Altre realtà

di Hui Xie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La macchina del tempo (presenta Seto Kaiba) ***
Capitolo 3: *** Come trovare i guai quando questi stanno alla larga ***
Capitolo 4: *** Meet the little pharaoh ***
Capitolo 5: *** Colto in flagrante ***
Capitolo 6: *** Bakura ne combina un'altra delle sue ***
Capitolo 7: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 8: *** Equilibrio precario ***
Capitolo 9: *** Elementare, mio caro Bakura ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Hola ^^ Buon anno a tutti.
Ho scritto questa storia su ispirazione di "Ritorno al futuro", uno dei film migliori che io abbia mai visto. L'avete mai visto? La storia, ovviamente, si può leggere anche senza averlo mai letto, ma, a chi l'avesse fatto, spero che gli piaccia in versione Yu-Gi-Oh. Buona lettura a tutti.
Lasciatemi un commento, sia negativo che positivo. Vorrei conoscere le vostre opinioni. Hui Xie.

Prologo

Quella mattina, Yuugi si svegliò con una strana sensazione nel cuore, un presentimento malinconico che gli serrava la gola in una morsa dolorosa, che per qualche minuto lo fece rimanere fermo, gli occhi viola fissi sul soffitto bianco, e la bocca rigorosamente chiusa.

Era il primo giorno delle vacanze estive, riflettè, ossia qualcosa di cui essere felice. Quel malumore che sentiva sulla pelle e nelle viscere doveva derivare da qualche incubo notturno che la sveglia naturale aveva cancellato come un disegno sulla spiaggia. Con questa allegra consapevolezza, Yuugi scostò di scatto le lenzuola e scese con un rapido balzo, stiracchiando in alto le braccia, per cercare di crescere ancora un po’ di più.

“Buongiorno, mou hitori no boku!” esclamò, senza doversi curare delle opinioni degli altri. Non venne nessuna risposta.

Allora Yuugi si voltò e notò, con sua grande meraviglia, che il suo adorato puzzle non era appeso, come al solito, al lato del letto, per vegliare su di lui anche la notte. Eppure, non ricordava di averlo spostato altrove, la sera precedente. Che si fosse alzato nel sonno? Iniziò a cercare per tutta la stanza dove potesse averlo nascosto, dall’ovvio posto sotto il letto, a dentro l’armadio, sotto le pile di vestiti disordinati, dentro i cassetti e fra i libri di scuola a mucchi nella scrivania e nella libreria, tra i modellini e i vari giochi che possedeva, con un’ansia che cresceva sempre di più.

Sentendo il rumore di suo nonno, che armeggiava nel negozio, scese, senza curarsi del fatto di essere in pigiama, deglutendo e sperando che lui ne sapesse qualcosa.

“Hai visto il mio puzzle?” domandò immediatamente, senza preoccuparsi nemmeno di un “buongiorno”, troppo ansioso per pensare alle buone maniere.

Sugoroku finì di appoggiare l’ultima confezione al suo giusto posto e poi si voltò verso di lui. “Che puzzle?”

“Il mio puzzle. Il puzzle millenario” Yuugi non poteva credere che suo nonno si fosse scordato di una cosa tanto importante. “Quello che porto sempre al collo, che ci ho messo otto anni a completarlo, la piramide…” E man mano che parlava, si accorgeva sempre di più che suo nonno, seriamente, non se ne rammentava affatto.

“Non ricordo…” rispose infatti, facendo anche uno sforzo di memoria, concentrandosi con la mano che sfiorava il pizzetto ingrigito. “E non guardarmi come se fossi arteriosclerotico!”

Ma Yuugi non lo stava facendo: era solamente sorpreso, spiacevolmente, di quello strano comportamento, fin troppo realistico per sembrare una recita. Eppure, suo nonno non era così vecchio da dimenticarsi i fatti, specie se riguardavano da vicino una parte importante del suo passato.

Scotendo la testa, ritornò lentamente in camera sua, si sedette sul letto e afferrò il suo deck, iniziando ad esaminarlo. A parte lo strano comportamento di Sugoroku, Yuugi doveva arrendersi all’evidenza che qualcuno gli aveva rubato il puzzle. Non sarebbe certo stata la prima volta, ma finora si era sempre trattato di sfide leali, niente di così subdolo come entrare di notte in casa e sottrarglielo. Man mano che scorreva con lo sguardo i mostri che componevano il suo deck, si rese conto che qualcos’altro, quella mattina strana, non andava. Semplicemente, quello non era il suo mazzo, o, meglio, non era quello che aveva preparato con il suo doppio. Era sempre il solito, tranquillo deck che suo nonno gli aveva regalato, senza Divinità Egizie e con le cinque carte di Exodia ancora al loro posto, mentre, nella logica dei fatti, tre di loro si dovevano ormai trovare in fondo all’oceano Pacifico.

Rimise in fretta il mazzo a posto, afferrò la cornetta del telefono e compose il numero di Jounouchi. Troppe cose non quadravano, troppi fatti strani. Aveva bisogno di qualcuno che gli desse la conferma materiale che tutto ciò che ricordava sul Magic&Wizard, sugli oggetti millenari e, soprattutto, sul suo doppio non fossero soltanto il frutto della sua mente sognatrice.

“Pronto?” rispose la voce sbiascicata di qualcuno che si era appena alzato.

“Jounouchi-kun!” esclamò, felice di avere accanto a sé qualcuno di familiare. “Sono io, Yuugi. Volevo dirti che…”

“Chi?” chiese qualcuno di incredulo dall’altro capo del telefono, cercando di ricordare. “Intendi Yuugi Mutou? Il nanerottolo cacasotto che sta in classe con me?”

La felicità di pochi istanti prima svanì rapida come una doccia fredda, e le mani iniziarono a tremargli come in preda agli spasmi. “S-si, io…” riuscì ad esalare.

“E perché diavolo mi chiami a quest’ora del mattino? Come se avessi tempo da perdere con te!” replicò la voce, arrabbiata. “Su, vai a giocare con i bimbi dell’asilo” E, senza aggiungere altro, interruppe la comunicazione.

Yuugi, come in un film muto, abbassò la cornetta e rimase fermo, seduto sul letto, con le mani in grembo. Forse era quello l’incubo che stava vivendo, e desiderò unicamente il risveglio, fosse anche per andare a scuola a prendere uno dei suoi soliti brutti voti.

Cercò di riflettere con una mente fredda che, in quel momento, non possedeva. Non era davvero possibile che tutte le avventure che aveva vissuto dal quando aveva terminato il puzzle fino a quella maledetta mattina fossero state solo un sogno, perché il tempo trascorso era veramente troppo per essere contenuto in una notte sola. Inspirò profondamente, riprese il telefono e premette il pulsante di richiamata.

“Pronto?” rispose la stessa voce di prima, ma meno addormentata.

“Sono Yuugi…” mormorò timidamente il ragazzo, già preparato ad una pessima replica.

“Yuugi! Ciao!” esclamò invece Jounouchi, allegro. “Guarda, se chiamavi un attimo fa ti mandavo a quel paese per avermi svegliato! Allora, che si fa di bello oggi, che siamo in vacanza?”

“Lo hai fatto…” Yuugi, nonostante il sollievo nel riconoscere in quella voce il solito amico gentile e disponibile, non potè allontanare il ricordo della telefonata precedente, di quel tono che rammentava un tempo vuoto e in solitudine.

“Come?” Jounouchi sbatté le palpebre.

“Mi ci hai mandato…” spiegò debolmente. “Questa è la seconda telefonata che ti faccio…”

“Ma no, non è possibile” replicò Jounouchi, agitando una mano davanti alla cornetta, come se l’amico potesse vederlo. “Mi sono alzato da due minuti, quindi non è possibile che tu mi abbia telefonato prima… Sicuro che non fosse mio padre?”

Yuugi scosse la testa. Non era così stupido da scambiare la sua voce con un’altra. “Lasciamo perdere…” Se voleva fargli uno scherzo, di sicuro era di pessimo gusto, ma forse derivava da un cattivo risveglio. Meglio non stare a recriminare su qualcosa che era passato, adesso che aveva ritrovato il suo migliore amico, in forma come sempre. “E’ successo un guaio…”

“Un guaio?!”

“Mi hanno rubato il puzzle! Non lo trovo più…” spiegò in fretta Yuugi, con il groppo alla gola che gli faceva bruciare gli occhi e gli serrava il fiato nei polmoni. “Stanotte… E non me ne sono accorto…”

Per qualche minuto, entrambi rimasero in silenzio, ad ascoltare i rispettivi fiati. “Chiama Anzu, io avverto Honda” disse infine Jounouchi. “Ci ritroviamo al parco fra mezz’ora. Tranquillo, vedrai che lo recuperiamo!”

Bastò quello a renderlo di nuovo sicuro e speranzoso, relegando in un piccolo angolo tutta l’angoscia che gli strani avvenimenti della giornata gli stavano causando. Si salutarono velocemente, quindi Yuugi, chiamata velocemente Anzu, che si mostrò comprensiva come al solito, abbandonò il pigiama sul letto sfatto e si mise i soliti pantaloni blu della divisa di scuola, con la maglia elasticizzata intonata e la giacca dello stesso colore. Finito di prepararsi, uscì subito di casa per recarsi all’appuntamento con i suoi amici, scordandosi persino di aprire le persiane, che serravano la stanza, chiudendola ermeticamente dall’interno.

  *-*-*

Per Seto Kaiba la parola “vacanze” non esisteva. Al contrario, la sospensione estiva delle lezioni di scuola era per lui soltanto un vantaggio, perché gli permetteva di recarsi al lavoro anche la mattina, evitando le prediche degli insegnati che gli raccomandavano di non perdere giorni di scuola.

Perciò, quel giorno, il presidente era già al lavoro nel suo ufficio di prima mattina, e batteva velocemente sui tasti del computer, facendo risuonare il rumore nell’aria attorno, mentre progettava il codice per un nuovo videogame che intendeva far uscire per Natale.

Il suo accurato lavoro fu interrotto da una chiamata della sua segretaria, che gli annunciava la visita di uno dei suoi soci. Quello non era proprio il momento più adatto per perdere tempo a discutere con gente simile, vista la mole di lavoro che aveva accumulato.

Sentendo dei passi nel corridoio, si alzò dalla sedia ed aprì la porta: come aveva immaginato, si trattava di Roland, che si stava avviando verso l’ascensore. Avrebbe mandato lui a trattare con tutte le persone con cui aveva appuntamento, risparmiando del tempo prezioso. “Roland!” lo chiamò, ma il dipendente non si fermò, continuando a camminare, con la schiena rivolta verso di lui, poi, improvvisamente, scomparve.

Seto sbattè le palpebre. Forse, aveva visto male e la presenza del suo più fedele dipendente altro non era che un miraggio creato da lui stesso, un’illusione dovuta a qualche strana riflessione della luce che penetrava dalla vetrate. Seccato per essersi alzato inutilmente, riappoggiò la mano sulla maniglia della porta per richiuderla dietro di sé mentre rientrava nell’ufficio, ma si bloccò non appena i suoi occhi azzurri si posarono sulla stanza che avrebbe dovuto essere, a rigor di logica, completamente vuota.

Invece, seduto alla sua scrivania, con il solito smoking rosso fresco di tintoria, stava Gozaburo, un sigaro fra le labbra, e i gomiti appoggiato sul piano del tavolo. Davanti a lui, su comode poltrone in veltro verde, erano allineati tutti i Big Five, uomini che, ormai, avevano la carriera distrutta e la vita intrappolata in un gioco virtuale. Seto, con le gambe completamente congelate giusto sulla soglia, non potè far altro che assistere a quel teatrino di cui, purtroppo, conosceva fin troppo bene la causa. Evidentemente, qualcuno aveva usato, ovviamente a sproposito, “quell’invenzione”, che avrebbe invece dovuto essere sorvegliata accuratamente, e gli effetti non stavano tardando a manifestarsi.

“Irak?” domandò Gozaburo, interessato.

“Ormai è sicuro che gli Stati Uniti dichiareranno la guerra” spiegò uno degli uomini. “L’ONU ha fallito la sua missione di ricerca delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam…”

“Armi che Bush gli avrà venduto, suppongo…” Gozaburo se la rise di gusto. “Dopotutto, è il presidente della patria delle armi…”

“Più probabilmente, è solo una scusa per impedire alla Cina di intessere dei rapporti commerciali con l’Irak ed impadronirsi così del petrolio” commentò un altro. “Non sia mai che ci sia una potenza più forte degli USA!”

“Il motivo non mi interessa affatto” Gozaburo si alzò, e aggirò la scrivania. “La cosa importante è trovare il modo di guadagnare il più possibile da questa guerra, vendendo le nostre armi. Dopotutto, questo è il ruolo della Kaiba Corporation” Appoggiò la mano sulla spalla del Big Five più vicino, sorridendo. “Riesci a contattare Saddam?”

La scena, com’era comparsa, svanì: l’ufficio tornò vuoto e silenzioso, e nelle gambe di Seto tornò a circolare il sangue, rimettendo i muscoli in movimento. Con un respiro quasi di sollievo nascosto, rientrò nell’ufficio, ritrovando tutti gli oggetti familiari, appartenuti a lui solo, che il suo patrigno non aveva sfiorato nemmeno col pensiero.

Seto si risedette sulla poltrona, che ovviamente non era la stessa dei tempi di Gozaburo, perché non aveva mai avuto l’intenzione di toccare qualcosa che gli fosse appartenuto, riflettendo sul da farsi. La sua sorveglianza, che avrebbe dovuto proteggere quell’invenzione importantissima e pericolosa, era imperdonabile, certamente, ma attualmente questo non era il problema più importante. Se si fosse trattato di un semplice furto, gli sarebbe bastato licenziare tutti quegli incapaci e sostituirli con gente più preparata, invece si trattava di qualcosa di ben più complesso, qualcosa che rischiava di sconvolgere tutto il corso della storia.

Non aveva la minima idea di chi fosse il colpevole, né di quale avvenimento avesse cambiato per creare un futuro del genere, conosceva solo il modo e, probabilmente, il movente. La sua mano corse inevitabilmente alla tastiera del computer, aprendo il database dei duellanti che aveva sempre a disposizione, aggiornato sui nuovi giocatori: gli bastava dare un’occhiata al suo nome, con le otto stelle accanto, al secondo posto, giusto sotto il nome “Yuugi Mutou”, per riavere dentro di sé la forza di combattere e di vincere.

Quella forza gli entrò nelle vene anche quel giorno, ma non per il motivo usuale. Entrambi i nomi, il suo e quello del suo rivale, erano infatti scomparsi dalla lista, sostituiti da persone e volti conosciuti, ma assolutamente inadatti a ricoprire quelle cariche. Spense di getto il computer, scordandosi persino di salvare i dati del programma.

Aveva sbagliato: non cercavano di colpire lui, bensì Yuugi. Doveva trattarsi di qualcosa che riguardava un passato molto lontano, fin troppo. Per Seto, quella non era altro che una seccatura, perché avrebbe dovuto coinvolgere persone con le quali preferiva sempre non avere a che fare. Ma con una situazione del genere, non aveva altra scelta. Si alzò, indossò il suo soprabito bianco, afferrò la sua valigia e si diresse verso l’unico luogo in cui era sicuro di trovarli. Il tempo a disposizione era poco e lui ne aveva già sprecato abbastanza.

  *-*-*

Marik accavallò le gambe, cercando di sistemarsi meglio sulla scomoda sedia, in una delle aule del museo, dove stava studiando. Girò un’altra pagina del libro, scrutando con la fronte aggrottata le formule chimiche che doveva imparare, giusto un attimo prima che qualcuno glielo strappasse dalle mani e lo gettasse a terra in malo modo.

“Piantala di studiare ‘ste stupidate! C’è qualcosa di più importante da fare!”

“Ah, sei tu…” commentò l’egiziano, alzando leggermente un sopracciglio mente osservava annoiato il ragazzo dai lunghi capelli bianchi. “Che vuoi?”

Bakura gli scoccò un’occhiata atroce. “Cos’è quel tono?” chiese, incrociando le braccia. “Noi due siamo amici, no?”

“Amici!” esclamò beffardo Marik, mentre si alzava a recuperare il libro. “Alleati, diciamo… E tempo fa”

“Si, ma tu mi devi ancora restituire il favore per quello che ti ho fatto a Battle City”

“Per quello che non hai fatto” pensò il biondo, ma si trattenne dal dirlo. “Insomma, che vuoi?”

“Guarda” Bakura allungò un braccio verso di lui. “Sto scomparendo”

“Eh?” Marik sbattè le palpebre sugli occhi violetti, quindi fissò quel arto pallido coperto dalla solita maglia a righe blu, senza vedere nulla di strano. “Scusa…?”

Ma gli occhi nocciola di Bakura non erano meno sorpresi dei suoi. Iniziò ad esaminarsi il braccio, quasi stupito di trovarlo al suo esatto posto. “Ma… Prima…”

L’egiziano già non lo ascoltava più. “Io me ne vado” Si infilò il libro che stava studiando sotto il bracco e fece per allontanarsi verso un’altra sala del grande museo di Domino City.

“No…” Il tono usato da Bakura per fermarlo era tutto tranne che autoritario, una sorta di stupore misto a incredulità e, forse, paura. “Il tuo tatuaggio…”

Parola magica. Marik si fermò immediatamente, cercando di tirarsi su più che poteva la maglietta, onde evitare che spuntasse da sopra al colletto. “Si vede?”

L’ex ladro di tombe scosse la testa. “Al contrario…”

Marik infilò la mano al di sotto della maglia, sfiorando con le dita la pelle della schiena, perfettamente liscia, non più scavata e abbrustolita dal tatuaggio delle Divinità Egizie che suo padre gli aveva impresso a fuoco quando era ancora un bambino. Rabbrividì, ad un contatto così diverso dal solito e così incredibilmente piacevole.

“Hai fatto una plastica?” domandò Bakura, con uno scherzo macabro. L’altro non si curò nemmeno di rispondergli, ma iniziò a correre verso l’ultima stanza del museo, giusto in fondo al corridoio, dov’era conservata la stele del Faraone Senza Nome. Si fermò proprio davanti alla vetrina che la conteneva. “Che diavolo sta succedendo…?” mormorò.

Lui e Bakura rimasero immobili a fissare la stele che, lentamente, cambiava sotto i loro occhi. Le figure delle Divinità Egizie, così come il Puzzle Millenario e la scena della lotta fra il Faraone e il sacerdote, sostituite in fretta da altri bassorilievi che nulla centravano con la storia che conoscevano, né con il Magic&Wizard. Erano solo il ritratto di un uomo e una donna, alla solita maniera egiziana, come se quello fosse un blocco di pietra qualunque.

“Che sta succedendo?” ripetè una voce dietro di loro. Yuugi, assieme alla sua banda composta dai soliti Jounouchi, Honda e Anzu, era apparsa dietro di loro, e tutti fissavano l’immagine con lo stesso sguardo spaurito.

La risposta venne dalla soglia della porta, e dalla persona che meno avrebbe dovuto interessarsi a quella storia. “Una semplice distorsione temporale” rispose Kaiba.

Nella prossima puntata….
Distorsione che?! Kaiba! Lo sapevo che c’entra tu! Quando succede qualcosa, la colpa è sempre tua! Ma adesso io, il grande Jounouchi Katsuya, ti… Bakura! Marik! Dov’è che vorreste andare voi?! Nel passato?!
Prossima puntata: “la macchina del tempo (presenta Seto Kaiba)” Non perdetela!

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Capitolo 2
*** La macchina del tempo (presenta Seto Kaiba) ***


La macchina del tempo

La macchina del tempo (presenta Seto Kaiba)

“Una semplice distorsione temporale” rispose Kaiba, quindi avanzò lentamente verso di loro, scoccando un’occhiata in tralice alla stele ormai totalmente cambiata. “Immaginavo che c’entrava con quello, ma speravo di no…” aggiunse sospirando.

“Insomma, Kaiba, spiegati!” esclamò Jounouchi, che veniva preso da una voglia incredibile di prenderlo a pugni ogni volta che lo vedeva. “Una distorsione che?”

“Temporale” rispose Seto.

Marik incrociò le braccia sul petto e scosse la testa. “Stai dicendo che qualcuno o qualcosa ha cambiato un avvenimento del passato e adesso pure il futuro sta mutando?” chiese beffardo. “Ma andiamo. Con cosa l’avrebbe fatto, poi?”

Seto abbassò leggermente lo sguardo a terra, poi lo rialzò. “Con la macchina del tempo di mia invenzione”

“Come, scusa?!”

Seto inarcò leggermente il sopracciglio, mentre osservava il gruppo. “Sarà meglio continuare questa conversazione nel mio laboratorio…”

Fortunatamente, la limousine della Kaiba Corporation era abbastanza grande da poter trasportare tutti i ragazzi contemporaneamente, quindi in meno di mezz’ora arrivarono senza troppi problemi alla fabbrica in periferia che apparteneva a Seto, e quest’ultimo li guidò nel labirinto di corridoi fino all’ultima stanza, piena fino all’orlo di strani marchingegni dagli usi più disparati. La macchina del tempo in questione era costituita da una cabina grande circa un metro quadrato, con il soffitto a cupola, e una tastiera del computer con lo schermo su uno dei lati, mentre su quello opposto si trovavano le porte automatiche di entrata.

“Sembra un ascensore” fu il commento di Jounouchi, e probabilmente la descrizione migliore che si potesse fare.

“Ricapitolando” disse Honda, che sentiva in arrivo un grande mal di testa. “Tu sostieni che qualcuno ha usato questa macchina del tempo per andare nel passato e cambiare qualche avvenimento per impedire a Yuugi di avere il puzzle?” Dopotutto, se suo nonno già non si ricordava più della sua esistenza, era probabile che nel cambiamento Yuugi non lo avesse mai ottenuto.

“Credo che, chiunque sia stato, abbia fatto ben di peggio” scosse la testa Marik. “Ha cambiato il passato di tremila anni fa, o non si spiegherebbe il disegno sulla stele”

“Lo temo anche io” commentò Seto, sconsolato per il fatto di dover ammettere una cosa del genere.

Jounouchi strinse forte i pugni. “E’ tutta colpa tua, Kaiba!” esclamò. “Si può sapere perché hai inventato una cosa così pericolosa?! Dì la verità, volevi usarla per cambiare le tue meritatissime sconfitte, vero?”

“Non mi stupisce certo che un imbecille come te non capisca la portata di una simile cosa” commentò Seto degnandolo solamente di un’occhiata annoiata. “So benissimo quanto cambiare anche una solo gesto del passato sia pericoloso, anche per chi lo compie”

Il biondo rimase un pochino interdetto. “Allora perché l’hai inventata?”

“Per migliorare i miei videogiochi” spiegò brevemente l’altro. “Per quanto riguarda la grafica e la storia, i miei prodotti sono insuperabili rispetto alle altre aziende e queste, per ottenere almeno una fetta del mercato, si concentrano maggiormente sull’aspetto storico e scenografico dei vari giochi. Per questo l’ho inventata: supererò la concorrenza per tutto. Dopotutto, un filmato realizzato al computer non vale una ripresa reale di Giulio Cesare mentre varca il Rubicone”

I ragazzi si limitarono ad osservarlo schifati per qualche minuto: non potevano credere che avesse realizzato un’invenzione che sapeva così pericolosa solo per il gusto di dimostrarsi il migliore, ma avrebbero dovuto aspettarselo.

“Scusate…” Anzu ruppe il silenzio alzando timidamente la mano. “Ma, visto che il passato è stato cambiato, anche al nostro presente avrebbe dovuto accadere la stessa cosa. Come mai, invece, ricordiamo tutto?”

Dopo la sua domanda, si alzò un leggero coro di “si, è vero, come mai”, una sorta di mormorio confuso e dubbioso.

“Non è esattamente così…” Seto scrutò il gruppo, ben sapendo che tutto il discorso sarebbe stato molto complesso per le loro menti insignificanti. “Come posso spiegarvi abbassandomi al vostro livello…?” Si avvicinò ad una lavagnetta appesa alla vicina parete e prese il gesso appoggiato nel contenitore accanto. “Immaginiamo il corso del tempo come una semiretta con origine nel Big Bang, anche se non è proprio così” Disegnò una linea che partiva da un cerchietto e che andava all’infinito verso l’alto. “Ogni singolo istante di questa linea – e badate che stiamo parlando di infinitesimi, qualcosa di ben più piccolo dei secondi – corrisponde ad un particolare evento. La modifica di anche uno solo di questi attimi porta ad una distorsione temporale.

“Ovviamente, il tipo di distorsione che si crea dipende anche dal gesto che si compie. Se qualcuno tornasse indietro nel tempo e si fermasse per cinque minuti, senza muoversi, in mezzo al deserto del Sahara, è chiaro che non succederebbe nulla. Se invece qualcuno uccidesse, ad esempio, Hitler prima che fondi il partito nazional-socialista, anche se la Seconda Guerra Mondiale dovesse ugualmente scoppiare, probabilmente non sarebbe così disastrosa e antisemita”

Fece una croce ad un punto qualsiasi della linea. “Supponiamo ora che qualcuno abbia cambiato un evento di una simile portata. Ovviamente, anche tutti quegli infinitesimi istanti che compongono il tempo dovrebbero cambiare in conseguenza di ciò. Tuttavia, essendo appunto minuscoli e in un numero spropositato, l’effetto non è immediato” Disegnò un’altra linea, che partiva dalla croce e procedeva poi parallela alla prima. “Si forma invece un ramo collaterale, che potremo quasi definire un’altra dimensione, con il futuro modificato. Piano piano, ogni istante del nuovo corso si sostituisce all’originale, fino al cambiamento completo”

Iniziò a disegnare una serie di linee trasversali che partivano dalla seconda retta e la collegavano alla prima. “Non essendo questo processo immediato, per prima cosa si hanno delle visioni, o dei contatti, con quest’altra dimensione, che ci mostrano il nuovo futuro che ci attende, finché anche noi non dimenticheremo tutto…” Rimase un attimo sorpreso dal silenzio che aveva accompagnato la sua spiegazione e che regnò anche successivamente nella stanza. “E, sinceramente, quello che ho visto non mi piace neanche un po’!” aggiunse.

Yuugi non poté fare altro che assentire mentalmente. Probabilmente, durante la prima telefonata che aveva fatto quella mattina, aveva avuto il piacere di conversare con il nuovo Jounouchi, quello dell’altra dimensione che, a quanto pare, non era affatto suo amico. Non gli piaceva affatto una simile eventualità, anche se significava negare a sé stesso di non essere capace di ottenere degli amici senza l’aiuto del suo prezioso puzzle, come invece aveva sostenuto davanti a Yami a Battle City. Ma, nonostante questo sentimento di incapacità, non poteva assolutamente permettersi di perdere il suo doppio: forse, l’avrebbe dimenticato con il passare del tempo, ma finché ricordava anche una sola cosa su di lui, anche solo il colore dei suoi occhi, o il suono della sua voce, non poteva arrendersi. Avrebbe fatto qualunque cosa, pur di riportare la storia sulla giusta via.

“Come facciamo…” domandò timidamente, “…a rimettere tutto a posto?”

Tutti si voltarono a guardarlo, visto il silenzio comprensibile che lo aveva accompagnato fino a quel momento. “L’unica cosa da fare è scoprire chi sia il colpevole, quindi tornare indietro per impedirgli di andare a modificare il passato. Roland!” Seto schioccò le dita e il suo dipendente si manifestò al suo fianco, porgendogli una paio di fogli scritti con una lista di nomi. “Io ho presentato ieri la mia invenzione alla Mostra della Scienza e della Tecnologia, e la notizia dovrebbe essere uscita sui giornali di stamani” Passò il foglio a Yuugi. “Poiché noi abbiamo iniziato ad avere problemi da oggi, significa che il misfatto è stato compiuto la notte scorsa, perciò può trattarsi solo di una persona presente alla presentazione di ieri”

I ragazzi iniziarono ad esaminare i nomi. “C’era anche Hirutani!” esclamò Jounouchi. “E’ stato lui!” Infatti, non poteva immaginare nessun’altra ragione per cui il suo ex-amico teppista potesse recarsi ad una mostra sulla tecnologia, materia in cui probabilmente capiva meno di lui.

“Quello che dici è assurdo” intervenne Honda. “Abbiamo detto che è la storia del Faraone ad essere cambiata, vero? Hirutani non ne sa nulla”

“Potrebbe averlo scoperto facendo delle ricerche” ribatté il biondo. “Chi non riconoscerebbe Mou hitori no Yuugi sulla stele?” E l’amico comprese che, qualunque cosa avesse detto, non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea su quella questione.

“Ce ne sono tanti…” Yuugi scorse la lista con la punta dell’indice. “Anche Haga e Ryouzaki… Il padre di Otogi…” Tutte persone che, in una maniera o nell’altra, avevano conosciuto la vera identità del suo doppio e che avrebbero avuto un buon motivo per vendicarsi, sebbene lui ritenesse questo sentimento totalmente inutile e controproducente.

“Quanto tempo abbiamo?” domandò Marik, che si era limitato ad una breve occhiata a quei nomi, non conoscendo la maggior parte delle avventure vissute dal Faraone con i suoi amici.

“Precisamente, non lo so” rispose Seto. “Facendo un breve calcolo…” Iniziò a disegnare sulla lavagna una serie di formule complicate e radici cubiche senza una ragione apparente.

L’egiziano lo fermò subito. “Lascia perdere! Tanto, sono sicuro che da quei calcoli uscirà qualcosa di molto piccolo”

“Dell’ordine di dieci alla meno nove, si” Seto finse di non aver sentito quel tono troppo autoritario per lui.

“E’ troppo poco tempo!” esclamò Bakura, il quale era rimasto in silenzio fino a quel momento, una specie di presenza fantasma, un ladro che non desiderava farsi notare. “Mandami nel passato, Kaiba. Ti rimetto io a posto le cose”

“Proprio per niente” replicò questi. “Chissà quanti altri casini finiresti per creare”

“Ti ho detto di mandarmici, cazzo!” E tirò un calcio alla cabina della macchina del tempo, con una violenza più apparente che reale.

Seto lo afferrò per il collo della maglietta. “Che diavolo fai? Vuoi spaccarmela?”

“Ti sei cagato sotto, eh?” Bakura sorrise ironico. “Perché sai benissimo che senza una macchina con cui tornare indietro, tu e la tua bella azienda siete fottuti…”

“Fanculo” commentò lasciandolo. “Che vorresti poi fare, nel passato?”

L’albino si spazzolò tranquillo la maglietta a righe blu e bianche. “Se io scoprissi qual è l’evento che è stato modificato, potrei impedirlo direttamente al giusto tempo e risistemare tutto correttamente” Scoccò uno sguardo agli altri ragazzi. “Conducendo due indagini in parallelo, una nel passato e una nel presente, avremo più possibilità”

“Hai ragione” convenne Yuugi, in un tono che dimostrava quanto non fosse convinto di quest’ultima idea. Troppe volte Bakura si era rivelato un temibile avversario, sotto le spoglie di amici sincero, fidato, anche se forse non del tutto disinteressato. Aveva imparato a non fidarsi più, sebbene, una volta, avesse creduto alla sue parole.

“Non devi preoccuparti, piccolo re” commentò allora lui. “Dopotutto, lo faccio soltanto per me stesso” Allungò il braccio verso di lui. “Vedi? Sto scomparendo anche io, e permetterai che non ci tenga affatto” Lentamente, il braccio si dissolse in una nebbia tremolante, come un miraggio di un’oasi lontana. Durò un battito di ciglia, poi l’arto ricomparve più nitido.

“Allora, forse non è una cosa malvagia” disse Anzu, dopo aver ripreso il fiato che quella visione aveva tolto a tutti. “Voglio dire… Forse, qualcuno è tornato indietro per modificare la situazione in favore del Faraone”

“Che intendi dire?” chiese Jounouchi, manifestando il pensiero di tutti.

“Noi sappiamo che Mou Hitori no Yuugi si trova nel presente perché tremila anni fa si è sacrificato in combattimento” cercò di spiegarsi, gesticolando vistosamente. “Ma se invece avesse vinto senza avere alcun bisogno di sacrificarsi, non ci sarebbe necessità della sua presenza nel futuro, da noi… E quindi, nemmeno di Ryou e di Kaiba che sono… Bè…” Abbassò lo sguardo per evitare le occhiatacce che, sapeva, le sarebbero arrivate, “…delle reincarnazioni…”

“Questo è anche peggio!” Bakura rabbrividì: per lui era già abbastanza essere stato sconfitto tremila anni fa e costretto a rimanere intrappolato nell’anello millenario, senza contare le umiliazioni subite nel presente. Non aveva davvero bisogno del primo idiota che passava a peggiorare ulteriormente la situazione.

Yuugi non aveva minimamente pensato ad una simile eventualità, e rimase profondamente scosso. Certo, Yami era il suo idolo, l’obiettivo da raggiungere, ma avrebbe potuto sacrificare la sua felicità per riaverlo accanto a sé? Forse, se nel passato era davvero sopravvissuto, aveva avuto dei giorni felici, una fidanzata, forse…

Jounouchi fu più spiccio. “Tu non lo vuoi più con noi?! Vuoi far cambiare tutto?”

“No! Assolutamente!” si difese Anzu. “Lo sai che Mou Hitori no Yuugi è il mio-” Si bloccò, arrossendo, senza terminare la frase. “Solo che… Dovremo pensare anche al suo bene…”

Seto guardò le loro espressioni incerte e depresse, scuotendo la testa. In quella situazione, sapeva di poter contare solo su di loro, ma, al tempo stesso, non si fidava assolutamente. “Bakura, preparati a partire” disse solo, accendendo lo schermo della macchina del tempo. “Dimmi dove ti devo mandare”

“Finalmente!” esclamò l’interessato, avvicinandosi alla porta.

“In questo caso, vengo anche io” intervenne Marik, precedendolo.

“Perché?” Bakura lo scrutò con i suoi occhi nocciola, sospettoso.

“Primo, perché sono un custode delle tombe ed è mio dovere verificare che nessuno cerchi di cambiare la storia a suo favore” E gli scoccò un’occhiata eloquente. “Secondo, perché sono l’unico che se ne intende di Egitto e terzo… Siamo amici, giusto?” Sorrise beffardo.

Bakura ricambiò. “Perché no? Andiamo”

“Allora, lascio questo a voi” disse infine Yuugi, sentendo comunque una morsa nel cuore per non poter accompagnare i due ragazzi nel passato, ad incontrare il suo doppio per poterlo toccare come avrebbe fatto con un qualunque amico. “Noi cercheremo il colpevole nel presente” Aspettò un istante, prima di rispondere alla domande silenziose degli altri. “Finché non scopriamo chi è stato e cosa ha cambiato, non possiamo essere certi che lo abbia fatto per il bene di Mou Hitori no boku” E non si poté far altro che assentire a questa affermazione.

“In questo caso, io vado nel passato” disse Jounouchi, il quale non si era mai fidato di Bakura, né era mai riuscito a perdonare a Marik il controllo mentale che aveva avuto su di lui a Battle City.

“Non ci pensare neanche, bonkotsu” lo deluse immediatamente Kaiba. “E’ già un problema, per me, mandare questo due, figurati il campione dei perdenti”

Il biondo strinse le labbra all’ennesimo insulto. “Se la situazione non fosse grave, ti prenderei a calci nel sedere”

“E provaci” sorrise Seto ironicamente. Al suo fianco, Roland, silenzioso, infilò la mano nella tasca dei pantaloni.

“Non ho tempo da perdere” Si girò, strappò la lista dalle mani di Yuugi e si avviò verso l’uscita. “Andiamo da Hirutani: prima troviamo il colpevole, meglio è” Ed i ragazzi, salutando leggermente gli altri, si accinsero a seguirlo, onde evitare che combinasse qualche guaio per la troppa foga e per la rabbia.

“Per voi” Seto si rivolse a Bakura e Marik, passandogli due semplici guanti bianchi con un pulsante blu sulla parte del dorso. “Pronti a partire?” Premette un pulsante sulla tastiera e la porta della cabina si aprì.

“Fai meno chiacchiere” sbottò l’albino, entrando nella macchina mentre si infilava il guanto alla mano destra. Marik lo seguì.

“Ti accontento subito” commentò Seto, premendo un'altra serie di pulsanti sulla tastiera con abile velocità. “Via!”

Le porte si chiusero con un leggero suono cigolante, quindi la luce nel soffitto si accese. Da dentro, la macchina del tempo somigliava ancora maggiormente ad un ascensore, ma non avendo né pulsanti per decidere la destinazione né botola, era molto più soffocante, e dava l’idea di una prigione dalla quale era impossibile uscire. Inoltre, alla partenza i due ragazzi non sentirono alcun rumore o alcun movimento né il salita né in discesa, solo un fastidioso ronzio nelle orecchie, come se una mosca stesse volando attorno alle loro teste. Quando cessò, le porte si aprirono, lasciando stupefatti i passeggeri che erano convinti di trovarsi ancora nello stesso posto.

Uscirono lentamente dalla cabina, e furono accecati da un sole caldo, che scottò la pelle e gli occhi come se una fiamma viva ci fosse passata sopra. Dopo che la loro vista si fu finalmente abituata a quella luce soffocante, che faceva loro bagnare le maglie leggere dal sudore, ebbero il coraggio di voltarsi: la macchina del tempo era scomparsa. Attorno, si stendeva solo una poco familiare distesa di sabbia rossa e bollente, che si perdeva nell’orizzonte, e, poco lontano, una serie di altipiani che formavano costruzioni simili a canyon.

A quanto pareva, si trovavano in Egitto, tremila anni prima.

Nella prossima puntata…
Sono decisamente molto preoccupato… Chissà cosa sarà successo a Mou hitori no boku… Anche se, adesso, quello che mi preoccupa di più è quello che potrebbero combinare Marik e Bakura nel passato… Ma non toccheranno nulla, vero? Vi prego, qualcuno mi dica che non toccheranno nulla!
Prossima puntata: “Come trovare guai quando questi non ti vengono a cercare“ Non perdetela!  

Hola!
Grazie a
Death Angel, Likos, Ayuchan e Evee per le recensioni, e soprattutto per i complimenti che avete fatto al mio stie, sul serio, non lo credevo così tanto buono come mi avete detto. Mi fa anche molto piacere che abbiate visto “Ritorno al futuro”, perché è davvero un film che merita e che non credo proprio che avrò modo di eguagliare con la mia storia. Comunque, come vedrete, vi si distaccherà anche molto: alla fine, la sola cosa che ho preso, è l’idea del viaggio del tempo, anche se praticamente è quella centrale del film ^^’’ A proposito, ho saputo che hanno intenzione di girare il quarto film della saga! Chissà come verrà…
Ho dovuto aggiungere l’avviso “spoiler!” perché, dal prossimo capitolo, appariranno dei personaggi della nuova serie e non so se saranno già comparsi in tv ora che danno le puntate due volte a settimana. Mi scuso anche per le parolacce che ho scritto, solo che mi sembravano adatte ai personaggi, anche se nell’anime non le pronunciano. Voglio dire, Bakura era un ladro, Jounouchi un teppista… Due così, nella realtà, ne direbbero a iosa, e mi sembrava più realistico fargliele pronunciare anche nella mia storia. Spero di non offendere nessuno.
Evee mi ha fatto notare che ho inserito dei termini in giapponese (e sono contento che ti piaccia come idea ^^) dando per scontato che il lettore li conoscesse. Se così non fosse, fatemelo presente e provvederò a tradurli. Ancora grazie per i commenti, e
, grazie anche a chi avesse solo letto la storia. Continuate a seguirla. A presto.
Hui Xie

 

 

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Capitolo 3
*** Come trovare i guai quando questi stanno alla larga ***


Come trovare guai quando questi stanno alla larga

Come trovare guai quando questi stanno alla larga

 

“Deserto, deserto… e ancora deserto” commentò Bakura, guardandosi attorno. “Decisamente, Kaiba è un imbecille. Cosa spera che riusciamo a fare qui?” Scoccò uno sguardo alle montagne in lontananza. “Quella dev’essere la Valle dei Re…”

Marik, abituatosi facilmente a quel sole caldo con il quale aveva sempre convissuto, si stava esaminando con curiosità il guanto che gli avevano fatto indossare, domandandosi a cosa potesse mai servire. Sperava che, in qualche modo, fosse collegato con la strada per il ritorno a casa. In quel momento, il pulsante blu sul dorso si illuminò.

“Ehi, mi sentite?” uscì la voce di Kaiba.

Titubante, Marik premette il pulsante, e ne uscì immediatamente piccolo schermo proiettato, dal quale spuntava il viso di Seto.

“Siete arrivati?” gli domandò lui, spiccio.

“Si, ma… Dove cazzo ci hai mandato?!” intervenne Bakura, che aveva una gran voglia di picchiarlo.

“Dovreste essere nel mille e trecento ventotto avanti Cristo, non troppo lontani da Luxor” spiegò lui brevemente. “La macchina del tempo non ha una precisione geografica. Adesso, ascoltatemi. Questo schermo mi serve per comunicare con voi in caso di emergenza, ma non solo. È anche la vostra macchina del tempo portatile. Lo vedi quel simbolo in basso a destra?”

Marik osservò il fondo dello schermo, dove appariva più nitido un quadratino con il disegno di una chiave. Lo toccò leggermente, e l’immagina proiettata cambiò: divenne una cartina approssimata dell’Egitto, con sotto una specie di contatore della data e dell’ora. “Si, lo vedo”

“Ti basta cambiare direttamente lì per spostarti dove vuoi, ma…” lo avvertì. “Io controllerò sempre la situazione dalla postazione di controllo. Nel frattempo, cercherò anche di scoprire esattamente in che punto sia avvenuta la distorsione, o almeno di isolare una parte di tempo. A più tardi” E interruppe la comunicazione senza nemmeno salutarli, facendo spegnere lo schermo.

“Ciao…” sospirò Marik scuotendo la testa. aveva fatto un grosso errore a seguire Bakura, lo sapeva, ma ormai era troppo tardi per rimediare. “Il problema è che non sappiamo nemmeno da dove cominciare… Se solo conoscessimo il nome del Faraone, sapremmo dove andare…”

“Io lo conosco” commentò Bakura con un’alzata di spalle, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Co-co-cosa?!” esclamò Marik, guardandolo con occhi spalancati. “Tu conosci il nome del Faraone Senza Nome, segreto che la mia famiglia custodisce da anni e che è- era tatuato sulla mia schiena?”

“Frena, frena” Bakura incrociò le braccia. “Sai bene che in Egitto c’è differenza fra nome proprio e nome segreto. Quello che conosco io è il primo, ed è pure scritto sui libri di testo, il secondo è quello che non conosce nessuno, nemmeno lui stesso” Gli scoccò un’occhiata eloquente. “Come suppongo che “Marik” sia il tuo nome segreto e “Namu” il tuo nome proprio…”

L’egiziano ignorò la seconda parte della frase. “Basterà sapere il primo. Chi è?”

“Ramses” rispose l’albino. “Ramses I, il capostipite della diciannovesima dinastia”

A sentire quel suono, Marik non potè fare a meno di sorridere. Nel futuro, stavano chiamando con la parola “Yami”, oscurità, qualcuno che, in realtà, era “il figlio della luce”: fortuna che un nome aveva smesso di decidere un destino. “Siamo nel mille e trecento ventotto, quindi sotto il regno di Horemheb… Anno undicesimo, direi, perciò dobbiamo spostarci di-” Stava per premere di nuovo il pulsante, quando fu interrotto da un leggero urlo che attraversò il deserto, espandendosi in tutte le direzioni. “Cos’è?”

“Lascia perdere” tagliò corto Bakura. “Dicevamo?”

Un altro urlo, identico al precedente, li interruppe nuovamente. Non sembrava qualcuno in pericolo, o il grido di una persona spaventata, però era una richiesta di aiuto estremo, qualcosa di dolce, triste e preoccupato allo stesso tempo.

“Viene da quelle rocce…” commentò Marik, voltando leggermente la testa. Non l’aveva detto, ma dalla sua voce traspariva chiaro il desiderio di recarsi per controllare la situazione.

Bakura sospirò, quindi, senza nulla aggiungere, iniziò a comminare per dirigersi in quella zona, con il suo amico che lo seguiva, sempre attirati dalle urla che proseguivano a intervalli regolari. Affacciandosi da una delle pietre rotolate dalla cima della montagna, scoprirono ben presto la causa di tutto quel baccano. Una donna, dai lunghi capelli neri lucidi, stava sdraiata per terra, con le gambe aperte e piegate a v, e l’addome gonfio completamente sporco di sangue per un parto che si annunciava difficile.

“Dai, andiamocene” disse Bakura, ritornando sui suoi passi. “Ti ricordo che noi siamo venuti a riportare il passato al suo posto, non a modificarlo ulteriormente”

Certo, questo Marik lo sapeva molto bene. “Però…” Come non ricordarsi che sua madre era morta nel farlo nascere? Da un ricordo del genere, come poteva trovare dentro di sé la forza di abbandonare una donna nelle stesse condizioni? Lui non era un bravo ragazzo, lo ammetteva, ma in quel caso sentiva di dover fare qualcosa, solo per evitare che a qualcuno potesse capitare ciò che era invece accaduto a lui.

“Oh, e va bene!” acconsentì infine Bakura, sapendo come sarebbero andate a finire le cose. I due uscirono quindi da dietro la roccia e si avvicinarono alla donna.

Lei, non appena li vide, alzò leggermente la testa, e sorrise. “Gra… Zie…” disse solo, lasciando che una delle tante gocce di sudore che le attraversavano il viso le scivolasse in bocca.

“Adesso ci pensiamo noi” assicurò Marik, che in realtà non sapeva esattamente che cosa fare. Si chinò leggermente, giusto per vedere la vagina, completamente sporca di sangue, che si allargava e restringeva a ritmo costante, cercando di spingere fuori quello che si trovava all’interno del ventre. Scoprì in quel istante che non sarebbe mai diventato medico.

“Se usassimo il metodo usato da Ace Acchiappanimali?” propose Bakura. “Spingiamo sulla pancia e lo spariamo fuori”

“Si, sicuramente” commentò Marik senza prestargli ascolto. Allungò leggermente le mani verso la donna, quindi le ritrasse. Fece così un paio di volte, finché Bakura non irritò il suo orgoglio chiedendogli se stesse facendo una qualche danza propiziatoria. “Mi vergogno… A toccarla lì” ammise infine.

“Sei proprio un incapace” Bakura alzò gli occhi al cielo. “Lascia, faccio io” Si mise al suo posto e, senza alcun problema, infilò le mani ai lati della vagina, cercando di allargala, quindi spinse le dita un poco più in profondità, sentendo che toccavano qualcosa di duro all’interno. Cercò di stringere più che poteva quell’oggetto viscido e di estrarlo. Marik, solo per avere l’impressione di fare qualcosa, si avvicinò alla donna e le asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto.

“Oh, spinga, signora!” esclamò ad un certo punto Bakura. “Non è che posso fare tutto io!”

“Lo… So…”

Infine, il ragazzo sentì quella cosa viscida fasti strada tra le sue dita, e diventare più grossa. Allora estrasse le mani e cercò di allargare il varco più che poteva, finchè l’intera testa del bimbo non spuntò all’esterno. Allora la prese, senza troppe precauzioni, e iniziò a tirarlo con più grazia di quanta ne avesse finchè, con un ultimo urlo, il neonato nacque del tutto, liberando il ventre della madre che si lasciò andare ad un lungo sospiro.

Bakura, solo per il gusto di completare un lavoro, liberò il collo del bambino dal cordone ombelicale che stava rischiando di soffocarlo e glielo tagliò con il coltello a serramanico che portava sempre nella tasca dei jeans bianchi.

“Perché… non piange?” domandò Marik tremando, mentre si avvicinava per controllare meglio la situazione.

“Che ne so, io” borbottò Bakura, cercando di liberarsi dal cordone ombelicale che si infilava dappertutto. “Forse è morto”

“Non dirlo nemmeno per scherzo!”

Per non sentire ulteriormente le lamentele del suo amico, Bakura iniziò a schiaffeggiare le guance paffute del neonato, per farlo riprendere. “Ehi, sveglia, è ora di colazione” Finalmente, il bimbo allungò le braccine e le gambine, muovendo i muscoli per la prima volta, fece il suo primo vero respiro, che portò dentro di sé anche il soffio della vita e, infine, iniziò a piangere.

La donna, nel frattempo, stava cercando, con enorme fatica di alzarsi. “Presto… Bisogna dargli un nome! O i demoni lo divoreranno…”

“Un nome?” commentò Bakura. “Ma come…” Guardò il bambino. “A… A… At…”

“Athemu” terminò la parola Marik, limitandosi ad aggiungere la parola egiziana che valeva per servo, semplicemente perché gli sembrava che stesse bene con le prime due lettere trovate dall’altro.

“Atemu? Ma che nome è?” Bakura fissò prima l’amico, poi il bambino e infine dedusse che non gliene importava poi molto di tutta quella storia.

“Atemu…” ripetè la donna, che era riuscita finalmente ad alzarsi. “E’ un bel nome” Prese delicatamente il bambino, e se lo appoggiò al seno, cullando per far cessare le lacrime. Poi fissò i due ragazzi, sorridendo. “Tu sei egiziano…” disse a Marik. “Tu invece no…” Bakura si astenne dallo spiegarle che, in realtà, lo era anche lui. “Questi sono brutti tempi per venire nella nostra terra, visto che siamo in guerra con gli Ittiti” Sospirò, guardando il piccolo Atemu che, ignaro di tutto, si stava riaddormentando nelle sue braccia. “Anche se Akunakamon li combatte da sempre, quelli diventano sempre più forti…”

“Akunakamon è il nome segreto di Horemheb” sussurrò Bakura a Marik prima che quest’ultimo chiedesse spiegazioni che avrebbero potuto insospettirla più degli strani abiti che indossavano.

“Atemu sarà il suo nome segreto…” riflettè lei, accarezzando leggermente una guancia al bambino, e passando un dito sui capelli neri che aveva già folti. “Per il nome proprio, però, vorrei qualcosa di più significativo… Qualcosa che ricordi Ra…”

Approfittando di questo momento poetico in cui la donna si era immersa, Marik e Bakura, avendo portato a termine la loro buona azione quotidiana, pensarono bene di defilarsi prima di essere coinvolti ancora. Si allontanarono di un centinaio di metri, nascosti dietro un’altra roccia.

“Allora, abbiamo detto che siamo nel mille e trecento ventotto avanti Cristo” Marik premette il pulsante blu sul suo guanto, facendo apparire la solita schermata. “Il primo anno di regno di Ramses I risale al mille trecento quattordici… E la capitale era Menfi…” Premette prima il tasto della città sulla cartina, quindi iniziò a scalare gli anni nel contatore per riuscire a raggiungere la cifra esatta.

Prima che finisse, tuttavia, un uomo a cavallo arrivò dietro di loro, galoppando silenziosamente. “Che state facendo?” chiese, poiché nessun estraneo avrebbe dovuto avvicinarsi alla Valle dei Re.

Preso alla sprovvista, Bakura per prima cosa si spaventò, quindi, rientrato in possesso delle sue facoltà mentali nel giro di cinque secondi, premette sulla schermata il tasto “invio” ancora prima che Marik avesse completato di selezionare l’anno. La macchina del tempo si mise in funzione ugualmente, portandoli nel luogo e nel momento che avevano scelto a loro stessa insaputa.

*-*-*

Nel frattempo, circa tremila anni più tardi, il gruppo di detective composto da Yuugi, Honda, Anzu e Jounouchi si era recato in uno dei quartieri più poveri di Domino City, ovvero la periferia ad ovest, dove il biondo ricordava si trovasse la casa di Hirutani.

“Io sono sempre più convinto che non può essere stato lui” commentò Honda, mentre i quattro ragazzi salivano le scale sporche e lise di uno dei tanti condomini popolari che componevano quella zona. “D’accordo, vi odia, ma da essere così scaltro da andare addirittura nel passato…”

Jounouchi non lo ascoltò minimamente. Si limitò a proseguire il suo cammino fino ad arrivare davanti ad una porta anonima in legno, completamente rigata, che dava l’impressione di dover cadere da un momento all’altro. Bussò, ma non ricevette alcuna risposta. Allora, senza nemmeno aspettare, prese una rincorsa e sfondò la porta con una spallata.

“Jounouchi!” esclamò Anzu. Anche Yuugi non lo riconosceva più: certo, non era mai stato particolarmente calmo di carattere, ma ne passava di acqua sotto i ponti fino all’arrivare allo sfondare una porta solo perché non qualcuno non aveva risposto.

Il ragazzo, cercando di ignorare i giusti commenti dell’amico, entrò per primo nella prima stanza della casa, un ampio salotto completamente occupato da riviste porno e vestiti smessi, sparsi nel pavimento assieme a scarti di cibo, lattine di birra vuote e altra spazzatura varia. L’odore di chiuso e di marcio gli penetrò nelle narici, e dovette portarsi una mano sulla bocca e stringerla forte per non vomitare. Riconobbe anche un altro puzzo: quello dell’alcol, che caratterizzava anche la sua stessa casa, a causa di quell’ubriacone di suo padre al quale, tuttavia, voleva ancora un poco di bene.

Hirutani era completamente stravaccato sul divano, con i piedi appoggiati ad una pila di riviste davanti a lui. In mano, stringeva ancora una lattina di birra vuota, e un filo di quel liquido gli usciva ancora dalla bocca. Avvicinandosi a lui, potè notare i vestiti sporchi e i capelli unti, segno che era passato molto tempo dall’ultimo bagno.

“Non entrate” ordinò Jounouchi, con una voce così seria da farsi ubbidire immediatamente. Vedendo il suo ex-amico, era divenuto subito chiaro anche a lui che non si trovava di fronte il colpevole. “Che diavolo stai facendo?” gli domandò.

Hirutani staccò per un attimo gli occhi dal televisore spento che stava guardando. “Ah… Sei tu…” Ma sembrava che non l’avesse riconosciuto veramente.

“Ti ho chiesto che diavolo stai facendo” Lo afferrò per un braccio e gli sollevo la manica, scoprendo il livido blu sulla vena, rimasuglio di numerose iniezioni. “Che cazzo stai facendo, eh? Che cazzo fai?!”

“Eh… Eh…” Sorrideva, ma senza alcuna gioia o soddisfazione. Sembrava uno spasimo di morte.

Il biondo sospirò, quindi lo rigettò sul divano con forza. Si diresse verso il bagno, una piccola stanzetta buia e ancor più soffocante, e iniziò a cercare nei cassetti e negli armadietti, finché non trovò quello che cercava: delle siringhe e una serie di boccette contenenti un liquido trasparente. Le afferrò con l’intenzione di gettarle via, ma, prima che potesse farlo, Hirutani lo afferrò per un polso, senza alcuna forza.

“Tu… Che cazzo stai facendo?” Ma Jounouchi lo scaraventò contro la parete opposta con un calcio. Hirutani cadde in ginocchio, quindi si trascinò lentamente fino ai suoi piedi e gli strinse le gambe. Piangeva. “Per favore… Dammelo… Ne ho bisogno… Dammelo…” lo supplicò, cercando una forza che non possedeva più.

Jounouchi gettò tutte le boccette nel water, stando bene attento a romperle nell’impatto, quindi tirò lo sciacquone. Poi se lo scrollò di dosso e lo abbandonò nel bagno, ancora in lacrime pietose, e uscì con sollievo da quella terribile casa. “Chiamate un’ambulanza” disse solo ai suoi amici, prima di scendere le scale del palazzo.

Anzu prese il suo cellulare e fece come le era stato chiesto, mentre, assieme a Yuugi e Honda, seguiva il ragazzo fino in strada. Jounouchi continuava a camminare senza aspettarli. “Mi domando perché si senta così in colpa” commentò una volta terminata la telefonata. “Dopo tutto quello che Hirutani gli ha fatto…”

“Ti sbagli” la contraddisse Honda. “Non è senso di colpa, è paura. Jounou si è appena reso conto che avrebbe potuto fare la sua stessa fine, se fosse rimasto con lui… Se non avesse conosciuto te, Yuugi”

Il ragazzo, sorpreso da quelle parole, distolse per un attimo lo sguardo dalla schiena del suo migliore amico, che camminava qualche metro davanti a lui.

“Tu ci hai salvato” aggiunse Honda, sorridendo.

“Ehi, muovetevi, lumache!” chiamò Jounouchi. “Qui, il tempo non solo manca, ma cambia anche! Dobbiamo sbrigarci”

Yuugi sorrise debolmente alle frasi dei suoi amici, ma in fondo al cuore non riusciva del tutto a crederlo. In realtà, erano loro che avevano salvato lui, sempre, a partire dall’altro sé stesso. Era solo un ragazzino debole e magrolino, che tutti scambiavano per uno studente delle elementari, il cui unico pregio era elaborare delle strategie a Magic&Wizards. Quello che aveva chiesto al puzzle erano degli amici… E li aveva trovati. Da solo, ci sarebbe mai riuscito? Ricordando la visione della dimensione alternativa che aveva visto la mattina, non ne era affatto convinto. Ma non gli restava che proseguire sulla via che aveva tracciato, riprendendosi la metà della sua anima, pensando solo che aveva voglia di rivederla. Dopotutto, a nessun essere umano dovrebbe essere concesso di vedere il “se avessi fatto questa cosa al posto di un’altra”, perché generalmente si finisce per pentirsi delle proprie scelte.

 

Nella prossima puntata…
Passi che sono agli ordini di Kaiba. Passi che sono in compagnia di Marik. Passi che sono qui a perdere tempo. Passi che sto per salvare il mio peggior nemico. Ma il baby-sitter non lo faccio nemmeno morto, capito?!
Prossima puntata: “Meet the little pharaoh” Non perdetela!

 Hola!
Ringrazio tutti per aver letto la mia storia e soprattutto bnr (sono contento che lo stile ti piaccia e che, soprattutto, si capisca che cosa sta succedendo… Visto tutti i personaggi che bisogna far interagire assieme…), Death Angel (grazie dei complimenti, ma non preoccuparti, so che non posso competere con Harry Potter! ^_-), Evee (grazie mille, sono contento di non aver fatto OOC, è una delle mie più gradi preoccupazioni… Spero che questo capitolo non ti abbia delusa, nonostante l’anticipazione forse un po’ esagerata), Ita rb (non preoccuparti se non hai recensito la scorsa volta, sono comunque contento che la storia ti piaccia e sarà un onore entrare nei preferiti, ci mancherebbe!), Ayu chan (Seto dice che lasciare Bakura nel passato potrebbe sconvolgere il corso della storia… Tranquilla, Yami apparirà nel prossimo capitolo, anche se forse non alle dimensioni consuete… E mi fa piacere che tu abbia apprezzato l’idea delle anticipazioni ^^), Eli (ti assicuro che il film è molto meglio della mia storia… Guardalo e poi mi dirai ^_- Mi fa piacere che le anticipazioni ti piacciano, così in stile anime) e Ishizu (anche se non ho ben capito cosa volessi dire… Vuoi fare anche tu una storia su “Ritorno al futuro”?)
Come Death Angel e Evee mi hanno consigliato, metto la traduzione dei termini giapponesi:
Mou hitori no boku: l’altro me stesso (Yuugi indica Yami)
Mou hitori no Yuugi: l’altro Yuugi (gli altri indicano Yami)
Bonkotsu: uomo comune (Kaiba indica Jounouchi – la traduzione migliore sarebbe “insignificante”)
Kun: non ha nessun significato in italiano, è solo un vezzeggiativo che si usa  
Credo di averli messi tutti… Se così non fosse, avvertitemi. Grazie ancora a tutti, ci vediamo alla prossima, spero presto.
Hui Xie

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Capitolo 4
*** Meet the little pharaoh ***


Meet the little pharaoh

Meet the little pharaoh

"Accidenti, e adesso dove siamo finiti?" si lamentò Marik, osservando davanti a sé un giardino di piante esotiche e fiori colorati, dietro al quale si ergeva imponente un grande edificio dalle pareti affrescate ad immagini di simboli dal recondito significato, simili al tatuaggio che aveva sulla schiena e che, quindi, non gli evocavano ricordi positivi.

"Mah…" fu il commento di Bakura, che si stava lavando le mani ancora sporche di sangue e placenta nello stagno del giardino, cercando anche di rendere meno visibile la macchia rossa che aveva sulla maglietta. "Sembra che abbia ucciso qualcuno… L’unica volta che non è così!"

Solo in quel momento Marik si rese veramente conto di quello che avevano fatto. "No, non ci posso credere… E se adesso avessimo sconvolto tutto? Se quel bambino e sua madre dovevano morire?"

"Oh, sarà tutta colpa tua" alzò le spalle Bakura. "Dai, al massimo li uccidiamo noi" Dopo l’occhiata di fuoco che l’egiziano gli scoccò, si dovette correggere. "Stavo solo scherzando…" Sembrava veramente molto suscettibile per quanto riguardava i problemi di parto.

"Non siete proprio cresciuti da quando ci siamo visti, e dire che sono passati ben sei anni" disse una voce alle loro spalle. "Siete proprio degli spiriti…"

Si voltarono, e rividero davanti a loro la stessa donna incontrata qualche momento prima, riconoscibile nonostante il tempo che aveva agito su di lei, rendendole i seni molli e cadenti per l’allattamento e scavandogli alcune rughe leggere ai lati degli occhi e della bocca.

"Spero che le mie offerte vi siano arrivate" proseguì, stropicciandosi le mani. "Grazie ancora"

Solo allora Bakura si rese conto di una cosa, e si maledisse per non essersene accorto prima. Visto che l’avevano incontrata in un luogo sperduto, e senza scorta, si era persuaso che si trattasse di una poveraccia, di una vagabonda, e non aveva nemmeno notato che indossava, al contrario, dei vestiti di seta pregiata, e che non aveva la pelle rovinata dai lavori nei campi o nelle botteghe. Solo che se ne era appunto accorto in quel momento, vedendola ingioiellata e con un diadema d’oro sulla testa, che risaltava tra la chioma nera.

"Voi comparite sempre quando ho bisogno di voi" disse lei. "Mi spiace dovervi chiedere ancora un favore, ma non so proprio a chi affidare i bambini. Il loro maestro è occupato in una missione importante… Dopotutto è uno dei sei custodi… E non posso sempre chiedere aiuto a Shimon, lui è il gran visir! Non ha tempo di badare a dei bambini"

"Come se noi lo avessimo" sbottò Bakura a sentire il nome di Shimon, che ricordava essere il custode della chiave millenaria.

La donna li abbracciò. "Grazie!"

"Ma non ti abbiamo ancora detto di si…" cercò di spiegare Marik, mentre soffocava sotto la sua presa.

Lei li lasciò, quindi scomparve per un attimo dietro alle piante del giardino e ritornò accompagnata da un gruppo di sei bambini, tre maschi e tre femmine. Si rivolse ad uno di loro, lo prese per mano e lo condusse davanti ai due ragazzi che stavano pensando a come poter sfuggire a quella situazione. "Questo è il bambino che avete fatto nascere" disse loro. "Su, Ramses, salutali"

"Ramses?" pensò Bakura e, incuriosito, abbassò lo sguardo sul bambino.

Anche Marik fece la stessa cosa, quindi toccò leggermente la spalla dell’amico e gli sussurrò: "Ma non ti ricorda qualcuno?"

"Tao…" fece il piccolo Ramses con una vocetta infantile, osservandoli incuriosito.

Bakura passò lo sguardo sui suoi occhi viola, sulla frangetta bionda e sui capelli neri che stavano crescendo leggermente a punta, diventando viola alle estremità. "No, non dirmelo…" commentò all’indirizzo di Marik. "Non dirmi che abbiamo fatto nascere… quel Faraone!"

"Abbiamo fatto di peggio" negò l’amico, non meno sconvolto. "Gli abbiamo anche dato il suo nome segreto, la chiave di tutto il suo potere"

"Allora, grazie" sorrise la donna, dando ai due ragazzi due leggere pacche sulle spalle. Questi, in realtà, non erano rimasti in silenzio perché avevano accettato l’incarico affidatogli, ma perché troppo sconvolti da quello che avevano fatto.

"Fate i bravi" Lei ammonì i bambini senza troppa severità, quindi fece per andarsene, ma Ramses le afferrò il lembo della gonna, cercando di trattenerla.

"Quindi questa è Baketamon…" rifletté Bakura, che non aveva realizzato ancora la situazione. "La moglie di Horemheb Akunakamon…"

Baketamon staccò dolcemente le mani del figlio dalla sua gonna e lo accarezzò leggermente sulla fronte. "Non posso restare, lo sai" Quindi, senza indugiare oltre, si allontanò, stando ben attenta a non farsi seguire.

Ramses rimase ad osservarla finché non fu scomparsa dall’orizzonte, poi grossi lacrimoni iniziarono ad uscire dai suoi grandi occhi. Si sedette a terra e iniziò a strofinarseli. "Uue…" Il singhiozzo si trasformò in un pianto dirotto.

Bakura si appoggiò le mani sulle orecchie, sentendo i timpani doloranti. "Ti prego, fallo smettere!"

"Si, e come?" Marik si massaggiò le tempie, sentendo che stava per arrivare un forte mal di testa. Fortunatamente, si ricordò di una cosa che Rishid gli aveva raccontato sulla sua infanzia e sperò che potesse funzionare anche con altri bambini. Si mise a terra gattoni davanti a Ramses. "Vuoi fare cavallino?"

Il bambino smise di urlare, ed osservò incuriosito il nuovo arrivato, che lo invitava a salire sulla sua schiena. Si asciugò le lacrime dagli occhi, che gli appannavano la vista, e, con titubanza, si arrampicò sulla schiena di Marik. Bakura tirò un sospiro di sollievo per il silenzio ristabilito.

Ramses, scoperto quanto fosse divertente girare per il giardino trasportato in quel modo, iniziò ad urlare: "Veloce, veloce!", aggrappandosi alla testa di Marik per non cadere.

"Non tirarmi i capelli!" esclamò il povero ragazzo. Immediatamente, altre lacrime si addossarono sulle ciglia dl bambino, così che Marik dovette correggersi immediatamente e aumentare l’andatura pur di evitare gli strilli.

Gli altri bambini, a parte uno, incuriositi da quel nuovo gioco, ebbero la straordinaria idea di montare in groppa a Marik tutti insieme, incitati anche dallo stesso Ramses, senza preoccuparsi minimamente del proprio peso. Inevitabilmente, le braccia del ragazzo non ressero a tutto quel carico, e, alla fine, Marik si accasciò a terra, facendoli precipitare tutti in malo modo.

"La mia povera schiena…" mormorò, senza riuscire ad alzarsi.

"Ma perché ti sei fatto coinvolgere?!" si lamentò Bakura, che si era appena ripreso dal mal di testa.

Ramses ed un’altra bambina che sembrava ancora più piccola di lui stavano per rimettersi a piangere, ma furono interrotti dall’unico dei loro compagni rimasto a terra. "E voi sareste davvero degli spiriti mandati dagli dei?" domandò questi, osservandoli scettico con i suoi profondi occhi blu seminascosti dalla frangetta castana. "A me sembrate solo due sempliciotti che non hanno pazienza e non sono in grado di controllare la propria rabbia"

Prima che Marik e Bakura potessero ribattere, lamentandosi del fatto che un bambino, certo, magari anche di dieci anni, ma pur sempre un bambino, potesse parlare in quel modo, intervenne un’altra bambina, della sua stessa età, dai lunghi capelli color cioccolata. "Sethi! Non sei gentile!" E lo rimproverò fissandolo con i suoi occhi verdi.

"E sta’ un po’ zitta, Tuya" ribattè lui.

"Sethi?" ripetè Marik.

"Allora questo è Kaiba…" dedusse Bakura, quindi entrambi aggiunsero: "era antipatico fin da piccolino!"

"Tu che ne pensi, Mahado?" domandò Sethi al bambino più grande, probabilmente sui dodici anni, che aveva la carnagione leggermente più chiara rispetto alla loro, e i lineamenti un poco più dolci.

Quello alzò le spalle. "Se l’ha detto la Grande Sposa Reale…"

"…dev’essere così" terminò la frase l’altra bambina di nove anni, l’unica ad avere i capelli neri come gli egiziani purosangue.

"Anche tu, Isis…" sbuffò Sethi, quindi incrociò le braccia e rivolse lo sguardo altrove, offeso per essere in minoranza.

Marik, finalmente, si riprese dalla botta subita e si alzò, ripulendosi i pantaloni beige. "Che si fa?"

Bakura riflettè per un attimo. "Ho un’idea" disse infine. "Bambini, ascoltatemi, ora faremo un gioco…"

"Meno male che ero io quello che si faceva coinvolgere…" commentò ironico Marik, incrociando le braccia.

Il ladro lo ignorò. "Adesso io conto fino a sessantuno, nel frattempo voi vi nascondete, poi io vengo a cercarvi. Se riesco a trovarvi ho vinto io, altrimenti avete vinto voi. Tutto chiaro?"

I bambini, avvicinatisi per ascoltare le regole, annuirono, curiosi di provare un gioco straniero. Tutti tranne Sethi, ovviamente. "Io non gioco" affermò, e si sedette sotto l’albero di sicomoro più vicino con uno sguardo di sfida.

Bakura si trattenne dallo strozzarlo seduta stante. "Pronti?" Si nascose il volto con le mani. "Via… Uno, due…"

"Tu non guardare" Tuya ammonì Marik, il quale fu costretto a coprirsi gli occhi pur i mandarli via. Il gruppetto si disperse quindi per tutto il guardino. "E ora?" chiese il ragazzo, non appena Bakura ebbe terminato di contare, per altro troppo in fretta per credere che fosse veramente arrivato fino a sessantuno. "Non vorrai andarli a cercare sul serio"

"Certo che no" sbuffò l’albino. "Adesso ce la filiamo mentre sono nascosti"

Prima che potessero allontanarsi, una voce li fermò. "Quetto gioco è butto" Ramses era uscito dal suo nascondiglio: evidentemente si annoiava a stare fermo in un unico posto per troppo tempo.

Bakura contò mentalmente fino a dieci. "E’ bellissimo, invece. Fila a nasconderti!" Gli occhi di Ramses si riempirono di lacrime.

"Va bene, va bene" intervenne Marik, prima che al suo amico venisse un infarto per la rabbia. "Facciamo qualcos’altro…" Tutti i bambini, tranne Sethi, che non si era minimamente mosso, si radunarono di nuovo davanti a loro. Il ragazzo prese il primo rametto che trovò e disegnò una chiocciola sul terreno fangoso, poi la divise in quadrati. "Bisogna arrivare saltellando su un piede solo fino al centro e poi tornare indietro. Chi ce la fa vince una casella su cui gli altri, al turno successivo, non possono passare"

"Bello…" commentò la più piccolina, che aveva grandi occhi verdi brillanti e disordinati capelli castano scuro. "Io, io!"

"Dai, Mana, prova" la incoraggiò Mahado, che si era evidentemente autonominato suo fratello maggiore.

I bambini furono subito presi da questo nuovo gioco, e si disinteressarono totalmente dei loro baby-sitter.

"Che roba è?" domandò Bakura divertito, che si era seduto sotto un altro albero, quando Marik lo raggiunse. "La versione taroccata di campana?"

"L’importante è che li tenga occupati e non li faccia piangere" ribattè lui, seccato. "Ed è meglio di quanto abbia fatto tu…" E qui sorrise ironico, avendo come risposta solo uno sbuffo seccato.

Per qualche minuto la situazione rimase tranquilla, finchè non toccò a Ramses provare a terminare il percorso. Finora, c’era riuscito solo Mahado, che aveva conquistato la prima casella. Nel tentativo di saltarla, come da regolamento, Ramses incespicò, per aver le gambe corte di un bambino di sei anni, e cadde lungo e disteso per terra.

Bakura maledì mentalmente tutte le cose che gli vennero in mente. "Adesso si mette a frignare, lo sento…"

La sua predizione si avverò nemmeno un istante dopo, poiché il principino scoppiò in un pianto dirotto. "Voio vincere io!" gridava.

Marik, che si era alzato ed era andato a controllare la situazione, non potè resistere dal ridere di questa affermazione. "Non si può vincere sempre, mio caro Re dei Giochi" E si sentì quasi sollevato nello scoprire che anche il Faraone, in fondo, era una persona normale, o quasi.

"No, la colpa è mia" intervenne Mahado. "Non avrei dovuto vincere"

Bakura, che aveva chiuso gli occhi cercando di concentrarsi su qualcos’altro pur di non sentire le urla, li riaprì immediatamente.

Voglio vedere il mondo che vuoi creare per noi…

Io diventerò il tuo servitore per sempre, faraone…

Per sempre…

Si alzò e si avvicinò al gruppo. "Non è proprio colpa tua. Non è affatto colpa tua" gli disse. Afferrò Ramses per la collottola, se lo mise a dorso in giù sulle ginocchia e iniziò a sculacciarlo, fregandosene altamente dei suoi urli.

Scherzavano? Quando era piccolino, e già costretto a rubare pur di sopravvivere, aveva sempre pensato al Faraone come ad un essere capriccioso, che faceva il bello e il cattivo tempo, senza pensare a nessun altro che non fosse sé stesso. Poi, aveva incontrato il "Faraone Yami" e lo aveva visto sacrificarsi per salvare il suo popolo: anche se non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno a sé stesso, un poco l’aveva ammirato, e aveva pensato che forse non tutti i sovrani fossero indisponenti. Invece, adesso scopriva che anche lui era come se lo era immaginato e, probabilmente, anche il suo stesso sacrificio era stato un caso.

Mahado, lui si che si era sacrificato, solo per aiutare qualcuno che non lo meritava affatto. Quando lo aveva visto diventare il Mago Nero, si era stupito di un simile gesto, ma, riflettendoci, era comprensibile, visto che si trattava di salvare un paese, oltre che di proteggere il Faraone. Ma sentirsi in colpa per aver battuto un bambino in un gioco infantile… Era ora che qualcuno insegnasse l’educazione a quel principe capriccioso.

"Ci stai prendendo gusto?" chiese alla fine Marik, vedendo che non smetteva più di sculacciarlo.

"Si, devo ammetterlo"

Mahado era rimasto sconvolto da quella scena, poiché probabilmente nessuno, nemmeno suo padre, aveva mai osato alzare le mani su Ramses. "Smettila subito!" gridò. "Non toccare il principe!" Il Mago delle Illusioni, il suo ka, sebbene in una versione rimpicciolita più debole, comparve sopra di lui.

Bakura lasciò cadere Ramses e si gettò a terra giusto in tempo per evitare che una sfera di energia magica lo colpisse in pieno. "Come diavolo fa ad essere già capace di evocare il suo spirito?" commentò mentre si rialzava, con la bocca impastata di erba.

"Mahado è il principe di Mitanni" gli spiegò Sethi, che si era alzato dal suo posto per tutto quel trambusto. "Quindi il suo è un ka reale, più potente del normale. Anche se, qui a Menfi, è solo un ostaggio…"

"Ah, si…?" A sapere quelle notizie, il suo sacrificio durante la loro battaglia sembrava sempre più assurdo.

"Cosa sta succedendo qui?" Un anziano signore era appena arrivato dal fondo del giardino, facendosi riconoscere come il visir Shimon a causa della veste che indossava. Due guardie lo scortavano.

"E questo sarebbe gli occhi e le orecchie del Faraone?" commentò bonariamente Marik all’indirizzo della sua età avanzata. "Secondo me è orbo e sordo… E poi, somiglia al nonno di Yuugi…" Questo probabilmente era l’insulto peggiore che gli fosse venuto in mente.

"E purtroppo rompe pure quanto quel vecchio" gli fece eco Bakura.

Ramses si gettò tra le sue braccia, piangendo e strofinando il visino cicciotto contro la sua veste immacolata. "Micino, che cosa ti è successo…"

"Oh, gli farà male il culetto…" mormorò Bakura sottovoce, imitando il tono melenso del visir, tanto che Marik si dovette premere due dita sulle labbra per non scoppiare a ridere davanti ad un personaggio così importante, almeno a quei tempi.

"Loro…" Mahado puntò il dito contro i due ragazzi, prontamente imitato dagli altri bambini, Sethi a parte, che si limitò semplicemente a sbadigliare, "…hanno osato picchiare il principe Ramses"

"COSA?!" esclamò Shimon teatralmente. "Guardie, arrestateli immediatamente!" I due soldati che lo accompagnavano sfoderarono immediatamente le spade.

"Ma che, scherziamo?!" Marik indietreggiò di alcuni passi.

"Okay, ve la siete cercata…" L’anello millenario iniziò a brillare pericolosamente sotto la maglia di Bakura.

"Ma smettiamola, per favore!" Sethi si frappose fra i due e le guardie. "Ramses, mi fai proprio pena. Devi sempre andare a rifugiarti tra le gonne della mammina…"

Immediatamente, il bambino si staccò da Shimon e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. "Non è vero!" E battè un piede per terra.

Il visir guardò i due ragazzi, poi sorrise mestamente. "E va bene…" sospirò infine. "Ma d’ora in poi, evitate simili comportamenti nei confronti della famiglia reale…" Le guardie rinfoderarono le spade al suo cenno. Marik e Bakura risposero con un si molto poco convinto, e aspettarono che Shimon se ne andasse prima di sfogarsi imprecando contro chiunque, specialmente contro Mahado che aveva fatto la spia e con Sethi che, a detta loro, non avrebbe dovuto permettersi di aiutarli.

"Si, si…" replicò il ragazzino, del tutto indifferente alle loro critiche. "Adesso, che gioco avete intenzione di proporci?"

I due si guardarono. "Mi è venuta una bella idea…" commentò infine Marik. "Vieni, aiutami"

"E’ una delle intuizioni geniali come quelle che scovavi per uccidere il Faraone?" replicò sorridendo ironico Bakura, ma infine si decise ad aiutarlo. In poco tempo riuscirono a disegnare nel terriccio qualcosa di molto simile ad un piccolo campo da calcetto, con tanto di porte fatte con sottili rametti di papiro.

"Gioco anche io" disse Sethi, una volta che furono spiegate le regole. La cosa lasciò stupefatta anche i suoi stessi amici, i quali evidentemente non erano abituati a vederlo così socievole. Tuttavia, per non sembralo troppo, pretese di essere lui a decidere le squadre. Si mise quindi in squadra con le due ragazze, lasciando Mahado con i due piccolini, Mana e Ramses, in modo da essere abbastanza equilibrati.

Marik e Bakura si sedettero al confine del campo, in vece di arbitri, anche se poi finirono per farsi prendere dal gioco, visto che i bambini si impegnavano sicuramente di più dei giocatori normali, senza prendere miliardi.

Poi, Sethi dribblò abilmente Mahado, facendo passare la palla sotto le sue gambe, e tirò nella porta difesa da Ramses, il quale, per prenderla, finì per farsi colpire in viso. Il contraccolpo lo fece cadere rovinosamente a terra e, quando riuscì lentamente a rialzarsi, un sottile rivolo rosso iniziò a scendergli dal naso, attraversando la bocca e colando per il mento. Le labbra iniziarono lentamente a tremare.

Bakura alzò gli occhi al cielo, già preparato a ricevere un’altra scarica di urli. "Ra, abbi pietà!"

"Gol" commentò semplicemente Sethi, tornando nella sua metà del campo. "Forse questo gioco è troppo duro per il piccolo principe…"

Ramses si strofinò il naso con il dorso della mano, quindi recuperò la palla e la passò a Mahado. Nessuna lacrima uscì dai suoi occhi. "Stai bene attento, perché dalla mia porta non passerà più niente" Sethi si limitò ad un sorriso tra l’ironico e il soddisfatto, mentre osservava le labbra infantili del principe farsi sottili per la determinazione e le sopracciglia piegarsi leggermente per la concentrazione.

Marik e Bakura osservarono la scena senza parlare. "Erano rivali fin da bambini…" commentò alla fine il primo, una volta che il gioco fu ripreso.

"Rivali…" ripetè il secondo. Non ne era affatto convinto, non del tutto, almeno. Tutto ciò che Sethi diceva o faceva gli sembrava finalizzato solamente a suscitare l’orgoglio di Ramses, per renderlo meno frignone e mammone. Era come se lo stesse allenando a diventare un buon Faraone. Questa era l’impressione che aveva avuto guardando i due bambini.

"No" si corresse da solo Marik, come rispondendo ai suoi pensieri. "Erano compagni fin da bambini…"

Bakura annuì. "Ma, evidentemente, è destino che Kaiba perda contro il faraone" aggiunse, osservando con quale incredibile abilità nascosta Ramses riuscisse a parare tutti i tiri di Sethi.

Nella prossima puntata…
Mi domando proprio che diavolo stiano combinando tutti! Sono già passate cinque ore, e io non ho notizie da nessuno, né nel presente né nel passato. Ma dopotutto, cosa posso aspettarmi da un branco d’idioti come quelli? Lo sento, faranno solo casini, e altereranno ancora di più la storia… Scommetto quello che volete che porteranno qualcuno da un tempo all’altro!
Prossima puntata: "Colto in flagrante" Non perdetela!

Hola!
Chiedo scusa per il titolo del capitolo in inglese, ma in italiano mi stonava proprio, non mi piaceva. Comunque penso che abbiate capito tutti che la traduzione era "incontra il piccolo faraone". Sono anche contento che abbiano già trasmesso la puntata della morte di Mahado, così si capisce meglio a cosa si riferisce Bakura quando si arrabbia (a parte che si arrabbia continuamente…)
Come al solito, grazie a tutti per aver letto la storia, soprattutto a Ishizu (grazie dei complimenti), Death Angel (si, effettivamente le parti di Bakura e Marik sono quelle venute meglio, perché sono molto meno serie delle altre… Spero quindi che ti sia piaciuto tutto questo capitolo dedicato a loro ^^), Eli (ecco a te i nostri due "eroi" alle prese con il faraone… Come ti sembrano?
^_-), Evee (Mi fa piacere che non ti abbia deluso, ma ovviamente non si può pretendere molto da nessuno di loro… Non so cosa combinerà Seto, ma da quello che ho visto penso riuscirà a fare più di tutti anche rimanendo in ufficio ^_-), Ayu chan (ah, non credo di essere così bravo da riuscire a farti cambiare idea su un personaggio, anche se mi piacerebbe ^^), bnr (o Kim? Come ti devo chiamare? Bè, di solito le cose più importanti alla fine sono le più ovvie ^^’’ Spero che Atemu abbia fatto il suo dovere in questo capitolo ^_- Precisamente, perché la scena del parto ti ha colpito? L’hai trovata strana?) e Ita rb (mi fa piacere che ti sia piaciuto, ma potresti allungare di meno le parole? Deformano un casino la pagina ^^'' Capisco lo stesso cosa mi vuoi dire,e sei gentilissima) per le loro recensioni.
Continuate a seguire la mia storia ^_^ Alla prossima, spero, presto.
Hui Xie

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Capitolo 5
*** Colto in flagrante ***


Colto in flagrante

Colto in flagrante

A dispetto del pessimo aspetto dell’entrata, e della sporcizia che regnava sovrana sull’uscio, sulla vetrina e sull’insegna, l’interno del bar non somigliava affatto alla bettola che ci si poteva aspettare. Ovviamente, l’aria era satura di fumo e odore di alcol, ma i visi delle persone sembravano privi di preoccupazioni, e le chiacchiere di grida ubriache farcite di insulti e bestemmie.

“Saranno davvero qui?” si domandò Anzu che, nonostante l’atmosfera familiare, rimaneva sulla difensiva, non abituata a luoghi simili.

“Lo spero” commentò seccato Honda. “Dopo aver girato tutta la città…!” Yuugi annuì al suo indirizzo, ma non era colpa di nessuno se Haga e Ryuzaki avevano abitato nel corso di sei mesi in una ventina di case differenti e da tutte erano stati sfrattati. Fortunatamente, l’ultima padrona di casa si era ricordata del bar dov’erano soliti passare le serate e gliel’aveva indicato.

Jounouchi, che sembrava abbastanza arrabbiato per tutta quella perdita di tempo, si avvicinò al bancone, dove il barista, un omaccione dal corpo troppo grosso per quel viso da maestro d’asilo, stava finendo di lavare gli ultimi bicchieri prima di occuparsi delle ordinazioni nuove. “Scusi, ha mai visto questi due?” E mostrò una foto che avevano scaricato dal sito dei duellanti della Kaiba Corporation.

Yuugi trattenne a stento una risata: con quell’atteggiamento il suo amico somigliava veramente troppo ad un detective-eroe di quei film banali che il pubblico americano tanto amava.

“Ma si, certo” rispose il barista dopo una rapida occhiata, appoggiando l’ultimo bicchiere sul lavandino. “Sono qui da ieri pomeriggio” E accennò con la testa l’angolo della stanza. “Buoni clienti, ma…”

I quattro ragazzi si girarono repentinamente per guardare il luogo indicato: un tavolo semivuoto in fondo, dal quale si potevano intravedere, da dietro una dozzina di bottiglie, due note capigliature assurde: una rosso fuoco, seminascosta da un vecchio capello verde, e una azzurrina, che nascondeva un paio d’occhiali gialli e fuori moda. I due ragazzi, ex-campioni di M&W, giacevano entrambi riversi sul tavolo, con le guance appoggiate sulle braccia allungate, e la bocca, spalancata nel russare, lasciava scivolare fuori gli ultimi resti di alcol e saliva.

“Si addormentano sempre così, e mi tocca lasciarli a dormire nel bar, ‘che mi fanno pena” aggiunse il barista.

Fu subito chiaro a tutti che non potevano essere loro i colpevoli della distorsione temporale, a meno che non l’avessero fatto inconsciamente come sonnambuli, cosa da escludere: forse qualcuno era riuscito a passare le difese della Kaiba Corporation, ma di sicuro non un ubriaco addormentato. C’era un limite a tutto, anche agli sbagli di Seto, qualunque cosa pensasse Jounouchi.

“Tempo perso! Tempo perso!” esclamò infatti il biondo, mentre usciva dal bar con i suoi amici. “Dove andiamo ora?”

Prima che qualcuno potesse rispondergli, la figura familiare di Otogi spuntò dall’hotel davanti al locale, stiracchiandosi: doveva essersi appena svegliato. Li vide, sbatté le palpebre, impallidendo leggermente. “Che ci fate qui?” chiese velocemente. “Non mi sembra un posto per voi…” aggiunse, guardandosi intorno nervosamente.

“E tu, allora?” ribatté Honda, alzando un sopracciglio.

Poi, Yuugi gli raccontò tutta la storia, riuscendo a sorprenderlo più della loro stessa presenza nella periferia malfamata. “C’era anche il nome di tuo padre…” aggiunse, abbassando lo sguardo come se fosse colpa sua.

“Non penserai che sia stato lui, vero?” chiese Otogi. Non ottenendo risposta, lo afferrò per il colletto della camicia che indossava sotto la solita giacca della divisa scolastica. “Non puoi crederlo!”

“Io…” Yuugi scostò lo sguardo, continuando a non rispondergli. Avrebbe tanto voluto rispondere no. Avrebbe tanto voluto non essere in quel luogo. Avrebbe voluto svegliarsi, quella mattina, con ancora il suo puzzle e il suo alter ego al suo fianco.

Otogi sospirò. “So che né io né mio padre siamo stati molto… amichevoli nei tuoi confronti” iniziò. “Ma è passato. Quell’incendio ha bruciato tutto il rancore, lasciando solo cenere. Cenere”

“Io credo in te” rispose Yuugi. “Hai combattuto onestamente, e l’incendio ha trovato solo un campo già bruciato”

“Già” intervenne Jounouchi. “Ma non possiamo sapere se le braci sono rimaste a covare sotto la cenere di tuo padre”

“E va bene” sbuffò Otogi. “Vi porto da lui, così capirete che ho ragione”

“Riuji-i…” cantilenò una voce acuta, da dietro. Una ragazza bionda gli si gettò al collo, lasciandogli un vistoso segno di rossetto sul colletto della camicia a righe azzurra, decisamente non adatta a lui.

“Scusa, tesoro…” Otogi, con un’occhiata imbarazzata ai suoi amici, si scostò, mostrando il vestito succinto che la ragazza indossava, con tanto di stivali alti con tacco e leopardati. “Adesso devo andare”

“Eh?” esclamò lei, facendo un’espressione da cane bastonato che male si addiceva al trucco pesante. “Ma avevi detto per tutta la giornata!”

Otogi estrasse il portafoglio dalla tasta e prese quasi tutte le banconote che vi si trovavano – parecchie, a detta di Jounouchi che, in vita sua, non aveva mai visto nemmeno un quarto di quella cifra. “Tieni, e comprati qualcosa di carino” Gli infilò i soldi nella scollatura, giusto fra il solco dei seni, quindi superò i ragazzi e si avviò per la strada senza aggiungere altro.

“Tornero` a trovarti!” gli gridò dietro la ragazza.

Il gruppo seguì timidamente Otogi, che se ne andava tranquillo per la sua strada, come se fosse da solo, non con una compagnia di ragazzi, suoi amici, ai cui per altro avrebbe dovuto fare da guida.

“Ma… Ma…” balbettò improvvisamente Anzu, che, nonostante l’imbarazzo, non riusciva a rimanere in silenzio, esprimendo così anche le perplessità degli altri. “Ma quella era… Una… Una prostituta…?”

“Uhm…” Il ragazzo, infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans, si voltò appena, scoccandole un’occhiata seccata con i suoi occhi verdi. “Secondo te?”

“OTOGI!” Questo era Jounouchi, che prendeva le difese dell’amica, troppo imbarazzata da quello sguardo per proseguire. Dopotutto, lei era una ragazza, e questa storia la colpiva più profondamente.

Il ragazzo continuò a non rispondere, e tutti presero il silenzio per assenso.

Honda impallidì, poi deglutì. Proprio lui, l’idolo di tutte le ragazze della scuola, mentre lui aveva già difficoltà a farsi accettare come ragazzo dalle persone che gli piacevano e che poi, puntualmente, lo rifiutavano, come Miho. Certo, sverginare una studentessa non sarebbe stato il massimo, ma stare con una ragazza… Credeva che Shizuka gli piacesse veramente.

“Ma come puoi?” singhiozzò leggermente Anzu. “Sono persone…”

Otogi fece un sorriso imbarazzato. ”Avete capito male…”

“No!” ribatté la ragazza, raggiungendolo e fermandosi davanti a lui. “Vendere il proprio corpo… Ti sembra normale? Ti sembra amore?”

“Non è una prostituta” Il ragazzo scostò lo sguardo da quegli occhi azzurri, decisi e arrabbiati. “Io lo sono”

“E questo cosa vuol dire?” Lei abbassò lo braccia, non capendo il senso delle sue parole. “Tu…?”

“Si, faccio la prostituta!” sbottò, arrabbiato. “E’ un lavoro come un altro, e si guadagna anche bene” Fissò Anzu. “Puoi approfittare, se vuoi, ti faccio un prezzo spec-”

Ma Anzu non gli lasciò il tempo di finire, colpendolo in viso con un sonoro schiaffo. “Non dire stronzate!” esclamò. “Non pagherei mai qualcuno per venire a letto con me! Te meno che gli altri! Mi fai schifo!”

No, scosse la testa Yuugi, mentre osservava la scena. Quello non era Otogi. Meglio, non era l’Otogi contro cui aveva combattuto così fieramente a DDD. Davvero, quanto stavano cambiando le loro esistenze per un semplice avvenimento mutato in un passato lontano di tremila anni! “Mou hitori no boku… Torna!” pensò, stringendosi le mani. “Abbiamo bisogno di te… Tutti”

Poi superò i due ragazzi, che dopo la sfuriata di Anzu erano rimasti entrambi in silenzio, e si voltò a guardarli, ostentando una tranquillità così falsa da stupire lui stesso. “Adesso, non possiamo fermarci a litigare” disse, serio. “Non abbiamo tempo” Ed era una frase che poteva suonare veramente ironica, contando che tutti i loro problemi derivavano proprio da una macchina del tempo che, teoricamente, avrebbe potuto allungare le giornate a chiunque.

“Si…” fu la risposta sibilata degli altri, simile ad un leggero alito di vento in una giornata di primavera, quindi si misero in cammino per le strade quasi deserte della città di Domino, verso il negozio di Otogi.

Poi, Yuugi si fermò all’improvviso. Davanti a lui, in fondo alla strada, spuntava il tetto rosso con la nota insegna del “Burger World”, uno dei suoi posti preferiti. Certo, era praticamente mezzogiorno, e la fame cominciava a farsi sentire, ma non era per l’odore invitante degli hamburger che gli occhi viola del ragazzo si erano concentrati su quella scritta.

Una strana sensazione lo invase, un freddo brivido scorse dalle vene dei polsi fino al cuore, accelerandogli i battiti e serrandogli la gola in una morsa dolorosa. Il suo cervello gli trasmise l’ordine di non farlo, di non entrare assolutamente in quel locale. Ma ovviamente, Yuugi, da idiota quale egli stesso si maledisse, non seguì il consiglio. Arrivò davanti alla porta, afferrò la maniglia ed entrò.

*-*-*

“Secondo te, quella è Venere?” chiese ad un certo punto Marik, indicando un punto brillante appena comparso nel cielo blu, in lontananza.

“Perché dovrebbe esserlo?” fu la laconica risposta di Bakura.

“Avevo sentito dire che la prima stella della sera è Venere…”

“Ma Venere non è mica una stella!”

“Però nell’antichità mica sapevano la differenza…”

“E i greci, allora? Non era stato un greco a fare il primo schema del sistema solare?”

“Boh… Può darsi” Marik rifletté un attimo. “Però gli Ittiti chiamavano Venere la stella di Ishtar”

“Allora sarà proprio Venere…” Bakura alzò gli occhi al cielo, ormai totalmente scuro. “Ne è comparsa un’altra”

“La stella polare?”

“Ma non indica il nord…”

“Che ne sai?”

“A istinto…”

“Si, come no…” Marik scosse la testa. “Però, ora che ci penso, forse era la stella polare la prima stella della sera… O Sirio…”

“Ma chissenefrega, anche!” sbottò Bakura. “Vorrei proprio sapere perché siamo qui a parlare di ‘ste minchiate…”

“Perché non possiamo muoverci…” allargò le braccia Marik.

I due ragazzi, con la schiena appoggiata ad un grande tronco di un sicomoro, nell’angolo più scuro del giardino, abbassarono lo sguardo per osservare attorno: Mahado dormiva con la spalla appoggiata a quella di Marik, con i capelli castani che gli coprivano in parte il volto, mentre Mana si era addormentata in braccio a lui; tra le gambe aperte di Bakura riposava Tuya, con il volto completamente affondato nella sua maglia ancora sporca, e una mano che stringeva quella di Sethi, il quale era coricato leggermente più distante, con il tronco a fargli da spalliera; Isis usava allo stesso modo le gambe di Marik, con le mani congiunte sul grembo come in preghiera; Ramses, infine, si era sistemato tra i due ragazzi, con il capo reclinato sul braccio di allungato di Bakura.

“Dopotutto, sono sempre bambini…”

Bakura passò lo sguardo sulla frangia bionda di Ramses, sulle ciglia già lunghe in occhi non ancora così severi, sulle labbra semi aperte, e poi… “Sarebbe così facile strozzarlo, ora…”

Marik gli riservò un’occhiata di rimprovero. “Guai in vista” aggiunse poi, mentre il pulsante blu del suo guanto iniziava a lampeggiare, segno di una chiamata dal quartiere centrale. “Kaiba” Lentamente, spostò la testa di Mahado in modo da appoggiarla contro l’albero, quindi prese Isis per le spalle e, con calma, la tenne ferma in modo che non cadesse mentre toglieva le gambe da dietro la sua schiena, e poi l’appoggiò gentilmente a terra.

Bakura alzò gli occhi al cielo, e fu molto meno delicato nell’alzarsi, separando le mani giunte di Sethi e Tuya, mentre lasciava scivolare sia la bambina che Ramses nell’erba fresca senza preoccuparsi della botta che avrebbero potuto prendere. Si avvicinò poi a Marik, il quale si era leggermente allontanato e aveva già fatto comparire lo schermo, tenendo la mano leggermente rialzata davanti a lui.

Il volto apparentemente calmo del ragazzo castano comparve nei colori sgargianti, spiccando nitido nella notte scura. “E’ passata una giornata, e io ho lavorato praticamente per farvi un favore…” mormorò lentamente. “Che diavolo state combinando?!” Si battè una mano sulla fronte. “Perché devo sempre parlare con idioti…”

In situazioni normali, i due improvvisati viaggiatori del tempo lo avrebbero tranquillamente mandato a quel paese, ma il mestiere di baby-sitter li aveva sfiancati più di quanto loro stessi volessero ammettere. “Kaiba, abbi pietà…” mormorarono contemporaneamente.

Lui agitò leggermente la mano, come dire di lasciare perdere. “Tanto, non potevo aspettarmi nient’altro da voi” fu la sua risposta. “In compenso, io ho ridotto l’arco di tempo in cui è avvenuta la distorsione. L’intervallo è dal 1312 al 1316. Datevi da fare” E chiuse la comunicazione senza aggiungere nient’altro.

“Se siamo ridotti così, è anche colpa sua…” Bakura emise un profondo sospiro. “Come lo odio…”

“Lascialo perdere” Marik selezionò l’anno, lasciando come città Menfi. “L’unica cosa che mi rompe è non aver avuto la forza di rispondergli…”

“Tu hai voluto venire con me” fece presente l’amico.

L’egiziano scosse la testa. “Gira pure il coltello nella piaga” E, senza nemmeno avvertirlo, premette il tasto invio nello schermo: un istante solo, e i due ragazzi si trovarono accecati da un forte sole pomeridiano, con il naso e le orecchie completamente otturate dai suoni e dai profumi del mercato dell’affollata città di Menfi.

Decine di persone sfilavano davanti ai loro occhi, correndo velocemente per la strada, ognuno con il proprio pacco di roba, e li sorpassavano senza nemmeno notarli, troppo immersi nei loro pensieri; altri, fermi davanti alle bancarelle, contrattavano il prezzo con i negozianti, cercando con le loro voci di sovrastare quelle di chiunque. Erano volti antichi, eppure in ciascuno si potevano ritrovare le gioie e le preoccupazioni semplici degli uomini moderni.

“Che belo…” esclamò una voce infantile, con lo stesso tono ammirato con cui i due ragazzi stavano osservando quello spettacolo.

“Già…” rispose Marik. Poi, accortosi della stranezza di quella situazione, sbatté le palpebre e abbassò lo sguardo ai suoi piedi, da dove sembrava provenire quella voce.

Bakura eseguì la stessa mossa nello stesso istante, e sobbalzò. “Che… Che diavolo ci fa lui qui?!” sbottò.

“Ci ha seguiti, temo…” rispose Marik, con un’espressione terribilmente colpevole.

“Che belo…” ripetè, in tono più dolce, il piccolo Ramses, che continuava ad osservare lo spettacolo con i suoi occhi viola spalancati, e le guance leggermente arrossate per l’entusiasmo.

“Dai, riportiamolo indietro prima che lo uccida seduta stante” ordinò Bakura, ma prima che Marik avesse anche solo il tempo di alzare la mano per premere il pulsante sul guanto, Ramses era già scomparso tra la polvere, le vesti e le gambe che costellavano la via.

Nella prossima puntata…
E’ inutile che mi guardi in quel modo, Satre. Questa volta non sono stato io a mettermi nei guai, volevo solo pescare, quando sono arrivati questi ragazzi…
Si, si, come no, Ramses. Ma sono proprio strani questi due, non trovi?
Mi divertono, però…
Piuttosto, dimmi, chi è quel bambino che ti somiglia così tanto?
Prossima puntata: “Bakura ne combina un’altra delle sue” Non perdetela!

Hola!
Dato che nell’ultimo capitolo ho ricevuto parecchi commenti che si domandavano perché mai Baketamon dovesse affidare i bambini a quei due scapestrati di Marik e Bakura, invece di pagarsi una baby sitter con i soldi delle finanze reali, sono andato a chiederlo direttamente a lei…
Baketamon: “A parte che a me sembravano dei bravi ragazzi… Di solito ai bambini ci bada un tizio di nome Remthot, che è anche il loro maestro, solo che quel giorno era impegnato e, "casualmente", tutte le balie si erano ammalate di una strana forma di influenza che le aveva costrette a letto… Perciò è stata una necessità improvvisa! Ma gli spiriti sanno sempre qual è il momento giusto per arrivare…”
Bakura: “Che sfiga, però…”
Risolta questa questione, torno a rinnovare i miei ringraziamenti a tutti quelli che hanno letto la mia storia, specialmente a Death Angel (direi che anche il calcio rimane sempre uguale in qualunque epoca…^_- Mi fa piacere che ti sia piaciuta), Ayu Chan (diciamo che il carattere che abbiamo da grandi si rispecchia in quello che facciamo da bambini… E difatti si è visto! Bakura aggiunge anche che Atemu che piange non è affatto tenero, e puoi andare a fare la baby sitter tu la prossima volta ^_-), Ita rb (grazie per aver seguito il consiglio, spero che tua madre non abbia davvero creduto che tu fossi impazzita ^^), Kim (Indipendente dalle varie vite e anche dall’età, a quanto sembra ^_- Per la storia di Mahado, mi riferivo al fatto che aveva deciso di sacrificarsi per sconfiggere Bakura, quindi, effettivamente, la colpa è principalmente sua ù_ù) e Evee (mi fa piacere essere riuscito a mantenere tutti OOC, nonostante l’età ^^). Grazie ancora a tutti per i complimenti.
Spero a presto
Hui Xie

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Capitolo 6
*** Bakura ne combina un'altra delle sue ***


Bakura ne combina un

Bakura ne combina un’altra delle sue

Bakura abbassò lo sguardo, e strinse i pugni. Marik lo fissò per un istante, poi si voltò e si coprì le orecchie, prevedendo l’esplosione imminente. “Ma porca puttana!!” esclamò infatti l’amico. “Grande o piccolo, riesce sempre a scassare la minchia! Ma che vada a fare in-”

Marik lo interruppe, allungando una mano verso di lui. “Sono d’accordo con te, ma non mi sembra il caso, adesso” cercò di calmarlo. “Lo potrai insultare non appena lo riacchiapperemo…”

“Oh, ci puoi giurare” commentò Bakura. “Lo picchierò talmente tanto che non potrà sedersi per anni”

L’egiziano scosse la testa, quindi iniziò a camminare per il mercato, tra le vesti bianche delle persone che gli sfrecciavano al fianco, ignorandolo completamente, e si immerse totalmente negli odori forti dei bazar di Menfi. “Ramses! Ramses!” iniziò a chiamare, sperando che il bambino non si fosse allontanato troppo.

“Non credo che ti risponderà, se lo chiami così” Bakura evitò di striscio una donna e gli si affiancò.

“E come dovrei fare?” replicò Marik, scoccandogli un’occhiata arrabbiata. Era proprio inutile che facesse il saputello, lasciandolo però ad occuparsi di tutto.

“Che so…” L’albino finse di riflettere. “Unico principe ereditario al trono d’Egitto, sua maestà, sua altezza, sua magnificenza…”

“Ma piantala!” Quindi lo ignorò, continuando con il primo metodo che aveva adottato.

Camminando e chiamando, i due ragazzi giunsero nei pressi del porto di Menfi: un formicaio rumoroso, con pescatori e mercanti che salivano e scendevano dalle barche con le loro merci, in non meno fretta delle persone in centro città. Decine di barche e barconi vi erano ormeggiate, simili a tanti soldati in riga, e altrettante stavano aspettando di trovare un posto libero. Solo l’odore cambiava: la puzza di pesce era talmente soffocante da diventare nauseante, tanto che Marik e Bakura si chiesero come facessero gli altri a resistervi tanto a lungo.

“Ehi, ehi!” esclamò un pescatore, mentre allungava la mano per cercare di afferrare una piccola nave in papiro che si stava allontanando sulla superficie liscia e pericolosa dell’acqua. Una testolina mora spuntò dal fondo della barca, e si arrampicò sull’altra prua. “Di chi è questo bambino?”

“Maledetto essere…” fu il commento di Bakura, prima di prendere la rincorsa e saltare sull’imbarcazione prima che si allontanasse troppo dalla riva. “Scendi immediatamente da lì, prima di cadere e farti mangiare dai coccodrilli!” Si bloccò. “Anche se, ripensandoci, non sarebbe male…”

La barca diede un grosso scossone non appena Marik li raggiunse, e questo provocò un ulteriore allontanamento del mezzo dalla terra, lasciando i tre a navigare in balia delle correnti lente del Nilo. “Non credo che questa sia stata una buona idea…” commentò, osservando il porto brulicante di Menfi allontanarsi sempre di più all’orizzonte.

“E di chi pensi che sia la colpa?” ribatté Bakura, mentre si scroccava le dita per trattenere il prurito alle mani, prima che il suo istinto lo portasse a strozzare qualcuno. Inutile specificare chi sarebbe stata la vittima.

L’imbarcazione si bloccò per un  istante, incontrando una corrente contraria, quindi iniziò a girare su sé stessa, senza che nessuno potesse intervenire, perché, nella partenza improvvisa, il lungo remo era stato abbandonato sulla riva. Marik cercò di alzarsi e riacquistare un poco di equilibrio: tentativo che fallì miseramente non appena Bakura, per la velocità della barca, inciampò e cadde direttamente su di lui.

Poi, qualcosa o qualcuno spuntò dalla superficie dell’acqua, e balzò sulla nave, stringendo il remo fra le mani. In un istante, ristabilì la direzione della barca con poche abili mosse, e la portò fuori da quella corrente sbagliata: l’imbarcazione tornò quindi a navigare tranquilla lungo il corso del Nilo, fendendo dolcemente l’acqua chiara in due parti.

Bakura cercò di alzarsi, districandosi dall’amico, e si massaggiò leggermente la testa, fissando la persona che li aveva aiutati: un ragazzino, non molto alto, che indossava solamente un corto gonnellino bianco, il quale, bagnato, si appiccicava alle gambe non ancora sufficientemente muscolose a causa della giovane età. Una cintura di cuoio che tratteneva un coltello completava l’abbigliamento, assieme a dei semplici calzari allacciati dietro il calcagno. Sulle spalle, già sviluppate, erano appese una serie di lance con la punta in selce. Nel petto, ancora magro, già si vedevano i segni di un duro addestramento, che stava rinforzando gli addominali, così come i muscoli delle braccia magre. Il leggero vento che spirava agitava una lunga capigliatura mora e una frangia bionda.

“Ma tu… Sei Ramses…?” mormorò, rispecchiandosi in due occhi viola divertiti, che spiccavano sul viso abbronzato, appaiandosi al leggero sorriso ironico che si era formato sulle labbra carnose.

“Il principe Ramses, si” rispose lui, con una leggera alzata di spalle.

“Il principe Ramses, si” ripeté con voce stridula Bakura all’orecchio di Marik, con un’espressione terribilmente seccata e disgustata. L’amico gli tirò una gomitata fra le costole.

Il futuro faraone fece poi qualcosa che nessuno dei due si aspettava: si avvicinò al sé stesso versione bambina, il quale lo fissava ammirato, e lo schiaffeggiò con tutta la forza che aveva. “Non lo fare mai più!” gli disse. “Bisogna rispettare gli ordini dei propri superiori e, soprattutto, non fare nulla che possa mettere in pericolo gli altri. Nessuno dovrebbe morire per errori di altri” Grossi lacrimoni iniziarono a formarsi sulle ciglia del piccolo Ramses, mentre si massaggiava la guancia dolorante. “E non piangere!” Il bambino, seppur col labbro tremolante, si asciugò gli occhi con il palmo della mano e trattenne i singhiozzi.

Marik, alla scena, sospirò di sollievo. Temeva già di dover subire degli altri pianti dirotti, che gli avevano procurato un’emicrania persistente. “Ti ringrazio” disse formalmente al ragazzo, con un leggero inchino. “Ti sarei molto grato se adesso ci riportassi a riva…”

“No” Ramses si voltò e iniziò a sistemare le lance che aveva con sé sul fondo della barca.

“Come no?!” scattò Bakura. Già lo odiava da bambino e da adulto, non avrebbe avuto difficoltà a non sopportarlo anche da ragazzino.

“Sono qui per pescare, non vedo perché dovrei tornare indietro” spiegò il moro, afferrando una lancia e preparandola in posizione di lancio. Scoccò loro un’altra occhiata divertita. “Oh, forse voi non siete capaci…”

“Che?” Bakura inarcò il sopracciglio.

“Non farti coinvolgere” lo ammonì Marik. Parole buttate al vento.

“Adesso ti faccio vedere io” L’albino afferrò la prima lancia che gli capitò sottomano e si avvicinò al pelo dell’acqua.

Ramses gli riservò un sorrisetto quasi di compassione, quindi abbassò in un istante la punta in selce sott’acqua e, quando la rialzò, mostrò fieramente un grasso ossirinco infilzato sul balcone, lasciando che il sole facesse luccicare le squame grigiastre.

“Che bravo…” sospirò ammirato il bambino, fissando l’enorme pesce con gli occhi spalancati.

Al contrario, Bakura, nel tentativo di imitare quel movimento aggraziato, finì per immergere la lancia solamente in acqua con un grande spruzzo, mancando vistosamente il bersaglio. Il solo risultato che ottenne fu quello di inzupparsi completamente. La sua impresa fu accolta da una risata da parte di entrambi i Ramses, e Marik stesso non riuscì a trattenersi.

“Ma tu da che parte stai?” sibilò Bakura, con un’occhiata furente.

“Scusa” rispose velocemente l’amico, cercando di trattenere inutilmente un sorriso.

Il piccolo principe, terminata la risata si affacciò oltre la barca, rispecchiandosi sullo specchio azzurro cielo: le labbra leggermente dischiuse, gli occhi grandi e le guance arrossate testimoniavano il suo desiderio di partecipare alla sfida.

“Non sporgerti” lo ammonì la sua versione cresciuta.

Bakura, lasciando perdere totalmente il motivo che lo aveva spinto a recarsi nel passato, fissò la sua attenzione unicamente sulle punte che il bambino teneva più alzate possibili, in modo da affacciarsi oltre la barca. Non rifletté nemmeno, ma abbassò la mano e diede una leggera spinta: in un istante il bambino, per il peso della testa, venne sbilanciato in avanti e precipitò in acqua.

“Sei forse tormentato dai demoni?!” esclamò Ramses arrabbiato, dopo aver assistito alla scena senza poter intervenire.

“Ci sono i coccodrilli!” rincarò la dose Marik che, al contrario dell’amico, non aveva scordato la loro missione.

“Era un’occasione troppo bella…” si giustificò Bakura, abbassando il capo in un’espressione finta colpevole.

Il piccolo principe riemerse dall’acqua con la testolina mora, agitando le braccia per riuscire a restare a galla, con le lacrime che si confondevano alle gocce. Ramses allungò la mano verso di lui per recuperarlo, ma la corrente lo trascinò oltre la lunghezza del suo braccio. “Iside misericordiosa…” mormorò poi, fissando leggermente la riva lontana: dalla foresta di papiri una dozzina di coccodrilli, attirati dalle vibrazioni diverse sulla superficie del fiume, iniziò ad immergersi nell’acqua, con i loro occhi gialli brillanti.

“Io avrò sbagliato, ma tu porti sfiga” disse Bakura all’amico. “Fino ad un secondo fa non ce n’era nemmeno uno!”

Ramses smise totalmente di ascoltarli, tolse il pesce dalla sua lancia e si tuffò in acqua con uno spruzzo che bagnò il ladro più di quanto non fosse già. Nuotò velocemente verso il bambino, e lo prese in braccio, infilzando contemporaneamente la bocca del primo coccodrillo che si stava avvicinando.

“Dobbiamo aiutarlo!” commentò Marik, prendendo una lancia e provando a lanciarla come aveva visto fare al principe: l’asta volò per un po’ in aria e si impiantò sulla schiena di un altro animale, prima che questi potesse mordere i due Ramses.

“Come hai fatto?” si chiese Bakura, il quale non sembrava proprio intenzionato ad aiutarli.

“Culo” replicò Marik, tirandogli un calcio per farlo muovere.

“Ehi, voi due!” chiamò il ragazzo, da lontano, mentre sollevava il bambino sopra la testa, restando a galla solo con l’ausilio delle gambe. “Prendetelo al volo” Con una precisione da cestita dell’NBA, lanciò il piccolo Ramses verso di loro, sulla barca, incurante delle sue proteste. Marik riuscì ad afferrarlo, ma per il contraccolpo cadde all’indietro e sbatté la testa contro il fondo duro dell’imbarcazione, rimanendo per un attimo rintronato.

“Non ce la farà mai” commentò Bakura, con il mento appoggiato al palmo della mano, annoiato come se stesse guardando un film monotono. Infatti, il resto del gruppo di coccodrilli lo aveva ormai completamente circondato: ma Ramses, senza perdere il sorriso sicuro che lo contraddistingueva sempre, si limitò a non rispondergli e ad immergersi sott’acqua. Dopo poco, la superficie si riempì di rosso.

Poi, un coccodrillo emerse proprio davanti a Bakura, che, dallo spavento, perse una decina d’anni. “Ce ne sono anche qui!” esclamò, indietreggiando. Fortunatamente l’animale venne immobilizzato al lato della barca da una lancia lanciata con precisione dalla riva, da qualcuno che, incurante del pericolo, si era tuffato in acqua per raggiungerli. Bakura afferrò un’altra lancia e terminò il lavoro, gettando poi il cadavere in acqua.

Accanto a lui, due mani affusolate spuntarono da sott’acqua, aggrappandosi al bordo dell’imbarcazione, quindi la figura si spinse fuori, emergendo fino ad allungare totalmente le braccia, restando in equilibro. Marik si rialzò giusto in tempo per vederla. “Una sirena…?” domandò, ammirando i capelli, biondi come i raggi del sole e ricci, talmente lunghi da ricoprigli il seno nudo fino alla vita, da dove poi iniziava la leggera gonna bianca. Due turchesi brillanti lo osservarono sotto le lunghe ciglia.

“Temo di non avere ali” gli rispose gentilmente la ragazzina, mentre entrava del tutto a bordo.

“Ah, Satre!” la salutò il Ramses grande, che stava salendo in quel momento dall’altro lato, completamente macchiato di acqua rossa, per aver ucciso tutti i coccodrilli. “Grazie dell’aiuto”

Lei piegò le labbra carnose in un sorriso divertito. “Ti metti sempre nei guai…” disse, scuotendo la testa come se la cosa, in fondo, non le dispiacesse. Poi, si avvicinò al piccolo Ramses, che singhiozzava nascosto dietro la schiena di Marik, e, sedendosi accanto a lui, iniziò a consolarlo accarezzandogli la testa. “Dai, è tutto finito…”

Il principe la imitò, ed entrambi cercarono di farlo calmare. “Lo sai che ti assomiglia?” disse Satre ad un certo punto.

“Tu trovi?” rispose Ramses, osservando gli occhi viola del bambino. “Non mi sembra…”

Marik e Bakura si limitarono ad osservare i due per un po’, finché il primo non si azzardò a chiedere: “Ma Satre non è il nome di…?” E il secondo annuì.

Poi, la ragazza li guardò e sorrise. “Tu sei delle mie parti, vero?” chiese a Bakura, riferendosi al colore bianco delle loro carnagioni. “Io sono una principessa cretese”

Lui accennò un leggero mormorio e non le rispose veramente.

Ramses rise sommessamente. “Satre è una delle mie matrigne”

Anche lei si unì alle risa, poiché era chiaro che avevano la medesima età e la stessa propensione a cercare le avventure. “Ho solo sposato tuo padre…”

Marik rifletté: non era affatto strano che il faraone si prendesse delle concubine molto più giovani di lui e che, fra queste, scegliesse delle principesse straniere, però si vedeva chiaramente che i gusti della ragazza si concentravano su qualcun altro. Non che fosse evidente, ma dai gesti, o dalle semplici occhiate, dalle parole pronunciate quasi per caso, o per giustificarsi, si riusciva perfettamente a capire l’intesa, perché di amore era prematuro parlare, che si era creata fra i due ragazzi.

“Non sapevo che la Grande Sposa Reale di Ramses I fosse stata una concubina di Akunakamon…” sussurrò leggermente Bakura. “Ma la ricordavo vagamente… E’ sempre stata bella”

Marik sorrise. Anche se non si fosse ricordato di aver letto il suo nome sui libri delle dinastie egiziane, non gli sarebbe stato difficile capire chi Satre sarebbe diventata, dopo l’incoronazione del Faraone Senza Nome, che, ormai, non era più tale.

“Perché piange ancora?” domandò il principe, indicando la sua versione bambina che non la smetteva più di singhiozzare.

“Uhm…” Satre lo esaminò per un attimo, con occhio critico. “Credo si sia fatto la pipì addosso” rispose, guardandolo. Marik e Bakura scoppiarono a ridere, così forte che dovettero tenersi la pancia per il dolore.

“I tuoi amici sono proprio strani…” mormorò la ragazza, guardandoli comportarsi in quella maniera assurda.

“Non sono miei amici!” si giustificò immediatamente lui, quasi arrossendo per l’occhiata divertita che lei gli scoccò. “Torniamo a riva” propose infine il principe, alzandosi e recuperando il lungo remo, con il quale condusse, senza troppe difficoltà, la barca a riva.

“Noi allora andiamo” disse Marik, prendendo il bambino per mano, poiché né lui né Bakura avevano il coraggio di prenderlo in braccio, e fece per allontanarsi. Non poteva certo usare la macchina del tempo di fronte a loro.

“Arrivederci” li salutò Ramses, che stava aiutando, senza che ce ne fosse alcun bisogno, Satre a scendere a terra, dopodiché non lasciò la sua mano, cosa che la ragazza sembrò apprezzare, ricambiando la stretta.

“Fai il bravo” disse lei al bambino, che, mentre Marik e Bakura lo trascinavano abbastanza lontano per non essere visti, continuava a fissare i due ragazzi, ancora fermi mano nella mano, coi piedi immersi nel limo della battigia.

“Ho deciso” disse poi, una volta ritornato a casa. “Voio diventare forte… Forte come quel ragazzo” Ma Marik e Bakura se n’erano già andati, onde evitare di essere seguiti di nuovo, e non avevano sentito nulla di ciò che lui aveva detto nel guardino ormai buio e deserto.

Nella prossima puntata…
Insomma, che cavolo di futuro, anzi, di presente, ci attende, in questo stato? Yuugi è sconvolto, e anch’io… Per non parlare di Otogi, Honda-kun e Jounouchi-kun. Non ci capisco più nulla, vorrei solo che tutto tornasse come prima… Anche perché, se così non fosse, io…
Prossima puntata: “Punto di non ritorno” Non perdetela!    

Hola ^^
Buone olimpiadi a tutti! Parlando della storia, devo dare alcune piccole spiegazioni che mi sono state fatte notare nei commenti.
Se dobbiamo guardare l’opinione delle fan dell’anime/manga, è chiaro che i ragazzi cosiddetti “fighi” sono Seto, Yami, Marik e Bakura (chi più, chi meno); se invece guardiamo le fan all’interno dell’anime/manga, notiamo che questi tre qui non se li “fila” nessuno, mentre solo Ryou e Otogi sono quelli che hanno il corteo dietro quando passano. Per questo ho scelto il secondo per il ruolo della prostituta, (volendo mostrare tutti i vari tipi di degrado a cui si può arrivare), anche se la maggior parte delle “fan esterne” non lo trova affatto un bel ragazzo.
Per quanto riguarda la storia dei soldi, è vero, purtroppo devo fare ammenda che non si capisce. Devo aggiungere una frase per spiegare la situazione. In realtà, i soldi che Otogi restituisce alla ragazza sono quelli che lei gli aveva precedentemente dato come pagamento per tutto il pomeriggio. Dovendo andare con la banda di Yuugi & Co, ha pensato di ridargli l’acconto perché la ragazza non può usufruirne. Spero sia chiaro adesso ^^.
Miho è una ragazza che appare nella prima serie, dai capelli violetti tenuti su da un nastro giallo, e fa parte del gruppo di Yuugi & Co. Nel manga, invece, appare solo in un episodio, quello in cui Yuugi e Honda fanno amicizia perché il secondo chiede aiuto al primo per dichiarasi a Miho, di cui è innamorato.
Gli va male, comunque...^^
Grazie a tutti quelli che l’hanno letta e soprattutto a Ayu chan (si, lo so che non era una critica, puoi ben capire che era indispensabile ai fini di descrivere una bella scenetta ^^; l’immagine di Tuya e Sethi è una di quelle che preferisco, mi piacerebbe approfondire il loro rapporto, ma in questa storia non ho spazio; per Otogi ti rimando a sopra), Death Angel (grazie per avermi fatto notare l’errore, spero comunque che la spiegazione sia chiara; carina la tua scenetta di Seto ed Otogi ^^), Evee-chan (la spiegazione di Miho è sopra, spero di essere stato chiaro. Se hai altre curiosità chiedi pure ^^), Mana (grazie della recensione), Ishizu (vedo che il mestiere di baby-sitter attira molto… Dipenderà mica da come diventeranno da grandi i bambini? ^_- Bakura comunque sostiene che non siano innocenti), e Kim (si, è proprio quella l’immagine che volevo dare in quella scena, meno male che ci sono riuscito! Per Yuugi in azione, dovrai aspettare il prossimo capitolo ^_-).
A presto
Hui Xie

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Capitolo 7
*** Punto di non ritorno ***


Punto di non ritorno

Punto di non ritorno

Yuugi posò la mano sulla maniglia della porta del Burger World, e la sensazione di pericolo che lo aveva precedentemente assalito aumentò d’intensità, stringendogli la bocca dello stomaco e chiudendogli la gola, soffocandolo. Non potendo resistere, spalancò la porta di getto: immediatamente, le sue gambe si bloccarono, congelandolo sulla soglia. Impossibilitato a muoversi, poté solo osservare la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi.

Anzu era seduta ad uno dei tavoli, accanto alla finestra, con gli occhi bendati. Accanto a lei, un evaso la teneva in ostaggio, minacciando gli altri clienti del locale, fra cui anche Jounouchi, con il quale Yuugi era in compagnia quel giorno.

Lo Yuugi della scena stava sistemando, come gli era stato ordinato, una bottiglia d’alcol con un bicchiere e delle sigarette su un vassoio, per portarle al sequestratore, che lo aveva scelto per la sua aria inoffensiva. E così ero, pensò il ragazzo, ancora bloccato all’entrata del Burger World, timido e fifone. Non che le cose fossero poi cambiate di molto, nonostante il suo impegno.

“Yuugi… Sei tu?” chiese Anzu, alzandosi. “Non venire! È pericoloso!”

“E sta’ zitta!” L’evaso le tirò uno schiaffo, mandandola a sbattere con la schiena contro il vetro della finestra.

Nel passato che aveva vissuto, Yuugi ricordava, dopo quella scena, l’arrivo del suo alter-ego. Ma nel presente che gli veniva mostrato, non vi era nessun altro sé stesso che potesse correre in loro aiuto.

“Anzu!” Yuugi lasciò cadere il vassoio, infrangendo la bottiglia d’alcol contro il pavimento, e si precipitò con l’intenzione di soccorrere la sua amica.

“Che cazzo vuoi fare?” L’evaso strinse la mano muscolosa sul calcio della pistola che gli puntò contro. Yuugi si bloccò immediatamente, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, e fissando l’arma dal basso in alto con espressione colpevole. L’uomo sorrise sadico. “Troppo tardi per pentirsi” E ansimava per il desiderio di vedere ancora scorrere sangue, mentre tirava indietro il cane.

“Yuugi, attento!” Un attimo prima che il colpo esplodesse, il ragazzo si sentì gettare a terra da qualcosa e, nonostante il fortissimo rumore della pistola, non percepì alcun dolore fisico.

“Oh, peccato…” fu il commento dell’evaso.

Solo allora Yuugi guardò alla persona che l’aveva protetto, e che teneva appoggiata la testa contro il suo petto, chinata lateralmente in una posizione totalmente innaturale. Sulla camicia bianca che indossava, nella schiena, giusto all’altezza del cuore, si stava allargando una macchia rossa, che gocciolava leggermente su di lui e sul pavimento.

“No…” scosse la testa Yuugi, cercando di accarezzare quei capelli castani, impregnati di sudore. “Anzu… No, no…” E leggere lacrime inondarono il suo viso pallido.

La scena scomparve lentamente, diventando prima opaca e tremolante, poi sfocata come una foto mal riuscita; infine, il locale ritornò vuoto e tranquillo come doveva essere a quella data sezione temporale. Nonostante i muscoli si fossero rimessi in moto, e il sangue fosse tornato a scorrere nelle vene, Yuugi non aveva ancora avuto il coraggio di muoversi, mentre sulle sue guance comparivano le stesse lacrime che aveva visto al nuovo sé stesso.

Era forse questo il futuro che lo aspettava, senza il suo puzzle? Era così che sarebbe andata la sua vita, a puttane, senza il Faraone? Era davvero così incapace da non riuscire a cavarsela da solo, impotente di fronte alla rovina delle persone che aveva più care?

Otogi prostituta?

Anzu morta?

Jounouchi e Honda drogati?

“Tutto bene?” chiese la voce di Anzu, dietro di lui. Lei e gli altri lo avevano raggiunti, incuriositi dal suo atteggiamento strano.

No, Yuugi non aveva proprio la forza di affrontarlo, né di guardarli in faccia dopo quello che aveva visto. Si voltò, nascondendo il volto fra le mani e corse via, senza una meta, ignorando i richiami.

*-*-*

Marik volse la testa attorno, osservando lo spettacolo che aveva davanti agli occhi: le mura del tempio di Osiride ad Abido, dipinte in maniera così vivace e precisa che le figure sembravano uscire dalle pareti e camminare al suo fianco.

“Sveglia” commentò allora Bakura, colpendolo alla nuca non proprio gentilmente. “Non siamo in visita turistica”

“Parla quello che non perde tempo in scherzi inutili e in gare di pesca…” ribatté l’amico, con fare ingenuo. “Perché hai voluto venire qui, piuttosto?”

“Abido…” sospirò l’altro, incantato per un attimo. “Ricordo perfettamente la festa per i misteri di Osiride, nell’anno primo del regno di Ramses. E’ stata la prima volta in cui ho visto il Faraone. Vediamo se c’è ancora” C’era uno strano tono nella sua voce, quasi di rammarico. “Avrei potuto ucciderlo allora…”

“E perché non l’hai fatto?” chiese Marik, in tono casuale, mentre esaminava un’altra parete dipinta di rosso.

Bakura si limitò a scoccargli un’occhiata traversa, ma non disse nulla. “Andiamo, la cerimonia sarà già iniziata” Iniziò a dirigersi verso il centro della struttura, nel giardino interno, dove, davanti all’acacia sacra, il Faraone, accompagnato dai sacerdoti, avrebbe dovuto compiere il rito di rigenerazione annuale. Lui e Marik arrivarono fin davanti alla porta del giardino, chiusa. Attorno a loro, solo alte mura di pietra che gli impedivano qualsiasi visione dell’interno.

Il secondo bussò leggermente contro quel legno impenetrabile, sapendo che nessuno l’avrebbe udito. “Non credo che tu sia entrato aprendo con una forcina…”

Ma Bakura non lo stava già più ascoltando: si era spostato tenendosi lungo il muro, e, ad ogni passo, batteva leggermente sul piede in contro la parete, come se cercasse qualcosa. Finalmente, trovò il rumore che inseguiva. Si abbassò, e inizio a scavare con le mani. Marik si avvicinò per osservare, curioso, quello che stava facendo: quella parte di muro era stava scavata sapientemente, fino a creare un buco che permetteva l’ingresso al giardino interno, coperto di argilla morbida per essere invisibile ma facilmente penetrabile.

“Ci ho messo un sacco di tempo a scavarlo, tremila anni fa” spiegò con orgoglio Bakura, prima di sdraiarsi per terra e passare strusciando sotto il muro.

“Non ne capisco lo scopo” commentò Marik, non molto soddisfatto di quella soluzione. “Avresti potuto vedere il Faraone in qualsiasi altra occasione…” Tuttavia, lo seguì, lasciando che l’argilla e la polvere del muro gli sporcasse completamente i vestiti. Non appena uscì dall’altra parte, l’amico lo afferrò e lo trascinò a nascondersi dietro la colonna più vicina.

Marik, all’inizio, non capì, e fece per liberarsi dalla stretta al braccio. Si bloccò nell’esatto momento in cui vide una testa bianco sporco spuntare dallo stesso buco che aveva utilizzato qualche minuto prima, e il fiato gli si fermò nella gola.

Il Bakura del passato uscì dal cunicolo con la stessa agilità di un gatto, silenzioso e pericoloso come un cobra. Senza nemmeno preoccuparsi di essere notato, si sistemò esattamente al centro del corridoio del portico, con le braccia incrociate sui pettorali sviluppati, e fissò il centro del giardino, aspettando concentrato. Marik rimase ad osservarlo, lasciando correre i suoi occhi violetti sulla profonda cicatrice che gli attraversava l’occhio sinistro, terminando alla fine della guancia. I capelli, rispetto al futuro, erano meno bianchi, probabilmente per lo sporco, e molto meno ordinati. Sotto il semplice gonnellino bianco e sotto la veste porpora, probabilmente rubata da qualche mercante, la carnagione cioccolata faceva risaltare ancora di più il corpo muscoloso.

Al termine di questa analisi critica, tornò a voltarsi verso il suo compagno, aspettandosi qualche commento che non arrivò. Molto strano: si era aspettato qualche battutina sarcastica, invece Bakura aveva lo stesso sguardo di aspettativa negli occhi nocciola, mentre fissava l’albero di acacia nel centro del giardino rotondo.

“Osiride è il dio della resurrezione” spiegò infine, rispondendo alla domanda fatta precedentemente. “Volevo personalmente vedere in che maniera il Faraone resuscitasse, in modo da impedire che lo facesse dopo il mio attacco” E fece un lungo sospiro, come se alla fine il suo piano non fosse andato a buon fine.

“Capisco” si limitò a rispondere Marik, decidendosi a guardare nella sua stessa direzione.

Finalmente, dopo un’attesa che sembrò infinita, alcune persone, rigorosamente vestite di seta nera, e brillanti alla luce del sole per i numerosi gioielli che indossavano, uscirono dalla porta del tempio, dall’altra parte del giardino.

“Guarda” indicò Bakura, che si divertita a fare il saccente. “Quello è Shada” Indicò un uomo pelato, con numerosi tatuaggi sul capo rasato, che stringeva fra le mani la chiave millenaria. “Scarso, davvero. Un altro scarso è Karim” Si riferì ad un altro sacerdote, custode della bilancia millenaria, con un viso spigoloso ma simpatico. “Isis, la tua antenata”

Marik quasi sobbalzò nel vedere la figura della portatrice della collana millenaria: ovviamente, si trattava della bambina incontrata qualche ora prima, a cui aveva fatto da baby-sitter, ma in quel momento, adulta, con i lunghi capelli sciolti al vento, somigliava a sua sorella in una maniera impressionante. Strinse i pugni, e si domandò se a lei avesse fatto piacere doversi rinchiudere in un buco per secoli, senza avere il permesso di uscire.

“Akunadin, il padre di Kaiba” proseguì Bakura, in tono disgustato, indicando il sacerdote anziano, che si nascondeva l’occhio millenario con i capelli bianchi, che teneva lunghi fino alle spalle. Stava per pronunciare il nome del ragazzo che seguiva Akunadin, ma Marik lo precedette.

“Mahado…” commentò, riconoscendo nel portatore dell’anello millenario lo stesso sguardo fiero e leale del bambino che avrebbe dato la vita per proteggere il piccolo principe.

Bakura annuì. “Ed infine…” Ma rimase interdetto nel vedere un piccolo omiciattolo, grassoccio, uscire dalla porta stringendo in mano l’ascia millenaria. “Chi è?” si domandò, sconcertato.

“Se non lo sai tu…” borbottò Marik, con fare polemico.

“Non c’era…” proseguì Bakura, sempre più sconvolto. “Tremila anni fa il sacerdote dell’ascia era…”

“Il Faraone Sethi e sua moglie, la Grande Sposa Reale, Tuya!” annunciò Akunadin, e, a seguire, sia lui che gli altri sacerdoti si inchinarono, toccando il terreno con la fronte.

“CHE COSA?!” esclamarono Bakura e Marik contemporaneamente, rischiando di essere scoperti dal Bakura del passato, che saettò velocemente lo sguardo verso la colonna dove i due erano nascosti, prima di tornare ad osservare il sovrano, che stava uscendo dal tempio.

Sethi si fermò sulla soglia del giardino, stringendo fra le mani il pastorale e il flagello, in posizione da cerimonia. Una ciocca ribelle spuntava leggermente da sotto la pesante doppia corona che portava sulla testa, e gli nascondeva leggermente gli occhi zaffiro, seri come al solito. Accanto a lui, stretta nell’elegante veste rossa, e con lo scettro a fiore di loto in mano, stava Tuya, una bella ragazza dai lunghi capelli cioccolata stretti in numerose trecce, e con un viso dolce come se fosse stato modellato da un abile scultore, nei cui lineamenti si potevano riconoscere quelli della bambina che aveva tanta confidenza con Sethi nella loro infanzia.

Il Faraone, quindi, camminando nel corridoio formato dai sacerdoti inchinati, si avvicinò alla sacra acacia, con sua moglie dietro, ed iniziò a decantare il rito magico. Gli altri sei, mentre parlava, si erano alzati e avevano iniziato a innaffiare la pianta con latte e birra, contenuta in  secchi che erano stati preparati appositamente ai piedi dell’albero.

A metà rito, Marik non ne poteva già più: afferrò il polso dell’amico per trascinarlo via, considerato anche che il Bakura del passato si era già allontanato non appena il Faraone era comparso sulla soglia. Però, il Bakura del futuro, invece, non riusciva a staccare gli occhi da Sethi, sconvolto.

“Ehi!” esclamò Marik, cercando di farlo riprendere tirandogli degli schiaffi nella nuca. “Andiamo?”

Infine, Bakura abbassò lo sguardo, e annuì debolmente, quindi seguì l’egiziano oltre il muro, dallo stesso cunicolo dal quale erano entrati. Tuttavia, non aveva più la stessa arroganza e la stessa baldanza di prima: sembrava una specie di zombie, con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta. Senza neanche riflettere, si recò sulla riva del Nilo, giusto fuori dalle mura più esterne del tempio, e si sedette fino quasi a sfiorare l’acqua con i piedi.

Sapeva che Marik non comprendeva il suo sconvolgimento, e, dopotutto, era comprensibile. Lui non aveva visto Ramses uscire da quella porta, tremila anni prima, vestito nella stessa maniera, con il pastorale e il flagello stretti nelle mani, e Satre al suo fianco, come regina. Certo, Sethi non era meno elegante, o meno maestoso, ma non aveva la stessa luce negli occhi: la luce di qualcuno incapace di perdere, disposto a tutto pur di vincere, anche alla morte.

Bakura aveva avuto paura solo due volte nella sua vita: la prima, da bambino, a Kuru Eruna, quando i soldati gli avevano trucidato la famiglia davanti agli occhi, e quando lui stesso aveva rischiato di essere ucciso, senza nemmeno sapere il motivo; la seconda, quel lontano giorno, alla festa di Osiride, quando, per la prima volta, aveva visto quegli occhi viola ardenti e decisi. Non l’avrebbe ammesso nemmeno a sé stesso, ma si, aveva avuto paura di quel ragazzo più piccolo di lui. Per questo aveva aspettato altri due anni prima di attaccarlo, allenandosi il più possibile per diventare abbastanza forte da sconfiggerlo. E ora, vedere un altro al suo posto, fosse anche Seto Kaiba...

“Se non altro, abbiamo ridotto ancora il periodo” disse Marik, stufo del silenzio in cui si era chiuso l’amico. “L’accidente deve essere capitato tra l’anno 1316 a.C. e oggi, più o meno”

Finalmente, Bakura si alzò. “E sappiamo anche perché io sto scomparendo e Yuugi e Kaiba no” Non era proprio il tempo di recriminare: se voleva evitare una simile eresia, bisognava riportare la storia sul suo giusto corso, e non piangersi addosso.

“Perché?” domandò, ovviamente, Marik, che non era assolutamente a conoscenza dei particolari del passato.

“Akunadin voleva che suo figlio Sethi salisse al trono” spiegò Bakura. “Per questo, corrotto dal potere oscuro degli oggetti millenari, ha liberato Zork, aiutandomi, per uccidere l’attuale Faraone e fargli succedere Sethi; ma in questa versione della storia, Sethi è già sul trono, quindi Akunadin non ha alcun interesse nell’aiutarmi…”

Marik annuì. “Ma, se la battaglia contro di te si è conclusa a favore di Sethi, perché lui e Yuugi ci sono ancora?”

“Non sono, come Ryou, reincarnazioni al solo scopo di contenitori” proseguì Bakura. “Sono discendenti” E accennò col capo alle mura, per far capire di chi.

“Però!” esclamò Marik, ridendo. “Proprio Kaiba!”

“Tanto non ti ha sposata per amore!” gridò una voce femminile, familiare, da dietro il muro. “Ti ha sposato solo perché era comodo! Insomma, meglio sopportarsi al fianco una che si è abituati a sopportare da anni, no?”

“No, non è così…” replicò un’altra voce, sempre familiare, ma leggermente diversa a come se la ricordavano.  “Mi ha sposata perché vedo Horus e Seth dentro di lui… Un po’ è come se mi amasse…”

L’altra voce rispose con uno sbuffo ironico. “Tu li vedi… Ma lui lo sa?”

Marik e Bakura si affacciarono oltre il muro, sbirciando la scena di nascosto. Tuya aveva lo sguardo basso, e singhiozzava. “Sei cattiva…” mormorò, passandosi la lingua sulle labbra morbide. “Perchè vuoi punirmi come se fossi stata io ad uccidere Ramses…? Lo conoscevo da più tempo di te…” Si voltò, con fare altezzoso, e si allontanò verso il centro del tempio.

Bakura si avvicinò all’altra ragazza, che era rimasta ad osservare la schiena di Tuya prima che sparisse. “Satre?” domandò.

Lei si voltò verso di lui, e Marik potè notare gli stessi occhi turchesi su un viso più maturo e adulto, ancora più bello. Solo che non erano più i gioielli brillanti che guardavano Ramses sulla barca di papiro, qualche anno prima: erano opachi, come spezzati da un dolore troppo forte. “Voi!” sobbalzò, riconoscendoli.

“Ramses è morto?” Bakura l’afferrò per le spalle. “Quando?”

Satre si staccò di scatto, coprendosi il viso con le mani e con i capelli ricci biondi. “Non farmi ricordare!” esclamò. “Avrebbe dovuto esserci lui, oggi, davanti ad Osiride…!”

“Lo so” disse serio lui. “Dimmi quando è accaduto. Te lo riporterò”

“Eeh…” commentò Marik di sottofondo, alzando gli occhi al cielo in modo eloquente.

Satre si asciugò le lacrime con il dorso della mano, cercando di concentrarsi per ricordare perfettamente. “Un’inondazione fa… Stava correndo come l’orice nel deserto… E… E' morto...” fu la sola cosa che riuscì a dire, prima che i singhiozzi avessero il sopravvento.

Nella prossima puntata…
Qui nessuno sta combinando qualcosa di buono. Lo sapevo, toccherà a noi metterci di buona lena per combinare qualcosa, vero, ragazzi?
Tanto io lo sapevo che era colpa di Kaiba, figuriamoci.
Non mi interessa, Mai non c’è in questa storia. E poi, chi cavolo sono Marik e Bakura?
Non lo so, ma me lo sento che non faranno nulla di buono nel passato…
Prossima puntata: “Equilibrio precario” Non perdetela!

 

Hola!
Rispondendo ad un appunto di Ayuchan, specifico una cosa che ho scordato nel capitolo precedente. Nell’Odissea, che risale all’incirca al periodo di Ramses & Co, le sirene sono uccelli con la testa di una bellissima donna. L’aspetto di mezze donne mezze pesci verrà loro conferito solo nel medioevo. Quindi, Marik la scambia per una sirena perché la vede uscire dall’acqua (a mo’ della favola), mentre Satre gli risponde riferendosi alle “ali” perché conosce solo la prima versione delle sirene.
La prima parte di questo capitolo è riferita ad un episodio del manga, ossia della prima serie televisiva mai trasmessa in Italia.
Ancora tanti ringraziamenti a tutti quelli che leggono la mia storia, soprattutto a Ayuchan (non preoccuparti, i tuoi appunti mi sono sempre utili e non mi sembrano affatto polemici ^^; lo so, inserire il personaggio di Satre poteva essere pericoloso, ma, come avrai notato da questo capitolo, ne avevo bisogno per risolvere la situazione ^^), Evee (effettivamente, hai ragione, Bakura dovrebbe essere più “cattivo”, se si segue il manga originale, ma ho letto molte storie nel fandom inglese in cui lui è “buono” o quasi, e così è molto più simpatico e divertente da usare, sebbene anche come vero antagonista abbia il suo fascino), Death Angel (in realtà, non c’era molto sull’Egitto…^^’’ Ma mi fa piacere che tu l’abbia apprezzato comunque; la storia della pipì era solo un modo per dare un contentino anche a Marik e Bakura, poveretti…^^), Ishizu (grazie ^^), Kim (si, era proprio Anzu… In realtà, dato che Yuugi li chiama col –kun, ho dedotto automaticamente che lo facesse anche lei, ma mi sa che ho toppato ^^ Mi spiace, correggerò; spero che Satre non sia diventata Mary Sue in questo capitolo ù_ù; Marik sant’uomo? Guarda che poi si monta la testa ^_- Anche se poi, immaginarlo sopra Bakura ti fa venire in mente tutt’altro, vero…? :-P) e Eli (non preoccuparti, so quanto il regno delle omb- ehm, volevo dire, la scuola sia faticosa, ma se riesci anche a seguire la mia storia mi fa solo piacere ^^ grazie davvero; e mi fa piacere che tu ti sia immedesimata nei due derelitti, ma credo che tu lo abbia fatto per compassione di loro, ormai…^_-).
Grazie ancora a tutti, e a presto.
Hui Xie

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Capitolo 8
*** Equilibrio precario ***


Equilibrio precario

Equilibrio precario

Marik tremò leggermente, mentre i suoi passi risuonavano in modo innaturale all’interno di quelle stanze vuote. “Si può sapere dove mi hai portato?” protestò, annusando attorno l’odore di obitorio che veniva emanato da vasche piene di liquido puzzolente.

Bakura proseguì diritto verso la sua strada, attraversando una stanza dopo l’altra. “La casa della vita di Anubi” disse infine, giunti all’ultima stanza, che conteneva una solo vasca piena. “Il luogo della mummificazione”

“Vuoi dire che lì dentro…?” domandò leggermente Marik, indicando quella costruzione che ora gli sembrava simile ad una lapide.

“C’è un cadavere, si” Bakura non sembrava altrettanto schifato.

L’egiziano aprì lo schermo della macchina del tempo e controllò la data: primo mese della stagione della semina dell’anno ventunesimo del regno del faraone Horemheb. All’incirca, quindi, nel periodo che Satre aveva loro indicato. “Non dirmi che pensi che lì dentro-”

“Se le mie deduzioni sono esatte” lo anticipò Bakura. “Solo i principi reali avevano diritto alla mummificazione lunga, che dura settanta giorni, perciò venivano immersi nel natron nelle ultime stanze…” Si avvicinò al bordo della vasca. “Comunque, adesso controlliamo” Immerse le mani nel liquido e afferrò il cadavere che vi si trovava all’interno, facendolo emergere fino all’addome.

Marik trattenne il respiro: era veramente il Faraone Senza Nome, o Ramses, come avevano scoperto chiamarsi. Solo, era morto. Il natron stava agendo sulla sua pelle, atrofizzandogli i muscoli e incollandogli al pelle alle ossa, tanto che numerose macchie scure lo ricoprivano già. Gli occhi erano chiusi, ma nessuno avrebbe mai potuto pensare che stesse dormendo, vista la smorfia che avevano assunto le sue labbra livide e ormai rovinate. L’addome era abbassato, perché privato di tutti gli organi interni, e diviso a metà da un profondo taglio, ancora più inquietante perché non perdeva sangue, come fosse un pezzo di plastica.

Bakura, sempre tenendo il cadavere in posizione semi-eretta, prese il coltello a serramanico che teneva in tasca e iniziò ad incidere la pelle accanto ad un piccolo foro che aveva individuato all’altezza del cuore. Quando il taglio fu abbastanza lungo, rimise a posto il coltello, perfettamente pulito, e infilò le dita nella ferita, rimestando all’interno come se non stesse frugando in un cuore umano, ma nel fango.

Marik scostò lo sguardo: non era un tipo facilmente impressionabile, ma non amava i particolari macabri e risvegliarsi con il cadavere sanguinante del padre, da lui stesso ucciso, era stato abbastanza per lui. Riaprì gli occhi solo quando sentì il rumore del corpo che veniva immerso nuovamente nel natron.

“Guarda” Bakura allungò la mano sporca verso di lui, mostrando un piccolo oggetto rotondo, nero.

“E’ un proiettile!” esclamò Marik, riconoscendolo.

“Come volevasi dimostrare, qualcuno dal futuro lo ha davvero ucciso” L’albino scoccò uno sguardo alla vasca, con il liquido ancora in movimento. “Ora, se non altro, sappiamo da cosa dobbiamo salvarlo”

L’altro annuì, preparando la macchina del tempo. “Dove andiamo?” Poi si corresse: “a quando andiamo?”

Bakura rispose senza esitazione. “Quattro giorni prima di ora”

*-*-*

“Ma… Sei Yuugi?”

Bastò questa semplice frase, pronunciata da una voce troppo familiare, a far fermare il ragazzo, che aveva iniziato a correre, con le lacrime trattenute che bruciavano nel viso, giusto per dimenticare verso che futuro stava andando. “Raphael?” chiese, un po’ titubante, al ragazzo biondo e muscoloso che lo aveva chiamato, non sicuro di averlo riconosciuto. Poi, quando dietro di lui spuntarono altri due ragazzi, dalle inconfondibili pettinature rosso fuoco e castano alla Goku di Dragon Ball, non ebbe più dubbi. “Amelda, Valon… Ciao”

“Stai piangendo?” chiese Raphael, preferendo quella domanda, più diretta, al semplice come stai.

Yuugi scostò lo sguardo, mordendosi il labbro. Non voleva coinvolgere anche loro, ma non si poteva negare che fossero già implicati in tutta la storia, per non parlare del fatto che né Kaiba né Jounouchi si fidavano di loro. Alla fine, pensando che sfogarsi con degli estranei lo avrebbe fatto stare meglio comunque, si decise a raccontargli tutta la storia della distorsione temporale.

“Ecco, figuriamoci” fu il commento di Amelda, alla fine del racconto, allargando le braccia. “Quando succede qualche casino, c’è sempre Kaiba di mezzo…”

“Spero proprio che non sospettiate anche di noi…” Raphael si chinò verso Yuugi con viso poco amichevole. “No?”

Il ragazzino si limito a fare un sorrisetto imbarazzato. Ci aveva fatto un pensierino, in effetti, su di loro.

“Non ci sarebbe servito a niente uccidere il Faraone!” proseguì allora il biondo. “Dopotutto, è stato Darz a rovinarci la vita, al massimo avremo colpito lui…”

“O Gozaburo Kaiba…” aggiunse Amelda, che, nonostante tutto, non riusciva a dimenticare la figura di quell’uomo che si congratulava per la distruzione della città e per la morte di tanti innocenti, tra cui suo fratello.

“O Jounouchi… Stavo solo scherzando!” si giustificò un istante dopo Valon, all’espressione sconvolta del ragazzo dagli occhi viola.

“Yuugi, sei qua!” Puntuale come del proverbio del diavolo e delle corna, Jounouchi comparve nella strada,seguito dal resto della banda. “Perché sei scappato via in quel modo? Ci hai fatto preoccupare…”

Allora, lui si asciugò le lacrime. “Scusatemi, è solo un po’ di stress” Non sapeva perché, ma parlare con i tre ex-guerrieri di Doma gli aveva ridato un po’ di tranquillità, e si sentiva nuovamente pronto per tornare alla ricerca del colpevole.

“Vogliamo andare a casa mia, allora?” intervenne Otogi. “Così vi dimostrerò che mio padre è innocente…” Tutti annuirono, compresi Raphael, Valon e Amelda che erano ormai curiosi di sapere come sarebbe terminata quella storia. Magari, senza la presenza del faraone, sarebbe stato Dartz a vincere la guerra!

*-*-*

Bakura cercò di mantenere una calma che non aveva. Affondò ancora di più i piedi nella sabbia, mentre si avvicinava ai due ragazzi, vestiti di tutto punto per una battuta di caccia. “Perché diavolo voi due non ve ne restate a casa?!”

“Ma che vuoi?” Ramses, con la lancia stretta fra le mani, e l’arco appeso alla spalla, guardò l’esplosione di rabbia con indifferenza. Accanto a lui, Satre stringeva il laccio della faretra in modo che non le toccasse il capezzolo, e guardava Bakura come se fosse pazzo.

Marik rise sommessamente: a quanto pare, i due ragazzi preferivano starsene a cacciare per conto loro nel deserto, piuttosto che rimanersene chiusi a palazzo. Dopotutto, era la medesima cosa che lui stesso prediligeva, perciò non poteva pretendere che gli ubbidissero quando non aveva la facoltà di convincerli a fare dell’altro.

“A proposito, sai cosa mi è venuto in mente?” disse ad un certo punto Ramses a Satre, ignorando completamente Bakura, che fumava per il nervoso. “Una volta, anche io quand’ero bambino sono stato salvato da dei coccodrilli. E ricordo che il merito andò ad un ragazzo molto coraggioso che da allora ho sempre cercato di imitare…”

“Davvero?” Satre spalancò leggermente i suoi occhi blu. “Che coincidenza!”

“Sembrano il cioccolato con la panna…” pensò Marik, mentre guardava i due. Bastava notare semplicemente il modo in cui lui la guardava ridere, o le leggere occhiate che di tanto in tanto lei gli scoccava, per capire quanto fossero legati, se non già innamorati. Ma, per una volta, Bakura aveva ragione. Se fossero rimasti a palazzo, sarebbe stato molto più difficile per il misterioso assassino riuscire nel suo intento.

“Anche secondo me dovreste tornare a casa, credo che oggi sia un giorno nefasto…” disse, serio come un professore. Però, Ramses era totalmente concentrato a levare una mosca rimasta incastrata nei ricci intrigati di Satre e non l’aveva nemmeno sentito. La stessa cosa valeva per la ragazza, tutta impegnata ad osservare i gesti del compagno. “Ma mi state ascoltando?!”

Non ebbe il tempo di ascoltare la risposta, perché Bakura lo afferrò per un braccio e lo trascinò un centinaio di metri lontano dai ragazzi. “Che diavolo fai?” esclamò Marik liberandosi dalla stretta.

Bakura si sedette sulla duna di sabbia, nella classica posizione giapponese, ed, estratto dalla tasca il suo coltello portatile, se lo puntò verso il ventre, pronto a fare harakiri. “Marik, ti prego di eseguire il kaishatsu” disse serio.

“Idiota!” Marik scoppiò a ridere. “Non sei mica un samurai!” Poi si guardò attorno. “E dove la trovo in mezzo deserto una katana per tagliarti la testa?”

“Ma ti rendi conto?!” Bakura balzò in piedi e, dopo averlo afferrato per le spalle, iniziò a strattonarlo. “Io gli ho dato il suo nome segreto, io l’ho fatto diventare forte e coraggioso, io l’ho trasformato nel mio peggior nemico…!” Lo lasciò, voltandosi dall’altra parte. “Voglio solo morire…”

“Ah, non preoccuparti, ci penserà il Faraone ad accontentarti, fra poco” fu il solo commentò di Marik.

Bakura gli scoccò un’occhiata furente. “Che cosa vuoi dire…?”

“Sono sempre più strani” commentò Satre, che osservava la scenetta a distanza.

“Però sono divertenti” aggiunse Ramses, che non riusciva a capire nulla delle cose che dicevano in giapponese, ma li sentiva così vicini, così in sintonia, da provare una sorta di invidia nei confronti della loro amicizia, qualcosa che comunque non aveva nessuna ragione di provare, per due motivi essenziali. Il primo era che lui stesso aveva dei migliori amici, che avrebbero dato la vita per lui, come Mahado, e il secondo… Marik e Bakura non erano affatto amici!

Poi, Ramses sentì un rumore alle sue spalle, e si voltò: in lontananza, sopra un’alta duna, correva veloce un grosso animale, alzando spruzzi di sabbia al suo passaggio, galoppando. “Un orice!” esclamò, passando l’arco nelle mani di Satre. “E’ mio!” Quindi, si mise a correre nella sua direzione, perché dal punto in cui si trovava precedentemente la luce del sole era troppo forte per poter mirare precisamente, e nel frattempo si appoggiò la lancia sulla spalla, pronto a lanciarla quando fosse venuto il momento giusto.

Correva come un orice nella pianura…

“Minchia!” Bakura ricordò solo in quel momento la frase che Satre, due anni dopo, o un’ora prima a seconda della prospettiva, aveva detto loro, e ricollegò ciò che la ragazza aveva cercato di dire tra i singhiozzi. “E’ adesso il momento!” capì, e iniziò a correre.

Marik si guardò intorno e, nel riverbero dei raggi solari, vide una figura eretta, come un obelisco. “Là!” gridò, sperando che qualcuno lo ascoltasse. In quell’esatto momento si sentì un colpo di pistola.

“Ah, cos’è?!” si spaventò Satre, non abituata ad un rumore così forte, tappandosi le orecchie con la mano.

“Là!” tentò ancora Marik, affiancandosi a lei. Un attimo dopo la ragazza, ripreso il controllo di sé e notato la figura in controluce, afferrò una freccia e la scoccò verso la misteriosa persona. Subito dopo, però, abbassò gli occhi per la luce troppo forte, e li asciugò dalle lacrime che le stavano uscendo.

Anche Marik abbassò gli occhi e, quando ebbe la forza di alzarli di nuovo, perché il bruciore si era attenuato, non vi era più nessuna figura sulla duna. “L’hai preso?”

Satre scosse la testa. “Ra era con lui” Ed intendeva dire che la luce del sole era troppo forte.

Poi, entrambi voltarono lo sguardo per controllare la situazione. Bakura si era gettato su Ramses per fargli schivare la pallottola, ma entrambi giacevano ancora a terra, mentre la sabbia che avevano alzato scendeva lentamente su di loro.

Finalmente, Bakura alzò leggermente la testa, scrollando leggermente la lunga capigliatura per pulirsela, con movimenti non molto diversi da quelli di un cane. Sotto di lui, Ramses rise leggermente. “Si può sapere cose di prende?” sbottò irritato l’albino.

“Mi stai facendo il solletico sul collo…” rispose il ragazzo tra una risata e l’altra. Solo allora Bakura notò la posizione imbarazzante in cui entrambi erano finiti, e si scostò di scatto. Ramses invece non si mosse, ma allargò semplicemente le braccia e le gambe,rimanendo con la schiena sulla sabbia, fino a toccare la sua lancia, che era caduta a terra nello scontro. “Mi hai fatto perdere la preda…” mormorò infine.

“Oh, scusa tanto!” ribatté seccato Bakura. “Non l’ho certo fatto apposta!” E si pentì subito, perché quella frase suonava quasi come una giustificazione.

“Lo so” Ramses si alzò. Sebbene non sapesse dire esattamente cosa fosse successo, sapeva che quello strano ragazzo gli aveva appena salvato la vita. Lo capiva a pelle. “Grazie” Quindi gli voltò le spalle e si diresse verso la duna inondata di luce, dove Marik e Satre si erano recati, dopo essersi accertati della salute dei due compagni, per scovare delle tracce del colpevole.

Bakura tergiversò un poco prima di seguirlo. Aveva notato nei suoi occhi viola una luce diversa, un ringraziamento ben più profondo, come se quel gesto, assieme alle altre avventure che avevano vissuto, avesse formato per l’altro un legame indissolubile. “Modificare il passato è davvero strano…” pensò, mentre si avvicinava agli altri. Evidentemente, il motivo per cui Ramses, ai suoi tempi, aveva lottato con tanta determinazione doveva derivare anche dal fatto di sentirsi tradito da una persona che credeva amica: lui stesso.

Lasciò perdere questo discorso. Non gli importava nulla di ciò che il Faraone avesse provato, né quali motivi lo spingevano a combattere. Sapeva solo una cosa: l’avrebbe sconfitto. Almeno, questo era ciò che cercava di ripetersi, quasi una sorta di autoconvincimento, anche perché non riusciva a dimenticare l’espressione sul viso di Ramses quando l’aveva ringraziato.

Quando finalmente arrivò sulla collinetta, trovò Satre, delusa perché la sua freccia aveva solo sfiorato il colpevole, ed era quindi sporca di sabbia e sangue, Ramses che cercava di consolarla e Marik che rideva a squarciagola senza che nessuno gli desse peso. “Ma che cazzo fai?” fu la domanda di Bakura, che era già irritato per i fatti suoi.

L’egiziano smise finalmente di ridere. “Ho scoperto il colpevole. So chi è”

“Davvero?!”

“Si, e ho anche le prove…” Alzò il guanto. “Finché il capo supremo non ci chiama, abbiamo tempo per fare un’altra cosuccia…” E toccò pericolosamente il tasto blu della macchina del tempo.

 

Nella prossima (e ultima) puntata:
Finalmente, è venuto il mio turno di darmi da fare, visto che finora ha fatto tutto solo Bakura, e difatti si è vista l’utilità delle sue azioni… Lasciamo perdere, va’… E comunque, il mio nome è Ishtar, Marik Ishtar, e il colpevole sei tu!
Prossima puntata: “elementare, mio caro Bakura” 
Non perdetela!  

Hola! ^_^
In questo capitolo viene nominato l'harakiri e il kaishatsu (che spero vivamente di aver scritto giusto, perché ho perso il volume di Love Hina dove l'avevo letto -_-), che sarebbe, appunto, il suicidio tipico dei samurai (lo sa bene chi legge Ranma): in pratica, il malcapitato si tranciava il ventre con la sua spada mentre un altro gli tagliava la testa. Almeno, questo è quello che ho letto, spero sia esatto ^^
Grazie ancora a tutti per aver letto la storia e soprattutto a Ayuchan (non preoccuparti per la nota, era colpa mia che mi ero scordato di dirlo ^^'' Mi fa piacere che Ramses come l'ho costruito ti sia piaciuto, vista la tua passione ^_- ma come, adesso ti fidi più di Bakura che di Marik?!), Death Angel (se Bakura ti abbia fatto pena mi fa piacere, ma non l'avrò reso troppo drammatico? Spero di no!), Ita rb (non preoccuparti, grazie della recensione), Kim (con Yuugi temo di essere stato un po' sadico, mi dispiace, ma credo che davvero lui si sia sentito perduto nell'accorgersi di non essere riuscito a diventare forte senza l'altro se stesso... Credo che tu possa capire che intendo ^_-) e Evee ( la tua è un'ipotesi interessante... Dovresti dirlo a Marik prima che sbagli persona! Spero comunque di riuscire a rispondere a tutte le tue domande in tempo utile... ù_ù).
Alla prossima, spero presto.
Hui Xie

 

 

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Capitolo 9
*** Elementare, mio caro Bakura ***


Elementare

Elementare, mio caro Bakura

“Perché?!”

Questo fu il primo incredulo commento di Otogi non appena vide le porte e le finestre di casa sua completamente ricoperte di nastro adesivo, con i sigilli della polizia e i cartelli che avvertivano dell’ingresso vietato.

Yuugi sospirò: quello doveva essere un altro bello scherzo della distorsione temporale.

“Ma quando l’hanno fatto?” si chiese Jounouchi. “Come facevi a non saperne nulla?”

“Boh…” scosse la tesa Otogi. “Io sono fuori da ieri pomeriggio…” Guardò ancora una volta la porta sigillata. “E mio padre…?”

“Se andiamo a casa mia” Yuugi indicò il minuscolo negozio all’angolo, giusto alla fine della strada. “Puoi chiamare il 118 e vedere che cos’è successo…” Tutti annuirono, anche perché era la cosa più intelligente da fare al momento, e lo seguirono fin nel negozio, dove il moro poté telefonare alla polizia.

“Sono Ryuji Otogi… Si, i sigilli?” Gli altri si misero ad ascoltare, interessati. “Cosa?! No, non è possibile… Mio padre, capisco… Non ne sapevo nulla… Va bene, arrivo” Mise giù la cornetta, e si voltò a fissare i ragazzi, che aspettavano pazientemente che gli fornisse una risposta. “Hanno trovato della cocaina in casa mia: a quanto pare, erano sulle tracce di mio padre da un bel po’ di tempo”

“Vuoi dire che faceva lo spacciatore?!” esclamò Anzu, sconvolta. Sapeva di cosa era stato capace quell’uomo una volta, ma non avrebbe immaginato mai che potesse cadere così in basso. Otogi annuì.

Già, pensò Yuugi, effettivamente uno spacciatore mancava nella lista di tutti i possibili lavori. Ci mancava solo che Mai saltasse su dicendo che si era messa a fare la prostituta per strada e avrebbero raggiunto l’apice della desolazione.

“Comunque, questo elimina mio padre dalla vostra lista dei sospetti” proseguì Otogi. “Era in centrale ieri notte”

E questo era un problema, visto che la loro lista dei sospettati si esauriva proprio con lui.

Lui si avviò verso la porta. “Scusatemi se non continuo ad indagare con voi, ma devo andare…” Non ebbe bisogno di aggiungere nulla: li salutò e uscì dal negozio.

Ma non vi era altro su cui indagare. Gli amici si guardarono tristemente: non restava loro che tornare da Kaiba e prendersi una noiosissima ramanzina su quanto erano stati incapaci; la cosa peggiore, tuttavia, era proprio quella di non potersi opporre alla sua scenata.

“Idioti!” fu infatti il commento di Seto, quando, tornati nel laboratorio della macchina del tempo, gli riferirono i fatti della giornata e, soprattutto, la conclusione di aver fatto solamente un buco nell’acqua. “Ma, dopotutto, come potevo aspettarmi di più da uno che ha bisogno dello spirito di un morto per vincere, da un bonkotsu, da una ragazza pon pon e da una che muore se sta zitta due minuti?” Scoccò un’occhiata storta ai tre ex-guerrieri di Doma, ma si trattenne dall’aggiungere altri commenti.

“Piuttosto, Marik e Bakura?” Jounouchi non aveva certo scordato quei due e la loro missione nel passato e, se possibile, la cosa lo preoccupava maggiormente del fallimento della loro missione.

In quell’istante, lo schermo della macchina del tempo si accese, facendo scorrere una sequela incomprensibile di numeri e cifre. “Stanno tornando” rispose Kaiba, e il tono di voce tradì leggermente la sua aspettativa. Poi lo schermo si spense, e le porte della cabina si aprirono, lasciando uscire Marik e Bakura.

“Eh?” Tutti strabuzzarono gli occhi, fissandoli. Il primo indossava un impermeabile marrone, chiuso stretto in vita da una cintura in cuoio, dei pantaloni beige e un paio di scarpe di vernice che persino il nonno di Yuugi si sarebbe rifiutato di indossare. In testa portava uno strano cappello con la visiera davanti e dietro e stringeva tra le mani coperte dai guanti una pipa di legno scuro. Bakura, invece, indossava una specie di smoking, con un panciotto bianco che lo ingrassava, e una bombetta troppo piccola per sostenere la sua folta capigliatura. Al contrario di Marik, che sembrava orgoglioso del suo look, teneva lo sguardo basso e aveva le guance in fiamme per la vergogna.

“Ecco gli altri due idioti…” commentò disgustato Kaiba. “Piaciuto il carnevale?” Jounouchi e Honda non poterono proprio trattenersi e scoppiarono a ridere.

“E io avrei affidato la vita di Mou Hitori no Boku a… questi due?” si domandò mentalmente Yuugi.

“Guardate che è una cosa seria!” si offese Marik, ma si contraddisse subito dopo quando, appoggiandosi la pipa alle labbra, fece uscire dal tubo una serie di bolle di sapone, cosa che aumentò l’ilarità generale.

“La vogliamo finire?!” esplose Kaiba, afferrando la prima cosa che gli capitò sottomano e lanciandola contro il ragazzo, che riuscì a schivarla in tempo. L’oggetto, manco a dirlo, finì in faccia a Jounouchi, che rideva giusto dietro di lui, facendolo cadere a terra.

“E’ quello che dico anche io…” parlò finalmente Bakura, indicandosi i vestiti. “Va bene che abbiamo risolto il caso, ma era proprio necessaria questa pagliacciata?”

“Fondamentale!” si accigliò Marik.

Yuugi percepì solo la prima parte del discorso. “Avete risolto il caso? Davvero?”

“Ovviamente. La storia ritornerà sul suo giusto corso” si bullò Marik. “E ho anche scoperto chi è il colpevole…”

Tutti tacquero, aspettando la continuazione.

“Piantala di fare il cretino!” esclamò Bakura, che non ne poteva più di sopportarlo in modalità Sherlock Holmes.

“Noi abbiamo sempre pensato che il colpevole, chiunque fosse, volesse vendicarsi del Faraone” iniziò Marik, camminando leggermente avanti e indietro per la stanza, e portandosi di tanto in tanto la pipa alle labbra.

“Non è così?” chiese Yuugi, sorpreso. Non vedeva proprio altre ragioni.

“Effettivamente, questa era l’ipotesi più probabile, ma non l’unica” gli rispose l’egiziano. “In questo caso, abbiamo proprio trascurato la parte fondamentale, il movente, e questo ci ha sviati. Infatti, il colpevole mirava sì ad uccidere il faraone, ma solo per non farlo riapparire nella nostra epoca, non per vendetta. Insomma, non voleva incontrarlo nel presente. Inoltre, si tratta di una persona che conosce la storia solo a grandi linee”

“Come fai a dirlo?” chiese il suo amico, che si stava, con suo sommo sollievo, liberando di quei vestiti scomodi e fuori moda che era stato costretto ad indossare.

“Elementare, mio caro Bakura” Marik agitò il dito indice davanti al viso, in disapprovazione. “Se si fosse trattato di una vendetta, per tutti sarebbe stato molto più vantaggioso colpire nel passato del XX° secolo, non tremila anni prima. Prendiamo Haga e Ryuzaki: loro avrebbero potuto dire ai se stessi del passato di modificare i loro deck per non perdere nuovamente. Sarebbe stato più conveniente e meno complicato”

“Si, è vero” assentì Kaiba, seppur con il rammarico di dovergli dare ragione.

“E poi, il colpevole non sapeva precisamente di Bakura. Infatti, se l’avesse saputo, avrebbe potuto uccidere piuttosto lui, e in questo modo il faraone non avrebbe più avuto la necessità di sacrificarsi e quindi rimanere imprigionato nel puzzle”

Yuugi annuì, sentendo ancora freddo nello stomaco: nonostante tutto, il puzzle continuava a non riapparire appeso al suo collo. “Chi è? E perché lo ha fatto?”

“Il perché lo so a grandi linee” rispose Marik. “Ma… Anzu. Dove ti sei tagliata?”

La ragazza, involontariamente, si coprì la ferita al braccio destro con la mano, sentendo lo sguardo di tutti su di lei. “Oggi, quando sono uscita dal bar…” Yuugi sbatté le palpebre: eppure, non aveva notato quel taglio sottile prima…

“Sicura? Non è stata piuttosto la freccia di Satre?”

“Di chi?” negò Anzu, mostrando un’espressione sorpresa.

“Tanto è inutile che continui a negare” sbottò Marik, stanco della sua reticenza. “Ho le prove che sei stata tu” Si frugò in tasca, ed estrasse una specie di tamagochi a forma di cuore, do colore rosso. “L’ho trovato sulla scena del delitto…”

“Signor Kaiba!” esclamò Roland, entrando in quel momento nella stanza. “Abbiamo scoperto il problema nel sistema di sicurezza. A quanto sembra, l’allarme viene disturbato dalle frequenze di certi apparecchi elettronici come…” Fissò l’oggetto tra le dita di Marik. “…come quello…”

“E’ tuo, Anzu…” mormorò Yuugi, ma la domanda venne espressa più come affermazione. Il ragazzo estrasse dalla tasca il suo tamagochi a forma di cuore, quello che molto tempo prima lei stessa gli aveva regalato, e premette uno dei pulsanti: immediatamente, i due oggetti si misero a suonare, dimostrando che i due possessori erano compatibili tra di loro. “E’ proprio il tuo…”

“Perché?!” l’aggredì Jounouchi. “Dimmi perché cazzo l’hai fatto?!”

Anzu abbassò lo sguardo, mentre le lacrime iniziavano a rigargli le guance. “I-Io… Io lo amo” singhiozzò. “Con tutta me stessa… Ma lui… Lui se ne sarebbe andato… Allora, meglio fosse stato non conoscerlo mai..." 

"E così hai pensato di utilizzare la macchina del tempo" terminò Marik al suo posto. "Sono sicuro che nella lista troveremo il nome di qualche gruppo di danza…"

La ragazza alzò lo sguardo e li fissò, sorridendo debolmente. “Ma lo sapevo. Lo sapevo che mi avreste fermato…” E poi le lacrime ebbero il sopravvento.

“No” scosse la testa Kaiba. “Non lo sapeva. Lo sa adesso: ed è un segno che la storia sta veramente tornando come doveva essere”

“Il caso è risolto” sorrise Marik, soffiando ancora nell’aria qualche bolla di sapone con la sua pipa.

*-*-*

Il mattino successivo, quando Yuugi aprì gli occhi, stupito con se stesso per essere riuscito a dormire, la prima cosa che fece fu alzarsi di scatto per controllare che il puzzle millenario fosse tornato al suo posto, appeso al lato del suo letto: c’era, come avrebbe dovuto essere. Sospirò di sollievo, toccandolo delicatamente con i polpastrelli, quindi lo indossò.

“Che succede, Aibou?” Yami era apparso nella sua figura trasparente, seduto accanto a lui sul letto, con le gambe accavallate e un’espressione curiosa in viso.

Yuugi lasciò che le lacrime scorressero tranquillamente lungo le sue guance. “Sei tornato…” E, se solo avesse potuto farlo, l’avrebbe abbracciato, e avrebbe affondato il viso bagnato nel suo petto, singhiozzando felice.

“Ehm, Aibou…” commentò Yami, sbattendo leggermente le palpebre, confuso. “Dove sarei dovuto andare?”

Per un attimo, nemmeno Yuugi capì la situazione, poi si rese conto che l’altro sé stesso doveva ignorare tutto quello che era loro successo, semplicemente perché non aveva potuto viverlo nella dimensione alternativa che stava per crearsi. Rimase indeciso se raccontarglielo oppure no, ma infine lo fece. Era più giusto.

“E così è stata Anzu…” fu l’unico commento che disse Yami alla fine, nascondendo la testa tra le ginocchia delle gambe piegate. Sospirò poi a lungo, indeciso su cosa dire. Sapeva bene che il suo partner aveva sempre avuto un debole per lei, perciò cosa mai avrebbe potuto consolarlo dall’aver scoperto che la ragazza che amava aveva cercato di uccidere un altro dei suoi migliori amici.

Yuugi si rigettò sul letto, coprendo i singhiozzi sulla stoffa del cuscino. “E’ tutta colpa mia” mormorò, con la bocca impastata di saliva.

“Eh…?” Yami balzò su di scatto. “Che stai dicendo…?”

“Se… Se fossi stato più forte, più bravo…” Si voltò leggermente a fissarlo, con le ciglia imbevute di lacrime. “Forse… Forse Anzu si sarebbe innamorata di me… E allora… Allora…”

“No!” Il faraone pronunciò la negazione con un tono molto perentorio, come usava fare talvolta con gli avversari. “Tu non c’entri. Al massimo, la colpa è mia per averle dato delle illusioni”

“Ah, si…” mormorò Yuugi molto poco convinto, strofinando il viso contro il cuscino. “Però… Però è indubbio che senza di te sono un incapace… Guarda come sarebbe stata la vita di tutti se… Se-”

Yami si risedette sul letto accanto a lui, e iniziò ad accarezzargli virtualmente i capelli neri, spettinati dopo la nottata. “Ascoltami: la dimensione cambiata non è colpa tua, come non è mai stato merito mio se hai trovato degli amici. Pensaci bene: Honda ha detto che sei stato tu a salvare loro, ed è così. Chi si è fatto picchiare per salvarli?” I singhiozzi di Yuugi cessarono leggermente, mentre lui andava avanti. “E Anzu stessa… Nell’altra dimensione, sarebbe morta per te… Non per me” Fece un altro sospiro profondissimo. “Probabilmente sono davvero io che non dovrei essere qui, e che sta facendo tanti danni…”

“Non è vero” Yuugi si voltò a pancia in su, per guardalo. “Non è vero…” ripeté. “Io sono… Sono veramente contento di averti conosciuto…”

“Anch’io” Yami sorrise debolmente. “Se non ci fossi tu, io non ci sarei… Come vedi, sei importante per tutti…”

L’altro ragazzo si morse leggermente le labbra. “Cosa dovremo fare, ora…?”

“Con Anzu, intendi?”

Yuugi annuì. “Kaiba ha detto che il suo reato non è perseguibile penalmente…” Ma, a prescindere dal castigo che avrebbero dovuto darle, e lasciarla sola sembrava già una condanna accettabile, lui stesso non sapeva darsi pace di ciò che era successo, né dei sentimenti che provava: aveva amato Anzu, certo, e poteva sentire un poco di pietà per il suo amore non corrisposto, dato che si trovava da tanto tempo nella medesima situazione, però… No, era più che altro triste, spaventato ed arrabbiato. Triste, perché perdere una persona cara in quella maniera è doloroso; spaventato per un tradimento simile, e terrorizzato dall’idea che potesse capitare con altre persone; arrabbiato perché lei aveva… Aveva cercato di uccidere l’altro se stesso… Non riusciva proprio a capirla, né a perdonarla. La temeva soltanto.

“In effetti…” Yami alzò un po’ le sopracciglia, cercando di trovare, senza successo, una parola giusta per definirlo. Era strano: proprio lui, che aveva lasciato stare persone come Pegasus e Marik, i quali avevano cercato di ucciderlo per motivi altrettanto egoistici, non riusciva proprio a pensare ad Anzu nella stessa maniera. Era veramente ironico come fosse più facile perdonare un estraneo che un amico, visto quanto più in profondità ferisce quel tradimento. Fissò quindi dritto davanti a sé. “Credo, allora, che dovremo guardarci le spalle…”

Il suo partner si ricoprì gli occhi umidi con le braccia. Tornare indietro era impossibile

*-*-*

“Che ti succede oggi?” Una delle sue compagne di danza si avvicinò ad Anzu, mentre quella terminava i suoi esercizi alla sbarra. “Non è da te sbagliare una simile sequenza di passi… Anzi, è da quando siamo andate a quella mostra sulla tecnologia che sei strana…”

“Ho… Litigato con i miei migliori amici” ammise la ragazza, sistemandosi uno scaldamuscoli fucsia che era scivolato tutto sulla caviglia. “Per colpa mia…”

L’altra ballerina la guardò stranita. “Tutto qui? Proprio perché sono i tuoi migliori amici, sarà più facile perdonarti. Basterà che tu ammetta di aver sbagliato, no?” Alzò le spalle. “Se tu fossi orgogliosa sarebbe un conto, ma dato che non è così…” Quindi si allontanò leggermente per eseguire la sequenza di passi che l’insegnante aveva appena ordinato.

“Magari fosse una cosa così semplice…” Anzu sospirò, appoggiandosi totalmente alla sbarra e nascondendosi il viso con le mani. Certo, avrebbe potuto tornare da loro e spiegare per bene cosa avesse fatto, ma non sarebbe servito: la cosa importante era che aveva premuto quel maledetto grilletto, e non c’era altro che potesse dire per giustificarsi.

Quando aveva visto Kaiba presentare quella macchina del tempo, era stata così felice… Avrebbero potuto andare tutti insieme nel passato, e aiutare Mou Hitori no Yuugi… Impedirgli di morire… Era una cosa fantastica! Poi, le era venuta la tentazione di andarci da sola. In quel modo, forse, lui si sarebbe potuto innamorare di lei, di una coraggiosa ragazza che rischiava la vita per salvarlo…

Quello era stato il suo primo errore: essere egoista per amarlo troppo.

Sapeva, ovviamente, che Kaiba non le avrebbe mai permesso di andare nel passato, perciò aveva dovuto agire di nascosto, entrando alla sede della società la notte stessa, e utilizzando la macchina del tempo grazie alle istruzioni che aveva trovato proprio al fianco dello strumento. Probabilmente Seto era talmente sicuro che nessuno potesse entrare che non si curava di lasciare documenti importanti in giro. Per prudenza, si era portata dietro anche la sua pistola, quella stessa che aveva rubato all’evaso del Burger Wolrd dopo che questi era morto: le sarebbe potuta servire, in caso di combattimento. Era proprio per scopi difensivi che non l’aveva consegnata alla polizia.

Aveva poi preso un tempo a caso, basandosi su qualche lettura che aveva fatto sull’antico Egitto e sulle informazioni che le aveva dato Isis, ed era stata fortunata. Lo aveva trovato subito, sebbene Mou Hitori no Yuugi che aveva incontrato fosse un po’ troppo giovane per lei, all’incirca sui quattordici anni, e ancora un principe.

Eppure, mentre lo osservava sdraiato sulla sabbia, dall’alto dell’altura su cui si trovava, lo vedeva sempre bello, già con quegli occhi profondissimi e l’espressione decisa, le labbra carnose, e, per di più, vestito com’era, poteva anche osservarne gli addominali che si sviluppavano pian piano.

Un paradiso.

Almeno, finché non era arrivata lei. Satre, così si chiamava. Bella, bionda, occhi azzurri, fisico perfetto. Perché diavolo esistevano persone così? E sembrava anche essere molto in confidenza con lui…

"Ho saputo della tua impresa" gli aveva detto ad un certo punto lei. "Hai salvato un'altra fanciulla indifesa dalle fauci di un coccodrillo..." Era un tono molto ironico, leggermente malizioso.

Ad Anzu era venuto in mente l'episodio del Luna Park, quando si era messa nei guai apposta per poterlo incontrare. Gli fece veramente molto piacere vedere che nel passato non era diverso dal futuro, sempre coraggioso e pronto ad aiutare gli altri, senza pretendere nulla.

"Non parlare come se l'avessi fatto per farmela" aveva replicato infatti lui, con la stessa voce già profonda della quale Anzu si era innamorata, continuando nella sua opera di affinare la lama della sua lancia con un sasso. "Diciamo che... Le persone che non riescono a salvarsi da soli mi fanno pena" Gli scoccò un'occhiata. "E poi, trovo molto più facile aiutare qualcuno per cui non provo nulla: evita coinvolgimenti emotivi"

"Oh... Quindi non salveresti me?" aveva chiesto Satre, con un'espressione innocente.

"Ma certo che lo farei..." Lui scostò lo sguardo.

Ma lei non aveva sentito queste ultime frasi. Si era concentrato sulle prime. Mou Hitori no Yuugi salvava le persone per pena. Aiutava quelle di cui non gli importava nulla. Non poteva crederci. Quindi tutte le attenzioni, l'impegno, le frasi gentili non erano altro che una facciata per nascondere la pietà che provava nei suoi confronti, nei confronti di una ragazzina incapace sempre in difficoltà. E dire che lei aveva cercato in tutti i modi di consolarlo, di aiutarlo quando lui, probabilmente, pensava ad altro visto che non provava niente a stare in sua compagnia... Forse nemmeno amicizia. Inconsciamente, la mano aveva afferrato la pistola che era infilata nella tasca dei pantaloni.

"Un orice!" Mou Hitori no Yuugi si era alzato di scatto, impugnando la lancia, e si era diretto velocemente verso il grosso erbivoro, in modo da poterlo colpire con più facilità.

Un attimo: non aveva nemmeno ragionato. Aveva solamente preso la pistola e sparato. Aveva desiderato vederlo morire, e il suo desiderio si era realizzato. Naturalmente, non appena aveva sentito il colpo risuonarle nelle orecchie, e Mou Hitori no Yuugi cadere con il viso nella sabbia simile ad una marionetta a cui erano stati tagliati i fili, si era improvvisamente resa conto di quello che aveva fatto, come se la bolla d'acqua che gli aveva offuscato la mente fosse scoppiata, rivelandogli la verità.

Lo aveva ucciso.

Ancora adesso non riusciva a spiegarsi come aveva potuto ritornare nel presente e a casa sua con le sue gambe, dati gli spasmi ed il tremore che le scuotevano tutte le membra. Ovviamente, non aveva chiuso occhio. Invece, fingere con i suoi amici, la mattina successiva, era stato più facile. teneva troppo alla loro amicizia per riuscire a rivelare loro la sua colpa. Se l'avesse fatto, probabilmente, un giorno avrebbero anche potuto perdonarla. Ma non aveva nemmeno ilo coraggio di ripetere a se stessa che aveva ucciso un uomo. Per altro, non un uomo qualunque, ma la persona che amava.

Chissà cosa stava pensando ora Mou Hitori no Yuugi! Il suo disprezzo era la cosa che la faceva stare più male. "Eppure ti amo..."

"Masaki!" chiamò la sua insegnante. "Vieni a vedere i passi per la coreografia"

"Si..."

*-*-*

Marik e Bakura si erano seduti su una panca in uno dei corridoio del museo, stravaccati come barboni, e lasciavano che i visitatori gli passassero davanti senza notarli minimamente.

“Ma porc…!” esclamò allora il primo, che cercava inutilmente di far venire almeno uno degli esercizi sul libro che stava studiando. “Mi domando chi è l’imbecille che ha creato la chimica…” Con tutto quello che aveva avuto da fare per la distorsione, il tempo per imparare si era ridotto notevolmente.

“Ma perché la studi, se ti fa schifo…” commentò Bakura, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa sulle mani incrociate dietro la nuca.

“Perché io, al contrario di te, ci tengo ad essere promosso” replicò l’altro, acido. Dopo qualche minuto di silenzio, aggiunse: “però è stato divertente”

“Cosa?” chiese Bakura, senza aprire gli occhi.

“Andare nel passato”

“Mmm…” Lui si leccò le labbra, assaporando per un attimo i ricordi della giornata precedente, soprattutto alcune scene particolari... “Si…”

“Guarda chi c’è…” sorrise leggermente Marik, costringendo l’amico ad alzarsi dalla posizione quasi sdraiata e a fissare davanti a sé. Yami stava in piedi di fronte a loro, con la solita espressione seria, un braccio lungo il fianco e l’altro appoggiato sulla cintura a vita bassa che conteneva il deck, il puzzle appoggiato sul body blu attillato e la giacca della divisa scolastica che, indossata sulle spalle, ondeggiava leggermente ad ogni suo movimento.

Nessuno dei tre parlò. “Grazie” disse infine Yami, grattandosi leggermente una guancia.

“Oh, non l’ho fatto mica per te!” esclamò Bakura, ridendo leggermente. “Se solo non ci fosse stato Sethi, io avrei lasciato Anzu a fare quello che doveva fare…” E sorrise pensando a quanto erano buoni quei ragazzi, che alla fine l’avevano pure perdonata!

“No, non per quello” scosse la testa Yami, sempre più imbarazzato. “Non so bene per cosa… E’ che mi sento di ringraziarvi”

Marik sorrise leggermente: certo, aveva capito benissimo a cosa il faraone stesse alludendo, sebbene lui stesso non lo potesse ricordare. Si riferiva al fatto che, grazie ai loro casini temporali, era diventato il sovrano coraggioso che era.

Allora Bakura, scuotendo la testa, si alzò e gli poggio una mano sulla spalla. “Figurati, è sempre un piacere aiutare i bambini che si fanno la pipì addosso anche a sei anni” gli sussurrò leggermente nell’orecchio, lasciando però che anche Marik lo sentisse e scoppiasse a ridere, abbandonando definitivamente  gli studi di chimica.

Yami, pur non sapendo cosa il ladro volesse intendere, arrossì suo malgrado. “Bakura!” esclamò, mentre l’altro si allontanava lungo il corridoio. “Che diavolo hai fatto nel passato?!”

*-*-*

“Senti, fratellone…” iniziò leggermente Mokuba, mentre i due uscivano da uno dei sotterranei segreti del grattacielo della Kaiba Corporation. “Non avevi promesso a Yuugi e agli altri di distruggere la macchina del tempo, in modo che nessuno potesse più usarla a sproposito?” Si guardò indietro, nella stanza che avevano appena lasciato, e fissò con preoccupazione la cabina, ancora perfettamente integra, che era stata spostata in quel luogo.

Seto premette un pulsante e la porta blindata si chiuse, chiudendo tutto ermeticamente. “Mokuba, non è importante quello che fai” gli rispose, serio e cinico. “La cosa importante è quello che fai credere agli altri” E, senza aggiungere altro, si allontanò dal corridoio per tornare al lavoro.  

Hola!
Siamo arrivati già (o finalmente) all'ultima puntata. Spero che vi sia piaciuta e non vi abbia deluso. Lo so, il colpevole è un po' particolare, ma ho pensato che così fosse davvero come un giallo vero (anche se, devo ammetterlo, non avevo dato indizi per scoprire chi davvero fosse il colpevole), dove l'assassino è sempre il più insospettabile. Il finale è in parte aperto, ma non credo proprio che ne farò un seguito; però, se qualcuno avesse delle idee per sfruttarlo, sono perfettamente disposto a cedergli l'eredità.

Passiamo ai ringraziamenti.
Grazie a tutti quelli che hanno letto la mia storia e soprattutto quelli che mi hanno sostenuto durante la pubblicazione, come Ita rb (ecco a te il sicario, soddisfatta? ^^), Death Angel (mi fa piacere che quella frase ti sia piaciuta, anche se forse un po' troppo esagerata per il carattere dei personaggi ^^ Magari fosse stato davvero così!), Octavia88 (ammetto la mia ignoranza, non lo sapevo ^^'' Grazie per avermelo spiegato e grazie dei complimenti, anche se sono un ragazzo ^_-),  Evee (se strozzavi Marik non avremmo mai scoperto il nome del vero colpevole... Non era Kaiba, peccato... Lo credevo anche io ^_-), Ayu chan (sono contenta che quella scena ti abbia fatto un po' impressione, era il mio scopo ^^ Satre ti ringrazia per il permesso accordatole, ne approfitterà subito ^_-), Kim (si, è l'ultimo... Sai, preferisco sempre non esagerare in lunghezza, per non rischiare di annoiare tirandola troppo per le lunghe, e la mia intenzione era far ripercorrere determinate tappe a Marik e Bakura, oltre le quali avrei sforato troppo, credo ^^ Avevo già in mente quella scena, ma dopo la tua ammissione di essere una shonen-ai speravo proprio che ti piacesse! ^^ Te la dedico), Eli (no, che io sappia della mummia di Ramses/Atemu non ne parlano assolutamente, nemmeno del manga, perciò non si sa nulla, nemmeno se la sua assenza dipenda dal fatto di essersi sacrificato. Effettivamente, tra Atemu e Bakura non dovrebbe esserci affatto nè odio nè vendetta, visto che non è colpa né dell'uno né dell'altro... E' per quello che ho scritto la frase ^^), Likos, Mana e Ishizu (grazie per le recensioni agli scorsi capitoli, spero che prima o poi abbiate occasione o/e voglia di terminare la lettura). Grazie di cuore a tutti. Vi amo.
Spero a presto con la nuova storia.
Hui Xie

Hola alla seconda!
Come ho scritto nell'introduzione, ho modificato questo ultimo capitolo su suggerimento di uno dei miei recensori, Cry, che mi ha fatto notare delle incongruenze evidenti. Come ho detto prima, avevo scelto Anzu come colpevole per creare un colpo di scena, perciò non mi sono curato molto di rendere il movente e le reazioni con molta profondità. E' stata proprio una grande pecca da parte mia, perciò ho provveduto al più presto a porvi rimedio. Spero proprio che con queste modifiche risulti tutto più credibile.
Come Anzu avesse la pistola l'avevo lasciato sottinteso apposta per vedere se qualcuno lo capiva, ma in questa seconda versione ho preferito esplicitarlo direttamente, tanto non era nulla di particolare da nascondere ^^ Posso solo sperare che le modifiche vi piacciano. Posso dire che è stato più difficile scrivere questo pezzo rispetto all'intera storia, perché rendere OOC i personaggi in una situazione simile è veramente facilissimo.
Approfitto di questa occasione per ringraziare tutte le persone che hanno molto gentilmente recensito la prima versione del capitolo, come Death Angel (mi fa piacere che ti abbiano tutti fatto ridere ancora, e che il colpevole sia stato di tuo gradimento), Mana (ma guarda che mi avevi già recensito una volta ^^ Non te lo ricordi più? Comunque grazie), Ita rb (meno male che non ti aspettavi Tea, altrimenti che colpo di scena sarebbe stato? Grazie dei complimenti), Francesca Akira89 (per fantasia logica intendi le spiegazioni che ho cercato di dare alla storia delle dimensioni? Se è così, consultare tre matematici e un fisico non è stato tempo sprecato ^^ grazie mille dei tuoi complimenti allo stile), Cry (grazie per avermi fatto notare queste incongruenze; spero davvero che leggerai la versione nuova e che non ti avveleni più il resto della storia), Likos (Avevi pensato a Mokuba?! Accidenti, che teoria interessante...! Non ho la minima idea su come Marik abbia convinto Bakura a conciarsi come Watson, suppongo abbia fatto leva sui suoi sensi di colpa per tutto il disastro che ha combinato nel passato ^^), Ayuchan (Bakura è diventato a furor di popolo il buffone di questa storia, a quanto pare...^^) e Eli (mi fa piacere che il finale aperto ti piaccia, so che a volte rischia di lasciare un po' così... Il fatto che la filosofia di Seto sia anche la tua mi fa capire che non è del tutto inventato ^^)
Di nuovo a presto, e grazie ancora a tutti.
Hui Xie

 

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