Bene,
la storia è conclusa! Spero vi sia piaciuta questa commedia
romantica senza pretese, se non quella di divertirvi un po' offrendovi
una panoramica su una tipica e al contempo stravagante famiglia
piemontese.
Ringrazio tutti i lettori, sia
quelli anonimi, sia chi ha inserito la storia tra le preferite o le
seguite, e i recensitori!
***
PARTE
2
La
notte di Natale l’avevano trascorso sotto al piumone, le
gambe intrecciate, la
schiena di Vera contro il ventre di Amaryllis, le loro mani
aggrovigliate.
Durante la cena della Vigilia, i signori Baudino si erano comportati
con
naturalezza, come se nulla fosse successo, nonostante Vera intuisse una
certa
rigidità nei movimenti del padre. Come quando si fece
scivolare di mano l’aceto
invocando una lunga serie di santi e beati che turbò
ulteriormente la ormai fragile
psiche di Amaryllis.
La
mattina del venticinque si era risolta in uno strappare vivace di
pacchetti,
scambiandosi gli auguri in modo pacifico e nel pieno spirito natalizio.
Vera
aveva ricevuto dai suoi genitori una borsa di stoffa rossa e gialla e
un
elegante orologio, dai suoi fratelli una nuova tavolozza per i suoi
colori. I
signori Baudino avevano persino comprato qualcosa per Amaryllis:
nell’indecisione, dato che volevano farle una sorpresa, si
erano affidati
puramente al loro intuito e si erano recati alla Feltrinelli dove
avevano
acquistato un libro di fiabe e favole tradizionali italiane.
-
Grazie tanto – aveva
balbettato
Amaryllis, arrossendo. Lei gli aveva portato solamente del cibo, in
particolare
wurstel: Vera le aveva confidato che i suoi ne andavano matti,
così ne aveva
comprati di diversi tipi.
Gabriele
aveva trascorso la mattina attaccato alla sua play station a provare il
nuovo
videogioco ricevuto, mentre Sara si pavoneggiava con
un’elegante collana.
Si
erano dunque vestiti e agghindati per il tradizionale pranzo in
famiglia, che
si svolgeva ritualmente a casa dello zio Piero, fratello del padre di
Vera.
Vera
aveva indossato un semplice paio di jeans chiari, una cintura di cuoio
a
stringerli in vita, e un maglioncino prugna; i capelli sciolti sulle
spalle,
sistemati senza particolare cura. Mentre Vera seduta sul cassettone si
specchiava nell’ovale riflettente sovrastante, Amaryllis si
allacciava le
polacchine blu scuro. A lavoro terminato, si era alzata in piedi ed era
strisciata alle spalle della compagna, per poi afferrarla bruscamente,
ridendo,
e scaraventarla sul letto. Vera era scoppiata a ridere, ma il riso si
era
trasformato in gemito quando Amaryllis si era distesa sopra di lei e le
aveva
baciato con trasporto le labbra, per poi affondare un altro intenso
bacio sotto
il suo ombelico.
-
Mya, datti un contegno – le aveva poi bisbigliato,
sistemandole la morbida
maglietta color vinaccia, stropicciatasi all’altezza dei
fianchi.
Si
erano dunque divisi in due macchine, perché
l’utilitaria del signor Baudino non
avrebbe potuto contenere sei persone. Vera si era messa quindi al
volante
dell’altra automobile, una Panda bordeaux degli anni novanta,
seguita da
Amaryllis e da una riottosa Sara.
La
casa dello zio Piero era poco fuori Torino, a Moncalieri: una piccola
villetta
con un modesto giardino, ma abbastanza grande per ospitare la famiglia
al completo
il giorno di Natale. Dato che sua moglie Renata era figlia unica, erano
soliti
invitare anche i fratelli della signora Baudino per vivacizzare
l’atmosfera.
-
Quanta gente ci sarà? – domandò
Amaryllis, già nervosa.
-
Prendi fiato un attimo! Ci saranno solamente il fratello di mio padre,
con mia
zia e i loro tre figli, poi i miei nonni paterni, la sorella di mia
madre, una
zitella acida che non te ne fai un’idea, il fratello di mia
madre, sua moglie e
i loro due figli. E la nonna materna, si capisce –
elencò Vera sorridendo.
-
Potreste degnarvi di includermi nella conversazione? –
s’intromise Sara dal
sedile posteriore, sbuffando come un mantice.
-
Scusa Sà, le stavo solo dicendo chi verrà al
pranzo. Non ho voglia di fare la
traduttrice tutto il tempo, se parlo inglese capisci? –
domandò alla sorella,
che rispose affermativamente.
- So, are you still
nervous? –
domandò Vera, posando una mano
sulla gamba di Amaryllis.
-
Now, I feel
worst than before! Why didn’t you tell me that
there’s going to be all those
people?
– si indignò
Amaryllis, incrociando
le braccia.
-
Oh, come on! I’ve
just forgotten it: trust me, I didn’t mean to lie, especially
to you…
-
disse Vera, mentre il suo tono di voce si modulava su toni differenti
man mano
che procedeva nella frase, terminando con uno stucchevole miagolio.
-
Shut up
– sussurrò Amaryllis, posandole un bacio su una
guancia, incurante o forse
addirittura dimentica della presenza di Sara.
Quando
riuscirono a raggiungere la porta d’ingresso, lo zio si
presentò sulla soglia
con un gran sorriso allegro e le guance arrossate. Probabilmente aveva
già
buttato giù un paio di bicchieri.
Piero
Baudino aveva quattro anni in meno del padre di Vera e molti capelli in
più.
Indossava un paio di pantaloni di velluto a coste color panna e un una
camicia
azzurra.
-
Ben arrivati! Buon Natale! – esclamò sorridendo e
ammiccando in direzione della
signora Baudino. Sì, aveva decisamente bevuto.
-
Prego, prego, entrate. Mia moglie è in cucina e i nonni sono
di là con lei –
spiegò Piero Baudino, aiutandoli con i giubbotti e
portandoli nella stanza da
letto, dove li accatastò sul letto matrimoniale.
-
Giampaolo, Mariangela! – esclamò Renata Delle Noci
andando salutarli con pacata
cortesia e un sorriso di plastica.
Amaryllis
si avvicinò automaticamente a Vera, stringendole un braccio
con tanta forza da
farla sobbalzare.
-
Ah, vedo che hai compagnia! Non ci presenti la tua amica? –
domandò cordiale la
zia e Vera annuì, voltandosi a guardare la compagna, il cui
volto era più rosso
dei capelli.
-
Certo, lei è Amaryllis, ma potete chiamarla Mya. Mya, sie ist tante Renata und er ist onkle Piero
- spiegò Vera e i suoi zii strinsero la mano a quella
ragazza, che gli avevano
anticipato essere la coinquilina tedesca della nipote.
-
Giò, venite giù! – urlò la
zia Renata, rivolta verso il piano superiore, mentre
Vera, Sara e Gabriele andavano ad abbracciare i nonni paterni, Luciano
Baudino
e Teresa Casetta.
-
Le mie bele matotine!
– esclamò la nonna, abbracciandoli tutti e tre
contemporaneamente, cosa che le
risultò abbastanza ostica. Ma nulla può frapporsi
fra una nonna iperprotettiva
e i suoi adorati nipotini.
Vera
provvide a presentare Amaryllis anche ai suoi nonni, che la salutarono
con una
morbida stretta di mano e un buffetto sulla guancia.
Finalmente
si affacciarono nella sala da pranzo i tre figli di Piero e Renata.
-
Lui è Giovanni – Vera indicò ad
Amaryllis un ragazzo sulla ventina con corti
capelli scuri e un paio di occhiali senza montatura – Lei
è Cecilia –
procedette la ragazza, indicando una diciassettenne dai lunghi capelli
castano
chiaro, che scivolano con eleganza sulla maglietta nera – E
lei è Elisa – una
bionda bimbetta sorrise, agitando una mano in segno di saluto.
-
Ragazzi, lei è la mia coinquilina tedesca, Amaryllis
– ricambiò le
presentazioni, poi salutò i cugini con un abbraccio.
La
stanza pareva essersi improvvisamente ristretta a causa del numero di
persone
che la occupava dunque Piero Baudino si premurò di far
accomodare a tavola i
presenti, nonostante il pranzo non potesse essere ancora servito a
causa della
mancanza dei parenti di Mariangela Rosso.
-
Dovrebbero arrivare a momenti – disse la signora Baudino,
osservando l’orologio
con aria di scusa.
-
Tranquilla, non abbiamo fretta – sorrise leziosa Renata,
nonostante i suoi
occhi dicessero esattamente il contrario.
Vera
si sedette fra Giovanni ed Amaryllis, la quale si trovava di fronte a
Sara, che
stava già puntando uno sguardo ostile contro la cugina
Cecilia a capotavola.
Non si erano mai sopportate: fin da piccole avevano sempre mostrato
un’indole
differente, addirittura opposta, entrambe dal carattere forte e
dominante,
tendevano a imporsi senza successo l’una
sull’altra, finché desistettero e
iniziarono ad odiarsi in maniera più subdola e meno
violenta.
-
Hai intenzione di dirlo anche a loro? – domandò
Amaryllis a Vera, sottovoce.
Nonostante non stesse parlando italiano, il terrore che potessero
capire il
tedesco non la abbandonava.
-
Sì, certo. Voglio essere onesta, solo così mi
sentirò meglio –
-
Se tutto ciò ti renderà felice, allora ben venga:
sono disposta a sopportare
per amor tuo, Vera –
La
ragazza italiana le sorrise con dolcezza, posandole la testa su una
spalla e
una mano sulla coscia.
Il
signor Baudino si schiarì la gola con eloquenza, per poi
portarsi alle labbra
un bicchiere colmo d’acqua frizzante. Dopo la rivelazione
della figlia si era
sentito prima arrabbiato, poi in colpa, infine sbalordito. Non riusciva
a
capacitarsi che la sua piccolina si accoppiasse
con quella pertica crucca! Era assurdo! La signora Baudino, invece, era
rimasta
inerme dopo l’iniziale sconforto: il vino non
l’aveva aiutata, anzi, aveva
alimentato le sue fantasie sul rapporto di sua figlia e quella
sconosciuta. Con
quale diritto aveva messo le mani addosso (e dentro) la sua bambina?
Solo a
pensarci le si chiudeva lo stomaco. Eppure Vera sembrava felice.
Sara
e Cecilia si fissavano in cagnesco, la prima disgustata dal collare di
borchie
dell’altra, la seconda stomacata dalla striminzita maglietta
magenta di marca
di sua cugina, come tutto ciò che la secondogenita Baudino
possedeva. Ma Sara
non pensava solamente a quella sciattona metallara di Cecilia: la
maggior parte
dei suoi pensieri andava alla sorella. Sperava che avesse il buongusto
di
chiudere la bocca e tenersi per sé il fatto che si scopasse
una donna da tre
anni circa. Cosa ne sarebbe stato della sua reputazione nel branco?
Loro non
tolleravano i finocchi: aveva impresso a fuoco nella mente il modo in
cui
trattavano Mirko ogni volta che lo incrociavano a scuola. Non voleva
essere
emarginata per colpa della sorella.
Gabriele,
dal canto suo, fingeva di ascoltare la piccola Elisa, molto impegnata
ad
illustrargli le qualità del suo ultimo saggio di danza,
mentre tutta la sua
attenzione convergeva sulla ragazza di sua sorella. Non aveva
propriamente
afferrato la situazione, era ancora stordito e incantato
dall’alta figura di
Amaryllis, dai suoi occhi azzurri, gli zigomi alti e quel naso
importante,
stonato nel bel viso. Si era decisamente preso una cotta mostruosa per
quella
ragazza. Non avrebbe potuto spiegare in altro modo quel fastidioso alzabandiera ogniqualvolta lei sostasse
nel raggio di due metri quadrati.
-
Posso dirti una cosa? – mormorò Vera con voce
maliziosa, sportasi sulla sua
ragazza, il naso premuto contro il suo orecchio.
-
Penso di non volerla sapere – si lamentò Amaryllis
laconica.
-
Mm, io penso di sì! Ho voglia di baciarti... –
sussurrò Vera, strusciandosi in
modo molto discreto contro il fianco dell’altra.
-
Ah, bene – sospirò l’altra, che,
conoscendola, si era aspettata ben altro.
-
... fra le gambe – completò Vera, causando nella
compagna un isterico attacco
di tosse secca. Gli sguardi degli adulti conversero su di loro
all’unisono e si
ritrovarono ad osservare Vera ridere di gusto e Amaryllis percuotersi
il petto
per placare gli spasmi.
-
Enschuldigung -
borbottò Amaryllis arrossendo e allungando
una mano tremante verso la bottiglia dell’acqua.
-
Cara, tranquilla. Parli italiano? – le domandò la
zia Renata, porgendole ciò di
cui aveva bisogno.
-
Ja... sì, un poco
– balbettò
Amaryllis riempiendosi il bicchiere.
-
E’ timida, ne? – domandò lo zio Piero a
Vera, che annuì sorridendo teneramente.
-
Di solito no, ma questa è un’occasione
particolare. Normalmente lei è solare,
parla molto, a volte troppo, estroversa, le piace controllare la
situazione...
– elencò la ragazza, lo sguardo trasognato.
Sara
borbottò qualcosa che sfuggì a Vera, ma non ad
Amaryllis. Quattro parole
talmente semplici che persino lei era riuscita a cogliere e capire: lei è l’uomo.
-
Was sagt meine Schwester?
– domandò Vera, aggrottando le sopracciglia.
-
Ich bin der Mensch
– ironizzò Amaryllis con tono pomposo, suscitando
una genuina risata nella
compagna.
-
Amaryllis, cosa studi? – le domandò Giovanni.
Evidentemente Gabriele non era
l’unico ad avere ceduto al fascino nordico della rossa.
-
Biotecnologie. Rispondo io perché lei non saprebbe ripeterlo
– spiegò Vera
affabilmente e la ragazza al suo fianco confermò annuendo.
-
Mi piace... è interessante, io
lavoro in
uno laboratorio – balbettò Amaryllis,
giocherellando con l’angolo del
tovagliolo piegato cura accanto al suo piatto.
-
Biotecnologie sarebbe stata la mia seconda scelta. Comunque io
frequento da
qualche mese la facoltà di farmacia –
spiegò Giovanni, annuendo con serietà.
-
Oh sì, Giò sta andando benissimo! Ha superato
poco fa il primo esame di chimica
con trenta! – trillò la zia Renata, orgogliosa del
suo pargolo.
-
Io sto lavorando ad un importante progetto: una serie di illustrazioni
per un
libro di favole tedesche. Mi pagheranno bene –
Anche
Mariangela Rosso sorrise, fiera della propria primogenita. Forse non le
importava poi molto dove mettesse le mani, era pur sempre il suo
angioletto vincitore.
Il
suono del campanello vibrò con forza attraverso la stanza,
facendo sobbalzare i
presenti.
-
Eccoli, finalmente – disse sollevata la signora Baudino,
alzandosi in piedi.
-
Liebe,
sono arrivati i miei parenti materni – spiegò Vera
ad Amaryllis, prendendole
una mano.
-
Ciò significa che fra poco dirai a tutti di noi due?
– inquisì la crucca
improvvisamente affannata.
Il
signor Baudino probabilmente intuì qualcosa dal tono di voce
o dai gesti delle
due e si alzò, facendo segno alla figlia di seguirlo un
momento nell’altra
stanza. Amaryllis lasciò a malincuore la mano della compagna
e la osservò
sparire nell’ingresso.
Il
signor Baudino condusse la figlia fin nella camera matrimoniale di
Piero e
Renata, arredata con mobilio antico e prezioso.
-
Cos’avete intenzione di fare? – domandò
Giampaolo Baudino, le cui guance erano
già rubizze.
-
In gergo si dice “uscire dallo stanzino”
– Vera mimò le virgolette flettendo
l’indice
e il medio di ambedue le mani.
-
E in italiano corrente? – ringhiò l’uomo
strattonandosi il colletto della
camicia, troppo aderente al collo sudato.
-
Intendo dire alla mia famiglia che sono omosessuale e che Amaryllis
è la mia
fidanzata. Ci sposeremo, papà –
Il
signor Baudino rimase immobile, sconcertato, osservando con occhi vacui
la
tappezzeria barocca alle spalle di Vera.
-
Vi sposerete? Dove? Quando?! – s’agitò
poi repentinamente, afferrandola per le
spalle e scuotendola.
-
Papà, calmati! Ci sposeremo il prossimo inverno, a Berlino.
La madre di
Amaryllis è un pastore: si farà conferire
l’autorità dal Comune per sposarci –
spiegò Vera.
-
Ah. E... ehm... noi siamo invitati? – balbettò il
signor Baudino, imbarazzato.
Nonostante tutta questa faccenda fosse piuttosto eccentrica per i suoi
gusti e
le sue abitudini grigie e monotone, desiderava la felicità
della figlia.
-
Certamente! – sorrise Vera che si sentiva davvero entusiasta
di fronte alla
reazione del padre, tanto da abbracciarlo. Lui ricambiò la
stretta con una
certa esitazione.
-
Come sono i genitori della tua... ehm... fidanzata? –
domandò il signor
Baudino, ancora imbarazzato ma contento di aver appianato la
situazione. Lui
adorava la sua primogenita, stravedeva per lei e lei, in cambio,
l’aveva sempre
reso tanto orgoglioso.
-
Sua madre, come ti dicevo, è un pastore in un piccolo
paesino non molto lontano
da Berlino. E’ una donna di mezza età molto
piacevole e molto colta – spiegò
Vera mentre tornavano nella sala da pranzo.
-
E suo padre? –
-
Oh, suo padre è morto quando lei aveva sette anni: aveva un
negozio di articoli
sportivi, sono entrati dei ladruncoli e gli hanno sparato per portarsi
via quei
quattro marchi che aveva in cassa. È stata una vicenda molto
triste... –
-
Mi dispiace molto per il signor... Vera, come si chiama di cognome?
– domandò
il padre, all’improvviso perplesso. Si era reso conto che
c’erano davvero molte
cose che ignorava della vita di sua figlia e se ne rammaricava.
-
Keller, Amaryllis Keller. Suo padre era Konstantin Keller, la madre
invece si
chiama Hedwig Schindler – aggiunse Vera.
-
Ah... come “Schindler’s list” –
fu tutto ciò che riuscì a dire suo padre,
ancora un po’ scosso.
L’altra
stanza si era affollata ulteriormente: una donna alta e allampanata con
lisci
capelli scuri, che le ricadevano sulle spalle in modo ordinato, teneva
a
braccetto un’anziana signora vestita in modo elegante ma
semplice, accanto a
loro un uomo di mezza età dalle folte sopracciglia ma privo
di capelli teneva
un braccio attorno alle spalle di quella che doveva essere sua moglie,
una
rotonda signora dai lunghi e folti capelli neri e la pelle abbronzata.
Seduti a
tavola, due ragazzi sulla ventina erano già impegnati a
discorrere con
Giovanni, Cecilia e Sara.
-
Vera, tesoro! – esclamò la donna, sottraendosi
alle attenzioni del marito per
stringere la nipote.
-
Ciao zia – ricambiò lei felice.
Vita
Spadaro aveva sposato Giuseppe, il fratello minore di sua madre: si
erano conosciuti
molto tempo addietro, durante una vacanza di Giuseppe Rosso a Palermo.
Lì Vita
lavorava in una gelateria per arrotondare. Aveva cominciato ad andarla
a
trovare almeno due volte al giorno per sette giorni prima di riuscire a
trovare
il coraggio di chiederle un appuntamento.
Maria
Vittoria e Vincenzo erano nati non molti anni dopo: dal padre avevano
ereditato
gli occhi azzurri, mentre dalla madre i folti e spessi capelli neri.
-
Mari, Vincè, guardate chi c’è!
– esclamò gioviale la zia Vita mentre i due
ragazzi si alzavano per salutarla: non si vedevano da almeno sei mesi.
-
Ciao Vera, come stai? –
-
Mm, non c’è male. Avete già conosciuto
Amaryllis? –
-
A picciotta con i capiddi rossi?
Sì, ci
‘risse ca è tua amica
– rise Vita, indicando l’imbarazzatissima Amaryllis.
-
Vedo che hai conosciuto gli altri miei parenti – rise Vera
affiancando
Amaryllis.
-
Sì, sono un po’... ehm... molto cordiali. E
affettuosi. Tua zia mi ha...
toccata – mormorò la crucca, stupita e un
po’ preoccupata per tutte quelle attenzioni.
-
Tranquilla, è normale! Lo fanno sempre – le
spiegò Vera, carezzandole un
braccio – E mia zia Marisa e la nonna? Le hai conosciute?
–
-
Veramente no... –
-
U parri buono u tedescu, Vera, brava!
‘Chi significa chiddu ca vi ricistivu?
–
-
Che devo presentarle zia Marisa e la nonna! Vieni, Mya – la
primogenita Baudino
afferrò il polso della compagna e la trascinò
accanto al divano, dove Marisa La Morte
Rosso e Catterina Grimaldi
attendevano silenziose: la prima con il solito sguardo funereo e tetro,
la
seconda con un gioviale sorriso tipico delle nonne che comprano il
preparato
per budini in attesa che i nipoti vadano a far loro visita.
-
Zia, nonna, lei è la mia amica Amaryllis, la ragazza con cui
vivo a Berlino.
Mya, loro sono zia Marisa e nonna Catterina –
-
Oh, ma che bela matota! Com’ha ti
dis che
s’ciama?
–
domandò la nonna, che era un po’ sorda.
-
Tranquilla, nonna, puoi chiamarla Mya! –
-
Ah, Mya. Oh, che bel nome! E chila capis
l’italiano?
–
Nonna
Catterina stringeva gli occhi scuri dietro alle spesse lenti,
appoggiate su un
piccolo naso all’insù. I capelli bianchi erano
tagliati corti e pettinati
all’indietro con cura.
-
Sì, nonna, l’italiano, non il piemontese... ma non
troppo – precisò Vera,
baciando la nonna su una guancia.
-
Mya, dimmi – la nonna si sforzò di non utilizzare
il dialetto, cosa a cui era
abituata – Tu ami mia nipote, vero? –
Nella
sala da pranzo scese per un attimo il silenzio: Amaryllis
avvampò, gli occhi di
Vera si dilatarono a dismisura, zia Marisa (anche detta La Morte per
quella sua
attitudine a parere perennemente a lutto) ammonì la madre di
non dire
stupidaggini, Mariangela Rosso si lasciò quasi sfuggire il
bicchiere di vino
fra le dita, mentre suo marito si metteva a sedere, temendo che le
gambe non
avrebbero retto il suo peso.
-
Mamma, non è carino fare queste insinuazioni – la
ammonì Giuseppe Rosso,
affiancandola e guidandola al tavolo.
-
Tutti uguali! Niun c’ha vist niente!
– borbottò nonna Catterina, prendendo posto
capotavola, accanto a nonna Teresa.
Poi le due anziane signore iniziarono a disquisire amorevolmente dei
nipoti.
-
Bonu, ci semu tutti! Putemu assittarci e
accuminciare
–
esclamò allegra zia Vita, prendendo posto fra suo marito e
la cognata.
-
Vera, tua nonna... scherzava, vero? Come diamine ha fatto a... non
è umana! Lo
sapevo, anche tu sei troppo strana per essere una terrestre –
balbettò
Amaryllis, sedendosi nuovamente a tavola.
Fra
gli adulti la questione si era risolta con un “la nonna vede
complotti ovunque,
sono le manie di persecuzione degli anziani” e ora tutti
ridevano e
chiacchieravano come se nulla fosse successo.
-
Certe volte tua nonna ha idee molto balzane –
ridacchiò Giovanni, sistemandosi
gli occhiali.
-
Già, proprio... – ridacchiò Vera.
Nonostante l’obiettivo del pranzo fosse
quello di annunciare il suo matrimonio con quel bel pezzo di ragazza
che si era
portata dalla Germania, non desiderava certamente che
l’intuitiva nonnina la
precedesse insinuando il loro lesbismo con affermazioni profetiche.
-
Secondo me è tutta questione di... occhio
– sibilò Sara sistemandosi il tovagliolo sulle
cosce.
-
Che intendi? – domandò Vincenzo dubbioso. Il
ventunenne studiava psicologia
(sperando di non finire in mezzo alla strada dopo la laurea) e
s’interessava ad
ogni disquisizione di carattere sociale.
-
Insomma, se uno si abitua a stare in mezzo alle checche,
dopo un po’ le riconosce subito – spiegò
la secondogenita
Baudino con aria sera ed eloquente. Dentro Vera bruciava rovente la
fiamma
dell’ira e della vendetta, ma cercava di trattenersi e
risparmiare alla
lavatrice di dover ripulire la tovaglia candida dai globuli rossi della
sorella.
-
Oh, ecco la fascistella che impone
la
sua omofobia – ghignò Cecilia sistemandosi il
collare borchiato.
-
Taci, puntaspilli: non voglio che una bambola voodoo venga a farmi la
morale! –
ringhiò Sara sfoderando i canini.
-
Buone ragazze, buone! – si lamentò Giovanni, stufo
dei loro battibecchi, anche
se la cugina gli dava decisamente sui nervi.
-
Sembrate due mastini – sogghignò Maria Vittoria,
seduta di fronte a Giovanni,
con cui prese a ridacchiare. Amaryllis, dal canto suo, se ne stava
zitta e
immobile, desiderando che si dimenticassero della sua presenza o forse
sperando
di trasformarsi in un ficus d’appartamento. Eppure non le
pareva di essere così
mascolina: certo, rispetto a Vera lei era praticamente un camionista
tedesco
che sopravvive di sola birra e wurstel e ama esternare con piacere le
conseguenze della propria digestione, ma le pareva di essersi
comportata in
modo impeccabile e per una volta si era sforzata di essere femminile.
Non si
era portata nemmeno un paio di boxer! Eppure la nonna di Vera, la vate
Catterina Rosso, era riuscita a leggerle dentro come fosse una rivista
di
giardinaggio (ormai si sentiva in sintonia con i ficus). E mentre si
spremeva
le meningi per capire cosa l’avesse tradita, la zia Renata le
servì un tortino
di zucca appena sfornato.
-
Grazie tanto – disse
Amaryllis
inclinando leggermente il capo e osservando quella specie di piccolo
budino
arancione.
-
E’ buono, mangialo – le disse Vera con lo stesso
tono che si userebbe per
convincere i bambini ad assaggiare qualche verdura dal bizzarro colore.
-
Du bist nich lustig
- replicò gelida Amaryllis, affondando la punta del coltello
nel tortino.
-
Amore... scherzavo – mormorò Vera, ferita dal modo
in cui aveva pronunciato
quelle parole.
-
Scusa, scusami tanto. È che sono... agitata, nervosa,
stressata, non lo so,
scegli il sinonimo che preferisci ma il concetto rimane quello
– con uno scatto
del polso tranciò a metà il tortino di zucca, che
si afflosciò verso il centro.
-
Cerca di calmarti: non capiterà nulla di tremendo. Eri
nervosa anche quando
dovevamo dirlo ai miei, no? Eppure è andato tutto bene...
–
-
Sì, ma cerca di capire: è la prima volta che mi
ritrovo con questa gabbia di
matti, in senso buono, sia chiaro, che è la tua famiglia e
di certo non
inizierò con il piede giusto – sbuffò
Amaryllis, osservando il fumo sollevarsi
dal pezzo di tortino che aveva infilzato e si era portata
all’altezza degli
occhi.
-
E’ difficile il tedesco? – domandò
all’improvviso Cecilia, seduta alla sinistra
di Amaryllis, che era stata intenta ad osservarle discutere nella
lingua
teutonica fino a quel momento.
-
Bah... più o meno, una volta imparata la grammatica non
è poi così tremendo –
spiegò Vera facendo spallucce.
-
Io penso che italiano è difficile
più di
tedesco per verbi – disse Amaryllis lentamente,
mentre Maria Vittoria, di
fronte a Vera, annuiva.
-
Ma anche i verbi tedeschi sono difficili –
brontolò Vera.
-
Tu lo parli molto bene – annuì Vincenzo,
supportato da Giovanni.
-
Le lezioni che frequento all’Universität
der Kunste sono in tedesco, quindi ho dovuto impararlo per
forza –
-
Tornerai in Italia? – domandò Maria Vittoria, la
bocca piena di tortino.
-
No, non credo proprio. Resterò a vivere a Berlino, mi piace
la vita di quella
città – sospirò Vera raccogliendo le
ultime briciole del delizioso antipasto
con la forchetta.
Mentre
Renata e Cecilia, alzatasi per aiutare sua madre, servivano il tonno di
coniglio (- Was ist das?
-, - Kaninchen!
-, - Urgh! -), dall’altra
parte del
tavolo gli adulti discutevano animatamente.
-
Pare ‘na brava picciotta
l’amica di tua
figlia. Comu si conoscieru?
– domandò Vita a Giampaolo, che
tossicchiò qualcosa imbarazzato.
-
Ehm... penso che avessero... amici in comune -, il signor Baudino si
era appena
reso conto di non sapere esattamente come le due fossero diventate
amiche e,
evidentemente, anche qualcos’altro.
-
L’importante è che vadano d’accordo, ne:
anch’io dividevo un appartamento
all’università con un altro ragazzo. Mi ricordo
che gli puzzavano i piedi in
modo tremendo! – sghignazzò lo zio Piero, ammonito
da un’occhiata severa della
moglie.
-
Io non amo la convivenza – disse la zia Marisa fra i denti,
le labbra strette e
lo sguardo infuocato. Un mormorio imbarazzato scorse fra i parenti: era
sempre
quella la loro reazione di fronte alle taglienti frasi di Marisa Rosso.
-
Amunì Mari, tu hai u to poeta!
– esclamò Vita spontaneamente, sorridendole.
Marisa
le lanciò un tagliente sguardo trasversale, fulminandola con
gli occhi scuri.
Vera
aveva orecchiato quell’ultima parte di conversazione ed era
scoppiata a ridere
silenziosamente, la bocca dischiusa in un’ilarità
muta. Rischiò di soffocarsi
con una forchettata di tajarinal
ragù.
-
Ehi, respira! Tutto bene? – domandò agitata
Amaryllis battendole alcune pacche
spiacevoli sul dorso e facendo tossicchiare la fidanzata.
-
Sì... sto bene... – sghignazzò Vera,
immersa in una serie di ricordi che
Amaryllis le vedeva sfilare dietro alle pupille ma dei quali lei
ignorava
l’esistenza. Doveva essere qualcosa di molto, molto
esilarante.
-
Cosa succede? – domandò nella sua lingua natia, ma
Cecilia intuì la domanda e
rispose al posto di Vera.
-
La zia di Vera, Marisa, è fidanzata con un poeta –
disse atteggiandosi con fare
pomposo ma trattenendo a stento le risate. Anche gli altri cugini
sghignazzavano senza ritegno.
-
Sì, ma spiegale decentemente! – mormorò
concitato Giovanni, sporgendosi in
avanti sulla tavola, mentre Maria Vittoria rideva con le mani premute
contro il
volto.
-
Si chiama Carmelo Martorana, è fidanzato con zia Marisa da
quasi quindici anni
e ha pubblicato un paio di libri di poesie – aggiunse
Vincenzo sottovoce,
mentre Gabriele si avvicinava a loro, incuriosito da quel mormorare
concitato.
-
E fin qui, apparentemente, sembra tutto normale. Il fatto è
che scrive versi
tremendi, è un poetastro da due soldi! Scrive componimenti
di una banalità e
uno squallore che trattano i soliti argomenti che piacciono tanto ai
sociologi,
come il disagio nell’età adolescenziale o la
guerra in Jugoslavia –
-
Ascolto il canto zuccherino degli uccelli
la mattina presto: Vaffanculo! Mi alzo dal letto e mi accorgo di avere
trentacinque anni perché mi duole il piede sinistro!
Vaffanculo! – declamò
Vera per l’ilarità generale.
Amaryllis
la guardava con occhi allucinati: aveva capito solamente la
metà di ciò che
avevano detto i cugini di Vera, ma aveva abbastanza intuito da
comprendere che
questo tale Carmelo Martorana non era un poeta caro alle Muse.
-
E’ questo il trend, Mya, non sto scherzando. Vuoi sentire
qualcos’altro? –
domandò Vera, afferrando il braccio di una terrorizzata
crucca più pallida del
solito. Quell’allegria che non comprendeva pienamente la
metteva a disagio.
-
Oh sì, ti prego – la supplicò Maria
Vittoria congiungendo le mani e sbattendo
le lunghe ciglia.
Vera
rifletté qualche istante, poi il sorrise sulle sue labbra
indicò agli altri che
doveva avere in mente uno dei suoi (di Carmelo Martorana) pezzi forti.
-
Luna! Massonerie e tecnicismo. Corpi come
sospensione tecnologica. E’ quel vuoto esistenziale, quel
solipsismo oltre gli
argini. Fiume! Purulenza. Mortificazione metafisica!
–
Tutti
scoppiarono a ridere, le lacrime agli occhi, compresa Sara che aveva
mantenuto
un’espressione neutra tendente al disgusto fino a poco prima.
Amaryllis
la osservava perplessa: dopo la prima parola si era persa
completamente. Vera
le fece una carezza affettuosa sul capo, di quelle che sarebbe
opportuno fare
ad un dolce barboncino dallo sguardo languido.
-
E’ molto difficile da dire in tedesco, non saprei tradurti
ogni parola – si
scusò Vera, alzando le spalle – Comunque
è una serie di parole tenute assieme
da pallidi fantasmi di collegamenti logici –
Amaryllis
annuì con qualche certezza in più, soprattutto
riguardo al livello di sanità
mentale della famiglia della sua compagna.
-
Nini, spero che tu abbia la decenza
di renderci partecipi! – esclamò improvvisamente
nonna Catterina, dall’altro
capo del tavolo.
-
Come? – domandò Vera, che fra un verso senza senso
e l’altro (- Rinfodero il bavero
della mia ipermetropia.
Quell’abisso telefonico di numeri e logaritmi. Esponenziali
della teodicea e
quell’odore di arrosto -) aveva perso la
cognizione delle forme a priori.
-
A me non la dai a bere, giovanotta. Sono stata anch’io
un’adolescente con gli
ormoni in subbuglio, anche se ora mi limito ai budini! –
-
Mamma! – esclamò Mariangela, sgranando gli occhi.
-
Tesoro, come pensi di essere nata? Oh, tuo padre mi faceva girare la
testa, era
proprio uno stallone e quel...
–
-
Mamma, ti prego! – ruggì Marisa e una ciocca dei
lisci capelli scuri sfuggì
alla perfetta messa in piega, adagiandosi come la nera ala di una
rondine sul
suo zigomo.
I
ragazzi ridacchiavano apertamente, mentre
gli adulti tentavano ancora di mantenere un certo contegno.
-
Tranquilla nonna! – intervenne Vera annuendo.
-
Brava nini, la tua nonna
è fiera di
te – l’anziana signora alzò il pugno
sinistro, al cui polso teneva un vecchio
bracciale di cuoio, ricordo del suo passato di sessantottina.
-
Vostra nonna è proprio matta come un cavallo –
rise Giovanni.
-
No, è solo una persona che ha fatto molte... esperienze
–
-
C’è stato un tempo in cui passava i pomeriggi a
farsi le canne pascolando le
pecore – spiegò Maria Vittoria.
-
Per non parlare di quando si era messa in testa di entrare in una banda
di
motociclisti! –
-
Certo che voi siete proprio strani – disse Amaryllis, rimasta
in silenzio fino
a quel momento – Non lo dico con cattiveria, anzi,
è divertente. Avrete un
sacco di cose da raccontare! La mia famiglia è molto
più noiosa... –
-
Be’, diciamo che i miei parenti offrono parecchi spunti
–
-
Pensi di fare ora il grande annuncio? – domandò
Amaryllis sottovoce, nonostante
gli altri non stessero ascoltando. E se anche fossero stati in ascolto
con le
orecchie protese, nessuno di loro capiva mezza parola di tedesco. Il
loro
vocabolario si componeva di parole quali wurst,
kartoffel, bier,
ja e Audi
zentrum.
-
Sì, appena trovo un po’ di coraggio: ero partita
bene, giuro, ma ora mi tremano
le ginocchia –
Dall’altra
parte del tavolo, l’argomento si era di nuovo spostato sul
fidanzato storico
della zia Marisa La Morte Rosso.
-
Un vivete ancora ‘nsemmula?!
– domandò stupita Vita, ravvivandosi i folti
capelli scuri.
-
No. E va bene così –
-
Nini, non è sano che non
facciate sesso
regolarmente – intervenne la nonna Catterina facendo tingere
di porpora le
guance della silenziosa (e nervosa) Marisa.
-
Mamma, ti prego, che cosa ne sai? –
-
Ma se abitate in due case diverse come fate? Insomma, non è
la stessa cosa che
dormire ogni notte assieme! Tuo padre ed io... –
-
Mamma! E comunque io voglio la mia indipendenza e poi lui... insomma,
questioni
di soldi – borbottò zia Marisa che non aveva
alcuna intenzione di discutere di
Carmelo con la sua famiglia, tantomeno con quell’impicciona
invadente di Vita
Spadaro.
-
Ah, le poesie – sospirò Mariangela Rosso.
-
'Nsumma, diciemu ca su
chiuttostu... particulari, sì, particulari e liberamente
interpretabili.
Ma non sono così male! –
Marisa
ringhiò qualcosa fra i denti, maledicendo la cognata.
-
Oh Vita, nini, pensa che una volta
suo padre ed io facemmo l’amore in macchina: era una vecchia
Fiat 850, blu
scuro, e noi avevamo parcheggiato proprio dietro il Caffè
Agnello, non a Torino
ma in un paesino di montagna. Insomma, eravamo in questo vicolo isolato
e ci
stavamo proprio dando dentro alla grande, quando sbuca
un’anziana signora, pace
all’anima sua, e si mette ad urlare come un’ossessa
– la nonna Catterina
sorrise piacevolmente al ricordo. Dante, il suo amato marito, era ormai
morto
da sei anni.
-
E poi chi succiriu?!
– domandò Vita curiosa. Adorava la suocera, era
l’unica della famiglia con cui
si potesse fare un discorso diverso dal solito.
-
E’ tornata in casa ed è uscita con una scopa! Ha
iniziato a battere sulla
macchina e allora Dante ha messo subito in moto: non abbiamo osato
rallentare
fino ad aver attraversato il paese. Ed eravamo completamente nudi!
Avresti
dovuto vedere le persone di quel posto: non scorderò mai
quello stupore
indignato, come se loro non facessero del sesso! Ipocriti villani
–
Vita
rise di cuore, mentre la zia Marisa si limitava a ripulire i rimasugli
di ragù
dal piatto con un pezzo di pane: detestava la leggerezza con cui sua
madre
parlava del suo passato libertino.
-
Insomma, Carmelo ha pubblicato la nuova raccolta o no? –
domandò Renata, con un
maligno ghigno consapevole. Le piaceva rigirare il coltello nella piega
e
mettere a disagio le persone, un sadico passatempo per la sua monotona
esistenza.
-
No – rispose seccata Marisa.
-
Vado a prendere il secondo se avete finito! –
trillò zia Renata alzandosi in
piedi e facendo segno al marito di darle una mano con i piatti sporchi.
Piero
scostò la sedia controvoglia, sempre più rubizzo
a causa dell’ottimo vino che
non aveva smesso di bere dall’inizio della mattinata.
-
Oh sì, portate i secondi che poi vi devo dire una cosa
– disse Vera a sua zia,
avvertendo improvvisamente il battito cardiaco accelerare.
-
Che cosa, cara? – domandò la donna con tono
lezioso. Se c’era da rendere
pubblici un po’ di fatti altrui lei era schierata in prima
linea.
-
Dopo, zia, tranquilla – replicò Vera muovendo
lentamente la mano, come ad
indicarle di rallentare. Effettivamente in quel momento un massaggio
cardiopolmonare le sarebbe stato utile: non si era mai sentita tanto in
affanno
e le pareva di avere dentro sé un sovraccarico di anidride
carbonica perché le
girava la testa.
-
Come mai così misteriosa? – domandò
Maria Vittoria aggrottando le sopracciglia
perplessa.
-
Tranquilli, non è nulla di drammatico! Appena avrete i
piatti pieni ve lo dirò
–
-
Ist... das ist... -
balbettò Amaryllis asciugandosi il sudore sulla fronte con
un tovagliolo.
-
Ja
- rispose semplicemente Vera sorridendole. Amaryllis
s’infossò nella sedia
sospirando: non solo la terrorizzava quella stramba accozzaglia di
personaggi
apparentemente simili a mille altri, era soprattutto nervosa per quello
che
avrebbero potuto chiederle e lei non avrebbe capito nulla, non era in
grado di
difendersi a parole e questo l’angosciava.
La
zia Renata e lo zio Piero sistemarono su due sottopentola altrettante
pentole
di bollito, per poi distribuire lungo la tavola i diversi contenitori
delle
salse.
-
Allora Vera, ch’avevi a dirici?
–
Vera
Baudino si alzò in piedi facendo stridere rumorosamente la
sedia sulle
piastrelle in cotto, fece un respiro profondo osservando la sua
famiglia
radunata attorno a lei per festeggiare quel Natale.
-
Ho voluto aspettare di avervi tutti qui accanto a me prima di dirvi
quello che
sto per dire. È una cosa importante ed è
altrettanto importante per me che da parte
vostra ci sia rispetto per la mia scelta – fece una breve
pausa, per lanciare
un’occhiata ad Amaryllis che la incoraggiò con un
cenno del capo – Voglio dirvi
con estremo piacere che siete tutti invitati al mio matrimonio...
–
Prima
che Vera potesse terminare il discorso si levò un vociare
festante che le
soffocò le parole in gola.
-
Oh, come sono felice! –
-
E come mai tutto questo mistero? Mi sembra una bella cosa! Beviamo!
–
-
E’ un bel ragazzo? La famiglia è rispettabile?
–
-
Nini...! – la
spronò la nonna,
lanciandole un’occhiataccia.
-
Silenzio, per favore, non... ascoltatemi! Non avevo finito. Dicevo,
siete
invitati al mio matrimonio. Io e Amaryllis ci sposeremo il prossimo
inverno, a
Berlino –
Il
brusio s’interruppe di botto e se ci fosse stata
dell’erba mobile, quello
sarebbe stato il momento esatto nel quale si sarebbero messe a rotolare
accompagnata dal fischio del vento.
-
Non ci hai parlato del matrimonio! –
s’indignò Mariangela Rosso sbattendo il
palmo della mano sul tavolo.
-
In realtà l’ha detto solo a me –
borbottò Giampaolo Baudino.
-
Ah... ehm... – la zia Renata tossicchiò il suo
disagio.
-
Oh nini, mi sun propri cuntenta, ne!
– esclamò la nonna Catterina applaudendo.
-
Dici... dici sul serio? Ma ha
l’è
pusibile ‘sa cosa si?
– la nonna Teresa, invece, pareva perplessa.
-
Certo nonna, in Germania sì – annuì
Vera. La confessione aveva fatto scivolare
via ogni traccia di esitazione o imbarazzo.
-
Be’... allora auguri – disse Giovanni sorridendo e
alzando le spalle, per poi
stringere la mano di un’imbarazzata Amaryllis, che si era di
nuovo persa in
quella lingua che non capiva.
-
'Nsumma,
chi è tuttu stu silenziu? Vera, tesoru, sì felice
cu Amaryllis? –
domandò la zia Vita
prendendo controllo della situazione. La primogenita Baudino
annuì.
-
E a to vita sessuale ti suddisfa?
– insistette, mentre la zia Marisa sgranava gli occhi e
storceva il naso.
-
Eccome – sorrise Vera.
-
E chi problemi ci sunnu? Fai ‘nu
beddu
sesso? Buonu!
– sdrammatizzò la zia Vita con un gran sorriso.
-
Be’ certo, ma... ne sei sicura? Insomma, mi ricordo bene di
Paolo... – balbettò
stupita la zia Renata.
-
Ehm, in effetti dovrei dirvelo: Paolo era solo una copertura. Era
così gentile
da prestarsi come mio ragazzo di copertina, ecco. Ovviamente quando si
è poi
innamorato di una ragazza che ricambiava mi ha detto che avrebbe smesso
– spiegò
Vera rimettendosi a sedere con quella mezza verità: Paolo
era omosessuale e si
erano, in un certo senso, usati vicendevolmente.
-
So, was passiert?
– domandò nervosa Amaryllis spronandola a parlare
con un gesto della mano.
-
Tranquilla, amore, va tutto bene. Gliel’ho detto e come puoi
vedere non stanno
volando coltelli e nessuno alza la voce – le sorrise Vera.
-
Non hai idea di quanto mi senta meglio – sospirò
Amaryllis sollevate, prima di
essere colta da una ridarella isterica.
-
Si sente bene? – domandò la zia Renata, indicando
stranita la crucca, che si
stava asciugando le lacrime con il tovagliolo.
-
Da bun! L’è solo
cuntenta, ha ti nen vist?!
– esclamò la nonna Catterina, più
vivace del solito.
-
Sì, nonna, è sollevata che non le abbiate tirato
dietro qualche stoviglia o
coltello... – ridacchiò Vera posando una mano
sulla spalla della compagna.
-
Ah, ma dai! Se solo riuscissi a parlarle sono sicuro che sarebbe molto
simpatica, ne – disse lo zio Piero, per poi alzarsi in piedi
e proporre un
brindisi.
-
Piero, hai bevuto troppo – ringhiò fra i denti sua
moglie, incarognita.
-
Andiamo Renata! Forza signori, un brindisi per Vera e Ama...marille!
– proclamò lo zio Piero levando il calice pieno di
Barolo d’annata.
-
Sì, cin-cin! – esclamò la nonna
imitando l’uomo.
Anche
i genitori di Vera si alzarono tenendo con tre dita lo stretto collo
dei calici
e sorridendo orgogliosi alla primogenita, che stava imitando il resto
della
famiglia.
-
Tanta gioia e felicità! – esclamò la
zia Vita, facendo tintinnare il suo
bicchiere contro quello della suocera.
-
Ma sì, auguri, ne! – si unì anche lo
zio Giuseppe al coro.
Le
uniche che non parteciparono nemmeno fingendo un po’ di
comprensione furono la
zia Renata e la zia Marisa. Persino Sara aveva fatto gli auguri alle
due
ragazze con un sorriso molto tirato a deformarle il volto in una
stramba
smorfia.
-
Andiamo Mari, brinda almeno con noi – la esortò
Mariangela Rosso, sua sorella
minore.
-
Non mi pare il caso –
-
Dai zia, si sposano e io non vedo l’ora di partecipare!
– disse Maria Vittoria
alla zia Marisa facendole segno di alzarsi in piedi.
-
Glielo permettete? – domandò scettica la zia
Renata rivolta ai cognati,
afferrando il suo bicchiere controvoglia e mettendosi eretta.
-
Senz’altro. E non vedo l’ora di conoscere la
signora Keller che, da cosa mi ha
detto Vera, deve essere una donna meravigliosa –
sentenziò Giampaolo Baudino
rivolgendo un sorriso alla figlia primogenita, che ricambiò
con un cenno del
capo e del bicchiere.
-
Ma voi lo sapevate già?! – domandò
improvvisamente il nonno Luciano al figlio.
-
Sì, papà, ma solamente da ieri e me ne
dispiaccio, avrei voluto saperlo prima –
-
Mi spiace papà... non avevo il coraggio di dirvelo...
– si scusò Vera con un
sospiro.
-
Tranquilla nini,
l’importante è che
ora tu l’ha dis e mi sun cuntenta
che ti
voti spusete
- la tranquillizzò la madre.
Finalmente
tutti brindarono augurando alle due, con maggiore o minore
sincerità, di essere
felici assieme.
-
Oh, ora ci vuole un bacio – ridacchiò Cecilia, le
guance arrossate. Forse anche
lei aveva esagerato con il vino. D’altronde, tale padre tale
figlia.
-
Oh Dio risparmiaci – brontolò Sara, incrociando le
braccia.
-
Sì, mi sun d’acurd!
– sentenziò la nonna Catterina, spalleggiata dalla
gioviale zia Vita.
-
Non è il caso – balbettò Vera,
arrossendo.
-
Cosa dice? –
domandò Amaryllis nel
suo italiano faticoso.
-
Wir müssen uns küsschen
–
tradusse Vera temendo una violenta reazione imbarazzata da parte della
compagna.
-
Mm, willst du?
– replicò invece Amaryllis osservandola divertita.
Pareva aver ripreso il
controllo della situazione, come suo solito.
Senza
replicare, Vera si sporse verso Amaryllis premendo le proprie labbra
sulle sue.
Seguì un applauso e i bicchieri tintinnarono nuovamente,
mentre lo zio Piero
sollecitava i famigliari per un altro giro di brindisi.
Le
strinse le braccia attorno al collo, baciandola con trasporto e
contemporaneamente ridevano assieme agli altri.
-
Vive le spose! – applaudì la zia Vita.
E
fu così che Amaryllis, circondata da quella stramba
famiglia, sentì finalmente
quel calore che solo una casa in cui tornare e l’amore ti
sanno dare.
Osservando Maria Vittoria, Giovanni e Vincenzo scommettere su chi di
loro avrebbe
afferrato il bouquet, Cecilia che si accapigliava con Sara per qualche
futile
pretesto ideologico, la piccola Elisa osservare con occhi alienati
l’intera
folle scena, gli adulti che, ridendo allegramente, si mobilitavano
già con i
dettagli organizzativi, si sentì finalmente rilassata e in
pace con l’Italia e
quella famiglia che tanto temeva.
Riuscì
anche ad udire distintamente il rumore del cuore spezzato di Gabriele.
*
La
mezzanotte era passata da pochi minuti e il vociare non si era ancora
placato,
anzi: nell’appartamento di Marta ogni rumore pareva
amplificato.
Marta
Bernadotti era l’amica storica di Vera Baudino: compagne di
banco alle scuole
elementari, separate durante i tre anni delle medie e ritrovatesi poi
alle
scuole superiori, nuovamente compagne di banco. Il tempo pareva non
essere
trascorso e le due erano tornate ad essere amiche più di
prima. Marta viveva a
Torino con la famiglia in un ampio appartamento antico dietro a Piazza
Vittorio
Veneto. La sera di Capodanno, come da ormai cinque o sei anni a quella
parte, i
signori Bernadotti si recavano da amici per festeggiare il passaggio
nell’anno
nuovo e lasciavano l’appartamento alla figlia, assieme al
permesso di invitare
un ristretto numero di amici intimi con cui trascorrere la serata (e la
notte).
In
quel momento Marta stava avvinghiata al suo ragazzo, Dario Caviglia, un
fighetto di venticinque anni con camicia azzurra e jeans a vita bassa,
troppo
gel nei capelli e poco ritegno, ma in fondo un bravo ragazzo. Erano
ormai
fidanzati da tre anni, proprio come Vera e Amaryllis.
-
Non ti gira la testa? – ridacchiò Vera
strusciandosi in modo indecente contro
il fianco di Amaryllis.
-
Hai bevuto? – le domandò stupita Amaryllis
togliendole dalle mani un bicchiere
che si rivelò essere pieno di lemonsoda.
-
Lo sai che io non bevo... – mormorò Vera posandole
una mano sul ventre e
insinuando un dito nello spazio fra un bottone e l’altro
della camicia bianca
della compagna. Le sfiorò la canottiera che portava sotto
l’indumento.
-
Vera... – mugolò Amaryllis stringendola a
sé. Lei le rispose alzandosi in punta
di piedi per raggiungere le sue labbra.
Amaryllis
la stringeva con forza per le spalle massaggiandola dolcemente, mentre
Vera era
totalmente abbandonata al suo abbraccio.
-
Uh uh! –
Sia
Vera che Marta si separarono dai rispettivi compagni udendo quella
voce. Era stata
Luana Camisola, altra storica amica di Marta e Vera, appena uscita dal
salotto
con indosso quell’elegante abito corto che stava facendo
vedere le stelle al
suo ragazzo, che la seguiva dall’inizio della serata come un
cagnolino bavoso.
-
Ci state dando dentro, ne – ridacchiò ravvivandosi
i lunghi e vaporosi capelli
scuri con un gesto simile alle modelle in posa per lascivi scatti in
riva al
mare.
-
Oh sì – rise Vera voltandosi verso
l’amica e poggiando la schiena contro il
ventre di Amaryllis, lasciandosi abbracciare a baciare il capo con
affetto.
Squittì di piacere.
-
Vera, Veruccia, di ad Amaryllis che
è
stato un piacere rivederla – disse Luana, appoggiandosi allo
stipite della
porta, mentre il suo cicisbeo le poggiava le mani sui fianchi con fare
protettivo.
Vera
Baudino alzò il capo verso la compagna, riferendole le
parole di Luana
Camisola.
-
Danke
e io è felice che vede lei ancora –
disse Amaryllis, spettinando con le dita le ciocche di capelli che
incorniciavano il viso di Vera.
-
Lu’, hai sentito tu stessa –
-
Già, è stato un piacere! –
esclamò, per poi tornare nel salotto dagli altri
ragazzi che stavano ancora bevendo e guardando Carlo Conti che su Rai 1
si
esibiva nel solito spettacolo di fine-inizio anno.
-
Pensi che Luana abbia bevuto un po’? –
domandò Marta avvicinandosi alle due
ragazze trascinando con sé anche Dario, tenendolo stretto
per la mano.
-
Mm, sì, direi di sì. Chi è che non ha
bevuto oltre a noi? –
-
Lei ha bevuto! – contestò Marta ridendo,
riferendosi ad Amaryllis.
-
Marta, lei è tedesca. Hai idea di quanta birra bevano? La
buttano giù come
acqua! – spiegò Vera, per poi tradurre subito dopo
per la sua compagna.
-
Ma dai! Non sono una spugna! – protestò lei, non
affatto contenta del ritratto
da alcolista che aveva appena fatto di lei. Vera scoppiò a
ridere voltando il
capo e baciandole una guancia.
-
Sei una lurida ruffiana – ringhiò Amaryllis
cedendo immediatamente alle sue
attenzioni.
-
Venite di là, facciamo un altro po’ di baldoria!
– rise Marta afferrando Vera
per un braccio e allontanandola dalla compagna. La ragazza
afferrò Amaryllis per
la camicia e la trascinò a sua volta con sé.
Fecero così il loro trionfale
ingresso nel salotto.
-
Oh, finalmente! Volete da bere? – domandò Enrico
Luccio, sollevando una
bottiglia di Moscato.
-
No, grazie, va bene così –
-
Propongo un momento di raccoglimento – disse Giulia Sibona,
rannicchiata sul
pavimento, stretta nel suo tubino grigio e nero.
-
Per cosa? – replicò Luana Camisola, che si era
appena coricata con il capo
sulle gambe del fidanzato, Mattia Grattarola.
-
Rievocare i vecchi tempi, Tia – sbuffò lei,
sbrigativa.
-
Mm, parliamo di Vera – propose Paolo Alice, il suo ex ragazzo
di copertura,
omosessuale dichiarato da un paio d’anni.
-
No, ti prego – si lagnò lei, prendendo posto in
grembo alla sua compagna.
-
Vi ricordate della gita a Parigi? Quando Vera vomitò sulla
Tour Eiffel – rise
Luana portandosi una mano sugli occhi.
-
O quando s’inciampò sulle gradinate
dell’hotel! – le fece eco Paolo.
-
Per non parlare di come fece cadere la professoressa con una spallata
– ricordò
Enrico.
Vera
gemette al ricordo della sua goffa adolescenza: era sempre quella fuori
luogo,
quella sbagliata e imbranata. Il grande riscatto era arrivato verso i
diciannove anni, soprattutto quando aveva conosciuto Amaryllis in quel
pub di
Berlino.
-
Che ore... che ore sono? – balbettò Amaryllis
strofinandosi gli occhi gonfi di
sonno.
-
Quasi le quattro del mattino – rispose Vera, molto
concentrata nella guida per
le strade stranamente semideserte di Torino.
Amaryllis
gemette, portandosi una mano alla fronte.
-
Hai mal di testa? –
-
No, ho solo un tremendo sonno –
-
Be’, però ti sei divertita con loro, vero? Ti ha
fatto piacere rivederli? –
domandò premurosa Vera, posandole una mano sulla coscia,
mano che Amaryllis
strinse nella sua con dolce decisione.
-
Certo che mi ha fatto piacere! Sono molto simpatici. E non lo sto
dicendo per
obbligo come pensi, mi stavano simpatici già quando vennero
a trovarti a
Berlino lo scorso Capodanno – aggiunse Amaryllis strappando
un sorriso
colpevole a Vera.
Il
resto del tragitto lo percorsero in un religioso silenzio, che permise
ad
Amaryllis di sonnecchiare pigramente. Almeno finché Vera la
scosse con poca
gentilezza afferrandola per il bavero del giubbotto.
Imprecando
come ai vecchi tempi, la rossa scese dalla Panda e si avviarono verso
l’appartamento, attraversando il cortile comune, per poi
rintanarsi all’interno
del palazzo e stringersi nell’ascensore.
Vera
infilò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni di
Amaryllis
palpeggiandole tranquillamente i glutei.
-
Ehi, che fai? – si lagnò Amaryllis piegando il
capo in avanti e posando le sua
labbra sui capelli di Vera.
-
Ti tocco il culo –
-
Ah, come siamo delicati oggi – rise la ragazza tedesca
abbracciando la
compagna. Improvvisamente la stanchezza si era dissipata, come una
cortina di
fumo dopo una folata di vento.
-
Ich liebe dich
– sussurrò Vera, sfregando il naso contro il suo
seno.
-
Ich auch,
Vera –
Finalmente
le porte dell’ascensore si riaprirono e Vera vi
balzò fuori stringendo forte la
mano della compagna e trascinandola con sé.
Inserì
la chiave nella toppa cercando di fare il meno rumore possibile: i suoi
genitori sicuramente dormivano, mentre suo fratello e sua sorella erano
a casa
di amici e si sarebbero fermati là per la notte. Mentre
trafficava nel più
assoluto silenzio, Amaryllis la strinse dolcemente baciandole il collo.
La
pelle della compagna era calda, invitante: se non avesse avuto un
minimo di
decenza, l’avrebbe spogliata seduta stante su quel
pianerottolo spoglio e
freddo, le sue mani già pronte sulla patta dei jeans di Vera.
-
A-aspetta... – balbettò Vera chiudendo gli occhi e
spalancando la porta. Lo
slancio le fece perdere l’equilibrio e cadde a terra
sbilanciando anche
Amaryllis, che piombò su di lei.
-
Scheisse!
– ringhiò Amaryllis, che non si era fatta molto
male dato che il corpo della
compagna le aveva attutito l’urto al suolo. Rotolò
di lato scendendo dalla
schiena di Vera, che fu percorsa da un tremito.
-
Ti sei fatta male? – le domandò cautamente
aiutandola a mettersi seduta. Si
accorse quindi che Vera stava ridacchiando.
-
No, ho solo sbattuto il gomito. Tu, invece? –
mormorò poggiando le mani sulle
cosce della crucca e sporgendosi per baciarla sulle labbra.
-
Mm, io bene -, Amaryllis portò entrambe le mani alla nuca di
Vera e si fece
strada fra le sua labbra con forza. Vera mugugnò compiaciuta
e si lasciò
atterrare, mentre Amaryllis chiudeva la porta con un calcio.
Amaryllis
si tolse il giubbotto senza interrompere il contatto fra le loro
labbra,
lasciandolo cadere sul tappeto nell’ingresso, imitata da
Vera. Non appena le
loro labbra si allontanavano, subito l’una tornava a cercare
l’altra con
veemenza, ansiose di non perdere quel legame. Nonostante la foga, i
baci erano
dolci, profondi e avidi, come se le due non avessero avuto alcun
incontro
amoroso per mesi.
Non
appena si liberarono dell’impaccio, Amaryllis si
lanciò su Vera stringendola
bramosamente fra le braccia e rialzandosi in piedi, aiutandola. Poi la
sollevò
senza tanti complimenti, facendola miagolare compiaciuta e
sorreggendola senza
fatica a causa dell’esile peso della compagna.
Amaryllis
si diresse decisa verso la porta chiusa della stanza degli ospiti. Con
alcune
difficoltà, tentando di non far cadere Vera e, soprattutto,
continuando a
baciarla, abbassò la maniglia e aprì la porta di
legno.
-
Pensa... – ansimò Vera separandosi da Amaryllis
per prendere una generosa
boccata d’aria – Pensa quando saremo sposate e
passeremo le serate guardando vecchie
glorie cinematografiche mangiando pistacchi –
Amaryllis
rise lasciandola cadere sul letto matrimoniale, per poi coricarsi
accanto a
lei.
-
Altro che pistacchi, ho voglia di mangiare te... –
sussurrò Amaryllis con tono
seducente, carezzando l’interno coscia di Vera.
-
Mm, come posso rifiutare? – miagolò Vera,
carezzando i capelli ad Amaryllis e
rotolando sopra di lei.
-
Non rifiutare – gemette la rossa avvertendo la mano di Vera
sfiorarla
intimamente.
Amaryllis
si abbandonò al seducente gioco di Vera lasciando che la
piccola italiana desse
sfogo a tutta la sua creatività. Si stava appunto
crogiolando in tutte quelle
gentili attenzioni, quando Vera si fermò e si sedette al
fondo del letto, le
gambe intrecciate come una meditatrice, le mani sui piedi nascosti
nelle calze
colorate. Amaryllis le lanciò un’occhiata obliqua,
indecisa su come
interpretare lo spostamento strategico della fidanzata.
-
Che cosa c’è? – domandò Vera
con aria innocente.
- Mi chiedevo se non stessi aspettando che i vestiti si tolgano da soli
–
replicò Amaryllis senza scomporsi.
-
Mm, credo che se aspettiamo abbastanza a lungo possano decomporsi.
E’ fibra
naturale, no? –
Amaryllis
strabuzzò gli occhi di fronte all’ennesima
manifestazione di quella giocosità
che tanto adorava: la sua compagna se ne usciva spesso con le frasi
più
strampalate e inopportune nei momenti peggiori. Vera, dal canto suo,
osservava
la rossa con orgoglio, fiera di avere accanto quell’insicura,
aggressiva e
nasuta tedesca. Dopo essersi fatta scrocchiare tutte le dita dei piedi
(scatenando l’odio di Amaryllis), tornò fra le sua
braccia.
I
vestiti vennero rapidamente ammucchiati sul pavimento, formando una
storta
montagnola colorata impregnata dall’odore di cibo e spumante.
-
Sai, amore, mi è piaciuto stare con la tua famiglia
– confessò Amaryllis,
sistemandole i capelli dietro le orecchie e osservando i suoi grandi
occhi
scuri che la sovrastavano. Vera era ancora coricata sopra di lei.
-
Hai visto che non è stato poi così terribile?
– la sbeffeggiò la primogenita
Baudino baciandola con tenerezza. L’invitante tepore che
proveniva da sotto le
coperte attirava entrambe verso una piacevole dormita, nude,
abbracciate l’una
all’altra. Vera premette la punta del suo naso contro quella
di Amaryllis,
sorridendo dolcemente, mentre con i polpastrelli le carezzava le spalle.
-
Sì, avevi ragione. Ammetto che tua sorella non mi piace
molto e nemmeno le tue
zie Marisa e Renata: non sembrano aver preso molto bene la notizia del
nostro
matrimonio... Invece tua zia Vita è la fine del mondo, la
adoro! Non capisco
una parola di quello che dice, ma la adoro! –
-
Sono felice che tu ti sia trovata bene – sussurrò
Vera baciandole la guancia
con dolcezza, gli occhi chiusi.
-
Sai, potrei anche prendere in considerazione l’idea di venire
a vivere in
Italia – buttò lì Amaryllis con
noncuranza, facendo trasalire la sua compagna.
-
Oh no, ti prego! Io sono fuggita
dall’Italia e non ho intenzione di tornarci –
sentenziò Vera sicura della sua
decisione, che si era rafforzata nel corso degli anni trascorsi in
Germania.
-
Allora potremmo comprare una casa in cui trascorrere le vacanze
– suggerì la
crucca, sbattendo le ciglia con fare civettuolo decisamente atipico per
lei e
che infatti provocò un divertito risolino a Vera.
-
In tal caso potrei anche accettare... –
-
Bene! Immagina una bella casa in Toscana, vicina alla costa: spaziosa,
con
grandi vetrate e un invitante letto matrimoniale in cui fare
l’amore... –
sussurrò Amaryllis con tono sensuale, portando le mani sui
glutei di Vera e
toccandola in quel modo che faceva
impazzire la compagna.
-
Non avevo dubbi che saresti andata a parare lì –
ansimò Vera, la cui gola si
era improvvisamente prosciugata. Amaryllis le rivolse un seducente
sorriso, poi
la baciò.
-
Grazie, Mya – mormorò improvvisamente Vera.
-
E di cosa? Che ti sto toccando? Guarda che è normale, tutte
le coppie
sessualmente mature lo fanno – ridacchiò Amaryllis
stringendole il labbro
inferiore fra i denti.
-
Grazie che sei venuta, che hai parlato con la mia famiglia, con i miei
genitori... –
-
Andiamo, mica è stata una tortura. Grazie a te per avermi
costretta a venire
fin qui! Se non ci fossi stata tu, cara Vera, non so dove sarei finita.
Quindi
l’unica che può e deve ringraziare sono io
– disse Amaryllis con un tono così
serio e con occhi così pieni di amore e rispetto per quella
piccola italiana,
che quella non poté fare a meno di sussurrarle prima il suo
amore all’orecchio
e poi dimostrarglielo concretamente trascinandola sotto le coperte.
FINE
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