It calls me home.

di Kary91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blackbird. [Tyler & Mason Jr.] ***
Capitolo 2: *** Il bambino che inseguiva le stelle cadenti. [Jeremy,Xander & Oliver] ***
Capitolo 3: *** Do you believe in magic? [Bonnie,David, Julian & Atumn] ***
Capitolo 4: *** Blowing Memories [Matt,Vicki & Vicki Junior] ***
Capitolo 5: *** Keep Moving Forward [Elena & Jeffrey] ***



Capitolo 1
*** Blackbird. [Tyler & Mason Jr.] ***


 

Per la mia Tailer.

Perché nulla di tutto ciò avrebbe mai visto la luce se non fosse stato per i suoi incoraggiamenti e per i nostri scleri notturni.

Grazie <3

Geremi.

 

It calls me home.


Happiness is like the old man told me
Look for it, but you’ll never find it all
But let it go, live your life and leave it
Then one day, wake up and she’ll be home


Happiness. The Fray

 

Chapter 1 [Tyler &Mason Jr.]

[Per evitare di creare confusione: Ricki, Caroline e Mason sono i pargoli di Tyler. Jeffrey Donovan è il primogenito di Matt e Elena. Alexander e Oliver Gilbert sono invece i due figlioli di Jeremy.]

 

Blackbird.

Blackbird singing in the dead of night
Take these broken wings and learn to fly
All your life
You were only waiting for this moment to arise.

Black Bird. The Beatles

Erano più o meno le quattro del pomeriggio quando Tyler si decise finalmente  ad abbandonare il silenzio del suo studio con l’intenzione di sgranchirsi un po’ le gambe.

Il suo sguardo frugò istintivamente il giardino alla ricerca di qualche faccino accalorato per il caldo o di bambini in lacrime per via di un ginocchio sbucciato, ma fu sorpreso nel realizzare che tutto stava procedendo con tranquillità quel pomeriggio.

Era facile per lui individuare i nascondigli dei suoi due figli maggiori. La risata di Ricki era una costante che difficilmente mancava quando il ragazzino era in cortile, così come le esclamazioni sorprese di Jeffrey Donovan che lo accompagnavano quando uno dei due bambini si lasciava sfuggire il pallone in strada.

In quanto a Caroline, la sua figlia di mezzo, Tyler non doveva fare altro che inseguire il rumore delle ruote di plastica che grattavano sull’asfalto per scovarla. Nella maggior parte dei casi, si sarebbe trovato di fronte a due birbantelli muniti di casco e protezioni intenti a sfrecciare lungo il marciapiede mano nella mano, i fidi pattini allacciati ai piedi: Caroline Lockwood e Alexander “Xander” Gilbert.

Il problema giungeva quando arrivava l’ora di trovare il minore dei suoi figli.

E se Mason Lockwood decideva di rendersi invisibile, difficilmente si riusciva a scovare il suo nascondiglio.

“Mase!”

Tyler chiamò a voce alta scrutando i cespugli con attenzione nella speranza di individuare un visetto esile e due curiosi occhioni grigi.

“Mase!”

Non ottenne alcuna risposta; tuttavia la sua attenzione venne catturata da un insolito gracchiare proveniente dal retro di casa Lockwood.

“Attento signor Lockwood!”

Il piccolo Xander gli sfrecciò accanto ridendo, mentre Caroline lo inseguiva sforzandosi di acciuffarlo.

Tyler gli arruffò i capelli con aria divertita prima di allontanarsi alla ricerca del figlioletto minore.

“Mason?”

Il gracchiare aumentò d’intensità man mano che Tyler si avvicinava al retro del cortile.

Un sorriso spontaneo gli illuminò il viso non appena individuò un paio di minuscole scarpe da ginnastica semi-nascoste nel tappeto di erba fresca.

Mason Junior se ne stava accoccolato sul terreno a pancia in giù, il mento appoggiato ai pugni e lo sguardo completamente assorbito da una creatura che giaceva immobile a qualche metro di distanza da lui.

“Ehi, Mase!”

Lo raggiunse sedendosi a gambe incrociate al suo fianco.

“Che è successo a quell’uccellino?”

Domandò dopodiché osservando assieme al figlio lo zampettare incerto dell’animale che aveva preso a scrutarli diffidente.

Doveva essere un corvo a giudicare dal piumaggio scuro. Probabilmente, poco più che un cucciolo.

“Non avrai mica paura, eh?”

Aggiunse con un guizzo divertito nello sguardo notando l’espressione tesa che aveva assunto il bimbo.

Tra i tre piccoli Lockwood, Mason era sicuramente quello su cui Tyler vegliava con maggiore apprensione. Era un ragazzino timido, riservato, ben più tranquillo rispetto ai due fratelli maggiori.

Ma Mason era anche un bambino molto insicuro, e probabilmente quello era una delle cause che contribuivano ad attribuirgli una leggera balbuzie. Il difetto di pronuncia aveva fatto capolino nel suo modo di parlare sin dal primo periodo in cui aveva cominciato ad esprimersi.

Era più che altro un inciampare sulle lettere iniziali di alcune parole, specie se si trovavano al principio di una frase.

Il ragazzino scosse il capo in fretta pur continuando a scrutare diffidente il corvo.

P-Pe-Penso che si è rotto un’ala, papà.”

Azzardò indicando con l’indice la posizione innaturale dell’animale, cui piumaggio pareva particolarmente arruffato su un lato del corpo.

“N-Non vola più.”

Tyler esaminò con attenzione la creatura.

“A me l’ala sembra a posto…

Commentò in tono di voce incoraggiante accarezzando il capo di Mason.

“Magari è solo un po’ spaventato.”

Mason aveva un’aria poco convinta.

Ma-ma-magari è caduto e adesso non vuole più provare a v-volare.”

Azzardò cercando una conferma nello sguardo del padre.

Tyler rimuginò a lungo sulle parole di Mason, quasi stesse tentando di far combaciare alcuni suoi pensieri all’osservazione del bambino.

Senti, Mase…

Mormorò infine dopo aver dato un’occhiata frettolosa all’orologio.

…perché non proviamo semplicemente a dargli un po’ di tempo?”

Domandò arruffandogli i capelli.

“Probabilmente se lo lasciamo solo per un po’si sentirà più tranquillo e magari riuscirà anche a ricordarsi come si vola. Che ne dici?”

Mason valutò la proposta in silenzio prima di annuire lentamente.

“Bene.”

Commentò Tyler alzandosi in piedi e dandosi una spolverata frettolosa ai vestiti.

“ Adesso però devo tornare nello studio. Perché mentre aspetti che il corvo si rimetta non vai a trovare Oliver Gilbert? Ho sentito dire che ha un nuovo aereoplanino telecomandato del genere che piace a te. Sono sicuro che te lo farebbe provare volentieri.”

Oliver era il fratellino minore di Alexander. Quel ragazzino stava a Xander proprio come Mason stava a Ricki. Mentre Xander era un simpatico monello vivace e sempre in movimento, Oliver era un tipetto tranquillo dal carattere mite, più interessato a osservare i riflessi del sole su un ruscello o le lucciole che illuminano a intermittenza un prato piuttosto che rincorrere un pallone da football.

Oliver e Mason erano anche praticamente coetanei e sia Jeremy, sia Tyler erano convinti che tra i due sarebbe potuta nascere una bella amicizia se solo si fossero frequentati un po’ più spesso.

Ma la timidezza di Mase talvolta impediva al bambino di trovare il coraggio per andare a chiamare Oliver, convincendolo a restarsene in giardino per conto suo, nonostante il desiderio del piccolo Lockwood di avere qualcuno con cui giocare fosse più che evidente.

kay.”

Accettò infine la proposta del padre fissandosi le scarpe con aria esitante.

 “Bravo Mase.”

 Tyler gli arruffò affettuosamente i capelli un’ultima volta e si affrettò a tornare nel suo studio lasciandosi le risate e gli schiamazzi dei bambini alle spalle.

Mason scoccò un’occhiata nervosa al corvo che ricambiò il suo sguardo con diffidenza.

T-torno presto.”

Lo rassicurò prima di sollevarsi in piedi di scatto e di precipitarsi di corsa fuori dal giardino di casa Lockwood.

Non ebbe bisogno di fare molta strada per trovare Oliver: il ragazzino sedeva su un muretto a pochi metri di distanza da casa sua, il fido aeroplano di plastica in bilico sulle ginocchia.

“Ciao Mase!”

Esclamò con aria serena quando riconobbe il bambino dall’altro lato della strada.

Mason gli rivolse un timido cenno di saluto con la mano.

“C-Ciao.”

Rispose un po’ titubante prima di convincersi ad attraversare per raggiungere l’amico.

Q-quello v-vola per d-davvero?”

Domandò poi focalizzando la sua attenzione sul modellino.

Oliver annuì fiero porgendogli il telecomando.

Sissì. E ha le luci e tutto il resto. Proprio come un aereo vero.”

“Forte!”

Commentò Mason permettendo infine a un sorriso timido di fare capolino sul suo viso.

Oliver arrossì leggermente, ricambiando il sorriso, orgoglioso del suo nuovo giocattolo.

“Se vuoi ti faccio vedere come si fa a farlo volare.”

Propose porgendogli il modellino con disinvoltura.

“Tanto io già lo so usare. Così poi lo puoi provare anche tu.”

Il visetto di Mason si illuminò per la contentezza.

“ Posso davvero?”

Domandò senza alcun tipo di esitazione afferrando l’aeroplanino per la base.

Oliver sorrise on aria mite balzando a terra con un salto.

“Certo! Andiamo a casa tua?”

Mason annuì con vigore.

An-andiamo!”

Ripetè con aria d’un tratto ravvivata facendo strada a Oliver che lo seguì di corsa, facendo bene attenzione a non far cadere il telecomando.

Quel pomeriggio, Mason e Oliver lo trascorsero a rincorrersi per il giardino pilotando a turno il piccolo aeroplano di plastica e divertendosi a infastidire i fratelli maggiori con il ronzio insistente del giocattolo.

Solo verso sera, Mase si ricordò del piccolo corvo che aveva trovato solo e intimorito sul retro di casa Lockwood.

Ma quando tornò per assicurarsi che stesse bene, si accorse che l’animale era sparito.

“è v-volato via!”

Corse a riferire al padre dopo aver bussato educatamente alla porta dello studio.

“L’u- l’u – l’uccellino è volato via!”

Tyler sollevò lo sguardo dal portatile e rivolse a Mason un sorriso divertito.

“Hai visto? Te l’avevo detto che aveva solo bisogno di un po’ di tempo per sentirsi più sicuro.

A-adesso può volare di nuovo senza più paura.”

Confermò Mason con aria seria, come se la faccenda del corvo fosse qualcosa che gli stesse particolarmente a cuore.

…Papà?”

Aggiunse dopodiché con una nota leggera di esitazione nella voce.

Tyler sospirò chinando lo schermo del portatile e tornando a focalizzare la sua attenzione sul figlio minore.

Sono ancora qui Mason. Dimmi tutto.”

..O-oliver può restare a mangiare da noi questa sera?”

Sul volto del padre fece capolino un’espressione sorpresa.

Era abituato ad avere in casa i Gilbert per cena, ma generalmente erano Ricki e Caroline che insistevano tanto con gli ospiti affinché restassero anche la sera.

 Ma certo che può.”

Acconsentì sorridendogli orgoglioso prima di tornare al suo portatile.

…E così vi siete divertiti assieme oggi?”

“Uh uh…

Mason annuì con aria distratta, lo sguardo improvvisamente catturato da uno dei tanti oggetti curiosi che popolavano la scrivania del padre.

 “Perché non vai a dire alla mamma che oggi a cena c’è anche Oliver? Io finisco di lavorare e poi vi raggiungo.

Propose in tono di voce pacato l’uomo affrettandosi ad allontanare il fermacarte dalla scrivania, notando che il figlioletto già l’aveva adocchiato con aria affascinata.

“’kay!”

Dichiarò Mason con aria di vivace affrettandosi a raggiungere la porta dello studio. Si fermò un momento prima di uscire, voltandosi un’ultima volta in direzione del padre.

“Ciao p-papà!”

Lo salutò rivolgendogli un sorriso timido prima di sparire nel corridoio.

Nuovamente solo nel suo studio, Tyler rimase in silenzio per qualche minuto a contemplare i piccoli passi avanti che il figlio più piccolo aveva mosso nell’ultimo periodo per sconfiggere la timidezza.

Stranamente i pensieri dell’uomo si mossero in direzione del corvo che il loro giardino aveva ospitato quel pomeriggio: si ricordò che Mason era corso nel suo studio proprio per parlargli di quell’animale: l’uccello era riuscito a spiccare il volo,alla fine.

E molto presto anche suo figlio avrebbe imparato a fare altrettanto.

Nota dell’autrice.

 Forse in questo caso è meglio soffermarci un attimo sui motivi che mi hanno spinto a produrre una follia simile. Questa è un’idea che mi stuzzicava sin da quando i figli di Matt e Tyler fecero la loro prima comparsa in “Let it slide”. Mi sono divertita spesso a immaginare i personaggi di TVD da grandi, con dei bambini e una famiglia loro, ma al tempo stesso ancora legati in qualche modo a alcuni dettagli del passato che continuano a portarsi dietro. L’idea della raccolta forse è un po’ azzardata, ma non volevo lasciare shot sparse per il fandom (come faccio già con le millemila child!) e perciò ho deciso che se mai scriverò altri future!moments li racchiuderò tutti qui. Mi piacerebbe poter scrivere qual cosina per ogni pargoletto (già in questa shot ne avete incontrati alcuni), ma non voglio neanche intasare efp di storie che non sono poi così legate alla serie TV, quindi se ci sarà un secondo capitolo, prometto che sarà maggiormente incentrato sul genitore piuttosto che sul figlio al contrario di questo primo.

Niente,io fuggo e vi ringrazio infinitamente per la lettura.

Un abbraccio

Laura

 

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Capitolo 2
*** Il bambino che inseguiva le stelle cadenti. [Jeremy,Xander & Oliver] ***


Scritta per il TVG!Fest con prompt adult!Elena/adult!Jeremy - "Happiness is like the old man told me/Look for it, but you'll never find it all/Let it go, live your life and leave it/Then one day, wake up and she'll be home"

Chapter 3  [Jeremy, Xander & Oliver]

[Istruzioni per l’uso: 1. aprire youtube. 2. inserire “Happiness – the fray” nella barra di ricerca 3. ascoltare la canzone durante la lettura u_ù]

Il bambino che inseguiva le stelle cadenti.


Happiness is like the old man told me
Look for it, but you’ll never find it all
But let it go, live your life and leave it
Then one day, wake up and she’ll be home
Happiness.
The Fray

C’era qualcosa nell’atmosfera placida e intorpidita delle serate agosto, che aveva sempre affascinato Jeremy.

Il ronzio monotono dei televisori accesi aveva un che di piacevole e rilassante, così come il frinire dei grilli che avvertiva talvolta, mescolato al chiacchiericcio concitato di qualche vicino.

L’abitudine di sgusciare in giardino non appena intravedeva le prime stelle fare capolino era qualcosa che si portava dietro fin da bambino, quando ancora faticava a restare in una stanza per più di una manciata d’ore al massimo.

In preda all’iperattività e al desiderio di avvertire l’aria fresca a contatto con la sua pelle, il bimbetto era solito rifugiarsi sui gradini d’ingresso di Casa Gilbert pronto a improvvisare una partita a baseball con qualche avversario invisibile o, se proprio era fortunato, a inseguire le lucciole che rischiaravano a intermittenza piccole zone erbose del cortile.

Una volta cresciuto, Jeremy aveva continuato volentieri a trascorrere le tiepide serate estive all’aperto. Accoccolato sull’erba fresca, il ragazzo impiegava ore nel tentativo di catturare su fogli di carta ogni elemento del paesaggio che colpiva la sua attenzione.

Le luci dei lampioni diventavano così sottili filamenti gialli e l’oscurità era simile a un mantello intarsiato di minuscoli puntini d’oro.

Intrappolato nell’atmosfera tenue e delicata di quei momenti, Jeremy traduceva rumori e sensazioni in immagini e stravolgeva la notte trasformandola in un tripudio di luci e ombre, dove i colori facevano a pugni con il nero: e molto spesso, vincevano.

A coronare quei quadretti, le stelle ravvivavano la porzione scura di cielo, guadagnandosi in ogni occasione il ruolo di protagoniste indiscusse.

“E questa?” Caroline indicò con l’indice l’unica striatura gialla che spiccava nel cielo del disegno.

“è una stella cadente.” Le labbra di Jeremy si incresparono a formare un sorrisetto sghembo.

“La stessa stella che ci è passata sopra la testa poco fa.”

“Che cosa? Un’altra?” La ragazza si affrettò a scrutare la volta celeste alla ricerca di filamenti di luce.

“Sei sicuro?”

“Sicurissimo.”

Jeremy si sfilò la matita da dietro l’orecchio e proseguì con il suo disegno.

“Perché sei sempre tu ad avvistarle per primo?”  Domandò  allora Caroline  mettendo su un broncio infantile.

“Cos’è, hai qualche potere speciale?”

“Le inseguo e basta Caroline.”

Jeremy diede una scrollata di spalle. D’estate, quando non c’erano nuvole, era ancora più piacevole starsene sdraiati sotto quel tappeto intarsiato di sprazzi luminosi.

“Le inseguo e basta.”

 

Quando Jeremy era piccolo, le stelle erano una delle poche cose che riuscivano a mantenerlo tranquillo abbastanza a lungo, se non si contavano pastelli e matite colorate.

Trascorreva intere mezzore accoccolato sull’erba, gli occhietti vispi a scandagliare il cielo nella speranza di riuscire a individuare una stella cadente. Per qualche strana ragione era sempre il primo a scovarle indicandole svelto con l’indice per poi chiudere gli occhi al fine di esprimere un desiderio.

E ci riusciva sempre, rapido com’era.

Eppure, non era mai sicuro di cosa dovesse chiedere alle stelle. A cinque o sei anni è difficile andare più in là di un pacchetto di caramelle e un giocattolo nuovo di zecca. E Jeremy si stufò ben presto di sprecare il potere speciale degli astri con quel genere di richieste.

Fu Miranda a suggerire al bambino come sfruttare al meglio i propri desideri.

“Devi sempre pensare a quello che ti rende felice.”

Gli sussurrò una sera in un orecchio prima di accarezzargli il capo con tenerezza.

“ Se sei felice, tutto funzionerà sempre per il meglio. Devi chiedere questo alla tua stella.”

La felicità.

Per un bambino dell’età di Jeremy, la felicità aveva lo stesso odore delle gomme da masticare e le sembianze di un pallone da calcio ancora completamente intatto.

La incontrava spesso: durante i giochi in giardino, nell’andatura buffa e irrequieta di un millepiedi, in sella alla sua bicicletta preferita.

E tra le stelle: già, le stelle erano zeppe di felicità.

Era stato crescendo, che Jeremy aveva incominciato a perderla di vista. Era accaduto e un po’ come capita spesso con gli amici di infanzia: all’inizio si è inseparabili, ma  prima o poi si finisce per vedersi sempre meno.

A Jeremy mancava la sua vecchia amica: la cercò a lungo, ovunque gli capitasse di frugare; in un album da disegno; fra le pagine ingiallite di un vecchio diario; nello sguardo di qualche ragazza.

Continuò a scandagliare il cielo alla ricerca delle stelle cadenti, e ne individuò a manciate, ma i suoi desideri di raro venivano esauditi.

E alla fine, proprio nel momento in cui aveva ormai perso la voglia di cercarla, la felicità era tornata da lui.

Ripensandoci a qualche anno di distanza, Jeremy non faticò a comprendere come mai avesse impiegato così tanto a individuarla: la felicità era veloce. Talmente veloce che ancora faticava ad acchiapparla qualche volta.

Come in quel momento, per esempio.

“Torna subito qui birbantello che non sei altro!”

Il mondo era una cascata di colori quella sera. Jeremy si guardò le mani; chiazze di tempera gialla gli decoravano le nocche così come il collo e gran parte del viso.

“Ti ho colorato! Ti ho colorato!”

Grida infantili aggiungevano altrettanta brillantezza al quadretto incorniciato dal muretto che costeggiava casa Gilbert.

Un piccoletto dai capelli neri sfrecciò di gran carriera fino alla fine del cortile prima di buttarsi a terra in preda a un portentoso attacco di ridarella. Le manine erano impregnate di tempera, così come la T-Shirt sformata che gli arrivava alle ginocchia.

“Aspetta di vedere come ti colora papà ora, Xander bello.”

Jeremy afferrò un barattolo di colore dal tavolino e si affrettò a raggiungere il bimbetto.

Accoccolato sui gradini, il piccolo Oliver lo osservava con un sorriso divertito battendo di tanto in tanto le manine.

“Dai papà!”

Fece il tifo per lui prima di tornare al suo disegno.

Era una tiepida sera d’agosto. Una domenica. La maggior parte degli uomini di Mystic Falls in quel momento era probabilmente incollata al televisore con una lattina di birra in mano e una manciata di cuscini sprimacciati dietro la schiena.

Non Jeremy.

Per lui la telecronaca della partita di football era solo un vago ronzio di sottofondo. Ciò che contava veramente era quella manina sporca aggrappata ai suoi jeans, la manina di un bambino deciso a farlo cadere a terra.

“Vinco io!”

Annunciò Xander facendo le boccacce al padre prima di afferrarlo per un braccio e di trascinarlo verso il basso.

Jeremy attirò il piccolo a sé e incominciò a imbrattargli la faccia di piccoli baffi di colore, evitando per un soffio i dentini da latte di Alexander.

“Papà perde! Xander vince!”

Continuò a sostenere il bimbetto in preda a un secondo attacco di ridarella. Mentre il padre lo sollevava con facilità, Xander puntò i piedi a terra tentando di fargli perdere l’equilibrio.

“Xander non vince, perché papà è più forte.”

Lo rimbeccò l’uomo spingendogli la testa verso il basso. Xander prese a ciondolare a testa in giù, stirandosi per allungare le manine fino a terra.

Si dondolò per un po’, ma alla fine riuscì nel suo intento.

“Ehi Olive! Olive guardami, cammino con le mani!”

Annunciò allegramente aggrappandosi ai fili d’erba per mantenersi in bilico.

Oliver gli corse incontro ridendo.

“E tu che cosa nascondi là dietro, tesoro?”

Domandò un insospettito Jeremy notando che Oliver aveva le manine intrecciate dietro la schiena.

Probabilmente si trattava di un disegno. O di un pastello. Oliver era la creatura più docile e mite che avesse mai conosciuto.

La felicità aveva due nomi: Alexander e Oliver.

E se Xander incarnava la rapidità con cui essa si muoveva, Oliver era la dolcezza con cui alla fine poi lei gli aveva sorriso.

Quetto!”

Annunciò infine il bambino mettendo in bella mostra due manine completamente intrise di tempera.

“Xander perde!”

Annunciò con un sorriso incredibilmente innocente spiaccicando i palmi sulle guance del fratello maggiore.

“No!”

Xander si lamentò cercando di allontanare Oliver, ma il bimbetto non si lasciò intimidire e continuò a impiastricciare faccia e vestiti del maggiore con le manine sporche.

Jeremy scoppiò a ridere, sorpreso dall’atto di monelleria del figlio minore. Si riprese quasi subito, nel notare che per via dei frenetici movimenti di Alexander, il piccolo stava per scivolargli di mano.

“Chi sta vincendo qui?”

Oltre la staccionata che delimitava il giardino dei Gilbert, un uomo e una donna osservavano divertiti l’allegro quadretto familiare.

“Vinco io zio!”

Xander si liberò dalla presa del padre e, scivolando a terra con un tonfo, gattonò fino alla recinzione per raggiungere i due coniugi Donovan.

“Io vinco sempre!”

Annunciò tendendo le braccia verso lo zio Matt che si sporse per prenderlo in braccio.

“Non proprio sempre, però.”

Oliver annuì con aria seria appoggiandosi sul fianco del padre e stropicciandosi un occhietto, insonnolito.

Jeremy gli accarezzò il capo.

“Oliver ha ragione.”

Elena si intromise nel discorso, sorridendo al nipotino più piccolo.

“Qual è il fratellino Gilbert che vede sempre per primo le stelle cadenti, per esempio?”

Sia Oliver, sia Jeremy alzarono la mano.

Io e te papà!”

Dichiarò Oliver con aria soddisfatta lasciandosi prendere in braccio.

“Noi le seguiamo! Vero?”

Jeremy annuì.

“Le inseguiamo e poi esprimiamo un desiderio.”

Confermò l’uomo stringendo a sé il piccolo Oliver.

Ma però, io quando sono grande però vi batto tutti.”

Annunciò Alexander fiero giocherellando con il colletto della camicia dello zio.

“Divento astronauta e vado a rubare tutte le stelle. E poi le metto in camera mia, così le vedo sempre per primo!

“Ehi, ma lo sai che anche lo zio Matt voleva fare l’astronauta quando aveva la tua età?”

Gli rivelò Elena arruffandogli i capelli con tenerezza.

“Diceva sempre che la prima volta che avrebbe attraversato il cielo, si sarebbe fermato per prendermi una stella. E io sto ancora aspettando…

Aggiunse inarcando un sopracciglio in direzione del marito.

Matt scoppiò a ridere.

“Beh ho ancora tutto il tempo…

Si difese sistemandosi meglio Alexander fra le braccia e avvicinandosi alla donna.

“Nel frattempo accontentati di questo.”

Allungò il collo per baciarla, ma le manine rapide del nipotino si frapposero fra i due volti, allontanandoli.

“Che schifo zii!”

Annunciò Xander con aria disgustata e un pizzico di birbanteria nello sguardo. Jeremy rise, avvicinandosi alla staccionata per recuperare il bambino che in cuor suo gliene ricordava tremendamente un altro.

“Ma cosa “che schifo?” Prima o poi anche tu riempirai Caroline di bacini.”

Lo prese in giro Matt sorridendo con aria divertita.

“Scordatelo!”

Si lamentò il ragazzino scuotendo il capo con violenza.

..E comunque se non ti dispiace il mio bacio me lo prendo lo stesso…

Aggiunse Elena coprendo gli occhi di Alexander con una mano e avvicinandosi al marito per baciarlo, ignorando le proteste del nipote.

Jeremy osservava tutto questo ridendo. Il piccolo capo di Oliver era accoccolato sul suo petto e gli occhietti del bambino incominciavano a chiudersi, stanchi e insonnoliti.

Erano loro le sue stelle cadenti.

Era quella la felicità.

“Papà ho sonno.”

Mormorò prima di lasciarsi sfuggire uno sbadiglio.

“Dici alle stelle se si spengono? Così poi dormo.”

Jeremy strinse a sé con più forza il figlioletto fra le sue braccia.

Proprio quel momento, una stella cadente attraversò il cielo simile a una rapida pennellata di colore.

Non penso vi stupirete se vi dirò che quella volta Jeremy fu l’unico a non vederla.

Non ne aveva più bisogno.

Nota dell’autrice.

*Laura fa un respiro profondo*

Jeremy.

 Jeremy, Jeremy, Jeremy.

È inutile, per quanto io ami Tyler all’inverosimile, nessun personaggio mi fa emozionare quanto lui.  Jeremy è l’unico che di tanto in tanto mi fa versare una lacrima mentre scrivo. Accade di raro, ma se ottengo questo risultato è sempre con lui. Questa one-shot è un po’ l’emblema di tutta la raccolta e non per altro, ho deciso di ispirarmi alla strofa della canzone che ho inserito prima di iniziare con i capitoli.

È da quando ho incominciato a rimuginare sul futuro dei personaggi che so, che non mi sarei data pace fino a quando non avrei visto Jeremy effettivamente felice. Felice e in pace con stesso. Dopo tutto quello che ha passato era il minimo (un po’ come per Matt). Anche se è un po’ “cheesy” come cosa, (la questione della felicità e bla bla bla), non mi è dispiaciuto descrivere il tutto in questa maniera. Il titolo si riferisce sia a lui, e in un certo senso anche a Oliver.

E niente, non riesco ad aggiungere nulla, Jeremy ha già detto tutto. Vi volevo solo ringraziare davvero tanto tanto per i commenti che avete lasciato sia al capitolo su Bonnie, sia alle foto sui pargoli.

Per chi non le avesse già viste, le potete trovare tutte qui.

 

Grazie ancora.

Un abbraccio forte

 

Laura

P.S. Jeremy ha anche una moglie eh xD Prima o poi farà la sua comparsa.

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Capitolo 3
*** Do you believe in magic? [Bonnie,David, Julian & Atumn] ***


Chapter 2 [Bonnie, David, Julian & Autumn]

Do you believe in magic?

 

“Penso che dovrebbe darci un taglio.”

David scosse il capo con aria scettica prima di prendere posto a tavola, il giornale piegato sotto il braccio.

Bonnie, sue moglie, strinse le labbra in maniera impercettibile continuando a smistare il contenuto delle buste nei vari armadietti.

“… Ha nove anni, David.”

Commentò in tono di voce pacato affrettandosi a svuotare il sacco di arance nella fruttiera.

“Non hai mai finto di essere un supereroe quando eri piccolo?”

“è proprio questo il punto, Bonnie.”

David ribattè alzandosi da tavola per dare una mano alla moglie.

“Fingevo. A nove anni un bambino dovrebbe essere ormai in grado di riconoscere la differenza fra realtà e immaginazione. Ma non Julian. Tuo figlio è convinto di essere il nuovo Harry Potter. E non credere che i suoi compagni di classe non lo prendano in giro per questo.”

Nostro figlio è convinto di essere un mago. La figlia di Elena ha supplicato la madre di iscriverla a un corso di equitazione solo perché voleva imparare a cavalcare gli unicorni. Alexander Gilbert si è rotto un braccio gettandosi a terra con un ombrello in mano, perché era sicuro che sarebbe riuscito a volare. Dovrebbero darci un taglio tutti i bambini del vicinato se ogni genitore la pensasse come te.”

“Il punto è che questi, Bon, sono episodi saltuari.”

David tentò di farle notare con tatto, innervosito dallo sguardo irritato della moglie.

“Julian è praticamente ossessionato dall’idea di essere un mago.”

Bonnie diede le spalle al marito e si spostò in direzione del lavello per sistemare i detersivi nuovi nel mobiletto apposito.

Per quanto detestasse quel genere di discorsi, non riusciva ad avercela con il marito.

Conosceva David da ormai oltre dodici anni: era una persona davvero eccezionale, un uomo onesto e disponibile. Il genere di marito sempre pronto a dare una mano, o anche due, in caso di necessità.

Ma David era anche dotato di una generosa dose di realismo che non mancava mai di mettere i bastoni tra le ruote nella loro relazione, portandoli spesso al diverbio.

Stranamente, Bonnie era convinta che fosse stato proprio quel particolare ad avvicinarla a David in passato.

Per anni si era sforzata di cancellare dalla sua vita tutto ciò che si allontanava dal concetto di ordinario, tentando di mettere da parte il passato.

Desiderava solo recuperare quella normalità che aveva caratterizzato la sua vita prima dell’arrivo dei vampiri a Mystic Falls.

E c’era riuscita,almeno in parte.

Al matrimonio con David avevano fatto seguito la nascita del suo primo figlio, Julian, e poi quella di una bambina, Autumn. Il tutto in poco più di quattro anni.

Erano una famiglia come tante. Genitori impegnati, che si sforzavano di essere presenti il più possibile per i loro figli e bambini vivaci che non perdevano mai occasione per rimbeccarsi a vicenda.

Come una qualsiasi ragazzina americana di sette anni, Autumn detestava le verdure e in maniera altrettanto ordinaria, Julian aveva una particolare avversione per i compiti a casa.

Eppure, Bonnie se ne accorgeva man mano che il suo primogenito cresceva, c’era qualcosa di diverso in lui.

Qualcosa che David avrebbe faticato ad accettare, ma che era inevitabile, così come lo era stato per Bonnie.

Nei suoi giochi infantili si nascondeva un fondo di verità: e a giudicare dalla precocità con cui Julian se ne stava accorgendo, non avrebbe impiegato molto a dimostrarlo anche al resto della famiglia.

“Vado a vedere che combinano.”

Tagliò corto la donna riponendo il resto della spesa nelle mani del marito.

David si strinse nelle spalle e con aria stanca, finì di sistemare le cibarie nei rispettivi angoli della cucina.

Il chiacchiericcio vivace dei bambini raggiunse Bonnie non appena mise piede in corridoio.

“Perché guardi così Speedy?”

La voce di Autumn era esile, ma  decisa. Era una ragazzina schietta e incredibilmente sveglia per la sua età.

Tentando di non fare rumore, Bonnie raggiunse la camera del figlio maggiore e sbirciò attraverso la fenditura della porta.

Julian, che portava sulla testa un cappello a punta da mago, fissava con aria concentrata il suo pupazzetto preferito. Autumn gli saltellava attorno usando un piede solo, sforzandosi di non poggiare mai a terra la scarpa sinistra.

“Tu ci credi alla magia Autumn?”

Domandò senza smettere di fissare il giocattolo, gli occhi tersi di determinazione.

La bimba scoccò al fratello un’occhiata indecisa, prima di allontanarsi sempre su un piede  in direzione della finestra.

“ No che non ci credo. Sono grande io. Mica ci credo a quelle cose lì!”

Annunciò lasciandosi cadere sul letto di Julian e portandosi in grembo la sua bambola.

“E nemmeno Dotsie ci crede!”

Aggiunse incominciando a cullarla.

Julian fece una smorfia e tornò a focalizzare la sua attenzione su Speedy, ignorando le occhiate a metà fra l’incuriosito e lo scocciato della sorellina minore.

“Andiamo. Muoviti, muoviti Speedy! Io lo so che puoi farlo!”

Bisbigliò a denti stretti continuando a fissare il giocattolo.

Ma il pupazzo rimase immobile, lì dove il bambino lo aveva adagiato.

“Non è giusto!”

Julian sbottò improvvisamente afferrando il pupazzo e scagliandolo con violenza dall’altro lato della stanza.

Mancò la sorellina di qualche metro, ma la bambina si irritò ugualmente.

“Ehi!”

Strillò Autumn con aria offesa abbandonando in fretta la sua Dotsie e allungandosi per recuperare un cuscino.

“Beccati questo pazzoide!”

Dichiarò tirandolo in direzione del bambino che lo scansò ridendo.

“Vuoi la guerra sorellina?”

Domandò raccogliendo il cuscino e sollevandosi da terra per ricambiare il colpo.

“Non puoi picchiarmi! Sono una femmina!”

Gli ricordò Autumn nascondendosi dietro al letto e sbucando fuori giusto in tempo per rivolgere al fratello una linguaccia.

Julian fece spallucce gettando a terra il cappello da mago.

“Sai che me ne frega!”

Dichiarò stringendo il cuscino a sé e precipitandosi in direzione della ragazzina.

“All’attacco!”

Le grida dei due bambini si mescolarono alle risate e Bonnie non riuscì a trattenere un sorriso quando David si presentò nel corridoio attirato da tutte quelle urla.

“Nulla di grave. Guerra di cuscini.”

Bisbigliò in risposta all’aria interrogativa dell’uomo.

“Hai visto?”

Aggiunse mentre David le circondava la vita  con un braccio.

“Pare che Julian si sia già dimenticato di voler essere il nuovo Harry Potter.”

“Per ora…”

David puntualizzò con un sorriso prima di sfiorarle il capo con un bacio.

Bonnie sospirò.

“Già… Per ora.”

E anche se sapeva che quella parentesi di disinteresse non sarebbe durata all’infinito, Bonnie si trovò a sperare che Julian riuscisse a mantenerla intatta il più possibile.

Prima o poi, suo figlio avrebbe dovuto affrontare questioni ben più complesse rispetto all’intento di spostare un giocattolo con la forza del pensiero.

Non sarebbe stato facile per Julian.

Né per Autumn o David.

Non sarebbe stato facile per nessuno di loro.

“Per ora.”

E con il braccio di suo marito attorno alla vita e i suoi figli che si rincorrevano per la stanza, Bonnie si reso conto che quel “per ora”, al momento, era più che sufficiente.

 

Nota dell’autrice.

La Laura è tornata a rompervi le scatoline!

E prima di tutto vi domando scusa, per quanto riguarda questo breve frammento qui. Il punto è che è la prima volta in assoluto che scrivo su Bonnie, quindi non sono sicura di averla resa IC, ma ho fatto del mio meglio.

Ci tenevo a dare un po’ di spazio anche lei con i suoi pargoli e soprattutto, volevo provare a scrivere sul che potrebbe avere Bonnie in un eventuale futuro con la magia. Ho immaginato al suo fianco un uomo un po’ scettico, con i piedi ben piantati per terra, come ho accennato a inizio shot. Per quanto riguarda i due bambini, immagino Julian come un ragazzino particolarmente solare, piuttosto incline ad accettare la magia nella sua vita. Autumn,invece, la vedo un po’ più simile al padre da quel punto di vista. Un po’ più scettica e restia. È una ragazzina sveglia e un po’ permalosa, dalla lingua lunga, una mini-Bonnie,insomma ^^

E niente, a questo punto mi mancano i pargoli di Elena e Matt (che per la cronaca sono due) e quelli di Jeremy che avete già conosciuto nella storia precedente. Ma potrebbe anche essere che torni alla carica con i Lockwood per cui ho un occhio di riguardo. Insomma, non lo so.

Nel frattempo io vi ringrazio davvero tanto del supporto. Onestamente non mi aspettavo che questa raccolta avrebbe trovato appoggio e vi bacio e vi abbraccio tutti perché mi avete davvero resa felicissima.

Un abbraccio grande

Laura

P.S. Prima o poi posterò anche le foto dei pargoli, perché le ho. Sono semplicemente troppo pigra per inserirle XD

 

 

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Capitolo 4
*** Blowing Memories [Matt,Vicki & Vicki Junior] ***


Scritta per il TVG!Fest (ormai terminato, sigh) con prompt Matt/Vicki – “Mi manchi

Sesta classificata e “premio prompt” al “Multifandom Prompt Contest”.

Seconda classificata al Drabble & Flash contest indetto da dio_nisio.

 

Premessa.
Per il titolo: to blow bubbles significa  “fare bolle di sapone”. La one-shot gira attorno al concetto di ricordo, perciò ho deciso di accostare il verbo “to blow” alla parola “memories”. Altra cosa che ci tenevo ad aggiungere: questa storia è stata scritta prima dell’andata in onda della terza stagione, quindi prima che il personaggio di Vicki e il suo rapporto con Matt venisse ritirato in ballo.

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Chapter 3  [Matt,Vicki & Vicki Junior]

Blowing memories.

 

Il primo vero ricordo che Matt ha della sua infanzia è l’immagine di una bolla di sapone.

Riesce a evocarla perfettamente, lucida e iridescente. È a pochi centimetri di distanza dalla sua manina stesa, ma per qualche strano motivo, le dita goffe e paffute del bimbo non riescono ad attirarla nelle loro grinfie. Le mani di Matt scivolano nell’aria, catturando il vuoto a piccoli pugni, mancando la superficie della sfera per un soffio. Matt ci riprova, ma questa volta la bolla di sapone sta passeggiando tranquilla sopra la sua testa e non ha la minima intenzione di cadere nella sua trappola.

 Prendila, Matty! Prendi la bolla di sapone!”

La voce di Vicki è vivida e squillante, intervallata da scrosci di risa infantili.

Matt obbedisce alla sorella sollevando le braccia e incominciando ad agitarle, le manine che si aprono e si chiudono simili a farfalle colorate.

Prendila, Matty!”

Infine eccola lì, la sua bolla di sapone. Si aggira indisturbata all’altezza delle sue ginocchia, sperando di sfuggirgli ancora una volta; Matt le sorride incuriosito e affascinato al tempo stesso. Tende una mano per accarezzarla, ma, proprio nel momento in cui è quasi riuscito ad afferrarla, la bolla gli sfiora un ginocchio e scompare.  Si dissolve, lasciandosi dietro piccoli tocchi di sapone e l’espressione stupita del piccolo Donovan.

A questo punto Vicki corre incontro al fratello ridendo, evitando con piccoli saltelli le pozze d’acqua che il suo secchiello ha disseminato per il giardino.

Lo stringe forte a sé, quel bimbetto minuscolo dalle mani appiccicose e il visetto imbrattato di marmellata.

“Ne vuoi altre di bolle, Matty?”

Matt annuisce. Il sorriso di Vicki è così luminoso che ben presto finisce per contagiare anche lui.

E allora ride.

E Vicki ride con lui.

 

A trent’anni di distanza da quel ricordo, c’è ancora una bambina di nome Vicki intenta a percorrere il giardino dei Donovan.

Le somiglia molto: stessa aria vivace e sbarazzina. Stesso sorriso furbo che anima i lineamenti delicati del suo volto.

Le bolle di sapone veleggiano nell’aria rincorrendo i passi incerti di un bambino piccolo che si diverte a spalancare le manine paffute verso di loro.

“Prendi le bolle, Oliver!”

La voce che raggiunge Matt è squillante e armoniosa, proprio come quella della vecchia Vicki. La bambina si affretta a soffiare nella fettuccia insaponata, dando origine a nuove bolle che prendono a danzarle intorno.

“Eccone altre! Prendile, Ollie!”

Ridendo, il bambino di nome Oliver distende le braccia e incomincia a saltellare, le manine che si aprono e si chiudono un po’ a caso.

Pendo! Pendo io!” annuncia orgoglioso sfiorando una bolla per poi sgranare gli occhi stupito, quando la sfera esplode in piccoli sprazzi di sapone.

“Papà!”

Anche questa volta c’è una Vicki che gli corre incontro per abbracciarlo. Sua figlia si lascia prendere in braccio e gli sorride, strofinando le mani insaponate sulla sua maglietta.

“Hai visto che belle le bolle di sapone?”

Rivede sua sorella in ogni più piccolo gesto di Vicki. Dal modo buffo che ha di arricciare il naso al cipiglio orgoglioso che colora il suo visetto quando esibisce uno dei suoi vestitini preferiti.

Gli manca.

Gli manca terribilmente.

“Ne facciamo altre, papà?”

Un’unica solitaria bolla li raggiunge scansando appena in tempo il nasino lentigginoso di Vicki. Matt la sfiora con un dito e la superficie della sfera si infrange.

Si accorge che c’è qualcosa di incredibilmente malinconico nel modo in cui una bolla di sapone esplode; gli pare quasi brusco, improvviso. Gli sembra triste.

È in quel momento che Vicki scoppia a ridere. È una risata limpida, spensierata, che pare fare il verso ai pensieri malinconici del padre.

Il sorriso di sua figlia è così luminoso che ben presto finisce per contagiare anche lui.

E allora ride.

E Vicki ride con lui.

 

Nota dell’autrice.

Per chi segue anche There’s a light there’s the sun”: un’altra Matt/Vicki, portate pazienza. No, non sto diventando mono-tematica  [lo ero già <-< “child e child soltanto”]; questa one-shot la scrissi diverso tempo prima rispetto all’uscita della terza stagione, ma l’ho pubblicata soltanto ora, perché era iscritta a un contest e i risultati sono usciti appunto questa sera (ancora tanti complimenti alla giudice per tempestività e valutazioni super accurate!).  Quando poi ho visto le scene Vicki/Matt/Jeremy nella 3x02 e ho ascoltato “Echo”, non sono riuscita a trattenermi dallo scrivere dell’altro su questo argomento, per questo, anche in “there’s a light there’s the sun” c’è un capitolo dedicato ai due fratelli Donovan da piccoli/grandi.

Passando alla shot: ecco l’ultima pargoletta che non avevo ancora introdotto: Vicki Donovan II. In realtà ma anche Jeffrey, suo fratello maggiore, ma a lui avevo già dedicato uno spazietto in Let it slide” (assieme a Ricki), mentre Vicki era ancora “orfana” di racconto. La immagino in effetti come un misto tra Vicki senior e sua mamma Elena: vivace, solare, estroversa e un po’ vanitosa, perdutamente innamorata del piccolo Ricki (ma ahimè, non ricambiata).

Tre piccoli appunti sui bimbi:

1.      Ho da non molto pubblicato una storia intitolata She’s watching over us che ha come protagonisti Caroline, Tyler e i tre piccoli Lockwood (Ricki, Caroline e Mason).  Lo segnalo anche qui, visto che è strettamente collegata al contenuto di questa raccolta.

2.      Ad alcuni di voi lo già detto, ma per i lettori silenziosi, lo scrivo anche qui. Ho creato un paio di video sui pargoletti della next generation in maniera che possiate vederli da piccoli/grandi in tutto il loro splendore (?). Li potete trovare qui:

Figli di Elena/Matt e figli di Bonnie: http://imageshack.us/clip/my-videos/684/sgt.mp4/

Figli di Tyler e figli di Jeremy: http://imageshack.us/clip/my-videos/94/jvn.mp4/http://imageshack.us/clip/my-videos/94/jvn.mp4/

 

3.      Altre foto e un sondaggio sui pargoletti li ho inseriti QUI, sulla mia pagina d’autore. Se vi va fateci un salto.

Un abbraccio forte a tutti!

 

Laura

 

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Capitolo 5
*** Keep Moving Forward [Elena & Jeffrey] ***


 

Chapter 5 [Elena & Jeffrey]

Dedicata alla mia Kimyku, perchè Jeffo è suo di diritto e perché muoio dalla voglia di riabbracciarla; ormai manca solo più un mese. Ti voglio bene, Ku.

Keep moving forward.

 

I know now, just quite how
My life and love might still go on

In your heart, in your mind
I'll stay with you for all of time

Wherever you will go. The calling

 

Elena scivolò fuori dal letto ignorando il brivido di freddo improvviso. La radiosveglia sul comodino lampeggiò le due, mentre i piedi della donna si infilavano nelle ciabatte e il suo sguardo insonnolito si adagiava sulla figura sdraiata di fianco a lei: Matt dormiva profondamente, il braccio destro a cingere il cuscino e un’espressione serena a rilassare i lineamenti del suo viso.  Elena si perdeva spesso a osservarlo mentre dormiva; molte volte si trovava a dovergli sistemargli le lenzuola,a  mettere al riparo le gambe scoperte del marito sotto il piumino, come se avesse a che fare con uno dei suoi figli.

Riusciva a farla ridere anche mentre dormiva; era tornato il Matt di una volta; il ragazzino biondo che amava sorridere e che non perdeva mai occasione di tenderle la mano.

Accarezzò con lo sguardo il marito prima di infilarsi la vestaglia e di raggiungere la porta; non riuscì a comprendere il motivo di quel suo risveglio così improvviso in piena notte, fino a quando non si trovò in cucina:i fiori che lei e Jeremy avevano comprato il giorno precedente giacevano in bella vista sul tavolo. Con lo scoccare della mezzanotte, era giunto il tredicesimo anniversario della morte di Grayson e Miranda Gilbert.

Tredici anni erano passati da quando aveva abbracciato per l’ultima volta i suoi genitori. Tredici anni, dal giorno in cui aveva perso quella stabilità, quella sicurezza, che avevano caratterizzato la sua vita prima di quell’incidente.

Tredici anni, dal momento in cui il suo cammino e quello di Stefan si erano intrecciati per la prima volta. Anche se allora, Elena ancora non ne era a conoscenza.

Quei pensieri erano più che sufficienti per spingerla a svegliarsi nel cuore della notte. Sospirando, Elena infilò la mano sotto la vestaglia, per tastare la superficie del ciondolo che portava al collo.

C’era stato un periodo della sua vita, subito dopo il college, in cui la donna aveva tentato di privarsene, mettendo così da parte il passato. Per un mese o due aveva custodito il ciondolo nel comodino. Tuttavia, più il tempo trascorreva ed Elena andava avanti, più le sue mani cedevano . I polpastrelli sfuggivano ogni volta al suo controllo, rifugiandosi in quel cassetto; correndo a sfiorare la superficie della collana, come se con quel gesto avessero potuto accedere alle sensazioni provate in passato.

Alla sicurezza che Elena aveva provato un tempo, accarezzando quel ciondolo.

E a lui: a Stefan.

E a Damon.

Elena abbandonò la cucina, le dita ancor intrecciate attorno al ciondolo. D’istinto salì le scale, diretta verso la cameretta dei due bambini che dormivano al piano di sopra.

Le capitava spesso la notte di intrufolarsi nella loro stanza, come a volersi assicurare che i suoi figli stessero bene.

Che Jeffrey non si fosse scoperto i piedini nel sonno - un’abitudine che doveva avere ereditato dal padre; che Victoria non stesse tossendo un po’ troppo.

Non era, e non voleva essere, una mamma troppo apprensiva agli occhi dei suoi figli. Se la cavava egregiamente di giorno, lasciandoli scorrazzare liberamente per il giardino, non dando troppo peso alle ginocchia sbucciate o ai litigi fra bambini che potevano durare sì e no una manciata di minuti.

Eppure il bisogno di vegliare sul sonno dei suoi figli si faceva sentire ogni volta che, per sbaglio, i suoi occhi si aprivano troppo presto, quando ancora era buio.

Tentando di non fare rumore, la donna socchiuse la porta della cameretta e  osservò le due figure semi-nascoste dalla penombra.

Vicki si era addormentata abbracciata alla sua bambola, il pugnetto chiuso adagiato sul cuscino; Elena si avvicinò al lettino della bimba, sorridendo intenerita. Mentre dormiva, non vi era traccia nel suo visetto dell’aria vivace e del sorriso pestifero che le accarezzavano i lineamenti da sveglia. Sedette accanto alla figlia per un po’, accarezzandole i capelli, contemplando l’innocenza emanata dal suo sguardo.

Quando finalmente si convinse ad allontanarsi, lo fece solo per raggiungere il secondo letto, rivolgendo uno sguardo terso d’affetto al bambino biondo che vi dormiva dentro, rannicchiato su un fianco.

Elena sorrise nell’individuare i piedini scoperti del piccolo Jeffrey e si affrettò a sistemarlo meglio sotto le lenzuola, rimboccandogli poi le coperte.

Mamy…

Il sussurro insonnolito del bambino la colse di sorpresa.

Shhh torna adormire, Jeffers.”

lo rassicurò, accarezzandogli i capelli e prendendo posto sul letto accanto a lui.

Jeff si stropicciò gli occhi con le manine, rivolgendo poi alla madre un’occhiata incuriosita.

“Tu non dormi, ?”

sussurrò, ben attento a non svegliare la sorellina.

“Hai fatto un sogno brutto?”

Elena scosse il capo, continuando ad accarezzare i capelli di Jeffrey.

“La mamma era un po’ pensierosa, tutto qui.”

Mormorò sorridendogli con dolcezza.

“A cosa pensi?”

Domandò a quel punto Jeff, sgusciando fuori da sotto le coperte. Il bimbo gattonò fino a raggiungerla e dopo avergli scoccato un’occhiata a metà fra il severo e il divertito, la madre se lo sistemò sulle ginocchia.

 “A tante cose.”

Rispose la donna, avvolgendolo in un abbraccio; Jeff si lasciò stringere, mentre una delle due manine tornava nuovamente a sfregarsi un occhietto.

“A tante persone che mi mancano e che non ci sono più.”

“Non ci sono più, perché sono in cielo?”

Chiese il bambino appoggiando il capo al petto della madre; Elena prese a cullarlo con dolcezza.

“Alcune sì; alcune no.”

Spiegò con tatto, prima di sfiorare il capo di Jeffrey con un bacio. Il bimbo annuì lentamente.

“Sei triste?”

Domandò poi sollevandosi in ginocchio, gli occhi nocciola perfettamente incastonati a quelli identici della madre. Elena sorrise, adagiando la propria fronte a quella del figlioletto.

“Un po’. Ma passa presto.”

Lo tranquillizzò tornando a cullarlo; Jeffrey annuì nuovamente, rannicchiandosi fra le braccia della mamma. Dopo poco, tuttavia, la sua espressione si fece nuovamente incuriosita.

“E come fa a passare?”

Chiese sollevando il capo, per rivolgere alla donna uno sguardo interrogativo.

Elena sospirò. Istintivamente, la sua mano destra si infilò sotto la vestaglia a tastare la superficie del ciondolo che portava al collo.

“Andando avanti, Jeffrey.”

Annunciò permettendo al figlio di giocherellare con la sua collana.

“Bisogna sempre andare avanti. Anche quando le persone che hai amato ti mancano e non sono più con te.

Jeffrey smise di giocare e si scostò dalla madre per guardarla nuovamente negli occhi.

Ma è triste!”

Commentò prima di riprendere a strofinarsi gli occhi. Lo enfatizzò talmente tanto, che Elena non riuscì a trattenere un sorriso.

“All’inizio sì.”

Ammise lasciando andare il ciondolo per accarezzare il capo del bambino.

“All’inizio è difficile. E viene voglia di restare fermi. Ma poi, Jeff, arriva sempre il giorno in cui uno si accorge che alzarsi in piedi non è poi così faticoso. E allora si riprende a camminare; piano piano all’inizio, poi sempre più veloce. Camminando, passa tutto.”

“E non sei più triste?”

Domandò ancora Jeffrey, non del tutto convinto. Elena annuì.

“E non sei più triste.”

Confermò stringendolo a sé un po’ più forte.

“E se ti mancano ancora?”

Elena aggrottò le sopracciglia.

“Chi?”

“Quelli che stanno un po’ in cielo e un po’ no.”

Spiegò con aria seria il bambino tornando a giocherellare con il ciondolo della madre; Elena sorrise.

“Se ami tanto una persona, Jeffrey…

Incominciò stringendo a sé la mano del bambino.

“Non potrai mai perderla del tutto; perché ci sarà sempre un posto in cui potrai trovarla.”

Aggiunse posizionandosi le dita del bimbo all’altezza del petto.

“Qui dentro.”

Jeffrey sgranò gli occhi con aria stupita.

“Dentro la collana?”

Domandò stupito. Elena sgranò gli occhi prima di scoppiare a ridere di gusto.

“Nel cuore, Jeffers. Non nella collana!”

Lo prese in giro ancora ridendo, stringendolo poi forte a sé.

“Ogni volta che batte un po’ più forte mi ricorderò delle persone a cui voglio bene.”

Aggiunse in sussurro all’orecchio del suo primogenito, mentre Jeff si accoccolava a lei.

“E se …E se manchi tu a loro?”

Mormorò il bambino, intervallando le parole con uno sbadiglio.

“Anche a loro gli batte forte il cuore?”

Elena non rispose subito; una sequenza di immagini ancora nitide si fece strada dentro la sua testa, portando alla luce volti, sorrisi, episodi di un passato che non era poi così lontano dal suo presente.

Non c’erano battiti nei cuori di Stefan e Damon; ma in un modo o nell’altro, Elena sapeva che anche loro avrebbero continuato a ricordarla.

“Proprio così.”

Mormorò prima di sfiorare la fronte di Jeffrey con un bacio, preparandosi a metterlo a letto.

“Certe persone, però, preferiscono dimenticare; è più facile così.”

Jeffrey annuì con aria seria, sfregandosi per l’ennesima volta gli occhietti insonnoliti.

“Coraggio, a nanna.”

Annunciò Elena adagiando il bambino sul materasso e rimboccandogli le coperte.

“Buonanotte, amore.”

Sussurrò baciando il figlio un ultima volta.

Mamy?”

Mormorò ancora il bimbetto sollevandosi a sedere.

“Che cosa c’è, Jeffers?”

“Io non ti dimentico. Promesso.”

Aggiunse con aria seria, come a voler suggellare quelle sue parole.

Elena gli rivolse un sorriso sorpreso.

 Ma lo sai che sei il bambino più bello e dolce del mondo?”

Domandò con aria divertita, avvicinandosi ancora una volta al figlioletto.

Jeffrey sorrise timidamente, per poi nascondere imbarazzato il visetto sotto il lenzuolo.

“Oh sì che lo sei! Non fare il timido”.

Ripeté la donna solleticandogli il pancino. Jeffrey ridacchiò, dimenandosi sotto le coperte.

 “Mamy.”

Mormorò infine spuntando fuori da sotto il lenzuolo.

“Resti un po’ con me, prima che mi addormento?”

Domandò socchiudendo gli occhi, arrendendosi finalmente alla stanchezza.

Elena sorrise. Dall’altro capo della stanza, Vicki tossicchiò un paio di volte per poi voltarsi dall’altra parte, ancora serenamente addormentata.

“Va bene.”

Acconsentì la donna prendendo nuovamente posto accanto al figlio.

“Resto qui con te.”

Il bimbo si accoccolò sul suo petto, lasciandosi cullare dai respiri regolari della madre. Elena continuò a stringerlo a sé con tenerezza,la mano intrecciata a quella del piccolo.

Erano i momenti come quello, a farle venire voglia di sorridere, anche quando la malinconia prendeva il sopravvento.

Era la sua famiglia a sottolineare di fronte ai suoi occhi, quanta bellezza ci fosse nella sua vita.

Era la dolcezza di suo figlio a renderla orgogliosa ogni istante, per aver deciso di andare avanti.

 

 Nota dell’autrice.

Buondì!

Eh avevo bisogno di un po’ di fluffosità in questo periodo, e il piccolo (in questo caso è davvero molto piccolo nella shot XD) Jeffers mi ha accontentato. Era da un po’ che pianificavo di scrivere anche qualcosa per Elena, e anche se la scrittura di questo capitolo lascia un po’ a desiderare, eccolo qui.

E così, hanno fatto capolino tutti e cinque i genitori: Elena, Matt, Jeremy, Tyler, Bonnie.

Per quanto riguarda i pargoli, mancano ancora Ricki e Caroline. Vedremo che cosa combinerò con il prossimo capitolo! E se avete suggerimenti, proponete pure!

Adesso che la long sulla Next Generation di TVD, History Repeating, è finalmente online, credo che questa raccolta inizi ad acquistare un maggiore significato:  può venire considerata a tutti gli effetti come un insieme di missing moment o come un approfondimento circa ciò che ha popolato le vite dei nostri beniamini una volta cresciuti (ovviamente facendo riferimento al mio ipotetico futureverse).

Che altro dire? Ho inserito i banner ai primi due capitoli oltre che a questo, date un’occhiata.

Al solito, per foto, video, informazioni e altro materiale su questa storia e i suoi personaggi, andate QUI alla mia pagina di autore. C’è anche un sondaggio per votare il vostro pargolo preferito, QUI.

Credo di aver detto tutto.

Un abbraccio grande

Laura

 

P.S. Dimentico sempre qualcosa, che scema: il titolo è tratto dalla mi citazione preferita in assoluto; ed è una frase di “Walt disney”. Se avete mai visto il film “I Robinson, una famiglia spaziale”, avrete familiarità con la frase “andare sempre avanti” (<3)

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