebbe senso, tentare di uccidere un uomo e dopo neanche un giorno, confessare di esserne i responsabili. Quelli sono convinti delle loro idee, altrimenti non si aggiungerebbero volontariamente altri dieci anni per tentato omicidio”
 
Chiusi gli occhi, le loro urla mi perforavano i timpani ma non avevo neanche la  forza di chiedere loro di smettere perché tanto non mi avrebbero sentito.
“Bella …”  riaprii gli occhi di scatto incrociandolo lo sguardo con quello di Brian, di rimando lui si bloccò immediatamente.
“Bella cosa?” domandai impaziente di capire il perché avesse pronunciato il suo nome e il mio tono cambiò tanto da zittire gli altri.
“Lei ed Alice, hanno incontrato uno degli uomini di quella banda di criminali” s’intromise Jasper guadagnandosi tutta la mia attenzione. “Questo pomeriggio Alice ha portato Bella a casa per farle cambiare un po’ aria e al ritorno, nel parcheggio ad aspettarle hanno trovato un tizio che ha lasciato a loro un messaggio”

“Che genere di messaggio?” domandai e la rabbia prese possesso di ogni fibra del mio corpo. Avrebbero potuto spararmi altre cento volte, ma avrebbero dovuto stare lontano dalla mia famiglia. Loro non centravano con tutta quella storia.
La testa cominciò a pulsarmi e fui costretto a portarmi le mani al viso per calmarmi. Respirai una, due volte, ripetendomi che Bella stesse bene e che l’avevo vista appena dieci minuti prima. L’atra parte di me invece rivedeva i suoi occhi spaventati e ricollegava quell’ avvenimento con il suo stato d’animo.
“Vogliono che tu stia lontano da tutto questa storia, non volevano ucciderti ma se gli metterai i bastoni fra le rute, lo faranno” rispose.
“Avevo già intenzione di farlo” pensai ad alta voce “Ora però li voglio tutti dietro le sbarre, ogni singolo componente di quella dannata famiglia.”

“Hai capito o no, che se ti rimetti sulle loro tracce ti fanno fuori?” urlò Brian.
“Avvicinarsi a Bella è stata una pessima mossa da parte loro” ringhiai.
Alzo gli occhi al cielo, cominciando ad agitare le mani in aria “Se muori per una sciocchezza del genere, lei non esiterà a suicidarsi immediatamente” mormorò ed io rabbrividii solo all’idea. “Tu non puoi neanche immaginare, quello che i nostri occhi hanno visto. Isabella questa notte ha dato di matto, era convinta che ti avrebbe perso, hanno dovuto darle un sedativo per calmarla. Ha anche aggredito il dottor Reeves per quanto era distrutta e tu avresti il coraggio di andare incontro alla morte per difendere il suo onore?” prese un breve respiro  “Sapendo poi, che c’è il novanta percento di possibilità che tu possa lasciarci la pelle?” domandò retorico.

“Ti do un consiglio, amico: Scaccia via l’orgoglio e non fare il supereroe, lascia perdere tutta questa storia, sposa quella ragazza e goditi tua figlia”
 
 Il silenzio prese il sopravvento, mi aveva completamente spiazzato.
Era la prima volta che mi parlava in quel modo, ero riuscito a leggere la sincerità in ogni parola pronunciata e l’immagine di Bella distrutta dal dolore mi aveva squarciato il cuore.
Appena sveglio il mio primo pensiero era andato a lei, il mio cuore sapeva che si trovava in quell’ospedale ancora prima che il dottor Reeves me lo dicesse. Pensai al suo viso e ai due graffi violacei che decoravano la sua guancia sinistra, li avevo notati ma l’idea che fosse stata la mia Bella a provocarglieli non mi aveva sfiorato.

“Comunque i guai sono appena cominciati” mormorò improvvisamente Damien interrompendo il silenzio. Tutti ci voltammo nella sua direzione “Per Harry, intendo. Quell’uomo ha detto a Bella di riferirgli che ha una settimana per confessare quello che ha da dire o la prossima volta per punirlo punteranno su qualcosa di più significativo”
“Dov’è adesso?” domandai ancora e lui alzò le spalle “Non lo vediamo da ieri, dopo che ti abbiamo trovato in un lago di sangue ci ha lasciati la sua macchina e il suo autista per farci raggiungere l’ospedale al più presto. Lui ha preso un taxi, promettendoci che ci avrebbe raggiunti ma non lo abbiamo ancora visto o sentito”
“Eric era qui con noi, ma ha deciso di andare a parlare con lui” aggiunse Jasper.
In un unico giorno erano successe troppe cose, mi aveva informato su tutto ed io ero arrivato ad una semplice conclusione.
Sospirai “ È scappato” mi guardarono tutti sconcertati ed io aggiunsi “Ragionateci: vince il processo, sparano ad uno dei suoi avvocato cinque minuti dopo aver ricevuto delle minacce di morte. Non è andato a casa, è scappato” ripetei.
 

 

**** *** ****

 
Un medico entrò nella mia stanza, sgridandomi e dicendomi di riposare. I miei amici furono invitati ad uscire e fu inutile il mio tentativo di dissuaderli nel rimanere.
“Jasper, aspetta” mormorai quando lo vidi allontanarsi assieme agli altri.
Si voltò sorpreso “Voglio dirti una cosa” precisai.
Mi guardò per un attimo, prima di chiudere la porta e avvicinarsi nuovamente al mio letto. Presi un respiro profondo “Ti ringrazio per quello che hai fatto per la mia famiglia in questi giorni” affermai convinto e lui scosse la testa “Ti ho già detto …”

“So quello che mi hai detto, ma ci tengo a ringraziarti per quello che hai fatto per mia sorella e soprattutto per Bella. Alice è la tua ragazza e sono felice che tu le sia stato vicino anche se era praticamente scontata come situazione. Bella invece non è una tua parente ma lei ti è riconoscente per esserle stata vicina, quindi lo sono anche io” conclusi.
Sorrise appena “Bella  è mia amica ed io le voglio bene, non è stato facile spiegarle cosa stesse succedendo ma per fortuna ora è tutto finito e sono più che felice di restituirtela” scherzò.
Sorrisi “Grazie per esserti preso cura di lei”
 
Jasper andò via ed io poggia la testa sul cuscino, sperando di riuscire a riposare per almeno cinque minuti. Sentii subito le palpebre pesanti e in pochissimo tempo mi ritrovai nuovamente fuori al palazzo di giustizia di Philadelphia.
 
Mi guardo intorno cercando un taxi prima che i giornalisti si accorgano della mia presenza ma improvvisamente i piedi si saldano al pavimento, non riesco più a muovermi o forse non mi sono mai mosso realmente. Un ragazzo mi si avvicina ha in mano una pistola, cerco inutilmente di allontanarmi da lui ma ho ancora i piedi saldati a terra. Il ragazzo continua ad avvicinarsi, punta l’arma verso di me e solo allora riconosco il suo viso. Non è un ragazzo, ma un uomo estremamente elegante che non vedevo da moltissimo tempo. “Caius …” mormoro ma lui sembra accecato dalla rabbia.
Ringhia come se fosse un animale selvaggio, urla cose che non riesco a comprendere, cerco di capire il perché di quella situazione ma lui comincia a sparare all’impazzata.
 
Mi alzai di scatto dal letto ed un dolore allucinante alla spalla mi costrinse ad indietreggiare. “Vacci piano Edward o ti strapperai via i punti” voltai il capo a sinistra trovandoci Bella seduta al mio fianco. Aggrottò la fronte  “Qualcosa  non va?” domandò preoccupata, portando una sua mano sulla mia. Sospirai pesantemente “Quanto ho dormito?” chiesi e lei mi guardò perplessa prima di guardare in suo orologio. “Quasi tre ore, il dottore dice che dovresti dormire almeno tutta la notte prima di cominciare a sentirti meglio”
Annuii stringendo la sua mano “Potresti andare a chiamarlo vorrei parlare con lui”
Si passò una mano fra i capelli prima di alzarsi.
 
Puntai lo sguardo fuori dalla finestra rendendomi per la prima volta conto di non essere neanche a Manhattan. Il sole stava tramontando e da quella posizione vedevo le persone correre frenetiche, magari desiderose di fare ritorno a casa prima che cali la notte.
“Mi stavi cercando Edward?” una voce mi portò bruscamente alla realtà. Mi voltai trovando Bella ed il mio medico ad un passo da me.
Annuii “Quando potrò uscire da questo posto?” domandai arrivando al punto.
Rise come se avessi fatto una battuta o raccontato una barzelletta “Fino a ieri le possibilità che potessi svegliarti erano quasi pari allo zero e tu vorresti tornartene a casa come se niente fosse?” domandò ma io continuai a fissarlo senza rispondergli.
“Dobbiamo tenerti in osservazione per qualche giorno e poi devi sottoporti a degli esami” mi informò controllando la mia cartella.

“Per quando riguarda la spalla e la gamba?” domandai ancora e Bella si posizionò nuovamente sulla sedia al mio fianco.
“Dovrai tenere le fasciature per qualche settimana, decideremo meglio dopo che ti avremmo fatto tutti i controlli” mormorò.
“Tornerò a camminare normalmente, vero? Sono alto quasi uno e novanta, se zoppicassi sembrerei Frankenstein” ammisi e un strana paura si posizionò dritta sul petto. Bella ridacchiò ed io voltai il capo di scatto verso di lei, lanciandole un occhiataccia ma venne poi affiancata da Reeves che scoppiò a ridere a sua volta.
Li guardai entrambi per un attimo prima di ritornare con la testa sul cuscino, lasciandoli ridere. Il dottore tossì pesantemente, cercando di riprendere il controllo di sé “Scusami, non volevo affatto ridere. Comunque, si non preoccuparti tornerai a camminare come prima. Il proiettile non ha reciso niente d’importante”
 “Grazie per le informazioni” conclusi.
“Farò venire un infermiera con la tua cena, devi mangiare assolutamente qualcosa” borbottò allontanandosi.

“Come ti senti?” domandò Bella  ed io mi voltai verso di lei. “E tu, hai finito di ridere?”
Alzò gli occhi al cielo e per un attimo vidi la serenità ritornare fra i suo lineamenti.
“Frankenstein, davvero? Sei tu …” cominciò ma s’interruppe quando sentimmo bussare alla porta.

Sbuffai “Avanti …” ero convinto che si trattasse di qualche componente della mia famiglia o della cameriera con la mia cena invece chi attraversò la porta mi spiazzò.
“Caius?” mormorai sorpreso.
Sorrise nel suo solito modo cordiale e sinistro, cose se dietro a quel suo comportamento nascondesse qualcos’altro. Al suo fianco un altro sorriso tremendamente familiare mi sorprese nuovamente.
“Siamo arrivati giusto in tempo per trovarti sveglio” sussurrò Victoria avvicinandosi e i suoi occhi brillarono di una luce strana, particolare che riuscivo a cogliere ogni volta che incrociavo il suo sguardo.
“Sto bene, non dovevate affatto disturbarvi a venire fino a quì” affermai convinto.
Perché fare due ore e mezzo di macchina per venire a trovarmi?
“Non dire sciocchezze, come proprietario dello studio legale in cui lavori ho il dovere di venire a vedere come stai, soprattutto dopo essere stato coinvolto in una faccenda tanto spiacevole”
 
“Ed io dovevo venire ad assicurarmi che il mio capo fosse sano e salvo …” concluse Victoria prendendo la mia mano nella sua.
“Si riprenderà – quasi urlò Bella, per poi calmarsi improvvisamente – Dovrebbe riposare in questo momento” sembrava più un invito a lasciare quella stanza che una costatazione.
Lei si passò una mano fra i capelli “Ciao Isabella, è un piacere vederti”
Bella abbozzò un sorriso molto più simile ad una smorfia. Borbottò qualcosa d’incomprensibile, anche se io riuscii a cogliere un: Ne sei sicura?
La guardai accigliato e le incrociò le braccia al petto guardando verso la finestra alle sue spalle.

“Comunque – cominciò nuovamente Caius – Oltre ad essere qui per assicurarmi che tu stia bene, sono venuto anche per un altro motivo. Quando uscirai da questo posto?”
Alzai le spalle “Non lo so, ancora” risposi, curioso di capire a dove volesse arrivare.
Ci pensò per qualche momento “Comunque, appena sarai dimesso voglio che tu venga a trovarmi, per una cena nella mia casa a Manhattan”
“Sei venuto fino a qui per invitarmi a cena a casa tua?” domandai perplesso e lui annui “Devo consegnarti una cosa e poi la mia compagna non vede l’ora di conoscere te e la tua bellissima consorte” concluse guardando Bella che di rimando non lo degnò neanche di uno sguardo.
“Ma non parliamone adesso, quando sarà il momento ci metteremo d’accordo” m’informò guardando il suo orologio.
 

Dopo qualche altro minuto, io e Bella fummo nuovamente soli. Era rimasta lì ferma senza dire una parola e senza degnarmi di uno sguardo.
Mi tornarono alla mente le parole di Brian, ma scossi la testa concentrandomi sul presente.
“Hey …” allungai una mano verso la sua, stingendola forte e lei sbuffò pesantemente ritirando la mano.
“Quella ragazza non la sopporto!” sbottò improvvisamente rompendo il silenzio “Non riesco a farmela piacere, è come se ogni parte di me volesse prenderla a calci”
Alzai gli occhi al cielo “È solo la mia segretaria Bella” mormorai, stanco di dover dare quelle inutili spiegazioni.
Ridacchiò esasperata “Quella è pazza di te, non mi sorprenderei se avesse tante tue foto attaccate alla parete della sua camera da letto”
Feci per risponderle mai le non me lo permise “ Ed io sono venuta ad assicurarmi che il mio capo stesse bene” mormorò cercando di imitare la sua voce.
La guardai divertito dalla sua buffissima espressione e lei mi lanciò un’occhiataccia.
La presi per un braccio costringendola a ritornare al mio fianco sul letto “Ho smesso di dare corda a le ragazze quando ti ho incontrata e posso assicurarti che da quel giorno, niente è cambiato”
Poggiò la testa sulla mia spalla, stringendosi a me “Ti comprerò una maglietta con scritto: Proprietà di Isabella Swan. Così vediamo se continuerà a farti gli occhi dolci, quella ...”
Ridacchia ancora, chiudendole la bocca con la mia mano e lei si scansò mormorando seria “Non puoi neanche immaginare quanto mi sia mancato questo suono”   

 









 

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Capitolo 24
*** 24Capitolo ***




Capitolo 24











 

“Posso assicurarti che sta bene, si comporta come se avesse cinque anni ma tutto sommato i medici sono più che fiduciosi” affermai sollevata ed Esme ridacchiò.
 
“Mi dispiace tanto Bella, non saremmo dovuti ripartire io e Carlisle e solo che lui deve lavorare ed io ho lo studio da mandare avanti. Questo è un periodo …”
Scossi la testa energicamente rendendomi conto che non potesse vedermi “Non devi giustificarti, ci sono io qui con lui, ce la stiamo cavando bene” la rassicurai.
 
Erano passati ormai cinque giorni da quando Edward si era svegliato e purtroppo i medici non gli avevano ancora dato il permesso di ritornare a casa. Stava bene, aveva anche cominciato a lamentarsi di ogni singolo medico di quell’edificio per non parlare delle infermiere che avevano iniziato ad avere paura di lui, ma questo non era bastato a convincerli a lasciarlo andare.
Tutto era cominciato, quando ogni pomeriggio le infermiere venivano ad informarci che l’orario delle visite era finito ed il mio fidanzato puntualmente le mandava a quel paese, ad un certo punto non si sono fatte quasi più vedere, smisero anche di venire a controllare se fosse vivo.
 
“Si ma tu non dovresti fare avanti e indietro tra Manhattan e Philadelphia, non ti fa affatto bene” sussurrò dispiaciuta recuperando la mia attenzione.
“Prendo l’aereo Esme, arrivo qui in meno di un ora e poi …” Edward alzò un braccio verso la mia direzione. Mi scansai non capendo cosa stesse facendo “Passamela” specificò con tono scocciato ed io alzai un sopracciglio “Per favore” aggiunse.
“Edward vuole parlare con te” la informai prima di passargli il mio cellulare.
 
“Mamma, vuoi smetterla di importunare Isabella?” domandò serio ed io sbarrai gli occhio. Quel ragazzo non smetteva mai di sorprendermi “Smettila di dire così, tua madre …”
Mi bloccai, alla vista del dottor Reeves che veniva verso di noi.
“Buon giorno” mormorò felice. Non ero ancora riuscita a capire il perchè fosse sempre così felice al mattino. Accennai un sorriso e lui guardò Edward “Mi è stato raccontato che hanno dovuto dargli una botta in testa per farlo sedere su questa sedia” scherzò riferendosi a quello che era capitato qualche ora prima.
 
La solita infermiera era venuta, in mattinata, ad informarci che Edward avrebbe dovuto sottoporsi a dei nuovi esami. Fino a qui, niente di strano fino a quando la povera ragazza non è ritornata con una sedia a rotelle e lui ha dato di matto.
Non voleva neanche vederla, assicurando che poteva benissimo utilizzare un paio di stampelle. Inutili i tentativi di lei nel ricordargli che avesse una spalla lussata e che fosse impossibile anche solo l’idea che lui potesse riuscire a tenersi in piedi, figuriamoci raggiungere il quinto piano. Ma aveva sottovalutato la sua testardaggine così gli hanno dato la possibilità di provare a stare in piedi.
Io sono stata in un angolo dalla sua stanza a studiare per il mio prossimo esame, lo conoscevo come le mie tasche e sapevo che se non fossi intervenuta si sarebbe arreso più facilmente.
“Quando si mette una cosa in testa, ha la capacità di farti impazzire” mormorai e lui sorrise “Beh ha subito un brutto incidente è normale che sia un tantino nervoso”
Scossi la  testa “No, lui è così sempre” lo informai tranquilla.
 
“Volete smetterla di parlare di me come se non ci fossi?” sbottò improvvisamente Edward prima di riprendere la sua conversazione con la madre. Il dottor Reeves si posizionò al mio fianco “Lascia che ti dia una mano” mormorò, cominciando a spinge al mio posto la sedia a rotelle “Perché non ti sei fatta aiutare da un infermiera?”
Alzai le spalle “Non è affatto uno sforzo per me, Edward si spinge praticamente da solo io ci sono solo appoggiata,  non si preoccupi”
 
In poco tempo ritornammo nella stanza ed Edward con qualche sforzo riuscì a ritornare sul letto prima di riagganciare e restituirmi il cellulare.
“Buon giorno” sussurrò rivolgendosi al dottore.
“Come ti senti Edward?” domando quest’ultimo e lui sbuffò “Come mi sentivo ieri e come mi sentirò domani: bene”
L’uomo annuì “Dovrai portare la fasciatura alla spalla per ancora qualche giorno, per quanto riguarda la gamba … dovrai tenere l'ingessatura per un mese” sputò l’ultima parte tutta d’un fiato.
Tornai a sedermi sulla poltrona vicino al suo letto preparandomi ad una sfuriata che invece non arrivò. Chiuse gli occhi per un attimo prima di parlare “Quando mi dimetterete?” domandò cauto, con una calma inesistente.
“Dipende dai risultati ch avremo dalla tac che hai appena fatto, le ferite stanno già guarendo e l’unica cosa che ci preoccupa ancora e la testa quindi vedremo cosa ci diranno gli esami”

Venni distratta al suono del mio cellulare, che da giorni non faceva altro che squillare. Da quando Edward si era svegliato e gli avevano riferito che il suo cellulare si era distrutto, tutti avevano cominciato a chiamarlo sul mio. Guardai sullo schermo dove lampeggiava il nome di Emmett. “Edward, è Emmett” mormorai stupita.
 
Negli ultimi giorni avevamo avuto l’occasione di parlare solo con Rose , perché lui era nel periodo d’allenamento alla base  militare in cui prestata servizio e per questo non poteva ne ricevere ne fare telefonate.
Raccolse il cellulare “Pronto?”   
 
Il dottor Reeves era rimasto al suo posto, chino sulla cartella di Edward. Per la prima volta notai la fede nuziale alla sua mano sinistra, avrà  avuto sicuramente meno di quarant’anni e in tutti quei giorni l’idea che avesse anche lui una vita non mi aveva sfiorata. Improvvisamente sorrise guardandomi accigliato “Qualcosa non va, Bella?” domandò ed io sentii le guance bruciare dalla vergogna, ero rimasta li a fissarlo come un idiota.
Mi alzai dirigendomi verso l’uscita e come previsto lui mi seguì. “Non mi sono ancora scusata con lei” sussurrai e lui mi guardò disorientato “La sua guancia, non volevo realmente ferirla mi dispiace”
Mi guardò per qualche secondo, prima di alzare le spalle “Sono io che devo scusarmi con te, sai certe volte mi dimentico che in questo posto non sono solo i pazienti a soffrire. Diciamo che siamo pari” concluse sorridendomi.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, l’unica voce che si sentiva era quella di Edward, fino a quando il suo cercapersone non vibrò e lui mi saluto velocemente.
 

 

**** *** ****

 
“Questo è il caffè più orribile che io abbia mai bevuto nei miei ventiquattro anni”
Alzai gli occhi al cielo e lui continuò “È tutto immangiabile in questo posto”
Non vedevo l’ora di lasciare con lui quel posto, non avrei retto ancora a lungo le sue lamentele sulle colazioni, sul personale e su tutto ciò che riguardasse quell’edificio.
“Che ti ha detto tuo fratello?” domandai cambiando argomento.
Alzò le spalle “Quello che mi chiedono tutti, voleva sapere cosa era successo e come mi sentissi adesso”
“Lui come sta?” domandai ancora ma lui sembrò non ascoltarmi.
“Mia madre ha un regalo per me” sbottò improvvisamente. Non risposi e lui continuò “Dice che è troppo grande e che non entra in casa nostra, per questo lo tiene lei fino a quando non cambiamo casa. Sai di cosa si tratta?”
Scossi velocemente la testa, forse anche troppo velocemente. “No … perché dovrei saperne qualcosa io?” balbettai.
Mi guardò intensamente quasi volesse leggermi dentro, abbassai lo sguardo pregando che non mi facesse altre domande. Mentire non era il mio forte.
“Strano, perché mia madre sostiene il contrario” mormorò accusatorio.
Mi bloccai e lui ridacchiò “Bugiarda, mi stai mentendo”
“Non ti sto mentendo è solo che si tratta di una cosa fra te e tua madre ed io non voglio rovinarti la sorpresa” mi giustificai e lui si illuminò.
“Allora sai davvero di che si tratta” constatò sbalordito.
“Ma tu hai appena detto …”
“Ho mentito e tu mia detto la verità” sghignazzò.
“Vaffanculo Edward”
“Che cos’è?” domandò ed io lo ignorai “Che cosa può essere di così grande da non entrare in casa nostra?”
“Un pony” trillai con finta voce entusiasta.
“Molto divertente Isabella” mormorò “Non sono poi così curioso, posso aspettare”
 
Un’infermiera si affacciò nella stanza, scrutandola fino a posare lo sguardo su di noi.
Edward alzò un sopracciglio “Cosa c’è?” domandò infastidito e la ragazza sobbalzò.
“Il – il vassoio” balbettò indicando la colazione ancora intatta del mio fidanzato.
Edward si rilassò, passandoglielo “Grazie”
Improvvisamente il suo viso assunse le sembianze di un peperone “Prego, puoi chiamarmi se ti serve qualcosa. Qualsiasi cosa” miagolò.
 
“Hai la capacità di abbagliare ogni singola donna su questa terra” mi lamentai una volta che l’infermiera fu andata via.
“Non incominciare Bella” borbottò tornando con la testa sul cuscino.
“Questo posto già mi deprime abbastanza e la testa non fa altro che pulsare come se stesse per esplodere da un momento all’altro” sussurrò portando si le mani sul viso.

Mi rabbuiai. Da quando si era svegliato non faceva altro che soffrire di emicranie momentanee, secondo i medici era solo una fase che doveva superare con l’aiuto di qualche farmaco che lui si ostinava a non prendere.
“È colpa tua, sarebbe tutto più sopportabile se prendessi le tue medicine”
Sbuffò “Non mi piace il modo in cui mi fanno sentire, non riesco neanche a pensare. Preferisco aspettare che passi da sé”
 
“Cos’è che deve passare da sé?” domandò improvvisamente una voce ed entrambi ci voltammo trovandoci davanti il viso sorridente di Eric Norton.
“Hey …” mormorò sorpreso Edward “Cosa ci fai qui?”
Eric entrò e solo allora mi resi conto dei palloncini che teneva nella mano sinistra. Ridacchiai e lui sorrise “Buon giorno, amici. Sono solo di passaggio, purtroppo devo andare in ufficio ma dovevo assolutamente portarti questi” concluse indicando quei palloncini enormi.
Sbarrai gli occhi quando lessi la scritta su di essi: Guarisci presto e scusa se quel bastardo di mio padre ti ha quasi fatto uccidere.
“Molto commovente” commentò Edward, sbalordito quasi  quanto me “Non si è fatto ancora sentire?” domandò.

Harrison era sparito, non si era più visto dal giorno del processo. Non era mai venuto a trovare Edward, lui che lo aveva praticamente salvato dal carcere sicuro.
“Questa notte mi ha telefonato” sbottò come se niente fosse.
“Davvero?”
“Mi ha detto che devo smetterla di cercarlo, che tornerà quando si calmeranno le acque e che mi vuole bene” concluse l’ultima frase con disprezzo, come se l’idea che il padre gli volesse realmente bene fosse improbabile.
“L’idea di ferire Roxanne, non gli è neanche passata per la mente, non l’ha neanche nominata” sussurrò con amarezza.
Ma si strinse il cuore a vederlo così deluso, da quando lo conoscevo lo avevo sempre sorridere e scherzare. Entrambi i fratelli non avevano una buona opinione del padre e questo era una degli aspetti che li legava l’uno  all’altro.
“Gli hai detto che vogliono che parli o si vendicheranno?”domandò ancora Edward.
Eric ridacchiò “Ha detto che questo è uno dei tanti motivi per cui sparirà per un pò”
 
“Non mi ha neanche domandato se tu stessi bene, mi ha solo detto di non cercarlo” continuò adirato.
Edward alzò le spalle “Ho fatto il mio lavoro, ora voglio i soldi che mi spettano non il suo affetto” lo informò tranquillo.
Eric lo guardò per un attimo prima di parlare “Mi piacerebbe avere il tuo carattere a volte, per te è diverso lui no è tuo padre e vorrei tanto che non fosse neanche quello mio e di mia sorella, sarebbe tutto più facile”
Edward sospirò “Ti assicuro che anche io e mio padre non abbiamo avuto un rapporto facile” lo guardai rattristata, era la prima volta che ammetteva ad alta voce una cosa del genere. Carlisle aveva perso per un po’ sia lui che Emmet e quando si erano ritrovati il rapporto non era più lo stesso di prima.
Mi sentii totalmente fuori luogo in quel momento, io e Charlie eravamo sempre stati una cosa sola. Non potevo neanche lontanamente immaginare quello che Edward e Eric avevano provato. Quest’ultimo si passò una mano fra i capelli “Ora è meglio che vada, ci vediamo ragazzi” non aspettò una nostra risposta che se ne andò.
 

 

**** *** ****

 
“Prova a prendere le medicine che ti ho prescritto, Edward e vedrai che tutto andrà molto meglio”
“Certo, certo” mormorò velocemente stringendo la mano al dottor Reeves “Grazie per tutto” concluse sorreggendosi a Brian.
Erano passati due giorni da quando Edward si era sottoposto agli esami, che per fortuna non avevano riscontrato niente di negativo. Con molta sorpresa gli avevano dato il permesso di tornare a casa, luogo in cui ci stavamo recando adesso.
Quel pomeriggio era perfetto, il sole splendeva malgrado fossimo in pieno inverno e Brian si era offerto di venire a prenderci, per rendere il viaggio più comodo al suo amico.
“Bene, arrivederci allora” commentò sorridendoci ma Edward gli lanciò un’occhiataccia.
“Mi sta augurando di ritornare nuovamente qui? Questo non è affatto un arrivederci, ma un addio” mormorò convinto. “Le auguro buone cose”
Brian mi guardò sbalordito ed io alzai le spalle. Quell’ospedale lo aveva rimbecillito.
“Arrivederci dottor Reeves” mormorai intromettendomi ed Edward si infilò velocemente nell’auto di Brian. Lo guardai scioccata: aveva forse paura che lo riportassero nuovamente di  sopra?
 “Ciao, mi raccomando prenditi cura di te” rispose e inaspettatamente mi abbracciò leggermente facendomi arrossire “Grazie” borbottai salendo in auto.
 





“Cosa diavolo farò per un mese intero, con una gamba fuori uso?” borbottò Edward una volta che fummo rientrati in casa, si stiracchiò entrambe le braccia passandosi una mano sulla spalla non più fasciata. Poggiò le sue nuove stampelle sulla parete più vicina, appoggiandosi poi a tavolo del soggiorno. Lo ignorai guardandolo in volto.
Erano passati quasi dieci giorni da quando mi aveva lasciato per andare a lavoro e adesso eravamo di nuovo insieme. Sorrisi e lui alzò un sopracciglio “Cosa c’è?” domandò scettico ed io lo abbracciai lentamente assaporando ogni secondo di quel contatto.
“Finalmente sei quì” constatai e lui mi accarezzò i capelli prima di baciarmi dolcemente “Non mi sono ancora scusato per tutto quello che ti ho fatto passare in questi giorni”
Scossi la testa “Ora sei qui, questo conta. Dimentichiamo questa brutta esperienza”

“Ho detto tutto quello che ricordavo alla polizia, spero che mi diano l’occasione di andare avanti” si passò una mano fra i capelli prima di guardarsi intorno e puntare nuovamente lo sguardo nel mio.
“Non mi hai ancora parlato di quello che ti è capitato con Alice, in quel parcheggio” sussurrò prendendo il mio viso fra le mani.
Feci una smorfia “Ti ha già raccontato tutto lei” mi rifugiai dietro a quella frase, perché la verità era che nel silenzio sentivo ancora il suono di quello sparo e la voce maligna di quell’uomo.
“Ma io voglio sentire anche qualcosa da te” mi accarezzò i capelli con devozione, quasi cose se fossi una bambola di cristallo.
“Non è stata una bella esperienza e sicuramente non riuscirò mai più a dimenticarla …” ammisi con voce tremante “… ma adesso voglio voltare pagina, punto.”
 
Mi guardò per qualche secondo prima di baciarmi intensamente, ed io mi strinsi a lui respirando il suo buon profumo “Dobbiamo cominciare a cercare casa” mi informò, poi tranquillo.
“Sei appena tornato e già pensi a come trasferirti?” domandai, felice che mi avesse accontentato cambiando argomento, ma la realtà era che non volevo affatto abbandonare il nostro appartamento. Solo all’idea di qualcun altro in quella casa mi infastidiva.
“Dobbiamo cominciare a sistemarci come si deve, Bella” abbassai lo sguardo “Mancano pochi mesi alla nascita di Eleonore, non possiamo continuare a perdere tempo” concluse costringendomi a guardalo.

“Potremmo ristrutturare, questa” proposi speranzosa.
“Certo, potremmo aggiungere qualche parete qua e là e saremmo apposto” mi rabbuiai al tono di scherno che aveva usato. “È ridicolo, cambiamo casa e basta. Perché fai tanto la difficile?”
“Non si tratta di fare la difficile, è solo che adoro questa casa” precisai acida.
“È solo una casa Bella” quell’affermazioni mi ferì profondamente. Ero l’unica che provava qualcosa per quell’appartamento?
“È stato il nostro primo appartamento insieme Edward. Quante esperienze, emozioni abbiamo vissuto in questo posto?”
“Ne vivremmo delle nuove in quella nuova, così va la vita. Davvero, ritengo che questa discussione sia inutile” constatò svogliatamente attirandomi a se.
Opposi resistenza, rimanendo al mio posto “E se io non volessi andarmene?” era una sciocchezza, lo sapevo. Ma quella frase mi era uscita senza che me ne rendessi contro.
“Questa casa è mia, dove vado io vieni anche tu”

Lo guardai sorpresa, anche un po’ ferita dalla sua affermazione. L’appartamento era suo, era vero ma ero convinta di poter avere un’opinione al riguardo.
Scosse la testa “Non volevo … scusa, non intendevo dire quello che ho detto”
Mi allontanai da lui “Non devi scusarti, hai ragione questa casa è tua non mia”
“Smettila, ti ho detto che non intendevo dire quello che ho detto. Vieni qui” allungò una mano, sfiorandomi un braccio ma io feci un passo indietro.
“Hai solo detto quello che pensi …” mormorai prima che lui m’interrompesse facendomi sobbalzare pesantemente.

“Cazzo Isabella, perché è così difficile avere una conversazione con te? – urlò – se vogliamo dirla tutta questa dannatissima casa non è neanche mia, è di mio padre. Posso voler avere una casa mia, nostra, pagata da me e che non sia intestata a Carlisle Cullen?”
Dal suo sguardo colsi molte emozioni. Era riuscito ad ammettere quello che prima non voleva confidarmi. L’idea dell’indipendenza non gli era affatto passata, non sarei mai riuscita a capire il perché di tutta quella necessità di prendere distanze da suo padre. Un tempo era diverso, non gli pesava dipendere da suoi genitori ma da quando aveva cominciato a lavorare tutto era mutato.   
Mi guardò per un attimo prima di portarsi entrambe le mani sul viso “Non volevo urlarti contro, scusami”

Mi avvicinai a lui, stringendo e scostandogli le mani dal volto “Non dovremmo litigare, soprattutto in questo giorno” mormorai.
“Impossibile, io e te litighiamo un giorno si e anche l’altro” sghignazzò baciandomi il mento.
“Conosco molte persone che sono convinte che tu ed io non siamo fatti per stare insieme”
A fronteggiare il club c’era Lucy la nostra vicina di casa, una donna single alquanto suscettibile. Molte volte ci aveva urlato contro che sarebbe stato maglio che Edward ed io ci lasciassimo visto che non c’era giorno in cui non litigassimo. Non faceva altro che domandarci dove trovassimo la forza di urlare così a lungo senza perdere i sensi.

Alzò le spalle “La gente può pensare quello che vuole, tu continuerai ad essere di mia proprietà e basta”
“Odio quando parli di me in questo modo” mi guardò confuso ed io continuai “Quando dici che sono di tua proprietà, non mi piace. Non sono una macchina”
Edward mi guardò per qualche secondo prima di scostarsi da me e recuperare le sue stampelle.
Lo guardai allontanarsi fino ad arrivare al divano e accendere la tv.
“Che cosa stai facendo?” domandai confusa ed irritata allo stesso tempo.
“Ho l’impressione che tu oggi voglia a tutti i costi litigare con me. Quindi preferisco ignorarti e guardare la tv” sbottò.

“Non è affatto vero” sussurrai incredula “Perché dovrei, sei tu quello che non accetta mai le opinione degli altri. Ti ho solo detto che non mi piace il modo in cui mi identifichi”
“È da quando siamo arrivati che non fai altro che fraintendere tutto quello che dico”
Improvvisamente qualcosa attirò la mia attenzione e sentii le gambe dolorosamente molli, gli occhi mi si riempirono di lacrime quando lessi il titolo della notizia di cui stavano parlando al notiziario accompagnato dalla foto di Roxy, la sorella di Eric.
Edward si bloccò all’istante, voltandosi e seguendo il mio sguardo fino alla tv.

–“Sembra che i guai non siano ancora finti per il magnate bancario Harris Norton. Solo qualche giorno fa era riuscito a vincere i processo tanto chiacchierato contro Edgar Pushkin e i fratelli Adrian e Nazan Enko, tragicamente finito poi con il tentato omicidio di uno dei suoi avvocati. Adesso sembra che la banda criminale russa non voglia più sbagliare, vogliono che il bancario ammetta le sue presunte colpe e per esserne certi sfortunatamente hanno deciso di rapire Roxanne Norton, sua figlia. Questa mattina questa foto che ritrae la ragazzina in lacrime e spaventata ha fatto il giro del mondo accompagnata da questo biglietto: Ti abbiamo concesso una settimana e ci hai ignorati, ora fa quello che devi o lei muore.
 

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Capitolo 25
*** 25Capitolo ***




Capitolo 25


 






 
“Non mi avete dato un limite di budget, così mi sono permessa di mostrarvi questa meraviglia, ha un prezzo decisamente più elevato rispetto a quelle che abbiamo visitato fino ad ora ma come vi ho già detto è perché non avevamo stabilito nessun budget”
“Hai fatto bene, non preoccuparti” la rassicurò Edward sorridendogli.
Le  porte dell’ascensore si aprirono e la giovane donna andò verso sinistra, prima di voltarsi e sorriderci. “Vi assicuro che è una delle più belle che abbiamo” alzai silenziosamente le braccia a mezz’aria, lanciando occhiate assassine a Edward.
 
Quella frase l’avevamo già sentita più di dieci volte, ma la storia era sempre la stessa.
Grace Smith agente immobiliare, da un mese a questa parte non faceva altro che mostrarci case orrende.
 
“Il posto è davvero tranquillo e poi il palazzo mi piace” commentò Edward guardandomi, alzai le spalle e lui mi prese per i fianchi stringendomi a se.
“Questa è l’ultima per oggi, promesso” sussurrò al mio orecchio riferendosi a quella specie di gita scolastica per New York a cui ci stavamo sottoponendo da ore.
Annuii senza guardarlo realmente negli occhi. Avevamo deciso che fosse indispensabile cambiare casa, mi ero rassegnata, ma da quando avevamo iniziato la ricerca niente sembrava adatto.
 
“Mi fanno male i piedi” commentai, senza farmi scrupoli che quella bionda finta potesse sentirmi, una ragazza incinta di sette mesi non dovrebbe stare in piedi per tutta la mattinata e in più quella donna mi innervosiva. Era come se non volesse rassegnarsi del fatto che anche la mia opinione fosse importante. In ogni casa visitata, non mi aveva mai chiesto niente, si limitava solo a sbavare dietro ad Edward.
“Jennifer Lopez abitava nell’appartamento di fronte, fino a qualche anno fa” aggrottai la fronte e lei continuò ad indicare la porta di fronte alla nostra “Jennifer Lopez, J – Lo, la cantante famosa” precisò speranzosa.

“Ho capito, so chi è” risposi e lei mi fulminò con lo sguardo prima di raccogliere le chiavi dell’attico dalla borsa e aprire. Sorrisi a me stessa quando mi resi conto che forse Grace, con quell’informazione volesse stupirmi. Non ero Alice, avrei potuto avere come vicina di casa la regina d’Inghilterra e non me ne sarebbe importato.
 
“Siamo appena fuori città, il palazzo e sorvegliato ventiquattro ore su ventiquattro. La maggior parte degli abitanti sono persone molto impegnate quindi questo è un ambiente più che tranquillo” mormorò poi professionale e solo in quel momento mi resi conto di essere entrata.

La maggior parte delle case, quando sono vuote sembrano enormi ma quella lo era davvero e il parquet mostruosamente lucido, dava una presentazione iniziale perfetta.
 
“Da questa parte potete vedere uno dei pezzi forte di tutta la casa” disse indicando la vetrata davanti a noi. Ci incamminammo verso di essa e lei sorrise “Guardate, la vista è splendida” Allungai una mano verso la parete, sporgendomi appena.
Trattenni il respiro, la vista era magnifica. Riuscivo a vedere i tetti di tutte le abitazioni che circondavano il palazzo e la gente era talmente piccola che non riuscivo a distinguere gli uomini dalle donne.

“A che piano siamo?” domandai senza togliere lo sguardo dalla vetrata.
“Ventesimo, è l’ultimo piano” rispose Grace in lontananza “Venite, vi mostro il resto”
 
La casa era a due livelli: aveva quattro camere da letto, tre bagni, una cucina spaziosa e uno studio gigantesco. Io non avevo smesso neanche un secondo di pensare alla vetrata del soggiorno, la luce che lasciava entrare era pazzesca. Il sole riscaldava l’ambiente intorno a noi, accarezzandoci dolcemente.
 
“Che ne dici?” la voce di Edward mi portò alla realtà, facendomi sobbalzare. “Ti piace?” domandò ancora sorridendomi. Mi guardai intorno, passandomi una mano sul pancione. “A te?” domandai per prendere del tempo per riflettere.

“Io me ne sono innamorato appena ho visto il bagno nella prima stanza e la sua vasca idromassaggio” rispose facendomi sorridere.
Una parte di me tendeva a trovare difetti in ogni casa visitata, ma sapevo che quella era la parte che non voleva affatto abbandonare il piccolo appartamento che amava. Quella casa invece mi inspirava un senso di fiducia, cercai di immaginarmi al suo interno e l’idea non mi dispiacque come capitava con le altre.

“La casa è pensata in chiave moderna, per questo le pareti sono tutte bianche ma possiamo ristrutturarla e renderla più calda e accogliente, magari usando colori più caldi” la voce incerta di Grace mi divertiva parecchio, era come se fosse assolutamente indispensabile per lei farci comprare una casa.
 
Ci pensai seriamente, la verità era una sola “La trovo magnifica” ammisi e mi sentii quasi in colpa, come se stessi facendo un torto a qualcuno. “Anche a me piace, ho sempre voluto una casa così” mi appoggiò Edward e Grace s’illuminò dalla felicità.
 
“Sono felice che piaccia ad entrambi, stavo seriamente per rinunciare a quest’incarico” ammise con un sorriso a trentadue denti “Non vi piaceva mai niente, ma sentivo che questa casa sarebbe stata di vostro gradimento. A chi non piacerebbe, questa è meravigliosa” Edward ridacchiò e la ragazza si ricompose passandosi una mano fra i capelli. “Allora, la prendete?”
 
  

***** *** ***** 

 

 
“Siamo stati affrettati” borbottai nel panico più totale. Mi portai un ciocca ribelle dietro le orecchie “Non avresti dovuto firmare il contratto”
Edward alzò gli occhi al cielo, rimanendo concentrato sulla guida. “Quella casa è perfetta, hai visto anche tu quanto fosse bella vuota, figurati una volta arredata”
“È fuori città” gli ricordai e lui alzò le spalle “ ed è anche lontano dalla Columbia” aggiunsi.
“Stai per laurearti Bella, non ci serve più vivere vicino al campus” rispose pensieroso.
 
Quella frase mi provocò uno strano brivido dietro la schiena, mancavano tre mesi alla mia laurea, un esame e tutto sarebbe finito. Non mi sarebbero mancati affatto gli anni universitari, soprattutto quest’ultimo anno. Non eravamo stati tranquilli per due giorni di fila, a tutti era capitato qualcosa, avevamo fatto nuovi incontri, fatto nuove amicizie e cosa  più sorprendente e inaspettata di tutte ero rimasta incinta.

“Edward?” mi voltai verso la sua direzione, ammirando lo strano sguardo che metteva su ogni volta che si concentrava al volante.
“Mmm ….” Si passò una mano fra i capelli, per poi riportarla sul volante. Impazzivo, quando compiva quel semplicissimo gesto. Era così maledettamente bello che a volte faticavo a credere che stesse insieme ad una sempliciotta come me.
“Posso farti una domanda?” mi guardò per un secondo, prima di annuire. “Quello che vuoi” mormorò.
Presi un lungo respiro prima di cominciare “Quella sera a casa di Alice, quando hai scoperto che fossi incinta, che cosa hai pensato?”
Ridacchiò “Ho pensato al perché avessi scelto di dirlo in quel modo, lì davanti a tutti senza prima parlarne con me” rispose di getto, senza pensarci.
Sorrisi, quella serata sembrava cosi maledettamente lontana adesso “Non vedo l’ora di vederla. Spero che abbia i tuoi occhi”
Sospirò “Spero di essere all’altezza di un impegno cosi grande” affermò in un sussurro.
 
Scossi la testa, accarezzandogli leggermente il braccio “Edward, non sei tu che non fai altro che ripetermi che andrà tutto bene? Io e te siamo una squadra e possiamo più che farcela” Mi stupii delle mie stesse parole, era la prima volta che rassicuravo invece di essere rassicurata.
“Io ai bambini non piaccio, Jonathan ha il terrore di me” borbottò ancora riferendosi alle strane reazioni che aveva il figlio di Emmett alla sua vista. Feci per rispondergli, quando qualcosa che valeva molto più di mille parole accadde. Sussultai strattonando velocemente la sua mano destra.

“Vuoi farci ammazzare, Bella? Sto guidando” urlò cercando di ritirarla ma io non la lasciai portandomela sul pancione. Attesi qualche secondo, quando entrambi sentimmo un altro calcio. “Vedi che Eleonore ti ama già?” affermai e lui si rilassò immediatamente.
 
Sorrise facendo una smorfia “Ti fa male quando fa così?” domandò scettico riportando la mano sul volante.
Scossi la testa “Affatto, è una stana sensazione però” da quando la bambina aveva cominciato a muoversi, la voglia di tenerla tra le braccia era aumentata a dismisura. Volevo che i mesi rimanenti passassero in fretta per poterla guardare e baciare. Mancavano più o meno due mesi e sia mia madre che Esme si erano già offerte di venirci ad aiutare durante i primi tempi. Io ed Edward ci avevamo riflettuto ed eravamo arrivati alla conclusione che avremmo provato a cavarcela da soli, prima di metterci a convivere con le nostre madri.
 
Guardai fuori dal finestrino e finalmente cominciai a riconoscere la nostra strada, involontariamente sbadigliai e sentii gli occhi farsi pesanti. Guardai l’orologio della Volvo che segnava le quattro del pomeriggio e mi resi conto di essere tanto stanca.
“Ho sonno …” sussurrai una volta scesa dall’auto. Edward prese la mia mano, quando però il suo cellulare suonò.
“Damien, dimmi” mormorò ed io sbuffai entrando nel nostro palazzo.
“Dici davvero?” il tono sorpreso di Edward mi incuriosì “Trattenetelo, io sto arrivando”  terminò la telefonata, si avvicinò a me e mi baciò velocemente le labbra.
Aggrottai la fronte “Che sta succedendo, dove vai?” domandai.
“Eric è passato allo studio per prendere delle cose, ora lo stanno trattenendo prima che sparisca nuovamente” rispose baciandomi nuovamente a stampo “Sto andando lì”
 
Erano passati due mesi da quando avevamo appreso la notizia del rapimento di Roxy, da quel giorno non avevamo avuto più sue notizie. I rapitori erano scomparsi nel nulla più assoluto, nessuno sapeva come stesse o dove l’avessero portata. Eric era sprofondato nel dolore, fino a quando non si era messo nuovamente sulle tracce di suo padre per scoprire dove fosse andato a nascondersi. Harrison era l’unico che poteva salvare sua figlia, ma purtroppo neanche il fatto che il suo stesso sangue fosse in pericolo lo aveva convinto a rimettere piede a Manhattan.
Eric era distrutto e più di ogni altra cosa, non riusciva a credere che suo padre una volta appreso la notizia non volesse comunque salvare sua figlia. Roxy era stata avvistata l’ultima volta nei pressi del suo collegio, a Parigi, ma poi qualcosa è successo e nessuno l’ha più trovata. Le sue amiche, organizzavano gruppi di ricerca per trovarla, ma Edward sosteneva che fosse una cosa decisamente inutile perché i rapitori non erano così stupidi da rimane in Francia.
 
“Va da lui e fammi sapere come sta”mormorai e Edward annuì.
“Non dimenticarti che dobbiamo andare a cena da Caius, questa sera” mi ricordò ed io sbuffai “Non possiamo più inventare scuse, dobbiamo andarci” affermò categorico ed io annuii svogliatamente. “Ci vediamo dopo, ora voglio solo dormire per qualche ora”
Mi accarezzo i capelli prima di baciarmi una guancia, sbuffai “Vuoi andartene o no?” scherzai e lui mi sorrise dolcemente prima di allontanarsi.
 


EDWARD

 
Non potevo neanche lontanamente immaginare quello che Eric stava provando negli ultimi mesi. Paura, delusione, rabbia. L’unico familiare che gli era rimasto, l’unico al quale fosse realmente legato, la sua unica sorella gli era stata portata via. Da due mesi a questa parte, Roxanne era scomparsa, in pericolo e lui si era messo in viaggio per trovare e convincere il padre a fare qualcosa. Nessuno lo aveva fermato, sapevamo che aveva bisogno si sentirsi occupato, sentirsi utile a qualche cosa.

Ora dopo tanto tempo era tornato al Volterra e avremmo fatto di tutto per farlo ragionare. Noi non potevamo fare niente, lui non poteva fare niente di significativo, quella brutta storia era nelle mani dalla polizia americana e russa.

“Ciao Edward, come stai?” mi voltai e alle mie spalle trovai una Victoria sorridente.
“Ciao, sto bene. Mi hanno detto che Eric è qui …” la informai velocemente e lei annuì “È nell’ufficio di Brian, ma non credo che rimarrà li ancora a lungo”
Annuii andando verso gli ascensori “Aspetta”
Mi voltai svogliatamente ancora verso di lei. Perché mi stava facendo perdere tempo?

La guardai e lei arrossì “Senti … volevo, volevo sapere quando tornerai in ufficio” sussurrò abbassando lo sguardo “Cioè, non mi dispiace lavorare con Tom ma ho visto che adesso stai bene e che non hai più il gesso” concluse.
Sorrisi “Torno domani” risposi e lei alzò lo sguardo verso di me “Mi sono preso un po’ di tempo per sistemare delle cose e per stare con Bella ma lei non mi vuole più tra i piedi”
Il suo sorriso si spense “Allora ci vediamo domani, ora devo andare” concluse allontanandosi.

Aggrottai la fronte, sorpreso dal suo cambiamento d’umore ma in quel momento avevo altre cose a cui pensare. Era da tanto che non mettevo piede in ufficio, mi ero preso del tempo per riprendermi ma poi una volta tornato in forma non ero riuscito a lasciare Bella.
Nell’ultimo periodo era decisamente sotto pressione, cercava in tutti i modi di concentrarsi sulla sua tesi di laurea anche se ciò la stancasse parecchio. La gravidanza stava iniziando a mostrare i suoi lati negativi ed io dovevo stare al suo fianco aiutandola il più che potevo.
Le avevo proposto di rimandare tutta la storia della laurea a dopo la nascita di Eleonore ma mi aveva mangiato vivo, dicendomi che per lei era una cosa importante e che finché la dottoressa McCartney avesse continuato a dire che stava bene, lei avrebbe continuato a studiare. Così mi ero praticamente messo a studiare con lei, scrivendo anche al suo posto se necessario. Ora invece mi trovavo nuovamente in quel posto e stranamente mi sentii a disagio, quasi fuori luogo.
 
Camminai velocemente verso l’ascensore e dopo qualche minuto mi trovai sul piano giusto. Mi guardai intorno cercando di ricordarmi quale strada prendere quando delle urla arrivarono alle mie orecchie. Seguii istintivamente quel brusio e mi trovai davanti alla porta giusta. “Vuoi smetterla di trattenermi qui con queste stronzate!” riconobbi la voce Eric.

Esitai per un attimo prima di aprire la porta. Entrambi si voltarono verso di me, Brian sospirò sollevato mentre Eric alzò gli occhi al cielo avvicinandosi a me.
“Mi fa piacere vederti in piena forma, Eddy ma non posso restare” mormorò cercando di oltrepassarmi e arrivare alla porta.  Il suo aspetto trasandato mi fece rabbrividire, non era nel suo stile.
 
Feci un passo verso sinistra mettendomi davanti alla porta “Perché non ti siedi, parliamo solo per qualche minuto. Poi sarai libero di andare dove ti pare”
Scosse la testa “Spostati, non sarei mai dovuto venire in questo posto”
“Solo cinque minuti, Eric” insistetti.

“Siamo tuoi amici Eric, vogliamo solo starti vicino” incalzò Brian dall’altra parte della stanza “Potremmo farci un bicchierino, ho dell’ottimo Brandy” aggiunse infine convinto di attirare così la sua attenzione. Lo guardai scioccato.
Eric era praticamente sconvolto e lui gli offriva da bere? In quel momento l’alcol era l’ultima cosa a cui doveva avvicinarsi. “Acqua, credo che dell’acqua fresca sia la cosa migliore” affermò correggendosi.

Sbuffò pesantemente, passandosi una mano tra i capelli arruffati. Sostenni il suo sguardo, facendogli capire che non mi sarei arreso facilmente. “Vi odio” mormorò andando verso il divano.
 

 

***** *** *****
 

“Sono stato a Mosca” cominciò, bevendo un sorso d’acqua “Ho passato, più di un mese in quella città e mancava poco così” sussurrò con voce stremante “… e sarei riuscito a parlare con uno di loro” strinse la bottiglia che aveva fra le mani, piegandola.
“Non riesco a comprendere, cosa hai fatto di preciso a Mosca?” il tono di Brian era leggero, professione, voleva farlo parlare senza che lui ne sentisse la pressione.

Eric poggiò la bottiglia mal ridotta sul pavimento, passandosi entrambe le mani a coprirsi il viso “Perché lei?” mormorò con voce strozzata, ignorando la domanda appena fattagli “Roxy è una bambina, non centra niente con tutto questo mondo. Lei …” non concluse la frase, abbandonandosi poi in un pianto straziante.
Mi bloccai completamente. Non sapevo che cosa dire, niente sarebbe stato abbastanza per fargli passare il dolore. “Avrei dovuto sospettare una cosa del genere, avrei … avrei dovuto proteggerla almeno io”

Poggiai una mano sulla sua spalla, cercando inutilmente di dargli conforto “Nessuno poteva immaginarsi una cosa del genere” sussurrai “Non è colpa tua”
Si scansò dal mio tocco, alzandosi velocemente e guardomi furioso “Hai ragione sai Eddy?” lo guardai senza dire una parola “ È colpa tua” punto un dito verso di me ed io abbassai lo sguardo. Sapevo che prima o poi mi avrebbe accusato.
“Stai scherzando?” Brian si alzò, andando verso di lui ma scossi la testa zittendolo.
Eric rise istericamente “Sta zitto, tu hai le sue stesse colpe Brian. Tu, Edward e quegli altri figli di puttana, è colpa vostra se mia sorella è in mano a dei bastardi”
 
Brian mi guardò sconvolto, prima di dirigersi la parete attrezzata dietro la sua scrivania “Credo di aver bisogno di quel Brandy adesso”
“Voi avete aiutato mio padre a farla franca e adesso si stanno vendicando su mia sorella” continuò “Vi siete mai guardati realmente intorno ragazzi?”
 
“Perché secondo voi, ha scelto proprio voi quattro come suoi avvocati? pensateci” cominciò a camminare per la stanza e per un attimo pensai che se ne stesse andando, quando poi si fermò. “Ha scelto voi perché non siete di New York”
“Oh,come abbiamo fatto a non pensarci?” mormorò fra sé Brian, prima di bere un lungo sorso del suo liquore.
Eric lo incenerì con lo sguardo “Non sto farneticando, se vi guarderete intorno scoprirete che nessun avvocato in questo stato vorrebbe lavorare con mio padre. Ha scelto voi perché non conoscevate quello che era e così è riuscito nel suo intento”

“Io non capisco” sbraitò Brian ed io sospirai poggiando la testa sullo schienale del divano. Se gli avesse dato corda non ne saremmo più usciti, Eric era sconvolto e dovevamo solo lasciare che si sfogasse.
“Perché ci dai la colpa di tutto quello che sta succedendo? Tu dici sempre che tuo padre è un bastardo e che avremmo dovuto lasciare che lo arrestassero ma non ci hai mai detto il perché”
Eric tentò di parlare ma Brian glielo impedì “No, ora mi fai finire, perché sono stufo di sentire te che mi insulti e che mi carichi di colpe che non mi appartengo. Io, così come tutti gli altri, ho fatto solo il mio fottutissimo lavoro. Abbiamo indagato e non abbiamo trovato niente che incolpasse tuo padre, per questo abbiamo vinto la causa” fece un brevissima pausa, per riprendere fiato “Ora, se sai qualcosa dillo. Cosa ti rende così convinto del fatto che tuo padre sia una persona così cattiva?”
 
Il mio amico aveva centrato in pieno la questione, erano quelle le stesse domande che giravano nella mia testa. Ma non sarei mai stato in grado di fargliele con la stessa delicatezza che aveva usato Brian. L‘irruenza era uno dei tanti limiti del mio carattere.

“Nessun padre normale, lascerebbe sua figlia nelle mani di criminali pericolosi ma lui l’ha fatto. Se un uomo è capace di fare questo, può fare di tutto. Non ho le prove per incolparlo, ma sei quei russi sono arrivati a questo è perché qualcosa di vero c’è ed io devo scoprirlo prima che sia troppo tardi” sussurrò Eric stringendo i pugni.
 
Guardai l’orologio, prima di lanciare un’ultima occhiata ad entrambi. La mia presenza in quel posto non era poi servita a qualcosa, tanto valeva tornarsene a casa.
Mi alzai e mi diressi verso la porta, quei due continuavano a fissarsi arrabbiati ma l’istinto mi diceva che non si sarebbero presi a pugni anche se in quel momento sembrasse il contrario. Non si erano neanche accorti che me ne stessi andando, pensai, prima di aprire la porta.

Feci un passo indietro, quando vidi Caius ad un centimetro dal mio viso.
Aggrottai la fronte “Cosa ci fai dietro la porta?”
L’uomo si guardò intorno, quasi a voler cercare le parole giuste “Stavo … per bussare, ma tu mi hai anticipato aprendo la porta” Continuai a fissarlo, poco convinto e lui aggiunse frettoloso “È successo qualcosa? Ho sentito qualcuno gridare”
 
Alzai le spalle, chiudendo la porta dietro di me “Niente di preoccupante” risposi.
Annuì con vigore “Ho capito, beh meglio così non voglio che la gente litighi nel mio studio”
“Ti serve qualcosa in particolare Caius?” domandai irritato dal suo comportamento.
“No, niente, non mi serve niente. Ci vediamo questa sera Edward” mormorò allontanandosi.
“Hai detto che stavi per bussare” gli ricordai e lui si voltò nuovamente verso di me “Cosa ti serviva?”

Ci pensò per qualche secondo, troppo a lungo per essere la verità “Ero venuto a ricordarti della cena di stasera” rispose in fine.
Alzai un sopracciglio “Come facevi a sapere che ero qui, non sono ancora tornato a lavorare”
“Margaret … si, è stata la mia segretaria che ti ha visto mentre passavi e così sono venuto. Ora però devi scusarmi, mi piacerebbe rimanere a parlare con te, ma ho delle cose da sbrigare” non mi diede il tempo di rispondere che se ne andò a passi veloci.
 
 
 
BELLA
 
 
“Sei la mia salvezza Alice” sussurrai convinta, una volta aperta la porta. Alice sorrise, sventolando l’elegante busta argentata che teneva fra le mani.
Mi scansai di lato, facendole cenno d’entrare. “Ciao tesoro, è una vita che non ci vediamo” disse abbracciandomi.
“Sono molto impegnata, Alice”  mi giustificai e lei mi rivolse un fugace sguardo di disapprovazione prima di andare a sedersi sul divano.
Esitai, sconcertata, per un attimo prima di chiudermi la porta alle spalle. “A cosa devo quell’occhiataccia?” domandai curiosa avvicinandomi.

“L’America del 1972: Richard Nixon e la decadenza politica del ventesimo secolo” lesse con tono teatrale e palesemente annoiato, gli appunti a cui stavo lavorando ormai da settimane. “È per questo che hai letteralmente smesso di uscire?”
La guardai irritata dalla sua stupida affermazione, mi sedetti al suo fianco riprendendo la precedente posizione. Raccolsi il mio portatile “Sto per laurearmi, si è soliti scrivere una tesi in questi casi” risposi sarcastica. Avevo sempre odiato e nello stesso tempo invidiato la sua leggerezza nella vita. Sin da quando l’avevo conosciuta, era sempre stata una ragazza innaturalmente libera dalle preoccupazioni. Alle superiori le sue uniche paure erano quelle di non trovare la sua taglia nel caso le piacesse un vestito al centro commerciale.

“Hai abbandonato la tua amica per Richard Nixon?” mormorò giocherellando con una ciocca di capelli. Improvvisamente si voltò verso di me “Seriamente, dovresti prenderti una pausa ogni tanto”

Sospirai, alzando gli occhi al cielo “Perché dite tutti le stesse cose? Io sto benissimo, non sono stanca” la rassicurai e i suoi occhi così uguali a quelli di suo fratello mi causarono un dèjà – vu.

Avevamo passato ogni singolo giorno insieme io ed Edward e malgrado amassi stare con lui continuamente, la situazione stava diventando soffocante. Le sue attenzioni esagerate mi facevano girare la testa, Edward era sempre stato una persona attenta ma non come negli ultimi mesi. Sapevo che era preoccupato per me ma non capivo il perché.
Non stavo scalando una montagna a mani nude, mi limitavo a stare seduta a studiare. Niente di eccessivo troppo stancante, studiavo.
Il mio medico non me lo aveva vietato, la sua raccomandazione era una: non affaticarsi ed io non lo facevo. Sembrava che Edward non mi credesse, si metteva al mio fianco e restava a fissarmi in attesa di un malore che non era mai arrivato. Stavo bene e nessuno voleva credermi.

“Posso almeno sapere il perché del vestito?” domandò recuperando la mia attenzione.
La guardai per un attimo prima di concentrarmi sulla busta che teneva al suo fianco “Il capo di Edward ci ha invitati a cena questa sera” borbottai poggiando la testa sullo schienale del divano.
Alice ridacchiò “Ma tu non vorresti andarci” concluse divertita ed io chiusi gli occhi.
“Non preoccuparti, cambierai idea quando vedrai l’abito che ti ho portato”
Riaprii gli occhi di scatto, sperando che non mi avesse portato qualcosa di esagerato. Le avevo chiesto di comprami un abito, perché a me ormai non entrava più niente e non volevo presentarmi lì con indosso una tuta o peggio una felpa di Edward.
La guardai in silenzio, mentre apriva la busta e con un sorriso soddisfatto mi mostrava il maxi abito turchese.

“Ha l’area di essere costoso” supposi e quell’idea divenne ancora più concreta quando Alice scosse la testa. Io e lei non avevamo lo stesso concetto di costoso.
“È un abito bellissimo non trovi?” domandò senza aspettarsi una risposta “L’ho visto e ho pensato che era quello giusto”

“Quanto l’hai pagato?” domandai e lei fece per rispondermi, zittendosi poi improvvisamente. “ È un regalo, non hai bisogno di sapere il prezzo”
Scossi la testa “Sono stato io a chiederti di comprarmelo, perciò non è un regalo ed io voglio ripagartelo”
Sbuffò “Smettila di dire sciocchezze e provalo”  

Incrociai le braccia al petto e lei sospirò “Ok, mi ripagherai il vestito dopo averlo provato”
La guardai ancora per qualche secondo, rendendomi conto che non sarei riuscita a farle cambiare idea. Raccolsi l’abito e mi diressi verso la mia stanza.
 
“Ti sta benissimo!” urlò facendomi sobbalzare. Mi portai una mano al cuore, cercando di calmarmi. Inspirai ed espirai profondamente un paio di volte prima di riuscire a dire qualcosa. “Perché diavolo sei dietro alla porta. Da quando ti piace spiare la gente?” domandai fra il sarcastico e l’irritazione.
Alice accorciò le distanze tra me e lei, posizionandomi al mio fianco davanti allo specchio dell’armadio “Ci stavi mettendo così tanto, così sono venuta a vedere cosa stessi facendo” spiegò tranquilla.

Lasciai cadere il discorso, tanto sarebbe stato inutile con lei. Tornai a guardarmi allo specchio, accarezzando l’abito sul mio corpo. Il vestito era perfetto per quell’occasione. Stretto sotto il seno, per poi scendere morbido lungo tutto il mio corpo.
“Questo vestito, ti fa delle tette enormi” sussurrò improvvisamente Alice, rovinando la poesia di quel momento di riflessione.
“Alice!” la guardai scioccata e lei aggrottò la fronte “Cosa ho detto di male? Hai davvero delle tette enormi”
“Sono incinta!”
“Lo so, stavo solo dicendo che il tuo … decolté è decisamente appropriato all’abito” cercò di spiegare, trattenendo una risata.
“Sei assurda” mormorai prima di guardarci attentamente e scoppiare a ridere.
 

 

***** *** *****

 
“Hai sempre avuto il vizio di indossare i vestiti di mio fratello” distolsi lo sguardo dalla mia tazza fumante di tè e lei indicò la felpa che indossavo.
Alzai le spalle “Mi piacciono le sue cose, sono tutte così comode e poi hanno un buonissimo odore”
Alice fece una smorfia “… e comunque adesso non mi entra quasi più niente, quindi le sue cose sono diventate indispensabili per me” aggiunsi.
Si passò una mano fra i capelli cortissimi prima di alzarsi e trascinare la sua sedia affianco alla mia. La guardai incuriosita “Cosa stai facendo?”

“Mi hai chiesto di trovarti un vestito e io l’ho fatto …” annuii “Tu mi conosci, sai che quando entro in un negozio non sono soddisfatta se non esco da lì senza un minimo di cinque buste”
“Non capisco a dove vuoi arrivare” sussurrai, domandandomi il perché stessimo parlando a bassa voce.
“Non è bello che una ragazza così carina come te vada in giro con delle felpe così larghe” affermò sbattendo gli occhi come una bambina. Collegai le sue ultime due frasi e capii cosa stesse cercando di dirmi.

“Alice” pronuncia il suo nome come se fosse una minaccia.
Agitò le mani in aria “Non è colpa mia, sono entrata in un negozio e ho visto che Yves Saint Laurent aveva fatto una collezione premaman stupenda. Dovevo comprare assolutamente qualcosa. Non è mai successo Bella, allora mi sono detto o rimango incinta o compro qualcosa per la ragazza incinta più carina e dolce che conosco”
“Alice” mormorai ancora e più che una minaccia, il mio tono si era trasformato in un vero e proprio lamento.

“Ti ho preso solo poche cose, non te le ho portate subito perché non sapevo di che umore fossi. Ho tutto nel bagagliaio della mia auto”
Chiusi gli occhi portandomi una mano al viso “Vado a prendere le buste, non muoverti” alzai lo sguardo ma di lei trovai solo la scia. Era già uscita.
 
Rimasi a fissare la porta della cucina per qualche minuto, scioccata, non sorpresa ma comunque scioccata. Quella ragazza era fuori di testa.

Sorrisi in silenzio portando alla bocca l’ennesimo biscotto al cioccolato e bevendo un sorso del mio tè. Assaporai quei minuti di silenzio, accarezzandomi la pancia e sperando che Eleonore si facesse nuovamente sentire con qualche calcio, quando sentii invece la porta aprirsi. Aggrottai la fronte “Mi hai anche rubato le chiavi di casa, vedo” urlai senza ricevere risposta. “Alice?”

Feci per alzarmi quando un paio di smeraldi verdi spuntarono da dietro la porta.
“Ciao” sussurrai e lui si avvicinò a me baciandomi la fronte.
“Devi smetterla di riempirti la pancia di schifezze” mi riproverò ed io sbuffai lasciando cadere il biscotto sulla tavola.
Sorrise soddisfatto “Perché eri convinta che fossi Alice” domandò.
“Perché è qui, adesso è andata a prendere delle cose nella sua auto” risposi.
Ridacchiò “Dal modo in cui lo dici non sembrano cose belle”
“Lunga storia …” mormorai sospirando.
Il campanello suonò ed io feci per alzarmi nuovamente ma Edward mi fermò “Lascia, vado io” Annuii e lui si allontanò sparendo dietro l’angolo.

“E tu che ci fai qui?” la voce di Alice era sorpresa.
“Fino a prova contraria, io ci vivo qui e poi cos’è tutta quella roba?” rispose ed io rabbrividii.
“Eccomi di ritorno!” urlò ed io la guardai annoiata e spaventata da tutte quelle buste colorate che trasportava con assoluta facilità. Non aveva detto che era entrata in un solo negozio?
“Tu devi assolutamente farti curare Alice, lo shopping sta diventando una mania per te” Edward guardò la sorella, rimanendo però sul ciglio della porta della cucina.
“Non dire assurdità, fare compere è un diritto di tutte le donne” rispose senza esitazione.

Edward alzò le spalle “Fa come ti pare, io vado a fare una doccia e quando torno non voglio trovarti quì” disse allontanandosi ed Alice gli fece una linguaccia.
Si voltò poi verso di me sorridendomi “Ora ti mostro quello che ti ho comprato”
 

 

***** *** *****

 
Guardai sorpresa il mio riflesso nello specchio. Il mio viso più rotondo, le guance leggermente arrossate, le labbra di un colore finalmente umano.
Non mi ero mai sentita più tranquilla di quel momento. Mi truccai leggermente, anche se non ne avessi realmente bisogno e poi uscii dal bagno. Recuperai la borsa dirigendomi verso la camera da letto.

“Ci metteremo tanto ad arrivare? Io ho già fame” urlai non sapendo dove fosse Edward.
“Non lo so, a dire il vero non so neanche dove abita di preciso” sobbalzai voltami e trovandolo alle mie spalle. Ridacchiò “Sei un tantino suscettibile negli ultimi tempi”
“Mi hai spaventata” sussurrai.
“Questo l’avevo capito” mormorò divertito prendendo la mia mano “Sei uno splendore”
 
Dopo qualche minuto uscimmo di casa e ci dirigemmo verso la macchina. Edward mi aprì la portiera prima di entrare a sua volta in auto. Sprofondai nel sedile mentre Edward digitò l’indirizzo di Caius nel navigatore.
“Non vedo l’ora di ritornare a casa” scherzai e lui abbozzò un sorriso “Sono curioso di conoscere il perché di questa cena e il perché la sua compagna voglia per forza conoscerci”
Alzai le spalle “Spero che la serata finisca in fretta, Caius non mi piace per niente”

Passammo un po’ di tempo in silenzio, l’unica voce era quella fastidiosa del navigatore.
“Hey, non mi hai detto di Eric. Come sta?” domandai improvvisamente.
“Sconvolto, non abbiamo capito il perche sia venuto in ufficio comunque” rispose senza distogliere gli occhi dalla strada.
“Mi dispiace tantissimo per lui e per Roxy, spero con tutto il cuore che stia bene” Avevo sempre sperato che almeno stesse bene fisicamente, non volevo pensare che le fosse successo qualcosa di brutto. Un rapimento non era assolutamente una cosa piacevole ma speravo che almeno non l’avessero toccata e che in un modo o nell’altro i due fratelli potessero riabbracciarsi.
 
Arrivammo di fronte ad una casa esageratamente enorme per solo due persone. Il cancello in ferro battuto, portava ai lati dei ridicoli leoni di pietra che non centravano un bel niente con il resto. Edward mi aveva detto che Caius avesse un matrimonio alle spalle e che dopo il divorzio da sua moglie, avvenuto molti anni prima, non avesse più frequentato nessuno, almeno fino a qualche tempo fa.
“Siamo qui per vedere il signor Baker” dichiarò all’uomo nella cabina vicino al cancello. L’uomo annui alzando la cornetta del telefono alle sue spalle.
“Mi sembra di essere in una base militare segreta” mormorai guardandomi intorno.
Edward mi accarezzò una spalla prima che il cancello si aprisse.
 
Ad attenderci dinnanzi alla casa c’era un altro uomo identico a quello appena incontrato. Mi apri la portiera aiutandomi a scendere, poi si diresse dall’altra parte recuperando le chiavi e sparendo con la nostra auto.
“Questo posto non mi piace” ansimai stringendomi ad Edward e una stana sensazione si fece strada dentro di me.
“Finalmente siete arrivati” la smielata voce di Caius ci fece alzare lo sguardo e lui sorrise. “Vi stavamo aspettando con ansia”

“Se mi avessi detto che la tua casa era dall’altra parte della città, saremmo partiti prima” rispose Edward e lui rise facendomi rabbrividire ancora di più.
“Mio giovane amico, venite” mormorò facendoci cenno di entrare.

Attraversammo la soglia, trovandoci in una specie di tempio greco, in contrasto con il cancello in ottone e i leoni in pietra. Il buon gusto non vive affatto in questo luogo pensai.
Ci scortò nel suo ampio soggiorno e dopo averci fatto accomodare, un cameriere ci portò da bere. “Sono sicuro che un semplice succo di frutta sia di tuo gradimento, visto il tuo stato Isabella” abbozzai un sorriso e lui continuò “Io e te, Edward possiamo sbilanciarci con qualunque liquore sia di nostro gradimento” scherzò porgendogli un bicchiere mezzo pieno di un liquido scuro.
 
Passò un po’ di tempo ed io iniziai a chiedermi dove fosse la sua compagna, almeno avrei fatto un po’ di conversazione con lei. Invece ero lì in silenzio ad ascoltare i due parlare di lavoro e di cose che non riuscivo a comprendere.
 
“Finalmente sei pronta, tesoro” sussurrò Caius volgendo lo sguardo verso le nostre spalle.
Ci voltammo e mi sentii completamente svenire. La mia mente non ci mise molto a ricordare il bellissimo viso dell’elegante ragazza che a passi lenti veniva verso di noi.
Dicembre, il mio cuore a pezzi, Edward in Russia, la tensione che sentivo crescere giorno per giorno dentro di me, Forks e soprattutto il mio incontro con lei. La rabbia che provavo mentre la sentivo pronunciare il nome del mio uomo, le lacrime che a stento ero riuscita a trattenere in suo presenza e la voglia di mollare tutto e tutti che mi era venuta una volta a casa nel mio vecchio letto.

Ogni singolo ricordo di quel Natale infernale, si era nascosto in un cassetto della mia mente, sostituito da altri tragici avvenimenti che non avevano fatto altro che torturare la mia già fragile mente.Edward strinse la mia mano una volta resosi conto di chi fosse la ragazza davanti a noi. “Vogliate scusarmi, non volevo farvi attendere” miagolò.

Era bellissima, proprio come la ricordavo, con quel suo sguardo affilato e i suoi occhi innaturalmente azzurri. Caius sghignazzò “Le donne, sono sempre delle ritardatarie. Dopo tutta questa attesa, finalmente, ho l’onore di presentarvi la mia compagna Kate Denali”   









 

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Capitolo 26
*** 26Capitolo ***




Capitolo 26






 

“Dopo tutta questa attesa, finalmente, ho l’onore di presentarvi la mia compagna Kate Denali” La ragazza raggiunse Caius accettando la sua mano.    
Pregai silenziosamente che fosse un semplice e sadico incubo, una realtà inesistente dal quale mi sarei svegliata a tempo debito. Quella ragazza non poteva trovarsi realmente lì.
Non nella nostra stessa stanza.
 
Guardai Edward, che non aveva lasciato la mia mano neanche un attimo e mi spaventai quando in lui vidi montare la rabbia. Contrasse la mascella, serrò le labbra quasi a voler trattenere un urlo.
“Non volevo farmi attendere, perdonatemi ero al telefono” si scusò e Caius rise,
guardandola come se fosse la cosa più preziosa che avesse.
Puntò poi lo sguardo su di noi, senza abbandonare il sorriso “Bando alle ciance. Kate lascia che ti presenti i nostri ospiti, lei è  Isabella”
 
Sobbalzai, una volta sentito il mio nome e nella mia testa tornarono prepotenti le parole che mi aveva sputato addosso lo scorso dicembre.
 
“Dall’anello che porti al dito, presumo che ti abbia chiesto di sposarlo. Prevedibile, con un bambino in arrivo. Edward è sempre stato bravo nel rimediare agli errori”
 
Cosa stava succedendo? Perché Kate era lì, cosa aveva a che vedere con Caius e cosa più importante, perché era di nuovo nella nostra vita?
Edward mi aveva già raccontato quello che c’era stato tra di loro, non l’avevo digerito e avevo cercato in tutti i modi di non pensarci ma la sua presenza lì non era d’aiuto.
L’idea di Edward che baciava e faceva l’amore con lei, aveva fatto crescere in me un senso di agitazione e inadeguatezza.
Mi ero ripetuta più volte, a casa di Charlie, durante il periodo natalizio che se Edward, il mio Edward era stato con una ragazza del genere io automaticamente non potevo realmente piacergli.
Sperai che non si accorgesse di quanto fosse bella quella sera, nel suo abito nero, che non la guardasse e che non si pentisse di stare con me.
Io e Kate eravamo l’opposto. Lei era tutto, io ero niente, non potevo neanche essere paragonata ad una tale bellezza e questo mi faceva paura. Lei rivoleva Edward, quello lo avevo capito ma lui?
 
“Dall’anello che porti al dito, presumo che ti abbia chiesto di sposarlo. Prevedibile, con un bambino in arrivo. Edward è sempre stato bravo nel rimediare agli errori”
 
“È un piacere conoscerti” disse porgendomi la sua mano. Chiusi gli occhi, abbassando lo sguardo e mi sentii una stupida. Ero debole, lo ero sempre stata. L’amore che provavo per lui mi dava forza e un’ energia che da sola non mi sarei neanche sognata. Non volevo avere niente a che vedere con lei, non sarei riuscita a sopportare di vederla vicino a lui.
“Che cosa sta succedendo?” mi voltai verso Edward che aveva sussurrato una semplice domanda con tanta rabbia da farmi sbiancare, così strinsi istintivamente entrambe le sue mani, quasi a volerlo trattenere.
Caius aggrottò la fronte e Kate lo guardò sorpresa. “Perché diavolo sei qui?” ringhiò ancora ed io cominciai a tremare.
 
Caius poggiò sul tavolino di vetro dinnanzi a se, il bicchiere mezzo vuoto che fino a poco tempo prima teneva tra le mani “Di che cosa stai parlo?” mormorò irritato ed Edward lo inchiodò con lo sguardo “Lei – disse indicando la ragazza – perché Kate è qui?” domandò alzandosi.
“Edward …” balbettai allarmata, vederlo in piedi e arrabbiato non era mai un buon segno. Cercai di alzarmi anche io, ma al primo movimento la testa cominciò a girarmi. Quella situazione mi spaventava, non riuscivo a capirne il motivo ma cominciavo a sentirmi male. Edward mi guardò per un attimo e il sua espressione si addolcì.
“Non capisco a cosa ti stai riferendo, ma ti consiglio di calmarti” Caius ci guardò tutti, cercando una risposta alle sue domande.
“Non … non capisco quale sia il problema tesoro” mormorò Kate con tono innocente “Non capisco …”
“Sta zitta!” urlò Edward e lei fece un passo indietro, impaurita.
“Vieni, andiamo via” mi rivolse nuovamente un espressione forzatamente tranquilla, porgendomi la mano.

La accettai senta esitazioni, io più di lui volevo andare via da quel posto ma Caius venne verso di noi. “Tu vieni in casa mia, insulti la mia donna e pretendi poi di andartene come se niente fosse?”
Edward rise sarcastico, aiutandomi a mettermi in piedi  “La tua cosa? Hai almeno idea di quanti anni abbia? Potrebbe essere tua figlia”
L’uomo lo guardò disorientato “Io non … come fai a sapere quanti anni ha?” sussurrò quasi a se stesso, rivolgendosi poi alla ragazza “Vi conoscete, per caso? ”
Kate, che aveva passato la maggior parte del tempo a guardare la mia mano intrecciata a quella di Edward, boccheggiò prima di scuotere velocemente la testa “No, perché dovrei … io” socchiusi gli occhi cercando almeno d’immaginare il motivo per cui facesse finta di non conoscerci ma improvvisamente mi sentii trascinare da Edward verso l’uscita. Caius questa volta non ce lo impedì.

Attraversammo l’ampio corridoio decorato da numerose cornici dorate contenenti strani quadri astratti, fino a quando non ci ritrovammo davanti all’entrata e un giovane domestico ci vide.
  
Sospirai immensamente sollevata quando ci furono restituite le giacche ma Edward si fermò improvvisamente davanti alla porta, lasciando la mia mano.
“Lascia che gli dica ancora una cosa” mormorò e si diresse nuovamente verso di loro, lasciandomi lì.
Lo guardai entrare nuovamente in soggiorno, non avendo neanche la forza di fermarlo o di dire qualcosa. Ero debole, lo ero sempre stata. Una ragazza mi aveva ferita ed io non riuscivo a trovare la forza neanche di guardarla negli occhi. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime quando sentii la voce di Edward in lontananza. Dalla mia posizione riuscivo a vederlo, stava andando verso Kate ed io mi allarmai. Camminai più veloce che potessi, fermandomi però a metà del corridoio.
Una porta aperta attirò la mia attenzione, la stanza che intravedevo doveva essere il suo studio ma non fu l’arredamento ad incuriosirmi. In alto, dietro la scrivania riuscii a scorgere una foto del tutto inaspettata. Sarà stata una foto vecchia di vent’anni, ma quel viso era inconfondibile.
Le urla di Edward richiamarono la mia attenzione e riaccesero la mia preoccupazione “Sai una cosa? Hai perfettamente ragione, io non ti conosco. Sta fuori dalla mia vita e ringrazia il cielo che non sia venuto a staccarti la testa dopo quello che hai detto a Bella” urlò.

Caius si spazientì “Si può sapere di che cosa parli, perché sei convinto di conoscerla?” domandò sovrastando la sua voce.
 Kate si strinse a Caius facendo comunque un piccolo passo verso di lui, rimase però a debita distanza. Forse aveva paura che Edward potesse farle del male, in un momento più tranquillo non lo avrebbe mai fatto ma in quella circostanza perfino io avevo i miei dubbi.
 “Si, dicci il motivo per cui sei convinto di conoscermi” propose con tono di sfida.
Ero sconcertata, non capivo a che gioco stesse giocando. Era molto chiaro il fatto che Caius fosse all’oscuro dei suoi piani quanto noi e allora al domanda era una sola: lei cosa voleva da noi?

Rimasi in attesa di una risposta ma nessuno parlò. Nella casa regnò il silenzio, fino a quando non vidi nuovamente il volto furioso di Edward venire verso di me e recuperare per l’ennesima volta la mia mano “Tutto bene?” domandò trascinandomi verso l’esterno ed io mimai un si con la testa “Non hai un bel colorito” constatò aprendo la porta della villa.
Non risposi e lui sospirò “Andiamo via da questo posto, prima che non risponda più di me stesso”
 
 L’aria fresca mi accarezzò il viso, riempiendo i miei polmoni. Respirai a fondo e per un attimo mi sentii meglio. Due degli uomini di Caius erano intenti in una conversazione ma si voltarono verso di noi quando ci sentirono uscire “Riportatemi l’auto” ordinò Edward e uno dei due annuì allontanandosi.
Lo guardaiesasperata. Il fatto che fosse nervoso non gli impediva di essere educato “Per favore …” mormorai e lui voltò lo sguardo verso di me, inchiodandomi con area interrogativa “L’ autista, solo perché è il suo lavoro non vuol dire che tu non debba chiedergli le cose con educazione” precisai.
Non rispose, puntò lo sguardo davanti a se e rimanemmo in silenzio fino a quando non ci fu riportata la macchina. Ci avvicinammo e lui ringraziò gentilmente, forse anche troppo, il ragazzo che gli accennò un sorriso in risposta.
 


Guardare quell’orribile villa farsi gradualmente più piccola, mi provocò un enorme sollievo. Sapevo che l’arrivo di Kate non avrebbe portato nulla di buono ma cercai di non pensarci. Non mi andava di dire nulla, almeno avrei potuto fingere che andasse tutto bene e per questo un pesante silenzio si cristallizzò intorno a noi.
Guardai Edward alla guida, assorbito dai suoi pensieri e pregai che non ricominciasse a chiudersi in se stesso.
 

 

***** *** *****

 
“Edward, dove stiamo andando?” domandai quando mi resi conto che troppo tempo era trascorso e che fossimo ancora in auto. Guardai fuori dal finestrino, non riconoscendo i familiari grattacieli di Manhattan. Mi voltai verso di lui, attendendo una risposta.
“ Al Belleville, non abbiamo cenato” rispose, pacato.
 
Lo guardai sorpresa, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio “ … Brooklyn?” chiesi e poi guardai nuovamente fuori dal finestrino e mi diedi mentalmente della stupida per non aver riconosciuto la mia città preferita.  
“Ti va di cenare lì?” domandò ed io annuii sorridendogli.
 Mi guardò per un attimo, accennando un sorriso. Non avevamo parlato fino a quel momento, avevo lasciato che il silenzio ci schiacciasse e che Edward sbollisse la rabbia accumulata precedentemente. Il suo umore non era mutato, lo si capiva anche solo guardandolo ma si stava sforzando per non darmelo a vedere.
 
Il Belleville era un delizioso ristorante francese, alla periferia della città. Fu uno dei primi ristoranti che scoprimmo al nostro arrivo a New York, ad attirarci erano state le piccole luci gialline che ricoprivano la copertura dell’entrata principale. All’interno il colore dominante era il panna, che combaciava benissimo con i mobili in legno chiaro creando così una piacevole atmosfera rilassante. Era un posto estremamente accogliente e i camerieri avevano tutti un forzato e buffo accento francese.
 
Il direttore di sala, nostro vecchio conoscente, non fece storie nel vederci e ci diede un posto malgrado non avessimo una prenotazione.
Ci condusse ad un tavolo al centro della sala, troppo esposto ma a Edward non sembrò interessare più di tanto. Il locale era quasi del tutto pieno e si sentiva un fastidioso brusio di persone occupate a conversare allegramente. Non era il massimo del relax dopo un’accesa discussione, avrei preferito qualunque altro posto purché fosse stato più tranquillo.
 
Ci sedemmo e un cameriere ci portò i classici menù. Ne raccolsi uno e passai qualche minuto a capire di che cosa avessi voglia.
“Tu cosa prendi?” domandai sotto voce, alzando gli occhi su di lui.
Mi guardò appena, per poi ritornare con la mente chissà dove “Niente, non ho fame” rispose.
Sospirai pesantemente, richiudendo il menù ed incrociando le braccia al petto. “Allora perché siamo qui?” domandai acida e sentii gli occhi pungermi. Odiavo vederlo turbato e odiavo il fatto preferisse chiudersi in se stesso che parlarne con me. Mi faceva sentire tremendamente inutile.
“Non è il momento di fare storie, Bella.” Mormorò svogliatamente “Non ho fame, tu invece devi mangiare, fine della storia” sussurrò guardandomi dritto negli occhi. Era infuriato, di una rabbia che non gli sarebbe passata se non si fosse sfogato e per una volta volevo che lo facesse con me, che mi dicesse che cosa gli passasse per la testa e che non mi escludesse.
Non mi mossi, sostenendo il suo sguardo e tenendo le braccia saldamente intrecciate tra loro. Quando era di cattivo umore ed io gli ero vicina, tendeva sempre a chiudersi e ad evitare di parlarmi. Lo faceva per calmarsi ma questa volta anche io ero rimasta scossa dalla presenza di Kate in quella casa e ora eravamo lontani non riuscivo a capire cosa lo turbasse.
Sospirò leggermente per poi abbassare lo sguardo e arrendersi“D’accordo, prendo quello che prendi tu”

“Edward” raccolsi una sua mano tra la mia, prima che potesse portarsela al viso “Parlami, ti prego” lo implorai e la mia voce tremò, come se quella fosse una richiesta quasi impossibile.
Una parte di me volle rimangiarsi ogni singola parola appena pronunciata, mi sentii come se avessi fatto una richiesta troppo azzardata. Non avevo chiesto la luna eppure in quel momento non riuscii a notare la differenza.

Sentii l’inquietudine strisciare silenziosa, fino ad invadermi completamente quando non ricevetti nessuna risposta.
La gola si seccò e mi sentii quasi soffocare quando realizzai che quella fosse la classica situazione che avevo smesso di combattere anni prima.
Edward che cambiava improvvisamente umore, che si lasciava rapire dall’angoscia e da chissà quali tormenti, che si rifiutava poi di condividere con me. Quello era stato il suo comportamento da sempre.
 
Con l’andare a vivere insieme la situazione non migliorò ma io imparai a gestirla, a lasciargli i suoi spazzi, ad evitare di fare domande e cominciai a ripetendomi che io lo amavo, che lui mi amava e che quello sarebbe stato uno dei tanti periodi di passaggio. Mi abituai e l’idea che un giorno le cose potessero cambiare svanì come la neve al sole. Nell’ultimo periodo invece la nostra vita aveva preso una piega diversa, lui si era aperto e mi aveva raccontato cose di lui che non mi sarei mai immaginata, cose spaventose per una persona normale ma non per me. Non mi sarei allontanata da lui neanche se avesse commesso un omicidio, niente avrebbe potuto scalfire l’amore profondo che mi legava a lui, neanche lo stesso Edward.
 
Ora in quel ristorante pieno di gente l’unica voce che avrei voluto sentire era la sua e se non fosse accaduto ero certa che non sarei sopravvissuta nel compiere un doloroso passo indietro fatto nuovamente di parole misurate.
“Non ho niente da dirti” la sua voce mi riportò alla realtà facendomi sprofondare in una voragine di dolore e delusione.
Ritrassi la mano e in un attimo fui in piedi, raccolsi la borsa e mi allontanai da lui.
 


EDWARD 
 
Sentii il rumore assordante di una sedia stridere con forza contro il pavimento. Alzai lo sguardo, il posto davanti a me era vuoto.
Mi guardai intorno, riuscendo a scorgere la figura di Bella in lontananza.
Sospirai, alzandomi a mia volta e andando verso di lei.
Il ristorante era completamente pieno, riuscivo a mala pena a muovermi tra la sfilza di tutti quei camerieri indaffarati.
Uno di loro mi si parò davanti ed io lo urtai, facendogli cadere le cose che trasportava “Mi scusi, non volevo” affermò mortificato. Lo guardai per un attimo, ignorando le parole di scuse che mi stava rivolgendo.
Lo scansai e la rabbia aumentò quando mi accorsi di aver perso Bella di vista.
Uscii dalla sala e ancora più velocemente uscii dal ristorante.

Mi guardai intorno, incurante della pioggia che aveva cominciato a scendere “Bella!” urlai il suo nome, una volta essere riuscito a intravederla vicino ad un taxi. “Hey ...” la raggiunsi e lei si voltò “Dove stai andando?” domandai con il respiro affannoso.   
Bella aprì la porta della vettura, mai la bloccai richiudendola “Bella” pronunciai ancora il suo nome, non sapendo cosa altro dire. Lei mi guardò ed io mi sfilai la giacca, poggiandola sulle sue esili spalle.
“Ti prego, lasciami in pace” sussurrò appena “Voglio tornare a casa”
Non riuscii a spiegarmi esattamente cosa vidi nei suo occhi, so solo che le mie mani si mossero meccanicamente e senza che me ne accorgessi aprii lo sportello di quel taxi e lasciai che lei vi entrasse e che se ne andasse.
 
Non so bene il perché di quel gesto, in un altro momento non avrei mai lasciato la mia piccola Bella andare via con una squallido taxi ma senza che me ne fossi accorto l’avevo lasciata andare.
L’avevo ferita ancora. Più cercavo di tenerla stretta a me e più le facevo del male, più cercavo di proteggerla e più la ferivo. Non potevo più tenerla sotto una campana di vetro, lei aveva sopportato in silenzio per anni ma ora era esplosa ed io non potevo farci niente ormai.

Rimasi lì fermo per un tempo indefinito, incapace di correrle dietro ne di fare qualsiasi altra cosa. Lei era la cosa più bella che mi fosse mai capitata e l’idea di perderla non mi aveva mai martellato la testa come in quel momento.
Mi passai una mano fra i capelli completamente fradici prima di voltarmi e andare verso la macchina.
Salii in auto e solo in quel momento mi resi realmente conto della stupidaggine appena commessa. Bella era tutto per me ed io avrei dovuto imparare a trattarla come la donna che era e non solo come la ragazza indifesa che mi ostinavo a vedere. Nel bene e nel male, senza segreti.
 Non volevo che si preoccupasse neanche la metà di quanto mi stessi preoccupando io di Kate. Avevo intuito cosa volesse, come avrebbe cercato di ottenerlo e per questo avevo evitato di parlargliene. Bella era andata via ferita dal mio comportamento e senza che entrambi ce ne fossimo accorti stavamo facendo esattamente il suo gioco. Quella puttana voleva che ci separassimo ma questo non sarebbe mai accaduto.
 
Guidai il più veloce che potessi, ignorando ogni codice stradale. Lasciai Brooklyn in pochissimo tempo e dopo una ventina di minuti mi ritrovai sotto casa. Mi fiondai come un razzo nell’edificio, non presi l’ascensore, usai le scale e superai i cinque piani che mi dividevano da lei in un lampo.
Sospirai, infilandomi le mani in tasca ed estraendone le chiavi dell’appartamento.
 
Le luci erano accese, segno che fosse in casa ma tutto era estremamente silenzioso. Chiusi silenziosamente la porta alle mie spalle e cominciai a cercarla per la casa. Camminai senza fare rumore fino ad arrivare davanti alla nostra stanza.
Sentii un brivido crescere ed arrivare dritto al cuore quando vidi Bella intenta nel prepararsi un bagaglio.
 
“Cosa stai facendo?” domandai sconvolto e lei sussultò, accorgendosi della mia presenza. Non mi guardò, continuando a riempire senza esitazione il suo borsone. Rimasi sullo stipite della porta ancora qualche secondo prima di avvicinarmi a lei e strappargli i vestiti che aveva tra le mani.
“Cosa stai facendo?” domandai ancora, guardando l’interno del borsone.
Chiusi gli occhi per un attimo quando vi trovai troppi indumenti tra abiti e pigiami. Mi voltai verso di lei, che non si era fermata neanche per un secondo e che in quel momento si era rimessa a ripiegare tutte le cose le avevo tolto precedentemente dalle mani. Li sistemò con cura, prima di strofinarsi una mano sul viso e asciugarsi lacrime che fino ad allora non avevo notato.
“Bella …” alzai una mano verso il suo viso ma lei si scansò e fece per allontanarsi prima che io glielo impedissi afferrando un suo polso e attirandola a me con un unico gesto secco.

Non feci in tempo neanche a sentire il calore del suo corpo tra le mie braccia che mi sentii uno schifo quando lei cominciò a dimenasi e a colpire il mio petto con tutta la forza che possedeva. “Non toccarmi!” urlò annegando tra l’infinità di lacrime che avevano cominciato a rigarle il viso.
La lasciai andare immediatamente e lei ritornò ad armeggiare con le mani tremanti vicino alla valigia “Non devi toccarmi” sussurrò lieve ma io riuscii a sentirla ugualmente. Il tono che aveva usato era freddo, distaccato, come se fosse una regola o un ordine che si era imposta lei stessa.
Io non demorsi e mi avvicinai nuovamente a lei che inaspettatamente parlò.
“Un tempo era più facile” sussurrò senza guardarmi in volto. Si era fermata, immobilizzata davanti alla valigia ormai chiusa.
“Cosa? Cosa, era più facile Bella?” Avevo stupidamente tirato la corda troppo a lungo e troppo forte fino a spezzarla.
Ero io il problema lo sapevo, avevo evitato ogni genere di contatto con lei non immaginando che mi avrebbe portato fino a quel punto.
“Stare con te …” la sua risposta, un sussurro rumoroso come un tuono inaspettato, arrivò come una doccia fredda. Non si scompose, si limitò ad alzare lo sguardo e a puntarlo verso il mio “Non ce la faccio, mi dispiace” portò entrambe la mani al cuore, ignorando le lacrime che continuavano ad uscire indisturbate “Ci ho provato, solo Dio sa quanto ma ora non ho più forze”
“Di che cosa stai parlando e cosa centra quella borsa, dove credi di andare in piena notte?” mi sentii vuoto solo all’idea che lei potesse andarsene.
Sospirò appena “Da Renèe, ho bisogno di tranquillità …”
“Non dire sciocchezze” la interruppi e mi maledii all’istante per non aver usato un tono meno aggressivo ma in quel momento non riuscivo più a ragionare, quello che mi stava dicendo mi destabilizzava.
Scosse la testa abbassando lo sguardo “È la verità Edward, sono stanca di dover essere sempre io quella che sopporta e comprende. Io ti amo ma …”
“Basta!” accorciai in pochi passi la distanza fra di noi prendendo il suo viso fra le mani.

Bella cercò nuovamente di spingermi via ma io la bloccai trattenendo entrambi i suoi polsi tra le mani “Stammi a sentire” cominciai e li si dimenò nuovamente e questa volta con più forza, tanto da farmi barcollare ma non cedetti facendo più pressione sui suoi polsi ed ignorando le sue urla.

“Calmati!” urlai a mia volta e mi odiai per essermi trovato in quella situazione “Non devi agitarti in questo modo, pensa ad Eleonore” dissi guardandola e lei si calmò all’istante lasciandosi scivolare sul pavimento. La seguii senza esitazione mettendomi in ginocchio davanti a lei. Portai ancora, testardamente, le mani sul suo viso e comincia ad asciugare le lacrime che bagnavano il suo bellissimo volto.
Odiavo vederla piangere, per questo in quel momento odiai anche me stesso per essere la causa del suo dolore.    
Ero sempre stato della convinzione che se non gli avessi mai sputato addosso tutti i pensieri che torturavano saltuariamente la mia testa, lei non mi avrebbe mai lasciato.
Avevo deciso di evitare di parlargli ancora di Kate e di quello che aveva intenzione di fare per non farla preoccupare ma avevo solo peggiorato tutto ed ora quello che vedevo mi terrorizzava.

Bella davanti a me e senza nessun genere di energia piangeva ed io ne ero la causa, ancora una volta. “Ti amo …” sussurrai e lei fece una smorfia quasi a non volermi credere.
“ … e non ho intenzione di lasciarti andare da nessuna parte ” la informai sicuro, cercò di parlare ma io non glielo permisi continuando “Ascoltami, tu non vai da nessuna parte. Ne adesso ne mai”

Abbassò lo sguardo “Tu mi fai stare male, mi provochi troppo dolore eppure non riesco a vedermi senza di te al mio fianco” ansimò ed io l’attirai a me, stringendola fra le mie braccia.
Il contatto tra i nostri corpi durò meno di un secondò.
Bella indietreggiò nuovamente scuotendo la testa “No!” alzò una mano tremante verso di me, quasi a volersi fare scudo “Se mi ami veramente, questa volta finiremo questa discussione. Tu non lo fai mai con me. Urliamo, io piango, tu mi abbracci e fingiamo che niente sia mai successo. È questo che facciamo da sempre, ma non questa volta”


La guardai ammutolito dalla determinazione che lessi nei suoi occhi e annuii lentamente, malgrado sperassi di chiudere lì tutta quella storia.
“Mi hai raccontato della clinica in Alaska, di tutto quello che hai combinato prima che mi conoscessi” improvvisamente si avvicinò e strinse le sue mani fra le sue “Ho fatto qualcosa che non va? Da quando mi hai detto tutte quelle cose, mi sono comportata diversamente con te?”
Le accarezzai un palmo della mano “Amore smettila di agitarti, ti prego” la implorai, quando toccandola mi accorsi del tremolio delle sue mani.
“Rispondimi, cazzo e non cambiare argomento” sussurrò a denti stretti.
“No, no non è cambiato niente tra di noi” risposi alzandomi. Gli porsi la mano, non aveva senso rimanere sul pavimento quando avevamo un letto alle nostre spalle.
“Allora perché ti comporti così con me? Dici di amarmi ma ti ostini a tenermi fuori dalla tua vita”

Tagliai corto “Cosa vuoi che ti dica, Bella?”
Si passò una mano fra i capelli e solo allora mi accorsi che fossero bagnati quanto i miei “Voglio che tu non mi tenga nascosto niente. Da ora in avanti, ogni volta che ci sarà qualcosa che non và, voglio saperlo”
Annuii “Va bene, ora però devi fare un bagno caldo o ti ammalerai” acconsentii mettendole una mano dietro la schiena.
Non si mosse “Sono seria Edward, non prenderti gioco di me perchè non lo sopporterei. Giuramelo!”
“Tu  giurami che non proverai mai più a fare una cosa del genere” indicai il suo borsone sul letto ma lei mi guardò come se dalla mia bocca non fosse uscita neanche una parola.
La guardai per un tempo interminabile fino a quando cedetti “Lo giuro”

 

 

**** *** ****

 
“Ho visto una foto di Caius e Harrison , in quella villa. Non mi avevi detto che si conoscessero” mormorò curiosa.
Alzai il capo di scatto “Cosa?”
Mi guardò perplessa “Una delle stanze era aperta e così sono riuscita a vedere una loro foto insieme”
“Cosa ritraeva la foto?” domandai agitato e le mie incertezze cominciarono ad affievolirsi, nel pomeriggio l’avevo trovato dietro la porta dell’ufficio di Brian ed ero già sicuro che non si trovasse li per caso.
“Loro due insieme, abbracciati e con uno strano sorriso sulle labbra” fece una smorfia “La foto era vecchia comunque, sarà stata di dieci o quindici anni prima. Non sapevi che si conoscessero?” domandò infine.
Mi passai una mano fra i capelli “Non ci sto capendo niente, Caius, Harry e adesso anche Kate” ammisi esausto.

“Secondo te, cosa vuole Kate?” domandò pensierosa giocherellando con le fragili bolle di sapone, formatesi intorno a lei nella vasca da bagno.
Alzai le spalle, ammirando le sue  guance arrossate per via del calore dell’acqua “Non ne ho la più pallida idea”  risposi.
“Sicuro?” domandò scettica.
Sospirai pesantemente “Non so perché sia a Manhattan, Bella e a dire il vero non mi interessa”
“Caius sembrava stregato da lei ma non credo che stia complottando qualcosa con lei”
Alzai le spalle “Non lo so, credo lei lo stia usando per arrivare a me”
“Sta lontano da lei comunque” ordinò prima di immergermi completamente nella vasca, per poi uscirne un paio di secondi dopo.

“Non avevo intenzione di invitarla a cena” scherzai e lei mi fulminò con lo sguardo.
“Non scherzare e poi non sono sicura che mangi, con quel fisico che si ritrova” sospirò.
“Lei non ha niente che tu non abbia” la informai infastidito dal suo improvviso cambiamento d’umore.
“Com’era stare con lei?” domandò d’un tratto ed io aggrottai la fronte.
Per un istante pensai di aver capito male, ma la sua espressione preoccupata mi rivelò il contrario “Io e lei non stavamo affatto insieme, Bella”
“Lo so, intendo … com’era a letto” mormorò indecisa, abbassando velocemente lo sguardo.
Strabuzzai gli occhi “Stai scherzando?”
L’ultima cosa che ci voleva per concludere la giornata in bellezza, era di metterci a parlare delle mie vecchie avventure sessuali.
“È che lei è così bella e quando la vedo mi sento insignificante” ammise.

Scossi la testa, prima di avvicinarmi a lei e accarezzargli una guancia arrossata “Non dire più una cosa del genere. Tu, solo tu sei bellissima le altre non mi interressano” accennò un sorriso, avvicinando poi il viso al mio. Guardai i suo grandi occhi scuri ancora per un attimo per poi impossessarmi delle sue labbra.
Bella sorrise ancora sulle mie labbra, per poi tirare il colletto della mia camicia “Perché non entri nella vasca?” mormorò ad un centimetro dal mio viso.
Strofinai il mio naso contro il suo, prima di raccogliere tutto l’autocontrollo che possedessi e alzarmi dal pavimento sul quale ero seduto “No, dobbiamo mangiare qualcosa. Non abbiamo toccato cibo” sbuffò ed io le accarezzai i capelli “Tra un po’ esci, l’acqua si sta raffreddando” le ricordai per poi dirigermi in cucina.
 

 

**** *** ****

 
Ritornare allo studio, il giorno seguente fu quasi doloroso. Mi svegliai dopo quasi due mesi di riposo, nuovamente alle sette del mattino. lasciai Bella dormire placidamente decidendo di lasciarle scritto un biglietto che avevo poi attaccato al frigo, luogo dove sarebbe sicuramente andata appena sveglia.
Per un attimo mi passò per la testa anche di prendere le chiavi della sua macchina e di chiuderla in casa, dopo quello che aveva tentato di fare la sera prima ma per fortuna il buon senso ebbe il sopravvento ed io uscii silenziosamente senza svegliarla.
 
“Ben tornato, Signor Cullen” ritornai con i piedi per terra quando intravidi la figura di Jasper vicino a gli ascensori.
Mi avvicinai e lui mi abbracciò “Ciao Jazz ” mormorai ed entrambi entrammo in esso.
“Non mi avevi detto che saresti ritornato questa mattina. Come stai?” domandò pacato.
Accennai un sorriso “Sto bene” risposi e lui mi diede una pacca sulla spalla prima che le porte dell’ascensore si aprissero e lui uscisse.
“Buon secondo primo giorno di lavoro allora. Dopo tutto questo tempo sono sicuro che ne avrai di lavoro da fare” ridacchiò.
Lo guardai tranquillo alzando lentamente un dito medio “Buona giornata anche a te Jasper” mormorai prima che le porte si richiudessero.
 
Salii i piani rimanenti per arrivare poi al mio ufficio. Mi guardai intorno come se fosse realmente il mio primo giorno. Camminai lentamente e mi fermai per un attimo davanti alla scrivania di Victoria trovandola stranamente vuota.
“Lei non può stare qui ma può aspettare il suo arrivo in una delle poltrone qui fuori”
Alzai lo sguardo quando sentii la sua voce provenire dalla fine del corridoio, proprio dove si trovava il mio ufficio. Affrettai il passo e davanti al mio ufficio, stranamente, trovare Kate non mi sorprese più di tanto.

Sospirai e la mia segretaria si voltò “Edward, sei qui. Scusami ho provato a farle capire …”
“Non preoccuparti, vai qui ci penso io”  sussurrai bloccando il suo fiume di scuse.
Mi guardò sorpresa per poi annuire ed uscire chiudendosi la porta alle spalle.
Kate era seduta al mio posto con le gambe accavallate.

Mi guardò sorridendo “Quest’ufficio è davvero elegante ma non riesco ancora a capire perché tu sia diventato un avvocato. Non dovevi fare il medico?”
Respirai profondamente due, tre volte cercando di accumulare tutta la calma di cui avevo bisogno. Camminai verso di lei e per un attimo immaginai di scaraventarla fuori dalla  finestra ma mi limitai ad afferrare un suo braccio e a farla alzare dalla mia poltrona.
“Cosa diavolo vuoi ancora da me?” ringhiai e si agitò fino a sfuggire alla mia presa.


Fece il giro della scrivania per poi sedersi in una delle poltrone destinate ai cliente e alle persone desiderate “Siediti Anthony e non fare il difficile – sussultai per il modo in cui mi aveva chiamato e lei se ne accorse – Cosa c’è? è così che preferivi che ti chiamassi alla clinica. Dicevi che il tuo secondo nome fosse molto più pulito del primo” affilò lo sguardo quasi a voler cogliere ogni mia emozione.
“Perché sei qui?” scandii ogni singola parola togliendomi la giacca e sedendomi al mio posto.
Si rigirò fra le mani una ciocca di capelli prima di alzare le spalle e sporsi verso di me “Ieri sera, stavi per rovinare tutto” portò lentamente una mano sopra la mia, ma io ritrassi e lei ritornò con la schiena contro la sua sedia. “Qualche mese fa ho letto un articolo su Vogue riguardante una sfilata di tua sorella ma ad attirare la mia attenzione fu l’enorme foto di una ragazza in abito blu. Ho continuato a leggere e ho scoperto che fosse la tua ragazza ... incinta”

La interruppi “Mi fa molto piacere che tu sappia leggere, ora se non ti dispiace …” lasciai la frase in sospeso indicando la porta d’uscita.
“Così a Natale sono venuta in quell’ insulso paesino in cui vivevi, è così deprimente che anche io nei tuoi panni avrei iniziato a bucarmi. Comunque, busso alla tua porta e indovina chi viene ad aprirmi?”
Stinsi i pugni, senza però cambiare l’espressione tranquilla che avevo “Bella …”risposi e lei annuì.
“Non so se sia più insulsa lei o Forks” mormorò quasi a se stessa.

Senza che me ne rendesi conto sbattei una mano contro la mia scrivania facendola sobbalzare “Non ti azzardare a dare nessun tipo di giudizio su di lei, l’unica cosa che non è cambiata in cinque anni è il mio livello di sopportazione quindi non sfidarlo”
Si strinse nelle spalle “Hai detto bene, cinque anni. Sono passati solo cinque fottutissimi anni e tu sei diventato una persona completamente diversa. Io e te stavamo benissimo insieme, ma tu non hai voluto dare un’occasione al nostro rapporto”
“Di che cosa stai parlando? Io e te scopavamo e basta. Non sei mai stata niente per me” ringhiai e per un attimo vidi la tristezza nei suoi occhi.

Si passò una mano tra i capelli biondi prima di recuperare la sua borsa “Farò una chiacchierata con Caius allora, se io non sono felice non devi esserlo neanche tu. Sai non è stato facile ingraziarmelo ma quando al notiziario ho sentito che fossi in fin di vita in ospedale, mi sono detta che avrei fatto di tutto per poter entrare nuovamente nella tua vita” fece una pausa per poi continuare “Lui sa del tuo passato da tossico?” domandò d’un tratto ed io mi irrigidii.
Sorrise “Bingo!”
“Non oseresti …”
“Oh, si invece. La tua insulsa scopata farà così – si portò entrambe le mani sul viso – Caius, tesoro. Non ti ho detto la verità ieri sera, io Edward lo conosco. Qualche anno fa è stato ricoverato nella clinica di mio padre perché faceva uso di eroina. Non volevo dirtelo prima perché rivederlo mi aveva spaventato è un tipo molto violento, lo hai visto anche tu” alzò lo sguardo verso di me e mormorò “ … dovresti licenziare una persona del genere”
Mi alzai dalla sedia di scatto andando verso la porta  “Fuori!” urlai.
“Hai ancora problemi con tuo padre?” domandò nuovamente.
“Ti voglio fuori dal mio ufficio, adesso!” urlai ancora e lei si guardò le unghie con fare indifferente “Lo prendo come un si. Sai i tuo genitori al contrario di te, mi adorano. Avresti dovuto vederli a Natale, se non avessi insistito per andarmene mi avrebbero fatto rimanere a cena. Dovrei tornare a trovarli e raccontargli un po’ di te”

Da avvocato, cominciai a ripetermi mentalmente che l’omicidio fosse un reato e che anche solo pensarlo fosse sbagliato ma quella ragazza si stava prendendo letteralmente gioco della mia pazienza “Non costringermi a trascinarti per i capelli spalancai la porta – Fuori di quì”

Rise “Con molto piacere paparino, comincia a raccogliere la tua roba” singhiozzò per poi andarsene.
 
Sbattei la porta facendo letteralmente tremare la parete, mi voltai e in preda alla rabbia scaraventai una delle poltrone per terra.
Cercai di recuperare la calma quando sentii bussare alla porta “Avanti” la mia voce era trattenuta, ero completamente spiazzato e non sarei riuscito a dire niente in quel momento.
La porta si aprì mostrando i capelli rossi della mia segretaria, mi guardò quasi spaventata ed io cercai di rilassare la postura e lo sguardo “La ragazza che era qui prima, mi ha detto di trovarmi un nuovo lavoro” sussurrò ancora ferma, vicina alla porta.
Scossi la testa “Tu, non hai niente di cui avere paura non preoccuparti” mormorai e lei si avvicinò.
“Cosa intendi con, tu?” domandò allarmata.
Sarebbe successo comunque, dopo tutti quei dubbi che avevano cominciato a danzare nella mia mente, avrei comunque iniziato ad indagare su di lui e avrei tentato di scoprire se centrasse qualcosa con tutta quella storia di Harrison e dei russi. Per ora erano solo supposizioni ma cominciavo fortemente a credere di aver fatto un grave errore nello scagionare Harrison. Come aveva detto Eric il giorno precedente: Nessun padre abbandonerebbe mai la figlia.

“Torna alla tua scrivania Victoria. Se dovesse arrivare Caius è molto probabile che mi licenzi – la ragazza cacciò gli occhi fori dalle orbite – Se dovesse succedere, avrò delle cose da dirti ora però torna al tuo posto”
Annuì lentamente per poi esaudire la mia richiesta.









       

 

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Capitolo 27
*** 27Capitolo ***


*Entra in punta di piedi*
toc, toc?
Si, lo so. Sono imperdonabile, ho praticamente abbandonato questa storia nelle ultime settimane.
Non è che mi sia passata la voglia, anzi è solo che l’ispirazione è rimasta in vacanza il più del dovuto.

Scusate, scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate.
Ok, ora che mi sono scusata spero che il capitolo vi sia di gradimento e che vi faccia dimenticare l’attesa. Spero di non avervi perse, alla prossima :D

Per sicurezza sarà meglio che rileggiate l’ultimo pezzo del capitolo precedente.



 

Capitolo 27









 

Dal modo in cui Alice continuava a guardarmi, si capiva palesemente che stesse
escogitando qualcosa. Posava lo sguardo su di me, sulle mie braccia, sulle mie gambe e quando la sorprendevo faceva finta di niente riportando gli occhi sulla strada.
Mi passai istintivamente una mano fra i capelli, ricordandomi però di averli legati in una
coda “Posso sapere che cosa c’è?”
Si strinse nelle spalle, senza guardarmi “Niente, sto guidando”
Aggrottai la fronte, guardandomi da capo a piede per un attimo. Scossi la testa “Non è vero. È da quando ci siamo viste che mi stai squadrando”
Borbottò qualcosa di difficilmente comprensibile per poi sbuffare “Non dire sciocchezze!”
Alzai le spalle, portando lo sguardo verso il lato del mio finestrino, ero decisamente troppo stanca per insistere. Quella ragazza non provava neanche un po’ di sensibilità verso di me, era stata capace di venire a casa mia alle nove del mattino perché voleva assolutamente vedere il nostro nuovo appartamento.
Io che volevo starmene a letto tutta la mattinata, per poi studiare nel pomeriggio. Ora mi sarebbe toccato solo lo studio pomeridiano, niente riposo.

“Allora, quando arriviamo?” domandò incerta “Che fai dormi?” chiese ancora quando non le diedi risposta.
“Devi andare ancora di più verso il Queens” mormorai senza voltarmi.
“Il Queens? Con tutte le case che ci sono a Manhattan, siete andati a sceglierne una nel Queens? ” domandò sconvolta.
Mi voltai “Ho detto che devi andare verso e non nel Queens, lì è ancora Manhattan” specificai.
Alice annuì, per poi fare una smorfia “Ma è lontanissimo da casa mia. Così non potrei venire a trovarvi molto spesso” si lamentò.
Questo è uno dei motivi per cui Edward ha tanto insistito perché la prendessimo, pensai cercando di reprimere il sorriso che quel ricordo mi provocava.


Anche con la guida estremamente spericolata di Alice arrivammo davanti al nuovo appartamento dopo molto tempo dalla nostra precedente conversazione.
Ci fermammo davanti all’enorme portone di vetro, ad ammirare tutto ciò che circondasse il palazzo. Era tutto così calmo, proprio come lo ricordavo.
“Buon giorno” Ted, il giovane portiere in divisa, una volta all’interno ci salutò gentilmente.
Alice si guardò intorno, affascinata, fino a quando non entrammo in uno degli ascensori. “Questo posto è magnifico, potreste andare a vivere anche nella Hall e sarebbe tutto perfetto comunque” mormorò sovrappensiero.
Sorrisi. Si, quel posto emanava il senso di tranquillità e protezione di cui avevo bisogno e soprattutto di cui avrebbe avuto bisogno Eleonore. Sfregai leggermente una mano sul pancione, immaginando ancora una volta la nostra bambina correre fra le stanze di quella casa.

Quando fummo davanti all’entrata, Alice cominciò a tamburellare un piede sul pavimento guardandomi impaziente di entrare. Scossi la testa, divertita per poi recuperare le chiavi dalla tracolla. Aprii e le feci segno di entrare, naturalmente non se lo fece ripetere due volte.

La luce di quella casa non era cambiata, calda proprio come la ricordavo. Mi chiusi la porta alle spalle andando verso la vetrata di cui mi ero innamorata. Rimasi lì, stregata dalla vista della città fino a quando mi ricordai della pazza con cui ero venuta.
“Alice?” quasi urlai il suo nome quando non riuscii a trovarla. Aspettai qualche secondo prima di urlare ancora il suo nome, non avendo ricevuto risposta la prima volta.
“Questo posto è enorme!” sobbalzai alzando lo sguardo, quando avvertii la sua voce al piano superiore.
Alzai gli occhi al cielo. Come aveva fatto a salire senza che me ne accorgessi?
Improvvisamente, apparve appoggiata alla ringhiera del secondo piano “I bagni sono uno spettacolo!” urlò “E sono grandi quasi quanto il soggiorno del vostro attuale appartamento!” aggiunse sparendo nuovamente.
Sospirai “Smettila di urlare” dissi ma ero più che sicura che non mi avesse sentito.
Salii le scale in legno scuro con l’intenzione di raggiungere quel terremoto ambulante e a metà di esse mi accorsi che non erano munite di corrimano, cosa non molto saggia con un bambino in arrivo. Ne avrei parlato con Edward.
Arrivai al secondo piano con il fiatone e dovetti fermarmi un po’ prima di compiere qualsiasi movimento o sarei sicuramente svenuta. La gravidanza non faceva altro che giocarmi scherzi di quel genere.
Guardai poi verso il basso e solo la vista di quelle scale mi fece girare la testa, tanto da costringermi ad appoggiare le spalle alla parete più vicina.
Chiusi gli occhi e due mani mi accarezzarono un braccio “Che cosa ti succede, ti senti male?” la voce di Alice era seria, allarmata.
“Mi gira la testa, devo sedermi” sussurrai e lei mi lasciò il braccio, acconsentendo al fatto che mi sedessi sul pavimento.

“Non guardarmi così, sto già meglio” la rassicurai ma lei sembrò non crederci e continuò a fissarmi “Ho indossato i vestiti che mi hai comprato, hai visto?” domandai cambiando argomento. Non c’era bisogno che si preoccupasse per me, non era la prima volta che mi capitava.
“Si, ti stanno benissimo” mormorò sedendosi a sua volta “Non mi hai ancora detto della cena. Hai fatto morire di invidia qualcuno con quel vestito?” domandò maliziosa e sentii la gola seccarsi al ricordo di quella serata.
Esitai per un attimo, perdendomi negli occhi perdutamente azzurrini di Alice “È stata una serata orribile” ammisi in fine sentendomi decisamente più leggera. Erano passati solo tre giorni da quell’incontro e le ferite bruciavano ancora.
“Mi dispiace, è colpa mai. Avrei dovuto prenderti un abito di Marc Jacobs, la sua nuova collezione è una meraviglia” sussurrò dispiaciuta ed io non riuscii a trattenere una risata. I problemi di Alice, ruotavano sempre intorno ai vestiti.

“L’abito non centra, quello andava bene” la rassicurai e lei sembrò sollevarsi “ … abbiamo rivisto Kate Denali” le spiegai tutto in un fiato.
Aspettai una sua reazione ma lei si limitò a guardarmi perplessa “E chi sarebbe?”
Strabuzzai gli occhi, sorpresa che non la conoscesse “Kate Denali, la figlia del padrone della clinica dove è stato Edward durante … lo sai” spiegai meglio.
“Ripetere il suo nome due volte non serve a niente, Bella. Non la conosco, dimmi chi è” propose tra il preoccupato e il curioso.

Passai i dieci minuti seguenti a raccontarle tutto ciò che sapessi su quella ragazza, al rapporto che aveva istaurato con Edward fino ad arrivare alla sera di qualche giorno prima. Alice ascoltò in silenzio, non era da lei una cosa del genere, non mi interruppe si limitò ad annuire e a fare smorfie di disapprovazione.
“Mio fratello è davvero un imbecille” concluse alla fine del mio racconto “I nostri genitori lo mandano in Alaska per un motivo ma lui non riesce a non scoparsi qualcuna”
Alzai le spalle, ormai quella parte di storia l’avevo già digerita “I tuoi genitori la conoscono comunque, com’è possibile che in tanto tempo tu non sia mai riuscita ad incontrarla?” domandai.
“Non sono mai andata a trovarlo, durante il periodo in cui è stato lì” la sua voce fu un sussurro.
Riflettei qualche secondo, prima di aggrottare la fronte “Mi stai dicendo che in sei mesi tu non sei mai andata a trovare tuo fratello in clinica neanche una volta?”
Ci mise un po’ a rispondermi, quasi come se si sentisse in difficoltà “Edward ti ha detto anche di James?” sussurrò abbassando lo sguardo ed io collegai tutto.
“So che lo conoscevate entrambi ma … in un modo diverso e che a te piacesse molto ” risposi cercando di essere il più delicata possibile.

Fece spallucce “ Ero una sciocca ragazzina convinta di aver trovato il ragazzo perfetto: alto, biondo e con un sorriso da togliere il fiato. Non mi ero mai domandata seriamente il perché fosse costantemente fuori scuola, ero troppo accecata da quel velo di mistero che possedeva e della sua moto” sorrise leggermente “Sono stata sempre bene con lui, mai una volta che io abbia immaginato o sospettato qualcosa di strano. Sapevo che avesse lasciato la scuola e che facesse lavoretti qui e li, credevo parlasse di giardinaggio e non … – scosse la testa – Era perfetto ai miei occhi ed io gli ho dato tutto quello che una stupida quindicenne potesse dargli”
Portò entrambe le braccia sui fianchi, quasi a volersi proteggere da un vecchio ricordo doloroso. I suoi occhi divennero distanti, guardò in giro per il pianerottolo su cui eravamo sedute, evitò il mio volto e per un istante la sentii tremare.

Sentii le lacrime bagnarmi il viso, quando afferrai il contenuto nascosto della sua ultima frase “Avresti dovuto vedere la mia faccia quando ho realizzato di aver perso la verginità con lo spacciatore di mio fratello” concluse scacciando via una lacrima dal suo viso. Ci misi poco a stingerla a me con tutte la forza che possedessi e mi sentii uno schifo per non aver mai pensato a quanto potesse aver sofferto anche Alice in quel periodo tanto lontano.
“Ho odiato Edward in un modo inspiegabile” sussurrò tremante al mio orecchio, senza sciogliere l’abbraccio “Non riuscivo a farmelo passare, davo a lui la colpa di tutto quello che stava capitando alla mia famiglia. Emmett in California e i mie genitori completamente distrutti, era colpa sua, lui aveva provocato tutto. Non ci siamo visti o sentii per tutti i mesi della riabilitazione e al suo ritorno siamo andati avanti, siamo semplicemente andati avanti”

Si sciolse dal mio abbraccio e si passò una mano sul viso perfettamente truccato aveva gli occhi lucidi ma non aveva pianto “Lui non sa niente di tutta questa storia ed è meglio così. Gli voglio bene, non fraintendermi, è solo che non e stato facile per nessuno gestirlo in quel periodo. Le poche volte che era a casa era un inferno, nell’ultimo periodo cominciò anche a rubare. Nella nostra stessa casa non eravamo neanche liberi di lasciare nulla di valore in giro perché lui l’avrebbe presa – Scosse la testa quasi a voler ritornare al presente – Quando non c’era invece era peggio perché nessuno sapeva dove fosse, se fosse vivo o se sarebbe tornato. All’ inizio c’era Emmett, lui lo riportava sempre a casa in un modo o nell’ altro ma quando se ne andato niente è stato più come prima. Gli voglio bene ma gli do ancora la colpa per quei due anni che ci ha fatto passare, i miei genitori non meritavano tutto questo”

Non dissi nulla. Cosa avrei dovuto dirle? Edward ha avuto le sue ragioni per comportarsi in quel modo stupido e tu Alice non avresti dovuto odiarlo, lui aveva bisogno anche di te e tu invece sei stata egoista .No, sarebbe stata una bugia perché io mi sarei comportata al suo stesso modo.

 

**** *** ****


Le parole di Alice mi ronzarono in testa per il resto della giornata. Avevo sempre visto i Cullen come la classica famiglia delle pubblicità dei biscotti. Perfetti e sempre sorridenti. Invece man mano cominciavo a venire a conoscenza di fatti un tempo a me sconosciuti. Come avevo fatto io in tutti quegli anni a non vedere nulla?
Edward per primo. Avevamo una relazione da quasi cinque anni ma solo negli ultimi mesi mi aveva confessato delle cose riguardanti il suo passato, non l’aveva fatto di sua iniziativa l’avevo costretto ma a me andava bene così. Una parte di me sentiva che non mi aveva detto tutto e a me non andava più di scavare nel suo profondo a patto che lui fosse sincero nel nostro presente, solo quello chiedevo.

Mi passai una mano sul cappuccio della felpa che fino a quel momento avevo tenuto in testa, togliendolo. Mi abbassai leggermente, guardando nel forno: chissà quando sarebbe stato pronto l’arrosto. Io ero già affamata.
Ritornai poi nel piccolo soggiorno deve mi aspettava, minacciosa, la mia tesi ancora incompiuta. Quel computer era diventato un incubo solo alla sua vista mi veniva sonno.
Mi sedetti su una delle sedie del salotto, cominciando a rileggere gli ultimi appunti trascritti quando sentii la porta aprirsi e poi richiudersi.
“Ben tornato!” urlai e dopo pochi secondi sentii i suoi passi dietro di me.
Mi voltai e lui si fermò, poggiando la testa sullo stipite della porta e slacciandosi la cravatta. I completi eleganti gli davano un area tremendamente sexy.
“Sei in anticipo” aggiunsi e lui alzò le spalle, lasciò che la ventiquattrore cadesse per terra cominciando a togliersi la giacca.
Mi passai una mano sul viso, giusto il tempo necessario per trovarmelo da un centimetro dalla mie labbra “Ciao piccola” sussurrò prima che le nostre labbra si incontrassero.

“Piccola è l’ultimo degli aggettivi che dovresti rivolgermi in questo periodo, non mi entra quasi più niente ormai” mormorai afflitta. Ero enorme, tanto gonfia da non riuscire più ad indossare il mio anello di fidanzamento, mi sentivo diversa, come se quello non fosse più il mio corpo. Mi davo del fenomeno da baraccone e per non deprimermi ancora di più evitavo ogni contatto con gli specchi di casa. Edward, col suo fisico scolpito non era d’aiuto.
Portò una sua mano fra i miei capelli, massaggiandoli lentamente. Rabbrividii “ Smettila di pensare a queste cose, così ti fai del male” sussurrò prima di lasciare una scia rovente di baci lungo tutto il mio collo. Lo lasciai fare, godendo del profumo dolce e familiare che emanava il suo corpo. Sapeva come raggirarmi, come calmare ogni mia improvvisa crisi di panico dovuta ai miei sbalzi d’umore. Non andavamo mai oltre, non avevamo intenzione di mettere a rischio la gravidanza ma non per questo evitavamo ogni contatto fisico. Le coccole erano le benvenute quando ne avevamo voglia.

“È puzza di bruciato quella che sento?” domandò d’un tratto raddrizzandosi.
Strabuzzai gli occhi, cercando di recuperare la concentrazione sparita nei minuti precedenti. Mi passai una mano fra i capelli, sistemandoli, quando uno stano odore mi invase le narici. Sobbalzai, capendo da dove venisse l’odore di bruciato.
In un attimo fui in cucina e senza infilarmi i guanti protettivi, aprii il forno.
Il fumo invase l’intera stanza, ma questo non mi impedì di prendere la pirofila a mani nude. Me ne pentii all’istante, il calore mi bruciò le dita ancora prima che me ne rendessi conto e per questo fui costretta ad appoggiarla nel posto più vicino: il lavandino.
“Cazzo!” sfregai le mani l’una contro l’altra per trovare un po’ di sollievo ed Edward arrivò posizionandosi al mio fianco. Prese le mie mani fra le sue esaminandole.

Un lamento fuoriuscì dalle mie labbra quando osservai l’incomprensibile ammasso bruciato che un tempo poteva essere definito arrosto. Edward strinse le mie mani “Non fare così, potrebbe essere ancora commestibile” mormorò scettico. Non feci in tempo a rispondergli che lo vidi prendere con le mani una delle patate bruciacchiate che facevano da contorno all’ormai defunto arrosto.
Masticò lentamente, tanto da farmi cogliere ogni singola smorfia di disgusto. Lo guardai recuperarne un'altra e alla sua ennesima smorfia non potei fare a meno di ridere per quanto si sforzasse.
Gli bloccai il braccio “Smettila o ti verrà un accidente” non se lo fece ripetere un seconda volta che la smise di mangiare, mi guardò e disse “Vestiti. Andiamo a cenare da qualche parte”


EDWARD

La notte mi aveva sempre affascinato. Mi era sempre piaciuto pensare, da ragazzo, che di notte tutto fosse permesso. Di giorno la città era sveglia, le persone erano vigili attente ma con l’arrivo del buio tutto prendeva un’altra piega.
Niente regole, niente limiti, nessuno che ti impedisse realmente di fare quello che ti passava per la testa.
Chiusi gli occhi, buttando giù tutto d’un sorso il contenuto del bicchiere di vetro che tenevo in una mano. Il sapore dolciastro della vodka mi invase la gola ed io guardai il fondo del bicchiere ormai vuoto.
Sta andando tutto, silenziosamente, a rotoli. Pensai guardandomi in torno. Ero riuscito a nascondere la parte più vergognosa della mia vita, per qualche anno. Ero riuscito ad andare avanti a cambiare interamente la mia vita, ad essere felice. Avevo parlato troppo in fretta. Tu puoi abbandonare i problemi, ma i problemi non abbandonano mai te.

Guardai il panorama notturno che si presentava davanti ai miei occhi, New York. Quella città era stata un boccata di aria fresca per me, così lontana da Forks, dai miei genitori, dai guai.
Credevo di essere al sicuro qui, di poter finalmente riuscire a voltare pagina e a dimenticare gli anni precedenti. Non ero riuscito più reggere le occhiate preoccupate di mia madre, anche dopo l’Alaska. Tutto era cambiato, mi stavano addosso, mio padre non faceva altro che scrutarmi cercando di cogliere ogni mio sintomo di cedimento.
Mi guardavano con occhi diversi, frugavano tra la mia roba ogni volta che rispondessi male o che facessi tardi la sera. Mia madre aveva paura, paura di rivivere nuovamente quei mesi infernali, paura che ricominciassi a frequentare i miei vecchi amici e che ricominciassi a drogarmi.
Non sarebbe più stato lo stesso in quella casa, non ero libero e non lo sarei mai più stato, per questo alla prima occasione me ne andai. Portai Bella con me, ignara del reale motivo del nostro trasferimento.
Ma le cose alla fine vengono a galla e con loro tutte le cose che hai tenuto nascosto.
Kate era riapparsa, come un fantasma e aveva dato inizio ad un infinita serie di guai pronti ad esplodere nella mia vita. Tutto il male che hai fatto, sta ritornando indietro mille volte più forte e doloroso. Quel che fai poi ti ritorna.

Avevo programmato tutto, ero pronto ad accogliere Eleonore nel miglior modo possibile, ad impegnarmi nel fortificare il fragile rapporto con Bella, ad essere una vera famiglia unita. Avevamo, insieme, scelto una casa magnifica che adesso non sarei mai riuscito a pagare senza un lavoro.



“È vero?” Kate non mi aveva mentito, aspettai Caius con ansia quel giorno sapendo che prima o poi sarebbe arrivato. Non si sedette, ne tanto meno si avvicinò a me, rimase fermo davanti alla porta richiusa da lui personalmente.
“Kate è passata da me prima …”mormorò cercando forse un appiglio per farmi parlare ma io rimasi in silenzio “ … dice che sei stato un paziente di suo padre”la sua voce era titubate e i suoi occhi vigili, quasi a voler cogliere la più presto qualcosa che potesse fargli credere che Kate gli avesse mentito.
Ancora silenzio. Non gli avrei mentito ma non gli avrei neanche dato delle spiegazioni, quello era uno studio legale e la mia vita privata non centrava un bel niente con tutto quello. Sospirò “Dice che facevi uso di parecchie droghe tra cui l’eroina e che ti ci è voluto più tempo del normale per uscirne. È vero?”
Portai entrambi i gomiti sulla scrivania, incrociando le mani tra loro “Sono uno dei migliori avvocati qui dentro – fece per parlare ma alzai una mano zittendolo – Ho solo ventiquattro anni e con soli due processi sono riuscito a chiudere un caso aperto da quando io andavo ancora al liceo. Non credo che tu abbia il diritto di farmi queste domande”
Sospirò pesantemente, sciogliendo la posa rigida che aveva tenuto fino ad allora “È vero, sei bravo in quello che fai ma io non posso permettermi una persona del genere nel mio studio”
Alzai lo sguardo, sorridendo “Una persona del genere?”
“Questo studio è molto prestigioso e se si venisse a sapere in giro sarei rovinato, perderemmo tutti i clienti. Sei un ottimo avvocato e da quando ti hanno sparato sei anche famoso, potresti lavorare ovunque …” fece una brevissima pausa stringendosi nuovamente nelle spalle “… ma non qui nel mio studio”



Tastai inutilmente le tasche del pantalone della tuta che indossavo, alla ricerca di un pacchetto di sigarette immaginario. Non avrei mai perso quel vizio, quando ero nervoso o agitavo dovevo fumare e anche adesso che avevo smesso involontariamente continuavo a farlo. Ora una sigaretta sarebbe stata la cosa ideale, non mi avrebbe trovato un nuovo lavoro ma almeno mi avrebbe distratto per qualche minuto. Mi alzai dal divano sul quale ero seduto da un tempo indefinito ed aprii la porta che dal sul terrazzo del appartamento.
Uscii e l’aria della notte mi accarezzo gentilmente, segno che la primavera era ormai alle porte. Poggiai entrambe le mani sulla ringhiera del balcone, guardando di sotto.



“Devi riuscire a dare un’occhiata alla sua agenda personale” sussurrai “Tu conosci Margaret, la sua segretaria, non dovrebbe esserti difficile avvicinarti a lei. Puoi farlo?”
Victoria annuì lentamente, senza togliere le mani da davanti la sua bocca “Certo che posso farlo …” rispose e i suoi occhi divennero estremamente lucidi “Sei stato via due mesi e adesso vieni licenziato è ingiusto”si passò una mano tra i folti ricci rossi, guardando incredula un punto indefinito della stanza.
“Ascoltami bene. Credo che Caius sia coinvolto nella storia del riciclaggio di denaro sporco di Harrison Norton” mormorai e lei strabuzzò gli occhi.
“Il signor Norton è innocente!” affermò con una nota di confusione nella voce. Mi tornarono in mente le parole di suo figlio Eric riguardo alla cattura di Roxanne: Nessun padre normale, lascerebbe sua figlia nelle mani di criminali pericolosi ma lui l’ha fatto.
“Ho il presentimento che quei due siano più amici di quanto lascino intendere. Trova la sua agenda e vedi se ci sono stati degli incontri tra i due negli ultimi tempi” annuì velocemente e questa volta con più convinzione.
“Se dovessimo scoprire qualcosa di stano o di sospetto, cosa faremo?” domandò preoccupata
Alzai le spalle “Vediamo prima di trovare qualcosa”



Erano passati due giorni da quando ero stato buttato fuori dallo studio. Avevo ricevuto i soldi della liquidazione che non sarebbero bastati neanche a comprare una porta dell’attico che avevamo scelto. Il mio licenziamento non era in programma, avrei dovuto sbrigarmi ad aggiustare le cose prima che Bella potesse sospettare qualcosa. Avevo continuato ad andare in ufficio grazie al fatto che Caius fosse fuori città e che nessuno allo studio era venuto a conoscenza dell’accaduto almeno per adesso. Victoria non era riuscita a trovare niente di rilevante nell’ agenda rubata a Margaret, niente di strano se non appuntamenti. Avevo iniziato a pensare di lasciar perdere tutto e di ignorare quella parte di me che credeva nella colpevolezza di Caius. Ma pensandoci a mente lucida, non volevo.
Forse perché sarebbe stato molto più facile dire a Bella che il padrone dello studio fosse stato arrestato per frode che dirle di esser stato licenziato. Si sarebbe preoccupata a dismisura ed io non volevo. Aveva già abbastanza a cui pensare ed io non le avrei passato anche i miei problemi.

Se non avessimo comprato quella casa, con i soldi che possedevo in quel momento avremmo potuto vivere tranquillamente per tre o quattro anni ma non volevo assolutamente che nessuno disturbasse il nostro sogno di essere una famiglia felice.
Raccolsi dalla tasca della tuta il mio Blackberry e rilessi il messaggio che mi era arrivato qualche ora prima quando ero a cena con Bella:

“Credo di aver trovato qualcosa. V.”


“Edward ma sei impazzito?” la voce assonnata di Isabella mi arrivò alle orecchie ed io mi voltai, riponendo il cellulare all’interno della tasca. Era incredula, con una mano ancora appoggiata alla maniglia della porta. “Cosa ci fai qui fuori in piena notte?” domandò seguita da un adorabile sbadiglio.
Sorrisi accorciando le distanze tra di noi e cingendole le spalle in un abbraccio. Sfregai delicatamente una mano conto la sua schiena infreddolita “Non riuscivo a prendere sonno” risposi richiudendo con attenzione la porta alla nostre spalle.
Bella mi guardò sospettosa grattandosi l’ammasso di capelli arruffati che le si era venuto a creare in testa “Qualcosa ti turba Edward?” domandò seria sforzandosi di aprire gli occhi assottigliati per via del sonno.


“Va tutto bene, non riuscivo a dormire” risposi ancora cercando di sembrare credibile. Odiavo mentirle. Non smise di fissarmi con quel suo buffo sguardo fra l’indagatore e l’assonnato. “Hai intenzione di metterti a fare il detective? Con quel pigiama non sei molto credibile” scherzai e lei si guardò per un attimo il pigiama a blu con le paperelle gialle che indossava.
Sospirò, poi, prendendomi per mano “ Perché siamo in piedi alle quattro del mattino? Torniamo a letto”

 

**** *** ****


Se Bella avesse scoperto che le stavo mentendo ancora quella volta non avrei potuto cavarmela con delle semplici scuse. Lo sapevo e per questo dovevo risolvere quella situazione al più presto possibile.
Victoria era trepidante di dirmi cosa aveva scoperto, lo si capiva dal modo in cui continua a muoversi sulla sedia della caffetteria nel quale eravamo entrati.
La giornata era bellissima, il sole era tanto forte da sembrare quello di una giornata estiva. Bevemmo entrambi un lungo sorso del nostro espresso, riprendendo la concentrazione “L’agenda era completamente inutile” sussurrò giocherellando con il manico della sua tazza di caffè. Piegai la testa di lato incoraggiandola a continuare.
“Ieri ci ho riprovato e sono andata, con una scusa nuovamente da Margaret. Era agitata”

Alzai lo sguardo colpito dalla sua affermazione “Cosa intendi?”
“Non lo so, so solo che non riusciva a distogliere lo sguardo dallo schermo del computer” mormorò seria, abbassando la voce di qualche tono.
“Sei riuscita a vedere cosa stesse facendo?”domandai speranzoso, ricordandomi del messaggio che mi aveva mandato la sera precedente.
Scosse la testa “No, mi è stato impossibile avvicinarmi così tanto a lei … ” sospirai sconfitto ma lei continuò “Ho aspettato che si allontanasse per fare una pausa e ho copiato su cd tutto quello che ho potuto”
Sorrisi compiaciuto dall’efficienza e dal coraggio della ragazza davanti a me, era l’unica persona sulla quale potevo appoggiarmi. Victoria si voltò alle sue spalle recuperando la borsa appoggiata alla sedia e dal suo interno recuperò il cd di cui stava parlando “A casa gli ho dato un’occhiata e credo di aver trovato qualcosa di interessante”
Non mi mossi, rapito dal suo racconto “Cosa hai trovato?”
Poggiò le braccia sul tavolino, sporgendosi verso di me e ricominciando a parlare a bassa voce “In una delle cartelle, c’è un accenno ad un contratto – si portò una ciocca ribelle dietro l’orecchio – Il Volterra e ogni singola banca di Harrison sono legate” aggrottai la fronte “Mi spiego meglio. Se Harrison dovesse essere arrestato o addirittura morire tutto il suo patrimonio andrebbe a Caius e la stessa cosa succederebbe a Harrison se capitasse qualcosa a Caius. Credo stiano proteggendo qualcosa che non vogliono esca fuori”

Mi rigirai il dischetto tra le mani pensieroso. Questo è il momento giusto per tirarti indietro, pensai. Se mi fossi immischiato ancora poi non sarei più riuscito ad uscirne.
Volevo continuare a cercare? Si.
“Devo trovare quel contratto” mormorai alzandomi e lasciando delle banconote sul tavolino. Victoria mi guardò alzandosi a sua volta “Potrebbe essere a casa di uno di loro. Potrei andare a dare un occhiata” propose chiudendo con cura i bottoni della giacca.
Scossi la testa “No, ci penserò io per adesso tu smettila di fare ricerche” non volevo metterla in difficoltà più di quanto non avessi già fatto.

Aprii la porta di quel locale, facendole cenno di uscire. Mi guardò per un attimo per poi avviarsi seguita da me verso l’uscita. “Sei sicuro che non ti serva più il mio aiuto?” domandò una volta fuori.
“Se avessi bisogno di te ti chiamerò, so che posso fidarmi di te” risposi fermandole un taxi. L’auto si accostò al marciapiede e Victoria si voltò verso di me.
“Perché lo stai facendo?” domandò fermandosi “Perché adesso e non prima?”
“Perché è quello che avrei dovuto fare dall’inizio. Ho sempre avuto il presentimento che qualcosa non quadrasse e credo che questo licenziamento sia come una specie di punizione per aver finto di non vedere. Ora cercherò di rimediare, perché se Harrison è realmente colpevole vuol dire che è colpa mia se non è dietro le sbarre”
Sorrise baciandomi inaspettatamente una guancia “Isabella è molto fortunata ad averti”
Feci un passo di lato, scostandomi leggermente da lei. Sorrisi cortese, aprendole la portiera della vettura. “Grazie, a presto”
Salì in auto senza distogliere gli occhi dai miei “Ciao Edward”

Una volta rimasto solo, mi passai una mano fra i capelli. Sospirai dirigendomi verso la mia auto. Sarei andato fino in fondo in questa storia e per farlo dovevo prima di tutto parlare con una persona che sapesse molto più di quanto dichiarasse:
Eric.









 

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Capitolo 28
*** 28Capitolo ***




Capitolo 28





 

 





 

“Che cosa vuoi Edward?” la voce debole e infastidita, il viso smagrito, pallido e lo sguardo assente, contornato da delle profonde occhiaie scure.
 Così, Eric si presenta alla porta alla quale avevo bussato ma dopotutto provai comunque uno stano sollievo nel vederlo.
. Non rispondeva alle mie chiamate, non ero sicuro che arrivando lì qualcuno mi avrebbe aperto. Durante il tragitto verso la sua abitazione avevo sperato di trovarlo in casa e non in viaggio, alla ricerca della sorella. Avevo guidato senza speranze, eppure ora era davanti a me.
“Devo parlarti” mormorai diretto. Chiedergli come si sentisse sarebbe stato stupido e lo conoscevo abbastanza da sapere che lo avrebbe solo infastidito.
“Non abbiamo niente da dirci” rispose richiudendo la porta.
 
Trattenni il fiato, stupito ma poi inspirai a fondo attaccandomi al fatto che stesse soffrendo e che anch’io al suo posto non avrei voluto vedere nessuno.
Indugiai qualche secondo per poi poggiare nuovamente il dito sul campanello. Attesi ancora prima di bussare direttamente sulla porta, la pazienza era l’ultima dei miei pregi. La porta si aprì nuovamente, mostrandomi il volto arrabbiato di Eric che però si spostò di lato facendomi cenno di entrare.
 
 
“Vuoi?” Eric mi porse un pacchetto di sigarette semivuoto, allungando la mano verso la mia direzione. Scossi energicamente la testa spostando lo sguardo verso un punto indefinito della stanza.
Ridacchiò “Come sta Isabella?” domandò ironico ed io alzai le spalle guardandomi intorno. Il suo appartamento non era per niente in buone condizioni, c’erano abiti, involucri di cibo vuoti e ritagli di giornali dappertutto. Spostai quella che sembrava essere una camicia e mi sedetti sul divano mentre lui rimase in piedi.
“Che cosa devi dirmi?” sussurrò improvvisamente, spegnendo la sigaretta appena accesa direttamente sul tavolino di cristallo.
Lo guardai attentamente sentendomi completamente fuori luogo, come se non fossi dovuto venire a disturbare il suo dolore.
“Da quanto tempo è che non dormi?” sussurrai a mia volta, quasi a non voler disturbare la quiete intorno a noi.
Si passò una mano fra i capelli leggermente lunghi e poco curati prima di sprofondare in una delle poltrone di fronte a me  “Cosa vuoi Edward? Dimmelo e togliti dai piedi” mormorò accendendosi un’altra sigaretta. Le sue mani avevano cominciato a tremare, come se stesse cercando con tutto se stesso di non distruggere tutto ciò che lo circondasse.
 
L’aria in quella casa era irrespirabile, soffocante per via del fumo, tentai di ignorare la sensazione asfissiante che mi provocava concentrandomi sul mio amico.
“Sono convinto che tuo padre e Caius abbiano messo su qualche affare poco pulito”
In un attimo il pesante silenzio che alleggiava nell’appartamento fu interrotto da una sua risata isterica. “Ti ci sono voluti dei mesi per capirlo? Non è una buona cosa per un avvocato. Mio. Padre. è. scappato. Sveglia amico, Harrison Norton non è mai stato un tipo pulito non ci vuole tanto per capirlo. Se una persona è pulita non sparisce lasciando la figlia in mano a dei pazzi.” Lo guardai contorcersi sulla poltrona, paziente, sapendo che quello davanti a me non fosse per nulla il ragazzo che conoscevo e che anche se stesse ridendo in quel momento il suo cuore era a pezzi.
Sospirai continuando “Sei a conoscenza di qualche genere di rapporto lavorativo fra i due?” domandai.
 
Si bloccò ritornando serio e sistemandosi composto “Sei venuto qui per questo? Saresti potuto andare per strada e fare la stessa domanda a un passante. Tutti sanno che sono amici, tranne te” rispose provocatorio.
Fece una pausa, pensieroso “… e comunque i loro affari non m’interessano, ho già controllato e Caius non sembra centrare con il rapimento di mia sorella” abbassò velocemente lo sguardo, scosso forse da un ricordo.
“Sei al corrente del contatto che hanno stipulato?” domandai attirando la sua attenzione “Se a uno dei due succede qualcosa all’altro spetta un mucchio di soldi”
Si passò una mano fra i capelli “Spiegati meglio, per favore” sussurrò stremato ed io annuii, toccato dal suo nuovo tono di voce.
“I loro patrimoni sono legati, se uno dei due muore o viene arrestato, l’altro prende tutto” aggiunsi allentandomi il nodo della cravatta e ripetendo esattamente le parole di Victoria.
“È una cosa impossibile, io e Roxy siamo gli unici eredi della fortuna di mio padre. Ne sono sicuro, ho letto il suo testamento una volta” mormorò alzandosi.
“Victoria ha copiato alcune cose dal computer della segretaria di Caius” mormorai cercando nell’interno del mio cappotto. Trovai il cd, mostrandoglielo un attimo per poi appoggiarlo sul tavolino, accanto ad una bottiglia vuota di vino. “Non sono ancora riuscito a controllarlo” aggiunsi.
Eric alzò lo sguardo, scocciato “Non ho più un computer, non posso controllare un bel niente. lei è sicura di quello che ha visto?” domandò ma non mi diede il tempo di rispondergli che si alzò lasciandomi solo in quell’enorme soggiorno.
 
Aggrottai la fronte, prima di pensare bene di approfittare del fatto che si fosse allontanato per aprire una delle finestre. Mi alzai velocemente e feci come progettato. L’aria fresca ravvivò ai miei polmoni, asfissiati da quell’appartamento chiuso che li aveva imprigionati, inspirai ed espirai per molte volte non sapendo quando mi sarebbe ricapitata quell’occasione.
“Cosa diavolo stai facendo? Chiudi quella finestra.”
Appunto.
Mi voltai, pronto ad elencargli tutti i buoni motivi per cui quella casa dovesse prendere aria ma mi bloccai, stupito. Si era cambiato.
Indossava una felpa scura, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica.
Venne verso di me chiudendo la finestra al mio posto “Andiamo a trovare uno dei commercialisti di papà. Lui ci dirà tutto quello che sa” mormorò guardandosi intorno.
Lo osservai in silenzio mentre recuperava le chiavi della macchina dal pavimento per poi  infilarsi gli occhiali da sole. Si avviò verso la porta prima di voltarsi verso di me “Vieni o mi aspetti qui?”
“Credi che possa darci delle risposte?” domandai a mia volta e lui annuì fiducioso.
“È praticamente uno di famiglia, qualunque cosa riguardi il lavoro di Harrison lui la sa” rispose ed io lo raggiunsi, uscendo a mia volta.
“Aspetta, ho dimenticato una cosa” disse riaprendo casa sua, aspettai con un piede già in ascensore quando lui ritornò con in mano una mazza da baseball.
Lo fissai sconcertato e lui se ne accorse “Ci sono sempre dei paparazzi fuori, così è meglio portare questa per liberare il passaggio”
Sospirai, stappandogliela di mano e gettandola per le scale del pianerottolo“Tu hai perso completamente la ragione” mormorai scuotendo la testa.
 
 
Se Alice avesse visto la Porsche che Eric possedeva se ne sarebbe innamorata. Non ero mai stato un fan di quel genere di auto ma quella era uno spettacolo per gli occhi.
Color grigio metallizzato e lucida come se fosse appena uscita da un auto salone. Le forme sinuose che la rendevano estremamente elegante senza perdere però un non so che di aggressivo che toglieva il fiato.
Voglio comprarmi una Porsche.
Uno stupido pensiero, per uno che non ha neanche un lavoro.
Eric partì ed io mi persi nuovamente nei miei pensieri. Che cosa avrei fatto dopo? Se fossimo riusciti a trovare delle risposte, se li avessimo fatti arrestare e confessare io cosa avrei fatto dopo. Bella sarebbe venuta a conoscenza di tutto a quel punto, avrei dovuto darle delle spiegazioni ma in quel momento non mi andava di pensarci.
“Ti avevo detto che ci sarebbero stati i giornalisti” mormorò ed io guardai davanti a me capendo a cosa si riferisse. “Sono sempre qui, credo che dormano anche qui sotto” le porte del garage si aprirono e migliaia di flash ci colpirono violentemente.
Abbassai leggermente lo sguardo capendo il perché indossasse degli occhiali da sole, alcuni giornalisti si avvicinarono alla macchina provando inutilmente di parlare con lui. Mi tornarono in mente i giorni trascorsi in ospedale, avevo sperimentato sulla mia pelle l’ossessività e la mancanza di tatto dei giornalisti a caccia di notizie ma in quel momento era decisamente peggio.
Eric continuò ad avanzare rischiando più di una volta di investirne alcuni ma a loro non sembrava interessare per niente.
 
“Ora capisco in perché della mazza” mormorai quando dopo alcuni minuti fummo finalmente in strada.
“È sempre così, ho smesso praticamente di uscire da settimane per colpa di quei bastardi” abbassò il suo finestrino per poi accendersi  l’ennesima sigaretta. Per un attimo fu come rivedere me stesso qualche anno prima.
Viaggiammo senza più dire una parola a me piaceva il silenzio, era stato mio compagno per molto tempo.
 
 
Arrivammo in quello che molti newyorkesi definivano piani alti: l’Upper East Side.
Un quartiere tanto chic quanto caotico e movimentato. Eric scese dalla macchina senza dire nulla, io lo seguii pregando di non intravedere altri giornalisti.
Entrammo in quello che all’apparenza sembrava un classico albergo per ricconi con mobili classici, scuri, laccati e lucidi. Invece l’insegna lo presentava come lo studio di Samuel Millis.
La segretaria della hall ci guardò quasi inorridita, soffermandosi più volte sull’aspetto malridotto del mio amico. “Posso fare qualcosa per voi?” domandò cortese.
Sorrisi ma la sua attenzione fu catturata da un’altra cosa, seguii il suo sguardo intravedendo la figura di Eric in lontananza.
 Come aveva fatto ad allontanarsi senza che me accorgessi?
Cercai di raggiungerlo, seguito naturalmente dalla giovane segretaria che non intendeva affatto perdere il suo lavoro.
 
 Eric raggiunse quello che doveva essere lo studio del notaio e senza esitazione aprì la porta. In pochi secondi fummo tutti li dentro. “Signor Millis non sono stata io ad autorizzarli ad entrare hanno fatto tutto senza il mio permesso” si giustificò la ragazza ma l’uomo non sembrò prestarle molta attenzione. “Non fa niente, va pure Eleonore. È tutto sotto controllo” mormorò ed Eleonore se ne andò lanciandoci prima un occhiataccia. Sorrisi appena, quando sentii il suo nome ma poi ritornai alla realtà.
“Ciao Eric” mormorò l’uomo. Avrà avuto sui quarant’anni, occhi di un nero intenso, fine, almeno nell’abbigliamento. “Come stai?” domandò pacato senza però ricevere alcuna risposta.
Il suo sguardo si posiziono poi su di me “Se la memoria non mi inganna lei invece è Edward Cullen, giusto?” annuii sconcertato che conoscesse il mio nome e lui si alzò venendomi incontro e stringendomi la mano.
“Ero alla festa di Harrison l’Ultimo dell’anno ma non ci siamo presentati” specificò “… e ho seguito tutta la faccenda contro i fratelli Enko e sono felice che adesso tu stia bene, quella gente …”
“Finiamola con le stronzate” Eric si intromise, avvicinandosi “Non te ne frega un cazzo di lui e noi non siamo qui per sentirti dire cose inutili” l’uomo lo guardò paziente, come se lo conoscesse da tempo.
 
Eric gli mostrò il cd che gli avevo precedentemente dato “Qui dentro c’è qualcosa alla quale devi darmi delle spiegazioni” l’uomo lo guardò disorientato prima di raccoglierlo tra le mani.
Sospirò avvicinandosi alla sua scrivania e dopo aver astratto un portatile dal cassetto, inserì il dischetto. Io ed Eric ci posizionammo alle sue spalle per poter vedere meglio. Samuel aprì quasi tutte le cartelle velocemente, saltandone appositamente una. “Torna indietro” mormorai e lui alzò lo sguardo verso di me “Torna indietro ho detto” il tono più deciso lo convinse. Esitante fece come richiesto e come previsto il contratto riempì letteralmente lo schermo.
“Che cos’è quello?”  domandai.
“Non lo so” rispose agitato, cercando inutilmente di mascherarlo.
“Ci hai preso per dei bambini? Leggo il tuo nome in fondo alla pagina, sei stato tu a fare il contratto” ringhiò Eric.
Sospirò “Non sono autorizzato a parlartene, mi dispiace” mormorò.
 
 Fu un attimo, Eric portò una mano dietro la sua schiena estraendone un pistola. La puntò verso di lui “Non sei ancora autorizzato adesso?” domandò ironico ed io mi irrigidii.
“Eric, abbassa quella pistola” sussurrai inorridito e lui mi guardò per un secondo per poi ritornare sul notaio che intanto aveva cambiato colore dalla paura. “Così non risolveremo un bel niente, ci faremo solo arrestare” insistetti.
Mi ignorò completamente “Parlami di quel contratto” ordinò.
L’uomo deglutì “Risale a cinque anni fa. Tuo padre mi chiese di portare su contratto un patto che aveva stipulato con … Caius Volterra.”
Sospirai, sapevo che centrasse qualcosa.
“Continua. Voglio sapere da dove vengono quei soldi” intimò ancora.
“Non lo so, io ho scritto solo il contratto” rispose passandosi una mano sulla fronte sudata.
“Ti ho già detto che non devi mentire” disse premendo la canna della pistola contro la sua testa. “Sono più che sicuro che non riguardino i soldi del suo patrimonio bancario, ho letto il suo testamento”
“Senti Eric, io non so veramente che cosa faccia il signor Norton. Io sono un semplice …” non finì di parlare che fu colpito in pieno volto.
 
Contrassi la mascella, bloccando il braccio del mio amico, prima che lo colpisse nuovamente “Ora basta” urlai “Stai esagerando”
“Non sono i soldi del patrimonio, sono di un altro conto. So solo questo, non farmi del male, ho famiglia” balbettò il notaio coprendosi la parte lesa del viso.
“Non sa niente, ora basta”
Si scansò da me, sciogliendo la presa per poi tirare un calcio ad una delle poltrone vicino alla porta. Samuel sobbalzò ancora impaurito quando Eric puntò ancora la pistola verso di lui. “Giuro che vengo a trovarti ancora se racconti a qualcuno di questa visita” ringhiò.  “Andiamo” mormorò poi voltandosi.
 
Uscimmo dallo studio a passi veloci, come se dovessi fuggire dopo aver commesso una rapina mal riuscita. Sentii la rabbia crescere dentro di me quando finalmente fummo all’esterno. “Che cos’era quello?” urlai e lui si voltò alzando le spalle.
“Rilassati la pistola è scarica” rispose pacato.
“La pistola era scarica? È l’unica cosa che riesci a dirmi? Hai appena minacciato un uomo …”
“Farò tutto quello che è in mio potere per ritrovare mia sorella, se non sei d’accordo  con i metodi che uso sei libero di andartene” rispose adirato.
Ingoiai tutte le cose che gli avrei urlato in faccia, ricordandomi di non essere venuto con la mia auto. Eric mi guardò attentamente per poi ammorbidire i muscoli del viso.
“Non litighiamo, per farmi perdonare ti lascio guidare la mia macchina”
 
 
“Credo proprio che tu ti sia messo nei guai comunque” mormorò improvvisamente senza togliere gli occhi dalla strada. Alzai lo sguardo senza capire a cosa si riferisse “Caius, intendo. Il signor Millis lo avviserà sicuramente e tu a quel punto sarai nei guai”
Accennai un sorriso “Già, potrebbe addirittura licenziarmi” risposi ironico. Fece per rispondere per poi zittirsi. Mi guardò velocemente, prima di accostare la macchina e guardarmi incredulo. “Ora capisco! Ti ha licenziato per questo sei qui, bastardo”
 “Perché ti sei fermato? Così blocchi il traffico” guardia fuori dal finestrino, dove una folla di auto si era bloccata, dopo il suo accostamento improvviso.
“Perché ti ha licenziato? Non cambiare argomento” assottigliò lo sguardo, curioso e in quel momento intravidi il vecchio ragazzo allegro e strafottente che conoscevo.
“Incompatibilità …” scherzai e lui alzò gli occhi al cielo “Abbiamo avuto delle semplici divergenze, tutto qui.” Aggiunsi serio.
“Che genere di divergenze?” domandò ancora ed io sbuffai “Ora vuoi sapere troppo, ragazzo. Zitto e guida”
Accennò un sorriso, accendendosi una sigaretta e ricominciando a guidare “Quindi adesso stai cercando un altro studio dove esercitare, giusto?” chiese.
Mi passai una mano fra i capelli “Non ancora, ma credo che qualche studio mi accetterà. Sono bravo e bello” scherzai.
“A quando la nascita di tua figlia?”
Lo guardai per un attimo capendo il reale significato di quella domanda. Come cavolo pensi di occuparti di una bambina in arrivo se non hai un lavoro? “Manca poco, meno di un paio di mesi. Dovrebbe nascere verso gli inizi di maggio” risposi.
 
 
Arrivammo infine nuovamente davanti al suo appartamento e dopo esserci accurati della mancata presenza dei giornalisti varcammo la soglia del suo garage.
Scendemmo e sentii un cellulare squillare. “Non è passata neanche un’ora da quando abbiamo lasciato lo studio di quel figlio di puttana e guarda …” mi mostrò il suo cellulare dove lampeggiava un numero sconosciuto.
“Scommetto cento dollari che è Caius” mormorò richiudendo la sua auto.
Non mi mossi, in attesa che rispondesse. L’idea che Caius potesse raggiungerci così velocemente, non mi aveva neanche sfiorato.
Eric portò il cellulare all’orecchio “Chi parla?” domandò ed io sorriso che aveva sulle labbra si spense improvvisamente.
“… papà”
Mi avvicinai a lui velocemente, cercando non so quale contato. Il suo respiro accelerò rapidamente, strinse il piccolo apparecchio che teneva fra le mani in una morsa d’acciaio .
“Dove sei? Hanno preso Roxanne, tua figlia. Ti ricordi di lei, bastardo?” fece una pausa e il suo viso cambiò completamente colore. “Non …. Devi tornare adesso!”
all'improvviso lancio il cellulare in una parte indefinita del garage. “Che ti ha detto?”
Si passò le mani sul viso reprimendo un urlo. Mi guardò per un attimo prima di voltarsi e tirare calci alla sua auto.
 
 


BELLA
 
“Ci facciamo prendere troppo dall’ansia, dovremmo entrambe fare una vacanza” mi bloccai, sbalordita dalla sua proposta. Strabuzzai gli occhi incredula.
“Angela, sei ubriaca per caso?”domanda sdraiandomi completamente contro lo schienale del divano. Sospirai, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
 
Guardai l’’orario sullo schermo del portatile che avevo sulle gambe e un altro sospirò fuoriuscì dalle mie labbra.“Non sono ubriaca, è solo che non ne posso più di stare chiusa in casa a studiare. Mi sto lentamente deprimendo” la sua voce dall’altra parte della cornetta mi arrivava realmente esausta e scocciata.
“Una vacanza non sarebbe comunque l’ideale in questo periodo per me. Penserei comunque alla mia laurea quindi non sarei di compagnia” mormorai.
“Stai bene? Hai una voce insolita questa sera”
 
Chiusi gli occhi per un attimo quando sentii un calcio al basso ventre. “Bella?”
Ispirai a fondo, recuperando fiato “Sono sicura che Eleonore giocherà a calcio quando sarà grande” sussurrai appena massaggiandomi il pancione.
Ridacchiò “La piccoletta ti prende a calci” constatò divertita ed io annui come se potesse vedermi. “Lo fa sempre più spesso ormai”
“Edward giocava a basket, lo sport scorre nel suo sangue” sostenne divertita.
“Preferirei che prendesse a calci lui” proposi.
“Dici così perché …” lasciò la frase a metà, incitandomi a parlare.
Scossi la testa, prima di passarmi una mano sul viso. Non risposi.
“Bella … avete litigato, per caso?” domandò preoccupata.
Sospirai “No, anzi non siamo mai andati così d’accordo come in questo periodo”
“Ma …”
Chiusi il portatile con un scatto “Non c’è un ma. Sono solo stanca Angela, è tardi e voglio andare a letto” risposi.
Passò qualche secondo prima che rispondesse “D’accordo. Ci vediamo domani al campus”
Mi alzai dal divano “Si, ok a domani” non aspettai una sua risposta che interruppi la telefonata.
 
Andai in cucina, dove bevvi un bicchiere d’acqua. Malgrado non volevo minimamente pensare a Edward, il mio sguardo non faceva altro che cadere sull’orologio appeso alla parete. Avrei voluto non curarmi affatto di tutto ciò che lo riguardasse.
Lui non sembrava curarsi di me o di tutto ciò non fosse il suo lavoro.
Era tardi, aveva il telefono staccato e da lui neanche una telefonata.
Poggiai il bicchiere nel lavandino e mi diressi verso la camera da letto dove  sprofondai tra le coperte.
 

 

 
Fui svegliata bruscamente da degli strani rumori provenienti dal bagno. Aprii gli occhi di scatto e la luce, che avevo lasciato volontariamente accesa, mi costrinse a richiuderli. Li riaprii lentamente, cercando sul comodino alla mia destra un elastico con il quale legai i capelli. L’orologio segnava quasi mezzanotte.
Mi alzai dirigendomi verso il bagno, pronta a sputare su Edward tutte le cattiverie che in quel momento mi passavano per ma testa.
“Dove diavolo …” mi bloccai un volta arrivata in cucina, preoccupazione e rabbia mi invasero completamente quando si girò verso di me con in mano un panno insanguinato.
“Che cosa ti è successo?” domandai avvicinandomi, per esaminare meglio le sue condizioni.
 
“Non è niente” si affrettò a dire, guardandosi attraverso lo specchio di fronte a lui.
Sospirai voltandomi verso il mobile alle mie spalle per recuperare il necessario per disinfettarlo.
Cercai di sfiorargli la parte lesa e lacerata da un profondo taglio ma lui fece un passo indietro dolorante. “Ho un po’ di cose da dirti” mormorò.
Annuii mordendomi il labbro e trascinandolo verso il bordo della vasca da bagno, era troppo alto e se non si fosse seduto non sarei mai riuscita a medicarlo.
“Mi arrabbierò, non è vero?” la mia non era una domanda ma una constatazione, eppure lui distolse lo sguardo. Tamponai, con del cotone, leggermente sotto il suo labbro e lui fremette.
“Eric è di là, in soggiorno” mi informò cauto, accarezzandomi leggermente un braccio. Mi bloccai, sorpresa e lui fermò la mano con la quale lo stavo disinfettando.
Si alzò e chiuse accuratamente la porta del bagno in cui eravamo “So già che quello che sto per dirti non ti piacerà affatto ma voglio che tu sappia che ogni cosa è sempre stata fatta in buona fede”
Incrociai le braccia infastidita dal suo giro di parole “Che diavolo sta succedendo e perché Eric è qui?” lo sollecitai stizzita.
 
Fece qualche passo verso di me, sovrastandomi completamente con la sua statura ed io dovetti alzare lo sguardo per guardarlo negli occhi “Harrison e Caius hanno collaborato con le organizzazioni criminali russe per anni e noi ci siamo sbagliati”
Alzai gli occhi al cielo: Perché doveva essere sempre tutto così complicato?
 
“Io e d Eric abbiamo fatto visita ad uno dei notai del padre per via di un contratto che Victoria ha scoperto” il suo tono di voce si affievolì, consapevole di quanto mi infastidisse la suadolce-segretaria-senza-secondi-fini .
“Siamo andati lì la prima volta, senza riuscire a fargli dire niente di significativo ma al ritorno Eric ha ricevuto una telefonata da suo padre che gli a chiesto di stare fuori dalle cose che non gli riguardano.”
“Ha parlato a suo padre?” domandai incredula e lui annuì.
“Consapevoli del fatto che fosse stato il notaio ad avvisarlo, siamo ritornati da lui. L’abbiamo visto uscire dal suo ufficio di corsa e circondato da delle guardie, Eric è impazzito e ha cercato di aggredirlo così ho dovuto evitare che lo uccidessero ed ecco spiegato questo” indicò il suo taglio, che non aveva ancora smesso di sanguinare.
Presi dell’altro cotone, passandoglielo “Perché non mi hai telefonata? Il tuo cellulare era staccato” gli ricordai.
 
“Si è sfasciato, è caduto quando ho cercato di tirare mia quell’idiota dalla rissa. Ho dovuto portarlo qui perché in questo momento avrebbe in coraggio di ritornare una terza volta da quell’uomo e saltargli addosso per scoprire la verità”
 Il nome di Roxy fu l’unica cosa che capii in tutto quel discorso e un brivido invase la mia schiena al ricordo del suo viso, non dissi nulla, oltrepassai Edward e mi diressi verso il soggiorno. Era troppo tardi per chiedere informazioni,  ne avremmo riparlato  il mattino seguente.
 
Appena uscita dal bagno sentii crescere velocemente la nausea, storsi il naso non capendo cosa la provocasse, fino a quando non incrociai il viso di Eric.
“Ti avevo chiesto di non fumare in casa” Edward alle mie spalle catturò la sua attenzione, facendogli alzare lo guardo.
“Ciao Isabella” accennò un sorriso forzato, aspirando dalla sua sigaretta l’ultima volta per poi spegnerla nel bicchiere d’acqua davanti a lui “Scusami”
Scossi la testa “Non fa niente. Come … come stai?” domandai incerta e vidi gli angoli della sua bocca curvarsi in una strana smorfia.
“Uno schifo” rispose mettendomi in difficoltà. A quel genere di domanda la gente tendeva, in ogni occasione, ad aspettarsi una risposta positiva e non quello che avevo appena ricevuto. Aveva l’aspetto di un barbone depresso se l’avessi osservato prima, sarei riuscita ad evitare di fargli una domanda così stupida.
 
Non mi mossi, rimasi in piedi, sentendomi in imbarazzo. Edward mi passò davanti per poi andare ad aprire il frigorifero e tirare fuori gli ingredienti per prepararsi un panino. Gli lanciai un occhiataccia e lui aggrottò la fronte perplesso.
Il giorno seguente l’avrei ucciso!
 
“È stato Edward a costringermi a venire quì” mormorò Eric ed io mi voltai verso di lui “Sarei andato a casa mia ma lui non ha voluto” alzò le spalle fissando intensamente il bicchiere davanti a se.
“Puoi rimanere quanto vuoi, non è un problema per noi. Vero amore?” Edward parlò per entrambi, prima di addentare il panino appena preparato. Annuii cercando di essere il più convincente possibile e nello stesso tempo sperai che si strozzasse.
Avrei accettato comunque che venisse da noi ma avrei apprezzato almeno che me lo avesse chiesto prima, invece di avvisarmi già a decisione presa.
Un moto di fastidio iniziò a crescermi dentro, sospirai “Sarà meglio che prendiate dei cuscini, così starete più comodi” calcai appositamente la frase, facendo capire a Edward che la sua compagnia era l’ultima cosa che desideravo in quel momento. Preferivo stare sola, non volevo ne dovevo agitarmi e se fossimo rimasti soli avremmo finito per discutere.
“Buona notte” Non lo guardai , mi voltai lentamente dirigendomi in camera da letto.

 

 **** *** ****


Il mattino seguente mi sveglia con un forte mal di testa, come se avessi passato la notte a dare testate contro il muro. La casa era silenziosa.
Guardai l’altra metà del letto, trovandola intatta. Malgrado fossi stata io a chiedergli di starmi lontano, l’idea che lui non avesse neanche tentato di avvicinarsi mi provocò una morsa al cuore. Mi alzai e andai a verificare se fossi sola in casa o se stessero dormendo.
Nessuno, la casa era vuota e il salotto in ordine, come se non fossero neanche stati lì la notte precedente. Per un attimo pensai seriamente di essermi sognata tutto ma poi notai in cellulare sfasciato di Edward sul tavolino e tutto tornò chiaro.
Mi guardai intorno, per vedere se mi avesse lasciato un biglietto ma come al solito avevo preteso troppo.
 
Erano le otto e mezza; sarei dovuta andare all’università per un incontro con il professor Green. Erano quasi tre mesi che non mettevo piede in quel posto, esattamente dal giorno dell’incidente di Edward. Cercai di non soffermarmi su quel ricordo e mi preparai per la giornata.
Dopo essermi fatta una doccia rilassante ed essermi preparata, mi resi conto di non essere affatto in condizione di guidare.
La testa mi girava, sentivo gli occhi pesanti e vampate di calore mi inondavano continuamente.
Mi sistemai sul divano, recuperando il cellulare dalla mia borsa e componendo il numero di Angela.
“Pronto?” non ci mise molto a rispondere.
“… Angela, sono Bella” mormorai.
Ridacchiò “Lo so, ho il tuo numero memorizzato da quasi quattro anni” rispose ovvia.
“Potresti venire a prendermi, non credo che sia il caso di mettermi al volante”
“Perché sei ubriaca per caso?” scherzò ed io accennai un sorriso.
“Non mi sento bene e Edward è già uscito” risposi.
“Vuoi che ti porti in ospedale” domandò ansiosa.
Sospirai “No, no sto bene, voglio solo che mi porti al campus”
“Sicura?”
“Vieni a prendermi”
 
Fece come le dissi, mi venne a prendere e dopo aver passato venti minuti nell’assordante traffico newyorkese, arrivammo.
Ritornare alla Columbia fu strano, solo in quel momento mi resi conto di quanto mi fosse mancata. La vita da universitaria era facile a confronto a tutte le cose che mi erano capitate in quel periodo.
“Hai il viso in fiamme”
Mi volta, incrociando il volto preoccupato della mia amica.
Mi passai una mano fra i capelli “Credi che il professor Green si già in aula? Devo assolutamente farmi correggere la tesi” risposi sviando il discorso.
Guardai altrove bevendo un sorso dalla bottiglina di acqua che avevo comprato in una caffetteria. Sarei andata dritta dal professore e poi sarei ritornata a casa. Dovevo solo resistere un paio d’ore. Se non fossi venuta avrei dovuto attendere troppo tempo prima di poter incontrare nuovamente il professore e giugno si stava avvicinando.
“Cavolo, devo andare a spostare la macchina” sussurrò infastidita “Certe persone non sanno affatto guidare ma hanno lo stesso una patente”
Vidi la macchina parcheggiata dietro a quella di Angela in difficoltà, non riuscendo ad uscire dal parcheggio “Va, io ti aspetto qui” sussurrai e lei mi fissò per qualche secondo. “Ci metto un attimo” mormorò incerta prima di allontanarsi di corsa.
Sorrisi, vedendola correre, ara davvero buffa. Mi guardai intorno cercando una panchina dove sedermi ma improvvisamente entrambe le mani cominciarono a tremare. Le guardai impaurita fino a quando la vista non si offuscò e le gambe divennero deboli. Fu un attimo e sentii l’asfalto freddo graffiarmi il viso.























 

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Capitolo 29
*** 29Capitolo ***




Capitolo 29




 


 

Lo spreco della vita si trova nell’amore che non si è saputo dare, nel potere che non si è saputo utilizzare, nell'egoistica prudenza che ci ha impedito di rischiare e che, evitandoci un dispiacere, ci ha fatto mancare la felicità. (O. Wilde)
 





 

Osservai con incondizionata sfiducia, l’ennesima situazione in cui mi stavo cacciando. Sospirai prima di guardare per l’ennesima volta il mio orologio. Le due e un quarto. Ormai, erano delle ore che eravamo in giro.
 
Durante la notte, nessuno dei due aveva chiuso occhio. Eric si era scusato più volte per essersi intromesso a casa nostra e per aver fatto innervosire Bella ma conoscendola, sapevo che non fosse stato Eric a farla irritare ma il non essere stata interpellata o in qualche modo avvisata. Le circostanze me l’avevano impedito, era successo tutto velocemente e l’unico luogo dove sapevo di poter tenere a bada il mio amico, era casa nostra.
La notte l’avevo trascorsa nella nostra stanza, non nel nostro letto ma sulla poltrona di fianco. Il suo respiro irregolare, l’agitarsi tra le lenzuola, avrei voluto stringerla a me. Farla sentire al sicuro, protetta, cullarla fino allo spuntare del sole e anche oltre.
Razionalmente avevo deciso, invece, di non sfiorarla. In quel momento non avrei potuto reggere un suo rifiuto, non sapevo cosa mi avrebbe detto, come si sarebbe comportata e agitarla era l’ultima delle cose che volevo.

 
Eric non distolse lo sguardo dal mio viso, in attesa di un mio consenso. Piegò la testa di lato, irritato, gettando sull’asfalto il mozzicone della sigaretta ormai finita.
“Non dovremmo essere qui” mormorai, conscio dei problemi che avremmo creato.
“Hai pienamente ragione” annuì, facendo un passo avanti “Dovremmo essere entrati già da un pezzo, stiamo perdendo del tempo prezioso”
Una smorfia, prese forma sul mio volto. Eravamo davanti a casa di suo padre, con l’intenzione di scassinare la porta ed entrare.
L’idea iniziale era quello di frugare nel suo ufficio, trovare qualcosa di rilevante, qualcosa che ci portasse da qualche parte, che ci aprisse qualche strada ma una volta qui l’idea mi era sembrata davvero pessima.
“Senti, io entro ma tu puoi aspettarmi qui se vuoi” trasalii, precipitando nel presente. Eric mi guardò, aspettandosi una risposta. Esitai per un attimo prima di raggiungerlo 
 

Lo scattare della serratura del cancello mi avvisò di aver attraversato il limite del legale. Se ci avessero sorpreso avrebbero potuto condannarci fino a sette anni di carcere. Violazione di proprietà privata, sei un avvocato Edward. Chi meglio di te dovrebbe essere conoscere la legge?
Ignorai le voci nella mia testa, oltrepassando il cancello precedentemente scavalcato da Eric. Guardai il vasto giardino, senza però soffermarmi su qualcosa in particolare.
Ero stato in quel luogo migliaia di volte e mai avrei pensato di entrarci furtivamente, alla ricerca di qualcosa contro il suo proprietario.
Suo figlio sbatté con energia la porta d’entrata, sperando forse di trovarla aperta.
Si passò le mani fra i capelli, pensoso e alla ricerca di qualche idea.
Non so bene il perché ma meccanicamente, mi sfilai la felpa e l’arrotolai al pugno per poi rompere la finestra a me più vicina. Il rumore che provocò fu quasi un flashback degli anni incontrollabili della mia adolescenza, mi sentii uno schifo ma aprii comunque la finestra, spostando di lato il vetro in eccesso.
“Muoviamoci” ordinai irritato ed Eric frenò il ghigno sorpreso che aveva preso possesso della sua faccia.
“Prima o poi dovrai parlarmi un po’ di te” bisbigliò quando fummo all’interno dell’abitazione.

Mi guardai intorno, stranito e sorpreso dal trovare tutti i mobili coperti. La casa era estremamente buia e quando Eric tentò di accendere la luce nell’atrio, la situazione non cambiò. “Non c’è corrente” constatai.
“Sono spariti tutti : domestici, guardie, leccapiedi. Sono tutti andati via”
“Diamo un occhiata veloce e andiamocene” l’idea di rimanere per troppo tempo in quella casa mi faceva venire la nausea. Harrison era un bastardo e il fatto di averlo sempre saputo ma di averlo comunque ignorato mi lacerava.
Avevo contribuito alla sua libertà, alla sua fuga ed inevitabilmente anche al rapimento di sua figlia.
Frugai incessantemente in ogni singolo cassetto, senza trovare niente. L’ufficio, così come il resto della casa era vuoto. Qualcuno aveva ripulito tutto con molta cura ma con una fretta inaudita. I fiori del vaso accanto alla finestra, erano appassiti, dalla mia posizione scorgevo nel soggiorno un bicchiere di vetro semivuoto accanto a una bottiglia di liquore.

Ritornai nell’atrio, alla ricerca del mio amico ma non lo trovai dove lo avevo lasciato. Guardai in alto, scorgendo uno spiraglio di luce proveniente dal piano di sopra e lo seguii senza pensarci. Quello che vidi mi colpì profondamente. la stanza era di un viola acceso ed era decorata da dei fiori tropicali colorati. non ci volle molto per capire a chi appartenesse.
Bussai leggermente sulla porta della stanza, per attirare la sua attenzione e lui sobbalzò, asciugandosi velocemente gli occhi arrossati.
“Volevo rovistare nel suo secondo studio ma sono passato qui e non …” lasciò la frase in sospeso poggiando sul letto il peluche che aveva tenuto stretto fino a quel momento. “Rivoglio mia sorella” sussurrò poi uscendo dalla sua stanza.
 
Setacciammo anche l’ufficio del piano superiore senza ottenere comunque nessun risultato. La frustrazione non ci mise tanto a farsi strada nella mia testa, quando decidemmo di lascare l’abitazione. Era stata un idea stupida pensare di trovare qualcosa in quella casa ma ormai ci attaccavamo a tutte le speranze, anche a quelle più sciocche. Decidemmo di smettere di nasconderci e di parlare apertamente a Caius e scoprire cosa ci avrebbe detto.
Sbuffai, stanco di tutta quella situazione quando il suono di un cellulare attirò la mia attenzione. Istintivamente tastai le tasche dei miei jeans realizzando di non avere più un telefono, guardai la faccia perplessa di Eric quando lesse il nome di che lo stesse chiamando. “È Brian” mormorò prima di rispondere “Pronto?”
Ci fermammo entrambi davanti alla macchina, ed io rimasi vigile sperando che nessuno ci vedesse. “Edward …”
Mi voltai verso di lui, che seriamente mi porse il cellulare “Vuole parlare con te”



 

**** *** ****

 
Varcai la soglia del Bellevue Hospital Center di corsa, non ricordandomi neanche come ci fossi arrivato. Sapevo solo che dovevo trovare Bella e assicurarmi che stesse bene. “Sembra che sia qualcosa di preoccupante” quelle erano state le parole di Brian.
Da quel momento in poi, niente aveva avuto più importanza.
Ero già stato molte volte in quel luogo, lo conoscevo a memoria, Bella faceva lì le sue visite mensili ma in quel momento ero completamente confuso.
Tutti e sette i mesi precedenti mi erano passati davanti a gli occhi: la sera in cui aveva goffamente confessato di essere incinta, i timori, le paure, il sapere che sarebbe stata una bambina. Dio, fa che non sia nulla di grave.
 
Mi guardai intorno, scorgendo una receptionist e avvicinandomi al suo bancone.
“Sto cercando Isabella Swan” parlai velocemente senza smettere di guardarmi intorno, alla ricerca di Angela o Alice. Brian mi aveva detto che mia sorella era stata avvisata al mio posto dopo che avevano cercato inutilmente di contattarmi ad un cellulare che ormai non avevo più.
“Non può superare la fila in questo modo!” affermò incredula ed io guardai alle mie spalle constatando la quantità di gente che avevo ignorato.
Guardai l’infermiera davanti a me “Isabella Swan, ho detto” e il mormorio delle persone dietro di me non si fece attendere. Non so cosa vide nel mio sguardo quella ragazza ma abbassò la testa e digitò il nome di Bella nel suo computer.
“Quarto piano, stanza numero sette” mormorò.
 
Feci a piedi i piani che mi separavo dal reparto in cui si trovava e una volta arrivato comincia a guardare i numeri di ogni stanza non ricordandomi neanche quello che mi era appena stato dato o forse, semplicemente non ricordavo più come si contasse.
Girai l’angolo e infondo al corridoio notai la figura asciutta di Angela che sentendo i miei passi, alzò lo sguardo verso la mia direzione. Si alzò velocemente, venendomi incontro. “Sono ore che ti cerchiamo” mormorò accusatoria ed io la guardai per un attimo, senza però smettere di camminare. Arrivai davanti alla stanza numero sette e quello che vidi mi fece gelare il sangue nelle vene. Bella, rannicchiata nel letto teneva la mano ad Alice che non smetteva di accarezzarne il dorso.

“Hey” mi precipitai davanti al suo letto e mi misi in ginocchio, per poterla guardare meglio in volto. Sussultò, sorpresa di vedermi ed io le accarezzai una guancia, notando i suoi occhi arrossati. “Che cosa è successo?” domandai in un sussurro, senza ricevere risposta.
“Dove cazzo eri?” mi bloccai voltandomi verso l’unica persona che fino a quel momento avevo ignorato. “Siamo in questo posto da ore e per rintracciarti ho dovuto chiamare una decina di persone. Neanche fossi il presidente”
Riportai la mia attenzione su Bella e sui suoi occhi arrossati. I suoi respiri pesanti mi preoccuparono. “Stai bene, piccola?” sussurrai ancora, riprendendo ad accarezzarle il viso.
“È svenuta all’università” rispose Angela ed io fremetti “Il suo medico dice che è sotto pressione e che si è sforzata più di quanto il suo corpo le permettesse” fece una pausa “Ha detto anche che deve stare molto attenta, niente stress o …”
“Smettila di dirgli queste cose, a lui non gli importa niente di Bella o di sua figlia” Alice si alzò dalla sedia sulla quale era seduta e se ne andò.
“Abbiamo aspettato più di tre ore, prima di sapere che la bambina stesse bene e tu non c’eri. Bella aveva bisogno di te” concluse Angela prima di allontanarsi a sua volta.

Il silenzio si cristallizzò intorno a noi. Bella non aveva ancora incrociato il mio sguardo, i suoi occhi erano spaventati, vuoti, inespressivi.
“Andrà tutto bene, amore, te lo prometto” sussurrai prima di baciarle la fronte.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi al contatto fra i nostri corpi “Per favore … esci” balbettò ed io la guardai, sperando di aver capito male.
“Bella …”
Scosse la testa “Vai via” disse con più fermezza ed io non potei fare a meno di assecondarla. Mi alzai e senza farmelo ripetere ancora, uscii da quella stanza.
 
Su una delle sedie, nel corridoio, fuori dalla camera di Bella c’era Alice. Credevo che se ne fosse andata invece era lì, seduta e intenta a scrivere qualcosa al cellulare.
Mi sedetti anche io, mettendo però distanza tra noi due.
“Ho chiamato allo studio e mi hanno detto che non lavori più lì” mormorò improvvisamente. Non risposi, portandomi entrambe le mani sul viso.
“Ho evitato di dirlo a Bella, perché se ti conosco come credo, sono sicura che lei non lo sa. Giusto?” ancora silenzio da parte mia.
“Se non eri in ufficio dov’eri?” il rancore che lessi nei suoi occhi fu lo stesso che mi trafisse l’anima anni prima, quando al mio ritorno da Denali la trovai ad aspettarmi in casa, dopo mesi in cui non ci eravamo ne visti o sentiti.
“Avevo delle cose da risolvere” suonava stupida anche a me quella frase. Cosa stavo facendo? Avevo sprecato del tempo in fatti che non avrebbero neanche dovuto interessarmi: Harrison, Caius, Eric, Roxanne, gli Enko. Nulla aveva realmente importanza se a perderci fosse stata la mia Bella. Stavo buttando via la nostra vita, la nostra famiglia, senza rendermene conto.
“Tu non la meriti” affermò senza esitazione.
“Lo so” risposi realmente consapevole di quanto  fossi fortunato ad averla nella mia vita. “Vorrei tanto avere la forza di lasciarla andare, per lei sarebbe tutto più facile senza di me”
“Coglione” disse interrompendomi “Perché non riesce ad entrarti in testa che Bella ha assolutamente bisogno di te? Per uno strano scherzo del destino, tu e lei siete destinati a stare insieme, vi appartenete. Lei sopporta tutte le tue cazzate e va avanti. Se fossi stata in lei io ti avrei già lasciato da anni, anzi se vuoi saperla tutta, se non fossi mio fratello io e te non saremmo neanche amici”
Accennai involontariamente un sorriso, consapevole della sincerità con cui aveva pronunciato l’ultima frase. Si alzò “Ora che sei qui, posso anche andare. Ho lasciato la mia lezione a metà e sarà colpa tua se mi ruberanno i disegni” si passò una mano fra i capelli, prima di sospirare e baciarmi una guancia “Sono stanca di mettere  piede negli ospedali” annuii d’accordo e lei si diresse verso la stanza di Bella.

Mi alzai in piedi, cominciando a camminare per il corridoio.
Basta. Basta a tutto ciò che non avrebbe avuto a che vedere con me o con Bella. Mi passai una mano fra i capelli disordinati, stringendoli. Basta Edward, nulla ha importanza senza di lei.

“Devo andare anche io, ma tornerò” Angela, con Alice al suo fianco alzò una mano in segno di saluto senza perdere però quell’espressione di odio con cui mi aveva accolto al mio arrivo. Ti meriti anche di peggio, pensai.
Mi limitai ad annuire prima di farmi coraggio e rientrare nella stanza numero sette.
Bella era nella stessa identica posizione precedente, non si era mossa. Mi avvicinai lentamente, quasi non volerla spaventare ma a lei sembrò non accorgersi neanche della mia presenza. I suoi occhi avevano continuato a guardare il vuoto.
L’unico rumore che riuscivo a percepire era quello dei nostri respiri e se avessi aspettato che fosse lei a rivolgermi una parola, sarebbero potuti passare dei giorni.
“Angela  tornerà” mormorai “Presto” aggiunsi cercando di rassicurarla ma lei non batté ciglio. Sospirai, afflitto “Non so neanche da dov…”
“Non riuscivano a sentire il battito del suo cuore” sussurrò appena, senza guardarmi ed io feci un passo verso di lei. “Ho passato tutta la mattina senza sapere se Eleonore fosse ancora viva” cominciò a singhiozzare silenziosamente ed io non potei più tenere le distanze fra di noi. Con un paio di bassi fui da lei e la strinsi forte, con l’intenzione di farle sentire tutta la mia presenza.
“Faremo in modo che non accada più una cosa del genere. Ti prometto che andrà tutto bene ” la rassicurai.
“Non andartene più il quel modo, Edward” singhiozzò, stringendo con le sue esili mani la mia felpa “Ho bisogno di te”
“Sono qui, amore, non vado da nessuna parte” promisi “Non vado da nessuna parte”
 


 

**** *** ****

 
I giorni che seguirono quel momento non furono per nulla facili. Prima di poter tornare a casa, Bella dovette rimanere in ospedale due giorni. La dottoressa McCartney ci spiegò la situazione delicata in cui ci trovavamo. Ci spiegò senza giri di parole che se avessimo voluto realmente abbracciare la nostra bambina le cose sarebbero dovute cambiare. Niente affaticamenti, niente stress. Bella avrebbe dovuto stare a riposo il più possibile evitando persino di camminare se non fosse stato strettamente necessario.
Io cercai di fare del mio meglio anche se la sua diffidenza era decisamente palpabile. Non mi parlava molto, rispondeva alle domande che le facevo, punto. Avevo sperato che il dover rimanere la maggior parte del  tempo a letto, l’avrebbe annoiata e costretta infine a parlare con me ma non successe. Avrebbe potuto, senza problemi, rimanere in silenzio fino alla nascita di Eleonore.

La guardai mentre, sdraiata nel nostro letto, sfogliava un libro. Quando leggeva o studiava, aveva una stranissima ma adorabile espressione seria che ti faceva sorridere.
“Cosa leggi?” domandai solo per sentire la sua voce anche quel pomeriggio.
“Cime tempestose” rispose senza alzare lo sguardo.
“Abbiamo una stanza piena di libri ma tu finisci sempre per leggere lo stesso” mormorai e lei alzò le spalle.
“Mi piace questo”
Sospirai, voltandomi con l’intenzione di dirigermi in soggiorno ma qualcosa me lo impedì. Una forza incomprensibile mi investì dandomi il coraggio di non lasciare che la rabbia prendesse il sopravvento. Se mi trovavo in quella situazione la colpa era solo mia e solo io potevo fare qualcosa per aggiustare tutto.
“Cosa vuoi che faccia, Bella?” domandai sullo stipite della porta.
Puntò i suoi grandi occhi scuri verso di me, non capendo a cosa mi riferissi “Sto bene così, non ho bisogno di niente”
“Non riesco più a sopportare questa situazione. Parlami, sorridimi o rischierò di impazzire” confessai dopo giorni di silenzio.

Mi guardò per un attimo prima di puntare gli occhi verso la finestra. Mi avvicinai al letto per poterla guardare in volto. “Sto cercando di fare del mio meglio ma non vedo nessun risultato”
“Non sei tu, sono io” sussurrò con la voce scossa “Dovrei proteggere mia figlia e invece ho rischiato di perderla”
Scossi la testa, prendendo il suo viso fra le mani “Ora siete qui e state bene, è questo quello che conta adesso”
Chiuse gli occhi per qualche secondo, prima di annuire leggermente e poggiare il libro sul letto. Quando il riaprì fu spaventoso vederli pieni di lacrime trattenute “Stringimi” sussurrò ed io non me lo feci ripete una seconda volta.
 
Rimanemmo in silenzio a lungo, Bella tenne la sua mano intrecciata alla mia mentre la tenevo tra le mie braccia. Le accarezzai i capelli con delicatezza, aspettando che si calmasse. Sfiorarla mi era mancato parecchio e sentire il suo profumo così da vicino fu quasi come se fosse la prima volta.
“Dovresti tornare a lavoro”
Mi irrigidii alla sua affermazione inaspettata e lei alzò lo sguardo, guardandomi attentamente “Non devi rimanere segregato in casa anche tu, sono giorni che non metti piede fuori”
Giorni che non sentivo più Eric, che non pensavo a Harrison o a qualunque cosa riguardasse quelle persone. Avevo intenzione di chiudere con tutta quella storia, per sempre.
Ricomincia ad accarezzarle i capelli, sospirando “Non c’è niente d’interessante fuori da questo appartamento”
Aggrottò la fronte “C’è il mondo intero fuori”
“Ma non ci sei tu” risposi e lei sorrise, prima di colpirmi leggermente un braccio.
“Non fare lo sdolcinato con me, perché non attacca”
“È soltanto la verità. Non posso andarmene in giro per Manhattan sapendoti quì”
“Quindi ti farai licenziare” concluse ironica. Mi guardò attentamente aspettando una mia risposta. Abbassai lo sguardo, non sapendo neanche più che scusa inventarmi e lei si staccò velocemente da me.

“Dimmi che non ti sei licenziato veramente” affermò nel panico.
Alzai la testa passandomi, poi, una mano fra i capelli “Lascia che ti spieghi”
“Oh mio Dio” sussurrò sprofondando completamente fra i cuscini del letto “Non posso crederci. Tu sei completamente matto”
“Ascoltami …”
“Io sto con un matto. Il mio fidanzato è fuori di testa” continuò a ripetersi.
“È stato Caius a licenziarmi” ammisi infine e lei si zittì “Non preoccuparti, risolverò tutto” aggiunsi notando il suo sguardo preoccupato.
“È per via di Kate” Non era una domanda.
“Lo ha informato sulle mie … dipendenze passate” fu come levarsi un macigno dal petto. Ogni volta che le accennavo qualcosa che riguardasse il mio passato, aveva lo stesso effetto di quando ti togli un cerotto. Sai che dopo starai meglio ma è comunque difficile trovare il coraggio di strapparlo via.

“Quando?” domandò dirigendo la conversazione su un altro punto.
“… Un po’ di tempo fa”
La mia risposta vaga non sembrò convincerla. Si alzò, poggiandosi contro lo schienale del letto “Definisci un po’ di tempo
“Perché soffermarsi su queste piccolezze? Te lo sto dicendo è questo quello che conta”
Alzò gli occhi al cielo prima di mordersi il labbro inferiore “Sei un bugiardo, un fottuto bugiardo del cazzo” la tranquillità con cui pronunciò quelle parole fu inquietante.
“Bella …”
Alzò una mano “Evitiamo la parte in cui dici che lo hai fatto per me o qualunque altra stronzata del genere. Mi farebbe solo innervosire mentre è mio dovere stare serena in questo momento”
“Non volevo che ti allarmassi inutilmente”
“Invece trattarmi come se fossi una bambina è più facile. Nascondermi tutto, anche le cose più stupide sta diventando per te una cosa naturale. Non devi proteggermi da tutto, vorrei anche esserti d’aiuto o di conforto qualche volta ma tu me lo impedisci”
 
“È più forte di me, se so che una cosa possa anche solo renderti triste io faccio di tutto per evitarlo ”
Si passò una mano fra i capelli, scuotendo la testa “Basta, non voglio più sentire niente. Quella strana sono io, che non accetta che tu sia fatto così. Non cambierai, sei fatto così ed io devo solo accettarlo”
“Aspetta un attimo” mi guardò attentamente e lo sguardo infuriato che assunse mi provocò un brivido di puro terrore “Per tutto questo tempo hai finto di andare in ufficio?”
Ma perché non sto mai zitto?
“Cosa facevi per tutto il giorno? Nell’ultimo periodo sei sempre rientrato tardi”
“Ho … fatto alcune ricerche su Harry e Caius, te ne ho parlato ieri” risposi.
“Con Eric e quella gatta morta di Victoria, scommetto. Ve ne andavate per la città come I tre moschettieri?” chiese ancora ironicamente ed io mi alzai, conscio del guaio che avevo provocato.
“Ora basta, non dovresti agitarti” le ricordai.
Si passo entrambe le mani sul viso, sospirando “Io sono calmissima Edward, sono solo delusa dal tuo comportamento ancora una volta”
“Ti amo!” urlai senza neanche accorgermene “Sarò anche un bastardo, un bugiardo ma ti amo. Non ti dirò che le cose cambieranno perché se potrò evitare che tu rimanga ferita da qualcosa, prenderò le stesse decisioni che ho preso in questo periodo”

“Adesso. adesso, sono ferita Edward ed è colpa tua. Sei tu che mi fai del male in continuazione. Perché non lo capisci, che più tenti di proteggermi e più io sto male?”
Lacrime solcarono il suo volto stanco e lei le asciugò con violenza. Mi guardò con attenzione per qualche secondo prima di riprendere il libro e lanciarmelo contro.
Lascia che il libro mi colpisse, consapevole della scarsa forza che Bella possedesse.
“Non si può mai essere felici con te, mai, c’è sempre qualcosa che non funziona. In questo preciso momento, non riesco neanche a ricordare perche stiamo insieme”
Non riuscii a dire nulla, rimasi in piedi aspettando non so cosa e lei parlò ancora “Ho bisogno di andare via da quì” mormorò.
Mi avvicinai nuovamente a lei “Ora stai esagerando. Dove vorresti andare?”
“Ovunque purché sia lontano da te” si guardò intorno fino a puntare lo sguardo sul suo cellulare. Lo raccolse ed io cominciai a spaventarmi.
“Bella, cosa stai facendo?” domandai.
M’ignorò completamente digitando qualcosa sulla tastiera di quel maledetto oggetto.
“Chiunque tu stia chiamando, non risolverà i nostri problemi. Riaggancia, per favore” la implorai quando lo vidi portarsi il cellulare all’orecchio.
“Sei tu il problema, ho quasi perso Eleonore per colpa tua e ora che l’ho capito farò di tutto per proteggerla” le sue parole mi ferirono profondamente, feci un passo indietro e il rancore che lessi nel suo sguardo svanì rapidamente, sostituito dal dispiacere.
Abbassò lo sguardo “Papà. Ciao, come stai?”
Suo padre. come aveva potuto chiamare proprio lui? Ci avevo messo quattro anni per costruire un rapporto decente con lui.
“Riaggancia …” ripetei.
“Si, io sto bene. Vorrei chiederti una cosa”
“Bella … per favore”
 Le mie mani fremettero e la voglia di strappargli il cellulare dalle mani fu forte. Continuò a parlare con lui ma io non riuscii più a cogliere nulla.
Un attimo d’esitazione e poi “Voglio tornare a casa”
Non ebbi il coraggio di ascoltare nient’altro e passi veloci uscii da quella stanza sbattendo la porta.

 
 









Non scrivo una nota finale da molto tempo e me ne sono resa conto solo adesso  -.-
Comunque, qualcuno mi ha chiesto di quanti capitoli è formata questa storia e quando finirà e mi è sembrato giusto rispondere pubblicamente. La risposta è : Non lo so!
Certe volte la fine sembra così vicina ma poi mi vengo nuove idee in testa. Per non perdermi avevo addirittura scritto una scaletta che ho finito per ignorare completamente. Tenete duro, vi prego!!! Amo troppo i miei personaggi e non riesco ancora ad abbandonarli. Ma prometto che non è una di quelle storie che supero i ottanta o addirittura i cento capitoli (Quelle le odio profondamente)

PS. *____________* Grazie infinite per le recensioni allo scorso capitolo (risponderò domani) e benvenute alle nuove lettrici.

 


 

 



 

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Capitolo 30
*** 30Capitolo ***




Capitolo 30








 

“Sarebbe tutto più facile se tu collaborassi, amico”
“Non chiamarmi amico e ringrazia il cielo che non ti abbia ancora sbattuto fuori da casa mia”

Poggiai entrambe le mani sui bordi del lavandino, cercando di bloccare il loro tremolio. Sospirai e  un altro conato di vomito mi costrinse a portarmele entrambe alla bocca. Chiusi gli occhi cercando di riprendere il controllo di me stessa. La velocità con cui gli attacchi di nausea arrivavano e sparivano mi spaventava.
“Tesoro vedi se Bella è pronta ad andare, per favore”
Aprii frettolosamente il rubinetto, sciacquandomi il viso e cercando di ricompormi prima dell’arrivo di Angela.Legai i capelli in una coda alta e il bussare alla porta non si fece attendere.
“Entra” mormorai e la mia voce, roca sembrò provenire dal profondo dell’oltre tomba.
La mia amica mi lanciò un’occhiata fra il preoccupato e il dispiaciuto “Sei pronta? Non vorrei metterti fretta ma credo che Edward non resisterà ancora al lungo prima di tirare un pugno a Ben”
Annuii lentamente, uscendo dal bagno e dirigendomi verso la camera da letto.

Angela era venuta, quella mattina, dopo che si era offerta di accompagnarmi all’aeroporto. Era passato solo un giorno dalla mia discussione con Edward e il desiderio di allontanarmi da lui non era ancora sfumato.Alice si era offerta di accompagnarmi lei stessa, dopo aver passato l’intera nottata precedente al telefono con me. “Se credi che sia necessario, fallo! Vai via per un po’, cambia aria. Stare con Charlie ti farà bene”


Lo stavo facendo. Stavo usando tutte le forze che possedevo per potere lasciare quella casa ma se avessi lasciato che Alice venisse a prendermi, l’avrei ancora una volta messa contro suo fratello. Molte volte avevano litigato a causa mia e questa volta avevo preferito non creare altri problemi.
Così avevo preferito affidarmi ad Angela, non perché non potessi chiamare un taxi ma perché avevo bisogno di qualcuno di familiare, che mi aiutasse a non cambiare idea all’ultimo momento.
Ero rimasta fortemente infastidita dal fatto che si fosse presentata con il suo fidanzato, come se Edward potesse in qualche modo farmi del male. Come se avessi bisogno di una figura maschile, qualcuno che mi proteggesse. Sicuramente quello non poteva essere Ben, che mi aveva quasi strappato un sorriso quando l’avevo visto sbiancare davanti al metro e novanta di Edward.
 
Diedi un ultima occhiata a quella stanza, non sapendo quando o se ci sarei tornata. Quella consapevolezza mi fece salire le lacrime agli occhi e per un attimo i dubbi cominciarono a farsi strada dentro di me. Le lacrime cominciarono a bagnarmi il viso e un leggero colpo al basso ventre m’informò della presenza di Eleonore.
Asciugai velocemente il viso, accarezzandomi leggermente il pancione “È soprattutto per te che lo faccio piccola mia” sussurrai ricevendo un altro colpo in risposta e per un attimo mi domandai se mi stesse appoggiando o chiedendo di restare.

Chiusi la valigia con un unico colpo secco, cercando di capire se avessi dimenticato qualcosa.
“Bella …”
“Ho fatto, scusami. Ora possiamo andare”
Angela mi guardò mortificata prima di annuire e avvicinarsi a me “Lascia che ti aiuti con questa” raccolse il mio trolley e si voltò verso l’uscita.
Mi passai entrambe le mani sul viso “Sei sicura?” sussultai trovandomi Angela nuovamente al mio fianco.“Sei pallida come un fantasma e non sembri per niente convinta. Se vuoi allontanarti da Edward puoi venire a stare da me per tutto il tempo che vuoi”
Scossi la testa prima di stringerla forte a me “Ti voglio bene e ti ringrazio per essere mia amica ma ho bisogno di allontanarmi da qui e riflettere”
“Sei sicura?” domandò ancora scettica ed io annuii con vigore, cercando di sembrare convincente e preparandomi ad affrontare la persona più importante della mia vita.
 

Edward era in piedi, con la schiena appoggiata alla colonna adiacente alla porta, lo sguardo assente, riflessivo. La mia amica camminò spedita verso l’uscita ma io non riuscii a fare lo stesso. Sentivo il suo sguardo scavarmi dentro fino ad arrivare all’anima.Ben e Angela in pochi secondi furono fuori ed io dopo qualche tentennamento cercai di fare lo stesso.

“Aspetta” mi fermai all’istante, rabbrividendo al solo suono della sua voce “Aspetta” ripeté ancora.
Non osai voltarmi ne dire una parola.
“Ti prego resta” mormorò ed io chiusi gli occhi quando sentii il suo respiro dietro di me. “Tu sei l’unica ragione per cui vado avanti ogni maledetto giorno. Senza di te la mia vita perde di significato”
“So di non avere il diritto di chiederti di restare dopo tutto quello che ti ho fatto ma ti amo e senza di te perderei facilmente la testa”
Perché mi stava facendo quello? Perché non riusciva a capire che avessi davvero bisogno di allontanarmi da lui?
Edward mi avvolse fra le sue braccia, appoggiando la sua fronte sulla mia nuca “ ti prego … non lasciarmi, non lo sopporterei”
Nuovamente sentii le guance bagnate e la consapevolezza di essere sull’orlo di un cedimento mi fece scoppiare in lacrime.
“Possiamo andare via da New York se vuoi. Trasferiamoci, andiamo via da tutto e da tutti. Io e te, tutto il resto non conta”
Respirai con forza il suo profumo, dimenticandomi persino il motivo per cui fossimo in piedi al centro del nostro soggiorno. Cercai di liberarmi dalle suo tocco ma non me lo permise, stringendomi quasi a farmi male “Edward lasciami andare  …”
“Potremmo sparire per un po’, cambiare identità e visitare l’Europa se vuoi. Hai sempre voluto visitare Roma, beh facciamolo. Cambiamo aria e vedrai che le cose si aggiusteranno, dobbiamo solo darci un'altra possibilità per ritrovarci. Io … posso cambiare”
L’estrema fragilità con cui aveva pronunciato quelle parole mi spiazzò. Non l’avevo mai sentito parlare in quel modo, ogni singola parola era intrisa da così tanto dolore da destabilizzarmi. Un altro calcio della mia piccolina mi diede la forza di ricordarmi del perché mi trovassi in quella situazione.
Asciugai con forza le lacrime che m’impedivano di vedere bene e mi forzai a parlare una volta per tutte “Siamo stati ciechi per troppo tempo Edward. L’amore non basta sempre” ammisi e il nodo che mi strinse la gola non mi permise di dire più nulla.
 
Edward sciolse lentamente l’abbraccio e silenziosamente pregai che non si facesse avanti, consapevole che non sarei riuscita a sostenere il suo sguardo. Ma invece sussultai, sorpresa quando sentii una sua mano sulla mia pancia. “Ho bisogno di voi due Bella. Questo è tutto ciò che mi basta”
Sospirai profondamente, accarezzando la sua mano e assaporando quel momento. Cercai di tenerne il ricordo, consapevole di aver preso una decisione.
Mi feci forza, prima di lasciare la sua mano a parlare “Non cercarmi, ti prego”
A passi veloci cercai di uscire da quella casa piena di dolore ma Edward mi si parò davanti bloccandomi il passaggio “Io e te ci apparteniamo non puoi andartene. Io ti appartengo, Bella.”
La disperazione che leggevo chiaramente nei suoi occhi, rendeva il verde dei suoi occhi più scuro quasi liquido. “Ti amo” ripeté per l’ennesima volta “Resta”
Lo guardai attentamente ancora una volta “No ...” 
e prima che potessi rendermene trovai il coraggio di oltrepassarlo e uscire definitivamente da quella casa.


 

**** ** ****

 
L’avevo fatto. Avevo realmente lasciato Edward. L’ultimo sguardo che ci eravamo scambiati non l’avrei mai dimenticato. I suoi occhi maledettamente espressivi mi avrebbero accompagnato fino alla fine dei miei giorni.
Non sapevo cosa avrei fatto della mia vita da quel momento in poi eppure di una cosa ero certa. Mi sarei pentita di quella decisione per sempre.
Stare con Edward era impegnativo e doloroso la maggior parte delle volte eppure era come se una calamita invisibile mi portasse sempre verso la sua direzione.
Lo amavo, quello non sarebbe mai cambiato e quella consapevolezza era la sensazione che più mi logorava dall’interno. Sarei rimasta al suo fianco anche se circondata da menzogne ma non era quello che volevo per Eleonore, per la mia bambina volevo serenità e la sicurezza familiare che lui non era in grado di darmi. Avrebbe potuto promettermelo se glielo avessi permesso ma non erano altre bugie di cui avevo bisogno. Lui era fatto in quel modo, niente lo avrebbe cambiato e ora che lo avevo capito, avevo fatto le mie scelte.
Accarezzai con mano tremante il mio pancione “Spero di essere riuscita a prendere le decisioni giuste, per te amore”
 
“Prende il volo diretto a Washington ?” alzai lo sguardo lentamente guardando la giovane hostess che mi sorrideva come una che avesse appena vinto alla lotteria. “Prende il volo per Washington?”
Annuii “Si”
“Sarà meglio che si sbrighi allora, perché stiamo per partire”
Raccolsi la mia borsa e mi diressi verso il mio aereo.
“Bella?”
Mi voltai di scatto al suono della voce della mia amica “Te ne vai senza salutarmi?”
Tutti quei pensieri mi avevano anche fatto dimenticare la sua presenza. Scossi la testa abbracciandola “Ringrazia Ben da parte mia” mormorai al suo orecchio e lei ridacchiò “Chiamami quando arrivi ok?”
Le promisi che ci saremmo sentite al più pesto e partii.
 

Il tempo in aereo passò lentamente ma senza che me ne rendessi conto fui a Forks.
Malgrado la primavera fosse ormai alle porte attraverso le grandi vetrate dell’aeroporto riuscii a scorgere chiaramente la pioggia. Niente di poi così nuovo, pensai e il mio pensiero andò Edward e alla certezza che avrebbe sicuramente sbuffato e detto qualcosa di poco carino su quella città che tanto odiava.Scossi la testa scacciando via quel pensiero quando sentii una mano sulla mia spalla.
Sobbalzai ma subito mi calmai quando vidi il volto familiare di Charlie.
 
Non mi fece nessuna domanda. Non mi chiese il perché avessi deciso di venire da lui, si limitò ad abbracciarmi e a portarmi a casa.
“Sono giorni che piove a dirotto e non credo che smetterà tanto presto” mormorò quando tutti bagnati, riuscimmo ad entrare in casa.
“A Manhattan e già primavera inoltrata” commentai distrattamente, guardandomi intorno.
“Sarà meglio che tu faccia un bagno caldo, qui non siamo a New York”
Feci come consigliato. Mi rifugiai nel piccolo bagno di casa e passai un po’ di tempo cullata dal getto caldo della doccia.

Scesi nuovamente al piano di sotto, quando fui pronta alla chiacchierata che mi aspettava con mio padre. Sapevo che fosse preoccupato e che stesse solo aspettando il momento giusto per farmi delle domande.
 
Scesi le scale con lentezza, ascoltando i rumori provocati da mio padre in cucina.
Lo raggiunsi e stranamente lo vidi informare una teglia di lasagne.
Sgranai gli occhi “Papà chi ti ha insegato a fare le lasagne?” domandai scioccata e lui trattene un sorriso.
“Io non imparerò mai a cucinare Bells. Quando mi hai detto che saresti arrivata ho pensato di fare un salto in un ristorante in città e prendere qualcosa di commestibile”
Mi sedetti su una delle sedie intorno al tavolo “Non dovevi disturbarti papà”
Alzò le spalle accomodandosi al mio fianco “Ti va di dirmi che cosa è successo?” domandò improvvisamente ed io non ebbi più il coraggio di guardarlo “ … e ti prego non rispondermi con il solito niente
“Ho bisogno di stare lontana da Edward per un pò” risposi semplicemente ma lui non sembrò accontentarsi.
“Che ti ha fatto quel bastardo?”
Un brivido mi percorse la schiena al suono di quelle parole. Sospirai, infastidita e sentii gli occhi pungere.
“Avresti potuto evitare tutto questo se solo mi avessi dato ascolto anni fa, quando cercavo di tenerti lontana da quel ragazzo” puntai nuovamente lo sguardo nel suo, cercando di capire a che cosa si riferisse.
Sostenne il mio sguardo, serio “Adesso, incinta, non puoi dal giorno alla notte decidere di cambiare la tua vita. Hai altre responsabilità adesso e se decidi di tagliare i ponti con quel ragazzo devi trovare il coraggio di farlo una volta per tutte”
“Non ho chiesto la tua opinione papà” mormorai e lui prese una mia mano.
“Sto solo dicendo che io sono dalla tua parte, non sarà facile tenerlo lontano da te ma possiamo farcela e col passare del tempo tutto ritornerà come prima”
I suoi occhi brillarono, sintomo di quanto fosse felice di quella situazione. L'idea di Edward fuori dalla mia vita lo emozionava come un bambino davanti ad un giocattolo nuovo, non aveva neanche lontanamente pensato a quanto mi faccesse soffrire.
Mi alzai tremante dalla sedia, confusa “Io .. vado a letto. Non ho più fame” sussurrai appena allontanandomi.
 

**** *** ****

 
I giorni a seguire furono dolorosamente tranquilli. Stavo impazzando. Ero venuta di mia spontanea volontà a Forks eppure la mia vita mi mancava. Non avevo ancora sentito neanche Alice. Avevo tenuto il cellulare spento per paura di qualche telefonata indesiderata ma alla sua accensione non avevo trovato nessun avviso di chiamata.

Abbassai il volume del televisore che non stavo neanche guardando e digitai il nome di Alice in rubrica.
Attesi impaziente che rispondesse, scostando la coperta che avevo usato per coprirmi dal freddo di quella sera. “Pronto?”
“Hey, Alice. Come stai?” domandai quasi risentita dal fatto che non mi avesse ancora cercato.
Ci mise un po’ a rispondermi “Bene. Sempre la solita vita. Tu invece come stai, Charlie sta bene?”
“Mmm …” risposi. Mio padre aveva espresso senza peli sulla lingua la sua opinione, mi aveva proposto di ritornare definitivamente a vivere con lui e di interrompere ogni contatto con la famiglia Cullen.
Ma questo avrei evitato di dirglielo “Si, sta bene. Volevo solo sapere se le cose andassero bene lì a New York”
Alice ridacchiò amara “Se per cose intendi Edward, non posso aiutarti perché non l’ho sentito per niente. Non risponde alle mie chiamate”
 Sospirai, conscia della prevedibilità delle sue azioni “Hai provato ad andare al nostro appartamento?”
“Bella, non sono la balia di mio fratello. È una persona adulta e poi lo conosci, era prevedibile che si isolasse”
“Non ha provato a chiamarmi neanche una volta” ammisi tra l’imbarazzo e la preoccupazione.
“Non credi di essere un po’ contraddittoria? Sei tu che te ne sei andata e adesso vorresti che ti chiamasse solo per il gusto di non rispondergli?”
Le sue parole mi sorpresero e il tono con cui mi aveva parlato mi face ammutolire all’istante.
Alice sbuffò “Non volevo, scusami è solo che sono molto impegnata con l’accademia e ho i nervi a fior di pelle”
“È per via del corso estivo a Parigi, non è vero?” domandai ricordandomi del giorno in cui me ne aveva parlato.
“Non ho ancora finito la collezione da presentare e il tempo sembra scorrere così velocemente che dubito di riuscire a farcela”
Cercai di consolarla al meglio che potessi ma nulla sembrò convincerla.
“Cercherò di andare a trovare Edward, appena sarò più libera”
La ringraziai e quando riagganciai mi sentii angosciata.

Non sapevo più che cosa volessi realmente da me o dalle persone che mi circondavano. Sprofondai completamente nel divano e frustrata fino al midollo vi rimasi fino a quando non sentii mio padre rientrare da lavoro.
Non mi mossi dalla mia posizione, rimasi ferma a fissare il soffitto.
“Bells?”
“Sono in soggiorno papà” lo avvisai in un sussurrò e lui tossì schiarendosi la voce.
“Qualcuno e passato a trovarti” m’informò  ed io aggrottai la fronte, prima di alzarmi e puntare lo sguardo verso l’ingresso.
Rimasi molto sorpresa dalla persona al suo fianco “Jacob”
 
Il sorriso con cui mi salutò sparì velocemente dal suo viso, quando notò di non essere ricambiato. Lo fissai per un istante che sembrò infinito, non riuscendo a capire il perché fosse lì. Fu Charlie ad infrangere l’imbarazzante silenzio che era sceso in quella stanza “L’ho incontrato mentre stavo ritornando e quando gli ho detto che eri qui ha insistito per venire a salutarti”
Il modo in cui mio padre adorasse quel ragazzo, mi aveva sempre irritato. Lo aveva sempre considerato un ragazzo perfetto, io pregai solamente che gli fosse passata l’infatuazione che aveva per me.
“Non ci vediamo da tantissimo” mormorò e il suono della sua voce risvegliò una miriade di ricordi infantili.
Mi forzai nel rilassare i muscoli del viso e sorridergli “Già …”
 
Passammo tutta la restante serata in compagnia di Jacob e di suo padre che non aveva resistito alla voglia di rivedermi. Cennammo insieme, rievocando avvenimenti divertenti del passato e raccontandoci dei cambiamenti in cui eravamo andati incontro. Il mio cambiamento era il più grande ed evidente di tutti e Billy, padre di Jacob, non aveva smesso neanche una volta di fissarlo.
“Un figlio è una grande responsabilità” commentò pacato “Come sta il figlio del dottor Cullen? È anche lui in città?”
Poggiai la posata che avevo stretto tra le mani nel piatto, scuotendo leggermente il capo “No … lui non … non è quì” risposi a disagio.
“Ho seguito al notiziario tutta quella storia del banchiere e quando ho saputo che gli avessero sparato sono rimasto completamente spiazzato. Ricordi Jake?”
Il ragazzo annui pazientemente consapevole di quanto suo padre mi stesse turbando.
“Adesso si è ripreso del tutto?”
“Si, sta bene” sussurrai e quando notai le sue labbra muoversi, pronte in una nuova domanda il rumare di una sedia attirò la mia attenzione.
Alzai lo sguardo, notando Jacob in piedi. Si passò una mano fra i capelli cortissimi prima di sorridermi. “Lasciamo questi tu vecchi a discutere di cose noiose e andiamo a fare due passi”
“Se … ti va” aggiunse, dopo aver visto il mio sguardo sorpreso.
 


“Devi scusare mio padre, sa essere molto invadente” Mi guadò mortificato e i suoi occhi scuri risplendettero al chiaro di luna. Alzai le spalle stringendomi nel cappotto.
“Non devi scusarti, va tutto bene” lo guardai per qualche secondo e solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse diventato alto.
“Perché non fai altro che dire che va tutto bene?” riportai la mia attenzione su quello che stesse dicendo e lui si fermò.
Aggrottai la fronte “Che cosa …”
“Io non so che cosa tu stia passando ma non credo al fatto che vada tutto bene” ammise pacato.
“Non credo che siano cose che ti riguardino” gli feci notare.
“Sto solo dicendo che sei diversa. L’ultima volta che ci siamo visti eri raggiante, sempre sorridente e adesso guardati” fece una pausa, indicando leggermente il mio viso “Sei incinta, non dovresti essere cosi magra e sciupata”
I miei occhi si riempirono velocemente di lacrime represse “ … e non dovresti piangere appena qualcuno ti dice la più semplice delle verità” concluse.
“Non sei poi così diverso da tu padre” constatai e lui fece un passo verso di me.
Eravamo fermi su quel marciapiede, sotto le stelle e l’unica cosa che riuscivo a pensare in quel momento è che avesse completamente ragione.
“Stare con Edward ti ha reso fragile come una bambina. Se è lui che ti fa stare così male, credo che tu debba considerare l’opzione di rifarti una vita e …”
Sentii la rabbia crescere quando notai di aver già sentito quelle parole “È stato mio padre a mandarti?” trattenni il fiato quando la sua espressione cancello ogni dubbio.
Boccheggiò “Charlie vuole solo la tua felicità …”
Mi passai una mano fra i capelli “Perché non mi lasciate in pace?” sussurrai più a me che a lui.
Cercò di ribattere ma senza risultato “Noi …”
“Noi?! Non dovresti neanche avere un opinione al riguardo, non ci vediamo da anni. Sta zitto, fatti una vita tua e non intrometterti in quella degli altri” la rabbia con cui gli sputai addosso quelle parole lo ammutolirono. Non aspettai oltre e lo lascia lì, sul ciglio della strada e me ne tornai a casa.
 

Al mio rientro trovai mio padre e Billy intenti a guardare una partita di baseball, si voltarono all’unisono. Per un attimo incrociai lo sguardo con quello di Charlie e non so cosa lesse, fatto sta che si voltò nuovamente verso la tv. “E Jake dov’è?” sentii la voce di Billy ma la ignorai salendo al piano di sopra.
Mi rifugiai, ancora completamente vestita, nel mio letto e mi maledii quando lì in quella stanza buia mi immaginai nuovamente fa le braccia calde e intrise d’amore di Edward.
 



“Vorrei solo che non ti preoccupassi così tanto mamma, tutto qui!” giocherellai con una delle calamite attaccate al frigorifero mentre cercavo inutilmente di rassicurare mia madre.
“Sto solo cercando di capire, tesoro ma tu non me ne dai la possibilità” chiusi gli occhi sbuffando silenziosamente e mi pentii all’istante di averla chiamata.
“Te l’ho detto. Ci siamo semplicemente presi … una pausa, del tempo per riflettere” quelle parole suonavano amare nella mia testa e malgrado fossi totalmente convinta della mia decisione non riuscivo a smettere di pensare a lui o semplicemente speravo che lui pensasse a me.
“Non vi è sembrata una scelta sbagliata la vostra?! Tra pochissimo nascerà la bambina e voi vi prendete una pausa? Mi sembra totalmente da irresponsabili”
L’idea di dover dare spiegazioni a chiunque incontrassi iniziava ad infastidirmi a dismisura.
“Più che altro è stata una mia decisione e credo che sia una la cosa migliore” sussultai quando un lampo squarciò il cielo furi dalla finestra. Forks e il suo cattivo tempo, pensai.
“Vuoi che venga lì?” domandò improvvisamente con voce sottile “Potremmo stare insieme e parlare. Conoscendo tuo padre, sarà utile come una coperta ad agosto”
Accennai un sorriso “Papà sta facendo proprio quello di cui ho bisogno, mi lascia i miei spazzi e va bene così” mentii ricordando la discussione con Jacob.
Un lungo sospirò fuoriuscì dalle sue labbra “Io non so quali siano i vostri problemi ma di una cosa sono sicura: Edward è un bravo ragazzo e ucciderebbe per te”
Strinsi la cornetta con forza ricordando a me stessa che piangere non sarebbe servito a niente ma il desiderio di sfogarmi fu troppo forte.
“Mi manca …” ammisi e una lacrima rigò il mio viso.
“E allora torna da lui, tesoro. Tutti i problemi possono essere risolti”
Scossi la testa “No, mamma, se c’è una cosa che ho capito negli ultimi mesi è che io e lui siamo troppo diversi. Lo amo cosi tanto che ogni volta che penso a lui, il cuore mi fa male ma so che è sbagliato. Devo imparare a stargli lontano per il bene di Eleonore”
“Non puoi pensare davvero di rifarti una vita senza di lui, sarete legati per sempre perché Eleonore è anche sua figlia”
“Non so cosa fare” ammisi ancora, poggiando la fronte alla parete.
“Non puoi davvero pensare di tenerlo lontano anche da sua figlia, sarebbe …”
“Non farei mai una cosa del genere …” la interruppi, voltandomi e trascinando una sedia verso la mia direzione quando cominciai a sentire le gambe molli “ ... ma mamma, Edward è un bugiardo. Mente in continuazione, dice di amarmi ma alla prima occasione mi isola, mi tratta come se fossi una bambina da proteggere e non come la sua compagna o semplicemente come una donna”
Renèe non proferì parola.
“Ed io questo non lo voglio, non è la vita che voglio” conclusi.
 

La telefonata con mia madre non fece altro che farmi sentire peggio. Mente e cuore non sempre seguivano la stessa direzione eppure in quel momento avrei voluto avere le idee più chiare, sapere cosa fare.
Un raggio di sole si fece strada fra le spesse nuvole che oscuravano quel pomeriggio, così decisi di uscire di casa, lo stare chiusa costantemente fra quattro mura cominciava a soffocarmi. Erano giorni che non assaporavo della sana aria fresca tipica di quella città. Così mi cambiai e munita di un caldissimo cappellino di lana uscii.

Camminai con lentezza, cercando di non sforzarmi eccessivamente e di concentrarmi su qualunque cosa mi evitasse di pensare.
Ogni strada, negozio, abitazione mi sembrò nuova, quasi estranea come se non l’avessi mai vista prima e quando per un attimo pensai addirittura di essermi persa, sentii qualcuno chiamare il mio nome.
La voce che sentii alle mie spalle era l’unica che in quel momento avrei voluto evitare. Non avrei potuto sopportare di rispondere ad altre domande. Pensai di continuare a camminare ma quando sentii nuovamente pronunciare il mio nome decisi di voltarmi e due occhioni verdi tremendamente familiari vennero verso di me.
“Esme, ciao”
Riuscii quasi a cogliere la dolcezza del sorriso che mi rivolse. Gli sorrisi a mia volta ma non riuscii a trasmetterle la stessa tranquillità che mi aveva trasmesso.
Si avvicinò a me, con un eleganza invidiabile “Non sapevo che fossi in città” affermò sorpresa prima di abbracciarmi.
“Edward è con te?” si guardò intorno cercandolo per poi puntare gli occhi su di me, attendendo una risposta.
“No …. No, ci sono solo io” balbettai.
Sorrise “Scommetto che impegnato nel suo studio, non è vero?!” la sua fu una domanda retorica “Non ha mai il tempo di farmi neanche una telefonata o almeno è quello che mi piace pensare. Edward non è mai stato un tipo espansivo e preferisco immaginarlo occupato, non mi va di pensare che non voglia parlarmi” sospirò, per poi scuotere la testa “Sto divagando, scusami” mormorò prendendomi per mano.

“Sei una meraviglia, un po’ sciupata ma pur sempre bellissima. Come stai?” e il suo entusiasmo si spense lasciando spazio alla preoccupazione.
Mi passai la mano libera sul viso “Sto bene, non preoccuparti, ero uscita a fare due passi” e stupidamente non avevo messo in conto il fatto che potessi incontrarti.
“Da quanto tempo sei a Forks?”
Decisi di non dirle niente e non farla preoccupare. Così mi limitai a darle una risposta vaga “Da qualche giorno” mormorai e lei mi guardò confusa senza però fare altre domande.
“Vieni a casa con me, Carlisle sarebbe felice di vederti, l’ultima volta che è capitato le circostanze erano alquanto tragiche” cercò di essere al quanto scherzosa ma il tono che usò mi fece rivivere l’angoscia di quei due giorni trascorsi in ospedale.
 
L’idea di vedere il padre di Edward mi terrorizzava. Sapeva essere alquanto acuto ed ero sicura che avrebbe notato ogni mio singolo malessere facendomi alla fine cedere e sicuramente piangere. Al contrario di suo figlio ero convinta che non fosse affatto un uomo cattivo e che tenesse al benessere dei suoi figli più di ogni altra cosa. Sapeva essere molto duro, freddo, rigido e quello era l'apetto che Edward aveva preso da lui ma non avevo mai avuto il coraggio di dirglielo perchè sarebbe stato un insulto per lui. Si somigliavano più di quanto pensasse.

“Non credo sia una buona idea, Charlie tornerà a casa a momenti e …” non riuscii a formulare una scusa decente e lei mi anticipò.
“Ho capito, non fa niente non preoccuparti ma lascia che ti riaccompagni a casa di tuo padre allora”
Con la sua voce, lo sguardo e i suoi modi gentili Esme risultava una donna estremamente dolce e attenta, sperai che non avesse intuito il mio stato d’animo e così accettai il suo invito.

 
EDWARD
 
Sono giorni che cerco di parlarti senza ricevere risposta. Ieri sono anche passata al tuo appartamento e non mi hai aperta, inizio a preoccuparmi seriamente. Per favore richiamami o mi costringerai a farti sfondare la porta dai pompieri. Seriamente, voglio solo sapere se stai bene. So che la partenza di Bell…
 
Premetti il piccolo bottone rosso, non ascoltando il resto del messaggio lasciatomi da Alice in segreteria. Rimasi immobile, fissando il piccolo apparecchio che negli ultimi giorni non aveva fatto altro che intralciare i mie silenzi.
Un’latra luce lampeggiò su di esso, illuminando ritmicamente l’angolo del soggiorno in cui era posizionato il telefono.
 
Perché nessuno risponde al telefono? Ho provato a contattarti per tutta la mattinata, senza risultati. Chiamami appena puoi, credo di aver trovato finalmente la pista giusta e forse po…
 
Premetti nuovamente con forza, l’interruttore di cancellazione dei messaggi, quando la voce di Eric riempì la stanza. Non volevo neanche più sentire il suo nome.
Mi passai una mano fra i capelli prima di portarmi alla bocca la bottiglia di vodka semivuota e berne dei lunghi sorsi. Avere la mente costantemente offuscata dall’alcol era stato, inizialmente di grande aiuto ma negli ultimi giorni neanche quello sembrava più essermi di conforto.
L’unica persona della quale m’importasse realmente era andata via ed io non riuscivo a pensare ad altro, se non al fatto che fosse la cosa giusta. La magia era finita, Bella si era finalmente resa conto di quanto fossi marcio e aveva deciso di andarsene prima che potessi fare del male anche a Eleonore. Il solo pensiero di non poter neanche più sentire la sua voce mi fece perdere il controllo e in un attimo la bottiglia scivolò dalle mie mani sfracellandosi al suolo.
Il suono che provocò all’impatto col pavimento si fuse con quello della segreteria che mi avvisava dell’ arrivo dell’ennesimo messaggio.
 
Edward muovi il culo e rispondi al telefono” distolsi velocemente lo sguardo dai cocci di vetro, concentrandomi sulla voce seria di Emmett “Alice mi ha detto quello che state passando tu e Bella ed il fatto che tu non risponda alle telefonate ci preoccupa. Rispondi la telefono!” la voce autoritaria che usò fino a quel momento si affievolì, lasciando spazio ad un tono più comprensivo.
 
Fratellino, so che quella ragazza sia la cosa più bella che ti sia capitata dopo aver attraversato un periodo letteralmente infernale della tua vita ma noi vogliamo solo starti vicino o almeno sapere se sei vivo. Sono sicuro che in questo momento tu mi stai ascoltando e conoscendoti sarai appezzi e ubriaco da giorni ormai. Voglio solo sapere se stai bene fisicamente, non ti dirò che andrà tutto bene perché quello non lo so ma per favore Edward rispondi a questo maledetto telefono
Mi avvicinai al telefono e colto da un improvviso desiderio di parlare con qualcuno, alzai la cornetta.






 

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Capitolo 31
*** 31Capitolo ***




Capitolo 31








 

“Sto bene, smettetela di preoccuparvi e lasciatemi in pace” parlai in fretta e la gola quasi mi bruciò per il tempo che avevo trascorso in silenzio.
“Si certo, come no” mormorò in risposta, prima di riagganciare.
Guardai la cornetta, incredulo e infastidito dal suo strano atteggiamento quando però, inaspettatamente sentii bussare alla porta.
Oh, Cristo non farmi questo
M’immobilizzai e il silenzio si propagò velocemente nell’aria. Era vero, ero sicuramente ubriaco e forse avevo immaginato di sentire quel suono pensai ma nuovamente sentii dei colpi alla porta. Questa volta più decisi e accompagnati dalla voce di mio fratello.
“Abbiamo parlato appena mezzo secondo fa, apri questa porta, so che sei in casa. Qui fuori fa freddo”
 
Sentii la rabbia crescermi dentro, al solo pensiero di non essere capito. L’unica cosa che avevo chiesto era di essere lasciato in pace ma sembrava che ai miei fratelli non importasse affatto la mia opinione.
A passi spediti mi avviai verso la porta, pronto a riversare tutta la frustrazione accumulata in quei giorni.
“Perché sei qui, Emmett?” ringhiai sottovoce quando rividi il suo volto.
Fece un passo verso di me, cercando di entrare ma glielo impedii e lui tornò su i suoi passi. “Vattene”
Fece una smorfia, inorridito “Ha l’alito che farebbe concorrenza ad un barbone morto.  Che cosa stai bevendo vodka?”
Strinsi i pungi e in un attimo cercai di richiudere la porta ma lui fu più veloce di me. Con un unico gesto secco, bloccò il mio patetico tentativo di fuga e senza sforzi spalancò la porta, entrando.
Il solo tentare di competere con quell’energumeno mi fece quasi perdere l’equilibrio.
“Non riesci neanche a tenerti in piedi” sussurrò avvicinandosi ed io quasi gemetti esasperato. “Guardami” ordinò inaspettatamente. Non ebbi neanche il tempo comprendere la sua frase che mi afferrò il viso con una mano.
Cercai, immediatamente di divincolarmi dalla sua morsa senza successo “Lasciami” sbraitai ma lui sembrò ignorarmi, continuando a fissarmi con attenzione.
“Dimmi che è solo l’alcol che ti ha ridotto in questo stato e non qualcos’altro”
Mi fermai all’istante, prima di concentrare tutte le forze e spingere via il suo braccio. Mi massaggiai la mascella, dolorante e lui fece un passo verso di me.
“Non saprei neanche dove comprare qualunque tipo di droga in questa citta!” urlai risentito anche solo dal fatto che avesse pensato una cosa del genere.
“Questa non è la risposta che avrei voluto sentire” mormorò ed io alzai lo sguardo, pronto a incenerirlo.
“E cosa ti sarebbe piaciuto sentire? No Emmett, non farei mai una cosa del genere. Sono uscito completamente da ogni genere di dipendenza?!” lo canzonai e sentii il sangue arrivarmi al cervello.
“Hai lasciato moglie e figlio per venire a sentire queste stronzate. Non dovresti neanche farmele determinate domande”
Ascoltò in silenzio ogni mia parola, guardandomi intensamente per poi scuotere leggermente la testa. Si sfilò la giacca e si diresse in cucina.
 
Rimasi immobile, ancora con il fiatone per avergli urlato contro e il buio che ci aveva avvolto fino a quel momento s’infranse quando uno sprazzo di luce proveniente da quella stanza mi costrinse ad abbassare lo sguardo. Sbuffai e seguii la sua direzione “Emmett …”

“Ti serve una tazza gigante di caffè, così ti sentirai meglio” disse interrompendomi. Lo guardai destreggiarsi, esperto, tra gli scaffali della cucina come se lo avesse fatto altre volte. “Porta il tuo bel culetto su una delle sedie e non costringermi a legarti”
“Non usare quel tono autoritario con me” biascicai, facendo però come ordinato.
Lo sentii ridacchiare ma lo ignorai, poggiando la testa contro il tavolo.
Non parlammo per qualche minuto e l’unico suono che si sentì fu quello del traffico per strada.
“Alice mi ha detto che hai lasciato il tuo lavoro allo studio. Se papà viene a saperlo ti ucciderà. Ha dovuto fare i salti mortali per farti assumere fresco di laurea, potrebbe venirgli un infarto”
Mio padre era l’ultimo dei miei pensieri ma fu comunque più forte di me, il desiderio di giustificarmi “Caius ha saputo che ho passato due anni a farmi di eroina e ha tenuto opportuno allontanarmi dal suo prestigioso studio legale del cazzo” mormorai tranquillo, mio fratello era l’unica persona con cui riuscivo a parlare di quella storia senza sentirmi a disagio. L’espressione che seguì la mia precisazione mi costrinse a raccontargli per bene tutta la storia e alla fine del racconto la sua esclamazione mi fece sentire per qualche secondo un tantino meglio.
“Puttana!”
“Già” mormorai e il viso di Kate riapparve nella mia mente, prepotentemente.
“Ti sei praticamente fatto sparare, per niente. Avrebbero potuto darti almeno una medaglia prima”
Aggrottai la fronte, incredulo per poi sentire lo strisciare della sedia al mio fianco e non fu per niente una buona cosa per le mie orecchie. “Tieni, bevi”
Alzai appena la testa, solo per vedere la tazza di caffè davanti a me e avvicinarla.
“Scusami per prima, non volevo aggredirti … è stata una cosa istintiva. Appena ti ho visto, ho vissuto un flashback, ho pensato al peggio e mi sono spaventato”
Alzai le spalle portandomi la tazza fumante alla bocca. Il sapore amaro mi fece quasi lacrimare “Questo caffè fa schifo” mormorai e lui sorrise, abbandonando l’espressione rammaricata che aveva assunto.
“Perché Bella è andata via?” domandò cambiando nuovamente espressione.
“Perché è meglio così …” risposi e sentii una fitta al cuore.
“Non dire cazzate, Edward. È stato per via di Kate?” chiese ancora ed io mi raddrizzai sulla sedia prendendomi i capelli fra le mani.
Scossi la testa “Senza di me starà molto meglio, non faccio altro che farle del male. Faccio del male a chiunque mi sia accanto”
 
 “Quella ragazza ti ama, è vero non hai un carattere semplice da comprendere ed è molto probabile che tu abbia più nemici che amici ma se è riuscita a stare al tuo fianco per tutti questi anni qualcosa vorrà pur dire” prese il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni quando entrambi lo sentimmo suonare.
Lesse il messaggio che aveva ricevuto, per poi scrivere qualcosa a sua volta.
“Sei venuto da Los Angeles solo per vedere quanto io sia patetico?  Adesso mi odierà anche Rosalie, grazie mille”
Sbuffò “Rose e Jonathan, sono da Alice. Non ho abbandonato nessuno per te, smettila di fale il melodrammatico e finisci quel cazzo di caffè”
Alice e la sua boccaccia …
Mi alzai, svuotando la tazza nel lavandino e avvicinandomi a mio fratello “Ascolta, ho davvero bisogno di stare solo, va da Alice. Ti prometto che non mi suiciderò” lo avvisai e lui mi lanciò un occhiataccia.
“Hai bisogno di dormire, fratello. Non preoccuparti di niente, io dormirò sul divano”
Feci per ribattere ma poi annuii rassegnato e lui mi seguì in camera per ricevere una coperta e un cuscino. Aprii l’armadio e gli diedi l’occorrente per la notte “Non credo che dormirò, sarà meglio che ci stia io sul divano”
Sbarrò gli occhi prima di scuotere energicamente la testa “Non dormirei mai nel vostro letto, Dio solo sa che cosa ci avete fatto lì dentro”
Aggrottai la fronte, incredulo “Non dovresti neanche dormire sul divano allora” mormorai e lui mi colpì con un cuscino.
“Smettila di spaventarmi, vorrà dire che dormirò sulla poltrona” mi guardò come se avesse trovato la soluzione perfetta ma io sorrisi e lui mi guardò scioccato.
“Oh mio Dio ma siete assurdi, dormirò per terra allora. Buona notte” non mi diede il tempo di dire niente, che si allontanò chiudendosi la porta alle spalle.
 
Il senso di tranquillità che solo Emmett sapeva trasmettermi, svanì insieme a lui non appena rimasi nuovamente solo. Fu come se ogni sentimento positivo mi avesse abbandonato, non lasciando spazio nemmeno alla negatività. Ero semplicemente vuoto. Di un vuoto che avevo già sperimentato anni prima, quando dopo aver trascorso sei mesi in Alaska, non riuscivo più a dare un valore a niente. L’idea di ricominciare a vivere, fingendo l’inesistenza dei due anni precedenti, mi sembrava impossibile. Il tornare a scuola e comportarmi da studente modello era ridicolo eppure un po’ ci ero riuscito quando avevo incontrato Bella. Mi sono aggrappato a lei, usandola come ancora di salvezza e lei non se né neanche resa conto. Avevo ritrovato, con il suo aiuto, l’Edward che avevo lasciato a Chicago, avevo imparato ad amarla e cosa più incredibile a farmi amare. Ogni singola notte trascorsa al suo fianco era una benedizione per me, l’idea che mi avesse accettato per quello che ero era incomprensibile ai miei occhi, eppure era reale. Una creatura così pura e sensibile aveva deciso di trascorrere la sua vita con il peggiore dei peggiori, fino a quando l’incantesimo era finito e lei aveva aperto gli occhi.
 



La vista di mio fratello, ronfante, sul pavimento accanto al divano non mi fece nessun effetto. Se l’avessi visto, in altre circostanze avrei sicuramente riso ma quella mattina l’atmosfera grigia dell’alba mi aveva sottolineato che un altro giorno senza Bella stava cominciando.
Tirai un leggero calcio verso la sua direzione, tentando di svegliarlo. La sua presenza in casa, era alquanto inutile e cominciava a infastidirmi “Emmett, svegliati” mormorai e lui sussultò aprendo gli occhi.
“Ti verrà un mal di schiena incredibile” aggiunsi quando cominciò a rimettersi in piedi. Scosse la testa “Questa pavimentazione e molto più comoda del materasso su cui dormo alla base” fu in piedi in un attimo e cominciò a stiracchiarsi, vitale come se fosse già sveglio da ore.

Mi guardò “Fai ancora più schifo di ieri sera, perché non ti decidi a dormire un po’?” non risposi alla sua assurda proposta e lui sospirò “Senti, perché non le telefoni? Sono sicuro che sarà felice di sentirti …”
“Non vuole vedermi, figurati sentirmi”
“È stata lei a chiedere ad Alice di assicurarsi che tu stessi bene”
Mi bloccai immediatamente alle sue parole e un barlume di speranza si fece strada dentro di me “Bella … cosa … ha parlato con Alice?”
Annuii “Sono amiche, era ovvio che si sentissero”
Mi passai una mano fra i capelli cercando di formulare qualche pensiero decente “Che cosa si sono dette?” domandai.
“Non lo so …”
“Devo sapere … muoviti, andiamo da Alice” mi avviai verso la porta ma lui mi bloccò, afferrandomi per un braccio.
Lo guardai, incredulo “Che fai. Lasciami!”
“Sono le sei del mattino, staranno dormendo e poi spaventeresti Johnny in queste condizioni. Fatti una doccia e la barba, poi ne riparliamo”
 

**** *** ****

 
“Oh, chi non muore si rivede” il tono sarcastico con cui Alice ci accolse o meglio, mi accolse, mi fece rendere conto di quanto involontariamente avessi perso ogni contatto con lei. Di quanto, in quegli anni, avessimo perso l’affetto reciproco che ci aveva legati sin da bambini. Lei era stata una delle persone che avevo deluso durante i primi anni a Forks e sapevo che non mi avesse ancora perdonato. Non avevamo mai dato peso a quello che era successo, avevo creduto che fingendo, il tempo avrebbe guarito ogni ferita. Eppure, era come se l’assenza di Bella mi avesse dato la possibilità di vedere tutto sotto una luce diversa.
“Papaaaaaa!” la voce sorpresa, di Jonathan mi distolse dai miei pensieri, facendomi ricordare dove fossi realmente. Seguii il suono dei suoi piccoli passi e in pochissimo tempo fu tra le braccia di suo padre.
“Ecco la mia scimmietta. Hai dormito bene campione?” Emmett gli accarezzò i riccioli biondi e il bambino scosse la testa,  aggrappandosi al suo collo.

“Ciao Edward” Rosalie ci raggiunse e mi rivolse un sorriso rassicurante, prima di accarezzarmi un braccio “Come stai? – domandò prima di fare una smorfia – Lo so. È una domanda sciocca”
Accennai un sorriso ed Emmett s’intromise “Avresti dovuto vederlo ieri, ora sta una favola paragonato a prima”
Sbuffai, lasciandoli soli.
 
Alice si era posizionata a gambe incrociate, su divano del suo enorme appartamento. Disegnava, concentrata e non si accorse della mia presenza fino a quando non presi posto al suo fianco. Alzò lo sguardo “Così era Emmett quello di cui avevi bisognò” mi guardò per qualche secondo per poi riprendere quello che stava facendo.
“Mi … dispiace” azzardai e lei socchiuse le labbra quasi a voler dire qualcosa ma poi rimase in silenzio.
“Allora, le hai chiesto quello che ti serviva?” Emmett e la sua famiglia ci raggiunsero, sprofondando senza nessun genere di grazia sul divano. Rosalie gli lanciò un occhiataccia prima di sedersi su una delle poltrone viola difronte a noi.
“Che cosa devi chiedermi?” Mi guardò ancora ed io mi sentii a disagio. Il suo tono, così come il suo sguardo, metteva una soggezione mai avvertita fino a quel momento.
“Volevo sapere di Bella. Emmett mi ha detto che vi siete sentite”
“Qualche giorno fa” rispose vaga, destreggiandosi tra matite e pastelli colorati.
 Nella stanza calò il silenzio, ad eccezione degli urletti allegri di Jonathan che veniva lanciato in aria dal padre. Aspettai che aggiungesse qualunque altra cosa ma non mi degnò neanche di uno sguardo. Emmett se ne accorse e mi guardò incuriosito, aggrottando la fronte. Si sedette composto ponendo il figlio sulle sue gambe “Alice qual è il tuo problema?” domandò e quella semplice domanda le arrivò come il più orribile degli insulti.
Sbatté una mano contro il suo album, facendo sobbalzare tutti “Vuoi davvero sapere qual è il mio problema?” urlò e senza aspettarsi neanche una risposta puntò gli occhi su di me “Se tu il mio problema. Sei sempre stato il problema di tutti ma il tuo ego è talmente sproporzionato da renderti cieco”
Rosalie fu al suo fianco e le mise una mano su braccio cercando di zittirla “Alice, non …” ma non le fece finire la frase che si scansò, continuando a guardarmi.
“Ti è mai passata per la testa l’idea che il mondo non giri intorno a te? Anche noi abbiamo delle vite e non dovremmo essere al tuo servizio ma è da quando ho memoria che l’attenzione è su di te” si alzò in piedi “Sei sempre stato un immaturo Edward, hai sempre creduto di essere forte ma la verità è che dipendi dalle persone. Non sei in grado di prenderti cura neanche di te stesso figurati degli altri è per questo che Bella ha …”

“Adesso basta, hai detto abbastanza” Emmett sovrastò la sua voce facendola uscire dalla spirale di rabbia in cui era caduta “Basta” ripeté e Jonathan cominciò a singhiozzare, spaventato dall’intera situazione. Rose corse da lui prendendolo fra le braccia e portandolo verso le vetrate che davano sulla strada, cercando di distrarlo.
“Sei dovuto venire dalla California solo per farlo uscire dal suo appartamento, non venirmi a dire che questa è maturità” bisbigliò ed Emmett sospirò lanciando continue occhiate verso la sua famiglia.
“Non ti ho chiesto io di venirmi a cercare” mi difesi e lei alzò gli occhi al cielo.
“Su questo hai ragione, è stata Bella a chiedermelo. Dio solo sa che cose ci trova in te quella poverina, tratti tutti con superiorità persino lei che ti ama con tutta se stessa. Hai sempre vissuto con l’idea che tutto ti sia dovuto ma non è così, le cose vanno guadagnate e a parer mio tu sei lontano anni luce da tutto questo”
Le mani le tremavano, così come tutto il resto del suo corpo. Gli occhi le si riempirono di lacrime ma non si lasciò osservare per molto perché si voltò, recuperò un paio di chiavi e si avviò verso l’uscita “Qui non riesco a concentrarmi, vado di sotto da Jasper, voi fate come se foste a casa vostra” e chiuse la porta, lasciandoci i assoluto silenzio.
 
Abbassai la testa prima di prendermela tra le mani e pregare che il pavimento si aprisse e m’inghiottisse, rendendo così felice Alice e tutte le persone che soffrivano a causa mia. Sentii nuovamente il bisogno di stare solo e rimuginare su ogni singola parola sputatami addosso da mia sorella. Ogni frase era stata come una pugnalata ma meno dolorosa di quanto immaginassi. Sapevo già di essere una sottospecie di sanguisuga velenosa. “Non pensa davvero tutto quello che ha detto” sghignazzai incredulo davanti alle parole di Emmett.
“Forse non tutto ma il novantanove percento si, lo pensava e ha ragione. Dovrei solo trovare il coraggio di levarmi di mezzo definitivamente ma non ci riesco perché rivoglio la mia vita, rivoglio Bella. Sono egoista, lo sono sempre stato”
 
“Allora andiamocela a riprendere”
Entrambi ci voltammo verso Rosalie che senza smettere di cullare il figlio ci guardava fiduciosa e determinata “L’ultima volta che io e Bella abbiamo parlato, l’unico suo desiderio era quello di costruire una famiglia con te. Sono passati dei mesi, questo lo so ma sono sicura che in fondo al suo cuore questo desiderio non sia cambiato”
“Mia moglie è così saggia!” Emmett mi rivolse un sorriso d’incoraggiamento “Allora prendiamo il primo volo per Phoenix e andiamo da lei”
Bloccai il suo entusiasmo sul nascere “Non è da sua madre, è a Forks”
Sbarrò gli occhi “Dal Capo Swan?” sospirò per poi passarsi una mano fra i capelli, scoraggiato “Beh ma questo non deve abbatterci, è vero ti odia e forse preferirebbe che sua figlia non ti avesse mai incontrato ma lei ti ama e per questo devi andare a riprendertela!”
“Non siamo nell’esercito Emmett, questa non è una missione o una prova. Lei mia ha detto che non vuole vedermi e …ho intenzione di fare quello che mi ha chiesto” il mio cuore urlò per il dolore che quelle parole mi provocarono, eppure era così. Avrei fatto di tutto per farla stare bene, per farle capire quanto l’amassi, anche lasciala andare. Se ami qualcuno, lascialo andare, non diceva così quella maledetta frase?
 
Rose ci passò davanti, andando verso l’uscita e non ci misi molto a capire dove stesse andando “Scendo a vedere come sta Alice”
Emmett annuì per poi allargare le braccia e Jonathan si dimenò scendendo dalle braccia della madre e correre verso di lui. Con un semplice saltello fu su di lui e cercò di stringerlo il più possibile con le sue piccole braccia. Mio fratello sorrise ed io non potei fare a meno di fare lo stesso sperando di avere anch’io la possibilità di provare una simile emozione con mia figlia.

 
 












Vorrei semplicemente scusarmi per aver postato lo scorso capitolo con un ritardo vergognoso, ho avuto parecchi imprevisti che non mi hanno permesso di collegarmi al sito per molto tempo. Per questo ho scritto questo capitolo il più velocemente possibile, cercando di non farvi aspettare troppo.
Spero vi sia piaciuto. Secondo voi cosa farà adesso Edward?
Un bacio e grazie per le recensioni allo scorso capitolo, siete fantastiche! *w*

Approfitto di questo momento, anche per consigliarvi due splendide fanfiction.
Rules of attraction e Scusa se ho aspettato la pioggia. Sono entrambe di vanderbit, una mia cara sostenitrice virtuale e vi assicuro che sono splendide e se vi va di leggere delle belle storie quelle fanno apposta per voi.
Ora vado, grazie ancora di tutto.
Un bacio. =D

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Capitolo 32
*** 32Capitolo ***




Capitolo 32











 

Strinsi tra le mani il mazzo di chiavi della mia Volvo, quando varcai l’uscita dell’appartamento di Alice. I raggi del sole, ormai alto nel cielo, riflettevano su tutte le superfici trasparenti e le vetrate che circondavano l’abitacolo. Alzai una mano, in direzione della mia testa, facendo scivolare gli occhiali da sole sui mie occhi.
Guidai fino a casa, senza prestare la minima attenzione alla strada, completamente immerso in tanti pensieri. Mi ero fatto convincere a prendere il primo volo per Forks e ad andare da Bella. Quel desiderio era già dentro di me e quindi più che convincermi era stato solo un desiderio espresso ad alta voce. Frenai appena in tempo, per non sbattere contro l’auto davanti a me quando un semaforo divenne rosso. Sprofondai nel sedile, portandomi le mani tra i capelli.
Tre settimane,
Non riuscivo neanche a credere all’evidenza. Se qualcuno mi avesse detto che sarei riuscito a passare tutto quel tempo senza la mia Bella, non ci avrei creduto. Mi era impossibile immaginare di stare senza i suoi occhi, il suo sorriso, la sua voce, la sua risata…
Come avevo fatto? L’alcol aveva fatto la sua parte, certo, ma ogni singola notte sentivo di perdere qualcosa di lei. Sperai che il padre non le avesse fatto un lavaggio del cervello, che non avesse appoggiato la sua idea di allontanarsi da me, che non le avesse detto nulla contro di me. Si, certo, come no.

Charlie Swan aveva imparato a odiarmi in un modo viscerale ed io avevo lasciato che pensasse di me qualunque cosa volesse purché non intralciasse il mio rapporto con Bella. Avrei lasciato che il mondo intero mi odiasse per lei.

Arrivai sotto casa, accompagnato da una forte emicrania e la persona che trovai davanti al portone non fece altro che farmi sentire peggio. Presi in considerazione l’idea di ritornare sui mie passi e non farmi vedere ma quando incrociai i suoi occhi con i miei capii di dover chiudere una volta per tutte quella storia.
“Eric” pronunciai il suo nome e nulla mi sembrò così lontano, distante.
Mi guardò per molto tempo, nel quale cercai di trovare nella sua espressione del rancore ma non trovai nulla di tutto questo. “Ho un volo tra un paio d’ore e dovrei fare i bagagli… ” aggiunsi, recuperando le chiavi di casa.
“Ho creduto che fossi morto ma vedo che stai bene … più o meno” mi guardò, indagatore e non potei fare a meno di fare lo stesso.
Era vestito elegantemente, pettinato alla perfezione e per un attimo pensai di essermi immaginato quei giorni in cui era a pezzi. “Che cosa è successo?” domandai, quando constatai quanto fosse diverso dall’ultima volta che l’avevo visto.
“Ho parlato con mia sorella” ammise e potei quasi sentire il suo cuore esplodere per la commozione. M’immobilizzai sul posto e lo lasciai continuare “Ho tante cose da dirti, amico …Victoria mi ha aiutato tantissimo e abbiamo scoperto dove si trova mio padre e Roxy tornerà da me e … ”
Spalancai gli occhi sepolto da troppe notizie “Aspetta, aspetta non ti seguo. Sai dov’è Harrison?”

“Quando siamo entrati in casa di mio padre, abbiamo fatto una stupidaggine. Era scontato non trovare niente nella casa di una persona che fugge. Dovevamo cercare in casa di quella che resta” lo guardai perplesso e lui sorrise “Caius”
“Caius?” ripetei il suo nome e mi sentii un deficiente per non esser riuscito a collegare ancora niente.
“È sempre stato tutto sotto i nostri occhi, Edward ma non ce ne siamo mai accorti. Lo studio è sempre stato un pozzo d’informazione ma non riuscivamo a vederlo. Victoria è entrata nel suo ufficio e siamo riusciti a dare alla polizia tante di quelle prove da far riaprire il caso”  
“Caius” ripetei e lui annuì con vigore.
“Quel bastardo ha usato mio padre come un burattino, lo usava come copertura e neanche gli Enko sapevano che ci fosse lui dietro a tutto. Girano tanti di quei soldi sotto quei due, Edward, da poter sfamare ogni singola persona di questa città”
Mi sentii sollevato per lui ma anche in quel momento di gioia non potei non pensare a Bella. Le farebbe piacere sentire tutto questo.

“Possiedono molte proprietà immobiliari ai Caraibi e una volta essermi soffermato su che razza di uomo fosse mio padre, non è stato difficile fare due più due”
Sospirai “Non dirmi che tuo padre ha preso il sole e sorseggiato tequila per tutto questo tempo” mi sembrò assurdo anche solo a pensarlo ma dall’espressione che mi rivolse intuii di essere andato molto vicino alla realtà.
“Tra un po’ sarà dietro le sbarre e potrò finalmente ricominciare a respirare quando rivedrò mia sorella”
“Hai detto che le hai parlato, com’è possibile?”
“Cèchov, l’avvocato di quei tre parassiti russi. È stato lui il primo a cui l’ho detto, perché sapevo che mi avrebbe aiutato e così è stato. Inizialmente ha rifiutato di parlare con me e anche solo di avvicinarmi ma quando gli ho detto che sapevo dove fosse mio padre è andato via e quella stessa sera ho trovato nella mia auto un cellulare che non era il mio. Durante la notte ho aspettato e improvvisamente ha cominciato a squillare e … mia sorella sembra stare bene ma non la riavrò finche non vedranno mio padre e Cauis in gattabuia”
“Non so cosa dire …” quanto ingiusto ero stato nei suoi confronti? L’avevo abbandonato di punto in bianco, lasciandolo ad affrontare troppi dolori. Eppure continuava a chiamarmi amico ed era venuto a condividere con me la sua felicità. Mi sentii uno schifo. Alice non ha poi tutti i torti, sono un egoista.

“Beh, qualcosa da dire ce l’hai” mormorò ed io aggrottai le sopracciglia “Dovrai testimoniare contro Caius e mio padre in tribunale”
Annuii e mi diedi dello sciocco “Si, certo era ovvio. Puoi contare su di me e scusami per essere sparito”
“Non scusarti è grazie a te se ho trovato la forza di fare qualcosa” sorrise ancora facendo un passo indietro e guardando il suo orologio “Allora, hai detto che devi prendere un volo tra un po’. Posso darti un passaggio? Ho ancora del tempo, prima di assistere all’arresto del mio vecchio”
 
 

BELLA
 
“Il primo giugno” mi morsi un labbro e l’ansia crebbe senza neanche un po’ di pietà. “Ci avevano detto giugno ma non credevo che potessero organizzarla proprio il primo giorno del mese”
“Il giorno non fa affatto la differenza! Finalmente abbiamo una data Bella e possiamo dire che il primo giugno avremo ufficialmente una laurea in giornalismo”
L’euforia che emettevano le sue parole ebbero un effetto disastroso per i miei nervi. Ero chiusa in casa di mio padre, a Forks, a meno di due mesi dalla mia laurea e tutto mi suonava ridicolo e sbagliato. Ero lontana da New York, dalla dottoressa McCartney a meno di due settimane dalla scadenza del nono mese di gravidanza. Ero ritornata in quella città senza pensare, programmare seriamente il da farsi. Fingevo di non pensarci, evitavo il discorso con me stessa ma la verità era che dovevo seriamente prendere una decisione e soprattutto dovevo tornare a casa per la laurea, per Eleonore.
Strinsi il cellulare e quando sentii il peso dei pensieri, prendere il sopravvento decisi di spostarmi dalla finestra alla quale ero affacciata, al mio letto. Sospirai “Vorrei solo avere più tempo …” mormorai e mi accorsi di aver detto ad alta voce quello che invece avrei voluto tenere per me.
“Non ti riferisci alla laurea, vero?” domandò perspicace ed io annuii e senza che me ne rendessi conto portai lo sguardo sulla scrivania difronte al letto dove una foto che ritraeva me ed Edward la faceva padrona. Trattenni il respiro, incredula per non averla vista fino a quel momento e un sorriso amaro si fece strada sul mio viso al ricordo di quando l’avevamo scattata.
 

“Non è complicato Isabella ma se continui a tirare a indovinare non ci riuscirai mai, devi ragionarci e vedrai …”  non lasciai che finisse l’ennesima frase d’incoraggiamento, che mi alzai dal suo letto, dirigendomi verso la sua scrivania.
“Dove stai andando?” domandò confuso e con una nota d’irritazione per essere stato interrotto.
Raccolsi l’oggetto che aveva rubato la mia attenzione e a trentadue denti glielo mostrai “Facciamo una foto” proposi e lui alzò un sopracciglio. 
“Bella, ho detto a tuo padre che saresti sicuramente stata ammessa anche tu alla Columbia ma se non superi il test d’ammissione, saremo costretti a rimanere in questa cittadella dimenticata da Dio per il resto dei nostri giorni”
L’idea che non facesse altro che parlare al plurale mi riempiva il cuore. Mai un io, sempre un noi. L’essere stato ammesso in una delle università più prestigiose degli Stati Uniti non significava niente per lui fino a quando non ci fossi entrata anche io.
“Tu sei già stato ammesso e se non dovessi farcela tu partirai comunque”
Mi guardò intensamente e l’iride dei sui occhi quasi brillò “Dovessimo studiare giorno e notte, tu supererai questo test. Senza di te non vado da nessuna parte”
L’idea di potercela fare, non mi aveva neanche sfiorato ma Edward credeva in me e nelle capacità che solo lui riusciva a vedere. Aveva fatto quel test quasi per scherzo, senza neanche studiare ed era stato subito ammesso alla facoltà di giurisprudenza. Me l’aveva detto con timore, esprimendomi il desiderio di lasciare quella città e la facoltà di medicina che frequentava per allontanarsi e cambiare vita. Mi ero sentita morire in quel momento perché l’idea che mi volesse con lui non mi aveva sfiorata ma poi mi aveva dato della sciocca quando vedendomi in lacrime mi specificò che sarebbe andato via se solo l’avessi seguito.
Adesso nella sua stanza, con tanta pazienza mi faceva da maestro e cercava di tappare tutte le lacune che avevo in alcune materia.
 
Ma fu più forte di ogni logica, sentii il bisogno di  fermare quel pomeriggio di studio nel tempo e renderlo indelebile.
“Solo una foto …” sussurrai con voce implorante e lui cercò di rispondere ma io lo precedetti “Ti prego, solo una piccola”
“Non credo che quella digitale faccia foto di dimensioni diverse dal normale” precisò e il suo tono sarcastico mi fece intuire che stesse per cedere.
“Abbiamo bisogno di ricordare questo momento, così il giorno della mia laurea la riguarderemo,  penseremo a questi giorni che abbiamo passato sommersi dai libri e potremmo dire di avercela fatta”
Scosse la testa, divertito, per poi spostare leggermente di lato il libro di matematica che stavamo usando e guardarmi “Muoviti, prima che cambi idea”
M’illuminai letteralmente e mi precipitai fra le sue braccia. Gli baciai velocemente le labbra prima di posizionarmi sulle sue gambe e sussurrare  “Sorridi”
 

Mi sentii un’ingrata. Ricordai tutte le cose che aveva fatto per me e a tutte le cose che era pronto a rinunciare pur di avermi al suo fianco. Accarezzai la cornice blu che custodiva la foto e guardando il suo sorriso luminoso e lo sguardo protettivo che mi rivolgeva in quel momento, sentii un bisogno viscerale di sentire almeno la sua voce. Erano passate quasi tre settimane e da quando stavamo insieme non avevamo mai trascorso un periodo così lungo senza vederci o sentirci.
“Angela, ora devo lasciarti” mormorai e una specie di adrenalina s’impossessò delle mie mani.
“D’accordo, ci sentiamo in questi giorni. Quando … hai intenzione di tornare?” la sua domanda fu incerta e riuscii ad avvertire anche un po’ di tensione “Cioè, intendevo … sai, intendevo …”
“Non lo so” interruppi il suo balbettare “Lo so, che devo tornare ma ho paura e non ho concluso un bel niente qui, anzi sono più indecisa di prima” ammisi.
 
“Ci hai parlato in questi giorni?” chiese e non ci fu il bisogno di specificare il soggetto della sua frase.
“No, Edward mi fa uno strano effetto e quando sono con lui finisco sempre per nascondere ogni problema ma sono stanca. Devo affrontare tutti i fantasmi che mi rendono infelice e ho capito che devo farlo con lui”
L’ammettere che mi fosse mancato per tutto quel tempo mi fece sentire più leggera ma una parte di me continuava a credere fortemente che tutto fosse sbagliato. Continuavo a credere che nulla si sarebbe risolto e che Edward non sarebbe mai cambiato veramente ma avevo bisogno di lui e l’idea che si fosse già dimenticato di me o che si fosse rassegnato mi fece paura. Mi sentii come una tredicenne indecisa da ogni piccola cosa perché due idee contrastanti facevano la guerra nella mia testa provocandomi solo mal di testa.  

Salutai la mia amica e senza che me ne rendessi conto mi ritrovai immersa dai dubbi.
Voglio chiamarlo e sentire la sua voce. Sarebbe una cosa sbagliata da fare, potrei arrendermi definitivamente a lui e non è quello che voglio … ma mi manca.
Strinsi il cellulare portandomelo al petto. Solo la sua voce, poi riattacco. Mi passai una mano fra i capelli, costatando quanto mi fossi rimbecillita negli ultimi giorni. Non aveva senso chiamarlo se non avevo niente da dirgli. Mi manchi, ti amo, chiedimi di tornare … si, qualcosa da dirgli ce l’avevo.
Sospirai e lacrime di rabbia mi riempirono gli occhi. Tornare da lui sarebbe stato come arrendersi, come lasciargli il campo libero a tutti i suoi difetti. Non mi aveva neanche cercata in tutti quei giorni e fare la prima mossa sarebbe stata una sconfitta. Al diavolo le sconfitte! Voglio rivedere il suoi occhi e sentirmi nuovamente al sicuro. Spronata da quell’ultimo pensiero, digitai il suo numero. Portai il telefono all’orecchio e persi un battito quando una voce ruppe il silenzio. Chiusi gli occhi e mi diedi della stupida quando ascoltai una voce fastidiosa che mi ricordava che quel numero non fosse raggiungibile. Edward non aveva ancora un cellulare.
Decisi allora di comporre il numero di casa ma il suono del campanello bloccò ogni mia azione. Rimasi in ascolto e quando sentii nuovamente il suo suono metallico mi alzai.
 
Scendere, così come salire, le scale era diventato un incubo. La stanchezza s’impossessava di me già dopo il terzo scalino. La pancia era diventata ingombrante e l’unico modo per sentirmi a mio agio e comoda era quello di starmene costantemente in camera. Con molta fatica e pochissima grazia arrivai alla porta e senza esitazione l’aprii.
Boccheggiai, sconvolta “Sei una persecuzione. Voi lasciarmi in pace?” il sorriso che Jacob mi rivolse fu dannatamente fastidioso e mi fece intuire che non avesse neanche capito la sua inadeguatezza in quel momento. Malgrado lo stessi evitando da giorni, sembrava non voler demordere. “Che vuoi?”
Alzò le spalle “Ho finito presto a lavoro, così ho deciso di portarti qualcosa di caldo” mi porse la grande scatola rosa con sopra il logo di una pasticceria e io lo guardai “Cioccolata calda e qualche ciambella” precisò.

Piegai la testa di lato, senza lasciare la presa sulla porta “Senti … io non credo”
“Se aspetti così tanto si raffredderà e sarà una schifezza da bere. È meglio che ti sbrighi e poi fa così freddo, con questa ti riscalderai”
Solo in quel momento mi accorsi del vento che tirava all’esterno, lo fissai ancora e colta da compassione mi spostai di lato “Entra …”
“Se insisti …” sussurrò e in un attimo fu in cucina. Sbuffai, richiudendo la porta.
Lo trovai a sfregarsi le mani tra loro, cercando di riacquistare calore. Quando mi vide, sorrise ancora prima di porgermi un bicchiere di cioccolata “Sono solo venuto a chiederti scusa”
Mi sedetti su una sedia, poggiando il bicchiere davanti a me e lui fece lo stesso.
“Non avrei dovuto intromettermi” constatò ed io annuii.
“Sono d’accordo con te, avresti dovuto farti gli affari tuoi”
Bevve un sorso dal suo bicchiere, muto e un silenzio fastidioso cadde nella stanza.
Cominciai ad avvertire lo scrosciare della pioggia sulle finestre e non potei far ameno di guardare verso di esse. “A New York, sarà sicuramente una bella giornata” mormorai e non riuscii a capire perché avessi detto ad alta voce una cosa che invece volevo tenere per me.
“Non riuscirei mai a vivere in una città come quella, è troppo caotica” sussurrò con una smorfia ed io alzai le spalle. “Hai intenzione di trasferirti qui definitivamente?”
Lo guadai truce e lui alzò entrambe le mani, in segno di resa “Certo, certo. Devo farmi gli affari miei” mormorò poco convinto.
“Perché sei qui, Jacob?” domandai e la mia voce si alzò di qualche tono, tanto da fargli alzare lo sguardo, risentito.
“Perché mi piaci” rispose con semplicità ed io trattenni il respiro, maledicendomi per avergli rivolto quella domanda. “Non guadarmi in quel modo, Bella. Lo hai sempre saputo, lo sanno praticamente tutti e mi si spezza il cuore nel vederti in questo stato per un ragazzo che non ti merita”
Boccheggiai, prima di emanare un lungo sospiro e spostare la sedia dal tavolo. Mi alzai “Va bene, ho sbagliato a farti entrare. Va a casa, sono stanca”
“No, io non capisco perché ti ostini ancora a proteggerlo …”
La sua voce mi arrivò sempre più lontana per il fatto che mi fossi allontanata da lui, fino ad arrivare davanti alla porta di casa “Jacob!” urlai il suo nome e lui venne verso di me.
“Ti serve solo qualcuno che ti faccia capire cos’è giusto e cos’è sbagliato ma tu non permetti a nessuno di avvicinarsi a te”
Scossi la testa, era solo colpa mia se mi ero ritrovata in quella situazione “Riprenditi la giacca, fuori fa freddo” mormorai e lui si fermò, incrociando le braccia al petto.
Lo guardai, incredula e con un gesto secco aprii la porta “Fuori!”
“Che cosa sta succedendo?”
Trattenni il respiro e pensai che l'esasperazione fosse a livelli talmente alti da essere arrivata ad avere le allucinazioni ma quando mi voltai verso la porta e ritrovai i suoi occhi preoccupati ebbi la certezza che fosse a meno di mezzo metro da me. Mi sentii smarrita ma non potei che soffiare il suo nome per renderlo reale “Edward”
 
 
 




Buona sera!
Ci rivediamo con il capitolo 33 a gennaio. Auguro a tutte voi un Buon Natale! Mangiate tanto e divertitevi a Capodanno. Ci rileggiamo nel 2012 =D
Vi abbraccio tutte.
PS. Sono un tantino indietro con le risposte alle recensioni ma provvederò al più presto. 

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Capitolo 33
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Capitolo 33













 

“Edward” ripetei il suo nome e nulla mi sembrò più inadeguato. Era lì, a pochi passi da me e non riuscivo a pensare a nulla di positivo in quella scena. Meno di mezz’ora prima stavo per chiamarlo, per dirgli che sarei tornata, che avevo bisogno di lui ma in quel momento mi sembrò tutto maledettamente sbagliato. Non con Jacob a pochi passi da lui, pensai.
Rimasi a fissarlo, immersa dai timori fino a quando una voce non li ufficializzò del tutto. “Che cosa ci fai qui?”
Mi morsi il labbro, con il tentativo di rigettare le imprecazioni che la parte meno gentile di me voleva riversare su Jacob. Mi voltai verso di lui “Ti ho detto …”

“Potrei farti la stessa domanda ma mi limiterò a chiederti il perché Isabella ti stesse cacciando” sentii nuovamente la voce di Edward e il tono basso e irritato che gli rivolse mi fece rabbrividire. Non era un buon segno, nulla di positivo quando si trattava di lui.
 
Alzai una mano verso di Jacob, fermando ogni tentativo di risposta da parte sua “Non è successo niente … va tutto bene” mormorai ma lui sembrò non sentirmi. Teneva lo sguardo fisso su Jacob e quasi sentii il suo cervello mettersi in moto e formulare teorie su come prenderlo a calci “Edward” pronunciai il suo nome con più decisione e finalmente ebbi la sua totale attenzione “Va tutto bene e Jake stava andando via” lo informai. Guardai i tratti del suo viso ingentilirsi lentamente quando trovò i miei occhi e non potei fare a meno di sorridergli. I suoi occhi brillarono e mi guardò come se fossi la cosa più preziosa in circolazione. Per un attimo che sembrò durare un eternità, fu come se ci fossimo solo noi e mi sentii finalmente a casa.
Il contatto fra i nostri occhi si interruppe al passaggio di Jacob che recuperò il suo cappotto dall’appendi abiti di fianco alla porta “Lascia pure che questo … ti rovini la vita” sputò con rabbia prima di oltrepassare Edward e andare via.
Rimasi impietrita, non per le parole appena ascoltate ma per il fatto di essere sola, con l’unico uomo che amavo e detestavo in egual misura.
“Ti prego, di qualcosa per distrarmi o giuro che gli corro dietro e lo uccido” parlò con estrema pacatezza, cercando d’infondermi la tranquillità che in realtà non aveva. Le sue mani tremavano e lui cercava di bloccarle tenendole strette a pugno.
“Non rimanere lì fuori, entra” mormorai e lui fece come chiesto, senza abbandonare i miei occhi neanche per un secondo. Chiuse la porta e in poco tempo riuscii a sentire nuovamente la casa riscaldarsi. Eravamo soli, io e lui. Di nuovo.

“Perché era qui?” domandò sotto voce, quasi a non voler disturbare il clima tranquillo intorno a noi.
“Era venuto a portarmi delle ciambelle” risposi e la frase risuonò stupida e insensata a me per prima.
Alzò un sopracciglio “Ciambelle? Avrebbe almeno potuto pensare ad una scusa migliore, per farsi aprire” sussurrò serio e con un velo di irritazione. Quel ragazzo non gli era mai andato a genio.
“E qual è la tua scusa, invece?” domandai e lui sospirò, perdendo quella poca sicurezza con cui era arrivato.
Continuammo a guardarci e la voglia di stringerlo fu dannatamente forte, tanto da farmi fare un passo verso di lui ma poi sentii quanto fosse sbagliato e mi fermai provando comunque un dolore atroce.
Edward se ne accorse e non riuscii ad ignorare lo sguardo tormentato che mi rivolse “So che mi hai chiesto di starti lontano ma non ci riesco. Ci ho provato e …” si passò entrambe le mani fra i capelli, scuotendo la testa “Non lo sopporto, mi dispiace” soffiò l’ultima frase con voce tremante e con una fragilità mai avvertita da lui.
 
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, la vista offuscarsi e non ebbi il tempo di controllarmi, che sentii il viso bagnato. La verità era che neanche io riuscivo a sopportare la nostra lontananza ma al contrario lui, non riuscivo ad ammetterlo. Volevo essere forte, per Eleonore ma non ci riuscivo. Sarebbe stato impossibile cambiare vita e voltare pagina, perché la verità era che ce l’avevo sotto la pelle. Edward era stampato a fuoco, dentro la mia testa e mai sarei riuscita a liberarmene. Lo guardai ancora e non possedei la forza di dire nulla quando mi sentii avvolta dalle sue braccia.
“Perdonami se puoi” mormorò al mio orecchio. Chiusi gli occhi, aggrappandomi alla sua felpa. Mi accarezzò la schiena, lasciando scie di baci tra i miei capelli. Solo una stupida poteva credere di avere la forza di stare lontana da una persona come lui. I singhiozzi diminuirono e sentii il respiro cominciare a ritornare regolare. Strofinai il viso contro il suo petto concentrandomi sul calore emanato dal suo corpo. Ero nuovamente a casa. “Perché ci hai messo così tanto?”
 

Ci ritrovammo seduti sul divano, in silenzio. Non riuscii a staccarmi da lui neanche per guardarlo in volto e rimanemmo abbracciati, con le mani intrecciate. Edward teneva le labbra premute tra i miei capelli e continuava ad accarezzarmi il dorso della mano. Era perfetto. Mi sarebbe piaciuto rimanere su quel divano per sempre. Sentirlo così vicino e avere la certezza che nulla sarebbe cambiato ma dovevamo dire qualcosa. Dovevamo affrontarci, parlare una volta per tutte ma nessuno dei due proferì parola. Sospirai, alzando il viso verso di lui.
“Perché sei qui Edward?” domandai scostandomi da lui e lasciare la sua mano mi fece mancare il fiato. Mi guardò sorpreso “Conosci già la risposta” mormorò fissando lo spazio vuoto che avevo messo fra di noi.
Presi fiato “Tutte le cose che ti ho detto l’ultima volta, le penso ancora” ammisi “Ciò che provo per te, non offuscherà le decisioni che prenderò per il bene di Eleonore. Voglio che cresca in un’ambiente sereno ma tu non fai altro che rovinare ogni cosa” Incolparlo, avendo la certezza di ferirlo fu doloroso ma volevo che capisse quello che realmente provavo. Abbassai lo sguardo, evitando i suoi occhi “Io non riesco a fare a meno di te. Questo lo sai tu, lo so io, lo sanno tutti ma … ci proverei comunque se potesse portare alla serenità che sogno per nostra figlia” e sentii la gola andare a fuoco e il cuore perdere sempre più battiti. Quella era una menzogna eppure, sentivo di dovergli dire quelle cose.

“Guardami” ordinò “Bella, guardami negli occhi, per favore” disse ancora impaziente, senza darmi neanche il tempo di comprendere le sue parole. Feci come chiesto. Lo guardai e la rabbia che intravidi nei suoi occhi mi sorprese.
“Non so più come farti capire quanto io tenga a te, cazzo!” sbottò per poi socchiudere le labbra e pentirsene. Mi fissò attentamente, prima di passarsi una mano fra i capelli e guardare altrove. I minuti passarono e da lui, più niente.
“Non farlo” lo pregai “Di quello che ti passa per la mente, senza aver paura di aggredirmi. Sono qui e sarà stupido ammetterlo ma ho bisogno di sentire che lotti per la nostra famiglia.” Le mie parole non lo scalfirono, continuò ad evitare il mio sguardo ma io mi avvicinai, stringendo una sua mano “Ascolta. Intraprendere una relazione non è mai facile, ma quando decidi di entrare nella vita di qualcuno devi farlo fino in fondo e al cento percento. Entrarvi a metà, equivale a non esserci completamente …” portai la mano libera al suo viso, costringendolo a guardarmi “ … e io per te voglio esserci, sempre”
Guardai i suoi occhi, nell’attesa che mi dicesse qualcosa ma quando ciò non avvenne, decisi di continuare io “So che tieni a me e so anche che con te posso essere felice se imparo a sopportare il tuo strano modo di proteggermi. Ma non ho intenzione di adeguarmi a te, Edward. Se realmente mi ami, smettila di dirmelo e dimostramelo. In quasi cinque anni sei riuscito ad aprirmi il tuo cuore. Ora, credo sia arrivato il momento che tu mi apra la tua mente”
“Cosa vuoi che ti dica?” domandò e per un attimo, intravidi il ragazzo taciturno ed enigmatico che era, quando l’avevo incontrato.
“Quello che non sei mai riuscito a dirmi, Edward. So di non essere forte ma voglio che tu la smetta di proteggermi da te stesso e dal mondo. Devo imparare a badare a me stessa e ad affrontare qualunque cosa, anche senza di te. Voglio essere in grado di essere al tuo fianco durante i periodi difficili.”

In quel momento rimpiansi New York. Avremmo dovuto confrontarci in casa nostra, con tranquillità e non a Forks, con Charlie che poteva entrare da un momento all’alto.
Fece un lungo sospiro, come se dovesse prepararsi ad andare sott’acqua. Si avvicinò a me, mi accarezzò il viso e mi baciò la fronte “Io non sono la persona giusta per te, Bella. Non riuscirò mai ad essere la persona che desideri. Avevi ragione, non posso …”
Mi sentii uno schifo quando mi resi conto di essere stata io a dirgli quelle cose, il giorno in cui mi aveva detto del suo licenziamento. “No. No, Edward non dire sciocchezze …”
Scosse la testa, liberandosi delle mie mani sulle sue “Non dovresti perdere il tuo tempo con me. Hai bisogno di qualcuno che ti faccia stare bene, che ti dia la felicità che meriti. Credevo di poter diventare un uomo alla tua altezza, ma mi sono illuso” continuò sofferente e la rabbia verso me stessa mi invase.
“Non ti sei illuso di niente, Edward. Io e te possiamo farcela, possiamo affrontare qualsiasi cosa. Dammi la possibilità di poter far parte della tua vita, costantemente. Smettila di nascondermi le cose, di mentirmi e tutto andrà per il meglio”

Chiuse gli occhi prima di portare entrambe le mani sul viso, nascondendolo “È assurdo, che sia io a doverti rassicurare. Sei tu che sei venuto a Forks o sbaglio?” constatai, cercando di alleggerire la tensione e lui riportò lo sguardo nel mio.
“Sono una delusione, mi dispiace” sussurrò “Quando si tratta di te, perdo la testa. Vorrei potermi prendere cura di te, vederti felice sempre e non permettere a nessuno di farti anche solo preoccupare” si avvicinò a me e spostò una ciocca di capelli, che mi ricadeva sul viso, dietro l’orecchio. “ È per questo che non ti ho detto del mio licenziamento. Quest’ultimo anno è stato decisamente complicato per entrambi e non volevo caricarti anche questo mio fallimento”
Gemetti e mi si formò un groppo alla gola “Tu sei la persona migliore che conosca” dissi prendendo il suo viso fra le mani “Sei riuscito a prendere in mano la tua vita, dopo aver attraversato un periodo di smarrimento. Ti sei laureato con il massimo dei voti e mi pesa un po’ dirlo ma sei praticamente la persona più intelligente che conosca” scherzai e lui accennò un sorriso “Quell’imbecille di Caius si renderà presto conto di che cosa abbia perso, licenziandoti”
Edward poggiò la fronte contro la mia, recuperando poi le mie mani e racchiuderle fra le sue “Mi sei mancata” sussurrò ad un centimetro dalle mie labbra ed io fremetti quando sentii il suo respiro mescolarsi al mio “È stato un periodo orribile. Da dimenticare. ” ammise ed io annuii lentamente senza staccare gli occhi dalle sue labbra piene “Non ti azzardare a lasciarmi mai più”

Un brivido percorse tutta la mia schiena ed io tremai “Trattami come una donna e giuro che non farò” gli proposi e lui tracciò con il pollice il contorno delle mie labbra. Annuì con decisione “La mia donna” mormorò e dopo tre settimane sentii nuovamente la sua bocca impossessarsi della mia. Era come se le nostre labbra non si fossero mai lasciate, si ritrovarono, vogliose l’una dell’altra e si incastonarono, perfette come in quei giorni passati chiusi in casa a fare l’amore.
Si staccò da me, ansimante “Si, mi sei mancata” costatò ed io risi, seguita poi da lui e il suona della sua risata fu qualcosa d’inspiegabile. Quel momento fatto sguardi e risate sfiorò la perfezione, fino a quando non sentii la porta aprirsi e richiudersi nuovamente.

Trattenni il fiato, sapendo già a cose stessi per affrontare. Edward prese la mia mano e la strinse forte.
“Bells, sei di sopra?” Charlie sembrava di buon umore ed io stavo per distruggerlo, ancora una volta. Non risposi, aspettai che facesse la sua comparsa in soggiorno. Guardai Edward e in lui trovai le risposte a tutte le mie paure, era lui quello che volevo e avremmo affrontato tutto, insieme. Anche mio padre.
Rimanemmo in silenzio, ascoltando ogni singolo rumore proveniente dall’ingresso fino a quando non lo vidi.
“Sei qui …” iniziò la sua frase, sorpreso, zittendosi all’istante alla vista della persona al mio fianco. Guardai il suo viso, alla ricerca di qualche emozione ma mi sembrò indecifrabile. Non riuscii a capire che cosa stesse provando ma ringraziai il cielo per avergli fatto togliere il cinturone con la pistola.
“Abbi almeno da decenza di non entrare più in questa casa” disse, senza guardare nessuno dei due in faccia ma sapevamo tutti a che si stesse riferendo.
“Papà …” si voltò verso di me e lo sguardo di fuoco che mi rivolse mi ammutolì.
“Non provare a difenderlo, Bella” fece un passo verso di noi “Volete stare insieme? Ok. Non lo condivido ma lo accetto, sei una persona adulta e se ti va di continuare per questa strada, va bene. L’unica richiesta che ti faccio è di non farmelo più vedere. ” non seppi dire nulla e lui si votò verso Edward “Ci ho provato. Ho cercato di guardare oltre ma la verità è che non capisco il perché io debba vedere sempre mia figlia a pezzi. Nell’ultimo anno tutte le volte che è venuta a trovarmi l’ho vista piangere. Siete venuti a novembre per dirmi della gravidanza e l’ho vista piangere. A natale è ritornata e l’ho vista piangere, adesso siamo ad aprile. Che cosa ha fatto in tutti questi giorni, secondo te?” domandò retorico facendogli abbassare lo sguardo.
“Questa non è una tragedia shakespeariana e io non ho intenzione d’impedirvi di stare insieme ma almeno trattala come merita e se ti è possibile, smettila di farla stare male” fece una pausa, incamminandosi verso la cucina “Adesso fuori dalla mia proprietà” concluse, prima di sparire dietro la porta.
Lo guardai allontanarsi, trattenendo il fiato. Avrei volto avere il coraggio di dire qualcosa, assicurargli che i giorni in cui mi aveva vista triste non erano nulla in confronto ai giorni in cui stavamo bene. Vivevamo di alti e bassi, era vero ma dipendevamo l’uno dall’altro e avremmo continuato a stare insieme.

Edward si alzò dal divano, facendomi così uscire dal groviglio di pensieri in cui ero finita. Lo guardai e senza neanche chiedere dove stesse andando, lo afferrai per un braccio. Non volevo che se ne andasse.
“Non facciamo incazzare Charlie” sussurrò, recuperando la mia mano “Ha ragione e io non posso fare altro che rispettare la sua decisione e andarmene”
Sospirai, alzandomi “Vai dai tuoi genitori?”
Scosse la testa prima di passarsi una mano fra i capelli “No, no. Non voglio che sappiano che sono qui, farebbero troppe domande”
“Torni a casa con me, non è vero?” domandò, poi serio e un velo d’ansia lo investì. “Si, torno” risposi annuendo e provai una strana liberazione. Volevo realmente, riprendere la mia vita.
“Prenderò una stanza in qualche albergo e domattina partiamo con qualunque volo ci riporti a New York” annuii e lui cominciò a dirigersi verso l’uscita.
Arrivammo davanti alla porta e lui recuperò il suo borsone dal pavimento. Aggrottai la fronte, al pensiero di non averlo notato al suo arrivo.
Aprì la porta e io lo guardai provando all’istante un senso d’inquietudine “Ti chiamo, più tardi” sussurrò prima di accarezzarmi il viso e baciarmi “Ti amo” mi disse e per l’ennesima volta ebbi la certezza di provare la stessa cosa.
 

**** *** ****

 
“Vai via?” sussultai, terrorizzata. Avevo passato molto tempo in silenzio e non avevo sentito entrare Charlie. Spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, lasciando cadere sul letto l’indumento che stavo piegando, per metterlo in valigia.
“Non adesso, forse domattina. Edward mi chiamerà più tardi” risposi e lui annuì, rimanendo però furi dalla stanza.
“Voglio solo che tu sia felice. Questo lo sai, non è vero?”
“Se vuoi che sia felice, impara ad accettarlo” affermai ma poi me ne pentii. Non volevo che ricominciasse con le sue teorie contro di lui. Scossi la testa “Scusami, sono stanca. Fingi che non abbia detto niente”

“Non mi piace, Bella. So che per te è difficile da comprendere ma prima che arrivassi in città, quel ragazzo era pessimo. Ogni volta che ci capitava d’imbatterci in qualche festa clandestina, lui era lì. Mi è capitato di trovarlo in condizioni spaventose, strafatto di ogni sostanza esistente in questo stato …”
Smisi di ascoltarlo. Non avevo bisogno di sentirmi dire quelle cose, conoscevo Edward. Sapevo tutto quello che c’era da sapere sulla persona che volevo al mio fianco e l’immagine di lui nel suo periodo buoi non faceva altro che rattristarmi. Se lo avessi incontrato prima che cominciasse a distruggersi, magari avrei potuto salvarlo e ora le cose, forse sarebbero state più semplici ma purtroppo il fato mi aveva fatta arrivare troppo tardi. Per un attimo pensai, invece, che il destino avesse agito a nostro favore, ci aveva fatto incontrare nel momento giusto perché se lo avessi visto in quei momenti oggi l’avrei guardato con occhi diversi, magari allo stesso modo in cui lo vedeva mio padre.

Rabbrividii solo all’idea “Hai praticamente cacciato di casa la persona che amo, il padre di mia figlia e adesso ti ostini anche a buttare fango su di lui? Non voglio più sentire nulla perché Edward non è più quel ragazzo, ha i suoi difetti ma a me va bene così. Mi spiace ma non riesco a farne a meno, lo amo”
Presi fiato, carezzandomi istintivamente il pancione quando arrivò un calcio dalla mia ancora di salvezza. Lei che mi aveva dato la forza di resistere e tutti i dolori che avevano tentato di abbattermi “Ora se non ti spiace, vorrei finire di fare i bagagli e andare a letto …” non mi voltai e dopo qualche secondo, sentii i suoi passi sempre più distanti. Respirai a fondo, cercando di ricacciare le lacrime che traboccavano dai miei occhi. Avrei seguito il mio cuore, anche se lui non lo avesse accettato.
 


Finii di riempire la valigia e mi cambiai, sicura che non sarei più scesa di sotto. M’infilai sotto le coperte, aspettando che il sonno mi rapisse, mettendo così fine ad un'altra giornata. Ero davvero stanca. L’unico rumare che sentii, per un bel po’, fu quello del mio stesso respiro. Avevo già un piede nel mondo dei sogno quando il mio cellulare cominciò a squillare. Sobbalzai spaventata, per la brusca interruzione del silenzio, realizzando di aver dimenticato del tutto Edward.
“Hey” mormorai portandomelo all’orecchio.
“Dormivi, per caso?” domandò ed io mi passai una mano sul viso, sedendomi composta sul materasso.
“Quasi … tu dove sei?” chiesi, cercando di riacquistare lucidità.
“In un albergo semivuoto, che sa di aria viziata e popolato da impiccioni” rispose irritato ed io non potei fare a meno di sorridere.
“Impiccioni? Non ti staranno importunando, Edward?!” scherzai e il desiderio di vedere la sua espressione di risposta fu fortissimo.
“Molto divertente, Isabella … voglio lasciare questo posto il prima possibile”
“È colpa tua, se fossi andato dai tuoi adesso staresti molto meglio e … respireresti aria migliore” constatai, lasciandomi sfuggire un leggerissimo risolino.
“Si, certo. Domattina partiamo alle dieci, facciamo scalo a Pittsburgh e poi dritti a casa” mormorò a riuscii quasi a vederlo sospirare di sollievo.
“Pittsburgh?”
“Si tratta di un scalo di meno di mezzora, non ce ne accorgeremo neanche” precisò “Non ho trovato voli diretti altrimenti avremmo dovuto aspettare due o tre giorni”
Chiusi gli occhi, ritornando con la testa sul cuscino “Ok …”
“Ti lascio dormire, ‘notte piccola” sussurrò dolcemente facendomi avvertire il forte bisogno di sentirlo fisicamente vicino.
“Buona notte” risposi e sperai che la notte passasse in fretta.
 


Sentii il rumare di oggetti spostarsi provenire disotto, dalla cucina. Aprii gli occhi lentamente e la sveglia m’informò che fossero le otto. Charlie sarebbe uscito entro pochi minuti e se non mi fossi sbrigata, non avrei fatto in tempo a salutarlo.
Il freddo mattutino fu violento sulla mia pelle, quando trovai il coraggi di alzarmi. Comminai lentamente e una volta arrivata ai piedi delle scale lo vidi, intento ad uscire. “Papà” sussurrai a bassa voce ma lui si voltò, come se fosse rimasto in ascolto e in attesa della mia voce. “Parto questa mattina” lo informai scendendo le scale e lui annuì.
“Grazie per avermi sopportato” mormorai, una volta vicino a lui.
“Questa è casa tua, non devi ringraziarmi Bells” mi accarezzò il viso “Prenditi sempre cura di te e vieni ogni volta che ne sentirai il bisogno. Io sarò quì”
Lasciai che mi abbracciasse, senza avere la forza di fare lo stesso. Sentii il bisogno di sentirlo vicino, di sentirmi una bambina tra le braccia del padre, abbandonare Edward per un attimo e dimostrare tutto il mio affetto a Charlie.
“Scusami papà ma è più forte di me, io lo amo …” sussurrai e gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime.
Mi accarezzò dolcemente le spalle “Ti voglio bene, piccola mia. Questo è tutto quello che conta, il resto posso sopportarlo”
 


Non riuscii a ritornare a letto, così dopo che mio padre lascò casa per andare a lavoro, cominciai a prepararmi. Feci colazione molto lentamente, il tempo era a mia disposizione e potevo prendermela comoda.
Quando Edward venne a prendermi ebbi il bisogno di stringerlo a me. Un senso di angoscia mi aveva fatto compagnia non appena mio padre era andato via, così non gli diedi il tempo di entrare che mi buttai sul suo petto. Mi assecondò, senza dire nulla e rimanemmo immobili e intrecciati per molto tempo.
 
Prendemmo il nostro volo, puntuali. Lasciammo quella città piovosa, per ritornare nella nostra caotica New York. Guardai il ragazzo al mio fianco e nulla mi sembrò più giusto. Il mio posto era accanto a lui e malgrado sentissi di deludere Charlie sapevo che quello era il luogo in cui dovevo stare. Lo guardai mentre fissava il cielo fuori dal finestrino e strinsi la sua mano facendolo sussultare. Si voltò verso di me e mi rivolse il più bel sorriso che avessi mai visto. Un sorriso che sapeva di felicità, di pace riacquistata dopo averla cercata a lungo.
Arrivammo a Pittsburgh verso l’ora di pranzo e senza perdere tempo ci dirigemmo verso il prossimo check-in ma Edward si fermò improvvisamente ed io con lui. Lo guardai male per essersi fermato così bruscamente ma lui tenne lo sguardo in alto, verso i tabelloni delle partenze.
“Il volo è stato cancellato” mormorò ed io seguii il suo sguardo perplesso, per tutto il tabellone.
“Cosa facciamo?” domandai allarmata e lui mi guardò, riprendendo la mia mano.
“Vieni, andiamo a capire cosa succede” disse e ritornammo indietro.
 
L’aereo che avrebbe dovuto portarci a casa era rimasto bloccato a Dallas a causa del maltempo e nulla sarebbe cambiato fino al giorno seguente.
Nessun altro aereo sembrava dirigersi a New York. Eravamo praticamente bloccati in quell’aeroporto. Edward cominciò a spazientirsi e prima che perdesse del tutto la ragione lo costrinsi ad allontanarsi dall’area informazioni in cui eravamo stanziati da quasi mezz’ora.
“Idiota” disse riferendosi al ragazzo dietro al bancone.
Alzai gli occhi al cielo “Non colpa sua, Edward. Stava solo facendo il suo lavoro” precisai ricordando l’assoluta gentilezza con cui aveva risposta alle nostre domande.
“Che cosa facciamo qui, fino a domani?” domandò irritato ed io sorrisi.
“Potremmo iniziare con il pranzare. Sto morendo di fame” ammisi e lo vidi finalmente abbandonare la sua espressione rigida.
 

Prendemmo una stanza in un hotel poco lontano dall’aeroporto. Una camera carina, semplice e luminosa. Il sole mi era tanto mancato in quei giorni e sentire il suo calo re sulla pelle mi fece ritornare il sorriso. Un giorno in più lontano da New York non avrebbe fatto tanta differenza.
Pranzammo al ristorante del albergo e poi decidemmo di fare una passeggiata per la città. Usammo quel tempo per parlare dei giorni passati lontani e lui mi raccontò di Emmett e del fatto che fosse venuto a Manhattan per assicurarsi che stesse bene. Mi sentii stranamente colpevole di averlo lasciato ma cercai di non darlo troppo a vedere. Era una decisione che mi era sembrata giusta in quel momento e non avevo intenzione di pentirmene.
Camminammo parecchio fino a quando la stanchezza non si fece sentire e fummo costretti a tornare in taxi.
Non appena aprimmo la porta della nostra camera sbadigliai e lui sorrise, divertito.
“Scusami” mormorai “Sono costantemente stanca, non posso farci niente”
Mi cinse le spalle in un abbraccio, baciandomi una spalla “Mi sei mancata tantissimo” sussurrò ed io chiusi gli occhi assaporando il momento.
“Perché non ti riposi un po’? scommetto che dopo ti sentirai meglio” suggerì ed io guardai l’invitante letto enorme davanti a noi.
Annuii “Magari cinque minuti” mormorai e la stanchezza prese il sopravento. Non pensai neanche a togliermi le scarpe che mi sdraiai sul materasso.
Sentii una pressione su uno dei miei piedi ed io guardai verso di essi. “mmm …” biascicai intravedendolo nello sfilarmi le scarpe. Sorrideva ed io ricambiai il sorriso prima di sprofondare nel mondo dei sogni.
 
Riaprii gli occhi e mi sembrò di averli chiusi solamente per mezzo minuto, eppure la stanza era completamente al buio. Mi passai una mano sul viso, ricordandomi dove mi trovassi “Edward, dove sei?” mormorai senza ricevere risposta.
Attesi che gli occhi si abituassero all’oscurità e poi decisi di alzarmi quando intravidi la porta che dava alla terrazza aperta.
Lo trovai di spalle e con le mani penzolanti sulla ringhiera. Mi posizionai al suo fianco e lui si voltò, sorpreso “Finalmente sei sveglia, cominciavo a preoccuparmi. Sono le dieci”
sbarrai gli occhi “Ho dormito tutto il giorno?” annuì ed io mi passai una mano sul viso “Non dormivo così bene da tanto” sussurrai, notando un divano bianco alle nostre spalle. Decisi di sedermi e lui mi seguì, posizionandosi accanto a me.
Respirai pesantemente “Il calore mi è mancato” commentai, realizzando di quanto si stesse bene all’aria aperta.
Edward rise ed io mi godei quel suono, ammirando il paesaggio davanti a me. La sera era sempre tutto più magico. Era come se la città fosse cambiata e una voglia di camminare nuovamente su quei marciapiedi s’impossessò di me.
“Perché non facciamo due passi?” proposi speranzosa e lui aggrottò la fronte.
“È tardi e poi siamo in una città che non conosciamo, se ci perdessimo saremmo costretti a dormire su una panchina”
Sbuffai, alzandomi “Perché sei sempre così catastrofico? Rimaniamo nei paraggi … andiamo è una città così carina e domattina partiamo!”
“Rimaniamo nei paraggi” precisò, ripetendo le mie parole ed mi diressi in camera, pronta a cambiarmi.
 
Passeggiamo tra le luci della città, constatando la quantità di persone che riempivano il centro. Camminammo senza prestare attenzione a dove andassimo ma lo facemmo così lentamente che non ci saremmo persi facilmente. Lasciai che il calore della mano di Edward stretta nella mia mi donasse quella sensazione magnifica di completezza. Eravamo in silenzio ed io ogni tento lo scrutavo di sottecchi ammirando il suo bellissimo viso pensieroso. “A cosa pensi?”
Mi guardò, enigmatico, alzando le spalle “Pensavo alla casa che avevamo deciso di comprare. Non credo di potermela più permettere, anzi non credo di potermi permettere niente che superi una cifra a tre zeri in questo momento” sussurrò, spostando i suoi occhi verso il vuoto.
Riflettei attentamente alle sue parole. Conoscendolo, sapevo che dirgli che sarebbe andato tutto bene lo avrebbe solo infastidito così provai con una via di mezzo.
Strinsi la sua mano “Possiamo rimanere nel nostro appartamento ancora … un anno magari e aspettare che le cose si sistemino, sono sicura che troverai un lavoro in poco tempo”
“Pensavo di chiedere un prestito a mio padre”
Mi fermai di colpo e lui con me. Chiedere aiuto a Carlisle sarebbe stato l’ultima cosa che avremmo fatto. Rivolgersi a lui sarebbe stato disastroso per la sua salute mentale. Sapevo che non volesse dipendere più da lui e quindi non lo avrei permesso, anche se lo faceva per noi. “Non ti azzardare a fare una cosa del genere. Casa nostra ha un tetto, delle finestre e una porta, credo siano queste le cose indispensabili per essere al sicuro e a Eleonore basteranno”
Cercò di controbattere ma non gli feci aprire bocca “No, stiamo bene dove abitiamo e ci arrangeremo.”
“E dove vuoi che dorma, in bagno?” domandò tra il sarcastico e l’irritazione.
“Abbiamo lo studio. Basterà sgombrarlo e dare una mano di pittura e il gioco è fatto”
Incrociò le braccia al petto “E tutte le cose che ci sono, dove le mettiamo. Ci sono tutti i miei libri e tutti i tuoi”
“Li buttiamo, tanto li abbiamo già letti!” risposi senza pensare e vidi un anglo della sua bocca allungarsi in un sorriso.
“La stanza è piccola” aggiunse ancora.
“Lo sono anche in bambini di solito, non credo che abbia bisogno di tanto spazio”
Cominciò a fissarmi, scuotendo la testa “Tu sei completamente impazzita”
“E tu sei un masochista e non ti lascerò scampo questa volta! So che ti costerebbe il tuo intero orgoglio rivolgerti a tuo padre ed io non te lo lascerò fare. Siamo degli adulti e dobbiamo imparare a cavarcela da soli quindi se non possiamo permetterci quella casa, vorrà dire che rimarremo dove siamo. Ci trasferiremo quando ne avremmo la possibilità, è così che fanno le persone normali.” Sembrò calmarsi ed io mi avvicinai a lui “Insieme possiamo farcela, ne sono sicura. Affronteremo anche questa, insieme”

Prese il mio viso fra le mani e in un secondo sentii le sue labbra sulle mie. Gli gettai le braccia al collo, cominciando a sorridere sulla sua bocca. “Ti amo” mormorai ritornando sui miei passi e in quel momento mi resi conti che ci eravamo fermati nel bel mezzo di una piazza e che la gente cominciava a fissarci. Mi passai una mano fra i capelli, completamente in imbarazzo.
“Vuoi sposarmi, Bella?”
Mi voltai nuovamente verso di Edward, che estrasse dalla tasca posteriore dei suoi jeans il mio anello di fidanzamento.
Sorrisi, raccogliendolo dalle sue mani “Non c’era bisogno di chiedermelo ancora, conosci già la risposta. Non ho mai cambiato idea è solo che ho smesso di metterlo perché mi va stretto” provai ad infilarmelo, ottenendo scarsi risultati “Vedi? Mi si gonfiano spesso le dita” gli mostrai la mia mano ma lui sembrò non vederla neanche.
“Intendevo adesso, Bella! Sposami in quella chiesa, adesso” trattenni il fiato, seguendo la sua mano che puntava dritta dietro le mie spalle. C’era realmente una piccola chiesa ed io mi voltai di nuovo, quasi impaurita. “Edward …”
“Voglio che tua sia mia moglie, adesso. Non voglio più aspettare.” Prese entrambe le mie mani, baciandone i dorsi “Sposami”
Socchiudo la bocca per la sorpresa ma sento comunque l’aria mancarmi. Prendo un respiro, un altro ancora ma devo concentrarmi e usare tutte le mie forze per prenderne uno decente e non rischiare di morire. Rimaniamo fermi entrambi nell’attesa di una risposta. Mi aveva spiazzata. Avevamo passato quasi un mese separati e dopo esserci rivisti solo due giorni mi chiedeva di sposarlo. Abbassai lo sguardo e guardando il mio anello di fidanzamento, riflettei sul fatto che tecnicamente avevo già accettato di sposarlo. Oggi o fra un anno, avrebbe fatto la differenza?
Presi un altro respiro e farlo fu ancora più difficile dei precedenti. Edward accarezzò le mie mani e guardandolo trovai la risposta alla sua domanda. Lo amavo, ero sicura di volere vivere il resto della mia vita con lui e non avrei rinunciato a lui per nulla al mondo. Inspirai ancora e fu come se l’aria che non ero riuscita a prendere fino a quel momento, si fosse donata tutta in una volta per potermi aiutare a pronunciare il mio “Si”


Ellie Goulding - The Writer 

Entrammo in quella chiesa e il calore propagato dalle tante candele che la riempivano, ci avvolse. Sentii l’ansia arrivane nuovamente quando una donna intenta a ripulire le panche, si accorse di noi.
Ci guardò accigliata “Posso aiutarvi, per caso?” cercai di rispondergli ma dalla mia bocca non uscì nessun suono.
“Cerchiamo il pastore di questa parrocchia se è possibile” Edward parlò per entrambi e la donna aggrottò la fronte.
“È un po’ tardi ragazzi. Vi è successo qualcosa, per caso?” domandò e anche se non ci conoscesse notai la preoccupazione aleggiare nei suoi occhi scuri.
Edward fece un passo verso di lei e io con lui “Vogliamo sposarci, adesso.”
La donna strabuzzò gli occhi sorpresa. Non facemmo in tempo a dire nient’altro che una voce maschile attirò la nostra attenzione.
“Questa è la casa del Signore, non una di quelle cappelle di Las Vegas. Non celebriamo matrimoni di quel genere”
Un uomo dai capelli grigi uscì da una porta ai lati dell’altare e dai modi in cui si era rivolto, capii che fosse la persona che stavamo cercando.
“Non le ho chiesto di celebrarlo utilizzando versi in rima baciata. Vogliamo semplicemente sposarci” specificò irritato ed io strinsi la sua mano, intimandolo a calmarsi.
“Se volete farlo, seguite un corso pre – matrimoniale se vi sentirete ancora pronti dopo averlo superato, tornate pure a trovarmi e sarò felice di esaudire il vostro desiderio” fece per voltarci le spalle per tornare da dove era venuto ma io sentii il bisogno di provare a dissuaderlo.
“Per favore … vogliamo solo sentirci completi e unirci difronte a Dio, ci aiuti e ve ne saremo grati per sempre. Non abbiamo bisogno di nessun genere di corso, conosciamo già tutto l'uno dell'altro e siamo sicuri di questa scelta. Non se ne vada, la prego” parlai velocemente attirando comunque la sua attenzione. Mi guardò attentamente e vidi i suoi occhi cambiare espressione “Ne siete sicuri?”
Annuimmo all’unisono e lui alzò gli occhi al cielo “Ci serviranno due testimoni. Lisa, tu sarai la prima” mormorò e la donna che non aveva smesso un attimo di pulire si voltò e con titubanza annuì.
“Trovatemi un'altra persona o non potrò sposarvi” affermò e sentii la presa di Edward dissolversi completamente. Lo guardai correre nuovamente verso l’uscita, lasciandomi li. Il cuore batteva talmente forte che ebbi paura che mi rompesse la gabbia toracica. Stavo per diventare sua moglie. Avevo fantasticato su quel momento ma mai mi sarei sognata un posto come quello. La notte, in una chiesa illuminata esclusivamente da candele. Avrei portato quel giorno nel cuore per il resto dei miei giorni. Alzai lo sguardo e notai gli occhi del pastore su di me. Forse era alla ricerca di qualche tentennamento da parte mia ma io sostenni il suo sguardo, facendogli capire era quello che volevo.
“L’ho trovato” mi voltai ed Edward indicò l’uomo di mezza età che lo segui spaesato, accompagnato da una donna.
 
L’uomo annuì facendoci cenno di avvicinarci. Sentii una strana sensazione per tutto il tragitto e quando fummo tutti davanti a lui la paura scomparve, scacciata via dall’impazienza. Cominciai a tremare quando il sacerdote dopo averci chiesto i nostri nomi, cominciò il suo discorso.
“Cari amati, siamo qui riuniti, alla presenza di Dio, per unire questo uomo e questa donna secondo il vincolo del Sacro Matrimonio …” lasciai quelle parole in sotto fondo, beandomi dell’espressione emozionata che aveva il ragazzo davanti a me. Sorrisi e mi sentii come rapita da quella sera così magica e speciale. Mi stavo sposando.
“ … se c'è qualcuno tra i presenti che è a conoscenza di qualcosa per cui non possano essere legalmente uniti in matrimonio, gli chiedo di parlare ora o di tacere per sempre” attese qualche secondo, inutilmente, dato che la chiesa fosse completamente vuota e io ed Edward ridemmo. Ci scambiammo le promesse con difficoltà, non riuscendo neanche a formulare frasi di senso compiuto senza sbagliare. Se l’emozione avesse avuto una bocca ci avrebbe mangiato vivi eppure sentivo che quello era proprio il posto in cui dovevamo stare sin dall’inizio. Il destino ci aveva aiutati e avrei ringraziato per sempre il maltempo di Dallas che ci aveva permesso di essere lì in quegl’istanti.
“Edward. Vuoi prendere questa donna come tua sposa, amarla ed onorarla, esserle fedele, in accordo con i comandamenti di Dio, nel Sacro Vincolo del Matrimonio?”
Strinse la mia mano e se avessi potuto, l’avrei stretto a me fino a farmelo entrare sotto la pelle, quando notai i suoi occhi tremendamente lucidi “Si, lo voglio” rispose d’un fiato.
“Isabella. Vuoi prendere quest’uomo come tuo sposo, amarlo ed onorarlo, essergli fedele, in accordo con i comandamenti di Dio, nel Sacro Vincolo del Matrimonio?”
Chiusi gli occhi, cercando inutilmente di fermare le lacrime che m’impedivano di vedere il suo bellissimo viso. Nessun matrimonio avrebbe mai potuto anche solo avvicinarsi a quello. Era tutto perfetto, lui era perfetto e me lo sarei tenuta stretta gelosamente a me per il resto della vita. “Si, lo voglio”  
 
 









Scusate se ci ho messo tempo ma sentivo di dover scrivere, con calma e non postare fino a quando non ne fossi stata sicura. Posso dire che questo sia il capitolo che avevo sempre avuto in mente e spero di essere riuscita a farvi emozionare come è successo a me mentre lo scrivevo. Questi due ne hanno passate parecchie e sentivo di doverli farli riavvicinare in grande stile.
Lo dedico a celly chelly! Tesoro la tua impazienza mi lusinga e mi fa gongolare a dismisura.
Ora vi lascio e … niente, grazie di tutto.
Un bacio di quelli che stritolano ad ognuna di voi ;)  

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Capitolo 34
*** 34Capitolo ***




Capitolo 34















 

Non riuscivo a distogliere gli occhi dalla sua schiena. Le cicatrici dovute ai colpi di pistola subiti, mi facevano rabbrividire ogni volta che vi posavo lo sguardo. Continuavo a seguire il movimento dei suoi muscoli, mentre tirava il braccio in alto e in basso lungo la parete. Il mio sguardo saettava lungo le sue spalle toniche, che si contraevano ogni volta che compiva anche un semplice movimento. 

Edward sbuffò, riponendo il pennello nel barattolo di vernice. “Bella, deciditi!” si passò una mano fra i capelli, prima di voltarsi completamente verso di me e attendere il mio verdetto finale.
La mattina era talmente calda da farti pensare di essere in piena estate e non semplicemente in primavera. Sospirai, estasiata dalla bellezza di quella giornata e guardai fuori dalla finestra, solo per il gusto di accertarmi per la millesima volta di essere nuovamente a New York.
“Isabella!?”
Sobbalzai e quasi caddi dalla sedia sulla quale ero seduta. Edward mi guardò spazientito, indicando con un gesto della mano la parete al suo fianco. L’irritazione che provava sarebbe stata palpabile a chiunque.
“Non so decidermi” ammisi guardando le tre pennellate di colore che avevano battuto e superato le altre tinte, fino ad arrivare in finale. Avevamo passato due giorni a sgomberare la stanza che avremmo trasformato da studio a cameretta di Eleonore, avremmo dovuto solo ridipingerla e sarebbe stata pronta per i nuovi mobili.

Guardai nuovamente fuori dalla finestra e la vista di Central Park mi fece venire un’idea. Gli alberi davano allegria, protezione, aria e quel senso di libertà difficile da trovare in altre cose. “Perché non proviamo con il verde” proposi senza togliere lo sguardo dal parco in lontananza.
“Verde?”
“Non un verde scuro, magari uno più …” le parole mi morirono in gola, quando incrociando il suo sguardo non trovai lo stesso entusiasmo che mi stava invadendo. “Cosa c’è?” domandai e lui strabuzzò gli occhi.
“Lilla, rosa antico e rosso fragola” scandì bene ogni colore, poggiando il dito su ognuno di loro con una forza tale che avrebbe potuto bucare la parete “Sono questi i colori che avevamo finalmente scelto, dopo aver acquistato una decina di barattoli di vernice. Sono andato in quel maledetto negozio tante di quelle volte che adesso il commesso crede di essere mio amico. Li abbiamo provati tutti” concluse affannato.
“Non abbiamo provato il verde” constatai e lui alzò le braccia a cielo, palesemente esasperato. Trattenni un sorriso, incapace di comprendere il motivo di tanta stizza.
“Il verde fa schifo! Lilla.Rosa antico.Rosso fragola. Decidi” sputò ed io spalancai la finestra, lasciando entrare più luce possibile. Cercai di concentrarmi. Esaminai i tre colori con scrupolo senza però riuscire a decidermi. Sarebbe stata una scelta da prendere con calma e non con il suo fiato sul collo.
“Smettila di trasmettermi tutta quest’aria negativa, no riesco a riflettere” mi lasciai andare contro lo schienale della sedia spostando gli occhiali da sole dalla mia testa ai mie occhi.
“I colori posso influenzare fortemente la vita di in bambino. È scritto qui dentro, non me lo sto inventando” gli mostrai il libro regalatomi da Angela, molti mesi prima e lui boccheggiò, senza però dire una parola.

L’idea di occuparsi personalmente di quella stanza era stata sua. Si era messo a lavoro appena ritornati in città e in pochissimo tempo aveva riempito tutti gli scatoloni necessari per sgombrare la camera. Non mi aveva lasciato fare niente, si era impegnato a fare tutto da solo, l’idea di vedermi anche solo spostare un semplice oggetto lo spaventava. D’altro canto io non ero riuscita a tranquillizzare il suo lato apprensivo perché più i giorni passavano e più diventavo debole. Non riuscivo più a nasconderlo ne tanto meno a non darlo a vedere. La mia pancia era enorme e iniziavo a pensare che Eleonore potesse nascere da un momento all’altro, senza preavviso. Avremmo fatto l’ultima visita in ospedale nei giorni a venire e la paura di una data per il parto mi rabbrividiva.
Guardai nuovamente Edward che a torso nudo, aspettava una mia risposta per cominciare a ridipingere la stanza per nostra figlia.
“Stiamo per avere una bambina” sussurrai realizzando che di lì a poche settimane tutto sarebbe cambiato.
Mi guardò perplesso, non riuscendo a cogliere ciò che c’era oltre l’evidenza di quella frase. “Un esserino piccolo, fragile, che avrà bisogno di sentirsi amato e protetto continuamente” aggiunsi cercando forse di trasmettergli la stessa ansia che stavo improvvisamente provando.
Edward si avvicinò a me e prese la mia mano sinistra fra le sue. Ne baciò il dorso ma io sentii comunque mancarmi il fiato “Sta tranquilla” mormorò inginocchiandosi davanti a me. Mi sfilò gli occhiali che portavo, scoprendo i miei occhi spaventati “So per certo che a Eleonore non mancherà ne l’amore ne la protezione. Faremo tutto quello che sarà necessario per farla stare bene, questa è più che una promessa.”
Annuii meccanicamente e lui se accorse. Accarezzò il mio viso e io trattenni la sua mano sulla mia guancia. Cercai di riprendermi e mi sentii una stupida per aver dubitato anche solo per un attimo del nostro futuro.
Sospirai “Perdona il mio crollo emotivo, sono una povera stupida” sussurrai e sentii le sue labbra sulla mia fronte.
“Non hai niente da farti perdonare, sono qui per te Signora Cullen …”
Sentii la testa girare a quelle parole e non potei fare a meno di contemplare la sua fede argentata che brillava sotto la luce del sole. Sorrisi e sentii ogni pensiero angoscioso scivolare via alla vista di mio marito. Non riuscivo ancora a crederci eppure era vero. Ci eravamo sposati, un volo cancellato ci aveva portati fino ad una chiesa che mi sarebbe rimasta nel cuore per sempre.
Portai una mano fra i suoi capelli, avvicinando la mia fronte alla sua. Inspirai profondamente e il suo profumo mi provocò l’effetto rilassante che lo aveva sempre caratterizzato.
“Mi piace come suona” ammisi e lui sorrise.
“Isabella Cullen” disse ancora baciando le mie labbra delicatamente prima di portare una mano sul mio pancione e accarezzarlo leggermente. Ogni volta che si lasciava andare ad effusioni verso la bambina, mi sentivo quasi in pace. La gioia m’invadeva e la certezza di non essere l’unica ad amarla mi faceva stare bene. Lasciò scie di baci verso di esso ed io sorrisi per il leggero solletico che mi provocava. Ebbi la piena accessibilità ai suoi capelli e non riuscii a fermare la voglia di infilarci le dita.
“Anche Eleonore Cullen suona bene” sussurrò piano ma io riuscii comunque a sentirlo.
“Già …” fu l’unica cosa che riuscii a dire ma mai come quella volta mi sembrò giusto, adeguato. Aveva pienamente ragione, suonava tutto dannatamente bene.
 

**** *** ****


“Credo sia arrivato il momento di ricominciare a socializzare col mondo esterno”
Edward alzò gli occhi dal suo piatto di spaghetti e alzò un sopracciglio, chiedendosi probabilmente quale passaggio della conversazione si fosse perso.
“Noi due, intendo” precisai “Non possiamo fingere di esse gli unici sulla terra per sempre. Credo che sia arrivato il momento di dire agli altri che siamo tornati”
Posò la forchetta nel piatto e dopo un lungo sospiro, parlò “Chi intendi per altri?”
 
Lo fissai pazientemente. Sapeva benissimo a chi mi stessi riferendo e conosceva esattamente la persona che più di tutte volevo che incontrasse.
Avevo cercato in tutti i modi di non fargli pesare, almeno per qualche giorno la litigata fatta con sua sorella. Alice era piena di rabbia repressa verso di lui, non avevo mai notato quanto il loro rapporto fosse incrinato, debole.  Ricordai ciò che mi aveva raccontato e ascoltando il suo racconto e le parole che lei gli aveva riversato con cattiveria, non avevo potuto che provare dispiacere. Mi sarebbe piaciuto poter appoggiare il mio Edward e provare un po’ di risentimento verso di Alice ma le cose che lei stessa mi aveva confessato, facevano a pugni con i mie restanti pensieri. Avrei voluto raccontargli la parte della storia che non conosceva, dirgli che sua sorella non ce l’aveva con lui per un semplice cuore spezzato da adolescente. Raccontargli di più di James e di come avesse approfittato di lei per poi sparire lasciandolo in un vortice di confusione e dolore. Dirgli quanto abbia sofferto quando aveva visto la propria famiglia dividersi e andare a rotoli giorno dopo giorno, sentendosi incapace di fare qualcosa se non odiare profondamente la causa di tutte quelle sofferenze: lui.

Non potevo, non ne sarei stata in grado. Aveva pagato abbastanza per i suoi errori, l’essere stato il motivo di tanto dolore per la sua famiglia lo distruggeva ancora oggi. Non avrei avuto bisogno di una sua confessione al riguardo, lo si capiva dal modo in cui si comportava con loro. Si sentiva fuori luogo in casa sua a Forks. Non riusciva a reggere gli sguardi dei suoi genitori, li evitava il più possibile e questo perché in loro vedeva ancora qualcosa che lo riportava in quel periodo. Non avevo bisogno di accertarmene, ne ero sicura. Così come ero sicura di non dover essere io a parlargli di James e di Alice. Lo dovevo ad entrambi e dovevo lasciare che si chiarissero da soli.
 
“anche io ho sentito il bisogno di stare completamente sola con te ma credo che sia arrivato il momento ricominciare a vivere normalmente. Emmett sarà preoccupato, sei stato tu a dirmi che voleva che lo avvisassi una volta tornato. Ti faccio notare che non l’hai fatto” Cominciò a riflettere sulle mie parole, sorreggendosi la testa con le mani. Lo sentii nuovamente sospirare prima di rimettersi composto.
“Hai ragione, devo telefonargli e poi devo anche mettermi seriamente a cercare un lavoro” cominciò a sfregare le dita contro il bicchiere di vetro al suo fianco, immerso in chissà quali pensieri.
“Ho un’idea!” affermai e quasi sobbalzò davanti al mio eccessivo entusiasmo. Posò i suoi grandi occhi verdi su di me, in attesa che continuassi.
“Beh … che ne dici d’invitarli tutti a cena questa sera?”
“No!” rispose secco, senza neanche aspettare qualche secondo per pensarci. Sbuffai e incrociai le braccia al petto, poggiandomi contro lo schienale della sedia.
“Asociale …” sussurrai ma lui mi sentì comunque.
Si alzò, portando via con se il suo piatto ancora pieno. Aspettai che aggiungesse qualcosa ma mi diede le spalle, troppo occupato a sparecchiare la tavola.
“Hai finito?” domandò indicando il piatto. Non risposi e lui si avvicinò comunque per portalo via.
“Hai intenzione di evitarla per sempre?” domandai e lui si voltò, poggiando la schiena contro la piccola isola della cucina.
“Io e mia sorella ci somigliamo più di quanto credi, Bella. È arrabbiata con me e se la invitassimo sono sicuro che non sarebbe di compagnia. Scusa ma non mi va di trascorrere la serata fra silenzi imbarazzanti”
“Ci sarà anche Emmett” precisai “Non esiste il silenzio quando lui è nei paraggi” chiuse gli occhi prima di annuire, d’accordo. Suo fratello era una forza della natura e sarebbe stato sicuramente la nostra ancora di salvezza.
“Ok” mormorò voltandosi e cominciando a lavare le stoviglie. Rimasi per un bel po’ a riflettere su quell’unica parola pronunciata. “Ma si dovranno accontentare della mia cucina orribile perché non lascerò che ti affatichi per loro” aggiunse categorico.
Alzai gli occhi al cielo “Li stiamo invitando per fare pace, non per avvelenarli. Ordineremo qualcosa da mangiare” proposi ovvia e lui ridacchiò.
“Come ti pare …”
Sorrisi, al suono della sua risata e non potei fare a meno di alzarmi a andare verso di lui. Poggiai la testa contro la sua schiena e l’avrei anche stretto forte a me se il pancione non me lo avesse impedito, così mi limitai a prenderlo per i fianchi. Sfregai la mia fronte contro la sua schiena per molto tempo, persa tra il suo profumo ma poi sentii delle gocce d’acqua bagnarmi il fiso.
Riaprii gli occhi, scioccata e lo sguardo divertito che ricevetti da Edward fu impagabile. Aveva la capacità di rovinare ogni singolo momento romantico.
“Ma sei scemo!?” sussurrai, asciugandomi il viso contro la sua camicia e lui rise ancora tentando nuovamente di bagnarmi. Abbassai lo sguardo, velocemente tentando di scansarlo “Edward, smettila!” sussurrai scocciata e lui annuì con ancora il sorriso sulle labbra.
“Hai intenzione di dirgli anche che ci siamo sposati? ” domandò cambiando argomento ed io mi bloccai, pensierosa.

Non l’avevamo detto a nessuno. Era capitato così velocemente che persino noi dovevamo ancora farci l’abitudine. La certezza di essere stati egoisti c’era, avevamo agito con l’istinto e senza pensare a tutte le persone che stavamo escludendo. “Ci uccideranno” constatai e per la prima volta Edward non tentò di consolarmi.
“Già, ci faranno a pezzi” aggiunse.
 

**** *** ****


“Ripetimi quello che ti hanno detto” dissi per l’ennesima volte ed Edward sospirò pesantemente, prima di voltarsi e lanciarmi un’occhiata omicida.
“Verranno! Emmett non vede l’ora di rivederti e Alice si è limitata ad un semplice e debolissimo si” disse.
Annuii, ignorando il suo tono infastidito. Avrei continuato a fargli domande fino a quando non avessi avuto la certezza che tutto sarebbe andate liscio quella sera.
“Credi che verrà?” domandai e lui si passò una mano fra i capelli.
“La conosci anche tu, se non avesse voluto venire avrebbe semplicemente detto di no e poi Emmett è con lei. Se si fosse rifiutata l’avrebbe comunque trascinata di peso fino a qui”
Annuii ancora, appagata dalle sue parole. Guardai alle sue spalle e l’intera parete rosso fragola mi fece aggrottare la fronte. “Ti piace?”
Edward attirò nuovamente la mia attenzione, facendomi portare lo sguardo verso di lui. “Si, è perfetta” mormorai e lui sospirò, come se si fosse appena lasciato un enorme problema alle spalle.
“Se avessi ricominciato ancora a parlare di verde, avrei sicuramente iniziato ad urlare” ammise ed io scossi la testa, divertita.
“Sei stato tu ad offrirti volontario, adesso ti tocca subire tutte le mie indecisioni”
Alzò le spalle “Avevo bisogno di evitare di pensare e di sentirmi inutile” sussurrò appena ma lo sentii comunque. Sbuffò “ … E comunque non potevo immaginare che mi avresti fatto uscire fuori di testa”
Mi avvicinai a lui, sentendo il bisogno di sentirlo vicino e di fargli sentire la mia presenza. Non ci mise molto ad allungare un braccio e stringermi a se. Baciai il suo petto, incapace di trovare le parole giuste per farlo sentire meglio.
“Edward tu …”
“Shhh” accarezzò la mia guancia, posando il pollice sulle mie labbra. Mi guardò intensamente, come se cercasse di scrutare qualcosa nel profondo dei miei occhi “Vieni qui” non ebbi il tempo di fare niente, fu lui stesso a piegarsi verso di me e ad incollare le mie labbra alle sue, zittendomi completamente.

 

**** *** **** 


Guardai, inorridita, l’ammasso incomprensibile di capelli che spazzola e phon non erano riusciti a domare. Se avessi dedicato altri dieci minuti a quei traditori sarei impazzita. Decisi, allora, di dare un ultimo colpo di spazzola e legarli, in una coda alta e ordinata. Fanculo!  
Mi diressi in camera, alla ricerca di qualcosa di decente da indossare. Avevo sempre avuto problemi con i vestiti, non sapevo mai cosa indossare la sera o ad festa, adesso però il pancione che mi ritrovavo non mi aiutava per niente. Fosse stato per me avrei indossato jeans e Converse ad ogni occasione ma perfino loro mi sebravano inutili in quel momento.
Rimasi a fissare il mio armadio per moltissimo tempo e l'idea d'indossare l'ennesima felpa di Edward, mi passò per la testa, fino a quando non mi soffermai su di una busta bianca ripiegata in un angolo. Strabuzzai gli occhi, tirandola fuori “Come ho fatto a dimenticarmi di voi …”
Cominciai a frugare fra i vestiti che Alice mi aveva comprato mesi prima, quando le avevo semplicemente chiesto di trovarmi un vestito per la disastrosa cena a casa di Caius. Trovai una camicia blu abbastanza lunga, a tre quarti e stretta sotto il seno.
“Sei sempre la mia salvezza, anche quando non lo sai …” sussurrai, una volta averla indossata. Li abbinai ad un paio di Jeans chiari e a delle ballerine dello stesso colore.

“Devo iniziare a preoccuparmi?” sobbalzai, guardando alle mie spalle “Che fai, parli da sola?”
Edward se ne stava sul ciglio della porta, curioso di ricevere una risposta. Sbuffai “Tu perché sei ancora così? I ragazzi arriveranno da un momento all’altro e tu non ti sei neanche fatto una doccia”
Alzò le spalle, incurante delle mie parole e si diresse verso di me. Mi guardò per un attimo prima di baciarmi la punta del naso e contemporaneamente togliere l’elastico dai miei capelli.
Sentii in un attimo i boccoli ricadere sulle mie spalle e lui portò un ciocca cadutami sul viso, dietro l’orecchio. “Ecco, adesso si che sei perfetta”

 

**** *** **** 


Il sorriso a trentadue denti che mi rivolse Emmett al suo arrivo portò via ogni ansia e preoccupazione. Sarebbe stato la nostra salvezza quella sera se qualcosa fosse andato storto.
“Sei enorme!” quasi urlò, beccandosi uno schiaffo sulla spalla da sua moglie.
“Emmett ma sei scemo!” Rose alzò gli occhi al cielo e lui mi stritolò fra le sue braccia.
“E bellissima, ma quello era sottinteso” sussurrò al mio orecchio, facendomi arrossire. Abbracciai calorosamente anche Rosalie che non smise di lanciare occhiatacce e suo marito.
Rimasi immobile, senza sapere cosa fare quando mi trovai davanti Alice. Teneva la mano a Jonathan che mi guardava curioso con gli stessi occhi azzurri del padre e della stessa Alice.
“E quella con la faccia da colpevole è Alice. Potresti confonderla con Johnny visto che sono della stessa altezza ma come vedi lui almeno sorride”
Feci una smorfia, cercando di trattenere un sorriso ed Emmett questa volta ricevette un pizzico che lo fece contorcere dal dolore. Si, lui avrebbe sicuramente salvato la serata e anche il mondo se glielo avessero lasciato fare.

“Ciao Alice” sussurrai e lei alzò lo sguardo, rivolgendomi un sorriso accennato. Guardai gli altri, non sapendo come muovermi ma erano troppo impegnati a parlare con Edward, così cercai di farle dire qualcos’altro. “Non vedo Jasper” dissi e lei si passò una mano fra i capelli, sospirando.
“Ci raggiungerà fra un po’, ha delle cose da sbrigare in ufficio” rispose.
Annuii e uno strano senso di fastidio s’impossessò di me. Non volevo si sentisse a disagio con me o con la sua famiglia, avrei voluto urlarle di fare pace con suo fratello e di ritornare tutto alla tranquillità. Mi limitai però ad abbracciarla e lei sussultò, sorpresa.
“Non sei arrabbiata con me?” domandò con voce strozzata ed io scossi la testa.
“No, no che non lo sono” risposi sciogliendo l’abbraccio. Presi le sue mani “Non potrei mai esserlo con te”
Alice guardò Edward, intento a parlottare con il piccolo Jonathan che senza che ce ne fossimo rese conto, aveva raggiunto i suoi genitori. “Gli ho detto cose …”
Scossi la testa, interrompendola “So cosa gli hai detto e credo che voi due dobbiate fare una lunga chiacchierata, magari più tardi o domani” proposi e lei annuì.
“Edward” chiamai il suo nome e lui si raddrizzò, guardandomi. Indicai con un cenno della testa Alice e lui venne verso di noi.
“Ciao” disse solamente ma gli occhi di sua sorella si riempirono di lacrime. Edward la guardò preoccupato “Hey , va tutto bene” mormorò e lei scosse la testa energicamente.
“No, non è vero” rispose, tirando su con il naso “Mi dispiace, volevo davvero ferirti con quelle parole e mi dispiace per questo”
Si abbracciarono “Ho già dimenticato quello che hai detto, non preoccuparti” la rassicurò e lei strinse con forza la sua camicia cominciando a singhiozzare.
Nel soggiorno si sentirono solo i suoi singhiozzi per molto tempo. Nessuno ebbe il coraggio di dire niente e persino Jonathan non si mosse, troppo occupato dal rimanere immobile e assistere alla scena.


 
“Ci sono delle novità?” guardammo tutti verso di lei, che dopo essersi lasciata andare ad un pianto liberatore, era ritornata la semplice Alice.
“L’ultima volta che abbiamo cenato insieme e hai posto questa domanda siamo rimasti tutti scioccati dalla risposta di Bella” Emmett ridacchiò e Alice con lui.
Non potei fare a meno di lanciare una veloce occhiata a Edward al mio fianco. Era molto più rilassato di me ma aveva pienamente accettato l’idea di non indossare le fedi nuziali almeno fino a quando non avessimo trovato il coraggio di confessare a tutti il nostro matrimonio.
“Sappiamo già che sei incinta. Oltre a questo ci sono delle novità?”
Entrambi i suoi fratelli ci guardarono impazienti e con una curiosità palpabile nell’aria. Rosalie era l’unica che non prestava attenzione alla conversazione, troppo concentrata a convincere suo figlio a mangiare.
Guardai nuovamente Edward, incitandolo con lo sguardo a dire qualcosa. Debole come ero, se avesse lasciato parlare me avrei vuotato il sacco in pochi secondi.
Sospirò ma prima che riuscisse a dire anche solo una parola, il campanello suonò e sua sorella s’illuminò completamente.

“Il mio Jasper!” non ci diede il tempo di alzarci che sgattaiolò verso la porta e accolse il suo fidanzato. “Era ora! Stavi per farci morire di fame”
Tutti ridemmo compiaciuti dalla sua spensieratezza e forse anche sollevati dal fatto che avesse ripreso a sorridere. Dopo qualche secondo entrambi fecero la loro apparizione in soggiorno e Jasper salutò tutti, soffermandosi qualche secondo in più su Edward. “Non ci vediamo da una vita” mormorò e lui annuì.
Tutti tornammo a sederci intorno alla tavola già apparecchiata e dopo l’arrivo dell’ultimo ospite cominciammo a mangiare.
 

“In ufficio è tutto sotto sopra” mormorò improvvisamente Jasper. Edward aggrottò la fronte e lui continuò “Oggi è venuta la polizia e hanno portato via parecchi fascicoli e documenti” precisò.
“È per via di Caius?” domandò e lui annuì. Rimasi ad ascoltare attenta, consapevole di non volermi perdere nessun passaggio di quella conversazione.
“L’hanno arrestato un paio di giorni fa”
Sussultai a quelle parole ma Edward non sembrò sorpreso quanto me. Mi guardò “Sapevo che sarebbe successo. Ti ho già raccontato di cosa mi ha detto Eric il giorno in cui sono partito per venire da te a Forks”
Annuii “Credevo che stessero cercando Harrison, non lui” dissi e il sorriso di Jasper mi fece sentire una sciocca.
“Quei due sono come una cosa sola, sono nello stesso giro d’affari e la cattura di Harrison e questione di qualche ora” guardò il suo orologio, quasi voler cronometrare l’intero avvenimento.
“Hey, ma questa camicia e di Yves Saint Laurent o sbaglio?” puntai il mio sguardo su Alice, troppo impegnata a fissarmi. Annuii velocemente, cercando di concentrarmi sulla conversazione tra Edward e Jasper. A lei forse non interessava ma a me si.
“Sei andata a fare shopping senza invitarmi?” domandò ancora distraendomi ed io sospirai.
“Sei stata tu a comprarmela, qualche mese fa, ora fammi ascoltare cosa dicono” risposi e lei alzò gli occhi al cielo cominciando a chiacchierare con Rose.
“Non mi avevi detto che Eric sapeva già dove fosse suo padre?” domandai cercando di riallacciare i fili della conversazione che avevo perso grazie a mia cognata.
Edward aggrottò la fronte, guardando il suo interlocutore “Infatti. Eric mi aveva detto che era convinto di conoscere esattamente il luogo dove si trovasse suo padre. Credevo che a quest’ora fosse già stato catturato”
“In ufficio gira la voce che l’abbiano tenuto sotto controllo fino ad ora e che stasera vadano a prenderlo. Caius, naturalmente lo incolpa di tutto e dicono che sia stato proprio lui a confessare dove si trovi il suo amico” Jasper roteò il suo bicchiere di vino, prima di fissarlo un’ultima  e berlo tutto d’un sorso.
“E Roxy?” domandai ancora e lui puntò i suo occhi azzurri nei miei.
“Ci sono buone probabilità che sia morta” rispose tranquillo e io sentii il cuore cominciare a battermi forte. Trattenni il fiato, portandomi una mano davanti alla bocca.
“Sta calma, non … nessuno ne è sicuro” Edward strinse la mia mano dolcemente e mi guardò con dispiacere per poi ritornare su Jasper “Sei impazzito per caso!?”
Mi guardò, sorpreso “Non volevo turbarti, scusami. È che sono passati dei mesi e non credo … basta! Smettiamola di parlare di quella ragazzina”

Il suo viso tremendamente infantile mi passò davanti agl’occhi. Il suo sorriso e la gioia che gli riempiva lo sguardo quando parlava del fratello. Non poteva assolutamente finire in quel modo, sarebbe stato ingiusto. Lei non avrebbe dovuto pagare per gli errori di un genitore che non aveva neanche il diritto di essere definito tale. Eric ne sarebbe uscito distrutto. L’ultima volta che l’avevo visto era a pezzi e non avrei potuto immaginare una sua reazione se davvero …
“Che fine farà lo studio?” Emmett che fino ad allora era rimasto ad ascoltare, attento, adesso aveva posto per la prima volta una domanda.
Jasper sospirò “È quello che ci stiamo chiedendo tutti. Caius è l’unico proprietario delle studio e con lui dietro le sbarre non so bene che cosa succederà. Per adesso nessuno ci dice niente”
Alice sbuffò pesantemente, dando una leggera gomitata al fidanzato al suo fianco “Possiamo smetterla di parlare di cose noiose almeno per questa sera? Cominciate ad infastidirmi”
“Già … chiedo scusa. Da quando sono arrivato non ho fatto altro che parlare io” prese un respiro profondo, forse a volere abbandonare le preoccupazioni “Allora, novità?” domandò guardando me ed Edward.
Avvampai completamente “Perché devono esserci per forza delle novità!?” quasi urlai e me ne pentii subito, quando lo sguardo di tutti si posò su di me. Avrei dovuto lasciare che fosse Edward a parlare, cazzo!
 

**** *** ****


“Quando è prevista la sua nascita?” smisi di accarezzare il mio pancine, al suono della voce di Rosalie. Il suo era stato solo un sussurro, per non svegliare il piccolo Jonathan placidamente addormentato sul divano. Non smise di accarezzargli il capo neanche per un secondo, troppo attenta a pettinargli i riccioli biondi con le dita.
“Il nono mese finisce fra qualche giorno” risposi e lei sorrise.
“Andrà tutto bene” sussurrò “È normare provare della paura ma alla fine andrà tutto bene”
Non aveva neanche visto la mia espressione, eppure aveva comunque intuito quello che provavo. Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, spaventata dalla domanda che stavo per porgli ma sentivo il bisogno di sapere. “Com’è stato il tuo … parto?”
Scrutò attentamente i miei occhi prima di stringere le sue mani fra le mie “Non è una cosa che si può spiegare ma tu ricorda che alla fine avrai la tua bambina fra le braccia. Questo ti darà la forza di tenere duro fino alla fine”
Sviare una domanda non aveva mai nulla di positivo e per questo le sue parole ebbero l’effetto apposto di quello che cercavo. Era davvero così orribile? Per un attimo mi pentii per non aver ascoltato il consiglio della mia dottoressa sul seguire un corso pre – parto.
Rose si alzò, lanciando un ultima occhiata al bambino “Raggiungiamo gli altri, non credo che si sveglierà. Dorme profondamente”
“È bellissimo” sussurrai alzandomi a mia volta. Jonathan era una meraviglia e sul quel divano, con le guance accaldate e la bocca socchiusa era davvero bellissimo. Sorrise, prima di cingermi in un abbraccio.
Ritornammo nella sala da pranzo ma vi trovammo solo Emmett e Jasper intenti in una conversazione.

Mi guardai intorno “Dove sono Edward e Alice?” domandai e loro mi risposero che si trovassero da qualche parte ma non seppero dirmi esattamente dove. Una parte di me sentiva di doverli lasciare soli per chiarirsi, eppure l’altra parte sentiva di dover andare almeno a controllare che tutto stesse andando per il meglio.
Camminai lungo il corridoi e una luce proveniente dalla stanza di Eleonore mi fece guardare dentro di essa. Edward aveva ricominciato a dipingere la parete. Mi fermai sulla soglia quando notai Alice fare la stessa cosa con un pennello più piccolo.
“E così rimarrete a stare in questa casa ancora per un po’ …” guardò verso di me ed io mi sentii una spiona.
“Si … ti piace il colore che abbiamo scelto?” domandai entrando ma non riuscii a sentire la risposta, perché notai quello che le sue mani avevano creato su quella parete. “Cristo!”
Si passò una mano fra i capelli, imbarazzata. “Ho iniziato senza rendermene conto ma puoi cancellarli via con un po’ di vernice”
Scossi la testa, ammirando i piccoli fiorellini bianchi che ricoprivano gran parte della parete. “Sono carinissimi, continua.” mormorai e lei sorrise.
La guardai e il suo sorriso fu sincero e leggero, guardai Edward e riconobbi la stessa espressione rilassata che aveva la sorella, mi fece un occhiolino e lo interpretai come un segno di complicità. Riferito forse al fatto che con la sua parlantina di avvocato, mi avesse salvato da una morte certa se i ragazzi avessero scoperto il nostro matrimonio.
Feci un passo indietro, sentendosi improvvisamente di troppo. “Bene, vi lascio soli. Voi continuate a sorridere e ad essere felici. Ci vediamo dopo” sgattaiolai via dalla stanza e il suono delle loro risate riempì l’intero corridoio facendomi sentire bene.
Iniziavo a credere, realmente che tutti i problemi in un modo o nell’altro si sarebbero finalmente risolti, lasciando spazio a una nuova vita fatta esclusivamente di una serenità incondizionata.








 













 

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Capitolo 35
*** 35Capitolo ***




Capitolo 35











 

“Non vorrai farlo per davvero?!”
Sbuffai, sistemandomi meglio sulla sedia, senza smettere di rigirarmi tra le mani il libro illustrato che la mia premurosa dottoressa mi aveva regalato.
 “Sta zitto Edward!” lo ammonii offesa. Mi alzai per dirigermi verso il frigo, in cerca di qualcosa da mangiare. L’ultima visita medica che avevamo appena fatto era andata molto bene e constatare che sarebbe stata l’ultima prima del parto, mi aveva fatto agitare a dismisura. Il nono mese era finito ed io avrei potuto partorire in qualsiasi momento.
Mi sentivo impreparata, non sapevo cosa aspettarmi quel giorno, non mi andava di andare alla cieca e il classico ‘Spingi, spingi!’ che avevo visto nei film non mi sembrava abbastanza.
Espressi i miei timori, la dottoressa McCartney aveva cercato di rassicurarmi dicendomi che tutto sarebbe avvenuto in modo naturale ma quelle parole non avevano avuto nessun effetto su di me. Così, adesso mi ritrovavo in casa un libro e un dvd su ogni singolo momento del parto, che a parer suo avrebbe cancellato via ogni dubbio che non era riuscita a spiegarmi. Avrei preferito usare il plurale ma nelle ultime ore avevo cominciato a scoprire la parte codarda di mio marito. Non avevo calcolato, che Edward si sarebbe rifiutato di guardarlo con me. “Rimarremo traumatizzati a vita!” lo sentii esclamare, inorridito.
 
Richiusi, stizzita, la porta del frigo senza neanche aver guardato seriamente al suo interno. Diedi un’occhiata veloce all’orologio appeso alla parete, prima di ritornare a sfogliare il mio nuovo libro. L’idea che si rifiutasse di guardare con me quello stupido documentario, mi feriva più di quanto stesse immaginando.
“Hai visto il mio cellulare?” sentii nuovamente la sua voce in lontananza. Non risposi, troppo occupata a fissare una pagina piena di feti dalle grandezze diverse a seconda del mese. Il suo nuovo cellulare era davanti a me e l’idea infantile di farlo cadere accidentalmente per terra, mi attraversò come una vera e propria illuminazione. “Eccolo!”
Sobbalzai, uscendo dalla spirai di perfidia che mi aveva colpita. Venne verso di me, perfettamente vestito da un elegante completo blu ed io mi sentii in colpa per aver anche solo pensato di distruggere una cosa che non aveva neanche una settimana di vita. Abbassai lo sguardo.

“Chiamami per qualunque cosa. Se dovessi aver bisogno di me, fammelo sapere” sussurrò, poggiando una mano sulla mia spalla “Odio doverti lasciare sola, cercherò di fare il prima possibile” strinse la presa su di me, cercando d’incrociare i miei occhi.
Scossi la testa, scansandolo “Non sarò sola, tra un po’ arriva Angela. Vattene, se mi si dovessero rompere le acque, ti chiamerò. Anzi, meglio di no, non vorrei traumatizzarti a vita.” Risposi acida.
“Non credi di esagerare un po’?” mormorò ed io alzai lo sguardo, fulminandolo. Mi guardò per un attimo, prima di sospirare pesantemente. Si passò una mano tra i capelli “Ok ma quando stanotte non riuscirai a chiudere occhio, io non starò lì a consolarti”
Alzai un sopracciglio. Io non ero affatto così fifona, era una cosa che volevofare, ero stata io a volermi documentare. “ Io non ho bisogno di essere consolata. Anzi, perché non ammetti di essere tu quello spaventato?”
Alzò gli occhi al cielo, prima di accarezzarmi i capelli e affondarci le labbra. “Io riesco ad ammettere di essere in ansia, è normale. Ora devo andare, sono tremendamente in ritardo. Ci vediamo più tardi, mi raccomando chiamami per qualunque cosa”
Annuii svogliatamente “Si, si. Non credo che Eleonore voglia uscire proprio oggi da qui. – mormorai accarezzando il mio pancione – Sta tranquillo e sta attento, per favore” sentii un’improvvisa ondata di ansia crescere dentro di me. Avrei preferito averlo sempre accanto a me. Mi ero goduta quei giorni in sua costante compagnia e adesso saperlo nuovamente immischiato con tutta quella storia di Harrison Norton, mi spaventata. Avevo segretamente emanato un sospiro di sollievo quando mi ero resa conto che con il suo licenziamento avrebbe almeno lasciato alle spalle tutta quella storia ma aveva parlato troppo presto.

Edward mi accarezzò i capelli ed gli cinsi i fianchi con le braccia. “Hey, cosa vuoi che mi succeda? Sono in carcere quei tizzi, non possono farmi niente.”
“Erano in carcere anche quando ti hanno sparato …” constatai e lui sbuffò.
“Harry è stato preso, Bella. Io ed Eric andiamo lì solo a fare due chiacchiere con loro, pacificamente”
Le immagine viste al notiziario, che avevano fatto ormai il giro del modo, mi ritornarono in mente. Harrison Norton era stato trovato a George Town, una piccola cittadina delle Isole Cayman, dove insieme a Caius possedeva un decina di immobili non registrati. Si era nascosto lì per tutti quei mesi, senza farsi sentire o vedere dalla popolazione. La polizia aveva setacciato ogni angolo dell’isola, fino a stanarlo. Adesso si trovare in un carcere fuori città ed Edward era diventato l’avvocato di suo figlio, che aveva insistito per parlare prima con lui e poi con gli Enko.
Sospirai, sciogliendo l’abbraccio “Tu comportati bene e non farli incazzare per favore”
Scosse la testa “Bella perché …”
“Promettilo e basta!” lo pregai e lui annuì.
“Va bene, promesso” mormorò poco convinto ma me lo feci bastare, mi sentivo più tranquilla “Ora vai, sei in ritardo e salutami Alice” gli ricordai e lui guardò in suo orologio.
Si avvicinò nuovamente a me per darmi un bacio a fior di labbra e allontanarsi “A dopo”


 

**** *** ****


Passai una quantità di tempo indefinito tra le braccia della mia amica. Mi strinse per molto tempo continuandomi a ripetere quando le fossi mancata. Era mancata anche a me, lei era l’unica ragazza a cui mi fossi affezionata in quella città. Mi era stata di supporto molte volte e non solo scolasticamente. Era una ragazza speciale, unica e mi sentivo fortunata a conoscerla.
“Mi sei mancata” ripeté per l’ennesima volta ed io ridacchiai stringendo le sue mani.
“Stai bene? Ti trovo bene.” constatò da sola “Come sta la bambina?  Edward dov’è? ” si guardò intorno e prima che potesse fare altre domande a raffica la bloccai.
“Hey, vacci piano con le domande Angela!” mi sorrise, richiudendo la bocca con fare teatrale. Mi passai una mano fra i capelli “Va tutto bene”
Mi guardò attentamente, alla ricerca di un mio tentennamento ma non avrebbe trovato niente. Stavo bene. Io ed Edward avevamo trovato un equilibrio, avremmo affrontato altri problemi, litigi ma lo avremmo fatto insieme. Nulla ci avrebbe più divisi e nostra figlia sarebbe stata il nostro miglior sostegno.
“Davvero. Edward è fuori, ha delle faccende da sbrigare ma dopo ritorna” scherzai e lei sembrò rilassarsi. Si liberò della sua borsa e poi del cappotto per poi ritornare a fissarmi.
“Ti trovo bene” constatò ancora ed io alzai gli occhi al cielo, facendola ridere “Ok, ok la smetto”
 
Passammo gran parte della mattinata a parlare di me. Le raccontai tutto quello che volle sapere e ne rimase fortemente compiaciuta. Le feci vedere la nuova stanza di Eleonore ma non le raccontai del matrimonio. Io ed Edward avevamo escogitato un piano, o meglio lui era convinto che il momento giusto per dire a tutti del nostro matrimonio sarebbe stato il giorno della nascita della bambina. Sarebbero stati talmente occupati e rapiti dalla sua bellezza che avrebbero digerito con meno rancore la notizia. Era un’idea imbecille ma ormai non avevamo più niente da perdere.
La mia amica mi aggiornò su tutte le cose avvenute all’università e di come si stessero organizzando per il primo di giugno. Tra un paio di giorni sarebbe stato un mese esatto alla mia laurea ma non mi andava di pensarci in quel momento.
 

EDWARD

Attraversai l’entrata di quello che un tempo era stato il più grande e rinomato studio legale di Manhattan. La hall era deserta e la ragazza che aveva sempre lavorato alla reception non c’era, sostituita da un altro ragazzo. Cercai di focalizzare al meglio il suo viso, certo di averlo già visto da qualche parte ma la fretta che avevo mi portò velocemente all’ultimo piano, dove Eric mi avrebbe aspettato.
L’edificio era pieno di gente ma nessuno sembrava lavorare ad un caso. Sgomberavano le loro scrivanie, raggruppavano le proprie cose, in silenzio. Io che ero stato licenziato quasi due mesi prima non ero mai tornato a prendere le mie cose e adesso l’intero edificio stava scomparendo e non ero più l’unico ad aver perso il lavoro. Passai davanti all’ufficio di Brian e mi dispiacque parecchio trovarlo vuoto, non lo vedevo ne sentivo da molto tempo.
Arrivai davanti all’ufficio di Caius e non mi sorpresi di trovarlo completamente vuoto. Eric se ne stava sdraiato sull’unico divano rimasto in un angolo della stanza.
Si voltò e dopo avermi visto si raddrizzò, sedendosi. “Perché diavolo non rispetti mai gli appuntamenti, amico?” domandò.
Alzai le spalle “Muoviti, siamo in ritardo” mormorai e lui mi lanciò un occhiataccia.
 


“Ho una cosa da dirti” mormorò improvvisamente. Lo guardai per un attimo, per poi tornare con gli occhi alla strada. Non risposi, lasciai che continuasse. “Adesso che mio padre è in gattabuia, voglio che tu mi faccia avere l’ affidamento di mia sorella”
Annuii velocemente, senza lasciargli il minimo dubbia d’incertezza da parte mia. Ero il suo avvocato adesso e non più solo suo amico. Avrei dovuto tenere per me le supposizioni, le incertezze che avevo su sua sorella e sperare fino alla fine che nulla di male le fosse accaduto.

Il Clinton Correctional Facility era un carcere di massima sicurezza fuori Manhattan. Arrivammo con quasi due ore di ritardo dall’orario stabilito per la visita con suo padre ma qualcosa mi diceva che non avrebbero fatto storie al riguardo.
Dopo averci perquisiti, ci ordinarono di lasciare tutti i nostri oggetti in una stanza ed io sperai che Bella non decidesse di chiamarmi proprio in quel momento.
“Mi raccomando, non fare cazzate” sussurrai ad Eric, cercando di non farmi sentire dalle guardie che attendevano con noi l’arrivo di suo padre.
Eric mi ignorò completamente, posizionandosi in una delle sedie intorno al tavolo, nella sala delle visite.
Sospirai pesantemente, prima di sedermi al suo fianco e cominciare a tamburellare nervosamente le mie dita contro la testa. “Non ti azzardare a tentare di mettergli una mano addosso o finirai per farti arrestare”
“Ric mi hai sentito?” ringhiai e lui si voltò finalmente verso di me, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa la porta si aprì e suo padre fece il suo ingresso.

Il viso eccessivamente pallido e smagrito, le occhiaie pronunciate a contornargli gli occhi, la barba folta, i capelli più lunghi di come li portasse in precedenza, il corpo asciutto. Ecco il motivo per cui faticavano a trovarlo, era irriconoscibile.
Deglutì un paio di volte, fermo ancora davanti alla porta ed io cominciai a provare pena per quell’uomo un tempo stimato da tutti.
Eric cominciò a respirare in modo irregolare. Lo guardai preoccupato ma lui mantenne lo sguardo dritto verso suo padre. Strinse i pugni e il suo viso cominciò a cambiare colore.
Chiusi gli occhi per un attimo, dandomi dell’emerito idiota per averlo aiutato ad avere un permesso per vedere suo padre. Era palese che non fosse pronto ne tanto meno preparato ad avere una tranquilla conversazione con lui.
“Salve, ragazzi” riportai lo sguardo su Harry che senza che me ne fossi accorto, aveva preso posto difronte a noi.
I miei occhi comincia a vagare su tutte le persone della stanza: i due poliziotti a guardia della porta, Eric che sarebbe esploso nel giro di qualche secondo, Harrison con lo sguardo da cane bastonato e l’enorme guardia alle nostre spalle.
Avrei dovuto sentirmi tranquillo ma sapevo che niente sarebbe riuscito a frenare la rabbia del mio assistito. Anche se fosse stato sicuramente fermato, Eric avrebbe comunque tentato di aggredirlo. Ne ero sicuro.
“Non so neanche da dove cominciare figliolo” cominciò ma io lo fermai.
“Ascolta. Siamo qui solo per sapere il perché di tutta questa pagliacciata. Tu e Caius avete collaborato pe anni con la mafia russa e poi avete cercato d’incastrarli. Non …”
“Mi fai schifo …” mi bloccai all’istante quando Eric cominciò a parlarmi sopra, senza curarsi di quello che stessi dicendo. “Sei sempre stato un pessimo padre, un pessimo marito, una pessima persona. Eppure non mi sarei mai aspettato da te una cosa del genere. Hai lasciato Roxanne nelle mani di quella gente e te ne sei andato”
“Eric, non le faranno niente quelli non sono degli assassini. So di aver…”
“Sta zitto! Bastardo che non sei altro” urlò e prima che me ne rendessi conto si alzò dalla sedia e cercò di colpirlo. Non tentai neanche di fermarlo, due dei poliziotti lo bloccarono e dichiararono concluso l’incontro.
“Questa è l’ultima volta che vedrai la mia faccia, bastardo! Spero che ti lascino marcire qui dentro, perché è quello che ti meriti. Non hai più dei figli e noi non abbiamo più un padre, mi hai sentito?” tentò in vano di dimenarsi dalla stretta di una guardia che cercava di trascinarlo verso l’uscita.
Mi alzai anche io ed Harris mi lanciò uno sguardo carico di dispiacere ma non potei che voltarmi e andare via. Non si meritava la mia compassione.
 


“Credi che ci lasceranno incontrare tutti e tre dell’organizzazione o solo i fratelli Enko?” domandò una volta fuori dal carcere. Cercò di sistemarsi con le mani la camicia ormai sgualcita e si accese nervosamente una sigaretta.
Arrivammo davanti alla mia Volvo ed io l’aprii, senza degnarlo di uno sguardo.
“Io ti riporto a casa” lo avvisai e lui mi guardò incredulo “Non ho intenzione di portarti in giro ad aggredire le persone, mi dispiace. Non sei resistito neanche dieci minuti lì dentro … figurati con gli Enko”
Misi in moto ma lui non continuò a rimanere fuori dalla macchina “Sali o ti lascio quì” e come previsto, non se lo lasciò ripetere una seconda volta. Salì, sbattendo la portiera con forza.
“Vaffanculo, Edward. Ti odio” urlò ed io alzai le spalle.
“Mettiti in fila, non sei l’unico” risposi, uscendo dal parcheggio del penitenziario.
 
Eric volle farsi accompagnare nuovamente allo studio ed io non protestai, se voleva per forza incontrare gli Enko, l’avrebbe fatto con un altro avvocato, non con me. Era una persona adulta e libera di decidere quello che voleva.
Mandai un messaggio ad Alice e le chiesi di farsi trovare direttamente al Volterra, così avremmo potuto pranzare in un locale li vicino, come accordato.
Quando arrivammo, fui sollevato dal vedere la sua Porsche nel parcheggio sotterraneo dell’ edificio.
Eric non parlò per tutto il viaggio di ritorno, troppo occupato a fare l’offeso e quando arrivammo si catapultò fuori dalla macchina, senza voltarsi.
Richiusi l’auto, col nervosismo alle stelle ma cercai di riprendere a respirare regolarmente prima di affrontare anche mia sorella. Sarei voluto ritornare a casa e passare il resto della giornata in pigiama, sul divano con Bella. Eppure la mia giornata fuori casa non era finita.

Rientrai allo studio e il mio sguardo vago per l’intera hall alla ricerca di mia sorella. La trovai seduta, intenta in una conversazione con una della ragazze che lavorava lì.
Quando mi vide mi venne incontro, sorridendo “Ciao”
Cercai di ricordarmi il modo adatto di sorridere ma le sembrò capirmi al volo “Hai avuto una brutta mattinata, non è vero?”
“Orribile” ammisi e lei mi prese per un braccio, trascinandomi fuori dall’edificio.
“Andiamo via da qui, questo posto mette solo tristezza ormai”
Decidemmo entrambi di saltare il pranzo, anche lei aveva avuto una mattinata pesante. Così prendemmo un caffè e ci dirigemmo verso il Central Park , pronti a parlare un po’.

 
Continuammo a fissare il laghetto davanti a noi senza avere il coraggio di dire niente. La giornata era talmente piacevole, che sarebbe andato bene anche rimanere così. Le persone intorno a noi riempivano il silenzio con le loro chiacchere inutili, il loro ridere e il loro urlare contro i propri figli che si allontanavano troppo da loro. Sfregai le mani contro il mio caffè, prima di portarmelo alla labbra e cercare di berne il primo sorso ma nell’istante in cui la mia lingua percepì il suo sapore dolciastro, un uomo intento a fare jogging cadde disastrosamente difronte a noi.
Strabuzzai gli occhi, incapace di ricordarmi il modo giusto per respirare. L’uomo si alzò velocemente, guardandosi intorno sicuramente alla ricerca di qualcuno che lo stesse deridendo, sospirò ed infine ricominciò semplicemente a correre.

Passò qualche secondo e il suono della risata trattenuta di mia sorella si diffuse nell’aria. Si portò una mano alla bocca ma niente riuscì a farla smettere.
Sorrisi “Ricordi quando anche a te venne la fissa per il fitness?”
Alzò gli occhi al cielo, senza però abbandonare la sua espressione divertita “Non era una fissa. Volevo tenermi in forma e poi avevo solo dieci anni!”
“indossavi la tuta e correvi intorno al giardino per ore intere” ricordai e le immagini della nostra vita a Chicago invasero la mia mente, lasciando spazio alla nostalgia.
“Mi ero fatta comprare dalla mamma anche degli orribili scaldamuscoli rosa che toglievo solo per andare a dormire. Cavolo, perché mi hai ricordato una cosa del genere?!” si mise una mano sul viso, quasi a coprire l’imbarazzo che l’aveva improvvisamente colpita.

Si, una nostalgia malinconica che mi riportava a quando tutto sembrava perfetto. A quando la mia vita così come quella della mia famiglia sembrava intoccabile. La scuola, gli amici, le cene in famiglia, i sorrisi genuini di mia madre. Ogni cosa sembrava irremovibile e la possibilità che tutto sarebbe precipitato nel giro di qualche anno non mi aveva mai sfiorato. Sentii il respiro mancarmi nuovamente, questa volta non per la caduta di uno sconosciuto in calzamaglia.
Alice sembrò avvertire il mio stato d’animo e il suo sorriso si affievolì rapidamente. “Abbiamo avuto una bella infanzia” sussurrò sfiorando il mio braccio ed io non potei fare a meno di precipitare nello sconforto. Quella frase sembrava essere ricca di doppi sensi. Era come se mi stesse urlando in piena faccia che l’infanzia fosse stata l’unico momento felice della sua vita.
Avrei vissuto per sempre con la certezza di aver rovinato la mia famiglia, con la consapevolezza di quanto fosse spropositato e potente il mio egoismo. Un giorno dopo l’altro avevo portato tutti nello sconforto più totale, semplicemente perché mi ero sentito tradito. Mi avevano trascinato in una cittadina insulsa senza curarsi delle mie opinioni o del fatto che stessi lasciando la mia vita, per una che non volevo. Mi ero sentito tradito dai miei stessi fratelli, che non avevano appoggiato le mie proteste contro il trasferimento e per questo avevo deciso di distruggerli.

“Vorrei poter tornare indietro e cambiare un po’ di cose” mormorai e lei alzò le spalle, chiudendo gli occhi per qualche secondo.
“Ricordi quando la domenica mattina ci svegliavi tutti, suonando qualcosa al pianoforte?” la sua non fu una vera domanda e non si aspettò una risposta. Ritornò a guardare davanti a se, persa tra i ricordi. “Ci alzavamo e scendevamo tutti al piano di sotto per ascoltarti suonare”
Strinsi i pugni, solo ed esclusivamente per sentire la consistenza delle mie dita e immaginare dopo tanti anni di suonare ancora.
“Non hai più toccato un tasto quando ci siamo trasferiti a Forks, era al centro del soggiorno ma ti rifiutavi anche solo di guardarlo …” constatò pensierosa e una serie di flashback sfocati passarono davanti ai miei occhi. La guardai, in attesa che anche la sua mente si fermasse proprio a quel ricordo. Mi guardò e il rancore che vi lessi mi fece capire che anche lei ci fosse arrivata. “… almeno fino a quando una notte non sei tornato a casa ubriaco e l’hai distrutto con una mazza da golf di papà”
Abbassai lo sguardo. Uno dei motivi per cui evitavo di stare troppo tempo da solo con la mia famiglia era questo. Non ricordavo tutto di quella notte, ricordavo di essere rientrato a casa completamente fuori di me e di non essere riuscito a sostenere per l’ennesima volta la vista di quello strumento. Così, senza preoccuparmi di svegliare tutti, nel cuore della notte l’avevo fatto a pezzi. Perdendo l’ultima cosa che mi legava alle normalità.

“La mamma era distrutta … sconvolta. Adorava sentirti suonare” aggiunse.
Ritornai con la mente a quella notte e gli occhi di mia madre, completamente annullati e senza forze riapparvero. “Non ero in me” mormorai sperando che la smettesse di farmi rivivere quei momenti.
Non avevo creduto che sarebbe stato così complicato. Eppure sapevo che sarebbe finita così, ci eravamo dati appuntamento per parlare e dirci tutte quelle cose che non avevamo mai avuto il coraggio di dirci ma faceva più male del previsto.
“Sono sempre stata dell’idea che papà e mamma fingessero di non capire che avessi un … problema” fece una pausa, passandosi una mano fra i capelli “Persino a scuola avevano capito che ti drogassi, loro probabilmente non volevano crederci e basta”
“Tu perché non hai detto niente, allora?” domandai incerto. Non intendevo incolparla ma volevo sapere il perché lei, così come Emmett, non avessero fatto altro che coprirmi.
“Già, forse avrei dovuto farlo. Speravo semplicemente che fosse una crisi passeggera, invece si è rivelata qualcosa di orribile”
Cominciai a sentire la stanchezza della giornata. La mattinata era stata troppo lunga e adesso affrontare a questo era decisamente troppo. Avrei voluto rimandare questa conversazione ad un'altra volta ma una parte di me sapeva che non ci sarebbero più state altre occasioni. “Ascoltami, Alice. Mi dispiace.” La guardai dritta negli occhi cercando di risolvere una volta per tutte quella situazione. “Sono stato un imbecille, ho rovinato tutto e fatto del male a tutti e per questo mi dispiace. Vi voglio bene, vi ho sempre voluto bene. Anche quando sostenevo il contrario ma adesso non posso fare niente per rimediare” parlai velocemente e con il cuore in mano. Ciò che mi torturava era proprio la consapevolezza di non poter più fare niente per aggiustare le cose “Non posso fare niente, più niente” mormorai e la voce mi morì in gola.

Alice mi guardò per molto tempo, prima di cominciare a piangere. Non mi mossi, ne dissi nulla. Aspettavo le sue lacrime anche prima. Si portò le mani al viso, poggiando i gomiti sulle ginocchia. “Mentre tu te ne stavi chiuso in una clinica in montagna, noi raccoglievamo i cocci di tutte le cose che avevi distrutto. Emmett non c’era. Eravamo soli io, mamma e papà. In una casa enorme, vuota e silenziosa. I nostri genitori non si sono parlati per mesi, la mamma è dimagrita e papà lavorava il doppio per non tornare a casa”
“Mi dispiace” ripetei ancora ma lei sembrò non sentirmi.
“Ti ricordi di James, non è vero?” domandò e il suo tono di voce si indurì.
Certo che mi ricordavo di lui, sarebbe stato sepolto in un angolo della mia testa per sempre. I suoi occhi chiari e indecifrabili, quel suo sorriso ricco di significati nascosti. Ricordavo tutto di lui, come se fosse ieri.
“Beh, è stato molto più speciale di quanto di possa credere” si asciugò il viso con un fazzoletto ed io rimasi a fissarla, impotente. Avrei voluto evitarle di incontrare una persona come lui ma ero arrivato in tempo, prima che le cose peggiorassero.
Alice si alzò in piedi, distogliendomi dai miei pensieri. Si sistemò la giacca e si passò una mano fra i capelli, sistemandoli. “Riportami a casa, sono stanca”
La guardai, incredulo e lei sospirò “Non ho più niente da dirti, fratellone. Abbiamo capito che ad entrambi dispiace e che non possiamo cambiare le cose” si strinse nel cappotto “Sappi che continuerò ad incolparti per come hai rovinato la nostra famiglia ma voglio voltare pagina. Basta, non parliamone più” 
Annuii lentamente, alzandomi a mia volta. Era più di quanto meritassi. Lei era stata l’unica a dirmi apertamente ciò che pensava. Nessun altro della mia famiglia l’aveva fatto. Persino mio fratello, dietro i suoi enormi sorrisi covava del rancore. Ne ero sicuro ma a me andava bene così. Avremmo continuato a vivere le nostre vite, nascondendo il nostro passato sotto una pila di nuovi ricordi.
 

 

**** *** ****


Ritornare a casa fu un vero e proprio sollievo. L’odore familiare che il legno dei mobili emanavano mi invase appena aprii la porta. Mi guardai intorno alla ricerca di Bella ma non la trovai. Il televisore era acceso e sintonizzato su di un canale musicale. Poggiai la ventiquattrore sul tavolo del soggiorno e mi diressi in cucina dove sentivo arrivare chiaramente dei rumori.
Non potei fare a meno di sorridere quando una volta davanti alla soglia, la vidi. Lo sguardo corrucciato, attento e perso in chissà quale pensiero. Era in piedi, intenta a preparare un’insalata e canticchiava la canzone che davano in tv. Era bellissima.
Sarei rimasto lì fermo a guardarla per ore se solo me lo avesse permesso ma improvvisamente il suo sguardo si posò su di me facendola spaventare.
“Mio dio, Edward! Prima o poi mi farai morire di paura” si portò una mano sul cuore, cercando di riprendere a respirare normalmente.
“Non intendevo spaventarti, il fatto è che ti ho vista e non me la sono sentito di disturbarti” mi avvicinai a lei, eliminando i pochi metri che ci dividevano. L’attirai a me cingendole i fianchi in un abbraccio “Sei bellissima” sussurrai e lei alzò gli occhi al cielo, come se avessi detto una sciocchezza.
“Non cominciare a fare l’adulatore del cazzo” mormorò in risposta, cercando di scansarmi ma la trattenni senza difficolta.
Sorrisi “Un elegantissima bellezza, aggiungerei”
Mi guardò, irritata ma prima che potesse dire qualcosa, poggiai le mie labbra sulle sue. Non protestò. Dischiuse le labbra, facendo entrare la mia lingua a contatto con la sua. Immerso nel suo profumo mi sentii completamente libero da ogni timore o preoccupazione. Quando la baciavo, avevo la certezza che fosse mia e di nessun altro.
“Ciao” sussurrò quasi in imbarazzo, quando prendemmo le distanze. Le accarezzai le guance profondamente arrossate e l’idea di farle ancora quell’effetto mi fece sorride. Lei sprofondò completamente nel mio petto, cercando di evitare il mio sguardo ed io ne approfittai per stringerla ancora un po’ a me. “Ciao anche a te, amore”

 
I nove mesi di una futura madre: semplici passi per non sentirsi impreparati al parto” rilessi per l’ennesima volta il titolo del documentario che sarebbe stato il protagonista dei nostri incubi futuri. L’immagine dell’embrione in copertina era fra le cose più inquietanti che avessi mai visto ma non potei fare a meno di pensare che mia figlia potesse assomigliare ad uno di essi.
Mi rigirai la custodia fra le mani, dirigendomi verso il divano. Vi sprofondai completamente e decisi di cominciare a mangiare la mia coppa di gelato, consapevole che di li a poco avrei perso l’appetito.
Poggiai entrambi i piedi sul tavolino davanti a me e attesi l’arrivo di Bella, occupata a cambiarsi.

“Muoviti o rischierai di trovarmi addormentato al tuo arrivo” urlai in direzione del corridoio dove si trovava la nostra camera da letto.
“Se ti addormi, ti sveglio io a suon di schiaffi. Guarderai con me quel dvd, che ti piaccia o no!”
Trattenni una risata “Perché pensi sempre al peggio? Potrei addormentarmi semplicemente perché sono stanco, non per non gustarmi questo interessantissimo documentario” poggiai la testa verso lo schienale del divano, portandomi una cucchiaiata di gelata alla vaniglia alla bocca. Il gusto eccessivamente dolciastro mi fece istintivamente raddrizzare. Feci una smorfia, disgustato e i miei occhi caddero sul gelato al cioccolato di Bella.
“Il mio gelato fa schifo, mangialo tu. Io prendo il tuo dato che mi stai facendo aspettare tutto questo tempo” dissi e aspettai un suo urlo di disapprovazione. Mi avrebbe staccato un braccio se avessi mangiato quel gelato. Lei che aveva sempre amato il cioccolato, durante la gravidanza la voglia si era triplicata e non aveva fatto altro che mangiarne ogni volta che poteva.
“Edward!” urlò ed io mi congratulai con me stesso per conoscere quella ragazza più di qualunque altro. “Oh mio dio, Edward!”
Alzai gli occhi al cielo, il suo tono allarmato sfiorava l’esagerazione. “Calmati è pur sempre un gelato, potremmo almeno dividerlo …”
“Oh no, no, no, no! Non adesso!”
Scattai in piedi, preoccupato. La sua voce mi portò alla realtà e constatai che non stessimo affatto più parlando della stessa cosa. Corsi verso la nostra stanza e aprii la porta velocemente. Mi bloccai all’istante quando la trovai a fissarsi le mani bagnate.
“Bella …” sussurrai e lei alzò lo sguardo, incrociando i suoi enormi occhi spaventati con i miei.
“Credo proprio che tu sia riuscito nel tuo intento, perché non credo che riusciremo a guardare quel dvd … mi si sono rotte le acque”
 





*Rullo di tamburi* Eleonore sta arrivandoooo. Alla prossima, un bacio ;) 

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Capitolo 36
*** 36Capitolo ***




Capitolo 36







 

9 : 37 PM

La vista degli occhi sbarrati di Bella mi spaventò più di quanto qualunque documentario potesse fare. Passammo secondi interminabili a fissarci, cercando di realizzare quello che di lì a poco sarebbe accaduto, senza aver anche solo il coraggio di respirare. Il programma della serata era cambiato, non ci saremmo più riempiti lo stomaco, mangiando schifezze stesi sul divano. Avrei preferito ingoiare chili di gelato alla vaniglia ma non quello. Così, all’improvviso e senza il benché minimo preavviso.
Non eravamo preparati ma un gemito di dolore di Bella, ci ricordò di quanto al fato non importasse della nostra opinione: Eleonore stava arrivando.

Cercammo subito di far ripartire tutte le rotelle del cervello, per riflettere a mente lucida ma fu tutto miseramente inutile. Aiutai, con estrema difficoltà, Bella a finire di vestirsi. A ogni sua smorfia di dolore, le mani cominciavano a tremarmi sempre di più e questo mi rendeva completamente utile a niente. Infilai a mia volta un paio di scarpe e cominciai a cercare le chiavi della mia Volvo.
L’agitazione mi offuscò la vista. La casa in cui avevo vissuto negli ultimi quattro anni, non sembrò più mia. Mi sentii spaesato.
Le chiavi, cerca le chiavi.
Camminai velocemente per il soggiorno cercando di ricordare dove le avessi lasciate. Spostai con impazienza e agitazione i cuscini del divano senza nessun risultato, non c’erano. Mi passai nervosamente una mano fra i capelli e prima che potessi correre a controllare la cucina, Bella sospirò.
“Edward, sta calmo” mi voltai verso di lei e il suo viso leggermente arrossato ebbe l’effetto contrario “Mano sinistra” ansimò, per poi sorreggersi alla spalliera della poltrona. Mi affrettai a raggiungerla e lei strinse debolmente il mio polso sinistro, mostrandomi il mazzo di chiavi che avevo stretto, inconsciamente, fra le mani.
“Se non ti calmi, non ci arriveremo mai in ospedale …” sussurrò e una contrazione sembrò colpirla, perché improvvisamente strinse occhi e labbra contemporaneamente.

Le spostai le ciocche che le ricadevano sulla fronte, dietro l’orecchio ma quel gesto che avevo compiuto una miriade di volte, fatto con le mani tremanti, quasi rischiai di infilarle un dito in un occhio.
Sbuffò, in un modo molto più simile ad un lamento e trattene la mano sulla sua guancia “Edward, respira” ordinò sforzandosi di sorridere.
Per un attimo mi persi nei suoi occhi e il calore che vi trovai, sotto la spessa coltre di preoccupazione mi fece sentire un po’ meglio. Feci come richiesto. Non mi ero reso conto di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo e quando mi lasciai andare in due lunghi sospiri sentii di poter affrontare anche questo.
 


12 : 21 AM
 
“Credo di essermi persa qualche passaggio!” sbattei leggermente il capo contro la parete alle mie spalle, nell’intento di racimolare tutta la pazienza che ci voleva per non impazzire durante una conversazione con la madre di Bella.
“Dicono che ci vorrà più del previsto. È in travaglio già da tre ore e le hanno fatto anche un’ecografia per essere sicuri che fosse tutto nella norma”
“E …?” chiese con un filo di voce.
“Va tutto bene, Eleonore sta bene ma … non possono darle niente per il dolore e le contrazioni la stanno distruggendo” chiusi gli occhi, cercando inutilmente di scacciare tutta la tensione che mi stava lentamente divorando dall’interno. Assistere alle sue fitte, senza avere il potere fare niente mi destabilizzava, facendomi sentire impotente.

Renée sospirò “Cercherò di prendere il primo volo disponibile, voi non preoccupatevi di niente … chi c’è lì con voi?” domandò improvvisamente.
Fissai il corridoio semivuoto del reparto di maternità nel quale ci trovavamo “Per adesso nessuno ma tra un po’ dovrebbe arrivare Alice” risposi provocando un altro sospiro da parte sua.
“Sarei dovuta essere al suo fianco in questo momento. La mia bambina sta per avere una bambina ed io non sono lì a sostenerla” sussurrò afflitta “Ok, smettila di perdere il tuo tempo al telefono con me e va da lei, ha bisogno di te. Lei ha sempre bisogno di te, Edward”
Ci fu qualche secondo di silenzio e poi parlò ancora “Hai già chiamato Charlie?” domandò ed io scossi la testa, come se potesse realmente vedermi.
“No, lo farò adesso” risposi.
“Non preoccuparti, lo faccio io. So che non vi amate particolarmente in questo periodo. Lo conosco bene, lascia che sia io a dargli la notizia e poi sarà lui a chiamare voi. Ne sono sicura. Tu pensa solo a mia figlia adesso, ok? Dille che le voglio bene”

Mi passai una mano fra i capelli “Si, va bene. Magari ti richiamo dopo Renée” e all’idea di dover rientrare nella stanza in cui avevano messo Bella, mi impaurì.
Fu come se anche se si trovasse a chilometri di distanza, Renée fosse riuscita ad avvertire il mio stato d’animo. “So che non è un’esperienza facile da sopportare ma pensa che tra qualche ora una bellissima bambina sarà lì con voi. Mia figlia ha bisogno di qualcuno di forte in questo momento, va da lei. Andrà tutto bene”
 
Riposi il mio BlackBerry nella tasca posteriore della tuta che indossavo e staccai la schiena dalla parete alle mie spalle. Sospirai, cercando di assume un’espressione tranquilla. Varcai la soglia della porta, a testa bassa, incapace di reggere il suo sguardo sofferente. Non fare il codardo, Edward!
Con un ultimo e breve sospiro, ripresi posto sulla sedia accanto al letto e le rivolsi un sorriso accennato. “Hey … ”
Imitò il mio sorriso leggero, senza però riuscire a dire niente. Fece penzolare una mano fuori dal letto ed io l’afferrai senza esitazione. Tremava e prima che potessi parlare, strizzò per l’ennesima volta gli occhi.
“Haah” strinse la mia mano con una forza impressionante, che da uno scricciolo come lei, mai ti saresti aspettato. La contrazione durò qualche secondo e quando sentii allentare la sua presa e vidi rilassarsi i lineamenti del suo viso capii che fosse passata.
“Non hai una bella cera, dovresti provare a dormire un pò” sussurrò con voce sottile e affannata, ed io guardai infastidito il suo viso pallido e sudato. Non ero io quello che doveva riposarsi.
“Bella, evita di dire sciocchezze” risposi, e il tono fermo che avrei voluto usare andò a farsi fottere, lasciando spazio ad una specie di lamento funebre. Tentò, in vano di ribattere ma fu assalita da un'altra contrazione, questa volta più unga e dolorosa delle precedenti. Affondò le sue unghie nella mia mano e quando improvvisamente tutto passò, la sentii pulsare dolorosamente.
Si posizionò di lato, scostando nervosamente le coperte. Portò entrambe le mani al viso e lo sfregò con forza, quasi a voler cancellare qualcosa. Quando il suo viso fu nuovamente visibile, mi sentii morire nel notare i suoi occhi gonfi di lacrime.

Mi precipitai verso di lei e con delicatezza, cercai di farmi posto sul letto, per poterla stringere a me. “Va tutto bene, piccola. Sono qui con te” sussurrai ripetutamente, lanciando scie di baci contro il suo capo. Mi sentivo inutile e la leggerezza con cui la dottoressa McCartney ci stava trattando cominciava ad infastidirmi. Bella soffriva sotto i miei occhi da ore ma nessun medico le aveva ancora dato qualcosa per stare meglio.
La cullai tra le mie braccia, cercando di evitare il suo viso bagnato dalle lacrime che silenziosamente aveva cominciato a versare. Non era il dolore a farla stare male, forse quello era uno dei tanti motivi ma non l’unico. Era spaventata, così come lo ero io in quel momento. Avevamo affrontato molte cose eppure questa le avrebbe superate tutte senza difficoltà. Bella fermò il mio flusso di pensieri, quando senza preavviso afferrò nuovamente la mia mano, pronta ad affrontare una nuova contrazione.


 
1 : 55 AM

Continuai ad accarezzare la mano che aveva allacciata alla mia da tantissimo tempo. La situazione stava cominciando ad essere più sopportabile. Avevo dovuto abbandonare per qualche minuto la piccolissima parte razionale che possedevo, per riuscire ad ottenere un po’ di considerazione.
Quando i dolori si erano fatti insistenti non ero più riuscito a sopportare di vederla in quello stato, così, senza pensarci mi ero alzato ed ero uscito da quella maledetta stanza. Non mi ci era voluto molto a trovare la stessa infermiera che veniva a controllare Isabella ogni ora e mi ci era voluto ancora meno per cominciare a dare di matto, facendo voltare verso la mia direzione ogni singolo individuo in quel reparto. Non me ne sarei mai pentito ne vergognato. Volevo che qualcuno aiutasse mia moglie a stare meglio e dove i modi garbati non facevano effetto quelli sgarbati funzionavano a meraviglia.

Alla fine avevo ottenuto quello che volevo: Bella stava meglio.
Era come se le avessero dato un sedativo per cavalli o uno destinato a qualche tipo di bestia feroce, perché sembrò rilassarsi all’istante. Le contrazioni non erano cessate ma avremmo potuto aspettare che diventassero regolari senza più soffrire.
Non era riuscita a dormire comunque, ma almeno adesso sembrava più rilassata.
“Perché non si decide ad uscire e basta? Qualunque cosa mi abbiano dato, non durerà per sempre” biascicò lentamente ed io feci una smorfia, accarezzandole una guancia.
Sentii bussare leggermente alla porta e prima che potessi anche solo salutarla, Alice aveva già preso posto accanto a noi.

“Per fortuna non mi sono persa niente” constatò, sfilandosi il soprabito.
Bella la fissò per un attimo, per poi continuare a guardare nel nulla. “Ti ho chiamato ore fa, perché ci hai messo così tanto?” domandai e lei si passò una mano fra i capelli perfettamente ordinati.
“Quando mi hai avvisata ero nel mio letto, in pigiama e senza un filo di trucco. Ho dovuto darmi una sistemata” concluse ovvia, fissando Isabella. “Non potevo presentarmi qui come una stracciona, non ti sarai mica offesa?” le domandò, notando il suo stato apatico ma Bella sembrò non sentirla neanche.
“È sotto sedativi, Alice. Le contrazioni la stavano uccidendo” la informai e annuì lentamente. “Sei venuta qui da sola?” domandai e lei scosse la testa, distogliendo il suo sguardo da Bella.
“Sono con Jazz, quando siamo arrivati sono corsa fuori dalla macchina e l’ho lasciato parcheggiare. Credevo di arrivare qui e poter prendere mia nipote in braccio, invece, niente”
Sospirai pesantemente. Sarebbe stata una lunga notte.



2 : 48 AM

Chiusi gli occhi per qualche minuto, incapace di riuscire più a tenerli aperti. Bruciavano da morire. “Dovresti andare a casa, Jasper” mormorai, consapevole che si fosse seduto al mio fianco.
“E perdermi così, la nascita della figlia del mio migliore amico? Non se ne parla” sussurrò di rimando.
Accennai un sorriso, prima di riaprire gli occhi e soffermarmi sul lampeggiare insistente del mio cellulare. La batteria era scarica.

Tutti erano stati avvisati. La mia famiglia, quella di Bella e persino qualche amico. Dovevamo solo attendere, ma era come se il tempo scorresse lentamente o addirittura non scorresse affatto.  Eppure la situazione sembrava essersi evoluta almeno in parte.
L’effetto dell’anestesia era finito e Bella era stata trasferita in sala parto. Tutto sembrava essere arrivato finalmente alla fine, invece, dopo un altro controllo ci avevano detto di aspettare ancora o di procedere con un cesareo.
Avevo guardato mia moglie per qualche secondo e prima che potessimo anche solo considerare la cosa, lei aveva già risposto con un no secco.

Sospirai e mi alzai dalla sedia del corridoio sul quale avevo fatto tutte le mie telefonate. “Torno da Bella” mormorai rivolgendomi a Jasper e lui si alzò, seguendomi.
L’ospedale cominciava a starmi stretto. Tutto quel bianco, mi faceva girare la testa, mi metteva ansia. Avevo sempre odiato gli ospedali e chi ci lavorava.
Ripensai all’anno che avevo sprecato alla facoltà di medicina di Forks e rabbrividii. Il desiderio di accontentare mio padre, di fargli dimenticare almeno per un po’ quello che gli avevo fatto passare mi aveva reso cieco. Talmente cieco da farmi credere di potere sacrificare la mia felicità in cambio della sua, di poterlo rendere orgoglioso di me. Ci avevo provato, ma una ragazzina speciale senza neanche rendersene conto, mi aveva fatto ritornare a credere in me. Era entrata nella mia vita lentamente ma mi aveva rubato mente e cuore con una velocità strabiliante.
Avevo amato quella ragazzina e adesso amavo la donna che era diventata e che stava per farmi diventare padre.

“ … allora gli ho detto che la seta fosse una stoffa del tutto diversa dal cachemire ma lei sembrava non capirmi. Odio i ragazzi del primo anno, sono così stupidi!”
“Mmmh … hai ragione”
“Questa mattina uno di loro mi ha mostrato la collezione che ha intenzione di presentare per il concorso riguardante Parigi e gli abiti erano tutti in pile. Ti rendi conto?!”
“… Mmmh ”
Una delle cose strabilianti di mia sorella, era che poteva parlare a raffica con una persona anche senza ricevere risposta. Partiva in quinta e ti raccontava tutto quello che le passava per la testa.
Bella alzò lo sguardo verso di me e accenno un sorriso. Mia sorella si zittì di colpo, voltandosi anch’essa verso di me.

Mi sedetti accanto a lei, sul letto, e le accarezzai i capelli. “Tuo padre prenderà un volo domani mattina, così come tua madre e i miei genitori. Avremmo la famiglia al completo” la informai con finto tono disgustato e lei sorrise ancora.
Baciai quell’irresistibile sorriso e lei accarezzò il mio viso, prima di fare una smorfia “Edward non hai una bella cera” constatò preoccupata, strofinando il suo pollice sotto il mio occhio sinistro. “Perché non esci a prendere un po’ d’aria?”
Guardai il suo viso altrettanto distrutto e quello bastò per farmi contestare la sua proposta. “Sto bene, qui. Non preoccuparti”
“Non mi succederà niente se ti allontani per dieci minuti. Fallo per me … ”

Alzai gli occhi al cielo, pronto alla mia ennesima risposta negativa ma Jasper parlò. “Potremmo prendere un caffè al primo piano e poi ritornare” propose e non ebbi il tempo di rifiutare neanche questa volta.
“Mi sembra un ottima idea, fratellone. Già che ci siate prendete qualcosa anche a me, magari una tisana”
Baciai nuovamente Bella, con più forza , non mi andava di litigare con nessuno. Avevo già i nervi abbastanza tesi. “Ok, va bene. Andiamo a bere questo stupido caffè” mormorai recuperando la mia giacca e uscendo dalla stanza.
 


3 : 00 AM
 
“Com’è che si chiamava quel ragazzo con cui seguivi il caso del banchiere?”
Jasper mi lanciò uno sguardo troppo entusiasta, stava cercando di guidare i miei pensieri lontano da tutto ciò che riguardasse Bella.
Spostai il bicchiere di caffè, che avevo bevuto alla velocità della luce, di lato e lo guardai infastidito. Sorseggiava la sua tazza di tè con lentezza, quasi a voler far concorrenza ad una dama inglese di fine ottocento.
“Mi hai sentito?” spostai lentamente i miei occhi nei suoi, provocandogli un sorriso “E adesso perché mi guardi così? Sembra che tu voglia prendermi a morsi”
Sospirai, cercando di non alzarmi e andare via, lasciandolo lì. Se fossi risalito senza di lui, Bella si sarebbe arrabbiata e quella era l’ultima delle cose che volevo in quel momento. Eppure non capivo il perché quel ragazzo mi stesse facendo quello, io volevo semplicemente ritornare dov’ero.
“Non ho capito di chi stai parlando. Potresti sbrigarti con quel tè?” domandai e inaspettatamente, scosse la testa.
“Quel ragazzo che ti ha portato di peso in ospedale quando ti hanno sparato. Quello con cui se l’è presa Bella …” insistette.
“Brian, si chiama Brian” tagliai corto e lui sembrò soddisfatto.
Bevve un sorso dal suo bicchiere “Si, lui. L’ultima volta che l’ho visto mi ha detto di aver trovato lavoro alla Tuller&Graves”
Aggrottai la fronte, incredulo  “Brian lavora alla T&G?”
Poggiò entrambi i gomiti sul tavolino, annuendo “Già e non mi sembra che lui abbia qualcosa in più rispetto a noi.” Affermò convinto ed io sorrisi.

Quando eravamo ancora al terzo anno di università, io e Jasper avevamo cominciato a pensare al nostro futuro. Eravamo molto avanti con gli esami e ci saremmo laureati prima del tempo. Il nostro desiderio era quello di lavorare per Victor Tuller e Jeremy Graves, i proprietari di uno studio legale potente, di fama nazionale, che sceglieva i suoi dipendenti con attenzione e con un criterio che nessuno era mai riuscito a capire. Ci eravamo laureati in soli quattro anni e fiduciosi, avevamo fatto un colloquio ma non eravamo stati presi.
“Io dico di rifare un colloquio” propose deciso.
“Alla T&G?” domandai scettico e lui annuì, ancora. “Non è passato nemmeno un anno da quando abbiamo fatto il primo, perché adesso dovrebbero volerci?”
Ci pensò più del dovuto, senza riuscire a darsi una risposta convincente “Non lo so, Edward. Il fatto è che è molto probabile che tra un po’ non avrò più un lavoro e tu non c’è l’ha più da un pezzo. Non abbiamo niente da perdere”
Alzai le spalle. Non avevo ancora neanche pensato a cosa fare dopo aver lasciato il Volterra. Una parte di me aveva il terrore di non riuscire a cavarsela. Speravo di non dover chiedere aiuto a mio padre, ancora una volta.  Non l’avrei sopportato, la mia autostima sarebbe precipitata e non sarebbe risalita facilmente. Chiusi gli occhi per qualche secondo “Ok, proviamoci. Magari questa volta ci andrà meglio”

Non ero molto convinto delle cosa ma il mio amico aveva ragione, non avevamo niente da perdere. “Al Volterra le cose vanno così male?”
Fece una strana smorfia “Il grande impero di Caius sta precipitando velocemente nel cesso”
“E pensare che abbiamo fatto di tutto per farci assumere” ricordai e lui rise. Ricordando, probabilmente, le giornate passate ad elaborare un modo per farci assumere.
“Ci siamo persi di vista quest’ultimo periodo” constatò improvvisamente “È stato un anno impegnativo … ”
“ … e complicato” conclusi la sua frase.

Sorrisi e lui ricambiò ma in meno di un secondo ritornò serio e guardò oltre le mie spalle. Mi raddrizzai e in un attimo mi voltai, scorgendo la figura di mia sorella.
Non ebbe il bisogno di dire niente, sentii il mio cuore battere talmente forte da non riuscire più a sentire niente. Fui in piedi e in un niente oltrepassai la sua esile figura senza pensarci due volte. Mentre percorrevo le distanze che mi separavano da Bella, ebbi la certezza di aver sbagliato a lasciarla sola e sparai di non trovarla più spaventata di quando l’avessi lasciata.
 
Quando in lontananza cominciai a vedere la porta della sala operatoria, sentii la testa girare profondamente. Per un attimo ebbi paura di perdere i sensi da un momento all’altro ma non avrei lasciato che la paura si prendesse gioco di me.
La aprii con tutte le energie che mi erano rimaste, con la consapevolezza di aver cominciato a sudare freddo.

“Edward!” Bella urlò il mio nome ed io mi precipitai al suo fianco, stringendo la sua mano.
“È tutta colpa tua, non avresti dovuto costringermi a scendere di sotto” sentii il bisogno di accusarla, per avermi allontanato e lei alzò gli occhi al cielo.
“Avresti potuto rifiutarti, invece te ne sei andato senza obbiettare!” esclamò, spiazzandomi completamente.
“Sei stata tu a dirmi di prendere un po’ d’aria” le ricordai e lei mi colpì con un debolissimo pugno sul braccio. Debole, ma pur sempre un pugno.
 
“Hai per caso perso il lume della ragione?” domandai acido massaggiandomi, senza motivo, il braccio ma un colpo di tosse mi fece sobbalzare bloccando il mio flusso di pensieri.
Mi voltai, trovando la dottoressa McCartney dall’altra parte del letto. Non l’avevo neanche notata “Potreste rimandare a dopo i vostri battibecchi? C’è una bambina che vuole uscire quì”
Sentii aumentare la presa sulla mia mano e non ebbi più il coraggio di dire niente.

La donna si posizionò ai piedi di Bella e lei s’immobilizzò. Mi voltai verso di lei, troppo impaurito da quello che le avrebbero fatto. Non ero riuscito a guardare uno stupido documentario e non avevo l’intenzione di guardare neanche in quel momento. Incatenai i miei occhi nei suoi, trovandoli completamente impauriti.
 “Ok tesoro, quando te lo dico io, comincia a spingere”
Le baciai le nocche della mano, una ad una “Puoi farcela, piccola” sussurrai “Sei più forte di quanto credi”
“Ok, ora spingi” ordinò la dottoressa.

Trattenni il respiro e Bella fece come le era stato detto. Il battito del mio cuore fu coperto da un suo urlo e se non fosse stato per le nostre mani intrecciate, avrei sicuramente cercato di tapparmi le orecchie. Non avrei mai dimenticato quelle urla, ne ero sicuro.
Si fermò, per riprendere fiato.
“Coraggio, amore. Poi farcela” sussurrai senza però riuscire a sentire la mia voce.
“Dai, Bella. Ancora”
Sentii nuovamente stringere la mia mano e un altro urlo riempire la stanza. Continuai a guardare il suo viso sudato, contorcersi, senza poter fare niente. avrei voluto che si riposasse per qualche minuto che riprendesse nuovamente fiato e che la smettesse di fare tutte quelle smorfie di dolore che rischiavano di mandarmi fuori di testa.
“Forza, tesoro riesco a vederla. Un’ultima spinta decisa ed è fuori, ma devi farlo con decisione. Coraggio!” mi voltai istintivamente verso la dottoressa ma quando notai del sangue sulle braccia del suo camice, ritornai a guardare Isabella.
“Hai sentito quello che ha detto? La vede, un’ultima spinta ed è finita” la incoraggiai.

La mia mano perse del tutto la sensibilità ma non me importò niente, continuai a guardarla intensamente cercando di trasmetterle tutte le forze di cui aveva bisogno. “Andiamo, puoi farcela”
Strinse i denti e spinse, senza neanche emettere un suono.
“Isabella, puoi fare di meglio. Dai, concentrati” ordinò ancora la donna.
“Non ce la faccio, sono stanca” sussurrò ed io sentii, dopo tanto tempo, gli occhi riempirsi di lacrime.
“Un ultima volta, coraggio” mormorai con voce incrinata e lei fece come chiesto.
Sentii per l’ennesima volta, la mano dolorante ma questa volta un suo urlo si mescolò con quello di un pianto squillante e dolce allo stesso tempo. Era il suono di bello che avessi mai ascoltato.
Eleonore.

Bella sospirò e chiuse gli occhi, esausta, lasciando che una lacrima le rigasse il viso. Non riuscii a trovare il coraggio di guardare oltre il telo verde che mi divideva da nostra figlia. “Sei stata bravissima” sussurrai, prima di baciare le sue labbra.
“Va a prenderla” sussurrò, riaprendo gli occhi “Voglio vederla”
Non ci fu il bisogno di compiere neanche un passo, che un infermiera ci portò la nostra bambina avvolta da una copertina bianca.
L’appoggiò delicatamente sul petto di Bella e potemmo finalmente vedere il suo viso. Era minuscola, talmente piccola da sembrare nel procinto di rompersi.
Quanto avevamo atteso quel momento? Adesso ,tutti i giorni passati sembrarono del tutto insignificanti senza di lei.
Le guardai entrambe e mi sentii completo. La mia famiglia era lì e stava bene. Cominciai a vedere la mia vita sotto nuove prospettive, una strada tutta i salita, dove nulla avrebbe potuto separarmi da loro. Quel momento sfiorava la perfezione, loro due, erano la perfezione e non mi sarebbero mai bastate, ne ero sicuro. Sentii il bisogno di marchiare a fuco nella mente quel momento: gli occhi emozionati di Bella, il tremolio del suo corpo e il mio stare impalato davanti a loro, impaurito dal poter rovinare quel momento anche solo respirando.  

Bella sorrise, senza distogliere lo sguardo dalla nuova arrivata “Sei bellissima, amore” la cullò lentamente, prima di voltarsi verso di me “Vieni, prendila” disse ed io m’irrigidii, sentendomi a disagio. Non sarei mai stato bravo come lei, non ero in grado di essere delicato. “Muoviti, idiota. Prendi tua figlia” insistette.
Allungai le mani verso di lei e la presi, come se avessi cristallo tra le braccia. “Sorreggi bene la sua testa” sussurrò ed io mi persi in quel bellissimo visino.
“Ciao” sussurrai con un tono di voce che non sapevo neanche di poter utilizzare. Si mosse leggermente e per me fu come se mi avesse salutato a sua volta, utilizzando le parole più dolci di questa terra.

 

**** *** ****


“Awww” Alice si mosse impaziente, come una bambina davanti a una vetrina di un negozio di caramelle “Perché tu hai potuto vederla da vicino ed io no?!” si lamentò, premendo entrambe le mani contro la grande vetrata contenente decine di bambini.
“Uffa, perché? Io voglio toccarla, annusarla e vestirla con tanti vestitini carini …”
Jasper la prese per i fianchi, costringendola a fare qualche passo indietro “Tesoro smettila di fare così, o penseranno che tu sia una pazza”
Sbuffò “Ma è così carina, l’hai vista anche tu e poi non mi fanno neanche vedere Bella”
“La stanno visitando, come puoi vedere hanno fatto uscire anche me” le ricordai, prima di doverla staccare nuovamente dalla vetrata.
Sospirò guardandomi imbronciata “Ok, sto ferma” affermò solennemente “Hai chiamato a casa?” domandò.

Mi passai una mano fra i capelli, cercando di ritrovare mia figlia tra gli altri neonati “Non ancora, magari dopo” mormorai.  E mi ritrovai a sorridere come un imbecille, quando riuscii a vederla. Ancora più bella di quanto la ricordassi. A differenza degli altri bambini, lei era sveglia. Aveva gli occhi spalancati, curiosi ed io feci un passo avanti, capendo il perché mia sorella si fosse appiccicata alla vetrata.
“Ciao mamy, Edward ha una bellissima notizia da darti!”
Mi voltai di scatto, rischiando di rompermi l’osso del collo. Alice teneva il suo cellulare in aria, invitandomi a prenderlo. Il mio sguardo saettò fra lei e il suo telefono per molto tempo.
“Fosse stato per te li avresti avvisati il giorno del suo ventunesimo compleanno. Vedila così, ti ho semplicemente aiutato”  lo lasciò tra le mie mani e si allontanò, trascinando Jasper con se.
Tanto piccola e tanto impicciona.

Me lo portai all’orecchio. “Non lo so, non riesco a sentire niente. forse è caduta la linea”
Mi passai una mano sul viso, sospirando “Mamma, sono quì”
“Edward! Tesoro, vuoi dirmi che sta succedendo? Non riuscivo a sentire niente … ”
Interruppi il suo discorso allarmato. “Va tutto bene, è andato tutto bene” sussurrai e lei si zittì per qualche secondo.
“Mi stai dicendo che è Eleonore è nata?” la sua voce fu un sussurro.
 “Si, poco fa” Mi ritrovai a guardarla ancora, emozionato.
“Oddio, Carlisle. La bambina è nata!” urlò ed io fui costretto ad allontanare il cellulare o mi avrebbe rotto un timpano. “Sta bene? O vorrei tanto essere lì con voi tesoro”
Sorrisi “Mamma …”
“E com’è? A chi somiglia? O sarà sicuramente splendida, ne sono sicura.”
Poggiai una mano contro la vetrata, annuendo “Si, lo è. Ha le labbra come quelle di Bella, ma qui tutti dico che somigli a me”
“Dice che somiglia a lui” sussurrò, probabilmente a mio padre “E che mi dici di Isabella?”
“Bene, la stanno visitando in questo momento”
Ci fu qualche minuto di silenzio ed io realizzai che il peggio fosse finalmente passato. Sentii le forze abbondonarmi e il mio corpo indebolirsi rapidamente. Avevo retto fino a quel momento ma adesso che sapevo di non dovermi più preoccuparmi di niente, non riuscivo a stare in piedi.
“Sono così felice tesoro. Vorrei vederla, perché non ci mandi una foto?”

Ci pensai per qualche secondo ma poi acconsentii, promettendo di inviarle l’unica foto che avevo scattato con il mio cellulare a Bella con Eleonore tra le braccia. Mi avrebbe ucciso se lo avesse saputo. Si sarebbe lamentata della sua faccia, dei capelli e di tantissime altre cose che non si sarebbero mai notate se paragonate al suo bellissimo sorriso. Parlai ancora con mia madre e dopo le sue promesse sul rivederci il più presto possibile, riagganciai.
Mi guardai intorno e non molto lontano trovai mia sorella e il suo ragazzo, addormentati sulle sedie della sala d’aspetto. Scossi la testa facendo come promesso. Trovai la foto e decisi d’inviarla anche a Renée. Per uno strano motivo, però, mi venne in mente anche Charlie e anche se non ci avessi ancora parlato direttamente sapevo che sentisse il bisogno di sapere che sua figlia stesse bene. Odiava me ma amava sua figlia più di qualunque cosa al mondo, così la inviai anche a lui.
 
Andai dritto da l’unica persona che avevamo in comune io e lui e che mi andava di vedere oltre a Eleonore. Non pensai neanche di controllare dove fosse, mi diressi direttamente nella stanza che le avevano assegnato appena arrivati e la trovai.
“Finalmente sei arrivato. Stavo per chiamare la polizia”
Accennai un sorriso, prima di baciarla dolcemente “Ero al telefono con mia madre e poi non ero sicuro che fossi quì”
Allungò una mano verso di me ed io mi sdraiai al suo fianco poggiando la testa contro il suo petto. Le baciai il collo e lei cominciò ad accarezzarmi i capelli. Chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto.
“Dove sono gli altri?” sussurò, cominciando a passare entrambe le mani fra i miei capelli.
“Dormono come dei sassi” risposi, disegnando ghirigori immaginari contro il suo ventre nuovamente piatto.
Trattene una risata, sobbalzando al contatto delle mie mani fredde sulla sua pelle“A cosa devo questo atteggiamento così infantile? Non sarai in cerca di attenzioni perché sei geloso di Eleonore?” scherzò.
“Voglio solo togliermi dalla mente tutta l’ansia accumulata in queste ore e poi sono stanco ed il letto sembrava abbastanza comodo”
Mi strinsi ancora al suo corpo e lei ricambiò la stretta, affondando il viso tra i miei capelli “Non volevo accusarti per essere sceso con Jasper, scusami non ero in me e poi ti ho quasi rotto la mano, mi dispiace” sussurrò accarezzandola.
“Smettila di preoccuparti per niente, la mia mano e la mia autostima stanno benissimo” la rassicurai “Adesso perché non provi a dormire? Sarò qui al tuo risveglio”
Sospirò “Non credo che ti lasceranno stare qui ancora per molto”
Alzai lo sguardo incrociandolo con il suo “Nessuno mi impedirà di stare con te questa notte” mormorai serio e lei sorrise.
L’unica cosa di cui avevo bisogno era stare con lei. Dormire ancora al suo fianco e svegliarmi con lei quando avrebbe dovuto allattare per la prima volta nostra figlia. Non mi sarei perso niente, neanche un suo vagito o un suo pianto. Ci sarei stato, fino a quando non sarebbero tornate a casa con me. Io, Bella ed Eleonore.
La mia famiglia.













Buon pomeriggio.
Spero con tutta me stessa che il capitolo non vi abbia deluso. Ci ho messo parecchio a scriverlo, lo so e mi dispiace ma il tempo che ho è veramente poco. Non sto cercando di giustificarmi ma chi come me ha un esame di maturità da fare, sa di che parlo.
Bene, i nostri protagonisti hanno finalmente accolto la loro bambina che in un certo senso è sempre stata una protagonista silenziosa di tutta la storia. Ci sono ancora un po’ di cose da sistemare ma credo di poter dirvi senza problemi che questa fanfiction sia quasi giunta al termine. Non sono sicura del numero esatto dei capitoli rimanenti. Forse tre o quattro escludendo l’epilogo. Adesso non mi va di diventare triste, ci sono ancora molte cose da sistemare e quindi la smetto, ci sarà tempo per i saluti.
Però voglio comunque cominciare a dirvi grazie.
Alla prossima
xxx ;)

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Capitolo 37
*** 37Capitolo ***




Capitolo 37








 

Mia figlia era diventata il mio piccolo chiodo fisso: il visino tondo e delicato, il naso piccolo e dritto, le labbra carnose che lasciava leggermente socchiuse quando dormiva. Stavo imparando a memoria ogni suo tratto, ogni suo minimo particolare. Chiudevo gli occhi e riuscivo comunque a vedere il suo viso. Era perfetta, con i suoi grandi occhi chiari che con il passare del tempo sarebbero diventati verdi, ne ero sicura. Ogni giorno mi convincevo del fatto che da grande sarebbe stata la copia di suo padre. Edward mi dava dell’esagerata, non riusciva a vedere quello che i miei occhi vedevano.

“Smettila di dire che mi somiglia così tanto! Lei è identica a te, come fai a non vederlo?!”

Ognuno vedeva in lei l’altro, anche se la maggior parte delle persone era d’accordo con me. Eleonore, anche se ancora così piccola, era la versione femminile di Edward. Quando la teneva fra le braccia e si perdeva nella dolcezza dei suoi occhi, io mi mettevo in un angolo e li fissavo, sognante. Quella bambina ci aveva salvati, era l’unica cosa di cui avevamo bisogno per stare bene. In meno di due settimane aveva riempito le nostre vite e reso insignificanti gli anni passati senza di lei.
 
Ma le prime notti era state spaventose, la bambina non perdeva occasione di piangere a qualunque ora della giornata ed io non riuscivo a capire di che cosa avesse bisogno, entravo nel panico ma prima che anche io cominciassi a piangere, Edward veniva in mio soccorso e mi aiutava a risolvere tutto. Con il passare dei giorni avevamo imparato a non farci prendere dall’ansia e a capire che piangere non significava per forza stare male. Nostra figlia era bellissima ma come ogni bambino, aveva solo bisogno di attenzioni costanti. Così, dormivamo poco, molto poco, da quando l’avevamo portata con noi a casa, non avevamo fatto altro che girarle intorno. Biberon, cambi di pannolini, Edward ed io ci impegnavamo al massimo e come previsto, lui in poco tempo era diventato più bravo di me perfino in quello.
 
Non eravamo, però, così soli. La nostra famiglia era arrivata a Manhattan il giorno seguente alla sua nascita e Renèe ed Esme erano state al mio fianco cercando di spiegarmi i miei nuovi compiti di mamma. Senza di loro, o meglio, senza l’esperienza di Esme non saremmo stati così bravi.
Esme era speciale, una donna dolcissima nata per essere madre. Disponibile a ripetermi le cose anche più di una volta, ad aiutarmi in tutto. Avrebbe anche cominciato a pulirci casa se non glielo avessi impedito.
Edward sembrava non cogliere la fortuna che ci aveva colpiti, odiava vedere gente per casa. Sarei stata d’accordo con lui se ad infastidirlo fossero state le domande a raffica di mia madre o il fatto che Phil ci svuotasse il frigo ad ogni sua visita.  Invece non sopportava la presenza dei suoi genitori.
Ogni volta che la madre gli sorrideva lui si bloccava, come se avesse ricevuto uno schiaffo e non un semplice gesto d’affetto. Ero riuscita a percepire l’aria diventare pesante, un attimo prima che cominciasse a litigare con suo padre per il fatto che non avesse ancora trovato un nuovo lavoro. Carlisle tendeva a criticare ogni suo minimo movimento, quando era arrivato in città la prima cosa che era riuscito a dire a suo figlio era di tagliarsi i capelli. Edward odiava dare spiegazioni, non lo avevo sentito alzare così tanto la voce da molto tempo e quando se ne era reso conto, aveva cominciato a tremare. Non tentai neanche di avvicinarmi a lui che, come da copione, prese una giacca e se ne andò sbattendo la porta. Carlisle si scusò con me, per il suo comportamento e per la prima volta avevo finto di accettare le sue scuse, anche se non ero riuscita a capirlo. Sua madre ne era rimasta profondamente mortificata ma io cercai di tranquillizzarla, assicurandole che Edward sarebbe tornato in poco tempo.

Renèe invece non faceva niente, se ne stava per ore a coccolare la sua nuova nipotina ricevendo però tante, troppe attenzioni. Mia madre era inimitabile, ne ero consapevole, sapeva riscaldare una stanza con la sua allegria, ingenuità e l’unica cosa che ti rimaneva da fare era cercare di stare al suo passo. Andava molto d’accordo con Edward, s’intendevano al volo e tutto sembrava stranamente più divertente quando stavano insieme. Li avevo sentiti ridere molte volte e passarsi aneddoti divertenti riguardanti me. Era come se in lei riuscisse a trovare qualcosa che gli ricordasse Emmett, non riuscivo a darmi altre spiegazioni, perché in sua compagnia Edward rideva più di quanto non facesse con suo fratello.
Proprio come quando c’era Emmett, appunto, che per fortuna non era ancora venuto a trovarci o insieme ci avrebbero distrutto la casa.

“Noi ce ne andiamo e dopo tre giorni Bella decide di partorire la mia nipotina?! Siete perfidi, ragazzi.”  

Emmett e la sua famiglia sarebbero venuti nuovamente a New York il giorno della mia laurea, cioè tra due settimane. Non potevano lasciare nuovamente  Los Angeles, Emmett era dovuto rientrare in caserma e non avrebbe potuto chiedere un altro permesso per quel mese. Charlie aveva avuto lo stesso problema – o scusa, come la chiamava Edward – era arrivato il giorno seguente, così come tutti gli altri, ma era andato via dopo solo un giorno, per via del troppo lavoro in centrale.
Mi ero fatta bastare il suo sorriso forzato, il suo abbraccio rigido e i suoi complimenti alla nuova arrivata. Charlie mi voleva bene, mi ripetevo e con il tempo avrebbe voluto bene anche a Eleonore e al resto della mia famiglia. Bisognava solo avere pazienza e anche se Edward cominciava a sentirsi tremendamente in colpa per il comportamento di mio padre, io sentivo che prima o poi tutto si sarebbe sistemato.
 
Chiusi gli occhi, sentendo la stanchezza impossessarsi di me fino al midollo. Non dormivo per più di tre ore di fila, da un tempo indefinito. Mi lasciai accarezzare dal torpore della sera, fino a quando non sentii la porta aprirsi. Sussultai, trovandomi Edward all’entrata.
Sorrise, visibilmente stanco a sua volta “Hey …” sussurrò e il suo sguardo vagò fino alla culla di Eleonore.
“Sta dormendo” mormorai, precedendo la sua domanda.
Si sporse comunque a controllarla e poi si voltò verso di me, perdendo completamente il sorriso “Spegni quel portatile, Isabella”
Sbuffai e prima che potesse aggiungere altro, mi alzai dalla poltrona sulla quale avevo vegliato su mia figlia e studiato. Non riuscii a compiere più di qualche passo che lui mi prese per i fianchi, trascinandomi verso di lui. Tentai di divincolarmi “Edward, smettila …”
“Shhh” sussurrò, poggiando l’indice sulle mie labbra “Sta zitta, lascia parlare me o rischierai di svegliare la piccola”
Sospirai, annuendo e lui mi sfilò il computer dalle mani, sedendosi poi sulla poltrona. Lo guardai infastidita e lui sbuffò, prendendomi per un braccio e costringendomi a sedere sulle sue gambe.
“Di questo passo, ti verrà un esaurimento nervoso” affermò convinto ed io alzai gli occhi al cielo, pronta a risentire ancora una volta la sua ramanzina sulla mia salute.
“Non fare così. Voglio solo farti notare che dormi perfino meno di me in questo periodo …”
“Tra meno di due settimane mi laureo, Edward” gli ricordai in tono lamentoso.
“Ti sto solo rimproverando gli orari. Hai idea di che ore sono?”
Assottigliai lo sguardo, incapace di rispondergli.
“È tardi!” sussurrò “E tra un po’ Elly si sveglierà nuovamente, quindi dovresti approfittarne per riposarti e non per studiare una cosa che sai già a memoria” tentai di contraddirlo ma lui me lo impedì “Non provare a dire il contrario perché non ti crederei”
Capii che qualunque cosa avessi detto, non sarebbe stata sufficiente a fargli cambiare opinione. Sospirai per l’ennesima volta “Ok, hai vinto tu. Andiamo a dormire” recuperai il babyphone e uscii dalla stanza, cercando di evitare il suo sguardo soddisfatto.
 
la stanchezza che avevo lentamente accumulato mi fece vedere il nostro letto sotto nuove prospettive, era più invitante di quanto lo ricordassi. Sentii le ferze mancarmi e senza che me ne rendessi conto, ero già stesa su di esso.
Passò qualche minuto, prima che Edward mi raggiungesse ma invece di sdraiarsi al mio fianco, sentii dei rumori provenire dal bagno.
Riaprii gli occhi, notando il profilo del suo corpo davanti al lavandino. Si lavava i denti.
“Vorrei poter dormire per i prossimi due giorni di fila” sussurrai senza accorgermene e lui la prese come una vera e propria confessione.
“Ah! Lo sapevo io che eri stanca. Solo che ti piace fare la dura” affermò con la voce impastata dal dentifricio “Sai, io queste cose le riesco a cogliere al volo. Credo che sia a causa del mio quoziente intellettivo superiore alla norma …”
Sorrisi, coprendomi le orecchie con un cuscino “Sta zitto, scemo!”
Sentii ogni rumore cessare e in un secondo tutta la casa fu invasa da un piacevole silenzio. Edward mi avvolse fra le sue braccia ed io strofinai il naso contro il suo collo, pronta a lascarmi coccolare da lui fino ad addormentarmi.
“Vedo che non sei più arrabbiata con me per la storia della foto”
Sussultai al ricordo di quell’orribile immagine di me stessa che lui aveva il coraggio di chiamare foto. Lo scansai velocemente e posizionai un cuscino fra di noi, per mettere distanza fra i nostri corpi.
“Te l’ho appena ricordato” constatò annoiato. Mi guardò per qualche secondo per poi voltarsi dall’altra parte “Non mi va di parlare ancora di questa storia. Buonanotte”
Mi sarebbe piaciuto essere avvertita prima di veder diffondere una mia foto, in giro per gli Stati Uniti. I capelli arruffati e sudaticci, il viso stanco e pallido, era un’immagine orribile e l’idea che tutti l’avessero vista mi faceva andare in bestia. Non avrei mai lasciato che Edward me la scattasse se avessi saputo che avrebbe fatto il giro del mondo. Guardai la sua schiena per un po’ e poi lo colpii dritto in testa con il cuscino che avevo usato come barriera tra di noi.
“Bella, domani mattina ho un colloquio. Smettila di darmi fastidio, ho sonno” si lamentò senza voltarsi.
Lo ignorai “Come ti sentiresti se io inviassi una tua foto orrenda a tutti?”
“Non credo che esistano delle mie foto orrende. Purtroppo vengo sempre bene nelle foto, la bruttezza è una cosa che riguarda solo te” ripose tranquillo.
Dischiusi la bocca, incredula “Ho passato sei ore in travaglio, per partorire tua figlia e questo è il modo in qui mi ripaghi?!” ricominciai a colpirlo, sperando di riuscire a fargli almeno un po’ di male ma lui non si mosse.
“Smettila di agitarti. Hai un cuscino in mano, non un ascia” sghignazzò, prima di voltarsi e bloccare entrambi i miei polsi. Non riuscii a divincolarmi, aveva una forza pazzesca o forse ero io quella troppo debole. Aggiunsi, allora, un promemoria mentale : iscriversi in palestra.

Fui trascinata senza difficoltà, contro il suo petto e i nostri corpi aderirono perfettamente. Mi baciò lentamente una spalla, fino ad arrivare vicino al mio orecchio “Sei stupenda …” mormorò “In qualunque occasione e ti assicuro che sia tu che Eleonore eravate perfette. Quel momento era perfetto e non c’era niente di sbagliato”
Fece una pausa, stringendo un mio fianco “Non sono mai stato così felice come in questo periodo e per questo ti ringrazio”
Neve al sole. Edward sapeva come prendermi, in ogni occasione. Conosceva le parole giuste, dove toccarmi ed io dimenticavo tutto, perfino il mio nome.
 
 
Riaprii gli occhi di scatto, dopo aver avuto la sensazione di aver dormito tutta la notte. Mi alzai sui gomiti, per aver una visuale migliore dell’orologio sul comodino. 
3 :11
Eleonore avrebbe dovuto fare la sua poppata in orari regolare ed io ero in ritardo di dieci minuti. Sospirai prima di passarmi una mano sul viso, cercando di svegliarmi.
“Shhhh”
Sussultai e solo in quel momento mi ricordai della persona al mio fianco: Edward non c’era.
“La tua mamma è molto stanca, quindi dovrai accontentarti di me e del tuo biberon”
Puntai gli occhi sul babyphone e un sorriso spontaneo si impossesso del mio viso stanco. Non voleva che mi affaticassi e per questo mi aveva preceduto.
“Come fai ad aver così tanta fame a quest’ora?”
Immaginai il suo viso sognante mentre la guardava con gli stessi occhi con cui l’aveva guardata la prima volta. Poggiai la testa sul cuscino, sicura di poter ritornare a dormire, quando improvvisamente Eleonore cominciò a piangere.
In un attimo sentii la porta della sua stanza chiudersi. “No, no, no. Va tutto bene, amore”
Edward sembrava in difficoltà ma prima che mettessi un piede fuori dal letto, cominciò a canticchiare. “Would you believe in love at first sight. Yes, I’m certain that it happens all the time …”
I miei occhi si dilatarono. Oh. Mio. Dio. Lo stava facendo davvero?
“What do you see when you turn out the light. I can’t tell you but I know it’s mine … oh, I get by with a little help from my friends”
Trattenni il fiato, guardando quell’affare elettronico con incredulità. Silenzio, non sentii più niente. Nessun pianto, nessun lamento, Eleonore si era calmata. Mi strinsi nelle coperte, per avere la forza di starmene buona e non raggiungerli nell’altra stanza. Sentii gli occhi riempirsi di lacrime, quel momento era tutto loro ed io non potei che sentirmi felice. Tutta quella dolcezza mi fece rendere conto di quanto fossi fortunata ad averli nella mia vita. Il ricordo di quando avevo deciso di andarmene, mi sembrò maledettamente lontano. Non avrei mai avuto la certezza che tutto sarebbe stato sempre perfetto ma mi sarei goduta ogni singolo momento di quel periodo.

 

**** *** ****

Osservai i raggi del sole infrangersi sulla figura di Edward. Era di spalle, con in dosso solo un asciugamano bianco a coprirgli la vita e capelli bagnati. Mi passai una mano sul viso, cercando di capire che ore fossero. Scansai la coperta che mi copriva le gambe “Questo si che è un bel risveglio, dovresti farlo più spesso” sussurrai e lui si girò, quasi sorpreso di sentire la mia voce.
“Da quanto sei sveglia?” non aspettò una mia risposta che si voltò e cominciò a frugare nel suo armadio.
“Da abbastanza tempo per vederti mezzo nudo” risposi e lui scosse la testa.
“È presto torna a dormire. Elly sta bene, è tutto sotto controllo”
Le sue parole mi fecero tornare in mente la notte appena trascorsa e il suono della sua voce, mentre cercava di calmare nostra figlia. Sorrisi “Non credo che riuscirò a dormire ancora ma tu potresti provare a cantarmi qualcosa …”

Non ebbi neanche il tempo di finire la frese, che mi lanciò uno dei tanti pupazzi che ci avevano regalato alla nascita di Eleonore. Mi coprii il viso, per proteggermi e quando riaprii gli occhi, lui non c’era più.
“Andiamo, Edward. Non ti stavo affatto prendendo in giro è stata la cosa più carina che avessi mai sentito” attesi una sua risposta ma l’unica cosa che sentii fu il suono del phon.
Mi ritrovai a ridere da sola, come una stupida, l’idea che si fosse offeso mi divertiva più del dovuto. Mi alzai e prima di continuare a far innervosire Edward, andai a controllare come stesse la mia nuova ragione di vita.
Se ne stava  immobile, in una culla troppo grande per una creatura così piccola. Sembrava dormire profondamente ed io mi meravigliai che non si fosse ancora svegliata. Non era da lei dormire così tanto. Le accarezzai lentamente il viso e mi pentii all’istante, perché dopo qualche secondo, spalancò i suoi grandi occhi chiari e cominciò ad agitarsi.
Sospirai e prima che il panico si prendesse gioco di me, la presi fra le braccia. Poggiò la testa contro la mia spalla ed cominciai ad accarezzarle la schiena. Amavo anche quello di lei, quelle piccole smorfie che precedevano i suoi pianti. Era adorabile.
Sembrò calmarsi all’istante ed io la portai lentamente fuori dalla sua stanza, senza smettere di accarezzarla.
Trovai Edward seduto sul nostro letto, ancora mezzo nudo ma con i capelli perfettamente asciutti. Mi sentì entrare e accennò un sorriso.
Mi sedetti al suo fianco e lui cominciò a giocherellare con una mano di Eleonore.
“Non so che cosa fare” mormorò improvvisamente, ed io alzai lo sguardo verso il suo viso, incitandolo a continuare “Non mi va di entrare a far parte di un altro studio legale prestigioso. Lì hanno troppe pretese, una reputazione da mantenere a tutti costi ed io non voglio più centrare in cose come queste”
Non seppi subito cosa dire e lui la prese come una reazione negativa “Sto dicendo una marea di stronzate, perdonami” mormorò alzandosi. Recuperò una camicia dal suo armadio e cominciò a vestirsi.
“No, Edward. Tu devi fare quello che ti senti” mormorai e mi pentii per non aver reagito a tempo debito “Nessuno ti costringe a fare un colloquio presso uno studio che non ti piace”
Scosse la testa “Non avrei dovuto dire quelle stupidaggini, dimenticatele”
“Edward …”
“Abbiamo delle spese da pagare e poi non ho più intenzione di sentirmi dare dello scansafatiche da mio padre”
Sospirai il più silenziosamente possibile. Dovevo immaginarmelo che quello fosse il suo vero problema “Tuo padre non ti ha mai dato dello scansafatiche …”
Si passo una mano fra i capelli “Non apertamente e poi ha ragione. Questa è un opportunità che non posso perdere. Con il Volterra fuori uso la T&G diventerà la numero uno. Mi pagherebbero quasi quanto faceva Caius”
Stava cominciando a farsi le stesse paranoie sul denaro che lo avevano perseguitato mesi prima. “Potresti cercare uno studio più piccolo, uno dove nessun miliardario riceve minacce dalla mafia russa e dove nessuno viene sparato. Sono sicura che riusciremmo a pagare lo stesso le bollette”
Alzò gli occhi al cielo ma prima che potesse rispondermi sentimmo il campanello suonare. Ci guardammo “Aspetti qualcuno?” domandò ed io scossi la testa prima di passargli la bambina e andare a controllare.
 

“Ti piacciono le cose che ti ha portato la tua zia preferita? Ma io lo so che ti piacciono, amore!” Alice aveva l’energia di un atleta sotto steroidi mentre io a stento riuscivo a tenermi in piedi. Non le avrei mai più aperto la porta della nostra casa, no, non alle otto del mattino. Il suo tono di voce era troppo alto ed io mi sentivo come ci si sente dopo un sbornia colossale. Eleonore aveva gli occhi spalancati e la fissava come a chiedersi il perché la sua mamma l’avesse lasciata tra le braccia di una squilibrata. Mi ritrovai a sorridere, bevendo un sorso del mio decaffeinato ma quando il mio sguardo cadde sugli ennesimi regali che le aveva portato, rabbrividii. Se avessero continuato a farle regali, avremmo avuto bisogno di un armadio più grande.
“È davvero carino questo pigiamino …”
Poggiai la testa contro lo schienale del divano “È un regalo di Renèe” mormorai e lei mi sorrise.
“Mia madre mi ha detto che si sarebbero fatte un giro per la città, visto che domani ripartono” fece una smorfia “Era bello vedere i miei genitori tutti i giorni, mi mancheranno”
Sospirai. Provavo un po’ di sollievo all’idea di riprendere la mia vita, ero grata per l’appoggio che avevo ricevuto da tutti ma sentivo il bisogno di cominciare a camminare con le mie gambe. Ero ansiosa di occuparmi di mia figlia da sola, senza che qualcuno mi aiutasse. Con Edward al mio fianco sentivo di poter fare l’impossibile.
“Cosa diavolo ci fai in casa nostra all’alba?” Alice non distolse lo sguardo da Eleonore e suo fratello sbuffò, avvicinandosi.
Indossava un completo di una fantastica tonalità di blu, una camicia chiara e una cravatta in tinta. Era elegante ma i suoi capelli ribelli gli davano un look diverso, tutto suo. Era bellissimo.
“Buongiorno anche a te, Edward. Impara a leggere un orologio, sono le otto passate” rispose indispettita ma lui la ignorò venendo verso di me. Lo guardai attenta e con la speranza di poter riprendere il discorso abbandonato pochi minuti prima. Accennai un sorriso e lui mi accarezzò una spalla, prima di sfilarmi la tazza di caffè dalle mani e berne un lungo sorso. Fece una smorfia, guardando all’interno della tazza “Fa schifo!”
Alzai le spalle “È decaffeinato” gli ricordai. Con la gravidanza e ora in allattamento, avevo dovuto diminuire la quantità di caffeina, mi ero quasi abituata a quella brodaglia. Me la restituì per poi recuperare il suo cellulare dal tavolino davanti a noi. Lo visionò per qualche secondo, per poi sparire nuovamente nel corridoio. Aggrottai la fronte, tentando di capire il perché si stesse comportando in quel modo così strano. Non andare, avrei voluto urlargli, nessuno lo avrebbe criticato se avesse preso una strada differente da quella che tutti si aspettavano.
Guardai mia cognata al mio fianco che non sembrava essersi accorta di niente. feci un lungo sospiro  “Alice, non agitarti con lei tra le braccia, ha appena finito di mangiare” le ricordai, per poi alzarmi “Torno subito” mormorai ma non ebbi il tempo di compiere neanche un passo, che lui ritornò indietro.
“Ci vediamo più tardi” sussurrò ed mi riposizionai al mio posto.
“Perché non ti fermi un attimo?” domandai preoccupata e lui scosse la testa, dirigendosi verso la porta. Lo seguii con lo sguardo, pronta a vedere la porta chiudersi ma lui improvvisamente si bloccò e tornò indietro.
“Ti amo” mi baciò velocemente, per scompigliare i capelli di Alice e andarsene.
“Mio fratello diventa più strano ogni giorno che passa …” la guardai per un attimo, per poi tornare con lo sguardo verso la porta. Immaginai di vederlo tornare indietro per una seconda volta, ma non accadde. “Credo che sia in ansia per il suo colloquio, Edward odia ammettere di essere preoccupato per qualcosa. Non preoccuparti” aggiunse distrattamente ed io sospirai.

 

**** *** ****


Quando Alice aveva deciso che fosse arrivato il momento di andarsene, avevo sentito cresce in me una specie di ansia ed euforia. Avevo realizzato che quella sarebbe stata la prima volta che io ed Eleonore saremmo state sole. Non immaginai momento migliore per legare con lei.
“Sono così stanca di entrare in quella scuola, quest’anno sembra non passare mai” accennai un sorriso, sperando di farle arrivare il mio appoggio. Infondo anche io stavo vivendo le sue stesse preoccupazioni.
“Questo è l’ultimo periodo per entrambe, vedrai che tra qualche mese ricorderemo questi giorni con nostalgia” mormorai con un grande sorriso nel momento in cui mi restituì la mia bambina. Aveva un odore magnifico e non potevo trattenermi dal sorridere ogni volta che lo respiravo.
Alice assistette alla scena in silenzio “Sei talmente presa da Eleonore che nessun periodo ti sembrerebbe brutto” non ebbe neanche bisogno di una mia risposta, mi si leggeva in faccia quello che provavo. Sbuffò aprendo la porta di casa “Me ne vado, sono in ritardo e poi qui c’è troppa dolcezza nell’aria”
Alzai gli occhi al cielo “Andrà tutto bene, Alice. Dico davvero”
Mi baciò una guancia prima di accarezzare un piedino nudo di sua nipote “Ci vediamo presto dolcezze”
 
Il suono emesso dalla porta nel momento in cui la chiusi, riecheggiò nell’intero soggiorno. Bene, pensai, la casa non è mai stata così vuota come in questo momento.
Guardai con la coda dell’occhio il visino curioso di Eleonore, che se ne stava appoggiata alla mia spalla con gli occhi persi nel nulla. Sperai che non stesse pensando ad un modo per rovinarmi la mattinata.
Guardai attraverso la porta che dava alla terrazza e guardando Central Park mi venne la voglia di portarla a spasso ma bastò uno sguardo alla sua esile figura per farmi rinsavire. Era così piccina che quella brillante idea mi sembrò la cosa più stupida al mondo.
“Due settimane sono ancora poche ma ti prometto che quando ti porterò in quel parco ti divertirai tantissimo” le sussurrai. Aprii leggermente la porta a vetri e il calore che entrò in casa fu estremamente piacevole. Mi accorsi che la giornata non fosse molto calda e che il clima sfiorasse la perfezione “Un po’ di vitamina D, però,  non ti farebbe altro che bene” constatai e in un attimo fummo all’esterno. Il sole sarebbe stato il mio punto debole fino alla fine dei miei giorni.
Presi posto sul piccolo divano che avevamo messo lì fuori e mi godetti quel momento di tranquillità e calore. Dopo diversi minuti Eleonore sembrò prendere sonno. Dormiva completamente a suo agio ed io non potei fare a meno che contemplarla “Vedo che il sole piace anche a te” mormorai. Le accarezzai il pancino e lei trattene un mio dito nella sua piccola mano. Trattenni il respiro, cominciavo a temere che tutta quella felicità mi avrebbe fatto , prima o poi, scoppiare il cuore.
 
Non ci misi molto ad abbandonare quel momento madre – figlia per tornare con la testa sui libri. Tutto era così tranquillo e sarebbe stato da stupidi non approfittarne, prima del ritorno di Edward. Mi lasciai rapire da Richard Nixon fino al tardo pomeriggio, facendo delle pause solo per occuparmi di Eleonore.

“Dove sei?”

Spedii un messaggio a Edward sperando che mi dicesse il perché ci stesse mettendo così tanto a tornare.
Rispose quasi immediatamente:

“Stavo per mandarti un messaggio. C’è una persona che muore dalla voglia di vedere te ed Elly, posso portarla a casa?”

Aggrottai la fronte, facendo scorrere nella mente tutte le persone che conoscevo. Di che stava parlando?

“Certo! Posso sapere chi è?”

Attesi una risposta che tardava ad arrivare. Una parte di me pensò a Victoria e sentii il sangue andare dritto al cervello. Se si fosse presentato a casa con lei, l’avrei ucciso con le mie stesse mani. Non riuscivo ancora a capire il perchè non mi piacesse quella ragazza ma credevo che il fatto che sbavasse dietro al mio uomo fosse più che sufficente.

Mi cambiai velocemente e decisi di mettere in ordine l’appartamento. Controllai più volte il mio cellulare ma Edward sembrava non volermi rispondere. Odiavo le sorprese, mi mettevano ansia e lui lo sapeva.

Decisi di prepararmi una camomilla quando sentii la porta aprirsi. Non dissi nulla, aspettai di sentire la voce di chi fosse arrivato.  
“Che ci fai qui?” Edward apparve in cucina ed io gli lanciai un occhiataccia “Vieni” mormorò trascinandomi con se.
“Perché non hai risposto al mio ultimo messaggio, sai che od …”
“Ciao Bella …”
Bloccai ogni parola nella mia bocca, ogni movimento del mio corpo e rimasi a fissare la ragazza davanti a me. Guardai Edward e poi di nuovo lei, che se ne stava sulla soglia della porta.
Non riuscivo a credere ai miei occhi “Ciao … Roxanne”













Ciao C=
Buona Pasqua in ritardo a tutte voi, scusate se non ho ancora risposto alle recensioni dello scorso capitolo, lo farò questa sera. Vi ringrazio comunque perchè le ho lette tutte e siete state carinissime. Ogni volta che ricevo una recensione mi illumino completamente. Ora devo tornare a studiare, domani si torna a scuola e non ho concluso ancora niente! xxx

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Capitolo 38
*** 38Capitolo ***




Capitolo 38












 

“Io e Caius avevamo bisogno di chiudere questa storia il prima possibile. Stavamo cominciando ad avere delle pressioni da parte di tutte le piccole organizzazioni criminali russe, volevano inserirsi nel nostro giro …”
Harrison respirava quasi con affanno, tenendo lo sguardo costantemente basso.
“Avevamo bisogno di chiudere ogni comunicazione, gli affari andavano bene e volevamo sbarazzarci di loro” fece una pausa e in quel momento, il silenzio che si diffuse all’interno del tribunale fu assordante. Nessuno movimento, nessuno si volta o bisbiglia. Tutti aspettavano quel momento da mesi o forse da anni.

I due pezzi grossi di New York, Caius e Harrison, stavano per essere arrestati.
Il primo, seduto nella parte opposta alla mia, guardava fisso davanti a se. La sua vita da ricco uomo d’affari, era finita. Se tutto fosse andato a suo favore, i suoi avvocati avrebbero potuto patteggiare e fargli avere dieci, dodici anni di carcere. Era a quello che stava pensando, ne ero sicuro o almeno era quello a cui io avrei pensato in quel momento.
La vita dietro le sbarre non sarebbe stata facile per un uomo abituato a tutto quel lusso, cominciavo ad immaginare la possibilità che si suicidasse. Caius aveva quasi sessant’anni e quando sarebbe uscito, nessuno lo sarebbe venuto a prendere. Nessuno, nemmeno la puttana con gli occhiali da sole seduta qualche sedia più indietro. Kate se ne stava immobile, con lo sguardo teso e duro. Era arrabbiata, forse più con se stessa che con Caius. Aveva sprecato il suo tempo con un uomo più vecchio di suo padre, solo ed esclusivamente per entrare nella mia vita e rovinarmela. Provai pena per Caius e per la sua convinzione che una ragazza così giovane e bella, potesse realmente interessarsi a lui.
I nostri sguardi s’incrociano, lei si sfila i grandi occhiali e mi fissa. Nei occhi chiari riuscii a leggere tutto il risentimento che covava nei miei confronti e per un attimo mi sentii morire. Era più complicato di quanto potesse pensare. Quando ci eravamo incontrati alla clinica di suo padre, io non ero del tutto me stesso. Avevo sentito il bisogno di occupare la mente e lei era capitata nel momento meno opportuno. Le avevo spezzato il cuore senza neanche rendermene conto e velocemente l’avevo dimenticata, mettendola nella lista dei brutti ricordi adolescenziali. Non ne ero mai stato innamorato, neanche per un momento, in quel periodo la mia mente era troppo occupata a trovare tutte le toppe necessarie a richiudere gli spifferi di vuoto che sentivo. Per la prima volta mi dispiacque per lei e sperai che si lasciasse alle spalle ogni ricordo legato a me e che pensasse alla sua vita. Eppure lei continuava a guardarmi con odio, come se l’ultimo obbiettivo delle sua vita fosse quello di eliminarmi dalla terra. Non potei che biasimarla e riportai la mia attenzione nuovamente su Harry.

“Volevamo camminare con le nostre gambe, non avevamo più bisogno di loro. L’esperienza ci aveva portato ad incontrare parecchie persone …” un altro respiro fuoriesce con forza dalle sue labbra tremanti e per una frazione di secondo i suoi occhi si alzano alla ricerca di qualcuno fra i presenti. I suoi figli non erano riusciti a stare più di dieci minuti in quell’aula e alla prima occasione se ne aerano andati via. Era solo, forse anche più di Caius.
“Continui Signor Norton” Dimitri Céchov lo intimò di continuare, con un foga uguale a quella di una donna durante i saldi invernali. Si sistemò la giacca, sbottonandone il primo bottone. “Cosa avete deciso di fare a quel punto?” domandò calmo.
Un altro sospiro da parte sua “Quando abbiamo saputo del loro arresto e dopo essere stato incolpato a mia volta, abbiamo deciso di difenderci e assumere un avvocato”
Sentii un tremolio corrermi lungo tutta la spina dorsale e la voglia di alzarmi e non sentire il resto della sua confessione, fu forte.
“Con loro, intende i miei clienti, i fratelli Enko?” lo incalzò ancora e Harrison annuì velocemente, riprendendo il suo racconto.
“Caius mi aveva promesso che se ne sarebbe occupato ma nessuno volle prendersi le responsabilità del mio caso, nessuno voleva difendermi.” Sussurrò.
“Quindi, adesso entra …”
“Si calmi avvocato e lo lasci finire” il giudice Carter, lo ammoni velocemente e con un gesto della mano gli impose di non obbiettare. L’avvocato russo sembrò indispettirsi ma non osò contraddirlo, annuendo. Il giudice era profondamente stanco, si sistemò meglio gli occhiali sul viso e aspettò che Harrison continuasse.
Quest’ultimo tossì leggermente, allentandosi il nodo alla cravatta economica che indossava “Caius mi propose di assumere dei giovani avvocati, alcuni di quelli appena arrivati al suo studio, con la convinzione che i soldi guadagnati li avrebbero zittiti e impedito di fare domande o di riflettere. Avrebbero dato il massimo accecati dal denaro”
Sentii una leggera pressione sulla mia spalla sinistra. Non ebbi il bisogno di voltarmi, strinsi forte la sua mano e lei fece lo stesso facendomi avvertire il suo sostegno.
Fui grato del fatto di averla alle mie spalle e non al mio fianco. Non le sarebbe piaciuto il mio sguardo e io non volevo che avvertisse la miriade di emozioni che stavo provando. Mi sentivo un completo idiota e i mesi trascorsi in compagnia di quell’uomo mi sembrarono quasi un favola lontana. Le sue parole erano veritiere, almeno per me, avevano racchiuso tutta la situazione con poche parole. I soldi erano riusciti ad offuscarmi la vista a coprirmi bocca, orecchie e a bloccarmi il normale flusso del cervello. Se solo fossi riuscito a pensare qualche minuto in più, forse mi sarei risparmiato molte situazioni spiacevoli e sicuramente anche tre colpi di pistola.
Mi sarei fatto ammazzare per permettere a Bella di non preoccuparsi di niente e di fare la vita che sostanzialmente solo io desideravo. Una casa grande, un auto nuova, bei vestiti.
Che cosa ero diventato?
“Sta parlando dell’avvocato Edward Cullen e del resto della squadra?” Céchov guardò nella nostra direzione e lo sguardo altezzoso che ci rivolse mi gelò il sangue.
“Il resto della squadra!? Figlio di puttana, abbiamo buttato anima e corpo in questo caso” Brian, al mio fianco, borbottò insulti sgradevoli verso il nostro ‘nemico’. Il fatto di non essere stato nominato e di essere invece stato etichettato ed inserito in un gruppo, lo infastidiva. Io avrei preferito essere al suo posto invece, avere la possibilità di non sentire il proprio nome pronunciato da quel verme.
“Si, avevamo bisogno di persone giovani e con la faccia pulita …” ammise Harrison e sembrò invecchiare di dieci anni nel giro di un attimo.
La sedia sulla quale ero seduto, sembrò diventare incandescente. Dovevo alzarmi e andare via da quel posto, prima di perdere definitivamente la poca autostima che mi rimaneva.
“Perché non ce ne andiamo, Edward? È inutile rimanere ancora quì” sentii il dolce respiro di Bella, solleticarmi il collo. Aveva letto i miei pensieri, ancora una volta.
Mi alzai, senza posare il mio sguardo su nessuno in particolare e attraversai i pochi metri che mi dividevano da mia moglie. Bella si strinse subito a me ed io cercai di ignorare il fastidioso silenzio che si era venuto a creare in aula. Aprii la porta che ci avrebbe separati per sempre e una volta per tutte da quella storia, provocando un cigolio assordante.

Il corridoio del tribunale era illuminato dalla forte luce del sole che lo inondava quasi prepotentemente. Camminammo per qualche minuto, senza parlare, accompagnati solo dal suono dei tacchi di Bella. Avrei preferito essere solo in quel momento e avere la libertà di poter spaccare un po’ di cose. Dovevo sbollire la rabbia che stavo provando.
La guardai con la coda dell’occhio, mentre controllava il suo cellulare. Si passò la mano libera fra i capelli, spostandosi una ciocca dietro l’orecchio. Mi maledii per aver messo anche solo pochi centimetri di distanza fra di noi e l’abbracciai facendola sussultare.
“Hey” mormorò sorpresa, prima di stringere la mia giacca.
“Grazie per essere venuta con me” mormorai e lei sorrise. Le sue labbra si piegarono in una smorfia dolcissima e non potei resistere dal catturarle con le mie. Portai entrambe le mani sul suo viso, per poterla avere il più vicino possibile e poter ispirare a pieni polmoni il suo profumo. Avevo bisogno di lei, avrei sempre avuto bisogno di lei.
“Non ti avrei mai lasciato venire da solo …” sussurrò ovvia prima di lasciare un breve bacio a stampo sulle mie labbra. “Adesso però andiamo, abbiamo già passato abbastanza tempo lontani dalla nostra piccola peste”
“Tua madre è sembrata felice di passare un paio d’ore con lei” le ricordai “E poi non possiamo andarcene senza Alice e Jasper”
Bella mi lanciò un occhiata confusa “Quei due hanno lasciato l’aula appena dieci minuti dopo che Harrison a cominciato a parlare. Sono usciti, seguiti da Eric e Roxanne”
Sbattei gli occhi un paio di volte, incapace di ricordare il momento in cui tutte quelle persone avevano abbandonato l’aula del tribunale. “Non me ne sono accorto” ammisi.

Attraversammo il resto del corridoio e una volta trovata l’uscita, l’attraversammo, senza voltarci indietro. Fui costretto a chiudere gli occhi e a retrocedere di qualche passo, quando fummo assaliti da una quantità disumana di flash. Portai una mano sul viso e con l’altra strattonai Bella verso di me.
“Avvocato Cullen, ci dica cosa sta succedendo lì dentro” non riuscii neanche a vedere il volto della giornalista, ne dove si trovasse precisamente. Quelle luci potenti mi stavano accecando.
“Avvocato, secondo lei quanti anni riceveranno Harrison Norton e Caius Baker?”
Il cerchio di gente intorno a noi si strinse e per un attimo ebbi il terrore di aver perso Bella tra la folla. La ritrovai subito ma la sensazione che avevo provato mi infastidì e sentii la rabbia crescere velocemente.
“Che cosa ha intenzione di fare adesso?”
“Avvocato, crede che questo brutta storia inciderà sulla sua carriera?”
“Crede che Roxanne riuscirà a riprendere a vivere normalmente?”
I giornalisti ci assediarono e per un attimo sembrò che il sole se ne fosse andato, la barriera che avevano creato intorno a noi continuava a stingersi ed io sentii l’aria diminuire.
Tentai si scansarne abbastanza per creare un varco ma nessuno si mosse. Erano degli avvoltoi mascherati da gente comune.
“Signorina, lei cosa ne pensa?” un ragazzo si fece avanti, cercando di attirare la nostra attenzione. Si sporse verso Bella che, visibilmente a disagio, sembrò farsi piccola piccola.
“Mi dica: lei chi è?” si sporse ancora verso di lei ed io cominciai a non sentire più il resto dei giornalisti. Lo fissai ma lui sembrò non accorgersene.
“Sta indietro” ringhiai ma lui sembrò non ascoltarmi. Non ebbe il tempo di compiere un altro passo, che lo bloccai, spingendolo indietro. “Ti ho detto di stare indietro. Non un altro passo”
Il ragazzo sembrò convincersi e indietreggiò, senza perdere il suo spirito combattivo.
“Che fine farà il Volterra, secondo lei?” domandò e per poco non mi batté il microfono tra i denti.
Sbuffai. Parlare con loro sarebbe stato come scavare nel cemento con un cucchiaino di legno. Indietreggiammo, con non poca difficoltà e rientrammo all’interno dell’edificio.

“Cazzo!” sussurrò sorpresa “Neanche fosse l’ultima intervista della loro vita”
Guardai alle nostre spalle e lo sguardo deluso e rammaricato che ci rivolsero, mi fece sorridere. Scossi la testa e mi passai una mano fra i capelli “Vieni, non abbiamo molto tempo prima che capiscano che stiamo uscendo da dietro”
Tenni Bella stretta a me, con l’intenzione di non farla capitolare per quella miriade di scale che padroneggiavano l’uscita posteriore.
“Se diventi come loro, giuro che chiedo il divorzio” mormorai una volta essere arrivati nei garage sotterranei e lei inarcò le sopracciglia, confusa.
Guardai alle nostre spalle, indicando la porta appena percorsa “Tra due giorni diventerai una giornalista o sbaglio?” scherzai.
Bella sospirò visibilmente “Grazie per avermelo ricordato e poi mi laureo in giornalismo politico! Non in … qualunque altra laurea abbiano quegli imbecilli lì fuori” precisò indispettita.
 
Trovammo, in mezzo alla fila quasi infinita di auto, la mia Volvo e in poco tempo fummo al suo interno. Bella si sistemò per bene, indossando la cintura di sicurezza. “Hai riacceso il cellulare?” domandò e riuscii a notare un velo d’ansia nel suo sguardo.
Scossi la testa, mettendo in moto. “Non ne ho avuto il tempo materiale. Sta calma, sono sicuro che Eleonore sta benissimo. Piuttosto mi preoccuperei per Alice e Jasper, non li abbiamo più visti” lanciai un’occhiata veloce alle mie spalle prima d’inserire la retromarcia e uscire dal parcheggio.
La luce solare ci colpì quasi violentemente, come se avessimo passato delle ore e non dei minuti sotto quell’abitacolo. Bella mi lesse, per la seconda volta in quella giornata, nella mente. Aprì il cruscotto davanti a lei e ne estrasse le mie Ray-Ban. Me le porse ed io accennai un sorriso, che però non fu ricambiato.
“Questa città continuerà a mettermi ansia fino alla fine dei miei giorni” sussurrò voltandosi verso il suo finestrino.
La guardai, mortificato. Philadelphia avrebbe lasciato uno sgradevole ricordo ad entrambi. Uno dei tanti periodi negativi delle nostre vite, di cui non ci saremmo mai dimenticati ma che avremmo prontamente evitato di ricordare ad alta voce.
Strinsi la sua mano, nel modo più delicato che conoscessi “Sono qui amore” sussurrai ma a lei sembrò non bastare.
“Lo so” mi rassicurò “Ma è comunque difficile non ritornare con la mente a quel giorno. Anche l’auto di Jasper mi spaventa. Tutto mi ricorda quel giorno e ti assicuro che sono state delle ore infernali, Edward. Non ho mai avuto così tanta paura di perderti come in quelle ore passate in ospedale”
“Adesso sono qui con te”
Si strinse nelle spalle “Eppure alle volte sembra non essere abbastanza” rispose e dal suo sguardo capii a quanto lontano stessero andando i suoi pensieri.
“Allora ogni volta che non sarà sufficiente, voltati e mi troverai al tuo fianco. Non vado da nessuna parte” risposi sicuro e lei accennò un sorriso. Sarei rimasto lì, a fissare le sue labbra ma fui costretto a ritornare con gli occhi sulla strada.
 
Il viaggio di riorno fu estremamente piacevole. Due ore non sarebbero mai state sufficienti per viverci completamente. Odiavo ammetterlo ma mi era mancata, stare solo io e lei mi era mancato. In casa c’era costantemente qualcuno: mia madre, sua madre, Alice, Phil. Tutti che volevano aiutarci con la nostra bambina, ammazzando così la nostra intimità.
“Quando tutto questo periodo sarà finito, credi che potremmo prenderci un bel periodo di vacanza?” Bella mi guardò speranzosa e in attesa di un mio consenso “Io, tu ed Eleonore. Da soli” fece un lungo sospiro, pregustando già il momento “Potremmo andarcene al mare”
“Al mare?” guardai distrattamente il cartello che ci ricordava di essere rientrati a Manhattan. In dieci minuti saremmo arrivati a casa.
“Ricordi l’estate in cui siamo stati a Miami?” mi ricordò e i suoi occhi brillarono intensamente “Il sole, il mare, siamo stati benissimo”
“Eravamo solo io e te, non credo che Miami sia il luogo adatto ad una bambina così piccola”
Sembrò pensarci un po’ “Hai ragione … il fatto è che voglio andarmene per un pò”
“Anche io. Perché non ci trasferiamo?” non mi resi neanche conto di aver dato voce ai miei pensieri più nascosti.
“Non dire cazzate!”
“Perché, quali scuse abbiamo? Niente ci lega più a questo posto. Hai finito l’università e nessuno di noi due ha un lavoro. Potremmo andare a vivere anche in India per quando mi riguarda”
“Edward, tu odi il cibo indiano. Se ci trasferissimo lì, moriresti di fame”
Alzai gli occhi al cielo “Non voglio andare a vivere in India, era semplicemente un esempio”
“Perché vuoi cambiare città Edward? Se centra ancora la storia del lavoro, giuro che ti tiro un pugno” accennai un sorriso “Smettila, non cominciare nemmeno”
Mi strinsi nelle spalle “Io non ho detto niente, stai facendo tutto da sola”
“Hai fatto la scelta giusta a non fare quel colloquio. Nessuno deve costringerti a fare qualcosa che non vuoi. Sono sicura che troverai il posto adatto a te. Qui a New York naturalmente, perché non ho intenzione di andare da nessuna parte” concluse e sentii i suoi occhi addosso per tutto il resto del viaggio. Non dicemmo più nulla, consapevoli di quanto facilmente, quella semplice conversazione potesse sfociare in un litigio.
Una parte di me voleva fortemente lasciare quella città, forse per sfuggire alla parte che voleva tornare indietro nel tempo e fare quel maledetto colloquio. Sentivo che la T&G non fosse il mio posto, che qualcosa di meglio mi stesse aspettando ma l’attesa era snervante. Volevo qualcosa di buono e subito.
 
Arrivammo sotto casa e la mia macchina non ebbe neanche il tempo di spegnersi che Bella fu già fuori. La guardai divertito, mente si dirigeva inutilmente a passi veloci verso il portone di casa. Avevo io le chiavi.
“Edward, muoviti!” mormorò.
La raggiunsi con una tranquillità esagerata, giusto per il gusto di farla spazientire. Mi lanciò un occhiataccia ed io alzai gli occhi al cielo. “Hai intenzione di correre per le scale adesso?” domandai una volta all’interno del palazzo.
Bella mi ignorò completamente, premendo il pulsante dell’ascensore.
“Ti sei lanciata da una macchina in corsa, credevo volessi superare te stessa e correre con i tacchi per le scale” precisai prendendola per i fianchi.
“Siamo stati via tutta la mattinata, voglio togliermi queste scarpe e starmene tranquilla con Eleonore. Almeno fino a quando l’ansia pre - laurea non verrà a trovarmi”
Feci una smorfia, cosciente della notte insonne che ci avrebbe sicuramente attesi. La spinsi delicatamente all’interno della cabina dell’ascensore. Qualunque cosa le avessi detto non sarebbe servito a nulla.
“Spero solo che Renèe se ne vada al più presto, vorrei mettermi a studiare” mormorò sfiduciata.

Arrivammo davanti al nostro appartamento e il baccano che avvertimmo ci soprese. Aprii velocemente la porta, rimanendo ancora più stupiti. “Finalmente siete tornati, vi stavamo aspettando!”
Il sorriso luminoso di mio fratello, mi accecò anche con gli occhiali da sole. Mi guardai intorno. Il soggiorno era pieno di gente: Alice, Jasper, Eric, Roxanne, Emmett, Rose, i genitori di Bella e i miei. Ci fermammo all’istante ed io mi voltai verso mia moglie.
“Ecco la tua mamma” Rose ci venne incontro con un ampio sorriso sulle labbra. “È bellissima, avete fatto un ottimo lavoro” mormorò e Bella ne approfittò per prenderla tra le braccia.
“Da quanto siete arrivati? Credevo sareste arrivati nel pomeriggio” domandai tra il curioso e lo stupito.
Emmett si alzò dal divano e si passò una mano tra i capelli ancora più corti di quanto li ricordassi. Ci strinse entrambi “È già pomeriggio, idiota” Alice, si intromise, senza smettere di fissare le immagini che scorrevano al televisore.
“Siamo arrivati da un paio d’ore. La nanetta e il suo ragazzo sono venuti a prenderci” rispose Emmett. Anticipandomi il motivo della loro improvvisa sparizione.
Lanciai uno sguardo a Jasper, troppo impegnato a fissare Roxanne. Era come se cercasse di scoprire qualcosa di misterioso e affascinate allo stesso tempo.
“Quanti anni gli hanno dato?” Eric sembrava avermi fatto quella domanda con leggerezza ma chiunque avrebbe avvertito il tremolio della sua voce.
Mi sfilai la giacca ed allentai la cravatta. Sospirai “Non lo so, ce ne siamo andati mentre confessava i suoi peccati” risposi. Mi guardò perplesso ma non ebbe il tempo di domandarmi nulla.
“Che cosa?” mi voltai svogliatamente verso mio padre che se ne stava in piedi, alle spalle della libreria “ Perché te ne sei andato prima del verdetto?”
“Sono stata io a chiederglielo. Non riuscivo più a stare lì dentro” rispose Bella, nell’inutile tentativo di difendermi. Mio padre la guardò per un attimo, per poi tornare a me e aspettarsi una risposta.
 
“Se fosse rimasto fino alla fine, ci saremmo persi la scena fuori dal tribunale” Phil, marito di Renèe, interruppe la nostra battaglia fatta di soli sguardi. “Stai indietro, non un altro passo!” disse con fare teatrale ed io non ebbi la forza necessaria per capire di cosa diavolo stesse parlando.
“Vi abbiamo visti al notiziario delle tre, mentre uscivate dal tribunale” precisò mia madre e Bella sbuffò pesantemente. Non sarebbe mai stata tagliata per il mondo dello spettacolo, odiava apparire da qualunque parte.
Sorrisi, perso fra i miei pensieri, quando lo sguardo mi ricadde nuovamente su Jasper. Non aveva tolto i suoi occhi dalla sorella di Eric neanche per un secondo. Che cosa stava combinando?
Mi schiarii la gola, facendo voltare la maggior parte delle persone presenti ma non lui.
“Jazz, puoi venire un attimo? Ho una cosa da dirti” sussurrai e finalmente ottenni la sua attenzione.
Annuì leggermente ed io mi diressi in cucina, facendogli cenno di seguirmi.
Quando fummo rimasti soli, chiusi accuratamente la porta alle mie spalle. “Cos’è,  ti piacciono le ragazzine adesso?!” domandai con una nota di sarcasmo “Tua madre non ti ha mai detto che non sta bene fissare le persone? Soprattutto se hanno dieci anni mano di te” conclusi acido ma lui non si scompose di una virgola.
Portò entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni “Non ti sembra tutto così strano?” domandò silenziosamente, con lo stesso tono di voce che si da ad un investigatore in un film poliziesco.
Aggrottai la fronte e sentii crescere in me i sintomi di una futura emicrania. “Cosa ti sembra strano?” domandai svogliatamente.
Tentenno per qualche secondo “La sorella di Eric, Roxanne” rispose ovvio “Tutta la storia che ha raccontato, fa acqua da tutte le parti”

Il suono di una forte risata di mio fratello mi diede la tranquillità di cui avevo bisogno. Con lui nei paraggi, non ci avrebbero mai sentiti. “Se fossi stato io quello rapito per tutto questo tempo, non avrei la capacità di ritornare in quello stato. Non è ne dimagrita o sotto shock , è semplicemente tornata a casa, come se avesse trascorso gli ultimi mesi a Disneyland”
La tenacia con cui pronunciò la sua teoria mi sorprese. Jasper Whitlock era una persona acuta.
Mi sedetti su una delle tante sedie intorno al tavolo e lui fece lo stesso “Ho pensato la stessa cosa quando l’ho vista” ammisi “Eric mi ha detto di essersela ritrovata fuori di casa il giorno dopo che è stata annunciata la data del processo del loro padre. Dice di essere stata trattata bene e poi è stata visitata da un medico ...”
“Quella ragazzina non è stata rapita …” affermò totalmente convinto.
Poggiai entrambi i gomiti sul tavolo, nel tentativo di sorreggermi la testa. “Non saltiamo a conclusioni affrettate”
“È sicuramente stata in Russia ma non da prigioniera”
“Jazz …”
“Secondo me, era d’accordo con gli Enko per far arrestare suo padre”
“Jasper non è una cosa che ci riguarda. Questa storia è finita: Harrison è in gattabuia, Roxanne è ritornata sana e salva ed Eric sembra essere nuovamente felice. Chi siamo noi per rovinare la festa a tutti?” parlai velocemente, con la speranza di poter alzarmi da quella sedia, raggiungere gli altri in soggiorno e fargli dimenticare ogni sospetto che riguardasse l’ormai distrutta famiglia Norton.

Il mio amico mi guardò per qualche secondo, prima di sorridere nel modo più strano che conoscessi. Si strinse le braccia al petto, poggiandosi comodamente verso lo schienale della sedia “Deduco di non essere l’unico ad essersi posto delle domande. Ammettilo, neanche tu credi a tutta questa storia”
Mi passai una mano tra i capelli, annuendo. Jasper si illuminò completamente ma non disse una parola, quando sentimmo la porta aprirsi.
Mi voltai leggermente, trovando Bella appoggiata alla porta. “Non volevo interrompervi” sussurrò ed io notai Eleonore, completamente vestita di rosa,  fra le sue esili braccia. “Devo scaldarle il biberon” precisò esitante.
“Non ci hai interrotti Bella e smettila di rimanere ai piedi della porta. Vieni” le dissi.
Tentennò, incerta, prima di avvicinarsi a me e passarmi nostra figlia. La presi immediatamente e lei sembrò riconoscermi. Cominciai a sorridergli senza neanche rendermene conto. In poco più di un mese era crescita tantissimo. I suoi occhi diventavano sempre più chiari, ma non riuscivamo ancora a capire verso quale colore si stessero indirizzando. Era piccolissima, eppure continuavo a sperare che tutte le smorfie che faceva tra le mie braccia fossero tutti dei tentativi per sorridermi.
“Hey, fate una riunione segreta senza di me?!” Emmett ci fece sobbalzare tutti ma non sembrò accorgersene. “Oh, ma questa bambina è irresistibile. Dammela, mi sono già perso quasi un mese della sua vita, ora dobbiamo recuperare”
“Emmett, deve …” non ebbi il tempo per concludere la frase, che Eleonore fu già fra le sue braccia, lontana dalla cucina. Lo guardai incredulo e Jasper e Bella risero.
“Voi due siete l’esatto opposto” mormorò il mio amico, senza smettere di ridere “Tuo fratello è sprecato nell’esercito”
Alzai gli occhi al cielo e mi alzai, per raggiungere Bella davanti al lavello “Mio fratello sta benissimo dove sta, non credo che riuscirei a sopportarlo tutti i giorni” gli risposi. Bella non mi sentì arrivare alle sue spalle e quando gli sfiorai il collo nudo, sobbalzò. Si era cambiata d’abito, abbandonando il vestito blu e i vertiginosi tacchi che tanto odiava, per un paio di leggings neri e una mia maglietta.

“Perché si arruolato?” la voce di Jasper mi riportò con i piedi sulla terra. Avevo completamente scordato che fosse ancora alle nostre spalle.
Mi voltai, trovandolo ancora nel stessa posizione in cui lo avevo lasciato “È una storia complicata, abbiamo combinato qualche bravata quando vivevamo a Forks e alla fine mio padre si è scocciato e ha preferito dividerci”
Anche se la persona davanti a me fosse praticamente il mio migliore amico, non sarei mai riuscito a raccontargli di tutte le stronzate che avevo combinato anni prima. Non sarei riuscito a sostenere il suo sguardo se avesse cambiato opinione su di me. Jasper conosceva tutti i miei lati peggiori. Ci eravamo conosciuti durante uno dei miei tanti scatti d’ira all’università e non ci eravamo più persi d’occhio. Eppure non sarei mai riuscito a raccontargli quella parte della mia vita, non volevo, non ne avevo mai sentito il bisogno.
“Che cosa state combinando?” Alice apparve improvvisamente e la sua voce curiosa fece voltare tutti nella sua direzione. “Allora?” domandò ancora e Jasper si alzò, prendendola per i fianchi.
“Parlavamo un po’, nulla d’importante”  rispose, trascinandola fuori dalla stanza.

Quando se ne furono andati, tornai ad osservare Isabella. Se ne stava immobile, a fissare il microonde acceso. Mi posizionai di nuovo dietro di lei e lasciai che le mie mani scivolassero sotto la sua maglietta.
Alzò lo sguardo, ma non si mosse “Edward, smettila. Ci sono i tuoi genitori di là e anche mia madre” sussurrò. Non mi lasciai scalfire dalle sue parole. Il contatto con la sua pelle nuda, mi avrebbe sempre fatto uscire fuori di testa.
Le spostai i capelli di lato, per aver maggiore accessibilità al suo collo “Amo vederti addosso le mie cose” mormorai senza smettere di accarezzarla all’altezza dell’ombelico.
Sorrise, intrecciando una sua mano con la mia. “Ne sei così sicuro? L’altro giorno mia urlato contro perché mi hai visto addosso una camicia che stavi cercando”
Scossi la testa, lasciando scie di baci su tutta la lunghezza del suo collo. “No, non è vero. Mi piace vederti con le mie cose, soprattutto se poi alla fine ci lasci il tuo odore”
 
“Ragazzi, noi ce ne andiamo” Eric apre improvvisamente la porta della cucina e Bella sobbalza immediatamente. Guardammo entrambi Eric e sua sorella spuntare da dietro la porta e Bella scansò via le mie mani da sotto la sua maglietta, visibilmente in imbarazzo.
Eric sorrise, guardandosi intorno “Scusatemi, questa è una cucina e non credevo di dover bussare”
Bella, con il viso in fiamme si mosse velocemente e dopo aver recuperato il biberon, sgattaiolò fuori dalla stanza quasi fosse una ladra.
Eric fece qualche passo verso sinistra per darle la possibilità di fuggire, senza andare a sbattere contro di lui. Aggrottò la fronte, divertito “Sposa quella ragazza, è adorabile!”
L’ho già fatto, amico.
Roxanne si intromise, strattonando il fratello. Lui la guardò per qualche secondo e capii che qualunque cosa fosse accaduto durante la sua assenza, non sarebbe stato importante quanto i suoi occhi felici.
“Noi ce ne andiamo, abbiamo molte cose da progettare” mormorò e la sorella sorrise “Devo dirti delle cose, Edward.” Concluse serio.
“Che genere di cose?”
Scrollò le spalle “Niente di preoccupante, devo semplicemente farti una proposta. Non adesso comunque”
Annuii, anche se nella mia mente avevo già cominciato a formulare una miriade di domande. Emmett sbucò nuovamente e abbracciò Eric “Amico, perché te ne vai adesso?”
Tentai di ricordarmi il giorno in cui quei due fossero diventati amici, non ricordavo di averli mai visti insieme prima di oggi.
“No, Emm. Dobbiamo andare, sarà per un’altra volta”
“Renèe è andata a prendere le pizze e voi ve ne andate?” affermò incredulo ed io rabbrividii.
“Pizze?” quasi urlai. Guardai l’orologio che avevo al polso. Segnava le quattro del pomeriggio, perché volevano mangiare a quell’ora?!
“La madre di Bella ha deciso di andare a comprare qualcosa da mangiare ma dobbiamo andare, davvero”
Mio fratello sbuffò ma sembrò convincersi. Uscimmo tutti dalla cucina a dopo qualche saluto generale i fratelli Norton se ne andarono. Mi guardai intorno, alla ricerca di Bella.
“È nella camera di Elly, credo stia cercando di farla addormentare” mia madre mi sorrise ed io le passai accanto, sfiorandole una spalla.
 
La trovai proprio dove mi era stato indicato, con le braccia poggiate contro la culla di Eleonore. Sentendomi entrare si voltò e mi lanciò un occhiataccia. “Sai che dovrei ucciderti, brutto maniaco?”
Scrollai le spalle “Non è colpa mia se trovo mia moglie attraente” risposi.
“Certo, come ti pare” fece un lungo sospiro e sorrise, alla vista di Eleonore placidamente addormentata “Devo chiederti un enorme favore, anzi due” precisò.
“Tutto quello che vuoi” ridussi i pochi metri che ci separavano e tentai di stringerla a me.
“Aspetta, lasciami finire” mi strinse i polsi, riportando le mie bracci lungo i fianchi “Charlie viene domani” cominciò ed io annuii. Suo padre era l’unica persona che mancava all’appello. Tutti gli altri erano già arrivati in città, in attesa della sua laurea.
“Cosa che di sbagliato in questo?” domandai cauto, i suoi occhi anticipavano qualcosa che non mi sarebbe piaciuto.
Si passò entrambe le mani fra i capelli, portandoseli completamente all’indietro “Porta con se anche Jacob”
Sbattei le palpebre un paio di volte, per metabolizzare quello che le mie orecchie avevano appena recepito. Bella rimase ferma, in attesa di una mia reazione. Mia figlia dormiva pacificamente, il soggiorno era pieno di gente. No, non potevo mettermi ad urlare in quel momento.
“Tuo padre è ancora convinto che quello sfigato abbia buone possibilità di portarti via da me” mormorai in un sussurro, eppure sentivo che quelle semplici parole avessero il diritto di essere pronunciate con un altro tono di voce. Uno più alto, decisamente più alto.
“Mio padre vuole solo il meglio per me” lo giustificò.
Feci qualche passo indietro “Beh, grazie tante amore”
Scosse la testa, quasi annoiata “Non fraintendere le mie parole, Edward. Sai bene quello che intendevo. Lasciamo solo che questi due giorni passino e tutto tornerà alla normalità”
La guardai attentamente, cercando di riportare il mio respiro alla regolarità. “Io odio Jacob Black”
Annuì “Sono solo due brevissimi giorni. Mio padre ha detto che è curioso di vedere Elly …”
“Se si avvicina a mia figlia, l’unica cosa che vedrà sarà il mio piede stampato sulla sua faccia”
“Edward”
“Bella”
“Edward!”
“Bella!”
“Ok, smettiamola” si avvicinò a me, si alzò sulle punte ed io istintivamente la presi per i fianchi, per non farla cadere. Sorrise e mi baciò il mento “Solo due giorni e poi non lo rivedremo mai più”
“Stai parlando di tuo padre?” scherzai e lei mi lanciò un occhiataccia “La seconda?”
Aggrottò la fronte, confusa. “Hai detto che dovevi chiedermi due cose: Jacob era la prima, e la seconda qual è? ”
Inaspettatamente nascose il viso contro il mio petto, imbarazzata. “Aiutami a mandare via tutte queste persone da casa nostra, devo studiare ma non sono in grado di offendere nessuno. Fagli capire che abbiamo bisogno di stare soli e che possono andare a mangiare a casa di Alice o in un ristorante ma con gentilezza, Edward”
Bloccai una mia risata fra i suoi capelli profumati “Consideralo già fatto” mormorai.

 

***** **** *****

BELLA
 
“L’ansia mi sta logorando. Ho mandato Ben a dormire nell’altra stanza ma adesso mi manca. Aiuto, tutto questo studio mi sta facendo uscire fuori di testa. :’( ”

Rilessi il messaggio di Angela un paio di volte e un leggero sorriso spuntò dalle mie labbra. Non vedevo la mia amica da quando era venuta a vedere Eleonore a casa nostra e già in quella circostanza mi era sembrata sull’orlo di un esaurimento.
Guardai inorridita, la quantità indefinita di fogli che coprivano per metà il pavimento del soggiorno. Chiusi gli occhi, con la speranza di trovarmi laureata una volta riaperti, ma niente. ero ancora lì, seduta sul pavimento tiepido, ai piedi del divano.
“Vuoi fare una pausa? Ti preparo un caffè, se vuoi” la voce di Edward proveniva dalle mie spalle. Mi voltai e lo trovai nella stessa posizione in cui lo avevo lascito ore prima.
Sdraiato sul divano, con la mia tesi perfettamente rilegata tra le mani. Scossi la testa “Perché non vai a letto? È tardi” sussurrai ma non riuscii a guardare l’orologio attaccato alla parete. Una parte di me sapeva che fosse praticamente l’alba ma se lo avessi confermato, il mio corpo avrebbe ceduto alla stanchezza e questo non sarebbe dovuto succedere.
“Non vado da nessuna parte e poi non sono stanco” rispose dolcemente e mi si strinse il cuore nello scoprire il contrario. Edward aveva gli occhi gonfi e il viso completamente segnato dalla stanchezza. Indossava i suoi occhiali da vista. Cosa che non faceva mai se non in caso di stanchezza cronica. Il suo sguardo mi riportò all’anno precedente, quando a dover affrontare un giorno così importante era lui. Anche io avevo passato la vigilia della sua laurea, sdraiata al suo fianco, mentre lui si lasciava invadere dalla preoccupazione.
Mi rassegnai e legai i miei capelli con un elastico “È ancora valida la proposta per quel caffè” domandai e lui non se lo fece ripetere due volte. Si alzò e dopo uno sbadiglio strozzato, si avviò verso la cucina.
 
“Non agitarti, andrà tutto bene” Edward mi porse una tazza piena fino all’orlo di caffè ed io ringraziai il cielo di averlo come marito.
Poggiò la sua tazza sul pavimento, per poi sedersi al mio fianco. “Lascia che ti aiuti in qualche modo” cominciò a sfogliare delle carte, a caso, facendomi sorridere.
Mi guardò confuso “Che c’è?”
Allungai le braccia nella sua direzione e lui mi accolse contro il suo petto. “Ti amo e dobbiamo dire a tutti che ci siamo sposati”
“Domani, mentre ceniamo al Belleville. Saranno tutti presi dalla bellissima figura che farai e non baderanno a questa notizia. Quindi vedi di prendere il massimo dei voti se non vuoi che ci odino per sempre” mi ricordò serioso.
Mi staccai da lui il poco che bastava per guardarlo in volto “Grazie per aver aggiunto ulteriori pressioni alla mia fragile mente, Edward. Vaffanculo!”
Edward rise ma anche attraverso quel semplice gesto riuscivo a cogliere la sua stanchezza. “Era solo un po’ di umorismo. Ad essere sinceri nessuna situazione piacevole può attutire un mancato invito ad un matrimonio. Ce l’avranno con noi comunque … dovremo solo essere pazienti”
Rimanemmo abbracciati e nella stanza cadde un silenzio inquietante, fino a quando del lamenti provenienti dal babyphone ci informarono della presenza di Eleonore.
Feci per alzarmi ma Edward me lo impedì “Non muoverti, vado io”
Annuii, grata del fatto che si fosse offerto e lo guardai sparire nel corridoio. Strinsi le gambe al petto e uno stano senso di nausea mi invase. La mia mente non poteva decidere di accollarsi, proprio in quel momento, anche quella preoccupazione. Quella sera di quasi due mesi fa, sapevamo a cosa saremmo andati incontro sposandoci in quel modo. Non potevo fermarmi e lasciare che i sensi di colpa venissero a mangiarmi viva proprio quella notte.
Mi passai una mano tra i capelli, sciogliendo la coda alta che cominciava a farmi male. Inspirai a fondo, guardando fuori dalla finestra: quella notte non era ancora finita, eppure sentivo una forte bufera all’orizzonte.
 
 







Buonasera gente!
Lo so, scommetto che questo sia stato uno dei capitoli più noiosi che io abbia mai scritto. Ho cercato in tutti i modi di modificarlo ma tutte le cose che tentavo di inserire finivano per renderlo senza logica. Non so neanche il perché di questa sua lunghezza, è la prima volta che scrivo così tanto u.u
Allora, nel capitolo affrontiamo un po’ di cose. Harrison e Cauis finalmente in carcere, Roxanne e la sua misteriose ricomparsa e l'uscita in scena di Kate. Tutti loro hanno avuto quello che si meritavano credo. Siete rimaste deluse, sorprese?
Nel prossimo capitolo, concluderemo con tutte le cose rimaste in sospeso fino adesso e questa ff potrà ritenersi conclusa *le scende una lacrimuccia*
Nello scorso capitolo, ho dimenticato di dirvi che la canzone che Edward canticchia a Eleonore è With a little help from my friends dei Beatles. Per chi non la conoscesse, consiglio vivamente di ascoltarla e di ascoltare tutte le canzoni questo gruppo. Sono magnifici :)

Non so che dire, sicuramente sto scordando qualcosa ma adesso non mi viene in mente niente, quindi … ciao e alla prossima. ;)

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Capitolo 39
*** 39Capitolo ***


Inutile dirvi quanto mi dispiaccia. So per esperienza quanto sia complicato leggere una storia se ogni capitolo è postato in periodi sempre più distanti. Non è stato un mese facile il mio, ho dovuto dedicarmi agli esami di maturità e ho dovuto abbandonare un po’ la storia.Ho continuato a scrivere quando potevo ma rileggendo mi sono resa conto di quanto tutto fosse orribile, quindi ho riscritto tutto.
Scusate ancora, a voi il capitolo! **

PS. Fate con calma, è un tantino gigante per i miei standard ;)







Capitolo 39










 

Guardai la mia figura attraverso lo specchio e ripetei a me stessa che la giornata non poteva che cominciare nel peggiore dei modi. Nella mia testa vagavano milioni di parolacce che non avrei mai avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce. Ce ne erano alcune talmente brutte che neanche Edward, dopo aver urtato il piede contro il comò, avrebbe mai pronunciato.
Mi concessi un’ultima ed attenta occhiata al mio riflesso e il completo nero che indossavo mi ricordò l’abito che indossava mia madre al funerale della nonna.
“Non credo che sia adatto, fa troppo segretaria senza una vita sociale. Tieni, prova questo” con la stessa velocità con cui pronunciò quelle parole, Alice, posizionò altri due completi nel mio camerino e poi sparì, per continuare a fare quello che sapeva fare meglio: shopping.
 
Mi passai una mano fra i capelli, infastidita dalla musica troppo alta del negozio. No, la giornata non poteva andare peggio di così, anzi se non mi fossi sbrigata, quella semplice brutta giornata sarebbe diventata una difficile catastrofica giornata.
Controllai il mio cellulare e non trovando nessuna chiamata persa, mi sentii subito meglio.
Sfilai velocemente l’abito scuro che indossavo e senza preoccuparmi di rimetterlo apposto, passai ad uno dei completi portati da Alice. Riuscii ad indossarlo un secondo prima che mia cognata facesse capolino al mio fianco. Ci guardammo per un interminabile minuto, fino a quando sul suo viso comparve un ampio sorriso.
“Perfetto, sei talmente pallida che il blu non smetterà mai di donarti”  mormorò ed io evitai di soffermarmi su quella specie di complimento appena ricevuto esaminando con più attenzione il tailleur che indossavo.
Era carino. La giacca non era molto lunga e i pantaloni erano stretti al punto giusto ma il colore non mi piaceva. Sbuffai “Il mio armadio si sta riempiendo di cose blu” mi lamentai e il ricordo dell’abito grigio che avevo acquistato mesi prima, mi intristì. “Non avrei bisogno di un vestito nuovo se non fossi così grassa”
Alice si sistemò il cerchietto con l’enorme fiocco viola che aveva tra i capelli e poi, lentamente, mi rivolse l’occhiataccia più agghiacciante che avessi mai ricevuto. “Aggiungere una taglia in più alla tua figura scheletrica, non è essere grassi”
Fece un passo verso di me, contrariata dalla mia affermazione “Non avresti dovuto comprarti il vestito da indossare alla tua laurea un anno prima, nessuna persona sana di mente l’avrebbe fatto. Non sei grassa, il mese scorso hai avuto una bambina, è normale che tu possa più indossare i vestiti che avevi prima”
“È avvilente” sussurrai, anche se comprendevo a pieno le sue parole.
Avevo comprato un abitino perfetto ma i miei fianchi enormi non mi avevano permesso di tirare su la lampo, rovinandomi così quella mattinata. Un brivido mi corse la schiena quando mi resi conto di essere stata molto fortunata. Se non avessi avuto voglia di provarmelo una seconda volta, non mi sarei mai accorta delle mie nuove forme e domani si, che sarebbe stato un problema. Guardai Alice, che non si era tirata indietro, quando le avevo chiesto di accompagnarmi a comprare un nuovo vestito. “Stai benissimo, Bella. La nostra ricerca è finita, prendi questo”
Indicò nuovamente la mia figura allo specchio ed io sospirai. “Grazie per essere venuta con me e avermi sopportata fino ad a questo momento”
Fece una smorfia e mi abbracciò leggermente “Vado a prenderti delle scarpe adatte, prima che tu possa decidere di indossare delle Converse”
 
Accennai un sorriso e mi sedetti sullo sgabello alle mie spalle. Feci un lungo sospiro ma l’ansia che mi aveva accompagnata fino a quel momento, non sembrò diminuire. Guardai ancora il mio cellulare: 11:22 e nessuna telefonata. Non sapevo se esserne felice o averne profondamente paura.
Quella mattina era stata praticamente costretta a lasciare soli Edward ed Elly, per venire a comprarmi un abito dell’ultimo momento. Non avevo scelta, domani era il grande giorno ed io avevo investito gran parte della mia anima in quella scuola per poi presentarmi l’ultimo giorno in pigiama.
 
Non avevo avuto problemi a lasciarli per qualche ora, Edward era un padre bravissimo, capiva al volo ogni smorfia di Eleonore e insieme erano perfetti. Quello che mi impediva di lasciare l’ansia alle spalle era un miscuglio di problemi che partivano dal fatto che fosse la vigilia della mia laurea ed io me ne stavo in un negozio eccessivamente costoso, a provare abiti, invece di studiare e poi, ciliegina sulla torta, Charlie e Jacob sarebbero arrivati da un momento all’altro.
Cominciai a spogliarmi velocemente, il mio uomo e il mio spasimante appoggiato da mio padre, non dovevano stare sotto lo stesso tetto da soli.
Si sarebbero scannati e improvvisamente, la brillante idea di uscire quella mattina mi sembrò assurda. Sarebbe stato meglio andare in pigiama, almeno mi sarei risparmiata una nottata in ospedale o in una stazione di polizia.
Indossai nuovamente i jeans e la mia canotta bianca, non mi preoccupai neanche di allacciare le Vans, nascosi semplicemente i lacci all’interno ed uscii dal camerino.
Trovai Alice immersa tra le scarpe, insieme alla stessa commessa che ci aveva accolte all’entrata. “Alice, devo tornare a casa” mormorai e lei alzò lo sguardo verso la mia direzione.
Annuì “Ok, allora scegli: scarpe nere semplici ed eleganti o scarpe blu semplici ed eleganti?”
Entrambe le ragazze mi guardarono, in attesa del verdetto finale ma la verità era che io non notavo nessuna differenza. Quelle scarpe erano uguali, non riuscivo neanche a distinguerne il colore, erano entrambe nere ai miei occhi.
Feci una smorfia, stanca, in attesa di poter tornare a casa e lei sembrò capirmi al volo. Guardò velocemente la commessa, porgendole una delle scarpe “Prendiamo il trentotto di queste” mormorò.
 

**** *** ****

 
Quella fu la prima volta che apprezzai quel mostro a quattro ruote che mia cognata aveva il coraggio di chiamare macchina. Sfrecciammo velocemente per le vie di Manhattan, superando tutti i veicoli che trovavamo sul nostro cammino “Posso fidarmi, vero, di questa Janet?” domandai per l’ennesima volta ed Alice quasi grugnì, infastidita.
“Si, è una mia amica e ci sa fare con i bambini. Fa questo lavoro praticamente da sempre”
Annuii appena. L’idea di dover lasciare Eleonore ad un’estranea mi spaventava. Domani, non avremmo potuto portarla con noi al campus e questo mi metteva a disagio.
“Sono solo poche ore e poi la Columbia e a venti minuti da casa tua” precisò.
Era facile parlare per lei. Janet era sua amica ma io non la conoscevo, l’avevo solo sentita al telefono e dovevo affidargli la mia ragione di vita.
“In poche ore potrebbe fare di tutto. Potrebbe rapirla e scappare in Messico in poche ore” borbottai.
Mi guardò perplessa e sconvolta nel giro di niente “Si può sapere il perché sei così tesa, è per domani?” domandò, interrompendo il flusso di cretinate che uscivano dalla mia bocca.
Abbassai il finestrino, sentendo il bisogno di respirare dell’aria naturale e non quello dell’aria condizionata. Aspettai qualche secondo prima di risponderle “Si, e poi Charlie arriva oggi o forse è già arrivato a casa mia. Non lo so” guardai ancora il mio cellulare: 12:08.
Cazzo!
“Hai paura che litighino” constatò.
Sospirai “Jake è con lui ed io non riesco ancora a capire che cosa mi passasse per la testa quando gli ho detto che per me andava bene. Insomma – mi passai entrambe le mani fra i capelli – Edward odia quel ragazzo ed io ho lasciato che venisse da noi, quando so che lui è interessato a me. Sono una merda!”
Alice assunse uno sguardo sconcertato, grattandosi la fronte “Oddio, non dirmi che stai parlando di quello sfigato con la fissa degli animali che viveva a La Push!” non risposi e lei sbarrò gli occhi, incredula “Non ci posso credere, ha ancora una fissa per te dopo tutti questi anni! Lasciatelo dire: si, sei una merda, non avresti mai dovuto lasciare che tuo padre lo portasse. È colpa tua se mio fratello commetterà un omicidio”
Mi morsi il labbro inferiore con forza “Se volevi farmi sentire peggio di come non stessi già, ci sei riuscita in pieno” mi lamentai.
Scrollò le spalle, tenendo le mani ben salde sul volente “È la pura verità, tesoro. Però guardiamo il lato positivo: domani, durante la cena avremmo da divertirci” concluse, rivolgendomi un sorrise a sessantaquattro denti.
 
“Dove credi di andare?” mormorai incredula, una volta chiuso il suo bagagliaio.
Alice si sistemò i capelli, specchiandosi contro la sua stessa auto “Se tuo padre è in casa tua, non posso perdermi nessuna delle fasi del loro litigio ovviamente”
Boccheggiai, incredula “Alice, va via. Non dovevi andare a lezione?!” mormorai allontanandomi ma il rumore dei suoi tacchi, sempre più vicini, mi informò di quanto fosse stata inutile la mia affermazione.
“Alice!” quasi urlai, una vota arrivate all’ascensore.
“Cosa?” domandò con falsa voce innocente “Voglio solo dare un bacio alla mia nipotina, cosa c’è di male in questo?”
Le lanciai un occhiataccia ma quando le porte dell’ascensore si aprirono, saltò al suo interno pronta a portare a termine il suo intento.
Arrivammo davanti alla porta del mio appartamento ed entrambe tendemmo l’orecchio verso di esso, alla ricerca di qualche suono ma niente. Non ebbi neanche il tempo di riflettere che Alice bussò al campanello.
La guardai in cagnesco e lei alzò gli occhi al cielo “Che c’è, è casa tua o sbaglio?”
 “Ma perché  …” non ebbi il tempo di finire la frase che la porta si aprì, mostrandomi il fisico perfetto di Rosalie. Rimasi stranamente sorpresa, lei era l’ultima persona che mi aspettavo di vedere.
“Ciao” mormorai sollevata ma lo sguardo tirato che mi rivolte, fece crollare le fragili certezze appena create.
“Ciao” rispose a sua volta e anche il suo tono di voce mi confermò ogni dubbio. Si spostò di lato e sul divano posto al centro del soggiorno, riuscii a scorgere la figura di Charlie.
Entrai velocemente “Papà …” sussurrai. Jacob era alla sua destra ed entrambi alzarono lo sguardo verso di me.
Quest’ultimo fu il primo ad alzarsi e a venirmi incontro “Bells!” mormorò abbracciandomi.
Non collaborai molto al abbraccio e lui se ne accorse “Hey, giuro che sono venuto esclusivamente per chiederti scusa” sussurrò poggiando entrambe le mani selle mie spalle.
“Si, certo” risposi scrollandomelo di dosso.
Guardai mio padre e un sorriso sincero si formò sul mio viso. Venne verso di me e in pochi secondi mi ritrovai tra le sue braccia forti e familiari. “Ciao piccola. Come stai?” domandò baciandomi la fronte.
Sospirai “Bene” risposi ma lui come al solito sembrò non convincersi. Mi accarezzò una guancia, scrutando il mio viso. “Va tutto bene, te lo assicuro” marcai su ogni singola parola, infastidita da quella semplice domanda. Finché avrei condiviso la mia vita con Edward, non sarebbe mai stato sicuro del mio benessere. Mi ero ripromessa di non dare più peso al suo giudizio eppure il fatto che non mi credesse realmente felice, mi rattristava.
Feci qualche passo indietro, per guardarlo meglio in volto. “Quando siate arrivati?” domandai e mi guardai intorno, alla ricerca di Edward.
“Ciao Charlie!” Alice fu subito al nostro fianco e gli rivolse un sorriso sgargiante.
“Hey … ciao, Alice” rispose pacato ed io sperai che mia cognata non notasse l’astio che mio padre aveva imparato a provare per ogni componente della sua famiglia.
“Ti trovo bene” aggiunse e lei sorrise per poi voltare lo sguardo verso il secondo ospite.
“Jacob” affermò con ribrezzo.
“Alice” rispose lui, con lo stesso tono ed io alzai gli occhi al cielo.
Il mio sguardo vagò per l’intera stanza ed aggrottai la fronte quando non vidi spuntare Edward da nessuna parte. Trovai Rosalie in un angolo del soggiorno e quando i nostri sguardi si incrociarono, lei mi fece cenno di avvicinarmi.
Sussultai e feci immediatamente come richiesto “Dov’è Edward? ” le chiesi sottovoce.
Si schiarì la voce “Per fortuna sei arrivata” mormorò sollevata. Si guardò furtivamente attorno, quasi a voler assicurarsi che nessuno la stesse ascoltando.
“Rose” la intimai a continuare e lei si abbassò leggermente, per poter arrivare alla mia altezza.
“Ci ha provato, te lo assicuro!” affermò ed io precipitai completamente in un baratro di confusione. Lanciai un’occhiata a Charlie, intento a rispondere a monosillabi alle domande a raffica di Alice. Sospirai convinta che l’intera situazione avrebbe contribuito a mandarmi al manicomio prima di arrivare all’ora di pranzo.
“Quando tuo padre e il tuo amico sono arrivati, la tensione si poteva tagliare con il coltello”
Portai nuovamente lo sguardo sul mio interlocutore e lei fece una smorfia “A tuo padre non sta affatto simpatico Edward. Emmett mi aveva accennato qualcosa ma ero convinta che una volta nella stessa stanza, avrebbero cominciato a battibeccare in stile Tom e Gerry, credevo di farmi due risate. Invece il silenzio ha preso il sopravvento e nemmeno Emmett è riuscito ad alleggerire la tensione”
Chiusi gli occhi per un attimo, sospirando rumorosamente “Dov’è adesso?” domandai e il mio sguardo vagò in direzione della cucina.
“Eleonore ha cominciato ad agitarsi, così è andato a controllare” rispose ed io annuii dirigendomi verso il lato notte della casa. Nel raggiungere il corridoio, lanciai una veloce occhiata ai nuovi ospiti. Jacob mi seguì con lo sguardo e un secondo prima che voltassi l’angolo, parlò.
“Hey Bells, sono venuto fino a qui per poter vedere Eleonore ma non c’è ancora stata l’occasione” mormorò ed io annuii senza rallentare il passo.
 
Arrivai davanti alla porta in legno scuro della camera di Elly ed ebbi un attimo di titubanza, con la convinzione di trovare mio marito arrabbiato. Invece, una volta entrata fu tutto diverso.
Trovai Edward sulla poltrona nell’angolo della stanza, sorridente e con quel piccolo miracolo di nostra figlia tra le braccia.
Lo scricchiolio della porta gli fece alzare lo sguardo e il suo sorriso si allargò maggiormente.
“Finalmente sei tornata. Trovato il vestito?” domandò ed io annuii, sconcertata. Perché parlava di uno stupido vestito, quado il soggiorno era occupato dalle due persone che maggiormente odiava?
Mi avvicinai e recuperai Eleonore dalle sue braccia, per poi prendere posto sulle sue gambe. Edward ci strinse entrambe ed io poggiai la testa sulla sua spalla “Quanto male si è comportato mio padre?” domandai e lui ridacchiò.
Mi accarezzò con una mano libera “Non ha fatto niente di così imprevedibile. Avresti dovuto vedere la sua faccia quando ha capito che non eri in casa” mormorò “Sono sicuro che per un attimo abbia pensato che Rose fosse la mia amante”
Alzai lo sguardo, interrogativa e lui scosse la testa “Quando è arrivato, in soggiorno c’era solo Rosalie. Emmett era in cucina a ripulire Johnny che, tra parentesi, aveva deciso di farsi la doccia con una lattina di Coca Cola.”
Sorrisi “Dove sono adesso?”
“Sono andati a cambiarsi in albergo, Johnny era tutto appiccicoso” rispose divertito per poi tornare serio “Credo lo sia anche il tappetto in soggiorno, ora che ci penso”
 
Sospirai ed Eleonore mosse entrambe le mani verso la mia direzione. Cominciò ad emettere versi strani e a fissarmi con i suoi grandi occhi chiari. Entrambi ridemmo a quella scena e quel momento tutto nostro mi fece ricordare degli ospiti in salotto.
“Sono una stupida” farfugliai afflitta e mi alzai dalle sue gambe “Non avrei mai dovuto farli venire qui. Cavolo, Charlie non è mai venuto a casa nostra in tutti questi anni. Perché diavolo gli è venuto in mente proprio oggi?” sussurrai.
Edward si alzò a sua volta, prendendomi per i fianchi “Va tutto bene. Vai da loro e nel giro di un’ora saranno lontano da quì” propose. Ci guardammo negli occhi e lui si avvicinò a me, baciandomi lentamente.
“Jake vuole vedere Elly” lo informai cauta e lui sospirò.
 
 
Fui molto grata del suo comportamento. Edward si stava comportando in modo maturo, alleggerendo in parte la mia tensione. Ritornammo dagli altri ed Alice si precipitò verso di me strappandomi Eleonore dalle mani.
“Ciaooo” sussurrò adorante “Ma come fai ad essere sempre più carina?!”
Avrei dovuto essere più vigile o non sarei mai riuscita ad evitare che qualcuno rapisse mia figlia sotto il mio naso. Mi avvicinai ad Alice, con l’intento di riprenderla ma mi bloccai quando notai Jacob andare verso la mia stessa direzione.
“Cavolo, è lei Eleonore?” domandò stupito, senza aspettarsi realmente una risposta “È la tua copia sputata, Bells. È impressionante”
Deglutii, senza sapere del mio improvviso disagio “Sei il primo che lo dice …” mormorai e lui puntò i suoi occhi nei miei.
Scosse la testa “No, è vero ti somiglia ed è adorabile. Posso?” allungò le mani verso di lei ma Alice sembrò non voler mollare la presa.
“Si – voltai il capo verso Edward, alla ricerca di qualunque traccia d’irritazione ma non trovai niente – Certo, che puoi” e mia cognata mollò la presa, senza però abbandonare la sua area irritata e schifata verso di lui.
Non ci fu la necessità di spiegargli come tenerla, Jacob la prese dolcemente e lei poggiò automaticamente la testa sul suo petto. Alice non si mosse di un centimetro, vigile, come se sua nipote potesse essere mangiata da un momento all’altro. Sorrisi e per un attimo guardai Charlie che, con gli occhi profondamente assenti, se ne stava sul divano.
 

**** *** ****

 
“Mio padre avrebbe voluto essere da qualunque altra parte, eccetto che quì”
“Mh?” Edward spuntò da dietro la porta della cucina, ovvero da dove arrivava un fortissimo odore di bruciato. Ero talmente angosciata dalla mia stessa vita che neanche tutte le imprecazioni che avevo sentito uscire dalla sua bocca, erano riuscite a sollevarmi o almeno a farmi preoccupare di cosa diavolo stesse cucinando.
“Lo hai visto?” mormorai guardando distrattamente tutti gli appunti che avevo sparso sul pavimento. “Non ha neanche guardato Eleonore” ricordai e gli occhi cominciarono a pungermi.
Non volevo mettermi a piangere. Era la vigilia di un giorno importante ed io sarei dovuta essere concentrata su tutt’altro, eppure per tutta la sera non aveva fatto che pensare a lui.
Edward venne da me e vedendomi sul pavimento, si inginocchiò, arrivando così alla mia stessa altezza “Non voglio offendere la tua famiglia ma penso fortemente che Charlie sia uno sciocco. So di avere gran parte della colpa ma non riesco a comprendere il perché ti tratti così freddamente”
Mi strinsi nelle spalle incapace di darmi una risposta. Edward fece una smorfia e solo in quel momento mi resi conto di essere in lacrime.
“No, amore” sussurrò e mi strinse a se, con una forza quasi dolorosa “Non farlo, non permettere a tuo padre di rovinare l’equilibrio che abbiamo faticosamente trovato”
Annuii appena, senza però riuscire a smettere di piangere “Mi ferisce, Edward. Vorrei poter … - tirai su col naso – non lo so neanche io che voglio”
Con la manica della sua felpa, asciugò ogni mia singola lacrima “Vuoi che parli con lui? Potrei tentare di farlo ragionare”
“No!” quasi urlai e lui sussultò. L’ultima cosa di qui avevo bisogno era l’ennesimo litigio insensato tra i due “Non fare niente. Questo pomeriggio è stato un miracolo che non vi siate scontrati”
Edward si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli. Si alzò allontanandosi e per un attimo pensai che si fosse in qualche modo offeso.
“Dove vai e perché la cucina sta andando a fuoco?” domandai, senza ricevere una risposta. Sospirai, tentando di bloccare le lacrime che ancora premevano per uscire. Mi alzai, lasciandomi andare sul divano alle mie spalle. I minuti passarono e di Edward neanche l’ombra.
Una leggera ondata di fumo, cominciò ad arrivare in soggiorno ed io cominciai a temere davvero alle nostre vite. Decisi, allora, di alzarmi ma lui ritornò, accompagnato da uno strano sorriso sulle labbra. “Edward, cosa cazzo stai cucinando?” domandai esasperata.
Alzò una mano a mezz’aria “Lascia perdere la cena e ascoltami” rispose tranquillo.
Sorrisi senza riuscire a controllare i movimenti del mio stesso viso. Gli feci spazio sul divano e solo in quel momento mi resi conto che stesse nascondendo la mano destra dietro le spalle.
Aggrottai la fronte e lui parlò “Avrei voluto dartelo domani ma spero di riuscire a strapparti un sorriso, anticipando il mio regalo”
La mano che aveva tenuto nascosta fino a quel momento, sventolò davanti al mio viso e con essa, una busta delle lettere bianca. La guardai per un po’, incapace di comprendere cosa fosse.
“Su, aprila” propose impaziente ed io trasalii, facendo come richiesto.
Recuperai la busta dalle sue mani e la scartai velocemente. Lo guardai stupida quando vi trovai dei biglietti aerei. “Sorpresa” canticchiò per poi tornare serio “Io, tu ed Eleonore – precisò – due settimane di puro relax”
Esaminai uno dei biglietti “Dove si trova Paradise Island?”
“Alle Maldive” rispose ovvio ed io boccheggiai, incredula.
“Dove?!”
Alzò gli occhi al cielo, sprofondando tra i braccioli del divano “Nell’Oceano Indiano, a sud – ovest dell’India”
“Lo so dove si trovano le Maldive” precisai continuando ad ispezionare i biglietti. Incrociai i suo occhi, trovandoli attenti ad ogni mia espressione. “Cavolo. Quando dovremmo partire?” domanda, rimangiandomi la domanda su come avesse trovato i soldi per un viaggio del genere.
 
“Ma è fantastico, Edward! Abbiamo proprio bisogno di staccare un po’ la spina, ci divertiremo in casino alle Maldive. Grazie, è stato proprio un bel regalo.” mormorò imitando la mia voce.
“Sono solo sorpresa” risposi risentita.
“Tu vuoi andarci o no?” domandò un attimo prima di alzarsi e sparire in cucina.
Sentii il rumore dell’acqua, scorrere e il rumore di stoviglie che si scontravano. Scossi la testa, lasciare cucinare Edward era sempre un errore. Mi alzai fermandomi sullo stipite della porta “Certo, con te andrei ovunque” risposi, spalancando la finestra della cucina.
“La tua felicità mi sta uccidendo” mormorò provato.
“Più di quanto non lo stia già facendo tutto questo fumo? Tra un po’ arriveranno i pompieri” scherzai e lui si avvicinò a me, accarezzandomi il viso.
“Mi dispiace per Charlie, vorrei che potesse campire che quello provo per te è forte, ossessivo. Ti amo in un modo incomprensibile da sempre”
Mi buttai fra le sue braccia, nascondendo il volto sul suo petto “Anch’io lo vorrei”
 

 **** *** ****

 
“Ok. Hai il mio numero e quello di Edward, memorizzati sul cellulare. Se non dovessimo rispondere, ci sono quello dei nostri familiari e di alcuni amici, attaccati al frigorifero” l’avvisai per centesima volta ma la sua tranquillità cominciava a darmi sui nervi.
“Certo, Bella, me lo hai già detto” rispose con un sorriso.
La guardai. Janet era più piccola di quanto pensassi, non aveva neanche l’età per bere ed io le stavo affidando mia figlia. Indossava un paio di pantaloncini bianchi, una maglietta dei Rolling Stones inserita al suo interno e degli stivali estivi. La pelle abbronzata, i capelli ricci, scuri e una miriade di lentiggini che le riempivano le guance, accentuando gli occhi verdi. Era carina, gentile ma di dava sui nervi. “Se Eleonore dovesse aver fame …”
“Troverò tutto l’occorrente in cucina, nel mobile sulla destra. Quello centrale” finì la mia frase con precisione accompagnandola con l’ennesimo sorriso.
Bloccai l’impulso di passarmi una mano fra i capelli ordinati e pettinati alla perfezione e annuii un secondo prima che Edward facesse la sua comparsa con nostra figlia tra le braccia.
Janet portò entrambe le mani sui fianchi “Finalmente conosco la piccoletta di casa” sussurrò dolcemente ed Edward le sorrise, passandogliela.
“È buona ma ha bisogno di molte attenzioni – precisò – E tu puoi chiamarci per qualsiasi problema ok?” domandò e la sorrisona annuì, senza distogliere lo sguardo da nostra figlia.
Eleonore non sembrò turbarsi di niente. si fece prendere, senza fare storie “Non preoccupatevi io e lei staremo benissimo. Ve lo assicuro, state tranquilli” ci rassicurò.
Edward sospirò, guardandomi. Il fatto che anche lui fosse in ansia mi faceva sentire meglio
 “Su, muoviamoci o finiremo per fare tardi”
 
Chiuderci la porta alle spalle fu maledettamente doloroso e ancora di più entrare in macchina e allontanarci da casa. “È stato più difficile di quanto pensassi, è come se le avessi lasciato un braccio ” sussurrò agitato.
“Non dirlo a me. Quella ragazza non face altro che sorridermi, per un attimo ho pensato che fosse ubriaca” ammisi e lui rise.
“Starà bene – affermò convinto – Se invece dovesse succederle qualcosa, daremo la caccia alla piccola Janet” propose serio.
Lo guardai compiaciuta “Era proprio quello che volevo sentirmi dire”
 
 
Rivedere gli imponenti edifici della Columbia, addobbati a festa, mi fece mettere da parte il piano di uccidere Janet e la paura più pura si fece strada dentro di me. Il parcheggio era strapieno di gente. Cominciai a tremare come un foglia. Stava realmente accadendo?
Fu come se gli anni passati lì dentro fosse volati, passati in un battito di ciglia ed io mi ritrovavo pronta a ricevere il mio agognato pezzo di carta. Avevo sognato questo momento dal primo giorno che avevo messo piede in quel posto, eppure era cose se tutto fosse arrivato troppo presto.
“Rilassati, è solo una stupida formalità” sussultai.
Edward mi aveva aperto lo sportello, ed io non mi ero neanche resa conto di quando fosse sceso. Mi porse la mano ed io l’accettai, uscendo.
L’aria era afosa, irrespirabile e questo non fece che contribuire al mio malessere.
Mi avvinghiai a mio marito, trovando in lui tutto quello di cui avevo bisogno.
“Adesso stai esagerando, sta calma” si lamentò ed io lo lasciai andare.
Aveva ragione, dovevo solo crederci quanto lui.
Ci avviamo verso il campus e nel tragitto mi limitai a fissarlo ardentemente. Indossava un completo scuro ed elegante, che lo fasciava alla perfezione. All’interno una camicia dal taglio semplice, bianca, accompagnata da una cravatta dello stesso colore del vestito.
“Sei uno schianto Cullen” mormorai, stringendo la sua mano e lui sorrise, alzando le spalle.
“Già, non è poi una novità – rispose guardandomi – Anche tu sei carina, non preoccuparti”
Scossi la testa un momento prima di sentire la voce di mia madre. Entrambi ci voltammo, trovando i nostri genitori all’entrata dell’aula magna.
“Ciao piccola!” Renèe mi strinse forte, in una presa ferrea trasmettendomi l suo entusiasmo.
“Credo che tu la stia uccidendo Renèe” Phil venne in mio soccorso, liberandomi dalle braccia di mia madre. Li salutai tutti, chiedendomi il perché gli altri non fossero ancora arrivati.
Guardai l’orologio “Dove sono Alice ed Emmett?”
“Sono arrivati da poco, credo stiano facendo un giro” rispose Esme ed io mi guardai intorno, intravedendo Angela.
Si sbracciò verso la mia direzione ed io lasciai la mano di Edward, andando verso di lei.
La mia amica quasi urlò abbracciandomi ed io non potei fare a meno di ridere. Angela era la persona giusta in quel momento per me.
“Sei bellissima!” le dissi ed era la verità. L’abito nero che indossava le fasciava perfettamente i fianchi sottili. indossava anche una giacca e aveva i capelli perfettamente stirati.
Sorrise, al mio complimento e fece un giro su se stessa “È un giorno importante il nostro, dobbiamo per forza essere presentabili”
“Io l’avevo detto di non farti bere tutto quel caffè!”
Una ragazza dai lunghi capelli scuri si avvicinò a noi, facendo sbuffare la mia amica.
“Bella, lei è mia sorella maggiore Rachel” sussurrò annoiata “Rachel, lei è la mia più cara amica Bella”
Sua sorella mi strinse la mano sorridendomi “Non trovate che faccia troppo caldo qui fuori? Quando hanno intenzione di permetterci di entrare, mi sto annoiando”
Angela alzò gli occhi al cielo “Non cominciare a lamentarti” affermò.
La sorella incrociò le braccia al petto. “Beh, almeno possiamo rifarci gli occhi con tu i ragazzi che ci sono qui – si guardò intorno – Chi diavolo è quel soldato?”
Entrambe voltammo lo sguardo nello stesso punto in cui stava guardando ed io sbiancai.
“Ci vediamo dopo …” sussurrai e mi allontanai, senza aspettare una risposta.
 
Ritornai dalla mia famiglia e mi posizionai alla destra di Emmett, intento a parlare con Alice.
“Hey” dissi e lui si voltò, sollevandomi senza nessuna difficoltà.
“Eccoti, ti stavamo cercando!” affermò facendomi volteggiare.
Quando riportai i piedi per terra, tutto intorno a me girava ma tentai di non farci caso. Accennai un sorriso “Ero andata a salutare un’amica … perché sei in divisa, Emmett?” domandai cauta, sperando di non offenderlo con la mia domanda.
“Questa è la divisa per le occasioni speciali, non potevo non indossarla!” rispose ovvio ed io non potei che annuire.
“Oh, ma certo …” sussurrai. Per un’occasione speciale, ci voleva un abbigliamento speciale.
Sentii l’ansia ritornare prepotentemente. Tutte quelle persone erano lì per me, vestiti con i loro abiti migliori e con la convinzione che la sottoscritta avrebbe fatto fare loro una bella figura.
“Cristo!” sussurrai. Avevo assolutamente bisogno di Edward. Dopo averlo cercato per qualche minuto, lo trovai seduto su di una panchina poco lontana. La stessa panchina sulla quale sedevamo quando anche lui frequentava i corsi in quell’istituto.
Gli scompigliai i capelli, facendogli alzare lo sguardo. Il sole era alto e i raggi colpivano i sui occhi, rendendoli maledettamente chiari. Mi prese per mano, trascinandomi fino a sedere sulle sue gambe.
“Hai visto tuo fratello?” domandai in un lamento e lui annuì.
“Si, è sempre io solito esagerato” mormorò.
“Siete tutti così eleganti ed io invece vi metterò in imbarazzo” bofonchiai e sentii il bisogno di scappare, senza voltarmi indietro “Hey, il viaggio alle Maldive può essere anticipato ad … adesso?” domandai ricevendo un occhiataccia.
Edward mi accarezzò una guancia “Smettila di sparare cazzate, andrà tutto bene!” affermò categorico. Tentai di ribattere ma lui mi zittì, baciandomi. Sorrisi sulle sue labbra. Quello era un bel modo di farmi dimenticare tutto.
“Ecco i piccioncini solitari!” Alice apparve improvvisamente facendoci sussultare entrambi. “Sooorridete!” ci ordinò felice e solo in quel momento notai la macchina fotografica tra le sue mani.
“Vattene” sussurrò Edward ma la sorella lo ignorò cominciando a scattare foto a raffica.
La guardai basita e quasi spaventata da tutta quella energia.
“Perché ho una famiglia così stramba” si lamentò affondando la testa sul mio petto. Lo strinsi a me, ridendo e lui fece lo stesso.
Alice continuò indisturbata fino a quando non si ritenne soddisfatta “Oh, questa è fantastica!” urlò ispezionando l’aggeggio che aveva fra le mani. Si passò una mano fra i capelli, prima di sistemarsi  l’abito in pizzo bianco che indossava “Dobbiamo andare comunque, credo stiano per iniziare”
Ammutolii velocemente, tornando seria. Edward mi fece alzare e poi fece lo stesso. Strinsi la sua mano e ci incamminammo senza dire una parola. Alice corse verso gli altri ed io non riuscii a capire come facesse ad andare così veloce su quei tacchi.
Edward si fermò improvvisamente ed io con lui “Io devo andare a sedermi amore, non posso venire con te” mormorò e solo allora mi resi conto di averlo trascinato quasi fino alla postazione dei neo laureandi.
Recuperai tutte le forze che possedessi e annuii “Hai ragione. Quando arriverà il mio turno, fai in modo che Renèe non si alzi e urli come se fossimo allo stadio” scherzai e lui sorrise.
“Ci proverò” rispose titubante e mi concesse un veloce bacio a stampo. Si voltò e raggiunse gli altri.
Dai Isabella, non fare la codarda! Pensai. Angela era già al suo posto, era tesa, tutti erano tesi ma non quanto lo ero io. Era tutta una questione mentale, dovevo rilassarmi. Feci un profondo respiro e decisi di prendere posto al suo fianco, quando sentii la voce di mio padre.
Mi voltai, trovandolo ad un metro da me “Papà!”
Charlie si avvicinò velocemente e mi abbracciò, prendendomi alla sprovvista “Sono fiero di te, piccola. Non so cosa si dice in queste occasioni, spacca tutto va bene?” domandò velocemente.
Sorrisi, annuendo “Si, credo di si”
Poggiò entrambe le mani sulle mie spalle “Allora spacca tutto, teso. Ok?”
Annuii ancora e lui mi abbracciò nuovamente, baciandomi la fronte “Ti voglio bene” sussurrò mollando la presa.
“Anche io, papà” risposi e lui accennò un sorriso, allontanandosi.
Andai a sedermi ancora allibita e Angela mi guardò sognante “Tuo padre è dolcissimo” sussurrò facendomi ridacchiare.
“Qualche volta” risposi e nell’aula calò il silenzio, quando arrivarono i professori.
 

**** *** ****

 
“Non è affatto vero! Sono più capace di quanto tu possa anche lontanamente credere”
Alice incrociò le braccia al petto, reprimendo un urlo e tutti risero.
“Sorellina, su cinquecento foto la metà sono sbiadite. Non sei capace” Emmett gli restituì la macchina fotografica e lei la gettò violentemente sul tavolo, facendo saltare la maggior parte delle posate.
“Ragazzi smettetela, sembrate due bambini” Carlisle tentò di ammonirli ma non venne affatto preso in considerazione.
“Non devi offenderti, ti ho solo fatto notare che la fotografia non è il tuo mestiere” incalzò Emmett. Si stava divertendo, non sarei mai riuscita a capire il perché entrambi i suoi fratelli provassero così tanto gusto nel farla impazzire.
Alice gli lanciò un’occhiataccia e in un attimo sembrò rilassarsi. Fece un lungo sospiro “Hai ragione, forse e dico forse, non sono in grado di scattare delle foto perfette …”
“ … non sei in grado di scattare foto e basta!” la interruppe il fratello.
Annuì “Ok, d’accordo.  Ma sono in grado di fare …questo!” e in pochi secondi afferrò il cappello bianco e blu, parte della divisa di Emmett e scappò via, verso la terrazza del ristorante.
“Alice, non osare gettarlo di sotto! Sarebbe un insulto alla bandiera” urlò Emmett, inseguendola ma lei era già fuori.
 
“Sei ancora in tempo per scappare, ragazzo” mormorò Esme a Jasper e lui scosse la testa, facendomi sorridere.
Ero talmente felice che qualunque cosa intorno a me, diventava esilarante. Ero riuscita a prendere la mia tanto desiderata laurea, facendo un figura discreta e adesso tutto aveva preso una piega diversa. Era stato più facile di quanto pensassi e la carica di adrenalina che mi aveva invasa mi aveva fatto parlare a raffica. Solo al pensiero mi veniva voglia di rivivere tutto una seconda volta e rivede i visi soddisfatti dei miei professori e della mia famiglia.
“Non potremo più mettere piede in questo posto” sussurrò Edward al mio orecchio.
“Dici che ci cacceranno?” scherzai e lui annuì con vigore, prima di bere un lungo sorso dal suo bicchiere di vino.
Mi strinsi a lui e guardai tutta la mia famiglia riunita, in un’unica tavola. Mio padre aveva passo la maggior parte della cena in silenzio ma era venuto, era lì per me e me lo sarei fatto bastare. Jacob invece era stato molto più amichevole con gli altri e cominciavo a credere che davvero volesse farsi perdonare.
Alice ed Emmett tornarono, come se nulla fosse successo. La prima si sedette e ricominciò a mangiare la sua fetta di torta, il secondo scosse la testa, poggiando il suo cappello completamente bagnato ai piedi della sua sedia.
“Avresti fatto meglio ad indossare una camicia, ti saresti risparmiato tutto questo movimento” mormorò Edward al fratello,
“Non potevo farlo e poi non avevo messo in conto che questa strega fosse così infantile da gettare il mio capello nella fontana del giardino di sotto”
Alice non reagì alla provocazione del fratello, continuò a mangiare la sua torta e si limitò a mostrargli il suo dito medio.
Esme alzò gli occhi al cielo e borbottò delle scuse a Renèe, dicendole di quanto New York e Los Angeles avessero rovinato l’educazione dei suoi figli.
“E poi la indosserò anche al vostro matrimonio, che sarà …” Emmett lasciò la frase in sospeso e tutti ci fissarono, in attesa di una risposta.
Io e Edward ci raddrizzammo e lui mi lanciò un occhiata intensa, che non riuscii a decifrare.
“Beh …” cominciò per poi prendere il suo bicchiere di vino e svuotarlo in pochi secondi. Mi guardò ancora e io suoi occhi schizzarono da tutte le parti. “Mh …” aggiunse e non so per quale motivo ma mi venne da ridere.
Tossii leggermente, passandomi una mano fra i capelli “Non vogliateci male -  li supplicai – ma ci siamo già sposati quasi tre mesi fa”
Il silenzio si cristallizzò intorno a noi ed io abbassai lo sguardo, incapace di sostenere i loro sguardi.
“Questa si che è bella!” Phil fu il primo a rompere il silenzio e rise, continuando a giocherellare con la sua meringa al limone.
“State scherzando? – Alice parlò lentamente, guardandomi dritto negli occhi – Oddio, siete seri?”
La guardai mortificata e i suoi occhi si dilatarono velocemente “Voi, piccoli bastardi asociali!” ringhiò.
Jasper mise una mano sulla sua spalle, tentando di calmarla “Alice …”
“Cosa?! – puntò un dito verso di noi – Hai sentito anche tu o sbaglio?”
Nessuno ebbe il coraggio di dire niente, forse troppo sopraffatti dalla notizia.
“Mi dispiace” sussurrai.
“Ti dispiace? Perché diavolo siete così … così voi! Non fate altro che allontanare le persone che vi vogliono bene”
Incassai il colpo in silenzio, abbassando nuovamente il capo. Avevamo appena rovinato quel fantastico pranzo, eppure sentivo che quello fosse il momento giusto per levarsi quel peso dalle spalle. Non mi sarei mai pentita di quello che avevo scelto di fare.
“È … complicato” mormorai in mia difesa ricevendo altre urla.
“Complicato?! Ma per favore” sussurrò schifata, prima di alzarsi e andare via. Jasper fu subito dietro di lei.
Li seguii con lo sguardo e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Guardai Edward, completamente spaesata e lui sospirò, incapace di dire niente.
“Dove, qui a Manhattan?” Esme mi guardò e nei suoi occhi intravidi il dispiacere più assoluto.
“A Pittsburgh, è una lunga storia” rispose Edward e sua madre sembrò ancora più confusa di prima.
“Ci siamo trovati lì per caso e … ci siamo fatti prendere dal momento. Non volevamo affatto escludervi” tentai invano di aggiustare la situazione ma nessuno sembrava capirci.
Tutti quei volti dagli occhi tristi non facevo che togliermi il fiato. Guardai mia madre, che era stata in silenzio fino a quel momento e la lacrima che le rigò il viso, mi fece crollare definitivamente.
Portai le mani al viso ed ogni certezza scivolò via con le mie lacrime. Forse non era stata una così bella idea, sposarsi con così tanta fretta escludendo tutti. Ero figlia unica e mia madre non avrebbe più avuto l’occasione di vedermi in abito bianco.
“Bella, non fare così” Edward mi accarezzò i capelli, sussurrandomi di calmarmi. Eppure sentivo di dover chiedere scusa a tutti e di dimostrare quanto mi dispiacesse. Mi alzai e senza pensarci mi diressi verso Renèe e l’abbracciai. Ricambiò la stretta subito, senza rancore o esitazione e questo non fece che sentirmi ancora peggio. Avrei preferito dover gestire del rancore, forse sarebbe stato più facile.
“Non volevo ferirti” singhiozzai colpevole.
“Shhh, non devi dire niente tesoro, va tutto bene” sussurrò al mio orecchio e mi sentii una vera e propria bambina.
Scossi la testa e la strinsi a me “Tu sai più di tutti cosa abbiamo passato io ed Edward e quando ci siamo ritrovati in quella chiesa, sentivamo di doverlo fare” sussurrai al suo orecchio, sperando che nessun altro mi sentisse.
Renèe si staccò da me, asciugando le mie lacrime “Beh, congratulazioni allora! – guardò altre la mia figura, verso gli altri – È quello che dovremmo dire tutti o no?” domandò con voce forzata.
Phil si alzò anche lui e mi sorrise, rassicurandomi “Almeno ci siamo risparmiati di pagare metà del catering!” scherzò abbracciandomi ed io alzai gli occhi al cielo, senza riuscire a smettere di lacrimare.
Tutti cominciarono a congratularsi con noi. Carlisle, Rose, Jake, Emmett, persino Charlie. Una parte di me, sapeva che si sentisse fortemente sollevato di non dover assistere al mio matrimonio con una persona così odiata. Esme fu l’ennesimo tuffo al cuore, i suoi occhi sprigionavano una tristezza spaventosa. Rimanemmo abbracciate per molto tempo, ed io sperai di riuscire in qualche modo a farmi perdonare un giorno.
 
Notai la borsa di Alice, ai piedi della sedia sul quale era seduta e la speranza che non se ne fosse andata divenne vivida dentro di me. Guardai Edward e lui sembrò capirmi al volo. La raccolsi e mi precipitai verso l’uscita della sala che avevamo prenotato. Incrociai il proprietario del ristorante ai piedi delle scale e davanti al suo parlottare non potei fare  a meno di fermarmi.
“Allora, il pranzo è stato di vostro gradimento?” domandò e il suo umore cambiò, alla vista dei miei occhi arrossati.
“Si, tutto perfetto. Adoro questo ristorante ed ero sicura della vostra cucina” risposi velocemente.
“Va tutto bene, avete bisogno di altro?” chiese titubante.
Mi passai una mano sul viso “Si, Martin, va tutto bene e no, non abbiamo bisogno di niente. grazie” risposi e andai via, sperando che il grazie finale alleviasse la mia maleducazione.
 
Trovai Alice seduta sul bordo della famosa fontana nel quale aveva immerso il capello del fratello. Era di spalle, si lamentava con Jasper ed in quel momento intromettermi mi sembrò la cosa più sbagliata. Feci per andarmene ma Jasper mi vide, rovinando i miei piani.
“Bella!” sussurrò il mio nome ed Alice si voltò, incenerendomi con un unico sguardo.
Mi avvicinai a loro, lentamente e un volta arrivata, gli passai la borsa.
“Bene, io torno di sopra. Non ho ancora avuto l’occasione di assaggiare la mia fetta di dolce” mormorò e dopo aver lanciato un’occhiata eloquente alla fidanzata, se ne andò.
Non dicemmo niente, rimanemmo in ascolto dello scrosciare della fontana alle nostre spalle.
La guardai con la coda dell’occhio, notando quanto il suo trucco si fosse rovinato.
“Era una scusa – mormorò improvvisamente e senza guardarmi – Jazz odia i dolci”
Annuii felice anche solo del fatto che mi avesse parlato “Si, l’avevo intuito” risposi.
“Allora non sei del tutto impazzita …” rispose acida ed io incassai, senza alcun problema.
“Io e tu fratello abbiamo passato un anno infernale. Ci eravamo lasciati, Alice” le dissi in un soffio e le mi guardò appena,
“Ci siamo divisi e non ci siamo parlati per molto tempo. Da quando ci siamo conosciuti io e lui non ci siamo mai persi di vista ma quest’ultimo anno, la gravidanza e tutta la situazione complicata del suo lavoro, ci hanno indeboliti e divisi”
Cominciai a vedere sempre di più il suo viso ma continuava comunque a non dire niente.
“Quando è venuto a Forks a riprendermi, ho capito quanto mi fosse mancato e poi il nostro volo è stato cancellato, ci siamo ritrovati davanti a quella chiesa e … il resto lo sai già”
Alice si passo una mano fra i capelli e si spostò dalla fontana alla ringhiera della terrazza. Esitai un attimo, prima di seguirla e sedermi al suo fianco, sulla panchina che aveva scelto.
“La chiesa era carina?” domandò velocemente e a tono basso.
“Bellissima, era tutta illuminata da piccole candele …” risposi e li si voltò di scatto, facendomi rimangiare il resto della frase.
“Sarei dovuta essere la tua damigella d’onore” mi accusò.
Mi avvicinai a lei “Mi dispiace” Quante volte l’avevo detto, nel giro di pochi minuti?
“Si, certo. Fai schifo comunque” mormorò alzando gli occhi al cielo “E, per la cronaca, quando mi sposerò ve lo farò sapere all’ultimo momento. È una promessa”
“Ok, l’importante è esserci” risposi, tentando di reprimere il sorriso sulle sue labbra.
“E non sarai la mia damigella d’onore, sarai una damigella comune” precisò altezzosa ed io annuii ancora. Sospirò “Ti stavo anche disegnando un vestito da sposa, brutta stronza”
Sussultai ma non ebbi il tempo di dire niente. alzò una mano “Se dici ancora che ti dispiace ti picchio! Quando hanno sparato a Edward ho cominciato a disegnarti un abito da sposa per aggrapparmi alla speranza che sarebbe sopravvissuto. Volevo immaginarci tutti felici al vostro matrimonio, così ho cominciato ad osservarti e a prendere le tue misure a occhio. Bella perdita di tempo”
Ci guardammo per un po’ e alla fine allungò le mani verso di, fino a stringermi. Fu un abbraccio veloce ma conoscendola sapevo che fosse più che abbastanza “Congratulazioni …” sussurrò ed io scacciai via le lacrime che avevano ricominciato a scendere.
 
Lo frecciare di un’auto attirò la nostra attenzione ed entrambe ci affacciammo e guardammo di sotto. Una macchina metallizzata, si fermò nel bel mezzo del giardino del ristorante ed Alice trattenne il respiro.
“Porca miseria, una Porsche Macan!” urlò ed io alzai gli occhi al cielo.
Rimanemmo a fissare l’auto e quando dal suo interno vi uscì Eric Norton, tante domande vennero a formarsi nella mia testa. “Cosa ci fa Eric qui?” domandai tra me.
Alice continuò a sbavare su quella stupida auto ed io continuai a fissare il suo proprietario. Alcune delle mie domande vennero risolte, quando vidi Edward andare verso di lui.
 

EDWARD
 
Eric sembrava felice, rilassato. I suoi gesti erano tranquilli e da quando era venuto non aveva acceso neanche una sigaretta. Mi guardai intorno, esaminando il bellissimo giardino del Belleville. Sperai che Bella avesse risolto con mia sorella e che adesso fosse più tranquilla. Era stato più complicato di quanto avevamo immaginato. Ci erano rimasti tutti di merda ed io non potevo che biasimarli. Forse il momento era stato sbagliato, avevamo compromesso il pranzo intero, eppure ero sollevato. Finalmente potevamo vivere tranquillamente e senza costrizioni.
“Io e Bella, ci siamo sposati” mormorai e fu come liberarsi dell’ennesimo macigno. Era bello dirlo ad alta voce.
Eric mi guardò confuso “Quando? Credevo che questo fosse un pranzo di laurea”
Scossi la testa “Si, si infatti. Ci siamo sposati tre mesi fa” precisai ottenendo solo altra confusione.
Rise “Congratulazioni … - affermò scettico – Io invece lascio la Grande Mela”
Adesso ero o quello sorpreso “Cosa?”
“Roxy ha aiutato gli Enko ad arrestare mio padre” mormorò ed io ammutolii “Andiamo, lo so che ne eri a conoscenza. Forse lo sai anche da prima che lo capissi io. Adesso che siamo solo io e lei, voglio liberarmi da tutto quello che ci lega a nostro padre e cambiare vita”
Mi passai una mano fra i capelli, intimandolo a continuare.
“Ricordi il contratto che avevano firmato Caius e mio padre?” domandò improvvisamente ed io annuii.
“Se Harry fosse stato arrestato, Caius avrebbe ereditato tutto e viceversa” ricordai e lui portò una mano alla tasca interna della giacca, estraendone un pacchetto di sigarette.
Ok, forse non era poi cosi cambiato.
“Esatto. Adesso che sono entrambi dietro le sbarre, indovina chi ha ereditato tutto?” domandò ed io rimasi completamente sbigottito.
“No!” urlai incredulo e lui sorrise, eliminando ogni mio dubbio.
“Sono schifosamente ricco. Potrei passare un’intera giornata a distribuire banconote da cento dollari e il giorno seguente sarei ancora più ricco!” affermò.
“Com’è possibile?” domandai curioso.
Alzò le spalle “Sono il parente più vicino o qualcosa del genere. Molti dei soldi sono stati sequestrati ma quelli che mi hanno doto e ogni singola proprietà, mi rende enormemente ricco”
Ridacchiai. La fortuna aveva cominciato a girare nuovamente dalla sua parte.
Si alzò, improvvisamente a disagio. Sospirò “Non sono venuto fino a qui per vantarmi dei miei soldi – fece per pensarci – O meglio, non solo per quello”
Scossi la testa, divertito “Smettila di farmi perdere tempo, la mia famiglia comincerà a chiedermi che fine abbia fatto” scherzai e lui ritornò serio.
“Ho ereditato tutto di Caius, anche il Volterra e voglio darlo a te” disse con tono leggero.
Sbarrai gli occhi “Che cosa?!”
Agitò entrambe le mani “Non sono un avvocato, non saprei cosa farmene e quindi la do a un amico”
Mi alzai in piedi agitato “La do ad un amico – ripetei le sue stesse parole, incredulo – Non è una sciarpa Eric, è uno studio legale” gli feci notare.
Alzò le spalle “Lo so ed è tuo. Evviva!” disse con finto entusiasmo. Sospirò pesantemente “Andiamo, non farla tragica. Accetta il regalo e basta, fingiamo che sia un regalo di nozze” propose speranzoso ed io scossi la testa.
“È un regalo un tantino gigantesco, non credi? È uno studio legale, cazzo!” urlai.
Mi guardò paziente “È uno studio legale completamente nella merda. Non c’è nessuno, è tutto da rimettere in sesto. È come se ti stessi donando una macchina sportiva senza le ruote e con un motore a pezzi”
“Resta comunque una cosa enorme”
“Mi hai aiutato a ritrovare mia sorella ed io sono in debito con te. Promettimi che ci penserai”

 
BELLA
 
“Wow!” fu l’unica cosa che riuscii a dire ad Edward e lui mi fissò cercando di trovare la risposta che tanto cercava. Scossi la testa e le porte dell’ascensore si aprirono, mostrandoci la porta del nostro appartamento. “Non ti dirò cosa fare, è una scelta tua” mormorai, prima che mi chiedesse cosa fare.
“Cosa devo fare?”
Ecco, appunto.
Mi fermai  e lui fece lo stesso “È una tua decisione, non mia. Tu ti senti di addossarti uno studio legale a pezzi?”
Chiuse gli occhi, un attimo prima di sedersi sui gradini che portavano al piano sopra al nostro.
“Sarebbe un suicidio. Non sono in grado di tenere lo stesso cellulare per più di due mesi, figuriamoci uno studio legale” mormorò assorto ed io lo seguii, sedendomi al suo fianco.
“Cerca di vederlo sotto un’altra luce: tu vuoi farlo?” domandai diretta e lui poggiò la testa sulla mia spalla.
“Non lo so, Bella. Devo riflettere” sussurrò pensieroso ed io gli accarezzai i capelli.
Sarebbe stato l’impegno più grande che si sarebbe mai accollato, eppure sapevo che ci sarebbe riuscito. Rimanemmo su quelle scale ancora qualche minuto, fino a quando Edward non decise di entrare.
Non riuscii ad aspettare neanche che la porta fu aperta completamente che mi levai le scarpe, incapace di sopportare il dolore ai piedi.
La casa era avvolta dal totale silenzio. Trovammo Janet sul divano, con in mano un libro e quando richiudemmo la porta, il rumore la fece sobbalzare.
Si portò una mano sul cuore, maledicendoci sicuramente mentalmente “Siete tornati”
“Eleonore?” domandai ansiosa e lei mi disse che dormiva profondamente nel suo letto.  Non aspettai oltre, la lasciai lì a chiacchierare con Edward e mi precipitai da mia figlia.
La trovai dove mi era stato detto e un respiro di sollievo fuoriuscì dalla mia bocca. Poggiai entrambe le mani sulla sua culla e sorrisi, trovandola rapita in chissà quale sogno.
“Non mi stancherò mai di guardarti, piccola mia” sussurrai appena.
Gettai i tacchi in un angolo della stanza e mi lasciai andare sulla poltrona vicino alla finestra.
“È tutta intera?”
Edward fece capolino nella stanza, con il suo immancabile sorriso e gli avanzi della meringa al limone del pranzo appena finito. Guardò la bambina per qualche secondo e poi me, sedendosi sulle mie gambe.
“Edward, mi stai schiacciando!” mi lamentai stanca e lui si alzò, invertendo i posti.
“Janet è andata via?” domandai e lui annuì.
“Si, ha detto che si è divertita” rispose ridendo.
“Questa giornata sembrava non voler finire” constatai e lui annuì, riempiendosi la bocca con un pezzo di dolce.
“Ci sono stati parecchi colpi di scena” affermò, prima di imboccarmi. Il sapore eccessivamente zuccheroso del dolce, mi fece sentire meglio.
“Dire a tutti del matrimonio è stato orribile. Ci guardavano tutti così male …” ricordai e un brivido mi oltrepassò l’intera spina dorsale. Non avrei dimenticato facilmente i loro occhi o le urla di Alice.
Edward mi pizzicò un braccio “Se tu ti fossi attenuta al piano, sarebbe andato tutto meglio”
Sbattei gli occhi, incapace di ricordare alcun piano “Che cosa? Non avevamo un piano, dovevamo semplicemente dirlo e quando si è presentata l’occasione, tu sei stato zitto!” lo accusai.
Poggiò la testa sullo schienale della poltrona, guardandomi con un ghigno “Se tu non avessi inondato l’intera sala con le tue lacrime, forse sarei riuscito a dire qualcosa”
Feci per ribattere ma lui me lo impedì, riempiendomi la bocca con quel dolce che cominciava a darmi il voltastomaco “Era un matrimonio. Ok, abbiamo sbagliato ad escluderli ma potevi risparmiarti tutte quelle lacrime. Sei una piagnucolona Isabella, il caso è chiuso – lo fulminai con lo sguardo – Una bellissima piagnucolona” aggiunse e posò le sue labbra sulle mie.
Gli morsi il labbro inferiore e lui sussultò “Cazzo, Bella!” mormorò tentando di reprimere un urlo.
“Chi piagnucola, adesso? – domandai soddisfatta – Mi sono solo fatta prendere dalla situazione. Ci stavamo divertendo e all’improvviso, tutto è cambiato”
“Almeno adesso non dobbiamo più nascondere una cosa così bella” mormorò sollevato ed io sorrisi.
Ci eravamo buttati alle spalle molte spiacevoli situazioni e problemi che sembravo non volerci lasciare in pace. Avevamo ceduto al loro peso, avevamo sofferto ma ci eravamo rialzati. Ci eravamo dati forza a vicenda e adesso sembra che tutto andasse per il verso giusto. Era un illusione, lo sapevo.  La nostra vita era appena cominciata. Avremmo dovuto affrontare cose più grandi, cose peggiori, eppure ero pronta. Lo avremmo fatto insieme, per sempre. Perché in fondo, era questa la vita, no?
Rialzarsi e rialzarsi sempre, senza lasciarsi sopraffare dalle situazioni.
Guardai Edward, immerso nei suoi pensieri e realizzai che nulla fosse meglio di stare al suo fianco. Nel bene e nel male, saremmo stati sempre e solo noi. Nulla ci avrebbe più separati.
Gli accarezzai i capelli e lui alzò lo sguardo, inchiodandomi con i suoi occhi. Mi avvicinai e lui si ritirò, remore del morso appena ricevuto. Ridacchiai “Vieni qui, idiota” sussurrai e lo fece.
Bocca a bocca, una sola anima e non potei che sperare con tutta me stessa in più momenti come quello.










OMG manca l'epilogo ed è finita o_o



 

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Capitolo 40
*** Epilogo - Our life together ***



Ci siamo! :')





Epilogo







 

La sveglia suonò senza preavviso e il rumore che produsse fu assordante, quasi cattivo. Aprii gli occhi di scatto e sentii il fiato mancarmi. Quel maledetto aggeggio, mi provocava un infarto ogni mattina ma se non fosse stato per la sua potenza sonora, Edward ed io avremmo continuato a dormire indisturbati.
Feci uscire velocemente un braccio da sotto le coperte e la spensi, pregustando nuovamente il silenzio. L’idea di dover uscire o mettere anche solo un piede, fuori dal letto mi fece rabbrividire. Manhattan d’estate era sempre stata spaventosa. Il caldo ti entrava dentro la pelle, fin sotto le ossa e non potevi fare niente per impedirlo. Potevi scoprirti quanto volevi ma avresti comunque continuato a sentir caldo. Nulla a che vedere con il calore piacevole che amavo.
 
Edward era sveglio. Lo sentii muoversi lentamente e sbuffare alle mie spalle. Feci lo stesso, incredula che un’altra notte fosse passata così velocemente.
Le sue braccia mi avvolsero, mi prese per i fianchi e mi attirò contro il suo petto.
“Buongiorno” sussurrò con voce roca, baciandomi leggermente il collo. Fremetti per quel contatto così abituale, eppure così intimo e completamente nostro.
Sciolsi appena l’abbraccio, il necessario per voltarmi e poterlo guardare in volto.
La poca luce che veniva fuori dalla finestra non rendeva giustizia al suo bellissimo viso. Eppure anche in quel momento, al mattino presto avvertivo il bisogno di sentirlo più vicino. Lo guardai e senza rispondergli, decisi che sentire il sapore delle nostre labbra unite, fosse meglio di qualsiasi insulso e comune buon giorno.
Mi colse alla sprovvista e il semplice primo bacio della giornata si trasformò in qualcosa di più. Quasi mi spaventai quando con un unico slancio, mi portò sopra di lui. Sorrisi e lui sembrò avere più di due mani, perché iniziai a sentirle ovunque. Le nostre labbra così come il resto dei nostri corpi, cominciarono a muoversi all’unisono, come se fossero una cosa sola. La sua bocca arrivò nuovamente al mio collo. Lo baciò, lo morse, lo succhiò, senza fermarsi o riprendere fiato. Il mio respiro, invece, accelerò e malgrado volessi con tutta me stessa continuare cosi per tutta la mattinata, non potevo. Nessuno dei due poteva. Sentii le sue mani sui miei fianchi e quando riuscì a trovare gli estremi della maglietta che indossavo, li sollevò e in un attimo mi ritrovai mezza nuda, sotto il suo sguardo felino.

Mi sforzai di ritrovare ogni briciola di buon senso persa nel corso di quei pochi minuti e lo bloccai, trattenendo entrambe le sue mani tra le mie.
“Edward. Edward, Edward!” lo richiamai in un sussurro deciso “Finiremo per fare tardi”
Mi guardò per poi puntare gli occhi verso la sveglia sistemata dal mio lato del letto. Scosse la testa, ricominciando quello che aveva lasciato “Abbiamo mezz’ora se rinunciamo alla doccia, quaranta minuti se saltiamo la colazione” propose convinto e il suo naso cominciò a sfiorare il mio, delicato.
Cominciò a baciarmi a stampo e l’idea non mi sembrò poi così male, fino a quando la parte seria di me non cominciò a urlarmi nella testa, completamente svuotata dal profumo di mio marito.
Mi allontanai appena “Non possiamo non fare la doccia!” affermai inorridita e lui sorrise, alzando gli occhi al cielo “Non posso andare in ufficio se puzzo …” mormorai ma a lui non sembrò importare più di tanto.
“Ti assicuro che hai un ottimo odore in questo momento” sussurrò e si sporse verso di me, fino a farmi stendere nuovamente sul letto e sdraiarsi sopra di me “Sai di buono, niente doccia …” disse ancora e lo vidi allontanarsi il quanto basta per riuscire a sfilarsi la maglietta.
La vista del suo corpo non mi avrebbe aiutato a dare ascolto alla mia parte razionale. Mi portai una mano al viso e lo sentii ridere. “Elly si sveglierà a momenti” gli ricordai.
“Ma se non si sveglia neanche con le cannonate!” affermò e si sdraiò nuovamente su di me, senza pesarmi addosso. Ci guardammo ed io mi persi nei suoi occhi chiari, cosa che capita ogni volta che li fissavo per più di qualche secondo. Gli passai una mano fra i capelli, decisamente troppo corti per i miei gusti e fui io ad avvicinarmi nuovamente e a baciarlo.
Lasciai che le nostre lingue si assaporassero ancora per poco e poi lo scansai, ancora “No, mi licenziano” mormorai e lui sbuffò rialzandosi.
“Sei riuscita ad ammazzare tutta l’intimità che si era riuscita a creare” si lamentò alzandosi e dirigendosi verso il bagno, annesso alla camera da letto.
Sorrisi indossando la sua maglietta e prima che si chiudesse la porta alle spalle lo chiamai “Edward?”
Si voltò e il semplice sguardo che mi concesse mi immobilizzò. Cavolo, era dannatamente bello a qualunque orario del giorno e della notte. “Buon compleanno, amore”
 
Mi richiudo la porta della nostra stanza alle spalle e per un motivo non preciso ho ancora il sorriso sulle labbra. Negli ultimi quattro anni la nostra vita si era completamente rivoluzionata. Avevo sempre creduto che nostra figlia fosse il più grande cambiamento che potesse investirci ma mi ero fortemente sbagliata.  
Da quando Edward era salito a capo del Volterra, avevamo affrontato parecchie situazioni.
Entrambi sapevamo che non sarebbe stato facile rimettere in piedi qualcosa che era stato completamente distrutto e macchiato dal precedente proprietario. Eppure il peggio era andato ben oltre le nostre previsioni. L’intero edificio era deserto. Tutti l’avevano abbandonato e il progetto di rimetterlo in piedi fu più complicato del previsto. Edward aveva passato mesi tra scartoffie per diventare il nuovo possessore dello studio. Eric voleva che l’avesse lui ma per la legge, del semplice affetto tra amici non bastava. Così dopo una battaglia legale e dopo aver dimostrato che nonostante la sua giovane età, potesse gestire un impero di quelle grandezze, era finalmente riuscito a diventarne il padrone. Il passo successivo fu quello di trovare nuovi avvocati, disposti ad associare la loro faccia con il Volterra e ad aiutarlo a ridargli la reputazione che possedeva prima della bufera mediatica che l’aveva travolto.

Mi guardai intorno e fortunatamente, adesso riuscivo a sorridere al ricordo. La ricerca di dipendenti fu catastrofica per la sua salute mentale. Edward si era impegnato per far sì che tutto potesse funzionare ma nessuno voleva aggregarsi a lui.
“Il Volterra è finito, rassegnati!” continuavano a ripetergli.
“Se Caius dovesse uscire dal carcere prima del previsto, distruggerebbe te e tutte le persone al tuo fianco!” dicevano. Anche i suoi vecchi colleghi erano contrari e scettici, difronte al piano di Edward.
Brian e Jasper avevano già trovato lavoro e non avevano intenzione di lasciarlo per seguire il sogno senza speranze del loro amico.
Ma il mio Edward è testardo, lo è sempre stato e non aveva smesso di credere in quell’idea. Si era, allora, ripiegato sui giovani avvocati, quelli appena laureati. Quelli che come lui, credevano in quel mestiere e non nella forza del denaro che poteva girarci intorno e le cose avevano cominciato a muoversi lentamente.
Intanto Eleonore cresceva, i suoi bisogni crescevano e lui cominciava a non essere più così sicuro. Le cose procedevano a rilento e i profitti erano minimi. Finché non avesse recuperato le spese iniziali, non poteva neanche lontanamente pensare ai guadagni. Non era stato un bel periodo, eppure ci eravamo adeguati, avevamo stretto i denti e avevamo aspettato. Edward mi aveva pregato molte volte di chiedergli di lasciare tutto e smetterla di perdere tempo e denaro in un progetto che non sembrava voler decollare.
“Jasper mi ha detto che il suo studio mi prenderebbe subito. Dimmi di smetterla di sprecare tutto questo tempo e lo faccio.”
Ma non l’ho fatto, perché credevo in lui e nelle sue capacità. La sua bocca diceva una cosa ma i suoi occhi raccontavano tutt’altro. E adesso eccoci qui, nella casa che fino a qualche anno prima non potevamo permetterci. Adesso tutto andava alla grande. Lo studio funzionava alla perfezione ed era meglio di come fosse quattro anni prima. Mio marito ci sapeva fare con gli affari, era nato per comandare e per avere tutto sotto il suo controllo. Tutti avevano sentito parlare del nuovo Volterra e di Edward. Tutti i suoi dipendenti valevano quanto lui e in molti casi gli somigliavano perfino nel carattere. Era un compito impegnativo il suo, ma ci sapeva fare, tutti lo sapevano in città e quando qualcuno si presentava allo studio si sorprendeva per la sua giovane età.
 
Avevo cominciato a venerare Eric quasi come se fosse una divinità. Lui non si rendeva conto di cosa avesse dato a Edward. Si era semplicemente liberato di un peso che non gli andava di portarsi sulle spalle ed io non l’avrei mai ringraziato abbastanza. Molte volte anch’io avevo creduto che quello studio fosse qualcosa di cui sbarazzarsi ma adesso che Edward era felice, appagato e rapito dal suo lavoro, stavo bene. Tutti stavamo bene ed Eleonore era la bambina più speciale di questa terra. Aveva la capacità di risollevarti, con un semplice sorriso. Ti guardava con i suoi occhi, identici a quelli di suo padre e ti sentivi subito meglio. Era dolcissima, generosa con gli altri e bella. Ero sua madre e forse ero di parte ma lei era oggettivamente bellissima. Così piccolina e forte. Aveva lo stesso caratteraccio di Edward ma ne andavo fiera, almeno ero sicura che a scuola nessuno le mettesse i piedi in testa.
 
Percorsi il lungo corridoio che mi separa dalla sua camera, passando davanti alle innumerevoli stanze di quel piano della casa.
Aprii lentamente la sua porta, con l’intenzione di non svegliarla ancora, ma solo controllare che tutto fosse tranquillo. Da quando aveva cominciato a dormire in un letto tutto suo, ogni mattina andavo a controllare se stesse bene. L’avevamo trovata un paio di volte troppo vicina ai bordi del letto e la paura che prima o poi cadesse mi tormentava. Ogni tanto mi alzavo anche di notte ma il fatto che non fosse mai successo niente di preoccupante non riusciva comunque a farmi togliere l’abitudine. Così entrai e mi sentii subito meglio, trovandola quasi nella stessa posizione in cui l’avevo lasciata la sera prima.
Era completamente scoperta e la coperta leggera era quasi del tutto per terra ma dormiva placidamente, come solo una bambina della sua età poteva fare. Senza nessun pensiero o preoccupazione a distrarla. Mi avvicinai silenziosamente, anche se nulla avrebbe mai potuto svegliarla. Per nostra fortuna aveva un sonno notevolmente profondo e una volta addormentata, nulla avrebbe potuto svegliarla. Dormiva nell’esatto centro del suo letto, con braccia e gambe divaricate ed io sorrisi, accarezzandole il caschetto rossiccio.
Chi l’avesse vista in quel momento, non avrebbe mai immaginato l’energia che impiegavamo ogni sera per farla andare a letto.  Era una bambina iperattiva e per questo io o Edward, dovevamo trovare il modo di farle venire sonno. Eleonore non odiava dormire ma come ogni bambina di quattro anni, ne odiava semplicemente l’idea. Così le leggevamo qualcosa ogni sera.
Avevamo cominciato con semplici fiabe ma nel giro di pochi mesi, Edward era passato a leggerle il primo libro di Harry Potter. Era così piccola che non credevo riuscisse a seguire il filo del racconto, ma entrambi si erano appassionati e lei adesso non vedeva l’ora di andare a letto.
La ricoprii nuovamente, lasciando che si godesse gli ultimi minuti di sonno.
Mi voltai e quasi inciampai al contatto con uno dei suoi innumerevoli pupazzi sparsi per la stanza. Raccolsi la gigantesca giraffa dal pavimento e la rimisi in una delle mensole in fondo alla stanza, insieme a tutti gli altri animali della giungla. Eleonore amava gli animali selvatici. Adorava passare pomeriggi interi allo zoo o all’acquario. Ci aveva pregato più volte di andare a vivere nella savana perché, secondo lei: “Gli animali sono buoni se noi siamo buoni con loro”
 
Uscii dalla sua stanza, lasciando la porta socchiusa. Feci un lungo sospiro, scesi le scale e mi diressi in cucina per prepararle la colazione e fiumi di caffè per me e Edward. Aprii le tende della finestra e lasciai che la luce del mattino la invadesse.
Mi appoggiai all’ampia isola della cucina, in attesa del caffè sperando che il fragile traffico di Manhattan non risentisse del caldo o sarei arrivata tardi in ufficio.
Da un anno e mezzo, avevo finalmente cominciato a lavorare presso gli uffici dell’USA Today di Manhattan. Carlisle mi aveva fatto avere un colloquio con Aro, il redattore e stranamente mi aveva assunta. Non riuscivo ancora a capire cosa avesse visto in me ma ero felice di essere diventata la sua assistente. Non avevo ancora scritto nessun articolo ma l’essere a contatto con un personaggio così di spicco mi gratificava facendomi dimenticare i due anni che avevo passato a occuparmi esclusivamente di Eleonore. Avevo amato prendermi cura di lei, starle vicino durante i suoi primi anni ma appena ci eravamo resi conto che fosse il momento che cominciasse ad andare a scuola, non ci avevo messo molto a spedire centinaia di curricula.
Vedere Edward andare tutti i giorni in ufficio e prendersi completamente cura di noi, mi infastidiva. Il dover dipendere da lui su tutto, anche solo il dovergli chiedere dei soldi mi mortificava. Non era da me, volevo la mia indipendenza ma lui non lo capiva.
Avevamo litigato spesso su quell’argomento. Per lui andava bene così e insisteva per aspettare che Elly raggiungesse un’età decente per farla andare a scuola senza traumatizzarla. Sapeva essere molto, troppo protettivo nei suoi confronti ma io volevo lavorare e rendere giustizia alla laurea che avevo letteralmente sudato. Nostra figlia non sarebbe stata la prima bambina ad andare all’asilo.
 
Il profumo del caffè mi fece ritornare con i piedi per terra. Riempii con del latte caldo la tazza colorata di Eleonore e tirai fuori i suoi biscotti preferiti.
Andai in soggiorno e le ampie vetrate mi concessero uno spettacolo magnifico. La vista era grandiosa l’intera casa lo era. Il poter finalmente comprala lo aveva reso fortemente orgoglioso di se stesso. L’idea che dopo quattro anni, ci stesse ancora pensando non mi aveva mai sfiorata. Avevamo continuato a vivere nel nostro piccolo appartamento nel West Side eppure non si era mai dimenticato e una volta che il Volterra aveva cominciato a fruttare soldi, prendere la casa era sembrata la decisione più ovvia.
Alzai lo sguardo verso le scale, quando sentii la sua voce “ … e poi ci sarà sicuramente una ruota panoramica altissima, molto meglio di quella dell’ultima volta. Vedrai, passeremo tutta la serata a divertirci. Io, tu e la mamma”
Li guardai scendere lentamente. Eleonore era tra le sue braccia e si strofinava gli occhi assonnati. Annuì leggermente, alle parole di suo padre “Ok …” sussurrò.
“Buongiorno, amore” dissi ed entrambi si voltarono a guardarmi. Quattro fantastici ed identici occhi verdi, puntati su di me.
Entrambi sorrisero “Chi sta salutando dei due?” domandò Edward.
Mi avvicinai ed Eleonore fu subito tra le mie braccia “Lei, naturalmente” risposi “Con te ho già dato abbastanza” mormorai tornando in cucina.
“Ma oggi è il mio compleanno, non dovrei ricevere tutte le attenzioni del mondo?”
Ignorai di proposito le sue parole, per paura di rivelare troppo di quella giornata. Non ero brava a mentire, meglio non dire niente.
“Hai dormito bene, piccola?” domandai e lei scosse la testa, sospirando.
“Posso dormire ancora?” chiese e il suoi occhi furono totalmente nei miei.
Quando mi guardava in quel modo, le avrei detto si a tutto.
“Bene, non vengo neanche considerato. Neanche tu dici niente, coniglietto?”
Eleonore si sedette su una sedia attorno al tavolo e scosse la testa, prima di stiracchiarsi e sbadigliare rumorosamente “No, niente!” rispose.
Ridacchiai, riempiendo una tazza di caffè e sedendomi al suo fianco. Edward incrociò le braccia al petto e assunse un’espressione fintamente imbronciata. “Bella famiglia la mia”
“Papà, non possiamo dire niente!” aggiunse con la bocca piena, prima di provare a versare mezzo pacco di biscotti nella sua tazza. Glielo impedii, sfilandoglielo dalle mani, sperando che Edward non avesse sentito la sua ultima esclamazione.
 “Finisci di mangiare, o faremo tardi” mormorai, tenendo lo sguardo fisso su di lei.
“Che cos’è che non potete dirmi?”
Mi immobilizzai, portando la tazza di caffè bollente alla bocca. Mi bruciai la lingua e quasi lacrimai, quando il calore mi invase la bocca ma resistetti. Tutto, fuorché il suo sguardo indagatore.
Tossii leggermente, schiarendomi la voce “Finisci il tuo latte, Elly” insistetti, appena tentò di rispondergli.
“Edward, tu odi il tuo compleanno. Allora pensavo che non ti andasse di sentirtelo ricordare. Tutto qui...” dissi guardandolo per una frazione di secondo.
Sbuffò “Ma che cosa vi salta in mente! Io non odio il mio compleanno” si avvicinò e solo in quel momento mi resi conto che fosse quasi completamente vestito.
“Quindi, stasera vi porto a cena fuori e poi al Luna Park, al cinema o di nuovo a Broadway a vedere quel musical orrendo con quei gatti che ballano” propose d’un fiato ed Eleonore sorrise, battendo le mani.
“Siiiii, andiamo a vedere Cats!” urlò e Edward la guardò, compiaciuto.
Sorrise “Eccolo, lo spirito giusto! Vogliamo vedere i gatti che ballano? E così sarà. Stasera tutti a teatro”
Eleonore strabuzzò gli occhi, svegliandosi completamente. Sorrise mostrandoci i suoi piccoli denti ma il tutto durò pochi secondi. Il tempo di ricordarsi del nostro piccolo segreto e si rabbuiò.
“Che c’è adesso?!” chiese Edward con un filo d’irritazione nella voce.
Che c’è, cosa?” domandai.
“Che c’è, quello!” rispose indicando il muso lungo di sua figlia.
La guardai velocemente e poi mi voltai verso di lui e scossi le spalle “Non sono neanche le sette e mezza, Edward. È semplicemente stanca” mormorai alzandomi. Poggiai la mia tazza nel lavandino, pregando che non facesse altre domande.
“Ho capito, è meglio che vada a vestirmi” mormorò un attimo prima di sparire dalla cucina.
Poggiai entrambe le mani sull’isola della cucina e sospirai. Cristo, non gli si poteva nascondere proprio niente!

“Non ci andiamo a vedere Cats, stasera. Vero?”
Mi voltai ed Eleonore abbassò lo sguardo, dondolandosi su quella sedia troppo alta per lei. Guardai la porta, per accertarmi che Edward fosse realmente al piano di sopra e poi corsi da lei. Mi inginocchiai, per avere la possibilità di guardarla negli occhi.
“Hey, non ne avevamo già parlato, io e te?” sussurrai ma lei non si mosse “Non possiamo andarci, perché dobbiamo fargli una sorpresa. Ricordi?”
Annuì debolmente per poi guardarmi “Ma lui vuole andare a vedere Cats!” sussurrò a sua volta, imitandomi.
Annuii, portandole alcune ciocche di capelli dietro le orecchie “Ma lui non sa niente della bellissima festa che gli abbiamo organizzato. Vedrai, ci divertiremo e sabato andiamo allo spettacolo” proposi e lei sorrise, abbracciandomi.
La sollevai senza sforzo, era ancora abbastanza leggera “Adesso andiamo a vestirci o finiremo per fare tardi”


 

**** *** ****

 
“Perché ogni mattina sembra che sia passato un tornado in questa stanza?”
Edward uscì dalla sua cabina armadio e guardò il suo orologio da polso “Se non esco da questa casa adesso, non esco più. Sono in ritardo per la riunione, cazzo” mormorò velocemente.
Era perfetto, come ogni mattina. Indossava sempre un completo scuro, dal taglio classico e i capelli completamente ordinati. Odiavo il non poter più affondare le dita fra i suoi capelli e sentirne la consistenza.
Guardai il disordine intorno a noi ma non potei che seguirlo e rimandare tutto al pomeriggio.
“Se tu non ti limitassi a fare tutto all’ultimo, la nostra stanza sarebbe uno specchio”
“Si, lo so. Hai ragione …” rispose distratto dal suono del suo cellulare. Ritornammo al piano di sotto, pronti ad uscire.
Recuperai la borsa e lo zainetto di Eleonore, che se ne stava completamente spaparanzata a guardare la tv in soggiorno. Dall’ingresso riuscivamo a sentire la sua risata divertita da chi sa quale cartone animato. Edward alzò gli occhi al cielo e corse a prenderla “Hey coniglietto, dobbiamo andare”
Improvvisamente i rumori cessarono e dopo qualche secondo entrambi apparvero, pronti ad andare.
Elly aveva il suo solito broncio, quello che metteva su ogni mattina quando dovevamo uscire e lei non aveva finito di guardare i cartoni animati. Le accarezzai i capelli, spingendola leggermente verso l’esterno. Edward chiamò l’ascensore, senza distogliere lo sguardo dal suo cellulare. Aveva lo sguardo profondamente concentrato, forse leggeva un email.

Le porte si aprirono e l’ascensore ci portò, giù dove c’erano i garages. Per tutta la discesa ai piani sotterranei Eleonore tenne il viso in alto, intenta a fissare suo padre.
Dio, dalla sua altezza Edward dove sembrarle un gigante.
“Perché mi guardi?” le domandò senza distogliere la sua attenzione da quello che stava facendo.
lei mi guardò per un attimo, prima di riportare lo sguardo su di lui “Quanti anni hai, adesso?” chiese scettica, facendoci sorridere.
Edward, ripose il telefono nella tasca interna della sua giacca e la prese in braccio “Beh, oggi compio ventinove anni” mormorò e lei lo guardò, quasi strabiliata “Non fare quella faccia, non sono poi così tanti” aggiunse.

Guardai la scena divertita fino a quando le porte dell’ascensore si aprirono. Mi diressi velocemente verso la Volvo, lasciandoli chiacchierare per conto loro. Ogni mattina faticavo a ricordare quale fosse il nostro posto auto, lì sotto. Le macchine erano tantissime e finivo sempre per perdermi.
“Mamma è di la!”
Ecco, appunto.
Tornai sui miei passi, dirigendomi dove mi aveva indicato mia figlia di appena quattro anni. Evitai i loro sguardi complici e divertiti e aprii la macchina.
“Saluta papà e andiamo” mormorai avvicinandomi a loro. Eleonore avvolse le sue braccia intorno ad Edward e lo strinse forte, un attimo prima di scoccargli un sonoro bacio sulla guancia.
“Ci vediamo questa sera, coniglietto” mormorò Edward e lei gli sorrise annuendo.
“Non fare tardi!” gli ricordò, come faceva ogni mattina. Ormai mi toglieva le parole di bocca.
“Oh, ma certo. Dobbiamo andare a vedere Cats, non posso fare tardi” rispose, lasciandola andare e lei corse verso la macchina.
“Ciao amore della mia vita” sussurrò poi e per una frazione di secondo, pensai che si stesse riferendo a me.
Sbuffai “È mai possibile che tu debba fare questa scenetta ogni volta che guardi la tua stupida auto” mi lamentai ma lui non mi sentì. Troppo preso dalla sua Aston Martin One 77.

Era carina ma non il mio genere di automobile. Troppo appariscente per i miei gusti, facevo di tutto per evitare anche solo di salirci. Lui l’amava, nel vero senso della parola, quasi quanto amava sua figlia.
Quando l’aveva comprata, l’anno prima, il suo ego è cresciuto a dismisura. Tutti lo invidiavano per possedere un’auto di serie limitata come quella. Alice era tornata da Parigi solo per farci un giro. Quando la mia macchina aveva esalato l’ultimo respiro, non avevamo potuto fare niente. Era morta, andata nel paradiso delle macchine ed io non volevo che lui me ne comprasse una nuova. Volevo farlo da sola ma era impossibile con il mio stipendio. Ci avrei messo degli anni, allora lui mi aveva dato la sua e si era messo in testa di comprarne un’altra per lui. Eppure quella davanti a noi non era una semplice auto nera. Era qualcosa di mostruoso che andava da zero a cento nel giro di niente. Odiavo saperlo in giro con quella cosa!
“Amo anche te, non essere gelosa”
Sobbalzai, distogliendo gli occhi dalla macchina. Edward era al mio fianco, con il sorriso più seducente che potesse rivolgermi.
Alzai gli occhi al cielo “Guida piano, per favore …” sussurrai e lui mi attirò a se, impedendomi di aggiungere altro. Prese il mio viso fra le mani e mi baciò dolcemente. Fu un bacio veloce ma carico di tutti i sentimenti più dolci che provava per me.
“Indossa qualcosa di sexy stasera” mormorò a un millimetro dalle mie labbra ed io annuii senza neanche rendermene conto. Sorrise ancora e strinse un mio fianco “A stasera, signora Cullen” fece per allontanarsi ma io lo bloccai, baciandolo nuovamente. Dio, era perfetto.
“Bastaaaaa!”
Entrambi sussultammo, dalle grida di Eleonore. La guardammo e ridemmo per le smorfie schifate che ci stava rivolgendo. Edward si abbassò, e le lanciò un bacio attraverso il finestrino.
“Ciao, coniglietto. Ti voglio bene, lo sai vero?”
Eleonore annuì con vigore “Lo so ma adesso devo andare a scuola!” rispose irritata e noi ridemmo ancora. Sapeva essere molto impaziente e in quello forse, somigliava anche un po’ a me.
“Ok, ha ragione. Ci vediamo stasera” disse e salì nella sua amatissima auto.
Feci lo stesso e sistemai meglio la bambina sul suo seggiolone. Sentii l’auto di Edward mettersi in moto e dopo qualche secondo, sfrecciare a tutta velocità verso l’uscita. Vi ho già detto che odiavo quella macchina?
Si fermò ad un passo dall’uscita e come suo solito, sporse una mano fuori dal finestrino e ci salutò per la miliardesima volta. Lo faceva sempre e poi senza aspettare una risposta, se ne andava.
Sospirai passandomi una mano fra i capelli. Indossai la cintura di sicurezza e misi in moto.
“Allora, non stiamo dimenticando niente? posiamo andare?” domandai quasi a me stessa.
Eleonore annuì comunque “Si, però domani voglio andare in macchina con papà. Questa è brutta!”


 

**** ** ****


“No, no, aspettate. Che vuol dire che non potete più venire?” bisbigliai e Sarah, l’addetta alle fotocopiatrici, mi fissò, incuriosita.
Tenni il cellulare in equilibrio, tra la spalla e l’orecchio e le diedi i fascicoli da duplicare.
“Quattro copie di questi, per favore” mormorai e lei annuì, annoiata.
Mi guardai intorno, sperando che lei fosse l’unica ad avermi notata al telefono. Sospirai e mi allontanai dalla porta, per non essere vista.
“Oscar, che vuol dire che non potete venire?” chiesi ancora.
Dall’altra parte, un sussurro “Abbiamo avuto l’ordine di occuparci della festa del senatore e per questo tutti i nostri impegni sono stati cancellati”
“Non poi farlo! Ci eravamo accordati per le sei e adesso mi dici che non potete più venire?”
Sentii l’ansia crescere. Se avessi saputo che l’organizzare una festa portasse via tutte queste energie, non l’avrei mai fatto. O forse si, l’avrei fatto lo stesso. Cavolo, volevo solo riuscire a fargli una sorpresa almeno una volta.
“Mi dispiace, Isabella ma davvero, non possiamo. Il senatore …”
Sbuffai “Si, si, il senatore ha bisogno di voi. Ho capito” mormorai e riattaccai.
Vaffanculo.

Poggiai la testa contro la parete, senza forze. Josh, il giornalista specializzato nella cronaca sportiva, entrò e mi rivolse un’occhiata preoccupata.
“Qual è il suo problema?” sussurrò a Sarah e lei alzò le spalle, mettendo in ordine la pila di fogli che aveva fra le mani.
“Credo che il catering che aveva assunto per la festa a sorpresa, le abbia dato buca” rispose.
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sentii il bisogno di levarmi le scarpe e mettermi a riflettere sul da farsi. Avevo bisogno di trovare un catering o sarebbe stato un disastro.
“Che festa stai organizzando?”
Alzai lo sguardo. Josh era un impiccione e adesso non era il momento giusto per mettersi a chiacchierare. Mi guardò, trepidante “Allora?”
Mi avvicinai, recuperando i fascicoli fotocopiati da Sarah. Li raggruppai “Oggi è il compleanno di Edward e gli stavo organizzando una festa ma adesso non ho più un catering, perché il senatore ha deciso di rovinarmi la vita”
Mi rivolse un’occhiata disorientata “Perché un senatore vorrebbe rovinarti la vita?”
Scossi la testa “Niente, lascia perdere. Devo tornare da Aro, tra dieci minuti ha una riunione con il consiglio”
“Ma tu gli hai detto chi sei?”
Josh mi fermò, ancora, bloccandomi il passaggio. Feci un passo indietro “Cosa?”
Mi guardò divertito, come se avesse trovato la risposta a tutte le mie domande “Loro sanno chi è tuo marito?” chiese paziente.
Alzai un sopracciglio “E questo che cosa centra?”
Cominciò a scuotere la testa e portò entrambe le mani sulle mie spalle “Oh, Isabella. Il Volterra è lo studio legale più influente di questa città. Non offenderti ma nessuno conosce Isabella Swan. Se dicessi che la festa è per l’avvocato Edward Cullen, abbandonerebbero quell’imbroglione del senatore Williams e correrebbero da te”

Feci una smorfia. Conoscevo la fama che aveva lo studio di Edward ma non credevo che fosse una persona così influente in città “Non credo che servirebbe a qualcosa …”
“Dio, sei così ingenua certe volte. Tutta la città conosce tuo marito e tu non te ne sei neanche resa conto. Sbaglio o il mese scorso ha tenuto una lezione di diritto alla Columbia?”
Annuii  “Si ma è stato un suo vecchio professore a chiederglielo”
“Allora perché il mio vecchio professore non mi ha chiesto di fare lo stesso?”
Alzai le spalle “E io che ne so. Perché …”
Sarah si intromise, esausta “Perché lui non è Edward e neanche tu lo sei. Richiama il catering, digli che è per lui e un modo per esserci lo troveranno”
Guardai quelli che erano miei amici da più di un anno e un moto di speranza mi sommerse. Guardai il cellulare che avevo tra le mani e poi loro, ancora. Edward era davvero così influente?


 

**** *** ****


“Dove lo mettiamo questo, signora Cullen?”
Distolsi la mia attenzione dai capelli di Eleonore e mi voltai verso la porta della sua stanza.
“Arrivo!” urlai “Non muoverti, tesoro. Torno subito” le dissi e lei annuì allegra, continuando a mangiare il suo lecca – lecca gigante.
Andai al piano di sotto e Oscar mi si parò davanti, spaventandomi.
Sorrise a trentadue denti ed io ricambiai. Si, Edward era davvero molto influente.
“Il pianoforte” mormorò indicandolo “Vuole che lo spostiamo in terrazza? Farebbe un bell’effetto se lo posizionassimo nell’angolo …”
Agitai una mano, zittendolo “No, lasciamolo lì dov’è. Non credo che qualcuno lo suonerà stasera”
Quando Esme aveva saputo del nostro trasferimento in questa casa, aveva subito deciso di mandarci il pianoforte di Edward. Era magnifico, di un nero lucidissimo e splendente ma lui lo odiava.
Non aveva fatto storie nel prenderlo. Aveva ringraziato sua madre ma non l’aveva mai suonato.
Ricordavo la storia intorno a quello strumento. Edward l’aveva distrutto, durante un momento di rabbia ma a differenza di quanto credeva, Esme non l’aveva per nulla buttato. C’erano voluti anni per rimetterlo in sesto e adesso, vedendolo, sembrava appena uscito da un negozio di musica.
“Va bene, allora venga a vedere quello che abbiamo fatto” aggiunse ed io lo seguii, fino alla terrazza di casa. Le ampie vetrate mi permisero di vedere già tutto, prima di arrivare all’esterno e il mio cuore perse più di un battito.

La terrazza era decorata alla perfezione. Sembrava l’esterno di un locale di lusso. Dai divani bianchi, i tavolini di vimini, dalle lucine intorno alla ringhiera, i fiori, i tavoli del buffet, il bar.
“Oscar, siete stati magnifici. Vi amo tutti” mormorai e lui ridacchiò.
“Sa, avere una terrazza così spaziosa e con questa vista ci ha reso il lavoro facile”
“Grazie” dissi abbracciandolo e lui sussultò, visibilmente in imbarazzo.
“È il nostro lavoro … ” rispose ed entrambi ci voltammo, al suono del campanello.
Lo lasciai al suo lavoro e andai ad aprire. Il campanello suonò ancora, anzi non smise neanche per un attimo. Spalancai la porta. “Perché ci metti sempre così tanto per aprire?”
Un urlo uscì dalle mie labbra e Alice fece lo stesso, prima di buttarmi le braccia al collo.
“Cazzo, mi sei mancata tantissimo” mormorai e lei sciolse l’abbraccio, lasciandosi ammirare.

Non la vedevo da quasi un anno e per noi era troppo. Da quando si era trasferita a Parigi per il suo stage presso una casa di moda, l’avevamo vista pochissimo e adesso era diversissima.
Molto più snella di quanto la ricordassi, i capelli più lunghi e anche più chiari. Somigliava più a Edward adesso. “Sei bellissima” sussurrai e lei mi abbracciò ancora.
“Andiamo, ragazze. Non potete abbracciarvi dentro e non sul pianerottolo?”
Jasper tentò di spingerci in soggiorno e lei alzò gli occhi al cielo. Era facile per lui parlare, andava a Parigi ogni due settimane. Io invece non la vedevo da troppo e nemmeno Edward. Odiava ammetterlo ma gli mancava.

Entrammo in casa e lei mi porse un pacco di legno. “Che cos’è questo?” chiesi.
“È per mio fratello. Château Lafite Rothschild 1956, è un vino buonissimo. Sarà il regalo migliore che riceverà stasera, quando l’assaggerà avrà un orgasmo”
Feci una smorfia, allibita “Alice, per favore …”
“Zia Aliceeeee”
Eleonore scese gli ultimi gradini di corsa e in un attimo saltò su di lei, lasciandosi andare in un abbraccio emozionato. Alice la fece roteare e poi la dispose per terra. Le accarezzò i capelli, esaminandola minuziosamente “Lasciati guardare, amore” mormorò e poi guardò Jasper.
“Dio, l’hai vista?” domandò e per un attimo sperai che non si mettesse a piangere.
“Sei uno splendore e i capelli non ti stanno poi così male” sussurrò.
“AH! Ti stai rimangiando tutti le cattiverie che mi hai detto?” urlai e lei alzò gli occhi al cielo.
“Aveva dei capelli così lunghi prima e quando l’ho vista con il caschetto sono impazzita. Skype non le rendeva giustizia e lo ammetto, questo taglio le sta un incanto. Sei bellissima, ranocchietto”
Eleonore fece una smorfia “Io non sono un ranocchio” affermò convinta.
“Non è così che la chiama Edward?” chiese Alice voltandosi verso di me.
Mi coprii il viso con una mano. Quando Elly aveva cominciato a crescere i primi denti che le erano spuntati, erano stati i due incisivi centrali e per questo lui aveva cominciato a chiamarla coniglietto e non aveva mai smesso. Ridacchiai “No, la chiama coniglietto”
“Scusami tanto, non volevo offenderti” si giustificò.
Alcuni camerieri uscirono dalla cucina e Jasper li guardò raggiungere la terrazza.
Sorrise “Sei sicura che Edward non sospetti niente?”
Sospirai “Spero di no e per questo che ho deciso di organizzargli una festa quest’anno. Se avesse compiuto trent’anni avrebbe avuto qualche sospetto …”
“Andrà fuori di testa, lui odia  questo genere di attenzioni”
Grazie tante Jasper. Vaffanculo!
 

**** *** ****

“Hanno appena consegnato la torta”
Alice entrò nella mia stanza e mi sorrise, sorpresa “Wow. Dov’è l’Isabella Swan che odiava mettersi le gonne e i tacchi alti?”
Mi guardai allo specchio “È ancora qui da qualche parte, te lo assicuro”
Avevo indossato un abitino nero, corto e con un bellissimo scollo a cuore. Era un regalo di Edward, che non avevo mai avuto il coraggio di indossare ma oggi era il suo compleanno e sperai di farlo felice.
“Sei uno schianto, a mio fratello verrà un attacco di cuore”
Mi voltai per esaminare il retro del vestito ed Eleonore entrò, saltellando. La guardai attraverso lo specchio “Che cos’hai addosso?” domandai e lei fece un giro su se stessa mostrandomi il suo nuovo vestito blu.
“Alice …” mi lamentai e lei scrollò le spalle.
“Che c’è, le ho soltanto comprato qualche vestito nuovo. Sono sua zia”
“Non ti piace, mamma?” Eleonore mi guardò titubante ed io scossi la testa.
“Si, amore sei bellissima come sempre” mormorai e lei mi sorrise prima di correre via.
Facemmo lo stesso e una volta raggiunto il soggiorno potei notare la miriade di gente che era arrivata. Guardai l’orologio: 7:45 pm
Edward sarebbe arrivato nel giro di qualche minuto. Salutai un po’ di gente e poi mi diressi in cucina per controllare le ultime cose. La torta era davvero carina e semplice. Alcuni cuochi la stavano sistemando. “Vuole che cominciamo a mettere le candeline?” domandò uno di loro.
Ci pensai su qualche secondo “D’accordo. Devono essere ventinove, per favore non sbagliate”
Mi sfregai le mani, compiaciuta del mio lavoro. Stava andando tutto secondo i piani.
 
“Bella, Edward è arrivato”
Mi voltai di scatto e Jasper mi lanciò uno sguardo quasi spaventato “Qui fuori c’è il portiere e ha detto che lui è arrivato” aggiunse ed io mi precipitai alla porta.
“Signora Cullen, so che gli state organizzando una festa allora ho pensato di avvisarla” Ted, il nostro portiere, parlò con affanno come se avesse fatto i venti piani a piedi.
Scossi la testa “No, la torta non è ancora pronta” mormorai e l’ansia cominciò a distruggere tutti i miei sogni su quella fasta “Bloccalo. Inventati qualcosa, guadagna qualche minuto”
Alzò un sopracciglio “Che cosa vuole che gli dica?!”
Sospirai e mi voltai verso di Jasper “Occupatevi della torta io vado a guadagnare qualche minuto” mormorai e lui annuì sparendo in cucina.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi precipitai in ascensore. Edward era sempre stato un ritardatario, perché aveva scelto proprio oggi per arrivare in anticipo?

Cominciai a pensare a una scusa per trattenerlo un po’ ma le porte dell’ascensore si aprirono e me lo ritrovai davanti, in tutta la sua bellezza.
“Ciao piccola” mormorò sorpreso e poi mi guardò dalla testa ai piedi “Cristo, vuoi che muoia il giorno del mio compleanno?”
La classica lampadina luminosa si accese proprio sopra la mia testa. Un modo per trattenerlo forse lo conoscevo. Uscii a passi veloci dall’ascensore e mi fiondai sulle sue labbra. Edward rimase sorpreso ma poi si lasciò andare e mi sbatté contro il muro. Mi baciò ancora con forza ed io lo attirai a me, il più possibile. Mi accarezzò il viso ma improvvisamente si staccò da me e mi guardò preoccupato.
“Dov’è Eleonore?”
Strabuzzai gli occhi. Come avevo fatto a non pensarci?
“È con Jasper a prendere un gelato” mentii e quella fu la bugia più assurda che potessi inventarmi.
“Jasper?”
Annuii “Era venuto a farti gli auguri ma tu non c’eri e allora hanno deciso di andare a prendere un gelato”
Edward guardò il suo orologio “Ma ho prenotato un tavolo per le otto, così non avrà più fame. Da quando lasci che Eleonore mangi quello che vuole, quando vuole?”
“Non sono andati lontano, sono sicura che tra due minuti ritornano”
Richiamò l’ascensore ed io non seppi più cosa inventarmi. Entrammo al suo interno e lui cominciò a fissarmi, irritato. Distolsi lo sguardo e pregai che tutto fosse pronto. Mi morsi il labbro inferiore, completamente in ansia e lui mi afferrò per un braccio, avvicinandomi a se.
“Questo vestito sembra essere stato fatto appositamente per il tuo corpo, sei un sogno” mormorò e passammo gli ultimi secondi nuovamente incollati, poi le porte si aprirono e ci ritrovammo davanti alla nostra porta.
Estrasse le sue chiavi dall’interno della sua valigetta e fece per aprire ma poi ritrasse la mano e mi guardò. Assottigliò lo sguardo e dopo qualche secondo, si voltò completamente verso di me “In quanti sono?” domandò.
“Di che parli?” chiesi agitata e lui sorrise, complice.
Indicò la porta “Andiamo, hai capito. Quante persone hai invitato?”
Ringhiai e lo colpii il più forte possibile con un pugno sul braccio “Come l’hai scoperto?”
Alzò le spalle e si passò una mano fra i capelli “Non lo so, forse perché eri pronta a fare sesso con me in garage fino a cinque minuti fa e poi tu che lasci che Elly mangi un gelato alle otto di sera …”
Alzai gli occhi al cielo “Fingiti sorpreso” sussurrai.
“È stato un pensiero carino, grazie” aggiunse ed io sorrisi, baciandogli una guancia.
Edward aprì la porta e trovammo le luci del soggiorno completamente abbassate. Le vetrate che davano alla terrazza erano spalancate e appena voltammo l’angolo tutti cominciarono a cantare la classica canzoncina.
Era tutto come programmato e la torta non le candeline accese era al centro, circondata da tutti gli invitati. Edward si fermò e guardò tutti con stupore “Credevo avessi invitato i miei genitori, non tutte le persone che conosco” sussurrò.

Scossi la testa, lo presi per mano e lo trascinai vicino alla torta.
Eleonore ci venne incontro e lui l’afferrò subito. “Buon compleanno, papà” sussurrò.
“Grazie, coniglietto. Sei bellissima stasera, lo sai?” chiese e le baciò una guancia.
Annuì “Devi soffiare sulle candeline, però” disse indicando la torta e lui fece come richiesto.
Si mise dietro di essa e cominciò a guardarsi attorno “Porca miseria, non mi aspettavo di avere così tanti amici” sussurrò e tutti risero “Grazie, comunque è stato un bel pensiero”.
Mi prese per mano e mi avvicinò a se “Mi raccomando, non ti scordare di esprimere un desiderio” sussurrai e lui chiuse gli occhi.
Che tutto rimanga sempre, così. La mia vita è perfetta, non mi serve niente” sussurrò e con l’aiuto di Eleonore si abbassò e spense tutte le candeline.













Wow … non so da dove cominciare.
Allora, non avrei mai pensato di poter cominciare una fan fiction. Ho sempre amato leggerne e quando ho postato il primo capitolo ho subito pensato : 
“Dio, che ho fatto?!”
“Perché cominciare una cosa che non finirò mai!”
“Dove lo prendo il tempo!?”
“Non la so neanche scrivere una FF”
E tantissime altre cose poco carine che adesso neanche ricordo. Perché, cavolo, sono passati quasi due anni! Il primo capitolo l’ho postato il 20 novembre del lontano 2010 °-°
Ho amato questa storia dal primo momento, eppure molti capitoli mi hanno portata all’esaurimento più totale. Vi assicuro che tante volte ho pensato di cancellarla e di smetterla di scrivere, poi dopo tre minuti pensavo a tutte voi che mi seguivate e mi davo della scema! xD
Questi Edward&Bella così complicati e contorti continuavano a scriversi da soli e non volevano saperne di mettere in ordine le loro vite.
Ma! Li ho adorati e li adoro in ogni sfaccettatura. Bella per essere così forte senza neanche rendersene conto e poi lui, il mio Edward. Mi mancherà un casino, con la sua impulsività e il suo caratteraccio che non sono altro che una maschera di fragilità e insicurezza.
Come avete notato (o forse no) ho deciso di non parlare più di Charlie. Inizialmente ho pensato di fargli fare pace con Edward ma l’immagine di loro che si tengono per mano e vanno verso un arcobaleno, non mi convince. Quindi ho lasciato perdere, perché nella vita comune non tutto sempre si sistema e loro sono felici anche senza il suo appoggio quindi u.u
Sono così imperfetti singolarmente ma insieme sono completi e indistruttibili. *-* E mi mancherà scrivere di loro, ne sono sicura. Mi è venuto un groppo in gola quando dopo 39 capitoli, ho dovuto premere sul tasto completa. T.T
Ok, adesso basta, altrimenti cado in una depressione post – fan fiction (?)
Un GRAZIE di cuore a tutte le persone che mi hanno seguita. Senza di voi non sarei mai arrivata fino a qui  :’)
GRAZIE per gli incoraggiamenti, i consigli e per ogni singola recensione.
GRAZIE a chi mi ha aggiunta tra i preferiti\le seguite\ quelle da ricordare.
GRAZIE a chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti.
GRAZIE infinite a Vanderbilt e Celly Chelly. Dio, senza voi due questa storia non sarebbe mai finita! <3
GRAZIE a Fede13 che ha chiesto all’amministrazione d’inserire la storia fra le scelte. Quella mattina avevo gli occhi fuori dalle orbite! xD
Vorrei nominarvi tutte, davvero, GRAZIE. Ogni capitolo e dedicato a voi e all’interesse che avete dimostrato per questa “storia”.
Vi abbraccio forte e spero che l’epilogo non vi abbia deluse.
Adesso sento una specie di vuoto, simile a quello provato dopo la maturità.
Ahahah, cavolo devo smettere di scrivere o questi saluti diventeranno più lunghi dell’epilogo.
Ok, basta. Vi adoro e … una cosa che ancora non vi ho detto:  GRAZIE.


 

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