Possibility. di Mia Swatt (/viewuser.php?uid=111649)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo. ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo. ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo. ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo. ***
Capitolo 7: *** Sesto Capitolo. ***
Capitolo 8: *** Settimo Capitolo. ***
Capitolo 9: *** Ottavo Capitolo. ***
Capitolo 10: *** Nono Capitolo. ***
Capitolo 11: *** Decimo Capitolo. ***
Capitolo 12: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
Buon pomeriggio a tutti!
Come ve la passate? Eccomi qui con una nuova piccola storia su
Twilight. Premetto che bisogna LEGGERE
QUI prima
di iniziarla, per il semplice fatto che i
miei vampiri sono un pò diversi da quelli della Meyer. Cominciamo:
1. I vampiri - in
questa ff - non brillano al sole;
2. I vampiri hanno
i canini! Non sono sempre presenti, si allungano quando hanno fame. Il
solito, insomma XD
3. Possono stare
sotto il sole, ma un'esposizione troppo prolungata li indebolisce.
Credo sia tutto. Le
loro abitudini "culinarie" sono sempre le stesse e gli occhi anche.
Ambra se bevono sangue animale, rossi se bevono sangue umano e, infine,
neri, quando sono arrabbiati parecchio o eccitati.
Ma adesso bando
alle ciance, ecco a voi il capitolo! :)
POSSIBILILY
« Queste gioie violente
hanno fine violenta.
Muoiono nel
giorno del loro trionfo,
come il fuoco e
la
polvere da sparo,
che si consumano
al loro primo bacio. »
William
Shakespeare, Romeo e Giulietta. Atto II, scena VI.
PROLOGO
Correvo. Era
l’unica cosa che potevo
fare. Che volevo fare. In gioco
–
questa volta – non c’era solo la sua vita o la mia.
In questo momento tutta la
nostra esistenza era appesa ad un filo. Il mio cuore, la mia anima.
Tutto era
in procinto di scomparire da un momento all’altro. Cercavo di
farmi largo tra
l’immensa folla. Un altro rintocco. Mancava poco a
mezzogiorno. Se non fossi
arrivata in tempo, Edward avrebbe terrorizzato la piazza, costringendo
i
Volturi a rivelarsi. Ad ammazzarlo, per tutelare la loro specie. Dovevo
fare
presto.
Alice aveva detto che sarebbe stato più
prudente – per noi – che lei si tenesse lontana dai
suoi pensieri.
― Devi andare tu, Bella! ― aveva detto,
senza scendere dalla macchina ― Se sente i miei pensieri
crederà che menta e si
affretterà!
― Dove devo andare? ― chiesi.
― Alla Torre Campanaria. ― rispose subito
― Sotto l’orologio. Corri!
Mi
guardai intorno, titubante. C’era troppa gente, dannazione!
Un
altro rintocco. Scattai in avanti, senza pensare alle persone che
strattonavo.
Senza pensare alle loro urla – in una lingua per me, per ora,
incomprensibile.
Finalmente,
dinanzi a me, vidi l’immensa fontana al centro esatto della
piazza di Volterra.
Puntai il mio sguardo e lo vidi. Edward era nascosto
nell’ombra, stava
aspettando il momento giusto per uscire allo scoperto. Dietro di lui,
altre
ombre si nascondevano nell’oscurità. Ombre scure,
minacciose.
― Edward! ― urlai, sperando che mi
sentisse ― Edward sono qui! Sono viva! ― ma era tutto vano.
Schizzai in avanti, attraversando la fontana. Sentivo l’acqua
fredda inzupparmi
le scarpe e il bordo dei jeans. Non mi importava.
― Edward, no! ― doveva sentirmi. Invece
niente…
Un
altro rintocco, il penultimo. Ed io ero troppo lontana.
―
Chi era al
telefono? ―
domandai a
Jacob.
― È sempre in
mezzo. ―
sibilò,
mentre il suo corpo veniva scosso da spasmi.
― Ma chi era?
― Bella, era
Edward! ― disse
Alice,
disperata, entrando in cucina ― Pensa che tu sia morta.
― Cosa!?
― Sta andando
dai Volturi… Vuole morire anche lui.
No!
Non l’avrei mai permesso. Non potevo permetterlo.
Perché se Edward fosse morto,
io sarei morta con lui. L’ultimo rintocco mi fece gelare il
sangue.
― NO! ― urlai, ma fu tutto
inutile. Edward scoprì i canini, tentando di gettarsi sulla
piazza gremita di
gente. Ma non fece in tempo. Due enormi mani bianche, ancora
più pallide delle
sue, gli afferrarono le spalle. Vidi il corpo di Edward venire fatto a
brandelli, pezzo dopo pezzo. E poi più nulla.
Non proseguii oltre. Caddi
in ginocchio a pochi metri dal punto in cui Edward si trovava qualche
istante
prima. Era la fine, pensai, la fine di tutto.
Eccoci
qui! Spero che questo piccolo prologo vi abbia incuriosite un
pò. Come avrete potuto leggere, ricorda un pò la
prefazione di New Moon, ma i fatti e la conclusione sono parecchio
differenti. Tutto si svolge secondo le dritte della Meyer: Isabella
Swan si trasferisce a Forks, incontra Edward Cullen, scopre che
è un vampiro, si innamorano e devono affrontare i pericoli
che questo sentimento comporta. Arrivano James, Laurent e Victoria,
scappano e tutto il resto, fino a quando Jasper - durante il suo
diciottesimo compleanno - non tenta di attacarla. Edward commette la
stessa scelta idiota e lascia Bella, perchè questa possa
avere una vita normale... Rosalie avverte Edward che Bella è
morta, il vampiro - lacerato dalla perdita - chiede ai Volturi di
ucciderlo, ma Aro dice no, così decide di attaccare la folla
a mezzogiorno affinché abbiamo un motivo per eliminarlo.
Bella, questa volta, non arriva in tempo.
Il prossimo capitolo,
cioè il PRIMO CAPITOLO, verrà postato
Venerdì 2 Settembre, così da potervi fare un'idea
maggiore della storia :)
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Capitolo 2 *** Primo Capitolo. ***
Buon
pomeriggio a tutti! Eccomi qui con il primo capitolo di questa piccola
storia :) non so bene quanti capitoli posterò, forse una
decina, ma non sarà una vera e proprio long. Questo per il
semplice fatto ne ho già due long in corso, una nella
sezione Originale/Fatnasy e l'altra qui, nel fandom di Twilight.
Prima di lasciarvi alla
lettura ci tengo a fare pubblicamente le CONGRATULAZIONI ad una mia
lettrice ma anche, e soprattutto, amica! Monica,
per te questa giornata è bellissima, goditela! Tesoro, ti
voglio benissimo <3 anche alla piccola Viola *-*
Adesso vi saluto, ci si legge in fondo! Buona lettura!
Primo
Capitolo
« L'odio
è cieco, la collera sorda.
E colui che vi mesce la vendetta, corre pericolo di bere una bevanda
amara. »
Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo.
Inghilterra.
Londra per l’esattezza.
Il
quartiere di Kensington – uno dei più prestigiosi
e lussuosi del capoluogo
Britannico – era diventato il nostro nuovo indirizzo. Almeno
per qualche tempo.
― Allora
Alice? ― domandò Jasper, appena
rientrato dalla caccia ―
Ci sono
novità?
― Ancora no. ― rispose sua moglie. Era
sul divano a sfogliare – svogliatamente – qualche
rivista di moda. Tutti i
Cullen era cambiati molto negli ultimi anni – cento, per
essere precisi.
Carlisle ricopriva sempre incarichi di prestigio nei diversi ospedali
che lo
ospitavano, passando più tempo altrove che in famiglia.
Esme, pur continuando a
serbare quel senso materno che la distingueva, era più
chiusa. Più triste.
Emmett, nonostante tentasse di scherzare – come una volta
– aveva perso il suo
humor. Rosalie, la bellissima e vanitosa Rosalie, era completamente
un’altra
persona. Mi voleva bene. Davvero.
Senza trabocchetti e senza inganni. Era per lei – soprattutto
– per quello che
mi aveva detto subito dopo la trasformazione, quando capii quello che
ero
diventata, che ero ancora “viva”. Jasper era sempre
il solito. Tranquillo,
posato – forse più del normale. Ma quella che
stava peggio – forse quasi quanto
me – era Alice. Era lei che, anche – e soprattutto
– per colpa mia, aveva
passato dei momenti infernali. Ricordavo ancora quel giorno…
Il
senso di intorpidimento
era passato. Erano giorni, forse mesi o perfino anni, che soffrivo. Era
un
dolore lacerante. Lo sentivo nelle vene, nel cervello. Lo percepivo nel
cuore.
Quel cuore spezzato dalla sua
perdita, dalla sua morte.
―
Si sta
svegliando. ― disse
Alice.
O almeno credevo. Era una voce così squillante e melodiosa
– non che la sua non
lo fosse – ma questa era più limpida,
più acuta.
― Bells… ― chiamò mio padre,
Charlie ― È
normale che non si svegli?
―
domandò a qualcuno.
― Credo si
stia solo abituando ai rumori, agli odori… ― rispose Carlisle.
― Caro, credi
sia opportuno per Charlie rimanere? ― chiese Esme.
― Io resto.
Punto.
― In caso ci
siamo noi. ― disse
quella
che somigliava così tanto alla voce di Emmett.
― Bella, apri
gli occhi. ― mi
incitò
Alice ―
È
ora.
Non ci pensai due volte e
spalancai gli occhi. Non avevo idea di dove mi trovassi. Sentivo di
tutto. Il
rumore della stoffa della camicia di Charlie che si strusciava contro
la sua
pelle, gli animali – non so di quale tipo –
zampettare sotto le assi di legno
del parquet, il grattarsi degli uccelli – fuori, sopra gli
alberi. Richiusi di
scatto gli occhi. La luce era abbagliante! Sentivo la gola in
fiamme… Avevo sete.
Sentivo attorno a me odori nuovi, mai conosciuti prima. Era troppo.
―
Cosa mi è
successo? ―
chiesi, ma
restai impietrita dalla mai stessa voce. Era musica…
― Bella,
tesoro, ascoltami bene… ― cominciò Alice,
prendendo le mie mani tra le sue, non più
gelide ―
Non odiarm,i ti prego. Non potevo
perdere anche te… ― fu allora che ricordai tutto. La
stremante corsa – inutile –
per salvare la vita di Edward, il ritorno a Forks, la depressione
– vera e
bruciante – e, infine, il tentato suicidio con i sonniferi.
― Tu… ― non riuscivo a parlare ― Tu mi hai salvata. Tu mi hai trasformata!
―
ringhiai, scagliandomi contro quella che, un tempo, era stata
la mia migliore amica.
― Come hai
potuto? Come?! ― la
gola mi
bruciava. Come aveva potuto farlo? Io volevo
l’eternità per stare con Edward,
ma se lui era morto cosa me ne facevo?
― Con che coraggio
lo hai fatto? ― ero
furibonda. Percepii le mani di qualcuno cercare di trattenermi, ma lo
scaraventai lontano da me. Rompendo un muro.
― Bella… Ti
prego… ― disse Alice,
tentando di togliersi le mie mani dal suo collo.
― TI ODIO! ― urlai, con rabbia cieca ― Non ne avevi il diritto! Tu non ne
avevi il diritto!
Per
anni ignorai Alice. Odiandola, fino
alla punta dei capelli. Odiandola, con ogni fibra del mio essere. Ma
poi capii.
Lei – forse – mi aveva fatto un favore. Mi aveva
donato quello che, da umana,
non avevo: potere, forza. Capacità abbastanza forti per vendicarmi. Era quella l’unica
cosa che mi spingeva ad andare a
caccia – per non morire di fame – per fingere
un’età non mia, per andare a
scuola… La vendetta.
Quella con la
V maiuscola. Alice, involontariamente,
mi aveva dato l’opportunità di liberare il mondo
dalla casata reale più antica
e potente mai esistita: quella dei Volturi.
― Ragazzi,
siete già andati a fare un sopraluogo
alla London High? ― domandò Esme, scendendo
dal piano di sopra.
― Io sono
andato. ― rispose Emmett ―
È
squallida!
Cioè proprio orribile.
― Il mio
maritino non apprezza la nuova scuola? ― lo prese in giro Rose,
dandogli teneri colpi sotto il mento. Emmett, di tutta risposta, le
cinse la
vita, baciandola. Voltai lo sguardo, come facevo sempre. Vedere la
gente felice
– anche se si trattava dei miei fratelli – era
lacerante. Vedere le coppie
baciarsi era doloroso. Il mio cuore, ormai muto, non avrebbe retto
ancora a
lungo. Ma dovevo resistere, andare avanti. Per Edward. Per vendicare la
sua morte – la mia morte – e liberare il mondo
da creature tanto spregevoli e
meschine.
― Bella, hai
lo scudo alzato? ― mi domandò Alice. Mi
voltai verso di lei e abbassai lo scudo. Quello era il mio dono da
vampira, era
per quello che Edward non era mai riuscito a leggermi nella mente.
―
Sì, scusa. Non me n’ero accorta. ― mentii. Non volevo che
Alice avesse visioni su di me – almeno quando mi fermavo a
riflettere sulla mia
decisione. Ne sarebbe rimasta sconvolta e con lei, ne ero sicura, tutta
la
famiglia. Mi avrebbero fermata – legandomi, perfino, in una
cantina – affinché
quell’idea malsana mi fosse passata. Volevo bene ai Cullen.
Erano da sempre la
mia famiglia, e quando Charlie – dopo Renée
– morì, Carlisle ed Esme, si erano
dimostrati i genitori migliori del mondo. Ma io non volevo vivere in
eterno
senza il mio cuore, senza la mia anima. Senza il mio amore. Avrei
fermato i
Volturi, dopodiché mi sarei data fuoco.
Eccoci
finalmente arrivati alla famigerata London High School.
L’edificio non era
male, ma non era neppure spettacolare. Un enorme stabile fatto di
mattoni di
colore marrone chiaro, posto – da quello che capivo
– su un unico, immenso,
piano. Ma forse mi sbagliavo e quella era solo la facciata. Ci sperai.
― Ok Emmett. ― disse Jazz ― Avevi ragione.
― Visto? Non
mi credete mai.
― Io vorrei
ancora capire per quale motivo siamo
qui. ― disse Rose ― Non stavamo bene in Alaska?
Perché abbiamo dovuto approdare in questa scuola? Non
avevamo finito di fare i
giochetti? Niente più finti liceali, niente più
maschere o coperture.
― Siamo qui a
causa della visione di Alice. ― le risposi, senza staccare
gli occhi da quell’edificio.
― Non
cominciate. ― rispose quest’ultima ―
Io vi ho solo
riferito quello che ho visto. L’idea di venire qui
è stata di Carlisle ed Esme.
― Non abbiamo
mai ignorato le tue visioni, Alice. ― disse Rose, cingendole le
spalle ― Perciò
d’accordo. Proviamo e vediamo cosa ne viene
fuori.
― Grazie
mille, fratelli.
― Allora
entriamo? ― chiesi, impaziente che
quella pagliacciata iniziasse. Ma soprattutto, che finisse.
― Certo! ― risposero in coro. Notai
le loro mani intrecciate e tentai di mantenere il contegno. Avevo una
strana
sensazione addosso, non riuscivo a capirla. Ero irrequieta, ansiosa. Ma
non sapevo
il perché. Non era la prima volta che mi fingevo
un’adolescente al penultimo
anno di liceo. Da quando ero un vampiro avevo preso già
dieci diplomi e tre
lauree. Decidemmo di smettere – e ritirarci in Alaska, dove
io avrei messo a
punto il mio piano – qualche decennio fa.
Troppo
presa dai miei pensieri, non mi accorsi dell’umana che mi si
schiantò addosso.
― Ahia! ― urlò, cadendo a terra
di
sedere ― Ma di cosa sei fatta, cemento?
― Ehm scusami,
non ti avevo vista. ― dissi, cercando di eludere
la sua domanda ―
Tutto apposto?
― le chiesi, recuperando i
suoi appunti. L’anno era già cominciato. Ci
trovavamo a Novembre.
―
Sì, grazie. ― rispose la ragazza ―
È
stata colpa
mia, ero di fretta. ― a prima vista sembrava una persona
molto semplice.
Carnagione chiara, capelli lunghi – lisci – castano
scuro, occhi dello stesso
colore.
― Tieni. ― le dissi, porgendole il suo
materiale ― E non scusarti. Avrei dovuto
sentirti o perlomeno
vederti arrivare. ― le sorrisi ― Io sono Isabella Cullen.
― Piacere mio,
Isabella! ― rispose ―
Il mio nome
è
Lidia. Lidia Winston.
― Molto
piacere.
― Siete i
nuovi arrivati, giusto? ― domandò Lidia, notando
i
miei fratelli.
― Esatto. ― rispose Alice
― Io sono
Rosalie, lei è Alice Cullen.
― E loro sono
Jasper ed Emmett Cullen. ― conclusi io, indicandoli.
Emmett fecce un cenno con la mano, mentre Jasper ricambiò il
saluto in modo
formale, facendo un piccolo cenno col capo.
― Siete tutti
fratelli? ― domandò Lidia, annuii.
La campanella interruppe la
nostra breve presentazione e la giovane corse via.
― Scusate, non
posso arrivare in ritardo o Eric mi
ammazzerà! ― urlò, mentre correva
all’ingresso scolastico ―
Ci si vede in
giro! Ah e benvenuti a Londra!
Quella
ragazza mi stava già simpatica. Forse perché la
sua goffaggine mi ricordava me.
Una me diversa, la me umana.
― Andiamo
anche noi? ― mi chiese Jasper, notando
– probabilmente – le mie emozioni stralunate.
Annuii decisa, o per lo meno,
glielo feci credere.
Più
ci addentravamo in quell’edificio e più il senso
di inquietudine si faceva
strada lungo la mia gelida schiena. Non sapevo se esistesse davvero un
Paradiso
o un Inferno. Non sapevo più neppure se esistesse un Dio.
L’unica mia certezza,
al momento, era che la scuola era una prigione.
Quel posto – da quando divenni vampira – si era
trasformato in un Purgatorio. Il mio Purgatorio
personale.
Ecco qui il primo
capitolo di questa storia, allora cosa ve ne pare? Alice
ha trasformato Isabella perchè non voleva perdere anche lei,
il suo gesto è stato puramente egoistico, ma chi
può biasimarla? Ha perso suo fratello e poche settimane dopo
stava per perdere anche sua sorella, la sua migliore amica. Bella, dal
canto suo, ha passato grandissima parte della sua nuova esistenza a
odiare Alice, ma poi le è passata. Ha trovato nel suo gesto
una macabra poesia: la vendetta. Ma porterà a termine questo
pensiero? Davvero Bella ucciderà i Volturi e poi si
darà fuoco, per tornare insieme al suo amato Edward? Lei
pensa di sì, ma il destino è sempre dietro
l'angolo...
Un bacione a tutti, e alla
prossima! :)
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Capitolo 3 *** Secondo Capitolo. ***
Ciao a tutti, buon
pomeriggio! Eccomi con il secondo capitolo di questa piccola storia.
Non so bene quanti capitoli avrà, non molti, ma appena ne
sarò a conoscenza ve lo comunicherò :)
Adesso vi lascio alla
lettura! Ma se vi va di dare un'occhiata a queste altre mie storie ne
sarei felice!
Buona lettura, ci si legge in fondo ;)
Secondo Capitolo
« Un
palazzo viene dato alle fiamme, tutto quello che ne rimane è
cenere.
Prima pensavo che questo valesse per ogni cosa: famiglie, amici,
sentimenti.
Ora so che a volte, se l'amore è vero amore, niente
può separare due persone fatte per stare insieme. »
Sarah - Il corvo (1994)
Ore
noiose. Argomenti noiosi. Professori identici. I compagni –
nonostante avessi
cambiato diversi stati, città, nonostante fossero cambiati i
tempi – erano
sempre patetici. Ragazzine che, solo perché erano
più belle o popolari di
altre, erano convinte di avere il diritto di padroneggiare nella
scuola. Ragazzi
che, fingendo di essere maturi, calpestavano chiunque sbarrasse loro la
strada.
Solo gli atleti o i bellocci avevano il diritto di godere di rispetto,
fama e
popolarità gratuita. Patetici.
Mi
stavo dirigendo all’ora di Letteratura. Camminavo nei lunghi
corridoi decida,
sicura di me. Odiavo gli sguardi libidinosi dei ragazzi e detestavo
– di gran
lunga – quelli invidiosi delle ragazze. Non era colpa mia se
ero attraente e
perfetta. E non ero interessata a niente, ma – soprattutto
– a nessuno.
Accelerai
il passo, entrando – senza guardare –
nell’aula. Percepii qualcuno venirmi
addosso, così mi scansai per evitare che si facesse male.
― Scusa! ― dicemmo entrambe. Non ci
potevo credere. Di nuovo?
― Lidia? ― domandai ―
Ti chiami
Lidia, vero?
―
Sì. ― rispose, trattenendo al
petto i suoi libri ―
Oggi sono
davvero una pasticciona. Ti chiedo scusa.
Credo che dovremmo smetterla di incontrarci così ― sorrisi. Quella ragazza
sembrava proprio una brava persona. Erano anni che non ne incontravo.
Non che
avessi problemi col sangue umano, anzi. Per me – a differenza
di tutti gli
altri – non era mai stato un problema. Riuscii a stare vicina
a mio padre, a
mia madre, perfino a persone mai incontrate prima, da subito. Senza il
desiderio incontrollabile di staccargli la gola, per soddisfare la mia
voglia.
Il sangue animale colmava la mia sete, senza che ne desiderassi altro.
Sapevo
controllarmi.
― Non ti
preoccupare. ― le dissi ―
Forse non ci
crederai, ma fino a qualche anno fa ero la persona più goffa
del mondo.
Inciampavo nei miei stessi piedi!
― È
una cosa che mi succede spesso. ― ammise Lidia, le sorrisi ―
E poi come hai
fatto a diventare così sicura di te? Sinceramente non mi
sembri una persona ehm
goffa… Anzi, tutto il contrario ― sono
morta. E la mia migliore amica mi ha trasformata in un vampiro
contro la mia volontà… No, ovviamente
non potevo dirle una cosa del genere.
― Non saprei. ― risposi ―
Saranno stati
gli anni di danza forzata, imposti da mia madre. ― non era proprio una bugia ―
Fatto sta che
il mio equilibrio è migliorato. ― conclusi, prendendo posto
all’ultimo banco, accanto alla finestra.
― Ti dispiace
se mi siedo con te? ― chiese Lidia.
― No, tutto il
contrario. ― risposi, sorridendo ―
Mi sembri una
ragazza socievole. Sei un tipo apposto.
― Grazie. ― sussurrò. La scrutai un
po’. Era molto timida, probabilmente poco sicura di
sé. Ma davvero molto
carina.
― Posso farti
una domanda? ― osai, non rispose ma
annuì
― Non
hai molti amici, vero?
― Cosa te lo
fa pensare?
― Tutto e
niente. ― ammisi ―
Solo che
questa non mi sembra la classica scuola dove l’arrivo di
studenti nuovi faccia
chissà quale scalpore. Curiosità sì,
forse. Ma troppo rumore no. Inoltre non mi
sembri una ragazza che ama i pettegolezzi, non so come spiegartelo, ma
sembra
che tu ti sia avvicinata a me più per stringere amicizia
piuttosto che per
farti i fatti miei.
― Hai occhio. ― rispose, forzando un
sorriso ― Non ho molti amici, anzi, non ne ho
praticamente
nessuno. Eccetto Eric. ― sorrise davvero, pronunciando quel
nome ―
Lui
è diverso dagli altri.
Non ti guarda
dall’alto in basso. È un tipo apposto, uno ok. Lo
conosco fin da quando sono
piccola, andavamo all’asilo insieme. Siamo anche vicini di
casa. Lui mi
protegge da chiunque, si è messo anche in grossi guai per me.
― Sembrate
molto uniti. ― dissi, stritolando gli
angoli del tavolo. I ricordi di un passato troppo remoto si scontrarono
con il
presente. I ricordi di un altro ragazzo che avrebbe fatto qualsiasi
cosa, pur
di tenermi al sicuro.
― State
insieme? ― provai a chiedere.
― Cosa? ― domandò, voltandosi di
scatto ― No, no. Assolutamente no!
Eric è un ragazzo molto carino, ma cosa dico? È
proprio bellissimo, ma
no… Non è il mio tipo. Inoltre ci sono molte cose
che non si possono sapere o… capire
di Eric. È un ragazzo particolare, lo è sempre
stato, ma è come un fratello per
me. Un fratello maggiore. ― leggevo sincerità nel
suo
sguardo e nella sua voce.
― Bene
ragazzi… ― disse, entrando, la
professoressa ―
Salutiamo la
nuova arrivata, la signorina Cullen. Io
sono la professoressa Lenz, insegno Letteratura e Storia contemporanea.
Spero
di trovarmi bene con lei e i suoi fratelli.
― Lo spero
anche io, signora Lenz. ― risposi sorridendole.
― Detto
questo, aprite il libro a pagina 128… ― disse con sicurezza. Lo
feci, ma la mia attenzione fu catturata dal cielo grigio della
città. Passai
tutta l’ora a guardare fuori, rispondendo – quando
capitava – per inerzia alle
domande che la professoressa Lenz mi poneva. Lo studio era diventato
noioso,
monotono.
Quando
la campanella suonò, memorizzai le pagine per la relazione e
mi avviai all’ora
più insopportabile di tutte: la pausa pranzo.
― Vuoi unirti
a me e i miei fratelli per pranzo? ― domandai per gentilezza,
sperando rifiutasse. Non perché non mi stesse simpatica o
altro, piuttosto per
il fatto che sarebbe stato complicato spiegarle il motivo per cui non
toccavamo
cibo.
― No, grazie
comunque Isabella. ― disse.
― Come vuoi. ― risposi ―
Se cambi
idea…
― Grazie
mille, ma credo che andrò in palestra da
Eric. ― spiegò ― Ci si vede! ― azzardò, salutandomi
con
la mano. Ricambiai il gesto e mi diressi in mensa.
Erano
già tutti lì. Rosalie giocherellava con una mela,
Emmett con delle patatine, Alice
si stava accanendo su una povera e innocente insalata, così
come Jasper.
― Ehi! ― dissi, prendendo posto. Il
tavolo che avevano scelto era in disparte, accanto alla vetrata che
dava sul
cortile interno della scuola.
― Ciao Bella. ― mi salutò Rose ―
Com’è
andata?
― Non ti
stuferai mai di fare questa domanda,
tesoro? ― le domandò Emmett.
―
Sì, scusate. ― rispose lei ―
È
solo che non
mi sembra vero che siano già passati cento anni. ― il silenzio piombò sul
tavolo. La forchetta di Alice si immobilizzò
all’istante. Nessuno aveva
superato la perdita di Edward. Nessuno avrebbe mai potuto superarla.
― Scusate. ― disse Rose, alzandosi di
scatto ― Oggi non ne dico una giusta.
Andrò fuori a prendere
un po’ d’aria. ― ci informò, dirigendosi
a velocità umana fuori da
quella sala. Emmett la seguì. Sbuffai, cominciando a
bucherellare con le dita
la meta che mia sorella aveva lasciato sul tavolo.
Rosalie
si sentiva terribilmente in colpa per quello che era successo a Edward.
Era
stata lei, infatti, a chiamarlo. Comunicandogli, così, la
mia morte. Non aveva
aspettato che Alice – tornata a Forks – le dicesse
qualcosa. Non le andavo
molto a genio, almeno all’epoca. Aveva contattato Edward
credendo che, con la
mia morte, lui avrebbe smesso di torturarsi e sarebbe stato in grado di
riprendere in mano le redini della sua esistenza. Quello che Rosalie
ignorava –
o che, forse, aveva volutamente
ignorato – era che Edward, senza di me, sarebbe andato a
Volterra, per cercare
la morte. Tutto un grosso equivoco, che si trasformò in
tragedia.
― Io non
capisco! ― disse, a voce un po’
troppo alta, Alice.
― Amore
calmati… ― cercò di
tranquillizzarla
Jasper
― E come
faccio? Stavamo bene – o quasi
– in Alaska e poi cosa succede? Io
ho quella stupida visione ed eccoci qui!
― Non
è colpa tua, Alice. ― dissi, cercando di farla
ragione anche se sapevo che era impossibile. Negli ultimi cento anni
riusciva a
darsi la colpa di tutto. Per qualsiasi cosa succedesse nella nostra
famiglia.
Vergognandomene dovetti ammettere che avevo contribuito anche io a
quello
sfacelo.
― Hai visto
altro? ― chiese Jazz
― No. ― rispose lei, secca ―
Sempre la
stessa cosa: questa scuola – anche se nella mia visione
sembrava megliore – una
macchina nera e una mano, maschile, che giocherella con un mazzo di
chiavi.
Tutto qui.
― Non
è mai migliorata? ― domandai, ma ero già a
conoscenza della risposta.
― No, mai. ― rispose ―
Al massimo
peggiora. ― restammo in silenzio qualche
minuto, giusto il
tempo per notare che tutta la sala ci lanciava sguardi di ogni tipo:
curiosità,
invidia, rabbia, piacere, simpatia, odio. Sempre la stessa storia.
― Che lezioni
hai avuto? ― mi domandò Jasper.
Risposi, cercando di aiutarlo a cambiare argomento. E ci riuscii. Alice
si
tranquillizzò un po’ – grazie anche al
ritorno di Rosalie ed Emmett – e
riuscimmo a sembrare una famiglia normale, ma soprattutto, senza
problemi.
Anche
le lezioni pomeridiane erano giunte, finalmente, al termine. Ci
trovavamo nel
parcheggio esterno della scuola accanto all’auto –
un’Audi Q7 bianca ghiaccio –
di Emmett, ad aspettare che Alice e Rose arrivassero.
― Che lezioni
avevano? ― sbuffai, non potevano
trattenerle già il primo giorno. Che diamine!
― Spagnolo. ― mi informò Jasper
― Io
l’ho avuto questa mattina. ― mi avvisò Emmett ― Se il professore è lo
stesso, addio. Mi ha fatto arrivare in ritardo alla lezione successiva.
― Fantastico. ― dissi, in tono ironico.
Notai
qualcuno uscire dall’ingresso posteriore. Era Lidia. Mi
salutò, sventolando una
mano e feci lo stesso.
― Ti sei fatta
un’amica? ― stuzzicò Emmett
― Forse. ― risposi, sistemandomi la
giacca scura.
― Come sei
logorroica, Bella. ― si lamentò
l’orso. Sorrisi
e gli diedi una gomitata sui fianchi. Lui si scostò
dall’auto e cominciò a
giocare con me. Quello era uno dei pochi momenti in cui mi divertivo
davvero.
― Eccole! ― disse Jazz, ma Emmett non
mi lasciò andare. Mi aveva immobilizzata, bloccandomi le
braccia dietro la
schiena.
― Voi sempre a
fare i bambini, vero? ― chiese, in modo scherzoso,
Rose.
― Oddio! ― disse Alice, sembrava
spiritata.
― Che succede?
― la affiancai. Non rispose,
alzò una mano indicando qualcosa. O qualcuno.
Guardammo tutti in quella direzione.
Accanto
a Lidia c’era un ragazzo, di spalle. Indossava un giacchetto
di jeans –
piuttosto pesante – nero, come i pantaloni. Portava gli
occhiali da sole –
anche se non ve n’era nemmeno un raggio in cielo. Ma la cosa
che mi gelò,
immobilizzandomi sul posto, furono i suoi capelli: bronzei,
scompigliati.
― Eric,
piantala di fare il coglione! Dammi la Pepsi
che ho sete. ― disse Lidia
― Coglione?
Bene, bene. Te la sei giocata. ― rispose il ragazzo,
aprì
la lattina e bevve. Quella voce,
pensai, la sua voce… Ma
è impossibile,
non può essere vero. Eppure lo avrei voluto
più di ogni altra cosa al mondo.
Restai allibita a guardare la scena. Il ragazzo, Eric, tirò
fuori un mazzo di
chiavi – con un portachiavi del Big Ben – e si
avvicinò ad una Bmw Z4 Roadster
nera – tirata a lucido. Salì, seguito a ruota da
Lidia, mise in moto e sfrecciò
via.
―
Edward… ― dissi, completamente
gelata sul posto.
― È
impossibile. ― sussurrò Emmett.
― È umano. ― disse Rosalie,
appropriandosi di tutta la nostra attenzione.
Tadadadà
ù.ù e anche Eric è uscito allo
scoperto! Capelli bronzei, occhiali da sole... Vi ricorda qualcuno? Si
è scoperto anche cosa ha visto Alice, il motivo per cui i
Cullen hanno dovuto lasciare la loro vita altrove e trasferirsi a
Londra. Il motivo era Eric Hunter. Ma la domanda ora è: i
Cullen stanno prendendo un abbaglio? Eric e Edward sono soltando
identici o vi è dell'altro dietro? I vampiri pensano che
loro non abbiano anima, ma se così è
com'è possibile che Eric sia uguale a Edward? Lidia, quando
ne parla a Bella, dice che è un ragazzo diverso,
particolare. Ma perchè? Beh, per scoprirlo dovrete solo
continuare a leggere...
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Capitolo 4 *** Terzo Capitolo. ***
Buon pomeriggio! Lo
so, sono leggermente in ritardo, ma ho fatto un doppio turno a lavoro!
Scusatemi XD
Se per caso ci sono
errori nel testo, perdonatemi! Lo avevo riletto qualche giorno fa, ma
solitamente lo rileggo prima di postare, ma sono di fretta oggi. Poi
più avanti lo correggo, ma se trovate qualche errore di
battitura avvisatemi, ok? Grazie, vi adoro! <3
Ora bando alle ciance! Vi lascio al capitolo, buona lettura!
Terzo Capitolo
« Allora,
dimmi quando il mio silenzio è finito.
Tu sei la ragione per cui resto vicino.
Dimmi quando mi senti cadere.
C’è una possibilità che non avrei
mostrato. »
Possibility
– traduzione di Lykke Li.
Non
potevo crederci. Non riuscivo a
crederci. Erano settimane che, senza farci beccare, osservavamo da
lontano il
ragazzo dai capelli bronzei, dagli occhi verdi come smeraldi, dai modi
piuttosto da bulletto… insomma, Eric Hunter.
Facevo
ben attenzione a non incrociarlo per i corridoio o rimanere da sola con
lui. In
primis, la somiglianza con Edward era inquietante. In secundis, non
riuscivo a
credere che potesse essere realmente
Edward. Il mio Edward. Che diavolo!
Si era sempre opposto alla mia trasformazione perché, a
detta sua, i vampiri
non avevano anima. E adesso? Io lo
avevo visto morire a Volterra, per
mano di Felix. Io, dopo essermi ripresa dallo shock, avevo visto il suo
corpo
venire dato alle fiamme – da Jane e suo fratello, Alec. Era
impossibile che
quel ragazzo – così dannatamente somigliante al mio ragazzo – fosse la quella
stessa persona.
Eppure
c’era qualcosa che mi diceva tutto il contrario. Qualcosa che
mi spingeva,
veramente, a credere che Eric, in realtà, fosse proprio
Edward. Perfino Rosalie
sosteneva questa assurda, e al quanto fantascientifica, teoria.
―
Ha il suo odore. ― aveva detto la vampira bionda, subito dopo il
rientro a
casa. Dopo averlo visto in quel dannato parcheggio, la prima volta.
―
Rosalie ha ragione. ― si era intromesso Jasper ― L’odore
è diverso, perché è
umano, ma la fragranza è quella di Edward.
Mi
sentivo inutile e, per la prima volta dopo più di cento
anni, impotente.
Non
ero una vampira quando stavo con Edward, perciò non
conoscevo il suo odore. O
meglio, sì lo conoscevo, ma non appieno. Era solo il debole
ricordo di una
stupida ragazzina umana. Mio Dio, che nervoso!
Senza
rendermene conto, sbattei a terra il tavolo del salotto. Rompendolo.
―
Bella! ― urlò Esme, con tono di rimprovero. Se avessi
potuto, sarei arrossita.
―
Scusa Esme. ― risposi, mordicchiandomi il labbro inferiore. Quella era
l’unica
abitudine umana che non avevo perso, o dimenticato.
I miei ricordi, i miei vecchi
ricordi, svanivano ogni decennio che passava. Rammentavo ancora mio
padre o mia
madre – quelli veri – ma molte cose si dissolvevano
col tempo. Il calore dei
loro abbracci, il loro odore, il colore dei loro occhi, oppure
– la cosa che
più rattristava – i momenti passati insieme. La
mia mente aveva fatto uno
sforzo tremendo per tenere vivido il ricordo di Edward. Tutto il resto,
purtroppo, era andato in secondo piano. Avevo fatto una scelta, ora
dovevo
pagarne le conseguenze.
―
Bambina mia, so che per te deve essere dura tutta questa situazione. ―
disse,
cingendomi le spalle e facendomi accomodare con lei sul divano ― Ma
devi
cercare di essere lucida, la rabbia non serve a nulla. Andremo a fondo
di
questa faccenda, te lo prometto. Ma devi cercare di controllare i tuoi
istinti,
Bella.
―
Lo so. ― risposi, tremante. Quanta voglia che avevo di
piangere… ― È solo che è
difficile. ― ammisi, per la prima volta anche a me stessa ― Credevo di
averlo
perso, Esme. Ho passato cento anni a ricostruire una vita, senza di
lui. A
pensare a… a quello che avrei dovuto fare, ora che lui non
c’era più. E poi?
Dopo tanta fatica, dopo tanto tempo speso a trovare una motivazione per
vivere,
se è così che si può chiamare questa
esistenza, compare questo ragazzino!
―
Tu non credi che possa essere mio figlio, vero?
―
Io non so cosa pensare. ― dissi ― Ha tutto di Edward. I lineamenti
– meno
marcati di quelli di un tempo, però – la sua voce,
gli occhi… quelli sono suoi,
anche se di un colore diverso rispetto a quelli che ricordavo.
―
Quando era umano, Edward aveva gli occhi di un verde intenso.
―
Eric ha gli occhi di un verde molto
intenso. ― ammisi, abbassando lo sguardo.
―
Ascoltami bene, piccina. ― disse Esme, prendendo le mie mani tra le sue
― Io
credo nei miracoli. Lo so, forse è sciocco per una vampira
dire una cosa del
genere, ma ci credo. Nonostante tutte le cose orribili che questo mondo
ci
mostra, ve ne sono molte altre che hanno del miracoloso. La magia
esiste
ovunque, Bella. In un sorriso, nel sole che splende ogni mattina, nella
luna
che sorge ogni sera… Tutto è magico. Tutto
è possibile. Siamo noi a
credere che le cose siano impossibili,
capisci? Ascolta il tuo cuore, Isabella. Lui ti dirà
ciò che vuoi sapere. ―
l’abbracciai di slancio, stringendola forte a me.
―
Grazie, mamma. ― sussurrai quella
parole come se fosse stato un bene prezioso. Erano rare le occasioni in
cui
chiamavo Esme in quel modo, ma quando lo facevo sapevo di donarle una
gioia
immensa.
―
Non devi ringraziarmi, figlia mia. ― rispose, alzandosi dal divano
mentre mi
accarezzava una guancia ― Ora però metti tutto in ordine,
intesi? Io vado a
caccia. Quando torno voglio trovato il soggiorno pulito e un nuovo
tavolo
montato, con sopra lo stesso vaso di fiori che era su quello vecchio. ―
sorrise
beffarda e uscì con Carlisle. Fantastico,
pensai, dove diavolo lo trovo un tavolo
identico
a quello che ho appena distrutto alle quattro di mattina?
Sbuffai, ma in
fin dei conti Esme merita il suo tavolo.
Erano
quasi le otto di mattina quando finii di montare il tavolo in legno, di
forma
ovale, che avevo miracolosamente trovato in un negozio di antiquariato
aperto
ventiquattro ore su ventiquattro. L’oggetto non era per
niente male: legno di
quercia, laccato nero. Nel mezzo avevo messo un piccolo centro tavola,
fatto
all’uncinetto bianco, con sopra un vaso – largo e
lungo, da una forma piuttosto
curiosa – all’interno del quale un mazzo di
girasoli faceva da padrone.
―
Per la miseria, Bella! ― tuonò Alice, scendendo le scale ―
Tra poco iniziano le
lezioni e tu sei ancora in… ma quella è una tuta?
―
Ho distrutto il tavolo del salotto, questa notte. ― risposi, senza
smettere di
sistemare ― Esme mi ha raccomandato di pulire di tutto, altrimenti
sarei stata
nei guai.
―
Uh, mi ricordo quando Rosalie aveva rotto l’insalatiera! ― la
prese in giro,
Emmett. Ottenne, così, una gomitata nello stomaco.
―
Io avrò anche rotto l’insalatiera, ma tu, mio
caro, hai sempre distrutto
parecchia roba mentre giocavi o correvi per casa come un bambino. ―
ribatté la
bionda.
―
Non ha tutti i torti. ― disse, calmo, Jasper.
―
Ehi, tu da che parte stai? ― domandò Emmett, puntando un
dito contro Jasper.
―
Da nessuna, fratello. ― rispose quest’ultimo ― Ma siamo in
minoranza numerica.
Quattro donne contro tre uomini, di cui uno è quasi sempre
fuori. È meglio non
farle arrabbiare, possono diventare molto sgradevoli.
―
Secondo te, io potrei diventare molto sgradevole? ―
piagnucolò Alice, facendo
gli occhi da cucciola.
―
No, tesoro. ― rispose Jazz ― Tu assolutamente no, sei la vampira
più gradevole
del mondo.
―
Lecchino. ― lo stuzzicò Emmett, facendo scoppiare tutti a
ridere.
Da
quando Edward, o Eric, era entrato – se pur indirettamente
– nelle nostre vite,
era tornata un po’ di serenità famigliare.
―
Bella, tu cosa fai? ― mi domandò Rosalie, poco dopo.
―
Voi andate. ― risposi ― Io mi faccio una doccia, per togliere di dosso
tutta
questa roba, e poi prendo l’auto e vi raggiungo a scuola.
―
Hai novità da Lidia? ― chiese Alice, titubante.
―
Sì. ― risposi. Avevo avuto modo e tempo di conoscere di
più quella simpatica
ragazza dai capelli scuri. E la mia prima impressione non era affatto
sbagliata. Lidia aveva avuto un’infanzia particolare. Era
cresciuta con la
nonna, dopo che suo padre impazzì. Picchiò lei e
sua madre, numerose volte.
Quest’ultima, troppo cieca e innamorata per capire quale
fosse la cosa più
giusta da fare, dopo anni trovò il coraggio di denunciarlo.
Prima di venire
arrestato, l’uomo picchiò sua moglie provocandole
diversi problemi di salute.
La madre di Lidia passò molto tempo in ospedale,
così crebbe con la nonna
materna. Eric era stato da sempre al suo fianco. Quando i bambini
– alle
elementari – la prendevano in giro a causa dei suoi occhiali
da sole in
inverno, o delle maniche lunghe in estate – non sapendo che
quelle stranezze
servivano a nascondere le percosse di un padre violento – lui
li metteva tutti
a posto. Era il suo
cavaliere dall’armatura nera
– a causa del suo abbigliamento sempre piuttosto scuro.
Questo mi aveva detto
lei. Non c’era, né mai c’era stata,
nessuna implicazione sentimentale tra i
due. Se Eric era realmente Edward, questo mi tranquillizzava non poco.
Ma la
vita di Eric Hunter non era tutta rose e fiori, anzi. Era il classico
tipo che
faceva a pugni, anche solo perché qualcuno gli sbarrava la
strada. Non se la
prendeva, però, con quelli più piccoli o
più indifesi di lui. Non sarebbe
giusto, non lotterei nemmeno ad
armi pari. Era quello che le ripeteva sempre lui.
―
È stato dentro. ― dissi tutto d’un fiato.
―
Che cosa?! ― strillarono all’unisono i miei fratelli,
fracassandomi i timpani.
―
Come dentro? ― la voce di Emmett
continuò le sue domande ― In galera? Cioè
è stato in prigione? Perché?
―
Rissa in un locale. ― risposi, voltandomi per fissarlo negli occhi
ambra ― Un
rave party, qualche mese fa. Lo aveva organizzato lui, in un edificio
abbandonato in un quartiere di Londra. Il baccano era troppo
assordante, così
qualcuno ha chiamato la polizia. Quando le volanti sono arrivate,
chiedendo chi
lo avesse organizzato, hanno subito indicato Eric. Peccato che stesse
facendo a
botte, con una bottiglia di alcool in mano.
―
Per la miseria! ― sbottò, sconcertato Jasper.
―
Puoi dirlo forte, fratello. ― disse Emmett, con gli occhi sgranati.
―
Non può essere Edward. ― sussurrò Rosalie,
sgretolando ogni mia piccola
illusione ― Andiamo, conosciamo tutti Edward! Credete veramente che,
umano o
meno, reincarnato o meno, rinato o no, sarebbe capace di una bravata
simile?
―
Noi non lo conoscevamo da umano, Rosalie. ― le fece notare Alice.
―
Certo, è vero. Non lo conoscevamo, ma Carlisle ci ha parlato
spesso della vita
di Edward da umano e non era di
certo
così.
―
Carlisle, ci ha parlato anche della sua vita poco dopo la
trasformazione, Rosalie.
― disse Emmett ― Edward, non ha sempre avuto un passato roseo e
tranquillo.
―
Inoltre, quando era umano, erano altri tempi. ― puntualizzò,
ancora una volta,
il folletto ― Erano i primi del Novecento, Rosalie, ora siamo
nell’era della
tecnologia, dell’evoluzione dei computer. È ovvio
che rinascendo in questo
luogo, in questo tempo, sia diverso.
―
Forse. O forse ci stiamo solo sbagliando.
―
Ragazzi, muoviamoci o faremo tardi. ― si intromise Jasper, accarezzando
il
braccio di sua moglie. Alice voltò lo sguardo verso di me,
annuii sorridendole.
―
Andate. ― dissi ― Io arriverò un po’
più tardi, il tempo di prepararmi.
Mi
salutarono tutti e andarono via. Sfrecciai – a
velocità vampiresca – al piano
di sopra, mi tuffai sotto la doccia gelida e mi vestii. Nulla di troppo
sfacciato: jeans skinny a vita bassi, grigi, camicetta nera a maniche
lunghe e
il mio giubbetto di pelle, dello stesso colore della camicia. Misi le
scarpe,
non troppo alte, presi la borsa e afferrai le chiavi della mia macchina.
Ognuno
di noi aveva un’auto propria, non si poteva mai sapere.
Poteva servire averla.
Io avevo conservato la Aston Martin
di Edward, anche se non la guidavo mai – nessuno la guidava
mai.
La
mia era un piccolo gioiellino nero lucido, una Mercedes Guardian. Gli
interni
erano grigio perla, in pelle. Cinque posti, quattro porte. Vetri
totalmente
oscurati – come tutte le altre, del resto – doppio
cambio differenziale a sette
marce. Me l’aveva regalata Carlisle, un mese prima del nostro
trasferimento a
Londra.
Aprii
con il telecomando la portiera ed entrai nel caldo e accogliente
abitacolo.
Accesi il motore – sentendolo ruggire – e accesi lo
stereo. Ad attendermi, come
ogni mattina, c’era Debussy, con Claire
de Lune. I tempi cambiavano, ma non le nostre abitudini o le
nostre
passioni. Quella melodia, seguita dalla ninna nanna che Edward aveva
composto
per me, era la mia preferita. Era un filo, un legame, che mi collegava
a lui. Mi
resi conto che quando Eric aveva fatto la sua entrata in scena, senza
nemmeno
saperlo, la mia prospettiva di vendetta era passata in secondo piano. E
come
poteva essere altrimenti? Prima di tutto ero una donna, non una
vendicatrice.
Se Eric fosse risultato essere Edward ne sarei stata felice, piuttosto
confusa,
ma felice. E i Volturi… loro avrebbero comunque pagato.
Cento anni di dolore,
di angoscia, di vuoto, non si dimenticano così da un giorno
all’altro. Aro,
insieme a tutta la sua reale famiglia, avrebbe conosciuto la morte. Per
mano mia.
Senza
che me ne rendessi conto, ero giunta a scuola. Notai che il parcheggio
accanto
alla macchina di Emmett era vuoto, così posteggiai
lì. Raccolsi in fretta tutta
la mia roba e corsi, con un’andatura umana, fino
all’entrata. Mi scontrai con
qualcuno, però.
―
Scusami, non ti ho vista entrare. ― restai immobile, a fissare due
gemme verdi
― Ti sei fatta male? ― scossi la testa, facendo di no ― Meglio
così. ― disse,
scrollando le spalle. Mi superò, dirigendosi verso il
parcheggio.
―
Non vieni a lezione? ― domandai, notando il suo abbigliamento. Eric,
indossava
un paio di jeans stretti neri, una maglietta a maniche lunghe verde
scuro e un
chiodo nero. Ai piedi degli anfibi nel medesimo colore della giacca.
Avevo
notato che aveva il piercing sulla lingua, e uno sul sopracciglio
destro –
fortunatamente era un pallino molto piccolo, quasi non si notava. Gli
donava,
però.
―
Non è evidente la risposta? ― rispose, voltandosi
leggermente.
―
Te ne stai andando?
―
Tu cosa dici?
―
Perché? ― tentai un approccio. Esme aveva detto di seguire
il cuore, bene. Esso
mi stava dicendo di provare a capire chi fosse davvero Eric Hunter.
―
Non credo siano affari tuoi. ― rispose ― Tu sei Isabella Cullen, giusto?
―
Bella basta.
―
Bene, Bella… ― disse il
mio nome in
un tono strano, quasi con aria di scherno ― Tu sei molto amica di
Lidia, dico
bene? ― annuii, non capendo dove volesse arrivare ― Gli amici di Lidia
sono
anche miei amici, ma ciò non vuol dire che solo
perché lei ti trova simpatica o
si confida con te io, Eric Hunter, debba fare lo stesso.
Restai
di sasso. Come riusciva a rispondermi in quel modo? Perché
non restava
folgorato dalla mia presenza? Cavolo, non ero mai stata così
vanitosa. Ma tutti
quelli che ci incontravano rimanevano ammaliati dalla nostra bellezza disumana. Tutti, tranne lui.
―
Se ti stai chiedendo perché non mi inchino alla tua
straordinaria bellezza, la
risposta è molto semplice: non mi fermo a quello. ― disse,
facendo un saluto
col capo. Salì su una moto nera e sfrecciò via.
Restai
lì, imbambolata come una povera deficiente, mentre una
sensazione si faceva
largo nel mio cuore e nella mia testa: Eric Hunter era Edward Cullen. O
almeno,
un tempo lo era stato. Era diverso, adesso. Ma questo non mi
spaventava.
Il suono della campanella
mi fece trasalire, così cominciai a correre per raggiungere
l’aula di Biologia.
Avevo ancora una possibilità per essere felice. Entrambi, forse, avevamo ancora una possibilità.
Ecco qui il capitolo, un
pò in ritardo d'orario ma puntuale di giornata. Cosa ne
pensate? Bella e Eric hanno parlato, anche se in un piccolo pezzetto,
Eric Hunter, ha fatto finalmente il suo ingresso. Isabella si
è convinta che Eric sia Edward, ma sarà vero? E
se così fosse, com'è possibile? I vampiri non
hanno anima, ha sempre detto Edward, perciò quando muoiono
non tornano in vita. Ma sarà davvero così? Per
scoprirlo dovete solo continuarmi a seguirmi... Al prossimo
Venerdì! ;)
|
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Capitolo 5 *** Quarto Capitolo. ***
Buon pomeriggio a
tutti! Come ve la passate? Io forse sto guarendo, uffy! Questa febbre
non ci voleva prorpio :'(
Volevo solo dirvi una
cosa - e poi vi lascio al capitolo - andando avanti con i capitoli sono
giunta alla conclusione che la storia sarà formata da DIECI
massimo DODICI CAPITOLO, esclusi prologo e epilogo. Nella scrittura
sono più vanti rispetto ala pubbicazone, quindi so per certo
che la storia non sarà lunghissima.
Detto questo vi lascio al capitolo :) ah un'ultima cosa! La frase della giornata non ha
l'autore perchè non sono riuscita a trovarlo. Su Internet
non mi da chi la scrisse, perciò ho messo solo la frasetta,
se qualcuno di voi sa di chi che me lo dica pure! E
adesso...
Buona lettura! :)
Quarto Capitolo
« I
ricordi tengono unito
ciò che il destino ha diviso. »
Anche
Dicembre era arrivato, e con esso la magia del Natale. Stava nevicando,
oggi.
Tutta Londra era illuminata da piccole luci colorate. Le strade, i
negozi, la
scuola… tutto urlava “Buon Natale”.
Mi
trovavo sul dondolo del giardino di casa nostra. La mia nuova natura mi
impediva di avere freddo, così potevo godermi
quell’affascinante spettacolo.
Era strano, quando ero umana tutto ciò che fosse umido e
freddo mi dava i
brividi. Adesso invece, preferivo questo tempo grigio ad un cielo
limpido e
azzurro.
―
Allora, ti piace la
pioggia? ― domandò Edward, cercando di fare conversazione.
Era mancato da
scuola una settimana intera, ero confusa. Non capivo perché
la mia presenza lo
avesse potuto infastidire tanto ― Che c’è? ―
chiese, notando la mia espressione
ambigua.
― Mi chiedi cosa penso del
tempo?
― Ehm… sì…
― La pioggia non mi piace.
― risposi, rabbrividendo ― Tutto ciò che è freddo
e bagnato proprio… ― lasciai
cadere la frase, ma lo vidi ridere. I denti erano bianchissimi,
perfetti. Come
lui.
― E allora perché sei
venuta nella città più piovosa
d’America?
― Mia madre si è risposata,
quindi…
― E cosa c’è? Non ti piace
lui? ― azzardò, scrutandomi con quei suoi occhi
d’ambra.
― No, Phil è uno carino.
La nostra breve
chiacchierata fu interrotta dal professor Molina, che ci
impartì le direttive
per l’esperimento a coppie della giornata.
Da
quel giorno successero tante cose, troppe. Il furgoncino di Tayler
slittare e
venirmi addosso; il salvataggio repentino, e troppo azzardato, di
Edward; le
mie ricerche e i miei sospetti; la chiacchierata a Las Push con
Jacob… Fu così
che scoprii cosa fossero veramente i Cullen. Da lì nacque la
nostra storia.
Una
relazione abbastanza tortuosa, se pur vera. Edward aveva un problema
viscerale
col mio sangue. Ero la sua cantante,
ci
spiegò Carlisle. Il mio sangue cantava per lui, era fatto
apposta per lui.
Perché lui bevesse da me. Per questi motivi aveva sempre
messo parecchie
barriere tra noi due. Nessun contatto fisico troppo spinto, non
contando i
baci. Quelli, almeno, c’erano.
Maledissi
per molto tempo il mio diciottesimo compleanno. L’ultimo, da umana. Era stato per colpa,
della mia innaturale
sbadataggine, se Jasper, dopo essermi tagliata un dito con la carta da
regalo,
aveva tentano di uccidermi. Quella mattina, fu l’ultimo
giorno che Edward venne
a scuola. L’ultimo giorno che la Forks
High
School vide i Cullen. L’ultima volta che la mia vita umana
avesse un briciolo
di senso.
― La
tua nascita va
assolutamente festeggiata. ― disse Edward, venendomi incontro. Era il
13 Settembre,
il giorno del mio diciottesimo compleanno.
― Ma il mio invecchiare no.
― Il tuo invecchiare? ― domandò, alzando un sopracciglio e
fece un risolino ―
Diciotto anni non sono così tanti da doversi preoccupare.
― Sono un anno più vecchia di te. ― risposi, odiando quella
verità. Edward non
avrebbe mai compiuto diciotto anni. Mai.
― No, non è vero. ― sorrise
sghembo ― Io ne ho già centonove.
― Beh forse allora non
dovrei uscire con un uomo così vecchio. ― cominciai a
prenderlo in giro ― È
disgustoso dovrei provare repulsione. ― sghignazzò un
“già” e mi zittì, posando
le sue labbra fredde sulle mie.
―
Bella? ― la voce di Alice mi destò dai miei pensieri.
―
Ciao Alice.
―
Ti ho vista qui tutta sola… A cosa stavi pensando?
―
A Edward. ― risposi, evitando il suo sguardo ambrato.
―
Lo immaginavo. ― sospirò, prendendo posto accanto a me sul
dondolo ― Vederlo a
scuola è strano. Vederlo umano poi, è davvero
assurdo.
―
Ci ho parlato. ― ammesi, dopo qualche giorno che avevo tenuto il
segreto per
me. Ricordavo ancora il suo odore… sapeva di muschio bianco
e menta piperita.
―
Cosa? ― chiese Alice, con voce stridula ― Quando? Dove?
―
Qualche giorno fa, fuori da scuola. Io stavo entrando e lui se ne stava
andando.
―
Marinava le lezioni? ― annuii, continuando a guardare lontano ― Ci hai
parlato
quella mattina che sei andata da sola, dico bene?
―
Sì. ― risposi ― Ma la cosa strana è che non
è come tutti gli altri ragazzi.
―
Che vuoi dire? ― domandò lei, corrugando la fronte.
―
La nostra bellezza non lo scalfisce.
―
Cosa? Dici sul serio? Ma è impossibile!
―
Ti dico che è possibile, invece. ― dissi, abbozzando un
sorriso ― E ha ancora
la sua capacità di lettore.
―
Legge nella mente?
―
No. Almeno, non come faceva prima. Ma basta che ti guardi in faccia e
capisce
cosa ti frulla in testa. ― spiegai, sentendola ridere.
―
Sarebbe bello averlo ancora con noi. ― sussurrò,
tristemente, il folletto. Le
cinsi le spalle con un braccio.
―
Lo riavremo, Alice. ― affermai sicura di me ― Non so ancora come, ma
Edward
Cullen tornerà a casa. Alla sua vera
casa.
L’ultima
settimana di scuola, prima delle feste di Natale, era cominciata. Il
clima era
sempre più rigido. Perfetto.
Attendevo
al mio posto, in fondo all’aula, che Eric arrivasse. Avevo
cambiato
completamente il mio piano di studi, dopo che Alice si era informata su
quello
del ragazzo dai capelli bronzei. Anche gli altri avevano fatto lo
stesso,
dividendoci le lezioni. Non avremmo dato troppo nell’occhio,
così.
―
Ciao Bella! ― disse Lidia, accomodandosi accanto a me.
―
Ciao Lidia, come stai? ― risposi, senza perdere d’occhio la
porta.
―
Stanca, ma bene. E tu?
―
Molto bene, grazie. ― risposi, accennando un sorriso sincero ― Eric?
―
Lo hai conosciuto? ― domandò lei ― Mi ha detto che avete
scambiato quattro
chiacchiera, qualche giorno fa.
―
Sì, quattro è il numero giusto.
―
Devi scusarlo. ― disse, e mi voltai a guardarla ― Eric sa essere
piuttosto
insopportabile. Se ha detto qualcosa di sbagliato o poco carino, ecco,
mi scuso
per lui. ― tentai di dirle che non doveva scusarsi, che Eric
– come lo
chiamavano tutti – non si era comportato male o altro, ma non
feci in tempo.
―
Perché dovresti scusarmi, Lidia?
―
Eric! ― sussultò spaventata la mia amica. Mi irrigidii, non
lo avevo sentito
entrare. Ok, ero assorta nella conversazione,
però…
―
Allora, signorina? ― incalzò lui, alzando un sopracciglio.
―
Sappiamo entrambi il tuo caratteraccio. ― rispose lei ―
Perciò stavo dicendo a
Bella che…
―
Primo, io non ho affatto un caratteraccio! ― la interruppe lui ― E
secondo,
credo che la signorina Cullen sia in grado di curare i suoi interessi e
capire
da sé se mi sono comportato male o meno. Sbaglio?
―
No, ma Lidia voleva solo essere gentile.
―
Lidia è sempre gentile con tutti. ― disse, buttando lo zaino
sul banco di
fronte al nostro ― Ma nessuno è gentile con lei,
eccetto il sottoscritto. Dovrebbe temprare un po’ di
più il suo carattere.
―
Quando la finirai con queste assurdità? ― domandò
Lidia, visibilmente irritata.
―
Quando la smetterai di farti mettere i piedi in testa.
Restai
ammutolita per tutto il resto della conversazione. La loro
intimità e unione
era disarmante. Non avevo mai visto Edward essere così
legato a qualcuno,
togliendo di mezzo me, Alice e tutto il resto della sua famiglia. Feci
un
sospiro, era comprensibile. In questa vita Edward era umano, aveva
vissuto da
umano. Io conoscevo un Edward diverso, un Edward vampiro.
―
Quanti anni hai, Eric? ― la domanda mi uscì dalle labbra,
senza riflettere. Lui
si voltò squadrandomi dall’alto in basso. Non
sembrava avere diciassette anni,
ne mostrava di più.
―
Perché dovrei risponderti?
―
Eric! ― urlò Lidia, tirandogli una matita in testa ― Devi
scusarlo, è stato
allevato da un branco di scimmie e ne ha acquisito i modi. ― Eric, le
rilanciò
l’oggetto fulminandola con lo sguardo. Mi scappò
una risatina, erano
innegabilmente buffi.
―
Compio vent’anni tra qualche mese.
―
Quindi hai diciannove anni. ― dissi. Era più grande
dell’età che aveva quando
morì di Spagnola, era anche più grande di me.
―
Sai contare, signorina Cullen.
―
Bella. ― lo corressi ― Il mio nome è Bella.
Tentò
di controbattere, ma l’entrata della professoressa di Storia
glielo impedì.
Costringendo tutti noi a seguire la lezione.
Durante
la pausa pranzo ero riuscita a convincere Lidia e mangiare con noi,
portando
anche Eric. Dire che i primi minuti furono imbarazzanti sarebbe dire
poco.
Rosalie e Jasper fissavano il ragazzo letteralmente a bocca aperta.
Emmett
faceva battutine veramente idiote e, per finire, Alice si era presa da
subito
una confidenza sconcertante.
―
Io sono Alice! ― disse il folletto ― Mary Alice Brandon Cullen!
―
E ci sta tutto questo popò di roba sulla carta
d’identità? ― aveva chiesto
Eric, visibilmente scosso da quell’interminabile
presentazione. Emmett scoppiò
a ridere, dandogli una pacca sulla spalla piuttosto potente. Lo
fulminai con lo
sguardo. Era forse impazzito?
―
Siete tutti molto simpatici. ― disse Lidia, cercando di stemperare la
tensione
che si era venuta a creare.
―
Grazie, lo sembri molto anche tu. ― rispose Rosalie, cercando di
sorridere. Mia
sorella non era cattiva, adesso lo capivo, era solo diffidente.
―
Allora, Eric, cosa ci racconti? ― domandò Jasper.
―
Abbiamo saputo che sei stato in galera! ― disse Emmett, facendo sputare
la
Pepsi a Lidia. Mi misi una
mano sulla faccia. Mio Dio, che disastro!
―
Vedo che la mia fama mi precede. ― disse Eric, sorridendo ― Una rissa,
nulla di
che. Mi hanno beccato e sono finito dentro, tutto regolare.
―
E la tua famiglia? ― domandai, ricordandomi che mai nessuno ne aveva
parlato.
Lo vidi irrigidirsi, ma si rilassò subito dopo.
―
Sono stato adottato. ― rispose ― Come voi, presumo.
―
Cosa te lo fa pensare?
―
Avete tutti più o meno la stessa età. ―
spiegò ― A parte l’energumeno di fronte
a me e la biondina che fa tanto Barbie
Raperonzolo, che sembrano più grandi. Quindi le
cose sono due: o i vostri
genitori vi hanno concepiti tutti insieme o, cosa molto più
probabile, siete
adottati.
―
È sveglio e insopportabile anche in questa vita. ―
commentò Rosalie a voce
troppo bassa perché orecchie umane la potessero sentire.
Emmett, dal canto suo,
scoppiò a ridere.
―
Questo nuovo Edward mi piace! ―
disse, senza riflettere. Ci immobilizzammo tutti sul posto.
La
reazione di Lidia fu quella più strana di tutte,
però.
―
Come… come lo hai chiamato? ― chiese balbettando, facendo
cadere la piccola
forchetta di plastica trasparente che teneva in mano.
―
Emmett si è sbagliato. ― mi affrettai a rispondere ― Edward
era il mio ragazzo,
ma è morto. Fine della questione. ― mi alzai di scatto,
forse un po’ troppo
velocemente e uscii in giardino.
Carlisle
ci aveva consigliato di andarci piano, per gradi. E che combina Emmett?
Lo
chiama per nome! Presi a calci, sbattendo a terra, il cassonetto
dell’immondizia sul retro del giardino.
―
Quella è proprietà della scuola.
―
Disse il ragazzo che fa a pugni nove volte su dieci.
― Touché.
―
Cosa ci fai qui, Eric? ― domandai, voltando un po’ il capo
per guardarlo in
faccia. Aveva le mani infilate nelle tasche dei jeans, il maglione
marrone
scuro a collo alto e l’inseparabile chiodo nero, come i suoi
fidati anfibi.
―
Lidia mi ha mandato a vedere se stavi bene. ― rispose, scrollando le
spalle.
―
Sto bene, grazie.
―
Senti… non sono bravo con le ragazze, né tanto
meno me la cavo a dire qualcosa
di confortante. Sono fatto così. Però
sì, insomma, mi dispiace per il tuo
ragazzo… Anche i miei veri genitori sono morti.
―
Mi dispiace molto. ― dissi, provando il bisogno di attirarlo a me e
stringerlo.
La sua pelle chiara, anche se non come prima, il profumo dei suoi
capelli,
l’odore del suo sangue… Mi voltai di scatto,
sperando non avesse visto i canini
spuntarmi senza preavviso. In più di cento anni non avevo
avuto problemi di
questo tipo, e spuntavano proprio adesso? Eppure il suo odore era
così buono…
―
E il tuo Edward? ― domandò, qualche istante dopo ―
Com’è morto?
―
Lo hanno ammazzato. ― risposi in fretta. Dovevo andare via di
lì, prima di
rischiare di perdere il controllo. Non ero mai stata così
vicina a lui, per
questo motivo non avevo mai fatto troppo caso alla sete che scatenava
la sua
vicinanza. Se non fossi stata così affamata avrei quasi
riso. Prima era lui a
volersi cibare di me, ora ero io.
―
Che tipo era?
―
Assomigliava moltissimo a te. ― risposi, girando i tacchi e dirigendomi
verso
la macchina. Volevo riprendermi il mio
vampiro, oh pardon, il mio umano. Ma avrei dovuto farlo bene e,
soprattutto, a stomaco pieno. Solo così, forse, avrei
resistito alla voglia di
sbatterlo al muro e ficcargli due denti in gola.
Rabbrividii
a quel pensiero, eppure adesso era questo ciò che ero. Una
bevitrice di sangue.
Una vampira.
Avete avuto una
panoramica di Eric Hunter più ampia in questa capitolo, cosa
ne pensate? Ancora convinti che sia Edward Cullen? Una cosa strana
è successa... l'avete colta? Chissà,
chissà... Un bacione a tutti!
|
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Capitolo 6 *** Quinto Capitolo. ***
Buongiorno a tutti!
Come state? Oggi pubblico un pò prima, ma oggi non ci
sarò quindi evito di rischiare di non postare o postare
troppo tardi, perciò eccomi qui! Devo ancora pranzare!
Quindi evito di dilungarmi troppo e vi lascio al capitolo, oggi sono di
fretta!
Quinto Capitolo
« Il
legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del
sangue,
ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite. »
Richard Bach
L’ennesimo
Natale era passato. Il nuovo anno stava per sorgere
all’orizzonte.
Mi
trovano nel giardino – dietro casa – insieme a
tutta la mia famiglia, in
attesa. Aspettavamo che l’orologio – il grande Big
Ben – suonasse mezzanotte,
avvisandoci così, che un altro ciclo di esistenza finiva,
mentre un altro
cominciava.
―
Bella, tieni. ― disse Alice, porgendomi un flûte di cristallo
pregiatissimo,
pieno di Champagne di ottima qualità.
―
Ma sei seria? ― domandai, alzando un sopracciglio. Cos’era
quella novità? Da
quando noi – immortali, vampiri, creature della notte senza
tempo –
festeggiavamo il Capodanno?
―
Bella. ― mi chiamò Carlisle ― Oggi è una sera
speciale, diversa. Forse, e lo
spero con tutto il mio cuore, abbiamo la
possibilità di riavere con noi nostro figlio. ― concluse,
stringendo a sé sua
moglie, Esme. Sospirai, ero l’unica scettica della famiglia.
Non tanto perché
credessi che Eric non fosse Edward, più che altro ero
convinta che le cose non
sarebbero andate come noi volevamo. Questo Edward, anzi, questo Eric
Hunter era
assolutamente l’opposto del ragazzo che avevo conosciuto a
Forks, moltissimi
decenni fa.
―
Non riesci a sorridere un po’, figlia mia? ―
domandò Esme, accarezzandomi la
guancia. Ci provai, afferrando il bicchiere dalle mani di Alice.
Guardai
i miei fratelli, la mia famiglia, uno ad uno. Erano bellissimi, ma non
parlavo
solo della loro bellezza fisica. Erano elegantissimi, nonostante il
nostro Capodanno
fosse stato quello di passare la serata in giardino, a guardare il
cielo e la
città illuminata.
Rosalie
ed Alice indossavano un abito corto, la prima con gonna a palloncino,
nero; la
seconda a balze, porpora. Esme aveva un vestito lungo, rosso, leggero e
svasato
in fondo. I ragazzi – ovviamente parlavo anche di Carlisle
– erano tutti in
giacca e cravatta, ognuno con colori che richiamavano quelli delle
rispettive
mogli. Abbassai la testa, guardandomi. Io non ero vestita per niente a
festa,
tutto il contrario. Indossavo un paio di jeans skinny neri, un top
viola/blu,
piuttosto scollato, e un giubbotto di pelle nera con maniche a tre
quarti,
sbottonato. Ai piedi degli stivali di pelle del medesimo colore, con
tacco
dodici centimetri.
―
Io te lo avevo detto di mettere un vestito… ― disse Alice,
ma la fulminai con
lo sguardo. Si zittì all’istante, bevendo il suo
flûte di Champagne.
―
Mancano cinque minuti a mezzanotte! ― urlò Emmett,
scalpitando come un bambino.
Rosalie gli si avvicinò, facendosi avvolgere in un abbraccio
che non tardò a
ricambiare.
―
Queste cose non cambiano mai, eh? ― gli chiese la vampira bionda,
sorridendo.
―
Tre minuti. ― parlò Jasper, prendendo il bicchiere in mano.
―
È bizzarro. ― disse Alice ― Sono passati decenni e decenni,
sono cambiati i
tempi, le tecnologie si sono evolute… eppure queste
ricorrenze esistono ancora,
non passano mai di moda.
―
Forse perché sono delle belle tradizioni di famiglia. ―
disse Carlisle,
sorridendo.
―
Un minuto! ― urlò Rosalie, portandosi al mio fianco con
Emmett.
―
Conto alla rovescia? ― domandò, allegra, Alice.
―
Continuo a non capire tutto il vostro entusiasmo. ― risposi secca ―
È solo
l’ennesimo anno che finisce.
―
Andiamo Bellina! ― disse Emmett, stritolandomi in un abbraccio ― Sii
più
positiva! Inizierà un nuovo anno tra poco! Nuove aspettative
e, forse, anche un
nuovo futuro per tutti noi.
Lo
guardai di sbieco, sapendo a cosa si riferiva. Tutti rivolevano Edward
a casa,
ma era un’impresa impossibile. Come avremmo potuto fare?
Andare da lui e
raccontargli tutto? Non era un ragazzo ingenuo, anzi, tutto il
contrario. Anche
se il mondo era andato avanti, spingendosi in direzioni nuove,
più
all’avanguardia, il segreto dei vampiri restava tale. Come
tutto il resto. Il soprannaturale
era da sempre qualcosa che l’uomo non capiva,
perciò lo rifiutava
semplicemente.
―
Dieci, nove, otto… ― il conto alla rovescia, cominciato da
Rose e Alice, mi
risvegliò dai miei pensieri, facendomi spaventare.
―
Sette, sei, cinque… ― si unirono a loro anche Emmett e
Jasper.
―
Dai Bella! ― disse Esme, saltando il numero quattro ― Finisci il conto
alla
rovescia con noi! ― mi voltai verso di lei e Carlisle, notando che
sorrideva
anche lui. Sospirai, non credendo davvero a quello che stavo per fare,
ma erano
tutti così entusiasti… Non volevo rovinar loro la
festa.
―
Tre, due, uno… Buon anno nuovo! ― strillammo tutti insieme,
ridendo e
abbracciandoci come pazzi. Finimmo due bottiglie di Champagne, ballando
in
giardino per quasi tutta la notte.
― Ok,
Bella. ― disse Emmett, muovendosi circospetto.
―
Oh no. ― sussurrò Alice, sbuffando ― Non accetterai mai che
lei sia più forte
di te, vero fratellone?
―
Poteva esserlo fino a qualche anno fa, ma il vecchio Emmett
è tornato! Avanti
Bellina, vediamo quello che sai fare.
―
Emmett, la tua giacca è molto bella. Non vorrei rovinarla,
dai…
―
Uh, Isabella Marie Swan Cullen ha paura… ― disse,
cantilenando. Mi irrigidii.
Che cosa aveva detto? Io non avevo
paura di niente e di nessuno, tanto meno di lui!
―
Bella, per favore! ― mi pregò Alice, sapendo come sarebbe
andata a finire ― Ci
ho messo giorni a trovare quella giacca! Non accettare, per favore!
―
Mi dispiace, sorellina. ― dissi ― Ma Isabella Cullen non si tira
indietro. Non
dopo quello che ha sentito.
―
Bene, allora noi vi lasciamo giocare in pace. ― disse Carlisle ― Mi
raccomando
Bella, non fargli troppo male. L’ultima volta gli hai rotto
un braccio,
potresti evitare di replicare?
―
E quando avete finito, se rompete qualcosa, mettete in ordine, intesi?
― disse
Esme, mentre spariva con suo marito mano nella mano.
Mi
portai al centro del giardino, mettendomi in posizione di attacco.
Emmett era
davanti a me, rigido e leggermente incurvato in avanti.
―
Bella, non distruggerlo troppo. ― disse Rose ― Sai
com’è, è Capodanno e vorrei
passarci la notte… Non so se mi spiego.
―
Amore! ― urlò l’orso ― Tu dovresti stare dalla mia
parte!
―
Certo tesoro, sono sicura che la distruggerai! ― disse lei ringhiando,
ma senza
troppo convinzione. Mi scappò un sorriso, notando Jasper
che, invece, cercava
di trattenersi. Grazie a lui imparai l’arte del
combattimento. Per ogni evenienza,
aveva detto.
Carlisle sosteneva che le mie capacità fossero incredibili,
che fossi un
talento naturale. Ero brava, ero dotata. Ero nata per essere vampira. Che assurdità, pensai. La
verità,
secondo me, era che ero nata per distruggere i Volturi. Poco mi
importava se
Edward fosse realmente rinato in forma umana, loro me lo avevano
ammazzato. Io,
perciò, li avrei fatti a pezzi.
Quando
mio fratello scattò in avanti, roteai verso destra,
schivando il colpo. Mi
voltai verso di lui, sentendolo ringhiare. Gli sorrisi, sistemandomi
una ciocca
di capelli dietro l’orecchio. Il gesto lo fece infuriare,
caricò come un toro
impazzito e mi si scaraventò addosso. Di tutta risposta,
feci un balzo,
appoggiando le mie mani sulle sue spalle e saltai dall’altra
parte.
―
Io lo avevo detto. ― disse Rose ad Alice.
―
Almeno lei si sta trattenendo. ― rispose quest’ultima ―
Guarda, non ha neppure
sgualcito la giacca.
Il
vociferare delle mie sorelle mi fece perdere la concentrazione,
così Emmett mi
afferrò da dietro sbattendomi a terra. Lo schianto
provocò un rumore tremendo,
fortunatamente i fuochi d’artificio coprivano ogni cosa. Mi
rialzai di scatto,
ringhiando. Adesso ero incazzata! Mi avventai su di lui, colpendolo
all’addome
e gli afferrai il braccio, buttandolo a terra.
―
Mi hai fatto male! ― disse Emmett, massaggiandosi la schiena.
Sghignazzai,
fortuna che non poteva sapere quanto realmente mi fossi trattenuta.
―
Fratello, non imparerai mai. ― disse Jasper, aiutandolo a rialzarsi.
―
Bella, sei un mito! ― dissero all’unisono Rosalie e Alice.
―
Non hai neanche distrutto la giacca! ― continuò
quest’ultima. Emmett le rivolse
un’occhiataccia.
―
Alice, diamine. Sei fissata con questa cazzo di giacca!
―
Il tuo orgoglio maschile è, come dire, sotto shock? ―
chiesi, sghignazzando.
L’orso sbuffò e si diresse verso gli alcoolici,
facendoci scoppiare tutti a
ridere.
―
Amore, tu non sai perdere. ― gli disse Rosalie, baciandogli una guancia.
―
Mi ami lo stesso?
―
Certo. Lo sai: sei il mio scimmione. ― concluse lei, pizzicandogli le
guance.
―
Ragazzi, io credo che andrò a fare un giro.
―
Vuoi che qualcuno venga con te, Bella? ― domandò Jasper,
mentre cingeva la vita
di sua moglie. Feci di no col capo e lo salutai, saltando al di
là del
cancello.
Giravo
per quella Londra festaiola da più di un’ora.
L’orologio segnava le quattro di
mattina. Si sentivano ancora le urla allegre della gente, i fuochi
d’artificio delle
città vicine, la musica alta nella case o nei
pub… Forse, tanto tempo fa, avrei
trovato tutto questo fantastico. Non che fossi mai stata una patite per
le
feste, ma il Capodanno era sempre stato Capodanno, ora invece non
riuscivo
nemmeno più a godermi il Natale. Era triste come cosa.
Sospirai,
finendo dinanzi ad un pub, piuttosto lontano dal quartiere di
Kensington.
―
Dai tesoro. ― disse un uomo ― Divertiamoci un po’.
―
No grazie. Inoltre il mio ragazzo sta tornando da me, è
molto violento e
geloso. Perciò le conviene andarsene… ― non la
fece finire.
― Non darmi del lei. ― disse
l’uomo ― Mi fai sentire
così vecchio! ― storsi il naso.
Quell’uomo era vecchio.
Riuscivo a
sentire l’odore di alcool uscirgli dalla bocca e sgorgare nel
suo sangue.
Inghiottì il veleno, troppo arrabbiata per pensare
lucidamente. Ma quando
sentii la ragazza parlare di nuovo, mi resi conto di una cosa
terribile: era
Lidia.
To
be continued...
Eccoci qui, non mi ammazzate dai!
Un pò di suspance ci vuole ù.ù no?
Vabè, tanto io ve la metto lo stesso! :P
Oggi sono un pò di fretta, come già detto,
perciò non mi addentro nei meandri del capitolo... La
seconda parte arriverà Venerdì prossimo! Nel
frattempo - ribadisco - non mi uccidete, dai! Adesso scappo...
|
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Capitolo 7 *** Sesto Capitolo. ***
Buon pomeriggio a
tutti! Come state? Io non riesco proprio a togliermi questa influenza
di dosso, grr! Sarà che esco nonostante tutto e il tempo
influisce, chi lo sa XD comunque, non siamo qui a parlare della mia
salute ù.ù vi avevo lasciati con un "To be
continued..." perciò, cosa sarà successo? Evito
di tergiversare ancora e vi lascio al capitolo...
Buona lettura, gente! :*
Sesto Capitolo
» Ogni
volta che si fa una cosa stupidissima
si è sempre mossi dai motivi più nobili. «
Oscar Wilde.
La
scena che avevo davanti mi riportò a molti anni prima
– moltissimi anni prima.
Mi trovavo a Port Angeles e se non fosse
stato per Edward sarei finita male. Molto male.
Un
ringhio rabbioso mi uscì involontariamente dal petto. I
tempi passavano, ma gli
stronzi restavano sempre tale e quali!
―
Ti ha detto di lasciarla andare. ― dissi, quasi ringhiando, attirando
l’attenzione di entrambi. L’uomo
sghignazzò, mentre Lidia sgranò gli occhi. Per
lei ero solo una ragazza, come potevo aiutarla?
―
E tu chi saresti? ―
domandò l’uomo,
avvicinandosi a me ― Ho tanta voglia di giocare, sai? ―
domandò, singhiozzando.
Era ubriaco fradicio. I tipi come lui mi facevano veramente schifo. A
casa,
magari, aveva una famiglia ad attenderlo, e cosa faceva? Importunava le
ragazzine, per un po’ di sesso. Squallido.
―
Parlo con te, bella morettina. Ti va di soddisfare un uomo vero?
―
Uomo vero? ― chiesi, scoppiando a
ridere subito dopo ― Con tutto il rispetto, ma si rende conto che
offende gli
uomini veri?
―
Isabella! ― sussurrò Lidia, lanciandomi
un’occhiata implorante. Lei non sapeva
che tra i due era lui a doversi preoccupare, non io.
Quando
l’uomo scattò verso di me, arrabbiato, mi spostai
velocemente di lato,
facendolo finire con la faccia per terra. Incrociai le braccia sotto al
seno,
inclinando la testa di lato.
―
Fatto male?
―
Oh per la miseria! ― sbottò Lidia ― Ci mancava la versione
femminile di Eric,
adesso! ― le lanciai un’occhiata torva. Non sapevo se
offendermi o esserne lusingata.
Insomma, paragonarmi
a Edward – il
vecchio Edward – era senz’altro una bella cosa, ma
Eric…
―
Bella, attenta! ― urlò Lidia, mentre l’uomo mi
fece cadere per terra, facendomi
uno sgambetto a tradimento. Un vampiro messo ko da un umano? Ringhiai,
questo
era un affronto! Stavo per alzarmi e saltargli addosso, quando qualcuno
fu più
veloce di me.
―
Dylan! ― sbraitò Eric, atterrandolo a prendendolo a pugni ―
Ti hanno già
rimesso in libertà? E cosa fai, appena libero? Dai fastidio
a due mie amiche? ―
l’uomo, di tutta risposta, scoppiò a ridere,
ribaltando la situazione. Tentai
di avvicinarmi, ma Lidia mi trattenne.
―
No, lascia stare. Non c’è niente che tu possa
fare, sei una semplice ragazza, o
mi sbaglio? ―
domandò, incurvando leggermente un sopracciglio. Trattenni
il fiato. Perché
quella strana espressione? E perché il suo tono di voce ere
così indagatore?
Che sapesse qualcosa di me? Scacciai quel ridicolo pensiero, era
assurdo.
― Ma
si farà ammazzare! ― obbiettai, evitando di strattonare la
mano che Lidia
teneva attorno al mio braccio destro.
―
Eric è abituato. Inoltre quell’uomo, Dylan,
è proprio uno stronzo! Ha una
moglie e tre figli a casa, eppure si diverte a molestare le ragazze
più
giovani.
―
E perché la polizia non fa niente?
―
Perché non hanno prove. Riesce sempre ad eludere i controlli
o trovare alibi e
quant’altro. Eric riuscì a farlo arrestare un mese
fa, ma evidentemente ha
trovato il modo di uscire.
― Spazzatura. ― sibilai,
riferendomi
all’uomo.
Continuavo
a fissare la scena, che si svolgeva dinanzi ai miei occhi. Eric e Dylan
se le
stavano dando di santa ragione, come si usava dire. I movimenti del
primo erano
più fluidi e veloci; i gesti abili e controllati, segnavano
il colpo ogni volta
che venivano scagliati. Il secondo, invece, era più
instabile. Barcollava, non
riuscendo a schivare i pugni dell’avversario. Se prima mi
sembrava impossibile,
visto come l’uomo era riuscito a sopraffare Eric, ora ero
totalmente convinta
che avrebbe vinto quest’ultimo.
Il
rumore della sirena della polizia mi fece trasalire.
―
Cazzo! ― sibilai tra i denti ― Eric, fermati! Sta arrivando la polizia!
―
Cosa? ― domandò lui, non riuscendo ancora a sentire niente ―
Sei impazzita? ―
Dylan prese l’occasione per assestare un bel destro a Eric,
il quale reagì
d’istinto, sbattendolo a terra per dargli un calcio nello
stomaco. Mi libererai
dalla stretta di Lidia, raggiungendolo.
―
Eric, piantala! Così lo uccidi. ― quando la mia mano si
posò sul suo braccio
una scarica famigliare si impossessò di me. Restai a
fissarlo incredula,
sprofondando in due pozze di smeraldo liquido. Per la
brutalità in cui si sfilò
dalla mia presa, fui certa che qualcosa l’aveva percepita
anche lui.
Erano
le otto e mezza di mattina e, con mia grande novità e gioia,
ero rinchiusa in
una cella piuttosto squallida. Ovviamente con me c’era anche
Eric.
Quando
la polizia arrivò sul posto, qualche ora prima,
trovò Lidia in lacrime e
spaventata; me e Eric, davanti ad uomo ammaccato; e la vittima,
l’uomo in
questione, privo di sensi. Nonostante Lidia avesse deposto a nostro
favore, il
capitano Murphy, non poté fare altro – almeno a
detta sua – che rinchiuderci
per aggressione.
―
Avreste dovuto chiamare la polizia subito! ― aveva detto in centrale ―
Non fare
gli eroi senza macchi e senza paura! Inoltre, proprio lei, signor
Hunter… Il
rave party di qualche tempo fa non le era bastato?
―
A quanto pare no. ― rispose Eric, con aria noncurante. Mi nascosi il
viso tra
le mani, non solo perché ero senza parole a causa del suo
comportamento, ma
perché Carlisle ed Esme mi avrebbe sicuramente ammazzata! Dobbiamo stare attenti a non attirare troppo
l’attenzione su di noi,
dicevano sempre. E quale modo migliore di attirarla se non quello di
farsi interrogare,
fotografare e, ciliegina sulla torta, arrestare?
―
Cazzo! ― sbottai, prendendo a pugno il ferro nero nel letto a castello.
―
Ehi! ― disse Eric, che si trovava nella parte superiore ― Io starei
tentando di
dormire!
―
Ma come fai a dormire in un momento del genere? I tuoi non ci sono,
sono fuori,
quindi nessuno ti pagherà la cauzione per uscire,
ciò vuol dire che…
―
Sì, lo so cosa vuol dire. ― disse interrompendomi e
saltò giù dal piccolo
letto.
―
Ma come fai a essere così tranquillo?
―
Forse perché ci sono abituato? ― rispose con una domanda
retorica ― Rilassati
Isabella, i tuoi sono ricchi, no? Arriveranno da un momento
all’altro e ti
tireranno fuori di qui. Pensa positivo… ― ah
perché, c’era qualcosa di positivo
in tutta questa faccenda? ― Quando avrai dei figli e poi dei nipoti,
potrai
raccontar loro qualcosa di spassoso.
― concluse, scoppiando a ridere. Lo guardai torva. Lui non poteva
sapere che io
non avrei mai potuto avere dei bambini… Non sapeva
cos’ero davvero. Sbuffai,
scivolando lentamente lungo la parete in cemento grigia, e mi sedetti
per
terra. Guardai il cielo ancora scuro, ringraziando di essere a Londra
– la
città più nebulosa dell’Inghilterra
– e che non fosse estate. Il sole non ci
inceneriva, era vero, ma ci infastidiva parecchio, specialmente se non
ti
cibavi bene e da un bel po’. Era una seccatura.
―
Usi lenti a contatto colorate? ― domandò, improvvisamente
Eric, prendendo posto
sul pavimento freddo, e non esattamente pulito, accanto a me.
―
No, perché? ― chiesi, non capendo la sua domanda.
―
Solitamente hai gli occhi di un colore insolito, chiaro. Sembra
castano, ma se
guardi bene, invece, capisci che è un misto tra oro e ambra.
― smisi di
respirare ― Invece questa sera, o questa mattina, li hai neri come la
pece. Per
questo mi chiedevo se adoperassi le lenti a contatto. ― concluse,
facendo
spallucce. Restai senza niente da dire per qualche minuti, poi mi venne
un’idea: se lui era sul serio Edward perché
mentire? Certo, la verità sarebbe
stata troppo ancora, però questo, magari, lo avrebbe aiutato
a ricordare.
―
Non porto lenti a contatto, quello è il mio colore degli
occhi. ― risposi ― Entrambi sono il
mio colore degli occhi.
―
Cambiano colore?
―
In un certo senso sì, è così. Cambiano
colore…
―
Però non mi è chiara una cosa… ―
continuò, fissandomi di traverso ― Tu e i tuoi
fratelli siete adottati, no? E si vede. Insomma, a livello fisico siete
completamente diversi. Anche i due gemelli, hanno solo i colori simili,
ma non
si assomigliano per niente, per non parlare dell’energumeno
di tuo fratello che
non c’entra nulla con la figura della piccoletta. Eppure,
nonostante tutte
queste visibili diversità, siete tutti uguali. Il modo in
cui camminate, il
vostro modo di parlare o esporvi, i lineamenti marcati, precisi,
perfetti dei
vostri volti, la vostra bellezza inaudita e gli occhi… Sono
tutti dello stesso
identico colore ambrato. Com’è possibile tutto
questo? ― non sapevo cosa
rispondere. Avevo due opzioni: mentirgli o dirgli tutta la
verità.
Fu
in quel momento che il destino decise per me, era troppo presto.
―
Isabella Cullen e Eric Hunter, fuori. Hanno pagato la cauzione. ― ci
informò la
guardia, aprendo le sbarre per farci uscire.
―
Anche io? ― domandò, confuso, Eric ―
Com’è possibile? Io miei genitori sono
fuori, è impossibile che…
―
Siamo stati noi. ― disse Carlisle, sorridendo. Esme, al suo fianco, si
aggrappava al braccio del marito. Sembrava instabile sulle proprie
gambe,
mentre squadrava da capo a piedi il ragazzo di fronte a lei. Il ragazzo
che,
una volta, era stato suo figlio.
―
Non dovevate. ― rispose Eric, passandosi una mano tra i capelli,
imbarazzato.
―
Hai aiutato nostra figlia. ― disse Esme, trattenendosi dal buttargli le
braccia
al collo ― Ci è sembrato il minimo che potessimo fare per
ringraziarti.
―
Ve li renderò, appena possibile. ― disse Eric, tornando
padrone delle sue
azioni e dei suoi comportamenti da cattivo ragazzo.
―
Consideralo un regalo di Natale. ― disse Carlisle ― E un grazie per
aver
aiutato Bella.
―
Allora ehm grazie mille, signori Cullen.
―
Chiamami Esme! ― si affrettò a dire la vampira.
―
Puoi chiamarmi Carlisle. ― disse, allungando una mano verso Eric ―
Piacere di
conoscerti, ragazzo. ― Eric l’afferrò,
stringendola con vigore. Trattenni il
fiato quando mi resi conto che non fece nessuna strana espressione a
contatto
con la pelle liscia e gelida di mio padre, di nostro
padre. Ripensai a quando ero io l’umana, tra i due. Non mi
faceva senso o tutte le altre stupidaggini che pensava lui. Non potevo
negare,
però, che si notava la differenza tra le nostre temperature.
Eppure lui, Eric,
sembrava totalmente tranquillo. Forse
influisce il fatto che fuori, per gli umani, fa un freddo cane,
pensai
sollevata.
Uscimmo
tutti e quattro insieme dalla centrale di polizia, ad aspettarci
– oltre i miei
fratelli – c’era Lidia.
―
Eric! ― urlò lei, correndogli incontro per buttargli le
braccia al collo. Se
non fossi stata certa che lei non era interessata a lui,
l’avrei uccisa. Bevuta
fino all’ultimo sorso, per poi…
―
Isabella! ― la voce di Alice era un sussurro, ma il suo
rimproverò arrivò alle
mie orecchie forte e chiaro.
―
Scusa. ― dissi, abbracciandola.
―
E anche Bellina è stata dentro. ― sghignazzò
Emmett.
―
Bene, niente giochini per tre mesi. ― disse Rosalie, dandogli una
gomitata; per
poco l’orso non scoppiò a piangere. Come
se potessimo farlo…, pensai tristemente.
Mi
resi conto che Jasper non c’era, così lanciai
un’occhiata interrogativa ad
Alice.
―
Ci aspetta a casa, c’erano troppe emozioni qui intorno. ―
annuii, capendo al
volo il problema. L’essere empatici doveva proprio essere una
bella fregatura.
Mi
voltai, notando Carlisle ed Esme parlare con Lidia e Eric. Non ascoltai
i loro
discorsi, decidendo di lasciargli la loro privacy. Da quando avevamo
parlato di
Eric, quella era la prima volta che lo vedevano dal vivo.
Dopo
qualche minuto vidi Lidia dare le chiavi della macchina a Eric, si
voltarono
verso di noi e ci salutarono con la mano.
―
Ti chiamo domani, Bella. ― disse la ragazza dai capelli castani e,
insieme al
ragazzo che avevo amato in un’altra vita, si
allontanò verso il parcheggio.
―
Andiamo anche noi, ragazzi? ― domandò Esme, con un sorriso a
trentadue denti.
Annuimmo tutti e salimmo in macchina, diretti a casa. La nostra
casa.
Come avrete visto non
è stato proprio Eric ha intervenire, Bella lo ha
anticipato... Peccato che poi sono finiti entrambi dentro ahahahah non
ve l'aspettavate questa, vero? Lo so, lo so :P Eric, come avrete gi
avuto occasione di vedere in altri capitoli, è un tipo
sveglio, attento; ha notato tutte le caratteristiche dei Cullen, tanto
per cominciare. Cosa succederà adesso? E Lidia?
L'impressione di Isabella sarà vera o sarà,
appunto, solo un'impressione? Per scoprirlo dovrete solo attendere il
prossimo capitolo... La storia è a metà, e nel
prossimo aggiornamento i nodi verranno al pettine, come si suol dire.
Perciò, a Venerdì prossimo!
|
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Capitolo 8 *** Settimo Capitolo. ***
Buon pomeriggio! Lo
so, mi aspettavate Venerdì, ma visto che ero indietro con il
capitolo della storia che posto solitamente il Mercoledì, ho
pensato di anticipare la pubblicazione di questa storia :) anche
perchè, molto probabilmente, Venerdì non sono a
casa! Come già detto allo scorso capitolo: questo settimo
capitolo, sarà rivelatore!
Tutti i nodi verranno al pettine :) Per quanto riguarda l'intera
storia – non ricordo se ve lo
avevo detto – posso confermarvi che è finita e che, quindi,
avrà un totale di DIECI
CAPITOLI,
più prologo ed epilogo. Lo avevo già detto
ufficialmente su Facebook, ma se qualcuno non è iscritto al
gruppo o alla pagina, non poteva saperlo. Adesso vi lascio alla lettura
e, mi
raccomando, leggere ciò che ci sarà scritto dopo
il capitolo!
Buona lettura! ;)
Settimo Capitolo
« Due
amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l'eternità della natura. »
Pablo Neruda.
Febbraio
arrivò silenzioso, spazzando via la curiosità
generale del nuovo anno. In
quelle settimane riuscii ad avvicinarmi molto di più a Eric,
così come il resto
della famiglia. Il suo atteggiamento nei miei confronti non era
cambiato
troppo, era più rispettoso, certamente, ma c’era
sempre quella venatura di
sfiducia che aleggiava in ogni conversazione o minima azione. In
compenso,
aveva istaurato un ottimo rapporto con Emmett e Jasper. Secondo Alice
era un
passo avanti; Rosalie, invece, era di tutt’altra opinione.
Riuscimmo a
convincere, comunque, i nostri due nuovi amici ad essere nostri ospiti
per una
cena, una sera di Gennaio. Fortunatamente filò tutto liscio
– cibo a parte; era
davvero come mangiare spazzatura, disgustoso.
―
Bella? ― chiamò Lidia, ricostruendo un legame tra me e il
pianeta Terra.
―
Sì? Cosa stavi dicendo?
―
A cosa stavi pensando, Bella? ― domandò lei, chiudendo il
quaderno di
Trigonometria.
Mi
trovavo a casa sua, al momento. Da quando divenni vampira appresi la
capacità
di fare qualsiasi cosa. Ormai nulla era più
un’incognita per me, neppure quella
materia che tanto odiavo.
La
villetta a schiera della famiglia Winston – i genitori di
Lidia – era
situata nel quartiere di Notting Hill. Le
mura erano bianche, come la neve; le rifiniture di un nero lucido,
molto
acceso. La villa non era immensa, ma neppure troppo piccola: tre piani
–
contando anche la taverna – un cancelletto nero, che la
divideva dal
marciapiede, e un piccolo giardino sul retro. Gli interni erano
arredati con
l’antico moderno dei primi anni 2000; ricordavo bene
quell’arredamento, io ero
umana a quei tempi e Edward… Lui era ancora vivo, per
così dire, e al mio
fianco.
―
A nulla, sul serio! ― mentii, cercando di tornare al presente e al
motivo per
cui mi trovassi in quella casa ― Stavamo parlando di…?
―
Io stavo parlando, tu eri tra le nuvole. ― rispose lei, sorridendo ―
Andiamo
Bella, non saremo amiche da una vita, ma in questi mesi abbiamo legato.
O mi
sbaglio?
―
No, non ti sbagli. ― le risposi sincera. Era vero, tenevo molto a
Lidia, ma non
potevo negare che all’inizio mi fossi avvicinata a lei solo
per saperne di più
su Eric. Pian piano, però, mi resi conto di che persona
straordinaria fosse
quella ragazza, e il mio interesse nei suoi confronti
cambiò. Non avevo
un’amica – Alice e Rosalie a parte – da
troppo tempo ormai. Mi mancavo i miei
amici… Angela, Ben, Eric e, perfino, Jessica e Mike. Nel
corso della mia nuova
vita avevo conosciuto un sacco di gente, ma mai provai un simile
affetto. Lidia
era diversa, non solo perché mi ricordava la me stessa
umana, aveva qualcosa di
particolare.
―
Vuoi mangiare qualcosa? ― domandò lei, negai col capo. No,
per favore! Quella
sera mi bastò eccome, sentivo ancora quel sapore tremendo
sulla lingua.
―
Tu però se vuoi mangiare qualcosa vai pure, ti aspetto io.
―
Nah, tranquilla. Non ho voglia di niente al momento. ― annuii, non
capendo il
motivo della sua richiesta. Non aveva fame, ma offriva da mangiare a
me? Forse
era solo cortese ospitalità…
―
Bella, c’è… sì, ecco,
c’è una cosa che devo dirti. ― disse lei,
alzandosi dal
letto e cominciando a camminare per tutta la stanza.
Le
pareti della sua camera erano di un viola scuro, screziato di bianco; i
mobili
erano di un panna lucido. Era tutto ordinatissimo, non c’era
neppure un libro
fuori posto. Libri…,
pensai
tristemente. Quanto mi piacevano i libri! Oggigiorno non si leggeva
più su
carta. Tomi, volumi, biblioteche cartacee… era tutto obsoleto. La tecnologia aveva invaso ogni
cosa. Lidia sembrava,
però, essere una tradizionalista – proprio come me
e la mia famiglia.
―
Ti ascolto. ― le dissi, sorridendo per incoraggiarla a parlare. Era
nervosa, si
vedeva da come si torturava le dita o si toccava i capelli.
―
E come te lo dico? ― sussurrò, sembrava parlare
più a se stessa che a me. Mi
alzai, andandole incontro, e la costrinsi a sedersi.
―
Senti, ora calmati. ― le dissi ― In famiglia quello bravo a calmare la
gente è
mio fratello Jasper, io non me ne intendo molto. Adesso fai un respiro
profondo, tranquillizzati e poi parliamo, ok? ― annuì, ma
non sembrava propensa
a fare ciò che le avevo appena detto.
―
So cosa sei, Bella. ― disse tutto
d’un fiato. Mi irrigidii sul posto, serrando i pugni e la
mascella. Sentivo
l’ansia e la paura assalirmi. Com’era possibile? Io
non avevo fatto nulla per
generare sospetti. Feci la prima cosa che mi venne in mente: scoppiai a
ridere.
―
E cosa sarei? Un genio in Trigonometria? Sciocchina, anche tu puoi
impararla! ―
mi allontanai da lei, affacciandomi alla vetrata del balcone della sua
stanza.
Fuori il cielo era grigio e la nebbia, come di consueto, era
all’ordine del
giorno.
―
No, Bella. Parlo sul serio… Io so cosa sei,
cos’è la tua famiglia. ― non mi
voltai, sentendo i canini battere per uscire e il veleno invadermi la
bocca.
―
E… e cosa siamo, Lidia?
― Vampiri. ― rispose, senza alcune
incertezza
ad incrinarle la voce ― Siete vampiri. ― a quell’affermazione
mi voltai piano.
Gli occhi, da due pozze d’oro, erano diventati due buchi
neri. Petrolio fuso.
Lo capii dal modo in cui il cuore di Lidia accelerò; dal
modo in cui cominciò a
sudare fredda; dal passo indietro, impercettibile a occhio umano, che
aveva
fatto senza nemmeno rendersi conto.
―
Devo andare. ― dissi. Afferrai la mia giacca nera e la borsa e mi
diressi verso
la porta bianca, ma la mano di Lidia mi trattenne. Sapevo che se avessi
voluto
sarei potuta uscire da quella casa senza troppa fatica, ma questo
avrebbe
avvalorato la sua ipotesi. Non potevo permetterlo.
―
Bella, per me non cambia niente. Non importa cosa sei, cosa
siete… Ho voluto
dirtelo solo perché non voglio che tra di noi ci siano
segreti, ma capisco il
tuo punto di vista. Insomma, non puoi dire una cosa simile senza
tradire la tua
famiglia, te stessa, il vostro segreto o, cosa molto più
plausibile, passare
per pazza.
La
guardavo sconcertata. Come poteva essere così tranquilla,
così calma,
nonostante fosse sicura che io, Isabella Cullen, fossi un vampiro? Ed
ero
perfino a casa sua, ciò significava che avevo il permesso. Mi aveva invitata ad entrare,
quindi ora potevo farlo
quando volevo.
―
Non fare quella faccia e siediti, oppure stai in piedi come preferisci.
―
disse, togliendomi di mano giacca e borsa ― Ho fatto ricerche su di
voi, non
che ne avessi bisogno. È tutto impresso nella mia
mente… Siete vegetariani,
no? Vi cibate di sangue
animale, per questo avete quello strano colore ambrato degli occhi. Se
vi
cibaste di essere umani sarebbero rossi, dico bene? ―
l’ascoltavo esterrefatta.
Come poteva sapere tutte queste cose di noi? Chi diavolo era Lidia
Winston?
―
Sei informata. ― sibilai, incrociando le braccia sotto il seno e
attendendo che
continuasse. Lei annuii, si accomodò e riprese il suo
monologo.
―
Sì, lo so. So parecchio su di voi. Dimmi se sono brava!
Croci, ornamentali;
acqua santa, bevibile; aglio, mangiabile – anche se voi non
mangiate. Vi
nutrite solo ed esclusivamente di sangue, indipendentemente dal fatto
che esso
sia umano o meno. Bare, stanno nei cimiteri; non vi trasformate in
nebbia o in
qualsiasi altra stronzata del genere; non avete bisogno di purificarvi
con la
terra della vostra tomba; i canini si scoprono solo quando siete
affamati,
incazzati o eccitati. Per ora come sto andando?
―
Fin troppo bene.
―
Ma cosa più importante: non siete gli unici. Come voi ce ne
sono molti altri,
indipendentemente che questi altri siano nomadi o meno. E poi ci sono Volturi…
―
Frena, frena, frena! ― dissi, gesticolando ― E tu come fai a sapere dei
Volturi?
―
Te l’ho detto, Bella. So molte cose di voi.
―
Ma come? ― domandai, cominciando a spazientirmi ― Chi sei tu?
―
Qualcuno che può rispondere a tutte le tue domande su
Edward. ― sgranai gli
occhi, sentendomi cedere le gambe. Lo sapevo che era impossibile, noi
vampiri
non sveniamo, ma quella frase mi spiazzò.
―
Come… cosa sai tu di Edward!?
―
So molto più di quanto tu creda. E posso aiutarti, Bella!
Posso aiutarti a
riaverlo, ma prima devi ascoltarmi.
―
Ti sto ascoltando. ― dissi, camminando circospetta ― Ma qui si
è parlato molto
di me, ma per niente di te. Cosa sei Lidia? Come fai a sapere tutto
questo e,
soprattutto, perché?
―
Sono una strega, Bella. ― disse con
fermezza ― Discendo da Salem, dalla congrega di streghe di Salem.
Due
ore, ventisette minuti e quarantacinque secondi dopo, sapevo
più cose sul
processo alle streghe di Salem che su qualunque altro argomento. La
famiglia di
Lidia, da parte di madre, era una diretta discendente di alcune streghe
scappate, per miracolo, dal rogo. La vera tragedia, secondo Lidia,
stava nel
fatto che tutte le donne che vennero bruciate vive non erano vere streghe.
―
Credi che una di noi si sarebbe fatta prendere? Che non avrebbe lottano
con
tutti i suoi poteri per scappare dal fuoco? Molte lo fecero. Alcune
scomparvero, mutando il loro aspetto, altre ancora vennero catturate,
ma
riuscirono a fuggire in tempo. Sono poche le streghe vere morte in quel
massacro… la maggior parte erano solo ragazze troppo belle,
che hanno pagato la
loro bellezza con la vita.
Ero
rimasta affascinata dal suo discorso, anche perché non
faceva una piega. Si
poteva dire lo stesso per tutti i discorsi sui vampiri, sulla
facilità di
uccisione. Un paletto di frassino nel cuore e il non-morto
sarà definitivamente
morto. Che stupidaggini, pensai.
Tutti quei poveretti – malati di porfiria, per esempio
– che venivano uccisi e
scambiati per vampiri, in realtà non lo erano.
―
Non capisco tutto questo cos’ha a che fare con me e,
soprattutto, con Edward.
―
Eric è il tuo Edward,
Bella. ― disse,
sicura di sé ― E so che lo sai, non puoi non essere a
conoscenza di un fatto
del genere.
―
Come fai ad esserne sicura? ― chiedo, optando per la
sincerità. Ormai ha capito
tutto, perché continuare a mentirle o negare
l’evidenza? ― Io non ne sono
ancora del tutto certa e nemmeno la mia famiglia, Lidia.
―
Io lo so. ― rispose decisa ― Lo so da quando lo conosco e, pian piano,
ho
scoperto tutto. Ho dei doni, Bella. Essere strega ha i suoi vantaggi e
i suoi
svantaggi. Uno dei primi è quello di capire le persone. Non
leggo loro nella
mente, ma leggo nel loro animo. Ho fatto ricerche a riguardo,
incantesimi –
ovviamente all’insaputa di Eric, mi avrebbe uccisa
– e ho scoperto tutto. La
sua anima non era nata quel lontano giorno di quasi vent’anni
fa, è nata prima.
Molto prima.
―
Quanto prima?
―
Chicago, 20 Giugno 1901. ― rimasi di sasso, come poteva saperlo? ―
L’anima di
Eric risale a quel periodo. È… è
frantumata, non so come spiegartelo. La sua
anima è spezzata. Si
interrompe, in
modo azzarderei dire traumatico, nel 1918 per poi restare instabile,
quasi
inesistente, latente, e ricomparire per spezzarsi di nuovo,
nell’anno 2005.
―
Quando si è ucciso. ― affermo, ringhiando al ricordo.
―
Pensavo che i vampiri fossero indistruttibili…
―
No, non lo siamo. Specialmente se a porre fine alla nostra esistenza ci
pensano
i Volturi.
―
Io posso aiutarti, Bella. Posso aiutarvi tutti.
―
E come puoi? ― domandai, con un tono lamentoso.
―
Posso ridare a Eric i suoi ricordi, posso risvegliare la sua vita
passata.
Posso ridonarlo a te.
―
In cambio di cosa?
―
Della vostra amicizia, non chiedo altro. ― lessi sincerità
nei suoi occhi e mi
bastò per decidere. Adesso avevo la conferma, la certezza che Edward si fosse reincarnato
in Eric Hunter. Inoltre,
ora, avevo anche una possibilità in più di
riaverlo al mio fianco.
―
Cosa devo fare?
―
Devi raccontarmi tutto, Bella. ―
rispose cauta ― Dal principio, non tralasciare nulla nemmeno della tua
vita.
Devo sapere tutto, devo capire come agire.
Mi
alzai lesta, raggiungendo la vetrata del balcone chiuso. Era sera,
adesso,
sulla città era scesa una densa oscurità.
―
Era il 13 Settembre 1987 quando venni alla luce. Abitavo a Forks, nello
stato
di Washington, finché mia madre non capì che era
troppo quello per lei. Disse
addio a mio padre, Charlie, e mi portò con sé a
Phoenix. Vedevo mio padre solo
qualche settimana all’anno, nelle feste di Natale o in quelle
estive, fino a
quando Renée, mia madre, non decise di risposarsi. Presi la
decisione di
trasferirmi da mio padre e lì incontrai Edward Cullen. Si
era trasferito con la
sua famiglia dall’Alaska, qualche anno prima… ―
presi a parlare come una
macchinetta rotta, mentre Lidia mi ascoltava paziente senza perdersi
nemmeno un
piccolo particolare.
Mentre
raccontavo la mia storia, la mente mi portò a quasi
cent’anni prima.
Ero
in camera mia, abitavo ancora con Charlie – nonostante la mia
fresca
trasformazione in vampira – con noi, per precauzione,
c’erano anche Esme o
Rosalie, dipendeva dai casi e dagli impegni. Rinnegavo con tutta me
stessa ciò
che ero, ciò che Alice mi aveva fatto diventare. La odiavo,
perché mi aveva
impedito di raggiungere Edward, di smettere di soffrire, di piangere la
sua
morte una volta per tutte. Fu in una di quelle notti infinite che
Rosalie bussò
alla mia porta.
―
Posso, Bella? ― aveva detto, entrando. Annuii, fissando la notte senza
sapere
cosa fare della mia nuova vita.
―
Posso parlarti un attimo? ― annuii ancora, senza proferire parola ― Vuoi sentire la mia storia, Bella? ―
aveva chiesto, impadronendosi della mia più totale
attenzione ― Non ha un lieto fine. Del resto,
quale delle
nostre storie ce l’ha? Se ci fosse stato un lieto fine, a
quest’ora saremmo
tutti sottoterra.
L’ascoltai
attentamente, mentre raccontava, e da quella notte la mia vita
cambiò
completamente.
Eccoci
qua, finalmente la verità è saltata fuori. O
almeno, la conferma
che Eric Hunter sia, effettivamente, Edward Cullen. Molte di voi
diranno: "lo sapevo!" altre, invece: "oddio, come può
essere?!" eh lo so, sono imprevedibile ragazze ;) Si è anche
scoperto chi è Lidia: una strega discendente
da Salem. Lo avevate intuito? Immaginato, pensato? Qualcosa? Ora, per
quanto riguarda la prossima
pubblicazione, non sarà
Venerdì –
cioè dopodomani –
ma Domenica 16 Ottobre! Contente? Spero di sì :)
Ora vi saluto sul serio che se no faccio tardi XD ci leggiamo Domenica!
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Capitolo 9 *** Ottavo Capitolo. ***
Buona sera a tutti!
Come annunciato ecco a voi il nuovo capitolo di Possibility!
Scusate per l'ora - solitamente pubblico prima - ma sono rientrata a
casa da poco XD ho corretto il capitolo alla bene e meglio,
perciò se trovate errori di battitura avvisatemi! ;) ho
risposto alle recensioni giorni addietro, a quelle che mancano (che mi
sono state fatte in questi giorni) risponderò appena postato
questo capitolo, tranquilli! XD
Ottavo Capitolo
«
È spiacevole e tormentoso
quando il corpo vive e si dà importanza per conto suo,
senza alcun legame con lo spirito. »
Thomas Mann.
―
Le streghe di Salem? ― urlò all’unisono la mia
famiglia. Dopo aver parlato con
Lidia, ripresi la mia macchina e tornai a casa. Alice sapeva che
c’era qualcosa
che non andava, avendo avuto una visione, ma preferii essere io
raccontare loro
tutto. Così, a casa di Lidia, alzai il mio scudo in modo che
gli occhi di Alice
non potessero vedere nulla.
Mi
trovavo nell’immenso salone di casa Cullen, mentre raccontavo
tutto quello che
Lidia mi aveva detto qualche ora prima. Leggevo lo stupore negli occhi
d’ambra,
nei volti sconvolti, nelle loro posizioni rigide.
Carlisle
ed Esme erano i più tranquilli, seduti composti sul divano
di pelle beige;
Jasper teneva la mano di Alice tra le sue, sedeva sul bracciolo della
poltrona,
mentre sua moglie su di essa; Emmett si era accomodato sul mobile,
nonostante
il fastidio si Esme; Rosalie era in piedi, appoggiata alla parete
dell’entrata.
― Reincarnazione? ―
domandò proprio
quest’ultima ― È ridicolo. Secondo me i
responsabili sono i Volturi. Noi non
abbiamo anima, non possiamo
reincarnarci.
―
E se non fosse così? ― domandò Alice, attirando
su di sé i nostri sguardi ― Noi
abbiamo sempre dato per scontato che, in quanto vampiri, fossimo privi
di anima.
Ma se così non fosse? Siamo comunque esseri pensanti,
mangianti…
―
Sì, e di cosa ci nutriamo, Alice? ― domandò Rose,
avvicinandosi a noi ― Noi non
siamo umani, siamo mostri. Per
vivere
abbiamo bisogno di sangue fresco. Certo, non uccidiamo umani per
vivere, perché
resistiamo. Ma se così non fosse stato? Saremmo degli
assassini senza scrupoli.
―
Anche gli assassini hanno un’anima, sorella. ― disse Jasper,
in tono pacato.
―
Perché sono umani. ―
rispose lei ―
Noi non lo siamo.
―
Tesoro, sembri Edward. ― disse Emmett, rivolgendosi a sua moglie ―
Ovviamente
molto più attraente e sexy.
―
Rosalie, smettila. ― intervenne Esme ― È dei miei figli che
stai parlando. Voi
non siete dei mostri e, comunque, ci sono molti essere umani che
compiono
atrocità peggiori delle nostre.
―
Tua madre ha ragione. ― la spalleggiò Carlisle ― Noi non
sappiamo se l’idea che
avesse Edward fosse vera o meno; se noi siamo privi di anima o meno. Ma
tua
madre ha ragione, al mondo ci sono persone molto peggiori di noi.
―
Avete mai pensato che il vostro stile di vita incida sul corso degli
eventi? ―
domandai all’improvviso, attirando la loro attenzione ―
Voglio dire, siete
vampiri, siamo vampiri, ma non ci
facciamo travolgere dai nostri istinti. Cacciamo animali, non persone;
uccidiamo quando è necessario farlo, non per divertimento;
proviamo sentimenti,
non solo lussuria o brama. Siamo diversi dai vampiri
“normali”, noi siamo l’eccezione.
Questo non potrebbe incidere
anche sulla nostra anima?
Non
mi risposero, erano immobili a riflettere sulle mie parole; senza
sapere cosa
dire o fare. Cominciai a muovermi sul posto, nervosa. Ok, magari era
una
cazzata, ma potevano anche dire qualcosa!
―
Bella può avere ragione. ― disse, infine, Carlisle.
―
Lo penso anche io. ― lo spalleggiò Alice.
Spostai
lo sguardo sugli altri membri della famiglia, cercando qualcosa. Qualsiasi cosa. Un gesto positivo, uno
negativo; smentita, approvazione.
―
Io a queste cavolate non ci credo! ― tuonò Emmett,
mettendosi in piede ― Però,
devo ammettere che la testolina di Bella non ha detto una stronzata,
quindi sì.
Concordo anche io, sorellina! ― concluse, cingendomi il collo con il
suo
braccio muscoloso, mentre con la mano mi scompigliava i capelli.
―
Tentiamo. ― disse Jasper, qualche istante più tardi ― Non so
se le tue teorie
sono fondate o meno, ma è sempre un passo avanti verso
qualcosa di concreto.
―
Io dico di fare ricerche, prima. ― parlò Rosalie, in tono
distaccato e freddo ―
Non prendetela male, vorrei anche io che quel ragazzo fosse Edward;
vorrei
anche io credere a tutta questa bella storia dell’anima. Ma
non ci sono
precedenti. Carlisle, tu hai così tanti libri nel tuo
studio… non è che vi è
scritto qualcosa in quelle pagine?
―
Potremmo fare qualche ricerca. ― disse Carlisle, annuendo sicuro.
―
Bene! ― squittì Alice ― Allora facciamo così:
Bella, Carlisle ed Esme
consultano la libreria; io e Rosalie ci occupiamo di Lidia; Jasper e
Emmett, il
Web è tutto vostro!
―
Cosa intendi esattamente con “ci occupiamo di
Lidia”? ― domandai, alzando un
sopracciglio. Non l’avrebbero uccisa ovviamente, ma non
riuscivo a capire cosa
volessero da lei.
―
Solo qualche domanda, Bella. ― rispose Alice ― Inoltre, lei sembra
saperne
molto di queste cose, perciò andiamo ad indagare
direttamente alla fonte! ― mi
fece l’occhiolino e uscirono di corsa dalla porta sul retro.
Fortuna che Lidia
era a conoscenza del nostro segreto, altrimenti avrebbe rischiato
l’infarto con
quelle due pazze.
―
Allora, ci mettiamo al lavoro? ― chiese Esme, circondami le spalle con
un
braccio. Annuii e ci spostammo nello studio privato di Carlisle.
Quattro
ore dopo avevamo ristretto il cerchio ad una decida di libri:
Reincarnazione,
il ciclo delle nascite; Anima, il cerchio della vita; Vite precedenti
– Tutto
quello che volete sapere sul Karma; eccetera.
―
Non stiamo cavando un ragno dal buco! ― sbottai, richiudendo con forza
il
grande manuale antico che avevo sulle ginocchia.
―
Io ho trovato qualcosa sul processo alle streghe di Salem. ―
mormorò assorto
Carlisle, senza scomporsi di una virgola alla mia breve ed eccessiva
furia.
―
Cosa dice, caro? ― domandò Esme, avvicinandosi a suo marito.
―
Nulla di nuovo rispetto a quello che sapevo già. ― disse
lui, ma cominciò lo
stesso ad illustrarci ciò che la storia aveva tramandato ―
Salem era, ed è, una
cittadina del Massachusetts, fondata nel 1626 da un gruppo di
pescatori.
All’epoca contava una popolazione di novecento persone, che
man mano crebbe,
fino ad arrivare ad un numero molto più elevato. La
città è stata il teatro,
tra il 1692 e il 1693, di un’isteria collettiva che
scatenò la celebre caccia
alle streghe. Diciannove persone vennero uccide, associate alla
stregoneria e
per l’avere contatti col demonio; altre, centocinquanta per
l’esattezza, furono
impiccate o sottoposte alla pressa o, ancora, messe in cella per mesi
senza
aver avuto un vero e proprio processo.
―
Che atrocità… ― sussurrò Esme ― Senza
un motivo, senza un perché.
―
È l’essere umano, mamma.
― dissi,
parlando più a me stessa che a lei ― Se non vede non crede;
quando ha paura di
qualcosa lo etichetta come malvagio solo per ignoranza. È
triste vedere che
queste cose non cambiano.
―
Già. ― sussurrò Carlisle, continuando a sfogliare
le pagine ― Il libro dice che
tutto ebbe origine con l’arrivo nella cittadina di un uomo:
Samuel Parris.
Aveva una figlia di sei anni e una moglie. Anni dopo il loro arrivo
Betty, la
figlia, cominciò a sentirsi male. La causa fu attribuita al
soprannaturale,
alla stregoneria e così via… ― lo vidi sorridere
amaramente ― Non era nulla di
soprannaturale. Evidentemente la piccola aveva qualche malattia, ma
all’epoca
non c’era la conoscenza di oggi o di qualche decennio fa.
Decisero, quindi, che
la colpa fosse delle streghe.
―
È spaventoso! ― ringhiò Esme ― Tutta quella gente
uccida… è deplorevole.
―
La storia è piena di questi abomini, tesoro. ― mi allontanai
da loro,
lasciandoli alla loro conversazione, e presi il volume sulla
reincarnazione.
Lessi
parecchio, senza aggiungere concetti nuovi a quelli già
preesistenti nella mia
mente. Per reincarnazione, o
trasmigrazione delle anime, si intende la rinascita in un altro corpo
dell'anima o spirito di un individuo, dopo la sua morte fisica.
Parole,
concetti, significati misterici, religiosi… ma mai nulla di
concreto. Lessi la
testimonianza di un bambino turco che, all’età di
sei anni, cominciò a
raccontare nel dettaglio la sua vita in un altro tempo, in un altro
luogo. Ma
questo non aveva nulla a che vedere con me, o con Edward. Io volevo
risposte
vere, chiare ed esaurienti.
L’unica
cosa che non cambiava mai – nonostante i volumi, i secoli, le
religioni – era
il motivo che spingeva l’anima a reincarnarsi più
e più volte: il karma.
Il
karma ci segue vita dopo
vita per insegnarci qualcosa che non abbiamo voluto o saputo imparare.
Il karma
è il risultato dell'insieme delle nostre azioni passate,
tutto ciò che non
abbiamo portato a termine o abbiamo sbagliato ci segue, in
realtà siamo noi che
ce lo portiamo dietro. Noi possiamo decidere di guarire noi stessi in
ogni
momento.
Ecco, questo era interessante… Il
karma è
il risultato degli atti compiuti nelle proprie esistenze anteriori:
è a un
tempo opera, azione, destino, conseguenza, poiché ognuno
crea con le sue azioni
la legge della sua vita, delle sue vite... È ciò
che appare cieca fatalità a
chi agisce inconsapevolmente, è ciò che trapassa
in avventura e in libertà per
chi non è travolto dal proprio “fare”.
Era, quindi, quello che facevamo
nelle nostre vite precedenti che induceva la nostra nascita, di nuovo,
in un
ciclo infinito.
―
È l’anima la vera
essenza immortale.
― sussurrai ― Non il corpo. ― continuai, toccando il mio freddo, duro, apparentemente immortale.
―
Cosa, Bella? ― domandò Carlisle.
―
Lidia ha ragione. ― dissi ― Eric è Edward. ― notai i loro
occhi ambra divenire
enormi, sgranandosi sotto la mia inaspettata rivelazione.
―
Non capite? In base a quello che facciamo rinasciamo! Essere vampiri
è un
affronto al vero ciclo
dell’esistenza. Le persone dovrebbero nascere, crescere,
invecchiare e poi
morire… ma noi siamo diversi!
Edward era diverso!
L’essere ciò che siamo ci
toglie il diritto di avere un’anima immortale, ma
l’aver scelto di continuare
ad essere umani – evitando la nostra vera natura predatoria
– ci rende diversi!
Edward Cullen è morto a Volterra, più di cento
anni fa, ma è rinato qui, come
Eric Hunter.
***
I
giorni cominciarono a susseguirsi, veloci. Arrivammo così a
Marzo, ma molte
cose erano cambiate in quei mesi. Prima di tutto, io e Eric, avevamo
stabilito
un’intesa. Io lo avrei aiutato a rimanere fuori dai guai; lui
avrebbe deciso di
darmi una possibilità nel diventare sua amica.
Funzionò. Il nostro rapporto
crebbe ogni giorni di più, ogni settimana di più.
Poche
settimane ci dividevano dal compleanno di Lidia, ed Eric chiese il
nostro
aiuto.
―
Alice, no! ― urlò, facendomi voltare di scatto.
―
Ma perché? ― piagnucolò il folletto ― Dai Eric,
per favore!
―
Ma non esiste, mostriciattolo! Non mi farò mettere in
ghingheri da te, io odio lo
smoking! ― scoppiai a ridere, i
suoi gusti non erano cambiati, nonostante tutto.
―
Bella, diglielo tu! Io non lo sopporto quando fa così.
― Cosa
sta succedendo, qui? ― domandò Esme, entrando in salotto con
un vassoio di
biscotti al cioccolato strapieno.
―
Tua figlia vuole travestirmi da pinguino. ― rispose Eric, prendendo
qualche
biscotto. Adorava Esme, e anche Carlisle, era diventato di famiglia.
―
Alice…
―
Sei un disgraziato! ― lo fulminò il piccolo folletto ― Io lo
dico per te e tu…
tu… Jasper! ― chiamò suo marito, correndo
– a passo umano – fuori dal giardino.
―
Ma è sempre stata così? ― chiese Eric,
avvicinandosi e porgendomi un biscotto.
―
No, grazie. ― risposi svelta ― Comunque sì, è
sempre stata così.
―
B., non per rompere sempre sulla solita storia, ma sei uno schianto!
Puoi
permetterti qualche biscotto ogni tanto, lo sai? ― distolsi lo sguardo
dai suoi
occhi verdi e mi morsi il labbro inferiore. Se fossi stata umana sarei
di certo
arrossita.
―
Sono allergica al glutine, Eric. ― mi affrettai a spiegare ― Per questo
non
mangio molto, inoltre quei biscotti ne hanno parecchio da farmi secca!
―
mentii, vedendolo arrossire per la gaffe.
―
Ops, giuro che non volevo assassinarti! ― disse,
indietreggiò e si sedette sul
divano con Emmett, pronti – come al solito – per
sfidarsi alla nuova Playstation.
Era tutta in 4D e altro,
mah! Maschi…, pensai.
―
Bella? ― mi chiamò Alice, dal cortile. Lanciai
un’altra occhiata a Eric e mi
avviai da loro, incrociando Jasper che rientrava. Mi sorrise e si
andò ad
accomodare anche lui con loro. Sospirai, uscendo all’aria
fresca. Il sangue di
Eric non era più un problema, già da tempo ormai.
Mi ero abituata al suo odore,
inoltre Carlisle sosteneva che il fattore scatenante della mia sete
fosse
l’agitazione, che inebriava il mio autocontrollo.
Arrivai
sul dondolo che si trovava nel retro del giardino, ad attendermi vi
erano le
mie sorelle.
―
Come va?
―
Dovremmo chiedertelo noi, Bella. ― disse Rose, sorridendo. Era da un
po’ che
era tornata serena, da quando – per l’esattezza
– eravamo arrivati alla
conclusione che Lidia avesse ragione su Eric.
―
Sto bene. Più o meno… ― ammisi ― Sono felice che
Edward sia vivo, ma è
difficile non poterlo
stringere, baciare o dirgli tutta la verità su di noi, su di
lui.
―
Cosa dice Lidia a riguardo? ― domandò Alice, continuando a
guardare
l’orizzonte.
―
Che le sta provando tutte, tra incantesimi e altro, ma non riesce ad
ottenere
nulla. Pensate, lo ha perfino ipnotizzato per scherzo, ma niente. I
ricordi
della sua vita precedente sono radicati così affondo
che… che nemmeno lei
riesce a raggiungerli.
―
Hai mai provato a parlargli di Edward? ― chiese Rosalie.
―
Sì, ma senza troppo successo. ― risposi amareggiata ― Mi ha
chiesto una foto,
ma non ho potuto accontentarlo.
―
Avrebbe notato una certa
somiglianza.
― disse Alice, scoppiando a ridere.
―
Mai pensato di parlargli di Jacob, oppure mostrargli una sua foto? ―
chiese
Rosalie. Mi irrigidii sul posto. Da quant’era che non sentivo
pronunciare quel
nome? Jake, Jacob Black. Il mio migliore amico… Un licantropo, per dirla tutta. Alice
sosteneva che non riuscivo ad
avere amici normali, nemmeno da umana. Beh, non aveva tutti i torti.
―
Lo avete più sentito? ― domandai, vedendole scuotere il capo.
―
Dopo la tua trasformazione, la morte di Charlie e il trasferimento in
Alaska le
telefonate sono state sempre più rare, fino a diventare
nulle. ― rispose Alice
― Credo che per lui sia stata una batosta vederti tentare il suicidio
per
Edward e poi, come se non bastasse, venire trasformata, nonostante
tutto.
―
Però sappiamo che è ancora a Forks. ―
continuò Rosalie ― Tanya e sorelle si
sono trasferite lì dopo la nostra partenza, il branco
è ancora tutto laggiù.
Non
risposi, chissà quanti anni aveva ora Jake. Da quel poco che
ne sapevo, i lupi,
invecchiavano in un modo tutto loro, come i cani forse. Un anno valeva
sette, o
forse sette ne valevano uno. Non ero mai riuscita a capirlo.
―
Chi sarebbe Jacob Black? ― ci voltammo di colpo, spaventate da Eric.
Eri in
piedi dietro di noi e, come ogni qualvolta, nessuno di noi
l’aveva sentito
arrivare.
―
Un amico di Bella! ― rispose prontamente, Alice.
―
E che amico… ― parlò, sognante, Rosalie. Sognante?
Ma lo detestava!
―
Già, Eric. Alto, bello, muscoloso… Le corre
dietro fin da quando erano piccoli!
Non è una cosa romantica?
―
Sicuramente. ― rispose lui secco, irrigidendo le mascelle ― Isabella,
ti avevo
portato un maglioncino per il freddo che fa oggi, ma non credo ti
serva. Non
sembra mai che tu abbia freddo o
qualsiasi altra cosa di noi comuni mortali. ― disse, in un tono
così pieno di
astio che mi fece rabbrividire ― Comunque, io sto andando via. Ci si
vede a
scuola. Ciao anche voi, ragazze. ― tentai di alzarmi e seguirlo, ma
Alice mi
bloccò.
―
Non farlo, tesoro. ― disse lei.
―
Cosa? Come? No, Alice io devo…
―
Devi dar retta a nostra sorella, Bella. ― si intromise Rosalie,
annuendo ad
Alice.
―
Hai provato di tutto per farlo cedere, giusto? ― chiese
quest’ultima ed io
annuii ― Bene, approccio sbagliato!
Gli hai raccontato dell’incidente col furgoncino di Tyler, ma
niente; della Bella Italia, ancora
niente; della
radura, ma niente… Grosso errore! Da che mondo e mondo si
deve puntare
all’orgoglio maschile, capito? Sulla gelosia,
in questo caso. Edward ha sempre provato questo sentimento per Jacob
Black,
perciò l’unico modo per risvegliarlo
è… ― si interruppe di colpo, stritolandomi
il braccio, fino a farmi un male del diavolo. Mi voltai, interrogativa,
ma
quando vidi i suoi occhi vuoti e vitrei capii: stava avendo una visione.
―
Cosa hai visto, Alice? ― domandò Rosalie, venendoci
più vicina.
―
I Volturi… ― sussurrò lei e a quel nome mi
irrigidii di colpo ― Sanno che
Edward si è reincarnato in Eric. Sanno tutto e vogliono
raggiungerlo ora che è
ancora umano per trasformarlo e farlo diventare membro della guardia!
―
No! ― ringhiai, furente.
―
Dove sono? ― domandò Rosalie, agitata ― Cosa vogliono fare?
―
Loro verranno qui.
Tre
semplici parole riuscirono a farmi crollare il mondo addosso,
un’altra volta.
Eccoci qui,
oggi sono tremendamente stanca! Perciò evito di fare o dire
chissà che... Spero che il capitolo sia piaciuto e
abbassate le armi! Ho capito che un capitolo non può finire
così, però abbiate pazienza, sono gli ultimi! Ora
vi saluto, ricordandomi l'appuntamento della prossima pubblicazione a
Venerdì!
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Capitolo 10 *** Nono Capitolo. ***
Ciao
a tutti, come state? Io ho ancora la febbre, che pizza! :( non mi
dilungo troppo, perchè non vedo l'ora di tornarmene a letto!
Vi lascio al capitolo e buona lettura!
Nono Capitolo
« La
fiducia è semplicemente quella sensazione calma,
rassicurante
che si ha prima di cadere a faccia in giù. »
―
Cosa sta succedendo? ― domandò Carlisle, vedendoci entrare
come tre furie, nel
salotto di casa.
―
I Volturi! ― ringhiai ― Stanno venendo a prendere Edward,
un’altra volta!
―
Cosa?! ― strillò Esme, sgranando gli occhi.
Alice
raccontò loro ciò che aveva visto nella sua
visione, mentre Rosalie cercava di
non farmi impazzire. Non riuscivo a ragionare, a riflettere. Sembrava
che la
mia vita fosse un assurdo circolo vizioso che si ripeteva, senza
arrivare mai
ad un punto di svolta. Avevo trovato Edward, più di cento
anni prima, lo avevo
amato e poi lo avevo perso, per colpa dei Volturi. E adesso? Avevo
trovato Eric
– Edward, un’altra volta – il quale era
riuscito a ridare un senso alla mia
vita, alla mia esistenza priva di significato. E i Volturi lo avrebbero
ucciso,
un’altra volta. Era arrivato il momento di chiudere i conti;
di fare quello che
desideravo fare da decenni.
―
Bella… ― sussurrò Alice, voltandosi lentamente.
Avevo commesso un errore, non avevo
alzato lo schiudo e
lei aveva visto tutto ― È per questo che mi hai perdonata? ―
domandò la piccola
vampira ― Avevi pensato che il mio gesto ti avrebbe resa forte
abbastanza per
distruggere i Volturi e poi, una volta compiuta la tua vendetta, ti
saresti
uccisa? ― tacqui, non sapendo cosa rispondere.
―
È per questo che non hai rifiutato quando, anni fa, ti
chiesi di concedermi del
tempo per insegnarti a combattere? ― domandò Jasper,
avvicinandosi a sua
moglie.
―
Io… ― non sapevo cosa dire, leggevo soltanto delusione nei
loro volti e
rammarico, per non averlo capito prima.
―
Credevo che il mio discorso fosse riuscito a far breccia. ―
sussurrò Rosalie,
alzandosi. Emmett la raggiunse, accerchiandola con le sue braccia.
―
Non so cosa dire.
―
Dicci che abbiamo capito male. ― fu Esme a parlare ― Che la visione di
Alice è
sbagliata, che non erano queste le tue intenzioni. ― rimasi in silenzio.
―
Isabella. ― il timbro freddo e duro di Carlisle mi fece alzare gli
occhi, fino
ad incrociare i suoi. Erano neri come il petrolio, senza fondo.
―
Mi… mi dispiace, io non… ― tentai, ma cominciai a
balbettare così decisi di
starmene zitta.
―
Non credete che potremmo affrontare questo problema
più tardi? ― domandò Emmett, ma nella sua voce
non c’era più nulla di tenero o
gioioso; avevo ferito anche lui. Abbassai nuovamente il capo,
sentendomi
esattamente ciò che per loro ero diventata: un problema.
―
Alice, tra quanto arriveranno? ― domandò Carlisle.
―
Tra due giorni. ― rispose la vampira, senza traccia di emozione nella
voce.
―
Abbiamo quarantotto ore per prepararci. ― disse Jasper ― E siamo in
pochi.
Arriveranno con tutta la guerriglia, pronti a tutti per avere Edward
con loro.
―
Forse ho un’idea. ― sussurrai, attirando la loro attenzione.
Spiegai
tutto nei minimi dettagli, senza tralasciare neanche l’ombra
di un
insignificante particolare. Tutto doveva essere affrontato con una
precisione
chirurgica, senza commettere neppure il più misero errore.
Stavamo
aspettando tutti che Jasper ci desse la sua opinione. In battaglia, la
sua
esperienza, ci sarebbe stata molto utile.
― Potrebbe funzionare. ― disse,
riflettendoci per un po’.
―
Potrebbe o funzionerà? ―
domandò
Emmett, dubbioso.
―
Emmett, non ho la sfera magica. ― rispose Jasper ― L’idea di
Bella è buona,
potrebbe funzionare. Ma dobbiamo giocare bene le nostre carte.
―
Fai in fretta, Bella. ― disse Rosalie, voltandosi verso di me. Annuii,
salii in
camera e mi misi a cercare ciò che mi serviva.
Mezzora
dopo lo trovai. Digitai il numero e attesi che il mio interlocutore
rispondesse
alla chiamata. Uno squillo, due squilli, tre, quattro,
cinque… ero tentata di
mettere giù, quando una voce parlò.
― Pronto?
―
Ciao, sono Isabella. ― dissi, sembrando il più seria
possibile ― Ci serve una
mano, devi venire qui subito.
***
Il
mio avversario mi guardava negli occhi, mentre entrambi ci muovevamo
lentamente, per continuare a tenere la distanza tra di noi. Lo vidi
scattare
fintamente, così non mi mossi – indietreggiai
soltanto. Jasper mi aveva
istruita a dovere, sapevo che mai avrei dovuto attaccare per prima. Fallo, diceva sempre lui, e
sei morta. Lo fissai negli occhi e
ringhiai, conscia che dovevo aspettare il momento giusto per
attaccarlo; non un
secondo di più, non un secondo di meno.
La
tensione era palpabile, così come l’attesa. In
questi casi solo uno dei
combattenti avrebbe vinto, possedendo un’arma letale quando
scaltra: la
pazienza.
Il
vampiro scattò in avanti, ringhiando rabbioso; aveva perso.
Scoprii
i denti, schivando il suo attacco avventato; gli attorcigliai le
braccia al
collo, pronta ad affondare i denti nella sua carne e farlo,
così, a brandelli.
―
Emmett, sei un pirla! ― urlò Alice, prendendosi uno
scappellotto da parte di
Esme ― Scusa mamma, ma lo è.
―
Non è bello dire a tuo fratello parole del genere. ― rispose
Esme, per poi
rivolgersi a Emmett ― E tu, razza di orso! Ti rendi conto che
così ti farai
ammazzare? Ho già perso un figlio, non ne voglio perdere un
altro! Bella è
forte almeno quanto Felix, ciò significa che in uno scontro
reale saresti
morto! ― l’orso sbuffò, piuttosto sonoramente, e
cascò a terra.
―
Io odio aspettare. ― disse ― E Bella non si muoveva!
―
L’unico modo per vincere è attendere che sia
l’altro a colpire. ― dissi solenne
― al contrario, lui vince e tu sei morto.
―
Allora quando parlavo mi ascoltavi. ― disse Jasper, concedendomi un
breve
sorriso. Era il primo dopo parecchio tempo. Anche se erano passate solo
poche
ore, dalla sera prima, a me pareva essere trascorsa
un’eternità.
In
casa c’era un gelo terribile. La tensione, poteva essere
tagliata con un
coltello. Tutto per colpa mia; perché nonostante non fossi
più umana, riuscivo
comunque a combinare casini con la mia sbadataggine.
―
Carlisle. ― lo chiamò Jasper ― Adesso proviamo noi. ― vidi
mio padre annuire e
poi raggiungere il centro di Hampstead Heath Park. Era lì
che avevamo deciso di
addestrarci per l’imminente battaglia.
Il
parco, una selvaggia e immensa distesa verde, era situato nella
periferia di
Londra, sei chilometri a Nord della capitale britannica. Vi erano
enormi alberi
che, con la loro fittezza, avrebbero coperto le nostre figure
– nascoste nel
piccolo boschetto che si ergeva alla fine dei sentieri e della pista
ciclabile
– nell’ombra.
Il
Hampstead Heath Park, infatti, più che un semplice parco,
veniva definito da
sempre come una grande foresta, un bel bosco in cui addentrarsi e
scoprire
tutti i suoi meravigliosi angoli.
Mi
allontanai un po’ dalla zona dell’addestramento,
lasciando alla mia famiglia la
propria privacy. Sapevo di averli feriti tutti; non era cosa di tutti i
giorni
scoprire che, la propria figlia, aveva deciso di vendicare il suo
grande amore
e poi – dopo decenni in cui aveva preso tutti in giro,
facendo credere che
aveva accettato la sua nuova condizione, che aveva fatto si che il loro
amore
crescesse – togliersi la vita.
Sospirai
pesantemente, mentre mi sedetti su una panchina isolata. Inarcai la
testa
all’indietro e mi misi a fissare le stelle.
Il
cielo, nonostante quella giornata fosse stata parecchio nebbiosa, era
limpido.
Riuscivo a scorgere qualsiasi costellazione esistente; ovviamente, ad
occhio
umano, sarebbe stata un’impresa impossibile. Riuscivo a
vedere Cassiopea, la costellazione
settentrionale che raffigurava la leggendaria regina di Etiopia; Orione, la costellazione più
importante
– e sicuramente la più conosciuta – del
cielo. Grazie alle sue brillanti
stelle, Orione, era visibile da qualsiasi parte del mondo.
―
Se cerchi la costellazione di Pegaso
è quella laggiù. ― disse Alice, indicandola con
il suo indice bianco e
affusolato. Non l’aveva sentita arrivare, troppo assorta nel
guardare il cielo.
―
Grazie. ― risposi flebile, sedendomi composta.
―
Parliamo. ― disse lei, accomodandosi di fianco a me ― Ti va? ― annuii,
incerta
sul come sarebbe finita quella conversazione.
Restammo
in silenzio per un attimo che mi parve interminabile. Lei non parlava,
io
nemmeno; una delle due doveva decidersi a cominciare un discorso.
―
Hai già combattuto?
―
Certo. ― rispose, sorridendo ― Io contro Jasper. Ovviamente ho vinto
io! ―
sghignazzò, facendomi scappare un sorriso.
―
Hai imbrogliato, vero?
―
Sono doni, non imbroglio se li uso!
―
Vero…
―
Anche tu li usi i tuoi… ― sussurrò ― O meglio, li
hai usati per un bel po’ di
tempo.
―
Alice, io… ― provai, ma mi zittì con la mano.
―
Bella, io so come ti sei sentita. ― disse flebile ― Non provavo amore
per
Edward, ovviamente, ma era davvero come un fratello di sangue per me.
Ho perso
molto, troppo, dalla mia vita
umana;
gli affetti di chi mi voleva bene, perché pensavano fossi
una pazza. So cosa
vuol dire rimanere sola, Bella. È questo che mi fa sentire
tradita, da te. Io
ho sbagliato a trasformarti, credi davvero che non lo sappia? Che abbia
mai
minimamente pensato che il tuo odio, nei miei confronti, fosse
insensato o
stupido? No, non l’ho mai pensato. Il mio gesto è
stato puro egoismo, ma ora ti
chiedo: tu mi avresti
lasciata morire? ― non parlai, la risposta era abbastanza ovvia: no,
non
l’avrei mai lasciata morire senza prima averle provate tutte.
―
Come immaginavo. ― disse, ridendo. Riconoscevo la sua risata limpida,
cristallina. Era Alice, la mia
pazza
e adorabile Alice.
―
Ti voglio bene. ― dissi, abbracciandola stretta.
―
Te ne voglio anche io, Bella. ― rispose, contraccambiando il mio gesto
― Ma non
dubitare più di me, di noi… siamo la tua
famiglia, ok? ― annuii, capendo che
non c’era altro da dire.
Restammo
abbracciate, ridendo e scherzando, per quasi tutta la notte. Tra poche
ore
sarebbe sorto il sole; i cancelli del parco stavano per riaprirsi.
―
Andiamo a chiamare gli altri! ― disse il folletto, scattando in piedi ―
Poi
andiamo a caccia, ci facciamo una bella doccia e attendiamo
l’arrivo dei
Volturi. ― mi strinse le mani nelle sue, facendomi sprofondare nei suoi
occhi
pece ― Insieme, Bella. Insieme ci
prenderemo la nostra rivincita. ―
annuii decisa, seguendola dagli altri.
L’alba
era da poco spuntata dietro l’orizzonte. I suoi colori caldi
venivano soffocati
un po’ dalla tenue nebbiolina che caratterizzava la
città di Londra.
Tutta
la famiglia era radunata in salotto; chi rimaneva in piedi, chi seduto,
chi
ripassava le mosse migliori. Nessuno parlava.
―
Bella! ― sentimmo urlare, catapultandoci fuori dalla porta
d’ingresso.
Lidia
aveva un aspetto tremendo; sporca di terra, jeans strappati…
Cosa diavolo era
successo?
―
Lidia, cara, cos’è successo? ― domandò
Esme, accorrendo in suo aiuto, ma lei
scosse il capo.
―
Non pensate a me! ― urlò, sconvolta dal panico ― Eric! Lo
hanno preso! ― si
voltò verso Alice, con occhi vitrei ― Ti hanno ingannata,
Alice. Lo hanno fatto
di proposito, per arrivare prima a lui.
Una
frase. Una verità. Tante piccole parole unite tra loro erano
riuscite a
trasmettermi un concetto raggelante e terribile.
Un
ringhio disumano squarciò il cielo plumbeo. L’alba
era passata, lasciando il
suo posto a nuvole pesanti, grigie e tetre. Solo quando mi accorsi che
tutti
gli sguardi erano puntati su di me mi resi conto della
verità: a ringhiare in
quel modo mostruoso, ero stata io.
L'unica
cosa che ci tengo a dirvi è di scusarmi se vi sono piccoli
errori di battitura o altro, ma non mi sento bene e ho corretto il
meglio che ho potuto! I Volturi hanno presa per i fondelli i Cullen,
inviando ad Alice una visione fittizia. Cosa succederà
adesso? E Bella, chi ha telefonato? Come avrete visto, gli altarini
della nostra vampira sono venuti fuori, non potevo concludere la storia
lasciando vivere i Cullen allo scuro dell'idea iniziale di Isabella,
no? Il prossimo
aggiornamento - che magari farò prima di
Venerdì prossimo - sarà l'ultimo capitolo!
Ovviamente, poi, ci sarà l'epilogo :)
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Capitolo 11 *** Decimo Capitolo. ***
Buon
pomeriggio a tutti! Come va? Ho deciso di anticipare di un giorno la
pubblicazione, tanto la storia è finita e aspettare non
aveva molto senso XD perciò eccomi qui con l'ULTIMO CAPITOLO
di questa piccola fanfiction. Vi ricordo, comunque, che manca ancora
l'EPILOGO! Quindi non disperate ancora... :)
Ma bando alle ciance, vi lascio leggere e ci leggiamo in fondo!
Decimo Capitolo
« Dicono
alcuni che finirà nel fuoco il mondo, altri nel ghiaccio.
Del desiderio ho gustato quel poco che mi fa scegliere il fuoco.
Ma se dovesse due volte finire, so pure che cosa è odiare,
e per la distruzione posso dire che anche il ghiaccio è
terribile
e può bastare. »
Fuoco e Ghiacco,
Robert Frost.
.
Cominciai
a correre senza tregua. Percepivo la mia famiglia alle mie spalle, mi
stava
seguendo, chiedendomi dove stessimo andando. Non lo sapevo. Riuscii,
per puro
miracolo, a intercettare la scia dell’odore del sangue di
Eric e la seguii.
Arrivammo in un enorme bosco, poco distante dalla periferia di Londra.
―
Bella! ― urlò Alice ― Ma cosa diavolo ti è preso?
― la zittii, sperando che la
sua voce non avesse fatto scappare il mio nemico. Sapevo che erano
allenati,
forti – forse anche più di noi – che,
essendo vampiri, anche se fossimo giunti
qui di soppiatto avrebbero percepito il nostro odore. Speravo solo che
non si
fossero dati alla fuga. Mi voltai di scatto, verso sinistra, quando
percepii
uno spostamento tra gli alberi. Partii a raffica, fermandomi solo
quando andai
a schiantarmi contro il cemento armato.
―
Isabella. ― disse una voce calma e pacata ― Ci incontriamo ancora, vedo.
Alzai
lentamente la testa, incrociando un paio di occhi rossi cremisi. Il suo
viso
non era cambiato di una virgola. L’avevo visto solo una
volta, moltissimi anni
prima, a Volterra – il giorno stesso in cui il corpo di
Edward venne dato alle
fiamme. I suoi lineamenti sembravano perfetti, ma erano diversi da
quelli di
tutti gli altri vampiri. Il suo incarnato era bianco e sottile,
sembrava fatto
di carta velina; questo suo accecante candore contrastava notevolmente
con i
lunghi capelli neri che gli ricadevano ai lati.
―
Aro. ― sussurrai, rimettendomi in piedi.
Tutti
i Cullen ci avevano raggiunti, compresa Lidia – la quale era
stava portata da
Emmett. Aro, spostato in avanti, rispetto agli altri due Volturi
– Caius e
Marcus – squadrava l’umana da capo a piede. Mentre
lui era intento a perdere
tempo, io guardai la situazione. Erano venuti al completo: Jane, Alec,
Felix,
più tutto il plotone di combattenti più potenti
della loro guardia.
I
miei occhi saettarono su una ragazzina. Aveva i capelli castani scuri e
mossi;
gli occhi erano rossi, ma sembrava spaventata. Teneva il corpo
addormentato di
Eric al sicuro, da noi. Doveva essere una nuova entrata nel clan dei
Volturi.
―
Lascia il ragazzo, Aro. ― disse Carlisle, continuando una conversazione
che,
fino a quel momento, mi ero persa. Di tutta risposta, il vampiro
scoppiò a
ridere.
Era
una risata divertita, ma gelida. Se fossi stata umana, mi sarebbe
venuta la
pelle d’oca.
―
Non esiste, mio caro amico. ― rispose Aro ― I nostri veggenti hanno
scoperto
che questo giovane, Eric Hunter, altri non è che la
reincarnazione del
bellissimo vampiro Edward Cullen, tuo figlio per l’appunto.
―
E anche se fosse? Cosa vorresti fare? ― domandò Carlisle ―
Inoltre, non eri tu
stesso a sostenere che i vampiri non avessero anima? Come sarebbe
possibile che
questo giovane possa essere il mio Edward? Ragiona, Aro.
―
I tuoi trucchetti non funzionano, Carlisle. ― disse Aro, tornando
incredibilmente serio ― Non questa volta.
―
Non capisco di quali trucchi tu stia parlando, Aro.
―
Non vi lascerò il ragazzo. E se provate a contrastarci, vi
daremo guerra. ―
ringhiai, cercando di muovermi, ma il braccio di Emmett mi
circondò la vita
spostandomi indietro.
―
Ti farai ammazzare, Bella. ― disse lui ― Non sei lucida.
―
Ha ragione. ― lo spalleggiò Rosalie ― Lascia parlare
Carlisle.
―
Non servirà a niente.
―
Ha ragione lei. ― sussurrò Alice, con occhi vitrei ―
Arriveremo allo scontro.
La decisione di Aro è presa. ― si voltò verso
Jasper, il quale la strinse forte
a sé.
―
Sono in troppi. ― sussurrò Lidia ― Non ce la faremo mai.
― Tu non devi stare qui! ― dissi,
ringhiando ― Ti farai ammazzare. Emmett devi riportarla a…
―
No! ― mi interruppe lei ― Posso aiutarvi. Fidati di me, Bella. ― la
fissai a
lungo. I suoi occhi erano due pozze castane, che imploravano di darle
retta. Fu
in quel momento, con la mia distrazione, che non mi accorsi che
Carlisle scattò
in avanti, attaccando Aro.
―
Carlisle, no! ― urlò Esme, troppo preoccupata per il gesto
avventato del marito
per accorgersi di Felix che le saltò alla gola. Successe tutto troppo in fretta per
impedirlo.
La
scontro scoppiò senza preavviso, quando ci buttammo nella
battaglia era già
tutto deciso. Vidi Jasper fronteggiare Alec, mentre Alice anticipava
tutte le
mosse dei suoi avversari; Emmett si scaraventò su Felix,
liberando nostra
madre, la quale raggiunse Lidia per portarla al sicuro. Rosalie, con
un’abilità
chirurgica, si stava scontrando con la nuova vampira, la quale sembrava
combattere più per sopravvivenza che per altro.
―
Ci si rivede, Isabella. ― disse Jane, piombandomi alle spalle. La
squadrai da
capo a piede, non era diversa neanche nell’abbigliamento.
―
Ma voi Volturi non vi cambiate mai? ― mi scappò, e lei
ringhiò di rimando.
―
Vediamo quanto ridi adesso! ― mi fissò a lungo, facendo uno
sforzo enorme, ma
non accadde nulla. Il mio scudo riusciva a proteggermi da ogni attacco
psichico.
―
Sorpresa. ― dissi, sorridendo e mi avventai su di lei. La vidi sgranare
gli
occhi, non aspettandosi il fallimento del suo attacco. Non
riuscì a schivarmi, perciò
cadde a terra sotto il mio peso.
―
Lasciate stare Eric e io ti lascio la testa attaccata al collo! ―
ringhiai
furente.
―
Mai, ragazzina!
―
Allora muori, Jane! ― provai a morderla, ma riuscì a
ribaltare la situazione.
Mi ritrovai con la schiena schiacciata nel terriccio bagnato e umido,
lottando
per la mia sopravvivenza. Non dovevo perdere, non potevo
perdere. In gioco, ora, non c’era solo la mia vita.
―
Vediamo quanto sei brava a giocare, Isabella. ― sussurrò, a
pochi centimetri
dal mio collo. Credevo che mi avrebbe morsa, fatta a pezzi; invece, si
alzò
concentrandosi sulle mie sorelle. Vidi Alice e Rosalie cadere a terra,
urlanti.
Straziate dal dolore. Profondo, lacerante. Letale. Fu in quel momento
che
Jasper ed Emmett, vedendo le rispettive mogli a terra agonizzanti,
persero la
concentrazione. Felix immobilizzò, con la faccia a terra,
Emmett; Alec fece
piegare Jasper sulle ginocchia, bloccandogli le braccia dietro la
schiena; i
tre Volturi avevano preso Carlisle, Esme e Lidia.
―
Bene, bene, bene. ― disse Aro, lasciando che un’altra guardia
immobilizzasse
Carlisle al suo posto ― Sei un’esperta combattente, Isabella.
Ho una proposta
molto allettante, per te.
―
Non mi interessa. ― sputai fuori, ma fu una pessima idea. Jane fece
urlare
ancora di più Alice e Rosalie ― Smettila, dannata!
―
Isabella, Isabella, Isabella… ― parlò di nuovo
Aro ― No, no, non si fa così.
Prima dovresti dire: certo Aro, ti ascolto, esponi la tua idea.
―
Parla.
―
Non è stato detto con molta gentilezza, ma credo che
dovrò accontentarmi. ―
disse, parlando più a se stesso che a noi altri ― Io lascio
vivere la tua
famigliola, in compenso tu ed Edward vi unite a noi di vostra spontanea
volontà. Ho visto che hai respinto il potere di Jane, so che
Edward – o io
stesso – non riesce a leggerti nel pensiero. Sei uno scudo,
mia dolce Isabella.
E ci potresti essere molto, molto utile. ― sentii Jane ringhiare
leggermente.
Mi odiava e l’idea che potessi accettare quell’idea
la mandava in bestia.
―
E se decidessi di non accettare le tua proposta?
―
In quel caso… ― si voltò verso Jane, facendo un
segno di assenso con la testa e
vidi Alice e Rosalie soffrire ancora di più, mentre Emmett e
Jasper non
riuscivano a liberarsi da quella presa troppo ferrea.
―
Smettila, smettila! ― urlai a Jane; quando Aro le rifece cenno col
capo, lei,
allentò la sua tortura.
In
quel momento capii cosa dovevo fare. La rivelazione inaspettata avrebbe
potuto
salvare la situazione, senza che nessuno perdesse la vita.
―
Va bene. ― dissi, sentendo un “no” collettivo e
disperato della mia famiglia ―
Ma ad una condizione: anche Lidia deve rientrare nel patto. ― Aro
indietreggiò
un po’, inclinando di lato la testa; fece saettare i suoi
occhi tra me e la
ragazza, per poi avvicinarsi a lei.
―
Perché? ― domandò a me ― È
un’umana, non dovrebbe sapere della nostra
esistenza.
―
Tu hai le tue condizioni, Aro.
Questa
è la mia. ― lo vidi
annuire,
riflettendo attentamente.
―
Non puoi accettare questa insulsa proposta, Aro. ― disse Caius.
―
Ha ragione. ― confermò Marcus ― Quell’umana sa
troppo, è un pericoloso
fardello.
―
Avete ragione. ― constatò Aro e mi irrigidii sul posto,
quando lo vidi prendere
tra le mani una ciocca dei capelli di Lidia e passarli sotto il suo
naso.
Scoprì i canini, sorridendo – forse voleva
spaventarla – ma Lidia non si
scompose.
―
Io non sono una semplice umana,
signore. ― disse lei.
―
Ah no?
―
No. ― rispose Lidia, sorridente. Alzò una mano e
scaraventò Aro contro un
albero piuttosto lontano.
―
Adesso! Ora! ― urlai, rivolgendomi alla foresta buia. Abbassai lo
scudo, mentre
Lidia spezzava il suo incantesimo di copertura.
Un
ringhio animalesco squarciò il silenzio innaturale che era
venuto a crearsi.
Con un balzo preciso, un lupo dal pelo rossiccio si scagliò
su Jane,
riducendola in pezzi. Un altro lupo, dal pelo multicolore,
balzò su Alec e lo
scaraventò a terra. Jasper corse ad aiutare Esme e Lidia,
mentre io mi avventai
su Felix.
―
Emmett aiuta Rose e Alice! ― urlai, vedendo Carlisle correre verso
Eric.
―
Non puoi distruggermi, ragazzina! ― ringhiò Felix,
sbattendomi contro un
albero. Jacob gli balzò addosso, ma lo bloccai in tempo.
―
No, Jake! Lui è mio! ― il lupo si fermò,
guardandomi con sguardo confuso ― Ha
ucciso Edward, è arrivato il momento di pareggiare i conti.
― il suo ululato
sembrava voler dire “è tutto tuo,
allora”. Sorrisi divertita, colpendo il petto
di Felix più e più volte; provava a scansarsi, ad
evitare i miei colpi, ma
invano. Ero più forte, più agguerrita e
più volenterosa. Amore e
vendetta, era un
mix letale.
―
Come hai fatto, Felix? Così? ― urlai, strappandoli il
braccio sinistro ― O
così? ― strappai il destro ― Credi che non abbia sofferto?
Beh, ti do una
notizia: ha sofferto come un cane ed io ero lì, morente, a
guardare tutta la
scena! ― gli feci sprofondare i canini nel collo, per poi staccargli la
testa
con un colpo solo, secco e deciso.
Mi
alzai ansante, con i denti scoperti, e tremante. Dovevo calmarmi,
dovevo
riprendere il controllo di me stessa, o tutto quello che avevo imparato
in
questi anni sarebbe scomparso, dissolto come neve al sole, e la bestia
– dentro
di me – avrebbe vinto. Posai gli occhi sul campo di
battaglia: la guardia dei
Volturi era decimata. Aro, Caius e Marcus erano gli unici rimasti in
piedi;
insieme a pochi altri.
Solo
a quel punto mi resi conto di non vedere più Eric. Il mio
sguardo saettò
ovunque, ma non riuscivo a trovarlo.
―
Bella! ― chiamò Jacob, essendo tornato nella sua forma
umana. Restai impietrita
nel vederlo. Adesso aveva l’aspetto di un venticinquenne. Il
suo corpo era
sempre scolpito e atletico, ma non aveva più
quell’espressione giovanile o
ingenua. Jacob Black era diventato un uomo.
―
Non trovo Edward! ― risposi, cercandolo ovunque.
―
È ferito. ― parlò una ragazza dietro di lui. Non
dimostrava più di vent’anni. I
capelli erano castano-rossicci, gli occhi verdi e il suo incarnato era
troppo
chiaro per appartenere ad un essere umano. Eppure, nonostante questo,
il suo cuore
batteva.
―
Dov’è, Nessie? ― le chiese Jacob, afferrandole una
mano.
―
Dietro quell’albero! ― rispose lei, schizzando via. Non
riuscivo a crederci,
era…
―
Sì, è una vampira. ― disse Jacob, capendomi al
volo ― O per meglio dire, una mezza
vampira. Comunque non sbaglia mai,
forza andiamo! ― annuii, non capendo come potesse appartenere alla loro
tribù
una vampira, anche se lo era solo per metà. Poi notai il
modo in cui lui la
fissava e capii: era l’imprinting
di
Jake.
Quando
raggiungemmo l’albero mi pietrificai. Eric era per terra,
ricoperto di sangue.
Un morso, due, tre… Qualcuno della guardia dei Volturi si
era avventato su di
lui mentre lo scontro era in atto.
―
No… ― sussurrai, cadendo a terra ― Non può
morire, non di nuovo!
―
Non è morto, Isabella. ― disse Nessie ― Il suo cuore batte
ancora, ma devi
trasformarlo e devi fare in fretta.
Mi
voltai, vedendo Jacob annuire e poi spostai gli occhi su quello che
restava dei
nostri avversari. Aro si era arreso, e con quelli che rimanevano, se ne
stava
andando.
―
Tu puoi farlo, Bella. ― disse Lidia, sbucando all’improvviso
davanti a me ― Devi salvarlo. Forse
è questa la chiave:
restituiscili la sua immortalità, solo tu puoi farlo. ―
lasciai che il mio
sguardo si spostasse su tutti: da Jacob a Carlisle; da Rosalie ad
Alice; per
poi passare ai miei fratelli e, per finire, ad Esme.
―
Mi dispiace. ― sussurrai ― Non doveva finire così. Non
doveva succedere così. ―
gli accarezzai il viso, contratto dal dolore, e affondai i denti nel
suo collo.
Fu
uno sforzo enorme iniettare il mio veleno, senza bere quel poco di
sangue che
gli era rimasto in corpo. Carlisle diceva sempre che ci voleva molta
forza di
volontà, ma fino a quel momento non avevo capito davvero
quanta.
I
giorni passarono, lenti, interminabili. Avevamo raccontato ai genitori
adottivi
di Eric che, a causa di un assurdo incidente nel bosco, il ragazzo
aveva perso
la vita. Era con noi, adesso; nella mia stanza. Agonizzante da tre
giorni, in
preda al dolore più profondo e lacerante. Dovetti rivelare a
Carlisle che la
morfina non faceva nulla, che – nonostante impedirti di
muovere ogni arto – non
attenuava il dolore, il fuoco che ti divampa dentro, senza sosta.
―
Come sta? ― domandò Jacob, entrando in camera.
―
Dovrebbe svegliarsi a momenti, a detta di Alice almeno.
―
Andrà tutto bene, Bells. Il tuo succhiasangue è
forte. ― mi voltai un po’,
sorridendogli.
―
Così… ti sei fidanzato con una vampira, eh?
―
Già. ― rispose, grattandosi la testa ― Assurdo, vero? Un
licantropo che ha l’imprinting
con un vampiro. Non lo avrei mai detto.
―
Sei sempre stato un po’ ottuso, Jake.
―
Ehi! Non ti permetto di offendermi solo perché stai
soffrendo, sei in ansia o
preoccupata. ― concluse, con aria risoluta. Nonostante
l’età e il tempo, Jacob,
non era cambiato per niente.
―
Sono felice per te, Jake. ― dissi, seriamente ― Sono contenta che tu
abbia
trovato la persona giusta…
―
E tu hai ritrovato la tua.
Fu
in quel momento che sentii una presa ferrea intorno al mio polso. Mi
voltai di
scatto, sprofondando in due occhi rossi cremisi.
― Bella. ― sussurrò,
guardandomi. Si era svegliato.
Tutto è bene
quello che finisce bene, no? I Volturi erano furbi, eppure grazie
all'accoppiata Lidia/Bella e con l'aiuto dei lupi, i Cullen hanno
vinto. Eric è finito maluccio, però... Isabella
è stata, così, costretta a trasformarlo senza
avergli ridato i suoi ricordi. Cosa succederà adesso? Manca
solo l'epilogo
e poi anche questa storia troverà la parola fine!
Ma non mancheranno le sorprese
neanche lì... XD
L'epilogo
verrà postato
Mercoledì
2 Novembre! Non perdetevelo...
|
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Capitolo 12 *** Epilogo. ***
Ciao a tutti, eccomi
qui con l'epilogo di questa storia. Ci tenevo davvero molto a dirvi
quanto mi ha fatto piacere vedere che la storia sia stata ccolta bene.
da tutti voi! Dirvi grazie è poco, ma l'unica parola che mi
viene da dire è proprio questa: GRAZIE MILLE A TUTTI VOI!
Questa storia, per certi versi, è stata un azzardo...
Insomma, Edward morto; Isabella vendicativa; riprendere in
considerazione un concetto di anima per i vampiri, forneno
così credibilità alla morte/reincarnazione di
Edward Cullen; e molto altro. Eppure avete apprezzato questa mia idea,
per questo vi ringrazio!
Adesso vi lascio
all'epilogo, ma mi raccomando, date un'occhiata a quello che
scriverò a fondo
pagina!
EPILOGO
« Un
palazzo viene dato alle fiamme, tutto quello che ne rimane è
cenere.
Prima pensavo che questo valesse per ogni cosa, famiglie, amici,
sentimenti.
Ora so che a volte, se l'amore è vero amore, niente
può separare due persone fatte per stare insieme. »
Sarah - Il Corvo.
.
Il
mondo. Esso muta sempre.
I
giorni passano, le stagioni si alternano, i mesi si susseguiscono. Era
così che
andava il mondo. Esso continuava a cambiare, ma io no. Noi
no.
Mi
trovavo dinanzi allo specchio, intenta a pettinare i capelli a quella
ragazza
che, conosciuta in circostanze orribile, era diventata mia figlia.
Aveva
dodici anni da più di cinquant’anni, ormai. I
capelli mossi, castani scuri, gli
occhi ambra – che sostituirono quel cresimi agghiacciante
– alta sul metro e
cinquanta, minuta nella sua eterna perfezione.
―
Non capisco perché dobbiamo ritornare a scuola.
― Bree, non cominciare. ―
l’ammonii ― Lo
sai, più giovani arriviamo in un posto e più
tempo possiamo restare.
―
Questa volta cosa sono? ― domandò ― Cugina,
sorella…?
―
Sorella. ― dissi, baciandole una guancia per poi stringermela con
delicatezza ―
La mia sorellina pasticciona! ― lei scoppiò a ridere e mi
abbracciò.
―
Grazie, mamma. ―
sussurrò, tornando
seria.
―
Per cosa?
―
Per avermi accolta nella tua famiglia, nonostante il modo in cui ci
incontrammo
molto tempo fa.
―
Non eri cattiva, tesoro. ― risposi ― Non lo sei mai stata. Aro ti aveva
trasformata per le tue doti, ma non eri come loro.
Ricordavo
ancora quel giorno, quando la vidi terrorizzata nello scontro con i
Volturi –
se non fosse stato per i lupi o per la genialità di Lidia,
non avremmo mai
vinto quello scontro. Carlisle ed Esme capirono subito la situazione e
decisero
di farla rimanere con noi. Rosalie ne fu entusiasta; finalmente avrebbe
potuto
guardare qualcuno correre per casa. Io – esattamente come mia
sorella – non
avrei mai potuto avere figli; Bree
era la mia unica e sola possibilità di essere madre. Non mi
dispiaceva affatto.
―
Siete pronte? ― domandò una voce, entrando nella stanza. Mi
voltai,
riconoscendola al’istante. Era dolce, calda e
melodiosa… meravigliosa, proprio
con me lui. I capelli bronzei
scompigliati, gli occhi ambra, fisico scolpito che ricordava quello di
un Dio
greco.
―
Certo, papà! Guarda che
acconciatura.
― disse Bree, facendo varie giravolte su se stessa ― Me l’ha
fatta la mamma,
che ne dici?
―
Sei meravigliosa! ― rispose Edward, baciandole la testa ― Ora vai
giù da Alice,
vuole controllare che tu sia vestita alla perfezione. ―
annuì e poi sparì a
velocità vampiresca.
―
Non ti dispiace mai per lei? ― domandai a lui, sentendola al piano di
sotto
intenta a parlare con zia Alice.
―
Perché non crescerà mai? Perché
rimarrà una dodicenne per il resto della sua
vita? ― chiese ed io annuii ― Molto. È ingiusto,
è così piccola.
―
Lo so. ― risposi, avvicinandomi a lui. Mi accolse tra le sue braccia e
posò le
sue labbra sulle mie. Mi persi in quel contatto, cristallizzando il
momento e
tutto ciò che ci circondava. Riavere Edward
fu un miracolo. Dopo la trasformazione, infatti, riaprì gli
occhi e, come per
magia, ricordò tutto: chi era, cos’era. Ovviamente
rammentava anche di essere
stato Eric Hunter, e dire che si vergognava per ciò che era
stato capace di
fare era un eufemismo.
Da
allora molte cose cambiarono. Prima di tutto, Edward, tornò
a vivere con noi.
Dovettimo andare via da Londra, a causa dei suoi inspiegabili
cambiamenti – o,
per meglio dire, a causa della sua prematura morte. Ci dispiacque non
poco.
Entrambi ci eravamo affezionati a Lidia – la quale si
sposò, avendo figli e
nipoti – e lui, amava i suoi genitori adottivi che avevano
sopportato tutti i
colpi di testa di Eric Hunter.
Tornammo
a Forks per qualche tempo e vedere che tra Edward e Jacob non ci fosse
più
astio mi rese molto felice. Ci eravamo sposati, avevamo fatto il grande
passo
durante la luna di miele e tutti i nostri sogni romantici ebbero il
loro
coronamento. Eravamo diventati una famiglia, a tutti gli effetti.
Jacob
ci raccontò la sua storia e quella della trovatella nel
bosco – Nessie. Era una
mezza vampira, abbandonata a se stessa. L’aveva trovata Seth
in un suo
pattugliamento e quando Jacob la vide si perse nei suoi smeraldi verdi.
Come
suo imprinting i lupi non potettero toccarla, perciò
cambiarono le regole,
facendo entrare una vampira nella tribù.
―
A cosa pensi? ― mi chiese Edward, mentre mi teneva la porta della
stanza
aperta.
―
A tutto quello che è successo in questi anni.
―
E…?
―
E ti amo, Edward Anthony Masen Cullen.
―
Ti amo anche io, Isabella Marie Swan Cullen.
―
Per sempre? ― domandai, ad un millimetro dalle sue labbra.
―
Abbiamo un’eternità, amore mio. ― disse, passando
la sua lingua sulle mie
labbra e stringendomi di più a sé ― Il
“per sempre” non mi basta.
―
Nemmeno a me. ― risposi, beandomi dei suoi baci e delle sue carezze.
Raggiungemmo
gli altri, sapendo che quello era solo l’inizio di una nuova
vita, ma che
comunque, noi, avremmo avuto dalla nostra parte la nostra piccola e
perfetta eternità.
Fine.
~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~∙~
Eccoci qui, anche questa
storia è finita. Se devo essere onesta, mi dispiace... Ma
tutto ha un inizio e una fine, questa storia ha visto la parola fine
oggi. Molte di voi - che ringrazio davvero tantissimo! - mi hanno
chiesto di non terminarla così presto, ma ho risposto che
era giusto così. Non avrebbe avuto senso portarla avanti,
perchè tutto quello che dovevo dire l'ho detto. Non mi piace
allungare il brodo, perciò se quello che voglio trasmettere
riesco a farlo in dieci capitoli - senza contare prologo ed epilogo -
ben venga!
Voglio
dirvi davvero grazie. Grazie a chi ha messo la storia nei preferiti,
nelle storie seguite o in quelle da ricordare; grazie a chi ha
recensito tutti i capitoli, senza perdersene nemmeno uno! Grazie,
ancora, a chi ha letto in silenzio, apprezzando il mio lavoro... GRAZIE
DAVVERO A TUTTI VOI!
Sono dell'idea che
il "lavoro" di uno "scrittore" valga poco se non ci fossero persone a
sostenerlo, a leggere le sue opere e via dicendo. Perciò,
questa storia è arrivata alla fine anche grazie a voi, che
non mi avete abbandonata durante il cammino.
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