Hola ^^ Buon anno a tutti.
Ho scritto questa storia su ispirazione di
"Ritorno al futuro", uno dei film migliori che io abbia mai visto.
L'avete mai visto? La storia, ovviamente, si può leggere anche senza averlo mai
letto, ma, a chi l'avesse fatto, spero che gli piaccia in versione Yu-Gi-Oh.
Buona lettura a tutti.
Lasciatemi un commento, sia negativo che positivo.
Vorrei conoscere le vostre opinioni. Hui Xie.
Prologo
Quella
mattina, Yuugi si svegliò con una strana sensazione nel cuore, un presentimento
malinconico che gli serrava la gola in una morsa dolorosa, che per qualche
minuto lo fece rimanere fermo, gli occhi viola fissi sul soffitto bianco, e la
bocca rigorosamente chiusa.
Era il primo giorno delle vacanze estive,
riflettè, ossia qualcosa di cui essere felice. Quel malumore che sentiva sulla
pelle e nelle viscere doveva derivare da qualche incubo notturno che la sveglia
naturale aveva cancellato come un disegno sulla spiaggia. Con questa allegra
consapevolezza, Yuugi scostò di scatto le lenzuola e scese con un rapido balzo,
stiracchiando in alto le braccia, per cercare di crescere ancora un po’ di più.
“Buongiorno, mou hitori no boku!”
esclamò, senza doversi curare delle opinioni degli altri. Non venne nessuna
risposta.
Allora Yuugi si voltò e notò, con sua
grande meraviglia, che il suo adorato puzzle non era appeso, come al solito, al
lato del letto, per vegliare su di lui anche la notte. Eppure, non ricordava di
averlo spostato altrove, la sera precedente. Che si fosse alzato nel sonno?
Iniziò a cercare per tutta la stanza dove potesse averlo nascosto, dall’ovvio
posto sotto il letto, a dentro l’armadio, sotto le pile di vestiti
disordinati, dentro i cassetti e fra i libri di scuola a mucchi nella scrivania
e nella libreria, tra i modellini e i vari giochi che possedeva, con un’ansia
che cresceva sempre di più.
Sentendo il rumore di suo nonno, che
armeggiava nel negozio, scese, senza curarsi del fatto di essere in pigiama,
deglutendo e sperando che lui ne sapesse qualcosa.
“Hai visto il mio puzzle?” domandò
immediatamente, senza preoccuparsi nemmeno di un “buongiorno”, troppo
ansioso per pensare alle buone maniere.
Sugoroku finì di appoggiare l’ultima
confezione al suo giusto posto e poi si voltò verso di lui. “Che puzzle?”
“Il mio puzzle. Il puzzle
millenario” Yuugi non poteva credere che suo nonno si fosse scordato di una
cosa tanto importante. “Quello che porto sempre al collo, che ci ho messo otto
anni a completarlo, la piramide…” E man mano che parlava, si accorgeva
sempre di più che suo nonno, seriamente, non se ne rammentava affatto.
“Non ricordo…” rispose infatti,
facendo anche uno sforzo di memoria, concentrandosi con la mano che sfiorava il
pizzetto ingrigito. “E non guardarmi come se fossi arteriosclerotico!”
Ma Yuugi non lo stava facendo: era
solamente sorpreso, spiacevolmente, di quello strano comportamento, fin troppo
realistico per sembrare una recita. Eppure, suo nonno non era così vecchio da
dimenticarsi i fatti, specie se riguardavano da vicino una parte importante del
suo passato.
Scotendo la testa, ritornò lentamente in
camera sua, si sedette sul letto e afferrò il suo deck, iniziando ad
esaminarlo. A parte lo strano comportamento di Sugoroku, Yuugi doveva arrendersi
all’evidenza che qualcuno gli aveva rubato il puzzle. Non sarebbe certo stata
la prima volta, ma finora si era sempre trattato di sfide leali, niente di così
subdolo come entrare di notte in casa e sottrarglielo. Man mano che scorreva con
lo sguardo i mostri che componevano il suo deck, si rese conto che
qualcos’altro, quella mattina strana, non andava. Semplicemente, quello non
era il suo mazzo, o, meglio, non era quello che aveva preparato con il suo
doppio. Era sempre il solito, tranquillo deck che suo nonno gli aveva regalato,
senza Divinità Egizie e con le cinque carte di Exodia ancora al loro posto,
mentre, nella logica dei fatti, tre di loro si dovevano ormai trovare in fondo
all’oceano Pacifico.
Rimise in fretta il mazzo a posto, afferrò
la cornetta del telefono e compose il numero di Jounouchi. Troppe cose non
quadravano, troppi fatti strani. Aveva bisogno di qualcuno che gli desse la
conferma materiale che tutto ciò che ricordava sul Magic&Wizard, sugli
oggetti millenari e, soprattutto, sul suo doppio non fossero soltanto il frutto
della sua mente sognatrice.
“Pronto?” rispose la voce sbiascicata
di qualcuno che si era appena alzato.
“Jounouchi-kun!” esclamò, felice di
avere accanto a sé qualcuno di familiare. “Sono io, Yuugi. Volevo dirti
che…”
“Chi?” chiese qualcuno di incredulo
dall’altro capo del telefono, cercando di ricordare. “Intendi Yuugi Mutou?
Il nanerottolo cacasotto che sta in classe con me?”
La felicità di pochi istanti prima svanì
rapida come una doccia fredda, e le mani iniziarono a tremargli come in preda
agli spasmi. “S-si, io…” riuscì ad esalare.
“E perché diavolo mi chiami a
quest’ora del mattino? Come se avessi tempo da perdere con te!” replicò la
voce, arrabbiata. “Su, vai a giocare con i bimbi dell’asilo” E, senza
aggiungere altro, interruppe la comunicazione.
Yuugi, come in un film muto, abbassò la
cornetta e rimase fermo, seduto sul letto, con le mani in grembo. Forse era
quello l’incubo che stava vivendo, e desiderò unicamente il risveglio, fosse
anche per andare a scuola a prendere uno dei suoi soliti brutti voti.
Cercò di riflettere con una mente fredda
che, in quel momento, non possedeva. Non era davvero possibile che tutte le
avventure che aveva vissuto dal quando aveva terminato il puzzle fino a quella
maledetta mattina fossero state solo un sogno, perché il tempo trascorso era
veramente troppo per essere contenuto in una notte sola. Inspirò profondamente,
riprese il telefono e premette il pulsante di richiamata.
“Pronto?” rispose la stessa voce di
prima, ma meno addormentata.
“Sono Yuugi…” mormorò timidamente
il ragazzo, già preparato ad una pessima replica.
“Yuugi! Ciao!” esclamò invece
Jounouchi, allegro. “Guarda, se chiamavi un attimo fa ti mandavo a quel paese
per avermi svegliato! Allora, che si fa di bello oggi, che siamo in vacanza?”
“Lo hai fatto…” Yuugi, nonostante
il sollievo nel riconoscere in quella voce il solito amico gentile e
disponibile, non potè allontanare il ricordo della telefonata precedente, di
quel tono che rammentava un tempo vuoto e in solitudine.
“Come?” Jounouchi sbatté le
palpebre.
“Mi ci hai mandato…” spiegò
debolmente. “Questa è la seconda telefonata che ti faccio…”
“Ma no, non è possibile” replicò
Jounouchi, agitando una mano davanti alla cornetta, come se l’amico potesse
vederlo. “Mi sono alzato da due minuti, quindi non è possibile che tu mi
abbia telefonato prima… Sicuro che non fosse mio padre?”
Yuugi scosse la testa. Non era così
stupido da scambiare la sua voce con un’altra. “Lasciamo perdere…” Se
voleva fargli uno scherzo, di sicuro era di pessimo gusto, ma forse derivava da
un cattivo risveglio. Meglio non stare a recriminare su qualcosa che era
passato, adesso che aveva ritrovato il suo migliore amico, in forma come sempre.
“E’ successo un guaio…”
“Un guaio?!”
“Mi hanno rubato il puzzle! Non lo
trovo più…” spiegò in fretta Yuugi, con il groppo alla gola che gli faceva
bruciare gli occhi e gli serrava il fiato nei polmoni. “Stanotte… E non me
ne sono accorto…”
Per qualche minuto, entrambi rimasero in
silenzio, ad ascoltare i rispettivi fiati. “Chiama Anzu, io avverto Honda”
disse infine Jounouchi. “Ci ritroviamo al parco fra mezz’ora. Tranquillo,
vedrai che lo recuperiamo!”
Bastò quello a renderlo di nuovo sicuro
e speranzoso, relegando in un piccolo angolo tutta l’angoscia che gli strani
avvenimenti della giornata gli stavano causando. Si salutarono velocemente,
quindi Yuugi, chiamata velocemente Anzu, che si mostrò comprensiva come al
solito, abbandonò il pigiama sul letto sfatto e si mise i soliti pantaloni blu
della divisa di scuola, con la maglia elasticizzata intonata e la giacca dello
stesso colore. Finito di prepararsi, uscì subito di casa per recarsi
all’appuntamento con i suoi amici, scordandosi persino di aprire le persiane,
che serravano la stanza, chiudendola ermeticamente dall’interno.
Per Seto Kaiba la parola “vacanze”
non esisteva. Al contrario, la sospensione estiva delle lezioni di scuola era
per lui soltanto un vantaggio, perché gli permetteva di recarsi al lavoro anche
la mattina, evitando le prediche degli insegnati che gli raccomandavano di non
perdere giorni di scuola.
Perciò, quel giorno, il presidente era
già al lavoro nel suo ufficio di prima mattina, e batteva velocemente sui tasti
del computer, facendo risuonare il rumore nell’aria attorno, mentre progettava
il codice per un nuovo videogame che intendeva far uscire per Natale.
Il suo accurato lavoro fu interrotto da
una chiamata della sua segretaria, che gli annunciava la visita di uno dei suoi
soci. Quello non era proprio il momento più adatto per perdere tempo a
discutere con gente simile, vista la mole di lavoro che aveva accumulato.
Sentendo dei passi nel corridoio, si alzò
dalla sedia ed aprì la porta: come aveva immaginato, si trattava di Roland, che
si stava avviando verso l’ascensore. Avrebbe mandato lui a trattare con tutte
le persone con cui aveva appuntamento, risparmiando del tempo prezioso. “Roland!”
lo chiamò, ma il dipendente non si fermò, continuando a camminare, con la
schiena rivolta verso di lui, poi, improvvisamente, scomparve.
Seto sbattè le palpebre. Forse, aveva
visto male e la presenza del suo più fedele dipendente altro non era che un
miraggio creato da lui stesso, un’illusione dovuta a qualche strana
riflessione della luce che penetrava dalla vetrate. Seccato per essersi alzato
inutilmente, riappoggiò la mano sulla maniglia della porta per richiuderla
dietro di sé mentre rientrava nell’ufficio, ma si bloccò non appena i suoi
occhi azzurri si posarono sulla stanza che avrebbe dovuto essere, a rigor di
logica, completamente vuota.
Invece, seduto alla sua scrivania, con il
solito smoking rosso fresco di tintoria, stava Gozaburo, un sigaro fra le
labbra, e i gomiti appoggiato sul piano del tavolo. Davanti a lui, su comode
poltrone in veltro verde, erano allineati tutti i Big Five, uomini che, ormai,
avevano la carriera distrutta e la vita intrappolata in un gioco virtuale. Seto,
con le gambe completamente congelate giusto sulla soglia, non potè far altro
che assistere a quel teatrino di cui, purtroppo, conosceva fin troppo bene la
causa. Evidentemente, qualcuno aveva usato, ovviamente a sproposito,
“quell’invenzione”, che avrebbe invece dovuto essere sorvegliata
accuratamente, e gli effetti non stavano tardando a manifestarsi.
“Irak?” domandò Gozaburo,
interessato.
“Ormai
è sicuro che gli Stati Uniti dichiareranno la guerra” spiegò uno degli
uomini. “L’ONU ha fallito la sua missione di ricerca delle armi di
distruzione di massa in possesso di Saddam…”
“Armi
che Bush gli avrà venduto, suppongo…” Gozaburo se la rise di gusto.
“Dopotutto, è il presidente della patria delle armi…”
“Più
probabilmente, è solo una scusa per impedire alla Cina di intessere dei
rapporti commerciali con l’Irak ed impadronirsi così del petrolio” commentò
un altro. “Non sia mai che ci sia una potenza più forte degli USA!”
“Il
motivo non mi interessa affatto” Gozaburo si alzò, e aggirò la scrivania.
“La cosa importante è trovare il modo di guadagnare il più possibile da
questa guerra, vendendo le nostre armi. Dopotutto, questo è il ruolo della
Kaiba Corporation” Appoggiò la mano sulla spalla del Big Five più vicino,
sorridendo. “Riesci a contattare Saddam?”
La
scena, com’era comparsa, svanì: l’ufficio tornò vuoto e silenzioso, e
nelle gambe di Seto tornò a circolare il sangue, rimettendo i muscoli in
movimento. Con un respiro quasi di sollievo nascosto, rientrò nell’ufficio,
ritrovando tutti gli oggetti familiari, appartenuti a lui solo, che il suo
patrigno non aveva sfiorato nemmeno col pensiero.
Seto
si risedette sulla poltrona, che ovviamente non era la stessa dei tempi di
Gozaburo, perché non aveva mai avuto l’intenzione di toccare qualcosa che gli
fosse appartenuto, riflettendo sul da farsi. La sua sorveglianza, che avrebbe
dovuto proteggere quell’invenzione importantissima e pericolosa, era
imperdonabile, certamente, ma attualmente questo non era il problema più
importante. Se si fosse trattato di un semplice furto, gli sarebbe bastato
licenziare tutti quegli incapaci e sostituirli con gente più preparata, invece
si trattava di qualcosa di ben più complesso, qualcosa che rischiava di
sconvolgere tutto il corso della storia.
Non
aveva la minima idea di chi fosse il colpevole, né di quale avvenimento avesse
cambiato per creare un futuro del genere, conosceva solo il modo e,
probabilmente, il movente. La sua mano corse inevitabilmente alla tastiera del
computer, aprendo il database dei duellanti che aveva sempre a disposizione,
aggiornato sui nuovi giocatori: gli bastava dare un’occhiata al suo nome, con
le otto stelle accanto, al secondo posto, giusto sotto il nome “Yuugi Mutou”,
per riavere dentro di sé la forza di combattere e di vincere.
Quella
forza gli entrò nelle vene anche quel giorno, ma non per il motivo usuale.
Entrambi i nomi, il suo e quello del suo rivale, erano infatti scomparsi dalla
lista, sostituiti da persone e volti conosciuti, ma assolutamente inadatti a
ricoprire quelle cariche. Spense di getto il computer, scordandosi persino di
salvare i dati del programma.
Aveva
sbagliato: non cercavano di colpire lui, bensì Yuugi. Doveva trattarsi di
qualcosa che riguardava un passato molto lontano, fin troppo. Per Seto, quella
non era altro che una seccatura, perché avrebbe dovuto coinvolgere persone con
le quali preferiva sempre non avere a che fare. Ma con una situazione del
genere, non aveva altra scelta. Si alzò, indossò il suo soprabito bianco,
afferrò la sua valigia e si diresse verso l’unico luogo in cui era sicuro di
trovarli. Il tempo a disposizione era poco e lui ne aveva già sprecato
abbastanza.
Marik
accavallò le gambe, cercando di sistemarsi meglio sulla scomoda sedia, in una
delle aule del museo, dove stava studiando. Girò un’altra pagina del libro,
scrutando con la fronte aggrottata le formule chimiche che doveva imparare,
giusto un attimo prima che qualcuno glielo strappasse dalle mani e lo gettasse a
terra in malo modo.
“Piantala di studiare ‘ste stupidate!
C’è qualcosa di più importante da fare!”
“Ah, sei tu…” commentò
l’egiziano, alzando leggermente un sopracciglio mente osservava annoiato il
ragazzo dai lunghi capelli bianchi. “Che vuoi?”
Bakura
gli scoccò un’occhiata atroce. “Cos’è quel tono?” chiese, incrociando
le braccia. “Noi due siamo amici, no?”
“Amici!”
esclamò beffardo Marik, mentre si alzava a recuperare il libro. “Alleati,
diciamo… E tempo fa”
“Si,
ma tu mi devi ancora restituire il favore per quello che ti ho fatto a Battle
City”
“Per
quello che non hai fatto” pensò il biondo, ma si trattenne dal dirlo.
“Insomma, che vuoi?”
“Guarda”
Bakura allungò un braccio verso di lui. “Sto scomparendo”
“Eh?”
Marik sbattè le palpebre sugli occhi violetti, quindi fissò quel arto pallido
coperto dalla solita maglia a righe blu, senza vedere nulla di strano.
“Scusa…?”
Ma
gli occhi nocciola di Bakura non erano meno sorpresi dei suoi. Iniziò ad
esaminarsi il braccio, quasi stupito di trovarlo al suo esatto posto. “Ma…
Prima…”
L’egiziano
già non lo ascoltava più. “Io me ne vado” Si infilò il libro che stava
studiando sotto il bracco e fece per allontanarsi verso un’altra sala del
grande museo di Domino City.
“No…”
Il tono usato da Bakura per fermarlo era tutto tranne che autoritario, una sorta
di stupore misto a incredulità e, forse, paura. “Il tuo tatuaggio…”
Parola
magica. Marik si fermò immediatamente, cercando di tirarsi su più che poteva
la maglietta, onde evitare che spuntasse da sopra al colletto. “Si vede?”
L’ex
ladro di tombe scosse la testa. “Al contrario…”
Marik
infilò la mano al di sotto della maglia, sfiorando con le dita la pelle della
schiena, perfettamente liscia, non più scavata e abbrustolita dal tatuaggio
delle Divinità Egizie che suo padre gli aveva impresso a fuoco quando era
ancora un bambino. Rabbrividì, ad un contatto così diverso dal solito e così
incredibilmente piacevole.
“Hai
fatto una plastica?” domandò Bakura, con uno scherzo macabro. L’altro non
si curò nemmeno di rispondergli, ma iniziò a correre verso l’ultima stanza
del museo, giusto in fondo al corridoio, dov’era conservata la stele del
Faraone Senza Nome. Si fermò proprio davanti alla vetrina che la conteneva.
“Che diavolo sta succedendo…?” mormorò.
Lui
e Bakura rimasero immobili a fissare la stele che, lentamente, cambiava sotto i
loro occhi. Le figure delle Divinità Egizie, così come il Puzzle Millenario e
la scena della lotta fra il Faraone e il sacerdote, sostituite in fretta da
altri bassorilievi che nulla centravano con la storia che conoscevano, né con
il Magic&Wizard. Erano solo il ritratto di un uomo e una donna, alla solita
maniera egiziana, come se quello fosse un blocco di pietra qualunque.
“Che
sta succedendo?” ripetè una voce dietro di loro. Yuugi, assieme alla sua
banda composta dai soliti Jounouchi, Honda e Anzu, era apparsa dietro di loro, e
tutti fissavano l’immagine con lo stesso sguardo spaurito.
La
risposta venne dalla soglia della porta, e dalla persona che meno avrebbe dovuto
interessarsi a quella storia. “Una semplice distorsione temporale” rispose
Kaiba.
Nella
prossima puntata….
Distorsione
che?! Kaiba! Lo sapevo che c’entra tu! Quando succede qualcosa, la colpa è
sempre tua! Ma adesso io, il grande Jounouchi Katsuya, ti… Bakura! Marik!
Dov’è che vorreste andare voi?! Nel passato?!
Prossima
puntata: “la macchina del tempo (presenta Seto Kaiba)” Non perdetela!