Prima di King's Cross

di Elos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il corpo nel fiume ***
Capitolo 2: *** Ricordi in bottiglia ***
Capitolo 3: *** Piani e progetti di Minerva McGranitt ***
Capitolo 4: *** Inseguendo l'acqua che scorre ***
Capitolo 5: *** Il Prestamente ***
Capitolo 6: *** Il testamento di Severus Piton ***
Capitolo 7: *** Verso Grimmauld Place ***
Capitolo 8: *** Colazione col fantasma ***
Capitolo 9: *** Teddy Remus Lupin ***
Capitolo 10: *** In memoria ***
Capitolo 11: *** Cinque cose da fare ***
Capitolo 12: *** Prima che venga sera ***
Capitolo 13: *** Il Contratto Inscindibile dell'Offizio dei Ricordanti ***
Capitolo 14: *** King's Cross ***
Capitolo 15: *** Il primo nuovo giorno ***



Capitolo 1
*** Il corpo nel fiume ***





Capitolo 1
Il corpo nel fiume




Dalle finestre del Ministero si intravedeva un cielo azzurro e limpido, con poche nuvole, quel genere di cielo che è bellissimo vedere negli ultimi mesi d'autunno. Hermione, che - come tutte le mattine - aveva coraggiosamente attraversato la città in metropolitana, sapeva che quell'immagine di bel tempo era dovuta esclusivamente agli incantesimi della Manutenzione Magica; il cielo di Londra, quello vero, era coperto da una cappa di nuvole pesanti dalla quale erano ininterrottamente caduti scrosci d'acqua sin dalla sera precedente.
In ascensore piegò la testa, al Sesto Livello, al passaggio di un mago bassissimo con un carico di scope in spalla, per evitare che la più sporgente di queste la colpisse precisamente dietro la nuca; mentre si raddrizzava, un promemoria guizzò all'interno della cabina e minacciò di entrarle in un occhio. Lei lo schivò, e il promemoria andò a cacciarsi nella crocchia dell'anziana strega proprio alla sua destra.
Terzo Livello...” Annunciò la voce fredda dell'altoparlante. “Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici, comprendente la Squadra Cancellazione della Magia Accidentale, il Quartier Generale degli Obliviatori, il Comitato Scuse ai Babbani e la Commissione Speciale per la Ricostruzione.
In genere la maggior parte dei maghi e delle streghe scendeva a quel piano: ed Hermione si trovò improvvisamente con un sacco di spazio tutt'attorno a sé. Aprì la piccola borsetta di pelle che portava a tracolla e ci cacciò una mano dentro. Rovistò per un attimo al suo interno - e il rumore di ferraglia e cartacce che ne uscì suonò cavernoso e profondo, troppo cavernoso e profondo, al punto tale che la vecchia strega con la crocchia si girò e la guardò, sorpresa - ed estrasse non si capiva bene come e da dove un grosso giornale arrotolato. Lo spiegò e si immerse nella lettura.
Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, comprendente l'Ufficio per l'Uso Improprio delle Arti Magiche, il Quartier Generale degli Auror e i Servizi Amministrativi Wizengamot.
L'ascensore si fermò sferragliando ed Hermione uscì senza smettere di leggere. Teneva il giornale aperto davanti a sé con entrambe le mani, e per poter aprire la porta di quercia in fondo al corridoio dovette usare il gomito per premere sulla maniglia e la spalla per spingere il battente.
A quell'ora del mattino - potevano essere forse le sette, sette e mezza - i cubicoli del Quartier Generale degli Auror erano ancora quasi tutti deserti. Hermione si affacciò al di sopra del giornale per salutare un mago dal viso sfregiato, seduto ad una scrivania e intento a firmare una pila di documenti spessa come un piccolo mattone, e sorrise alla ragazza con la lunga treccia castana che uscì da uno dei cubicoli proprio mentre lei ci passava davanti:
- Buongiorno, Webwick. -
- Buongiorno, Granger. - La ragazza si stiracchiò, sbadigliando e coprendosi la bocca con un attimo di ritardo, ed Hermione sorrise:
- Stai andando a casa? -
L'altra aveva grosse occhiaie scure a segnarle la palpebre, e se le strofinò con una mano mentre rispondeva:
- Già. -
- Nottata pesante? -
- Terribile. La gente ha continuato a chiamare da tutta l'Inghilterra segnalando d'aver visto Rowle... praticamente ovunque. Se anche solo metà delle segnalazioni sono vere, be', vuol dire che i Mangiamorte hanno imparato quantomeno a triplicarsi. - Webwick si interruppe, con un altro enorme sbadiglio, prima di affondare la faccia tra le mani e strofinarsela, forte, come nel tentativo di schiarirsi le idee. - Abbiamo fatto male a passare quel comunicato su di lui alla Gazzetta, la scorsa settimana. E alle cinque del mattino, quando pensavamo di poter chiudere il turno di notte senza altri problemi, dal Mare del Nord è arrivata la notizia che c'è un'intera ala di Azkaban in rivolta. - Rivolse ad Hermione un'occhiata compassionevole: - Cominci il turno adesso? Non ti invidio proprio. -
Hermione bofonchiò qualcosa che suonava come un esasperato assenso, prima di cacciarsi il giornale sotto al braccio e riaprire la borsetta:
- Prima di andare via, vuoi un muffin? Puoi avere quello al cioccolato, se lo preferisci. -
Webwick la fissò con un'espressione adorante che fece ridere Hermione, ed afferrò il dolce che le veniva offerto - riemerso da un qualche altro anfratto di quella inconcepibilmente capiente borsetta - adocchiandolo amorevolmente. Confessò con la voce soffocata dal primo, grosso boccone, mentre armeggiava per infilarsi la giacca:
- Non ho parole per dirti quanto tu sia meravigliosa. E' da mezzanotte che sogno di poter fare colazione... be', buona giornata, Granger! -
Hermione la osservò allontanarsi, superare il labirinto dei cubicoli e attraversare le porte di quercia, prima di riaprire il giornale.
ULTIMA UDIENZA DEL WIZENGAMOT PER NARCISSA MALFOY, strillava il titolo in prima pagina, e più sotto COS'E' ACCADUTO LA NOTTE DELLA BATTAGLIA DI HOGWARTS: IL RACCONTO DEL RAGAZZO-CHE-E'-SOPRAVVISSUTO. C'era una foto di Harry, accanto all'articolo, ed Hermione pensò che nelle foto ufficiali Harry veniva sempre con un aspetto terribile: in quella, in particolare, aveva tutta l'aria di essere stato colto di sorpresa dallo scatto del fotografo, perché aveva gli occhi sgranati, la bocca spalancata in un'espressione per metà di corruccio, per metà di sconcerto, e il viso pallidissimo. Sbatteva le palpebre come fosse confuso.
Incastrata in fondo ad un minuscolo cubicolo, tra due immensi schedari a parete, c'era una scrivania sommersa di libri, fascicoli, riviste. Sul muro di fondo Hermione aveva appeso una paratia di compensato alla quale aveva attaccato dozzine di ritagli di articoli e, nell'angolo più in alto, tre foto. La prima era una normalissima foto babbana: l'uomo e la donna nello scatto, due persone sulla quarantina, si limitavano a starsene fermi e a rivolgere un gran sorriso al fotografo, il braccio di lui avvolto attorno alle spalle di lei - che era più bassa, con una massa di riccissimi capelli castani sciolti giù per la schiena. Nella seconda c'erano tre bambini: potevano avere forse dodici anni, e si tenevano a braccetto. Il più alto dei tre, allungato e allampanato, aveva una camicia troppo grande per lui, malmessa, e un viso allegro e imbarazzato; il più minuto, anche se sorrideva, guardava verso la macchina fotografica con vaga preoccupazione: aveva la fronte attraversata da una cicatrice, scura sullo sfondo della pelle chiara. Tra loro due, nel mezzo, c'era una bambina con la treccia che se li teneva vicini entrambi. Gli occhi le brillavano per la contentezza. Nella terza foto i tre bambini c'erano ancora, ma non erano più bambini. Era passato del tempo, erano più grandi, tutti e tre, più alti. Lo sfondo era sempre lo stesso: un grande castello di pietra dalle guglie che si perdevano alte in un cielo nuvoloso.
Hermione spostò una sedia con un piede e si mise seduta, aprendo il giornale sull'ultimo angolo di scrivania rimasto libero.
LA RICOSTRUZIONE DELL'ALA OVEST DI HOGWARTS, spiccava in terza pagina, VA AVANTI. Sono state rimesse in piedi, l'articolo iniziava così, le protezioni che circondavano l'Ala Ovest della Scuola di Hogwarts, distrutta durante la notte tra l'1 e il 2 maggio durante la battaglia che ha portato alla distruzione di Voi-Sapete-Chi. “Rialzare le mura”, ha affermato la Preside, la professoressa McGranitt, “è stato il meno. Gli incantesimi che hanno protetto questa scuola per secoli hanno bisogno di essere ripristinati.” I dormitori di Serpeverde e Corvonero sono ancora inagibili: per permettere agli studenti di riprendere le lezioni il 1° settembre è stata trovata una soluzione alternativa, ma la Preside e i membri del corpo docente hanno mantenuto il massimo riserbo sull'argomento...
- Già al lavoro, Granger? -
La voce familiare spinse Hermione a sollevare la testa. Il suo capo, Jonathan Archer, sembrava faticare come sempre ad entrare nel cubicolo. Era un mago alto e massiccio, con la costituzione fisica di un armadio a quattro ante e la bizzarra abitudine di portare un grosso impermeabile babbano sopra alle vesti da mago. Le sue spalle larghe quasi si incastrarono tra gli archivi, e le falde dell'impermeabile si impigliavano in ogni scaffale, e quando finalmente fu di fronte alla scrivania della sua apprendista preferita tirò un percettibile sospiro di sollievo.
- Bisognerà chiedere a quelli della Manutenzione di allargare il tuo ufficio, Granger. Non puoi lavorare in questo sgabuzzino. - Affermò, corrucciato.
- Buongiorno, signore. - Salutò Hermione, prima di richiudere il giornale e allungare verso l'uomo il cartoccio dei dolci. - Muffin. - spiegò.
La bocca un po' storta di Archer si piegò in un ampio sorriso, mentre accettava la cartata. L'uomo afferrò una sedia, pigiata in un angolo tra uno degli archivi e la parete di fondo, e si sedette di fronte alla scrivania.
- Se è un tentativo di corrompermi per una raccomandazione alla fine dell'apprendistato, Granger, ti avviso che dovrai fare meglio di così. Dove li hai presi? -
- Ho scoperto che c'è una pasticceria proprio sotto casa mia. I miei mi hanno sempre detto che la prima colazione è il pasto più importante della giornata. -
Archer aprì il cartoccio e ne estrasse un muffin: se tra le mani più minute di Aracne Webwick era sembrato una grossa palla da tennis, tra quelle enormi del mago spariva come un minuscolo Boccino infarinato. L'uomo inclinò il capo da una parte:
- Che lavoro hai detto che fanno i tuoi, Granger? -
- I dentisti. -
Archer sbatté le palpebre, perplesso:
- I dentisti? -
- Sono Babbani, signore. - spiegò Hermione, ripiegando il giornale e facendo sparire la cartata ora vuota dei dolci. - Il dentista è una specie di Medimago che si occupa solo della salute della bocca delle persone. -
Archer le rivolse per un attimo un'occhiata curiosa, non ostile, prima di affermare lentamente:
- Capisco. - E poi, schiarendosi la voce e lasciandole cadere sulla scrivania un fascicolo spesso almeno tre dita, con la sigla del Quartier Generale impressa in rosso sulla sommità di ogni pagina, esclamò: - E' ora di cominciare a lavorare. Hanno trovato il cadavere di una giovane donna in un villaggio nei pressi di Perth, su al nord. Era incastrato nel letto di un fiume asciutto. Al San Mungo hanno stabilito che deve essere rimasto in acqua per almeno cinque mesi. -
Hermione, che aveva appena aperto il fascicolo, lo richiuse di scatto quando la prima fotografia le sbatté in faccia con la forza di una mazzata l'immagine di qualcosa che una volta era stato umano, ma adesso non lo era più, gonfio, pallido, deturpato. Inghiottì a vuoto un paio di volte per contrastare la nausea, sentendosi tutto ad un tratto, molto, molto male. Era contenta di non aver fatto ancora colazione, perché non era sicura che sarebbe riuscita a trattenersi dal rimettere, se avesse avuto lo stomaco pieno.
Il suo lavoro le piaceva, e le piaceva molto. Era un lavoro che le permetteva di fare quel che aveva sempre sognato, aiutare, investigare, indagare, essere utile, ed era un lavoro che la rendeva orgogliosa. Ma il suo lavoro aveva aspetti con i quali - malgrado tutto quel che era accaduto nel corso degli ultimi anni - doveva ancora venire a patti.
Archer doveva averle deciso di lasciarle qualche istante per ricomporsi perché, quando Hermione si decise a risollevare la testa per incontrarne lo sguardo, scoprì che lui la stava guardando ed aspettava. Aveva appoggiato il muffin sul bordo della scrivania.
Hermione domandò, e si sentì fiera per non aver balbettato - anche se la voce che era uscita fuori suonava un po' debole, incerta:
- Chi l'ha trovato, signore? -
- Un pastore. Il fiume era un affluente del Clyde, asciutto durante i mesi dell'inverno per non ho capito bene quale ragione. Qualcosa a che fare con le sorgenti e il disgelo. Il cadavere dev'essere rimasto bloccato tra le canne, invisibile sotto la superficie dell'acqua, fino a quando la secca non l'ha fatto riaffiorare. Il pastore è stato persuaso che fossimo della polizia locale, quando siamo andati a interrogarlo. Seguendo la procedura, sarà Obliviato alla fine del caso. -
Hermione si azzardò a riaprire il fascicolo. Scansò in fretta la foto; l'immagine in bianco e nero sembrava ancora più violenta ogni volta che un bagliore bianco l'attraversava e illuminava il cadavere - i flash dei fotografi, stabilì Hermione.
- Signore, se posso chiedere, perché questo caso è arrivato qui? Non è una questione più adatta alla polizia di Perth? -
- Lo sarebbe, ma è possibile che la donna fosse una strega. Certo, le hanno trovato addosso dei documenti da Babbani, una carta d'indennità... -
- Carta d'identità. - Lo corresse Hermione, piano, e Archer agitò una mano in un gesto d'indifferenza:
- Quella, sì. Era intestata ad una certa Jane Doe. -
Hermione alzò gli occhi, sorpresa, e fissò il suo capo:
- Jane Doe? Davvero? -
L'uomo aggrottò la fronte:
- Sì. - Con una punta di preoccupazione improvvisa aggiunse: - Perché? La conoscevi? -
- No, signore. E' solo che, Jane Doe, signore, è... - Le sopracciglia di Hermione si corrugarono, mentre cercava le parole giuste per spiegarsi: - … una cosa da Babbani. Jane Doe e John Doe sono nomi che in America vengono usati per persone che devono restare anonime, o che non possono essere riconosciute. -
L'espressione di Archer appariva perplessa:
- Non capisco. -
- E' un nome fittizio. - spiegò Hermione. - Se un Babbano muore... per un incidente, o viene ucciso... e non si riesce a riconoscerlo, allora spesso lo si chiama così. John Doe, se è un maschio, Jane Doe, se è una femmina. In Inghilterra non si usa, ma in America sì. L'ho visto in un telefilm. -
- Telefilm...? - le fece eco Archer, confusamente. E poi, scuotendo la testa e puntando un dito sul fascicolo: - Non importa, non importa. Lascia perdere. Solo, fammi capire: mi stai dicendo che probabilmente il nome su quella carta d'indennità è falso? -
- Sto dicendo solo che è strano, signore, e che non posso esserne sicura, ma probabilmente sì, lo è. -
Dalle labbra di Archer uscì quel che sembrava un sibilo spossato:
- Meraviglioso. -
- Signore? - azzardò Hermione dopo un attimo di silenzio. - Posso chiederle perché pensa che... che si trattasse di una strega? Dopotutto aveva dei documenti babbani, con sé. -
Jonathan Archer si chinò, prese il fascicolo e lo sfogliò lentamente. Le rispose:
- Innanzitutto, perché la morte è stata causata da un'Avada Kedavra. Ne aveva tutti i segni. Dopodiché, perché aveva indosso diverse fiale piene di ricordi. Estratti da qualche Pensatoio, probabilmente. - Le sue grosse dita si fermarono su una pagina. Girò nuovamente il fascicolo e lo spinse sotto il naso di Hermione. - Alcune erano sigillate, e l'Ufficio Misteri ci sta ancora lavorando sopra, e nelle altre l'acqua è filtrata attraverso i tappi di sughero quando gli Impervius e gli Infrangibili hanno cominciato a cedere. Non durano in eterno, sai, hanno bisogno di essere ripristinati di tanto in tanto... Ad ogni modo, siamo riusciti a recuperare qualcosa, e questa è la ragione per la quale te ne sto parlando. Qui c'è l'elenco dei frammenti di ricordi recuperati. -
Hermione lesse. Gran parte della lista era composta da brevissimi appunti come riunione del Wizengamot, processo ad A.Rookwood, 23 Gennaio 1982, oppure incontro alla Testa di Porco, P. H. Lovecroft e W. Blame, 1994. Accanto ad alcuni appunti non c'era nessun nome, ma solo un punto interrogativo. Altrove invece comparivano solamente i nomi, magari accompagnati da un luogo: forse il ricordo, lì, era stato così rovinato da permettere di estrapolare soltanto un viso, un frammento.
E al penultimo posto, quasi in fondo alla lista, c'erano due nomi e un appunto che le tolsero il fiato.
A. P. W. B. Silente e H. J. Potter, Studio del Preside, 18 Giugno 1996.
A Hermione occorse un po' per ritrovare la voce. Fissò prima i nomi e poi la data, si schiarì la gola con un colpo di tosse e poi mormorò:
- Questa persona aveva addosso... un ricordo di Harry e del professor Silente? -
Archer recuperò finalmente il suo muffin, facendone sparire una buona metà con un morso.
- Esattamente. Un ricordo rovinato e frammentato, ma indubbiamente un ricordo contenente Albus Silente ed Harry Potter. Sei sua amica, no? -
- Sì. - bisbigliò Hermione. Teneva tra le mani la lista come se non riuscisse a staccare le dita dal foglio, gli occhi fissi sulla data. - Sì, sono sua amica. -
18 Giugno 1996. La data della morte di Sirius Black.





Note della storia:Questa storia ha partecipato al concorso Jane Doe indetto da Lely1441 originariamente sul forum di Writers Arena, classificandosi prima.
E' la prima storia lunga che scrivo su Harry Potter, perciò sono particolarmente felice - e sorpresa - per il giudizio attribuito all'IC dei personaggi.

Scopo del concorso era creare una storia che avesse, al suo interno, una Jane Doe o un John Doe o una Baby Doe (vedi qui), ossia un misterioso sconosciuto al quale non si riesce ad attribuire un'identità.
E' la prima volta che posso scrivere di un nuovo personaggio con la pressoché assoluta certezza di non aver creato una Mary Sue. Giuro. *_* Viola almeno una regola fondamentale non scritta delle Mary Sue, ma non dirò quale: rovinerei la sorpresa.


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Ringrazio Salice, senza la quale, probabilmente, questa storia non sarebbe mai stata conclusa. Un colossale grazie alla giudice per la correttezza, la disponibilità (enorme disponibilità, in tema di scadenze del concorso e di consegne) e la rapidità e completezza dei giudizi... che vi sconsiglio di andare a leggere, almeno per un paio di capitoli, se non volete spoilerarvi il seguito!

Note del capitolo: Niente da segnalare, se non che forse i lettori più attenti si saranno accorti di quell'accoppiata di nomi, P. H. Lovecroft e W. Blame. Cinque punti a chi indovina a chi si fa riferimento!
I luoghi citati all'interno del capitolo sono tutti realmente esistenti.

Qui sotto potete trovare le altre storie partecipanti al concorso. Aggiornerò mano a mano che saranno pubblicate!
Indovina chi di Rowena

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Capitolo 2
*** Ricordi in bottiglia ***





Capitolo 2
Ricordi in bottiglia




Quando Harry aveva provato a proporre ad Hermione di venirlo a trovare a Grimmauld Place, se voleva parlargli, invece che vedersi in Diagon Alley, tutto quel che aveva ottenuto era stata un'occhiataccia di quelle che erano in grado di fargli accartocciare addosso la pelle. Hermione era un'esperta d'occhiatacce: le sue erano perfino migliori di quelle di Molly Weasley, che, pure, nel campo era una vera esperta. Harry era stato squadrato malamente da due generazioni di Malfoy, guardato con odio da Tom Orvoloson Riddle e dai tre quarti della sua cricca in più di un'occasione, studiato con aperto e tangibile disgusto da quel maestro del sarcasmo e della derisione che era stato Severus Piton, ma nessuno di loro era mai stato in grado di eguagliare il brivido che certi sguardi di Hermione gli causavano.
Hermione parlava con gli occhi: e c'erano giorni in cui i suoi occhi gli dicevano Harry, caro, amorevolmente, e giorni in cui invece sibilavano farai meglio a fare quel che ti dico io, come te lo dico io, quando te lo dico io.
Andare contro ad una di quelle occhiate significava discutere con Hermione, e Harry davvero non voleva discutere con Hermione. Non voleva discutere con nessuno, anzi. Voleva solo essere lasciato in pace.
Aveva comunque tentato - cautamente - di farle presente le proprie ragioni:
- Qualunque cosa tu debba dirmi, Hermione, sono sicuro che preferirei non ascoltarla mentre mezza Diagon Alley si schiaccia all'interno del Paiolo Magico e, uh, mi fissa. -
L'obiezione era sensata, ed Hermione sembrava aver deciso di scendere finalmente a patti: così, invece che incontrarsi in Diagon Alley, lei ed Harry si erano ritrovati al di fuori di un anonimo caffè nel bel mezzo della Londra babbana.
- Avremmo potuto prepararlo a Grimmauld Place. - brontolò Harry di fronte ad una tazza di tè fumante, irritato. - Perché tutta quest'insistenza di uscire, Hermione? -
Hermione gli rivolse un'occhiata penetrante prima di rispondere:
- Per far uscire te, Harry. Quanti giorni sono che non metti piede fuori di casa? -
- Venerdì sera sono stato alla Tana. -
- La Tana non è fuori. E comunque sono passati cinque giorni. Non esci neanche per fare la spesa, o per buttare l'immondizia o... o... o per comprare il giornale... -
- Io non voglio leggere il giornale, Hermione. -
Lei sbuffò, esasperata:
- Era un esempio! - Girò lo zucchero nella tazzina e azzardò uno sguardo rapido dal basso verso l'alto, prima di affermare: - Dopo... dopo la fine della guerra ti sei chiuso in casa. Io ti capisco, Harry. Ho detto a Ron e agli altri di lasciarti stare per un po', ma adesso sono passati quasi sei mesi. Dovresti riprendere a uscire. Dovresti tornare ad Hogwarts. -
Dalle labbra di Harry uscì un sibilo irritato. Sbatté il cucchiaino contro il tavolo, di malagrazia, e cercò di fulminarla con lo sguardo:
- Non mettertici anche tu, Hermione. Ho parlato con la McGranitt, e abbiamo trovato una soluzione per i miei M.A.G.O., ma io non ho intenzione di tornare ad Hogwarts, e questo è tutto. E comunque non sei la persona più adatta a farmi la predica: neanche tu ci sei tornata! -
- Ma io mi sono diplomata. - specificò Hermione, una punta di sussiego nella voce. - A giugno. -
- Be', non tutti possiamo essere intelligenti come te! -
Su quell'affermazione calò una lunga, fastidiosa pausa di silenzio. Era tardo pomeriggio; malgrado l'inverno dovesse ancora iniziare c'era un vento freddo, tagliente, che scoraggiava la gente dall'uscire di casa senza una buona ragione, e il quartiere era tranquillo, il caffè semivuoto. Harry spostò il proprio peso, a disagio, da una gamba all'altra, sentendo nel movimento la bacchetta nascosta in tasca premergli contro la coscia destra. Portava una giacca per celarla del tutto: avrebbe potuto metterla in borsa, si diceva sempre prima d'uscire di casa, ma non ci riusciva proprio: ogni volta rammentava le raccomandazioni di Moody a proposito del farsi saltare via una chiappa inavvertitamente, ma poi ricordava anche il giorno del matrimonio di Bill e Fleur, i Mangiamorte nel locale, come la bacchetta gli fosse sembrata infinitamente lontana anche se l'aveva lì, a portata di mano. Ricordava il dolore vuoto e spaventato dell'averne i pezzi rotti tra le dita, e quello del sentirsi disarmato ed esposto nei sotterranei di Villa Malfoy. Tendeva a cercare spesso la bacchetta, da quel giorno, per controllare che fosse sempre al suo posto, vicinissima alle sue mani.
Hermione ruppe il silenzio schiarendosi la voce:
- In ogni caso oggi non volevo parlare di questo, Harry. -
Suonava molto gentile e lievemente rammaricata, e la cosa rabbonì Harry. Si dispose ad ascoltarla, osservandola curioso mentre spalancava la piccola borsa di pelle che aveva con sé, si guardava intorno con cautela - per controllare che non ci fossero Babbani troppo vicini, probabilmente - e poi ci cacciava dentro un braccio, facendolo sprofondare fino al gomito. Harry sorrise.
- Incantesimo Estensivo Irriconoscibile...? - domandò con calcolata noncuranza, divertito.
Hermione ridacchiò.
- Tu non hai idea di quante cose fondamentali non entrino in una normale borsa. Oh, ecco qui! - estrasse dalla borsa una boccetta di vetro trasparente, con un tappo di sughero, nella quale si agitava qualcosa insieme di liquido e fumoso, argenteo, debolmente luminoso.
Harry si spinse indietro sulla sedia, appoggiando il dorso allo schienale, gli occhi fissi sull'ampolla.
- Di chi sono? - chiese, e non si stupì di sentire la propria voce stranamente rauca, strozzata. Serrò i pugni sul tavolo e pensò ad un'altra fiala simile a quella, che conservava a casa, in un cassetto, una fiala piena dei ricordi di un uomo morto.
Hermione allungò una mano per posarla su uno dei suoi pugni chiusi, gentilmente.
- Vengono da uno dei casi che il mio capo sta seguendo al Ministero, Harry. Hanno trovato quest'ampolla, ed altre, nascoste nei vestiti di una donna morta in Scozia. Non vorrei parlartene, ma ho visto cosa contiene questo ricordo e, Harry... anche Kingsley ha stabilito che la cosa migliore fosse che tornasse a te, immediatamente, e che ne venissero a conoscenza meno persone che fosse possibile. -
Harry sbattè le palpebre, confuso:
- Kingsley ha detto così...? - e poi, aggrottando la fronte: - Come sarebbe a dire, tornare a me...? Questo... questo è un mio ricordo? -
Hermione si mordicchiò il labbro inferiore, nervosamente, e Harry seppe all'istante che c'era qualcosa che non andava.
La ragazza spinse la fiala dei ricordi verso di lui e mormorò guardandolo in viso:
- Questo ricordo risale al nostro quinto anno ad Hogwarts, Harry. E' un ricordo di te e Silente, in... in giugno. - tacque per un attimo, prima di affermare piano: - C'è una copia della profezia, qui dentro, Harry. -

***



- Che cosa posso dire in mia difesa? Sfido chiunque ti abbia osservato come ho fatto io - con più impegno di quanto tu possa immaginare – a non desiderare di risparmiarti altre sofferenze. Che cosa importava che in un lontano futuro fossero massacrati sconosciuti senza nome né volto, se nel presente tu eri vivo e felice? Mai mi sarei sognato di avere vicino qualcuno come te.
Poi... -

La voce di Silente si spezzò, il suo viso e quello di Harry che ondeggiavano e sfumavano sino a scomparire. Quando riapparvero, c'era il Pensatoio d'argento di fronte a loro, e l'evanescente figura di Sibilla Cooman che sibilava raucamente:
- … il solo col potere di sconfiggere l'Oscuro Signore... nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull'estinguersi del settimo mese... l'Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto... e l'uno dovrà morire per mano dell'altro, perché nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive... il solo col potere di sconfiggere l'Oscuro Signore nascerà all'estinguersi del settimo mese... - - Professore? - Harry si sentì parlare con una voce incerta, debole. Era una sensazione stranissima, guardarsi e ascoltarsi, tre anni più giovane, più pallido ed esausto e dolorante. Era la notte in cui era morto Sirius, pensò il vero Harry: se ne stava in piedi accanto alla scrivania, non visto e non ascoltato, e non poteva fare a meno di sentirsi ferito, straziato, dalla vista di Silente ancora vivo, ancora con lui, dalla vista di quel sé stesso quindicenne che aveva già perso tante persone, ma ancora troppe aveva da perderne. - Questo significa... - chiedeva l'Harry del ricordo proprio adesso. - … che cosa significa? -
Harry guardò verso l'alto e si concentrò: e l'attimo dopo stava risalendo attraverso le correnti del Pensatoio, i ricordi argentati che vorticavano attorno a lui come sbuffi di fumo, e poi era fuori, finalmente, nell'ufficio del Preside pieno di sole, pieno di luce. Era una bella mattinata d'ottobre. I prati di Hogwarts, fuori dalle finestre, erano coperti di uno strato croccante di foglie dorate in prossimità della Foresta Proibita. Il Lago Nero scintillava in lontananza.
La professoressa Minerva McGranitt - la Preside Minerva McGranitt, dovette ricordarsi Harry - alzò gli occhi dal grosso libro che aveva poggiato sulla scrivania di fronte a sé e lo fissò attraverso gli occhiali, l'espressione penetrante.
- Il Pensatoio le è stato utile, signor Potter? - domandò.
- Molto, professoressa. La ringrazio per avermi permesso di usarlo. -
Mentre Harry raccoglieva il prezioso ricordo nell'ampolla che Hermione gli aveva dato, la professoressa McGranitt richiuse il libro, girando garbatamente la sedia per poter fronteggiare il ragazzo.
- Non c'è di che, Potter. Puoi venire qui e adoperarlo ogni volta che desideri. -
Il ricordo del viso antico e gentile di Silente, delle sue lacrime, degli occhi che scintillavano dietro alle lenti e di quel che gli aveva detto, di come fosse orgoglioso di averlo conosciuto, di quanto avesse tenuto a lui, sembrava essersi avvolto attorno al cuore di Harry come una corona di spine. Quella memoria - la memoria custodita nella fiala che Hermione gli aveva dato il giorno prima - era una memoria che lui aveva già, sicuro: la custodiva al sicuro nella sua testa. L'unica altra persona che avrebbe dovuto averla era Silente, e Silente era morto. Era strano pensare che fosse stata nelle mani di qualcun altro. Qualcun altro che non si era trovato nella stanza insieme a loro due, all'epoca.
Harry faceva fatica a respirare normalmente, ma si sforzò comunque di suonare leggero nel replicare alla Preside:
- Visto l'uso frequente che ne faccio, dovrei comprarne uno e tenerlo in casa. -
- Sono oggetti estremamente rari e infinitamente costosi, Potter. Dubito che troveresti qualcuno disposto a vendertene uno. - La McGranitt agitò in aria la bacchetta con un movimento rapido, e un vassoio con tazze, una teiera e una zuccheriera, un bricco di latte e un piatto di biscotti apparve a mezz'aria sulla scrivania. - Una tazza di tè? Abbiamo alcune cose delle quali discutere, prima che tu te ne vada. -
Harry si mosse sulla sedia, lievemente a disagio:
- Uh, sicuro. Grazie, professoressa. -
Versò nella propria tazza una generosa dose di latte e zucchero, mentre la McGranitt spingeva verso di lui i biscotti. Harry adocchiò il piatto e non fu sorpreso di vedere che erano Zenzerotti; sorrise, allungando una mano per accettarne uno, e la McGranitt gli domandò perplessa:
- Che cosa c'è di divertente, Potter? -
Lui si schiarì la voce, affrettandosi a scuotere la testa:
- Nulla, professoressa. Di che cosa voleva parlarmi? -
- Delle tue lezioni. - L'espressione sul viso della donna si fece in un attimo molto professionale. Era grandemente invecchiata nel corso dell'ultimo anno: aveva rughe più profonde stese agli angoli delle palpebre, e le labbra si erano fatte ancora più sottili, come una riga tesa; ma gli occhi splendevano ancora, lucidi, e la voce era decisa e sicura come sempre. Minerva McGranitt era una costante di Hogwarts, pensò Harry, così come lo era stato Albus Silente. Così come Hagrid. Così come Severus Piton.
Il pensiero di Severus Piton gli pungeva lo stomaco esattamente come quello di Albus Silente, e Harry si sforzò di cacciarli entrambi in un angolo.
- Il Ministero ha dato la sua approvazione definitiva alla tua decisione di sostenere i M.A.G.O. come privatista. - Era evidente che la McGranitt, così come Hermione, disapprovava: la linea sottile delle sue labbra si era fatta ancora più stretta mentre parlava. - Ti fornirò un elenco dei testi necessari alla tua istruzione, e ti segnalerò alcuni meritevoli insegnanti dai quali potrai andare nel caso in cui tu senta di desiderare qualcuno che possa seguire i tuoi progressi. In ogni caso io sarò qui ad Hogwarts ogni volta che ne avrai bisogno, per quanto sarà nelle mie possibilità. -
Il fatto che la McGranitt si sarebbe trovata alle prese, rifletté Harry, con una scuola semidistrutta e bisognosa di riprendersi, con un gruppo di studenti del settimo anno che avrebbe radunato ex allievi che non avevano potuto dare i loro M.A.G.O. nel giugno passato e nuovi allievi appena usciti dal sesto anno e con le aspettative dell'intero mondo magico sulle sue spalle - dopotutto, occupare un ufficio che era stato di Silente era un incarico oneroso, se si desiderava esserne all'altezza - rendeva l'offerta ancora più preziosa. Una volta di più, Harry sentì di provare un affetto sconfinato verso di lei.
- Se è ancora tuo desiderio intraprendere la carriera di Auror, Potter, allora gli esami ai quali dovresti dedicarti in particolar modo sono quelli di Difesa contro le Arti Oscure, Trasfigurazione, Incantesimi e Pozioni. Se per i primi tre non dovresti avere problemi, ritengo, con un'opportuna preparazione, il quarto richiederà che tu ti eserciti in un laboratorio. E, a meno che tu non ne possieda uno... -
- Hermione mi sta aiutando a organizzare una stanza di Grimmauld Place per farne un laboratorio, professoressa. - la interruppe Harry. E poi, abbassando la voce e guardando la tazza che teneva in mano: - In ogni caso, non sono più sicuro di essere interessato ad una carriera da Auror. -
La professoressa McGranitt sembrò esterrefatta:
- No? -
Harry scosse la testa, in silenzio. Lei lo guardò per un attimo. Aprì bocca, quasi volesse dire qualcosa, ma poi sembrò pensare altrimenti: perché sollevò la propria tazza e prese un lungo sorso di tè. Appoggiando delicatamente la delicata ceramica sul piattino, poi, affermò in tono quieto:
- Dovunque ti porteranno le scelte che compirai alla fine dei tuoi esami, Harry, io ti raccomando caldamente di non trascurarli per nessuna ragione. Non perdere alcuna delle possibilità che ti sono offerte: potresti rammaricartene, altrimenti, un giorno. -
Harry annuì in fretta, stringendo la tazza ormai fredda tra le dita. Non disse nulla, e tenne lo sguardo basso. La professoressa McGranitt si alzò in piedi, l'attimo dopo, e lui la imitò:
- Professoressa... - esclamò, prima che lei potesse parlare: - Potrei... potrei restare qui fino all'ora di pranzo e salutare Ron e... e Neville? - Ron e Ginny, pensò, ma quello non poteva dirlo ad alta voce.
Nuovamente, l'occhiata penetrante che la donna gli rivolse gli riportò alla mente Albus Silente: anche lui l'aveva guardato a questo modo, più di una volta, mentre leggeva attraverso di lui e dentro di lui e riportava a galla quel che si nascondeva dietro alle mezze verità.
Harry alzò la testa, d'istinto, verso la parete di fondo dell'ufficio. C'erano i quadri degli antichi Presidi schierati fino al soffitto, e qualcuno guardava nella sua direzione, qualcun altro faceva finta di non badare a lui e fissava ostentatamente le finestre e il pavimento, Phineas Nigellus sbadigliava rumorosamente e un'anziana Preside con il viso coperto da un ventaglio si faceva aria con espressione distratta. Albus Silente dormiva nel suo ritratto, le mani intrecciate sulla lunga veste all'altezza del ventre e gli occhi chiusi oltre le lenti scintillanti.
Il tono pratico della professoressa McGranitt lo riscosse prima che potesse perdersi in altri pensieri.
- Ma certo che puoi fermarti a pranzo, Potter. Ne sarei felice. - Cominciò ad aggirare la scrivania, zoppicando lievemente - non si era mai del tutto ripresa dai danni che aveva riportato durante la battaglia di Hogwarts - e rivolse ad Harry un sorriso che gli apparve stranamente pitonesco: - Dopotutto, nutro sempre la speranza che la signorina Weasley si dimostri in grado di farti ragionare saviamente. -





Note del capitolo: Se ne saranno già accorti tutti, ma la parte in corsivo immediatamente successiva all'interruzione a metà capitolo è tratta da Harry Potter e l'Ordine della Fenice. Gli Zenzerotti sono i biscotti che la McGranitt offre ad Harry in questo stesso libro, come una sorta di "premio non rivelato" per essersi opposto alla Umbridge.

Un grazie a tutti coloro che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo!

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Capitolo 3
*** Piani e progetti di Minerva McGranitt ***





Capitolo 3
Piani e progetti di Minerva McGranitt




Quando Harry uscì dall'ufficio della Preside era ancora troppo presto per scendere a pranzo. Giocherellò con l'idea di sgattaiolare per i corridoi fino alla Torre di Grifondoro e di vedere se la Signora Grassa lo avrebbe lasciato entrare anche se non conosceva la parola d'ordine: gli sarebbe piaciuto rivedere la Sala Comune, con le poltrone grandi e calorose davanti al camino che gli elfi avevano sicuramente acceso, perché spirava un vento freddo dal lago, questa mattina, e i tavoli davanti alle grandi vetrate e le scale che portavano ai dormitori. Se fosse rimasto seduto in silenzio abbastanza a lungo forse li avrebbe visti tutti, Fred Weasley seduto a confabulare con il suo gemello - che avrebbe avuto ancora entrambe le orecchie attaccate alla testa - attorno ad un involto pieno di un qualcosa che probabilmente non era del tutto legale, e un po' più in là quella ragazza con i capelli ricci, poco più grande di Ginny, che era morta durante il primo assalto in maggio. L'angolo in cui Colin e Dennis Canon erano stati chini e intenti a modificare le spille per il Torneo Tremaghi, e poi, ancora, il camino in cui aveva visto la testa di Sirius, Sirius che l'aveva confortato, Sirius che gli aveva detto che non era come suo padre, forse, ma che poi era sceso nell'Ufficio Misteri per venirlo a salvare. I Malandrini nel mezzo della sala, e nessuno di loro respirava più, adesso.
Harry si bloccò, un piede già sulla scalinata che portava alla Torre, sentendosi improvvisamente nauseato e molto, molto infreddolito. Si girò e scese, più in fretta che poteva. Saltò il falso gradino nel quale Neville era inciampato un'infinità di volte e superò la lunga fila di armature schierate lungo uno dei corridoi. Un tempo avrebbe potuto preoccuparsi che Gazza lo vedesse e gli chiedesse che cosa pensava di fare, lui, in giro per il castello: ma Mrs.Purr era rimasta schiacciata da una pietra caduta durante la battaglia di Hogwarts e Argus Gazza, Magonò privo di qualunque potere magico, poco più che Babbano agli occhi dei Mangiamorte, non era uscito troppo in salute dalla guerra. Harry avrebbe voluto sentirsene soddisfatto - non aveva mai dimenticato l'entusiasmo del custode di fronte al permesso datogli dalla Umbridge di frustare Fred e George, né la tendenza del custode di accusarlo di... be', praticamente di tutto - ma la realtà era che gli dispiaceva.
Gli dispiaceva che Gazza zoppicasse molto di più, adesso. Gli dispiaceva che non ci fosse più Mrs.Purr in giro per il castello. C'erano sempre stati, da che lui ricordava, e il fatto che adesso non ci fossero più era...
Era un vuoto, realizzò Harry attraversando l'ingresso. Il sole di ottobre lo investì in una pioggia di calore liquido e intenso che gli si incollò al viso, al collo e alla schiena e lo fece sentire un poco meglio. Tutti quelli che mancavano erano un vuoto. Hogwarts così diversa era un vuoto, simile a quello che la morte di Sirius gli aveva lasciato dentro.
Raggiunse la riva del lago e si sedette sotto ad una quercia, la schiena appoggiata al tronco e le gambe allungate davanti a sé. Riusciva a vedere la capanna di Hagrid, da lì. Per un attimo si disse oziosamente che gli avrebbe fatto piacere andarlo a trovare: ma poi si ricordò che Hagrid era dall'altra parte del mare, adesso, in Francia, a godersi una vera, lunga, meritata vacanza in compagnia di Madame Maxime.
Hogwarts senza Hagrid. Harry sentì il buco nel suo stomaco crescere e trasformarsi in una voragine. Forse c'era la Caporal ad insegnare al suo posto, e meglio lei che un perfetto sconosciuto, certo, ma non era la stessa cosa. Neanche lontanamente.
Chiuse gli occhi, stendendo le braccia per poter lasciare almeno le mani a intiepidirsi al sole.
Un po' più tardi - non sapeva precisamente quanto - sentì una voce familiare chiamarlo:
- Harry! -
Alzò la testa, girando il capo per guardarsi intorno, e un enorme sorriso gli si allargò sul viso alla vista di chi gli stava venendo incontro. Ron e Ginny stavano attraversando il prato, scendendo da Hogwarts, per raggiungerlo: portavano entrambi le divise nere, le borse a tracolla e le scope sotto braccio, e Ginny aveva anche un cartoccio di qualcosa in mano. I loro capelli rossi erano inconfondibili, fiammeggianti alla luce del sole. Ginny li portava raccolti in una morbida treccia: le stavano bene così, pensò Harry, le facevano il viso più sottile. Vederla sembrò riempire in qualche modo il vuoto che sentiva di avere dentro.
Si alzò in piedi, salutandoli e sforzandosi di tirare fuori un tono allegro:
- Ciao! Come mai non siete dentro? -
Ron gli batté il pugno su una spalla a mo' di saluto:
- La McGranitt ci ha detto che eri da queste parti. Ti abbiamo aspettato per un po' a mensa, poi abbiamo deciso di venire a cercarti. Ginny pensava che tu potessi essere qua fuori. - Gettò un'occhiata indecifrabile alla sorella e si schiarì la voce, subito dopo, ma non aggiunse altro.
Harry spostò lo sguardo dall'uno all'altra. Improvvisamente si sentiva meglio: molto, molto meglio, perché quella era Hogwarts, quello era Ron, quella era Ginny. Era come essere tornati indietro nel tempo giusto d'un paio d'anni, quel tanto che serviva a sentirsi più leggeri.
- Devo aver perso il senso del tempo. - affermò in tono di scuse. - Non credevo fosse già ora di pranzo. -
- Ti ho portato qualcosa da mangiare. - esclamò Ginny. Era la prima cosa che gli diceva. Gli porse l'involto di tovaglioli che aveva in mano: dentro c'era una piccola pila di panini. - Siamo scesi nelle cucine per chiederli agli elfi. -
Harry pensò che avrebbe potuto baciarla, per questo, ma c'era suo fratello ed erano, uh, sul prato di Hogwarts, in bella vista dal portone. Non era il caso, decisamente.
Mangiarono i panini e sedettero sulla riva del lago a chiacchierare, mentre il sole tiepido del mattino sfumava in quello più caldo del primo pomeriggio. Ad un certo punto Harry chiese loro se non dovessero tornare a lezione, ma Ron scosse la testa e si schiarì ancora la voce, a disagio, e Ginny gli spiegò:
- La McGranitt ci ha chiesto espressamente di restare con te fino a stasera, e di convincerti a rimanere a cena. -
Sembrava una cosa tanto poco in tono con il carattere della McGranitt che Harry mise su una faccia perplessa e sconcertata; Ginny dovette interpretarla correttamente, perché scosse la testa:
- Quando ci ha detto di convincerti a rimanere a cena, è suonato tanto come se volesse dirci che dovevamo convincerti a rimanere e basta. -
L'espressione di Harry si offuscò. Serrò le labbra e replicò bruscamente:
- Non è che siano affari suoi. -
- Sono anche affari suoi. - Insisté Ginny, caparbiamente. - Harry, ti vuole bene. Vorrebbe che tu tornassi a scuola. Lo vorremmo tutti, sai, e non... -
Si interruppe quando Ron le poggiò una mano sulla spalla e scosse la testa:
- Dai, basta così. - E poi, con una voce più leggera e tirando fuori un tentativo di sorriso piuttosto ben riuscito: - Harry non è venuto per sentire questo, dico bene, amico? Come vanno le cose fuori di qui? -
Ginny non sembrava felice d'essere stata interrotta, ma Ron aveva ragione: Harry non era venuto per sentir parlare di questo. Che lui tornasse ad Hogwarts o meno, be', non erano affari della McGranitt; e, soggiunse interiormente fissando Ron e Ginny, non erano nemmeno affari loro.
Si pentì di quel pensiero esattamente un attimo dopo averlo formulato, perché Ron era il suo migliore amico, la cosa più simile ad un fratello che avesse mai avuto, e Ginny era... be', Ginny era Ginny.
Harry conservava del suo sesto anno ad Hogwarts soprattutto un ricordo confuso di memorie nebbiose nel Pensatoio dello studio del Preside, Tom Riddle dietro ad ogni angolo con il suo viso di bambino che poi diventava quello d'un ragazzo, d'un uomo, d'un assassino, e poi giorni passati a sfogliare il libro di proprietà del Principe Mezzosangue, le ombre orrende della grotta in cui Silente l'aveva condotto; ma poi c'erano i ricordi di Ginny che rendevano anche tutti gli altri un po' più luminosi. Ginny dura e raggiante mentre lo baciava, Ginny accoccolata davanti alla sua poltrona, Ginny a cavallo di una scopa, i capelli rossi sciolti come uno stendardo dietro di sé.
Ginny era una delle ragioni per le quali sarebbe stato bello tornare ad Hogwarts, pensò Harry; ma il pensiero di tornare gli causò l'ennesimo spasmo di nausea, e così lo accantonò.
Rimase a parlare sotto alla quercia con Ron e Ginny per tutto il pomeriggio: li ascoltò mentre raccontavano del professor Silente - Aberforth Silente - e di come fosse straordinariamente bravo nell'insegnare Difesa contro le Arti Oscure, di Lumacorno che, con la decisione di Harry di non tornare, aveva perso insieme il suo migliore allievo e il membro preferito del suo Lumaclub, di Hagrid che prima di partire per la sua vacanza aveva tirato fuori nuovamente gli Snasi e gli Unicorni, e così le sue lezioni erano diventate infinitamente più divertenti. Harry fece un sacco di domande, ma cercò d'evitare di rispondere a tutte quelle che gli venivano rivolte: come stava, com'era Grimmauld Place, cosa faceva in casa tutto il giorno.
Fu quando ormai il sole stava tramontando che Harry si decise a chiedere:
- Non so se la McGranitt vi abbia proibito di parlarne con chiunque non sia uno studente o un professore, ma c'è una cosa che voglio sapere da settimane. Ho letto sulla Gazzetta del Profeta che i dormitori di Corvonero e quelli di Serpeverde sono stati distrutti. Dove hanno messo gli studenti? La McGranitt non ha detto nulla ai giornalisti... -
Ron sembrò sorpreso:
- La McGranitt non ha detto nulla nemmeno a te? - - No. -
- Oh... - Ron sembrava a disagio. - … hanno unificato i dormitori, ecco. -
Harry ripeté lentamente, perplesso:
- Unificato i dormitori? -
- Sì. Per tutte e quattro le Case. Sai quella notte, al terzo anno, in cui Sirius è entrato... uh, scusa. -
Ron avvampò, a disagio. Doveva considerare Sirius una specie di parola tabù, da non pronunciarsi di fronte ad Harry, ma questi si limitò a scuotere la testa e a spronarlo:
- Non importa, Ron, davvero. La notte che Sirius è entrato...? -
- La notte che Sirius è entrato nella Torre, quando Silente ha... - Ron si interruppe e parve in procinto di scusarsi nuovamente, ma una gomitata non troppo amichevole da parte di Ginny dovette fargli cambiare idea: - … Evocato tutti quei materassi per dormire nella Sala Grande? Qualcosa del genere. Hanno preparato una grande stanza per le ragazze ed una per i ragazzi, e gli studenti di tutte le Case dormono insieme. La McGranitt ha spiegato durante il discorso d'inizio anno che il Cappello continuerà a Smistare i nuovi arrivati, ma che probabilmente, anche una volta che i dormitori saranno stati ricostruiti, le Case non saranno separate così com'era prima. -
- Ha detto che è una cosa che ha portato già troppi guai ad Hogwarts. - intervenne Ginny. - E che questo era il momento migliore per ricominciare su una strada diversa. -
Questa, si disse Harry, era una riflessione che avrebbe potuto tranquillamente uscire dalle labbra di Albus Silente: non era stato forse lui, alla fine del quarto anno, a parlare dell'importanza di restare uniti, di essere leali l'uno all'altro, di stringere legami d'amicizia malgrado le distanze, le differenze, le incomprensioni?
Pensò a Severus Piton e a come lo Smistamento l'aveva separato da Lily Evans, che gli era stata cara come nessun altro al mondo. Il futuro sarebbe stato diverso se quella separazione non fosse mai avvenuta?
La riflessione lasciò nella bocca di Harry un sapore amaro.
- E' una buona idea. - disse con fermezza. - Davvero. - e poi, cercando di cambiare discorso, perché quello si stava inoltrando in terreni tetri che lui non voleva esplorare: - E per il Quidditch? Hanno ricostituito le squadre? -
Il viso di Ron si illuminò:
- Oh, sicuro! E indovina, Harry? Quest'anno sono ancora Portiere e, in più, sono Capitano! -
Harry fu folgorato tutto ad un tratto dal ricordo nitido di un Ron di undici anni che si sporgeva verso lo Specchio delle Brame e si vedeva Prefetto, Caposcuola, Capitano; e, nascondendosi la bocca dietro ad una mano, sorrise.

***



Alla fin fine aveva sottostato ai desideri della Preside McGranitt ed era rimasto a cena insieme a Ron e a Ginny: aveva desiderato di avere con sé il Mantello dell'Invisibilità, mentre attraversava la Sala Grande e tutti si voltavano a guardarlo, mentre i bisbigli salivano verso il soffitto magicamente stellato e Harry sentiva la cicatrice bruciare per una ragione che non aveva niente a che vedere con Voldemort, per una volta; ma poi Neville si era affacciato dal tavolo dei Grifondoro e gli aveva sorriso, e Seamus e Calì gli avevano fatto posto in mezzo a loro. La cena, da quel momento in poi, era andata tutto sommato bene.
Harry aveva sentito, tuttavia, il ronzio dei mormorii e il peso degli sguardi non voluti, dell'attenzione non voluta, scaricargli una specie di brivido costante giù per la schiena. Quella era una delle ragioni per le quali non desiderava rimettere piede ad Hogwarts: come sarebbe stato vivere per un anno intero in mezzo a persone che continuavano a guardare verso di lui cercando qualcuno che, Harry lo sapeva, non c'era?
Harry non era un eroe. Harry non voleva esserlo. Tutto quel che Harry voleva era stare con Ginny, stare con Ron, con Hermione, con Neville e gli altri. Ascoltare Luna parlare di Nargilli e Gorgosprizzi, seguire le lezioni di Hagrid, quelle di Aberforth Silente, giocare a Quidditch. Non poterlo fare, pensava Harry, era una tortura: l'attenzione degli altri non l'avrebbe abbandonato mai, né a scuola, né fuori. Era destinato ad esserne inseguito per tutta la vita.
Voldemort era morto ma, sembrava, Harry non si era ancora liberato di lui.

Kreacher gli si materializzò di fronte nel momento stesso in cui Harry mise piede nell'atrio di Grimmauld Place.
- Kreacher non sapeva quando padron Harry sarebbe tornato... - Iniziò subito, la voce alta quel tanto da riuscire a non svegliare l'inquietante ritratto della madre di Sirius. - … ma Kreacher ha tenuto in caldo lo sformato del padrone. Padron Harry vuole mangiare lo sformato? O Padron Harry vuole che Kreacher cucini qualcos'altro? -
Harry si scusò, passandosi una mano tra i capelli:
- Mi dispiace, Kreacher. Mi sono dimenticato di avvertirti. Sono rimasto a cena ad Hogwarts con Ron e gli altri... e Ron ti manda i suoi saluti. Dice che gli manca la tua torta di melassa. -
Gli occhi dell'elfo domestico erano come due lune lucenti nella penombra delle scale: sorrise alle parole di Harry e, con quell'espressione sul viso, gli riportò tutto ad un tratto Dobby alla mente.
- Kreacher cucinerà la torta di melassa per padron Ron, se padron Harry vuole, per quando il padrone tornerà ad Hogwarts! -
Pensare a Dobby era doloroso, ma questo non era Dobby, era Kreacher. Harry doveva convincersene: vedere i morti nei vivi non l'avrebbe aiutato a riavere quelli che se n'erano andati. Gli sorrise con sincerità, così, esclamando:
- Grazie, Kreacher. -
Harry e Kreacher condividevano il numero 12 di Grimmauld Place. Era una casa troppo grande per contenere solo due persone, e troppo buia, troppo tetra, troppo piena di ricordi: ma era pur sempre una casa, e una casa che era stata di Sirius. Se Harry non voleva tornare ad Hogwarts - e dato che non aveva la benché minima intenzione di farsi rivedere in Privet Drive - Grimmauld Place era per il momento la migliore delle soluzioni. Kreacher costituiva una compagnia stranamente gradevole: felice del suo padron Harry, adesso, soddisfatto di avere il medaglione di Regulus al collo e qualcuno da servire nella sua antica casa, orgoglioso per aver preso parte alla battaglia di Hogwarts. Harry aveva proposto di liberarlo, dopo, ma l'elfo era sembrato talmente scioccato e traumatizzato di fronte al semplice pensiero che, be', Harry non se l'era sentita.
La casa di Grimmauld Place gli offriva silenzio per poter pensare, tempo per leccarsi le ferite, tranquillità per guarire. Era una casa piena di spiriti: e, come Harry aveva imparato stringendo la Pietra della Resurrezione tra le mani, lui non aveva nulla da temere dai morti.





Note del capitolo: Ed è mercoledì da ben 13 minuti! *____* Niente da segnalare, se non che il fatto che Aberforth Silente divenga professore di Difesa contro le Arti Oscure è notizia sparsa da J.K.Rowling: io mi sono limitata ad approfittarne. Personalmente, avevo altri in mente per quella cattedra! xD
A questo proposito, fuckinmind mi ha fatto notare una cosa:
Solo una piccola curiosità: questo può essere considerato un'AU, visto che nel canon Harry diventa Auror e Hermione tornava a frequentare Hogwarts, giusto?
E' una giustissima osservazione, ma io ho considerato canonico in questa storia solamente quel che è riportato nei libri. Posso aver preso qualche informazione qua e là, se le ho trovate divertenti, su Wikipedia o altrove: ma, se la Rowling vuole farci sapere qualcosa sull'ottavo anno di Harry e compagnia, la prego, signora Autrice, non risponda alle interviste, ci scriva un ottavo libro! x°D Noi qui glielo si appoggia caldamente!

Un grazie a tutti coloro che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo!

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Capitolo 4
*** Inseguendo l'acqua che scorre ***





Capitolo 4
Inseguendo l'acqua che scorre




Due giorni dopo essere andato a trovare la Preside McGranitt, Harry si ritrovò nel bel mezzo di un prato verdissimo dall'erba alta e scura che gli arrivava fin oltre le ginocchia, circondato da colline scoscese che s'estendevano a perdita d'occhio e che si facevano più brulle verso nord. In lontananza c'era uno stretto lago che splendeva sotto il sole di mezzogiorno come una striscia d'argento, riflettendo il cielo nuvoloso.
Aveva in tasca l'ampolla argentata piena di ricordi, e in mano la copia di una carta d'identità intestata ad una certa Jane Doe, nata nel maggio del 1975, di cittadinanza inglese: Hermione gliel'aveva consegnata accompagnandola con infinite raccomandazioni di tenerla nascosta e di non mostrarla in giro, perché non sarebbe stato assolutamente permesso diramare certe informazioni al di fuori del Ministero. Archer aveva fatto un'eccezione perché... be', perché era lui. Harry Potter, il Ragazzo-Che-E'-Sopravvissuto, Uccisore di Tu-sai-chi, Grand'Eroe e Supremo Distruttore di Signori Oscuri o qualunque altro fosse il titolo che la stampa gli aveva appiccicato addosso.
Harry assestò un calcio ad una pietra, con un moto d'irritazione, e la guardò precipitare nell'acqua scura del torrente. Era ingombro di alghe, di radici, di detriti. Non sembrava poi così strano immaginare che un corpo potesse essere rimasto incastrato là in mezzo per mesi e mesi, in attesa di riemergere alla prima piena.
Il signor Abraham Phillips era un Babbano che dimostrava una sessantina d'anni, pressapoco, tutti scavati sul viso in pieghe e rughe e nell'espressione lievemente fosca, seppur non ostile, sottolineata dalle sopracciglia corrugate. Era stato lui a trovare il cadavere di Jane Doe mentre, aveva sostenuto di fronte agli Auror che erano venuti ad interrogarlo, portava le pecore al pascolo. Harry, che si era fatto largo attraverso il suo gregge con qualche difficoltà, estrasse nervosamente una tessera dell'autobus e vi batté sopra due colpetti con la bacchetta, tenendola nascosta in una manica mentre il signor Phillips non badava ancora a lui, prima di pararglisi di fronte:
- Signor Phillips? Mi chiamo Vernon Dudley. Sono della polizia di Perth, e sono qui per farle qualche domanda su... su quella ragazza che ha trovato nel fiume. -
Phillips grugnì, adocchiando la tessera che gli veniva offerta e che adesso aveva tutto l'aspetto di un documento ufficiale in lucido materiale plastificato.
- Ho già risposto alla polizia di Perth. - replicò poi, il tono aspro. - Che cosa volete ancora da me? -
- Vorrei solo farle qualche domanda, signor Phillips, davvero. Non hanno... non abbiamo ancora scoperto da dove venisse il... - Harry si sforzò di persuadersi a dire il corpo, ma la parola proprio non voleva saperne di uscire dalle sue labbra: - ... la ragazza. -
L'espressione di Abraham Phillips parve, inaspettatamente e per una qualche misteriosa ragione, ammorbidirsi.
- Non sapete chi è? -
No, gli Auror non sapevano ancora chi fosse. Gli incantesimi avevano provato oltre ogni ragionevole dubbio che si trattasse di una strega: ma non aveva indosso nessuna bacchetta che potesse aiutare l'identificazione, e niente nelle tasche se non documenti probabilmente falsi - e contraffatti con un nome da Babbana - e tanti frammenti di ricordi che non erano i suoi. Nessuno si era presentato al Ministero per denunciare la scomparsa di una ragazza con il suo nome, della sua stessa età, niente, e il corpo era in condizioni tanto pessime da essere semplicemente oltre ogni possibilità di riconoscimento. La magia poteva aiutare a ricostruire i tessuti morti solo fino a un certo punto.
Harry scosse la testa:
- No, signor Phillips, non ancora. Mi... mi accompagnerebbe nel punto dove l'ha trovata, per cortesia? Se deve badare alle pecore posso aspettare, però... -
L'uomo scrollò le spalle, incamminandosi verso il torrente:
- Le pecore stanno bene dove stanno, c'è il cane che ci bada. Agente Dudley, dico bene? Dica un po', ragazzo: non è un po' troppo giovane per un lavoro del genere? -
Harry si schiarì la gola, a disagio:
- Sembro più giovane della mia età. -
Phillips inarcò un sopracciglio in un'espressione poco convinta, ma non disse nulla. Lui ed Harry scesero giù per un dosso e attraversarono il torrente all'altezza di un piccolo, traballante ponte di legno.
- Le pecore non possono passare qui sopra, ma mi era scappato un agnello. - spiegò Phillips. - Gli sono andato dietro fin sulla riva, e poi ho visto che c'era qualcosa che luccicava in acqua. Mi sono affacciato e c'era quella povera donna incagliata tra le canne: mi sono avvicinato per aiutarla, ma ho capito subito che non c'era più niente da fare. Dev'essere rimasta sott'acqua per settimane. -
Indicò un punto dove un grosso salice faceva sprofondare le sue radici nei flutti, i rami come dita lunghe protese a sfiorare l'acqua mossa.
- Ecco... - esclamò. - … era laggiù. -
Se gli Auror non avevano trovato tracce di incantesimi nelle vicinanze, si disse Harry, lui non avrebbe potuto fare meglio di loro. Non sapeva neanche, a dire il vero, cosa l'avesse spinto fino a Perth: era solo che quella mattina si era trovato con l'ampolla in mano, la casa vuota e proprio nulla da fare per riempire la sua giornata fino a sera, e tutto ad un tratto il pensiero di rimanere seduto nel soggiorno di Grimmauld Place gli era apparso intollerabile.
Esclamò, gli occhi fissi sul fiume:
- Herm... uh, il mio collega ha detto che lei gli ha spiegato che la corrente deve aver fatto riemergere il corpo. -
- No, non è così. -
Harry si girò fissare Phillips:
- No? -
- No. - ripeté il pastore, pazientemente. - Quel che il suo collega mi ha chiesto è stato se il fiume era in piena, adesso, e io gli ho detto di sì. Gli ho detto però anche che la corrente viene su dalla diga, in questa stagione, ed è per questo che l'acqua è così alta. -
Harry aggrottò la fronte, perplesso:
- Non capisco, signore. -
Il pastore scosse la testa con lieve disapprovazione, ma non sembrò perdere un grammo della propria flemmatica compostezza:
- Agente Dudley, io non sono un poliziotto, io sto dietro alle pecore. Quello del poliziotto è il suo lavoro, e di sicuro non verrò a dirle come farlo, così come lei non verrà a dire a me come si tosano le mie pecore e a quanto devo vendere la mia lana. Quel che le dirò, però, è che io credo che quella povera donna sia venuta giù con l'acqua della diga: perché una volta il torrente, qui, era una striscia e nulla più, ma da quando hanno messo le chiuse su a monte l'acqua arriva quando piace a quelli della fabbrica, non con le piogge. -
Harry non aveva compreso tutto quel che il pastore gli aveva detto: ma ne aveva afferrato abbastanza da comprendere che c'entrava una diga, e il flusso del fiume, e l'acqua su a monte, e...
Tutto a un tratto, la comprensione lo illuminò:
- Lei ha detto a... al mio collega che c'era una diga? -
- Sicuro. Gli ho detto che c'erano le chiuse della vecchia conceria, a monte. -
Sicuramente gli Auror dovevano aver afferrato quel tanto da capire che l'acqua veniva giù regolata dai Babbani, in qualche modo; ma, pensò Harry improvvisamente, non avevano capito cosa questo significasse. Le dighe, le chiuse, le concerie, queste erano cose da Babbani. Se l'Auror che era arrivato ad interrogare Abraham Phillips era nato e cresciuto tra i maghi, be', poteva essersi lasciato sfuggire una cosa che lui, che invece era stato tirato su dai Babbani, aveva afferrato subito.
- Quant'è lontana questa diga, signor Phillips? -
Phillips inclinò il capo da una parte e parve pensarci sopra per un attimo:
- Mah. In macchina saranno forse dieci, quindici minuti; la fabbrica si vede bene in lontananza, ha un grosso comignolo che non funziona più. L'avranno tenuto perché buttarlo giù gli costava troppo, chissà. -
Harry allungò una mano e tastò la tasca in cui l'ampolla era affondata, nascosta, al sicuro.
- E' stato molto gentile, signor Phillips, a parlarne con me. -
Il vecchio pastore guardò il fiume per un attimo; poi riportò lo sguardo su di lui e allungò una mano per afferrare e stringere quella che Harry gli porgeva.
- Povera donna. - esclamò ancora, raucamente. Scosse la testa, poi, si volse e si allontanò.

Contattare Hermione aveva richiesto del tempo: Harry non aveva la più pallida idea di dove poter trovare un camino collegato alla Metropolvere, nei dintorni, e se si fosse presentato al Ministero gli sarebbero occorse delle ore, tra i controlli nell'Atrium e il tempo necessario ad essere ascoltato dagli Auror - senza contare che Hermione gli aveva esplicitamente chiesto di non far sapere a nessuno che lui aveva l'ampolla dei ricordi e la copia della carta d'identità.
Così decise di Smaterializzarsi a Grimmauld Place e di usare il camino di casa per cercare di contattare Hermione. Ebbe fortuna: aveva il turno di notte per tutta la settimana e non era ancora uscita di casa. A metà del pomeriggio Harry era in piedi sulla grossa diga di cemento della quale il signor Phillips gli aveva parlato, a pochi passi di distanza dalla ciminiera in disuso della conceria; insieme a lui c'erano due Auror che Harry non conosceva, e che Jonathan Archer aveva mandato ad investigare. Uno dei due era un grosso, maturo mago con il viso incavato, gli occhi infossati e un'espressione insieme stanca e dura, che gli aveva stretto la mano mentre sembrava valutarlo con lo sguardo, soppesandolo; l'altra era una ragazza forse tre o quattro anni più vecchia di lui, i capelli raccolti in una treccia bruna, che si era presentata come Aracne Webwick e che gli aveva serrato una mano tra le proprie con entusiasmo, fissandolo con un'espressione che, Harry aveva notato sentendosi sgradevolmente a disagio, era trasfigurata dall'entusiasmo: era evidente che conoscerlo la mandasse su di giri.
Harry si passò le mani tra i capelli e si appiattì la frangia sulla fronte in un gesto nervoso e istintivo. La cicatrice a forma di saetta non era scomparsa dopo la morte di Voldemort: se tutti i Mangiamorte che erano stati segnati con il Marchio Oscuro avevano scoperto che il serpente e il teschio impressi sulla loro pelle sbiadiva e si affievoliva con il passare del tempo, il nero che si faceva grigio e poi scompariva poco alla volta, per lui non era stato così. La cicatrice era rimasta, e non dava segno di volersene andare.
Se non altro, si disse Harry, né la ragazza né l'uomo sembravano intenzionati a ordinargli di andarsene; ne avrebbero avuto tutti i diritti, sicuro, perché lui non era un Auror e non avrebbe dovuto essere lì... però, si disse Harry, forse e solo forse essere il nuovo eroe del mondo dei maghi aveva qualche vantaggio del quale avrebbe potuto far buon uso.
L'Auror più anziano lasciò cadere nell'acqua del lago una foglia, stando in piedi sulla sommità della diga, dopo averla colpita con la bacchetta e aver mormorato qualche parola a mezza voce: la foglia aveva fatto a malapena in tempo a sfiorare l'acqua che qualcosa nel lago si era mosso e aveva cominciato a splendere. Una striscia debolmente dorata scivolava appena al di sotto della superficie scura, ondeggiando e incurvandosi in prossimità della riva ad ovest.
- E' un incantesimo utile a determinare le correnti. - spiegò l'Auror, di fronte allo sguardo perplesso e incuriosito di Harry. - Faremmo meglio a seguirlo, prima che la traccia scompaia. -
La scia d'oro nell'acqua piatta proseguiva ininterrotta fiancheggiando la costa: si allargava verso il centro del lago, a un certo punto, ma poi tornava verso fondali più bassi e ingombri di giunchi. Il sole, affiorando a tratti tra le nuvole, disegnava striature scintillanti sulle minuscole onde che accarezzavano le rive del lago.
C'era uno strano silenzio, pensò Harry, una strana atmosfera pacifica, quieta. Era un bel posto, si disse: anche la fabbrica, con la sua ciminiera crepata, sembrava in un qualche modo appartenergli, grigia com'era grigio il cielo, com'era grigio il lago, annegata nel verde dell'erba alta. Si scorgeva un gregge di pecore in lontananza, e vederlo gli riportò alla mente il signor Phillips.
Potevano aver camminato forse per mezz'ora, lui e i due Auror, quando si trovarono il cammino interrotto da una casupola scura: era più una catapecchia che altro, su due piani, dove il livello inferiore aveva un grosso portone che affacciava direttamente sul lago. Una rimessa per le barche, probabilmente, o qualcosa del genere. Doveva aver visto tempi migliori: le finestre avevano imposte divelte, rotte o otturate da assi, e la porta cigolava sospinta dal vento su un solo cardine. Spiccava stranamente sulla riva erbosa: Harry non riusciva a vedere altre costruzioni, lì attorno, per quanto aguzzasse lo sguardo.
- Dovremmo dare un'occhiata. - Propose Aracne Webwick. Teneva la mano affondata nella tasca della larga giacca a vento babbana che portava; sia lei che il suo compagno, aveva notato Harry con infinito sollievo, erano vestiti tutto sommato normalmente; sembravano proprio tre turisti a passeggio, così, e nessuno avrebbe badato troppo a loro. Oltretutto, le rive del lago apparivano misericordiosamente deserte.
Fu l'Auror dal viso scavato ad entrare per primo nella casupola, la bacchetta stretta in mano e a malapena nascosta dalle maniche della giubba. La alzò, dopo una breve occhiata allo stanzone semideserto, e mormorò:
- Homenum revelio. -
Non accadde niente. Il mago si schiarì la voce e propose laconicamente:
- Già che ci siamo, diamo un'occhiata intorno. -
Aracne Webwick si chinò per esaminare con interesse le due scansie di metallo che portavano al grosso battente affacciato sul lago - sembrava proprio che la casupola fosse veramente una rimessa per le barche, anche se adesso era vuota, e il suo collega andò ad esaminare un angolo ingombro di cordami e barili sul retro. Harry adocchiò una scaletta a pioli che portava al piano superiore e, dopo una brevissima esitazione, salì.
L'interno della catapecchia era buio e fresco, quasi freddo. C'era un odore acquatico di cose umide, di cose lasciate a muffire, non sgradevole ma intenso, e un'aria polverosa che si infilava nei polmoni e lo costringeva a schiarirsi la gola di frequente. La zona superiore della rimessa aveva il tetto basso e spiovente: se allungava le mani sopra la testa riusciva a toccarlo.
Mormorò:
- Lumos. -
La punta della bacchetta si accese. Il riflesso di luce bianca scintillò su una bacinella di metallo riversa a terra, e poi su un cumulo di piccole bottiglie di vetro sparpagliate sul pavimento e contro una parete. Harry aggrottò la fronte, cominciando ad avvicinarsi, ma poi la luce danzò su qualcos'altro: qualcosa di debolmente luminoso, evanescente. E questo qualcosa si mosse e disse:
- Salve. -
Harry fece un balzo all'indietro che minacciò di mandarlo a schiantarsi di sotto attraverso la botola della scaletta a pioli.
Il qualcosa aveva tutto l'aspetto di una ragazza molto pallida, molto bianca, con occhi che scintillavano nel buio come argento. La luce le passava attraverso e rischiarava la parete alle sue spalle.
Non era viva, capì Harry. Non era viva. L'incantesimo dell'Auror non aveva funzionato perché non era viva.
Nella rimessa sulla riva del lago c'era il fantasma di una ragazza morta.





Note del capitolo: Di nuovo, si pubblica appena trascorsa la mezzanotte!
Ho cominciato a pubblicare La miglior parte della nostra vita, sugli anni ad Hogwarts dei Malandrini. La alternerò con Prima di King's Cross, un mercoledì a testa. Non era per cattiveria che avevo deciso di pubblicare ogni due settimane. x°°°D

Un grazie a tutti coloro che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo!

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Capitolo 5
*** Il Prestamente ***





Capitolo 5
Il Prestamente




- Salve. - disse ancora lo spettro. E poi, in tono di scuse: - Non volevo spaventarti. Ho pensato che se me ne fossi stata buona qui in fondo avresti avuto il tempo di vedermi e, insomma... - Alzò una mano incorporea e afferrò l'estremità della lunghissima treccia che le ciondolava su una spalla, cacciandosene la punta in bocca nervosamente. - … non ha funzionato, uh? -
Harry si mosse sul posto, a disagio, e lei sbatté le palpebre e chiese, una punta d'ansia nella voce:
- Te ne vuoi andare? -
Il fantasma era indiscutibilmente quello di una ragazza, stabilì Harry. Vestiva come una Babbana, ma Nick-Quasi-Senza-Testa gli aveva detto che solo i maghi e le streghe potevano diventare fantasmi. Portava gli occhiali, come Harry, ma i suoi erano rettangolari e pensati evidentemente per non stonare sul suo viso dai lineamenti aguzzi. Era molto piccola: più bassa di lui di quasi una testa intera, con spalle magre e fianchi stretti. Lo fissava ansiosamente e fu quello sguardo, più che tutto il resto, a spingere Harry a parlare:
- No, no. No, è solo... mi hai preso di sorpresa. E'... oh... - Chiederlo era chiedere l'ovvio, ma doveva chiederlo. - … sei un fantasma? -
Un po' della tensione sul volto dello spettro scivolò via alle sue parole. Sorrise e replicò, mite:
- Si direbbe di sì. Come sei arrivato qui? -
- Stiamo seguendo delle tracce. Abbiamo trovato un corpo, più a valle, e... - Harry si interruppe, sentendo la voce strozzarglisi in gola per l'orrore: - … oh. E' il tuo. -
Il fantasma sembrò più interessato che sconvolto dall'affermazione, perché si sporse verso di lui, ondeggiando, e piegò il capo in avanti per guardarlo meglio. Tutto ad un tratto Harry si rese conto che c'era qualcosa che non andava. Gli spettri di Hogwarts non camminavano: non avevano neanche precisamente le gambe, ma più un qualcosa di nebbioso che permetteva loro di galleggiare al di sopra del terreno, levitando. La ragazza con la treccia e gli occhiali gli ricordò invece l'immagine di Tom Riddle, così com'era uscita dal diario nella Camera dei Segreti: il pensiero lo fece irrigidire e tendersi, ma lo spettro non sembrò badarvi.
- Avete trovato il mio corpo? - chiese invece.
- Sei tu Jane Doe? -
La ragazza sorrise. Ora che poteva osservarla da vicino, Harry si accorse che sembrava un po' più grande di quanto la sua statura e la sua corporatura facessero immaginare: poteva avere forse un paio d'anni più di lui, ed aveva il naso e le guance bianche sparse di efelidi luminescenti, come punte d'argento sul pallore spettrale della pelle.
- Non mi chiamo veramente Jane Doe. Io e mio padre stavamo cercando un buon nome da mettere su dei documenti falsi, e mi sono ricordata che c'era un poliziesco che mi piaceva un sacco guardare quand'ero bambina... e, be', c'era una puntata in cui una donna si faceva chiamare Jane Doe, per cercare di sfuggire all'arresto, sai? Alla fine della puntata riusciva a scappare davvero. - Scrollò le spalle, e scosse lievemente la testa. - Mi sembrava di buon auspicio. Il mio nome, però, è Angela Abigayle Glacenspark. - Tese una mano verso Harry: - Preferisco essere chiamata Angie, se non ti dispiace. -
Harry strinse la mano dello spettro, istintivamente, e subito desiderò di non averlo fatto: perché la sensazione era gelida e umida, come aver passato le dita sotto ad un getto di acqua fredda, ed incorporea.
- Io sono Harry Potter. -
Il fantasma sorrise di nuovo.
- Sicuro. So chi sei. E' improbabile che tu ti ricordi di me, ma io mi ricordo benissimo di te. C'ero quando ti hanno Smistato e, sai... wow, Harry Potter. - Ridacchiò. - Mio padre mi aveva parlato di te per anni prima che mettessi piede a scuola. Non c'era nessunissima possibilità che non sapessi chi eri, quando sei arrivato ad Hogwarts. -
Harry non riuscì ad impedire al proprio viso di piegarsi in una smorfia, mentre il familiare disagio l'assaliva una volta di più di fronte allo sgradito pensiero della propria fama, della cicatrice, di Voldemort. Si schiarì la voce:
- Eri ad Hogwarts anche tu? -
- Ero al mio terzo anno quando tu sei entrato. Corvonero. - esclamò, una lieve sfumatura d'orgoglio nella voce. - Ero coetanea di Alicia Spinnet, abbiamo lavorato ad un progetto per la professoressa Sprite insieme, poco prima dei G.U.F.O.. Era in squadra con te, no? Per il Grifondoro. -
La voce di Aracne Webwick che lo chiamava dal piano di sotto riscosse tutto ad un tratto Harry; il ragazzo sussultò e alzò una mano verso il fantasma di Angela Abigayle Glacenspark, esclamando:
- Aspetta un attimo. -
Corse fino alla scala a pioli, poi, inginocchiandosi sul bordo della botola e affacciandosi al piano di sotto. La Webwick gli si accostò, sbattendo le palpebre perplessa e poi aggrottando la fronte - forse, si disse Harry, l'espressione che aveva in faccia in questo momento rifletteva almeno un po' di quel misto di sconvolgimento, nausea e sconcerto che sentiva di provare.
- Cosa c'è? - chiese l'Auror: - Hai trovato qualcosa? -
- No. - rispose lui, la voce strozzata. - Ho trovato qualcuno. -

- Mi chiamo Angela Abigayle Glacenspark. - ripeté il fantasma di fronte agli Auror. - Mio padre si chiamava Hyerolfus Glacenspark. E' morto in febbraio insieme a mia madre, Ellen Baldwin, ucciso dai Mangiamorte. Mia madre era una Babbana, mio padre un Purosangue. Il mio Stato di Nascita è Mezzosangue. I miei genitori mi hanno aiutata a fuggire prima di morire, ma sono stata raggiunta in questa casa ed uccisa ad aprile. Mio padre, il padre di suo padre e il padre del padre di suo padre, e via risalendo attraverso le generazioni, erano Prestamente, e io ho ereditato l'attività di famiglia alla sua morte... -
- Cos'è un Prestamente? - la interruppe Harry, perplesso.
I due Auror si girarono a guardarlo per un lungo istante, sorpresi; il fantasma, invece, si limitò a sorridere e a spiegargli:
- Devi essere cresciuto tra i maghi per saperlo. Il lavoro del Prestamente è un lavoro molto antico nel mondo dei maghi: una volta era piuttosto diffuso, e rinomato, ma da quasi due secoli viene portato avanti solo da poche famiglie che si trasmettono l'attività per linea ereditaria. I Prestamente sono corrieri di ricordi: conservano e trasportano i ricordi che vengono dati loro da custodire, assicurandosi che vengano consegnati solo al giusto destinatario. Sono il mezzo più sicuro per far viaggiare i ricordi attraverso il mondo, perché vengono preparati in Occlumanzia sin da bambini, e sono legati al cliente da un contratto magico stretto al momento del passaggio del ricordo. -
Harry aggrottò la fronte:
- Non capisco. Perché si dovrebbe voler far viaggiare un ricordo? -
- Può essere utile. Se voglio spostare un'informazione che deve restare segreta, ad esempio, oppure anche solo per custodire un ricordo prezioso. Tutti i ricordi hanno valore; ma alcuni valgono più degli altri. E' normale volerli proteggere in caso di necessità. A volte... - spiegò il fantasma. - … i Prestamente vengono usati per conservare la memoria degli atti di un processo, oppure testamenti e passaggi di proprietà a lungo termine, cose così, perché i ricordi in un Prestamente non possono essere alterati. -
Harry si ricordò che addosso al cadavere nel fiume erano state trovate fiale piene di ricordi. Tutto ad un tratto, la memoria della fiala che Hermione gli aveva consegnato gli tornò alla mente.
- Avevi un ricordo di Silente! - esclamò. - Come... -
- Un momento, Potter. - lo interruppe l'Auror più anziano. - Tutto a suo tempo. Angela Abigayle Glacenspark, abbiamo bisogno di conoscere i nomi dei suoi assassini. -
Il fantasma sembrò esitare, per un attimo. Piegò il capo da una parte, prima di scuotere la testa.
- Non so chi fossero. Erano Mangiamorte. Avevano indosso le tuniche... le maschere. -
- Non ricorda niente che possa aiutarci a identificarli? -
- Mi dispiace, no. -
Qualcosa nell'atteggiamento del fantasma, nel modo in cui mosse la testa evanescente, la brevissima pausa prima della risposta, diede ad Harry la distinta impressione che stesse mentendo: ma l'Auror non insisté, e passò ad altro.
- La procedura richiede che ai fantasmi in terra inglese sia domandato se vogliono spostarsi ad Hogwarts o in un altro dei siti magici d'Inghilterra. Signorina Glacenspark, sicuramente Hogwarts... -
Fu la volta del fantasma di interrompere l'uomo:
- Non credo sia possibile. -
Sul viso dell'Auror la piega dura della bocca si fece incerta:
- No? -
- No. - Il fantasma oscillò da una parte all'altra e parve, tutto ad un tratto, esitante e confuso. - Non volevo rimanere qui. Avevo intenzione di passare da... dall'altra parte, ma sono stata trattenuta. Credo di avere ancora un ricordo da consegnare. - affermò dopo un attimo di silenzio. - Sapete, ho provato a liberarmene quando ho cominciato a pensare che non sarei riuscita a mettermi in salvo, ma i ricordi erano tanti: molte delle persone che li avevano dati in custodia a mio padre erano morte dopo l'inizio della guerra, altre vivevano molto lontane da qui. Ho iniziato a consegnarli, ma non sono riuscita a finire prima che mi trovassero. -
- Le fiale sono state trovate. - disse Harry. - Ho avuto... ho avuto una fiala con un ricordo di me e del professor Silente. -
Il fantasma di Angela parve sorpreso:
- Siete riusciti ad aprire quella fiala? -
Harry aggrottò la fronte, sempre più perplesso:
- Non avremmo dovuto? -
- Be', no. Non era previsto che si potesse aprire. Sai, è parte del contratto di un Prestamente: avevo sigillato io la fiala, non poteva essere aperta. -
- Ne abbiamo aperte diverse. - esclamò l'Auror, asciuttamente. Gettò ad Harry un'occhiata sbieca che fece rammentare al ragazzo tutto ad un tratto che, in effetti, lui non avrebbe dovuto possedere alcuna fiala trovata sul cadavere: Harry inghiottì a vuoto e sperò che nessuno pensasse di andare a rimproverare Hermione per questo. Hermione lo avrebbe ucciso, altrimenti. Lentamente e dolorosamente. - Ma sono tutte fiale legate a persone morte. Era stato Albus Silente a chiederle di consegnare il ricordo? -
- Non era stato consegnato a me, ma a mio padre. Non so da parte di chi fosse, io conosco solo il destinatario. Se siete riusciti ad aprirle, probabilmente vuol dire che questo è morto. La maggior parte dei contratti scadono con la morte del destinatario, sapete. A meno che... - Di nuovo, il fantasma oscillò. Sul viso pallido, lattescente, passò tutto ad un tratto un'espressione ansiosa. - Voi... uh... Voi-Sapete-Chi è morto, per caso? -
A quel nome, Harry non riuscì a reprimere un brivido: non tanto per il ricordo del mago, malgrado questo fosse già di per sé spaventoso, quanto per il ricordo dei mesi lunghissimi e angoscianti che non poteva fare a meno di associare a quel nome, Voi-Sapete-Chi, Tu-Sai-Chi, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Chiamarlo a questo modo gli aveva dato potere, gli aveva dato forza. L'aveva reso mostruoso.
- Voldemort è morto, sì. - Le rispose. Si sforzò di ignorare l'espressione scioccata del fantasma e il lieve sussulto da parte dell'Auror Webwick, mentre proseguiva: - A maggio. -
La figura evanescente del fantasma oscillò come un bianchissimo lenzuolo smosso da una folata di vento. Rimase in silenzio per un attimo, l'espressione indecifrabile, prima d'affermare:
- Allora sì, è normale che l'abbiate aperta. Era una clausola del contratto. Immagino che sarebbe stato inutile tenere segreto quel ricordo, dopo... dopo. -
Harry spostò lo sguardo dal fantasma agli Auror, e poi nuovamente sul fantasma, confuso.
- Io continuo a non capire. Il professor Silente ti... aveva dato a tuo padre il ricordo della Profezia? Da consegnare? E a chi? -
Il fantasma di Angela scosse la testa.
- Non posso dirlo. Se tu non sei il destinatario, anche se il ricordo viene svelato il contratto mi lega la lingua. Non posso spezzarlo e non posso dirti chi era il primo destinatario. -
Harry serrò le labbra, frustrato:
- Anche se sei morta? -
- Certo. E' una clausola magica vincolante fino all'assolvimento. Eterna. Non ha una data di scadenza.- chiarì il fantasma.
- E per quanto riguarda il ricordo che devi consegnare? -
Il fantasma di Angela sembrava sempre più a disagio.
- Io... io credo di dovermene liberare. Per poter andare via. Ho diversi ricordi che vorrei consegnare, ma questo... questo è speciale. Il contratto è più forte. E' ancora attivo. -
- Be', puoi andare a cercare la persona alla quale appartiene, adesso, no? Trovarla, consegnarglielo e.. - Harry si interruppe, a disagio. Trovarla, consegnarglielo e morire, pensò. Era già morta, dopotutto, no? Il treno, alla stazione di King's Cross, aspettava solamente che lei si pagasse il biglietto per poter salire in carrozza e partire.
- Io non so dove sia questa persona. - esclamò il fantasma. - Non saprei come cercarla. Non sono neanche sicura di poter lasciare questa casa, ma forse Hogwarts è una buona idea, dopotutto... -
Se il fantasma pensava che Hogwarts fosse una buona idea, ragionò Harry, questo voleva dire che il destinatario del ricordo era collegato alla scuola: la frequentava, forse. O era un insegnante.
- Di chi si tratta? -
Il fantasma di Angela rimase in silenzio per un lungo istante. Harry vide la luce danzare attraverso la pelle opalescente e rabbrividì, ancora, di fronte alla sensazione di gelo che lo attanagliò nel fissarla. Sembrava avere la sua età. Era poco più grande di lui. Era morta ad aprile, si ricordò. Voldemort sarebbe stato sconfitto il due di maggio: se fosse riuscita a stringere i denti solo qualche giorno di più, se la fortuna l'avesse assecondata solo qualche altro giorno, ebbene, anche Angela Abigayle Glacenspark si sarebbe salvata.
Il fantasma aprì bocca per parlare: e quel che disse diede ad Harry l'impressione che qualcuno gli avesse lasciato cadere un sasso nello stomaco, un grosso, pesante sasso che si fece largo attraverso le sue viscere e affondò infine con un breve, basso plof che gli fece ronzare le orecchie.
- Devo... - esclamò il fantasma. - ... consegnare un ricordo a Severus Piton. -





Note del capitolo: Vi ricordate quella regola fondamentale non scritta delle Mary Sue della quale avevo parlato nel primo capitolo? x°D Chi ci è arrivato, a questo punto?
La regola non scritta è questa: è cosa buona e giusta che la Mary Sue sia viva. Se non è viva, come si fa ad accoppiarla? Numerose volte? E i capelli scintillanti, accidenti, come si agitano?

La figura del Prestamente non esiste nel mondo di Harry Potter. In un universo di Legilimanti, Occlumanti e Pensatoi, mi sembrava ragionevole immaginare l'esistenza di un lavoro simile.

Pubblicizzo allegramente il fatto di aver pubblicato lunedì Lezioni di volo, una brevissima one-shot sui Malandrini.
Un grazie a tutti coloro che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo!

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Capitolo 6
*** Il testamento di Severus Piton ***





Capitolo 6
Il testamento di Severus Piton




- Severus Piton. - ripeté Harry. Il ronzio nelle sue orecchie non voleva saperne di smettere.
Gli occhi del fantasma si fissarono su di lui.
- Sì. - E poi, la voce speranzosa: - Sai dov'è? E' ancora ad Hogwarts? -
Il sasso nello stomaco di Harry sembrò crescere e crescere e crescere fino ad occupare tutto lo spazio disponibile. Pensò, per un attimo, che l'avrebbe soffocato.
- E' ancora ad Hogwarts. - rispose. - L'abbiamo seppellito lì. Vicino al Memoriale. -
E poi, mentre la ragazza - la ragazza morta - spalancava gli occhi, grandi e opalescenti come quelli di tutti gli spettri erano, ma pieni di una sorpresa stupefatta che era tremendamente viva, lui soggiunse a mo' di spiegazione, come se, a quel punto, non fosse già stato tutto più che chiaro:
- Piton è morto. In maggio. -

***



Mentre Hogwarts veniva rimessa in piedi, i terreni attorno alla scuola risistemati, le classi ripulite e la Foresta Nera svuotata da tutte le orribili creature che i Mangiamorte avevano sguinzagliato durante l'ultima, grande battaglia, qualcuno aveva suggerito che costruire lì un Memoriale avrebbe potuto essere una buona idea.
Durante la battaglia di Hogwarts erano morti cinquantaquattro studenti. Altri diciannove, quasi tutti Nati Babbani, erano stati uccisi nel corso dell'anno angoscioso che era seguito alla morte di Silente; le famiglie di diciassette di questi erano state coinvolte nella loro morte e sterminate a loro volta. Al conteggio andavano poi aggiunti sette centauri, cinque elfi domestici e ventitré adulti umani tra genitori, insegnanti, negozianti di Hogsmeade e altri ancora che si erano uniti alla battaglia e che non ne erano usciti vivi.
Tra questi vi era anche Severus Piton.
A recuperare il suo cadavere era stato un gruppo di paesani di Hogsmeade che avevano setacciato i dintorni della scuola per assicurarsi che nessun Mangiamorte sfuggito alla battaglia vi si fosse nascosto: l'avevano portato all'interno del castello, e l'avrebbero messo nella stessa sala che custodiva il corpo di Voldemort, insieme agli altri Mangiamorte uccisi, se Harry non fosse intervenuto.
Non lì, non con loro, aveva pensato. Dopo tutto quel che aveva fatto, tutto quel che aveva passato, tutto il tempo in cui gli avevano sputato addosso - in cui lui gli aveva sputato addosso - insultandolo e odiandolo, chiamandolo assassino, mentre Severus Piton aveva portato avanti in silenzio i piani di Albus Silente per salvare il mondo magico. Era stato una vittima come gli altri, più che gli altri. Era stato un eroe. Severus Piton era un eroe: ed Harry aveva una fiala piena di ricordi per dimostrarlo a tutti.
La McGranitt si era seduta accanto al cadavere e aveva fatto sparire il sangue che lo lordava con un gesto della bacchetta. Poi aveva pianto per un po', senza far rumore, le lacrime che colavano dietro gli occhiali rettangolari e giù per il naso diritto, finendo all'angolo della piega dura della bocca; era sembrata molto vecchia agli occhi di Harry, molto fragile.
Harry aveva fissato il corpo di Piton, Severus Piton, e aveva pensato di essere stanco di tutto questo. Troppe lacrime, troppi morti, e niente che tornava a posto. Il mondo si era come rotto, aveva pensato.
Forse era stato proprio a causa del cadavere di Severus Piton che Harry aveva deciso di non fare ritorno ad Hogwarts.

Dopo aver discusso per settimane intorno a quale forma dare al Memoriale, quali persone ricordarvi, quale materiale usare, alla fine si era deciso di alzare un'unica, grande pietra grigia proprio al di fuori delle mura della scuola, e di incidere in essa i nomi dei morti: tutti i morti, studenti e adulti, maghi e Babbani, umani, elfi, centauri, tutti, tutti coloro che avevano perso la vita per mano di Voldemort, o a causa di Voldemort, andavano ricordati proprio lì dove lui era stato sconfitto, dove il suo orrido, insanguinato sogno era andato a schiantarsi ed era precipitato, irrimediabilmente rotto, dall'altro lato di un Expelliarmus.
La cerimonia del Memoriale si era svolta in una bellissima, luminosa, azzurra mattinata di luglio. Il sole si era specchiato sul lago e sulle macerie della scuola e, invece che rendere più vivido, crudo ed evidente lo sfacelo, aveva trasformato la polvere in oro, i cumuli di detriti in montagnole di sassi scuri. Il cortile devastato era sembrato quasi nuovo, così, quasi integro. L'alto Memoriale era a nord del castello, in ombra: sopra ci sarebbero cresciuti edera e muschio, e sarebbe divenuto veramente una parte di Hogwarts, in questo modo, inscindibile dalla scuola.
Fred Weasley, aveva scritto per primo il signor Weasley con la punta della bacchetta, e le spalle gli avevano tremato. Aveva tenuto stretta la signora Weasley, che singhiozzava piano, e aveva accarezzato il nome con un dito.
Colin Canon, aveva aggiunto sulla pietra una donnina minuscola che aveva lunghi capelli della stessa, identica sfumatura color topo che avevano ereditato entrambi i suoi figli: Dennis era stato lì con lei, quella mattina, e le aveva tenuto la mano per tutto il tempo.
Vincent Tiger. Era stato un Mangiamorte, ma un Mangiamorte di diciassette anni: non aveva avuto nemmeno il tempo di finire la scuola, prima di prendere il Marchio Nero. Era stato un Mangiamorte e un violento, aveva pensato di trarre piacere dal dolore degli altri ma, pensava Harry, la sua prima colpa era stata quella d'essere stupido, non cattivo. I signori Tiger erano morti entrambi durante la battaglia di Hogwarts, schierati dalla parte di Voldemort: a incidere il suo nome nel Memoriale era stata la McGranitt.
Cedric Diggory. Alastor Moody. Amos Diggory. Ted Tonks. Ninfadora Tonks. Remus Lupin. Sirius Black. Harry non s'era reso conto di essersi messo a piangere fino a quando non aveva sentito il calore delle lacrime scese inzuppargli il collo della maglia.
Severus Piton, aveva scritto lui. Severus Piton, al quale doveva la vita. Mezzo miliardo di vite, per tutte le volte in cui Piton era stato lì a salvargli la pelle e lui, semplicemente, non gliene aveva mai reso merito. Severus Piton che aveva causato la morte dei suoi genitori, forse, ma che sicuramente aveva passato una vita intera a fare ammenda, ogni singolo giorno, proteggendolo e spiando e sorvegliando e aiutando, sino al momento in cui in cui era morto. Severus Piton che aveva portato avanti il proprio compito finché aveva respirato.
L'ultimo nome, Albus Silente, l'aveva inciso Kingsley sul Memoriale: Kingsley che era il nuovo Ministro della Magia, adesso, ed era giusto, aveva pensato Harry, che fosse lui a farlo. Caramell era stato un piccolo, borioso, spaventato e arrogante burocrate troppo attaccato alla propria alta poltrona per riuscire a capire la gravità di quel che stava accadendo; Scrimgeour era stato coraggioso, ed eroico a modo suo, ma crudele e insensibile, violento come quelli che combatteva. Kingsley poteva fare meglio di entrambi: Kingsley aveva tenuto testa a Voldemort, Kingsley aveva parlato a Radio Potter per confortare l'Inghilterra, per tenere insieme il mondo dei maghi, Kingsley era stato umano. Kingsley sarebbe stato un buon Ministro.
- Potter. - l'aveva chiamato la McGranitt alla fine della cerimonia. - Avrei bisogno di un momento per discutere una cosa con te. -
Harry aveva gettato un'occhiata incerta a Ron e Hermione, che gli erano rimasti vicini durante la cerimonia, e la McGranitt aveva scosso la testa:
- Il signor Weasley e la signorina Granger possono ascoltare. E' una questione di pochi minuti, ad ogni modo. -
La donna aveva ancora un'espressione stanchissima, esausta, ma gli occhi penetranti ora erano asciutti e lucidissimi. Sembrava profondamente seria, e la sua espressione aveva preoccupato Harry:
- E' successo qualcosa, professoressa? -
E' successo qualcosa? C'è qualcosa che non va? Voldemort è tornato? Harry non riusciva a smettere di pensarlo, ogni volta che l'atmosfera intorno a lui si faceva anche solo un po' più tesa del normale. Aveva trascorso sette anni con il fantasma nero del mostro a soffiargli dietro al collo come una specie di gigantesco, perverso Gramo: e adesso non riusciva veramente a pensare che era finita, che se n'era andato. Che non sarebbe tornato.
La McGranitt doveva aver percepito un po' della tensione nella voce di Harry, perché l'aveva fissato e aveva sbattuto le palpebre, perplessa.
- No, Potter. - aveva risposto alla fine, il tono ammorbidito. - Non è successo niente. Abbiamo solo trovato il testamento del professor Severus Piton, depositato in custodia presso la Gringott: il Ministro mi ha chiesto se volessi informarti io, di persona, ed ho pensato fosse la cosa migliore. -
- Il testamento di Piton? - le aveva fatto eco Ron, stupefatto, alla destra di Harry. La McGranitt gli aveva rivolto un'occhiata di lieve rimprovero:
- Il professor Piton, signor Weasley, e, sì, il suo testamento. -
Ron aveva grugnito qualcosa, di fronte alla correzione, ma un'occhiataccia e una gomitata da parte di Hermione lo avevano ammutolito. Harry avrebbe voluto sorridere - perché era bello vederli comportarsi così, bisticciare come fossero marito e moglie, sempre sé stessi, immutabili e indistruttibili - ma il ricordo della sfilata di nomi sulla pietra del Memoriale era ancora troppo vicino.
- Informarmi di cosa, professoressa? -
- Del fatto che il professor Piton ti ha lasciato un legato, Potter, nel suo testamento. Un legato in beni personali. Nulla di valore, ma... -
Harry aveva creduto per un attimo di non aver sentito bene ed aveva interrotto la McGranitt, confuso:
- Cosa...? -
- Be', ti ha legalmente trasmesso il possesso di tutti i suoi beni personali, eccezion fatta per i vestiti - ha chiesto esplicitamente che venissero bruciati - e per la maggior parte... -
- No, io... voglio dire, Pit-il professor Piton ha lasciato un legato a me? -
- Sì, Potter. - aveva ripetuto la McGranitt, pazientemente. - Sei tra i suoi eredi. Gran parte dei suoi libri sono destinati alla scuola di Hogwarts, e così anche la strumentazione del suo laboratorio – che credo useremo per creare un fondo di necessità per studenti bisognosi. Vi sono altri legati, poi, ma tutte cose di poco conto. Il professor Piton, come forse saprai, non era un uomo ricco. -
Ron emise un basso fischio sorpreso che gli valse un'altra gomitata da parte di Hermione. Se ad Harry fosse rimasto un po' di fiato, tuttavia, avrebbe fischiato anche lui.
Piton gli aveva lasciato qualcosa. Piton aveva lasciato qualcosa a lui. Harry si sarebbe sorpreso di meno se Draco Malfoy fosse venuto a dichiarargli il suo amore imperituro e a consegnargli le chiavi di Villa Malfoy accompagnato dal padre e dalla zia, tutto in una volta. Pensare a Villa Malfoy - pensare a Bellatrix - gli faceva rivoltare lo stomaco, così si sforzò di accantonare il ricordo e di concentrarsi su qualcosa di più immediato.
- E che cosa, uh... - Chiederlo era stranissimo, ma doveva sapere. - … che cosa mi ha lasciato? -
- Il poco di personale che possedeva. Una busta con alcune carte; gli addetti della Gringott non hanno idea di cosa contenga. Un vecchio libro di Pozioni, poi, e infine una scorta di pelle tritata di Girilacco ed un barattolo di Algabranchia. -
Ron gemette rumorosamente, alle spalle di Harry, che non riuscì a impedirsi di sorridere. La McGranitt lo fissò con curiosità - era evidente che desiderasse sapere perché, di tutte le cose possibili, proprio quelle due gli erano state fatte arrivare - ma Harry pensò che non fosse il caso di rivelarglielo.
- Be'... - si limitò a dire, schiarendosi la voce. - ... è... è inaspettato, ecco. -
- Un vecchio libro di Pozioni? - ripeté la voce di Hermione, alla sua sinistra.
Fu tutto quel che servì ad Harry per realizzare. Si girò e fissò in viso Hermione, che ricambiò lo sguardo con espressione indecifrabile. Un vecchio libro di Pozioni. Da parte di Piton. Non poteva essere...
- Che... che libro è, professoressa? -
- Pozioni Avanzate, di Libatius Boragine. E' una vecchia copia molto rovinata, piena di appunti a bordo pagina... -
Di nuovo, ad Harry sembrò d'essere rimasto a corto di fiato.
- E il professor Piton l'ha lasciato a me? -
- Esplicitamente lasciato a te, Potter. - confermò la McGranitt. - Era segnalato nel testamento. -
Harry aveva sentito un'imprecazione colorita sfuggire dalle labbra di Ron, ma questa volta non era arrivata nessuna gomitata da parte di Hermione: anche lei, pensò Harry, doveva essere rimasta pietrificata.


***




- Questo è un bel problema. - disse il fantasma dopo un attimo di silenzio. - Davvero un bel problema. Se il professor Piton è morto, io sono rimasta senza nessuno a cui consegnare il ricordo che gli era stato destinato. -
- E quindi? - le chiese Harry, debolmente.
Angela Abigayle Glacenspark unì le due mani evanescenti davanti a sé, all'altezza della pancia, e torse le dita in un gesto che tradì, malgrado il viso quieto, il nervosismo: - E quindi potrei dover rimanere qui. Non poter passare oltre. Il contratto... questo contratto è vincolante. Molto vincolante. -
Harry pensò al professor Silente ed alla stazione di King's Cross, e sentì la gola stringerglisi davanti alla prospettiva che la ragazza - la ragazza morta - potesse esser trattenuta da questa parte contro la sua volontà. I fantasmi di Hogwarts avevano voluto restare, avevano desiderato di non doversene andare ed erano stati accontentati. Era stata una loro scelta: anche Nick-Quasi-Senza-Testa l'aveva detto. Ma essere bloccati per forza? Anche dopo la morte? Per sempre? In eterno?
L'Auror si schiarì la voce, ed Harry quasi sussultò: si era completamente dimenticato della presenza dell'uomo e della sua collega.
- In ogni caso... - affermò l'Auror. - … bisogna contattare il Ministero per aggiornarli sulle novità. Un problema alla volta. E poi... - esclamò quietamente rivolgendosi al fantasma, il tono in un qualche modo molto meno secco e molto più gentile: - … possiamo chiedere al Wizengamot. Sono loro che si occupano dell'assolvimento dei contratti magici: sicuramente ci saranno dei precedenti di Prestamente morti prima di terminare un lavoro. Non è possibile che il suo sia il primo caso al mondo. -
Angela Abigayle Glacenspark sembrò rianimarsi, e l'uomo scosse la testa:
- In ogni caso, un trasferimento ad Hogwarts o ad un altro sito magico sarà opportuno. Avere una casa di Babbani infestata da un fantasma non è mai una buona idea per il Decreto di Segretezza. -
Harry aggrottò la fronte, sorpreso:
- Perché? I Babbani non possono vedere i fantasmi... o possono? -
- Non possono. - confermò il mago. - Ma alcuni Babbani riescono a percepirli: sentono freddo, in presenza di un fantasma, sono a disagio. Alcuni sono in grado di vederli riflessi negli specchi, a volte. E' già capitato in passato, e Merlino solo sa se è l'ultima cosa della quale abbiamo bisogno, di questi tempi! -
Il fantasma oscillò e, ancora una volta, il viso di quella che era stata Angela Glacenspark apparve nervoso:
- Vorrei chiedere... uh, una cortesia. Un'altra. Se possibile. Ho altri ricordi con me e... e credo che questi non mi leghino qui, non siano altrettanto... forti. Ma, ugualmente, vorrei poterli consegnare prima di andare. Non sono riuscita a trovare da sola i loro proprietari e... e immagino sia un lavoro lungo, un po' di lavoro, però... sarei veramente contenta se fosse possibile trovare qualcuno per aiutarmi nella consegna, e... -
- Posso aiutarti io. - si offrì Harry. Non fece neanche in tempo a chiudere la bocca prima di pentirsi d'essersi offerto perché, accidenti, non erano affari suoi, davvero. Per diciotto anni tutti si erano aspettati che lui facesse qualcosa per loro: l'intera comunità dei maghi era rimasta con il fiato sospeso in attesa che lui provvedesse a liberarli dal più oscuro mago che si fosse visto negli ultimi secoli, per via di una profezia che era stata pronunciata prima che compisse un anno d'età. L'aveva fatto. L'aveva fatto, per decisione volontaria, se non libera. E, adesso che avrebbe potuto considerarsi sciolto da ogni dovere, da ogni richiesta, da ogni aspettativa, aveva appena chiesto di caricarsi un'altra impresa sulle spalle. Certo, niente a che vedere con liberare il mondo da Voldemort e dalla sua simpatica congrega, ma, ancora...
Hermione aveva ragione, si disse Harry. Questa storia del salvare le persone doveva finire.
Davanti agli occhi scettici degli Auror e a quelli incerti del fantasma, tuttavia, serrò le labbra ostinatamente.
- Davvero. - ribadì. - Posso farlo. -
Il fantasma affermò quietamente:
- Non sei tenuto. Non è che sia tuo dovere, o qualcosa del genere. Non devi sentirti obbligato solo perché, be', mi hai trovata. -
- Non ho molto altro da fare. - affermò Harry, e sentì una punta d'amarezza filtrargli nella voce mentre parlava. - Ho un sacco di tempo libero. Sul serio -
Il fantasma di Angela sembrò esitare:
- Be'... sarebbe... sarebbe fantastico. Credo. - E poi, con un sorriso che tutto ad un tratto diede al suo viso evanescente tutto l'aspetto di una ragazza, giovanissimo. - Cioè, Harry Potter che mi aiuta con il lavoro? Forte! -
Harry non riuscì a trattenere un lieve brivido di disagio, a quelle parole; ma si girò lo stesso per guardare gli Auror, l'espressione interrogativa. I due si scambiarono una lunga occhiata, in silenzio, prima che l'Auror più anziano aprisse la bocca per affermare cauto:
- Non è la procedura stabilita per questi casi, ma... Bisognerà parlarne con il Ministro. -





Note del capitolo: Ho pubblicato Qualcuno sì, una breve storia sull'infanzia di Harry Potter, partecipante al concorso Tropes & Clichés Contest indetto da Sisya, e qui la traduzione di una storia stupendamente folle di Lucillia. Se volete farvi quattro risate... x°D Io me ne sono fatte. Anche sette-otto.

Non ho la più pallida idea se un Memoriale sia stato veramente costruito nel mondo di Harry Potter dopo la Seconda Guerra Magica. Descrivendolo ho pensato a quel che a me sarebbe piaciuto vedere.

Grazie di cuore a chi si è fermato a commentare lo scorso capitolo e a chi si ferma sempre, con pazienza, a lasciarmi un parere di volta in volta.

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Capitolo 7
*** Verso Grimmauld Place ***





Capitolo 7
Verso Grimmauld Place




Aracne Webwick si era Smaterializzata al Ministero per contattare il Ministro Shacklebolt ed il Quartier Generale degli Auror, mentre il suo compagno, Harry ed il fantasma rimanevano indietro: avevano provato ad uscire fuori, all'aperto, scoprendo che Angie riusciva senza difficoltà a lasciare la casa.
- A volte questo non è possibile... - spiegò l'Auror ad Harry. - … in alcuni casi il trauma della morte, il dolore, sono troppo forti. Il fantasma rimane legato al posto in cui è stato ucciso, e non riesce a liberarsene. -
- E come fate per i Babbani? - chiese Harry, curioso.
L'Auror scrollò le spalle:
- In genere lanciamo un forte Incantesimo Repellente sulla zona, per scoraggiarli dall'avvicinarsi, e mettiamo tutta la zona sotto illusione. Se il fantasma è davvero molto, molto agitato, può essere anche pericoloso: in questo caso trasportiamo tutta l'abitazione altrove, in una zona magica, dove può essere tenuto sotto controllo. -
Harry aveva gettato un'occhiata verso Angie, imbarazzato dalla piega presa dal discorso, ma il fantasma si era limitato a sorridergli e a incamminarsi verso il lago. Non si rifletteva sull'acqua: ma sulla sua scura, liscia superficie sembrava danzassero minuscole scintille bianchissime là dove ci si sarebbe aspettati di vedere l'immagine della ragazza.
Con Angela lontana diversi passi, Harry si era sentito abbastanza sicuro da sporgersi verso l'Auror e osservare prudentemente:
- Non assomiglia molto ai fantasmi di Hogwarts. Voglio dire, ha... ha le gambe. -
L'Auror assentì con un vago, disinteressato grugnito. Harry non si lasciò scoraggiare ed insisté:
- E' normale? -
- Non ne ho idea. Gli Auror hanno difficilmente a che fare con i fantasmi: in genere se ne occupa una commissione formata di membri del Wizengamot e dell'Ufficio Misteri. Dovresti chiedere a loro. -
Il ricordo dell'Ufficio Misteri era uno di quei pensieri che scaricavano una sensazione di gelo dritta dritta nello stomaco di Harry. Il ragazzo spostò il proprio peso da un piede all'altro, senza riuscire a sentirsi del tutto a proprio agio, e distolse lo sguardo. Rimasero in silenzio fino a quando il suono sordo della Materializzazione non li fece sobbalzare entrambi: Aracne Webwick apparve a pochi centimetri di distanza da Harry, il respiro affannato e il viso arrossato, con un grosso plico di pergamene stropicciate tra le mani. Non perse tempo a riprendere fiato, prima di rivolgersi ad Harry:
- Il Ministro ha informato il Wizengamot che attualmente stai vivendo nella vecchia casa dei Black. E' così? Una casa magica, invisibile ai Babbani? Le barriere sono ancora funzionanti? -
Harry sbatté le palpebre, sommerso dall'ondata di domande:
- Uh, sì. Sì a... sì a tutto. Credo. - Non era del tutto sicuro che le barriere fossero davvero funzionanti – non aveva la più pallida idea di quali barriere si stesse parlando – ma immaginò che avrebbe sempre potuto chiedere a Kreacher, per quelle.
- In questo caso, il Wizengamot dà il suo permesso per il trasferimento. Andrà conservata una registrazione di tutti i ricordi eventualmente consegnati a ex Mangiamorte e ai loro familiari, e... be'... - La ragazza armeggiò con il rotolo di pergamene, cacciandone un paio tra le mani di Harry, alla rinfusa: - E' tutto scritto qui. Il Ministro mi ha chiesto di riferirti, Harry, che vorrebbe che tu gli scrivessi per dirgli di persona cosa accidenti pensi di fare. Testuali parole. -
L'Auror sembrava piuttosto colpita - probabilmente dal fatto che i rapporti tra l'attuale Ministro della Magia ed Harry Potter fossero così personali - ed Harry si schiarì la voce, a disagio, mugugnando che l'avrebbe fatto.
- Quindi ce ne possiamo andare? - chiese poi. E, guardando verso Angie, che era fluttuata verso di loro, avvicinandosi, quando Aracne Webwick era ricomparsa: - Come facciamo ad andarcene? A piedi? I fantasmi possono... uh, tu puoi Smaterializzarti? -
Il fantasma di Angie inclinò il capo da una parte e sembrò interessato:
- Non saprei. Non ci ho mai provato. Smaterializzarci dove? -
- Diagon Alley. - esclamò Harry, dopo una breve riflessione. - Possiamo usare il camino del Paiolo Magico: la cucina di Grimmauld Place è collegata alla Metropolvere. -
- Forte! - esclamò Angie, contenta: quando era felice, la lieve luminosità lattescente del suo corpo sembrava farsi più forte. - E' un po' che non passo da Diagon Alley! I negozi sono ancora in piedi? -
- Per la maggior parte, sì. -
- Olivander? -
Harry si mosse, a disagio:
- Quello no. -
Angie piegò il capo da una parte:
- Peccato. Mi piaceva quel negozio. Il signor Olivander sta bene? -
Altro breve movimento sconfortato da parte di Harry:
- Adesso sì. Ne parliamo strada facendo? Vorrei prima vedere se questa storia della Smaterializzazione funziona davvero. -
Il fantasma assentì:
- Al Paiolo Magico, allora? -
- Sì. - Harry guardò gli Auror, tendendo una mano prima verso Webwick e poi verso il suo compagno. Entrambi la strinsero, e lui trattenne quella dell'Auror anziano un momento di più. - Grazie per non avermi mandato via. - disse, e lo credeva veramente. Anche il pensiero di essersi invischiato con un fantasma bloccato dal lato sbagliato della morte era migliore di quello di tornarsene a oziare a Grimmauld Place, con tanto tempo a disposizione e poche scelte davanti.
L'Auror grugnì, e per un attimo sembrò più goffo che scontroso, come se avesse avuto un carattere troppo spigoloso per poter risultare amichevole, ma nessun desiderio sincero di risultare ostile.
- A te per l'aiuto, Potter. - replicò.
Harry si girò a guardare il fantasma, subito dopo:
- Pronta? -
La ragazza sorrise:
- Prontissima. -
Harry si concentrò intensamente sull'immagine di Diagon Alley. L'attimo dopo, tutto il suo corpo stava venendo forzosamente compresso in un tubo molto, molto stretto. Ebbe cinque secondi di intensa e dolorosa nausea: poi i negozi di Diagon Alley apparvero di fronte a lui, illuminati dal sole del tardo pomeriggio.

- Anche Madama McClan ha chiuso? - chiese il fantasma, sbirciando verso la vetrina vuota di quello che una volta era stato Madama McClan: abiti per tutte le occasioni, dall'altra parte della strada. Harry pensò al giorno in cui Hagrid l'aveva portato lì per comprare le cose per il suo primo anno ad Hogwarts, e sentì la gola stringerglisi al pensiero. Anche Angie doveva aver seguito un analogo corso di pensieri, perché affermò:
- Ci ho comprato i vestiti per Hogwarts, qui. Mio padre voleva portarmi da una sarta di Londra... i suoi genitori lo avevano portato lì, era una cosa di famiglia, ma mia madre ha chiesto dov'era che portavano in genere i bambini per comprare le divise, e lui ha dovuto dirle la verità, cioè che era qui che si andava, normalmente. Avevano questa specie di regola, sai... - spiegò Angie. - … lui non poteva mentirle mai su nulla che riguardasse la magia e il mondo magico. Era l'unico modo in cui potessero competere alla pari. -
Harry sentì per un attimo il dolore familiare che accompagnava il pensiero dei suoi genitori, che non l'avrebbero mai accompagnato a comprare nessuna divisa: ma poi si ricordò che anche i genitori della ragazza fantasma - i genitori di Angie - erano morti. Si schiarì la voce, perciò, e disse senza pensare:
- Hagrid mi ha portato a comprare la mia prima divisa qui. -
Angie lo guardò con interesse:
- Hagrid? Il professore di Cura delle Creature Magiche -
- Sì. -
- Forte. - Il sorriso sulla bocca di Angie si fece allegro, spensierato: - Ho seguito un solo anno di lezione con lui: al sesto anno ho rinunciato a Cura delle Creature Magiche, volevo concentrarmi su Aritmanzia e Incantesimi. C'era stato una specie di incidente con un grifone in una delle classi del terzo anno, giravano un sacco di storie, e così abbiamo passato tutto il tempo a curare Vermicoli. - E poi, con una smorfia: - Bleah. Vermicoli. Ma Melania Greenpole mi ha detto che l'anno dopo ha cominciato a portare in classe un sacco di creature più interessanti. -
- Un ippogrifo. - la corresse Harry, soprappensiero. Angie lo fissò, curiosa:
- Come? -
- Era un ippogrifo, non un grifone. - spiegò lui. - Malfoy l'aveva fatto irritare e aveva rimediato un taglio sul braccio. -
- Forte. - ripeté Angie, con entusiasmo. E poi, con espressione solo un po' più pensierosa: - Malfoy era, uhm, quel ragazzo molto biondo, vero? Serpeverde, davvero bello, ma con l'aria di avere sempre qualcosa di molto puzzolente sotto al naso? -
Harry non poté impedirsi di sorridere:
- Ci hai preso. -
- L'ho visto qualche volta nella Sala Comune. Non mi piacevano molto quelli del suo giro, ma c'erano un paio di Serpeverde del mio anno che non erano per niente male. - Il ghigno riaffiorò sul viso di Angie, colorandosi di inconfondibile malizia: - Sono andata con Kayle Boosworth al Ballo del Ceppo, al sesto anno. Moooolto carino... - cinguettò. - .... Prefetto di Serpeverde. -
Harry distolse lo sguardo, imbarazzato - non si sentiva mai troppo a proprio agio con questo genere di discorsi - e indicò la porta del Paiolo Magico, azzardando:
- Be', faremo meglio ad andare. E' quasi sera. -
Per Diagon Alley c'era, fortunatamente, poca gente di passaggio: nessuno gettò più che un'occhiata ad Angie, ed Harry aveva tirato su il cappuccio del giaccone per coprirsi la testa. Così, passarono entrambi inosservati entrando nel Paiolo Magico e facendosi strada fino al bancone. Harry spiegò ad Angie:
- I dintorni di casa mia sono protetti da barriere che impediscono di Smaterializzarsi. Il Dipartimento Auror le ha fatte alzare alla fine della guerra: ci sono alcuni Mangiamorte in giro, quelli che non hanno preso, e sembra che il Ministero non abbia ancora voglia di sbarazzarsi di me. - concluse, con un breve e non troppo sentito sorriso. - Però la casa è collegata alla Metropolvere, per quelli che hanno il permesso di accedere attraverso il camino. Se io ti do il permesso non dovresti avere problemi ad entrare, no? -
- Non saprei. - rispose Angie, serenamente. - Non ho mai provato ad usare la Metropolvere, da quando sono... uhm, in questa forma. -
Harry pensò che avesse voluto dire da quando sono morta, e che si fosse trattenuta. La cosa, per qualche ragione, gli fece dolere il cuore. Aspettò che Tom fosse a portata di orecchio, dietro al bancone del Paiolo Magico, prima di attirare la sua attenzione. Gli occhi del barista si illuminarono alla vista di Harry, e il vecchio si piegò verso di lui, sporgendosi attraverso il bancone con un gran sorriso sdentato:
- Benvenuto! Che cosa posso fare per Harry Potter? -
Per lo meno, rifletté Harry, rassegnato, Tom non l'aveva detto a voce troppo alta: nessuno degli altri clienti del Paiolo aveva alzato la testa. Anche Angie non aveva attirato che un paio di sguardi vagamente perplessi e piuttosto distratti. Forse che un fantasma si aggirasse per Diagon Alley non era poi questa gran cosa sorprendente: Harry non ne aveva mai visto nessuno da quelle parti, ma questo non voleva dire niente.
- Dovremmo usare il camino. - spiegò Harry. Il barista sorrise:
- Ma certo, ma certo! - aggirò il bancone, incamminandosi verso una porta alla sua sinistra. - Da questa parte! -
Harry aveva già sfruttato il Paiolo Magico come punto di passaggio per Grimmauld Place, e sapeva che la porta conduceva ad una saletta appartata, più tranquilla, che conteneva solo un paio di panche e un gran camino di pietra. Tom gli allungò un barattolo pieno di Metropolvere, prima di stringergli una mano con entusiasmo, agitandola:
- Fa' pure con comodo, Harry! Come se fossi a casa tua, ragazzo! -
Sentirsi chiamare ragazzo non gli piaceva - troppi ricordi di qualcun altro che l'aveva chiamato precisamente così, e sempre con astio - così come non gli piaceva tutta quella familiarità da parte di Tom: dopotutto aveva visto il vecchio, solo pochi mesi prima, mostrare una profonda, sottomessa deferenza nei confronti di quella che aveva creduto essere Bellatrix Lestrange. Ma, si rimproverò Harry, Tom aveva avuto paura all'epoca. Non aveva avuto altra scelta se non piegarsi o morire.
Altri non si sono piegati. Disse una vocina nella sua testa. Altri sono morti. Scacciò la voce e ringraziò Tom con gentilezza; aspettò che fosse uscito dalla stanza, poi, prima di buttare una manciata di polvere nel camino:
- Grimmauld Place, numero 12! - esclamò.
Quando la fiammata si fece verde, si spostò per indicarla ad Angie:
- Prima tu. -
Il fantasma avanzò nel fuoco con sicurezza: le fiamme ondeggiarono senza aprirsi al passaggio della figura incorporea, prima che questa svanisse in una vampa di un verde scintillante. Harry prese un gran respiro prima di buttare nel fuoco un'altra manciata:
- Grimmauld Place, numero 12! -





Note del capitolo: Un capitolo un po' di passaggio, ma serviva anche questo. Credo. Suppongo. Spero. Comunque...
Volevo festeggiare con voi l'inserimento di questa storia tra le Scelte, dietro segnalazione di Leireel, che ringrazio caldamente. Sto pensando ad un modo di condividere il mio desiderio di festeggiare con voi, per cui è possibile che nei prossimi giorni appaia qualcosa collegato a Prima di King's Cross: c'è qualche scena in particolare che vi piacerebbe vedere? Ho due o tre idee, ma non sono mai contraria ai suggerimenti!

Si ringrazia dierrevi che ha segnalato che i Misteri dell'omonimo Ufficio si erano per qualche strana ragione trasformati in Mestieri. E' il fantastico mondo di Harry Potter, gente, accade anche questo.
Come sempre, grazie a chi si è fermato a commentare l'ultimo capitolo, e a chi si fermerà a commentare questo. Il mio ego affamato distribuisce baci, amore e produzioni grafomaniache.

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Capitolo 8
*** Colazione col fantasma ***





Capitolo 8
Colazione col fantasma




Harry emerse dal camino tossicchiando, la giacca e il naso pieni di fuliggine e gli occhiali irrimediabilmente sporchi, e si trovò di fronte agli occhi argentati di Angie: il fantasma sembrava oscillare lievemente, nella penombra della cucina di Grimmauld Place, illuminata da una debole luminosità argentea che si rifletteva sulle lucidissime pentole di bronzo appese alle pareti.
Non fece in tempo ad aprire bocca per dire qualcosa che Kreacher emerse dalla porta della cucina, illuminandosi alla vista di Harry:
- Padron Harry! Il padrone è tornato tardi, Kreacher non sapeva quando il padron Harry sarebbe tornato, signore, e così Kreacher ha lasciato... -
L'elfo domestico si interruppe bruscamente alla vista di Angie. Gli occhi enormi si sgranarono ancor di più, mentre la fronte di Kreacher si corrugava in un'espressione perplessa e vagamente preoccupata. Harry si affrettò a spiegare:
- Angie, questo è Kreacher. Kreacher, lei è Angie. Vivrà... starà... - si corresse Harry, frettolosamente, inghiottendo a vuoto e sentendosi profondamente idiota. - … con noi per un po'. -
Kreacher sembrò ancora più perplesso:
- Il padron Harry ha portato un fantasma di famiglia? -
- No, Kreacher. E' solo una cosa... temporanea. Potresti prepararle una stanza? -
Angie intervenne, allegramente:
- E' molto gentile pensarci, da parte tua, ma non è che me ne serva precisamente una, ecco. Non posso stare qui? Questa cucina è simpatica! O in soggiorno... c'è un soggiorno, sì? Prometto che non agiterò troppo le mie catene, la notte. -
Di nuovo, Harry si trovò sull'orlo di un sorriso:
- E non ululerai? -
- Quello lo fanno i lupi mannari, non i fantasmi. - rettificò lei, puntigliosamente.
Anche pensare ai lupi mannari era una fitta di dolore. C'erano troppi pensieri che erano diventati solo sofferenza, come colpi di punteruolo che Harry non riusciva più a schivare: ma Angie non l'aveva detto con alcuna malizia, lo sapeva, per cui sorrise ancora.
Kreacher, dopo un lungo istante d'esitazione, era andato ad aprire il forno in fondo alla cucina, tirandone fuori una gran teglia di ceramica. Harry si sentì profondamente grato che l'elfo domestico non avesse fatto alcun commento sui purosangue e sulla famiglia Black - per un attimo aveva temuto che potesse informarsi sullo Stato di Sangue di Angie. Kreacher si era comportato meravigliosamente bene, ultimamente, ed Harry si era trovato ad essere contento di tutto cuore di dividere la casa con lui: era meglio che essere da soli. Molto meglio che essere da soli. Tutto era meglio che essere da soli.
Nella teglia di ceramica tenuta calda da un incantesimo c'era un succulento sformato di coniglio, carote e piselli che spandeva un odore delizioso. Harry sentì il proprio stomaco brontolare sonoramente e si girò a guardare Angie, impacciato:
- Ti dispiace se ceno? -
Lei sorrise:
- Certo che no! -
Harry si riempì un piatto e, prima di sedersi, prese un bicchiere di latte dalla credenza sulla quale aveva gettato un incantesimo per conservare i cibi al freddo. Angie si sistemò davanti a lui, su una sedia di legno, in apparenza perfettamente in grado di riuscirsi senza attraversare il pianale della seduta.
- Mi dispiace... - disse lei, mentre Harry affondava la forchetta nello stufato. - … di averti scombinato la vita. Ho detto che sarebbe stato forte se mi avessi aiutata, ma è stato piuttosto egoista da parte mia. Hogwarts sarebbe una soluzione ottima, dopotutto... -
- C'è poco da scombinare. - disse Harry, mandando giù un boccone di stufato. Niente che non sia già stato scombinato da qualcun altro, pensò, ma senza dirlo. Esclamò invece: - Davvero. Puoi stare tranquilla. -
L'espressione di Angie si fece curiosa:
- Hai detto che Tu-Sai-Chi è morto a maggio. Adesso siamo in... settembre? Ottobre? -
- E' il ventisette ottobre. -
Lei sembrò colpita:
- Accidenti. E' passato già un sacco di tempo. -
- Già. -
- Be', tu non dovresti... cioè, non dovresti essere ad Hogwarts? Per recuperare l'ultimo anno di scuola? - E poi, perché l'occhiata che Harry le aveva rivolto doveva essere stata eloquente, alzò le mani esclamando in tono di scuse: - Non che siano affari miei! -
Harry rispose solo, pianamente:
- Io non sono tornato ad Hogwarts. -
- Non... non vi hanno permesso di ripetere l'anno? -
- Sì che ce l'hanno permesso. Altri sono tornati. Io no. -
Il fantasma sembrò sconcertato:
- E perché? -
Harry scosse la testa, cercando di non mostrare il fastidio che quelle domande gli causavano:
- Non ne avevo voglia. -
Angie sembrò finalmente cogliere il segnale che il discorso non era gradito, perché non tornò più sull'argomento. Dopo un attimo di silenzio, chiese invece:
- Ad Hogwarts stanno tutti bene? -
Nella testa di Harry si disegnò l'immagine della lapide di pietra del Memoriale, la fila lunga dei nomi che scorreva davanti ai suoi occhi, interminabile.
- C'è stata una battaglia. - raccontò ad Angie, quietamente. - Una grande battaglia sui prati di Hogwarts. E' lì che Voldemort è caduto. -
Angie tremò lievemente davanti a quel nome, e chiese in un bisbiglio:
- L'hai sconfitto tu? Dicevano tutti... dicevano tutti che l'avresti fatto. -
- L'abbiamo sconfitto tutti. - corresse Harry. - Tutti quelli che hanno combattuto contro di lui. Io, Ron ed Hermione... Ron Weasley ed Hermione Granger... abbiamo viaggiato insieme per tutto l'anno passato per riuscire a trovare il modo di distruggerlo. - E poi, lasciando cadere la forchetta nel piatto, con un senso di vuoto nuovo nello stomaco: - Mi spiace che non... che non abbiamo fatto in tempo per te. Voglio dire, per te... per i tuoi... -
Angie sorrise.
- Avete fatto in tempo per altri. Va bene così, davvero. -
Harry la fissò in viso e ripeté pianamente:
- Mi dispiace. -
- Anche a me dispiaceva, all'inizio. Ma poi è passato molto tempo. - Il fantasma piegò la testa in avanti, indicando il piatto di fronte ad Harry, ancora mezzo pieno. Harry ebbe l'impressione che, se avesse potuto, l'avrebbe spinto verso di lui. - Perché non mangi un altro po'? -
Harry riprese in mano la posata e si cacciò in bocca un'altra forchettata di coniglio e piselli.

- Sei sicura che starai bene qui? - chiese ad Angie un po' più tardi, accennando alle pareti del grande salotto al pianterreno. Kreacher aveva acceso un candelabro, e la luce dorata delle candele si rifletteva sul grande divano, sul tavolo e sulle poltrone, gettando lunghe ombre danzanti sugli scaffali ingombri di libri e di soprammobili.
Il fantasma sorrise, sedendosi sul divano: come prima, non sprofondò tra i cuscini, ma rimase sospesa appena al di sopra di essi.
- Starò benissimo. - assicurò. - Piuttosto, sta' attento, se ti capita di svegliarti e di passare da queste parti, stanotte, a ricordarti che io sono qui. Non vorrei essere accusata di aver causato il letale infarto di Harry Potter: sopravvissuto a Tu-Sai-Chi per poi morire di crepacuore. -
Harry sbuffò, ed Angie ridacchiò.
- Buonanotte, Angie. - le augurò Harry. Era la prima volta che la chiamava per nome, realizzò con un senso di vaga sorpresa.
Lei gli sorrise ancora:
- Buonanotte, Harry Potter. -

***



Al mattino, prima di fare qualunque altra cosa, Harry scrisse una lunga lettera ad Hermione e la cacciò nel camino assieme ad una manciata di Metropolvere:
- La Tana! -
L'appartamento a Londra di Hermione non era collegato alla Metropolvere, ma la Tana sì; Molly avrebbe trovato la lettera indirizzata alla ragazza e l'avrebbe spedita usando Errol. Era un sistema che avevano collaudato mesi prima.
- Perché non usi un gufo? - chiese Angie con curiosità. Se n'era stata ad osservarlo in silenzio mentre lui scriveva accovacciato accanto al basso tavolinetto del salotto, le gambe tirate sul divano e le ginocchia accostate al petto. Sembrava tremendamente reale, nella penombra quieta di Grimmauld Place, tremendamente corporea e giovane. Harry represse un brivido e scosse la testa:
- Non ho un gufo. -
La ragazza sembrò perplessa:
- Ma io me lo ricordo, il tuo gufo. Una civetta bianchissima. Te la invidiavano in molti, era veramente stupenda. -
- Non ho più un gufo. - si corresse Harry, il tono piatto. - Edvige è morta più di un anno fa. - Angie aprì e chiuse la bocca.
- Oh. - Harry vide spandersi sulle sue guance due macchie argentate, più scure della pelle lattea: avrebbe giurato che, se fosse stata viva, quelle due macchie sarebbero state molto rosse. - Mi dispiace. Mi dispiace, davvero, non lo sapevo. Avrei dovuto capire... -
Lui le sorrise:
- Non potevi saperlo. Non c'è problema. - E poi, schiarendosi la voce - ogni volta che pensava ad Edvige ricordava il modo in cui il corpo candido della civetta si era schiantato sul fondo della gabbia, investito dalla luce verde, e poi la sensazione delle sue ali, delle sue piume sotto i polpastrelli, e ancora tutte quelle infinite sere in cui lei, la sua prima, primissima amica, gli aveva beccato le dita, affettuosamente, amichevolmente, mentre erano entrambi rinchiusi a Privet Drive - le spiegò: - Ho scritto ad Hermione e le ho raccontato tutto, su Pit-sul professor Piton e su questa faccenda del ricordo. Se c'è qualcuno che può aiutarci a trovare le risposte giuste, è lei. Intanto vogliamo... uh, portarci avanti con il lavoro? Con gli altri ricordi? -
La voce del fantasma suonava ancora piuttosto colpevole, mentre rispondeva:
- Sì, certo. Sicuro. Mi sembra una grande idea. Ma hai... hai già fatto colazione? -
Harry sbatté le palpebre, perplesso:
- No, be'... non ci ho pensato. -
- Forse dovresti mangiare qualcosa. - propose Angie, cautamente. - Posso farti compagnia, se ti va. -
Qualunque compagnia era meglio di nessuna compagnia. Angie era tutto sommato simpatica, poi: se si riusciva a passare oltre al fatto che non respirava, che era un fantasma e che era - be', che era morta - era la cosa più simile ad un coetaneo con il quale Harry avesse avuto a che fare tanto a lungo sin dall'estate passata. La convivenza, in ogni caso, si prospettava durevole: meglio stabilire sin da subito basi amichevoli.
- Certo. - esclamò così, spazzolandosi i vestiti con le mani e facendo strada verso la cucina. - Grazie. C'è niente che posso... che posso procurare per te? -
Angie gli sorrise:
- Potresti provare ad annegare un piatto di uova fritte. Magari così muoiono, si trasformano in uova fantasma e posso mangiarle. -
Harry, che era appena entrato nella cucina e che si stava muovendo verso un alto scaffale di legno, si girò e le gettò una lunga occhiata che Angie sembrò decifrare benissimo, perché rise:
- Sto scherzando, sto scherzando! - E poi, mentre Harry tornava a volgersi e ad allungarsi per raggiungere il cartone del latte: - E comunque, le uova non mi piacciono. -
Il ragazzo emise un grugnito, e lei gli sorrise.
Harry si rese conto, cucinando, che dopotutto aveva veramente fame, anche se aveva pensato di non averne, e che fare colazione non era stata una cattiva idea. Kreacher gli avrebbe preparato la colazione tutte le mattine, ma Harry aveva messo in chiaro sin da subito che quello era un pasto che preferiva cucinarsi da solo: tenersi occupato, al mattino, lo aiutava a pensare. Si cacciò in bocca una forchettata di uova strapazzate con la pancetta, e trangugiò mezzo bicchiere di succo di zucca in un sorso solo.
Angie si stava guardando intorno, realizzò Harry, grato che il fantasma non lo stesse fissando apertamente; inghiottì un boccone di cibo e le chiese:
- Come fai ad estrarre ricordi dalla tua mente? Ho già visto il professor Silente farlo, ma lui ha usato una bacchetta. Sei... hai ancora la tua bacchetta? -
- I ricordi in consegna a un Prestamente sono speciali. - spiegò Angie. - Non mi appartengono: sono solo custoditi nella mia testa. Per estrarli, la bacchetta non serve. -
Il fantasma alzò la mano sinistra e la posò sulla tempia: strinse qualcosa di invisibile tra pollice e indice e, tutto ad un tratto, un lungo filo argentato si stava srotolando, sfrangiandosi e allargandosi sino ad assomigliare a un lacero brandello di stoffa scintillante. Angie mostrò ad Harry il ricordo che teneva in mano, spiegandogli:
- Possono essere trasportati solo in fiale o bottiglie di vetro, oppure in un Pensatoio. Non so per quale ragione, ma se il recipiente è fatto di un qualunque altro materiale cominciano a deteriorarsi quasi subito. -
- Ho delle vecchie fiale delle lezioni di Pozioni. - disse Harry. - Quelle vanno bene? -
- Sicuro! Erano quelle che usavo anche io. -
Avendo svuotato il piatto, Harry si alzò in piedi. Appoggiò posate e stoviglie sul lavabo di ceramica, agitando una volta la bacchetta e mormorando un veloce incantesimo di pulizia per lavarle, prima di girarsi.
- Bene, allora... - annunciò, ricacciandosi la bacchetta in tasca. - Diamoci da fare. -





Note del capitolo: Una parte del discorso che si svolge in questo capitolo avrà una certa importanza in quelli futuri. Giusto per dirvi che, se l'avete zompato annoiati, ve ne pentirete in seguito. Mwahaha.
... in realtà sto scherzando. x°D Ma non troppo!

Ho iniziato un mezzo progetto che nella mia mente malata è etichettato come le domeniche buie: ogni domenica, fino alla fine di maggio, pubblicherò qui o su NA una storia per il fandom di Harry Potter dall'ambientazione cupa. Perché entro la fine di maggio? Perché tanto lo so poi che vanno tutti in vacanza e che non legge più nessuno. *_* Potete trovare qui la prima storia: che, incidentalmente, si è classificata prima a pari merito insieme ad una storia di suni ad uno dei concorsi della Tana.

Come sempre, inondazioni di ringraziamenti e di profondissimo e imperituro amore a chi si è fermato a commentare lo scorso capitolo.

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Capitolo 9
*** Teddy Remus Lupin ***





Capitolo 9
Teddy Remus Lupin




Riempire le fiale di ricordi era il meno: bastava prendere il filamento argentato che usciva dalla testa di Angie, usando la bacchetta per muoverlo perché al tocco delle dita si sfaldava, cacciarlo nella fiala, tapparla e scrivere il destinatario su un'etichetta, per non confondersi. Era un lavoro che avrebbe potuto svolgere anche una scimmia, pensava Harry.
Le complicazioni nascevano tutte durante le consegne. Ogni ricordo aveva un suo Contratto, con clausole e regole specifiche, e, come Angie aveva puntualizzato, molti tra i proprietari erano morti o erano molto, molto difficili da raggiungere. Dopo aver passato mezza giornata in una sperduta isola tutta sassi, rocce e sole a picco della Francia del Sud, cercando di rintracciare una famiglia di fuggitivi mai rientrata a Londra dopo la fine della Seconda Guerra Magica, Harry si sentiva stanco, accaldato e depresso; era sudato, gli facevano male le gambe e il fatto che Angie lo stesse guardando con espressione colpevole non migliorava le cose.
- Forse potremmo lasciar perdere. - Azzardò prevedibilmente il fantasma. - Concentrarci sul ricordo per il professor Piton. -
Harry sbuffò, esasperato:
- Hermione ha detto che ci penserà lei. Voleva andare in non so qualche archivio a cercare non so bene cosa: in questi casi, davvero, l'ideale è lasciarla lavorare in pace. -
- Uh, sì, è... è molto carino da parte sua, ma non era... non era precisamente quel che intendevo. Volevo dire, abbiamo consegnato un sacco di ricordi in questi giorni e non è necessario recapitarli tutti. Sul serio. Alla maggior parte delle persone neanche interesserà più riceverli. -
- Ti ho detto che ti avrei aiutato a consegnarli... - ribatté Harry, fermamente. - … e lo farò. - Il fantasma si mordicchiò le labbra, il viso un'unica, grande piega di nervosismo, prima di stringerle in una linea ostinata:
- Non avrei mai dovuto accettare che tu mi aiutassi. Avrei dovuto dirti di no e basta. Non devi farti carico anche di questo. -
- Anche di questo? - le fece eco Harry, stupito.
- Sì, dopo... dopo Tu-Sai-Chi, sai? Non devi farti carico di altro, hai già... -
- Voldemort. -
Angie rabbrividì come sempre di fronte al nome, violentemente, ma Harry insisté con durezza:
- Si chiamava Voldemort. Anzi: il suo vero nome era Tom Orvoloson Riddle. Era un Mezzosangue, ed un uomo come tutti gli altri, solo un po' più pazzo. Ed è morto. Non... non mi piace quando lo chiami Tu-Sai-Chi o Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato o... o in un qualunque altro modo che non sia il suo vero nome. -
Angie esitò, sbirciandolo attraverso la frangia con un misto di paura e incertezza:
- Io... io non... -
- Voldemort. - Insisté Harry, pianamente. - Di che cosa hai paura? Non può più farti del male. -
Subito dopo averlo detto se ne pentì, perché era vero, sicuro, ma era vero per le ragioni sbagliate. Non avrebbe potuto mai più farle del male perché non c'era modo in cui avrebbe potuto danneggiarla. Come si fa a fare del male a qualcuno che è già morto?
Silente aveva avuto ragione, realizzò Harry una volta di più. La morte non è la peggiore delle cose possibili.
Malgrado tutto, Angie sembrò confortata dalla sua affermazione. Gli rivolse un'altra occhiata un poco spaventata, aprì e chiuse la bocca a vuoto e poi bisbigliò in un soffio di voce:
- Vo... Voldemort. -
Harry le sorrise:
- Ecco. -
Angie non rispose al sorriso. Si passò le mani sulle braccia, invece, come avesse freddo.
- Non l'avevo mai detto prima. - Mormorò. - Neanche... neanche mio padre. Neanche mia madre, che non aveva la più pallida idea di chi fosse, prima che... prima che tornasse... perché mio padre le aveva detto di non farlo. Quando hanno reso il nome... Tabù... io ho... - Inghiottì a vuoto, la voce spezzata, e mormorò: - ... non so, io non ricordo di aver avuto mai tanta paura. Era come se ci avessero preso tutto, dopo quello. Non si poteva neanche più parlare. Cioè, non avrei pronunciato il suo nome neanche... neanche se avessi potuto farlo, ma... -
Il fantasma si interruppe. Rimase per un attimo in silenzio, prima di guardare verso Harry: il suo sguardo sembrava, tutto ad un tratto, una richiesta di comprensione.
- Capisci? -
Harry capiva. Harry capiva benissimo. Panico e rabbia, l'impotenza, la bacchetta spezzata nel sacchetto di Hagrid e il freddo buio ed umido di Villa Malfoy, con le urla di Hermione sopra la testa e la sensazione orribile di esserne stato lui la causa. Era stato avventato una volta di troppo.
- Credo di sì. -
Rimasero per un lungo istante in silenzio, prima che Harry si schiarisse la voce:
- Senti, oggi credo che starò fuori per tutto il pomeriggio. Vado a trovare una persona, per cui dovremo rimandare a domani la consegna dai Farewell. Ti dispiace? -
Angie sembrò contenta che avessero cambiato argomento, perché si rischiarò in volto e parve rilassarsi.
- Certo che no! - Esclamò. E poi, nuovamente incerta, chiese: - Questa persona che vai a trovare... è un Babbano? -
Harry sbatté le palpebre, perplesso:
- No. -
- Allora potrei... posso venire con te? Mi piacerebbe uscire. Cioè, questo posto è fantastico, davvero, ma mi andrebbe di stare fuori. Per un po'. Sarebbe possibile? -
Harry si sentì in colpa per non averci pensato prima:
- Vuol dire che non puoi muoverti se non vieni con me? -
- No, io... Uh, be', è solo che preferirei non andare in giro da sola. Sai, dovrei starmene a Diagon Alley o ad Hogsmeade, probabilmente... sono gli unici due siti magici d'Inghilterra... ma non voglio rischiare di incontrare qualcuno che mi conosceva quando... be', qualcuno che mi conosceva. - tagliò corto. - Però, se il Wizengamot ha detto che posso stare con te, e se non vai a trovare un Babbano, ma un mago, non credo che ci saranno problemi. -
Harry scosse la testa, dopo un attimo d'esitazione:
- Puoi venire con me, se vuoi. Non credo che darà loro fastidio se non vengo da solo. -
Il viso di Angie si illuminò ancora di più. Quando era felice aveva un sorriso sereno e ampio, franco e aperto, che andava in coppia con occhi pieni di una malizia leggera, allegra, priva di cattiveria. Doveva essere stata carina, da viva, con gli occhiali e tutto.
- Quando usciamo? -
- Be', dammi dieci minuti per farmi una doccia e un panino, poi possiamo andare. -
- E... be', dove si va? - cinguettò il fantasma, entusiasta.
Harry sentì lievissima una fitta di colpa al pensiero di non averle mai proposto di venire con lui a consegnare i ricordi - aveva pensato che Smaterializzarsi e usare le Passeporte gentilmente fornite dal signor Weasley per i lunghi tragitti sarebbe stato complicato, con Angie al seguito - e poi, più forte ancora, la sensazione della bocca dello stomaco che si chiudeva, raggrinzendosi, al pensiero di quello che stava andando ad affrontare:
- In Cornovaglia. - prese fiato, e aggiunse: - Andiamo a trovare il mio figlioccio. -

Andromeda Black funzionava con tre dosi di rimpianto, due di coraggio e una di nostalgia. Il rimpianto l'aveva resa malinconica e lunare, triste nel lutto per il marito portato via dai Ghermidori e per la figlia morta sotto le mura di Hogwarts: rimpianto per una vecchiaia felice serenamente circondata dalla propria famiglia, rimpianto per tutte le cose andate perdute, che era impossibile riavere, ora. Il coraggio le aveva dato la forza di seppellire la figlia restando viva, restando integra, perché c'era sempre Teddy: Teddy che aveva il viso della madre, un po' appuntito e molto dolce, Teddy che non aveva più i genitori, adesso, ma avrebbe avuto sempre lei. Si era rimboccata le maniche e lo stava crescendo, questo bambino, come fosse stato figlio suo. La nostalgia le aveva permesso, in tutto il marasma caotico, confuso e doloroso che era seguito ai giorni in cui la terra s'era chiusa sulle tombe di Ted e di Ninfadora, di conservare il ricordo della dolcezza. Andromeda sapeva essere dolce. Andromeda sapeva mostrare molto amore.
Andromeda era capacissima di mostrare anche una rimarchevole freddezza, tuttavia, e non aveva mai perdonato ad Harry il loro primo incontro. Certo: il ragazzo poteva ammettere che forse era stato un pochino frettoloso, da parte sua, aggredirla senza neanche averla vista bene in faccia, ma dopotutto Harry era stato appena aggredito da Voldemort! Era precipitato da una motocicletta volante! Non aveva diritto a un po' d'indulgenza, per questo?
Andromeda sembrava pensare di no.
In compenso Teddy, che pareva non condividere affatto il parere della nonna, mostrava verso il padrino un assoluto, sconfinato, affettuosissimo entusiasmo. In questo momento, arrampicato per metà su una spalla di Harry con la bocca poggiata sulla giacca del ragazzo, gliela stava allegramente ricoprendo di moccio - il bambino aveva una grave forma di raffreddore e il piccolo naso arrossato e pieno di roba che colava - mentre gorgheggiava suoni incomprensibili e cercava di acchiappargli, tutto contento, gli occhiali. Aveva i capelli come quelli di Harry, oggi, neri e arruffati, lunghi fino al collo, ma gli occhi sotto la frangia malamente tagliata erano dorati, luminosissimi e grandi - gli occhi di Remus.
- E' passato quasi un mese dall'ultima volta che sei venuto qui. - esclamò Andromeda, calma, poggiando sul basso tavolinetto del salotto un vassoio con il tè e i biscotti. Harry intinse la punta di un biscotto nel tè, senza zuccherarlo, e lo portò alla bocca di Teddy: i denti del bambino non erano ancora del tutto cresciuti, ma anche con le piccole gengive rosate era perfettamente in grado di succhiare e masticare il biscotto inzuppato.
Teddy si distrasse dalla sua affascinante occupazione – spargere moccio sulla camicia di Harry - quel tanto necessario ad appropriarsi del biscotto. Il ragazzo sorrise, sistemandosi meglio il bambino contro il petto, prima di allungarsi per prendere la propria tazza di tè.
- Mi dispiace. - disse poi ad Andromeda, spiegandole con sincerità: - Ho perso il conto del tempo, credo. -
Andromeda gettò un'occhiata verso la finestra che dava sul giardino. Sotto al porticato, grazioso e pulito e schermato da un grande pergolato di fiori selvatici, si intravedeva attraverso i vetri la sagoma lattescente di Angie.
- La tua amica non entra in casa? -
Harry scosse la testa.
- Ha detto che preferiva restare in giardino. -
Temette per un attimo che Andromeda gli avrebbe chiesto spiegazioni in proposito, domandando chi fosse il fantasma e cosa ci facesse lì, cosa avesse a che fare con Harry; ma la donna si limitò a gettargli una lunga occhiata, lo sguardo penetrante, acuto e vivo che non aveva nulla a che vedere con quello dissennato e feroce della sorella Bellatrix, e poi a cambiare discorso:
- Quando hai intenzione di tornare ad Hogwarts? -
Ahi, ahi. Il nuovo discorso era anche peggio di quello vecchio.
Harry scosse la testa e scrollò le spalle, sperando che Andromeda cogliesse il messaggio: non ne voglio parlare, ma anche non sono affari suoi.
- Be', se non vuoi tornare ad Hogwarts, cosa vuoi fare, adesso? -
- Non lo so! - esclamò Harry, irritato, la voce qualche decibel più alta del dovuto. Teddy alzò gli occhi dal biscotto che stava sbocconcellando, guardandolo perplesso, ed il ragazzo ricambiò lo sguardo. Dall'altra parte del Velo c'era Remus che lo stava fissando.
Remus e Tonks. Teddy non avrebbe mai avuto i suoi genitori per sé - esattamente com'era stato per Harry - perché Harry non aveva fatto in tempo. Sarebbe bastato che tutto accadesse qualche ora prima. Che lui si consegnasse qualche ora prima. Che si sacrificasse, che morisse qualche ora prima. Che sconfiggesse Voldemort qualche ora prima.
Remus e Tonks sarebbero stati vivi, e con loro Fred, Colin, Piton. Infiniti altri.
Harry distolse gli occhi da Teddy, allungandosi per afferrare un tovagliolo e pulirgli la bocca e il mento impiastricciati di biscotto umido, e incrociò lo sguardo di Andromeda.
- Stare chiuso in casa non ti fa bene. - sentenziò la donna in tono definitivo.
Harry abbassò la testa e non disse niente.

***



- E' un bambino molto carino. - gli disse Angie, la sera, quando furono rientrati a Grimmauld Place. La casa era buia e scura, e per un attimo Harry la trovò soffocante: si guardò intorno, gli occhi ancora pieni di quelli di Teddy, della luce chiara della casa in Cornovaglia, della voce di Andromeda e delle sue parole - non ti fa bene, non ti fa bene - e dovette respirare a lungo per riuscire a riprendere fiato.
- Già. - rispose ad Angie, dopo un lungo silenzio. - Molto. -
Non disse più nulla, poi, e il fantasma si girò e cominciò a muoversi verso le scale - probabilmente per lasciarlo solo con i suoi pensieri, si disse Harry - ma il ragazzo si protese verso di lei e la chiamò:
- Angie? -
Il fantasma si volse:
- Sì? -
Harry esitò per un attimo, perché quella era una cosa della quale non parlava mai con nessuno, non con Ron, non con Hermione, nemmeno con Ginny, con nessuno, perché gli altri erano tutti vivi, gli altri avevano tutti una vita che era appena iniziata, e nessuno era come lui, bloccato a metà tra i due mondi - quello dei vivi, quello dei morti - in un interminabile crepuscolo: ma poi pensò che Angie era morta, ed era prigioniera qui, con lui, dove non voleva essere. Anche Angie era a metà. Harry si disse che, se non l'avesse chiesto al fantasma, non l'avrebbe mai chiesto a nessuno.
- Non pensi mai che le cose sarebbero dovute andare diversamente? -
Angie rimase in silenzio per un lungo istante, continuando a fissarlo. Distolse lo sguardo, poi, e sorrise: senza tristezza e senza malizia, solo un sorriso quieto ed assorto.
- Qualche volta. - ammise. - Ma poi penso a tutte le cose che ho avuto. Ho avuto una buona vita, persone da amare, cose da desiderare. Ho avuto anche una buona morte. Sai? - rialzò la testa, guardò verso Harry. Sorrise ancora, e stavolta era triste. - Conoscevo uno dei Ghermidori che mi hanno trovata. Aveva addosso la maschera, ma ho riconosciuto la voce. Era un Tassorosso del mio anno. Non ti dirò chi è, perciò non me lo chiedere, perché spero che si sia salvato. -
- Cosa? - sbottò Harry, con orrore. - Perché? -
- Perché avevo molta paura di morire. - affermò Angie, candidamente. - Avevo paura che sarebbe stata una cosa lunga, e orribile. Che mi avrebbero fatto del male. I suoi compagni avrebbero voluto farmene davvero, ma lui è passato loro davanti: e l'ultima cosa che ho visto è stata la luce verde dell'Avada Kedavra. Credo mi avesse riconosciuta. Credo abbia avuto pietà. In ogni caso è stato un bel gesto, viste le circostanze: non poteva salvarmi, ma mi ha permesso di morire senza rancore. -
Harry sentì gli occhi bruciargli, tutto ad un tratto. Ricacciò indietro le lacrime, e il senso di vuoto e di perdita che gli stava opprimendo lo stomaco, e confessò pianissimo, ma con voce ferma:
- Anche io ho avuto molta paura di morire, e che facesse male. -
Il sorriso di Angie fiorì sulle labbra della ragazza pieno di luce. Lei si sistemò meglio gli occhiali, tirando su con il naso rumorosamente e passandosi di sottecchi il dorso di una mano sugli occhi. Harry non sapeva se i fantasmi potessero piangere: ma Angie aveva strie luccicanti sulle guance, ora, che scintillavano debolmente sulla pelle evanescente.
- Sei un bravo ragazzo, Harry Potter. - bisbigliò lei alla fine. - E questo è molto meglio che essere un eroe. -
Rimasero in silenzio tutti e due per un lungo istante, prima che il fantasma affermasse:
- E' ora di cena, ormai. Non dovresti mangiare qualcosa? -
Il vuoto in Harry si trasformò tutto ad un tratto in uno stomaco borbottante, rumorosissimo, che richiedeva a gran voce d'essere riempito. Fu il suo turno di sorridere ad Angie, alzando una mano per passarsi le dita tra i capelli e cercare di appiattirli, inutilmente, sulla fronte:
- E' una buona idea. -





Note del capitolo: Mi è piaciuto tanto scrivere questo capitolo. Forse perché mi si sfettuccia il cuore ogni volta che rileggo il pezzo di Harry Potter e i Doni della Morte in cui Harry si incammina da solo verso l'accampamento di Voldemort, e poi assieme ai fantasmi dei veri Malandrini e di sua madre e... guh! Sono tutti morti! Povero, povero, povero Remus!

Per la serie delle domeniche buie l'ultima pubblicata è stata Pensati così, che appartiene all'universo what if...? di Come (non) doveva andare.

Un grande grazie a tutti coloro che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo (ed in particolare a verolax che se li è commentati uno per uno tutti in una volta! O_O) ed uno anticipato a chi commenterà questo!

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Capitolo 10
*** In memoria ***





Capitolo 10
In memoria




Harry si chiuse alle spalle la porta dell'appartamento dei signori Webber-Collaine, destinatari particolarmente lacrimevoli del commovente ricordo di un qualche pro-pro-pro-zio deceduto almeno dieci anni prima, ed emise un respiro profondo.
Angie sorrise, accanto a lui:
- Non riesco ancora a credere che abbiamo davvero finito. -
- Nemmeno io. - confessò Harry, esausto. - Neanche trovare lo stramaledetto medaglione di Serpeverde è stato così complicato, e quello l'aveva nascosto Voldemort. -
Angie non rabbrividiva più, adesso, quando Harry pronunciava quel nome: il ragazzo s'era assicurato di inserirlo con noncuranza nei loro discorsi almeno tre o quattro volte al giorno, durante l'ultima settimana, e dopo un po' il fantasma aveva molto semplicemente cominciato a farci l'abitudine. Erano trascorsi diciassette giorni da quando aveva portato Angie a Grimmauld Place, e avevano passato tanto di quel tempo insieme, in quel frangente, che la presenza della ragazza aveva cominciato a sembrargli naturale. Facevano colazione insieme, lavoravano sui ricordi insieme, pranzavano insieme. Nel pomeriggio Harry studiava per i suoi esami, seguendo le direttive della McGranitt, e Angie si appollaiava sul divano poco più in là, osservandolo; aveva preso l'abitudine, negli ultimi tempi, di aiutarlo con Incantesimi. Era una materia in cui Angie andava forte.
- Mi ero concentrata su Aritmanzia e Incantesimi, per i M.A.G.O.. - aveva spiegato ad Harry un pomeriggio. - Volevo mandare il mio curriculum alla Gringott, per un posto da Spezzaincantesimi. -
- E perché non l'hai fatto? -
Lei aveva scrollato le spalle, con un mezzo sorriso noncurante che era tradito dallo sguardo lievemente rammaricato:
- Il lavoro di Prestamente era una tradizione di famiglia. Mio padre non l'avrebbe mai detto apertamente, ma gli si sarebbe spezzato il cuore se non l'avessi portato avanti io. Semplicemente, quando è stato il momento di scegliere, ho fatto due conti con le mie priorità ed ho deciso che anche essere Prestamente non era poi così male. -
Harry era rimasto in silenzio per un lungo istante. Conosceva perfettamente la sensazione di non essere - o di credere di non essere, che dopotutto era esattamente la stessa cosa - all'altezza delle aspettative degli altri: lui l'aveva sperimentata per anni, prima con i Dursley, poi con Silente, e con Piton, e con Sirius. Il pensiero del modo in cui Sirius l'aveva guardato attraverso il fuoco acceso nel camino, accusandolo di non essere poi così simile a James - così simile a suo padre - certe volte arrivava la notte, nei suoi sogni, a riempirlo di nausea e di dolore. Sirius non l'aveva pensato veramente, Harry lo sapeva bene. Sirius era stato solo arrabbiato, e amaro, e Sirius era stato un ragazzo che non aveva mai avuto modo di crescere, prigioniero per tredici anni di uno dei luoghi più orribili della Terra, e come un ragazzo troppo grande aveva avuto un modo brusco e irragionevole di affrontare i problemi. Harry non era arrabbiato con lui, e sapeva che non avrebbe dovuto sentirsene ferito. Solo che saperlo ed esserne veramente certi non erano, molto semplicemente, la stessa cosa.
Dopo un attimo di silenzio, lui aveva raccolto il coraggio a due mani e aveva chiesto ad Angie:
- Rimpiangi di averlo fatto, adesso? -
Il fantasma aveva sorriso con sincerità:
- Per niente. Mio padre è stato molto felice, così: sarebbe stato comunque molto orgoglioso di me, e me l'avrebbe fatto sapere, qualunque lavoro avessi scelto, ma non sarebbe mai stato altrettanto contento. Se avessi lavorato alla Gringott magari mi avrebbero uccisa ugualmente, poi, o magari arrestata e mandata ad Azkaban. Sai, per via del mio Stato di Sangue. - Aveva inclinato il capo da una parte, poi, prima di scrollare le spalle: - E non avrei mai permesso che facessero del male a mia madre. Non senza combattere. -
Anche questa era una cosa che Harry poteva capire benissimo.
Appoggiato alla porta dei signori Webber-Collaine, Harry riemerse dal fondo malinconico dei suoi pensieri per guardare verso il fantasma:
- Be'... - esclamò, sentendosi un poco a disagio. - Oggi pomeriggio dovrei incontrare la McGranitt per i miei esami. Vuoi... ti va di venire ad Hogwarts con me? Puoi restare nel parco, se pensi di non voler entrare. -
Angie sembrò pensarci su per un attimo, prima di annuire.
- Mi piacerebbe. - disse. E poi, dopo una breve esitazione: - Mi porteresti al Memoriale? -
Harry si mosse a disagio, al pensiero della pietra bianca ricoperta di nomi, ogni nome un viso, ogni viso un ricordo, troppi ricordi sporchi, macchiati, devastati, insanguinati, ma assentì e cercò di comporre il viso affinché nessuno dei suoi pensieri trasparisse; e, invece che dir di no, esclamò pianamente:
- Sicuro. -

***



- Tè, Potter? -
Harry distolse a fatica lo sguardo dal ritratto di Albus Silente, assopito con le mani intrecciate sul ventre, e guardò la McGranitt. La professoressa lo fissava con l'aria di aspettarsi una replica, e Harry faticò a riconnettersi alla realtà quel tanto che serviva a ricordarsi che gli era stata fatta una domanda.
- Sì. Sì, grazie, professoressa. -
La McGranitt spinse verso di lui una tazza, che ondeggiò a mezz'aria prima di fluttuare delicatamente nella sua direzione. Il coperchio della zuccheriera si sollevò e il cucchiaino andò a bussare sulla mano di Harry, picchiettandola per attirare la sua attenzione finché il ragazzo non disse cortesemente:
- Due cucchiaini, grazie, e un po' di latte. -
Il bricco del latte schizzò in avanti con molta meno grazia rispetto a quella che aveva mostrato la tazza, minacciando di schiantarsi, nel movimento, contro il vassoio dei biscotti: Harry fece appena in tempo a mettere in salvo la zuccheriera, che si trovava lungo il tragitto, prima che il bricco la travolgesse. La McGranitt sospirò, affermando quietamente:
- Era il vecchio servizio da tè di Albus. -
E questo, si disse Harry, spiegava tutto. Stranamente il pensiero del vecchio Preside non gli causò la solita, lacerante fitta di dolore: forse perché con il bricco del latte che aveva preso a saltellare entusiasticamente attorno alla sua tazza era difficile non sorridere, forse perché era precisamente una cosa alla Albus Silente, quella. Caramelle al limone e un servizio da tè allegramente matto. Gettò un'altra occhiata al ritratto del Preside e non si stupì di vedere che, malgrado l'uomo sembrasse profondamente addormentato, gli occhi chiusi dietro agli occhiali a mezzaluna e la barba smossa da un respiro lento e profondo, sulle sue labbra ora brillava un inconfondibile sorriso che fino a un minuto prima non c'era stato.
Harry tenne la tazza tra due mani, sentendo il calore della bevanda trasmettersi alla pelle infreddolita. Su Hogwarts spirava un forte vento che aveva spazzato via tutte le nuvole dal cielo; se Harry si fosse affacciato da una delle finestre dello studio del Preside avrebbe visto la pietra bianca del Memoriale, scintillante nella luce limpida del pomeriggio invernale, e se avesse aguzzato lo sguardo probabilmente avrebbe colto la sagoma luminescente di una ragazza, di un fantasma, proprio lì accanto.
- Si sa niente del ritratto del professor Piton, professoressa? -
La McGranitt gli rivolse un lungo sguardo penetrante, prima di scuotere la testa.
- Al Ministero qualcuno ha sollevato obiezioni in proposito. - spiegò. - Dopotutto, il professor Piton è stato nominato Preside di questa scuola in un periodo in cui il Ministro della Magia era sotto Imperius: e questo invaliderebbe la nomina, certo, in situazioni normali. Ma ritengo di poter affermare con discreta sicurezza, Potter, che prima della fine di quest'anno scolastico avrò il piacere di avere il professor Piton molto occupato a cercare di incendiarmi la nuca con lo sguardo, anche da morto, proprio in questo ufficio. -
Harry sorrise:
- Mi dispiace molto, professoressa. -
- Anche a me, Potter. - E dal tono in cui la McGranitt lo disse apparve evidente che non era assolutamente vero. La donna si fece ruotare ancora una volta la tazza tra le mani, prima di prendere un breve sorso di tè: - Suppongo che ci farò l'abitudine; ma adesso, Potter, parliamo per un attimo di te. Vorrei che tu prendessi in considerazione ancora una volta l'ipotesi di tornare ad Hogwarts per quest'anno. -
Non sembrava particolarmente speranzosa, tuttavia, rilevò Harry: probabilmente dopo due mesi di no ripetuti e reiterati aveva cominciato ad abituarsi all'idea. Il ragazzo distolse lo sguardo e lo fissò sulla finestra: immaginò ancora una volta di poter vedere il Memoriale, tutti quei nomi di morti scritti in una lunga fila sulla pietra bianca, e la forma incorporea del fantasma di qualcuno ucciso a diciannove anni che non serbava rancore alcuno, né per i vivi, né per i morti.
- Ci penserò. - promise, a disagio. - Lo prenderò in considerazione. -
La McGranitt inarcò un sopracciglio, evidentemente stupita, e rimase per un attimo con la bocca schiusa. Sbatté le sopracciglia, poi, cercando di ricomporsi, ed Harry si sentì in dovere d'aggiungere:
- Questo non vuol dire che lo farò. Solo... ci penserò, professoressa. - ripeté.
La McGranitt - che era finalmente riuscita a richiudere la bocca - chiuse gli occhi per un lungo istante. Quando li riaprì, sembrò tutto ad un tratto un po' meno vecchia, e un po' più serena:
- Molto bene. - disse, lentamente. E poi, spingendo il vassoio dei biscotti verso Harry per invitarlo a servirsi: - Parliamo dei tuoi esercizi di Trasfigurazione, allora. Il saggio sulla Regola di Orchideus sulla Pseudo-Trasfigurazione era di buon livello, Potter, ben sopra l'Accettabile: tuttavia, ho trovato l'esempio del pulcino e del portachiavi un po' azzardato. Sebbene la Regola di Orchideus affermi che il principio della conservazione dell'energia e della materia di base possa essere aggirato in una Trasfigurazione di livello avanzato, è anche vero che... -
Harry alzò la testa e incrociò lo sguardo di Albus Silente: e l'anziano Preside, dal suo ritratto, gli sorrise apertamente e gli fece l'occhiolino.

A quell'ora del pomeriggio le scalinate di Hogwarts erano quasi deserte. La luce del tramonto passava attraverso le vetrate inondando i corridoi di una luminosità ambrata che gettava ombre lunghe su tutte le cose; le armature sembravano incombere, farsi enormi, gli elmi cigolanti che si piegavano al passaggio del ragazzo, i maghi e le streghe nei dipinti che si spostavano da un quadro all'altro per seguirlo con espressioni piene di curiosità. Harry sorrise ad un vecchio mago in una tenuta di velluto violetto e con un paio di gran baffoni da tricheco che gli ricordarono tremendamente quelli di Lumacorno; il mago nel quadro, che fino a quel momento l'aveva seguito con la coda dell'occhio fingendo noncuranza, vedendosi colto in fallo bofonchiò qualcosa ed arretrò scostante nell'enorme poltrona che torreggiava nel suo dipinto. Harry scosse la testa e aspettò che la scala ruotasse nella sua direzione, prima di cominciare a scendere i gradini. Sorpreso di vedere una coppia di studenti venirgli incontro, si fece da parte, sperando che non badassero troppo a lui; ma poi uno dei due alzò la testa, lo guardò, ed Harry lo vide bene in viso.
Draco Malfoy ricambiò il suo sguardo e aggrottò la fronte, stupito: e in quella espressione Harry rivide tutto ad un tratto il ragazzino di undici anni, incredulo, tronfio ed arrogante, al quale aveva rifiutato di stringere la mano sull'Espresso per Hogwarts, il viso pallido e minaccioso di un uomo che aveva minacciato di torturare ed uccidere i suoi amici nell'Ufficio Misteri, l'espressione superba di una donna che l'aveva guardato come fosse feccia dagli spalti d'uno stadio.
Malfoy era sorpreso di vederlo lì, capì Harry. Non si aspettava di incontrarlo. Harry, invece, sapeva benissimo che Malfoy era tornato ad Hogwarts: quando il Wizengamot aveva chiesto il suo parere - era sembrato loro così naturale coinvolgere nei processi ai Mangiamorte l'eroe che aveva sconfitto Voldemort per ben due volte, anche se quell'eroe non aveva ancora compiuto diciotto anni e non aveva il benché minimo desiderio di farsi coinvolgere - al momento di emanare il verdetto, Harry aveva detto di sì. Sì, che cadessero le accuse. Sì, era stato troppo giovane. Sì, basta, basta vendette, basta, basta. Quelli che erano ad Azkaban potevano restarci: avevano ucciso e torturato e cospirato, ed erano adulti. Malfoy non era stato adulto: aveva preso il Marchio Nero a sedici anni. A Malfoy, come ad Harry, nessuno aveva mai dato la possibilità di scegliere.
Harry si ricordò che Lucius Malfoy non aveva partecipato alla battaglia di Hogwarts: era stato troppo occupato a cercare suo figlio, disperando di trovarlo vivo, e aveva a malapena badato a guardarsi le spalle nel mezzo dello scontro. Si ricordò che Narcissa Malfoy aveva mentito a Voldemort, aveva salvato Harry, non per lui, no, ma per Draco. E questa, sicuro, era una cosa che Harry poteva capire.
Dopo un attimo di irrigidito, goffo silenzio, Malfoy piegò il capo nella sua direzione, a mo' di saluto; Harry nascose la propria sorpresa meglio che poté, prima di ricambiare. La ragazza che era con Malfoy - una bellissima ragazza con la divisa di Serpeverde, lunghi riccioli biondi e occhi d'un verde pallidissimo, traslucido, stupefacente - si limitò a gettargli un'occhiata insieme curiosa e perplessa, e priva di qualunque ostilità, prima d'adocchiare la cicatrice.
Harry si mosse, a disagio sotto a quello sguardo, per superarli il più in fretta possibile: e Malfoy - Malfoy! - si spostò impercettibilmente per lasciarlo passare. Harry mugugnò un ringraziamento a mezza voce, sinceramente stupefatto, e Malfoy scrollò le spalle senza dir niente. Sembrava più magro di quanto lo ricordasse, e più vecchio di quanto fosse giusto.
Harry non voleva sapere cosa precisamente Malfoy avesse fatto durante la guerra, perché quel che aveva visto attraverso gli occhi di Voldemort era stato più che sufficiente. Una volta di più sentì la nausea al pensiero di tutto quel che era stato portato loro via, tutto quello che non sarebbe mai più tornato: ma poi si girò per sbirciare verso Malfoy e vide che la bionda Serpeverde che era con lui gli aveva poggiato una mano sul braccio e stava ridacchiando, piena d'una malizia allegra e priva di cattiveria, mentre gli bisbigliava qualcosa all'orecchio. Malfoy - Draco - rimase per un attimo adombrato, la fronte corrugata, prima di sbuffare esasperato e alzare gli occhi al cielo. Le sue labbra sottili si piegarono per un attimo in una scheggia di sorriso, ed Harry pensò, mentre si lasciava alle spalle i due Serpeverde, che non gli importava affatto se stavano ridendo di lui. Potevano ridere di lui tutte le volte che volevano. Davvero. Non aveva importanza. Se ridevano, se qualcuno rideva e nessuno stava urlando, be', voleva dire che andava bene.
Poteva andare bene. Poteva andare tutto per il meglio.
Si fermò in cima ad una scalinata al primo piano, acquattandosi nella nicchia in ombra di un'armatura, per lasciar passare un' gruppetto di studenti nel corridoio sottostante, e sorrise quando s'accorse che erano tutti visi familiari. Erano il settimo anno dei Grifondoro e il settimo anno dei Corvonero, di ritorno evidentemente da qualche lezione: non riuscì a vedere né Ginny né Ron, ma Neville gli passò proprio davanti, il viso sporco di terra e tra le mani un gran vaso pieno di una pianta di un violetto effervescente dall'aspetto piuttosto inquietante, della quale lui davvero non voleva sapere il nome; poco più indietro, Luna Lovegood avanzava trasognatissima affiancata da Dean Thomas. I due si stavano tenendo per mano, realizzò Harry. Ne fu felice. Luna gli piaceva, Luna gli piaceva moltissimo, e anche Dean gli piaceva: e poteva perfino perdonargli di aver baciato Ginny, se adesso riusciva a fare contenta Luna.
Li guardò finché non scomparvero tutti dietro un angolo, prima di sgattaiolare giù per le scale ed affrettarsi lungo la strada che portava alle serre: prese una scorciatoia che sapeva l'avrebbe portato nell'atrio, e in un attimo fu fuori. Il vento ora soffiava più forte: sollevava ondate di foglie secche dalla terra verde, lasciandole cadere sulla superficie increspata del lago come monete d'oro. Harry vide quello che sembrava un enorme tentacolo affiorare a pelo d'acqua, al largo: la piovra doveva crogiolarsi pigramente al calore dell'ultimo sole del pomeriggio.
In quella luce d'ambra il fantasma di Angela Abigayle Glancenspark sembrava scintillare a malapena: il sole che le passava attraverso rendeva la sua figura più evanescente del solito, più... più fragile, pensò Harry, con una fitta di dolore; il fantasma gli dava le spalle, guardando la pietra bianca del Memoriale, e lui lo chiamò:
- Angie? -
Angie si girò. Harry sapeva che i fantasmi potevano provare dolore e gioia proprio come i vivi; sapeva che arrossivano, e che le loro guance diventavano più scure per l'imbarazzo; che potevano apparire trafelati, eccitati, anche stanchi. I fantasmi potevano davvero anche piangere, scoprì adesso con assoluta certezza, perché sulle guance della ragazza scorrevano lunghe striature di gocce, scintillanti come perle sulla pelle lattea e inconsistente. Riusciva a vedere la Foresta Proibita in lontananza, attraverso il corpo del fantasma, e il cielo terso oltre la sua testa, dentro i suoi occhi.
Lei alzò una mano per strofinarsi il viso, come per asciugarlo, e le tracce scomparvero.
- Scusa. - balbettò, tirando su con il naso. - Non t-ti ho sentito arrivare. -
Harry abbassò la testa, imbarazzato oltre misura per averla sorpresa in quelle condizioni, e cominciò ad armeggiare meccanicamente con le proprie tasche. Angie parve perplessa:
- Che stai cercando? -
- Uh? Oh, un fazzoletto. -
Angie inarcò un sopracciglio e non disse niente. Dopo un attimo, Harry si immobilizzò: la fissò sorpreso, quasi non capisse, prima d'emettere un breve suono strozzato, il viso attraversato da subitanea comprensione.
- Scusa. - mugugnò.
Il fantasma sorrise debolmente, e Harry si nascose la faccia tra le mani.
- Con un po' di fortuna, la terra si aprirà e mi inghiottirà. - disse, disperatamente.
Angie ridacchiò: la sua risata si interruppe in un mezzo singhiozzo, mentre il fantasma tirava ancora su con il naso, strofinandosi gli occhi, ma Harry si sentì leggermente meglio. Rimasero in silenzio per un lungo istante, prima che la ragazza bisbigliasse:
- Mi dispiace così tanto... -
- Per cosa? -
- Un po'... un po' per tutto, credo. - Allargò le braccia quasi volesse abbracciare Hogwarts, prima di muovere le mani: - Per tutto questo. -
Harry non seppe cosa rispondere. Che cosa puoi dire per consolare qualcuno che è già morto? La vita va avanti? Vedrai che andrà tutto bene? Il peggio è passato? E il brutto era che il peggio era passato. Niente avrebbe più potuto ferire Angie. Era al sicuro, adesso. Era dall'altra parte.
Avrebbe voluto poterle mettere una mano su una spalla. Abbracciarla, anche: qualche volta Hermione l'aveva abbracciato, e lui, dopo, si era sentito sempre meglio. Il contatto fisico non era il suo forte, ma avrebbe potuto cavarsela: ma non poteva toccare lei, perché niente avrebbe più potuto toccare Angie - mai più.
Rimasero a lungo in silenzio, guardando il sole scendere oltre le montagne e l'acqua dorata del lago spegnersi, lentamente, e farsi scura.





Note del capitolo: Non vi dirò precisamente quando: ma, sicuramente, Prima di King's Cross (anche tenendo conto del fatto che probabilmente verso fine luglio mi prenderò una vacanza forzata dagli aggiornamenti per questioni di lavoro) sarà conclusa entro la fine dell'estate. Con il prossimo capitolo, la storia inizia la svolta verso la sua conclusione.

Sto lavorando ad altre due storie lunghe che (con un po' di fortuna) vedranno la pubblicazione in autunno - sempre se gli esami non mi si mangiano nel frattempo e l'illuminazione divina dell'ispirazione non mi crolla strada facendo. Una delle due è ambientata all'epoca dei Fondatori di Hogwarts; l'altra, in un futuro alternativo scritto a partire dalla fine del settimo libro... qualche cambiamento a parte, con la presenza sostanziosa di un OC sul quale sto ancora ponderando.
Con La scatola bianca (appartenente all'universo di Come (non) doveva andare) e Alla redazione del Cavillo, la serie delle domeniche buie si conclude. E' stato un esperimento divertente, e ringrazio anche qui tutti coloro che l'hanno seguito. Lunedì 6 Giugno sarà pubblicata sia qui che su NA, in corrispondenza del compleanno di Ray08, Trentacinque cose (e una di più). Che non avrà nulla né di buio né di deprimente. x°D Promesso.

Un grazie a tutti quelli che si sono fermati a leggere questo capitolo, e doppio e alle fragole a chi mi lascerà un'opinione!
Se l'opinione è critica e severa e riguarda l'IC, al grazie doppio con fragole aggiungo un'inzuppatura di cioccolata. *_*

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Capitolo 11
*** Cinque cose da fare ***





Capitolo 11
Cinque cose da fare




Due giorni più tardi, svegliandosi di buon 'ora e scendendo per fare colazione, Harry trovò davanti al camino della Metropolvere una busta chiusa che riportava sull'intestazione l'aggraziata grafia di Hermione. L'aprì mentre metteva la teiera sul fuoco, allungandosi senza guardare per recuperare due uova dalla credenza, e si stupì nel vedere che la lettera era costituita da poche brevissime righe in inchiostro nero. Lesse:

Ho bisogno di avere il prima possibile una copia del testamento del professor Piton. Forse ho trovato una soluzione. Ti spiegherò tutto il prima possibile. Spero che stiate bene.
Con tutto il mio affetto,

Hermione.


Harry sorrise: lo stile telegrafico lasciava presupporre un'intensa attività riflessiva, ancora in corso, che assorbiva tutta la concentrazione della ragazza; ma, malgrado tutto, Hermione non aveva tralasciato di aggiungere il suo affetto alla fine. Accarezzò distrattamente la pergamena con le dita, la fronte aggrottata, mentre versava l'acqua calda direttamente sul tè - tè in bustina: tre anni di lezioni con la professoressa Sibilla Cooman avevano sviluppato in lui un'irrimediabile allergia psicosomatica nei confronti del tè in foglie. Ripiegò la pergamena, l'espressione assorta, e per un attimo si ingegnò nel cercare di indovinare che cosa accidenti pensasse di farci, Hermione, con il testamento di Piton. Si sentiva piuttosto in colpa per aver lasciato sulle spalle della ragazza tutto il peso delle ricerche sul caso di Angie: Hermione aveva una vita, aveva un lavoro, adesso. Harry aveva pensato inizialmente che l'avrebbe quantomeno aiutata... ma poi proprio non ce l'aveva fatta. Il pensiero di un'altra ricerca, quando quella degli Horcrux si era conclusa da neanche sei mesi, era stato semplicemente troppo.
Si ripromise di recuperare la copia del testamento di Piton - la Gringott gliene aveva spedita una insieme agli oggetti, gli oggetti personali, che gli erano stati lasciati come legato - non appena fosse salito in camera. Alzando la testa, si accorse che Angie era entrata nella stanza mentre lui leggeva. Le sorrise:
- Buongiorno. -
- Buongiorno, Harry. - replicò il fantasma, allegramente; e poi, con un'occhiata curiosa alla busta che il ragazzo teneva in mano: - Posta? -
Il ragazzo esitò per un attimo, combattuto tra l'idea di dirlo ad Angie e quella di tacere. Alla fine, scrollò brevemente le spalle e spiegò:
- Hermione vuole che le mandi una copia del testamento di Piton. -
Angie parve sorpresa:
- E tu hai una copia del testamento di Piton? - Harry annuì, e le sopracciglia del fantasma si sollevarono in un'espressione perplessa: - Come mai? -
- Mi ha lasciato in eredità alcuni suoi oggetti. - spiegò Harry, a disagio. - Oggetti personali. Carte, per lo più. -
Angie sbatté le palpebre. Harry rimase impressionato, come sempre, alla vista delle ombre più scure che le ciglia gettavano sulla sua pelle evanescente: non riusciva a capire come potessero fare ombra, visto che la luce, be', la luce semplicemente passava attraverso il fantasma, ed era una vista piuttosto inquietante. La faceva sembrare molto più reale. Molto più viva.
- Oh. - esclamò il fantasma, alla fine. - Non sapevo che tu e il professor Piton foste in rapporti così, uhm, buoni. -
Harry si passò una mano tra i capelli, gettandoli nel caos più assoluto, prima di affermare piano, teso:
- Non eravamo affatto in buoni rapporti. - E poi, scuotendo il capo: - E' complicato da spiegare... -
Non aveva voglia di parlarne. Davvero, non aveva voglia di parlare di Lily, sua madre Lily, e del professor Piton. Non aveva voglia di parlare della fiala piena di ricordi sempre posata sul suo comodino, né della busta piena di carte che la Gringott gli aveva fatto avere: tutte le carte che il sempre cauto professor Severus Piton aveva preparato, confidando nella segretezza e nel riserbo della banca magica, nel timore di morire prima d'aver fatto sapere ad Harry quel che c'era da fare. Piton non s'era aspettato di sopravvivere alla guerra: ed aveva preparato piani di riserva per i piani di riserva, così, affinché Harry sapesse e potesse andare incontro a... a tutto quello a cui doveva andare incontro. Harry spostò il proprio peso da un piede all'altro, a disagio, e Angie sembrò afferrare che quello non era un discorso gradito, perché cambiò argomento:
- Che cosa fai, oggi? -
Fino a un paio di settimane prima, Harry avrebbe risposto senza esitare che se ne sarebbe rimasto a casa, probabilmente. Sarebbe forse uscito a fare la spesa, nel pomeriggio - nella Londra dei Babbani, ovvio. Avrebbe magari preso un gelato per la strada, se il tempo fosse stato buono: certo, i gelati normali non avevano niente a che vedere con i gelati di Florian Fortebraccio... ma Florian Fortebraccio era morto, e i Mangiamorte avevano devastato il suo locale. Nessuno vendeva più i gelati a Diagon Alley. Si sentì per un attimo profondamente depresso; il momento dopo spingeva già via, irritato, tutti quei pensieri morbosi, stanco di sentirli risuonare incessantemente nella propria testa.
- Potremmo uscire... - propose, esitante: ma ogni esitazione sparì di fronte alla contentezza purissima e scintillante che accese il viso di Angie di fronte a quell'offerta. - Sì, potremmo uscire. - ripeté, con più sicurezza.
- Davvero? E per andare dove? -
Harry tentennò:
- Dove ti piacerebbe andare? -
Angie sembrò stupita. - Dove piacerebbe andare a me? -
- Sì. - insisté Harry. - Non c'è niente che ti piacerebbe fare o vedere, qui? - Qui su questo mondo. Qui in questa vita. Qui, prima di andartene. Lo pensò, ma non lo disse: riaprì la lettera che Hermione gli aveva mandato, invece, stendendola. Il retro era liscio e pulito, privo di scrittura; Harry prese una lunga piuma d'oca nera e un calamaio da una mensola e si sedette sul divano. Agganciò con la punta d'un piede il tavolino da tè e lo tirò verso di sé, prima di chinarsi e appoggiare la pergamena sul piano di legno.
Angie si sporse verso di lui, curiosa e un po' più che leggermente perplessa:
- Che cosa stai facendo? -
- Prendo appunti! - esclamò Harry. La fragilità del fantasma sembrava rendergli tutto molto più semplice: con una persona viva, forte, presente, forse non avrebbe avuto il coraggio di comportarsi così. Si sarebbe sentito in imbarazzo. A disagio. Ma Angie era già oltre ogni errore, oltre ogni sbaglio: non c'era modo per disfare quello che era stato fatto, per far tornare indietro quel che era morto, però questo sì, per lei, questo forse poteva farlo. - Dimmi qualcosa che ti piacerebbe fare o vedere. Lo scriviamo e oggi... oggi andiamo in giro. Oggi facciamo tutto quello che vuoi. -
Angie sembrò esitare. Spostò lo sguardo da Harry al foglio, l'espressione incerta; ma il ragazzo riuscì a vedere, profondissimo e brillante, uno sguardo speranzoso accendersi nel fondo degli occhi incolori. - Avanti. - la spronò, gentilmente.
Angela esitò ancora per un lungo istante; poi, con un enorme sorriso, si avvicinò e si chinò sulla pergamena.

***



Primo: Visitare l'abbazia di Westminster e la tomba di Geoffrey Chaucer.
Secondo: Tirare sassi nel lago del St. James's Park.
Terzo: Firmare il registro degli ospiti nel negozio dei Tiri Vispi Weasley.
Quarto: Salire sull'Occhio di Londra al tramonto.
Quinto: Assistere ad una partita di Quidditch.

Harry depose la piuma d'oca e alzò gli occhi verso Angie, in attesa. Quando il fantasma ricambiò il suo sguardo e scrollò le spalle, il ragazzo aggrottò la fronte:
- Tutto qui? -
Angie annuì.
- Sei sicura? Non c'è altro che vorresti fare? Nient'altro? Possiamo prendere una Passaporta, se vuoi andare sul continente, o in America, o da qualunque altra parte. Possiamo fare tutto quello che vuoi. -
Angie replicò, mitemente:
- Preferirei restare da queste parti, se per te è lo stesso. L'unico posto che volevo visitare lontano da qui era Hogwarts, e ci siamo già stati. -
Harry rilesse la lista:
- Hanno davvero un registro degli ospiti, ai Tiri Vispi? -
- Sì, proprio dietro il bancone. L'unica volta in cui sono entrata nel negozio c'era troppa fila e non ho fatto in tempo a firmarlo. -
Harry pensò a Fred e a George, poi di nuovo a Fred. Per un attimo si pentì di aver detto ad Angie che avrebbero potuto fare qualunque cosa lei volesse; ma poi scrollò le spalle e annuì con fermezza, con un gesto che pareva destinato più a sé stesso che non al fantasma.
- Vuoi guardare una partita di Quidditch? - domandò, incuriosito. - Quale partita? -
Angie alzò le spalle:
- Nessuna in particolare. Una partita qualunque. Mio padre aveva giocato per i Grifondoro, sai? Come battitore. Ha giocato per quattro anni, ed era assolutamente fissato con il Quidditch. Mi portava a un sacco di partite, quand'ero piccola. -
Harry gettò un'occhiata di sottecchi al fantasma, a quelle parole: ma il viso di Angie era disteso, sereno, privo di rammarico, privo di rimpianto. Sorrideva, guardando la pergamena, e l'espressione di sorpresa contentezza ancora non aveva lasciato i suoi occhi. Fu quello, più che qualunque altra cosa, a convincere Harry di aver avuto una buona idea.
- Prendo solo la giacca... - esclamò, alzandosi in piedi. - … e poi andiamo. -
Arrotolò la pergamena con il piano della giornata - le cinque cose che Angie voleva fare in quel che restava della sua quasi-vita - e se la cacciò in tasca, al sicuro.





Note del capitolo: Si ringrazia dierrevi - tra le molte cose per le quali dovrei ringraziarlo - per avermi fatto ricordare che era martedì sera e che non avevo ancora preparato l'html del capitolo.
Guh! Questi esami mi stanno mangiando!
Con questo capitolo inizia la parte finale di Prima di King's Cross. Ancora qualche capitolo prima di salutarci (e già ho una certa tristezza al pensiero di chiuderla x°D Cribbio!).
A rileggerlo, il capitolo è brevissimo. Su Word occupa tre pagine. O_o Ho perso il senso delle dimensioni, a furia di pubblicare online.
... oh, be'. x°D Due settimane passano in fretta! Non mi mangiate!

Per chi fosse interessato, ho pubblicato Trentacinque cose (e una di più), one-shot comica con Harry e Draco senza la benché minima pretesa di serietà.

Un grazie a tutti coloro che si sono fermati a lasciarmi un'opinione allo scorso capitolo (e i miei ringraziamenti particolari a lady hawke... che se li è commentati tutti in una volta. O_O Santa pazienza!) e a chi si fermerà anche questa volta.

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Capitolo 12
*** Prima che venga sera ***





Capitolo 12
Prima che venga sera




Primo: Visitare l'abbazia di Westminster e la tomba di Geoffrey Chaucer.
Ore 09:33, 22 Novembre


Dal rosone dell'abbazia la luce filtrava spezzandosi in una raggiera di colori pallidi, rosa, azzurro, verde chiaro, che diventavano oro quando incontravano lo splendore del sole pallido d'inverno, diffuso sotto le alte guglie attraverso le finestre trasparenti. Le colonne erano altissime, l'aria fresca, lievemente umida, con un odore di pietra antica e marmo bagnato che riportò Harry, per un attimo, ad Hogwarts.
- Ti piace? - bisbigliò Angie, accostandoglisi.
Harry si guardò intorno, per controllare che non ci fosse nessun Babbano abbastanza vicino da vederlo parlare, a tutte le apparenze, da solo, e annuì.
- Non ero mai stato in una chiesa. - mormorò a mezza voce.
Gli occhi di Angie si sgranarono per la sorpresa.
- Mai? I tuoi parenti non ti ci hanno portato neanche in visita? -
Harry scosse la testa, con una mezza risata che suonò più derisoria che altro:
- I miei parenti non mi hanno mai portato in visita. Da nessuna parte. -
Angie sembrò sconcertata. La perplessità riempì il suo viso mobile e appuntito, dietro alle lenti spesse degli occhiali, e Harry scrollò le spalle e cambiò discorso:
- Come mai sei voluta venire qui, comunque? Di chi è la tomba che vuoi visitare? -
La diversione funzionò: Angie abbandonò la questione delle visite e dei parenti e si incamminò verso un lato dell'abbazia.
- Da questa parte! - cinguettò. - C'è la tomba di Geoffrey Chaucer. Mia madre mi ha comprato I racconti di Canterbury per il compleanno dei miei dodici anni. Diceva sempre che, solo perché ero entrata ad Hogwarts, questo non voleva dire che non dovessi imparare proprio niente sul mondo Babbano. Casa nostra era a Twickenham, io sono andata a scuola lì prima di arrivare ad Hogwarts. Una scuola Babbana. - specificò. Passò attraverso una colonna, mentre si girava verso Harry, e il ragazzo soppresse un brivido a quella vista: era come trovarsi una doccia gelata aperta sulla testa, inaspettatamente, parlare di cose così normali e poi ricordare che la persona che stava parlando era morta da mesi. - Mi piacciono un sacco i romanzi Babbani. Nel mondo dei maghi non c'è nulla di simile. -
- Hermione ha cercato di farci leggere un paio di romanzi, al terzo anno. Ha detto più o meno la stessa cosa. - ammise Harry, per poi aggiungere con un ghigno: - Ma la faccia di Ron deve averla dissuasa. -
Una minuscola turista dai lineamenti orientali e con una enorme macchina fotografica stretta tra le mani si girò a guardare perplessa il ragazzo che sembrava ridere da solo; Harry ricompose meglio che poté le proprie fattezze, mentre Angie ridacchiava allegramente.
La tomba di Geoffrey Chaucer era in pietra grigia: l'effetto sulla parete bianca avrebbe potuto essere di contrasto, ma nella penombra fresca della navata sembrava integrarsi stranamente, fondersi, senza asperità. C'era una grande lastra, sotto al padiglione scolpito, con un'iscrizione in latino e due stemmi rossi e gialli agli angoli.
- Molto Grifondoro. - bisbigliò Harry, divertito.
Angie, alla sua sinistra, sorrise. Quando erano entrambi in piedi, l'uno accanto all'altra, la bassa statura della ragazza diventava ancora più evidente; Harry era sempre stato magro e minuto per la sua età, ma Angie, accanto a lui, sembrava quasi una bambina.
Tacquero fino a quando Angie non si schiarì la voce, gli occhi fissi sulla tomba, e domandò lentamente:
- Io sono stata sepolta? -
Harry abbassò lo sguardo e la fissò. Tacque ancora per un istante, prima di risponderle:
- Credo di sì. -
E, be': non c'era molto altro da dire, dopo.


Secondo: Tirare sassi nel lago del St. James's Park.
Ore 12:04, 22 Novembre


- Sembrano innocui. - tentò Harry, speranzoso.
- Sembrano. - ironizzò Angie, seduta accanto a lui sulla panchina. Se ne stavano entrambi voltati a guardare la coppia di scoiattoli che, in piedi sul bordo dell'aiuola, li fissava con un'intensità lievemente inquietante. - Ho una cicatrice sul mignolo a perenne memoria dell'ultima volta che ho provato ad acchiapparne uno. Sono sempre stata convinta che si troverebbero bene in un libro di Cura delle Creature Magiche: con quei denti fanno sfigurare i cuccioli di drago. -
Harry rabbrividì vistosamente:
- Oh, io non credo. -
Angie si sporse per guardarlo, curiosa e un po' perplessa, prima di ridacchiare:
- Dimenticavo che tu ne hai visto uno da vicino. Molto vicino. -
Harry ricambiò lo sguardo, incerto:
- Di scoiattolo? -
- Di drago. -
- Ah. - Si sistemò meglio con la schiena contro la panchina, allungando le gambe. - Sì, be'. Visti da vicino non migliorano. -
Angie rise:
- La prima prova del Tremaghi è stata qualcosa da non dimenticare. -
- Già. - mugugnò Harry, sarcastico. - Decisamente da non dimenticare. -
Angie si sporse, indicandogli un largo sasso piatto e tondo:
- Provi a lanciare quello? -
Harry si chinò: raccolse il sasso indicato, lo soppesò per un attimo tra pollice e indice e poi lo lanciò in acqua, lontano, dall'altra parte della recinzione. Il sasso fece un rimbalzo sulla superficie scura e poi affondò miseramente. Angie piegò il braccio a mo' d'esempio, spiegando ad Harry:
- Devi fare così, con il gomito piegato. Non devi metterci troppa forza, o affonda subito. -
Harry ritentò. Era divertente, constatò sorpreso. Era una cosa assolutamente normale, e non l'aveva mai fatta prima, malgrado avesse avuto sottomano per sei anni l'intero lago di Hogwarts e una riserva pressoché inesauribile di sassi da lanciare. In un qualche modo era sempre sembrato che le cose normali fossero troppo poco importanti per essere fatte. Anche oziare: oziare era sembrato fuori luogo, inappropriato. Adesso aveva tempo per l'indolenza, tempo per il dolce far niente. Tempo per lanciare sassi nell'acqua di un lago.
- Tra un paio d'ore nutrono i pellicani, vicino alla riserva delle anatre. - esclamò Angie tutto ad un tratto. - Ti va di aspettare? -
Harry sorrise. Il sole era ancora chiaro nel cielo azzurro come cristallo, l'aria limpida e tersa. La tomba grigia nell'abbazia sembrava lontana mille miglia, tutto ad un tratto; Hogwarts apparteneva a un altro universo, e Voldemort, molto semplicemente, non era mai esistito. Era così che doveva essere la vita normale. Era così. Normale.
- Certo. - rispose ad Angie, socchiudendo gli occhi. - Mi va. -


Terzo: Firmare il registro degli ospiti nel negozio dei Tiri Vispi Weasley.
Ore 15:11, 22 Novembre


Sulla strada per Diagon Alley, tra una Smaterializzazione e l'altra, Harry si era comprato un grosso panino imbottito praticamente con tutto: dai sottaceti alla salsa piccante, passando per la salsiccia, l'insalata, il pomodoro a fette e le patate fritte. Era grasso, pesante e orribilmente buono. Era una di quelle cose che dai Dursley non gli era mai stato permesso di avere, e che ad Hogwarts non c'erano affatto: così come i ghiaccioli, come il frappè con lo sciroppo di cioccolato e i fumetti, il take away cinese, il cinema e la pizza alta tre dita e ricoperta di formaggio e pomodoro. Tutte cose che aveva desiderato per anni, e che adesso poteva avere quando ne voleva e quante ne voleva. Certo: in genere non aveva poi davvero molta voglia di mangiare, ma, allo stesso tempo, anche il semplice fatto di poterlo fare era inebriante.
Il negozio dei Tiri Vispi Weasley aveva ancora lo stesso aspetto sgargiante di sempre: dalle vetrine faceva capolino un enorme figura di legno a dimensione reale, con un ragazzo sorridente con la faccia coperta di bolle rosse che pubblicizzava la nuova versione delle Merendine Marinare. In un'altra vetrina c'era una grande gabbia priva di coperchio piena di quelli che sembravano minuscoli pulcini, non più grandi di un pollice, con becchi a forma di trombetta che emettevano un suono francamente spaventoso (“Problemi ad aprire gli occhi la mattina?”, diceva la scritta sul cartello sovrastante, “Compra uno Squillettino, e restare sveglio non sarà mai più un problema!”).
- Ooooh! - cinguettò Angie, sporgendosi per guardare gli Squillettini. - Sono adorabili! -
Harry fissò uno Squillettino piuttosto entusiasta spalancare il becco e farne uscire un verso che sarebbe stato serenamente in grado di persuadere i morti ad alzarsi dalle loro tombe, e non riuscì a trattenere una smorfia a metà tra il sarcasmo e l'esasperazione.
- Adorabili. - riuscì comunque a ripetere, il tono accuratamente neutro. - Sì.-
Una coppia di ragazze uscì dal negozio e, passando, rivolse un'occhiata curiosa ad Angie e una molto più interessata ad Harry; il ragazzo si passò una mano sulla frangia, schiacciandola nervosamente contro la fronte e contro la cicatrice, e suggerì al fantasma:
- Entriamo? -
Angie alzò gli occhi e fissò prima Harry, poi le ragazze; le due si erano fermate, non molto lontane dalla vetrina, e continuavano a guardare Harry sussurrando eccitate tra di loro. Il fantasma annuì, affrettandosi ad attraversare la vetrina, il corpo incorporeo che fluttuava attraverso il materiale duro senza difficoltà. Harry la seguì - dalla porta, ovviamente - ritrovandosi circondato dagli scaffali caotici e sgargianti dei Tiri Vispi. C'erano pochi clienti: dopotutto, gran parte dei ragazzi in età da studenti erano ad Hogwarts, a lezione, e Natale era ancora lontano, troppo per i grandi acquisti delle feste.
- Harry! - esclamò una voce familiare che il ragazzo non s'era affatto aspettato di trovare lì: alzò gli occhi e vide una bella giovane dalla pelle scura e dai lunghi capelli raccolti in file fittissime di treccine uscire da dietro il bancone e andargli incontro. - Che bello vederti! -
- Angelina? - domandò lui, sorpreso. Angelina Johnson, ex Cacciatrice del Grifondoro, ex Capitano della squadra di Quidditch ed ex combattente della battaglia di Hogwarts, gli rivolse un sorriso raggiante, chinandosi per abbracciarlo. Harry sbatté le palpebre, per un attimo reso impacciato e confuso dall'effusione così aperta, prima di ricambiarla goffamente. Malgrado i centimetri che aveva guadagnato nel corso degli anni, Angelina era ancora lievemente più alta di lui; aveva un sorriso così ampio che i denti sembravano scintillare, bianchissimi, tra le labbra schiuse.
- Sono contenta di vedere che stai bene, Harry. Non ho più avuto tue notizie, dopo la cerimonia del Memoriale. -
- Che... che cosa ci fai qui, Angelina? -
La ragazza sorrise:
- Non lo sai? George mi ha offerto un lavoro ai Tiri Vispi... ma aspetta, Harry, vorrà salutarti anche lui. George! - esclamò Angelina, tornando verso il bancone. - Ehi, George! C'è Harry! -
Dalla porta che dava sul retro emerse un ragazzo alto, dai capelli di un rosso acceso lunghi sino alle spalle: Harry sapeva che erano portati così per coprire il lato sinistro del volto, dove, sotto alle ciocche, l'orecchio mancava del tutto. George si illuminò in viso alla vista di Harry, e gli andò incontro: come aveva fatto Angelina, anche lui allargò le braccia e lo strinse.
- E' bello vedere che non ti hanno ancora seppellito, Harry, amico. Mamma cominciava a pensare che ti avessero inumato a Grimmauld Place e si fossero scordati di avvertirci. -
Ora è il turno di Fred, pensò Harry, con un moto di nausea; ora è il turno di Fred di fare una battuta. E invece calò il silenzio, per un lungo istante, finché Angelina non guardò oltre Harry e non vide il fantasma, che si era fermato in piedi accanto ad uno scaffale con un'espressione incerta sul viso evanescente. Harry si schiarì la voce, raddrizzandosi:
- George, Angelina, questa è Angie. Angie, loro sono i miei amici George e Angelina. -
- Li conosco. - replicò Angie, quietamente. - Siamo entrati ad Hogwarts lo stesso anno, Harry. Salve, Angelina. Salve, George. -
Sia George che Angelina si erano girati verso il ragazzo, ora, fissandolo con gli occhi sgranati e la bocca schiusa; Harry scosse la testa, alla muta domanda che sembrava essere scritta negli occhi di George, con un'espressione che da sola diceva dopo. Più tardi ci sarebbe stato tempo per fare domande, per chiedere, per sapere. Per ora c'erano Angie e un programma della giornata da seguire, prima che venisse sera:
- Siamo venuti qui per firmare il registro degli ospiti, George. C'è ancora? -
George guardò Harry ancora per un istante, prima d'annuire e rispondere, semplicemente:
- Dietro il bancone, la penna è nel calamaio. -
Harry aggirò il bancone, seguito dal fantasma, e trovò senza difficoltà l'enorme quaderno rilegato con una copertina di scaglie gialle e nere. La penna era una lunghissima piuma di un qualche animale bizzarro ed esotico, dai colori assurdi, e l'inchiostro aveva una strana sfumatura grigia.
- E' Inchiostro a Singhiozzo. - spiegò George. - Ha diversi effetti piuttosto divertenti, ma non si può mai sapere cosa ne verrà fuori. -
Harry aveva una vaga idea di quanto potesse essere pericoloso non sapere qualcosa sugli effetti dei prodotti Weasley; così intinse la piuma nel calamaio con infinita cautela, prima di allungarsi sulle pagine e scrivere Angela Abigayle Glancenspark a grosse lettere. Angela, accanto a lui, si sporse e sorrise mentre la piuma si contorceva ed emanava un suono strozzato nelle dita del ragazzo; subito dopo la scrittura di Harry prese a torcersi e a spostarsi, tutte le lettere che si disponevano nell'ordine sbagliato e cambiavano di forma fino a diventare: Si avverte il signor lettore che gli sono rimasti tre secondi per levare le mani dal foglio. Meno tre, meno due...
Harry alzò le mani di scatto. Il risultato non fu precisamente quello sperato, perché dal quaderno spalancato emerse uno spruzzo di qualcosa giallognolo, appiccicoso e tremendamente simile a moccio: e, avendo Harry spostato le mani, non aveva neanche quelle a ripararlo. Lo spruzzo lo prese in piena faccia, incollandoglisi agli occhiali.
Boccheggiò esterrefatto, e dall'altra parte del bancone George si piegò in due, sghignazzando, esclamando tra una risata e l'altra:
- Colla Caccolosa, Harry! Hai una bella sfortuna, amico! -
Harry si tolse gli occhiali e cominciò ad armeggiare con la tasca destra dei calzoni, tirando fuori fuori la bacchetta per far Evanescere il grumo schifoso dalle lenti. Se le calcò nuovamente sul naso, poi, adocchiando Angie: il fantasma stava evidentemente facendo uno sforzo per non ridere, le guance gonfie e il petto scosso da piccoli singulti, mentre lo fissava con occhi scintillanti.
- Perché tu non sei ricoperta di moccio? - le chiese, irritato.
Angie indicò una chiazza di roba grigia che si era spiaccicata sulla parete del negozio precisamente alle sue spalle, con un sorriso:
- Mi è passato, uh, attraverso. -
Harry bofonchiò qualcosa a mezza voce, adocchiando il registro degli ospiti con aria poco amichevole:
- Ehi, George, grazie per avermi avvertito! -
Il ragazzo gli rivolse un sorriso enorme, replicando allegramente:
- Non c'è di che, Harry, davvero. Questo ed altro per te. -
Harry rialzò gli occhi e lo guardò. Il giorno della cerimonia del Memoriale George era sembrato devastato: aveva un buco al posto dell'orecchio sinistro - e un buco accanto, dove una volta c'era stato Fred. Fred e George che avevano aiutato Harry a caricare il suo baule sull'Espresso per Hogwarts, al primo anno. Fred e George che l'avevano spalleggiato per cinque anni, che gli avevano dato la Mappa del Malandrino, che avevano preso la Pozione Polisucco quand'era stato il momento di tirarlo fuori dalla casa dei Dursley. Fred e George che erano volati via in sella ad una scopa, in un glorioso pomeriggio, dopo aver beffato Argus Gazza e la Umbridge: Harry non riusciva a ricordarli in altro modo se non in quello. Non era stato sicuro, il giorno del Memoriale, che sarebbe mai stato capace di guardare George senza pensare a Fred.
Ma adesso George sorrideva, e faceva scherzi e battute. Sembrava più vecchio, più segnato, e il buco sull'orecchio era ancora al suo posto: ma c'era Angelina che era stranamente finita molto vicina al suo fianco sinistro, accostata tanto che le loro spalle si sfioravano.
Ad Harry tutto ad un tratto non importò affatto d'avere i capelli ancora pieni di moccio. Forse, pensò improvvisamente, forse, forse, forse, le cose che una volta erano state non erano irrimediabilmente perdute, ora. Forse.


Quarto: Salire sull'Occhio di Londra al tramonto.
Ore 17:04, 22 Novembre


- Ci siamo persi il tramonto. - bisbigliò Harry, sinceramente dispiaciuto. Adocchiò il fantasma con espressione colpevole, ma Angie sorrise solo:
- E' più bello a quest'ora. C'è anche la luna. Mi è sempre piaciuta un sacco la luna del pomeriggio. -
Nel cielo dove l'azzurro pallido della luminosa giornata di novembre si era fatto turchese, sfumato di rosa là dove il sole era appena affondato oltre l'orizzonte, la luna era una mezzaluna chiara dai contorni sfocati. Era davvero bella, pensò Harry. Luminosa, anche al di sopra delle luci della città. Sotto il sole l'acqua del Tamigi sarebbe stata bruna, il fiume come un nastro scuro attraverso i palazzi moderni sulle rive; ma nel crepuscolo rifletteva il colore del cielo, ogni cosa ovattata, in penombra. Gli edifici erano pieni di luci, il ponte una striscia scintillante per i fari delle auto.
La bolla in cui Angie e Harry erano saliti era quasi deserta; insieme a loro due c'era solo una coppia piuttosto giovane che teneva per mano un bambino biondissimo, non più grande di tre o quattro anni, intabarrato in una giacca quasi troppo grossa per lui; il padre l'aveva visto starnutire, entrando, e si era tolto la sciarpa per stringergliela attorno al collo e tenerlo caldo. A quella vista il cuore di Harry aveva pizzicato per un miscuglio di piacere, desiderio e dolore. Aveva desiderato per un attimo di poter essere quel bambino; aveva desiderato di poter, per una volta, lasciare che qualcuno si occupasse di lui, invece che doversi lui occupare degli altri. C'era e ci sarebbe stato sempre un posto per lui alla tavola dei Weasley; Kingsley Shacklebolt gli si era sinceramente affezionato, e la McGranitt lo amava teneramente, orgogliosamente e ferocemente, come avrebbe fatto una nonna un po' rigida: ma nessuno di loro, nessuno, sarebbe mai stato come un genitore. Non era stato come un genitore Sirius, perché poco tempo avevano avuto loro due per sé stessi e perché, anche se Harry avesse potuto veramente vivere con lui, probabilmente si sarebbe trovato a doversi occupare dell'uomo, ad averne cura. Sarebbe stato come avere un fratello maggiore, solo un poco immaturo e avventato e irresponsabile; mentre Harry era vecchio per la sua età, Sirius non era mai cresciuto. Non era stato come un genitore Silente, troppo occupato a vincere la guerra; l'aveva amato con sincerità, l'aveva protetto per quanto aveva potuto, ma non aveva esitato a gettarlo nella battaglia armato di sé stesso e di poco altro. L'aveva fatto per il bene di tutti, anche per quello di Harry: ma, pensava il ragazzo, nessun genitore avrebbe fatto qualcosa del genere al proprio figlio, mai. Non era stato come un genitore Remus, sempre troppo distante, né, il solo pensiero lo faceva insieme ridere e rabbrividire, Severus Piton. Severus Piton che l'aveva salvato, sì, ma non per lui. Non per lui. Per lei.
Gettò un'occhiata ad Angie, che stava guardando la Londra ai loro piedi con un'espressione luminosa e felice, le mani trasparenti appoggiate al vetro come se questo potesse essere veramente un appoggio, un sostegno. Il fantasma percepì lo sguardo del ragazzo sopra di sé e si volse per sorridergli:
- E' bello, no? -
Harry annuì:
- Sì. - E poi, mormorando pianissimo per non attirare l'attenzione della coppia con il bambino, in piedi dall'altro lato della bolla: - Potremmo tornarci. Magari questa volta prima di sera, per riuscire a vedere davvero il tramonto. -
Il sorriso di Angie si allargò ancora. La ragazza doveva aver avuto gli occhi molto chiari, in vita: erano quasi bianchi, ora che il suo corpo aveva perso tutti i colori, e luminosissimi. Piegò la testa, mentre gli faceva eco:
- Magari. -
Harry tornò a guardare avanti a sé: ma, volgendosi, si accorse con la coda dell'occhio che il bambino stava guardando verso di lui - verso di loro - e aveva la bocca spalancata. Aggrottò la fronte, guardando prima il piccolo, poi Angie. Sicuramente non poteva vederla, no? Solo i maghi potevano!
Angie sorrise al bambino, agitando una mano al suo indirizzo: e il bimbo, la bocca ancora aperta, sollevò una delle sue per ricambiare il saluto, lentamente. La madre si chinò a guardarlo, perplessa, prima di fissare Harry. Il ragazzo le sorrise e, a sua volta, salutò il piccolo.
- Ecco un altro che sarà sul treno per Hogwarts, tra qualche anno. - gli bisbigliò Angie nell'orecchio.
E il pensiero, per chissà qualche motivo, si disse Harry, era meraviglioso.


Quinto: Assistere ad una partita di Quidditch.
Ore 19:15, 22 Novembre


Sugli spalti affollati dello stadio, per una volta nessuno aveva fatto troppo caso ad Harry; qualche occhiata di più l'aveva guadagnata Angie, scivolando alle spalle del ragazzo e a tratti attraversando un mago o una strega in mezzo alla calca, ma tutto sommato erano passati allegramente inosservati.
- Di che partita si tratta? - aveva domandato Angie, entusiasta, sporgendosi dagli spalti per guardare il largo campo da Quidditch, con le sue porte dorate ai lati e migliaia di luci fatate sospese appena al di sopra del terreno per tenerlo illuminato.
- Le Frecce di Appleby contro i Cannoni di Chudley. - rispose Harry. Sorrise al ricordo di un berretto arancione che aveva fatto tremendamente a pugni contro i capelli rossi del suo migliore amico, sentendo tutto ad un tratto che un po' dell'eccitazione della partita stava cominciando a coinvolgerlo. Si ricordò di altri capelli rossi, e di un'altra partita di Quidditch, e del bacio luminoso che aveva dato a Ginny, il loro primo vero bacio. Di com'era stata calda, e gloriosa, e... Arrossì furiosamente e scosse la testa, cercando di scacciare quel pensiero. Angie fortunatamente non lo stava guardando: era troppo occupata a sporgersi dagli spalti - erano saliti fino al girone più alto, quello dei posti in piedi - per guardare lo stadio.
- I Cannoni di Chudley! - cinguettò, raggiante. - Come hai fatto ad avere i biglietti con così poco preavviso? -
- Uh... - confessò Harry, a disagio: - … potrei aver inavvertitamente detto alla biglietteria che erano per me. -
Angie si girò per guardarlo, a quel punto. Rimase in silenzio per un lungo istante, prima che il suo sorriso si facesse in un qualche modo più morbido.
- Grazie. - affermò, quieta.
Harry scrollò le spalle, arrossendo nuovamente, e indicò lo stadio.
- Stanno uscendo le squadre! -
L'annunciatore stava strillando proprio in quel momento i nomi dei giocatori. Le Frecce di Appleby schizzarono in volo attraverso lo stadio, sparando verso l'alto dalle loro bacchette un'ondata di scintille rosse, proprio mentre l'intera squadra dei Cannoni di Chudley si esibiva in una picchiata francamente spettacolare, riuscendo nel contempo a non perdere la formazione.
Harry si appoggiò agli spalti, proprio accanto ad Angie, e pensò che erano mesi che non si sentiva così: eccitato e leggero. Stranamente, infinitamente, meravigliosamente leggero. Era come se qualcuno gli avesse tolto un peso invisibile dalle spalle: non era stato in grado di vederlo, ma adesso che non c'era più la differenza era evidente. Dopotutto, si disse Harry, mentre un enorme sorriso si faceva largo sul suo volto, quello era Quidditch.
Con un'esplosione di fuochi artificiali che scoppiarono alti nel cielo prima di sfrecciare su e giù attraverso il campo e poi verso gli spalti, la partita ebbe inizio.

***



Quando lui ed Angie emersero dal camino di Grimmauld Place, Harry aveva il viso arrossato, il respiro corto, e si sentiva esausto, e animato, e felice. Era una sensazione che aveva dimenticato di saper provare. Anche la stanchezza era una buona stanchezza, una stanchezza da giornata piena: una giornata che non aveva passato a Grimmauld Place, nella casa morta e buia che Sirius aveva odiato, spartendo le sue ore con un elfo domestico e con troppo tempo a disposizione per pensare.
- Magari Kreacher mi ha lasciato qualcosa da mangiare. - esclamò, speranzoso. - In genere lo fa. Mi riempie il forno di cibo, e la metà finisce nel secchio. -
Angie corrugò la fronte con un'aria di disapprovazione che gli portò alla mente, tutto ad un tratto, Hermione:
- Potresti provare a mangiare di più. Non ti farebbe male, sai? -
Harry mugugnò a mezza voce qualcosa di incomprensibile e si incamminò verso la cucina; bloccandosi tuttavia a metà strada quando s'accorse che, in sua assenza, qualcuno gli aveva recapitato una lettera: la busta era sul pavimento di fronte al camino, l'intestazione ricoperta ancora una volta dalla grafia aggraziata di Hermione. Harry la raccolse e raggiunse la cucina, impegnandosi per cercare d'aprire la busta con una mano mentre con l'altra spalancava il forno ed estraeva, trionfante, una ciotola piena di stufato di pollo. Rivolse a Kreacher il più grato dei pensieri, prima di alzarsi ed armeggiare in cerca di una forchetta. Strappò la busta con i denti, spiegandola goffamente e appoggiandola al tavolo per leggerla mentre si cacciava in bocca la prima forchettata di pollo.
E si bloccò, con la posata in bocca, gli occhi fissi sulla lettera.
Angie lo trovò così, entrando in stanza un attimo più tardi, e sgranò gli occhi, dapprima perplessa, poi preoccupata:
- Harry? Harry, tutto... tutto bene? -
Harry alzò gli occhi, lentamente. Sbatté le palpebre e ingoiò il pollo che aveva in bocca.
- Sì. - rispose in fretta. - Sì, va tutto bene. -
Andava tutto bene. Tutto bene. Cercò di convincersene. Tutto bene. Era questo che aveva voluto, no? Era questo che aveva chiesto ad Hermione... era questo che era giusto. Guardò Angie. Era stata una bellissima giornata. Bellissima. Era stato bello avere qualcuno con cui parlare, qualcuno che non giudicava, qualcuno che sapeva. Era stato bello, ma non giusto. Questo, questo che Hermione aveva fatto, questo invece lo era.
- Hermione crede di aver trovato una soluzione al problema del ricordo di Piton. - disse. Cercò di tenere la voce ferma e neutra, ma non fu sicuro d'esserci riuscito. Angie lo guardò, l'espressione del tutto illeggibile, e non disse niente. - Vuole incontrarci domani. - aggiunse Harry dopo un attimo di silenzio: - Domani mattina. -





Note del capitolo: Sciò, sciò! Che state facendo qui? Andate a firmare questa, non date modo all'ennesima legislazione scritta da persona e/o struttura evidendemente ignorante in materia di passare.
In Italia il diritto d'autore è già trattato con due occhi di riguardo per le case editrici, le case discografiche, le case di produzione, con un rispetto minimo verso l'autore in sé e per sé; con questo nuovo progetto di legge una materia delicatissima come quella del diritto d'autore online (quando la Rete era nata per essere un mondo libero, l'iperspazio delle idee senza confini, distante dalle meccaniche economiche che regolano, tra le altre cose, la stampa su carta) viene trattata ad accettate (nel senso di "a colpi d'accetta" x°D), così come si è già fatto per la legislazione che regola i blog, i forum e le altre piattaforme accessibili al pubblico, così come si è già fatto per la legislazione sulla diffusione di dati in P2P.
Qui non si tratta di essere o meno favorevoli al plagio (ma chi è favorevole al plagio? O_O) o alla distribuzione online di materiale sotto copyright; qui si tratta di rischiare di trasformare la Rete nell'ennesimo strumento accessibile ESCLUSIVAMENTE, per ragioni pratiche, alle grandi strutture: Netlog, Facebook, Google, MSN e via discorrendo. La Rete non era nata per questo.

... sì, ho finito. x°D


La tomba di Geoffrey Chaucer (autore dei Racconti di Canterbury è veramente ospitata all'interno dell'Abbazia di Wstminster. Il St.James's Park è un luogo nel quale non mi dispiacerebbe trascorrere moooooolto tempo. E sì, c'è effettivamente la possibilità di assistere mentre si nutrono i pellicani. Se vi capita di passare per Londra, vi suggerisco di dargli un'occhiata! L'Occhio di Londra è una pessima idea se soffrite di vertigini: altrimenti, la vista è spettacolare, le cabine sono chiuse, è una gita piacevolissima anche per i bambini perché le bolle non sono strettissime. Ai piedi dell'Occhio potete prendere un traghetto, non costosissimo, per fare il giro del Tamigi.
Non devo dire che cosa sono i Tiri Vispi, vero? x°D Guh, Fred.... L'idea di un registro degli ospiti è mia: ma in Inghilterra ce ne sono di tanto in tanto nei negozi più famosi e antichi; a Roma ne potete trovare uno, invece, nel negozio Storia e Magia in Viale Ottaviano. Non ho idea di dove potrebbe trovarsi uno stadio, nel Mondo Magico, per una partita di Quidditch (non grande come quella della Coppa del Mondo!) a livello nazionale. Che mi suggerite? :P

Note papiriche! Un grazie a tutti voi che seguite questa storia... e uno particolare ad MrsBrick, che ha lasciato la 100° recensione a Prima di King's Cross. E' un record personale. x°D

Qualche tempo dopo: Duemila milioni di grazie a Gaea che mi ha fatto notare che è difficile che Harry ed Angie si siano Smaterializzati a Grimmauld Place, se hanno passato due capitoli a saltellare tra i camini per superare le barriere.
Ma facciamo finta di niente, zut zut!

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Capitolo 13
*** Il Contratto Inscindibile dell'Offizio dei Ricordanti ***





Capitolo 13
Il Contratto Inscindibile dell'Offizio dei Ricordanti




Questa volta non c'erano state discussioni, quando Harry aveva proposto ad Hermione di vedersi a Grimmauld Place: e, dopo una breve conversazione via Metropolvere, la ragazza era uscita dal camino spolverandosi la cenere di dosso.
- Non comincio il mio turno prima delle tre. - aveva spiegato. - Abbiamo tempo. -
Aveva adocchiato Angie, che se ne era rimasta un po' discosta, mentre Harry andava incontro ad Hermione per abbracciarla, e aveva teso la mano verso di lei:
- Hermione Granger, molto piacere. -
Angie aveva guardato la mano che le veniva offerta, aveva sorriso e aveva proteso una delle sue, incorporee, per replicare al gesto; Hermione era arrossita, ma Angie si era limitata a chiudere le proprie dita evanescenti attorno a quelle dell'altra.
- Angela Abigayle Glancenspark, e il piacere è mio. E' un onore conoscerti. Desideravo ringraziarti per aver permesso di trovarmi e per quello che stai facendo per me. -
- A questo proposito... - Hermione aveva smosso la borsetta che portava al braccio (e che aveva emesso, nel movimento, un rumore spaventosamente profondo, facendo sgranare gli occhi ad Angie). - Credo di avere qui con me la soluzione. Possiamo sederci? -
Ed erano seduti, adesso, tutti e tre, mentre Harry si comportava come un bravo ospite e versava tè nella tazza di Hermione. Kreacher, che ancora non era riuscito del tutto a scendere a patti con la presenza di una Mezzosangue nelle stanze dei suoi antichi padroni, sembrava aver deciso che far comparire vassoi traboccanti di biscotti e di fette di torta - più biscotti e più fette di torta, in effetti, di quanti una mezza dozzina di persone avrebbero potuto trangugiarne in un mese - ogni volta che Hermione era nelle vicinanze fosse un buon modo per omaggiarla senza andare contro ai desideri dell'adorata padrona Black.
E Kreacher, pensò Harry, sgraffignando un biscotto alle mandorle dal vassoio e sgranocchiandolo, cucinava abbastanza bene da farsi perdonare facilmente numerose piccole idiosincrasie.
- Hai detto di aver trovato una soluzione. - affermò Angie quietamente, dopo che Hermione ebbe bevuto un sorso di tè dalla propria tazza.
La ragazza, che non sembrava aver più fretta di affrontare questa conversazione di quanta ne avesse Harry, prese la borsetta che s'era lasciata cadere in grembo e l'aprì. Guardò per un attimo al suo interno, la fronte aggrottata, prima di cacciare una mano tra i lembi schiusi, poi un polso e infine il braccio. Mentre il gomito di Hermione spariva nella borsetta, Angie emise un suono basso di stupore e Harry le sorrise.
- Incantesimo Estensivo Irriconoscibile. - spiegò.
La voce di Angie trasudava ammirazione e approvazione nell'esclamare:
- Oooooh, ma è un incantesimo molto complicato! -
Hermione arrossì, ma parve nel contempo estremamente compiaciuta. Estrasse il braccio, un attimo più tardi, reggendo tra le mani un fascicolo di cuoio piuttosto rigido. Vi batté sopra due volte con la bacchetta, prima di posarlo sul tavolo ed aprirlo lentamente. All'interno della custodia del fascicolo era posata una pergamena dall'aspetto ruvido e antichissimo, sfrangiata ai bordi, coperta d'una scrittura fitta in caratteri che ad Harry apparvero incomprensibili come rune e sigillata, al fondo, da un marchio istoriato in rosso scuro.
Harry ed Angie si sporsero entrambi sulla pergamena: ma, mentre Harry continuò a guardarla con espressione vacua, Angie sembrò esserne immediatamente affascinata.
- E' in latino. - spiegò Hermione ad Harry. - Del dodicesimo secolo. Questi caratteri... -
- … sono quelli della grafia onciale. - la interruppe Angie, con una punta d'entusiasmo. - Veniva usata negli scritti magici d'una certa importanza, e soprattutto negli scritti a carattere giuridico, ma solo fino all'avvento dei testi stampati. -
- Uh. - Hermione sembrava divisa tra la soddisfazione d'avere qualcuno che la capisse, finalmente, quando parlava di cose di questo tipo, e la sorpresa che questo qualcuno effettivamente esistesse. - Precisamente. Sì. -
Harry combatté per nascondere il sogghigno nato di fronte all'espressione d'Hermione, schiarendosi invece la voce e affermando:
- Dovevo essere assente l'ultima volta che l'hanno spiegato ad Erbologia. -
Angie rise:
- Non è una cosa che spieghino ad Hogwarts! Ma il professor Vitious, al settimo anno, ha proposto un gruppo di studio alternativo per tutti quelli che si stavano preparando per i M.A.G.O. e che erano interessati a lavorare per la Gringott o per un altro istituto finanziario magico. Molte delle lezioni erano sui contratti magici. Sai? I contratti magici non hanno niente a che vedere con quelli Babbani! Se fai qualcosa per spezzare un contratto Babbano il peggio che ti può capitare è essere arrestato; se fai qualcosa per spezzare un contratto magico, invece, puoi anche morire. E il contratto saprà sempre che hai barato: non c'è modo di sfuggirgli. -
- E questo è il punto. - intervenne Hermione. - Harry: quando sei uscito dalla Camera dei Segreti, al secondo anno, ci hai raccontato l'aspetto che Tom Riddle aveva dopo essere stato liberato dal diario. Ti ricordi? -
Harry gettò un'occhiata ad Angie, a disagio, e non fu sorpreso di vederla con gli occhi sgranati, le labbra schiuse in un'espressione stupita mentre lo fissava.
- Sì. - rispose tuttavia ad Hermione. - Ebbene? -
- Il Tom Riddle che era uscito dal diario non era un fantasma. Assomigliava ad un fantasma, ma non lo era: era un ricordo. Giusto? -
- Giusto. - ripeté Harry, lentamente. - E il punto è? -
- Pensi che io non sia un fantasma? - domandò Angie, pianissimo: lei, invece, sembrava aver afferrato il punto anche da sola. Tutto ad un tratto, Harry si girò, la fissò, e tutte le cose che gli erano sempre sembrate strane, in Angie, gli tornarono alla mente . Le gambe: i fantasmi non avevano le gambe. Il suo sembrare così reale, così viva, così umana e terrena, come i fantasmi di Hogwarts non erano. - Pensi che io sia un ricordo? -
- Penso che tu non sia un fantasma. - ripeté Hermione. - Ma non penso che tu sia un ricordo. Penso che tu sia un'eco, Angie, una manifestazione della volontà del contratto rimasta legata a questo mondo. Questa pergamena è il Contratto Inscindibile stilato da un uomo di nome Lamberto Languedoca, nel tredicesimo secolo, a nome di una congregazione di maghi chiamata l'Offizio dei Ricordanti. Che era il modo in cui all'epoca veniva chiamato il lavoro dei Prestamente. -
Gli occhi di Angie si spalancarono, tutto ad un tratto, illuminandosi d'una luce di comprensione, ed Hermione proseguì, suonando sempre più trionfante:
- Questo contratto è stato conservato presso gli archivi del Wizengamot nel corso dei secoli: ne sono state fatte due copie, e una di esse è ad Hogwarts, mi hanno assicurato; ma non sono stata ancora in grado di trovarla. Ad ogni modo, questo è l'originale. In questa pergamena Lamberto Languedoca, portavoce dei Ricordanti, ha stilato il primo contratto sulla base del quale tutti i contratti sul trasporto dei ricordi che sono seguiti sono stati stesi: anche quando i Ricordanti sono finiti sotto il controllo del Wizengamot in Inghilterra, nel 1723, e sono diventati Prestamente con una licenza obbligatoria, sotto la supervisione parziale del Ministero, il contratto di Languedoca ha mantenuto la sua validità. E' stato creato per essere collegato magicamente ad ogni nuovo Prestamente attraverso i secoli. Non può essere bruciato, o... o strappato, o cancellato! -
Un dito evanescente di Angie sfiorò la pergamena, gli occhi del fantasma posati sulla spessa scrittura nera con un'espressione che Harry non riuscì a decifrare: sembrava curiosa, sì, ma non del tutto neutra. Il modo in cui fissava il foglio, il contratto, non era amichevole.
- E che cosa c'è scritto qui sopra? - chiese dopo un attimo di silenzio. - Io non conosco il latino. -
- Be'... - spiegò Hermione. - … la maggior parte delle clausole riguardano i doveri morali di un Prestamente: le cose che possono e non possono fare, il fatto che non possano consegnare un ricordo a loro affidato a nessuno che non sia il legittimo destinatario o sangue del suo sangue nel caso di sua morte, o che non possano vedere il contenuto dei ricordi, o le forme in cui un contratto può essere personalizzato: lascia grande libertà in questo senso. Ad ogni modo, quello che ci interessa è una delle clausole in fondo. -
Si sporse sul foglio, indicandola con il dito, e sia Angie che Harry - benché nessuno dei due avesse la benché minima possibilità di capire che c'era scritto - si affacciarono per guardare.
- I casi di mancanza di parenti stretti del destinatario erano rarissimi: i maghi generalmente sono imparentati attraverso grandi famiglie. I ricordi potevano essere consegnati per linea di sangue risalendo sino ai nonni e ai cugini di secondo grado, e questo lasciava molte possibilità aperte. Per questo la clausola che ci interessa è una delle ultime. - Spiegò Hermione. Si interruppe per un attimo, prima di proseguire con lentezza: - Qui dice che, nel caso in cui nessun parente stretto del destinatario sia ancora in vita, è possibile consegnare il ricordo a un erede non legato dal sangue, purché il destinatario stesso abbia espresso la propria volontà in proposito attraverso un documento controfirmato da almeno due testimoni. -
Harry aggrottò la fronte:
- Un erede...? - E poi, mentre il significato delle parole di Hermione si abbatteva su di lui come una specie di fulmine: - Non puoi pensare che... io? E' per questo che hai voluto il testamento di Piton? Perché pensi che sia io? Che il ricordo di Piton debba andare a me? -
Hermione annuì, lentamente, e Harry scosse la testa:
- Piton non ha lasciato scritto nulla in proposito ai suoi ricordi, Hermione. Solo... solo oggetti personali. -
- Piton ti ha lasciato a tutti gli effetti i suoi ricordi, Harry. Molti dei suoi ricordi più importanti. - specificò Hermione, con fermezza. - Io credo che abbia deciso di consegnarti tutti i suoi oggetti personali anche per questo: era un modo per assicurarsi che, in ogni caso, tu potessi legalmente conservare il possesso della fiala che ti ha consegnato prima di morire, secondo le regole dei contratti magici. Perché non capitasse in mano ad altri, magari. Perché tu potessi distruggerla. -
Mentre quel che Hermione diceva si sedimentava in Harry, lentamente, la ragazza si girò per guardare Angie: il fantasma se ne stava seduto sul divano davanti a loro due, le mani intrecciate l'una all'altra e strette sulle ginocchia, l'espressione lievemente agitata, confusa. Hermione si sporse verso di lei, chiedendole gentilmente:
- Puoi dirci chi ti ha consegnato il ricordo per Severus Piton? Potrebbe aiutarci a capire il professore aveva previsto che sarebbe arrivato ad Harry, oppure no. -
Angie spostò lo sguardo da Hermione ad Harry, e fissò il ragazzo per un lungo istante. Poi, lentamente, scosse la testa:
- Non posso farlo finché non ho consegnato il ricordo. La persona che l'ha affidato a mio padre era molto potente. Il contratto è molto forte. Mi lega le mani. -
- Ma puoi provare a consegnare il ricordo ad Harry, giusto? - insisté Hermione, piano. - Per vedere se funziona? -
Angie tenne gli occhi su Harry. Rimase in silenzio, ancora, prima di annuire lentamente:
- Posso farlo. - Prese un respiro profondo: lo faceva spesso, aveva notato Harry, anche se non ne aveva alcun bisogno. Era una di quelle cose che la facevano sembrare così disperatamente umana, così disperatamente viva. - Penso sia possibile. Penso sia... ragionevole. Non ho mai consegnato un ricordo a qualcuno che non fosse un parente, ma... ma il contratto mi farà sapere, quando ci proverò, se posso farlo o meno. -
Gli occhi incolori scivolarono per un attimo su Hermione: poi, come attirati da una calamita, tornarono a posarsi su Harry.
- Se è possibile... - disse al ragazzo, in un tono molto lento, molto quieto. Sembrava un po' più vecchia del solito, adesso, con le spalle diritte e le mani intrecciate l'una all'altra: dimostrava qualcosa di più dei diciannove anni che aveva avuto quand'era morta. - … mi piacerebbe andare a fare una passeggiata in riva al mare, prima. -
Sesto, pensò Harry, camminare in riva al mare. Sei cose da fare prima di morire. Avevano avuto una giornata bellissima, e adesso Angela Abigayle Glancenspark stava pensando ad un buon posto dove tentare il proprio permanente, definitivo, irrimediabile e stavolta effettivo trapasso. Harry sentì il cuore dolergli, e dolergli forte, e per un attimo si trovò senza fiato; ma poi annuì e, con tutta la calma che riuscì a mettere insieme, rispose:
- Sì. -





Note del capitolo: Avevo completamente rimosso il fatto che fosse mercoledì sera. Abbiate pietà: ho dato un esame stamattina e un altro ne darò domani.
Se volete tirarmi dei carciofi, mi raccomando, carciofi piccoli. I pomodori no, che poi schizzano e macchiano dappertutto.

Niente da dire sull'Offizio dei Ricordanti, che è farina del mio sacco. Qui potete trovare diversi artistici esempi di grafia onciale, usata da noi Babbani a testo intero sin dal III secolo, sostituita dalla più rapida ed efficace minuscola carolina intorno all'VIII secolo e conservata a lungo all'interno di titoli, sottotitoli, intestazioni e maiuscole. Languedoca è una spietata italianizzazione di lenga d'òc, o lingua d'oc, ossia l'occitano o provenzale.

Per chi non lo sapesse - ma per non saperlo dovete aver trascorso almeno gli ultimi tredici mesi su Marte - oggi è uscito in Italia il film Harry Potter e i Doni della Morte - Parte II. Quell'infame di mio fratello (che gli si incarti la pellicola) è andato a vederlo stasera, io e dierrevi andremo ad acculturarci sabato.
Chi di voi è già andato a vederlo? Chi ha intenzione di andarci? Chi ha prenotato i biglietti con sei mesi d'anticipo?
... il primo che spoilerà sarà Cruciato sul posto, perciò badate bene a ciò che dite.

Grazie a tutti voi che vi fermate sempre, a tutti voi che vi fermate spesso, a tutti voi che vi fermate solo ogni tanto, ma sempre tanto carinamente.

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Capitolo 14
*** King's Cross ***





Capitolo 14
King's Cross




Il primo posto che era venuto in mente ad Harry, quando aveva cominciato a pensare ad un luogo dove portare Angie, era stato Villa Conchiglia: era, nella sua testa, il ricordo di una casa sicura dove riprendersi dalle ferite, dalla stanchezza, di una spiaggia dove seppellire un amico prezioso, del mare grigio e del cielo notturno pieno di stelle, pieno di luci, che si erano riflesse negli occhi di Dobby mentre questi moriva.
Aveva scritto a Bill, e la risposta dell'uomo era stata piena di calore. Harry era il benvenuto dai Weasley - da tutti gli Weasley, sempre. Fleur l'aveva abbracciato e baciato sulle guance, quando si era Materializzato insieme ad Angie fuori dalla porta di Villa Conchiglia; era sempre slanciata e bellissima, con i capelli, lunghi fino alle ginocchia, che scintillavano come pallido argento.
- Oh, Arrì. - aveva esclamato, con un gran sorriso. - E' bello vederti, dopo tonto tempo. -
- E' bello vedere voi. - aveva risposto Harry, sinceramente.
Il viso forte di Bill portava ancora i segni di Fenrir Greyback; li avrebbe portati per sempre, probabilmente, ma non sembravano più neanche lontanamente orribili com'erano stati all'inizio. Erano diventati una parte di lui: come la cicatrice sulla fronte di Harry, gli sfregi sul viso di Bill l'avevano reso quel che era adesso. L'ultima volta in cui Harry aveva visto lui e Fleur era stato il giorno della cerimonia del Memoriale: era stata, si disse con una punta d'improvviso sarcasmo rivolta più a sé stesso che a chiunque altro, l'ultima volta in cui aveva visto un sacco di gente. Non poteva essere un buon segno... no?
Gli occhi di Bill e di Fleur si erano posati su Angie, e Harry si era affrettato a fare le solite presentazioni:
- Angie, questi sono Bill Weasley e Fleur Delacour. Fleur, Bill, lei è Angie. -
Angie aveva sorriso:
- Molto piacere. - E poi, mentre una sfumatura allegra e candidamente entusiasta si faceva strada nella sua voce: - Uh, wow. Non avrei mai pesato di poter conoscere da vicino due campioni del Tremaghi. Forte! -
Angie ricordava con un senso di piacere l'anno del Torneo Tremaghi: aveva detto ad Harry, una volta, che era stato l'anno migliore della sua vita. Quando il ragazzo le aveva chiesto perché, lei aveva scrollato le spalle:
- Sai, no? Ero appena diventata, be', non precisamente carina, ecco, ma appetibile. Ecco, appetibile è la parola giusta. Avevo dei ragazzi che erano interessati a me, e tante cose da fare, tante idee, ed era presto per preoccuparsi per i M.A.G.O.. E' stato un periodo bellissimo. A giugno, quando il Torneo Tremaghi è finito... come è finito... be', dopo il ritorno di Tu-S... uh, V-Voldemort, è stato complicato tornare ad interessarsi alle cose di prima. Alle cose normali. - Harry aveva sentito il proprio cuore farsi gonfio e pesante, ma poi Angie aveva sorriso con malizia, adocchiandolo, e aveva aggiunto: - E poi io non dovevo preoccuparmi di avere a che fare con un drago. Io, il drago, l'ho visto a distanza di sicurezza. Ampiamente di sicurezza. E' stato un grande anno, per me. -
Fleur ed Angie avevano chiacchierato per un po' del Tremaghi, e poi di Beauxbatons, mentre Fleur cucinava. Avevano cenato nel soggiorno arioso, pieno di vetrate, di luce, di vento, mentre Angie visitava i dintorni della casa; Bill aveva seguito con lo sguardo la figura evanescente dello spettro, attraverso le finestre, prima di guardare Harry e chiedere quietamente:
- C'è qualcosa che dovremmo sapere, in proposito? -
Harry pensò che una spiegazione sarebbe stata doverosa: ancora una volta Fleur e Bill l'avevano accolto e ospitato senza chiedere niente, e sarebbe stato sgarbato e insensato negare loro una risposta; solo, non se la sentiva di fornirne una proprio in quel momento.
- Vi spiegherò tutto. - promise invece. - Presto. -
Fleur e Bill si erano scambiati una lunga occhiata al di sopra del tavolo, prima che la ragazza si sporgesse e offrisse un grosso vassoio fumante ad Harry:
- Préndi ancora un po' di pastiscio, Arrì. Non hai toccato scibo... -
Ricordava talmente tanto la signora Weasley in questo, pensò Harry, che il ragazzo sorrise, accettò il vassoio ringraziando e si servì un'abbondante porzione di stufato di pesce e patate. Era tutto estremamente buono e alla fine del pranzo Harry si sentiva piacevolmente sazio.
Raggiunse Angie all'esterno, dopo aver sparecchiato, trovandola nel grazioso giardino costruito sul retro della casa, dove le clematidi azzurre e il mughetto si mescolavano a piante odorose di maggiorana e di timo. I cespugli di lavanda non erano fioriti, in quella stagione; ma una distesa fitta e compatta di papaveri scendeva verso la scogliera e, da lì, colava in rivoli stretti sino alla sabbia della spiaggia, molto più in basso.
- E' un posto bellissimo. - disse Angie, sorridendogli. - Grazie per avermi portata qui. -
Harry scosse la testa e non replicò. Rimasero in silenzio per un po', immersi nella tranquillità silenziosa di Villa Conchiglia, dove il suono delle onde e quello del vento erano i soli a spezzare la quiete. Angie si chinò per immergere le mani tra i papaveri: Harry vide le sue dita incorporee passare tra i petali rossi e i rigidi steli verdi, colorandosi del colore della terra e dei fiori. Il fantasma se ne rimase inginocchiato lì ancora per un istante, prima di risollevarsi:
- Ti va se scendiamo alla spiaggia a piedi? - chiese. - Vorrei fare una passeggiata. -
Nel periodo che aveva trascorso lì, agli inizi di quello stesso anno, Harry aveva percorso spesso il tragitto che separava il mare da Villa Conchiglia: in primavera aveva avuto un colore da turchese pallido; ora, in inverno, rifletteva il cielo argentato, la spuma bianca che sembrava far eco alle nuvole. Il vento alzava alti marosi che s'abbattevano con forza sulla scogliera e sulla spiaggia, scavando la sabbia attorno alle rocce grigie. Scesero lentamente tra le rocce, Harry procedendo con cautela per non scivolare, il fantasma che sembrava camminargli accanto ma che, ovviamente, non doveva affatto badare a dove metteva i piedi.
- Mia madre mi portava spesso al mare. - disse Angie, tutto ad un tratto. - Diceva che tutti i bambini dovrebbero imparare a non aver paura dell'acqua, prima ancora che a nuotare. Mio padre, invece, era terrorizzato: pensava sempre che un'onda mi avrebbe portata via. I maghi non sono granché a nuotare, mh? Non sono molto... molto bravi, nelle cose fisiche. Basta pensare che il loro sport preferito prevede delle persone sedute. Su una scopa, ma sedute. -
- Il Quidditch è forte. - protestò Harry, sentendosi vagamente offeso, ed Angie rise:
- Sì, il Quidditch è forte. Molto forte. Fa sembrare tutti gli sport Babbani piuttosto noiosi. Tranne la pallacanestro... - aggiunse dopo un attimo, con un sorriso luminoso: - … la pallacanestro è fantastica. -
Harry si tolse le scarpe, quando arrivarono sulla spiaggia, lasciandole su una roccia asciutta con le calze all'interno; si rimboccò i calzoni con cura, poi, prima di incamminarsi sulla striscia di sabbia umida battuta dalle onde. L'acqua era gelida contro i piedi e il vento freddo, scivolando contro la pelle umida, gli dava i brividi: ma era una sensazione piacevole, decise. Si leccò le dita, dopo essersi chinato per passarle tra le onde, e il sapore di sale gli esplose dentro la testa.
- E' stato qui che ho visto il mare per la prima volta. - raccontò ad Angie. - Questa primavera. -
Angie lo guardò con curiosità:
- Non eri mai stato al mare, prima? -
Harry scosse la testa.
- Neanche da bambino? -
Il sorriso di Harry si fece lievemente amaro:
- Forse i miei genitori mi ci hanno portato, ma non me lo ricordo. I miei parenti, invece, sicuramente no. -
Angie rimase in silenzio per un lungo istante, prima d'osservare:
- I tuoi parenti non dovevano, mh, essere persone simpatiche. Fai una faccia strana quando ne parli. -
Harry sorrise: Angie aveva un modo caloroso e assolutamente candido di affermare certe cose, che gli ricordava decisamente Luna. Luna gli mancava. Aveva pensato spesso, nei mesi che erano seguiti alla Battaglia di Hogwarts, di parlare con lei, perché forse Luna avrebbe saputo cosa dire per far sembrare le cose giuste; proprio come aveva fatto dopo la morte di Sirius, forse Luna avrebbe potuto parlargli ancora del Velo, e di quelli che lo stavano aspettando proprio lì dietro, al sicuro, insieme lontani e infinitamente vicini. E magari Harry, in cambio, le avrebbe raccontato della stazione di King's Cross. Non l'aveva mai detto a nessuno, quello: sembrava una cosa troppo personale, e troppo assurda, per poter essere raccontata. Ma Luna, forse, avrebbe capito.
- No, non erano persone simpatiche. - confermò. - Mio cugino è a posto, comunque. Quando eravamo piccoli era insopportabile, viziato, arrogante e prepotente; ma poi credo che sia cresciuto. -
Raccolse un paio di sassi e cercò di farli rimbalzare sull'acqua: ma andarono tutti perduti tra le ondate, inghiottiti dalla spuma marina. Con l'avvicinarsi del tramonto il cielo si stava schiarendo. Il sole si fece largo tra una nuvola e l'altra, affacciandosi come un'enorme moneta dorata all'orizzonte; il vento forte spingeva via le nubi e faceva svolazzare i vestiti di Harry; quelli di Angie, accanto a lui, erano invece innaturalmente immobili, fissi attorno al corpo trasparente. Il mondo visto attraverso di lei prendeva una luminosissima sfumatura azzurrata.
Harry guardò verso il mare, tutto ad un tratto, e chiese quietamente:
- Credi che Hermione abbia ragione? Credi di dover consegnare il tuo ricordo... a me? -
Angie si girò e gli sorrise, ancora:
- Credo di sì. -
- E... ed è questo che vuoi? Voglio dire... puoi restare qui. - disse Harry, in fretta. - Se vuoi puoi restare qui ancora un po'. Possiamo aspettare. Puoi avere tutto il tempo che ti serve. -
Il sorriso del fantasma rimase chiaro, limpidissimo: aveva gli occhi tristi, ma il viso era sereno.
- Ce l'ho avuto. Non sono stata felice di morire, Harry Potter, ma sono morta in un modo che non rimpiango: sono contenta d'aver preso il posto di mio padre, perché quello che portavo con me era prezioso. Ha perso di senso alla fine della guerra, certo, ma in guerra era importante che venisse conservato... che venisse preservato. Mio padre sperava di salvarmi, mandandomi lontana: non è andata come si aspettava, ma è andata come è andata, e non ho paura di quel che verrà dopo. -
Harry rimase in silenzio per un lungo istante, combattendo il groppo bruciante che sembrava avergli serrato la gola. Quando fu sicuro di poter parlare senza che la voce gli si spezzasse, affermò:
- Domattina andrò dalla McGranitt per chiederle di riprendermi a scuola. Voglio tornare ad Hogwarts. - Il viso di Angie si illuminò d'evidente contentezza, e Harry sentì il proprio cuore scaldarsi a quella vista. - Non sono sicuro di voler ancora diventare un Auror. Ho visto... ho visto molte cose brutte, nell'ultimo anno, e non so se ne voglio vedere ancora. Ma voglio tornare ad Hogwarts, questo sì. L'ho capito da poco. Mi spiace non averlo capito prima. -
- Avresti potuto non capirlo mai. - esclamò Angie, allegramente. - Meglio ora che mai, mh? Saresti un grande Auror, Harry. Un grande insegnante, un grande giocatore di Quidditch, e sono sicura che saresti anche un grande papà. - Ignorò il rossore improvviso che si era fatto largo sulle guance di Harry a quelle parole e proseguì: - Potresti essere un sacco di cose meravigliose. Non è bello? Avere tante possibilità davanti? -
Si avvicinò alla riva del mare, mentre parlava, finché non ebbe i piedi in acqua: le sue scarpe non potevano macchiarsi, i suoi calzoni non potevano bagnarsi e lei non poteva sentire freddo. Il sole sprofondò in quel momento oltre la linea del mare, inghiottito dall'acqua e dalle nuvole, e il cielo si tinse d'una sfumatura più scura di violetto.
- Non dovresti mandare niente sprecato. - disse lei, ancora. - Nessuna di queste possibilità. -
Harry pensò che era contento che fosse quasi buio, perché, così, Angie non avrebbe visto le lacrime che gli erano colate sul viso. Non sapeva neanche per chi stesse piangendo: per lei, che era in partenza, per i nomi sul Memoriale, per tutto quello che la guerra gli aveva portato via e gli avrebbe portato via, ancora, negli anni a venire. Harry non si faceva illusioni: una parte di lui sarebbe sempre, sempre, sempre, rimasta davanti a Voldemort, in attesa di morire, o nascosta in una tenda nel mezzo di una foresta scura, con niente da mangiare e molto da temere, o nel ripostiglio sotto alle scale. Poteva imparare a convivere con quella parte di sé, ma non liberarsene. Ebbene, avrebbe imparato. Avrebbe imparato. Ne valeva la pena.
Angie si girò e tornò verso di lui solo quando le prime stelle fecero la loro comparsa nel cielo azzurro scuro: attraverso di lei riusciva a vedere la linea più chiara ad ovest, con un nastro brillante all'altezza del petto del fantasma.
- Vuoi avere il tuo ricordo, ora, Harry? -
- Se tu lo vuoi. - rispose lui, fermamente.
Angie annuì.
- Allora sì. -
Angie protese la mano destra verso di lui; ed Harry, che in quei giorni l'aveva accompagnata in ogni sua consegna ed aveva visto come funzionava il passaggio, le offrì la propria. Le dita evanescenti dello spettro si strinsero per un attimo attorno alle sue, più gelide del vento freddo sulla pelle del ragazzo, accogliendole.
- Harry Potter... -
- Harry James Potter. - la corresse lui a mezza voce.
- Harry James Potter. - riprese Angie, dopo un attimo d'esitazione. - Vuoi accettare a nome di Severus Piton il ricordo che mi è stato consegnato il 13 marzo del 1997 da Albus Percival Wulfric Brian Silente ? -
- Silente? - bisbigliò Harry, il fiato mozzo.
Angie gli sorrise, debolmente, e ripeté solo:
- Lo accetti? -
Harry riuscì, attraverso la momentanea confusione che l'aveva assalito, a focalizzarsi sul contratto. Il contratto era tutto quel che contava, ora: per il resto ci sarebbe stato tempo.
- Sì. - mormorò. - Sì, lo accetto. -
Angie alzò la mano sinistra, portandosela alla fronte e pizzicando in corrispondenza della tempia per un attimo, gli occhi socchiusi:
- Hai la fiala con te? -
Harry frugò in una tasca della giacca sino ad estrarne un'ampolla di vetro trasparente: la stappò e la protese verso Angie. Il fantasma estrasse dalla propria testa il ricordo, il brandello scintillante come argento liquido nella sera incombente, e sul suo viso s'accese un sorriso luminoso, sfavillante.
- Funziona! - bisbigliò eccitata. - Funziona davvero, Harry...! -
Avrebbe dovuto esserne felice, si disse Harry, ma non lo era. Non del tutto. Angie lasciò cadere il brandello di ricordo nell'ampolla che le veniva offerta e questo brillò, sfavillante, tra le mani di Harry. Angie allungò le proprie per serrare quelle del ragazzo: erano gelide, ghiacciate, ma a lui non importò. Il fantasma lo guardò negli occhi e sorrise.
- Il professor Silente ci teneva molto a che questo ricordo arrivasse al destinatario dopo la fine della guerra. Era tra le clausole: mai prima della morte di Voldemort. Doveva essere... molto importante... per lui. - E poi, mentre il viso si piegava per un attimo in un'espressione preoccupata: - Non posso sapere cosa c'è nel ricordo, Harry. Se è qualcosa... qualcosa di brutto, ti prego, buttalo via. Tu puoi farlo. Buttalo via, non guardarlo. Vivi una buona vita. - aggiunse, dopo un attimo d'esitazione.
Harry cercò di stringerle le dita: non poté farlo, e Angie sembrò anzi farsi più evanescente di prima, più sfuggente e intangibile. Le sue mani, che prima erano ghiacciate, ora sembravano come una brezza fredda e nulla di più.
- Grazie. - mormorò.
- A te, Harry. - Anche la voce di Angie sembrava essersi fatta meno presente, più lontana. - Per tutto. Per queste bellissime giornate, grazie. Spero che tu non ti offenda, perciò, se dico che vorrei rivederti il più tardi possibile... -
Harry sorrise:
- Ci rivediamo a King's Cross, Angie. -
Il fantasma inclinò il capo da una parte e parve perplesso, per un attimo; ma poi il suo sorriso s'allargò, trasformandosi in una risatina. Aveva gli occhi stranamente luminosi, come lucidi; se fosse stata viva, Harry avrebbe pensato senza dubbio che stesse per piangere.
- Sul binario per Hogwarts! - esclamò Angie. La luce che era sembrata sempre risplendere attraverso il suo corpo, accendendolo dall'interno, tutto ad un tratto s'affievolì e si spense: l'attimo dopo esplose nuovamente in una marea di scintille che si sparsero in tutte le direzioni, come un fuoco d'artificio, prima di scivolare verso l'alto sospinte dal vento. Al cielo, alle stelle.





Note del capitolo: No, non è ancora finita. Ce n'è ancora uno.
Sono in ritardo sul ritardo. Ma, guh, è estate, sì? Scommetto che siete tutti quanti al mare e/o montagna e nessuno sta leggendo questo capitolo. U_U
I ringraziamenti finiscono tutti nel prossimo capitolo. Nel frattempo vi dico solo che ho visto il film. E... guh. Guh. E' proprio il caso di dirlo.

Grazie a tutti voi che passate e vi fermate. Mi avete resa felicissima.

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Capitolo 15
*** Il primo nuovo giorno ***





Capitolo 15
Il primo nuovo giorno




Era poco più che un ragazzo, pallido ed emaciato, vestito in lunghi abiti neri. Era in piedi al fianco di Albus Silente, nel mezzo della Sala Grande; il Preside gli teneva una mano sulla spalla con malcelata premura. Quattro tavoli di studenti erano rivolti verso di loro, gli sguardi fissi e le espressioni intente, curiose, avide: molti di essi conoscevano la sua storia; altri erano figli, fratelli e sorelle di persone con le quali aveva studiato in quella stessa scuola; ed altri ancora, invece, erano stati suoi compagni di scuola, prima che lui finisse il suo settimo anno ad Hogwarts.
Aveva un'espressione arcigna e chiusa, pensò Harry, assai poco amichevole; gettò una lunga, minacciosa occhiataccia al tavolo dei Grifondoro, e la stretta del professor Silente sulla sua spalla si fece per un attimo più forte.
- Il professor Lumacorno ha deciso di concedersi finalmente un periodo di meritato riposo; gli facciamo i nostri migliori auguri, affinché si goda gli anni della pensione, e salutiamo il nuovo professore di Pozioni: il professor Severus Piton! -
Severus Piton non sembrava affatto contento di trovarsi lì. Sembrava stanco, si disse Harry. Era il 1981, in settembre. Due mesi più tardi, James e Lily Potter sarebbero morti nella loro casa di Godric's Hollow, a causa della profezia che questo giovane, esausto, magro uomo aveva consegnato al suo Oscuro Signore, lasciandosi alle spalle lui, Harry, orfano e segnato.
Negli applausi un po' incerti della Sala Grande, il ricordo sembrò sfumare. Sparirono i tavoli, sparirono gli stendardi delle case e i professori in piedi. Quando il ricordo riprese forma, Harry scoprì di trovarsi da qualche parte nei sotterranei: non c'erano finestre in vista, ma solo torce appese alle pareti per rischiarare i corridoi umidi e scuri. Si guardò intorno, per un attimo, cercando di orientarsi: e vide Piton procedere verso di lui, passargli attraverso e poi oltrepassarlo, senza notarlo, come sempre accadeva per tutte le persone nei ricordi del Pensatoio.
Harry gli andò dietro: seguì le sue falcate lunghe e secche, con un miscuglio di cupo divertimento e inaspettata nostalgia, pensando che Piton non era affatto cambiato nel corso degli anni. Per niente. Era spaventoso e minaccioso anche da giovane, e aveva l'espressione meno accattivante che Harry avesse mai visto: terrorizzò un gruppo di minuscoli studenti - del primo o del secondo anno, stabilì Harry, non più vecchi di così - con una semplice occhiata, prima di spalancare la porta di una classe e entrare facendosi vorticare alle spalle le vesti.
Gli studenti sgattaiolarono all'interno dell'aula in perfetto silenzio, disponendosi dietro ai calderoni e ai banchi senza osare guardarlo apertamente e gettandogli solo sguardi cauti e furtivi. Harry aggrottò la fronte, adocchiando Severus Piton con aperto sdegno, e fece il giro della classe per poterglisi affiancare: gli diede una strana impressione guardare gli studenti da questo lato della cattedra, non spiacevole, ma bizzarra. Tornò a guardare Severus Piton e scoprì che l'uomo si era voltato verso la lavagna, la bacchetta levata, dando le spalle alla cattedra.
Il suo volto non era più minaccioso, né inquietante, né spaventoso né arcigno. Era, di nuovo, solo molto stanco, e un po' incerto, e soprattutto insicuro: era il suo primo giorno di lezione, quello, realizzò Harry con una punta di sorpresa. Il primo giorno di lezione di Severus Piton. Aveva avuto ventuno anni, all'epoca. Aveva preso il Marchio Nero da poco, e da ancora meno tempo aveva tradito i Potter e confessato tutto a Silente nella speranza di poterli salvare - di poter salvare Lily. Aveva messo a rischio sé stesso, e affidato la cosa più preziosa che avesse ad Albus Silente, accettando in cambio di diventare un traditore, una spia, una pedina nel grande gioco di guerra che il Preside stava preparando.
Non avrebbe salvato Lily, Harry lo sapeva. Aveva salvato Harry, però, infinite volte. Era per Severus Piton che Harry era lì, adesso: non del tutto felice, non del tutto soddisfatto, ma vivo e vegeto. Respirava, camminava, amava e sentiva grazie a Severus Piton. Lui - tutti - l'intero mondo magico doveva la vita a Severus Piton.
Il giovane Piton batté due volte con la bacchetta sulla lavagna e gli ingredienti della pozione per contrastare l'acne apparvero in lettere bianche sull'ardesia scura. Il professore di Pozioni aggrottò la fronte ed indossò il suo miglior cipiglio, gelido e sarcastico, prima di girarsi:
- Siete qui per imparare... - disse. - … la delicata scienza e l'arte esatta delle Pozioni... -


Il ricordo che Albus Silente aveva lasciato al Prestamente era stato pensato, Harry lo capì mentre scendeva le scale di Hogwarts, lasciandosi l'ufficio della Preside alle spalle, per rammentare a Severus Piton, nel caso in cui questi fosse sopravvissuto alla guerra, il giorno di un nuovo inizio; per ricordargli che aveva sbagliato, e che sbagliare era umano, e che per i suoi errori aveva fatto ammenda. Albus Silente aveva voluto che Piton vivesse.
Ad Hogwarts Piton, come Harry, come Riddle, aveva trovato un rifugio. Non il migliore dei rifugi, sicuro, con i Malandrini in giro e i suoi compagni Serpeverde pronti a consegnarlo a Voldemort al primo segno di debolezza; ma un rifugio lo stesso, un posto per imparare, un posto per crescere. Severus Piton aveva insegnato lì per diciassette anni: i diciassette anni della sua età adulta, sino alla morte. Piton che aveva protetto gli studenti quando Voldemort era salito al potere, Piton che aveva avuto fiducia in Harry - anche se lo disprezzava.
Tenne l'ampolla in mano mentre attraversava l'ingresso e poi i portoni di legno, scendendo i pochi gradini che lo separavano dal parco della scuola e incamminandosi infine lungo le mura di Hogwarts. La pietra bianca del Memoriale apparve fatta poca strada; fronteggiava il lago in lontananza, riflettendo la luce di un mattino soleggiato e privo di nuvole.
Harry ebbe quasi l'impressione, per un attimo, di poter vedere ancora Angie in piedi, lì davanti, con il viso striato di lacrime grosse come chicchi di grandine: ma era solo un'impressione perché, lo sapeva, Angie era già andata oltre.
Si fermò a guardare i nomi sulla pietra bianca molto a lungo, fino a quando le lettere non si fecero sfocate, confuse attraverso il velo di lacrime che gli copriva gli occhi. Allora si asciugò il viso con la manica della maglia, lentamente, prima di sollevare la bacchetta. Tenere tra le dita il ramo di agrifoglio lo fece sentire più sicuro, più fiducioso: sembrava caldo al tatto, più caldo dei raggi del sole che gli colpivano il dorso della mano.
Mosse la bacchetta con cura per scrivere sulla superficie del Memoriale: Angela Abigayle Glancenspark, in fondo alla lista dei nomi di quelli che erano morti a causa di Voldemort. Lei era stata una vittima tra le altre, l'ultima, pensò Harry, mentre un calore improvviso gli riempiva lo stomaco, il suo sarebbe stato l'ultimo nome da aggiungere lì sotto.
Una voce familiare lo chiamò proprio mentre finiva di scrivere l'ultima lettera:
- Harry! -
Harry si voltò e sorrise: i capelli di Ginny splendettero alla luce del sole come una fiamma viva, sciolti e mossi e caotici attorno alle spalle, mossi dal vento. Aveva un'espressione splendente, raggiante e sicura che era l'espressione che il ragazzo più amava su di lei. Aveva avuto quella stessa espressione la prima volta che l'aveva baciata.
- Ciao, Ginny. -
- La McGranitt mi ha mandato a cercarti. - spiegò lei, fermandoglisi di fronte. - Mi ha detto che era sicura che ti avrei trovato qui. - Adocchiò la pietra alle spalle di Harry e il nome di Angie: Harry era sicuro di aver fatto un lavoro migliore di quello che aveva fatto per Dobby, ma la differenza con la grafia pulita e lineare degli altri nomi sul Memoriale era comunque eclatante. Ginny, tuttavia, non fece domande in proposito, e chiese invece: - Resti a cena, vero? -
Glielo stava chiedendo, Harry lo sapeva, nella speranza di poter stare con lui un altro po': il più possibile, il più a lungo possibile, per riuscire, magari, a convincerlo a tornare ad Hogwarts, a lasciare Grimmauld Place, a riprendersi una vita. Gli era occorso un po' di tempo per capirne il senso, ma adesso era lì, in bella mostra, reso così maledettamente evidente dopo aver conosciuto qualcuno che era troppo morto, ormai, per poter riavere una vita per sé.
- Resto e basta. - rispose perciò, con un sorriso enorme. - La McGranitt non te l'ha detto, vero? -
Ginny sbatté le palpebre e lo fissò, frastornata:
- Come? -
- Torno ad Hogwarts. - le disse Harry, senza riuscire a contenere d'un millimetro il proprio sorriso. - Ho parlato con la McGranitt, e lei... be', ha cominciato ad offrirmi Zenzerotti come Silente offriva caramelle al limone, per cui suppongo che fosse contenta. -
Ginny sorrise, poi rise, poi gli saltò al collo: gli buttò le braccia attorno alle spalle e lo strinse forte, prima di alzarsi in punta di piedi e baciarlo.
Harry le posò le mani sui fianchi e si chiese per un attimo come aveva fatto a fare a meno di tutto questo: sui prati di Hogwarts, con Ginny tra le braccia e la prospettiva di un anno in cui la cosa più pericolosa che avrebbe dovuto incontrare a giugno sarebbe stata la commissione dei suoi M.A.G.O.. Niente Pozioni Polisucco, niente Camere dei Segreti, Doni della Morte, Pietre Filosofali e Horcrux, niente gite all'Ufficio Misteri e passeggiate in cimiteri scuri popolati da pentoloni ribollenti di liquidi luminosi e pezzi di corpi. Niente di tutto questo, mai più.
Avrebbero continuato a fissarli, lui e la sua cicatrice, questo era certo. Ci sarebbero stati i soliti che non avrebbero capito, e le domande inopportune, la curiosità e gli ammiratori. Però ci sarebbero stati Ron, e Hermione, sicuro, appena fuori dalle mura di Hogwarts, e Ginny e la McGranitt, Luna e Neville e tutti gli altri; e un giorno, magari, avrebbe guardato le mura di Hogwarts senza ricordare i morti - solo quel che di bello, con quei morti, aveva vissuto.
- E' magnifico essere tornati. - bisbigliò.
E lo pensava.





Note del capitolo: Finisce così.

Chiudere una storia mi lascia sempre un po' di tristezza: e questa mi segue da novembre dell'anno scorso, è ormai quasi un anno che ci ho messo le mani, separarmene mi lascia giù.
Ringrazio Salice, alla quale devo ancora una storia, dierrevi, che mi ha accompagnata lungo l'ultimo tratto, Lely1441, che ha permesso che questa storia nascesse, Leireel che ha chiesto che questa storia venisse inserita tra le Scelte del sito.
Ringrazio tutti voi che vi siete fermati a lasciarmi un parere: sono stati tutti infinitamente apprezzati - specialmente quelli che hanno puntato ad evidenziare i punti carenti di trama e stile, e che mi hanno permesso di cercare di correggerli nelle storie che sto scrivendo ora.
Ringrazio con speciale calore quelli che hanno seguito questa storia dall'inizio alla fine: ho provato a ringraziarvi uno per uno, ma siete tanti, e mi sono persa a metà dell'elenco. Grazie, perciò, punto.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto.

E' il 1° Settembre, gente. L'Espresso per Hogwarts parte stamattina.





Ho dibattuto con me stessa fino all'ultimo minuto. Lo faccio o non lo faccio? Poi ho deciso: lo faccio.
Mi sono buttata in una storia che trovo complicatissima da scrivere, ma che concluderò assolutamente. Vi lascio, perciò, un assaggio del primo capitolo... che, se continuo con questi ritmi, sarà online solo verso novembre.
Sperando di non traumatizzare nessuno. x°D


[...] Mirtilla Malcontenta levò un urlo assordante: “ASSASSINIO! ASSASSINIO NEL BAGNO! ASSASSINIO!”
La ferita sul petto di Malfoy era larga e profonda: Harry vi premette le mani sopra e le sentì affondare nello squarcio. Il respiro del ferito si fece più rapido e spezzato, mescolato ad un lamento soffocato; sembrava emergere fuori stranamente liquido, e i versi che Malfoy faceva erano quelli di un annegato. Harry vide con orrore una schiuma rosata affiorargli sulle labbra e cominciare a colargli sul mento.
“Aiuto... no...” gemette confusamente.
Mirtilla Malcontenta piangeva rumorosamente, appollaiata sullo scarico. Harry si girò e guardò la porta del bagno, disperatamente sperando e pregando che qualcuno arrivasse, che chiunque arrivasse, Hermione o Ron o Silente, chiunque, perché il respiro di Malfoy si stava facendo sempre più debole e lui non sapeva cosa fare.
“Malfoy!” chiamò. Gli sembrava che la sua stessa voce emergesse da un posto lontanissimo. Suonava affannata, debole e tremante. “Malfoy, ti prego... ti prego...”
Malfoy si mise a tremare. Fu un lungo tremito, che lo scosse tutto dalla testa fino alle ginocchia, mentre lui tirava un gran respiro che gli fece risucchiare un po' di quella schiuma insanguinata in bocca. Il fiotto di sangue che uscì dalla ferita arrivò a schizzare Harry fino ai gomiti, e subito dopo Malfoy smise di respirare del tutto.
“Malfoy?” annaspò Harry. Il corpo sotto di lui era orribilmente fermo, adesso. Attraverso le palpebre socchiuse gli occhi avevano quella strana qualità, vitrea, annebbiata, che Harry aveva già visto sul volto di Cedric la notte della Terza Prova, nel cimitero... “No!” boccheggiò Harry, inorridito. “No! No... No, Malfoy, ti prego... Io non...”

“NO!”

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