Possibility.

di Mia Swatt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo. ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo. ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo. ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo. ***
Capitolo 7: *** Sesto Capitolo. ***
Capitolo 8: *** Settimo Capitolo. ***
Capitolo 9: *** Ottavo Capitolo. ***
Capitolo 10: *** Nono Capitolo. ***
Capitolo 11: *** Decimo Capitolo. ***
Capitolo 12: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Buon pomeriggio a tutti! Come ve la passate? Eccomi qui con una nuova piccola storia su Twilight. Premetto che bisogna LEGGERE QUI prima di iniziarla, per il semplice fatto che i miei vampiri sono un pò diversi da quelli della Meyer. Cominciamo:
1. I vampiri - in questa ff - non brillano al sole;
2. I vampiri hanno i canini! Non sono sempre presenti, si allungano quando hanno fame. Il solito, insomma XD
3. Possono stare sotto il sole, ma un'esposizione troppo prolungata li indebolisce.
Credo sia tutto. Le loro abitudini "culinarie" sono sempre le stesse e gli occhi anche. Ambra se bevono sangue animale, rossi se bevono sangue umano e, infine, neri, quando sono arrabbiati parecchio o eccitati.
Ma adesso bando alle ciance, ecco a voi il capitolo! :)


POSSIBILILY

« Queste gioie violente hanno fine violenta.
Muoiono nel giorno del loro trionfo,
come il fuoco e la polvere da sparo,
che si consumano al loro primo bacio. »
William Shakespeare, Romeo e Giulietta. Atto II, scena VI.


PROLOGO

Correvo. Era l’unica cosa che potevo fare. Che volevo fare. In gioco – questa volta – non c’era solo la sua vita o la mia. In questo momento tutta la nostra esistenza era appesa ad un filo. Il mio cuore, la mia anima. Tutto era in procinto di scomparire da un momento all’altro. Cercavo di farmi largo tra l’immensa folla. Un altro rintocco. Mancava poco a mezzogiorno. Se non fossi arrivata in tempo, Edward avrebbe terrorizzato la piazza, costringendo i Volturi a rivelarsi. Ad ammazzarlo, per tutelare la loro specie. Dovevo fare presto.
Alice aveva detto che sarebbe stato più prudente – per noi – che lei si tenesse lontana dai suoi pensieri.
― Devi andare tu, Bella! ― aveva detto, senza scendere dalla macchina ― Se sente i miei pensieri crederà che menta e si affretterà!
― Dove devo andare? ― chiesi.
― Alla Torre Campanaria. ― rispose subito ― Sotto l’orologio. Corri!
Mi guardai intorno, titubante. C’era troppa gente, dannazione!
Un altro rintocco. Scattai in avanti, senza pensare alle persone che strattonavo. Senza pensare alle loro urla – in una lingua per me, per ora, incomprensibile.
Finalmente, dinanzi a me, vidi l’immensa fontana al centro esatto della piazza di Volterra. Puntai il mio sguardo e lo vidi. Edward era nascosto nell’ombra, stava aspettando il momento giusto per uscire allo scoperto. Dietro di lui, altre ombre si nascondevano nell’oscurità. Ombre scure, minacciose.
Edward! urlai, sperando che mi sentisse Edward sono qui! Sono viva! ma era tutto vano. Schizzai in avanti, attraversando la fontana. Sentivo l’acqua fredda inzupparmi le scarpe e il bordo dei jeans. Non mi importava.
Edward, no! doveva sentirmi. Invece niente…
Un altro rintocco, il penultimo. Ed io ero troppo lontana.
Chi era al telefono? domandai a Jacob.
È sempre in mezzo. sibilò, mentre il suo corpo veniva scosso da spasmi.
Ma chi era?
Bella, era Edward! disse Alice, disperata, entrando in cucina Pensa che tu sia morta.
Cosa!?
Sta andando dai Volturi… Vuole morire anche lui.
No! Non l’avrei mai permesso. Non potevo permetterlo. Perché se Edward fosse morto, io sarei morta con lui. L’ultimo rintocco mi fece gelare il sangue.
NO! urlai, ma fu tutto inutile. Edward scoprì i canini, tentando di gettarsi sulla piazza gremita di gente. Ma non fece in tempo. Due enormi mani bianche, ancora più pallide delle sue, gli afferrarono le spalle. Vidi il corpo di Edward venire fatto a brandelli, pezzo dopo pezzo. E poi più nulla.
Non proseguii oltre. Caddi in ginocchio a pochi metri dal punto in cui Edward si trovava qualche istante prima. Era la fine, pensai, la fine di tutto.


Eccoci qui! Spero che questo piccolo prologo vi abbia incuriosite un pò. Come avrete potuto leggere, ricorda un pò la prefazione di New Moon, ma i fatti e la conclusione sono parecchio differenti. Tutto si svolge secondo le dritte della Meyer: Isabella Swan si trasferisce a Forks, incontra Edward Cullen, scopre che è un vampiro, si innamorano e devono affrontare i pericoli che questo sentimento comporta. Arrivano James, Laurent e Victoria, scappano e tutto il resto, fino a quando Jasper - durante il suo diciottesimo compleanno - non tenta di attacarla. Edward commette la stessa scelta idiota e lascia Bella, perchè questa possa avere una vita normale... Rosalie avverte Edward che Bella è morta, il vampiro - lacerato dalla perdita - chiede ai Volturi di ucciderlo, ma Aro dice no, così decide di attaccare la folla a mezzogiorno affinché abbiamo un motivo per eliminarlo. Bella, questa volta, non arriva in tempo.
Il prossimo capitolo, cioè il PRIMO CAPITOLO, verrà postato Venerdì 2 Settembre, così da potervi fare un'idea maggiore della storia :)

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Capitolo 2
*** Primo Capitolo. ***


Buon pomeriggio a tutti! Eccomi qui con il primo capitolo di questa piccola storia :) non so bene quanti capitoli posterò, forse una decina, ma non sarà una vera e proprio long. Questo per il semplice fatto ne ho già due long in corso, una nella sezione Originale/Fatnasy e l'altra qui, nel fandom di Twilight.
Prima di lasciarvi alla lettura ci tengo a fare pubblicamente le CONGRATULAZIONI ad una mia lettrice ma anche, e soprattutto, amica! Monica, per te questa giornata è bellissima, goditela! Tesoro, ti voglio benissimo <3 anche alla piccola Viola *-*
Adesso vi saluto, ci si legge in fondo! Buona lettura!


Primo Capitolo

« L'odio è cieco, la collera sorda.
E colui che vi mesce la vendetta, corre pericolo di bere una bevanda amara. »
Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo.


Inghilterra. Londra per l’esattezza.
Il quartiere di Kensington – uno dei più prestigiosi e lussuosi del capoluogo Britannico – era diventato il nostro nuovo indirizzo. Almeno per qualche tempo.
Allora Alice? domandò Jasper, appena rientrato dalla caccia ― Ci sono novità?
Ancora no. rispose sua moglie. Era sul divano a sfogliare – svogliatamente – qualche rivista di moda. Tutti i Cullen era cambiati molto negli ultimi anni – cento, per essere precisi. Carlisle ricopriva sempre incarichi di prestigio nei diversi ospedali che lo ospitavano, passando più tempo altrove che in famiglia. Esme, pur continuando a serbare quel senso materno che la distingueva, era più chiusa. Più triste. Emmett, nonostante tentasse di scherzare – come una volta – aveva perso il suo humor. Rosalie, la bellissima e vanitosa Rosalie, era completamente un’altra persona. Mi voleva bene. Davvero. Senza trabocchetti e senza inganni. Era per lei – soprattutto – per quello che mi aveva detto subito dopo la trasformazione, quando capii quello che ero diventata, che ero ancora “viva”. Jasper era sempre il solito. Tranquillo, posato – forse più del normale. Ma quella che stava peggio – forse quasi quanto me – era Alice. Era lei che, anche – e soprattutto – per colpa mia, aveva passato dei momenti infernali. Ricordavo ancora quel giorno…

Il senso di intorpidimento era passato. Erano giorni, forse mesi o perfino anni, che soffrivo. Era un dolore lacerante. Lo sentivo nelle vene, nel cervello. Lo percepivo nel cuore. Quel cuore spezzato dalla sua perdita, dalla sua morte.
Si sta svegliando. disse Alice. O almeno credevo. Era una voce così squillante e melodiosa – non che la sua non lo fosse – ma questa era più limpida, più acuta.
Bells… chiamò mio padre, Charlie ― È normale che non si svegli? domandò a qualcuno.
Credo si stia solo abituando ai rumori, agli odori… rispose Carlisle.
Caro, credi sia opportuno per Charlie rimanere? chiese Esme.
Io resto. Punto.
In caso ci siamo noi. disse quella che somigliava così tanto alla voce di Emmett.
Bella, apri gli occhi. mi incitò Alice È ora.
Non ci pensai due volte e spalancai gli occhi. Non avevo idea di dove mi trovassi. Sentivo di tutto. Il rumore della stoffa della camicia di Charlie che si strusciava contro la sua pelle, gli animali – non so di quale tipo – zampettare sotto le assi di legno del parquet, il grattarsi degli uccelli – fuori, sopra gli alberi. Richiusi di scatto gli occhi. La luce era abbagliante! Sentivo la gola in fiamme… Avevo
sete. Sentivo attorno a me odori nuovi, mai conosciuti prima. Era troppo.
Cosa mi è successo? chiesi, ma restai impietrita dalla mai stessa voce. Era musica…
Bella, tesoro, ascoltami bene… cominciò Alice, prendendo le mie mani tra le sue, non più gelide Non odiarm,i ti prego. Non potevo perdere anche te… fu allora che ricordai tutto. La stremante corsa – inutile – per salvare la vita di Edward, il ritorno a Forks, la depressione – vera e bruciante – e, infine, il tentato suicidio con i sonniferi.
Tu… non riuscivo a parlare Tu mi hai salvata. Tu mi hai trasformata! ringhiai, scagliandomi contro quella che, un tempo, era stata la mia migliore amica.
Come hai potuto? Come?! la gola mi bruciava. Come aveva potuto farlo? Io volevo l’eternità per stare con Edward, ma se lui era morto cosa me ne facevo?
Con che coraggio lo hai fatto? ero furibonda. Percepii le mani di qualcuno cercare di trattenermi, ma lo scaraventai lontano da me. Rompendo un muro.
Bella… Ti prego… disse Alice, tentando di togliersi le mie mani dal suo collo.
TI ODIO! urlai, con rabbia cieca Non ne avevi il diritto! Tu non ne avevi il diritto!

Per anni ignorai Alice. Odiandola, fino alla punta dei capelli. Odiandola, con ogni fibra del mio essere. Ma poi capii. Lei – forse – mi aveva fatto un favore. Mi aveva donato quello che, da umana, non avevo: potere, forza. Capacità abbastanza forti per vendicarmi. Era quella l’unica cosa che mi spingeva ad andare a caccia – per non morire di fame – per fingere un’età non mia, per andare a scuola… La vendetta. Quella con la V maiuscola. Alice, involontariamente, mi aveva dato l’opportunità di liberare il mondo dalla casata reale più antica e potente mai esistita: quella dei Volturi.
Ragazzi, siete già andati a fare un sopraluogo alla London High? domandò Esme, scendendo dal piano di sopra.
Io sono andato. rispose Emmett ― È squallida! Cioè proprio orribile.
Il mio maritino non apprezza la nuova scuola? lo prese in giro Rose, dandogli teneri colpi sotto il mento. Emmett, di tutta risposta, le cinse la vita, baciandola. Voltai lo sguardo, come facevo sempre. Vedere la gente felice – anche se si trattava dei miei fratelli – era lacerante. Vedere le coppie baciarsi era doloroso. Il mio cuore, ormai muto, non avrebbe retto ancora a lungo. Ma dovevo resistere, andare avanti. Per Edward. Per vendicare la sua morte – la mia morte – e liberare il mondo da creature tanto spregevoli e meschine.
Bella, hai lo scudo alzato? mi domandò Alice. Mi voltai verso di lei e abbassai lo scudo. Quello era il mio dono da vampira, era per quello che Edward non era mai riuscito a leggermi nella mente.
Sì, scusa. Non me n’ero accorta. mentii. Non volevo che Alice avesse visioni su di me – almeno quando mi fermavo a riflettere sulla mia decisione. Ne sarebbe rimasta sconvolta e con lei, ne ero sicura, tutta la famiglia. Mi avrebbero fermata – legandomi, perfino, in una cantina – affinché quell’idea malsana mi fosse passata. Volevo bene ai Cullen. Erano da sempre la mia famiglia, e quando Charlie – dopo Renée – morì, Carlisle ed Esme, si erano dimostrati i genitori migliori del mondo. Ma io non volevo vivere in eterno senza il mio cuore, senza la mia anima. Senza il mio amore. Avrei fermato i Volturi, dopodiché mi sarei data fuoco.

Eccoci finalmente arrivati alla famigerata London High School. L’edificio non era male, ma non era neppure spettacolare. Un enorme stabile fatto di mattoni di colore marrone chiaro, posto – da quello che capivo – su un unico, immenso, piano. Ma forse mi sbagliavo e quella era solo la facciata. Ci sperai.
Ok Emmett. disse Jazz Avevi ragione.
Visto? Non mi credete mai.
Io vorrei ancora capire per quale motivo siamo qui. disse Rose ― Non stavamo bene in Alaska? Perché abbiamo dovuto approdare in questa scuola? Non avevamo finito di fare i giochetti? Niente più finti liceali, niente più maschere o coperture.
Siamo qui a causa della visione di Alice. le risposi, senza staccare gli occhi da quell’edificio.
Non cominciate. rispose quest’ultima ― Io vi ho solo riferito quello che ho visto. L’idea di venire qui è stata di Carlisle ed Esme.
Non abbiamo mai ignorato le tue visioni, Alice. disse Rose, cingendole le spalle ― Perciò d’accordo. Proviamo e vediamo cosa ne viene fuori.
Grazie mille, fratelli.
Allora entriamo? chiesi, impaziente che quella pagliacciata iniziasse. Ma soprattutto, che finisse.
Certo! risposero in coro. Notai le loro mani intrecciate e tentai di mantenere il contegno. Avevo una strana sensazione addosso, non riuscivo a capirla. Ero irrequieta, ansiosa. Ma non sapevo il perché. Non era la prima volta che mi fingevo un’adolescente al penultimo anno di liceo. Da quando ero un vampiro avevo preso già dieci diplomi e tre lauree. Decidemmo di smettere – e ritirarci in Alaska, dove io avrei messo a punto il mio piano – qualche decennio fa.
Troppo presa dai miei pensieri, non mi accorsi dell’umana che mi si schiantò addosso.
Ahia! urlò, cadendo a terra di sedere ― Ma di cosa sei fatta, cemento?
Ehm scusami, non ti avevo vista. dissi, cercando di eludere la sua domanda Tutto apposto? le chiesi, recuperando i suoi appunti. L’anno era già cominciato. Ci trovavamo a Novembre.
Sì, grazie. rispose la ragazza ― È stata colpa mia, ero di fretta. a prima vista sembrava una persona molto semplice. Carnagione chiara, capelli lunghi – lisci – castano scuro, occhi dello stesso colore.
Tieni. le dissi, porgendole il suo materiale ― E non scusarti. Avrei dovuto sentirti o perlomeno vederti arrivare. le sorrisi ― Io sono Isabella Cullen.
Piacere mio, Isabella! rispose ― Il mio nome è Lidia. Lidia Winston.
Molto piacere.
Siete i nuovi arrivati, giusto? domandò Lidia, notando i miei fratelli.
Esatto. rispose Alice
Io sono Rosalie, lei è Alice Cullen.
E loro sono Jasper ed Emmett Cullen. conclusi io, indicandoli. Emmett fecce un cenno con la mano, mentre Jasper ricambiò il saluto in modo formale, facendo un piccolo cenno col capo.
Siete tutti fratelli? domandò Lidia, annuii. La campanella interruppe la nostra breve presentazione e la giovane corse via.
Scusate, non posso arrivare in ritardo o Eric mi ammazzerà! urlò, mentre correva all’ingresso scolastico ― Ci si vede in giro! Ah e benvenuti a Londra!
Quella ragazza mi stava già simpatica. Forse perché la sua goffaggine mi ricordava me. Una me diversa, la me umana.
Andiamo anche noi? mi chiese Jasper, notando – probabilmente – le mie emozioni stralunate. Annuii decisa, o per lo meno, glielo feci credere.
Più ci addentravamo in quell’edificio e più il senso di inquietudine si faceva strada lungo la mia gelida schiena. Non sapevo se esistesse davvero un Paradiso o un Inferno. Non sapevo più neppure se esistesse un Dio. L’unica mia certezza, al momento, era che la scuola era una prigione. Quel posto – da quando divenni vampira – si era trasformato in un Purgatorio. Il mio Purgatorio personale.

Ecco qui il primo capitolo di questa storia, allora cosa ve ne pare? Alice ha trasformato Isabella perchè non voleva perdere anche lei, il suo gesto è stato puramente egoistico, ma chi può biasimarla? Ha perso suo fratello e poche settimane dopo stava per perdere anche sua sorella, la sua migliore amica. Bella, dal canto suo, ha passato grandissima parte della sua nuova esistenza a odiare Alice, ma poi le è passata. Ha trovato nel suo gesto una macabra poesia: la vendetta. Ma porterà a termine questo pensiero? Davvero Bella ucciderà i Volturi e poi si darà fuoco, per tornare insieme al suo amato Edward? Lei pensa di sì, ma il destino è sempre dietro l'angolo...

Un bacione a tutti, e alla prossima! :)

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Capitolo 3
*** Secondo Capitolo. ***


Ciao a tutti, buon pomeriggio! Eccomi con il secondo capitolo di questa piccola storia. Non so bene quanti capitoli avrà, non molti, ma appena ne sarò a conoscenza ve lo comunicherò :) 

Adesso vi lascio alla lettura! Ma se vi va di dare un'occhiata a queste altre mie storie ne sarei felice!
Buona lettura, ci si legge in fondo ;)


Secondo Capitolo

« Un palazzo viene dato alle fiamme, tutto quello che ne rimane è cenere.
Prima pensavo che questo valesse per ogni cosa: famiglie, amici, sentimenti.
Ora so che a volte, se l'amore è vero amore, niente può separare due persone fatte per stare insieme. »
Sarah - Il corvo (1994)

Ore noiose. Argomenti noiosi. Professori identici. I compagni – nonostante avessi cambiato diversi stati, città, nonostante fossero cambiati i tempi – erano sempre patetici. Ragazzine che, solo perché erano più belle o popolari di altre, erano convinte di avere il diritto di padroneggiare nella scuola. Ragazzi che, fingendo di essere maturi, calpestavano chiunque sbarrasse loro la strada. Solo gli atleti o i bellocci avevano il diritto di godere di rispetto, fama e popolarità gratuita. Patetici.
Mi stavo dirigendo all’ora di Letteratura. Camminavo nei lunghi corridoi decida, sicura di me. Odiavo gli sguardi libidinosi dei ragazzi e detestavo – di gran lunga – quelli invidiosi delle ragazze. Non era colpa mia se ero attraente e perfetta. E non ero interessata a niente, ma – soprattutto – a nessuno.
Accelerai il passo, entrando – senza guardare – nell’aula. Percepii qualcuno venirmi addosso, così mi scansai per evitare che si facesse male.
Scusa! dicemmo entrambe. Non ci potevo credere. Di nuovo?
Lidia? domandai ― Ti chiami Lidia, vero?
Sì. rispose, trattenendo al petto i suoi libri ― Oggi sono davvero una pasticciona. Ti chiedo scusa. Credo che dovremmo smetterla di incontrarci così sorrisi. Quella ragazza sembrava proprio una brava persona. Erano anni che non ne incontravo. Non che avessi problemi col sangue umano, anzi. Per me – a differenza di tutti gli altri – non era mai stato un problema. Riuscii a stare vicina a mio padre, a mia madre, perfino a persone mai incontrate prima, da subito. Senza il desiderio incontrollabile di staccargli la gola, per soddisfare la mia voglia. Il sangue animale colmava la mia sete, senza che ne desiderassi altro. Sapevo controllarmi.
Non ti preoccupare. le dissi ― Forse non ci crederai, ma fino a qualche anno fa ero la persona più goffa del mondo. Inciampavo nei miei stessi piedi!
È una cosa che mi succede spesso. ammise Lidia, le sorrisi ― E poi come hai fatto a diventare così sicura di te? Sinceramente non mi sembri una persona ehm goffa… Anzi, tutto il contrario sono morta. E la mia migliore amica mi ha trasformata in un vampiro contro la mia volontà… No, ovviamente non potevo dirle una cosa del genere.
Non saprei. risposi ― Saranno stati gli anni di danza forzata, imposti da mia madre. non era proprio una bugia ― Fatto sta che il mio equilibrio è migliorato. conclusi, prendendo posto all’ultimo banco, accanto alla finestra.
Ti dispiace se mi siedo con te? chiese Lidia.
No, tutto il contrario. risposi, sorridendo ― Mi sembri una ragazza socievole. Sei un tipo apposto.
Grazie. sussurrò. La scrutai un po’. Era molto timida, probabilmente poco sicura di sé. Ma davvero molto carina.
Posso farti una domanda? osai, non rispose ma annuì ― Non hai molti amici, vero?
Cosa te lo fa pensare?
Tutto e niente. ammisi ― Solo che questa non mi sembra la classica scuola dove l’arrivo di studenti nuovi faccia chissà quale scalpore. Curiosità sì, forse. Ma troppo rumore no. Inoltre non mi sembri una ragazza che ama i pettegolezzi, non so come spiegartelo, ma sembra che tu ti sia avvicinata a me più per stringere amicizia piuttosto che per farti i fatti miei.
Hai occhio. rispose, forzando un sorriso ― Non ho molti amici, anzi, non ne ho praticamente nessuno. Eccetto Eric. sorrise davvero, pronunciando quel nome ― Lui è diverso dagli altri. Non ti guarda dall’alto in basso. È un tipo apposto, uno ok. Lo conosco fin da quando sono piccola, andavamo all’asilo insieme. Siamo anche vicini di casa. Lui mi protegge da chiunque, si è messo anche in grossi guai per me.
Sembrate molto uniti. dissi, stritolando gli angoli del tavolo. I ricordi di un passato troppo remoto si scontrarono con il presente. I ricordi di un altro ragazzo che avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di tenermi al sicuro.
― S
tate insieme? provai a chiedere.
Cosa? domandò, voltandosi di scatto ― No, no. Assolutamente no! Eric è un ragazzo molto carino, ma cosa dico? È proprio bellissimo, ma no… Non è il mio tipo. Inoltre ci sono molte cose che non si possono sapere o… capire di Eric. È un ragazzo particolare, lo è sempre stato, ma è come un fratello per me. Un fratello maggiore. leggevo sincerità nel suo sguardo e nella sua voce.
Bene ragazzi… disse, entrando, la professoressa ― Salutiamo la nuova arrivata, la signorina Cullen. Io sono la professoressa Lenz, insegno Letteratura e Storia contemporanea. Spero di trovarmi bene con lei e i suoi fratelli.
Lo spero anche io, signora Lenz. risposi sorridendole.
Detto questo, aprite il libro a pagina 128… disse con sicurezza. Lo feci, ma la mia attenzione fu catturata dal cielo grigio della città. Passai tutta l’ora a guardare fuori, rispondendo – quando capitava – per inerzia alle domande che la professoressa Lenz mi poneva. Lo studio era diventato noioso, monotono.
Quando la campanella suonò, memorizzai le pagine per la relazione e mi avviai all’ora più insopportabile di tutte: la pausa pranzo.
Vuoi unirti a me e i miei fratelli per pranzo? domandai per gentilezza, sperando rifiutasse. Non perché non mi stesse simpatica o altro, piuttosto per il fatto che sarebbe stato complicato spiegarle il motivo per cui non toccavamo cibo.
No, grazie comunque Isabella. disse.
Come vuoi. risposi ― Se cambi idea…
Grazie mille, ma credo che andrò in palestra da Eric. spiegò Ci si vede! azzardò, salutandomi con la mano. Ricambiai il gesto e mi diressi in mensa.
Erano già tutti lì. Rosalie giocherellava con una mela, Emmett con delle patatine, Alice si stava accanendo su una povera e innocente insalata, così come Jasper.
Ehi! dissi, prendendo posto. Il tavolo che avevano scelto era in disparte, accanto alla vetrata che dava sul cortile interno della scuola.
Ciao Bella. mi salutò Rose ― Com’è andata?
Non ti stuferai mai di fare questa domanda, tesoro? le domandò Emmett.
Sì, scusate. rispose lei ― È solo che non mi sembra vero che siano già passati cento anni. il silenzio piombò sul tavolo. La forchetta di Alice si immobilizzò all’istante. Nessuno aveva superato la perdita di Edward. Nessuno avrebbe mai potuto superarla.
Scusate. disse Rose, alzandosi di scatto ― Oggi non ne dico una giusta. Andrò fuori a prendere un po’ d’aria. ci informò, dirigendosi a velocità umana fuori da quella sala. Emmett la seguì. Sbuffai, cominciando a bucherellare con le dita la meta che mia sorella aveva lasciato sul tavolo.
Rosalie si sentiva terribilmente in colpa per quello che era successo a Edward. Era stata lei, infatti, a chiamarlo. Comunicandogli, così, la mia morte. Non aveva aspettato che Alice – tornata a Forks – le dicesse qualcosa. Non le andavo molto a genio, almeno all’epoca. Aveva contattato Edward credendo che, con la mia morte, lui avrebbe smesso di torturarsi e sarebbe stato in grado di riprendere in mano le redini della sua esistenza. Quello che Rosalie ignorava – o che, forse, aveva volutamente ignorato – era che Edward, senza di me, sarebbe andato a Volterra, per cercare la morte. Tutto un grosso equivoco, che si trasformò in tragedia.
Io non capisco! disse, a voce un po’ troppo alta, Alice.
Amore calmati… cercò di tranquillizzarla Jasper
E come faccio? Stavamo bene – o quasi – in Alaska e poi cosa succede? Io ho quella stupida visione ed eccoci qui!
Non è colpa tua, Alice. dissi, cercando di farla ragione anche se sapevo che era impossibile. Negli ultimi cento anni riusciva a darsi la colpa di tutto. Per qualsiasi cosa succedesse nella nostra famiglia. Vergognandomene dovetti ammettere che avevo contribuito anche io a quello sfacelo.
Hai visto altro? chiese Jazz
No. rispose lei, secca ― Sempre la stessa cosa: questa scuola – anche se nella mia visione sembrava megliore – una macchina nera e una mano, maschile, che giocherella con un mazzo di chiavi. Tutto qui.
Non è mai migliorata? domandai, ma ero già a conoscenza della risposta.
No, mai. rispose ― Al massimo peggiora. restammo in silenzio qualche minuto, giusto il tempo per notare che tutta la sala ci lanciava sguardi di ogni tipo: curiosità, invidia, rabbia, piacere, simpatia, odio. Sempre la stessa storia.
Che lezioni hai avuto? mi domandò Jasper. Risposi, cercando di aiutarlo a cambiare argomento. E ci riuscii. Alice si tranquillizzò un po’ – grazie anche al ritorno di Rosalie ed Emmett – e riuscimmo a sembrare una famiglia normale, ma soprattutto, senza problemi.

Anche le lezioni pomeridiane erano giunte, finalmente, al termine. Ci trovavamo nel parcheggio esterno della scuola accanto all’auto – un’Audi Q7 bianca ghiaccio – di Emmett, ad aspettare che Alice e Rose arrivassero.
Che lezioni avevano? sbuffai, non potevano trattenerle già il primo giorno. Che diamine!
Spagnolo. mi informò Jasper
Io l’ho avuto questa mattina. mi avvisò Emmett Se il professore è lo stesso, addio. Mi ha fatto arrivare in ritardo alla lezione successiva.
Fantastico. dissi, in tono ironico.
Notai qualcuno uscire dall’ingresso posteriore. Era Lidia. Mi salutò, sventolando una mano e feci lo stesso.
Ti sei fatta un’amica? stuzzicò Emmett
Forse. risposi, sistemandomi la giacca scura.
Come sei logorroica, Bella. si lamentò l’orso. Sorrisi e gli diedi una gomitata sui fianchi. Lui si scostò dall’auto e cominciò a giocare con me. Quello era uno dei pochi momenti in cui mi divertivo davvero.
Eccole! disse Jazz, ma Emmett non mi lasciò andare. Mi aveva immobilizzata, bloccandomi le braccia dietro la schiena.
Voi sempre a fare i bambini, vero? chiese, in modo scherzoso, Rose.
Oddio! disse Alice, sembrava spiritata.
Che succede? la affiancai. Non rispose, alzò una mano indicando qualcosa. O qualcuno. Guardammo tutti in quella direzione.
Accanto a Lidia c’era un ragazzo, di spalle. Indossava un giacchetto di jeans – piuttosto pesante – nero, come i pantaloni. Portava gli occhiali da sole – anche se non ve n’era nemmeno un raggio in cielo. Ma la cosa che mi gelò, immobilizzandomi sul posto, furono i suoi capelli: bronzei, scompigliati.
Eric, piantala di fare il coglione! Dammi la Pepsi che ho sete. disse Lidia
Coglione? Bene, bene. Te la sei giocata. rispose il ragazzo, aprì la lattina e bevve. Quella voce, pensai, la sua voce… Ma è impossibile, non può essere vero. Eppure lo avrei voluto più di ogni altra cosa al mondo. Restai allibita a guardare la scena. Il ragazzo, Eric, tirò fuori un mazzo di chiavi – con un portachiavi del Big Ben – e si avvicinò ad una Bmw Z4 Roadster nera – tirata a lucido. Salì, seguito a ruota da Lidia, mise in moto e sfrecciò via.
Edward… dissi, completamente gelata sul posto.
È impossibile. sussurrò Emmett.
― È umano. ― disse Rosalie, appropriandosi di tutta la nostra attenzione.

Tadadadà ù.ù e anche Eric è uscito allo scoperto! Capelli bronzei, occhiali da sole... Vi ricorda qualcuno? Si è scoperto anche cosa ha visto Alice, il motivo per cui i Cullen hanno dovuto lasciare la loro vita altrove e trasferirsi a Londra. Il motivo era Eric Hunter. Ma la domanda ora è: i Cullen stanno prendendo un abbaglio? Eric e Edward sono soltando identici o vi è dell'altro dietro? I vampiri pensano che loro non abbiano anima, ma se così è com'è possibile che Eric sia uguale a Edward? Lidia, quando ne parla a Bella, dice che è un ragazzo diverso, particolare. Ma perchè? Beh, per scoprirlo dovrete solo continuare a leggere...


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Capitolo 4
*** Terzo Capitolo. ***


Buon pomeriggio! Lo so, sono leggermente in ritardo, ma ho fatto un doppio turno a lavoro! Scusatemi XD
Se per caso ci sono errori nel testo, perdonatemi! Lo avevo riletto qualche giorno fa, ma solitamente lo rileggo prima di postare, ma sono di fretta oggi. Poi più avanti lo correggo, ma se trovate qualche errore di battitura avvisatemi, ok? Grazie, vi adoro! <3
Ora bando alle ciance! Vi lascio al capitolo, buona lettura!


Terzo Capitolo

« Allora, dimmi quando il mio silenzio è finito.
Tu sei la ragione per cui resto vicino.
Dimmi quando mi senti cadere.
C’è una possibilità che non avrei mostrato. »
Possibility – traduzione di Lykke Li.

Non potevo crederci. Non riuscivo a crederci. Erano settimane che, senza farci beccare, osservavamo da lontano il ragazzo dai capelli bronzei, dagli occhi verdi come smeraldi, dai modi piuttosto da bulletto… insomma, Eric Hunter.
Facevo ben attenzione a non incrociarlo per i corridoio o rimanere da sola con lui. In primis, la somiglianza con Edward era inquietante. In secundis, non riuscivo a credere che potesse essere realmente Edward. Il mio Edward. Che diavolo! Si era sempre opposto alla mia trasformazione perché, a detta sua, i vampiri non avevano anima. E adesso? Io lo avevo visto morire a Volterra, per mano di Felix. Io, dopo essermi ripresa dallo shock, avevo visto il suo corpo venire dato alle fiamme – da Jane e suo fratello, Alec. Era impossibile che quel ragazzo – così dannatamente somigliante al mio ragazzo – fosse la quella stessa persona.
Eppure c’era qualcosa che mi diceva tutto il contrario. Qualcosa che mi spingeva, veramente, a credere che Eric, in realtà, fosse proprio Edward. Perfino Rosalie sosteneva questa assurda, e al quanto fantascientifica, teoria.
― Ha il suo odore. ― aveva detto la vampira bionda, subito dopo il rientro a casa. Dopo averlo visto in quel dannato parcheggio, la prima volta.
― Rosalie ha ragione. ― si era intromesso Jasper ― L’odore è diverso, perché è umano, ma la fragranza è quella di Edward.
Mi sentivo inutile e, per la prima volta dopo più di cento anni, impotente.
Non ero una vampira quando stavo con Edward, perciò non conoscevo il suo odore. O meglio, sì lo conoscevo, ma non appieno. Era solo il debole ricordo di una stupida ragazzina umana. Mio Dio, che nervoso!
Senza rendermene conto, sbattei a terra il tavolo del salotto. Rompendolo.
― Bella! ― urlò Esme, con tono di rimprovero. Se avessi potuto, sarei arrossita.
― Scusa Esme. ― risposi, mordicchiandomi il labbro inferiore. Quella era l’unica abitudine umana che non avevo perso, o dimenticato. I miei ricordi, i miei vecchi ricordi, svanivano ogni decennio che passava. Rammentavo ancora mio padre o mia madre – quelli veri – ma molte cose si dissolvevano col tempo. Il calore dei loro abbracci, il loro odore, il colore dei loro occhi, oppure – la cosa che più rattristava – i momenti passati insieme. La mia mente aveva fatto uno sforzo tremendo per tenere vivido il ricordo di Edward. Tutto il resto, purtroppo, era andato in secondo piano. Avevo fatto una scelta, ora dovevo pagarne le conseguenze.
― Bambina mia, so che per te deve essere dura tutta questa situazione. ― disse, cingendomi le spalle e facendomi accomodare con lei sul divano ― Ma devi cercare di essere lucida, la rabbia non serve a nulla. Andremo a fondo di questa faccenda, te lo prometto. Ma devi cercare di controllare i tuoi istinti, Bella.
― Lo so. ― risposi, tremante. Quanta voglia che avevo di piangere… ― È solo che è difficile. ― ammisi, per la prima volta anche a me stessa ― Credevo di averlo perso, Esme. Ho passato cento anni a ricostruire una vita, senza di lui. A pensare a… a quello che avrei dovuto fare, ora che lui non c’era più. E poi? Dopo tanta fatica, dopo tanto tempo speso a trovare una motivazione per vivere, se è così che si può chiamare questa esistenza, compare questo ragazzino!
― Tu non credi che possa essere mio figlio, vero?
― Io non so cosa pensare. ― dissi ― Ha tutto di Edward. I lineamenti – meno marcati di quelli di un tempo, però – la sua voce, gli occhi… quelli sono suoi, anche se di un colore diverso rispetto a quelli che ricordavo.
― Quando era umano, Edward aveva gli occhi di un verde intenso.
― Eric ha gli occhi di un verde molto intenso. ― ammisi, abbassando lo sguardo.
― Ascoltami bene, piccina. ― disse Esme, prendendo le mie mani tra le sue ― Io credo nei miracoli. Lo so, forse è sciocco per una vampira dire una cosa del genere, ma ci credo. Nonostante tutte le cose orribili che questo mondo ci mostra, ve ne sono molte altre che hanno del miracoloso. La magia esiste ovunque, Bella. In un sorriso, nel sole che splende ogni mattina, nella luna che sorge ogni sera… Tutto è magico. Tutto è possibile. Siamo noi a credere che le cose siano impossibili, capisci? Ascolta il tuo cuore, Isabella. Lui ti dirà ciò che vuoi sapere. ― l’abbracciai di slancio, stringendola forte a me.
― Grazie, mamma. ― sussurrai quella parole come se fosse stato un bene prezioso. Erano rare le occasioni in cui chiamavo Esme in quel modo, ma quando lo facevo sapevo di donarle una gioia immensa.
― Non devi ringraziarmi, figlia mia. ― rispose, alzandosi dal divano mentre mi accarezzava una guancia ― Ora però metti tutto in ordine, intesi? Io vado a caccia. Quando torno voglio trovato il soggiorno pulito e un nuovo tavolo montato, con sopra lo stesso vaso di fiori che era su quello vecchio. ― sorrise beffarda e uscì con Carlisle. Fantastico, pensai, dove diavolo lo trovo un tavolo identico a quello che ho appena distrutto alle quattro di mattina? Sbuffai, ma in fin dei conti Esme merita il suo tavolo.

Erano quasi le otto di mattina quando finii di montare il tavolo in legno, di forma ovale, che avevo miracolosamente trovato in un negozio di antiquariato aperto ventiquattro ore su ventiquattro. L’oggetto non era per niente male: legno di quercia, laccato nero. Nel mezzo avevo messo un piccolo centro tavola, fatto all’uncinetto bianco, con sopra un vaso – largo e lungo, da una forma piuttosto curiosa – all’interno del quale un mazzo di girasoli faceva da padrone.
― Per la miseria, Bella! ― tuonò Alice, scendendo le scale ― Tra poco iniziano le lezioni e tu sei ancora in… ma quella è una tuta?
― Ho distrutto il tavolo del salotto, questa notte. ― risposi, senza smettere di sistemare ― Esme mi ha raccomandato di pulire di tutto, altrimenti sarei stata nei guai.
― Uh, mi ricordo quando Rosalie aveva rotto l’insalatiera! ― la prese in giro, Emmett. Ottenne, così, una gomitata nello stomaco.
― Io avrò anche rotto l’insalatiera, ma tu, mio caro, hai sempre distrutto parecchia roba mentre giocavi o correvi per casa come un bambino. ― ribatté la bionda.
― Non ha tutti i torti. ― disse, calmo, Jasper.
― Ehi, tu da che parte stai? ― domandò Emmett, puntando un dito contro Jasper.
― Da nessuna, fratello. ― rispose quest’ultimo ― Ma siamo in minoranza numerica. Quattro donne contro tre uomini, di cui uno è quasi sempre fuori. È meglio non farle arrabbiare, possono diventare molto sgradevoli.
― Secondo te, io potrei diventare molto sgradevole? ― piagnucolò Alice, facendo gli occhi da cucciola.
― No, tesoro. ― rispose Jazz ― Tu assolutamente no, sei la vampira più gradevole del mondo.
― Lecchino. ― lo stuzzicò Emmett, facendo scoppiare tutti a ridere.
Da quando Edward, o Eric, era entrato – se pur indirettamente – nelle nostre vite, era tornata un po’ di serenità famigliare.
― Bella, tu cosa fai? ― mi domandò Rosalie, poco dopo.
― Voi andate. ― risposi ― Io mi faccio una doccia, per togliere di dosso tutta questa roba, e poi prendo l’auto e vi raggiungo a scuola.
― Hai novità da Lidia? ― chiese Alice, titubante.
― Sì. ― risposi. Avevo avuto modo e tempo di conoscere di più quella simpatica ragazza dai capelli scuri. E la mia prima impressione non era affatto sbagliata. Lidia aveva avuto un’infanzia particolare. Era cresciuta con la nonna, dopo che suo padre impazzì. Picchiò lei e sua madre, numerose volte. Quest’ultima, troppo cieca e innamorata per capire quale fosse la cosa più giusta da fare, dopo anni trovò il coraggio di denunciarlo. Prima di venire arrestato, l’uomo picchiò sua moglie provocandole diversi problemi di salute. La madre di Lidia passò molto tempo in ospedale, così crebbe con la nonna materna. Eric era stato da sempre al suo fianco. Quando i bambini – alle elementari – la prendevano in giro a causa dei suoi occhiali da sole in inverno, o delle maniche lunghe in estate – non sapendo che quelle stranezze servivano a nascondere le percosse di un padre violento – lui li metteva tutti a posto. Era il suo cavaliere dall’armatura nera – a causa del suo abbigliamento sempre piuttosto scuro. Questo mi aveva detto lei. Non c’era, né mai c’era stata, nessuna implicazione sentimentale tra i due. Se Eric era realmente Edward, questo mi tranquillizzava non poco. Ma la vita di Eric Hunter non era tutta rose e fiori, anzi. Era il classico tipo che faceva a pugni, anche solo perché qualcuno gli sbarrava la strada. Non se la prendeva, però, con quelli più piccoli o più indifesi di lui. Non sarebbe giusto, non lotterei nemmeno ad armi pari. Era quello che le ripeteva sempre lui.
― È stato dentro. ― dissi tutto d’un fiato.
― Che cosa?! ― strillarono all’unisono i miei fratelli, fracassandomi i timpani.
― Come dentro? ― la voce di Emmett continuò le sue domande ― In galera? Cioè è stato in prigione? Perché?
― Rissa in un locale. ― risposi, voltandomi per fissarlo negli occhi ambra ― Un rave party, qualche mese fa. Lo aveva organizzato lui, in un edificio abbandonato in un quartiere di Londra. Il baccano era troppo assordante, così qualcuno ha chiamato la polizia. Quando le volanti sono arrivate, chiedendo chi lo avesse organizzato, hanno subito indicato Eric. Peccato che stesse facendo a botte, con una bottiglia di alcool in mano.
― Per la miseria! ― sbottò, sconcertato Jasper.
― Puoi dirlo forte, fratello. ― disse Emmett, con gli occhi sgranati.
― Non può essere Edward. ― sussurrò Rosalie, sgretolando ogni mia piccola illusione ― Andiamo, conosciamo tutti Edward! Credete veramente che, umano o meno, reincarnato o meno, rinato o no, sarebbe capace di una bravata simile?
― Noi non lo conoscevamo da umano, Rosalie. ― le fece notare Alice.
― Certo, è vero. Non lo conoscevamo, ma Carlisle ci ha parlato spesso della vita di Edward da umano e non era di certo così.
― Carlisle, ci ha parlato anche della sua vita poco dopo la trasformazione, Rosalie. ― disse Emmett ― Edward, non ha sempre avuto un passato roseo e tranquillo.
― Inoltre, quando era umano, erano altri tempi. ― puntualizzò, ancora una volta, il folletto ― Erano i primi del Novecento, Rosalie, ora siamo nell’era della tecnologia, dell’evoluzione dei computer. È ovvio che rinascendo in questo luogo, in questo tempo, sia diverso.
― Forse. O forse ci stiamo solo sbagliando.
― Ragazzi, muoviamoci o faremo tardi. ― si intromise Jasper, accarezzando il braccio di sua moglie. Alice voltò lo sguardo verso di me, annuii sorridendole.
― Andate. ― dissi ― Io arriverò un po’ più tardi, il tempo di prepararmi.
Mi salutarono tutti e andarono via. Sfrecciai – a velocità vampiresca – al piano di sopra, mi tuffai sotto la doccia gelida e mi vestii. Nulla di troppo sfacciato: jeans skinny a vita bassi, grigi, camicetta nera a maniche lunghe e il mio giubbetto di pelle, dello stesso colore della camicia. Misi le scarpe, non troppo alte, presi la borsa e afferrai le chiavi della mia macchina.
Ognuno di noi aveva un’auto propria, non si poteva mai sapere. Poteva servire averla. Io avevo conservato la Aston Martin di Edward, anche se non la guidavo mai – nessuno la guidava mai.
La mia era un piccolo gioiellino nero lucido, una Mercedes Guardian. Gli interni erano grigio perla, in pelle. Cinque posti, quattro porte. Vetri totalmente oscurati – come tutte le altre, del resto – doppio cambio differenziale a sette marce. Me l’aveva regalata Carlisle, un mese prima del nostro trasferimento a Londra.
Aprii con il telecomando la portiera ed entrai nel caldo e accogliente abitacolo. Accesi il motore – sentendolo ruggire – e accesi lo stereo. Ad attendermi, come ogni mattina, c’era Debussy, con Claire de Lune. I tempi cambiavano, ma non le nostre abitudini o le nostre passioni. Quella melodia, seguita dalla ninna nanna che Edward aveva composto per me, era la mia preferita. Era un filo, un legame, che mi collegava a lui. Mi resi conto che quando Eric aveva fatto la sua entrata in scena, senza nemmeno saperlo, la mia prospettiva di vendetta era passata in secondo piano. E come poteva essere altrimenti? Prima di tutto ero una donna, non una vendicatrice. Se Eric fosse risultato essere Edward ne sarei stata felice, piuttosto confusa, ma felice. E i Volturi… loro avrebbero comunque pagato. Cento anni di dolore, di angoscia, di vuoto, non si dimenticano così da un giorno all’altro. Aro, insieme a tutta la sua reale famiglia, avrebbe conosciuto la morte. Per mano mia.
Senza che me ne rendessi conto, ero giunta a scuola. Notai che il parcheggio accanto alla macchina di Emmett era vuoto, così posteggiai lì. Raccolsi in fretta tutta la mia roba e corsi, con un’andatura umana, fino all’entrata. Mi scontrai con qualcuno, però.
― Scusami, non ti ho vista entrare. ― restai immobile, a fissare due gemme verdi ― Ti sei fatta male? ― scossi la testa, facendo di no ― Meglio così. ― disse, scrollando le spalle. Mi superò, dirigendosi verso il parcheggio.
― Non vieni a lezione? ― domandai, notando il suo abbigliamento. Eric, indossava un paio di jeans stretti neri, una maglietta a maniche lunghe verde scuro e un chiodo nero. Ai piedi degli anfibi nel medesimo colore della giacca. Avevo notato che aveva il piercing sulla lingua, e uno sul sopracciglio destro – fortunatamente era un pallino molto piccolo, quasi non si notava. Gli donava, però.
― Non è evidente la risposta? ― rispose, voltandosi leggermente.
― Te ne stai andando?
― Tu cosa dici?
― Perché? ― tentai un approccio. Esme aveva detto di seguire il cuore, bene. Esso mi stava dicendo di provare a capire chi fosse davvero Eric Hunter.
― Non credo siano affari tuoi. ― rispose ― Tu sei Isabella Cullen, giusto?
― Bella basta.
― Bene, Bella… ― disse il mio nome in un tono strano, quasi con aria di scherno ― Tu sei molto amica di Lidia, dico bene? ― annuii, non capendo dove volesse arrivare ― Gli amici di Lidia sono anche miei amici, ma ciò non vuol dire che solo perché lei ti trova simpatica o si confida con te io, Eric Hunter, debba fare lo stesso.
Restai di sasso. Come riusciva a rispondermi in quel modo? Perché non restava folgorato dalla mia presenza? Cavolo, non ero mai stata così vanitosa. Ma tutti quelli che ci incontravano rimanevano ammaliati dalla nostra bellezza disumana. Tutti, tranne lui.
― Se ti stai chiedendo perché non mi inchino alla tua straordinaria bellezza, la risposta è molto semplice: non mi fermo a quello. ― disse, facendo un saluto col capo. Salì su una moto nera e sfrecciò via.
Restai lì, imbambolata come una povera deficiente, mentre una sensazione si faceva largo nel mio cuore e nella mia testa: Eric Hunter era Edward Cullen. O almeno, un tempo lo era stato. Era diverso, adesso. Ma questo non mi spaventava.

Il suono della campanella mi fece trasalire, così cominciai a correre per raggiungere l’aula di Biologia. Avevo ancora una possibilità per essere felice. Entrambi, forse, avevamo ancora una possibilità.

Ecco qui il capitolo, un pò in ritardo d'orario ma puntuale di giornata. Cosa ne pensate? Bella e Eric hanno parlato, anche se in un piccolo pezzetto, Eric Hunter, ha fatto finalmente il suo ingresso. Isabella si è convinta che Eric sia Edward, ma sarà vero? E se così fosse, com'è possibile? I vampiri non hanno anima, ha sempre detto Edward, perciò quando muoiono non tornano in vita. Ma sarà davvero così? Per scoprirlo dovete solo continuarmi a seguirmi... Al prossimo Venerdì! ;)

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Capitolo 5
*** Quarto Capitolo. ***


Buon pomeriggio a tutti! Come ve la passate? Io forse sto guarendo, uffy! Questa febbre non ci voleva prorpio :'(
Volevo solo dirvi una cosa - e poi vi lascio al capitolo - andando avanti con i capitoli sono giunta alla conclusione che la storia sarà formata da DIECI massimo DODICI CAPITOLO, esclusi prologo e epilogo. Nella scrittura sono più vanti rispetto ala pubbicazone, quindi so per certo che la storia non sarà lunghissima.
Detto questo vi lascio al capitolo :) ah un'ultima cosa! La frase della giornata non ha l'autore perchè non sono riuscita a trovarlo. Su Internet non mi da chi la scrisse, perciò ho messo solo la frasetta, se qualcuno di voi sa di chi che me lo dica pure! E adesso...
Buona lettura! :)


Quarto Capitolo

« I ricordi tengono unito
ciò che il destino ha diviso. »

Anche Dicembre era arrivato, e con esso la magia del Natale. Stava nevicando, oggi. Tutta Londra era illuminata da piccole luci colorate. Le strade, i negozi, la scuola… tutto urlava “Buon Natale”.
Mi trovavo sul dondolo del giardino di casa nostra. La mia nuova natura mi impediva di avere freddo, così potevo godermi quell’affascinante spettacolo. Era strano, quando ero umana tutto ciò che fosse umido e freddo mi dava i brividi. Adesso invece, preferivo questo tempo grigio ad un cielo limpido e azzurro.

― Allora, ti piace la pioggia? ― domandò Edward, cercando di fare conversazione. Era mancato da scuola una settimana intera, ero confusa. Non capivo perché la mia presenza lo avesse potuto infastidire tanto ― Che c’è? ― chiese, notando la mia espressione ambigua.
― Mi chiedi cosa penso del tempo?
― Ehm… sì…
― La pioggia non mi piace. ― risposi, rabbrividendo ― Tutto ciò che è freddo e bagnato proprio… ― lasciai cadere la frase, ma lo vidi ridere. I denti erano bianchissimi, perfetti. Come lui.
― E allora perché sei venuta nella città più piovosa d’America?
― Mia madre si è risposata, quindi…
― E cosa c’è? Non ti piace lui? ― azzardò, scrutandomi con quei suoi occhi d’ambra.
― No, Phil è uno carino.
La nostra breve chiacchierata fu interrotta dal professor Molina, che ci impartì le direttive per l’esperimento a coppie della giornata
.

Da quel giorno successero tante cose, troppe. Il furgoncino di Tayler slittare e venirmi addosso; il salvataggio repentino, e troppo azzardato, di Edward; le mie ricerche e i miei sospetti; la chiacchierata a Las Push con Jacob… Fu così che scoprii cosa fossero veramente i Cullen. Da lì nacque la nostra storia.
Una relazione abbastanza tortuosa, se pur vera. Edward aveva un problema viscerale col mio sangue. Ero la sua cantante, ci spiegò Carlisle. Il mio sangue cantava per lui, era fatto apposta per lui. Perché lui bevesse da me. Per questi motivi aveva sempre messo parecchie barriere tra noi due. Nessun contatto fisico troppo spinto, non contando i baci. Quelli, almeno, c’erano.
Maledissi per molto tempo il mio diciottesimo compleanno. L’ultimo, da umana. Era stato per colpa, della mia innaturale sbadataggine, se Jasper, dopo essermi tagliata un dito con la carta da regalo, aveva tentano di uccidermi. Quella mattina, fu l’ultimo giorno che Edward venne a scuola. L’ultimo giorno che la Forks High School vide i Cullen. L’ultima volta che la mia vita umana avesse un briciolo di senso.

― La tua nascita va assolutamente festeggiata. ― disse Edward, venendomi incontro. Era il 13 Settembre, il giorno del mio diciottesimo compleanno.
― Ma il mio invecchiare no.
― Il tuo invecchiare? ― domandò, alzando un sopracciglio e fece un risolino ― Diciotto anni non sono così tanti da doversi preoccupare.
― Sono un anno più vecchia di te. ― risposi, odiando quella verità. Edward non avrebbe mai compiuto diciotto anni. Mai.
― No, non è vero. ― sorrise sghembo ― Io ne ho già centonove.
― Beh forse allora non dovrei uscire con un uomo così vecchio. ― cominciai a prenderlo in giro ― È disgustoso dovrei provare repulsione. ― sghignazzò un “già” e mi zittì, posando le sue labbra fredde sulle mie
.

― Bella? ― la voce di Alice mi destò dai miei pensieri.
― Ciao Alice.
― Ti ho vista qui tutta sola… A cosa stavi pensando?
― A Edward. ― risposi, evitando il suo sguardo ambrato.
― Lo immaginavo. ― sospirò, prendendo posto accanto a me sul dondolo ― Vederlo a scuola è strano. Vederlo umano poi, è davvero assurdo.
― Ci ho parlato. ― ammesi, dopo qualche giorno che avevo tenuto il segreto per me. Ricordavo ancora il suo odore… sapeva di muschio bianco e menta piperita.
― Cosa? ― chiese Alice, con voce stridula ― Quando? Dove?
― Qualche giorno fa, fuori da scuola. Io stavo entrando e lui se ne stava andando.
― Marinava le lezioni? ― annuii, continuando a guardare lontano ― Ci hai parlato quella mattina che sei andata da sola, dico bene?
― Sì. ― risposi ― Ma la cosa strana è che non è come tutti gli altri ragazzi.
― Che vuoi dire? ― domandò lei, corrugando la fronte.
― La nostra bellezza non lo scalfisce.
― Cosa? Dici sul serio? Ma è impossibile!
― Ti dico che è possibile, invece. ― dissi, abbozzando un sorriso ― E ha ancora la sua capacità di lettore.
― Legge nella mente?
― No. Almeno, non come faceva prima. Ma basta che ti guardi in faccia e capisce cosa ti frulla in testa. ― spiegai, sentendola ridere.
― Sarebbe bello averlo ancora con noi. ― sussurrò, tristemente, il folletto. Le cinsi le spalle con un braccio.
― Lo riavremo, Alice. ― affermai sicura di me ― Non so ancora come, ma Edward Cullen tornerà a casa. Alla sua vera casa.

L’ultima settimana di scuola, prima delle feste di Natale, era cominciata. Il clima era sempre più rigido. Perfetto.
Attendevo al mio posto, in fondo all’aula, che Eric arrivasse. Avevo cambiato completamente il mio piano di studi, dopo che Alice si era informata su quello del ragazzo dai capelli bronzei. Anche gli altri avevano fatto lo stesso, dividendoci le lezioni. Non avremmo dato troppo nell’occhio, così.
― Ciao Bella! ― disse Lidia, accomodandosi accanto a me.
― Ciao Lidia, come stai? ― risposi, senza perdere d’occhio la porta.
― Stanca, ma bene. E tu?
― Molto bene, grazie. ― risposi, accennando un sorriso sincero ― Eric?
― Lo hai conosciuto? ― domandò lei ― Mi ha detto che avete scambiato quattro chiacchiera, qualche giorno fa.
― Sì, quattro è il numero giusto.
― Devi scusarlo. ― disse, e mi voltai a guardarla ― Eric sa essere piuttosto insopportabile. Se ha detto qualcosa di sbagliato o poco carino, ecco, mi scuso per lui. ― tentai di dirle che non doveva scusarsi, che Eric – come lo chiamavano tutti – non si era comportato male o altro, ma non feci in tempo.
― Perché dovresti scusarmi, Lidia?
― Eric! ― sussultò spaventata la mia amica. Mi irrigidii, non lo avevo sentito entrare. Ok, ero assorta nella conversazione, però…
― Allora, signorina? ― incalzò lui, alzando un sopracciglio.
― Sappiamo entrambi il tuo caratteraccio. ― rispose lei ― Perciò stavo dicendo a Bella che…
― Primo, io non ho affatto un caratteraccio! ― la interruppe lui ― E secondo, credo che la signorina Cullen sia in grado di curare i suoi interessi e capire da sé se mi sono comportato male o meno. Sbaglio?
― No, ma Lidia voleva solo essere gentile.
― Lidia è sempre gentile con tutti. ― disse, buttando lo zaino sul banco di fronte al nostro ― Ma nessuno è gentile con lei, eccetto il sottoscritto. Dovrebbe temprare un po’ di più il suo carattere.
― Quando la finirai con queste assurdità? ― domandò Lidia, visibilmente irritata.
― Quando la smetterai di farti mettere i piedi in testa.
Restai ammutolita per tutto il resto della conversazione. La loro intimità e unione era disarmante. Non avevo mai visto Edward essere così legato a qualcuno, togliendo di mezzo me, Alice e tutto il resto della sua famiglia. Feci un sospiro, era comprensibile. In questa vita Edward era umano, aveva vissuto da umano. Io conoscevo un Edward diverso, un Edward vampiro.
― Quanti anni hai, Eric? ― la domanda mi uscì dalle labbra, senza riflettere. Lui si voltò squadrandomi dall’alto in basso. Non sembrava avere diciassette anni, ne mostrava di più.
― Perché dovrei risponderti?
― Eric! ― urlò Lidia, tirandogli una matita in testa ― Devi scusarlo, è stato allevato da un branco di scimmie e ne ha acquisito i modi. ― Eric, le rilanciò l’oggetto fulminandola con lo sguardo. Mi scappò una risatina, erano innegabilmente buffi.
― Compio vent’anni tra qualche mese.
― Quindi hai diciannove anni. ― dissi. Era più grande dell’età che aveva quando morì di Spagnola, era anche più grande di me.
― Sai contare, signorina Cullen.
― Bella. ― lo corressi ― Il mio nome è Bella.
Tentò di controbattere, ma l’entrata della professoressa di Storia glielo impedì. Costringendo tutti noi a seguire la lezione.

Durante la pausa pranzo ero riuscita a convincere Lidia e mangiare con noi, portando anche Eric. Dire che i primi minuti furono imbarazzanti sarebbe dire poco. Rosalie e Jasper fissavano il ragazzo letteralmente a bocca aperta. Emmett faceva battutine veramente idiote e, per finire, Alice si era presa da subito una confidenza sconcertante.
― Io sono Alice! ― disse il folletto ― Mary Alice Brandon Cullen!
― E ci sta tutto questo popò di roba sulla carta d’identità? ― aveva chiesto Eric, visibilmente scosso da quell’interminabile presentazione. Emmett scoppiò a ridere, dandogli una pacca sulla spalla piuttosto potente. Lo fulminai con lo sguardo. Era forse impazzito?
― Siete tutti molto simpatici. ― disse Lidia, cercando di stemperare la tensione che si era venuta a creare.
― Grazie, lo sembri molto anche tu. ― rispose Rosalie, cercando di sorridere. Mia sorella non era cattiva, adesso lo capivo, era solo diffidente.
― Allora, Eric, cosa ci racconti? ― domandò Jasper.
― Abbiamo saputo che sei stato in galera! ― disse Emmett, facendo sputare la Pepsi a Lidia. Mi misi una mano sulla faccia. Mio Dio, che disastro!
― Vedo che la mia fama mi precede. ― disse Eric, sorridendo ― Una rissa, nulla di che. Mi hanno beccato e sono finito dentro, tutto regolare.
― E la tua famiglia? ― domandai, ricordandomi che mai nessuno ne aveva parlato. Lo vidi irrigidirsi, ma si rilassò subito dopo.
― Sono stato adottato. ― rispose ― Come voi, presumo.
― Cosa te lo fa pensare?
― Avete tutti più o meno la stessa età. ― spiegò ― A parte l’energumeno di fronte a me e la biondina che fa tanto Barbie Raperonzolo, che sembrano più grandi. Quindi le cose sono due: o i vostri genitori vi hanno concepiti tutti insieme o, cosa molto più probabile, siete adottati.
― È sveglio e insopportabile anche in questa vita. ― commentò Rosalie a voce troppo bassa perché orecchie umane la potessero sentire. Emmett, dal canto suo, scoppiò a ridere.
― Questo nuovo Edward mi piace! ― disse, senza riflettere. Ci immobilizzammo tutti sul posto.
La reazione di Lidia fu quella più strana di tutte, però.
― Come… come lo hai chiamato? ― chiese balbettando, facendo cadere la piccola forchetta di plastica trasparente che teneva in mano.
― Emmett si è sbagliato. ― mi affrettai a rispondere ― Edward era il mio ragazzo, ma è morto. Fine della questione. ― mi alzai di scatto, forse un po’ troppo velocemente e uscii in giardino.
Carlisle ci aveva consigliato di andarci piano, per gradi. E che combina Emmett? Lo chiama per nome! Presi a calci, sbattendo a terra, il cassonetto dell’immondizia sul retro del giardino.
― Quella è proprietà della scuola.
― Disse il ragazzo che fa a pugni nove volte su dieci.
Touché.
― Cosa ci fai qui, Eric? ― domandai, voltando un po’ il capo per guardarlo in faccia. Aveva le mani infilate nelle tasche dei jeans, il maglione marrone scuro a collo alto e l’inseparabile chiodo nero, come i suoi fidati anfibi.
― Lidia mi ha mandato a vedere se stavi bene. ― rispose, scrollando le spalle.
― Sto bene, grazie.
― Senti… non sono bravo con le ragazze, né tanto meno me la cavo a dire qualcosa di confortante. Sono fatto così. Però sì, insomma, mi dispiace per il tuo ragazzo… Anche i miei veri genitori sono morti.
― Mi dispiace molto. ― dissi, provando il bisogno di attirarlo a me e stringerlo. La sua pelle chiara, anche se non come prima, il profumo dei suoi capelli, l’odore del suo sangue… Mi voltai di scatto, sperando non avesse visto i canini spuntarmi senza preavviso. In più di cento anni non avevo avuto problemi di questo tipo, e spuntavano proprio adesso? Eppure il suo odore era così buono
― E il tuo Edward? ― domandò, qualche istante dopo ― Com’è morto?
― Lo hanno ammazzato. ― risposi in fretta. Dovevo andare via di lì, prima di rischiare di perdere il controllo. Non ero mai stata così vicina a lui, per questo motivo non avevo mai fatto troppo caso alla sete che scatenava la sua vicinanza. Se non fossi stata così affamata avrei quasi riso. Prima era lui a volersi cibare di me, ora ero io.
― Che tipo era?
― Assomigliava moltissimo a te. ― risposi, girando i tacchi e dirigendomi verso la macchina. Volevo riprendermi il mio vampiro, oh pardon, il mio umano. Ma avrei dovuto farlo bene e, soprattutto, a stomaco pieno. Solo così, forse, avrei resistito alla voglia di sbatterlo al muro e ficcargli due denti in gola.

Rabbrividii a quel pensiero, eppure adesso era questo ciò che ero. Una bevitrice di sangue. Una vampira.

Avete avuto una panoramica di Eric Hunter più ampia in questa capitolo, cosa ne pensate? Ancora convinti che sia Edward Cullen? Una cosa strana è successa... l'avete colta? Chissà, chissà... Un bacione a tutti!

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Capitolo 6
*** Quinto Capitolo. ***


Buongiorno a tutti! Come state? Oggi pubblico un pò prima, ma oggi non ci sarò quindi evito di rischiare di non postare o postare troppo tardi, perciò eccomi qui! Devo ancora pranzare! Quindi evito di dilungarmi troppo e vi lascio al capitolo, oggi sono di fretta!

Quinto Capitolo

« Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue,
ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite. »
Richard Bach

L’ennesimo Natale era passato. Il nuovo anno stava per sorgere all’orizzonte.
Mi trovano nel giardino – dietro casa – insieme a tutta la mia famiglia, in attesa. Aspettavamo che l’orologio – il grande Big Ben – suonasse mezzanotte, avvisandoci così, che un altro ciclo di esistenza finiva, mentre un altro cominciava.
― Bella, tieni. ― disse Alice, porgendomi un flûte di cristallo pregiatissimo, pieno di Champagne di ottima qualità.
― Ma sei seria? ― domandai, alzando un sopracciglio. Cos’era quella novità? Da quando noi – immortali, vampiri, creature della notte senza tempo – festeggiavamo il Capodanno?
― Bella. ― mi chiamò Carlisle ― Oggi è una sera speciale, diversa. Forse, e lo spero con tutto il mio cuore, abbiamo la possibilità di riavere con noi nostro figlio. ― concluse, stringendo a sé sua moglie, Esme. Sospirai, ero l’unica scettica della famiglia. Non tanto perché credessi che Eric non fosse Edward, più che altro ero convinta che le cose non sarebbero andate come noi volevamo. Questo Edward, anzi, questo Eric Hunter era assolutamente l’opposto del ragazzo che avevo conosciuto a Forks, moltissimi decenni fa.
― Non riesci a sorridere un po’, figlia mia? ― domandò Esme, accarezzandomi la guancia. Ci provai, afferrando il bicchiere dalle mani di Alice.
Guardai i miei fratelli, la mia famiglia, uno ad uno. Erano bellissimi, ma non parlavo solo della loro bellezza fisica. Erano elegantissimi, nonostante il nostro Capodanno fosse stato quello di passare la serata in giardino, a guardare il cielo e la città illuminata.
Rosalie ed Alice indossavano un abito corto, la prima con gonna a palloncino, nero; la seconda a balze, porpora. Esme aveva un vestito lungo, rosso, leggero e svasato in fondo. I ragazzi – ovviamente parlavo anche di Carlisle – erano tutti in giacca e cravatta, ognuno con colori che richiamavano quelli delle rispettive mogli. Abbassai la testa, guardandomi. Io non ero vestita per niente a festa, tutto il contrario. Indossavo un paio di jeans skinny neri, un top viola/blu, piuttosto scollato, e un giubbotto di pelle nera con maniche a tre quarti, sbottonato. Ai piedi degli stivali di pelle del medesimo colore, con tacco dodici centimetri.
― Io te lo avevo detto di mettere un vestito… ― disse Alice, ma la fulminai con lo sguardo. Si zittì all’istante, bevendo il suo flûte di Champagne.
― Mancano cinque minuti a mezzanotte! ― urlò Emmett, scalpitando come un bambino. Rosalie gli si avvicinò, facendosi avvolgere in un abbraccio che non tardò a ricambiare.
― Queste cose non cambiano mai, eh? ― gli chiese la vampira bionda, sorridendo.
― Tre minuti. ― parlò Jasper, prendendo il bicchiere in mano.
― È bizzarro. ― disse Alice ― Sono passati decenni e decenni, sono cambiati i tempi, le tecnologie si sono evolute… eppure queste ricorrenze esistono ancora, non passano mai di moda.
― Forse perché sono delle belle tradizioni di famiglia. ― disse Carlisle, sorridendo.
― Un minuto! ― urlò Rosalie, portandosi al mio fianco con Emmett.
― Conto alla rovescia? ― domandò, allegra, Alice.
― Continuo a non capire tutto il vostro entusiasmo. ― risposi secca ― È solo l’ennesimo anno che finisce.
― Andiamo Bellina! ― disse Emmett, stritolandomi in un abbraccio ― Sii più positiva! Inizierà un nuovo anno tra poco! Nuove aspettative e, forse, anche un nuovo futuro per tutti noi.
Lo guardai di sbieco, sapendo a cosa si riferiva. Tutti rivolevano Edward a casa, ma era un’impresa impossibile. Come avremmo potuto fare? Andare da lui e raccontargli tutto? Non era un ragazzo ingenuo, anzi, tutto il contrario. Anche se il mondo era andato avanti, spingendosi in direzioni nuove, più all’avanguardia, il segreto dei vampiri restava tale. Come tutto il resto. Il soprannaturale era da sempre qualcosa che l’uomo non capiva, perciò lo rifiutava semplicemente.
― Dieci, nove, otto… ― il conto alla rovescia, cominciato da Rose e Alice, mi risvegliò dai miei pensieri, facendomi spaventare.
― Sette, sei, cinque… ― si unirono a loro anche Emmett e Jasper.
― Dai Bella! ― disse Esme, saltando il numero quattro ― Finisci il conto alla rovescia con noi! ― mi voltai verso di lei e Carlisle, notando che sorrideva anche lui. Sospirai, non credendo davvero a quello che stavo per fare, ma erano tutti così entusiasti… Non volevo rovinar loro la festa.
― Tre, due, uno… Buon anno nuovo! ― strillammo tutti insieme, ridendo e abbracciandoci come pazzi. Finimmo due bottiglie di Champagne, ballando in giardino per quasi tutta la notte.
― Ok, Bella. ― disse Emmett, muovendosi circospetto.
― Oh no. ― sussurrò Alice, sbuffando ― Non accetterai mai che lei sia più forte di te, vero fratellone?
― Poteva esserlo fino a qualche anno fa, ma il vecchio Emmett è tornato! Avanti Bellina, vediamo quello che sai fare.
― Emmett, la tua giacca è molto bella. Non vorrei rovinarla, dai…
― Uh, Isabella Marie Swan Cullen ha paura… ― disse, cantilenando. Mi irrigidii. Che cosa aveva detto? Io non avevo paura di niente e di nessuno, tanto meno di lui!
― Bella, per favore! ― mi pregò Alice, sapendo come sarebbe andata a finire ― Ci ho messo giorni a trovare quella giacca! Non accettare, per favore!
― Mi dispiace, sorellina. ― dissi ― Ma Isabella Cullen non si tira indietro. Non dopo quello che ha sentito.
― Bene, allora noi vi lasciamo giocare in pace. ― disse Carlisle ― Mi raccomando Bella, non fargli troppo male. L’ultima volta gli hai rotto un braccio, potresti evitare di replicare?
― E quando avete finito, se rompete qualcosa, mettete in ordine, intesi? ― disse Esme, mentre spariva con suo marito mano nella mano.
Mi portai al centro del giardino, mettendomi in posizione di attacco. Emmett era davanti a me, rigido e leggermente incurvato in avanti.
― Bella, non distruggerlo troppo. ― disse Rose ― Sai com’è, è Capodanno e vorrei passarci la notte… Non so se mi spiego.
― Amore! ― urlò l’orso ― Tu dovresti stare dalla mia parte!
― Certo tesoro, sono sicura che la distruggerai! ― disse lei ringhiando, ma senza troppo convinzione. Mi scappò un sorriso, notando Jasper che, invece, cercava di trattenersi. Grazie a lui imparai l’arte del combattimento. Per ogni evenienza, aveva detto. Carlisle sosteneva che le mie capacità fossero incredibili, che fossi un talento naturale. Ero brava, ero dotata. Ero nata per essere vampira. Che assurdità, pensai. La verità, secondo me, era che ero nata per distruggere i Volturi. Poco mi importava se Edward fosse realmente rinato in forma umana, loro me lo avevano ammazzato. Io, perciò, li avrei fatti a pezzi.
Quando mio fratello scattò in avanti, roteai verso destra, schivando il colpo. Mi voltai verso di lui, sentendolo ringhiare. Gli sorrisi, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il gesto lo fece infuriare, caricò come un toro impazzito e mi si scaraventò addosso. Di tutta risposta, feci un balzo, appoggiando le mie mani sulle sue spalle e saltai dall’altra parte.
― Io lo avevo detto. ― disse Rose ad Alice.
― Almeno lei si sta trattenendo. ― rispose quest’ultima ― Guarda, non ha neppure sgualcito la giacca.
Il vociferare delle mie sorelle mi fece perdere la concentrazione, così Emmett mi afferrò da dietro sbattendomi a terra. Lo schianto provocò un rumore tremendo, fortunatamente i fuochi d’artificio coprivano ogni cosa. Mi rialzai di scatto, ringhiando. Adesso ero incazzata! Mi avventai su di lui, colpendolo all’addome e gli afferrai il braccio, buttandolo a terra.
― Mi hai fatto male! ― disse Emmett, massaggiandosi la schiena. Sghignazzai, fortuna che non poteva sapere quanto realmente mi fossi trattenuta.
― Fratello, non imparerai mai. ― disse Jasper, aiutandolo a rialzarsi.
― Bella, sei un mito! ― dissero all’unisono Rosalie e Alice.
― Non hai neanche distrutto la giacca! ― continuò quest’ultima. Emmett le rivolse un’occhiataccia.
― Alice, diamine. Sei fissata con questa cazzo di giacca!
― Il tuo orgoglio maschile è, come dire, sotto shock? ― chiesi, sghignazzando. L’orso sbuffò e si diresse verso gli alcoolici, facendoci scoppiare tutti a ridere.
― Amore, tu non sai perdere. ― gli disse Rosalie, baciandogli una guancia.
― Mi ami lo stesso?
― Certo. Lo sai: sei il mio scimmione. ― concluse lei, pizzicandogli le guance.
― Ragazzi, io credo che andrò a fare un giro.
― Vuoi che qualcuno venga con te, Bella? ― domandò Jasper, mentre cingeva la vita di sua moglie. Feci di no col capo e lo salutai, saltando al di là del cancello.

Giravo per quella Londra festaiola da più di un’ora. L’orologio segnava le quattro di mattina. Si sentivano ancora le urla allegre della gente, i fuochi d’artificio delle città vicine, la musica alta nella case o nei pub… Forse, tanto tempo fa, avrei trovato tutto questo fantastico. Non che fossi mai stata una patite per le feste, ma il Capodanno era sempre stato Capodanno, ora invece non riuscivo nemmeno più a godermi il Natale. Era triste come cosa.
Sospirai, finendo dinanzi ad un pub, piuttosto lontano dal quartiere di Kensington.
― Dai tesoro. ― disse un uomo ― Divertiamoci un po’.
― No grazie. Inoltre il mio ragazzo sta tornando da me, è molto violento e geloso. Perciò le conviene andarsene… ― non la fece finire.

― Non darmi del lei. ― disse l’uomo ― Mi fai sentire così vecchio! ― storsi il naso. Quell’uomo era vecchio. Riuscivo a sentire l’odore di alcool uscirgli dalla bocca e sgorgare nel suo sangue. Inghiottì il veleno, troppo arrabbiata per pensare lucidamente. Ma quando sentii la ragazza parlare di nuovo, mi resi conto di una cosa terribile: era Lidia.

To be continued...

Eccoci qui, non mi ammazzate dai! Un pò di suspance ci vuole ù.ù no? Vabè, tanto io ve la metto lo stesso! :P
Oggi sono un pò di fretta, come già detto, perciò non mi addentro nei meandri del capitolo... La seconda parte arriverà Venerdì prossimo! Nel frattempo - ribadisco - non mi uccidete, dai! Adesso scappo...

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Capitolo 7
*** Sesto Capitolo. ***


Buon pomeriggio a tutti! Come state? Io non riesco proprio a togliermi questa influenza di dosso, grr! Sarà che esco nonostante tutto e il tempo influisce, chi lo sa XD comunque, non siamo qui a parlare della mia salute ù.ù vi avevo lasciati con un "To be continued..." perciò, cosa sarà successo? Evito di tergiversare ancora e vi lascio al capitolo...
Buona lettura, gente! :*


Sesto Capitolo

» Ogni volta che si fa una cosa stupidissima
si è sempre mossi dai motivi più nobili. «
Oscar Wilde.

La scena che avevo davanti mi riportò a molti anni prima – moltissimi anni prima. Mi trovavo a Port Angeles e se non fosse stato per Edward sarei finita male. Molto male.
Un ringhio rabbioso mi uscì involontariamente dal petto. I tempi passavano, ma gli stronzi restavano sempre tale e quali!
― Ti ha detto di lasciarla andare. ― dissi, quasi ringhiando, attirando l’attenzione di entrambi. L’uomo sghignazzò, mentre Lidia sgranò gli occhi. Per lei ero solo una ragazza, come potevo aiutarla?
― E tu chi saresti? ― domandò l’uomo, avvicinandosi a me ― Ho tanta voglia di giocare, sai? ― domandò, singhiozzando. Era ubriaco fradicio. I tipi come lui mi facevano veramente schifo. A casa, magari, aveva una famiglia ad attenderlo, e cosa faceva? Importunava le ragazzine, per un po’ di sesso. Squallido.
― Parlo con te, bella morettina. Ti va di soddisfare un uomo vero?
― Uomo vero? ― chiesi, scoppiando a ridere subito dopo ― Con tutto il rispetto, ma si rende conto che offende gli uomini veri?
― Isabella! ― sussurrò Lidia, lanciandomi un’occhiata implorante. Lei non sapeva che tra i due era lui a doversi preoccupare, non io.
Quando l’uomo scattò verso di me, arrabbiato, mi spostai velocemente di lato, facendolo finire con la faccia per terra. Incrociai le braccia sotto al seno, inclinando la testa di lato.
― Fatto male?
― Oh per la miseria! ― sbottò Lidia ― Ci mancava la versione femminile di Eric, adesso! ― le lanciai un’occhiata torva. Non sapevo se offendermi o esserne lusingata. Insomma, paragonarmi a Edward – il vecchio Edward – era senz’altro una bella cosa, ma Eric…
― Bella, attenta! ― urlò Lidia, mentre l’uomo mi fece cadere per terra, facendomi uno sgambetto a tradimento. Un vampiro messo ko da un umano? Ringhiai, questo era un affronto! Stavo per alzarmi e saltargli addosso, quando qualcuno fu più veloce di me.
― Dylan! ― sbraitò Eric, atterrandolo a prendendolo a pugni ― Ti hanno già rimesso in libertà? E cosa fai, appena libero? Dai fastidio a due mie amiche? ― l’uomo, di tutta risposta, scoppiò a ridere, ribaltando la situazione. Tentai di avvicinarmi, ma Lidia mi trattenne.
― No, lascia stare. Non c’è niente che tu possa fare, sei una semplice ragazza, o mi sbaglio? ― domandò, incurvando leggermente un sopracciglio. Trattenni il fiato. Perché quella strana espressione? E perché il suo tono di voce ere così indagatore? Che sapesse qualcosa di me? Scacciai quel ridicolo pensiero, era assurdo.
― Ma si farà ammazzare! ― obbiettai, evitando di strattonare la mano che Lidia teneva attorno al mio braccio destro.
― Eric è abituato. Inoltre quell’uomo, Dylan, è proprio uno stronzo! Ha una moglie e tre figli a casa, eppure si diverte a molestare le ragazze più giovani.
― E perché la polizia non fa niente?
― Perché non hanno prove. Riesce sempre ad eludere i controlli o trovare alibi e quant’altro. Eric riuscì a farlo arrestare un mese fa, ma evidentemente ha trovato il modo di uscire.
Spazzatura. ― sibilai, riferendomi all’uomo.
Continuavo a fissare la scena, che si svolgeva dinanzi ai miei occhi. Eric e Dylan se le stavano dando di santa ragione, come si usava dire. I movimenti del primo erano più fluidi e veloci; i gesti abili e controllati, segnavano il colpo ogni volta che venivano scagliati. Il secondo, invece, era più instabile. Barcollava, non riuscendo a schivare i pugni dell’avversario. Se prima mi sembrava impossibile, visto come l’uomo era riuscito a sopraffare Eric, ora ero totalmente convinta che avrebbe vinto quest’ultimo.
Il rumore della sirena della polizia mi fece trasalire.
― Cazzo! ― sibilai tra i denti ― Eric, fermati! Sta arrivando la polizia!
― Cosa? ― domandò lui, non riuscendo ancora a sentire niente ― Sei impazzita? ― Dylan prese l’occasione per assestare un bel destro a Eric, il quale reagì d’istinto, sbattendolo a terra per dargli un calcio nello stomaco. Mi libererai dalla stretta di Lidia, raggiungendolo.
― Eric, piantala! Così lo uccidi. ― quando la mia mano si posò sul suo braccio una scarica famigliare si impossessò di me. Restai a fissarlo incredula, sprofondando in due pozze di smeraldo liquido. Per la brutalità in cui si sfilò dalla mia presa, fui certa che qualcosa l’aveva percepita anche lui.

Erano le otto e mezza di mattina e, con mia grande novità e gioia, ero rinchiusa in una cella piuttosto squallida. Ovviamente con me c’era anche Eric.
Quando la polizia arrivò sul posto, qualche ora prima, trovò Lidia in lacrime e spaventata; me e Eric, davanti ad uomo ammaccato; e la vittima, l’uomo in questione, privo di sensi. Nonostante Lidia avesse deposto a nostro favore, il capitano Murphy, non poté fare altro – almeno a detta sua – che rinchiuderci per aggressione.
― Avreste dovuto chiamare la polizia subito! ― aveva detto in centrale ― Non fare gli eroi senza macchi e senza paura! Inoltre, proprio lei, signor Hunter… Il rave party di qualche tempo fa non le era bastato?
― A quanto pare no. ― rispose Eric, con aria noncurante. Mi nascosi il viso tra le mani, non solo perché ero senza parole a causa del suo comportamento, ma perché Carlisle ed Esme mi avrebbe sicuramente ammazzata! Dobbiamo stare attenti a non attirare troppo l’attenzione su di noi, dicevano sempre. E quale modo migliore di attirarla se non quello di farsi interrogare, fotografare e, ciliegina sulla torta, arrestare?
― Cazzo! ― sbottai, prendendo a pugno il ferro nero nel letto a castello.
― Ehi! ― disse Eric, che si trovava nella parte superiore ― Io starei tentando di dormire!
― Ma come fai a dormire in un momento del genere? I tuoi non ci sono, sono fuori, quindi nessuno ti pagherà la cauzione per uscire, ciò vuol dire che…
― Sì, lo so cosa vuol dire. ― disse interrompendomi e saltò giù dal piccolo letto.
― Ma come fai a essere così tranquillo?
― Forse perché ci sono abituato? ― rispose con una domanda retorica ― Rilassati Isabella, i tuoi sono ricchi, no? Arriveranno da un momento all’altro e ti tireranno fuori di qui. Pensa positivo… ― ah perché, c’era qualcosa di positivo in tutta questa faccenda? ― Quando avrai dei figli e poi dei nipoti, potrai raccontar loro qualcosa di spassoso. ― concluse, scoppiando a ridere. Lo guardai torva. Lui non poteva sapere che io non avrei mai potuto avere dei bambini… Non sapeva cos’ero davvero. Sbuffai, scivolando lentamente lungo la parete in cemento grigia, e mi sedetti per terra. Guardai il cielo ancora scuro, ringraziando di essere a Londra – la città più nebulosa dell’Inghilterra – e che non fosse estate. Il sole non ci inceneriva, era vero, ma ci infastidiva parecchio, specialmente se non ti cibavi bene e da un bel po’. Era una seccatura.
― Usi lenti a contatto colorate? ― domandò, improvvisamente Eric, prendendo posto sul pavimento freddo, e non esattamente pulito, accanto a me.
― No, perché? ― chiesi, non capendo la sua domanda.
― Solitamente hai gli occhi di un colore insolito, chiaro. Sembra castano, ma se guardi bene, invece, capisci che è un misto tra oro e ambra. ― smisi di respirare ― Invece questa sera, o questa mattina, li hai neri come la pece. Per questo mi chiedevo se adoperassi le lenti a contatto. ― concluse, facendo spallucce. Restai senza niente da dire per qualche minuti, poi mi venne un’idea: se lui era sul serio Edward perché mentire? Certo, la verità sarebbe stata troppo ancora, però questo, magari, lo avrebbe aiutato a ricordare.
― Non porto lenti a contatto, quello è il mio colore degli occhi. ― risposi ― Entrambi sono il mio colore degli occhi.
― Cambiano colore?
― In un certo senso sì, è così. Cambiano colore…
― Però non mi è chiara una cosa… ― continuò, fissandomi di traverso ― Tu e i tuoi fratelli siete adottati, no? E si vede. Insomma, a livello fisico siete completamente diversi. Anche i due gemelli, hanno solo i colori simili, ma non si assomigliano per niente, per non parlare dell’energumeno di tuo fratello che non c’entra nulla con la figura della piccoletta. Eppure, nonostante tutte queste visibili diversità, siete tutti uguali. Il modo in cui camminate, il vostro modo di parlare o esporvi, i lineamenti marcati, precisi, perfetti dei vostri volti, la vostra bellezza inaudita e gli occhi… Sono tutti dello stesso identico colore ambrato. Com’è possibile tutto questo? ― non sapevo cosa rispondere. Avevo due opzioni: mentirgli o dirgli tutta la verità.
Fu in quel momento che il destino decise per me, era troppo presto.
― Isabella Cullen e Eric Hunter, fuori. Hanno pagato la cauzione. ― ci informò la guardia, aprendo le sbarre per farci uscire.
― Anche io? ― domandò, confuso, Eric ― Com’è possibile? Io miei genitori sono fuori, è impossibile che…
― Siamo stati noi. ― disse Carlisle, sorridendo. Esme, al suo fianco, si aggrappava al braccio del marito. Sembrava instabile sulle proprie gambe, mentre squadrava da capo a piedi il ragazzo di fronte a lei. Il ragazzo che, una volta, era stato suo figlio.
― Non dovevate. ― rispose Eric, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato.
― Hai aiutato nostra figlia. ― disse Esme, trattenendosi dal buttargli le braccia al collo ― Ci è sembrato il minimo che potessimo fare per ringraziarti.
― Ve li renderò, appena possibile. ― disse Eric, tornando padrone delle sue azioni e dei suoi comportamenti da cattivo ragazzo.
― Consideralo un regalo di Natale. ― disse Carlisle ― E un grazie per aver aiutato Bella.
― Allora ehm grazie mille, signori Cullen.
― Chiamami Esme! ― si affrettò a dire la vampira.
― Puoi chiamarmi Carlisle. ― disse, allungando una mano verso Eric ― Piacere di conoscerti, ragazzo. ― Eric l’afferrò, stringendola con vigore. Trattenni il fiato quando mi resi conto che non fece nessuna strana espressione a contatto con la pelle liscia e gelida di mio padre, di nostro padre. Ripensai a quando ero io l’umana, tra i due. Non mi faceva senso o tutte le altre stupidaggini che pensava lui. Non potevo negare, però, che si notava la differenza tra le nostre temperature. Eppure lui, Eric, sembrava totalmente tranquillo. Forse influisce il fatto che fuori, per gli umani, fa un freddo cane, pensai sollevata.
Uscimmo tutti e quattro insieme dalla centrale di polizia, ad aspettarci – oltre i miei fratelli – c’era Lidia.
― Eric! ― urlò lei, correndogli incontro per buttargli le braccia al collo. Se non fossi stata certa che lei non era interessata a lui, l’avrei uccisa. Bevuta fino all’ultimo sorso, per poi…
― Isabella! ― la voce di Alice era un sussurro, ma il suo rimproverò arrivò alle mie orecchie forte e chiaro.
― Scusa. ― dissi, abbracciandola.
― E anche Bellina è stata dentro. ― sghignazzò Emmett.
― Bene, niente giochini per tre mesi. ― disse Rosalie, dandogli una gomitata; per poco l’orso non scoppiò a piangere. Come se potessimo farlo…, pensai tristemente.
Mi resi conto che Jasper non c’era, così lanciai un’occhiata interrogativa ad Alice.
― Ci aspetta a casa, c’erano troppe emozioni qui intorno. ― annuii, capendo al volo il problema. L’essere empatici doveva proprio essere una bella fregatura.
Mi voltai, notando Carlisle ed Esme parlare con Lidia e Eric. Non ascoltai i loro discorsi, decidendo di lasciargli la loro privacy. Da quando avevamo parlato di Eric, quella era la prima volta che lo vedevano dal vivo.
Dopo qualche minuto vidi Lidia dare le chiavi della macchina a Eric, si voltarono verso di noi e ci salutarono con la mano.
― Ti chiamo domani, Bella. ― disse la ragazza dai capelli castani e, insieme al ragazzo che avevo amato in un’altra vita, si allontanò verso il parcheggio.
― Andiamo anche noi, ragazzi? ― domandò Esme, con un sorriso a trentadue denti. Annuimmo tutti e salimmo in macchina, diretti a casa. La nostra casa.


Come avrete visto non è stato proprio Eric ha intervenire, Bella lo ha anticipato... Peccato che poi sono finiti entrambi dentro ahahahah non ve l'aspettavate questa, vero? Lo so, lo so :P Eric, come avrete gi avuto occasione di vedere in altri capitoli, è un tipo sveglio, attento; ha notato tutte le caratteristiche dei Cullen, tanto per cominciare. Cosa succederà adesso? E Lidia? L'impressione di Isabella sarà vera o sarà, appunto, solo un'impressione? Per scoprirlo dovrete solo attendere il prossimo capitolo... La storia è a metà, e nel prossimo aggiornamento i nodi verranno al pettine, come si suol dire. Perciò, a Venerdì prossimo!

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Capitolo 8
*** Settimo Capitolo. ***


Buon pomeriggio! Lo so, mi aspettavate Venerdì, ma visto che ero indietro con il capitolo della storia che posto solitamente il Mercoledì, ho pensato di anticipare la pubblicazione di questa storia :) anche perchè, molto probabilmente, Venerdì non sono a casa! Come già detto allo scorso capitolo: questo settimo capitolo, sarà rivelatore! Tutti i nodi verranno al pettine :) Per quanto riguarda l'intera storia non ricordo se ve lo avevo detto posso confermarvi che è finita e che, quindi, avrà un totale di DIECI CAPITOLI, più prologo ed epilogo. Lo avevo già detto ufficialmente su Facebook, ma se qualcuno non è iscritto al gruppo o alla pagina, non poteva saperlo. Adesso vi lascio alla lettura e, mi raccomando, leggere ciò che ci sarà scritto dopo il capitolo! Buona lettura! ;)

Settimo Capitolo

« Due amanti felici non hanno fine né morte,
nascono e muoiono più volte vivendo,
hanno l'eternità della natura. »
Pablo Neruda.

Febbraio arrivò silenzioso, spazzando via la curiosità generale del nuovo anno. In quelle settimane riuscii ad avvicinarmi molto di più a Eric, così come il resto della famiglia. Il suo atteggiamento nei miei confronti non era cambiato troppo, era più rispettoso, certamente, ma c’era sempre quella venatura di sfiducia che aleggiava in ogni conversazione o minima azione. In compenso, aveva istaurato un ottimo rapporto con Emmett e Jasper. Secondo Alice era un passo avanti; Rosalie, invece, era di tutt’altra opinione. Riuscimmo a convincere, comunque, i nostri due nuovi amici ad essere nostri ospiti per una cena, una sera di Gennaio. Fortunatamente filò tutto liscio – cibo a parte; era davvero come mangiare spazzatura, disgustoso.
― Bella? ― chiamò Lidia, ricostruendo un legame tra me e il pianeta Terra.
― Sì? Cosa stavi dicendo?
― A cosa stavi pensando, Bella? ― domandò lei, chiudendo il quaderno di Trigonometria.
Mi trovavo a casa sua, al momento. Da quando divenni vampira appresi la capacità di fare qualsiasi cosa. Ormai nulla era più un’incognita per me, neppure quella materia che tanto odiavo.
La villetta a schiera della famiglia Winston – i genitori di Lidia – era situata nel quartiere di Notting Hill. Le mura erano bianche, come la neve; le rifiniture di un nero lucido, molto acceso. La villa non era immensa, ma neppure troppo piccola: tre piani – contando anche la taverna – un cancelletto nero, che la divideva dal marciapiede, e un piccolo giardino sul retro. Gli interni erano arredati con l’antico moderno dei primi anni 2000; ricordavo bene quell’arredamento, io ero umana a quei tempi e Edward… Lui era ancora vivo, per così dire, e al mio fianco.
― A nulla, sul serio! ― mentii, cercando di tornare al presente e al motivo per cui mi trovassi in quella casa ― Stavamo parlando di…?
― Io stavo parlando, tu eri tra le nuvole. ― rispose lei, sorridendo ― Andiamo Bella, non saremo amiche da una vita, ma in questi mesi abbiamo legato. O mi sbaglio?
― No, non ti sbagli. ― le risposi sincera. Era vero, tenevo molto a Lidia, ma non potevo negare che all’inizio mi fossi avvicinata a lei solo per saperne di più su Eric. Pian piano, però, mi resi conto di che persona straordinaria fosse quella ragazza, e il mio interesse nei suoi confronti cambiò. Non avevo un’amica – Alice e Rosalie a parte – da troppo tempo ormai. Mi mancavo i miei amici… Angela, Ben, Eric e, perfino, Jessica e Mike. Nel corso della mia nuova vita avevo conosciuto un sacco di gente, ma mai provai un simile affetto. Lidia era diversa, non solo perché mi ricordava la me stessa umana, aveva qualcosa di particolare.
― Vuoi mangiare qualcosa? ― domandò lei, negai col capo. No, per favore! Quella sera mi bastò eccome, sentivo ancora quel sapore tremendo sulla lingua.
― Tu però se vuoi mangiare qualcosa vai pure, ti aspetto io.
― Nah, tranquilla. Non ho voglia di niente al momento. ― annuii, non capendo il motivo della sua richiesta. Non aveva fame, ma offriva da mangiare a me? Forse era solo cortese ospitalità…
― Bella, c’è… sì, ecco, c’è una cosa che devo dirti. ― disse lei, alzandosi dal letto e cominciando a camminare per tutta la stanza.
Le pareti della sua camera erano di un viola scuro, screziato di bianco; i mobili erano di un panna lucido. Era tutto ordinatissimo, non c’era neppure un libro fuori posto. Libri…, pensai tristemente. Quanto mi piacevano i libri! Oggigiorno non si leggeva più su carta. Tomi, volumi, biblioteche cartacee… era tutto obsoleto. La tecnologia aveva invaso ogni cosa. Lidia sembrava, però, essere una tradizionalista – proprio come me e la mia famiglia.
― Ti ascolto. ― le dissi, sorridendo per incoraggiarla a parlare. Era nervosa, si vedeva da come si torturava le dita o si toccava i capelli.
― E come te lo dico? ― sussurrò, sembrava parlare più a se stessa che a me. Mi alzai, andandole incontro, e la costrinsi a sedersi.
― Senti, ora calmati. ― le dissi ― In famiglia quello bravo a calmare la gente è mio fratello Jasper, io non me ne intendo molto. Adesso fai un respiro profondo, tranquillizzati e poi parliamo, ok? ― annuì, ma non sembrava propensa a fare ciò che le avevo appena detto.
― So cosa sei, Bella. ― disse tutto d’un fiato. Mi irrigidii sul posto, serrando i pugni e la mascella. Sentivo l’ansia e la paura assalirmi. Com’era possibile? Io non avevo fatto nulla per generare sospetti. Feci la prima cosa che mi venne in mente: scoppiai a ridere.
― E cosa sarei? Un genio in Trigonometria? Sciocchina, anche tu puoi impararla! ― mi allontanai da lei, affacciandomi alla vetrata del balcone della sua stanza. Fuori il cielo era grigio e la nebbia, come di consueto, era all’ordine del giorno.
― No, Bella. Parlo sul serio… Io so cosa sei, cos’è la tua famiglia. ― non mi voltai, sentendo i canini battere per uscire e il veleno invadermi la bocca.
― E… e cosa siamo, Lidia?
Vampiri. ― rispose, senza alcune incertezza ad incrinarle la voce ― Siete vampiri. ― a quell’affermazione mi voltai piano. Gli occhi, da due pozze d’oro, erano diventati due buchi neri. Petrolio fuso. Lo capii dal modo in cui il cuore di Lidia accelerò; dal modo in cui cominciò a sudare fredda; dal passo indietro, impercettibile a occhio umano, che aveva fatto senza nemmeno rendersi conto.
― Devo andare. ― dissi. Afferrai la mia giacca nera e la borsa e mi diressi verso la porta bianca, ma la mano di Lidia mi trattenne. Sapevo che se avessi voluto sarei potuta uscire da quella casa senza troppa fatica, ma questo avrebbe avvalorato la sua ipotesi. Non potevo permetterlo.
― Bella, per me non cambia niente. Non importa cosa sei, cosa siete… Ho voluto dirtelo solo perché non voglio che tra di noi ci siano segreti, ma capisco il tuo punto di vista. Insomma, non puoi dire una cosa simile senza tradire la tua famiglia, te stessa, il vostro segreto o, cosa molto più plausibile, passare per pazza.
La guardavo sconcertata. Come poteva essere così tranquilla, così calma, nonostante fosse sicura che io, Isabella Cullen, fossi un vampiro? Ed ero perfino a casa sua, ciò significava che avevo il permesso. Mi aveva invitata ad entrare, quindi ora potevo farlo quando volevo.
― Non fare quella faccia e siediti, oppure stai in piedi come preferisci. ― disse, togliendomi di mano giacca e borsa ― Ho fatto ricerche su di voi, non che ne avessi bisogno. È tutto impresso nella mia mente… Siete vegetariani, no? Vi cibate di sangue animale, per questo avete quello strano colore ambrato degli occhi. Se vi cibaste di essere umani sarebbero rossi, dico bene? ― l’ascoltavo esterrefatta. Come poteva sapere tutte queste cose di noi? Chi diavolo era Lidia Winston?
― Sei informata. ― sibilai, incrociando le braccia sotto il seno e attendendo che continuasse. Lei annuii, si accomodò e riprese il suo monologo.
― Sì, lo so. So parecchio su di voi. Dimmi se sono brava! Croci, ornamentali; acqua santa, bevibile; aglio, mangiabile – anche se voi non mangiate. Vi nutrite solo ed esclusivamente di sangue, indipendentemente dal fatto che esso sia umano o meno. Bare, stanno nei cimiteri; non vi trasformate in nebbia o in qualsiasi altra stronzata del genere; non avete bisogno di purificarvi con la terra della vostra tomba; i canini si scoprono solo quando siete affamati, incazzati o eccitati. Per ora come sto andando?
― Fin troppo bene.
― Ma cosa più importante: non siete gli unici. Come voi ce ne sono molti altri, indipendentemente che questi altri siano nomadi o meno. E poi ci sono Volturi
― Frena, frena, frena! ― dissi, gesticolando ― E tu come fai a sapere dei Volturi?
― Te l’ho detto, Bella. So molte cose di voi.
― Ma come? ― domandai, cominciando a spazientirmi ― Chi sei tu?
― Qualcuno che può rispondere a tutte le tue domande su Edward. ― sgranai gli occhi, sentendomi cedere le gambe. Lo sapevo che era impossibile, noi vampiri non sveniamo, ma quella frase mi spiazzò.
― Come… cosa sai tu di Edward!?
― So molto più di quanto tu creda. E posso aiutarti, Bella! Posso aiutarti a riaverlo, ma prima devi ascoltarmi.
― Ti sto ascoltando. ― dissi, camminando circospetta ― Ma qui si è parlato molto di me, ma per niente di te. Cosa sei Lidia? Come fai a sapere tutto questo e, soprattutto, perché?
― Sono una strega, Bella. ― disse con fermezza ― Discendo da Salem, dalla congrega di streghe di Salem.

Due ore, ventisette minuti e quarantacinque secondi dopo, sapevo più cose sul processo alle streghe di Salem che su qualunque altro argomento. La famiglia di Lidia, da parte di madre, era una diretta discendente di alcune streghe scappate, per miracolo, dal rogo. La vera tragedia, secondo Lidia, stava nel fatto che tutte le donne che vennero bruciate vive non erano vere streghe.
― Credi che una di noi si sarebbe fatta prendere? Che non avrebbe lottano con tutti i suoi poteri per scappare dal fuoco? Molte lo fecero. Alcune scomparvero, mutando il loro aspetto, altre ancora vennero catturate, ma riuscirono a fuggire in tempo. Sono poche le streghe vere morte in quel massacro… la maggior parte erano solo ragazze troppo belle, che hanno pagato la loro bellezza con la vita.
Ero rimasta affascinata dal suo discorso, anche perché non faceva una piega. Si poteva dire lo stesso per tutti i discorsi sui vampiri, sulla facilità di uccisione. Un paletto di frassino nel cuore e il non-morto sarà definitivamente morto. Che stupidaggini, pensai. Tutti quei poveretti – malati di porfiria, per esempio – che venivano uccisi e scambiati per vampiri, in realtà non lo erano.
― Non capisco tutto questo cos’ha a che fare con me e, soprattutto, con Edward.
― Eric è il tuo Edward, Bella. ― disse, sicura di sé ― E so che lo sai, non puoi non essere a conoscenza di un fatto del genere.
― Come fai ad esserne sicura? ― chiedo, optando per la sincerità. Ormai ha capito tutto, perché continuare a mentirle o negare l’evidenza? ― Io non ne sono ancora del tutto certa e nemmeno la mia famiglia, Lidia.
― Io lo so. ― rispose decisa ― Lo so da quando lo conosco e, pian piano, ho scoperto tutto. Ho dei doni, Bella. Essere strega ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Uno dei primi è quello di capire le persone. Non leggo loro nella mente, ma leggo nel loro animo. Ho fatto ricerche a riguardo, incantesimi – ovviamente all’insaputa di Eric, mi avrebbe uccisa – e ho scoperto tutto. La sua anima non era nata quel lontano giorno di quasi vent’anni fa, è nata prima. Molto prima.
― Quanto prima?
― Chicago, 20 Giugno 1901. ― rimasi di sasso, come poteva saperlo? ― L’anima di Eric risale a quel periodo. È… è frantumata, non so come spiegartelo. La sua anima è spezzata. Si interrompe, in modo azzarderei dire traumatico, nel 1918 per poi restare instabile, quasi inesistente, latente, e ricomparire per spezzarsi di nuovo, nell’anno 2005.
― Quando si è ucciso. ― affermo, ringhiando al ricordo.
― Pensavo che i vampiri fossero indistruttibili…
― No, non lo siamo. Specialmente se a porre fine alla nostra esistenza ci pensano i Volturi.
― Io posso aiutarti, Bella. Posso aiutarvi tutti.
― E come puoi? ― domandai, con un tono lamentoso.
― Posso ridare a Eric i suoi ricordi, posso risvegliare la sua vita passata. Posso ridonarlo a te.
― In cambio di cosa?
― Della vostra amicizia, non chiedo altro. ― lessi sincerità nei suoi occhi e mi bastò per decidere. Adesso avevo la conferma, la certezza che Edward si fosse reincarnato in Eric Hunter. Inoltre, ora, avevo anche una possibilità in più di riaverlo al mio fianco.
― Cosa devo fare?
― Devi raccontarmi tutto, Bella. ― rispose cauta ― Dal principio, non tralasciare nulla nemmeno della tua vita. Devo sapere tutto, devo capire come agire.
Mi alzai lesta, raggiungendo la vetrata del balcone chiuso. Era sera, adesso, sulla città era scesa una densa oscurità.
― Era il 13 Settembre 1987 quando venni alla luce. Abitavo a Forks, nello stato di Washington, finché mia madre non capì che era troppo quello per lei. Disse addio a mio padre, Charlie, e mi portò con sé a Phoenix. Vedevo mio padre solo qualche settimana all’anno, nelle feste di Natale o in quelle estive, fino a quando Renée, mia madre, non decise di risposarsi. Presi la decisione di trasferirmi da mio padre e lì incontrai Edward Cullen. Si era trasferito con la sua famiglia dall’Alaska, qualche anno prima… ― presi a parlare come una macchinetta rotta, mentre Lidia mi ascoltava paziente senza perdersi nemmeno un piccolo particolare.
Mentre raccontavo la mia storia, la mente mi portò a quasi cent’anni prima.
Ero in camera mia, abitavo ancora con Charlie – nonostante la mia fresca trasformazione in vampira – con noi, per precauzione, c’erano anche Esme o Rosalie, dipendeva dai casi e dagli impegni. Rinnegavo con tutta me stessa ciò che ero, ciò che Alice mi aveva fatto diventare. La odiavo, perché mi aveva impedito di raggiungere Edward, di smettere di soffrire, di piangere la sua morte una volta per tutte. Fu in una di quelle notti infinite che Rosalie bussò alla mia porta.
― Posso, Bella? ― aveva detto, entrando. Annuii, fissando la notte senza sapere cosa fare della mia nuova vita.
― Posso parlarti un attimo? ― annuii ancora, senza proferire parola ― Vuoi sentire la mia storia, Bella? ― aveva chiesto, impadronendosi della mia più totale attenzione ― Non ha un lieto fine. Del resto, quale delle nostre storie ce l’ha? Se ci fosse stato un lieto fine, a quest’ora saremmo tutti sottoterra.
L’ascoltai attentamente, mentre raccontava, e da quella notte la mia vita cambiò completamente.

Eccoci qua, finalmente la verità è saltata fuori. O almeno, la conferma che Eric Hunter sia, effettivamente, Edward Cullen. Molte di voi diranno: "lo sapevo!" altre, invece: "oddio, come può essere?!" eh lo so, sono imprevedibile ragazze ;) Si è anche scoperto chi è Lidia: una strega discendente da Salem. Lo avevate intuito? Immaginato, pensato? Qualcosa? Ora, per quanto riguarda la prossima pubblicazione, non sarà Venerdì cioè dopodomani ma Domenica 16 Ottobre! Contente? Spero di sì :)
Ora vi saluto sul serio che se no faccio tardi XD ci leggiamo Domenica!

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Capitolo 9
*** Ottavo Capitolo. ***


Buona sera a tutti! Come annunciato ecco a voi il nuovo capitolo di Possibility! Scusate per l'ora - solitamente pubblico prima - ma sono rientrata a casa da poco XD ho corretto il capitolo alla bene e meglio, perciò se trovate errori di battitura avvisatemi! ;) ho risposto alle recensioni giorni addietro, a quelle che mancano (che mi sono state fatte in questi giorni) risponderò appena postato questo capitolo, tranquilli! XD

Ottavo Capitolo

« È spiacevole e tormentoso
quando il corpo vive e si dà importanza per conto suo,
senza alcun legame con lo spirito. »
Thomas Mann.

― Le streghe di Salem? ― urlò all’unisono la mia famiglia. Dopo aver parlato con Lidia, ripresi la mia macchina e tornai a casa. Alice sapeva che c’era qualcosa che non andava, avendo avuto una visione, ma preferii essere io raccontare loro tutto. Così, a casa di Lidia, alzai il mio scudo in modo che gli occhi di Alice non potessero vedere nulla.
Mi trovavo nell’immenso salone di casa Cullen, mentre raccontavo tutto quello che Lidia mi aveva detto qualche ora prima. Leggevo lo stupore negli occhi d’ambra, nei volti sconvolti, nelle loro posizioni rigide.
Carlisle ed Esme erano i più tranquilli, seduti composti sul divano di pelle beige; Jasper teneva la mano di Alice tra le sue, sedeva sul bracciolo della poltrona, mentre sua moglie su di essa; Emmett si era accomodato sul mobile, nonostante il fastidio si Esme; Rosalie era in piedi, appoggiata alla parete dell’entrata.
Reincarnazione? ― domandò proprio quest’ultima ― È ridicolo. Secondo me i responsabili sono i Volturi. Noi non abbiamo anima, non possiamo reincarnarci.
― E se non fosse così? ― domandò Alice, attirando su di sé i nostri sguardi ― Noi abbiamo sempre dato per scontato che, in quanto vampiri, fossimo privi di anima. Ma se così non fosse? Siamo comunque esseri pensanti, mangianti…
― Sì, e di cosa ci nutriamo, Alice? ― domandò Rose, avvicinandosi a noi ― Noi non siamo umani, siamo mostri. Per vivere abbiamo bisogno di sangue fresco. Certo, non uccidiamo umani per vivere, perché resistiamo. Ma se così non fosse stato? Saremmo degli assassini senza scrupoli.
― Anche gli assassini hanno un’anima, sorella. ― disse Jasper, in tono pacato.
― Perché sono umani. ― rispose lei ― Noi non lo siamo.
― Tesoro, sembri Edward. ― disse Emmett, rivolgendosi a sua moglie ― Ovviamente molto più attraente e sexy.
― Rosalie, smettila. ― intervenne Esme ― È dei miei figli che stai parlando. Voi non siete dei mostri e, comunque, ci sono molti essere umani che compiono atrocità peggiori delle nostre.
― Tua madre ha ragione. ― la spalleggiò Carlisle ― Noi non sappiamo se l’idea che avesse Edward fosse vera o meno; se noi siamo privi di anima o meno. Ma tua madre ha ragione, al mondo ci sono persone molto peggiori di noi.
― Avete mai pensato che il vostro stile di vita incida sul corso degli eventi? ― domandai all’improvviso, attirando la loro attenzione ― Voglio dire, siete vampiri, siamo vampiri, ma non ci facciamo travolgere dai nostri istinti. Cacciamo animali, non persone; uccidiamo quando è necessario farlo, non per divertimento; proviamo sentimenti, non solo lussuria o brama. Siamo diversi dai vampiri “normali”, noi siamo l’eccezione. Questo non potrebbe incidere anche sulla nostra anima?
Non mi risposero, erano immobili a riflettere sulle mie parole; senza sapere cosa dire o fare. Cominciai a muovermi sul posto, nervosa. Ok, magari era una cazzata, ma potevano anche dire qualcosa!
― Bella può avere ragione. ― disse, infine, Carlisle.
― Lo penso anche io. ― lo spalleggiò Alice.
Spostai lo sguardo sugli altri membri della famiglia, cercando qualcosa. Qualsiasi cosa. Un gesto positivo, uno negativo; smentita, approvazione.
― Io a queste cavolate non ci credo! ― tuonò Emmett, mettendosi in piede ― Però, devo ammettere che la testolina di Bella non ha detto una stronzata, quindi sì. Concordo anche io, sorellina! ― concluse, cingendomi il collo con il suo braccio muscoloso, mentre con la mano mi scompigliava i capelli.
― Tentiamo. ― disse Jasper, qualche istante più tardi ― Non so se le tue teorie sono fondate o meno, ma è sempre un passo avanti verso qualcosa di concreto.
― Io dico di fare ricerche, prima. ― parlò Rosalie, in tono distaccato e freddo ― Non prendetela male, vorrei anche io che quel ragazzo fosse Edward; vorrei anche io credere a tutta questa bella storia dell’anima. Ma non ci sono precedenti. Carlisle, tu hai così tanti libri nel tuo studio… non è che vi è scritto qualcosa in quelle pagine?
― Potremmo fare qualche ricerca. ― disse Carlisle, annuendo sicuro.
― Bene! ― squittì Alice ― Allora facciamo così: Bella, Carlisle ed Esme consultano la libreria; io e Rosalie ci occupiamo di Lidia; Jasper e Emmett, il Web è tutto vostro!
― Cosa intendi esattamente con “ci occupiamo di Lidia”? ― domandai, alzando un sopracciglio. Non l’avrebbero uccisa ovviamente, ma non riuscivo a capire cosa volessero da lei.
― Solo qualche domanda, Bella. ― rispose Alice ― Inoltre, lei sembra saperne molto di queste cose, perciò andiamo ad indagare direttamente alla fonte! ― mi fece l’occhiolino e uscirono di corsa dalla porta sul retro. Fortuna che Lidia era a conoscenza del nostro segreto, altrimenti avrebbe rischiato l’infarto con quelle due pazze.
― Allora, ci mettiamo al lavoro? ― chiese Esme, circondami le spalle con un braccio. Annuii e ci spostammo nello studio privato di Carlisle.

Quattro ore dopo avevamo ristretto il cerchio ad una decida di libri: Reincarnazione, il ciclo delle nascite; Anima, il cerchio della vita; Vite precedenti – Tutto quello che volete sapere sul Karma; eccetera.
― Non stiamo cavando un ragno dal buco! ― sbottai, richiudendo con forza il grande manuale antico che avevo sulle ginocchia.
― Io ho trovato qualcosa sul processo alle streghe di Salem. ― mormorò assorto Carlisle, senza scomporsi di una virgola alla mia breve ed eccessiva furia.
― Cosa dice, caro? ― domandò Esme, avvicinandosi a suo marito.
― Nulla di nuovo rispetto a quello che sapevo già. ― disse lui, ma cominciò lo stesso ad illustrarci ciò che la storia aveva tramandato ― Salem era, ed è, una cittadina del Massachusetts, fondata nel 1626 da un gruppo di pescatori. All’epoca contava una popolazione di novecento persone, che man mano crebbe, fino ad arrivare ad un numero molto più elevato. La città è stata il teatro, tra il 1692 e il 1693, di un’isteria collettiva che scatenò la celebre caccia alle streghe. Diciannove persone vennero uccide, associate alla stregoneria e per l’avere contatti col demonio; altre, centocinquanta per l’esattezza, furono impiccate o sottoposte alla pressa o, ancora, messe in cella per mesi senza aver avuto un vero e proprio processo.
― Che atrocità… ― sussurrò Esme ― Senza un motivo, senza un perché.
― È l’essere umano, mamma. ― dissi, parlando più a me stessa che a lei ― Se non vede non crede; quando ha paura di qualcosa lo etichetta come malvagio solo per ignoranza. È triste vedere che queste cose non cambiano.
― Già. ― sussurrò Carlisle, continuando a sfogliare le pagine ― Il libro dice che tutto ebbe origine con l’arrivo nella cittadina di un uomo: Samuel Parris. Aveva una figlia di sei anni e una moglie. Anni dopo il loro arrivo Betty, la figlia, cominciò a sentirsi male. La causa fu attribuita al soprannaturale, alla stregoneria e così via… ― lo vidi sorridere amaramente ― Non era nulla di soprannaturale. Evidentemente la piccola aveva qualche malattia, ma all’epoca non c’era la conoscenza di oggi o di qualche decennio fa. Decisero, quindi, che la colpa fosse delle streghe.
― È spaventoso! ― ringhiò Esme ― Tutta quella gente uccida… è deplorevole.
― La storia è piena di questi abomini, tesoro. ― mi allontanai da loro, lasciandoli alla loro conversazione, e presi il volume sulla reincarnazione.
Lessi parecchio, senza aggiungere concetti nuovi a quelli già preesistenti nella mia mente. Per reincarnazione, o trasmigrazione delle anime, si intende la rinascita in un altro corpo dell'anima o spirito di un individuo, dopo la sua morte fisica. Parole, concetti, significati misterici, religiosi… ma mai nulla di concreto. Lessi la testimonianza di un bambino turco che, all’età di sei anni, cominciò a raccontare nel dettaglio la sua vita in un altro tempo, in un altro luogo. Ma questo non aveva nulla a che vedere con me, o con Edward. Io volevo risposte vere, chiare ed esaurienti.
L’unica cosa che non cambiava mai – nonostante i volumi, i secoli, le religioni – era il motivo che spingeva l’anima a reincarnarsi più e più volte: il karma.

Il karma ci segue vita dopo vita per insegnarci qualcosa che non abbiamo voluto o saputo imparare. Il karma è il risultato dell'insieme delle nostre azioni passate, tutto ciò che non abbiamo portato a termine o abbiamo sbagliato ci segue, in realtà siamo noi che ce lo portiamo dietro. Noi possiamo decidere di guarire noi stessi in ogni momento. Ecco, questo era interessante… Il karma è il risultato degli atti compiuti nelle proprie esistenze anteriori: è a un tempo opera, azione, destino, conseguenza, poiché ognuno crea con le sue azioni la legge della sua vita, delle sue vite... È ciò che appare cieca fatalità a chi agisce inconsapevolmente, è ciò che trapassa in avventura e in libertà per chi non è travolto dal proprio “fare”. Era, quindi, quello che facevamo nelle nostre vite precedenti che induceva la nostra nascita, di nuovo, in un ciclo infinito.
― È l’anima la vera essenza immortale. ― sussurrai ― Non il corpo. ― continuai, toccando il mio freddo, duro, apparentemente immortale.
― Cosa, Bella? ― domandò Carlisle.
― Lidia ha ragione. ― dissi ― Eric è Edward. ― notai i loro occhi ambra divenire enormi, sgranandosi sotto la mia inaspettata rivelazione.
― Non capite? In base a quello che facciamo rinasciamo! Essere vampiri è un affronto al vero ciclo dell’esistenza. Le persone dovrebbero nascere, crescere, invecchiare e poi morire… ma noi siamo diversi! Edward era diverso! L’essere ciò che siamo ci toglie il diritto di avere un’anima immortale, ma l’aver scelto di continuare ad essere umani – evitando la nostra vera natura predatoria – ci rende diversi! Edward Cullen è morto a Volterra, più di cento anni fa, ma è rinato qui, come Eric Hunter.

***

I giorni cominciarono a susseguirsi, veloci. Arrivammo così a Marzo, ma molte cose erano cambiate in quei mesi. Prima di tutto, io e Eric, avevamo stabilito un’intesa. Io lo avrei aiutato a rimanere fuori dai guai; lui avrebbe deciso di darmi una possibilità nel diventare sua amica. Funzionò. Il nostro rapporto crebbe ogni giorni di più, ogni settimana di più.
Poche settimane ci dividevano dal compleanno di Lidia, ed Eric chiese il nostro aiuto.
― Alice, no! ― urlò, facendomi voltare di scatto.
― Ma perché? ― piagnucolò il folletto ― Dai Eric, per favore!
― Ma non esiste, mostriciattolo! Non mi farò mettere in ghingheri da te, io odio lo smoking! ― scoppiai a ridere, i suoi gusti non erano cambiati, nonostante tutto.
― Bella, diglielo tu! Io non lo sopporto quando fa così.
― Cosa sta succedendo, qui? ― domandò Esme, entrando in salotto con un vassoio di biscotti al cioccolato strapieno.
― Tua figlia vuole travestirmi da pinguino. ― rispose Eric, prendendo qualche biscotto. Adorava Esme, e anche Carlisle, era diventato di famiglia.
― Alice…
― Sei un disgraziato! ― lo fulminò il piccolo folletto ― Io lo dico per te e tu… tu… Jasper! ― chiamò suo marito, correndo – a passo umano – fuori dal giardino.
― Ma è sempre stata così? ― chiese Eric, avvicinandosi e porgendomi un biscotto.
― No, grazie. ― risposi svelta ― Comunque sì, è sempre stata così.
― B., non per rompere sempre sulla solita storia, ma sei uno schianto! Puoi permetterti qualche biscotto ogni tanto, lo sai? ― distolsi lo sguardo dai suoi occhi verdi e mi morsi il labbro inferiore. Se fossi stata umana sarei di certo arrossita.
― Sono allergica al glutine, Eric. ― mi affrettai a spiegare ― Per questo non mangio molto, inoltre quei biscotti ne hanno parecchio da farmi secca! ― mentii, vedendolo arrossire per la gaffe.
― Ops, giuro che non volevo assassinarti! ― disse, indietreggiò e si sedette sul divano con Emmett, pronti – come al solito – per sfidarsi alla nuova Playstation. Era tutta in 4D e altro, mah! Maschi…, pensai.
― Bella? ― mi chiamò Alice, dal cortile. Lanciai un’altra occhiata a Eric e mi avviai da loro, incrociando Jasper che rientrava. Mi sorrise e si andò ad accomodare anche lui con loro. Sospirai, uscendo all’aria fresca. Il sangue di Eric non era più un problema, già da tempo ormai. Mi ero abituata al suo odore, inoltre Carlisle sosteneva che il fattore scatenante della mia sete fosse l’agitazione, che inebriava il mio autocontrollo.
Arrivai sul dondolo che si trovava nel retro del giardino, ad attendermi vi erano le mie sorelle.
― Come va?
― Dovremmo chiedertelo noi, Bella. ― disse Rose, sorridendo. Era da un po’ che era tornata serena, da quando – per l’esattezza – eravamo arrivati alla conclusione che Lidia avesse ragione su Eric.
― Sto bene. Più o meno… ― ammisi ― Sono felice che Edward sia vivo, ma è difficile non poterlo stringere, baciare o dirgli tutta la verità su di noi, su di lui.
― Cosa dice Lidia a riguardo? ― domandò Alice, continuando a guardare l’orizzonte.
― Che le sta provando tutte, tra incantesimi e altro, ma non riesce ad ottenere nulla. Pensate, lo ha perfino ipnotizzato per scherzo, ma niente. I ricordi della sua vita precedente sono radicati così affondo che… che nemmeno lei riesce a raggiungerli.
― Hai mai provato a parlargli di Edward? ― chiese Rosalie.
― Sì, ma senza troppo successo. ― risposi amareggiata ― Mi ha chiesto una foto, ma non ho potuto accontentarlo.
― Avrebbe notato una certa somiglianza. ― disse Alice, scoppiando a ridere.
― Mai pensato di parlargli di Jacob, oppure mostrargli una sua foto? ― chiese Rosalie. Mi irrigidii sul posto. Da quant’era che non sentivo pronunciare quel nome? Jake, Jacob Black. Il mio migliore amico… Un licantropo, per dirla tutta. Alice sosteneva che non riuscivo ad avere amici normali, nemmeno da umana. Beh, non aveva tutti i torti.
― Lo avete più sentito? ― domandai, vedendole scuotere il capo.
― Dopo la tua trasformazione, la morte di Charlie e il trasferimento in Alaska le telefonate sono state sempre più rare, fino a diventare nulle. ― rispose Alice ― Credo che per lui sia stata una batosta vederti tentare il suicidio per Edward e poi, come se non bastasse, venire trasformata, nonostante tutto.
― Però sappiamo che è ancora a Forks. ― continuò Rosalie ― Tanya e sorelle si sono trasferite lì dopo la nostra partenza, il branco è ancora tutto laggiù.
Non risposi, chissà quanti anni aveva ora Jake. Da quel poco che ne sapevo, i lupi, invecchiavano in un modo tutto loro, come i cani forse. Un anno valeva sette, o forse sette ne valevano uno. Non ero mai riuscita a capirlo.
― Chi sarebbe Jacob Black? ― ci voltammo di colpo, spaventate da Eric. Eri in piedi dietro di noi e, come ogni qualvolta, nessuno di noi l’aveva sentito arrivare.
― Un amico di Bella! ― rispose prontamente, Alice.
― E che amico… ― parlò, sognante, Rosalie. Sognante? Ma lo detestava!
― Già, Eric. Alto, bello, muscoloso… Le corre dietro fin da quando erano piccoli! Non è una cosa romantica?
― Sicuramente. ― rispose lui secco, irrigidendo le mascelle ― Isabella, ti avevo portato un maglioncino per il freddo che fa oggi, ma non credo ti serva. Non sembra mai che tu abbia freddo o qualsiasi altra cosa di noi comuni mortali. ― disse, in un tono così pieno di astio che mi fece rabbrividire ― Comunque, io sto andando via. Ci si vede a scuola. Ciao anche voi, ragazze. ― tentai di alzarmi e seguirlo, ma Alice mi bloccò.
― Non farlo, tesoro. ― disse lei.
― Cosa? Come? No, Alice io devo…
― Devi dar retta a nostra sorella, Bella. ― si intromise Rosalie, annuendo ad Alice.
― Hai provato di tutto per farlo cedere, giusto? ― chiese quest’ultima ed io annuii ― Bene, approccio sbagliato! Gli hai raccontato dell’incidente col furgoncino di Tyler, ma niente; della Bella Italia, ancora niente; della radura, ma niente… Grosso errore! Da che mondo e mondo si deve puntare all’orgoglio maschile, capito? Sulla gelosia, in questo caso. Edward ha sempre provato questo sentimento per Jacob Black, perciò l’unico modo per risvegliarlo è… ― si interruppe di colpo, stritolandomi il braccio, fino a farmi un male del diavolo. Mi voltai, interrogativa, ma quando vidi i suoi occhi vuoti e vitrei capii: stava avendo una visione.
― Cosa hai visto, Alice? ― domandò Rosalie, venendoci più vicina.
― I Volturi… ― sussurrò lei e a quel nome mi irrigidii di colpo ― Sanno che Edward si è reincarnato in Eric. Sanno tutto e vogliono raggiungerlo ora che è ancora umano per trasformarlo e farlo diventare membro della guardia!
― No! ― ringhiai, furente.
― Dove sono? ― domandò Rosalie, agitata ― Cosa vogliono fare?
― Loro verranno qui.

Tre semplici parole riuscirono a farmi crollare il mondo addosso, un’altra volta.

Eccoci qui, oggi sono tremendamente stanca! Perciò evito di fare o dire chissà che... Spero che il capitolo sia piaciuto e abbassate le armi! Ho capito che un capitolo non può finire così, però abbiate pazienza, sono gli ultimi! Ora vi saluto, ricordandomi l'appuntamento della prossima pubblicazione a Venerdì!

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Capitolo 10
*** Nono Capitolo. ***


Ciao a tutti, come state? Io ho ancora la febbre, che pizza! :( non mi dilungo troppo, perchè non vedo l'ora di tornarmene a letto! Vi lascio al capitolo e buona lettura!

Nono Capitolo

« La fiducia è semplicemente quella sensazione calma, rassicurante
che si ha prima di cadere a faccia in giù. »

― Cosa sta succedendo? ― domandò Carlisle, vedendoci entrare come tre furie, nel salotto di casa.
― I Volturi! ― ringhiai ― Stanno venendo a prendere Edward, un’altra volta!
― Cosa?! ― strillò Esme, sgranando gli occhi.
Alice raccontò loro ciò che aveva visto nella sua visione, mentre Rosalie cercava di non farmi impazzire. Non riuscivo a ragionare, a riflettere. Sembrava che la mia vita fosse un assurdo circolo vizioso che si ripeteva, senza arrivare mai ad un punto di svolta. Avevo trovato Edward, più di cento anni prima, lo avevo amato e poi lo avevo perso, per colpa dei Volturi. E adesso? Avevo trovato Eric – Edward, un’altra volta – il quale era riuscito a ridare un senso alla mia vita, alla mia esistenza priva di significato. E i Volturi lo avrebbero ucciso, un’altra volta. Era arrivato il momento di chiudere i conti; di fare quello che desideravo fare da decenni.
― Bella… ― sussurrò Alice, voltandosi lentamente. Avevo commesso un errore, non avevo alzato lo schiudo e lei aveva visto tutto ― È per questo che mi hai perdonata? ― domandò la piccola vampira ― Avevi pensato che il mio gesto ti avrebbe resa forte abbastanza per distruggere i Volturi e poi, una volta compiuta la tua vendetta, ti saresti uccisa? ― tacqui, non sapendo cosa rispondere.
― È per questo che non hai rifiutato quando, anni fa, ti chiesi di concedermi del tempo per insegnarti a combattere? ― domandò Jasper, avvicinandosi a sua moglie.
― Io… ― non sapevo cosa dire, leggevo soltanto delusione nei loro volti e rammarico, per non averlo capito prima.
― Credevo che il mio discorso fosse riuscito a far breccia. ― sussurrò Rosalie, alzandosi. Emmett la raggiunse, accerchiandola con le sue braccia.
― Non so cosa dire.
― Dicci che abbiamo capito male. ― fu Esme a parlare ― Che la visione di Alice è sbagliata, che non erano queste le tue intenzioni. ― rimasi in silenzio.
― Isabella. ― il timbro freddo e duro di Carlisle mi fece alzare gli occhi, fino ad incrociare i suoi. Erano neri come il petrolio, senza fondo.
― Mi… mi dispiace, io non… ― tentai, ma cominciai a balbettare così decisi di starmene zitta.
― Non credete che potremmo affrontare questo problema più tardi? ― domandò Emmett, ma nella sua voce non c’era più nulla di tenero o gioioso; avevo ferito anche lui. Abbassai nuovamente il capo, sentendomi esattamente ciò che per loro ero diventata: un problema.
― Alice, tra quanto arriveranno? ― domandò Carlisle.
― Tra due giorni. ― rispose la vampira, senza traccia di emozione nella voce.
― Abbiamo quarantotto ore per prepararci. ― disse Jasper ― E siamo in pochi. Arriveranno con tutta la guerriglia, pronti a tutti per avere Edward con loro.
― Forse ho un’idea. ― sussurrai, attirando la loro attenzione.
Spiegai tutto nei minimi dettagli, senza tralasciare neanche l’ombra di un insignificante particolare. Tutto doveva essere affrontato con una precisione chirurgica, senza commettere neppure il più misero errore.
Stavamo aspettando tutti che Jasper ci desse la sua opinione. In battaglia, la sua esperienza, ci sarebbe stata molto utile.
Potrebbe funzionare. ― disse, riflettendoci per un po’.
― Potrebbe o funzionerà? ― domandò Emmett, dubbioso.
― Emmett, non ho la sfera magica. ― rispose Jasper ― L’idea di Bella è buona, potrebbe funzionare. Ma dobbiamo giocare bene le nostre carte.
― Fai in fretta, Bella. ― disse Rosalie, voltandosi verso di me. Annuii, salii in camera e mi misi a cercare ciò che mi serviva.
Mezzora dopo lo trovai. Digitai il numero e attesi che il mio interlocutore rispondesse alla chiamata. Uno squillo, due squilli, tre, quattro, cinque… ero tentata di mettere giù, quando una voce parlò.
Pronto?
― Ciao, sono Isabella. ― dissi, sembrando il più seria possibile ― Ci serve una mano, devi venire qui subito.

***

Il mio avversario mi guardava negli occhi, mentre entrambi ci muovevamo lentamente, per continuare a tenere la distanza tra di noi. Lo vidi scattare fintamente, così non mi mossi – indietreggiai soltanto. Jasper mi aveva istruita a dovere, sapevo che mai avrei dovuto attaccare per prima. Fallo, diceva sempre lui, e sei morta. Lo fissai negli occhi e ringhiai, conscia che dovevo aspettare il momento giusto per attaccarlo; non un secondo di più, non un secondo di meno.
La tensione era palpabile, così come l’attesa. In questi casi solo uno dei combattenti avrebbe vinto, possedendo un’arma letale quando scaltra: la pazienza.
Il vampiro scattò in avanti, ringhiando rabbioso; aveva perso.
Scoprii i denti, schivando il suo attacco avventato; gli attorcigliai le braccia al collo, pronta ad affondare i denti nella sua carne e farlo, così, a brandelli.
― Emmett, sei un pirla! ― urlò Alice, prendendosi uno scappellotto da parte di Esme ― Scusa mamma, ma lo è.
― Non è bello dire a tuo fratello parole del genere. ― rispose Esme, per poi rivolgersi a Emmett ― E tu, razza di orso! Ti rendi conto che così ti farai ammazzare? Ho già perso un figlio, non ne voglio perdere un altro! Bella è forte almeno quanto Felix, ciò significa che in uno scontro reale saresti morto! ― l’orso sbuffò, piuttosto sonoramente, e cascò a terra.
― Io odio aspettare. ― disse ― E Bella non si muoveva!
― L’unico modo per vincere è attendere che sia l’altro a colpire. ― dissi solenne ― al contrario, lui vince e tu sei morto.
― Allora quando parlavo mi ascoltavi. ― disse Jasper, concedendomi un breve sorriso. Era il primo dopo parecchio tempo. Anche se erano passate solo poche ore, dalla sera prima, a me pareva essere trascorsa un’eternità.
In casa c’era un gelo terribile. La tensione, poteva essere tagliata con un coltello. Tutto per colpa mia; perché nonostante non fossi più umana, riuscivo comunque a combinare casini con la mia sbadataggine.
― Carlisle. ― lo chiamò Jasper ― Adesso proviamo noi. ― vidi mio padre annuire e poi raggiungere il centro di Hampstead Heath Park. Era lì che avevamo deciso di addestrarci per l’imminente battaglia.
Il parco, una selvaggia e immensa distesa verde, era situato nella periferia di Londra, sei chilometri a Nord della capitale britannica. Vi erano enormi alberi che, con la loro fittezza, avrebbero coperto le nostre figure – nascoste nel piccolo boschetto che si ergeva alla fine dei sentieri e della pista ciclabile – nell’ombra.
Il Hampstead Heath Park, infatti, più che un semplice parco, veniva definito da sempre come una grande foresta, un bel bosco in cui addentrarsi e scoprire tutti i suoi meravigliosi angoli.
Mi allontanai un po’ dalla zona dell’addestramento, lasciando alla mia famiglia la propria privacy. Sapevo di averli feriti tutti; non era cosa di tutti i giorni scoprire che, la propria figlia, aveva deciso di vendicare il suo grande amore e poi – dopo decenni in cui aveva preso tutti in giro, facendo credere che aveva accettato la sua nuova condizione, che aveva fatto si che il loro amore crescesse – togliersi la vita.
Sospirai pesantemente, mentre mi sedetti su una panchina isolata. Inarcai la testa all’indietro e mi misi a fissare le stelle.
Il cielo, nonostante quella giornata fosse stata parecchio nebbiosa, era limpido. Riuscivo a scorgere qualsiasi costellazione esistente; ovviamente, ad occhio umano, sarebbe stata un’impresa impossibile. Riuscivo a vedere Cassiopea, la costellazione settentrionale che raffigurava la leggendaria regina di Etiopia; Orione, la costellazione più importante – e sicuramente la più conosciuta – del cielo. Grazie alle sue brillanti stelle, Orione, era visibile da qualsiasi parte del mondo.
― Se cerchi la costellazione di Pegaso è quella laggiù. ― disse Alice, indicandola con il suo indice bianco e affusolato. Non l’aveva sentita arrivare, troppo assorta nel guardare il cielo.
― Grazie. ― risposi flebile, sedendomi composta.
― Parliamo. ― disse lei, accomodandosi di fianco a me ― Ti va? ― annuii, incerta sul come sarebbe finita quella conversazione.
Restammo in silenzio per un attimo che mi parve interminabile. Lei non parlava, io nemmeno; una delle due doveva decidersi a cominciare un discorso.
― Hai già combattuto?
― Certo. ― rispose, sorridendo ― Io contro Jasper. Ovviamente ho vinto io! ― sghignazzò, facendomi scappare un sorriso.
― Hai imbrogliato, vero?
― Sono doni, non imbroglio se li uso!
― Vero…
― Anche tu li usi i tuoi… ― sussurrò ― O meglio, li hai usati per un bel po’ di tempo.
― Alice, io… ― provai, ma mi zittì con la mano.
― Bella, io so come ti sei sentita. ― disse flebile ― Non provavo amore per Edward, ovviamente, ma era davvero come un fratello di sangue per me. Ho perso molto, troppo, dalla mia vita umana; gli affetti di chi mi voleva bene, perché pensavano fossi una pazza. So cosa vuol dire rimanere sola, Bella. È questo che mi fa sentire tradita, da te. Io ho sbagliato a trasformarti, credi davvero che non lo sappia? Che abbia mai minimamente pensato che il tuo odio, nei miei confronti, fosse insensato o stupido? No, non l’ho mai pensato. Il mio gesto è stato puro egoismo, ma ora ti chiedo: tu mi avresti lasciata morire? ― non parlai, la risposta era abbastanza ovvia: no, non l’avrei mai lasciata morire senza prima averle provate tutte.
― Come immaginavo. ― disse, ridendo. Riconoscevo la sua risata limpida, cristallina. Era Alice, la mia pazza e adorabile Alice.
― Ti voglio bene. ― dissi, abbracciandola stretta.
― Te ne voglio anche io, Bella. ― rispose, contraccambiando il mio gesto ― Ma non dubitare più di me, di noi… siamo la tua famiglia, ok? ― annuii, capendo che non c’era altro da dire.
Restammo abbracciate, ridendo e scherzando, per quasi tutta la notte. Tra poche ore sarebbe sorto il sole; i cancelli del parco stavano per riaprirsi.
― Andiamo a chiamare gli altri! ― disse il folletto, scattando in piedi ― Poi andiamo a caccia, ci facciamo una bella doccia e attendiamo l’arrivo dei Volturi. ― mi strinse le mani nelle sue, facendomi sprofondare nei suoi occhi pece ― Insieme, Bella. Insieme ci prenderemo la nostra rivincita. ― annuii decisa, seguendola dagli altri.

L’alba era da poco spuntata dietro l’orizzonte. I suoi colori caldi venivano soffocati un po’ dalla tenue nebbiolina che caratterizzava la città di Londra.
Tutta la famiglia era radunata in salotto; chi rimaneva in piedi, chi seduto, chi ripassava le mosse migliori. Nessuno parlava.
― Bella! ― sentimmo urlare, catapultandoci fuori dalla porta d’ingresso.
Lidia aveva un aspetto tremendo; sporca di terra, jeans strappati… Cosa diavolo era successo?
― Lidia, cara, cos’è successo? ― domandò Esme, accorrendo in suo aiuto, ma lei scosse il capo.
― Non pensate a me! ― urlò, sconvolta dal panico ― Eric! Lo hanno preso! ― si voltò verso Alice, con occhi vitrei ― Ti hanno ingannata, Alice. Lo hanno fatto di proposito, per arrivare prima a lui.
Una frase. Una verità. Tante piccole parole unite tra loro erano riuscite a trasmettermi un concetto raggelante e terribile.

Un ringhio disumano squarciò il cielo plumbeo. L’alba era passata, lasciando il suo posto a nuvole pesanti, grigie e tetre. Solo quando mi accorsi che tutti gli sguardi erano puntati su di me mi resi conto della verità: a ringhiare in quel modo mostruoso, ero stata io.

L'unica cosa che ci tengo a dirvi è di scusarmi se vi sono piccoli errori di battitura o altro, ma non mi sento bene e ho corretto il meglio che ho potuto! I Volturi hanno presa per i fondelli i Cullen, inviando ad Alice una visione fittizia. Cosa succederà adesso? E Bella, chi ha telefonato? Come avrete visto, gli altarini della nostra vampira sono venuti fuori, non potevo concludere la storia lasciando vivere i Cullen allo scuro dell'idea iniziale di Isabella, no? Il prossimo aggiornamento - che magari farò prima di Venerdì prossimo - sarà l'ultimo capitolo! Ovviamente, poi, ci sarà l'epilogo :)

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Capitolo 11
*** Decimo Capitolo. ***


Buon pomeriggio a tutti! Come va? Ho deciso di anticipare di un giorno la pubblicazione, tanto la storia è finita e aspettare non aveva molto senso XD perciò eccomi qui con l'ULTIMO CAPITOLO di questa piccola fanfiction. Vi ricordo, comunque, che manca ancora l'EPILOGO! Quindi non disperate ancora... :)
Ma bando alle ciance, vi lascio leggere e ci leggiamo in fondo!


Decimo Capitolo

« Dicono alcuni che finirà nel fuoco il mondo, altri nel ghiaccio.
Del desiderio ho gustato quel poco che mi fa scegliere il fuoco.
Ma se dovesse due volte finire, so pure che cosa è odiare,
e per la distruzione posso dire che anche il ghiaccio è terribile
e può bastare. »
Fuoco e Ghiacco, Robert Frost.

.

Cominciai a correre senza tregua. Percepivo la mia famiglia alle mie spalle, mi stava seguendo, chiedendomi dove stessimo andando. Non lo sapevo. Riuscii, per puro miracolo, a intercettare la scia dell’odore del sangue di Eric e la seguii. Arrivammo in un enorme bosco, poco distante dalla periferia di Londra.
― Bella! ― urlò Alice ― Ma cosa diavolo ti è preso? ― la zittii, sperando che la sua voce non avesse fatto scappare il mio nemico. Sapevo che erano allenati, forti – forse anche più di noi – che, essendo vampiri, anche se fossimo giunti qui di soppiatto avrebbero percepito il nostro odore. Speravo solo che non si fossero dati alla fuga. Mi voltai di scatto, verso sinistra, quando percepii uno spostamento tra gli alberi. Partii a raffica, fermandomi solo quando andai a schiantarmi contro il cemento armato.
― Isabella. ― disse una voce calma e pacata ― Ci incontriamo ancora, vedo.
Alzai lentamente la testa, incrociando un paio di occhi rossi cremisi. Il suo viso non era cambiato di una virgola. L’avevo visto solo una volta, moltissimi anni prima, a Volterra – il giorno stesso in cui il corpo di Edward venne dato alle fiamme. I suoi lineamenti sembravano perfetti, ma erano diversi da quelli di tutti gli altri vampiri. Il suo incarnato era bianco e sottile, sembrava fatto di carta velina; questo suo accecante candore contrastava notevolmente con i lunghi capelli neri che gli ricadevano ai lati.
― Aro. ― sussurrai, rimettendomi in piedi.
Tutti i Cullen ci avevano raggiunti, compresa Lidia – la quale era stava portata da Emmett. Aro, spostato in avanti, rispetto agli altri due Volturi – Caius e Marcus – squadrava l’umana da capo a piede. Mentre lui era intento a perdere tempo, io guardai la situazione. Erano venuti al completo: Jane, Alec, Felix, più tutto il plotone di combattenti più potenti della loro guardia.
I miei occhi saettarono su una ragazzina. Aveva i capelli castani scuri e mossi; gli occhi erano rossi, ma sembrava spaventata. Teneva il corpo addormentato di Eric al sicuro, da noi. Doveva essere una nuova entrata nel clan dei Volturi.
― Lascia il ragazzo, Aro. ― disse Carlisle, continuando una conversazione che, fino a quel momento, mi ero persa. Di tutta risposta, il vampiro scoppiò a ridere.
Era una risata divertita, ma gelida. Se fossi stata umana, mi sarebbe venuta la pelle d’oca.
― Non esiste, mio caro amico. ― rispose Aro ― I nostri veggenti hanno scoperto che questo giovane, Eric Hunter, altri non è che la reincarnazione del bellissimo vampiro Edward Cullen, tuo figlio per l’appunto.
― E anche se fosse? Cosa vorresti fare? ― domandò Carlisle ― Inoltre, non eri tu stesso a sostenere che i vampiri non avessero anima? Come sarebbe possibile che questo giovane possa essere il mio Edward? Ragiona, Aro.
― I tuoi trucchetti non funzionano, Carlisle. ― disse Aro, tornando incredibilmente serio ― Non questa volta.
― Non capisco di quali trucchi tu stia parlando, Aro.
― Non vi lascerò il ragazzo. E se provate a contrastarci, vi daremo guerra. ― ringhiai, cercando di muovermi, ma il braccio di Emmett mi circondò la vita spostandomi indietro.
― Ti farai ammazzare, Bella. ― disse lui ― Non sei lucida.
― Ha ragione. ― lo spalleggiò Rosalie ― Lascia parlare Carlisle.
― Non servirà a niente.
― Ha ragione lei. ― sussurrò Alice, con occhi vitrei ― Arriveremo allo scontro. La decisione di Aro è presa. ― si voltò verso Jasper, il quale la strinse forte a sé.
― Sono in troppi. ― sussurrò Lidia ― Non ce la faremo mai.
Tu non devi stare qui! ― dissi, ringhiando ― Ti farai ammazzare. Emmett devi riportarla a…
― No! ― mi interruppe lei ― Posso aiutarvi. Fidati di me, Bella. ― la fissai a lungo. I suoi occhi erano due pozze castane, che imploravano di darle retta. Fu in quel momento, con la mia distrazione, che non mi accorsi che Carlisle scattò in avanti, attaccando Aro.
― Carlisle, no! ― urlò Esme, troppo preoccupata per il gesto avventato del marito per accorgersi di Felix che le saltò alla gola. Successe tutto troppo in fretta per impedirlo.
La scontro scoppiò senza preavviso, quando ci buttammo nella battaglia era già tutto deciso. Vidi Jasper fronteggiare Alec, mentre Alice anticipava tutte le mosse dei suoi avversari; Emmett si scaraventò su Felix, liberando nostra madre, la quale raggiunse Lidia per portarla al sicuro. Rosalie, con un’abilità chirurgica, si stava scontrando con la nuova vampira, la quale sembrava combattere più per sopravvivenza che per altro.
― Ci si rivede, Isabella. ― disse Jane, piombandomi alle spalle. La squadrai da capo a piede, non era diversa neanche nell’abbigliamento.
― Ma voi Volturi non vi cambiate mai? ― mi scappò, e lei ringhiò di rimando.
― Vediamo quanto ridi adesso! ― mi fissò a lungo, facendo uno sforzo enorme, ma non accadde nulla. Il mio scudo riusciva a proteggermi da ogni attacco psichico.
― Sorpresa. ― dissi, sorridendo e mi avventai su di lei. La vidi sgranare gli occhi, non aspettandosi il fallimento del suo attacco. Non riuscì a schivarmi, perciò cadde a terra sotto il mio peso.
― Lasciate stare Eric e io ti lascio la testa attaccata al collo! ― ringhiai furente.
― Mai, ragazzina!
― Allora muori, Jane! ― provai a morderla, ma riuscì a ribaltare la situazione. Mi ritrovai con la schiena schiacciata nel terriccio bagnato e umido, lottando per la mia sopravvivenza. Non dovevo perdere, non potevo perdere. In gioco, ora, non c’era solo la mia vita.
― Vediamo quanto sei brava a giocare, Isabella. ― sussurrò, a pochi centimetri dal mio collo. Credevo che mi avrebbe morsa, fatta a pezzi; invece, si alzò concentrandosi sulle mie sorelle. Vidi Alice e Rosalie cadere a terra, urlanti. Straziate dal dolore. Profondo, lacerante. Letale. Fu in quel momento che Jasper ed Emmett, vedendo le rispettive mogli a terra agonizzanti, persero la concentrazione. Felix immobilizzò, con la faccia a terra, Emmett; Alec fece piegare Jasper sulle ginocchia, bloccandogli le braccia dietro la schiena; i tre Volturi avevano preso Carlisle, Esme e Lidia.
― Bene, bene, bene. ― disse Aro, lasciando che un’altra guardia immobilizzasse Carlisle al suo posto ― Sei un’esperta combattente, Isabella. Ho una proposta molto allettante, per te.
― Non mi interessa. ― sputai fuori, ma fu una pessima idea. Jane fece urlare ancora di più Alice e Rosalie ― Smettila, dannata!
― Isabella, Isabella, Isabella… ― parlò di nuovo Aro ― No, no, non si fa così. Prima dovresti dire: certo Aro, ti ascolto, esponi la tua idea.
― Parla.
― Non è stato detto con molta gentilezza, ma credo che dovrò accontentarmi. ― disse, parlando più a se stesso che a noi altri ― Io lascio vivere la tua famigliola, in compenso tu ed Edward vi unite a noi di vostra spontanea volontà. Ho visto che hai respinto il potere di Jane, so che Edward – o io stesso – non riesce a leggerti nel pensiero. Sei uno scudo, mia dolce Isabella. E ci potresti essere molto, molto utile. ― sentii Jane ringhiare leggermente. Mi odiava e l’idea che potessi accettare quell’idea la mandava in bestia.
― E se decidessi di non accettare le tua proposta?
― In quel caso… ― si voltò verso Jane, facendo un segno di assenso con la testa e vidi Alice e Rosalie soffrire ancora di più, mentre Emmett e Jasper non riuscivano a liberarsi da quella presa troppo ferrea.
― Smettila, smettila! ― urlai a Jane; quando Aro le rifece cenno col capo, lei, allentò la sua tortura.
In quel momento capii cosa dovevo fare. La rivelazione inaspettata avrebbe potuto salvare la situazione, senza che nessuno perdesse la vita.
― Va bene. ― dissi, sentendo un “no” collettivo e disperato della mia famiglia ― Ma ad una condizione: anche Lidia deve rientrare nel patto. ― Aro indietreggiò un po’, inclinando di lato la testa; fece saettare i suoi occhi tra me e la ragazza, per poi avvicinarsi a lei.
― Perché? ― domandò a me ― È un’umana, non dovrebbe sapere della nostra esistenza.
― Tu hai le tue condizioni, Aro. Questa è la mia. ― lo vidi annuire, riflettendo attentamente.
― Non puoi accettare questa insulsa proposta, Aro. ― disse Caius.
― Ha ragione. ― confermò Marcus ― Quell’umana sa troppo, è un pericoloso fardello.
― Avete ragione. ― constatò Aro e mi irrigidii sul posto, quando lo vidi prendere tra le mani una ciocca dei capelli di Lidia e passarli sotto il suo naso. Scoprì i canini, sorridendo – forse voleva spaventarla – ma Lidia non si scompose.
― Io non sono una semplice umana, signore. ― disse lei.
― Ah no?
― No. ― rispose Lidia, sorridente. Alzò una mano e scaraventò Aro contro un albero piuttosto lontano.
― Adesso! Ora! ― urlai, rivolgendomi alla foresta buia. Abbassai lo scudo, mentre Lidia spezzava il suo incantesimo di copertura.
Un ringhio animalesco squarciò il silenzio innaturale che era venuto a crearsi. Con un balzo preciso, un lupo dal pelo rossiccio si scagliò su Jane, riducendola in pezzi. Un altro lupo, dal pelo multicolore, balzò su Alec e lo scaraventò a terra. Jasper corse ad aiutare Esme e Lidia, mentre io mi avventai su Felix.
― Emmett aiuta Rose e Alice! ― urlai, vedendo Carlisle correre verso Eric.
― Non puoi distruggermi, ragazzina! ― ringhiò Felix, sbattendomi contro un albero. Jacob gli balzò addosso, ma lo bloccai in tempo.
― No, Jake! Lui è mio! ― il lupo si fermò, guardandomi con sguardo confuso ― Ha ucciso Edward, è arrivato il momento di pareggiare i conti. ― il suo ululato sembrava voler dire “è tutto tuo, allora”. Sorrisi divertita, colpendo il petto di Felix più e più volte; provava a scansarsi, ad evitare i miei colpi, ma invano. Ero più forte, più agguerrita e più volenterosa. Amore e vendetta, era un mix letale.
― Come hai fatto, Felix? Così? ― urlai, strappandoli il braccio sinistro ― O così? ― strappai il destro ― Credi che non abbia sofferto? Beh, ti do una notizia: ha sofferto come un cane ed io ero lì, morente, a guardare tutta la scena! ― gli feci sprofondare i canini nel collo, per poi staccargli la testa con un colpo solo, secco e deciso.
Mi alzai ansante, con i denti scoperti, e tremante. Dovevo calmarmi, dovevo riprendere il controllo di me stessa, o tutto quello che avevo imparato in questi anni sarebbe scomparso, dissolto come neve al sole, e la bestia – dentro di me – avrebbe vinto. Posai gli occhi sul campo di battaglia: la guardia dei Volturi era decimata. Aro, Caius e Marcus erano gli unici rimasti in piedi; insieme a pochi altri.
Solo a quel punto mi resi conto di non vedere più Eric. Il mio sguardo saettò ovunque, ma non riuscivo a trovarlo.
― Bella! ― chiamò Jacob, essendo tornato nella sua forma umana. Restai impietrita nel vederlo. Adesso aveva l’aspetto di un venticinquenne. Il suo corpo era sempre scolpito e atletico, ma non aveva più quell’espressione giovanile o ingenua. Jacob Black era diventato un uomo.
― Non trovo Edward! ― risposi, cercandolo ovunque.
― È ferito. ― parlò una ragazza dietro di lui. Non dimostrava più di vent’anni. I capelli erano castano-rossicci, gli occhi verdi e il suo incarnato era troppo chiaro per appartenere ad un essere umano. Eppure, nonostante questo, il suo cuore batteva.
― Dov’è, Nessie? ― le chiese Jacob, afferrandole una mano.
― Dietro quell’albero! ― rispose lei, schizzando via. Non riuscivo a crederci, era…
― Sì, è una vampira. ― disse Jacob, capendomi al volo ― O per meglio dire, una mezza vampira. Comunque non sbaglia mai, forza andiamo! ― annuii, non capendo come potesse appartenere alla loro tribù una vampira, anche se lo era solo per metà. Poi notai il modo in cui lui la fissava e capii: era l’imprinting di Jake.
Quando raggiungemmo l’albero mi pietrificai. Eric era per terra, ricoperto di sangue. Un morso, due, tre… Qualcuno della guardia dei Volturi si era avventato su di lui mentre lo scontro era in atto.
― No… ― sussurrai, cadendo a terra ― Non può morire, non di nuovo!
― Non è morto, Isabella. ― disse Nessie ― Il suo cuore batte ancora, ma devi trasformarlo e devi fare in fretta.
Mi voltai, vedendo Jacob annuire e poi spostai gli occhi su quello che restava dei nostri avversari. Aro si era arreso, e con quelli che rimanevano, se ne stava andando.
― Tu puoi farlo, Bella. ― disse Lidia, sbucando all’improvviso davanti a me ― Devi salvarlo. Forse è questa la chiave: restituiscili la sua immortalità, solo tu puoi farlo. ― lasciai che il mio sguardo si spostasse su tutti: da Jacob a Carlisle; da Rosalie ad Alice; per poi passare ai miei fratelli e, per finire, ad Esme.
― Mi dispiace. ― sussurrai ― Non doveva finire così. Non doveva succedere così. ― gli accarezzai il viso, contratto dal dolore, e affondai i denti nel suo collo.
Fu uno sforzo enorme iniettare il mio veleno, senza bere quel poco di sangue che gli era rimasto in corpo. Carlisle diceva sempre che ci voleva molta forza di volontà, ma fino a quel momento non avevo capito davvero quanta.

I giorni passarono, lenti, interminabili. Avevamo raccontato ai genitori adottivi di Eric che, a causa di un assurdo incidente nel bosco, il ragazzo aveva perso la vita. Era con noi, adesso; nella mia stanza. Agonizzante da tre giorni, in preda al dolore più profondo e lacerante. Dovetti rivelare a Carlisle che la morfina non faceva nulla, che – nonostante impedirti di muovere ogni arto – non attenuava il dolore, il fuoco che ti divampa dentro, senza sosta.
― Come sta? ― domandò Jacob, entrando in camera.
― Dovrebbe svegliarsi a momenti, a detta di Alice almeno.
― Andrà tutto bene, Bells. Il tuo succhiasangue è forte. ― mi voltai un po’, sorridendogli.
― Così… ti sei fidanzato con una vampira, eh?
― Già. ― rispose, grattandosi la testa ― Assurdo, vero? Un licantropo che ha l’imprinting con un vampiro. Non lo avrei mai detto.
― Sei sempre stato un po’ ottuso, Jake.
― Ehi! Non ti permetto di offendermi solo perché stai soffrendo, sei in ansia o preoccupata. ― concluse, con aria risoluta. Nonostante l’età e il tempo, Jacob, non era cambiato per niente.
― Sono felice per te, Jake. ― dissi, seriamente ― Sono contenta che tu abbia trovato la persona giusta…
― E tu hai ritrovato la tua.
Fu in quel momento che sentii una presa ferrea intorno al mio polso. Mi voltai di scatto, sprofondando in due occhi rossi cremisi.

― Bella. ― sussurrò, guardandomi. Si era svegliato.

Tutto è bene quello che finisce bene, no? I Volturi erano furbi, eppure grazie all'accoppiata Lidia/Bella e con l'aiuto dei lupi, i Cullen hanno vinto. Eric è finito maluccio, però... Isabella è stata, così, costretta a trasformarlo senza avergli ridato i suoi ricordi. Cosa succederà adesso? Manca solo l'epilogo e poi anche questa storia troverà la parola fine! Ma non mancheranno le sorprese neanche lì... XD
L'epilogo verrà postato Mercoledì 2 Novembre! Non perdetevelo...

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Capitolo 12
*** Epilogo. ***


Ciao a tutti, eccomi qui con l'epilogo di questa storia. Ci tenevo davvero molto a dirvi quanto mi ha fatto piacere vedere che la storia sia stata ccolta bene. da tutti voi! Dirvi grazie è poco, ma l'unica parola che mi viene da dire è proprio questa: GRAZIE MILLE A TUTTI VOI!
Questa storia, per certi versi, è stata un azzardo... Insomma, Edward morto; Isabella vendicativa; riprendere in considerazione un concetto di anima per i vampiri, forneno così credibilità alla morte/reincarnazione di Edward Cullen; e molto altro. Eppure avete apprezzato questa mia idea, per questo vi ringrazio!
Adesso vi lascio all'epilogo, ma mi raccomando, date un'occhiata a quello che scriverò a fondo pagina!


EPILOGO

« Un palazzo viene dato alle fiamme, tutto quello che ne rimane è cenere.
Prima pensavo che questo valesse per ogni cosa, famiglie, amici, sentimenti.
Ora so che a volte, se l'amore è vero amore, niente può separare due persone fatte per stare insieme. »
Sarah - Il Corvo.

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Il mondo. Esso muta sempre.
I giorni passano, le stagioni si alternano, i mesi si susseguiscono. Era così che andava il mondo. Esso continuava a cambiare, ma io no. Noi no.
Mi trovavo dinanzi allo specchio, intenta a pettinare i capelli a quella ragazza che, conosciuta in circostanze orribile, era diventata mia figlia.
Aveva dodici anni da più di cinquant’anni, ormai. I capelli mossi, castani scuri, gli occhi ambra – che sostituirono quel cresimi agghiacciante – alta sul metro e cinquanta, minuta nella sua eterna perfezione.
― Non capisco perché dobbiamo ritornare a scuola.
Bree, non cominciare. ― l’ammonii ― Lo sai, più giovani arriviamo in un posto e più tempo possiamo restare.
― Questa volta cosa sono? ― domandò ― Cugina, sorella…?
― Sorella. ― dissi, baciandole una guancia per poi stringermela con delicatezza ― La mia sorellina pasticciona! ― lei scoppiò a ridere e mi abbracciò.
― Grazie, mamma. ― sussurrò, tornando seria.
― Per cosa?
― Per avermi accolta nella tua famiglia, nonostante il modo in cui ci incontrammo molto tempo fa.
― Non eri cattiva, tesoro. ― risposi ― Non lo sei mai stata. Aro ti aveva trasformata per le tue doti, ma non eri come loro.
Ricordavo ancora quel giorno, quando la vidi terrorizzata nello scontro con i Volturi – se non fosse stato per i lupi o per la genialità di Lidia, non avremmo mai vinto quello scontro. Carlisle ed Esme capirono subito la situazione e decisero di farla rimanere con noi. Rosalie ne fu entusiasta; finalmente avrebbe potuto guardare qualcuno correre per casa. Io – esattamente come mia sorella – non avrei mai potuto avere figli; Bree era la mia unica e sola possibilità di essere madre. Non mi dispiaceva affatto.
― Siete pronte? ― domandò una voce, entrando nella stanza. Mi voltai, riconoscendola al’istante. Era dolce, calda e melodiosa… meravigliosa, proprio con me lui. I capelli bronzei scompigliati, gli occhi ambra, fisico scolpito che ricordava quello di un Dio greco.
― Certo, papà! Guarda che acconciatura. ― disse Bree, facendo varie giravolte su se stessa ― Me l’ha fatta la mamma, che ne dici?
― Sei meravigliosa! ― rispose Edward, baciandole la testa ― Ora vai giù da Alice, vuole controllare che tu sia vestita alla perfezione. ― annuì e poi sparì a velocità vampiresca.
― Non ti dispiace mai per lei? ― domandai a lui, sentendola al piano di sotto intenta a parlare con zia Alice.
― Perché non crescerà mai? Perché rimarrà una dodicenne per il resto della sua vita? ― chiese ed io annuii ― Molto. È ingiusto, è così piccola.
― Lo so. ― risposi, avvicinandomi a lui. Mi accolse tra le sue braccia e posò le sue labbra sulle mie. Mi persi in quel contatto, cristallizzando il momento e tutto ciò che ci circondava. Riavere Edward fu un miracolo. Dopo la trasformazione, infatti, riaprì gli occhi e, come per magia, ricordò tutto: chi era, cos’era. Ovviamente rammentava anche di essere stato Eric Hunter, e dire che si vergognava per ciò che era stato capace di fare era un eufemismo.
Da allora molte cose cambiarono. Prima di tutto, Edward, tornò a vivere con noi. Dovettimo andare via da Londra, a causa dei suoi inspiegabili cambiamenti – o, per meglio dire, a causa della sua prematura morte. Ci dispiacque non poco. Entrambi ci eravamo affezionati a Lidia – la quale si sposò, avendo figli e nipoti – e lui, amava i suoi genitori adottivi che avevano sopportato tutti i colpi di testa di Eric Hunter.
Tornammo a Forks per qualche tempo e vedere che tra Edward e Jacob non ci fosse più astio mi rese molto felice. Ci eravamo sposati, avevamo fatto il grande passo durante la luna di miele e tutti i nostri sogni romantici ebbero il loro coronamento. Eravamo diventati una famiglia, a tutti gli effetti.
Jacob ci raccontò la sua storia e quella della trovatella nel bosco – Nessie. Era una mezza vampira, abbandonata a se stessa. L’aveva trovata Seth in un suo pattugliamento e quando Jacob la vide si perse nei suoi smeraldi verdi. Come suo imprinting i lupi non potettero toccarla, perciò cambiarono le regole, facendo entrare una vampira nella tribù.
― A cosa pensi? ― mi chiese Edward, mentre mi teneva la porta della stanza aperta.
― A tutto quello che è successo in questi anni.
― E…?
― E ti amo, Edward Anthony Masen Cullen.
― Ti amo anche io, Isabella Marie Swan Cullen.
― Per sempre? ― domandai, ad un millimetro dalle sue labbra.
― Abbiamo un’eternità, amore mio. ― disse, passando la sua lingua sulle mie labbra e stringendomi di più a sé ― Il “per sempre” non mi basta.
― Nemmeno a me. ― risposi, beandomi dei suoi baci e delle sue carezze.
Raggiungemmo gli altri, sapendo che quello era solo l’inizio di una nuova vita, ma che comunque, noi, avremmo avuto dalla nostra parte la nostra piccola e perfetta eternità.

Fine.


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Eccoci qui, anche questa storia è finita. Se devo essere onesta, mi dispiace... Ma tutto ha un inizio e una fine, questa storia ha visto la parola fine oggi. Molte di voi - che ringrazio davvero tantissimo! - mi hanno chiesto di non terminarla così presto, ma ho risposto che era giusto così. Non avrebbe avuto senso portarla avanti, perchè tutto quello che dovevo dire l'ho detto. Non mi piace allungare il brodo, perciò se quello che voglio trasmettere riesco a farlo in dieci capitoli - senza contare prologo ed epilogo - ben venga!
Voglio dirvi davvero grazie. Grazie a chi ha messo la storia nei preferiti, nelle storie seguite o in quelle da ricordare; grazie a chi ha recensito tutti i capitoli, senza perdersene nemmeno uno! Grazie, ancora, a chi ha letto in silenzio, apprezzando il mio lavoro... GRAZIE DAVVERO A TUTTI VOI!
Sono dell'idea che il "lavoro" di uno "scrittore" valga poco se non ci fossero persone a sostenerlo, a leggere le sue opere e via dicendo. Perciò, questa storia è arrivata alla fine anche grazie a voi, che non mi avete abbandonata durante il cammino.

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