A nuova vita di Melisanna (/viewuser.php?uid=9715)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Infanzia ***
Capitolo 2: *** Adolescenza ***
Capitolo 3: *** Giovinezza ***
Capitolo 4: *** L'età adulta ***
Capitolo 5: *** La Morte ***
Capitolo 1 *** Infanzia ***
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Alto nel cielo vola il corvo, viene a prelevare la mia anima.
Ho ucciso mia madre e giaciuto con mio padre. Mai più vedrò
il mondo con occhi umani.
Mia madre praticava. Per colpa mia, come amava ricordarmi. Era
molto bella e fin da giovanissima aveva mostrato una sorprendente attitudine
alla danza. Era stata notata ed aveva cominciato ad esibirsi con un certo
successo, tanto che le avevano organizzato una tourné nell'isola centrale:
"la fanciulla alata" la chiamavano. Ma aveva conosciuto mio padre. Parlava
sempre di lui quando era ubriaca, cioè la maggior parte del tempo,
disperandosi perché era sparito dopo averle rovinato la vita e la
carriera, lo malediceva e poi pregava perché tornasse. Stringeva il
medaglione d'avorio che portava sempre, piangendo, poi mi afferrava le braccine
infantili e, guardandomi negli occhi, mi chiedeva "Perché sei nata?".
Che domanda dificile da fare a un bambino, io non sapevo rispondere. Talvolta
me lo chiedo anche ora "Perché sono nata?" e non ho ancora trovato
risposta.
Ho passato la mia infanzia accanto ai fuochi da campo dei soldati. Mia madre
si era unita ai disperati e agli approfittatori che seguono le truppe per
fornir loro compagnia, alcool e sesso. Quel che mi ricordo di quel periodo
è che ero sempre sola. Non perché fossi l'unica bambina in
quella massa eterogenea, ma ero troppo diversa per piacere agli altri. Capivo
le cose e parlavo come un adulto e trovavo stupidi i loro problemi. Forse
se avessi finto di essere meno intelligente di quello che ero, sarei riuscita
a farmi accettare, ma ero troppo orgogliosa. Imparai a cavarmela da sola
e a tenere gli altri a distanza. Imparai anche a difendermi, perché
i paria sono da sempre le prede favorite di tutti.
Avevo poco più di sette anni ,quando venni aggredita da un branco
di teppistelli. Non ricordo bene cosa avvenne, ero terrorizzata e il sangue
che perdevo dalla fronte mi annebbiava la vista. So che afferrai una pietra
e colpii quello che mi teneva sotto e lui cadde, senza un suono, con gli
occhi vitrei. I miei aggressori mi lasciarono e fuggirono in preda al panico.
Io rimasi in piedi accanto al corpo, finché mia madre non venne a
trascinarmi via. Fui fortunata che il ragazzo era orfano e nessuno reclamò
giustizia. Quel giorno appresi quanto grande sia il potere della morte, che
aveva trasformato quel ragazzo grande, grosso e violento, che gridava con
voce stridula e mulinava i grossi pugni, in una cosa immota e silenziosa
che fissava il cielo serenamente. E giurai che mai più avrei avuto
paura della morte, ma che le avrei camminato al fianco. Lunghi anni di pratica
solitaria mi insegnarono a muovermi nel più assoluto silenzio e a
centrare una mela con un sasso da quindici metri: non farsi notare e colpire
a distanza, sono i precetti che mi hanno segnato la vita.
Un paio di anni dopo un giovane soldato, colpito dalla mia mira, si
interessò a me e mi prese come allieva. Era poco più di un
ragazzo, un apprendista lui stesso, ma era la cosa più simile ad un
maestro che avessi mai avuto. Veniva tutti i giorni a prendermi, il mio Sota,
e mi insegnava a combattere. Per la prima volta in tutta la vita qualcuno
sembrava ritenermi importante e io mi sentivo felice. Mi costruì lui
stesso un'arma, a imitazione della sua, legando un falcetto a un peso con
una lunga corda. Io avrei voluto una kusarikama vera, ma lui rideva, dicendo
che non sarei neanche riuscita a sollevare la pesante catena, tanto meno
a lanciarla. Voleva che diventassi una guerriera e io mi sforzavo di soddisfarlo
in tutti i modi, arrivando ad allenarmi di notte, dopo aver svolto le mie
faccende. Fu da lui che mi rifugiai quando mia madre morì.
Accadde il giorno del mio undicesimo compleanno.
Una bambina siede in ginocchio accanto a un basso tavolino. Ha lunghi
e arruffati capelli neri ed è snella e dall'aspetto fragile. accanto
a lei è posato un falcetto, una corda logora lo lega ad un piccolo
peso. Il tavolo è apparecchiato con stoviglie in legno e terracotta
dall'aspetto dimesso, ma la cena è molto ricca, con diverse pietanze
cucinate con cura, persino un piatto di carne. La bambina mangia timidamente,
ogni tanto alza gli occhi verso la madre, seduta di fronte a lei, come per
chiedere conferma che quel banchetto è a sua disposizione. Sembra
che aspetti che qualcuno le porti via il cibo e la punisca per averlo toccato.
Ma c'è anche qualcosa in più negli occhi della bambina, come
se sospettasse, con una lucidità anomala per la sua età, che
quell'improvvisa liberalità nasconda qualcosa.
"Coraggio, mangia, è il tuo compleanno! Guarda quanta buona roba!
Mi ricorda quando ero famosa, allora cenavo così tutte le sere..."
. La bambina è contenta, stasera la madre non beve e non parla di
quell'uomo, le ha preparato la cena e sorride. E' così bella! Con
un sorriso così luminoso! La bambina non può fare a meno di
sorriderle di rimando. Forse in fondo non c'è niente da temere, forse
la madre vuole davvero festeggiare il suo compleanno e forse, ma solo forse,
oggi non è pentita di averla fatta nascere. "Ma guarda questi capelli!
Sono tutti spettinati! Dovresti tenerli un po' meglio, stai ferma che li
pettino". Alla bambina piace che la madre le pettini i capelli. Non lo fa
spesso. La madre si siede dietro di lei e le comincia snodare i capelli con
un grosso pettine di legno. "Siamo rimaste soltanto tu ed io. La mamma vuole
bene solo a te. Ma quanti nodi! Anche tu devi volere bene alla mamma. Lei
ha solo te. E' così sola ora che papà se ne è andato.
E' sempre sola." La bambina si agita a disagio, questo non le piace. Quando
comincia a parlare così, la madre si mette a piangere. E' brutto quando
lei piange. La bambina non vuole assolutamente che lei pianga il giorno del
suo compleanno. E non vuole che pensi a quell'uomo, vuole che pensi a lei.
La bambina dà alla madre un ciondolo intagliato nell'osso. "Che bello!
E' così bello! Lo hai fatto tu?" La bambina annuisce. "E' così
brava la mia bambina, così intelligente, lo dicono tutti! Sa fare
così tante cose" La madre scoppia a piangere. Abbraccia la bambina,
la stringe così forte che quasi non la lascia respirare. "Mi dispiace
che tu debba finire così... mi spiace tanto.. siamo rimaste soltanto
noi due... non c'è altro da fare... se solo tuo padre non se ne fosse
andato, saresti vissuta in una reggia... se soltanto avessi il sangue, se
ti fossi risvegliata, forse sarebbe tornato a prenderci... ma così
non puoi fare altro, dobbiamo pur vivere in qualche modo... Ormai sei abbastanza
grande, devi cominciare a portare un po' di soldi a casa...tante qui hanno
cominciato anche più piccole". Negli occhi della bambina qualcosa
si spegne. Adesso ha capito. Capisce dove la madre ha trovato i soldi per
la cena e perché oggi le vuole bene. Vorrebbe avere il sangue, così
si risveglierebbe e quell'uomo tornerebbe. Allora forse sua madre sarebbe
davvero felice che lei sia nata e il suo compleanno sarebbe una buona ragione
per festeggiare. Ma non è così, la bambina sa che non sarà
mai così. Sua madre non sarà mai felice, lei non può
fare nulla per renderla felice. La bambina afferra il falcetto e lo affonda
nel ventre della madre. La madre la lascia. Guarda la bambina con un'espressione
strana. Non sembra che il colpo le abbia fatto male, pensa la bambina, sembra
stupita e basta. La bambina estrae il falcetto. Dalla ferita cola molto sangue,
non credeva che sarebbe uscito così tanto sangue. La madre si tocca
il ventre con le mani, poi se le porta al volto e le guarda ottusamente,
con aria attonita. Prova a dire qualcosa, ma al posto della voce dalla bocca
le esce un rivolo di sangue. La madre si accascia sulla bambina, continuando
a fissarla con gli occhi che piano piano si spengono. La bambina la guarda
di rimando, con occhi altrettanto vuoti. Poi la madre muore. La bambina se
la spinge via di dosso, le sfila dal collo un medaglione d'avorio e se lo
mette in tasca.
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Capitolo 2 *** Adolescenza ***
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Pulii la lama e mi cambia. Poi corsi da Sota. Singhiozzai tra le sue
braccia, piangendo per la morte di mia madre. Lui mi consolò e non
mi chiese mai niente, di puttane ne muoiono tante.
Convinse la vivandiera a prendermi al suo servizio. Lei mi rasò
la testa perché non prendessi i pidocchi, mi indicò l'angolo
del carro dove potevo dormire insieme agli altri sguatteri e si dimenticò
di me. Non credo abbia mai nemmeno saputo il mio nome. Si limitava ad urlare
un ordine e si aspettava che venisse eseguito da una di quelle entità
senza volto che le si aggiravano intorno. Se il lavoro era ben fatto, tutti
ricevevamo di che mangiare, altrimenti tutti venivamo frustati dalla sua
pesante cinghia di cuoio. Chi dovesse svolgere i compiti era affar nostro,
bastava che venisse fatto tutto in fretta e bene. Come ultima arrivata mi
ritrovai in fondo alla gerarchia, toccava a me passare gli strofinacci e
grattare il fondo degli immensi calderoni, tenere il grande fuoco acceso
e andare a riempire i secchi al fiume. Ma un po' alla volta riuscii a trovare
il mio equilibrio, imparai a rispondere al volo agli ordini più graditi
e a non farmi mettere sotto. Ed ebbi un'idea. Fino ad allora erano sempre
stati i più forti o i più veloci ad aggiudicarsi i lavori migliori.
Mentre gli altri dovevano sgobbare fino a spezzarsi la schiena, loro aiutavano
la cuoca ai fornelli e si saziavano rubacchiando qualcosa qua e là.
Altri, se si trovavano costretti a fare un lavoro duro, lo facevano
volontariamente così male che venivamo tutti puniti. Io organizzai
dei turni. Ognuno aveva diritto a un compito più piacevole dopo uno
duro. Quando qualcuno si rifiutava di svolgere il suo dovere, per quanto
fosse grande e prepotente poteva star certo che non sarebbe sfuggito alla
nostra vendetta. Nottetempo riunivo tutti gli altri. Lo afferravamo, gli
tappavamo la bocca con uno straccio perché non gridasse e lo riempivamo
di lividi. In cambio chiunque avesse davvero bisogno di aiuto lo riceveva.
Funzionava. I lavori venivano svolti e tutti erano soddisfatti. Riuscii a
instaurare con loro una specie di rapporto di mutuo soccorso. Per il resto
io me ne stavo per conto mio, non cercavo di mischiarmi ai loro giochi e
loro mi lasciavano stare.
Tutte le sere andavo a trovare Sota. Se aveva voglia mi insegnava a
combattere con la kusarikama, altrimenti mi raccontava quello che aveva fatto
durante il giorno e io ero contenta di ascoltarlo. Gli mostravo i miei progressi,
come la mia mira migliorasse di giorno in giorno, come la mia lama diventasse
sempre più rapida e letale e come mi abituassi un po' alla volta a
maneggiare la pesante catena. Lui era deliziato dalla velocità con
cui imparavo e sognava di farmi diventare famosa, magari in un'arena. Diceva
che saremmo diventati ricchi, ci saremmo comprati una villa e avremmo avuto
anche dei servitori. Non credevo neanche allora che sarebbe mai stato possibile,
ma era piacevole stare lì con lui che mi descriveva la nostra vita
futura. E forse avremmo davvero potuto andare ad abitare insieme un giorno,
non in una villa, ma in una casetta da contadini, avere tutto quello di cui
avevamo bisogno e essere felici. Lui era l'unico padre che desiderassi.
E' sera. Una ragazzina si sta lavando il viso seduta sulla riva di un
ruscello. Ha i capelli neri tagliati corti e una vestina lacera. E'molto
magra, ma un seno acerbo comincia a gonfiarsi sotto il kimono. Ha un espressione
pensierosa, vagamente triste. Nella cintura porta un falcetto e un peso,
legati con una corda. Poco lontano, alle sue spalle, le prime tende di un
campo militare, accanto a lei un grande melo allunga i suoi rami sul ruscello.
Un giovane esce dalla massa e si dirige verso di lei. Porta alla vita
una kusarikama ed ha un volto gentile. La chiama, lei si volta e lui alza
una mano per salutarla. La ragazzina gli corre incontro, un sorriso timido
che si allarga sul viso. "Come sta la mia bambina? E' andato bene il lavoro?
Non ti hanno rimproverata?" Lei risponde sottovoce. Il giovane le arruffa
i capelli, la ragazzina lo guarda adorante. "Mi fai vedere cosa hai imparato
oggi? Sì? Dai, sono curioso". La ragazzina infila i lembi del kimono
nella cintura, scoprendo le gambe magre, prende la sua strana arma e fa danzare
il peso intorno a se. E' concentrata, maneggia l'arma come se ne andasse
della sua vita. In modo un po' impacciato, si muove secondo i passi di un
kata. Il ragazzo si è seduto con la schiena appoggiata all'albero
e la osserva con attenzione. Sembra che stia studiando i suoi movimenti,
ma ogni tanto il suo sguardo scivola lungo le gambe nude della ragazzina
e sulla sua scollatura distratta. La ragazzina finisce il kata, è
leggermente sudata e ha un po' di fiatone, ma si volta verso il giovane con
espressione raggiante. Il giovane applaude e le sorride. Ha un sorriso aperto
e rassicurante! Alla ragazzina piace tanto. Il giovane è sempre allegro,
non piange mai, è felice. E' felice che lei sia così brava.
Il giovane le fa cenno di avvicinarsi. "Sei stata eccezionale, migliori sempre!
La mia piccola guerriera!" La ragazzina si siede accanto a lui. "Certo, ora
non sei più tanto piccola, quanti anni hai?" La ragazzina lo guarda,
c'è qualcosa di strano. "Tredici" sussurra. "Tredici anni? Ma allora
sei grande, una donna." La ragazzina si sente a disagio, qualcosa non va,
decisamente. Le fa piacere che lui pensi che è una donna, ma non riesce
ad essere proprio contenta. C'è una luce nello sguardo del giovane,
una luce che le ricorda qualcosa di brutto. Qualcosa che ha a che fare con
gli uomini che andavano a trovare sua madre. Il giovane la spinge contro
il tronco e la bacia. E' una bacio lungo e profondo. Alla ragazzina non piace,
non riesce a respirare e lui la stringe troppo forte. Rimane ferma e spera
che lui smetta. "Ormai sei grande, non dovresti continuare ad andare in giro
con le gambe nude come una bambina". La ragazzina si agita un poco, quando
lui le infila una mano nel kimono e le stringe il seno, cerca di allontanare
la mano, questo non va bene, sa cosa succederà ora. Lo hai imparato
per forza se hai passato la tua infanzia in un bordello. "Non fare così,
stai ferma. Sei grande, vedrai che piacerà anche a te. E' quello che
vuoi in fondo, no?" Il giovane smette di baciarle il collo e le sorride.
La ragazzina vorrebbe dire di no, che questo non è ciò che
vuole lei, proprio no. Ma non ci riesce, si limita a scuotere la testa e
a tentare di spingerlo via. Ma il giovane è molto più forte
di lei, più grosso e pesante. La tiene ferma contro il melo, mentre
le accarezza le gambe salendo sempre più in alto. "Vieni tutti i giorni
da me, con le gambe nude e mi guardi in quel modo. Credi che non me ne sia
accorto? Sono un uomo anche io, se mi provochi così, non ce la faccio
a resistere." La ragazzina piange silenziosamente. Lei non voleva provocarlo,
pensava di non doversi preoccupare di niente quando era con lui. Il giovane
le slaccia la cintura. " E' perché ti voglio bene che lo faccio. Mi
vuoi bene no? Allora ti piacerà. Stai ferma. Mi ferisci se ti agiti
così" La ragazzina smette di divincolarsi, si sfrega gli occhi con
il braccio per asciugare le lacrime. Lei vuole che lui le voglia bene, vuole
che sia felice. Il giovane si abbassa i pantaloni. Gli occhi della ragazzina
si fanno vacui quando lui la prende.
E' buio. La ragazzina è distesa accanto all'albero., lo sguardo
fisso nel vuoto. Il giovane è seduto accanto a lei, appoggiato al
tronco. Tiene la testa fra le mani e singhiozza. "Mi spiace, non volevo.
Davvero non volevo... Ma non sono riuscito a resistere. Mi faccio schifo...
Non lo farò più, lo giuro, non lo farò più...
E' solo... Sei sempre lì, davanti a me, e io non posso averti... Non
ce la facevo più ad aspettare " La ragazzina sente le parole rimbombare
nel vuoto che ha in testa. Sembra che arrivino da lontano lontano, da un
altro mondo. Il giovane non è felice. Lei credeva che lo fosse. Invece
anche lui è come sua madre. Desidera qualcosa che lei non può
dargli e piange. Lei vorrebbe dargli quello che lui vuole. Ma non può.
Potrebbe permettergli di giacere con lei, ma lui sarebbe triste lo stesso.
Piangerebbe come oggi, perché saprebbe di spezzare ogni volta qualcosa
dentro di lei. La ragazzina lo sa. Il rimorso lo divorerebbe. Forse finirebbe
per odiarla, per desiderare di non averla mai conosciuta. Il giovane non
potrà mai essere felice, lei non può fare niente per renderlo
felice. La ragazzina si alza. Il giovane continua a singhiozzare senza sollevare
lo sguardo. Senza un suono, la ragazzina prende la sua arma. Torna verso
il giovane, con un gesto rapido e deciso gli affonda la punta del falcetto
nella nuca. Il giovane crolla a terra. La ragazzina rovescia il corpo sulla
schiena. Slaccia la cintura e si porta via la kusarikama.
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Capitolo 3 *** Giovinezza ***
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Non potevo restare lì dopo quello che era successo.
Tornai ai miei alloggi, mi preparai una piccola sacca e sparii. Vagai
per mesi, senza sapere dove andavo. Non so come riuscii a sopravvivere a
quel periodo, in qualche modo trovavo il cibo di cui avevo bisogno e sfuggivo
ai predatori, umani e non. Ogni notte mi assalivano gli incubi. Mi svegliavo
mandida di sudore. Fissavo il cielo notturno scossa da brividi di terrore.
Stringevo le braccia intorno al corpo e rimanevo immobile, ripetendo
ossessivamente nella testa le parole di una qualche filastrocca e cercando
di non pensare. Speravo che, se li avessi ignorai, i pensieri mi sarebbero
scivolati addosso senza prestarmi attenzione. Ciò che mi impedì
di perdere del tutto la lucidità fu la kusarikama di Sota. Mi teneva
ancorata alla realtà. Mi allenavo tutti i giorni fino a cadere a terra
sfinita. Solo nel vuoto che si creava nella mia mente quando avevo in mano
l'arma trovavo la pace.
Ben presto smisi di sfuggire ai predatori. Allenarmi non mi bastava
più. Avevo bisogno di combattere per non pensare, solo sfidando la
morte in modo sempre più azzardato riuscivo a sopravvivere. Lottare
per la mia vita mi regalava una notte di pace.
Non saprei dire quanto tempo passai così, un anno, forse meno,
forse di più. Non saprei quanti uomini uccisi durante quei mesi. Li
ho scordati tutti uno dopo l'altro.
Poi incappai in un grosso assembramento di truppe di una casata della
Dinastia. Si erano accampati su una collina tranquilla e attendevano la fine
dell'inverno per riprendere le ostilità. Io ero stanca di vagare e
di combattere contro contadini fatti briganti dalla necessità. Avevo
bisogno di sfide maggiori. Di qualcosa sotto cui seppellire i ricordi che
mi assallivano. Ma dovevo convincere un comandante della Dinastia che una
ragazzetta magra e stracciona potesse essere un ottimo acquisto. In serata
scivolai tra le tende e vagai un po' per l'accampamento, cercando il punto
migliore per poter attuare il mio piano. Non tentai in nessun modo di nascondermi
e nessuno mi prestò attenzione: ci sono delle categorie di persone
che sono invisibili agli occhi degli altri. Alla fine trovai uno largo spiazzo,
non lontano dla centro del campo, dove un buon numero di soldati si era riunito
per dividere insieme la cena e giocare d'azzardo. Li osservai per un po',
protetta dalle ombre proiettate dalle tende. Erano allegri e ubriachi. C'era
un ufficiale fra loro, scherzava con gli altri e bestemmiava quando perdeva.
Era un dinasta, riconobbi le insegne, ma non sembrava uno dei Draghi. Non
lontano da lui sedeva un uomo gigantesco, che beveva più di tutti
e rideva forte,appoggiato all'impugnatura di un maglio.
Fu facile. Mi bastò entrare nel cerchio di luce. Camminavo in
fretta tenendo gli occhi bassi, come per non farmi notare. Mi notarono subito.
Tra i lazzi degli altri, l'uomo grosso si alzò e mi afferrò
per un braccio. Io dissi che non volevo. Lui non mi ascoltò. Mulinai
la lama del falcetto. Si tirò indietro con un ghigno, divertito all'idea
che osassi sfidarlo. Afferrò l'impugnatura del maglio, fra le scherzose
grida di incitamento dei suoi compagni. Il mio peso lo colpì al ginocchio
e lui cadde a terra con una smorfia di dolore. Gli aprii la gola da parte
a parte con il falcetto. Gli altri ammutolirono. Alcuni fecero per attaccarmi.
Ma il Dinasta si alzò e mi propose di entrare nelle sue guardie
personali.
Fu l'inizio di un periodo tutto sommato tranquillo. Avevo abbastanza
da fare per non pensare troppo e, dopo la mia entrata in scena, tutti pensarono
bene di lasciarmi stare. Ancora meglio, dopo un paio di anni divenni l'attendente
di un altro comandante. I suoi uomini non mi conoscevano e, messo in chiaro
che io non ero intezionata ad approfondire i rapporti, mi lasciarono in pace.
Forse se avessi continuato a combattere al loro fianco e non mi fossi fatta
notare, avrei passato con loro tutta la mia vita e sarei riuscita a tenere
in qualche modo lontani i miei fantasmi.
Ma il mio destino era già segnato.
Una tenda di velluto blu scuro. Un uomo, seduto ad un tavolino di legno
intagliato, sta scrivendo alla luce di una candela. Dimostra una quarantina
di anni ed è riccamente abbigliato. Un soldato entra nella tenda.
E' un po' affannato e sembra intimorito "Signore, vi ho portato il soldato
che ha salvato i plichi, devo farlo entrare?" L'uomo continua a scrivere
senza sollevare la testa. "Altrimenti perché ti avrei mandato a chiamarlo?
Fallo entrare e vattene." Il soldato si inchina impacciato ed esce. Si sente
qualche parola mormorata all'esterno della tenda, poi il pesante tessuto
si solleva nuovamente. Entra una giovane. E' alta, con un fisico asciutto.
I capelli neri sono legati in una coda scomposta e il suo sguardo azzurro
è freddo e malinconico. Porta un'uniforme scura, senza simboli nè
gradi. L'uomo finisce di scrivere, piega la lettera, versa una goccia di
ceralacca sui bordi e vi preme un anello. Si volta verso la giovane. "Mi
dicono che è solo grazie a te che la missione ha avuto successo,
nonostante la morte di mio cugino. Come ha fatto una ragazzina umana a salvare
dalle grinfie dei Mnemon le nostre missive ed a uccidere ben tre dei loro?"
L'uomo è inquisitorio, ma sembra anche vagamente divertito. La giovane
non lo guarda, fissa un punto nel vuoto davanti a se. "Il comandante Lammet
portava soltanto delle lettere false, mi aveva affidato i plichi veri, temendo
un'imboscata. Ha avuto ragione. Siamo stati attaccati sui passi innevati
da tre uomini con le insegne di Mnemon. Si sono concentrati sul comandante,
non c'è stato niente che potessimo fare per salvarlo, ma con una trentina
di uomini sono riuscita a fuggire portando in salvo le lettere. Sono riuscita
a calmare i miei uomini, li ho convinti che ne sarebbero usciti vivi solo
se mi avessero ascoltato. Quando si sono accorti che i plichi sul corpo del
comandante erano falsi, i Sangue di Drago hanno cominciato a inseguirci.
Erano inesperti, non temevano degli umani e sono stati imprudenti, si sono
divisi. Il primo si è accorto degli arcieri che lo stavano aspettando
nascosto tra gli alberi. Li ha caricati prima che potessero incoccare. E'
finito impalato dai lancieri che lo aspettavano nascosti sotto la neve. Il
secondo ci a seguito sottoterra, nelle caverne scavate dal corso di un fiume.
E' incappato nella trappola che avevamo preparato, ed è rimasto
imprigionato. Erano solo funi, si sarebbe potuto liberare in pochi minuti.
Ma è impazzito di rabbia e si avvolto nella sua aura di fuoco. Non
è una buona idea accendere una fiamma sottoterra. Noi eravamo già
lontani, ma abbiamo sentito la terra tremare per l'esplosione. L'ultimo ci
ha raggiunto quando eravamo fra i boschi a valle. L'ho aspettato io stessa.
Mi sono appostata su un albero. Non si è accorto di me finchè
non ho lanciato il peso. L'ha parato con la spada senza difficoltà,
ma la catena si è avvolta intorno all'arma bloccandola. Sono saltata
giù dal ramo, strappando il suo braccio verso l'alto con il peso del
mio corpo e ho avvolto la catena intorno al tronco. Se avesse lasciato l'arma
sarei morta e con me tutti gli altri. Ma era troppo orgoglioso, ha cercato
di liberare la spada tirando. Per un secondo è rimasto completamente
indifeso. Gli arcieri lo hanno trafitto con una ventina di frecce." La giovane
smette di parlare e continua a fissare il vuoto davanti a se. Non si aspetta
niente. Non c'è niente che un umano possa aspettarsi da uno dei Draghi,
soprattutto quando si è dimostrato più furbo di loro. Si domanda
se il generale si dimenticherà semplicemente di lei, se la punirà
per non aver salvato il comandante o se magari la farà giustiziare
insieme a tutti i suoi uomini per aver osato alzare le mani su dei membri
della Dinastia. Forse la loderà con condiscendenza e la affiderà
ad un altro ufficiale. Si potrebbe essere così, dicono che sia un
uomo giusto. Il comandante si alza. "Sei stata abile, soldato. Ti darei il
posto di mio cugino, ma non sarebbe una mossa saggia dare i gradi ad un umano
esterno alla Dinastia" Lo sapeva, come sono facili i Draghi da capire!
Esattamente come gli uomini. La giovane non è delusa, è quello
che si aspettava. A lei non interessano i gradi, comunque. "Diventerai
l'attendente di un altro ufficiale" La giovane si domanda distrattamente
chi sarà, spera che sia un dinasta umano, non le piacciono gli stirpe
di drago. Quell'uomo era uno Stirpe di Drago. "Fatti dare degli abiti migliori,
non puoi vestire come uno straccione al mio servizio. E non mentirmi più
d'ora in poi soldato. Mio cugino era troppo sciocco e pieno di sè,
perché l'idea delle lettere false possa essere sua." La giovane si
volta. Per la prima volta guarda negli occhi il suo interlocutore. E' severo,
con una sorta di fascino ruvido e uno sguardo penetrante. E' riuscito a prenderla
di sorpresa. Forse non è del tutto stupido. Meno degli altri, per
lo meno. "Come ti chiami soldato?" La giovane non risponde subito, l'ultima
volta che qualcuno l'ha chiamata per nome è stato molto tempo fa e
non è un ricordo lieto. Sceglie una parola a caso. "Silenzio". L'uomo
la guarda. Lei capisce che si è accorto di nuovo della sua menzogna
e, per la prima volta da anni, si sente a disagio. Ma lui annuisce "E Silenzio
sia. Va a riposarti, domattina ti voglio in piedi all'alba."
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Capitolo 4 *** L'età adulta ***
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Non ci sono più stati commenti ... :( ... spero che almeno Nykyo stia
continuando a leggere! Il prossimo capitolo sarà l'ultimo! Cercate
di lasciarmi le vostre impressioni, prima che finisca di pubblicare :)
Un servo mi preparò un bagno caldo e mi portò morbide
vesti nere di seta e velluto. Dormii in un vero letto e il giorno dopo cominciai
a lavorare al servizio del comandante Leedal---. Mi strappò dai campi
di battaglia, vietandomi persino di allenarmi. Sosteneva che la mia vita
era troppo breve per perdere tempo in un'attività nella quale, anche
il più debole degli Stirpe di Drago mi sarebbe stato sempre immensamente
superiore. Invece mi insegnò a leggere ed a scrivere. Io scoprii in
me una fame di conoscenza che non credevo di avere. Una volta bevuto da quella
fonte non potei più farne a meno. Ogni settimana lui mi dava un libro
da leggere e apprendere e io lo divoravo in ogni attimo di pausa. Studiai
storia, geografia, matematica, biologia, araldica e teologia. Dovevo presenziare
alle riunioni con gli altri ufficiali, per imparare tattica e strategia.
Mi parlava della situazione politica del regno, dei ruoli delle varie famiglie,
delle poste in gioco. Un giorno mi portò una pergamena con un centinaio
di ritratti miniati e pretese che per il giorno seguente fossi in grado di
riconoscerli tutti. Infine mi introdusse alle scienze occulte, per le quali
avevamo entrambi una predilezione. Le miei giornate erano così piene
che riuscii a tenere i ricordi in un angolo buio della mente. A volte venivano
a visitarmi di notte, ma accadeva sempre più raramente. Non soltanto
perchè ero così stanca da sprofondare spesso in un sonno cieco.
Avevo trovato in --- qualcuno che non mi era assolutamente secondo in
intelligenza e che mi superava di gran lunga per cultura ed esperienza. Qualcuno
per cui riuscivo a provare ammirazione e di cui desideravo la stima. Sentivo
una totale comunione di pensiero e di sentimento con quell'uomo che aveva
vissuto una vita così diversa dalla mia. Un uomo completamente opposto
a me per nascita, classe e persino sostanza. La sua presenza scacciava i
miei fantasmi e leniva le mie ferite. Risvegliò la mia voglia di vivere,
mettendomi davanti a sfide continue e abbattè i muri della mia anima,
concedendomi fiducia e rispetto. Appena mi ritenne sufficientemente pronta,
mi affidò i compiti più delicati e cominciò a consultarsi
con me su ogni questione, preferendo i miei giudizi a quelli dei suoi ufficiali.
Passavo le miei giornate con lui servendolo come scudiero, segretario e
consigliere e le notti studiavo per poter soddisfare le sue aspettative.
Per la prima volta vidi un uomo con gli occhi di una donna. Il suo salino
profumo di mare ebbe ragione del disgusto che mi causavano gli altri effluvi
maschili, la sua vicinanza non mi era odiosa come quello di qualsiasi altro,
al contatto con il suo corpo e solo con il suo, non venivo assalita da ondate
di nausea. Un giorno la mia repulsione per gli uomini fu vinta del tutto
e mi scoprii a desiderarlo.
L'interno di un fortino. Il buio è rischiarato dalla luce di
una candela che illumina uno scrittoio in legno su cui è fissata una
carta geografica. Una giovane donna è in piedi di fronte ad essa.
Tiene entrambe le mani appoggiate sul tavolo mentre la studia. Ha un volto
attraente, nonostante il naso aquilino, e un fisico atletico. Indossa comode
vesti in velluto nero e porta i capelli acconciati con cura nella foggia
dei samurai. E' intenta e concentrata mentre studia la mappa. Accanto a lei
un uomo. "Da dove credi che attaccheranno?". La donna indica un punto sulla
mappa "Dai valichi, caleranno su di noi dalle foreste a nord e da qui,
scenderanno lungo il fiume per cercare di accerchiarci". L'uomo le si fa
più vicino e guarda la mappa da sopra le sue spalle "Sì, è
quello che credo anche io. Come organizzaresti la difesa?" La donna si
irrigidisce quando le vesti fluenti dell'uomo la sfiorano. Incosciamente
cambia appoggio sulle gambe, per farglisi più vicino e prolungare
il contatto. Se ne rende conto e si sposta di nuovo, infastidita. Lei non
è debole. Non ha bisogno di un uomo. Non è come sua madre.
"Qui in alto, sopra i valichi, pochi uomini con equipaggiamento leggero.
Arcieri soprattutto." L'uomo si china sulla mappa. Posa una mano sul tavolo,
passando il braccio oltre il corpo di lei. La donna sente il suo calore
attraverso le vesti. Si accorge di aver perso il filo di ciò che stava
dicendo. Chiude un secondo gli occhi. Lei non perde mai il filo dei suoi
pensieri. Soprattutto, non per un uomo. Neanche uno come il comandante. Riprende
a parlare."Il grosso delle forze, invece, le apposterei qui e qui, in modo
da chiudere in una tenaglia quelli che scenderanno lungo il fiume." Alza
il volto verso il suo interlocutore. Torce il busto per poterlo vedere in
viso. L'uomo la sta fissando. La donna vorrebbe che lui parlasse. "Comandante?"
L'uomo le carezza il collo con una mano. La donna si irridisce. Non vuole
che lui rempia i suoi pensieri. Non vuole lasciarsi andare. Non vuole amare.
L'uomo si china e la bacia. La donna si stringe a lui in un abbraccio
spasmodico.
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Capitolo 5 *** La Morte ***
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Finalmente pubblico l'ultimo capitolo! Scusate l'attesa, ma ho avuto un periodo
un po' pieno e non mi ero nemmeno accorta che efp era risorto...
Balthus: Grazie per la recensione, però... come avevo anticipato questo
capitolo è l'ultimo... spero che riesca a uscire dall'incertezza!
Kylie: Ti ringrazio molto di avermi lasciato le tue impressioni, sapere che
qualcuno segue le mie storie mi aiuta molto a scrivere. Riuscirà Silenzio
a sfuggire al destino di morte che la insegue fin dall'infanzia? Spero che
il finale sia all'altezza delle tue aspettative ^_^
Lo amai con tutta la terrorizzata passione di una bambina ferita. Non
riuscii ad arginare in nessun modo i miei sentimenti dopo averli liberati.
Mi affidai a lui totalmente e completamente. Dei tre anni che passai con
lui, non ricordo un solo giorno in cui non sia stato costantemente al centro
dei miei pensieri. Ero terrorizzata all'idea che potesse stancarsi di me
e mi impegnavo allo sfinimento nei compiti che mi affidava, perchè
i miei risultati fossero sempre eccellenti. Marden mi restituiva un amore
intenso e silenzioso. Se in lui non c'era la sete di affetto che mi divorava,
però c'era stata, fino a quel momento, una solitudine, ritrosa e
imbarazzata, che la mia presenza colmava discretamente.
In quel periodo tornarono a farsi vivi i miei incubi, ancora più
insistenti e vividi di prima. Rivedevo nel sonno il volto di mia madre. A
volte era carico di rimprovero perchè mi godevo la felicità
di cui l'avevo privata. Altre mi scherniva perchè ero diventata tal
quale lei, che tanto disprezzavo. Altre ancora mi sussurava all'orecchio
oscuri presagi. Durante il giorno mi scrollavo di dosso quelle notturne agoscie,
sperando di cancellare il passato vivendo nel presente e ricacciavo il ricordo
di mia madre nel profondo della memoria. Ma non riuscivo a cancellare
un'inquietudine che mi impediva di vivere appieno quella felicità
tanto a lungo anelata.
L'interno di una tenda luminosa. Una donna sta riordinando delle carte,
catalogandole con cura. I capelli neri le ricadono in morbide onde sulle
spalle. Ha mani snelle e lunghe e occhi luminosi e intensi. Porta al collo
una lunga catenella di argento con un medaglione di avorio. Uno dei fogli
scivola dal tavolo. La donna si china. Mentre si solleva, la catenella impiglia
in un angolo del tavolo e si spezza. Il pendente di avorio cade in terra.
La donna lo raccoglie e lo osserva pensierosa. Un improvviso timore la assale.
Vorrebbe gettarlo via. Invece lo studia più da vicino. Si accorge
che la caduta ha aperto una sottile fenditura sul fianco del medaglione.
Sembra cavo all'interno. Prende un tagliacarte dal tavolo. Lo inserisce nella
fenditura e fa forza. Il medaglione si apre come una conchiglia a due valve.
Dentro c'è una ciocca di capelli neri avvolta in un nastro di raso
e un ricciolo di pergamena. La donna sente lo stomaco stringersi per il panico.
Desidera con tutta se stessa bruciare entrambi con il fuoco della candela.
Ma non può. Il suo destino è già scritto. Lei lo sa.
Prende i capelli e li osserva alla luce. Cupi riflessi blu danzano sul nero
della ciocca. La donna avvicina i capelli al viso. Un profumo salmastro li
pervade. Srotola il biglietto. Sono solo poche parole scritte con una grafia
maschile. "Alla mia amata". La donna avvicina il biglietto ad una delle carte
che sta riordinando. Confronta i due scritti con meticolosità. La
grafia è molto simile. Sono solo poche parole, non abbastanza perchè
possa essere sicura di riconoscerla. Ma non ha dubbi. Questa è la
punizione per le sue colpe.Per i debiti che attendevano di essere pagati.
Questa è la vendetta di sua madre. La luce nei suoi occhi si
spenge.
Mi procurai il veleno con facilità. Nessuno mi faceva mai domande.
Quella sera lo attesi come ogni altra nella sua tenda. Forse alla luce
si sarebbe accorto della lieve ombra scura sulle mie labbra e sulle mie dita,
ma entrambi preferivamo le tenebre. In quante cose ci assomigliavamo!
L'interno di una grande tenda dalle pesanti cortine. E' buio. Un uomo
e una donna giacciono su morbidi cuscini.
Lui le scosta i lunghi capelli dal volto mentre la bacia. La donna ricambia
con passione. Ma un poco alla volta baci della donna si fanno sempre sempre
più radi, i suoi movimenti più languidi e spossati. La stanchezza
la pervade insieme ad una sensazione di freddo. Non aveva sentito parlare
del freddo. Lentamente ricade sui cuscini. L'uomo si sdraia accanto a lei,
carezzandole il viso. La donna si volta verso di lui, stringendogli la mano.
Anche il respiro di lui è rallentato. La donna si chiede se anche
lui senta tanto freddo. Non vorrebbe. Lacrime le scorrono sulle guancie,
mentre il calore sulla sua pelle si spenge. L'uomo la fissa per un secondo,
mentre un'improvvisa comprensione lo assale. La donna sapeva che avrebbe
capito. Ma sapeva anche che avrebbe capito troppo tardi. L'uomo tenta di
alzarsi, ma il corpo non risponde. Ricade sui cuscini. Prova a parlare,
inutilmente. La donna si domanda che cosa stia provando. Si domanda se la
odi. Se abbia paura. Rabbrividisce. L'uomo la stringe in un abbraccio. La
donna sente il suo calore che la avvolge. Mentre sprofonda nelle tenebre
si sente finalmente in pace.
Mi svegliai sdraiata sulla schiena, in mezzo a una fossa comune. Nel
cielo azzurro si rincorrevano le nuvole e l'aria era limpida e fredda.
Sono stata strappata dalle braccia della morte, ma mai più
vedrò il mondo con occhio umani. Ho ucciso mia madre e giaciuto con
mio padre.
Alto nel cielo vola il corvo, viene a prelevare la mia anima.
Da oggi e per sempre sono sua.
Uh... mi sono dimenticata di avvertire che tra poco comincerò la
pubblicazione di una nuova storia "Il corvo" nella sezione Horror. Anche
se è scritta in modo molto diverso, a livello contenutisco prosegue
la narrazione di "A nuova vita". Se vi siete interessati alle vicende di
Silenzio provate a leggerla!
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