streams of whiskey.

di emily colburn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** capitolo 6. ***



Capitolo 1
*** capitolo 1. ***


streams
streams of whiskey.
 
 
 

22 febbraio 2011.
 
 
«... e questo avviene generalmente perché sei un idiota.» E a questa uscita mi aspetto sinceramente un’ovazione da stadio, gente che si alza e mi fa i complimenti e mi dice che io – sì, io – sono la più grande antropologa del mondo.
Il problema è che mi trovo in questo stanzino abbastanza incasinato, con un migliore amico più incasinato dello stanzino – e probabilmente di me, custode dell’ormai celebre stanzino che per comodità io chiamo camera da letto.
Robert mi guarda con quella faccia da cucciolo bastonato, precisamente quella che mi fa venire voglia di prenderlo a calci in culo ogni volta che lo vedo – e sì, anche questa volta, non mi frega niente se è in crisi premestruale, santo uomo, ma santa me, soprattutto.
È seduto sul mio letto e continua a stropicciare le lenzuola. Abbassa lo sguardo e fa un mezzo sorriso. Bene. Ora, la più grande antropologa del mondo – sì, io, dico – sostiene che dalla fase cucciolo-bastonato si passerà alla fase hai-ragione-sono-un-coglione-cosa-devo-fare?
«Hai ragione. Sono un coglione. Ma cosa posso farci?»
Datemi il Nobel! Lo voglio adesso. Cioè, l’hanno dato ad Obama e non a me, l’unica in grado di comprendere decentemente l’arzigogolata mente Pattz-ish? Ah, che delirio d’onnipotenza, mi sento così stranamente soddisfatta che potrei farmi pat pat da sola sulla spalla e pure i complimenti. Ma quanto sono un genio, nooo, ma quanto?
«Uhm, scusa, Peggy, non è per interrompere la tua piacevole conversazione col cervellino, ma io qui avrei un problema eh.»
«Sì, gli assorbenti stanno sul secondo scaffale, accomodati pure.»
«Non sto scherzando, torna in questo mondo, ho bisogno di te.»
E qui scattano le paroline magiche.
Peggy l’antropologa – che suona diecimila volte meglio di quella puttana di Dora l’esploratrice – è pronta ad aiutare il suo migliore amico.  
 
Il Tamigi scorre in un gorgoglio profondo, il rumore mi giunge assieme al vento e le foglie dei salici piangenti si muovono pigre in un’armonia prestabilita che mi solletica fino i polsi. Robert ed io camminiamo piano, per un po’ non ci diciamo nulla. Ma ho bisogno di sapere. Devo capire perché lui e lei hanno litigato – naturalmente, mettendo da parte il fatto che lui è un idiota, e questo perché a lei non pare molto interessare.
Lei.
Lei è l’unica lei che ci potrebbe essere per l’ormai specie in via d’estinzione – e per fortuna! – Pattz-ish. Lei è quella lei che porta sciarpe verde speranza e gli orecchini grandi, a forma di acchiappasogni, che probabilmente i sogni del Pattz li ha tutti catturati e glieli ha fatti esaudire, quella lei con cui canta Van Morrison e i Pogues, quella lei per cui Robert ha del tutto perso la testa e per cui ogni volta che leggo L’antologia di Spoon River ci penso che sì, è vero:
Viandante,
amare è ritrovare la propria anima
attraverso l’anima dell’amato.
Ma lui e lei hanno litigato. Credo. O almeno, Bob è corso qui come avesse sua nonna alle calcagna – moglie di un generale e despota della famiglia, che gran donna coi cosiddetti. Spaventato e piangente, tanto da ricordarmi la disastrosa serata passata a guardare La Principessa e il Ranocchio, in cui, alla morte di Ray la lucciola, ha così tanto frignato e urlato contro il mondo crudele da chiamare sua madre per farsi fare le coccole alla cornetta. La saggia Clare gli ha giustamente chiuso in faccia.
«A cosa pensi?»
«Cerca con Dora i cristalli perduti!» Solo in un secondo momento mi rendo conto di quel che ho detto. Mi schiarisco la gola mentre Bob mi guarda stranito, abbozzo un sorrisetto e gli dico: «Cioè. Mi chiedevo cosa fosse successo.» Lui fa per aprire bocca, ma lo blocco. «Ho capito che hai combinato un casino e ripeto, questo avviene generalmente perché sei un idiota, e non guardarmi così, sciagurato!, sono fin troppo gentile!»
Lui sbuffa e, offeso, si gira a guardare l’acqua che scorre. Si ferma di botto e io faccio lo stesso. Noto che non s’è fatto la barba e che il suo cappellino di lana è completamente sciupato. Ottimo! Adesso so cosa regalargli per Pasqua. Questi sì che sono momenti utili. Già mi immagino andare da Lillywhates per prendergli il cappellino, fargli un bel pacchetto e appiccicarci un adesivo col coniglietto. Robert sarà entusiasta! E sospetto soprattutto per l’adesivo col coniglietto.
«Ti prego, non dirmi che stai pensando ancora a Cerca con Dora i cristalli perduti.»
«Mah. Per dir la verità pensavo ai Barbapapà. Ma non importa. Lasciamo perdere e adesso racconta tutto a zia Peggy: cosa sta succedendo?»
Robert finalmente si gira e mi osserva. Mi da una leggera spintarella e riprende a camminare.
Ooh. Ho capito!
«Dimmi la verità, Bob. Non hai le mestruazioni. Sei in menopausa.»
«Guarda che non sei divertente.»
«Lo so. Sono una figa, modestamente.»
«Ma smettila.»
«Dai, adesso racconta.»
Tentenna per un po’. «Ma mi prometti di non ridere?»
«Cavolo, Rob, se riesco a trattenermi dal ridere guardandoti in faccia, vuoi che non riesca a resistere alle stronzate che sparerai?»
«Ecco, visto? Con te non si può essere un attimo seri. Mi fai impazzire.»
«Woah, amico, vacci piano eh.»
Sospira profondamente e si ferma di nuovo. Si passa una mano sul volto e mi rendo conto che forse devo cominciare a stare zitta.
«Ti ricordi quando a otto anni mi ero innamorato di Yaelsh?»
«Certo che sì. Pensavi che fosse Sherazade.»
«Sì. E volevo sposarla.»
«Rammento soprattutto questo particolare.»
«Le avevo pure regalato un anello di margherite.»
«Che avevo fatto io con le mie esperte manine.»
«Manine che ti giuro ti ficco in gola se non la smetti di interrompermi.»
Metto su il broncio.
«Comunque, le avevo chiesto di sposarla. Mi ha detto di no.»
Sto per dirgli sì, lo so, però mi muoiono le parole come vedo morire la luce dei suoi occhi sotto le sue palpebre che, piano, si chiudono. Robert. Ma cosa mi vuoi dire?
«L’ho capito allora. Che non mi sarei mai sposato, perché, dai, ma come potrei rendere felice mia moglie? Sono capace solo di fare cazzate.»
Piano, mi avvicino a lui. Gli prendo la mano. «Sì, Robert, sai fare solo cazzate. Tipo questa.»
Ridacchia e riapre gli occhi. «Sembro un complessato di una serie tv americana?»
«Sì, dolcezza.» Gli faccio l’occhiolino.
«E’ che io la amo. E lei mi fa bruciare dentro. Mi brucia l’anima. Mi brucia da quando l’ho sentita cantare London Girl girando per Barnes, come se quella fosse casa sua e tutti la conoscessero e il mondo fosse il posto più bello possibile, come se Barnes fosse il posto più bello possibile, da quando l’ho sentita cantare London Girl e ho capito che gliel’avrei cantata io. Mi bruciano le dita quando gliela suono e mi brucia pure la gola quando le parlo e mi sembra che mi bruci pure la vita. Lei mi brucia dentro. E io la amo. E io la voglio sposare.»
«E hai paura che ti dica di no?» Oddio, sto per mettermi a piangere. Ma quanto non è dolcissimo, il mio bimbetto?
«Ma non mi ascolti o sei deficiente?» Stronzo. «Ho paura di non renderla felice!»
«Io giuro che ti butto dentro il Tamigi e ti faccio affogare.»
«Scusami?» Mi guarda ad occhi sbarrati e anche abbastanza preoccupato. Ho una vena pulsante sulla tempia che minaccia l’esplosione a breve, se non mi calmo.
«Mi hai appena fottuto il premio per migliore cazzata dell’anno, ti rendi conto?»
E lì scoppia a ridere.
 
Lei una volta me l’ha detto. Se n’era resa conto. Robert si fa troppi problemi inutili, ma d’altronde noi non ci possiamo fare niente, lo dobbiamo prendere così com’è.
E poi, diciamolo, dopo che glielo fai notare - e ci scappa pure qualche schiaffo preventivo - riesce a rendersi conto di quanto è paranoico.
Lo guardo allontanarsi per raggiungere la macchina – e raggiungere lei e chiederle di sposarlo e chiederle di vivere una vita insieme, di vivere la loro vita come se fosse un’unica vita, di svegliarsi ogni mattina l’uno accanto all’altra, e riaddormentarsi col fiato dell’uno contro il collo dell’altra, raccontarsi le favole e imparare a volare, litigare, tirarsi i tubetti di dentifricio dietro perché qualcuno l’ha lasciato aperto, nascondersi tra gli alberi di Hyde Park e tornare bambini con quell’amore puro che sa di caramella, fare l’amore tra sospiri di cannella, e poi il miracolo di una vita nuova, o magari più di una, come lei ha sempre sognato.
E mentre lui mi saluta con la mano da dietro il finestrino, mentre mi passa accanto con la macchina, mi rendo conto di quello che Peggy l’antropologa è riuscita a compiere. E penso: Ma se quella meretrice di Dora l’esploratrice – ho fatto la rima! – ogni volta che scopre un colore nuovo canta la cazzo di canzoncina di “E’ fatta!”, posso mica stare io senza una colonna sonora?
 
Ah, ovviamente la risposta è no. Per cui me ne sono tornata verso casa cantando a squarciagola We can work it out, fino a quando non mi sono resa conto che c’era più di un cane che aveva preso ad abbaiare disperato.
Anche la natura mi si è ribellata contro.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
e ovviamente non potevo non infestare questa sezione. è che bobby mi mancava proprio tanto, lo ammetto. e raccontare di lui è divertente. poi mi piace troppo questo suo lato paranoico – sì, probabilmente lo vedo solo io.
dunque. qualche parolina su questa robina. è una raccolta. i capitoli saranno molto brevi – tipo questo – e molto stupidi, più che altro è un modo per staccare dall’altra ff che mi prende ogni singola forza e che sinceramente – me ne rendo conto – è troppotroppo pesante. per cui, diciamolo, ne avevo bisogno. avevo bisogno di vite come quella di peggy e di bobby e della lei della quale, ovviamente, scopriremo il nome e la storia. saranno veloci spezzoni di vita londinese lungo gli anni. e boh. non so più che dire, mi annoio da sola.
e babbe’. grazie per la pazienza, grazie se non mi manderete a quel paese, grazie a prescindere.
andate in pace.
 
p.s. la citazione dell’antologia di spoon river – se non l’avete mai letta, che aspettate, furbetti?, correte a leggervela! – viene dalla voce/lapide/ricordo/nonhomaicapitocosa di mary mcneely.

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Capitolo 2
*** capitolo 2. ***


whiskey 2
24 settembre 2003.
 
 
 
«Spiegami esattamente perché un’adolescente arrabbiata con il mondo come te e contro la società consumistica mi sta facendo marciare – o marcire, non so – tra i negozi di Camden.»
Non degno Robert di uno sguardo mentre frugo qualche vestitino, possibilmente con le borchie. Mamma mi lancerà dietro la sputacchiera del nonno appena mi vedrà rientrare con l’ennesimo acquisto degno di una punkabbestia psicopatica, come mi sta facendo notare ‘sto imbecille. Faccio un sorriso di sole gengive.
«Non capisco perché poi.» Continua lui col suo monologo. Il fatto che gli abbiano affidato il ruolo del protagonista in quello stupido spettacolo della Harrodian deve avergli montato la testa, e di brutto anche. Giuro che adesso stacco la mano al manichino super lungo, super magro e super figo e gli do uno schiaffo.
«Sono un po’ triste», mugugno, magari gli faccio pena. Piano mi volto verso di lui e faccio il labbrino tremulo.
Sbuffa: «Guarda che non mi muovi a pietà facendo il faccino da cucciolo col morbo di Parkinson.»
E allora la prendo come un’offesa.
Lo sento sospirare ancora una volta, l’ennesima volta, e ommioddio quanto mi urta i nervi. Pattinson, la quintessenza degli sfigati, sospira rompendo a me le palle con questo atteggiamento da prima donna.
Mentre sto per prendere un vestito blu e viola, lui mi blocca il polso.
«Cosa c’è?»
«Peggy. Perché sei triste?»
Oh, la mia prima donna si preoccupa di me!
Deglutisco e lo guardo fisso. Devo dire che in quest’ultimo anno è cresciuto parecchio. E ha perso anche quell’aria da eterno vergine. I diciassette anni fanno miracoli. La prima volta che gli ho parlato – e gli stavo per spaccare la faccia – eravamo quasi uguali d’altezza. Ma adesso quasi quasi mi da fastidio. Perché è come se fosse cresciuto. A volte mi rendo conto che non abbiamo più quattordici anni. Che lui non cercherà più di palparmi per fare il figo con quelli del Brit Pack. Che io non lo guarderò più come si guardano i bamboccioni. Abbiamo diciassette anni, adesso.
E glielo dico. Che sai, una volta Amos Oz ha scritto che nessuno scrittore – dai greci ad oggi – riuscirà mai a raccontare del dolore di un ragazzo a diciassette anni.
«E quindi?» Domanda lui «Che si fa? Shopping?»
«E’ che mi sento meglio con una maglietta carina o una gonna tribale.»
«Ma poi non ti rendi conto che sei comunque la stessa ragazzina triste con semplicemente addosso dei vestiti nuovi?»
Ci penso. Rimaniamo un po’ in silenzio poi gli spiego: «A quel punto cambio colore di capelli.»
 
Non l’ho cambiato il colore, comunque sia. Cioè, questo blu mi sta a meraviglia. Robert continua a guardarmi perplesso da quando due settimane fa mi sono presentata così a casa sua. Ma lui non capisce. È un idiota, è appurato. E poi dai, parliamoci chiaro. Ma come fa a lamentarsi dei miei capelli quando lui poi osa mettersi tre quintali di gel? Sembra l’abbia leccato una mucca!
«Io devo andare a suonare, adesso.» Bofonchia mentre camminiamo tra le stradine di Camden. È pieno di turisti, sia mai, e Robert continua a fissare con la bava alla bocca le spagnole davanti a noi.
«Sei disgustoso, Pattz, semplicemente disgustoso. Sembri in calore.»
Lui mi fa un gestaccio e io rispondo colpendolo in testa con i miei nuovi acquisti. «E spera di non aver sciupato niente con quel tuo testone vuoto!»
«Senti, tu non hai idea di cosa significhi essere un maschio di diciassette anni senza uno straccio di ragazza.»
«E allora mi pare giusto fissare il culo delle turiste. Sei un depravato.»
«Cos’è? Sei gelosa?»
Proprio accanto all’entrata della Northern Line mi fermo e lo guardo, un po’ sbigottita a dire il vero. Un tizio con la cresta mi viene addosso e biascica una scusa. Sa di alcool. Il sole sta per tramontare e il vento leggero di fine settembre mi scompiglia i capelli portandomi qualche ciocca davanti agli occhi.
«Gelosa?» Chiedo. «Perché dovrei essere gelosa?»
In effetti nemmeno lui sembra convinto delle sue parole.
Scrolla le spalle e abbassa lo sguardo.
«Fammi indovinare», comincio. «C’entra quel coglione assoluto dello Stu, vero?»
Thomas Sidney Jerome Sturridge. Il re degli imbecilli. Uno snob d’alta classe e pseudo attore da strapazzo, degno migliore amico di Robert.
Gli sfugge una smorfia. «Massì, sai come sono i suoi discorsi.»
«No, per fortuna. Ma posso immaginare che sfiorino l’osceno.»
Lui ride e rialza lo sguardo. «Sì, abbastanza.»
«E da quando in qua i suoi discorsi riguardano me? Voglio dire, quand’è che ha cominciato a parlare di me oltre la sfera dell’insultiamo Peggy a gogò tutti allegri e felici?»
«Be’... diciamo che m’è sfuggita una cosa l’altra sera.»
«Quale cosa?»
Non mi risponde. È carinissimo quando decide che è arrivato il momento di non parlare più. Carinissimo quanto un cactus infilato con amorevole cura e devozione su per il deretano.
Inizio sinceramente ad irritarmi. Mi avvicino veloce a lui e in un momento gli metto le mani intorno al collo. Oh, Homer Simpson, hai tutta la mia comprensione, giuro.
«Guarda che se non mi dici quel che t’ha detto Sturridge, io ti strozzo.»
Lottiamo per qualche minuto – e lui sputacchia pure sul mio viso – fin quando non mi rendo che una bimbetta di dieci anni circa mi sta guardando parecchio spaurita. E che siamo abbastanza circondati di gente.
Abbasso veloce le mani e trascino Robert dentro l’entrata della metro. Lui prende ad apostrofarmi con una vocetta talmente acuta che neanche l’avessi evirato, santo cielo!
Non lo mollo fino a quando non arriviamo accanto ad una delle porte delle uscite di sicurezza e lo sbatto addosso al muro – mamma mia, quanto mi sento potente!
Gli punto un dito contro il petto. «Ora tu mi spieghi cosa diavolo sta succedendo.»
È abbastanza spaventato.
No, be’, in effetti anche io sarei abbastanza spaventata.
Sospiro profondamente e chiudo gli occhi, quindi prendo a massaggiarmi le tempie per potermi calmare.
«Bobby caro – faccio, quando mi rendo conto di aver raggiunto un livello zen decente – adesso tu mi spieghi tutto. Ogni singola cosa.»
Lui annuisce a scatti. «Be’, ecco... » si passa una mano tra i capelli e le dita gli rimangono quasi impigliate ad un certo punto. Eccola qua la tanto decantata magia del gel, yay!
«Sappi che ero piuttosto ubriaco e che... »
«Chi ti ha dato l’alcool?» Sbarro gli occhi.
«Ma no, eravamo a casa di Marcus e sai, suo padre ha tipo una scorta infinita di liquori.»
«Sì, vabbe’, arriva al punto.»
«Sì, il punto, ecco. Insomma, io... l’ho già detto che ero abbastanza ubriaco, sì?»
«Sì, Robert, e sembra che tu stia per avere un attacco di cardiostenosi – e non chiedermi cosa sia, ché non lo so, ma suonava bene. Adesso, su, da bravo bimbo, inspira, espira, ecco, proprio così.»
Si impone serietà e dice d’un fiato: «Ho raccontato a quelli della band di quando ci siamo baciati.»
Sento la mascella srotolare da qualche parte, verso l’infinito ed oltre.
Solo qualche minuto dopo mi accorgo di avergli dato un pugno in pieno viso.
E lì mi rendo conto che devo chiudere con la mia fase da punkabbestia.
 
«Ommioddio, Robert, scusa! Non l’ho fatto apposta, te lo giuro, io davvero... Bob, parla!»
E frignando e biascicando, mi dice che lo Stu aveva fatto dei commenti ben poco gradevoli sul mio conto e delle domande non proprio caste e d’ordine pubblico. «E allora io gli ho detto che no, non ci sono andato a letto, però che ti ho baciata.»
Sospiro e mi accascio. Appoggio la schiena alla parete e mi chiedo perché, ma perché proprio io devo conoscere gente simile?
La storia del bacio non ha nulla di glorioso, né niente.
Era stato semplicemente un esperimento. Due anni prima, eravamo parecchio confusi riguardo ai nostri sentimenti. Per cui avevamo provato a baciarci e vedere quel che succedeva. È stato disgustoso, a dirla tutta. Da allora qualche volta ci ridiamo sopra, ma non l’abbiamo mai detto a nessuno – cioè, io non l’ho mai detto a nessuno, che Robert l’abbia svelato a quelli del Brit Pack è tutta un’altra storia.
«... e allora Sturridge ha cominciato a dire che secondo lui io ti piaccio e cose simili.»
«E tu c’hai creduto. Mi pare giusto. Dopotutto lo Stu detiene la verità universale.» Verità universale ‘sto cazzo.
Lui si massaggia il naso. Grazie al cielo il mio pugno non ha lasciato segno, altrimenti Clare mi avrebbe inseguita per tutto il mondo armata di fucile a pallini.
Lo guardo e gli do un buffetto leggero sulla guancia. «Dai – faccio – torniamo a casa. Passiamo da Tesco e ci prendiamo gli Oreo, che ne dici?»
«E guardiamo Doctor Who?»
«Mi pare ovvio. Ma la serie la scelgo io.»
Mi alzo e gli tendo la mano. E non importa se è più alto di me. Non importa se è ancora un frignone mammone. In questo momento, mentre lui prende la mia mano e si alza in piedi, mi rendo conto che voglio che tutto rimanga sempre così.
Con noi due che cadiamo insieme e ci rialziamo insieme.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
dunque, pupe. capitolo veloceveloce riguardante l’adolescenza di ‘sti due screanzati.
eeeh. be’, non ho molto da dire, sinceramente. se non che spero che ‘sta cosa vi piaccia e insomma, grazie, sono ancora commossa per il caloroso benvenuto che mi avete dato – mio dio, mi sento l’ospite del maurizio costanzo show.
per quanto riguarda l’ordine cronologico in cui si svolgerà la storia... sono lieta di annunciarvi che, siori e siore, ebbene sì, non c’è! si torna al passato, si va al presente e pure al futuro, cosa che farebbe piangere di gioia il dottore – e se non avete colto la citazione significa che non siete fan di doctor who o di charlie mcdonnell ç.ç il che mi spezza il cuore, perché è una di quelle meraviglie che di solito tu boh, becchi la pubblicità e dici: ma che roba da nerd. e invece anche gentaglia come me è capace di vedere serie televisive simili.
ma comunque.
vi lascio una fotina di peggy in questa sua fase molto punk – e ne avrà tantissime altre di fasi, non credete eh.
per cui, un mega bacione a tutte quante e buona serata!

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Capitolo 3
*** capitolo 3. ***


cap 3 streams
 
13 maggio 2008
 
 
 
Carissimo Robert,
prima di tutto qualche informazione – sperando che non ti sia già messo a sbirciare il DVD.
Sappi che ha fatto un lungo viaggio. E nel caso in cui tu stia leggendo questo biglietto, be’, devo ammettere che almeno per una volta le poste nazionali/internazionali/oceaniche/aliene/vattelappesca hanno funzionato. Da Londra all’Oregon. Yay. Gran bella cosa. A proposito! Devi assolutamente farmi conoscere un tizio che ho visto su Celebrity Spectacular! Non ricordo esattamente chi interpreti in Toilette ( non fare quella faccia, il mio occhio ti vede – oddei, mi sento tipo Sauron ne Il Signore degli Anelli). Comunque era un gran figo, non c’è che dire, tutto muscoloso eh. Anche se aveva un nome tipo da Barbie, una cosa come Ken. E’ possibile, sì?
No, vabbe’. Torniamo al discorso principale.
Allora. Questo è il mio regalo di compleanno! Nel caso arrivi dopo il 13, aprilo pure e con gran fretta! Sennò non provarci neanche e aspetta la mezzanotte! Ok, ammetto di sapere già che non mi ascolterai, in caso arrivi in anticipo. Però boh, uno ci prova lo stesso.
Ordunque (ordunque?!), se mentre leggi non hai già la veneranda età di 22 anni, allora chiudi subito il biglietto e aspetta ( seh ). Altrimenti, continua e prendi in mano il pacchetto. Quello verde, non quello rosa fluo.
Aperto?
Eh, già. Beds, signori e signore, di Groucho Marx. Vedrai che ti farà fare qualche risata, magari la smetti di fare il musone perché quella cavalla della Cristiana Stuarda ha il moroso. Cioè, alla fine ci rimette lei eh. Tu non ti perdi niente, fidati. Pensa che Tom non ha fatto neanche un commento porno su di lei! Comunque sia, so che sei contrario ai libri come regalo di compleanno – solo che non ce le ho 60 fottute sterline per quella discreta merda di Assassin’s Creed, e poi hai 22 anni, che diavolo! – ma sono certa che di questo ti innamorerai. E forse, forse la smetterai di fare tanto la prima donna perché dormi poco, chi lo sa.
Adesso fammi un sorriso, su.
E passa al secondo pacco – questa volta quello rosa fluo, esatto. Mettilo dentro al tuo computer, così, da bravo. Attendi. Schiaccia play e...
 
Robert sorride.
È la mezzanotte del 13 maggio e sta compiendo 22 anni. Davanti ai suoi occhi lo schermo del pc si illumina dei colori di Soho. I suoi più cari amici sono sul balconcino dell’appartamento suo e di Tom. Peggy ha una torta alle fragole in mano, 22 candeline in bilico, circondata da Tom, Marcus e Bobby. Sono tutti lì per lui che gli cantano Happy Birthday. Si chiede se a tenere la telecamera e a registrare il tutto sia Muhammed, il vicino Pakistano, ma poi non gliene importa molto perché scoppia a ridere. Peggy ha appena appoggiato la torta sul tavolo e Tom ne ha approfittato per darle una palpatina e mentre lei urla e lui sghignazza, Bobby Long si avvicina alla telecamera e alza la voce per farsi sentire.
“Be’, sì, in questo momento c’è qualche problema tecnico, ma proviamo lo stesso a tagliarti la torta, che ne dici, kiddo?”
Marcus ha un coltello enorme in mano e non sa bene che farne, per cui prova a poggiarlo delicatamente sopra la torta. «Mi sento un serial killer, cristo santo.»
Robert ride ancora di più e dopo uno schianto tremendo – ma cos’è stato? – vede tornare Peggy in primo piano, con un sorrisino soddisfatto.
«Hey, Robs! Festeggiamo un po’ in anticipo il tuo compleanno, spero non ti spiaccia! Tu vedi di ubriacarti per bene nella patria degli yankees, però!» E poi si volta, quando Marcus la chiama per domandare come cazzo tagliare la torta.
Appare anche Tom con una sigaretta in bocca, orgoglioso di sé e fa qualche battutina oscena sulle americane.
Poi la telecamera si allontana e riprende tutti i suoi amici intorno al piccolo tavolo in legno, ognuno con un piatto di plastica ed un pezzo di torta, il vino già aperto e il salotto più in disordine del solito.
Si voltano tutti verso l’obbiettivo e gli augurano di nuovo un buon compleanno.
A quel punto lo schermo diventa nero.
 
... dillo, non sono un genio?
Sì che lo sono, grazie.
Per la serie Piccole donne crescono: Buon compleanno, Robert.
Ammetto che un pochino mi manchi. Ma un ino pochino, proprio.
Ti aspettiamo tutti.
Un bacio,
 
Peggy.
 
 
 
 
 
 
 
 
ok, ammetto che dopo avervi fatto aspettare così tanto, dovrei vergognarmi per essermene uscita fuori con una stronzata simile. però boh, è il mio modo per fare gli auguri a robertino. in effetti non avevo mai nemmeno minimamente pensato a questo. avevo in mente altro per il terzo pezzettino della raccolta.
sì, babbe’, lasciamo perdere. sono stanchissima, la scuola mi sta uccidendo, ho bisogno delle vacanze e vi mando un bacione con la testa completamente vuota.
d.
 
ah, pare che oggi ( scoperta dell’altra ora ._. ) compia gli anni non solo il pattz, ma anche una certa personcina di miele rivestita ( ?! ) che molte di voi sicuramente conosceranno. ebbene sì, è lei o non è lei? ma certo che è lei! ( wth! ) cris87_loves_rob! auguri, dolcezza, spero tu abbia passato una bella giornata ;)

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Capitolo 4
*** capitolo 4. ***


mh
8 gennaio 2010
 
 



“Era proprio necessario riunirci tutti?” 
È generalmente noto che ad un certo punto della propria vita si cresce, si matura, si diventa responsabili.
Per quanto mi riguarda, non è ancora successo.
Robert mi guarda esasperato. “Sì, Peggy, era proprio necessario. Quindi fammi il favore e taci.”
“Bravo, amico, mettila al suo posto.” Lo incoraggia Tom.
Ora lo uccido con la forza del pensiero.
Vediamo.
Schiatta.
Cadi a terra privo di vita.
Ora!
La tizia che sta al tavolo vicino al nostro ride non so per cosa.
E Tom Sturridge è ancora una piaga vivente.
“Bene!” Fa Robert sbattendo la mano sul tavolo. Intorno a noi è abbastanza calmo, giusto i soliti clienti del pub.
Passa qualche minuto prima che lui riprenda a parlare. Marcus e Bobby intanto elogiano il genio di Tom Waits (ogni occasione è buona, pare), Tom e Sam fanno commentini scemi sulla nuova barista. Bello.
“Ti decidi?” Esplodo all’improvviso.
Robert ritiene che sia giunto il momento. “Sì, giusto. È una cosa importante.” Fa un respiro profondo, molto scenico. “Devo darvi una notizia. È una bomba, sul serio.”
“Lo sappiamo già, amico.” Interviene Tom il Profeta.
“Voi lo sapete?”
“Sì, certo! E davvero, non è un problema.”
“Ah.”
“D’altronde Clare ci aveva detto che dopo la morte di Patty non eri più lo stesso.”
“Sì, be’…”
“E Kristen… ecco, lei è stata una copertura decisamente assurda. Non ce n’era bisogno, sul serio! Non con noi, almeno! Nessuno ti giudica. Forse la stampa, ma davvero, non era necessario.”
Credo di essermi persa.
In effetti credo che tutti si siano persi tranne il Profeta.
“Una copertura?” Balbetta Robert.
“Dai, amico. Sono serio. Chi è così deficiente da mettersi insieme con l’unica Valley Girl che uno, non è bionda e abbronzata, e due, non ha tette né culo?” E fa quell’espressione, quella sua espressione da Sturridge Intellettuale, senza rendersi conto che sembra un completo idiota.
Robert è spiazzato,  non sa che dire. Io guardo gli altri e siamo uno più confuso dell’altro.
… ma di che sta parlando?
“Scusa il ritardo, colpa della Circle.”
Mi volto di scatto e mi sento gelare quando noto una ragazza dagli occhi grandi e profondi sorridere a Robert e baciarlo piano su una guancia, con una delicatezza tale da aver paura di infrangerlo – come i primi attimi di un risveglio, quando non si vogliono aprire gli occhi per poter rimanere intrappolati nel sogno.
“E questa chi è?!”
Il solito charme di Tom.
“Ragazzi”, fa Robert con un sorrisone, tenendola stretta a sé, “questa è Marisol. È la mia ragazza.”
Rimaniamo tutti paralizzati.
Con la coda dell’occhio noto che Marcus ha la bocca spalancata, Bobby il bicchiere di birra sollevato a mezz’aria, Sam gli occhi sgranati, e Tom…
“Seh, certo. La tua ragazza.” E mima le virgolette.
Marisol (oddio, dove ha comprato quella gonna meravigliosa?) ha intanto preso posto nella sedia vuota accanto a Robert e sta seduta proprio davanti a me. Sorride un po’ imbarazzata e io accenno un hey.
Il punto non è Marisol. Il punto è che fino alla scorsa settimana c’era la cavalla in città. E io non sapevo nemmeno che si fossero lasciati e che lui si fosse trovato subito dopo una ragazza!
“Robert, te l’abbiamo detto, non c’è bisogno di fingere. Siamo tutti tuoi amici, ti accettiamo per come sei.” Continua a blaterare Tom.
“Di che cosa sta parlando?” Domanda Marisol passando lo sguardo da lui a Robert. Ha un leggero accento.
“No, dai. Amico, ma sei caduto così in basso, non gliel’hai detto?”
“Ma dirle cosa?”
“Cosa? Cosa?! E fai pure l’ingenuo!” Apre le braccia e fissa noialtri con genuino risentimento. “Non dite nulla eh?” Ci accusa.
“Ma cosa dovrebbero dirmi?”
“Che sei gay, cazzo!”
 
La prima a rompere il silenzio è Marisol, la quale scoppia a ridere.
“Sì, certo, ridi. Ma non ti rendi conto? Ti sta usando come copertura come prima di te ha usato Kristen!”
“Non ha senso!”
“Certo che ne ha! Se si venisse a sapere che è gay perderebbe tutte le tredicenni in calore e i suoi film sarebbero un fiasco totale.”
“Grazie Tom, è consolante sapere che le mie fan sono interessate a me solo in quel senso.”
“Dai, lo sanno tutti.”
“Sì, come sapevano tutti che ero gay.”
E allora ridiamo, spezzando la tensione che si era creata, Bobby si alza per prendere altre birre e Tom è piuttosto confuso.
“Quindi non sei gay?”
“No, pare proprio di no.”
“Ah, ok.”
Scuoto la testa e noto che Marisol mi sta fissando. “Mi dispiace”, le dico. “Mi sa che dovrai abituarti a scene del genere.”
“Va benissimo.” E stavolta sorride sul serio e allunga la mano verso la mia. Io gliela stringo.
“Sono contenta di avervi finalmente incontrati. Robert non ha fatto altro che parlarmi di voi in questi mesi.”
In questi mesi.
Mi si stringe lo stomaco. Da quanto tempo va avanti? E perché non mi ha detto niente?
“Oh.” Non so che dire. Sono contenta anche io di averti incontrata? Sì, Robert mi ha parlato tantissimo di te. Già. Soprattutto quando Kristen veniva a Londra e uscivamo tutti insieme. Eri l’argomento principale.
“Vado… devo… devo fare una cosa, sì.” E mi alzo.
Esco dal pub e l’aria fredda è come una botta ai polmoni. Mi gira un po’ la testa.
Dei ragazzi stanno passando, barcollano e ridono e sono spendierati, senza dubbi, con la mente vuota e passi leggeri. Soho è in pieno fermento la notte. Si scopre dai negozietti e dalle bancherelle, si spoglia per i giovani in strade piene di mattonelle e pozzanghere sporche. E' un intreccio continuo di poesia e lingerie, le insegne dei locali forano il buio.
Tiro fuori dalla tasca dei jeans l’ipod. Mi blocco quando sento dei passi dietro di me.
“Lascia perdere i Beatles e ascoltami.”
“Non ne ho molta voglia, ad essere sincera.”
Robert si avvicina e mi prende di mano l’ipod.
“Sai che è crimine contro l’umanità non lasciar ascoltare i Beatles?”
“Peggy, mi dispiace…”
“Ti dispiace cosa, esattamente? Aver tradito Kristen? Aver fatto finta di nulla? Sai che non sono nel fan club della Stewart, ma comunque sia è sbagliato. Hai mentito anche a noi, a me. Perché non mi hai detto niente? ”
“Credo sia lo stesso motivo per cui tu non mi hai raccontato nulla dell’Irlanda.”
Mi manca il fato, la terra sotto i piedi, ginocchia forti. Balbetto: “Di cosa stai parlando?”
“Dell’anno scorso, quando siamo andati tutti insieme in Irlanda. Di quello che è successo con Tom.”
“Sta’ zitto.”
“E’ per lo stesso motivo, Peggy. Ero così confuso di quello che stava succedendo… per quanto possa contare, non ho tradito Kristen. Tra me e Marisol non è mai successo nulla fino a quando non ho chiuso con lei.”
Non mi rendo neanche conto di aver le mani chiuse a pugno fino a quando Robert non mi allunga l’ipod.
“Per favore, puoi tornare dentro?”
“Arrivo tra due secondi”, mormoro.
Lo sento sospirare e poi dirmi: “Dai, vieni qua.”
E lo abbraccio forte, mentre lui mi sussurra che posso piangere ora, che non mi vede nessuno, che Tom è dentro e questa cosa rimarrà tra di noi, me lo promette, è il mio migliore amico, è mio fratello, non lascerà che nessuno mi veda piangere, col trucco colante e il naso gocciolante.
Quando poi mi allontano, gli domando: “Secondo te Marisol dove ha comprato quella gonna?”
“Non lo so, ma glielo possiamo chiedere."



ho una scusa per il ritardo.
qualche tempo fa mi si è rotto il pc e ho perso tutto - quando dico tutto, intendo tutto! -, e solo oggi sono riuscita a calmarmi al pensiero, a farmene una ragione e a riprendere a scrivere questa storia.
ma non ho una scusa per l'orrendevolezza (mh?) di questo capitolo. quindi niente, gli altri saranno migliori, lo prometto.
nel mentre, vi lascio tutto il mio amore. passate delle buone vacanze.
ah, ovviamente fatti come l'incontro tra bobby e marisol o l'irlanda verranno ampiamente spiegati più avanti.
stay strong, 
d.

 

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Capitolo 5
*** capitolo 5. ***


streams
2 novembre 2000
 
 
 

“Non possiamo farlo.”
“Non è che non possiamo farlo. Noi dobbiamo farlo. Questa è una presa di posizione. Noi faremo vedere a questi snobboni ricconi che c’è gente forte, qua fuori, capace, piena di vita, che si ribella a queste leggi distorte.” Prendo un respiro profondo, è il momento. “La società inglese va oltre ogni definizione di malato. Sta a noi cambiarla. Rivoluzioneremo questo mondo. La terra d’Albione tornerà a spendere di pace e d’amore, la natura sarà tutta un rigoglio e ci saranno musica e armonia, niente più divisioni sociali, niente più guerre e odio.” Potrei mettermi a piangere per quanto il mio discorso è bello. “Si tratta solo di compiere questo passo. Romperemo gli argini. Saremo i fautori della rivoluzione morale e spirituale più grande e importante che l’uomo vedrà mai sulla terra. I libri di storia ci ricorderanno. Ci saranno statue di noi due in ogni angolo di mondo, non solo in Inghilterra. Perché una volta che gli altri paesi vedranno quanto è diventata bella Albione, anche loro vorranno essere così. E tutto grazie a noi. Che abbiamo avuto coraggio. Noi abbiamo combattuto e abbiamo vinto.”
Jade mi guarda spaventata.
Intorno a noi non c’è più nessuno, tutti sono entrati a scuola per le lezioni.
Sospiro profondamente con calma e pacifico equilibrio zen. Le metto le mani sulle spalle e la guardo fissa negli occhi.
“E’ il primo passo, Jade. Letteralmente il primo passo. Noi possiamo farcela. Te l’ho spiegato. La prima cosa da fare per la Rivoluzione è minare alle leggi imposte dai ricconi della nostra scuola…”
“Ma Peggy, tua madre è una delle rappresentanti dei genitori!”
Chiudo gli occhi e sento distintamente che ho cominciato a digrignare i denti. Calma e pacifico equilibrio zen. Calma e pacifico equilibrio zen. Calma e pacifico equilibrio zen. Siamo tutti figli della grande Albione. Se rimaniamo uniti, questa terra rinascerà dalle sue stesse ceneri come una gloriosa fenice.
Oh, come sono poetica!
“Peggy?” Azzarda Jade.
Riapro gli occhi e le faccio un sorrisone incoraggiante. “Non importa, Jade.”
“Vuoi dire che possiamo entrare semplicemente a lezione?”
“No, voglio dire che non importa se mia madre è una delle rappresentanti dei genitori. Noi lo faremo lo stesso. Perché è con questo atto che i maledetti ricconi capiranno con chi hanno a che fare. E si ritroveranno a doverci ascoltare. Perché è giusto così! Non possiamo andare avanti in questo modo!” Mi infervoro così tanto che prendo a gesticolare. “Questa è una realtà dove i potenti possono permettersi di tutto e noialtri poveri plebei dobbiamo faticare ogni giorno per ottenere un tozzo di pane e…”
“Peggy!” Esplode Jade. “Noialtri?! Tuo padre è un broker della City, per l’amore del cielo! E noi andiamo in una scuola privata da diecimila sterline l’anno. È te stessa che devi combattere!”
Mi blocco all’improvviso. Jade mi fissa col fiatone e le mani che tremano.
Rimaniamo per un po’ in silenzio. Lonsdale Road è sempre abbastanza trafficata a quest’ora, ma comunque silenziosa. A Oxford Street dovrebbero prendere esempio da questi signori in giacca e cravatta dietro berline nere, sempre detto io. Nessun clacson, nessun insulto. Si tratta solo di aspettare.
Ma torniamo al discorso principale.
Inchiodo Jade con lo sguardo. Sono un po’ offesa, sinceramente. E lei sarebbe la mia più cara amica? Sì, certo.
“Lo vedi?” Le chiedo. “Lo vedi? Non hai capito niente.”
Lei sbuffa pesantemente e mi dice: “Sei una povera pazza e finirai solo nei guai. Io me ne vado a lezione.” Così prende e mi volta le spalle.
Ma… ma… cosa?
“Non puoi farlo!” Urlo. “Non puoi abbandonarmi! Non avrai futuro, sappilo! Condannerò ai lavori forzati i ricconi e anche te, che sei una traditrice!” Non mi ascolta ed entra verso il cancello principale, quello d’entrata.
“Torna subito indietro! Ora! Ti stai giocando il futuro!”
Ma lei continua ad ignorarmi e, in pochi istanti, si dilegua dalla mia vista.
Lo sapevo io che non c’era da fidarsi neanche di lei. Di nessuno in questa scuola per snob con aspirazioni artistiche.
 
The Harrodian School.
È un nome decisamente privilegiato nell’infinita lista di scuole londinesi.
Si tratta di una scuola superiore con mille mila corsi, il più importante dei quali è quello di teatro – che ahimé frequento e con scarsi risultati.
Se passate per Barnes qualche volta, la riconoscete subito. Un grande edificio vittoriano (ma è vittoriano?) bianco, un giardino immenso e con una cosa come cinquemila specie floreali e imponenti portici sotto la cui ombra nascondersi in preparazione degli esami. In verità i portici sono ad uso esclusivo e limitato di chi sta studiando per gli A-levels – altro motivo per cui la mia Rivoluzione è necessaria. Se ne sono appropriati chissà quanti anni fa e questa farsa tradizionalista continua ad andare avanti.
La Harrodian, di per sé, si ritiene una scuola piuttosto progressista. E ogni volta che riceve qualche premio dallo Stato la Preside ride estasiata, e sono divisa tra due ipotesi riguardo questo: prima ipotesi, si rende conto che è un premio assolutamente immeritato, ma lei continua ad accettarlo, quella bastarda mentitrice; seconda ipotesi, è una tale idiota  che non si rende conto di quello che succede nella sua schifosissima scuola con tanto di nome cesellato in oro.
Ma grazie il cielo ci sono io, ora, pronta ad infrangere queste credenze. Pronta a rinfacciare la realtà, a far aprire gli occhi su questo marcio (c’è del marcio alla Harrodian, e non mi si venga a dire che non sono una brava attrice!), a convincere le persone che c’è bisogno di un cambiamento.
 
La prima cosa da fare quando si vuole intraprendere una rivoluzione è attentare al passato. Bisogna aver letto 1984 per capire una cosa simile, modestamente.
Per quanto riguarda la Harrodian ( la dannata scuola progressista, no? ) c’è una semplice e secolare regola che tutti gli studenti – dal primo all’ultimo – seguono senza porsi neanche una domanda. È un dogma. Si tratta di uno di quei confini tracciati sulla sabbia che equivalgono a muri di Berlino – da buttare giù, tra l’altro.
La scuola ha due enormi cancelli neri. Il cancello est è quello adibito all’entrata, il cancello ovest all’uscita.
Facendo riferimento alle cronache della Harrodian mai, neanche una volta nella sua storia, è successo che uno studente entrasse dal cancello d’uscita o viceversa.
Lo so che sembra una stronzata. Ma sul serio, con un gesto simile si rischia l’espulsione, mica cosa da poco. Ma se io per prima compio questo passo, allora tutti dopo di me capiranno che ci si può ribellare al sistema malato – una specie di Grande Fratello, e forse dovrei smetterla di leggere e rileggere Orwell.
Per cui, è giunto il momento.
Piano, con una certa e pesante grandezza d’animo, mi avvio verso il cancello ovest.
Mi metto là davanti e lo osservo come si osserva il nemico. Annego nell’aria che respiro. Lo sto per fare. Sto per minare l’intero sistema. Sto per distruggere la Harrodian e le sue assurde regole. Sto per mettere in atto la Rivoluzione. Dietro a questo passo ci sarà solo terra bruciata. Davanti ci saranno i colli d’Albione che dolcemente cantano l’inno di vittoria ed amore.
Oddio, la devo smettere con queste stronzate, dai, andiamo avanti!
Ed è un momento. Quell’attimo che cambia una vita, quando senti i polmoni in fiamme e i polsi vuoti, e la testa così piena di pensieri che non li riesci neanche a fermare per capirli bene, perché hai tutto in mente e non sai come dirlo.
È quell’attimo che hai aspettato per così tanto tempo che quando arriva non sembra neanche vero.
In effetti, sembra così poco vero che ti fa pure abbastanza schifo.
Ok. Ho passato il cancello.
Sono dall’altra parte.
Bene.
Sono entrata dall’uscita.
Mmm.
Perché non esce fuori la Preside e mi urla su di tutto?
Dove sono gli studenti che mi applaudono?
E il campanello d’allarme? Dai, ci dovrebbe essere un dannato campanello che suona per l’infrazione!
Insomma.
Perché cazzo la Rivoluzione non ha avuto inizio?
 
Dev’essere sicuramente qui, da qualche parte. L’ultima volta era nello scaffale a destra, non possono averlo spostato. D’altronde, che senso avrebbe?
Come se qualcuno fosse tanto disperato da entrare nelle cucine della scuola finite le lezioni.
Ma figuriamoci.
Tossicchio un pochettino e mi sento una ladra. Però oh, insomma, voi non capite cosa significa aver visto il proprio sogno andare in fumo. Completamente in fumo! Esattamente come quella schifosissima sostanza appiccicosa che poi è andata a fuoco, creata oggi nell’ora di chimica.
Sono disperata, ok?
La Rivoluzione non ha funzionato, a scuola è andata uno schifo, sono depressa. Chiudiamola qui, grazie.
E forse dovrei cambiare corsi, perché questi discorsi a monologo davanti ad un pubblico esistente solo nella mia mente non stanno portando a nulla di buono, se non a… oh, eccolo lì!
Mi avvicino al barattolo da 127 chili o giù di lì di Nutella, nascosto in una credenza poco sopra la lavastoviglie.
Be’, voglio dire. I miei mica pagano tutte quelle tasse per farmi mangiare cavolo bollito.
Apro il cassetto delle posate e tiro fuori un mega cucchiaione. Poi mi avvicino all’isola che sta davanti ai fornelli – credo sia quella che usano per tritare verdure e carni, bleah. Ci stendo il primo grembiule che trovo e mi ci siedo sopra. Quindi, comincio a mangiare.
Calma e pacifico equilibrio zen, venite a me.
Amen.
“Ehm, scusa?”
Oh per il culo pieno di piaghe della regina, ho quasi ingoiato il cucchiaio!
Mi volto a scatti con le lacrime agli occhi per il dolore fino a scorgere, vicino alla porta, un ragazzetto magro come un chiodo e dei capelli che, senza offesa, fratello, ma Mr Bean è pure più fashion.
Grazie al cielo non è un insegnante!
“Ma sei impazzito? Potevo morire.”
Il tipetto si avvicina lentamente verso di me e io salto giù dall’isola. Trascina i piedi e pare piuttosto imbarazzato. La camicia della divisa ha qualche bottone aperto e i pantaloni sono pieni di pieghe.
Io questo qua l’ho già visto da qualche parte.
“Scusami, non volevo.”
Ha un vocino sottile, da donnicciola. Gli occhi grandi e azzurro liquido che si perdono all’interno della cucina, vagando di qua e di là a disagio.
“Ci conosciamo?” Gli chiedo, ignorando del tutto le sue scuse.
“Ehm, sì. Frequentiamo il corso di Teatro alla terza ora.”
“Ah. Sì, certo. Adesso ho presente.” Come no? Devo averlo intravisto qualche volta. C’è sempre troppa gente e troppa confusione.
“E cosa ci fai qui?” Continuo.
Magari è una spia della Preside.
Magari hanno scoperto della mia Rivoluzione!
Oddio, sono nella lista dei nemici pubblici!
Inarco le sopracciglia in quella che dovrebbe essere una faccia molto da hey, non mi fai paura, sono una ganza io.
Ma lui non sembra farci molto caso. Dice: “Sono in punizione. Devo tirare fuori il pane dai freezer per il pranzo di domani.”
Non me la conta giusta. Uno sfigato come lui in punizione? Sì, figurati. È sicuramente qui per me, per scoprire il mio piano diabolico e sabotarlo a favore della scuola.
È assolutamente così, me lo sento. E il mio sesto senso non mente mai.
Con passi lenti e studiati prendo a girargli intorno. Sta tremando come una foglia.
Balbetta: “Ma tu… tu cosa ci fai qua?” E guarda il mio barattolo di Nutella.
Uhm. In effetti non è che ci faccia molto la figura da grande rivoltosa così eh. Con un cucchiaio per spada, le labbra probabilmente sporche e gli occhi ancora lucidi.
Anzi, parlandoci chiaro faccio proprio schifo.
Sospiro. Una volta ho sentito in un film che le migliori bugie sono le mezze verità. Forse è il caso che io gli dica solo una parte del tutto. Non dovrà mai scoprire il mio piano. Mai.
“Ero triste.”
“Non ha molto senso”, azzarda lui.
Ma questo qui non capisce una cippa. “Mi viene fame, ok?”
“Ah, va bene.” Si sposta in fretta e in modo molto goffo verso i tre enormi freezer e li osserva. Credo sia un po’ tardo.
“Senti, ma qual è il tuo nome?”
“Robert. E il tuo nome lo conosco.”
“Ah sì?”
Lo vedo sorridere in fretta, senza neanche voltarsi a guardarmi. “Conosco un po’ i nomi di tutti.”
Mi passo una mano sul volto, stanca.
Gesù. Il prossimo film su un nerd sentimentale avrà lui come protagonista.
“Tu non sei una spia, vero?”
Adesso si è girato e mi fissa stralunato. “Una spia?”
“Tu sei solo un povero sfi… - sfiduciato - ” Sfiduciato?! Ma come mi è venuto in mente? Ora sì che non capirà quello che intendevo, brava Peggy, davvero “… che ha fatto non so cosa e ora si ritrova qui, nel bel mezzo di un furto di Nutella.”
Ridacchia. Ha una risata strana. Non è il caso di chiedergli se ha l’asma, magari si offende.
“Col barattolo che hai rubato, mi sa che rischiamo entrambi l’espulsione.”
Mi sfugge un risolino. È simpatico, dai. Passata la tentazione iniziale di pestarlo per averti fatto soffocare, alla fine può rivelarsi… mh, piacevole.
“Be’, ora scusa… ma devo fare, sì, il lavoro sporco.”
“Certo, certo.” Dico. “Buona fortuna. Ci vediamo domani, Robert.”
“A domani, Peggy.”

 

 

 

 

 

 

 

 

ed ecchime qua con un nuovo aggiornamento tutto per voi, yay! 
ve l'avevo detto (non ricordo, ma mi pare di sì!) che sarei tornata entro breve u_u si trattava solo di far passare la furia omicida per il pc e tutto sarebbe tornato al posticino suo. ma comunque. tutto ciò non frega a nessuno!
avete appena letto (e ce ne vuole di coraggio!) il primo incontro tra bobby e peggy, la quale era tutta presa in un suo periodo rivoluzionario. da sapere che l'odio profondo per la scuola è direttamente collegato al fatto che domani ricomincia ç_______________ç e volete sapere a che punto sono coi compiti? ovviamente no, ma siccome è il mio spazio ve lo dico: sono ad un fottuto punto morto! oh.
babbbbene, non starò qui ad assillarvi con le mie paturnie, ovvia. volevo più che altro ringraziarvi perché siete tutte così affettuose con me <3 che poi, diciamolo, non me l'aspettavo proprio un bentornato così caloroso, davvero! ero lì lì che mi dicevo ommioddio, adesso mi spareranno dietro per il ritardo assurdo. e inveceee *___* che donnaccia ingrata che sono, tzé!
anywaaays. non ho idea di quanto aggiornerò di nuovo. aggiornerò, questo è certo, ho mille mila idee per questa storiella qui, peròòò, come ho già avuto modo di dire (ç____________ç) domani ricomincia la scuola (uccidetemi) e mi sono ripromessa (perché sono così demente, perchééé?!) che quest'anno, visto che ci sono gli esami e con molta probabilità mi beccherò greco alla seconda prova (no, ok, ho cambiato idea, uccidetemi adesso!), è forseforse il caso di mettersi un cincinnino più di impegno. quindi dovrò abbandonare la lista infinita di libri da leggere, cd da ascoltare, film da vedere e storie da scrivere.
e dopo questi discorsi intelligenti e oltremodo interessanti (...) io direi proprio che è il caso di andare e lasciarvi vivere la vostra vita, che penso sia decisamente più cool.
keep bobbing (non ha alcun senso messo qua, ma chissene, era per far la figata!),
d.

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Capitolo 6
*** capitolo 6. ***


chappo nonsochenumero
16 gennaio 2010
 
 

“Ci siamo conosciuti alle superiori. A dir la verità ci eravamo conosciuti prima, alle elementari, ma io non mi ricordavo di lui. In pratica quando avevamo otto anni si era innamorato di questa bimbetta, no?, e voleva sposarla. Siccome io ero la più brava con gli anellini di margherite, ha chiesto a me di fargliene uno per potersi dichiarare.”
Marisol sorride.
“Non si è dichiarato, però. E quando ci siamo rivisti alle superiori lui aveva quel sentore familiare, qualcosa che mi richiamava dal passato. Ma non pensavo fosse quel bimbetto che era venuto sicuro sicuro da me chiedendomi di fargli un anellino di margherite in cambio della sua merenda.” Mi fermo un attimo e prendo un respiro profondo. Poi bevo un sorso di cioccolata calda e mi osservo intorno.
Marisol vive in una piccola casettina bianca, alta e stretta a Chiswick. Appena saputo della zona in cui viveva, da brava fan di Doctor Who, mi sono emozionata a tal punto da mettermi quasi a saltellare.
Per cui, eccomi qui. Bloccata nello stanzino dalle pareti chiare di Marisol, con i suoi vestiti colorati buttati su una sediolina di legno, la finestra che dà sul prato innevato e un buon odore di terra nuda spagnola. Mi ha presa per la gola, la cara Marisol. Mi ha preparato la cioccolata calda, una bella ciotola di fragole tagliuzzate e i marshmallow da inzuppare. Mi sembra di stare al centro di un rito di iniziazione, con Robert che ha tanto insistito perché conoscessi la sua Marisol e le dessi la benedizione per entrare a far ufficialmente parte del branco.
Per quanto mi riguarda, la tipetta qui mi sta pure simpatica. O almeno, l’altra sera al pub mi ha narrato alcuni aneddoti sui ragazzi spagnoli da morirci. E alla fine della serata – tra birre e risate – non riuscivo neanche più a tenermi in piedi. Insomma, diciamolo, scene patetiche come queste non si ripetevano da quando a 16 anni mi  sono sbronzata a casa di Sam assieme agli altri. Che poi suo padre ci abbia beccati tutti ubriachi fino al midollo, è un altro paio di maniche. Probabilmente marinare la scuola per darsi all’alcolismo non era stata l’idea migliore, viste le conseguenze.
Continuo a guardarmi intorno. Sulle pareti color crema del muro sono state incise delle frasi, citazioni e pezzi di canzoni, qualche disegno cicatrizza le crepe e strani oggetti celtici spuntano di qua e di là in lunghi fili di significati che non comprendo. Sono tentata di farmi spiegare il tutto.
Parlandoci chiaro, come fa a non starmi simpatica una che mi prepara cioccolata, fragole, marshmallow e ha una stanza simile? Ecco.
“E tu e Bobby? Come vi siete conosciuti?”
Marisol aggrotta la fronte e sorride. Lei sorride spesso. Non di un sorriso forzato, o tirato, nemmeno di un sorriso sfacciato. Lei ha il sorriso sincero e un po’ timido dei bambini, di quelli che quando sorridono sorridi anche tu. Non si tratta dei sorrisi della pubblicità Colgate, non è un sorriso sicuro di sé. Un sorriso così non te lo aspetti. Cioè, il momento prima stai parlando e quello subito dopo eccolo spuntare, senza alcun preavviso, niente di niente, solo denti e occhi luminosi e pieghe del volto che vanno all’insù.
“Non te l’ha raccontato?”
“Ovvio che l’ha fatto”, ribatto sconvolta. “Però mi piace ascoltare i due punti di vista.”
Si blocca per un secondo e mi fissa dritta negli occhi. Sono grandi, di un nocciola chiaro, profondo, spezzato in mille sfumature. “Mi hai ricordato una cosa, sai?”
“Cosa?”
Mi fa segno di aspettare, quindi si alza e va nella piccola libreria a muro alla ricerca di qualcosa. Non trovandola, si guarda intorno, poi si avvicina alla scrivania e prende a controllare anche lì.
“Mmm, vediamo… oh, ecco!” Esclama e si volta verso di me con in mano un libriccino minuscolo, sulla copertina del quale capeggia a chiare lettere un nome che è tutt’altro che chiaro. “Leggilo”, mi dice. “Poi capirai.”
“Ma cosa?”
“Due punti. I due punti di vista.”
Vedendo che non capisco, aggiunge. “E’ il titolo della raccolta”, e indica il libro. “Amo la Szymborska. E… sai, è buffo.” Abbassa lo sguardo, incredula.
Forse dovrei smettere di ingozzarmi mentre questa poveraccia sembra così presa dai suoi ragionamenti. Però è tutto talmente buono! Sorseggio altra cioccolata e prendo dalla ciotola un cucchiaione di fragole. Mmm, avrei voglia di un po’ di panna!
Quando riporto lo sguardo su Marisol, noto con orrore che lei ha ripreso a guardarmi.
Oddio.
Riprenditi, Peggy. Fai bella figura, per favore. Almeno tu tra tutti gli amici di Robert!
Mi schiarisco la voce: “Cosa c’è di tanto buffo?”
“A parte te?”
Spalanco la bocca, fintamente offesa.
Ma poi non resisto e scoppio a ridere, lei mi segue.
“Scusami – faccio – ma se si tratta di cioccolata e fragole non c’è nient’altro che valga al mondo.”
“Eh sì, se per questo ti capisco.” Annuisce.
“Torniamo serie, dai. La cosa buffa a parte me?”
“E’ che la Szymborska ha scritto tutta una poesia che riguarda i sentimenti improvvisi. Ora provo a spiegarmi.” Si siede meglio sul letto e io appoggio la mia merenda luculliana sul tavolino accanto alla scrivania. Mi metto quindi a gambe incrociate e appoggio la schiena al muro.
“In questa poesia si parla di un uomo e una donna. Loro sono certi di non essersi mai visti prima e che il loro sia quello che tutti chiamano amore a prima vista. Ma non c’è da esserne sicuri, provoca la Szymborska, perché il caso, prima di diventare destino, può aver giocato con loro. E c’è quest’immagine stupenda di una foglia che si è appoggiata prima sulla spalla dell’uno e poi su quella dell’altra. O di un sogno identico che entrambi hanno avuto in una notte e che poi hanno dimenticato. O nella marmaglia di gente contro cui si va a sbattere uno scusi sussurrato senza sapere chi lui sarebbe poi diventato. E… be’, non ti sembra buffo?” Si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “A otto anni tu fai un anello di margheritine ad un bimbo di cui poi ti scordi completamente e lo incontri di nuovo solo molti anni dopo e diventate amici. Tu neanche ti ricordavi di lui. Pensavi che quello fosse il vostro primo incontro, e invece non era per niente così. Il caso aveva giocato con voi. E chissà quante altre cose potreste aver fatto insieme senza saperlo, chissà quante altre volte le vostre strade si saranno incontrate, ma mai incrociate. E poi prendi me. Mi trasferisco dalla Spagna a Londra non so neanche io esattamente perché, così, perché mi manca l’aria, perché mi manca una bussola, perché mi manca lui nella vita, mi manca un senso, insomma, mi manca un tutto!, e comincio a girovagare per i vari quartieri vicino a Chiswick, cantando i Pogues, che amo alla follia, e tutto ad un tratto, eccolo che spunta, si piazza davanti a me e dice che anche lui ama i Pogues. Pensaci. Chissà quante volte abbiamo ascoltato le stesse canzoni negli stessi momenti, chissà quante volte abbiamo entrambi girovagato con gli occhi bene aperti alla ricerca di qualcosa, pensaci bene. Io lo stavo cercando quel giorno e lo sapevo. E lui stava cercando me, solo che non lo sapeva. E qualche mese dopo io incontro la sua migliore amica che mi fa tornare alla mente delle poesie della Szymborska.” Si porta le mani al volto, visibilmente divertita. “Guarda un po’ come ti gira la vita.”
Ho la pelle d’oca. Marisol e le sue parole e i suoi pensieri hanno qualcosa di luminoso in sé. Qualcosa di magico che non avevo mai sperimentato prima. Hanno speranza e amore. Mi rendo conto, con una punta di invidia e ammirazione, che i suoi occhi vedono tutto meglio dei miei. Anzi, che i suoi occhi hanno coraggio di vedere ogni singolo particolare e renderlo significativo e prezioso.
“Gesù. I tuoi ragionamenti”, le dico, “sono di un altro mondo.”
Scuote la testa, divertita.
Mi mordicchio il labbro, pensierosa. C’è una cosa che vorrei chiederle. Tentenno: “Ma… sei mica fan di Bobby? Voglio dire… hai detto che lo stavi cercando e…” Mi blocco.
Marisol guarda fuori dalla finestra. Ha lo sguardo un po’ perso, quasi a cercare le parole giuste, a raccogliere tra le mani come i fiocchi di neve che scendono giù da un cielo bianco da far mancare il fiato.
“Non è esattamente così, Peggy.” Mormora. “E’ una cosa che… non so neanche spiegarla. E’ complicato.”
Cos’è che dicono nei film a questo punto? “Mettimi alla prova.” Uhm, sì, credo sia così. Anche se a volte mi chiedo com’è che tutti riescono ad avere sempre una risposta pronta, brillante ed esilarante – e io no, ovvio.
“Mmm, suona bene.” Mi incoraggia lei.
“Grazie!”
Fa un respiro profondo e si guarda le mani. Ha le dita lunghe e bianche, leggere. “Non sono una sua fan. Voglio dire… ok, ho visto tutti i suoi film e lo ammiro tantissimo. Però non è questo.” Fa una pausa, come a prepararsi. Le esce una risatina nervosa. “Non prendermi per pazza, per favore.”
E lo dice a quella che si è fatta nemiche le papere del Barnes Pond.
“La prima volta che l’ho visto ero al cinema. Per un film che tra l’altro neanche volevo vedere. Ero… ero molto diversa dalla persona che sono oggi. Ero triste, stanca, avevo questo qualcosa che mi mangiava da dentro a fuori e non mi faceva dormire la notte. Non avevo pace. E… sai, ad un certo punto – non ero nemmeno attenta, non avevo idea di cosa parlasse il film – ho visto i suoi occhi. Io non lo so. Io non lo so perché uno sguardo scateni una tempesta, non ho idea di come sia possibile che crei una rivoluzione, sradichi fondamenta per crearne alcune tutte sue. Non ne ho idea. Però i suoi occhi hanno forato quello schermo, hanno spezzato ogni confine e mi hanno investita con una violenza tale da svegliarmi da quella specie di coma.” Si prende il volto tra le mani e mi guarda sorridente, con un’espressione che sembra volermi dire sono matta, vero?
“E poi?” Mi rendo conto leggermente imbarazzata che ho sussurrato con voce tremante. Sento le mani gelide e ho un’improvvisa voglia di abbracciarla forte e piangere.
“Poi… be’, ho preso a scrivere”, mi spiega.
“Scrivere?”
“Sì, sai. Non potendo averlo nella mia vita, l’ho voluto con me nelle mie storie. Ogni parola, ogni spazio, ogni virgola mi riportava a lui. Non avevo altro che lui che mi trascinava fuori da quel pozzo in cui mi sembrava di essere caduta.” Si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e il suo volto si stende, tranquillo. “Ma non ne potevo più di quella mancanza. Mi uccideva il fatto di non essere sotto quel cielo che aveva la stessa vernice dei suoi occhi. Un giorno ho fatto le valigie, ho salutato tutti – molti li ho semplicemente mandati affanculo – e sono arrivata qui a Londra. Non avevo altro nelle mani se non le mie storie e tanta speranza, e stavo benissimo così, perché finalmente stavo vivendo la mia vita, mi stavo rialzando e avevo così voglia di poter respirare ancora a pieni polmoni! Mi mancava, certo. Ogni giorno di più e in modi che non credevo possibili. Sai, non è una mancanza che sta solo nella testa, non si trattava solo di pensare oh, mi manca. Se fosse stata una mancanza ferma alla testa, avrei pure potuto combatterci, perché si tratta della mia mente, posso ragionarci. Ma lui mi mancava dappertutto. Mi mancava nel cuore, nel ginocchio, nell’incavo del gomito, nei polpastrelli, e spiegami tu come posso farli ragionare, i polpastrelli. Lui mi mancava di una mancanza che cancella il resto e riempie ogni singolo spazio, così da diventare presenza. Poi, un pomeriggio, è davvero diventato presenza. Quando me lo son trovato piazzato davanti a me mi son detta oh, cazzo, e ho perso non so quanti battiti. Due secondi. Due secondi senza fiato, mi sembrava non ci fosse nemmeno più il tempo e la terra. E poi basta. Dopo quei due secondi, tutto mi è sembrato tornare al suo posto, come se i puntini fossero stati infine collegati l’uno all’altro. Io ero al mio posto, davanti a lui, coi suoi occhi nei miei. E lui era al suo posto, in un ordine che non so dirti se fosse prestabilito, ma mi sono sentita come fossi stata davanti a lui da almeno mille anni, senza sforzo, senza ripensamenti, solo io e lui, io e il suo fiato e i suoi occhi e le sue mani e il suo tutto, del resto non me ne importava proprio niente.” Riprende fiato. Mi osserva da sotto le sue lunghe ciglia in attesa di una mia mossa.
“Complicato un cazzo, voglio dire. Questa cosa non te la sa spiegare il National Geographic.” Commento.
E ci lasciamo andare in una risata.












lo so che non ho scuse. me ne rendo conto.
però le utilizzerò lo stesso.
per cui.
scusate il ritardo. ma sapete, c'è quella robina chiamata scuola. peggio ancora, ci sono quei cosi chiamati prof che ti ricordano ogni due secondi che ci sono quelle altre cosine chiamate esami di stato - super yay.
scusate quel mescolamento di parole totalmente insensato che mi son messa in testa di chiamare capitolo. ma ho poco tempo, e in quel poco tempo che ho sono tipo devastata. però ci tengo ad aggiornare, per cui ecchime qua!
spero che i prossimi capitoli siano più carucci. io continuo ad illudermi - spero anche voi!
nel mentre, vi stringo forteforte e ci vediamo al prossimo aggiornamento!
dee.

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