II
CLASSIFICATA AL LADIES’ CONTEST INDETTO DA SIGNORINO_
(IFHEAVENFALLSAPART)
Autore: Mizar19
Titolo: Die
Verlobte von
der Mitbewohnerin – La fidanzata della coinquilina
Genere: Romantico,
Commedia
Avvertimenti: Femslash
Rating: arancione
Le nostre eroine: Vera Baudino e Amaryllis Keller
Genitori di Amaryllis: Edwig Schindler e Konstantin Keller (deceduto)
Genitori di Vera: Giampaolo Baudino e Mariangela Rosso
Fratelli: Sara Baudino e Gabriele Baudino
Nonni paterni: Luciano Baudino e Teresa Casetta
Nonni materni: Dante Rosso (deceduto) e Catterina Grimaldi
Zio paterno e consorte: Piero Baudino e Renata Delle Noci
Cugini paterni: Giovanni Baudino, Cecilia Baudino ed Elisa Baudino
Zia materna e compagno: Marisa Rosso e Carmelo Martorana (non presente fisicamente)
Zio materno e compagna: Giuseppe Rosso e Vita Spadaro
Cugini materni: Maria Vittoria Rosso e Vincenzo Rosso
Note d’autore:
Anzitutto,
ci tengo a sottolineare che tengo moltissimo
a questa storia: è nata quasi casualmente da
un’idea balzana campata in aria e
che poi, come al solito, mi è sfuggita di mano ed
è diventata tutto ciò che
stai per leggere. Vera Baudino e Amaryllis Keller sono personaggi
assolutamente
originali, scaturiti dalla mia mente malata e i casi di omonimia sono
puramente
casuali. I luoghi, invece, sono reali (essendo ambientata a Torino, non
potevo
inventarmi nulla), così come i vari cibi e vini che vengono
nominati come
tipici piemontesi, confermo che sono tradizionali della zona.
Spendo
ancora due parole per quanto riguarda le
note: per conferire maggiore realismo alla storia, alcune parti sono
riportate
in tedesco, altre in piemontese (di Torino e dintorni) e altre ancora
in
siciliano (di Palermo), mentre una piccolissima parte in inglese. Per
quanto
riguarda tedesco, inglese e piemontese ho attinto alla mia conoscenza
personale
di queste lingue, mentre per il siciliano ho chiesto ad
un’amica palermitana.
Mi scuso in anticipo per gli eventuali errori di scrittura in
piemontese e
siciliano, ma non sono eccessivamente ferrata sulla scrittura del
piemontese,
mentre per il siciliano proprio zero, mi sono fidata di come mi
scriveva lei le
frasi! Il tedesco, invece, è correttissimo.
Talvolta,
invece, Amaryllis parla in italiano e
parla “sgrammaticato”, le frasi con errori
volontari sono segnalate dal
corsivo.
Infine,
questa storia si configura come il sequel
della storia che ho scritto per l’Only yuri contest di Volk,
anche se
cronologicamente l’idea per questa mi è venuta
prima (te lo dico solo per farti
capire il motivo del titolo!), dunque “Die Mitbewohnerin
– La coinquilina” non
va letta per comprendere questa, in quanto “Die Verlobte von
der Mitbewohnerin”
è completa in se stessa.
Mi
sembra di aver detto fin troppo, buona lettura!
Battuta/e
scelta/e:
9.
“Che cosa
c’è?”
“Mi chiedevo se non stessi aspettando che i vestiti si
tolgano da soli”.
11.
“Senti,
non è che vorrai portarmi da tuo padre e chiedergli la
benedizione, vero?”
“Sarebbe una cosa tanto terrificante?”
“Per me, non molto. È di tuo padre che mi
preoccupo”.
Prima di lasciarvi tranquilli alla lettura, devo ringraziare calorosamente due persone: Kabubi e Calypso che mi hanno seguita in ogni sclero che ha accompagnato la stesura di questa storia.
Die Verlobte von der Mitbewohnerin è dedicata interamente a Nessie che non solo mi ha aiutata con il dialetto palermitano, ma più di tutte ha seguito con entusiasmo la stesura e mi ha supportata in quest'eroica impresa!
***
DIE
VERLOBTE VOR DER MITBEWOHNERIN
PARTE
1
Seduta
a gambe incrociate sulla scrivania, Vera mordicchiava assorta il retro
di una
matita HB, la schiena contro il muro. Contraeva ritmicamente le dita
dei piedi
nudi, le unghie laccate di blu. Aggiunse qualche linea allo schizzo che
reggeva
contro le ginocchia su un supporto rigido.
Fuori
nevicava. Anzi, sarebbe stato più corretto dire che fuori
una bufera di neve si
stava riversando impietosa su Berlino. All’interno
dell’appartamento, però, il
caldo era quasi eccessivo. Tutta colpa del riscaldamento centralizzato.
Così
lei indossava un paio di calzoncini grigi e una maglietta sformata
bianca,
ricordo di un torneo calcistico disputato nemmeno troppi anni prima.
Si
tamponò il sudore sulla fronte con il dorso
dell’avambraccio, osservando
indecisa quelle confuse linee che si accumulavano sul foglio bianco:
non era
per nulla convinta.
Afferrò
di scatto la gomma e cancellò furiosamente quei segni di
grafite, infondendo
nel gesto una tale foga da stropicciare il foglio. Imprecò
fra i denti e
ridusse il pezzo di carta ad una pallina, che lanciò nel
cestino dall’altra
parte della stanza, centrandolo. Ormai era allenata.
Lasciò
cadere il supporto rigido e si stropicciò gli occhi
doloranti con le mani.
Stava tentando di portarsi avanti con quel progetto
d’illustrazioni per un
libro per bambini: doveva essere completato per il rientro dalle
vacanze
natalizie, che sarebbero iniziate di lì ad una settimana.
Vera si coricò sulla
scrivania, inarcando la schiena per distendere la spina dorsale, poi
allungò le
gambe e le braccia. Rilassò infine i muscoli sbuffando.
Si
era trasferita a Berlino quattro anni prima per frequentare l’Universität der Künste di Berlino,
ovvero la versione tedesca dell’Accademia di belle arti.
Amava la Germania, i
suoi abitanti, i luoghi e, soprattutto, amava Berlino, dove voleva
trascorrere
il resto della sua esistenza.
Vera
piegò la testa all’indietro, osservando al
contrario le lancette dell’orologio:
erano quasi le sette, Amaryllis sarebbe rientrata a momenti.
Si
ricompose rapidamente. Sciolse il nodo disordinato in cui aveva stretto
i folti
e lunghi capelli castani, per poi riannodarli in una coda di cavallo
più
ordinata. Dopo averle raccolte, impilò le carte sparse sulla
scrivania, sulle
quali si era seduta senza farsi troppi scrupoli.
Scese
la ripida scala a chiocciola di legno, rischiando di scivolare come al
solito,
poi si diresse verso il frigorifero alla ricerca di un po’
d’acqua fresca.
L’appartamento
in cui vivevano non era molto grande, ma loro lo amavano. La porta
d’ingresso
dava direttamente nel salotto cucina, dove era incastrato un piano
cottura e in
un angolo un piccolo tavolo con due sole sedie. Dalla parte opposta,
invece,
stavano un divano a due posti, foderato da una vecchia coperta
patchwork, e una
televisione nera, molto simile ad un grosso scatolone. Lì
accanto si apriva
anche la porta del bagno. Tramite la scala a chiocciola invece si
accedeva al
soppalco mansardato, dove trovavano spazio il letto matrimoniale,
appoggiato
contro una parete nella parte bassa del soffitto, un ampio cassettone e
la
scrivania sulla quale Vera era seduta fino a poco prima. Il resto delle
loro
cose era stipato su una serie di scaffali che avevano inchiodato
personalmente
anni prima.
Si
sedette sul bancone della cucina. Aveva quest’abitudine di
sedersi su ogni
mobile o superficie piana disponibile, come una scimmia che trova
spazio in
ogni nicchia. Non era molto alta, anzi, arrivava appena al metro e
sessantacinque. Se c’era bisogno di raggiungere il ripiano
più alto dei mobili
della cucina doveva per forza salire in piedi su una sedia e questo le
bastava
appena. Per fortuna Amaryllis era di quindici centimetri più
alta di lei. Una
perfetta donna tedesca: capelli fulvi, occhi azzurri, zigomi alti,
spalle
larghe e gambe lunghe.
Vera
la trovava terribilmente affascinante e non riusciva a non associare a
lei la
parola sessualmente attraente.
Certamente non era pura passione carnale: amavano discorrere a lungo,
abbracciate sul divano, o distese sotto le spesse coperte color sangue,
dopo
aver fatto l’amore. Era anzitutto un’intesa a
livello intellettuale che,
fortunatamente, coincideva anche sul piano fisico.
Amaryllis
era uscita quattro ore prima con Jutte, sua cugina, per il rituale
shopping
natalizio dell’ultimo minuto, durante il quale avrebbero
comprato regali
pacchiani per le loro prozie e altri vecchi parenti. Vera, da sola, era
nervosa. La mano con cui reggeva il bicchiere tremava leggermente.
Mandò giù
l’ultimo sorso.
Proprio
mentre sospirava profondamente, udì la chiave girare nella
toppa. Balzò in
piedi, animata da nuovo ardore, attendendo pazientemente che il naso
della
compagna sbucasse oltre lo stipite. Amava prenderla adorabilmente in
giro per
quel naso che definiva importante e
che era l’unica nota stonata nel suo bellissimo viso. A
parere di Vera, contrariamente
a ciò che Amaryllis pensava, le conferiva una bellezza
ancora più marcata.
-
Scheisse[1]
–
imprecò Amaryllis, sbattendo una borsa
contro lo stipite.
Vera
rise silenziosamente, le natiche poggiate contro il bancone e le
braccia
incrociate, osservando divertita la compagna.
La
giacca beige era ricoperta di neve, così come il morbido
berretto di lana. Le
guance e il naso erano più rossi dei suoi capelli, nascosti
quasi interamente
dal berretto. Gli occhi chiari erano ridotti a fessure e le tremavano
impercettibilmente le labbra, screpolate per il freddo pungente.
-
Amore! – trillò
Vera non appena
Amaryllis ebbe posato al suolo le due borse che reggeva, una per mano.
Le saltò
letteralmente in braccio, incurante della neve che si incollava alla
sua pelle
nuda.
-
Ehi, cucciola – mormorò Amaryllis, stringendola
con forza a sé, impedendole di
scivolare al suolo.
-
Ho voglia di mangiarti di baci – mormorò Vera al
suo orecchio, concretizzando
in maniera limitata ciò che aveva appena espresso a parole.
L’altra ragazza
rise di gusto, mentre la costringeva a scendere a terra.
-
Lascia almeno che mi tolga la giacca –
Vera
la osservò con occhi languidi mentre si sfilava
l’indumento, rivelando una
spessa felpa verde acido. Spostò in un angolo le due borse e
dal modo in cui le
trattava pareva le procurassero molto fastidio. Toltasi i moon boot e quella felpa, rimase in
t-shirt e jeans.
Allungò
le mani fredde e indolenzite verso il viso della compagna,
posandogliele
dolcemente ai lati del capo. Poi la baciò. Vera si
abbandonò completamente fra
le sue braccia, gli occhi serrati, lo stomaco in subbuglio.
-
Te-soro... –
mormorò Amaryllis. Parlavano
principalmente in tedesco (dato che ormai Vera lo padroneggiava
fluentemente),
talvolta preferivano discorrere in inglese, ma sempre più
spesso Amaryllis
utilizzava frasi o intercalari italiani perché stava
cercando di avvicinarsi,
anche se con alcune difficoltà, alla lingua natia della
compagna.
Vera
strofinò prima uno dei piedi nudi contro i jeans
dell’altra ragazza,
utilizzando a poco a poco tutta la gamba. Amaryllis le
afferrò saldamente una
coscia con la mano sinistra, spostando poi la mano sul gluteo nascosto
dai
calzoncini color asfalto, massaggiandolo.
-
Fammi... fammi cambiare – balbettò Amaryllis,
chiamandosi lentamente fuori da
quell’erotico amoreggiare.
-
Sì, poi dobbiamo parlare un attimo... –
squittì Vera, riprendendo fiato e
appollaiandosi sullo schienale del divano. Amaryllis salì
sul soppalco con
tutte le sue cose per andare ad appenderle ai ganci a parete o per
riporle nel
cassettone.
-
Hai sentito i tuoi? – domandò cauta Amaryllis
dall’alto, mentre si spogliava.
-
Sì. Mamma ha detto che sarebbe meglio partissimo la mattina,
in modo da essere
là per l’ora di pranzo. Per loro è
più comodo –
Amaryllis
non rispose: era terrorizzata. Si stava prestando a quella pagliacciata
solo
per far felice la sua ragazza, ma l’idea di conoscere i suoi
genitori e di
essere presentata come la compagna ufficiale della loro primogenita non
la
riempiva di entusiasmo.
-
Mya, ti prego. Lo so che sarà... imbarazzante, ma ci tengo
molto... –
Amaryllis
continuò a restare chiusa nel suo silenzio. Scovò
la sua sformata maglietta blu
scuro e un paio di pantaloni a quadretti del pigiama.
-
Per favore, rispondimi – sussurrò Vera
preoccupata, la voce ridotta ad un
tremolio. Avevano litigato furiosamente meno di due settimane prima
perché
Amaryllis si rifiutava categoricamente di trascorrere le vacanze
natalizie in
casa Baudino. La scusa era che non avrebbe potuto non trascorrere
nemmeno un
giorno con la sua famiglia ma la verità era che il padre di
Vera la spaventava
a morte.
Erano
venuti a trovarla un paio di volte, soprattutto in primavera, e non le
erano
mai andati a genio, specialmente il signor Baudino, così
severo e burbero, rigido.
La madre, invece, era stata talmente apprensiva a soffocante che
Amaryllis si
era sentita mancare l’aria, nonostante non fosse lei
l’oggetto delle sue
attenzioni.
I
signori Baudino non era al corrente del fatto che la loro primogenita
fosse
omosessuale, non l’avevano mai saputo, né
sospettato, accecati dai numerosi
traguardi tagliati dalla figlia e dal suo carisma, grazie al quale
riusciva a
convincerli di qualunque cosa.
Scese
silenziosamente la scala a chiocciola, per poi andare ad abbracciare
quella
piagnucolona della sua ragazza.
-
Tu sei un noia – le disse,
baciandole
la fronte. Vera ridacchiò, evitando di correggerla per non
offendere la sua
autostima.
-
Non potrò dire ai miei che sono lesbica il giorno del nostro
matrimonio, devo
dar loro del tempo per metabolizzare la notizia –
spiegò Vera lasciandosi
cadere sul divano e trascinando Amaryllis con sé.
-
Ah, ci sposeremo? – domandò ironica Amaryllis,
sollevando un sopracciglio.
Vera
annuì con un’espressione da cucciolo gioioso
dipinta sul volto, osservando quello
della compagna a pochi centimetri dal suo.
-
E me lo dici così?! –
s’indignò Amaryllis, iniziando a fare il solletico
alla
compagna, che si contorceva sotto di lei in preda al riso convulso.
Quando
smise, la bloccò con il peso del suo corpo, baciandole le
spalle e il collo,
carezzandole i fianchi e i capelli. Il petto di Vera si alzava e si
abbassava
rapidamente.
La
ragazza supina mugugnò, aggrappandosi alla schiena della
compagna con forza. Si
strinsero l’una fra le braccia dell’altra,
avvolgendosi completamente.
Amaryllis posava a intervalli regolari delicati baci sulla gota
arrossata di
Vera, le cui labbra erano curvate in un impercettibile sorriso di
soddisfazione.
-
Ho voglia di coccole – mormorò Vera, lasciando che
la compagna la stringesse
con più intensità.
-
Andiamo nel letto, staremo più comode – propose
Amaryllis posando una dito
sulla punta del suo naso.
Vera
si alzò controvoglia precedendo la compagna sulla scala a
chiocciola, per poi
tuffarsi con grazia sul piumone. Amaryllis si coricò accanto
a lei,
abbracciandola.
-
Profumi – mormorò la ragazza mora, chiudendo gli
occhi e premendo il naso
contro il collo della compagna.
-
Credo sia sudore, sai? – ironizzò lei, grattandole
delicatamente la schiena.
Vera rabbrividì di piacere.
-
Allora, sei così disperata? – domandò
improvvisamente la ragazza italiana,
coricandosi sopra la compagna, che replicò con un gran
sospiro.
-
Sì –
Vera
rise in una maniera talmente genuina e spontanea che anche le labbra di
Amaryllis s’incurvarono.
-
Sei sciocca, lo sai? – sogghignò, baciandole la
fronte, divertita dalla sua
angoscia.
-
Ti ho promesso che verrò, quindi non hai da temere. Ho solo
una folle ed
ingiustificata paura della tua famiglia. Perché devi dirgli
che stiamo assieme?
E se non gli andrà giù che la loro deliziosa
figliola sprechi le doti che Madre
Natura le ha concesso per una qualunque crucca dai capelli rossi?
–
-
Non sei una qualunque crucca dai capelli rossi, patata, sei la mia crucca dai capelli rossi. E ho
intenzione di andare dai miei e dire esattamente questo: genitori
adorati, lei è la donna della mia vita! –
-
Oh! Senti, non è che vorrai portarmi da tuo padre e
chiedergli la benedizione,
vero? –
-
Sarebbe una cosa tanto terrificante? –
-
Per me non molto. È di tuo padre che mi preoccupo
– si lagnò Amaryllis,
mordendole con delicatezza una guancia.
-
E’ tempo di affrontarlo. E non solo lui! Mia madre, mia
sorella, mio fratello,
la nonna... –
Amaryllis
gemette, zittendo la sua ragazza con una mano premuta contro le sue
labbra, per
poi costringerla sotto di sé.
-
Ora chiudi quel forno che ti ritrovi, perché voglio baciarti
– mormorò,
concretizzando le sue parole. Vera si lasciò sfuggire un
risolino quando la
mano di Amaryllis scostò l’elastico di quei
pantaloncini color asfalto.
Amaryllis
si svegliò per prima, stordita, i capelli arruffati. Era
coricata
trasversalmente nel letto, avvinghiata a Vera, che dormiva su un fianco
con la
bocca dischiusa, un rivolo di bava che bagnava il cuscino. La ragazza
distese
le gambe e i piedi nudi fecero capolino da sotto le coperte.
Provò una
spiacevole sensazione di gelo.
Sbirciando
la sveglia si accorse che erano le tre di notte: si erano addormentate
senza
nemmeno cenare! In quel momento si rese conto di cosa
l’avesse svegliata:
l’insistente brontolio del suo stomaco esigente.
Sgusciò dalla stretta di Vera,
che protestò debolmente, borbottando qualche parola in
italiano e,
fortunatamente, chiudendo la bocca.
Scivolò
fuori dal letto in deshabillé,
rabbrividendo. Durante la notte i termosifoni venivano spenti e dunque
si
creava la situazione opposta a quella diurna: la casa si avvolgeva di
un cupo
gelo che le faceva tremare le gambe.
Afferrò
rapida un pigiama lungo di pile,
abbottonandosi la maglia il più velocemente possibile.
Quando anche l’ultimo
bottone trovò il suo posto nell’asola gemella, la
sensazione di gelo che
l’aveva afferrata parve attenuare sensibilmente la morsa. Si
voltò dunque verso
la compagna.
La
stava osservando, vigile, i grandi occhi scuri spalancati, la sagoma
del suo
corpo visibile grazie alla luce dei lampioni che filtrava attraverso le
tende.
Non avevano nemmeno chiuso le persiane.
-
Ciao – mormorò, la voce impastata di sonno.
-
Ho fame – disse Amaryllis, avvicinandosi al letto e posandole
una mano sulla
guancia. Vera mugolò, strofinando il volto contro il palmo
che l’altra ragazza
le aveva offerto.
-
Anch’io –
Vera
allontanò con un calcio il piumone rosso porpora e
rabbrividì violentemente
quando la sua pelle bollente venne sfiorata dalla gelida aria notturna
dell’appartamento.
Amaryllis fu lesta a porgerle la vestaglia di pile
e un paio di pantaloni della tuta. Senza scendere dal letto,
Vera si rivestì per poi abbracciare Amaryllis stringendo le
braccia attorno al
suo collo.
-
Cosa vorresti mangiare? – le domandò posandole un
bacio sulla guancia.
-
Penso siano avanzate delle scatolette di tonno... –
-
Pasta con il pomodoro e il tonno alle tre di notte –
sentenziò Vera allegra,
lasciando la presa e precedendo la compagna giù per la scala
a chiocciola.
Forse
l’allegria della compagna, forse la forza di
volontà che aveva sempre posseduto
in abbondanza, ma l’idea così terrificante di
presentarsi come fidanzata
ufficiale di Vera ai suoi genitori non la spaventava più
così tanto. Anzi, era
felice di poter, in un certo senso, legittimare
il loro rapporto.
*
-
Dammi la cintura – disse Amaryllis, porgendo il palmo della
mano aperta alla
sua ragazza, che stava riponendo gli oggetti di metallo nelle abituali
scatole
di plastica per poter passare sotto al metal
detector. Vera le porse la cintura di cuoio e
passò indenne sotto lo
strumento. Poco dopo la raggiunse anche Amaryllis.
Recuperarono
i loro bagagli a mano e si avviarono verso la zona d’imbarco.
-
Fa caldo – si lamentò Vera, strattonando il
morbido collo del suo maglione di
lana blu. Si era già tolta il cappotto e la sciarpa, che ora
reggeva con un
braccio.
-
E’ perché ti sei vestita come se dovessi andare a
scalare l’Everest – mormorò
Amaryllis, baciandole un orecchio.
-
Ma fuori fa freddo! – protestò la ragazza italiana
ridendo, meritandosi un
dolce spintone da parte della compagna, stufa delle sue lamentele.
-
Allora, come ti senti? – domandò Vera
all’altra, mentre si sedevano sulle
morbide poltroncine, posando le giacche nel posto vuoto accanto a loro.
-
Nervosa? No, il termine più corretto è angosciata
– specificò Amaryllis, accompagnando la frase con
un gesto rapido dell’indice,
come a bacchettare l’aria.
-
Ti piaceranno i miei genitori. Sono un po’... particolari, ma
penso che non si
scandalizzeranno tanto. In fondo sono la loro adorata figliuola
– sogghignò
Vera, gingillandosi del suo successo scolastico, che rendeva tanto
fieri di lei
i signori Baudino.
-
Per quel poco che li ho visti ammetto di non poter avere
un’opinione basata su
concrete osservazioni. Irrazionalmente, però, me li immagino
come due giaguari
appostati fra dimenticate rovine azteche pronti a sbranarmi non appena
metterò
piede nel loro territorio – confessò Amaryllis,
procurando una ridarella
isterica alla sua compagna.
Vera
si ricompose quando il suo telefono squillò. La parole
“mamma” lampeggiò con
insistenza sul display, mentre si diffondevano nella sala le note di Shiny happy people, una vecchia canzone
dei
REM che riusciva a metterla sempre di buon umore, anche nei momenti
più tetri.
Amaryllis
sgranò gli occhi e s’infossò nella
poltrona, come se la madre di Vera potesse
vederla attraverso il telefono cellulare.
-
Pronto? – rispose Vera, osservando la reazione
dell’altra con una luce
divertita negli occhi.
-
Nini[2],
stai bene? – le domandò apprensiva la signora
Baudino.
-
Sì, mamma, tranquilla. Siamo in aeroporto, stiamo aspettando
che ci chiamino
per l’imbarco. Com’è il tempo a Torino?
–
Amaryllis
aveva afferrato qualcosa della conversazione e si era tranquillizzata.
Era solo
la madre apprensiva che telefonava alla figlia lontana. Tutto qui.
Senz’altro.
-
Papà am ha dime[3]
che lì nevica, fate attenzione, ne! Qua ha smesso da poco
–
-
Mamma, tranquilla, qua nevica sempre! –
-
E la tua amica, com’è che si chiama? Non riesco a
ricordarmelo mai... –
-
Amaryllis, ma tu limitati a chiamarla Mya. Andrà benissimo
–
-
Nini, ma doveva proprio venire? Non
è
per cattiveria... ma... –
-
E allora se non è cattiveria non vedo quale sia il problema.
Ci tengo a
presentarvela, okay? – s’infervorò Vera,
agitando una mano, mentre Amaryllis la
osservava terrorizzata. Cogliere il suo nome era stato un trauma.
Soprattutto a
causa del tono di voce che usato da Vera subito dopo.
-
Ma certo, nini, e siamo contenti
che
tu voglia conciliare la tua vita in Germania con noi, ma i parenti...
sarà
difficile comunicare. Nemmeno noi parliamo così bene
l’inglese, ne. Figurati la
nonna! –
-
Mamma, Mya parla un po’ di italiano e poi ci sarò
io. Per me è molto importante
che la conosciate – s’accorò Vera,
stringendo la mano chiusa e premendola
contro il ventre.
-
Oh Signur, cosa avrà mai
di tanto
speciale? L’abbiamo già vista altre volte...
– continuò la signora Baudino,
affannata. Proprio non riusciva a comprendere la testardaggine della
figlia, ma
non aveva potuto negarle una cosa a cui pareva tenere tanto.
-
Non dire cavolate! Vi siete a malapena salutati! Viviamo insieme da tre
anni,
mi sembra ora che scambiate due parole con lei –
s’infervorò Vera, il pugno
sempre più chiuso. Amaryllis la osservava, notando la
sfumatura porpora che
stava iniziando a farsi strada sulle guance della compagna.
Allungò una mano,
carezzandole quella chiusa a morsa, insinuandovi l’indice e
costringendola ad
allentare la presa, mentre intrecciava le loro dita. Poi le
posò la testa sulla
spalla.
-
Nini, non ti agitare. State venendo
qua, va tutto bene. Ci saranno papà e Sara ad aspettarti,
okay? -, Vera stava
per rispondere, quando Amaryllis le indicò il soffitto,
facendole intuire che
stavano chiamando il loro volo.
-
Sì, mamma devo andare. Ci imbarcano! Atterrerò
nel giro di un’oretta, baci
– staccò
il telefono senza ascoltare la
sua risposta. Poi lo spense, onde evitare di essere richiamata dalla
madre
offesa.
Amaryllis
intuì che qualcosa non andava, ma il suo tatto le
suggerì di non domandare. Si
limitò ad abbracciare Vera non appena si furono sistemate in
coda. Lei chiuse
gli occhi, appoggiando con piacere il viso contro il seno
dell’altra. La
ragazza tedesca le carezzava i capelli lunghi con gesti lenti e dolci,
posandole saltuariamente morbidi baci sul capo.
-
Enschuldigung[4]
– mormorò Vera, tirando su col naso e lasciando
scivolare lentamente la stoffa
della felpa di Amaryllis che aveva stretto fra le dita quando
l’aveva
abbracciata.
-
Sh, stai sitta. Va
tutto bene – tentennò Amaryllis,
strappando un sorriso a Vera
con il suo marcato accento tedesco.
-
Mia madre ha paura che non riusciate a comunicare. Una scusa per dirmi
che era
meglio se non ti avessi invitata. Lo fa di proposito, ne sono convinta:
quando
glielo proposi, ne fu entusiasta, ringraziandomi perché ero
stata così
premurosa da volerti portare da loro. Forse non pensava che
l’avrei fatto sul
serio. Davvero, non lo so. E ora se ne esce con queste... queste... cazzate! -, Amaryllis non ebbe bisogno
di traduzioni, le parolacce gliele aveva insegnate tutte, di modo da
trovarsi
preparata in caso sua sorella o suo fratello si fossero comportati
scortesemente, approfittando del suo non capire la lingua.
-
Magari è solo agitata... conosci tua madre meglio di me:
è meticolosa,
abitudinaria. Le scombussolerò la daily
routine! – scherzò Amaryllis,
grattandole la schiena per farla sorridere.
-
Non vedo l’ora di farti assaggiare i budini della nonna...
– mormorò Vera, che
aveva ritrovato il buonumore.
-
Io non vedo l’ora che questo Natale trascorra e che arrivi
gennaio, così potrò
rotolarmi di nuovo nel letto con te – mormorò
Amaryllis, le labbra premute
contro il padiglione auricolare dell’altra. Vera
avvampò, sorridendo maliziosa.
-
Chi ti ha detto che ho intenzione di aspettare il ritorno a Berlino?
– sollevò
un sopracciglio con aria interrogativa e scettica. Amaryllis non
poté far altro
che limitarsi ad udire il suo stomaco contorcersi. Un conto era andare
a
chiedere la benedizione, un conto
era
fare l’amore sotto il loro naso.
-
Saremo discrete – aggiunse Vera, annuendo coraggiosamente.
-
Certo, per come sei discreta tu anche l’Australia sa cosa
combiniamo sotto a
quel piumone –
*
La
voce del comandante annunciò l’arrivo a Torino
prima in italiano, poi in
inglese e, infine, in tedesco. Informò i passeggeri delle
condizione
meteorologiche all’esterno e li invitò a restare
seduti fino al completo
arresto del velivolo.
Amaryllis
si stava massaggiando le orecchie, che le provocavano un forte fastidio
a causa
della rapida discesa e il conseguente sbalzo di pressione. Il suo
stomaco era
sempre più chiuso e accartocciato, come uno qualunque dei
tentativi
fallimentari dei disegni della sua compagna, ridotto poi ad una pallina
di
carta straccia e gettato con precisione nel cestino. Si
massaggiò le tempie,
sbuffando. Era sudata, si sentiva più accaldata del solito e
le mancava l’aria.
Sperava di scendere rapidamente da quella trappola con le ali.
-
Honey, everything’s going to be fine[5]
– le ricordò per l’ennesima volta Vera,
carezzandole un braccio come si farebbe
con il delicato capo di un chihuahua e baciandole una spalla a
intervalli
regolari.
Amaryllis
non rispose, continuava a fissare ostinatamente il segnale luminoso che
perdurava l’obbligo d’indossare le cinture,
pregando perché si spegnesse dato
che ormai erano praticamente fermi. Quando finalmente fu esaudita, si
liberò di
scatto della costrizione e recuperò il suo bagaglio a mano.
Riuscirono
ad uscire dall’aereo col primo gruppo di passeggeri.
Il
cielo di Torino era grigio, spento, ma la luce che filtrava dalle
nuvole era
accecante. L’aria gelida e pungente. Rientrarono
nell’aeroporto per ritirare i
bagagli, avvicinandosi rapidamente al nastro trasportatore, attendendo
le
valigie come predatori in agguato fra le sterpaglie.
-
Ti senti meglio? – domandò Vera ad Amaryllis,
stringendole una mano. La ragazza
tedesca annuì, scusandosi per il suo comportamento
maleducato di poco prima.
-
E’ che sono un po’... nervosa –
-
Tranquilla, lo capisco. Anch’io ero nervosa quando mi hai
presentato tua madre
– la rassicurò Vera, che ora si era avvinghiata al
suo braccio. Era quasi
un’azione automatica quella di aggrapparsi, avvolgersi,
stringersi alla
compagna, che le fosse offerta una mano, una gamba o tutto il corpo.
Furono
fortunate e la loro valigia comparì quasi subito sul nastro.
Amaryllis si
sporse per afferrarla e la trascinò a terra sbuffando per lo
sforzo: l’avevano
riempita ben oltre la capienza massima suggerita.
-
Mi sta prendendo il panico. Mi tremano le mani –
sussurrò Amaryllis, mentre si
avviavano all’uscita, dove avrebbero dovuto attenderle il
signor Baudino e la
sorella di Vera, Sara.
Si
ritrovarono in una sala gremita di persone che reggevano cartelli,
foto,
scritte, tutte ammassate attorno alla porta, pronte a recuperare la
persona da
cui tentavano di farsi notare. Vera e Amaryllis li oltrepassarono a
spintoni
perché quelli parevano essersi cementificati e saltellavano
sventolando i loro
fogli, preoccupati di non essere visti.
-
C’è? Lo vedi? – domandò
Amaryllis, che sperava irrazionalmente che si fossero
scordati di loro.
-
No, Mya, lasciami guardare – disse Vera. Si erano fermate
circa al centro della
sala, punto da cui godevano di ottima visuale e avrebbero potuto
identificare
più rapidamente il signor Baudino e Sara.
-
Vera! – chiamò una voce acuta proveniente da
sinistra. Le due ragazze si
voltarono di scatto. Era stata Sara a chiamarle a gran voce.
Due
figure, una bassa e tarchiata, una alta e slanciata, le attendevano,
braccia
conserte e gambe ben salde.
Sara
aveva lunghi capelli scuri, simili a quelli di Vera, ma era evidente la
cura con
cui li aveva sottoposti alla tortura della piastra. Era molto
più alta della
sorella, il naso più appuntito, la bocca più
grande, ma era innegabile la
somiglianza fra le due. Sulle guance il fard eccedeva e gli occhi erano
segnati
da una spessa linea di eye-liner nero. Indossava una specie di bomber
nero e un
paio di jeans molto aderenti, ai piedi un paio di kawasaki fucsia. Masticava
nervosamente una gomma.
Il
signor Baudino era la prova evidente che Vera era sua figlia, dato che
l’altezza doveva averla per forza ereditata da lui. Portava i
capelli corti,
brizzolati e un principio di calvizie avanzava dalla fronte. Se ne
stava
immobile, serio nel suo cappotto marrone, dal cui scollo si intravedeva
una sciarpa
di un colore neutro ed insignificante, le scarpe talmente lucide da
potercisi
specchiare dentro. Il volto contratto, forse per la concentrazione
nella
ricerca della figlia. Quando la vide parve rilassarsi e i suoi occhi si
aprirono, rivelandosi simili a quelli grandi e scuri di Vera, il volto
rasato
con cura non sembrava però mostrare segni di gioia.
Amaryllis
udì nuovamente il lamento del suo stomaco e dovette
trattenersi dal portarsi
una mano al ventre. Non voleva mostrar loro che si sentiva uno straccio
cencioso.
-
Ciao papà, ciao Sara! – esclamò Vera,
salutando entrambi con un gesto della
mano e un sorriso.
-
Ciao tesoro, lei è la tua amica? –
domandò immediatamente il signor Baudino,
osservando diffidente la rossa.
-
Allora – Vera si schiarì la gola, pronta a fare le
presentazioni e parlando
italiano molto lentamente, in modo da permettere alla sua ragazza di
capire –
Lei è Amaryllis, la mia coinquilina. Mya, loro sono mio
papà Giampaolo e mia
sorella Sara –
Amaryllis
fece un cenno imbarazzato con il capo, per poi porgere la mano destra.
Sara la
strinse controvoglia, il signor Baudino le stritolò le
falangi, facendola quasi
sussultare.
-
Piacere Amaryllis. Sei la benvenuta – sillabò
lentamente il signor Baudino, per
poi rivolgersi con tono sbrigativo alla figlia. – Andiamo che
mamma ci aspetta.
Non vorrai mica fare tardi –
-
Certo che no, sbrighiamoci –
Amaryllis
si occupò della valigia, sorda alle proteste di Vera. Sara
le osservava in modo
curioso quando parlavano in tedesco, pensando forse che le stessero
nascondendo
qualche misterioso segreto templare.
Durante
il tragitto in macchina parlò principalmente il signor
Baudino, che spiegava
alla figlia il programma dettagliato non solo della giornata stessa, ma
anche
di quella a venire e dei giorni ancora successivi, elencando una sfilza
di
parenti da andare a trovare controvoglia. Inoltre, quel giorno a pranzo
la
nonna non sarebbe stata presente perché era con la famiglia
del fratello della
signora Baudino a godersi una bourghignon.
Amaryllis
non capiva una parola: il signor Baudino non stava parlando italiano,
ma il
dialetto della regione e lei era atterrita, rigida, non pareva nemmeno
lei. Solitamente
era dinamica, forte, carismatica, prendeva l’iniziativa in
ogni momento senza
farsi scrupoli. Ora temeva solo che il padre della compagna la
cacciasse,
costringendola a prendere il primo aereo per Berlino.
Il
signor Baudino si destreggiò con abilità nel
traffico di Torino, costeggiando
il Po lungo Via Fiocchetto e procedendo verso la periferia. Dopo non
molto si
arrestò di fronte ad un cancello, attendendo che esso
scorresse lateralmente,
permettendo l’accesso della Punto nera.
Era
un alto palazzo di mattoni, anzi, per l’esattezza era un
complesso di palazzi
che facevano riferimento ad un unico cortile, nel quale vi era persino
un
giardino con alcune attrezzature per bambini. Sulle altalene si stavano
dondolando, ridendo forte, una bambina araba e una riccia biondina.
Amaryllis
sorrise a quella visione che le ricordava la sua multietnica Germania.
Sara
prese la valigia di Amaryllis, che era talmente agitata da non riuscire
nemmeno
a ricordare la formula per ringraziare italiana. Se ne uscì
dunque con uno
stentato thank you, suscitando
notevole ilarità in Vera.
-
Du bist so nervös[6]...
– mormorò, prendendole una mano e sorridendo con
fare rassicurante. Amaryllis
però non riusciva a calmarsi. Sara era dietro di loro e si
sentiva il suo
sguardo fisso contro la nuca. Le formicolava la pelle del collo
sentendosi
tanto osservata. Sara intuiva qualcosa, ne era certa. La guardava in
modo troppo strano per essere
semplice
diffidenza dettata dall’essere sconosciute.
-
Vado a piedi – disse Sara davanti alle porte aperte
dell’ascensore, lasciando
la valigia di Amaryllis sul pianerottolo, poi iniziò a
salire.
-
Cos’ha Sara, papà? – domandò
Vera, mentre mettevano le valigie nell’ascensore.
Il signor Baudino le lanciò uno sguardo piuttosto duro.
-
Non mi sembra il momento di discuterne, ti pare? –
-
Sì – chiuse il discorso Vera, pigiando il numero
sei sulla pulsantiera di
metallo.
Stretta
in quel piccolo ascensore, Vera si sentiva mancare l’aria.
Non le era mai
piaciuto, così soffocante e angusto. Ma era una buona scusa
per potersi
stringere ad Amaryllis senza destare troppi sospetti. Non aveva
intenzione di
affrontare l’argomento in quella gabbia claustrofobica.
Abbandonò il capo sul
seno della compagna, che rimase immobile. Normalmente
l’avrebbe abbracciata e
ricoperta di umidi baci. Amaryllis si trattenne a stento dal farlo.
Finalmente
le porte si riaprirono con un cigolio sinistro sul pianerottolo del
sesto
piano. Il signor Baudino si occupò di portar fuori le
valigie, seguito dalle
due ragazze. Sulla soglia di un’anonima porta marrone stava
una donna di mezza
età. Era addirittura più bassa di Vera,
magrolina, il volto tirato e segnato da
rughe sottili. Sembrava più giovane dei cinquantasei anni
che le attribuiva
Vera.
Mariangela
Rosso indossava un paio di pantaloni grigi e un maglione nero a collo
alto, al
polso destro luccicava un orologio d’argento. Attorno al
collo, adagiata sul
seno piuttosto pronunciato, una collana di perle faceva bella mostra di
sé. I
capelli castani tagliati sulle spalle erano stati sistemati con cura
dietro
alle orecchie. Sorrise quando incrociò lo sguardo di
Amaryllis, spalancando la
porta.
-
Mamma! – esclamò Vera, andando ad abbracciarla. La
ragazza tedesca fece per
afferrare la maniglia della valigia, ma urtò la mano fredda
del signor Baudino,
trasalendo. Lui non disse nulla, si limitò ad osservarla. Il
suo sguardo
indecifrabile le fece tremare i polsi.
-
Venite dentro – disse la signora Baudino, allontanandosi
dalla soglia per
permettere ai tre di entrare. Sara si era già tolta il
giubbotto e lo stava
riponendo nell’armadio, rimanendo con indosso una semplice
felpa grigia con il
cappuccio.
-
Mamma, lei è Amaryllis, la mia coinquilina e amica
– disse Vera lentamente,
indicando l’imbarazzata ragazza tedesca, colta
nell’attimo di sfilarsi il
cappotto e dunque con entrambe le mani occupate. Con un certo impaccio
si
liberò dell’indumento e strinse la mano alla
signora Baudino, gracchiando uno
stentato “piacere mio”.
-
Gabriele! – chiamò il signor Baudino alzando la
voce. Un ragazzino nel pieno
dello sviluppo puberale sbucò da una porta laterale del
corridoio. Portava un
grosso paio di occhiali neri, sotto i quali si allungava un naso un
po’
schiacciato, le orecchie erano leggermente a sventola e camminava
curvato in
avanti dal peso dell’adolescenza. Li raggiunse strascicando i
piedi e
masticando una gomma.
-
Sputa quell’affare e stai dritto! Diventerai un verme
– lo minacciò il signor
Baudino. Il ragazzo sbuffò, poi andò in cucina
senza nemmeno salutare la
sorella.
Solamente
quando ritornò nell’ingresso parve notare
l’alta ragazza dai capelli rossi che
tentava di nascondersi con scarso successo dietro a Vera.
Avvampò osservandola
attentamente.
-
Amaryllis, lui è il mio fratellino Gabriele. Gabri, lei
è la mia amica
Amaryllis, la ragazza con cui vivo – disse per
l’ennesima volta la primogenita
Baudino, invitandolo a stringerle la mano. Gabriele la
osservò stralunato e la
sorella notò in lui un improvviso disagio. Porse una mano
tremante alla
tedesca. Vera intuì cos’era successo nel momento
esatto in cui Gabriele
incrociò le gambe e tentò di abbassarsi la felpa
il più possibile, tirandone il
bordo inferiore.
-
Sei disgustoso – sbuffò Sara, dandogli uno
spintone.
-
E tu sei una cretina! – strillò lui, la voce
fattasi improvvisamente acuta.
-
Ragazzi, smettetela. Abbiamo un ospite, comportatevi con decenza
– li ammonì il
signor Baudino con tono severo, indicando la porta dietro alla quale si
nascondeva la sala da pranzo, come per invitarli ad oltrepassare la
soglia. I
due fratelli obbedirono senza protestare.
-
Andate, vi raggiungiamo subito. Scambio due parole con lei –
disse Vera
sbrigativa, mentre il resto della famiglia andava a sedersi a tavola,
sulla
quale il pranzo era già stato servito.
-
Wie geht’s[7]?
– domandò premurosa Vera, stringendo le mani della
compagna. Amaryllis fece una
smorfia con il naso, poi le posò un bacio sulla fronte.
-
Bah, più o meno... tuo padre mi terrorizza, con tua madre ci
ho parlato troppo
poco per capire cosa provo per lei. Penso non sia molto diverso
dall’angoscia.
I tuoi fratelli invece mi spaventano. Il maschietto – non
pronunciò il nome per
timore di essere udita – non ha per caso avuto... –
-
Oh sì! – scoppiò a ridere Vera.
-
Avevo giusto bisogno di un adolescente arrapato che mi osserva con
occhi da
triglia e diventa inabile alla parola quando gliela rivolgo io. Ci sono
già io
di imbarazzata qua dentro, è più che sufficiente
–
-
Es ist denn du bist wunderschön[8]
– miagolò Vera stringendosi a lei e strofinando la
guancia contro il suo seno.
Amaryllis le sussurrò all’orecchio che, solamente
perché i suoi non capivano
una parola di quel che dicevano, non era però
così stupidi da non saper
interpretare il tono di voce.
-
Ora andremo in cucina e tu sfodererai il tuo sorriso più
affabile, loro saranno
cordiali con te, tu ricambierai, poi io gli dirò che sei la
mia fidanzata.
Tutto chiaro? –
-
Per nulla – sibilò Amaryllis, percependo
nuovamente il suo stomaco contrarsi.
-
Perfetto! –
Vera
trotterellò allegramente in cucina, apparentemente immune
all’ansia che stava
nuovamente prendendo possesso del corpo di Amaryllis.
Il
signor Baudino occupava il posto capotavola, alla sua destra sedeva con
gli
occhi bassi la moglie, accanto alla quale Gabriele stava
smangiucchiando
nervosamente la punta di un grissino. Sara, alla sinistra del padre,
osservava
annoiata le due ragazze fare il loro ingresso. Vera si
sistemò accanto alla sorella,
invitando Amaryllis ad occupare il posto capotavola di fronte a suo
padre.
-
Cara, come antipasto abbiamo carne cruda all’albese, ne vuoi?
– domandò
lentamente la signora Baudino, indicando un piatto su cui erano
adagiate sottili
fette di carne cruda, insaporite con olio e scaglie di parmigiano.
Amaryllis
annuì, non del tutto certa di ciò che aveva detto
la sua interlocutrice, ma
abbastanza sicura di aver capito che stesse parlando di quel piatto. Lo
allungò
alla signora Baudino, che si occupò di servirla.
-
Nini, com’è
andato il volo? –
-
Tutto bene, ma’, sono qui davanti a te! C’era molta
gente che viaggiava,
soprattutto famiglie. E il volo è stato tranquillo
nonostante la neve –
-
Ti piace Torino, Amaryllis? – domandò la madre di
Vera scandendo lentamente le
parole.
-
Io ho visto poco, ma Vera parla tanto di
Torino e sembra come se la conosco –
tentò Amaryllis, monitorando il volto
della sua ragazza, in cerca di segnali d’approvazione. Li
trovò in un caldo
sorriso.
-
Parli abbastanza bene italiano. E’ stata mia figlia ad
insegnartelo? –
s’informò il signor Baudino.
-
Sì, io lo ha chiesto. Io voleva di
imparare prima di venire a Torino –
Amaryllis
era un po’ più tranquilla, ma le sue scorte di
italiano stavano per terminare.
Si riempì dunque la bocca di quella squisita carne cruda,
sperando che ciò
facesse desistere i coniugi Baudino dal porle altre domande. E
così fu: la
signora Baudino iniziò a parlare con la figlia minore,
domandandole di alcuni
amici con cui si era vista il giorno precedente.
Amaryllis
sollevò gli occhi e incrociò lo sguardo di
Gabriele. Il ragazzino arrossì
furiosamente, abbassando la testa nel piatto e dimenandosi sulla sedia.
-
Quanti anni hai? – gli domandò improvvisamente,
presa da un’improvvisa
tenerezza verso quel ragazzino imbarazzato.
-
Q-quasi q-quattordici – balbettò, gli occhi fissi
sulla tovaglia.
Vera
stava ascoltando la conversazione fra la madre e la sorella: a quanto
pareva
Chiara e Benedetta avevano litigato, mentre Jessica si era messa con
Antonio.
Vera ricordava vagamente quei nomi, erano amiche di Sara, una serie di
ragazzine dai lunghi capelli lisci di piastra e gli occhi
eccessivamente
truccati. Per non parlare dell’orrenda musica che
ascoltavano. La ragazza
lanciò anche un’occhiata alla sorella, che tentava
di parlare con Gabriele.
Vera trattenne una risatina al pensiero di ciò che il
fratellino provava
vedendo Amaryllis.
-
No, cioè, non te lo immagini: Mirko è proprio frocio! – esclamò
Sara diretta alla madre, attirando l’attenzione
di Vera.
-
Che ha fatto? – domandò la maggiore delle Baudino,
curiosa. Le idee politiche
della sorella la divertivano sempre molto. Come la sua ignoranza.
-
Ha toccato il sedere a Franco! E poi cioè lo vedi che
è frocio da come cammina
–
-
Tu sapresti distinguere una persona omosessuale da una eterosessuale in
base al
modo di camminare? – domandò Vera scoppiando a
ridere, divertita.
-
Be’, se sculetta come una velina direi che è
piuttosto semplice, non ti pare? –
intervenne ridacchiando il signor Baudino. Vera non replicò,
infastidita.
Detestava la mentalità ristretta di suo padre ancor
più di quella della
sorella.
-
Was passiert[9]?
– domandò Amaryllis, insospettita
dall’improvviso incupirsi dell’espressione di
Vera.
-
Mia sorella e mio padre sono omofobi e
disgustosi, ecco cosa succede – rispose Vera con
un largo sorriso gioviale,
parlando il più rapidamente possibile. – Mi ha
chiesto cosa c’è come primo e le
ho risposto che hai preparato le lasagne – spiegò,
mentendo, a beneficio della
famiglia, che non capiva mezza parola di tedesco.
-
Sì nini, ne vuole?
– sorrise la
madre.
-
Oh no, non ancora. Deve finire la carne cruda –
-
Comunque tu dovresti saperlo come camminano i froci
– la pungolò Sara, ritornando
sull’argomento con sadica
consapevolezza.
-
E perché mai? – chiese Vera senza scomporsi,
sollevando il sopracciglio destro,
abilità non comune a tutti.
-
Sara, smettila con queste assurdità.
L’università di tua sorella è
frequentata
da gente perbene e lei è una ragazza ammodo, non frequenta
certa gente –
l’ammonì il signor Baudino, per poi ordinare alla
moglie di portare le lasagne.
-
Mia sorella ha appena fatto un velato
riferimento al mio appartenere al Partito Arcobaleno
– spiegò Vera per
Amaryllis, che non stava più capendo una parola e si era
rassegnata a terminare
quel delizioso antipasto. Questa volta non tradusse nemmeno una
qualsiasi bugia
per la sua famiglia.
Sapeva
che c’era del buono in suo padre, l’avrebbe
accettata senz’altro. Magari
avrebbe fatto un po’ di fatica, ma alla fine avrebbe capito.
Almeno lo sperava.
Di sua sorella, invece, non le importava molto.
-
Amaryllis, cosa stai studiando? Hai la stessa età di Vera,
ne? – domandò la
signora Baudino, servendole una porzione di lasagne decisamente
consistente.
-
Sì, io ho venti e tre anni. Io studio... Vera, hilf mir, bitte[10]
- s’interruppe
Amaryllis che proprio non
aveva idea di come spiegare alla madre della sua ragazza la
facoltà a cui era
iscritta e il tipo di cose che studiava.
-
Amaryllis studia biotecnologie, non ci capisco molto, ma è
interessante. Lavora
nel campo della ricerca – spiegò venendole in
soccorso, mentre l’altra annuiva
con foga.
-
Mm, sembra utile – sorrise con una gentilezza di facciata la
signora Baudino,
mentre Vera udì chiaramente suo padre borbottare che i
ricercatori erano una
delle tante sanguisughe della società.
-
Papà, ti prego. Non mi sembra il caso – lo
redarguì la figlia, arrabbiata per
la maleducazione che mostrava. Proprio perché Amaryllis non
era in grado di
capire e dunque di replicare era ancora più scorretto fare
quelle affermazioni
sentenziose senza darle la possibilità di difendersi.
-
E’ lampante, Vera. E non sono solo loro! Pensa a tutti quei
giornalisti e a
quelle prostitute che si sono fatti i soldi inventandosi baggianate su
Berlusconi e perseguitandolo con accuse pretestuose! –
-
Oh mio Dio, ti prego! Io vivo a Berlino, leggo i giornali tedeschi:
siamo lo
zimbello dell’Europa – replicò pungente
Vera, tagliando a cubetti regolari le
sue lasagne e osservando le sottili volute di fumo attorcigliarsi su
loro
stesse e svanire lentamente.
-
E cosa sta facendo la sinistra per il paese? Quel branco di incapaci
è solo in
grado di chiedere le dimissioni al Presidente del consiglio, ma fatti
concreti
non se ne vedono –
-
Non mi pare che la destra abbia concretizzato molto... Preferisco di
gran lunga
la Germania. Non tornerò in Italia –
decretò Vera, che aveva preso quella
decisione già da molto tempo.
-
Oh Signur! Vera, scherza
mac[11]! - esclamò sua
madre, impallidendo.
-
No, mamma, là mi trovo bene. Ho tutto quello di cui ho
bisogno. Un paese come
l’Italia non mi offre un futuro –
-
Oh sì, hai proprio tutto. E il surrogato di ciò
che non puoi avere – ironizzò
Sara, giocherellando con un avanzo di lasagne.
-
Cosa intendi dire, Sara? – le domandò il signor
Baudino deglutendo l’ultimo
boccone.
-
Io? Nulla. Ha tutto là, l’ha detto lei –
si mise sulla difensiva la ragazzina,
lasciando cadere la posata, che tintinnò contro il piatto.
Vera
cambiò rapida argomento dimostrando un’abile
tecnica oratoria e una padronanza
eccezionale del proprio autocontrollo. Si complimentò con la
madre per l’ottima
qualità del pranzo, domandò a suo padre come
procedesse il lavoro alla Fiat e
s’interessò persino agli ultimi esperimenti di
scienze eseguiti a scuola dal
fratello, grande appassionato della materia.
I
genitori di Vera si dimostrarono gentili e disponibili, tentando in
tutti i
modi di coinvolgere l’ospite nelle loro conversazioni, che si
stavano
mantenendo su una linea piuttosto vaga e banale, ma
l’ostacolo linguistico
impediva di trattare argomenti più seri e profondi, dato che
Vera avrebbe
dovuto prestarsi a fare da traduttrice a tempo pieno.
Fu
dopo che la signora Baudino ebbe riportato in cucina la teglia di
lasagne e
posato sul tavolo un grilletto di insalata, che Amaryllis
notò l’impazienza di
Vera. Non doveva mancare molto alla confessione.
-
Ma’, pensavo di portare Amaryllis a fare un giro per Torino
dopo pranzo: è la
vigilia, sarà pieno di luci e colori! Per non parlare della
folla. Voglio farle
respirare la nostra aria natalizia – la madre
annuì approvando la scelta della
figlia e osservandola con espressione fiera – Mi passi
l’insalata? Grazie. Ah,
fra l’altro, pensavo che sarebbe stato carino dirvi che sono
omosessuale. Ma le
lasagne erano davvero squisite... –
Il
signor Baudino iniziò a tossire convulsamente a causa di una
foglia d’insalata
incastrata nella sua epiglottide. Si portò una mano al
petto, percuotendosi con
forza. La signora Baudino iniziò a bombardarlo di domande
con tono isterico,
porgendogli affannata un bicchiere d’acqua, con il solo
risultato di
versargliene metà sulla camicia.
-
L’hai fatta grossa – ridacchiò Sara,
infossata sulla sedia, rivolgendole
un’occhiata obliqua.
Amaryllis
era, come ormai da un paio di giorni, terrorizzata. Il signor Baudino
stava
soffocando e la moglie era in preda ad una crisi isterica. Si
limitò ad
osservare la scena con occhi sgranati, mentre Gabriele la osservava con
la
medesima espressione, ma le vibrazioni che emanavano erano totalmente
diverse.
Ci
vollero alcuni minuti prima che il signor Baudino tornasse a respirare
normalmente e il volto riacquistasse un colorito salutare. La signora
Baudino
si stava facendo aria con il tovagliolo, le labbra serrate in una linea
sottile. Vera attese ancora una manciata di secondi, poi
esordì con la sua
confessione ufficiale.
-
Mamma, papà... devo
dirvi una cosa –
iniziò Vera con uno scintillio di sicurezza e orgoglio negli
occhi. Sara
assunse un’espressione di trionfo, Gabriele invece era ancora
assorto ad
osservare incantato la bella amica della sorella maggiore, di cui si
era
invaghito e il calore proveniente dalle sue mutande ne era la prova
lampante.
-
Vera, non farmi altri scherzi, ne – la pregò la
madre portandosi una mano sul
cuore. Vera scrollò le spalle, poi fissò
intensamente il suo sguardo in quello
del padre, la persona seduta a quel tavolo che temeva maggiormente.
-
Amaryllis è la mia fidanzata, stiamo assieme da tre anni
– disse ex abrupto.
Voleva strappare quel dente
con un solo strattone, sarebbe stato meno difficile e doloroso.
Il
silenzio calò sulla tavola: il signor Baudino divenne
rapidamente di un
delicato color porpora, senza però scomporsi minimamente,
l’unico segno della
sua alterazione erano le dita della mano destra serrate convulsamente
al
tovagliolo di stoffa; la signora Baudino, al contrario,
sbiancò, lasciandosi
cadere contro lo schienale della sedie e portandosi le mani al volto;
Sara
sogghignò entusiasta di aver fatto centro e di essere
riuscita, per la prima
volta, a mettere la sorella in una condizione di inferiorità
agli occhi dei
genitori; Gabriele, dal canto suo, rimase piuttosto indifferente,
ancora troppo
concentrato sull’ospite tedesca.
-
Hai... è... ce lo dici così? –
balbettò il signor Baudino, osservando con
rabbia la ragazza seduta di fronte a lui, che era diventata dello
stesso colore
del ragù con cui erano state condite le lasagne e stava
osservando il proprio
piatto vuoto..
-
Sì, non avevo altra scelta. Volevo farvela conoscere, per me
significherebbe
molto che voi siate cortesi con lei e la trattiate con rispetto
–
La
signora Baudino non diede segno di aver udito mezza parola, mentre il
padre
sibilò solamente che ne avrebbero parlato ancora,
rimuginando qualcosa fra sé e
sé.
Il
pranzo continuò con un lungo ed imbarazzato silenzio, rotto
saltuariamente dai
sospiri della signora Baudino, dalla tosse di Gabriele e dal rumore
delle
posate nei piatti.
-
Sistemiamo la valigia, poi usciamo – disse Vera, prima di
alzarsi da tavola.
-
Sistemala nella stanza degli ospiti, tu puoi dormire nel tuo vecchio
letto – disse
la madre con sguardo vacuo.
-
No, io dormo con lei nella stanza degli ospiti –
-
Vera... – ringhiò il signor Baudino, pugnalandola
con lo sguardo. La ragazza
rabbrividì ma non cedette.
-
No, dormirò con lei nella stanza degli ospiti. Qual
è il problema? Hai paura
che possiamo fare certe cose?
Viviamo
assieme da tre anni: se c’era qualcosa da fare,
l’abbiamo già fatto –
ribadì alzandosi in piedi e afferrando
Amaryllis per un gomito, facendole segno di alzarsi in piedi. La sua
compagna
era madida di imbarazzo e le sue guance parevano in fiamme. Si diresse
verso
l’ingresso per recuperare la valigia, che avevano abbandonato
lì perché il
pranzo era già pronto. L’ultima cosa che vide con
la coda dell’occhio fu la
signora Baudino che afferrava la bottiglia di Dolcetto d’Alba
e se la portava
alla bocca, rovesciando il capo all’indietro senza ritegno.
Vera
trascinò quella valigia sovraccarica con fatica nella stanza
degli ospiti. Non
era molto ampia, ma conteneva un letto matrimoniale dal design
essenziale, acquistato
all’Ikea molti anni prima, un piccolo mobile in legno dalle
ante scorrevoli,
una sedia e un ficus d’appartamento.
-
L’hanno presa bene, che ne dici? –
domandò Vera ridacchiando ad Amaryllis,
stringendosi ai suoi fianchi. L’altra la osservò
con aria dubbiosa, incerta se
la stesse prendendo in giro o se fosse seria, effettivamente i signori
Baudino
avrebbero potuto reagire in modo più violento. Magari sua
madre avrebbe
spaccato un piatto e suo padre le avrebbe spaccato la testa.
-
Mi senti? – rise Vera schioccando le dita davanti al naso di
Amaryllis, assorta
ad osservare il film che la sua mente stava proiettando. La primogenita
Baudino
salì in piedi sul letto per trovarsi ad un’altezza
superiore a quella della
compagna, poi la baciò con forza sulle labbra.
-
Pensavo di portarti a passeggiare in Via Roma –
mormorò Vera fra le labbra
dischiuse della tedesca.
-
Potresti anche portarmi in Finlandia, non noterei la differenza e
soprattutto
non chiedere consigli a me che non sono mai stata in Italia!
–, rise posandole
le mani sui glutei e premendo il proprio corpo contro il suo.
-
Dai, usciamo! – sentenziò Vera, saltandole in
braccio senza complimenti e
azzannandole un’orecchia.
[1] “Merda”
[2] Vezzeggiativo tipico del dialetto piemontese usato indifferentemente al maschile o al femminile
[3] “Papà mi ha detto”
[4] “Scusa”
[5] “Tesoro, andrà tutto bene”
[6] “Sei così nervosa”
[7] “Come stai?”
[8] “E’ perché sei stupenda”
[9] “Cosa succede?”
[10] “Aiutami, per favore”
[11] “non scherzare”