Blood and Chocolate di roseenrot (/viewuser.php?uid=132366)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Platform 9¾ ***
Capitolo 3: *** Expelliarmus! ***
Capitolo 4: *** A she-wolf ***
Capitolo 5: *** Bloodlines ***
Capitolo 6: *** Love in a heartbeat ***
Capitolo 1 *** Prologue ***
Blood
& Chocolate
Prologo
―
Capitolo #1 ―
Era
una giornata primaverile, una qualunque, una giornata soleggiata, con
una
soffice e vellutata brezza che le accarezzava dolcemente il viso. Quel
viso che
da molto tempo aveva perso il suo bagliore, il suo rossore sulle gote e
quelle
labbra rubiconde sembravano aver dimenticato come fare quel sorriso
dolce che
le ornava il viso in ogni occasione. Da molto tempo ormai Catherine
passava le
giornate in modo alquanto monotono; alle sette la balia la svegliava,
poi procedeva
con un bagno rilassante, seguito dalla vestizione mattutina, si recava
al pian
terreno dove insieme alla sua famiglia faceva colazione e trascorreva
la sua
mattinata studiando. A mezzodì la famiglia Prince si riuniva
a pranzo e
successivamente, ogni componente della famiglia ritornava ai propri
doveri.
Catherine si recava nello studio, nel quale lavorava duramente
poiché era
vicino il suo ritorno ad Hogwarts. Per un periodo, la vita di Catherine
fu un
susseguirsi di avvenimenti in quell’estate e lei stessa
stentava a credere che
fossero veramente accaduti; ricordava con grande amarezza la sua
permanenza
all’ospedale San Mungo ma d’altra parte rammentava
l’incontro con quel ragazzo moro di Tassorosso, Eliah Beery,
con il quale
inizialmente aveva avuto dei battibecchi ma poi stoltamente gli aveva
permesso
d’insinuarsi nel suo cuore, in quel posto così
gelosamente custodito, in cui
nessuno aveva mai avuto il permesso d’intrufolarsi. Ricordava
quanta gioia quel
ragazzo le aveva fatto provare, quanti nuovi sentimenti le aveva fatto
scoprire, tra i quali l’amore. Quel sentimento che Catherine
aveva imparato ad
accettare, guidata da Eliah che era il suo pilastro, la sua sicurezza.
Colui
che l’aveva salvata da se stessa. Ma come tutte le cose
belle, anche la
felicità prima o poi ha una fine e non tardò ad
arrivare; e quando lo fece
travolse la piccola Catherine cogliendola di sorpresa, proprio come un
fiume in
piena.
Ormai
era notte fonda, Catherine guardò la luna e le stelle e non
poté fare a meno di
apprezzare la loro magnifica luminosità e la loro
maestosità in quel cielo
sereno e privo di nuvole. Era ancora così terribilmente
arrabbiata con lui,non le
aveva scritto nemmeno una lettera da quando si erano salutati al
binario 9¾
alla stazione di King’s Cross. Tra le tante cose che
turbavano Catherine Prince
quella sera, c’era qualcosa nel profondo del suo cuore che
stava nascendo, lo
poteva sentire e non poteva fare nulla per fermarlo, qualsiasi cosa
fosse. Sentì
un rumore, insolito l’avrebbe definito, così
sgattaiolò fuori dal letto e rimase
in ascolto per un poco finché con un po’ di
coraggio uscì dalla porta
con la mia bacchetta. –Lumos!- sussurrò atterrita
mentre scendeva
silenziosamente la lunga scalinata che portava al pian terreno. Rimase
in
attesa di qualche cenno di “disordine” e questo non
tardò ad arrivare; cercò,
seppur terrorizzata, di seguire quei rumori strani, che alla fine la
condussero
al cancello di casa. Guardai oltre i confini di Villa Prince. -Lumos
maxima!-
sussurrò cercando di scrutare meglio fino ai confini del
bosco e poi lo sentì
di nuovo, ma il rumore si allontanava sempre di più dal
giardino di casa. –
Alohomora- bisbigliò insicura. Sigillò nuovamente
la porta prima di inseguire
quel rumore, che la condusse fino ai confini del bosco, quel boschetto
che
faceva da confine tra quel posto magico e quello babbano. Quel
boschetto in cui
di giorno faceva grandi passeggiate spensierata. Ma in quel momento,
tutto
assumeva quel non so che di tetro. Poi, le si gelò il sangue
nelle vene, vide due
occhi rossi tra gli alberi nel bosco che le si avvicinavano sempre di
più.
Indietreggiò finché poté e poi nulla.
Quegl’occhi rossi scomparvero così come
erano comparsi. Corse fino al cancello di casa. Mancava veramente
così poco, ma
si dovetti fermare di colpo, perché quegl’occhi
rossi si erano materializzati
proprio davanti a lei e con orrore capì a chi appartenevano.
Pensava che quelle
voci fossero solo dicerie ma come tutti non aveva creduto possibili
certe cose.
La cosa che si era appena materializzata davanti a me, era un lupo
mannaro. Non
uno qualsiasi, bensì uno cattivo, un lupo mannaro che amava
fare a pezzi
uomini, donne ma ciò che lo deliziava di più era
mordere i bambini. Fenrir
Greyback era davanti a lei, con quel suo ghigno spietato.
–Catherine
Prince, non è vero ?- ghignò quello mentre si
avvicinava. Catherine annuì completamente
terrorizzata. Si era entusiasmata molte volte mentre Dorian, suo
fratello, le
narrava le storie e le leggende più sinistre, ma in quel
momento le sembrava di
essere la protagonista di una di esse.
–Del
tutto
incantevole la luna questa sera … Prince, che ne dici di
giocare alla
Principessa e il cattivo lupo mannaro ?- disse ridendo sguaiatamente,
sentì un
sonoro “crack” e poi comparve un mazzo di lettere.
–Sai, Prince, se giochi con
me, potresti riavere le tue lettere- rise nuovamente. Non
proferì parola perché
la voce era scomparsa e non solo quella in quel momento. Tutto sembrava
non
voler collaborare, nessun muscolo sembrava volersi muovere. Non ebbe il
tempo
di scappare perché tutto successe troppo velocemente
perché Catherine potesse
comprenderlo. Era stato tutto molto doloroso e quando si
risvegliò si ritrovò
su un letto, non il suo letto nella sua stanza accogliente, ma in una
camera
bianca. Sgranò gli occhi vedendo il mucchio di lettere sul
comodino e stava per
afferrarle quando si ritrovò con una ressa attorno.
Infermieri, la sua
famiglia. Solo allora capì veramente cosa successe quella
notte. “San Mungo:
Giovane attaccata da lupo mannaro”, sapeva a chi si riferiva
il Profeta. La sua
famiglia non aveva permesso di diffondere la notizia al di fuori
dell’ospedale.
Catherine
seduta su una delle tante panchine di ferro battuto che
v’erano nel roseto,
appoggiò il libro sulle cosce e con l’indice
raccolse le lacrime che stava
versando per quei ricordi che le provocavano un dolore immenso. Non
passava
giorno in cui quei ricordi non le davano tormento e sembrava che quella
ferita
non volesse rimarginarsi.
Chiuse
definitivamente il libro e alzò il volto; quando le sarebbe
stata concessa un
po’ di quiete ? Sospirò e si alzò. Poi,
decise di farsi una lunga camminata per
i giardini della sua modesta villa. Guardava le rose, i tulipani, i
gigli e i
lillà e tutti quei bei fiori colorati che non riuscivano
più a farla sentire felice.
Da quando quella felicità era scomparsa così
inavvertitamente molte cose erano
cambiate e sembrava che le seccature per lei non avessero mai fine, ma
forse un
pochetto se le era andate anche a cercare. Si destò da tutte
quelle
preoccupazioni e rientrò in casa, era tanto stanca ma nel
frattempo anche così
arrabbiata. Posò dolcemente il libro sulla sua scrivania e
si munì di bacchetta
magica. Ma si bloccò allo specchio, si tolse
gl’indumenti e si guardò, ancora
non riusciva ad accettare i segni che provavano la sua
diversità. Ma Catherine
probabilmente non si rendeva conto che lei sarebbe rimasta comunque una
ragazza
bellissima. Era alta per la sua età, aveva dei
begl’occhioni verdi e i capelli
lunghi mossi di un rosso acceso. Un viso ovale e la pelle candida, un
po’
pallida che però le dava quel non so che di nobile, quasi
come una bambola di
porcellana. E poi il fisico, aveva quel fisico per il quale ogni
ragazza
avrebbe fatto anche un patto con il Diavolo per averlo. Non era troppo
magra,
era perfetta, semplicemente. Si mise una semplice canottiera bianca con
una
minigonna con una fantasia a fiori rosa e le ballerine nere.
Uscì dalla stanza
e proprio in quel momento Dorian, il suo fratellone maggiore, la
raggiunse:
–Allora
Sorellina, vuoi che il tuo bel fratellone t’insegni qualcosa
di nuovo, oggi ? –
disse sorridente lui mentre la conduceva nel loro ampio giardino.
Dorian
e per l’esattezza Dorian Chase Nathaniel Prince, era un
maghetto purosangue che
aveva finito gli studi con il massimo dei voti ai M.A.G.O. Egli aveva
sempre
ambito a grandi cose ed era diventato un Auror, e presto forse avrebbe
ricevuto
una promozione. Per Catherine ciò significava avere la
massima protezione in
casa e anche un buon insegnante. Infatti
nel tempo libero lui le insegnava sempre cose nuove: Catherine era una
studentessa modello, aveva la media di Oltre ogni previsione e
Eccellente e ne
andava fiera. Le piacevano molto le materie pratiche come Incantesimi,
Pozioni,
Trasfigurazione ma la sua preferita era Difesa Contro le Arti Oscure.
Oh si,
anche lei voleva diventare Auror e dopo
“l’incidente” con Greyback lo voleva
ancor di più. Catherine, inoltre, grazie alla sua famiglia
più che benestante
poteva permettersi alcune cose e lei ne usufruiva per acculturarsi
sempre di più;
per la sua età sapeva fin troppe cose,
all’età di tredici anni già sapeva
produrre un Incanto Patronus completo e in Pozioni la sua fantasia non
aveva
alcun limite e grazie alla sua perspicacia e la sua spiccata ambizione
stava
diventando forte, una strega coi fiocchi. Anche Silente stesso riteneva
che
Catherine sapesse maneggiare con troppa determinazione e sicurezza la
magia ma
non ne era spaventato bensì incuriosito e rallegrato.
–Doriaan,
mi parli delle tre Maledizioni senza perdono ? – chiese poi,
con quella luce
negl’occhi, al fratello, il quale a sua volta si
girò spiazzato e la guardò
spaventato; insomma era troppo piccola per quel genere di magia.
–Catherine,
ti ho già detto mille volte che non devi leggere i miei
libri di Magia Oscura.
– fece lui cercando di risultare il più
autoritario e risoluto possibile.
–Ma
Dorian! Insomma, lo sai che sono affidabile, non li userei mai, voglio
solo
fare qualcosa di un po’ più difficile, ormai ho
finito di studiare tutti
gl’incantesimi del mio libro e ho già diciamo
preso in prestito i tuoi che hai
usato per i M.A.G.O, insomma non mi sembra roba impossibile
… E poi sono
terribilmente interessanti le Arti Oscure, anche tu ne sei attratto!
– replicò
lei insistendo e non si sarebbe schiodata da lì fino a
quando non avrebbe
ottenuto ciò che gli aveva chiesto. Il povero ragazzo sapeva
di influenzarla, a
quanto pare Catherine poteva svolgere tranquillamente i M.A.G.O a
momenti. Avrebbe
messo sotto chiave una volta per tutte quei dannati libri da Auror. Non
poteva
di certo permettere ad una sorellina sedicenne e per giunta minorenne
di
interessarsi troppo alle cose dei grandi, doveva viversi la sua
adolescenza in
modo più spensierato possibile.
–No
Catherine, non posso. Però se vuoi posso insegnarti qualcosa
di nuovo, di un
po’ più difficile di Pozioni, è da un
po’ che non fai pratica! – disse lui
prendendola alla sprovvista.
–Oh
non è vero! Ho solo pensato che sarebbe stato carino
arrivare di nuovo a scuola
più preparata che mai! – replicò lei
con un finto broncio.
–Oh
si, però per il caro professor Piton non ti porti
così avanti, eh sorellina ? –
–Ecco
io … be’ dopo quel piccolo incidente–
iniziò lei, mimando la parola
‘indidente’
tra virgolette. –Voglio saper usare qualsiasi tipo di
magia– disse risoluta,
poi però si fece più pensierosa: sapeva che il
fratello aveva ragione, in
effetti lei era la più brava del suo anno in tutto e non
voleva che il suo
“Eccellente” in pozioni sparisse così
come se lo era duramente guadagnato.
–D’accordo,
ma solo perché Piton è così
maledettamente cattivo. – disse lei mentre lo
trascinava nel loro grande “laboratorio”
sotterraneo dove poteva esercitarsi.
Dorian
la guardò e ora non sapeva proprio cosa inventarsi, insomma
lei sapeva già fin
troppo sulle Pozioni, non si sarebbe stupito se sapesse già
fare del
Veritaserum o della Felix Felicis. Poi però
s’illuminò d’immenso, non che il
pensiero lo rallegrasse, ma se Catherine lo fosse diventata doveva ben
sapere
almeno come fare per stare meglio.
–Catherine
la conosci la ‘Wolfsbane’ ? –
buttò lì con un sorriso impacciato Dorian mentre
Catherine gli trotterellava al fianco. Fece segno di diniego con il
capo e con
un sorriso prestò massima attenzione. Il risultato fu
più che soddisfacente.
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Capitolo 2 *** Platform 9¾ ***
Platform
9¾
―
Capitolo #2 ―
Quella
era una fresca mattinata di martedì e Catherine era stata
svegliata di buon
grado da Ophelia, la badante che si prendeva cura di lei e di suo
fratello sin
dalla loro nascita. Ella era una donna abbastanza robusta, tanto buona
quanto
severa; infatti era suo compito educare i due pargoletti
affinché fossero
pronti per intraprendere le loro strade una volta cresciuti. Molte
volte
Catherine aveva trovato tante somiglianze nella professoressa
McGranitt, la
direttrice della sua casa; Grifondoro. Per l’appunto, quella
fresca mattinata
di settembre del 1988, non era una semplice mattina come tutte le
altre,
finalmente era giunto il momento tanto atteso da Catherine: il suo
ritorno ad
Hogwarts. Lì, in quella scuola si sentiva al sicuro,
protetta da qualsiasi cosa
le avesse voluto fare del male. Dopo aver fatto colazione,
salì in camera e si
vestì: non fu difficile per lei trovare abiti giusti
perché trovava
interessante e tanto alla moda i vestiti femminili dei babbani. In
realtà da
quando aveva conosciuto dei Mezzosangue o dei Nati Babbani
iniziò ad amare loro
e le loro cianfrusaglie; e avendo passato un mese a casa Beery aveva
appreso
molte cose. Eliah non aveva mancato ad insegnarle il più
possibile anche se
trovava decisamente strana la sua passione per tutti
quegl’oggetti che per lui
ormai erano diventati normali. Quel giorno indossava una semplice
canottiera
bianca con una minigonna, non troppo corta e vistosa, di una graziosa
tinta sul
rosa perlato. Indossava orecchini a cerchio, dei braccialetti e una
collana,
tutti di color oro. Per le scarpe aveva optato per delle comode e
classiche ballerine.
Controllò più volte di non aver dimenticato nulla
che potesse servirle a scuola
e così con la sua famiglia si diresse per la stazione di
King’s Cross munita di
biglietto. Dovettero usare l’auto per non destare sospetti.
Così, una volta
arrivati nei pressi parcheggiarono e Dorian, che era andato a prendere
un
carrello, tornò con un sorriso vittorioso dipinto sul viso,
munito di tutto
l’occorrente. Caricarono il baule e la gabbietta di Niniel,
la civetta delle
nevi di Catherine sul carrello e aspettando il momento propizio
passarono
attraverso il muro tra il binario 9 e 10, ritrovandosi al binario 9¾
. C’era già
molta gente e Catherine riuscì
subito a scorgere una chioma rossa che si dirigeva verso altre del
medesimo
colore e sorrise: Charlie Weasley. Salutò la sua famiglia e
il suo adorato
fratellone promettendo di scrivere loro quando sarebbe arrivata. Prese
il
carrello e si diresse felice verso la famiglia Weasley.
–Ciao Charlie! – disse lei
radiosa. Il
ragazzo si voltò e con lo stesso sorriso corse a salutarla e
ad abbracciarla
felice. Catherine e Charlie si erano conosciuti sul treno per Hogwarts
il loro
primo anno, e Catherine quel giorno se lo ricordava ancora bene. Era la
sua
prima volta ad Hogwarts e nonostante le rassicurazioni di suo fratello
Dorian,
lei ancora non si dava pace. Era salita sul treno cercando uno
scompartimento
vuoto e il più lontano possibile da grane inutili ma a
quanto pare non ve n’era
nessuno. Così, vedendo che in uno dei tanti
c’erano solo due ragazzi bussò
timidamente e chiese se ci fosse un posto libero anche per lei.
–Ehm …
posso sedermi qui con voi ? – aveva
detto Catherine mentre le sue guance diventavano rosse come due mele
per
l’imbarazzo. Poi le si dipinse un timido sorriso sul viso
quando i due
annuirono, così si richiuse la porta alle spalle e si
sedette vicino a quello
che doveva avere più o meno la sua età.
–Io
sono Bill e
questo è il mio fratellino Charlie, anche lui è
al suo primo anno! – aveva
detto il ragazzo più grande fra i due. Il ragazzo era
vestito in modo alquanto
insolito: un babbano avrebbe detto che era il solito punk o glam rocker
ma
Catherine lo trovava comunque alquanto carino. Come Charlie, aveva i
capelli
dal color pel di carota ma a differenza di quest’ultimo Bill
portava i capelli
decisamente più lunghi e aveva un orecchino a forma di zanna
all’orecchio
destro.
–Piacere
mio, io
sono Catherine Eileen Lily Marie Prince, ma penso che Catherine possa
bastare–
disse un po’ imbarazzata. Poi ci fu un momento di silenzio ma
la curiosità di
Catherine prese presto il sopravvento così
l’imbarazzo lasciò spazio alla
curiosità.
–Bill,
tu in che
casa sei? – chiese effettivamente un po’ spaventata
dal suo look dato che aveva
fatto un collegamento strano. Insomma i suoi vestiti non è
che davano molto
l’impressione di una persona tranquillissima e lei sapeva che
c’era anche una
casa insolita ad Hogwarts: Serpeverde.
–Oh,
tranquilla
non sono di Serpeverde! – cominciò il ragazzo con
quel sorriso divertito e
rassicurante vedendola immersa nei suoi pensieri. –Sono di
Grifondoro, per
fortuna! Se fossi finito tra i Serpeverde me ne sarei andato da
Hogwarts! –
finì con un tono solenne seguito da una risata.
Così Catherine si rilassò e
cominciarono a parlare del più e del meno e da quel giorno
diventarono inseparabili.
Si
liberò di quei felici pensieri e si avviò con
Charlie verso la famiglia Weasley
che le stava molto a cuore. Erano molto numerosi ma li adorava dal
primo
all’ultimo, erano decisamente brave persone.
–Buongiorno
signora Weasley! – disse lei con un tono allegro e
spensierato, la signora
Weasley la salutò calorosamente e le ricordò di
non doverle dare del “lei”
e che per lei era sempre come una
figlia. Le guance di Catherine si tinsero nuovamente di rosso ma
sentirono il
rumore d’avvio del treno così furono costretti a
salutare e salire. Quella
mattina però era la prima che lo facevano senza Bill, che
ormai aveva finito la
scuola. Era andato a lavorare alla Gringott, la banca dei maghi.
Così dopo
tante ricerche riuscirono a trovare uno scompartimento tutto per loro;
ma la
quiete durò ben poco perché il resto del gruppo
non tardò ad avvistarli. Michael,
il fedele compare di Charlie, Lola, Annie, Beth e Corinne, le fedeli
compagne
di camera e migliori amiche di Catherine. Presero posto in quello
scompartimento e poi cominciarono a salutarsi calorosamente tra loro.
Catherine
era la più felice di tutti perché finalmente era
in compagnia dei suoi amici.
–Ohh,
avete letto il Profeta ? – disse Beth estraendo un ritaglio
di giornale.
Catherine
sentì un brivido percorrerle la schiena ma si ricompose
velocemente, diede
un’occhiata al titolo e sentì il nervoso farsi
spazio in lei.
–
“San Mungo: Giovane attaccata da lupo mannaro”,
insomma ma è incredibile! I
miei erano così preoccupati che a momenti mi avrebbero
portata ad Hogwarts loro
stessi! – disse nuovamente
la ragazza
dai capelli biondi, innervosita dalle preoccupazioni dei suoi genitori.
Catherine preferì non partecipare alla discussione e si mise
a guardare fuori
dal finestrino con aria preoccupata e angosciata, cosa che Charlie non
mancò di
notare.
–Oh
chissà quella povera ragazza! Certo che però
quella Rita Skeeter ci è andata
pensante con le sue insinuazioni, non trovate ? – fece poi
notare Corinne con
una vena critica nel tono di voce.
Tutti
iniziarono a partecipare animatamente a quella discussione che stava
facendo
venire la nausea a Catherine che invece non aveva ancora proferito
parola. Aveva
odiato con tutto il cuore quell’estate. Avrebbe preferito che
Greyback l’avesse
uccisa piuttosto che far accadere ciò che alla fine era
successo. Distolse lo
sguardo dal paesaggio al di fuori del finestrino e guardò i
suoi amici
discutere. La discussione venne interrotta dalla ragazza dai lunghi e
ribelli
capelli neri, Lola, che le aveva chiesto se c’era qualcosa
che non andava.
Catherine si ritrovò a precipitare di nuovo in quei
pensieri. Cosa poteva
rispondere a quella domanda ? Non voleva perdere i suoi amici per
quello che
era successo e tanto meno voleva compassione.
–Ecco
io ehm, be’ più o meno …
sarà il viaggio. – fece Catherine con un tono
insicuro
nella voce.
–Oh
dai, lo sappiamo tutti che non soffri di mal di treno! –
disse ridacchiando
Annie mentre poi tutti si guardarono per capire cosa effettivamente
potesse
assillarla in quel momento.
–È
successo qualcosa in estate ? Cosa, cosa, cosa ?! – disse
impaziente Corinne
mentre Charlie e Micheal avevano iniziano a fare supposizioni del tipo;
“Si è
rotta un’unghia” oppure “Ancora una volta
Dorian non le ha permesso di guardare
tra i suoi libri oscuri” e a quella frase le
sfuggì un sorriso.
–Io
ed Eliah ci siamo lasciati. – disse con un tono asciutto,
quasi assente, un
sussurro. – O meglio, lui mi ha lasciata. –
confessò infine quel peso che si
portava appresso da troppo tempo. Si portava “quel
fardello” poiché non era
stata ancora in grado di accettare la loro rottura, era stato tutto
così
inaspettato ancora una volta.
Era
una
giornata soleggiata d’agosto, Catherine e Eliah si tenevano
per mano mentre
camminavano nel bosco mentre l’aria fresca accarezzava loro
la pelle. Il cuore
di Catherine era pieno di gioia, era felice. Camminavano da ore,
parlando del
più e del meno. Poi si ritrovarono davanti ad un laghetto ed
Eliah colse
l’occasione per farsi un bagno. Si privò dei
vestiti velocemente, eccetto
l’intimo.
–Dai
Cath, non
vorrai dirmi che hai paura di un po’ d’acqua
fresca! – fece lui provocandola un
po’, ma sembrava che Catherine non fosse della sua stessa
opinione. Non era di
certo l’acqua fredda a fermarla bensì quei segni
sul corpo la spaventavano, non
riusciva ad accettarli, non voleva. Eliah uscì
dall’acqua vedendola immersa nei
suoi pensieri; ormai capitava troppo spesso che Catherine fosse assente
e si
abbandonasse alle coccole di rado. Eliah era turbato ma pensava si
trattasse
solo di un momento “no”. La prese dolcemente per le
spalle chiedendole che cosa
non andasse.
–Lily,
c’è
qualcosa che vuoi dirmi ? – le aveva detto Eliah guardandola
negl’occhi.
Catherine sentì un brivido percorrerle la spina dorsale.
Lily, l’aveva chiamata
Lily. Lo faceva sempre quando sentiva sentimenti profondi e tra i tanti
Catherine non riusciva ad individuare quello giusto. Non riusciva a
trovare le
parole per dirglielo, come poteva farlo ? C’era
un’unica cosa che poteva fare.
Cominciò
a
togliersi la maglietta e poi i pantaloncini, rimanendo di fronte a lui
in
intimo, non tentò di coprirsi anche se si vergognava di quei
nuovi “accessori”
che portava; non erano poi così visibili ma Catherine li
vedeva come le scritte
a neon dei bar babbani. Erano cicatrici ed erano situate alcune sotto
al seno,
alcune sui fianchi. Ci volle un po’ prima che Eliah riuscisse
a vederle
nitidamente. Catherine notando la sua espressione turbata
riuscì solo a dire un
fievole “La ragazza aggredita da un lupo mannaro”,
prima che sentisse la sua
gola bruciarle e gli occhi pizzicarle.
Si
aspettava
parole dolci, abbracci e baci ma nessuna di queste cose
arrivò anzi, nulla di
dolce.
–Catherine,
mi
dispiace ma le cose tra noi non funzionano da un po’.
– aveva detto lui mentre
si rivestiva in fretta e si accingeva ad andarsene il più
presto possibile non
prima però di lanciarle un’altra occhiata
dispiaciuta. Le lacrime di Catherine
le percorrevano il viso, e piangendo tornò a casa. Non ci
credeva, non poteva
averla lasciata così perché aveva paura. Quando
fece ritorno a casa era già
buio e trovò l’intera famiglia preoccupata per il
suo ritardo. Non replicò alle
sgridate di mamma Prince. Salì le scale e si rinchiuse in
camera. La porta si
aprì silenziosamente, Dorian entrò e
l’abbracciò. Non le chiese nulla ma poteva
intuire cosa fosse successo, così lasciò che si
sfogasse.
Si
destò da quei pensieri e tristemente raccontò
ciò che più o meno era successo
quel pomeriggio d’agosto. Ovviamente aveva tralasciato la
parte delle cicatrici
e ciò che si ritrovò furono i commenti allegri ma
pungenti di Charlie e Michael
che già progettavano la sua vendetta sul Tassorosso.
–Ah
si! Vedrai, appena ci capiterà a tiro gli faremo capire che
non si trattano
così le belle fanciulle! – disse Charlie ridendo.
Era una persona così allegra
che contagiava tutti e Catherine si sentiva già meglio. Si
era tolta un peso,
ora ne rimaneva un altro ma ancora non se la sentiva.
–Oh
si, dici bene mio vecchio compare! Potrebbe succedere che,
accidentalmente,
qualche strano intruglio cada nel suo succo di zucca! –
replicò poi Michael
ridendo.
Poi
capirono di essere vicini ad Hogwarts così andarono a
cambiarsi e si
ritrovarono nuovamente nello scompartimento. Nessuno parlò
nuovamente di Eliah
Beery ma era certo che Catherine si sentisse già
più serena. Quando arrivarono
scesero velocemente per recuperare i loro bauli e animaletti tra la
folla di
studenti e videro Hagrid, il guardiacaccia di Hogwarts chiamare a gran
voce gli
studenti del primo anno, poi con un po’ di fortuna trovarono
una carrozza che
li condusse fino al castello.
–Oh
quanto mi è mancato! S periamo che la McGranitt e Silente
non ci mettano molto!
– disse allegramente Catherine stanca e affamata.
–Oh
si, a me più che lo studio è mancata la cucina,
se dovessi diventare ricco
baratterei l’oro per la cucina di Hogwarts! –
ammise Michael ridendo e poi
scese dalla carrozza seguito dal gruppetto.
Depositarono
in ordine i loro bauli e Catherine salutò la sua Niniel
promettendole di
portarle qualcosa di buono da mangiare non appena appena ne avrebbe
avuto
l’occasione.
Poi
presero posto alla tavolata Grifondoro nella parte centrale un
po’ più tendente
al tavolo delle autorità. Catherine vide tutti i suoi
professori: la
professoressa Sprite per Erbologia, Bumb per il Volo, il professor
Rüf per la
tanto odiata Storia della Magia, il professor Vitious per Incantesimi,
la
professoressa Aurora Sinistra per Astronomia e molti altri, tra i quali
Piton,
l’insegnante cattivo di Pozioni, che in quel momento le stava
lanciando come
sempre uno sguardo strano e sicuramente truce, lo stesso che le aveva
lanciato
alla loro prima lezione di Pozioni nel fare l’appello. Non ci
badò molto, anzi
di risposta alzò il sopracciglio come a chiedergli che
cos’avesse da guardare
in quel modo. Lo scambio di sguardi fu interrotto dalla professoressa
McGranitt,
che finalmente conduceva i ragazzi del primo anno al loro smistamento.
Come da
tradizione fu preceduto dal coro con una canzone nuova, dettata
ovviamente dal
cappello parlante. La cerimonia di smistamento aveva previsto un
po’ di tempo
in più a causa del numero maggiore di studenti.
Poi
Silente, anch’egli dall’aria decisamente affamata,
dedicò ben poche parole al
discorso.
–Be’,
che la cena abbia inizio! – aveva concluso facendo apparire
quel ben di dio da
mangiare. Catherine adocchiò subito la carne al sangue e
tutti i contorni che
Hogwarts offriva.
–Oh
oh! Questo si che è tutto dire! Adoro Silente, parla chiaro
e coinciso e ha
assunto dei cuochi favolosi, dovrei andare a complimentarmi uno di
questi
giorni! – disse allegramente Michael che nel frattempo si era
riempito il
piatto più che poteva.
–Ma
è mai possibile che tu pensi sempre e solo al cibo ?!
– sbottò Catherine con
quell’espressione “Che cosa vai dicendo
?”, per poi ridere e continuare a
mangiare raccontando alle altre ragazze ciò che aveva
imparato da Michael sui
babbani.
–Oh
si! Ho comperato anche gli smalti! – disse mostrando loro le
unghie ornate da
uno smalto rosa perlato che aveva messo per far pandan con la minigonna.
–Urca!
Lo voglio anch’io, ma come si fa ? Insomma, sono molto
ingegnosi i babbani! L’estate
prossima ci vengo anche io con voi! – aveva detto Beth che
quell’anno iniziava Babbanologia.
Catherine
le aveva trasmesso quella strana passione per i babbani e continuarono
a
parlare di moda Babbana anche dopo il banchetto.
–Oh
quanto mai l’hai portata a fare shopping Michael! –
aveva detto Charlie
ridendo, immaginandosi già la scena: Michael lasciato solo
soletto in balìa di
cinque ragazzine in vena di shopping. Rise al solo pensiero e
così, quando
finirono di cenare, si avviarono tutti verso la loro Sala Comune. Da
lì, poi,
si salutarono e le ragazze salirono al loro dormitorio dove trovarono i
loro
effetti personali.
–Direi
che Michael si sta facendo carino, non trovate ? – aveva poi
detto Catherine
ridendo mentre si metteva la camicia da notte e si scambiava occhiate
d’intesa
con le sue compagne.
–Oh
si e dal momento che s’intende di moda babbana lo
obbligheremo a portarci a
fare shopping! – disse ridendo Beth andando nel suo letto.
–Ragazze!
Ma insomma! Andiamo a dormire va! Domani non avranno pietà
di noi per i
compiti. – disse poi Annie spegnendo le luci. Le ragazze si
augurarono la buona
notte e si addormentarono subito, troppo stanche per continuare una
discussione.
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Capitolo 3 *** Expelliarmus! ***
Expelliarmus!
―
Capitolo #3 ―
Snow White said when I was young,
One day my prince will come.
So I wait for that day.
They say it’s hard to meet
your
match,
And find my better half so we make
perfect shapes.
Era
con quelle parole che le vorticavano nella testa, che Catherine
aveva iniziato la sua giornata; aveva fatto colazione di prima mattina
con
Charlie e Michael, dal momento che le sue compagne di camera stavano
ancora
beatamente dormendo. Poi si erano diretti insieme verso i sotterranei
per
affrontare due ore di Pozioni. Erano ormai passate alcune settimane dal
suo
arrivo ad Hogwarts e i professori non avevano mancato di caricarli di
compiti
fin dall’inizio. Catherine sapeva di essere pronta, ma dal
discorso iniziale
che Piton aveva fatto alla prima lezione, le si era riaggomitolato lo
stomaco
per l’ansia. Nonostante le rassicurazioni di suo fratello
Dorian a peggiorare
il suo status sentimentale c’era Eliah Beery che faceva
capolino ovunque. Si
erano intravisti durante la colazione del secondo giorno e da quel
momento
Catherine non faceva altro che ripensare ai loro momenti, ed era
così che
quella mattina canticchiava mentalmente quella canzone. Rivordava quel
giorno in
un pub a Londra quando l’aveva sentita per la prima volta e
non le era più
uscita dalla mente.
Mano
nella mano
correvano al riparo da quella fresca pioggia estiva: attraversarono una
strada
abbastanza trafficata nel centro ed entrarono in uno di quei pub
londinesi, che
ispiravano quel senso di familiare accoglienza e calore. Era del tutto
impossibile resistere ad una cioccolata calda guardando la pioggia
fuori dal
pub. L’arredamento era quello tradizionale; un po’
antico, le poltroncine rosse
in pelle opaca, decorazioni varie, come ad esempio quadri in bianco e
nero o
fotografie sbiadite, lampioni finti, orologi e pendoli. Poi
partì quella
canzone alla radio ed Eliah si alzò con quella lieve nota
d’imbarazzo sulle
gote:
–Mi
concede
l’onore di questo ballo ? – aveva detto lui
porgendole la mano con quella luce
di desiderio accesa nei suoi occhi. Catherine aveva afferrato
dolcemente la sua
mano e con grazia si era alzata; lui mise una mano sul suo fianco e
l’altra era
intrecciata alla sua mano. Così in quel loro angolino di
quel pub tipico
londinese, si era creato il loro momento.
–Lily–
aveva poi
sussurrato a fior di labbra mentre si perdeva nei suoi occhi verdi, gli
morivano le parole ogni qualvolta incrociava i suoi occhi color
smeraldo.
–Sei
come la
pioggia d’estate. – concluse sfiorando le sue
labbra con quelle morbide di
Catherine che non aveva resistito a tanta dolcezza e gli aveva permesso
di far
sue le sue labbra.
–A
quanto pare non siamo degni dell’attenzione della signorina
Prince. – disse una voce gelida
alle spalle di Catherine,
riportandola alla realtà. Sapeva bene a chi apparteneva
quella voce e ancora
cercava di capire qual’era stata l’ultima cosa che
aveva sentito della
spiegazione. Abbassò lo sguardo ammettendo i suoi torti.
Sentiva le sue guance andare
in fiamme per l’imbarazzo e cominciava a sentire troppo caldo
mentre il
professore prendeva posto proprio davanti al suo calderone,
costringendola a
guardarlo negl’occhi.
–Immagino che la signorina Prince sia comunque in
grado
di parlarci della Pozione della Pace. – disse il
professor Piton con
quel tono sarcastico, in attesa di una sua possibile risposta errata
per farsene
beffe ancora per un po’. Catherine avrebbe voluto
schiantarlo. Una cosa era
certa: entrambi provavano sentimenti ostili l’uno verso
l’altra e Catherine
ancora ricordava la loro prima lezione. Fin dall’inizio il
professore non aveva
mancato di precisare quanto ritenesse i suoi allievi incapaci di capire
“la
nobile arte”delle Pozioni e poi Catherine, come i suoi
compagni di Grifondoro,
non aveva proprio potuto fare a meno di notare le sue preferenze per la
casa
dei Serpeverde. Ad ogni lezione trovava sempre un pretesto per togliere
punti a
Grifondoro.
Era
il
secondo giorno di quel fresco settembre e la piccola Catherine in
quella
giornata nuvolosa aveva molte aspettative: quel giorno avrebbe
affrontato le
sue prime due ore di Pozioni, tenute dal professor Piton. Quella
mattina si era
alzata di buon grado e aveva ripassato le nozioni fondamentali del
libro di Pozioni,
che ormai sapeva recitare a memoria. Pozioni era la sua materia
preferita: fin
dal primo momento che la signora Prince le aveva dato il permesso di
assistere
alle preparazioni di infusi del fratello Dorian, ne era rimasta
semplicemente
ammaliata e non aveva fatto altro che acculturarsi. Dopo aver
consultato il
libro, scese con i suoi degni compari Weasley in Sala Grande, dove
fecero
allegramente colazione e ricevettero l’orario dalla
professoressa McGranitt, la
direttrice della casa di Grifondoro, nonché insegnante di
Trasfigurazione. Bill
non si era lagnato più di tanto, doveva averci fatto
l’abitudine, ma Charlie
non era dello stesso parere. Catherine invece era la più
entusiasta del trio:
non vedeva l’ora di poter, finalmente, applicare le sue
conoscenze magiche.
–Oh
ti prego
Catherine, non iniziare di nuovo! In tutta la sua carriera da
insegnante, non
ho mai sentito qualcuno uscire felice dall’aula di pozioni!
– andava dicendo
Charlie un po’ spaventato, Bill doveva avergli anticipato
qualcosa del
professore di Pozioni e Catherine, che aspettava la loro prima lezione,
lo
stava difendendo.
–Charlie!
Non
abbiamo ancora avuto modo di poterci confrontare con il professore, non
credo
che possa essere così male come dicono! – aveva
detto con un’espressione severa
in viso, che poi lasciò spazio ad un magnifico e dolce
sorriso che le
illuminava i lineamenti. Catherine era una bambina di undici anni e
aveva i
capelli rossi, un viso dolce e un po’ allungato, ornato da
deliziose
lentiggini. Aveva gli occhi grandi e di un verde smeraldo, che si
poteva
scorgere su poche persone. Non era altissima, ma per la sua
età era di media
altezza ed era di una corporatura magra. In quel dolce viso vi era un
nasino
all’insù, alla francese, e delle sopracciglia
minute ma ben precise nella forma
che seguiva i lineamenti e si adattava perfettamente alle sue
espressioni
facciali.
Catherine
era
semplicemente una bambina tanto dolce quanto curiosa ed era anche molto
intelligente e astuta. Aveva un carattere molto altruista e
comprensivo, molte
volte si era sentita dire che aveva un carattere versatile ma, forse,
troppe
persone confondevano il suo senso altruista con altre sfaccettature del
suo
carattere, che, per quanto poteva apparire semplice, non lo era per
niente e
Charlie avrebbe avuto tutto il tempo per capire ogni cosa che
riguardava la sua
amica. Qualche istante più tardi, salutarono Bill, il
fratello maggiore di
Charlie e insieme si diressero verso i freddi e semibui sotterranei.
Non erano
i soli ad essere in attesa dell’inizio della lezione, molti
altri compagni di
Grifondoro attendevano in disparte, mentre l’altro gruppetto
di Serpeverde era
intento a guardare con disprezzo alcuni ragazzi di Grifondoro. Poi
però, un
tono glaciale disse loro di accomodarsi nella classe, un tono gelido
che
proveniva dall’oscurità di quei sotterranei.
Catherine rabbrividì e guardò
Charlie incerta, poi si diresse verso la classe e prese posto negli
unici posti
liberi rimasti, davanti alla cattedra del professor Piton, che dopo
aver chiuso
brutalmente la porta dell’aula, prese posto davanti a loro
nel rialzo dove c’era
la sua cattedra. Ci fu un lungo silenzio e poi prese quello che doveva
essere
l’elenco, poi in un sussurro cominciò a fare
l’appello e dopo quello che doveva
chiamarsi “Adrian Prewett” rimase per qualche
secondo in solenne silenzio, per
poi scandire un –Catherine Eileen Lily Marie
Prince– con un tono sofferto. Seguì
un timido “presente” di Catherine, che quasi non
aveva notato, per poi finire
l’appello con un –Ah, un altro Weasley è
qui con noi. – disse con voce
melliflua. Catherine aveva avuto solamente il tempo di accarezzargli
velocemente la mano, prima che si trovasse il professore davanti al suo
calderone. Quell’uomo giovane se ne stava a braccia conserte
davanti a lei;
aveva una pelle tanto pallida che in quella debole luce pareva un
cadavere.
Aveva dei lunghi capelli neri e untuosi che gli ricadevano sulle spalle
e aveva
tutta l’aria di un tipo che non amava molto ridere. La figura
che le era davanti
però non la spaventava; non
abbassò lo sguardo, ma lo guardò incuriosita e
impaziente. Gli angoli della
bocca erano debolmente curvati all’insù. Catherine
aveva l’impressione di non
stargli molto simpatica.
–Non
ci saranno
futili sventolii di bacchette nel mio corso. Io posso insegnarvi
l’arte esatta
delle Pozioni. – aveva cominciato in tono duro.
–Stenterete a credere che si
tratti di magia e non mi aspetto che voi comprendiate la bellezza del
calderone
che bolle a fuoco lento, con i suoi vapori scintillanti, il potere
degli infusi
che scorrono nelle vene, alterando i sensi. Ovviamente, pochi di voi
possiedono
la predisposizione. – concluse mentre si trovava ancora
davanti alle prime
file.
–Prince-
disse
Piton d’un tratto, mentre Catherine fu percosse da un
brivido.
–Ah
eccoti qui.
Allora vediamo un po’, dicono che Pozioni è una
delle tue materie preferite. –
disse sogghignando. Catherine lo guardò quasi pietrificata,
cominciava a capire
cosa intendeva Bill.
–Allora,
sai
parlarmi del Veritaserum ? – disse pregustandosi
già il suo momento di trionfo.
Il suo viso ospitò un sorriso sprezzante e uno sguardo
accigliato. Catherine
deglutì, sapeva che Dorian gliene aveva parlato, oh si che
l’aveva fatto, ma
non ricordava in quale contesto. Quel professore le aveva messo un
senso di
ansia che nessun altro le aveva mai fatto provare prima. Poi
però si ricordò
quando Dorian tornò a casa intrattabile, aveva avuto proprio
una giornataccia.
–Il
Veritaserum–
iniziò con fare altezzoso. –È
classificato dal Ministero della Magia come un
preparato illegale di livello proibitivo. È il siero della
verità più potente
al mondo, quindi, il Ministero tiene sotto stretta sorveglianza
l’uso di questo
infuso. Gli ingredienti sono crine di unicorno, radici di aconito e
sangue di
drago. Questa pozione costringe a dire la verità,o meglio,
impedisce di
mentire. Celebre per i suoi effetti, tre sole gocce sono sufficienti
per
costringere chi lo beve a svelare i suoi più intimi segreti.
Solitamente non
viene usato nei processi, sia perché alcuni grandi maghi
potrebbero essere in
grado comunque di mentire, sia perché il composto magico
potrebbe essere
scambiato in anticipo da infiltrati nel Ministero. – stava
per aggiungere altri
dettagli quando il professore le disse un “Si okay”
e la zittì con un movimento
scocciato della mano. Si voltò verso Charlie che la guardava
sbalordito.
–Esattamente.
–
disse a denti stretti il professore.
–Un
punto in
meno a Grifondoro per il tuo fare altezzoso, Prince. – disse
con voce
melliflua.
Catherine
rimase
a bocca aperta e guardò i suoi compagni di Grifondoro
sconvolta.
“Mi
toglie punti
perché so rispondere alle sue domande! Ma è
incredibile!” aveva pensato lei
furiosa più che mai. Per il resto della lezione Piton aveva
spiegato la pozione
per foruncoli, dopodiché gli studenti si rimboccarono le
maniche e si misero al
lavoro. Catherine, ovviamente, non aveva riscontrato nessun tipo di
problema e
Piton continuava a passeggiare tra i banchi commentando cinicamente la
situazione
drammatica di ogni studente. Catherine, che stava aspettando che la
pozione
fosse pronta per l’aggiunta degli altri ingredienti, vide
quel Serpeverde
incosciente, che, da quanto ne sapeva lei doveva essere Winkler. Piton
distava
qualche metro da lui e stava succedendo tutto troppo velocemente.
Winkler stava
per aggiungere gli aculei di porcospino e Catherine non si rese nemmeno
conto
di come si fosse armata di bacchetta magica. Sapeva soltanto di aver
scandito
forte un “Wingardium Leviosa!” e gli aculei li
aveva fatti atterrare sulla
scrivania del professore, che si era girato all’istante.
–Stupida
Grifondoro! – gridò il ragazzo furioso. Catherine
tolse il suo calderone dal
fuoco e vi versò gli aculei. Poi si diresse verso Winkler
con fare altezzoso e
sapiente.
–Tu,
sciocco e
insolente! Non hai letto sul libro o preso gli appunti, mentre il
professor
Piton l’avrà ripetuto due volte che gli aculei di
porcospino vanno versati nel
calderone, solo dopo averlo tolto dal fuoco ? Se io non ti avessi
saggiamente
impedito di versare gli aculei nel tuo calderone, la miscela avrebbe
prodotto
un grosso nuvolone di fumo verde acido e un fragoroso sibilo.
Successivamente,
la miscela avrebbe fuso il tuo calderone, che a sua volta avrebbe fatto
cadere
la suddetta e avrebbe corroso il tavolo e le tue scarpe e tutto
ciò che avrebbe
ricoperto e tu saresti stato ricoperto da rossi foruncoli irritati.
Penso che
l’Aguzzaingegno non ti sortirebbe alcun effetto, sei un caso
perso. Ah si,
dimenticavo che tu non puoi saperlo, per tua informazione
l’Aguzzaingegno è una
pozione che accresce le facoltà intellettive e la
concentrazione di chi la
beve.– disse dopo aver trasportato nuovamente i suoi aculei
sul suo blocco di
lavoro. Il professore li raggiunse immediatamente e li
guardò con uno sguardo
che non ammetteva una sillaba in più.
–Mai
ho visto un
comportamento simile in una mia lezione! – disse ancora
sorpreso da tutto ciò
che era accaduto in quella frazione di secondo.
–Winkler,
hai
idea di ciò che avresti potuto combinare ? –
chiese furibondo, Catherine stava
quasi decidendo di godersi il suo momento di gloria, che
però non arrivò.
–Prince,
non ti
avevo appena fatto un’osservazione sul tuo fare da
insopportabile “sottuttoio”
? – la canzonò. Assegnò quanti
più compiti poteva assegnare e li congedò.
–La
Pozione della Pace, è una pozione base ed è
catalogata dal Ministero della Magia
come una preparato legale. Gli ingredienti necessari sono:
l’essenza di
Elleboro, Giunchiglie Strombazzanti e Infuso di Tiglio. Gli effetti di
questa
pozione provocano un senso di pace e placa l’ansia a chi la
beve. Se si eccede
con gli ingredienti , la suddetta pozione potrebbe causare sonno
profondo o
peggio, irreversibile. – disse Catherine con un sopracciglio
alzato mentre
guardava il professore che a quelle parole aveva assunto
un’espressione
pensierosa.
–Esatto,
per la tua fortuna sfacciata. – aveva pronunciato gelido,
quasi dispiaciuto del
fatto che non poteva prenderla in giro ancora per un po’.
–Prince–
disse Piton improvvisamente. –Che cosa ottengo se
all’interno di un infuso di
artemisia verso della radice di asfodelo in polvere ? – disse
con un tono che
gradualmente diventava sempre più grave; Catherine
decifrò ciò che il
professore le aveva domandato e poi rispose:
–Asfodelo
e Artemisia insieme costituiscono il Distillato della Morte Vivente,
che è una
pozione soporifera potente. – disse con quel sorrisetto
vittorioso mentre si
scambiava un’occhiata con Charlie, il suo fedele migliore
amico e compagno di
banco in quasi tutti i corsi. Poi sottovoce si lasciò
sfuggire un “Si, un
distillato che accidentalmente finirebbe nel mio succo di zucca per
mano del
professore.” Forse l’aveva sussurrato un
po’ troppo forte, vedendo il
professore irrigidirsi ma quest’ultimo fece finta di non aver
sentito.
–Benché
tu sia “preparata”, ciò non ti autorizza
ad esonerarti dalle mie lezioni.
Dunque, vediamo, cinque
punti in meno a
Grifondoro per la tua disattenzione. – disse con quel suo
orribile sorriso
beffardo in viso. Poi tornò alla cattedra assegnando i
compiti: due rotoli di
pergamena sugli antidoti per la lezione successiva. Catherine era
sicura che
era una delle sue vendette per non essere riuscito a smontare
l’umore ad una
Grifondoro. Forse al professore bruciava ammetterlo: Catherine era
eccezionale
nella sua materia, l’aveva capito fin dal primo momento da
quando Catherine
aveva messo mani sul suo calderone in peltro, misura standard 2.
–Ah
Prince, stasera alle otto nel mio ufficio. –
l’avvertì quando lei ormai si
accingeva ad uscire da quell’aula gelida e semibuia. Non
c’era bisogno di altre
spiegazioni: Piton le aveva appena rifilato una punizione e lei non
poteva
protestare, se non voleva peggiorare la sua situazione. Così
augurò “una buona
giornata” al professore e raggiunse il suo gruppetto
nell’aula di Babbanologia.
Attesero la professoressa Burbage ai loro posti con i libri
già pronti all’uso.Catherine,
che sedeva accanto a Charlie, era ancora con la mente
nell’aula di pozioni e
stava ipotizzando quale tortura avrebbe dovuto subire la sera stessa.
Piton era
capace di tutto. Sospirò affranta, insomma non era la prima
volta che
“accidentalmente” finiva in punizione con il
professore, dato il suo talento
nel cacciarsi nei guai. O forse quello era uno dei requisiti per essere
Grifondoro
?
–Terra
chiama Catherine Prince ?! – disse spazientito Charlie dopo
vari tentativi di
attirare l’attenzione della sua compagna di banco.
–Eh?
Oh scusa, stavo pensando! – si giustificò lei
facendo un sorriso smagliante
come a dire “Scusa, scusa, scusa!” e poi si chiese
da quando si metteva a
pensare per più di dieci secondi a Piton: quella cosa non le
piaceva, non le
piaceva affatto.
–Si
ho visto … A cosa pensavi ? – chiese mentre
giocherellava con la bacchetta
facendo uscire luce a forma di farfalla. Charlie era una persona
magnifica, era
alto e aveva un fisico che faceva sentire Catherine protetta. Aveva i
capelli
rossi, proprio come suo fratello Bill, che però li teneva
molto più lunghi dei
suoi. Aveva un buon carattere: era sempre disponibile e gentile con lei
e anche
molto paziente, anche se era noto per il suo mancato rispetto delle
regole e
Catherine aveva imparato a cacciarsi nei guai stando in sua compagnia.
Guai che
però le avevano riempito la memoria di bei ricordi. Charlie
però, al contrario
dei gemelli, era molto più studioso e voleva andare in
Romania per approfondire
le sue conoscenze sui draghi, data la sua enorme passione per
quest’ultimi.
–Indovina!
Mr. Simpatia mi ha, di nuovo, messa
in punizione! – si lamentò Catherine immaginandosi
già mentre si avviava al
patibolo. Charlie, dal suo canto, emise una risatina e poi
tornò serio,
pensando a ciò che aveva passato nelle punizioni inflittogli
dal professore di Pozioni.
–Ah,
dai non dirmi che ti ha messa in punizione per una distrazione!
– disse
stentando a crederci. Insomma era eccessivo come provvedimento! Poi
però
Charlie sembrò farsi più pensieroso e Catherine
cominciava a preoccuparsi, non
voleva sentire la conferma dei suoi timori, non voleva capacitarsene.
Eliah era
stato qualcosa di importante per lei, le aveva dato sicurezza,
l’aveva fatta
sentire felice e compresa, lui riusciva a capire le sue paure e le sue
insicurezze, le aveva fatto conoscere l’amore e le aveva
insegnato ad accettare
quel sentimento. Le aveva fatto conoscere il mondo babbano e le aveva
insegnato
molte cose, ma poi com’era venuto così se
n’era andato e ciò che avevano
costruito insieme, con tutte le loro forze, era crollato con una sola
frase.
–Dimmi
che non stavi pensando a lui di
nuovo! – sbottò poi all’improvviso,
senza neanche darle il tempo di trovare una
risposta adeguata. Poi si ricompose scrutando però con aria
severa il suo viso.
Catherine sentì quella sensazione farsi spazio in lei
opprimendola, non sapeva
bene cosa fosse, ansia, rabbia, delusione, ma sapeva che le faceva
mancare
persino il respiro. Non voleva che Charlie si preoccupasse per lei,
infondo
sapeva che c’era da preoccuparsi d’altro che di
Eliah Beery.
Charlie
si chiese se non avesse reagito in modo un po’ troppo severo;
non gli piaceva
vederla triste e aveva sempre saputo quanto Eliah avesse sempre
ricoperto un
ruolo importante per Catherine. Un po’ ne era geloso
perché, ogni volta che la
vedeva tra le sue braccia, sentiva una morsa allo stomaco e ogni volta
desiderava scagliare le peggiori fatture che conosceva, ma si limitava
a
cambiare strada. Le prese la mano abbozzando un sorriso e poi il
momento venne
interrotto dall’arrivo della professoressa Burbage, che
iniziò subito la
lezione. Stava spiegando i rapporti interpersonali tra maghi e babbani
e alla
fine dell’ora aveva chiesto come compito di fare
l’albero genealogico della
propria famiglia. Catherine la trovò una brillante idea. Non
aveva mai pensato
di andare a studiare nel dettaglio tutti i parenti che aveva o aveva
avuto.
Poi, per sua fortuna arrivò l’ora di pranzo dove
aggiornò le sue amiche su ciò
che l’attendeva da lì a qualche ore più
tardi.
***
Dopo
aver passato il pomeriggio in due piacevoli ore di Trasfigurazione e le
rimanenti nella Sala Comune di Grifondoro a fare i compiti, si diresse
con
Charlie a cena.
–Sai
Charlie, è strano, insomma non è tutto un
po’ troppo tranquillo senza Bill ? –
disse mentre prendeva posto alla tavolata, mentre ripensava alle loro
“gloriose
imprese” che avevano compiuto fino al giugno precedente.
Qualche volta, forse
per via dell’accaduto con Greyback o forse per via di Eliah
Beery, Catherine
cominciava a sentirsi in modo molto strano. Le costava molto
ammetterlo, ma
sapeva che qualcosa stava cambiando irreparabilmente in lei e Charlie
aveva
tutto il diritto di esserne informato. Non riusciva più a
guardarlo negl’occhi
perché ogni volta sentiva la paura farsi spazio in lei; e se
dopo averlo saputo
se ne sarebbe andato a gambe levate come Eliah ? Catherine
abbassò lo sguardo
non riuscendo a sostenere un peso simile.
–Già,
non troppo tempo fa mi ha scritto una lettera, dice che lì
in Egitto si sta
bene e gli piace lavorare nella Gringott.
– spiegò lui mangiando tutto quel ben di
dio che la cucina di Hogwarts
offriva. Catherine aveva sorriso radiosa, immaginandoselo lavorare con
tutti
quegl’elfi attorno.
–Tu
invece sei proprio deciso a partire per la Romania ? – chiese
tristemente
mentre appoggiava il capo sulla sua spalla e lo guardava dal basso
all’alto con
quel sorriso e gli occhi da cucciolo abbandonato. Lui di tutta risposta
le
scompigliò i capelli e le disse che infondo mancava molto a
quel momento. Poi
Catherine notò che Piton era già tornato nei suoi
amati sotterranei così salutò
Charlie e le sue amiche, andando a prepararsi per la punizione.
Percorse
velocemente le scale e i corridoi e raggiunse il suo dormitorio, dove
si
cambiò. Mise la bacchetta sotto il maglioncino e si
avviò con passi lunghi e
ben distesi all’ufficio del professore di Pozioni. Non sapeva
esattamente che
ora fosse, ma sapeva che era in anticipo di qualche minuto.
“Tanto meglio”
pensò bussando.
Sentì
la serratura scattare così entrò e
notò subito una serie di calderoni sporchi e
una spugnetta e il professor Piton seduto sulla scrivania.
–Buonasera
professore. – aveva detto lei tranquillamente, mentre si
prendeva un calderone
e lo metteva al suo posto, nel primo banco, iniziando a pulirlo
sfregando per
bene.
–Buonasera
Prince. – aveva detto lui, mentre borbottava tra
sé e sé, tracciando sbarre
ovunque sui rotoli di pergamena che aveva in mano. Non aveva voglia di
fare
discussioni inutili, così dopo aver constatato che anche lui
si stava dando da
fare per correggere alcuni compiti, evitò di proferir
parola. Era quasi
divertente sentirlo borbottare da solo, era sempre meglio del silenzio
assoluto.
Catherine
cominciò a sentirsi terribilmente stanca dopo un tempo
indefinito, sapeva
solamente che le mancavano solo due calderoni e sarebbe potuta tornare
al
dormitorio. Mentre puliva il calderone ripensava a tutto ciò
che aveva passato
ad Hogwarts, che era diventata la sua seconda casa. Si era fatta le
migliori
risate, ma aveva vissuto anche gli attimi più terribili per
gli esami. Rise
ricordando la prima lezione di Pozioni, doveva ammettere che
però Piton non
aveva tutti i torti a ritenerla un’insopportabile
“sottuttoio” ed era stata
terribilmente antipatica e altezzosa con quel Serpeverde. Quella risata
non
passò inosservata anche al professore.
–Prince,
trovi la punizione divertente ? – aveva detto con quel suo
tono sempre tanto
scontroso.
Lei
lo guardò e non riusciva a nascondere quel sorriso che le si
era stampato in
viso.
–Oh
ehm no … Stavo solo ricordando le tante aspettative della
mia prima lezione di Pozioni.
– aveva detto mentre ancora ci pensava. Aveva sognato quel
momento e poi Piton
aveva rovinato tutto, cominciando a metterle ansia solamente fissandola
con
quello sguardo in continuazione.
Dal
canto suo il professore aveva sussurrato sorpreso un
“Ah” accompagnato da un
sorrisino beffardo.
-Ah
si, come dimenticare una lezione del genere. – aveva
commentato svogliatamente
mentre borbottava tra sé e sé un
“Ennesimo Desolante”.
–Professore,
lei come faceva a sapere che Pozioni era una delle mie materie
preferite ? –
aveva chiesto lei istintivamente mentre era tutta concentrata sul suo
calderone. Il professore rimase per qualche minuto in religioso
silenzio:
l’aveva colto di sorpresa. Ma poi si lasciò
scappare un ghigno.
–Oh
beh, tuo fratello Dorian non se la cavava male. – si
giustificò, mentre
continuava a correggere i compiti. Catherine cominciava a trovare la
situazione
un poco strana: da quando in qua Piton era così socievole ?
Ma non ci fece
molto caso così andò avanti. Voleva chiedergli
tante cose ma non voleva
azzardare troppo, così sospirò e stava chinando
il capo sul calderone quando
vide il Profeta sulla cattedra.
–Professore!
– disse Catherine d’un tratto presa
dall’ansia. –Posso leggere velocemente
quell’articolo ? – aveva detto puntando gli occhi
sul titolo scritto in
caratteri cubitali come se fosse una preda e lei fosse il predatore.
Piton le
lanciò uno sguardo truce e le ricordò che si
trovava in punizione, poi però
notando che aveva quasi finito acconsentì di malavoglia.
Catherine leggeva con
orrore ciò che le si era presentato davanti, a quanto pare
Greyback non ne
aveva mai abbastanza. Piegò il giornale e lo ripose sulla
cattedra con troppa
forza; gesto che non poteva in alcun modo passare inosservato ad un
professore.
Catherine stava tornando al posto quando si sentì
all’improvviso molto strana;
qualcosa di nuovo si faceva spazio in lei. Adrenalina ? Forse.
Catherine
si voltò e si guardò attorno. La paura la invase.
Sentì gli occhi pizzicarle e
alzò lo sguardo, guardando il professore che a sua volta
aveva puntano lo
sguardo su di lei. Sentiva i battiti cardiaci farsi più
intensi e
inspiegabilmente aveva il fiatone, come se fosse stanca. Sentiva
nuovamente lo
stesso dolore che aveva provato quella notte. Si portò una
mano sul fianco
nervosamente; non aveva molto tempo e non aveva tempo di aver paura,
doveva
essere coraggiosa.
–Professore,
mi lasci andare! – chiese più disperata che
dubbiosa; sperava solo di non dover
ricorrere alle maniere forti, non voleva che qualcuno si facesse male,
ma
sarebbe stato peggio se non si fosse allontanata da quel posto.
Cominciava a
sentire una nuova sensazione, non era umana; la sua gola richiedeva
ciò che le
spettava.
–Prince,
siediti immediatamente, ti ricordo che sei in punizione! –
disse Piton alterato
mentre si era alzato dalla sedia e ora la guardava dubbioso; non
capiva, non
sembrava che stesse molto bene ma pensava si trattasse solo di un
po’ di
raffreddore, infondo era da molto tempo che conviveva con il freddo dei
sotterranei. Catherine a quel punto estrasse la bacchetta e senza
pensarci la
puntò direttamente contro il professor Piton che la guardava
allibito.
–Professore,
non ho intenzione di farle del male, ma lei mi deve lasciare andare, ne
va
della sua sicurezza e quella degl’altri studenti! –
disse cominciando a perdere
il controllo della sua mente. Era come se tutto diventasse meno
complesso di
quanto fosse.
–Prince,
ti ordino di andare a sederti immediatamente! – disse
cercando la sua bacchetta
ma appena l’ebbe tra le mani, gli volò via.
Catherine aveva avuto un breve
vantaggio usando un “Expelliarmus” non verbale e se
l’era data a gambe levate,
il più lontano possibile da quell’aula.
|
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Capitolo 4 *** A she-wolf ***
A
Shewolf
―
Capitolo #4 ―
Il
professor Piton, dopo essere stato disarmato da una sua stessa alunna
del sesto
anno, rimase per qualche secondo con lo sguardo più
minaccioso che gli si
poteva scorgere in viso fisso sull’uscio, dove qualche attimo
prima una
Catherine Prince terrorizzata era corsa fuori dall’aula e i
suoi lunghi capelli
rossi, che solitamente le ricadevano lungo la schiena, in quel momento
le
svolazzavano di qua e di là. Quando si riprese, le sue gambe
scattarono
all’inseguimento, ma non c’era più
traccia della ragazza, che ormai era ben
lontana dai sotterranei. In realtà Catherine era ben lontana
dalle mura
inespugnabili di Hogwarts. Quella notte i suoi peggiori timori si erano
avverati. Il professor Piton perlustrò anche la zona esterna
del castello
insieme alla professoressa McGranitt, direttrice della casa di
Grifondoro, ma
non la trovarono. Piton era furibondo: non avrebbe permesso che una sua
alunna
si facesse beffe di lui in quel modo. Stanchi e carichi di
preoccupazioni i due
professori tornarono ai loro alloggi, anche se trovarono ben poca
quiete.
***
La
mattina successiva non poche persone vicine a Catherine si accorsero
della sua
assenza, ma avevano pensato che doveva essersi svegliata di buon grado
per
studiare, anche se in quella mattinata si sarebbe svolta una lezione
pratica di
Cura delle Creature Magiche, tenuta dal professor Kettleburn. I ragazzi
non
ebbero notizie di Catherine nemmeno a colazione: sembrava proprio che
fosse
scomparsa. Charlie e il resto del gruppo si diressero, quindi, verso
l’aula di
Cura delle Creature Magiche.
–Chissà
dove si sarà cacciata Catherine, lo sapete quanto ci tiene a
presentarsi in
orario! – aveva detto Annie, la ragazza dai capelli biondi
con gli occhi tanto
azzurri quanto i non-ti-scordar-di-me, accanto a Charlie Weasley.
Quest’ultimo
si guardava attorno cercando di individuare la chioma rosso fuoco
dell’amica,
che però non riuscì ad individuare in quella
folla. Raggiunsero l’aula dove il
professore fece l’appello: Catherine risultava
definitivamente assente. Il
professore spiegò loro di alcune nuove creature e poi
decise, finalmente, di
deliziare i suoi studenti con una lezione pratica nei pressi della
foresta
proibita. La classe si stava dirigendo verso l’uscita, quando
il professor
Kettleburn s’imbatté nei direttori delle case di
Grifondoro e di Serpeverde,
che parevano alquanto turbati. La cosa più incredibile era
vederli cooperare,
insomma quel giorno tutto era così insolito; Catherine
spariva e puntualmente i
due professori più severi cooperavano fra loro. Il professor
Kettleburn si
fermò a parlare con il professor Piton e la professoressa
McGranitt.
–Oh
buongiorno Minerva! Ah, salve Severus! – aveva detto lui gaio
mentre li
osservava. Anche il professore di Cura delle Creature Magiche trovava
un po’
buffo vederli così uniti per una causa ed era molto curioso
di sapere di che
cosa si trattasse.
–Qual
buon vento vi porta quaggiù ? – aveva domandato
loro con una vena curiosa.
–Oh
professor Kettleburn, stavamo giusto cercando lei! – aveva
iniziato la
professoressa McGranitt.
–Sappiamo
che la signorina Prince ha lezione con Lei, possiamo parlarle un
momento ? –
continuò gentilmente mentre scrutava severamente il
gruppetto di Grifondoro; la
maggior parte delle ragazze si scambiava pettegolezzi di ogni genere,
mentre
solo una piccola parte di quella classe era seduta in disparte e
sembrava del
tutto immersa in una fitta discussione; al centro vi erano Weasley e
Towler, ma
stranamente il trio del cuore, quella mattina, non era al completo.
–Oh
lo farei certamente Minerva, ma la signorina Prince oggi è
assente! Pensavo ne
fossi al corrente in quanto direttrice della sua Casa.–
constatò dispiaciuto,
poi li congedò non disponendo di tempo sufficiente per
intrattenersi nella
discussione e con gli studenti si diresse verso i margini della Foresta
Proibita.
Nel frattempo Piton e la McGranitt erano rimasti sull’uscio
cercando di fare il
punto della situazione.
–Quella
sciocca ragazzina … Ma aspetta e vedrai Minerva,
dovrà saltare fuori prima o
poi! – diceva ancora adirato il professore, mentre con uno
sguardo truce perlustrava
ogni centimetro del luogo che lo circondava. Non voleva ammetterlo ma
infondo
anche lui era terribilmente preoccupato.
–Oh
Severus, sono sicura che la signorina Prince ha avuto i suoi validi
motivi per
assumere un tale comportamento. Non puoi negare che sia
un’allieva modello e
trovo che sia lodevole pensare prima alla salute altrui, piuttosto che
alla
propria. Ad ogni modo, dobbiamo sentire la sua versione. –
aveva detto
severamente la professoressa McGranitt, anche se le scappava un sorriso
pensando che una piccola Grifondoro aveva disarmato il professor Piton,
che
quando Serpeverde aveva più punti non faceva altro che
ricordarglielo.
***
Nel
frattempo, nei pressi del lago nero, giaceva il corpo inerme di
Catherine
Prince che aveva passato una notte raccapricciante; probabilmente la
notte
peggiore di quella trascorsa in estate con Fenrir Greyback. I suoi
abiti, o al
meno ciò che ne restava, erano stati fatti a brandelli e
Catherine non aveva
certamente una bella cera. La sua pelle pallida quanto candida era
messa in
risalto da piccole ferite arrossate e ancora un poco sanguinanti,
sparse per
tutto il corpo, eccetto il viso che presentava solamente alcuni graffi
e una
piccola ferita sul labbro inferiore.
In
quella fresca mattinata, i primi raggi del sole
s’infiltravano tra i rami
degl’alberi, e facevano un poco di luce in quella fitta
selva. Piccoli spiragli
raggiunsero il candido viso di Catherine, che poco dopo si
svegliò indolenzita
e spaesata. Le ci vollero più istanti per ricordare quanto
successo durante la
notte, e avrebbe certamente preferito non rammentare. Indolenzita
s’incamminò
lentamente verso il castello, mentre di tanto in tanto barcollava, ed
era
perciò costretta a sostare per qualche secondo. Si guardava
attorno e si
chiedeva per quale motivo si fosse addentrata così tanto
nella foresta. Ad un
tratto, vide delle luci nella capanna di Hagrid, il guardiacaccia di
Hogwarts.
Catherine, che gli era affezionata, decise di fargli visita,
approfittandone un
pochino per concedersi una sosta. Bussò alla porta e attese
finché il guardiacaccia
non le aprì.
–Buongiorno
Hagrid! Tutto bene ? – aveva detto lei ansante mentre seguiva
il guardiacaccia
che con un tono preoccupato l’aveva invitata a sedersi nella
sua capanna.
–Ciao
Catherine, beh non c’è male a parte il fatto che
le mie zucche non sono ancora
cresciute come dovrebbero. Ma dimmi, cosa ti è successo?
Guardati! Dovresti
essere a lezione, no ? – rispose, mentre la
incalzò con quel “no” a raccontare
qualcosa che si prospettava avvincente.
–Be’
ecco, in realtà dovrei essere a Cura delle Creature Magiche
… ma penso che io
sia già stata espulsa. – aveva iniziato lei mentre
si guardava intorno.
Catherine passava molto tempo da Hagrid, che le insegnava molte cose
sulle
creature, e amava osservare i cambiamenti di quella capanna.
–Tu
? Espulsa? Sei una strega brillante non possono espellerti! –
aveva enunciato
Hagrid intento a preparare del tè.
–Ieri
ero in punizione da Piton ma l’ho dovuto disarmare e sono
scappata nella
foresta. Ma Hagrid, credimi, io l’ho dovuto fare, era
necessario! – raccontò
boccheggiando mentre aggiungeva dello zucchero nella sua tazza di
tè. Dal canto
suo Hagrid, che le aveva ricordato che Piton era un suo professore,
cercava di
capire per quale motivo si fosse rivelato necessario disarmarlo.
Catherine, che
sembrava avergli letto nel pensiero, aggiunse che sarebbe stato meglio
non
saperlo. A suo avviso, sarebbe stato orribile doverlo raccontare, ma
Hagrid
insistette tanto che Catherine cedette e riluttante iniziò
quella che doveva
essere una confessione. Aveva iniziato a raccontargli dello scontro con
Greyback e del suo periodo di ricovero al San Mungo e ciò
che aveva provato
inizialmente nell’ufficio del professor Piton ma poi si era
bloccata; non
sapeva come continuare. Si fece coraggio e proseguì con il
suo racconto.
–Era
una sensazione strana, mi sentivo formicolare tutto il corpo e sentivo
di tanto
in tanto delle fitte atroci. Ma ciò che mi
spaventò di più è stata
l’attrazione
per la carne umana; Hagrid, tu non puoi capire, il professor Piton
sarebbe
diventato il mio dessert! Così l’ho disarmato e
sono scappata nella foresta … –
continuò, mentre Hagrid si faceva pensieroso. Catherine
aveva pensato che
spiegando indirettamente ciò che lei effettivamente era
avrebbe portato la
soluzione ad Hagrid, ma così non era, perché
quest’ultimo sembrava non fare
quel collegamento che avrebbe risparmiato a Catherine quel peso.
–Hagrid,
lo sai in quale fase lunare eravamo ieri ? – chiese
incalzante, non voleva
dirlo, non voleva che le parole le urlassero a gran voce ciò
che era diventata.
Prima che Hagrid, però, potesse rispondere, Catherine
rispose per lui e lo
guardò impaurita.
–Sono
un lupo mannaro, Hagrid, è orribile! – disse
tristemente mentre non riuscì a
controllare le sue emozioni e alcune lacrime le percorsero il viso e la
gola le
bruciava un poco.
Hagrid
era spiazzato per quanto potesse esserlo, poiché era
attratto dalle creature
magiche, specialmente quelle pericolose, e non era poi tanto
sconfortato da
quel fatto, ma tentò comunque in modo grossolano di
rincuorarla. Poi si offrì
per accompagnarla dalla professoressa McGranitt e dal Preside,
così dopo aver
finito il tè, Hagrid prese in braccio Catherine che era
ancora tanto dolorante
e non riusciva a smettere di crogiolarsi in quei pensieri infelici.
Quando
arrivarono nei pressi del castello, Catherine gli disse che se la
sentiva di
proseguire da sola, così congedò e
ringraziò il guardiacaccia, che rimase
ancora per qualche istante a controllarla, poi tornò alla
sua capanna. Catherine,
dolorante e singhiozzante, entrò nel castello reggendosi in
piedi grazie
all’equilibrio e la stabilità che il contatto con
la parete le davano.
Catherine aveva già percorso una buona parte del corridoio
del pian terreno,
quando una voce glaciale alle sue spalle la obbligò a
fermarsi.
–Ah!
Prince, eccoti qui! – aveva esclamato vittorioso il professor
Piton che l’aveva
afferrata per il polso con una presa salda e l’aveva
obbligata a voltarsi; ma
Catherine barcollò e si ritrovò in ginocchio.
Alzò lo sguardo e lo guardò
implorante per la prima volta in sei anni. Quel sorriso vittorioso
dipinto su
quel viso scarno, a poco a poco, si spense e il volto del professor
Piton
divenne tetro e visibilmente preoccupato. Ma non riuscì ad
aggiungere altro
perché la professoressa McGranitt l’aveva
raggiunto e aveva sussurrato un
“Severus, io sono di ritorno dalla foresta proibita ma non
l’ho trovata”. Poi
si era bloccata alla vista che le si era parata davanti.
–Severus!
Cosa stai facendo ? – disse raggiungendoli e aiutando
Catherine a rialzarsi. La
professoressa McGranitt lo guardò con uno sguardo di
rimprovero.
–Per
quanto tu possa essere in collera, sono in dovere di ricordarti che qui
ad
Hogwarts non è permessa né tollerata la violenza
come metodo di punizione. –
aveva sussurrato severamente. Poi visibilmente preoccupata volse lo
sguardo su
Catherine, che aveva un aspetto moribondo. Contrariamente a quello che
aveva
pensato, Catherine fu portata dal preside, Albus Silente, invece che in
infermeria. Il professor Piton aveva insistito tanto a portarla
direttamente
dal preside, e la professoressa McGranitt aveva dovuto cedere. Quando
entrò
nell’ufficio del preside, Catherine ne rimase colpita; era
arredato in modo
molto insolito; vi erano molti oggetti e tutti molto particolari, ma
poi fu
riportata alla realtà dalla voce dolce del preside che
pareva tranquillo.
–Minerva
non sarebbe stato meglio portarla in infermeria ? – aveva
chiesto mentre
scrutava un poco preoccupato la ragazza che aveva uno sguardo assente.
–L’avrei
fatto certamente Albus, ma il professor Piton ha insistito tanto per
condurla
qui. – disse la professoressa McGranitt, mentre faceva sedere
Catherine su una
poltroncina. Solo dopo alcuni istanti Catherine si accorse della
presenza dei
suoi familiari. Per quanto la sua pelle fosse già pallida,
in quel momento quel
lieve rossore sulle gote pareva essere scomparso.
–Catherine–
iniziò il professor Silente, ritenendo che un
“Signorina Prince” sarebbe stato
troppo duro in quella situazione già di per sé
tesa e fragile.
–Io
e i tuoi genitori abbiamo già discusso di ciò che
è avvenuto in quest’ultimo
periodo e io non penso che verrai espulsa da Hogwarts, ma questa
decisione
spetta alla professoressa McGranitt, direttrice della casa di
Grifondoro. –
proseguì con un tono rincuorante e un sorriso mentre lo
sguardo del professor
Piton, che si era irrigidito, si faceva sempre più truce.
–Beh
io ecco, allora inizio a preparare i bagagli … –
disse tristemente sapendo
quanto fosse severa la professoressa McGranitt.
–Signorina
Prince, cosa sta dicendo ? – chiese turbata la professoressa.
–Be’
lei mi espellerà, suppongo … – aveva
sussurrato guardando fuori dalla finestra.
–Oh
signorina Prince, io non credo proprio, non oggi! – disse
abbozzando un
sorriso.
Catherine
era del tutto colpita e guardava incredula la professoressa e poi il
preside,
Albus Silente.
–C’è
qualcosa che desideri dirmi? – aveva pronunciato il preside,
mentre si
sistemava i suoi occhiali a mezzaluna. Catherine che fino a quel
momento pareva
aver perso l’uso della parola si tuffò a capofitto
in quel triste racconto.
–Professor
Silente, è stato necessario! Io non volevo far del male al
professor Piton. –
iniziò ansante mentre raccontò ciò che
aveva raccontato ad Hagrid, il
guardiacaccia.
–Sono
un lupo mannaro, credo. – aveva sussurrato incerta guardando
i volti
sconcertati dei presenti.
–Insomma
… non ne sono molto sicura, a me pare di essere solamente un
lupo; in effetti
non posso esserne certa, di quella notte non ricordo molto dopo che
Greyback mi
ha inflitto la maledizione Cruciatus. – spiegò
adagio, come se stesse cercando
una risposta nella sua stessa risposta.
–E
cosa ti fa pensare di essere “solo un lupo” ?
– aveva perciò domandato Piton
incerto, dopo una lunga pausa di riflessione, dove non aveva spiccicato
parola.
–Be’
al terzo anno, Lei stesso professore, ha chiesto a Charlie Weasley a
proposito
dei upi mannari e di una pozione in particolare, la Pozione Antilupo,
ricorda ?
– chiese Catherine retoricamente, e senza aspettare una sua
risposta, continuò
la sua spiegazione.
–Così
ho preso appunti e in alcuni non mi ritrovo esattamente, ad esempio; ho
un muso
normale, invece i lupi mannari hanno il muso leggermente allungato e la
mia
coda non è a ciuffo e poi sono decisamente di piccola taglia
rispetto a quella
di Fenrir Greyback. O almeno, questo è quello che sono
riuscita a scorgere nel Lago
Nero ieri notte.– concluse guardando il professor Piton, che
aveva
un’espressione di totale disgusto dipinta sul volto.
–Eccellente!
Severus dovresti essere molto fiero dei tuoi alunni! Ora credo che la
signorina
Prince abbia bisogno un po’ di tregua, Minerva per favore
puoi accompagnarla in
infermeria ? – chiese tranquillamente Silente mentre con uno
sguardo la
congedava e la professoressa McGranitt li condusse, come richiesto da
Silente,
in infermeria, dove Madama Chips si prese cura di Catherine.
–Ah
Severus, ancora una volta devo chiederti molto. –
iniziò Silente mentre lo
raggiungeva.
–Vorrei
che tu tenessi d’occhio la signorina Prince, dopo questo
improvviso cambiamento
sarà abbastanza in ansia sapendo cosa l’attende.
– aveva detto mentre insieme
uscivano dall’ufficio. Il professor Piton si
limitò ad annuire e si
congedarono.
***
Catherine
aveva trascorso tutto il pomeriggio in infermeria e non aveva avuto
modo di
parlare con i suoi amici e le sue amiche. Dopo varie promesse, come ad
esempio
non affaticarsi troppo, aveva convinto Madama Chips a dimetterla almeno
per
l’ora di cena; voleva assolutamente parlare con Charlie, non
voleva più
raccontargli bugie e intendeva chiarire con il professor Piton.
Catherine aveva
trascorso il suo pomeriggio in modo molto monotono; era rimasta in
infermeria
sul suo letto a meditare su ciò che le era successo in quel
periodo e non
poteva fare a meno di sentirsi terribilmente ferita e incompresa. Non
voleva
apparire fragile, poiché Charlie si sarebbe preoccupato
enormemente e non
voleva nemmeno che Eliah provasse pena per lei. D’altro
canto, Catherine
conosceva bene le sue emozioni; si sentiva fragile e in quel momento
più che
mai. Inoltre non riusciva ad accettare la bestia che viveva in lei. In
lei si
erano formate in poco tempo troppe divergenze e non sapeva proprio da
che parte
dovesse stare o come comportarsi: e ciò
l’affliggeva. Dopo un tempo che a
Catherine parve indefinito, arrivò Madama Chips, che le
ricordò che poteva
raggiungere i suoi amici a cena, così Catherine, senza
farselo ripetere due
volte, si era rimessa la divisa scolastica e si diresse alla Sala
Grande dove
l’attendeva una cena coi fiocchi.
–Charlie!
È tornata Catherine! – esclamò Michael
Towler aspettando che Silente finisse i
suoi annunci, perché sentiva il suo stomaco brontolare per
la fame. Charlie,
dal canto suo, si era alzato in piedi non appena l’aveva
vista e Catherine gli corse
tra le braccia lasciandosi abbracciare.
–Oddio
sei viva! Dove sei stata ? Non farlo mai più, ti prego!
– le aveva sussurrato
all’orecchio stringendola forte a sé, come per
capacitarsi del fatto che lei
era tra le sue braccia e stava bene. Catherine arrossì e
annuì timidamente, poi
si sedettero alla tavolata e Charlie l’aggiornò su
ciò che si era persa del
discorso; ma a quanto pare Silente non era ancora arrivato ai grandi
annunci.
Successivamente, però, la professoressa McGranitt aveva
richiamato l’attenzione;
questa volta doveva trattarsi di una cosa seria perché ora
sembrava che Silente
si fosse fatto più serio e pensieroso.
–Sono
molto desolato di dovervi comunicare che quest’anno ad
Hogwarts, non si
svolgerà il campionato di Quidditch. – dalla Sala
si levò un boato e molti
fischi. Tutti si chiedevano cosa poteva essere successo per annullare
del tutto
il campionato. Charlie, a quella notizia, si era quasi soffocato con il
succo
di zucca e aveva preso a sbraitare, chiedendo spiegazioni.
–Quest’anno
Hogwarts ospiterà un evento leggendario; il 150esimo Torneo
di Mëlyn. Ora per
quelli di voi che non lo sanno il Torneo di Mëlyn chiama a
raccolta otto
rappresentanti; due, un ragazzo e una ragazza, per ogni Casa per una
serie di
competizioni magiche. Voglio essere sincero con voi; queste gare sono
estremamente pericolose, e fidatevi se ve lo dico. Chi è
scelto dovrà contare
solo sulle sue conoscenze . Ma trovo che sia meglio riparlarne a
stomaco pieno.
– aveva detto Silente facendo apparire il banchetto.
–Abbuffatevi
– aveva detto infine Silente con un sorriso.
Catherine
adocchiò subito la carne al sangue; dato che non aveva
potuto cacciare carne
umana, si sarebbe dovuta accontentare di quelle bistecche, ma poco
importava
perché lei era ancora ad Hogwarts e sapeva che Charlie non
l’avrebbe mai
abbandonata ed era grazie a questi pensieri che aveva deciso di
rivelargli la
verità.
–Charlie
ti devo parlare, ma non qui. – gli aveva poi sussurrato
mentre si gustava il
dolce. Charlie stava per risponderle, ma fu interrotto nuovamente da un
richiamo d’attenzione, lanciato probabilmente dalla
professoressa McGranitt.
–Prima
di raggiungere i vostri dormitori vi chiedo ancora un attimo di
attenzione. –
disse Silente.
Alcuni professori, durante la cena, avevano montato un piccolo rialzo
davanti
alla tavolata dei professori, dove sulla sommità vi era
qualcosa di non
definito. In quel momento, l’attenzione era massima, nessuno
riusciva a
spiccicare parola.
–Centocinquant’anni
fa, uno studente di nome Arcturus Rosier, fondò un club dei
duellanti. Rosier,
era un tipo molto studioso e capace ed era convinto che gli studenti
migliori
meritassero una premiazione, un riconoscimento, per la loro diligenza.
Così,
dopo aver dato vita ad una serie di prove magiche, che ovviamente
vinse, fu
proclamato Principe delle Case. Per questo motivo, dopo la sua morte,
divenne
tradizione dare luogo a questo Torneo, che subì varie
mutazioni. – spiegò la
professoressa McGranitt. Catherine si guardò attorno sempre
più eccitata
dall’idea che finalmente ad Hogwarts succedeva qualcosa di
straordinariamente
importante. Non si fece scappare nemmeno una sillaba.
–Gloria,
attende colui che vince questo torneo. –
disse Silente mentre sfiorava l’oggetto coperto
da un lenzuolo, che
all’apparenza dimostrava almeno cent’anni. Silente,
afferrò il lenzuolo e
scoprì l’oggetto: era una fontana. Catherine ne
aveva vista una simile a
Londra, era simile a quella dove gli uccellini andavano a bere. Era
alta più o
meno un metro e mezzo, non era ben definito il materiale di cui era
fatta, ma
era di un color bianco puro. Dentro, vi era una sostanza allo stato non
definibile: era un misto tra gassoso e liquido, quasi come se fosse
fumo o
vapore, che scendeva quasi fino a terra, ma non toccava mai il fondo.
Catherine, come del resto tutti in quella sala, era spiazzata.
–Questa
è la fontana di Bruinen; ha poteri molto speciali, ha il
compito di nominare
gli otto campioni al torneo e definire le sfide. Per motivi di
sicurezza, noi e
il Ministero della Magia, abbiamo convenuto che potranno partecipare
solo gli
studenti di età non inferiore ai quattordici anni. Ma non
voglio rivelarvi
troppo, chiunque desideri partecipare, dovrà trovare
autonomamente il modo di
candidarsi entro il fine settimana. E ora hop hop, tutti a
nanna.– disse con tranquillità
e dolcezza Silente.
***
Catherine,
era di ritorno dai sotterranei: ci era andata perché
riteneva giusto dover
chiarire la situazione con il professor Piton, ma non era riuscita nel
suo
intento, così era ritornata nella sala comune di Grifondoro,
dove l’attendeva
Charlie, un po’ assonnato che sedeva davanti al caminetto.
–Allora,
com’è andata con Piton ? – chiese
Charlie con un tono dolce, facendole posto
accanto a lui. Catherine si sedette sfinita e alzò lo
sguardo incrociandolo con
quello dell’amico.
–Non
l’ho trovato. – disse delusa mentre appoggiava il
capo sulla spalla del rosso.
Charlie era del tutto sorpreso di quel gesto, ma di certo non gli
dispiaceva,
così ne approfittò per abbracciarla.
–Cosa
dovevi dirmi prima ? – chiese innocentemente. A quella
domanda, Catherine
sussultò, ma poi si ricordò i buoni propositi di
non raccontargli più bugie.
–Charlie,
sei il mio migliore amico, non posso andare avanti a dirti bugie.
– aveva
incominciato Catherine, mentre Charlie si faceva serio. Catherine
avrebbe
giurato su qualsiasi cosa a lei più caro, che Charlie aveva
assunto, per una
frazione di secondo, un’espressione addolorata.
Poggiò nuovamente il capo sulla
spalla e dopo essersi torturata il labbro inferiore parlò
nuovamente.
–Io
non volevo mentirti, ma non è facile. Charlie, io sono la
ragazza aggredita da
un lupo mannaro. Sono, ecco, credo … una di loro. Intendo,
un lupo mannaro. –
aveva sussurrato.
In
realtà non sapeva bene quale reazione aspettarsi, ma
sicuramente non avrebbe
retto ad un altro abbandono, non da Charlie. Lo sentì
boccheggiare per un po’,
poi si era zittito. Quel silenzio cominciava a pesare e
l’ansia si faceva
spazio in Catherine, che aveva già gli occhi lucidi.
–Ecco,
beh, ti capisco se non vuoi più parlarmi
…– aveva cominciato a farneticare
Catherine presa da un attacco di ansia. Non riusciva realmente ad
accettare la
cosa; non l’avrebbe mai fatto di quel passo. Charlie, che
sembrava essersi
risvegliato dai suoi pensieri, la tirò a sé e
l’abbracciò. Non era molto bravo
con le parole e sperava, in tutta sincerità, che Catherine
capisse quanto in
realtà ci tenesse a lei, anche se non glielo diceva
esplicitamente.
–Basta
che mi prometti che non proverai a farmi diventare la tua cena e per me
va
bene. – disse Charlie ridendo. Non era molto bravo in cose
dolci, ma sapeva
sdrammatizzare. Catherine, felice come non mai, lo abbracciò
forte senza
riuscire a spiccicare parola. Annuì e abbozzò un
piccolo sorriso. Poi, si fece
tardi e decisero di andare a riposarsi.
|
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Capitolo 5 *** Bloodlines ***
Bloodlines
―
Capitolo #5 ―
Dopo
essersi congedata con Charlie, Catherine raggiunse le sue compagne nel
dormitorio femminile, ma si erano già addormentate,
così dopo vani tentativi di
addormentarsi, decise di tornare nella Sala Comune per finire il
compito di Babbanologia.
Quella ricerca diventava sempre più intrigante, non sapeva
di avere tanti
parenti! Prese tutto l’occorrente; una piuma,
dell’inchiostro, fogli di
pergamena, fotografie, ritagli di giornale, documenti e tutto
l’occorrente che
era riuscita a trovare e che Dorian le aveva inviato via gufo il giorno
precedente. Fece un bel respiro e iniziò con le indagini. Il
lavoro tutto
sommato stava andando a gonfie vele; aveva già disegnato
tutte le
ramificazioni, aveva scritto i nomi, le date di nascita e di decesso,
ci
aggiungeva tutte le informazioni che aveva sul conto della persona, una
mini
biografia insomma, ed era riuscita persino a trovare alcune foto. Per
le
persone alle quali non erano associate fotografie, Catherine le
disegnava con
le descrizioni che aveva a disposizione. Ella era un tipo preciso e
quando si
trattava di compiti esigeva il massimo da se stessa. Poi, quando ebbe
finito
con i suoi antenati materni, si dedicò a quelli paterni.
Rilesse più volte lo
stesso documento e lo guardò incerta.
–Allora,
zia Eileen, cos’abbiamo su di te, mh ? –
sussurrò.
Successivamente,
passò alla lettura di un articolo molto interessante e
decise di aggiungere
alle informazioni di Eileen Prince che era stata Capitano della squadra
di
Gobbliglie, quando frequentava Hogwarts. Sorrise per un istante e poi
proseguì
con le ricerche. Trovò un articolo di vecchia data e
trovò alcune difficoltà
nel leggerlo.
–Mh,
Eileen Prince, Purosangue, Serpeverde, Capitano di Gobbiglie, sorella
di papà,
sposata con un babbano di nome Tobias Piton e insieme hanno avuto un
figlio,
Severus Piton. – disse sovrappensiero mentre sospirava
stancamente. Poi, quasi
realizzando ciò che aveva appena scoperto, rilesse
velocemente l’articolo e
aprì più volte la bocca per protestare, ma le
parole non volevano saperne di
uscire. Sospirò cercando di calmarsi e riprese la piuma
scrivendo. Doveva
trattarsi sicuramente di uno scherzo di cattivo gusto. Qualcosa, nel
più
profondo di se stessa, le diceva che non v’era stato nessuno
sbaglio, ma
Catherine avrebbe tanto voluto credere il contrario.
Attaccò
le foto di Tobias Piton e Eileen Prince. Era rimasto solo lui, suo
cugino:
Severus Piton. Con
eccessiva forza,
prese gli articoli di giornale che parlavano di lui e li lesse con
molta
attenzione, poi aggiunse le sue informazioni sul suo compito.
–Severus
Piton, Mezzosangue, direttore della casa di Serpeverde, insegnante di
Pozioni,
aspira alla cattedra di Difesa contro le Arti
Oscure, “ex”Mangiamorte.–
disse Catherine scocciata. Con gli occhi rivolti verso al cielo, si
chiedeva
per quale motivo tutto doveva essere così maledettamente
assurdo. Insomma,
aveva già abbastanza grane di cui occuparsi e quello era
decisamente troppo per
lei. Catherine infondo sapeva di non odiarlo, ma non riusciva a capire
perché la
trattasse sempre con quel fare sprezzante.
***
Tutto
aveva preso a vorticare, forse la maniera in cui aveva scoperto tutto
ciò era
stata per Catherine troppo brutale, così si era addormentata
sconvolta e troppo
stanca davanti al caminetto della Sala Comune di Grifondoro. La mattina
successiva Charlie, che era un ragazzo mattiniero, si era alzato prima,
probabilmente convinto di riuscire a ripassare per le materie previste
nella
mattinata, ma tutto ciò che aveva trovato era Catherine
addormentata. Si avvicinò
incerto e vide molti fogli sparsi; poi, dopo una veloce lettura,
capì che si
trattava del compito di Babbanologia.
–Catherine,
dovresti alzarti…– aveva sussurrato piano Charlie
scuotendola leggermente, ma
non era servito a nulla e nemmeno i tentativi successivi. Poi, con una
lieve
nota d’imbarazzo, si era avvicinato un po’ di
più, tanto che riusciva a sentire
persino il suo respiro e il suo profumo di caramella sul collo. Quel
profumo lo
inebriava, gli stregava i sensi; sembrava proprio che fosse stato
stregato da
un filtro d’amore. I suoi pensieri si dedicavano alle
frivolezze e dolci
fantasie, che solo la sua spiccata immaginazione era in grado di
produrre.
Charlie era seriamente tentato di sfiorare le proprie labbra con quelle
innocenti e tanto invitanti dell’amica, ma tornò
con i piedi per terra e le
sussurrò un dolce “Catherine ?”
all’orecchio. La sentì farfugliare qualcosa, ma
poi si era svegliata.
–Devo
essermi addormentata mentre finivo il compito di Babbanologia.
– spiegò
alzandosi.
Gli
rivolse un gran sorriso, quasi senza ricordarsi della
novità, e l’abbracciò.
Charlie, incredulo e decisamente preso alla sprovvista, rispose
goffamente
all’abbraccio.
–Credo
che sia meglio se tu ora, con il compito, sali nel dormitorio e
insomma, beh
fai veloce … ti aspetto qui. – disse Charlie
imbarazzato.
Catherine
annuì e come un fulmine si diresse al dormitorio femminile.
Non impiegò molto
tempo, aveva fatto una doccia molto rapidamente e aveva indossato la
divisa
scolastica. Poi, senza fare il minimo rumore, aveva preparato quella
che doveva
essere la sua borsa a tracolla, ed era scesa in Sala Comune,
raggiungendo
Charlie. Successivamente, con Michael, erano scesi nella Sala Grande,
per fare
colazione.
*
–Insomma,
tu mi stai dicendo che … – aveva iniziato Michael
addentando la sua fetta di
pane con la marmellata. –Cioè,
ti spunta
anche la coda ? – continuò sporgendosi
all’indietro, fissandole il suo bel lato
B, ma non fece in tempo a ricomporsi che aveva già ricevuto
un sonoro schiaffo
sulla nuca.
–Michael!
Quante volte te lo devo ripetere ? Abbassa la voce, nessuno lo deve
sapere! –
aveva detto la rossa con un tono ansioso. Poi guardò tutti i
presenti con uno
sguardo minatorio.
–Sì,
comunque. – disse Catherine sospirando; in realtà
non sapeva bene come prendere
tutta la situazione, così si limitava a vivere il tutto come
le capitava nella
giornata. A dirla tutta, Catherine ancora stentava a crederci, insomma
non
capita tutti giorni di diventare un lupo mannaro, e ciò non
era un bene, essi
erano visti dalla società come dei rifiuti ed erano
vincolati in ogni modo.
Successivamente,
la rossa volse lo sguardo sulla tavola e assunse un’aria
afflitta; non si era
ancora abituata al suo essere animale che comportava anche alcune
preferenze
nel reparto alimentare.
–Uffa,
non c’è qualcosa di più, come dire, sostanzioso
nel menu ? – si lamentò mentre Charlie rideva e
Michael la guardava con fare
sconvolto. Infine, però, Catherine optò per delle
semplici fette biscottate con
il miele e del latte. Guardandosi attorno, vide la fontana e si
ricordò che
doveva andare ad analizzarla; doveva iscriversi. Non le importava
quanto fosse
rischioso, le avevano lanciato una sfida e lei non si sarebbe fatta
scappare
quell’occasione, che sembrava esserle stata offerta su un
piatto d’argento.
Michael, che non aveva finito il compito di Babbanologia,
finì velocemente di
fare colazione e schizzò come un fulmine verso
l’aula, mentre Charlie e
Catherine si diressero verso la fontana. Dopo un’attenta
analisi, anche loro si
fiondarono a Babbanologia.
–Catherine,
non so cosa ti prende, ma non puoi saltare le lezioni! –
disse Charlie
trascinando la sua amica dalla chioma altrettanto rossa verso
l’aula.
–Charlie,
tu non puoi capire, io non posso entrarci! – tentò
Catherine, senza avere grandi
successi.
–Muoviti.
– le aveva risposto Charlie scocciato. Non era un tipo che
perdeva facilmente
la pazienza, ma non sopportava quando gli si nascondeva qualcosa.
–Io
e Piton siamo cugini. Ora sei contento ? – disse Catherine
freddamente, ma un
secondo dopo se ne pentì; non le piaceva trattarlo male,
specialmente dopo
tutto quello che Charlie faceva per lei, dopo averle detto che
l’accettava per
quella che era.
–Scusa,
non volevo…– sussurrò piano, mentre gli
tendeva la mano che Charlie prontamente
afferrò.
–Senti,
ma quante novità devo aspettarmi ancora ? – disse
Charlie con un sorriso
sghembo dipinto in viso. Una cosa che Catherine adorava di Charlie era
il suo
modo di fare; lui accettava tutti per quelli che erano e non ci faceva
caso ai
pregiudizi. In poco tempo si ritrovarono nell’aula, dove
iniziò subito la
lezione.
–Oggi,
come vi avevo chiesto, farete un’esposizione del vostro
albero genealogico. –
esclamò la professoressa Burbage. Fece l’appello e
poi iniziarono le
esposizioni. Erano tutte molto varie e interessanti; molti dei suoi
compagni
erano mezzosangue e non dovevano preoccuparsi di stupide tradizioni di
famiglia.
–Oh,
ora tocca a te, Catherine cara. – aveva enunciato la
professoressa.
A
quelle parole Catherine fu presa da un attacco di ansia, e disperata
guardò
Charlie in cerca di aiuto. La sua faccia sconvolta non passò
inosservata e dopo
alcuni istanti di dubbio, si fece coraggio e decise che doveva
affrontare la
situazione da persona matura. Si alzò in piedi, e come
avevano fatto precedentemente
tutti i suoi compagni, iniziò a spiegare della sua nobile
Casata.
–Eh,
sì professoressa, non avevo notato quanti Serpeverde e
Grifondoro ci sono nella
mia famiglia. Be’, ora direi che posso tornare al posto, no ?
Sarebbe
abbastanza noioso dover continuare con tutti questi zii, prozii,
bisnonni … ! –
disse con voce tremolante Catherine, sperando che bastasse.
–Oh
certo, hai una lunga discendenza cara, ma posso chiederti di poter
vedere il
compito ? Mi sembra veramente ben fatto. – rispose la
professoressa Burbage,
mentre esaminava già il foglio di pergamena.
–Eccellente!
Questo sì che è un lavoro ben fatto. Attribuisco
a Grifondoro cinque punti! –
disse felice l’insegnante mentre ancora si complimentava con
Catherine per
l’aggiunta delle foto e delle mini biografie. Poi, le cadde
l’occhio su quel
nome, proprio quello che Catherine aveva sperato con tutta se stessa
che non
notasse. Sospirò e trattenne il fiato.
–Cara,
non sapevo che il professor Piton fosse tuo cugino! Questa si che
è una bella
notizia. – aveva commentato a gran voce con un sorriso
innocente.
–Eh
si, ehm bella notizia. Professoressa, veramente non ho mai conosciuto
Eileen
Prince e la sua famiglia. – aveva tentato di dire Catherine,
mentre tutta la
classe si era completamente ammutolita; nessuno si sarebbe di certo
perso una
sillaba.
–Mi
dispiace deluderla, ma conosco il professor Piton, solo come mio
insegnante di
Pozioni. – disse con un tono fintamente deluso, ma che le era
riuscito bene.
Catherine tornò al posto con un’espressione
indecifrabile in viso. Sentiva
tutti gli sguardi puntati su di lei, ed era infinitamente umiliante.
Niente
poteva farla sentire peggio; appena la lezione sarebbe finita, la voce
si
sarebbe sparsa a macchia d’olio e Piton sarebbe venuto,
presto, a saperlo.
***
Come
Catherine aveva previsto, la notizia si era sparsa così
velocemente che non
aveva fatto in tempo ad arrivare all’aula di Pozioni, che una
grande folla ne
stava già parlando.
Quando
arrivarono all’aula, Catherine aveva cercato di tornare alla
Sala Comune di
Grifondoro, ma Charlie le aveva saggiamente impedito di fare
sciocchezze come
quella.
–Codarda.
– le disse Charlie semplicemente. Sapeva che
l’orgoglio era il suo punto
debole, il suo tallone d’Achille e sarebbe caduta in pieno
nella sua
“trappola”.
–Non
osare Charlie, non osare. – aveva risposto lei scocciata.
–Beh,
è la verità, stai scappando dalle tue
responsabilità. E scappare è da codardi.
–
disse semplicemente, facendole poi spallucce mentre si avviava verso
l’aula di
Pozioni.
–Charlie
Weasley, io ti odio profondamente. – disse la rossa
seguendolo a ruota,
rassegnata.
Stranamente,
la porta dell’aula era aperta e molti del corso
v’erano già entrati e
vociferavano incuranti del loro arrivo. Dopo che il piano di Charlie
aveva
funzionato, si erano diretti all’aula, vi entrarono, e tutti
si ammutolirono
all’istante. Purtroppo, quando i due raggiunsero il loro
banco, i compagni
tornarono a vociferare; per la maggior parte erano i Serpeverde
increduli.
–L’ho
sentito dire da quel Beery! Era a lezione con lei quando l’ha
scoperto. – disse
un ragazzo dal fondo.
–Se
non ci credi, chiediglielo tu stesso. Non avrai paura, spero
… – continuò.
Un
ragazzo alto, dai capelli castani, abbastanza lunghi da essere
scompigliati si
diresse fino al lato opposto dell’aula, raggiungendo
Catherine che aveva
sfoderato la bacchetta.
–Cosa
vuoi, Winkler ? – chiese retoricamente Catherine, assumendo
un tono scontroso.
–Ciò
che si dice, è vero ? Tu e Pit- ? – chiese quello
con strafottenza, senza però
riuscire a terminare la domanda, perché Catherine
l’aveva preceduto con la
risposta.
–Con
mio disgusto, sì. Purtroppo. – disse Catherine
gelida, che puntava ancora la
bacchetta contro il ragazzo, che stava facendo altrettanto con la sua.
Si
sarebbero di certo intrattenuti ancora per qualche istante in quella
discussione, se Piton non avesse fatto capolino sulla porta, che non
mancò di
sbattere violentemente. Successivamente, raggiunse il banco di
Catherine, che
poverina sentiva nuovamente quella brutta sensazione farsi spazio in
lei.
–Winkler,
al posto immediatamente. – disse gelido, mentre a braccia
conserte fissava
Catherine con lo sguardo più minaccioso che gli riusciva
quella mattina.
–Prince,
esigo spiegazioni. – tuonò forte. Tanto
più forte che Catherine era totalmente
terrorizzata; aveva più volte visto il professore adirato,
certo con i suoi
compagni, ma non aveva mai provato tanto terrore in vita sua. Sembrava
essersi
pietrificata, doveva dire qualcosa altrimenti lo avrebbe fatto adirare
ancor di
più, e non era il caso. Catherine fece un bel respiro e
pensò a come poteva
spiegargli che non stava dicendo delle bugie.
–Io
e lei, professore, siamo cugini. – sussurrò piano,
con una voce tremante e
incerta.
–Provalo
Prince, altrimenti ti faccio espellere.
– aveva detto avvicinandosi sempre di più al suo
banco. A quelle parole,
Charlie era scattato a recuperare il compito di Babbanologia e tutti i
documenti, articoli, fotografie che potevano provarlo e li
consegnò al
professore, dal momento che Catherine era sul punto di svenire.
–Tutti,
pagina numero cinquantasette, al lavoro. – disse con un tono
tanto sprezzante, e
nessuno osò minimante contraddirlo. Il professor Piton si
diresse alla cattedra
e cominciò ad analizzare tutti quei documenti che,
effettivamente, provavano la
loro parentela.
Catherine,
incerta, si mise al lavoro in religioso silenzio; non aveva il coraggio
di
alzare lo sguardo, nemmeno per cercare conforto in Charlie, che di
tanto in
tanto, quando era sicuro che il professore non li stesse osservando, le
accarezzava per qualche frazione di secondo le dita, facendo finta che
l’avesse
sfiorata casualmente, mentre prendeva gli ingredienti. Catherine,
accecata
dalla rabbia, aggiunse una piuma di Jobberknoll di troppo nella sua
pozione,
che le scoppiò letteralmente in faccia. Sospirò
cercando di contenersi il più
possibile, mentre assumeva un aria buffa. Forse erano i suoi capelli,
gonfi e
ricci a causa del vapore e del troppo caldo in quell’aula, o
forse per il fatto
che aveva assunto una tonalità di rosso acceso sul viso,
Catherine sembrava
proprio al limite della sopportazione. Il professor Piton, appena
sentì il
rumore di quell’esplosione, alzò immediatamente lo
sguardo e non riuscì a
credere ai propri occhi; Catherine Prince, per la prima volta si era
lasciata
sopraffare dalla rabbia, e gli aveva offerto la possibilità
di farsi beffe di
lei.
–
Prince, è mai possibile che tu non sia nemmeno in grado di
contare delle
semplicissime piume? Mi chiedo che cosa tu ci stia a fare qui: speculi
su
parentele che si, hanno delle prove di esistere, ma anche delle prove
di non
esistere, sbagli un’elementare pozione di memoria e come se
non bastasse ti
permetti pure di civettare con quel ragazzino alle prime armi, nelle
mie ore! –
disse Piton con un tono glaciale, facendo cenno a Charlie Weasley, ma
non era
tutto! Piton proseguì:
–
Per aver accettato una come te, il livello medio dei maghi dev'essere
davvero calato!
Ai miei tempi il massimo della tua ambizione poteva essere solamente
far
compagnia a quel gigante peloso nella sua capanna, sempre se fossi
stata tanto
fortunata! –
Quelle
due ore di Pozioni, non erano mai state tanto pesanti e umilianti per
Catherine, che solitamente le apprezzava. Ma quell’anno, con
tutte quelle
novità, sembrava proprio che i rapporti con il professor
Piton fossero dei
peggiori e Catherine non ne era di certo contenta. Fortunatamente,
però, le due
ore terminarono e Catherine, fece subito la borsa; non voleva rimanere
in
quell’aula un minuto di più. Piton la trattenne,
così Catherine, sull’orlo di
una crisi di pianto, chiese a Charlie, che le sorrise debolmente, di
attenderla
fuori dall’aula, al che incerto, finì di fare la
borsa e uscì dall’aula, come
richiesto. Catherine alzò lo sguardo sul professore, che
dopo averla guardata
con uno sguardo truce, le aveva consegnato il compito e il resto, ma
sembrava
che volesse aggiungere qualcosa. Probabilmente era ancora sconvolto per
la
notizia e adirato.
–Prince,
non ti azzardare mai più. – disse gelido,
trattenendosi dall’urlarle contro
quanto la ritenesse una sciocca ragazzina che non ne sapeva niente di
lui.
Catherine, con gli occhi che già le pizzicavano e la gola le
bruciava, non
riuscì ad emettere nessun suono, anzi sentì
solamente un brivido percorrerle
l’intera spina dorsale.
–Martedì
prossimo alle otto, Prince. Ora, vattene. –
Catherine a quelle parole si era voltata ed era corsa fuori
dall’aula, dove
poggiò la borsa a terra e scoppiò in lacrime tra
le braccia di Charlie, che non
era riuscito a non sentire la breve discussione tra lei e il professor
Piton.
Charlie l’avvolse in un abbraccio dolce e protettivo, mentre
le sussurrava
rassicurazioni, cercando di calmarla. Non riusciva a credere a quanto
in basso
Piton si fosse abbassato. Non era di certo tra i suoi professori
preferiti, ma
l’aveva creduto abbastanza intelligente da evitare certi
comportamenti e quello
non lo poteva comprendere. Piton non era riuscito a resistere ad un suo
sciocco
capriccio; aveva voluto solamente aggiungere Catherine a quella sua
collezione
di insulti personali, ed era da ben sei anni che attendeva con pazienza
quel
momento. No, Charlie non riusciva proprio a crederci. Poi
abbassò lo sguardo su
Catherine, che aveva assunto, involontariamente, un’aria
indifesa.
–N-non
m-mi r-rritiene all’altezza! – disse Catherine tra
un singhiozzo e l’altro.
–Catherine,
non badare a quello che dice. Si è comportato come un
bambino, ha assunto
l’atteggiamento più infantile e non educativo, che
poteva assumere. L’ha fatto
apposta, lo sai, lo sai da quanto attendeva questo suo stupido momento
di
“gloria”, per quanto possa fargli onore.
– aveva detto Charlie, quasi
cullandola tra le sue braccia. Gradualmente, Catherine si riprese e si
diressero insieme alla Sala Grande, per il pranzo, ignari che anche il
professor Piton, non era riuscito ad evitare di ascoltare,
involontariamente,
quella discussione. Quando arrivarono alla Sala Grande, presero subito
posto
accanto a Michael che era intento a divorare letteralmente il suo
pranzo.
Catherine sorrise e si riempì il piatto.
–Ehi
Cath, mi dispiace per ciò che è successo oggi, ma
non badare a ciò che dice
Piton. – aveva detto Corinne, la ragazza di fronte a
Catherine, mentre le
faceva un sorriso incoraggiante. Corinne aveva una chioma molto folta e
lunghissima di capelli ricci tendenti al castano scuro, come gli occhi
che
erano marroni. Inoltre portava degli occhiali grandi e neri
poiché era miope.
–Però
forse è meglio che quel po’ di fuliggine sparisca
da quel bel faccino! – disse
ridendo, e con un colpetto alla bacchetta, diretta verso Catherine,
fece
sparire tutto quel nerofumo.
–Grazie
Coco, me n’ero completamente dimenticata. – ammise
con una risata spensierata.
–Ora
devo andare a fare un po’ di pratica con gli incantesimi, a
più tardi! – disse
Corinne avviandosi verso la Sala Comune di Grifondoro.
Charlie
si era messo a parlare di Quidditch con Michael; il rosso era un
fenomeno in
quello sport e il portiere, Oliver Baston, diceva che possedeva un
talento
unico, tanto unico che sarebbe potuto persino entrare nella Nazionale.
Ovviamente Charlie ne stava parlando malinconico, in quanto
quell’anno non si
sarebbe svolto il campionato, poiché si sarebbe svolto il
torneo magico.
–Be’,
guarda il lato positivo, quest’anno faremo noi il tifo mentre
la nostra
Catherine si darà alla competizione. – disse
Michael pregustandosi le scene di
azione che ci sarebbero state di lì a poco.
–Devo
ancora iscrivermi, ma penso lo farò domattina, devo ancora
decifrare tutti i
simboli! – dichiarò con tono solenne, cercando di
architettare un sistema per
accedere alla fontana.
–Ah,
a proposito, ho letto una cosa interessante in biblioteca, e ho bisogno
di voi
due! – disse Catherine con il volto illuminato. Quando ebbero
terminato di
pranzare, Catherine li trascinò con sé fino al
bagno delle ragazze al secondo
piano.
–Eccoci
qui! – disse presentando loro l’abbandonata
toilette femminile, poi sparì per
qualche secondo.
–Catherine,
non che voglia smontare il tuo piano, ma siamo nel bagno delle ragazze
e guarda
caso noi siamo due ragazzi. – disse Michael un po’
irritato.
–Sì
ma qui non ci viene mai nessuno. – disse riapparendo con un
calderone e
ingredienti vari, poi sparì di nuovo, tornando con alcuni
libri. Poi si sedette
a terra e aprì il libro, così i due ragazzi
furono costretti a imitare l’amica.
–Le
Mimsee, anticamente note come Nemidi,sono delle creature magiche
appartenenti alla categoria “Animali
dall’intelligenza quasi Umana”.
Esse hanno sembianze umane, ma le loro
dimensioni variano, come le fate, dai due centimetri ai
dodici centimetri e mezzo. Le Mimsee hanno
un modo particolare di essere create, infatti per crearne una bisogna
ricorrere
ad una pozione particolare a base di un fiore noto come
“lilium”, o più
comunemente “giglio”. All’infuso base
della pozione, bisogna aggiungere alcuni
ingredienti fondamentali, una specie di “codice
genetico”. Qui il libro cita
gli ingredienti; in quanto metà essere e metà
vegetale, le Mimsee necessitano
di; una goccia di sangue e una goccia di linfa, un puffagiolo e un
frutto di
cuminio dei prati. – spiegò Catherine passando lo
sguardo dapprima su un
Charlie incredulo poi sul suo calderone.
–Sei
proprio sicura che qui dentro non verrà nessuno ? – chiese Charlie un
po’ imbarazzato nel
trovarsi nel bagno delle ragazze.
–Sì,
qui ci abita Mirtilla Malcontenta, per questo non ci entra mai nessuno.
–
spiegò risoluta, mentre preparava gli ingredienti necessari.
–C’è
nient’altro su queste creature ? – chiese
incuriosito Michael, sfogliando il
libro.
–Oh
sì, ho letto in alcuni libri di Dorian che le Mimsee hanno
poteri naturali
straordinari. Nel libro che hai in mano fa riferimento al legame che si
instaura tra la creatura e il suo creatore. Si dice che siano molto
fedeli. Ma per ora,
è tutto ciò che so. – disse
Catherine un po’ amareggiata.
Poi,
si mise al lavoro; accese il fuoco e mise dell’acqua nel
calderone e quando fu
il momento, ci aggiunse il giglio. Successivamente con un piccolo ago
si tagliò
quanto bastava per donare una goccia di sangue e da una provetta
versò la
goccia di linfa. Infine mescolò, come indicato nel libro, e
aggiunse il cuminio
dei prati. Poi si strappò un capello rosso e lo aggiunse
alla pozione, insieme a
qualche granello di polvere luccicante.
–
Che cosa ? – chiese Michael non riuscendo ad esprimersi,
perché era troppo
concentrato nel capire il motivo per cui Catherine avesse aggiunto alla
pozione
gli ultimi due ingredienti.
–Be’,
il libro dice che il creatore può donare qualcosa no ?
– disse Catherine
ridacchiando. Charlie aveva guardato divertito la scena ma non fece in
tempo a
commentare che si sentì uno scoppio e dal calderone si
levava tanto vapore, ma
della pozione non v’era più alcuna traccia. I tre
si chinarono sul calderone
per guardare meglio ciò che stava succedendo.
Il
giglio assunse una posizione naturale, proprio come un bel fiore in un
vaso,
poi cadde un petalo bianco insieme al suo rametto dal fiore e prima che
potesse
toccare il fondo del calderone, qualcosa cominciò a prendere
forma. Un
corpicino alto quasi undici centimetri fece capolino davanti a loro,
aveva
lunghi capelli rossi e aveva la pelle tendente al pallido, il petalo
invece,
era diventato il suo abitino. La creatura li guardava con uno sguardo
curioso,
poi tentò di arrampicarsi sul fiore, ma non
riuscì nella sua impresa, così
Catherine immerse la mano nel calderone in modo che la Mimsea potesse
accomodarsi. Quando l’ebbe tirata fuori; poté
notare la sua bellezza. Era molto
simile a Catherine, probabilmente perché la goccia di sangue
determinava non
solo tutto il sistema vitale ma anche alcuni fattori genetici.
–Ecco,
ora abbiamo una Catherine in miniatura, perfetto! – disse
Michael guardando
incredulo la creatura. Charlie invece la trovava molto carina e
curiosa; non ne
avevano mai vista una prima d’ora. Catherine si fece
pensierosa e dopo qualche
minuti di silenzio, tornò a parlare.
–Dovrà
pur avere un nome, no ? – disse con un sorriso radioso.
Charlie annuì e Michael
lo dichiarò “matto”. Michael non era un
ragazzo interessato molto alle creature
magiche.
–Che
ne dite di Indil ? Significa “giglio” in elfico.
– propose Catherine leggendo
sul suo dizionario di elfico. In realtà era un altro dei
libri appartenuti a
suo fratello e lei aveva trovato il modo di renderlo nuovamente utile;
sia per
decifrare la fontana sia per la creatura, che annuiva felice. Poi
Charlie diede
un’occhiata al piccolo libretto azzurro e propose anche
“Mirìel”, che
significava “gioiello”. Catherine ci
pensò, poi convennero che poteva avere
entrambi i nomi.
–Da
oggi sarai Mirìel. – disse Catherine al culmine
della sua felicità. La creatura
fece un piccolo gesto di approvazione, seguito da un ronzio. Ogni
movimento
della piccola Mirìel corrispondeva una piccola scia di
polvere luccicante che
fluttuava in aria.
–Ehi,
in questo vecchio libro si narra del loro habitat! Nemide, derivato da
nemus,
-ǒris, e significa “bosco”,
“foresta”. Infatti esse vivono nei boschi o in
luoghi ricreati in modo molto simile. Nella descrizione, si aggiunge
che le
Mimsee dopo quindici giorni di vita riescono ad imparare a
materializzarsi e
smaterializzarsi. – disse Michael riassumendo le informazioni
contenute nel
libro.
–Michael
ad Hogwarts è impossibile materializzarsi! Non hai letto
Storia di Hogwarts ? –
commentò Catherine mentre faceva roteare i suoi occhioni
color verde smeraldo.
Charlie
si gustava la scena e poi non riuscì a trattenere una risata
divertita.
–Catherine,
alcune creature, in realtà, possono. Ad esempio gli elfi
domestici. – spiegò
Charlie raccontandole degli elfi domestici che c’erano ad
Hogwarts. Catherine
non sembrava molto contenta che lavorassero notte e giorno ma poi
convenne che
in un posto come quello i maghi avevano un gran bisogno
d’aiuto e gli elfi
domestici erano fondamentali.
Trascorsero
il loro pomeriggio nel cercare di ricreare un boschetto dentro quello
che
doveva essere un acquario a boccia per pesci. Catherine aveva imposto
sull’oggetto un incantesimo di estensione irriconoscibile,
così che Mirìel
potesse avere uno spazio vitale vasto, ma in quanto trasparente,
l’oggetto a
occhio esterno appariva un semplice acquario contenente un boschetto
riprodotto. Catherine era riuscita a ricreare, con vari incantesimi,
una specie
di spiaggetta con un piccolo laghetto. E poi v’era il giglio
che era essenziale
per il mantenimento della Mimsea. Prima dell’ora di cena i
tre portarono Mirìel
nel dormitorio femminile di Catherine, che per sicurezza aveva lanciato
alcuni
incantesimi di protezione, affinché la sua creatura potesse
essere al sicuro.
Successivamente i tre si recarono a cena e nel tempo che rimaneva loro,
si
erano appostati davanti al camino, mentre si raccontavano storie
avvincenti e
incredibili.
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Capitolo 6 *** Love in a heartbeat ***
Love
in a
heartbeat
―
Capitolo #6 ―
Dopo
aver portato Mirìel nel dormitorio femminile, Catherine,
Charlie e Michael si
diressero alla Sala Grande, dove cenarono abbondantemente.
Successivamente si
trascinarono fino alla Sala Comune, dove si accomodarono, a detta loro,
nei
posti migliori, quelli sul divanetto davanti al camino.
–Oh
Michael, ti prego! Raccontami la favola di Pane Pet ! –
continuò Catherine
cercando di convincerlo.
–Peter
Pan, comunque … D’accordo, basta che la smetti!
– aveva detto Michael con un
faccino fintamente scocciato. Catherine
l’abbracciò forte continuando a
ringraziarlo.
–Tutti
i bambini crescono, tutti, tranne uno. –
incominciò Michael cercando di calarsi
nella parte di un perfetto cantastorie o per lo meno in un narratore,
come
quello nei film babbani.
–C’era
una volta un ragazzo di nome Peter Pan, che, dopo aver origliato una
discussione dei genitori sulla sua vita adulta, aveva deciso di non
voler più crescere.
Un giorno, stando sul davanzale della sua finestra, ch’era
aperta, vide le cime
di alcuni alberi, che erano certamente i medesimi di quelli che stavano
nei
giardini di Kensington. Così, il piccolo Peter Pan, che
aveva solamente sette
giorni, essendo ancora uccello, ritornò in volo fino ai
giardini, che erano già
stati chiusi. Quando vi arrivò, fece conoscenza con il corvo
Solomon, che
pareva essere un corvo saggio.
‘Peter
non sei più un uccello, sei umano, ora.’ gli disse
il corvo e da quel momento
Peter seppe di non essere più un uccello, di non saper
più volare, così non
potendo più tornare a casa, rimase a Kensington Gartens. Al
suo arrivo, le fate
erano totalmente terrificate dal piccolo bimbo, che riuscì
rapidamente a
guadagnarsi i loro favori. Peter riuscì a divertire le
piccole fatine con i
suoi modi umani e, con una certa riluttanza, accettò di
suonare il flauto di
pan nelle danze delle fate. Un giorno, la regina Mab, gli concesse il
desiderio
del suo cuore così Peter, nostalgico, decise di tornare
dalla sua mamma. Le
fate, a malincuore, lo aiutano a tornare a casa in volo. Quando
arrivò, il
bimbo vide la sua mamma dormire nella sua vecchia camera da letto,
così decise
di tornare ai giardini per dare il suo ultimo
‘addio’ alle creature magiche che
vivevano lì. Purtroppo, Peter s’intrattenne troppo
a lungo nei giardini, e usò
il suo secondo desiderio di tornare a casa in modo permanente, quando
vi
arrivò, fu distrutto nell’apprendere che, in sua
assenza, la sua mamma aveva
dato vita ad un altro bimbo, da poter amare. Così Peter, con
il cuore infranto,
ritornò a Kensington Gardens, dove una notte
incontrò una bimba sperduta, ella
si chiamava Maimie Mannering. Fecero subito amicizia e il piccolo Peter
le
chiese di sposarlo, Maimie stava per accettare, ma capì che
la sua mamma doveva
sentire terribilmente la sua mancanza, così tornò
da lei. –
–Oh
Michael! È delizioso il modo in cui narri le fiabe!
– disse Catherine
affascinata mentre applaudiva come una bimba spensierata.
–Già,
ma penso che per oggi basti! – disse sorridendole, mentre si
scambiava
un’occhiata eloquente con Charlie, che per tutto il tempo si
era immerso in
pensieri più profondi di quanto lui stesso poteva
immaginare. Arrendevole
Catherine permise a Michael di andare a riposarsi e ben presto Charlie
si
ritrovò –finalmente–
solo con lei.
–E
così sei cugina di Piton. – si era lasciato
sfuggire Charlie, pensando più ad
alta voce che iniziando una discussione vera e propria con Catherine;
non che
non lo volesse, ma non l’avrebbe iniziata così,
sarebbe stato certamente più
delicato e avrebbe trovato parole più adatte.
–Già,
è orribile vero ? In realtà era da sei anni che
mi domandavo il motivo per il
quale il suo comportamento fosse sempre tanto scontroso nei miei
confronti, ora
preferirei non saperlo. Scommetto che lui l’ha sempre saputo,
lui come tutto il
resto della mia famiglia che mi ha spudoratamente tenuta sempre
all’oscuro su
questa faccenda! – sussurrò Catherine lamentandosi.
Charlie
sapeva che sarebbe partita con il suo sfogo, e lui le sarebbe stato
accanto
come sempre, pronto ad ascoltarla e a confortarla. Charlie era
così; lui
riusciva a vedere oltre a quello che Catherine voleva che gli altri
vedessero,
lui sapeva bene quanto in realtà fosse fragile, insicura e
in continuo bisogno
di certezze. Sorrise debolmente e allargò le braccia
lasciando che Catherine vi
si rifugiasse tranquillamente.
–Io
non voglio che sia mio cugino! – piagnucolò.
– Insomma, con tutte le persone
proprio lui doveva capitarmi ? Appena andremo ad Hogsmeade
manderò loro una
strillettera! Posso
capire i miei
genitori, ma Dorian! Insomma mio fratello … Dovrebbe stare
dalla mia parte ! –
continuò frustrata. A
Charlie venne un po’ da ridere ma si trattenne; era una
situazione tanto buffa
quanto singolare. Catherine, la sua migliore amica cugina del
professore più
odiato della scuola.
–Ma
dai Catherine, magari l’ha scoperto poco prima di te
… E poi, voglio dire,
penso che tu abbia cose più importanti a cui pensare, e sai
cosa intendo! –
disse Charlie serio.
Catherine
non sapeva bene come prendere la cosa; Charlie non sembrava aver preso
troppo
male la questione della presunta parentela con Piton, così
si convinse che
magari poteva evitare di pensarci troppo, infondo non cambiava nulla.
–Già
hai ragione, entro domani mattina devo assolutamente iscrivermi al
torneo! –
concordò Catherine, anche se in realtà non aveva
alcuna idea di come poteva
farlo.
***
Charlie
e Catherine si erano augurati la buonanotte già da un paio
d’ore, e Catherine,
non appena si era infilata tra le lenzuola si era subito addormentata.
Non
aveva avuto nemmeno il tempo di pensare ad un modo per iscriversi al
torneo, ma
si sarebbe fatta venire in mente qualcosa la mattina successiva;
infondo era
Catherine Prince, lei era decisamente un punto di domanda vivente, era
proprio
imprevedibile. Era notte fonda, e nel dormitorio femminile tutte le
fanciulle
si erano addormentate da tempo, tutte, tranne una; Mirìel
per quanto potesse
essere ritenuta una “ragazza” non rientrava tra
quelle dormienti. La creaturina
volteggiava nella sua abitazione, mentre guardava Catherine dormire.
C’era
qualcosa che non andava e Mirìel lo sapeva, lo sentiva, ed
era proprio per
questo motivo che aveva nuovamente cercato di scalare quel giglio, per
uscire
dalla sua dimora, senza però riuscirci. Ma prima che potesse
anche solo
escogitare un piano per raggiungere la ragazza, successe qualcosa di
veramente
molto bizzarro. Figure strane le apparvero nitide proprio davanti a lei.
Il
sole
splendeva proprio lì in alto nel cielo, che quel giorno era
azzurro e privo di
nuvole. Era proprio una giornata perfetta per staccare la spina per
qualche ora
e sedersi sul prato per prendere un po’ di sole e rilassarsi.
Molti studenti
infatti, in quella giornata calda di marzo, passeggiavano spensierati
per
Hogwarts, molti, tranne la piccola Catherine Prince, una piccola
Grifondoro del
primo anno. Catherine era una studente molto curiosa e molto studiosa,
ma
probabilmente per il suo fare da saputella, non aveva molti amici; anzi
in
realtà forse c’era solo una persona lì
dentro che sembrava sopportarla e quello
si chiamava Charlie Weasley. Quel giorno sul viso di Catherine non si
poteva
scorgere il suo brillante sorriso che le si poteva scorgere ad ogni
occasione;
no, quella era una giornata no per Catherine, che si era rifugiata nel
bagno
femminile al secondo piano, dopo aver sentito involontariamente alcuni
commenti
poco carini da alcuni compagni di Grifondoro. Appena aveva varcato la
soglia
del bagno, alcune lacrime avevano iniziato a rigarle il viso, mentre si
rannicchiava in un angolo. “Non sono antipatica”
aveva sussurrato a se stessa
tra un singhiozzo e l’altro, balbettando leggermente. Proprio
i suoi
singhiozzi, la sua figura minuta, che cercava rifugio in se stessa e
quelle
labbra increspate in una smorfia triste –proprio con il
labbro inferiore un po’
sporgente- aveva
incuriosito il fantasma
di Mirtilla Malcontenta, che la osservava. Mirtilla si sentiva quasi
chiamata
in causa; era sempre stata lei che veniva presa in giro gratuitamente,
era
sempre stata lei a essere oggetto di scherzi di cattivo gusto e
riusciva quasi
a rivedere se stessa in quella piccola studente dai capelli rossi. Era
per
questo motivo che decise di trovare alcune parole di conforto per
quella
piccola studente.
Mirtilla
si
avvicinò a lei, un poco imbarazzata dalla situazione; non si
era mai ritrovata
nei panni di figura consolatrice, poiché era sempre stata un
poco suscettibile
e sentiva il costante bisogno di rinfacciare la propria morte a
chiunque. Ma
quel giorno era diverso.
–Ehm
... – si
schiarì la voce, più per annunciare la sua
presenza, che per schiarirsi la
voce.
–Come
ti chiami
? – chiese Mirtilla fluttuando da una parte
all’altra davanti a Catherine, che
per la sorpresa sussultò leggermente. Poi aveva accennato un
“Catherine”
debole.
–Io
sono
Mirtilla, Mirtilla Malcontenta … Ma dimmi, perché
piangi ? – continuò Mirtilla,
non che volesse rigirare il coltello nella piaga, ma sarebbe stato
scortese
ammettere di averla spiata. Alla domanda le labbra di Catherine
tremarono
leggermente, e tornò quell’espressione addolorata.
Prima di rispondere però
alla domanda, Catherine rimase per qualche istante interdetta.
–M-mi
prendono
s-s-sempre tutti in giro … e ecco, dicono c-che sono
a-antipatica. – ammise
balbettando Catherine, abbassando lo sguardo imbarazzata. Mirtilla fece
in
tempo a scorgere due lacrimucce rigarle il viso, sentendosi un
po’ in colpa.
–Coraggio!
Non
piangere … non se le meritano! Ecco, forse dovresti essere
più flessibile, no ?
– le consigliò Mirtilla, cercando di fare del
proprio meglio per essere
convincente. Lei voleva davvero esserle d’aiuto,
perché sapeva quanto erano
scomode certe situazioni. Catherine si asciugò il viso con
la manica e abbozzò
un sorriso, si alzò il piedi e ringraziò
Mirtilla.
Ma
la scena mutò …
Catherine si trovava
proprio davanti alla Fontana di Bruinen, sfoderò la
bacchetta ma rimase
immobile. E fu proprio in quell’istante che
Mirìel decise di agire: puntò
lo sguardo sulla ragazza dai lunghi capelli rossi, e si
concentrò. Dalle
piccole labbra della Nemide usciva una dolce melodia, molto attraente e
molto
simile al canto delle sirene.
***
–Cath
? Caath ? Catherine svegliati! – sussurrò piano
Corinne, scuotendo leggermente
l’amica.
Dopo
svariati tentativi, però, Corinne riuscì a
svegliare Catherine, che sembrava
ancora molto assonnata. Quando aprì gli occhi,
constatò che solo loro due erano
sveglie, e cercò di capire per quale motivo fosse stata
svegliata così presto.
–Corinne
perché mi hai svegliata così presto ? –
chiese pacata, mettendosi a sedere. Poi
batté piano la mano sul letto, invitandola a sedere accanto
a sé. Doveva
ammettere che non passava molto tempo con le sue amiche, e non riusciva
a
capire il perché. Ma infondo sapeva che le stava solo
evitando, o meglio, stava
evitando il “momento della rivelazione”,
perché sapeva che prima o poi si
sarebbero accorte delle sue gite notturne ogni mese, e non avrebbe
potuto
mentire a lungo, questo lo sapeva, ma non voleva perderle subito.
–Sei
strana e non passiamo del tempo insieme dall’anno scorso,
quindi ora mi dici
cosa succede. – fece Corinne seria. Catherine
abbassò lo sguardo,
improvvisamente le pieghe del lenzuolo si fecero interessanti.
Sospirò
mestamente e si mordicchiò il labbro inferiore sinistro con
fare nervoso.
–Non
dirmi che “non è niente”,
perché so che c’è qualcosa. Non ti ho
chiesto nulla
prima, perché pensavo che me l’avresti detto tu,
come facciamo sempre. Hai
sempre l’aria stanca, quasi afflitta, mi eviti, o meglio,
eviti tutte noi e
ancora non mi hai spiegato bene cosa ti è successo qualche
giorno fa. Tu sei la
mia migliore amica, e io mi preoccupo per te. –
continuò Corinne prendendole
una mano. Non voleva essere fredda o distaccata, solo che aveva
così tante cose
da chiederle, che non riusciva a formularne una alla volta. Catherine
sorrise
un po’ amareggiata; si chiedeva per quale motivo Corinne
fosse sempre così
diretta, ma non si rendeva conto che anche lei si comportava nello
stesso modo
con gli altri. Chiuse le tendine attorno al letto e fissò
per qualche Corinne
che esigeva delle risposte quantomeno esaurienti e subito. Sotto quella
fitta
chioma di capelli ricci di un castano scuro, v’erano
quegl’occhietti dolci e
speranzosi. Corinne, sebbene fosse un tipo diretto, riusciva sempre a
compensare con quella dolcezza infinita che sprizzava da tutti i pori
del suo
essere.
–Devi
promettermi che non lo dirai a nessuno e che nulla cambierà.
– sussurrò
Catherine incerta. Insomma, se quello doveva essere il momento, doveva
assicurarsi
almeno che non andasse in giro a sventolare il suo stato interessante
ai
quattro venti –non che fosse necessario, ma doveva comunque
farglielo
promettere- e poi be’, non voleva che anche lei se ne andasse
schifata come
aveva fatto Eliah, ma al suo ricordo Catherine s’impose di
pensare ad altro.
Corinne
dal canto suo fece un bel sorriso e annuì, portando la mano
destra al cuore e
la mano sinistra appena sollevata. Poi giurò, cominciando a
chiedersi perché
fosse tanto importante farlo, ma sorvolò.
–Be’,
che dire …– disse non riuscendo a trattenere una
risatina nervosa. –Sono un
lupo mannaro … Fenrir Greyback, sai, la ragazza in estate ?
Quella de “La
Gazzetta del Profeta”, ne stavate parlando il giorno in cui
siamo tornati qui
ad Hogwarts. È per questo che Eliah mi ha lasciata. Eh,
be’ qualche giorno fa
–il giorno in cui sono sparita– era fase di luna
piena, e poi sai com’è andata
durante la punizione con Piton e il resto…–
spiegò velocemente, torturandosi le
mani. Poi alzò di scatto lo sguardo e analizzò
Corinne per qualche istante; non
sembrava essere troppo schifata, o almeno questo era ciò che
poteva scorgere
Catherine sul suo viso.
–Non
è una presa in giro, vero ? – chiese Corinne
scrutando Catherine seria, che di
rimando scosse leggermente il capo senza aggiungere
nient’altro. Il suo sguardo
era già di per sé abbastanza eloquente. Avrebbe
voluto piangere fino ad
addormentarsi, ma doveva essere forte. Doveva superare la cosa, dal
momento che
in realtà lei non l’aveva presa per niente bene.
Lei non l’aveva mai voluto e
odiava esserlo. Ma in quel momento sapeva di poter essere se stessa,
sapeva di
poter lasciarsi andare allo sconforto che provava a causa della sua
nuova
condizione. Quando sentì le minute braccia
dell’amica circondarla, non riuscì a
trattenere le lacrime e i singhiozzi. Ma in quel momento
capì quanto in realtà
era stata sciocca a temere la reazione delle amiche. La loro amicizia
era
qualcosa di meraviglioso e sapeva che erano unite abbastanza da poter
superare
le avversità.
–Oh,
miseriaccia! Avrei voluto vedere la faccia di Piton quando
l’hai disarmato,
oppure quando ha scoperto la “grande rivelazione”.
Comunque per me non cambia
nulla! – sdrammatizzò Corinne con timidezza. Poi
l’abbracciò nuovamente e le
rivolse un gran sorriso, ricordandole che erano migliori amiche.
–Catherine,
non mi diverto a fare l’inquisitore, quindi lo sai che me le
puoi dire le cose!
– la rimproverò leggermente. Poi
ridacchiò e aprì nuovamente le tende, infondo
ora potevano parlare del più e del meno anche senza.
–Comunque
cosa c’è in quella specie di acquario ?
– chiese con un tono curioso e
frizzante, mentre si vestiva. Catherine non rispose, non capiva come
facesse
Corinne ad essere sempre tanto loquace, spesso di mattina. Poi sorrise
e mise
una mano nel vaso, sentì Mirìel sedersi e la
tirò fuori. Gli occhioni marroni
di Corinne si spalancarono; Catherine poteva leggere tutta la
curiosità e la
sorpresa. Le raccontò delle Mimsee e di come lei, Charlie e
Michael l’avevano
creata. Corinne ascoltava diligentemente, e di tanto in tanto batteva
le mani
estasiata, proprio come una bambina che aveva appena ricevuto la cosa
tanto
desiderata. Quando finirono di vestirsi, si ritrovarono a parlare del
torneo, e
fu in quel preciso momento che Catherine parve illuminarsi, anche se
Mirìel
sapeva che era la sua magia che prendeva il sopravvento.
–Ma
certo! Come ho fatto a non pensarci prima! Andiamo Corinne! Devo
iscrivermi al
torneo! – disse.
***
Ed
eccola lì, al centro della Sala Grande, la Fontana di
Bruinen, illuminata dai
raggi del sole, mentre il resto della sala era avvolto in una soffice
penombra.
Sebbene fosse ancora presto v’era già un via-vai
inconsueto di persone. Chi
studiava, chi in gruppo chiacchierava, v’erano addirittura
alcuni professori
che sedevano già alla tavolata, immersi fittamente in
qualche discussione
avvincente, e poi, lì nei pressi, v’era una
piccola moltitudine di persone
nelle vicinanze della fontana. Catherine ne riconobbe solamente alcuni,
poiché
non provenivano tutti dalla stessa casa. In lontananza alcuni compagni
di
Grifondoro, tra i quali v’era anche Michael Towler, che
pareva immerso
fittamente in una probabile discussione sul Quidditch con i suoi
compagni di
squadra. Le due fanciulle si diressero quindi con grande
curiosità verso
quest’ultimi, dopo aver valutato attentamente la situazione.
Tra quella piccola
folla v’erano molti candidati al torneo e Catherine non
vedeva l’ora di
scoprire con chi avrebbe dovuto misurarsi. Iscriversi pareva essere
molto più
complicato del previsto, infatti ancora nessuno era riuscito
nell’impresa.
–Pare
proprio che bisogna munirsi di molto ingegno, eh ? –
constatò Michael dando
voce ai pensieri delle due ragazze che stavano pensando esattamente la
stessa
cosa.
–Già,
pare proprio dilemmatica la faccenda, ma io ho un’idea
… Spero solo che
funzioni! – esclamò piano, scrutando con fare
serio dapprima la fontana e poi i
possibili candidati, tra i quali, con sua grande sorpresa, anche Eliah
Beery,
che ormai frequentava il sesto anno. I pensieri di Catherine la
portarono ai
vari ricordi legati a quel ragazzo. Sembrava che quella ferita non
volesse
guarire e Catherine ne soffriva, ne soffriva molto. Corinne, che le era
di
fianco, seguì con lo quello della rossa e appena
capì cosa le frullava nella
mente, tentò di riportarla alla realtà. Catherine
gliene fu grata. Non aveva
intenzione di crogiolarsi nel dolore di primo mattino. Poco dopo
incedette
verso la fontana, ma una voce familiare la costrinse a fermarsi.
–Oh
guardate chi c’è qui, Catherine Prince, sporca
traditrice del tuo sangue. Che
ci fai qui ? Non ti hanno detto che questo non è per
apprendiste streghette
alle prime armi ?– disse Winkler che provocò
l’ilarità dei suoi compari di
Serpeverde. Catherine lo raggiunse con passo felpato e gli
puntò contro la
bacchetta. Quell’affermazione aveva suscitato rabbia non solo
nella rossa, ma
anche negl’altri presenti, tanto che alcuni li raggiunsero
protestando e
difendendo la compagna.
–Winkler,
non osare! – ruggì Michael fuori di sé.
Catherine s’interpose tra i due e lo
fissò negl’occhi per molto tempo. Era uno sguardo
tagliente e freddo, che non
le si scorgeva quasi mai sul viso. Ma prima che potesse ribattere
all’offesa
ricevuta, si udì una voce che proveniva da qualche metro
più distante.
–Winkler
su, lasciala in pace e vediamo di cos’è capace.
– disse un ragazzo dai capelli
castano dorati appoggiato ad una colonna nella penombra. Era molto alto
e nei
suoi occhi si poteva leggere il mistero e anche una punta di desiderio.
Era
bello e Catherine per qualche istante si sentì …
Attratta ? Forse Catherine
avrebbe usato proprio quel termine per descrivere cosa provava in quel
momento. I loro
sguardi s’incrociarono
per qualche attimo, che parve loro molto più lungo. Winkler
si fece da parte e
la lasciò passare. Catherine fece ancora qualche passo, in
quel momento sentiva
tutti gli occhi puntati su di lei e fu pervasa da
un’eccitazione mai provata
prima. Ma tra tutti ve n’era uno, il cui peso era maggiore.
Catherine si voltò
e rimase incatenata a quegl’occhi azzurri, che per quanto
fossero glaciali non
le trasmettevano freddezza o superiorità, ma solo
curiosità. Era
eccezionalmente bello e il suo nome era James Evander Avery, ma
Catherine
ancora ignorava tutto ciò. D’un tratto
incominciò a girare attorno alla fontana
esaminandola. Niente di nuovo, i simboli elfici e le rune erano rimaste
ai loro
posti e per quanto aveva potuto decifrare, sapeva solo che tutto
rimandava
all’essenza, la vera e pura essenza delle cose. Ma quella
mattina sembrava
tutto così chiaro e Catherine non capiva perché.
Sapeva solo che per qualche
strano motivo sapeva esattamente cosa fare, ma solo quando
puntò la bacchetta
in direzione della fontana ottenne la consapevolezza delle sue azioni.
Ora era
tutto così ovvio. Essenza. Lei doveva mostrare la sua
essenza, ma prima avrebbe
dovuto acquistare la consapevolezza di ciò che ormai era e
non poteva non
essere. Non era semplice, poiché fonte di un indicibile
dolore, ma era giusto.
Catherine doveva accettare la sua nuova natura. Si concentrò
per un momento su
un pensiero felice: uno in particolare.
–Expecto
Patronum! – pronunciò poi con convinzione. Dalla
bacchetta scaturì un fascio di
luce bianca, che prese forma di un lupo. Correva veloce in direzione
della
fontana e poco dopo, quando la raggiunse, vi s’immerse. Per un momento nulla
accadde, ma poco dopo
dalla fontana si percepì un sibilo. E questo cosa
significava ? Tutti si
stavano porgendo la medesima domanda, ma pareva che nessuno sapesse
darne una
risposta soddisfacente.
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