ALI D'ARGENTO

di Fiore Blu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Avviso + Sorpresa ***
Capitolo 24: *** Primo capitolo (anteprima) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO



Il mio cuore batteva freneticamente mentre correvo attraverso il bosco in una notte illuminata dalla luna.
Il mare sembrava uno specchio infinito che rifletteva la luce argentea del sole di mezzanotte creando un’atmosfera magica e ricca di attesa.
Sì, attendevo con un’ansia opprimente il momento in cui avrei sciolto il sanguinante laccio che teneva uniti i nostri destini.
Non potevo più sopportare la vista del suo corpo emaciato e ricoperto di ferite.
Non potevo più sostenere quello sguardo stanco e allo stesso tempo così protettivo e limpido.
Quella stessa notte gli avrei ridato la sua libertà.
Mentre ascoltavo il mio respiro diventare regolare, un vento leggero e profumato attraversò con discrezione la piccola radura circolare situata sulla scogliera: il nostro posto, il luogo della verità.
Avevo impiegato poco tempo ad attraversare il bosco perché ormai quel sentiero era familiare, e mi era sembrato il posto più adatto per affrontare una conversazione così importante.                                                          
Sospirai.
Passi felpati ed eleganti provenivano dall’oscurità.
Mi voltai lentamente e quando incontrai i suoi occhi non potei fare a meno di portarmi le mani sul petto.
Il mio cuore, in sua presenza, sembrava prendere il volo e raggiungere luoghi inesplorati e meravigliosi.
Avanzò con estrema eleganza sul prato brullo, e quando la luce della luna lo illuminò interamente non potei fare altro che andargli incontro.
La pelle diafana del viso sembrava non avere pori, e gli zigomi alti riflettevano la luce cristallina della notte conferendogli un aspetto nobile e austero.
Gli occhi, profondi come abissi, erano il miscuglio perfetto tra polvere di zaffiri e gocce liquide di ametista.
Le labbra: rosee, carnose, immobili.
Le ali.
Ogni volta la vista delle sue ali era un dono di cui gli ero profondamente grata.
Era con quelle ali che il mio angelo protettore fendeva l’aria fredda di notti misteriose e pericolose.
Il corpo asciutto e forte, alto e sinuoso, lo stesso corpo che mi aveva protetta e salvata innumerevoli volte.
Il corpo che mi aveva stretta forte nei momenti più difficili.
«Volevi vedermi» non era una domanda. La sua voce profonda e serafica ruppe il silenzio.
Ecco... era giunto il momento.
«Ho scelto di incontrarti qui perché ho qualcosa di importante da dirti. Io... non voglio più essere un peso per te, voglio... ».
Mi interruppe posando due dita affusolate sulle mie labbra.
Mentre le mie parole scorrevano veloci, il suo volto bellissimo aveva mutato espressione, diventando teso e tormentato. Sembrava non capire.
Il vento fece ondeggiare i suoi capelli corvini dai riflessi bluastri.
«Sciocca» mormorò severo con gli occhi devastati.
Mi baciò.
I nostri corpi vennero avvolti dalle sue grandi e candide ali, che costruirono intorno a noi un intimo bozzolo di passione.
Calde lacrime bagnarono le mie gote. Erano lacrime di rabbia e di angoscia.
Lui azzerava ogni mia volontà e dissipava ogni mio tentativo di ribellione.
Eppure avrei tanto voluto allontanarlo da me per il suo bene.
Quel pensiero aveva sfiorato la mia mente molte volte, ma i miei sforzi venivano vanificati dalla sua letale capacità di persuasione.
«Non dire mai più una cosa simile» sussurrò piano, creando un piccolo brivido che mi percorse il corpo come una leggera scossa.
Era davvero frustrante: l’amavo più della mia stessa vita e per salvare la sua dovevo tenerlo distante da me.
Questo mi faceva sentire vulnerabile. Ero  troppo forte perché avevo un angelo a proteggermi, ma ero allo stesso tempo troppo debole per proteggere il mio cuore: Shade.


Angolo dell'autrice...
Salve a tutte le mie fedeli lettrici e a quelle nuove che spero saranno numerose.
Quest'estate ho rivisto e corretto i primi capitoli di questa storia, perchè volevo rinnovarla e renderla migliore per una futura ed eventuale pubblicazione.
Sarei lieta di leggere i consigli e i commenti (negativi e positivi) dei miei amati lettori.
Spero che questo piccolo lavoretto mi sproni ad andare avanti con la correzione dei capitoli non ancora corretti.
Premetto che ci saranno scene aggiuntive e forse qualche minuscolo cambiamento, ma spero in particolare di migliorare lo stile.
Concludo il messaggio con un grossissimo ringraziamento alla disegnatrice della copertina (che spero appaia... vista la mia deficienza tecnologica), la mia dolcissima e carissima amica Deilantha, la quale fa parte del gruppo di lettrici fedelissime che mi hanno sostenuto e accompagnato durante la prima stesura della mia modesta storiella.
Volevo infine precisare che come sempre risponderò ad ogni vostro messaggio.
Per quanto riguarda l'aggiornamento della storia... avverà più frequentemente durante le vacanze, causa inizio università.
Buona lettura.
Dalla vostra Fiore.
<3
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


SEIRA




"Bellissima" pensai guardandola.
Bianca,elegante,splendente e tonda, la luna mi faceva compagnia anche quella notte.
Era una presenza indispensabile.
Era proprio la luna che illuminava l'oscurità,la notte.
A volte mi sembrava stupido pensare che in realtà non brillasse di luce propria,ma che fosse alimentata dal sole.
La luce lunare era discreta,soffice,argentea e soffusa.
Era così diversa da quella del sole.
Stavo seduta sul bordo del mio letto.
Ero proprio di fronte alla porta a vetri che dava sul mio minuscolo balconcino.
Da lì, ogni sera guardavo la luna.
La mia luna.
Il mio lume personale. 
Mi addormentai con la consapevolezza che mi avrebbe protetta dall'oscurità per tutta la notte. Come sempre.
 
La mattina dopo mi svegliai di soprassalto, spaventata a morte dalla sveglia che spensi immediatamente,tremante.
Di solito non mi facevo sorprendere.
Mi svegliavo sempre qualche minuto prima, per spegnerla prima che suonasse rompendomi i timpani.
Ma stavolta qualcosa era andato storto.
Ad un tratto il sogno che ricordavo di aver fatto mi fece venire il batticuore.
Ero sulla spiaggia che si estendeva oltre il bosco vicino a casa mia.
Io piangevo, sentivo paura,terrore,angoscia.
Poi qualcuno sussurrò il mio nome con una voce calda e profonda, rassicurante.
Alzando il volto, trovai un viso angelico che mi scrutava con preoccupazione.
Era quel viso che mi provocava il batticuore.
Un viso troppo bello e perfetto che non poteva appartenere ad un ragazzo qualsiasi.
Si,era proprio il viso di un ragazzo.
La sua pelle candida, i lineamenti delicati ma mascolini, le labbra carnose e perfette, serrate.
Gli occhi,indescrivibilmente profondi, avevano il colore degli zaffiri.
Non erano azzurri, ma blu. 
Un blu che diveniva più chiaro all'interno. Viola.
Non avevo mai visto occhi così.
Erano occhi lucenti e magnifici.
La bellezza del suo viso era tale, che non mi accorsi neanche delle ali che gli incorniciavano la schiena.
Candide e luminose. 
Come la luna.
-Ti proteggerò io, sta’ tranquilla- lo sentii sibilare, mentre si voltava verso la cosa che mi faceva tanta paura,dandomi le spalle.
Il sogno finiva qui.
In quel preciso istante mi ero svegliata,non sapendo distinguere sogno e realtà.
Tutto era stato così reale!
Soprattutto lui.
Poi riflettendoci sopra ... io non ero mai stata una persona che credeva nei sogni, nelle favole ..., perciò cercai di cancellare l'angelo e il batticuore.
Andai a lavarmi la faccia sperando di riprendermi.
Gli angeli non esistevano.
Ma, inconsciamente, sapevo che qualcosa dentro di me era cambiato.
Poi mi scrollai di dosso i brividi di eccitazione.
Io non credevo agli angeli.
 
 
Mi vestii in fretta con la prima cosa che trovai nell'armadio.
Non mi disturbai ad uscire salutando con un -ciao vado!- oppure con un -buona giornata a tutti- perché sapevo che non avrei ottenuto risposta.
Ero sempre sola a casa.
In generale ero sola.
Corsi freneticamente perché ero in leggero ritardo.
Colpa del sogno.
Arrivai in classe col fiatone, ma non importava, ero arrivata in tempo.
-‘Giorno Séira, corsa mattutina?-  con un sorrisetto la mia compagna di banco, Matilde, mi dava il “buongiorno”.
-Si,… non so come sia successo- ripensai per un breve istante allo strano sogno che avevo fatto.
-Non preoccuparti, tanto la professoressa Ross è assente. “Malattia” dicono- mi rassicurò. 
-Quindi … - cominciai.
-Si, tre ore libere, ginnastica e disegno. Proprio una bella giornata no? - era euforica.
Matilde era quel genere di persona con cui ti trovi bene.
Discreta, ma solare e gentile. 
Capelli corti corvini, occhi da cerbiatto e lentiggini. 
Un mix di allegria e simpatia.
Una persona pura. Perlomeno è quello mi sembrava.
-Aspetta, aspetta … - disse quasi urlando. Poi mi sussurrò nell’orecchio. – ... ho visto un ragazzo super carino,che … beh … mi piace- confessò arrossendo.
- Sono felicissima per te. Ma, … aspetta chi è?- domandai tanto per mostrare il mio interesse verso il suo pettegolezzo.
- Beh, non che mi piaccia in quel senso … solo, è carino- precisò.
-Parli di “quello nuovo”?- impulsivamente, come suo solito, Sara si era intromessa nella conversazione.
-Si- rispose Matilde.
- Si è trasferito qui una settimana fa. Abita nella gigantesca tenuta vicino casa tua Seira. Quella che si trova al limitare del bosco - avevo sempre guardato con occhi sognanti quella “casa”gigantesca ed elegante. In fondo chiamarla casa era un eufemismo.
Era una villa a tre piani, totalmente dipinta di giallino pesca con le rifiniture a terrazze e finestre salmone. Il giardino era un sogno, e nonostante fosse disabitata, era sempre curata.
Tornai alla realtà.
-Tu l’hai visto?- chiese Sara a Matilde. L’espressione di quest’ultima cambiò. Da sognante divenne quasi impaurita.
-Si … - si bloccò.
- Allora? Com’è- la incitò Sara.
Ad un tratto mi domandai perché stessi ascoltando quella conversazione. A me i ragazzi non …
-Allora … - Matilde interruppe i miei pensieri. – ... avete presente la sensazione che si prova a guardare qualcosa di orrendo? Si prova timore no?- Sara annuì. – Bene. È talmente … oddio non riesco a descriverlo. Due parole. Orribilmente bello!- finì la frase sospirando.
 
Basta non ne potevo più. 
Che esagerazione. 
Le grazie di quel ragazzo non potevano essere diverse da quelle degli altri ragazzi. 
Uscii dalla classe con la scusa di andare in bagno.
Non vedevo l’ora di finire quella giornata iniziata male a causa di quel sogno.
 
 
 
 
 
 
 
----------------------------------------------   ANGOLO DELL’AUTRICE    --------------------------------------------------
 
 Spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto.
Sto presentando la protagonista per indizi, e non con un ritratto completo.
Inoltre il sogno è una sorta di “inizio del cambiamento di Seira”.
Spero che recensirete. Ho bisogno di sapere cosa ne pensate.
Precedentemente, infatti, ho esplicitato la mia immensa paura che la mia storia non piaccia a nessuno.
Informo coloro che, con tanta pazienza, hanno iniziato a seguirmi, che risponderò a tutte le recensioni.
E poi nei capitoli successivi risponderò pubblicamente ad ognuno di voi per ringraziarvi, appunto. Comincio subito:
RISPOSTE:
Dagusia123: grazie per la tua recensione. Non solo era la prima che avessi ricevuto in tutta la mia vita T-T, ma è stata anche preziosa per trovare la voglia di andare avanti nel mio lavoro. :)
Grazie a tutti quelli che mi seguono.
Non mi sento più sola. 
1000 grazie. :)
Iloveworld.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Quando vidi nell’oscurità un essere totalmente vestito di nero, comprese le ali di cui anch’esso era munito, capii che era di quello che avevo paura. 
Sorrideva beffardo, maligno, lanciando occhiate di sfida al mio protettore: l’angelo dalle ali bianche.
Quest’ultimo stava eretto, fiero, e scrutava il nemico con freddezza e prudenza al tempo stesso.
Io sentivo le ginocchia cedermi per la paura.
-Lei è mia- disse il demone a gran voce, sfidando senza pietà l’angelo bianco che mi stava d’avanti.
Il mio protettore non rispose. Era concentrato e attento. Era preoccupato.
Il terrore mi scorreva nelle vene. 
Il viso del demone era coperto da orrende cicatrici violacee che deformavano i suoi lineamenti fino a renderlo brutalmente orrendo, spaventoso.
Era totalmente calvo e dalle orecchie a punta pendevano degli ingombranti ciondoli neri.
Intanto l’oscura creatura avanzava verso di noi. Ad ogni passo dalle sue ali cadeva della polvere nera , simile a fuliggine. Eppure una volta  caduta al suolo brillava al chiaro di luna.
L’angelo che mi proteggeva si fece più teso e attento.
-Vediamo se ti sei arrugginito … - disse malignamente il demone tirando fuori da dietro il suo mantello una balestra  carica e pericolosa.
L’angelo bianco mi scrutò con la coda dell’occhio.
Aveva uno sguardo a dir poco terrorizzato. Ma non era preoccupato per se stesso, ma per me.
I suoi occhi palleggiavano dal mostro che gli stava davanti, a me.
Stava cercando un modo per salvarmi.
Lui voleva salvarmi.
Spalancò le ali bianche e lucenti alla luce della luna.
A quel movimento una polvere argentea si depositò sul suolo.
-Combattiamo alla pari. Senza umani nei paraggi. Io e te. Da soli- parlò deciso e fiero. Come un re che comanda il suo esercito. Fiero,sicuro,composto.
- Scordatelo- disse il mostro aprendo anch’egli le ali con uno scatto e disseminando polvere nera intorno a se. –Credimi, meglio se lasci perdere. Tanto lei verrà con me. Rassegnati.
Si abbandonò ad una losca risata, - I giorni di questa ragazza sono finiti -  disse maligno e a quel punto mi sentii mancare.
-Va all’inferno- sbottò l’angelo bianco lasciando da parte le buone maniere. Nella sua voce, ira e freddezza.
- Ma io vengo  proprio da lì! … - rise beffardo e stavolta avanzò di più passi. Era pericolosamente vicino.                                                 – … e tu verrai con me- si librò in volo impugnando la balestra che puntò contro il mio protettore.
Ad un tratto il mio cuore sobbalzò.
Ora avevo più paura di prima. 
Le ginocchia cedettero, e finii sulla sabbia, in ginocchio con le mani sul petto che cercavano di attutire il batticuore.
Avevo paura di quel mostro, avevo paura che mi facesse del male, avevo il terrore che potesse fare del male al mio coraggioso protettore alato. 
Si, io che non credevo negli angeli, avevo paura.
Per l’angelo bianco.
Quest’ultimo si stagliò verso il cielo scuro della sera con un balzo, prima che il demone potesse scagliarmi addosso una delle sue frecce.
 
 
 
 
Era ormai da una settimana che facevo lo stesso identico sogno. 
Sempre uguale.
Non riuscivo mai a capire come andasse a finire. Mi svegliavo sempre lì, in quel punto.
Col cuore in gola per la paura che potesse succedere qualcosa all’angelo.
Era incredibile come le mie convinzioni venissero cancellate.
Un sogno, sempre lo stesso da più di una settimana, aveva sconvolto la mia razionalità.
Strano.
 
La vita che mi circondava e che guardavo da sempre con indifferenza e diffidenza, cominciava a colorarsi di strane sensazioni.
Sentivo le mie certezze sprofondare, annullarsi ,vacillare.
Cosa mi stava succedendo?
Perché mi sentivo strana?
Perché ero confusa?
Continuavo a ripetermi che prima o poi avrei sognato qualcos’altro, ma ogni notte ero immersa in quella strana, incredibile, paurosa sera, in cui due esseri, i quali fino a poco tempo fa credevo leggendari, si muovevano e parlavano davanti ai miei occhi.
Nel mio sogno.
Quella mattina, l’ennesima mattina in cui mi ero svegliata col batticuore, me la presi comoda.
Andai in bagno a fare la doccia, poi sistemai i libri nella cartella e feci colazione con i cereali e il latte caldo.
Arrivata a scuola, mi sedetti come sempre accanto a Matilde.
Ascoltai le lezioni dei prof con apatia, finché finalmente arrivò il momento della pausa pranzo.
Camminavo lungo il corridoio dell’accademia.
La scuola a quell’ora era deserta perché tutti erano alla mensa.
Ero arrivata alle scale che portavano al piano terra quando … 
- Seira! Non vieni a pranzo con noi?- mi voltai di scatto quasi spaventata perché non mi aspettavo che Matilde fosse lì.
Voltandomi verso di lei, il mio piede trovò il vuoto. 
Feci appena in tempo a vedere l’espressione di Matilde che da terrorizzata diventava sbalordita.
Poi capii.
Infatti, invece di cadere giù per le scale rompendomi l’osso del collo, mi fermai di botto grazie alla presa di due mani sicure che mi avevano afferrata dalle spalle evitandomi una caduta.
Appena ripresi l’equilibrio e misi i piedi ben piantati a terra, mi voltai di scatto mentre dicevo:
- Mi scusi tanto, … grazie per … - poi mi resi conto che ad afferrarmi era stato Shèid Winter.
Ed io che poco prima ero finita tra le sue braccia non potei fare a meno di arrossire per l’imbarazzo.
Sheid Winter era un nuovo studente.
Era il misterioso ragazzo arrivato in città un mese e mezzo fa,di cui nessuno sapeva nulla.
Era di lui che parlavano in continuazione  Matilde e Sara.
Il loro chiacchiericcio era durato per sei settimane.
Sei lunghe settimane in cui ero stata costretta a rifugiarmi in bagno.
Ma non potevo stare in bagno per cinque ore al giorno, quindi … ogni tanto ero costretta a sorbirmele.
Come avevo constatato, era davvero un bellissimo ragazzo.
Inumanamente bello.
Si, di umano la sua bellezza non aveva nulla.
La pelle candida, gli occhi profondi come due zaffiri intrisi di viola … ebbi una specie di dejà vu .
Poi mi ripresi.
Continuando a studiarlo, mi accorsi che era molto alto ed elegante.
La divisa scolastica gli stava da dio.
Eppure …
Sapevo  che tutte le ragazze dell’istituto avevano provato ad avvicinarlo, ma lui non si avvicinava a nessuno e non avvicinava nessuno.
Sapevo che per l’opinione pubblica era  “orrendamente bello” e roba simile.
Sapevo anche che era freddo e distaccato con tutti.
Sapevo che stava sempre  per conto suo, quindi poco a poco le ragazze avevano perso interesse.
“Non ci degna di uno sguardo”, “Sta sempre isolato e snobba tutti”, “Chi si crede di essere?” … questo dicevano, quasi indignate.
Lo compativo poverino, chissà che tristezza.
Chiunque avrebbe capito che era diventato popolare solo per il suo aspetto fisico favoloso.
Nessuno aveva capito quanto era  deprimente essere giudicati solo per l’aspetto.
Nessuno aveva provato a conoscerlo veramente, ad entrare nel suo cuore come amica,amico o ragazza.
Chissà come doveva sentirsi lui che di sicuro aveva capito di non contare nulla sul lato sociale.
Era come una scultura senza volto, di cui non puoi capirne l’essenza, l’utilità, i sentimenti, il carattere, il significato.
Era come fosse incompleto, visto per metà. 
- Scusa,mi dispiace – dissi imbarazzata.
Lui non batté ciglio. Mi fissò dritto negli occhi.
Il mio cuore cominciò ad accelerare il battito.
Poi, vedendo che l’atmosfera cominciava ad appesantirsi disse con voce monocorde:
- Sta’ più attenta la prossima volta – sembrava totalmente disinteressato. Freddo. Seccato dalla situazione.
Perché si comportava così?
- Grazie – sussurrai, ma lui si era  già voltato cominciando a scendere le scale in maniera lenta ed elegante.
Sentivo il cuore tornare a battere normalmente. 
Feci un respiro profondo quando lo vidi sparire.
“wow” pensai, e non era da me.
- Pronto Seira?!- Matilde mi fece tornare in me.
- Scusami, ero …
- Tranquilla, sarebbe impossibile non rimanere imbambolati – per fortuna che la sua pazza curiosità non ebbe il sopravvento. Forse aveva capito che ero in imbarazzo.
- Già, cosa volevi?
- Vieni a pranzo con me e Sara?
- No, scusatemi. Oggi torno direttamente a casa. 
- Come vuoi. Ci rifaremo un’altra volta.
- Contaci – la salutai con un bacio e scesi velocemente le scale, stando attenta a non cascare di nuovo.
Non c’era sempre Sheid Winter ad evitarti cadute.
 
Era sabato, perciò non mi preoccupai dei compiti , che erano sempre di meno grazie all’arrivo delle vacanze estive.
Non mi preoccupai neanche di tornare a casa per avvisare che ero uscita prima da scuola.
 
Tanto non  c’era mai nessuno. 
I miei genitori adottivi erano sempre in giro per lavoro, e per fortuna mi reputavano abbastanza matura da cavarmela da sola senza  una tata.
Gli ero grata per questo. Almeno potevo fare ciò che volevo senza essere spiata e controllata.
Però, mi sentivo spesso molto, molto sola.
I miei genitori tornavano spesso a trovarmi, ma restavano qualche giorno per poi ripartire.
 
Quel pomeriggio decisi di andare sulla spiaggia.
Uscii di casa sul tardi, dopo aver pranzato alla grande, aver fatto un pisolino e letto qualche pagina di un vecchio libro.
Percorsi il sentiero del bosco che portava alla spiaggia.
Il mio quartiere era uno dei più belli della città.
Le casette a schiera, bianco splendente con le ringhiere rosso fuoco, davano le spalle ad un bosco verdeggiante, dove per lo più si trovavano faggi e querce.
La stagione calda lo aveva colorato di fiori multicolori che facevano capolino tra i cespugli e in alcune radure brulle che si trovavano qua e là.
Camminando per il piccolo sentiero che passava attraverso il bosco, arrivati quasi a metà, si poteva scorgere la famosa e bellissima villa Winter, che apparteneva appunto alla famiglia di Sheid Winter.
Nei pressi della villa si sentiva il gorgoglio di un piccolo fiume del quale non conoscevo la sorgente,
Il sentiero andava di pari passo con il fiume che sfociava nel mare.
La vista del fiume, cristallino che divideva il bosco in parti, rendeva il paesaggio sublime.
Era come se il mare e il bosco si mischiassero.
Le due sponde del fiume erano collegate da un piccolo ponte in legno che padroneggiava sulla spiaggia.
Quel ponte era l’unica testimonianza di operato umano, perché quel luogo era stupendo e incontaminato.
Il mio preferito in assoluto.
Arrivata alla spiaggia, mi soffermai a guardare il ponte, che ormai aveva assunto una colorazione verdognola a causa delle alghe depositate dal mare durante le mareggiate.
Spaziai con lo sguardo, notando che il mare era calmo, cristallino, bagnato dolcemente dalla luce arancione di un sole che stava per tramontare all’orizzonte.
A breve avrei visto la luna.
Poi come un flash back, mi ritornò in mente il sogno.
Ormai ero abituata a trasalire ogni volta che il volto dell’angelo bianco mi stravolgeva la mente.
Mi costava ammetterlo, ma ero abituata anche a sognarlo.
Quello a cui non mi ero affatto abituata era il fatto che non sapevo mai se ci saremo salvati.
Una fastidiosa ansia mi prese lo stomaco.
Anche quella notte l’avrei rivisto e sarei stata preoccupata e impaurita.
Come potevo fare per evitare … che … ?
Evitare?
EVITARE;EVITARE;EVITARE …
Ma certo!
Se non volevo sognarlo non dovevo sognarlo.
Perché non ci avevo pensato prima?
Se non volevo più sognare quell’angelo, se non volevo più avere paura di perderlo, allora bastava non sognarlo.
DOVEVO EVITARLO.
Si, stavo scappando dal problema. Non lo stavo affrontando.
Ma … io non volevo affezionarmi a qualcosa di irreale. A qualcosa che sognavo e basta.
Lui non esisteva.
Dovevo rendermene conto. Non potevo aggrapparmi ad un sogno.
Guardai con malinconia il mare, decisa a seguire la mia scelta.
Mi sentii ancora più triste quando pensai che presto quella distesa d’acqua cristallina si sarebbe popolata e colorata di tuffi, risate, ombrelloni e aquiloni.
Il mare non sarebbe più stato veramente mio.
Guardavo attonita lo sciabordio delle onde.
Il colore dell’acqua si faceva sempre più scuro.
Le ombre cominciavano ad avanzare lente e imminenti.
La luna presto mi avrebbe illuminato il viso.
Mi sedetti sulla sabbia calda e morbida, mi abbracciai le ginocchia e lasciai che il vento della sera mi accarezzasse i capelli neri e lunghi.
Aspettavo la luna mentre, ignara di quello che sarebbe successo a breve, mi cullai rilassandomi al suono delle onde.
 
 
 
 
 
 
 
 
-------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE-------------------------------
 
Salve a tutti voi amici miei.
Spero tanto che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto =3
È proprio brutto dover abbandonare le proprie convinzioni per causa maggiore.
Un sogno poi … :( povera Seira.
Comunque grazie ai preziosi consigli dei recensori FLY89 e YUUKI B ho migliorato, o almeno cercato di migliorare, la schermata e la scrittura.
Comunque passiamo ai ringraziamenti …
Ringrazio …
FLY 89: sono molto contenta della tua recensione.
Mi hai spiegato in modo chiaro ciò che hai notato di sbagliato. Ti ringrazio di cuore per i consigli : )
Spero che continuerai a seguirmi  : )
YUUKI B: grazie per il tuo sostegno e i tuoi consigli.
Mi riempie il cuore di gioia saperti dalla mia parte amica mia. :)
GLAMEC: grazie alle tue dolci parole trovo sempre un motivo per non sentirmi sola.
Sei dolce e sensibile e ciò mi fa capire che sei sincera e onesta.
Grazie tante amica mia.
ILGOTICOKANAME: con il tuo modo ironico riesco sempre a trovare il lato positivo delle cose.
Però guarda che sono un tipo  suscettibile. Potrei arrabbiarmi :P scherzo. Grazie per il sostegno.
VERUSKA1992:  grazie per l’incoraggiamento. Sei davvero carina. :)
MADKIKKY: grazie per i complimenti.
Continua a seguirmi :)
 
 
 
 
Poi … per ultimi ma non meno importanti, ringrazio …
DAGUSIA123 che ha aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEBBYDARKNESS , FLY89 , JOSSI , MADKIKKY che mi hanno aggiunto tra le seguite.
GLAMEC E ILGOTICOKANAME che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_ che ha ricordato la mia storia.
SCUSATE SE HO SCORDATO QUALCUNO. NON L’HO FATTO CERTO PER CATTIVERIA.
 Grazie amici miei.
Senza il vostro sostegno questa storia non potrà continuare, perché è come se ad un cantante mancasse il pubblico.
Siete un elemento indispensabile.
Non abbandonatemi e continuate a seguirmi.
 
P.S. sono ansiosa di conoscere gente nuova.
Non siate timidi.
Contattatemi o recensite.
Grazie di cuore.
Bacini.
 
Iloveworld.

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Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


Sheid capitolo extra
 
 
Ero steso sul letto della mia camera a guardare il soffitto, sperando di riaddormentarmi.
La notte precedente era stata un inferno.
Il caldo soffocante di questa città mi dava sui nervi, perché nonostante avessi una bassa sudorazione, mi sentivo oppresso dall’afa.
“Luna …” pensai, passandomi una mano trai capelli.
“Chissà quali progetti ha per me?!” non comprendevo il motivo di quell’ordine improvviso. Mi aveva ordinato di trasferirmi qui.
Nient’altro.
A volte era proprio strana. Non la capivo.
Ma, … dovevo obbedire, perché lei era la regina … e io il suo inutile burattino.
“Inutile”, lei non mi aveva mai definito così. Anzi mi guardava con riverenza e rispetto, quasi fossi un suo pari.
Ma io mi sentivo inutile.
Insomma … ero un mezzosangue, ero per metà umano, ero imperfetto, ero  … niente.
 
A cosa serve un mezzo angelo? A cosa può servire un mezzo angelo con inutili poteri, infimi se confrontati con quelli di un normale angelo? Quanto può contare un mezzo angelo, un essere così inutile, per la regina della notte? Per Luna?
 
Ero confuso. 
Lei non me l’aveva mai fatto pesare. Perché?
Sospirai esausto.
 Nonostante mi fossi appena svegliato mi sentivo spossato.
Ormai era da tempo che non dormivo.
Le mie notti erano una tortura.
Incubi spaventosi mi facevano trasalire e mi svegliavo urlando.
Ero sempre più incredulo.
Quegli stupidi sogni non erano altro che un tormento.
Facevano tornare a galla il mio passato, mi dimostravano ogni notte che io ero, mio malgrado, umano e quindi avevo un punto debole.
La debolezza mi dava sui nervi.
Un essere debole è un essere destinato a soccombere, a essere sottomesso, a soffrire.
Io a volte ero debole, perché … ero umano.
Il mio corpo era umano, la mia forza era umana.
Il mio cuore era umano, il mio cuore era la mia debolezza.
Gli angeli non avevano bisogno della coscienza, del rimorso, del rancore ,dell’odio o della rabbia per poter affrontare un nemico a sangue freddo.
Il loro cuore, nonostante la loro anima si macchiasse dei più orrendi peccati, era sempre fiero e indifferente al mondo.
Senza colpa.
Il loro cuore apparteneva a Luna, ed era lei che decideva quali sentimenti dovessero provare gli angeli.
Per loro, per gli angeli, per le creature del cielo che si nutrivano di energia lunare, era importante soltanto obbedire a Luna.
Lei, era come una dea per loro.
C’era uno scambio equo tra la regina del cielo e i principi dell’aria.
Pace e nutrimento in cambio di obbedienza.
Senza dolore, senza pentimento, senz’anima.
Loro non ce l’avevano un vero e proprio cuore.
Io si.
Era per questo che non riuscivo ad accettare la mia esistenza, perché io sentivo tutti i sentimenti che Luna proibiva agli angeli di sentire, per preservarli dalla debolezza.
Con me non poteva farlo.
Io non ero un angelo come gli altri.
Io ero per metà debole.  
Io ero per metà umano.
Mi sedetti sul letto, consapevole che non sarei riuscito più ad addormentarmi.
Ma sarebbe stato comunque inutile, perché una volta chiusi gli occhi sarebbero ritornati gli incubi.
Nel mio sogno combattevo per proteggere qualcuno, e il mio avversario era uno dei mostri più forti di Anul, regina delle tenebre e sorella malvagia di Luna.
Tutti gli angeli bianchi temevano Anul, perché lei era la dimostrazione che Luna non era la dominatrice incontrastata del cielo. Luna la faccia illuminata della luna era in continua conflitto con Anul, regine delle tenebre e degli angeli neri, faccia oscura della luna.
Ero terrorizzato, preoccupato che la cosa che stavo proteggendo potesse finire nelle mani del mio avversario, dell’essere ripugnante che mi stava davanti, armato.
Mi svegliavo sempre di soprassalto non riuscendo mai a sapere se sarei riuscito a salvare l’umana, che tremava convulsamente per la paura. 
Non era un’umana qualsiasi. Lei era particolare.
I suoi capelli lunghi, lisci di un nero corvino che alla luce della luna avevano dei riflessi luminosi, bellissimi, azzurrini. Come i cristalli di luna di cui era fatto il palazzo della regina.
I suoi occhi azzurri erano vitrei per la paura.
Era fragile ed indifesa. 
Era umana … come me.
Ma in quella circostanza ero il più forte.
Toccava a me proteggerla.
Io dovevo proteggerla.
 
I miei pensieri furono interrotti da Erik, il mio maggiordomo. 
Erik aveva servito la mia famiglia in passato, e nonostante fosse a conoscenza di ciò che mio padre aveva fatto, aveva deciso di servire ancora la famiglia Winter, un tempo detentrice del titolo di famiglia guida con a capo l’arcangelo più forte e bello mai esistito: mio padre. Ma poi …
- “Toc,toc” … permesso?-
- Vieni pure, Erik – scesi dal letto a due piazze e mi infilai la camicia nera che stava ai piedi del letto. – Dimmi, cosa c’è?- gli domandai quando fu entrato.
- Padron Sheid c’è una lettera da parte della regina per voi- disse porgendomela.
- Luna? … quando è arrivata?
- Proprio ora.
- Bene, grazie Erik. Ora puoi andare- dissi mentre prendevo la busta blu oltremare con il sigillo a forma di mezza luna bianco.
- Si padrone- disse Erik dileguandosi.
Era triste che mi chiamasse in quel modo. Io l’avevo pregato di non farlo, perché eravamo amici io e lui.
Lui mi aveva detto che doveva e voleva chiamarmi “padrone” perché era onorato di servire me, in quanto erede del grande Isaac. Mentre mi confessava di essere ancora fedele a mio padre aveva uno sguardo serio e fiero, come se avesse cancellato il tradimento di mio padre e ricordasse solo il tempo in cui il capo della famiglia era un re incontrastato che governava al fianco di Luna.
Erik non era cambiato, era sempre stato devoto e fedele a me alla mia famiglia.
Conosceva il nostro segreto da forse cinquant’ anni e l’unica cosa cambiata in lui era il suo aspetto.
I capelli, che un tempo erano lucenti e biondissimi, erano diventati grigi, le rughe increspavano il viso olivastro e gli occhi grigi si erano spenti ormai da tempo, privi della sfolgorante luce della giovinezza.
Eppure era la mia famiglia. Lui era il padre che non avevo mai avuto.
 
Aprii la lettera.
La calligrafia di Luna era inconfondibile. Era elegante, spessa e tondeggiante.
 
 
 
 
 
 Caro Sheid ,
vorrei incontrarti questa sera per discutere con te di una questione urgente.
So che sei confuso per via di questo ordine di trasferimento improvviso, e avrei intenzione di chiarire la questione.
 
Cordiali saluti.  
                                                                                               Luna
 
 
 
 
 
 
Poche, semplici, chiare parole.
Bene, avevo tutto il tempo per prepararmi.
 
 
La mattinata passò tra scartoffie da firmare per il possesso della villa in cui ero andato a vivere.
In passato era stata una “casa delle vacanze “ della famiglia Winter.
Mio nonno Alfred, predecessore di mio padre nel titolo di Arcangelo,  era affascinato dalla vita sulla terra. Secondo lui era appagante e tranquilla. E così ogni tanto andava ad abitare  in quella villa, per “sentirsi umano, per sentirsi vivo” diceva.
Io naturalmente non lo comprendevo. 
Essere umani era … stancante.
 
Passai il pomeriggio  a oziare.
Infatti per uno come me, che odiava il caldo, era impossibile spostarsi o muoversi.
L’afa pesante e appiccicosa annullava ogni mia energia.
E poi … avevo sonno arretrato. Quindi mi sedetti in veranda e sorseggiando del tè mi godevo il paesaggio.
La mia villa era situata vicino ad un fiumiciattolo che probabilmente finiva in mare. 
Il luccichio che il sole creava sull’acqua del mare, si intravedeva persino dalla mia villa. Era una luce sfolgorante, in contrasto con l’oscurità del bosco.
I fiori di primavera facevano capolino tra i cespugli e tra gli arbusti, e gli alberi alti e possenti del bosco creavano una specie di scudo protettivo, facendo ombra.
Se non avessi odiato così tanto il caldo, avrei ammesso che stavo davvero bene lì. La natura mi tranquillizzava. Mi dava un senso di pace.
 
Arrivò l’ora X.
Erano le sei del pomeriggio, e anche se era prestino decisi di prepararmi.
Non era la prima volta che Luna voleva vedermi personalmente.
A volte dovevo andare da lei semplicemente perché voleva parlare un po’ con me, ed io dovevo accettare volente o nolente.
Visto che stavolta non era un incontro formale, ma un incontro per discutere degli ordini e per fare dei chiarimenti, avrei indossato la mia divisa da combattimento.
Era composta da una tuta nera e grigia, aderente e resistente che si modellava sul mio corpo snello e muscoloso alla perfezione.
In aggiunta c’era un soprabito nero e lungo, che era più sportivo che elegante.
Sia la tuta che il soprabito erano muniti di un cristallo di luna.
Un ornamento a forma di mezzaluna che era posizionato sulla parte sinistra del petto. Sul cuore.
Era con quello stemma che gli angeli dimostravano fedeltà a Luna, e da quel cristallo, tutti gli angeli ,compreso io, acquisivano la maggior parte dei poteri lunari.
Si, la maggior parte, perché alcuni poteri erano innati.
Avere le ali era un potere innato.
Io, ringraziando il cielo, avevo quel potere.
 
 
Appena calò il buio, mi sentii pervadere da una sensazione di potere, da una sensazione di puro piacere.
Nel frattempo lunghe membra scheletriche si facevano spazio sulla mia schiena.
Ad un tratto, sentii come una scarica elettrica che mi pervadeva il corpo, ed un energia antica e misteriosa percorrermi le ali che si vestirono in mezzo secondo di piume argentee.
Osservarle, sentirle, sentire che potevo volare era una sensazione eccitante, e nonostante non fosse totalmente nuova, era sempre sorprendente sentirsi potente, e … bene.
Se di giorno ero un mezzo angelo, di notte ero un angelo mezzo umano.
Il che può sembrare stupido, perché infondo non cambiava molto, ma io era per la maggior parte angelo, almeno di notte, e ciò mi piaceva.
Per un attimo cancellavo la mia amarezza.
Per un attimo.
Raggiunsi Luna in pochi minuti.
Anche volando velocissimo, riuscivo a rendermi conto del paesaggio intorno a me.
Volare verso la luna era sempre meraviglioso, un esperienza particolare.
L’aria fresca che frustava il viso, la luce intensa che riusciva a guidarti alla meta anche ad occhi chiusi.
Da lassù potevo sentire il mondo.
Forse, non era il viaggio verso  la luna in se stesso, comunque bello da togliere il fiato.
Più che altro era volare.
Era estraniarsi dall’umanità, diventare parte del cielo, diventare un angelo.
 
 
Conoscevo il luogo dove io e Luna ci saremmo incontrati.
Bastava volare verso la luna e varcare un portale nascosto e protetto dagli angeli.
 
Lo raggiunsi in pochissimi minuti, poi la vidi.
Il portale portava direttamente alla sala del trono e serviva da scudo per Luna e il suo castello.
Infatti solo ai suoi angeli era consentito di entrare.
Tutto ciò serviva anche a tenere lontane le creature oscure che Anul scagliava di tanto in tanto verso Luna.
Atterrai proprio a pochi metri da lei.
Luna era seduta sul suo trono, aveva in mano il suo scettro ed era vestita di un sontuoso abito scintillante e candido.
Per aspetto era una regina come tutte le altre.
Mi inginocchiai al suo cospetto mio malgrado, e aspettai calmo che fosse lei a parlare per prima.
- Sheid, ti stavo aspettando- la sua voce era regale e femminile.
Osservai il viso latteo e i capelli biondissimi e lunghissimi, facendomi scappare un sorriso.
- Avrei giurato di essere in orario, Luna – dissi beffardo.
- Lo sei, certo- disse sorridendo. Poi si alzò e mi venne incontro. Lo strascico dell’abito era lunghissimo, ma lei mi raggiunse lo stesso velocemente.
Io mi alzai di slancio, sicuro che lei me lo avrebbe ordinato a breve.
- Ti trovo molto cresciuto- disse compiaciuta e sorpresa, mentre sgranava gli occhi cobalto simili ai miei.
Strano, erano passati solo otto mesi dal nostro ultimo incontro.
Gli ordini mi erano arrivati con delle lettere come quella di quella mattina.
- Già- dissi solamente. Lei si avvicinò ancora di più e mi posò una mano sulla guancia destra, accarezzandola.
- Diventi sempre più bello. È meraviglioso quanto somigli a tuo padre Isaac. Lui …
- Luna- la interruppi appena in tempo. Non volevo sentirne parlare. Mio padre era una storia chiusa- perché mi hai fatto venire qui? Perché hai voluto che mi trasferissi in quella città?
- Hai ragione Sheid. Scusami tanto- si allontanò da me e si risedette sul tono di diamanti.
- Nella lettera hai scritto che avresti chiarito tutto.
- Lo so. È per questo motivo che ho voluto che tu venissi qui da me, – si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio – perché è una questione troppo delicata da affrontare.                                      È un argomento di cui si deve parlare faccia a faccia.
- Bene.
- Bene.
Ci guardammo negli occhi per parecchi minuti. Poi cominciò.
- Ho rilevato la presenza di una principessa- disse quasi indifferente, e mi fissò per ponderare la mia reazione. La conoscevo troppo bene per far si che non mi prendesse nel sacco.
Feci l’indifferente e lei rise di gusto.
- Non sei cambiato affatto dal lato caratteriale, sei sempre composto e indifferente al mondo, … comunque come saprai le principesse della luna sono detentrici dei miei cristalli perduti in passato durante la battaglia con Anul – tutti gli angeli presenti nella stanza trasalirono. Tutti tranne me. – perciò toccherà a te recuperare quel cristallo.
- Bene, dimmi come, e lo farò.
- Aspetta, non avere fretta- disse ghignando – questa è solo la prima parte della missione.
- Cosa? 
- Come saprai anche Anul cerca i miei cristalli.
- Si, ma per distruggerli- dissi io. Cominciavo a diventare nervoso. Avevo uno strano presentimento.
- Esatto, e l’unico modo per distruggere un cristallo è uccidere la principessa – trasalii. Allora lei … - perciò tu, mio caro Sheid dovrai proteggere quell’umana.
- Ma questo è il compito di … - non riuscii a terminare. Non potevo credere che Luna volesse che io diventassi un …
- Un angelo protettore. Si, è proprio così – indietreggiai di qualche passo allibito. Non poteva farmi questo. Mi guardava fisso negli occhi con un espressione indecifrabile.
- Perché?- domandai stranito – perché mi stai facendo questo?
Gli angeli protettori erano angeli completi che per punizione diventavano mezzi umani. Questo avveniva in seguito ad un tradimento in genere, e la punizione era orribile. 
Non solo si diventava più deboli, ma si era costretti a combattere contro Anul e i suoi demoni, mettendo la proprio vita nelle mani del destino.
Si andava incontro alla morte per proteggere una principessa della luna.
Per fortuna capitava molto di rado ,di percepire la nascita o semplicemente la presenza di una principessa.
Dall’ultima volta che Luna aveva trovato una principessa, erano passati trecento anni. L’angelo protettore a cui era stata affidata fu sconfitto da Anul e la principessa fu uccisa.
Rabbrividii ricordando che era stata proprio Luna a raccontarmi l’accaduto.
- Sai che ho profonda stima di te, ma come saprai tuo padre non è più tornato dalla mia parte come hanno fatto tutti gli altri angeli, perciò non posso punirlo.
Lui era anche il mio braccio destro e il suo tradimento mi ha ferita nel profondo. Perciò …
- Io non sono Isaac. Io sono …
- Tu sei suo figlio- disse quasi adirata.
Calò il silenzio. Io la guardavo con disprezzo, lei fissava il pavimento, come se non trovasse le parole.
Poi parlò, chiara ma tranquilla.
- Non temere. So bene che tu non sei lui, che tu non hai commesso le sue colpe. Ma io devo farlo, oppure i miei angeli mi tradiranno ancora e ancora, vedendo che non ho punito il mio arcangelo – una lacrima le scese giù per la guancia. Un servitore corse verso di lei e catturò la lacrima in una boccetta di cristallo. Presto, solidificandosi, quella lacrima sarebbe  diventata un cristallo. 
Quando il servitore si fu di nuovo allontanato, Luna continuò.
- Stavolta però sarà diverso. Avrai tutto il mio appoggio- guardandomi con fierezza si tolse dal collo una collana argentea appesa alla quale c’era un ciondolo: un cristallo di luna a forma di mezza luna. – potrai trasformarti tutte le notti come sempre. Ma grazie a questo ciondolo sarai molto più potente e forte.
Inoltre ti informo che, nonostante i demoni di Anul possano apparire solo di notte, a volte lei manda delle particolari chimere che hanno il compito di sorvegliare te e la principessa, perciò grazie al ciondolo potrai trasformarti anche di giorno,se sarà necessario, a condizione che pronunci o pensi il mio nome – si alzò e venne verso di me. Mi mise al collo la collana e mi congedò con un bacio sulla fronte, segno di benedizione e benevolenza.
 
Non potevo tirarmi indietro, io non volevo tirarmi indietro.
Accettai senza indugi la  missione e volai via.
Ero consapevole che pagare per le colpe di Isaac era ingiusto, e da parte di Luna era  crudele.
Ma sapevo che se non lo avesse fatto molti più angeli l’avrebbero tradita.
Io non ero ottimista, non ero un sognatore, ma per orgoglio e onore, per dimostrare che anche io, nonostante la mia umanità, ero forte, dovevo farlo.
Non volevo più sguardi di pietà addosso.
Non volevo commiserarmi.
Anzi, era il contrario.
Ero abituato ad affrontare il destino, il dolore e la solitudine.
Luna era una regina, io probabilmente anche stavolta ero stato usato come un burattino.
Ma in quel momento una forte consapevolezza mi fece rinsavire.
Io non avrei perso i miei poteri perché io ero già metà umano.
Non sarei stato debole, perché avevo imparato a combattere contro tutto e tutti, da solo.
Ora tutto mi era più chiaro.
Ero umano, ero un angelo. 
Ma ero abbastanza forte da non farmi uccidere come era successo agli angeli traditori.
Io avevo già perso qualcosa e avevo lavorato sodo per far sì che quella mancanza si tramutasse in forza.
Come nel mio sogno premonitore, io dovevo proteggere quell’umana, che al contrario di me era fragile e indifesa.
Non avrei mai permesso a nessuno di fare del male alla principessa che mi era stata affidata da Luna.
A nessuno.
Mi addormentai sul mio letto con la certezza che il giorno successivo non sarebbe stato come gli altri.
Avevo un compito da svolgere e una persona da salvare.
Mi addormentai con quella consapevolezza avvolto dal morbido candore delle mie ali.
Ali d’angelo.
Ali d’argento.
 
 
 
----------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE ---------------------------                                                                                                     
 
Bene bene ^^.
Ben ritrovati amici lettori.
Spero che questo capitolo sia stato appagante e vi abbia fatto conoscere, anche se poco, il misterioso e bellissimo Sheid.
Ormai sono due capitoli più il prologo che sentite parlare di lui … perciò diciamo che ho svelato abbastanza, forse troppo. XD
Ma non preoccupatevi, ci saranno segreti, sotterfugi, amori e incomprensioni tutti da scoprire.
Vi confesso che è stato un po’ difficile parlare dal punto di vista di un maschietto, e se aquesto aggiungiamo che è anche un angelo …! ^^’
Beh ci ho provato.
Avete domande? Riflessioni? Critiche? Pensieri riguardo a questo capitolo e alla storia in generale?
Recensite allora. Giuro che risponderò a tutti i vostri messaggi e a tutte le vostre recensioni.
Non sapete come mi si apre il cuore quando trovo nuovi messaggi e recensioni!^^
E poi mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate. XD
Per chi già mi conosce passerò immediatamente ai ringraziamenti.
Per i nuovi visitatori curiosi, … beh vi ringrazio dal profondo del cuore già da ora, sono ansiosa di conoscervi e fare amicizia! ^^
 
Bene, ora basta blaterare.
RINGRAZIAMENTI:
DAN 24: grazie 1000 per le tue recensioni.
Sono davvero molto felice di aver fatto amicizia :)
JULIA 28: grazie per il sostegno e per l’amicizia che mi hai offerto.
Sei davvero una bella personcina ^^ baci
ALAIRE94: grazie a te sono riuscita, forse, a migliorare, spero ^^
Continua a seguirmi :) grazie baci
YUKARI HOSHINA:  grazie ,per avermi fatto sapere cosa pensi.
Forse sei rimasta un po’ confusa, ma chiarirò i tuoi dubbi.
P. s.  Seira è umana, solo che protegge qualcosa di molto prezioso, a sua insaputa. :) baci
YUUKI B: amica mia le tue parole dolci e il tuo sostegno sono come una vitamina. Oppure come sangue per un vampiro, come preferisci ;) grazie baci.
ZOEY LA SOGNATRICE:  ti ringrazio tanto per il tuo appoggio e per la tua dolcezza amica mia. sei davvero un angelo :) baci
Beh come hai visto i sogni tormentano entrambi :(
Ma non preoccuparti.
 
 
Poi ringrazio …
DAGUSIA123, DAN 24 e KIMBERLINA che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEBBYDARKNESS , FLY89 , JOSSI , MADKIKKY, ALAIRE 94, DAGUSIA 123, VAMPICULLEN,YUKARI HOSHINA, ZEROLOUISE,  ZOEY LA SOGNATRICE; che mi hanno aggiunto tra le seguite.
ZOEY LA SOGNATRICE E ILGOTICOKANAME che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_,JULIA 28,MAU 07, VAMPICULLEN che hanno ricordato la mia storia.
 
 
Grazie a tutti amici miei, continuate a seguirmi, e fatemi sapere.
 
Bacini , la vostra Iloveworld. ^-^

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 =)
Salve a tutti amici miei come va ?
Eccomi pronta per il prossimo capitolo :) !
Visto che in quello precedente ho fatto conoscere un po’ Sheid, e visto che dalle recensioni mi è parso di capire che fosse di vostro gusto, ho deciso che in questo capitolo farò parlare entrambi.
Prima però vorrei spiegarvi alcune cosucce per assicurarmi che capiate al 100 % , anche se so che avete già intuito.
Ma io sono una pignola e quindi voglio fare le cose per bene.
Seira è la protagonista che vive la storia in ordine cronologico.
Ma visto che solo dal  punto di vista della ragazza alcune cose rimangono inspiegabili, subentra Sheid che spiega attraverso la sua storia ciò che non viene detto, conosciuto, visto da Seira.
Sheid percorrerà, in questo nuovo capitolo, il tempo passato a scuola, fino ad arrivare all’aspettata notte di luna piena, descritta successivamente da Seira, dove … non posso anticiparvi nulla!
Spero di essere stata chiara. ^^
Ok, e adesso … BUONA LETTURA!!! E vi raccomando, recensite XD Grazie in anticipo, anche da parte di Sheid e Seira.




 
Sheid :
 
Ero appoggiato al tronco di un albero gigantesco.
Faceva troppo caldo per muoversi, e visto che preferivo la solitudine, decisi di non andare a mensa.
Ero lì fermo da circa mezz’ora e lasciavo vagare i pensieri mentre scrutavo da lontano la sagoma della ragazza che mi era stata affidata da Luna.
Ero reduce dal primo giorno di scuola.
Avevo costretto Erik a recitare la parte del tutore. Era inutile fingere che era davvero mio padre, sarebbe  stato poco credibile visto che non ci somigliavamo affatto e visto che lui era troppo vecchio.
Anche se mancavano poco meno di due mesi alla fine della scuola, avevo deciso di iscrivermi comunque.
In questo modo sarei riuscito a tenere d’occhio la principessa.
Continuavo a faticare ad accettarlo, ma io ero un angelo protettore.
Io ero il suo angelo protettore.
Seira Shift, diciassette anni, frequenta i corsi di scienze della terra, latino, matematica, musica e disegno con me.
Fisica, chimica, tutte le materie letterarie e inglese nell’aula conferenze accanto alla mia.
Era sorprendente quanto fosse somigliante a Luna.
La pelle lattea, i lineamenti delicati … però i suoi occhi erano azzurro ghiaccio, mentre quelli di Luna erano blu scuro, e i suoi capelli erano neri ,lunghi e brillanti mentre quelli di Luna erano quasi bianchi.
Comunque non c’era da sorprendersi che fosse la detentrice di una goccia di Luna.
L’avevo riconosciuta appena entrato in classe, ma mi ero imposto di non fissarla.
La scuola che frequentavamo era un prestigioso collegio, organizzato e diretto come un’università.
Mi piaceva l’ambiente tranquillo e libertario, infatti ogni studente poteva definire quali corsi frequentare ad inizio anno, e poteva benissimo decidere se restare nei dormitori o tornare a casa dopo le lezioni.
La scuola era molto grande e si trovava sulla scogliera, in periferia.
Per tornare a casa bastava seguire la spiaggia, e a me non dispiaceva affatto visto che la mia villa si trovava proprio vicino al mare.
Il direttore, come tutti gli umani che mi incontravano, aveva sgranato gli occhi appena mi aveva visto, e si era mostrato entusiasta della mia richiesta di ammissione.
“ si troverà benissimo qui, signor Winter. Sono sicuro che si ambienterà alla perfezione” aveva detto sghignazzando in modo assai irritante.
Ripensando alla faccia ironica di Erik mi montava la rabbia.
Volevo vedere lui costretto ad essere un angelo in incognito in una scuola per ragazzi prettamente umani.
Sarebbe stato …

  • Scusami … - i miei pensieri furono interrotti da un gruppetto di ragazze. Erano in tutto quattro e  avevano l’aria di essere un po’ più grandi di me.                                                                       Le guardai attonito.                                                                                                                              Mi fissavano e mi studiavano come fossi un alieno.
La meraviglia e la curiosità era palese sui loro lineamenti, e ciò era davvero irritante.
  • … tu sei nuovo, vero?  – mi chiese una di loro, ammiccando.
Aveva gli occhi marroni e i capelli biondi, e avevo l’impressione che volesse fare colpo su di me. Infatti rimandò una ciocca bionda di cappelli indietro con gesto ampio e poi sorrise con sguardo smielato.
  • Come ti chiami?- domandò la seconda. Caschetto corvino e occhi verdi.
  • Quali corsi frequenti?- chiese la terza. Capelli ricci e castani, occhi neri.
  • Da dove vieni?- fece eco la quarta a mo’ di cantilena. Lentiggini rossastre, occhi marroni capelli rossi.
Se fossi stato di carattere caldo e socievole, probabilmente avrei anche risposto alle loro domande e avrei provato a fare amicizia.
Ma visto che ero appena stato “punito” per i peccati di mio padre, visto che non avevo dormito –di nuovo-, visto che ero stato sballottato di classe in classe per tutta la mattinata, visto che, volgendo lo sguardo nella direzione delle panchine del parco,vidi che Seira Shift era sparita e visto che non ero affatto un tipo estroverso , decisi di abbreviare la conversazione.

  • Non sono affari vostri- dissi soltanto andandomene e lasciandole imbambolate sotto la quercia alla quale ero appoggiato.
Sentii i loro sguardi stupiti traforarmi la schiena, ma ora avevo cose più importanti a cui pensare: trovare Seira.
Attraversai il parco e mi diressi verso la mensa che si trovava a destra dell’entrata principale.
Di solito gli studenti si riunivano in quell’immensa sala, dove, secondo il depliant, potevano rilassarsi e rifocillarsi con ottimo cibo.
La mensa era costellata di piccoli tavoli che potevano ospitare al massimo sei persone, ed erano tutti di colore rosso fuoco.
Andare a pranzo per seguire Seira avrebbe significato avere alle calcagna altre impiccione.
E, a giudicare dagli sguardi meravigliati e curiosi dei ragazzi e delle ragazze che mi notavano mentre gli passavo davanti per raggiungere Seira, a scuola di impiccioni ce n’erano tanti.
Per fortuna la vidi seduta vicino ad una sua amica sulle scale dell’ingresso principale.
Ridevano di gusto e sembravano essere in confidenza da parecchio tempo.
La ragazza amica di Seira aveva i capelli corti e scuri e le lentiggini.
Stavano guardando insieme un album da disegno, grande e bianco, dove probabilmente una delle due aveva fatto uno schizzo.
Da quella distanza potevo persino sentirle, ma mi domandavo se fosse corretto violare la privacy di Seira.
Io dovevo proteggerla, dovevo sorvegliarla, ma non potevo anche spiarla.
Per me andava contro i principi morali che mi ero fissato di rispettare, visto che io non ero molto propenso a far sapere i fatti miei agli altri.
Purtroppo ero costretto a farlo, per conoscere i suoi spostamenti.
Non potevo essere impreparato, perché dovevo proteggerla, e ciò significava non lasciarla mai sola.
Il fatto di essere il suo angelo protettore mi obbligava a seguirla e spesso a spiarla, questo lo sapevo.
Quando avevo accettato la missione ero rimasto a pensare a lungo sul da farsi.
La mia priorità non era più obbedire a Luna, uccidere i demoni di Anul, e vivere la mia vita – esistenza di cui poco mi importava.
La mia priorità era custodire e proteggere Seira.
Sapevo bene che era difficile, estenuante e pericoloso, ma ero anche consapevole che una vita umana era nelle mie mani.
Persone innocenti e pure come Seira venivano uccise per una lacrima di Luna, ed io che ero umano e angelo insieme, io che potevo salvarla dal suo triste destino, dovevo fare di tutto per proteggerla.
I mostri di Anul sarebbero venuti presto a farmi compagnia.
Infatti, a pensarci bene, era stata una idea geniale quella di Luna.
Io vivevo comunque sulla terra,  essendo umano, e quindi sarebbe stato difficile per gli angeli di Anul scoprire il mio segreto.

 
*****
 
Nelle settimane a seguire mi concentrai su Seira.
Sapevo dove abitava, chi erano i suoi genitori, chi erano le sue amiche, dove andava dopo scuola.
Abitava nel mio stesso quartiere, nel quale, eccetto la mia villa, c’erano sedici casette tutte uguali.  
La sua, per fortuna, era vicinissima alla mia casa, e potevo persino vedere la terrazza dove si affacciava la sua camera da letto.
Mi resi conto di parecchi particolari che sfuggivano alle persone che la circondavano.
Per esempio, dopo la passeggiata nel parco dopo scuola, andava in spiaggia a volte, e sedendosi sulla sabbia, restava immobile per molto tempo a guardare l’orizzonte.
“Chi aspetta?” mi domandavo a volte, nascosto su un albero del bosco alle spalle della spiaggia.
Poi una sera mi resi conto che se ne andava pochi minuti dopo l’apparizione della luna.
Allora capii.
Luna mi aveva spiegato che alcune principesse sentivano una particolare attrazione verso la luna, a causa del cristallo che custodivano.
Sorrisi e la seguii silenziosamente mentre ritornava a casa attraverso il bosco.
Pensando che qualche settimana addietro faceva quella strada così buia e solitaria da sola e senza protezione, capii che doveva essere davvero coraggiosa, oppure veramente molto sola.
I suoi genitori non c’erano mai in casa.
Erano perennemente in viaggio per lavoro, a quanto avevo capito.
Ma lei in classe, con gli amici e con gli insegnanti era sempre disponibile e sorridente, e con l’aria di una ragazza felice e spensierata.
Il suo sguardo cambiava radicalmente quando rimaneva sola, perché non doveva più nascondere la solitudine e non doveva più sorridere per mascherare i suoi veri sentimenti.
Anche io ero solitario, “siete sempre così freddo e riservato.                 Dovreste sforzarvi ed essere più socievole. Perché non uscite un po’ e provate a fare amicizia? Siete così pallido!” diceva sempre Erik.
“Erik … sto bene così. Non sono bravo a socializzare, lo sai” rispondevo io con un sorriso mesto, e lui con un sorriso altrettanto triste se ne andava, consapevole della verità delle mie parole e triste perché sapeva di non poterci fare nulla.
Ma Seira non aveva un “Erik” a consolarla, non aveva un amico sincero che si accorgesse del suo vero stato d’animo.
Lasciai che un velo di tristezza mi  sfiorasse il volto.
Sapevo cosa voleva dire “sentirsi soli”. Era una sofferenza insopportabile ed effimera.
Sentirsi soli era come essere inutili, vuoti, abbandonati e traditi.
Però, anche se Seira non sapeva ancora della mia presenza, io l’avrei protetta.
Non era più sola. C’ero io adesso.
 

                                                 *******
 
Lasciai che i giorni si susseguissero, sempre uguali ma sempre sorprendenti.
Infatti ogni giorno succedeva qualcosa di nuovo e inaspettato.
Mi accorgevo che Seira cominciava ad osservarmi a volte.
Non si era mai avvicinata, non aveva mai dato a vedere interesse. Ma spesso i suoi occhi erano puntati nei miei.
Che si fosse accorta di qualcosa?
Impossibile, ero sempre stato prudente e non mi ero mai fatto scoprire a guardarla o a seguirla. Né da lei, né da nessun altro.
Che volesse sapere anche lei chi ero?
Ma non mi si era mai avvicinata.
“Allora perché mi fissa?” pensai appoggiato ad una parete della mensa, nell’angolo in fondo.
Tutti erano seduti, eccetto gli studenti che andavano ad ordinare ai banconi.
Anche Seira era seduta e mi fissava.
Aveva gli occhi quasi vitrei, sembrava incantata.
Sembrava, … ?!
“non può essere!” pensai irrigidendomi.
Lei se ne accorse e voltò lo sguardo verso la sua amica con le lentiggini, seduta alla sua destra.
Sembrava imbarazzata e impaurita.
Come un fulmine a ciel sereno mi accorsi con sorpresa, che la ragazza che proteggevo nei miei incubi incompiuti, non era altro che lei.
Visto che nelle ultime notti avevo dormito pochissimo, la spossatezza mi impediva di sognare, ma lo sguardo di Seira mi aveva fatto tornare alla mente l’incubo.
Se ero rimasto sorpreso dalla visione premonitrice che mi aveva preparato a ricevere la maledizione scagliatami da Luna, adesso ero ancora più sorpreso dalla precisione del sogno.
La ragazza che proteggevo da un demone di Anul, era in realtà la principessa.
Ma allora, se non sapevo come finiva il sogno …

  • Scusami, … - “perché proprio adesso?” imprecai, mentre guardavo la biondina di fronte a me sorridermi sfacciatamente. Intanto mi accorsi che Seira era sparita.
Di nuovo.
  • Vicino a me c’è un posto libero. Perché non vieni a pranzare al nostro tavolo? – disse euforica, mentre indicava il gruppetto di ragazze sedute ad uno dei tavoli scarlatti che mi salutavano con la mano.
  • Non posso crederci. È la terza volta oggi! – sussurrai esasperato.
  • Hai detto qualcosa?- disse lei avvicinandosi pericolosamente.
Tutta quella intraprendenza mi dava sui nervi.
Purtroppo la ragazza di turno non era l’unica ad essere intraprendente. Nell’ultima settimana ne avevo contate tredici.
Tredici, coraggiose, curiose, intraprendenti ragazze.
Quando si sarebbero stancate?

  • Allora? Vieni? – incalzò lei avvicinandosi ancora.
  • No grazie, non ho fame.
Me ne andai da quella sala sovraffollata e cercai Seira.
Ma sapevo dov’era.
Dopo pranzo andava nel parco, e spesso sedeva a leggere un libro.
Finalmente avrei potuto rilassarmi un po’.
 
Seira si sedette sotto una vecchio pioppo, e tirò fuori dalla cartella un grosso libro con la copertina nera.
Si immerse subito nella lettura e visto che il parco era quasi deserto, e visto che lei sembrava avere l’intenzione di restare lì per un bel po’, mi rilassai appoggiandomi al tronco dell’albero sotto al quale solevo stare spesso.
Il vento di fine maggio mi accarezzava la pelle, il caldo era attenuato dall’ombra della quercia e ...
Mi addormentai, sfinito.
Non so dire perché fossi così stanco, in fondo ero abituato al sonno arretrato, visto che fin da piccolo mi ero trovato a scovare e uccidere mostri per conto di Luna.
Sognai di nuovo lo stesso incubo.
Sentii ancora la stessa ansia e la stessa preoccupazione.
Percepivo il terrore della ragazza, la vedevo inerme e impaurita mentre mi guardava, mentre guardava me  e le mie ali d’argento.
Mi svegliai di soprassalto.
Per fortuna Seira era ancora lì e non si era accorta di nulla.
“Seira” pensai mentre cercavo di riprendermi dall’affanno “perché è come se la conoscessi da sempre?”.
Il sogno, il fatto che dovevo sorvegliarla, il fatto di starle sempre accanto e di scoprirla … non era solo grazie a quello.
C’era qualcos’altro, ma cosa? 
Mi passai una mano tra i capelli e aspettai che la ragazza decidesse di andarsene.
Il libro sembrava appassionarla. Potevo vedere i suoi occhi sognanti e totalmente concentrati, fremere ogni tanto.
Qualche volta una ciocca di capelli le sfuggiva da dietro l’orecchio e lei si apprestava a rimandarla al suo posto con un frettoloso e timido gesto.
Poi diede un occhiata al suo orologio da polso e sgranò gli occhi.
Si affrettò a rimettere il libro nella cartella e si alzò con un gesto fluido ed elegante.
“Bene” pensai “finalmente si è accorta che è in ritardo, era ora!”.
Mi aspettava un’altra notte insonne. Ma non mi dispiaceva.
Di notte ero più forte grazie alla trasformazione in angelo. Quindi non dormire non era un problema.
La seguii come ogni sera sulla spiaggia, e dopo aver visto la luna, fino a casa sua.
Dalla mia terrazza si vedeva la finestra della sua camera da letto, ma io preferivo restare nelle vicinanze della sua casa, visto che non conoscevo il potere del nemico, e soprattutto non sapevo quanto fosse veloce lui.
Stavo diventando impaziente  perché in fondo sapevo che Anul conosceva l’esistenza di Seira e dopo più di un mese dal mio arrivo in città, era impossibile che non avesse agito.
“Anul, che cosa stai aspettando?” mi domandai mentre guardavo la luna mezza piena che illuminava il cielo notturno.
 

                                           ******
Il giorno seguente, dopo le lezioni, successe qualcosa di inaspettato.
Stavo salendo le scale dopo la lezione di ginnastica, che avevo passato appoggiato al muro della palestra.
A volte giocavo, ma lo trovavo uno sforzo inutile.
Perciò visto che non avevo sudato affatto e quindi non avevo bisogno della doccia, uscii per primo e mi diressi verso l’aula di storia, da dove sarebbe dovuta uscire Seira.
Immaginavo di doverla salvare dai mostri, non dagli incidenti umani.
Ero al primo gradino della lunga scalinata che stava per scendere lei, ma ad un tratto, qualcosa la prese di sorpresa, probabilmente la sua amica, e Seira perse l’equilibrio.
Fui così veloce che dovetti frenarmi a pochi gradini da lei, per prenderla delicatamente dalle spalle.
Tra le altre cose ero anche molto agile e veloce, e in quel momento fui grato alla mia natura di mezzo angelo.
Seira riprese l’equilibrio e si voltò verso di me con aria desolata e grata al tempo stesso.

  • Mi scusi tanto, … grazie per … - poi si bloccò e arrossì di colpo.
Probabilmente era imbarazzata.
Mi sforzai di sembrare indifferente, come se mi fosse caduta lei addosso, e non come se l’avessi salvata io.
Mi mostrai freddo e seccato.
Non poteva smascherarmi. Non in quel momento.

  • Scusa,mi dispiace – disse imbarazzata. Una marea di espressioni avevo velato il suo viso.
Compassione, tristezza, amarezza, sorpresa, ammirazione e dubbio.
La guardai dritta negli occhi, cercai di capire cosa pensasse, ma visto che sentivo il disagio che stava provando a causa del mio silenzio, decisi di liberarla dalla presa dei miei occhi.

  • Sta’ più attenta la prossima volta – dissi con la stessa freddezza che mostravo con chiunque.
=)Mi voltai, mio malgrado e scesi le scale. Poi sorrisi di nascosto mentre la sentivo sussurrare “grazie”.
Era stata la prima volta che ci eravamo parlati, e per fortuna lei non aveva capito nulla.
Lei non sapeva nulla.
 
Dopo scuola la seguii di nuovo sulla spiaggia.
Quella notte ci sarebbe stata la luna piena.
Quella notte sarei stato pronto a combattere.
“Luna”sussurrai mentre ero dietro un albero vicino alla spiaggia.
Mi trasformai alla luce di un crepuscolo che mischiava il giorno e la notte con indicibile eleganza.
“Ti proteggerò” pensai, mentre guardavo Seira seduta su una spiaggia che presto sarebbe diventata un campo di battaglia.
“Ti proteggerò … Seira”.



 
_____________________________________________________
 


 Seira:

Ormai era il crepuscolo e tra pochi minuti avrei rivisto la mia amata luna.
Nell’ultimo periodo mi era servita più che mai, anche se qualcosa nella  mia vita era cambiata.
Probabilmente la luna era l’unica presenza costante nella mia vita.
Infatti anche nel mio sogno c’era la luna.
Odiavo ammetterlo, ma l’angelo del mio sogno era diventato quasi un’ ossessione.
Mi sentivo fragile e confusa, perché sapevo di non poter amare un sogno, ma quell’essere alato voleva proteggermi.
Voleva proteggermi.
Nessuno aveva mai voluto proteggermi, nessuno si era mai preoccupato così tanto per me.
Chiusi gli occhi e tentai di riportare alla mente il suo viso.
Non era ben delineato nel sogno, ma quella sfumatura era importante e bellissima per me.
Mi abbandonai alla convinzione che non potevo fare più niente per allontanarlo dal mio cuore.
Ogni tentativo era stato vano, ogni opposizione distrutta da quella immagine.
Riaprii gli occhi e salutai la luna piena alta nel cielo con un sorriso.
Lucente e fiera, la luna illuminava un’altra notte, l’ennesima.
Ma c’era qualcosa di strano.
La superficie lunare era macchiata da un minuscolo puntino nero.
Più lo guardavo e più diventava grande.
Più diventava grande e più prendeva forma.
Poi, quando fu abbastanza definito, mi resi conto che qualcosa si stava avvicinando.
Quando realizzai cosa poteva essere mi si fermò il cuore e il terrore si impossessò di me.
Era un essere alato.
Ma non era un angelo bianco.
Era un mostro.
Il mostro del mio incubo.
Ma stavolta era tutto vero.
 
 

 

------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE -----------------------------

 
Bene, vi prego di essere clementi. ^^’
Ho avuto un po’ di problemi e non so se ho fatto un buon lavoro stavolta.
Comunque ho fiducia in voi amici lettori.
Visto che sono una chiacchierona, passerò subito ai ringraziamenti.


RINGRAZIAMENTI:

ZEROLOUISE: sono contenta che Sheid ti sia piaciuto!
Spero che grazie a questo nuovo capitolo ti abbia appassionato ancora di più. Grazie per i complimenti, sei davvero molto gentile! Continua a seguirmi amica mia!!!!! XD
ZOEY LA SOGNATRICE: bene, menomale che ti piace cara! Visto che non voglio che ti dimentichi di me … ti prego continua a seguirmi ^^’ . baci.
DAN 24: amico mio sei sempre gentile! Grazie per i complimenti.
JULIA28: sono contenta che ti piaccia! Bene, spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo! Baci! E grazie di tutto amica mia!
YUUKI B: beh, sono contenta amica vampira vampira! Comunque per vederli parlare dovrai aspettare il prossimo capitolo! Baci Tomodachi chan!
ALAIRE 94:grazie 1000! le tue recensioni sono sempre molto precise! Spero che mi seguirai ancora amica mia, e che stavolta sarai più clemente ^^’ come ho già detto ho avuto dei problemi piuttosto seri e … beh per non rischiare di fare troppo tardi ho dato solo una controllatina. Sorry T-T e baci
ILGOTICOKANAME: grazie per avermi recensito.
Fallo più spesso e soprattutto aggiorna! Mi stai facendo venire i capelli bianchi =.= !
FLY89: grazie per aver trovato il tempo di recensire. So che sei molto impegnata. Sei davvero gentile. Scusa per i piccoli errori di battitura che sicuramente avrai trovato, ma spero che questo cap ti sia piaciuto! Baci.
MADKIKKY: è una gioia leggere i tuoi commenti! Grazie e continua a seguirmi. Baci.
DEBBYDARKNESS: grazie per i tuoi commenti. Scoprirai presto cosa accadrà. Baci.
 
E come sempre per ultimi ma non meno importanti … grazie a …
 
DAGUSIA123, DAN 24 e KIMBERLINAche hanno aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEBBYDARKNESS , FLY89 , JOSSI , MADKIKKY, ALAIRE 94, DAGUSIA 123, VAMPICULLEN,YUKARI HOSHINA, ZEROLOUISE,  ZOEY LA SOGNATRICE;che mi hanno aggiunto tra le seguite.
ZOEY LA SOGNATRICE , ILGOTICOKANAME E DAN 24 che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_,JULIA 28,MAU 07, VAMPICULLENche hanno ricordato la mia storia.
 
Vi raccomando, recensite e fatemi sapere. XD
Più scrivo e più mi vengono idee carine che credo possano piacervi, ma senza il vostro appoggio sarei persa.
Grazie a tutti amici miei!
Bacini



 Iloveworld!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Era un essere alato.
Ma non era un angelo bianco.
Era un mostro.
Il mostro del mio incubo.
Ma stavolta era tutto vero.
 
 
La luce lunare che risplendeva da dietro quell’infernale figura, mi impediva di vedergli il volto.
Avanzava sempre di più verso di me e, mano a mano che si faceva più vicino, riuscivo a delineare meglio il suo aspetto.
La testa totalmente calva e deformata, le ali scheletriche e nere, il corpo ricoperto da un’uniforme di pelle nera e piena di cinghie, e un mantello dello stesso colore.
Il terrore mi scorreva nelle vene e pregai di svegliarmi dall’ennesimo incubo, ma sapevo che stavolta, anche se poteva sembrare impossibile, era tutto orrendamente vero.
Il vento sulla pelle, l’odore del mare, la calda sabbia su cui ero seduta. Tutti questi fattori determinavano la veridicità di ciò che stavo vivendo in quell’istante.
Era tutto vero.
Avrei tanto voluto fuggire, avrei tanto voluto urlare, ma il mio corpo era paralizzato, e la mia voce era sparita.
Cercai di respirare profondamente così da trovare la forza di  allontanarmi.
Cercai con tutte le mie forze di indietreggiare strisciando sulla sabbia, ma il suo avvicinarsi rendeva i miei sforzi vani.
Non sarei mai riuscita a sfuggirgli.
Provai a cambiare direzione e cominciai a strisciare verso destra.
Anche il mostro cambiò direzione.
Allora voleva proprio me?!
Rimasi paralizzata totalmente, mentre sentivo il cuore fermarsi e poi battere sempre più forte, sempre più velocemente.
Ormai ero totalmente terrorizzata e irrigidita.
Lo vedevo avanzare, e più avanzava più riuscivo a scorgere i suoi lineamenti.
Lui atterrò, lasciando cadere dalle sue orrende ali una polvere nera sulla sabbia.
Ora riuscivo a vedergli il volto.
Era marchiato da orrende cicatrici che trasformavano i suoi lineamenti, probabilmente un tempo angelici, e li deformavano irreparabilmente.
La sua espressione era divertita, a giudicare dal ghigno della sua bocca deformata.
Io ero a pochi metri da lui, in ginocchio, con gli occhi sbarrati per la sorpresa e la paura.
Mi portai le mani al petto per attutire i battiti del mio cuore.
Di questo passo mi sarebbe uscito dal petto.
Lui si avvicinò, passo dopo passo, mantenendo sul volto quel ghigno maligno e orrendo.
Poi si fermò a pochi passi da me e si curvò nella mia direzione allungando un braccio.
Voleva toccarmi?
Perché non mi uccideva in fretta?
E soprattutto, sarebbe mai arrivato un angelo bianco pronto a salvarmi?
La mano del mostro si avvicinava inesorabile al mio viso, e io mi domandavo come mi avrebbe uccisa, mentre pregavo iddio che non lo facesse.
Quando c’era rimasto solo un respiro tra la sua mano e la mia faccia, quando la mia pelle si preparava al disgustoso contatto, quando le mie speranze stavano per sfiorire lasciando posto all’idea della morte, qualcosa gli piombò addosso.
Era un fulmine, un proiettile argenteo, una saetta con le ali bianche.
I due esseri alati finirono pochi metri più a destra e si rialzarono entrambi alla velocità della luce.
Io non potevo credere ai miei occhi.
Non potevo credere che fosse davvero reale.
In mezzo a loro la luna piena faceva da riflettore.
Davanti a me avevo un demone e un angelo.
Il mio incubo stava diventando realtà.
Infatti, nonostante non giudicassi mai qualcuno solo dalle apparenze, lo sguardo del mostro era malvagio e crudele, ed era proprio da questo che avevo tratto la conclusione che la natura di quell’essere orrendo e calvo fosse demoniaca.
Inoltre, il tentativo di toccarmi, probabilmente, era solo per farmi impaurire di più, e il suo ghigno divertito e maligno confermava la mia ipotesi.
 
 
L’angelo bianco era proprio come nel mio sogno.
Bellissimo con la sua pelle bianca come la luna, i suoi occhi lucenti, il suo corpo slanciato ma forte, fasciato alla perfezione da una divisa, all’apparenza da combattimento, i capelli corvini e scompigliati, forse il lato più umano di lui, che alla luce della luna assumevano dei riflessi azzurrini ed argentei.
E poi per ultime, ma non meno appariscenti e magnifiche, le sue ali.
Grandi, bianche, sfolgoranti e potenti.
Era davvero la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia.
Era la cosa che aspettavo da tempo.
Il sogno al quale non volevo aggrapparmi, il sogno che mi aveva cambiata come nessuno era mai riuscito a fare, era lì.
 
I due avversari si scrutarono per alcuni secondi, ma non aprirono bocca.
L’angelo bianco rimaneva impassibile, serio e concentrato.
Sembrava sicuro di sé  e guardava l’altro con superiorità.
Il demone aveva sempre quel maledetto ghigno deformato, e i suoi occhi ogni tanto mi guardavano per accertarsi che fossi ancora lì.
Ma d'altronde io non riuscivo ancora a muovermi, perciò rimasi seduta sulla sabbia, inerme e ancora impaurita.
 
L’atmosfera si gonfiava ogni secondo di più di elettricità negativa.
Sentivo il pericolo e l’attesa crescere sempre di più.
 
 
Ad un tratto, senza che potessi prevederlo, il demone si fiondò nella mia direzione, ma l’angelo, che probabilmente aveva previsto quella mossa, mi si parò davanti.
Il respiro mi si bloccò in gola.
Erano davvero velocissimi, e i loro movimenti quasi surreali.
Io guardavo la schiena e le ali del mio difensore, che fermo e concentrato guardava il nemico per prevedere la sua prossima mossa.
Non riuscivo a vedere la sua espressione, ma la sua posizione mi suggeriva che presto sarebbe cominciato lo scontro.
 
Poi il mostro davanti a noi si lasciò andare ad una losca risata.
- Ah,ah,ah,ah … sei davvero veloce per essere un mezzo umano. Sarà divertente ucciderti – gracchiò con voce cupa e graffiata , continuando a ghignare. L’angelo non disse nulla e rimase immobile.
- Sei teso? Hai paura di perdere? – continuò il demone.
Ma l’angelo non rispose alle sue provocazioni. Continuò a restare davanti a me e ad osservarlo.
- Bene, a quanto pare sei uno di poche parole! – disse il mostro con aria noncurante – Pazienza, vorrà dire che andremo subito ai fatti – continuò mentre cominciava ad avvicinarsi a noi con aria minacciosa. 
Il mio protettore irrigidì la mascella. Poi mi scrutò con la coda dell’occhio.
- Vuoi combattere? Bene, avevo proprio bisogno di sfogarmi con qualcuno – disse il mio angelo girandosi verso il demone, che si fermò a poche spanne da noi.
Aveva l’aria di essere molto sicuro di sé.
Era la prima volta che parlava. La sua voce era fredda e sicura. Il suo timbro somigliava alle note basse di un violoncello. 
- Sfogarti? Di’ piuttosto che devi proteggere quell’umana– disse il demone, divertito. – pensi davvero di poterla salvare?- ormai era vicinissimo a noi e aveva smesso di ghignare.
- Sai, la cosa che odio di più di voi angeli è il vostro altruismo. Ma nel tuo caso lo chiamerei masochismo – si accostò all’orecchio del mio coraggioso protettore e sussurrò malignamente – in fondo non toccava a te questa punizione, ma Luna è troppo vigliacca per andare a riprendersi il suo arcangelo e fargliela pagare per ciò che ha fatto - rise ancora malignamente – tu avresti potuto ribellarti, ma non l’hai fatto. Quindi sfogarti non ti servirà a niente. Anzi, credo che mi ringrazierai. Ti libererò da questo peso. Ti ucciderò insieme a quest’umana. Allora anche Isaac mi ringrazierà – fece una pausa e poi ghignando di nuovo continuò - Ti abbandonò, quando eri ancora un ragazzino,  augurandosi la tua morte, e invece tu sei qui, forte come non mai a combattere come un nobile e vero angelo. Dovresti essere grato alla tua regina per averti risparmiato, sporco mezzosangue. Eppure, quando gli dirò che ti ho ucciso con le mie mani, scommetto che Isaac mi ricompenserà – concluse il demone.
 
L’angelo bianco sbarrò gli occhi. La furia e il dolore erano visibili sui suoi lineamenti delicati.
Con rabbia spinse via il mostro, che però invece di cadere a terra prese il volo.
Salì sempre più in alto con maestose giravolte, e poi scese in picchiata verso di noi.
L’angelo bianco gli volò incontro, e i due si schiantarono a terra a pochissimi metri da me, alzando un polverone.
Nessuno dei due rimase leso. Spazzarono via la polvere con i movimenti potenti e veloci delle loro ali.
Nessuno dei due parlava, nessuno dei due attaccava veramente.
La tensione era davvero tanta, ed io, che riuscivo a malapena  a seguirli con lo sguardo, ero sempre più preoccupata e impaurita.
Ripensai alle parole del demone, “non toccava a te questa punizione” … “ti libererò da questo peso” … che significava?
Le giravolte continuarono, sempre più pericolose e sempre più letali.
 Uno dei due, prima o poi, sarebbe caduto sotto la spinta dell’altro.
Volarono entrambi in alto e poi,vidi qualcosa schiantarsi al suolo, creando un turbine di sabbia.
 
Era il mostro.
 
Accasciato al suolo tentava di rialzarsi, ma tremava convulsamente.
L’angelo scese con eleganza verso il suolo, e gli andò incontro.
Il mostro riuscì a sollevarsi, e a fare lo stesso.
Rimasero a fissarsi per una manciata di secondi e poi il demone fece la stessa mossa di prima.
Si fiondò nella mia direzione e, stavolta purtroppo l’angelo fu troppo lento.
Il demone mi prese per i polsi e mi tirò su con forza.
Poi li lasciò per circondarmi le spalle con un braccio e per cingermi strettamente il collo con la sua mano destra.
L’angelo sbarrò gli occhi e cominciò ad avanzare verso di me.
Ormai tremavo convulsamente.
Le sue dita callose e gelide … le sentivo sul mio collo. 
- Ti sei distratto – disse malignamente il demone, stringendo la presa sula mia gola. Ansimai.
- Non pensavo che voi demoni foste anche dei vigliacchi – disse l’angelo con estrema freddezza. I suoi occhi profondi e scuri puntati su di me.
- Ma quanta compostezza! Avrei giurato che saresti corso a salvarla. Mi sono sbagliato, a quanto pare! – avvicinò il suo viso al mio. Io mi voltai dall’altra parte. Non volevo che mi toccasse il viso. Non doveva toccarmi.
- Lasciala andare e combatti con me! Non nasconderti dietro un’ umana! Vigliacco! – disse con fervore l’angelo. La freddezza gli aveva preso anche gli occhi, e guardava il mostro con uno sguardo così spaventoso da far gelare il sangue.
- Ma è proprio lei che voglio – disse in risposta il demone – e tu non potrai portarmela via. Non ci riuscirai – concluse ghignando e si avvicinò ancora di più al mio volto. Ormai ci mancava un millimetro tra la mia guancia e la sua.
- Questo gioco è durato fin troppo. Ora mi sono stancato – l’angelo bianco alzò il braccio destro e aprì la sua mano,  allungando le lunghe dita bianche verso la luna che si trovava proprio sopra di lui.
- Luna – disse piano, alzando anche il volto.
Percepii una  strana elettricità nell’aria. Una specie di energia. 
 
In quel momento accadde qualcosa di totalmente inaspettato, sorprendente e … non trovavo le parole per dire ciò che accadeva davanti ai miei occhi.
Sul palmo della sua mano, che era proteso verso il cielo, apparve una piccola goccia di luce argentea ed azzurrina.
Il suo bagliore era così forte da sembrare una stella.
La stessa luce si propagò per tutto il suo corpo accentuandone la bellezza.
Infatti la pelle sembrava fatta di cristallo, e ciò rendeva i suoi lineamenti ancora più singolari e belli. 
Spalancò le ali, che si mostrarono in tutta la loro grandezza e maestosità. 
Un turbine di luce azzurra lo avvolse.
Era un vortice luminoso, creatosi probabilmente grazie all’energia che sentivo nell’aria, grazie a quella piccola luce che gli aveva infiammato la pelle.
Era come se quello scudo lucente fosse un pezzo di arcobaleno, colori dalle tonalità fredde si alternavano in un tornado di lucentezza. 
Era … magico!
L’angelo al suo interno ormai aveva assunto le sembianze di un dio.
Il dio della luce, la mia luce.
Cominciò a battere le ali e a sollevarsi in volo, e il ciarore creatasi intorno a lui si dileguò, andando a formare nel palmo della sua mano ancora alzato, una sfera di luce azzurra, sfavillante e , all’apparenza, letale e potente.
Poi lentamente abbassò il volto.
Lentamente aprì gli occhi, come se si fosse svegliato da un lungo sonno. Le sue iridi erano stupende e luminose adesso.
Erano di un magnifico viola, anzi erano blu intenso con sfumature violacee. 
Erano occhi così belli da far paura.
Lui era … “orrendamente bello”, ricordai le parole di Matilde con un sorriso in quel folle momento.
 
Credevo di sognare, credevo di essere impazzita, mi sentivo “nuova” perché tutte le mie convinzioni erano crollate, ed avevano lasciato il posto a nuove verità, le stesse verità a cui avevo pensato sempre con superficialità, ignorandole.
Quanto può cambiarti un sogno? Quanto può farti ricredere?
E soprattutto, quando la realtà diventa uguale al tuo sogno, cosa dovresti mai provare?
Come dovresti comportarti?
Gli angeli esistevano ed erano anche la cosa più bella da vedere.
Mi sentii fortunata in quel momento.
Nonostante fossi nelle grinfie di un’orrenda creatura, nonostante fossi impaurita per quella presa ferrea e prepotente su di me e nonostante avessi visto cadere tutte le mie convinzioni, tutte le verità che conoscevo, mi sentivo viva. Ero fortunata perché almeno io avevo potuto rendermene conto, io avevo visto con i miei occhi la verità e finalmente potevo credere nel mio sogno .
Continuai a guardare quell’angelo di luce, bello, “orrendamente bello”.
Abbassò il braccio e puntò il palmo aperto della mano verso il mostro. La sfera di luce seguì il suo movimento.
- Porta i miei saluti ad Isaac – disse l’angelo, prima di scagliare la palla di luce verso il mostro.
Sembrava sicuro della vittoria e finalmente i suoi lineamenti non erano più tesi e preoccupati.
La luce era così accecante e forte che dovetti chiudere gli occhi. Sembrava di guardare il sole troppo da vicino.
Un sole di ghiaccio, un sole di luce azzurra.
Sentii la presa del mostro sul mio collo diventare sempre più debole, mentre, senza neanche un gemito, il suo corpo si trasformava in cenere nera e luccicante, come la polvere che cadeva delle sue ali.
Poi anche la polvere si dissolse, e di lui non rimase che un orrendo ricordo. Nient’altro.
 
                                                    *****
 
Quando la luce si affievolì riuscii a riaprire gli occhi.
Le ginocchia che ancora tremavano, cedettero e mi ritrovai sulla sabbia, nella stessa posizione di poco fa.
Ripensandoci erano passati pochi minuti dall’arrivo del mostro, ma a me il tempo trascorso, era sembrato molto lungo.
Mi portai di nuovo le ginocchia al petto e cercai di rilassarmi e di smettere di tremare.
Intanto, guardavo l’angelo.
Era ancora lì, le sue ali c’erano ancora.
Aveva abbassato il capo, respirava affannosamente e guardava il palmo della mano da cui era scaturita quella luce stupenda e accecante.
“Quanta potenza, e quanta eleganza” pensai mentre lo guardavo.
Non riuscivo a staccare gli occhi da lui, come se fosse così effimero da poter sparire in un battito di ciglia, come un sogno.
Inspirò profondamente e poi, rilassando il corpo, alzò lo sguardo e lo posò su di me.
La freddezza non c’era più, il ghiaccio dei suoi occhi meravigliosi si era sciolto.
Mi fissava, con espressione illeggibile.
Sembrava … semplicemente stanco, eppure nei suoi occhi c’era preoccupazione. Non era come quella che avevo notato durante lo scontro. Lui non era preoccupato di perdere, non era preoccupato di salvarmi. Ora lui era semplicemente impensierito. L’angoscia non c’era più.
I suoi occhi mi studiavano con pacatezza e riguardo, sembrava indeciso.
Perché?
Lasciò scivolare lungo il fianco la mano che poco prima stava guardando e poi cominciò a camminare nella mia direzione.
“E’ davvero alto!” pensai mentre avanzava elegantemente verso di me. 
Mi venne vicino, si inginocchiò e mi prese in braccio di slancio ma con riguardo.
Io, sbalordita e un po’ imbarazzata, protestai.
- Aspetta, posso camminare anche da sola … e poi, io … io  peso! – dissi arrossendo! Lui mi guardò sorpreso con un pizzico di ironia. Un sorriso appena accennato gli sfiorò le labbra, ma solo per pochi istanti.
Mi strinse a se in maniera così delicata, ma sentivo le sue braccia cingermi con fermezza, però senza farmi male, in alcun modo.
- Tieniti stretta … , Seira – disse con un tono di voce basso e rassicurante. 
- Come fai a conoscere il mio nome? – chiesi, ma lui fece leva sulle gambe e cominciò a battere le ali.
Con un balzo spiccò il volo e mi ritrovai a volare tra le sue braccia. 
La sorpresa di quel gesto tanto inaspettato mi fece trasalire, e mi aggrappai al suo collo per la paura dell’altezza, infatti quello che a me era sembrato un balzo era stato, in realtà, un salto di parecchi metri.
Ero così concentrata a guardare giù che quando riuscii a rilassarmi un po’ e a godermi il paesaggio, mi trovai pericolosamente vicina al suo volto stupendo.
Trasalii di nuovo.
Da così vicino era impossibile non rimanere incantata dalla sua bellezza.
La pelle sembrava non avere pori, era levigata, lucente, bianca e perfetta.
I suoi occhi blu – viola fissi nel vuoto erano davvero bellissimi, due stelle luccicanti.
I suoi capelli argentei grazie alla luna, cadevano dolcemente sulla fronte in piccoli ciuffi.
Non avevo mai visto un viso così bello e particolare. Incuteva quasi timore perché i suoi lineamenti delicati e la sua pelle bianca e candida, contrastanti con i colori forti degli occhi e dei capelli, creavano un aura di mistero e suscitavano curiosità unita a riverenza. A tutto ciò si aggiungeva il fatto che mi aveva salvato la vita.
Lui si accorse che lo stavo guardando, ma non batté ciglio, si limitò solo a lanciarmi uno sguardo rapido, e poi riportò i suoi occhi sul cielo stellato e meraviglioso. Lasciò che lo studiassi, mi lasciò libera di scrutarlo in ogni particolare.
Non disse niente.
Più guardavo il suo viso e più c’era uno strano presentimento che si faceva spazio tra i pensieri che adesso orbitavano tutti verso la bellezza e la forza dell’angelo.
Ma non solo, un senso di gratitudine e di stima cresceva sempre di più dentro di me.
Lui mi aveva salvato la vita, ed io non gli avevo detto neanche grazie.
Sospirai, e un brivido mi percorse la spina dorsale.
Lui se ne accorse, e cominciò a guardarmi come se volesse assicurarsi che stessi bene.
                                                 ****
 
Atterrò, proprio sul terrazzino su cui si affacciava la mia stanza da letto.
Come aveva fatto a sapere dove abitavo, l’avrei scoperto prima o poi.
Il balcone era aperto, ma lui non mi lasciò andare, entrò camminando e, arrivato al mio letto ad una piazza e mezza, mi depositò con estrema delicatezza e mi fece sedere.
Poi rimase in piedi di fronte a me, e con sguardo indagatore finì la sua diagnosi.
- Seira … - disse dopo pochi minuti, alzando lo sguardo - … potresti permettermi di toccarti? – disse puntando lo sguardo nei miei occhi.
“cosa?” pensai sorpresa, “ma se mi ha appena presa in braccio!”.
- Lo hai già fatto! – dissi con la stessa sorpresa nella voce.
- Lo so, ma … prima non avevo altra scelta. Dovevo portarti a casa. E poi, … prima la mia pelle non è venuta a contatto con la  tua – disse autorevolmente e con serietà. Quasi fosse una cosa ovvia.
- È … è vero – dissi arrossendo di nuovo.
- Allora? – mi incitò lui. Io ero imbambolata, mi sentivo troppo stordita dalla situazione. Insomma, un angelo era appena entrato nella mia camera da letto!!!
- Allora … cosa?
- Posso toccarti? – disse avvicinandosi un po’ di più.
Io annuii semplicemente. Mi sentivo stranamente fiduciosa, mi sentivo protetta.
Era una sensazione che riempiva quel vuoto che mi traforava da tempo il petto.
Io avevo amici che mi volevano bene, avevano persone che si prendevano cura di me, avevo i miei genitori, nonostante fossero sempre in viaggio.
Eppure, ogni volta che rimanevo sola, ogni volta che qualcuno mi chiedeva di parlargli di me, io … non sapevo cosa raccontare e un’ansia improvvisa mi prendeva lo stomaco.
Mi sentivo diversa, mi sentivo incompresa, mi sentivo … sola.
Perché?
Avevo cercato di capire il motivo del mio dolore, avevo tentato di ignorarlo.
Col tempo avevo imparato a conviverci, ma non era mai sparito.
Come facevo a combattere, ad eliminare ciò che mi faceva sentire vuota se non conoscevo il nemico?
Non sapevo perché mi sentissi sempre incompleta.
La gente non mi capiva e io non capivo la gente.
Se mi fossi chiusa  in me stessa come un groviglio non avrei risolto nulla, avrei solo sofferto di più la solitudine.
Così mi sforzai di mostrarmi sempre estroversa e disponibile.
Almeno quando le persone mi sorridevano riuscivo a sentirmi bene almeno in quel poco tempo.
Matilde, Sara, tutti i miei amici non si erano mai accorti del mio piccolo dolore. Non si erano accorti del grande senso di solitudine.
In quel momento invece, mi sentivo libera di mostrarmi con naturalezza e semplicità.
Lui si inginocchiò e , alzando un po’ la stoffa dei mie pantaloncini neri, posò con estrema delicatezza le sue dita lunghe e bianche sui graffietti che c’erano sulle mie ginocchia.
Infondo ero caduta sulla sabbia parecchie volte quella sera.
Le dita, vellutate e calde parvero brillare per un attimo di quella luce azzurra che mi aveva tanto affascinata poco prima.
Quando tolse la mano e si alzò di nuovo in piedi, mi accorsi che i graffi erano spariti magicamente.
Lo guardai meravigliata ma anche un po’ intimidita.
Lui ricambiava il mio sguardo con un’espressione indecifrabile, a metà fra  tristezza e preoccupazione.
- Ti ringrazio – dissi piano – grazie … per tutto.
Lui non disse niente, continuò a guardarmi attonito.
Il suo sguardo era diventato più triste e lontano.
Si avvicinò lentamente e si sedette sul letto, proprio accanto a me.
Il silenzio durò ancora un poco.
- Non devi ringraziarmi - disse cupo.
Perché non voleva la mia gratitudine? Lui mi aveva salvato la vita, mi aveva protetta, mi aveva accompagnata a casa … volando, ed era stata una sensazione meravigliosa (non goduta al massimo perché avevo guardato per la maggior parte del tempo il suo viso), e poi mi aveva curata.
- Si invece! Devo ringraziarti, io ti sarò grata per il resto della mia vita! – dissi con fervore.
Lui rimase sorpreso dall’enfasi che avevo messo in quella frase.
Mi guardò ancora negli occhi e stavolta sentii che stava scavando nella mia anima.
- Non devi sentirti in debito con me – disse piano, volgendo lo sguardo alla luna che faceva capolino dalla mia finestra.
- Era mio dovere proteggerti. Era solo un dovere, Seira.
Ancora il mio nome, sentirlo pronunciare da quella voce angelica mi procurava un brivido, ma quando aveva detto “dovere” la sua voce si era di nuovo intristita e rabbuiata.
- Come conosci il mio nome? – dissi avvicinandomi un po’ a lui.
- È una storia lunga – disse scrutandomi con la coda dell’occhio.
- Ti … ti prego dimmelo! Ti prego, spiegami cosa è accaduto stanotte – dissi quasi implorante.
Lui mi guardò con comprensione e poi sospirò sommessamente.
- Vedi – disse voltandosi a sedere verso di me -  quell’essere mostruoso che ti ha attaccato stasera, era un demone della luna calante.
- Un demone della luna calante? – domandai perplessa.
- Esatto – disse pacato, attento alle mie reazioni.
- E tu … cosa sei? – dissi attenta anche io alle sue reazioni. 
Sembrò spiazzato dalla mia domanda, ma poi si ricompose.
Inspirò e cominciò a raccontare.
- Ci sono due regine incontrastate della notte, che con i loro poteri governano le creature della luce e delle tenebre.
Luna è la regina della faccia illuminata della luna.
Anul è la regina della faccia oscura.
Luna ha sempre avuto l’ausilio del sole, e grazie a ciò, i suoi poteri sono sempre stati superiori a quelli di Anul.
Luna è la regina degli angeli bianchi e grazie a lei tutte le notti sono illuminate dalla luce lunare e sorvegliate dagli angeli.
Ma Anul ha il favore delle tenebre, e ora che è divenuta più forte grazie ad esse, entra spesso in contrasto con Luna.
Le due sorelle sono in guerra sin dal principio, della creazione del regno della Luna,  e non si fermeranno mai, perché nessuna delle due può governare senza l’altra, ma nello stesso tempo entrambe vorrebbero distruggersi a vicenda.
Luna ha provato spesso a stipulare un armistizio, ma ad Anul non interessa la pace.
Infondo più Anul diventa potente e più Luna cerca di tenerla a bada.
In fondo, se Anul prendesse il sopravvento, tutte le notti sarebbero oscure e senza luna.
Nell’ultima battaglia che avvenne tra le due sorelle, Luna perse i suoi cristalli magici che si materializzavano sottoforma di gocce, ritornando alla loro forma primitiva: lacrime versate dalla stessa Luna.
Tutt’oggi Luna è in grado di creare cristalli, ma non può più crearne di così potenti come quelli di un tempo, visto che con il susseguirsi delle battaglie il suo potere è diminuito.
 
Ci fu un momento di pausa. “Luna? Anul? Angeli? Demoni? Cristalli? Lacrime?”. Sembrava la trama di un romanzo fantasy.
Mi sentivo confusa e dubbiosa, e , nonostante avessi capito la storia, non capivo cosa centrassi io.
- Supponiamo che ciò che dici è vero. Luna, Anul, i cristalli, gli angeli e i demoni. Ma io … cosa centro? – dissi.
- Ti ho detto, che Luna ha perso dei cristalli potentissimi che si sono tramutati di nuovo in lacrime. Dal giorno della battaglia finale gli angeli hanno cercato dappertutto quei cristalli, e alla fine hanno scoperto che erano stati assorbiti dal corpo e dall’anima di alcuni umani molto particolari. Ancora oggi, a distanza di trecento anni dall’ultimo umano detentore di una goccia di Luna, non siamo riusciti a scoprire perché le gocce si legano solo a determinate persone in determinate epoche.
Perciò, possiamo soltanto trovare quelle persone e proteggerle da Anul e dai suoi demoni che tentano … di distruggerle - “ucciderle” pensai con orrore e paura – e tu hai dentro di te una di quelle gocce. Forse … l’ultima. Luna sta cercando il modo di far ritornare i cristalli nella loro forma originaria, così da salvare sia gli umani prescelti, che il regno lunare minacciato da Anul.
 
Lui tornò ad osservare il mio viso, i suoi occhi brillanti mi studiavano di nuovo. Forse si aspettava un urlo di terrore, un fremito, uno sguardo terrorizzato.
Avevo davvero rischiato di morire quella notte? 
Ripensai al volto di quell’essere spaventoso, ripensai alle sue parole, ripensai al combattimento, alla malvagità della sua voce quando diceva all’angelo che non sarebbe riuscito a salvarmi.
Ripensai alla stretta ferrea e pericolosa delle sue mani, e ripensai a come si era disciolto a causa della forte luce.
Possibile che fosse realmente successo?
Era possibile che quella notte fossi stata l’unica testimone priva di ali, dello scontro tra il demone e il bell’angelo alato?
Guardai l’essere accanto a me, gli guardai il viso, un viso che sarebbe potuto appartenere ad un ragazzo della mia età.
Ricordai la sicurezza nella sua voce, nel suo sguardo mentre tentava di rassicurarmi, mentre cercava con tutte le sue forze di portarmi in salvo.
Eppure, … quel mostro aveva detto parole che mi avevano fatto pensare. “Punizione”, “peso” … .
L’angelo aveva ucciso quel mostro per proteggermi, ed era …, era un “dovere” avevo detto lui, forse non avrebbe voluto uccidere il demone.
Ma lui lo aveva fatto … per me?! O forse gliel’avevano imposto? Forse era stata la sua regina, la sovrana della faccia illuminata della luna: Luna appunto.
Ero troppo confusa.
Ero troppo agitata.
Possibile che lui non avesse voluto salvarmi, ma avesse solo adempito al suo … dovere? 
- Non devi essere impaurita o preoccupata. – disse avvicinandosi anche lui. Forse si era accorto della mia preoccupazione.
- Perciò tu … -  cominciai, ma mi bloccai. Non potevo dirgli che volevo mi proteggesse perché voleva realmente farlo, e non perché Luna glielo imponeva. Non potevo parlargli così.
Sarebbe stato sfrontato e soprattutto, sarebbe stato egoistico.
- … Sconfiggerai tutti i demoni che si presenteranno? Tu difenderai la gente da quei mostri? – continuai dopo la mia riflessione. Lui mi guardò serio e con la stessa solennità mi rispose.
- Io … proteggerò … soltanto te – disse con una voce profonda e affascinante, facendo delle pause tra le parole, come per scandirle nel miglior modo possibile. Mi sarei aspettata un tono di rimprovero che avrei associato sicuramente al suo senso dovere. Ma la sua voce suonò solenne, rassegnata, come se lo avesse pianificato da tempo, come se avesse pensato a quella situazione sin dall’inizio. Proteggermi sembrava un bisogno.
Allora capii che lui voleva farlo.
- Io proteggerò soltanto te, Io sono il tuo angelo protettore, … Seira – il mio nome sulle sue labbra suonava così profondo ed elegante. “Angelo protettore, il mio angelo protettore” pensai con emozione.
- Non mi hai ancora risposto – dissi dopo un attimo di silenzio passato a gioire internamente.
- A cosa ti riferisci? – disse, ormai il suo tono era più rilassato.
Dopo una lezione di storia antica, la parte peggiore del post battaglia per lui era passata.
- Come fai a sapere come mi chiamo e dove abito? – dissi timidamente ma scandendo bene le parole. Lui rimase interdetto per pochi secondi.
- Beh, diciamo che ti conosco più di quanto tu immagini – disse quasi ironico, ma sul suo viso c’era una strana espressione.
- Davvero? – non potevo credere alle sue parole – e come avresti fatto ad avere queste informazioni?
- Sai, ti sono più vicino di quanto credi – disse pensieroso – possibile che tu non mi riconosca? – disse quasi sussurrando.
Cominciai a scrutarlo come avevo fatto quando mi aveva presa in braccio per poi volare fino qui.
Ripercorsi con lo sguardo il suo volto, dai capelli nerissimi fino al mento delicato ma un po’ spigoloso.
I minuti passavano, la mente cominciava a mandare dei segnali, piccoli flash incomprensibili, intanto lo strano presentimento di prima mi colpì ancora, più forte e più deciso.
Quando cominciai ad intuire qualcosa, erano già passati parecchi minuti.
Lui, con aria quasi seccata, non mi diede il tempo di riflettere oltre.
Mi prese per le spalle e fece in modo di poggiare la mia schiena sul suo petto caldo.
- Sta’ più attenta la prossima volta – disse freddo e seccato, riportando a galla il ricordo della quasi caduta di quel pomeriggio.
Qualcuno mi aveva afferrata allo stesso modo, qualcuno aveva detto la stessa frase, con lo stesso tono.
Qeul qualcuno era … 
- She … Sheid … Winter! – dissi in uno spasmo di meraviglia, voltandomi verso di lui e liberandomi dalla sua presa.
Il ragazzo che mi aveva salvata da una brutta caduta, il ragazzo su cui avevo riflettuto proprio quel pomeriggio, pensando che fosse solitario e distaccato nei rapporti con gli altri.
Guardavo il ragazzo seduto di fronte a me.
Si, il ragazzo, non l’angelo.
Adesso, dopo quella rivelazione vedevo Sheid Winter nella sua vera essenza, vedevo il ragazzo e vedevo l’angelo.
Come avevo fatto a non accorgermene? Cosa mi aveva distratta?
Lo guardai da capo a piedi. Lo guardai con nuovi occhi.
Si, era proprio lui. Più bello che mai, ma era lui : Sheid Winter, il ragazzo misterioso e schivo che veniva a scuola sotto sembianze prettamente umane.
“Le ali!” pensai, ecco cosa mancava, ecco cosa mi aveva ingannata e distratta. E non solo.
Gli abiti diversi dal solito, il suo modo di essersi avvicinato a me, la sua pacatezza e i suoi modi educati e gentili.
La freddezza che gli vedevo di solito sul volto era mista a indifferenza.
La freddezza dimostrata verso il mostro, quella sera, era mista a rabbia, determinazione, odio e … dolore.
“E’ solo un ragazzino, un ragazzino come me” pensai mesta.
“Ma anche un ragazzino può dare dimostrazione di grandezza e forza. Anche un ragazzino può combattere per proteggere”.
 
Lui non disse nulla.
Continuò a fissarmi senza espressione. Abbassò le mani rimaste a mezz’aria e poi annuì con un mezzo sorriso.
 
Il ragazzo - angelo che sognavo ogni notte, l’angelo bianco che mi aveva salvato la vita quella sera, e il ragazzo più affascinate e dotato della scuola … erano tutti … Sheid Winter.
 
- Sheid … - dissi, ma non potevo continuare. I suoi occhi su di me, la sorpresa appena provata, l’emozione che mi faceva battere forte il cuore …
- Seira, – disse ancora una volta il mio nome – non devi avere paura, non devi averne. Io sono il tuo angelo protettore. Io ho il compito di vegliare su di te.
Guardai nei suoi occhi immensamente profondi e vi scoprii sincerità e protezione.
- Io voglio proteggerti – disse a bassa voce ma con decisione.
 
Era una promessa  fatta sotto la luce di una luna piena.
 
Era la promessa di un angelo dalle ali d’argento.
 
Era la sua promessa, la promessa di Sheid Winter.
 
Per me.






 
 
 
------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE--------------------------------
 
Oddio che faticaccia.
È stato davvero difficile scrivere questo capitolo!
Difficile ma … BELLISSIMO!!!!!!!!!!
Mi sto innamorando di Sheid! È davvero molto affascinante “O” !
Ho pensato a come poteva essere un ragazzo-angelo, è lui era proprio come nel mio sogno!!!
Ok ok basta vaneggiamenti.
Comunque, spero che adesso abbiate capito un po’ di più Seira.
Si, ho scelto psicologie complesse, ma spero comunque di avervi appassionato ed incuriosito.
Lei è una ragazza come tutte le altre, ma si sente sola perché non viene capita.
Capita spesso a noi adolescenti!
Mi auguro che sia di vostro gradimento anche la parte del “combattimento” ^^
Vi raccomando recensite! Sono curiosa di vedere le vostre reazioni, e speriamo bene! XD
Passiamo subito ai ringraziamenti.
 
GRAZIE DI CUORE A …
 
YUUKI B: Carissima tomodachi-san, è sempre un piacere leggere le tue recensioni e scoprire che effetto ti fa la storia. Come l’hai trovato questo capitolo tanto atteso? Baci e grazie di tutto amica vampira.
P. s. : ho trovato un sito dove si scaricano tutti i volumi di vk in ita! Ti interessa?
YUKARI HOSHINA: sempre molto perspicace e corretta! Sei davvero grande! Non preoccuparti per i ritardi, io sono qui!                 Sei rimasta soddisfatta da questo cap?                                        Grazie di cuore per la cura che metti nelle recensioni! Baci!
DEILANTHA : grazie mille per essere presente come una vera sorella maggiore. Insieme condividiamo tanto!
Spero che ti piaccia anche questo cap!
Con affetto e un baciotto! ^^
FLY89 : grazie mille per la recensione, perché so che sei molto impegnata! Grazie ai tuoi accorgimenti e consigli mi sento sempre piena di energia epr cercare di migliorare!
Cosa te ne pare di questo? Scusa se hai trovato errorini! Io rileggo sempre più volte, ma qualcosa sfugge, può capitare! ^^ baci
ZEROLOUISE: Carissima Marta, sono contante che questa storia sia di tuo gradimento e che sia proprio del genere che ami.
Grazie tante per aver recensito! Sei sempre puntualissima!!! ^^ baci.
DAN 24: grazie perché recensisci sempre con passione! Sei davvero gentile! ^^ un abbraccio!
LADY CATHERINE: la mia nuova e indispensabile recettrice! 
Sono davvero lusingato dei complimenti che hai rivolto alla mia storia! Sei dolcissima!
A presto, grazie di tutto! ^^ baci
ILGOTICOKANAME: Kaname – sama che onore essere recensiti da un puro sangue come lei!!! XD ti prego continua così, con affetto!
ZOEY LA SOGNATRICE: ciao angioletto, mi sei mancata perché è molto che non ci sentiamo.
Grazie per la recensione. Comincia a piacerti la storia? Baci.
 
E come sempre per ultimi ma non meno importanti … grazie a …
 
DEILANTHA,DAGUSIA123, DAN 24 e KIMBERLINA che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEILANTHA, LADY CATHERINE ,DEBBYDARKNESS , FLY89 , JOSSI , MADKIKKY, ALAIRE 94, DAGUSIA 123, VAMPICULLEN,YUKARI HOSHINA, ZEROLOUISE,  ZOEY LA SOGNATRICE, TENNESSE, IF_YOU_BELIVE; che mi hanno aggiunto tra le seguite.
ZOEY LA SOGNATRICE,  ILGOTICOKANAME, LADY CATHERINE, DAN 24 E BROKENARROW che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_,JULIA 28,MAU 07, VAMPICULLEN che hanno ricordato la mia storia.
 
GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!!
 
Siete tutti stupendi ed indispensabili per me!
 
NON ABBANDONATEMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII ^^ !!!
Bene, allora ci vediamo al prossimo capitolo raga, dove conoscerete qualcosa in più sul passato di Sheid.
Ricordi dolorosi rivissuti in quella notte di luna piena!
 
Baciotti, e vi raccomando recensiteeeeeeeeeeeeeeeee!
 
Iloveworld.
<3
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


SHEID:
ps: i periodi scritti in blu scuro e tra virgolette sono i ricordi di Sheid!
BUONA LETTURA!


 

                                                                                                     *********


 
“Luna, che cos’è in realtà un demone?”
 
“Un demone è un essere effimero e contaminato dalle tenebre. Ogni demone è figlio di Anul, come ognuno di voi angeli è una mia creatura. I demoni sono i burattini della regina delle tenebre. Sono delle creature senza anima, che hanno l’unico ordine di non desiderare altro che distruggermi in nome di Anul ”.
 
“Cosa dovrei fare se vedessi uno?”
 
“Uccidilo, in mio nome!”.

 
 
 
                                                                                        *****

 
 
Ed era lì, davanti a lei.
“Seira” sussurrai, mentre vedevo i suoi occhi riempirsi di paura e angoscia.
Il demone era così vicino a me, che potevo percepire appieno la sua aura maligna , ed era così vicino a lei da farmi ribollire il sangue.
Era appena atterrato, e già aveva insozzato la terra con la sua sporca polvere nera, che aveva macchiato la sabbia candida.
 
Cercò di toccarle il viso, e io sapevo che quel gesto nascondeva un piano losco.
Toccandole la pelle, sfiorandola semplicemente, avrebbe risucchiato tutte le sue energie, e ucciderla, distruggendo il cristallo, sarebbe stato più facile per lui.
 
“Non deve toccarla!” pensai mentre mi affrettavo a scagliarmi contro di lui e a buttarlo a terra.
Entrambi ci alzammo velocemente, e cominciammo a fissarci intensamente.
 
“E’ furbo” pensai, quando mi accorsi che stava attento alla sua espressione e ai suoi occhi. Era prudente perché non voleva suggerirmi le sue mosse.
“Gioca di velocità e improvvisazione” intuii, guardandolo attentamente.
 
  “Ricorda di scrutare gli atteggiamenti dell’avversario, e non abbassare mai la guardia. Per nessun motivo”.
 
Avevo sempre seguito i consigli e gli insegnamenti di Luna, e non mi avevano mai deluso.
Vidi gli occhi di quella feccia posarsi su Seira. Allora capii le sue intenzioni.
Improvvisamente si lanciò su di lei, ma io fui  più veloce e mi parai davanti alla ragazza, impedendo al demone di raggiungerla.
 
- Ah,ah,ah,ah … sei davvero veloce per essere un mezzo umano. Sarà divertente ucciderti – disse il demone. Rispondergli, non era nei miei programmi.
- Sei teso? Hai paura di perdere? – continuò il mostro.
“Teso? Io? … Non sa con chi ha a che fare!”.
- Bene, a quanto pare sei uno di poche parole! – disse il demone con quel ghigno orrendo sulla faccia – Pazienza, vorrà dire che andremo subito ai fatti – continuò, mentre cominciava ad avvicinarsi a me con aria minacciosa. “ Bene, era da tanto che non mi sgranchivo un po’” pensai, ma sapevo che non era un gioco, sapevo che Seira era spaventata e sapevo anche che un mio minimo errore le sarebbe costato caro.
Cercai di mostrarmi sicuro di me, almeno l’avrei tranquillizzata.
La scrutai con la coda dell’occhio. Sembrava stare bene.
- Vuoi combattere? Bene, avevo proprio bisogno di sfogarmi con qualcuno – dissi, girandomi verso quell’essere deforme, che si fermò a poche spanne da noi.
- Sfogarti? Di’ piuttosto che devi proteggere quell’umana– disse il demone, divertito. – pensi davvero di poterla salvare?- ormai era vicinissimo a noi e aveva smesso di ghignare.
- Sai, la cosa che odio di più di voi angeli è il vostro altruismo. Ma nel tuo caso lo chiamerei masochismo – mi si accostò all’orecchio e sussurrò malignamente – in fondo non toccava a te questa punizione, ma Luna è troppo vigliacca per andare a riprendersi il suo arcangelo e fargliela pagare per ciò che ha fatto - rise ancora malignamente – tu avresti potuto ribellarti, ma non l’hai fatto. Quindi sfogarti non ti servirà a niente. Anzi, credo che mi ringrazierai. Ti libererò da questo peso. Ti ucciderò insieme a quest’umana. Allora anche Isaac mi ringrazierà – “quel nome, quel nome non voglio che si pronunci in mia presenza!” pensai, mentre immagini di lontani ricordi cominciavano ad affiorare nella mia mente. Io non volevo ricordare, non potevo! 
Il mio avversario fece una pausa e poi ghignando di nuovo, continuò - Ti abbandonò, quando eri ancora un ragazzino,  augurandosi la tua morte, e invece tu sei qui, forte come non mai a combattere come un nobile e vero angelo. Dovresti essere grato alla tua regina per averti risparmiato, sporco mezzosangue. Eppure, quando gli dirò che ti ho ucciso con le mie mani, scommetto che Isaac mi ricompenserà – concluse il demone.
 
Improvvisamente le forze mi mancarono, e per qualche secondo la mia mente fu annebbiata da lontani e dolorosi ricordi.
Li avevo repressi per troppo tempo.
Ora, quel bastardo, giocando d’astuzia, li aveva riportati a galla.
Ma questo fu il suo più grande sbaglio.
Dopo il dolore, sarebbe arrivata la rabbia, e questo, per lui, avrebbe significato solo una cosa: la sconfitta.
 
  
 
                                                                                      *****


 
( Il 20 Dicembre di sette anni fa …)
“Camminavamo mano nella mano, su quella spiaggia ricoperta di neve.
Anche quella notte c’era la luna piena.
I suoi capelli corvini e lunghi, ondeggiati dal vento, erano sciolti, e le sue labbra erano rosse per via del freddo.
Ci fermammo di colpo e lei prese le mie mani, le mise nelle sue e poi mi sorrise dolcemente.
Mia madre era bellissima quando sorrideva, e riusciva a trovare sempre la forza di sorreggermi.
Lei si era innamorata di un arcangelo,  - l’arcangelo più forte e bello mai esistito!-  diceva sempre con occhi sognanti quando mi parlava di lui.
Isaac.
Io ero il risultato della loro unione, io ero nato per metà umano e per metà angelo.
Purtroppo però, il mio esile corpo non riusciva a tollerare le ali che crescevano sulla mia schiena ogni notte.
Il dolore atroce e penetrante che sentivo invadermi il corpo, mentre quegli arti fuoriuscivano dalla mia schiena, era qualcosa di logorante.
Eppure, mio padre aveva sempre le ali sulla schiena, anche di giorno, e non sembrava soffrire così.
Mia madre era sempre preoccupata e triste a causa mia, ed era per questo che mi sembrava bellissima quando sorrideva.
Poi improvvisamente,  lui atterrò vicino a noi.
La bellezza del suo volto, quel volto, era disarmante e quegli occhi profondi erano così simili ai miei!
Lei, lasciò le mie mani, che da quella notte rimasero vuote e fredde.
Come il mio cuore.
Lei gli corse incontro, e poi …
Poi ricordo solo la neve candida che si macchiava di sangue.
Il suo sangue.
Lui,  l’aveva uccisa davanti ai miei occhi".
 
 
                                                                                       ******
 
 
Accecato dal dolore a dalla rabbia lo spinsi via, e lo colpii così forte da dargli lo slancio per volare.
In questo modo si sarebbe allontanato da Seira.
Distratto com’ero da quei ricordi, non ero più sicuro di essere in vantaggio.
“Maledetto demone” pensai mentre gli volavo incontro.
Cominciammo a volteggiare in aria e i suoi colpi arrivavano nel punto in cui, un secondo prima, c’ero io.
Continuai ad assecondare le sue mosse, fino a farlo stancare.
Poi con una spinta più violenta lo mandai al tappeto.
“Colpito!” pensai mentre scendevo verso terra e mi dirigevo verso di lui.
Si alzò a stento.
Ora quale sarebbe stata la sua prossima mossa?
Lo guardavo attentamente, ma il rancore che provavo era così grande che probabilmente l’avrei incenerito in un attimo.
In quel momento successe qualcosa d’ inaspettato.
Fu così svelto che non riuscii a fermarlo, e così si lanciò su Seira e l’intrappolò in una presa prepotente e pericolosa.
La sua lurida mano cingeva il fragile e candido collo della ragazza che, con gli occhi colmi di paura, mi guardava impotente.
 
- Ti sei distratto – disse malignamente il demone, stringendo la presa sulla gola di Seira. La sentii ansimare, e la rabbia che mi faceva bruciare il petto, crebbe ancora. 
- Non pensavo che voi demoni foste anche dei vigliacchi – dissi freddo. Guardavo Seira, guardavo i suoi occhi spaventati.
Non potevo distruggerlo in modo violento, non davanti a lei.
Dovevo contenermi e mantenere il controllo. 
- Ma quanta compostezza! Avrei giurato che saresti corso a salvarla. Mi sono sbagliato, a quanto pare! – avvicinò il suo viso alla guancia della ragazza. Lei si voltò dall’altra parte con disgusto.
- Lasciala andare e combatti con me! Non nasconderti dietro un’ umana! Vigliacco! – l’istinto omicida mi pervase il corpo.
Lui non doveva toccarla.
Il solo pensiero di lui che le faceva del male, o la toccava prepotentemente senza che lei volesse …
Sapevo che la mia “punizione” non era affatto giusta.
Sapevo che mi sarei dovuto attenere solo al mio compito di protettore.
Sapevo che Seira era soltanto un’umana da difendere e che la mia rabbia era dovuta soltanto al fatto che odiavo i demoni in generale.
 
Ma c’era anche un altro motivo. 
 
      Seira era l’umana che era stata affidata a me.
 
 
Io avevo il compito di proteggerla non solo perché era un dovere, ma anche perché non potevo permettere che morisse.
 
L’avevo giurato a me stesso.
 
Conoscevo i rischi e i pericoli di quella mia decisione, ma conoscevo anche il dolore e la solitudine.
Anche lei soffriva, e il fatto che da quella notte in poi, esseri orrendi avrebbero cercato di ucciderla, accentuava ancora di più la mia voglia di proteggerla.
Non era giusta nemmeno la sua di “punizione”.
 
- Ma è proprio lei che voglio – disse in risposta il demone, interrompendo i miei pensieri – e tu non potrai portarmela via. Non ci riuscirai – concluse ghignando e si avvicinò ancora di più al suo volto. Ormai ci mancava un millimetro tra la  guancia di Seira e la sua.
Un altro brivido mi percorse la spina dorsale.
Stavo perdendo il controllo, stavo per passare il limite.
Se fosse successo, lei sarebbe rimasta terrorizzata da me.
Non potevo permetterlo, così cercai di calmarmi, e passai alla fase finale: distruggere quella creatura.
- Questo gioco è durato fin troppo. Ora mi sono stancato – annunciai, alzando il braccio destro e aprendo la  mano,  allungando le mie dita  verso la luna che si trovava proprio sopra di me.
Servendomi della luce di Luna, avrei acceso i cristalli che componevano la mia anima e avrei incenerito quella feccia, rimandandola all’inferno da cui proveniva.
- Luna – dissi quasi sussurrando, alzando anche il volto.
Le mie ali, i cristalli della mia anima, la rabbia e l’ausilio di Luna, crearono l’energia di cui avevo bisogno.
 
Era un’ energia minore rispetto a quella che ero in grado di produrre, ma era abbastanza forte da cancellare dalla faccia della terra quel demone.
 
Sapevo con certezza che la luce non avrebbe fatto male a Seira.
      Perciò, mi concentrai solo  sul mio obbiettivo.
 
 
Raccolsi tutte le mie energie, le incanalai nel mio braccio e poi, le feci fuoriuscire sul palmo della mia mano.
Sentii il potere e la potenza dei cristalli circondarmi e rendermi forte e letale.
Aprii gli occhi, e, sicuro che lui fosse ancora lì, l’inchiodai con lo sguardo, impedendogli di fuggire.
“Addio” pensai.
Poi gli puntai contro la palla di energia.
- Porta i miei saluti ad Isaac – dissi freddo, annunciandogli implicitamente che era giunta la sua fine.
Lui continuò a ghignare, come se la morte non lo impaurisse.
Aveva gli occhi di un assassino, gli occhi di un demone senz’anima.
 
“Chissà se anche i suoi occhi sono così malefici e vuoti!” pensai.
Ma cancellai immediatamente quel pensiero. 
Io non dovevo più ricordare. 
Il passato non si può cancellare, ma quel passato era il mio punto debole, era la debolezza che tenevo gelosamente nascosta dentro di me.
 
Lanciai la sfera di luce contro di lui, e isolai la mia mente, non pensando più a niente.
 
Non volevo vederlo incenerirsi, non volevo vedere l’espressione di Seira mentre mi guardava distruggerlo.
 
“Non importa, tanto non lo vedrò mai più ” pensai, guardandomi la mano destra, la stessa mano da cui era scaturita quell’energia devastante.
Ritornai ancora a quei ricordi, ma stavolta non mi arresi e inspirando profondamente li ricacciai nel dimenticatoio da cui erano ritornati, li ributtai nel baratro della mia memoria, e mi augurai di non vederli mai più.
 
Azzardai un’occhiata verso Seira.
Era crollata di nuovo a terra e si era portata le ginocchia al petto.
La posizione mi fece credere per un momento che mi temesse, ma poi il suo sguardo mi tranquillizzò.
Mi guardava con occhi nuovi, occhi pieni di sorpresa e ammirazione.
 
Forse non era spaventata.
Forse era soltanto sorpresa di vedermi con le sembianze di un angelo!
In fondo nessuno si sarebbe aspettato che Sheid Winter fosse in realtà un angelo, ali e poteri compresi.
 
Cosa dovevo fare io, ora?
 
Nonostante sembrasse tranquilla adesso, sapevo che era il caso di portarla a casa, un luogo famigliare e sicuro, dove si sarebbe sentita protetta.
 
“Chissà quanto si sarà impaurita, e quanto si senta scioccata ora!?” pensai preoccupato.
Infondo, gli umani erano fragili e si nascondevano dietro a maschere spesse e indistruttibili.
 
Come doveva sentirsi una persona che era appena stata testimone della distruzione delle sue convinzioni?
 
Ripensai alla  Seira sorridente e dall’aria spensierata in mezzo alla gente, e poi pensai alla ragazza solitaria che andava tutte le notti a guardare la luna.
 
 
“Seira … quanto ti senti sola adesso?” pensai avvicinandomi.
Camminavo lentamente e stavo attento alle sue reazioni.
Sembrava a suo agio con me vicino, sembrava tranquilla.
 
“Possibile che non abbia paura di me?” pensai, mentre riflettevo su come avrei fatto ad accompagnarla a casa sua il più in fretta possibile, e ciò mi fece venire l’idea di portarcela volando.
In fondo, da come mi guardava, era sicuramente affascinata dalle mie ali.
 
Mi inginocchiai accanto a lei, e poi, con estrema delicatezza, cercando di non spaventarla e di non farle male, la presi in braccio, sostenendola dalla schiena e da sotto le ginocchia.
 
Sapevo benissimo che questa notte sarebbe stata per lei il ricordo di qualcosa di orribile.
Sapevo che ora come ora lei non si fidava di me, e sapevo che cosa rappresentavo per lei.
 
Ma io avevo fatto una promessa a me stesso.
 
Stavolta sarei riuscito a proteggere le persone che mi stavano accanto.
 
Non ero più un ragazzino.
 
Seira ed io non avevamo alcun rapporto. 
Io per lei ero solo una creatura alata che aveva ucciso un mostro davanti ai suoi occhi.
Lei per me era una ragazza, una comune umana, un’umana sola e indifesa. Lei era la persona che avrei protetto.
 
Nient’altro.
 
Ma ciò che univa le nostre vite era sufficiente, perché adesso lei conosceva il mio segreto.
  
- Aspetta, posso camminare anche da sola … e poi, io … io  peso! – disse arrossendo! Ironicamente pensai che anche se la mia forza non era affatto paragonabile a quella di un vero angelo, era comunque la forza di un ragazzo ben allenato che aveva usufruito dei duri allenamenti di un Generale dell’esercito angelico.
E poi io ero paradossalmente più forte di un normale essere umano.
Quasi sorrisi all’idea di sentirla pesante.
“Pesante …” pensai.
- Tieniti stretta … , Seira – dissi semplicemente, ancora divertito dalla situazione.
- Come fai a conoscere il mio nome? – chiese nel momento in cui spiccai il volo.
“Cosa? Ma allora …” , lei non mi aveva riconosciuto?!
Lei non sapeva chi io fossi. Lei non avevo riconosciuto in me il ragazzo che le aveva risparmiato una caduta proprio quel pomeriggio.
 
Ricordavo ancora le sue guance in fiamme e i suoi occhi sorpresi e puntati sullo Sheid che ero di giorno.
 
“Possibile che non mi riconosca?” pensai dubbioso, guardandola.
Poi lei si accorse dell’eccessiva altezza raggiunta in un balzo solo e, forse per la paura, si aggrappò al mio collo.
Sentirla così vicina creava una strana atmosfera che non avevo mai avvertito prima. Una nuova sensazione.
Fastidiosa quanto affascinante.
Poi, anche lei si accorse di essersi avvicinata molto al mio viso, quasi a sfiorarlo.
Arrossì di botto, e il suo cuore cominciò a battere freneticamente.
La osservai per un attimo, ma le levai subito gli occhi di dosso.
Non volevo farla sentire a disagio.
 
Sentivo i suoi occhi su di me, che mi studiavano ogni strato di pelle, che mi scrutavano minuziosamente.
Sembrava molto attratta da me e soprattutto sembrava incuriosita dal mio viso.
Io la lasciai fare.
Avevo appurato che non aveva paura di me, e avevo capito che lei non mi aveva riconosciuto.
Ma avevo capito anche quanto la mia bellezza l’attraeva, e quanto il mio viso l’affascinava.
 
 
“Perché gli esseri umani sono così attaccati all’aspetto?” pensai mesto.
 
Intanto ero atterrato sul balconcino della sua camera da letto.
Entrai di soppiatto con lei in braccio e la depositai sul letto con la stessa delicatezza con cui l’avevo presa in braccio.
 
Poi mi misi a scrutarla.
Sembrava stare bene, eppure volevo esserne sicuro al cento per cento.
 
Trovai solo dei graffi superficiali alle ginocchia, ma per poterla guarire avevo bisogno di toccarle la pelle, così …
 
- Seira  … potresti permettermi di toccarti? – dissi guardandola negli occhi.
- Lo hai già fatto! – mi fece notare lei. Nella sua voce c’era sorpresa.
Sapevo bene che le mie mani l’avevano già toccata, ma la mia pelle e la sua non erano mai venute a contatto.
Non volevo essere irruente con lei.
Lei doveva farmi entrare passo passo.
Non volevo comportarmi con prepotenza, come il demone che l’aveva intrappolata e toccata senza che lei lo volesse.
Io non ne avevo il diritto, io non potevo “violarla”, non potevo trasgredire alle regole che mi ero imposto di rispettare.
- Lo so, ma … prima non avevo altra scelta. Dovevo portarti a casa. E poi, … prima la mia pelle non è venuta a contatto con la  tua – dissi, come se fosse una cosa ovvia. 
- È … è vero – disse arrossendo di nuovo.
- Allora? – dissi cercando di alleggerire l’atmosfera imbarazzata.
Lei mi guardava con occhi ipnotizzati.
- Allora … cosa? – disse, come se fosse rimasta imbambolata.
- Posso toccarti? – dissi avvicinandomi un po’.
Lei annuì timidamente.
Nei suoi occhi c’erano fiducia e tranquillità.
“Allora …  vediamo di curare quei graffi” pensai, inginocchiandomi per arrivare alle sue ginocchia ferite.
Alzai di pochissimo la stoffa dei suoi pantaloncini, attento ad ogni movimento.
Poggiai delicatamente le mie dita sulla sua pelle bianca e poi lasciai che l’energia dei cristalli della mia anima, penetrasse dalle mie dita in lei.
I graffi si rimarginarono in pochissimo tempo sotto le mie dita.
Il contatto con la pelle di Seira era stato breve, ma mi aveva permesso di scoprirla emozionata e fiduciosa nei miei confronti.
“Fiducia …” dissi tra me e me, “riuscirò a tener fede alla promessa, ripagando la tua fiducia, Seira?”
Pensai ai suoi occhi terrorizzati, pensai a quanta paura aveva avuto, e pensai che probabilmente non si sarebbe sfogata con nessuno.
Lei avrebbe tenuto il mio segreto, ne ero certo, ma con chi avrebbe condiviso quella paura, con chi avrebbe parlato liberamente di ciò che le era piombato addosso in un istante?
Io dovevo proteggerla dai demoni e da Anul, ma sarei riuscito a proteggerla anche da se stessa e da me?
- Ti ringrazio – disse piano – grazie … per tutto.
Io non risposi e la guardai attonito.
“Seira …” lei mi aveva ringraziato.
 
Aveva riconosciuto il mio operato. Si era fidata di me.
Eppure non potevo accettare la sua riconoscenza.
Il futuro era un’incognita, e solo nel momento in cui l’avrei saputa al sicuro per sempre, avrei accettato il suo GRAZIE.
La mia, per il momento, era solo una missione.
Una missione che avrei portato a termine con successo, a costo della vita.
 
Per Seira, e anche per me stesso.
 
- Non devi ringraziarmi – dissi.
- Si invece! Devo ringraziarti, io ti sarò grata per il resto della mia vita! – disse con fervore.
Rimasi sorpreso dall’enfasi che aveva messo in quella frase.
Che cosa avevo fatto di tanto eroico da meritare e soprattutto suscitare quella riverenza da parte sua.
La guardai fino in fondo all’anima, quell’anima così sola e indifesa.
Io per lei ero un eroe.
Ma come poteva essere?
Io avevo solo ucciso un demone.
Nient’altro.
- Non devi sentirti in debito con me – dissi piano, volgendo lo sguardo alla luna che faceva capolino dalla finestra.
Chissà se eravamo sorvegliati in quel momento!?
- Era mio dovere proteggerti. Era solo un dovere, Seira - le dissi con freddezza.
Non ero mai stato espansivo, né amichevole e loquace.
 Però, lei doveva saperlo.
 
- Come conosci il mio nome? – disse avvicinandosi un po’ a me.
- È una storia lunga – dissi scrutandola con la coda dell’occhio.
- Ti … ti prego dimmelo! Ti prego, spiegami cosa è accaduto stanotte – disse quasi implorante.
Che stupido ero stato.
Avrei dovuto saperlo che mi sarebbe toccato spiegarle tutto per filo e per segno.
Ma lei aveva il diritto di sapere.
- Vedi – dissi, voltandomi a sedere verso di lei -  quell’essere mostruoso che ti ha attaccato stasera, era un demone della luna calante.
Ripensai al volto fregiato di quell’essere a ai suoi occhi vuoti.
I demoni erano più forti durante la luna calante, ma quella sera la luna era totalmente piena.
- Un demone della luna calante? – domandò perplessa.
- Esatto – dissi pacato, attento alle sue reazioni.
- E tu … cosa sei? – disse lei.
 
In quel momento immagini senza tempo inondarono la mia mente.



                                                                                             
   ********


 
 
“ - Sheid, tesoro mio, vedrai andrà tutto bene. Il dolore passerà presto - mia madre  stringeva a se il mio corpo scosso dagli spasimi di dolore.
Io la vedevo piangere ogni notte, a causa mia, ma non potevo fare nulla per consolarla.
Ma cos’ero io?
Perché sulla mia schiena crescevano delle ali che il mio fisico non riusciva a gestire e sopportare?
Cos’ero io?  
- Isaac … cosa possiamo fare per lui? È ancora così piccolo! Dovrei proteggerlo da tutto e invece …” la mamma scoppio a piangere tra le braccia di lui, mentre li spiavo da dietro la porta semiaperta del soggiorno.
Un fremito di dispiacere mi fece sentire ancora più debole e debilitato.
- Annabel, calmati! Lui è forte, se la caverà! Il fatto che sia mezzo angelo e mezzo umano … questo lo farà sempre soffrire in ogni caso. Ma quando il suo corpo si abituerà alle ali, vedrai che starà molto meglio. E poi … è mio figlio. Sarà forte quanto me. Vedrai Anna. Vedrai.” diceva lui accarezzandole la schiena.
 In quel momento stava stringendo a se lo stesso corpo che avrebbe ucciso con le sue stesse mani”.


 
 
Scacciai quel pensiero dalla mente, prima che i ricordi si trasformassero nel mio incubo peggiore.
 
Inspirai tornando alla realtà, e raccontai brevemente dall’inizio, la storia di Luna e di Anul, tralasciando ogni riferimento della mia  famiglia e mio.
 
- Ci sono due regine incontrastate della notte, che con i loro poteri governano le creature della luce e delle tenebre.
Luna è la regina della faccia illuminata della luna.
Anul è la regina della faccia oscura.
Luna ha sempre avuto l’ausilio del sole, e grazie a ciò, i suoi poteri sono sempre stati superiori a quelli di Anul.
Luna è la regina degli angeli bianchi e grazie a lei tutte le notti sono illuminate dalla luce lunare e sorvegliate dagli angeli.
Ma Anul ha il favore delle tenebre, e ora che è divenuta più forte grazie ad esse, entra spesso in contrasto con Luna.
Le due sorelle sono in guerra sin dal principio, della creazione del regno della Luna,  e non si fermeranno mai, perché nessuna delle due può governare senza l’altra, ma nello stesso tempo entrambe vorrebbero distruggersi a vicenda.
Luna ha provato spesso a stipulare un armistizio, ma ad Anul non interessa la pace.
Infondo più Anul diventa potente e più Luna cerca di tenerla a bada.
In fondo, se Anul prendesse il sopravvento, tutte le notti sarebbero oscure e senza luna.
Nell’ultima battaglia che avvenne tra le due sorelle, Luna perse i suoi cristalli magici che si materializzavano sottoforma di gocce, ritornando alla loro forma primitiva: lacrime versate dalla stessa Luna.
Tutt’oggi Luna è in grado di creare cristalli, ma non può più crearne di così potenti come quelli di un tempo, visto che con il susseguirsi delle battaglie il suo potere è diminuito.
 
Fermai il racconto per ponderare l’atmosfera.
Quelle informazioni l’avevano sicuramente mandata in tilt.
Così aspettai pazientemente che reagisse.
 
- Supponiamo che ciò che dici sia vero. Luna, Anul, i cristalli, gli angeli e i demoni. Ma io … cosa centro? – disse.
Fortunatamente mi aveva creduto, e aveva preso la cosa con filosofia.
- Ti ho detto, che Luna ha perso dei cristalli potentissimi che si sono tramutati di nuovo in lacrime. Dal giorno della battaglia finale gli angeli hanno cercato dappertutto quei cristalli, e alla fine hanno scoperto che erano stati assorbiti dal corpo e dall’anima di alcuni umani molto particolari. Ancora oggi, a distanza di trecento anni dall’ultimo umano detentore di una goccia di Luna, non siamo riusciti a scoprire perché le gocce si leghino solo a determinate persone in determinate epoche.
Perciò, possiamo soltanto trovare quelle persone e proteggerle da Anul e dai suoi demoni che tentano … di distruggerle –dissi con estrema attenzione ed esitazione. Non volevo spaventarla – e tu hai dentro di te una di quelle gocce. Forse … l’ultima. Luna sta cercando il modo di far ritornare i cristalli nella loro forma originaria, così da salvare sia gli umani prescelti, che il regno lunare minacciato da Anul.
 
Conclusi il resoconto, e cercai di intuire i suoi pensieri.
Nei suoi occhi c’erano preoccupazione, sorpresa, e un pizzico di paura.
Era normale in fondo.
Anzi, era stata piuttosto coraggiosa.
 
- Non devi essere impaurita o preoccupata. – dissi avvicinandomi ancora un po’ a lei.
- Perciò tu … -  si bloccò di colpo. Sembrava combattuta.
- … Sconfiggerai tutti i demoni che si presenteranno? Tu difenderai la gente da quei mostri? – io dovevo uccidere i demoni, e avrei anche potuto proteggere gli umani che erano finiti nelle loro grinfie.
Ma il mio compito autentico era proteggere lei.
- Io … proteggerò … soltanto te – dissi scandendo bene le parole, per far si che si imprimessero nella sua mente.
Io l’avrei protetta, l’avrei difesa.
Era la promessa che avevo fatto a me stesso, era la promessa che avevo fatto a lei.
- Io proteggerò soltanto te, Io sono il tuo angelo protettore, Seira – le dissi. Forse adesso avrebbe avuto meno paura.
L’atmosfera si colorò di calore e complicità.
- Non mi hai ancora risposto – disse dopo un attimo di silenzio.
- A cosa ti riferisci? – possibile che volesse farmi il terzo grado sulla preistoria e sulla storia lunare? No, non poteva essere!
- Come fai a sapere come mi chiamo e dove abito? – disse timidamente, cancellando la mia preoccupazione, che lasciò il posto all’ansia vera e propria.
Dovevo dirle chi ero?
- Beh, diciamo che ti conosco più di quanto tu immagini – azzardai ironico. Pensai per l’ennesima volta all’imbarazzo che aveva provato quel pomeriggio, quando si era ritrovata tra le mie braccia.
- Davvero?  … E come avresti fatto ad avere queste informazioni? – lo sguardo indagatore su di me.
- Sai, ti sono più vicino di quanto credi! – ammiccai -Possibile che tu non mi riconosca? – dissi incredulo.
Cominciò a scrutarmi come aveva fatto quando l’avevo portata volando fino alla sua stanza.
I minuti passavano, ma lei sembrava inchiodata sul mio viso.
Ogni volta che lo accarezzava col suo sguardo, nei suoi occhi si accendeva una strana luce.
Aspettai ancora, ma sembrava non dare segno di aver capito chi fossi.
Così, seccato dall’attesa, la presi per le spalle e feci in modo di far aderire la sua schiena al mio petto.
Poi avvicinai le mie labbra al suo orecchio. 
- Sta’ più attenta la prossima volta – dissi le stesse parole di quel pomeriggio, le dissi con la stesso tono seccato e freddo.
In quel momento riuscii a sentire il brivido di sorpresa che le corse lungo la schiena.
Si liberò dalla mia presa ansimando, e poi con gli occhi sbarrati per l’incredulità balbettò il mio nome.
- She … Sheid … Winter! – il mio nome pronunciato da lei.
Mi sentii strano e non seppi decifrare bene quella nuova sensazione.
Continuava a guardarmi incantata, mentre mille pensieri sembravano solcarle la mente.
Era così … buffa, in quell’espressione meravigliata!
 
Annuii divertito.
 
Finalmente lo sapeva.
Adesso non dovevo più preoccuparmi.
Lei avrebbe custodito il mio segreto, e io avrei custodito lei.
 
Uno scambio equo.
 
- Sheid … - provò a dire qualcosa ma si bloccò.
Forse adesso avevo paura di me?
Forse ora si sentiva insicura?
- Seira, – dissi guardandola negli occhi – non devi avere paura, non devi averne. Io sono il tuo angelo protettore. Io ho il compito di vegliare su di te.
Guardai nei suoi occhi immensamente profondi e vi scoprii … consapevolezza.
Lei ora sapeva che l’avrei protetta.
Però forse adesso, pensava che per me fosse solo un dovere.
- Io voglio proteggerti – dissi allora. Concentrato, deciso.
Io l’avevo promesso a me stesso e a lei.
Però adesso lei lo sapeva.
Adesso non avrebbe più dovuto avere paura.
Adesso c’ero io.
Io.
 
Aspettai che quell’idea le entrasse nella mente, aspettai che tutta quella situazione, strana per lei, si stabilizzasse, e che lei si calmasse.
In fondo aveva vissuto parecchie emozioni quella notte.
Sorrisi internamente.
Ora lei mi guardava con occhi consapevoli.
 
Mi alzai, era ora di andare.
- Dormi ora – dissi pacato – hai bisogno di riposo.
- Sheid … - ci riprovò, ma cosa voleva dire?
- Si? – dissi voltandomi verso di lei, quando ero già arrivato alla finestra.
- Io … - sembrava davvero combattuta – stanotte … - il suo viso prese una strana espressione impaurita.
- Seira, continua a vivere come hai sempre fatto. I demoni di Anul possono attaccare solo di notte, e per stasera nessun’altro verrà qui, perciò sta’ tranquilla.
- Si – disse lei, ma era poco convinta.
- Seira – ormai dire il suo nome era diventato facile, quasi mi piaceva – guardami – dissi, catturando il suo sguardo – io sono qui, io veglierò su di te.
- S … si – disse con un sorriso dolce.
Abbassò un po’ il capo, probabilmente per celarmi il rossore del volto.
- Seira, posso chiederti un favore? – alzò di scatto il viso febbricitante, e sembrò spaventata dalla mia richiesta.
- Quello che vuoi – “Bene” pensai.
- Ti prego, mantieni il mio segreto – dissi con tono serio.
Anche il suo sguardo divenne autorevole e attento.
- Sheid – di nuovo disse il mio nome – io custodirò il tuo segreto, lo proteggerò a costo della vita!
Quella frese era come un giuramento solenne, era l’immagine della nostra promessa.
La guardai profondamente in quelli occhi azzurri come l’oceano.
Sincerità, riverenza, completa fiducia e voglia di essere considerata affidabile.
Ero rimasto esterrefatto, completamente sorpreso e stranamente appagato.
- Sta’ tranquilla, non sarà necessario sacrificare la tua vita – dissi fiero.
- Ma … io – cominciò lei.
- Quei demoni dovranno vedersela con me prima di riuscire a toglierti di mezzo – rimase a bocca aperta – te l’ho già detto: io ti proteggerò.
- Si, e io proteggerò il tuo segreto – disse decisa.
Sorrisi internamente.
- Buonanotte – dissi, fiondandomi dalla finestra e planando a pochi centimetri dall’erba del prato di casa Shift.
- Buonanotte – riuscii a sentirlo anche da lontano.
Spiegai le ali verso la terrazza che occupava metà tetto della mia villa.
Da lì avrei vegliato su di lei.
Sempre.

 
 
                                                                                      ***** 
 
 
Passai prima a salutare Eric, mi sembrava giusto, perché forse aveva capito cosa era successo, visto che ero in netto ritardo.
- Padron Sheid! – il viso devastato dalla preoccupazione, come ogni volta che ritornavo dopo una missione difficile – Ditemi, state bene? Cosa è successo?
- Calmati, va tutto bene – dissi, ma non lo vidi convinto – sto bene, sto bene – dissi con monotonia. Non doveva preoccuparsi per me. 
- Allora, che è accaduto? La regina Anul …
- Ha mandato uno di quegli sgorbi – dissi diretto.
- E … la ragazza?
- Ora sta bene.
Vidi il suo viso riprendere colore.
Era sempre confortante avere Eric.
Lui era la mia famiglia.
Pensai a Seira, che ora si trovava da sola con le sue paure.
“Seira …” pensai.
- Ora devo andare – dissi benevolo ad Eric.
- Più tardi porterò del caffè! Magari vi aiuta a restare sveglio.
- Ti ringrazio – dissi soltanto, ma io non mi sarei mai permesso di addormentarmi.
Raggiunsi la terrazza, e mi sedetti sulla poltrona morbida e confortevole che si trovava lì.
Il lino bianco di cui era fatta la stoffa che la ricopriva interamente, era davvero l’ideale per una notte calda come quella.
Le luci della stanza di Seira si spensero.
“Sarà andata a letto!? …” 
- Quell’umana, solletica il tuo interesse, … piccolo Sheid? – conoscevo troppo bene la voce che proveniva dall’ombra. Non mi voltai neanche.
- Luna ha finito la carta da lettere per contattarmi, Nadia? – lei era un angelo abbastanza anziano, ma a Luna non andava a genio il suo essere troppo calcolatrice e impertinente, perciò le affidava compiti di poco conto.
Inoltre lei aveva tentato parecchie volte di tradire Luna, ma non c’era mai riuscita fino in fondo, e per questo motivo la regina, non si fidava affatto di lei.
Ma Nadia era la nipote del Generale dell’esercito, e Luna non poteva toglierla di mezzo. “Peccato” pensai, mentre la sentivo avvicinarsi.
- Somiglia molto alla regina Luna! – odiavo la sua voce, odiavo il modo in cui parlava di Seira.
- Che cosa vuoi? Perché sei venuta fin qui? – ero irritato.
- Oh, piccolo Sheid, non arrabbiarti – disse a mo’ di cantilena. Poi la sua voce divenne graffiata e perfida - E soprattutto, non provare a violare il veto. Il regolamento parla chiaro …
- Sta’ zitta – dissi più irritato che mai, la mia voce sembrava ghiaccio puro – non provare a parlarmi con quel tono! Non tu!
Ti ricordo che finora non ho violato alcuna regola! E puoi stare certa che non lo farò! 
- Ma non è a me che lo devi dire! Lo devi giurare a Luna! Era così …
- Preoccupata?
- Si, era molto preoccupata. Soprattutto quando hai rischiato di perdere … il controllo – “Maledetta” pensai. 
- Non l’ho perso. Di’ a Luna che può stare tranquilla  – dissi tra i denti, ormai era chiaro che non la sopportavo.
- Spero che tu mantenga il controllo di te stesso anche con … Seira Shift – rimasi impietrito. Sapevo cosa intendeva – ma Luna sa che non c’è da preoccuparsi con te. In fondo tu sei la testimonianza vivente della disobbedienza di un arcangelo.
Non compirai lo stesso errore di tuo padre – disse ghignando come un demone.
Quella notte era già stata abbastanza dolorosa. Non avevo intenzione di sentire altro.
Mi alzai di scatto voltandomi verso quella figura tanto angelica quanto infernale.
Preparai una palla di energia solo per lei.
La luce che emanava la sfera riuscì a rivelare la sua presenza.
Stava appoggiata al muro ombroso vicino alla finestra della mansarda.
Capelli corti e marroni e occhi cioccolato, accesi dalla solita cattiveria e superbia.
Il corpo slanciato e forte, da cui si scorgevano due ali bianche, simili alle mie.
Il viso di una bellezza eterna.
Il sorriso sulla sua faccia era sfacciato e maligno.
- Davvero saresti capace di uccidermi? Eppure hai appena detto che non avresti violato le regole – disse sicura di se.
- Potrei cambiare idea – dissi tagliente, desideroso di vedere quel maledetto sorriso sparire dalla sua faccia.
Fu il mio sguardo a convincerla che non stavo scherzando.
Se i miei occhi avessero potuto fulminarla …
- Ok, va bene. Basta scherzare – disse meno sicura di se – abbassa quella cosa … me ne vado – disse allontanandosi un po’. Io le andai incontro, doveva andarsene subito, o il mio controllo mi avrebbe abbandonato a causa sua.
- Sheid … - disse sbarrando gli occhi – ok ok, Sheid ho capito – era piuttosto agitata, quasi urlava per la paura. Allungai ancora di più la fiamma di luce alla sua faccia spregevolmente pentita – FERMATI PRINCIPE! – urlò tra i singhiozzi.
Le mani tremanti davanti al viso sconvolto e preoccupato.
Guardò i miei occhi, che in quel momento avevano preso interamente il colore del cielo notturno o dei fondali più profondi.
 
 
“ - Sta’ attento a non perdere il controllo della tua umanità.
Se lo perdessi, se il tuo vero io si macchiasse di sentimenti negativi come la rabbia o il dolore, potresti non saper controllare le tue stesse azioni.
Perdendo te stesso, perdi la tua metà umana.
Perdendola, perdi anche ogni tua debolezza, e questo ti renderà invincibile.
Ma quando perdi il controllo, cancelli momentaneamente l’umanità della donna che ti ha dato alla luce.
Cancelli la tua umanità”.
 
Cercai di calmarmi.
Dopo aver ricordato le parole di Luna, mi sentivo più cosciente.
Non volevo perdere la mia umanità, non volevo diventare una creatura senza sentimenti.
Ero consapevole che in quel momento ero diventato qualcosa di molto simile ad un demone.
 
Guardai l’angelo tremante davanti ai miei occhi cobalto.
Mi aveva chiamato col mio vecchio titolo, titolo che avevo rifiutato di mantenere, perché se ero un principe, era solo perché mio padre era un arcangelo.
L’arcangelo che governava al fianco della regina della notte.
Ma io non consideravo più Isaac come un padre.
Perciò quel titolo non era mio.
 
- Non sono più un principe … adesso vattene, e non provare a tornare in futuro. Se Luna ti chiederà di farlo, dille che io preferisco andare da lei … di persona – la mia voce suonava diversa. Era fredda come al solito, ma era anche più calma e sommessa.
- Ma … - provò a ribattere lei.
- Va’  … prima che cambi idea! – le urlai contro. Freddo, teso.
Era difficile contenere la rabbia.
 
Lei, Nadia, non disse nulla e volò via senza voltarsi indietro.
 
“Spero che non racconti nulla a Luna!” pensai, ma sapevo che avrebbe colto l’occasione per mettermi nei guai.
“Stavolta l’ho davvero fatta grossa”.
      In quel momento però, non mi preoccupai più di tanto.
 
Tornai a sedermi sulla poltrona.
Tornai a guardare la finestra della camera di Seira, da cui adesso, riuscivo a scorgere un piccolo lume.
 
“Avrei dovuto immaginarlo che non sarebbe riuscita a dormire!” pensai preoccupato.
Era strano come mi sentissi.
Sembravo davvero affascinato e preso dalla situazione.
Non riuscivo a capire il perché fossi così interessato e preoccupato per lei. Per Seira.
 
Ovviamente dovevo proteggerla, dovevo mantenere quella promessa.
 
Ma la sensazione strana che mi perseguitava era più simile a curiosità.
 
“Non devo affezionarmi a lei. Lei è solo la mia protetta” mi dissi, cercando di convincermene.
 
Passai una notte combattuta e completamente in bianco.
Poi i raggi del sole sorgente spazzarono via le tenebre e fecero largo a un nuovo giorno.
 
“lei è solo la mia protetta!” ripetei di nuovo mentalmente.
“Nient’altro”.
 
 
---------------------------------------------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE ----------------------------------------

 
BENE.
 
Salve raga, come ve la passate?
Il caldo soffocante mi annebbia la mente e mi manda in tilt.
Perciò non so cosa ho combinato stavolta.
Spero che, nonostante questo nuovo cap sia molto simile al precedente, sia stato comunque di vostro gradimento.
Visto che ormai siamo arrivati al sesto cap, ho deciso di cominciare a tirare fuori il passato non molto felice del nostro affascinate Sheid.
 
Che ne pensate?
Naturalmente ci sono tantissime altre cose da scoprire sul suo conto. E le sorprese non sono ancora finite quindi ^^
 
Spero di avervi incuriosito con questo annuncio.
 
Ora la domanda è … cosa succederà nel prossimo cap?
Piccolo spoiler.
“Dopo un giorno di lontananza i nostri protagonisti si ritroveranno a scuola. Come si comporterà Seira? Come reagirà Sheid?” … beh leggete e lo scoprirete.
 
Ora come sempre passiamo ai ringraziamenti.
I lettori della mia storia stanno aumentando e perciò i ringraziamenti sono sempre più lunghi … ma IO MI SENTO REALIZZATA E NON MI IMPORTA AFFATTO CHE DEBBA SCRIVERE GRAZIE A OGNUNO DI VOI: ANZI E’ UNA GIOIA PROFONDA E INFINITAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!! XD
 
Bene scusate, i vaneggiamenti ormai fanno parte di me!
 
Grazie mille a …
 
FLY 89: è sempre un piacere leggere le tue rec illuminanti.
Ogni volta che leggo sento che posso migliorare ancora e ancora. Grazie anche perché riesci a ritagliare un po’ di tempo per leggere la mia creazione. Come ti è sembrato questo cap? *o* Ti sono davvero riconoscente, bacini.
 
LADY CATHERINE: grazie mille di cuore. Le tue parole sono così dolci che mi danno la carica per scrivere sempre meglio.
Cosa ne pensi di questo cap?
Grazie, cara e continua a seguirmi! bacini
 
YUKARI HOSHINA: riesci sempre a stupirmi con le tue visioni sul futuro della storia. Cogli sempre qualche particolare in più.
Grazie di cuore amica mia. Grazie XD Cosa te ne pare di quest’ultimo? Bacini.
 
JULIA 28: sei sempre tanto cara e gentile. Rispondi con pazienza alle mie domande … grazie! Allora cosa ne pensi di questo cap? grazie perché mi sostieni sempre! Baci!
 
DEILANTHA:  sorellinaaaaa!!! Come va? Ti ringrazio particolarmente, perché riesci a trovare sempre le parole giuste per sostenermi. Non so come farei senza di te! ^^
 Grazie, grazie, grazie. Baciotto!
 
ZOEY LA SOGNATRICE: ehi angioletto! Grazie perché mi segui sempre con amicizie e gentilezza! Sei tanto cara!
Allora … di questo che ne pensi? Bacini!
 
DAN24: grazie tante! Sei molto attento alla storia e sono molto contenta che Sheid ti piaccia. Ti abbraccio anche io ^^
 
ZEROLOUISE: certo che continuo così. Puoi contarci. Grazie per il tuo prezioso sostegno! Bacini!
 
YUUKI B: amica vampira, ben tornata! Ti ringrazio per aver recensito nonostante tu abbia avuto problemi col pc.
Non so come ringraziarti! Mi sei mancata! Bacini. (divertiti con i volumi di vk)!
 
IL GOTICA KANAME: grazie, e spero manterrai la promessa … nobile fratello! XD con affetto!
 
 E come sempre per ultimi ma non meno importanti … grazie a …
 
DEILANTHA, ANGEL_DREAMER_95,DAGUSIA123, DAN 24 e KIMBERLINA che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEILANTHA, LADY CATHERINE ,DEBBYDARKNESS , FLY89 , JOSSI , MADKIKKY, ALAIRE 94, DAGUSIA 123, VAMPICULLEN,YUKARI HOSHINA, ZEROLOUISE,  ZOEY LA SOGNATRICE, TENNESSE, IF_YOU_BELIVE, ANGEL_DREAMER_95; che mi hanno aggiunto tra le seguite.
ZOEY LA SOGNATRICE,  ILGOTICOKANAME, LADY CATHERINE, DAN 24 E BROKENARROW che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_,JULIA 28,MAU 07, VAMPICULLEN che hanno ricordato la mia storia.
 
 
Siete la mia forza. 
Non so come farei senza di voi!!!
T-T sono così felice che la mia storia vi stia piacendo!!!
Vi raccomando, continuate a seguirmi! Ci tengo!
 
Un tvb a tutti voi!
Vi raccomando recensite e fatemi sapere!
Bacini, la vostra …
 
Iloveworld
<3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***



SEIRA:



-         È davvero noioso studiare con questo caldo. Vero Seira?

 
Quella mattina mi ero alzata molto prima del solito.
Mi ero vestita lentamente, con movimenti meccanici e non mi ero curata di specchiarmi prima di uscire.
Non mi importava che spetto avessi!
Mi accorsi di essere arrivata a scuola solo grazie al “Buongiorno, Seira!” di Matilde, che correndomi incontro a braccia aperte mi aveva sorriso con il solito sguardo di sempre.
Per lei non era cambiato nulla, lei non sapeva nulla.
Invece io ero rimasta nell’annebbiamento più totale, domandandomi se avessi sognato tutto.
Uscire di casa dopo due giorni passati nel letto su cui si era seduto lui   …
Le avevo sorriso con la solita espressione, ma stavolta sentivo qualcosa di strano, di innaturale nel mio modo di comportarmi.
Sembrava che anche il mio comportamento fosse meccanico e costretto.
 

-         Seira, tutto bene?
 
 
Avevo passato le due notti precedenti a fissare  il soffitto, a guardarmi intorno, a ricordare ogni singolo momento di quella serata.
Avevo ripercorso con la mente tutto l’accaduto.
Ricordavo alla perfezione i volti, le parole, e l’atmosfera.
“Io voglio proteggerti” mi aveva detto.
Lui l’aveva promesso al chiaro di luna.
Mi aveva trafitta con gli occhi e mi aveva promesso protezione.
Io, imbarazzata per il suo sguardo intenso su di me, ma felicissima e fiduciosa perché avevo capito che lui avrebbe fatto di tutto per tenermi al sicuro, avevo annuito, sorridendogli.
Poi se n’era andato via, varcando la porta a vetri del mio terrazzino.
Aveva spiccato un balzo e si era tuffato.
Io ero corsa alla finestra per cercare di vederlo un’ultima volta.
Se fosse stato umano, il suo repentino avvicinarsi al suolo sottostante, mi avrebbe procurato un infarto prematuro; ma invece, visto che aveva delle ali possenti e grandi, non mi preoccupai e lo osservai planare a pochi centimetri dal suolo, conservando quella visione di agilità ed eleganza, di bellezza e leggerezza, marchiandola nelle mia anima.
La visione di lui, seduto sul mio letto, seduto accanto a me, l’avrei ricordata per sempre.
Però, mio malgrado, avrei ricordato anche quel mostro.  
“ -  Seira, continua a vivere come hai sempre fatto. I demoni di
 Anul possono attaccare solo di notte, e per stasera nessun’altro verrà qui, perciò sta’ tranquilla – aveva detto l’angelo prima di sparire tra le ombre della notte.
Ma quando se ne fu andato, quando la mia mente cominciò a riesumare quei ricordi, belli e brutti …
Avevo paura.
Avevo paura di chiudere gli occhi e di fare incubi spaventosi.
Avevo paura di rifare quel sogno e di rivedere quel mostro, di rivedere i suoi lineamenti deformati e stavolta, ancora più definiti e reali.
“Io ti proteggerò” cercavo di scacciare i brutti pensieri e la paura con l’immagine del suo viso, con il suono della sua voce che ripeteva queste parole.
“Io ti proteggerò”.
Ricordavo i suoi occhi e ricordavo le sue ali.
Puntai tutti i  miei pensieri su di lui, riuscendo a isolare la paura.
Però non ero riuscita ad addormentarmi.
“Sheid” pensai ad alta voce, guardando le nuvole e il sole appena spuntato.
Quella mattina era davvero calda, ma io mi sentivo stranamente infreddolita.
Misi la mano nella tasca della giacca, e sfiorai la piuma che avevo raccolto da terra quella mattina.
Mi ero alzata dopo più di quarantotto ore di ozio e di riflessioni ingarbugliate.
Ricordo la sorpresa nel vederla a terra, proprio vicino alla porta vetri della terrazza.
“E’ un segno!” avevo pensato subito. Era la dimostrazione che non avevo sognato, che era tutto vero.
Ma una piuma poteva aiutarmi a scacciare la paura e l’incertezza?

-         SEIRAAA!!! – urlò Matilde. Aveva l’aria infastidita e stranita.
-         Cosa c’è? – domandai sorpresa.
-         Ma mi stai ascoltando o hai la testa tra le nuvole? È un’ora che ti chiamo! – disse un po’ arrabbiata.
-         Scusami tanto Mati. Il fatto è … - cosa potevo dirle? Che non avevo dormito perché un demone mi aveva attaccata e un angelo era entrato nella mia camera da letto promettendomi protezione?
-         Il fatto è …?!
-         Beh, non ho chiuso occhio stanotte – confessai.
-         Oh, - disse sinceramente dispiaciuta -  … e perché? – la sua domanda mi aveva spiazzato.
-         Perché … ho avuto un incubo – dissi di getto. In fondo era una mezza verità. Quella notte era stata un vero incubo!
-         Oh, mi dispiace – disse con voce dolce.
-         Tranquilla, ora sto bene – sorrisi.
-         Ma cosa hai sognato? – disse, mostrandosi interessata e preoccupata per me.
“E adesso? … Cosa dovrei dire?”.
-         Io … io … ho sognato … - lei mi guardava con curiosità.
-         Non è che per caso hai sognato Sheid Winter?
-         Cosa? – lo dissi quasi urlando. Lei come faceva a sapere … ?
-         Ma si, hai sognato proprio lui. Prima hai sussurrato il suo nome.
-         No … non è vero. Ho sognato … un orrendo mostro con le ali nere – dissi, agitandomi non poco.
-         Ok,ok. Ti credo sul sogno – disse mettendomi una mano sulla spalla -  Ma … riguardo a sabato scorso … insomma … - era impacciata, dove voleva andare a parare? – cosa ne pensi di … Sheid Winter? – disse arrossendo.
 Ripensai all’angelo, ripensai ai suoi occhi, alle sue ali, alle sue parole.
Matilde probabilmente si riferiva allo Sheid che si mostrava sotto sembianze esclusivamente umane. Ripensai a quel sabato pomeriggio, quando stavo per cadere giù dalle scale e lui mi aveva salvata.
Sicuramente Matilde voleva sapere se mi piaceva come ragazzo.
Tirai un sospiro di sollievo. Lei non sapeva nulla di angeli e mostri. E come avrebbe potuto saperlo? Io ero l’unica testimone di quello scontro fra bene e male.
Avevo speso un intero giorno e due intere notti a riflettere su ciò che avevo visto quella notte di luna piena.
Avevo riflettuto così minuziosamente, avevo ponderato le prove che mi avrebbero permesso di decretare se credere nelle parole del mio compagno di scuola – angelo, che quasi magicamente era diventato tutto chiaro.
Matilde, di tutta quella faccenda surreale, non sapeva nulla, e i suoi pensieri orbitavano sul lato umano di Sheid Winter.
Io dovevo solo assecondarla.
-         I ragazzi non mi interessano al momento – dissi, cercando di sembrare il più naturale possibile. Ma l’impossibile era non ammettere che Sheid Winter fosse davvero bellissimo.
Sotto ogni aspetto.
-         Come? Ma lui non è un ragazzo qualunque! … Cioè, ma l’hai guardato bene? È … è … 
-         Orrendamente bello? – ripetei ironica le sue stesse parole.
Parole che aveva pronunciato qualche settimana fa.
-         Mi hai tolto le parole di bocca – disse compiaciuta e  divertita.
Nei suoi occhi c’erano ammirazione e sorpresa. 
-         Cosa hai provato quando ti sei trovata tra le sue braccia? – disse con occhi sognanti.
-         Niente – mentii. Ripensai all’imbarazzo, alla soggezione, al brivido che mi aveva percorso la schiena al suo tocco.
Ripensai alle dite vellutate sulle mie ginocchia, alla lucentezza di quella pelle diafana.
-         Uffa Seira, possibile che non ti renda conto della fortuna che hai avuto? – si, me ne rendevo conto e come!
-         Beh, mi sono risparmiata una bella caduta grazie a lui – dissi come se non mi riguardasse, come se non fossi stata io la persona che era stata salvata da lui.
-         Certo, ma lo sai quante ragazze avrebbero desiderato essere al tuo posto? – mi disse quasi arrabbiata.
-         Lo immagino – risposi con voce monocorde.
-         Io non ti capisco propri Seira – disse con espressione delusa.
Scuoteva la testa e continuava a guardarmi con rammarico.
Però i suoi occhi tradivano un’espressione di scherno.
Ci guardammo in cagnesco per un altro paio di secondi.
Poi scoppiammo a ridere di gusto.
Era questo che mi piaceva di lei, perché tutto sembrava    prendere una piega leggera e felice accanto a lei.
Riusciva a risollevarmi lo spirito.
Eravamo amiche da sempre, e lo saremo sempre state.
Anche se lei non avrebbe mai saputo il mio segreto.
Anche se a lei non potevo svelare il segreto di quella persona.
 
Ripensai per l’ennesima volta all’angelo, ripensai a ciò che mi aveva detto, a come me l’aveva detto, e in quel momento una strana ansia cominciò ad invadermi lo stomaco.
 
Lui mi aveva dato e promesso protezione, ma non mi aveva garantito nient’altro.
Ripensando al suo carattere cangiante, misi a confronto l’angelo e l’umano.
La perfezione della sua bellezza e la grandezza del suo potere, combaciavano quasi perfettamente con i suoi modi.
Mi aveva portata a casa, mi aveva tranquillizza e mi aveva spiegato tutto con estremo tatto.
Ma ripensando a Sheid Winter, il ragazzo orrendamente bello, il ragazzo misterioso e austero, il ragazzo solitario e freddo che non si apriva con nessuno, mi sentii confusa e preoccupata.
Nonostante quella notte fosse stato gentile e protettivo con me, non si era aperto in nessun modo, e le sue sue parole, nonostante mi avessero tranquillizzata e protetta, non avevano nessuna dolcezza e non trasmettevano affatto il suo desiderio di essermi … amico.
Che fosse sottinteso?
E se invece era proprio quello che voleva capissi?
Lui per me era … solo … il mio angelo protettore.
 
L’ansia si fece più forte. Mi prese lo stomaco e poi salì fino alla gola, togliendomi il respiro.
 
Il pensiero che fece capolino nella mia mente …
 
Come mi sarei dovuta comportare io?
Cosa avrei dovuto dirgli?
E soprattutto, avrei dovuto ignorarlo come sempre, oppure avrei dovuto mostrarmi amichevole e riconoscente?
 
Lo Sheid umano, e lo Sheid angelo avevano lo stesso fine?
 
E poi chi era lui in realtà?
Ripensandoci non aveva risposto alla mia domanda.
Non mi aveva detto niente sul suo conto.
Chi era?
 
Questo non me lo aveva spiegato, quella notte.
Non si era espresso in alcun modo sul rapporto che avremo avuto io e lui nella vita quotidiana.
 
Quante domande, quanti dubbi!
E non avevo nessuna risposta.
 
Sarebbe venuto a scuola oggi?
E se fosse venuto, mi sarebbe stato vicino o mi avrebbe trattata come una sconosciuta?
 
“Uffa, come mi devo comportare insomma?” pensai, stando attenta a non riportare a parole la mia riflessione.
Al pensiero di rivedere i suoi occhi su di me, sentii le farfalle allo stomaco.
 
E se il suo sguardo fosse stato freddo come al solito?
Se la freddezza che riservava agli altri … l’avesse riservata anche a me come quel sabato pomeriggio?
Se avesse fatto finta di nulla?
 
“Maledizione!” pensai più preoccupata che mai.
A quanto pare però, le mie domande avrebbero avuto presto delle risposte.
 
-         Seira, Seira! – sussurrò Matilde euforica, al mio orecchio – guarda un po’ chi è appena entrato e sta passando di fronte a noi! – disse tirandomi la manica della giacca con energia.
Il mio cuore sobbalzò e perse un colpo.
“Non può essere!” pensai, mentre guardavo fisso davanti me.
-         Seira, perché non lo saluti? – squittì ancora Matilde.
-         Ma sei matta? Figurati se …
-         Ma dovresti farlo, almeno per gratitudine! – mi interruppe lei.
-         Gratitudine?
-         Certo, ti ha evitato una brutta caduta no? L’hai detto anche tu! Sarebbe il minimo da parte tua salutarlo! – bisbigliò ancora lei, e stavolta più silenziosamente, visto che lui ci stava passando proprio davanti.
La divisa scolastica, ben stirata, gli stava da Dio, osservazione che avevo già fatto il sabato precedente.
Lo squadrai partendo da sotto, perché volevo affrontare il suo viso e i suoi occhi il più tardi possibile.
La giacca nera era totalmente abbottonata, la camicia, invece, aveva solo gli ultimi due bottoni slacciati, e la pelle candida del suo collo lungo ed elegante, era ben in vista.
Non osai guardarlo in viso.
Avevo paura che alla vista di quella bellezza disumana, la voce sparisse, e avevo paura di trovarlo a fissarmi con occhi indifferenti e freddi.
Cosa dovevo fare?
Certo, dovevo mostrargli il massimo rispetto, dovevo salutarlo!
Lui non mi aveva solo evitato un trauma cranico dovuto alla caduta dalle scale, lui mi aveva salvato la vita nel vero senso della parola.
Presi coraggio, e proprio mentre sentivo il ticchettio dei suoi mocassini lucidi avvicinarsi, quando lo vidi passarmi proprio davanti, presi un lungo respiro e …
-         BUONGIORNO … Winter! – avevo quasi gridato mentre lo salutavo, e avevo sussurrato il suo cognome, che a momenti non mi ero sentita neanche io.  Che razza di saluto era quello?
Di sicuro gli ero sembrata ridicola.
“Accidenti! Che brutta figura!” pensai facendomi piccola piccola.
Guardai nella sua direzione.
Si era fermato ma non si era voltato verso di me.
Lo scrutai partendo sempre dalle scarpe.
Poi, azzardai un’occhiata al suo volto.
Solo il suo viso era proteso verso di me.
Era troppo per il mio cuore sopportare tanta bellezza. Alla luce del sole aveva un aspetto diverso, più umano e vitale.
Ma i suoi occhi erano sempre due ametiste sfavillanti.
Aveva un’espressione neutra, e mi fissava così intensamente, con quegli occhi stupendi, che mi sentii incatenata da quello sguardo.
Non era freddo era solo … neutro, normale.
Poi, senza dare a vedere ciò che pensava, senza dare espressione al suo volto marmoreo, si voltò con il capo verso la direzione in cui si stava dirigendo.
Non si voltò più verso me, ma prima di continuare a camminare, disse piano e con voce monocorde – Buongiorno.
 
Lo seguii con lo sguardo mentre spariva dietro l’angolo, e quando sparì del tutto e io tornai alla realtà, fuori dalla nostra piccola bolla privata, mi accorsi di essere arrossita come non mai e di avere i battiti del cuore a mille.
Perché, mi aveva fatto quell’effetto?
 
Indubbiamente era stato imbarazzante, e senza alcuno dubbio tutti coloro che avevano assistito alla scena, mi avevano presa per pazza.
Ma a me importava qualcosa?
 
No, in quell’unico istante, non mi importava che cosa avevano pensato di me i  miei compagni.
Piuttosto … cosa aveva pensato Sheid?
 
Ormai lo conoscevo, come umano, da quasi due mesi e l’unico contatto tra di noi era stato qualche sguardo di sfuggita e un salvataggio prodigioso da parte sua, il sabato pomeriggio scorso.
Il suo “buongiorno” voleva significare che lui era propenso a non ignorarmi, o era un saluto che avrebbe rivolto, per educazione, a chiunque?
 
Aveva risposto al saluto.
 
Nient’altro.
 
Come lo dovevo interpretare? Cosa significava?
 
“Uffa!” pensai sconsolata.
 
La smisi di torturarmi il cervello con tutte quelle domande senza risposta.
 
Perché ero così timorosa e timida solo con lui?
 
Perché dovevo complicarmi la vita?
 
Allora decisi: Sheid Winter, il ragazzo non l’angelo, era un mio compagno di scuola.
 
Lui era un semplice ragazzo.
Bellissimo come un angelo, ma pur sempre un ragazzo.
 
Con questo pensiero in testa, cercai di riprendermi.
 
-         Seira, sei viva? – domandò Matilde, quasi maliziosa.
I suoi occhi brillavano di eccitazione e euforia.
-         Ti ha salutata! Ti … ha … salutata!!! – scandì bene le parole come se stesse sillabando una canzone.
-         Già – risposi io , cercando di mostrarmi impassibile.
“Mi ha salutata” pensai ancora confusa.
Ero sorpresa anche dal fatto che il suo saluto avesse scatenato in me tanta felicità.
-         Seira, lo sai cosa vuol dire? – disse fremendo per l’euforia.
-         No, cosa? –  dissi, ormai controllarmi era diventato difficile.
-         Che tu gli piaci! – disse squittendo.
-         A … davvero!? – “Magari fosse così semplice!” pensai io.
-         Certo, lo sai meglio di me quant’è freddo di solito con gli altri. Non degna di uno sguardo nessuna ragazza, e declina qualsiasi progetto di divertimento e svago che gli propongono i ragazzi.
Ma … ti ha salutata! – era raggiante.
Gli occhi le risplendevano dalla meraviglia.
-         Già – ripetei. Perché era sembrato così sensazionale anche a me?
“Un saluto non si nega a nessuno”, ormai, quel piccolo incontro aveva sconvolto la mia giornata.
Ero sopravvissuta all’attacco di un demone, e la prova era la piuma candida che tenevo in tasca, poi avevo passato due notti in bianco scervellandomi per trovare le risposte che cercavo, ed ero riuscita a superare anche quello.
E adesso mi lasciavo sconvolgere dal saluto distaccato e poco chiaro di un ragazzo?
 
Proprio no.
 
Scrollai di dosso quella sensazione di annebbiamento che mi attanagliava e cercai di riprendere la calma.
 
-         Mati … andiamo in classe? Ormai la professoressa White sarà arrivata – la professoressa White era l’insegnante d’arte.
Una donna semplice, gentile e disponibile. Il suo sorriso dolce convinceva anche gli alunni più irrequieti a darle ascolto, ed era anche molto professionale. A me e a Matilde piaceva il suo modo di insegnare e di essere imparziale. Era … giusta.
-         Si va bene. Andiamo in classe – disse alzandosi – ho capito che ora non è il momento giusto per parlare di ragazzi con te! – disse ironica. Poi mi fece l’occhiolino.
-         Andiamo – dissi ricambiando il sorriso. Matilde era una grande. Io l’avevo sempre pensato.
 
 

                                                                                ****
 
La quarta ora arrivò in fretta.
Avevo seguito le due ore di storia dell’arte seduta accanto a Matilde, la mia fedele compagna di banco, la ragazza con cui sedevo più spesso a lezione, per il fatto che seguivamo più corsi insieme.
Poi, avevo trascorso l’ora di latino seduta accanto a Sara, la persona che completava il nostro felice trio.
E infine ora, ero di nuovo con Mati.
L’ora di musica, era una delle mie lezioni preferite.
Quando non studiavamo sui libri, il professor Brait ci portava nell’aula di musica, dove c’era ogni sorta di strumento musicale.
Ci divideva in gruppi e ci lasciava liberi di studiare, suonare, ascoltare, o semplicemente guardare, ogni tipo di strumento, spartito, melodia.
Spesso, alcuni compagni capaci di suonare il piano, il violino, o altri strumenti, cominciavano a fare musica e tutti gli altri si accingevano ad ascoltare rapiti da quella danza di note invisibili ma palpabili ad orecchio.
Naturalmente tutto ciò non valeva per gli studenti poco interessati, che si limitavano a gironzolare per l’intera stanza a curiosare.
Quel giorno, dopo due mesi di astinenza da musica, il prof. Brait si decise a portarci di nuovo in quella splendida e immensa sala.
Erano tutti euforici e contenti di risparmiarsi una lezione di storia della musica.
Erano tutti euforici, eccetto … Sheid Winter, che impassibile e con gli occhi bassi, seguì i nostri compagni all’uscita dell’aula conferenze.
Mi era passato di fianco, ma non  mi aveva degnata di uno sguardo.
Mi aveva ignorata e i suoi occhi color ametista non mi avevano sfiorata nemmeno.
Quella mattina, in classe i nostri occhi si erano incrociati spesso, ma il suo sguardo era sempre il primo a cambiare direzione, abbassandosi e diventando vitreo e illeggibile.
 
I suoi comportamenti erano strani, indecisi quasi.
Sembrava che mi sorvegliasse e che non volesse essere scoperto.
I suoi occhi si posavano su di me con discrezione, quasi timore.
Ma, era distante.
Sembrava non curarsi dei miei sguardi sorpresi e spesso lusingati.
Insomma, si ricordava dell’altra notte o no?
Toccai la piuma che si trovava nella mia tasca.
Era l’unico appiglio che mi permetteva di tener ben saldo nella mente la certezza numero uno: io non mi ero inventata niente.
Era successo, ed era reale.
Ma ora lui col suo strano comportamento, col suo modo di osservarmi da lontano, col suo modo di fare distaccato stava mettendo a dura prova la mia sanità mentale.
 
Arrivati nell’aula di musica tutti cominciarono a scegliersi i compagni di gruppo, ma in quel preciso istante il professore riportò la classe all’ordine.
-         Ragazzi, ragazzi! Non c’è bisogno di fare tutto questo chiasso!
I gruppi oggi saranno diversi, quindi non agitatevi ok?
Ogni gruppo si occuperà di un argomento diverso.
 
In quel momento si alzò un gran vociare nell’aula, ma un solo gesto della mano del prof fece zittire tutti.
 
-         Siete in tutto ventotto, quindi faremo  in tutto  sette gruppi di quattro.  Allora … vi occuperete di sette pezzi musicali ciascuno. Potete fare una ricerca, solfeggiare lo spartito, suonarlo, o anche solo ascoltarlo.
Nella prossima lezione darò un breve questionario a ciascuno di voi per verificare che cosa vi ha colpito di più del brano.
Gli strumenti, la melodia, il tempo, il compositore e via discorrendo.
Poi, vi scambierete il materiale raccolto, e a quel punto riverremo qui ad ascoltare tutti e sette i brani.
 
Finì la spiegazione e poi cominciò a dividerci.
 
Sheid seguì i suoi compagni di gruppo, che erano tutti in grado di suonare il piano.
Infatti Luca, Jacopo e Matteo andavano in conservatorio insieme, ed erano già al terzo anno.
Sheid aveva in mano la ricerca che conteneva la vita e le opere dell’autore.
Leggeva velocemente non curandosi dei tre pianisti che lo scrutavano quasi fosse un alieno.
Probabilmente erano sorpresi del fatto che Sheid riusciva a mettere in soggezione chiunque anche non facendo niente.
Sorrisi come una stupida.
 
Matilde si ritrovò fortuitamente con Sara ed altre due ragazze, e avevano già cominciato a lavorare.
A volte Mati mi lanciava sguardi d’intesa, e faceva spallucce, mostrandosi dispiaciuta di non essere in squadra con me.
Io mi ritrovai con Alexis, alta, bionda e bellissima, Giorgia, appariscente, riccia e con gli occhi penetranti e Irene, astuta, minuta, capelli corvini e corti.
Tre brave ragazze all’apparenza, ma avevano l’abitudine di guardare tutti dall’alto in basso, specialmente quando si trovavano insieme, e potevano collaborare tra loro … come in quel momento.
Purtroppo l’arte del pettegolezzo era molto diffusa nella mia scuola, e così, dopo esserci appartate in un angolino dell’aula per studiare il pezzo assegnatoci dal prof …
-         Ehi Seira, ho visto che stamattina tu e Winter vi siete salutati – disse Giorgia . Mi aveva trapassato con lo sguardo, e nei suoi occhi c’era un’ espressione di odio.
-         Vi conoscete? Oppure volevi solo provarci con lui? – anche Irene sembrava irritata da me.
Io cominciavo già a sentirmi fuori posto e soprattutto a sentirmi indesiderata, ero diventata l’oggetto del loro disprezzo.
-         Io veramente … - cominciai, ma Alexis prese la parola, e mi zittì subito.
-         Senti Seira, non ho nulla contro di te – guardò le altre come per ammonirle, poi ritornò a me – però, vedi … se ha ignorato noi, allora si vede che è proprio senza speranza.
D’altronde dopo due mesi qui, non si è fatto nemmeno un amico! E poi sappiamo tutti quanto è pieno di se.
Non ci perdere tempo! È inutile, ormai abbiamo capito tutte che è impossibile conquistarlo. Se ci abbiamo provato noi e abbiamo fallito, allora … nessuno può riuscirci.
-         Rinunciaci, non fa per te – dissero all’unisono.
“Wow alla faccia della modestia!” pensai, ma visto che loro erano in netto vantaggio numerico, visto che non volevo turbare nessuno compresa me stessa, annuii.
In fondo potevo capire la loro frustrazione.
Sheid le aveva ignorate ogni volta che loro avevano tentato di irretirlo.
Il suo sguardo freddo si era posato su di loro, allontanandole.
Ecco, ora capivo. Loro non si spiegavano il perché stamattina mi avesse salutata invece di ignorarmi.
 
Allora …
 
Lo cercai con lo sguardo, cercai Sheid in mezzo ai miei compagni di classe.
Era appoggiato al muro vicino al piano forte e stava guardando lo spartito, mentre i suoi compagni provavano a suonare e a scrivere qualcosa.
I suoi occhi si alzarono e mi guardò.
Fisso, penetrante, come se lo stesse facendo da tempo.
Allora si accorse che anche io lo guardavo, e distolse gli occhi portandoli ancora sullo spartito.
 
Mi ero immaginata la rabbia nel suo sguardo?
Lui mi stava davvero guardando?
 
“Uffa, che confusione!” pensai sconsolata.
Quel ragazzo era impossibile da leggere.
 
Per un attimo mi venne in mente la notte di luna piena e ricordai la presa prepotente del demone.
L’odio che avevano nello sguardo Irene e Giorgia era un odio umano, carnale, dato dall’invidia o dalla presunzione.
Invece quel demone aveva uno sguardo abituato a quel sentimento nefasto.
Come se fosse nato con l’odio negli occhi, ecco.
“I demoni di Anul possono attaccare solo di notte, e poi qui c’è Sheid a proteggermi, non può accadermi nulla di brutto, non devo avere paura ora!” cercai di calmarmi.
La paura mi immobilizzò per un istante.
Poi mi guardai intorno, beandomi di non essere sola e mi appoggiai al muro per riprendere fiato.
 
Guardai lo spartito e i documenti che avevo in mano.
 
Poi, guardai Sheid, e lo trovai a fissarmi ancora, e come prima ad abbassare lo sguardo.
 
Possibile che lui non si ricordasse cosa mi aveva detto la notte precedente?
 
Ed era quello il modo di mantenere la sua promessa?
Fissandomi, tenendomi d’occhio?
 
E soprattutto … ignorandomi?
 
Scrollai le spalle.
Non dovevo pensarci troppo, non dovevo fissarmi sul fatto che lui fosse il mio angelo protettore.
 
Lui era una sorta di guardia del corpo, nient’altro.
Non c’era stata nessuna promessa di legame, amicizia e roba simile.
 
Niente.
 
Tornai allo studio di Mozart con le ragazze, e cercai di non pensarci più.
 
Ma la scoperta di un vuoto inspiegabile dentro di me, mi fece tremare!
 
“Sheid …” pensai guardandolo … ma ormai non mi fissava più.
 
Il mio cuore perse un battito, e solo allora mi accorsi dei miei veri sentimenti.
 
 
                                                                       
     ******
 
SHEID:
 
 
 
Io non avevo il diritto di entrare nella sua vita.
 
“Seira” pensai sospirando, mentre mi avviavo verso scuola.
 
Quella mattina mi sentivo strano. Fisicamente stavo bene, ma avevo un brutto presentimento. Ero preoccupato, agitato, e soprattutto non sapevo come dovevo comportarmi con lei.
Potevo andarle vicino e chiederle come si sentisse, se avesse dormito bene o se avesse avuto paura?
Dovevo comportarmi come se niente fosse?
Dovevo …
 
-         BUONGIORNO … Winter! – era la sua voce, era la voce di Seira che proveniva dalla mia destra.
Era una voce gentile, una voce da bambina.
Era una voce dolce.
 
Rossa in volto e con espressione timorosa, mi aveva salutato. Mi aveva dato il buongiorno.
Aveva quasi sussurrato il mio nome, e sembrava essere davvero intimorita dalla situazione.
Indecisione e  preoccupazione increspavano la sua fronte, e i suoi occhi non osavano guardarmi.
“Perché mi teme?” pensai girandomi di nuovo verso la direzione in cui stavo andando.
“Forse lei ha paura di me, ora?” , nella mia mente ritornarono le immagini del dopo battaglia. Quella notte lei mi aveva guardato con ammirazione e gratitudine, perché il suo sguardo era cambiato?
-         Buongiorno – dissi andandomene.
Forse ora aveva capito la mia vera natura, aveva cambiato idea sul mio conto?
 
Quel pensiero mi mise una strana ansia.
 
Se lei non si fosse fidata di me, se lei mi avesse temuto … come avrei potuto proteggerla?
 
Sicuramente il suo saluto non era altro che un segno di rispetto, un segno di gratitudine.
Chiunque avrebbe mostrato rispetto a qualcuno che gli aveva salvato la vita.
Anche se fosse stato un mostro.
 
Girai l’angolo, diretto alla classe dove avevo la prima lezione.
C’erano già dentro alcuni ragazzi, intenti a copiarsi i compiti.
 
Quando mi videro mi ignorarono inizialmente, poi …
-         Ehi, Winter! – disse un ragazzo biondo e con gli occhi marroni. Luca, se non sbaglio – scusami, ma … - era davvero impacciato.
-         Winter vorremo chiederti se … - cercò di aiutarlo l’altro, Jacopo, occhi marroni capelli cortissimi.
Io li guardavo con sguardo interrogativo, e loro si irrigidirono ancora di più.
-         Insomma, questi due imbranati volevano chiederti se domani giocherai nell’ora di educazione fisica – concluse Matteo, il tipo più sveglio della classe a mio avviso. Capelli castani e corti e occhi neri.
-         Perché? – chiesi, volevo vedere cosa volevano da me.
-         Beh, insomma … vorremmo dare una lezione a quelli della sezione blu. Noi rossi non vinciamo da due settimane e …
-         No, mi dispiace – risposi.
-         Ma perché? – chiesero in una cantilena Luca e Jacopo.
-         Senti Winter, … facciamo un patto: tu oggi ci aiuti a vincere, e io ti dirò come conquistare il cuore di               una ragazza – disse con aria beffarda Matteo. “Idioti” pensai. Le ragazze non mi interessavano al momento.
-         Le ragazze non mi interessano. Non ho tempo per queste sciocchezze – in fondo, non stavo neanche mentendo.
Di tempo ne avevo davvero pochissimo.
-         Io invece credo che una in particolare abbia attirato la tua attenzione … vero? – a cosa si riferiva?
-         Non so di che parli, … ma mi spieghi che differenza farebbe per voi se giocassi io? – era assurdo che solo grazie a me avrebbero vinto contro quei giganti della sezione blu.
-          Ma stai scherzando? Nell’ultima partita di pallavolo che hai giocato hai fatto tredici punti tutto da solo, e poi hai preso sette schiacciate impossibili da raggiungere. Sei un mito! – disse compiaciuto e anche imbarazzato.
Guardai quei tre ragazzi, che con occhi speranzosi mi guardavano con sincera ammirazione.
Quasi facevano le fusa.
Sorrisi internamente, “Come sono buffi!” pensai.
Nei loro occhi sembrava essere sparito il timore.
Sembravamo quattro ragazzi umani che parlavano di cose umane. In quel momento mi sentivo normale.
-         Ti scongiuriamo Winter! Se giochi tu, vinceremo di sicuro! Non puoi dirci di no! Non puoi! – Luca e Jacopo continuavano a pregarmi. Che cosa avrei dovuto fare?
-         Winter, … - Matteo mi fissò fiero -  Seira Shift cadrà ai tuoi piedi. Se giochi, non te ne pentirai amico – lo inchiodai con lo sguardo.
-         Cosa ti ha fatto pensare che io sia interessato a questa Shift? – volevo far cadere i sospetti. Nessuno doveva sapere, nessuno doveva impicciarsi.
-         Beh, la guardi spesso, poi stamattina vi siete salutati … no?
-         E allora? – avevo preso un’aria minacciosa.
-         Ve bene, va bene … basta parlare di ragazze. Cosa vuoi in cambio? – disse serio Matteo
-         In che senso? – dove voleva arrivare?
-         Cosa vuoi in cambio della tua presenza nella squadra domani? – disse con la stessa serietà.
-         Niente – io non avevo bisogno di stupide ricompense.
-         Allora, visto che io non sono un’opportunista ti offro perlomeno la mia amicizia, il mio sostegno e il mio rispetto, Winter – disse sorridendo beffardo. Ma la sincerità velava i suoi occhi scuri.
-         Cosa? – “Amicizia” …
-         Anche noi – risposero in coro Jacopo e Luca con il fuoco negli occhi.
-         Si, Winter. Da oggi in poi non sarai più solo! – Matteo mise una mano sulla spalla.
-         Solo? – essere solo era una mia caratteristica prioritaria se non volevo mettere nei guai gli altri. Ma visto che quei tre mi stavano soltanto chiedendo di giocare una stupida partita …
-         Noi ora sappiamo che non sei un alieno con poteri malefici – dissero tutti e tre, quasi sollevati. “Alieno?”.
-         Non sei poi così pericoloso come dicono – disse Luca grattandosi la nuca.
-         Posso diventare pericoloso però – stetti al gioco.
-         Bene, allora usa questa grinta per annientare quei bastardi del gruppo blu – disse Matteo sicuro di se.
-         Ti prego! – supplicarono gli altri due.
-         E va bene! Ma solo per questa volta. Odio muovermi con questo caldo soffocante! – dissi seccato.
-         Grande! – esultarono all’unisono.
     Gli umani erano proprio strani.
 
Anche Seira era molto strana!
La mattinata passò in fretta come gli sguardi che ogni tanto ci lanciavamo.
I suoi occhi erano troppo curiosi, troppo insicuri, troppo diversi da come li ricordavo.
Non erano  più sognanti, ammirati, luminosi.
Ora avevano una luce di consapevolezza, data forse da una lunga riflessione.
 
Non potevo sostenere il suo sguardo.
Io non avevo il diritto di irrompere così nella sua vita.
 
Il mio compito era solo proteggerla.
Solo questo.
 
Forse lei pensava le stesse cose.
“Io posso solo proteggerla” pensai, passandole di fianco senza incontrare i suoi occhi.
 
      Sentivo il suo sguardo su di me, ma non la guardai.
 
Ero stato io stesso a dirle di vivere come sempre, come se non    fosse successo nulla!
Perciò ora … dovevo mantenere la mia promessa.
La sua vita sarebbe stata uguale a prima.
Non sarebbe cambiato nulla.
Io e lei ci saremmo riavvicinati solo nei momenti di pericolo, poi, io avrei ripreso il mio posto dietro le quinte.
Si, io l’avrei protetta da lontano.
 
          
                                         ******
 
Mi ritrovai in un’aula piena di strumenti musicali.
Tutti erano felici di risparmiarsi storia della musica, con il professor Brait.
La musica mi piaceva.
Ascoltavo qualsiasi cosa nel tempo libero, dal punk alla musica classica.
Ascoltare musica mi dava lo stesso senso di benessere che sentivo durante la notte, quando, a differenza di molti anni fa in cui ogni notte era una tortura, le mie ali spuntavano sulla mia schiena, regalandomi forza e facendomi sentire libero.
Il professore spiegò brevemente ciò che avremo dovuto fare quel giorno, e poi ci divise in gruppi.
Io mi ritrovai con i ragazzi che mi avevano chiesto di giocare con loro quella stessa mattina.
Lessi velocemente la ricerca su Mozart, mentre guardavo Seira di tanto in tanto.
Matteo e gli altri provavano a strimpellare al piano e a segnarsi gli accordi.
-         Fa’ vedere! – disse Luca prendendomi la ricerca che avevo in mano – che dice? – chiese, con l’espressione di uno che non aveva alcuna intenzione di leggere quello che c’era scritto.
-         Mozart, celebre compositore austriaco, figlio di Leopold Mozart non che suo discepolo. All’età di sei anni poteva già esibirsi in pubblico con clavicembalo, violino o organo. Infatti viene ricordato dalla storia come un bambino prodigio.
Compose più di seicento opere solo nell’arco di tempo che va dalla giovinezza alla maturità, e fu scelto come compositore di corte da molte famiglie aristocratiche, persino dall’imperatore Giuseppe secondo che a quel tempo governava Vienna.
Il suo genio era conosciuto e famoso, ma purtroppo si spense in circostanze misteriose, povero e solo.
Una fine davvero ignobile per un musicista di tanta fama – conclusi.
Tutti e tre mi squadrarono ammirati, quasi gli avessi appena rivelato un segreto inconfessabile.
-         Non sarai un alieno, ma secondo me il tuo cervello funziona diversamente – disse Luca, aprendosi poi in un sorriso.
-         Già, non solo sei davvero figo, sei anche intelligente! – disse Matteo, un sorriso furbo sulle labbra.
-         Concordo – disse semplicemente Jacopo.
-         Fatela finita, ho solo letto una ricerca. Nient’altro – dissi appoggiandomi di nuovo al muro e prendendo lo spartito che avevano loro.
Stare così a contatto con le persone era strano per me che ero abituato ad allontanare tutti.
Mi stavo comportando come al solito, ma quei tre ragazzi sembravano abituati e rilassati con me vicino.
“Strano” pensai guardando gli accordi che avevano segnato sullo spartito.
Erano giusti, quindi supposi che i miei compagni fossero allievi di conservatorio, o che perlomeno sapessero suonare bene il piano.
Poi guardai Seira e la trovai a sorridere timidamente nella mia direzione.
Mi sentii strano, confuso.
Ora sorrideva?

Poi cambiò espressione, voltandosi verso le sue compagne di gruppo.
Lei si era ritrovata con le tre arpie che mi avevano infastidito mesi prima.
Seira sembrava turbata e anche lei ogni tanto mi guardava.
I suoi occhi però, non cambiavano espressione.
Mi dava quasi sui nervi che avesse paura di me.
Era una cosa assurda!
Decisi di non guardarla più, non volevo turbarla ulteriormente.
-         Ti piace proprio e? – disse Matteo sussurrandomelo nell’orecchio. Sobbalzai a quella domanda.
-         Ancora con questa storia? Te l’ho detto: le ragazze sono l’ultimo dei miei pensieri – dissi riprendendo la maschera di freddezza che portavo di solito.
-         Prova almeno a parlarci! Lei è una ragazza gentile e soprattutto è una ragazza amichevole – disse senza nessuna malizia. Lo guardai assorto, valutando la sincerità e l’innocenza del suo sguardo.
-         Sai … - riprese un po’ imbarazzato -  … una volta le ho chiesto di mettersi con me, le ho proposto di diventare la mia ragazza – io trasalii, lui arrossì.
-         Lei rifiutò, ma invece di troncare i rapporti con me, invece di dirmi in maniera brusca che non le interessavo, mi ha chiesto di rimanere amici. Lei è davvero una ragazza dal cuore d’oro.
Cerca di aiutare tutti, è sempre disponibile, ma è davvero complicata a volte! – disse divertito.
La descrizione di Seira fatta da lui, non era altro che la maschera di Seira. A volte non riuscivo a credere alla cecità degli occhi della gente. Eppure sentivo che Seira, nonostante fosse in realtà molto sola, fosse davvero così.
Lei aveva un cuore premuroso.
-         Complicata? – dissi, mi aveva incuriosito, dovevo ammetterlo.
-         Si, si fa un sacco di problemi se si tratta di ricevere attenzioni o aiuto dagli altri – lo guardai addolcendo lo sguardo, volevo continuasse. E lo fece.
-         Lei offre la sua gentilezza a tutti senza chiedere nulla in cambio. Ma poi quando gli altri aiutano lei … sembra si senta a disagio, intimorita. Matilde, la sua migliore amica, dice che è perché si sente troppo in debito o perché non sa come comportarsi in questi casi. Ma …
-         Ma? – quella forse, era la risposta agli strani comportamenti di Seira.
-         Secondo me ha solo paura di essere un peso per gli altri.
In fondo il suo carattere è molto strano, ma … profondo – disse soprapensiero. “Seira” pensai guardandola un ultima volta. Lei fissava il pavimento, e aveva un espressione sorpresa e timorosa nello stesso tempo.
-         Winter … fai amicizia anche con lei! – disse Matteo – forse così riuscirai a scioglierti – disse scherzando.
 
                                             
       *****
 
La campanella suonò, e quando la vidi sparire dietro l’angolo …
 
“- Ha solo paura di essere un peso per gli altri” ricordai ciò che mi aveva detto Matteo.
 
“Seira, è per questo che hai paura di me?” pensai, mentre sentivo una strana sensazione di calore al petto.
 
 
 
 
 

----------------------ANGOLO DELL’AUTRICE --------------------
 
Salve a tutti, come state?
Io benissimo solo per il fatto di sentirvi, e anche perché sono felice di essere riuscita ad aggiornare!!!
Con tutti gli impegni che ho in questi giorni è stato davvero un miracolo, perciò mi scuso per gli errorini, spero non gravi, che troverete.
Non sgridatemi troppo mi raccomando, io sono un tipino sensibile *o*
 
XD ok ok
 
Allora … in questo capitolo i nostri beniamini si sentono abbastanza confusi, ma avranno davvero capito qualcosa?
Boh, questo dovete scoprirlo voi.
In questo cap hanno parlato entrambi, visto che tutti e due si sono resi conto che qualcosa è cambiato.
 
Piccolo Spoiler: dopo una notte travagliata, il giorno seguente a scuola l’angelo e l’umana si incontreranno di nuovo a scuola e …
Si parleranno stavolta?
Spero di avervi incuriositi.
 
Ora è arrivato il momento degli amati ringraziamenti.
 
GRAZIE A :

 
ILGOTICOKANAME: Ti ringrazio tanto per i tuoi incoraggiamenti sempre preziosi. Continua a seguirmi allora XD. Con affetto!
JULIA28: Amore cara, anche se tu hai letto una trama simile, Sheid non è un angelo di Dio, è un angelo di Luna e poi le sorprese devono ancora arrivare. Comunque il tuo ragazzo è proprio carino. È il tuo PRIMO amore? XD!!! Che te ne pare di questo cap? grazie di cuore, baci!
YUUKIB: Cara amica vampira come va? Aggiustato il pc? Grazie di cuore per la per! È sempre un piacere sapere che il mio stile ti piace! Che ne pensi di questo? BACIO!
Ps: tu quando aggiorni?
 
DEILANTHA: Ciao sorellina! Le tue recensioni sono sempre un piacere da leggere. Come vedi metto spesso il punto di vista di Sheid e quello di Seira. Mi piace molto anche perché così voi lettori capite di più. XD un baciotto! Grazie !
MALVINE:  Ciao cara e benvenuta New friend! XD ti ringrazio tanto per i complimenti! Spero che questo cap ti sia piaciuto! Bacio!
DEREKKINA2: BENVENUTA! Grazie mille *A*  le tue parole mi hanno emozionata! Sono super felice che ti piaccia la mia storia!!! Cosa te ne pare di questo cap? baci.
LADY CATHERINE: ciao pasticcino mio, come stai? Volevo ringraziarti per la rec, e poi per aver consigliato la mia storia a qualcuno che non la seguiva! Un bacio speciale per te.
Sei una forzaaaaaaa! Baciotto.
Ps: fammi sapere e!
BOTAN: ti ho già detto che è un onore averti tra i recensori vero? Ti ringrazio davvero dal profondo del cuore per i complimenti e ti confesso che il fatto che la mia storia ti piaccia … mi fa sentire elettrizzata e più motivata. Spero continuerai a seguirmi e a recensire. Un bacio <3
DAN24: grazie per il sostegno amico mio! Mi sento proprio bene quando leggo le tue rec! XD
ANGY EMPTINESS: benvenuta anche a te! Grazie per i complimenti collega! Sono davvero felice che ti sia piaciuta! Bacio! :)
MADKIKKY: ciao cara! Come va ora? Ti ringrazio per la rec, mi fa davvero piacere! <3 bacetto!
 

 
E come sempre per ultimi ma non meno importanti … grazie a …
 

DEILANTHA, ANGEL_DREAMER_95,DAGUSIA123, DAN24, KIMBERLINA, MALVINE e YLEX98  che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEILANTHA, LADY CATHERINE ,DEBBYDARKNESS , FLY89 , JOSSI , MADKIKKY, ALAIRE 94, DAGUSIA 123, VAMPICULLEN,YUKARI HOSHINA, ZEROLOUISE,  ZOEY LA SOGNATRICE, TENNESSE, IF_YOU_BELIVE, ANGEL_DREAMER_95, YUKA_CHAN 86, WANNIAN, VANNY 3, FIOCCODINEVE, DEREKKINA2, ANGY EMPTINESS,;che mi hanno aggiunto tra le seguite.
ZOEY LA SOGNATRICE,  ILGOTICOKANAME, LADY CATHERINE, DAN 24 , BROKENARROW , YLEX98  che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_,JULIA 28,MAU 07, MADNESS QUEENche hanno ricordato la mia storia.
 

Saluto con grande affetto YUKARI HOSHINA e ZOEY LA SOGNATRICE.
Yukari: ciao cara, come va col computer? Spero che lo aggiusterai presto … le tue rec mi mancanoooo! (soprattutto la parte in cui esce il tuo lato da Shin Kudo).
Zoey: angioletto che fine hai fatto? Tutto ok? <3
 

Ringrazio tutti voi dal profondo del cuore.
Siete davvero grandiiiiiiii! XD
Spero che continuerete a seguirmi perché io ormai non posso fare più a meno di voi.
VI ADOROOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!
Vi raccomando recensite e fatemi sapere cosa ne pensate!
Un baciotto grande a tutti voi!
Dalla vostra …


Iloveworld.
 
<3
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Ciao a tutti amici lettori XD !
Questo capitolo lo dedico alla mia sorellina otaku.
Grazie ai suoi consigli sono riuscita ad avere una buona idea (forse, poi giudicherete voi) per questo nuovo capitolo!
Grazie di cuore Viviana – san!
Ti voglio tanto bene.
<3
 

 
 
 
 
 
 

SHEID:
 
 
Quando la campanella suonò, lei era già uscita ed era scomparsa come suo solito.
Chissà quali pensieri stavano solcando la sua mente, chissà quali preoccupazioni l’opprimevano.
 
Ed era tutta colpa mia.
 
Nonostante avessi cercato di trattarla con riguardo, nonostante avessi cercato di rispettare la promessa che le avevo fatto, ero solo riuscito a farla sentire ancora più sola.
 
Stavolta avevo sbagliato comportamento senza neanche accorgermene.
Avevo permesso alla mia freddezza di annebbiare il mio obbiettivo, avevo permesso al mio senso di dovere di allontanarmi da lei.
 
Però avrei rimediato al mio errore involontario.
 
Io volevo proteggerla da me stesso, io volevo che la sua vita rimanesse normale, senza interferenze da parte mia, e invece non avevo capito, che per lei, la notte di luna piena era stata il cambiamento vero e proprio.
 
Me compreso.
 
Perciò ora, visto che io ero l’unico ad avere le risposte alle domande che probabilmente le assillavano la mente, dovevo starle vicino, tenendo a bada la mia freddezza.
 
-        Winter, allora per domani siamo d’accordo? – disse Matteo scostandomi da quei pensieri.
-        Certo – dissi, mentre cominciavo a dirigermi verso l’uscita di quell’aula.
-        Winter … - Matteo mi mise una mano sulla spalla per fermarmi, i suoi occhi scuri e fieri su di me  - prendi in considerazione quello che ti ho detto su Seira. Se ci tieni … prenditela! – disse deciso, sicuro. “Magari fosse così facile” pensai.
Matteo, Luca e Jacopo non sapevano chi ero io in realtà.
Loro, non l’avrebbero mai saputo.
 
-        A domani - dissi soltanto, dirigendomi verso il parco dove sapevo l’avrei trovata. “Seira”, ormai per me era normale pensare il suo nome, era come un richiamo che mi permetteva di rintracciarla.
 
La trovai seduta sotto lo stesso albero di sempre, nella stessa posizione raggomitolata.
 
Stavolta però non leggeva, non aveva preso nessun libro tra le mani.
Aveva appoggiato la testa al tronco e aveva proteso il viso verso i rami più alti della quercia.
 
La luce che filtrava dalle foglie dell’albero creava dei ghirigori particolari sulla sua pelle vellutata, e i giochi di luce che si alternavano le davano un’aura surreale.
 
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
 
Aveva un’espressione impensierita e preoccupata.
 
Poi …
 
-        Sheid – sussurrò piano. Da quella distanza ero riuscito comunque a sentirla. Aveva sussurrato il mio nome e uno strano brivido mi aveva percorso la schiena in quel momento.
 
Come immaginavo ero io la ragione della sua preoccupazione.
Mettendomi nei suoi panni, dopo ciò che mi aveva rivelato Matteo …
Mi passai una mano tra i capelli.
Che sciocco ero stato.
Seguendola e sorvegliandola avevo capito molto di lei e della solitudine che si portava nel cuore, ma non avevo capito i suoi sentimenti, non avevo intuito i suoi pensieri e le sue preoccupazioni.
 
“Stupido!” mi rimproverai da solo “avrà sicuramente pensato che volevo allontanarla!”.
 
Ripensai al saluto freddo che le avevo rivolto quella mattina, ricordai i suoi sguardi sorpresi e quasi offesi dalla mia stupida non curanza.
 
Il mio tentativo di lasciarla tranquilla, il mio modo di proteggerla standole il più lontano possibile per non turbarla, era sfociato in un grosso, grossissimo malinteso.
 
La mia intenzione non era certo quella di farla sentire sola e indifesa.
La guardai più intensamente, le guardai il viso preoccupato.
Una lacrima le rigò il volto marmoreo e delicato.
 
“Seira …” volevo dirle che si era sbagliata, volevo andare da lei e farle vedere che non ero restio a starle vicino.
Ma di sicuro si sarebbe sentita spiata, in quel momento più che mai.
Le lacrime erano fonte di liberazione, nonostante fossero il segno evidente di un dolore.
Erano una riflessione silenziosa, una preghiera timida, e avevano spesso il merito di liberare il cuore.
 
Per quanto volessi consolarla – e la cosa mi lasciò perplesso non poco – decisi di restarle accanto vegliando su di lei.
 
Mi sedetti nella sua stessa posizione, e mi appoggiai all’albero dietro di me.
 
 
 
 
                                                 ******
 
Erano passati orami tre giorni dall’attacco del primo demone.
 
All’inizio della missione ero più tranquillo, visto che dopo due mesi a sorvegliarla non era apparso ancora nessuno di quegli sgorbi.
Ma ora, dopo il prima attacco, era strano da parte di Anul non attaccare assiduamente.
In passato, usava strategie ingegnose e spesso crudeli per annientare il prima possibile un angelo protettore, e di conseguenza il cristallo della rispettiva principessa.
Mandava i suoi demoni uno alla volta, per mettere alla prova i nervi dell’angelo, poi cominciava ad attaccare più assiduamente, fino al punto da non lasciare al protettore il tempo di riprendersi dai combattimenti.
 
Poi arrivava la battaglia finale.
 
Più demoni da sconfiggere, tutti in una volta.
 
L’angelo, sfinito dalla stanchezza, dalla tensione e dalle ferite fresche non rimarginate, finiva per avere la peggio.
Di conseguenza anche la sua principessa andava incontro ad un destino funesto.
 
“Anul, cosa aspetti ad attaccare?” pensai dirigendomi verso scuola.
Dopo un’altra notte insonne, passata a vegliare Seira, avevo deciso.
 
Quella mattina l’avrei cercata e le avrei parlato.
Le avrei spiegato la situazione, le avrei detto che si poteva fidare di me, le avrei dato il mio appoggio.
 
-        Ehi Winter! – all’entrata della scuola c’era Matteo, che con la solita aria da duro mi guardava con occhi furbi.
Con la giacca totalmente aperta e un sorriso beffardo stampato in faccia, mi dava il buongiorno.
Mi studiavano e avevano tutta l’aria di essere impaziente.
-        Buongiorno – dissi, cercando di non sembrare freddo.
-        È il gran giorno Winter! Oggi faremo a pezzi quegli idioti in blu. E tutto grazie a te – disse facendomi l’occhiolino.
-        Se lo dici tu … - dissi disinvolto e con aria annoiata.
-        A proposito … -  facendo cenno a Luca e Jacopo, che stavano parlando non molto lontano da noi, intimò loro di raggiungerlo.
I due ragazzi, molto più ordinati nel vestire di lui, ci vennero in contro.
Appena si accorsero di me sorrisero e Luca mi porse una busta contenente qualcosa.
Gli occhi dei tre ragazzi erano su di me, e io non potei fare altro che aprire la busta.
Come mi aspettavo conteneva la divisa rossa che avrei dovuto indossare alla quinta ora, il giorno stesso.
-        Bene, ora che hai anche la la divisa … - cominciò Jacopo grattandosi la testa quasi calva – non ti resta che aspettare la quinta ora! – concluse Luca mettendosi le mani nelle tasche della giacca.
-        Va bene – dissi seccato.
Loro risero come se niente fosse.
“  Non sei poi così pericoloso come dicono!” ricordai le parole che mi avevano rivolto ieri. A loro non facevo paura, quei tre strani e appiccicosi ragazzi avevano capito come aggirare la mia freddezza.
Sorrisi internamente della sorpresa che provavo.
-        A dopo – dissi con tono più leggero.
-        Si, a dopo – disse Matteo mettendo due dita all’altezza della fronte a mo’ di saluto.
 
 
 
                                       *****
 
 
Gli sguardi di Seira furono strani per tutta la mattina.
Lo leggevo nei suoi occhi che qualcosa era cambiato, ma non riuscivo a capire cosa.
Sembrava sempre sul punto di venire da me, ma poi rimaneva bloccata sul posto.
 
Io avevo cercato di addolcire la mia espressione quando i nostri occhi si incontravano, e il risultato era una Seira imbarazzata, che repentinamente arrossiva e abbassava lo sguardo.
 
Poi finalmente arrivò la quinta ora.







 
 

SEIRA:
 
 
Dopo le lezioni andai nel parco, senza voltarmi indietro e senza guardarlo.
 
Mi sedetti sotto il solito albero, ma non per leggere stavolta.
 
Sentivo il cuore stretto in una morsa dolorosa, e allo stesso tempo un tepore innaturale mi era salito nel petto inondando la mia mente di confusione e attesa.
 
Perché solo lui riusciva a creare in me quell’effetto devastante quanto unico?
 
Perché, dopo quella notte di luna piena ,la sua presenza era diventata un bisogno?
 
Perché mi sentivo così indifesa, così confusa, così disorientata, così … sola?
 
Non poteva essere affetto, né tanto meno amore.
 
Sicuramente qualcosa era, visto che non mi sentivo più la stessa, ma non sapevo esattamente cosa.
 
Lui non mi aveva del tutto ignorata, infatti i suoi sguardi strani mi avevano accompagnato per tutta la mattinata, ma era stato … freddo, distaccato, lontano.
 
Quel pensiero intensificò il dolore al petto.
 
 
Perché mi faceva male pensare alla sua freddezza, perché provavo dolore solo pensandolo?
 
Possibile che fosse affetto?
No, era troppo presto, troppo azzardato, troppo poco vissuto, per essere affetto.
 
Confusa e impaurita da quei nuovi sentimenti che nascevano lenti e insidiosi dentro di me …
 
-        Sheid – sussurrai, lasciando scorrere il mio dolore in lacrime silenziose e timide, impetuose e liberatorie.
 
Cosa era successo in quella strana notte di così importante da farmi sentire così diversa?
 
Qualsiasi cosa fosse accaduto, ne ero certa, Sheid c’era dentro insieme a me.
 
La confusione cha avevo in testa poteva togliermela solo lui.
 
Soltanto lui poteva liberarmi dall’insicurezza e dalla paura.
 
Allora decisi: il giorno dopo sarei andata a parlargli.
 
                                                ****
 
-        Mamma! Ti ho detto che è tutto ok, stai tranquilla! – dissi, cercando di dare alla mia voce il tono spensierato di sempre.
-        Sei sicura tesoro? Ti sento un po’ giù! – rispose lei con voce dolce al telefono.
-        È tutto ok! Solo, che qui fa un caldo! – mi lamentai nella cornetta dell’apparecchio telefonico, cercando di sviare il discorso sul tempo.
-        A si? Qui piove! Infatti abbiamo dovuto spostare il servizio fotografico a domani – si, mia madre era nel campo della moda, organizzatrice impeccabile di servizi fotografici, cene di lavoro tra compagnie di alta moda e video pubblicitari.
Affiancata perennemente da mio padre, suo manager non che fotografo di fiducia.
Viaggiavano sempre a causa del loro lavoro, ed era per questo motivo che non li vedevo mai.
-        Mi dispiace per il tuo servizio fotografico! … Papà sta bene? – domandai, ormai eravamo fuori dal discorso “come te la passi Seira?”, perciò ero più rilassata.
-        Si, vuoi che te lo passi? – disse amabile lei.
-        Va bene, spero che non sia impegnato ora! – dissi, di solito con mio padre parlare era più difficile, perché le sue domande erano più invasive di quelle della mamma.
-        Allora ti raccomando tesoro, stai attenta, mangia, e chiudi la porta a chiave quando fa buio ok? – disse lei, premurosa come sempre.
-        Sta’ tranquilla mamma, lo faccio sempre! – dissi con voce sicura e dolce allo stesso tempo. Poi sentii lo scambio di mano che fecero e ...
-        Ehi piccola? Come stai? – mio padre cominciò il terzo grado.
-        Benissimo papà. E tu? – dissi, cercando di attaccare per prima.
-        Stupendamente, ma … mi manchi tanto sai?
-        Anche voi mi mancate! – dissi sincera, ma cercando di non dare troppa enfasi alle mie parole. Nonostante fossero lontani per lavoro, sapevo che loro erano preoccupati per me, e che a un mio minimo cedimento e desiderio di compagnia, sarebbero tornati a casa, mandando all’aria un intero tour.
Io, nonostante a volte sentissi moltissimo la loro mancanza, cercavo di farmi vedere forte. Loro non dovevano preoccuparsi, non dovevano sentirsi in colpa per me.
Quando i miei genitori biologici morirono, zia Mary e zio Leonard mi presero con loro.
A quel tempo avevo solo otto anni, perciò avevo bisogno di loro, del loro affetto della loro presenza.
Ma li vedevo soffrire lontani dalla loro vocazione, dalla loro passione, così, visto che io non potevo cambiare scuola ogni due mesi, visto che loro dovevano viaggiare per lavorare … decisi di essere forte e assicurai loro che me la sarei cavata benissimo da sola.
Zia Mary, la sorella di mia madre, era sempre stata una persona dolce e premurosa, e spesso mi ricordava la mia mamma biologica. I capelli castani e lisci raccolti in una crocchia intrecciata da nastri colorati, gli occhi verdi profondi e sinceri, e la pelle bianca come il latte.
Dai suoi lineamenti si capiva il suo carattere posato e mai brusco, ma forte e capace di sorreggere se stessa e gli altri con dedizione e amore.
Zio Leo era quel tipo di persona di cui potevi fidarti da subito.
Per questo era molto simile al mio papà, con la differenza dell’aspetto e del carattere.
Lo zio infatti, aveva i capelli biondi e lunghi, gli occhi di un marrone cioccolato rassicurante, e la pelle olivastra.
Era un bell’uomo, affabile, onesto, serio, ma un bell’uomo.
Mio padre biologico invece, sembrava un principe delle favole. Capelli corvini e lucenti, occhi azzurri, corporatura elegante e mascolina, ma allo stesso tempo delicata.
Ricordo ancora il luccichio negli occhi della mia mamma quando lo guardava giocare con me …
-        Tesoro, allora … - disse mio padre adottivo cercando di assumere un’aria più leggera e scostandomi da quei ricordi lontani e un po’ offuscati dal tempo trascorso - … raccontami di te. La scuola sta per finire no?
-        Si, papà. Ormai manca poco, qualche settimana – dissi con voce serena.
-        Bene, comunque … Torneremo in città questo weekend per vederti, ma stavolta non possiamo trattenerci a lungo.
-        Capisco. Allora tornate domenica?! – avrei potuto rivederli e ciò mi dava gioia.
-        Si, ma resteremo solo un giorno, perciò partiremo domenica sera stessa. Mi dispiace – disse con voce turbata.
-        Ehi papà … non preoccuparti. Ora che arriva l’estate sarò sempre impegnata tra uscite con gli amici, il mare e … - volevo dire Sheid Winter, ma  mi bloccai – e tutti i nuovi gusti di gelato da provare! – mi salvai appena in tempo.
-        Si, si capisco. Hai fatto nuove conoscenze in questo periodo?
-        Qualcuna – dissi. “Ma come fa a leggermi nel pensiero?” pensai dubbiosa, e preoccupata che si fosse accorto di qualcosa.
-        Bene … - sentii dei rumori nella cornetta del telefono, e qualcuno che chiamava i miei genitori dicendo loro di muoversi.
-        Dovete andare vero? – dissi comprensiva.
-        Si purtroppo. Allora … ci vediamo domenica? Ok?
-        Va bene, non vedo l’ora di vedervi.
-        Ti adoriamo tesoro! – gridò la mamma, ed io riuscii a sentirla.
-        Ti voglio bene piccola mia! – disse mio padre.
-        Anche io - risposi, ma loro  avevano già riattaccato.
 
                                   *******
 
Nemmeno quella notte era stata facile.
Avevo provato a chiudere gli occhi, avevo provato a ricordare il suo volto d’angelo che mi scrutava con riguardo.
Ma poi mi venivano in mente gli occhi del ragazzo: sfuggenti e distaccati, come i suoi comportamenti.
Ancora poche ore e avrei potuto parlargli, dirli che doveva rispondere alle mie domande, e spiegargli quanto confusa fossi.
Ma sarei riuscita a dirgli queste parole?
No.
Infatti, il giorno seguente, dopo essere arrivata a scuola accompagnata dall’ansia dell’ignoto, ogni volta che i nostri occhi si incontravano, mi bloccavo sul posto, non riuscendo ad andare da lui, né a parlagli.
Però … i suoi occhi erano diversi rispetto al giorno precedente.
Erano meno freddi, erano meno distanti, come se la sua espressione si fosse addolcita.
Stavo impazzendo o lui mi guardava con dolcezza?
Mi guardava con comprensione?
Possibile?
La stretta al petto, misteriosa e fastidiosa, continuava a farmi sentire dubbiosa e nello stesso tempo … fragile.
Odiavo esserlo. Odiavo non poter tenere le cose sottocontrollo, odiavo non saper gestire i miei sentimenti e odiavo sentirmi così confusa.
Nonostante avessi visto crollare le mie convinzioni in una notte, in quel momento non avevo avuto paura perché lui, i suoi occhi, il suo viso, le sue ali … mi avevano fatto capire che la realtà era più bella e bizzarra di quella grigia e monotona a cui ero abituata io.
Ma …
Come faceva una persona ad avere tante personalità?
Prima ti salvava la vita, poi ti guardava con freddezza e poi con … dolcezza?
Feci fatica a pensare quella parola.
Sheid poteva apparire attraente, misterioso, tetro, freddo e bellissimo.
Lui non era dolce.
Non poteva esserlo, oppure …
Si, stavo impazzendo; d’altronde cosa ci si può aspettare da una che era stata quasi uccisa da un demone ed era stata salvata da un angelo?
-        Seira? – Matilde mi chiamò con voce strana. Mi voltai verso di lei e la guardai. Aveva l’aria preoccupata e interdetta.
Persa così nei miei pensieri, non mi ero quasi accorta di essere arrivati ormai alla fine della quarta ora, e non mi ero neanche accorta di Matilde.
-        Cosa? – dissi, sentendomi in colpa per averla ignorata per tutto quel tempo.
-        C’è qualcosa che non va? Sei arrabbiata con me? – sembrava molto dispiaciuta. Aveva messo il broncio come una bambina e la sua faccia sembrava così buffa! “Povera la mia amica Mati” pensai davvero dispiaciuta.
-        Certo che no! Sono solo un po’ pensierosa – dissi sincera.
In quel momento la campanella suonò. E nella classe si diffuse un brusio familiare. Alla prossima ora saremmo andati in palestra, e ci saremmo trovati – come raramente accadeva – a giocare contro un’altra classe.
In quel momento un lampo mi trapasso la mente, e mi venne in mente che Sheid Winter sarebbe stato nella stessa palestra e che quindi, avrei trovato il momento giusto per parlargli, visto che lui, come avevo sentito dire in giro, giocava raramente.
Io e Mati ci dirigemmo verso gli spogliatoi, dove ci cambiammo la divisa con una tuta. Pantaloncini rossi e maglia bianca.
-        Senti Seira … - disse lei, sembrava incerta, ma poi parlò – se c’è qualche cosa di cui vuoi parlare, se hai il desiderio di sfogarti con me … fallo! – disse, l’aria preoccupata le adombrava lo sguardo.
-        Grazie Mati – dissi sinceramente grata – ma … non è niente, davvero! È solo il caldo! – dissi, cercando di camuffare l’ansia – comunque … tu giochi? – le domandai per cambiare discorso.
-        Io, credo di si. E tu? – ormai l’argomento precedente era chiuso. “Menomale!”, pensai allacciandomi le scarpe da ginnastica.
-        Non so – risposi soltanto. Non ero molto brava a pallavolo, ma non ero nemmeno scarsa. La mia specialità erano le battute ad effetto, quelle effettuate tramite una schiacciata e non quelle normali e usuali che consigliava il prof.
-        Comunque devi giocare per forza! – intimò Mati alzando lo sguardo – Sara oggi è assente, e quindi siamo in minoranza.
Poi c’è la questione di Irene, che è abbonata alla panchina, e quindi ci serve … ci servi tu. Ti prego! – disse implorante.
Ero stata talmente distratta quel giorno, da non rendermi neanche conto dell’assenza di Sara.
Cominciavo ad essere davvero preoccupata dell’effetto strano che mi faceva quell’angelo – ragazzo corressi.
E Irene … si lei era entrata in squadra solo per vedere Sedrik Alabiso, che giocava come capitano dei “blu”, e la sua paura  di rompersi un’unghia, era forse pari alla paura che avevo io dei demoni.
-        Va bene , allora giocherò anche io – dissi sorridendo falsamente. Le dovevo un favore dopo averla ignorata per tutto il giorno a causa di pensieri poco normali e sensazioni molto confuse e nuove.
-        Che bello! Grazie Seira!!! – disse ricca di entusiasmo e abbracciandomi.
Era il minimo che potessi fare, tanto avrei avuto comunque modo di parlare con Sheid quel giorno.
 
                                 ******
 
Uscimmo dallo spogliatoio, e ci dirigemmo verso la palestra percorrendo i corridori affollati dell’istituto.
Mentre camminavamo, legai i capelli in una coda di cavallo.
Di solito li lasciavo sciolti ma visto  che avrei dovuto giocare …
Entrammo in palestra e la prima cosa che notai fu che lui era seduto in panchina, ma stranamente aveva la divisa rossa della squadra maschile.
“Gioca?” pensai sorpresa.
Intanto Matilde mi tirò per un braccio e mi ritrovai al centro del campo.
Il prof Pisani ci diede il buongiorno e poi diede inizio alla partita con un sibilo secco del suo fischietto.
 
Stranamente ci ritrovammo Irene in campo, che, a detta sua, rimpiazzava la povera Laura, asso nella difensiva, che proprio quel giorno aveva il ciclo.
Sicuramente non era quello il vero motivo della sua entrata teatrale in campo, visto che Sedrik, “il suo amato Sedrik” la salutava con aria abbacinata dalla panchina avversaria, dove i ragazzi aspettavano il loro turno.
Alzai gli occhi al cielo, poi guardai verso la nostra panchina, e lo vidi.
Gli occhi ametista su di me, stranamente amichevoli e non vitrei come di solito erano.
In tenuta da sport era ancora più … attraente.
I muscoli ben in vista, la corporatura ben proporzionata eppure nello stesso tempo quel senso di eleganza e delicatezza gli dava un aria angelica.
Emanava un’aura soprannaturale anche stando seduto a non fare nulla.
Era solo una mia impressione?
Ormai ero soggiogata da lui così tanto da immaginarmi qualcosa che in realtà non c’era?
Oppure lui era davvero così inaspettatamente ... attraente?
Arrossii di colpo pensando quella parola.
-        Seira, batti tu … ok? – Matilde  e le altre mi guardavano con orgoglio, dandomi la loro fiducia e il loro appoggio.
Io annuii.
Poi presi la palla e la “battaglia” iniziò.
Le mie battute spiazzarono le nostre avversarie per ben sei volte, lasciandoci in netto vantaggio, ma poi la più alte delle “blu”, riuscì a prendere la palla e a fare punto, lanciando il pallone nel nostro campo, con maestria e velocità.
Sospirai.
Poi cambiai posizione, e mi ritrovai accanto ad Irene.
-        Sei stata brava certo, però potevi concentrarti di più! – disse lei con aria di superiorità.
Non l’ascoltai nemmeno, e mi rifiutai di risponderle.
“La prossima volta perché non batti tu?” avrei voluto dirle, ma mi concentrai sul gioco, certa che ogni mia reazione avrebbe peggiorato le cose, e che sarebbe stata totalmente vana.
Le avversarie cominciarono ad attaccare, e ogni volta che la palla arrivava vicino ad Irene, lei si scansava con stizza, quasi fosse infastidita.
Le avversarie se ne accorsero, e così cominciarono a bombardarla.
Ogni volta che potevo l’aiutavo io, parandomi davanti a lei, e salvando le sue unghie e i nostri punti che stavano scemando.
Ormai a noi mancavano due punti per aggiudicarci il primo mach, quando …
La palla arrivò di nuovo su Irene che invece di farsi “difendere” da me, mi scansò bruscamente, spingendomi, e nel farlo, una delle sue chilometriche unghie, mi graffiò la guancia sinistra.
Caddi a terra malamente, e sentii lo stridio del fischietto del prof.
-        Tutto bene, Shift? – domando il professor Pisani aiutandomi ad alzarmi da terra.
Si, stavo bene, ma la mia guancia sanguinava un po’.
-        Bruni! Entra tu! – disse il prof a Laura, che trepidante e euforica corse verso di noi.
-        Seira è tutto ok vero? – si vedeva dalla faccia che voleva entrare.
-        Si, tu ce la farai? – dissi, capendo che Laura era rimasta in panchina solo per accontentare la preghiera di Irene di mettersi in mostra per una volta.
-        Certo! – disse lei facendomi l’occhiolino.
Poi raggiunse le altre e io guardai Irene che con aria da falsa innocente mi mimava uno “scusa!”.
Ormai ero fuori gioco.
“Meglio così pensai, ora sei mio!” dissi puntando lo sguardo verso Sheid che mi guardava con aria preoccupata.
 
 
                                             ******
 
Mi ero seduta nel posto libero accanto al suo, mi ero seduta accanto a Sheid, ma nello stesso momento in cui avevo percepito la sua vicinanza, una sensazione di sicurezza e protezione ma anche di imbarazzo, soggezione e timore, mi pervase, e non riuscì né a proferire parola, né a muovermi, rimanendo rigida in un posizione innaturale.
Fissavo la partita senza vederla, pensando alla possibilità che lui si decidesse a parlarmi oppure no, e poi sentii i suoi occhi magnetici su di me.
Mi voltai lentamente e con cautela verso di lui.
I nostri occhi in quell’istante si incontrarono, e i suoi mi legarono in una morsa senza uscita.
Raccolsi tutte le forze che avevo in corpo per non arrossire, per non urlare dalla frustrazione, per non scappare ancora.
Poi mi costrinsi a dire il suo nome.
-        Sheid …
-        Seira …
Parlammo entrambi nello stesso identico momento, sovrastando l’uno il nome dell’altra.
La cosa sorprese entrambi: io arrossii, e lui corrugò le sopracciglia sottili.
-        Si? – ancora parlammo all’unisono. Stavolta io trovai la cosa piuttosto buffa, e mi lasciai sfuggire un flebile sorriso.
Anche l’espressione di Sheid era ironica, sembrava divertito.
-        Seira … - disse lui, guardandomi intensamente – vuoi che ti accompagni in infermeria? – era cortese, con il tono di voce gentile e pacato che aveva avuto anche la notte di luna piena. Finalmente mi rivolgeva la parola dopo giorni di silenzi e di sguardi illeggibili e muti.
-         Hai deciso di rivolgermi la parola? – dissi con una punta di amaro nella voce, ma la mia era solo sorpresa mista ad una inspiegabile felicità.
I suoi occhi parvero ponderare la situazione e quindi la sua risposta.
-        Anche tu, Seira – disse, facendomi notare la cosa a cui avevo dato poco peso.
Si, era vero, lui mi aveva ignorata e mi era stato lontano, ma io … io pensandoci, avevo fatto la stessa cosa.
Avevo dato per scontato qualcosa che non era scontato affatto.
Forse lui aveva pensato che io non avessi voluto parlargli, che avessi voluto allontanarlo, come io avevo pensato di lui.
Nessuno aveva stabilito che dovesse essere lui ad avvicinarmi.
Mi ero lasciata ingannare da me stessa, e dallo stupido timore dei suoi occhi di ghiaccio.
-        Mi dispiace – dissi sincera, ed entrando ancora una volta nell’imbarazzo più totale.
-        Anche a me – disse lui, la sua voce bassa e profonda, i suoi occhi pensierosi.
Era così … “Seira!” mi ripetei da sola come una matta “non azzardarti ad apprezzare le grazie di questo ragazzo! Lui non può piacerti in quel senso, lui è solo … tu per lui sei solo … “ bloccai i miei stessi pensieri, quando la consapevolezza che la persona, o meglio l’angelo coraggioso che mi aveva protetto, in quel momento fosse seduto proprio accanto a me, riportò a galla le nuove sensazioni che mi annebbiavano la mente quando questa non era abbacinata da Sheid Winter.
-        Sheid …  - dissi cauta, senza guardarlo – posso parlarti? – sentii i suoi occhi che si posavano di nuovo su di me.
-        Voglio che tu risponda alle mie domande, … se vuoi – aggiunsi timida. Dovevo sforzarmi di parlare, dovevo essere coraggiosa.
-        Un terzo grado, Seira? – disse quasi divertito, anche se tradiva una certa tensione.
-        Si – risposi a mezza voce, lui era l’unico che poteva togliermi i dubbi che probabilmente erano la causa di quel fastidioso male al petto – vorrei chiederti alcune cose – conclusi.
-        Non è un problema per me – disse rilassato, si mise una mano tra quei capelli lucenti e scompigliati che poi ricaddero sulla sua fronte con un movimento lento ma seducente.
Poi si avvicinò di più al mio viso e mi sussurrò piano …
-        Però sarebbe meglio scegliere un luogo meno affollato – la sua voce per quanto bassa e soffiata, mi fece rabbrividire.
Io annuii, ma avevo una strana espressione interrogativa sul volto, che si riferiva ancora una volta, al perché solo lui mi facesse sentire così confusa e strana.
-        Non vorrai farmi delle domande sugli angeli proprio qui, dove anche la polvere ci sta osservando, e spiattellare così il segreto che hai promesso di mantenere – disse a mo’ di sfida, fingendo una falsa sorpresa nella voce.
Mi guardai intorno e … in effetti eravamo trafitti da tantissimi sguardi, che indiscreti e curiosi, osservavano ogni nostro movimento.
Solo le giocatrici che erano in campo e di cui mi ero completamente dimenticata, non ci osservavano.
-        Hai ragione - dissi, scostandomi un po’ da lui, sotto gli sguardi colmi di invidia e sorpresa di Alexis e Giorgia che erano in palestra solo per guardare la partita.
-        Allora … dove? – domandai priva di idee.
-        Mm … che ne dici di tornare a casa insieme? – disse lui, pacato come al solito.
Si, la via di ritorno era uguale in fondo.
-        Per … per me va bene – dissi arrossendo per la milionesima volta. Pensavo già a come sarebbe stato camminargli al fianco.
-        Perfetto – disse lui con voce suadente – allora aspettami al cancello principale. Non ci metterò molto, ma devo cambiarmi dopo la partita – disse, e stranamente assunse un’ espressione rassegnata.
Partita? Ripensai a tutte le volte in cui eravamo capitati in palestra alla stessa ora e ricordai che lui giocava raramente, passando la maggior parte del tempo a testa china appoggiato al muro.
Mi ci volle qualche secondo per rivolgergli quella domanda.
-        Tu … giochi? – ero davvero sorpresa.
Lui annuì con un espressione seccata e con un sospiro.
Poi vidi avvicinarsi a noi Matteo Severi, un amico speciale per quanto particolare.
Ricordo ancora la sua proposta di “fidanzamento”.
 
“-      Seira, sai bene che io non me la cavo per niente con le parole – mi aveva detto prendendomi in disparte.
-         Cosa? – io ero ignara di tutto, sicura che lui volesse solo chiedermi un favore o volesse intimidirmi con la sua solita aria da duro incompreso.
-        Perciò andrò subito al punto – mi trafisse con gli occhi trasparenti e sinceri che aveva sempre.
Schietto, sicuro, duro e sincero: Matteo.
-        Matteo …
-        Seira … mi piaci. Tanto – in quel momento abbassò lo sguardo, e sembrò essere davvero imbarazzato. Poi si passò una mano tra i capelli a spazzola e sorrise – vuoi, vuoi diventare la mia … ragazza? – l’ultima parola strascicata e sussurrata, un leggero rossore sulle guance di solito marmoree e distese in un espressione truce.
-        Matteo … - io sorrisi dolcemente, e cercai di spiegargli che nella mia vita avevo mostrato così a lungo la mia faccia spensierata e falsa che ormai non sapevo nemmeno se stessi mentendo a me stessa quando sorridevo o no, e che perciò il mio tasso di sincerità e affezione sarebbe stato precario e assolutamente fuori controllo, con una me stessa impossibilitata a lasciarsi andare.
E poi la cosa più importante: non ero assolutamente interessata ai ragazzi, non ero pronta per una relazione e mi trovavo totalmente a disagio per quella richiesta inaspettata.
Come potevo fare per non ferirlo?
-        … ti sono davvero grata per la tua sincerità, ma …
-        Non ti piaccio! – concluse lui rassegnato, ma sembrava comprensivo.
-        No! O meglio, non in quel senso! Io … ti stimo come persona! – biascicai, pentendomene subito. Come potevo aver sparato quella frase imbecille? Lui di sicuro mi aveva preso per una gallina senza cervello e con zero inventiva.
-        Seira …
-        Scusami tanto – lo interruppi, dispiaciuta – è solo, che preferirei, … preferirei che tu ed io fossimo buoni amici –
La pura verità, ecco.
Almeno non avrei avuto rimpianti.
-        Seira … - ripeté lui, sorrise dolcemente, sorrise come non aveva mai fatto – ti ringrazio – disse, poi si voltò e se ne andò.
“Cosa?” pensai, ma poi capii che lui la pensava come me.”
 
 
-        Ciao Seira! Complimenti per la partita: avete vinto! – disse euforico. “Menomale!”pensai sollevata. Sapevo che una eventuale perdita avrebbe mandato in tilt Matilde, che mi avrebbe assillato per giorni e giorni.
-        Bene! – dissi soltanto.
-        Winter, è il momento – con voce tesa ma anche fiera guardò Sheid.
-        A dopo – mi disse quest’ultimo alzandosi con slancio e andando in campo.
-        In bocca al lupo ragazzi! – li salutai entrambi.
 
La partita iniziò e ciò a cui assistetti fu davvero unico.
 
 
 
 
 

---------------------ANGOLO DELL’AUTRICE---------------------------
 
SALVE A TUTTI!
In primis vi chiedo perdono per la fine inaccettabile di questo cap. e per gli errorini consueti in cui incappo senza poterci fare nulla (la mia testa non funziona normalmente =.=)
Lo so , di solito faccio i finali più d’effetto, ma stavolta era davvero troppo lungo e così …
 
Ma non preoccupatevi, nel prossimo metterò tutto il mio impegno per sbalordirvi.
 
Ora, visto che la scuola sta per iniziare e mi aspetta un anno davvero duro, ho deciso di mettere un calendario per gli aggiornamenti.
 
Aggiornerò ogni mese, l’ultimo giorno.
Sulla mia pagina lo metterò per iscritto, (se riesco a far ragionare l’html di EFP XD)! E se sarà necessario anche sul forum aprirò una pagina di dialogo.
 
L’unica cosa che vi chiedo è : PLEASE ! NON ABBANDONATEMI! E CONTINUATE A RECENSIREEEEEE!
Il capitolo 6 aveva ricevuto 12 rec, il 7 … 10, perché Fly 89 è molto impegnata ( la saluto con affetto: Amorina, ti aspetto con ansia! <3) e Yukari Hoshina ha problemi col computer ( Amorina, mi manchi tanto!!!), perciò, adesso comincio ad avere una seria paura di perdervi.
 
Vi adoro, perciò vi prego di non abbandonarmi.
 
Ora, come sempre ….
 
I miei adoratissimi e dovuti ringraziamenti:
 
GRAZIE A …

 
DEILANTHA: ehi sister! Grazie per il tuo costante sostegno.
Spero che questo cap ti sia piaciuto!!! Tvb <3
 
ANGEL_DREAMER_95: sono contenta che questo cap ti sia piaciuto, spero che continuerai a seguirmi e a dirmi cosa ne pensi! <3
 
ILGOTICOKANAME: tranquillo, mi piacciono tutte le pietre preziose! XD grazie per la rec!
 
ANGY EMPTINESS: GRAZIE! Sono proprio contenta cara!
Continua a seguirmi e a recensire <3
 
DEREKKINA2: eccoti servita cara! Grazie per le tue dolci recensioni!
XD cosa ne pensi adesso? <3
 
DAN 24: ti ringrazio per la rec e anche perché mi hai segnalato tra le scelte.
Speriamo bene amico mio! <3
 
JULIA28: EHI!  Spero che la tua testa abbia smesso di girare!
Cosa ne pensi di questo amorina? <3
(saluti a Ciel!)
 
LADY CATHERINE: pasticcino! Grazie per i tuoi complimenti, sei sempre troppo buona! <3
 
YUUKI B: AUGURONI PER IL TUO COMPLEANNO!  Volevo aggiornare proprio l’otto per farti gli auguri così, ma … non ce l’ho fatta! Gome Yuuki-chan. Baka Iloveworld!
Comunque grazie per la rec! <3
 
ZOEY LA SOGNATRICE: grazie per chè mi segui sempre!
Ti volglio tanto bene anche io! <3
 
 

 
 
VOLEVO RINGRAZIARE IN MANIERA STRAGRANDE DAN24 CHE MI HA SEGNALATO PER LE SCELTE.
SPERIAMO BENE RAGAZZI! XD




 
E come sempre per ultimi ma non meno importanti … grazie a …
 
DEILANTHA, ANGEL_DREAMER_95,DAGUSIA123, DAN24, KIMBERLINA, MALVINE , _XELIX_, AI_LINE  che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEILANTHA, LADY CATHERINE ,DEBBYDARKNESS , FLY89 , MADKIKKY, ALAIRE 94, DAGUSIA 123, VAMPICULLEN,YUKARI HOSHINA, YUUKI B, ZEROLOUISE,  ZOEY LA SOGNATRICE, TENNESSE, ANGEL_DREAMER_95, YUKA_CHAN 86, WANNIAN, VANNY 3, FIOCCODINEVE, DEREKKINA2, ANGY EMPTINESS, BREN_;che mi hanno aggiunto tra le seguite.
ZOEY LA SOGNATRICE,  ILGOTICOKANAME, LADY CATHERINE, DAN 24 , BROKENARROW , YLEX98  che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_,JULIA 28,MAU 07, MADNESS QUEENche hanno ricordato la mia storia.
 

BENE!
ALLORA VI RACCOMANDO RAGAZZI, ALLA FINE DI OGNI MESE, VI ARRIVERANNO I MIEI MESSAGGI COME AL SOLITO, MA VOI STATE ALLERTA E CONTINUATE A SEGUIRMI.
SENZA DI VOI IO SONO COMPLETAMENTE SOLA PERCHE’ IL VOSTRO APPOGGIO E’ LEGATO ALLA MIA ISPIRAZIONE.
 
VI ADOROOOOO.
 
Dalla vostra …
-        Aspetta, non essere precipitosa! (Sheid) è.é
-        Che cosa vuoi, non dovevi giocare una partita? (Iloveworld) 
-        Non hai fatto lo spoiler, piccola smemorata   -.-
-        O.o come mi hai chiamata?
 
Ok ok prima che lo uccida … una parte di Sheid ancora sconosciuta a Seira, un ritorno a casa insieme e una proposta un po’ strana da parte di angelo un po’ strano di nostra conoscenza,
vi ho incuriositi abbastanza? XD
VI RACCOMANDO RECENSITE.
Dalla vostra
 
Iloveworld
<3
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Spero di trovarvi tutti ancora con me, ma visto gli animi gentili che ho visto in voi, sono sicura che non mi avete abbandonato.
Capitolo dedicato a tutti coloro che mi sostengono con le loro parole di amicizia e conforto.
Siete i migliori amici che potrei desiderare!!! XD

 
 
 

SEIRA:

Ero attonita a fissare il sole alto e abbagliante, che rispendeva di una luce prepotente e grandiosa.
“La luce delle luna non è così invadente”.
Quel pensiero l’avevo fatto mesi e mesi prima, ma ora sembravano ricordi di una vita passata.
La notte in cui feci quei pensieri, cominciai anche a sognarlo.
“Sheid” il suo nome, il nome dell’angelo che mi aveva cambiata nel profondo.
Mi aveva destata da un sonno eterno e poco realistico, del quale la protagonista ero io.
Solo io.
Mi circondavo di amici per nascondermi, sorridevo sfacciatamente alla vita, nascondendo quel fastidioso dolore che non riusciva a scivolare via con le lacrime.
Il giorno prima avevo pianto a causa sua, ma sinceramente non riuscivo a ricordare da quanto tempo non piangessi.
Ecco.
Perché quando rimanevo sola permettevo a pensieri tristi di invadermi l’anima?
Possibile che fossi così fragile senza maschera?
-          Seira … - la sua voce, la voce di Sheid che proveniva da dietro, disintegrò all’istante il peso che mi stava opprimendo il cuore. Nonostante quella sensazione di tristezza fosse stata rimpiazzata dall’ansia, fui felice e al contempo stranita.
Di nuovo, solo lui riusciva a dissolvere la mia muraglia protettiva.
Mi voltai lentamente verso di lui, cercando di non chiedermi cosa fosse quel calore all’altezza del petto, che mi avvolgeva quando lui era vicino a me.
-          È molto che aspetti? – quando vide il mio viso, l’espressione del suo volto cambiò. Lo sguardo divenne improvvisamente triste.
-          No, tranquillo – sorrisi sollevata. Senza fingere.
Lo guardai, impossibilitata a scostare gli occhi su qualcos’altro.
Le punte dei capelli bagnate, scintillavano di una luce cristallina sotto il sole cocente di quel pomeriggio, e avevano assunto una forma piuttosto singolare: stavano ordinatamente appuntite e divise sulla sua fronte ma non vi si appiccicavano né gocciolavano.
Gli occhi stranamente più chiari del solito, ma sempre dello stesso incredibile colore ametista, inumano, stupendo, unico.
La pelle liscia e diafana.
Aveva la giacca sbottonata, e la camicia semiaperta, abbastanza aperta da potergli vedere l’inizio del petto.
“Che visione!” pensai imbambolata, mentre la parte razionale di me, cominciava a sgridarmi e dirmi di non pensare certe cose.
-          Allora … - cominciò mettendosi una mano nella tasca dei pantaloni neri e abbassando lo sguardo – … possiamo andare – finì venendomi vicino.
La scuola era già deserta a quell’ora, infatti lui era l’ultimo ad essere uscito dagli spogliatoi maschili.
Dopo la partita, tutti gli studenti si erano riversati fuori in cortile, per poi dileguarsi prima del solleone.
Le due squadre invece, si erano dirette agli spogliatoi.
 
Al pensiero di ciò che avevo visto durante la partita, mi venne la pelle d’oca quando lo sentii accanto.
 
                                                                    *******
 
“Al fischio del prof, il chiasso venutosi a formare alla fine della partita tra ragazze, si dissolse.
 
I ragazzi “rossi”, compreso Sheid, si erano già posizionati, mentre quelli “blu” continuavano a litigare tra di loro per decidere chi dovesse andare in panchina e chi rimanere.
Perciò il prof Pisani, decise per loro.
La povera Irene quasi sbiancò quando il “suo Sedrik” fu costretto alla panchina.
-          Winter – disse Matteo, rivolto a Sheid con aria sicura e ammiccante – distruggili! – concluse, mentre gli lanciava la palla.
Sheid la prese di petto, e con un colpo di ginocchio ben assestato la fece rimbalzare in aria, fino a farla arrivare nelle sue mani. Poi accennò un mezzo sorriso divertito.
Il prof fischiò, dando inizio allo spettacolo.
Sheid, che doveva battere proprio come avevo fatto io poco prima, cominciò a palleggiare.
Mentre faceva rimbalzare con maestria la palla, le punte dei capelli, seguivano lo steso movimento, conferendo al suo viso un’aria spensierata e poco consueta nella sua persona.
I suoi occhi invece, erano concentrati.
Inaspettatamente sollevò la palla, e poi con un colpo secco della mano, la colpì forte e con slancio, portando a termine una schiacciata d’effetto e micidiale, che fece aggiudicare alla squadra rossa, il primo punto di molti.
Sheid cambiava posizione ad ogni battuta, compiendo sia tiri normali e precisi, difficilissimi da prendere perché finivano al limitare del campo senza mai uscire fuori, sia schiacciate forti e imprendibili, che roteavano nelle mani degli avversari che invano cercavano di acchiapparle.
Due punti e il primo mach sarebbe finito.
Quando …
-          Ehi Severi … - disse Sheid, rivolto a Matteo. Quest’ultimo aveva lo sguardo imbambolato e sbalordito. Credo che i suoi pensieri fossero più o meno questi: che mostro Winter!
Quando si accorse che Sheid aveva dato il timeout, corse nella sua direzione.
-          Sei grande Winter, li stai stracciando quei bastardi! – era euforico, urlava dalla gioia.
-          Matteo … - iniziò Sheid prendendo fiato dopo una battaglia combattuta da solo - … i ragazzi si staranno annoiando, forse … - disse lui, consigliando a Matteo di coinvolgere anche gli altri.
A quella frase tutti i compagni di squadra lo incitarono a continuare.
-          Stai andando benissimo, non preoccuparti per noi – diceva uno.
-          Noi staremo in guardia nel caso riuscissero a prenderne una – diceva un altro.
-          Ma è impossibile, visto che sei così bravo – erano tutti ammirati, e soprattutto non sembravano avercela con lui per aver rubato loro la scena.
-          Stiamo vincendo, solo grazie a te – infatti i “rossi” perdevano troppo spesso contro i giganti in blu.
Sheid, parve sollevato, così fece cenno al prof di continuare.
Le battute vincenti del battitore, riempirono la palestra di urla esultanti – soprattutto di ragazze in estasi – ancora per un po’ quando …
-          Maledizione, mi faccia entrare prof! lo pretendo! – Sedrik cominciò ad urlare come un matto contro il professore.
Il Pisani si toccò i baffetti grigi con cura, e poi si aggiustò il cappellino di tela che nascondeva la sua calvizia.
Sedrik, ottenne il permesso, entrando in campo al posto di un ragazzo mingherlino, che per tutta la partita era rimasto a guardare gli altri imbambolato.
Sedrik si passò una mano tra i capelli biondissimi e lunghi fino al mento, poi se li legò in una coda alta con un fermaglio blu.
Guardò i suoi compagni con aria severa e li incitò a combattere, mostrando loro i pugni. Non riuscii a capire cosa disse di preciso, ma sembrava furioso.
Poi guardò Sheid in cagnesco e digrignò i denti.
-          Ehi faccia d’angelo … - gli urlò contro con aria minacciosa –  prova a fare punto adesso! – disse brusco.
Come mi aspettavo Sheid non rispose, e si limitò ad assumere un’espressione rilassata e divertita, sicura di sé.
Palleggiò ancora con energia, poi effettuò una schiacciata ancora più sorprendente e forte.
Sedrik, si lanciò sulla palla con uno sguardo da pazzo, ma essa gli roteò tra le mani, sfuggendogli repentinamente e cadendo sul campo, facendo aggiudicare alla squadra rossa l’ennesimo punto.
-          Si, si, si, si, si, si! Vai così Winter! – Matteo era entusiasta e ammirava con occhi sgranati Sheid, che si limitò a mostrare un flebile sorriso.
Sedrik al contrario era … furioso, e aveva uno sguardo omicida.
Mentre ero imbambolata a guardare Sheid e gli altri, che si preparavano alla prossima battuta, mi sentii toccare la spalla da Matilde, che appena cambiata e rosea in volto per la doccia calda appena fatta, mi sorrideva e si sedeva accanto a me.
-          Come sta andando ai ragazzi? – non si era ancora accorta della cosa sensazionale in campo: Sheid.
-          Beh, stanno stravincendo! – dissi io, tornando ad osservare quell’angelo senza ali.
-          Oddio! Ma … - disse lei quando se ne accorse – quello è …
-          Si è lui – dissi io cercando di controllare l’euforia della voce.
-          Di’ un po’Seira … cosa vi siete detti prima? Ho visto che eravate abbastanza … complici – disse beffarda lei.
-          Ma tu non dovevi essere in campo, con la testa sulla palla?
-          Dai, non essere cattiva! – aveva uno sguardo colpevole, ma stava morendo dalla curiosità.
-          Parlavamo … - cominciai, certa che il fischio dell’arbitro avrebbe distolto l’attenzione di Mati spostandola su Sheid, che tirò un’altra cannonata imprendibile.
Matilde cominciò a seguire la partita e io mi rilassai di nuovo. O meglio, mi concentrai di nuovo sulla partita.
I tiri di Sheid divennero sempre meno potenti, ma comunque imprendibili grazie alla traiettoria che gli faceva prendere lui con maestria.
Era naturale che dopo una partita giocata completamente da solo, stesse cominciando a stancarsi.
Sedrik stava totalmente impazzendo, andava di qua e di là inseguendo la palla disperatamente, finché …
Sheid tirò l’ennesima battuta con un gemito.
Probabilmente la mano gli faceva male dopo tutte quelle battute.
-          Sei stanco faccia d’angelo? Poverino! – disse Sedrik maligno, andando verso la rete e aggrappandosi ad essa con una mano.
La smorfia del suo viso era orrenda e faceva trasparire la sua rabbia e la sua invidia, come il vetro fa trasparire la luce del sole.
Anche stavolta Sheid rispose con una cannonata imprendibile.
Non proferì parola, e non rispose alle provocazioni di quel bruto in blu.
-          Sai solo schiacciare, e scommetto che se ti mettono in difesa non vali nulla – lo provocò Sedrik. Stavolta però Matteo gli rispose a tono, zittendolo.
-          Ehi Alabiso, se ti rode sono problemi tuoi. Un’altra parola e giuro che vengo a spaccarti la faccia! – disse minaccioso il Severi. Sheid gli posò una mano sulla spalla per fermare le sue parole aggressive e poi scosse il capo con calma.
-          Di’ un po’ Severi, se hai intenzione di vincere standotene con le mani in mano … allora accomodati pure, perdente – Sedrik sottolineò quella parola, e Matteo fremette di nuovo per la rabbia, sorretto da Sheid che teneva stretta presa sulla sua spalla.
-          Alabiso … - era la prima volta che Sheid si rivolgeva a lui - saresti più contento vedendomi in campo piuttosto che alla battuta? -  la sua voce era decisa ma calma, sembrava un adulto che accontentava un bambino capriccioso.
-          Vediamo che sai fare, Winter – quasi sputò il suo nome, e in quel momento i sentimenti di Matteo per Sedrik, pervasero anche me.
Sheid passò la palla a Sedrik, che si posizionò alla battuta.
La mano destra del battitore in rosso sembrava arrossata e un po’ gonfia, ma lui non sembrò accorgersene.
Si posizionò in prima linea e guardò i suoi compagni per assicurarsi il loro appoggio.
Oramai ai rossi mancavano sette punti per aggiudicarsi la partita intera, ma nonostante questo, sembravano super concentrati sul mach.
Sedrik tirò con forza e la palla si diresse su Matteo, che con maestria la deviò e la passò a Sheid, che sopraelevandosi con eleganza, -proprio come aveva fatto la notte di luna piena, quando mi aveva presa tra le sua braccia e aveva spiccato il volo – rimandò la palla nell’altro campo, facendo punto.
Arrossii di colpo al ricordo ma cercai di riprendermi.
Non potevo permettere che Matilde se ne accorgesse.
Sedrik, con le spalle al muro, cominciò a tirare sempre più forte, bombardando soprattutto Sheid.
Quest’ultimo non si fece intimidire e rispose con energia e bravura ai suoi attacchi, rimandandoli tutti indietro.
Le urla delle ragazze erano diventate assordanti ed eccitate.
Non solo Sheid era un portento alla battuta, ma in difesa era davvero imbattibile.
I ragazzi in rosso, vinsero senza problemi, collaborando con Sheid, e passandogli la palla in modo che lui potesse schiacciare e segnare.
Purtroppo Sedrik rimase a bocca asciutta, e dovette ingoiare la sconfitta e sopportare Irene, che, appiccicandosi al suo braccio, cominciò ad elogiarlo dicendogli che era stata solo sfortuna.
“Povero Sedrik!” avevo pensato andandomene dalla palestra per cambiarmi.
Sheid, sommerso da ammiratori e ammiratrici, era scomparso tra la folla.
Cosa avrei dato per vedere come se la sarebbe cavata.
Sarebbe stato freddo con tutti dileguandosi , oppure si sarebbe vantato?
In fondo, conoscevo la risposta”.
 
                                          *******
 
Ritornai al presente, vedendolo avvicinarsi.
 
-          Ma prima … - disse con voce profonda, mentre mi prendeva il mento con due dita e mi alzava la testa - … curiamo quel graffio, Seira – il mio nome detto dalle sue labbra, suonava così … dolce.
I suoi occhi ametista, posati sul mio viso, sembravano quasi accarezzarlo.
Le sue dita erano delicate e gentili e facevano protendere il mio viso verso il suo.
Il suo viso.
 
Alzò lentamente la mano libera verso la mia guancia ferita, ma prima che potesse toccarla si bloccò.
Io mi stavo preparando al contatto, e quando lo vidi fermarsi, capii cosa stava per fare.
-          Seira … - disse piano, guardandomi negli occhi.
Mi avrebbe chiesto il permesso.
Lo aveva già fatto una volta, proprio quella famosa sera, in cui tutto era cambiato.
La sua richiesta mi era sembrata pacata e cortese, mi era sembrata il modo migliore per farmi capire che lui non era prepotente come un demone.
Ora però, la vedevo come un modo per mettere distanza.
Mi aveva chiesto di fidarmi di lui e poi mi chiedeva il permesso per toccarmi?
Ora che sapevo che anche lui era dispiaciuto di essere stato distante, non avrei più permesso che si allontanasse di nuovo.
Se doveva proteggermi, dovevo fidarmi di lui e lui doveva avere fiducia in me.
Questo prevedeva un rapporto di stima reciproca, e soprattutto … vicinanza, contatto.
Se lui me lo avesse chiesto, mi sarei sentita di nuovo sola.
-          … posso toc … -
-          Non chiedermelo! – dissi decisa, bloccandolo prima che potesse finire la frase.
Chiusi gli occhi con forza, impaurita dalla reazione che avrebbe avuto.
Le sue dita sul mio mento, il suo viso così vicino al mio, la sensazione dei suoi occhi su di me …
Sentii il calore inondarmi la faccia, e capii di essere arrossita fortemente.
-          Scusami – lo sentii dire ad un tratto. Spalancai gli occhi, e trovai i suoi più vicini del previsto, a scrutarmi con uno sguardo triste e pensieroso.
A cosa stava pensando?
Perché si stava scusando?
-          Perdonami, Seira – continuò, lasciando il mio viso e voltandosi di spalle.
Mise di nuovo la mano nella tasca dei pantaloni, poi abbassò il capo.
Non voleva che gli vedessi gli occhi, d’altronde, lui, che era una persona alquanto fredda, silenziosa e riservata, non poteva mostrarmi i suoi sentimenti in quel momento.
-          L’ultima cosa che volevo era farti sentire sola – quelle parole mi trafissero la mente, ma invece di fare male, mi sorpresero come non mai.
Lui si stava preoccupando per me, e non solo perché la sua missione gli imponeva di proteggermi, non solo perché c’era una promessa tra noi, ma perché lui … si curava dei miei sentimenti.
L’avevo capito dal tono serio e sincero della sua voce, che nascondeva un pizzico di amarezza.
Eppure, nonostante fosse stato distante, il suo sguardo custode, mi aveva accompagnata e protetta, come uno scudo invisibile.
Se volevo un rapporto di fiducia con lui, dovevo imparare a leggere i messaggi impliciti dei suoi comportamenti, dovevo imparare a conoscere Sheid.
Dovevo essere più calda e coraggiosa, per sciogliere il ghiaccio e affrontare i suoi occhi.
-          Sheid – dissi il suo nome con voce tremante, lui non si voltò, ma rimase in silenzio, attendendo la mia risposta.
-          Io non mi sento sola – dissi, consapevole della verità delle mie parole. Io non ero più stata sola da quando lui vegliava su di me. Per quanto il mio cuore fosse solitario, ora sentivo un senso di protezione nel mio essere.
Io avevo un angelo pronto a proteggermi.
-          Sai, non puoi mentire con me, Seira – disse, nella voce una tristezza nascosta con il ghiaccio del suo tono.
Stavolta non mi lasciai intimidire.
-          Ora, non mi sento più … sola – sussurrai l’ultima parola.
Lui si voltò lentamente nella mia direzione.
Gli occhi erano illeggibili, ma anche attenti alle mie parole.
-          Adesso … - cominciai, poi abbassai lo sguardo, lo sentii avvicinarsi di nuovo - … ci sei tu – dissi sincera e imbarazzata al massimo livello. Ma lui doveva saperlo, lui doveva conoscere il mio pensiero.
Volevo che capisse che io non volevo distanza tra noi.
Tenni ancora lo sguardo abbassato, e vidi la punta delle sue scarpe lucide.
Il suo viso doveva essere vicinissimo al mio, e riuscivo quasi a sentire il suo respiro sui miei capelli.
Non so per quanto rimanemmo immobili e vicini in quella posizione.
Poi, lui mi alzò il viso con un dito.
Il suo tocco era delicato, le sue mani calde.
Poi posò l’indice e il medio dell’altra mano sulla mia guancia ferita.
Lo guardai timidamente in faccia, era serio, concentrato, attento, ma nei suoi occhi non c’era traccia di freddezza.
Sorrisi internamente.
Poi, una luce azzurrina, avvolse il mio viso, e una strana sensazione di benessere totale, mi conquistò.
Chiusi gli occhi, cullata da quell’abbraccio di energia benefica e dal profumo fresco e inebriante di Sheid.
Non seppi classificarlo, ma era davvero delizioso e unico.
 
Aprii lentamente gli occhi, e poi istintivamente, toccai il punto in cui le sue dita candide avevano aderito.
La pelle era totalmente rimarginata e non sentivo più dolore.
I suoi occhi mi studiavano, ma anche io indagavo nei suoi.
 
Poi quella catena di sguardi si spezzò.
Lui rimase al mio fianco, ma distolse lo sguardo.
-          Ti ringrazio – dissi pacata, ma non mi riferivo solo al graffio appena guarito.
-          Non devi ringraziarmi – si voltò di nuovo verso di me, poi avanzò di qualche passo – ora vogliamo andare? – disse, prendendo un tono più leggero.
Gli andai incontro, fiondandomi al suo fianco.
Ero abbastanza imbarazzata, ma ora era il momento delle domande.
 
 
                                                                            ****
 
Era davvero alto.
Porca miseria se era alto!
Camminandogli al fianco mi sentivo una formica, ma cercai di non pensarci.
Il mio intento di bombardarlo da subito era sbollito, dato che continuavo a ripetermi “adesso comincio, adesso comincio” ma poi zittivo, temendo di domandare qualcosa a cui lui non avrebbe risposto.
Non osavo nemmeno guardarlo in faccia.
Che espressione aveva mentre mi camminava al fianco?
 
-          Seira … - trasalii sentendo la sua voce che mi chiamava - … pensavo che tu dovessi farmi il terzo grado – disse a metà tra il seccato e il sorpreso.
-          Io … - mi fermai di colpo – io … - anche lui si fermò e mi si parò di fronte. Il vento che c’era sulla spiaggia quel pomeriggio era caldo e pacato, ma riusciva comunque a far ondeggiare i suoi capelli e a scompigliarglieli sulla fronte.
“Allora sono morbidi!?” pensai, ricacciando immediatamente quei pensieri per l’imbarazzo.
Silenzio.
Solo l’infrangersi delle onde sulla battigia faceva rumore.
Un sottofondo timido, come me in quel momento.
-          Non vuoi più bombardarmi di domande? – suonava come una provocazione, ma in fondo aveva ragione.
-          Io … - perché non trovavo le parole? – … Sheid …
-          Hai paura di sapere le risposte? – sguardo magnetico, lineamenti tesi, occhi illeggibili.
Io avevo paura delle risposte?
Se lui alla domanda “Morirò?” avrebbe risposto “SI”, io cosa avrei fatto?
E poi sarei riuscita a chiedergli una cosa del genere?
Decisi di calmarmi, avrei cominciato da qualcosa di più semplice.
-          È solo che … forse a te darà fastidio … rispondere – biascicai quella frase. Lui si avvicinò un po’.
-          Se vuoi che le domande che ti assillano la mente se ne vadano, allora non puoi esitare – disse autoritario.
-          Ma …
-          Io ho accettato di rispondere – disse sicuro – perciò ora chiedi senza timore – non era freddo, eppure …
Annuii decisa.
Le domande che mi assillavano …
Pensai a quelle più facili prima, e lasciai per dopo quelle “pericolose”.
-          Perché io? – era una domanda stupida di cui sapevo la risposta, visto che me lo aveva spiegato la notte di luna piena in camera mia, ma forse così gli avrei strappato qualche informazione in più.
-          Tu sei una principessa della Luna, non sappiamo perché – disse pensieroso –  … destino, forse.
Bene, rispondeva con naturalezza, perciò andai avanti.
-          Anche il fatto che tu sia il mio … difensore, è destino?
-          Forse – disse abbassando lo sguardo. Allora capii che non dovevo toccare quel tasto, almeno per il momento.
-          Cos’è di preciso la luce che scaturisce dalle tue dita? – il suo sguardo si posò su di me. Era indagatore e di sicuro avrebbe ponderato la mia reazione.
-          È il frutto della terza essenza, è potere e distruzione insieme – disse, senza staccare gli occhi dalla mia faccia. Il mio sguardo interrogativo e abbacinato lo incitò a continuare.
-          Gli angeli non sono composti soltanto da un corpo e da un’anima come voi umani – spiegò – loro hanno la terza essenza: la magia di Luna.
-          Cioè … - cominciai io.
-          Gli angeli si nutrono di cristalli di Luna, e così alimentano la loro terza essenza, e di conseguenza il potere dei cristalli di cui è composta la loro anima – concluse, i suoi occhi testavano le mie reazioni. Ero sorpresa certo, ma soprattutto curiosa.
-          Da dove nasce un angelo?- immaginavo come doveva essere una coppia di angeli, ma soprattutto cercavo in tutti i modi di immaginare come doveva essere un angelo neonato.
-          Lo crea Luna – disse, scostandomi dall’idea che i pargoli con le ali, fossero somiglianti agli angeli del Botticelli.
-          Come? – dissi quasi delusa. L’idea del viso di Sheid da bambino era inimmaginabile. I suoi lineamenti troppo seri e marmorei non potevano in passato aver riso, non potevano essere dolci e spensierati.
Forse.
Non so perché mi venne in testa quel pensiero, ma una strana tristezza mi scombussolò per un secondo.
-          Non so di preciso … credo che plasmi i corpi come quelli degli uomini, poi introduce un’anima, e infine nutre l’essere con il suo potere, ma questa è solo una supposizione.
È Luna, l’unica a sapere la verità – spiegò.
Rimasi basita davanti alla rivelazione che Luna, ipoteticamente, riuscisse a creare umani dal nulla e che poi nutrisse quegli stessi umani con il SUO POTERE.
-          Che intendi dire con “il suo potere”?
-          Lacrime – disse come se fosse una cosa ovvia.
-          Lacrime?
-          Quando Luna versa lacrime, crea dei cristalli che diventano nutrimento per gli angeli.
Appena le crea, queste gemme risplendono della luce del nutrimento, e quando sono vuote esse ricadono sulla terra sotto le sembianze più strane. In pratica per la maggior parte delle volte, diventano diamanti – disse, attirando così la mia attenzione.
-          Diamanti?- i diamanti risplendevano, brillavano, erano meravigliosi e preziosi. Erano una goccia solidificata di luce, e tenevano in loro l’essenza della purezza e il candore della trasparenza. Possibile che potessero essere più magnifici di così?
-          Si, lacrime di Luna solidificate, ma senza alcun valore per gli angeli,né per Luna – mi accorsi che continuava a parlare degli angeli come se lui non fosse uno di loro.
La domanda che mi premeva di più oltre a quella sul mio destino …
Lo guardai negli occhi, indagando io stavolta, e …
-          Tu … che cosa sei, Sheid? – le sue iridi mozzafiato divennero vitree e i suoi lineamenti si ghiacciarono in una smorfia di … dolore?
Sgranai gli occhi alla sua reazione, e mi pentii amaramente di quella domanda.
Vedendolo soffrire, vedendo il dolore che provava mi si strinse il cuore in una morsa straziante.
Perché?
Perché?
In un batter d’occhio il suo viso ritornò normale.
Nascose con maestria e durezza quel sentimento che avrebbe smascherato i suoi veri pensieri.
A quella domanda avrebbe risposto?
 
                                         ****
 
Avevamo ripreso a camminare.
Lui si era voltato e aveva cominciato ad avanzare.
Io, imbambolata e mortificata, lo avevo seguito in silenzio.
Ci addentrammo nel bosco, prendendo il sentiero vicino al fiumiciattolo che finiva nel mare.
Solo il rumore del vento, del ruscello e del litorale vicino riempivano l’atmosfera.
Lui, era diventato talmente rigido, che quasi non lo sentivo respirare.
Tra pochi minuti avremmo raggiunto la sua villa, e successivamente, a meno di cento metri da quel castello, la mia umile dimora.
 
Non sapevo cosa dire, cosa fare.
Gli camminavo dietro, seguendo la sua scia, ma lui non si voltò mai verso di me, e io non osai chiamarlo o andargli al fianco.
Avevo di nuovo paura dei suoi occhi.
Il desiderio di scrutargli il viso, di leggergli i pensieri specchiandomi in quel viola, però, mi faceva provare un malessere generale, come se la vista del suo volto fosse indispensabile come l’aria.
 
Perché mi sentivo così?
 
Come potevo sentirmi preoccupata, intimidita e … lo ammetto, attratta da una persona che conoscevo da pochissimo?
Sapevo che non era umano, o almeno non totalmente, sapevo che era un angelo, ma … possibile che per lui fosse una cosa tanto inaccettabile esserlo?
Una cosa tanto dolorosa per lui, da reagire così?
Ripensai al sofferenza che era passata come una scossa elettrica nei suoi occhi mozzafiato.
 
Poi …
Intravidi il maestoso cancello d’entrata di “casa” Winter.
Il mio cuore perse un colpo, e il petto cominciò a bruciarmi con la stessa violenza del giorno prima, quando avevo pianto per sfogarmi un po’, sotto il mio fedele albero, il quale ormai sapeva tutto di me. Chissà quante cose gli avevo confidato senza accorgermene. La mia schiena appoggiata al suo tronco, il suo appoggio e il suo silenzio.
 
Cosa dovevo fare ora?
 
E lui cosa avrebbe fatto?
Sarebbe entrato lasciandomi lì da sola, oppure … ?
 
Si fermò a poche spanne dall’entrata.
Non si voltò verso di me, ma non si mosse da lì.
Sembrava meno rigido, ma teneva i pugni chiusi strettamente.
 
-          Seira …  – la voce ferma, ma seria e glaciale. Anche io mi bloccai sul posto e impallidii. Ma ero felice che parlasse.
-          … io non sono un angelo, né un umano – disse a voce bassa.
Avevo sospettato qualcosa del genere, ma mai avevo avuto il coraggio di chiederglielo.
In effetti non avevo avuto nemmeno il coraggio di avvicinarmi a lui, i giorni seguenti alla notte di luna piena.
Il cuore sobbalzò e iniziò la sua corsa sfrenata verso una fibrillazione.
Si voltò lentamente verso di me, gli occhi socchiusi, quasi affranti.
-          Non sono quello che ti aspettavi. Mi dispiace – disse l’ultima frase sussurrando, e nella sua voce l’amarezza era palese.
Cosa stava dicendo? Non capivo il senso delle sue parole, non capivo perché provasse così tanto dispiacere per quello che era.
Io non mi ero aspettata nulla.
Io non volevo aspettarmi nulla sin dall’inizio.
Avrei voluto tanto tornare indietro, avrei voluto cambiare la mia esistenza, io non avrei voluto essere una principessa.
Ma lo ero, lo avevo accettato e ora cercavo di aggrapparmi a sicurezze forse inesistenti.
Cercavo di aggrapparmi a lui.
 
E mi sentivo nuda quando lui mi guardava, quando i suoi troppo puri per essere gli occhi di un angelo guerriero e troppo indifferenti alla vita per appartenere ad un umano, si posavano su di me.
Il suo sguardo era così potente da corrodere i muri dell’anima, fino ad arrivare al cuore.
Sembravano occhi limpidi ed aperti e allo stesso tempo erano occhi imperscrutabili e freddi.
 
Perché solo lui mi faceva quell’effetto?
Perché perdevo il controllo dei miei sentimenti con lui?
Perché … ?
 
Chiuse gli occhi e con una mano si aggrappò al bordo del cancello.
Dovevo dire qualcosa.
Dovevo .
 
-          Io aspettavo te – dissi, e stranamente la mia voce risultò tremante e spezzata. Alzò lo sguardo di scatto, sgranando gli occhi preoccupati e sorpresi al tempo stesso.
-          Seira – sussurrò tormentato, venendomi incontro. Avevo lo sguardo ancora più angosciato.
Perché stavo piangendo?
-          Io … aspettavo … te – ripetei, mentre sentivo le lacrime scendere calde sulle mie guance. In quel momento sentii il bisogno di sfogarmi, di dirgli tutto, di dirgli che cosa avevo provato quando l’avevo visto sfrecciare sotto i miei occhi, allontanando da me quel mostro quella sera, che cosa avevo sentito quando aveva dato un volto all’angelo del mio sogno, quando mi aveva promesso di proteggermi perché voleva e non perché era un dovere.
-          Seira, perdonami … - cominciò, pensando che la causa delle mie lacrime fosse lui. Ma la causa delle mie lacrime era la paura che mi tenevo dentro da troppo tempo, era la confusione che provavo quando pensavo a lui che mi faceva sentire inerme, era il suo silenzio, era il suo distacco nel chiedermi se poteva toccarmi, era il fatto che lui credesse, che io fossi rimasta delusa dalla sua rivelazione sulla sua mezza umanità.
-          No! – urlai quasi, ma non me ne pentii. Sentivo il petto scoppiare – no … - sussurrai poi.
-          Perché mi stai chiedendo scusa? – domandai con la voce rotta dal pianto – perché pensi che mi fossi aspettata qualcosa? Io … io … non mi aspettavo niente.
-          Seira …
-          Sheid, io aspettavo te. Quella notte … aspettavo che qualcuno mi salvasse, che qualcuno mi dicesse che mi avrebbe protetta … e … e tu l’hai fatto! L’hai fatto! – dissi, sforzandomi di non cedere ai singhiozzi. Non riuscii a vedere la sua espressione, ma continuai.
-          Sheid, se sono viva è solo grazie a te. Se ho la speranza che le cose tornino com’erano … è solo grazie  a te! Io aspettavo te! Ma tu … sei così distante  a volte che … – non riuscii a finire la frase.
-          Seira, chiedimi ciò che vuoi,  – aveva un’urgenza straziante nella voce, come se volesse fare qualcosa, qualsiasi cosa per fermare le mie lacrime – io risponderò e non importa se farà male! – disse con voce agitata, avvicinandosi ancora – puoi parlarmi di ciò che ti spaventa, puoi sfogarti con me, puoi fidarti di me. – disse, ormai eravamo vicinissimi.
Le sue parole mi spiazzarono. Non era lo Sheid che conoscevo io! Era … l’angelo di quella sera che parlava adesso! Sempre lui, sempre Sheid, ma con quel sentimento protettivo e preoccupato che aveva avuto quella sera.
-          Voglio sapere … se …. MORIRO’! – singhiozzai, liberandomi il cuore da quel peso. Poi sentii mancarmi la voce, e scoppiai a piangere.
Odiavo piangere davanti a qualcuno, odiavo abolire l’immagine della me stessa allegra, ma davanti a me non c’era “qualcuno”,  c’era Sheid, e Sheid mi conosceva meglio di chiunque altro, Sheid mi leggeva dentro.
 
Mi prese per un braccio, senza chiedermi nulla, e mi portò accanto a se con uno strattone.
Finii appoggiata al suo petto perfetto e venni inondata dal suo meraviglioso profumo.
Le mie mani tremanti stringevano i bordi della sua giacca, la fronte appoggiata al suo petto, le lacrime che non riuscivo più a contenere.
Non staccando la mano dal mio braccio, posò l’atra sulla mia testa.
Il suo corpo era caldo, bellissimo, profumato, forte e protettivo.
Il suo respiro sui miei capelli, le sue mani che mi tenevano stretta a lui.
Quel contatto, quel mezzo abbraccio, quel calore … tutto era Sheid.
Ora sentivo che anche io ero riuscita a sfondare le sue mura.
 
In quel momento senza distanza, in quel momento pieno di dolcezza, non mi importava dell’imbarazzo, del cuore che batteva più forte, e dei miei stupidi pregiudizi sui sentimenti precoci.
 
In quel momento mi sentivo al sicuro, non mi sentivo sola.
 
Lui era lì, io ero lì.
Noi eravamo lì.
Abbracciati.
 
Forse … era affetto?
 
 
                                                                         *******
 
-          Seira – disse senza allontanarmi da lui, ed ormai eravamo in quella posizione da chissà quanto tempo.
Avevo smesso di tremare e di piangere, e forse aveva deciso di rispondere alla mia domanda rimasta in sospeso.
-          I nostri destini sono legati fatalmente dal sangue – la sua voce sembrava segnata dall’agitazione di poco prima, ma era ferma e rassicurante, nonostante avesse un tono tetro.
Quella frase mi fece gelare il sangue. Strinsi la presa sui bordi della sua giacca, e inghiottii con un gemito il groppo che avevo in gola, dopo il pianto appena cessato.
-          Perciò, non preoccuparti, non sarai più sola. Dovranno uccidere me, prima di riuscire anche soltanto sfiorarti – era fiero e sicuro delle sue parole, ed io mi fidavo.
-          Non mi coglieranno più impreparato, nessun’altro demone riuscirà a toccarti. Nessun’altro – disse serio.
-          Sì – fu l’unica cosa che riuscii a dire. Ma le emozioni che mi attraversarono in quel momento erano devastanti e rischiavo di rimettermi a piangere come una mocciosa.
Le sue parole erano chiare: lui sarebbe morto per proteggere me, e il mio destino, chissà perché, aveva coinvolto anche lui.
Il suo tentativo di proteggermi, poteva portarlo alla morte.
Eppure lui ne aveva parlato con orgoglio e sicurezza.
Perché era lui il mio angelo protettore.
 
Il pensiero che potesse morire per me, però,  mi tolse il fiato per un secondo.
“Sheid!” volevo dire, ma avevo avuto solo la forza di pensarlo.                             
 
Rimanemmo in quella posizione, rimanemmo attaccati per un’altra manciata di secondi.
Poi mi scostai, mio malgrado, mollando il colletto della sua giacca.
Gli guardai il viso, quel meraviglioso viso d’angelo, tanto attraente e forte quanto delicato e bellissimo.
I suoi occhi erano velati dalla tristezza, ma erano anche attenti a scrutarmi.
Sorrisi debolmente, asciugandomi le guance con le maniche della mia giacca.
Poi passai le mani sugli zigomi, raccogliendo le ultime gocce.
-          È tutto apposto? – domandò lui, aveva perso la tetraggine nella voce, e aveva assunto un tono più leggero.
-          Si, adesso si. Grazie – e stavolta mi aprii in un sorriso sincero e senza finzione.
Una strana luce balenò nei suoi occhi, ma la scacciò velocemente.
-          Posso chiederti un’ultima cosa? – dissi coraggiosa.
-          Certo – disse sicuro, ma si irrigidì.
-          Quando attaccheranno … gli altri? – lui capì al volo.
-          Non ne ho idea, Anul è diventata passiva, e questo non è da lei – disse con tono preoccupato e riflessivo – sta mettendo alla prova il mio autocontrollo e la mia pazienza, ma … non sa con chi ha a che fare – concluse con sicurezza.
-          E se attaccano mentre sono … da sola? – l’immagine di me, da sola, indifesa, davanti ad un demone dallo sguardo oscuro, mi provocò brividi freddi.
Il ricordo delle notti seguenti all’incubo diventato realtà, mi faceva stare male. Ogni scricchiolio, ogni ombra, ogni forma nella notte oscura mi impediva ogni movimento.
Il terrore che avevo provato era indescrivibile.
Guardai Sheid per scacciare quei ricordi.
Il suo viso, i suoi occhi, risucchiavano ogni sensazione maligna e oscura.
-          È di questo che volevo parlarti io – assunse un’espressione cauta, e sillabò le parole per renderle chiare.
Si, in palestra mi aveva detto che voleva parlarmi.
Chissà di cosa si trattava?
-          Ti ascolto – dissi, fiutando nell’aria qualcosa di strano.
-          Farò una piccola premessa per arrivare al punto – disse cauto, gli occhi attenti alle mie reazioni.
-          Anul crede che sarà un gioco da ragazzi togliermi di mezzo. Lei si affida al fatto che io sia mezzo angelo, e quindi farà leva sulle mie debolezze da umano – gli occhi fissi sul mio viso.
-          Ha fatto la stessa cosa con gli angeli … del passato? – domandai curiosa e preoccupata al tempo stesso.
-          No, ma le sue strategie sono sempre micidiali e crudeli, non devo sottovalutarla, ed è per questo che vorrei prendere alcune … precauzioni – disse l’ultima parola con attenzione, sottolineandola.
-          Precauzioni? – che genere di precauzioni?
-          Seira, - mi trafisse con lo sguardo, costringendomi a guardarlo – sto per farti una proposta che declinerai, ma devo chiedertelo comunque – disse quasi ironicamente.
-          Cosa? – come faceva a prevedere se avrei accettato o meno?
-          È una proposta che ti sembrerà indecente, inaccettabile e strana, ma per me è l’unica soluzione efficace, l’unica soluzione che mi renderà il lavoro meno difficoltoso – si voltò di lato, mostrandomi il suo profilo perfetto.
I suoi occhi pensierosi, volteggiavano all’interno della sua villa.
Cosa stava per chiedermi? Perché era così sicuro che avrei detto di no?
-          Sheid, … cosa vorresti che facessi? – dissi, stranamente agitata. Uno strano presentimento cominciava a prendermi lo stomaco.
-          Per raggiungere casa tua camminando … - disse, come se non mi avesse ascoltata - … impiegherei due minuti e sette secondi – si passo una mano tra i capelli che si mossero con morbidezza – correndo, un minuto scarso, … volando – si voltò con il viso nella mia direzione – tredici secondi – si voltò totalmente verso di me e si avvicinò di nuovo a me.
-          Quei tredici secondi, Seira, potrebbero costarti la vita. Quel breve lasso di tempo può essere un grosso problema per me, soprattutto di notte, quando siamo costretti a separarci - disse piano, intuii qualcosa e una strana ansia mista a sorpresa mi scombussolò per un secondo.
-          Perciò io ti chiedo …
-          Cosa vuoi che faccia? – ad un tratto mi sentii spossata, debole. Avevo passato parecchie notti in bianco, avevo mangiato poco a causa dello stomaco sempre chiuso, e ad aggiungersi a questo … lui voleva che io …
-          Verresti a vivere con me, Seira? – la sua voce mi parve lontana, sussurrata.
 
 
Sentii mancarmi il terreno sotto i piedi.
 
L’ultima cosa che ricordo sono due braccia forti che mi impedivano di cadere al suolo e che mi sorreggevano con protezione.
Poi il suo odore, l’odore di Sheid.
 
 
 
 
 

---------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE --------------------
 
SALVE GENTE!!!
Vi sono mancata?
Spero tanto di si, e soprattutto spero di trovarvi tutti a leggermi.
Come va?
L’anno è ricominciato, gli impegni sono ritornati a ingombrare le nostre vite, … ma è bello così!
 
Allora!
Cosa ve ne pare di questo capitolo????
Voglio commenti, consigli, critiche, un semplice : “ho letto!”, insomma fatevi sentire e!!!!! XD
Adoro leggere i vostri pensieri!!!
 
Ed ora via ai ringraziamenti!!!!
 
GRAZIE A :

 
DEILANTHA: ehilà sorellina!!! Le tue parole sono come acqua nel deserto: indispensabili!!! Senza di te che mi nutri con le novità e le nuove esperienze, con il tuo affetto e il tuo sostegno … sarei persa. Dedica tutta meritata! E solo per te un piccolo regalino.
Ps non scandalizzarti;

Ilo: Seira, Sheid, io esco, vi raccomando fate i bravi o sarò costretta a dividervi!!!
Seira: éoè 
Sheid:  -.-‘ si può sapere dove vai?
Ilo: esco con Vivi e i suoi!
Sheid: cioè con Pasifae e … quell’Emile?
Ilo: sei geloso, piccolo mio? *ç*
Sheid: no, figurati se mi importa di una svampita come te, che mi fa fare la figura dello scemo davanti ai lettori!
Ilo: i “lettori” sono tutti amici miei, ranocchio che non sei altro!
Sheid: se io sono un ranocchio, tu sei una ..
Ilo: fermo! >:O non osare offendermi. Sono colei che ti ha creato! Portami rispetto! Capito?
Sheid: si, certo nonna … ehm volevo dire … mamma!  -.-?
Seira: Sheid, non dovresti trattare la mamma così!!! Lei è così … sensibile!
Sheid: ma lei mi ha fatto freddo, distaccato e seccato, come vuoi che mi comporti? Devo dirle … “luce dei miei occhi, torna presto già mi manchi?” O.o’
Seira: >:C questo dovresti dirlo a me!!!! T_T
Ilo: ok ragazzi, vi raccomando, non amoreggiate in pubblico, oppure la reputazioni di belli e impossibili che ho tessuto con fatica per voi, svanirà XD
Sheid : giuro che io … >: O
Seira: No, Sheid, non farlo *A* attenta mammaaaaaa!!! *O*
 
                        TO BE CONTINUED!!!
 

Tvb tomodachi, grazie solo per il fatto di esserci!!!
 

DEREKKINA2: Cara, le tue rec sono così dolci e coccolose e … beh, d’altronde anche tu sei uno zuccherino.
Fammi sapere che ne pensi ok?
Grazie 1000 baci!
 
DAN24: amico mio, ancora non si sa nulla e? speriamo bene!
Grazie per il tuo sostegno!!! XD
 
LADY CATHERINE: Il mio piccolo pasticcino! Come stai cara?
Grazie perché mi segui sempre, e dimmi, di questo che ne pensi? Bacini!
 
ANGY EMPTINESS:La mia immancabile collega XD come va, e di questo che ne pensi? BACI!
 
ZOEY LA SOGNATRICE:  ehi, bella come va? Anche io sono negata negli sport, perciò volevo prendermi una rivincita almeno nella scrittura: i miei protagonisti.
Dimmi cosa ne pensi ok? Baci!
 
YUUKI B: Amica vampira! Che vuoto senza di te!!! Ci siamo proprio perse e? ma non preoccuparti, sei sempre nel mio <3. Presto ti tartasserò con domande sul giappo ok?
Grazie per la rec, e adesso che il cap è completo … fammi sapere! <3<3<3 baci
 
ILGOTICOKANAME: EHI! Come va? Grazie per la rec!
Spero che continuerai e che non ti stancherai di me!
<3
 
ZEROLOUISE: BEN TORNATAAAA!  Non mi abbandonare più mi sento sola T_T. grazie per la rec e per i complimenti, 6 sempre super dolce con me!!! Fammi sapere ok? Baci!
 
YUKARI HOSHINA: CIAOOO!  Ben tornata anche a te. Che vuoto senza Shinicia kudo XD le tue rec, brevi o lunghe, mi fanno diventare curiosa e più attenta ai particolari.
Quel è la tua indagine stavolta? Bacini cara!!!
 
JULIA 28: AMOREEEE!  Come ve la passate voi piccioncini!?
Saluti Ciel, è stato un onore averti come ospite nella rec della dolce julia! Amore di questo che ne pensi???
Fatti sentire presto ok? Tvb
 
CRISTINALAROSA: BENVENUTA E SPERO CHE CONTINUERAI A SEGUIRMI XD. Grazie per la rec!!! <3
 
PHILOPHOBICA: BENVENUTA ANCHE A TE, SPERO CHE CONTINUERAI A COMMENTARE! Sono contenta che ti piaccia! Grazie!!! <3
 
SEILOR CRYSTAL: Dopo l’onore di avere tra i miei una guerriera sailor … direi che non posso chiedere niente di meglio dalla vita XD. Potere del cristallo di luna vieni a me!
“chissà se a Sheid starebbe bene questa frase … ^.^ ?” XD
Grazie per aver recensito prologo, primo e secondo cap!
Sei gentilissima e dolcissima!!! Continua a seguirmi ok?
Mi sono già affezionata anche a voi nuovi amici! XD
 
 BROKENARROW:  grazie per la recensione al prologo. Spero di ricevere altri commenti! Sai tra intenditrici di angeli … ;)
Grazie <3
 
 
UN SALUTO A FLY89, ALAIRE 94 , BOTAN E WANNIAM, MA ANCHE A MALVINE! XD
 
Spero ci sentiremo presto amiche mie!
 

--------------
 

E come sempre per ultimi ma non meno importanti … grazie a …
 
DEILANTHA, ANGEL_DREAMER_95,DAGUSIA123, DAN24, KIMBERLINA, MALVINE , _XELIX_, AI_LINE, PHILOPHOBICA , VANNY 3;  che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEILANTHA, LADY CATHERINE ,DEBBYDARKNESS , FLY89 , MADKIKKY, ALAIRE 94, DAGUSIA 123, VAMPICULLEN,YUKARI HOSHINA, YUUKI B, ZEROLOUISE,  ZOEY LA SOGNATRICE, TENNESSE, ANGEL_DREAMER_95, YUKA_CHAN 86, WANNIAN, FIOCCODINEVE, DEREKKINA2, ANGY EMPTINESS, BREN_JENNYCHIBICHAN, SAILOR CRYSTAL, TWILIGHTKIARA,;che mi hanno aggiunto tra le seguite.
ZOEY LA SOGNATRICE,  ILGOTICOKANAME, LADY CATHERINE, DAN 24 , BROKENARROW , AI_LINE, VANNY 3, DEILANTHA  che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_,JULIA 28,MAU 07, MADNESS QUEENche hanno ricordato la mia storia.
 

 
 
Mi scuso come al solito per gli errorini che sicuramente ci saranno, tipo “sì” senza accento, o virgole saltate.
Mi perdonate vero?
 
E ora lo spoiler, che si riferisce al capitolo del 31 ottobre.
(se riuscirò ad aggiornare prima vi arriverà un mess, ma non prometto nulla : P).
 
Una decisione da prendere, ostacoli da superare e sentimenti pericolosi da trattenere.
Nuove conoscenze e … la piuma sospetta di un angelo, una piuma che non appartiene a Sheid.
 
Vi ho incuriositi?
 
Vi raccomando non abbandonatemi.
Ci sentiamo via mess, o via email.
 
Vi penso sempre scriccioli!!!
Non abbandonatemi!!!!
 
Vi adoro, vi raccomando recensite!!!
 
Al 31 ottobre!
 
La vostra …
 
Iloveworld
 
<3
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Finalmente questa mia piccola creatura ha raggiunto le due cifre!
È solo grazie a voi cari amici lettori, che mi sostenete e mi date forza per continuare.
Siete grandi e vi stimo dal profondo del cuore.
NON ABBANDONATEMI.
Un bacio!
 
PS: Scusate se sono sparita per qualche settimana, ma ho avuto problemi con internet, “PENNINA IN ASSISTENZA T_T”, perciò per farmi perdonare … il capitolo è bello lungo – forse troppo. Per facilitarvi la lettura … è diviso in 2.
Fatemi sapere

 
 
 
 
PRIMA PARTE …
 
 
SEIRA

 
“Verresti a vivere con me …”
“Verresti …”
“Vivere con me”
“Con me … con me” ….
 
“Con me …”
 
Erano queste le parole che confusamente mi riempivano le testa, in un sussurro delicato e insistente che non riuscivo a capire.
Era la voce di Sheid, che aveva pronunciato quelle parole?
Conoscevo bene la risposta.
 
Ciò che non sapevo era che cosa avrei dovuto rispondere io.
 
Un minuto prima mi abbracciava e il mio cuore sembra scoppiare, sembra rinascere.
Un minuto dopo mi chiedeva di andare a vivere con lui per tenermi al sicuro da Anul e … svengo?
Certo, il fatto di essere stata uno zombie ambulante per tre giorni,  non era servito a tenere i miei nervi saldi e non era servito nemmeno a tenere il controllo sul mio corpo sfinito e spossato.
 
“Verresti a vivere con me?”, quelle parole volteggiavano nella mia mente senza mai darmi pace.
 
Potevo dire di sì?
 
No.
 
Forse.
 
Non lo sapevo nemmeno io.
 
Immaginai la faccia dei miei, quando tornando quella domenica non mi avrebbero trovata a casa mia, ma a casa di Sheid.
Certo, questo nell’eventualità di una mia risposta positiva, ma sarei davvero stata in grado di rispondere?
Sì o no che fosse?
 
Non lo sapevo.
 
Mi concentrai sui miei sentimenti, sui miei desideri, chiedendo al mio cuore di darmi un segno.
 
Sì.
 
No.
 
Forse.
 
Io, che cosa volevo fare?
Io cosa potevo fare?
 
Se avessi risposto no …
… Sheid sicuramente non avrebbe contestato, però poi indubbiamente sarebbe stato più in ansia, avrebbe “lavorato” di più.
Ed io …
… avrei continuato a non dormire, avrei continuato ad avere paura, avrei continuato ad essere sola.
 
Se avessi risposto sì …
… beh, lui aveva detto che si aspettava una risposta negativa, aveva previsto che la sua “proposta” mi sarebbe sembrata indecente, impossibile da prendere in considerazione.
Però aveva anche detto che per lui era la soluzione più efficace, facile e sicura.
Sicura per me.
Facile per lui.
Efficace sui demoni.
 
Ma io, io …
… potevo andare a vivere nella villa di un quasi sconosciuto, di cui non sapevo nulla?
Potevo dividere la mia vita con lui, imparare a leggere i suoi messaggi impliciti, e fare finta di nulla?
Io potevo fidarmi di lui fino a questo punto?
 
Non lo sapevo.
 
Lui, Sheid, mi aveva salvato la vita più volte.
Mi aveva curata, rassicurata, difesa, consolata, protetta …
Aveva rischiato la vita per me.
Sarebbe morto per me.
 
“I nostri destini sono fatalmente legati dal sangue”.
 
Quelle parole tiravano fuori molteplici verità:
rischiavamo di morire, lui doveva proteggermi, i demoni volevano qualcosa che io possedevo, e io …
Io cosa avrei fatto?
Mi sarei fatta proteggere o mi sarei fatta uccidere?
 
Non volevo morire, questo era assodato.
Ma volevo vivere così?
 
No.
 
Era per questo che dovevo fidarmi di lui.
Non avevo altra scelta, lui era la mia miglior scelta.
 
“Io ti proteggerò”, si, la nostra promessa.
Anche la nostra promessa era legata fatalmente alla morte.
Ma non me ne preoccupai.
 
Avevo passato la vita a recitare la parte della ragazza che si lascia scivolare tutto via.
Io ero una persona indifferente tanto quanto Sheid, ero sola tanto quanto lui, da quello che avevo potuto constatare.
Non avevo mai avuto il coraggio di aggrapparmi a qualcosa, non avevo mai avuto il coraggio di afferrare qualcosa: un sentimento, un sogno, un’emozione … nulla.
 
Eppure, nonostante fosse passato poco tempo da quella famosa notte, io ero cambiata.
 
Un angelo coraggioso, forte e bellissimo aveva spezzato le catene della mia coscienza, aveva frantumato la mia maschera, aveva trapassato il confine della menzogna per arrivare al mio cuore.
 
Sheid, aveva trovato la vera Seira e l’aveva portata via dalla gabbia d’oro in cui lei stessa si era rinchiusa.
In cui io stessa mi ero rinchiusa, immaginando di essere felice.
 
La prova era che non riuscivo a nascondergli nulla, non sapevo alzare la mia muraglia con lui, Sheid mi leggeva dentro.
 
Con lui mi sentivo inerme, ma mai ferita.
Quando mostravo Seira a lui, impossibilitata ad avere l’ausilio di uno scudo, mi sentivo comunque protetta.
Lui diventava il mio scudo, la mia protezione.
E non mi importava che il vento freddo, che non ero più abituata a sentirmi addosso, mi frustasse la faccia.
C’era lui, c’era Sheid a difendermi.
 
E solo in quel momento mi accorsi del mio egoismo.
 
Cosa avevo fatto io per lui?
Cosa avevo fatto?
 
Niente.
 
Lui voleva che io andassi a vivere da lui?
Voleva tenermi più vicina a se per essere più tranquillo?
 
Io potevo rispondere sì alla sua proposta?
 
Conoscevo la risposta.

 
 
SHEID
 
L’acqua della doccia era rigenerante e piacevolmente tiepida.
Lasciai che scorresse sui miei capelli, sul mio viso, sul mio corpo.
La sensazione di pace e appagamento che provavo in quel momento erano inconsueti.
“Seira” pensai come se fosse una cosa ovvia.
Finalmente ero riuscito a parlarle e le avevo dato appuntamento fuori.
 
Non potevo nasconderle le mie intenzioni, non potevo mentirle.
Se lei non si fosse fidata di me, io non avrei avuto alcuna possibilità di proteggerla con le adeguate precauzioni.
 
Avevo capito che Anul stava giocando con le mie debolezze umane.
Aspettava, tenendomi sulle spine e facendo impazzire i miei nervi.
Le ipotesi che aveva calcolato la regina delle tenebre, ormai mi erano chiare.
Sicuramente, aveva pensato che se fosse stata passiva a lungo, sarebbe riuscita  a farmi abbassare la guardia e quindi a togliermi di mezzo facilmente.
La seconda ipotesi che sicuramente Anul aveva preso in considerazione,  era che più aspettavo, più diventavo impaziente e nervoso.
Il mio corpo sarebbe stato in condizioni pessime prima ancora che attaccasse.
Notti insonni, stretta sorveglianza senza mai riposo e niente cibo a causa del nervosismo. Non poteva scegliere strategia migliore.
Non poteva scegliere un piano più crudele.
Ma non aveva calcolato che ero un essere senziente anche io.
Avevo trovato delle soluzioni, “precauzioni” come le chiamavo io.
Tutte ruotavano intorno a Seira però.
Infatti, stava a lei rendermi il lavoro più facile o impossibile.
Se non avesse accettato, io non avrei reclamato nulla, ma io speravo vivamente che accettasse la mia proposta.
 
“Seira” pensai ancora, quasi con dolcezza, e in quel preciso istante,  sentii uno strano dolore al petto, come una bruciatura fresca, un’ ustione.
Faceva male, bruciava.
Così cercai di scacciare dalla mente il suo nome, il nome della mia protetta.
“Che diavolo mi succede?” pensai incredulo.
Mai qualcosa di astratto e impalpabile mi aveva fatto soffrire.
Solo le ferite da battaglia e le vere bruciature, mi avevano scosso in quel modo.
Naturalmente con un eccezione: il mio passato.
Ignorai l’accaduto, pensando che fosse una cosa puramente casuale, data probabilmente dallo sforzo della partita.
 
Si.
Avevo appena giocato una partita di pallavolo.
Avevo appena vinto per Matteo Severi che me l’aveva chiesto con insistenza.
Però, era stato divertente.
 
Seira mi aveva osservato per tutto il tempo, e non aveva mai smesso di far brillare i suoi occhi.
Come se fosse ammirata e entusiasta.
 
Chiusi il rubinetto, poi appoggiai la fronte sulle mattonelle calde e grondanti d’acqua.
 
Quella doccia mi aveva rilassato, nonostante lo strano dolore al petto, e quella sensazione strana di attesa mi lasciava un dolce sapore in bocca.
 
Lei, di sicuro sarebbe stata tanto curiosa, avrebbe fatto tante domande strane ma lecite.
 
Ed io avrei  risposto senza problemi?
 
                                                      ****
 

 

  • Winter, oh Winter sei … sei stato, oh non trovo le parole! Grande. Si, grande, amico! – Matteo, mi aveva scostato da quei pensieri ampollosi e inconsueti – infatti era raro che mi facessi problemi, se una cosa non mi andava a genio, era una cosa esclusa, mentre se era una cosa necessaria per me, gli altri potevano solo adattarsi, ma in quel caso c’era di mezzo una ragazza umana, Seira – e si intrufolò nel mio scomparto doccia porgendomi un asciugamano.
  • Severi … - provai a chiedergli,  come si era permesso ad entrare nel mio scomparto doccia senza il mio permesso.
  • Winter, senti, lo so che mi hai dato una mano solo stavolta ma, … insomma …
  • Severi … - provai ancora, ma lui continuava imperterrito a non capire.
  • Senti Winter, so bene che tra me e te c’è l’oceano, ma … insomma, se vuoi giocare ancora, se vuoi aiutarci ancora,    io … - di che stava parlando?
  • Severi …
  • Insomma, sei il benvenuto in squadra! – disse serio ed orgoglioso, ma anche con un filo di imbarazzo.
  • Matteo – dissi, capendo i suoi sentimenti di gratitudine e rispetto, ben accetti. Ma considerando gli eventi e il mio futuro prossimo, non potevo permettergli di avvicinarsi troppo. Lui e gli altri non dovevano sapere, altrimenti avrebbero sofferto e sarebbero stati in pericolo. Lui alzò il viso e mi fissò negli occhi – sei nel mio scomparto doccia – dissi soltanto, alludendo al fatto che era entrato senza permesso. Lui arrossì di colpo e poi grattandosi la nuca con un sorrisino colpevole e ironico, mi porse l’asciugamano voltandosi dall’altra parte.
  • Scusa – disse allontanandosi, mentre mi allacciavo il telo alla vita, un po’ dispiaciuto per aver risposto in una maniera così miserabile.
  • Comunque, io e te abbiamo un patto d’onore, e non intendo scioglierlo – disse guardandomi. Nei suoi occhi balenò una strana luce.
  • Già – risposi io, quasi spavaldo – mi hai giurato rispetto, perciò la prossima volta vedi di non irrompere in quel modo nella mia doccia – dissi con aria di scherno. Lui sorrise ammiccante.
  • Che c’è fai il prezioso ora? Non ti dona l’aria da principino pudico e timido – disse, passandosi una mano tra i capelli appena lavati. Lui al contrario di me, era già vestito.
  • In campo sembravi piuttosto un leone, e visto il fatto che sei un gran figo anche con indosso solo un asciugamano … non vedo il motivo del tuo pudore – disse schietto.
  • Apprezzo la tua sincerità – ribattei, mostrando un mezzo sorriso.
  • Sei dei nostri allora? – chiese con speranza.
  • Quando ne avrete bisogno – risposi, prendendo un altro telo per asciugare i capelli zuppi d’acqua.

 
                                           *******
 
Lei mi stava aspettando dove le avevo dato appuntamento.
Aveva lo sguardo perso, e chissà a cosa stava pensando.
 

 

  • Seira … - la chiamai con voce ferma, ignorando il dolore che mi prese il petto per un secondo.

Lei si voltò lentamente verso di me, ed io mi accorsi subito della sorpresa del suo sguardo e del leggero rossore sulle sue guance.
È molto che aspetti? – quando vide il mio viso, l’espressione del suo volto cambiò. Lo sguardo divenne improvvisamente assorto e sognante.

 

  • No, tranquillo – sorrise dolcemente, piegando la testa da un lato e facendo ondeggiare così,  i capelli corvini e lunghi.

Si era tolta l’uniforme rossa della sua squadra, e si era cambiata di nuovo, indossando la solita divisa scolastica.
 

  • Allora  …  possiamo andare – dissi, mettendo in tasca la mano ancora dolorante. Poi mi avvicinai a lei.

La scuola era già deserta a quell’ora, perciò avrei finalmente potuto guarire la ferita sulla sua guancia sinistra.
 

  • Ma prima … curiamo quel graffio, Seira – sospirai, mentre le alzavo il volto prendendolo con la massima delicatezza dal mento.

Non era la prima volta che la guarivo con i miei poteri.
Era già successo tre giorni prima, precisamente dopo il primo attacco di Anul.
La mia mente fu inondata da quei ricordi, che ormai sembravano lontani e vissuti, nonostante il tempo trascorso fosse stato pochissimo.
La mia mente riportò a galla il suo viso spaventato e inorridito dal contatto col mostro, così decisi di essere cauto.

 

  • Seira … -  dissi fissandola - … posso toc …
  • Non chiedermelo! – mi bloccò lei, prima che potessi chiederle il permesso di toccarla. Aveva chiuso gli occhi con forza, come una bambina che aspetta la ramanzina della maestra, e poi era arrossita violentemente.

La sua espressione era a metà tra tristezza e determinazione.
Allora capii.
Avevo messo di nuovo distanza tra di noi, avevo annullato ancora una volta il nostro rapporto di fiducia reciproca.
Avevo di nuovo sbagliato, avevo di nuovo permesso a me stesso di dividerci, facendola sentire sola.

 

  • Scusami – dissi pentito e turbato.
  • Perdonami, Seira – lasciai il suo mento e, mettendo la mano in tasca, mi voltai,  celando alcuni sprazzi blu oceano che sicuramente erano affiorati nei miei occhi in quel momento.

Per fortuna ero allenato a mantenere il controllo di me stesso.
Peccato però, che non riuscissi a tenere sottocontrollo i miei strani sentimenti per Seira.
Un momento prima ero stufo, seccato e indifferente, attento solo alla missione.
Ma poi il suo nome, il suo viso, mi provocavano quel bruciore al petto, doloroso, ustionante.

 

  • L’ultima cosa che volevo era farti sentire sola – la mia voce suonò sincera e consapevole. Era lo specchio delle mie intenzioni.
  • Sheid – lei disse il mio nome con voce tremante
  • Io non mi sento sola – continuò cauta. Stava mentendo?
  • Sai, non puoi mentire con me, Seira – lei non doveva mentire per farmi sentire meglio. Ero io quello che doveva proteggerla, non il contrario.
  • Ora, non mi sento più … sola – sussurrò l’ultima parola.

Mi voltai verso di lei. Volevo vederle gli occhi.
 

  • Adesso … - disse abbassando lo sguardo - … ci sei tu – concluse,  tornando ad arrossire.

Il suo messaggio era chiaro: non voleva distanze. Lei si fidava.
Mi avvicinai a lei allora, con tutta l’intenzione di esaudire il suo desiderio.
Il suo profumo era molto dolce, delicato e raro.
Sorrisi internamente.
Poi le alzai il volto accaldato e posai due dita su quel graffio, con delicatezza.
Lasciai che i miei cristalli agissero beneficamente su di lei, rimarginando la ferita.
Lei chiuse gli occhi con espressione beata e per un attimo sembrò davvero … serena.
 
Aprì gli occhi e, tastando lo zigomo levigato e guarito, mi squadrò con lo sguardo.
 
 

 

  • Ti ringrazio – disse pacata, e capii che non si riferiva soltanto al graffio.
  • Non devi ringraziarmi – dissi, cominciando a dirigermi verso la via che portava alla spiaggia – ora vogliamo andare?  - dissi più rilassato.

Lei si fiondò al mio fianco senza esitare.
 
                                             ****
 
Camminavamo già da un bel pezzo, eppure lei non parlò, né mi guardò in faccia.
Costringeva se stessa a volgere il suo sguardo davanti a se, e ciò le dava un’aria quasi robotica.

 

  • Seira … - dissi, facendola trasalire - … pensavo che tu dovessi farmi il terzo grado – sbuffai con aria seccata.
  • Io … - cominciò impacciata lei – io … - si fermò sul posto ed io con lei, mettendomi di fronte. Cosa voleva dire?
  • Non vuoi più bombardarmi di domande? – la provocai.
  • Io  …  Sheid  … - sembrava impacciata, bloccata.

Il silenzio che piombò in quel momento sembrò schiacciarmi.
Mi sentivo stranamente teso, ma non lo detti a vedere.

 

  • Hai paura di sapere le risposte? – forse lei stava ponderando la situazione.

Forse lei aveva paura di ciò che le avrei risposto.
 

  • È solo che … forse a te darà fastidio … rispondere – biascicò.
  • Se vuoi che le domande che ti assillano la mente se ne vadano, allora non puoi esitare – dissi autoritario.
  • Ma … - stava per ribattere.
  • Io ho accettato di rispondere – ero  sicuro delle mie parole  – perciò ora chiedi senza timore – quello intimorito ero io. Come avrei reagito alle sue domande?

 
 

  • Perché io? –  disse con aria strana, ponendomi il primo quesito.

“Facile” pensai sollevato.
 

  • Tu sei una principessa della Luna, non sappiamo perché – spiegai. Ripensai al giorno in cui Luna mi disse chi era la principessa da proteggere, e allora pensai ad alta voce –  … destino, forse.
  • Anche il fatto che tu sia il mio … difensore, è destino? – bella domanda. Peccato che la risposta e l’eventuale valanga di ricordi mi avrebbe rovinato una giornata quasi vivibile, rispetto alla mia solita routine.
  • Forse – dissi soltanto.
  • Cos’è di preciso la luce che scaturisce dalle tue dita? – già, domanda prevedibile.
  • È il frutto della terza essenza, è potere e distruzione insieme – spiegai tenendo d’occhio le sue reazioni. Sembrava solo curiosa, perciò continuai.
  • Gli angeli non sono composti soltanto da un corpo e da un’anima come voi umani, loro hanno la terza essenza: la magia di Luna.
  • Cioè … - chiese lei.
  • Gli angeli si nutrono di cristalli di Luna, e così alimentano la loro terza essenza, e di conseguenza il potere dei cristalli di cui è composta la loro anima – conclusi.
  • Da dove nasce un angelo?- altra domanda prevedibile.
  • Lo crea Luna – dissi, spostando i miei pensieri, per un attimo, al momento in cui me l’ero chiesto anche io. Agli angeli non era concesso sapere da dove provenissero, Luna diceva che se l’avessero scoperto, sarebbero diventati ingestibili e avrebbero perso tutti i loro poteri. La conoscenza li avrebbe resi consapevoli di loro stessi e avrebbe reso le loro anime sporche.

Io sapevo da dove provenivo al contrario degli angeli, il mio corpo era umano.
 

  • Come? – aveva un tono deluso. Il suo viso corrucciato era davvero buffo.
  • Non so di preciso … credo che plasmi i corpi come quelli degli uomini, poi introduce un’anima, e infine nutre l’essere con il suo potere, ma questa è solo una supposizione.

È Luna, l’unica a sapere la verità – spiegai.
 

  • Che intendi dire con “il suo potere”?
  • Lacrime – dissi, erano il nutrimento essenziale di ogni angelo. Importanti come il cibo, l’aria e il riposo per un umano, le lacrime rafforzavano la terza essenza. Ovvio.
  • Lacrime?
  • Quando Luna versa lacrime, crea dei cristalli che diventano nutrimento per gli angeli.

Appena le crea, queste gemme risplendono della luce del nutrimento, e quando sono vuote esse ricadono sulla terra sotto le sembianze più strane. In pratica per la maggior parte delle volte, diventano diamanti – dissi, sicuro di averla incuriosita ancora di più.
 

  • Diamanti?- disse con occhi luminosi.
  • Si, lacrime di Luna solidificate, ma senza alcun valore per gli angeli,né per Luna – era quasi ironico il fatto che i diamanti fossero così preziosi per gli uomini, e totalmente inutili per gli angeli.
  • Tu … che cosa sei, Sheid? – ecco, la domanda che tanto temevo.

Dolore, odio, ricordi, parole e sangue.
I miei occhi furono iniettati di quel blu intenso che odiavo più di qualsiasi cosa.
Quello era il mio alterego, era la parte di lui che albergava in me.
La parte di Isaac che mi faceva odiare me stesso, più di quanto odiassi un demone.
 
Mi voltai per impedirle di guardare l’altra parte di me, quella parte che apparteneva all’assassino di mia madre, quella parte che apparteneva all’ angelo che una volta chiamavo PADRE.
 
 
                                         ****
 
 
“ Sangue.
Il suo sangue caldo e scarlatto, bagnava la neve, sporcandola,  come un peccato imperdonabile  sporca un’anima pura.
Era riversa a terra, supina e aveva smesso di respirare.
I capelli morbidi e scuri, contrastavano col candore della neve, e formavano un ventaglio corvino e luminoso.
Il vestito, bianco ed elegante come un cristallo, era anche esso sporco di un colore cremisi.
I miei occhi non riuscivano a staccarsi da quell’immagine, non riuscivano a posare lo sguardo su qualcos’altro.
 
Lei, Annabel Silver, lei, mia madre, era morta.
 
Alzai lo sguardo, finalmente, e trovai quegli occhi uguali ai miei, trovai il suo sguardo vitreo e soddisfatto, crudele e fiero.
 
Nella sua mano stringeva uno stiletto sporco di sangue.
 
Non potevo credere a quello che avevo visto,  lui amava mia madre e non le avrebbe mai fatto del male. Lei era la sua luce.
 
Ma forse, qualcosa era cambiato.
 

 

  • Finalmente mi sono liberato di questo inutile fardello – disse con voce monocorde, quasi annoiato. La sua voce profonda e graffiante sembrava seccata.

Cominciai a tremare, avevo freddo, avevo paura,  provavo un immenso dolore, una profonda disperazione.
Perché lui l’aveva fatto?

 

  • Padre … - riuscii a sussurrare - … perché …? – caddi sulle ginocchia, caddi sulla neve.
  • Non chiamarmi più padre, piccolo sgorbio – la sua voce era colma di crudeltà, e faceva più male di quelle maledette ali che avevo ereditato da lui.

Prese il corpo senza vita di mia madre tra le sue braccia, e poi guardandomi dall’alto in basso, quasi fossi un verme, sorrise maleficamente.
 

  • In tutta la mia gloriosa esistenza ho fatto tre grandi sbagli – cominciò con sguardo assassino, sottolineando tutte le parole con enfasi, quasi con rabbia  – fidarmi di Luna, amare questa donna, e … il più grande: creare te.

Vorrei che scomparissi dalla faccia della terra, vorrei eliminarti qui, adesso.
Ma, sarebbe troppo clemente da parte mia, e soprattutto, sarebbe noioso e troppo facile per me – abbassò il suo sguardo schifato sulla mamma, che inerme e immobile, si trovava tra le sue braccia.

 

  • Perché? – ripetei tremante, mentre una strana sensazione – che poi tradussi come odio – mi risaliva lo stomaco infiammandomi il petto e la gola.
  • Perché? Tu mi domandi perché? – rise malignamente – tu e questa donna siete ormai diventati un peso, una seccatura.

Soprattutto tu. Non saresti di nessun aiuto né agli angeli, né a me, né tantomeno a Luna.
Non sai volare, non hai potere, sei umano, sei un debole sin dalla nascita.
A cosa serviresti?
A nulla, sei così inutile che non sei neanche riuscito a proteggere la donna che ti ha procreato.

 

  • No – stavo per perdere i sensi, ero troppo scioccato, troppo debole, troppo logorato.

Tutto il mio mondo era sprofondato in una sola notte, portando alla luce una realtà inaccettabile, crudele e spietata.
 

  • Sta’ tranquillo moccioso, non ti ucciderò. Non ora.

Soffri, odiami, maledicimi, fai scorrere la rabbia e il dolore dentro di te come veleno.
Ma vivi.
Aggrappati alla vita, cresci. Trasforma la sofferenza in forza, muta il tuo odio in potere – disse tetro e serio. Strinse a se il corpo di mia madre e cominciò ad agitare le ali candide.

 

  • Quando sarai forte abbastanza da avere il coraggio di affrontarmi, quando avrai potere a sufficienza da riuscire a porre fine alla mia esistenza … vieni a cercarmi.

Quel giorno ci affronteremo e … se mi sconfiggerai,  ti ridarò il suo corpo – annunciò guardando il viso di mia madre – Se invece perderai  … IO TI UCCIDERO’, SHEID -  concluse con un tono che non ammetteva repliche.
Baciò delicatamente le labbra della donna che aveva ucciso con le sue stesse mani, la guardò sommessamente.
Poi si alzò in volo, portando con se il corpo della mamma.
 
Il cuore sembrò fermarsi, mentre la vista si annebbiava e le forze mi abbandonavano.
Caddi sulla neve fredda, col desiderio di morire congelato”.
 
 
Per sfortuna, Erik era arrivato prima che potessi congelare sul serio.
 
Ritornai al presente e cercai di riprendere il controllo.
Ancora una volta il passato era riuscito a travolgermi.
 
Seira non camminava più al mio fianco, ma mi seguiva silenziosa e timorosa.
Lo sentivo che aveva paura di me adesso, lo sentivo che era turbata.
 
Che cosa avrei dovuto rispondere alla sua domanda?
“Sono soltanto uno sporco mezzosangue che perde il controllo troppo facilmente, diventa sanguinario quando si arrabbia e non sa per niente avere rapporti normali con la gente?”
Lei sicuramente, non mi avrebbe perdonato.
 

 

  • Seira …  – la voce ferma, ma seria - … io non sono un angelo, né un umano – dissi a voce bassa. Era una confessione, un modo per avvicinarci, ma era estremamente difficile.
  • Non sono quello che ti aspettavi. Mi dispiace – dissi consapevole della veridicità delle mie parole. Mi voltai verso di lei e la guardai negli occhi.

Mi sarei aspettato rabbia, repulsione, freddezza, ma mai mi sarei aspettato un’altra confessione, la sua, come risposta.
 

  • Io aspettavo te – la voce rotta dal pianto. Trasalii e le andai incontro, non sapendo cosa fare.
  • Seira – sussurrai.
  • Io … aspettavo … te – confessò, tra le lacrime cristalline che le rigavano il viso.
  • Seira, perdonami … - l’avevo fatta piangere, di nuovo. L’avevo delusa, probabilmente ferita, avevo commesso un altro sbaglio.
  • No! – disse con forza – no … - sussurrò poi - perché mi stai chiedendo scusa? – domandò con la voce rotta dal pianto – perché pensi che mi fossi aspettata qualcosa? Io … io … non mi aspettavo niente.
  • Seira … - volevo fermarla.
  • Sheid, io aspettavo te. Quella notte … aspettavo che qualcuno mi salvasse, che qualcuno mi dicesse che mi avrebbe protetta … e … e tu l’hai fatto! L’hai fatto! – spiegò tra le lacrime. In quel momento capii che stava abbattendo tutti i muri e le inibizioni.
  • Sheid, se sono viva è solo grazie a te. Se ho la speranza che le cose tornino com’erano … è solo grazie  a te! Io aspettavo te! Ma tu … sei così distante  a volte che … – non riuscì a finire la frase. Ecco cosa la faceva soffrire. La distanza.

Più cercavo di allontanarla e più lei soffriva. Sentii riapparire quello strano dolore al petto, e lo sentii più concreto, lo sentii ustionarmi in profondità.
Lo ignorai concentrandomi su di lei.

 

  • Seira, chiedimi ciò che vuoi,  io risponderò e non importa se farà male! –dissi avvicinandomi a lei. Avrei fatto qualsiasi cosa per fermare quelle lacrime – puoi parlarmi di ciò che ti spaventa, puoi sfogarti con me, puoi fidarti di me – sarei stato la sua sicurezza, sarei stato il suo scudo. Io dovevo proteggerla, anche da me stesso.
  • Voglio sapere … se …. MORIRO’! – quelle parole mi trafissero la mente, facendo quasi male.

Presi in considerazione la possibilità di perderla, di fallire, di vedere Seira inerme, tra le braccia di un demone, come mia madre era stata inerme di fronte ad Isaac.
Il dolore al petto mi tolse il respiro, i ricordi minacciavano di tornare.
Allora presi il braccio di lei, attirandola a me.
Lei si aggrappò alla mia giacca e scoppiò  a piangere.
In quel momento mi sentii integro, appagato, come se lei fosse capace di tamponare le mie ferite, di rimarginarle.
Il dolore al petto raggiunse il culmine, per poi dissolversi.
In quel momento mi sentii più forte che mai, e allo stesso tempo più vulnerabile.
Senza volerlo, lei aveva abbattuto tutte le mie difese.
Posai una mano sui suoi capelli setosi e mi sentii, dopo tanto tempo, in pace con me stesso.
 
                                      *******
 

 

  • Seira – la chiamai. Non so per quanto tempo eravamo rimasti immobili e appiccicati.
  • I nostri destini sono legati fatalmente dal sangue – ammisi, e sapevo bene che quella era proprio la frase giusta.

Seira si aggrappò ancora di più a me, rimanendo in silenzio.
 

  • Perciò, non preoccuparti, non sarai più sola. Dovranno uccidere me, prima di riuscire anche soltanto sfiorarti – promisi senza esitazione.
  • Non mi coglieranno più impreparato, nessun’altro demone riuscirà a toccarti. Nessun’altro – dissi serio.
  • Sì – sussurrò lei, sul mio petto. Nella sua voce era ancora presente l’agitazione, ma il dolore era scomparso insieme alla paura.

 
 
Passò ancora qualche secondo prima che lei si staccasse da me.
Si asciugò le lacrime con cura, prima con i bordi della giacca e poi con le sottili dita.
Era la seconda volta che la vedevo piangere.

 

  • È tutto apposto? – le chiesi, cercando di essere gentile.
  • Si, adesso si. Grazie – sorrise. Come poteva rivolgere un sorriso così sincero ad uno come me? L’avevo fatta piangere, eppure …
  • Posso chiederti un’ultima cosa? – disse coraggiosa.
  • Certo –risposi senza indugi.
  • Quando attaccheranno … gli altri? –sapevo di che parlava.
  • Non ne ho idea, Anul è diventata passiva, e questo non è da lei,  sta mettendo alla prova il mio autocontrollo e la mia pazienza, ma … non sa con chi ha a che fare – ammiccai.
  • E se attaccano mentre sono … da sola? – ecco che la paura ripiombò nei suoi occhi.
  • È di questo che volevo parlarti io – finalmente l’occasione che aspettavo, il momento giusto per parlarle del mio piano. Lei avrebbe accettato?
  • Ti ascolto –disse cauta.
  • Farò una piccola premessa per arrivare al punto – cominciai.

Prima di arrivare alla parte in cui le avrei chiesto “Vieni a vivere da me?”, volevo spiegarle tutto, e giustificare la mia inaspettata e irruente richiesta – invito, corressi.
 

 

  • Anul crede che sarà un gioco da ragazzi togliermi di mezzo. Lei si affida al fatto che io sia mezzo angelo, e quindi farà leva sulle mie debolezze da umano – si, Anul sapeva perfettamente che i protettori erano estremamente prudenti e … nel mio caso, pignoli.

Sapeva anche che ero umano, perciò sapeva che ero soggetto al sonno, alla fame, alla sete e alla tensione.
 

  • Ha fatto la stessa cosa con gli angeli … del passato? – domandò curiosa e preoccupata al tempo stesso.
  • No, ma le sue strategie sono sempre micidiali e crudeli, non devo sottovalutarla, ed è per questo che vorrei prendere alcune … precauzioni – dissi l’ultima parola con attenzione, sottolineandola.
  • Precauzioni?
  • Seira, - la costrinsi a guardarmi, doveva capire bene la situazione – sto per farti una proposta che declinerai, ma devo chiedertelo comunque –era ironico da parte mia dichiarare la sconfitta prima ancora di aver decretato le regole del gioco.
  • Cosa? – proprio la reazione che mi aspettavo.
  • È una proposta che ti sembrerà indecente, inaccettabile e strana, ma per me è l’unica soluzione efficace, l’unica soluzione che mi renderà il lavoro meno difficoltoso – poggiai la mano sulle inferriate del cancello, e guardai dentro. Chissà cosa cercavo poi.

La mano aveva smesso di dolermi, e ringraziai la mia parte non umana per questo.
I cristalli avevano anche il potere di rimarginare più in fretta le ferite, e di velocizzare, nei limiti del possibile, la guarigione di qualsiasi parte del corpo lesa.
Nel giardino regnava la pace più assoluta, e gli unici rumori che riuscivo ad udire erano  il ronzio delle api che svolazzavano intorno ai fiori di lavanda e alle rose, e il sottile scrosciare dell’acqua della fontana al limitare del prato.
Dalla finestra della veranda due occhi paterni che mi controllavano, attenti e pacati.
Ignorai  Eric e tornai a Seira.

 

  • Sheid, … cosa vorresti che facessi? – disse, stranamente agitata.
  • Per raggiungere casa tua camminando … - dissi, cominciando la mia oratoria finalizzata alla persuasione della mia vittima, Seira  - … impiegherei due minuti e sette secondi –passandomi una mano tra i capelli, continuai – correndo, un minuto scarso, … volando  … tredici secondi – conclusi, mentre mi voltavo totalmente verso di lei.
  • Quei tredici secondi, Seira, potrebbero costarti la vita. Quel breve lasso di tempo può essere un grosso problema per me, soprattutto di notte, quando siamo costretti a separarci – dissi a bassa voce.
  • Perciò io ti chiedo … - cominciai, lentamente, volevo darle il tempo di capire ed analizzare la situazione.
  • Cosa vuoi che faccia? – Seira impallidì repentinamente, e la sua voce apparve stridula e stanca. I suoi occhi fissavano il vuoto.

Dovevo chiederglielo prima che crollasse.
Sapevo che la mia proposta le avrebbe causato altra ansia, ma conoscevo i rischi di quella situazione, volevo diminuire le probabilità di fallimento, volevo tenerla più al sicuro.
Volevo tenerla accanto a me.
Non importava se le fiamme che sentivo bruciarmi dentro mi avrebbero consumato.
Ero sicuro che anche lei si era sentita, se non integra, almeno protetta, nel nostro mezzo abbraccio.
 

 

  • Verresti a vivere con me, Seira? – dissi fermo.

 
Sbarrò gli occhi di colpo, prima di chiuderli lentamente, prima di perdere i sensi.
 
Con un agile balzo, le andai vicino prima che cadesse rovinosamente a terra.
 
L’ accolsi di nuovo tra le mie braccia e, dopo averla sorretta per qualche secondo, la presi in braccio, portandola dentro casa.
 
Casa mia.
 
Se fosse stata sveglia avrebbe sicuramente protestato, arrossendo e pregandomi di metterla giù.
 
Sorrisi impercettibilmente.
 
Poi attraversato il breve viale verdeggiante, trovai Eric, che con aria quasi sconvolta, mi apriva il portone di villa Winter.

 
 
 
 
 
 
SECONDA PARTE …
 
 
 
 
SEIRA
 
 
“Si è svegliata padrone?”
 
Sentivo delle voci confuse, ma non seppi riconoscere se fossero vere, reali, o frutto del mio subconscio impazzito.
 
Forse.
 
Forse.
 
Forse.
 
Forse.
 
Continuavo a ripetermelo: forse.
 
Sarebbe stata la risposta che avrei dato alla domanda di Sheid.
 
Il tempo di pensarci.
 
Non era no, non era si.
 
Era forse.
 
Forse.
 
“Non ancora”
 
Questa era di sicuro la voce di Sheid, ma non riuscivo a  capire se me la stessi immaginando o no.
 
Continuai ad ascoltare nella speranza di svegliarmi, o almeno di capire se quello fosse un sogno.
 
“Sembra aver ripreso colore”
 
“Già”
 
“Cosa avete intenzione di fare con lei? Le avete parlato?”
 
“Beh, sai bene cosa vorrei e se non le avessi parlato a quest’ora sarebbe sveglia e mi starebbe tempestando di domande”
 
“L’ha presa male, secondo voi?”
 
“Non lo so ”
 
Stavano parlando di me.
Ne ero sicura.
 
Avevo riconosciuto la voce bassa e profonda di Sheid, ma non avevo mai sentito la seconda.
 
“Non sarebbe meglio chiamare un medico?”
 
“No, fidati. Sta bene”
 
Cercai di aprire gli occhi, ma non mi ubbidivano.
Sentivo il corpo stanco e immobilizzato.
 
Riprovai comunque ad aprire gli occhi.
 
Ci riuscii.
 
Non seppi distinguere bene l’ambiente che mi circondava a causa della luce soffusa, ma di certo non era casa mia.
L’odore che albergava nell’atmosfera di quel luogo era … lunare.
 
La brezza marina che sembra quasi palpabile alla luce della luna, l’odore di fresco, l’odore del silenzio, del mare, … della luna.
La luna non odorava di nulla, lo sapevo bene, ma la sensazione che provavo guardandola era somigliante all’appagamento.
Quel senso di magia che ti fa capire che il mondo non comprende soltanto ciò che vedi.
 
Cercai di restare immobile, e di capire se le voci che avevo sentito provenissero da lì vicino.
 

 

  • Forse sarebbe il caso di provare a svegliarla – sentii parlare alle mie spalle – infondo sono quasi tre ore che sta immobile in quella posizione.
  • Eric … - era la voce di Sheid, stranamente ironica.
  • Si, padrone – qualcuno, dalla voce un uomo abbastanza anziano, lo chiamava padrone  - lo so che sta bene, ma dormire così a lungo, senza muoversi …
  • Eric …
  • Dovremmo svegliarla e chiederle come si sente … - la voce dell’uomo sconosciuto era davvero preoccupata.
  • Eric – lo interruppe per l’ennesima volta Sheid – ha passato un sacco di notti in bianco, è ovvio che sia sfinita adesso. E poi … non c’è bisogno di svegliarla – disse con tono stranamente ironico.
  • Ma signorino …  – cominciò l’uomo, Eric, era così che l’avevo chiamato Sheid.
  • È già sveglia – ammiccò l’angelo, facendomi trasalire. Se n’era accorto.

 
 
Allora trovando inutile e patetico qualsiasi tentativo di recita, mi mossi, stiracchiandomi un po’.
A quanto mi sembrava, mi trovavo sdraiata su un morbido divano dal tessuto fresco, ma dal colore sconosciuto.
La luce soffusa di quella stanza, camuffava qualsiasi tonalità di colore.
 
Sentii dei passi avvicinarsi a me.
 
Poi una mano gentile si posò sul mio capo, quasi accarezzandolo.
 
Poi Sheid, senza staccare lo sguardo dal mio viso, indietreggiò e si sedette sulla poltrona di fronte al divano dove stavo io, e con aria rilassata e compiaciuta, e l’aspetto trasformato dall’oscurità, sprofondò con un sospiro nei cuscini.
 

 

  • Buongiorno bella addormentata – disse posando ancora i suoi occhi sul mio viso. Io arrossii a quelle parole, e il calore piacevole e rigenerante che sentivo salire al petto di tanto in tanto in sua presenza, mi riscaldò.
  • Come ti senti? – disse poi.
  • Bene – farfugliai. L’oscurità rendeva i suoi capelli un’ombra , i suoi occhi due tunnel senza fine, e la sua pelle scura.

“Dove siamo?” avrei voluto chiedergli, ma era una domanda scontata, trita e ritrita.
 
Ovvia.
 
Quella era casa sua.
 
Il suo odore delizioso e deciso, il suo profumo sexy e e inebriante, era nell’aria.
 

 

  • Quanto ho dormito? – chiesi allora, domanda più che lecita. Non potevano essere davvero tre ore come aveva detto quell’Eric.
  • Calcolando che se svenuta intorno alle tre e ora sono le sei e mezza … - disse calmo lui.
  • TRE ORE! – ansimai, alzandomi di scatto dal divano. In quel momento un forte capogiro mi colse impreparata, minacciando di farmi cadere sul pavimento come un’ imbecille.

Come speravo, trovai le sue braccia a sorreggermi. Prendendomi per le spalle, mi aveva fatta appoggiare a lui.
Sheid poi, tenendomi per i fianchi, mi fece sedere di nuovo sul divano.

 

  • Fa’ piano. Non vorrai costringermi a tenerti d’occhio anche di giorno! – disse scherzando, aiutandomi a sedermi – non sono addestrato per salvataggio da incidenti umani – nella voce traspariva ironia ma anche un tono seccato.

“Tipico di lui!” pensai. Era incredibile quanto l’avessi capito.
Erano piccole cose, ma erano comunque particolari.

 

  • Grazie, - dissi imbarazzata – te lo sto ripetendo tante volte ormai!
  • E io ti sto ripetendo che non devi ringraziarmi. È mio dovere! – abbassò lo sguardo e incupì il tono della voce.

 
Mi guardai intorno con discrezione.
Ci trovavamo in un salotto, adiacente ad un’immensa sala da pranzo, dove, al centro esatto, padroneggiava un tavolo, lungo, spesso e dall’aria imponente, abbellito da una lunga tovaglia di seta bianca.
I finestroni che prendevano gran parte delle mura alte come quelle di un vero castello, erano a forma di arco, decorate in cima da ornamenti intricati e bellissimi, che spiccavano dal legno lucente e pregiato.
Tende spesse, e scure, nascondevano le vetrate per la maggior parte, rendendomi difficile l’esplorazione del luogo.
Tutti i mobili erano delle stessa manifattura e riprendevano tutti le stesse fantasie di decoro.
L’ambiente era troppo grande e tetro per poter riuscire in pieno ad ammirarlo, ma ciò che avevo visto era sufficiente a farmi brillare gli occhi.
Proseguendo verso destra, attraverso il buio si riuscivano a scorgere i lineamenti di alcune statue in marmo,  fredde e immobili.
 
L’odore di pulito, l’odore di nuovo, l’odore di Sheid, albergava nell’aria.
 
Azzardai un’ occhiata a Sheid, che mi stava studiando con curiosità.
Se avessi risposto di sì, sarei vissuta in quel luogo?
Se avessi detto sì, sarei vissuta con lui in quel luogo?
 
Forse.
 
Lo ripetei meccanicamente.
 

 

  • Volete che vi porti del tè signorina? – si rivolse a me quello che aveva tutta l’aria di essere un maggiordomo o roba simile. Eric.

Era un uomo di corporatura massiccia, alto, e ben piazzato.
Era vestito formalmente, e mi scrutava con discrezione e gentilezza.
Sul suo viso segnato dal tempo, facevano capolino un paio di baffi, che davano ai suoi lineamenti severi, un’aria più … simpatica ecco.
Io lo guardai con sguardo interrogativo, e lui si irrigidì di colpo, facendomi sobbalzare.

 

  • Ma che maleducato, … io … io sono Eric – disse, facendo un breve inchino. Io arrossii per l’imbarazzo, un simile comportamento era davvero … antiquato. Però mi sentii stranamente lusingata – mi occupo di questa casa, infatti sono il maggiordomo del signorino Sheid, non che il suo tutore – finì di presentarsi alzando il capo.
  • Sono onorato di fare la vostra conoscenza principessa – la commozione della sua voce era surreale.
  • Molto lieta – dissi con un sorriso. “Principessa”, già, Sheid me l’aveva spiegato.

Guardai nella sua direzione, e lo trovai a fissarmi con un mezzo sorrisetto ironico.
Se la stava spassando alla grande e probabilmente, aveva compreso il mio imbarazzo.
Poi con un movimento fluido e fulmineo, si alzò sospirando.

 

  • Eric, vai pure a prendere il tè – disse benevolo, come non l’avevo mai visto fare con nessun essere umano.

Eric si congedò sparendo nell’oscurità.
Guardai la figura alta, smilza ed elegante di Sheid, che eretta e fiera mi dava le spalle.
 

 

  • Vuoi che ti riaccompagni a casa? – disse facendo qualche passo avanti a se e in questo modo allontanandosi – oppure … vuoi restare per il tè? – disse con voce monocorde.

Sembrava contrariato, era strano il modo in cui cambiava stato d’animo.
Un attimo prima era divertito, e quello dopo era seccato.
Però, aveva ragione.
Chi sarebbe svenuta davanti a casa sua come una debole?
Chi avrebbe pianto come una fontana, muovendolo a compassione?
 
Che stupida.
 

 

  • Mm … - cosa dovevo rispondere alla sua domanda? Sentivo il bisogno bruciante di stare vicino a lui, ma il mio orgoglio e la mia ragione mi dicevano di andare.
  • Sta’ tranquilla, è solo un tè! Non ti sto chiedendo di rimanere – disse serio, voltandosi verso di me, e appoggiandosi al muro – voglio solo finire quel discorso con te.
  • Si – sussurrai. Era solo un tè no?

 
 
 
                                                                     **********
 
Eric arrivò con il tè, e posò il vassoio d’argento sul tavolino al centro del salotto.
Poi sparì, dicendoci di chiamarlo in caso avessimo avuto bisogno di lui.
 
Io ero rimasta seduta sul divano, e Sheid, si era adagiato comodamente sulla grande poltrona vicina.
 
Nessuno di noi due proferì parola, e nessuno di noi si azzardò a toccare le tazze fumanti e ricolme di te … alla menta dal colore.
 
Mi sentivo a disagio nonostante la calda accoglienza di Eric, e il silenzio di Sheid non mi aiutava di certo a calmarmi.
 
Continuavo a vagare con lo sguardo, ma quel buio era snervante.
 
“Possibile che il sole lo ripugni così tanto?” mi domandai, posando fuggevolmente gli occhi su di lui.
Sembrava assorto in qualche problematico pensiero, e non dava segni di ripresa.
Il sole … si, il sole non era certo affascinante come la luna, la sua luce era forte e spesso fastidiosa, ma … senza di esso, il mondo sarebbe stato una macchia oscura sin dall’inizio.
La vita sarebbe stata impossibile senza la luce del sole.
E malgrado mi desse fastidio ammetterlo, era grazie al sole che potevamo vedere la luna.
 

 

  • Non … non ti piace il sole? – balbettai, sperando con tutta me stessa di non infastidirlo con le mie domande assurde e poco consone. Lui, con mia grande sorpresa, parve sollevato dal suono della mia voce.
  • Non sono un vampiro – scherzò – ma comunque non sopporto il caldo. Perché me lo chiedi? – disse ammiccante. Io impallidii quando vidi i suoi occhi illuminarsi anche nell’oscurità.
  • Beh, mi domandavo perché tenessi le tende chiuse – dissi, cercando di stare calma. Lui rimase attonito a fissarmi e poi, tenendo il gomito destro sul bracciolo della poltrona, posò il capo sulla mano.
  • Fino a pochi minuti fa dormivi profondamente, perciò ho pensato fosse meglio chiuderle.

Questa sala ha la vista sul limitare del bosco ed è sempre molto illuminata, perciò avresti sofferto il caldo e saresti stata infastidita sicuramente dalla troppa luce – spiegò pratico.
Rimasi lusingata nel profondo dalle sue premure e arrossii ancora. Ma per fortuna le tende erano rimaste chiuse, e lui non se ne accorse.

 

  • Sei stato davvero gentile -  sussurrai quasi. 
  • Vuoi che le apra? – chiese ignorando il mio “grazie” implicito.
  • Non disturbarti, in fondo si vede anche così no? – dissi sorridendo.  Lui però, si alzò e si diresse verso la finestra più grande, alle spalle della sua poltrona.
  • Dobbiamo finire il nostro discorso, ricordi? – disse, tirando una cordicella appena dietro la tenda – voglio guardarti negli occhi e capire cosa pensi – disse d’un tratto, mentre la luce accecante di un sole rosso all’orizzonte, dava un colore e un tocco di vita a quel castello fatato.

 
                                              *********
 
Tornato a sedere sulla sua poltrona, si sporse in avanti e agguantò la sua tazza, ormai raffreddata.
Era incredibile quanto ogni suo movimento sembrasse aggraziato e … elegante.
Ma nonostante ciò, la sensazione che mi suscitava era quella che avrei provato davanti ad un guerriero. Virile, letale, bellissimo.
 
Sorseggiò il suo tè ad occhi chiusi, con calma.
Poi, posata la tazza sul tavolo, mi inchiodò con lo sguardo.
“Voglio guardarti negli occhi e capire cosa pensi” aveva detto.

 

  • Non bevi? – domandò lui. Io mi affrettai a prendere la mia tazza e a sorseggiare a mia volta il tè. “Buono!” pensai.
  • Cosa risponderai alla mia richiesta? – mi chiese poi, quando ebbi finito di bere.
  • Non lo so ancora – risposi sincera. “Forse” pensai mentalmente.
  • Cioè non è un NO? – domandò sorpreso.
  • Cioè non so cosa rispondere – dissi – vorrei pensarci – conclusi.
  • Bene, allora … quando pensi di potermi rispondere con sicurezza?
  • Tra qualche giorno almeno – dissi, intrecciando le braccia e appoggiandomi allo schienale del divano.
  • Ti do tempo fino a questo sabato …
  • Domenica! – subentrai interrompendolo – domenica … per favore. I miei genitori tornano proprio questo fine settimana, e nel caso fosse un SI, vorrei che non si preoccupassero se non mi trovo a casa – spiegai. Lui annuì consenziente.
  • Bene, allora in base alla tua decisione, prenderò delle precauzioni. Vorrei che tu mi appoggiassi Seira, perché ne va delle nostre vite, e soprattutto della tua – era serio, tagliente, ma ero felice che lo fosse.

Non poteva esitare, perché dovevo essere pronta a tutto.
 

 

  • Dimmi cosa devo fare, e lo farò – il mio sguardo era sicuro.

Lui sorrise ammiccante, poi si alzò dalla poltrona.
 

  • Allora, potresti aspettare il sorgere della luna qui? – disse mettendo le mani in tasca – si tratta solo di quaranta minuti, devo darti una cosa – concluse, dirigendosi verso la grande sala.

 
 
                                                          *********
 
Mi aveva condotta attraverso l’entrata principale, alla cucina.
Era gigante, ricca di confort e il sogno di ogni casalinga amante dei fornelli.
Aveva un tocco classico, con la mobilia in legno scuro, ma gli elettrodomestici più sofisticati, padroneggiavano qua e là, dando l’impressione di modernità ovunque.
 
Poi, raccomandando ad Eric di tenermi compagnia, Sheid si era dileguato, lasciandomi col simpatico signorotto.
 
Mi ero seduta su una sedia del tavolo in marmo della cucina e osservavo con ammirazione il maggiordomo preparare la cena.
 

 

  • Resta con noi stasera? – domandò di punto in bianco mentre tagliava una patata.
  • Solo fino al sorgere della luna. Lui mi ha chiesto di attendere qui – spiegai.
  • Che peccato, ero convinto di avere un ospite – disse, sinceramente dispiaciuto.
  • Sono convinta che lei è un gran cuoco – sorrisi.
  • Mi dia del tu signorina, così mi sento vecchio – disse scherzando.
  • Come vuole … vuoi, anche se non ci sono abituata.
  • Si vede che è una ragazzina a modo! – si complimentò lui, facendomi arrossire.
  • A modo? – dissi ridendo – sono una pasticciona di prim’ordine, una golosona inguaribile e una pigrona senza pari. Nell’ultimo periodo non faccio che cacciarmi nei guai, inciampando dappertutto persino in demoni che vogliono uccidermi – sdrammatizzai – e così ora ho scoperto di essere anche una fifona. Inoltre dico sempre ciò che penso, divento indisponente spesso e volentieri e sono prettamente egoista e bugiarda -  conclusi. Perché mi stavo aprendo così sguaiatamente con quell’uomo? Come mai la voglia di sfogarmi aveva preso di nuovo il controllo?
  • È normale essere imperfetti a questo mondo! E poi non dovrebbe essere così dura con se stessa. Scoprire di essere qualcosa di inconcepibile per una mente abituata a pensare razionalmente, è come veder svanire tutto ciò in cui si crede. La paura e la fragilità fanno parte dell’uomo – mi rimproverò lui, cercando nello stesso tempo di consolarmi e tranquillizzarmi.
  • E poi secondo me se la sta cavando piuttosto bene. È così inerme e giovane! – sospirò intristito.
  • Grazie - dissi sinceramente contenta di essermi aperta. La saggezza della parole di Eric mi lasciò interdetta e appagata nello stesso tempo.
  • Non deve ringraziarmi, ma credere soprattutto in se stessa e nell’angelo che la protegge. Padron Sheid non permetterà a nessuno di farvi del male. Lui vi salverà, vedrete – disse orgoglioso.
  • Si – concordai io.

Il silenzio durò ancora per un po’, così, più rilassata e tranquilla decisi di aiutare Eric.
Presi dei pomodori e cominciai a lavarli per farne un insalata.

 

  • No signorina! – urlò quasi lui, - non è compito vostro, siete un ospite. E poi se vi succedesse qualcosa, padron Sheid se la prenderebbe con me! – disse lui.
  • Non preoccuparti, io mi preparo da mangiare tutti o giorni da sola, e non mi è mai successo nulla. E poi … odio starmene con le mani in mano – spiegai sorridendo.
  • Ma signorina … io non posso lasciarvelo fare! Vi prego, lasciate fare a me! – mi pregò lui.
  • Eric … tranquillizzati, li lavo e basta ok? A tagliarli ci pensi tu – dissi, riuscendo a tranquillizzarlo.

 
 

  • Da quanto lo conosci? – dissi dopo qualche minuto. Era strano quanto mi fossi già affezionata a quel simpatico signore dall’aria autorevole ma dal carattere docile e gentile.

E poi mi domandavo se lui … sapesse.
Aveva mai visto Sheid versione angelo?
“Forse” continuavo a ripetere quella parola, indefinita, volubile, indecisa … come me.
Forse la verità era che cominciavo a rendermi conto di quanto fossi sola.
Mi mancava una chiacchierata a tu per tu con qualcuno. Di solito per me la cena era un momento di riflessione e silenzio.

 

  • L’ho visto nascere! – disse lui commosso. In quel momento l’idea del viso di Sheid  bambino,  sorridente e tenero mi scoppiò in testa, causandomi un sacco di emozioni contrastanti e forti.
  • Lavoro per i Winter da generazioni ormai – disse, ma dalla voce capii che Eric sapeva qualcosa di inconfessabile.

“O forse e solo la mia immaginazione” pensai, mettendo un po’ d’origano qua e la sui pomodori tagliati da Eric.
 

  • Capisco – dissi io – ma dimmi, vivete da soli voi due?- chiesi curiosa, volevo assolutamente sapere se aveva legami con altri angeli o umani.

Anche se c’era quel tassello fastidioso, quel frammento di ricordi che stavo cercando di rimuovere insieme alla paura, senza successo.
Chi era Isaac? E cosa aveva fatto di così tremendo Sheid, perché questo famigerato personaggio volesse la sua morte?
Ricordai il volto del demone che aveva svelato questa parte misteriosa della vita di Sheid, ma la rimossi timorosa di reazioni esagerate, da parte del mio autocontrollo crollato insieme alle mie originarie convinzioni.

 

  • Si – rispose secco – perciò sarei davvero contento di avere qualcun altro qui in casa. Scommetto che con un po’ di compagnia, padron Sheid sarebbe meno teso e attaccato al lavoro, e più rilassato. Scommetto che sorriderebbe più spesso – disse mesto, aggiungendo l’olio e il sale.

“Allora non è freddo e pensieroso solo a scuola!” pensai incuriosita.
 

  • E lei signorina? Mi parli un po’ di lei – mi incitò lui.
  • Beh, anche io vivo da sola – dissi abbassando lo sguardo sul pavimento lucido.
  • Una ragione in più per venire a stare qui non trova? – sorrise gentile.
  • Già - risposi soltanto. Come potevo decidere solo in base a ciò che aveva detto Eric?

Loro per me erano quasi sconosciuti, a parte il fatto che io e Sheid avevamo accelerato i tempi per avvicinarci, visto che avevamo condiviso pericoli, emozioni nuove e … una promessa.
 
                                                             
                                                         *********
 
Drin drin drin !!!
Il rumore sordo di un cellulare ci fece sobbalzare entrambi, mentre, dopo aver finito di apparecchiare la grande tavola di marmo della cucina, io ed Eric ci accingevamo a portare in tavola i piatti.

 

  • Pronto? – Eric rispose prontamente, e dall’altra parte qualcuno, disse qualcosa in maniera sbrigativa.
  • Bene, ho capito signore – chiuse la telefonata e poi mi squadrò.
  • Signorina Seira, è pronto – disse gentile, ed io capii che si riferiva a LUI.
  • Che significa che è pronto?
  • Significa che la trasformazione è completa, e ora potete vederlo – spiegò con ovvietà.

“Trasformazione …” pensai, e poi sgranai gli occhi.
Di notte lui era un …
 
Eric mi guidò su per le scale, e dopo tre rampe, arrivammo al terzo piano della villa.
L’arredamento che avevo visto durante il breve tragitto, mi aveva irretita e stregata con l’eleganza della classicità e l’avanguardia dei confort, ma mi aveva anche intimorita tanta era la magnificenza.
 Tutto era gigante e a portata di … ali.
I corridoi larghissimi, le sedie di velluto con spalliere particolari e adattabili alle ali, le porte a due ante … tutto era stato progettato per quelle bellissime ali.
 
Il terzo piano era quello con minor arredamento, ma in compenso alle pareti erano appesi più quadri, raffiguranti uomini di una bellezza angelica, di cui si poteva rimirare solo il volto.
Erano angeli anche loro?
 
Proseguimmo per quel lungo corridoio, fino ad arrivare ad una porta massiccia e gigante come le altre.
Eric l’aprì e poi mi incitò ad entrare.

 

  • Eric … - dissi io, ma lui con un sorrisetto sommesso, chiuse la porta, lasciandomi interdetta e un po’ stranita.

Cosa sarebbe successo ora?
Dov’era Sheid?
 
La stanza in cui mi trovavo era davvero grande.
Le pareti erano dipinte di blu chiaro, e le lampade con la loro luce, creavano arcobaleni celesti sul soffitto.
In quella stanza c’era un letto gigantesco, grande almeno quanto quattro letti matrimoniali messi insieme, coperto da lenzuola di seta color crema.
I comodini, l’armadio e lo scrittoio erano tutti di colore bianco sporco, e si intonavano perfettamente con il colore delle pareti.
Anche lì, tutto era stato progettato per delle ali.
 
Sulla parete opposta a quella della porta, c’era un finestrone a vetrate, spalancato, aperto.
Tende blu scuro comprese.
 
Allora lo vidi.
 
Baciato dalla luce del sole della notte, accarezzato dalla sua luna, il mio sogno prendeva vita.
Eretto e fiero, ma pacato e silenzioso, la sua figura si ergeva longilinea e impetuosa, abbellita da un paio d’ali vestite di candide e magiche piume.
 
Guardava il paesaggio notturno, dando le spalle alla stanza, e il vento della sera faceva ondeggiare i sui capelli, sparpagliandoli sulla pelle del  viso diafano e mozzafiato.
 
Rimasi impietrita e affascinata da tanta magnificenza.
 
Rapita.
 

 

  • Avvicinati – disse senza voltarsi, la voce sempre uguale, il tono sempre distaccato, ma sapevo che non dovevo averne timore.
  • Non avere paura di me – disse infatti – sono sempre io – concluse a mezza voce.

Mi tremavano le gambe, ma mi avvicinai comunque, ed uscii anche io su quella terrazza, che aveva tutta l’aria di essere una “base di lancio”.
Mi feci più vicina a lui, e mi fermai di fianco all’angelo.
Anche le piume vibravano grazie al vento, e da quella distanza così ravvicinata, sembravano rispendere di pallida luce propria.
Le ali erano più grandi di quanto ricordassi, e più belle di qualsiasi sogno.
Lui era orrendamente bello, qualcosa di talmente ammaliante, da essere tagliente e letale.
 
Si lasciò osservare, come aveva fatto la notte di luna piena.
Rimase immobile e mi lasciò libera di studiarlo.
La voglia matta di toccare almeno una piuma delle sue ali, mi fece prudere le mani.
Avevo trovato una piuma nella mia stanza, una sua piuma, ma solo avendo davanti le sue ali, avevo capito quanto fosse davvero affascinante e unica.
Provai ad avvicinare una mano all’ala sinistra, volevo almeno sentire se emanasse calore.
 
Quando stavo per sfiorare il margine dell’arto piumato, Sheid, aprì di scatto le ali, in tutta la loro ampiezza, facendomi arretrare di qualche passo.
“L’ho fatta grossa” pensai, ma invece di trovare il suo volto adirato e severo, trovai uno sguardo indagatore e rassicurante.
 

 

  • Prendine una – disse a voce bassa.
  • Sei serio? Vuoi dire che posso staccare una piuma? – domandai, dubbiosa. Lui annuì chiudendo gli occhi e attese che facessi il grande passo: toccare le sue ali.

Mi avvicinai di più a lui, e mi parai davanti all’apertura dell’ala sinistra.
Allungai una mano verso l’interno dell’ala, e posai delicatamente, le dita tremanti sulle piume interne. Sembrò rabbrividire al mio contatto, ma invece di allontanarmi, aprì gli occhi lentamente e mi guardò con uno sguardo così devastato da farmi trasalire.

 

  • Che c’è? – dissi con voce stridula, immobilizzata e quindi impossibilitata ad allontanare la mano dalla sua ala.
  • È una parte molto sensibile, potresti fare in fretta? – domandò, scrollando il capo, come per scacciare un brutto pensiero.
  • Non ti farà male … se ne … stacco … u … una? – balbettai. L’idea di fargli male per un mio capriccio, era inconcepibile.

Una creatura così meravigliosa …
 

  • Seira, - spalancò gli occhi, e mi accorsi con sorpresa, che il viola era meno visibile del solito e il blu padroneggiava quasi incontrastato – staccane una e basta – ordinò.
  • Ma tu …  sentirai … - provai a dire.
  • Non sarà piacevole, ma va fatto – precisò – questa è una delle precauzioni – mi informò poi con voce seccata, come al solito.
  • Va bene – dissi mesta, conscia che avrebbe sentito dolore.

Ne scelsi una piccola e candida, luminosa come una stella. Presi la sua punta e poi guardando Sheid la strinsi tra il pollice e l’indice della mia mano destra.
Lui chiuse gli occhi e abbassò il capo, e così capii che lui era pronto.
Tirai di colpo, e quando la piuma si staccò, dal centro dell’ala, proprio nel punto in cui c’era stata la piccola piuma, un liquido azzurro fluorescente, fuoriuscì schizzando.
Sheid gemette stringendo i denti e spalancando gli occhi, e poi richiuse l’ala di scatto, come si ritira un dito da un fornello che scotta, facendomi sobbalzare.

 

  • Scusami – dissi addolorata.  Stringevo tra le mani tremanti quella soffice piuma e sentii ancora lo strano calore al petto, misto a dolore.
  • Va tutto bene - disse lui per tranquillizzarmi. L’espressione di dolore era svanita dal suo volto.
  • Senti molto dolore? – domandai preoccupata, stringendo la piuma più forte tra le mie dita.

Lui non rispose, ma aprì l’ala e la piegò nella sua direzione.
Dovetti fare un lungo giro di essa, prima di poter arrivare al punto in cui avevo tirato via la piuma.
L’ala sembrava identica a prima, tranne che per una piccolissima macchia bluastra, simile ad un livido, nelle prossimità della piuma mancante.

 

  • Perché hai voluto che … - non terminai, la mia voce agitata, quasi arrabbiata. Chissà che male aveva provato!
  • Va tutto bene, passerà – disse sbrigativo e sicuro – non è una cosa grave – mi tranquillizzò con un tono più gentile.

Tornò a guardare il cielo stellato, e la sua espressione apparve triste per qualche secondo.
 

  • Non puoi curarti da solo? – domandai curiosa, ma anche per sviarlo dai pensieri che accartocciavano all’ingiù i suoi lineamenti.
  • Per una sciocchezza così, non vale la pena sprecare energie – rispose risoluto.
  • Ma … - provai a replicare, ma lui si mosse con eleganza, passandomi d’avanti ed entrando dentro la stanza blu chiaro.
  • Seguimi! – disse attraversando la vetrata.  Le ali entrarono alla perfezione come avevo previsto, e le loro punte strisciarono a terra, rilasciando una polvere delicata e scintillante.

 
 
 
                                                         *******
 
 

 

  • A cosa ti serve la cenere di una piuma d’angelo? – dissi intristita. Sheid, avvicinatosi allo scrittoio aveva messo la piuma bianca in un posacenere, e poi le aveva dato fuoco con un elegante accendino d’argento.

La piccola piuma, si consumava poco a poco, ma non si vedeva né fumo né si sentiva odore di bruciato. La cenere che si veniva a creare però, aveva il colore delle stelle, e la lucentezza dei diamanti più puri.
 

  • Servirà a proteggerti meglio – disse lui, non distogliendo lo sguardo dal piccolo falò.
  • A proteggermi meglio? – domandai incuriosita. Chissà come avrebbe usato quella specie di polvere magica.

Lui invece di rispondere, aprì uno dei cassetti dello scrittoio e ne estrasse una capsula di cristallo legata ad un sottile filo d’oro bianco.
Il minuscolo contenitore trasparente aveva una forma sferica, e perfetta, ed era avvolto in ghirigori sottilissimi, da finissimo oro bianco.
Sheid, aprì con delicatezza il ciondolo dalla sommità, poi prese un po’ di cenere tra le dita, e la fece scivolare dentro.
Continuò ad inserire polvere scintillante, fino a riempire la piccola capsula.
La richiuse e poi si avvicinò a me.

 

  • Questa collana devi portarla sempre con te, e non devi toglierla mai – disse, circondandomi con le braccia per mettermi al collo il ciondolo – grazie alla polvere di quella piuma, saprò sempre dove sei e se sei in pericolo – concluse staccandosi da me, dopo aver sfiorato la pelle del mio collo con le mani calde.

Un brivido strano mi percorse, mentre sentivo il calore del suo corpo e il suo odore ammaliante, travolgermi e poi allontanarsi.
 

  • È un modo per controllarmi insomma?! – dissi sommessamente. Non avrei più avuto privacy, e lui avrebbe sempre saputo dove trovarmi. Avrebbe dovuto infastidirmi a morte, e invece mi sentivo stranamente eccitata all’idea, tranne che per il fatto che lui avrebbe sempre capito i miei sentimenti.
  • Non posso fare altrimenti – rispose, chiudendo il cassetto lentamente.
  • Lo so – dissi seria.

Il silenzio pervase l’atmosfera, lui rimaneva immobile di fianco a me a fissare il nulla, e io rimanevo immobile a fissare lui.
Avrei tanto voluto toccare ancora quelle ali, che mi erano sembrate così soffici e delicate, ma anche magnifiche e forti.
Incorniciavano la sua schiena scolpita alla perfezione.
Osservandolo meglio, mi resi conto che, a causa della sorpresa provata a vederlo con le sembianze di un angelo, non avevo fatto caso al suo abbigliamento.
Non aveva la divisa aderente dell’ultima volta, quella simile ad una tuta da combattimento, ma più elegante e portentosa, con colori più vivaci, quella che gli dava le sembianze di una creatura letale, di un angelo guerriero.
Indossava una maglia nera a maniche lunghe, con uno scollo particolare, dritto che raggiungeva le spalle perfette, e che mostrava parte del petto e il collo diafani.
I pantaloni erano bianchi e mezzi nascosti dalla maglia che arrivava ai fianchi.
Al collo una collana con un laccio in velluto nero e il ciondolo a forma di mezza luna di cristallo.
La cosa più meravigliosa di tutte, il suo viso, ora era proteso verso di me, e i suoi cobalto, mi fissavano.
Abbassai lo sguardo e poi presi tra le mani il ciondolo super speciale che lui stesso mi aveva allacciato al collo.
La polvere “magica” all’interno brillava come un vero diamante, e quell’arcobaleno di luce rendeva quel piccolo oggetto di una bellezza sovrumana, proprio come era sovrumana la bellezza di Sheid.
 
Ripensai a quel pomeriggio e alla valanga di domande che avevo intenzione di fargli, ma che poi erano sfumate come neve al sole, di fronte alle mie lacrime e al suo gesto inaspettato e così umano.
 
Di Sheid sapevo poche cose, ma ciò che sapevo era prezioso.
Conoscevo la sua natura angelica e la sua sudditanza verso la regina buona della notte: Luna. Sapevo che era per metà umano, sapevo che di giorno aveva sembianze umane e che di notte era un angelo.
Ma … alcune cose non mi erano chiare.
Chi era Isaac? Come era legato a Sheid? Che significava che la missione era una punizione?
E poi … che cos’era in realtà un angelo protettore?
 
Potevo chiederglielo?
 

 

  • Sei confusa, intimorita? … perché? – disse, guardandomi con la coda dell’occhio. Come faceva a saperlo? Possibile che sapesse leggermi nel pensiero stile Edward Cullen?
  • No, solo sorpresa – provai a sviarlo.
  • Stai mentendo – affermò sicuro. Il suo tono non ammetteva repliche.
  • Non è vero! Non sto … mentendo – dissi, e cercai di sembrare arrabbiata.
  • Davvero? Allora perché continui a farlo? – disse a mo’ di sfida, voltandosi interamente nella mia direzione e facendo vibrare, in un movimento repentino, le sue ali.
  • Fare cosa? – squittii, portandomi le mani al petto.
  • Mentire! – sbottò tra i denti.
  • Io non sto mentendo – provai ad alzare la mia muraglia protettiva, ma i suoi occhi profondi erano troppo ipnotici per poter distogliere lo sguardo.
  • Seira, io lo sento – affermò, tornando ad avere un tono pacato. Allungò un bracciò, e con la mano grande e bianca, afferrò tra le dita il ciondolo.
  • Qui dentro – disse mostrandomelo – c’è una parte di me, un frammento della mia anima a cui non puoi nascondere nulla – la voce bassa, gli occhi su di me, quegli occhi che sembravano essere stati fatti con zaffiri triturati e gocce di ametista.
  • Vuoi dire che … non solo saprai dove mi trovo e se sono in pericolo, ma saprai anche come mi sento? – dissi sommessamente, non sapendo se dovessi sentirmi lusingata, eccitata o infastidita.
  • È un problema per te? – domandò serio.
  • Credo di no – risposi confusa – ti serve solo per proteggermi, giusto?
  • Certo – rispose, e lasciò il ciondolo, che cominciò a penzolare piano, fino a fermarsi sul mio petto.

 
                                                                       *******
 
Il silenzio durò per qualche manciata di secondi, e poi fu lui a spezzarlo per primo.

 

  • Ci sono altre domande che vorresti farmi? – disse assumendo un tono meno teso – oppure vuoi che ti accompagni a casa?
  • Beh, di domande ce ne sono tante – affermai, sperando che lui mi desse il permesso di rivolgergliele. Ma avevo paura di rivedere ghiaccio vivo misto a dolore nei suoi occhi.
  • Sentiamole – mi incitò lui.
  • Meglio rimandare – dissi sorridendo. Quella giornata era stata piuttosto stancante.

Una partita di pallavolo mozzafiato, lacrime, un abbraccio, e … delle ali magiche d’angelo – sono davvero stanca nonostante la dormita di oggi, e potrei crollare sul serio a una tua risposta … , beh, insomma hai … hai capito vero? – che idiota che ero a volte. Stavo prendendo in considerazione l’idea che avesse sbagliato persona, che avesse sbagliato principessa.
Per fronteggiare una situazione disperata, e lo ammetto mio malgrado, eccitante come quella in cui mi trovavo, c’era bisogno di un carattere forte e coraggioso, e soprattutto resistente.
Io non ero nulla di tutto ciò.

 

  • Bene - disse lui, avvicinandosi pericolosamente – allora ti riaccompagno – in quel preciso momento mi prese in braccio con un movimento repentino e incalcolabile.
  • Ma che fai?! – squittii, spaventata e sorpresa al tempo stesso.
  • Te l’ho detto, ti riaccompagno – ammiccò, e sul suo viso nessun segno di sforzo per il mio peso.
  • Ma guarda che posso camminare benissimo da sola, e poi casa mia è vicinissima, non ci vorranno che pochi secondi, non c’è bisogno di tutta questa premura – sbraitai.
  • Ma davvero? – mi sfidò lui – puoi attraversare mezzo bosco da sola, senza aver paura di incontrare demoni o tipi loschi, e poi passi le notti in bianco, non riuscendo a chiudere occhio per la paura? – mi stava davvero rivolgendo quelle parole così dure e senza riguardo? Che fine aveva fatto l’angelo gentile che mi aveva salvata la notte di luna piena?
  • Ma come sei delicato! – sbottai, scalciando per costringerlo a mollarmi. Lui non fece una piega, anzi strinse la presa e mi ritrovai raggomitolata contro il suo petto.

Il calore mi salì alle guance in un batter d’occhio, e quando il suo profumo paradisiaco mi invase, mi sentii imbambolata.
 

  • Seira, non ti sto accusando di essere codarda, me ne guarderei bene – disse, mentre cominciava a camminare verso la terrazza – non sto nemmeno giocando con le tue paure – continuò, arrivato sul grande balcone spalancò le ali – sto solo cercando di farti capire, che nella mia proposta, richiesta … chiamala come vuoi, ho tenuto conto anche dei tuoi bisogni e delle tue debolezze umane – disse serio.

A quelle parole spiccò il volo, e il rumore del battito delle sue ali, si distinse nella notte.
 
 
 
                                                 *******
 

 

  • Allora buonanotte! – dissi, dopo un eterno silenzio. Mi aveva depositata sul balconcino della mia camera e non era entrato stavolta. L’immagine di lui  seduto sul mio letto …
  • Buonanotte, Seira – la voce profonda come le note gravi di un violoncello – cerca di dormire, o domani dovrò perseguitarti per  tutta la scuola se non voglio che crolli come questo pomeriggio – trasalimmo insieme, e la sua voce ironica quasi si spezzò.

“L’abbraccio” pensai, ed ero sicura che anche lui l’aveva pensato.
 

  • Tenterò – dissi sorridendo.
  • Non devi avere paura, io ti sorveglio in continuazione, e non permetterò mai a nessuno di farti del male. Puoi contare su di me – era sincero, serio e maestoso nelle parole, limpido e cristallino nello sguardo.
  • Ti ringrazio dal profondo del mio cuore – dissi, quasi commossa.

Lui accennò un sorrisetto, e poi con uno slancio volò via, creando un turbine d’aria nella stanza.
Quello era il suo modo di dire  “buonanotte”.
 
 
 
Provai sul serio a dormire, ma senza alcun risultato.
La stanchezza era svanita lasciando il posto all’inquietudine.
Una notte senza sogni, né pace, una notte agitata.
Forse avevo dormito un po’, forse no, ma qualcosa di strano impregnava l’atmosfera di nuove sfumature.
Era come se, pur rimanendo sveglia, sognassi e percepissi cose possibili solo nei sogni.
Forse ero crollata sul serio, ma la parte più insolita era che non ne avevo consapevolezza.
Stavolta avevo perso il controllo del tempo e dello spazio.
 
Quando la sveglia suonò, facendomi morire di paura, mi affrettai ad alzarmi dal letto.
Mi vestii in fretta, e controllai che nella tasca della giacca ci fosse la piuma bianca e candida di Sheid.
Dopo la notte precedente, la voglia di toccare quella perfezione così deliziosa e attraente, era diventata patologica.
 
Non la trovai.
 
Provai a cercarla dappertutto, ma non la trovai.
 
Mi accorsi invece di una piuma in particolare, ai piedi del mio letto.
 
Di un colore bellissimo, simile al beige, con la punta intrisa di polvere d’oro.
 
Era sicuramente la piuma di un angelo, visto che quasi brillava di luce propria e che era gigantesca,  ma non era la piuma di Sheid.
 
Le sue piume, erano diafane e la luce pallida che scaturiva da esse era simile al chiarore delle stelle.
 
Ripensai alla sera precedente, e istintivamente mi toccai il collo, dove trovai al suo posto il ciondolo magico.
 
La luce che emanava la cenere della piuma, era sfavillante e preziosa come un raggio di luna.
 
Cosa voleva dire, la piuma che avevo trovato quella mattina?
 
Una strana ansia mi prese lo stomaco, e piano piano la consapevolezza che qualcuno di estraneo fosse entrato in camera mia quella notte stessa, mi fece tremare.
 
Chi era il misterioso visitatore?
 
Perché era entrato nella mia camera da letto?
 
E soprattutto, era un amico o un nemico?
 
Strinsi forte tra le mani la collana magica, e depositai la piuma misteriosa nel cassetto della mia scrivania.
 
La prima cosa che pensai fu: “Sheid …”.
 
 
 

 
--------------------------------------------ANGOLO DELLA SCRITTRICE--------------------------------------
 
E dopo problemi tecnici che sembravano insormontabili, ecco che la vostra affezionatissima scrittrice è tornata alla carica.
 
Non potete immaginare come mi sono sentita sola, e come mi sono sentita in colpa T_T
Ma purtroppo io non so aggiustare pennine internet, così mi sono dovuta rassegnare.
 
 
Vi chiedo comunque perdonoooooo  !!!!
 
Noto comunque con immenso piacere che il cap precedente è piaciuto, e soprattutto, noto che all’appello ci siete tutti ( o quasi).
 
Vi adorooooooo!! E vi ringrazio per non avermi dimenticata, per non AVERCI dimenticati.
 
Perdonate come al solito la mia distrazione negli errorini.
Stavolta ho scritto tanto quindi ce ne saranno sicuramente XD
 
Allora … cominciamo con i ringraziamenti, e poi proseguirò con uno spoiler, che spero vi incuriosirà.
 
Grazie tante a …
(Non sono riuscita a rispondere a tutti con i messaggi su efp, ma qui siete tutti presenti XD)

 
DAILANTHA: amore della mia vita, senza di te mi sono sentita persaaaaaaa!T-T grazie per l’appoggio che mi dai, e grazie per esserci sempre per me. È come se fossi in carne ed ossa qui vicino a me. ARIGATOUUUUU!!! BACIOTTI.
Ps: alla prossima continuerò quel lavoretto ok? TI ADORO.
 
DEBBY DARKNESS: ciao cara, le tue rec sono sempre di grande supporto, e mi riempiono il cuore di felicità. Spero che anche questo cap abbia sortito lo stesso effetto. Tvb.
 
YUKARI HOSHINA: la mia detectiveeeeeeeeeeee!! Come va Shinicia tutto ok? Le tue rec sono interessanti e per me è una gioia leggere le tue previsione giuste o sbagliate che siano. Sei dolcissima. E ora quel è il verdetto? Tvb.
 
LADY CATHERINE: pasticcinoooooooooo! Mi sei mancata da morire, e mi sento tremendamente in colpa per non poter recensire quel capolavoro di storia che hai scritto.
Passo appena posso giuroooooooo! XD allora amore di questo che ne pensi? Il tuo giudizio è di vitale importanza lo sai vero? Tvb.
 
ANGY EMPTINESS: COLLEGAAAAA! Anche tu mi sei mancata assai, come va? Passerò da te appena mi arriva la pennina che si trova in assistenza. Voglio farti un testamento di recensione, anche se la perfezione non si può commentare.
Di questo che ne pensi? Fammi sapere cara. Tvb.
 
PHILOPHOBICA: ciao cara, come va? Mi siete mancati tutti e non mi stanco a ripeterlo.
Si, in effetti la dolce Seira era alquanto confusa, sorpresa e … devastata.
Vi ho lasciati col fiato sospeso anche in questo cap, ma almeno avete una mezza idea ora.
Fammi sapere ok? Tvb.
 
YUUKI B: amica vampiraaaaaaaaa!!! Come va col tuo Kaname? A proposito, il Lucca comix l’hai visto? Mi hanno detto i miei fortunati amici che ci sono andati che era pieno di cospleyer, e alcuni proprio curati. Comunque … grazie perché mi appoggi sempre con la tua simpatia. Fammi sapere d’accordo? Tvb amorina.
 
JULIA_ PHANTOMHIVE: EHI bellaaaaaa! Ma allora la cosa è ufficiale, hai cambiato anche nome e … non dirmelo, l’hai sposato? XD come sei forteeee.
Comunque, come avrai capito sono bloccata, e sono fuori dal mondo, ma ho già letto la tua fic dal cell. Una parola: wow. Ma ti farò sapere meglio appena l’inferno avrà fine.
Di questo che ne pensi? Tvb cara.
Ps: non far ingelosire il piccolo e tenero Ciel. Sheid è Sheid, ma anche il tuo conte ha il suo fascino. ;P
 
ZERO LOUIS: EHI MARTAAAAA!!! Come va tesoro? Le tue rec sono perfette e fatte col cuore, corte o lunghe che siano, l’importante è saperti vicina.
Fammi sapere amore ok? Tvb XD
 
BROKENARROW: MA CIAO!!! Sono contentissima di ritrovarti, tu sei andata avanti con la tua, dimmelo che passo a leggere, e recensisco al più presto e?!
Per i dialoghi hai ragionissima, però dovrò adottare il tuo consiglio dal prossimo cap.
Sei stata gentilissima a consigliarmelo. Thank you! Fammi sapere cosa ne pensi ok? Baci.
 
ZOEY LA SOGNATRICE: ciao dolcissima, come stai? Allora … riguardo alle pause, si, hai ragione ma proprio non posso farne a meno, soprattutto quando  voglio creare suspense. XD fammi sapere ok? Tvb angelo!
 
ROBPATTZLEVERS: E SI, ANCHE IO LO AMO UN CASINO *A*.  benvenuta cara, e ti confesso che oltre ad essere felice, sono commossa dalle tue parole. Si vede che sei amica di Vivi chan! XD ti ringrazio tanto, e mi scuso per il leggero ritardo nel risponderti ma a come avrai capito … sono in crisi di astinenza internet. Comunque … mi piace fare amicizia con i lettori,
perciò se anche tu vuoi possiamo chiacchierare ogni tanto. Quindi piacere di conoscerti, non sai quanto sia felice. Fammi sapere allora, ok? Bacini : *
 
DAN 24: GRAZIE AMICO MIO, SEI UN MITOOOOOOO!!!!
 
VANNY 3: grazie. Sei una persona dolcissima, e quindi questo ringraziamento è tutto per te.
Grazie per l’appoggio cara, sei davvero una persona speciale.
Tvb.
 
 
 
 
 
UN SALUTO A FLY89, ALAIRE 94 , BOTAN , WANNIAM E  MALVINE! XD
 
Spero ci sentiremo presto amiche mie!
 
--------------
 
E come sempre per ultimi ma non meno importanti … grazie a …
 
DEILANTHA, ANGEL_DREAMER_95,DAGUSIA123, DAN24, KIMBERLINA, MALVINE , _XELIX_, AI_LINE, PHILOPHOBICA , VANNY 3;  che hanno aggiunto la mia storia tra le preferite.
DEILANTHA, LADY CATHERINE ,DEBBYDARKNESS , FLY89 , MADKIKKY, ALAIRE 94, DAGUSIA 123, VAMPICULLEN,YUKARI HOSHINA, YUUKI B, ZEROLOUISE,  ZOEY LA SOGNATRICE, TENNESSE, ANGEL_DREAMER_95, YUKA_CHAN 86, WANNIAN, FIOCCODINEVE, DEREKKINA2, ANGY EMPTINESS, BREN_JENNYCHIBICHAN, SAILOR CRYSTAL, TWILIGHTKIARA,;che mi hanno aggiunto tra le seguite.
ZOEY LA SOGNATRICE,  ILGOTICOKANAME, LADY CATHERINE, DAN 24 , BROKENARROW , AI_LINE, VANNY 3, DEILANTHA  che mi hanno aggiunto fra gli autori preferiti.
ELI_,JULIA 28,MAU 07, MADNESS QUEENche hanno ricordato la mia storia.

GRAZIE ALLA MIA AMICA MELISSA CHE MI HA PRESTATO IL SUO COMPUTER PER AGGIORNARE.
 
 

 

 
RAGAZZI, Più VI CONOSCO E Più SONO CONVINTA CHE SONO STATA FORTUNATA A INCONTRARE AMICI COME VOI. VI ADORO.
Se avete critiche sulla lunghezza eccessiva del cap, o su frasi che non vi sono piaciute … naturalmente io le accetterò anche perché siete voi tutti i miei fidati recensori.
 
Ora lo spoiler e poi un piccolo messaggino pubblicitario.
“ nella luce soffusa del sole al tramonto, la paura ferma il cuore e blocca il respiro. Una nuova minaccia, qualcosa da scoprire, e … un evento che cambierà i piani della nostra protagonista, costringendola a rispondere prima del previsto alla domanda di Sheid” .
Si, oltre a demoni da sconfiggere, per la felicità di Sheid, subentrerà un altro personaggio.
Curiosi? Spero di si.
Ora … per chi volesse conoscermi meglio, e per chi mi conosce già, ma vuole dare un’occhiatina per curiosità … un mio amico di scuola ha composto un video postato su YOU TUBE, e questo video contiene alcune mie foto che scorrono mentre canto (si, canto io). È un video moooolto amatoriale e impreciso, ma spero di rimpiazzarlo presto con un vero video di me che canto dal vivo.
Comunque se siete interessati … basta andare in You tube e digitare…
 
LISTEN COVER FIORELLA RUNCO.
“SI, SALVE A TUTTI, MI CHIAMO FIORELLA E HO SEDICI ANNI, SOFFRO DELLA SINDROME DI PETER PAN, MA ADORO CRESCERE DI INTELLETTO, IMPARARE COSE NUOVE E … NATURALMENTE ADORO VOI” XD.
Bene, e questo è tutto.
Vi raccomando recensite e fatemi sapere,  o Sheid e Seira vanno in ansia da prestazione XD
Ci vediamo tra un mese, o forse meno (internet permettendo).
30 NOVEMBRE.
NON ABBANDONATEMI, UN BACIO GRANDE A TUTTI VOI.
Dalla vostra affezionata …

Iloveworld (o Fiorellina se preferite).

<3
 
  

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Salve a tutti, come state? Io alla grande, soprattutto adesso che sono riuscita a rispettare i tempi.
Questo cap … nulla nulla, leggete e commentate che stavolta ne avrò bisogno.
 
Baciottoni a tutti voi.
 

 
 
 SEIRA:
 
 
“Cosa devo fare?”
 
“Sheid, devo avvertirlo?”
 
“Sheid …”
 
BIP,  BIP,  BIP,  BIP …
 
Quando la suoneria del cellulare, mi destò da quei pensieri pieni di incertezze, mi resi conto di essere in ritardo.
 
Misi la piuma dorata nel cassetto della scrivania, pensando che sarebbe stato meglio pensarci più tardi.
 
Presi il cellulare da sopra la scrivania, e corsi giù per le scale di casa.
Chiusi il portone a chiave come sempre, ma più frettolosamente, e poi … via!
 
Corsi come una pazza, lungo il viale alberato che portava dritto fino a scuola.
Non mi importava di nulla, non volevo guardare intorno a me.
L’unica cosa che mi importava, era arrivare in orario.
 
Dovevo vederlo al più presto.
 
                                                    ******
 
Quando arrivai a scuola, e, oltrepassato il cancello,  mi accorsi di essere praticamente sola …
 
“UFFA! ASSEMBLEAAAA!!!” pensai seccata.
Mi ero scordata della riunione che si sarebbe tenuta nell’aula magna quella stessa mattina.
 
Gli studenti dovevano trovarsi lì per le nove e mezza, ed io ero arrivata con più di un’ora d’anticipo.
 
“Ma che stupida!” mi rimproverai.
 
Come avevo fatto a dimenticarmene?
 
Beh, forse però, dopo lo spavento di quella mattina,  era naturale no?
 
Cercai di convincermene, e col fiatone per la corsa da pazza, mi sedetti sulle scalinate dell’ingresso.
 
Di tornare indietro, stanca com’ero, non se ne parlava, così decisi di aspettare seduta lì.
 
Presi il mio cellulare, e andai a leggere il messaggio che mi era arrivato poco prima.
 
Come immaginavo, era di Matilde.
 
“ Buongiornoooo! Oggi a scuola non vengo perché ho il raffreddore, quindi goditi l’assemblea, e approfittane per stare un po’ da sola con quel Bronzo di Riace di Sheid.
Ieri sono stata in spiaggia tutta la sera col Severi … e … beh, ora ti tengo sulle spine io.
Se mi riprendo ci vediamo domani. Non vedo l’ora di raccontarti i dettagli. Baci!”
 
Massaggio semplice e conciso, ora la mia amica Mati era corteggiata da Matteo e?
Felicissima per lei le mandai un “Buona guarigione :)” con il sorriso sulle labbra.
 
“Quel Bronzo di Riace …” rilessi poi, e scoppiai a ridere da sola come una scema.
 
Si, LUI poteva essere alto e portentoso, ma la sua bellezza non era paragonabile a quella di una statua di bronzo.
 
Nonostante i suoi lineamenti a volte prendessero le sembianze indifferenti di una statua, il viso di Sheid era molto più perfetto, il viso di Sheid era il viso di un angelo.
 
Umano, ma pur sempre un angelo.
 
E poi le sfumature di colore che aveva la sua pelle non erano riconducibili né al bronzo, né al marmo.
 
La sua pelle brillava quasi, liscia, setosa, perfetta, così compatta da avere la sensazione che non possedesse pori.
 
Delicata e diafana come un raggio di luna.
 
Per non parlare degli occhi.
 
Non erano opachi e senza espressione, erano dotati di una forza di attrazione fuori dal normale, e il colore …
 
Sembrava che un abile artigiano avesse  mescolato alla perfezione polvere d’ametista e polvere di zaffiro.
 
Erano davvero mozzafiato.
 
Sorrisi internamente, quando mi resi conto che stavo pensando a lui. Proprio io che i ragazzi non li avevo calcolati neanche di striscio, ora mi ritrovavo a fantasticare su uno di loro.
 
Mi ero forse invaghita di lui?
 
Lo esclusi, ma una strana sensazione mi colse alla sprovvista.
 
Era quasi scioccante  capire che il mondo che conosci cambia di continuo.
 
Per esempio Matilde: timida e dolce, ora aveva passato la sera in spiaggia, da sola, con Matteo, il teppista dal cuore tenero e dalla faccia tosta.
 
Tutto mi stava travolgendo così intensamente, che sentii per un momento le vertigini.
 
Erano tre anni che la conoscevo, tre anni di convivenza con quello strano folletto solare e radioso.
 
Ricordai il primo giorno di scuola alla Morrison, e ricordai la sensazione di inadeguatezza e imbarazzo che ti prende quando ti senti fuori posto, quando ci si sente soli.
 
Lei e Sara, furono le uniche a rivolgermi la parola.
Mati quel giorno, non aveva mai smesso di sorridere, quasi fosse sinceramente contenta di conoscermi, e non dovesse nasconderlo o fingere.
Lei era così, spontanea e naturale, come un raggio di sole, ma mai prepotente e accecante, solo caldo e dal magico potere di rallegrare.
 
Posai i gomiti sulle ginocchia, e poi misi la testa fra le mani.
Avevo davvero sonno.
 
Dopo notti insonni, forti emozioni e uno stomaco che non voleva saperne di aprirsi, mi sentivo davvero sfinita, e soprattutto scombussolata.
 
Avevo corso per giunta, solo per vedere Sheid e quindi tranquillizzarmi, ma dato che l’avrei visto tra più di un’ora, mi rassegnai alla solitudine.
 
Chiusi gli occhi, e cercai di respirare profondamente per  rilassarmi.
Mi sentivo stranamente agitata, e, lo ammetto, un po’ impaurita.
 
Ora ero lontana da casa mia, lontana da lui, e … sola.
“I nostri destini sono legati fatalmente dal sangue”, aveva detto con voce sommessa, roca.
Era una frase agghiacciante, ma era la verità.
 
Se lui fosse morto – trasalii al pensiero,  portandomi le mani al petto dolorante, a causa di uno spasimo di dolore – sarei morta anche io, perché nessun’altro sarebbe venuto a proteggermi.
 
L’avevo capito. Era chiaro.
 
“Punizione, missione, Isaac, demoni, angeli, Luna, Anul, dolore, freddezza, ali, piume, paura, lacrime, bellezza, protezione, promessa, … Sheid”.
 
Queste poche e semplici parole, riassumevano la mia vita in quel momento.
 
Respirai ancora, profondamente, tentando di rilassarmi.
 
“Sheid” pensai ancora.
 
Se mi avesse vista in quello stato … cosa avrebbe fatto?
 
-          Dovresti avvisarmi quando decidi di sparire! – sobbalzai, per la sorpresa e lo spavento.
-          Ho sentito che ti allontanavi, e ho pensato al peggio – la voce fredda e adirata, ma con un fondo di sollievo – mi sono preoccupato – mi rimproverò. Aveva il fiatone, ora che lo guardavo, e i suoi capelli erano un po’ scompigliati. Le guance, di solito marmoree, arrossate. Il cuore perse un colpo, e Sheid sospirò.
-          Dovrò abituarmi – disse in un soffio. Poi si sedette accanto a me.
Da quanto era lì? Mi aveva vista crollare oppure no?
 
-          Come mai tutta questa fretta? – chiese poi più rilassato, dopo qualche minuto.
Tentai di riprendere il controllo di me, e poi parlai.
-          Veramente … avevo scordato l’assemblea – arrossii per l’imbarazzo. Solo una scema poteva essere così sbadata. Lui accennò un sorriso, e poi si sedette di slancio accanto a me.
-          E sei venuta qui un’ora prima, solo perché te n’eri scordata? – chiese perplesso e divertito.
Si passò una mano tra i capelli, e sospirò sonoramente, poggiando i gomiti sulle ginocchia, lasciando le bracca penzoloni e assumendo una posizione aggobbita.
Anche seduto così era molto più alto di me.
Chiuse gli occhi sospirando, e solo allora mi accorsi di quanto il suo viso sembrasse stanco.
-          Tutto bene?  – domandai, notando la sua aria davvero provata e ignorando la sua domanda. Le occhiaie che aveva sotto gli occhi, avrebbero fatto sembrare chiunque uno zombie. Chiunque, ma non lui.
Piuttosto gli davano un’aria più tetra e interessante, ma capii che  non era il momento di fare certe osservazioni.
-          Sembri stanco – aggiunsi, avvicinandomi a lui.
-          Non curarti di me! – disse con voce flebile, stanca – io sono solo il tuo angelo protettore … - disse sussurrando, sembrava davvero stanco, quasi sul punto di addormentarsi.
Allora mi feci coraggio e lo presi per le spalle prima che potesse crollare. Lui non reagì, mi guardò con gli occhi socchiusi e l’aria spossata, e … mi lasciò fare.
Lo tirai delicatamente nella mia direzione e posai il suo capo sulle mie ginocchia.
Si irrigidì impercettibilmente, e poi con un gemito sospirato, chiuse gli occhi esausto.
“Anul farà leva sulle mie debolezze da umano” aveva detto il giorno prima, davanti alla sua villa.
Era stanco, troppo stanco:  il suo viso pallido e stravolto era il risultato di chissà quante notti passate a vegliarmi.  Ma nonostante alla luce della luna avesse un aspetto idilliaco, ali comprese, il suo corpo era umano e quindi mortale e soggetto alla stanchezza.
Guardando al mio passato, al nostro di passato, e valutando gli eventi, Sheid Winter, quel ragazzo misterioso e affascinante che mi guardava da lontano e a cui non mi ero mai avvicinata, e che era arrivato qui mesi prima, altri non era che il mio difensore, il mio porto sicuro, il guerriero che avrebbe lottato per me.
Cercavo di non fare caso al groppo che mi si creò in gola, quando pensai alla sua situazione.
Aveva annullato se stesso, aveva messo da parte le sue paure umane e si era fatto carico di grandi responsabilità.
Come un vero e grande eroe non aveva avuto paura di farmi scudo col suo corpo, non aveva avuto nessuna esitazione a combattere contro il demone che voleva uccidermi.
Fino a quel momento avevo messo davanti sempre e solo me stessa.
La mia immagine, la mia persona, la mia salute, la mia protezione, i miei sentimenti, le mie paure … volevo proteggere questa me stessa così vuota e sola.
Ma il pericolo, l’adrenalina, la paura, il dolore fanno capire molte cose.
Il ragazzo che era adagiato adesso sul mio grembo, non mi aveva chiesto nulla in cambio, e mi aveva offerto protezione gratuita, mettendo a repentaglio persino la proprio vita e mettendo da parte tutti i suoi bisogni e le sue necessità, mettendo me, al primo posto.
“Non curarti di me” aveva detto, ma io …
Sentii ancora quel magico calore risalire al petto, e la terrificante consapevolezza che io tenessi con tutto il cuore a quell’angelo-ragazzo, mi mandò in tilt.
“Non può essere” pensai senza capacitarmene “ non così in fretta, non così presto”.
Guardai il suo viso addormentato, e mi resi conto di quanto appagamento provassi, quanta felicità e letizia e tranquillità e beatitudine mi riempivano lo spirito completandomi, ma anche quanta pena e preoccupazione.
Il senso di colpa mi prese lo stomaco, e mi accorsi di aver idealizzato la realtà.
Quella che stavo vivendo, non era una favola in cui la principessa aspetta il principe, che sconfiggerà sicuramente il mostro per salvarla e stare per sempre con lei.
Non potevo stare ad aspettare, non potevo dare al principe tutte quelle responsabilità, perché l’ultima cosa che volevo, era essere un peso per Sheid.
L’ unica cosa che potevo fare per lui era tenerlo stretto a me mentre dormiva, o sorridergli di cuore di tanto in tanto.
 
Guardai il suo viso, duro e composto anche nel sonno, con nei lineamenti un pizzico di tensione e preoccupazione.
 
I capelli creavano una criniera fluida e scintillante, che incorniciava il suo viso idilliaco , e ricadeva sulla fronte e sul collo.
Le ciglia lunghe e color pece, di tanto in tanto tremavano all’unisono con i respiri stanchi, e la bocca disegnata, rosea ma sigillata non emetteva un sospiro.
 
Quella figura così maledettamente seducente, così meravigliosamente angelica, quel ragazzo dal cuore impavido, ma dallo sguardo  incantatore, quel  leone dagli occhi di ghiaccio e dal cuore d’oro, Sheid … era riversa sulle mie gambe.
 
Sentivo il calore che emanava il suo corpo, sentivo il suo respiro vicinissimo, sentivo Sheid.
 
L’angelo, l’eroe, il mio sogno, era addormentato tra le mie braccia, e quella visione tanto sovrumana e stupenda, prendeva toni umani e dolci.
 
Se si era lasciato andare così, se si era addormentato in quel modo, allora forse voleva dire che aveva fiducia in me più di quanto credessi.
 
Sorrisi.
 
Le nostre solitudini in fondo si somigliavano.
 
Forse si somigliavano anche le nostre anime, anche se la mia era di sicuro più fragile.
 
Forse.
 
Ecco che nella mia mente ritornò quel quesito fastidioso, la domanda a cui non sapevo rispondere.
 
Forse.
 
Osai sfiorare una delle punte dei suoi meravigliosi capelli.
Quella massa di punte argentee, sembravano ispide e dure, ma al mio tocco rimasi stupita e ammirata.
 
“Come sono morbidi e lucenti!” pensai entusiasta e meravigliata.
 
Arrossii di colpo per l’imbarazzo, ormai i miei pensieri erano diventati incontrollabili e la mia mente era totalmente invaghita dall’immagine di Sheid, dal suo profumo, dai suoi occhi.
 
Sentii la rabbia montarmi dentro, ma in fondo non potevo farci nulla.
 
Sheid era Sheid, ed era magnifico e perfetto sotto ogni punto di vista.
 
Però sapevo che c’erano tante cose da sapere su di lui, a partire dal suo passato.
 
                                                  ******************
 
 
-          Sheid – sussurrai al suo orecchio, mentre con una mano continuavo ad accarezzargli i capelli, mossa dall’irresistibile voglia di godermi quel momento che, ne ero sicura, non si sarebbe più ripresentato.
Un sospiro da parte sua, mi fece capire che aveva sentito.
-          Tra cinque minuti arriveranno i nostri compagni, e … - continuai, ma lui aveva già semiaperto gli occhi.
-          Va meglio la stanchezza? – domandai con un sorriso. Lui fece per alzarsi e quando si accorse di essere stato appoggiato a me per tutto il tempo …
-          Cosa è successo? – disse allarmato. Sembrava non riuscire a capacitarsi della situazione.
-          Ti sei addormentato, avevi davvero un’aria stanca – dissi continuando a sorridere, e notando che quell’oretta di sonno aveva giovato al suo viso, mi sentii felice.
-          Addormentato? – disse incredulo – sei seria? – disse passandosi una mano tra i capelli per aggiustarli. Anche spettinato era bellissimo.
-          Serissima … ma … che problema c’è? – dissi calma.
-          Seira … - sembrava schifato da se stesso - … scusami tanto … io – per la prima volta lo vidi in difficoltà, non sapeva cosa dire. Sembrava quasi spaventato dalla mia eventuale reazione.
-          Va tutto bene – sorrisi. Quell’oretta di riposo era stata benefica sia per lui che per me.
Sentirlo così vicino e in sintonia con me, sentirlo umano e vulnerabile, sentirlo abbassare le sue difese come non aveva mai fatto, mi aveva fatto capire che lui si fidava di me.
 
Soprattutto mi aveva fatto capire che eravamo legati.
 
-          Non sentirti imbarazzato in nessun modo, non essere dispiaciuto. Per me è stata una cosa buona – dissi abbassando lo sguardo e arrossendo – almeno adesso sei meno stanco – risposi, venendo travolta ancora dal senso di colpa.
-          Seira … - disse mettendosi una mano tra i capelli. Rimase col viso nascosto dal braccio per alcuni secondi. Quando alzò lo sguardo e mi guardò intensamente, io abbassai il mio.
-          Potevi svegliarmi – mi rimproverò.
-          Ma … - cominciai, ma lui mi interruppe prima che potessi finire.
-          Perché mi hai lasciato dormire su di te, perché non hai opposto resistenza, e … perché adesso non ce l’hai con me? – era davvero turbato e la voce era agitata.
-          Perché dovrei avercela con te? Non hai fatto nulla di male! Anzi, sono io quella … quella che ha pensato solo a se stessa per tutto il tempo – confessai provata, mi vergognavo terribilmente per essermene accorta così in ritardo – eri stanco perché non dormi bene da chissà quanto tempo e … - le lacrime cominciarono a farmi pungere gli occhi, ma le ritirai dentro – ora che so che Anul farà di tutto per distruggerti, volevo … - strinsi i pugni, non potevo piangere, non era giusto essere sempre deboli, non potevo esserlo per sempre, non io – volevo vegliarti io per una volta, volevo … volevo essere io a supportare te per una volta. So che questo non ripagherà mai quello che fai tu per me, … ma … - purtroppo le lacrime strariparono. Sicuramente Sheid stava pensando di me, che fossi frivola e piagnucolosa, che volevo essere consolata e protetta come una bambina.
Di solito non piangevo, anzi, rimanevo fredda e impassibile, cercando di dare di me, un’immagine dura e forte.
Il fatto che con lui, solo con lui, mi sciogliessi a tal punto, scatenava in me sentimenti contrastanti tra l’irritazione verso me stessa e l’ammirazione verso la sua capacità di ammaliarmi tanto. I suoi occhi disintegravano tutto l’innaturale e il costretto che c’era in me, costringendo le vere emozioni a venire fuori.
Forse in realtà però, avevo solo paura che mentendo palesemente, lui mi avrebbe guardato freddamente e con disprezzo.
-          … ma, almeno tu … non mi guarderai con freddezza, e mi sembrerà … di averti ripagato … almeno in parte – dissi tra i singhiozzi. Se era vero che per lui ero una punizione, se era vero che proteggermi era un dovere che si sentiva di portare a termine anche per umanità, se era vero che nonostante il suo passato oscuro, aveva messo tutta la verità davanti ai miei occhi, allora dovevo meritarmi la sua amicizia, appoggiandolo a mia volta.
-          È di questo che hai paura allora! – sussurrò al mio orecchio, stringendomi a se con un solo braccio e appoggiando la mano sulla mia nuca.
-          Mi sono sempre domandato, come mai fossi così restia a guardarmi negli occhi, come mai a volte abbassassi lo sguardo di colpo, e come mai fossi così cauta nei miei confronti – spiegò, restando immobile e continuando a tenermi stretta a se.
-          Allora è questo il problema! Hai paura che ti guardi con freddezza e distacco come faccio con gli altri, hai paura che il ghiaccio dei miei occhi possa allontanarti e mettere distanza! – disse calmo, ma con voce bassa e sicura.
Io annuii flebilmente.
Se mi avesse guardata con freddezza, se mi avesse avvolta con quello sguardo gelato e sconosciuto, mi sarei sentita vuota e senza anima.
-          Sei proprio una sciocca, Seira – disse con tono basso ma ironico – io guardo freddamente gli umani per dissuaderli dall’impicciarsi dei mie affari, che devono rimanere segreti e inviolati. Uso la freddezza come scudo, come barriera, come maschera a volte – trasalii, allora non ero la sola a nascondermi! -  ma con te non mi serve, perciò non hai alcun motivo di avere paura – disse benevolo.
-          Ma … - la mia voce era bassa e rauca, parlai ancora appoggiata al suo petto, senza alcuna intenzione di scostarmi - … io lo so che proteggermi per te è una … punizione. L’ho capito la notte in cui mi salvasti la prima volta. Anche in quel momento avevi uno sguardo freddo mentre osservavi il demone, e lui era un tuo nemico. Io non voglio essere la tua nemica. Se proteggermi per te è una punizione, allora non farlo. Non voglio che mi odi, non voglio che tu soffra per causa mia – gli confidai, quella era la pura verità, ormai non potevo non ammetterlo. Lui rendeva il mio cuore e i miei sentimenti vulnerabili, scuotendoli e facendoli tremare fino a fare male.
-          Seira … - la voce divertita ma con un fondo serio e fiero –  … noi non siamo nemici – alla parola noi, un brivido mi corse lungo la schiena -  e sta’ tranquilla, io non ti odio affatto. Perché dovrei, poi? E … non preoccuparti io sto bene – concluse.
Mi allontanò da se per guardarmi negli occhi.
-          Io non permetterò mai a me stesso di guardarti con freddezza, te lo prometto – disse solenne, con la voce carica di positività e onore.
Io sorrisi, sorrisi come non avevo mai fatto, e guardai con occhi nuovi il mio dolce angelo custode.
 
                                                                       *******
 
 
L’assemblea si aprì con un leggero ritardo.
Tutti gli studenti, compresi me e Sheid, che mi camminava al fianco, si diressero nell’aula magna, una specie di sala convegni che spesso fungeva anche da teatrino.
La platea era composta da scalinate piuttosto ripide, e su di esse, file di sedie nere di pelle, riempivano tutta la stanza.
Sul fondo della sala si trovava il palchetto, munito per quell’occasione, di microfono e casse.
La presidente d’istituto, armata di scaletta, computer e proiettore, iniziò l’assemblea.
-          Buongiorno a tutti voi studenti - la voce roca ma rassicurante, resa potente dal microfono – oggi vi illustrerò come si svolgeranno questi ultimi giorni di scuola, e concluderò così il mio anno lavorativo con voi – premise.
Io e Sheid ci eravamo seduti vicini. Io non osavo guardarlo in faccia per l’imbarazzo, ma sentivo il suo sguardo addosso.
I nostri posti erano proprio al limitare della platea e per questo eravamo quasi isolati, visto che tutta la scuola aveva prescelto i posti più in avanti.
Azzardai un’occhiata alla mia sinistra.
Sheid era seduto rigidamente, ma sembrava essere davvero comodo.
Appoggiato appena allo schienale della poltrona, aveva messo una gamba sopra l’altra e i gomiti sui braccioli.
Guadava con disinteresse l’avvenimento, e i suoi occhi sembravano due pozze scure e inaccessibili.
“Sheid” pensai alla nostra conversazione.
Era stato davvero gentile con me. Lui lo era sempre stato.
Avevo capito bene che per lui non era solo un dovere, e questo mi scaldava il cuore così tanto che avrei voluto provare quella sensazione per sempre.
Come se avesse ascoltato i miei pensieri, posò lo sguardo di scatto su di me.
Mi sentii pietrificata, mi sentii … stranamente agitata.
-          Che intenzioni hai? – chiese, gli occhi concentrati e indagatori, il viso marmoreo, senza l’ombra di un sorriso.
-          Scusa – risposi, pensando che alludesse al mio sguardo invadente – non volevo, io … - cosa potevo dirgli? “Ti prometto che non sbaverò più guardandoti?”, magari fosse stato semplice farlo. Era impossibile!
-          Seira … - cominciò lui ….
-          No – sussurrai per non disturbare l’assemblea – ti prego perdonami, ti prometto che starò più attenta! Non ho alcuna intenzione di … - cercai di spiegare ma lui si portò un dito sulle labbra facendomi segno di zittire. Abbassai lo sguardo e arrossii, vergognandomi del mio carattere troppo avventato e impulsivo.
-          Stavo parlando della festa di fine anno! – mi tranquillizzò lui, facendomi sentire una sciocca. A causa della mia “distrazione” avevo perso la cognizione del tempo e dello spazio, dimenticandomi della presidente. Probabilmente Sheid si riferiva a quello che aveva appena esposto lei, e che io mi ero persa.
Cercai di non pensare al fatto che lui non si fosse dispiaciuto del mio indagare la sua immagine.
-          Sarà di sera, … quindi … - disse lui alludendo al problema del suo aspetto notturno.
-          Non ci vado – dissi pronta. Non aveva mai partecipato alle feste scolastiche se non in rarissime occasioni, come ad esempio un’ imboscata da parte di Mati e Sara.
-          Sta’ tranquillo – dissi -  so che ci sarebbero problemi e …
-          Mi dispiace – disse tetro. Era dispiaciuto per me?
-          Di cosa? Io odio le feste! – sospirai.
 
 
 
In quel momento mi tornò in mente il mio passato, mi tornarono in mente i miei veri genitori.
La notizia della loro scomparsa mi era arrivata durante una festa di compleanno, e da quel maledetto giorno, ho sempre odiato la confusione, i colori troppo vivaci e … le feste.
Ricordo la zia in lacrime che mi prendeva tra le braccia e mi portava a casa sua, lo zio che mi teneva le mani e che mi diceva che sarebbe andato tutto bene.
 
-          Anche io! – disse lui accennando un sorriso, e risvegliandomi da quel sogno lontano, indelebile e doloroso.
-          Vieni! – disse alzandosi e porgendomi una mano.
-          Dove? Non possiamo lasciare l’assemblea! – protestai debolmente, visto che sarei andata dovunque con lui.
-          Ragiona! – disse ammiccante e seducente al tempo stesso – andare alle feste di fine anno non interessa a nessuno dei due, e poi tu devi farmi ancora molte domande no? – disse prendendomi una mano senza preavviso.
Io rabbrividii per l’emozione improvvisa e il mio cuore accelerò.
-          Ok – dissi alzandomi.
Ero imbambolata come non mai, ma lo seguii fuori, senza lasciare che mollasse la presa sulla mia mano, e senza staccare gli occhi dalle sue spalle aitanti.
Mi condusse a grandi passi verso il parco dell’istituto e le sue falcate erano così ampie che dovetti saltellare di tanto in tanto.
In silenzio mi condusse fino al mio albero, e poi lasciò la presa sedendosi di slancio.
Appoggiò le spalle al tronco e distese le gambe lunghe e longilinee, mettendole una sopra l’altra. Affondò le dita lunghe e bianche tra l’erbetta del prato.
Ripensai alla posizione rigida che aveva assunto durante l’assemblea e rimasi stranamente lusingata dal fatto che fosse così a suo agio con me vicino.
Io al contrario ero agitata e nervosa.
-          Perché sei voluto uscire?- chiesi cercando di allentare la tensione e di distrarmi.
Purtroppo l’effetto fu controproducente …
-          Come mai diventi nervosa ogni volta che rimaniamo soli? – sviò la mia domanda, e la sua fu quasi pungente. Mi sentivo irritata, ma stranamente provavo un senso di rassegnazione: aveva ragione.
-          Non sono agitata – mentii, restando in piedi di fronte a lui, rigida come un manico di scopa e irritata da me stessa al massimo livello.
Lui non sembrò scomporsi, e con estrema calma ammirò il paesaggio mattutino intorno a se. Forse era ancora stanco; d’altronde un’ora di sonno non era poi molta per recuperare tutte le energie. Cercai di non pensarci, e scrollai le spalle.
-          Come vuoi – acconsentì lui. Sembrava calmo e diplomatico, ma anche seccato e disinteressato. Mi stava dando ragione come si fa con un bambino capriccioso e cocciuto.
Allora la mia irritazione crebbe a dismisura fino a diventare rabbia.
Di questo passo, col tempo, avrebbe pensato di me che ero una frivola ragazzina poco matura, che non sapeva fare altro che piangere e lamentarsi, che non sapeva fare altro che chiedere scusa e dire grazie. Non sapeva quanto volessi dimostrargli che non ero io quella che vedeva lui.
Seira Shift non si lasciava sfuggire le cose di mano, non perdeva il controllo e non tremava di paura.
Invece la Seira di quel periodo, aveva dimostrato al mio protettore, tutto il contrario.
Dov’era il mio scudo quando serviva?
“Maledizione!” pensai adirata più che mai.
Lui sospirò profondamente chiudendo gli occhi.
-          Adesso sei arrabbiata – disse, e non era una domanda.
Caddi nello sconforto più totale: non solo mi leggeva dentro, non solo riusciva a farmi sentire inerme, riusciva anche a percepire quello che provavo, riusciva a capire come mi sentivo.
Esasperata mi sedetti meccanicamente sul prato. Ero irritata, nervosa, arrabbiata ….
-          Odio questo ciondolo! – sbottai con una voce isterica e seccata.
Lui non si scompose neanche stavolta, ma accennò a malapena un sorriso ironico.
Si stava prendendo gioco di me?
Cercai di annullare la sua immagine dalla mia mente, cercai di isolarmi.
Mi concentrai sull’erbetta accanto a me.
Con le dita staccavo e strappavo fili d’erba, foglie e fiorellini.
Guardai solo il verde del prato e nient’altro.
Poi lui si mosse attirando la mia attenzione.
Incrociò le braccia sul petto e si intestardì a fissarmi, a studiarmi.
“Bastaaaaaa!” urali mentalmente. Perché mi faceva quell’effetto?
Perché? Perché? Perché?
-          Smettila di fissarmi! – dissi esasperata, lui sembrò divenire serio per un attimo e poi ricoprì ancora una volta il suo viso di quella maschera di ironia.
-          E tu smettila di rovinare il prato – disse di rimando lui – se fai così devo pensare che menti quando dici di non essere nervosa in mia compagnia! – concluse ammiccante.
Trasalii.
Ma perché adesso si comportava così?
Abbassai lo sguardo.
-          Odio questo ciondolo! – ripetei imbarazzata. Lui si mosse velocemente nella mia direzione, avvicinandosi a me col busto.
-          Mi serve solo per proteggerti – si giustificò lui – non voglio affatto giocare con i  tuoi sentimenti – disse con voce cupa.
-          Però in questo modo saprai sempre tutto di me, mentre io … - mi bloccai. Avevo il diritto di dirgli quella frase?
-          Seira – cominciò lui – ho promesso di rispondere a tutte le tue domande, ricordi? – la scena del suo sguardo disperato che cercava di fermare le mie lacrime, il suo caldo abbraccio … non l’avrei mai dimenticato quel momento.
-          Vorrei sapere cosa provi tu adesso – dissi coraggiosa.
Lui mi costrinse a guardarlo negli occhi, e in quel momento quel blu e quel viola si aprirono, trascinandomi fino alla fine di quelle pozze mozzafiato.
Lui era sincero, lui era a suo agio, ma … stava anche soffrendo?
Non riuscii bene a capirlo, perché distolse lo sguardo, posandolo sul sole del mattino che faceva brillare la rugiada sull’erba fresca e verde.
-          Grazie! – dissi grata, anche se non l’aveva espresso a parole, sapevo che mi aveva fatta entrare, anche se per un momento dentro il suo animo.
Accennò un sorriso, e capii che anche lui era contento.
 
                                                         *******
 
Uscimmo insieme da scuola al suono della campanella anche quel giorno, l’ennesimo.
Ormai era diventata un’abitudine per me trovarlo ad aspettarmi e aspettarlo.
Erano passati parecchi giorni dalla mia escursione in casa sua.
Erano passati giorni da quando si era addormentato sulle mie ginocchia.
Al pensiero di quella scena mi venivano ancora le farfalle nello stomaco.
Sentirlo vicino, sentirlo vulnerabile e sentire il mio crescente bisogno di tenerlo al sicuro ormai mi avevano fatto capire i miei veri sentimenti, e ciò mi spaventava, perché non riuscivo ad interpretarli con sicurezza.
Ne sentivo la forza, l’incondizionata dipendenza e l’insopportabile desiderio, ma non riuscivo a concretizzarlo in amore.
Ogni mattina ci salutavamo davanti alle scalinate dell’entrata, con sguardi complici e comportamenti distaccati per non attirare l’attenzione.
Agli occhi degli altri era tutto normale e immutato.
“Dobbiamo essere prudenti anche con gli umani!” aveva detto serio e concentrato mentre tornavamo a casa insieme.
Eppure, più stavo in sua compagnia, più mi rendevo conto di ciò che provavo e più volevo tenerlo per me, solo per me.
 
 
Sabato.
Sì, era sabato ed era anche il giorno che precedeva la mia risposta, era il giorno in cui dovevo rivalutare tutto.
“Forse …” pensai da sola come un’ebete, seduta sul mio letto!
Poi decisi, dopo tanto pensare e ripensare, sarei riuscita di sicuro a dirgli cosa intendevo fare.
 
Quel giorno era un giorno particolare in tutti i sensi, quel giorno era un giorno effimero e pieno di prove da superare.
 
Per cominciare andai a fare colazione nella grande cucina.
Quel giorno non sarei andata a scuola, così avrei potuto salutare i miei genitori e accoglierli, senza farli aspettare.
Il tempo che passavamo insieme era veramente pochissimo, e allora decisi di farmi trovare al meglio di me.
 
Preparai la tavola e apparecchiai per tre finalmente, mi dedicai fare le pulizie al piano di sotto e nei bagni, e poi …
L’ora si stava avvicinando, e così corsi in bagno a darmi una sistemata alla faccia.
“Quella nello specchio non sono io, vero?” mi domandai allarmata specchiandomi.
Avevo delle occhiaie assurde, un pallore inconsueto e delle macchie orrende sulle guance, simili a lividi.
Non so per quanto tempo rimasi a fissarmi, ma qualcosa mi destò dal mio incubo.
Drin drin drin!
Il suono del mio cellulare mi fece sbiancare ancora di più.
Andai a prenderlo e lessi il messaggio appena arrivato.
“Ciao piccola, siamo appena scesi in aeroporto, e tra un’oretta saremo da te! Ti vogliamo bene!”, c’era scritto nel messaggio.
Corsi a vestirmi decentemente, e poi andai nuovamente davanti allo specchio.
Ero davvero orribile!
Dovevo ricorrere ad una soluzione veloce ed efficace, subito.
Mi lavai la faccia con acqua gelida, ci spalmai sopra della crema idratante …
Niente!
Allora aprii la specchiera, e frugai tra le vecchie cose della zia.
Fondotinta: quello era la soluzione dei miei problemi.
 
Aprii la boccetta, e facendo ricorso alla memoria, ricordai come si truccava la zia: attenta ad ogni minimo particolare, concentrata e delicata nei movimenti, ma anche sicura e precisa.
Provai ad imitarla e nel frattempo la mia pelle prese un po’ di colore, nascondendo quelle orribili macchie e quel pallore assurdo.
“Tutta colpa dell’insonnia!” mi dissi. E soprattutto tutta colpa dei demoni.
Appena finito mi specchiai nuovamente per vedere i frutti del mio lavoro.
 
Nessuno si sarebbe accorto del mio stato d’insonnia ora!
Dovevo solo recitare per poche ore e poi avrei potuto stare tranquilla, almeno fino al momento in cui mi sarebbe toccato dare una risposta al mio difensore.
 
                                                              ******
 
-          Piccolina mia! Sei sempre più bella! – disse la zia, e posando le valige nel corridoio dell’entrata mi diede un abbraccio.
-          Piccola? Ma l’hai guardata bene? Sembra una donna ormai! – disse lo zio rivolgendosi a lei, posandomi un bacio delicato sulla guancia.
-          Mi siete mancati - dissi sincera e rimandando indietro le lacrime.
-          Anche tu, … tanto tesoro – dissero all’unisono.
 
Ogni volta che ci rincontravamo loro erano pieni di attenzioni e soprattutto super preoccupati per me. Ogni volta sollevavano l’argomento del “ritorno a casa”, ma io, coraggiosa e ben allenata a fare la parte della persona forte, dicevo loro di stare tranquilli.
Chiunque all’infuori di noi avrebbe pensato che erano pessimi genitori, che io ero solo una stupida masochista e che quella situazione era quasi surreale, ma io la pensavo diversamente.
Il punto era che loro non erano i miei genitori, il punto era che se nasci fotografo e artista non puoi andare a lavorare in cantiere per mantenere una figlia che non volevi, e il nocciolo della questione di cui ero protagonista era: sono grande, so cavarmela da sola e la loro felicità non era meno importante della mia.
Forse ero io la stupida che si faceva troppi problemi, forse il vero problema era la mia mancanza di dialogo.
Ma sinceramente non c’era nulla da dire.
La zia sorrideva e si sentiva realizzata, era entusiasta, era fiera della vivacità della sua vita sempre all’insegna dell’arte, della moda e dei riflettori.
Lo zio era felice insieme a lei, amava viaggiare con lei e condividere tutto.
Non importava che io fossi sola.
Mi bastava pensarli, mi bastava telefonarli e anche io mi sentivo felice.
Forse.
 
L’eterna indecisa quale ero, si sarebbe mai trasformata in una donna sicura di sé?
Sarei mai riuscita a dire sì o no, al primo colpo?
 
Passammo qualche ora insieme a parlare di tutto quello che riguardasse me, la mia vita e i miei problemi.
In quei momenti unici e rari al tempo stesso, mi sentivo come dentro una favola, mi sentivo bene.
Parlai loro della scuola, delle vacanze, degli amici, …
Non menzionai affatto Sheid, d’altronde non ce n’era bisogno.
-          E come stiamo a ragazzi? Ti piace qualcuno? – disse infatti lo zio affabile e con un filo di curiosità.
-          I ragazzi al momento non mi interessano – risposi con maestria, “anche se quelli con le ali fanno eccezione!” corressi mentalmente mio malgrado.
-          Bene, sono contento! – disse sincero lui, grattandosi la nuca.
-          Ma cosa dici Leonard? Invece sarebbe ora che facesse un po’ di … conoscenza! – lo sgridò imbarazzata lei!
-          Zia!- sbottai io arrossando, e il mio pensiero si rivolse a Sheid che di sicuro aveva captato il mio imbarazzo.
Il giorno seguente sarebbe stato davvero rivelatore per me e per lui.
Il tempo cominciò a scorrere troppo velocemente, troppo travolgente per me.
Rimasi senza fiato quando mi accorsi dell’orario.
 
Il tempo trascorso sembrava misero e brevissimo e l’ansia che si era dissolta con la compagnia, tornò a travolgermi il cuore.
Ci salutammo tra le lacrime, con le solite parole.
-          Ci sentiamo tutti giorni come sempre allora?- domandarono commossi.
-          Promesso – risposi.
Quando vidi la macchina grigio metallizzato sparire dietro agli alberi, una lacrima mi solcò il viso.
Ero diventata proprio debole.
 
                                                         *********
 
Erano passati solo pochi giorni dall’ultima volta che avevo visto la luna, ma quel ritrovarsi mi scaldò il cuore.
Quella sera limpida come non mai e, nonostante il sole fosse già tramontato, la visibilità era buona e l’atmosfera magica.
Dopo aver rimesso apposto la cucina e rassettato il salotto, avevo deciso di passare quella serata come era mio solito fare prima che tutto mi crollasse addosso, prima che venissi a conoscenza della verità.
Ero ricercata da demoni orrendi che volevano solo uccidermi, per impedire alla regina Luna di riavere i suoi cristalli, e al mio fianco c’era un bellissimo angelo protettore, che mi avrebbe sicuramente protetta.
Era una bella favola vista da un punto di vista esterno e sarebbe stata davvero una bella storia di avventura, da leggere sotto l’ombrellone, d’estate.
Ma  quella era, e io lo sapevo fin troppo bene, la dura realtà, la realtà di cui ero la protagonista, la realtà pericolosa e vera, l’incubo di ogni essere umano.
 
Scacciai quei brutti pensieri, prima che potessero agitarmi ulteriormente, e appoggiai i gomiti sul passamano del piccolo ponte che univa le sponde del fiumiciattolo che finiva scemando nel mare nero di quella notte.
I rumori nel bosco dietro stante erano cessati con il calar del sole, e le ombre scure e tondeggianti degli alberi si erano allungate sulla sabbia fine e bianca della spiaggia.
La luna aveva una forma ovale e luminosa, e le stelle quella notte brillavano più che mai.
Ero da sola, ma sapevo che non dovevo preoccuparmi.
Lui, sapeva perfettamente dov’ero, come stessi, e che stavo facendo.
Lui mi proteggeva anche da lontano.
 
Sospirai, poggiando il mento sulle braccia, e chiudendo gli occhi.
Inspirai profondamente ed espirai con la stessa lentezza, godendomi quell’aria rilassante e quel momento di leggerezza nello spirito.
 
Però qualcosa mi diceva che non sarebbe durata a lungo.
Anul, sicuramente, prima o poi avrebbe attaccato, e al pensiero di Sheid che sarebbe morto per me, mi si chiuse lo stomaco, con un rantolo di dolore.
 
In quel preciso istante, una folata di vento, mi trapassò, scompigliandomi i capelli e facendomi tremare.
 
Essendo gelida, prepotente e inconsueta, analizzai il territorio circostante e il paesaggio, e fu allora che mi accorsi con orrore che non ero sola.
 
                                                            ******
 
Chissà da quanto tempo mi stava osservando, chissà da quanto tempo era lì, nascosto perfettamente dall’oscurità.
La figura alta, possente e minacciosa stava eretta e fiera, protesa nella mia direzione, e i suoi occhi di fuoco mi fissavano.
Cominciò ad avanzare nella mia direzione, e allora il terrore represso cominciò a farmi stare male.
Il mio cuore accelerò pazzamente, fino a scoppiare in tremori convulsi e dolorosi.
Quell’essere non era un demone, era un angelo, un angelo dalle ali d’oro, lo stesso oro che avevo scorto sulla piuma ritrovata qualche mattina prima, nella mia camera da letto.
Non fu il suo aspetto regale e ammaliante, o le sue ali rivelatrici a spaventarmi.
L’ospite che era entrato in camera mia lasciando tracce del suo passaggio, aveva di terrificante lo sguardo e l’espressione.
Il viso contratto in una maschera d’odio era di una bellezza particolare, non delicata, brillante, pura e ammaliante come quella di Sheid, ma più marcata, rozza e prepotente.
I capelli biondissimi ricadevano in lunghi ciuffi sulla fronte e sulla nuca erano più lunghi e irsuti.
Gli occhi, che al buio erano di un verde quasi fosforescente, mi inchiodavano sul posto non lasciandomi via d’uscita.
Si fermò a poche spanne da me, e a quel punto, aprì le ali bronzee e lucenti che prima nascondevano il suo corpo.
Questo era avvolto da abiti scuri e aderenti, e fornito di armi aguzze e acuminate.
In mano, teneva due piume: una sua e l’altra … di Sheid.
Le riconobbi subito: il candore delicato e l’oro scuro erano in contrasto nella sua mano candida.
Pensai subito all’improvvisa sparizione della preziosa piuma d’angelo di Sheid, e a quanto l’avessi cercata in lungo e in largo.
L’aveva lui, l’aveva quell’angelo dall’aria minacciosa, e forse quella sarebbe stata l’ultima volta che avrei visto delle piumate d’angelo.
 
-          Buonasera! – disse con falsa cortesia e un ghigno sulle lebbra lineari – Hai perso qualcosa, ragazzina? – disse ironico e diabolicamente vicino.
-          Sheid … - sussurrai appena, e non riuscii a sentirmi nemmeno io.
Lui protese un braccio verso di me, e aprì  la mano libera per afferrarmi.
In quel momento mi venne in mente Sheid, e le gambe sembrarono muoversi da sole.
“I nostri destini sono legati fatalmente dal sangue” aveva detto, e non sarei stata io ad offrire al nemico le nostre vite su un piatto d’argento.
L’avrei protetto io stavolta, proteggendo me stessa.
Prima che potesse prendermi, mi fiondai oltre il ponte, e cominciai a correre verso la scogliera, con l’idea di prendere la via del bosco e, successivamente, quella di casa di Sheid.
Il mio carnefice però, fu più veloce, e con un balzo agilissimo mi si parò davanti con maestria.
A quel punto avevo due scelte: prendere la via del molo e sperare in qualche miracolo, o rassegnarmi alla fine.
Ero troppo lontana da casa, e Sheid non ce l’avrebbe mai fatta ad arrivare in tempo.
Inoltre di sicuro non aveva ancora completato la sua trasformazione, visto che il solo era tramontato da poco.
Capii che quello era stato il mio ultimo gesto avventato e irresponsabile.
Corsi come una pazza sul pontile, lo percorsi fino alla fine, ma non bastò.
Lui mi seguii senza esitare, e ancora una volta tentò di afferrarmi.
Io indietreggiai pericolosamente.
Un altro passo e il mare mi avrebbe inghiottita.
-          Sei davvero tenace ragazzina! Oppure molto stupida – disse sfoggiando uno sguardo ammiccante e affascinante.
In quel momento il mio cuore perse un colpo.
-          Sheid … - sussurrai per l’ultima volta.
Poi lui protese ancora una volta la mano verso di me, e allora indietreggiando, caddi rovinosamente in mare.
Mentre l’acqua mi inghiottiva, gelida e tempestosa, capii che era arrivata la fine.
Nella mia vita avevo fatto di tutto per non soffrire e non avere rimpianti, avevo visto un angelo, l’avevo conosciuto, ero rimasta accoccolata tra le sue braccia calde e protettive e avevo ammirato la bellezza di un animo nobile e di un viso idilliaco.
Dopo qualche secondo di lotta per rimanere a galla, sentii il mio corpo intorpidirsi, sentii i miei muscoli irrigidirsi e sentii il mio cuore pulsare con forza.
In quel momento ebbi solo due rimpianti: non aver imparato a nuotare e … non aver detto a Sheid quanto fosse importante per me.
 
 
 
 

 
------------------------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE ----------------------------------------------
 
MA SALVE CARI!
Spero che, nonostante non ne sia convinta del tutto, questo cap vi sia piaciuto.
Vi confesso che in realtà era molto più lungo, ma ho pensato di introdurre il nuovo personaggio, almeno fisicamente, a parte, così da dargli più … importanza ecco.
 
Naturalmente, spero di ritrovarvi tutti a leggere e commentare, perché ormai non posso più fare a meno del vostro sostegno, visto che dovesse venir meno, mi sentirei sicuramente troppo triste per continuare.
Ps: mi scuso se troverete qualche errorino! XD
 
Allora … stavolta voglio sapere da voi come preferireste il prossimo cap.
Dal punto di vista di Sheid, ma partendo da lontano e quindi senza proseguo …?
Oppure dal punto di vista di Seira con … la svolta?  
 
Ditemi voi, e in base alla maggioranza … provvederò.
XD
 
Ora passo ai ringraziamenti, sempre dovuti e meritati.
Vi adoro, perciò grazie a …
 

 
Deilantha : sorellona, ormai è da un po’ che sei la prima a recensire.
Non so come farei senza di te, sei davvero una buona tomodachi! XD
XD<3
 
Twilightkiara: la mia collega super impegnata a cui mando un grosso augurio.
Auguri per tutto! E … leggete la sua storia che è bellissima!<3
 
Dan24: grazie amico mio, sei sempre presente! XD<3
Zerolouise : la mia dolcissima Marta! Grazie per il sostegno!!! <3
 
YuukiB : ehi amica vampira … grazie di tutto. Inviami l’amicizia su face book e?<3
 
Lady Catherine: pasticcino! Grazie 1000, sei un tesoro!<3
 
Debbydarkness : sei una grande! Grazie per la gentilezza.<3
 
Patatina fritta: ciao maty! È un piacere averti tra i miei. Grazie per la rec! <3
 
Il gotico kaname: ma salve e! vedi di recensire stavolta :P  … XD che scherzo!<3
 
Angy emptiness: collegaaaaaa! Mi raccomando fammi sapere che ne pensi! <3
 
Robpattzlover: salve cara come va? Spero che anche questo ti sia piaciuto. <3
 
Julia_ phantomhive: come va con Ciel? Spero bene. Baci tesoro e fammi sapere che ne pensi! <3
 
Zoey la sognatrice: amorinaaaa! Come va? Grazie per la rec!
 
Vanny3: dolce e gentile come sei era inevitabile non nominarti! Grazie <3
 
Saylor Cristal: ovunque tu sia, grazie di tutto!
 
xXrika AkariXx : grazie per le recensioni che stai lasciando! Mi rendi davvero felice!
 
Yukari hoshina: amore dove sei?

 
 
Fatemi sapere che ne pensate ok?
Di questo cap non ero molto convinta, ma … non si sa mai, a voi è potuto piacere … spero XD.
 
Ora un po’ di pubblicità: in Giappone c’è un’antica leggenda che parla di destini legati da un sottile filo rosso, magico e invisibile.
Se volete viaggiare sulle ali di un amore puro e all’insegna di romanticismo e vivacità, non vi resta che leggere “Rosso come il destino” di Deilantha!
 
Poi per chi non lo sapesse, ora sono iscritta su face book (Fiorella Runco con l’immagine di un anime dall’abito verde e i capelli lunghi).
 
Ringrazio tutti coloro che hanno la mia storia tra le seguite, ricordate e preferite, e chi mi ha aggiunto tra gli autori preferiti.
(scusate se non vi nomino tutti, la prossima volta mi rifarò) <3
 
Faccio un annuncio a tutti coloro che passano di qui a leggere:
salve, è un piacere per me anche solo sapere che ci siete.
Se solo vi piace un pochino la mia storia, vi prego commentate, o mandatemi un messaggio, adoro fare amicizia, e sarei super contenta di sapere che Sheid e Seira sono riusciti ad entrare nel vostro cuore.
 
Stavolta niente spoiler, visto che sarete voi a dirmi cosa volete.
Lo so sono cattiva a lasciarvi sulle spine, ma … che posso farci?
 
Vi adoro, e vi mando un forte abbraccio.
Non abbandonatemi.
 
Iloveworld (Fiorellina)
<3
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Salve!!!
Approfitto di questo cap per augurare a tutti voi un sereno e felicissimo 2012.
Siate sempre voi stessi, perché il più grande tesoro che esista è la realizzazione personale.
Essere felici di sé stessi insieme alle persone che si amano, è davvero super importante.
Ora … questo cap lo dedico alla mia amica Vanessa Braga, senza la quale sarei stata persa.
Grazie amorina!
E naturalmente a tutti voi lettrici e lettori, tomodachi, sorelle, pasticcini e tesore. Insomma a tutti voi.
 
Grazie.
 
Ps: sono stata costretta a fere dei ringraziamenti più brevi causa tempo … vi prego di recensire comunque.
Grazie di cuore, vi adoro.

 
 
SHEID:
 
L’aria di quella mattina era più fredda del solito.
Era inconsueto, era strano e sapeva di attesa.
“Anul” ripensai, sentendo il mio corpo irrigidirsi, “Cosa stai aspettando?”
Presto il mio fisico avrebbe ceduto, lo sentivo, perciò speravo che la regina delle tenebre cominciasse ad attaccare, e in fretta .
Più demoni avrei fatto fuori, più c’erano speranze per Seira.
 
-          Padrone, sono le cinque del mattino e il sole è quasi alto – mi informò Erik con discrezione, porgendomi una tazza di caffè.
-          Bene - risposi agguantando la tazza.
-          Visto che ora non c’è più pericolo, perché non ne approfitta per riposare un po’? – chiese preoccupato lui. Gli occhi lucenti erano colmi di speranza.
-          Erik … io sto bene, non preoccuparti – lo tranquillizzai. Lui annuì sommessamente e lasciò la mia camera.
Gli avevo già spiegato che non doveva preoccuparsi per me.
Ero abbastanza forte da potermela cavare da solo,  ed ero abbastanza addestrato da poter calcolare ogni minimo particolare, ogni minimo limite che non andava superato.
 
In quel momento dal bosco, cominciai ad intravedere la luce rosea dell’alba.
Trapassò gli alberi, gli arbusti e i cespugli, illuminò le ombre e le dissipò, rianimò il bosco e lo destò dal sonno silenzioso e misterioso della notte.
 
Quando la luce del sole mi bagnò, le piume delle mie ali si polverizzarono all’istante in un fascio di luce sfolgorante che mi circondò.
I rami a cui erano attaccate, rientrarono lentamente nella carne della mia schiena, che si sanò in pochi minuti grazie ai cristalli.
Era la sensazione opposta a quella che provavo mentre mi trasformavo in angelo, ma era sopportabile.
Più che dolore era fastidio, come se la carne si stesse lacerando lentamente.
Ma ormai c’ero abituato.
In quel momento mi venne in mente l’addestramento a cui mi aveva sottoposto Luna, quando ero sotto la sua custodia.
Ricordai la sensazione di fastidio e dolore insieme.
Spesse volte i suoi addestramenti erano davvero crudeli, ma mi erano serviti per diventare immune, quasi del tutto, al dolore.
Quello fisico.
 
Grazie a lei, grazie a Luna, il dolore atroce che provavo ogni notte da bambino, era svanito, ma aveva lasciato il posto ad una voglia corrosiva di vendetta.
Lo Sheid debole, delicato e ingenuo, grazie a lei era svanito, lasciando il posto ad una macchina assassina.
I duri e dolorosi addestramenti, avevano annullato le mie paure, avevano reso il mio corpo umano forte e resistente e aveva acuito i miei sensi, facendoli diventare letali.
Letali, per ogni demone o angelo nemico.
 
 
“ - Soffri, odiami, maledicimi, fai scorrere la rabbia e il dolore dentro di te come veleno. Ma vivi”, aveva detto.
“ - Quando sarai forte abbastanza da avere il coraggio di affrontarmi, quando avrai potere a sufficienza da riuscire a porre fine alla mia esistenza … vieni a cercarmi”.
Si.
Da quella notte, il mio unico e solo pensiero, le mie uniche ragioni di vita, furono la vendetta e il potere.
 
Ero sopravvissuto solo grazie a questo bruciante desiderio.
Avevo trovato la forza di resistere solo grazie alla mia voglia di vendetta, solo grazie all’odio che ogni giorno di più, ogni istante di più si trasformava in forza.
 
Ero riuscito a sopportare dolore, fatica e solitudine, solo grazie all’odio.
“Seira, tu riusciresti a perdonarmi?” pensai, e allora capii quanto lei in poco tempo avesse spostato il mio asse, avesse cambiato la mia vita.
 
Era quasi fastidioso, quel senso di protezione che provavo verso di lei, era fastidioso che solo lei riuscisse a farmi perdere il controllo, ed era inaccettabile che lei riuscisse a farmi abbassare le difese.
 
“Seira!” dissi ancora mentalmente.
 
Sin dalla prima volta che la vidi, mi venne voglia di proteggerla.
 
Era la sola altra cosa, dopo la vendetta, a starmi a cuore.
 
 
 
 
Appena la trasformazione terminò, andai in camera a vestirmi.
 
Presi la camicia bianca stirata dall’armadio, l’infilai e allacciai ogni bottone, eccetto gli ultimi due.
Poi infilai pantaloni e giacca neri.
 
Finii lentamente il mio caffè, guardando le ultime ombre svanire, e lasciai vagare lo sguardo fino alla finestra della sua camera.
 
Era ancora buia, come se la luce del sole non fosse riuscito a dissipare le ombre notturne,  ed io sapevo che non era riuscita a dormire nemmeno quella notte.
 
Ormai era palese quanto soffrisse, era evidente quanto quella situazione la stesse consumando.
 
Ed io non potevo fare altro che vegliarla da lontano.
 
Quel pensiero rimase sospeso, perché uno spasmo di dolore mi colpì al petto.
Mi ci volle una frazione di secondo per capire che si trattava di Seira.
Il ciondolo che le avevo regalato era un piccolo prodigio, per noi significava essere sempre in contatto e quindi, soprattutto per me, era un filo conduttore che mi collegava al suo spirito.
Sentivo il suo cuore accelerare, come se stesse correndo, e sentii il suo animo agitato e confuso.
 
Mi alzai di scatto dalla poltrona della terrazza, e mi precipitai di sotto.
Feci in tempo a sentire Erik che diceva :
-          Signorino, … che succede? – con aria preoccupata, ma non c’era tempo per rispondere.
-          Seira … -  dissi soltanto e mi fiondai fuori dal portone della villa.
 
Decisi di tagliare per il bosco, così sarei arrivato prima.
La mia agilità e la mia corsa da felino, non servirono però a raggiungerla prima che arrivasse alla scuola.
 
Da quello che percepivo, si era fermata, ma provava paura e ansia.
Il ciondolo che le avevo regalato, era davvero utile come pensavo.
 
Arrivato al cancello del liceo Morrison, la trovai seduta sulle scalinate, la testa tra le mani tremanti.
 
Mi guardai intorno ma non c’era nessuno e non percepivo niente di pericoloso.
“Che l’è preso?” pensai, sentendomi irritato dalla preoccupazione bruciante che mi aveva fatto provare.
 
Sembrava davvero tesa e quell’immagine di lei, tremante e indifesa, mi creò di nuovo quel calore doloroso al petto.
 
In quei momenti desideravo stringerla a me, e questa cosa mi spiazzava e mi faceva perdere la cognizione di me stesso.
 
Da quando la voglia di proteggerla e tenerla con me aveva preso così tanta valore?
 
 
 
 
 
-          Dovresti avvisarmi quando decidi di sparire! – subentrai allora per tranquillizzarla, lasciando le domande a dopo.
-          Ho sentito che ti allontanavi, e ho pensato al peggio – la sgridai con voce ferma – mi sono preoccupato – dissi poi.
Lei era sobbalzata, sorpresa e spaventata allo stesso tempo. I suoi occhi tradivano la paura che aveva provato poco prima e questo mi fece ricredere sulla ramanzina che volevo riservarle.
-          Dovrò abituarmi – dissi allora e sospirai soltanto, sedendomi di fianco a lei.
-          Come mai tutta questa fretta? – volevo che parlasse. Fino a quel momento l’unico ad aprire bocca ero stato io, e la cosa era alquanto insolita. Cominciavo davvero a pensare che lei avesse un’ascendente troppo potente su di me.
-          Veramente … avevo scordato l’assemblea – rispose, cercando di non mostrare i residui dei sentimenti provati poco prima. Sorrisi quasi, pensando che avevo corso come un matto per il bosco solo perché aveva scordato l’assemblea del giorno.
-          E sei venuta qui un’ora prima, solo perché te n’eri scordata? – chiesi sospirando. In quel momento uno spasmo di stanchezza mi fece girare la testa. Mi passai una mano tra i capelli e cercai di riprendermi. Forse avrei dovuto ascoltare il consiglio di Erik e dormire un po’.
-          Tutto bene?  – chiese lei, scrutandomi con preoccupazione.
-          Sembri stanco – aggiunse avvicinandosi.
Il dolore al petto si intensificò, ma lo ignorai.
L’ultima cosa che volevo era farla preoccupare.
-          Non curarti di me! – dissi, e la mia voce sembrò un’eco lontana – io sono solo il tuo angelo protettore … - continuai. Il mio corpo sembrava essere sospeso in un’altra dimensione.
Quella sensazione … stavo davvero crollando?
Il mio fisico cedette alla stanchezza.
Era da mesi che non dormivo decentemente, e gli ultimi avvenimenti, l’ansia per l’insolita calma apparente, non mi avevano aiutato a sopportare oltre.
Nonostante fossi addestrato per resistere nelle situazioni più disperate … mi sentii mancare.
L’ultima cosa che ricordo è il viso di Seira che ,con uno sguardo cauto e confortante, mi faceva appoggiare su di se.
La consapevolezza che avevo abbassato del tutto le mie difese con lei, fu meno scioccante del fatto che lei non avesse esitato ad annullare del tutto le distanze.
Ero a mio agio, ero tranquillo, e … stavo bene tra le sue braccia, e ciò mi fece rendere conto di una cosa: per me Seira non era solo un’umana da proteggere.
Il crollo fu inevitabile e lasciai che un sonno guaritore mi facesse recuperare le forze.
Mi abbandonai alla stanchezza tra le braccia di Seira.
 
                                                        ******************
 
Non sognai nulla, come al solito, però, mi sentivo stranamente in pace.
Sembrava che il mio spirito avesse galoppato fino a raggiungere un luogo pacifico e senza ombre.
-          Sheid – era la sua voce, la voce di Seira che mi chiamava.
-          Tra cinque minuti arriveranno i nostri compagni, e … - sussurrò, e allora aprii gli occhi.
-          Va meglio la stanchezza? – disse lei accarezzandomi i capelli, e allora mi accorsi che per tutto il tempo ero stato davvero appoggiato a lei.
-          Cosa è successo? – chiesi. Non volevo credere che mi ero lasciato andare così, non volevo credere che avevo permesso a me stesso di essere così debole.
-          Ti sei addormentato, avevi davvero un’aria stanca – disse sorridente, quasi raggiante.
-          Addormentato? – ripetei io. Come poteva sorridere in quel modo ad uno che si era addormentato su di lei? – sei seria? – dissi, cercando di sistemare i miei capelli disordinati.
-          Serissima … ma … che problema c’è? – disse calma.
-          Seira … - la stavo costringendo a fingere, le avevo mostrato la mia debolezza, ma nel suo cuore non sentivo odio, disprezzo o delusione, sentivo solo felicità - … scusami tanto … io – perché era felice? Perché non mi odiava?
 
 
-          Va tutto bene. Non sentirti imbarazzato in nessun modo, non essere dispiaciuto. Per me è stata una cosa buona – disse sorridendo e arrossendo al tempo stesso. Sembrava intenzionata a farmi capire i suoi sentimenti. Era felice e serena, e io non riuscivo a capire perché  – almeno adesso sei meno stanco – disse abbassando la voce.
Allora capii che si stava preoccupando per me, e percepii il senso di colpa che sentiva.
-          Seira … - provai, ma sapevo bene, che qualsiasi cosa avessi detto, sarebbe servita solo a ferirla. In fondo era solo preoccupata per me, non potevo reagire sgarbatamente.
Però non potevo neanche mostrare ancora una volta la mia debolezza.
-          Potevi svegliarmi – la rimproverai allora, guardandola negli occhi, per farle capire che non doveva preoccuparsi.
-          Ma … - cominciò lei. La sua reazione mi spiazzò. C’era un ma?
-          Perché mi hai lasciato dormire su di te, perché non hai opposto resistenza, e … perché adesso non ce l’hai con me? –ero davvero turbato dal fatto che lei avesse lasciato che io …
-          Perché dovrei avercela con te? Non hai fatto nulla di male! Anzi, sono io quella … quella che ha pensato solo a se stessa per tutto il tempo –rispose lei, e ciò mi fece capire il vero motivo dell’accaduto – eri stanco perché non dormi bene da chissà quanto tempo e … ora che so che Anul farà di tutto per distruggerti, volevo … - cercò di ricacciare le lacrime, cercò di essere forte.
-          Volevo vegliarti io per una volta, volevo … volevo essere io a supportare te per una volta. So che questo non ripagherà mai quello che fai tu per me, … ma …  ma, almeno tu … non mi guarderai con freddezza, e mi sembrerà … di averti ripagato … almeno in parte – disse tra i singhiozzi. Il dolore al petto divenne impetuoso e forte, quasi da togliere il respiro.
Lei non doveva soffrire per me, lei non doveva temermi.
Lei era l’unica che poteva guardarmi negli occhi senza temere il mio giudizio e il mio sguardo.
Quei pensieri mi fecero capire quanto tenessi a lei, quanto volessi proteggerla da tutto e tutti, quanto i suoi sorrisi mi scuotessero l’animo e quanto fosse importante per me la sua vicinanza, nonostante scatenasse in me, quel dolore così forte.
-          È di questo che hai paura allora! – dissi con consapevolezza in un sospiro. La attirai verso di me e la feci poggiare col viso sul mio petto ormai lacerato.
La sensazione del dolore culminante che si disfaceva al contatto con lei, mi lasciò interdetto per la seconda volta.
-          Mi sono sempre domandato, come mai fossi così restia a guardarmi negli occhi, come mai a volte abbassassi lo sguardo di colpo, e come mai fossi così cauta nei miei confronti –spiegai calmo. Tutte le volte che avevo tentato di leggerle gli occhi, lei li abbassava oppure evitava di guardarmi.
-          Allora è questo il problema! Hai paura che ti guardi con freddezza e distacco come faccio con gli altri, hai paura che il ghiaccio dei miei occhi possa allontanarti e mettere distanza! – dissi con sicurezza e dispiacere insieme.
Lei annuì flebilmente.
-          Sei proprio una sciocca, Seira – dissi allora, cercando di prendere un tono più leggero, ma cercando di farle capire che non doveva preoccuparsi – io guardo freddamente gli umani per dissuaderli dall’impicciarsi dei mie affari, che devono rimanere segreti e inviolati. Uso la freddezza come scudo, come barriera, come maschera a volte, … ma con te non mi serve, perciò non hai alcun motivo di avere paura – dissi benevolo.
-          Ma … - ribatté lei, fermandosi un attimo per ponderare le parole - … io lo so che proteggermi per te è una … punizione. L’ho capito la notte in cui mi salvasti la prima volta. Anche in quel momento avevi uno sguardo freddo mentre osservavi il demone, e lui era un tuo nemico. Io non voglio essere la tua nemica. Se proteggermi per te è una punizione, allora non farlo. Non voglio che mi odi, non voglio che tu soffra per causa mia – mi confidò.
Mi sentii felice del fatto che anche lei sembrava tenere a me.
“Io non voglio essere la tua nemica” aveva detto, con la voce rauca e la determinazione più pura. Lei era forse una delle poche persone al mondo che non consideravo affatto nemiche.
Per me i nemici erano i demoni, i malvagi e i traditori.
Avevo sempre creduto che il mio nemico numero uno fosse Isaac, ma da un po’ di tempo ormai, avevo capito che oltre a lui adesso c’erano i demoni che volevano Seira.
Lei mia nemica? Sorrisi internamente, quando non riuscii ad immaginare la sua faccia minacciosa. Ogni qual volta pensavo a lei, mi venivano in mente solo i suoi sorrisi roventi.
-          Seira … - dissi –  … noi non siamo nemici , … e sta’ tranquilla, io non ti odio affatto. Perché dovrei, poi? E … non preoccuparti io sto bene – conclusi. L’allontanai da me per guardarle gli occhi, per farle capire che nei miei occhi non avrebbe mai trovato ghiaccio, per farle capire che io non mi sarei mai permesso di ferirla in nessun modo.
-          Io non permetterò mai a me stesso di guardarti con freddezza, te lo prometto – dissi solenne.
Lei sorrise raggiante, e allora il mio petto si infiammò del fuoco dell’inferno, che accanto alla mia principessa, sembrava dolce come il miele.
 
                                                                       *******
 
L’accompagnai all’assemblea e cercammo due posti vicini, lontano da tutti, dove potessimo stracene tranquilli e indisturbati.
Per distrarmi prestai attenzione alle parole della presidentessa.
Durante le ultime settimane, l’amministrazione scolastica, avrebbe organizzato gite d’istruzione, giochi sportivi, mostre, saggi, spettacoli.
L’ultimo avvenimento citato, il famigerato ballo di fine anno, si sarebbe svolto di sera, nella sala centrale dell’istituto.
Guardai immediatamente Seira.
Non l’avrei potuta accompagnare, ma non l’avrei nemmeno lasciata andare da sola.
Fare l’angelo in incognito sarebbe stato difficoltoso con tutti gli studenti riuniti, perché un paio d’ali scintillanti erano difficili da nascondere.
La vita di Seira era davvero stata stravolta, non solo dai demoni, ma anche … da me.
-          Che intenzioni hai? – chiesi serio.
Volevo che parlasse con sincerità, niente avrebbe dovuto spingerla a mentirmi.
Nei suoi occhi, che trovai fissi nei miei, appena mi voltai a guardarla, trovai imbarazzo e stupore.
-          Scusa – rispose avvampando, e nascondendo l’ammirazione che faceva brillare i suoi occhi azzurri – non volevo, io … - sembrava che si comportasse come un ladro colto sul fatto. Ora che le avevo promesso che non sarei mai stato freddo con lei, era più propensa a guardarmi. Ma quando posava i suoi occhi sul mio viso, il suo cuore sembrava accelerare.
-          Seira … - tentai di fermarla, non poteva sentirsi in colpa per una cosa così sciocca. E poi di cosa doveva scusarsi?
-          No – sussurrò, fermando la mia arringa - ti prego perdonami, ti prometto che starò più attenta! Non ho alcuna intenzione di … - le feci cenno di zittire. Sarei impazzito se avesse detto “essere di peso, disturbarti, …”. Qualsiasi cosa fosse uscita dalla sua bocca, sarebbe stata solo la testimonianza che lei mi temeva ancora.
-          Stavo parlando della festa di fine anno! – la tranquillizzai, togliendola dall’imbarazzo.
Sembrò svegliarsi da un sogno, quando pronunciai quella frase.
-          Sarà di sera, … quindi … - cominciai a diventare nervoso. Se lei avesse risposto …
-          Non ci vado – disse pronta. Quella risposta mi lasciò spiazzato. Credevo che si sarebbe opposta al mio volere, e che avrebbe fatto leva sul mio senso di colpa, e invece … mi ero sbagliato.
-          Sta’ tranquillo – disse invece -  so che ci sarebbero problemi e …
-          Mi dispiace – dissi tetro. Mi sentivo inutile.
-          Di cosa? Io odio le feste! – sospirò. Il suo sguardo sembrò perso per un minuto, triste e distaccato dalla realtà. Lei odiava le feste?
Beh, d’altronde non mi sorprendeva sentirlo. La sua figura che guardava attonita la luna nascente era uno spettacolo troppo pacato e tranquillo.
Sin dal primo momento avevo capito che il suo animo era calmo e solitario.
Solitario come il mio.
 
-          Anche io! –dissi accennando un sorriso. Durante i primi anni di apprendistato presso Luna e la sua corte, ogni plenilunio e ogni cambio stagione, si tenevano balli e feste nell’immensa sala dei cristalli, illuminata dalla luce propria della luna stessa e dei cristalli.
Ero sempre stato invitato, ero sempre stato costretto a parteciparvi, ma per me era più una seccatura.
Tutti mi salutavano come un principe, come il successore del grande Isaac, ma nei loro occhi potevo ben vedere il disprezzo e la falsità.
In fondo ero solo un mezzo angelo, ero un mostro che di giorno non aveva le ali.
E poi ero il frutto del peccato del re, che ormai agli occhi di tutti i nobili angeli, nonostante i falsi elogi e il falso rispetto, era visto come il peggiore dei traditori.
-          Vieni! – dissi alzandomi e porgendole una mano. Basta pensare al passato, ormai erano anni che non partecipavo più alle serate mondane della corte lunare.
-          Dove? Non possiamo lasciare l’assemblea! – protestò, anche se sembrava più propensa a venire con me.
-          Ragiona! – dissi, cercando di convincerla - andare alle feste di fine anno non interessa a nessuno dei due, e poi tu devi farmi ancora molte domande no? – dissi prendendole la mano.
Il suo cuore accelerò.
-          Ok – disse alzandosi.
Uscimmo insieme dalla scuola.
In silenzio la condussi fino alla quercia sotto cui stava quando era preoccupata e triste.
Poi lasciai la sua mano e mi distesi sotto l’albero, prendendo la posizione più comoda.
Il mio corpo disteso nel verde, sembrava nutrirsi dell’energia della natura, sembrava bearsi della pace del parco.
Stavo bene, stavo davvero bene circondato dalla natura e … con Seira.
-          Perché sei voluto uscire?- chiese piano. Sentivo il suo animo agitato, … era nervosa.
-          Come mai diventi nervosa ogni volta che rimaniamo soli? – chiesi stuzzicandola e ignorando la sua domanda.
-          Non sono agitata – mentì lei in risposta. Era rimasta in piedi accanto a me, e il turbamento nel suo cuore era veloce come un tornado. Rabbia, irritazione, senso di colpa, nervosismo, agitazione, sembravano i vortici di un tornado spaventoso. 
-          Come vuoi – l’assecondai allora. Speravo così di farla rilassare, e speravo che la smettesse di angustiarsi.
Ma il mio comportamento la fece arrabbiare ancora di più.
-          Adesso sei arrabbiata – dissi, e non era una domanda.
-          Odio questo ciondolo! – sbottò infastidita, mentre si sedeva con movenze rigide sul prato. Accennai un sorriso ironico.
Quella situazione era davvero buffa, ma aveva anche un retrogusto amaro.
Lei seduta accanto a me sul prato, che torturava l’erbetta e teneva il broncio come una bambina, e poi c’era il fatto che non tollerasse il ciondolo. Aveva ragione e lo sapevo, ma era indispensabile per la sua sicurezza.
Lei lo sapeva, allora perché …
Presi a guardarla.
Volevo entrare ancora più affondo in lei e capirla.
Era coraggiosa, timida e sensibile.
Era umana.
Forse era lì la chiave dell’intesa tra noi.
La mia umanità assopita dai troppi anni di lontananza da una società prettamente umana, si stava risvegliando assieme ai miei sentimenti e ai miei sensi.
Ma ciò era una debolezza o una forza?
 
-          Smettila di fissarmi! – disse esasperata. Era davvero sottopressione, e la vedevo agitarsi ad ogni mio sguardo. perché le facevo quell’effetto? E perché lei mi attraeva tanto?
-          E tu smettila di rovinare il prato. Se fai così devo pensare che menti quando dici di non essere nervosa in mia compagnia! – conclusi ammiccante.
Mi divertiva troppo quella situazione, anche perché lei alle mie parole trasalì.
Mi piaceva stuzzicarla, ma lo facevo più che atro per allentare la tensione che si stava creando tra noi a causa del ciondolo.
-          Odio questo ciondolo! – ripeté imbarazzata. Mi  mossi nella sua direzione, avvicinandomi col busto.
-          Mi serve solo per proteggerti – spiegai, tentando di farle capire che non ero uno stolker, ma che ero solo preoccupato per la sua incolumità  – non voglio affatto giocare con i  tuoi sentimenti – dissi con voce cupa.
-          Però in questo modo saprai sempre tutto di me, mentre io … - si bloccò.
Il senso di colpa ripiombò nel suo cuore.
Voleva saperne di più sul mio conto, e non la biasimavo affatto.
Però la cosa mi lasciava interdetto.
Di solito evitavo l’argomento “vita privata”.
-          Seira,  ho promesso di rispondere a tutte le tue domande, ricordi?- io me lo ricordavo bene, il cuore sembrava scoppiare, e la voglia di abbracciarla e di fermare le sue lacrime era diventata un bisogno primario.
-          Vorrei sapere cosa provi tu adesso – disse coraggiosa.
“Va bene principessa” pensai.
La costrinsi a guardarmi  e lasciai che entrasse nella mia anima, la lasciai indagare.
Le feci vedere quanto ero tranquillo in sua compagnia, quanto ero sincero, quanto volevo proteggerla. Prima che potesse arrivare al dolore che provavo, però, distolsi lo sguardo.
Il dolore al petto, era diventato davvero fastidioso, ma lei non doveva preoccuparsene.
Non sapevo come fosse successo, ma quell’umana seduta di fianco a me, era riuscita a rendermi vulnerabile.
La cosa che mi spiazzava però non era quella, ma il fatto che non provassi rammarico nei suoi confronti.
-          Grazie! – disse, e capii che il momento burrascoso era finito.
Sentii la dolcezza di Seira, far aumentare il fuoco che mi ustionava, ma sorrisi guardando il sole del mattino illuminarci entrambi.
 
                                                         *******
 
-          Cosa succederebbe se si scoprisse che … insomma se si scoprisse il tuo segreto? – domandò di punto in bianco.
Stavamo camminando lungo il viale alberato e lei stava al mio fianco, saltellando di tanto in tanto per non rimanere indietro.
Sembrava una bambina a volte, ma quel suo lato un po’ infantile le dava un’aria tenera.
Ormai era un’abitudine tornare a casa assieme.
Ci aspettavamo davanti al cancello tutti i giorni, e chi tra noi fosse arrivato prima, aveva l’obbligo di aspettare l’altro.
Quando ero io ad arrivare dopo, la trovavo sempre a guardare la folla che usciva.
Mi cercava, cercava attentamente la mia figura tra la massa rumorosa di studenti che usciva, e quando mi intravedeva si illuminava di una luce prepotentemente lucente. Il mio petto bruciava in quei momenti.
Poi quando eravamo a pochi passi di distanza, lei mi salutava con sguardo basso, e frettolosamente.
Un “ciao” sussurrato a cui non rispondevo, limitandomi ad andarle al fianco.
Tra noi non esistevano convenevoli, d’altronde passando quasi tutto il tempo insieme non occorrevano.
Lei sapeva che io sapevo, e così se c’era qualcuno che si preoccupava per l’altro a parole … quello era lei.
Io sapevo come aveva dormito, come si sentiva, cosa provava, e dov’era.
Sempre.
-          Sheid? Va tutto bene? – chiese interdetta, accorgendosi della mia distrazione.
Mi voltai col capo nella sua direzione, cercando di darle retta e di ricordare cosa mi aveva chiesto … poi sentii il suo cuore perdere un colpo quando il mio sguardo si posò su di lei.
-          Scusa ero distratto … comunque … se gli umani scoprissero l’esistenza di angeli e demoni credo che ci sarebbe una vera e propria catastrofe. A noi è proibito rivelare la nostra identità.
Questo perché se gli umani sapessero, Luna si troverebbe a fronteggiare più nemici di quanti ne ha adesso, e tutto per i cristalli.
Il nutrimento degli angeli è potere per gli umani, che sfrutterebbero quella forza per arricchirsi, e se ci viene sottratto nutrimento, ci viene sottratta energia vitale.
Per non parlare del caos che si creerebbe – spiegai. Tralasciai la parte che riportava la teoria di Luna sugli umani, reputandoli esseri infimi ed effimeri.
Secondo Luna negli umani si nascondeva una parte demoniaca, ma questa era solo una supposizione.
Secondo me gli umani erano neutri, perché non erano mai statici o perennemente buoni o cattivi. Loro erano il connubio perfetto fra bene e male.
-          Capisco – disse lei abbassando il capo.
-          Ecco perché dobbiamo essere prudenti anche con gli umani – affermai sovrappensiero.
-          Se stai parlando della promessa che ti ho fatto … beh allora non devi preoccuparti – disse sicura di se.
-          Certo – dissi ironico io – tu difenderai il mio segreto con la vita! – la stuzzicai.
-          Contaci! Lo difenderò come tu difendi me – mi guardò trapassandomi l’anima.
-          Saresti disposta a combattere contro un demone? Saresti disposta ad uccidere? – dissi mesto.
-          Io … - la vidi diventare pensierosa, e allora capii di averla turbata.
-          Sta’ tranquilla! Ti basta rimanere in silenzio per proteggere il mio segreto. Ti basta non dirlo – dissi.
Lei sorrise timidamente.
Le sue mani erano pure, non avrebbero mai dovuto toccare un’arma e non si sarebbero mai sporcate di sangue. Io l’avrei impedito.
-          A domani! – disse entrando in casa. Io annuii, e con un cenno del capo mi congedai.
-          A stasera – sussurrai, consapevole che l’avrei rivista quella sera stessa, mentre ancora impaurita dalle ombre della notte scura, cercava di dormire senza risultato.
 
                                                                ********
 
 
-          Signorino … credete che accetterà? – chiese Eric, entrando di soppiatto nel salone buio e silenzioso.
Stavo ponderando la situazione. Dovevo andare a casa sua e chiederle se aveva deciso il da farsi oppure dovevo aspettare?
In realtà avevo capito che avrebbe risposto no.
Anche se qualcosa mi diceva che non era del tutto sicuro.
-          Non lo so – risposi in un sospiro – stavolta sono in dubbio anche io, Erik – dissi con un mezzo sorriso.
-          Secondo il mio modesto parere … verrà – disse speranzoso Eric. Io sorrisi di rimando, ma abbassai subito lo sguardo, non volevo illudermi.
Non volevo pensare positivamente a qualcosa di irrealizzabile.
-          Avete già scelto la camera che le darete? – i pensieri di Eric orbitavano sull’idea che lei avrebbe detto si, ma io non ne ero tanto sicuro.
In fondo imparando a conoscerla avevo capito che era davvero riservata per certe cose e forse non avrebbe mai accettato.
-          No! – risposi, se anche avesse detto si, la camera l’avrebbe scelta lei.
-          Capisco … allora non devo preparare nulla? – chiese lui.
-          No, non ce n’è bisogno. Grazie  - dissi.
Quella domenica pomeriggio sapeva di attesa, quasi d’ansia, e la cosa mi infastidiva non poco.
Il sole stava per tramontare, ma non avevo percepito nemmeno un po’ di cambiamento in me.
La trasformazione avrebbe ritardato?
In quel momento percepii Seira spostarsi.
Correva attraverso il bosco, diretta alla spiaggia.
“Seira” pensai, e quando il cuore sembrò scoppiare, quando sentii il suo terrore, il terrore di Seira scorrermi nelle vene, mi fiondai fuori, con la paura di non arrivare in tempo.
 
                                                           *********
 
 
 

 
SEIRA:
 
 
 
 
 
Sheid … Sheid …. Sheid …
 
Il suo nome rimbombava nella mia testa e il suo viso continuava ad apparirmi nei ricordi.
Non sentivo il mio corpo, non sentivo niente, ed ero come sospesa.
 
Sheid … Sheid … Sheid …
Chissà se l’avrei mai rivisto!
Il rimorso per non avergli detto quanto era importante per me, mi fece star male.
I suoi occhi, il suo viso, tutto di lui era come un sogno.
 
I suoi cambiamenti di umore, da freddo a ironico, da spensierato a tetro, erano unici.
 
Ma non era questo che lo aveva fatto entrare nel mio cuore.
 
Lui era la persona che mi rendeva libera da me stessa.
 
Lui mi aveva salvato la vita, lui si era preso cura di me fin’ora.
 
Volevo che arrivasse, volevo rivederlo.
 
“Salvami anche stavolta … ti prego!” pensai.
 
“Seira …” mi sentii chiamare. Ma non poteva essere lui, … io …
“Seira … rispondi …” era la sua voce, l’avrei riconosciuta tra mille, ma era così lontana!
“Apri gli occhi … ti prego … Seira!” …
 
-          Sheid – volevo chiamarlo, ma non riuscivo a tirare fuori la voce. Il terrore si impossessò ancora di me, stavo davvero morendo?
 
Ad un tratto mi sentii trascinare via da quel torpore, sentii ritornare la sensibilità del corpo.
 
Fu come svegliarsi da un incubo, e l’acqua che appesantiva il mio petto era la mia prigione.
 
Quando i miei occhi catturarono di nuovo la luce della luna, capii di essere viva.
 
Nell’atmosfera circostante, distinsi solo i miei colpi di tosse, il rumore del mare vicino, e i respiri ansimanti del mio salvatore.
 
Ero viva, viva!
 
Ma …
 
E se quell’angelo spaventoso si fosse tuffato a ripescarmi per uccidermi con le sue mani?
 
Alzai lentamente lo sguardo, mentre cominciavo a riprendere coscienza di ciò che c’era intorno a me.
 
Quando i miei occhi trovarono il viso preoccupato e stravolto di Sheid, un tuffo al cuore mi scombussolò facendomi riprendere del tutto lucidità.
 
-          Sheid … - boccheggiai, la mia voce era sparita, e si sentì soltanto un lieve sospiro. Anche lui sospirò faticosamente. Il suo sembrò quasi un gemito.
Era inginocchiato sulla sabbia, ed era chino su di me, mentre mi teneva la testa.
La voglia di sentirmi ancora protetta tra le sue braccia, dopo quello spavento orrendo prese il sopravvento.
Ignorai la debolezza, ignorai i capogiri che mi colsero mentre mi mettevo a sedere, e poi scoppiai a piangere tra le sue braccia.
Potevo di nuovo stare con lui, potevo sentirlo accanto a me, e dopo la paura che avevo avuto, la sua vicinanza era la mia medicina infallibile e benevola.
Mi accoccolai sul suo petto, circondando il suo corpo e stringendo nei pugni la stoffa zuppa della sua camicia bianca.
-          Seira … - mi sussurrò all’orecchio, con un tono disperato e sollevato insieme.
Mi strinse a se con trasporto, avvolgendomi tra quelle braccia forti e gentili.
Le lacrime non la smettevano di scendere, e i singhiozzi facevano pulsare il mio petto.
Lui mi accarezzava la testa e mi teneva stretta a se.
-          Sono qui! Sta’ tranquilla … va tutto bene, va tutto bene – mi diceva con dolcezza.
Si. Lui era arrivato in tempo, lui mi aveva di nuovo salvata la vita.
Rimanemmo stretti per un periodo che mi sembrò lunghissimo. In quel frangente mi resi conto che ero davvero dolorante, e che, in base al fastidio e al bruciore a causa del sale, dovevo essermi fatta parecchi graffi.
Ma non me ne preoccupai.
L’unica cosa che mi importava era stare finalmente con Sheid.
-          Ho avuto tantissima paura – dissi contro il suo petto, confessando quello provavo. Dovevo raccontargli tutto, dirgli che c’era un angelo nemico che voleva uccidermi.
-          Non solo tu! – disse lui, mantenendo la stretta con un braccio e posando una mano sulla mia guancia, come per tranquillizzarmi.
-          Avevo paura … che non fossi mai arrivato! – squittii, posando la mia mano sulla sua, e stringendola. Nonostante fossimo fradici entrambi, le sue mani erano calde come al solito.
Un brivido di freddo mi fece tremare, e lui mi strinse nuovamente a sé.
-          Ma sono arrivato – constatò fiero. La sua voce era sicura e scura.
Tenendomi sempre stretta a se, si allungò in avanti, e prese una giacca blu scuro, che doveva essere un cardigan. Era gigante per me, ma l’accettai con gioia, visto che stavo letteralmente congelando.
-          Ora ti porto via di qui! Hai bisogno di fare un bagno caldo, o ti prenderai un malanno! – disse apprensivo e premuroso.
-          Etciù! – starnutii al momento giusto! E poi arrossii.
-          Sempre che tu non l’abbia già preso – disse lui con aria ironica, mentre mi prendeva in braccio.
-          Posso camminare da sola! Non voglio che ti stanchi a portarmi in braccio per tutto il bosco! – protestai.
-           Credo che le tue gambe non la pensino allo stesso modo – disse lui iniziando a camminare con falcate assurdamente grandi.
In effetti la gamba sinistra mi faceva male, ma era un dolore sopportabile in fondo.
-          È rotta? – domandai?
-          Non preoccuparti, ci penso io dopo – disse serio.
Camminò in silenzio con me in braccio fino a casa sua. Io avevo guardato avanti per tutto il tempo sperando che non pesassi troppo.
Arrivati davanti a casa sua, si fermò, e a me si fermò il cuore.
-          So che avrei dovuto aspettare che rispondessi alla mia domanda, ma … - si bloccò e voltò il viso nella mia direzione. Ci ritrovammo lontani di un soffio, e i nostri respiri si amalgamarono.
-          … non ti lascio sola stanotte – disse guardando davanti a sé. Il mio cuore accelerò frenetico, e io sorrisi sinceramente.
-          Tanto era … sì! – risposi io. Lui sembrò sorpreso, quasi spiazzato. I suoi occhi indagarono la mia anima fino in fondo ed io lo lasciai fare.
-          Sì? – chiese.
-          Sì – risposi io.
Allora lui mi portò dentro casa, villa Winter, quel castello tutto da scoprire, dove, da quella notte in poi, avrei passato la mia vita.
-          Benvenuta principessa – disse lui varcando la soglia, ed io sorrisi come non avevo mai fatto.
Da quel momento, lo sapevo, le mie notti sarebbero state più serene perché al mio fianco avevo un angelo.
 
 
 
 

 
--------------------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE --------------------------------------------------
 
ALLORAAAAAA!
 
Come state? Come ho già detto prima non ho avuto il tempo di scrivere i miei amatissimi ringraziamenti!
 
Dico solo ai miei recensori …. Grazieeeeeeeeeeeeeee!!! Siete magnificiiiiiiiiiii! Al prossimo cap, i ringraziamenti saranno doppi!
 
E poi tutti coloro che mi seguono, che mi hanno messo tra i preferiti e ricordati, e chi mi preferisce come autore … *_* siete grandi.
 
Ora lo spoiler …
 
“ mentre l’oscurità nasconde la verità, il nemico trama nell’ombra e il terrore mozza il fiato.
Una convivenza appena iniziata, un rapimento, e … una battaglia”.
 
 
       Bene, e ora la solita pubblicità: finalmente mi sono decisa a iscrivermi su libro faccia, quindi mi farebbe molto piacere se mi cercaste!
Poi … se volete qualcosa di fresco da leggere, passate dalle mie storie preferite e seguite, … ne vedrete e leggerete di stupende.
Poi … a si! Un annuncio alle centinaia di lettori di cui trovo le visualizzazioni.
Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate, e appoggiate assieme a me, il movimento
UN MINUTO UNA RECENSIONE dedicata a tutti gli scrittori a cui serve appoggio morale … (come me!) grazie mille!
 
Ci vediamo il 31 GENNAIO!
Non abbandonatemiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!
 
Vi adoro
Un bacio
La vostra … Fiorellina
<3

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


SHEID:
 
“SEIRA!”
Il suo cuore batteva fortissimo. E insieme al suo … il mio.
Ora non sentivo più il terrore di Seira, ma sentivo il mio.
Paura? Terrore? Indecisione?
Non avevano mai fatto parte di me, non avevano mai fatto parte dell’angelo giustiziere di demoni che era in me, e non avevano mai intralciato o scalfito il mio cuore.
Prima di Seira, i sentimenti erano deboli e assopiti come il sibilo del vento del nord che soffia su una muraglia di cemento armato.
 
“Sheid”
 
Forse avevo capito adesso.
Il dolore al petto che provavo, non era altro che il frantumarsi della mia barriera, non altro che l’incendiarsi della mia maschera.
La mia corsa era rallentata dai roveti, dai cespugli e dagli alberi.
Se solo mi fossi trasformato in tempo …
 
Mi concentrai.
Lei era in acqua e … stava affogando.
Il suo cuore che batteva sempre più lentamente, i suoi polmoni pieni d’acqua …
“Sheid” sentii ancora che chiamava il mio nome.
-          Seira! – urlai io! Arrivato alla spiaggia, gettai la giacca sulla sabbia e poi mi tuffai.
Era tutto buio là sotto, e la sola cosa che mi permise di trovarla, furono i suoi sentimenti di rimorso che provava ancora nel cuore, e … calore … per me?
Non seppi decifrare quel sentimento, ma non me ne preoccupai, ciò che importava era salvarla.
La presi dai fianchi, e nuotai fino in superficie.
I suoi capelli ondeggiarono al mio tocco, e una piccola bollicina d’aria uscì dalle sue labbra.
“Seira” pensai mentre nuotavo verso riva con lei sulle spalle.
Cosa l’aveva spinta a tuffarsi?
Perché nel suo cuore c’era terrore?
Il fatto che non avessi percepito la presenza di un demone … mi fece preoccupare.
Forse lei …
 
La depositai sulla sabbia, e velocemente le presi le testa.
-          Respira! – dissi, come se fosse un ordine. Doveva svegliarsi, doveva respirare, doveva ancora arrossire davanti a me, quando la guardavo negli occhi, doveva sorridermi ancora e farmi bruciare il petto fino ad ustionarmi il cuore, doveva ancora piangere tra le mie braccia, e doveva ancora dire il mio nome con timidezza, come se stesse per dire qualcosa di imbarazzante ad alta voce!
 
-          Seira! – urlai premendo con decisione sul suo petto.
 
-          Seira … Rispondi! – non dava segni di vita, ma io sapevo che era viva, doveva essere viva.
 
-          Seira apri gli occhi, ti prego! – ero disperato.
 
Non mi restava che …
 
Posai le mie labbra sulle sue, improvvisando una respirazione bocca a bocca.
Il suo sapore era misto al salato, ma la sensazione di disperazione, mista al bisogno che provai, fu sconvolgente quanto meravigliosa.
Sentii il suo cuore riprendere a battere con più vigore, e allora capii che ce l’avevo fatta.
 
Ma in quel momento, il contatto con le sue labbra mi fece sentire stranamente appagato.
La sensazione di beatitudine durò poco.
Quel sentimento si intensificò fino a diventare dolore puro.
Staccai le mie labbra dalle sue, con sofferenza.
Gemiti inconsueti uscivano dalle mie labbra, e …
Il mio petto sembrò davvero andare in pezzi.
Mi portai le mani all’altezza del cuore, ma non servì a nulla.
Era una tortura orribile, era come una punizione.
Un altro castigo.
 
Respirai affannosamente, guardando Seira.
Cominciò a tossire, e quando la vidi aprire gli occhi, il dolore svanì, portato via dalla felicità.
Era ancora con me.
Era ancora viva.
 
 
 
 

SEIRA:
 
 
Avevo visto in faccia la morte.
Ero stata coperta dal suo freddo e scuro telo, e mi ero lasciata avvolgere dalla disperazione e dal rimorso.
Quando credevo che tutto fosse perduto, però, era arrivato un giovane cavaliere, coraggioso e forte, che senza esitare, si era tuffato nelle acque gelide e scure del mare minaccioso della notte.
 
Poi con estrema gentilezza, mi aveva riportata tra i vivi, chissà come.
 
Casa Winter era davvero stupefacente.
E pensare che ci avevo messo piede pochi giorni prima!
Non ricordavo il colore marmoreo delle pareti, non ricordavo i sontuosi lampadari di cristallo che illuminavano l’immenso salone e non ricordavo quanto fosse simile ad un vero e proprio palazzo.
 
Sheid, mi teneva ancora tra le sue braccia, e con velocità e facilità, mi portò fino al terzo piano.
I quadri grandi e colorati appesi alle pareti, con la faccia di persone molto belle, erano ancora lì, lucidati e ben mantenuti.
Il parquet di legno scuro che ricopriva il pavimento del corridoio lungo e largo, faceva ticchettare le scarpe di Sheid, e l’acqua che lasciavamo cadere creava una scia lucente su quel marrone scuro.
Erik si sarebbe arrabbiato?
 
Eravamo bagnati fradici entrambi, ma l’unico che non tremava era lui.
Guardava serio e fisso davanti a se, e respirava in maniera regolare, come se non sentisse affatto il mio peso.
 
Arrivati alla fine del corridoio, si fermò davanti alla porta gigantesca che segnava il capolinea dell’ androne.
 
-          Potresti aprirla?  – disse, e io lo feci. Entrammo in una sala bagno, talmente grande che mi sentii spaesata per un secondo. La vasca da bagno dal bordo circolare, era incastrata perfettamente tra le mura, formando un angolo retto. I bordi larghissimi erano in granito, e dove lo spessore si faceva più esteso, c’erano appoggiate delle meravigliose conchiglie, dai colori sgargianti, cangianti e vivaci.
Poi il lavandino, e il resto erano bianco latte, e decorati qua e la dalle stesse conchiglie.
I mobili, infine, erano di un legno scurissimo che contrastando col bianco del granito e del lavabo, dava all’intera stanza, un’aria sofisticata e accogliente allo stesso tempo.
Il profumo di Sheid era prepotentemente nell’aria, e quando lo sentii attorniarmi, mi rilassai finalmente, dimenticando la paura e la tensione.
Adesso c’era lui accanto a me, e mi avrebbe tenuta con sé al sicuro.
 
Mi depositò con gentilezza, sul bordo della grande vasca, e poi si inginocchiò di fronte a me.
Mi guardò intensamente, con aria interrogativa, allora capii, che voleva il mio consenso silenzioso.
Sorrisi, e allora lui, gentilmente, cominciò a tastare con le dita bianche e lunghe, le condizioni della mia gamba dolorante.
-          Per fortuna non è rotta! – disse, senza scostare lo sguardo dalla pelle violacea della mia gamba – ma … non è messa affatto bene – disse preoccupato e un po’ dispiaciuto.
Nonostante continuasse a pigiare sul livido, non sentivo alcun dolore, e ciò mi sembrò davvero strano.
-          Che c’è? - domandò lui – perché sei perplessa? – disse fermandosi.
-          Non sento niente! – dissi io – nessun dolore! … È merito tuo?
-          Non voglio che tu soffra! - disse come se fosse una cosa ovvia. Io sorrisi.
-          Riuscirò a rimetterla in sesto, ma … ci vorrà più tempo prima che tu riesca di nuovo a camminare senza problemi. Stavolta non è un graffio – disse, e le ultime parole erano un sussurro. Sembrava davvero turbato.
-          Non preoccuparti! Non è grave! – dissi io cercando di tranquillizzarlo. In fondo senza le sue cure avrei dovuto aspettare molto, molto di più.
-          Si, certo – disse tetro. In quel momento, dalle sue dita scaturì quella magica luce che mi lasciava estasiata ogni volta. Il contatto con la sua pelle, mi metteva dentro eccitazione e benessere insieme. Come se curando la parte danneggiata, irradiasse calore in tutto il mio corpo, riscaldandolo.
-          Ecco! – disse, annullando il contatto e rialzandosi – così almeno puoi fare il bagno senza problemi. Puoi muoverla … non sentirai dolore – disse.
Io l’alzai lentamente, e l’unica cosa che percepii fu la pesantezza e il torpore.
Nessun dolore.
-          Non affaticarti però! – mi raccomandò – quando hai finito … chiamami, ti porto io in camera – disse voltandosi di spalle.
Quella situazione era piuttosto imbarazzante, e di certo anche lui era a disagio.
Ma cercai di non scompormi. Quelle poche e magiche parole, avevano suscitato in me una certa attesa, come se il meglio dovesse ancora arrivare. Chissà com’era la mia stanza! E chissà se era vicina alla sua!
-          Ma … posso farcela da sola! – protestai, non volevo dargli tutto questo disturbo.
-          Seira … - cominciò, ma fu interrotto dall’entrata colossale di Erik.
-          Padron She – si bloccò quando mi vide – signorina! Ma … cosa è accaduto? – lo vidi sbiancare, vedendoci bagnati fradici entrambi, vedendo la mia faccia che doveva essere ancora sconvolta …
-          Signorina Seira … sta bene? – disse preoccupato, avvicinandosi di un passo.
-          Si, ti ringrazio! – risposi, rivolgendogli un sorriso di cuore.
-          Ma … - cominciò il maggiordomo.
-          Sta bene, sta’ tranquillo, ti racconterò tutto più tardi, ora lasciamole fare il bagno, o si prenderà un malanno – disse senza voltarsi e andando verso la porta.
-          Si signore – disse Erik.
-          A … Erik, portale un cambio. Nel mio armadio, dovrebbe esserci qualcosa di comodo – disse rivolto al maggiordomo.
-          Non ti dà fastidio indossare i mie vestiti, vero? – disse poi guardandomi con la coda dell’occhio. Io feci di no con la testa.
-          Ma, anche a te serve un bagno caldo! – dissi vedendolo andare via – in fondo sei bagnato fradicio anche tu … per colpa mia – dissi le ultime parole in un sussurro.
-          Non preoccuparti - disse lui, accennando un mezzo sorriso nella mia direzione.
Quando Sheid se ne fu andato, Erik si avvicinò di un altro passo.
-          Signorina, se vi aggrada potete lasciarmi i vostri vestiti fuori dalla porta, in questo cestino – disse affabile, prendendo il cesto della biancheria – li troverà puliti e asciutti quando avrà finito.
-          Oh, ti ringrazio tanto Erik! Sei sempre gentile – risposi. In effetti era la soluzione migliore, visto che non avevo cambi di biancheria intima con me.
Lui uscì congedandosi, ed io rimasi sola, in quella gigantesca stanza.
 
Mi guardai intorno ancora spaesata.
Le pareti erano tappezzate di piastrelline che riprendevano i colori delle conchiglie.
E la grande finestra che prendeva un lato della vasca, era nascosta da una tenda bianca.
 
Ero sola, ma ero al sicuro e questa consapevolezza mi riempì il cuore di speranza.
Mi strinsi per l’ultima volta, nella giacca blu scuro, che anche se bagnata sapeva di Sheid.
 
Più rilassata, ma anche più goffa a causa della gamba fuori uso, mi abbandonai ad un bagno caldo e rigenerante.
 
                                                         *******
 
 
Mi ero vestita in fretta, e avevo trovato quasi rassicurante il fatto che avrei indossato i suoi vestiti.
Un dolcevita bianco e un pantalone elasticizzato.
Entrambe le cose mi andavano decisamente lunghe e larghe, ma non potevo farci nulla!
Arrotolai e piegai le maniche della maglia e le gambe del pantalone, e poi recuperai i miei vestiti e la giacca blu di Sheid.
Guardandomi nello specchio arrossii di colpo! Sembravo un puffo!
Abbandonai la sala bagno in punta di piedi, e cercai di trovare Sheid, o perlomeno le scale che portavano giù.
Zoppicavo ma non sentivo dolore.
La gamba sembrava addormentata.
-          Ti avevo detto di chiamarmi – lo sentii alle mie spalle, vicinissimo. Il suo tono era seccato come al solito, ma non ebbi il tempo di pensarci che mi sentii sollevare.
-          Ma … - provai ad oppormi.
-          Niente ma! – disse, con un tono che non ammetteva repliche.
Mi stava trattando di nuovo come una ragazzina, e …
-          La cena è quasi pronta … ma, … prima vorrei parlarti in privato – disse inchiodandomi con lo sguardo. La pelle del suo viso era arrossata, e le punte dei suoi capelli bagnate.
Indossava una maglia bianca con una scollatura a barca davvero grande, che faceva trasparire quel ciondolo bellissimo a forma di mezzaluna.
Il mio di ciondolo, era ancora al suo posto.
-          Parliamo – dissi. Dovevo raccontargli tutto, anche se questo avrebbe segnato il ritorno di un po’ di paura.
 
Mi portò in braccio per tutto il corridoio, e poi si fermò davanti ad una delle tante camere.
Era di fronte alla stanza blu chiaro in cui mi aveva regalato il ciondolo qualche notte fa.
Il ricordo delle sue ali, mi piombò addosso, facendomi tremare.
Perché adesso non aveva le ali?
 
 Aprii la porta come avevo fatto poco prima con quella del bagno, e mi trovai davanti una camera meravigliosa.
Aveva un colore più femminile rispetto a quella che avevo capito essere quella di Sheid.
Dava sul lilla, e sul turchese, richiamando il colore dei suoi occhi.
Mi piacque da subito e mi aprii in un sorriso estasiato.
I mobili di legno chiarissimo erano raffinati e ben posizionati, tanto da lasciare un enorme spazio al centro.
Il letto matrimoniale era coperto da un copriletto blu notte, e il lampadario era di cristallo.
Era bellissima, era spaziosa … ed era accanto alla sua!
Era una camera perfetta.
-          Spero ti piaccia – disse, depositandomi gentilmente sul lettone, che era un quarto rispetto al suo  – in caso contrario, domani puoi sceglierne una. Erik provvederà al resto – concluse.
-          È … è stupenda – dissi felice. I suoi occhi si illuminarono per un momento, poi si sedette accanto a me, portandosi un ginocchio al petto, e lasciando l’altra gamba penzoloni.
Io raccolsi le ginocchia al petto e poggiai il mento su di esse.
-          Come ti senti? - domandò con aria preoccupata, come se non lo sapesse, come se il ciondolo non esistesse.
-          Bene – risposi sincera. Tranne un piccolo fastidio alla gamba e all’ansia repressa che cominciava a farmi sentire inquieta e stanca, stavo bene … ero viva!
-          E tu? – domandai io, preoccupata del fatto che il malanno se lo fosse preso lui a causa mia.
Lui trattenne una risata, e in quel momento il suo viso divertito e quasi incredulo, disteso e spensierato,  sembrò davvero quello di un angelo.
Sarei potuta anche morire felice ora.
Si fermò di botto, e il suo sguardo divenne corrosivo. Stava entrando di nuovo a forza dentro di me.
Sospirò, e poi tornò serio.
Troppo serio.
-          Parliamo di cose serie ora – disse infatti, alzandosi e andando alla finestra. Mi dava le spalle, e mi celava la sua espressione – raccontami tutto! – ordinò.
Le immagini, quei ricordi troppo freschi e impregnati di terrore erano difficili da mettere a fuoco, ma i sentimenti di sbigottimento e terrore, si fecero largo nel mio cuore, e mi suggerirono quelle scene veloci in modo nitido e crudele.
-          Ero andata alla spiaggia, volevo … volevo vedere la luna – cominciai. Lui non disse nulla e lasciò che continuassi – all’improvviso mi sono accorta di … non essere sola – mi bloccai. Gli occhi fosforescenti e maligni di quella creatura angelica e demoniaca al tempo stesso, mi si stamparono nella mente, facendomi rabbrividire e facendomi bruciare gli occhi. La paura si impossessò di nuovo di me, e nonostante Sheid fosse vicino, sentivo uno strano e bruttissimo presentimento, che mi fece tremare il cuore.
Guardai nella sua direzione per cercare conforto, e lo trovai assorto a guardarmi, come se stesse decidendo se venirmi incontro o restare lontano.
Un brivido di freddo mi percorse la schiena, e in quel momento, sentii la sua mano gentile che si posava sul mio capo.
-          Non c’è motivo di avere paura. Ci sono io qui con te – disse pacatamente. Lo sguardo era intriso di sicurezza e decisione, e la sua mano calda mi carezzava lievemente i capelli.
-          Si – dissi, abbassando lo sguardo, e cercando di contenere le lacrime. Il mio autocontrollo era completamente a pezzi, ed era come se la mia voglia di tenere duro e non cedere alle lacrime, fosse troppo debole, e mi trascinava troppo prepotentemente, verso un tunnel oscuro e terrificante.
-          Descrivimi questo demone – disse lui, cercando di farmi parlare. Adesso era il momento di dirglielo. Tra quelli che avrebbero dovuto essere i nostri alleati, c’era un traditore.
Un angelo che aveva tentato di uccidermi e che, di sicuro, voleva anche Sheid.
-          Non era un demone! – dissi in un sussurro, la voce era sparita di nuovo, come quando mi ero ritrovata faccia a faccia con quell’angelo della morte.
-          Cosa? – chiese incredulo e preoccupatissimo lui.
-          Non era un demone! … - ripetei con la voce rotta - … era …. Era un angelo! – dissi agitatissima. Il suo sguardo divenne di vetro, e con fermezza e velocità sovrumana, mi prese per le spalle e mi fece voltare nella sua direzione. I nostri volti si trovarono di nuovo a una distanza minima.
-          Descrivimi il suo aspetto – disse dopo un breve silenzio passato con lo sguardo assorto – voglio sapere di che colore erano le sue ali – disse deciso … quasi freddo. Io rimasi imbambolata per un attimo, e mi resi conto che i suoi occhi stavano diventando sempre più scuri, poi risposi.
-          Aveva le ali color oro scuro … bronzo ecco! – dissi in fretta. Lui abbassò lentamente lo sguardo e lo posò sul copriletto, fissando il nulla.
-          Un colore impuro … bronzo e? – disse tra sé e sé – ecco perché non l’ho percepito! Perché è un angelo sconosciuto. Seira … - disse poi guardandomi – devi dirmi qualcosa a questo proposito?
-          I … io, … beh – non riuscivo a parlare, non riuscivo a dirglielo chiaramente.
-          Seira … cosa ti ha detto? – disse lui, cercando di farmi parlare.
-          Lui … aveva una tua piuma in mano! – dissi abbassando lo sguardo e sviando la sua domanda. Era solo una parte della verità, ma come l’avrebbe presa se gli avessi detto che gli avevo nascosto qualcosa? La piuma bronzea trovata nella mia stanza, l’avevo interpretata come una visita di cortesia da parte di un altro angelo, e avevo completamente sottovalutato il fatto, che oltre ad essere sospetta ed estranea, era anche una specie di messaggio. “Sono qui”, diceva quella piuma, ed io come una stupida …
-          Una mia piuma? Allora … - disse, passandosi una mano tra i capelli – sa chi sono, ed è uno dei nostri.
-          Ma … allora … - cominciai io   … “perché ha tentato di uccidermi?”, volevo dire … ma non ci riuscii.
-          C’è qualcosa che non mi quadra – mi fermò lui – che sia un traditore? Oppure è un angelo appena fuggito … da Luna? – divenne pensieroso e turbato e si alzò andando di nuovo alla finestra.
La notte scura era diventata il palcoscenico delle tenebre, che silenziose, insidiose e fredde, avvolgevano i nostri cuori in una morsa di ansia e timore.
-          La guerra è iniziata Seira – disse lui, senza preavviso, senza voltarsi. Quella frase fece nascere un fremito doloroso e insidioso nelle mie ossa – sei pronta? – domandò poi, e dal tono capii che lui aveva bisogno della mia fiducia.
-          Si, sono pronta. Io ho un angelo al mio fianco – dissi sicura. Forse avrei rimpianto il fatto di non essermi aperta con lui, ma in quel momento i suoi occhi erano troppo lucenti, ed io mi sentivo abbagliata e trapassata dalla loro luce.
Non avevo segreti inconfessabili da celargli, ma solo il timore che mi guardasse con distacco e avversione.
Avevo ancora paura, degli occhi dell’angelo, quelli che erano troppo profondi per un essere umano miope e fragile … come me.
 
                                                   ***********
 
-          Non ho fame! – dissi, arretrando un secondo prima che lui mi acchiappasse, per portarmi in braccio al piano di sotto. Il mio gesto sembrò infastidirlo e sul suo viso nacque la solita espressione seccata.
-          Sei proprio una bambina a volte! – sbraitò lui, avvicinandosi a me.
-          Ringrazia Erik per aver preparato la cena … ma adesso proprio non ce la faccio a mangiare – sentivo lo stomaco chiuso, e qualche brivido di freddo e di paura di tanto in tanto mi facevano sentire scombussolata.
-          Capisco – disse lui tetro, ed io capii che il ciondolo gli aveva suggerito come mi sentissi – allora ti faccio preparare qualcosa di caldo – m’informò.
-          Ma … - provai a protestare, ma lui fu più veloce di me.
-          Resta qui, torno subito – mi zittì lui, e sparì dietro l’angolo, lasciando la porta aperta.
Rimasta sola nella stanza che mi era stata preparata, cominciai a guardarmi intorno.
Aveva tutta l’aria di essere una stanza preparata appositamente per gli ospiti, ma il gusto dell’arredamento era così elegante e raffinato che sembrava una specie di piccola suite.
Mi sedetti sul morbido lettone dal copriletto blu profondo, e da lì cominciai a studiare i particolari. Di fronte a me c’era la porta che , come tutte le altre era davvero larga. Sempre accanto alla porta c’era uno scrittoio di legno chiarissimo come tutti i mobili di quella stanza, che era fornito di una pila di carta da lettere di chissà quanti anni fa, e delle penne eleganti e ricamate con ghirigori dorati. Le mensole erano vuote se non per una candela profumata alla lavanda, che aveva il colore turchese delle pareti.
Il lettone su cui ero seduta aveva la testiera in ferro battuto, del colore dell’oro bianco, e il ferro aveva dei ricami particolari e tondeggianti, che lo rendevano particolare e accogliente.
Il comodino era piccolo ma bellissimo, e sul ripiano c’erano un’abatjour col la campana di vetro celeste, e una sveglia a lancette che aveva le rifiniture in ceramica.
L’armadio gigantesco ed elegante che si trovava alla mia sinistra e che era di fronte alla finestra del balcone, aveva le ante semiaperte, e all’interno era completamente vuoto.
Un sorriso mi sfiorò le labbra.
Forse quella notte avrei finalmente dormito tranquilla, anche se un po’ d’ansia mi stringeva lo stomaco.
Non ero a casa mia, ma ero a casa di un quasi sconosciuto che mi aveva salvata moltissime volte la vita, e che con l’aiuto della sua bellezza e dei suoi modi di fare, aveva fatto breccia nel mio cuore di marmo.
-          Che situazione strana – sussurrai senza accorgermene. Se i miei zii avessero saputo, sarebbero andati su tutte le furie oppure sarebbero stati contenti che avessi un po’ di compagnia?
Ma li avrei rivisti dopo mesi, e quindi lasciai perdere questa preoccupazione per concentrarmi su altro.
Quella notte avrei dormito nella camera vicino alla sua. Quella notte anche lui avrebbe potuto riposare tranquillo.
-          A quanto pare ti piace – Sheid apparve dal nulla, e tra le mani aveva un vassoio con del brodo fumante – la stanza – aggiunse poi, sedendosi accanto a me.
Il vassoio era stato apparecchiato per bene, e il mio cameriere personale, sembrava davvero compiaciuto del fatto che fossi a mio agio.
-          Mangia – ordinò. Si protese verso di me, e il suo ciondolo a forma di luna ondeggiò sul suo petto. Io rimasi imbambolata a guardarlo, e lui ne approfittò per guardarmi negli occhi.
-          Non hai una bella cera – constatò preoccupato – vuoi che chiami un medico?
-          NO! – urlai quasi – no no … non ce n’è bisogno, sto benissimo – dissi più controllata. Io, i medici e gli aghi non andavamo d’accordo. Non che mi impressionassi o altro, solo non volevo che qualcuno mi bucasse la carne.
-          Va bene, ma almeno mangia – disse lui, cercando di assumere un tono più cortese. Era in momenti come questo che notavo quanto fosse difficile per lui avere a che fare con i sentimenti e le situazioni umani, e questo faceva nascere ancora domande.
-          Ok – dissi mesta.
Finii il brodo caldo e rigenerante in poco tempo, accorgendomi che avevo davvero bisogno di qualcosa di caldo. E poi era davvero buono!
-          Grazie tante, era buonissimo! Di’ a Erik che è un cuoco fantastico! – dissi entusiasta. Lui rimase attonito a fissarmi, e poi parlò.
-          Veramente … l’ho cucinato io! – disse serio. Rimasi davvero sorpresa e ammirata. Era bravo anche a cucinare!
-          Wow – dissi allora – era davvero squisito! – sorrisi.
-          Sono contento che ti sia piaciuto – abbassò lo sguardo, e lo poso sul pavimento.
-          Sheid … perché non hai le ali stasera? – domandai, forse un po’ troppo a bruciapelo. Lui trasalì, e poi mi guardò.
-          Beh, questa è la notte che precede la luna calante. Nemmeno domani e la notte dopo avrò le ali – disse mesto.
-          E perché?
-          Io sono per metà umano – spiegò – mi serve la luce della luna per trasformarmi. E stanotte è troppo fioca – concluse.
-          Mi sembra ancora tutto così inverosimile – sospirai.
-          Hai paura? – chiese lui, improvvisamente.
-          Dovrei averne? Dovrei avere paura ? – suonava come una domanda retorica.
-          Prova a pensare che presto tutto ritornerà alla normalità – proferì lui , cercando di consolarmi.
-          Non cambierebbe nulla, io sarei comunque a conoscenza del fatto che esistono i demoni, e ciò mi farà paura per sempre … credo – risposi.
-          Se riuscirò a proteggerti, se tu mi prometti che avrai fiducia in me, … ti giuro che, quando tutto sarà finito, cancellerò i tuoi ricordi, così che non avrai più paura – propose lui, e mi parve di scorgere un tono triste e amaro. Io trasalii. Non volevo affatto dimenticare, non volevo affatto tornare alla normalità. Con la nuova realtà che mi circondava avevo scoperto cose orribili e inspiegabili, ma avevo anche scoperto cose meravigliose … come lui.
-          Non voglio dimenticare, voglio trovare il modo di non avere più paura in un’altra maniera. Non voglio dimenticarti! – confessai. Lui trasalì a sua volta, e i suoi occhi si sciolsero, mostrando un viola purissimo e senza segni di freddezza, un viola umano.
 
                                                                   ********
 
Mi addormentai tranquilla, dopo aver ricevuto la buonanotte dal mio angelo senza ali.
Era stato bellissimo parlare così apertamente con lui, e la consapevolezza che avrebbe dormito proprio nella stanza di fianco alla mia, mi fece venire le farfalle allo stomaco.
Mi accoccolai tra quelle soffici coperte scure e profumate, e mi lasciai coccolare da quel calore, andando a finire tra le braccia di Morfeo.
La stanchezza accumulata che sentivo nelle ossa, rendeva quel tepore e quella sicurezza ancora più belli, e mi sentii per la prima volta, protetta e desiderata.
Mi addormentai tranquilla lasciando che la consapevolezza di non essere più sola, si impadronisse dolcemente di me.
 
                                                                         *******
 
Quando il sole di mezzogiorno illuminò il mio viso, aprii gli occhi ritrovandomi nel sogno che stavo facendo.
Chi sarebbe scontento se nel risvegliarsi si rendesse conto di trovarsi proprio nel sogno che stava facendo?
Non io.
Era stata una notte agitata ma piacevole, e l’unica cosa che ricordavo era il freddo che avevo provato per un po’.
Mi misi seduta, sbadigliando sonoramente, e portandomi una mano davanti alla bocca.
Mi sentivo spossata e debole, ma almeno ero riuscita a riposare.
Toc toc toc.
Sentii tre colpetti decisi alla porta.
-          Avanti – dissi con la voce roca.
-          Buongiorno! – disse Erik col sorriso sulle labbra – come si sente oggi? – sorrise, mentre posava il vassoio della colazione sul letto.
-          Buongiorno! … molto meglio direi – sorrisi a mia volta – come sapevi che ero sveglia? – chiesi per non chiedere esplicitamente “dov’è Sheid?”. Erik capì al volo.
-          Beh, lui è già sveglio e vi attende di sotto – rispose lui.
-          Capisco … allora digli che scendo subito.
 
Erik annuì e uscì dalla camera soddisfatto e con lo sguardo eccitato!
Mi vestii in fretta, e poi andai verso il bagno.
Per fortuna non era molto lontano rispetto alle camere da letto, ma per raggiungerlo, si doveva comunque attraversare l’intero corridoio. Tutte le porte, erano chiuse, e alcuni androni che spezzavano la continuità del corridoio principale, erano troppo bui per riuscire ad intravedere qualcosa.
Aprii la porta del bagno ed entrai e dopo essermi data una rinfrescata veloce, scesi di sotto in tutta fretta.
Appena feci capolino sulla scala centrale, tutta la magnificenza di quell’entrata principale illuminata dal sole, mi fece sentire ammaliata.
Le grandi tende erano aperte finalmente, e lasciavano intravedere tutti i particolari che mi erano sfuggiti.
I mobili antichi che riempivano l’ambiente erano di gusto, come tutto in quel posto, e i soprammobili erano raffinatissimi e bellissimi. Notai però che non c’erano foto di famiglia, né quadri che raffigurassero la famiglia Winter. I dipinti del terzo piano erano troppo antichi per poter appartenere a dei parenti vicini di Sheid, e i loro vestiti erano decisamente troppo antiquati e fuori moda.
“Chissà come sono i suoi genitori”, pensai tra me e me, mentre facevo la panoramica di quell’ambiente così accogliente e lussuoso.
Poi il pensiero che anche lui fosse solo come me, mi lasciò l’amaro in bocca.
E se la sua freddezza dipendesse anche da questo?
In quel momento la sua figura alta, slanciata e, devo ammetterlo, attraente, apparve all’improvviso, sbucando da una delle arcate laterali, che precedevano rispettivamente cucina e salotto.
Jeans chiari, camicia blu con le maniche risvoltate e troppo aperta per i miei gusti.
L’inizio del suo petto marmoreo e scolpito era troppo evidente, e arrossì di colpo.
Naturalmente questa fu soltanto la reazione che feci quando guardai il suo corpo, perché arrivata al viso …
Più pallido del solito, occhiaie marcate e capelli scompigliati.
Gli occhi due pozze indifferenti e bellissime.
“O mio dio!” pensai presa dal panico.
Mi guardava immobile senza dire nulla, in una posizione piuttosto altezzosa che sembrava però essere davvero naturale per lui.
Cercai di fare un passo avanti per raggiungerlo, ma mi dimenticai di essere ancora al centro della scala, e soprattutto la mia gamba mezza rotta, non ebbe la stabilità di riprendere l’equilibrio.
Scivolai in avanti, e feci  solo in tempo a vedere i suoi occhi sgranarsi e diventare vitrei.
Io chiusi i miei preparandomi all’impatto col pavimento.
Non andò come previsto, perché, nonostante fosse successo tutto in un tempo inumano, lui mi accolse tra le sue braccia e annullò l’incidente.
Il suo profumo mi colpì, ed io ancora rossa, non potei fare a meno di sentirmi stordita.
Di cosa sapeva? Era forte e prepotente, ma anche dolce e stupendamente gradevole.
-          Se il buongiorno si vede dal mattino, ti proporrei una giornata all’insegna del riposo – commentò dopo qualche istante, calmo e divertito.
-          Scusa! – dissi, riprendendo l’equilibrio. Quella scena mi ricordò il nostro primo incontro, quando mi aveva sorretta, e mi aveva liquidata con freddezza.
-          Come ti senti? – domandò gentile e scendendo all’indietro qualche gradino con eleganza.
-          Meglio, davvero! – dissi. Avevo dormito perlomeno, e nonostante non ricordassi che sogni avevo fatto, sentivo che quella notte era stata tranquilla e senza demoni.
-          Sono contento – disse senza scomporsi, e scese fino a sotto. Io lo seguii stando attenta a non ricadere – vedo che sei riuscita a dormire – notò soddisfatto.
-          Già, menomale! … e tu? – chiesi. Da vicino aveva davvero un’aria stanca.
-          Non preoccuparti, sto bene – mi liquidò lui.
I suoi occhi erano insolitamente chiari quella mattina. Il blu era sparito.
-          Che facciamo oggi? – chiesi, visto che per andare a scuola era decisamente tardi … come avremmo passato la mattinata?
-          Beh, potrei farti vedere la casa, oppure potremmo andare in città. Se non ti va di stancarti, puoi sempre tornare a letto, hai avuto qualche linea di febbre stanotte – concluse con quelle parole dette come se avessero un altro significato.
-          Tu cosa vorresti fare? – chiesi. I suoi occhi si socchiusero dando al suo viso una sfumatura interrogativa.
-          Beh, io dovrei indagare su questo tizio dalle ali di bronzo. Ma visto che non posso trasformarmi e non posso lasciarti sola … - disse pratico - … ti mostrerò la casa.
-          Ci sto – dissi entusiasta.
Lui fece un mezzo sorriso, e poi mi fece cenno di seguirlo.
 
La cucina elegante e scura, ben arredata e ordinata, il salone immenso decorato da alcune statue bellissime e molto espressive, la biblioteca immensa e fornita, erano le stanze che formavano il piano terra. Sheid non aprì però tutte le porte, ed io non feci domande al riguardo. Sembrò che fossero state dimenticate, come se per lui non esistessero.
Poi salimmo al piano di sopra.
Il secondo piano era più moderno rispetto al terzo e al piano terra. C’era un bagno ben arredato con il lavabo quadrato e nero, e tappeti dello stesso colore. Poi c’erano un miriade di stanze per gli ospiti, e tante altre che fungevano da ripostiglio.
Le porte che rimasero chiuse furono ignorate come era successo per quelle del piano di sotto, ed io non commentai.
Quella del terzo piano, fu una visita veloce. I rami di corridoio che erano bui e misteriosi rimasero tali.
Successivamente uscimmo in giardino, e Sheid mi portò alla veranda. Era un luogo davvero bellissimo. La vista dava sul bosco, e un salottino di vimini rendeva l’ambiente davvero accogliente.
La mia più grande sorpresa però, fu scoprire che quella immensa villa, in realtà era veramente un castello.
Infatti, la parte posteriore, quella nascosta dalla vegetazione del bosco, era troppo estesa per essere quella di una semplice casa moderna. In realtà, si estendeva per molto, dando l’impressione di essere una vera e propria reggia.
-          Mio nonno, l’aveva costruita moltissimo tempo fa, infatti questa villa ha qualche secolo – commentò Sheid, vedendo la mia espressione meravigliata.
-          Wow, è davvero bellissima! – risposi eccitata.
-          Sono contento che ti piaccia – rispose.
-          Ti va di parlarmi della tua famiglia? – chiesi timida. Lui cambiò espressione. Divenne quasi turbato, ma durò pochissimo.
-          Non c’è molto da dire, in realtà non è così interessante come credi – disse freddo. Allora capii che non dovevo toccare quel tasto.
Chissà che cosa era successo, chissà perché la sua vita privata lo mettesse così di cattivo umore. Mi tornò alla mente il discorso di quel demone, sul fatto che un certo Isaac lo voleva morto, e sul fatto che essere un angelo protettore fosse una punizione.
Chi era veramente Sheid? E c’era un modo per riuscire ad entrare nel suo cuore?
Rientrammo insieme e pranzammo in cucina. Erik era uscito a fare delle commissioni così eravamo soli in casa.
Ci sedemmo l’uno di fronte all’altra, e cominciammo a consumare il nostro pasto.
Le situazioni che venivano a crearsi, mi facevano sentire strana, ma anche felice ed eccitata.
Naturalmente il modo di mangiare di Sheid era paradisiaco.
Teneva coltello e forchetta alla perfezione e suoi movimenti erano lenti e precisi, eleganti.
Portava alla bocca piccole porzioni e le assaporava delicatamente, aprendo di poco le labbra. Masticava pacatamente e ad occhi chiusi, e sembrava essere davvero a suo agio.
-          Cosa stai guardando? - chiese dopo aver bevuto un sorso d’acqua dal suo bicchiere. Mi resi conto di aver mangiato poco e niente, ma quello spettacolo era irripetibile. Sembrava che fosse così naturale per lui comportarsi in modo così regale, che ne ero rimasta affascinata.
Non si dava nessun’ aria di grandezza, semplicemente si comportava con naturalezza.
-          Niente niente - dissi arrossendo, e accennando un sorriso.
-          C’è qualcosa che ti turba nel mio modo di mangiare? – chiese sporgendosi un po’ verso di me.
-          No no! Tu … tu mangi benissimo! – risposi come una stupida. Che razza di figura stavo facendo!
-          Mm, e tu non mangi affatto – notò divertito.
-          Scusa! – dissi imbarazzata.
-          Non ti piace?
-          No … no è davvero buono! Adesso finisco anche io – promisi.
-          Fai con calma, non c’è fretta – mi tranquillizzò lui.
Cercai  comunque di sbrigarmi, e quando mi accorsi che anche lui osservava il mio modo di mangiare, mi sentii pietrificata e impacciata.
Continuai comunque a mangiare, e in breve tempo finii anche io.
-          Grazie per il pranzo! – sorrisi – era tutto buonissimo – dissi portandomi il tovagliolo alla bocca.
-          Figurati! Adesso che sei mia ospite devo prendermi cura di te, perciò non c’è bisogno che tu ti senta così in soggezione, Seira – affermò con chiarezza.
-          Ti ringrazio – risposi. Era inutile dirgli che non ero in soggezione, avrebbe capito che stavo mentendo.
La cosa migliore di quella situazione era potermi sfogare liberamente con i pensieri, e cercare di alleggerire il cuore, ma forse, essere capita, mi piaceva più di quanto pensassi.
Non avevo bisogno di dirgli che avevo paura, tanta, non avevo bisogno di dirgli grazie.
Con un’occhiata al mio cuore, lui avrebbe capito cose, che mille parole non avrebbero mai potuto spiegare.
Passammo il pomeriggio in biblioteca.
E cercammo insieme informazioni sugli angeli dalle ali scure. C’ erano una miriade di libri a riguardo, e dalla copertina e dal colore delle pagine dovevano essere davvero antichi.
Alcuni erano persino scritti in latino, e Sheid li leggeva scorrevolmente, e con straordinaria facilità.
-          Mi spieghi che cosa sei in realtà? – chiesi d’un tratto dando voce ai miei pensieri.
Lui trasalì, e mi guardò quasi scioccato. Poi si ricompose velocemente.
-          Te l’ho detto Seira, sono un mezzo umano – disse come se fosse una cosa ovvia.
Lui sapeva ogni cosa di me, dopo mesi e mesi passati a sorvegliarmi, dopo aver avuto un legame tangibile col mio cuore …
Io invece, ero completamente all’oscuro di tutto ciò che lo riguardava, e questa cosa mi faceva star male.
Chi era Sheid Winter? E perché nei suoi occhi sembrava celarsi un segreto oscuro e doloroso?
Quando mi guardava a volte, dai suoi occhi traspariva una tristezza senza pari, mascherata spesse volte dall’indifferenza.
Mi tornava spesso alla mente, il viso dell’angelo che quella notte di luna piena mi aveva salvata, e quel volto guerriero e per certi versi aggressivo, non aveva niente a che vedere con quello di un umano. Ma guardandolo in quel momento, guardando il ragazzo che si trovava davanti a me, guardando quell’uomo cresciuto troppo in fretta a causa di sofferenze sconosciute e di responsabilità indicibili, mi rendevo perfettamente conto, che forse non era così forte come credevo, e che anche lui fosse umanamente debole.
-          Questo lo so – dissi allora – ma volevo capire come fosse possibile, cioè … vorrei che tu mi spiegassi – chiesi coraggiosa e vidi il suo viso rabbuiarsi un po’.
-          Cosa c’è da capire? Un angelo e un umano hanno dato alla luce una creatura mezza umana e mezza angelica – disse, e nella sua voce il disprezzo verso “la creatura” era palese.
-          Capisco … e questa creatura … - cominciai, con l’intento di farlo continuare.
-          Seira … - la voce monocorde e tremante – dimmi chiaramente cos’è che vuoi sapere – disse, come se fosse stremato. La promessa che mi aveva fatto il giorno in cui mi aveva abbracciata davanti a casa sua, il giorno in cui ero crollata tra le sue braccia.
-          Ci sono tante domande che mi assillano, ma … - cominciavo a sentirmi indecisa e ansiosa.
-          Ma? – disse lui, negli occhi una profonda tristezza.
-          Se ti fa soffrire parlarne … io … - cominciai. Sentivo le domande che mi roteavano in testa, sentivo tutta l’indecisione, e tutti gli interrogativi che avevo dentro, spingere per uscire fuori - … insomma … io …
-          Cosa vuoi sapere? – chiese in tono secco, bloccandomi.
-          Chi è Isaac? – dissi in un sussurro. Lui trasalì, e si portò una delle grandi mani bianche sul volto. Poi si voltò nell’altra direzione, dandomi le spalle.
-          Ti chiedo scusa … - disse con voce tremante - … non sono ancora in grado di toccare quel tasto – affermò, ed io capii che gli avevo appena rovinato l’umore.
-          Scusami tu. Sono stata una stupida – dissi mesta. Lo vidi allontanarsi e uscire dalla biblioteca a passi lenti.
-          Torno subito, dammi solo un momento ok? – disse sparendo dietro l’angolo.
-          Mi dispiace – sussurrai, ma lui non sentì, era già sparito.
 
                                                  *****
 
L’aria della sera era davvero piacevole e mi carezzava il viso coccolandomi.
Ero uscita sul piccolo balcone della mia camera, e mi stavo rilassando un po’.
Non riuscivo a togliermi dalla mente il suo viso teso e insicuro, con un velo di sofferenza.
Ero riuscita a farlo soffrire, ero riuscita a ferirlo.
La curiosità, la voglia di sapere tutto su di lui, stava diventando davvero un scoglio per me.
Il fatto che avesse occupato un posto così importante in poco tempo nel mio cuore, rendeva Sheid qualcuno di assolutamente irresistibile e inappagabile per me.
Il suo modo di parlare, i suoi modi, il suo aspetto, tutto di lui mi faceva amabilmente stare sul filo di un rasoio davvero letale. Dolce e micidiale al tempo stesso.
 
Mentre mi lasciavo prendere dai pensieri, mi accorsi però di una figura sospetta nella notte.
Sul selciato di villa Winter, c’era una persona.
Il buio della notte, rendeva quella figura sconosciuta e misteriosa.
Poi, quando la luce dell’ultimo quarto di luna, si fece spazio tra le nuvole, vidi il suo volto.
Sheid, stava guardando nella mia direzione, e i suoi occhi erano davvero strani.
Allungò una mano verso la mia direzione, facendomi cenno di scendere e di andargli incontro.
Non me lo feci ripetere due volte e mi precipitai di sotto.
Il cuore in gola, l’emozione esplosiva e il rossore sulle gote.
Aprii il portone e mi fiondai fuori.
Nella notte distinguevo solo i miei respiri affannati, e il paesaggio scuro.
Di Sheid non c’era più traccia.
Mi guardai intorno spaesata …
-          Sono qui – disse poi, con voce strana. La sua figura uscì dall’ombra di uno degli alberi del bosco vicinissimo – vieni.
-          Sheid – dissi andandogli incontro. Quando fummo vicini, quando guardai gli occhi di quella persona, capii che per me non c’era più scampo.
Mi prese per le spalle, e con estrema prepotenza mi tappò la bocca, impedendomi ogni movimento e bloccando ogni mio tentativo di gridare.
Quello non era Sheid. L’avevo capito dagli occhi.
Erano freddi, gelidi e crudelmente indifferenti, e lui non mi avrebbe mai guardata in quel modo. Inoltre tutta quella prepotenza … lui non mi avrebbe mai trattata così, mai.
-          Adesso il tuo angioletto è davvero nei guai, ragazzina – disse in un sussurro, smascherando finalmente il suo vero tono di voce. Lo riconobbi al volo, e un brivido di terrore mi percorse la schiena.
Un turbine ci avvolse, e la foga del vento mi fece chiudere gli occhi, e mi fece tremare da capo a piedi. Quando li riaprii, non mi trovavo più davanti villa Winter.
-          E soprattutto – continuò il mostro come se nulla fosse accaduto – gli sarà veramente difficile trovarti … – continuò, e poi prese il mio prezioso ciondolo e lo staccò con forza dal mio collo - … senza questo! – rise maleficamente.
Sentii una sensazione strana, come se mi avessero privato dell’aria nei polmoni per qualche istante.
Ansimai, ma lui non fece una piega, e continuò e stritolarmi nella sua forte morsa.
Ero di nuovo finita tra le grinfie di un demone, ero di nuovo diventata una preda, ma stavolta ero anche l’esca.
“Sheid” pensai, mentre i miei nervi cedevano alla tensione, mentre mi sentivo trascinare nel vortice del terrore “Perdonami”.
Ero stata imprudente, ero uscita senza il suo permesso, e mi ero lasciata abbindolare da una sua copia fatta male.
Forse mi sarei dovuta impressionare della situazione: un demone che riesce a cambiare forma, un rapimento ben congegnato, e un piano malefico per distruggere il mio protettore, ma dopo notti insonni passate a rendere tutto razionale, mi sentii soltanto in colpa.
Mi guardai intorno, cercando di capire dove fossimo finiti.
Sembrava una specie di radura, illuminata per metà dalla luce. Eravamo vicini al mare, e quel luogo, nonostante gli alberi, era illuminato.
Ero ancora imprigionata dalle braccia del mio rapitore, e sentivo brividi e spasimi in tutto il corpo.
-          Non preoccuparti, non tarderà ad arrivare – disse l’angelo alle mie spalle. Poi mi trascinò sotto una quercia illuminata dalla luce della luna calante e mi costrinse a sedere a terra.
-          Lasciami! - Gli urlai contro - Quando lui verrà qui … - provai a dire, ma lui mi bloccò. Mi tappò la bocca con forza e si avvicinò al mio orecchio. Il suo odore mi frustò il viso. Era prepotente, era forte e mascolino, e, dovevo ammetterlo, buono.
-          Quando lui verrà qui, troverà soltanto dolore. Credi che un angelo senza ali e poteri … potrà mai sconfiggermi? – chiese maligno. Aveva ancora le sembianze di Sheid, il suo volto, i suoi capelli, le sue labbra …
-          Perché non ti mostri per quello che sei? – sussurrai tra i denti, mentre la mia irritazione diventava sempre più  forte, fino a coprire totalmente la paura.
Stava sporcando l’immagine del mio sogno, stava usando con imperdonabile malignità le sembianze di un vero angelo, e le sue parole malvagie, stavano uscendo dalle labbra di  quello che sarebbe dovuto essere il mio salvatore – se usi la sua faccia in questo modo, non potrò perdonarti! Vigliacco! – dissi schifata, e mi resi perfettamente conto di star mettendo a repentaglio la mia stessa vita – non dovresti permetterti di violare così la sua immagine, lui …
-          Ne sei innamorata?! – chiese a bruciapelo. Distolsi lo sguardo dal volto del falso Sheid, e  lo posai a terra. Nella sua voce non c’era più un tono minaccioso. Era soltanto sorpreso, e … compiaciuto.
Io non risposi alla sua domanda. Pensai a Sheid con tutte le mie forze, pregando che riuscisse a trovarmi nonostante il ciondolo non fosse con me.
-          Si, tu lo ami – affermò l’angelo, come se stesse parlando fra sé e sé.
-          Io … - mi voltai per rispondergli a tono, ma quando incontrai la sua faccia …
Aveva ripreso le sue vere sembianze. O meglio le stesse con le quali mi si era presentato la prima volta.
Il viso dai lineamenti marcati e felini, gli occhi verdi e brillanti, i capelli biondissimi.
Le labbra carnose piegate in un ghigno.
-          Tu … cosa sei? – chiesi, affascinata e allo stesso tempo terrorizzata da quell’essere cangiante. Lui rimase come pietrificato, e per certi versi la sua espressione aveva qualcosa che mi faceva pensare alla facci di Sheid, quando si era visto rivolgere la stessa domanda.
Ma lui, al contrario del mio angelo, rispose.
-          Sono il frutto generato dal peccato, sono un essere divino e pagano al tempo stesso, sono la testimonianza che può esistere anche un raggio di oscurità. La mia natura è cangiante e la mia essenza non è generata dal nutrimento. Sono sospeso tra realtà e menzogna, e ciò che tu vedi, potrebbe essere ciò che non sono – disse con voce pastosa, sottolineando ogni parola. Il fatto che fosse in grado di cambiare forma, in effetti lo rendeva un essere infimo e misterioso, ma allo stesso tempo affascinante. Perciò … non era un angelo, bensì qualcosa di sconosciuto e unico. Un raggio di oscurità.
-          Cosa vuoi da me? – chiesi guardandolo in quegl’occhi sfolgoranti e sfuggenti.
-          Non è abbastanza chiaro? … Tu sei la mia esca ragazzina! – disse come se fosse una cosa ovvia. “Come pensavo”.
-          Perché vuoi distruggere Sheid? Che cosa vuoi da lui? – domandai con acidità e freddezza. Dovevo essere forte e raccogliere informazioni, così se fossi sopravvissuta, avrei aiutato anche io il mio angelo protettore. “Sheid, dove sei?” pensai mesta.
-          Distruggerlo sarebbe troppo facile adesso. Diciamo che voglio solo divertirmi un po’ … con il principino. Sono annoiato e voglio svagarmi – rispose, come se voler far del male a Sheid per divertimento, fosse davvero una cosa di cui andare fieri.
-          Svagarti? Che razza di mostro sei? – domandai schifata e tentando per l’ennesima volta di liberarmi dalla sua presa. Lui mi afferrò per i polsi e poi mi attirò a sé.
-          Non dovresti provocarmi tanto, ragazzina – disse ammiccante. Io mi sentii ribollire dalla rabbia. Non ero affatto una ragazzina – potrei diventare molto crudele col tuo amato angioletto, se mi fai arrabbiare – mi minacciò.
-          Lui ti farà a polpette! – risposi, e lui sorrise compiaciuto.
-          Credo che gli servirà tutta la fortuna possibile. Stanotte lui è un semplice umano, e non potrà fare nulla per salvarti – disse con estrema lentezza.
-          Io ho fiducia in lui – dissi, con il cuore colmo di preoccupazione – lui mi salverà.
-          E se non dovesse farcela? – chiese maligno.
-          Allora ti chiedo di realizzare il mio ultimo desiderio – dissi tra i denti, rimandando indietro le lacrime – uccidimi.
Strabuzzò gli occhi, e la sua espressione divenne distorta per alcuni istanti.
-          Moriresti davvero per il tuo angelo protettore? – chiese confuso.
-          Io … - provai a rispondere, ma in quel momento non trovai le parole. La nostra promessa, tutte le volte che mi aveva salvato la vita, le sue attenzioni silenziose, il suo passato misterioso e i suoi occhi sinceri e distaccati.
Questo era Sheid, questo era quello che avevo di più caro ora, questo era quello che volevo di nuovo.
Sentii le lacrime rigarmi il viso, e sentii la mano del mio rapitore, raccoglierla con le dita.
-          Stai piangendo per lui? – chiese, e sembrò quasi gentile. Io annuii.
-          Per un angelo, innamorarsi di un umano è proibito – sentenziò, e questo mi fece cadere il mondo addosso. Quindi anche se io provavo quei nuovi e profondi sentimenti … Sheid …
-          Ma lui – continuò – ha già passato il limite. E questo porterà la regina Luna a punirlo ancora. Il ciondolo, il fatto che ti abbia voluta accanto, il fatto che ti salvi anche da incidenti umani … che sciocco – rise – il suo patetico tentativo di proteggerti, lo porterà solo al dolore e … alla morte – dichiarò con estrema serietà. Il mio cuore perse un colpo, e mi sentii sprofondare nella disperazione.
-          She … i … d – rantolai, il petto mi si squarciò e il dolore fu atroce.
-          È inutile disperarsi, piccola umana. Inoltre, anche se è riuscito a ghermirti il cuore, non potrà mai innamorarsi di te, perché il suo è di ghiaccio, e non potrà mai sciogliersi, né amare – disse gelido.
-          SMETTILA! -  urlai disperata – lui è umano! È un essere umano e nessuno ha il diritto di punirlo perché prova sentimenti umani. Sheid è la persona più onesta e gentile e buona e coraggiosa e …
-          Tu lo ami – ripeté lui – ma non puoi proteggerlo perché tu non puoi niente contro Luna. Sheid è la sua marionetta preferita, e lei non te lo cederà mai, Seira.
-          Come sai queste cose? Come sai il mio nome?
-          Tu sei l’ultima principessa, è impossibile non sapere chi sei – rispose – e per quanto riguarda  “queste cose” … anche il principino conosce il Codice a memoria – dichiarò divertito e sarcastico – solo che non lo ha rispettato.
-          Codice? – stavo scoprendo cose che non avrei mai immaginato di poter scoprire. Questo “Codice” doveva essere una sorta di giuramento, oppure era la lista delle regole da rispettare. Tutte le proibizioni ordinate dalla regina, il fatto che Sheid fosse una pedina che Luna controllava, … ma cosa voleva dire che il cuore di Sheid non poteva amare? Che voleva dire che proteggendomi andava incontro alla morte? E perché Luna aveva proibito che un umano e un angelo si legassero?
Quell’essere senza nome, identità e volto, quell’essere dalle intenzioni sconosciute, mi stava illuminando gratuitamente, e, nonostante fossi preoccupatissima per Sheid, decisi di approfittare del mio loquace interlocutore.
-          Luna  mater mea est, et ego sum servus  suus. Candida lux et summa pulchritudo ea est. Ego sum filius suus et vita mea sua est. – disse con voce serafica, eterea. Sembrava una preghiera silenziosa, una magica filastrocca oppure un grido di disperazione. Una condanna.
-          È latino – osservai ammaliata.
-          Luna è mia madre e io sono suo servo. Lei è candida luce e suprema bellezza. Io sono suo figlio e la mia vita è sua – tradusse, e colsi pienamente ciò che volevo sapere.
Luna non era soltanto una regina, ma anche una creatura che crea e distrugge con un battito di ciglia, e che decide tutto ciò che riguarda le sue creature, come se fossero involucri vuoti e senza anima.
-          Adesso capisci in cosa ha sbagliato il tuo ingenuo angioletto? – chiese, riprendendo un’aria minacciosa – ha deciso di far nascere sensazioni che la regina non ha approvato né ordinato. Lui ha disobbedito alla Madre Suprema.
-          Lui non ha sbagliato! – dissi sicura. Sheid mi aveva spiegato come nasceva un angelo. Lui era per metà umano, era il frutto di un amore proibito, quindi in un certo senso non era figlio diretto di Luna. Lui non era una sua creatura. Lui era un tesoro inestimabile e unico.
-          Dimmi la verità … lo difenderesti in ogni circostanza? Saresti pronta a metterti contro il mondo per lui? – si avvicinò di nuovo a me, e mi prese il viso fra le mani. Cercai di opporre resistenza, ma era fortissimo e non si accorse nemmeno dei miei sforzi – lo ami? – domandò ancora, e si avvicinò tantissimo, troppo.
-          Lasciami, non sono tenuta a risponderti. E poi lui è solo il mio angelo protettore – dissi ferma, sperando che non si accorgesse che stavo mentendo. Quelle parole le sentii estranee, ma non potevo permettermi cedimenti, non di fronte al nemico.
-          Quindi è così? Ne sei sicura? – sussurrò al mio orecchio – allora in questo caso, posso anche … - avvicinò le sue labbra alle mie, mi tirò nella sua direzione, e allora capii le sue intenzioni.
-          Lasciami – dissi senza fiato.
Quando le nostre labbra erano ad un soffio dal toccarsi, sentii dei movimenti felini provenire dall’oscurità del  bosco.
Il biondo si bloccò, e face scattare la testa nella direzione opposta.
-          Ha fatto in fretta – sussurrò divertito – che intuito! – esclamò compiaciuto.
Proprio in quell’istante, dall’oscurità della vegetazione, con un balzò agile e felino, il mio salvatore apparve con un lampo a ciel sereno.
Atterrò acquattato, e si eresse immediatamente, venendo  inondato dalla luce sempre più fioca di una luna che era ormai sul punto di sparire.
-          Sheid! – cercai di alzarmi, per corrergli incontro, ma in quel momento, venni scaraventata contro il tronco dell’albero alle mie spalle.
-          Faresti meglio a stare ferma dove sei, ragazzina! – disse il demone serpeggiando.
-          Seira! – mi chiamò fiero Sheid – sta’ tranquilla, tra poco sarà tutto finito e verrò a prenderti io – mi promise. Poi fulminò con lo sguardo il mio aggressore.
-          Davvero commovente – disse quest’ultimo, che nel frattempo aveva cambiato di nuovo aspetto, prendendo le sembianze di un demone dalle ali nere e putride – sei venuto inerme a combattere per lei! Devi essere molto coraggioso … o molto stupido – lo provocò il maligno. Il mio angelo senza ali non si scompose e non rispose alle provocazioni del demone, ma lo studiò con lo sguardo, e poi parlò.
-          Un Mutaforma – disse con voce monocorde, e il viso inespressivo – bene, avevo proprio bisogno di sfogarmi un po’ con qualcuno – disse compiaciuto ma nello stesso tempo nella sua voce c’era l’eco di una sofferenza e di una rabbia profonde e corrosive. Il demone spalancò le ali.
-          Ti avevo decisamente sottovalutato. Sei arrivato molto prima di quanto pensassi  - rispose quasi entusiasta il mostro. Sheid era concentrato e il suo sguardo era letale.
-          Ho sentito parlare della tua bellezza idilliaca, e della tua compostezza davanti all’avversario – continuò il mutaforma, e sembrò essere ammaliato e ammirato nello stesso tempo – per una volta le voci erano vere. Ma ciò non ti servirà stavolta: tu e la tua protetta, morirete per mano mia – rise maligno.
Mi si gelò il sangue nelle vene e il terrore si impossessò di me, trapassandomi con un fremito da capo a piedi.
Sheid posò per un attimo il suo sguardo protettore su di me.
Come avrebbe fatto a combattere senza ali?
Il mio angelo senza ali, prese un profondo respiro e chiuse gli occhi.
La sua espressione rilassata ammaliò per un breve istante me e il demone.
Poi, più veloce di una saetta, attaccò.
I capelli argentei che schizzavano in avanti furono l’unica cosa che mi permisero di distinguerlo nell’oscurità, e fu preciso e letale come un proiettile.
Sentii il mostro vicino a me gemere impercettibilmente, e quando mi voltai vidi una scena raccapricciante.
Il pugno potentissimo e micidiale di Sheid, aveva deformato il volto dell’avversario.
Quest’ultimo cambiò di nuovo forma in un nano secondo.
Stavolta era un demone dalle ali gigantesche e dalle mani grandi munite di artigli potenti e letali.
Il mostro sferrò il suo attacco, diretto al volto di Sheid.
Io chiusi gli occhi e misi le mani nei capelli – SHEID! – urlai terrorizzata.
-          Troppo lento - lo sentii sussurrare quasi divertito.
Il demone continuò imperterrito ad attaccare Sheid e a mirare nei punti vitali, ma il mio protettore schivava i suoi colpi con estrema facilità ed eleganza.
Nella notte si distinguevano solo le sferzate violente e implacabili dell’essere alato, che con estrema  brutalità, cercava in tutti i modi di colpire Sheid, che leggero e agilissimo, saltava, correva e si acquattava per evitare i colpi.
Quanto avrebbe resistito?
-          Sei ostinato! Non vuoi proprio arrenderti? – disse stanco il demone - Allora vediamo come te la cavi così – pronunciò quelle parole, e poi si lanciò in volo, in alto.
Guardai il cielo, e vidi apparire una luce sfolgorante e giallognola, ma non dorata, bensì bronzea.
All’improvviso, mi sentii abbracciare da Sheid, che a velocità sovrumana mi aveva raggiunta.
-          Sta’ tranquilla – disse, prendendomi di peso e portandomi lontano, a qualche metro più indietro rispetto a dove mi trovavo.
Poi un bagliore sfolgorante inondò il bosco di luce, e poi una violenta palla di fuoco ci venne addosso.
-          Sta’ ferma dove sei – mi ordinò con voce agitata il mio protettore, mentre mi si parava davanti.
-          NO! -  urlai terrorizzata. Cosa sarebbe successo adesso?
Quella specie di proiettile di fuoco, ci piombò addosso, e prima di essere inondata dalla luce serafica del potere di un angelo, sentii un gemito sommesso.
Quando riuscii ad aprire gli occhi, distinsi immediatamente la sagoma di Sheid, che immobile ed eretta, stava ancora davanti a me.
La manica destra della sua camicia blu, era squarciata, e un liquido rosso e copioso, scendeva dal suo avambraccio e finiva a terra.
-          Sheid!? - dissi allarmata – cosa … ?
-          Sai trovare la strada di casa da sola? – chiese interrompendomi – siamo sotto la scuola, sai orientarti? – chiese sbrigativo e teso.
-          Si, ma non me ne vado! – risposi ferma – io resto qui con te – dissi svelta.
Lui tentò di replicare, ma in quel momento, il demone spuntò davanti ai nostri occhi, e prese il braccio ferito di Sheid. Lui gemette impercettibilmente ed il mio cuore perse un colpo.
-          Sei ferito? Mi dispiace – disse con falsa premura il mostro – credo che quando avrò finito con te, approfitterò della dolce compagnia di quella piccola umana, e poi l’ucciderò – disse divertito ed eccitato. Poi strinse la presa, ma Sheid non emise più gemito, e lo fulminò con lo sguardo.
In quel momento gli occhi del mio angelo, divennero di un blu intenso, un blu glaciale e imperturbabile.
Prese il braccio del mostro, e con una forza sovrumana lo scaraventò contro il tronco di un albero, lo stesso, al quale ero stata scaraventata io.
Poi con la mano libera, strinse il collo del demone, che ormai era in preda alla paura.
Il viso serafico di Sheid, aveva qualcosa che non mi convinceva.
Era sempre lui, ma i suoi lineamenti erano diventati più letali e affilati e i suoi occhi erano spalancati, mentre il suo sguardo freddo e insensibile, trapassava il mostro da parte a parte.
-          Fermo! – lo pregò il mostro – ti prego! Mio principe … - provò a salvarsi l’essere alato.
-          Ho rifiutato quel titolo – disse freddo, con la voce di chi sa perfettamente di avere il vantaggio sull’avversario. Poi staccò la mano dal collo tremante del nemico, e con un sospiro, modellò nelle sue mani, una palla di luce blu scuro, molto diversa da quella che avevo visto la prima volta. Sembrava che calasse qualcosa di oscuro e imperscrutabile.
-          È ora di dirci addio, mezzosangue – sbottò Sheid.
-          Hai vinto! – disse il demone, con voce monocorde – adesso posso dirti la verità – disse sicuro di sé – lasciami e saprai tutto.
-          Parla! – ordinò Sheid lasciandolo, e in quel preciso istante, scattò come un felino verso di me, con l’espressione fredda con cui stava per mettere fine alla vita del mio rapitore.
Poi mi prese per mano, senza osare guardarmi negli occhi, né in faccia.
Sembrava volermi celare il suo aspetto, sembrava quasi vergognarsi della sua faccia
Io lo seguii col cuore in gola, non ancora del tutto tranquilla.
Perché Sheid era così strano? Perché i suoi occhi erano diventati improvvisamente così freddi?
-          Mi sono stancato dei giochetti perversi di Luna. Era una prova, vero? – chiese distaccato e quasi aggressivo Sheid.
-          I miei complimenti, non sei solo forte in battaglia, sei anche dotato di un intuito sovrumano – disse il demone, compiaciuto.
-          Sei un po’ troppo loquace per i miei gusti. Ma anche io devo complimentarmi con te. Sei un ottimo attore – rispose di rimando Sheid – ora parla, chi sei? – chiese, mentre mi teneva ancora per mano, e cercava di nascondermi dietro sé.
Probabilmente il pericolo non era ancora passato, o forse era solo preoccupato che gli vedessi il viso.
-          Sono onorato di fare la vostra conoscenza, mio nobile principe – disse con voce ammaliante l’altro – sono un mutaforma, soldato dell’esercito lunare. La mia missione aveva il fine di verificare le vostre capacità in caso di estremo pericolo o in caso di insufficienza di nutrimento. Il mio nome è Pierre – concluse, con un lieve ed elegante sorriso su quei falsi lineamenti da demone.
-          Bene Pierre – disse fiero il mio angelo senza ali – puoi dire a Luna che la missione è stata completata con successo, e puoi anche dirle che la prossima volta che le verrà in mente di verificare le mie prestazioni, può chiedermi personalmente una dimostrazione. Mi sono stancato di giocare a nascondino, e la prossima volta potrei anche uccidere accidentalmente il suo … messaggero – sputò l’ultima parola con disdegno.
-          Ho capito mio signore. Riferirò – rispose con estremo rispetto Pierre. Poi si inchinò.
-          Un’altra cosa – lo fermò Sheid – di’ al comandante supremo, che presto andrò a fargli visita  – disse, e in quel momento, il demone riprese frettolosamente le sue vere sembianze.
-          Sono suo nipote, perciò non mi sarà difficile trovarlo. Conti pure su di me – rispose Pierre stranamente divertito.
-          Pierre Ghefren, mutaforma di seconda classe, elemento fuoco, mi ricordo di te! – disse Sheid come se fosse stato illuminato.
-          Allora si ricorda mio principe – sorrise fiero l’altro – sono onorato.
-          Non sono il tuo principe – ripeté Sheid, e stavolta con meno odio – ho rinunciato a quel titolo molto tempo fa – disse quasi mesto. Pierre annuì onorato.
-          Prima che tu vada, gradirei che ti scusassi con la principessa – io e Pierre rimanemmo di sasso.
-          Certo! – esclamò quest’ultimo. Poi si avvicinò, trascinando sulla terra scura le sue splendide ali – ti chiedo scusa, Seira, la prossima volta riuscirò a rubarti un bacio – mi sussurrò nell’orecchio, mentre sentivo che la mano di Sheid, ancora ancorata alla mia, tremava rabbiosamente.
L’angelo volò via senza salutare, e lasciando nell’aria un sapore strano, colmo di interrogativi e tensione: dovevamo preoccuparci anche di Luna?
Sheid lasciò la mia mano e si allontanò un po’ da me, andando avanti.
Il sangue che colava ancora dalla sua mano destra attirò la mia attenzione, e gli andai vicino.
Lui si voltò nella mia direzione, e il suo viso, ormai tornato normale, era attonito, serio e senza espressione.
“Tu lo ami … Anche se è riuscito a ghermirti il cuore, non potrà mai innamorarsi di te, perché il suo è di ghiaccio, e non potrà mai sciogliersi, né amare”aveva detto Pierre, e nelle sue parole non c’era traccia di falsità. Inoltre con la scoperta del vero io della regina Luna, ansie e paure nuove, mi stringevano il cuore in un morsa molto più dolorosa.
Ero soprattutto preoccupata per Sheid. Non volevo che soffrisse a causa mia.
-          Cosa ti ha detto? – chiese serio, i suoi occhi erano l’unica luce nella notte.
-          Niente – risposi.
-          Stai mentendo spudoratamente, lo sai vero? – mi rimproverò con voce monocorde.
-          Ascoltami Sheid, sono perfettamente cosciente del fatto che sono un peso per te, lo so bene che essere un angelo protettore per te è una punizione, e lo so che tu non ti apri con me perché non mi consideri tua amica. Ma … se davvero ti importa qualcosa di quello che provo, allora renditi conto di come mi sento – dissi, e mi sentii un verme, ma se volevo che mi parlasse, se volevo sentirmi libera di parlargli apertamente, dovevo farlo riflettere.
-          Riesci a capire cosa provo, riesci a leggermi dentro e così conosci tutto di me. Ma stanotte ho scoperto alcune cose che mi hanno lasciata davvero scioccata, e … ti chiedo di aspettare come faccio io. Prima voglio affrontare la situazione, riflettere e mettere in ordine le idee. Poi parleremo e allora … - non riuscii a finire la frase, perché mi sentii tirare da Sheid. Mi strinse forte a sé, e mi tolse il fiato.
-          Ho avuto paura di arrivare tardi, ho avuto paura che te ne fossi andata perché eri in collera con me e ho avuto paura di non rivederti più. Solo io so quanto sia sbagliato dire queste cose, quanto sia sbagliato pretendere che tu sia sempre forte e positiva in ogni situazione e so perfettamente che chiederti di dirmi tutto è ipocrita da parte mia … ma … tu sei l’unica persona al mondo, l’unica che mi tratta e mi vede per l’umano che sono, e ti chiedo di perdonare e tollerare i miei sbagli umani, Seira. Un giorno ti prometto che ti racconterò tutta la mia storia, e quel giorno, anche tu saprai tutto di me. Te lo prometto principessa – disse, ed io scoppiai in lacrime per la gioia.
L’amore tra un umano e un angelo era proibito, e disobbedire alla legge significava tradire Luna. Sapevo bene che i miei sentimenti sarebbero sembrati sbagliati a chiunque, sapevo bene che il mio affetto per Sheid era pericoloso e letale per lui. Ma io potevo accontentarmi di questo, io potevo nascondere il mio amore, per proteggere la vita del mio sogno, per proteggere quella persona.
Lo strinsi forte anche io, e mi promisi che sarei stata forte abbastanza da non far entrare nel mio cuore dolore e pentimento.
 
                                                                  ******
 
Sciolsi l’abbraccio, mio malgrado, e senza guardarlo in viso, avvicinai le dita tremanti al suo braccio ferito. Il sangue non smetteva di scendere e forse, era davvero grave.
Prima che le mie dita riuscissero a sfiorare la stoffa macchiata di sangue della sua manica, lui si ritrasse pacatamente.
-          Non è grave – mi tranquillizzò – posso pensarci a casa, adesso andiamo, è tardi.
-          Ma non ti fa male? – chiesi preoccupata.
-          No, sta’ tranquilla – disse con la voce calma e profonda. Il suo tono però nascondeva un ombra di amaro.
Poi si curvò verso di me, e tentò di prendermi in braccio, notando che tremavo ancora da capo a piedi per la tensione.
-          No – dissi ferma e allontanandomi – posso camminare da sola, e poi sei ferito, non posso permettere che peggiori la situazione in modo così sconsiderato – risposi gelida.
-          Sei davvero un tipo strano – rise sommessamente – comunque posso usarlo alla perfezione – ribatté lui, e scaglio un pugno forte, veloce e perfetto, davanti a se, facendo tremare l’aria circostante – vedi? – mi fece notare.
-          No, non vedo – dissi irritata. Poi lo presi per mano, e lo trascinai verso casa.
Lui non parlò per tutto il tragitto, ed io neanche, però le nostre mani rimasero intrecciate fino all’ultimo.
Arrivati a casa, si fermò di colpo.
-          Aspetta – sussurrò. Il lampione che era davanti alla villa-castello illuminava il suo viso celestiale.
-          Che cosa c’è? – domandai avvicinandomi a lui.
-          Dimmi la verità, hai avuto paura di me stavolta? – chiese turbato. In effetti ripensando al suo sguardo assassino che freddo e quasi crudele trapassava il mostro …
-          Si – risposi, era inutile mentire – ma solo perché non ti ho mai visto così … così …
-          Simile a un demone – concluse lui, mesto e schifato da sé stesso.
Simile a un demone? Perché aveva detto parole così dure?
-          Sheid … non è così, non eri simile ad un demone, eri solo più turbato del solito – sorrisi, cercando di tranquillizzarlo. Lui sgranò gli occhi.
-          Come fai a sorridermi ancora in quel modo? – chiese incredulo. Il mio cuore fu scosso da mille emozioni, ma mi ero giurata di nascondergli tutto.
-          Io continuerò a sorridere così solo con te, perché sei tu che mi fai sperare. E poi voglio vederti sorridere di cuore, ecco perché – confessai mesta.
-          Seira – disse in un sussurro.
-          Padrone! Signorina Seira! … - sentimmo Erik, che con voce agitata e preoccupata, ci veniva incontro – non vi ho sentiti uscire e quando mi sono accorto che ero rimasto solo in casa, mi sono preoccupato … - disse mentre ci veniva incontro. Poi notò la ferita sul braccio di Sheid.
-          Padrone … cosa, cosa è accaduto? State bene? – chiese allarmato.
-          Sto bene Erik, è soltanto un graffio – lo tranquillizzò Sheid.
-          Beh, sarà anche un graffio, ma dobbiamo disinfettare la ferita, padrone – esclamò Erik.
Allora lo seguimmo dentro casa.
Pensai io alla ferita di Sheid, mentre Erik, preparava la cena.
Salimmo fino al terzo piano, e entrammo in camera sua, muniti di bende e disinfettante.
-          Siediti – ordinai, e lui con un sospiro seccato si sedette sul bordo del letto.
-          Come vuoi – sospirò – che seccatura – soffiò.
-          Bene, adesso … potresti toglierti la … camicia? – chiesi imbarazzata. Trasalimmo entrambi.
Mi guardò di sottecchi, e indagò la mia espressione. Cosa nascondeva stavolta?
Il suo sguardo era diventato tetro e preoccupato e allora capii.
-          E va bene! – dissi mesta – se non vuoi che ti curi io, vado di sotto e chiamo Erik – l’informai, girandomi e avvicinandomi alla porta.
Lui mi fermò prendendomi la mano. Io mi voltai nella sua direzione e lo guardai.
-          Seira, che effetto ti fa … la vista … del sangue? – disse lentamente, a occhi bassi.
-          Nessun effetto, davvero – sorrisi – non sono così … impressionabile – dissi divertita. Avevo visto mostri, demoni, ed esseri che si trasformavano di continuo, un po’ di sangue era totalmente trascurabile.
-          Va bene – rispose lui, poco convinto, senza ricambiare il mio sorriso.
Sembrava davvero turbato, e soprattutto era quasi impaurito dalla mia eventuale reazione.
Che cosa c’era oltre a quella ferita sul braccio, che non potevo vedere?
Lentamente sfilò la camicia, e per la prima volta lo vidi indeciso e riluttante. Lo sguardo colpevole e angosciato al tempo stesso.
Quello che vidi dopo, mi fece gelare il sangue.
 
 
                                                                      

 
-------------------------------- ANGOLO DELL’AUTRICE -----------------------------------------

 
 
 

 
Ciao cari, scusate tanto per il ritardo ma ero sotto le interrogazioni e poi sono anche stata influenzata.
Però, ce l’ho fatta!
Spero che il cap vi sia piaciuto, e che l’abbiate trovato almeno carino e decente.
 
Che cosa avrà visto Seira?
 
Boh, e chi lo sa! ù.ù
 
XD allora … che dire?
La storia sta per giungere alla metà, e non preoccupatevi, non è affatto corta. Ci sono una marea di intrighi che dovete ancora scoprire.

 
Sheid: (sussurra) ma perché devo fare una cosa così, sei davvero …
Fio: vai, vai, altrimenti ti faccio venire i brufoli sulla faccia.
S : ù.ù sarei carino lo stesso, e poi, potresti farlo anche da sola …
F : su su … di’ quel che devi dire …
S: ma, perché non lo fai dire a Seira?
F: VAIIIIIIII!!!!! >:-O
S: -.-‘’’’’’’’’’’ … e … em …. Ringrazio tutte le lettrici che seguono quella depressa di mia madre. Un ringraziamento speciale va alla signorina Vanessa.
F: Sheid?
S: ho capito, che seccatura …
F: ti picchio! >.<
S: (sguardo da figo) ti ringrazio, vane, sei stata davvero brava. Inoltre offro a tutte le lettrici più accanite un appuntamento col sottoscritto -.-‘’’ “che cosa imbarazzante”.
F: si si! Per chi volesse fare un uscita speciale con Sheid, potete chiedermelo via mess. Prenderò le vostre idee e ne farò o dei cap extra con protagoniste  … VOI, oppure l’introdurrò nella storia. Via mess mandatemi (abbigliamento di entrambi, descrizione del luogo, e scena finale, io penserò al resto.
S: Seiraaaaaaaaaa
Seira: T_T mammina sono gelosa!
F: tranquilla, cara è solo un prestito!
<3
 

 
XD scusate lo sclero, ma è tutto vero, quindi se volete …
 
Poi … altre informazioni … a si.
Sto decidendo se togliere la storia da efp o no. Vi spiego.
Alcune persone fisicamente vicine a me, hanno scoperto che scrivo, ma ora stanno facendo un po’ il gioco sporco, e ho paura che possano … ecco … rubarmi la storia.
Sheid e Seira sono parti integranti della mia vita, e anche voi lo siete e vorrei trovare un modo di non perdere né voi né loro.
La mia storia non è poi così importante e speciale, ma sinceramente dopo tanto lavoro non mi va proprio giù che la mia dignità, quella dei miei amati lettori e quella dei miei personaggi, venga calpestata. Ho lavorato duramente per migliorare cap dopo cap nella scrittura e per elaborare nel modo più avvincente possibile la trama, perciò, mi secca parecchio questa situazione.
Avete suggerimenti da darmi?
Come risolviamo la questione?
 
Conto su di voi … ora i miei amatissimi ringraziamenti …
 
Grazie 1000 a …
 
Lady Catherine: grazie per il tuo sostegno costante, sei davvero un pasticcino dolcissimo!
Fammi sapere cara che ne pensi cara tvb
 
Zeroluois : martaaaaaaa! La mia dolce marta che dice sempre di aver paura di dire sempre le stesse cose! Ma tesoro, io adoro leggerti, e quindi scrivi liberamente quello che pensi, non può che farmi piacere. Baci
 
Chiara Fiorelli: grazie perché mi sei sempre vicina. Ti raccomando non mollare mai nemmeno con la tua storia collega! Thanx!
 
Dan 24: amico mio, essendo l’unico maschietto che segue la mia storia, non posso che essere onorata e felice. Ti ringrazio tantissimo per quello che fai per me, perché mi sostieni sempre. Grazie grazie grazie!
 
Deilantha: carotinaaaaaa! Sei sempre nel mio cuore, e il legame di parentela che ci unisce (sono la madrina dei suoi capolavori) rende la nostra amicizia indissolubilmente perfetta.
Grazie di cuore … grazie! Tvb oo
 
Angy Emptiness: la mia collega! E come farei senza di te! Appena ho un attimo di respiro, recupero tutti i cap persi, promesso! Mannaggia alle interrogazioni. XD
 
Bryce 78: hai ragione un mese è lungo! Ma purtroppo se voglio fare bene tutto serve tempo, non vorrei mai pubblicare un cap pessimo e poco appassionante. Mai. Perciò ti prego di perdonare i tempi lunghissimi. Grazie per la rec, spero che continuerai a dirmi che ne pensi e spero che faremo amicizia.
 
Wanniam: ricevere recensioni da te, e leggere la tua storia sono davvero emozioni cara! Grazie per le tue parole gentili, sei una grande! Kiss
 
Yuuki b: la mia sorellona vampira, haaaaa che bello. Grazie 1000 per i complimenti ma sei troppo buona! arigatou gozaimazuuuuu cmq! Tu quando aggiorni?
 
Felicemente imperfetta: e beh, non glielo dice … perché l’ha presa troppo alla leggera la nostra piccola e pasticciona di Seira. XD grazie cara! Sei magnificaaaaaa!
 
Zoey la sognatrice: ciao amoreeeee! Grazie grazie! Spero che il seguito ti piacerà! <3
 
Robpattzlover : e chi non amerebbe rob? Ma nessuno, ovvio! Grazie, leggere le tue rec … beh mi sento davvero una grande scrittrice! XD seeee, magariiiiiiii! Mi fai sentire davvero speciale, e fai sentire speciale quello che scrivo, perciò ti ringrazio davvero tantissimo. Baciotti.
 
XxRica AkarixX: hahahahahah, beh è una recensione bellissima considerando che l’hai fatta a mezzanotte XD, ti stimo sorella, grazie 1000! <3
 
Fly 89: caraaaaaaa! Grazie perché trovi il tempo di recensire. Si, sto cercando di migliorare, grazie ai vostri consigli. Continua così, ho bisogno di teeee! <3
 
Julia: beh, il matrimonio ha le sue difficoltà cara julia, e Ciel lo sa vero?
Cmq, stai tranquilla che anche io sono in crisi da “mi manca il tempo causa scuola” hahahah. In un'altra vita scelgo il turistico, almeno mi faccio qualche viaggetto. XD
Grazie cara, e auguri!
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Naturalmente ringrazio anche chi mi segue e preferisce come autore e come storia.
Siete miticiiiiiiiiiiii! Mi raccomando a voi, ditemi che ne pensate e soprattutto non abbandonatemi.
 
Per quanto riguarda lo spoiler … mmmm stavolta niente.
Vorrei sentire cosa vi aspettate, e chi mi darà l’idea più buona o chi si avvicinerà di più alla mia idea, avrà un ringraziamento speciale nel prox cap.
(così nessuno rimane deluso! XD).
 
Un grazie anche a coloro che leggeranno e basta: se volete dirmi cosa ne pensate … ne sarei davvero felice! Grazieeeeeeeeee!
 
Allora ci vediamo a fine mese raga.
 
Baci dalla vostra …
 
Fiorella
 
<3
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Questo capitolo è dedicato a mia mamma.
Non c’è niente di più bello che avere una mamma per amica.
Ti voglio bene mamminaaaaaaa!

 
Ci vediamo giù belle!

 

SEIRA:
 
Che cos’è una lacrima?
Le lacrime dovrebbero essere solo gocce d’acqua salata.
Nient’altro.
 
Non dovrebbero ucciderti dentro, in fondo, nello spirito, e non dovrebbero renderti così vulnerabile da non riuscire più a controllare i sensi.
 
La discesa silenziosa di una lacrima è simile al vento freddo di una sera di Dicembre.
Fredda, violenta, silenziosa e inafferrabile, come una cicatrice che non si è ancora sanata e che fa male.
Sempre.
 
Cicatrici.
Anche una cicatrice è fredda, perché non è bagnata dal caldo e copioso sangue.
È soltanto l’ombra incancellabile di una ferita.
Una cicatrice è come il vuoto che lascia un immenso dolore assopito, ma non dimenticato.  
 
Cosa dovevo fare?
Come dovevo comportarmi?
Qual era la cosa più giusta da fare?
 
“Sheid” la mia mente chiamava il suo nome. Come un bisogno, come un’essenziale presenza.
 
Perché non parlava?
Perché non riusciva a raccontarmi tutto?
Perché qualsiasi cosa volessi chiedergli mi sembrava sbagliata?
 
-          Sheid – sussurrai. Le lacrime agli occhi.
“Anche se è riuscito a ghermirti il cuore, non potrà mai innamorarsi di te, perché il suo è di ghiaccio, e non potrà mai sciogliersi, né amare”.
NO.
“Per un angelo amare un umano è proibito … Luna lo punirà … troverà solo dolore”.
NO!
“Cicatrici, ferite, dolore, punizione, incertezze …”
NO!!!
-          Sheid! – singhiozzai.
Il ghiaccio si scioglieva col calore, quel calore che volevo nascondergli, quel calore che non riuscivo a non dimostrargli ogni momento.
 
Ero sempre stata convinta che il suo carattere freddo e il suo sguardo vitreo, fossero dipesi dal suo passato.
 
Ma quando vidi quei segni strazianti sul suo corpo, sentii emozioni contrastanti e dolorose, e capii che dovevo ancora scoprire tutto.
 
Mi avvicinai a passi lenti a lui, e tolsi di mezzo la camicia che si era messo davanti per impedirmi di scrutare oltre.
 
Il pentimento era palese nella sua espressione e il disprezzo verso quelle cicatrici, traspariva dai suoi occhi, come luce attraverso un vetro.
 
Poggiai con delicatezza il mio capo sul suo petto marmoreo ma smilzo.
Il suo odore squisito misto all’odore di sangue creava una fragranza acerba e forte, ma anche deliziosa.
 
La ferita sul suo braccio destro non era affatto un graffio.
Al contrario, era  profonda e ricoperta di sangue.
L’ennesima cicatrice.
 
Lui indietreggiò, e voltò il capo nell’altra direzione, contrariato e con aria glaciale, ma io non mi feci intimidire.
 
Feci un passo verso di lui, e …
 
Con tutta la delicatezza di cui ero capace, seguii prima con lo sguardo e poi con le dita, quegli sfregi.
 
Ne aveva alcuni sull’addome, radi ma evidenti. Poi la cosa straziante.
Sul petto perfetto e scolpito, e, dovevo ammetterlo, dannatamente seducente, cominciavano lunghi segni, che percorrevano tutta la schiena fino ad arrivare alle sue scapole.
 
Sentivo gli occhi bruciarmi, sentivo lacrime invisibili scorrermi sulle guance.
Vedevo il suo sguardo lontano e intristito, cupo.
 
-          Seira … - disse, ma in realtà non voleva dire nulla, aveva solo chiamato il mio nome. Era un modo per allontanarmi, un modo per chiudersi, un modo per esorcizzare quel dolore.
 
Mi aggrappai di nuovo a lui, volgendo il capo verso il suo braccio destro che ancora sanguinava.
 
Io appoggiata a lui, la camicia ai nostri piedi, la stanza silenziosa, il suo respiro che faceva alzare e abbassare il suo petto nudo, vellutato e marmoreo, impercettibilmente.
 
Tutto sembrava non avere tempo.
 
Restammo così per una manciata di secondi che parvero un’eternità.
 
-          Che cosa ti è successo? – chiesi con voce monocorde e piatta. Non riuscivo a immaginare quali sofferenze avesse subito e quali gravi ferite avessero straziato il suo corpo giovane e fragile, il suo corpo di carne, il suo corpo da ragazzino.  Il suo corpo, che rimaneva comunque perfetto e lineare, bellissimo, nonostante tanta crudeltà.
-          Perché il tuo corpo è pieno di cicatrici? – continuai con lo stesso tono – è a causa del tuo lavoro? Te le sei procurate in battaglia? … Oppure … oppure è stato un demo …
-          Seira! – mi bloccò. Ormai non riuscivo più a ragionare razionalmente, non riuscivo più a controllarmi. E lui l’aveva capito.
-          Ti ho promesso, che ti dirò tutto … e lo farò – disse, circondandomi col braccio buono. Non gli vedevo il viso, perché avevo ancora la faccia contro il suo petto, ma sapevo quale espressione aveva assunto – ma ora, cerca di smetterla di tormentarti, non voglio che tu ti senta così stranita.
-          Non mi sento stranita, sono solo … ecco – come dovevo dirglielo? – io ho bisogno di sapere, ti prego! Sheid … - perché quelle parole non mi facevano stare meglio? Perché sentivo quell’ansia opprimente chiudermi il cuore? – dimmi solo perché il tuo corpo è straziato in questo modo … TI PREGO! – scoppiai in lacrime. Il bisogno di sapere, il bisogno di sentirlo vicino a me con la mente, il bisogno di conoscere il suo passato … queste essenziali risposte sembravano risucchiarmi lo spirito, sembravano schiacciarmi.
-          Seira … - mi spinse via, per poi prendermi la testa tra le mani – tu non vorresti saperlo – disse cupo, come se fosse un avvertimento, e nel suo tono notai un velo di disperazione.
-          Ma … - cercai di riprendermi, quella specie di alieno che mi trovavo di fronte, aveva giocato il suo asso nella manica. Aveva fatto sparire la confusione, avvicinando il mio viso al suo e al suo odore inebriante. In quella situazione non ricordavo nemmeno chi fossi, e ciò mi aiutò a liberare la mente.
-          Ora vorrei – sussurrò con voce serafica, ammaliante – che mi curassi la ferita, principessa – un brivido percorse la mia schiena. Mi sentii imbambolata, ubriaca e stordita, ma annuii.
-          Va bene – dissi, allontanandomi per riprendere fiato – allora … siediti, per favore – dissi, prendendo le garze e il disinfettante. Lui obbedì con mia grande sorpresa, e in quel momento tutte le inibizioni, sembrarono sgretolarsi. Lui era seduto sul suo letto, davanti a me, mezzo svestito e assolutamente … “Basta!” mi rimproverai, prima che il mio cuore gli suggerisse che provavo ammirazione e imbarazzo. Era davvero irritante.
Dovevo ammetterlo. Sheid era un grande stratega, e un ottimo attore.
Aveva messo da parte il disprezzo nel suo sguardo verso le condizioni del suo corpo, e aveva tirato fuori le sue qualità di seduttore, per farmi fare ciò che voleva lui.
Furbo, anzi geniale, ma sapeva bene che aveva promesso.
 
Misi dell’alcool su un batuffolo di cotone, e poi mi sedetti accanto a lui.
 
-          Brucerà un po’ – dissi dispiaciuta guardandolo negli occhi, che erano veramente umani in quel momento. Mi stava trapassando di nuovo l’anima e io glielo impedii abbassando lo sguardo.
-          Non è un problema – disse lui, il suo viso mi era sembrato davvero pallido, e la sua espressione stanca, nonostante si sforzasse di mantenere il controllo.
Poggiai delicatamente il cotone imbevuto su quel taglio profondo, cercando di levare il sangue.
Sentivo il suo sguardo su di me, ma non osavo alzare il mio.
La sua pelle era eterea e luminosa e quelle cicatrici contrastavano orribilmente con essa.
Ogni tanto azzardavo un’ occhiata al suo petto. Era modellato alla perfezione, e le uniche tracce che testimoniavano la forza di quel corpo erano le cicatrici stesse.
-          Qualsiasi cosa ti sia successa, mi dispiace tanto, Sheid – dissi con tono cupo.
Avevo mollato e non ero stata capace di oppormi al suo volere.
Lui sembrò irrigidirsi e ansimò impercettibilmente.
Guardai di scatto il suo viso, che fino a quel momento non avevo avuto il coraggio di scrutare.
Sobbalzai e trasalii.
Tremava, e il suo sguardo era sofferente come se lo stessi sottoponendo ad una orribile tortura.
-          Sheid … cosa …? – chiesi interdetta. Poi tolsi immediatamente il cotone dalla ferita che cominciò a sanguinare di nuovo.
-          Perdonami – mi scusai mortificata, pensando che avesse sentito troppo dolore mentre lo medicavo.
Cercò di alzarsi con lo sguardo assente e ancora sofferente, ma cadde in ginocchio e prima di crollare, tossì sangue, sputandolo.
-          Seira … smettila di ustionarmi, è come se il mio cuore bruciasse nelle fiamme dell’inferno – confessò in un sussurro agonizzante e spezzato dagli ansimi.
“Il suo cuore è di ghiaccio … non potrà mai amare … ghiaccio … calore … amore … dolore …”, quei pensieri mi piombarono addosso facendomi quasi male.
Che cosa avevo fatto?
Volevo sciogliere il ghiaccio che intrappolava i suoi sentimenti con il mio calore, ma non avevo pensato che ciò avrebbe potuto distruggere il mio angelo protettore.
L’avevo ferito con il mio egoismo.
-          SHEID! – lo chiamai disperata, vedendo che si era accasciato a terra perdendo i sensi.
Non rispondeva, provai a toccarlo, ma non ottenni nessun risultato.
-          ERIK AIUTAMI TI PREGO! – gridai allora in preda al panico.
Le cicatrici sul corpo del mio angelo senza ali, cominciavano a diventare sempre più violacee, e sembrava che stessero per riaprirsi.
Cominciai a piangere e a tremare convulsamente, il mio petto sembrava scoppiare.
-          Signorino! – Erik entrò in tutta fretta nella camera e prese senza troppo sforzo, il corpo di Sheid tra le braccia.
Poi lo portò verso il letto, e lo mise in modo tale da lasciare in vista la schiena e il braccio destro .
-          Erik … ma cos’ha? – chiesi cercando di trattenere i singhiozzi.
-          Non si preoccupi signorina, sta bene – disse calmo il maggiordomo, come se avesse esperienza da vendere. I suoi movimenti erano calmi e precisi, e allora capii che quella non era la prima volta che Sheid si sentiva male.
-          Succede ogni quattro lune – cominciò a spiegarmi Erik, mentre tastava il fisico di Sheid con delicatezza e si assicurava dello stato delle cicatrici – tre volte l’anno. Il suo corpo ha bisogno del Nutrimento dei cristalli lunari, e di solito non arriva mai al limite – continuò calmo, e fasciò con maestria la ferita del braccio destro di Sheid – ma stavolta non ce l’ha fatta e si è trovato senza forze, povero il mio ragazzo – disse commosso il buon maggiordomo.
Non l’avevo mai visto chiamare Sheid in modo confidenziale, ma in ogni suo gesto c’era affetto per lui. Sembrava un padre, sembrava un nonno, ed era commovente vederlo così fedele e adorante verso il suo “padroncino”.
Dovevano volersi molto bene lui e Sheid.
E forse il suo carattere freddo veniva lenito dalla presenza di quel nonnino premuroso e forte.
-          Erik … dimmi la verità – chiesi asciugandomi le lacrime – il suo cuore è davvero immune ai sentimenti? E veramente di ghiaccio? – domandai, troppo nervosa per contenermi. Il suo sguardo affettuoso e saggio mi avvolse in un atmosfera di tranquillità.
-          Me lo dica lei signorina. È stato mai indifferente verso di lei e verso i suoi bisogni? – domando benevolo lui. Io trasalii.
Fin dall’inizio Sheid si era preso cura di me.
La nostra promessa, la prima, quella innocente che non sapeva ancora di dolore e interrogativi, era all’insegna dei sentimenti umani.
“Io proteggerò soltanto te” aveva detto con voce serafica e sincera quella prima notte di luna piena, e io gli avevo creduto.
Quella non era forse premura? Non era umanità?
Erik aveva ragione su tutto.
-          Il fatto che non riesca ad esternare i suoi sentimenti, non è del tutto colpa sua – spiegò il maggiordomo, riprendendo tra le braccia il corpo di Sheid – i sentimenti umani sono più fragili del cristallo, e quando vengono frantumati, spesso è impossibile riuscire a ricomporli senza far soffrire le persona.  Io però sono convinto che lei possa riuscire a guarire il suo cuore, anche se ciò lo farà soffrire – disse, mentre usciva dalla porta – si sente pronta ad affrontare questa sfida? – il suo sorriso nascondeva amarezza, e questo mi colpì.
-          Io non posso amarlo – sussurrai, rendendomi conto di quanto mi facesse soffrire questa situazione – se lo amassi lo metterei in pericolo – i miei occhi cercavano un consiglio.
-          Ma lei è umana, e per noi umani è normale amare. Se lo riscalderà con questo calore così puro, sono sicuro che lui starà meglio. Solo questo. E poi … - disse prima di sparire dietro l’angolo – nessuno vieta ad un’umana di amare un angelo – concluse.
Scomparve nel corridoio buio, e io mi sentii trapassata da un’atmosfera di freddezza e mistero.
Ogni giorno che passava, venivo a conoscenza di nuove informazioni che andavano a completare quel mosaico immaginario e misterioso che mi ero costruita nella mente.
 
Da un angelo e un umano era nato un essere straordinario e unico.
Non c’erano tracce però dei suoi genitori, della sua vita passata e dei suoi ricordi, e gli unici segni visibili di quello che aveva passato, erano orrende cicatrici che straziavano in maniera irreparabile il suo corpo.
Il suo essere per metà angelo lo legava indissolubilmente alla regina della luna piena, Luna, ed era stato punito per un peccato misterioso e sconosciuto da essa, costretto a proteggere una principessa della luna che custodiva un cristallo.
Il carattere freddo, suggeriva una chiusura psicologica dovuta forse a qualche sofferenza passata. I suoi occhi erano cangianti in base al suo stato d’animo.
Provava disprezzo per sé stesso e rispetto per una regina che lo aveva condannato a soffrire.
Aveva attenzioni e premure per la sua principessa, e i suoi modi bruschi e indifferenti, erano la testimonianza che nell’ultimo periodo non avesse avuto contatti umani.
Eppure, nonostante il suo cuore fosse di ghiaccio, la gentilezza e l’onestà che aveva dimostrato, erano comunque sentimenti che scaturivano dal calore umano.
 
Questo era il punto della situazione.
“Chi sei, in realtà, Sheid Winter? Come hai fatto a ghermirmi il cuore senza calore, come hai fatto a farmi cedere in questo modo? E perché ogni volta che ti penso mi si apre un buco nel petto? Non hai il diritto di nascondermi chi sei, anche se mi salvi la vita, non puoi salvarmi dalla disperazione in cui sto cadendo, perché il non sapere chi sei, mi rende vulnerabile e impaurita da ciò che potrei scoprire”.
 
Mi alzai, e corsi alla fine del corridoio. Poi scesi le scale e scorsi Erik, che stava per aprire una di quelle porte, che Sheid non aveva aperto quando mi aveva fatta vedere la casa.
Lo seguii in punta di piedi per non farmi scoprire, e quando vidi il luogo in cui entrò il maggiordomo con Sheid ancora tra le braccia, capii che non mi ero ancora resa conto di dove mi trovassi.
 
 
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SHEID:
 
 
-          Seira … smettila di ustionarmi, è come se il mio cuore bruciasse nelle fiamme dell’inferno – sussurrai, mentre mi sentivo venir meno.
 
 
Il mio petto aveva bruciato più del solito, avevo sentito il mio cuore polverizzarsi al contatto con le sue mani gentili.
Aveva affrontato un mutaforma tutta da sola, ed era riuscita a resistere fino al mio arrivo.
Chissà di quali cose era venuta a conoscenza!
“Sono venuta a conoscenza di cose che mi hanno scioccata, renditi conto di come mi sento”.
Mi rendevo fin troppo conto di come si sentiva, e il risultato era stato quello.
Lo sforzo compiuto durante la battaglia, il fatto che avessi impiegato le mie energie per mantenere il controllo del mio potere distruttivo, e il fatto che non fossi in forma angelica, avevano ridotto il mio autocontrollo, e mi avevano fatto cedere.
Quella tortura era davvero insopportabile, e, nonostante fossi stato addestrato per resistere nelle situazioni più estreme, quella era la sofferenza più grande che avevo subito, in tutta la mia esistenza.
Le torture crudeli, finalizzate e rendermi insensibile al dolore, avevano straziato il mio corpo in maniera irreparabile, ma avevano reso più saldi e letali i miei sensi.
Se provi dolore, basta farlo diventare parte di te.
Basta questo.
Allenamenti distruttivi, e crudeltà di ogni genere però, non mi erano servite a distruggere del tuo la mia natura da debole umano.
Il mio cuore era umano.
Seira me lo aveva fatto capire e lo stava pian piano risvegliando.
Lei aveva sorriso anche stavolta, nonostante il mio viso da freddo demone, avesse infranto la mia promessa.
“Io continuerò a sorridere così solo con te, perché sei tu che mi fai sperare. E poi voglio vederti sorridere di cuore” aveva detto, e la dolcezza che provai fu sconvolgente.
 
Ricordando gli occhi impauriti di lei, che mi guardavano e vedevano il mostro che era in me …
Eppure, aveva sorriso.
I suoi sorrisi erano imprevisti e spesso anche pericolosi, perché facevano battere il mio cuore, e lo facevano cadere nelle fiamme più incandescenti.
 
Il cuore di Seira era in tempesta, e il dolore aveva preso anche lei.
Perché teneva così tanto a me? Perché sembrava in lotta con sé stessa? Cosa cercava di nascondere?
Non ricordo più nulla, perché fu come cadere in un sonno profondo, un sonno pieno di ricordi.
 
 
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L’odore di sangue mi dava alla testa, e il buio di quella cella era veramente deprimente.
Il dolore delle ferite mi impediva quasi di respirare, e la perdita eccessiva di sangue mi aveva prosciugato le energie, ma a lei non importava.
Il suo scopo era rendermi forte e letale.
-          Alzati! – era un ordine austero, a cui il mio corpo non sapeva sottrarsi – Vuoi ucciderlo no? – sibilò poi, quando vide che non ce la facevo – E credi di poterci riuscire in queste condizioni? Alzati! – i suoi occhi glaciali, erano imperiosi e severi.
Sì, io volevo ucciderlo, volevo vendicarmi, volevo dimostrargli che ero più forte di lui.
Ignorai il dolore lancinante all’addome e alla schiena, e feci leva sugli avambracci.
-          Bene, ed ora dimmi. Cosa provi in questo momento, piccolo Sheid? – Luna venne verso di me, con passo lento. I suoi occhi mi inchiodavano, ed io sapevo cosa avrei dovuto rispondere.
-          Niente – sussurrai ansimando. Né dolore, né fatica, né rabbia … nessun sentimento faceva parte di me, tranne la voglia indispensabile di vivere per la mia vendetta, e l’odio.
-          Perfetto – rise entusiasta, facendo trapelare la sua parte sadica e crudele. Poi mi prese il mento e lo sollevò, avvicinandolo al suo volto.
-          Gli somigli così tanto che adesso … - cominciò, con voce macabra – … vorrei proprio … - avvicinò le sue labbra  alle mie, ma prima che potesse toccarle, io balzai indietro, finendo contro il muro della cella in un cui ci trovavamo.
-          Non toccarmi – tossii io, sentivo la rabbia montarmi dentro. Io non ero il suo giocattolo, e anche se poteva manipolarmi a suo piacimento, anche se era la mia maestra, anche se era una regina, io non le avrei mai dato il mio cuore.
Questo era morto la notte in cui avevo perso tutto, questo si era mutato in pietra grazie ai suoi insegnamenti.
-          Piccolo bastardo – disse furiosa, avvicinandosi a me – se fossi un normale angelo a quest’ora staresti pregando di non essere mai nato, ma … - mi sussurrò nell’orecchio – tu sei il mio principe, sei suo figlio, e nonostante la tua debolezza e la tua umanità, devo mantenere la mia promessa – ghignò.
-          Quale promessa? – sbottai con odio.
-          Tu sarai il futuro re, ed io ho promesso al tuo tutore che mi sarei presa cura di te, e che ti avrei reso forte e invincibile – rispose come se fosse una cosa ovvia – perciò adesso mostrami di cosa sei capace – mi sfidò.
Cercai le ultime energie, quelle che mi permettevano di reggermi ancora in piedi.
Guardai negli occhi la regina, e poi incanalai quella forza nel palmo della mia mano destra.
“Stavolta è la volta buona” pensai, sentendo che il mio potere prendeva finalmente forma.
Poi nella stanza si alzò una strana aura, distruttiva e potente, che percepii mentre sentivo le mie gambe cedere.
Gli occhi di Luna si spalancarono per la sorpresa, e allora capii di esserci riuscito finalmente.
Chiusi gli occhi lasciandomi cadere a terra, esausto e dolorante.
-          Ce l’ha fatta – distinsi la voce di Luna ancora meravigliata.
-          Già – rispose asciutta e compiaciuta la voce del Comandante Supremo.
-          Non avrei mai creduto che l’energia lunare di un mezzo umano potesse superare di gran lunga quella di un angelo – enunciò incredula la regina.
-          In fondo è suo figlio, era normale che fosse all’altezza – disse il Comandante Gabriel Ghefren – mi preoccupa soltanto il suo stato – continuò perplesso.
-          Ti riferisci al suo corpo?
-          Anche, è solo un ragazzino umano, non può continuare a torturarlo, rischia il collasso.
-          No, è forte come suo padre, si riprenderà presto. Poi tu gli insegnerai a combattere Gabriel – concluse Luna compiaciuta.
-          Cosa vuole farne di lui? – il Comandante sembrava perplesso e cupo.
-          Lui sarà il mio burattino prediletto. Lo trasformerò in una macchina ammazza demoni grazie al tuo aiuto, Gabriel – Luna sembrava davvero decisa ed eccitata.
-          Se è così convinta di riuscire a trasformarlo in un assassino di demoni, allora a cosa le serve reprimere la sua umanità? – sentii dei passi avvicinarsi a me.
-          Ti credevo più perspicace Gabriel. In questo modo potrò domarlo a mio piacimento, potrò usarlo come più mi fa comodo e alla fine lo ripagherò con la vendetta – disse con voce macabra. Sentii il Comandante che mi prendeva tra le braccia, e distinsi il bagliore dorato e puro delle sue ali.
-          Sai bene che non riuscirai mai a trovare Isaac, lui se n’è andato. Deve accettarlo – era fiero e soprattutto serio.
-          Già, ma suo figlio è qui. Mettilo giù, con lui non ho finito – asserì Luna.
-          Ma … - provò ad obbiettare il Comandante Gabriel.
-          È un ordine – disse imperiosa Luna. Il mio corpo incontrò nuovamente la fredda pietra del pavimento – ora lasciaci soli – ordinò poi. Udii i passi felini dell’angelo allontanarsi, e poi …
Dolore.
 
Al mio risveglio da quell’incubo orrendo, cominciò un nuovo tipo di allenamento, e il mio maestro fu Gabriel Ghefren, il Comandante Supremo dell’esercito lunare, un vecchio amico di mio padre, un soldato fiero e imbattibile. Nei suoi occhi vedevo pietà e protezione, nei suoi occhi vedevo l’amicizia che il tradimento di mio padre non aveva spento.
 
 
 
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SEIRA:
 

Rimasi attonita a guardare quel luogo sconosciuto.
Sembrava grande, ma l’oscurità celava le sue vere dimensioni e la sua forma.
Il soffitto presentava un’apertura circolare sul cielo notturno e scuro, che era circondata e abbellita in maniera spettacolare da cristalli che brillavano di luce propria, proprio come le ali di un angelo, e che creavano ghirigori sontuosi e bellissimi.
Al di sotto, il corpo di Sheid era disteso supino, su un mosaico di lapislazzuli preziosi che formavano un cerchio perfettamente congruente all’apertura del soffitto altissimo.
Il corpo del mio angelo senza ali, era inerte, e la sua pelle brillava flebilmente sotto l’influsso di quei magici cristalli trasparenti.
I suoi capelli cadevano all’indietro lascando la fronte diafana scoperta.
Il petto modellato, sembrava quasi straziato da quelle cicatrici orribili e …
Ad un tratto, quel chiarore flebile si incanalò in un unico raggio di luce, che illuminò l’addome di Sheid.
C’era qualcosa di magico in quell’avvenimento, e capii che stavo per assistere a qualcosa di unico e bellissimo, qualcosa che gli umani non potevano contemplare senza rimanerne completamente assorbiti, ammaliati, scombussolati, e smossi nel profondo dell’anima.
Quel raggio biancastro divenne sempre più consistente, fino a circondare completamente il corpo ancora immobile di Sheid.
La sua pelle sembrava prendere nuova vita, e quelle cicatrici, diminuivano a vista d’occhio, sanandosi completamente come per magia.
Ora la perfezione faceva parte di lui, perché ogni singola cellula del suo corpo sembrava rinascere e sembrava brillare di nuovo di sfolgorante bellezza.
Poi, il suo corpo lievitò, venendo inondato in tutto il suo essere da quella luce magica e paradisiaca, da quella luce di Nutrimento.
Sì, doveva essere proprio quello il Nutrimento per un angelo.
Qualcosa di unico, qualcosa di eterno e senza tempo, qualcosa che riesce a restare stampato nella mente per sempre.
 
Sheid inarcò la schiena, e si protese verso l’alto da dove scaturiva quella luce pura e rigenerante.
Il suo volto idilliaco bagnato da quello splendore mi provocò un spasimo di dolore, lasciandomi senza fiato.
Sembrava bearsi di quel cibo diafano e inconsistente, sembrava essere una creatura eterea e senza tempo, immerso in quel candore fatato e lunare, immerso nella luce divina di quei cristalli.
Mi inginocchiai, non potendo più resistere a quello straziante piacere.
Mi sembrava di aver visto il paradiso, mi sembrava di essermi incarnata in un sogno meraviglioso e di essere sicura che fosse vero.
Mi portai le mani al petto, e cominciai a respirare affannosamente, cominciai a perdermi in quel delizioso oblio, e mi sentii trapassata dolorosamente dal piacere divino, qualcosa che potrebbe ucciderti, facendoti fermare il cuore.
Protese anche le mani verso l’alto, e la luce sembrò irradiarsi dalle sue dita lunghe e bianche, come se fosse lui a generare quello sfavillante splendore.
Poi aprì di poco i suoi occhi in due fessure, ma ciò bastò ad abbagliarmi.
Due stelle di un’ ametista liquida e preziosa, mista agli zaffiri più brillanti e magnifici.
Le ciglia lunghe che li incorniciavano alla perfezione.
All’improvviso, su quella schiena seducente, affascinante e ben modellata, apparvero due sprazzi di luce, che partivano direttamente dalle sue scapole scarne, dove poco prima si aprivano le due cicatrici più profonde.
Poco a poco la luce divenne più compatta, fino a dare vita a due ali lucenti e trasparenti, che con un gioco di luci, si vestirono di splendide piume bianche e gigantesche.
Poi tutto il suo corpo, venne circondato da un vortice di energia che lo rese bello come non avrei mai potuto immaginare.
Era l’incarnazione della bellezza divina, era un sogno serafico divenuto realtà, era la ragione per la quale avevo impedito alla paura di fermarmi.
Ero ancora in ginocchio mentre sentivo delle calde lacrime scendermi lungo le guance.
Erano lacrime di meraviglia, di gioia e di dolore insieme, erano lacrime scese per impedire al mio cuore di scoppiare.
Poi rimasi pietrificata.
Sheid, adesso era sceso a terra, ed eretto e fiero, ad occhi chiusi, sovrastava quella corona di lapislazzuli sfolgoranti, che riflettevano lo splendore che emanava lui.
-          Luna mater mea est et ego sum filius suus – recitò ad occhi chiusi, la sua voce era profonda e serafica, la sua espressione indecifrabile, eterea, e placida.
Non aveva nulla di umano adesso, come se la debolezza, e i sentimenti fossero cose troppo infime e irraggiungibili.
I suoi occhi sembravano il ricordo delle ore addietro, quando, con freddezza assurda aveva sconfitto senza troppo sforzo quell’essere che mutava in continuazione.
Persino l’aria attorno a lui sembrava troppo infima per appartenergli.
Poi aprì gli occhi, e mi scorse, mentre ancora inginocchiata e con gli occhi sgranati, piangevo mentre l’osservavo attonita e senza cognizione di tempo e spazio.
Quelle stelle luminose e inumane, mi trapassarono da parte a parte quasi dolorosamente, e il mio cuore si fermò.
Ansimai, e gli spasmi si fecero ancora più prepotenti.
Il suo sguardo era distaccato, ma era così elettrico e magnetico, da farmi girare la testa.
Dopo minuti che mi parvero eterni, con un movimento inumanamente fulmineo, mi raggiunse, e si fermò a poche spanne da me.
L’odore seducente era ancora più strabiliante ora, come se fosse stato alterato.
I capelli sembravano seta, gli occhi zaffiri, le labbra levigate e tremendamente perfette.
Sentii un’altra lacrima uscire, e prima che potessi rendermi conto di cosa stava accadendo …
Si inginocchiò elegantemente, e raccolse con quelle labbra soffici e rosee, quella goccia salata.
La sua mano scivolò sulla mia nuca, e ben presto, mi sentii tirare verso di sé.
Gli lasciai asciugare le mie gote, e mentre percorreva quel piccolo strato della mia pelle con le sue labbra, mi sentii percorrere da brividi e spasmi.
Era come essere sfiorati da un raggio di luce, era come se il suo tocco mi penetrasse la pelle e le ossa. Era come raggiungere un dolcissimo oblio, casto e senza inibizione.
Quando raggiunse il lato sinistro della mia bocca, chiusi gli occhi, aspettando trepidante qualcosa che mi sarebbe sembrato impossibile.
“Nessuno vieta ad un umana di amare un angelo … il suo cuore è di ghiaccio … dolore … punizione …”, quelle parole mi piombarono addosso scuotendomi da quel delizioso torpore.
La realtà era ben diversa.
Prima che potesse accadere l’irreparabile, prima che lui posasse quelle labbra tanto agognate sulle mie …
-          Sheid … - sussurrai flebilmente  e tremante. Lui in quel momento percepì il mio disagio, la mia paura.
Sapevo bene che l’avrebbe interpretate come un rifiuto, sapevo bene che anche l’angelo che era in lui aveva cura dei miei sentimenti, e, mio malgrado, lasciai che la pensasse esattamente così.
Lui non poteva amarmi.
Ero io che potevo amare lui, ed era per questo che avevo timore di ogni minimo contatto proveniente dalla sua volontà.
Scattò indietro con gli occhi vitrei e l’espressione marmorea e placida, e prese il volo attraverso quell’apertura circolare nel soffitto.
I miei sensi, distrutti da quella magnificenza, rimasero alterati, e i miei nervi cedettero.
Mi lasciai cadere su quel pavimento prezioso e antico, e svenni, lasciando che altre lacrime invisibili e liberatrici, mi bagnassero l’anima.
Stavolta quella che aveva messo distanza tra noi ero stata io.
E nonostante sapessi che il suo dolce gesto fosse solo il riflesso del suo alterego, mi pentii amaramente del mio di gesto.
Si, stavolta ero stata io ad allontanarlo da me.
Io.
 

 
 
 
-------------------------------- ANGOLO DELL’AUTRICE ---------------------------------------

 
CIAOOOOOOO!!!!
 
Bene, visto che l’altra volta sono arrivata in ritardo, stavolta … anticipo XD
Come state?
Vi è piaciuto questo nuovo capitolo?
Fatemi sapere o vado in crisi da scrittrice XD
 
Allora … i ringraziamenti stavolta sono un po’ diversi. XD
 
Allora ringrazio le persone dolcissime, fedelissime e super care che hanno recensito il cap presedente!
 
Poi ringrazio coloro che mi seguono, preferiscono, ricordano.
 
Ringrazio tutte le mie care amiche che oltre ad essere lettrici sono anche persone straordinarie che amano davvero la mia storia … e … beh, insomma mi sono davvero affezionata.
 
Purtroppo in questo cap non farò i nomi specifici di voi recensori (al femminile? O.o)?
Però come ho promesso nello scorso cap, ringrazio tutte coloro che hanno provato ad immaginare come sarebbe potuta continuare, cioè:
WANNIAM, ANGELDREAMER, FELICEMENTE IMPERFETTA,  xRIKAAKARYx, ROBPATTZLOVER,
LADY CATHERINE, ANGY EMPTINESS, DAN24, FLY 89, DAILANTHA, ZERO LUOISE, JULIA PHANTOMHIVE.
 
 
Un ringraziamento speciale va alla cara Vanessa che mi ha aiutata a scovare gli errorini, a Nora che è stata la prima a leggere questo cap, e a dirmi : - pubblica che va bene su ! ù.ù, e a Fly89, che è stata gentilissima e disponibilissima.
Ringrazio di cuore anche la mia sorellona Viviana e le altre sorelline che mi appoggiano e mi sostengono con sincerità e amicizia.
VI ADOROOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!
 
E adesso, come promesso, realizzerò il desiderio della lettrice DEILANTHA, infatti lei e Sheid …
 
PS: SCRITTO IN TERZA PERSONA DALLA SOTTOSCRITTA.
 

 

- Per favore potresti toglierti la camicia? - glielo aveva chiesto in modo cortese, e con la voce sommessa e imbarazzata. Lui creava disagio, col suo sguardo di vetro che riesce a trapassarti l'anima senza problemi.
Si tolse lentamente l'indumento, sbottonandolo con le dita lunghe ed eleganti.
- Ti ringrazio - sorrise lei. Viviana era il genere di persona con cui riesci a parlare con tranquillità e senza inibizioni, sicuro che nel suo sguardo non ci sarebbe mai stato nessun giudizio.
Il mondo che la circondava sembrava essere magico e senza ombre oscure ai suoi occhi, lei riusciva ad andare avanti col sorriso, qualsiasi cosa potesse accadere.
Lui lo sapeva, ed era per questo che aveva accettato di incontrarla, era per questo che voleva realizzare il suo desiderio.
"qual è il tuo sogno, Sheid?" gli aveva chiesto un giorno.
"essere libero dalla vendetta" aveva risposto lui, guardando il cielo grigio, che lasciava cadere la pioggia come lacrime dolorose. I suoi occhi irradiavano l'argento di quel cielo, intrappolandolo e rendendolo prezioso.
Come erano limpidi i suoi occhi, aveva pensato lei, sentendo il cuore stringersi per l'ammirazione.
- se lo vuoi veramente, ti basta seguire il tuo cuore - rispose lei, andandogli vicino, e vedendosi riflessa nei finestroni enormi di casa sua, accanto a lui, le balenò in testa un desiderio.
"tu invece cosa desideri, Viviana?" la voce suadente, lo sguardo elettrico.
"ti prego, posa per me" aveva risposto lei, e lui non aveva potuto rifiutare, d'altronde lei, aveva curato la sua ala ferita.
Le sue cure erano state miracolose, ma soprattutto lei era rimasta affascinata dalle piume di quelle ali magiche, perchè sembravano avere vita propria, e sembravano brillare come stelle.
E adesso si trovavano lì, insieme, lei seduta al posto della pittrice che studia il suo modello, e lui mezzo nudo, a guardare fuori dalla finestra come quel giorno di pioggia, immobile,placido,calmo.
Era in quei momenti di tranquillità che dimenticava le sofferenze e i problemi.
Viviana era sua amica, e non lo avrebbe mai tradito. Mai.
Lei prese il carboncino, e cominciò a delineare i lineamenti di quel viso serafico e idilliaco.
Gli zigomi filiformi, le guance smunte ma eleganti, il naso perfetto e proporzionato.
Poi gli occhi, di quel viola che fa sognare, le ciglia lunghe, lo sguardo assente.
le labbra.

Poi il petto, così bello, luminoso, ...

Lei sorrise di cuore come non mai.
E lui seppe di averla fatta felice.

 

Ecco qua! Spero che ti sia piaciuto cara!
 
La prossima volta toccherà alla mia amica Vane.

 
 
SPOILER: Vecchi amici ritrovati, vecchi ricordi, un rimpianto.
Poi un incubo odioso che fa serpeggiare nel cuore la paura che la realtà possa essere crudele e spietata.
 

 
Bene bellissime, ci sentiamo presto … mi raccomando recensiteeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!
 
Un bacino dalla vostra …
 
Fiorellina
 
<3

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


SHEID:
 
 
Lasciai che il mio corpo si librasse tra le nuvole di quella scura notte.
Forse stavo scappando, forse no.
Sentivo l’aria scivolare sul mio corpo, il corpo dell’angelo che era in me.
Il mio spirito sembrava essere assopito, come se avesse lasciato il posto al pilota automatico.
Non ero io quella persona.
 
I miei sensi al contrario erano alterati come non mai, o meglio come ogni volta che mi nutrivo della Sacra Sostanza di Nutrimento.
 
Non mi era mai capitato di nutrirmi in quello stato.
Di solito ero cosciente e il mio corpo nel complesso stava bene.
Stavolta era stato diverso, e così la parte più forte di me, quella dell’assassino di demoni, era venuta fuori più facilmente.
 
Inoltre, di solito avevo l’ausilio della luna, invece, quella notte era priva di luce.
Sentivo il vuoto che mi provocava l’assenza di quel tepore, sentivo la non naturalità nella presenza di quelle ali.
Io non potevo trasformarmi senza luna, io ero mezzo umano.
Come era potuto succedere?
C’entrava forse il Nutrimento?
 
Scrollai le spalle con un gemito.
La testa mi scoppiava perché quei pensieri mi rimbombavano nella mente.
Volavo nel cielo scuro senza meta.
Sbattei le ali velocemente e quasi con rabbia raggiunsi il cielo più scuro, il punto più alto.
Poi mi fermai e guardai il mondo sottostante.
 
Era minuscolo, luminoso e lontano.
Mi sentivo il padrone del mondo lassù e l’aria fredda mi aiutò a riprendere coscienza di me stesso.
“Seira, perdonami” pensai.
Avevo passato il limite stavolta.
Chissà se mi avrebbe mai perdonato, chissà se mi avrebbe sorriso ancora.
Forse no.
 
Quella notte sapeva di inquietudine, di attesa, e di magia.
Nonostante non fossi esattamente in me, avevo sentito sentimenti e sensazioni potentissime mentre ero vicino alla principessa.
La sua pelle rosea e delicata, i suoi fremiti di meraviglia e stupore …
Ma io mi ero permesso di …
Scrollai nuovamente le spalle.
“Che idiota!” mi rimproverai. Non  mi importavano le sensazioni che provavo, non dovevano importarmi.
Non perché fosse proibito, ma perché per lei ero solo uno scudo.
Avrei accettato di esserlo anche se lei non avesse sempre sorriso, anche se lei non fosse stata così umanamente debole e indifesa, lo avrei accettato anche se lei mi avesse guardato con disprezzo.
Lei per me, dovevo ammetterlo, era qualcosa di più.
Ed io avevo approfittato del suo animo fragile e gentile.
Lei non lo voleva, ed io non avrei mai più permesso a me stesso di passare il limite, di perdere il controllo.
 
 Il mio petto sembrò avvampare per un momento.
Ormai ne ero certo: quel dolore era causato dal frantumarsi della mia barriera.
Dovevo fare qualcosa, o quel dolore mi avrebbe indebolito e reso vulnerabile prima del tempo.
Cercai di togliermi dalla testa gli avvenimenti di quella notte, e volai deciso e veloce, verso est.
Dovevo incontrare un vecchio amico.
 
                                     ***************
 

SEIRA:
 
 
Mi risvegliai nel mio letto, mentre la luce fioca dell’alba colorava pallidamente le pareti della mia camera.
Guardando quelle tonalità turchesi e troppo concrete e umane, la tristezza mi assalì.
Nella mia mente si proiettavano infinite volte quelle immagini di paradiso, di bellezza eterna e di splendore.
“Sheid!” avevo uno strano presentimento, come se qualcosa mancasse, e avessi paura di scoprirne l’assenza.
Mi alzai di scatto, e ignorai il forte capogiro che mi colse, arrancando fino alla sua camera.
Mi fiondai dentro senza preoccuparmi di bussare, non mi importava di trovarlo mezzo nudo, volevo solo vederlo e assicurarmi che non fosse stato un sogno.
Volevo vederlo, solo questo.
 
La camera era vuota, ordinata, fredda come i suoi occhi quando fissavano un demone.
Lui non c’era.
Allora corsi di sotto, facendo gli scalini due alla volta.
-         Buongiorno signorina! Come si sente? – sorrise Erik, che si era affacciato dalle arcate che davano sulla cucina.
-         ‘Giorno Erik … sto bene, grazie … lui dov’è? - chiesi con fretta, e la mia voce sembrò quasi isterica.
-         È via – rispose calmo l’uomo, facendomi capire che non era affatto preoccupato.
-         Via? Perché? Dove è andato? Quando torna? ... - mi scoppiava la testa, era forse stato il mio rifiuto a … ?
-         Si calmi signorina! Non è la prima volta che vola via dopo il nutrimento. Non c’è da preoccuparsi, tornerà entro questo pomeriggio ne sono certo. Forse anche prima – sorrise il maggiordomo.
Annuii nervosa, celando il bruciante fastidio e la forte ansia che mi aveva dato quella notizia.
E se invece era colpa mia?
“Sheid!” pensai preoccupata “Dove sei?”.
 
                                                                  ******
 
Cercai di tenermi impegnata, cercai di non pensarci.
Se era davvero colpa mia, allora cosa dovevo fare?
Se l’avevo fatto soffrire, se gli facevo fatto bruciare il petto tanto da star male, se l’avevo fatto fuggire via, come dovevo comportarmi ora?
Decisi di andare a scuola, così almeno avrei tenuto la mente occupata.
Mi vestii meccanicamente e poi feci la strada di corsa.
Non ricordavo neanche quanti giorni fossi stata lontana dal liceo Morrison, ma tornare lì, fu quasi come svegliarsi da un sogno e tornare ad essere l’attrice della vita reale.
Mati era seduta al solito posto e quando mi vide arrivare …
-         Seiraaaaaaaa! – mi gettò le braccia al collo e mi schioccò un bacio affettuoso sulla guancia sinistra.
-         Buongiorno – sorrisi falsamente, senza Sheid era più facile fingere.
-         Ti ho inviato ben quindici messaggi, e sono anche venuta sotto casa tua, ma non c’era nessuno! … Dove sei stata? Mi sono preoccupata sai! – mi rimproverò.

Nell’ultimo periodo ero stata fuori dal mondo, ero stata nell’unico universo che mi interessava, quello in cui io e il mio angelo protettore rischiavamo la vita, quello che era fatto di dolore e proibizioni, quello che era fatto di magia e bellezza.
Recuperai il cellulare dalla cartella.
Era stato sepolto sotto i libri per giorni, e il fatto che avevo preso le mie cose di fretta la mattina dopo il “cambio casa”, mi aveva totalmente fatto dimenticare il cellulare.
Come aveva detto Mati, c’erano quindici messaggi, e due chiamate perse dei miei genitori.
-         Scusa! – dissi dispiaciuta. L’avevo fatta preoccupare.
-         Seira … - disse con voce triste ma seria – c’è … c’è qualcosa che non va? Hai dei problemi? Io … non voglio intromettermi in cose che non mi riguardano ma … se … se hai bisogno di me, io … ci sono. Noi siamo amiche no? – asserì, pronunciando ogni parola con dolcezza e fermezza allo stesso tempo. Mi si strinse il cuore.
-         Lo siamo – annuii sorridendo – grazie! – dissi abbracciandola. La mia povera Mati. Non potevo dirle nulla però, dovevo mantenere la mia promessa.
 
                                                    ***********************
 
-         Sai in questi giorni è mancato anche Winter, ne sai qualcosa? – disse mentre addentava la sua pizza. Eravamo alla mensa e la giornata scolastica era appena finita: riunione di fine corso, e cernita delle attività estive.
-         No. Non ne so nulla – risposi sorseggiando la mia limonata e recitando alla perfezione.
-         E non ti interesserebbe sapere dov’è? – chiese sgranando gli occhi.
-         Mati, seriamente, Winter non mi interessa – risposi, mentendo spudoratamente.
-         Non sei umana Seira! A chi non interesserebbe! – disse avvampando.
-         A me! – sbottai imbronciata – Il fatto che sia bellissimo non è un buon motivo per farmelo piacere!
-         Uffa! E pensare che sareste così carini insieme! – disse addolcendosi.
-         Già – dissi mesta – peccato che sia impossibile, non potrà mai succedere – sussurrai quasi. Lui non poteva amarmi, altrimenti sarebbe stato punito da Luna, la regina dell’astro della sera.
-         Non è detto! Non sai che cosa ti attende, non puoi prevedere che cosa ha in serbo per te il destino – asserì convinta e ammiccante.
Io sorrisi.
“Magari fosse così semplice”.
 
-         Scusa, adesso devo proprio andare … Ma … Matteo mi sta aspettando – disse ad un tratto elettrizzata.
-         Giusto! – sobbalzai – Poi devi raccontarmi tutto ok? – dissi sorridendo, ero contenta che avesse trovato qualcuno da amare.
-         Promesso! … Fammi gli auguri – pigolò incrociando le dita. Corse via con la faccia rossa e lo sguardo luminoso. Quanto era carina quando era nervosa.
In quel momento sperai che Matteo la corrispondesse in tutto, perché Matilde era una persona fragile, delicata e speciale. Doveva avere cura, doveva essere per lei come un angelo protettore.
 
Sospirai.
Chissà dov’era il mio, chissà se stava bene, chissà se rivedendolo avrei provato il desiderio di nascondermi sottoterra.
“Sheid!”.
 
Presi la via del parco, volevo andare sotto il mio albero preferito, quella quercia che aveva cullato entrambi il giorno dell’assemblea.
Volevo liberare la mente, volevo ricordare quel giorno particolare.
“ – Io non permetterò mai a me stesso di guardarti con freddezza -“  aveva detto così quel giorno, e poi mi aveva aperto per la prima volta il suo animo.
Accelerai il passo, volevo arrivare il più in fretta possibile ma …
-         Ciao Seira! Dove vai di bello? – Alexis, Giorgia e Irene mi si piazzarono davanti all’improvviso. Persa com’ero nei miei pensieri, mi ero distratta e non mi ero accorta della loro presenza.
-         Ciao! – dissi guardinga. Che cosa volevano?
-         In questi giorni sei mancata, dopo l’assemblea non ti abbiamo più vista … va tutto bene? – disse con falsa premurosità.
-         Si grazie – asserii.
-         Sappiamo che è mancato anche Sheid Winter … tu ne sai qualcosa? – domandò Giorgia prendendo la parola. Poi si avvicinarono tutt’e tre di qualche passo, con sguardo minaccioso.
Adesso dovevo preoccuparmi anche di queste tre vipere?
-         No, non ne so nulla, io sono stata poco bene – spiegai, sperando che mi lasciassero in pace.
-         Bugiarda! – mi aggredì Irene con foga, io trasalii e indietreggiai.
-         Vi hanno visti tornare insieme a casa – disse con voce annoiata e un pizzico di irritazione Alexis – non ti serve mentire, tu e lui …
-         State insieme? – asserì Irene, lanciandomi uno sguardo di sfida.
“Dobbiamo stare attenti anche agli umani” ripetei le parole di Sheid. Loro dovevano stare alla larga dalla verità.
-         Non so di che state parlando, io non ho niente da spartire con Sheid Winter – dissi fredda.
-         Ma davvero? – Alexis, lasciò la sua maschera distaccata e rivelò tutta la sua frustrazione, prendendomi per un braccio e spingendomi contro il tronco di uno degli alberi del parco.
-         Senti mostriciattolo – la voce era aggressiva e minacciosa, lo sguardo di fuoco – non farmi arrabbiare o sarà peggio per te! – disse tra i denti, sputando ogni sillaba – Devi stare alla larga da lui, il suo livello è troppo alto per una come te, lui deve stare con me – continuò, stringendo la presa sul mio braccio.
-         Lui non è un oggetto, non parlare di lui in questo modo – difesi il mio angelo protettore, difesi il ragazzo che si era sempre preso cura di me da lontano, e poi mi aveva salvato la vita.
-         Allora ti piace!? – le altre due si avvicinarono, e mi circondarono.
-         Rispondi! – mi incitò Alexis – Che cosa rappresenta Sheid Winter per te? – strinse ancora di più la presa, affondando le unghie nella mia carne. Gemetti per un attimo ma strinsi i denti, dovevo resistere.
-         Toglile le mani di dosso – una voce che trapassò la mia mente, una voce che avrei riconosciuto tra mille, una voce meravigliosa e vellutata, una voce fredda e distaccata.
Alexis obbedì, sgranando gli occhi e io abbassai lo sguardo immediatamente.
L’avevo intravisto, e ciò era servito a farmi capire che non avevo il coraggio di guardare di nuovo quel volto meraviglioso.
Inoltre stavolta la sua pelle era più luminosa del solito, e i suoi occhi più profondi.
-         Wi … Winter! Io stavo solo … - cercò di giustificarsi.
-         Sparisci! – asserì lui con voce metallica, minacciosa.
Le tre arpie scomparvero dietro l’angolo, ed io mi sentii sprofondare nella vergogna più totale. Cosa dovevo fare adesso.
Sentii i suoi passi felpati avvicinarsi a me. Alzai di poco lo sguardo, fino ad arrivare al suo petto, non potevo guardare oltre.
Come aveva fatto ad arrivare a scuola così in fretta? Era addirittura in divisa!
Rimanemmo in silenzio.
Ignorai i graffi che avevo sul braccio, stavolta sarebbero guariti da soli.
-         Grazie! – dissi timidamente. E poi corsi via da lui.
Avrei voluto annullare le distanze, avrei voluto abbracciarlo, ma lui non avevo detto nulla, non mi aveva fermata e forse era ancora offeso, forse vedendomi, aveva provato di nuovo dolore. Ma questo non seppi mai perché non avevo guardato il suo viso.
Stava crollando tutto? Ci saremmo di nuovo comportati come due sconosciuti?
Perché ero stata così stupida?
“NO!” mi rimproverai. Io dovevo proteggerlo.
Io non avrei mai permesso a me stessa di cedere.
Dovevo la mia vita a lui, e solo lo scorrere del tempo avrebbe risposto alle mie domande.
 
Corsi verso casa Winter, sicura che prima o poi, il momento dei chiarimenti sarebbe giunto.
 
                                                           ******
 

SHEID:
 
L’esercito lunare aveva una base segreta e protetta proprio dietro le montagne che costeggiavano la città.
Sulla terra.
L’ultimo anno di allenamento, l’avevo trascorso proprio lì, insieme al gruppo scelto di angeli che seguivano, fieri e fedeli, il mio maestro, che altri non era che il Comandante Supremo Gabriel Ghefren.
Era l’angelo di cui mi fidavo di più, perché per sei lunghi anni aveva vegliato su di me insieme alla regina.
Dopo l’apprendimento della magia, avevo imparato a combattere, ad attaccare, difendere, volare, inseguire, spiare, ingannare, immobilizzare, e infine ad uccidere l’avversario.
I demoni.
Atterrai al centro dello spiazzo, adibito a pista da atterraggio per angeli.
La cosa che mi colpì di primo acchito fu scoprire che non era cambiato nulla.
Poi qualcosa mi sorprese alle spalle.
O meglio, qualcuno.
-         Fermo, o sarò costretta a tagliarti la gola – disse con voce minacciosa, l’angelo alle mie spalle. La lama del suo pugnale d’argento era ben piantata sulla pelle del mio collo, e non mostrava nessuna indecisione o paura.
-         Ma che bella accoglienza, Maria – la salutai con un tono di distacco. In realtà ero divertito. Il suo intuito era sempre stato molto scarso. La sentii trasalire e poi mi si parò davanti con sguardo perso. Appena i suoi occhi incontrarono i miei, riconobbi quello sguardo da ebete che aveva di solito quando mi stava vicino.
-         She …  Sheid? – enunciò con uno sguardo perplesso e meravigliato.
-         Da quando un sergente dell’esercito lunare balbetta? – dissi provocandola. Finsi disinteresse nel vederla, ma lei mi conosceva bene.
-         Sheid! – esultò, e poi mi gettò le braccia al collo, affondando il suo mento appuntito nella mia spalla. Io non risposi all’abbraccio, ma lei continuò a stringermi.
-         Mm … sei il solito pezzo di ghiaccio, sei il solito freddo – sbuffò, ritirandosi e mettendo le mani sui fianchi – non cambi mai eh? … Profumi di nutrimento, l’hai fatto da poco?
-         E tu sei la solita ragazzina invadente che non fa altro che irritarmi di continuo – la provocai con un ghigno, ignorando completamente la sua domanda. Il mio lato da mostro era molto più ironico di me.
-         Ti trovo bene – disse con uno sguardo ammirato, la voce commossa e piena di nostalgia – ben tornato – asserì con voce pacata e cortese. Era felice di vedermi.
-         Già – sospirai.
-         Ho saputo che sei diventato l’ultimo protettore, come sta andando? – chiese con interesse e preoccupazione.
-         A quanto vedo sei informata! – accennai un mezzo sorriso.
-         La tua principessa deve essere un’umana interessante. Di’ un po’, si è già innamorata della tua bellezza? – chiese, poggiando la sua mano bianca sul mio petto nudo.
-         Perché ti ostini a pensarlo? Sai, non sei molto diversa dalle femmine umane! – dichiarai, in fondo anche loro erano attratte da me per il mio aspetto. Non riuscivo proprio a capire come mai fossero così attratte dal mio corpo. Spesso mi sentivo solo un involucro a causa di ciò. Anche Seira era affascinata dal mio aspetto, ma sentivo che si era legata a me con l’anima, e quel legame importante andava oltre la mia immagine. L’avevo capito studiando il suo cuore e i suoi comportamenti.
Lei era diversa.
Maria rise sommessamente, e poi si allontanò.
-         Sei diventato più alto – notò con meraviglia.
-         Anche tu, Maria – lei era diventata una donna ormai. Un bellissimo angelo. Lei era come una sorella per me, e spesso capivo bene che lei voleva qualcosa di più, che non potevo darle.
I suoi capelli lunghi di colore castano scuro, gli occhi verdi, la pelle scura.
Aveva il corpo di una guerriera. Letale, ammaliante e luminosa come una stella.
-         Sei venuto per incontrare mio nonno, vero? – disse con un pizzico di tristezza.
-         Puoi condurmi da lui? È abbastanza urgente – asserii con serietà.
-         Si tratta della tua umana? – chiese curiosa.
-         In parte sì – risposi. Lei prese il volo, ed io la seguii senza proferire parola.
Atterrammo, nella boscaglia e dopo un breve sentiero, arrivammo alla base.
-         Maria Ghefren – si presentò Maria alla guardia che si trovava davanti all’accesso protetto da una barriera magica. La guardia annuì.
-         E lui? – chiese poi.
-         È un amico, sta’ tranquillo – rispose Maria, facendomi l’occhiolino. Quando passai di fianco all’angelo che stava di guardia, mi accorsi della sorpresa che provò nel vedermi, e capii che aveva intuito chi fossi. Chinò il capo con estremo rispetto ed io annuii per tranquillizzarlo.
Entrammo nella dimora del Comandante Gabriel, e Maria mi condusse direttamente da lui.
La casa era abbastanza moderna, ma l’arredamento lasciava molto a desiderare.
In fondo era una base militare.
-         È in questa stanza, Sheid – Maria mi mostrò la porta. Annuii, e poi andai verso l’entrata.
-         Sheid!? – mi chiamò Maria – Vieni a trovarmi ancora ok? – sorrise. Poi scomparve nell’ombra di quel corridoio buio.
 
-         Guarda un po’, il mio stupido allievo è venuto a farmi visita! – seduto su una poltrona scarlatta, con le ali perfettamente piegate e adagiate sullo schienale particolare.
I capelli biondissimi intrecciati disordinatamente, il pizzetto perfetto, gli occhi verdi e profondi quanto un passato immemore e lontano.
Per certi versi, Pierre, l’angelo mutaforma, somigliava molto a suo zio.
Il tono del mio maestro fu ironico, felice e divertito.
Il suo sguardo fu caldo e accogliente, ma fiero.
-         Maestro – assaporai quel nome, una parola che non pronunciavo da tanto tempo ormai.
“Ricordati chi sei, ricordati chi è il nemico, e ricordati per cosa combatti. Se hai questi pensieri nella mente non perderai” questo era stato uno dei suoi primi insegnamenti.
Avevo passato settimane intere a letto, sfinito dalle angherie che Luna mi aveva riservato, e poi avevo ricominciato a vivere.
Grazie a quell’angelo immortale e saggio, avevo imparato ad essere forte nello spirito.
Lui mi aveva insegnato tutto.
-         Hai intenzione di rimanere sulla porta ancora per molto … o vieni a salutarmi come si deve? – mi sfidò con un sorriso stampato sulle labbra carnose.
Io mi avvicinai andandogli incontro. Lui si alzò in tutta la sua altezza, e guardandomi benevolmente, mi mise una mano sulla spalla.
-         Sembri un uomo ormai, adesso che ti guardo bene, sei ben lontano dal ragazzino disperato e stupido che eri un tempo. Adesso sembri proprio un principe degli angeli – si complimentò stuzzicandomi.
-         Non ero stupido, solo determinato – risposi seccato – e poi io non sono …
-         Certo che lo sei. Che tu lo voglia o no – asserì austero – e quando un giorno Luna non sarà più in grado di governare, quando lei avrà bisogno di te, tu non potrai sottrarti al tuo dovere. Ti ho insegnato ad affrontare i problemi Sheid, non ad aggirarli per stupidi sentimenti di rancore – mi rimproverò. Mi ribollì il sangue, ma inghiottii il groppo che avevo in gola.
-         Maestro, non sono venuto a parlare di questo – lo informai serio.
-         L’avevo immaginato, perciò tu e la principessa vi siete avvicinati eh? È stata lei o … sei stato tu? Ti ascolto, parla – mi invitò. Non mi stupii del fatto che sapesse già tutto.
-         Non è questo il punto. Quando sono con lei, quando lei è accanto a me, sento il petto e il cuore in fiamme. È come se …
-         Luna ha sigillato i tuoi sentimenti umani. Lo sai, il dolore è dovuto al fatto che il tuo cuore umano si sta risvegliando – spiegò lui.
-         Lo so, ma come posso fare? Se questo problema continuerà a persistere, diventerò vulnerabile – dissi tra i denti.
-         Devi semplicemente scegliere – asserì con voce monocorde. Il mio sguardo interrogativo lo spinse a continuare.
-         Se vuoi che il dolore scompaia, non devi fare altro che allontanare dal tuo cuore la principessina, e considerarla soltanto come tua protetta – disse serio – se invece non riesci a vederla così, se non riesci a toglierti la sua immagine dal cuore, allora sarai costretto a soffrire, figliolo.
-         Ma … maestro …
-         Sta’ tranquillo, se scoprissi che si tratta di amore, non dovrai far altro che accoglierlo di buon grado nel tuo cuore. Se l’amore che provi per lei vale di più del dolore che provi, se questo sentimento può vincere la tua sofferenza, alla fine il laccio che costringe il tuo cuore in una morsa, si scioglierà con il calore dei sentimenti che provi per quell’umana.
-         Maestro …
-         Ma sta’ attento ai sentimenti umani, non distruggerli con la forza se non vuoi che loro distruggano te. Devi essere coerente con te stesso, ricordati che sei per metà umano, e non puoi reprimere l’umanità donatati da tua madre – asserì, ed io trasalii.
“Sheid, sei il mio piccolo tesoro, ti tengo dentro il mio cuore, e per sempre sarai il mio piccolo angelo” mi vennero in mente le parole che mi diceva mia madre. Rimbombarono nella mia mente, la sua voce soave e dolce fece tremare le pareti della mia anima.
Il mio petto si infuocò per un momento.
Lei era una cantante, e quelle erano le parole della ninnananna che aveva inventato per me. Me le cantava quando il dolore era al culmine, quando perdevo la cognizione del tempo e dello spazio, e quando mi sembrava di rimanere sospeso in un universo oscuro da cui non si faceva ritorno.
Io non potevo rinnegare mia madre.
Era l’unica luce di un passato oscuro e pieno di dolore, era l’unica cosa che non odiavo di me stesso.
-         Quindi, se io amassi profondamente Seira … presto il dolore svanirebbe? – chiesi per conferma.
-         No, ma si assopirebbe, e tu ti abitueresti a quel calore, senza troppi problemi – asserì, poi cambiò espressione – ma credi che Luna te lo permetterebbe? – la domanda era retorica.
-         Io non sono una marionetta da manovrare come vuole, io …
-         Non puoi ancora competere con lei, né con tuo padre – dichiarò severo – sei abbastanza forte da poter sconfiggere qualsiasi tipo di demone, ma non sei ancora in grado di affrontare Luna, e tu lo sai meglio di me.
-         Allora allenami ancora, allora insegnami a superare me stesso – dissi sprezzante e alzando la voce.
-         Non è ancora il momento …
-         E allora quando? – sbottai, poi sospirai. Conoscevo bene l’angelo che avevo davanti, e sapevo che era molto saggio – Ti prego. Maestro ti prego – mi inginocchiai davanti a lui – devo essere sicuro di riuscire a salvarla. Le ho promesso che l’avrei difesa, ma se è Luna la mia avversaria e insieme a lei la mia parte demoniaca, come … posso tenerla al sicuro anche da me stesso? – quasi sussurrai l’ultima frase. Chissà come stava adesso la mia principessa, chissà se aveva paura che l’avessi abbandonata.
Chissà se mi odiava.
-         Presto figliolo, presto – disse, e posò con delicatezza una della sue mani enormi sul mio capo.
Di solito non mi prestavo a quel genere di rapporto, ma sapevo che con lui dovevo e potevo. Nell’ultimo periodo di allenamento, eravamo diventati ottimi amici, di lui potevo fidarmi.
-         Su, adesso tirati su. Sei un principe, e non puoi permetterti debolezze. Farò finta di non averti mai visto cedere – disse accennando un sorriso.
Mi alzai, e passandomi una mano tra i capelli sospirai, riprendendo il controllo.
-         La prossima volta che ci vedremo, ti insegnerò a superare i tuoi limiti, è una promessa – disse benevolo, circondandomi con quello sguardo antico e saggio.
-         Ti sono molto grato, maestro – mi inchinai davanti a lui, in segno di rispetto, e poi andai verso la porta.
-         Sheid!? – mi chiamò, prima che potessi sparire dietro l’angolo. Io mi voltai – Credo fermamente che quel laccio si scioglierà, e dal tuo cuore scaturirà una luce idilliaca, simile a quella del Sacro Nutrimento – enunciò con voce serafica e benevola.
Io accennai un mezzo sorriso e poi volai via, lasciando i miei vecchi amici alle spalle, insieme a vecchi ricordi.
 
                                             ************
 
Era l’alba.
Ormai mancava poco all’atterraggio.
Arrivai a casa appena in tempo, e quando atterrai sulla terrazza della mia camera, appena posai i piedi sulle mattonelle del pavimento, le ali svanirono, alimentando in me, le sensazioni che avevo provato prima del nutrimento e della trasformazione.
Per fortuna durò solo un attimo.
Entrai nella camera e venni sorpreso dal fatto che percepii il suo odore dolce e delicato.
Lei era stata qui, anche se per poco.
-         Seira … - sussurrai. Mi fiondai nella sua camera che era rimasta aperta, ma lei non c’era.
Il sentimento di delusione che mi colse fu disarmante.
Forse anche lei aveva provato la stessa cosa.
E se fosse venuta qui per dirmi che era delusa e che mi odiava?
Scrollai le spalle e mi vestii in fretta.
Lei era a scuola.
 
Scesi le scale, dopo essere passato dal bagno per darmi una rinfrescata, e poi andai a salutare Erik.
-         Buongiorno padrone, si sente meglio? – domandò sorridendo.
-         Si, ti ringrazio Erik. Lei …
-         È uscita di corsa, la stava cercando comunque – mi informò – colazione? – chiese poi.
-         No, devo andare, sono in ritardo – mi volsi, ma lui mi bloccò.
-         Padron Sheid … cerchi di tranquillizzarla, mi sembrava molto turbata.
-         Lo so, grazie Erik – dissi correndo via.
Purtroppo arrivai in ritardo, e non feci in tempo ad incontrarla.
“Seira …” pensai, mentre ascoltavo distrattamente la riunione di classe.
 
La giornata trascorse molto lentamente, e la campanella suonò.
Mi fiondai fuori, e mi diressi velocemente verso il parco.
Lei era lì.
 
La sentivo stranamente impaurita e in soggezione, così cercai di muovermi.
 
-         … non ho niente da spartire con Sheid Winter – le sentii dire con voce fredda.
-         Ma davvero? – le aveva risposto la leader di un trio di galline. Mi ricordarono vagamente qualcuno, ma lasciai perdere. Rimasi ad ascoltare la conversazione da dietro l’angolo, facendo attenzione a non farmi scoprire. Di cosa stavano parlando?
-         Senti mostriciattolo, non farmi arrabbiare o sarà peggio per te!  Devi stare alla larga da lui, il suo livello è troppo alto per una come te, lui deve stare con me – continuò quella specie di strega, e capii allora che parlavano … di me
-         Lui non è un oggetto, non parlare di lui in questo modo – mi difese Seira, e prima che potessi intervenire, il petto si mise a bruciare, lasciandomi senza fiato per qualche minuto, lasciandomi per quel breve lasso di tempo, senza forze.
-         Allora ti piace!? – domandarono con la voce intrisa di sudicia invidia.
-         Rispondi! – la incitò una di loro – Che cosa rappresenta Sheid Winter per te? – trasalii a quella domanda, ma scattai soprattutto quando sentii un gemito di dolore.
Le avevano fatto del male, e questo mi diede l’opportunità di ignorare facilmente il mio cuore bruciante, e di andare a fare il mio dovere.
-         Toglile le mani di dosso – incenerii con lo sguardo quelle ragazze, e poi lanciai un’occhiata fulminea verso Seira. Lei aveva abbassato i suoi occhi sull’erba verde del prato, e si stringeva il braccio, portandoselo al petto.
Era ferita.
-         Wi … Winter! Io stavo solo … - cercò di giustificarsi la più alta delle tre.
-         Sparisci! – asserii. Non avevo voglia di sentire le loro ragioni. Un minuto di più e avrei anche potuto violare le regole del bon ton: avrei fatto del male a una donna.
Mi avvicinai a Seira, con cautela.
Il suo sguardo rimaneva basso, e i suoi occhi erano sempre troppo bassi. I suoi occhi non incontrarono i miei.
Rimanemmo in silenzio.
Cosa dovevo dirle? Ricordai con confusione e rammarico gli avvenimenti della scorsa notte.
Quel calore leggero che mi riscaldava senza bruciarmi, quell’emozione nel sentirla vicina …
-         Grazie! – disse timidamente. E poi corse via da me.
Nel suo cuore rammarico, rabbia e decisione.
Dolore.
Era colpa mia se non riusciva più a guardarmi negli occhi.
E forse era colpa mia se adesso il cuore mi faceva male in modo diverso.
Il mio cuore adesso sembrava vuoto.
Forse dovevo raccontarle tutto, forse dovevo farle conoscere il mio passato.
Era il momento.
 
 
                                       **************
 
 
 
 
SEIRA:
 
 
Quella notte sognai.

Eravamo in un luogo ombroso e freddo, un luogo senza luce.
Io e Sheid.
C’erano tantissimi demoni, ma lui non batteva ciglio e mi conduceva attraverso lunghi corridoi bui e sconosciuti, tenendomi per mano e facendomi scudo col suo corpo.
Poi, trovandoci di fronte una grande stanza, ci fermammo.
Lui lasciò la mia mano, e si posizionò al centro di essa.
All’improvviso centinaia di demoni gli saltarono addosso, attaccandolo da ogni direzione, e sferrando i loro attacchi senza tregua.
Sheid fu sommerso dalle ombre, e nel trambusto distinguevo perfettamente i suoi lamenti.
Lacrime incessanti, mi scendevano giù per le guance.
Non potevo muovermi, né aiutarlo, né urlare.
La voce era sparita insieme a Sheid.
Poi, le ombre si dissolsero, e apparve di nuovo il mio angelo.
In una pozza di sangue, col viso sofferente e il corpo ferito, Sheid mi guardava e dolcemente faceva baciare le sue labbra in un “Addio”.
 
-         NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO! – mi svegliai di soprassalto, distinguendo perfettamente le mie urla disumane. Poi il dolore profondo, letale, atroce.
-         SEIRA! – sopraggiunse Sheid, aprendo con foga la porta della mia  camera e fiondandosi dentro, raggiungendo con poche falcate il mio letto. Aveva il viso teso e preoccupatissimo.
Gli occhi spaventati ma attenti.
Posò lo sguardo su di me, e i suoi occhi divennero più tranquilli, ma anche più tristi.
Quell’immenso dolore, quell’angoscia si impadronirono di me.
Volevo scacciarle via, volevo lasciarmi alle spalle quell’incubo orrendo, volevo raccattare i pezzi del mio cuore e rimetterli insieme.
Mi fiondai tra le sue braccia, aggrappandomi con tutte le mie forze alla sua felpa nera.
Volevo fare mio il suo profumo, volevo assicurarmi che fosse con me, sano e salvo.
Posai la testa sul suo petto, mosso freneticamente da respiri agitati.
-         Seira … - sussurrò per rassicurarmi. Lo vidi circondarmi con le braccia, ma esitò prima di toccarmi, prima di stringermi.
-         Sheid … - lo pregai tra i singhiozzi. Il petto mi faceva male ad ogni respiro, le immagini di quel doloroso incubo mi facevano girare la testa.
Avevo bisogno di lui.
Allora, mi strinse a sé.
Posò una mano all’altezza del mio orecchio, e l’altro braccio mi circondò con dolcezza le spalle.
Sentivo il suo respiro sulla mia guancia, sentivo il suo odore sublime, sentivo il battito del suo cuore.
Non era di ghiaccio, batteva come quello di qualsiasi altro essere umano.
Un umano può amare un angelo.
Strinsi gli occhi, cercando di fermare le lacrime.
Insieme alla paura e al dolore, c’era anche la rabbia adesso, la rabbia per un destino tanto crudele.
Nel buio della mia stanza distinguevo perfettamente i miei singhiozzi sempre più disperati, sempre più profondi e dolorosi.
Vederlo ferito, morente, sentire che avrei potuto perderlo in questo modo orribile, mi fece sprofondare in un baratro senza ritorno, e mi sembrò di essere sospesa in un universo oscuro e senza uscita.
-         Seira … era soltanto un sogno! – cercò di tranquillizzarmi Sheid. Mi prese di peso, e mi spostò al centro del letto, in modo da potersi sedere accanto a me, e così stringermi più forte.
-         Non era vero niente di quello che hai visto. Seira … ti prego, smettila di piangere! – disse sommessamente, con voce triste.
-         Oh Sheid! – singhiozzai. Tra le sue braccia il tempo sembrava fermarsi, sembrava di essere in un sogno, non un incubo, un bellissimo e fragile sogno.
-         Sono qui. Sta’ tranquilla non ti lascio sola, sono qui – affermò con decisione. La sua voce era profonda, calma.
Restammo stretti per minuti, e anche se molto lentamente, cominciai a tranquillizzarmi, cullata dal suo dolce profumo e dal tepore del suo corpo bellissimo e perfetto.
-         Va meglio? – chiese con un tono pacato quando vide che ero più lucida e calma.
Io annuii, incapace di controllare la mia voce.
Lui non sciolse l’abbraccio, ed io rimasi accoccolata a lui, incapace di muovere un solo muscolo.
-         Parlami dell’incubo, magari ti aiuta – provò a farmi parlare. Io feci di no con la testa, ma lui non si arrese.
-         Hai sognato un demone? – chiese serio, era quasi sicuro della risposta.
Io non risposi, cercando di scacciare via quelle immagini infernali e dolorose.
-         Hai sognato … me? – trasalii, e lui se ne accorse. Il suo viso pallido e accartocciato in una smorfia di dolore, il sangue, era tutto così reale, così …
-         Beh, adesso capisco perché hai fatto un incubo! – disse con un tono divertito e ironico.
Alzai il viso e lo guardai finalmente negli occhi, quegli occhi che mi erano mancati tanto.
Quando vide il mio sguardo, quelle ametiste furono trapassate da un lampo.
-         Seira … che cosa hai sognato? – chiese, prendendomi per le spalle, guardandomi con profondità e preoccupazione. Le lacrime scesero nuovamente, ma dovevo dirglielo.
-         Stavi … stavi morendo! – dissi con la voce spezzata dal pianto. Strinsi la stoffa della sua felpa tra le mie mani, finché le nocche non divennero bianche.
-         Seira … tra di noi c’è una promessa, e io non morirò perché altrimenti l’infrangerei e diventerei un bugiardo – disse serio.
-         Ma quei demoni erano troppi, e tu … eri da solo – sospirai. Come poteva proteggermi da tanti demoni da solo? Era come se quell’incubo mi avesse aperto gli occhi.
Lui portò una mano vicino al mio viso, per asciugarmi le lacrime, ma poi la ritrasse di qualche centimetro.
Ricordai il momento in cui mi aveva quasi baciata, e arrossii violentemente, forse lui aveva pensato la stessa cosa.
Presi la sua mano tra le mie. La stanza era buia, ma la sua pelle brillava, ricordando il chiarore di quei cristalli magici che avevano sanato il suo corpo la notte prima.
Le dita lunghe, le unghie rosee e perfette, il dorso levigato.
La posai sulla mia guancia bagnata, e lo sentii irrigidirsi.
Forse stavo sbagliando tutto, forse stavo tradendo il mio tentativo di proteggere il suo cuore dal fuoco che gli provocavo.
Ma forse ero troppo fragile per proteggerlo, e ciò mi rese davvero delusa da me stessa.
Se col tempo si fossero presentati sempre più demoni, tutti insieme, lui avrebbe resistito?
Perché doveva proteggermi da solo? Perché proteggermi era una punizione? Che cosa si nascondeva nel suo passato? Che cosa celava dietro lo splendore del suo sguardo imperscrutabile?
Altre domande, ancora e ancora.
Presi le distanze da lui, e mi nascosi sotto le coperte.
La testa sembrava scoppiare, mi sembrava di impazzire.
-         Perdonami – mi disse serio. Io non mi mossi, e continuai a rimanere sotto le coperte.
-         Seira, ti prego perdonami – ripeté lui. Poi mi scoprì con gentilezza e mi costrinse a guardarlo.
-         Sono consapevole di aver passato il limite, e ti chiedo scusa per quanto è successo ieri notte – asserì mortificato. I pensieri grandiosi e luminosi che avevano portato il mio cuore a mille e la mia mente in un'altra dimensione, mi fecero sentire un po’ meglio. Ma perché era lui a chiedermi scusa?
-         No! Sono io che … insomma, io … scusa, ecco vedi non … volevo fermarti, ehm … cioè, non volevo dire … insomma … oh … ecco, hai capito? – farfugliai nervosa e impacciata. Era una frase senza senso compiuto. Perché non ero riuscita a dirgli “volevo che continuassi!”?
-         Seira, tu non hai nessuna colpa. Sono stato io –asserì poi serio e convinto, avvicinò il suo viso a me, e protese la sua guancia sinistra verso di me – puniscimi, così saremo pari – propose, senza un’ombra di ironia.
-         Cosa? Dovrei schiaffeggiarti? – chiesi incredula.
-         Fallo, così mi sentirò meno in colpa – la voce distaccata, seria e rassegnata.
Chiuse gli occhi, e attese che arrivasse il colpo.
Da questo atteggiamento, riuscii a capire alcune cose.
La sua arrendevolezza, il fatto che si aspettasse una punizione per ogni suo sbaglio …
Forse, quelle cicatrici non erano tutte conseguenze di combattimenti.
Forse, alcuni di quei segni, erano la testimonianza indelebile di punizioni sadiche e crudeli.
“Basta!” la mia mente non poteva più elaborare domande, o sarebbe scoppiata presto.
Avvicinai la mia mano alla sua faccia, e vidi che i suoi lineamenti si tesero impercettibilmente.
Poi la posai con delicatezza sulla sua guancia vellutata e incantevole.
Spalancò gli occhi, e trasalì, come se lo schiaffo glielo avessi dato davvero.
Poi mi guardò con uno sguardo indagatore.
Quel contatto era così dolce, così inumanamente bello che mille emozioni mi travolsero in un turbine di sentimenti.
-         Seira … ? – sussurrò sorpreso.
-         Adesso siamo pari – affermai sorridendo – o quasi – aggiunsi con un filo di amarezza.
Il suo sguardo mi avvolse per un istante eterno, e mi sentii elettrizzata e attratta da quell’universo blu e viola.
Poi il suo viso si distese in un espressione più leggera.
-         Quasi? – domandò ironico.
-         Io non so ancora nulla  … di te – confessai triste. Rischiavo davvero l’esaurimento.
Abbassò la testa, celandomi la sua espressione.
Passarono pochi secondi, e poi mettendosi una mano nei capelli, mi guardò con occhi sinceri e bellissimi.
-         Domani è un giorno particolare per me – disse e nei suoi occhi, mi sembrò di veder passare ricordi immemori e tristi – domani risponderò a tutte le domande che vorrai. Ti dirò tutto ciò che vuoi sapere – affermò serio.
Da quanto tempo aspettavo che mi dicesse queste parole!
-         Sei sicuro? – ricordai i suoi freddi e addolorati.
-         Sì, e tu sei sicura di voler sapere tutto? – chiese a brucia pelo, lo sguardo ancora distaccato.
-         Sì – affermai. Qualsiasi cosa avesse stravolto il suo cuore, qualsiasi cosa lo avesse reso freddo, qualsiasi cosa avessi scoperto, ero certa che non sarebbe cambiato nulla per me.
Lui sarebbe rimasto per sempre, un pezzo importante di me.
-         Bene – annuì lui – ma sta’ attenta, potrei perdere di nuovo il controllo come quella volta con Pierre – mi avvisò mesto. Ricordai i suoi occhi di ghiaccio puro, che aveva cercato di celarmi, ma che ero riuscita a scorgere comunque.
-         Non ho paura di te – lo rassicurai – tu non mi faresti mai del male – sorrisi.
-         A volte la fiducia che hai in me mi lascia completamente disarmato – affermò inaspettatamente, e il suo sguardo divenne così umano!
-         Vorresti che non mi fidassi? Vorresti che avessi paura di te? – chiesi allora.
-         Sai già la risposta, vero principessa? – asserì accennando un mezzo sorriso.
Io annuii – non devi preoccuparti per domani, basterà che ti ricordi la promessa che mi hai fatto – gli ricordai. Lui annuì a sua volta.
 
-         Allora a domani – disse, alzandosi e andando verso la porta – e non aver paura degli incubi, sono solo  effimere immagini demoniache che vorrebbero ghermire i tuoi bei sogni per migliorare loro stessi. Basta ignorarli – disse piano con voce serafica. Io rimasi attonita a guardarlo e poi quando lo vidi sparire nel buio, un sorriso mi sfiorò le labbra.
A volte era più umano di quanto pensassi, e spesso emanava così tanto calore che stentavo a credere che fosse realmente di ghiaccio.
 
 
                                                               ***********
 
Aprii gli occhi.
Ormai era mattina, e dopo aver passato il resto della notte senza sogni, mi alzai, consapevole che era un giorno particolare.
Mi affacciai alla finestra.
C’era il sole, faceva caldo, ma c’era anche vento, e quindi era molto probabile che il tempo sarebbe cambiato molto tempestivamente.
Mi vestii in fretta e poi uscii dalla camera.
La sua porta era ancora chiusa, così, visto che era ancora molto presto, andai verso il bagno in punta di piedi.
Casa Winter era silenziosa, buia, e un tantino inquietante a volte.
Stentavo a credere che in passato fosse stata abitata da una famiglia.
Sheid aveva detto che era stata costruita da suo nonno, e che aveva molti anni.
Chissà se avrei scoperto davvero tutto quel giorno.
Una strana ansia mi opprimeva il petto, e ogni volta che pensavo alle domande da fare, ogni volta che pensavo che saremmo rimasti soli, io e lui, a parlare del suo passato, una fitta allo stomaco mi faceva girare la testa.
Sarei stata capace di impuntarmi e di scoprire ciò mi angustiava?
Uscii dal bagno intontita e scesi le scale.
La colazione era già pronta sul tavolo, ma di Erik non c’era traccia.
“Vado in centro a comprare delle cose, torno per pranzo”, c’era scritto su un bigliettino appoggiato in bella vista, alla brocca del latte.
Sospirai.
Povero Erik, faceva tutto da solo, ma era grande, e la stima che provavo per quell’uomo cresceva di giorno in giorno.
Era discreto, leale, educato, gentile, disponibile, dolce e amorevole con me.
E poi era lui che si prendeva cura del mio angelo.
 
Decisi di aspettare Sheid per fare colazione, così aspettai qualche minuto, finché non sentii i suoi passi frettolosi e felpati, scendere di corsa le scale.
 
-         ‘Giorno! – si affacciò dall’arcata, e poi entrò con disinvoltura. Arrossii come al solito.
I capelli corvini cadevano delicati e seducenti su quella fronte diafana.
Le ciglia lunghissime incorniciavano quelle pietre preziose e ammalianti, e il suo petto affascinante e modellato traspariva dalla sua camicia semiaperta. La camminata sicura e felina, elegante.
-         Buongiorno! – sorrisi, cercando di nascondere la mia ammirazione.
-         Erik? – chiese accartocciando i lineamenti del viso. Poi si sedette.
-         A fare spese, ha lasciato un biglietto dove dice che tornerà per pranzo – spiegai. Lui annuì.
-         Bene. Come ti senti? Hai l’aria stanca – si preoccupò.
-         Non preoccuparti. Dopo … poi … insomma, ho dormito tranquillamente dopo – farfugliai.
Lui che mi asciugava le lacrime, io che mi avvinghiavo a lui … beh, della notte precedente ricordavo con chiarezza il sogno e quella bruttissima sensazione di vuoto e dolore, ma i ricordi più imbarazzanti erano trasparenti come sogni.
Sospirai.
-         Menomale, allora forse riuscirai a non cacciarti nei guai oggi – asserì ironico, punzecchiandomi.
-         Beh, anche se succedesse, non credo che i guai umani siano gravi quanto incontrare un demone! – stetti al gioco. Lui mi guardò ammiccando.
-         Non ne sarei così sicuro – mi provocò. Poi sorseggiò il suo latte e io l’imitai.
-         Ti va di andare insieme? – chiese di punto in bianco. Nella mia mente si formò l’immagine di me e lui, che vicini quasi a sfiorarci, raggiungevamo la scuola. Poi tutti ci guardavano con ammirazione o sdegno …
-         Ma non dobbiamo essere prudenti? – chiesi rigida e timida.
-         Certo, ma nessuno ci vieta di arrivare fortuitamente insieme – sottolineò le ultime due parole – non aver paura di quelle tre civette, non si avvicineranno più a te.
-         Non ne sarei così sicura, Alexis era furiosa e … - lo vidi alzarsi e raggiungermi.
-         A proposito, fammi vedere il braccio – disse con una strana luce negli occhi.
-         Non è niente, è solo un graffio, stavolta guarirà da solo – asserii, ma lui non volle sentire ragioni.
-         Seira! – pronunciò il mio nome con severità, ed io con un sospiro rassegnato, tirai su le maniche dalla giacca. Effettivamente le impronte delle unghie di Alexis erano molto evidenti e rosse, ma non era così grave.
-         Ti ha stretto il braccio con forza? – disse mesto e con voce profonda – ti fa ancora male? – chiese premuroso.
-         No, sta’ tranquillo, come ti ho già detto, è solo un graffio – gli assicurai.
-         Si, certo – disse amareggiato. Poi posò due dita lunghe bianche su quei segni, e fece scaturire la magica e affascinante luce bianca. Abbagliò il suo viso illuminandolo, e sembrò più scintillante del solito. Merito del Nutrimento? – fatto! – disse poi.
-         Ti ringrazio, ma non dovevi sprecare la tua energia per questa sciocchezza – dissi grata.
-         Seira – mi guardò con occhi penetranti – prendermi cura di te non è una sciocchezza – disse, poi si alzò lentamente, e nel farlo, il suo viso fu vicinissimo al mio.
Un brivido mi percorse, leggero ed emozionante.
-         Ti aspetto fuori, fai con calma – disse tetro, e poi si dileguò velocemente.
Mi accorsi di aver accelerato i battiti del cuore.
Presi il ciondolo magico tra le mani e lo guardai.
Era così bello, scintillante e unico!
Un pensiero mi solcò la mente, ma lo scacciai via, correndo versò il portone.
Dovevamo andare a scuola ora.
 
Uscii e lo trovai in mezzo alla strada, intendo a guardare le nuvole rade e rosee.
Aveva lo sguardo perso e preoccupato, e forse sapevo cosa stava pensando.
Pensava alla possibilità di un nuovo attacco, pensava che presto le cose si sarebbero complicate e pensava a quello che mi aveva promesso ieri.
Gli andai al fianco, e poi gli sorrisi.
Non doveva preoccuparsi di niente, io ero sua … amica. In fondo sapevo bene che era il massimo che potessi aspettarmi, sapevo che anche lui era a conoscenza della verità.
Io dovevo aspirare solo a quello.
Lui si mosse e io gli andai dietro, felice di potergli stare accanto.
La sua figura alta e smilza mi era sembrata sempre, sin dal nostro primo incontro, un po’ solitaria e oscura, come se celasse un grande segreto o una grande disgrazia.
Il suo aspetto severo e spesso freddo mi aveva sempre affascinato e allontanato al tempo stesso, perché era qualcosa di così delicato, fragile, e bellissimo, che mi dava l’impressione che sarebbe potuto andare in pezzi, frantumandosi al mio tocco.
Ma poi era stato lui ad avere cura di me, quasi fossi io di cristallo, e ciò mi aveva fatto capire quanto in realtà fosse nobile e forte.
“Principe” lo aveva chiamato Pierre, l’angelo mutaforma che era il connubio perfetto fra il peccato e la luce della purezza, e in quel momento, mi sembrò di averlo sempre saputo.
Lui era nobile, in tutti i sensi, compresi il suo passato sicuramente difficile e i suoi modi eleganti e imprevedibili di prendersi cura di me.
Insieme a lui, non mi importava del giudizio degli altri.
Importava solo lui.
Solo lui.
-         Mi chiedo cosa tu stia pensando – disse piano, senza voltarsi indietro a guardarmi, senza fermarsi – sembri così commossa ed emozionata! Mi sono perso qualcosa?
-         Va tutto bene – risposi commossa – sono solo felice, tutto qui.
-         Mi fa piacere che tu sia felice, promettimi che non perderai mai il tuo sorriso – disse pacato. Sembrava che per lui fosse una cosa importante.
-         Te l’ho detto Sheid – assaporai il suo nome – io continuerò a sorridere, così un giorno forse sorriderai anche tu – ero imbarazzata ma volevo che lo sapesse. Doveva saperlo.
Lui trasalì, e poi nei suoi occhi apparve una luce strana che non seppi decifrare.
Appena arrivati a scuola, come ci aspettavamo, tutti si voltarono nella nostra direzione, a guardarci con sorpresa, ma in alcuni sguardi scorsi addirittura invidia e disprezzo.
Sospirai.
Anche Alexis e le altre ragazze del suo gruppetto avevano gli sguardi infuocati, ma vidi Sheid al mio fianco, lanciargli occhiate assassine, e presto le ragazze si dileguarono all’interno della scuola.
-         Non dovresti comportanti così, rischi di farti odiare dalle ragazze – gli dissi, e me ne pentii subito, d’altronde lui lo stava facendo per proteggere me.
-         Di solito non mi crea alcun problema farmi odiare da loro. Anzi, spesso mi semplifica il lavoro perché così non si avvicinano a me – rispose pratico e senza espressione lui.
-         Ma … - provai a ribattere, ma Matteo Severi ci venne incontro, interrompendomi.
-         Winter! … - Matteo salutò Sheid con un sorrisetto compiaciuto sulla faccia – sono secoli! – disse avvicinandosi a Sheid e dandogli una pacca sulla spalla. Sheid assunse la solita espressione seccata, ma non si scompose e lo salutò con un cenno del capo.
-         Matteo … hai visto Matilde? – chiesi maliziosa. Volevo stuzzicarlo e capire un po’ di più sulla loro storia. Lui abbassò il capo imbarazzato, e poi mi fece cenno di andare dentro.
-         Grazie – sorrisi, e incominciai ad incamminarmi verso l’interno della scuola. Prima di sparire però, guardai Sheid, facendogli capire che ci saremo visti dopo.
Lui annuì e io mi voltai andandomene.
Sapevo che quel pomeriggio sarebbe stato foriero di nuove consapevolezze e scoperte, ed io lo attendevo con il cuore colmo di speranza.
 
 
 



-------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE -------------------------------------
 
 
Salve a tuttiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Che bello ritrovarsi eh?
 
Già, il prossimo cap come avete già capito sarà rivelatore, soprattutto per la nostra Seira.
 
Cosa vi aspettate? Vorrei saperlo per favore, sapete, sono sempre curiosa di vedere che cosa immaginate che accada *_*
 
Bene, adesso è il momento del pezzo della mia amica Vanessa.
Credo che una scena simile a questa la metterò anche nella storia tra non molto quindi godetevi questo spoiler, perché non ne capiranno di simili. XD
 

PUNTO DI VISTA DELLA SCRITTRICE:
 
La luce che filtrava dalle tende scure dei finestroni, non era sufficiente a illuminare quella sala.
Si percepivano a malapena le sagome dei mobili accostati al muro, e il lieve candore che traspariva dai lenzuoli bianchi che ricoprivano  la maggior parte della mobilia.
Tutto era immobile, silenzioso e misterioso, e l’intera stanza sembrava essere sotto un incantesimo.
La ragazza si guardava intorno, provando vagamente ad immaginare quale uso ne avessero fatto i proprietari.
Quell’immensa sala trasudava da ogni angolo regalità, ampiezza e …
Una strana atmosfera piena di ricordo, come se un tempo fosse stata illuminata dalle luci sfolgoranti della felicità, della ricchezza, della regalità e dell’eleganza.
Un salone da ballo, un salone delle feste, un salone delle favole.
La ragazza fece cadere le braccia lungo i fianchi, e si sentì per un attimo un’ intrusa.
Lui forse l’avrebbe guardata con disprezzo, e non le avrebbe dato più fiducia se l’avesse trovata lì a curiosare.
Fece qualche passo indietro, poi si voltò per andarsene, ma qualcosa la fermò.
Infatti si schiantò contro il petto marmoreo e possente … di un ragazzo.
Lei sapeva bene chi fosse, l’aveva capito dal suo profumo tanto delicato e delizioso, nonostante il buio.
-         Sheid – squittì lei, spaventata e mortificata. Poi abbassò lo sguardo.
-         Adesso dovresti essere a danzare con i tuoi coetanei, con i tuoi amici. Invece, mia bella principessa, sei costretta a restare rinchiusa qui.
-         Mi dispiace io non volevo, è solo che … - si scusò lei, ma Sheid, le prese il viso tra le mani, e poi le sussurrò qualcosa all’orecchio.
-         Che ne dici se … per farmi perdonare, ti invitassi a ballare? – chiese sensuale.
Lei arrossì violentemente, e poi annuì impercettibilmente.
Allora lui accennò un live sorriso, nascosto dall’oscurità, e con uno schiocco delle dita e un po’ di energia lunare, accese le candele di quella sala, di un fuoco di ghiaccio, dalle tonalità azzurrine.
Tutto sembrò prendere vita, come se anche la polvere fosse stata destata da un sonno lungo secoli.
Poi, una dolce musica, come per magia, avvolse i due ragazzi, che presero a danzare lentamente e poi sempre più passionalmente.
Lei inchiodata negli occhi di lui, e lui che la stringeva in un dolce abbraccio.
Il ragazzo la guidò in giravolte meravigliose senza sforzo e con una grazia inaudita, e lei si sentì, per la prima volta, una vera principessa.
Quanto le faceva male sapere che il principe dei suoi sogni non poteva essere suo, ma mantenne dentro tutto quel dolore, e cercò di essere felice per un istante, un istante magico e unico, insieme al suo amato angelo.
-         Sei, un po’ goffa, ma per essere la prima volta hai un buon portamento, non sarà difficile insegnarti, credo che tu sia pronta.
-         Pronta per cosa? – disse lei, avvolta dalla seta bianca del suo abito elegante e delicato.
-         Lo vedrai disse lui – e sfoggiando le sue ali, la portò a danzare più in alto, dove nessun dolore poteva raggiungerli, perché erano insieme.
 

 
 
Ok, mi fermo qui perché ho spoilerato fin troppo ora stop!
XD e beh, naturalmente lo scriverò diversamente, ma il succo è quello.
Vi raccomando commentate, e fatemi sapere, ci tengo.
 
Ringrazio tutte voi con il cuore, sia coloro che mi sono vicine con le loro parole di amicizia e conforto, sia coloro che si sono assentate.
Siete sempre meravigliose ragazze.
 
Vorrei partecipare al concorso tenuto su efp, ma non ne sono sicura, voi che ne pensate?
 
Poi, a sì, sul mio profilo face book, ho pubblicato delle foto che riportano alcuni disegni fatti da me, raffiguranti i personaggi, e poi un’immagine digitale fatta dalla magnifica Viviana Monopoli.
Se volete vederle, ditemelo che vi accetto l’amicizia su fb ok?
 
Baciottoni enormi a tutte voi e … non mi abbandonateeeee.
 
Grazie.
 
Fiorellina <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
 
LUNA
 
I sotterranei del palazzo erano sempre stati freddi, e non rispecchiavano affatto ciò che si poteva vedere da fuori.
In un certo senso, ricordavano molto l’oscurità che celavo nel mio cuore, sepolto sotto luce, bellezza, potenza ed eternità.
Oscurità, freddezza, solitudine.
Spesso la condanna dei migliori è essere se stessi, visto che gli altri vedranno solo la tua perfezione, beandosene oppure tramando alle spalle.
Guardavo il viso serafico e il corpo possente ed etereo del mio prigioniero.
Guardarlo, guardare il suo corpo immobile, incosciente, indifeso come non l’avevo mai visto nella gabbia di ghiaccio in cui l’avevo intrappolato, mi fece provare soddisfazione, quasi gioia.
“Promettimi …” la sua voce la ricordavo ancora.
Nitida, suadente e paradisiaca, era come se avesse pronunciato quella parola lì davanti a me, in quel preciso istante.
-         Non hai voluto darmi ascolto – dissi consapevole che in un modo o nell’altro avrebbe sentito.
Lui era vivo.
Posai un dito sul ghiaccio freddo e indistruttibile, all’altezza del suo viso.
Quel viso così bello.
Quel viso che non poteva essere mio.
Non ancora.
 
Lasciai quella camera segreta, la camera dove erano custoditi segreti inconfessabili, dove risuonavano nella mia mente promesse false, parole foriere di dolore e ricordi immemori.
Quella stanza doveva rimanere segreta a ogni costo.
Il mio piccolo Sheid non doveva sapere nulla.
 
Avevo sempre pensato che quel piccolo abominio fosse solo un peso per me, ma col tempo si era dimostrato davvero utile e interessante.
Era racchiuso nei suoi occhi il segreto di cui io non ero mai venuta a conoscenza.
Ed era sempre nei suoi occhi la ragione che risvegliava il mio odio e la mia rabbia, misti ad attrazione e spesso … ad amore, possessivo e logorante.
No.
Avevo amato ed ero stata tradita.
Avevo amato ed ero stata delusa.
 
Avevo cancellato l’umanità del mio piccolo schiavo, avevo legato il suo piccolo cuore ferito nella stretta e soffocante morsa delle tenebre.
Dolore, angoscia, disperazione.
Era questo che volevo provasse, e sentivo il suo cuore agonizzante mentre tentava di riprendere fiato, mentre tentava di ritrovare un briciolo di pace.
Le catene con cui avevo imprigionato il suo corpo e la sua anima erano ancora in mio possesso, e l’avrei riutilizzate se necessario.
Quella piccola umana non aveva il diritto di portarmi via anche lui.
E lui non aveva il diritto di disobbedirmi, non aveva il diritto di smettere di soffrire.
Era il frutto del peccato, di un peccato consumato sotto i miei occhi come se fosse una cosa naturale e giusta.
Sheid non poteva amare, perché io non volevo che amasse.
Lui era mio, era il prezzo che Isaac, il mio re, l’astro della sera, l’angelo supremo, doveva pagare per il suo reato.
Sheid era mio.
Il suo cuore era mio.
Per sempre.
 

 
 
 
SHEID:
 
-         Ehi Winter, va tutto bene? – domandò Matteo scrollandomi con una gomitata.
Lo fulminai con lo sguardo e lui sbiancò, così sospirai.
-         Senti … insomma … - cominciò impacciato lui, ma poi si bloccò, abbassando la testa.
-         Cosa c’è? – domandai seccato, in un sospiro.
-         Come mai siete mancati da scuola in questi giorni? – domandò pensieroso.
-         Che cosa vorresti dire? A cosa ti stai riferendo? – chiesi freddo.
-         Lo sai – asserì deciso lui. Per la prima volta vidi la rabbia nei suoi occhi – non riesco a capire perché non usciate allo scoperto! – sputò, ed io trasalii – Insomma, è così difficile per te mostrarti debole e vulnerabile come qualsiasi altro essere umano? – gli tremavano le mani, ed era alterato.
-         Si può sapere che ti prende, Severi? A cosa ti stai riferendo? – domandai di nuovo, distaccato.
-         Voi due state insieme? Tu e Seira state insieme come fidanzati? Siete innamorati? – domandò con un filo di imbarazzo negli occhi limpidi e sinceri da vero amico.
-         No – risposi, notando di essere infastidito dalla sua insinuazione. Se fossi stato umano, se avessi incontrato Seira in un altro modo, senza pericoli e senza dolore, forse l’avrei amata e le avrei ghermito il cuore come un ladro che tenta disperatamente di rubare un diamante luminoso e preziosissimo, e  quando ci riesce muore di felicità.
Forse conoscevo i sentimenti racchiusi nel profondo del mio cuore, forse non volevo ancora accettarli, perché farlo sarebbe stato come tradire me stesso, Luna e soprattutto Seira.
Io per lei ero solo uno scudo, ero solo …
-         No? … Io non credo amico! – accennò un lieve sorriso – Quando i vostri occhi si incontrano si sprigiona una specie di magia, sembra che siate fatti l’uno per l’altra. I vostri sguardi si intersecano, come se vi conosceste da tempo immemore, è qualcosa di potente.
Anche a me piace una ragazza, Matilde, anche io sono innamorato, ma tra te e Seira è diverso, si percepisce anche all’esterno – asserì. Sapevo che quella era la verità, ma forse c’era un piccolo dettaglio che Matteo aveva sottovalutato: io e lei non potevamo stare insieme.
-         Se anche fosse non ti riguarda, quindi cambiamo discorso va bene? – sbottai.
-         Ho capito, ho capito. Allora … sarai dei nostri durante i giochi sportivi? – chiese, e mi puntò con la coda dell’occhio.
-         Non so. Odio il caldo, e sinceramente non mi va di stare sotto il sole cocente per delle ore, e poi siete abbastanza forti anche senza di me – dissi lamentosamente.
-         Oh Winter, da come parli sembri una signorina! – mi punzecchiò lui – Hai paura di scottare la tua pelle delicata? – mugolò prendendomi in giro.
-         Sei davvero irritante – lo ammonii.
-         E tu sei davvero un tipo strano – controbatté lui – ma mi servi. Ti prego! – cantilenò implorante – Alabiso ancora si rode per quella sconfitta, e sono sicuro che se potesse ti pesterebbe, ma io ti copro le spalle amico! – asserì, con la faccia da ebete.
-         Guarda cosa mi tocca fare! Adesso, per colpa tua, sono anche preso di mira dai bulli, bell’amico che sei, Severi – mi lamentai contrariato.
-         Già, come se tu avessi problemi ad affrontarlo. Vestito sembri gracilino e delicato, ma io ho visto i tuoi muscoli, e non avrai problemi a stenderlo. Naturalmente se ciò accadesse io e gli altri saremmo dalla tua parte, e ad Alabiso non resterà che andarsene con la coda tra le gambe, quindi … - disse come se fosse una cosa ovvia.
-         Te l’ho già detto che sei irritante? – risposi guardandolo. Lui arretrò impercettibilmente, probabilmente perché non avevo controllato la freddezza del mio sguardo – E va bene! – sbottai allora. Lui si aprì in un sorriso luminoso ed entusiasta.
-         Lo sai che ti stimo tanto vero? Allora comincia ad allenarti per staffetta, tennis, calcio e salto con l’asta. Poi ci sarà uno sport a sorteggio, quindi non so nemmeno io cos’altro ci dobbiamo aspettare – spiegò con vivacità.
-         Lo sai che adesso sono preda di una voglia omicida? Ti conviene allontanarti se non vuoi fare una brutta fine – dissi ironico. Perché avevo accettato?
-         He he  … stai calmo, ok? Sono sicuro che non farà tanto caldo!
-         Già – risposi seccato. Perché mi facevo sempre abbindolare da lui? Guardare la vitalità di Matteo, mi faceva spesso rimpiangere la mia natura angelica, ma era proprio grazie al mio essere angelo se avevo incontrato Seira, ed ero perfettamente cosciente, che proprio quel pomeriggio, avrei dovuto rivangare il mio passato, e portare di nuovo alla luce ferite ancora aperte e sanguinanti.
Lei con quali occhi mi avrebbe guardato dopo?
 
                                                 **************
 
 
SEIRA:
 
 
Il pollo era davvero buono, ma in quel momento non pensavo minimamente al suo sapore, non pensavo a cosa stavo mangiando.
I miei pensieri erano occupati da una sola preoccupazione.
Che cosa volevo sapere?
Come avrei cominciato la conversazione che ci avrebbe portati alla verità?
Chi è Isaac? Dove ti sei procurato quelle cicatrici? Perché Luna ci ha fatto attaccare da Pierre? Come funziona il Nutrimento? E il tuo passato? Che cosa nascondi? Cos’è che ha reso i tuoi occhi così vuoti e freddi?
Sarei stata in grado di chiedergli tutto ciò?
 
-         Erik … - Sheid si alzò di scatto facendomi sobbalzare. Il maggiordomo si voltò per dargli ascolto - … scusaci ma noi dobbiamo andare -  disse, prendendomi per mano e portandomi via.
Non mi guardò, né disse nulla.
Si limitò a condurmi fuori, e poi attraverso il bosco.
Non prendemmo il sentiero per la spiaggia però, ma quello che conduceva dietro casa Winter.
Quella parte mi era sconosciuta, perché nessuno si era mai avventurato lì, e tutti facevano girare diverse dicerie tutte diverse e strane.
Si diceva che più si proseguiva, più si rischiava di perdersi e non ritrovare più la strada del ritorno, si diceva che ci fosse un giardino segreto che un tempo era abitato dagli spiriti, e si diceva anche che nel folto del bosco, sopra la scogliera, ci fosse la tomba di una strega.
Guardai per tutto il tempo ciò che si intravedeva dal bosco verdeggiante e silenzioso, compreso il retro lussureggiante e immenso di quel castello in cui vivevo. Ripensando a quella immensa sala scura con il pavimento ricoperto di lapislazzuli, in cui Sheid era stato avvolto dal Nutrimento e poi mi aveva quasi baciata asciugandomi le lacrime, pensai che forse tutto quello spazio invisibile dalla strada, perché coperto dalla vegetazione, fosse occupato interamente da quel salone.
L’edera verde ricopriva buona parte delle mura, e il giardino immenso era veramente stupendo.
Peccato che da tutto il castello trasudasse qualcosa di misterioso e oscuro.
Quell’atmosfera era lo specchio degli occhi di Sheid: letali, impenetrabili e idilliaci.
 
Quando vidi sparire la strada e anche il castello, cominciai a preoccuparmi, ma non aprii bocca.
Lasciammo il sentiero, e Sheid cominciò a proseguire verso destra, con me al seguito.
Facevo attenzione a non inciampare tra le radici degli alberi, e lui rallentava e mi aiutava a scavalcare ogni ostacolo, senza mai aprire bocca e senza guardarmi negli occhi.
-         Sta’ tranquilla, siamo quasi arrivati – mi informò con voce eterea.
-         Sì – sussurrai.
Dopo qualche minuto infatti, intravidi qualcosa, e man mano che ci avvicinavamo, delineavo meglio cosa fosse.
Uscimmo dal bosco, entrando nell’abbagliante luce del sole del primo pomeriggio.
Il posto in cui ci trovavamo aveva qualcosa di magico e di oscuro nello stesso tempo.
Era come se fosse lo scrigno di un segreto inconfessabile e doloroso, era come se fosse il velo che celava una verità pericolosa e profonda.
Gli alberi facevano da cornice ad un piccolo piazzale erboso e fiorito. C’erano fiori di ogni genere e nonostante i colori rallegrassero un po’ l’ambiente, il silenzio che regnava in quel luogo era comunque angosciante e tombale.
Però, in realtà, la cosa che rendeva quel luogo così sacro e inumano, era un monumento posto proprio al centro.
Era di marmo grigio chiaro, cilindrico e attorniato da colonne corinzie.
La circonferenza era molto grande e i pochi scalini che precedevano l’interno della struttura erano ben levigati.
Al suo interno, c’era una lapide, sovrastata da una statua di marmo bianco bellissima e immobile raffigurante un angelo, posta lì a mo’ di guardiano.
C’ eravamo fermati a pochi metri da quel tempietto, e Sheid aveva continuato a tenermi per mano.
Il suo viso mi era sconosciuto, visto che era di spalle, ma qualcosa mi diceva che quel luogo era legato a lui in maniera indissolubile.
Avanzò piano, portandomi con sé, e poi con grazia ed estremo rispetto salì quei gradini immacolati, con me al suo seguito.
Mi tenne la mano fino a quando non ci trovammo davanti a quella tomba misteriosa e ben curata.
Poi si inginocchiò davanti ad essa, e io feci lo stesso.
I fiori freschi, bianchi e rosa, posati davanti alla tomba erano la chiara testimonianza che veniva visitata spesso.
Era un giorno speciale, quindi forse era l’anniversario della morte di quella persona.
“Annabel Air, 1984 - 2005”, una donna, morta giovane.
La tristezza mi invase il cuore.
Chissà chi era! Chissà cos’era per Sheid!
Questo era il momento delle domande.
Sentivo che quel momento era importante, sentivo sentimenti potenti e incontrollabili nascermi dentro facendomi accelerare il cuore.
Un vento caldo e lieve ci trapassò, e poi si dileguò con discrezione.
Presi fiato e poi parlai.
-         Adesso è il momento? – domandai, e vedendolo annuire ad occhi chiusi, sospirai.
-         Allora … di chi è questa tomba? Di una tua parente? – lui aprì lentamente gli occhi tristi e provati. Forse era …
-         È di tua … - cominciai io.
-         Madre – asserì lui con voce monocorde e profonda. Accarezzò quel nome che suonò comunque triste e dolente.
-         Oh! – era l’unica risposta che mi sembrava all’altezza della situazione.
-         Questo luogo è protetto da una barriera magica da me creata perché nessuno ne venisse a conoscenza. Solo tu, io ed Erik sappiamo di questo posto, quindi ti prego di mantenerlo segreto – disse pacato.
-         Certo, sta’ tranquillo e grazie per esserti fidato di me – risposi decisa.
-         Non ringraziarmi. Adesso sono pronto a rispondere alle tue domande – dichiarò, e dalla sua voce capii che per lui non era affatto facile. Eravamo davanti alla tomba di sua madre, e chissà quali pensieri trapassavano la sua mente! Chissà se aprirsi con me era davvero ciò che voleva!
-         Senti Sheid … io non …
-         Non tirarti indietro! – asserì, bloccando il mio tentativo di fuga - Non adesso che siamo arrivati a questo punto – mi rimproverò – volevi sapere tutto no? Allora dimostrami che sei determinata ed io non esiterò a risponderti – promise.
-         Ma io, insomma, non voglio che tu porti a galla delle cose che potrebbero farti soffrire, … la morte di tua madre …
-         L’ha uccisa un demone – delucidò, con franchezza e coscienza. Quasi sputò quella confessione.
-         Sheid … - provai a fermarlo, il suo modo di buttare fuori la verità assomigliava tanto ad un modo per punirsi.
-         È per questo motivo che li odio tutti, è per questo motivo che ho accettato di diventare un assassino scelto. Ne ho uccisi davvero tanti Seira, ed erano tutte creature senzienti e viventi – la sua voce era tagliente e minacciosa, ma ciò non mi spaventò, al contrario, mi attrasse.
-         Sheid … tu …
-         Spiegami perché adesso non provi avversione, ma provi solo dispiacere per me, spiegami perché non sei schifata da me e non scappi via – disse tra i denti.
-         Perché uccidendo un demone, mi hai salvato la vita. Io non ho alcun diritto di giudicarti – spiegai con voce instabile.
-         Se la pensi così … coraggio, chiedi quello vuoi – disse dopo qualche  minuto di silenzio.
-         E tu cosa vuoi? – domandai allora io. Lui mi inchiodò con la coda dell’occhio e poi rispose.
-         Ciò che voglio io non è importante, io sono la causa del tuo turbamento e io devo porre fine a questo.
-         No! Non è così. Tu …
-         Ascoltami bene, credi che ti avrei parlato facilmente di me? Credi che se non mi fossi fidato ti avrei mostrato questo posto? Credevo che fosse chiaro. Adesso ti prego, rivolgimi tutte le domande che vuoi, non sarà facile, ma risponderò a tutte con estrema sincerità, lo giuro sulle mie ali – asserì fiero e turbato.
-         Va bene, allora cominciamo – abbassai il capo, conscia che non avevo pensato alla domanda che avrebbe rotto il ghiaccio. Cosa avrei chiesto per prima?
I minuti passarono inesorabili e silenziosi, facendo crescere in me, un imbarazzo mostruoso.
-         Seira? … - mi incitò lui, allora io deglutii rumorosamente e, agitata, sparai una domanda.
-         Ehm … com’eri da bambino? – ecco, era tanto difficile dire idiozie? A quanto pareva, no.
-         Beh, … - sembrava spiazzato – diciamo che non ero molto diverso da ora. Ero sempre silenzioso e solitario, e non avevo molti amici.
-         Davvero? – l’immagine del viso di Sheid sorridente e dolce, da bambino, scomparve e al suo posto apparvero due occhietti tristi su un faccino scarno, delicato e pallido.
-         Già, non uscivo mai di casa e quindi non ho mai fatto amicizia con nessun bambino della mia età. Passavo il mio tempo leggendo o ascoltando della musica – confessò, e non sembrava esserne turbato, anche se nei suoi occhi riuscivo a vedere il riflesso di quella solitudine così simile alla mia.
-         Oh, e perché non potevi uscire? - Aveva le ali di giorno? Oppure …
-         Ero di salute cagionevole – rispose, senza aggiungere altro.
L’immagine del suo piccolo viso pallido e triste si fece più marcata nella mia mente. Mi si strinse il cuore.
-         Da come combatti adesso non si direbbe – risposi con voce triste.
-         Infatti, adesso non ho più i problemi che mi affliggevano all’epoca – asserì con falsa tranquillità.
-         Posso chiederti che tipo di … problemi avevi? Avevano per caso a che fare con le cicatrici che ho visto l’altra volta? – provai a chiederglielo senza sembrare invadente.
Il silenzio ci sovrastò, e sembrò che un vento gelido ci avesse attraversato.
Avevo detto qualcosa che non andava? Per fortuna lui si decise a parlare dopo qualche minuto, togliendomi dall’imbarazzo.
-         In parte sì, le cicatrici che hai visto sulla mia schiena sono il ricordo più evidente della mia infanzia – disse piano.
-         Ti va di parlarmene? – chiesi sussurrando, come se stessi dicendo qualcosa di proibito.
-         Sin da bambino sono stato possessore di un paio d’ali, ma … a differenza di adesso, in passato il mio corpo non riusciva a tollerare quei corpi estranei, perché non avevano nulla di angelico – spiegò, e dalla voce capii che era davvero difficile parlarne – erano soltanto dei rami orrendi e senza piume, che squarciavano in modo atroce la mia schiena, ogni notte – concluse, le parole fragili come foglie al vento.
Il mio cuore sembrò fermarsi, e la mia mente fu inondata da immagini strazianti e dolorose, che riuscirono a farmi scendere, lenta e silenziosa, una lacrima.
-         Mi dispiace tanto – sussurrai – se penso che le ali bellissime che ti incorniciano la schiena di notte, sono state la causa del tuo dolore … io … - provai a dire, ma il groppo che avevo in gola era davvero opprimente.
-         Tutte le cose belle hanno un prezzo, e io sono disposto a pagarlo – disse curvandosi nella mia direzione – anche adesso – asserì. Quella frase sembrava avere un doppio significato, qualcosa che solo io e Sheid potevamo capire. Sorrisi internamente, anche se la tristezza mi fasciava ancora strettamente l’anima.
-         E le altre? – domandai con voce spezzata, riferendomi alle altre cicatrici – Adesso mi dirai dove te le sei procurate? In battaglia? – domandai, avevo quasi paura di scoprire altre cose orrende, ma dovevo sapere.
-         Non esattamente – rispose, e io mi sentii più agitata che mai – dopo la morte di mia madre, Luna mi prese con sé e con l’obbiettivo di farmi diventare l’essere più forte mai esistito, mi sottopose ad un particolare … addestramento – disse l’ultima parola con un tono strano. Lentamente e biascicando le sillabe.
-         Che tipo di addestramento? – ormai avevo capito, ma quella consapevolezza avrei voluto dissolverla come neve al sole.
-         Diciamo che voleva farmi abituare al dolore fisico, così da esserne immune,ed eliminare così, parte della mia debolezza umana,  e per riuscirci ha usato tutti i mezzi di cui le segrete del palazzo lunare disponevano, ma … non voglio turbarti con questa storia disgustosa – disse tetro.
Fu nei suoi occhi che vidi la stessa rabbia che nasceva in me, fu nei suoi occhi che vidi un dolore profondo, lontano e velenoso, insinuarsi in quelle iridi celestiali come veleno nel sangue. Ancora una volta non riuscii a governare i miei pensieri, che correndo a briglia sciolta, mi suggerirono altre immagini insopportabili.
-         Ti … ha fatto del male … - singhiozzai, il petto non lo sentivo più. Lui trasalì, e protendendosi verso di me, mi prese il viso con una mano, e asciugò le mie lacrime con gentilezza.
-         Oh Seira, dov’è finita la ragazza determinata che con estremo realismo ha accettato la situazione con forza inaudita? Dov’è la tua obbiettività severa e scrupolosa? Dov’è il tuo sorriso? – chiese, accarezzandomi la guancia – non volevo turbarti, scusami, ti ho fatta piangere di nuovo - i suoi occhi divennero lucenti.
-         Mi dispiace tanto – pigolai con voce rotta – mi dispiace … tanto … io
-         Ehi, ehi … ti prego, non versare le tue preziose lacrime principessa, non per me. Io non le merito – disse mesto, continuando ad accarezzarmi la guancia.
-         Se c’è qualcuno che le merita quello sei tu – confessai, e sapevo che era la verità.
-         Ti supplico Seira … non piangere – si toccò il petto, allora capii che gli faceva male. Mi feci coraggio, e asciugai le lacrime. Dovevo nascondere il mio dolore, per non accendere il suo.
-         Cambiamo argomento ok? – proposi, cercando di ricompormi. Lui annuì benevolo.
In quel momento e in quella circostanza però, dopo essere venuta a conoscenza di cose così atroci e crudeli, avevo paura di scoprire altro. Lui probabilmente capì, e parlò, nonostante nella sua voce scorsi odio, dolore e rabbia.
-         Volevi sapere chi fosse Isaac, dico bene? – la falsa pacatezza nella sua voce mi spiazzò. Non avevo mai sentito la sua voce diventare metallica a tal punto.
Io annuii impercettibilmente.
-         Beh, lui è mio padre biologico – rispose ad occhi chiusi – tecnicamente sarebbe anche il mio re, ma ha tradito Luna molti anni fa, scomparendo misteriosamente – aggiunse. Rimasi di stucco: ecco perché Sheid veniva chiamato principe!
-         Wow! – esclamai, riprendendo il controllo della mia voce – Ma se è tuo padre, perché vuole ucciderti? – lui trasalì, mostrandomi per un secondo il vero odio che celava dietro alle sue iridi quasi blu, quasi fredde. Mi pentii di essere stata troppo diretta e poco discreta, ma lui rispose ugualmente.
-         Perché io sono la sua unica minaccia, solo io potrei prendergli il trono – asserì.
-         Ma lui è andato via no? Perché dovrebbe tornare a riprendersi il trono? – domandai confusa.
-         Per distruggere Luna suppongo. Anul ormai è pronta ad attaccare – rispose risoluto.
-         Potere? – era l’unica possibilità plausibile.
-         Vendetta e potere insieme – aprì gli occhi.
-         Perché tuo padre …
-         Non lo so. Suppongo che in lui albergasse ormai da tempo l’oscurità, e questo l’ha portato al tradimento. Era l’essere più bello, più forte, era l’essere perfetto, e tutti gli angelo lo temevano, lo stimavano, lo ammiravano e lo rispettavano. Ma adesso è solo un re traditore.
-         È terribile – dissi, e lui richiuse gli occhi annuendo. Cambiai discorso, sperando che stavolta non centrasse qualcosa di doloroso.
-         Perché Luna ha messo in scena quell’attacco tempo fa? – ricordai con irritazione il mezzo demone che mi aveva rapita per gioco, Pierre.
-         Per testare la mia prontezza e per tenermi d’occhio credo. Oppure fa solo parte della punizione – la sua voce sembrò rassegnata e mesta.
-         Punizione … che cosa hai fatto di tanto grave da essere punito?
-         Essere un angelo protettore è una maledizione e una punizione insieme. Io non ho mai disobbedito a Luna, ma mio padre sì, e per evitare altri tradimenti, Luna ha voluto dare il buon esempio, punendo me, al posto di Isaac – spiegò, più andavo avanti con le domande e più mi rendevo conto di chi avevo vicino. Definirla tragedia era troppo semplificativo. La vita di Sheid fino a quel momento non aveva conosciuto la pace. Mai. Era stata un vero inferno.
-         Ti prego – supplicai con voce implorante – dimmi che il tuo cuore non è di ghiaccio, dimmi che Pierre mentiva quando mi diceva che non puoi amare, ti prego dimmi che non esiste nessuna regola che ti impedisca di amare, ti supplico! – sentivo di nuovo le lacrime, le sentivo trepidanti di uscire e dare sfogo alla mia tristezza.
Volevo che almeno quella crudeltà fosse solo una bugia, volevo che almeno quel piacere lo avesse riscaldato ogni tanto, in quella sofferenza tanto grande.
-         È vero – la sua voce era mortificata, colpevole, i suoi occhi vuoti.
Mi sentii sprofondare nell’abisso oscuro della disperazione.
Sheid non poteva amare, Sheid non poteva amarmi, era vero, crudelmente vero, dannatamente vero.
“Sono nato dall’unione di un umano e un angelo … ecco perché li odio tutti … non mi merito le tue lacrime … principessa … addestramento … dolore, odio, Isaac … traditore … vendetta … potere … è vero, vero … ero … ero …” questi echi senza senso, queste parole discordanti tra loro, avevano un solo e unico legame.
Il mio sogno, il mio angelo, il fiore che non poteva godere della luce del sole, dell’acqua e dell’ossigeno, la stella che non aveva mai potuto sfruttare la sua luce, il cuore freddo come il marmo che non  poteva battere senza soffrire, senza bruciare.
Il petto sembrò bucarsi, aprendosi in una voragine dolorosissima e inguaribile.
Chiusi gli occhi, e ignorando tutto il resto, guardai il viso di Sheid, quell’immagine paradisiaca nella mia mente, che non si sarebbe mai cancellata.
-         Seira – chiamò il mio nome, allora aprii gli occhi, e trovai i suoi, più vicini del previsto.
Mi sentii immediatamente attratta da quelle labbra proibite, e da quel viso impossibile da accarezzare dolcemente, i suoi occhi due calamite per i miei –  riguardo alla regola che vige la mia obbedienza a Luna, io … io l’ho violata da tempo ormai – trasalii – sono affezionato a te, e non potrei mai essere insensibile nei tuoi confronti – affetto: certo, ovvio, scontato. Non dovevo sperare di più, non era giusto – è per questo che ti chiedo un favore: ti prego, liberami da questa prigione di ghiaccio, io … non rinnegherò mai la mia umanità, nemmeno se farà male. Voglio ritrovare il mio cuore – quelle parole mi risollevarono. Lui voleva ritrovare il suo cuore.
-         È … il tuo desiderio? – chiesi sorridendo timidamente.
-         Sì – rispose, ma ebbi la sensazione che stesse mentendo.
Cos’altro dovevo sapere su di lui, che ancora non sapevo?
Quella giornata era stata foriera di dolore, tristezza, consapevolezze e nuove scoperte.
Ero appagata, ero più cosciente ed ero assorbita totalmente da quel piccolo uomo, che si teneva dentro tutto quel dolore senza darlo a vedere, che riusciva a incatenarmi con un solo sguardo, che riusciva a salvarmi solo pensandolo e che mi rendeva tanto felice e viva, quando sentivo che il mio mondo andava giù.
Gli presi la mano stretta a pugno, e la portai al mio petto, stringendola con delicatezza.
Mi sarei accontentata di momenti come quello, momenti che sembravano durare troppo poco però.
-         Grazie di cuore, Sheid – assaporai il suo nome – ti prometto che non ti deluderò – dissi commossa. Forse lui conosceva già i sentimenti che provavo per lui, perciò non aggiunsi altro e rivolsi uno sguardo a quella tomba tanto bella e preziosa.
Annabel Air, la madre di Sheid, riposava lì, ed era morta chissà come.
Le ero profondamente grata però, nonostante non sapessi nulla di lei, e avevo nel cuore la certezza che prima o poi avrei scoperto altro.
 
 
                                                          *******
 
Erano passati giorni ormai.
Ogni sera andavo a vedere la luna sul balcone della mia camera e ogni notte una valanga di ricordi mi avvolgeva.
Tutto era cominciato con un sogno, il sogno di un angelo bellissimo e coraggioso che mi salvava da un demone crudele e orribile.
Quel sogno poi era diventato realtà, e nella mia vita era entrato con maestosità e violenza, Sheid Winter, il ragazzo – angelo che mi aveva rubato il cuore, poco a poco, con i suoi occhi di ghiaccio e ametista.
Avevo ormai abbandonato le fondamenta solide che avevano temprato e imprigionato il mio lato sognante, e mi ero adattata con gioia alla nuova prospettiva che non esistesse solo bianco o nero, ma che c’erano delle sfumature colorate davvero meravigliose, da vivere, da assaporare, da amare.
Poi l’abisso doloroso della verità.
Il frutto di un amore proibito, era stato maledetto sin dalla nascita, e il suo piccolo corpo era stato segnato da orrende cicatrici che, direttamente o indirettamente, gli erano state inferte dalla madre suprema, dalla donna di cui si sarebbe dovuto fidare di più, la sua regina.
Dolore, tormenti, pene da scontare, sofferenza e abbandono, morte.
Che cosa aveva fatto di tanto grave il mio protettore per meritarsi quella orrenda tortura?
Adesso, quasi tutti i tasselli del mosaico stavano tornando al loro posto, e soprattutto, ora che sapevo la verità, potevo comprendere meglio l’anima dell’angelo che vegliava su di me.
L’animo forte e lo sguardo di marmo, imperscrutabile ma penetrante, frutti di una realtà troppo crudele. La forza e un corpo sfregiato dal sadismo di Luna, un cuore di ghiaccio.
Eppure le sue braccia mi avevano stretta con dolcezza molte volte, le sue mani delicate e sicure mi avevano curato le ferite, e la sua bocca mi aveva sussurrato parole dolci e rassicuranti. I suoi occhi mi avevano sempre seguita da lontano, con discrezione e protezione.
Lui era il mio angelo protettore, ma questo titolo non era qualcosa di cui vantarsi, perché non era un riconoscimento nobiliare o onorevole, era la punizione per un traditore che si era pentito,  e visto che Sheid non aveva tradito la sua regina, era solo una punizione ingiusta e crudele. In realtà stava pagando per un crimine che non aveva commesso, stava pagando al posto di suo padre, Isaac, l’angelo diventato cattivo, il re che aveva abbandonato il suo popolo.
Era incredibile quanto questa sua realtà mi avesse scossa.
Tutte le volte che avevo insistito perché mi raccontasse tutto, tutte le volte che mi sentivo ferita dal fatto che non mi raccontasse niente di lui …
“Sono stata veramente una stupida” mi rimproverai “sono stata davvero un’egoista”, le lacrime mi pungevano di nuovo gli occhi, ma le rimandai indietro.
Non potevo più piangere, lui non voleva la mia pietà, lo sapevo bene.
Avevo passato intere notti a versare lacrime che comunque non avrebbero aggiustato niente, lacrime che non l’avrebbero reso felice.
Lui conosceva alla perfezione cosa stavo pensando, sapeva che ero scossa, sapeva che stavo piangendo e per questo motivo i suoi occhi erano sempre più tetri.
Ormai erano giorni che non riuscivo a guardarlo in faccia, erano giorni che non facevo altro che evitarlo, e lui sapeva il perché.
Non riuscivo più a comportarmi normalmente, perché avevo paura di fare o di dire qualcosa di sbagliato.
Non volevo che vedesse che ero in quello stato, non volevo che si sentisse in colpa anche stavolta.
Basta sofferenza.
Mai più sofferenza.
Avrei fatto qualsiasi cosa per proteggerlo, lo avrei protetto io.
Io.
 
Lanciai un’ultima occhiata a quel tramonto, e poi rientrai.
Era pericoloso stare fuori a quell’ora, anche se si trattava del balcone della mia camera in casa Winter.
Solo l’interno era sicuro.
 
Scesi le scale con lentezza e mi diressi verso la cucina, da dove proveniva un profumino delizioso.
Trovai Erik intento ad apparecchiare così l’aiutai, sorridendogli.
-         Quante volte devo dirvelo che …
-         Sta’ tranquillo, io lo facevo sempre a casa mia, ma apparecchiavo sempre per una persona  sola. Adesso sono così felice di aiutarti! – era vero, era come se fossi rinata, e la solitudine che mi opprimeva il cuore era passata.
-         Dov’è? – chiesi e lui capì al volo.
-         Non ne ho la più pallida idea, signorina. Ma sono sicuro che sarà qui a breve – rispose affabile Erik.
-         Lo spero – sussurrai. Posai le due forchette sui rispettivi tovaglioli panna, e poi presi dei bicchieri nella credenza di legno di ciliegio.
-         Lui le ha detto la verità, non è vero? – chiese pacato e senza preavviso il maggiordomo, io trasalii, e poi annuii.
-         È rimasta delusa? … - feci di no con la testa - … intristita? – annuii flebilmente.
-         Non immaginavo che il suo passato nascondesse tanto dolore. Mi dispiace tanto – asserii.
Erik sorrise benevolo, e poi mi posò una mano sulla spalla.
-         È per questo che vi siete ignorati per ben quattro giorni? – era ironico, ma aveva ragione.
-         Lui non vuole che provi pietà per lui, si sentirebbe debole, e lui odia esserlo – risposi, certa che lui mi avrebbe capita.
-         Lo so bene, ma lui vi ha parlato da amico, e invece adesso voi vi state comportando da principessa, signorina – mi fece notare.
-         Che vuoi dire? – chiesi confusa.
-         Voglio dire che lui si è aperto il più che poteva con voi, per non farvi sentire sola,e lo ha fatto col rischio di ferirvi, … e adesso voi vi state allontanando, temendo di ferire lui con la vostra pietà, ma … mi chiedo, non sarebbe meglio esprimerla per liberare il cuore? – i suoi occhi saggi e affettuosi mi avvolsero, e mi resi conto di avere sbagliato. Forse anche lui sentiva il bisogno di uno sguardo così.
-         Hai ragione Erik, sono stata davvero una stupida, non ne faccio una giusta, mi sembra di sbagliare tutto ultimamente – confessai affranta. Poi lui sorrise comprensivo e allora capii che non la pensava affatto così.
-         Stare accanto al sole non è facile per nessuno, soprattutto se si è infastiditi dalle nubi minacciose di un temporale che potrebbe portare via la luce – disse poetico. Io risi, anche se quelle parole erano davvero il riflesso della realtà!
-         Magari fosse così semplice, Erik – sorrisi. Già, magari fosse stato semplice affrontare la realtà come se fosse un temporale passeggero.
Quei pensieri mi accompagnarono per tutta la sera, insieme alla consapevolezza che quelle verità rivelate avevano segnato la mia anima.
 
                                                ***************
 
Il portone sbatté ed io trasalii.
Era tornato, ma era in ritardo per la cena, chissà che cosa era successo e dove era stato!
Mi alzai e seguii Erik che si era precipitato all’ingresso.
La prima cosa che notai furono le sue ali, bianche, splendenti, meravigliose.
Poi il suo viso, bellissimo, teso, contrariato e tetro.
Poi vidi che c’era qualcuno alle sue spalle.
Pierre.
-         Buonasera padrone! – si inchinò Erik con riverenza – Buonasera signorino Ghefren! - salutò anche l’altro “angelo”.
-         Salve! – rispose ammiccante e splendente Pierre. Il suo sorriso abbagliante illuminava il suo viso bello e affascinante, e i suoi capelli erano di un biondo bellissimo sotto la luce dei lampadari di casa Winter. Non l’avevo mai visto così chiaramente, e rimasi sorpresa dall’ammirazione che provai per il suo aspetto. Naturalmente guardando il viso inespressivo di Sheid, provai anche io una fastidiosa irritazione.
I ricordi della notte in cui mi aveva rapita per conto di Luna, erano ancora impressi a fuoco nella mia mente. Aveva ferito Sheid, mi aveva spaventata a morte e mi aveva separata dalla mia amata collana. Però mi aveva svelato la chiave della verità, ed era stato davvero utile.
Sheid non parlava, e teneva lo sguardo basso e passivo. Era arrabbiato.
-         Padrone, il signorino Pierre rimarrà per cena? – chiese pacato Erik. Sheid non rispose, ma al posto suo, rispose Pierre.
-         Beh, a dire il vero mi fermerò qui per qualche giorno – affermò, e Sheid irrigidì la mascella e i lineamenti – la regina vuole che controlli … la situazione – marcò le due ultime parole, lanciò uno sguardo maligno a Sheid che gli dava le spalle, sminuendo la bellezza del mezzo demone con la sua. Quindi avevamo un ospite … poco desiderato? E che significava “la situazione”?
Una strana ansia mi prese lo stomaco. Sheid era davvero tetro e fuori di sé, e mi nascondeva i suoi occhi … quindi …
-         Bene … - intervenne Erik con discrezione - … allora le preparo una stanza – si congedò il maggiordomo.
Rimanemmo sulla porta, in silenzio, senza parlare per qualche minuto.
Sheid rimaneva rigido nella sua posizione tesa, Pierre si guardava intorno con curiosità ed io ero imbambolata ad ammirare i giochi di luci delle loro ali.
Erano davvero belle entrambe, soprattutto quelle del mio angelo.
-         È davvero bello qui, i miei complimenti, principe – asserì compiaciuto e con sguardo di sfida Pierre. Poi il biondo si mosse venendomi incontro, e Sheid alzò la testa di scatto mostrandomi i suoi occhi blu scuro, adirati e freddi.
-         È davvero un piacere rivederti, principessa – disse Pierre ammiccante, e poi sotto gli occhi di Sheid, mi prese la mano e la baciò con delicatezza. Io la ritirai frettolosamente con sdegno, strofinandomi il dorso con l’altra mano.
-         Avevo dimenticato quanto fosse interessante il tuo carattere, così rude e scontroso a volte –  sorrise ammiccante, abbagliandomi per un istante. Io indietreggiai sentendomi a disagio.
Il suo sguardo aveva qualcosa di strano. I suoi occhi non erano come quelli di Sheid imperscrutabili ed eterei, gli occhi di Pierre erano intrisi di sentimento, umani, perfettamente leggibili e stranamente trasparenti.
Però erano comunque bellissimi e particolari, dovevo ammetterlo.
-         Beh, perlomeno posso vantarmi di averti baciato la mano – mi punzecchiò, e la mia irritazione cancellò quella strana ammirazione.
-         Non toccarmi mai più – sbottai adirata, e vidi Sheid trasalire e guardarmi sorpreso – non ho ancora dimenticato quella notte – gli feci presente.
-         Quale notte? Quella in cui hai deciso di farti un bel bagno in mare, oppure la notte in cui ti ho rapita e ti ho quasi baciata e ho stropicciato il tuo prezioso fiorellino ? – chiese con voce monocorde, come se volesse spaventami.
-         Pierre – intervenne Sheid, mostrando in un tutta la loro freddezza quegli zaffiri senza umanità –  mi stai sfidando? – la sua voce era austera, minacciosa e letale. Pierre strabuzzò gli occhi, e indietreggiò, allontanandosi da me.
-         Ho capito, ho capito – asserì Pierre con aria da sbruffone. Il timore sui suoi lineamenti era palese, ma si sforzò comunque di tenere testa al mio angelo.
-         Bene, allora allontanati immediatamente da lei, e vattene – sbottò Sheid con rabbia.
-         Sai bene che non sono questi gli ordini – lo contrastò il biondo – e sai anche che così dicendo firmi la tua rovina – disse, e io capii.
-         E credi che questo cambi qualcosa? – la domanda retorica di Sheid aveva una velatura di dolore, ma forse era solo una mia impressione.
-         Non vorrai farla preoccupare – disse Pierre con voce falsa e smielata rivolgendosi a me – sono sicuro che le si spezzerebbe il cuore vedendoti tornare in condizioni pietose, o … magari, non vedendoti tornare affatto – quelle parole maligne ma vere mi trapassarono facendomi male.
Rividi il corpo pieno di cicatrici di Sheid, ricordai l’incubo orribile che mi mostrava la sua morte.
“Tu non vorresti saperlo!” aveva detto  la sera in cui gli avevo chiesto come si fosse procurato quelle brutte ferite. E poi avevo scoperto che da bambino era stato straziato ogni notte, da ali che non avevano niente di angelico, e che era stato torturato crudelmente dalla sua stessa regina. Luna era la causa di tutte le sue sofferenze, compresa la proibizione di amare.
-         Mi dispiace per te Pierre, ma non mi servono i tuoi buoni consigli – sbottò Sheid – credi di spaventarmi? Forse non ti rendi conto che così dicendo stai firmando la tua rovina – disse senza battere ciglio.
-         Perciò mi stai dicendo che pur di proteggerla saresti disposto a ritornare in quella cella fredda e senza luce? Saresti disposto a subire ancora e ancora? E poi? – la sua voce era nervosa, ma la malvagità che emanava cresceva sempre più – Quando ti sarai ridotto come un cadavere ambulante, ce la farai a salvarla anche dai demoni? – chiese con un tono affilato come la lama di un rasoio.
Sheid non rispose, ma abbozzò un mezzo sorriso, un’espressione di sicurezza, il ritratto della tranquillità.
-         Tu che ne dici? Credo tu abbia poca fiducia nei miei mezzi e nella mia forza – asserì con diplomazia il mio angelo – così facendo stai sminuendo l’immagine del tuo venerabile zio – disse a mo’ di sfida.
-         Tu non sai di cosa è capace la regina … - cominciò Pierre, rivolgendosi a Sheid in maniera informale stavolta.
-         Tunon sai niente. Credi di sapere tutto sul mio conto? Credi di sapere se sarò in grado di sopportare altre angherie? – lo interruppe Sheid, e io e Pierre trasalimmo.
-         Principe …
-         No, te lo dico io. Tu non sai niente – rividi quell’antico dolore nei suoi occhi, e il mio cuore mi fece male.  “Voleva farmi abituare al dolore fisico, così da esserne immune, ed eliminare così, parte della mia debolezza umana,  e per riuscirci ha usato tutti i mezzi di cui le segrete del palazzo lunare disponevano, ma non voglio turbarti con questa storia disgustosa”.
No, nessuno eccetto lui, poteva lontanamente immaginare cosa avesse passato.
Essere vittima di una tale crudeltà, essere violati in questo modo … era davvero una cosa crudele e orribile.
-         Io sono il suo angelo protettore, io sono l’angelo che ha il dovere di proteggere la principessa – disse fiero, guardando dall’alto in basso Pierre – e sinceramente, non mi interessa ciò che pensi tu, non mi interessa se per te è inutile e troppo infimo, ma io la difenderò da qualsiasi cosa. Te compreso, Pierre – in quel momento così triste, mi sentivo la ragazza più fortunata del mondo. Mi sentivo felice.  Lui era il mio cuore, e io avrei trovato il modo di ritrovare il suo. Gli andai incontro con un sorriso, e lui mi guardò mesto.
-         Bene – disse Pierre - direi che qui non ho più niente da fare, visto che tra voi c’è solo … un legame di sopravvivenza e di onore. Posso anche liberarvi dalla mia presenza.
-         Porta i miei saluti a Luna – lo salutò Sheid, a mo’ di sfida.
-         Lo farò, ma prima … - Pierre si inginocchiò con riverenza – le chiedo perdono mio signore, sono stato maleducato – si scusò. Poi si alzò e prima di volare via, ci rivolse uno sguardo pieno di sottintesi – se hai bisogni di me, non esitare a chiamarmi – disse, usando di nuovo l’informalità. Era come se i due angeli si conoscessero da tempo, e Pierre spesso non si rivolgesse al principe ma a Sheid. L’avremo rivisto sicuramente, perché non aveva finito di fare il dongiovanni con me.
 
 
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-         Signorino, cosa voleva esattamente Lord Ghefren? – chiese Erik, quando tornato di sotto, si accorse che mancava proprio l’ospite per cui aveva preparato una stanza.
-         Controllare che io e Seira non fossimo amanti – disse tetro Sheid, sembrava molto preoccupato – a quanto pare Luna è sul piede di guerra – le sue parole trasudavano amarezza e preoccupazione.
-         Però non dovresti sfidarla in quel modo – mi intromisi con timore – non dovresti …
-         Non devi preoccuparti – mi bloccò lui con gentilezza – so quello che faccio, e so come trattare con Luna. Non mi succederà niente, non angustiarti inutilmente – la sua voce era dolce e profonda.
-         È impossibile per me non farlo … ma mi fido di te – sorrisi mesta.
 
Sorrisi ad entrambi e poi mi congedai, ma prima che potessi sparire salendo le scale, Sheid mi affiancò.
-         Parliamo … ti va? – chiese. Quella sera era davvero dolce, e per fortuna il ghiaccio blu era scomparso dai suoi occhi. Al suo posto c’era un color malva davvero stupendo.
Sembravamo due amici, e anche se la cosa era strana, visti i miei sentimenti, mi sentii felice.
-         Di cosa vuoi parlare? – chiesi sedendomi sul suo letto. Eravamo in camera sua e ciò mi metteva un po’ in imbarazzo, ma  mi feci coraggio e affrontai il suo sguardo.
-         Ti sei pentita? – chiese mesto, e sedendosi accanto a me. Io capii al volo.
-         Affatto, lo volevo tanto, volevo sapere qualcosa di te, e … no, non sono pentita soltanto perché ho scoperto cose così tristi sul tuo passato, non pensarlo nemmeno – lo rassicurai.
-         Bene, allora spiegami perché è da giorni che non  mi guardi in faccia e mi eviti – chiese preoccupato e un po’ irritato.
Aveva ragione.
Era da quando ci eravamo conosciuti che non avevo fatto altro che piangere ed essere impaurita.
La Seira di un tempo, quella forte e orgogliosa, quella realista e adulta, ormai era svanita, lasciando una persona insicura, fragile e timorosa.
-         Perdonami, è solo che … mi sono sentita davvero triste … per te – confessai arrossendo – e avevo paura che se ti avessi guardato o parlato, tu ti saresti accorto di questo, e ti saresti subito pentito di avermi parlato.
-         Sai che non devi, il passato è passato e non posso fare niente per cambiarlo, non ora. Ma non mi sarei mai pentito, era ciò che volevi tu – nella sua voce potevo notare benissimo il dolore e il rammarico.
-         Sì, ma spesso il passato lascia segni indelebili e dolorosi – asserii, e lui capì che mi riferivo alle sue cicatrici e al suo modo di essere, in fondo mi leggeva dentro.
-         Basta parlare di me, ormai è chiaro che con le cose umane non ho molta dimestichezza, quindi … vuoi parlarmi del tuo di passato? – chiese gentilmente e con interesse.
-         Cosa vorresti sapere? – chiesi, imitando il suo comportamento, quando era toccato a lui il terzo grado.
-         Mmm, com’eri da bambina? – domandò, e io sorrisi, anche lui mi stava imitando.
-         Della mia infanzia ricordo molto poco – risposi, e nella mia mente cominciarono ad apparire le poche immagini rimaste impresse.
-         Davvero? Come mai? – chiese lui pacato ma interessato.
-         Forse perché dopo la morte dei miei veri genitori tutto è cambiato radicalmente, e quei ricordi lontani sono morti insieme a loro – ipotizzai – se non fosse per le foto che ho a casa, non ricorderei minimamente il volto della mia mamma – sorrisi mestamente.
-         Posso chiederti … cosa gli è successo? – chiese con il massimo tatto lui. Al contrario di me, lui era molto più bravo a fare domande.
-         Sono morti in un incidente d’auto quando ero molto piccola, e da allora ho vissuto con i miei zii, anche se da due anni a questa parte le cose sono cambiate di nuovo.
-         Già, ora vivi da sola, perché?
-         Perché non potevo tenerli in catene. Loro non avevano progettato di restare ancorati a questa città, loro volevano viaggiare e fare carriera, e per fortuna ci sono riusciti – sorrisi. Volevo che la loro vita fosse piena e soddisfacente.
-         Già e adesso sei tu ad essere in catene – commentò – dimmi Seira … li hai lasciati andare perché ti sentivi un peso per loro? – chiese con aria accusatoria. Il suo tono mi scosse un po’ l’animo.
-         So badare a me stessa, e restare sola non è un problema – risposi risoluta.
-         A me era parso il contrario – il tono distaccato e tetro – mi sono sempre chiesto perché fossi sempre così triste quando rimanevi sola – sembrava parlare tra sé e sé. Perché mi stava dicendo queste cose adesso?
-         Quando è iniziato tutto? Quando hai iniziato a sorvegliarmi? – chiesi curiosa, cercando di sviare il discorso. A quanto pare neanche io ero brava a parlare di me, non così direttamente.
-         Beh, da quando sono arrivato in questa città – rispose come se fosse una cosa ovvia – ma non è questo il punto, rispondimi Seira – mi inchiodò con lo sguardo, mi trapassò da parte a parte.
-         Io … non volevo … solo … - già cosa avrei risposto? Potevo dirgli che non volevo che non mi detestassero perché gli avevo tagliato le ali? Potevo dirgli che in realtà loro non avevano protestato poi così tanto quando avevo detto che volevo facessero carriere, che volevo realizzassero il loro sogno? Potevo screditare in quel modo egoista e ingrato i miei zii?
Potevo confessargli che, dopo la morte dei miei genitori, avevo avuto sempre paura di non piacere alla gente e avevo sempre cercato di accondiscendere tutto, usando una maschera che lentamente e dolorosamente era entrata nella mia carne, diventando carne?
No, lui forse mi avrebbe preso per una ragazzina immatura e impaurita, oppure mi avrebbe semplicemente biasimata.
-         Sheid … io – cominciai, ma lui si accostò al mio orecchio e mi bloccò.
-         Ho capito, non c’è bisogno che tu risponda. Ti chiedo scusa, ma non voglio ricevere una bugia come risposta, perciò mi accontento del silenzio – disse con voce monocorde. Io trasalii, allontanandomi per guardarlo in faccia .
Lui l’aveva capito, e il suo sguardo adesso era tetro e velato dalla tristezza e dalla delusione.
-         Ti prego, non guardarmi in quel modo! – lo pregai – Vuoi la verità? … La verità è che avevo paura di sguardi come quello che hai tu adesso. Preferisco la solitudine, preferisco vivere da sola, preferisco sorridere sempre e mostrarmi spensierata, piuttosto che affrontare uno sguardo colmo di delusione e disprezzo. Io non sono la loro figlia, e per quanto loro mi vogliano bene, non potranno mai rimpiazzare i miei genitori, e io non potrò mai avere un posto speciale nella loro vita. Mi hanno dato tutto: una casa, affetto … tutto. Ma io non potrò mai ricambiarli per questo, se non lasciandoli andare. Hai ragione tu, non volevo essere un peso. Non voglio essere un peso neanche per te. È solo che … ormai è una vita che non riesco più a ritrovare me stessa, è troppo tempo che mi nascondo dietro false verità. Perciò, molto spesso mi sento sola e questo mi fa disprezzare la mia vita. Odio sentirmi una debole, ed è per questo che non voglio essere un peso per nessuno. Adesso lo sai – conclusi, perfettamente consapevole di avere i lucciconi agli occhi.
Lui mi mise dolcemente una mano sulla testa, e mi scompigliò i capelli.
-         Sei una stupida, come potresti esserlo? Non sminuire il tuo valore in questo modo. Non tu. Saresti un peso se fossi un involucro senza anima, ma tu riesci a dare così tanto calore … - si toccò il petto con le dita, stropicciando un po’ la sua camicia bianca e … sbrindellata.
Probabilmente le ali erano spuntate fuori quando non era in casa, d’altronde era già sera.
Le ali …
Erano vicinissime, brillanti, magiche. Quasi ci circondavano.
Avvicinai un po’ una mano, ma non avevo intenzione di toccarle, anche se morivo dalla voglia, e la loro luce si riflesse sulla mia pelle.
Sheid le mosse, e mi circondò totalmente, avvolgendomi di una luce purissima ed eterea.
Mi sentivo in paradiso.
-         Sei meraviglioso – mi lasciai sfuggire, in preda alla meraviglia. Arrossii di colpo, ma lui non si scompose, e accennò un mezzo sorriso, fugace e compiaciuto.
Poi il suo sguardo divenne triste per un secondo, per ritornare subito dopo serio.
-         Adesso è ora di andare a dormire per le principesse – disse e con un movimento velocissimo, mi prese in braccio – io sorpresa e spaventata dalla sua velocità, mi aggrappai a lui.
-         Lasciami andare, è prestissimo, sono solo le nove! – protestai. Lui non fece una piega e mi portò in camera mia di peso, e poi mi depositò sul letto.
-         Domani devi essere in forze, perché dovrai fare il tifo per me, e soprattutto dovrai fermare le mie manie omicide verso Severi – disse divertito.
-         Giocherai? – chiesi euforica – Te l’ha chiesto Matteo? – rivederlo nella sua divisa, rivedere i suoi capelli scompigliati, rivederlo finalmente prendere le sembianze di un umano “normale”. Sarebbe stato fantastico ed emozionante anche perché lui era il tipo di persona a cui non ci si abitua mai, perché, ne ero sicura, lui mi avrebbe sempre sorpreso in qualche modo.
-         Già, ma odio il caldo, odio i giochi umani e odio quando lui riesce a convincermi – disse sconsolato. Sorrisi.
-         Allora domani sarà una lunga giornata per te – affermai guardandolo in quegl’occhi troppo vicini – perciò, devi andare subito a letto – sorrisi.
-         Non posso – rispose serio – stanotte non posso riposare – la sua voce era preoccupata. Allora mi preoccupai anche io.
-         Demoni? – chiesi, masticando quella orrenda parola. Lui abbassò lo sguardo, e strinse un po’ la sua presa su di me.
-         Non lo so, non ne sono sicuro – disse. I suoi lineamenti erano tesi.
 
-         Signorino She … - Erik subentrò nella stanza facendomi sobbalzare, Sheid invece, non fece una piega.
-         Sì Erik? – chiese Sheid con aria tranquilla.
-         La regina – asserì Erik, due parole un solo grande significato. La lettera con la busta blu oltremare, aveva un sigillo d’argento a forma di mezza luna. Sentii Sheid irrigidirsi.
-         Capisco – disse annuendo – a quanto pare non esistono orari per lei – nella sua voce c’era un pizzico di irritazione.
 
Lesse velocemente e disinteressatamente la lettera.
Un sospiro mi fece capire che qualcosa non andava.
 
-         Bruciala! – ordinò l’angelo al maggiordomo, e poi si rivolse a me.
-         Sono stato chiamato da Luna, ma non ci metterò molto. Sarò di ritorno nel giro di qualche ora. Tu resta qui, riposa e non uscire per nessun motivo, capito? – chiese severamente.
-         Sta’ tranquillo e … torna presto – dissi. Dopo ciò di cui ero venuta a conoscenza, adesso non mi fidavo più dell’operato della regina della luna piena.
-         Certo – annuì lui. Poi si tolse la camicia strappata in più punti e allora capii che doveva cambiarsi. Lo vidi dirigersi verso la sua stanza, ed io uscii dalla mia seguita a ruota da Erik che con un sorriso rassicurante mi condusse al piano di sotto.
 
Dopo una manciata di minuti, Sheid scese le scale con eleganza, nella sua uniforme aderente e impreziosita dalle ali che gli incorniciavano la schiena.
Vederle era sempre come ricevere un regalo inaspettato, e il mio cuore sembrava librarsi, quasi dolorosamente, tra sfumature paradisiache che facevano inebriare la mia anima di piacere divino.
Il suo volto era austero, e nei suoi occhi non c’era altro che irritazione.
Era preoccupato.
 
-         Allora ci vediamo domattina – disse prima di dirigersi verso la porta – dormi bene – mi avvolse con il suo profumo passandomi di fianco. Irresistibile.
-         Farai così tardi? – chiesi preoccupata.
-         No, ma non ho intenzione di svegliarti quando tornerò – dichiarò con dolcezza. Io sorrisi mestamente e lo lasciai andare.
 
“Torna presto” pensai, e sapevo che lui aveva capito i miei sentimenti.
 
                                               *************************
 
Non avevo alcuna intenzione di dormire. Anzi.
L’avrei aspettato, non importava quanto.
Volevo vederlo tornare, entrare dal portone e fare la faccia sorpresa e severa, perché non gli avevo obbedito.
Volevo vederlo.
 
Erano quasi le dieci e un quarto quando …
 
Il campanello suonò, una sola volta.
Il cuore perse un colpo, e sperando che fosse già tornato mi fiondai ad aprire.
Avevo già tenuto in serbo per lui il mio sorriso di benvenuto, ma …
 
-         Buonasera piccola! – non era lui, era Pierre. Trasalii e cercai di chiudergli la porta in faccia, ma lui, naturalmente fu più veloce di me, e la bloccò con la punta della sua scarpa.
-         Ma come siamo ospitali! – si lamentò alzando gli occhi al cielo.
-         Vattene! – gli intimai io con isterismo. Erik era andato a letto da un pezzo e non avevo proprio voglia di svegliarlo per un tipo irritante come quel mezzo demone biondo.
-         Veramente … è il principe che mi ha mandato qui. Vuole che io vegli su di te in sua assenza – spiegò pratico lui.
-         Non ho bisogno della tua protezione, questa casa …
-         Questa casa non è un bunker. La barriera è forte, questo è certo, ma stanotte ci sono troppe forze oscure fuori di qui, e non sono sicuro che sia una buona idea lasciarti da sola con un umano senza poteri che non è in grado di proteggerti – la sua voce da saputello mi dava sui nervi ma …
-         Non ti credo! Non ho nessuna prova che sia stato Sheid a dirtelo, non mi fido di te! – protestai. Lui alzò nuovamente gli occhi al cielo.
-         Senti ragazzina, sono un angelo di Luna anche io, e puoi fidarti di me ok? – disse con un filo di irritazione.
-         Fidarmi di te? Ho sentito bene? – chiesi acida e un po’ isterica – Tu mi ha rapita, e spaventata … e … hai ferito Sheid, il tuo principe! Ed io dovrei fidarmi di te? – ripetei.
-         Tu lo difenderesti incondizionatamente non è vero? - domandò con sguardo di sfida e la voce consapevole – Lui ha fatto la stessa cosa, anche lui obbedisce agli ordini di Luna, eppure tu accusi soltanto me – mi accusò serio.
-         Senti non rigirare la frittata … tu …
-         Fammi finire – mi zittì – lui ti protegge perché è un ordine di Luna, lui uccide i demoni perché è Luna che lo vuole. Anche io quella notte ho eseguito perfettamente gli ordini della regina, eppure l’oggetto del tuo disprezzo sono e rimango sempre e solo io – concluse con la voce serafica e sicura di un angelo.
-         Sì, ma forse potevi pensare che quello che stavi facendo non era etico né corretto – gli feci notare. Il rapimento, i colpi violenti che volevano ferire Sheid …
-         Etico? Corretto? Beh, neanche uccidere degli esseri viventi è corretto. Credi che solo per il fatto che siano esseri dal cuore oscuro, debbano essere sterminati? I demoni sono creature senzienti e dipendenti da una regina, quanto lo sono gli angeli. Non credi che abbiano una loro dignità? Anche loro eseguono degli ordini, e se si sottraggono li aspettano le fiamme di un inferno crudele e per niente magnanimo. Non credevo che nutrissi questi pregiudizi sul conto dei demoni, ma forse è giusto così. D’altronde il ragazzo di cui ti sei innamorata li uccide per mestiere, quindi forse è giusto che tu li odi. Così per te diventa più facile, vero principessa? – trasalii, le sue parole erano tanto vere quanto crudeli.  La mente era stata così alterata dalla nuova e sorprendente situazione, che mi resi perfettamente conto, in quel momento, di aver tralasciato molte cose. Cose su cui dovevo assolutamente riflettere.
-         Ti sbagli – risposi abbassando il capo – io non sono la persona che credi io sia, non ho pregiudizi verso nessuno – cominciai, la voce seria e triste – ma ormai è da settimane che non riesco a condurre una vita serena a causa loro, a causa dei demoni, e … dimmi Pierre, se qualcuno volesse ucciderti, se qualcuno volesse farti del male, se a causa di questo qualcuno le persone a te care fossero costantemente in pericolo … tu … odieresti questa persona? O ti fermeresti al fatto che anche lei ha una dignità? Rispondimi adesso – i suoi occhi sembrarono aprirsi e diventare luminosi, e i miei vennero immediatamente irretiti dai suoi.
-         È per questo che mi piaci tanto principessa, per il fatto che riesci a stupirmi continuamente. Ma ciò che dici non risolve la situazione spiacevole tra me e te – commentò lui.
-         Beh, facciamo così – proposi – io tento di tollerarti e tu la smetti di importunarmi, va bene? – chiesi. Lui sorrise con una faccia strana a metà fra il divertito e il perplesso.
-         Quindi mi stai invitando ad entrare? – chiese ammiccante. Io sospirai rassegnata era davvero idiota quanto un umano nonostante non lo fosse.
Non dimostrava affatto quel non so che di angelico che aveva invece Sheid.
Lo feci entrare e poi mi sedetti sul divano seguita a ruota da lui.
-         Hai intenzione di starmi incollato come una cozza? – chiesi esasperata.
-         Beh, se fossi Sheid sono sicuro che non faresti tutti questi capricci – rispose convinto lui.
-         Se fossi Sheid saresti meno irritante e …
-         Molto più affascinante! – mi interruppe lui -Ma ti assicuro che sarei anche molto più tetro. Di’ un po’ non ti senti a disagio quando ti guarda con quegli occhi vuoti? – chiese avvicinandosi un poco a me.
-         No, con lui mi sento a casa – risposi sincera.
-         E lui lo sa? – perché quella domanda sembrava a doppio senso?
-         Beh, grazie al ciondolo riesce a capirlo, ma non gliel’ho mai detto a voce – dissi, e poi mi resi conto che mi stava facendo un terzo grado davvero fastidioso.
-         Parliamo di te … - azzardai io allora – raccontami qualcosa del tuo passato – lui si irrigidì e divenne d’un tratto silenzioso, i suoi occhi erano bassi.
-         Non c’è molto da dire – poi si riprese e sorrise – però sono contento di averti incontrata, tu sei l’unica che mi tratta … normalmente – sottolineò l’ultima parola.
-         Che intendi dire?
-         Solo che tu sei onesta, almeno, stasera ho capito che lo sei. Di solito gli altri angeli mi evitano, oppure mi guardano dall’alto in basso, per la mia natura di mezzo demone. Tu invece … hai uno sguardo diverso, per quanto sia pieno di irritazione, non … non mi giudichi ecco.
-         Ma se ti ho detto cose terribili? – commentai, forse mi stavo sbagliando davvero sul suo conto?
-         Appunto, ne abbiamo parlato, tu sai della mia natura, eppure ora sono seduto accanto a te, e stiamo parlando da pari – sorrise, ed io rimasi abbagliata.
Alla luce della lampada, Pierre era davvero bellissimo.
Il viso di carnagione dorata, stava alla perfezione con i suoi occhi, verdi come vallate infinite e i suoi capelli biondissimi, oro e grano.
-         Infatti io non ti odio … come invece … - lasciai apposta a metà la frase.
-         Lo so, grazie – si avvicinò al mio orecchio, e il suo profumo prepotente e delizioso mi pervase – sai, tu mi piaci molto, Seira.
-         Ti … ti ringrazio – arrossii violentemente, e mi ritrassi. Il suo sguardo era lucente e affascinate. I suoi occhi erano due smeraldi luminosi.
-         Sai, se continua così, potrei anche … disobbedire … - oddio era vicinissimo e …
-         Pierre! – protestai, preparandomi a tirargli uno schiaffo, ma lui si ritrasse come se qualcuno l’avesse chiamato e poi imprecò.
-         Che succede? – chiesi spaventata.
-         Guai, la casa è circondata dalle forze oscure, il tuo angioletto doveva svignarsela proprio ora? – era davvero teso e si alzò con movimenti veloci e inumani – Resta qui, io vado a dare un’occhiata fuori – disse fiero, e sparì.
Nel frattempo una strana sonnolenza mi colse impreparata e contro la mia volontà, dovetti chiudere gli occhi, andando incontro forse, ad un destino funesto.
Il mio corpo sembrava insensibile. Non sentivo più né caldo, né freddo, né contatto. Fluttuavo in un dormiveglia senza ritorno, come se stessi sognando me stessa indifesa e debole.
Tutto mi era sconosciuto, tranne la terrificante consapevolezza che mi trovassi in pericolo.
Ero tra le grinfie dell’ennesimo demone, e Sheid … non era con me.
 
 
 
                                                          **********
 
 
Sentivo con chiarezza crudele le unghie affilate e pericolose del demone, premere sul mio collo tremante, e stringere il mio braccio destro dietro la schiena.
Stavolta era diverso. Ero sola.
Non so come avesse fatto, ma quel mostro mi aveva rapita nel sonno, ed era riuscito a oltrepassare la barriera di casa Winter.
 
Ci trovavamo al limitare del bosco, buio e silenzioso come la notte.
L’aria era quasi gelida nonostante fosse giugno e il mio corpo inerme e tremante era alla mercé di quel mostro dall’aspetto sconosciuto.
 
-         E’ stato facile fratello – enunciò, rivolgendosi all’ombra del bosco, la voce era profonda e malvagia – forse fin troppo, non pensavo che avrebbe abbassato la guardia – continuò.
 
Lui non aveva abbassato la guardia, Luna lo aveva allontanato da me, ed io ero rimasta senza protezione.
Sheid … non era stata colpa sua, lui era il mio protettore e la mia luce, ma doveva obbedire alla sua padrona, e questo mi rendeva triste, perché sapevo bene che non era quello che voleva il suo cuore.
 
-         Non cantare vittoria troppo presto Derek, lui sta arrivando … ed è adirato come non mai. Non sottovalutarlo – rispose con freddezza un’ombra minacciosa. I demoni erano due, e quello che uscì dal bosco scuro, aveva tutta l’aria di essere il leader della coppia. Le sue parole però, portarono nel mio cuore una luce di speranza: lui stava arrivando e mi avrebbe salvata, ne ero certa.
-         Vuoi dire che il  mistico principe degli angeli ti affronterà fratello? – domandò incredulo Derek.
-         Non c’è da preoccuparsi – asserì l’ombra dopo aver annuito – il tuo veleno non gli lascerà scampo. Morirà lentamente e dolorosamente, mentre la sua principessa guarderà impotente. Oppure potremo far guardare lui, mentre la sua protetta viene uccisa! – concluse con una risata grottesca e spaventosa. L’altro rispose con altrettanti malvagità e sadismo, facendo rimbombare nella mia testa una risata raccapricciante.
 
Un brivido mi percorse la schiena. Adesso avevo tanta paura, non per me, ma per il mio angelo.
 
-         Sheid – sussurrai. Sperai con tutto il mio cuore che non gli succedesse nulla.
 
Intanto nella notte distinsi le sue ali, battere forte mentre scendeva con estrema eleganza davanti ai miei occhi. I suoi erano di ghiaccio. Adesso era l’angelo il suo vero io.
Erano passate poche ore dalla sua partenza, ma mi era mancato così tanto che in quel momento, per un secondo, dimenticai dove mi trovassi, e mi feci attirare da quei lineamenti idilliaci e affilati, cadendo tra le braccia del mio sogno ad occhi aperti.
La realtà però, mi cadde di nuovo addosso in breve tempo.
 
-         Credevo che avresti fatto più tardi, ma a quanto pare voli molto più velocemente di quanto pensassi, principe – Derek sputò l’ultima parola, suscitando la reazione di Sheid.
 
Non si scompose, ma i suoi occhi divennero di scatto due fessure letali e intrise di puro odio e rabbia.
 
-         So quello che stai pensando, ma ti avverto principino, se reagisci lei non vedrà mai più la luce del sole – lo minacciò vigliaccamente l’altro demone  – se provi a muovere un solo muscolo, mio fratello la trafiggerà, e il suo veleno, letale per te, penetrerà nella carne di quell’umana, e poi nel suo sangue, e lei si tramuterà in un demone – disse compiaciuto Derek. Il sangue mi si gelò nelle vene. Come avrebbe fatto Sheid a salvare me e lui adesso?
-         Voi bestie immonde vi dimostrate sempre per ciò che siete – rispose con voce di ghiaccio il mio angelo, e puntò con lo sguardo il demone alle mie spalle.
 
Se avesse opposto resistenza io sarei diventata un demone, e se avesse attaccato sarei morta.
Come prospettiva per il futuro non era poi così rassicurante.
Se lui avesse cercato di salvarmi, se lui non si fosse difeso, però, sarebbe stato ferito.
 
-         Seira! – Sheid chiamò il mio nome con austerità – Fidati di me – disse addolcendo la voce e tirando fuori i resti dell’umano che era di solito – andrà tutto bene, te lo prometto. Io ti proteggerò – promise. Il mio cuore accelerò, e la mia anima si elevò, dimenticandomi per un attimo della paura e dell’angoscia che provavo.
-         Stai attento ti prego – lo supplicai sottovoce. Lui annuì deciso, e poi andò incontro al suo destino.
 
Derek, il leader della coppia di demoni, avanzò verso il mio angelo e poi scagliò, veloce e micidiale, il suo colpo.
Colpì con violenza inaudita il viso del mio angelo, che senza battere ciglio incassò il gancio, senza cambiare espressione, come se non fosse successo nulla.
Il mio cuore però perse un colpo.
Il demone ghignò, compiaciuto dalla forza di Sheid, e si preparò a lanciare il secondo colpo.
Stavolta colpì il ventre di Sheid, che si piegò impercettibilmente e poi indietreggiò con un balzo elegante.
Il mio cuore era stretto in una morsa di dolore e solo Sheid ne era a conoscenza.
Mi sentivo preda della disperazione e la cosa peggiore era che non potevo far nulla per aiutarlo.
Anche stavolta ero diventata un’esca.
Anche stavolta sarei dovuta restare a guardare mentre Sheid rischiava la vita per me.
 
-         Nessun cedimento, neppure un gemito … la regina Luna deve averti addestrato proprio bene – constatò con malvagità il demone – dimmi principe, ti comporteresti allo stesso modo se ti trafiggessi da parte a parte? – ghignò. Sheid non rispose, né cambiò espressione.
 
Il demone estrasse la sua spada lucente e affilata e poi la fece volteggiare sulla sua testa.
Il mio cuore sembrò traforare il petto, e un gemino uscì dalle mie labbra.
 
-         Sheid! Ti prego, ti prego, ti prego stai attento – urlai con tutto il fiato che avevo.
-         Fidati di me – rispose lui, e un mezzo sorriso compiaciuto balenò sul suo volto d’angelo.
 
Poi accadde tutto troppo in fretta.
Il demone, con una velocità sovrumana, si avvicinò a Sheid, che restando fermo ed impassibile, lo affrontava con lo sguardo.
 
La lama della spada trapassò il suo ventre, e i suoi occhi si spalancarono per un istante.
 
Il petto mi faceva troppo male, il cuore si era fermato, e nella notte distinsi perfettamente le mie urla disumane.
 
Il mio sogno si stava realizzando, quell’incubo straziante stava prendendo forma e la mia vita stava perdendo il suo valore perché io stavo perdendo lui.
 
Sheid prese nella sua mano la lama della spada che lo aveva trafitto, e la fece penetrare ancora di più nella sua carne.
Il demone di fronte a lui, sbigottito e pietrificato, non fece in tempo a fermare il suo colpo.
Il mio angelo preparò in un millesimo di secondo una palla di luce micidiale, e poi la scagliò verso di me.
Adesso capivo: il suo piano era quello di liberarmi prima che quel demone mi ferisse trasformandomi in un mostro.
Stava sacrificando la sua vita per proteggermi, ma qualcosa andò storto.
Prima che potesse essere inghiottito dalla luce, prima che il suo corpo venisse polverizzato dal potere di Sheid, il demone, mi ferì, procurandomi piccoli graffi al polso e al collo.
Poi sparì con un ghigno compiaciuto e disperato, una maschera di pazzia e di dolore, trasformandosi in cenere.
 
-         Derek! – il demone rimasto chiamò il nome del fratello scomparso, e poi la rabbia si impossessò di lui. Preparò una palla infuocata e la scagliò verso una delle ali del mio angelo.
 
Stavolta un gemito di dolore si liberò dalle labbra del mio protettore, che ferito e debole, non risparmiò il suo aggressore, colpendolo con un’altra sfera di luce.
Il demone riuscì ad evitarla, ma si accasciò al suolo indebolito, guardando l’angelo con uno sguardo omicida.
Prima che potesse scagliare un nuovo attacco, Sheid lo colpì in pieno, facendolo diventare polvere.
 
-         Sheid! – sussurrai, non avevo voce, la paura di perderlo mi aveva tappata la gola in una morsa dolorosa. Con le gambe tremanti mi precipitai verso di lui.
-         Non avvicinarti! – mi sorprese lui, bloccandomi – Non è finita, ne stanno arrivando altri! Scappa! – mi ordinò con uno sguardo austero e la voce severa  e preoccupata.
-         Non ci penso nemmeno, io non mi muovo da qui se tu non vieni con …
-         Seira … - urlò e nel farlo il suo viso si contrasse in un’espressione di dolore. Ora non lo nascondeva più, non a me - … hai paura dei demoni no? Mi hai detto che hai paura di morire, che c’è … non è più così? – la sua voce era tagliente il suo sguardo fremeva.
-         L’unica cosa di cui ho paura adesso … è perderti! – singhiozzai e decisa a non lasciarlo, mi precipitai al suo fianco.
 
Il suo viso era pallido e la sua espressione sofferente, il suo respiro affannato.
La sua ala destra era stata devastata atrocemente, e il liquido argenteo, fluido come sangue, gocciolava sulla terra scura, copiosamente.
Sheid estrasse con coraggio la spada che ancora lo trapassava.
Il sangue era tantissimo, e i suoi gemiti sommessi erano una tortura per me.
Io soffrivo insieme a lui.
 
-         Resisti! Ti prego resisti! – lo supplicai, mentre gli tenevo la testa.
 
Quella non poteva essere la fine, quella non poteva essere la realtà.
 
-         Sta’ tranquilla, non muoio per così poco – rispose lui, cercando di controllare la voce, ma io vedevo che soffriva, nonostante la sua espressione fosse impassibile. I suoi occhi erano trasparenti.
-         Non puoi guarirti da solo? Non puoi guarirti come fai con me? – chiesi disperata. Lui fece cenno di no. Poi mi prese la mano. Anche io sanguinavo, e forse di lì a breve, sarei diventata un demone anche io.
-         Stai ferma va bene? – chiese con voce debole. Io capii cosa voleva fare, e ritrassi il braccio, ma lui mi prese con la forza.
-         NO! Il veleno del demone è letale per te, se lo bevi potresti … - non volevo finire la frase.
-         Che cosa? Morire? Allora preferisco farlo sapendo che sono riuscito a salvarti – disse, e nonostante cercassi di sfuggirli, nonostante fosse ferito, si dimostrò ancora una volta troppo forte per me.
-         Scusa Seira, ma devo farlo – disse, e poi posò delicatamente le labbra sul mio braccio e cominciò a succhiare il sangue. Poi passò al collo.
-         Perdonami, farò con tutta la delicatezza di cui sono capace – promise. Soffiando le parole sulla mia pelle.
Rabbrividii.
Le sue labbra sfiorarono la pelle del mio collo e io sprofondai prima nel piacere più inebriante, e poi nell’imbarazzo più totale, insieme alla dolorosa consapevolezza che ciò che stava facendo era un sacrificio crudele e insopportabile.
-         Fatto – sospirò, adagiando la testa sul mio ventre. Era esausto, ma anche stava tremando, ma forse era solo perché era ferito gravemente.
-         È tutta colpa mia, sono davvero una buona a nulla. Dipendo da te, piango sempre e non faccio altro che cacciarmi nei guai. Io sono …
-         La persona a cui tengo di più – mi interruppe lui. Il mio cuore perse un battito – perciò ti prego, corri a casa e lasciami qui, io so cavarmela se sono da solo, ma se tu rimani, non sono sicuro di poterti proteggere – mi spiegò con preoccupazione nella voce profonda e meravigliosa.
-         Ma sei ferito! La tua ala è … - sospirai dolorosamente – torniamo a casa insieme, almeno proviamoci, ti prego! – lo supplicai ancora una volta.
-         Seira! – mi trapassò con lo sguardo, poi una luce gli balenò negli occhi – Se provassimo a tornare a casa, incontreremmo altri demoni – mi disse con la voce sommessa e controllata – e visto che non posso volare saremmo solo una preda facile – mi spiegò. Ma allora eravamo destinati alla morte?
-         I nostri destini sono legati dal sangue – gli dissi. Se dovevo morire, volevo morire insieme a lui. Accarezzai i suoi capelli che solleticavano dolcemente il mio mento. Non sapevo perché, ma trovarlo così vicino, tenerlo così, stretto a me come se fosse mio, mi fece sentire miracolosamente in pace.
Sentii il suo corpo sussultare impercettibilmente, e poi una voce famigliare mi sorprese alle spalle: cosa sarebbe accaduto adesso?
-         Sheid! – sussurrai il suo nome, come se fosse una preghiera silenziosa.
 
 
 
------------------------------------ANGOLO DELL’AUTRICE -------------------
 
SALVE A TUTTEEEEEEE!
Come va tesore?
Io bene, anche se in questo ultimo periodo sono strapiena di impegni e di conseguenza sono in un ritardo impressionante.
Comunque ora i miei bimbi sono tutti vostri.
Ce la farà Sheid a salvare Seira e se stesso?
Cosa nasconde Luna? Chi è il misterioso prigioniero?
E chi è la figura apparsa alla fine?
 
Tutto nel prossimo cap ovviamente.
 
Fatemi sapere che ne pensate ok?
Vi ringrazio tutti per la pazienza e per il semplice fatto di esserci! Ciaoooooooo!
Dalla vostra
Fiorellina
<3
 
 
                                 
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


 
SHEID:
 
Devo parlarti con estrema urgenza.
Ti prego di venire il prima possibile.
Luna.
 
Poche ma semplici parole.
Che cosa le era passato per la testa di così urgente da chiedermi di andare al palazzo così tardi?
Avevo uno strano presentimento ed ero molto preoccupato per Seira.
Le presenze che avevo sentito poco prima di partire erano demoniache, ne ero certo, e lasciarla sola era come lasciare la trincea durante un attacco nemico.
È vero, Erik era con lei, la casa era protetta, ma … non era comunque prudente.
La preoccupazione mi smosse un poco, facendomi sospirare.
Poi incontrai la soluzione al problema.
Pierre.
-          Sei di guardia tu stanotte? – lo salutai con un cenno del capo, vedendolo immobile davanti alla barriera lunare che divideva il castello di Luna dal mondo degli umani.
-          No, passavo solo di qui – rispose con un leggero inchino.
-          Cosa vuole da me? – chiesi a mezza voce, sapendo perfettamente che lui aveva capito.
-          Beh, a quanto pare le manchi – rispose indifferente lui – a proposito, non stare via molto, altrimenti la piccola Seira potrebbe sentirsi sola! – esclamò con falsa dolcezza.
-          Ho bisogno di un favore – dissi serio, con il solito sguardo che non ammetteva repliche.
-          Cosa c’è? – lui capì e divenne serio a sua volta.
-          Proteggila tu mentre sono via, ho uno strano presentimento – spiegai, con un tono di voce a metà tra l’amichevole e l’austero.
-          Sarà fatto – rispose con una strana luce negli occhi che non seppi interpretare.
-          Pierre! – lo chiamai prima che sparisse nella notte – Proteggila e basta – sottolineai con uno sguardo cupo e temibile.
-          Sarà fatto – ripeté lui, compiaciuto e divertito.
 
Oltrepassai la barriera, e poi andai ad incontrare Luna.
Volevo fare il più in fretta possibile.
 
Varcai a testa alta la soglia del palazzo, luminoso ma opaco, sempre uguale.
Ormai mi ero abituato a quella luce strana, così limpida ed eterea ma anche così effimera: sembrava dovesse spegnersi da un momento all’altro.
 
I nobili angeli, padri della creazione della comunità angelica, che con la loro bellezza e luce impreziosivano il castello, conversavano e passeggiavano, e le loro ali sembravano nutrire il suolo del castello, che assorbiva quella polvere sfavillante e rispendeva di una luce idilliaca.
E pensare che mio padre era stato il re e il fautore di tutto questo.
                                          
 
-          Mio piccolo Sheid … da quanto tempo! – mi salutò dal suo trono di luce la regina della notte. I suoi occhi riflettevano i miei.
Venne nella mia direzione, e poi posò un bacio delicato sulla mia guancia.
Io mi irrigidii, e poi mi allontanai di un passo da lei.
Luna capì perfettamente il mio comportamento ma non disse nulla, né me lo fece notare.
Il suo comportamento era sempre stato eccentrico e spesso stravagante, ma il suo sadismo e la sua ossessione nei miei confronti, adesso straripavano dai suoi occhi di vetro.
Una preoccupante discesa del tasso di fiducia che avevo in lei, mi causava una strana ansia e una forte repulsione, ma cercai di contenermi, dovevo fare presto
-          Luna – pronunciai il suo nome con un astio nascosto dalla mia freddezza - di cosa volevi parlarmi? – chiesi.
-          Sei appena arrivato e già vuoi parlare di questioni diplomatiche? – disse composta.
-          Già, visto che la principessa è rimasta senza protezione – risposi.
-          Bene – la sua voce divenne piatta – allora cominciamo a parlare del rapporto che hai con lei – mi sfidò con lo sguardo.
-          Che cosa vorresti sapere? – la sfidai a mia volta. Non ero più un bambino debole e disperato, lei lo sapeva.
-          Provi qualcosa per lei – non era una domanda, ma un’insinuazione.
-          E se anche fosse? Forse la regina ha dimenticato che io sono umano – le ricordai.
-          Ma sei anche uno dei miei angeli – proruppe lei – anzi – continuò con voce sensuale – sei il mio futuro re.
Fece scorrere un dito sopra la mia guancia, con estrema delicatezza e venerazione.
-          La cerimonia d’incoronazione, mio principe, è vicina. Mi serve il tuo aiuto per sconfiggere Anul, mi servi per ampliare il mio potere.
 

                                                 **********************
 
 
SEIRA:
 
-          Principe! Seira! – la voce di Pierre agitata e vicina, ci chiamava. Ma io non la sentivo.
Sentivo solo il battito del mio cuore, che andavano all’unisono con il respiro veloce e affannato di Sheid.
Non sentivo altro.
-          State bene? – Pierre si chinò verso di noi, che eravamo accovacciati al suolo. Io tenevo in grembo il corpo tremante di Sheid.
Aveva perso tantissimo sangue, e il liquido copioso che bagnava il terreno scuro, sembrava ricoprire il mio cuore di terrore.
Lo stavo perdendo?
-          No – ansimò il mio angelo, forse rispondendo ai miei pensieri – non muoio per così poco – mi tranquillizzò in un gemito. Ma sapevo che non era così, il suo corpo, per quanto fosse forte, era umano, e poteva morire.
-          Perché non hai fatto nulla? Perché non l’hai portato via? – mi rimproverò Pierre. Le sue parole arrivarono violente come schiaffi, nonostante avesse pronunciato quella frase con voce piatta.
-          Io …
-          Pierre, vedi di piantarla – lo ammonì Sheid, con una voce più ferma e autoritaria -  credi che una ragazza umana avrebbe potuto trascinarmi fino a casa? – domandò severo – Tu piuttosto, dove diavolo eri mentre la principessa, che ti avevo affidato per due sole ore, era tra le grinfie di due demoni? Dov’eri? – si alterò urlandogli contro, e poi il suo viso divenne livido.
-          Calmati e non parlare, stai fermo, ti … ti prego! – lo supplicai, i lucciconi agli occhi. Era anche colpa mia se era in queste condizioni.
-          Chiedo umilmente perdono, ma sono stato sviato da una falsa pista, e quando me ne sono accorto era ormai troppo tardi – spiegò mortificato e irritato Pierre. Un momento prima era con me e un momento dopo ero tra le grinfie di quei mostri.
-          Bugiardo! – lo ingiuriò Sheid – Ho percepito la tua presenza nei dintorni durante la battaglia, ma non ti sei neanche degnato di venire a liberare lei, lei! – continuò Sheid, agitato e adirato come non mai. Stavolta era davvero fuori si sé.
-          Sì, ero nei paraggi, ma non ho percepito nessuna aura demoniaca, mi sono accorto di voi solo perché ho visto uno dei tuoi attacchi – si difese con ardore Pierre – credimi!
Mentre Pierre pronunciava quelle parole, sentii il corpo di Sheid divenire preda di uno spasmo agghiacciante, seguito da un tremore lieve ma persistente.
-          Sheid … cosa … ? – domandai in preda al panico. I suoi occhi si fecero sempre più scuri, fino a diventare blu profondo, come i fondali di un oceano infinito e freddo. Non avevo mai visto occhi così. Sembravano elettrici, magnetici, angelici … occhi di un guerriero invincibile.
-          Sono troppo debole per controllarmi, perdonami Seira e dimentica qualsiasi cosa io faccia da ora in poi – mi avvisò con tensione nella voce.
-          Cosa …? – sentii il suo corpo irrigidirsi, e divenire più caldo. Sentivo una strana energia, quasi surreale, circondarmi con violenza anche se non sentivo nessuna paura, nessuna sensazione spiacevole. Mi lasciai travolgere e capii che lo Sheid che conoscevo io, stava pian piano scomparendo, lasciando il posto ad una creatura totalmente diversa.
L’angelo che mi aveva quasi baciata, la notte in cui fui testimone del Nutrimento, adesso era inerte tra le mie braccia.
Era impossibile distogliere lo sguardo, era impossibile non rimanere meravigliosamente assorbiti da tanta regalità, da tanta distruzione e bellezza insieme.
Sublime.
Le iridi quasi iridescenti dei suoi occhi, si mossero attente e veloci, sondando l’ambiente circostante. Le sue movenze feline ed eleganti, davano l’impressione che fosse guardingo.
Era come se si fosse svegliato da un lungo sonno, ed io mi specchiavo in quegli occhi profondi che riflettevano come diamanti neri la luce di quella luna così pallida.
Si alzò senza sforzo, lasciando un vuoto tra le braccia e nel cuore.
Poi mosse l’ala ferita, portandosela più vicina. La sua espressione era neutra come se fosse indifferente persino a se stesso.
La grave ferita all’addome che ancora sanguinava, sembrava essersela dimenticata, come se fosse stata un incubo fastidioso.
Toccò con le dita lunghe e bianche la ferita all’ala, e prelevò un po’ di quel liquido iridescente e simile a sangue, con due dita.
Si guardò la mano con un’espressione a metà tra il confuso e l’annoiato, e i suoi occhi guizzarono per un momento brevissimo su Pierre.
Solo in quel momento mi accorsi di quanto fosse terrorizzato lui.
L’angelo biondo, era in una posizione di difesa, acquattato quasi a volersi difendere da un attacco.
Gli occhi sbarrati, come se avesse avuto davanti un mostro invincibile assetato di sangue.
Sheid, o perlomeno, ciò che era rimasto del mio umano protettore alato, si portò le dita alle labbra, e quest’ultime sfiorarono delicatamente e con movenze sensuali quel sangue trasparente.
Chiuse gli occhi, e assaporò quel gusto, per me sconosciuto. Riaprì gli occhi, e abbagliò Pierre con uno sguardo così freddo e vuoto da sembrare l’angelo della morte in persona.
Poi parlò.
-          Terrore – pronunciò quella parola con una voce metallica e sommessa. Pura potenza – terrore – ripeté. Adesso anche io avevo paura.
-          Quegli occhi … sono – Pierre era davvero sconvolto e io non sapevo che cosa fare. Possibile che Sheid volesse … - Isaac – disse Pierre, e quella frase senza senso, aveva un profondo significato. Quegli occhi erano identici a quelli del padre di Sheid.
Era con lo stesso sguardo che aveva Sheid adesso, che Isaac aveva tradito il suo popolo e … suo figlio?
-          Pierre – Sheid pronunciò il suo nome con astio, e la potenza che si sprigionò dai suoi occhi fu quasi tangibile. Poi fece roteare il polso, e allora apparve una palla di luce. Stavolta era diversa dalle altre. Di solito erano composte da purissima luce bianca, ma stavolta era diverso. Avevano una sfumatura scura e negativa. Pierre indietreggiò, allora capii che Sheid voleva eliminarlo.
-          No! – mi alzai di slancio e andai vicino a Sheid. Dovevo fermarlo.
Lui non voleva essere come suo padre, non voleva essere un mostro. Io lo sapevo.
E avrei fatto qualunque cosa pur di fermarlo. Se lo avesse ucciso, se ne sarebbe pentito per il resto della sua vita.
-          Questo non è affar tuo Seira, va’ a casa! – non alzò la voce, ma il modo in cui lo disse mi fece venire i brividi. Il cuore perse un colpo, ma il mio spirito si intestardì.
-          Fermati! Non farlo o te ne pentirai! – lo implorai, attaccandomi al suo braccio.
Volevo fermare il suo colpo, dovevo fermare il suo colpo.
Io potevo farcela.
-          Levati! – ancora quella voce di ghiaccio. “Dove sei Sheid?”, pensai. Da qualche parte l’umano che era in lui, la razionalità e l’autocontrollo, il mio Sheid, dovevano venire fuori e fermare l’angelo impietoso.
-          No! Se uccidi lui, ucciderai anche me – mi parai davanti a Pierre. Gli occhi di Sheid non cambiarono espressione, era come sa la negatività e l’oscurità del suo cuore avessero incatenato e imprigionato la sua umanità, facendo uscire invece, l’angelo distruttore che era in lui.
Mi avrebbe davvero colpita?
-          Seira! Vattene da qui, scappa! Lui non è il tuo angelo, è solo il suo alterego incontrollabile e invincibile! – mi avvisò Pierre – Io non sono in grado di proteggerti o di batterlo, così morirai anche tu! – la voce insicura ed impaurita ma gli occhi attenti di Pierre, mi fecero capire che non stava bluffando.
-          Levati ho detto – era in tutto e per tutto un ordine, dettatomi dal principe degli angeli di Luna. La palla di luce divenne più consistente, e con essa l’energia negativa, simile ad un freddo pungente che stringe il cuore in una morsa di dolore, si intensificò.
-          Seira! – urlò Pierre. Stava arrivando la fine per lui, e forse anche per me.
Mi restava una sola cosa da fare, e forse non sarebbe bastata.
Se il suo cuore umano adesso era preda del ghiaccio, io l’avrei scaldato con il mio fuoco, il mio amore.
Non importava che fosse angelo o che fosse umano.
Non mi importava cosa aveva fatto o cosa avrebbe fatto.
Ora volevo solo renderlo mio, sigillando il suo cuore con una promessa fatta di fiducia e calore.
Mi avvicinai al suo petto, e poi salendo sulle punte per raggiungergli il volto …
 
Lo baciai.
Posai le mie labbra tremanti sulle sue, perfette, morbide e piene.
Il suo sapore mi pervase, come una pozione magica che ti strega e ti rende inerme, ma nello stesso tempo ti inebria di passione e gocce di peccato, un peccato dolce, un peccato letale, che mi fece perdere negli echi della mia anima appassita, insidiandosi profondamente e dolcemente.
Chiusi gli occhi assaporando il suo profumo, appoggiandomi alle sue spalle da ragazzo, così umane e così divine al tempo stesso.
In fondo era sempre Sheid, e sapevo in cuor mio, che amavo allo stesso modo entrambe le parti di lui, ma di un amore diverso.
Uno fatto di fiducia, passione e bisogni.
L’altro fatto di uno straziante senso di non ritorno.
 
Il tempo che passavo con lui, mi sembrava scorrere velocemente, troppo.
Come se già sapessi che una vita non mi sarebbe bastata per appagarmi, non mi sarebbe bastata per convincermi che fosse vero.
 
Non mi importava se al risveglio da quel meraviglioso sogno, lui mi avrebbe guardata con disprezzo o mi avrebbe uccisa perché avevo violato il suo giuramento a Luna.
 
Io avrei protetto i miei sentimenti per lui, come la cosa più cara che avevo.
 
Cercai di trasmettere quei sentimenti attraverso il mio primo bacio, e sperai che lo Sheid umano, fermasse lo Sheid angelo, così da poter salvare Pierre da morte certa.
 
Mi staccai a malincuore da lui, per respirare, e aprii gli occhi.
I suoi erano spalancati, come se fosse preda di un dolore insopportabile, ma il loro colore era tornato normale.
Il connubio perfetto tra l’angelo e l’umano.
Un viola elettrico che nascondeva venature bluastre.
Mi staccai del tutto, consapevole di aver acceso le fiamme, che prepotenti volevano infiammargli il cuore freddo e appassito.
La sua espressione divenne sempre più calma di minuto in minuto, mentre un silenzio teso e pieno di imbarazzo, ci sovrastava.
I suoi respiri divennero pian piano più normali, e il viso riprese il suo pallore dovuto alle ferite.
Era di nuovo umano adesso, soggetto al dolore.
Posò debolmente lo sguardo su di me, nei suoi occhi miriadi di sentimenti contrastanti.
Alzò debolmente un braccio, scostò i capelli che si erano appiccicati sulla mia guancia sinistra, dolcemente, causandomi un brivido.
Poi sussurrò – perdonami – e svenne accasciandosi al suolo.
 
                                                                   *******
 
L’odore dell’alcol e delle bende mi faceva prudere il naso, ma non ci pensai.
Ero seduta ai piedi dell’enorme letto di Sheid, e Pierre ed Erik si davano da fare.
 
-          La ringrazio dal profondo del mio cuore, lord Ghefren, è stato di grande aiuto – si prostrò Erik, appena Pierre ebbe finito di rimarginare, almeno in parte, le ferite di Sheid.
-          Non ho fatto niente – sorrise angelicamente Pierre – ho solo reso le ferite meno gravi – disse mesto – il resto è nelle tue mani.
Erik annuì con il volto livido per la preoccupazione, e poi immerse un panno bianco in una bacinella piena di acqua calda, che stava sul comodino accanto al letto.
Pulì delicatamente il sangue che circondava la ferita al ventre e poi prese dell’acqua ossigenata e ce ne versò un po’ sopra.
Io mi voltai dall’atra parte, guardare era diventato impossibile.
Quando non sentii più rumori, capii che Erik aveva finito di armeggiare con le bende allora provai a dare un’occhiata.
Il torace e l’addome di Sheid erano fasciati con maestria e perfezione.
Anche l’ala godeva di una buona fasciatura, ma vedere quello splendore divino a contatto con qualcosa di così umano, che sottolineava la debolezza, era davvero stranissimo.
Il viso del mio angelo era pallido e ancora livido, ma sembrava essere immerso in un sonno profondo e rigenerante.
Almeno così speravo.
-          Va bene – sospirò Erik – lasciamolo riposare, lui è un ragazzo forte, si riprenderà presto – disse accennando un sorriso antico e saggio, ma i suoi occhi erano tristissimi.
Perché tutti soffrivano? Perché tutti soffrivano per colpa mia?
 
 
Mi avvicinai al suo letto, e poi gli tenni la mano, calda a grande, tra le mie.
Azzardai un’occhiata alle sue labbra.
Toccarle, renderle mie, era stata l’esperienza più eccitante della mia vita.
Forse per Sheid però, non sarebbe significato nulla.
 
Ma a me bastava soltanto che si svegliasse e mi dicesse che stava bene e che era stato un brutto sogno, volevo che mi ripetesse ancora e ancora che mi avrebbe protetta e che sarebbe stato al mio fianco.
Volevo vedere i suoi occhi.
 
I respiri che facevano alzare e abbassare il suo petto impercettibilmente erano regolari e tranquilli.
Lo lasciai riposare, sperando con tutto il cuore che si svegliasse presto.
 
                                                 ************
 
Erano passati tre giorni, ma Sheid non si era ancora svegliato.
La preoccupazione mi opprimeva il petto, e la paura che non si svegliasse mi rendeva debole e instabile.
La sua camera era buia, illuminata solo dalla fioca luce di una lampada.
Le tende scure erano sigillate.
 
Ad un tratto le sue palpebre si mossero, e un lieve sospiro varcò le sue labbra.
Poi, lentamente, aprì i suoi occhi meravigliosi, che confusi e deboli, andarono a circondare il mio volto felicissimo.
-          Sheid! Ti sei svegliato finalmente! Come ti senti? – chiesi eccitata.
-          Seira! – rispose debolmente lui.
-          Ero preoccupatissima, menomale – stavo per commuovermi. Ma mi ricomposi, quello non era il momento adatto.
-          Mi dispiace – abbassò gli occhi, e sapevo che non si riferiva alla mia preoccupazione.
-          Non è niente, tutto si è risolto no? – dissi, cercando di risollevarlo.
-          Certo – quando rispondeva in quel modo così cupo e diretto, in realtà ce l’aveva a morte con se stesso. Ormai lo conoscevo bene.
-          La cosa importante è che siamo entrambi vivi – risposi e poi gli presi la mano. Stavolta sentii la sua ferrea stretta avvolgere la mia.
-          Non sono riuscito a controllarmi e stavo per … io stavo per colpirti …
-          Ma non l’hai fatto – interruppi frettolosamente la sua arringa contro se stesso – tu non l’hai fatto.
-          Certo, perché tu ti sei sacrificata per me! – disse tra i denti. Arrabbiarsi non gli avrebbe certo giovato.
-          Smettila, adesso devi pensare solo a riposarti! Stenditi e prova a riaddormentarti – cercai di convincerlo ma il suo sguardo era palesemente contrariato.
-          Era il tuo primo bacio vero? – trasalii, era vero, ma lui come faceva a saperlo?
-          Cosa …? – ero confusa e anche imbarazzata ora.
-          Sei stata costretta a baciare uno sporco assassino, … come me – sussurrò le ultime due parole, e nei suoi occhi scorsi quell’antico dolore che spesso offuscava il suo sguardo troppo freddo per appartenere ad un semplice umano.
-          Sheid, veramente io …
-          Non giustificarti! – contrasse la mascella – Tu non hai fatto nulla di male, conosco le tue intenzioni, tu l’hai fatto per me. Ma …
-          Sheid io ….
-          No, fammi finire. Ti chiedo infinitamente perdono … io
-          Sheid! – lo fermai con decisione stavolta, e lo costrinsi a guardarmi – A … a me non è dispiaciuto – naturalmente non avevo previsto l’imbarazzo che mi avrebbe colto, ma lo lasciai scivolare via, per dare spazio alla decisione – vedi, la realtà è che, nonostante sia proibito, tu mi …. ecco tu mi …. mi  - non riuscivo a dirlo. “Tu mi piaci”, era così difficile da dire?  Nei suoi occhi si accese una strana luce, come se avesse capito e si fosse reso conto dei miei veri sentimenti proprio in quel momento.
Mi prese dolcemente per il mento e poi posò un dolce bacio sulla mia fronte.
-          Lo stesso è per me – sorrise. Era bellissimo! Era il connubio perfetto tra la bellezza che mi abbagliava e la distruzione che mi straziava fino a rendermi succube della sua presenza costante. Era sublime.
In quel momento entrò Erik seguito a ruota da Pierre che non si era mosso un attimo da casa Winter, e noi ci staccammo a malincuore.
Sapere che mi ricambiava era stato … come fare un volo meraviglioso e riuscire a toccare con le dita gli sbuffi rosati delle nuvole al tramonto. Era come essere parte della luce del sole, era come godere di tutta la felicità presente sulla terra.
Assaporai quella consapevolezza ancora troppo meravigliosa, per essere contemplata come concreta, e mi abbandonai ad un sospiro.
-          Come si sente padrone? – domandò premuroso Erik.
-          Sto bene – sorrise benevolo Sheid, e il suo sguardo cadde su Pierre – mi dispiace Pierre, non volevo metterti paura – poche semplici parole, mille significati.
-          Non hai messo paura solo a me, ma anche allo stormo di demoni che stava arrivando, li hai messi in fuga in un attimo, ho percepito la loro energia sparire velocemente – Pierre era sbalordito al ricordo, e nascondeva ancora un pizzico di paura nella voce.
-          Comunque … vedi di non sparire la prossima volta che ti affido Seira – disse chiaro e freddo Sheid – la prossima volta potrebbe accadere l’irreparabile – era agghiacciante il modo in cui l’aveva ammonito.
-          Lo farò – rispose mortificato Pierre. Da come si erano susseguiti gli avvenimenti quella tragica notte, era impossibile fidarsi totalmente di Pierre.
Ricordo di essermi addormentata dopo che lui era sparito per “controllare la situazione”, ma la stessa notte, lui mi aveva rivelato una parte di sé, sconosciuta e affascinante.
Quasi buona.
-          Padron Sheid, è andato tutto bene dalla regina Luna? Ci sono novità? – chiese Erik, attirando la mia attenzione. Nello stesso istante Sheid trasalì come se Erik gli avesse ricordato un incubo. Si ricompose velocemente e poi parlò.
-          Sì, non c’è da preoccuparsi, era solo una questione di affari – rispose risoluto, recitando la sua parte alla perfezione.
-          Bene – subentrò Pierre come se si fosse ricordato di qualcosa in quel momento – visto che la situazione si è stabilizzata e il principe sta bene, io vado – disse, andando verso la porta.
-          Pierre, sei stato gentile ad aiutarmi, grazie – disse Sheid e Pierre sorrise affabile. Mi rivolse un ultimo sguardo e poi si dileguò.
Chissà di quali affari si trattava! Chissà cosa c’era dietro allo sguardo sbigottito di Sheid!
“Ancora interrogativi? Ancora domande? No!” mi lamentai a mente.
-          Signorino, signorina … avete fame? – io e Sheid annuimmo all’unisono, e poi scoppiammo a ridere. Beh io scoppiai a ridere, Sheid naturalmente abbozzò un sorriso accompagnato da uno sguardo divertito.
-          Bene, allora vado a preparare qualcosa – si congedò Erik e noi rimanemmo nuovamente soli.
-          So che vuoi chiedermi qualcosa, perciò non farti problemi, ormai lo sai che risponderò a ogni tua domanda – disse serio lui, guardando il soffitto dalla sua posizione semi seduta.
-          Allora … come mai ogni tanto perdi il controllo? – mi sembrava la domanda più urgente al momento.
-          Sono metà umano e metà angelo, e quando mi indebolisco o vengo assalito da sentimenti negativi cambio carattere e spesso aspetto, diventando l’assassino di demoni che Luna ha addestrato con tanta cura – le sue parole erano affilate come rasoi e colme di amarezza.
-          Come l’altra sera? – chiesi, ma era ovvio.
-          Come l’altra sera – rispose ripetendo le mie parole.
-          Tuo padre era …
-          Sì, Isaac era molto simile alla mia forma angelica, ed era spietato allo stesso modo a volte – rispose. Non lo chiamò padre, ma disse il suo nome tra i denti come fosse qualcosa di orribile.
Isaac era l’arcangelo che aveva abbandonato il suo popolo e suo figlio.
-          Di cosa avete parlato tu e la regina Luna? – non avevo intenzione di chiedergli altro, non volevo turbarlo ulteriormente.
Rimase in silenzio per brevi istanti e poi parlò.
-          Beh, ti risponderò con una domanda: se io te lo chiedessi, tu verresti con me ad un ballo? – era divertito e nascondeva anche qualcosa di indecifrabile nello sguardo. Io invece trasalii.
-          Non vorrai dirmi che le hai chiesto di poter andare al ballo di fine anno?! – era l’unico motivo che potesse centrarci qualcosa con ciò che aveva detto.
-          Ti sbagli, ma … rispondi alla mia domanda – mi incitò.
-          Beh, anche se non so ballare benissimo … sì, verrei con te – risposi rossa.
-          Bene, allora Seira Shift, sei invitata ad essere la mia dama, al ballo che si terrà in onore della mia incoronazione – rise debolmente.
-          Incoronazione? – non capivo ancora.
-          Sì, fra tre settimane io diventerò il re degli angeli di Luna – disse fiero e anche profondamente preoccupato.
Un cambiamento così radicale e improvviso mi sembrava stranamente sospetto. Cosa stava macchinando Luna alle nostre spalle?
Lo sguardo di Sheid era lontano, e forse anche lui si stava facendo la stessa domanda.
-          Apri le tende, per favore? – chiese come se non avessimo parlato di nulla di importante.
Con movimenti meccanici obbedii e con meraviglia e sorpresa, vidi le sue ali, ormai guarite, sparire in un’esplosione di luce velocissima e folgorante.
Allora era il sole che le faceva svanire!?
Quante cose ancora dovevo scoprire sugli angeli?
Lui mi sorrise benevolo come se avesse sentito la mia domanda.
 
 
                                                            *******************
 
 
 
-          Sheid! Torna immediatamente a letto! – lo sgridai vedendolo in cucina, davanti al frigorifero,  con un paio di pantaloni di tuta neri e larghi e una felpa dello stesso colore sbottonata, come a rivelare la fasciatura attorno al suo corpo.
Lui mi guardò con uno sguardo indifferente come se non stessi dicendo a lui.
Aveva un bicchiere di latte freddo in mano, e l’altra era in tasca.
“Che figo!” pensai, incapace di contenermi, ma poi mi rinsavii e gli andai incontro con decisione.
-          Torna a letto! – ripetei con meno foga – Se volevi da bere potevi chiedermelo – dissi.
-          Sto benissimo, ho passato anche troppo tempo a letto – rispose annoiato.
-          Troppo tempo? Sei stato ferito gravemente e sei rimasto a letto solo cinque miseri giorni, non dirai sul serio! – ero davvero preoccupata.
Si toccò il ventre, e poi ci diede un colpetto deciso. Io trasalii, perché doveva fare così? Era forse masochista o cosa?
-          Visto? Non c’è da preoccuparsi, è quasi completamente guarito – sorrise benevolo.
-          Sì, certo – risposi poco convinta.
-          Seira, hai per caso il numero di cellulare di Severi – chiese a brucia pelo.
-          Ehm … credo di averlo – risposi confusa.
-          Devo scusarmi con lui. Non andando a giocare devo averlo molto deluso e non avrei voluto farlo ma …
-          Capisco. Te lo do’ subito – risposi. 
Prese il suo cellulare dalla tasca, nero lucente, e poi compose il numero.
-          Pronto, Severi? – disse educato. Poi ci fu una breve pausa e rispose – Bene mi hai riconosciuto – sorrise, poi si rabbuiò – lo so, mi dispiace, ma mi sono … ammalato e … - credevo che il carattere di Sheid non potesse essere scalfito da niente e da nessuno, ma a quanto pareva, si era davvero affezionato a Matteo Severi, e perciò lo stimava come … amico.
-          Vuoi dire che domani si gioca l’ultimo torneo di tennis? … Bene. Capisco. Certo, la chiusura della scuola … ovvio che ci sarò! … Il ballo? … Mmm per quello non lo so, ma … cosa? – sembrava così … normale! Credo che in quel momento, guardandolo, abbia avuto la faccia da ebete.
-          Va bene, va bene. Sono contento per voi! Sì, si … Ciao – chiuse e poi mi sorrise.
-          Cosa ha detto? – chiesi curiosa.
-          Che hanno comunque vinto grazie ai consigli che gli avevo dato in palestra e che devo stare attento ad Alabiso che mi vuole morto, ma ho una buona notizia: fra tre giorni c’è la festa per la chiusura della scuola. Ci vuoi andare?
-          Certo! – dissi entusiasta – Ma prima devi riprenderti al cento per cento.
-          Non preoccuparti per quello, entro domani sarò in forma – mi rassicurò.
-          Mi preoccupo invece – sospirai – quindi per favore, torna a letto ok? – ero davvero preoccupata, doveva stare a riposo.
-          Piccola Seira, sto bene, davvero! – disse. Mi mise una mano sulla testa e poi scese dolcemente fino alla guancia. Mi sentii attraversare da un brivido. I suoi occhi mi intrappolavano. Era bellissimo. Misi una delle mie mani sulla sua, e poi la strinsi piano.
“Dimmi che senti ciò provo per te! Dimmelo” lo pregai in silenzio, ma non ottenni risposta, mi baciò sulla fronte, dolce e delicato.
L’attrazione tra noi, cresceva di giorno in giorno e sentivo che per quanto io ne risentissi di più, lui era comunque coinvolto in qualche modo.
Mi allontanai un po’ per guardarlo.
I suoi occhi erano tristi anche stavolta.
Nei miei sogni più belli, quelli senza demoni né oscurità, io gli confessavo i miei sentimenti e lui i suoi. Ma nella realtà se lo avessi fatto, forse lo avrei messo in pericolo, forse Luna sarebbe stata capace di uccidermi se avessi indotto uno dei suoi angeli al tradimento.
Sospirai.
Ripensai alla sera in cui il mio cuore era addolorato e attanagliato dal terrore di perderlo per sempre, ripensai alla sera in cui … l’avevo baciato.
“Sei la persona a cui tengo di più” aveva detto, e poi mi aveva assicurato di ricambiare i miei sentimenti. Ma lui aveva capito cosa rappresentasse per me? Aveva capito che lo amavo?
Secondo lui avevo “sacrificato” il mio primo bacio, per farlo rinsavire.
Perciò …
-          Sheid – “adesso o mai più” pensai – lo so che è un momento difficile, lo so che è sbagliato chiedertelo e lo so che forse ti sembrerò superficiale ed egoista perché penso solo a me stessa … ma … ma … - le parole mi si bloccarono in gola. Avevo paura della risposta, avevo paura delle conseguenze, ma lui mi prese per le spalle e mi spinse contro il muro.
Mi bloccò col braccio destro, la mano stretta a pugno, e poi poggiò la fronte al muro, solleticandomi la guancia destra con i suoi capelli.
Il mio cuore perse un colpo, era una specie di abbraccio, ma era anche una trappola senza uscita.
Non avevo avuto il coraggio di scrutargli gli occhi, perciò non conoscevo la sua vera reazione.
Quello era un modo per zittirmi, o un modo per impedirmi di fuggire e quindi finire la domanda?
-          Seira, non prenderti gioco di me – rispose composto, aveva qualcosa di strano nella voce. Io trasalii. Prendermi gioco di lui? Che intendeva? – non è il momento giusto? Non puoi chiederlo? Credi che ti giudichi davvero un’egoista? – sembrava davvero impazzito. La sua voce era strana e agitata, e il suo viso nascosto, ma lo sentivo teso e nervoso. Il suo pugno destro colpì il muro, facendolo tremare alle mie spalle. Trasalii, e lo sentii sospirare tormentosamente.
-          Egoista? Tu egoista? – chiese, come se lo stesse dicendo a se stesso – Sei tu quella che si è messa in mezzo tra un angelo assassino e un mezzo demone, sei tu quella dimostra più forza e altruismo nelle situazioni difficili. Sei coraggiosa, il tuo sguardo mi segue e mi protegge mentre io tento di proteggere te, e spesso … spesso arrivo troppo tardi.
Sei tu che mi urli disperatamente di fare attenzione, di resistere … e … sei … sei tu la persona che sacrificando se stessa, dimostrando un immenso coraggio e tanta forza d’animo, è riuscita a fermare la bestia che è in me. E … ci sei riuscita con un innocente bacio – era agitato, e disse quelle parole con foga, facendo scemare il volume della sua voce di parola in parola. Era uno sfogo in piena regola, ma quelle parole mi mostrarono per un breve attimo come apparivo agli occhi di Sheid.
-          Perciò … - continuò, un po’ più calmo - tu puoi chiedermi quello che vuoi quando vuoi – concluse. Probabilmente la mia faccia era rossa, probabilmente la troppa vicinanza a lui mi avrebbe fatta balbettare, ma … adesso ero pronta finalmente.
-          Sheid … che cosa rappresento io … per … te? – l’avevo sussurrato, come se dicendolo a bassa voce avessi potuto tenerlo nascosto.
Lui rimase immobile per qualche attimo, poi, rimanendo nella stessa posizione sollevò un po’ la testa, e mi ritrovai i suoi occhi a pochi centimetri dai miei.
Erano meravigliosi! Erano magici!
-          La principessa di Luna che devo proteggere – rispose, e il mio cuore prese a battere fortissimo – ma questa risposta è falsa, e visto che non voglio mentirti, ti risponderò sinceramente – disse, nascose per la seconda volta la testa, appoggiandola al muro, e poi mi strinse a sé, in un dolce, tenero, lungo abbraccio.
-          Per un angelo è proibito amare un umano, le pene che gli spettano come punizione sono crudeli e insopportabile, ma … - smisi di respirare – io reputo sia più insopportabile starti lontano – lo disse con una voce melodiosa, profonda e idilliaca.
Le parole d’amore che avevo sempre sperato mi dicesse, la sensazione di un piacevole tormento che fa vibrare l’anima, mi invasero in tutta la mia essenza, e in quel momento mi sentii per la prima volta … completa.
Il vuoto del mio cuore inaridito era stato nutrito dal suo calore, dal suo sguardo protettivo, dalla sua bellezza … da Sheid.
La Seira che lottava contro le avversità con una maschera effimera e falsa, preda della paura della realtà e della solitudine, adesso si era affacciata ad una nuova prospettiva di vita, avvolgendosi dell’ebbrezza elettrizzante del primo amore, ma soprattutto della consapevolezza di non essere più sola, di non essere più un’ombra distante e dimenticata.
Ero viva.
-          Sheid … - le lacrime di felicità, sgorgarono dai miei occhi.
Mi allontanai un poco per guardarlo finalmente negli occhi come se mi appartenessero.
Allungai timidamente una mano e la posai sulla sua guancia, bianca e meravigliosa.
-          Quella notte, quando mi hai baciato, ho visto le tenebre che mi intrappolavano diradarsi e sparire, e nello stesso tempo ho sentito il bisogno di tenerti stretta a me – confessò, come se fosse una cosa imperdonabile – eppure non avevo il diritto di farlo, perché ho tentato di …
-          Sheid! – lo fermai – Non l’hai fatto! Io resterò al tuo fianco, sempre, qualsiasi cosa accada – ero così consapevole e convinta delle mie parole che mi sembrava impossibile che lui non capisse.
-          Ed io non ti farò andare via da me allora, tu dovrai restare al mio fianco, principessa – i suoi occhi erano due pozze di sincerità, e la sua voce miele. Mi strinse più forte a sé, ed io mi sentii felice come non mai.
Tutta una vita non mi sarebbe bastata per godere di quell’amore così ardente e logorante.
Era un peccato sì, il peccato più dolce che avessi mai commesso.
Il mio cuore era colmo di gioia, eccetto per una piccola parte, che in realtà per me era molto importante.
Lui avrebbe sofferto, ed io non avrei potuto fare altro che amarlo ancora di più.
 
                                                         *************
 
 
 Quella sera mi sentivo diversa.
Fuori dalla finestra c’era un paesaggio mozzafiato che offriva sfumature fredde e scintillanti grazie alla pallida luce della luna.
Tutto cambiava aspetto. Gli alberi, le strade, le case, il cielo.
Tutto sembrava essere sotto un misterioso incantesimo, come se il ghiaccio avesse avvolto tutto sotto il suo freddo velo, che mantiene intatto e inalterato tutto come in una magia.
 
Persa in quella luce soffusa e opaca, mi ritrovai a ricordare i fatti del passato.
La prima volta che vidi Sheid a scuola, la prima volta che vidi le sue ali, i suoi abbracci e le sue premure verso di me, i suoi occhi distanti, la sua voce, la sua duplice personalità, il suo passato …
Mi resi conto che i ricordi che erano più impressi nella mia mente erano tutti popolati da lui, era come se avessi memoria della mia vita dal momento in cui lui ne era entrato a far parte.
Lui aveva iniziato a salvarmi dal primo momento.
 
E adesso, conoscevo i suoi sentimenti.
“- Per un angelo è proibito amare un umano, le pene che gli spettano come punizione sono crudeli e insopportabile, ma io reputo sia più insopportabile starti lontano. Quella notte, quando mi hai baciato, ho visto le tenebre che mi intrappolavano diradarsi e sparire, e nello stesso tempo ho sentito il bisogno di tenerti stretta a me, eppure non avevo il diritto di farlo -” le sue parole ancora mi risuonavano nella mente.
Non l’aveva detto esplicitamente, ma … quello era … amore.
 
Amore.
 
Lo avevo sempre sottovalutato. Era lo stereotipo che mi infastidiva di più, sembrava tutto identico per tutti, chiunque lo raccontasse non faceva altro che dimostrarmelo.
L’amore che fa soffrire, che fa sperare, che fa morire, che fa vivere un sogno ad occhi aperti.
Io mi sentivo totalmente assorbita invece.
Era come se tutto il mio amore si concentrasse verso un unico individuo, l’unico capace di attirare a sé tutta la mia ammirazione e il mio affetto.
Il mio cuore era lui stesso.
Ogni suo respiro valeva quanto ogni mio battito.
Ogni sua cellula, ogni suo sguardo, ogni sua parola, scorrevano in me come sangue nelle vene.
 
Amore.
 
La ricerca della ricchezza dello spirito, la ricerca della completezza, la ricerca della felicità.
Amore.
 
Sheid.
 
Dopo tutto il tempo passato a nasconderlo, dopo tutte le paure, adesso sapevo che lui mi amava.
Era qualcosa di potente e intenso.
 
La pagine bianche della mia vita adesso stavano prendendo sfumature colorate e sgargianti, abbellite da oscure sfumature misteriose e ignote.
 
Chiusi la finestra della mia camera e mi diressi in cucina per prendere un bicchier d’acqua, ma quando passai dal salone, vidi una delle porte che portavano all’immensa sala sconosciuta e inaccessibile, aperta.
Il ricordo della prima volta che vi ero entrata era ancora vivido nella mia mente.
La magnificenza e la pura bellezza di quella visione, il contatto, e poi …
 
Il Nutrimento era qualcosa di molto singolare.
 
Mi avvicinai per controllare, d’altronde dovevo ancora vederci chiaro e scoprire che cosa era in realtà quella immensa sala.
A causa del buio era impossibile delinearne la forma e il contenuto complessivo, ma sentivo che fosse davvero interessante.
 
Mi avvicinai in punta di piedi, e fu allora che sentii la voce di Erik, preoccupata e rassegnata al tempo stesso.
 
-          E così la regina ha fatto la sua mossa?! Mi chiedo quale sia il suo obbiettivo – disse a voce bassa. In realtà la decisione di Luna di incoronare Sheid, così all’improvviso, era parsa strana anche a me.
-          Forse è davvero stanca di governare da sola, o forse ha un piano in mente. Non so che cosa pensare – rispose Sheid, la sua era monocorde.
-          Magari entrambe le cose, padrone. Trovo davvero inutile impegnare ulteriormente un protettore. Presto gli attacchi dei demoni saranno molto più frequenti, e diventare re e prendervi altre responsabilità sarebbe come avvantaggiare il nemico. Non posso credere che la regina non abbia pensato a questo, eppure è importante proteggere la principessa! – Erik era agitato, ma dalla sua voce capivo che stava inviando a Sheid un messaggio indiretto.
-          Erik, non posso ribellarmi a lei. Se lo facessi non farei altro che assecondare il suo lato oscuro. È abbastanza palese che questo è un modo per allontanarmi da Seira, e se mi dimostrerò debole e incapace di mantenere il controllo, lei userà questo come scusa per affidarle un nuovo protettore, e nel peggiore dei casi, finirà per estrarle il cristallo senza prendere prima le dovute precauzioni – la sua voce finì in un sussurro, ed io rabbrividii.
Possibile che Luna volesse uccidermi?
-          Inoltre non posso tradirla, perché ho un debito di sangue con lei. Lei realizzerà il mio desiderio di vendetta contro l’assassino di mia madre – ascoltando le sue parole e sentendo il tono secco e impavido della sua voce idilliaca, potei facilmente immaginare lì espressione del suo volto.
Gli occhi dell’angelo, adesso guardavano chissà cosa, i suoi occhi adesso erano blu, ne ero certa.
una fastidiosa sensazione di angoscia mi fece rabbrividire: Sheid voleva vendicarsi.
La madre di Sheid era morta per mano di un demone, possibile che Isaac, l’angelo che si era innamorato di lei, non l’avesse già vendicata? Possibile che il re degli angeli avesse dimenticato il suo grande amore?
E perché Sheid desiderava ardentemente quella vendetta, tanto da non potersi ribellare agli ordini di Luna, nemmeno occupando la posizione di capo supremo, di re?
Sentivo che presto avrei scoperto altro.
-          Signore … non sarebbe meglio … lasciarsi il passato alle spalle? – domandò con indecisione Erik dopo qualche minuto di silenzio.
-          Lasciarsi il passato alle spalle? – la domanda di Sheid sembrava retorica – come potrei dimenticare? Sarebbe come tradirla, sarebbe come farle un torto. Significherebbe la mia resa, e io non ho alcuna intenzione di perdonarlo. Io non posso … - si bloccò. Io rimasi col fiato sospeso. “Che si sia accorto di me?” pensai nel panico.
Ero seduta dietro la porta e la mia schiena aderiva perfettamente al legno massiccio e antico. Le ginocchia al petto.
-          Spesso sembra impossibile farlo, perdonare è qualcosa di divino, è per questo che ho pensato che voi potreste farlo. Era solo il punto di vista di un vecchio maggiordomo che darebbe la vita per ridarle la felicità, mio signore – mi vennero i lucciconi agli occhi.
-          E io darei la mia per proteggere te e Seira. Siete la mia famiglia, e sento che se lasciassi in vita quell’assassino, non solo tradirei mia madre ma perderei anche voi. Lui non deve avvicinarsi né a te né alla principessa – mi si strinse il cuore sentendogli pronunciare quelle parole così vere e così umane. Erano ricche di affetto, erano oneste, di quell’onestà che diventa verità.
Ci furono alcuni minuti di completo silenzio.
-          Quindi fra poche settimane dovrò chiamarvi maestà?! Non so se gioirne o esserne costernato – disse Erik e sentii i suoi passi avvicinarsi alla porta. In punta di piedi presi la via della cucina, sentendo Sheid pronunciare le ultime parole.
-          Non lo so nemmeno io Erik, non lo so – disse. Poi mi allontanai.
Aprii il frigorifero come se mi sentissi una ladra. Avevo origliato una conversazione più che intima. Le parole di Sheid erano servite per mettermi in testa altre domande che proprio non avrebbero giovato alla mia mente contorta in quel momento.
Luna era come impazzita, e andava contro il suo angelo preferito, Sheid aveva desideri di vendetta verso un fantomatico e sospetto demone ed io aspettavo che la regina della notte mi togliesse la protezione del mio custode e mi uccidesse a sangue freddo estraendo il mio cristallo di luna.
Cristallo. Non avevo mai riflettuto a fondo su quest’ultimo aspetto.
Sheid mi aveva spiegato che era nascosto in me. Il cristallo dimorava in una delle mie due essenze. L’anima o il corpo.
Chissà che cosa sarebbe successo alla fine.
Spesso si evita di pensare al peggio per allontanare da noi la possibilità che possa accadere.
E io stavo facendo esattamente questo.
Non avevo mai pensato alla fine di tutto, non avevo mai affrontato la questione, né con Sheid né tanto meno con me stessa.
Alla fine sarei sopravvissuta? Lui mi avrebbe salvata? E lui? Lui si sarebbe salvato? E se fosse stato così … poi … ?
 
-          Seira … - trasalii sentendo la sua voce da dietro che mi chiamava. Mi voltai di scatto, e nel buio della grande cucina illuminata solo dalla luce del frigorifero aperto e da quella delle sue ali scintillanti, scorsi la sua figura smilza e incantevole.
-          Sheid … - cosa dovevo dire?
-          Che ci fai in cucina a quest’ora? – sembrava sorpreso. Allora non si era accorto di me? – E’ tardi – mi fece notare.
-          Lo … lo so, ma avevo sete – sorrisi. Lui ricambiò debolmente il sorriso, e poi mi venne incontro, a passi lenti. Vederlo circondato dalle ali, vederlo in tutto il suo splendore … mi allontanai di qualche passo.
-          Cosa c’è che non va? – si fermò do colpo. Lo sguardo confuso.
-          Nulla, è solo che … - mi soffermai a guardare le sue ali. Non c’erano parole appropriate per descriverle. La verità però era che ero totalmente in imbarazzo. Il fatto che fossimo confessati i nostri sentimenti in modo tanto burrascoso mi aveva scombussolata un po’.
-          Pensavo ti ci fossi abituata ormai – lo disse con una voce serafica, e mi raggiunse.
Ritrovai il muro alle mie spalle. Lui mi intrappolava e non mi lasciava via di fuga, ma io non ero per nulla spaventata anzi non vedevo l’ora che facesse la sua mossa – ma forse la colpa è mia, dovrei essere più comprensivo e paziente – sorrise come un angelo tentatore.
Il mio cuore volò a un’altezza inimmaginabile, batteva velocissimo.
Mise le sue mani aperte sul muro alle mie spalle, intrappolandomi da entrambi i lati.
-          Hai paura principessa? – chiese serio e sensuale al tempo stesso. Io feci di no con la testa – allora permettimi di rimediare al mio errore – disse in un sussurro delicato. Adesso era il connubio perfetto tra l’angelo e l’umano, avrei fatto miei entrambi.
Si avvicinò lentamente a me, il suo viso e il mio viso.
Era davvero altissimo, perciò si chinò elegantemente verso di me, fino a che non sentii il suo respiro sulle mie guance.
Poi, come se fossero delicate come petali, le sue labbra toccarono le mie.
Il suo sapore mi pervase la mente, il suo profumo mi ubriacò, e la sua mano calda, catturò una mia guancia.
Sentii il mio corpo fremere, sotto il suo tocco, mi sentii trascinare violentemente dalla passione e dall’amore che provavo per lui.
Quel bacio casto ma pieno d’amore, era il suo modo per chiedere scusa.
Adesso comprendevo a pieno i suoi sentimenti.
Ci staccammo lentamente, i respiri affannati ma sommessi, le mie guance arrossate, i miei occhi lucidi e i suoi nei miei.
Posai le dita sulla sua guancia marmorea, e poi osservai attentamente la magnificenza di quegli occhi meravigliosi.
Anche se eravamo, stando con lui, mi sentivo al centro del mondo, come se migliaia di occhi ci osservassero, superbi e malvagi.
Stavamo commettendo un peccato, ed eravamo complici della stessa colpa.
Un sorriso gli velò le labbra rosee, e mantenendo quell’espressione, si portò una mano al petto.
Trasalii.
Ecco, stava soffrendo.
Il mio cuore provava dolore per causa mia.
-          Non piangere – disse sommessamente e con delicatezza raccolse le mie lacrime con le dita –  non devi piangere, io mi sento finalmente vivo grazie a te – sussurrò dolcemente.
Mi prese la testa tra le mani e poi mi baciò la fronte.
-          Ma tu soffrirai se … - mi zittì con un piccolo bacio.
-          Io rivivrei tutte le mie pene se solo servisse a tenerti con me per sempre – disse con estrema sincerità – se solo penso a quante colte ho desiderato un sentimento puro come questo! – aveva nello sguardo un sentimento antico, fatto di morte, dolore, desiderio e disperazione.
-          Non devi piangere per me – ripeté, avvolgendomi tra le sue braccia e poi creando intorno a noi uno scudo fatto dalle sue ali.
-          Allora promettimi che non ti perderò – dissi aggrappandomi alla sua felpa.
-          Mai – rispose, e avvolti e protetti da quel magico scudo di piume, mi baciò ancora, mentre il mio cuore era illuminato dalla luce più calda che avessi mai visto.



---------------------------------------------------------------------  ANGOLO DELL'AUTRICE ------------------------------------------------------------------------------------

Salve care come state? ci ho messo un po' a scrivere questo cap, anche perchè la svolta che avete notato è piuttosto palese!
comincio col dire che eventuali errori, imperfezioni, e sbagli sono la causa della mia pura impazienza, ma visto che sto riscrivendo i capitoli da capo per correggerli per stile e grammatica, questo cap e i prossimi sono solo a mo' di mostra per farvi sapere come continua la trama
quando perfezionerò i cap, li pubblicherò così che possiate avere un assaggio della storia completa ^^

perciò, se volete che cambi qualcosa, se avete qualche consiglio o qualcosa da ridire, sono pronta ad ascoltare, anche perchè i vostri giudizi sono costruttivi e utilissimi.

<3 un ringraziamento gigantesco a voi tutte, che mi seguite preferite e recensite.

vi prego, non abbandonatemi. se tutto va bene una volta finita vorrei fare della storia un libro da far partecipare ad un concorso a scuola, e quindi ho bisogno di voi! siete delle amiche fantastiche e delle lettrici meravigliose.

fatemi sapere cosa vi aspettate dal prossimo cap e cosa vi/non vi è piaciuto, così che possa rimediare ^^ (niente spoiler :P ... XD) <3

a presto, buone ferie a tutte.

baciiiiii.

dalla vostra ...

Fiorellina

<3



 
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


 
 

salve ragazze come va? ricordandovi che sto aggiornato solo per informarvi dell'avanzare della trama, rammento a tutte voi e a chi leggerà, che sto revisionando i cap dall'inizio. quindi questi capitoli avranno lo scopo di farvi vedere come continua la trama della mia storia. quelli perfetti, senza errori (si spera XD) di battitura e di organizzazione (virgolette per i dialoghi ecc ...), saranno postati non appena finirò la revisione. ringrazio Dailantha che mi sta aiutando moltissimo,  e prego tutte voi di non abbandonarmi adesso che ne ho più bisogno. vorrei sapere la trama vi piace o se avete trovato qualcosa che nn vi convince. grazie per il sostegno e buona lettura ^^


SEIRA:
 
 
 
-          Non lasciarlo solo, ti prego! – mi diceva quella voce misteriosa e dolce.
Era sussurrata e acuta ma la sensazione che provai ascoltandola fu singolare.
Mi sentivo accarezzata dal suo tono gentile, come se fosse stata la voce di mia madre a parlare, e allora provai il forte desiderio di esaudire la sua richiesta.
-          Non abbandonare il mio bambino, piccola Seira – continuò, stavolta la sua voce era  un grido di disperazione, come se io potessi aiutarla in qualche modo, e potessi far cessare il suo dolore.
Nel sogno non riuscivo a vedere la donna che mi pregava di non abbandonare suo figlio, ma ugualmente le chiesi chi fosse.
Allora la voce mi rivelò la sua identità prima di sparire definitivamente.
 
*********
 
-          Scusa per l’attesa – dissi uscendo e chiudendo il portone alle mie spalle. Sheid mi stava aspettando in strada e il suo sguardo era perso a scrutare il bosco.
Quel giorno non indossavamo la divisa, e ciò rendeva il ragazzo di fronte a me, ancora più meraviglioso.
Dei jeans neri e attillati, fasciati da una cintura doppia di colore nero con le borchie scintillanti.
La maglia, anche essa nera, aveva i bottoni slacciati, e da quella piccola apertura era ben visibile il collo candido e l’inizio del petto idilliaco.
Infine una giacca di cotone beige.
Era un abbigliamento più che normale, ma addosso a lui, persino degli stracci sarebbero sembrati alla moda e super eleganti.
Nascosi la mia ammirazione mi guardai le ballerine blu.
Io avevo messo abiti più leggeri. Una gonna di jeans e una t-shirt bianca decorata a fiori blu.
Da quando conoscevo Sheid, avevo deciso che il blu era il mio colore preferito, assieme al viola ovviamente.
Lui si voltò nella mia direzione, mettendo le mani nella tasche e poi mi studiò con uno sguardo compiaciuto che non gli avevo mai visto.
-          È valsa la pena di aspettare – disse ammiccante. Io naturalmente divenni incandescente. Scesi i gradini e lo raggiunsi, scoprendo a malincuore un piccolo particolare fuori posto.
Con le ballerine che avevo indossato, lui sembrava davvero un gigante ora.
Forse anche lui se ne rese conto, e un sorriso divertito gli sfiorò le labbra.
-          Se … se mi dai un minuto vado a cambiarmi le scarpe – dissi, e cominciai ad andare verso la porta. Di sicuro non avrei indossato i tacchi a spillo, ma potevo sempre mettere dei sandali che erano meno bassi delle ballerine!
Ma lui mi fermò prendendomi un braccio.
-          Ferma! – disse come se fosse un ordine, e mi attirò a sé – Sei perfetta così, mia piccola principessa – disse dolce. Io arrossii, e lui mi accarezzò dolcemente la guancia, e poi con attenzione e delicatezza, mi sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Io gli presi la mano, e poi cercai di attirarlo a me.
Lui sorrise come un angelo, e si piegò verso di me.
Mi accarezzò una guancia con la stessa mano, e poi mi baciò dolcemente.
Sembrava che ogni sua mossa fosse trattenuta, fosse delicata e attenta.
Sembrava che fossi fragile come il petalo di una rosa per lui, come se persino lui avesse paura di farmi male toccandomi.
Ci staccammo, ma rimanemmo vicini. I nostri respiri si amalgamavano in un vortice di emozioni e i nostri occhi si specchiavano gli uni negli altri.
Il suo dolce profumo era mio.
Poi lui posò la sua fronte sulla mia, e sorrise ancora scherzosamente.
Mi prese per mano e cominciò a condurmi verso la scuola.
Mi sentivo totalmente al sicuro, protetta.
Il mio cuore batteva all’impazzata.
-          Seira … - Sheid chiamò il mio nome con dolcezza ma anche con una inconsueta indecisione.
-          Dimmi – lo incitai io.
-          Non voglio fare giri inutili di parole dicendoti … cosa provo veramente per te, oppure avvertendoti del pericolo che correresti ricambiandomi, ma … arriverò direttamente al punto – io deglutii rumorosamente e poi annuii, coraggiosa e decisa, qualsiasi cosa avesse detto, io sarei stata sincera e non avrei più cercato di allontanarlo, ma gli sarei andata incontro. Tutte le persone di cui si fidava lo avevano tradito oppure lo avevano abbandonato, io non l’avrei fatto. Volevo essere una presenza costante nella sua vita come lo era stato Erik fino ad allora.
-           Io sono l’erede di Isaac Winter, e come tale sono obbligato a succedergli al trono – disse tetro e consapevole, scandendo quasi sottovoce le parole – il re ha tradito il suo popolo, la donna che amava e me. Se io accettassi, la situazione si complicherebbe ulteriormente, perché dovrei assentarmi spesse volte e dovrei impiegare le mie energie anche in quello, ma … se rifiutassi non farei altro che diventare come lui, come Isaac. Non posso permettermi di rinunciare, non posso essere vigliacco. Perciò … saresti disposta ad amare un essere come me? Saresti disposta a custodire il mio cuore quando sono via? Saresti disposta ad amare un assassino di demoni? Saresti disposta a restare al mio fianco nonostante tutto? – la sua voce era seria e anche addolorata, come se si aspettasse un no come risposta – rispondimi sinceramente Seira, io ti sto lasciando una scelta.
-          Tu non mi hai mai lasciato scelta – risposi io quasi indignata. Lui trasalì e poi si rabbuiò – io ti ho amato dal primo momento, questa ti sembra una scelta? – domandai, trasformando la rabbia in gioia. Sorridevo. A causa sua avevo perso tutte le mie convinzioni, a causa sua avevo sofferto perché credevo che non mi avrebbe mai ricambiata, ma … potevo scegliere io? Potevo decidere di lasciarlo? Sarebbe stato come smettere di respirare.
-          Seira … io ti … - cominciò lui.
-          NO! - urlai io, mettendogli un dito sulle labbra morbide e rosee – Non sfidarla così sfacciatamente – dissi riferendomi a Luna e lui capì. Sorrise e mi strinse forte, ci eravamo fermati e non me ne ero neanche accorta. In sua presenza tutto sembrava non avere più senso.
-          Lo dirò io per te – sussurrai emozionata – ti amo – ansimai.
-          Per sempre – rispose lui, il mio cuore scoppiò. Lui era mio. E non potevo esserne più felice.
 
*************
 
 
Avevamo camminato mano nella mano per tutto il tragitto, e le mie dita sottili e tremanti, si erano intrecciate con quelle lunghe e forti di Sheid.
Mi sentivo davvero al settimo cielo, come se arrivata a quel punto oramai, avessi vissuto in maniera così appagata da poter morire felice e serena.
Sorrisi internamente.
-          Ehi voi due! – Matteo Severi ci corse incontro, seguito a ruota da una Matilde più che sorridente.
-          Seira! – mi buttò le braccia al collo quest’ultima. Poi mi baciò la guancia. Io sorrisi ricambiando il saluto.
-          E così avevo ragione! Vero Winter?! – Matteo era stranamente ironico e la sua frase era piena di sottintesi che solo i ragazzi in questione conoscevano.
-          Sì, te lo concedo – rispose Sheid, un po’ irritato. Matteo non badò al suo umore, e raggiante gli diede una pacca sulla spalla un po’ troppo forte. Sheid naturalmente non fece una grinza, ma fulminò il ragazzo con una occhiata omicida che Matteo prese saggiamente come un avvertimento ben preciso.
-          Allora ragazzi, cosa avete visto di bello fin’ora? – chiesi per allentare l’atmosfera tesa che si era creata.
-          Beh, stanno facendo delle partite amichevoli di calcio e tennis, poi alcune ragazze del secondo anno hanno organizzato una sfilata e le tre arpie stanno distribuendo a tutti gli inviti per il ballo di fine anno. Dicono che è stata la presidente di istituto ad incaricarle, ma secondo me è solo un modo per farsi notare dai ragazzi – spiegò Mati – il giro comunque non è ancora finito – sorrise e guardò dolcemente il suo Matteo.
-          Non dirmi che hai intenzione di giocare più tardi!? – enfatizzò Sheid con un’espressione divertita.
-          E invece credo che deluderò le tue aspettative, signor delicato – rispose Matteo fiero ma ironico – ma sta’ tranquillo, tu starai in panchina. Stavolta mi servi solo per fargli paura – aveva uno sguardo compiaciuto e sicuro. Aveva il fuoco negli occhi.
-          Quindi mi stai chiedendo di rimanere all’ombra!? Beh è già qualcosa di positivo – ridacchiò Sheid – ma … non ho capito la parte in cui, ipoteticamente, servirei solo a fargli paura – disse Sheid.
-          Vedi Winter, loro hanno sempre perso contro di noi da quando sei arrivato tu, e grazie al tuo aiuto siamo riusciti a batterli anche senza il tuo supporto in campo. Tu sei il loro peggiore incubo, e vedendoti in panchina, farebbero l’impossibile per non farti entrare – spiegò ammiccante Matteo.
-          Morale della favola: vorresti che si trattenessero con voi, per non farmi entrare?! – chiese scettico Sheid – credo che il tuo piano sarà un fiasco, per il semplice fatto che, come mi hai riferito tu stesso, Alabiso mi vuole morto, e farà di tutto per battersi con me – lo contraddisse Sheid. Matteo sembrò pensieroso ma poi si riprese.
-          E invece non reagiranno. Loro vogliono vincere e ti vogliono morto, ma se entri in campo perderanno e non potranno farti nulla davanti agli occhi di tutti, perciò sono convinto che funzionerà – rispose Matteo. Sheid accennò un sorriso.
-          Sei davvero un testone Severi, ma se credi che potrebbe funzionare … allora farò lo spaventapasseri – concluse il mio angelo protettore in forma umana.
 
 
Io, Sheid, Matilde e Matteo, cominciammo a gironzolare insieme.
La giornata della creatività, era stata organizzata davvero bene. Questo giorno speciale arrivava solo una volta l’anno e serviva a far realizzare gli studenti che partecipavano ai club sportivi e non, e per far divertire tutti gli altri.
Noi ragazzi insieme avevamo visitato le bancarelle dei club di cucina, pittura e scultura. Poi andammo insieme nell’aula di musica dove presto si sarebbe tenuto un piccolo concerto.
I musicisti in erba provavano e riprovavano i loro strumenti.
C’erano una miriade di strumenti diversi: clarinetti, trombe, corni, flauti, violini e anche un pianoforte.
Ad un tratto sentimmo un’imprecazione provenire alle nostre spalle. Mi voltai e vidi un ragazzo biondo e alto, che mesto guardava il suo violino. Lo strumento era senza una corda.
-          Ti serve una mano? – domandò Sheid gentilmente. Il ragazzo vedendosi Sheid davanti, sobbalzò ma poi si ricompose e timidamente annuì.
-          La corda … la corda si è rotta e purtroppo non so sostituirla – rispose il ragazzo, lamentosamente.
-          Mm, è la corda del LA,  ne hai per caso una di ricambio? – chiese Sheid. Sembrava capirne di violini, e io mi stupii.
-          S … sì – rispose il biondo. Prese dalla custodia dello strumento, nera e di pelle, una bustina trasparente contenete una corda. La porse a Sheid, e quest’ultimo tolse la vecchia corda, e la sostituì con la nuova con una strabiliante facilità.
Il ragazzo biondo sorrise e poi si riprese il violino. Fece suonare la corda appena cambiata, che fece riecheggiare nell’aria un suono dolce ed elegante.
-          Ti ringrazio moltissimo, non so cosa avrei fatto senza il tuo aiuto. Ora non mi resta che accordarlo. Ma … suoni? – chiese il ragazzo. Domanda che avrei fatto anche io.
-          Un tempo sì, ma … ora sono anni che non tocco più uno strumento – Sheid lo disse con un aria così tetra a malinconica che il ragazzo non osò chiedere altro. Si congedò con un altro “grazie” e poi sparì.
Gli occhi di Sheid erano rimasti forse ai suoi ricordi più felici, perché adesso erano socchiusi in un’espressione intrisa di nostalgia e tristezza, e un sorriso mesto curvava le sue bellissime labbra.
 
 
SHEID:
 
 
 
-          Tesoro! Ti sei svegliato finalmente! Questa mattina hai dormito più del solito sai? – la sua voce di miele mi diede il buon giorno. La preoccupazione le increspava la fronte, ma la sua espressione era beata e dolce. Mia madre sorrideva.
I suoi occhi grigi con sfumature violacee erano la cosa più rassicurante nei momenti più difficili, riuscivano a ipnotizzarmi come nessun’altra cosa al mondo. Quegli occhi volevano dire amore.
-          Buongiorno madre – sussurrai, ancora spossato e dolorante. Cercavo sempre di controllare la mia espressione e la mia voce, ma a volte era davvero difficile.
-          Buongiorno a te mio piccolo Sheid, come ti senti? – domandò sorridendo debolmente.
-          Bene, davvero bene adesso – mentii. La notte scorsa, come tutte le altre notti della mia esistenza, l’avevo passata a contorcermi per il dolore, mentre sentivo quelle ali demoniache, trapassarmi la schiena, in tutta la loro lunghezza e crudeltà, come una tortura infinita e dolorosa.
-          La colazione è pronta, ma prima … - lasciò di proposito la frase in sospeso, e con un sorriso sulle labbra opache, andò nella stanza di fianco, con la sua camminata inconfondibile, tanto leggiadra da sembrare una danza.
-          Ecco! – esclamò spuntando dal nulla. Aveva in mano un violino identico al suo, se non per le dimensioni. Mia madre era una musicista, cantava e suonava molti strumenti con disinvoltura e la sua musica era una delle poche cose che mi facevano sentire bene.
-          È per me? – domandai con fremito. Quell’emozione mi provocò uno spasmo, ma l’ignorai come facevo da anni ormai.
-          Ovviamente caro, alla tua età lo suonavo già discretamente, anche se sin dal primo istante è stato amore e odio tra di noi – i suoi occhi grandi, divennero nostalgici. Forse stava ricordando qualche vecchio concerto, o forse la sua vita prima che le accadesse tutto questo.
Un uomo che non c’era mai, e un figlio cagionevole di salute. Ma nonostante ciò nei suoi occhi non c’era mai stato pentimento, e se gli facevo domande al riguardo rispondeva con serenità e con un’espressione seria: “amo te e tuo padre più di qualsiasi altra cosa al mondo, più della musica, e tornando indietro rifarei tutto, tutto!”.
-          Tra te e il violino?
-          Sì, ma con te sarà diverso, tu lo suonerai egregiamente e lui non avrà segreti per te – disse fiduciosa. All’epoca avevo solo sette anni, ma nel giro di due anni, mi appassionai davvero a quello strumento, e sotto gli occhi vigili di mia madre, imparai a suonare abbastanza bene il violino e il piano. Naturalmente non fu grazie a un talento nascosto e innato che imparai in fretta, ma solo grazie al fatto che essendo costantemente debole e ferito, non potevo fare altro che esercitarmi di continuo, per non cedere alla tristezza di essere un essere inutile.
Mia madre si sedette accanto a me, poi cominciò a cantarmi la sua canzone, ed io mi riaddormentai tra le sue braccia, godendomi quel profumo di gelsomino che ancora oggi, mi manca tanto.
 
La vita dell’unica donna che mi aveva mostrato affetto e pietà, poi, era stata stroncata dall’unico essere che consideravo degno di fiducia e rispetto.
Il suo sangue scorreva nelle mie vene come una prova di ciò che ero.
Era proprio a causa del suo maledetto sangue che avevo rischiato di far del male alla mia Seira.
 
Avevo permesso al mostro che viveva in me, di venire fuori.
Avevo sentito tutto il dolore e la rabbia della mia anima venire fuori in un turbine di emozioni e di potenza.
In quel momento, in quei pochi minuti, il mio essere più oscuro e nascosto, era venuto fuori avendo la meglio sulla mia umanità, e sul mio autocontrollo.
La mia parte bestiale e selvaggia, quella composta solo da pura potenza e istinto, aveva dato prova della sua pericolosità.
Era quello il guerriero più potente, era quello l’angelo invincibile, quello che avrebbe potuto battere persino mio padre, quello che avrebbe messo in ginocchio Luna e il suo esercito tutto da solo, ma quella parte di me non sapevo ancora controllarla.
Era come se avendo quella forma, avendo quel potere, sentissi che il sangue di mio padre scorresse nelle vene, bruciandole con l’odio e con il dolore, bruciando tutto il mio essere razionale.
Mi sentivo un dio, un signore delle tenebre, padrone solo del suo potere.
Ma anche mentre le tenebre offuscavano il mio cuore di ghiaccio, sentivo la sua presenza accanto a me.
La sua calda figura che tentava con occhi colmi di fiducia, di fermare la mia furia distruttrice.
Volevo proteggerla da me stesso, ma non c’ero riuscito.
La verità è che se non mi avesse fermato, diradando le tenebre con quel suo bacio, così puro, come la luce delle stelle nella notte scura, io avrei potuto farle del male.
In tutta quella brutta situazione però, c’era solo una cosa che mi aveva colpito.
Le labbra di Seira avevano toccato le mie, le avevano dolcemente sfiorate, strappando via le tenebre dal mio cuore e dalla mia anima. Era stato magico, era stato il suo sacrificio più grande.
Eppure, al mio risveglio dalla convalescenza, mi aveva fatto capire che per lei ero importante, quasi come se non potesse fare a meno della mia presenza nella sua vita, come se per lei fossi di più di un semplice scudo, come se volesse farmi lei da scudo.
“- Che cosa sono io per te? -”, quella domanda mi risuonava ancora in mente.
Me l’ero chiesto così tante volte anche io, e avevo trovato così tante risposte!
Ma solo una era giusta, vera.
Io l’amavo.
“- Promettimi che non ti perderò -”lei voleva solo starmi accanto.
Per me era più preziosa del nutrimento stesso, l’avrei protetta e l’avrei amata come un tesoro prezioso ed inestimabile, qualcosa di unico e caldo, qualcosa di delicato e puro.
Lei non era solo la mia principessa, lei era l’unica persona al mondo capace di mantenermi in vita, capace di non farmi inghiottire dalle tenebre della mia vendetta.
 
SEIRA:
Mentre fuori si svolgeva la Giornata della creatività, io mi davo una rinfrescata nei bagni della scuola. Avevo lasciato Sheid e gli altri alla mensa a prendere qualcosa da mangiare, ed io avevo deciso di darmi una sistemata.
Asciugai il viso, e con le mani bagnate, sistemai le ciocche di capelli che erano fuoriposto.
Era sorprendente quanto il mio umore fosse cambiato in quei giorni. Sembrava che sulla valle scura e solitaria del mio cuore, fosse appena sorto il sole caldo che aveva fatto sbocciare le rose e i fiori colorati.
Adesso prendevo più in considerazione il mio aspetto, e cercando di sembrare più carina mi specchiavo molto più spesso, e vestivo in maniera molto più colorata.
Era davvero un bel momento nonostante tutto.
-          Oh, ma guarda chi abbiamo qui! Sua bassezza in persona! – i miei gai  pensieri, furono interrotti dal subentrare fastidioso delle tre arpie: Alexis, Irene e Giorgia.
Nella mia mente era ancora vivo il ricordo delle unghie della leader che penetravano dolorosamente nella mia carne. La rabbia che mi suscitò quel suo violento gesto, fu nulla in confronto a quella che fu scatenata dalla loro malvagità verso Sheid.
-          Come te la passi, Seira? Abbiamo visto che siete arrivati insieme, mano nella mano, tu e il tuo … ragazzo – sottolinearono con rabbia l’ultima parola. Una rabbia profonda e insidiosa, avvelenata dall’invidia. Io non risposi, capendo, mio malgrado, le loro intenzioni.
Si avvicinarono pericolosamente a me, e poi cominciò il mio incubo giornaliero, come se i demoni che mi davano la caccia e Luna che mi voleva morta non fossero già troppo pericolosi.
Irene mi prese per le spalle, e io cercai di divincolarmi, per correre fuori e raggiungere Sheid, ma Alexis mi si parò davanti e con uno schiaffo forte e deciso in viso, mi mandò al suolo. Atterrai sul pavimento freddo, sbattendo violentemente la testa contro il muro vicino.
-          Perché adesso non chiami il tuo ragazzo, perché venga a difenderti? – Alexis si avvicinò con aria minacciosa e prese il mio preziosissimo ciondolo tra le dita. Io glielo tolsi di mano cercando di rialzarmi, ma loro tre, più maligne che mai, mi riportarono giù di forza e Giorgia mi strappò il ciondolo dal collo.
-          È meraviglioso questo gioiello! – esclamò – Te l’ha regalato lui, vero? Non ti dispiacerà se lo prendo in prestito! – le tre arpie si impossessarono dell’oggetto più caro che avevo.
-          NO! RIDAMMELO! – urlai, preda dell’ansia che potesse andare in pezzi. Irene, che era rimasta dietro di me, mi prese per i capelli, impedendomi di rialzarmi. La voglia di riaverlo al sicuro tra le mie mani, fu più forte del dolore, e così lasciai che le mani di Irene strappassero i miei lunghi capelli. Il dolore che provai fu fortissimo, ma una volta alzatami, mi fiondai su Giorgia che nascose il ciondolo in tasca, per impedirmi di riaverlo.
-          Scordatelo! Cosa vorresti fare tu da sola contro noi tre? Sei davvero una povera illusa – i loro sguardi erano davvero infuocati dall’odio, e così corsi ai ripari prima che potesse accadere l’irreparabile.
-          AIUTO! – urlai con tutta la voce che mi rimaneva in gola, ma nessuno accorse. I loro sguardi erano compiaciuti e sicuri, come se avessero programmato tutto nei minimi dettagli.
-          Abbiamo chiesto alla presidente di dare il via al torneo di tennis, proprio mentre ti recavi in bagno. Tutti gli studenti sono lì in questo momento, Sheid compreso, e visto che il campetto è dal lato opposto, nessuno verrà ad aiutarti, piccola stupida – spiegò fiera Alexis.
-          Che cosa volete da me? – domandai tra i denti. Che bella gatta da pelare era quella, se mi fossi fatta male, di sicuro Sheid si sarebbe sentito in colpa, per non parlare del fatto che avrebbe sprecato la sua energia angelica per curarmi.
-          Darti una bella lezione. Oppure … - Irene sembrava ansiosa di continuare al posto di Alexis.
-          Oppure, potremmo lasciarti in pace … se tu girerai alla larga da Winter, vogliamo solo che tu non gli rivolga mai più la parola, e noi ti ridaremo il ciondolo, se prometterai di farlo – quella era una minaccia bella e buona. Non mi era mai capitata una situazione del genere. Pensavo che queste cose accadessero solo nelle telenovele melodrammatiche, e nei film di azione, oppure nei cartoni animati.
Invece no, quella era la realtà, e dovevo ammetterlo, sarebbe stato difficile per la vecchia Seira incappare in un guaio simile.
Abituata a farmi gli affari miei, senza dare problemi a nessuno e sorridendo a tutti, non avevo mai avuto problemi del genere. Ma adesso …
-          Allora? – mi incitò Giorgia.
-          Non vi prometto proprio nulla – rimasi sorpresa anche io della mia risposta, e con occhi sbarrati, osservai le espressioni delle tre ragazze divenire accartocciate e spigolose.
Le loro erano maschere di rabbia e odio.
-          Hai un bel coraggio – disse Alexis con voce minacciosa. Prese il ciondolo dalla tasca di Giorgia e, guardandomi negli occhi in segno di sfida, lo scaraventò a terra sotto il mio sguardo pieno di sgomento. Il gioiello che conteneva il potere di collegare il mio cuore e la mia mente con quelli di Sheid, il ciondolo che avevo stretto tra le dita, cullandolo al calore del mio petto, tante e tante volte, l’oggetto a cui avevo confidato tutte le mie paure, andò in frantumi, insieme al mio autocontrollo.
Fu come perdere un pezzo della mia anima. Lacrime silenziose mi bagnarono gli occhi, e una rabbia ammutolita dalla rassegnazione e dalla perdita, mi fece rabbrividire scomparendo e lasciando spazio ad una tristezza dolorosa e disperata.
-          Perché? – singhiozzai – Perché hai dovuto farlo? Cosa ti ho fatto? – non riuscivo più ad alzarmi da terra, come se non muovendo nulla del presente, potessi ricomporre il passato distrutto. Il dolore alla testa per la brutta caduta, la faccia gonfia per lo schiaffo, il cuore in pezzi, e gli avvenimenti passati che avevano fatto nascere nuove paure, si riversarono tutti su di me, sovrastandomi e soffocandomi. Forse mi stavo comportando in modo infantile, ma in quel momento non avevo la forza di far venire fuori la mia parte razionale e adulta. Ne avevo passate tante fino a quel momento, avevo versato tante lacrime di paura e dolore, e adesso mi sentivo completamente indebolita e priva di forza di volontà.
Quello era stato il suo primo regalo, in quel ciondolo aveva riposto il suo amore assopito, l’amore che sarebbe poi sbocciato.
I frammenti del ciondolo brillavano insieme alla polvere magica e meravigliosa, sparsi sul pavimento.
Quella polvere era costata una piuma delle ali del mio angelo.
-          L’hai voluto tu! Avresti dovuto arrenderti – sbottò velenosa Alexis.
-          Arrendermi? Come posso arrendermi? – sussurrai scioccata. Quello era stato davvero un brutto colpo per me. Alexis, mi fece alzare tirandomi per il colletto della maglia e poi mi scaraventò con forza contro il muro alle sue spalle.
-          Brutta … - cominciò l’insulto, ma si fermò improvvisamente. Io, ormai alla mercé delle tre assalitrici, aspettavo di perdere i sensi, cadendo al suolo dopo l’ennesima botta. Invece mi sentii sollevare da braccia forti, che mi strinsero dolcemente, inebriandomi del mio profumo preferito.
-          Questo gioco è durato abbastanza. Adesso basta, mi avete stancato – la voce melodiosa di Sheid era scossa dall’ira, e il suo sguardo rabbioso, assalì senza tregua le tre ragazze.
Era la prima volta che alzava la voce, e io rimasi comunque ammaliata da quel suono così protettivo e forte. Sapevo che mi stava proteggendo, e che non avrebbe mai usato quel tono con me. Mi strinsi a lui, adesso ero al sicuro.
-          Sei venuto a salvarla? Sei ridicolo – rispose Alexis, affiancata dalle sue due amiche, che al contrario di lei tremavano – perché non la pianti con questa sceneggiata? La parte di cavaliere non ti si addice – lo provocò Alexis.
-          Non mi importa il motivo del vostro gesto, ma … questa è la seconda volta che vi avviso, non ci sarà una terza. La prossima volta sarò costretto a usare la forza. Spero di essermi spiegato  - serpeggiò Sheid. E nei suoi occhi c’era una minaccia pericolosa.
Le tre ragazze annuirono all’unisono, e ad occhi bassi lasciarono la stanza.
Pensai che era stato troppo facile, e che forse per loro quella era stata una vendetta e una prova insieme. Volevano appagare la loro invidia inveendo su di me, e volevano vedere se Sheid si sarebbe esposto per me. Infantile, malvagio e patetico al tempo stesso.
Però in fondo un po’ potevo capirle. Sheid era davvero una tentazione. Sorrisi mesta, e poi lo guardai.
Anche lui mi stava guardando, ma i suoi occhi erano indagatori. Stava ponderando le mie condizioni.
-          Mi dispiace di essere arrivato tardi, scusami piccola – disse dolcemente. Poi senza sforzo, si inginocchio, tenendomi tra le braccia e mi fece sedere, appoggiandomi a lui.
-          Sembri sconvolta, cosa ti hanno fatto quelle streghe? – si informò accarezzandomi piano la guancia gonfia. Io scossi la testa lentamente. Se avessi parlato sarebbero uscite altre lacrime. I suoi occhi scorsero il ciondolo, o meglio ciò che ne rimaneva.
-          Ah, capisco – raccolse i pezzi e la polvere con cura, e poi prese un fazzoletto di carta dal rotolo del bagno, e vi depositò tutti i frammenti. Lo piegò e se lo mise in tasca.
-          È solo per questo che piangi? – domandò comprensivo. Io annuii, mentre sentivo nel mio cuore che stavo mentendo. Quella non era stata altro che la goccia che aveva fatto traboccare un vaso pieno di insicurezze, paure e tristezza. Il discorso che avevo sentito di nascosto la notte scorsa, mi risuonava ancora in testa. E con lui, tutte le parole di Sheid.
Io avevo paura di perdere tutto, era questa la verità, e perdere il ciondolo non solo mi aveva rattristata ancora di più, ma mi era sembrato come un brutto presagio, come l’inizio della catastrofe che avrebbe stravolto la mia vita e quella di Sheid.
Si sedette accanto a me, appoggiandosi al muro, e poi mi spinse verso di sé, accogliendomi tra le sue braccia.
-          Per quanto ripeta che riuscirò a proteggerti, finisco sempre per arrivare tardi. Seira … se piangessi solo per il ciondolo, ti direi che lo riaggiusterò, ma non è solo per quello che sei triste, né a causa delle tue simpatiche amiche – disse, passando le sue dita tra i miei capelli, e lasciandole lì, sulla mia testa, come per legarsi per sempre a me.
-          Hai sentito tutto ieri notte vero? – lo disse indifferente, ma io trasalii. Lui se ne accorse e con l’altra mano, con la quale mi circondava, mi accarezzò repentinamente la schiena.
-          Sta’ tranquilla – asserì, e credo valesse sia per il fatto che non era infastidito dalla mia indiscrezione, sia perché non dovevo preoccuparmi del futuro – se c’è una cosa di cui devi essere certa, è che io non mi allontanerò mai da te, e non permetterò a nessuno di allontanarmi da te – la sincerità fatta persona. Ma potevo sperare nelle sue parole?
-          Adesso, mi sembra che anche tutte le mie certezze siano andate in frantumi – confessai, i lucciconi agli occhi.
-          Allora lasciale andare in frantumi – disse soffiando le parole – io resterò al tuo fianco anche se tu dovessi odiarmi, perciò alla fine i pezzi torneranno insieme a formare nuovi orizzonti, ma non pensare al futuro adesso, pensa al nostro presente – mi lasciò di stucco, e poi prese il mio viso con delicatezza, e mi baciò con passione.
Il dolore svanì immediatamente, e allora capii che non solo stava guarendo il mio cuore, ma anche le mie ferite.
La luce celestiale sembrò invadermi e la sensazione di beatitudine si impadronì di me, come ogni volta. Quando ci staccammo per riprendere fiato, ormai le forze mi erano tornate completamente. Mi alzai, aiutata da lui, e poi lo guardai in faccia.
-          Grazie – sussurrai, poi posai il capo sul suo petto – tu mi salvi in continuazione e io non posso fare nulla per ripagarti.
-          Io non voglio nulla se non la tua felicità – disse. E il suo mezzo sorriso era bello come non mai – anche se … devo chiederti una cosa. Hai impegni per stasera? – la domanda sembrò retorica, non potendo uscire, era ovvio che non avessi impegni.
-          No, nessun impegno – risposi comunque, le farfalle nello stomaco.
-          Bene allora, ti aspetto alle nove nella sala dove hai visto il Nutrimento. Ti raccomando, devi essere vestita elegante – disse divertito.
-          Elegante? Mi dispiace, non ho nulla di elegante – asserii mesta.
-          Mm – si fece pensieroso – forse potrei trovare qualcosa nel guardaroba di … mia madre – trasalii. Lui che pensava una cosa del genere!? Il suo passato era tabù, figuriamoci gli oggetti che avrebbero rievocato ricordi dolorosi.
-          No! Non devi farlo! Se proprio ci tieni, mi farò prestare qualcosa da Matilde …
-          Seira, mi spieghi come mai tutta questa agitazione? Sembra che sia tu quella che non va d’accordo col mio passato – asserì frustrato. Aveva ragione. Dovevo essere felice che potesse affrontare a viso aperto il suo passato così. Invece ero io ad avere paura per lui.
-          Abbiamo ospiti? – cambiai argomento.
-          No, siamo soli! – disse come se fosse una cosa ovvia. Poi le sue labbra si curvarono in una strana espressione - Sta’ a vedere – disse. In fondo era una specie di appuntamento e chissà cosa mi avrebbe riservato il destino. Con il cuore in gola annuii.
Mentre Sheid mi portava per mano fuori alla luce del sole, capii che non mi sarei mai abituata alla sua compagnia, anzi, lo avrei visto come un sogni ad occhi aperti.
 
 
                                                 ***************
 
Continuavo a fissare la mia immagine riflessa nello specchio della mia camera da letto.
Il mio corpo era fasciato alla perfezione dall’abito di Annabell, la madre di Sheid.
Il tessuto candido e luminoso, cadeva perfettamente e terminava ampiamente, ma non pomposamente. Era leggero come una nuvola. Le spalle e il petto erano scoperti, e il busto era decorato da delicati e bellissimi ghirigori di brillanti, che formavano disegni semplici ma magnetici e percorrevano tutto l’abito impreziosendolo.
La gonna poi, preceduta da un laccio blu di seta, rendeva la mia figura slanciata e piacevole.
Era incredibile: quel vestito sembrava essere fatto apposta per me.
L’avevo trovato sul letto della mia camera, con un biglietto che diceva “Per te, Sheid”. Il cuore aveva preso a battermi furioso, e le mie gote si erano tinte del colore felicità.
I miei occhi erano trasognati ancora adesso.
Sciolsi i capelli con un sorriso sulle labbra, e li sistemai sulle spalle.
Ero pronta.
 
Scesi le scale, stando attenta a non fare un capitombolo a causa dei tacchi.
Poi mi incamminai verso uno dei tre portoni che portava alla grande sala misteriosa.
Finalmente avrei scoperto cosa nascondevano quei muri antichi e imponenti, finalmente avrei saputo altro sulla donna, che viva o morta, vegliava con amore sull’angelo del mio cuore.
 
«Benvenuta!» mi salutò. Il mio cuore in quel momento si fermò. Smoking nero satinato, scarpini lucenti , ali meravigliose.
Poi,  il suo viso naturalmente.
La suo sguardo era impetuoso. Mi scrutava con discrezione e pure sembrava che mi stesse trapassando da parte a parte.
«Sei bellissima. Al tuo confronto persino le donne angelo sfigurerebbero. Sei davvero … una principessa della Luna» disse sensuale. Mi si avvicinò, e poi con un elegante inchino, mi baciò la mano.
Sentii le sue labbra sulla mia pelle, e il desiderio di baciarlo, divenne impellente.
Alzò lentamente gli occhi mentre si staccava dalla mia mano, e quando si fermò, ancora inchinato, mi lanciò un sorriso ammiccante che divenne sghembo subito dopo.
Era la prima volta che gli vedevo un’espressione del genere, e me ne innamorai perdutamente, come se avessi davanti un’altra persona.
Sheid era davvero tutto il mio cuore. Rappresentava qualcosa di inestimabile valore per me.
Perderlo sarebbe significato morire.
 
Si eresse in tutta la sua altezza e poi mi sussurrò all’orecchio.
«Mi concedi questo ballo, Seira Shift?» rabbrividii da capo a piedi. Annuii senza dire una parola.
Poi guardai dietro di lui, perfettamente consapevole di aver dimenticato completamente l’ambiente circostante.
 
Mi sarei aspettata tutto, ma non quello che mi ritrovai davanti agli occhi.
La sala scura e misteriosa dove avevo visto per la prima volta la parte più istintiva di Sheid, era una sala da ballo immensa, che ricordava tantissimo, quelle dei castelli in età barocca.
Era rettangolare e si estendeva per molte decine di metri. Era forse il triplo della palestra della nostra scuola!
I sontuosi e brillanti lampadari padroneggiavano in alto, preceduti soltanto da affreschi raffiguranti angeli bellissimi e cieli cristallini e infiniti. I cornicioni che fungevano da cornici a quei meravigliosi affreschi, erano davvero meravigliosi, e bagnati dalla luce dei lampadari di cristallo, sembravano essere le sfumature di un meraviglioso arcobaleno.
I finestroni enormi davano sul giardino scuro e su un cielo stellato e stupendo.
Agli angoli estremi della stanza, più precisamente alle punte di quel grande rettangolo c’erano rispettivamente tavoli decorati da fiori e candele, statue con sembianze di angeli nelle pose più imponenti e tanti strumenti musicali: . La parete interna, quella senza finestre, era occupata da due file di sedie e panchine eleganti, tutte munite di sontuosi cuscini di velluto blu.
Una lunga scalinata era posta al limitare del muro più lontano, alla mia sinistra, e portava ad una porta gigantesca e alle balconate che percorrevano tutta la stanza, nei piani superiori.
Poi la cosa più meravigliosa. Al centro della sala un mosaico circolare, lo stesso sul quale Erik aveva depositato con curo il corpo inerme e ferito di Sheid, prima che si eseguisse il Sacro Nutrimento.
Proprio sopra il mosaico, una cupola di vetro, chiusa stavolta, dalla quale si vedeva la luna.
«E’ meraviglioso!» esclamai. Mi sentivo come una principessa che va al ballo.
«Sono contento che ti piaccia» sorrise.
Poi mi prese le mani, e sorridendo come non aveva mai fatto, mi portò al centro.
«Questa sala veniva usata da mia madre, e precedentemente da mio nonno» disse, parlando finalmente con naturalezza «qui venivano organizzate delle feste durante le notti di nutrimento, e gli angeli venivano a dissetarsi qui. Mia madre ed io venivamo spesso qui. La città dove abitavamo era davvero fredda, perciò questo posto era l’ideale per noi» spiegò.
«Com’era tua madre?» azzardai.
«Beh …» i suoi occhi tornarono al passato «… era bella e gentile. Aveva i capelli neri e lunghi come i tuoi, la pelle bianca e gli occhi color malva. Quando c’era il sole cambiavano colore e tendevano di più al grigio, ma quando pioveva si illuminavano di un colore ametista meraviglioso» disse nostalgico.
«Deve mancarti davvero tanto» dissi, accarezzandogli la guancia.
Lui sorrise mestamente e poi scacciò via i brutti pensieri.
 
Portò la mia mano sinistra sulla sua spalla destra, e poi prese nella sua mano sinistra la mia destra.
«Uno, due e tre. Uno due e tre … è un normale valzer» spiegò «c’è solo una differenza».
Lo guardai confusa e lui rispose con un gesto.
Mi strinse di più a sé, e la sua stretta divenne protettiva e sicura.
Mosse le ali, lentamente, e in breve tempo ci ritrovammo a mezz’aria.
Mi strinsi a lui e guardai di sotto.
«Non avere paura» disse dolcemente «non ti lascerò cadere» mi tranquillizzò.
Continuai a lasciarmi dondolare tra le sue braccia, cullata dal leggiero battito delle sue grandi ali.
Seguivamo la musica dei nostri cuori e un tempo tutto nostro.
«Sai, di solito dama e cavaliere danzano insieme in aria» disse.
«Mm, potremo provare anche noi» suggerii.
«Come? Se ti lascio fare anche solo un passo …».
«Fidati» lo interruppi. Posai le punte delle mie scarpe sui suoi scarpini «ecco» sorrisi.
Il suo sguardo divenne compiaciuto e divertito.
Poi cominciò a danzare a mezz’aria, tenendomi stretta a sé, e in quel momento mi sentivo più felice che mai.
Stringevo tra le mie braccia un sogno, ma sarebbe durato per sempre come avrei voluto?
 
 
 
 

 
 ----------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE -----------------------------------------------------------------------------


eccoci qui. allora cose ne pensate? vi sembrano troopo sdolcinati o sono cotti al punto giusto.
si accettano critiche e consigli.

ringrazio i recensori dello scorso capitolo, che mi hanno resa davvero felice con le loro rec. nello scorso cap infatti, i nostri eroi si sono avvicinati nn poco, e si sono scambiati persino un bacio. ^^

bene, ora vi lascio. mi aspetta ancora molto lavoro da fare.
spero di trovare molti commenti positivi e nn, adoro leggere che effetto fa ai lettori la mia storia.
ps: mi scuso per gli errorini commessi, ma ribadisco che questi cap sono solo a titolo informativo.

a presto. grazie per il vostro tempo.

fiorellina

<3
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***



TANTE GRAZIE A VANESSA E A VIVI <3




SEIRA 
 
Il sole entrò dalle finestre della mia camera con discrezione, spazzando via le tenebre e le ombre.
Quando la luce bagnò il mio viso attonito, mi sentii strana.
Sembrava che quel bagliore fosse la testimonianza che la notte precedente fosse stata un sogno, così meraviglioso e così effimera da poter essere sbriciolata dal sole come neve.
Era davvero bizzarro tutto ciò.
Mi sentivo ancora fluttuare a mezz’aria,  aggrappata alle esili ma forti braccia del mio angelo protettore.
Sì, il mio.
Sheid ormai faceva parte di me, e insieme eravamo un’unica realtà, formata dalle nostre vite parallele: di giorno eravamo semplici umani, alle prese con problemi normali, e di notte eravamo sospesi in una realtà oscura, concreta al punto da sentirmi quasi l’adrenalina addosso.
Ma non mi importava. Bastava stare insieme.
 
Uscii dalla stanza e mi recai in bagno. Mi sentivo sollevata, in fondo proprio il giorno prima la scuola era finita, e quindi potevo finalmente riposarmi. Almeno di giorno!
 
Pettinai i capelli, lavai i denti e il viso. Poi scesi a fare colazione.
 
«No signor Grey, lo ho già detto che per oggi non si può fare, ho già un impegno» sentii la voce stizzita di Sheid dalle scale, e quando lo raggiunsi in salotto, capii che stava parlando al telefono.
Era di spalle e non si accorse subito della mia presenza, perciò continuò a parlare.
«Le do al massimo un appuntamento, non ho voglia di perdere tempo, queste sciocchezze non mi riguardano … come? Il prezzo? … Guardi se accetta l’appuntamento di domani può fare un’offerta lei, ed io accetterò qualunque prezzo, … sì, proprio così, ma oggi proprio non posso, certo … bene … ma si figuri, arrivederci» chiuse e sospirò stanco. Poi si voltò e mi vide. Lo sguardo divenne da freddo e seccato, dolce e liquido.
Mi venne incontro e mi abbracciò.
«Buongiorno, come stai stamattina? Dormito bene? » chiese gentile, mentre le sue braccia mi avvolgevano protettive e premurose.
La sera prima ci eravamo lasciati con l’ennesimo bacio tenero, casto e pieno di disperazione, come se staccarsi l’uno dall’altra fosse un dolore fisico insopportabile. Stare insieme era davvero come respirare, o almeno per me era così. Mi chiedevo se lui provasse la stessa sensazione di non ritorno in mia compagnia.
Io non ero un bellissimo angelo alato, non avevo poteri ed ero totalmente vulnerabile da ogni punto di vista.
«Buongiorno» sussurrai appoggiando la fronte sul suo petto. Mi sentivo ancora strana stando a contatto con lui così intensamente, ma non ero per niente a disagio, anzi era una sensazione meravigliosa.
Mi accarezzò i capelli catturando le punte e poi li annusò con fare elegante.
Un lieve sorriso accennato illuminò il suo viso.
«Profumo di rosa, molto dolce» commentò. In effetti il mio bagnoschiuma era alla rosa, e quell’odore era ormai troppo familiare per accorgermi di averlo addosso.
Amavo le rose e il loro profumo, soprattutto perché erano delicate e conservavano nella loro bellezza la purezza che negli altri fiori non riuscivo a cogliere.
«Grazie, il tuo profumo invece è fuori dal comune, non so cosa sia ma è buonissimo» arrossii nascosta dal suo petto. Lui mi accarezzò per farmi capire che ne era felice.
«Chi era al telefono?» domandai dopo un po’. Lui si irrigidì, ma poi si ricompose.
«Un tizio che è interessato … ad un diamante» rispose insicuro. Il mio sguardo divenne confuso e poi interrogativo.
«Vuoi dire che gli venderai un diamante?» chiesi sottovoce.
«Esatto, questo è quello che faccio per mantenere intatta l’eredità di mia madre» lo disse con un tono sommesso, come si vergognasse di ciò.
«Capisco» dissi tranquilla. Dopo tutto per lui i diamanti erano solo involucri vuoti senza importanza. Chissà quante di quelle pietre aveva! In fondo il Nutrimento avveniva a distanza di mesi, e questo voleva dire solo una cosa: tanti diamanti inutilizzati e sprecati che potevano essere utilizzati in altro modo.
«Scusa se non te l’ho detto, ma temevo il tuo giudizio. In fondo questi diamanti vengono venduti sottobanco a prezzi non molto ragionevoli, e …».
«Va tutto bene, io non ti giudico. Anzi, credo che sia un’ottima idea la tua» sorrisi.
«Ti ringrazio! Comunque domani quest’uomo verrà qui per contrattare, e se vuoi potrai assistere».
«Mi farebbe piacere assistere ai tuoi affari, ma ho paura di essere di troppo».
«No, non sarai di troppo. Anzi, ricordati di portare i pezzi del ciondolo. Credo che gli chiederò il favore di riaggiustarlo» disse compiaciuto e bellissimo. I miei occhi si illuminarono.
«Sarebbe meraviglioso» risposi. Lui sorrise e mi carezzò la guancia.
In quel momento suonò il campanello.
 
Quando Sheid aprì l’imponente portone di legno massiccio, qualcosa di una meravigliosa bellezza, entrò nella mia visuale. Qualcosa … o qualcuno.
«Buongiorno Sheid …» la voce melodiosa e acuta, sensuale. Tutto successe molto in fretta.
Sheid la prese per un braccio e la attirò a sé chiudendo il portone ad una velocità supersonica.
La ragazza, munita di ali bianche e nobili come quelle di Sheid, trasalì,  ma si riprese subito e gli gettò le braccia al collo.
«Ma sei forse impazzita? Poteva vederti qualcuno, siamo in pieno giorno!» la ammonì severo Sheid, scrollandosela di dosso senza problemi.
«Mi sei mancato tanto» disse lei, con il volto contratto in un’espressione dispiaciuta e sofferente. Nella voce si sentivano nostalgia e commozione. La pelle olivastra e perfetta, sembrava fatta da granelli d’oro, tanto era luminosa. I capelli scuri e ondulati avevano riflessi meravigliosi, del colore del sole, e morbidi e setosi, incorniciavano il viso sensuale, impreziosendolo.
Gli occhi due pozze nere, ma luminosi come diamanti.
Il corpo formoso ma sinuoso, fasciato da una veste beige scintillante e vertiginosamente scollata, che metteva in risalto le gambe perfette e snelle e la schiena mozzafiato. Ai piedi degli stivali da cavallerizza alti fino al ginocchio. Sgranai gli occhi: era un angelo donna, il primo che avessi mai visto, ma sin dal primo istante pensai a lei come ad un ciclone che travolgeva tutto nel vortice della sua bellezza sensuale e possente.
«Potevi almeno avvisarmi, sarei venuto a prenderti, impedendoti di fare sciocchezze, come quella che stavi per fare adesso. Immagina se qualcuno ti avesse visto! Immagina …».
L’angelo zittì Sheid, mettendogli una mano sulla guancia. Lui sospirò poi le prese la mano e la tolse via.
«Maria … lo sai che odio ...».
«Le mie attenzioni?» lo interruppe lei. Poi gli camminò intorno «Sì, ormai l’ho capito, mio principe».
Finì il giro e si posizionò di nuovo dinnanzi a lui.
«Comunque non  ti devi preoccupare, non mi tratterrò a lungo. Sono qui solo in veste di messaggera. Mio nonno dice che presto verrà a farti visita e la regina Luna ti ricorda il tuo impegno» concluse.
«Bene, ti ringrazio. Intanto …» Sheid mi prese dolcemente per il braccio, e finalmente ritornai alla realtà, rendendomi conto con tristezza, che la bellissima donna angelo di fronte a me, non mi aveva degnata di uno sguardo. Nei suoi occhi, al contatto tra me e Sheid, scorsi rabbia e dolore, ma non potevo esserne certa, perché durò un millesimo di secondo.
«… questa è la principessa, Seira Shift» disse Sheid rivolgendosi alla ragazza alata. «Seira … questa è Maria Ghefren, nipote diretta del comandante supremo dell’esercito e mio maestro, Gabriel Ghefren» concluse il mio angelo rivolgendosi a me. La guardai come se mi fosse stata appena presentata una star del cinema. Sorrisi timidamente.
«Piacere di conoscer …».
«Il piacere è tutto mio, principessa» non feci caso al fatto che mi avesse interrotto in maniera irruenta, ma mi colpì soprattutto il tono con cui disse l’ultima parola.
«Bene» dissi con voce tremante, per togliermi dall’imbarazzo.
«E così sarebbe questa la … tua Seira, me la immaginavo più … bella» trasalii, e Sheid se ne accorse.
«Se hai finito di comportarti da serpe velenosa, adesso puoi anche andartene, non avevo idea che potessi essere tanto sgradevole» la rimproverò Sheid ed io trasalii ancora.
«Sheid, non importa, lei ha ragione. Sei bellissima Maria» mi complimentai con lei. Lei sgranò gli occhi. Poi sorrise angelicamente.
«Beh, ti ringrazio, ne sono consapevole»  disse lei compiaciuta e meno acida. Sheid alzò gli occhi al cielo.
«Alla faccia della modestia!» disse in modo lamentoso, ma sembrava divertito.
«Il solito insensibile» commentò Maria « comunque Luna vuole vederti al più presto, precisamente entro tre giorni da oggi» lo informò. Sheid divenne serio e poi annuì.
«Sta’ tranquillo, in tua assenza le farò io da balia, sono venuta apposta» sorrise lei.
«Per quanto tu sia irritante, sei davvero un’amica» disse Sheid.
Sembravano essere amici di vecchia data da come si parlavano, ma cos’era che li univa da così tanto tempo? L’avrei scoperto.
 
 
 
 
 
***********
 
 
 
«Ma, signor Winter … è impossibile!».
«Per un professionista come lei dovrebbe essere semplice, dico bene?».
«Ma, anche se riuscissi a rimettere insieme i pezzi, non sarebbe più perfetto!».
Sheid e il signor Gray, stavano andando avanti così da ore. Sheid avrebbe dato il diamante al signor Gray per un prezzo modico, se quest’ultimo avesse riparato alla perfezione il mio ciondolo.
«Scusate …» subentrai, timida e impacciata «potrei fare uno schizzo del gioiello, così magari lei, signor Gray, potrà fabbricarne uno nuovo» proposi impacciata.
I due mi guardarono intensamente. Sheid annuì compiaciuto, e il signor Gray, sembrava commosso e grato. Qual diamante doveva contare molto per lui … o per le sue tasche.
«E’ un’idea meravigliosa signorina! La ringrazio infinitamente» disse l’uomo in giacca e cravatta.
«Allora l’affare è chiuso» sospirò Sheid. Presi carta e penna e feci lo schizzo del ciondolo. Ripercorrere quelle linee, mi fece tornare alla mente com’era averlo al collo, e una strana nostalgia mi fece fermare il cuore.
«La prego è molto importante per me» dissi seria. L’uomo annuì, e dopo aver firmato l’assegno, salutò Sheid con una stretta di mano.
Nei suoi occhi c’era una promessa, e presto avrei riavuto il mio ciondolo.
Ne ero certa.
«Credo che sia abbastanza affidabile, almeno lo spero» mi venne vicino Sheid. Io annuii.
«Quando devi partire?» dissi mesta. Il giorno dopo il mio angelo sarebbe dovuto partire alla volta del palazzo lunare, il luogo misterioso e sicuramente meraviglioso a cui spesso pensavo, immaginando la sua forma. E poi naturalmente immaginavo Luna. La sua bellezza doveva essere disarmante.
«Domani mattina, ma non devi preoccuparti, tornerò per cena e poi sarai in compagnia» disse, facendo un cenno verso la veranda sul retro.
Seduta su una poltrona di vimini, Maria Ghefren, la nipote del maestro di Sheid, stava guardando il panorama che si intravedeva dal bosco. Dal luogo in cui si trovava nessuno poteva notarla, visto che la parte posteriore del castello era sconosciuto a tutti, nascosto alla perfezione dalla boscaglia che circondava la casa. Inoltre il castello era protetto da un incantesimo che nessun demone avrebbe potuto spezzare.
«Sì, ma non mi preoccupavo per me …» confessai.
«Sta’ tranquilla, Maria è vanitosa e superba, ma non ti tradirebbe mai, e non ti tratterebbe mai male in mia assenza. Lei è stata cresciuta e addestrata da suo nonno, e tiene molto alla sua reputazione. E poi … mi fido di lei» mi tranquillizzò.
«Siete amici di vecchia data a quanto pare!» dissi, e nella mia voce sentii con sorpresa, un tono aspro.
«Sì, dopo essere passato dalle mani di Luna a quelle del mio maestro, io e lei siamo cresciuto a stretto contatto» spiegò, come per scusarsi. Ma che stavo facendo? Non dovevo essere … gelosa.
«Lei sembra … molto affezionata a te» stavolta controllai la voce ma lui sapeva esattamente quello che provavo.
«Lei mi tiene nel suo cuore da molto tempo, ma nel mio ci sei tu, non devi essere turbata» mi carezzò con gentilezza la guancia, e poi vi depositò un piccolo bacio. Io mi aggrappai a lui, repentinamente.
«Comunque sia, torna presto» dissi agitata. Lui mi strinse a sé.
«E’ una promessa» mi tranquillizzò.
 
La sera a cena, ci ritrovammo tutti nella grande cucina.
La tavola era stata apparecchiata diversamente, e Erik mi aveva categoricamente proibito di aiutarlo. A quanto pare in presenza di Maria Ghefren, avrei dovuto comportarmi da vera principessa, perciò mi rassegnai.
Sheid si sedette a capo tavola, io alla sua destra e Maria alla sua sinistra.
Erik, da bravo maggiordomo, cominciò a portarci il primo piatto.
Con sorpresa vidi che Maria gustava con piacere i piatti preparati da Erik, e mi stupii del fatto che avesse bisogno di cibo per nutrirsi.
«Gli angeli hanno un corpo che funziona come quello umano, nonostante sia immortale, perciò possono gustare il cibo senza problemi» spiegò Sheid, capendo cosa stessi pensando. Io annuii sorridendo.
«A quanto pare la principessa non sa molto di noi angeli» commentò acida Maria « vorrà dire che in tua assenza le chiarirò le cose che tu hai omesso» disse convinta e divertita.
«Sì, mi piacerebbe!» la ringraziai.
«Da quanto tempo vivi qui?» domandò diretta. Mi sentii stranamente imbarazzata e fuori posto.
«Da quasi un mese ormai» risposi, cercando di rimanere tranquilla. Dopotutto mi ero trasferita esclusivamente per rendere il lavoro di Sheid meno faticoso, e poi per sentirmi più tranquilla.
Ricordai  il giorno in cui mi aveva chiesto di trasferirmi lì. Ero svenuta e mi ero ritrovata stesa sullo stesso divano in pelle su cui ora ogni tanto guardavo la tv con lui.
«Da un bel po’» criticò Maria con freddezza. Mi sentii gelare.
«L’ho invitata qui io, c’è per caso qualcosa che non ti è chiara?» la ammonì Sheid.
«Assolutamente no! Stavo solo cercando di capire il motivo di questa … bizzarra idea»disse perplessa la ragazza alata.
«Non c’è alcun bisogno che tu lo capisca, anzi, direi che non ti riguarda» le rispose freddo Sheid.
«Vorresti dire che l’hai fatto per un tuo capriccio?» chiese lei aspra.
«E se anche fosse? So io come proteggerla, non tu!» disse lui.
«Proteggerla? Ma non dire idiozie, era il tuo piano sin dall’inizio! Volevi ghermirle il cuore per liberarti dall’incantesimo di Luna, non è cos …» Sheid si alzò repentinamente e la schiaffeggiò.
«Piano? Quale piano?! Se avessi voluto tenerla con me solo per questo, allora avrei anche potuto prendere il tuo cuore, Maria»sussurrò sommessamente, forse pentito dal gesto.
«L’hai fatto!» sbottò lei, sbattendo i pugni sul tavolo, e facendo tintinnare tutte le stoviglie.
«Ti sbagli, da te ho sempre voluto solo una cosa, la tua amicizia. Non mi sembra  tanto orribile da parte mia» confessò mesto «so bene che hai sofferto per questo, ma … non posso fare altro che dispiacermi per te» si scusò. Io restavo a guardare senza dire una parola e sentendomi a disagio, in quel momento più che mai.
«Dispiacerti? Tu non hai mai provato sentimenti del genere! Affetto, preoccupazione, tristezza e … amicizia … non ti hanno mai sfiorato! Sei sempre stato un pezzo di ghiaccio, insensibile, solitario e indifferente, freddo come un cristallo vuoto. Che stupida sono stata! Ho cercato per anni di scalfirti o di riscaldarti ma … non ci sono riuscita! Io, un angelo nobile, non sono stata in grado di fare in tanti anni, quello che un’insignificante umana, ha fatto in un mese! Cosa devo pesare?»
«Credi davvero che io non provi sentimenti … io … credevo di averti dimostrato quanto fossi importante, credevo di averti fatto vedere il mio affetto per te» Sheid sembrava distrutto dal dispiacere, Maria trasalì. I suoi occhi furono attraversati da un lampo, come se un ricordo lontano l’avesse fatta rinsavire di colpo.
«Perdonami, ti prego scusami, Sheid» disse lentamente lei, la sua voce tremava «ricordo molto bene invece, è solo che … tu … » il silenzio piombò tra di noi.
Quella sera non avevo detto una parola, ed ero rimasta imbambolata a guardare quella scena straziante, come se stessi davanti ad un film con attori dalla bellezza  eterna.
«Scusate» subentrai con coraggio, mi alzai da tavola e mi diressi nella toilette, sperando che quei due potessero chiarirsi e scusarsi.
Ripensai alle loro parole, se quello che diceva Maria fosse stato vero, allora Sheid avrebbe sicuramente accelerato le cose, e si sarebbe dichiarato, impossessandosi del mio cuore molto, molto prima.
Sciacquai il viso e poi l’asciugai.
Tornai a tavola, ma loro avevano ripreso a mangiare come se niente fosse successo, e sembrava non avessero parlato in mia assenza.
«Domani sarà una giornata importante» riprese Maria, tentando forse di riaggiustare le cose, forse si era resa conto di aver rovinato l’umore di Sheid. Quest’ultimo masticava attentamente e con eleganza il suo cibo, e non la degnò di uno sguardo, ma si limitò ad ascoltare ciò che la ragazza aveva da dire.
«Dovrai scegliere il mantello, lo scettro e la corona, poi dovrai fare le prove e dovrai imparare a memoria il giuramento, infine cenerai alla grande tavola degli angeli» lo informò Maria, ma lui non batté ciglio «credo che Luna sarà molto felice di poterti tenere vicino almeno per una giornata, anche se prima dell’incoronazione dovrai assentarti spesse volte» a queste parole mi sentii gelare. Questo voleva dire che Sheid sarebbe stato lontano da me per prepararsi all’incoronazione, e se solo per delle prove doveva assentarsi spesse volte, allora quando sarebbe divenuto re … io …
«Non ti devi preoccupare, Seira, io tornerò a casa ogni sera, e staremo insieme anche di giorno quando potrò» cercò di tranquillizzarmi lui, ma di certo non mi sentivo sollevata. Se una sera non fosse tornato, non potevo di certo contattarlo, non potevo non preoccuparmi a morte, ma se la sua promessa di tornare fosse stata davvero seria allora non avevo da preoccuparmi di niente anche se …
«Ogni volta che si assenterà io e mio fratello ti proteggeremo a costo della vita, principessa» Maria sembrava aver messo da parte la sua superbia in quel frangente, e mi sentii davvero protetta e circondata da persone di cui potevo fidarmi.
«Grazie molte … ma … posso chiederti chi è tuo fratello!?» non volevo si trattasse di …
«Pierre Ghefren, in realtà è mio cugino, ma siamo cresciuti insieme e quindi per me è come un  fratello» rispose lei affabile. Immaginai quali legami unissero Sheid, Maria e Pierre, e immaginai quali avventure avessero affrontato insieme da bambini.
«Capisco, però … che strano non vi assomigliate affatto, tu e Pierre» notai ingenuamente.
Maria si rabbuiò per un istante come se avessi detto qualcosa di proibito, ma poi Sheid interruppe i suoi pensieri.
«Vi chiedo scusa, ma … preferirei andare a riposare, domani dovrò alzarmi molto presto, e devo ancora preparare alcune cose» Sheid si alzò e mi passò di fianco, ma non degnò di uno sguardo nessuna di noi due. Sembrava davvero pensieroso.
«Prego» rispose Maria, per educazione. Io mi limitai ad annuire.
«Vado anche io» si congedò la ragazza alata. La sua stanza era al secondo piano.
«A domani Maria» la salutai, alzandomi a mia volta.
«Sì, principessa, a domani. Vedrai che ci divertiremo insieme» sorrise ammiccante. Era stata convincente, ma avevo ancora timore a stare sola con lei.
 
Sheid aveva lasciato la porta della sua camera spalancata, e io sbirciai dentro.
Stava scegliendo cosa mettere, e così bussai per annunciarmi.
«Avanti» disse e così entrai.
«Posso darti una mano?» chiesi.
«Mm … istinto femminile … sì, potrebbe funzionare. Quale di queste divise ti piace di più?».
Guardai sul suo letto e vidi con mio grande stupore, divise da combattimento e indumenti più eleganti, dai colori più meravigliosi.
C’era quella che aveva indossato la prima volta che lo avevo visto con le ali, in quella lontana notte di luna piena, e poi ce n’era una simile ma di colore bluastro.
Poi ce n’erano altre due, più eleganti, che ricordavano molto, il vestiario degli angeli guerrieri che si potevano ammirare nei dipinti del barocco. Lunghi mantelli dei colori più sgargianti, e fasce d’oro che ricordavano i vestiti degli antichi greci. Immacolati ed eleganti, da vero sovrano.
«Io direi di andare sull’elegante» azzardai. Lui guardò gli abiti.
«Vada per quello allora» disse indicando la tunica bianco sporco.
In quel momento immaginai il suo corpo perfetto, fasciato da quella veste particolare. Sicuramente avrebbe avuto l’aspetto idilliaco di un dio greco, oppure avrebbe mostrato  la bellezza androgena di un angelo guerriero.
«Credo che domani sarà insopportabile senza di te al mio fianco» sospirò, io trasalii.
Vederlo confessare così apertamente ciò che provava, era stata una vera sorpresa nonostante non fosse la prima volta.
«Io mi sento già sola» confessai a mia volta.
«Promettimi che mi racconterai tutto nei particolari» chiese sommessamente, e nel frattempo mi accolse tra le sua braccia.
«E tu promettimi che farai attenzione, al tuo ritorno voglio sapere ogni cosa, e prometto di aspettarti sveglia» dissi convinta. Lui sorrise.
«Allora dovrò volare molto in fretta».
Sorrisi timida e poi lasciai che le nostre labbra suggellassero il nostro accordo, con un dolce e intenso bacio.
 
 
********
 
 
 
Sheid era volato via durante le prime ore del mattino, quando il sole non era ancora sorto per scacciare via le tenebre della notte.
Mi svegliai tardi, svogliata e senza forze, e mi accorsi che ad attendermi per la colazione, c’era Maria Ghefren.
Le sue ali, alla luce del mattino, erano ancora più scintillanti e la sua bellezza sembrava non avere limiti.
«Buongiorno Maria» le sorrisi. Lei ricambiò, come se tutta la superbia dimostrata il giorno prima si fosse dissolta con le tenebre.
«Buongiorno a te, Seira» pronunciò il mio nome con dolcezza, e ne rimasi sorpresa.
«Scusami per l’attesa»dissi gentile e lei annuì affabile.
«Non preoccuparti, il paesaggio intorno al castello è così suggestivo che guardandolo si ci dimentica di tutto» disse sognante «dormito bene?» domandò.
«Sì» mentii. Invece mi ero rigirata nel letto per tutta la notte senza chiudere occhio.
«Non si direbbe» disse, e sorprendendomi ancora una volta mi sfiorò con delicatezza le occhiaie.
«Allora che programmi hai per oggi?» domandai. Lei ci pensò un po’ su e poi rispose.
«Beh … mi fai vedere la casa, poi facciamo una passeggiata e poi … spettegoliamo un po’, che te ne pare?» rimasi di stucco. Dov’era finita la sua acidità? Come mai adesso era così … amichevole?
«Per … per me va bene» dissi, cercando di essere disinvolta «ma per quanto riguarda la passeggiata … forse è meglio di no, qualcuno potrebbe vederti!».
«Mm … forse hai ragione, allora proponi tu qualcos’altro».
«Puoi rispondere ad alcune mie domande … sugli angeli, se ti va» azzardai.
«Per me va bene» sorrise.
Passammo la mattinata a girovagare per il castello, ma feci attenzione a non mostrare a Maria le stanze che Sheid non aveva fatto vedere nemmeno a me, compresa la sala del nutrimento.
Pranzammo ancora insieme e poi arrivò l’ora del tè. Ci sedemmo in silenzio in salotto, e i primi dieci minuto trascorsero lenti e tranquilli.
«Allora … tu lo ami» la sua non era una domanda. Lo aveva detto in modo diretto, come se si fosse appena resa conto della situazione.
«Sì, lo amo davvero» risposi tranquilla. Il mio amore per lui era l’unica cosa di cui ero certa.
«Ti capisco, lo amo anch’io» la sua voce non era alterata, ma piatta. Come se stesse confessando qualcosa di poco conto. I suoi occhi però, parlavano e come.
«Come vi siete conosciuti tu e lui?» chiesi curiosa.
«Vuoi farmi il terzo grado? … Va bene, allora ti racconterò tutto» sorseggiò il suo tè, con calma e lentamente e poi mi raccontò tutto.
«La sera in cui lo vidi per la prima volta non la scorderò mai. Fu la scena più raccapricciante, brutale e triste che avessi mai visto. Mio nonno era tornato più tardi del previsto, e tra le sue braccia teneva un bambino dal viso pallido e delicato, di una bellezza disarmante. Il suo corpo però … era ricoperto di ferite. Nonostante fosse incosciente tremava, credo per il dolore. Appena lo vidi pensai che fosse davvero bellissimo nonostante tutto, ma oltre all’ammirazione provai pietà. Mio nonno aveva avuto sempre molta cura di me, nonostante gli allenamenti fossero duri ed estenuanti, e guardando quel ragazzino … non potevo che provare dispiacere. Mio nonno mi informò che quel bambino era Sheid Winter, il figlio del re traditore, e che da quel giorno sarebbe stato con noi, e si sarebbe allenato assieme a me. Ne fui felice sin da subito, volevo stargli accanto e aiutarlo a guarire, così da poter un giorno combattere al suo fianco. Fui io a curargli le ferite, fui io a stargli accanto mentre era incosciente. Poi, purtroppo venni travolta dalla freddezza del suo sguardo. Cercavo di essere gentile, ma cercavo anche di sapere di più sul suo conto, ma il nonno non ne parlava, e Sheid non aveva aperto mai bocca dal suo risveglio, così capii che non sarei mai riuscita a fare breccia nel suo cuore di ghiaccio» i suoi occhi ripercorsero con dolore quei momenti di solitudine. Chissà quale aspetto aveva Sheid da bambino! Parlando del suo corpicino mal ridotto, gli occhi di Maria si erano fatti lucidi.
«Devi esserti sentita davvero sola» constatai tristemente «potrei chiederti allora, perché ti sei zittita quando a cena, ieri sera, lui ti ha detto di averti dimostrato il suo affetto?» chiesi, cercando di mostrare tutta la discrezione che avevo, ma purtroppo la domanda non era molto educata. Eppure più scoprivo e più volevo sapere: era più forte di me.
«Beh, perché poi col tempo le cose sono migliorate, soprattutto dopo quella notte» rispose tranquilla lei. Io deglutii. Quella … notte?
«Non allarmarti, non è successo nulla di grave» mi tranquillizzò, notando forse la mia espressione esterrefatta «è solo che mi ha sorpresa, tutto qui» concluse.
«Cosa accadde?» domandai curiosa. Lei sospirò e ritornò con la mente al passato.
«Durante una delle prime missioni, dovevamo scoprire il nascondiglio di un demone di terzo livello, e riferirlo ai guerrieri specializzati. Gli incaricati eravamo io, Sheid e altri due angeli cadetti. La missione andò bene, ma qualcosa andò storto durante il ritorno. Non so come successe, ma sfortunatamente persi il gruppo e mi smarrii nella foresta. Ad accorgersi della mia assenza fu Sheid. Lui era andato avanti per accelerare la cattura del demone, e gli altri miei compagni mi avevano lasciata indietro, non accorgendosi della mia scomparsa. Mio nonno mi racconta spesso come reagì Sheid. Schiaffeggiò i nostri compagni e poi, nonostante fosse senza forze, a causa di una missione precedente assegnatagli da Luna, venne a cercarmi, volando verso la foresta come una saetta. Mi si erano impigliate le ali in un ramo, e lui … dopo avermi liberato, mi portò in spalla per tutto il percorso. Allora capii che i miei sforzi erano serviti. Mi aveva salvata e si era preso cura di me nonostante tutto. Da quel momento lo amai ancora di più» smise di parlare e abbassò lo sguardo. Era stato davvero bello sentire parlare di Sheid da lei. Maria sapeva così tante cose che io nemmeno immaginavo, e questo mi rendeva sia triste che elettrizzata all’idea di sapere altro.
«Raccontami qualcos’altro, raccontami ogni suo particolare comportamento in ogni situazione, raccontami quello che ti ricordi, ti prego» dissi, desiderosa di informazioni.
«Beh, dopo pochi anni, a Sheid fu dato l’ordine tassativo di diventare un assassino, un giustiziere di demoni e angeli che avessero attaccato o disobbedito a Luna, ma il suo chiodo fisso, rimase comunque la sua vendetta. Purtroppo non ci incontrammo più molto, ma quando Luna indiceva balli e feste, ci ritrovavamo sempre. Anche se lui, crescendo e abituandosi ad uccidere, aveva assunto il classico sguardo spento di chi sa cos’è la morte e il dolore. In realtà non l’ha mai superata del tutto … la sua tragedia personale» avevo sentito parlare Sheid del suo odio verso Isaac, ma non mi capacitavo, in quel momento, che si trattasse proprio di vendetta concreta, e non di un atto astratto e disperato. Possibile che l’abbandono di suo padre avesse scatenato il suo lato più … oscuro?
«Isaac … l’ha solo abbandonato, e dico solo perché ci deve essere un motivo più grave per attuare una vendetta. Anche per noi umani … l’abbandono non rappresenta un motivo per far uscire il carnefice che è in noi … credo» la mia frase era senza senso, oppure avevo appena detto qualcosa che sembrava surreale?
Forse stavo idealizzando troppo la figura angelica di Sheid, l’essere dalle due facce. Forse la sua voglia di vendetta era il frutto della sua anima guerriera e assassina. Forse, la sua vendetta non era giustificata, forse …
«Non angustiarti con pensieri strani, Seira» Maria interruppe il mio ragionamento «il ragazzo che ami è buono e onesto fino in fondo, e non ti tradirebbe mai. È stato disposto a sacrificarsi pur di proteggerti, quindi la tua fiducia se la merita non credi?» trasalii. Io mi fidavo cecamente di lui, sapevo che non mi avrebbe mai toccata con prepotenza, sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male. Solo non capivo cosa avesse  fatto nascere nella sua mente quel desiderio malsano «Riguardo al fatto che desidera ardentemente vendicarsi di suo padre, beh, non posso giudicarlo. Isaac lo ha diviso da sua madre» trasalii, e uno spasmo di dolore mi fece tremare.
«Non … non vorrai … dirmi …» tremavo da capo a piedi.
«Seira, io non ti ho detto nulla. Queste sono cose che dovete risolvere da voi. Forse lui non te l’ha detto per non appesantirti troppo con il fardello doloroso e pesante della verità. Non essere arrabbiata con lui».
Arrabbiata? In quel momento volevo solo piangere. Possibile che tutte le disgrazie della vita fossero capitate solo al mio cuore? Solo alla persona che mi sapeva leggere dentro con gentilezza,  senza abbattere i miei muri, ma scavalcandoli con delicatezza, coraggio e amore?
«Vieni qui» disse gentile Maria, attirandomi a sé. Piansi sulla sua spalla per tutta la sera e poi mi addormentai con il dolore nel cuore.
Forse Maria mi aveva sussurrato parole rincuoranti e gentili, ma io non sentivo. Era come se tutto il dispiacere avesse circondato i miei sensi, rendendoli indifferenti ai segnali esterni, al calore dei sentimenti e soprattutto al resto del mondo eccetto Sheid.
                                                                             *******
 
Non sognai nulla, era come essere sparita dalla faccia della terra. Aspettavo il momento del risveglio per rendermi conto che esistevo e che non ero scomparsa, ma sembrava non arrivasse mai.
Avevo completamente perso la percezione di me stessa, come se fossi una figura senza materia, come se fluttuassi eternamente in un misterioso universo parallelo e oscuro.
«Seira!» la sua voce nella mia testa.
«No! Perché … perché …. Seira …» qualcosa o qualcuno, mi prese tra le sue braccia, cullandomi con un dolce profumo familiare e meraviglioso. Il calore era paradisiaco.
Aprii gli occhi, sincerandomi che fosse davvero lui.
Il viso spaventato, contratto in una smorfia addolorata. La fronte increspata da una piega di preoccupazione. Gli occhi su di me.
Eravamo seduti sulle scale e lui mi teneva in braccio, sorreggendomi dalla schiena e dal collo con braccio.
«Ciao» dissi, cercando di tranquillizzarlo. Lui mi baciò la fronte, poi le guance, il mento, le mani, accarezzò i miei capelli e poi mi strinse a sé.
«Ciao» rispose, soffiando il saluto tra i miei capelli.
Io gli circondai il collo.
«Scusa se non ti ho aspettato sveglia, ma …» i ricordi riaffiorarono crudeli e dolorosi. Il padre di Sheid, Isaac … ricacciai quella brutta sensazione indietro. Non era il momento.
«Sta’ tranquilla» rispose e allora mi accorsi che era agitato, come se fosse stato sul punto di piangere.
Gli accarezzai il viso, dolcemente e poi gli posai le dita sulle labbra perfette e rosee.
«Calmati, dimmi cos’hai» lo pregai con la voce piena di urgenza.
«Nulla, io sto bene, è solo che … il mio maestro ha ritenuto opportuno cominciare l’addestramento finale, senza che io ne fossi al corrente» spiegò, irritato.
«Cioè?» chiesi, sistemandomi meglio tra le sue braccia. Lui mi assecondò: adesso riuscivo ad abbracciarlo completamente.
«Niente, è solo che lui mi ha detto che tu eri morta, ed io c’ho credito come uno sciocco imbecille, anche se … la paura che ho provato era più seria della morte stessa. Mi sono sentito …» non riuscì a continuare e ciò mi fece capire quanto si fosse disperato.
Lo abbracciai di slancio, intrecciando le dita tra i suoi capelli morbidi e setosi.
«Sto bene, e nessun demone ci ha attaccate. Maria è stata strepitosa con me, e credo che in caso di un attacco improvviso, se la sarebbe cavata alla grande» lo tranquillizzai, vantando la sua amica angelo, che silenziosa e forse irritata ci guardava stringerci.
«Te l’avevo detto che era viva e che stava bene» disse lei con voce monocorde. Lui annuì e poi abbassò lo sguardo.
«Grazie e scusami per come ho reagito» disse Sheid, dispiaciuto e stanco.
L’angelo dai capelli lunghi annuì, con uno sguardo più leggero e un’espressione meno crucciata.
Qualsiasi cosa fosse successa mentre dormivo, ora era tutto apposto.
«Buonanotte, e … addio» disse Maria. Si incamminò verso la porta dandoci le spalle.
«Aspetta!» la chiamai io. Lei si fermò, e poi si voltò «Perché vai già via? Dobbiamo ancora conoscerci meglio … e poi … »lei alzò una mano.
«Sono la tua servitrice principessa, ma per quanto riguarda Seira … ho visto che lo ami molto, perciò … lascerò da parte la mia superbia e … starò al mio posto. Sei mia amica d’altronde» disse, riempiendomi il cuore di gioia.
«Ci rivedremo, vero?».
«Certo Seira, quando sua maestà Sheid diverrà re, non ti libererai più di me» scherzò, prendendo in giro l’angelo che mi teneva tra le sue braccia.
«Ciao Maria, di’ a tuo nonno che quando lo rivedrò, gliene dirò quattro» scherzò a sua volta Sheid.
«Sarà fatto. Ciao a tutti» e si allontanò con eleganza, lasciando dietro di sé una scia di polvere argentea.
Andammo nella camera di Sheid per stare un po’ insieme prima di andare a letto.
Mi raccontò di come avevano arredato la sala dell’incoronazione, di come si fosse annoiato a provare gli abiti da re e di come Luna avesse cambiato carattere con lui.
Era diventata indulgente e più dolce, e aveva domandato scusa per l’agguato che aveva fatto attuare a Pierre Ghefren.
Poi fu lui a chiedermi come fosse andata. Allora ripensai alla verità.
Mi rabbuiai, ma decisi di mettere da parte quell’argomento. Non averlo visto per un giorno intero mi aveva resa davvero bisognosa della sua presenza e delle sue attenzioni e forse, quello non era il momento giusto per rovinare tutto. Il ritrovarsi era un piacere semplice ma davvero estenuante.
«Cosa ti turba? Maria ha fatto qualcosa di sbagliato oggi?» domandò prendendomi la mano con gli occhi bassi e tetri.
«Non è nulla, sono solo stanca» lo tranquillizzai. Mi staccai a malincuore, e raggiunsi la porta «buonanotte» dissi, ma lui mi afferrò per il braccio. Il suo viso era stranamente accartocciato in un’espressione crucciata e tesa. Sembrava quasi sofferente nel fare la sua  richiesta.
«Resta qui, ti supplico» sussurrò. Nei suoi occhi rividi la paura che aveva provato e quel dolore che poteva essere il fantasma degli abbandoni che avevano segnato la sua triste esistenza.
Mi si strinse il cuore.
Lo abbracciai di slancio, tenendolo stretto a me. Si lasciò cadere sul pavimento, inginocchio, come se fosse stato privato delle forze, e poi mi strinse a sua volta, facendomi scivolare sul suo petto scolpito e caldo.
Il suo cuore batteva forte e veloce, ma quel suono era come un canto idilliaco e celestiale.
«Perdonami, sono davvero patetico» disse mesto, ma nella voce nascondeva disperazione.
«No, sei solo umano» dissi io. Lui trasalii, ma si rilassò subito dopo. La mia frase era vera al cento per cento e lui lo sapeva.
Mi prese in braccio e poi, prima di depositarmi sul suo letto, mi guardò per una conferma.
Io annuii imbarazzata.
Le lenzuola morbide avevano il suo profumo e questo mi fece sentire bene subito.
Poi si sdraiò accanto a me, e facendo leva su un gomito mi baciò dolcemente.
Il cuore mi si fermò.
«Sheid … tu» la domanda era davvero imbarazzante.
«Sta’ tranquilla, voglio solo tenerti con me stanotte, per sorvegliarti e rendermi conto che non ti ho persa davvero. Non puoi capire come mi sono sentito. Credevo di poter morire per il dolore» confessò.
Gli accarezzai la guancia.
«Va tutto bene. Se questo basterà a farti stare più tranquillo, dormirò qui stanotte» dissi arrossendo.
Lui sorrise angelicamente. Poi portò una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio. Acchiappò le punte e se le portò alle labbra.
«Magnifico, sei davvero bellissima quando arrossisci» disse con voce serafica. Io diventai paonazza e mi volta dall’altra parte. Lui scoppiò a ridere – ovviamente durò solo qualche secondo – e poi mi prese per le spalle.
«Hai per caso paura di me?» disse sensuale al mio orecchio, e in quel momento aveva gli occhi più scuri ne ero certa. Adesso era un po’ più angelo.
«Tu non mi faresti mai piangere» dissi io.
«Ah no?» disse lui, scherzosamente. Mi attirò a sé, e poi cominciò a scompigliarmi i capelli. Rimasi sbalordita a tal punto che mi mancò il respiro.
Imprecai e poi recitai la parte della ragazza furiosa.
«Adesso i miei capelli sono un disastro, come farò a togliere tutti i nodi che hai creato? Sei davvero … » mi fermai, vedendo che lui indicava i suoi.
«Puoi rendermi il favore se vuoi, principessa» i suoi occhi erano decisamente più blu del previsto.
Probabilmente i sentimenti negativi provati quella sera, avevano risvegliato quella parte intraprendente e vivace, ma anche distruttiva e feroce della sua persona. Ma lui mi amava e io mi fidavo di entrambe le parti.
Lo Sheid che avevo davanti in quel momento, era solo più … estroverso.
«Non voglio farlo, i tuoi capelli mi piacciono così come sono, se li scompigliassi sembreresti molto diverso» dissi fintamente stizzita.
«Oh capisco, invece tu sei ancora più interessante così» mi provocò lui. Allora lo guardai con la coda dell’occhio, fingendomi arrabbiata.
Poi passai all’attacco. Gli circondai il collo elegante, e lui sgranò gli occhi. Forse non si aspettava che reagissi.
Iniziai a infilare le dita tra i suoi capelli, godendomi la morbidezza surreale e la perfezioni dei riflessi del colore. Era un nero profondissimo e lucido al di fuori di ogni immaginazione. A ogni movimento della mano i riflessi bluastri che scorgevo mi sorprendevano e mi affascinavano. Erano meravigliosi, così alla fine finii per accarezzarli e studiarli, invece di scompigliarli del tutto.
Quando lui mi prese un polso e mi fece sedere accanto a lui, mi accorsi di come lo avessi conciato.
La maggior parte della sua chioma adesso era disposta in piccole punte. Sgranai gli occhi, era davvero sorprendente quanto fosse bello conciato  in quel modo.
Alzò un sopracciglio e mi inchiodò con lo sguardo.
«Mm non sei male con questi capelli … elettrici» commentai estasiata.
«Già, siamo davvero una bella coppia con queste nuove … acconciature» mi schernì lui. Poi mi rubò un bacio. Quando ci staccammo per respirare, mi resi conto di quanto il suo viso sembrasse stanco e pallido, nonostante la sua espressione fosse divertita.
Passai ancora le mani tra i capelli di Sheid e a poi con una carezza cercai di aggiustarli. Poi mi avvicinai e per la prima volta, gli baciai la fronte.  Osservai la sua pelle velluta e le sopracciglia folte ma sottili. Le lunghe ciglia corvine, gli occhi meravigliosi e blu notte e il naso perfetto, le labbra.
Mi avvicinai lentamente e le toccai con le dita. Al mio sfiorarle si schiusero lentamente e il suo respiro caldo e profumato mi accarezzò le dita.
La sua espressione si fece tesa, e repentinamente si portò una mano al petto.
Trasalii e ritrassi la mia e me la portai sul cuore, lontano da lui.
Lui portò lo sguardo su di me e poi, quasi disperatamente, riprese la mia mano, e baciandone il palmo la strinse a sé.
«Non stavo scherzando. Posso tenerti con me, Seira?» domandò esausto. Gli occhi seri, senza nessun’ombra di finzione. Io annuii, e andai ad accoccolarmi tra le sue braccia.
Lui mi abbracciava da dietro e respirava piano tra i miei capelli. Le mie mani sulle sue.
«Sogni d’oro» sussurrò al mio orecchio.
«Buonanotte» risposi. E cullata dal calore delle sue braccia mi lasciai trasportare nel mondo dei sogni, consapevole che quella vicinanza rappresentasse un dolore per lui.
 
 
                                                                  ************************
 
 

 
SHEID

 
La sala da ballo era in allestimento e i servi di Luna erano indaffarati e frettolosi.
La grande tavole imbandita era già tutta occupata quando arrivai al castello, tutta eccetto il posto accanto alla regina.
«Benvenuto nobile Sheid» mi salutò l’angelo di fronte a me, sir Sebastian Light, amico intimo di Luna e un tempo … anche di mio padre. Ricambiai con un cenno del capo.
Quando gli altri anziani mi videro si alzarono e fecero all’unisono un breve inchino.
I loro sguardi erano discreti, ma i loro occhi erano intrisi di risentimento. Alcuni sembravano persino essere in soggezione dinnanzi a me.
«Congratulazioni» mi sentii sussurrare, e voltandomi scorsi il volto familiare e di eterea bellezza del mio maestro. Le sue ali erano più scintillanti che mai e sembravano riflettere l’ammirazione dei suoi occhi.
«Maestro … buonasera» dissi, lui rispose con un cenno del capo «Cenerai anche tu qui?» domandai.
«No, sono di turno stanotte. A proposito, preparati, da stasera, inizierà il tuo addestramento finale, e dovrai lavorare davvero sodo» mi sfidò soddisfatto. Annuii. Ero più che pronto.
L’ unica cosa preoccupante era il tempo. La mancanza di tempo. Sarei riuscito a conciliare tutto?
Dopo aver consumato il primo pasto in silenzio, Luna si alzò con fierezza, seguita da tutti i presenti me compreso.
«Miei amati figli e collaboratori, amici e venerabili anziani, ho voluto riunirvi tutti per darvi una meravigliosa e gioiosa notizia» disse Luna con voce Serafica.
Un vociare assordante si diffuse per la sala, e Luna fu costretta a zittirsi.
Poi alzando una mano riportò nella sala un silenzio religioso, e allora continuò.
«Oggi eleggerò il mio erede, e dopo anni di lotte e dolore, finalmente potrò affidare il regno nelle mani forti, giovani e sagge dell’angelo più meritevole e nobile» un sorriso sospetto le sfiorò le labbra.
E tutti presenti si lanciarono occhiate di intesa. L’ansia era quasi concreta tra i nobili angeli, e i loro occhi, dai colori più meravigliosi si posarono su di me.
Ripiegai le ali più che potevo, e irrigidii la mascella, ma ciò non servì a farmi sentire di più a mio agio.
«Sheid Winter, principe di tutti i cieli» proclamò la regina. E tutti trasalirono compreso me.
Io lo sapevo già ma sentirlo dire ad alta voce mi fece venire i brividi.
«Luna!» subentrò l’angelo che sedeva all’altro capo della grane tavolata, sbattendo i pugni sul tavolo.
«Ciò che hai deciso è inaccettabile!» serpeggiò Ruben Winter. I lineamenti idilliaci erano alterati da una spigolosa rabbia. Gli occhi vermigli su di me. Mio zio somigliava terribilmente a mio padre, ma essendo più grande di età rispetto ad Isaac, ed essendo di natura malefica, essendo composto anche da un’essenza demoniaca, mostrava i segni del tempo sul suo volto sempiterno, e negli occhi la malvagità di un assassino. I capelli di un bianco splendente erano ben diversi da quelli di mio padre. Isaac racchiudeva la luce più brillante e subito dopo il Nutrimento, la sua chioma, corvina come la notte, era così lucente da diventare blu profondo.
Gli occhi, però, erano identici ai suoi. Blu notte.
«Vorresti passare il potere al bastardo del re traditore? Per anni questo essere immondo si è sporcato le mani di sangue di demone, per anni abbiamo dovuto sopportare la sua esistenza, e ora tu vorresti addirittura mettere sul trono questo abominio? Nessuno prenderà di buon grado la tua decisione, mia regina, e tu verrai tradita ancora e ancora, finché non avrai più lacrime da versare» sputò le parole ad una ad una, e nessun angelo osò obiettare.
«Perciò tu hai qualcuno di migliore da proporre … Ruben?» lo sfidò Luna. L’angelo digrignò i denti, e poi scrollò il capo.
«Ho il suo stesso sangue» disse tra i denti, e tutti capirono. Lui era il maggiore, eppure non era stato lui a diventare re, ma suo fratello minore, mio padre.
Ruben si era macchiato di colpe imperdonabili, e la corruzione della sua seconda essenza, la sua anima, ormai traspariva da ogni lembo della sua pelle.
Luna aveva scelto Isaac quel giorno, e Ruben aveva cominciato a covare un odio profondo per suo fratello.
E ora per me.
«Come immaginavo, vorresti prendere tu il posto di quella persona, ma …» Luna sembrò esserne infastidita «la tua brama di potere e questo odio, fanno di te un candidato non valido, mi dispiace» la regina si sedette, con lo sguardo severo e saggio. Lei aveva messo fine alla conversazione.
«Io …» Ruben si alzò, e tirò fuori la sua spada d’oro, Luna non si scompose.
«Siediti Ruben, o sarò costretta a bandirti da questo palazzo per un tempo molto lungo!» lo minacciò con voce monocorde la regina.
«Io non servirò mai un falso re!» lo sguardo da pazzo, la rabbia velenosa, la violenza nei suoi gesti. Mi alzai di scatto prima che potesse colpirmi, e riuscii a schivarlo.
«Luna!» urlò, la disperazione nello sguardo. Voleva colpirla, avrebbe fatto del male ad entrambi.
Mi lanciai addosso a lui, e finimmo rovinosamente sulla tavola. La sua spada mi trafisse il braccio, ma non feci caso al dolore, assestai un pugno sulla sua faccia e poi gli tolsi l’arma dalle mani.
Il mio sangue umano aveva sporcato le mie vesti e la candida tovaglia.
Le guardie portarono via mio zio, e tutti i presenti si riavvicinarono alla tavolata.
Il silenzio religioso e teso che si era creato in quel frangente pericoloso, si dissolse.
«Sheid» Luna mi si avvicinò e curò con cura la mia ferita. Aspettai irritato che finisse. E poi mi allontanai.
«La regina dovrebbe scegliere un sovrano che sappia mantenere l’equilibrio tra le tenebre e la luce, un re giusto, saggio, pacifico e potente. Ma il prescelto ha anche il compito di proteggere la sua regina, e … da ciò che è successo stanotte, suppongo che nessuno di voi, con il dovuto rispetto, ne sia capace. Non voglio la vostra approvazione, non voglio che mi amiate, non voglio che mi ammiriate. Voglio solo il vostro rispetto e la vostra fedeltà. Non per me, ma per la vostra creatrice. Il mio sangue umano potrebbe essere distrutto molto facilmente. Sono un re che può morire, ma sono un angelo che sa proteggere. Spero davvero che tutti voi siate soddisfatti. Buonasera» odiavo fare discorsi del genere, ma erano necessari per rimettere le cose apposto, e per far capire come stavano realmente i fatti. Gli sguardi sempiterni degli angeli, seguirono la mia uscita dalla sala con ammirazione e stupore. Potevo sentire perfettamente la loro vergogna.
Essere feriti nel corpo per loro era impossibile e se succedeva, durava pochissimi secondi. La cosa più affascinante era quanto la loro personalità potesse essere sconvolta da accadimenti banali quanto quello.
Chi non sa cos’è il dolore vero, tende sempre a ingigantire qualunque sofferenza, diventando vittima della proprio superficialità.
«Principe!» mi sentii chiamare, prima che potessi spiccare il volo verso casa. Era Pierre, seguito da Gabriel Ghefren, il mio maestro.
«Buonasera» li salutai pacatamente.
«Affrettati a ritornare a casa!» disse agitato più che mai il maestro, e io cominciai a preoccuparmi seriamente quando vidi Pierre trasalire per il terrore.
«Non mi direte che … Seira …» pronunciai quelle parole come un automa, quasi non provassi davvero l’immenso dolore che mi stava divorando.
Mi fiondai a casa, volando come un pazzo, fino a sentirmi le ali pesanti e logore per lo sforzo.
Spalancai la porta d’ingresso, e quando vidi Seira, tra le braccia di Maria, senza sensi, caddi nella più profonda disperazione.
Era così indifesa, così piccola, così tenera che persino io che ero umano, sentivo il desiderio urgente di proteggerla e di custodirla.
Poi guardai nel profondo e sentii con chiarezza che stava bene. Il ciondolo era rotto, il portale tra la sua anima e la mia si era frantumato, ma i nostri cuori avevano instaurato un legame. Un ponte invisibile fatto di battiti, momenti da spezzare il fiato e amore.
Maria me ne diede la conferma, lei stava bene, e allora capii che era stata tutta opera del mio maestro.
Il mio addestramento per superare me stesso era appena iniziato.
Quella notte la tenni con me, la tenni tra le mie braccia, perché lei era la cosa più importante della mia vita e non avrei mai permesso a nessuno di portarmela via.
 
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SEIRA
 
«Ci vediamo stasera principessa» mi salutò con un bacio. Finalmente il grande momento era arrivato e lui sarebbe diventato l’arcangelo supremo, re di tutti i cieli.
Questo mi preoccupava non poco.
Doveva proteggermi, doveva vincere i suoi limiti, doveva combattere contro la sua vendetta e doveva essere un re saggio e giusto.
Eppure, io sapevo che lui ce l’avrebbe fatta. La forza che teneva dentro di sé, era più potente di qualunque cosa. Era un uragano, una tempesta, un’esplosione, qualcosa di straordinaria potenza.
Io avevo fiducia in lui.
La notte prima mi aveva chiesto di dormire accanto a lui ancora una volta, e il calore che provai abbracciandolo e addormentandomi sul suo petto, fu disarmante.
Naturalmente, se qualcuno avesse saputo che vivevo insieme a lui e che dormivo anche nel suo letto di tanto in tanto, avrebbe travisato quasi sicuramente il nostro rapporto.
Certo, ci amavamo molto, avevamo bisogno l’una dell’altro come un diamante e la sua luce, ma ancora nessuno dei due aveva toccato l’argomento “contatto fisico”.
Ovviamente ci desideravamo a vicenda, ma quel rapporto fatto di gentilezza, delicatezza e discrezione, fatto di piccoli baci e protezione, era come un bocciolo meraviglioso e perfetto, che ancora non potevamo far sbocciare.
Lo sapevamo entrambi: se fosse successo, stare lontani sarebbe diventato impossibile.
«Maria ti aiuterà e prepararti e poi Pierre ti porterà in volo fino al palazzo» disse serio, ma accarezzandomi piano il viso.
«Ora ti fidi di lui?» dissi alludendo al mezzo demone.
«Me l’ha imposto Luna, sono stato costretto» rispose mesto «ma non devi preoccuparti, io saprò sempre dove sei e come stai, e poi …» lasciò la frase in sospeso di proposito e dalla tasca dei pantaloni tirò fuori un oggetto luminoso.
Sgranai gli occhi.
Era il mio prezioso ciondolo, identico a prima che andasse in pezzi.
«Wow, grazie» gli buttai le braccia al collo, e lui mi strinse sogghignando.
«Guarda sul retro» sussurrò.
C’era un marchio che decorava il ciondolo. Una “S” formata da due linee.
«E’ la nostra iniziale, e se capovolgi una delle due linee, appare il simbolo di infinito» mi fece notare.
Mi sentii avvolgere dal suo gesto romantico.
«Per sempre» sussurrò al mio orecchio con voce serafica.
Sì, pensai. Forse saremmo morti, forse ci avrebbero divisi, forse saremmo riusciti a cavarcela, ma noi ci saremmo amati per sempre.
 
Lo lasciai volare via, e nonostante sapessi che ci saremmo rivisti a breve, non riuscii a esserne serena.
Ogni volta che non era con me, sentivo di respirare freddo e solitudine.
 
Il tempo passò lentissimo, e quando arrivò l’ora di andare, mi resi conto che per tutto il giorno non avevo fatto altro che pensarlo, mettendo da parte tutti i pensieri e … Maria.
 
«Scusami» dissi mesta, ma lei non sembrava affatto offesa dalla mia “assenza”.
«Non preoccuparti, però … potresti almeno dirmi che ne pensi?» disse, mettendomi davanti allo specchio della mia camera come fossi una bambola di porcellana.
L’abito bianco, decorato qua e là da pietre luminose, aveva una scollatura a barca che andava a chiudersi dietro la schiena con una elegante “V” ricamata. L’ampia gonna rendeva il mio corpo slanciato ed elegante.
I capelli raccolti in un’acconciatura che lasciava fuori solo piccoli ciuffi sulla fronte e un boccolo dietro, sul lato sinistro.
Il trucco leggero e dalle tonalità turchesi.
Ero davvero molto bella, e mi pentii subito del mio malumore. La povera Maria mi aveva resa deliziosa e io l’avevo ignorata per tutto il tempo, pensando al mio angelo lontano.
L’abbracciai e mi scusai, ma lei sembrò tranquilla.
«Per me è stato un piacere, principessa» rispose solamente e mi baciò la guancia.
Ero felice, ora eravamo amiche.
 
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«Sicura di farcela?! Guarda che peso abbastanza!» cercai di scusarmi con Maria.
Era riuscita a prendermi in braccio nonostante le mie proteste, e ora la sentivo a disagio sotto il peso delle mie ossa.
«Senti Seira, ho combattuto con onore e forza al fianco di Sheid e di mio nonno molte volte … perciò … vedi di piantarla chiaro?» mi sgridò con falsa ira. Sorrisi.
«Non stancarti troppo allora!» raccomandai. Lei prese il volo con uno slancio pazzesco.
E mi portò attraverso le nubi di quella notte calda d’estate.
«Il palazzo si trova sulla luna?» domandai curiosa.
«No!» rise «Il palazzo è sospeso in una dimensione segreta di cui nessuno è a conoscenza. Si dice che sia all’interno di uno dei crateri lunari, oppure addirittura sulla terra in un luogo nascosto. Ciò che è certo e noto a tutti è la sua magnificenza. Vedrai. Adesso passeremo attraverso il portale lunare» mi informò.
“Wow” pensai.
La guardia guardò Maria e me con riverenza e poi con un cenno del capo ci lasciò passare.
Sembrò come passare attraverso una nebbia fitta e ritrovare la luce subito dopo. Poi mi ritrovai il palazzo sotto i piedi e una luce soffice e meravigliosa che l’illuminava.
 
I presenti – centinai e centinaia di angeli – alzarono il capo vedendomi arrivare, e quando Maria planò lentamente sulla sala, atterrando proprio al centro, tutti fecero un lieve cenno del capo e poi tornarono a fare quello che stavano facendo prima del mio arrivo.
«Vado a mettermi qualcosa di meno attillato, torno subito, tu non farti mangiare dai lupi, e stai alla larga dagli angeli più belli. Sono i più nobili, quelli che ce l’hanno a morte con Sheid per avergli soffiato il trono. Ci vediamo tra poco» mi salutò, svanendo tra la folla.
Non ebbi nemmeno il tempo di dirle “ciao”.
 
Una musica leggera e candida, leggiadra come fiocchi di neve, circondò tutti i presenti, me compresa.
La sala era tanto grande e luminosa, che sembrava davvero essere nel pieno di una tempesta di neve.
Le mura erano totalmente di cristallo, tanto luminose quanto imponenti.
I nobili angeli, gli ospiti alati, e gli esseri più strani erano scesi tutti dall’alto la popolavano.
Il soffitto era inesistente, e anche io, portata in braccio da Maria, ero scesa da lì.
Le finestre surreali, somiglianti a varchi , erano decorate da tendaggi di classe, lussuosi e formati da fantasie contorte e bellissime.
Il blu era il colore dominante della serata.
Tavoli ricolmi di vivande, erano stati appositamente preparati ai quattro angoli dell’immensa sala, per permettere il via vai dei servi e dei nobili signori alati.
Il trono era bizzarro quanto affascinante. Un tappeto blu lo avvolgeva, sovrastato da una poltrona dalla forma stranissima. Lo schienale era a forma di mezzaluna, ma era così grande che il re o la regina, potevano appoggiarvisi senza correre il rischio di fare un capitombolo. Il cuscino di velluto blu era costellato di mezzelune dorate.
Poggiati su di esso, corona, scettro e mantello, facevano capolino con eleganza.
La corona d’oro bianco era formata da tre punte sul davanti, e al centro uno zaffiro blu come le profondità dell’oceano, era circondato da tanti piccoli diamanti.
Lo scettro presentava una sommità a forma di luna piena, con al centro la stessa fantasia di pietre della corona. Il manto era di velluto blu, ovviamente munito di stemma reale: la mezzaluna.
Maria era andata a cambiarsi, ed io ero rimasta da sola, appoggiata ad una delle pareti, aspettando di vedere qualcuno di mia conoscenza, ma più mi sforzavo di scrutare i presenti in cerca di amicizia, più mi sentivo fuori luogo. Ogni singolo angelo, mentre parlava con i suoi simili, mi aveva inchiodato con lo sguardo almeno una volta, per poi sussurrare il mio titolo a fior di labbra.
Principessa.
Era come essere intrappolata in una vetrina insieme ad altri oggetti rari, ed essere osservata, giudicata e controllata senza sosta. Era una vera tortura e i miei nervi stavano per cedere.
Ero da sola, nonostante in quella immensa sala ci fossero centinaia di “persone”.
 
All’improvviso, la luce abbagliante che inondava la sala di un chiarore diafano, si fece più flebile, e l’oscurità piombò sulla folla.
I presenti zittirono, e tutti alzarono il capo verso il cielo stellato.
Una donna dalla bellezza ammaliante e sensuale, fece la sua entrata, scendendo lentamente.
L’abito blu stretto fino al ginocchio, che finiva con un’ampia coda pomposa, fasciava il suo esile corpo e risaltava le sue forme eleganti. La pelle candida come il colore dei suoi lunghissimi capelli, contrastava con il colore delle sue labbra superbe e dei suoi occhi profondi.
Era Luna.
Tutti si inchinarono, me compresa, e recitarono il giuramento, come se fosse un cantico di lode per una dea.
«Miei sudditi e amati figli, è in questa umile sala, che oggi verrà incoronato il signore dei cieli. La sua bellezza domina la mia e sovrasta senza riserva la vostra, la sua forza potrebbe distruggerci. Ma la sua umanità gli permetterà di guidarci verso la pace. Perciò onoriamo il nostro nuovo re» annunciò fiera e le sue parole, pronunciate come fossero una poesia meravigliosa, mi trafissero il cuore.
Da una piccola porticina sul lato più remoto della stanza, Sheid fece la sua entrata.
Era vestito con un’armatura d’oro, che brillava sotto la tiepida luce delle stelle, mentre i suoi passi risuonavano nel silenzio, tutti gli occhi erano puntati su di lui.
I due sovrani si trovarono uno di fronte all’altra e allora cominciò la cerimonia.
Il viso di Sheid era attonito e nessuna emozione velava i suoi lineamenti. Sapevo a cosa era dovuta quell’indifferenza ma non ero affatto preoccupata.
Vederlo in quella veste mi provocò un brivido, come sempre il suo viso era magico e aveva stregato tutti presenti.
«Con questo bacio saluto con tristezza mio figlio» disse Luna, con voce commossa, e avvicinandosi al viso di Sheid, depositò un bacio carico d’affetto, sulla guancia diafana dell’angelo.
Poi si inginocchiò dinnanzi a lui e con i lucciconi agli occhi, prese la mano del principe.
«Con questo bacio, saluto con gioia, il nostro nuovo re» concluse, baciando con ammirazione e rispetto il dorso della mano del principe.
Poi si alzò e prese la corona dal trono.
«Potenza, saggezza, beltà e nobiltà, saranno le armi che ti porteranno al potere e alla gloria. La tua gentilezza sarà invece il tuo scudo. Tua moglie infine, sarà la guaina che riporrà la tua spada dopo la battaglia, in modo che tu non perda mai te stesso» annunciò.
Moglie. Trasalii. Che cosa intendeva la regina della notte?
 
I presenti ricominciarono a parlare tra di loro, e alcuni lanciarono violente occhiate verso il re e me.
Io mi divincolavo per riuscire a raggiungerlo. Volevo almeno congratularmi con lui, ma arrivata a pochi metri da lui …
«Nobile Sheid, sono sicuro che saprà governare con saggezza e le auguro ogni bene» disse un angelo adulto dalla chioma color oro. Sheid annuì benevolo.
«Lasciate che vi presenti le mie tre figliole: Juliette,  la maggiore, Aida, suona il piano e canta divinamente. Ho sentito che adorate la musica … e … Anna, la piccola di casa. Lei è sempre stata ammirata da tutti per la sua bellezza unica, come noterà le sue ali … » l’uomo alato, indicò la figlia, Anna, e lei fece un passo avanti. Le sue ali erano di un intenso colore turchese, abbellite da sfumature blu.
Il suo viso poi era davvero meraviglioso. Capelli color ruggine e occhi verde smeraldo.
Era bellissima.
«Le vostre figlie sono davvero delle fanciulle deliziose» rispose educato Sheid, senza nessun segno di provocazione nella voce «sono lieto di avervi conosciuto, madamigelle, ma ora devo tornare agli altri ospiti, o mi uccideranno prima che possa dettare il mio primo ordine» sorrise benevolo.
«Aspetti maestà … io veramente … volevo confessarle con tutta sincerità, che speravo che una di loro potesse, attirare il vostro interesse, magari …» spinse la figlia più piccola in avanti e lei si aprì in un grosso sorriso ammiccante. Adesso che la guardavo bene, i suoi occhi mi sembrarono due pozze piene di furbizia e malizia. Trasalii.
Allora l’angelo voleva che Sheid scegliesse la sua consorte … il fodero per la sua pesante spada … sua figlia.
Indietreggiai.
«Grazie» rispose Sheid sorridendo flebilmente e nascondendo nello sguardo di vetro irritazione e trasalimento «Terrò in considerazione la vostra offerta». L’angelo non contento, avvicinò ancora la ragazza dai capelli rossi a Sheid.
«Sono felicissimo, magari Vostra maestà vuole danzare con la mia Anna!?» disse nervoso ed acceso l’angelo. Sheid fece un breve inchino col capo.
«Magari più tardi, quando saranno aperte le danze sir Jones» rispose Sheid, con voce monocorde.
Si allontanò lasciando le ragazze ammaliate e stregate.
Lo seguii, ed allora vidi che altri due angeli, seguiti dalle loro due figlie, si avvicinava a lui.
Stesso procedimento, stessa richiesta, stesso rifiuto di classe.
Alla fine, quando nessuno lo disturbò più, lo raggiunsi a uno dei tavoli ormai deserti.
Visto che non ero la sola a seguirlo, mi affrettai, e nel cercare di divincolarmi tra la folla, inciampai chissà dove.
Due braccia forti mi acchiapparono prima che potessi cadere, e quando mi rialzai, convinta di trovarmelo davanti, rimasi delusa.
«No, non sono lui, ma ammettilo, sono molto più attraente» Pierre, vestito di tutto punto, mi dava il suo saluto.
Guardai nella direzione di Sheid. Altri angeli lo avevano raggiunto, ma il suo sguardo era su di noi.
Annuì a Pierre, come per sincerarsi che ci fosse lui a proteggermi.
Gli angeli vicino a noi non sembravano essersi resi conto dell’accaduto e continuavano a conversare tranquillamente.
Sheid cominciò a spostarsi verso di noi, e subito fu seguito da tre o quattro angeli anziani.
«Principe per quanto riguarda l’accaduto dell’altra sera, sono davvero dispiaciuto e la esorto a chiedermi qualsiasi cosa in caso di bisogno» si raccomandò uno di loro, seguito a ruota dagli altri.
«Giusto, sarò il suo braccio destro se ce ne sarà bisogno».
«Vuole venire a cena da noi? Dovrei parlarle di alcune cose riguardanti la disposizione dei posti a tavola durante le assemblee. Ritengo che il posto assegnatomi sia disdicevole! Dovrei sedere accanto a lei, non trova?».
«Vero! Il nobile James ha ragione, e poi ci sarebbe anche …».
«Signori … vi prego di scusarmi, ma ora avrei da fare» li zittì Sheid.
Gli angeli si dileguarono.
Sembravano tanti cani che litigavano per un osso, e Sheid era solo la loro preda.
«Buonasera, vostra maestà, finalmente degna il suo umile servo della sua regale presenza!» lo provocò Pierre.
«Perdonami Seira, non mi fanno nemmeno respirare, è peggio di quel che credessi» si scusò sussurrando, ignorando con un sospiro Pierre.
«Non preoccuparti» sorrisi. Non mi aveva toccata, né baciata in pubblico.
In quel luogo dovevamo tenere il segreto?
«Ma che cosa crudele! Ignorare in questo modo spudorato la tua anima gemella! La stai nascondendo per paura che possano portartela via oppure semplicemente ti vergogni di presentarla ai nobili presenti!?» sussurrò velenosamente Pierre a Sheid. Io trasalii ma nello stesso tempo presi le difese del mio principe.
«Sei meschino!» lo schiaffeggiai. Come aveva osato mettere in dubbio la buona fede di Sheid?
«A quanto pare lei ti difenderebbe senza riserva mio re! Non lasciartela sfuggire, oppure me la prenderò io, prima che tu te ne accorga potresti ritrovarti solo» Pierre si dileguò, lasciando a mezz’aria quella minaccia disgustosa.
«Sai che è impossibile» lo tranquillizzai.
«Mi fido di te» disse lui, baciandomi sulla fronte.
In quel momento una musica dolce e delicata ci avvolse, regalandoci un brivido di piacere.
In quella melodia riecheggiava la raffinatezza, la regalità e l’eleganza di quel popolo meraviglioso, di quel popolo alato.
«Mi concede questo ballo … milady?» domandò con voce serafica e con occhi magnetici.
Annuii. Mi strinse a sé ed io prontamente misi le punte dei miei piedi sulle sue.
Agitò lievemente le sue meravigliose ali, e in una manciata di secondi, ci trovammo a mezz’aria, circondati da altre coppie alate.
Stretta tra le sue braccia e avvolta dal suo profumo, non potevo essere più felice.
C’era una piccola macchia sul cuore: l’ansia del distacco successivo, cominciava già a pesarmi.
 
 
 
                                                                    ***********
 
 
Stavo fissando da ore l’orologio, e i movimenti della lancetta parevano rallentare ad ogni rintocco.
«Presto sarà qui, signorina. Padron Sheid mantiene le promesse che fa. Sempre» mi rincuorò Erik.
Ormai non ci vedevamo da una settimana, e il tempo era trascorso lentamente, come se la sera dell’incoronazione fosse stata lontana secoli.
C’eravamo tenuti in contatto tramite delle lettere, portate e riportate pazientemente da Maria, mentre Pierre rimaneva costantemente nel perimetro della casa, dentro e fuori a fare la guardia.
Nonostante avessi due angeli a servirmi mi sentivo inerme come non mai.
Stremata per l’attesa, mi addormentai sul divano del salotto.
Sognai la notte al palazzo lunare, e le parole che mi aveva detto la regina, quando mi aveva portata in disparte.
«Piccola principessa, sei un dono prezioso per tutti noi, ma per il re rappresenti una maledizione» aveva sorriso criptica. I suoi occhi puri, non presentavano nessuna alterazione mentre pronunciava quelle parole, come se ciò che stava per dire, non fosse una cosa terribile.
«Guardandoti in sua compagnia, stasera, mi sono resa conto di che sbaglio imperdonabile abbia commesso. Ho messo un ramo vicino al fuoco, e ora non potrò più servirmi di quel pezzo di legno, e di solito distruggo ciò che è superfluo» ghignò. Trasalii. Aveva appena paragonato Sheid ad un fragile e secco ramoscello di poco conto. E lei distruggeva le cose di poco conto. Non riuscivo a credere che proprio lei parlasse in quel modo tanto crudele del re che aveva  appena incoronato con le sue mani.
«Lui, il re, le ha dedicato la vita! Perché ora …» strinsi i pugni con fermezza e abbassai lo sguardo.
«Ti domandi a cosa è dovuto il mio … risentimento?» chiese poi.
«Lei l’ ha rinchiuso e l’ ha tormentato crudelmente, l’ha privato della dignità chiedendogli di uccidere, lo ha punito al posto di suo padre … cos’altro vuole da lui?» dissi tra i denti.
«Voglio tendere il filo della sua vita senza mai romperlo, voglio distruggere la sua esistenza come suo padre ha fatto con me» rispose sussurrando. Quel momento fu terrificante.
«Isaac …».
«Isaac, io lo amavo» confessò, con gli occhi lucidi, trattenendo le lacrime per non incuriosire i presenti lontani da noi.
La figura esile e candida della regina in quel momento mi apparve diversa.
La crudeltà che fino a un momento prima aveva deformato i suoi bei lineamenti fino a trasformarli in una maschera di cattiveria, era svanita. Ora aveva il viso addolorato e delicato di una bambina a cui era stato tolto il balocco più bello. Il dispiacimento per quell’amore negato, sembrava averla trasformato nel tempo, fino a farla somigliare allo stereotipo crudele e malvagio, di sua sorella Anul.
In quel momento riuscii quasi a comprenderla.
Se Sheid non mi avesse amata sarei stata sommersa dal dolore e dalla freddezza della solitudine, ma alla fine avrei trovato la forza di proteggerlo.
Ma se lui avesse amato un’altra, di certo ne sarei stata gelosa.
Naturalmente non avrei reagito in maniera tanto drastica e sadica, ma di sicuro mi sarei sentita così vuota che avrei lasciato che il dolore mi sovrastasse e mi trasformasse in un automa senza anima.
«Bada principessa, la vendetta verso l’assassino di sua madre, potrebbe sovrastare l’amore per te. Quel giorno potresti morire per mano sua» mi avvertì, e poi sparì tra la folla. Quell’avvertimento mi risuonava nella testa, e allora capii che era il momento di parlarne con  Sheid.
L’avrei trovato al mio risveglio?
 
 

 
----------------------------------------- ANGOLO DELL’AUTRICE ----------------------------------------------------
Salve  a tutte! Da quanto tempo eh?
^^ lo so che ci ho messo troppo a scrivere questo cap … ma vista la lunghezza e le cose che cominciano a svelarsi … mi perdonate vero?
Volevo ringraziare i mie recensori fissi, i miei amici speciali senza i quali non potrei fare a meno.
Deilantha, Agapanto blu, Robpatlover, Angy Eptiness, Dav 24, Vanessa e Julia Phant. ^^
E poi anche coloro che passando leggono, commentano via mess o semplicemente di tanto in tanto recensiscono ^^
Grazie di cuore.
Vi aggiorno sul “Libro” … con la revisione io e la mia beta <3 *_* (che adoro) siamo arrivate al cap 6 e spero che avrò il tempo di continuare anche se la scuola incombe.
Se volete una copia del “Manoscritto” (chiamiamolo così XD), chiedetemelo si fb e ve ne manderò una copia ^^.
ANTICIPAZIONI.
L’odore della verità spesso non ha il profumo della giustizia bensì quello della vergogna.
Mentre la fine incombe come l’ombra del tramonto, i fantasmi del passato appariranno come risorti, e sveleranno la dolorosa realtà dei fatti.
^^
Allora alla prossima, spero presto.
Gradirei tanto un vostro parere, vi raccomando.
Baciottoni.

Fiorellina
<3

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


SEIRA:
 
Mentre il  vento cantava la sua triste canzone, il sole tesseva i suoi raggi attraverso i rami degli alberi.
Il cielo terso si stava oscurando di nuvole cariche di pioggia, uno scroscio di lacrime.
 
La pietra silenziosa di quel luogo sacro sembrava scrutarmi fino nel profondo, sembrava scoprire, attimo dopo attimo i segreti più profondi della mia anima.
I peccati, le gioie e le speranze, sembravano sovrastarmi e mi sentivo inebriata da questa sensazione di sollazzo attorniata dal dolore folle dell’abbandono.
Non so come avevo fatto, ma i miei piedi stanchi mi avevano riportata lì, nel luogo in cui in un giorno di sole tutte le barriere, i muri e i cancelli creati dal dolore e dalla vendetta, erano caduti.
Qui, sulla tomba di Annabell Air, qui sulla tomba della donna che aveva dato alla luce i battiti del mio cuore di carta.
Di carta perché insensibile, fragile e dalle emozioni surreali, come quelle che regala un racconto.
 
Un tuono squarciò il cielo in lontananza, e allora capii che il temporale si avvicinava inesorabile.
Non temevo il freddo, non temevo la pericolosità dei fulmini, non temevo la morte.
Avevo solo paura che lui si fosse dimenticato di me, avevo solo paura che nessuno venisse a cercarmi.
Sapevo bene di essere irrazionale, egoista e totalmente infantile e immatura.
Non pensavo all’eventualità che gli fosse accaduta qualcosa lassù, non pensavo all’eventualità che avesse qualcosa di più importante da fare che stare con me.
Pensavo solo che non lo vedevo da settimane, pensavo solo che mi mancava come l’aria che respiravo a fatica.
Il suo nome, risuonava nella mia mente insistentemente, ma non potevo pronunciarlo.
Sarebbe stato come arrendersi all’evidenza che lui non aveva bisogno di me, mentre io ne necessitavo come la medicina per un male incurabile.
“Sheid”.
Di sicuro stava bene, di sicuro era solo impegnato.
Di sicuro non stava pensando a me.
Di sicuro.
 
«Seira!» sentii il mio nome in lontananza, ma non riuscii a capire chi mi chiamasse. La voce continuava a gridare il mio nome, ma non avevo la forza di rispondere.
Ormai la pioggia mi aveva bagnata irreparabilmente, e il freddo vento della tempesta estiva, entrava nelle ossa come una lama.
«Seira! Dove sei? Rispondi!» se fosse stata la sua voce, l’avrei riconosciuta tra mille, l’avrei riconosciuta ad una distanza immensa, l’avrei rincorsa fino a ritrovare le sua mani grandi, affusolate e calde.
«Seira!» purtroppo, quella voce apparteneva a Pierre.
«Sta’ tranquilla, ora ti riporto a casa, non preoccuparti!» mi prese tra le braccia e mi strinse a sé, riscaldandomi. Anche lui era fradicio, ma al contrario di me, non tremava e si muoveva agilmente.
«Perché sei venuta fin qui? Per trovarti ho dovuto abbattere la barriera!» mi rimproverò senza troppa foga, io trasalii, e ricordai il giorno in cui Sheid mi aveva chiesto di tenere nascosto quel luogo.
«Sheid» singhiozzai. Lui mi strinse ancora.
«Così non va bene, così per te non va bene!» sussurrò arrabbiato.
«Che cosa dovrei fare? » domandai retoricamente, tra le lacrime, con la voce spezzata e debole.
«Reagisci, sai bene che lui ti ama, e che non ti ha abbandonata! Lo sai!» disse a voce alta.
«Mi manca!» urlai disperata «Mi manca e fa male, troppo male».
«Non mangi da giorni, sei debilitata, non dovresti buttarti giù così!» provò a tirarmi su di morale «Quando tornerà si arrabbierà, lo sai» non era una domanda.
«Quando tornerà, sarò io ad arrabbiarmi» tossii. Poi aggrappandomi alla sua camicia tirai su il volto.
«Fammelo vedere, ti prego!» lo supplicai. Il bisogno di vedere i suoi lineamenti mi bruciava dentro.
«Fammelo vedere, anche solo per un secondo!».
Pierre mi guardò intensamente e poi annuì con rassegnazione e comprensione.
«Chiudi gli occhi» chiese gentile. Quel giorno Pierre, aveva lasciato da parte tutta la sua malizia.
Aveva messo da parte la maschera da malfattore, come un attore dopo lo spettacolo.
Lo sentivo mio amico in quel momento.
In quelle settimane di preoccupazione e solitudine, mi ero confidata spesso con lui, e lo avevo scoperto comprensivo e cortese, più del normale.
All’inizio avevo sospettato fosse il suo piano: avvicinarsi tanto da poter conficcare i suoi artigli dentro di me, per allontanare Sheid, ma in quel momento non sembrava fosse così.
«Sono tornato, principessa» sussurrò a fior di labbra. E quando aprii gli occhi sentii le lacrime pungermi. Il suo viso idilliaco era lì, e le sue mani mi stringevano con amore.
Si avvicinò pericolosamente, poi mi baciò.
Rimasi esterrefatta, quasi commossa dal gesto, ma poi mi ripresi e cercai di respingerlo con tutta la forza di cui ero capace, ma ciò non servì. Era troppo forte per me.
Cercai di gridare, ma le mie urla erano impedite dalle sue labbra.
“Sheid” pensai. Forse il mio istinto iniziale su Pierre, era esatto.
Non avrei dovuto fidarmi di lui, lo sapevo sin dall’inizio cosa covava dentro di sé.
Chiusi gli occhi. Forse se avessi fatto finta che quello che stava accadendo fosse solo un sogno, sarei riuscita a perdonarmi. Ma sapevo che non avrei mai potuto dimenticare quel tradimento. Mai.
Stavo baciando le labbra di un altro, non le sue.
«Toglile … le mani … di dosso» in quel preciso istante, mi sentii sollevare da braccia familiari quanto estranee.
Poi, prima che potessi scorgere il volto del mio eroe, venni investita dal suo profumo bellissimo e familiare.
«Sheid!» scoppiai in lacrime, abbracciandolo fino a quasi soffocarlo. Lui ricambiò l’abbraccio fermamente e con trasporto.
Pierre riprese le sue sembianze.
«Ti avevo avvertito principe, se la lasci sola a lungo, Seira me la prendo io»  disse il mezzo demone.
«Tu hai solo il compito di proteggerla, non di approfittarti della mia assenza!» lo rimproverò Sheid digrignando i denti.
Il sapore delle sue labbra morbide e dolci, andò a sostituirsi a quello selvaggio e inebriante di Pierre.
In quel momento ebbi la sensazione che due leoni inferociti, stessero lottando per i confini da non superare, per il territorio di possesso.
«La tua assenza è durata anche troppo, perché non ti arrendi e smetti di farla soffrire? Lo sai bene a cosa stai andando incontro» ribatté Pierre senza indugi. Il suo sguardo era serio come non lo avevo mai visto prima e la sua espressione era matura.
Sheid si irrigidì di colpo, e poi si rabbuiò, tetro.
«Lo so. Ma questo non è affar tuo» sbottò.
«Sì che lo è! Durante la tua assenza sono stato io a starle accanto, e so quanto soffre quando sei lontano così a lungo» asserì Pierre.
«Pierre, ma cosa …» tentai smentire le sue parole, ma Sheid mi zittì.
«Seira … ha ragione» disse freddo «Ora rispondi … se non sei più disposta ad aspettarmi, io cancellerò i tuoi ricordi, e tu vivrai una vita normale senza di me. Ti affiderò a Pierre e a Maria e loro ti proteggeranno da Anul, e quando sarà tutto finito e tu non sarai più in pericolo, io estrarrò il tuo cristallo, perché so dove risiede, e tu non avrai memoria di questi giorni. Lo vuoi?» le mani gli tremavano, e il suo corpo era teso come se aspettasse il distacco definitivo. Io ero rimasta in silenzio ad ascoltare quelle assurdità, senza dire una parola, senza muovermi.
Mi stava chiedendo di rinnegare tutto il mio cuore?
Il futuro che mi stava proponendo di vivere, aveva il gusto amaro della falsità, del dolore e del vuoto che avrei sempre portato nel cuore, come un segreto maligno e imperscrutabile.
«Le tue parole … non hanno senso per me» dissi pacata. Per quanto il suo tentativo di proteggermi anche stavolta fosse nobile come il suo spirito forte, mi lasciai travolgere da una sensazione di repulsione per i pensieri duri e inaccettabili di Sheid.
«Devono averne. Io non voglio che tu soffra per causa mia» asserì.
«E’ solo per questo che vuoi spezzarmi il cuore?» dissi, pentendomene subito. Quella frase era da ipocriti egoisti, eppure, io sentivo davvero il mio cuore andare in frantumi. Lui voleva lasciarmi, e che fosse per il mio bene o no, l’atto restava comunque quello. Lui voleva andare via da me, lui voleva che io lo dimenticassi.
Lo sentii trasalire sotto il mio abbraccio ancora stretto, e anche Pierre gemette sommessamente di sorpresa.
«Perché dici così? Andarmene sarebbe come morire, ma morirei per te, ricordi? Io ti ho fatto una promessa, ti ho promesso che ti avrei protetta!» dichiarò nervoso.
Il biondo stava in silenzio ad osservare la scena.
«Di recente mi hai fatto una promessa ancora più importante» risposi. I lucciconi agli occhi. Il ricordo delle sue labbra che pronunciavano le parole “per sempre” mi fece tremare. Allora per lui non significava nulla?
«La manterrò, la manterrò perché noi angeli ci innamoriamo una sola volta, per sempre, perciò non ho modo di infrangere quel patto tra di noi» si portò una mano al petto. Il viso cereo contratto, pronto a nascondere qualsiasi dolore.
«Hai scelto un modo molto egoista di amarmi!» dissi acida «Mio signore, come si comporterebbe se si trovasse al posto di un’inutile umana? Cosa farebbe per tenere al suo fianco l’angelo del suo cuore?» chiesi formalmente al re dei cieli che mi abbracciava fermamente.
«Non so rispondere alla tua domanda, principessa, ma se potessi scegliere, io dimenticherei tutto. I legami che si creano, una volta spezzati fanno male come ferite vere, e sanguinano anche più a lungo, rimarginandosi solo in superficie e lasciando nel profondo un dolore eterno» la sua voce risuonava come un’eco triste e forgiata da mille avversità.
«Sheid!» scoppiai in lacrime abbracciandolo più forte «Il dolore che si prova è solo la testimonianza dell’esistenza di quel legame! Anche se si è spezzato e fa male, quel filo che lega il tuo cuore a quello di qualcun altro, rimarrà sempre dentro di te, attraverso i ricordi di momenti felici che faranno della tua vita, alla fine, il tesoro più prezioso. Una vita senza legami, è come un libro dalle pagine bianche, senza senso, e se dici così, vuol dire che nemmeno io rappresento qualcosa per cui vale la pena vivere o soffrire in seguito!» lo strinsi a me disperatamente, avvolgendolo in un abbraccio infinito, ricolmo di tutto l’affetto di cui era stato privato nella sua miserabile vita. Sperai che tutto il mio amore lo riscaldasse senza scottarlo, sperai con tutto il cuore che tutti i suoi sentimenti negativi fossero spazzati via come polvere.
«Ma non capisci Seira! Tu sei l’unico legame che non vorrei mai spezzare, ma se ti accadesse qualcosa …».
«Non mi accadrà nulla sapendo che aspettando … alla fine verrò ripagata. Alla fine so che tornerai da me, e questo mi renderebbe comunque viva e felice. Io ti amo».
«Idem, mia piccola principessa. Ma ora basta piangere. Ti chiedo scusa per essere stato tetro ed egoista» si scusò e poi posò le sue labbra sulle mie.
«Andiamo a casa. Ci sono altre cose di cui vorrei parlarti» proposi.
Pierre, che fino a quel momento aveva assistito silenziosamente alla nostra conversazione – piuttosto intima, avanzò senza esitare.
«Parlare? Davvero credi che lui risponderà alle tue domande? Credi davvero che lui possa “parlare” sinceramente?» nei suoi occhi si insinuò l’odio e la malvagità conquistò i suoi lineamenti.
Pierre era una creatura molto singolare, in lui convivevano alla perfezione il male e il bene, la purezza e la contaminazione , la bellezza e la corruzione.
Anche noi umani eravamo preda del male e del bene in egual misura, e nessuno di noi poteva essere imparziale tra le due facce, nessuno poteva scegliere fino in fondo cosa essere.
«Vattene» incalzò Sheid, inveendo sul mezzo demone col suo sguardo da giustiziere.
«No!» alitò l’altro «Voglio vederti cadere, voglio vedere quali altre menzogne le racconterai. E poi anche se me ne andassi … lei conosce la verità, sulla morte dell’umana che ti ha dato la vita» quella rivelazione sembrò scatenare in Sheid, qualcosa di pericolosamente potente. I suoi occhi si fecero scurissimi, blu intenso. Tentò di controllarsi, ma ormai avevo capito che l’angelo guerriero aveva preso il sopravvento.
«Chi? Chi è stato?» mi domandò imperioso.
«Non importa chi, mio signore» rispose Pierre, indietreggiando ma non cedendo con la sua arringa «conta solo che non siete stato voi, Seira l’ha saputo da qualcun altro e ha capito il vostro imbroglio» rise malefico.
«NO!» urlai «Questo non è affar tuo, Pierre. Non deve interessarti cosa penso io!» lo ammonii acida.
«Bene, ora vi lascio soli. Divertitevi!» disse tetramente Pierre, spiccando il volo senza indugi.
Sparì tra la vegetazione in un battito di ciglia e noi rimanemmo soli.
La sera stava calando e le gocce di pioggia, ancora rade e sparse, facevano ticchettare il marmo della tomba di Annabell.
Il silenzio tra noi stava diventando pesante.
«Non so perché sono venuta qui, non so come mi ci sono trovata» dissi coraggiosamente per rompere il ghiaccio.
«La barriera si è spezzata e ti ha permesso di entrare» rispose lui.
«Forse volevo chiederlo alla tua mamma» dissi come se non avessi udito le sue parole «Volevo chiederle com’è morta, volevo capire come mai il tuo sguardo fosse sempre così vuoto e triste. Lei lo saprà sicuramente» la mia voce suonava così triste.
«Seira, lei è morta» disse con voce monocorde lui «e i morti non parlano».
«Allora dimmelo tu, dimmelo!» lo pregai sommessamente.
«Vuoi sapere com’è morta?».
«Sì».
«Cosa vorresti sapere esattamente? Vorresti sapere se ho provato a fermare mio padre? Vorresti sapere che sguardo avesse Isaac quando l’ha trafitta da parte a parte? Vorresti sapere come mi sono sentito quando la mia famiglia si è spezzata di fronte alla pazzia di un re traditore? Lo vuoi sapere?» era arrabbiato, infastidito e irritato dalla situazione.
«Perché mi hai mentito? Era importante!» pigolai. Mi pentii subito di averglielo chiesto. Non mi sarei mai immaginata che potesse reagire così.
«Era importante per me! Tu non c’entri. Non era tua madre!» sbottò. Trasalii.
«Perdonami. Hai ragione. Non era mia madre. Questi non sono affari miei» sorrisi mestamente. Cercai di ricacciai le lacrime di dolore. Mi alzai, e poi mi voltai.
I suoi occhi si velarono di una strana luce.
Era sempre stato così, lui e il suo passato …
«Io torno indentro, qui fa freddo e sta per piovere di nuovo, tu rimani quanto vuoi» sussurrai con voce rauca.
Mossi i primi passi verso casa, e ad ogni passo, sentivo il nostro legame strapparsi maglia dopo maglia, come una sciarpa che si sfila.
Continuavo a trascinarmi, e all’improvviso sentii i suoi passi correre verso di me, e le sue braccia avvolgermi da dietro.
Cercai di voltarmi ma lui me lo impedì, e con un braccio mi cinse più forte le spalle e con l’altro mi avvolse il viso, posandomi delicatamente una mano sugli occhi.
Io mi aggrappai a lui, e poi lasciai scendere i lucciconi silenziosi.
«Per riattaccare un legame basta il coraggio di ricercare il contatto» sussurrò al mio orecchio.
«Vuoi la verità principessa? Vuoi sapere perché sono così restio a parlare del mio passato? Ora te lo farò vedere, perché le parole non basterebbero».
Una luce strana illuminò le profondità della mia mente. La sua mano calda sembrò lo schermo dei suoi ricordi.
Le immagini si susseguivano come fotografie scattate velocemente.
La neve bianca marchiata da orme di piedi umani, la luna alta nel cielo che illuminava la notte, la figura eterea, sempiterna e sublime di un angelo dalle ali argentee, lattee.  I capelli lucenti, di un colore neutro sotto la luce della luna, i lineamenti perfetti e aggressivi, forieri di una bellezza inebriante, occhi blu, profondi, elettrici, magnetici.
Il corpo possente e muscoloso.
Una donna.
Bella, dal viso dolce e delicato. Gli occhi color malva, i capelli color pece, l’esile corpo.
Mani intrecciate.
Mani vuote.
Lei che si allontana e corre verso di lui, sorridendo.
Sangue.
 
 
«Aggrappati alla vita, cresci. Trasforma la sofferenza in forza, muta il tuo odio in potere. Quando sarai forte abbastanza da avere il coraggio di affrontarmi, quando avrai potere a sufficienza da riuscire a porre fine alla mia esistenza … vieni a cercarmi. Quel giorno ci affronteremo e … se mi sconfiggerai,  ti ridarò il suo corpo. Se invece perderai  … io ti ucciderò, Sheid».
 
Le parole di Isaac si impressero a fuoco nella mia mente.
Era con quelle parole che aveva condannato Sheid alla dannazione eterna.
Era con quelle parole che aveva racchiuso il suo cuore in una prigione di ghiaccio, la stessa prigione a cui Luna aveva messo un lucchetto indistruttibile.
 
La sua mano scivolò dai miei occhi sulla guancia.
Poi mi strinse e sé.
Percepivo la sua amarezza nel ricordare quella notte da incubo.
«Adesso sai davvero tutto di me, niente è rimasto segreto ormai» sussurrò esausto.
«Grazie» soffiai.
«Hai paura di me ora?» domandò sommessamente, come se non lo sapesse.
«Perché dovrei?» chiesi confusa. Lentamente nella mia mente affiorarono consapevolezze sepolte nelle profondità dello spirito e quando me ne resi conto al cento per cento, capii la sua paura.
Isaac aveva ucciso Annabell, l’umana di cui si era perdutamente innamorato e che gli aveva regalato un figlio dall’algida bellezza.
Lui temeva che avessi paura di fare la stessa fine della madre.
«Tu non sei Isaac, tu sei Sheid, e sei unico al mondo. Non avrò mai paura di te» lo rincuorai.
«Ma io ho paura di me» mi confessò «Non so cosa sono, nessun angelo si è mai unito ad un umana eccetto mio padre! Io sono …» si strinse a me.
«Semplicemente te stesso. Solo tu puoi decidere delle tue azioni, e credo fermamente che tu sia buono nel profondo e che non faresti mai ciò che ha fatto tuo padre».
Lui annuì, riprendendo possesso della sua sicurezza e dei suoi occhi magnetici.
Quel momento in cui si era lasciando andare, fu per me di grande conforto.
Se si fosse sentito solo come in quella situazione, sarebbe venuto subito da me.
Ne ero certa.
Questo sarebbe stato il nostro legame per sempre. Io e lui.
 
 
********
 
Sheid era tornato da tre giorni ormai, e presto sarebbe dovuto ripartire alla volta del palazzo della regina della notte.
Le dolci attenzioni che mi riservava mi facevano battere il cuore all’impazzata e ogni suo sguardo portava alla mia mente i dolci e tetri ricordi passati, quando l’aria della notte, fredda e foriera di paura e terrore, veniva riscaldata dalla presenza e dalla protezione di un angelo forte e misterioso, sceso dal cielo come un miracolo.
 
Quel giorno lo sorpresi a guardare fuori da una delle grandi finestre del salone, e i suoi occhi erano una ragnatela di emozioni cupe.
La preoccupazione velava i suoi lineamenti.
«Guai?» domandai, sperando in una risposta negativa.
«Adesso ti piace chiamarli così i nostri ospiti serali?» scherzò mesto. Lo abbracciai da dietro, affondando la mia testa nel suo cardigan blu notte.
Il profumo del maglione, delicato e buono, svaniva in  confronto a quello della sua pelle.
«Preferisco non pronunciare quella parola … allora?» incalzai.
«Tra le altre cose … anche».
«Capisco».
«Non temere, non ti toccheranno» disse, con negli occhi la sicurezza di un conquistatore, di un cavaliere invincibile.
«Ok» in realtà pensavo, “se rimango sola però … se tu non ci sei” ma non potevo permettermi di dirlo.
«Non sarai mai senza protezione, mai!» aggiunse. Sospirai. Dovevo fidarmi anche se avevo paura.
Però, per quanto credessi in lui, ciecamente, non riuscivo a non avere paura.
 
Intanto, i momenti insieme ricucivano maglia a maglia il nostro legame, e lo rendevano più saldo e duraturo.
Quel pomeriggio ci trovavamo in salotto, e all’improvviso alla tv cominciò un programma dove venivano presentati diversi strumenti musicali di ottima fattura.
Ad un tratto nella mia mente affiorò il ricordo, del giorno in cui, a scuola, Sheid, aveva riparato la corda di un violino, che si era danneggiata.
Aveva detto che in passato suonava, e il suo sguardo si era intristito.
Forse a insegnarli l’arte della musica era stata … Annabell.
«Sheid … una volta hai detto di saper suonare il violino» sussurrai sul suo petto, mentre ero accoccolata su di lui.
«Tanto tempo fa, Seira» disse senza emozioni nella voce.
«Da quanto … non suoni?» azzardai.
«Ormai sono anni! Non la ricordo nemmeno l’ultima volta» sapevo che stava mentendo, ma era sempre stato un ottimo attore.
«Suoneresti per me?» chiesi timidamente. Lui si irrigidì per un secondo, ma poi si rilassò nuovamente.
«Non ne sono più capace, sono fuori esercizio» asserì.
«Sai, mi piacerebbe comunque ascoltarti, anche solo per poco» confessai. I suoi occhi, luminosi ad intermittenza, a causa delle immagini che si susseguivano alla tv accesa nell’oscurità del soggiorno, mi scrutarono profondamente.
«Lo desideri davvero?» chiese amabilmente. Io annuii.
Sparì alla velocità della luce per poi riapparire pochi minuti dopo.
«Erik!» chiamò a gran voce. Il maggiordomo accorse trafelato. Io ed Erik guardammo Sheid, e i nostri occhi si illuminarono all’unisono.
Nelle sue mani aveva un bellissimo violino, di fattura raffinata e pregiata.
«Vorrei che mi facessi da accompagnatore … al piano» chiese discretamente.
«Pi … piano? Ma lei suona benissimo anche quello signore!» reclamò, quasi emozionato Erik.
«Certo, grazie amico mio, ma trovo impossibile suonare entrambi gli strumenti all’unisono, non credi?» lo prese in giro Sheid con gentilezza. Nella sua voce albergava l’affetto per il maggiordomo e la tenerezza per la commozione di Erik nel vedere Sheid con un violino in mano dopo tanto tempo di silenzio e dolore.
Entrammo nella sala da ballo, quella dove il principe, o meglio il re degli angeli mi aveva fatta volteggiare tra le sue braccia.
«Chopin, numero venti, vorrei provare quello, mia madre l’adorava» disse, mentre liberava il pianoforte a coda dal telo protettivo e impolverato.
«Seira, spero ti piaccia» disse ammiccante, sensuale.
Chiusi gli occhi e portai le mani al petto.
Erik introdusse quella meravigliosa melodia, e fu come  addentrarsi in un mondo sconosciuto e splendido, fatto di perfezione.
Le dita del mio angelo accarezzavano con sorprendente maestria le corde di quel violino, e la musica che riusciva creare, era straziante, appassionata … sublime.
Il corpo sinuoso, seguiva il tempo, e le dita affusolate sembravano danzare su quelle piccole corde.
L’espressione rilassata, il viso meraviglioso.
Me ne innamorai e conservai quell’immagine e quella melodia nel mio cuore.
 
**********
 
La notte prima della sua partenza, sognai una camera oscura e senza finestre.
Aveva tutta l’aria di essere una cella e l’unica fonte di luce proveniva dal ghiaccio.
Sì, il ghiaccio, una struttura alta e imponente che brillava e faceva filtrare particelle ghiacciate.
All’interno della lastra, un corpo.
Non riuscivo a vederlo bene nel sogno, ma, ne ero certa, era un angelo bellissimo, dormiente e indifeso.
Il sogno si concludeva con la figura di Annabell, dall’espressione disperata.
«Salvalo!» diceva tra le lacrime.
Mi ero svegliata col cuore in gola.
Sognare una persona morta, è un’esperienza tanto affascinate quanto terrificante.
E poi … chissà chi era imprigionato crudelmente tra quelle gelide lastre di ghiaccio!
 
Non ne feci parola, soprattutto con Sheid, e lo lasciai partire tranquillo.
«Tornerò presto!» promise, e sapevo che non stava mentendo.
Almeno nel suo cuore, lui avrebbe fatto di tutto per tornare subito da me.
 
Le giornate si susseguivano stancanti e lente, e a parte la compagnia di Maria e, saltuariamente, di Pierre, mi trascinavo stancamente nelle mie abitudini umane e senza senso.
I miei amici erano spariti da un pezzo, e il mio cellulare e il portone della mia vera casa … sempre tenuto d’occhio in caso di visite, rimanevano silenziosi e statici come oggetti abbandonati e dimenticati.
 
La verità era che senza il mio cuore era come se fossi morta davvero.
 
E così, lasciandomi andare giorno dopo giorno, trascorse un mese intero, durante il quale credevo di essere invecchiata anni e anni.
 
Il portone si chiuse con un forte tonfo e io trasalii, alzandomi di scatto dalla poltrona.
Maria, che sedeva comodamente sul divano, trasalì a sua volta.
 
«E’ lui?» chiesi.
«No, è solo Erik» rispose dispiaciuta lei. Poi mi venne vicino.
«Senti Seira, so che ti manca, ma non puoi continuare a trascorrere le tue giornate seduta su questa maledetta poltrona. Esci, vai in città, incontra i tuoi amici!» propose.
Io feci no con la testa.
«Devo restare qui, in caso tornasse voglio esserci assolutamente» dissi. Lei annuì comprensiva.
Nei suoi occhi era palese la preoccupazione. Ero ridotta davvero male in quel periodo.
Ero dimagrita tantissimo, non riuscivo a dormire e mi rifiutavo categoricamente di uscire.
Ero una specie di zombie.
Il colorito roseo delle mie guance aveva lasciato il posto al pallore.
Maria faceva di tutto per distrarmi, ma io non avevo la forza di reagire e continuavo a trascinarmi di giorno in giorno.
Mi domandavo costantemente dove fosse Sheid e che cosa lo tenesse così lontano da me.
Intanto la sera avanzò, abbracciando tutto con la sua oscurità.
«Maria!» gridò allarmato Pierre, dopo cena. Arrancando alla porta, i due angeli si voltarono all’unisono.
«Seira, non muoverti» dissero, e allora capii cosa stava accadendo.
«Signorina, per di qua» Erik mi guidò attraverso le scale e allora arrivammo a una delle tante stanze che era rimasta chiusa.
«Qui sarà al sicuro, questa stanza è stata costruita da padron Isaac per la signora Annabell, e dal giorno della sua morte non è mai stata riaperta. È protetta però e qui nessun demone potrà farci del male».
Annuii seguendolo.
 
La stanza era silenziosa e sembrava celare un segreto inconfessabile, perché le sue pareti, impreziosite da arazzi e archi ricamati, sembravano le componenti di uno scrigno prezioso e nascosto.
Tutta la mobilia era avvolta da teli bianchi e giallini e perfino i quadri erano stati nascosti da lenzuoli.
Tutto sembrava essersi fermato quella maledetta notte in cui Sheid aveva perso tutto.
Il quadro più grande, che prendeva un’intera parete però, era semi scoperto a causa delle sue dimensioni.
I capelli corvini di una donna erano delicatamente affidati al vento, ma della fanciulla non riuscii a scorgere il volto.
Immaginando che fosse Annabell, mi avvicinai e togliendo il drappo, scorsi un’opera d’arte davvero meravigliosa.
I capelli che scintillavano al vento, catturati da un pittore davvero bravissimo, non erano di una fanciulla ma bensì di Isaac, che con amore cingeva l’esile corpo di Annabell, dalla bianca veste che tra le braccia teneva un bambino in fasce dai lineamenti ancora poco delineati.
La scena tenera e piena di sentimento era ben lontana da quella che mi avevano mostrato i ricordi di Sheid.
Quell’atmosfera scura e piena di odio sanguinario era quasi surreale rispetto all’impressione che dava la famiglia Winter in quel quadro meraviglioso.
Il viso del re degli angeli era attonito e severo, ma nascondeva una luce gioiosa e vivace che quasi catturava l’attenzione per la maggior parte.
Quegli occhi non potevano certo essere gli stessi che avevano guardato morire Annabell!
Non potevano essere lo stesso angelo che aveva minacciato Sheid e gli aveva portato via la vita.
E se non fosse stato Isaac ad uccidere Annabell? Se fosse stato un Mutaforma come Pierre?
«Erik … esistono altri angeli Mutaforma oltre a Pierre?» domandai improvvisamente. Lui sembrò carpire il senso di quella domanda e i suoi occhi saggi sembrarono perdersi nei miei.
Stavo forse venendo a conoscenza di un altro segreto?
«Il fratello del padrone» rispose a voce bassa. Il mio sguardo interrogativo lo indusse a continuare.
«Ruben Winter, frutto del tradimento dell’angelo donna che Luna aveva imposto al Padre di padron Isaac. Padron Alfred aveva comunque accolto Ruben nella nostra famiglia, ma aveva ripudiato la sua compagna. Quando incontrò Giselle, tutto cambiò».
La storia di casa Winter aveva radici antichissime e nobili, ma aveva anche lati oscuri e misteri nascosti.
E così avevo scoperto che Isaac aveva un fratellastro dalle origini demoniache, almeno per metà.
«Ruben Winter … per Sheid … sarebbe come uno zio, vero Erik?» chiesi soprappensiero.
«Ruben ha sempre provato gelosia e astio per il re, e l’erede del regno, Sheid, per lui ha sempre rappresentato una minaccia e una vergogna. Essere considerato inferiore a un mezzo umano, è sempre stato inaccettabile per Ruben».
«Capisco, perciò non si è mai curato di Sheid in questi anni!? Nonostante tutto …» non finii la frase. Mi intristii moltissimo.
«Anche se avesse voluto non avrebbe potuto farlo, perché Luna aveva preso Sheid con sé, e impediva a chiunque di andarlo a trovare, persino a me. Naturalmente avevo sue notizie, ma nessuna mi sembrava vera e così sono stato preoccupato per anni, credendo di impazzire. È stato un periodo davvero difficile per tutti, soprattutto per il mio padrone» disse commosso.
Sorrisi comprensiva e mi accorsi che era da tanto che non lo facevo.
Era davvero impressionante scoprire quanto ero cambiata in quel breve lasso tempo.
La distanza tra me e Sheid era come una nuvola sul sole. L’oscurità si impadroniva di tutto il mio mondo e paure irrazionali e incontrollabili si facevano spazio con bramosia e crudeltà nel mio cuore debole e inerme.
Mi affacciai con cautela e prudenza alla finestra.
Le tende bianche permettevano di vedere fuori senza attirare l’attenzione.
Allora mi accorsi che proprio sotto la finestra, da cui si vedeva il lato più vicino della boscaglia e il giardino laterale, c’era Pierre.
Voltato di spalle, inginocchiato in segno di profondo rispetto e lealtà, era rivolto verso l’oscurità del bosco, reso buio e minaccioso dalle tenebre.
Dalla boscaglia, lentamente, vidi avanzare un’ombra sospetta.
L’angelo possente che stava dinnanzi a Pierre era di una bellezza struggente, caratteristica che contraddistingueva ognuna di quelle creature alate.
Le sue ali erano color bronzo, simili a quelle di Pierre, ma di un colorito più scuro e vellutato.
Possibile che quell’angelo fosse …
Pierre si alzò, mantenendo la testa bassa, e l’altro Mutaforma gli rivolse uno sguardo severo e velenoso, che non ammetteva repliche.
Poi, come sapesse che lo stavo osservando, guardò nella mia direzione e intrappolò i miei occhi spaventati nei suoi, malvagi e freddi come una tempesta di neve.
Alzò una mano e mi fece cenno di raggiungerlo.
Il terrore si insinuò nella mia mente, che ormai da tempo non provava più emozioni tanto distruttive.
Anche se non volevo assolutamente andare da lui, anche se il mio cervello sapeva che era pericoloso avvicinarmi a lui, avvicinarmi a quella creatura inafferrabile, il mio corpo si mosse.
Le mie gambe si muovevano ma non ero io l’artefice di quel movimento.
Il cuore batteva all’impazzata ed io, impaurita e stranita, cercai di razionalizzare l’impossibile.
Passai accanto ad Erik, che giaceva a terra addormentato, e non potei neanche fermarmi per assicurarmi che stesse bene.
Mi sentivo come in un sogno, sospesa in un’atmosfera magica e improbabile.
Le scale mi portarono al piano di sotto, e subito dopo mi ritrovai alla sinistra di Ruben Winter, a qualche metro da lui e da Pierre.
«Seira …» sussurrò quest’ultimo, sorpreso e spaventato «Nobile Ruben … avevate …».
«Promesso?» lo derise l’altro, la sua voce era profonda e bellissima, ma il suo tono tanto tetro e malvagio, la rendeva aspra e minacciosa.
«Mio caro Pierre» continuò «questa ragazza è la causa della guerra infinita tra la luce e il buio, lei è la causa della morte di molti demoni e della dannazioni di molti angeli, lei ha reso schiavi tutti noi» rispose. E un brivido freddo e spaventoso mi traforò il petto.
«Nobile Ruben, cosa volete fare?» domandò Pierre, parandosi in mezzo a noi a mo’ di scudo e muro al tempo stesso.
«Eliminarla. Pensa quanto sarà appagante veder finire la guerra e vedere distrutto ciò che resta di mio fratello» sogghignò maligno.
“Sheid” pensai, Ruben non voleva la pace, voleva solo la corona, e per ottenerla, avrebbe distrutto suo nipote con ogni mezzo.
«Il suo cuore umano e soggiogato dal potere di Luna, si spezzerà, lasciandomi la strada spianata. Non sarà più in grado contrastare nessuno» sorrise, la follia e la bramosia di potere erano insieme il lato più terrificante di quell’essere oscuro.
«NO!» sbottò Pierre «Volevate solo il cristallo, era questo il patto» lo ammonì Pierre.
Patto … e così ancora una volta Sheid aveva visto giusto. Pierre ci aveva traditi.
Mi aveva ingannata.
«Patto? Tu volevi che io togliessi di mezzo il principe, volevi la tua vendetta. Te la sto dando Pierre» puntualizzò Ruben.
«Ma senza coinvolgere Seira!» lo aggredì il biondo.
«Mi hai promesso che il suo cristallo sarebbe stato mio, questa promessa implica già che la ragazza è coinvolta» gli fece notare l’altro.
«No, deve solo levarglielo, deve solo prendere il cristallo!» urlò Pierre.
«Adesso smettila moccioso, sto perdendo la pazienza. Non mi interessano i tuoi capricci. Mio nipote è imprigionato e non può più nuocere a nessuno, ho mantenuto la mia promessa … quindi ora tocca a te. Levati di mezzo, così potrò avere la mia parte» sorrise beffardo e si avvicinò pericolosamente a passi lenti.
«Mai! Non puoi ucciderla, non te lo permetterò!» disse fiero Pierre. Provai una strana sensazione di protezione. Forse allora non era del tutto cattivo, ma perché allora voleva vendicarsi di Sheid?
«Povero illuso! È vero abbiamo la stessa natura ma tu non riuscirai mai a battermi, né a salvare quella piccola umana. Io sono il futuro re» e così dicendo, alzò una mano, e colpì violentemente Pierre con una sfera di energia negativa e letale. Pierre fu scaraventato a terra, e inevitabilmente perse i sensi.
Mi accasciai anche io a terra, spaventata e indebolita da quell’atmosfera oscura e grondante di negatività.
Ruben, con uno sguardo impietoso e malvagio, si avvicinò di qualche passo, con sadica lentezza.
Non avevo speranze, ormai era finita.
Aveva detto di aver imprigionato Sheid, quindi sapevo che lui era vivo, ma sapevo anche che di conseguenza ero spacciata.
«Sheid … perdonami» singhiozzai silenziosamente. L’avrei abbandonato anche io, l’avrei fatto soffrire anche io.
«Non aver paura mia cara, gli mostrerò i miei ricordi e lui riceverà il tuo messaggio. Vuoi aggiungere altro?» non so perché, ma in quel momento le sue parole mi furono di grande aiuto. Sentivo che il mio assassino poteva essere il ponte che ci avrebbe riuniti per l’ultima volta.
A lui avrei confessato il mio amore per Sheid e poi gli avrei affidato le mie lacrime.
«Sheid ti amerò per sempre» sussurrai in preda alle lacrime, poi chiusi gli occhi.
«Non sentirai nulla principessa, nessun dolore» promise lui.
Mi sentivo stranamente sollevata, come se la fine significasse l’annullamento di ogni dolore, come se finalmente con la mia scomparsa avrei potuto liberarlo dal dolore, avrei potuto liberare Sheid dalla sua condanna.
Amarmi voleva dire sofferenza per lui, proteggermi voleva dire mettere in pericolo la sua vita, starmi accanto voleva dire ricordare il passato e starmi lontano voleva dire preoccuparsi.
Libero.
L’avrei reso libero, finalmente.
Sentii Ruben avvicinarsi ancora e ancora, ma prima che potessi sentirlo ancora più vicino …
«Caro … caro nipote …» disse con falso affetto. Spalancai gli occhi ansimando. Come aveva fatto ad arrivare anche stavolta, come aveva potuto?
Guardai intorno a me, nella speranza di incontrare il suo sguardo, ma ciò che vidi mi mozzò il respiro.
 
 

SHEID
 
L’odore di sangue mi dava la nausea, e l’assuefazione al dolore si era trasformata in debolezza.
Ormai avevo perso la cognizione del tempo, tanto che sembrava fossero trascorsi secoli.
Conoscevo bene il luogo in cui mi trovavo, perché era stato la dimora della mia tarda infanzia.
Quella cella buia e fredda aveva custodito il mio segreto e quello di Luna per anni: un principe senza poteri né forza e una vendetta da perseguire.
«Perché sono qui?» chiesi all’ombra dinnanzi a me. L’oscurità mi impediva di riconoscerla appieno ma la sua aura mi suggeriva che aveva radici oscure.
«Per mio piacere, per mia volontà» rispose tranquillamente. Allora riconobbi il mio interlocutore.
«Cosa vuoi?» domandai freddo.
«Ti basti sapere che presto ti ucciderò, perciò ti suggerisco di impiegare il tuo tempo nella preghiera, mezzosangue».
«E per cosa dovrei pregare?».
«Per la salvezza».
«Non ho paura della morte, ma se vuoi posso pregare per te, bastardo. Sei così vigliacco e bramoso di potere, che per il trono uccideresti un umano inerme» sbottai.
«Non stavo parlando della tua salvezza, ma di quella della tua dolce metà» mi sfidò.
«Seira …» mi agitai cercando di liberarmi.
Le mie mani erano serrate da delle impietose catene, e il mio corpo giaceva inerme appeso al soffitto. Le mie ali imprigionate strettamente da corde spinose e crudeli.
Il mio aguzzino azionò l’argano a mi tirò ancora più su, straziando ancora di più le mie ali.
Gemetti inevitabilmente e la sua risata fu la prova del suo piacere perverso e subdolo.
«Non agitarti, non serve a nulla, una volta che le avrò strappato il cristallo lei non proverà più nulla per te. Lei non proverà più nulla e basta. Morirà velocemente e senza sofferenza, al contrario di te».
«Se proverai soltanto a mettere le tue luride mani su …» si avvicinò e poi con i suoi poteri oscuri cominciò a bruciarmi alcune delle piume più grandi. Il dolore era fortissimo, insopportabile. Era come mettere del sale su una bruciatura profonda o come riaprire di colpo una ferita ancora fresca.
«Aah!».
«Continua» disse vigliaccamente «Cosa stavi dicendo?» chiese crudelmente allontanando il fuoco dalle mie ali.
«Perché?» chiesi esausto «Perché lo stai facendo?».
«Perché non tollero che un moscerino fastidioso si metta tra me e il potere, non tollero che un mezzosangue senza nessun diritto sia l’uomo dinnanzi al quale dovrei prostrarmi, perché non riesco a concepire come sia possibile che Isaac riesca ad avere la meglio su di me persino adesso!» si infuriò tetro,  assestando un gancio sul mio petto.
Ero davvero nei guai, dovevo liberarmi al più presto.
«Sai … tuo padre non è mai stato cattivo con me, ma i suoi occhi mi uccidevano come veleno. Sentivo la superiorità, la nobiltà e potenza incanalarsi in me e lasciarmi senza forze subito dopo, quando allontanava i suoi occhi dai miei. Era come essere privati del sole» disse con nostalgia e disprezzo allo stesso tempo.
«Mio padre era solo un assassino, un traditore!» tossii. Il suo sorriso divenne ancora più crudele.
Afferrò il mio braccio sinistro, e con la sola forza della sua mano, lo spezzò sotto la pressione delle sue dita forti, frantumando l’osso del braccio.
«Aah Ah!» gemetti, in preda all’ angoscia. Il mio respiro si fece affannoso. Non volevo dargliela vinta. Non dovevo mostrarmi debole. Dovevo reagire.
Strinsi i denti e tentai di riportare il mio respiro alla normalità.
Ormai erano settimane che ero appeso e costretto in quella scomoda posizione, e le ferite sul mio corpo e sulle mie ali non avevano smesso di sanguinare.
Ero ridotto davvero male e se avessi ceduto, lui avrebbe avuto la meglio.
Dovevo resistere, per Seira.
«Già, questo è ciò che hai creduto per anni, questo è la causa di tutta la tua sofferenza. Tu non hai fatto altro che credere in una menzogna e hai tentato di dare la colpa di tutto a tuo padre!» asserì, mentre cominciava a girarmi attorno.
«Che … che vuoi dire?» chiesi con un filo di voce, cercando di mantenere il controllo.
«Voglio dire che sei davvero ingenuo … caro Sheid» accarezzò le piume dell’ala non compromessa dalle bruciature, e poi ne strappò alcune con un grugnito rabbioso.
Trattenni il respiro, tremante.
«Ormai dopo questi lunghi e dolorosi giorni di prigionia, dovresti essere già esausto e implorante, ma questa tua forza di carattere, non ha fatto altro che mettere in luce ciò che invece volevi tenere nascosto al mondo intero. Adesso conosco il tuo piccolo segreto … tu ami quell’umana più di quanto desideri vendicarti di tuo padre, e questo intralcia i miei piani» disse tetro.
«Il tuo piano … sarebbe farmi fuori senza sporcarti le mani, vero? Volevi che mi annientassi con le mie stesse mani, rincorrendo una vendetta che mi avrebbe portato a una morte certa» asserii, ormai era chiaro.
«Sei davvero molto perspicace, d’altronde sei il giocattolo preferito di Luna, il più utile ed efficiente» sorrise «peccato che questo non potrà salvarti. Sei alla mia mercé, e io porrò fine alla tua esistenza, salendo sul trono che mi spetta di diritto».
«Luna non te lo permetterà» dissi freddo. Perché mi stava dicendo quelle cose? Cosa nascondeva?
«Già, ma io so come riuscire a convincerla. Io conosco il suo segreto, perché è anche il mio» prese un pugnale e se lo rigirò tra le mani come fosse una preziosa gemma.
«Di cosa stai parlando?».
«Visto che stai per morire … potrei anche dirtelo, ma … non ne sono sicuro, potrebbe essere davvero gentile da parte mia farti questo piacere!» disse con falso dispiacere.
«Parla! Cos’hai da perdere? Mi ucciderai e porterò il tuo segreto nella tomba» provai a dissuaderlo, qualcosa mi diceva che quel segreto era davvero importante.
«Allora … adesso ti svelerò io il mio piccolo segreto» si avvicinò al mio orecchio, e prendendomi il viso con una mano, mi avvicinò a lui.
Conficcò la punta del pugnale nella carne del mio collo, dall’orecchio fino al petto, senza arrecarmi danni mortali, e impregnando quella ferita di potere oscuro, in modo da sigillare quel segreto per sempre. Niente avrebbe cancellato quella cicatrice, niente avrebbe potuto cancellare dalla mia mante quel momento.
«Ho ucciso io …. Annabell …» sussurrò malignamente, allontanandosi alla velocità della luce.
Rabbia, dolore, rimorso, angoscia, tristezza, rancore, pentimento, pazzia ….
Mi sentii come sprofondare nell’oblio più profondo.
Ruben era un Mutaforma, Ruben aveva la capacità di trasformarsi in qualsiasi cosa, Ruben quella notte aveva distrutto la mia vita, la mia esistenza.
Ruben mi aveva trasformato in un uomo senz’anima.
 
Tutti quei sentimenti si aggrovigliarono annientandomi completamente.
 
Lacrime d’argento bagnarono le mie guance scarne e tremanti.
 
«Assassino …» boccheggiai, ma non si udì alcun suono.
Avevo odiato mio padre per tutta la vita per un crimine che non aveva commesso. E molto probabilmente, Isaac, era stato vittima di Ruben, proprio come me.
«Già, ora sei ferito anche nell’anima. Volevo dirti la verità a vendetta compiuta, ma ho pensato che sarebbe bastato anche così. Questa scena è impagabile, visivamente perfetta.
Il tuo viso è sempre crudelmente meraviglioso, pronto a sorprendermi, tuo padre sarebbe fiero di te».
«Dove …» non ebbi la forza di finire la domanda, ma il mio aguzzino capì, quell’essere senza umanità, né anima, né cuore capì.
«E’ vivo, ma si trova a metà strada, tra il regno dei vivi e dei morti. È Luna che lo custodisce» rise malignamente.
Il mio cuore cedette al dolore e alla delusione.
Ero stato tradito, non potevo più fidarmi di nessuno.
Mentre tutto si offuscava, lasciando spazio ad un oblio tumultuoso, udii le sue ultime parole.
«Adesso tocca alla principessa …» il mio petto fu trapassato da una fitta di dolore, un dolore che non provavo da tanto tempo, caldo e quasi nostalgico, una carezza crudele che ero felicissimo di percepire in quel momento.
La contrastai, fino a spegnerla, con il mio amore, con la voglia di liberarmi dalle catene che imprigionavano la mia umanità.
Poi uno spasmo. Un rimbombo, una sensazione di potenza mista a distruzione.
Quella era la parte distruttiva di me stesso, la parte che stava avendo la meglio in quel momento critico.
Adesso che sapevo la verità su mio padre, non dovevo più temerla.
Potevo controllarla perché faceva parte di me.
Anche Seira era parte di me, e dovevo salvarla, nonostante il mio corpo e il mio spirito fossero stati straziati in maniera irreparabile.



------------------------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE --------------------------------------------------------------------



SALVE A TUTTE!
questo signore e signori potrebbe essere il penultimo cap ... perciò .... ditemi cosa vi aspettate e che cosa ne pensate.

<3 <3 <3 <3 

grazie per aver letto ^^

firellina <3
 
 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

SEIRA

La luce del tramonto estivo, si rifletteva sulla pelle diafana. Quel candore contrastava tragicamente con le ferite e i lividi di quel corpo ancora perfetto e smilzo, nonostante fosse sciupato.
I jeans logori, che gli cadevano sui fianchi, il petto scoperto e lacerato da una profonda ferita che partiva dal collo e si fermava sul cuore, violacea e impietosa, crudele.
Il braccio sinistro, deformato, aveva tutta l’aria di essere fratturato, e piccole ferite qua e là facevano capolino alternandosi a lividi violacei e dolorosi.
Le ali, straziate irreparabilmente, sanguinanti, crudelmente lacerate.
Lo avevano torturato.
Sospirai pacatamente mentre il mio cuore perdeva forza e cominciava e tremare.
Lacrime silenziose.
Poi il suo viso.
Nonostante tutto, la sua espressione era austera come quella di un conquistatore e i suoi occhi non tradivano emozioni, erano solo attenti come quelli di un cacciatore ed elettrici.
Piccole scariche elettriche, visibili ad occhio nudo, di tanto in tanto si diramavano sulla sua pelle, illuminandola, ma Sheid non batteva ciglio e continuava a fissare il Mutaforma.
«Vostra grazia, sono ammirato dal vostro coraggio. Nonostante le vostre condizioni non siano delle migliori, siete pronto a battervi per la vostra protetta, sono davvero meravigliato!» lo schernì Ruben.
Come mi aspettavo, Sheid non rispose alle sue provocazioni, ma rimase inerte ad osservarlo, mentre i suoi occhi da angelo guerriero, da angelo delle distruzione, creavano un corridoio ben distinto tra lui e Ruben.
L’energia che emanava, anche stando immobile, era quasi palpabile, elettrizzante.
«Anche se non capisco come tu abbia fatto a fuggire, sono comunque soddisfatto. Avrai una morte da eroe te lo assicuro» sogghignò malignamente Ruben.
I battiti del mio cuore si fecero sempre più forti, ne ero sicura, anche Sheid poteva sentirli.
«E’ quasi fastidioso il modo in cui somigli a lui, ed è altrettanto affascinante quanto la tua bellezza superi la sua, non avrei mai creduto che una piccola stupida umana potesse creare un così bel fiore» si complimento con voce austera e incredula il Mutaforma. La sua perversa follia adesso si notava anche dalla voce.
Ad un tratto lo sguardo di Sheid si distaccò dal suo interlocutore, e quel movimento creò una specie di turbinio, che mi fece trasalire.
I suoi occhi, lucenti come stelle, andarono a posizionarsi alle mie spalle.
«Maria,» disse come se fosse un ordine gentile «portala lontano da qui». Mi voltai di scatto e vidi la figura trafelata e sexy di Maria che, senza fiato trasalì nel vedere le condizioni di Sheid.
«Cosa … ?» anche il suo sguardo si fece disperato, e l’angelo donna portò i suoi occhi su Ruben con costernazione. Anche lei aveva capito tutto.
«Non puoi affrontarlo in queste condizioni, morirai!» la voce supplichevole. La gola mi si chiuse dolorosamente. Provai deglutire senza risultato.
Avevo paura, avevo il terrore di perderlo.
«Fa’ come ti dico. Porta via anche lui» disse Sheid con austerità, posando lo sguardo sul corpo inerte di Pierre, ancora incosciente.
Sheid sapeva di sicuro del patto ormai, e se non lo sapeva l’aveva di sicuro capito.
Eppure voleva risparmiare Pierre.
Ruben, che fino a quel momento aveva assistito alla scena in silenzio, repentinamente, mi attrasse, con foga e prepotenza, portandomi dinnanzi a sé, e mettendomi una mano intorno al collo.
«Credi che sia così facile battermi? La tua principessa ormai è dentro questa storia tanto quanto te, mio ingenuo principe» sorrise folle Ruben.
Lo sguardo di Sheid si fece furente, allora cominciò ad avanzare verso di noi.
«Seira!» urlò Maria, ma in quel momento, qualcosa la colpì e anche lei perse i sensi.
«Maria» sussurrai, imprigionata dalle mani prepotenti di Ruben.
«Ruben» Sheid chiamò autoritario il nome dello zio «questa è una questione che riguarda solo me e te, non coinvolgere nessun altro» la richiesta di Sheid suonava come un ordine.
«Io non coinvolgerò nessun altro, ma tra pochi giorni arriverà un esercito di demoni pronto a farti fuori. Sai, mi sono spacciato per Isaac per anni, al punto che i demoni adesso mi riconoscono come tale. Sotto mio ordine attaccheranno te e la tua principessa per distruggervi definitivamente, Anul avrà la sua ennesima vittoria!» mi lasciò andare e mi scaraventò via con violenza.
Prima che potessi sbattere la testa irrimediabilmente, Sheid, fulmineo e premuroso, mi accolse tra le sue braccia.
Io mi accoccolai sul suo petto, facendo attenzione a non fargli male.
Aveva ferite ovunque e da così vicino sembravano ancora più gravi.
Analizzai le sua pelle, e sfiorai piano quella ferita violacea.
Poi, finalmente alzai lo sguardo.
La sua espressione era dolce, nonostante fosse teso.
Quello sembrava un addio.
Mi strinse i fianchi, attirandomi ancora di più a sé. Fui costretta ad appoggiarmi a lui, proprio su quelle copiose ferite.
Sentii un fremito proveniente dal suo petto, allora cercai di allontanarmi un po’.
«No» sussurrò disperato, ansioso. Continuavo a guardare il suo viso, così bello, così pallido.
Accarezzai con le dita tremanti la sua guancia lattea, e poi scostai una ciocca dei suoi capelli dagli occhi.
Quei ciuffi morbidi si erano fatti più lunghi, e ricadevano sensualmente sul suo viso.
I suoi occhi erano liquidi, meravigliosi.
Quel momento era pieno di amore, ma era triste, sembrava davvero un addio.
Anche lui mi accarezzò il viso, e poi dopo avermi scostato i capelli ribelli dalla fronte, mi posò un dolce e casto bacio proprio nel centro.
Scese sul naso, e poi fece sue le mie labbra.
Mi avvinghiai a lui, beandomi di avere tra le dita i suoi capelli lunghi e setosi.
Poi, a malincuore ci staccammo.
«Ti amo piccola» disse, e non c’era paura né costrizione nella sua voce. Solo tanta passione e tanta tristezza.
«Ti amo» risposi sussurrando, il cuore in gola.
Perché la sua voce era così tetra?
«Sii paziente, te ne prego, quando sarà tutto finito, tornerò da te e staremo insieme, principessa».
Suonava come una bugia, e non seppi decifrarla. In quel momento non riuscii a capire il suo messaggio.
Se fosse tornato avrebbe dovuto affrontare i demoni, e se non fosse tornato …
«Io … ti aspetterò per sempre» pronunciai quelle parole come se fossero una preghiera.
La mia vita, la mia anima, tutto di me, dipendeva da lui.
Era lui la mia aria, il mio cibo, il mio sole.
Sapevo che non era sano, sapevo che non era assolutamente normale, ma Sheid era entrato nelle mie vene come sangue, lo sentivo sotto la mia pelle, e lo sognavo, lo pensavo, lo sentivo vicino in ogni momento.
Era buffo.
Proprio io che mi sentivo da una vita, autonoma, indipendente e senza stupide, inutili e romantiche convinzioni, mi ero ritrovata a vivere attraverso Sheid, il mio angelo, il mio cuore.
I suoi occhi mi studiavano con affetto, indagando la mia anima. Studiava ogni lembo di pelle e ogni punto del mio viso.
La sua espressione si fece preoccupata.
Ma poi sorrise tristemente.
«Siamo proprio uguali io e te» scherzò «non sappiamo vivere se siamo lontani».
Mi abbracciò e poi si alzò, lasciandomi seduta a terra.
«Tornerò, e ricompenserò la tua pazienza. Ritornerò da te, Seira» promise «non dimenticarlo».
E mentre ricominciavo a piangere, i due esseri alati e bellissimi, lasciarono quel luogo.
Il suo sguardo mi chiedeva di aspettarlo ed io l’avrei fatto. Il sorriso gentile era pieno di angoscia.
Le loro ali tanto diverse, solcarono il cielo del crepuscolo, mentre un grido di dolore si innalzava dalle profondità della mia anima.
«Sheid» sussurrai, il mio petto si squarciò e il terrore mi immobilizzò.
Adesso lo sapevo, lui era davvero il mio cuore.


SHEID

«Qui» dissi con voce sicura e autorevole.
Planammo all’unisono, atterrando in un luogo non lontano da casa, ma abbastanza coperto e nascosto. Lì nessuno ci avrebbe disturbati e finalmente avrei potuto compiere la mia vera vendetta.
Uno di fronte all’altro.
Lui era la causa della mia sofferenza, adesso avrei spento come fuoco quella insoddisfazione, quel dolore e quella impietosa solitudine.
Mio padre era vivo, ed io avrei fatto ammenda, a avrei pagato quell’odio ingiusto, con la vita, se fosse stato necessario.
L’avrei salvato.
«Che espressione minacciosa! I tuoi occhi sono davvero espressivi, mio signore!» mi schernì Ruben.
Non risposi, socchiusi ancora di più gli occhi e strinsi i pugni, mentre le mia braccia erano penzoloni sui fianchi. Il braccio sinistro tremava, e sapevo che non avrei potuto utilizzarlo.
Anche le ali erano compromesse, i miei movimenti a mezz’aria sarebbero stati molto più lenti e faticosi. Inoltre avevo ferite su tutto il corpo, e non erano graffi.
Sì, ero debole, ero ferito, ma ero abbastanza forte da poterlo uccidere. Sarei stato clemente, sarei stato veloce e non l’avrei fatto soffrire, non l’avrei torturato a morte come aveva fatto lui con me. L’avrei soltanto ucciso. E poi avrei fatto ciò che andava fatto.
In quel momento, mentre quei pensieri oscuri facevano spazio nella mia mente, sentii una sensazione familiare.
Mi sembrava di essere in missione per Luna, e sentivo l’adrenalina scorrermi per tutto il corpo, acuendo i miei sensi e trasformandomi in una macchina di morte.
Adesso ero l’assassino di demoni.
Ormai erano mesi che non mi sentivo più così.
Ero sempre stato un giustiziere, almeno dopo che Luna si era divertita punendomi senza motivo. Ma poi avevo cominciato ad uccidere quegli essere di tenebra, e tutto era diventato senza senso.
Non provavo nulla, non più.
Però in quel momento ero a conoscenza di tutta la verità.

Mi scagliai contro di lui, ignorando il dolore, e gli assestai un potente pugno in faccia.
Lui si sbilanciò, ma prima che avessi potuto scagliargliene un altro si materializzò alla mia sinistra, molto velocemente.
«Troppo facile» disse e mi afferrò il braccio dolorante.
«Nts … mm» gemetti.
«Che controllo!» si meravigliò «Peccato che non ti servirà» la sua presa divenne opprimente, allora capii ciò che voleva fare.
«No!» sbottai, facendo leva sul piede destro saltai e gli assestai un calcio sulla nuca.
Si allontanò, balzando qualche metro più distante.
Poi ritornò indietro, veloce.
Si innalzò in volo all’altezza della mia testa.
Mi abbassai repentino, e schivai i suoi colpi, poi presi il volo anche io, e mi ritrovai a faccia a faccia con lui.
Balzai all’indietro e lui mi seguì, finendo nella mia trappola.
Gli sfrecciai dietro e gli bloccai le ali, e poi allungai le mie unghie fino a farle diventare artigli ben affilati, un’arma.
«Adesso morirai» sibilai, e la mia voce risuonò metallica e minacciosa.
Ruben ebbe un fremito, ma prima che potessi accorgermene, si liberò dalla mia presa con impeto e poi mi imprigionò a sua volta.
La sua tenuta micidiale mi impediva qualsiasi movimento, e mi soffocava.
«Non ne hai ancora abbastanza vero?» sogghignò, e cominciò a colpirmi.
Le mie costole già compromesse, scricchiolarono sotto i suoi colpi.
«Nts … lasciami, bastardo!» intimai, poi buttai indietro la testa, e ciò lo distrasse, in modo che potessi liberarmi.
«Non credere che sia tanto facile!» mi piombò ancora addosso. Lo scansai, ma andai a sbattere contro la sua spalla, proprio con il braccio ferito.
Un sospiro spezzato uscì dalle mie labbra.
Lui ghignò, e si preparò ad un nuovo attacco.
Preparai una sfera di energia, ma lui fu più veloce.
«Prendi questo, sporco mezzo sangue».
La palla mi colpì in pieno petto, e un fremito pazzesco mi scosse come elettricità.
Rimasi senza fiato.
Il mio corpo era immobilizzato, steso a terra, inerme.
«Non riesco a capire come tu faccia ad essere ancora vivo. Dovresti essere cenere» sibilò, la sua voce mi sembrava distorta, anche le immagini intorno a me erano poco chiare.
Stavo forse morendo?
«Sai, si dice che chi riesca a sopravvivere al colpo mortale di un demone, sia per metà … un demone» trasalii.
«Deve essere davvero triste, morire da soli. Hai servito una regina per anni, hai odiato tuo padre, ucciso, e poi hai amato una donna che ti ha distrutto. E adesso chi verrà a salvare te? Non di certo lei! È così debole e indifesa, che potrebbe soltanto … morire al posto tuo» sgranai gli occhi.
Sangue, odore di sangue.
Ma non era il mio.


SEIRA:

«Sei venuta per darmi la tua vita in cambio della sua?» avevo corso così forte che i polmoni mi bruciavano, ma li avevo trovati, e adesso ero lì.
Mi ero ferita nel bosco, durante la corsa ma quei graffi erano l’ultimo dei miei problemi.
Mentre lo guardavo allontanarsi, come se quell’immagine fosse la risposta a tutto, avevo capito.
Stavolta dovevo salvarlo io.
Per una volta toccava a me.
Nelle notti passate nella camera di casa Winter, avevo fatto un sogno piuttosto ricorrente.
Davanti alla tomba di Annabell chiedevo a Sheid di rinunciare alla sua missione di protezione, gli chiedevo di allontanarsi da me, per sopravvivere.
Perciò forse, già da tempo avevo capito che ero diventata un problema.
Perché continuare a nascondermi dietro a lui? Perché doveva sacrificarsi per me?
Non era forse lui il mio cuore? Non era forse con lui che avevo cominciato a vivere davvero, sentendo finalmente l’aria che respiravo e il suolo che calpestavo?
Nonostante il suo oscuro passato, nonostante il suo cuore di ghiaccio, era lui che mi aveva strappata alla morte …. tante, tante volte.
La mia risposta, per questo, solo per questo …
Mi feci avanti, uscendo dalla boscaglia e incontrando la sabbia.
Quel luogo poteva essere raggiunto solo attraverso il bosco. Perché era circondato dalla scogliera e inaccessibile dalla spiaggia. Era una conca isolata.
«Fatti avanti, principessa» mi invitò il Mutaforma con falsa gentilezza.
«Seira» gemette Sheid, incredulo. Era ferito e giaceva inerme a terra.
Tentò di rialzarsi ma ricadde al suolo, tossendo sangue.
Gli corsi incontro, e Ruben non mi fermò.
Lo toccai con delicatezza.
Gli accarezzai prima una guancia, e lui riaprì gli occhi, debolmente, e poi lo aiutai a tirarsi su.
Poggiai la sua testa in grembo, e osservai ad una ad una le sue ferite.
Un singhiozzo mi squarciò il petto.
«Perché sei venuta?» sussurrò, l’angoscia sul volto.
«Perché ho deciso che voglio liberarti da questa maledizione. Preferisco morire che …».
Come nel mio sogno, Sheid alzò il braccio destro, tremante, e quel gesto mi sembrò disperato.
«Shhhh, shh, le tue parole non hanno senso, non posso capirle, non potrò mai farlo. Io continuerò a proteggerti, sempre» promise, ma i suoi occhi tradivano la sua malinconia. Il suo viso cereo suggeriva che era allo stremo.
«Hanno senso per me, hai rischiato tutto per me, e ora è giunto il momento di fare ammenda. Io ti amo, e non posso guardarti morire. È una cosa che non potrei sopportare.
Voglio proteggerti».
«Come? Morendo al posto mio? Sai che ti seguirei, sai come la penso. I nostri destini, sono legati …».
«NO! … No, non deve essere per forza così». Il silenzio calò su di noi, e sembrò che sul mio cuore fosse sceso l’inverno. Era tutto perduto, e non riuscivo nemmeno a concepire l’idea che non ci saremmo più rivisti. Era una cosa impossibile e impensabile, per me.
«Ma è … così» sussurrò l’ultima parola. I suoi occhi mi studiavano e mi lanciavano messaggi.
Sembravano quasi brillare, nonostante fosse allo stremo delle forze.


«Va’, va’ via da qui, noi ci rivedremo presto amore mio, te lo prometto» sussurrò, e lentamente alzò una mano, e mi accarezzò piano, con dolcezza il viso.
Scossi il capo, lentamente, stavolta non avrei obbedito.
«questa è una scena davvero straziante!» ci schernì Ruben, mentre Sheid riprovava a rialzarsi.
«Dovresti ascoltare le parole del tuo angelo protettore, principessa. Dovresti esaudire il suo ultimo desiderio» si avvicinò e con uno sguardo assassino, ci sovrastò.
«No!» mi parai davanti a Sheid a mo’ di scudo «Ti … ti prego, non farlo! È me che vuoi! È me che devi uccidere, non Sheid. Ti prego» implorai quell’angelo distruttore che con i suoi occhi impietosi, mi atterriva.
Ghignò.
«E sia!» disse. La sua magia lo percorse come una scarica elettrica, e una luce oscura si formò nel palmo della sua mano destra.
Sentii Sheid irrigidirsi, e poi …

Tutto successe troppo in fretta.
Il mostro scagliò il suo colpo, ma non colpì me.
Sheid mi aveva protetta per l’ultima volta.
Ruben lo colpì in pieno petto, e la luce che ancora contraddistingueva la sua pelle e le sue fragili ali bianche, si spense, insieme all’ultimo alito di vita che custodiva nel suo cuore.
Ricadde tra le mie braccia con un gemito, l’ultimo.

Un urlo straziante si levò, squarciando quel silenzio pesante e doloroso.
Proveniva dal mio petto, proveniva dai meandri più profondi del mio spirito.

Mi sentii appassire, come un fiore privato dalla luce del sole, mi sentii sola, indifesa, ferita … morta.

Il cielo sembrò diventare più scuro, sempre più scuro … poi …

Il corpo del mio piccolo uomo, il corpo dell’angelo che si era sacrificato per la mia salvezza, si illuminò, come fosse un diamante.
All’improvviso un’onda di luce accecante mi avvolse, e quando scomparve, mi resi conto di essere rimasta completamente sola.

«Sheid, Sheid, Sheid … She …» le mie braccia erano vuote, e anche il nostro nemico era sparito.

Mi guardai intorno, allarmata.

Poi ricordai le sue parole, ricordai lui.
“Sii paziente, te ne prego, quando sarà tutto finito, tornerò da te e staremo insieme, principessa”.
Le lacrime rigarono le mie guance.
Protesi il viso verso il cielo.

«Ti aspetterò … per sempre» sussurrai, mentre intorno a me si faceva tutto scuro.

Sembrava che il mio cuore avesse smesso di battere.











---------------------------------- ANGOLO DELL'AUTRICE ----------------------------------------

come vedete siamo giunti al termine, e anche se ci sarà un proseguo, sì, ci sarà XD ... mi sembra di essere diventata improvvisamente triste.
 mi avevte seguita con amore, incoraggiandomi, aiutandomi, e restandomi vicino, siete delle persone meravigliose.
un ringraziamento speciale va alla mia vivi-chan, e sono infinitamente grata e affezionata anche a vanessa b, a Giuly m, ad agapanto blu, ad angy emptiness, a dav 24 e a tutte le mie amiche che mi seguono sempre.

ringrazio chi mi ha inserio tra preferiti, seguiti e ricordati ... e chi mi ha scritto dolci e incoraggianti messaggi.
siete delle amiche fantastiche. 

come sapete sto correggendo tutti i cap con l'aiuto di vivi-chan, e spero di farne un libro vero e proprio.
inoltre sulla mia pag facebook ci sono i disegni che ho provato a fare per raffigurare i miei amati bimbi.

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GRAZIE A TUTTI VOI.

VI VIGLIO BENE E SPERO CHE FAREMO AMICIZIA, SE NON CI CONOSCIAMO ANCORA. <3

piccolo spoiler della prossima serie.

l'inverno è il regno dove tutto resta immutato, perchè ricoperto da un bianco soffocante.
il freddo si impadronisce di tutto, anche di un cuore spezzato dal dolore.
l'armatura splendente di un cavaliere, però, brilla all'orizzonte, ma riuscirà a rischiarare le tenebre??

spero di avervi incuriositi.

grazie di cuore davvero amici e amiche.

la vostra ...
FIORELLINA

<3

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Capitolo 23
*** Avviso + Sorpresa ***



Salve alle mie amate lettrici e lettori, nel caso ce ne fossero!
volevo informarvi che ho deciso di cominciare a pubblicare qualche cap del seguito di ali d'argento. ora sono all'università per cui non ho molto tempo, però ho già pubblicato il prologo di ali d'argento 1, riscritto, migliorato e corretto... per chi volesse passare... e qui di seguito eccovi il primo capitolo della continuazione.
spero che leggerete numerosi e mi farete sapere cosa ne pensate.
<3 la pubblicazione dei cap rivisti e migliorati del primo libro verranno segnalati nei nuovi cap del secondo libro che posterò, perchè li modificherò soltanto.
un bacione a tutti.
Fiore.
<3




Capitolo 1
Senza di te
 
 
 
 
 
SEIRA
 
 
I miei occhi si spalancarono nella notte, perforando l’oscurità come fari.
Un urlo gutturale e straziante si era liberato dal mio petto, rompendo il silenzio tombale che popolava la mia camera da letto in casa Winter.
Ero infreddolita e sudata, e immagini ancora confuse, ma pur sempre familiari, mi scorrevano nella mente.
Il mio cuore batteva forte, scuotendomi e facendomi ansimare.
Passi.
Frettolosi passi, sempre più vicini e poi una voce familiare e preoccupata: «Seira!» Maria entrò improvvisamente, catapultandosi sul mio letto con un balzo.
«Ancora brutti sogni?» domandò prendendomi tra le braccia forti e sottili.
Mi stringeva come una sorella maggiore, come... una madre.
«Va tutto bene» sussurrò. Poi iniziò a cullarmi, mentre le solite fastidiose lacrime scendevano, calde e silenziose a rivoli.
Di solito piangendo riuscivo a liberare il mio cuore, almeno per un po’, ma in quel momento...
Erano passati quasi due mesi da... e io non facevo altro che perderlo ancora e ancora, ogni notte, senza poter fare nulla di più che guardarlo spegnersi sotto i miei occhi, tra le mie braccia impotenti.
«Seira...» soffiò Maria, dopo un po’, come se stesse per esplicare qualcosa su cui si era fermata a pensare molto tempo «… sei sicura di non volere che ti cancelli i ricordi?» la voce suonava indecisa, come se stesse confessando qualcosa di segreto e inaccettabile.
Mi irrigidii all’istante, innervosita solo dal fatto che avesse pensato una cosa simile.
No.
Scossi il capo, guardandola torva e poi mi scostai debolmente da lei.
«Hai ragione, scusami» asserì e mi accarezzò la testa.
Sorrisi.
Non dovevo arrabbiarmi con lei.
Non potevo arrabbiarmi con lei.
Non sarebbe stato giusto.
Maria nelle ultime settimane si era comportata diversamente con me. Era cambiata, era diventata più gentile e premurosa.
Conoscevo fin troppo bene i suoi sentimenti per il mio angelo, sapevo quale tipo di legame c’era tra loro e perciò comprendevo perfettamente i suoi sentimenti nei miei confronti.
Gelosia, invidia e astio avevano sempre contraddistinto i suoi sguardi silenziosi, mentre i suoi occhi si posavano su me.
L’ultima lacrima rigò la mia guancia destra, e poi caddi di nuovo in un sonno profondo e agitato, popolato dal mio incubo.
Avrei tanto voluto essere in grado di sopravvivere senza dormire, ma sapevo che era davvero un desiderio irrealizzabile.
 
Al mio risveglio, avvenuto comunque di soprassalto, Maria non era più al mio fianco. Aveva lasciato un biglietto sul comodino, vicino alla radiosveglia che segnava ancora le sei del mattino.
 
Vado in ricognizione, torno presto.
 
La sua scrittura spessa ed elegante, troneggiava sul foglio bianco, e ricordi dolorosi, mi affollarono la mente per un secondo.
Mi presi la testa tra le mani.
No.
Non volevo piangere ancora, nonostante il bisogno impellente di farlo fino a non avere più lacrime. Mi segnava profondamente, indebolendomi ogni giorno di più.
Qualcuno bussò alla porta.
«Buongiorno signorina Seira...» Erik entrò nella stanza con un vassoio stracolmo di roba, seguito da Maria, che probabilmente era appena tornata dalla sua “ricognizione”. Lei sorrideva «… spero abbiate appetito, perché credo di aver un po’ esagerato con... ecco... ho cucinato per un reggimento!» sorrise mesto, cercando di non farmi vedere la profonda tristezza mista a disperazione che provava.
Aveva cucinato per due, come d’abitudine, e sapevo perfettamente chi era la persona che non avrebbe potuto mangiare la sua colazione.
«Buongiorno Erik. Grazie, cercherò di mangiarne il più possibile» mentii. Il mio stomaco non toccava nulla di sostanzioso da settimane.
Ma la verità era che non avevo affatto voglia di mangiare, non perché volessi fare la fame, ma perché il mio stomaco si rifiutava di accettare qualsiasi alimento, come se il mio corpo volesse disperatamente appassire.
Anche io volevo appassire.
Ma avevo fatto un promessa, e dovevo mantenerla.
«Come vi sentite stamattina?» domandò premuroso il maggiordomo.
«Meglio» sorrisi, ma era una bugia. Mi sentivo sempre peggio.
«Perché non scendi di sotto? Possiamo guardare insieme la tv!» propose gentilmente Maria «Oppure se te la senti... possiamo andare al mare!».
Sorrisi, poi declinai la sua offerta.
«No, grazie. Credo che leggerò un po’, voglio andare in biblioteca, voglio cercare notizie su...».
«Biblioteca? Sei seria? Se vuoi sapere qualcosa, ti basta chiedere a me!» ammiccò.
«Beh, in realtà, vorrei stare sola» dissi. Lei mi fissò per un po’, poi annuì.
Erik mi aiutò a scendere le scale, e poi mi accompagnò in biblioteca, lasciandomi dopo avermi liberato la scrivania.
Venni avvolta dall’odore della carta, e la sensazione di trovarmi in un luogo in cui lui era stato in passato, mi face sentire un po’ meglio, come se la paura di poter dimenticarlo, un giorno, fosse spazzata via dai luoghi e dalle cose che gli erano appartenute.
Dalla Scrivania, Erik aveva tolto un grosso volume antico, con la copertina amaranto, un po’ consumata dal tempo, su cui vedevo scritto “DUX” capo, re.
Scostai lo sguardo, colta dal dolore.
Prima della sua partenza, stava studiando come essere un buon re, ne ero certa, e pensare a tutto il male che gli era stato fatto...
Presi il libro tra le mani e annusai il suo odore, in cerca di un frammento di lui.
Niente.
Abbracciai il libro, e poi mi accasciai sul tavolo di legno di ciliegio scuro, abbandonandomi al pianto.
Lì almeno ero sola, e nessuno mi avrebbe detto di smettere.


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spero che vi sia piaciuto e che ne vogliate ancora !!! 
fatemi sapere.
buon weekwnd a tutti
<3

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Capitolo 24
*** Primo capitolo (anteprima) ***


Capitolo 2
La realtà dei fatti
 
 
 
 
 
 
 
 
MARIA
 
 
L’aria della notte era fredda, segno che l’autunno era ormai alle porte.
Ormai erano passati quasi due mesi dal giorno in cui tutto era cambiato, dal giorno in cui mi ero trasformata in una traditrice.
Sì, stavo tradendo la mia unica amica, stavo tradendo la mia principessa e stavo tradendo anche ciò in cui avevo sempre creduto: la lealtà.
Oltrepassai la barriera con passo deciso, facendo un cenno di saluto alla guardia che stava davanti alla porta delle casa diroccata, che aveva custodito fino a quel momento, il suo corpo martoriato.
Le tenebre, impedivano di guardare oltre gli alberi che circondavano il posto, come se anche la notte volesse proteggere il nobile principe da occhi indiscreti.
Richiusi la porta alle mie spalle con delicatezza e poi mi diressi verso la sua stanza.
La porta di legno era aperta, e la luce che illuminava molto fiocamente i corridoi vecchi e pericolanti di quell’antica abitazione, proveniva solo ed esclusivamente dal fuoco che scoppiettava nel camino della camera.
Mio nonno, il comandante supremo Gabriel Ghefren, padre di mio padre, era seduto su una sedia di legno massello, con la testa fra le mani, e la schiena curva.
I capelli d’oro, lucenti e spessi, ricadevano sul suo volto maturo e nascosto dalle grandi mani callose.
La sua posa suggeriva e mostrava la sua grande preoccupazione.
«Entra pure» sussurrò, percependo la mia presenza.
Esitai qualche istante ma poi mossi due passi in avanti, irrompendo nella stanza.
L’ambiente era ammobiliato poveramente. Alcune sedie, un tavolo, un lavabo, un comodino e... un letto.
Trasalii.
Il suo corpo era disteso tra i cuscini, e le pesanti coperte, lo coprivano fino alle spalle scarne.
Il viso diafano e livido, sembrava aver assunto un’espressione più rilassata del solito.
Le poche volte in cui il nonno mi aveva permesso di vederlo, nei mesi passati, avevo sempre provato dispiacere, quasi dolore, nel vedere il guerriero assassino di un tempo, il coraggioso angelo protettore, il mio primo amore, in quell’orrendo stato.
Il principe aveva a malapena fatto in tempo a distruggere Ruben – sempre ammesso che ci fosse realmente riuscito quel giorno – e a sparire, facendo credere a Seira di essere morto, e poi era collassato tra le braccia di mio nonno, privo di forze.
Era da quel maledetto giorno che lottava tra la vita e morte.
Il suo corpo era stato straziato da profonde ferite, le sue ali erano state martoriate, era stato colpito dal veleno di quel demone ed era stato marchiato con una ferita intrisa di potere oscuro.
Ma nonostante ciò, Sheid... era ancora vivo.
Il nonno si era preso cura di lui personalmente, curandogli le ferite e cercando in tutti i modi di purificare la piaga intrisa di veleno demoniaco.
Ma le condizioni in cui versava erano disperate.
«Nonno, come sta?» chiesi in un soffio, avvicinandomi di qualche passo al letto.
«Non ho mai visto tanto sangue, Maria. Non sono ancora sicuro, dopotutto il suo corpo è umano» disse a bassa voce, e il suo tono era disperato, preoccupato oltre ogni limite.
Non avevo mai visto mio nonno abbattersi così.
«I suoi ordini erano chiari: non dovevamo arrenderci in nessun caso!» asserii, riportando alla mente quella conversazione.
La sera prima della sua partenza, dopo che Seira fu andata a letto, Sheid convocò me e il comandante supremo.
Aveva ricevuto una lettera da parte di Luna, che gli intimava di raggiungerla al più presto possibile.
Di sicuro il re aveva fiutato l’inganno, ma non potendo sottrarsi...
“Vi ho chiamati qui perché siete gli unici di cui mi fidi. Ho ragione di pensare che questa lettera sia stata scritta per attirarmi in una trappola” aveva asserito con fierezza.
“Non ho idea di che cosa si tratti, o chi sia il traditore, ma c’è una schiera di angeli corrotti che vuole farmi fuori, e questo potrebbe causarmi dei problemi”.
“Cosa vorresti che facessimo?” avevo domandato. Avrei fatto qualsiasi cosa per lui.
“Maria, tu dovrai proteggere Seira, dovrai distrarla, dovrai impedirle di mettersi in contatto con me. Lei non deve sapere” ordinò.
“Non avrai intenzione di andare al castello da solo?!”.
“È quello che farò. Si creerebbero sospetti se il re arrivasse con una scorta come se fosse in un regno nemico, capirebbero il mio piano” aveva spiegato.
“E quale sarebbe il tuo piano?” la fiducia che mio nonno aveva nello sguardo contagiò anche me.
“Se venissi catturato e imprigionato, troverei comunque il modo di fuggire, conosco le segrete come le mie tasche, e allora il nemico non avrebbe scampo. Nel primo caso non avrò bisogno di scomodarvi, ma se il traditore mira a me per arrivare a Seira... allora voi dovrete proteggerla fino al mio ritorno” i suoi occhi fiammeggiavano di una luce potentissima e vigorosa.
In quel momento era il re a parlarmi.
Io e mio nonno facemmo come ordinato, ma il giorno della sua morte apparente, Sheid aveva raggiunto il suo maestro, il comandante supremo, e aveva messo appunto il piano numero due.
La scoperta dell’innocenza di suo padre, del tradimento di Luna e della malvagità nascosta di suo zio Ruben, avevano alimentato in lui quella sofferenza nascosta, quella tortura che lo consumava da tempo immemore.
Mio nonno mi aveva raccontato nei particolari il loro incontro.
Sheid era riuscito a governare il suo lato demoniaco, ma nonostante ciò era irrimediabilmente ferito e debole.
“Maestro … devo salvarlo, perché lui non ha colpa, e il mio odio deve svanire assieme a me” aveva detto al nonno.
“Seira deve credere che io sia morto, tutti devono crederlo, così che io possa rinascere e possa redimere i miei sbagli”.
Il nonno non aveva detto nulla, non poteva dire nulla. Si era limitato a obbedire ai suoi ordini.
Aveva recuperato il suo corpo, e l’aveva curato.
“Anche se ci vorrà tempo, non farmi morire, maestro. Devo compiere il mio destino”.
Ecco perché la disperazione, in quel momento, velava gli occhi del comandante supremo.
Per lui Sheid era sempre stato come un figlio, ma sapeva che se fosse davvero sopravvissuto, avrebbe sofferto ancora di più.
Tornai al presente.
«Miglioramenti?» chiesi speranzosa.
«Le ferite hanno smesso di sanguinare, ma...» la voce gli si spezzò.
Gli andai incontro.
Poi gli posai una mano sulla possente spalla, le piume delle sue antiche ali mi sfiorarono.
«Se la caverà» lo rincuorai.
«Vorrei che non lo facesse».
«Come puoi dire certe cose? Lui deve tornare da Seira! La principessa ha già lenito la sua sofferenza in passato. Lo farà anche stavolta, devi avere fiducia» lo ammonii.
«Fiducia? Quell’umana non è in grado di farsi carico di un fardello così pesante. Lui non glielo permetterà mai. Si è quasi fatto uccidere per lei, ed è stato disposto a perderla per salvarle la vita. Per noi angeli perdere la nostra metà... è come perdere le ali per sempre» disse con astio.
«Anche lei era disposta a morire» sussurrai.
Trasalì. Poi mi guardò, finalmente.
«Seira l’ha seguito quel giorno, è per questo che il nobile principe è stato costretto a sparire» spiegai.
«Stupida umana» sbottò.
«Non stupida, coraggiosa e innamorata, nonno!» precisai. «Lui deve tornare da lei, deve tornare!».
«Non lo farà. Se un giorno riuscirà a salvare suo padre, Sheid non tornerà più da nessuno. Prima di sparire ci ordinerà di cancellarle i ricordi» disse amaramente.
«Perché dici questo?»
«Perché lo conosco fin troppo bene. Per lui quell’umana è più importante della sua stessa felicità. In questo modo la renderà libera da ogni vincolo» spiegò.
«No, lui non le farebbe mai una cosa del genere. Sheid non la lascerà andare via».
Un sospirò rotto, spezzò il nostro dialogo, mentre le dita lunghe e affusolate del re, si mossero impercettibilmente da sopra le coperte.
«Sh... Sheid...» sussurrai senza accorgermene.
Ci avvicinammo velocemente al letto.
Poi, come due fari nella notte, i suoi occhi tornarono ad accarezzare il mondo con la loro bellezza.





 

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