Betraying the night - Tradendo la notte

di xhellsangel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Sfiga a raggi X ***
Capitolo 3: *** Inquinamento in casa ***
Capitolo 4: *** La sigaretta ***
Capitolo 5: *** Gli scherzi della sorte ***
Capitolo 6: *** Nemici all'attacco ***
Capitolo 7: *** Il passato sarà presente ***
Capitolo 8: *** Colpa della spontaneità ***
Capitolo 9: *** Gli stronzi sono due ***
Capitolo 10: *** Tradendo la notte ***
Capitolo 11: *** Welcome to London ***
Capitolo 12: *** Un cuore scalfito ***
Capitolo 13: *** La brusca interruzione ***
Capitolo 14: *** Vincere o perdere? ***
Capitolo 15: *** Interruzioni, novità e scoperte ***
Capitolo 16: *** Verità scomode ***
Capitolo 17: *** Buon compleanno! ***
Capitolo 18: *** L'ultima notte ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Prologo

 

Il problema non sta nel cercare un ragazzo perfetto, dolce, sensibile e amorevole, il problema è quando ti ritrovi a contrastare un ragazzo perfettamente, completamente, inutilmente stronzo.
Sarà che me le vado a cercare tutte io, forse mi scelgo le cose più difficili, ma lui sembra tutt'altro che una scelta, mi è stato completamente imposto da quella cosetta, come si chiama.. ah si, il cuore.
Stronzo, egoista, strafottente e.. e fottutamente bello. Forse l'unica cosa che ha in comune con un principe delle favole è proprio la bellezza, anche se non ha né occhi azzurri, o quasi, né capelli biondi.
Giusto, le favole, che grande stronzata. Bugiardo chi dice che l'amore è semplice, o forse stupido l'essere umano che concepisce le storie sotto questo punto di vista, poiché nessuno si ricorda che Jasmine stava con uno sporco ragazzo senza dimora di nome Aladdin, Biancaneve viveva da sola con sette uomini, Pinocchio era un bugiardo, Robin Hood era un ladro, Tarzan andava in giro senza vestiti, la bella addormentata nel bosco fu baciata da uno sconosciuto e lei lo sposò, Cenerentola ha mentito e se l'è svignata di notte per andare ad un party.
E io?
Oh, preferisco di gran lunga questo lato nascosto delle favole, intrigante e poi, di questi tempi, chi cazzo usa un cavallo bianco?
Eppure preferirei uno di loro, a lui.
Perché continua a calpestarmi, calpestare me, il mio cuore, i miei sentimenti mentre a calpestare il mio buon senso, ci penso da sola.
Non mi sono tirata indietro quando ho percepito la sua aria da ragazzo a cui stare alla larga se non vuoi bruciarti, perché il fuoco mi è sempre piaciuto, mi ricorda il rosso.. rosso per la passione, forse.
Ed ora, ne pago semplicemente le conseguenze, conseguenze di un domani senza certezze, senza voglia di viverlo, perché non riesco più a vedere né gioia né felicità nel mio futuro, mi ha tolto anche questo quel coglione.
Eppure mentre sprofondo tra le coperte confortevoli del mio letto, neanche l'iPod a tutto volume -per di più con la mia canzone preferita a palla- riesce a farmi distogliere il pensiero da quei ricordi che ho costruito con lui.
Quei ricordi che vorrei distruggere come se fossero fatti di carta.
Quei ricordi che vorrei spegnere con l'acqua, come se fossero fatti di fuoco.
Quei ricordi che vorrei cancellare, come se fossero scritti a matita.
Eppure, di cosa sono fatti, con cosa sono stati costruiti? O meglio, si sono auto costruiti, per poi stamparsi in me, impregnandosi in quest'anima che si sta sgretolando, dividendosi in milioni di atomi, rendendomi vuota, priva di sentimenti, lasciandomi sola, senza.. niente.
Eppure cazzo, la vita continua cogliona, tra i due sei tu quella che sta male, quella che un giorno viene trattata come una principessa e l'altro come una puttana, l'ultima delle persone che conta sulla faccia della terra e lo sai, non lo meriti.
 
Cazzo Marti, alzati, ridi, dimostra agli altri chi sei, sorridi mentre dentro stai morendo.
 
- Merda! - sbottai mentre afferravo il cuscino su cui giacevo, lanciandolo con tutta la forza che avevo, o meglio, con tutta la rabbia e i risentimenti che giacevano dentro di me rivoltandomi lo stomaco, fino a farmi avere un senso di vomito.
Provavo disgusto.
Disgusto per i brividi in cui ero sommersa quando le sue mani giacevano su di me.
Disgusto per i gemiti che fuoriuscivano incontrollabili dalle mie labbra quando mi toccava.
Disgusto per quelle maledette farfalle -metaforicamente detto- che prendevano vita in me quando le sue labbra combaciavano alla mie.
Disgusto per la sua lingua che accarezzava la mia.
Disgusto per me e i miei sentimenti.
Disgusto per lui e per i suoi -non- sentimenti, forse.

 





* * *
SPAZIO AUTRICE
Ed eccoci solo all'inizio, ad un prologo.
Non è la prima storia che scrivo, ma è la prima che pubblico su efp.
Spero di non deludere nessuno, non so se sarò all'altezza delle vostre aspettative.
Le mie storie precedenti hanno trattato trame al quanto diverse, soprattutto nel personaggio maschile.
Pubblicherò al più presto il continuo, e, magari, una recensione potreste lasciarmela.
Grazie, anche a chi si dedicherà solo alle lettura.

Un grazie in particolare anche a Marta, una persona speciale che mi ha aiutata a scegliere il titolo per questa storia e, da lei, prende il nome colei che impareremo a conoscere in futuro.. Marta.

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Capitolo 2
*** Sfiga a raggi X ***



 

Capitolo 1:
sfiga a raggi X

 

 

Sentii uno strano bip provenire dal comodino, inizialmente ero sicura fosse solo una strana immaginazione, una di quelle che si hanno nel dormiveglia in quanto non si sa se il cervello sia collegato o meno.
Drasticamente, costrinsi una mano ad insinuarsi al di fuori del letto per vedere cosa fosse, quando scorsi il cellulare che vibrava irrefrenabilmente, in cerca di qualcuno che gli desse attenzioni.
Era la sveglia, e se era la sveglia...
La scuola!
- Cazzo! - sbottai lanciando le coperte da qualche lato della mia camera, disinteressata a quale angolo remoto del pavimento fossero destinate quelle povere lenzuola. 
Erano le 7.10, se la vista non mi stesse tradendo. 
Volente o no, sfilai il mio adorato compagno d'avventure, il mio fidato pigiama, ed entrai, non con poche difficoltà, nei miei tanto amati -quanto odiati- jeans.
Freddi e stretti com'erano, era una vera e propria tortura doverli indossare.
Ancora mezza vestita corsi in bagno, gettandomi dell'acqua fredda in faccia con l'intento di svegliarmi, anche se parve totalmente inutile. 
Passai ai denti, i quali strofinandoli con troppa foga -colpa del mio mal'umore post-primogiornodiscuola- lasciarono cadere nel lavandino qualche goccia di sangue.
Presi la prima spazzola che mi comparve dinanzi agli occhi e l'affondai nei capelli, una delle poche cose che mi piacevano in me erano proprio i capelli, castani, alcuni riflessi rossi non naturali, e lisci dalla nascita, i quali, data la lunghezza, scendevano fino sotto al seno per poi terminare in una leggere ondulatura. 
Invece i miei occhi erano scuri, lo stesso colore del cioccolato fondente, ed era alquanto deprimente questo mio piccolo particolare, in quanto, dati i giorni di pioggia, neanche si distingueva l'iride dalla pupilla.
Passai un leggero filo di matita e del mascara, giusto per non mostrare al mondo il mio volto bianco e cadaverico, odiavo le ragazze che si gettavano quintali di trucco sul volto.
Ritornai in camera mia e scelsi la prima T-shirt che mi capitava avanti, nera, la quale aveva una manica normale e l'altra aperta sul braccio e ad unire la stoffa c'erano degli anelli.
Afferrai le mie due collane portafortuna, la prima era un ciondolo con il segno della pace, la quale combaciava con il collo, la indossavo in modo molto stretto e, l'altra, era un ciondolo a forma dell'infinito, la quale scendeva un po' più larga, entrambe legate a dei laccetti di cuoio. 
Entrai in cucina aspettandomela vuota come quasi ogni giorno, un giorno comprendeva mattina, pomeriggio, sera e notte, eh già. 
Avrei potuto dire che vivessi da sola, se mio padre non si facesse vivo una volta a settimana, massimo; non era un problema, anzi, tutt'altro.
Ancora ricordavo quando la mamma mi aveva spedito con tanto di raccomandazioni da mio padre, sostenendo che con lui avrei ricevuto più attenzione e compagnia, cosa alquanto deludente visto che era ripetutamente assente nella mia vita quotidiana.
La verità era che non avevo ancora completamente digerito la separazione dei miei genitori avvenuta tre anni prima e, non accettavo che mia madre portasse a casa il suo compagno, così, senza preoccupazioni, mi aveva fatto trovare i bagagli fuori casa con la scusa della brava madre. 
Tutto sommato, mio padre era dolcissimo e, anche se era molto poco presente, non mi faceva mancare niente. 
Papà era un noto avvocato e, di conseguenza, cercava di riempire la sua assenza con regali costosi e, tuttavia, non nascondo che mi stava bene. 
- Papà! - mormorai sorridendo, per poi avvicinarmi ad abbracciarlo. 
- Piccolina - rispose mentre mi allontanavo per afferrare un biscotto al cioccolato che giaceva insieme agli altri al centro del tavolo. 
Afferrai la borsa da sopra la sedia, l'avevo già preparata la sera prima, e la issai in spalla. 
Iniziava a sopraffarmi l'ansia per il primo giorno di scuola, nonostante avessi passato quasi tutta la mia vita a scuola. 
Frequentavo il quarto anno delle superiori, liceo scientifico per esattezza, cosa che ancora non mi spiegavo poiché ero una schiappa in matematica.
Visto da un certo punto di vista,  l'inizio della scuola non era un qualcosa di esageratamente traumatico in quanto, quest'anno, noi quarte e le quinte saremo partite per Londra, per ben undici giorni.
Mio padre ne era stato felice, in quanto, secondo lui, per questo breve periodo di tempo non si sarebbe dovuto preoccupare di sua figlia tutta sola a casa, e, tuttavia, questa libertà dilatata che ricevevo, non mi dispiaceva per niente. 
- Come mai già sveglia e vestita? - giustamente, non ricordava neanche che avessi il primo giorno di scuola nonostante gliene avessi parlato una settimana prima a cena, mentre sicuramente fingeva di darmi ascolto, poiché anche quando era presente fisicamente, non lo era mentalmente. 
Mi era sempre mancato l'amore di una famiglia concreta, unita. Non avevo fratelli o sorelle e, per quanto i miei genitori si fossero finti felici prima del divorzio, avevo sempre capito che la loro fosse solo una copertura per non farmi del male, anche se non mi aveva mai fatto paura un divorzio tra i miei, se non stavano bene insieme, non potevo farci niente.
- Ho scuola! - sbottai un po' offesa.
- Ciao papà - continuai facendogli un senno di saluto con la mano. 
Odiavo le cose sdolcinate con i propri genitori, tipo il bacio sulla guancia, eh no, non avevo mica tre anni! 
Afferrai il mazzo di chiavi e mi richiusi la porta alle spalle, scesi i gradini due alla volta e, sbadatamente andai a sbattere contro qualcuno. 
- Scusa - mormorai mentre il ragazzo si girava verso di me, era nel mio palazzo eppure non l'avevo mai visto prima. 
Mio padre mi aveva accennato che al piano di sopra si fossero stabiliti dei nuovi vicini e.. BINGO, doveva essere il figlio dei vicini! 
E, forse, mio padre non era l'unico a non ascoltare le mie conversazioni, la cosa era reciproca. 
Ragazzo niente male, capelli neri come la notte, privi di gel, lasciati liberi in un ciuffo ribelle e naturale. Occhi verdi, screziati dall'azzurro. Fisico scolpito, ma non esagerato e alto. Indossava una camicia a quadri bianca e azzurra, arrotolata fino ai gomiti e completamente sbottonata, da sotto portava un T-shirt bianca. Jeans a bassa vita e hogan bianche, doveva essere..
- Ma guarda dove cazzo metti i piedi! - doveva essere uno stronzo. In casi come questi avrei voluto avere uno di quei poteri magici di Super Man, magari per poterlo incenerire con la vista. 
Uscii dal portone mandandolo a fanculo mentalmente.
Mentre mi avviavo verso l'autobus, accidentalmente, mi cadde l'occhio sul ragazzo con cui mi ero appena scontrato e lo vidi salire su una motocicletta, la quale sembrava poco affidabile.
Distolsi lo sguardo e continuai per la mia strada, stranamente l'autobus fu puntuale e ci salii precisamente alle.. 7.35 ! 
Tutti i posti erano occupati, ma quando scorsi la mia migliore amica, notai con gioia che aveva riservato un posto anche alla sottoscritta.
- Fottuta scuola, la sveglia mi ha svegliata nel bel mezzo di un sogno da dieci e lode, il quale non ricordo - borbottò lei. 
E lei era la mia migliore amica, Giorgia Pace, conoscenti da circa tutta la vita, poiché avevamo passato sin dal primo anno delle scuole insieme, sempre inseparabili.
Giorgia era una ragazza meravigliosa, sia dentro che fuori. 
Capelli color biondo cenere e occhi color nocciola,  tutte le forme al proprio posto, anche se l'altezza le mancava completamente, reclamando sempre sul fatto che, invece, per quanto riguardava me, madre natura era stata più tollerante per quanto riguardasse la statura.
Ciò che amavo di lei, era il suo carattere, sapeva essere ciò di cui aveva bisogno al momento giusto e, per me, c'era sempre stata.
- Gio, ho l'ansia - sbottai d'improvviso, era vero. 
Ero in balia di un mal di pancia, uno di quelli che non avevo dall'inizio dell'anno precedente, uno di quelli di cui ero schiava ogni santo anno, proprio come se stessi ancora alle elementari.
Cercavo di auto convincermi che non c'era motivo per essere in ansia, eppure più quel maledetto autobus si avvicinava alla scuola, più l'ansia cresceva, che brutta fine stavo facendo. 
 
 
- Voglio iniziare quest'anno in un modo diverso - inizio la professoressa Abate, nonché docente di italiano. 
- Visto che sono tre anni che sedete sempre con gli stessi compagni di banco, e quest'anno abbiamo tre ragazzi nuovi, ho deciso che cambieremo totalmente i posti a sedere - avevo sempre ritenuto che fosse una vecchia zitella che non avendo persone o cose sulla quale sfogare i propri problemi, lo facesse in classe con noi, questa ne era la conferma. 
Io e Giorgia lontane? Mai successo in quindici anni di scuola, eravamo state sempre inseparabili ed i professori ne erano a conoscenza.
- Tipo Cuneo e Pace - e ti pareva che non prendeva noi come esempio 
- State insieme da sempre, sicuramente tu, Cuneo saprai tutto su Pace, ma è arrivato il momento di conoscere anche gli altri - e fece centro, conoscevo a memoria ogni passo della mia migliore amica, ma questo non l'autorizzava e dividerci.
Ecco, anche ora la super vista per incenerire le persona non mi avrebbe fatto male.
Iniziò a fare vari spostamenti, mettendo..
- Morici, vicino Cuneo - Morici? Mai sentito prima, doveva essere uno dei nuovi. 
Mi girai per guardarlo meglio e..
- Tu?! - sbottai sgranando gli occhi, mistersoloiosonofigo, nonché nuovo vicino di casa era nella mia aula, nella mia classe, nel mio banco?! 
Non poteva andare peggio di così, lo vedevo un anno duro, a meno che non fossi riuscita a corrompere quella befana dell'Abate, ma ci contavo poco, poiché mi odiava dal principio, in quanto l'unica che non aveva ancora beccato senza fare i compiti, ma questo solo perché la conoscevo meglio degli altri. 
Controllava i compiti ogni tredici giorni, strano ma esattamente vero. 
- Ne sono felice quanto te - rispose facendo schioccare la lingua contro il palato, potevo aggiungere qualche aggettivo allo stronzo che gli avevo attribuito prima? 
Magari un antipatico, strafottente, e sfigato? 
Anche se l'ultimo, sembrava l'ultimo degli aggettivi che gli si potesse attribuire.
Incrociai le braccia al petto come una di quelle bambine che si rifiutava di mangiare le verdure, o magari come una sedicenne -quasi diciassettenne- che già odiava il suo vicino di banco. 
- Allora, per domani voglio una relazione sul proprio compagno di banco, cosa ama fare, gusti personali e.. spremete le meningi perché voglio almeno quattro colonne. Non inventatevi niente di niente, controllerò personalmente che ciò che avete scritto corrisponda alla verità - quella strega peggiorava anno dopo anno, e riusciva sempre ad essere più rompipalle di quanto non fosse già; perfetto, avevo da far un compito con mistersoloiosonofigo. 
Sbuffai rumorosamente, uno sbuffo che non passò inosservato neanche alla rompipalle.
- Qualcosa in contrario, Cuneo? - sbottò con un ghigno perfido, avrei voluto mandarla a quel paese urlando davanti al resto della classe, magari facendomi mandare dal preside, giocandomi l'anno scolastico e.. la gita! 
No, non potevo, e di conseguenza mi limitai a farlo mentalmente.
- Tutto perfetto, prof - risposi a tono, sbattendole un sorriso a trentadue denti, tanto falso quanto la sua simpatia. 
Sentii quel coglione del mio vicino di banco ghignare, magari una gomitata nello stomaco non gli avrebbe fatto poi tanto male.
- Che cazzo ti ridi, Morici? - buttai fuori fulminandolo con lo sguardo e, nel momento che incrociai i suoi occhi mi sentii.. non so come, ma quegli occhi avevano qualcosa di speciale.
Un lato della sua bocca, carnosa e rosea, si alzò in un mezzo sorriso e, successivamente abbozzò una strizzata all'occhio destro. Odioso. 
Iniziavo ad essere davvero manesca nelle mie immaginazioni più vivide, anche se, se proprio dovevo essere manesca, l'avrei menato di brutto.
Percepii il cellulare vibrarmi in tasca, lo afferrai in modo che la befana non potesse vedermi ed aprii il messaggio, era di Giorgia.

* Certo che il tuo compagno di banco è proprio da...
- Qualcuno sta usando il cellulare - è proprio da strangolare il prima possibile. 
Schiacciai il tasto rosso così insistentemente tanto da farlo spegnere, alla strega bastava un futile motivo per stampare una nota sul registro con il mio nome.
- Mi scusi prof, ho dimenticato di spegnerlo prima di entrare in classe e lo stavo facendo ora - 
Cuneo 1 - Morici 0, sorrisi al mio vicino di banco, il quale avrebbe avuto vita breve se non avesse cessato immediatamente di guardarmi, parlarmi e prendere atto del fatto che io esistessi. 
Sentii la befana sospirare, per poi sedersi dietro la cattedra.
- Cuneo, la prossima volta che usi il cellulare in classe, scordati di Londra - odiavo lei, odiavo il mio vicino di banco, odiavo la scuola.
Il coglione si girò con un sorriso da Cuneo 1 - Morici 1.
- Si, non succederà più - le sorrisi, un sorriso tutt'altro che benevole.
Umiliarmi addirittura con la befana, chi lo avrebbe mai detto.
Mistersoloiosonofigo mi stava già portando all'esasperazione, anche se fossimo solo al primo giorno di scuola.
Sicuramente si era già guadagnato il mio odio, visto quanto coglione fosse, ma sicuramente questa non gliel'avrei fatta passare liscia, eh no. 
- Restano ancora 10 minuti prima che finisca la lezione, iniziate il compito che vi ho assegnato, poi lo continuerete a casa, insieme ai vostri compagni - io e lui, nella stessa stanza che non fosse un'aula? I miei peggior incubi si stavano avverando.
Magari avessi fatto un compito su Giorgia, avrei potuto dire a quanti anni ha lasciato il ciuccio, i suoi primi passi, il primo giorno d'asilo, la prima cotta, il primo bacio e la prima volta. 
Invece no, la mia sfiga non aveva mai limiti perché, mentre la fortuna era completamente cieca, la sfiga aveva i raggi X. 
Misi la dovuta distanza tra me e Morici; non avevo mai sentito che la stronzaggine fosse contaggiosa, ma prevenire era meglio che curare.
Strappai un foglio dal quaderno, scrissi grande e grosso al primo rigo 'appunti su Morici'
1) Stronzo
2) Antipatico
3) Coglione
4) Stra..

e sentii qualcuno strapparmi il foglio dalle mani mentre stavo scrivendo 'stafottente'. 
Cercai di strappargli il foglio dalle mani, senza risultati, ovviamente.
- Stronzo, antipatico, coglione e stra..? - chiese con un ghigno.
- E strafottente - risposi fiera di ciò che avevo detto, forse avevo colto il punto giusto, poiché non ne sembrava assolutamente sbalordito, oltretutto era vero.
In fin dei conti, però, non ero mai stata una persona che giudicava gli altri a prima vista, e, a quel pensiero, mi sentii in colpa nei confronti di un ragazzo che, secondo me, neanche conosceva i sensi di colpa.
- Sembra proprio che abbiamo qualcosa in comune - ironizzò lui.
Si, c'è davvero una prima volta per tutto.
Di solito non sbagliavo mai a giudicare le persone, ero sempre attenta sui loro comportamenti e riuscivo a capire il loro carattere e, il suo, l'avevo colpito in pieno.
E poi, era tutta colpa sua se lo avevo definito stronzo, a partire da quella mattina sulle scale.
Mi morsi la lingua, io che gli avevo chiesto anche scusa per essergli finita addosso, la cogliona ora ero io.
- Non credo proprio - risposti scrollando le spalle.
Di solito avevo diversi cambi di personalità, cambiavo a seconda di come erano le persone con la quale avevo a che fare, quindi, di conseguenza, un po' di ragione l'aveva, se lui era stronzo, io facevo altrettanto la stronza.
- Toglimi una curiosità - mormorai improvvisamente - sei il figlio di quelli che si sono trasferiti nel palazzo in cui ci siamo incontrati oggi? Al secondo piano! - sbottai.
Magari la giornata sarebbe potuta migliorare, magari era lì da un nonno, o una zia, o un amico.
Pregai in tutta le lingue del mondo, peccato conoscessi solo l'italiano, ma vabbé, quello era solo un piccolo e innocuo particolare.
Si girò completamente verso di me, portando i piedi sotto la mia sedia.
- Acida e sbadata - mormorò.
- Non sei il mio vicino di casa? Oh, allora Dio esiste davvero! - sbottai.
Avevo paura di piangere dalla gioia da un istante all'altro.
Se davvero non era il mio vicino, avere una distanza più consistente con lui era un dono del cielo.
Non avevo mai avuto una forte fede religiosa, non ero mai riuscita a credere concretamente in qualcosa che non potevo vedere, forse, però, ancora una volta, potevo dire che c'era una prima volta per tutto, davvero.
- Ne sono felice quanto te, stronzetta, ma abito in quel palazzo da circa un mese, al primo piano. - 
Al primo piano, io ero al primo piano.
Al primo piano c'erano solo due case, la mia e quella.. E QUELLA DEL COGLIONE?!
Non ci credevo, allora non era stata la tizia del piano di sopra a trasferirsi, ma quella affianco casa mia!
Non avevo mai avuto un qualcosa che si potesse definire legame con quelle due famiglie.
Al piano di sopra vivevano due anziani, affianco a me un uomo solo, incrociato a volte per sbaglio nelle scale e, se poteva, evitava anche di salutare.
Non poteva, l'incubo continuava alla grande e si stava allargando a dismisura, lui stava invadendo tutto il mio spazio privato. 
Lui viveva affianco a me, lui respirava a pochi metri da me, lui era a troppi pochi centimetri da me.
- Cioè, fammi capire, tu abiti affianco a me? - poi ci pensai su.
- Oh, stronzetta a chi? - sbottai fronteggiandolo. 
Lo ritrovai a qualcosa come cinque centimetri di distanza dal mio volto, stava inquinando l'aria quello lì.
Il suo sguardo era impresso nel mio, e, per quanto odioso fosse ammetterlo, non riuscivo a fronteggiarlo nel mie piene facoltà mentali.
Le sue iridi verdi avevano delle venature azzurre e, visti da quella vicinanza, i suoi occhi erano di una bellezza rara, un di quelle che forse non avevo mai incontrato.
Ciò non cambiava la mia poca simpatia nei suoi confronti, ma forse poca simpatia era troppa, diciamo che la mia simpatia nei suoi confronti si poteva benissimo esprimere a numeri negativi.
- A te - soffiò troppo vicino a me e alla mia bocca, con un sorriso sulle labbra da prendere a schiaffi.
Ridussi gli occhi a due fessure.
Magari mi sarei svegliata da un momento all'altro scoprendo che tutto ciò era solo un incubo.
Magari era ancora il quindici giugno ed avevo ancora un'intera estate per spassarmela alla grande.
- Senti, la mia poca voglia di averti nella mia regione, nella mia città, nella mia scuola, nella mia aula, nel mio palazzo è un conto, ma doverti anche sopportare come vicino di banco è qualcosa di straziante, quindi, via il dolore via il dente. Abbiamo un compito da fare, iniziamo con le domande? -  
Comportarmi da persona civile sembrava un buon inizio.
Forse stavo ritornando in me e stavo lasciando andare i panni della bambina isterica e acida, ma non era mia la colpa, era lo stronzo a farmi diventare così.
Lo vidi scrollare le spalle e tornar a sedersi da persona civile, con le gambe sotto al banco.
- Cosa ami fare nel tempo libero? -
- Una cosa vale l'altra -
- Colore preferito? - mai perdere la pazienza, ripetetti a me stessa, magari sarei riuscita a tirar fuori qualcosa di buono da quel coglione.
- Mai avuto uno. - mi stava prendendo in giro, era sicuro.
 -Sport preferito? - tutti i ragazzi amano il calcio, avevo solo bisogno di una conferma.
Una conferma da Morici? 
Mh, chiedevo effettivamente troppo, me ne stavo rendendo conto da sola.
- Bho - e no, e no, potevo controllare la mia voglia di strangolarlo fino ad un certo punto.
Mi girai verso di lui guardandolo in cagnesco, e con tanto di quell'odio da aver paura di soffocarlo solo con lo sguardo.
Lo vidi girarsi verso di me e ghignare, soddisfatto delle reazioni che riceveva da me.
Godeva nel vedermi furiosa, va bene, vuol dire che non avrebbe tardato a vedermi davvero furiosa.
- Qualcosa mi dice che mi stai prendendo per il cosiddetto fondoschiena - non volevo essere volgare, almeno per il momento, anche se mentalmente gliene avevo dette sicuramente di peggiori.
Assunse un'espressione a dir poco straziante per il mio autocontrollo, prenderlo a schiaffi dinanzi l'Abate non era una buon'idea.
Fuori la scuola, magari ci potevo fare un pensierino, uno o due schiaffi non l'avrebbero ucciso.
Aveva sporso il labbro inferiore verso fuori, arricciandolo leggermente.
L'aria da coglione che si stava prendendo gioco di te gli calzava a pennello, forse perché lo stava facendo davvero.
- Qualcosa mi dice che sei davvero perspicace - magari prenderlo a schiaffi sarebbe stata solo una sua soddisfazione, poiché dubito che gli avrei causato qualche graffio, probabilmente qualche calcio sarebbe stato meglio.
Chiusi le mani a pugno, no, non avevo intenzione di prenderlo a pugni, ma in qualche modo dovevo pur tener a freno la mia voglia.
Mi dipinsi sul volto uno dei miei sorrisi più irritanti, sapevo come irritare le persone.
- Senti, Morici - iniziai.
- Mattia - mi corresse lui.
- Cosa? - risposi aggrottando le sopracciglia.
- Odio le persone che mi chiamano per cognome e, tu, già hai abbastanza punti a sfavore - oh bene, alla fine io ero l'antipatica?
Avevo già abbastanza punti a sfavore?
Bene, perché avevo intenzione di guadagnarne ancora e ancora, perché avevo ancora l'umiliazione con l'Abate da fargli pagare.
- Beh, fa niente, vuol dire che ne dovrai aggiungere ancora, Morici - sorrisi calcando sul suo cognome.
L'avevo detto io che ero abbastanza brava ad irritare le persone.
Sentii la campanella suonare, e, poiché fosse ora di uscire, scattò in piedi anche lui.
- Come vuoi, Cuneo - una cosa era l'odio reciproco, un'altra era farmi assegnare un due dalla befana. 
Mi morsi il labbro inferiore e presi un profondo respiro: dovevo farlo solo per la mia media scolastica, poiché già normalmente non eccelleva. 
Dargli una piccola soddisfazione e poi fargliela pagare cara, questi erano i miei piani.
- Aspetta - mormorai a bassa voce, così bassa che mi stupii del fatto che mi avesse sentita.
Si girò, guardandomi con aria di insufficienza, come se gli dovessi essere grata per avermi degnata della sua attenzione.
Sospirai e poi parlai.
- So che avrai poca voglia di vedermi al di fuori della scuola, dopo tutto la mia è molto meno, ma non voglio un'insufficienza all'inizio della scuola, oggi dove ci incontriamo? - avevo fatto il mio dovere, ora toccava lui fare un passo avanti verso me.
- Senti - iniziò - scrivi qualche cazzata ed io farò altrettanto, figuriamoci se quella verifichi che sia tutto vero - 
Avrei accettato, se non avessi conosciuto davvero bene quella befana.
Sarebbe stata capace di verificare la veridicità del mio compito, solo del mio compito, pur di segnare un impreparato sotto al mio nome.
- Tu non conosci l'Abate, lo farà - lo contraddii, dopotutto cosa ne voleva sapere lui?
Era la prima volta nella sua vita che la vedeva, che gran fortuna quel tipo.
Sembrò sbuffare, forse la sua voglia di vedermi al di fuori della scuola era anche inferiore alla mia, ma quell'ultima idea non mi scalfì minimamente.
Ci pensò su, o almeno così sembrò fare.
Sentii la sua lingua schioccare contro il palato, cazzo quanto mi dava il nervoso quel gesto.
- Vengo da te stasera verso le nove, va bene o già sei a nanna a quell'ora? - ironizzò.
Ok, in camera mia non c'erano telecamere e l'avrei potuto schiaffeggiare per bene, dopotutto, sarebbe stata la sua parola contro la mia, giusto?
Eppure, far entrare quello stronzo in casa mia non mi andava per niente, avrebbe inquinato anche l'aria di casa, cazzo.
Sbuffai rendendomi conto del fatto che stessero uscendo tutti. 
- Perché a casa mia? - tentar non nuoce.
Aggrottò le sopracciglia e poi si girò per andarsene, alzò una mano come segno di saluto e girò le spalle.
Non capii quel gesto finché non lo sentii mormorare qualcosa come..
- Scriverò qualche cazzata, buona fortuna Cuneo - 
Mi aveva zittita quel coglione, a quant'eravamo?
Ah giusto, un punto a suo favore. Cuneo 1 - Morici 2, non mi erano mai piaciuti i svantaggi.
Lo afferrai per il polso e, poi ritrassi la mano disgustata, avrebbe potuto infettarmi per davvero.
- Da me alle nove, non un secondo dopo, ma soprattutto non prima, non fremo dalla voglia di vederti - precisai, ci tenevo a farlo.
- Stammi bene - disse uscendo completamente dall'aula.
Avevo paura di ciò che mi stava attendendo, non ero molto brava a controllare il mio autocontrollo con lui e, la violenza non mi era mai piaciuta.
Ma proprio io dovevo aver quel coglione come vicino di banco? 
C'era una lunga giornata ad aspettarmi, o forse, un lungo periodo...

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Capitolo 3
*** Inquinamento in casa ***


 

Capitolo 2:
inquinamento in casa



Ero sempre stata abituata a studiare l'inquinamento ambientale a scuola, ma il vero inquinamento si sarebbe presentato da un momento all'altro in casa mia.
Avrei voluto accoglierlo con indosso un pigiama, tanto per fargli capire di doversene andare il più presto possibile, ma le possibilità che mi avrebbe deriso per il resto dei suoi giorni, erano troppo alte. 
Un pantaloncino con una felpa erano più che sufficienti, dopotutto, avrei cercato di sbatterlo fuori il prima possibile. 
Era stupefacente l'odio che si era guadagnato il ragazzo in poco più di dodici ore.
Esuberante, strafottente, antipatico e stronzo.
- Io al tuo posto, un pensierino su di lui lo farei, ma anche più di uno. - aveva sbottato la mia migliore amica.
L'avevo pensato anch'io, prima che il soggetto in questione aprisse bocca.
Non avevo mai avuto storie davvero serie in passato, non ero mai stata innamorata, non credevo fermamente nell'amore; forse avevo paura di quest'ultimo sentimento.
- Gio, scherzi, vero? Io con quello lì con ci passerei neanche un giorno della mia vita - borbottai imbronciata, già era tanto doverlo vedere tra poco, ma sentirne parlare anche da Giorgia mi sembrava un incubo ad occhi aperti. 
Un tipo così, sicuramente non era da coppia fissa.
Morici che portava i fiori alla ragazza, la portava a cena fuori e la riaccompagnava a casa prima della mezzanotte.
Peggio di un film comico.
Scoppiai in una sonora risata.
- Vabbé Martì, poi non dire che non te l'avevo detto. - sbottò.
Odiavo la sua convinzione su quella specie di essere umano, quel ragazzo urtava il mio autocontrollo anche solo respirando, figuriamoci se ci fosse stato qualcosa tra di noi.
Certo che il suo aspetto fisico era davvero sprecato per un tizio così.
Madre natura a volte era davvero crudele, l'avevo sempre detto.
- Tranquilla Gio, non ne avrò modo - e le ultime mie parole furono sovrastate dal rumore del campanello.
L'incubo stava prendendo forma, si stava materializzando.
Avrei potuto far finta di non averlo sentito, ma il giorno dopo, avrei corso il rischio di veder materializzare un'insufficienza, e l'idea non mi allettava per niente.
- Gio, il tuo cliente da difendere ha preso vita fuori la porta di casa mia, devo staccare. - oppure offrimi una via d'uscita, avrei voluto implorarla.
Mi alzai incamminandomi verso la porta, ancora con il cellulare tra le mani.
Stringevo tra le mani quell'aggeggio come se fosse la mia ancora di salvataggio, come se potesse teletrasportarmi in qualunque altro posto, ma non lì.
- Non sbramarlo, ricorda: conta fino a centoundici prima di parlare. - e chiuse così la chiamata, con una sua risata trattenuta.
Sospirai ormai rassegnata, portando una mano sulla maniglia della porta.
Mattia Morici era dall'altra parte della porta.
Mattia Morici stava per entrare in casa mia.
Mattia Morici abitava accanto casa mia.
Aprii la porta con un gesto a rallentatore e lui prese forma davanti ai miei occhi.
Era davvero una frana quel ragazzo, avevo sempre avuto un debole per i ragazzi in tuta e lui si presentava a casa mia in quello stato: una maglietta a mezze maniche bianca, semplice, con un pantalone della tuta blu, con strisce bianche sui lati. Adidas. 
Certo che madre natura aveva giocato davvero a suo favore, o forse lo sport rendeva così il suo fisico.
I pantaloni della tuta gli cadevano morbidi sulle gambe, fino ad accasciarsi leggermente più larghi alle caviglie, e scarpe dell'Adidas, bianche con delle strisce blu.
Ci sapeva fare nell'abbigliamento, bisognava ammetterlo, ci sapeva fare almeno quanto non sapeva farci con le persone.
No, non ci sapeva fare fino a quel punto.
Nessuno ci sarebbe mai riuscito, era un paragone davvero esagerato.
E in quel susseguirsi di pensieri e giudizi, si era già accomodato in casa mia senza molte cerimonie; mi richiusi la porta alle spalle.
- Allora, dove ci mettiamo? - neanche un saluto, degno di lui.
Sospirai rassegnata, scuotendo lievemente la testa.
Senza spiccicare mezza parola, mi avviai verso la mia camera, aspettando che mi seguisse.
E così fece.
- Siediti lì - dissi indicando la sedia vicino la scrivania, sulla destra, poiché la seduta di fronte al pc era mia.
Mi voltai a prendere un quaderno e due penne. 
La mia camera non era molto grande, c'era un letto ad una piazza e mezza, un ampio armadio, uno specchio a parete e la scrivania col computer.
Quando mi voltai, lo trovai seduto esattamente dove non doveva essere.
- Morici, passa sull'altra sedia - sbottai fulminandolo con lo sguardo.
Posai una mano sul suo braccio destro, per spintonarlo lievemente verso l'altra sedia.
Sfiorando la sua pelle nuda, rabbrividii e mi scostai all'istante.
Sicuramente era stato per colpa della sua pelle fin troppo colda e le punte delle mie dita esageratamente fredde; lo vidi fissare la sua pelle, per poi fissare i suoi occhi nei miei.
- Ti hanno mai detto che non si trattano così gli ospiti? - sussurrò, un sussurro accompagnato da un ghigno. 
Sbuffai già stanca per i primi cinque minuti trascorsi in compagnia di mistersoloiosonofigo. 
Mi buttai a peso morto sull'altra sedia, strappando qualche foglio dal quaderno. 
- Iniziamo con sto coso - sbottò lui. 
- Cosa fai nel tempo libero? Che sport pratichi? Dove abitavi prima? Il tuo migliore amico? La tua ragazza? - buttai a raffica un paio di domande, lasciando trapelare un sorriso ironico sull'ultima parola.
Nessuna ragazza sana di mente si sarebbe messa con un tipo come Morici.
Sicuramente l'avrebbe mandata al manicomio prima di compiere un mese insieme, e poi, sicuramente le avrebbe fatto un paio di corna più lunghe di quelle di un'alce. 
- Non ho mai tempo libero. Calcio. Sempre da queste zone. Stefano. Sembro il ragazzo da storie serie? - mormorò inarcando un sopracciglio sull'ultima domanda.
Effettivamente, cercavo solo una conferma.
Segnai tutto sul foglio, approfondendo con parole vaghe per allungare il tema. 
- Mai avuto una storia seria? - continuai con le domande.
Non era il momento di uscirmene con una delle mie battute, dovevo tenere un discorso di senso compiuto. 
Scoppiò in una risata, rovesciando la testa all'indietro.
Mi sentii improvvisamente stupida per la mia stessa domanda.
Lui, una ragazza e una storia seria? Nah.
- C'è bisogno che ti risponda? - 
- No. Credo proprio di no. -
 
 
- A quanti anni hai perso la verginità? Sempre che tu l'abbia persa. - stronzo.
Certo che non aveva bisogno di giri di parole per fare domande.
Le sue labbra sempre aperte in quell'insopportabile ghigno mi davano ai nervi. 
Avrei voluto strapparglielo, se solo ci fosse stato modo. 
- Mi credi una vergine di ferro? - era giusto rispondergli con i sui stessi modi. 
Alzai il sopracciglio destro, con un mezzo sorriso.
Scrollò le spalle senza fare cenno, né positivo, né negativo.
- Seriamente, hai fatto avvicinare un ragazzo senza sbramarlo? - ghignò.
Quel ragazzo era davvero un insulto al mio autocontrollo. 
Come faceva SuperMan?
Socchiudeva gli occhi, si concentrava sull'obbiettivo e lo inceneriva.
I primi due passaggi mi riuscivano, il terzo, no. 
- Al secondo anno di superiori, avevo quindici anni e mezzo. - accennai un mezzo sorriso provocatorio; no che mi andasse di sbandierare le mie informazioni personali, ma la verità in quel caso era opportuna.
Il ricordo della mia prima volta mi balenò alla testa. 
Era la festa di una mia amica, festeggiava i suoi sedici anni. 
Una delle prime vere feste a cui avevo partecipato e, un bicchiere tira l'altro, si sa come vanno a finire determinate cose. 
Il fratello della festeggiata, allora diciassettenne, era davvero un bel ragazzo.
Capelli biondi, color cenere, e occhi scuri.
Già, feci sesso con il fratello di una delle mie amiche più strette. 
Il giorno dopo ricordavo quasi tutto, nonostante la sbronza, e decidemmo di non parlarne con nessuno; vviamente, in quel nessuno, era esclusa Giorgia e il mio migliore amico.
Fu una cosa orribile, la prima volta per una ragazza dovrebbe essere qualcosa di stupendo, perfetto.. un ricordo da poter custodire con amore e gelosia, uno dei ricordi più belli, eppure io avevo sbagliato tutto.
- Interessante - si limitò a dire.
- E tu? - domandai.
Era legittima la mia curiosità, soprattutto dopo avergli rivelato uno dei miei segreti.
Era impossibile pensare che lui fosse vergine.
Per quanto odio mi ispirava, non potevo negare che infondo, era carino. 
Davvero carino.
- In seconda media. - ghignò, e per poco non affogai con la mia stessa saliva.
Iniziai a tossire come una disperata, diventando sicuramente rossa in viso.
Si, maledetto, il coglione se la godeva alla grande.
- Stai bene? - era, ovviamente, una domanda posta in modo al quanto ironico.
- Vaffanculo - risposi col poco fiato che avevo recuperato.
Io in seconda media a stento sapevo come si facesse, lui invece già era passato alla pratica, che ragazzo precoce.
Avrei davvero voluto conoscere la sua prima vittima, magari a quell'età ancora non aveva sviluppato il suo lato da stronzo senza via di ritorno. 
- Che c'è, saresti voluta essere tu al posto di una delle tante ragazze che hanno urlato il mio nome? - si avvicinò fin troppo per i miei gusti. 
Una delle tante ragazze.
Feci una smorfia per il senso di disgusto che mi dava quella frase.
Certo, era ovvio per un ragazzo della sua età, chi ragazza non gli avrebbe sbavato dietro?
IO.
Mi feci un applauso mentalmente, ed era da ammettere, era più che meritato l'elogio nei miei stessi confronti.
- Neanche se tu fossi l'ultimo ragazzo sulla faccia della terra. - sbottai fissando gli occhi nei suoi.
I nostri nasi erano a tre o quattro centimetri di distanza, troppo pochi per i miei gusti, la sua vicinanza mi faceva venir voglia di spaccargli il naso.
Abbozzò uno dei suoi soliti sorrisi da soloiosonofigo. 
Ricambiai con un ghigno, inarcando un sopracciglio.
- Non ci scommetterei. - soffiò sulle mie labbra.
Allarme rosso, rosso, troppo rosso.
Mi ritrassi all'istanti e mi maledii da sola per aver fatto perfettamente il suo gioco, avevo mollato per prima.
Sorrise furbo, il coglione mi stava provocando alla grande.
Lo odiavo, risvegliava i miei istinti peggiori.
Se fossi stato un ragazzo, l'avrei pestato di sicuro.
La sua arroganza superava di gran lunga i miei deboli limiti di sopportazione, avrei dato di matto da un momento all'altro se non se ne fosse andato.
Stavo per chiedergli apertamente di andarsene prima di avere la possibilità di cacciarlo a calci nel fondoschiena, quando parlò.
- Devo andare, altrimenti farò tardi - sbottò alzandosi.
L'orologio segnava le undici e mezza, avevamo passato due ore e mezza ad insultarci e tentar di concludere qualcosa con quel fottuto compito.
Ma dove cazzo voleva andare a quell'ora?
- Domani abbiamo scuola.. - mi uscì mentre ero in sovrappensiero.
- Sopravvivrò. Tu, invece, porta il culo a letto altrimenti domani sarai più isterica di oggi. - avevo già detto di odiarlo?
Beh, avevo sempre amato ribadire le cose, soprattutto quando quest'ultime rappresentavano la verità.
- Stronzo - borbottai incrociando le braccia al petto.
- Non fare la finta incazzata, sai che è la verità. - ghignò soddisfatto.
Non era colpa mia se avevo un compagno di banco che suscitava in me i peggior istinti omicidi anche alle otto di mattina, quando in normali circostanze l'unica cosa che avrei desiderato sarebbe stato un cuscino.
Mi fermai sulla soglia della porta della mia camera, mentre Morici era già fuori alla porta.
Se ne andò così come era arrivato, senza un saluto, ne un cenno con la mano. 
L'avrei ripetuto per il resto dei miei giorni: stronzo, antipatico, coglione e strafottente.

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Capitolo 4
*** La sigaretta ***



 

Capitolo 3:
la sigaretta

 


 

Avevo una marea di difetti, ma quello che proprio dovevo eliminare urgentemente, proprio per questione di vita o di morte, era il farmi convincere troppo facilmente dalla mia migliore amica.
Si, era riuscita ad incastrarmi di nuovo e a costringermi ad accompagnarla in palestra, nonostante fosse uno degli ultimi luoghi in cui avrei voluto mettere piede.
Le palestre non erano affatto per me, e aveva la sicurezza che se tutti fossero stati come me, gli allenatori sarebbero tranquillamente potuti morire di fame, in quanto io ero la modalità a risparmio energetico.
- E così hai detto al figone uno dei tuoi segreti? - borbottò Giorgia.
Detto così sembrava qualcosa di serio, e servì solo a peggiorare il mio già evidente mal'umore.
Incrociai le braccia al petto, arrabbiata con me stessa, con lui e con il mondo; ormai mister soloiosonofigo aveva capito quale fosse il mio punto dobole: sfidarmi, ed era sicuro che gli avessi rivelato -incosciamente- qualunque cosa lui mi avesse posto sottoforma di sfida.
E certo, poiché stupida qual'ero, per cercar di difendere il mio orgoglio, mi cacciavo in situazioni ancora più contromettenti; ah, si, riuscivo pure a fare figure di merda, tipo rischiare di strozzarmi con un bicchiere d'acqua davanti ai suoi occhi.
- E' un coglione, ma io sono due punti peggio di lui.- sospirai.
Riusciva a farmi perdere il controllo, mi urtava anche solo respirando.
Odiavo il suo modo di pormi tutto come una sfida, riuscendo sempre a farmi sbottare ed infuriare; magari sarei potuta tornare ad una settimana prima, quando l'avevo incrociato nelle scale e, invece di chiedergli scusa, sbatterlo con la faccia al portone o -come avevo tentato il giorno prima- mettergli uno sgambetto mentre camminava nel corridoio della nostra scuola. 
 
 
Flashback.
- Ehi Mat - lo chiamò Facini, Marco Facini, lo sopportavo da troppi anni per riuscir a digerire ancora il suo comportamento infantile.
Vidi Morici girarsi di scatto e fulminarlo con lo sguardo. 
- Che cazzo ti gridi? Merda, sto ancora scazzato per essermi svegliato cinque minuti fa.- sbottò, ovviamente, la finezza in quel ragazzo mancava del tutto.
Lo sopportavo da quasi dieci giorni ed iniziavo già ad averne abbondantemente di lui e i suoi modi di fare, della sua arroganza, del suo sentirsi superiore a tutti, di lui che credeva di essere l'unico ragazzo scopabile sopravvissuto sulla faccia della terra.
Un'idea mi balenò alla testa, non molto crudele, o almeno non oltre i limiti di quanto lui meritasse, sempre se esistessero dei limiti. 
Era a pochi passi da me.
- Ehi Morici.- borbottai; odiavo salutarlo, poiché lui non si degnava di farlo mai.
Lo vidi alzare lo sguardo da terra e disegnarsi un'aria scocciata in faccia, insopportabilmente insopportabile. 
Allungai leggermente il piede in avanti, accidentalmente, davanti ai suoi di piedi.
- Oh merda! - lo sentii esclamare sbarrando gli occhi, fissando davanti a lui.
Mi sporsi leggermente con la testa, guardando verso dove guardava Morici.
Niente di insolito, Facini con Raimondo Angelotti, quest'ultimo era lo sfigato di turno, talvolta mi faceva pena star a guardare come si divertivano a sue spese; più a destra c'erano delle ochette che si specchiavano e qualche professore che entrava ed usciva dalla sala insegnanti.
- Che cazzo è successo? - chiesi stranita.
Lo vidi alzare la mano, e darmi un ceffone non troppo forte sulla fronte.
Sua mano+mia fronte = la sua fine. La matematica era uno dei miei nemici peggiori, ma Morici mi aveva insegnato che c'era una prima volta per tutto.
- Tira via la zampa, Cuneo.- ghignò odioso; ritrassi istintivamente il piede, ma solo per tirarglielo dove il sole non batteva, magari per renderlo sterile.
- Fottiti - sbottai mentre sul suo volto si disegnava un ghigno strapieno di strafottenza ed arroganza; avere un rapporto civile con quella sottospecie di essere umano era impossibile.
Anche se, forse, avevo iniziato io. 
- Ci pensano già le altre a farlo, non preoccuparti. Ciao Cuneo, stammi bene.- 
Lo odiavo. Lo odiavo. Lo odiavo. Lo odiavo. Lo odiavo. Lo odiavo. Lo odiavo.
Certo, perché a mister soloiosonofigo le ragazze cadevano come pioggia, in quantità indecifrabili, peccato che io non fossi tutte, peccato che non avrei avuto un rapporto civile con lui neanche se fossimo rimasti gli ultimi due essere viventi sulla faccia della terra.
- Tirati su i pantaloni, Morici, non tutti ci teniamo a guardare il tuo fondoschiena, sai? - operazione salva-la-tua-dignità in corso.
- Parla per te.- urlò schioccando la lingua contro al palato, girandosi un'ultima volta. 
Guardò alle mie spalle e strizzò l'occhio destro a qualcuno, e proprio perché dicono che la curiosità è donna, mi girai per verificare a quale oca l'avesse fatto.
Ma certo, la Cabassi. Sara Cabassi. La solita troia che la dava a tutti. 
Starnazzava con le altre ochette, dandosi a gomitate e ghignando mentre fissavano lo stronzo. 
Cosa si poteva trovar di bello in un ragazzo così irritante?
Un ragazzo che nonostante fosse due metri più avanti, aveva lasciato dietro di se una scia di profumo fin troppo buona per poterlo ammettere?
- Quante cazzo di volte ancora ti devo ripetere che sto nomignolo te lo devi ficcare su per il culo? - fu la frase che rivolse a Facini.
Scossi la testa ormai rassegnata, quel ragazzo era un caso perso e mio malgrado, dovevo sopportarlo ancora, ancora e ancora.
 
 
- Scommetti che uno di questi giorni vi saltate addosso? - fu la voce di Gio a riportarmi coi piedi per terra, nella cruda e vile realtà che mi costringeva ad averlo come compagno di banco.
- Si, per scannarci.- ironizzai.
Lei davvero credeva che tra me e Morici potesse esserci qualcosa in più di un odio reciproco.
Oppure potevo fare come in uno di quei film in cui la ragazza sposa il tizio che odia poi, durante la prima notte di nozze, prova a soffocarlo.
No, mi avrebbe rovinato la vita peggio di com'era adesso, bisognava cercare un piano B.
- Vabbé, sarà il tempo a parlare.- sbuffò.
- Qui dentro inizia a mancarmi l'aria, vado a fare un giro fuori.- sbottai avviandomi verso l'uscita; avevo sempre odiato i posti chiusi, soprattutto quelli affollati, per non parlare delle palestre e quei strani odori che emanavano determinate persone.
Uscii all'aria aperta e, appena fui fuori, ispirai una boccata d'aria per riempirmi i polmoni. 
Amavo prendere grandi boccate d'aria dopo che mi ero sentita oppressa, era come rinascere dopo essere stati soppressi. 
Mi sentivo piena ed appagati, che strana tipa che ero.
Un po' di passi avanti a me c'era un ragazzo girato di profilo, stava fumando. 
Quelle labbra che si chiudeva attorno alla sigaretta.
Quelle stesse labbra che si aprivano in un ghigno strafottente.
Il naso perfetto. 
I jeans a basa vita.
Il fisico slanciato.
Morici.
Quel tizio era una persecuzione in piena regola, me lo ritrovavo ovunque io mi girassi.
A scuola, nelle scale, in palestra, per strada, speravo solo di non ritrovarmelo nel letto.
Feci una smorfia di disgusto riflettendo sull'ultima mia frase.
Pancia in dentro, petto in fuori. 
Non stavo andando a combattere una guerra, non mi stavo armando per onorare la mia patria, ma stavo per affrontare il mio nemico.
Quando fui a quattro o cinque passi da lui, tossicchiai tanto per farlo sentire in colpa, tattica che funzionava sempre con i fumatori, ma ovviamente con lui fu inutile in quanto mi sarei anche potuta accasciare ai suoi piedi, ma dubitavo che avesse mosso un dito per aiutarmi.
Si girò quel poco che bastava per incrociare i miei occhi e mi esaminò, dal primo capello, all'ultimo laccio delle scarpe, e mi sentii proprio come se fosse in atto una radiografia. 
Poi tornò a guardare da un altro lato.
- Potresti salutare, non mordo, sai? - sbottai infastidita.
Andava bene il concetto 'ognuno per la propria strada, non parlarmi, non guardarmi, non toccarmi', ma infine eravamo vicini di banco, vicini di casa, compagni di sventura, ragazzi legati da odio reciproco. 
Sapevo essere davvero sentimentalista quando volevo.
- Si, ciao Cuneo - sbottò senza degnarmi di mezzo sguardo, continuando a fumare la sigaretta quasi giunta alla fine.
Gliela sfilai dalle dita, con un gesto unico e la portai alle mie di labbra.
Feci un tiro, lasciai che il fumo penetrasse nel mio corpo, poi fui scossa da una strana sensazione: il battito cardiaco mi accelerò per una frazione di istanti, per poi decelerare.
La sigaretta che ora era a contatto con le mie labbra, era stata sulle sue labbra, tra le sue labbra; non sapevo se provare disgusto, se dovermi disinfettare la bocca, o altro. 
- Ti hanno mai detto che scassi i coglioni di brutto? - sbuffò girandosi verso di me.
Feci spallucce, per poi fare un altro tiro e gettare nell'angolo della strada la sigaretta.
Non mi piaceva fumare, avevo ancora vividi dentro di me i ricordi della prima volta che lo avevo fatto; ero stata male un giorno intero, quella sensazione di avere all'interno del proprio corpo un qualcosa di non tuo, qualcosa di inaccettabile tal volta, qualcosa che si fondeva con la propria anima, impadronendosi di uno spazio tutto suo, imponendoti la propria presenza: inaccettabile. 
- Probabile, ma non sei da meno, tu.- sospirai in tono rassegnato, con un piccolo sorriso nascosto tra le labbra.
Era una giornata molto fredda per essere solo fine settembre e i suoi occhi -solitamente screziati dall'azzurro- erano completamente verdi, senza alcuna sfumatura.
Aveva un'espressione più scocciata del solito, più strafottente rispetto ai suoi canoni giornalieri,  e meno arrogante come se fosse mentalmente stanco per sfogare il suo stupendo carattere, cosa davvero strana.
- Mi stai per caso seguendo? Ti trovo dove cazzo mi giro, giro - sbottò sbuffando.
Io seguire lui? Ma per favore. 
La mente di quel ragazzo escogitava davvero pensieri fantasiosi, usare la fantasia andava bene, ma non bisognava abusarne, come sembrava aver appena fatto Morici.
Gli scoppiai a ridere in faccia, letteralmente, lasciandogli intendere che avesse appena detto la cazzata dell'anno: non ero io l'ultima arrivata, quindi toccava a lui evitarmi. 
- Dimmi che stai scherzando! - risposi inarcando il sopracciglio destro.
Arricciò leggermente l'angolo della bocca, con una smorfia del tipo 'saresti capace di tutto'.
Ma fui distratta quando sentii il rumore di una vibrazione, ma non poteva essere il mio cellulare dal momento che lo tenevo in modalità normale.
Vidi la mano di Morici scorrere nella tasca anteriore dei jeans e sfilarne un iPhone 4, strabuzzai gli occhi alla vista di quel cellulare; avevo cercato di convincere mio padre a regalarmene uno, c'avevo provato per interi mesi, ma come risposta ricevevo sempre una misera frase come:"tesoro hai avuto il tuo black barry pochi mesi fa."
- Pronto? - la sua voce scocciata fu accompagnata da uno sbuffo.
Lo vidi assottigliare gli occhi, fino a ridurli a due fessure.
- Si, si. Ok, ora arrivo. Ciao.- chiuse la conversazione dopo pchi secondi.
Ed infilò di nuovo il cellulare dove lo aveva estratto poco prima. 
- Dove vai, Morici? C'è davvero qualche essere umano capace di sopportarti? - ironizzai cercando di irritarlo, almeno un tantino.
Lo vidi esaminarmi con uno di quei sguardi scocciati, quasi non avesse neanche voglia di rispondermi a tono, ma nella sua presenza ravvicinata, fu inevitabile dover ammirare i suoi occhi: erano di un colore talmente vivido che sembravano potessero penetrarmi l'anima, fino a leggere anche l'ultimo dei miei segreti. 
Ingoiai un magone di saliva, per cercar di distrarmi, mi serviva assolutamente un diversivo per non fissarlo con una faccia da pesce lesso.
- Tu che dici? - davvero si aspettava una risposta positiva? 
- Io dico di no - risposta che in tal caso non arrivò, non sarebbe mai arrivata. 
Scrollò le spalle con disinvoltura, tanto per far capire che non gliene importava un cazzo.
- Questo lo dici tu, ed è qui il problema, tu credi di conoscere tutto e tutti e poter giudicare senza sapere niente.- mormorò.
Osservazione troppo saggia per essere attribuita a Morici, per poter esser uscita dalla sua bocca, ma, tuttavia, improvvisamente mi vergognai come una ladra di quel mio comportamento, non pensavo che sarebbe mai potuto arrivare quel momento, ma.. aveva ragione.
Mi limitai a sospirare, sconfitta, mordendomi la lingua pur di non rispondere.
- E comunque, si, mi sopportano benissimo, soprattutto le ragazze. E devo dire che non scazzano gridando come fai tu, quasi spaccandomi i timpani, anzi, urlano in un modo che, dio mio, le ascolterei per ore.- ghignò, tornando allo stesso livello di coglionaggine.
Lo.Odiavo.
Io.Odiavo.Morici.
Certo, perché Mattia Morici cambiava le ragazze come un paio di mutande, perché su di lui non avevano niente da ridire, perché lui era mister soloiosonofigo. 
Per quanto mi costasse ammetterlo, anche le voci di corridoio erano molto intense e popolavano i bagni femminili: 'Mattia, dio mio, quel ragazzo mi farà morire un giorno all'altro. Mi eccita anche solo guardarlo, e poi cazzo se è dotato.'
Dotato di poco cervello, assolutamente si.
- Vaffanculo.- sbottai quando era troppo lontano, oramai.
Ovviamente non aveva salutato prima di girare le spalle ed andarsene, perché doveva rendermi certa del mio odio verso di lui, il quale ribolliva incandescente dentro di me. 
Ed era tanto distante da non sentire il mio insulto, un isulto che meritava pienamente poiché sgorgava dal mio cuore, un insulto che sentivo fin dentro l'anima. 
Ma, tuttavia, era troppo vicino poiché io potessi smettere di sprizzare odio da tutti i pori. 
Era odio, si. 

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Capitolo 5
*** Gli scherzi della sorte ***


 

Capitolo 4:
gli scherzi della sorte


 

Il compito di una doccia, più che lavarti, era farti riflettere, quasi fossi nel bel mezzo di una seduta con uno psicologo.
Era più di un quarto d'ora che lambivo ogni centimetro della mia pelle con il getto d'acqua calda, tenendo gli occhi socchiusi.
Avrei voluto immergere anche il centro di tutti i miei pensieri nell'acqua, chissà, forse fino ad affogarlo in essa.
Mattia Morici stava diventando davvero un problema, ed era colpa sua se stavo passando le mani sul mio corpo come se volessi strapparne via la pelle.
Ogni parola che fuoriusciva dalle sue labbra era un problema per la mia sanità mentale, sembrava quasi che ci fosse nascosto un messaggio tra le sue parole, una specie di 'ti prego, strangolami.'
Avrei accolto volentieri la sua offerta, se quest'ultima non andasse contro la legge.
Uscii dalla doccia ancora confusa e, appena fuori, avvolsi un asciugamano attorno al corpo.
Oltretutto ero Marta Cuneo, la modalità a risparmio energetico e, di conseguenza, mi vestii con tutta la calma del mondo.
Sfinita come se avessi appena percorso una maratona, mi gettai a peso morto sul letto.
Ogni passo che segnavo in casa, rimbombava per tutta la struttura, casa mia era così grande per me che ero così piccola.
Grande e vuota, proprio come mi sentivo io in attimi di sconforto come questi.
Ero il tipo di persona che vedeva il mondo sempre con il sorriso sulle labbra, ma i momenti di sconforto mi assalivano ugualmente.
Non sapevo cosa avessi, sapevo solo che..
che mi stava squillando il cellulare.
Lo estrassi dalla tasca dei jeans e risposi senza neanche degnarmi di leggere chi cazzo stesse scassando. 
- Pronto? - sbottai infastidita e scocciata.
- Cuneo! - una voce stridula mi rimbombò nell'orecchio destro. 
Staccai il cellulare dall'orecchio e lo portai davanti agli occhi, ogni mio sospetto fu confermato: era Facini.
- Che cazzo vuoi, Facini? - sbottai esausta.
Non avevo neanche idea di come avesse messo le mani sul mio numero di cellulare, ma non m'interessava in questo momento.
Socchiusi gli occhi quando il fracasso che si sentiva dall'altra parte del cellulare mi arrivò vivido all'udito.
- Come sei dolce, Cuneo. Comunque c'è quasi tutta la 4B a casa mia, che dici, ci raggiungi? - sbuffai rumorosamente.
Mi sentivo un peso sullo stomaco e, la cosa peggiore, era che non ne conoscevo la ragione.
Era un giorno come tutti gli altri, eppure mi sentivo.. diversa.
Sapevo che gli unici che potevano aiutarmi a superare tutto ciò erano quei coglioni dei miei amici.
- C'è anche Gio? - ero sicura che fosse lì.
La mia migliore amica non si sarebbe mai persa una festa, sempre che il macello che c'era a casa di Facini si potesse definire tale.
Mi alzai dal letto e, aprendo l'armadio, sfilai dalle stampelle qualcosa di più guardabile da mettere addosso.
Volevo distrarmi, assolutamente.
- La Pace? Oh si, si sta strusciando contro di me.- oh cazzo.
Gio aveva sempre avuto una cotta per Facini, anche se non capivo cosa ci trovasse in quel buffone.
Il solito tipo tutte parole e niente fatti.
Carino, o meglio.. guardabile, ma non chissà che.
- Arrivo.- chiusi la chiamata con una risatina sulle labbra, provocata da un ricordo di qualche anno prima.
Eravamo al primo anno e, dopo una bella sbronza da parte di Facini, ci stava spudoratamente provando con me.
Diciamo che, puntai il mio ginocchio al centro delle sue gambe e poco mancò alla sua castrazione.
Ho sempre avuto un caratterino poco semplice ma, di conseguenza, ero quel che ero.
Infilai un paio di jeans più stretti e leggermente strappati e una t-shirt nera, il tutto completato con un paio di scarpe da ginnastica nere.
Raggruppai il cellulare con le chiavi di casa e buttai tutto in borsa, uscendo di casa.
La casa di Facini era a pochi muti da casa mia, facile da raggiungere a piedi.
 
 
- Dai, tutti in cerchio, si fa il gioco della bottiglia.- sbottò improvvisamente Facini.
E come previsto, stavo ridendo a crepapelle da quando avevo messo piede in quella casa.
Il miglior rimedio per un adolescente era sempre l'amicizia, gli amici, niente di meglio al mondo.
Coloro che, anche inconsciamente, riuscivano a risollevarti l'umore senza troppi problemi. 
Ci sedemmo in cerchio, un cerchio costituito quasi da tutta la mia classe al completo, un cerchio in cui non mancava Morici. 
- Sembriamo un ammasso di deficienti - sbuffò Morici, il quale sedeva poco più lontano da me.
Perché, dopo tutto, se non sbottava con uno dei suoi commenti odiosi, non era lui.
Vidi Facini scrollare le spalle indifferente.
Si sedette tra me e Gio, per poi posizionare la bottiglia al centro del cerchio.
La bottiglia girò, più di una volta.
E sembravamo proprio un ammasso di bambini da scuole elementari, ma andava bene così.
O, almeno, andava bene così finché quella bottiglia non si fermò proprio su di.. Morici. 
- Ohoh - sbottò Angelotti. 
- Bene bene - continuò Facini. - A Mattia, un bel bacio rosso, che ne dite? - vidi gli occhi della Cabassi -la quale non faceva parte della nostra classe- illuminarsi.
Certo, magari Morici avrebbe potuto soffocarla gettandole la lingua in gola.
Li avrei visti davvero bene quei due insieme, si sarebbero riempiti di corna a vicenda, magari avremmo potuto fare una scommessa su chi ne avrebbe fatte di più all'altro, io avrei scommesso su Morici, mi ispirava fiducia da quel senso.
Facini stava per far girare la bottiglia al centro del cerchio quando una mano si posò sulla sua, la sua mano.
- Se permetti, questa me la gioco io - ghignò Morici.
Vidi la sua mano fare leva sulla bottiglia e, con un gioco di polso, far prendere velocità alla bottiglia.
Avevo sempre avuto una sfiga assoluta al gioco della bottiglia, a me toccavano tutte le tirate di capelli o gli schiaffi.
Vidi la bottiglia perdere velocità, fino a rallentare, fino a fermarsi su di..
ME.
Ingoiai un magone di saliva, scandendo ogni centimetro di saliva che scivolava via dalla mia bocca.
Non era possibile.
- E che cazzo - sbottò Morici. 
Certo, se lui non era felice di baciarmi, io lo ero ancora meno, ma alla fine, era un innocuo bacetto dato per gioco.
Sentii una nuvola di fischi innalzarsi da quel branco di animali che componevano la mia classe.
E, come se non bastasse, un coro di 'bacio, bacio, bacio’ si innalzò sempre dallo zoo.
- Fottetevi - mormorò Morici avvicinandosi a me. 
In un paio di falcate lo trovai di fronte a me, il suo naso che strusciava contro il mio.
Merda, ero nella merda, si.
Il suo profumo, quel profumo, si stava facendo spazio tra le mie narici fino ad arrivare direttamente a fondermi i neuroni.
Certo, per quanto stronzo fosse, io ero sempre un'adolescente i cui ormoni ballavano la samba.
Solo quando sentii le sue labbra sfiorare le mie, mi irrigidii.
- Non vorrai mica baciarmi per davvero? - sbottai sull'attenti.
- Zitta - soffiò sulle mie labbra prima di incollare la sua bocca alla mia, approfittando di quest'ultima già schiusa.
Certo, i miei piani prevedevano la lingua di Morici in bocca alla Cabassi, non nella mia di bocca.
Eppure, per un istante, dimenticai tutto.
Dimenticai il nostro primo incontro nel palazzo, dove già lo mandai a fanculo mentalmente.
Dimenticai il primo giorno di scuola dove mi fu imposto come compagno di banco.
Dimenticai la serata a casa mia dove mi fece rivelare uno dei miei segreti più.. segreti.
Dimenticai il secondo giorno di scuola dove accidentalmente -come lui riteneva- aveva rovesciato la bottiglia d'acqua sul mio quaderno.
Dimenticai il suo ghigno odioso.
Dimenticai il suo nome che corrispondeva a quello di Mattia Morici e mi concentrai solo sui suoi occhi.
Le sue labbra erano estremamente morbide e, la sua lingua, stava accarezzando la mia, anche se era tutt'altro che una carezza, sembrava mi stesse divorando quest'ultima e, quel suo modo di fare, mi piaceva.
Mi piaceva più di quanto fosse lecito, il calore della sua pelle che strofinava sulla mia e il suo respiro che si infrangeva contro il mio, fino a creare un unico respiro. 
Mi infilzai le unghia nei palmi delle mani per impedirmi di infilargli le dita tra i capelli.
Cazzo se ci sapeva fare quel coglione.
Quel coglione, porco cane, stavo bacando Mattia Morici davanti tutta la mia classe.
Mi staccai velocemente dalle sue labbra, aprendo di scatto gli occhi e, mi accorsi solo ora, che i suoi invece erano rimasti aperti.
Vidi il suo volto a pochi centimetri dal mio e un ghigno strafottente su quelle labbra che poche fa erano state a contatto con le mie.
Malata.
Ero una malata.
Perché?
Perché dio se mi era piaciuto quel bacio.
Ma, ribadivo, era assolutamente colpa dei miei ormoni poco affidabili, quell'essere l'avrei odiato ancora molto a lungo.
Come se niente fosse successo, tornò a sedersi al suo posto, accanto alla Cabassi, rivolgendomi uno sguardo strafottente.
Quello stupido gioco affidato al caso, andò avanti, senza più nessun particolare interessante.
L'orologio del mio cellulare segnava mezzanotte e venticinque, motivo per cui metà delle persone presenti se ne erano andata.
- Gio, che dici, ce ne andiamo anche noi? - le chiesi.
La vidi annuire impercettibilmente e mi alzai, afferrando la borsa dal divano, di fianco a Morici.
Sentii una presa farmi leva sul polso e, nello stesso punto del polso, fui invasa da una strana sensazione.
Mi ritrassi la mano quasi mi fossi scottata e fulminai il proprietario di quella mano con lo sguardo, il quale lui ricambiò con un ghigno.
- Non si saluta, Cuneo? - chiese allusivo.
Certo, come se lui mi avesse mai salutata prima.
Se qualcuno non ci conoscesse, avrebbe potuto benissimo prenderci come due perfetti estranei determinate volte e, in altre situazione, avrebbero potuto scambiarci per una coppia in crisi esistenziale.
Le mie labbra si contrassero in una smorfia sulla parola coppia.
- Perché dovrei? - chiesi neutra, senza far trasparire la mia scocciatura nel star lì, a parlare con lui. 
Vidi il suo sopracciglio destro inarcarsi, poi increspò le labbra in una spacie di smorfia strafottente.
- Educazione Cuneo, si chiama educazione - rispose scrollando le spalle.
Questo ragazzo aveva seri problemi mentale, lui veniva a parlare di me di educazione.
Cioè, Mattia Morici veniva a farmi la predica sull'educazione.
Sprofondai in una sonora risata infastidita.
- Tu vorresti darmi lezioni sull'educazione? - 
- Certo, quale preferisci, educazione fisica o educazione sessuale? - domandò ghignando.
Boccheggiai per una manciata di istanti, quel ragazzo era un caso irrecuperabile, neanche il miglior psicologo avrebbe potuto recuperare il suo povero cervello partito per Honolulu, forse quest'ultimo aveva prenotato un viaggio senza ritorno.
Dopo aver ripreso le redini del mio autocontrollo, evitando di mandarlo a farsi fottere, gli risposi.
- C-cosa? - sempre se questa si potesse chiamare risposta.
- Ovviamente solo pratica, odio la teoria - 
'Fanculo alla calma.
'Fanculo al mio autocontrollo.
'Fanculo ai miei buoni propositi.
'Fanculo a Mattia Morici.
- 'Fanculo - ed era ora di dare parola ai miei pensieri che davano a pugni per trapelare dalle mie labbra.
Mi sentii soddisfatta di avergli sbattuto in faccia il mio augurio e, poi, girai le spalle per raggiungere Gio che mi aspettava alla porta. 
- Buona notte a tutti - gridò Gio, richiamando tutta l'attenzione su di noi. 
E -proprio quando nessuno guardava su di me o su Morici- vidi il suo dito medio alzarsi e, i suoi occhi, lasciavano trapelare che quel gesto fosse proprio per me.
Il suo mandarmi a farmi fottere fu accompagnato da un mezzo ghigno, ancora scombussolata uscii da quella casa.
Troppe cose da digerire in una sola sera, e, di certo il suo gesto non era stato tanto diverso dalle mie parole.
 
 
Liberarmi dei vestiti fu una vera e propria liberazione, mi sentii finalmente leggera e vuota.
A stento riuscii ad afferrare il pigiama per infilarlo, feci tutto velocemente, cosa non da me e affondai tra le coperte calde del mio letto.
La notte era il momento della giornata che più amavo, dove l'unico rumore che regnava era il silenzio.
Un silenzio tanto forte da essere quasi assordante, tanto vuoto da farmi dimenticare il peso delle parole.
La notte era talmente scura da permetterti di disegnare su di essa tutte le tue fantasie e i tuoi desideri o, in tal caso, di rivivere determinate emozioni.
Socchiusi gli occhi, ma li riaprii di getto quando un'immagine prese a scorrermi dinanzi agli occhi, quando quell'immagine prese forma sul nero della notte.
Non avrei dimenticato tanto facilmente la facilità con la quale il suo profumo si era mischiato al mio.
Non avrei cancellato tanto facilmente la perfezione con la quale la sua bocca si era incastrata alla mia.
Non avrei messo da parte tanto facilmente la voracità con la quale la sua lingua bramava la mia.
Dio mio, quel ragazzo mandava a farsi fottere tutti i miei ormoni e, quest'ultimi, erano troppo poco deboli.
E, d'altronde, quel bacio mi era piaciuto più del lecito.

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Capitolo 6
*** Nemici all'attacco ***




Capitolo 5:
nemici all'attacco


 

Il lunedì mattina era sempre qualcosa di tremendamente orrendo, era come dover scegliere tra la nutella e l'insalata: ovviamente la prima opzione.
In questo caso, il paragone con la nutella era il mio bel letto accogliente e, l'insalata, quella fottuta sveglia che non vedevo l'ora di fracassare contro il muro. 
Mi tirai le coperte sulla testa, poco m'importava del fatto che mi mancasse l'aria li sotto, volevo solo dormire, almeno altre cinque ore. 
Dio mio, quella sensazione di pace col mondo, di caldo accogliente, quel calore fisico che ieri -invece- avevo provato metaforicamente durante il bacio con Morici.
Il bacio.
Mi passai istintivamente la lingua sulle labbra, sembrava ancora sentirne il sap..
- Nononono - gridai alzandomi a sedere, catapultando le coperte per terra.
Dio, no, tutto ma non questo. 
Sembravo una bambina di quattordici anni che si ritrovava ad avere a che fare con i propri ormoni, avendo il desiderio di scoparsene uno al giorno. 
Era facile, non dovevo pensarci, ne a lui, ne ai suoi modi da cafone rompicoglioni.
Con tutta la lentezza di cui ero dotata, entrai in bagno sotto forma di zombie e aprii il getto d'acqua del lavandino.
Fredda.
Mi serviva acqua fredda e, quando l'acqua che fuoriusciva dalla fontana fu abbastanza fredda, abbassai il capo e mi idratai il viso.
Mi passai le dita sulla fronte quasi volessi cancellare tutto ciò che conteneva, o almeno, solo i ricordi del giorno precedente.
La mia pelle congelava mentre dentro stavo andando a fuoco, fantastico.
Chiamate dei pompieri, qui c'è rischio incendio.
- Basta - urlai al mio riflesso nello specchio. Stupendo, parlavo anche da sola.
- Marta, tesoro, stai bene? - certo, ci mancava solo mio padre che adottava i ruoli da genitore preoccupato.
Sbuffai. Quando volevo casa vuota, c'era sempre lui.
Ero sempre sola tranne quando lo desideravo, bella merda.
- Mai stata meglio - mentii a fin di bene.
A mio padre non interessavano le mie lagne da adolescente, quindi, valeva la pena risparmiargliele.
Quando mi ero ritrovata ad affrontare le mie primi crisi adolescenziali, o i primi problemi di cuore, come vogliamo chiamarli, mi ero appena trasferita da mio padre. 
Apprezzavo i suoi sforzi, quando fingeva di darmi ascolto. 
Ero cresciuta senza una figura femminile pronta a darmi supporto, quando mia madre mi chiamava, sembrava lei l'adolescente in piena crisi.
Ero io quella che doveva subirsi le sue lagne, poiché secondo lei, il suo compagno non le dava le giuste attenzioni.
Non l'avevo mai sentita come una madre, Carla -l'avevo sempre chiamata per nome-, più che altro era come una sorella.
Anche prima ancora che divorziasse da papà, mi tirava dal letto la domenica mattina per accompagnarla a fare shopping. 
Mi ero sempre sentita esclusa dal mondo dell'infanzia, quello nella quale la madre del bambino accompagna il proprio figlio a scuola e tanto se ne va quando il bambino, dopo averle dato un bacio, entra nella scuola.
Carla non si era mai proposta per accompagnarmi a scuola, c'era il servizio pulmino per quello.
Mia madre -solo biologicamente- mi aveva aiutata a diventare la ragazza che ero oggi, forte, senza aver bisogno dell'aiuto di nessuno e, soprattutto, dipendente da nessuno. 
Avevo iniziato davvero male la settimana, decisamente.
Infilai un paio di jeans e una t-shirt nera con le Adidas nere, abbigliamento in accordo con il mio stato d'animo, perfetto.
Non avevo voglia di fare colazione e, quindi, mi precipitai verso la porta d'entrata già con la borsa issata in spalla.
- Vedo che sei di fretta - affermò papà affacciandosi dalla porta della cucina.
- Si, papà.-
- Avevo un regalo per te, vabbé, vuol dire che te lo darò stasera.- 
In altre circostanze avrei insistito per sapere almeno cosa fosse, ma quella era una circostanza al quanto particolare.
Sospirai scollando le spalle.
- Vabbene, ciao.- mormorai chiudendomi la porta alle spalle.
 
 
Era stressante il fatto che, nonostante stessimo al quarto anno, continuassero a dividerci quando si manifestava la mancanza di un professore.
Era stressante il fatto che, nonostante non stessimo facendo niente, continuassi a muovere meccanicamente il piede accavallato sulla mia gamba.
Gio al mio fianco mi guardava di sottecchi, non le entrava in testa il fatto che non avessi niente.
Oggi era un giorno stupendo, filava tutto liscio come l'olio. Certo.
- Che cazzo hai, Marta? - l'ennesimo tentativo di Giorgia. 
Purtroppo mi conosceva troppo bene per bersi il mio 'va tutto bene'.
Una delle poche persone che mi conosceva fin troppo bene e questo a volte era un mio svantaggio.
- Niente Giorgia, credimi.- sbuffai continuando a sventolare il piede destro il quale era accavallato sulla gamba sinistra.
La vidi spazientirsi, poiché si girò completamente verso di me.
Le avrei voluto dire cosa avessi, se solo l'avessi saputo almeno io.
- Cazzo Marta, secondo me è per il bacio con Mattia.- sbottò come se niente fosse.
Sgranai gli occhi alle sue parole, tanto per non scoppiarle a ridere in faccia.
Fortunatamente non era in quella classe con noi, forse qualcuno dall'alto aveva voluto mandarmi una grazia.
Avevo baciato decine di ragazzi, che mi sarebbe mai potuto importare di un suo bacio?
- Dio Giorgia, no, non m'importa un cazzo di Morici e lo sai bene.- 
- Non me la conti giusta, nono.- 
Non potevo resistere ancora chiusa in quella classe, avevo bisogno di rimettere.
Esagerata, mi dissi io stessa. 
Fatto restava che non era da me stare seduta da brava, senza fare un giro per i corridoi. 
- Prof, posso andare in bagno? - chiesi alzandomi in piedi.
Vidi un bambino di seconda sorridermi, sfigato. 
Gli risposi con una smorfia, la quale corrispondeva a mandarlo a quel paese.
- Vai - rispose la vecchia scrollando le spalle. 
Non me lo feci ripetere una seconda volta ed uscii da quell'insulsa classetta, richiudendomi la porta alle spalle e guardando il corridoio come se fosse il più lussuoso degli hotel. 
Mi avviai verso i bagni delle ragazze, senza entrarci, e rimasi fuori alla porta appoggiandomi con un braccio al muro.
- Martuccia bella, pensavo ci avessi lasciate sole oggi, non sei proprio uscita dalla classe.- 
- Non mi andava.- risposta da telegramma.
Non ero mai stata un'alunna modello, studiavo un po', tanto per essere promossa e stavo più fuori che dentro alla classe.
Prima della separazione dei miei, alle scuole medie, ero un'alunna modello. 
Dopo la loro separazione, si erano devastati tutti i miei equilibri e avevo iniziato a non studiare.
- Ehi, splendore - sentii qualcuno appoggiare le mani sul mio ventre, al di sotto della t-shirt, la quale si era scostata stando appoggiata al muro. 
Riconobbi all'istante il calore di quelle mani. 
Mi girai di colpo sentendo la risata del mio migliore amico infrangersi contro la mia guancia, sulla quale aveva appena stampato un bacio.
- Staccati da dosso, stupido - borbottai girandomi.
- Quanta dolcezza nanetta - sbuffò. 
Davide Zanetti, lo conoscevo praticamente da tutta la mia vita.
C'era stata una specie di storia -se così si poteva chiamare- in seconda media.
Dopo un due settimane passate a sbaciucchiarci, l'avevo mollato. Mi sentivo ancora tutt'ora in colpa.
Dave, però, essendo una persona meravigliosa, mi era sempre restato accanto, contro tutto e tutti.
Lui e Giorgia erano la mai forza. 
Gli sorrisi gettandogli le braccia al collo per abbracciarlo. 
- Non sono una nana, stronzo - sbottai offesa dopo essermi staccata.
- Si, come no - scherzò lui. 
Sentii la campanella suonare, segno che dovevo ancora trascorrere un'ora in quel carcere minorile.
- Senti nana, io ora devo andare perché la mia classe esce un'ora prima, ci sentiamo dopo - 
- Sempre il solito culone tu, eh? Ciao stupido - borbottai stampandogli un bacio sulla guancia prima di vederlo dileguarsi tra i ragazzi che uscivano dalle aule.
Sfilai dai jeans una moneta, pronta per avviarmi al distributore.
Feci solo qualche passo quando sentii una voce rivolgersi a me.
- Prima o poi devi organizzarmi un appuntamento con il tuo amico - trillò la mia amica.
Sorrisi continuando a camminare.
Dave era un bel ragazzo, bruno con gli occhioni marroni. 
Ero gelosa di lui tanto quanto lui lo era di me, era un fratello per me, un fratello rompicoglioni, decisamente.
Svoltai il corridoi per raggiungere il distributore ma quello che vidi non mi piacque.
O meglio, chi vidi.
Appoggiato al distributore in tutta la sua strafottenza, mentre sorseggiava da una lattina di the. 
Mi avviai verso lui, senza voler andare davvero da lui.
Gli passai davanti in modo indifferente, come se lui non fosse lì.
Infilai la moneta nel distributore e selezionai una bottiglina d'acqua naturale. 
Uno.Due.Tra.Quattro.Cinque.Sei.Sette.Otto.Nove.Dieci.Undici.Dodici.Tredici.Quattordici.Quindici.
- 'Fanculo - sbottai spingendo il distributore. 
Si era fottuto di nuovo i soldi senza darmi l'acqua, non poteva essere possibile.
Gli atterrai un altro pugno, ma l'unica cosa che ottenni fu un dolore pulsante nella mano destra.
- Stai antipatica anche al distributore, Cuneo - la sua voce.
Avrei volentieri usato la sua testa per spintonare il distributore, tanto, già gli era partito il cervello.
Dovevo mantenere la calma, come diceva quella canzone? Ci vuole calma e sangue freddo.
- Che cazzo vuoi, Morici? Oggi non è giornata - sbottai serrando le palpebre. 
- Come siamo acide, oggi. Anzi no, sempre per quanto ti riguarda - ghignò lui.
Strinsi i pugni tanto da farmi diventare le nocche bianche. 
Ispirai una boccata d'aria e cercai di far sbollire la rabbia dentro di me, prima che potessi sbollirla a sue spese.
Però, mica male l'ultima idea.
- Dio mio, Morici, quanto cazzo ti odio.- 
Solo lui era capace di istigarmi in quel modo così insulso.
Solo lui sapeva risvegliare in me la mia parte violenta, parte che neanche sapevo esistesse in me.
- Davvero? Eppure non sembrava da come mi hai ficcato la lingua in bocca, ieri - mi irrigidii seduta stante.
- Era solo uno scambio di saliva, eppure sembrava ti fosse piaciuto da come hai serrato gli occhi, sai? - continuò lui.
Da come mi hai ficcato la lingua in bocca.
Solo uno scambio di saliva.
Mi sentii improvvisamente male e, questa volta, per davvero. 
Come se tutto ciò che avessi nello stomaco, qualunque organo o qualunque cosa ci fosse, si attorcigliasse a se. 
Lo guardai disgustata.
Anche per me era stato solo un bacio, niente di eclatante, ma io almeno avevo il coraggio di chiamarlo per nome. Bacio.
- Fai schifo - esclamai disgustata.
Istintivamente cercai di afferrargli la lattina di tè che aveva tra le mani, per rovesciargliela addosso. 
Tuttavia, non calcolai la sua altezza -e la sua forza- maggiore della mia e, il tè, si rovesciò sulla maglietta della sottoscritta.
Quel ragazzo aveva i minuti contati.
- Oh-oh - ghignò Morici soddisfatto.
- Morici! Cuneo! - dio, non lei, non proprio lei.
- In punizione, entrambi! - trillò l'Abate. 
Quel giorno, decisamente, sarei dovuta restare a casa.
 
 
- Io vado in vicepresidenza, non azzardatevi a mettere un piede fuori di qui - e, a completare il quadretto, quest'oggi il turno delle punizioni era tenuto dall'Abate.
Desiderai sotterrarmi.
Io e Morici non eravamo soli.
In punizione con noi c'erano anche la Cabassi e Facini, anche se ancora non avevo capito cosa facessero lì, no che mi importasse ma..
- Il tempo dobbiamo passarlo, quindi, che ne dite, verità obbligo o salvataggio? - trillò la Cabassi. 
Sbuffai rumorosamente, ancora non mi spiegavo come un tempo potevamo essere amiche, certo, lei era notevolmente diversa.
- Per me va bene - esclamò Facini.
- Andate a fare in culo - si unì Morici. 
Certo, io non volevo essere l'eremita esclusa e, quindi, mi unii a loro.
Iniziò Facini, facendo delle domande idiota a tutti.
Continuai io, punzecchiando la Cabassi e ignorando Morici con una domanda stupida.
Poi fu il turno di Morici che, a sua volta, ricambiò la mia poca attenzione nei suoi confronti.
Infine, per concludere il primo turno, la Cabassi.
- Verità obbligo o salvataggio? - mi domandò.
- Verità - l'obbligo se lo sarebbe sognata, sarebbe stata capace di farmi spogliare davanti a due animali e un'oca. 
- La tua prima volta? - domandò agghiacciante.
Deglutii a vuoto. 
Cosa cazzo voleva dire con quella domanda?
E, soprattutto, cosa le avrei mai dovuto rispondere?
- C-cosa? - brava Marta, complimenti, la carta della  finte imbecille non funziona con lei, dovresti saperlo. 
Mi sorrise, un sorriso che mi ghiacciò anche il sangue nelle vene.
Non poteva saperlo.
- Si, Marta, perché non ci racconti com'è stato farti sverginare da mio fratello al mio sedicesimo compleanno? - e lì, mi sentii morire. 
Ancora una volta, quell'errore, mi stava cadendo addosso, facendomi crollare un muro fatto di menzogne, facendomi soffocare sotto le macerie.
In quell'istante, percepii il cuore sgretolarsi, o almeno, si sgretolarono gli ultimi pezzi rimasti.
Dovevo essere rossa quanto un peperone, ma poco m'importava.
Sentii le lacrime bruciarmi gli occhi e, la vergogna, mangiarmi viva.
Ero sicura che non lo sarebbe mai venuto a sapere, ma certo, lui era sempre suo fratello e chissà quanto se ne era vantato.
Scoparmi ancora vergine e poi, il giorno dopo, ognuno per la propria strada.
Sapevo cosa voleva dire sbagliare e conoscevo anche il significato di pagare per i propri errori.
Per mesi e mesi mi ero sentita uno schifo, non gliene avrei mai parlato per quanto, a quei tempi, fossimo abbastanza amiche.
Massimo, suo fratello, mi aveva promesso che lo stesso avrebbe fatto lui. 
Parole gettate al vento. 
Sentii una morsa al petto, centro-sinistra, proprio dove era deposto il cuore. 
Ero consapevole di quanto dovessi vergognarmi per ciò che avevo fatto, ma dopotutto ero una quindicenne sotto l'effetto dell'alcool e.. e avevo sbagliato.
- I-io..- e la voce mi uscì incrinata per colpa delle lacrime che scalciavano per uscire.
Percepii tutti gli occhi puntati su di me e, alzando lo sguardo, osservai lo sguardo di Morici.
Pena.
Questo ci lessi nei suoi occhi. 
Nessun dispiacere, nessuna preoccupazione, solo pietà e, io pietà, non avrei mai fatto a nessuno. 
Per quanto sarei voluta scoppiar a piangere e affogare nelle mie stesse lacrime, mi astenni dal rendermi ridicola, dal dare a tutti un'ennesima soddisfazione.
- Dai Marta, davvero pensi che non sarei mai venuta a sapere con quanta facilità l'hai data a mio fratello? - continuò ad umiliarmi.
E non potei far altro che star zitta.
Eppure, non ero io quella che si era scopata ben mezza scuola, ma lei.
Io avevo solo commesso un errore, non potevo tornar indietro e non potevo continuar a piangermi addosso. 
Affondai i denti nel labbro inferiore, sicura che avrebbe potuto sanguinare da un momento all'altro. 
Magari il dolore fisico avrebbe potuto attenuare il dolore nello squarcio che si era appena creato nell'animo.
- Cosa state combinato? Tornate subito ai vostri posti - e, per una volta, ringraziai l'Abate che aveva appena fatto capolino alla porta.
Mi alzai senza guardare nessuno negli occhi e mi sedetti più lontano possibile da quegli sguardi indiscreti.
Sicura che domani sarei stata sulla bocca di tutti.
Per qualcuno sarebbe potuto essere un orgoglio essere andati a letto con il fratello della Cabassi, il quale era uno di quelli 'belli e impossibili', ma non per me, non per Marta Cuneo che era sempre stata una ragazzina responsabile e attenta ai propri passi.
Sentii uno strano rumore, come vetro che s'infrangeva, ma capii che l'unica cosa che si stava infrangendo in quel momento, ero io con tutti i miei sentimenti. 

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Capitolo 7
*** Il passato sarà presente ***




Capitolo 6:
il passato sarà presente


 

Scontato anche l'ultimo secondo in quella stanza nella quale non sarei voluta rientrare, neanche nei miei incubi peggiori, mi catapultai fuori. 
Cercai accuratamente di evitare qualunque sguardo e, mentre gli altri tre erano ancora seduti a parlare, io mi ero data alla fuga.
L'orologio segnava passate le cinque e stanca sia mentalmente che fisicamente, attraversai quel corridoio come se fosse la via per il paradiso.
I miei passi rimbombavano tra le mura, proprio come il mio cuore in questo momento gridava aiuto dentro di me, forse stava sanguinando, ma non c'era nessuno pronto a soccorrerlo, ero vuoto.
Per me non era un orgoglio essermi scopata il fratello di un'amica, per quanto non fossi in me, era una cosa a dir poco squallida.
L'aria fredda per le strade della mia città, era la mia unica compagnia in quel momento.
Le persone camminavano allegre per le strade a pochi passi da me, spensierate e serene.
Eppure io mi sentivo sola.
 
Sola in un flusso di centinaia di persone.
 
Avevo la vita che mi camminava d'avanti ed io ero qui, immobile, come se avessi i piedi inchiodati per terra.
Tutto scorreva veloce mentre io ero ferma nel momento.
Avvertii il rombo di una moto soffermarsi alla mia destra, conoscevo bene quella moto.
- Ehi piccola, che ci fai per strada a quest'ora del pomeriggio? - 
Cerco un bar aperto per prendermi una bella sbronza.
- Niente - mi limitai a sussurrare.
Mi schiarii la voce dopo aver parlato, accorgendomi di averla ancora impastata per colpa delle ore di silenzio.
Davide mi conosceva meglio di chiunque altro, anche di Giorgia, e non si sarebbe bevuto quel niente.
- Ma tu hai pianto - sbottò sgranando gli occhi.
 
Giuro che non ci sarei mai arrivata se non me l'avessi detto tu, idiota.
 
Mi limitai a scrollare le spalle, non sapevo cosa fare, che dire, dove guardare.
Mi sentivo una perfetta estranea per il mondo e, tutto ciò, solo per uno stupido errore di un anno prima, se non di più.
- Diciamo - mi arresi.
Avrei voluto solo qualcuno che mi abbracciasse in quel momento.
Qualcuno che fosse un amico, uno sconosciuto o un parente. Chiunque. Avevo solo bisogno di sentirmi rassicurata.
Ora mi sarei anche subita la ramanzina dal mio migliore amico, il quale era a conoscenza del mio errore.
- Salta su, voglio parlare con te - e sembrava avessi trovato delle braccia in cui rifugiarmi.
Sapevo quanto inutile sarebbe stato provar a resistere, quindi, mi arresi in partenza e -allungando prima la gamba destra- salii in sella.
Mi aggrappai a Dave stile koala, dandogli un anticipo dello stritolamento che gli sarebbe toccato dopo.
Appena fui saldamente aggrappata a lui, la moto iniziò a sfrecciare veloce tra le auto che occupavano le strade.
Non era la prima volta che andavo in moto con lui e dovevo ammettere che mi piaceva parecchio.
Mi sentivo libera con il vento che mi sventolava i capelli all'aria.
Mi sentivo potente vedendo sfrecciare il mondo ai miei lati, senza osservarlo per davvero.
Mi sentivo semplicemente io, senza se e senza ma, senza nessun peso sulle spalle.
Perché alla fine, avevo sbagliato, ma ero un'adolescente e sbagliare era lecito, sbagliare era umano ed era giusto.
Sbagliare per non commettere più gli stessi errori, sbagliare per crescere.
Sbagliare mi piaceva.
Sentii la velocità diminuire e i capelli afflosciarsi sulle spalle, sogno che eravamo arrivati a casa mia.
Scesi appena Dave posò i piedi a terra. 
Lui mi seguì a ruota, parcheggiando la moto di fronte al portone del palazzo.
- Allora, ti decidi a dirmi cos'è successo? - sbottò quando mi fu affianco.
Non potevo dirglielo, non volevo ripetere i miei errori.
Non volevo sentir ricordare quell'errore dalla mia stessa voce, sarebbe stata una sconfitta in partenza, non sarei riuscita a farlo.
E lui, avrebbe provato preoccupazione per me, avrebbe fatto di tutto per farmi sorridere.
Nei suoi occhi non avrei mai letto nessuna traccia di pietà, come in quelli di Morici. 
- Abbracciami Dave, ti prego - sussurrai talmente piano che mi stupii del fatto che mi avesse sentita.
Mi cinse la vita con le braccia, indulgendomi ad alzarmi sulle punte per eguagliare almeno un po' la sua altezza.
E mi sentii protetta dal passato.
Quel calore che neanche una giornata di piena estate poteva dare.
Le sue braccia sicure non mi avrebbero mai tradita, non mi avrebbero lasciate in balia della tempesta.
Perché ero in alto mare e niente e nessuno avrebbe potuto salvarmi dall'affogare nei ricordi del passato. 
Affondai il viso nel suo petto, nello stesso momento in cui il rumore di un motore di motocicletta mi balenò alle orecchie.
Mi si gelò il sangue nelle vene, solo lui aveva una motocicletta.
Mi staccai rapidamente dalle braccia di Dave. 
Avevo paura di girarmi, paura di vederlo materializzarsi davanti ai miei occhi.
Ero preoccupata di ciò che avrebbe pensato vedendo me e Dave abbracciati, stavo dando di matto. 
Seguii con l'udito -e vista- il rombo di quel rombo assordante e lo vidi fissarmi strafottente, come sempre, senza accennare nessun tipo ti saluto o.. niente.
- Aspetta un attimo - sussurrai a Dave, il quale ancora mi cingeva la vita con le mani. 
Mi sciolse dalla sua presa e non riuscii più a guardarlo in faccia, i miei occhi erano posati su altro.
Su qualcun'altro.
Morici stava andando verso il portone e io -pazza- volevo fermarlo.
Riempiendomi i polmoni d'aria, gli andai in contro decisa a parlargli. 
- Morici - sussurrai posando una mano sul suo polso, un solo istante, poiché ritrasse immediatamente la mano.
Fissò prima la mia mano e poi il suo polso, come se si fosse scottato. E chi l'avrebbe mai capito, lui. 
Niente leone, in questo momento ero un agnello che aveva paura anche della sua stessa ombra.
Non potevo affrontare i suoi occhi, ignara di ciò che c'avrei trovato, così preferii ignorarli.
Però, non mancò quella sensazione di bruciore sulla pelle, quasi fossi capace di percepire il suo sguardo su di me.
Volevo dare delle spiegazioni a Morici, a Mattia Morici, fantastico. 
- Che c'è, Cuneo? - domandò indifferente e capii che, forse, avrei dovuto evitare quella situazione.
Trovai interessante fissare il portone scolorito del palazzo e presi a torturarmi le mani tra di loro.
Da qualche parte dovevo pur iniziar a parlare, a chiedergli almeno di tener chiusa la sua bocca biforcuta.
- Per quello che è successo prima.. beh, credo siano cose che riguardano me e ti volevo chiedere un piccolo favore: dimentica ciò che hai sentito. So di aver sbagliato e so quanto ho fatto, beh.. pena, però ci sono stata male e ho capito i miei errori. Non c'è bisogno di sputtanarmi per l'intera scuola.- avevo detto una mezza verità.
Del parere di Morici non poteva fregarmi di meno, poteva pensare ciò che voleva di me, del suo giudizio potevo farmene ben poco.
Avrei ridotto ai minimi termini il suo interesse per me, ma in tal caso, il mio nei suoi confronti era alquanto inesistente, quindi, saremmo stati pari.
Nessun interesse verso i suoi confronti.
La Cuneoe Morici, due strade parallele destinate a non incrociarsi, per nessun motivo al mondo.
Il suo sguardo si posò su Dave poi, tradendomi con la mia stessa ingenuità, incrociai il suo sguardo quando la sua attenzione tornò su di me.
E non ci lessi niente, sembravano un muro quelle due sfere verde/azzurre.
Strafottenza. Sempre e solo quest'ultima regnava nel tenebroso Mattia Morici. 
- Non m'importa di chi ti scopi, Cuneo. Solo, trovatene qualcuno più esperto, sai, potrebbe aiutarti ad essere meno acida - e ghignò sull'ultimo pezzo della frase.
E riusciva a prendersi gioco di me anche quando non avevo neanche la forza di guardarlo in faccia.
Perché era giusto prendersi gioco di me quando avevo abbassato tutte le difese e, in qualche modo, mi faceva sentire meglio.
Insultarmi da sola non era molto gratificante, però, agli insulti di Morici ci ero abituata.
Quello non abituato alla mia -non- replica era lui. 
- Io, beh, mi sembrava giusto.. non lo so. Volevo solo accertarmi di non ritrovarmi sulla bocca di tutti - e sentivo il bisogno di giustificarmi.
Mi aveva apertamente detto che dovevo farmi una buona scopata per risultare più gentile ed io non avevo neanche minimamente sfiorato l'idea di replicare.
Preferivo quel suo modo di umiliarmi, ma mai avrei voluto rivedere pietà sul suo volto, nei miei confronti.
Sbuffò. 
Forse trovava scocciante il fatto che non avessi voglia di offenderlo a mia volta, o forse lo stavo intrattenendo.
- Dai Cuneo, ti sei trombata il fratello di una che odi, potrei quasi fare il tifo per te. Ora stammi bene - e furono le sue ultime parole prima che si dileguasse all'interno del portone. 
Provai ribrezzo per le sue parole.
Certo, da oggi sarei andata a letto con i fratelli di tutte quelle che odiavo.
Morici aveva un criceto al posto del cervello.
Ma mi sentii ancora peggio.
Anni prima eravamo amiche, io e la Cabassi. 
Non eravamo amiche per la pelle, stile 'passiamo la notte a parlare mentre ci facciamo le treccine a vicenda', ma facevamo parte della stessa comitiva di amici.
Solo ora riuscivo a darmi un'accettabile motivazione per la quale da un giorno all'altro non ci fossimo più sentite.
Però, fatto restava che non riuscivo a spiegarmi perché non mi avesse umiliata.
Forse aveva paura che in quel modo, invece di farmi sfigurare, avrebbe sortito l'effetto al contrario. 
Ma, se l'avesse fatto, non le avrei dato colpe, probabilmente io avrei fatto la stessa cosa.
Avevo tradito un'amica, avevo tradito i miei principi morali e avevo regalato me stessa ad uno qualunque.
Che schifo.
- Ti decidi a dirmi che cazzo succede? - e fu Dave a parlare, riportandomi alla realtà. 
- Entriamo dentro - mi arresi al mio migliore amico.
Non mi avrebbe deriso, non mi avrebbe umiliata, mi avrebbe semplicemente ascoltata.
 
 
- No, senti. Non devi più dire che sei una di quelle sempliciotte che si passano tutti i ragazzi, capito? - e sapevo anch'io che non lo ero.
Però insultarmi da sola mi faceva sentire ancora peggio e, visto che l'unica cosa che avrei voluto fare sarebbe stata proprio affogarmi nell'odio verso me stessa, cercavo di aumentare il mio dolore.
Stritolata tra le braccia di Dave, la testa mi sarebbe scoppiata da un momento all'altro.
Aumentai la presa dietro la sua nuca e spinsi il volto nell'incavo del suo collo sentendomi protetta da tutto e tutti, dall'intero mondo.
- Grazie Dave, ti voglio bene - sussurrai con la voce impastata dalle lacrime che ancora scendevano sulla pelle delle mie guance. 
Era più di un fratello per me.
Non avrei mai potuto rinunciare a lui, sarebbe stato come perdere una parte di me.
- Anch'io nanetta - e sorrisi contro la pelle del suo collo.
Speravo che almeno lui non mi avrebbe mai lasciata in balia di me stessa, perché aspettavo ancora qualcuno che mi salvasse.
Salvasse da me stessa, dal dolore che mi sopraffaceva così semplicemente.
- Ora devo proprio andare però, se ne hai bisogno, chiamami. Ok? - sussurrò Dave direttamente al mio orecchio.
Mi limitai ad annuire allentando la presa ferrea attorno al suo collo. 
Sentii le sue labbra morbide stamparmi un bacio sulla fronte, per poi alzarsi dal letto. 
Mi sorrise un'ultima volta prima di chiudersi la porta della mia camera alle spalle. 
Mi buttai di schiena sul letto, facendo si che il materasso prendesse la forma del mio corpo e mi permettesse di sprofondare in esso.
Come previsto, Dave mi aveva ascoltata, senza giudicare, senza fermarmi, senza guardarmi come se gli facessi pena.
Mi aveva lasciata sfogare, coccolandomi tra le sue braccia e sussurrandomi di tanto in tanto un 'va tutto bene'.
Se non gli avessi voluto bene come un fratello, forse saremmo potuti stare insieme, poiché oramai lo vedevo come tale.
Afferrando il cellulare vidi che segnava le nove in punto e, proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta.
- Marta, vieni a cena - papà. 
Mi alzai dal letto avvicinandomi allo specchio e affogai nei miei stessi occhi riflessi.
Sembravano così bui, ancora più scuri del solito.
Solitamente erano color cioccolato ma, questi, sembravano davvero cioccolato fondente
Sospirai rassegnata, cercando di asciugare le lacrime.
Avevo le palpebre che mi bruciavano, colpa delle troppe lacrime, probabilmente.
Legai i capelli in una coda, dovevo sembrare almeno presentabile per cercar di dare meno spiegazioni possibili a mio padre.
Uscii dalla mia camera e raggiunsi, mediante il corridoio, la cucina.
Papà stava già mangiando, pizza, fantastico. Se non avessi avuto lo stomaco che chiedeva solo di essere stritolato, avrei fatto i salti di gioia.
Tirai una sedia, al mio solito posto, e mi ci sedetti non molto delicatamente.
Quell'odore nauseante di pizza mi faceva venir voglia di ficcarmi due dita in gola -indice e medio- per rimettere. 
- Tesoro non mangi? - si era accorto che non stavo mangiando, dio, che miracolo.
Mi limitai a scrollare le spalle facendo un cenno negativo con la testa.
- Non ho fame - una mezza verità, un'altra mezza verità.
Non avevo idea di che bugia inventarmi ma, comunque, mio padre se le beveva tutte.
Due erano le alternative: o ero una brava attrice o non gli interessava un cazzo della mia vita.
Optai per la seconda, dopo tutto.
- Come mai? Ti vedo un po' giù di morale - stasera era in vena di svolgere il ruolo di padre, messaggio ricevuto.
Avevo un mal di testa atroce, avrei voluto conficcarmi qualcosa nelle tempie.
- Ho preso un tre in matematica - ero sempre stata la migliore in matematica.
Ma, ovviamente, mio padre non ne era a conoscenza e optai di puntare sulla materia che odiavano tutti.
Si limitò ad annuire mandando giù un pezzo di pizza, ma qualcosa mi diceva che questa sera aveva voglia di conversare.
- Ah si, non ti è mai piaciuta la matematica, vero? - sorrisi.
Sorrisi quando mi accorsi di quanto poco mi conoscesse mio padre.
Di quanto poco e niente ci fosse stato nella mia vita. Più niente che poco.
Oltretutto come dargli torto, occuparsi di una figlia adolescente da solo non doveva essere semplice.
Lui aveva scelto la strada più facile: vita tua, problemi tuoi.
- Eh già - era strano come riuscissi a prendere sul ridere un qualcosa per la quale sarei dovuta scoppiar a piangere.
Forte fuori e dentro, le lacrime non avrebbero solcato ancora il mio volto. Non ora, non oggi.
Mio padre non aveva mai partecipato ad un incontro scuola famiglia, avevo smesso di provarci dopo le prime risposte negative.
Avrei potuto rifilargli le più grandi balle sulla mia vita, le avrebbe bevute tutte.
- Non preoccuparti tesoro, sei una studentessa modello, recupererai presto - certo.
Studentessa modello.
Purtroppo il mio vecchio era rimasto a una figlia di anni precedenti. Scuole medie, se non addirittura elementari.
Evidentemente l'attuale adolescente che si ritrovava in casa non aveva niente a che fare con la sua adorata figlioletta.
Avevo smesso di studiare a casa, copiavo qualcosa in classe o imparavo le lezioni durante altre lezioni. 
All'inizio era stato un modo per far sentire in colpa i miei genitori per il divorzio, era sempre stata convinta che me ne sarebbe importato poco e niente, ma trovandomi un genitore al nord e un altro al sud, l'avevo presa a male.
Però, no, i miei genitori non si erano accorti dei miei disordini a scuola e, quella, diventò un'abitudine.
- Certo - mi limitai a rispondere, annuendo. 
- Ah, ho un regalo per te - che ben venga.
Lo vidi allungare il braccio sulla sedia vuota, al suo fianco e alzarne una busta. 
Aveva stampato un sorriso sulle labbra come se fossi stata io a fare un regalo a lui e non il contrario.
Mi porse il bacchetto e lo afferrai con poca convinzione. 
Slacciai il fiocchetto rosso che legava i due manici della busta e ne tirai fuori il contenuto.
Un jeans. D&G. Complimenti al mio paparino.
Era semplice ma carino, leggermente stracciato sulle ginocchia e portava dei brillantini dove era scolorito, cioè sulle cosce.
Guardai all'interno per vedere se la taglia fosse stata esatta. Era una quaranta. Sbuffai estremamente infastidita.
- Porto la quarantadue papà, non la quaranta - almeno sulle taglie, non aveva mai sbagliato. Non in passato.
Vidi cambiare il colore del suo volto dal bianco per lo stupore, al verde per la rabbia e al rosso per l'imbarazzo.
In altre circostanze gli avrei detto che non faceva niente, l'avrei regalato a qualcuno, ma non oggi.
- Scusa Marta i-io.. devo essermi confuso! - sbottò. Sembrava davvero dispiaciuto.
Mi limitai a scrollare le spalle e riporre il jeans di nuovo nella busta.
Almeno, avevo apprezzato il gesto.
Aveva dimostrato che, anche se di sfuggita, si ricordava di me. 
Sapevo cosa significassero quei regali, voleva recuperare la sua assenza riempiendomi di oggetti.
Fa niente, meglio di niente.
- Vado a dormire, sono stanca - sospirai alzandomi dalla sedia. 
Non aspettai risposta, non indugiai, non guardai mio padre, uscii semplicemente da quella stanza. 
Entrai in bagno, liberandomi dei vestiti, restando con indosso solo reggiseno e slip. 
Faceva freddo, e neanche poco, ma mi limitai ad aprire il getto dell'acqua fredda per sciacquarmi la faccia già priva di trucco per colpa delle lacrime.
Quando ebbi finito, infilai il pigiama -il quale era riposto nel mobiletto accanto allo specchio- e uscii di lì. 
Volevo solo il mio letto in quel preciso istante e quando mi ritrovai di fronte alla porta della mia camera, ci entrai senza neanche accendere la luce e mi buttai a peso morto sul materasso già privo di piumone e mi tirai quest'ultimo sulle spalle.
E chiusi fuori tutto.
I problemi.
Gli errori.
Le lacrime.
Il mondo.
Tutto ciò che avevo affrontato, mi aveva portata ad essere ciò che ero adesso. 
Senza una di quelle esperienze, oggi non sarei stata questa Marta Cuneo.
Basta problemi, avevo sbagliato, ma questo non doveva modificare il mio modo di essere.
Tutti sbagliavano e io non ero un alieno quindi, a fanculo domani.
Stavo vivendo un oggi e del futuro, poco m'importava.
Avrei saputo cavarmela, come sempre. Come ieri, come oggi, come domani. 
Mi accoccolai al cuscino, sospirando beata quando sentii il dolore alla testa alleviarsi.
Strinsi tra le mani i lembi del piumone e mi sentii protetta dal calore che provocava la coperta.
In questa parte del mondo sembrava tutto così facile.
Tagliare la lingua a Morici.
Cucire la bocca a Facini.
Incollare le gambe della Cabassi.
Castrare il fratello di quest'ultima.

 


 
* * *
SPAZIO AUTRICE
 
So che non vi scrivo spesso, ma lo trovo inutile poiché sono la prima che non legge mai gli spazi per le autrici, ahahaha.
Dal prossimo capitolo inizierà la vera storia, mettiamola così.
Cercherò di inserire un POV di Mattia -salvo complicazioni-. 
Ho un po' di indecisione poiché è difficile capire come la pensano i ragazzi come Mattia -dotati di idee poco sane- e non vorrei essere troppo distaccata dai pensieri maschili. 
Prometto che farò il possibile.
Grazie a tutti voi che recensite, mi date la forza per continuare.
Grazie anche a tutti i seguiti e i preferiti, siete fantastici.
Grazie anche a chi si dedica solo alla lettura. 

 
Alla prossima.
Elvy.

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Capitolo 8
*** Colpa della spontaneità ***





Capitolo 7: 
Colpa della spontaneità


 

Perché tutto in quel momento era nelle mie mani e i secondi sembravano scorrere troppo veloci.
La palla stava venendo proprio nella mia direzione e io non dovevo sbagliare, non potevo farlo.
L'adrenalina che mi scorreva nelle vene quando giocavo a pallavolo era alta, sapevo cavarmela abbastanza bene.
Quando fu abbastanza vicina, congiunsi le due mani e diedi una leggera spinta alla palla che era piombata da sola sulle mie mani.
Bagher.
L'aggeggio rotondo e compatto rimbalzò e riprese la direzione opposta, ma aveva perso di troppo la velocità. 
Quattro secondi alla fine della partita.
Tre.
La palla aveva sorpassato di poco la rete ed era punto, me lo sentivo.  
Quando stava per scendere al di sotto della rete qualcuno, quel qualcuno, si diede una piccola spinta con i piedi e..
Due.
Colpì la palla facendo si che ricadesse dal lato opposto del campo, dal lato della mia squadra. Aveva fatto una schiacciata.
Uno.
La palla toccò terra.
Zero.
Un fischio risuonò acuto nell'ampia struttura, nonché la palestra della scuola.
Trentasei a trentasette, non potevo crederci. Avevamo perso. Io avevo perso. 
Sapevo perdere, ma non riuscivo a digerire che avessi perso contro la sua squadra, contro la squadra di cui lui era capitano.
Mi lasciai cadere a peso morto, trovandomi seduta con il sedere per terra nel bel mezzo del campo.
L'altra squadra stava festeggiando e..
ohmiodio, complimenti a madre natura. 
Mandai giù un grosso groppo di saliva per paura di sbavare da un momento all'altro. 
Morici si era appena levato la maglietta e Facini lo aveva preso sulle spalle.
Desiderai sprofondare.
Li vidi avvicinarsi alla nostra parte del campo e quel miraggio si faceva sempre più vicino, fin troppo vicino.
Una gocciolina di sudore stava disegnando una linea perfetta sul torace di Mattia.
Mattia.
Dio mio, il mio cervelletto -partito per chissà dove- lo aveva anche chiamato per nome, prova che stavo eccessivamente male. 
I suoi capelli perfettamente neri luccicavano per via del sudore che gli velava i capelli. 
Avrei negato fino alla morte ciò che stavo per ammettere, avrei volentieri ucciso quella vocina che si stava ampliando nella mia testa, peccato che la pensasse perfettamente come me e lei aveva il coraggio di ammetterlo mentre io.. non proprio.
Mattia Morici era fin troppo carino per i miei gusti. 
Dubitavo che avessi mai conosciuto un ragazzo tanto bello -e tanto sfacciatamente stronzo- quanto lui. 
Avevo notato sin da subito la sua naturale bellezza, ma sembrava crescere giorno dopo giorno. 
Questi non erano miei pensieri, assolutamente no.
Mi alzai di scatto quando notai i suoi occhi verde smeraldo puntati su di me e le labbra aperte in un ghigno eccessivamente fastidioso. 
Avrebbe tormentato la mia esistenza per colpa di quella sua vittoria. Fanculo. 
Mi diressi verso gli spogliatoi, non vedevo l'ora di togliermi quel fastidioso completino da pallavolo e rientrare nei miei jeans. 
Erano vuoti fortunatamente per me.
La scuola non aveva differenti spogliatoi per le ragazze e per i ragazzi e, di conseguenza, vestirti era sempre un'impresa.
Mi sfilai i pantaloncini rossi.
 
Ripensai ai suoi occhi che -con il mal tempo- erano verde smeraldi o tal volta -con le belle giornate- azzurro ghiaccio. 
 
Presi un asciugamano e la passai sulle gambe, le quali erano leggermente sudate.
 
Ripensai a quanto erano belli i suoi occhi di colore misto, verdi con delle venature azzurre. 
 
Afferrai i jeans e li infilai, beandomi della sensazione fredda che mi causavano sulle cosce.
 
Ripensai al suo torace ben definito, muscoloso ma non eccessivo. 
 
Chiusi la zip dei jeans facendo risalire la cerniera. 
 
Ripensai a quella goccia di sudore che stava percorrendo il suo torace, lambendolo, e stava andando a morire sull'elastico dei suoi pantaloni della tuta.
 
Mi sfilai la t-shirt della tenuta da pallavolo.
 
Ripensai a quanto invidiavo il tragitto di quella goccia, di quanto avrei voluto seguirla con le mie mani. 
 
Mi passai l'asciugamano sulla schiena e sulle spalle, sentendo improvvisamente un brivido percorrermi la schiena. 
 
Ripensai alla sua voce.
 
- Cuneo! - sembrava quasi averla sentito. 
Sentii la porta degli spogliatoi sbattere.
Oh merda, non me l'ero immaginato. 
Afferrai la t-shirt appoggiandola davanti al seno, senza infilarla.
- Morici! - sussultai quando lo vidi a pochi passi da me, con un sorriso irritante sulle labbra e -non poteva farmi questo- era ancora senza maglia. 
E io ero a pochi passi da lui con indosso solo jeans e reggiseno, con una maglietta che avevo afferrato per coprirmi. 
Vidi i suoi occhi fissarmi dalla punta dei capelli fino ai lacci delle scarpe, soffermandosi sulla parte superiore che lasciava troppa pelle scoperta.
Quella stanza diventò improvvisamente troppo piccola per entrambi e desiderai teletrasportarmi altrove.
Percepii il suo sguardo assiduo sul mio corpo, come se volesse accertassi che fossi vera davanti ai suoi occhi, non mi stava guardando con il suo solito sguardo freddo ed indifferente, mi stava guardando come se desiderasse contatto con il mio corpo.
Avrei giurato di vedere delle fiamme di vero.. desiderio, nei suoi occhi in quel momento.
- Bella partita - sbottò improvvisamente lui, avvicinandosi vertiginosamente a me. 
Sentivo i suoi occhi bruciare la mia pelle, un bruciore così intenso che sembrava potesse ustionarmi.
Stavo andando a fuoco e non potevo far niente per spegnermi, non volevo far niente.
Perché il suo torace nudo che quasi sfiorava la mia pelle coperta da troppo poco era una tentazione troppo palpabile.
- Grazie - soffiai sulle sue labbra, troppa poca aria ci divideva.
E io ero stanca di porre resistenza, quel ragazzo giocava tiri mancini ai miei poveri ormoni in subbuglio.
Vidi i suoi occhi fissare il mio corpo come solo Homer Simpson fissava la sua ciambella. 
Lo stava bramando, lo si deduceva dalle scariche di adrenalina che i suoi occhi registravano.
E la cosa spaventosa era che mi piaceva essere il centro dell'attenzione, il suo centro dell'attenzione, e non avrei fatto niente per ritrarmi dal suo sguardo vile, non avrei mosso un dito per coprire quei centimetri scoperti della mia pelle. 
- Ma i migliori vincono sempre - lo sentii ghignare sulla mia pelle.
Le sue labbra posate sul mio collo, pelle a pelle. 
Una scarica di brividi mi percosse la schiena, fino a farmi rabbrividire sul serio.
Quel ragazzo era una continua scoperta e, per quanto lo odiassi, il mio corpo si rifiutava categoricamente di allontanarlo.
Sentii le sue labbra dischiudersi sulla pelle sensibile del mio collo, riscaldando quest'ultima con il suo alito caldo. 
Avvertii la sua lingua lambire la mia pelle, quel contatto caldo con la mia pelle che sarebbe andata a fuoco da un momento all'altro fu la goccia che fece traboccare il vado, e, senza pensarci -altrimenti mi sarei trattenura- infilai entrambe le mani tra i suoi capelli, attirando il suo volto più vicino alla mia pelle, più a contatto con il mio corpo. 
I suoi capelli erano morbidi e vellutati proprio come li avevo immaginati, proprio come più volte avevo sognato di toccare, di tirare, di annusare e, ora che tutto ciò mi era permesso, non riuscivo a rendermene conto.
La sua lingua lasciò una scia umida di saliva lungo tutto il mio collo, quasi marchiandolo con il suo calore o -forse- ero io quella troppo calda.
Calda e eccessivamente eccitata.
Risalì quella scia di saliva con una serie di baci, portando la mani sul mio fianco e stringendolo con decisione, fino a farmi sussultare. 
Avvertii quella stessa mano afferrare il lembo della maglietta che incombeva tra i nostri corpi che si manteneva solo con la pressione esercitata dai nostri petti attaccati e, con maestria e fermezza la tirò via.
Petto contro petto.
Pelle contro pelle.
Non desideravo di meglio, non potevo chiedere di meglio. 
Afferrai il suo volto con entrambe le mani, cingendo le sue guance rosee e calde con fermezza per trascinare il suo viso lontano dalla mia pelle e vicino alle mie labbra.
Non volevo che fosse solo lui a sentire il mio sapore, volevo anche io riprovare il suo calore.
Spezzai quella distanza afferrando con decisione il suo labbro inferiore tra i denti e -di conseguenza- ritrovandomi di fronte alle sue labbra schiuse e in attesa della mia prossima mossa che non sarebbe tardata ad arrivare.
Approfittando del libero accesso alla sua bocca già schiusa, attaccai le mie labbra alle sue facendomi spazio con la lingua tra entrambe le nostra bocca entrando -indugiando- ad esplorare il suo sapore.
La sua risposta non tardò ad arrivare e fu solo un piacere per me accogliere la sua lingua intrecciarsi alla mia.
Succhiai il suo sapore con avidità, con brama e ferocità.
Non c'era paragone con il bacio precedente, questo non era stato deciso da qualcuno di esterno, lo stavamo bramando solo noi, io e lui, e questo si che si poteva definire un vero bacio.
Non avevo bisogno di bucarmi i palmi delle mani con le unghia per non infilare le mani tra i suoi capelli, potevo fargli ciò che volevo.
Il suo sapore era ancora più buono di quanto lo ricordassi, di quanto per intere notti avevo sognato di riassaggiare e non solo quello.
Solo con un bacio -che di casto non aveva niente- mi aveva mandata a fuoco anche se, solo di bacio non si poteva parlare visto la sua mano che esplorava in modo non approfondito il mio corpo coperto dai jeans e -la parte superiore- abbastanza accessibile.
Le mie dita ancora tra i suoi capelli alternavano le tirate di ciocche, più forti quando lui tendeva a mordermi lingua e labbra, più lente quando ero io a condurre.
Ansante e bisognosa di riprendere fiato, mi staccai, beandomi delle sue labbra che subito presero contatto con il lobo del mio orecchio.
Prese a torturare anche quello, leccandolo con la lingua e mordendolo con i denti.
Non riuscii a trattenere un gemito strozzato.
Il mio cuore batteva all'impazzata e -nonostante ci fosse ancora un mio pezzo di stoffa a dividere i nostri petti- sentivo il suo calore dappertutto.
Sentii le sue mani risalire lungo la mia colonna vertebrale fino a raggiungere il gancetto del reggiseno.
E mi si mozzò il fiato.
Non perché non desiderassi quel contatto ardentemente, ma proprio perché lo desideravo in una tale densità bruciante. 
- Marta - sobbalzai. 
Un paio di colpi batterono alla porta degli spogliatoi.
Giorgia. 
L'avrei strangolata con le mie stesse mai.
- Marta, sei qui? - insistette.
- Si Gio, esco! - risposi stizzita e con le labbra pulsanti per colpa degli insistenti baci.
Non sapevo che dire, dove guardare.
Afferrai la maglia che Mattia aveva fatto cadere per terra e la infilai, senza indugiare sull'accennato rigonfiamento dei suoi pantaloni della tuta.
Non riuscivo a rendermi conto di come io e lui fossimo arrivati a quel punto, avremmo fatto sesso negli spogliatoi della scuola.
E non riuscivo a liberarmi da quel senso di freddezza con indosso quella stoffa a scaldarmi.
- Ci vediamo in giro, Morici - calcai sul suo cognome, cercando di alzare un muro difensivo intorno a me.
 
 
Mattia's POV
 
Il suo corpo ansante e nudo era legato in un saldo aggancio con il mio corpo caldo e nudo.
Entrambi eravamo in preda al piacere, più spingevo in lei e più sentivo il mio nome echeggiare nell'aria impregnata d'eccitazione.
Eravamo vicini all'apice, ero vicino al venire quando..
Spalancai gli occhi e mi ritrovai sul letto della mia camera solo e freddo, diversamente dal sogno, e eccitato sul punto di venire anche nella realtà, come nel sogno.
Stavo per venire nelle mutande come un moccioso di terza media, per colpa di un sogno ad alta tensione erotico, che pena che mi facevo.
Il cavallo dei jeans era talmente sottopressione che a momenti rischiava di saltare la zip.
Tutto per colpa di una stronza acida che mi aveva -involontariamente- mandato in bianco.
Avrei volentieri ficcato un palo della luce in bocca all'amica della stronza che era arrivata, con quella sua voce stridula e assordante, ad interromperci sul più bello.
Certo, avrei fatto pagare anche questo a quella zitella acida.
Non riuscivo a capire come avevo potuto saltarle addosso poche ore prima, lei era sempre e comunque Marta Cuneo, la vicina di casa da evitare il più possibile poiché era uno sfracassamento di coglioni doverla già sopportare a scuola.
Oltretutto i suoi fianchi morbidi da strizzare e il suo seno -terza abbondante, ci avrei scommesso- non potevano di certo passarmi inosservati, avevo notato prima quello in lei che il suo sguardo scettico e superficiale da ragazzina sotuttoio.
Un bel fisico da scopare, ecco cosa c'era dietro quella maschera da stronza patentata.
Anche il suo viso era carino.
Avevo sempre ritenuto seconde scelte le ragazze dagli occhi chiari e, quelli della Cuneo, erano così scuri che in determinati giorni neanche riuscivo a distinguere le iridi dalle pupille.
I suoi capelli erano soffici come apparivano, me l'ero assicurato poche ore prima.
Quelle leggere sfumature di rosso nei suoi capelli castani davano un nonsoché di astuto e curioso al suo aspetto.
Insomma, dopotutto era una ragazza a cui si poteva volentieri dare una botta.
- Mattia - sentii trillare dalla voce isterica della benedetta donna che aveva messo al mondo un capolavoro come il sottoscritto.
- Che? - allungai di un po' la durata della 'e'. Messaggio tradotto: che cazzo ti urli, vecchia. 
Mia madre era una tipa tutta baci e amore, io ero un figlio che odiava le smancerie e robe varie, sin da piccolo.
Ma che cazzo di significato aveva il bacio della buona notte?
E il bacio prima di entrare a scuola, alle elementari?
Ma che scherziamo?
Già era tanto se -contro voglia- accettavo bacio sulla guancia nelle festività.
- La valigia l'hai preparata? - urlò dall'altra stanza.
Non vedevo l'ora di lasciare quel santo manicomio e scoparmi una ventina di londinesi fighe che te la davano senza fare troppe storie.
Mi stava esageratamente sulle palle chi, dopo una sana trombata, pretendeva di marchiare diritti su di te.
Ma chi cazzo si è visto si è visto al sorgere della luce del sole, così funzionavano le cose con Mattia Morici.
- No. Tutti i panni che devo portarmi lunedì sono sulla scrivania, fammela tu la valigia - urlai peggio di lei.
Se si aspettava che alzassi il culo per andarle a parlare da persona civile nell'altra stanza, si sbagliava di grosso.
Avevo sistemato o, meglio, gettato alla rifusa tutti i panni che avrei dovuto indossare quel mese a Londra, cioè quasi tutto il guardaroba.
Quando -fortunatamente- entrò mamma in camera il mio bell'amico dei piani inferiori era ritornato al suo posto da un bel pezzo, oramai.
- Ma tu sei un caso perso figlio mio, è possibile che devo puntualmente rifare il tuo letto due volte al giorno? - domandò retorica.
Ringrazia a dio che non mi porto bionde tettone a casa e non ti faccio crollare il palazzo al secondo orgasmo, vecchia.
Gli occhi verdi di mia madre mi scrutavano come se davvero aspettassero una risposta da me.
Non ti piacerebbe la mia risposta, credimi.
E mi limitai a scrollare le spalle con noncuranza, come ero abituato a fare abitualmente.
- I panni sono li sopra - indicai l'ammasso di indumenti sparsi sulla scrivania.
Avrei giurato che fossero accuratamente lavati e stirati prima che li buttassi alla rifusa sulla base di legno.
Ma, oltretutto, a me non poteva importare di meno.
Sentii il cellulare vibrare in tasca, un messaggio, dedussi dalla breve durata della vibrazione.
Il grande Mattia non sbagliava mai, un nuovo messaggio.
Sara Cabassi.
'Ehi tesoro, che ne dici di un secondo round? L'altro giorno, dopo essere stati in punizione con la sfigata e Facini ero stanca, non ho potuto dare il meglio di me stessa. Che dici, stasera da me? I miei sono a cena fuori. Risp'.
Una smorfia di non so cosa mi si dipinse sulle labbra.
Se l'altro giorno era stanca, non osavo immaginare cosa sarebbe successo in pieno delle sue forze.
Mi mordicchiai il labbro inferiore indeciso sul da farsi per le aspettative della serata.
Passare il sabato sera con una che aveva rischiato di spaccarmi un timpano durante l'orgasmo, non era nei miei piani.
'Non posso stasera, sarà per la prossima volta'. 
Sprecare soldi per riufiutare una trombata era davvero uno spreco, eppure risposi al messaggio.
Traduzione della risposta: urli più tu quando stai per venire che un porco che stanno per uccidere.
Vidi mia madre uscire dalla porta, diretta, quasi sicuramente, nello sgabuzzino per prendere una valigia.
Nello stesso momento in cui uscì la schermata con su scritto 'messaggio inviato', il display si illuminò per una chiamata in arrivo.
E che gran sfracassamento di coglioni.
Marco Facini.
- Che cazzo vuoi? - la mia solita risposta amorevole.
- Stasera, dolcevita, alla dieci. L'intera classe in discoteca per festeggiare la nostra ultima sera prima della partenza, ci stai? - sbuffai.
Il programma non era dei migliori, la parola tutti prevedeva anche qualche sfigato e qualche stronza acida.
Ma, dopotutto, non mi andava di rifiutare.
- Ci sarò. Porterò anche un amico, eh! - non poteva mancare il mio migliore amico.
Stefano sarebbe stato l'unico che mi sarebbe mancato durante questi undici giorni.
L'unico fedele compagno di tutte le mie cazzate, delle nostre cazzate.
Non c'eravamo mai dichiarati il bene reciproco, lo avevamo sempre e solo dimostrato essendoci sempre l'uno per l'altro, dai momenti delle peggiori cazzate, a quelli delle cose serie. Era più di un fratello per me e, ero sicuro, la stessa cosa valeva per lui.
- Qualche bella figa, no? - domandò Facini.
Morto di figa di prima categoria, si vedeva che nessuna voleva dargliela e, dopotutto, come c'era da biasimarle?
Si sarebbe attaccato a loro come una sanguisuga, c'avrei scommesso.
- No, tanto nessuno te la da, frà. A dopo - chiusi la chiamata così. 
Era la mia ultima serata nella mia amata Napoli prima di una lunga assenza dal luogo che mi aveva visto nascere, doveva essere memorabile.
E, con questo obbiettivo prefissato, mi alzai dirigendomi verso la doccia.
Quella serata sarebbe trascorsa in compagnia di tutta la mia classe più uno extra.

 



 
* * *
SPAZIO AUTRICE

Credo che era arrivato il momento di vedere anche un altro aspetto oltre i litigi, finalmente anche un contatto fisico.
Inoltre questo 'incontro' negli spogliatoi ha evidenziato l'attrazione fisica tra i due. 
Come si è capito dal POV di Mattia questo è l'ultimo giorno prima della partenza e lui lo vuole memorabile.
Oltretutto dal POV di Mattia si è capito anche che c'è stato qualcosa tra lui e la Cabassi.
A proposito del POV di Mattia, spero che si sia capito qualcosa di come la pensa su Marta attualmente, attrazione fisica e basta, ovviamente. 
Credo si sia capito qualcosa anche sul suo modo di pensare e agire sia con le ragazze che con l'intera società che lo circonda.
Spero di non essere stata troppo deludente.

 
Alla prossima.
Elvy.

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Capitolo 9
*** Gli stronzi sono due ***




Capitolo 8: Gli stronzi sono due


 
Perché poche ore prima non potevano essere le sue mani quelle sul mio corpo.
Perché poche ore prima non poteva essere la sua bocca/lingua/denti sul mio collo.
Perché poche ore prima non potevano essere le sue labbra quelle che stavo baciando.
Perché, attualmente, non poteva quello stronzo-antipatico-strafottente ad attirarmi come api al miele.
Eccheccazzo.
Invece era proprio Mattia Morici. 
E io avevo provato quella serie di brividi di piacere proprio sotto il suo tocco deciso e sicuro.
Non c'era niente da correggergli, niente da evitare, non c'era nessuna cellula del mio colpo che avrebbe voluto cancellare il sapore di quel tocco.
Lui era pur sempre Morici, ma io ero pur sempre un'adolescente schiava degli ormoni e si sa che, gli adolescenti, si lasciano comandare da questi ultimi. 
Mi passai una mano sul collo, socchiudendo gli occhi e un brivido di piacere mi scosse immaginando che quella mano fosse sua.
- E che cazzo, no - sbottai da sola. 
A me di lui non importava un emerito cazzo, era solo un bambino irritante, tanto irritante, troppo irritante.
Tanto irritante quanto attraente, fottuto Morici del cazzo. 
Mi buttai di schiena a peso morto sul letto, non riuscivo a spiegarmi cosa vedevo di attraente in lui.
Non mi attraevano i suoi occhi verde/azzurri, non mi attraevano i suoi capelli scuri come la notte e soffici come zucchero filato, non mi attraeva il suo viso tanto bello quanto da prendere a schiaffi, non mi attraeva il suo fisico scolpito e -come mi ero assicurata poco prima- sodo e caldo.
'Fanculo, era tutto questo messo insieme. 
Però, fatto restava che lui era uno stronzo da cui bisognava stare alla larga il più possibile.
Certamente non avevo paura di lui o paura di scottarmi, perché sapevo che era una cosa impossibile, ma mi dava fastidio il solo fatto che lui potesse credere di avere un certo ascendente su di me, perché non era così.
Sobbalzai quando sentii alcuni colpi battere alla porta della mia camera.
- Papà non posso aprirti, mi sto vestendo - risposi convinta che fosse lui.
- Martì - ma lui non era.
Giorgia.
Sospirai già esausta, non le avevo dato alcuna spiegazione, ero corsa a casa con la scusa di dover aiutare papà in cucina.
Certo, scusa più stupida e poco credibile di quella non potevo cercarla, ma era sempre meglio di star a spiegarle un qualcosa che non aveva spiegazioni.
Mi preparai psicologicamente ai quintali di domande che mi avrebbe posto, una dietro l'altra, senza pietà.
Era la mia migliore amica e, sbatterla fuori, non era una buon'idea.
- Entra - sbuffai. 
Un po' la capivo, anch'io la tormentavo -leggermente- quando doveva raccontarmi qualche momento -focoso- con qualche ragazzo.
Certo, tra me e Morici non c'era stato niente di eccessivamente eclatante ma come potevo biasimarla, ci aveva trovato in atteggiamenti piuttosto equivoci. 
Sentii la porta cigolare e, lentamente, aprirsi. 
Spuntò Giorgia in tutta la sua solarità, con un sorriso a trentadue denti che avrebbe fatto invidia al sole.
Quella sua curiosità morbosa, che ancora non aveva accennato, mi fece sprofondare ancora più giù.
Allora c'era davvero stato quello scambio di effusioni con lo stronzo.
- Allora, racconta - partì in quarta. 
Si buttò -nel vero senso della parola- ai piedi del letto, incrociando le gambe tra di loro con disinvoltura. 
Scrollai le spalle in segno di resa.
- Non c'è niente da raccontare - che infantilità, niente non era proprio la parola adatta.
Semplicemente non mi andava di spiegare ciò che era successo, visto che lei stessa ci aveva visto con i propri occhi.
E disturbati sul più bello.
Stupida. Mi ammonii da sola. 
Non sarebbe dovuto succedere nulla di ciò che era successo, non lì, non con lui. 
- Invece si - si impuntò Gio.
Volevamo giocare a chi sapeva essere più bambina? Avrebbe perso, sicuramente.
Incrociai le braccia al petto, sbuffando sonoramente.
- No - negare fino alla fine.
Negare finché puoi, finché vuoi, finché ce ne è bisogno. Sempre e comunque.
Semplice, non era successo niente.
Lui non aveva toccato me, io non avevo sfiorato lui.
Quella mattina avevo bigiato e quindi non avevo giocato a pallavolo, non ero entrata in quegli spogliatoi, non mi ero scambiata effusioni con Morici.
Certo.
- Devi dirmi la verità, Marta - sospirò abbassando il tono della voce, come se si sentisse tradita.
Ma non potevo dire queste -enormi e infantili- cazzate alla mia migliore amica.
Perché io lì c'era stata e, purtroppo, avrei anche voluto tornare indietro nel tempo per rivivere quegli istanti.
Sentii un senso di bruciore sulla pelle, ricordando come aveva guadato quest'ultima, come l'aveva toccata.
La mia pelle.
- Ok.. - mi arresi, sconfitta.
Giorgia si aprì in un caloroso e luminoso sorriso, felice che, come sempre, avesse vinto lei.
- A te, Mattia.. piace? - certo, dalle un dito e si prende tuto il braccio.
Mi irrigidii seduta stante, riflettendo su quella domanda.
Potevo mentire a lei, anche se non volevo, ma non a me stessa.
Non è che proprio mi piacesse, cioè, era un bel ragazzo ma c'era il suo carattere di merda, il suo ghigno odioso e il suo sguardo strafottente ad ostacolare tutto.
- No! - trillai allarmata.
L'attrazione fisica verso lui era -alquanto- controllabile.
E a chi volevo darla a bere?
Mi piaceva Mattia Morici, porca troia.
Mi piaceva.
Mi irritava.
Mi attirava.
Mi indignava.
Mi attraeva.
Mi disgustava.
- Certo certo, come no. Bene, ora ci penso io a te. Questa sera c'è una serata in discoteca con tutta la classe e tu devi essere irresistibile - 
Mi faceva paura, fin troppa.
Non ero il tipo da rossetto e tacchi alti.
Preferivo Adidas o Nike.
Non ero il tipo da vestitini corti e striminziti.
Ero adatta a jeans e t-shirt.
Ma, contro colei che definivo più di una sorella, non potei far altro che essere una bambolina da vestire e truccare tra le sue mani.
 
 
Vidi tutto lo zoo -la mia adorata classe- seduto su delle poltrone al lato della discoteca.
Io e Gio eravamo in un netto ritardo, ma poco contava visto che io non avevo coprifuoco dal momento che mio padre era partito poche ore prima.
L'avrei rivisto dopo un mese, dal momento che domani sarebbe stato il gran giorno, ma poco mi importava visto che neanche se ne era ricordato e poco prima di andarsene mi aveva liquidata -dopo essere andata vicino per salutarlo- con un 'dai piccola, sono di fretta, ci vediamo martedì', evitando il mio saluto. 
Quindi, questa serata era tutta mia. 
La notte era lunga e giovane, e non aspettava altro che essere vissuta.
Vidi la parte maschile -maggiormente- guardare me e Giorgia con uno sguardo acceso.
Ma tra tutti quegli sguardi ne percepii solo uno, che era posato esclusivamente su di me e mi sentii lusingata.
I suoi occhi verdi smeraldo brillavano sotto le luci della discoteca e parevano.. affamati.
Non sembravo affatto io, questo bisognava dirlo, avevo dato uno sguardo allo specchio prima di uscire di casa.
I miei capelli castani che di solito lasciavo leggermente mossi, poiché già lisci di natura, erano stati piastrati e ora erano completamente lisci e luminosi, e in questo modo erano in risalto anche i riflessi rossi.
Ero truccata in un modo leggero, solo matita e mascara. 
Il mio corpo era fasciato da un vestitino nero che arrivava poco meno che a metà coscia e, al di sopra, lasciava la spalla destra completamente nuda come il braccio, e la spalla e il braccio sinistro fasciati da un leggero velo nero che scendeva voluminoso lungo tutto il braccio e andava a morire sulla coscia.
Ai piedi -avrei mandato al rogo Giorgia- portavo un paio di tacchi quindici, anch'essi neri.
Ero impacciata e non abituata a questo modo di apparire, però sortire un certo effetto sull'altro sesso mi faceva sentire, un po', più sicura di me stessa.
Erano tutti vestiti in un modo più accurato dal modo in cui ero abituati a vederli ogni giorno in classe, ovviamente.
Ma il mio sguardo era posato su altro, su qualcun'altro.
- Chi non muore si rivede - urlò Facini. 
Non diedi peso alla sua battutina di scarso senso umoristico e mi limitai ad ispezionare la situazione.
C'era anche un extra al di fuori della classe, come il ragazzo carino seduto vicino a Morici.
Niente di eccessivamente eclatante, carino, niente di più.
Capelli neri, con un ciuffo che andava ad allungarsi all'insù e occhi scuri, che non riuscivo a vedere bene. 
- Le persone importanti si fanno attendere, sai? - squittì Giorgia. 
- Buona sera - mormorai alzando una mano e facendo un cenno di saluto comune.
 
Perché quando sei con una buona compagnia, orologi e lancette non esistono. Il tempo scorre veloce come un fiume in piena e non puoi fermarlo, il tempo non è masochista, puoi fare solo una cosa: infrangere le leggi. Dopo tutto, la notte è fatta per questo, o sbaglio?
 
- Ti andrebbe un ballo, splendore? - sussultai nel sentire la voce così vicina, troppo per i miei gusti.
Mi girai verso il ragazzo che si era appena seduto al lato sinistro del divanetto, sorridente.
Lo guardai un po' diffidente, ma tutto sommano era davvero carino. 
Capelli biondo cenere, più scuri che chiari, leggermente lunghi.
Occhi marroni, color cioccolato. 
Ricambiai il sorriso notando la sua evidente bellezza, avrà avuto sui vent'anni. 
- Con piacere - mormorai alzandomi, notando il suo sorriso davvero luminoso, con i denti perfettamente dritti e bianchi. 
Gli allungai una mano con fare scherzoso, la afferrò e mi seguì a ruota alzandosi, senza mai smettere di sorridere.
Sentii uno sguardo su di me, ma lo ignorai, sicura che fosse solo una mia immaginazione. 
Intrecciò i nostri indici tra di loro, trascinandomi verso il centro della sala, dove il suono della musica era più amplificato. 
Staccò le nostre dita, portando la sua mano dietro la mia schiena, scendendo a tracciarne il profilo, fino a fermarsi sulla coscia.
Troppo sicuro di se il ragazzo. 
Iniziammo a muoverci in sintonia con la musica, a ritmo del battito delle note.
Le sue mani continuavano a divertirsi sulla mia pelle e non opposi resistenza, non quella notte, non quando tutto era concesso, non quando c'era la possibilità di dimostrare ad uno stronzo che non avrebbe potuto importarmene di meno di lui.
La musica era intensa e forte, tanto da superare il frastuono dei pensieri e il tocco del battito del mio cuore, non esisteva altro in quel momento, solo io, solo il presente e niente più. 
Questa poteva essere la sera degli errori, questa era la sera degli sfoghi, questa serata andava vissuta.
Sentii le labbra del ragazzo -meraviglioso, non conoscevo neanche il suo nome- poggiarsi sulla mia mascella, fino a disegnarne il contorno e salire lungo il mento, arrivando a contatto con le mie labbra. 
Avvertii la sua lingua venire a contatto con la mia bocca schiusa ed intrufolarsi, fino a raggiungere la mia di lingua e approfondire il bacio.
La sua lingua, con poco timore, si intrecciò alla mia stringendola avida e desiderosa.
Infilai la mano destra tra i suoi capelli, i quali era leggermente duri per colpa del gel, sicuramente.
Il biondino ci sapeva fare, assolutamente. 
Mi staccai ansante e bisognosa di riprendere fiato, lasciando a contatto i nostri nasi che si strofinavano tra di loro.
Avvertii i suoi denti sul mio labbro inferiore, lo morse per poi baciarlo.
Poi, percepii la sua mano che tentava di infilarsi al di sotto del mio vestitino.
Mi si mozzò il fiato.
Una cosa diversa da come accadde con Mattia. 
Con lui desideravo quel contatto -il quale non si verificò-, ma ora no, non desideravo niente che superava un bacio.
Non con lui, non dopo cinque minuti.
Appoggiai una mano al di sopra della sua, la quale si fermò subito al contatto con la mia. 
Feci un cenno negativo della testa e non si oppose, riportò la sua mano al di sopra della stoffa del vestito.
- Devo.. devo andare un attimo al bagno - mentii. 
Lo lasciai li tra la folla, non sforzandomi neanche di memorizzare il luogo in cui si trovava, non sarei tornata da lui. 
Sempre così i ragazzi.
Appena provavi a dargli confidenza, ti infilavano le mani nelle mutande.
Eccheccazzo.
Vidi tutto il gruppo classe al bancone, così mi avvicinai a Giorgia.
- Gio, che ore sono? - sussurrai.
- Quasi le tre - rispose. 
Il tempo era decisamente volato. 
- Ehi Cuneo - mi sentii chiamare da una voce decisamente fastidiosa.
- Ci davi dentro con il biondo, eh? - urlò Facini.
Diventai -quasi sicuramente- rossa come un peperone o, meglio, viola come nonsocosa.
Mi voltai a guardare nella sua direzione e, effettivamente, da quell'angolazione si vedeva benissimo il ragazzo biondo che si guardava attorno.
Sfigata come al solito.
- Come mai non gliel'hai data? - una voce da vero sfigato, Angelotti. 
L'avrei preso a botte volentieri.
Il miglior disprezzo è la non curanza, certo, ma a me non interessava il disprezzo, volevo umiliarlo.
- E a te, come mai nessuna te la da, Angelotti? - stronza e acida.
Sentii uno sguardo bramoso su di me e, solo in quel momento, notai Morici dietro Angelotti. 
 
Eh già, Morici, non sei solo tu lo stronzo. Siamo in due. 
 
Aria, avevo bisogno di aria.
Stavo andando al fuoco, il suo maledetto sguardo affamato mi stava mandando a fuoco.
Quello stronzo era sfacciatamente attraente e io ero maledettamente priva di forza di volontà, questa sera.
Girai su i tacchi, direzione bagni. 
Non mi era mai sembrato così lungo un tratto di trenta metri o poco più. 
Completamente buio, esclusa qualche insignificante luce che illuminava solo l'entrata dei bagno.
Sentii una mano poggiarsi sul mio fianco, l'altra sulla mia bocca.
Calma e sangue freddo.
Mi sentii trascinare verso.. verso non so dove, era tutto maledettamente buio e, mi resi conto troppo tardi, di essere chiusa in uno stanzino.
O un bagno.
Sapetti solo dire che sentii il rumore di una porta sbattere.
Sono.Morta.
Mi.Rapiranno. 
Mi.Violenteranno. 
- Ti lascio, ma non urlare, non scalciare, non tirarmi pugni - sentii mormorare sulla pelle scoperta del mio collo.
Violentami pure. 
Sentii i muscoli delle spalle rilassarsi al suono della sua voce, di quella voce.
Avvertii le sue dita -le quali giacevano sulle mie labbra- staccarsi lentamente e mi sentii improvvisamente bisognosa di un altro contatto.
- Morici del cazzo, levati dai coglioni - sbottai spintonandolo. 
Ma le parole mi morirono sulle sue labbra, le quali si avventarono sulle mie con una voracità tale da togliermi il respiro.
Perché i suoi baci sembravano ustionarmi la pelle. 
La differenza col bacio precedente con uno sconosciuto era sconfinata.
Mattia era deciso, sicuro ed esperto.
La sua lingua non accarezzava smielata la mia, come il ragazzo dal nome anonimo.
Lui la divorava, la succhiava, la rendeva letteralmente schiava della sua. 
Abbandonò le mie labbra troppo presto, per dedicarsi al mio collo. 
Sapeva mordere, succhiare e leccare i punti giusti.
- Perché non ti sei lasciata toccare da quel tizio? - sospirò con voce roca.
Mi irrigidii a quella sua domanda.
Non ero mica una delle tante troie con la quale aveva a che fare?!
 
Spingilo via, stupida.
Stringilo a te, sciocca.
 
Maledetto cervello. Maledetti ormoni.
- Non sono come quelle che conosci tu, non mi lascio toccare dal primo che passa - gemetti vergognosamente.
La sua mano era altrettanto meno timida di quel tipo. 
La sentii decisa spostarsi al mio interno coscia, artigliandosi con decisione e poca delicatezza.
Le sue labbra bruciavano sul mio lobo, i suoi denti disintegravano la pelle del mio collo. 
- Da me ti lasceresti toccare? - ansimò guardandomi negli occhi, non lasciandomi via di fuga. 
Non c'era niente di più erotico del suo sguardo desideroso.
Desideroso di me?
Il verde smeraldo delle sue iridi si era trasformato in un verde più deciso, più scuro, più sicuro.
Si.
Volevano urlare quei poveri ormoni messi sotto stress.
- No - ululò quel briciolo di lucidità rimasta intatta. 
Lo sentii ghignare sulle mie labbra.
Mi ficcai le unghie nei palmi delle mani, per non infilargliele tra i capelli.
Mi morsi il labbro inferiore a sangue, pur di non baciarlo.
- Strano, eppure ti stai lasciando toccare - alitò spostando l'elastico dei miei slip.
Ansimai senza un briciolo di dignità quando sentii la sua mano -curiosa e dispettosa- scendere sotto la stoffa, sulla mia carne.
Dio mio, ero una malata mentale di quelle peggiori.
Desideravo, bramavo, volevo Mattia Morici con tutta me stessa.
E quel contatto così intimo stava mandando a puttane anche l'ultimo neurone rimasto lucido.
- Aspetta - ansimai. - Non qui - continuai ormai distrutta psicologicamente quando la sua mano era arrivata a sfiorare la mia intimità.
Non riuscii a posare una mano al di sopra della sua, il mio corpo si rifiutava categoricamente, così mi limitai a stringere le gambe tra di loro.
Non poteva guardarmi così.
Non poteva toccarmi così.
Non quello stronzo, antipatico, menefreghista. 
Non potevo, ma volevo.
Non dovevo, ma volevo.
- E dove? A casa mia ci sono i miei e non vorrei svegliarli con le tue urla - ghignò soddisfatto.
Stronzo fino al midollo.
Strafottente fino alla fine.
Attraente da far star male.
Evidentemente si accorse della sua poca delicatezza nel parlare, e forse, per paura che potessi tirarmi indietro, mi allargò le gambe con entrambe le mani.
Non potevo sopportare un altro suo attacco, non in un bagno pubblico.
Posai le mani sulle sue, le mie gelate, le sue fin troppo calde.
Rabbrividii anche per quello stupido contatto.
- Casa mia è vuota - ansimai.
Bravissima Marta.
Ero entrata nella tana del lupo di mia spontanea volontà.
Fanculo, volevo e potevo.
- Devi salutare qualcuno, prima di andare? - sbottò quasi infastidito al persiero che potessi salutare qualcuno.
- No - tutto e subito.
Se potevo averlo, lo volevo, e subito.
- Andiamo - disse afferrandomi il polso e trascinandomi fuori da quello stanzino.
Com'è che avevo detto?
Sbagliare mi piaceva.
Sbagliare con Morici, mi sarebbe piaciuto più del lecito. 
 


* * * 

SPAZIO AUTRICE

Quanto posso amare Marta nei panni della stronza?! Tanto.
Ero stanca delle storie in cui la ragazza è troppo perfettina, ci voleva una bella stronza per contrastare Mattia!
E si, sto prendendo gusto a scrivere gli spazi autrice, non vi libererete di me, eeh no.
Nono, non chiamate la protezione ambientale, mi dileguo (?)
Ok, basta, seriamente.
Direi che questi Marta e Mattia sono decisamente troppo infuocati, chiamiamo i pompieri?
Vabbé, mi teletrasporto altrove.
PS: mi lasciate qualche recensione? Altrimenti farò in modo che Marta mandi Mattia in bianco. ahahahaha

 

#PEACEANDLOVE
Elvy.

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Capitolo 10
*** Tradendo la notte ***




Capitolo 9: tradendo la notte



 
Non seppi dire come arrivammo a casa mia, forse perché mi resi conto di essere davvero dentro quando avvertii la porta sbattere, richiudendosi alle nostre spalle. 
Non seppi neanche dire se fossero le mani, i baci e le carezze di Mattia e rendere tutto così sfocato attorno a noi.
Avvertivo solo le sue mani sul mio corpo, troppo sicure, troppo decise, troppo sue.
Le sue labbra erano avvinghiate alle mie, in una specie di scontro corpo a corpo, perdeva chi si staccava per primo. 
Non avrei mai perso, perché staccarmi da lui, sarebbe stato un dolore anche fisico arrivati a quel punto e, contemporaneamente, non volevo neanche vincere, non avrei sopportato un suo allontanamento dalla mia pelle. 
Quando scorsi il letto dietro le mie ginocchia, ci caddi come un sacco di patate, trascinandolo sopra di me e i suoi gomiti affondarono nel materasso a livello delle mie spalle, per non pesarmi.
Le sue labbra iniziarono a scendere, leccando il profilo della mia mascella, per poi passare a dedicarsi al collo.
Portai entrambe le mani ai bottoni della sua camicia, iniziando a sbottonarli uno per volta, con calma, una calma che mi stava bruciando viva perché quella camicia gliel'avrei strappata a morsi se non fosse stato per il mio stupido ego che voleva farmi apparire rilassata anche mentre un vortice di emozioni si appropriava del mio intestino, il quale stava iniziando a fare capriole insieme a quello stupido coso chiamato cuore.
Percepii i suoi occhi a contatto con i miei, istintivamente alzai gli occhi ed incrociai il suo sguardo liquido ed eccitato, quasi mi implorasse di strapparglielo per davvero quello stupido pezzo di stoffa. 
Affogai il mio sguardo nel suo, perdendomi in quel verde così perfetto che sembrava iniziasse a dar spazio anche alle screziature azzurre, le iridi che coloravano gli occhi di quel ragazzo sembravano seriamente l'ottava meraviglia al mondo. 
Quando finii di armeggiare con i bottoni, lasciò scivolare la camicia lungo le sue spalle e, quando ne fu privo, l'afferrai per gettarla chissà dove nella stanza. 
Capovolsi la situazione, passando io al comando, a cavalcioni su di lui. 
Per la prima fottutissima volta da quando ci eravamo scambiati baci e toccatine, riuscii finalmente a far combaciare le mie labbra con il suo collo, morbido e profumato come il resto del suo schifosamente attraente corpo. 
Fui scossa da una serie di brividi quando leccai la pelle del suo collo, così calda e così morbida da far venir voglia di affondargli un morso e lasciargli un marchio che gli sarebbe rimasto per qualche settimana, ma mi limitai a lasciare una scia di baci umidi lungo tutto il suo collo, marcando con la punta della lingua i punti -a me- più sensibili e pregai di fargli assaporare almeno la metà dei fremiti che provocavano i suoi baci sul mio corpo. 
Mi piaceva da star male il modo in cui aumentava la presa ferrea sui miei fianchi ogni volta che -non proprio inconsapevolmente- sfioravo il mio bacino con il suo. 
Ma quello stronzo di Morici non poteva di certo essere parte passiva della notte e, ovviamente, mi trascinò di nuovo sotto di lui, di nuovo in sua balia, ma forse non avevo mai smesso di esserlo.
Di nuovo io la preda -non tanto- indifesa e lui il cacciatore spietato.
Tutti i problemi e le domande che fino a quel momento giacevano in una parte nascosta del mio povero cervello, scesero via con le mani di Mattia che facero scivolare -con una lentezza snervante- la cerniera del vestito. 
Con la mano sinistra continuava a farsi leva sul mio corpo mentre, con la destra, accompagnò nella discesa il mio vestito e, con le labbra, tracciò un tragittò che partiva dall'incavo dei miei seni, una scia leggera e umida di baci, soffermandosi sull'ombelico.
Era uno dei miei punti deboli, ma lui stava rendendo anche i punti più insignificanti del mio corpo, tutti punti deboli.
Percepii la sua lingua tracciare un cerchio perfetto attorno all'ombelico, fino a penetrarlo con la lingua.
Ansimai vergognosamente, mentre qualcosa tra le mie gambe si allagava, sentii uno stretta allo stomaco mostruosa impadronirsi di me quando avvertii la punta della sua lingua stuzzicare il centro sensibile dell'ombelico.
Quando finalmente si decise ad abbandonare quell'atroce -e sensazionale- tortura, arrivò con la lingua al bordo degli slip. 
Sgranai gli occhi dallo stupore. 
Sentii lo strano tonfo che causò l'affloscio del vestito sul pavimento, in chissà quale angolo remoto della stanza.
Percepii i suoi denti afferrare con fermezza il bordo dei miei slip e sopraffatta dalla sorpresa, afferrai le sue guance tra le mani  e riportai le sue labbra sulle mie.
In un primo momento si oppose, forse desideroso di portar a termine quel gioco di seduzione che aveva iniziato, ma non oppose resistenza e si lasciò baciare senza troppi complimenti mentre la mia mano destra -timida- gli afferrò la spalla sinistra e iniziai ad assaporare con il tatto quell'irrazionale calore che sprigionava il suo corpo con il mio e tastai il suo torace, e non mi sfuggì neanche il leggero battito accelerato quando sfiorai il suo petto. 
Aiutandomi con la mano sinistra, iniziai ad armeggiare con la sua cintura, la quale non oppose nessuna resistenza a lasciarsi slacciare, ma il vero problema nacque quando mi toccò sbottonargli i jeans. 
La forte fitta nel basso ventre non mi aiutava affatto, e neanche Mattia che mordeva -nel vero senso della parola- il mio collo, chissà con quanti sudici succhiotti avrei dovuto far il conto l'indomani. 
Mi feci prendere dall'euforia quando riuscii finalmente a sbottonargli i jeans e far scendere -con un po' di problemi- la cerniera e, -giuro- senza volere, sfiorai la sua erezione ben accentuata nel lasciar cadere dall'altra parte del letto i jeans e, molto probabilmente, prese il mio gesto inconscio per un contatto voluto e affondò i denti con troppa irruenza nella mia spalla. 
Un gemito troppo acuto e alto, che avrebbe dovuto mostrarsi come un gemito di dolore, si manifestò come gemito di piacere e avvertii all'istanza le mani di Mattia risalire lungo la mia colonna vertebrale e afferrare -quasi strappare- il gancetto del reggiseno. 
Lo slacciò in una manciata di pochi secondi, cosa da vero esperto, e accompagnò entrambe le bretelle con le mani lungo le braccia, lasciando ad un torturante bruciore i lembi di pelle che stava accarezzando. 
Quando entrambe furono libere dalle mie braccia, afferrò il centro delle coppe e lanciò esso ai piedi del letto, sostituendo quel fastidioso pezzo di intimo con le sue labbra. 
La sua lingua e la sua bocca, stavo vedendo inferno e paradiso contemporaneamente. 
Infilai entrambe le mani tra i suoi capelli e spinsi il suo volto verso il mio seno, accentuando quel contatto intimo. 
Lo volevo da impazzire, lo volevo a tal punto che avrei rischiato seriamente di impazzire se l'avessi staccato dal mio corpo.
Io e Mattia Morici stavamo per fare sesso, detto qualche mese prima, quando eravamo appena stati messi come compagni di banco, sarebbe sembrata una vera e propria battuta. 
Rischiai di stappargli qualche ciocca di capelli quando strinse tra i denti il mio capezzolo sinistro, mentre con il suo respiro irregolare stuzzicava quest'ultimo. 
Leccò, baciò e morse ogni possibile lembo di pelle e, con questo, intendo dire che -dopo un periodo di tempo che parve infinito- abbandonò i miei seni e scese lungo il ventre, tralasciando questa volta l'ombelico, e afferrando con entrambe le mani i lembi degli slip e li accompagnò il una tortuosa scesa lungo le cosce, poi ginocchia, poi caviglie, poi via. 
Mi stava uccidendo quella serie straziante ed eccitante di preliminari. 
Aprii di rifletto le gambe quando avvertii le sue labbra umide della mia -e sua- saliva baciare il mio interno coscia. 
- Aspetta- ansimai quando era arrivato ad un passo dalla mia femminilità. 
Alzò il volto verso me e lessi il tormento nei suoi occhi, stupido, pensava davvero che arrivato a quel punto avrei potuto chiedergli di fermarsi?
L'avrei pregato pur di sentirlo subito dentro di me.
- Stiamo andando contro ogni principio. - Ansimai con voce roca - Io e te ci odiamo, stiamo tradendo la natura - pazza. Mi aggredii da sola.
Al pensiero che avesse potuto prendere in considerazione le mie stupide paranoie, mi sentii venir meno.
Al solo pensiero che avesse davvero staccato il suo corpo dal mio, che avesse lasciato tutto così, che mi avesse sola ed eccitata come mai in vita mia nel mio letto, era un pensiero che rischiava di spedirmi con un biglietto di sola andata al manicomio. 
Tentò di ghignare, ma le sue labbra si aprirono in un sorriso.
Il mio cuore mancò di un battito e, fui pronta a scommettere, che quello fosse il sorriso più bello sulla faccia della terra.
- No, stiamo solo tradendo la notte.- mormorò prima di baciare la mia intimità. 
Gettai la testa all'indietro, mandando a puttane tutti i buoni propositi e tutti i neuroni ormai fusi.
Affondai la testa sul cuscino, stringendo tra le mani i lembi della coperta pur di non mettermi ad urlare svegliando l'intero quartiere.
La sua lingua penetrò la mia intimità, e li capii che ci stavo candendo dentro come una pera cotta.
 
Stavamo tradendo la notte.
 
Eppure io sentivo tradito ogni mio principio morale, quel fottuto coglione iniziava a piacermi più del normale, più del lecito.
Non fu colpa mia se appena liberai il labbro inferiore dalla morsa dei denti, dalla mia bocca fuoriuscirono una serie di gemiti sommersi, me ne vergognai come una ladra, eppure in quella notte non c'era niente di normale.
Era la prima volta che permettevo ad un ragazzo di avermi in quel modo, e lo stavo permettendo al mio nemico.
Stava giocando con la parte più nascosta di me, stava stuzzicando in tutti i modi possibili la mia intimità, la stava straziando lentamente, un piacere talmente atroce che mi provocava una fitta in pieno petto, facendomi sentire vuota, priva di cuore e battiti cardiaci. 
Il contatto della punta della sua lingua contro il mio clitoride, mi fece perdere davvero il lume della ragione e inarcai la schiena pur di sentirlo più vicino, fino infondo.
Quando fu stanco di quei giochetti, risalì di nuovo alle mie labbra, lasciando nel mio basso ventre una nuova fiamma che sarebbe stata capace di incendiare un'intera foresta se lui non si fosse deciso di spegnerla con altro
Stanca e portata all'estremo, afferrai i suoi boxer e li accompagnai fino alle ginocchia, dove se ne liberò da solo. 
La sua mano destra si chiuse a coppa sul mio seno e, decisi allora, di afferrare la sua eccitazione.
Tempesta.
Siccità.
Notte.
Giorno.
Estate.
Inverno.
Inferno.
Paradiso.
Cos'era quel ragazzo? Una continua scoperta per me e, quando arrivai a sfiorare la sua punta con pollice, portò via la mia mano da lì e si posizionò volece tra le mie gambe. 
Tremavo sotto il suo tocco, benché non fosse la mia prima volta. 
Serrai gli occhi quando lo sentii entrare in me con una sola spinta, decisa e bramosa, fermo e esperto.
Adrenalina e errori, ecco cos'era Mattia, eppure io in quel momento non sarei stata capace di definire dove finiva il mio corpo e dove iniziava il suo.
 
Eppure stavamo solo tradendo la notte.
 
Quando iniziò a muoversi in me, fu come vedere le stelle in pieno giorno, fu come un'eclissi totale in tutto il mondo.
Spingeva in me e, i brividi che mi scorrevano lungo la schiena, erano brividi che mai nessuno era riuscito a farmi assaporare.
Avevo paura, paura perché mai nessuno era riuscivo a coinvolgermi in un modo così totale.
Più sopra, fino ad uscire da me. Più infondo, fino all'anima. 
Allacciai le mia gambe ai suoi fianchi e inarcai il bacino, per sentirlo fino in fondo, fino a scandire il battito del mio cuore con le sue spinte.
Lo strinsi a me con possessione, anche se in lui, di mio, non c'era niente.
Sarei riuscita a lasciarlo andare, dopo che lo avevo accolto in me?
La risposta mi sembrava così chiara, ma non voleva affatto venir fuori, -forse- aveva paura della reazione che avrei avuto.
Sembravamo danzare nell'aria, sudati e ansanti.
Guardarlo senza farmi scorgere era ciò che mi riusciva meglio e vederlo lì, bramoso di farmi travolgere dal piacere, sudato con i capelli attaccati alla fronte, eccitato con gli occhi liquidi dal piacere, era una vera visione, ciò di più bello che i miei occhi avessero mai visto.
Sentii il piacere sempre più vicino, fino a quando con una spinta più decisa e feroce, raggiungemmo entrambi l'orgasmo. 
Percepii il suo corpo accasciarsi su di me e, stanca sia fisicamente che psicologicamente, lo accolsi con piacere tra le mia braccia lasciando il suo viso sul mio seno e con le mani presi ad accarezzargli le gote arrossate e la fronte sudata. 
E per un momento dimenticai lo stronzo irritante che giaceva in lui.
 
Perché in questo momento, stavamo tradendo la notte.
 
 
 
- Marta - fui sicura che l'estensione del mio nome nell'aria fu solo una mia immaginazione, poiché non avevo mai sentito quella voce pronunciare il mio nome.
Scorsi una mano che mi accarezzava lievemente il profilo della schiena, per poi fermarsi sulla mia vita, dove era appoggiato il lenzuolo. 
Il mio corpo era freddo in quel momento, visto che l'unica parte coperta era dal bacino in giù.
Stesi il palmo e avvertii sotto la pelle dei polpastrelli, il corpo ancora caldo e profumato di Mattia. 
Forse si accorse che fossi sveglia per via di quel gesto, e prese a giocare con una ciocca dei miei capelli, avvolgendosela -sicuramente- attorno all'indice.
- Devo andare. Sono le cinque e tra poco abbiamo il raduno in piazza, per prendere l'autobus - eccheccazzo, già le cinque?
Desideravo con tutta me stessa che quei minuti scorressero quanto più piano era possibile.
Presi a disegnare cerchi immaginari sul suo torace, beandomi della sensazione del suo calore.
Devo andare. 
Mi staccai subito da lui, afferrando il lenzuolo e lo portai al di sopra del mio seno -il quale era stato fino a poco prima schiacciato contro di lui-. 
Che se andasse pure, a me, che importava?
- Ok, ci.. vediamo sul pullman - mormorai quando lo vidi indossare i jeans. 
Oddio.
Allora, la sera precedente.. era successo per davvero. 
Mi sentii avvampare all'istante dalla vergogna, essere davanti a lui coperta solo da uno straccio di tessuto mi faceva sentire piuttosto fuori luogo, anche se la sera prima mi aveva esplorata piuttosto a fondo.
Vederlo con le labbra ancora gonfie e i capelli in disordine, era decisamente troppo per i miei poveri ormoni.
Perché ero stata io a mordergli le labbra, ero stata io a scombinargli i capelli.
Eeh no, stavo formulando delle frasi da ragazzina sdolcinata e la cosa non andava affatto bene.
Indossò la camicia e l'abbottonò, impiegando la metà del tempo che avevo usato io per sbottonarla.
 
Marta Cuneo, basta pensieri indecenti!
 
- Ci vediamo dopo, Cuneo - ghignò strizzandomi l'occhio, per poi dileguarsi fuori dalla porta della mia camera.
Fui sicura che fosse uscito quando sentii il cigolio della porta d'entrata e lo sbattere di quest'ultima una volta richiusa alle sue spalle.
Mi buttai a peso morto sul letto. 
Star lì a ripensare a tutto ciò che era successo non mi serviva affatto, per questo, decisi di gettarmi sotto il getto gelato della doccia e non pensare più alle sue mani che mi cingevano la vita, alla sua lingua che esplorava la mia bocca e le mie labbra.
Non dovevo pensare a..
A ciò che stavo pensando.
Non ci misi molto interesse nel scegliere i vestiti, poiché la maggior parte erano già in valigia, quindi mi limitai ad indossare una felpa viola, semplice senza nessuna stampa, un paio di jeans leggermente strappati e le nike viola.
L'orologio segnava le 5.50, il raduno era alle 6, giusto in tempo.
Afferrai il cellulare e il mazzo di chiavi -poiché non sapevo se al mio ritorno mio padre ci fosse stato- e mi richiusi la porta alle spalle dopo aver guardato per una manciata di secondi la casa vuota e dedussi che non mi sarebbe mancata.
 
 
Mi sedetti infondo al pullman, in compagnia di Giorgia. 
Eravamo ancora pochi, mancava quasi tutta la parte maschile della classe, ciò una quindicina di scimpanzé selvaggi. 
- Ieri sera ti ho provata a chiamare per sapere che fine avevi fatto, ma avevi il cellulare spento - sbottò indignata.
Grazie tante.
Ora che ero riuscita a non pensarlo, arrivava lei a farmi l'interrogatorio. 
- Sono andata via - presi una boccata d'aria - con Morici - continuai.
Avrei volentieri evitato la seconda parte della frase ma, più cose le dicevo di mia spontanea volontà, meno questioni avremmo fatto.
La vidi sgranare gli occhi, iniziando a boccheggiare in cerca d'aria. 
- Racconta tutto. Tutto. E non tralasciare i particolari - urlò quasi.
Le brillavano gli occhi come ad un bambino a cui regalavano un nuovo gioco. 
I particolari. 
Stava per cancellare tutto il relax di cui mi aveva beato la doccia fredda. 
- Abbiamo fatto sesso - mormorai con nonchalance.
- Io lo sapevo, te l'avevo detto! Voglio i particolari! - sarei stata capace di alzarmi e cambiare posto se dalla parte opposta del pullman non stesse salendo proprio lui.
Fatto restava che in quel momento non desideravo altro che mettermi un paio di cuffie ed escludere l'intero mondo.
- Che particolari vuoi, Gio? Vuoi sapere le sue misure? - stronza perfino con la mia migliore amica.
Mi sentii subito in colpa quando vidi la sua espressione indignata dal mio modo di parlare e delle parole che avevo detto. 
Tuttavia, se quello fosse stato l'unico modo per farla zittire, andava bene così.
Avrei fatto di tutto pur di poter assaggiare un briciolo di silenzio attorno a me, o almeno, di essere distratta con qualche argomento stupido, l'importante era evitare ciò che voleva sapere lei su di lui
Quando la classe fu al completo, il pullman partì in direzione dell'aeroporto. 
Appoggiai la testa all'indietro, socchiudendo gli occhi. 
Dopo non so quanto tempo, sentii finalmente il sonno iniziarsi ad impadronire di me quando..
- Ahi - sgranai gli occhi lanciando uno stridulo urlo di dolore anche se non avevo provato affatto di dolore.
Giorgia era caduto in un sonno profondo e, involontariamente, la sua mano aveva sfiorato la mia gamba e, stupida, avevo pensato di chissà chi potesse essere quella mano. 
Basta, basta davvero.
Sarei sicuramente tornata ad odiare Morici, a dargli fastidio, ad evitarlo, a non salutarlo e non pensarlo in altri vesti se non in quelle del vicino di casa stronzo.
Sembrò che nessuno si fosse accorto del mio piccolo incidente, se così si potesse chiamare.
- Prof - sentii la voce stridula di Facini fare capolino. 
- Dimmi Facini - fortunatamente in gita ci accompagnava la professoressa di latino, nonché portabandiera del partito 'viva i nullafacenti'. 
- Ma i posti sull'aereo come sono disposti? - boccheggiai come un pesciolino rosso.
Ovviamente i posti sull'aereo erano già stati assegnati..
- Oh, la professoressa Abate mi ha chiesto di assegnarvi i posti come siete disposti in classe - sgranai gli occhi.
Non era possibile, quello era il peggiore dei miei incubi. 
Quella strega doveva sfracassare i coglioni fino alla fine, ovviamente, ma io i coglioni li avrei sfracassati al mio compagno di sventure se non avesse subito trovato una soluzione e si sarebbe tolto dalla mia vista.
Altrimenti, sarei stata costretta a passare l'intero viaggio in bagno. 
- Ma prof, non possiamo decidere noi i posti? - diedi voce ai miei pensieri.
Vidi lo sguardo di Morici spostarsi alla velocità della luce su di me e sentii i suoi occhi guardare troppo insistentemente determinati punti del mio corpo.
Ghignò soddisfatto di vedere un'espressione di disappunto disegnata sul mio volto.
Stronzo, gli avrei ringhiato contro.
- No, mi dispiace Cuneo, ma sono decisi - stronza pure tu.
Quest'ultima si dileguò tra le file di studenti seduti ai propri posti. 
Sbuffai e ebbi voglia di strappare a morsi quel ghigno strafottente dalle labbra dello stronzo e, magari gli avrei strappato anche altro.
Pervertita.
Deglutii, mandando giù un grosso groppo di saliva che altrimenti si sarebbe trasformato -molto probabilmente- in bava.
- Perché non vuoi sederti vicino a me, Cuneo? - quella voce estremamente fastidiosa mi arrivò dritta all'udito.
Mi sarei volentieri alzata e assegnargli un bel ceffone che gli sarebbe rimasto in faccia per un bel po', ma mi trattenni.
- Perché sei uno stronzo, e vederti mi fa venir voglia di..- baciarti -..scendere dal pullman e tornarmene a casa - mentii.
La voce mi uscì talmente ferma e seria che mi aiutò a capire che, dopo tutto, non era una bugia.
Quel ragazzo tornava a darmi i nervi e a mandare a puttane il mio autocontrollo con la sua strafottenza.
Una notte -ovviamente- non lo aveva cambiato e non aveva cancellato neanche la mia irritazione nei suoi confronti.
- Se vuoi, chiediamo di far fermare il pullman e te ne torni a casa - 
- Vaffanculo - semplice e diretta. 
L'avrei vista difficile la convivenza a Londra e, ringraziai dio che le stanze miste nei dormitori non si potessero fare, altrimenti, sarei seriamente tornata a casa. 


 
* * *
SPAZIO AUTRICE
 
ODDIO.
Tipo sto morendo dalla vergogna.
Questo capitolo supera di gran lunga le mie idee perverse, eh si.
Diciamo che, però, devo dare un senso a quel bel rating arancione, o no?!
Ok, ora magari voi da belli e bravi lettori che siete, mi lasciate una recensione, vero?!
Ora vi lascio.

 
#PEACEANDLOVE
Elvy.

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Capitolo 11
*** Welcome to London ***





Capitolo 10: welcome to London


 
Londra di notte sembrava davvero il palcoscenico di una favola. 
Le luci che illuminavano la città, sembravano danzare sulle onde candide, creando delle splendide sfumature. 
Non avevo mai visto un centro più sfavillante di Londra di notte. 
Ero decisamente ipnotizzata a guardare quello splendido paesaggio da dietro al cristallo della vetrata della sala da pranzo dell'hotel in cui avremmo alloggiato.  
- Tu cosa ordini, bellezza? - sentii una voce a me sconosciuta fare capolino al mio fianco. 
Il cameriere stava decisamente fissando me. 
- Parli italiano? - dritta al dunque. 
- I tuoi amici mi hanno detto che sono italiani e io, beh, ho origini italiane - rispose sorridendo. 
- Oh beh, comunque, ordino ciò che prende la maggioranza! - 
- Vabbene, dolcezza - mormorò strizzandomi l'occhio. 
Era un ragazzo sui vent'anni, capelli biondo scuro e occhi color caramello con venature dorate. 
Gli risposi con un semplice sorriso. 
Sentii qualcosa vibrare nella tasta dei jeans, estrassi il cellulare.
Un nuovo messaggio da: Giorgia. 
*Perché Mattia guarda il cameriere sexy come se volesse strangolarlo? 
Sorrisi inconsapevolmente.
Alzai subito lo sguardo su di lui, il quale rideva spensieratamente con Facini e lo sfigato. 
Gli angoli della mia bocca si ritrassero in una smorfia delusa.
Lui non mi avrebbe mai degnata di un'attenzione, per quanto -in parte- giusto fosse. 
Ero io quella assolutamente strana che un giorno voleva spaccargli la faccia e, il giorno dopo, gli sarebbe saltata addosso davanti all'intera classe. 
*Non si è neanche accorto che mi stava parlando!
*Oh, fidati, l'ho visto con i miei occhi u.u
*Vabbé, non m'importa ;) 
*Ti piace, vero?
Fui colta di sorpresa dalla trasparenza di quella domanda, chiara e diretta. 
Si, mi piaceva da star male ed ero stanca di negarlo anche alla mia migliore amica.
Mi piaceva il modo in cui le sue labbra combaciavano alle mie, mi piaceva il suo modo di stringermi quando era vicino al venire, mi piaceva il suo modo di fare strafottente, mi piaceva il suo modo di guardarmi -certe volte- così bramoso. 
*Si, e sono stanca di negarlo
*Non c'è bisogno di negarlo..
*E cosa vuoi che faccia?
*Non ne ho idea, buttati! Lui vuole giocare? Bene, giocaci, ma non fargli dettare regole!!!
A quell'ultimo messaggio di Gio, non ci fu una risposta.
Giocarci.


- Io vado nella stanza di Marco, vieni? - borbottò Giorgia.
Qualcosa mi diceva che, nella stanza di Marco Facini, ci fosse anche il coglione patentato. 
- No - fu la mia risposta irremovibile.
- Ok, ci vediamo dopo - urlò prima di sbattere la porta alle sue spalle.
Ovviamente, condividevo la stanza con Giorgia, una stanza molto carina per due persone. 
Mi buttai a peso morto sul letto, stanca più psicologicamente che fisicamente.
Ammettere la mia attrazione verso Mattia era stato come correre un'intera maratona.
Mi piaceva come suonava il suo nome tra le mie labbra, quando mi dava piacere.
I suoi capello soffici da stringere.
I suoi occhi ingannevoli.
Il suo torace forte ma non eccessivo. 
Mi piaceva perché non era il solito ragazzo tutto fiori e cioccolatini, perché non rappresentava la stabilità, perché lui era del tutto imprevedibile. 
Forse c'era anche un po' di capriccio in questa mia attrazione verso di lui, perché rappresentava ciò che non si poteva possedere, qualcosa di indomabile. 
Certamente le cose facile, a nessuno piacevano, ma lui era qualcosa di troppo distante alla parola facile. 
Dire che era il contrario di facile, era -decisamente- troppo poco. 
Sentii la porta della stanza cigolare.
- Che hai dimenticato, Gio? - chiesi senza aprire gli occhi. 
Sentii qualcosa fare pressione sul materasso, ai lati delle mie gambe e una bocca far assedio sul mio collo.
Decisamente non era Giorgia.
- Ma chi..- percepii un dito far capolino sulle mie labbra.
- Shh, sono io - sentii sussurrare prima di mordere il mio labbro inferiore.
Ed era proprio lui. 
Lambì le mie labbra con la proprio lingua, prima di raggiungere la mia e baciarmi. 
Era strano descrivere ciò che mi provocava baciarlo.
Come se il tempo smettesse di scorrere e il mondo smettesse di girare.
Come se, d'improvviso, la Terra, il sole e la luna iniziassero a girare solo attorno a noi. 
- Che ci fai qui? - mormorai tra un bacio e un altro. 
Le sue labbra si aprirono in un sorriso mentre lasciava sul mio collo una tortuosa scia di morsi. 
Rabbrividii quando sentii le sue mani al di sotto della mia maglietta, a contatto con la mia pelle.. pelle contro pelle.
Infilai le mie dita tra i suoi capelli, aggrappandomi a qualche ciocca di capelli.
Portai il suo labbro inferiore tra i miei denti e fu appagante vederlo socchiudere gli occhi.
Liberò il suo labbro dai miei denti in sintonia con le sue dita che avevano appena sganciato il mio reggiseno e il mio povero cuore, mancò -nel vero senso della parola- di un battito, o forse più di uno.
- Popolo i tuoi sogni erotici - ghignò mentre con l'indice disegnava il profilo del mio seno destro. 
Percepii le sue mani tirare giù la lampo dei miei jeans.
Spalancai gli occhi per la sorpresa.
Stava per sorpassare l'elastico dei miei slip quando..
- No! - 
 
Ma se avessi iniziato a giocarci, avrei saputo smettere prima di caderci dentro?
 
- Che cazzo hai? - sbottò infastidito.
Perché lo desideravo come solo un uomo disidratato poteva desiderare dell'acqua.
Pazza. Ecco cos'ero stata, ad averlo fermato a quel punto. 
I suoi occhi sfavillavano d'eccitazione, almeno quanto me, però non potevo in quel modo, non in quel momento. 
- Anche se ieri notte l'abbiamo fatto..- la sua mano ancora  non mi rendeva facile il compito di parlare. - ciò non vuol dire che puoi avermi quando ti pare e piace - 
Bugiarda fino al midollo. 
E quella bugia non avrebbe avuto un lieto fino se lui non fosse uscito dalla mia stanza entro pochi secondi. 
Mi si formò un groppo alla gola quando lo vidi schioccare la lingua contro il palato, per poi staccare il suo contatto dal mio corpo.
- Come ti pare, tanto sarai tu a bussare alla mia porta per pregarmi di portarti a letto - sfacciatamente stronzo.
Perché ciò che aveva appena detto, era abbastanza probabile dal momento che sarei andata in astinenza dal suo corpo come un drogato in astinenza dalla droga.
Ormai l'avevo provato ed ero caduta in trappola, ma avrei potuto nascondere tutto ciò. 
- Non contarci troppo - gli urlai dietro pochi secondi prima che sbattesse la porta alle sue spalle.
Chi meno ama è il più forte si sa, e in quel momento sperai che quella frase di Marco Ferradini fosse realtà. 
Non mi ero mai innamorata, non ero mai stata ferita per amore. 
Forse, tutto ciò, mi rendeva più vulnerabile. 
Non sapevo a cosa andavo incontro, era un vicolo cieco per me, non ero a conoscenza degli effetti collaterali.
Le favole ingannavano.
I libri anche.
Cosa voleva dire amare?
Come si amava?
Ma una cosa era sicura, lui non lo avrei mai amato.


- Ecco il tuo caffè - scherzò il ragazzo della sera prima.
- Grazie - risposi con un sorriso. 
Lo vidi appoggiarsi sul bancone, sporgendosi verso di me.
- Allora, come ti chiami? - mi chiese sorridendo.
- Marta, e tu? - 
- Nick - rispose accennando un sorriso radioso e solare.
Qualcosa mi diceva che ci stava decisamente provando con la sottoscritta. 
- Hai un ragazzo? - colpito e affondato. Ci stava provando eccome. 
- No, perché? - dovevo restare al gioco.  
-  Così posso provarci con te? - 
- Mh, perché no - e mi sentii come se avessi tradito qualcuno.
Infondo, forse, era proprio per ripicca di quel qualcuno se stavo dando corda a quel ragazzo, no che volessi giocarci, però..
Se ci fosse stata anche una sola possibilità di eliminare ogni mia possibile fantasia da Morici, c'avrei provato sicuramente.
Perché non ne valeva la pena, non con uno così, almeno. 
Non con un ragazzo così esattamente stronzo.
Estrassi dalla tasta dei pantaloni il cellulare.
Era una settimana o anche più tempo che non davo una sbirciatina sul mio account di facebook. 
24 notifiche e 2 richieste di amicizia. 
Non mi interessava un granché, quindi, cliccai direttamente sull'opzione 'ricerca'. 
Digirai un semplice nome: Mattia Morici. 
Il server mi mise a disposizione più di un profilo, però il primo, era esattamente colui che cercavo. 
Aprii il suo profilo.
Tutto ciò che potevo vedere era la sua immagine del profilo, dannata privacy.
Nella foto era insieme ad un ragazzo, lo stesso che era con lui quella notte. 
Sembrava che il tasto 'aggiungi agli amici' mi chiamasse e..
'Richiesta di amicizia inviata'. 
Semplicemente curiosità di vedere quale cazzate scrivesse o condividesse nel suo profilo e quanto alte fossero le percentuali di -più che amici- amiche. 
- Cosa fai? - mi chiese il biondino.
- Niente, do uno sguardo su facebook - risposi scollando le spalle. 
Solo all'ora notai il piercing sul sopracciglio sinistro.
- Inviami la richiesta, mi chiamo Nick Lewis - molto schietto il ragazzo.
Digitai il suo nome e, come precedentemente, mi apparve il suo profilo per primo.
Un'altra richiesta di amicizia inviata.
Riposi il cellulare in tasca quando mi sentii chiamare da qualcuno.
Mi girai, avendo capito a chi appartenesse quella voce, e vidi Dave seduto sul divano insieme ad altri quattro ragazzi, Facini e.. Morici. 
Dio, volevo diventare invisibile.
- Ehi, Martaaaa! - Dave era insopportabilmente insistente.
- Nick io vado, degli amici mi stanno chiamando ci.. vediamo! - 
Lasciai una banconota sul bancone e iniziai a camminare spedita verso l'agolo in cui era seduto quello scazzone del mio migliore amico che avrei ucciso con le mie stesse mani.
- Ciao Dave! Ragazzi..- salutai tutti con un cenno della mano senza salutare nessuno in particolare e no, senza neanche guardare lui.
- Ciao nana - ironizzò Dave.
Odiavo quello stupido nomignolo, soprattutto quanto lo utilizzava davanti ai proprio amici.
Con un gesto della mano mi fece segno di sedermi sulle sue gambe e così feci, senza obbiettare.
I suoi amici erano abituati ai nostri gesti affettuosi, era passato il tempo in cui li scambiavano per effusioni tra due innamorati, sapevano che tra di noi non c'era altro, ma qualcuno non lo sapeva..
Certamente, l'idea di far ingelosire un po' Mattia non è che sembrava tanto male, anche se, oltretutto, lui non sarebbe mai stato geloso di me.
Abbassai involontariamente il volto, mi faceva sentire.. strana, l'idea che chiunque potesse toccarmi, baciarmi o avermi, per lui fosse del tutto indifferente.
A me le voglia di spaccare la faccia alle troie che gli si gettavano addosso senza ritegno, nessuna me l'avrebbe potuta togliere.
- Tutto bene, piccola? - sussurrò Dave alzandomi il volto verso di lui, posandomi l'indice sotto al mento.
- Tutto bene! - gli sorrisi gettandomi di slancio verso di lui per abbracciarlo.
Mi faceva estremamente bene avere un amico come lui al mio fianco, era magnifico saper di poter contare sempre di lui, colui che riusciva a capirmi sempre e comunque senza giudicarmi e riusciva a comprendere ogni mio cambiamento d'umore anche solo con uno sguardo.
Ricambiò l'abbraccio stringendomi a lui. 
- Ooh, i due piccioncini, vi lasciamo soli? - sentii la voce del suo migliore amico, Fabio Caffaro, fare capolino alle nostre spalle.
Afferrai un cuscino da dietro la schiena di Dave e, senza preoccupazione di poter rompere qualcosa, glielo tirai dietro, centrandolo in pieno. 
- Come sei acida, nanetta - continuò a prendermi in giro Fabio.
Conoscevo anche lui da molto tempo, sapevo che il suo prendermi in giro era in buona fede, un modo per scherzare e niente di intenzionalmente offensivo.
- Stronzo - sbottai fingendomi indignata.
- Voi due state insieme? - e questa volta fu Facini a parlare.
Nell'intento di girarmi verso di lui incrociai -quasi- involontariamente lo sguardo di Morici.
Sembrava abbastanza indifferente, ma qualcosa in lui tradiva un pizzico di.. fastidio.
Lo sfizio di rispondergli con un bel 'si' era davvero forte, tanto per vedere l'espressione sul suo volto che, quasi sicuramente, sarebbe rimasta ugualmente strafottente.
- Oh si, ci amiamo da morire, vero amore mio? - scherzò Dave.
- Certo, vita mia - risposi a tono assegnandogli un pizzicotto sul fianco destro.
Scoppiarono a ridere tutti quanti e mi unii a loro, affondando il volto nella spalla del mio migliore amico.
Alzai il volto verso il resto del gruppo circostante e notai lo sguardo di Morici posato sulla mano di Dave, la quale era posata sulla mia coscia.
Sorrisi soddisfatta nel notare che almeno qualcosa in lui riuscivo a smuoverlo, anche se solo qualche futile emozione.
- Possiamo unirci a voi? - dio mio, lei no. 
- Certo! - a Facini era alquanto sconosciuto il concetto di farsi i cazzi suoi.
Sara Cabassi e le sue tre amichette del cuore all'attacco.
Dave sorrise di gusto nel vedere l'espressione disgustata che dovevo tener chiaramente disegnata in volto.
- Posso sedermi sulle tue gambe, non c'è spazio libero! - NO.
Siediti per terra, troia.
Non.Sulle.Sue.Gambe.
Avevo innumerevoli istinti suicida da controllare e, forse, qualcuno sarebbe potuto scappare dal mio controllo. 
- Certo - certo, ovvio, voleva scoparsela quel coglione di Morici, oh, e chissà quante altre volte ancora se l'era scopata prima che venisse a letto con me. 
Boccheggiai quando vidi la posizione insulsa che assunsero quei due.
Lei seduta sulle sue gambe, con un braccio che gli circondava il collo e lui aveva appoggiato la mano sul suo interno coscia.
Gliel'avrei staccata a morsi quella fottuta mano.
Ghignò soddisfatto quando si accorse della mia paralisi facciale che dava chiaramente qualche segno di disapprovazione.
Ma nessuno sapeva che erano vietati gli atti osceni in luoghi pubblici? 
- Allora, di cosa parlavate? - chiese la troia.
- Di come sono carini Marta e Davide - scherzò Fabio.
Diventai rossa -o forse viola- dalla vergogna -o forse dalla rabbia-.
- State insieme? Non lo sapevo! Ma auguri - ghignò la stronza.
Sapeva perfettamente che eravamo solo amici ma, sicuramente, voleva farmi apparire una puttanella agli occhi di Morici.
E ci riuscì, dal modo in cui lui inarcò il sopracciglio.
- No che non stiamo insieme - risposi nello stesso momento in cui..
- Grazie - rispose Dave ironicamente.
Lo fulminai con lo sguardo mentre lui rideva sguaiatamente. 
- Dai, non essere timida piccola Marta - trillò la Cabassi.
Dai, non essere timida, piccola -o meglio, grande- troia, le avrei risposto. 
 


 
* * *
SPAZIO AUTRICE

Ho scritto questo capitolo con la febbre a 39, non odiatemi se non è niente di particolare.
Come avete potuto capire, Marta ha finalmente capito di essere attratta da Mattia, ma Mattia è il solito stronzo di sempre.
Questo nuovo protagonista del cameriere, secondo me, darà parecchio fastidio a Mattia.
E vogliamo parlare delle manifestazioni d'affetto tra Marta e Dave secondo il punto di vista di Mattia? ahaha
Nel prossimo capitolo, FORSE, un POV secondo Mattia. 

Ps: qualcuno, un po' di tempo fa mi ha chisto come immagino io gli occhi di Mattia, beh, questa foto li rispecchia molto:

 
Alla prossima, 
Elvy.

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Capitolo 12
*** Un cuore scalfito ***




Capitolo 11: un cuore scalfito


 

- Eccoti qui, ti ho cercata dappertutto - sentii una voce a me familiare fare capolino alle mie spalle. 
Non sapevo se provassi stupore o fastidio nel sentirlo. 
Anche il suo sorriso fece capolino davanti ai miei occhi. 
- Sono stata qui tutto il tempo - ricambiai il sorriso di Nick. 
Avevo passato l'ultima ora a spettegolare apertamente con Giorgia. 
Dovevo pur sfogare con qualcuno l'isteria che aveva provocato poco prima quello stronzo e la sua fedele troietta. 
No che m'importasse qualcosa, per me poteva scoparsi chi gli pareva, a me non importava.
Non m'importava se avesse guardato qualcun'altra come guardava me.
Non m'importava se avesse toccato qualcun'altra come toccava me.
Non m'importava se avesse fatto con qualcun'altra ciò che aveva fatto con me.
- Di fatto, questo è l'ultimo posto dove ho guardato - mormorò sedendosi al mio fianco.
La sua vicinanza imposta, non mi dava eccessivamente fastidio, ma in quel momento avrei preferito non vedere nessuno.
- Allora io vi lascio da soli - avrei strangolato la mia migliore amica.
Le lanciai uno sguardo omicida, ma probabilmente mi riuscì male, dal momento che ghignò soddisfatta.
Magari, gridarle un 'no' disperato, sarebbe parso abbastanza maleducato da parte mia.
- Non ce n'è bisogno - l'avrei sposato - volevo solo chiederti se ti andava di fare due passi, ho un paio di ore libere - e strangolato durante il viaggio di nozze.
Giorgia si aprì in un sorriso alquanto fastidioso, carico di soddisfazione.
Oltretutto, non c'era niente di male nell'allontanarmi di pochi metri dall'hotel, magari prendere un po' d'aria mi avrebbe chiarito le idee e fatta ritornare in me. 
- Andiamo! - risposi cercando di imitare il migliore dei miei sorrisi. 
Sembrava davvero un ragazzo sincero e gentile, uno da fiori e cioccolatini, uno che sapeva indossare una cravatta.
Peccato che non volessi niente di tutto ciò.
Lo vidi alzarsi, per poi tendermi la mano.
L'afferrai prima che avessi il tempo di ripensarci e mi issai al suo fianco.
- Se vedi Mattia, salutamelo - ghignò quella stronza di Giorgia prima di dileguarsi.
Era abbastanza evidente che Giorgia tifasse Morici, come se pensasse che ci potesse davvero essere qualcosa tra di noi. 
Se fosse stato possibile, avrebbe sicuramente fondato un fan-club per quel coglione patentato. 
Secondo lei era solo questione di sciogliere il leone nascosto che c'era in me e far da concorrente per Morici.
Avevo qualche dubbio su ciò, poiché -molto probabilmente- il mio leone era morto di solitudine.
Avvertii le dita di Nick farsi largo tra le mie e intrecciarle tra di loro.
Sorrisi per quel gesto dolce, sorrisi perché, per qualche ora, avrei potuto fingere di essere una principessa che attendeva il principe azzurro e non il valletto figo e stronzo. 
Mi trascinò fuori dalla hall e, ad aspettarci al di fuori dell'hotel, c'era un'immensa distesa di prato.
- Ti va un gelato? - 
- Perché no - 
Avevo sempre odiato i gelati, il loro sapore esasperatamente dolce e quella voglia di dare di stomaco che mi restava quando finivo di mangiare.
Molto probabilmente ne avrei mangiato un po' per poi dire che il gelato inglese era una vera schifezza, anche se non immaginavo neanche che gusto avesse.
Le strade di Londra erano totalmente diverse da quelle che ero solita vedere io.
Vetrine adornate e illuminate, strade lunghe, larghe e pulite.
Il clima, però, era alquanto insoddisfacente. 
Entrammo in una gelateria carina, molto illuminata.
- Ehm, Nick, non ho idea di come siano i gusti di questi gelati, né come si pronunciano - gli sussurrai stringendogli la mano e avvicinandomi al suo orecchio.
Scoppiò in una fragorosa risata che, non so perché, mi fece sentire meglio.
Affondai il viso nel suo petto e, contemporaneamente, gli circondai la vita con le braccia.
Lo sentii stringermi a sé e riprendere fiato dopo aver -finalmente- smesso di ridere.
- Cioccolato e vaniglia, va bene? - mi sussurrò all'orecchio, accarezzandomi il capo. 
La sua compagnia iniziava a non dispiacermi. 
- Benissimo - sorrisi ritornando in una posizione da persona normale. 
- Two ice cream chocolate and vanilla. - disse alla commessa.
Mi strinse un braccio intorno alle spalle e, solo allora, mi accorsi del sorriso armonioso che aveva.
Gli sorrisi senza rendermene conto, perché era davvero una persona stupenda.
- Perché sorridi? - mi chiese afferrando i due gelati.
- Perché mi piace il tuo accento inglese - risposi senza imbarazzo, afferrando il gelato che mi stava porgendo.
- Invece, tu, mi piaci tutta - sussurrò direttamente al mio orecchio, facendomi diventare paonazza. 
Dolcezza e sicurezza, quel ragazzo mi ispirava tutto ciò che Morici non era capace di trasmettermi.
E, magari, era proprio quel suo modo da stronzo patentato ad attirarmi senza freni.
Dopo vari tentativi per pagare, mi arresi e lasciai che lo facesse lui al mio posto. 
Ritornammo all'aria aperta, senza mai allontanarci molto dall'hotel, in caso che qualche insegnante potesse accorgersi della mia assenza.
- Vieni, sediamoci - sussurrò Nick indicando una panchina tra il prato dell'hotel, quand'eravamo ormai tornati in base.
Mi sedetti, lasciando che il leggero venticello scombinasse tutti i miei piani per tener in ordine i capelli.
- Tra due minuti scadono le mie ore libere - mormorò con uno sguardo afflitto, fissando il cielo.
Solo allora, dietro di lui, scorsi due sagome alquanto familiari.
Proprio loro, proprio ora, eccheccazzo.
Le sue labbra che si chiudevano intorno alla sigaretta era qualcosa ad alto tasso erotico.
Per non parlare di quando, fissando il cielo, buttava fuori il fumo. 
Distinsi la sagoma di Facini avvicinargli e dirgli qualcosa che mi sembrò capire dal momento che lo sguardo di Morici si spostò di colpo su di me -o meglio, noi-.
Non fui sorpresa di incontrare uno sguardo vuoto ed indifferente, uno sguardo capace di non rivelare neanche un'emozione.
Gli stessi occhi che mi avevano fatta sentire desiderata come mai prima d'ora.
Gli stessi occhi che ora mi guardavano con un'aria di insufficienza.
E capii che il ruolo da principessa che aspettava di esser salvata dal prode cavaliere, non era il mio di ruolo.
- Permettimi di finire in bellezza queste poche ore di svago - sussurrò afferrandomi il mento tra le dita.
Avvicinò il suo volto al mio a tal punto che non riuscivo più a distinguere i tratti del suo viso.
Il suo respiro sulle mie labbra era presente, fin troppo.
Avrei voluto divincolarmi dalle sue mani e sfuggire dalle sue braccia, all'istante.
Non potevo.
Non volevo.
Per tante ragioni.
Perché l'avrei solo preso in giro, perché un bacio non mi sarebbe costato niente, ma non sapevo come l'avrebbe potuto ricevere lui.
Perché lui non aveva i suoi occhi.
Perché lui non aveva le sue labbra.
- Non.. posso - perché non era lui.
Mi ritrassi prima che potesse mettere in contatto le sue labbra con le mie.
Non potevo, non quando le ultime labbra che erano state sulle mie, erano le sue.
Non ora che, chiudendo gli occhi, sentivo ancora le sue mani su di me.
Non quando lui era a pochi passi da me. 
- Oh, beh.. scusa - si ritrasse in evidente imbarazzo.
- Non è colpa tua..- è solo colpa mia. 
- Io devo.. devo tornare a lavoro - sbottò alzandosi.
- Ok, ci.. vediamo - risposi quando ormai era abbastanza lontano.
Perché, magari, un anno prima non mi sarebbe affatto dispiaciuto un ragazzo come Nick.
Ma, ormai, ero stanca di ragazzi affettuosi, ragazzi tutti sorrisi e coccole, ero stanca di qualcosa che non fosse lui.
 
 
 
 
- La tua camera fa proprio schifo, sai Dave? - scherzai mentre mi tuffavo ad abbracciarlo. 
Ricambiò la stretta, stringendomi forte a sé. 
Dave era una delle persone più importanti nella mia vita e, ogni giorni, mi dimostrava che non avrei potuto fare a meno di lui.
Sarei rimasta chiusa in camera a mangiare gelato, se non mi avesse costretta ad uscire.
Magari con uno di quei odiosi film strappalacrime, che odiavo con tutta me stessa.
Era come un fratello maggiore ed ero gelosa di lui proprio come una morbosa sorella minore.
- Sei sempre così dolce, nana - scherzò lasciandomi libera di respirare.
Seduti un po' per terra, sui letti e sulle sedie, c'era la mia classe al completo.
E se dico tutta, vuol dire davvero tutti. 
Seduto in tutta la sua strafottenza, con indosso il pantalone della tuta nera e t-shirt bianca, era davvero poco attraente.
Quei suoi fottuti capelli neri erano lasciati ribelli, in tutta la loro morbidezza.
E i suoi occhi color smeraldo, fissavano tutto tranne la sottoscritta.
Sembrava che neanche si fosse accorto della mia presenza, con in mano il suo pacco di pop corn.
Alla sua destra, l'immancabile Facini e, a sinistra, quel deficiente di Angelotti.
- Che film hai scelto, Dà? - chiesi quando lo vidi dirigersi verso il letto, dopo aver inserito il DVD.
- Non lo so, qualcosa che ha a che fare con l'esorcismo. Vieni a sederti qua - disse facendomi segno accanto a lui, sul letto. 
Mi avvicinai a lui, appoggiandomi con la schiena verso il suo petto.
Sentii le sue mani avvolgersi attorno al mio ventre e affondò il volto nella mia spalla.
- Sono noiosi i film horror - sbuffai.
- Aspetta e vedrai..- ghignò quando apparve la scritta 'questo film si ispira a fatti realmente accaduti'.
Mi ricredetti alle prime scene horror e si ricredette tutta la comitiva, dati gli sguardi spaventavi che regnavano in tutti, tranne in Morici che si ingozzava di pop corn sempre indifferente. 
I film horror erano il mio genere preferito, non mi facevano paura, ma quando andavo a dormire e mi ritrovavo sola in una stanza buia, beh.. non so se mi spiego.
Tutto sommato, qualche gomitata a Dave, mi faceva da anti stress.
Arrivai alla fine del film con un povero Dave dolorante che implorava di staccare il film per evitare eventuali gomitate.
Ai titoli finali, mi ritrovai raggomitolata al suo petto, con la coperta sulle spalle e le sue braccia che mi circondavano.
- Sveglia bell'addormentata - mi sussurrò all'orecchio.
- Non sto dormendo, stronzo - sbadigliai alzandomi.
Tutti erano diretti verso la porta, sbadiglianti, compreso Mattia.
Quel suo silenzio nei miei confronti iniziava ad urtarmi.
O sfracassava i coglioni, o non mi calcolava neanche di striscio, quel ragazzo non aveva un equilibrio.
- Dave io vado, ci vediamo domani? - chiesi avvicinandomi alla porta.
- Certo, notte nana - mormorò stampandomi un bacio sulla fronte.
- Notte - sussurrai richiudendomi la porta alle spalle.
Le stanze dei ragazzi e delle ragazze non erano distanti, si trovavano sullo stesso corridoio.
Giustamente, non ci trovavamo negli anni '90 e sarebbe sembrato alquanto insensato.
Come se poi i professori sono sapessero che, determinate persone, fossero abituate a sgattaiolare nelle stanza dei ragazzi dopo il coprifuoco.
Un esempio? La Cabassi.
Magari sarebbe stata scoperta, punita e spedita a casa con il primo treno diretto a Napoli.
Probabilmente, avrei potuto facilitare la cosa..
Mi trascinai, barcollando, fuori la porta della mia camera.
Ci infilai la tessera e la porta -come d'incanto- si aprì.
- Cuneo - mi si bloccò il flusso di sangue sentendo quella voce, ma immaginai che fosse solo frutto della mia fantasia, data la stanchezza, ma fui sicura di non aver immaginato la stretta che si chiudeva attorno al mio polso.
Mi girai d'istinto, trovandolo a pochi passi da me.
La sua presa ferrea sul mio polso mi mandò a rimuginare su non pochi ricordi, della sua presa su di me, delle sua mani su di me, di lui in me.
Dovevo assolutamente smetterla, e tutto ciò, solo per una mano sul polso.
Ritrassi la mia mano dalla sua, toccandomi il polso come se mi fossi scottata.
- Cosa vuoi, Morici? - risposi calcando sul suo cognome.
Non rispondere, avvicinati, baciami, prendimi.
Perché solo Dio sapeva cos'avevo al posto del cervello.
Sicuramente qualcosa che non funzionava nelle piene facoltà mentali.
O, almeno, io non volevo fargli fare uso della propria intelligenza.
La sua vicinanza mi faceva irritare, lo avrei cacciato a calci nel sedere, ma solo dopo averlo baciato fino a farmi cadere le labbra.
Col cazzo.
L'avrei cacciato a calci, punto e basta.
Ero -decisamente- un caso perso.
- Come è andata la passeggiata romantica con il cameriere? - sibilò con sdegno.
Dimmi che sei geloso, dimmi che non vuoi che qualcun'altro mi tocchi, dimmi una marea di bugie.
Fammi illudere, almeno per pochi minuti.
Guardami dicendo che quella notte non è stato solo un errore.
Sussurrami che non mi hai solo scopata come hai fatto con chissà quante decine e decine di ragazze.
- Ti importa molto? - sussurrai sprezzante.
Leone con gli artigli all'apparenza, agnellino indifeso in verità.
Certo che non ti importa, perché dovrebbe?
L'avventura di una notte, ciò che sono stata per te.
L'avventura di una notte, ciò che saresti dovuto essere per me.
Avrei dovuto pensare al tuo modo di irritarmi, e non al tuo modo di sorridermi dopo aver fatto sesso.
Avrei dovuto ricordare il modo indifferente con cui mi hai guardata, dopo esser uscito dal mio letto, e non il modo in cui mi hai stretta a te dopo il piacere.
Torna ad essere il compagno di banco odioso.
Torna ad essere il vicino di casa da evitare.
- No, però, mi chiedo cosa ne possa pensare Zanetti di tutte queste tue.. scappatelle - ghignò sull'ultima parola.
Cosa centrava Dave?
Scappatelle? 
Quali scappatelle?
Boccheggiai in cerca d'aria.
Lui credeva davvero che io Dave stessimo insieme.
Lui credeva che io fossi andata a letto con lui nonostante avessi un ragazzo.
Lui credeva che io avessi fatto un giro in compagnia di Nick, nonostante Dave fosse il mio ragazzo.
Lo guardai indignata.
Sapevo quanto poco mi conoscesse ma immaginavo che, in fin dei conti, avesse capito che non ero come una delle sue tante amichette di letto. 
Inarcò il sopracciglio destro soddisfatto, credeva di aver fatto centro.
- Ma che cazzo dici? - sbottai disgustata.
Era più stronzo di quanto potessi immaginare.
E pensare che, per un fottuto momento, avevo creduto che mi potesse davvero piacere.
Un tipo come lui? Piacere a me? Ma per favore.
Era semplicemente una stupida infatuazione, colpa di madre natura che era stata maledettamente buona con lui.
Mi voltai, ormai priva di lucidità, l'avrei davvero steso a suon di calci. 
- Dove scappi, Cuneo? - sbottò con un tono di sfida.
- Io non scappo, Morici - calcai sul suo cognome, fronteggiandolo, e fissai il mio sguardo nel suo.
Aprì le labbra in un ghigno irritante, strafottente e idiota quanto lui.
L'avrei bruciato vivo.
Magari l'avrei incenerito con lo sguardo.
O, più semplicemente, l'avrei gettato nel Tamigi.
- Ti diverti proprio a fare la puttanella, vero? Hai un ragazzo, eppure l’hai data a me senza problemi e, tra poco, farai la stessa cosa anche col cameriere - sussurrò con uno sguardo vuoto e indifferente.
Fui travolta da un'ondata di sgomento, rabbia, frustrazione e.. delusione.
Le mani mi solleticavano dalla rabbia e, senza pensarci una seconda volta, la mia mano destra partì in rincorsa e si fermò solo quando urtò con irruenza la sua guancia.
Mi tremavano le mani e lo schiaffo che gli avevo appena assegnato, era niente rispetto a ciò che avevo dentro.
Mi sentivo ritorcere dentro, come se avessi del magma incandescente al posto del sangue, come se stessi bruciando dall’interno.
Il suo leggero dolore fisico, non attenuava neanche un po' il mio dolore inconscio.
Ero in bilico tra lo scoppiar a piangere lì, davanti ai suoi occhi, o rompere tutto ciò che mi trovavo attorno, ma, più semplicemente, scelsi di incassare anche quella, con le lacrime che pulsavano per uscire.
Non lacrime per lui, lacrime per me stessa.
Lacrime per la vergogna, vergogna che qualcuno potesse davvero avere un’opinione simile su di me.
Mi riteneva una puttana.
E io che lo ritenevo quasi una persona, quando poi, si era rivelato qualcosa più simile ad un animale.
Mi afferrò i polsi con una forza tale da farmi male.
Indietreggiai fino a ritrovarmi con la schiena contro il muro, mi aveva immobilizzata come un uccello in gabbia, tra il muro e il suo corpo.
Non seppi leggere i suoi occhi, come sempre, d'altronde.
Una muro issato, una maschera, qualcosa di impenetrabile.
- Non.Farlo.Mai.Più - scandì parola per parola con un tono alto e alquanto arrabbiato.
Non mi faceva paura, se mi avesse voluto restituire lo schiaffo, avrei incassato anche quello senza problemi.
Niente mi avrebbe potuto far più male delle sue parole.
Né uno schiaffo, né se mi avesse picchiata lì, ai piedi della porta dove mi aveva dato della poco di buono.
Sentii gli occhi inumidirsi e scrollai le sue mani dai miei polsi, per spingerlo all'indietro.
Non avrei pianto ora, non quando lui le avrebbe confuse per lacrime per lui.
Non quando non potevo nascondere neanche a me stessa che una minima percentuale era scaturita perché quelle parole erano sue.
Lo guardai con rassegnazione.
- Mi fai schifo - sibilai con un tono di voce basso, sconfitto.
Ecco cosa aveva fatto, mi aveva sconfitta.
Aveva eliminato in me ogni buon proposito di avere un rapporto civile.
L'avrei evitato fino a dimenticare il colore dei suoi occhi.
L'avrei contemplato fino a dimenticare il calore del suo corpo.
Me ne sarei privata fino a dimenticare il sapore delle sue labbra.
Perché un cuore scalfito, sarebbe andato curato, io stessa avrei curato il mio.
Paonazza per la rabbia e per la vergogna, mi ritrassi nella mia camera quando se ne fu andato senza un gesto, né una parola.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi lasciai cadere contro quest'ultima.
Avevo superato il dilemma di una famiglia distrutta, di un’infanzia passata in solitudine e di genitori che tutto erano tranne che genitori.
Un vicino di casa attraente non sarebbe stato difficile mettere da parte.
Una donna umiliata, non andava sfidata.
Un cuore umiliato, non andava sfiorato.
Marta Cuneo e Mattia Morici, due strade opposte, tal volta parallele, incrociatesi solo per uno stupido -e irripetibile- errore del destino.
Avremmo continuato ad essere quelle due direzioni opposte.
Due fermate inavvicinabili.
Due binari distinti e separati.
E, come due treni, destinati a non incontrarsi per non creare disastro.
Perché io non volevo essere la fermata di nessuno, volevo essere la destinazione. 



 
* * *
SPAZIO AUTRICE
 
Credevate di esservi liberate di me? Eh no, rieccomi qui.
Mi scuso in anticipo e in ritardo, poiché ho fatto passare un bel po' di tempo, ma vi avverto che, più o meno, saranno sempre questi i tempi di aggiornamento.
La scuola mi tiene impegnata tantissimo e, per di più, non ho neanche il computer portatile.
Devo dire che, la prima parte di questo capitolo, fa schifo, mentre la parte di Mattia e Marta, diciamo.. leggibile.
Per il POV di Mattia, credo che ci sarà quasi sicuramente nel prossimo capitolo, poiché ho già pensato dove collocarlo.
Credo che questo capitolo faccia capire anche dove arriva la stronzaggine del mio bel coglione, questa volta devo dire che l'ha combinata grossa.
Secondo me, il bel Mattia, ha scambiato l'avvicinamento di volti tra Nick e Marta per un bacio, o no, voi che dite?!
E i gesti amorevoli di Dave fanno sempre fraintendere un bel po' di cose.
Non immaginate come mi sia mancato scrivere su di loro in questi dieci giorni.
Tornerò presto a tenervi in compagnia dei miei due coglioncelli.
A presto, 
Elvy.

 
PS: magari, se recensite, avrò più voglia di scrivere. ahahahaha

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Capitolo 13
*** La brusca interruzione ***





Capitolo 12: la brusca interruzione



 

Quando finalmente percepii il buio totale della mia camera e il più totale silenzio regnante nei miei dintorni, mi permisi di liberarmi da quelle soffocanti lacrime che sembravano volermi sopprimere dall’interno.
Lasciai che delle lacrime silenziose solcassero il mio viso, segnandolo, e mi intrappolai il labbro inferiore tra i denti poiché godevo della sicurezza che se avessi dato un minimo di libertà alle mie corde vocali, dalla mia gola sarebbero emersi solo una serie di singhiozzi sommersi.
Che senso aveva nascondere a me stessa che, ciò che più mi faceva male, era il fatto che fossero stati quegli occhi a fissarmi mentre, quelle labbra, componevano quella frase?
Per la prima volta dopo anni, mi sentii debole.
Per la prima volta, sentii il mio orgoglio ferito che chiedeva di farsi valere, che gridava ‘stupide’, alle mie difese improvvisamente annullate.
Capii che quello, era un lato di me che avevo provato a sopprimere più volte, senza mai una felice riuscita, perché potevo inabissare infondo al mio inconscio quel lato di me, ma esso non sarebbe mai sparito.
Sarebbe sempre riemerso, più forte, fortificatosi nei momenti in cui mi fingevo forte, nei momenti in cui fingermi forte mi aveva salvata dal fondo.
Lasciai che quei singhiozzi mi uccidessero, e quella volta non piansi solo per ciò che era successo, non piansi né per lui né per nessun altro: piansi per me.
Per tutte le volte che a cinque anni subivo le sfogate di mia madre, la quale dopo essersi ubriacata, si dava libero sfogo sul mio corpo, martoriandolo, lasciandovi lividi che nascondeva col facendomi portare maglioni a collo alto anche nei mesi primaverili o con sciarpe che mi soffocavano, nei mesi più caldi dell’anno.
Piansi per tutte le volte che dopo aver subito dolori atroci che si marchiavano sulla mia pelle, a nove anni, mamma mi guardava con gli occhi che sovrabbondavano di lacrime e mi chiedeva di perdonarla, poiché era uscita di senno e mi aveva fatto del male, non avendo il controllo di se stessa.
Piansi per tutte le volte che le avevo gettato le braccia al collo, braccia segnati da lividi viola intenso, e con una voce interrotta dai singhiozzi e segnata dalle lacrime, le sussurravo che andava tutto bene, che la comprendevo e che la perdonavo.
Piansi per tutte le volte che ero io a rassicurarla, dicendole che dopotutto non mi aveva fatto poi tanto male, nascondendole che ogni volta era più atroce della precedente poiché la mia pelle era giù ustionata dai lividi precedenti.
Piansi per tutte le volte che, a dodici anni, iniziavo a realizzare davvero ciò che mi succedesse, per versavo sul modo più giusto per dirlo a papà e mi sentivo una tremenda traditrice nei confronti della donna che mi aveva messa al mondo, perché non dovevo farlo, perché avrei dovuto continuare a nascondere tutti i lividi.
Piansi ricordando quando aveva finalmente deciso di prendere in mano le redini della situazione e iniziò a frequentare una società per gli alcolisti.
Piansi ricordando come le volte in cui perdeva il controllo e si sfogava su di me andavano scemando, via, via, fino a diventare più uniche che rare.
Piansi ricordando la felicità che avevo provato quando seppi che i miei volevano divorziare, e me ne vergognai come una ladra, ma leggevo vivida dentro di me la possibilità di vivere finalmente sola con papà, che era decisamente poco presente in casa.
Piansi ricordando quando mamma con le lacrime agli occhi mi aveva implorata di seguirla, dicendomi che senza di me niente avrebbe avuto senso - o forse perché non avrebbe avuto più una valvola di sfogo -.
E piansi, ringraziando me stessa per essere stata talmente forte da aspettare che mia madre rinvenisse del tutto, seguendola su a Milano.
Ringraziai la personalità forte che avevo messo su, che mi permise di odiare la violenza e di non riversare mai sugli altri una qualsiasi forma di violenza.
Ringraziai tutto ciò che avevo vissuto, perché mi avevano reso la persona forte che ero oggi.
Una persona che amava la vita, oltretutto.
Una persona che non aveva paura né di ieri, né di oggi, né di domani, perché mi sarei presa la vita così come sarebbe venuta, senza pretendere niente, ma prendendo sempre tutto ciò che mi veniva offerto.
E sorrisi, tra le lacrime che avevano invaso l’intero mio viso, le quali avevano sfociato all’interno della mia maglietta, perché avevo imparato a portare sottili cicatrici sul cuore, e ringraziai la natura che celava i segni che avevano abitato il mio corpo.
Perché avevo imparato che la vita era esattamente come uno specchio: ti sorrideva solo se la guardavi sorridendo.
Non c’era niente di più bello di un sorriso depositato sulle labbra, che fosse vero o che celasse del dolore, esso serviva a regalarci un altro aspetto della vita: guardare sempre il lato positivo delle cose.


Mattia’s POV
 
- Dio mio, queste londinesi sono proprio difficili da stancare - borbottò Marco mentre come un perfetto trio -più un extra- uscivamo trionfanti da uno squallido motel che fittava le stanze a ore.
Dopo un po’ di esperienze sulle londinesi era assodato: erano decisamente delle pantere, sia dentro che fuori dal letto.
Ci sapevano fare con le mani, con le bocche e.. si, c’era anche più che una sufficienza piena in orale.
- La rossa sembrava la più felina, com’è andata? - mi chiese Zanetti mentre salivamo in un taxi che si era trovato al punto giusto al momento giuro, ebbi il sospetto che parecchie persone entravano e uscivano a qualsiasi ora del giorno in quel motel: doveva essere davvero una miniera d’oro.
E, oltretutto, fui convinto che Zanetti e la Cuneo avessero indetto qualche gara per chi riuscisse a fare più scappatelle dell’altro.
- Aveva un acuto che si è esteso fino alla mia camera. Cazzo Mattì, perché le più porche scelgono sempre te? - si lamentò quello sfigato di un cameriere che si era accollato all’ultimo momento.
Certo, che faccia di cazzo, parlare delle tipe più sciacquette dopo che -sicuramente- si era scopato quella troia della Cuneo, la quale era la troietta ufficiale di Zanetti.
- Perché sono il più figo - risposi con nonchalance, con una vena umoristica nella voce, anche se la mia esclamazione era alquanto realistica.
Certo, se mi si voleva mettere a confronto uno di quei due sfigati del cameriere e Zanetti, o quel coglione di Marco, non c’era affatto paragone.
Da quel punto di vista non avevo mai avuto problemi, mi ero sempre scopato qualunque ragazza mi andasse, quando mi andasse e se mi andasse.
C’erano sempre alcune che si fingeva  finte sante, anche se poi si rivelavano talmente troie che avevano le mani come gli omini della lego.
Certo, no che mi dispiacesse, più troie erano, meno spiegazioni dovevo dare quando uscivo dai loro letti inventandomi un finto nome e un numero di cellulare che non avevo mai sentito nominare.
- Sempre molto umile te - sbottò Raimondo -Angelotti- dopo che ci aveva aspettati per tre quarti d’ora fuori dal motel, poiché nessuna gliel’aveva voluta dare, l’avevano mandato in bianco come la maggior parte delle volte.
Scrollai le spalle con non curanza, non era colpa mia se si accollava alle tipe come una sanguisughe e poco ci mancasse che le pregasse per trombarsele.
- Raga, devo farvi una domanda su una ragazza che mi interessa, che voi dovreste conoscere..- mormorò d’improvviso il cameriere.
Un sorriso vittorioso mi si disegnò sulle labbra, già immaginavo la scena: lui che chiedeva della Cuneo, Zanetti che gli rispondeva che era la sua tipa, il cameriere che affermava di essersela scopata alla grande.
Certo, magari avrei potuto dare una mano al cameriere descrivendo -non- pochi particolari sulla mia ultima notte a Londra.
Dovevo ammettere che la Cuneo la vedevo più come una ragazzina abbastanza pudica che come una troia che apriva le gambe a chiunque gli si avvicinasse, ma giustamente, l’apparenza ingannava.
- Sarebbe? - chiese Zanetti.
- Marta - sussurrò il tipo.
- Ah, la Cuneo - trillò Marco.
- Che figa - continuò Raimondo.
- E’ la mia migliore amica - finì Zanetti.
Boccheggiai in cerca d’aria proprio come un pesciolino rosso al di fuori della propria vaschetta con l’acqua.
Frizzante, minerale o salata, avevo bisogno di acqua, all’istante!
Quindi se lei non stava con Zanetti, era davvero single.
E se era davvero single,  le avevo dato della puttana senza un motivo.
Forse avevo leggermente sbagliato ad etichettarla con un aggettivo poco elegante senza che ne avessi realmente diritto.
- Mi piace - trillò pavoneggiandosi, come se avesse appena vinto un premio alla lotteria.
Diciamo che l’idea di una Cuneo single, mi allettava e non poco.
Di amiche di letto ne avevo una rubrica piena, tutte aprivano i battenti come se gli avessi chiesto di darmi un bicchiere d’acqua, ma come lo facevano con me, lo facevano con altri 322 scazzoni.
Tuttavia, non mi sarebbe dispiaciuto marcare i territori circostante alla Cuneo, per far in modo che fosse un’esclusiva limitata al sottoscritto e non che altri sottosviluppati alloggiassero tra le sue gambe.
- Prova a falla soffrire e ti castro con le mie stesse mani, inglesino - mise in chiaro Zanetti.
Avrei preferito una versione che somigliasse più a ‘stai alla larga dalla sua figa se non vuoi ritrovarti senza palle’, ma andava bene anche quella.
L’idea che qualcuno potesse entrare nel suo letto come io avevo fatto una settimana prima, c’era da ammettere che mi dava al cazzo, più che altro perché la Cuneo era una preda che mi stavo lavorando per bene e non volevo che un coglione uscisse d’improvviso a scassare il cazzo.
- Ma se non mi lascia neanche avvicinare. Ho provato a baciarla e mi ha sviato senza ritegno, se avessi allungato le mani, secondo me, mi avrebbe privato dei gioielli di famiglia - sbottò senza ritegno.
Me ne sentii stranamente soddisfatto, due piccioni con una fava: non era né la ragazza di Zanetti, né si era lasciata toccare dal cameriere.
Quindi, se i miei calcoli fossero giusti e il mio sesto senso non mi tradisse, ero stato io l’ultimo con cui avesse avuto un rapporto.
Qualcosa mi diceva che avrei fatto in modo che fossi l’ultimo che l’avesse toccata per un piccolo periodo di tempo, finché non mi fossi stancato dei suoi cambi d’umore improvvisi e l’avrei lasciata ad un fatidico sostituto che avrebbe sicuramente sfigurato dopo che la Cuneo avesse fatto esercizio fisico con me.
 Il giorno successivo mi sarei rimboccato le maniche e con qualche studiata tattica da ruffiano le avrei fatto dimenticare il simpatico complimento che le avevo addetto senza molte precauzioni e le avrei fatto vedere le stelle in pieno giorno.
Oh si.
- Guarda che Marta non è una delle tante sciacquette che conosci, stai sicuro che non la da al primo che passa, quindi, rinunciaci - sbottò Zanetti con una strana vena -poco- umoristica nella frase, quasi ne fosse.. geloso.
L’amicizia tra ragazzo e ragazza non l’avevo capito, certo, anch’io avevo amiche, amiche da letto, ma sempre amiche erano, ed erano anche molto fedeli.
Se le chiamavi per una scopata, c’erano.
Se ti chiamavano per una scopata, c’eri.
Secondo il mio umile giudizio, questo si che era un vero sentimento di fratellanza, poiché una scopata al giorno levava il medico di torno.
Io dovevo essere -decisamente- immortale.
- Secondo me è una pudica verginella - sbottò il cameriere.
Fidati amico, non è vergine neanche di segno zodiacale.
E, dopotutto, dare voce ai miei pensieri non sarebbe stato poi tanto sbagliato, altroché, avrei levato un dubbio allo sfigato.
- Non preoccuparti, amico, non è vergine - parlai con sicurezza.
- Come fai a saperlo? - mi chiese Zanetti sgranando gli occhi.
Perché so che colore sono le lenzuola del suo letto, perché so della piccola voglia che ha nell’inguine a destra, perché so ripeterti il suo acuto, e perché credo di averla scoperta tanto a fondo come nessuno prima di me.
Ero sicuro del fatto che -ciò che le avevo fatto io- fosse un’esperienza nuova.
 - Diciamo che me ne sono occupato io stesso, ho verificato, non era vergine. E pure se lo fosse stata, stai sicuro che dopo la notte scorsa, di vergine non le è rimasto neanche il segno zodiacale- mormorai scrollando le spalle.
Il tempo che assorbissero tutti ciò che avevo detto e mi trovai quattro paia di occhi strabuzzati, puntati in mia direzione.
Lessi qualcosa negli occhi di tutti, era evidente.
Marco: orgoglio -nei miei confronti-.
Raimondo: invidia -gliel’avrebbe data una botta alla Cuneo-.
Il cameriere: sbigottimento -non se l’aspettava-
Zanetti: gelosia -altro che migliore amica-.


Marta’s POV
 
Dopo quella sera, feci il possibile per evitare il più possibile Mattia.
Se lo vedevo a venti metri da me, preferivo cambiare strada anziché dargli la soddisfazione di non salutarlo.
Durante le visite turistiche per Londra, se lui andava con il suo branco di animali fedeli al secondo piano del pullman, io restato al primo e viceversa, se lui restava al primo, io salivo al secondo.
A pranzo mangiavamo distanti di dieci posti seduti al tavolo e la stessa cosa valeva per la cena.
Ma, ciò che più odiavo, era il fatto che avessimo in comune il bagno -io e Giorgia- con quello stronzo di Morici e quel coglione di Facini, quindi, se mai avessi dovuto andare in bagno, mi sarei assicurata prima che non ci fosse traccia di nessuno dei due.
Questo andò avanti per tre giorni finché, il pomeriggio del terzo giorno, qualcosa non andò secondo i miei piani..
- Marta, tu non vieni a vedere il Big Ben? - mi chiese Giorgia mentre l’intero pullman si svuotava.
- No, non mi va - le risposi, mentre il piano superiore del veicolo ci lasciava sole.
Giorgia fece un segno si assenso e si dileguò anch’essa per le scale, mettendo piede nella grande Londra.
Vidi parecchie teste -vuote- scomparire, al di là del vetro sottile dell’autobus, tutti erano rifugiati al di sotto di ombrelli neri, poiché eravamo nel bel mezzo di un temporale.
Sentii alcuni passi risuonare sulla stoffa che ricopriva il pavimento, probabilmente, di ferro.
- Ti hanno lasciata tutta sola? - sperai con tutta me stessa che non fosse la sua voce, anche se l’avrei riconosciuta tra gli ululati acuti di lupi mannari.
Sgranai gli occhi non appena anche il suo volto fece capolino dal piano inferiore, e fui sicura che il mio cuore si fosse dimenticato di dover scandire dei battiti cardiaci per qualche secondo.
Lo squadrai con un’occhiata che doveva essere un misto tra sorpresa e disgusto.
Lo vidi avanzare con passi disperatamente lenti in mia direzione, senza mai staccare il contatto visivo e, poter annegare di nuovo in quel verde smeraldo fuso, fu come tornare a casa dopo una lunga assenza.
- Volevo restare da sola, quindi, puoi andartene? - domandai con una vena umoristica nel tono della voce, e forse, la sibilai anche in un modo isterico.
La parte più razionale di me, avrebbe voluto alzarsi, andargli in contro, prendergli il volto tra le mani e assegnargli un calcio nei gioielli di famiglia, per poi farlo diventare femmina, con un unico e semplice gesto.
La parte più irrazionale, era vietata ai minori di diciotto anni.
- Credo che la mia compagnia non di dispiaccia affatto - borbottò facendo schioccare la lingua contro il palato.
Quel gesto mi aveva sempre fatto incazzare più del normale, ma visto ora, fatto da lui, soli in un autobus, dopo una settimana che non lo toccavo, era qualcosa ad alto tasso erotico, da bollino rosso.
Lo vidi accostarsi al sedile di fronte al mio e vi si accomodò, senza molte cerimonie, assumendo in volto un’espressione da cane bastonato, e, se non l’avessi conosciuto, avrei detto che in lui ci fosse un minimo di umanità o un briciolo di cuore.
- Stai sbagliando, mi dispiace e come la tua compagnia - mormorai fissando il colore intenso delle sue iridi e mi meravigliai di me stessa e del tono fermo e preciso con la quale era fuoriuscita quella frase.
A stare con i bugiardi, stavo diventando una buona bugiarda.
Vidi le sue labbra aprirsi in un -poco- adorabile ghigno, il quale mi incitava a cacciarlo via a suon di calci.
- Guardami negli occhi e dimmi che non vuoi che io ti tocchi - sussurrò tracciando una serie di cerchi immaginari sul dorso della mia mano destra.
Sembrava così diverso il suo sguardo in quel momento, come se fosse stato una tigre improvvisamente trasformatosi in un docile gatto.
Il suo sguardo non traspariva strafottenza o quant’altro, ma era quasi uno sguardo.. dolce.
Era strano come il ricordo dell’aggettivo che mi aveva attribuito poche sere prima, fosse sparito così all’improvviso, come dileguatosi per paura delle ritorsioni che avrebbe avuto la mia povera sanità mentale se avessi respinto Mattia così, su due piedi.
- Io…- e la voce mi morì in gola, codarda ed egoista.
Fu come se le corde vocali prendessero ad intrecciarsi, per poi stringersi talmente forte tra di loro da farmi male anche solo il pensiero di poter emettere un singolo suono con la voce.
Ormai era assodato: anche la natura era completamente contro di me.
Perché noi avevamo tradito la natura, durante la notte.
Diventai -sicuramente- paonazza quando il ricordo di quella notte, il quale si era stabilito ufficialmente nei miei ricordi peggiori/migliori, anche se ancora non avevo stabilito in quale delle due categorie si trovasse, mi passò per l’anticamera del cervello animando gli spiri bollenti.
- Mi vuoi, e lo sai anche tu - sussurrò mentre accompagnava la zip della mia felpa in una rapida discesa, e, quando abbassai gli occhi e vidi il push up nero, ringraziai mentalmente Giorgia per avermi costretta ad indossarlo.
“Devi fargli bruciare il cervello dall’eccitazione, a quel brutto coglione di uno strafigo” mi aveva gridato quando, dopo una crisi di nervi, ero in uno stato di pigiama-coppa di gelato.
Quando le sue labbra raggiunsero la pelle sensibile del mio collo, fu come se la mia luna e il mio sole interiore si incontrassero, e si fungessero, per creare una nuova e disarmante ‘cosa’ indefinita.
Vista la situazione oggettivamente, era facile giudicarmi e gridarmi della poco di buono, per la mia poca forza di volontà, ma comunque andassero le cose, non sarei mai riuscita a resistere ad uno dei suoi attacchi, poiché soggettivamente, mi regalava un viaggio di sola andata per un’isoletta sperduta su chissà quale lato del Mediterraneo.
Avvertii le sue dita sganciare il gancetto del mio reggiseno, e spostare all’insù la coppa destra, per poi dare inizio una dolorosa/piacevole tortura che si sfogava tramite la fitta nel basso ventre.
Rabbrividii sotto di lui quando avvertii la sua saliva fare capolino sul capezzolo -non avrei saputo definire se fosse il desto o il sinistro- e, mi sentii venir meno quando lo strinse tra i denti.
- Dillo - mormorò con voce roca mentre mi lasciava un morso sulla spalla destra, dopo esservi risalito con una scia di baci - dimmi che mi vuoi - sussurrò sulle mie labbra, ad un millimetro dal congiungere la mia bocca con la sua.
Sarebbe stato stupido nascondere a me stessa quanto lo volessi con tutte le mie forze, quanto stupida e masochista fossi.
Non potevo nascondere a me stessa quanto lo desiderassi su di me, con me, in me.
Aveva lasciato un vuoto in me quella notte, dopo avermi lasciata vuota, che inconsciamente stavo bramando con tutta me stessa la possibilità di poter essere unita di nuovo da un incastro perfetto a lui.
- Mai - sospirai appoggiando una mano dietro la sua nuca, e intrappolai le sue labbra in un incastro perfetto con le mie, il quale fu distrutto solo dalla mia lingua -che frenetica- non vedeva l’ora di divorare la sua.
E non tardò a trovarla.
E non tardarono ad unirsi.
M’importava poco e niente del fatto che fossi quasi del tutto nuda -dal momento che stava trafficando con i miei jeans- che da un momento all’altro sarebbe stato abitato dai miei compagni di scuola.
Per quanto squallido fosse, noi eravamo quei due coglioni: due corpi, due animi, un errore.
- Non fare la bambina - ribadì mentre la sua mano stava oltrepassando il bordo degli slip.
E ringraziai Dio di aver indossato un paio di slip in sintonia con il reggiseno, anche se avrei scommesso sul fatto che desiderasse più togliere quel pezzo di intimo, che guardarlo.
- Tu mi vuoi, vedi? Lo sento - mormorò penetrandomi intimamente con indice e medio.
Lui sentiva fisicamente quanto lo volessi, fortunatamente.
Io sentivo moralmente quanto lo volessi, sfortunatamente.
Ripassai il calendario di tutti i santi e li ringraziai, poiché avevano dotato l’autobus di tende scure, in modo che dall’esterno non si vedesse l’interno.
Ma, tuttavia, divennero un pensiero molto lontano sia le tende, che i sedili, l’autobus, Londra: il mondo.
Il ritmo frenetico del suo giocare con me, in basso, mi stava mandando letteralmente i neuroni a puttane, senza giri di parole.
Soffocai un gemito sulla sua bocca, provocandone uno a lui non appena intrappolai il suo labbro tra i miei denti.
Lo volevo? Senza ombra di dubbio.
Glielo avrei rivelato? Certo che no.
Mi staccai dalle sue labbra bisognosa di aria, ma fu un grosso errore poiché usò di nuovo quelle sue labbra -maledettamente- perfette -e buone- per parlare.
- Lo sappiamo entrambi che stai morendo dalla voglia di sentirmi dentro di te, di nuovo. Vedi, non si sente solo qui - sussurrò direttamente al mio lobo, spingendo più bramoso le sue dita in me e lo venerai mentalmente, per essere dotato anche di dita fottutamente lunghe.
- Ma si sente anche qui - finì la frase appoggiando il palmo sul mio petto oramai privo di vestiti, a livello con il cuore.
Scoprii la verità delle sue parole quando fece pressione sul mio cuore e avvertii il cuore pompare sangue all’impazzata, privo di un autocontrollo.
E, quando abbandonò le mie labbra per dedicarsi al seno, e quando iniziai ad odiare con tutta me stessa quell’eccessiva dose di preliminari..
Un rumore metallico di porte che si spalancavano fece scoppiare la nostra bolla di passione, riportandoci cruentamente alla realtà.
E ci fissammo negli occhi.
E mi sentii venir meno.
Quell’espressione sinceramente scocciata, quei suoi occhi che trapelavano eccitazione -come i jeans- mi fecero sentir sollevata.
Quel verde che giaceva nei suoi occhi, brillava più di mille tesori messi insieme, perché ogni cosa in lui, non l’avrei mai cambiata.
Era stronzo, poiché infondo, l’essere stronzo costituiva Mattia Morici.

 



* * *

SPAZIO AUTRICE


Si dice che l'attesa aumenta il desiderio, e quindi, rieccomi qui con un insulso capitolo poco leggibile.
La scuola mi distrugge, siamo a fine trimestre e la situazione è critica.
Giustamente, questi due coglioni riescono sempre a strapparmi un sorriso.
Per quanto riguarda l'autobus: mantenete la calma, sono al secondo piano, le porte sono solo un avvertimento.
Nessun atto osceno in luogo pubblico (o almeno, non ancora).
Alla prossima, 
Elvy. 

Ps: ho scritto uno schifoso POV secondo Mattia, mi merito qualche recensione, dddai.

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Capitolo 14
*** Vincere o perdere? ***





Capitolo 13: vincere o perdere?



 

Riepilogando la situazione: il reggiseno era sganciato, lasciandomi il seno destro scoperto e ricoperto di saliva, la felpa completamente aperta, la zip dei jeans tirata giù ed una mano tra le gambe che non era affatto la mia.
Pregai Dio di far scorrere quei pochi secondi il più lentamente possibile, poiché, se ci avessero trovati così, dopo averci spedito a casa con un biglietto di sola andata, ci avrebbero rinchiuso in un carcere minorile e avrebbero gettato le chiavi.
Ok, forse stavo girovagando leggermente con la fantasia e, al massimo, qualcuno si sarebbe solo chiesto cosa avessimo fatto due anime innocenti come me e Morici in un quarto d'ora, soli soletti, in un autobus, buio, caldo.. 
E BASTA!
- Copriti, svelta - e sembrò che nella sua voce ci fosse un pizzico di possessività.
Il mio dubbio fu confermato quando, dopo essersi sistemato alla meglio -anche se la sua voglia di me era evidente- rimase ad attendere che avessi sistemato il reggiseno e -senza abbottonarlo- tirai su la zip della felpa e la stessa cosa feci per i jeans.
Eravamo entrambi abbastanza guardabili, anche se i battiti frenetici del mio cuore si sarebbero avvertiti anche con metri di distanza, peccato che non li potessi controllare, altrimenti sarebbero stati un quarto di ciò che erano.
Vidi Mattia passarsi una mano tra i capelli mentre guardava -frustato- il mio corpo ormai oscuratosi alla sua visuale. 
Il verde dei suoi occhi sembrava quasi liquido, come se si fosse sciolto per renderlo più caldo, meno duro, privo di quella corazza da stronzo patentato, anche se ero pienamente convinta del fatto che lui era sempre lui: più stronzo, meno umano.
Sentivo le labbra pulsare per gli insistenti baci che ci eravamo scambiati e quando vidi il suo capo abbassarsi verso di me e le sue labbra posarsi sulle mie per un leggero sfioramento di labbra, un bacio a fior di labbra, mandò a puttane ogni mio buon proposito di etichettarlo come uno sfigato, poco dotato, sgradevole compagno di sventure.
Capii che ci sarebbe voluto un vocabolario di contrari.
Nonostante le sue labbra esitarono solo mezzo secondo o poco più, mi parve un'eternità e per quanto volessi approfondire quel contatto, si staccò prima che potessi anche solo lasciar intenderglielo.
Mi sembrò stupido avere il batticuore per un comunissimo bacio a stampo, ma mi resi conto che era proprio quello ciò che mi aveva spiazzato: il gesto comune che aveva compiuto, senza malizia, senza scopi -forse-.
Percepii i passi dei miei amici -li avrei uccisi uno ad uno, tempo al tempo- farsi sempre più vicini e quanto l'eco dei loro passi cessò, lì misi a fuoco: chiacchieravano liberamente e neanche si accorsero di noi due, seduti talmente distanti che era evidente che ci fosse una motivazione, e, di fatto, appena Facini gli fu vicino, gridò un - eeeeeeeh - 
Mattia era seduto alcune file più avanti e, quando per sbaglio mi incantai a fissare il suo profilo, notai il leggero gonfiore delle sue labbra, soprattutto su quello superiore e me ne compiacqui: gliel'avevo causato io.
- Dimmi che non ci avete dato dentro sul mio sedile - sibilò disgustata Giorgia quando fu abbastanza vicina ma, nonostante non fosse successo -quasi- niente, arrossii violentemente e mi morsi il labbro.
- Non ci abbiamo affatto dato dentro - risposi velenosa
- Vuoi dirmi che siete stati da soli quasi venti minuti e non avete fatto niente? - non sapevo se la sua espressione fosse più disgustata, risollevata, meravigliata, sconvolta o forse, effettivamente, solo la faccia di Gio.
- Quasi niente - risposi mentre sicuramente diventavo paonazza.
- Quel quasi mi preoccupa - poi sembrò pensarci su e.. - oddio Marta, oddio, oddio, oddio, se solo l'avessi saputo mi sarei fatta venir in mente qualche cazzata per trattenere tutti giù, almeno il tempo di concludere.. anche se non mi hai ancora informata sui tempi di durata - se prima ero rossa dalla vergogna, ora ero sicuramente un colore più vicino al viola.
Se magari si fossero perduti per qualche affollata stradina londinese non ci saremmo certo offesi, ma i tempi non dovevano essere affatto brevi, Mattia poteva contare sia sulle grandi doti, sia sulla durata.
- Non c'è niente da dire, siamo rimasti ai preliminari - sbottai come se fosse la cosa più naturale al mondo.
La parola preliminari sminuiva di gran lunga la scarica di brividi che aveva invaso il mio corpo, sottomettendo quel povero stupido del mio cervello, però, mi sembrava giusto chiamare le cose con il proprio nome, altrimenti se avessi usato altri termini, avrei dato una spiegazione dettagliata vietata ai minori di diciotto anni. 
- E tu non gli hai dato una mano? - domandò con un evidente doppio senso.
- Non ne ho avuto tempo - 
- Ma scommetto che lui di tempo per far impazzire te ne ha avuto abbastanza...- scherzò strizzandomi l'occhio.
Le assegnai una vigorosa gomitata nelle costole, anche se le avessi voluto far un graffio non ci sarei mai riuscita per la scarsa forza fisica che presentavo, presentavo anche poca resistenza -o almeno dipendeva dai casi-.
E riflettendo, si, aveva decisamente messo a zittire qualsiasi mio neurone attivo, dandogli altro su cui concentrarsi.
Restar lucida mentre subivo le sue carezze era davvero una missione impossibile, non avevo niente da ridire sul suo metodo esperto di toccare, sapeva quando aumentare il ritmo, quando diminuire, sapeva come toccare e quando farlo, ma soprattutto, sapeva cosa toccare; stavo rischiando di venire con il solo ricordo di ciò che aveva tenuto a bada i miei ormoni pochi minuti prima, anche se avrei voluto sentire altro al posto delle sue carezze.
- Un po'...- sussurrai riemergendo dai miei ricordi di un passato immediato quando avvertii la vibrazione del cellulare.
Nuovo messaggio in arrivo +39 39499945. 
* A mezzanotte in camera mia, tnt x riprendere da dv abbiamo lasciato ;)
Anche se era un numero a me sconosciuto, anche se non mostrava neanche la minima traccia di un emittente conosciuto, fui sicura su chi fosse quest'ultimo e un misto tra eccitazione-panico si impossessò del mio povero cuore.
- Chi è? - domandò Giorgia, la quale ovviamente non aveva minima intenzione di farsi gli affaracci suoi e campare quei benedetti cento anni che le erano impossibili, dal momento in cui sapeva più cose degli altri di quanto loro stessi ne sapessero.
- Nessuno - sibilai ritraendo al petto il cellulare.
Selezionai il nome e poi salvai il numero, non so perché, con i vari passaggi che comprendevano: 
Opzioni. Salva in rubrica. Aggiungi una nuova voce. Sim. M. +39 39499945. 
* E ki ti dice ke io voglia continuare? 
Anche se era palese grazie al mio modo vergognoso di ansimare, non avrei mai ammesso quanto profondo fosse il mio bisogno del suo corpo, delle sue labbra, delle sue doti
La sua risposta non tardò ad arrivare e me ne sentii soddisfatta, era arrivato al punto di sprecare soldi per me.
* Xké mi vuoi, ammettilo
* Nn c'è niente da ammettere, piuttosto, tocca a te ammettere ke mi vuoi ;D
* Scommetto ke riuscirò a farti ammettere ke mi vuoi, al costo di farti gridare per un'intera nottata
* Nn scommettere sulle tue doti, falliresti.
* Nn ci conterei
* Io scommetto che riuscirò a farti dire che mi vuoi: entro 12h
* E se non ci riesci?
* Farò qualsiasi cosa tu voglia, ma se vinco, tu farai qualsiasi cosa io voglia
* Affare fatto
Un batticuore frenetico e scatenato prese vita all'interno del mio cuore.
Sentii una risata trattenuta da parte di Giorgia e solo allora mi resi conto della mia espressione terrorizzata.
- Ti aiuterò io a vincere - e allora capii anche che la mia migliore amica aveva letto tutti i miei messaggi.
Le idee di Gio mi avevano sempre fatto paura, poiché lei era un tipo da minigonna e tacchi a spillo, mentre io da jeans e Adidas, ma in quel momento solo lei avrebbe potuto trarmi in salvo, a qualsiasi costo.
Se per lei essere normali significava svestirsi, il mio abbigliamento sarebbe stato vicino all'abbigliamento per la prostituzione.

 
Bussai alla porta dopo essermi fermata un attimo prima del farlo circa ventisette volte.
Era la situazione anormale, eravamo io e lui incompatibili e Londra a farci da spettatore, tutto ciò rendeva quel momento stranamente attraente, ma non potevo evitar di pensare a quanto fosse sbagliato andare con lui.
La porta si aprì dopo troppo poco tempo e la visione che mi si parò davanti agli occhi eliminò anche la più piccola possibilità di farmi scappare a gambe levate, fottuto autocontrollo, avrei dovuto rafforzarlo. 
I suoi capelli bagnati sgocciolavano acqua da ogni ciuffo di capelli e quelle maledette goccioline andavano a cadere proprio sulle sue labbra carnose e rosee, rendendole ancora più invitanti mentre ne disegnavano il contorno soffice.
Dopo aver lasciato una scia peccaminosa, una goccia andò a scivolare perfettamente al centro del suo petto, disegnando il profilo scolpito del suo torace, e andò a morire sull'elastico dei pantaloni neri della tuta.
Mandai giù un groppo di saliva, prima che mi cadesse la bava.
- Allora, mi fai entrare? - chiesi avvampando quando mi resi conto che neanche lui si stava perdendo nessun particolare del mio abbigliamento e mi sentii soddisfatta del suo sorriso soddisfatto.
Indossavo un pantaloncino che arrivava a metà coscia mentre le gambe erano coperte da un paio di calze autoreggenti.
Al di sopra, portavo un pullover, il quale possedeva un'abbondante scollatura morbida, non esagerata, o almeno, così aveva cercato di convincermi Giorgia dopo le mie amplificate problematiche. 
Diventai paonazza quando lo vidi indugiare più del dovuto tra la scollatura e un ghigno soddisfatto gli si dipinse in volto quando studiò la mia espressione quasi.. indifesa.
- Entra pure - rispose togliendosi dall'entrata, affiancandosi alla porta.
Ed ero ufficialmente nella tana del lupo e, al contrario di un povero agnellino indifeso, non avevo intenzione di uscirne tanto in fretta, avrei vinto e poi, mi sarei goduta la vittoria per tutta la notte.
Quando avvertii il cigolio della porta che si chiudeva, capii che in quel momento non sarei voluta essere in nessun altro posto.
- Vedo che alla fine non hai resistito...- ghignò soddisfatto, mentre notavo che la stanza era completamente buia, eccetto per una piccola lampada sul comodino che emanava una leggera luce soffusa.
- Ho una scommessa da vincere - risposi strizzandogli l'occhio destro.
- Mi piace questo tuo aspetto così sicuro di te - sussurrò avvicinandosi a me e sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi mentre mi stringeva in un abbraccio da dietro e così il suo corpo fu completamente a contatto con il mio.
- Ti piace solo il mio aspetto sicuro? - mormorai maliziosa.
Se voleva giocare, questa notte non mi sarei affatto tirata indietro, anch'io avevo i miei assi nella manica e al costo di vincere una fottuta scommessa avrei fatto qualsiasi cosa, ed era proprio quel qualsiasi cosa a farmi paura.
- No - sussurrò lasciandomi un bacio dietro al lobo.
- Mi piace anche il tuo aspetto timido - sussurrò accarezzandomi la guancia destra.
- Quello acido - sussurrò facendo scendere una spalla del pullover, lasciandomi nuda la spalla destra.
- E quello eccitante - terminò baciandomi il collo, per poi scendere lungo l'intera spalla e fremetti quando la scia calda di saliva iniziò a marchiarmi la pelle, punto per punto, fino a che non finì quella sua dolce tortura con un morso nella spalla.
Se proprio volevo vincere quella scommessa, dovevo essere io a prendere in mano le redini della situazione anche se mi piaceva star ai suoi giochetti, lasciar che fosse lui a portar avanti la situazione, ma questa volta sarebbe andata in modo diverso, almeno finché non sarei riuscita a fargli ammettere che mi volesse.
Mi rigirai tra le sue braccia, fin quando il mio petto non fu a stretto contatto con il suo petto -nudo-.
Gli posai una mano sulla nuca e lo avvinai a me, grazie alle scarpe con il tacco 15 non ci fu neanche bisogno di alzarmi.
Appoggiai le mie labbra sulle sue, già schiuse, e non tardarono ad unirsi, come la sua lingua non tardò a trovare la mia e stringerla con forza e possessione, come se la volesse domare, con la stessa intensità con la quale mi stava tenendo i fianchi.
Avvolsi entrambe le braccia intorno al suo collo e gli infilai le dita tra i capelli, saggiandone la sofficità alla quale ero abituata e neanche l'acqua riusciva a nascondere la morbidezza dei suoi capelli e il profumo del suo shampoo -quel profumo così suo- era così presente in quella stanza che mi sembrò di esserne avvolta.
Mi spinse verso il letto, lasciando che vi ricadessi con poca delicatezza e mi schiacciò sotto il peso del suo corpo.
Nella stanza erano udibili solo gli schiocchi causati dalle nostre lingue e il calore diventava sempre più intenso, mentre la passione era sempre più palpabile, andando avanti così avrei mandato a farsi fottere ogni mio buon proposito.
Lo fermai quando capii che stava per iniziar a giocare in modo sporco, un gioco che mi avrebbe fatto toccare il paradiso con un dito dopo avermi tolto anche l'ultimo briciolo di lucidità, in poche parole, una via dritta verso l'orgasmo. 
Mi divincolai dal suo corpo e mi issai in piedi, non distante dal letto sotto il suo sguardo perplesso e stupito.
- Che cazzo fai? - sbottò infastidito, schioccando la lingua contro il palato.
In un altro momento quel suo tono strafottente e poco fine mi avrebbe fatta incazzare, magari lo avrei anche appeso, ma non so per quale strano motivo al mondo decisi di dargliela vinta, non contraddendolo.
- Ora vedrai - sussurrai suadente.
Stavo delirando poiché neanche io sapevo cosa avessi intenzione di fare, o almeno, lo sapevo ma avevo paura ad ammetterlo.
Cos'ero? Demente, forsennata, alienata, psicopatica, squilibrata, folle, e chi più ne ha più ne metta.
Volevo vincere quella cazzo di scommessa, non solo perché avrei potuto costringerlo a fare qualunque cosa, ma perché ne andava del mio orgoglio, perché ero consapevole che volente o no, sarebbe riuscito a farmi dire che lo desideravo, magari tralasciando il fatto che lo desiderassi con tutta me stessa, e, quindi, dovevo riuscir a farglielo dire prima io.
Iniziai a sbottonare tutti i bottoncini del pullover, sotto lo sguardo incuriosito di Mattia, il quale aveva inarcato il sopracciglio assumendo un'espressione per la quale si sarebbe meritato uno stupro.
Uno alla volta, con una calma snervante e il tremolio alle mani non mi aiutava affatto. 
Decisi che non fissarlo sarebbe stato davvero utile, poiché percepivo il suo sguardo vivo sul mio corpo, mentre lasciavo che la mia pelle si esponesse nuda al suo cospetto, mentre la lana scendeva via dalle mie spalle, lasciando in bella mostra il reggiseno nuovo di zecca che avevo comprato per uno stupido gioco, convinta che non l'avrei mai indossato.
Mi legai i capelli in una coda, sia per rendere più agili i miei movimenti che venivano ostacolati dalla loro lunghezza, sia per rendere più esposta i lembi della mia pelle privi di copertura e, Mattia, sembrò apprezzare quel gesto.
Mi sentivo sexy come un elefante al circo o fine come un ippopotamo in una cristalliera, eppure, quel suo sguardo fuso ed eccitato che sembrava voler accarezzare le mie forme con il contatto visivo, mi incitò -silenziosamente- a continuare.
Portai le mani alla lampo dei pantaloncini e, dopo averli sbottonati, la tirai giù.
Afferrai i bordi della stoffa di jeans e li accompagnai lungo le cosce, lasciandoli scendere da soli lungo le ginocchia e, quando toccarono il pavimento, ne estrassi i piedi e mi spostai di qualche centimetri, adagiandomi precisamente di fronte al letto sul quale c'era seduto quell'ipocrita ricattatore che mi stava facendo eccitare senza ritegno con il semplice modo di guardarmi. 
- Cazzo, Marta - mormorò ingoiando un magone di saliva.
Dio mio, perfino il modo in cui il suo pomo d'adamo si era abbassato era tremendamente eccitante, anzi no, non lo era affatto, era il mio cervello ad aver completamente perso i contatti con il suo vecchio amico chiamato buon senso.
- Allora, Mattia - per quanto mi sembrasse ridicolo tutto ciò che stavo facendo, sembrava stessi sortendo dei risultati migliori di quanto avessi mai sperato. - Mi vuoi? - sussurrai.
- Non se tu non vuoi me - 
Anche se negava, era evidente la voglia che aveva di me, poiché la zip dei jeans gli sarebbe esplosa da un momento all'altro.
Lui aveva sempre giocato sporco con me, sapeva come farmi impazzire, sapeva come giocare con la mia parte più nascosta, sapeva come esasperarmi con i movimenti deboli o come farmi impazzire con i movimenti veloci, forti.
Magari stare davanti a lui, con indosso solo con reggiseno, slip, calze autoreggenti e tacchi non era abbastanza.
Prima che potessi farmi assalire dal mio lato pudico, portai una mano dietro la schiena e slacciai il reggiseno, sentendo immediatamente la presa allentarsi e le spalline abbassarsi da sole. 
Lasciai che anche quell'ultima barriera si dileguasse dal mio corpo e si schiantò al suolo, privo di vita.
Se prima sentivo presente il suo sguardo su di me, ora lo sentivo quasi palpabile, come se fossero presenti le sue mani sul mio corpo e, sicuramente, era solo un'immaginazione della mia contorta fantasia, scaturita dal mio eccessivo bisogno di lui.
Le sue mani su di me, le sue labbra con me, lui in me. 
La vergogna stava avendo la meglio e no, non potevo e non dovevo permetterlo.
- Guarda che se non mi vuoi, non ci perdo niente ad andarmene - e mi tremò la voce alla fine della frase.
Sarebbe stata un'esagerata umiliazione se mi avesse mandata via e mi sentivo decisamente troppo esposta, non solo perché ero mezza nuda, ma esposta anche sentimentalmente: lui mi piaceva, mi piaceva l'odore della sua pelle, la morbidezza del suo corpo, la sofficità dei suoi capelli, il colore dei suoi occhi e la carnosità delle sue labbra.
Una manciata di secondi passò e solo il rumore del mio respiro nervoso incombeva nella camera, un'ondata di vergogna mi travolse, era chiaro: non mi voleva. 
Lui voleva una scopata cazzo, non voleva me.
Lui voleva il mio corpo, lui voleva un orgasmo, lui voleva una botta e via.
Mi avvicinai al letto per raccogliere i pantaloncini e, magari, raccogliere anche un po' di dignità, ma avvertii il tocco caldo di una mano che si posava sul mio polso, quasi con bisogno di quel contatto.
Mi rigirò tra le sue braccia e, non so come, non potetti protestare poiché mi ritrovai con le labbra piuttosto impegnata.
Mi poggiò che delicatezza sul letto, facendo attenzione a non pesarmi e scese a baciarmi il collo con le labbra, scendendo sempre più giù, fin quando sospirò una volta arrivato al mio seno, il quale leccò e baciò senza velocità nei movimenti, con una naturalezza stravolgente e con una lentezza snervante; sembrava proprio che lo stesse assaporando.
Capii che me la volesse far pagare per quel mio lento modo di mettermi a nudo davanti ai suoi occhi, permettendogli di guardarmi senza toccarmi, quando arrivò a spingere il suo bacino contro il mio, entrambi coperti da stoffa.
- Mattia..- gemetti vergognosamente, ansimando il suo nome con voce orgasmica.
Mi sfilai velocemente quelle trappole mortali che portavo ai piedi, quando si alzò per sfilarsi i pantaloni della tuta.
Tornò su di me, ma si soffermò sul mio bacino, afferrando i bordi degli slip e li accompagnò in una discesa lenta, afferrando anche i bordi delle autoreggenti e lasciò cadere tutto sul pavimento, lasciandomi completamente nuda, esposta ai suoi occhi.
Stufa dei suoi giochi di seduzione, liberai anche lui dall'ultimo pezzo di stoffa.
- Mi vuoi Marta, dillo..- sussurrò iniziando delle tortuose carezze in basso.
Voleva marcare il territorio, voleva vedere se io fossi pronta, e lo ero: ero pronta per lui, per lui in me.
- Otto parole, è semplice - sibilò al mio orecchio mentre la sua punta strisciò tra le mie labbra.
- Ti voglio - e credetti di urlarle quelle parole, poiché furono accompagnate da una veemente spinta in me, grazie alla quale fu completamente immerso in me, creando un unico corpo.
Lo sentii sorridere contro la mia guancia mentre le danze avevano inizio. 
- Dio, non sai cosa ti farei -
- Cosa? - risposi con voce roca.
- Ti torturerei. Spingerei in te fino a portarti ad un passo dal farti venire e, quando saresti vicina, mi fermerei, lasciandoti ad una lenta e dolce tortura - non capii neanche come riuscisse a parlare, poiché ad un passo dall'orgasmo già c'ero.
Inarcai la schiena, non replicando a quella sua affermazione, se prima lo volevo da impazzire, ora lo desideravo talmente tanto da star male e averglielo rivelato così -per quanto sporco fosse stato il suo gioco- mi aveva liberata, in un certo senso.
Non c'era fretta nei nostri movimenti, anche se il bisogno che avevo di lui non si placava, anzi, aumentava ad ogni spinta, ad ogni sospiro, ad ogni bacio, proprio come se non ne avessi mai abbastanza, perché ingorda ne volevo sempre di più.
Percepii i battiti frenetici del cuore, sentii il respiro mozzarsi e fu così: in un letto che sapeva di lui, con un ragazzo che sapeva di buono, in una camera che vedevo per la prima volta, che raggiunsi l'orgasmo più intenso della mia breve vita.
Lui mi seguì subito dopo, mentre il suo corpo si accasciava sul mio e i suoi capelli sudati si modellavano sul mio petto.
Dopo aver -entrambi- fatto uso del bagno, questa volta fu lui ad ospitarmi tra le sue braccia, mentre ancora tremavo, ancora scossa dell'intenso modo di venire e mi sentii protetta tra braccia forti e calde, e come se fosse la cosa più ovvia e giusta del mondo, mi accoccolai al suo petto mentre con le punte delle dita disegnavo cerchi immaginari al di sopra del suo cuore.
- Ti volevo anch'io, da impazzire - sentii mormorare, ma fu sicuramente una mia immaginazione post-orgasmo mischiata al profondo sonno che mi stava tirando verso il buio. 
 

 


* * *
SPAZIO AUTRICE

 
E dopo notti intere passate a lavorare su questo capitolo, alla fine è uscito fuore, yeeee.
Ammetto che all'inizio volevo che fosse Mattia a mollare, ma giustamente, lui non molla, eheh.
E poi, già immagino quanto divertente per noi -e frustante per Marta- sarà, fare qualsiasi cosa voglia Mattia.
Immaginate la mente contorta del mio coglione? ghfjdeswkai.
Comunque, non so se voi avete fatto caso che ho sempre scritto che fossero i poveri ormoni di Marta a subire le conseguenze delle sfide di Mattia ma, se avete letto bene e fatto attenzione, vedrete comparire la parola cuore, questa volta.
Vabbè, ora vi lascio.

 
Alla prossima,
Elvy.
PS: ho iniziato una nuova storia, se volete leggerla, eccola: Stop. Breathe. Love, always.

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Capitolo 15
*** Interruzioni, novità e scoperte ***





Capitolo 14:
interruzioni, novità e scoperte.



 

Quel mattino neanche una catastrofe naturale avrebbe mai potuto scaraventarmi giù dal letto, perché sarebbe bastato molto meno: un ragazzo che dormiva beatamente al mio fianco, o almeno, sospettavo che stesse dormendo; ma scoprii che così con era quando percepii due dita delicate disegnare linee immaginarie lungo la mia spina dorsale.
Avrei dovuto tremare dal freddo poiché erano ben udibili le gocce di pioggia che cadevano folti sul suolo, picchiettando sulla grande finestra che si espandeva lungo il muro, a destra del letto, ma il corpo che giaceva accanto-sotto al mio era troppo caldo, troppo profumato, troppo forte.
Mi piaceva ispirare a pieni polmoni il suo odore, l'odore delicato della sua pelle mischiata all'abituale profumo con il quale si lavava, non spruzzava, decisamente.
Non mi andava di aprire gli occhi, la realtà era troppo diversa da quel paesaggio paradisiaco: noi due tranquilli senza litigare, accoccolati in un letto che ancora sapeva di noi, la brezza dei nostri profumi mischiati e l'elettricità dei nostri corpi nudi, che ancora erano a contatto.
Sentii il suo dito percorrere una strana strada, salendo verso le scapole, passandovi in mezzo e, passando per il collo, arrivò a tracciare il profilo delle mie labbra schiuse, del mio naso rotondo e dei miei occhi ancora chiusi, tutto tremò al suo passaggio.
- Perché fai finta di dormire? - mi chiese lo stronzo, quando ormai era chiaro che fossi sveglia visto che gli avevo appena morso un polpastrello, quando aveva di nuovo sfiorato il mio labbro superiore e pizzicato quello inferiore.
- Perché non voglio parlare con te - borbottai con la voce ancora impastata dal sonno.
- Ma infatti io non voglio parlare, anzi - sussurrò mentre, con un semplice gesto, sfilando la sua gamba che era al di sotto della mia, capovolse la situazione facendomi ritrovare, improvvisamente, con il peso di un corpo che schiacciava sul mio.
I nostri bacini a contatto risvegliavano una parte poco pura di me, ma la visione più erotica erano i suoi occhi sfacciatamente impressi nei miei, come se vi avessero trovato qualcosa di bello, ma la verità è che i miei occhi non erano altro che due comuni pozze nere che, se messe a confronto con i suoi, sarebbero scese ad un livello umiliante.
- Voglio semplicemente...- posò un bacio sulle labbra.
- darti un piccolo...- un altro bacio sul collo.
- e semplice...- un bacio sul seno destro.
- buongiorno.- finì arrivando all'ombelico e posandovi un lieve e casto bacio.
Sentii il suo fiato caldo a contatto con la pelle sensibile dell'ombelico, e mi sentii meno quando ne disegnò il contorno con la punta della lingua, lentamente, come se volesse assaggiare la mia pelle prima di divorarla.
- Mattia...- gemetti nel momento in cui la punta del suo naso si posò nel buco dell'ombelico e le sue labbra sfioravano il basso ventre.
Non ero pronta per tutto ciò, non ero pronta né fisicamente e né moralmente, dopotutto il mio povero cuore giovane non avrebbe sopportato un attacco cardiaco.
Ma nonostante tutto, il cuore mi saltò in gola dalla delusione quando dei colpi veementi alla porta del bagno ci fecero sobbalzare entrambi e, lo stronzo, mi guardò con un faccia da cucciolo smarrito.
- Smettetela di trombare come due conigli, vi do 5 minuti, dopo di ché entro - ovviamente Facini era un vero errore della natura, creato per rovinare le vite altrui.
Guardai Mattia con occhi che dovevano sembrare delusi-frustati, e lo stavo pregando mentalmente di minacciare una decapitazione momentanea a Facini se non si fosse dileguato all'istante, lasciandoci al nostro round mattutino.
- Io.. devo andare - mormorai confusa e paonazza per la vergogna, restare a fissarci negli occhi mentre lui era nudo sopra di me, la quale ero nuda, non era decisamente il mio hobby preferito e, di conseguenza, avevo il vago sospetto che Facini era tanto coglione da entrare davvero.
 Mi vestii velocemente, ferita anche dal fatto che Mattia non avesse mostrato il minimo segno di disapprovazione nel farmi andare via, ma ovviamente non potevo aspettarmi niente di più da lui, e di fatto niente mi aspettavo, sapevo lui cosa volesse da me.
Lui voleva un orgasmo, e io gliel'avevo servito su un piatto d'argento.
Ma io non ero così, rassicurai me stessa mentre facevo salire la zip dei jeans, sapevo cosa era successo dopo aver perso la verginità in un modo così crudo, ricordavo la promessa che avevo fatto a me stessa e mi era chiaro il mio rapporto con i ragazzi dopo quel momento.
Ma lui era un'eccezione.
Non ero io a reagire alle sue carezze, ma il mio corpo.
Io non potevo controllare degli atti involontari come i brividi, e neanche i battiti frenetici del cuore, non potevo dettare regole al mio corpo, non dopo che i miei ormoni erano irrequieti e irrefrenabile, non c'era altra spiegazione: era lui ad avere il controllo del mio corpo.
Corpo, solo corpo.
- Allora ci vediamo in giro...- sospirai quando ero tra il bel mezzo del corridoio in comune tra tutte le stanze, e la camera in cui la sera prima avevamo praticato dell'ottimo sport.
- Ok - borbottò.
- Ah, Cuneo - mi chiamò quando stato per richiudere la porta.
- Si? - sussurrai affacciandomi dalla porta.
- Uno di questi giorni, vengo a riscuotere la vincita della scommessa - sussurrò strizzandomi l'occhio destro, e lì fremetti davvero.
Mi chiusi la porta alle spalle, avendo davvero paura nell'immaginare quali idee potesse sfornare quel cervellino bacato che si ritrovava, e la scommessa prevedeva qualsiasi cosa.
 
 
- E così Marco è arrivato, dio Marta era bello come il sole, indossava un jeans, una camicia bianca e un gilet di stoffa nero, e poi aveva un profumo capace di farti impazzire da chilometri di distanza. Allora mi ha chiesto di andar a bere qualcosa, e così abbiamo fatto, ci siamo fermate in un bar qui vicino e abbiamo ordinato due vodka, una liscia per lui e uno alla fragola per me, abbiamo riso e scherzato; in tutto questo sono riuscita a spillargli una cosa inimmaginabile: è single! Hai capito un po'? Marco Facini è s-i-n-g-l-e, e si è interessato a me! Si, perché poi siamo tornati qui, giustamente la sua camera era occupata da te e Mattia, e gli ho offerto -sicura che avesse rifiutato- di rimanere a dormire qui, ma sai, innocentemente. Allora ci siamo seduti sul letto, lui ha iniziato ad abbracciarmi, a dirmi che ero bella, qualche bacio sulla guancia, poi un altro all'angolo della bocca e un bacio tira l'altro.. dio Marta, siamo finiti a letto insieme! - le seguenti erano le parole sparante a raffica da parte di Giorgia, neanche capivo come fossi riuscita a comprenderle tutte ed accumularle, mettendole in ordine mentalmente ed esaminarle.
Oh.Mio.Dio.
Lei era andata a letto con Facini.
Facini era amico di Morici.
Morici era uno stronzo.
Facini anche.
La mia migliore amica avrebbe sofferto.
Me la ritrovai spiaccicata addosso quando si lanciò ad abbracciarmi, di slancio.
Durante tutti questi anni avevo imparato a conoscerla, e questa era una delle poche volte che le si leggeva chiaramente negli occhi l'alto tasso di felicità.

La strinsi a me, felice per lei; sapevo da quanto tempo avesse una cotta per Facini, sapevo quante volte avevano flirtato, ma senza andare mai al dunque.
Una luce simile che le giaceva negli occhi, l'avevo vista solo la prima volta che si erano baciati, al compleanno della sottoscritta; ricordavo anche quando li avevo trovati avvinghiati come polipi, dopo essere uscita, tremante, dal letto del fratello della Cabassi.
Non avrei mai rinnegato Giorgia come amica, perché non avrei mai dimenticato quanto aspettasse che Facini si accorgesse di lei, dopo il primo bacio, e quando finalmente aveva dimostrato un piccolo interesse, io avevo rovinato tutto, mostrandomi agli occhi della mia migliore amica stravolta e alquanto sconvolta.
- E oddio Marta, è stato..wow - sibilò staccandosi dall'abbraccio stritolatore.
Non era la prima volta per lei, ricordavo benissimo com'era stata invece la prima volta in assoluto; era capitato dopo la mia di prima volta, ed era stato con Andrea Rossi, il primo vero ragazzo di Giorgia, erano davvero carini insieme, lei diceva di esserne innamorata e lui altrettanto, andava tutto bene, finché un giorno Andrea non se ne uscisse con la frase: credo che è meglio se rimaniamo solo amici.
A me non sembrava logica la frase che usava il 99% dei ragazzi per scaricarti, amico? 
Ma amico un corno.
- Gio - sospirai - stiamo parlando di Marco Facini, sai com'è fatto.. oggi sta con una ragazza e domani con un'altra, tu a lui ci tieni, non è una semplice cotta, ma lui? Sei la mia migliore amica, non vorrei vederti soffrire, mai, per nessuna ragione al mondo - mormorai.
Non volevo affatto fare la guastafeste della situazione, ma la verità nuda e cruda era la seguente, e, per quanto la si volesse mascherare, cercar di renderla più masticabile, non la si poteva cambiare: i ragazzi erano sfornati con un copia e incolla, tutti uguali, tutti stronzi.
Il suo sorriso si spense irrimediabilmente, e mi fissò negli occhi.
- Lo so, c'ho pensato anch'io.. ma voglio provarci - sussurrò, con un velo di lacrime agli occhi.
- Sei sicura che ne valga la pena? - ribattei stringendole le mani tra le mie.
- Un domani voglio voltarmi e dire “almeno ci ho provato” e non “almeno avrei potuto provarci”. Capisci ciò che intendo? Io voglio combattere, per me stessa - lessi nei suoi occhi tutta la forza di questo mondo, e la invidiai, perché avrei voluto avere almeno la metà del suo determinismo.
Giorgia non si lasciava abbattere dal diluvio, Giorgia sapeva che sopportare il diluvio era l'unico modo per ammirare l'arcobaleno.
Marta si lasciava abbattere dall'arcobaleno, perché sapeva che, per rivederlo, avrebbe dovuto sopportare il prossimo temporale che non sarebbe tardato ad arrivare.
- Meriti tutta la felicità di questo mondo - mormorai sorridendole.
- La meritiamo insieme, ricordi? Insieme, nella buona e nella cattiva sorte - gesticolò con le mani, cosa che faceva solo o quando era nervosa, o quando era emozionata.
Questa volta fui io a gettarmi di slancio verso di lei, e l'abbracciai, stringendola a me, capendo che lei era il tesoro più bello che avessi mai potuto trovare.
- Dopo tutto questo zucchero, ho bisogno di una doccia - sbottò alzandosi e dirigendosi verso il bagno e, pregai con tutta me stessa, che non vi fosse nessuno di quei due coglioni.
Rimasta sola in camera, notai il portatile di Giorgia acceso sul letto e lo presi, dicendo a me stessa che non c'era niente di male nel connettermi per qualche minuti, il tempo che lei uscisse dal bagno e poi sarebbe stato di nuovo tutto suo.
La connessione ad internet era abbastanza lenta, ma non mi lamentai in quanto era già una visione vedere un computer con internet, lì a Londra.
Ovviamente il mio primo pensiero fu quello di connettermi a facebook, e non errai dal momento che boccheggiai come un pesciolino in cerca d'aria, soffermandomi su un'unica notifica, e dimenticai anche cosa fosse l'elettricità, internet e facebook, solo quelle parole importavano: Mattia Morici ha accettato la tua richiesta di amicizia.
Cliccai istintivamente sul suo nome, e mi ritrovai catapultata nel suo profilo e, di conseguenza, in una piccola parte della sua vita virtuale.
L'immagine del profilo era diversa e, questa, era decisamente da far mozzare il fiato.
Era seduto su un muretto -il muretto dietro la nostra scuola- e fissava un punto indefinito -probabilmente il culo di qualcuna-.
Aveva l'indice tra le labbra e il pollice che schiacciava sotto il mento, ancora una volta mi meravigliai nell'ammirare la sua bellezza e mi sorpresi nel vedere tanta perfezione rinchiusa in un solo ragazzo, o meglio, in quel ragazzo.

Scesi nella sua bacheca, scoprendo che la maggior parte era composta da messaggini scritti in bacheca da parte di ragazze, tutte poco di buono, brutte, sdolcinate, e galline.
La parte più soddisfacente dell'insieme, era che lui si limitasse a cliccare solo un innocuo mi piace, e, non so perché, mi sentii rasserenata da quel punto di vista.
Non mancava neanche un cuore da parte della Cabassi alla quale, lui, neanche aveva messo mi piace; non sapevo se fosse solo un caso, o se fosse fatto di proposito, sapevo solo che in quel momento, se me lo fossi ritrovato davanti, gli sarei saltata addosso senza ritegno.
Fatto restava che continuai a perlustrare il suo profilo, le sue foto, le sue amicizie e, nel frattempo, Giorgia era uscita dal bagno, si era vestita e stava anche uscendo per non so dove.
- Torno più tardi - sibilò uscendo.
- Dove vai? - le urlai dietro.
- Vado incontro al destino - furono le sue ultime parole prima di chiudersi la porta alle spalle.
L'ora successiva passò, parlando pochi minuti al telefono con una madre che si era ricordata che, biologicamente, ero sua figlia e con un padre che mi aveva mandato un misero messaggio.
Avevo scoperto anche che le amicizie di Morici, erano maggiormente popolate dal sesso femminile e che, di ragazzi tra i suoi amici, ce ne fossero molti, ma pochi se messi in confronto con il sesso opposto. 
Sarei rimasta a contemplare il suo volto perfetto, le sue labbra morbide, le sue gote rosse e i suoi occhi verdi, se non fossi stata disturbata da Dave che apriva bruscamente la porta.
- Dave - trillai quando lo vidi, disconnettendomi prontamente da facebook e richiudendo il portatile.
- Come và? - gli chiesi quando si era ormai chiuso le porte alle spalle e seduto sul mio letto, poco distante da me.
Qualcosa non andava, era chiaro dalla sua postura rigida e dai nervi del volto tesi, avevo imparato a conoscere ogni sua espressione facciale e ad interpretarne un umore.
- Dimmi la verità...- sussurrò guardandomi negli occhi; il contatto con i suoi occhi mi aveva sempre fatto uno strano effetto, erano così limpidi che vi riuscivo a specchiarmi.
- Tu sei andata a letto con Mattia Morici? - sussurrò finendo quella frase sprezzante, quasi fosse un insulto, e forse per lui lo era davvero.
Fu come ricevere un secchio d'acqua congelata, ma non perché mi fossi pentita di aver passato una notte -o più di una- con Mattia, ma perché lessi nei suoi occhi tanta delusione, forse troppa visto che eravamo solo amici.
Lo guardai negli occhi, sperando che riuscisse a farsi bastare il mio silenzio come risposta, d'altronde come si diceva? Chi tace acconsente, e io non potevo far altro che acconsentire, perché negare sarebbe stato un sacrilegio, non potevo mentire al mio migliore amico.
Quel suo sguardo sembrava volesse incenerirmi, perché il fuoco nei suoi occhi si poteva benissimo leggere, fuoco di rabbia e delusione, un fuoco che mi disarmò.
Mi sentii sporca, d'improvviso, sporca perché ero andata a letto con Mattia dimenticandomi del mio passato e della promessa che avevo fatto al mio migliore amico e, ora, ero sicura che l'avrebbe tirata in ballo da un momento all'altro, era solo questione di secondi.
E mi sentii sporca per il modo in cui lui mi toccava, il modo in cui mi aveva avuto, perché conosceva il mio corpo meglio di quanto l'avessi conosciuta io stessa, aveva toccato e baciato ogni lembo della mia pelle, e io rischiavo di andar a fuoco con un semplice ricordo.
Ma mi sentii anche viva, perché io ero cosciente di ciò che facevo, ed ero stata fin troppo bene.
- Ti ricordi cosa mi dicesti, dopo la tua prima volta in quel modo sporco? Avevi detto che, moralmente, avresti perso la verginità con il prossimo, e sai chi è stato quel prossimo, Marta? Mattia Morici, lo stronzo più stronzo che io conosca, quello che più facilmente cambia le ragazze, quello che le tratta tutte ugualmente, ne scopa una oggi, una domani, e poi? Ognuno per la propria strada. Sai da chi ti sei fatta toccare? Da uno che domani neanche si ricorderà il tuo nome, che ti farà soffrire come un cane, e io non voglio vederti soffrire, non ancora, non voglio veder che ti butti via così, non è giusto Marta, non dovevi farlo - mormorò con sdegno.
Mi sentii una bambina che subiva un rimprovero, sarei voluta scoppiar a piangere, perché lui riusciva a farmi sentire due punti peggio di come già stavo, grazie alle sue parole per un lato giusto, e per un altro sbagliato.
Avrei avuto bisogno di un suo abbraccio in quel momento ma, la paura di essere rifiutata, mi portò a tacere e tenere le braccia incrociate attorno alla mia vita.
- Quindi se vuoi mantenere la tua parola, sai cosa, Marta? La tua verginità, l'hai persa con Morici, complimenti - sbottò, battendo le mani.
Mi sentii morire in quell'istante, avrei voluto sotterrarmi sotto terra e non uscirne, mai più.
Sapevo che Mattia era l'unico ragazzo con cui, moralmente, ero andata a letto, sapevo che solo le sue mani erano quelle che ricordavo sul mio corpo, ero cosciente che, oltretutto, solo il suo tocco avrei voluto provare ancora e ancora.
- So di averti deluso - mormorai con la voce frenata dai singhiozzi.
- Perdonami - continuai con le lacrime che scalciavano per uscire.
Sapevo che con Dave potevo lasciarmi andare, e così faci, lasciai sgorgare silenziose delle lacrime solitarie che mi percorsero il volto, anche se erano semplicemente gocce fatte di acqua, a me parevano fatte di fuoco, ma capii che erano fatte di materiale molto più forte: sentimenti.
Ciò che più mi faceva male, era il non riuscir a pentirmi di ciò che avevo fatto, non volevo negarmi il sapore delle labbra di Mattia, né il calore del suo corpo, tantomeno la vivacità dei suoi occhi, non volevo rinunciare a lui.
Colui che mi riteneva una delle tante, colui che mi piaceva un po' troppo.
- Non devo perdonarti io, devi perdonare te stessa - e quella frase fu il colpo di grazia.
Sentii il mio corpo piegarsi per i singhiozzi che, per quanto cercassi di reprimere, uscivano vistosi e rumorosi, sembravano volermi straziare l'anima; ogni singhiozzo era un buco nell'anima che poi mi toccava guarire, da sola, con le mie forze, con i miei sentimenti spezzati.
Perché non ero fatta di pietra, anzi, il mio cuore era troppo debole in questo momento, forse risentito di tutte le pene che aveva patito e, ahimè, chi poteva dargli torto.
A lui toccava il compito più difficile: amare e non essere amato.
Era semplice per il mio corpo abbandonarsi ai piaceri, perché alla fine, chi ne pativa le conseguenze era quell'ammasso di carne vitale al centro del petto.
Strano come un pezzo del corpo potesse far così male, un dolore non fisico, ma spirituale, e avrei pagato oro purché fosse un dolore non astratto.
Era come se i singhiozzi appesantissero quel piccolo organo e lo rendessero compatto e duro come una pietra e, pesante il quale diventava, era costretto ad accasciarsi per terra sfinito e privo di forze, ormai distrutto da tutto ciò che erano le conseguenze dei miei errori.
- Marta, piccola...- sussurrò prendendomi il volto tra le mani.
Incrociai i suoi occhi e vi riconobbi il mio migliore amico, la sua espressione più rilassata e i suoi occhi più dolci, quasi traboccassero di quel cioccolato che creava le sue iridi.
Mi gettai tra le sue braccia, soffocando i miei singhiozzi sul suo petto e legai la sua vita tra le mie braccia, schiacciando il suo corpo al mio e beandomi della sensazione di pace col mondo che provavo quando il suo calore si legava al mio. 
Lui non mi avrebbe respinta, mai e poi mai.
Respirai dal suo profumo, affondata lì nel suo petto, al sicuro dai mali del mondo.
Al sicuro perfino da me stessa.
Mi aggrappai con veemenza all'unica persona che mi aveva visto piangere in tutta la mia vita, l'unica persona che godeva della mia piena fiducia, insieme a Giorgia, e l'unica che, nonostante tutto, non avrei mai lasciato andare via dalla mia vita.
- Lo ami? - mi sussurrò tra i capelli.
Il mio cuore mimò un capriola, ma poi, stupido, cadette guadagnandosi un'altra botta.
Sicuramente mi piaceva, decisamente i miei battiti cardiaci impazzivano alla sua vista, dopotutto le gambe mi tremavano quando il suo sguardo si fondeva al mio, e non potevo negare che mi sentivo completa quando era in me, quando non sapevo dove finisse il mio corpo e dove iniziasse il suo; ma amore non era.
Non ancora.
- No - sibilai telegrafica.
Anche se non potevo vederlo in volto, fui sicura che sorrise prima di lasciarmi un bacio tra i capelli e, poi, mi lasciò una carezza lungo la schiena e, posandovi una mano, mi strinse più forte al suo corpo, quasi a voler creare un tutt'uno con me, quasi a volermi allontanare da Mattia.
Forse voleva proteggermi da lui, ma poteva proteggermi da qualcosa che io volevo e cercavo?
No.
- Non innamorarti di lui - gemette stringendomi un braccio intorno al collo e un altro intorno alla vita, impossibile era sfuggire alla sua presa.
E, ceca quant'ero, per la prima volta trovai il vero senso di quelle parole.
- Non innamorarti di me - finii, capendo che, forse, il suo sentimento andava oltre l'amicizia.
Non mi sarei innamorata di Mattia, forse.
 
 



* * *
SPAZIO AUTRICE
Quando avevate perso le speranze su un mio eventuale aggiornamento, eccomi qui che mi faccio viva, tutta per voi.
Era previsto per qualche giorno fa questo capitolo, ma ho finito di scriverlo solo ieri notte.
Cerco di scriverli più lunghi possibili quando finalmente trovo l'ispirazione, poiché so che non è facile per me scrivere in un modo soddisfacente e, quando ci riesco, mi vengono fuori monologhi mooolto lunghi come il seguente capitolo.
Giustamente non posso incentrare la storia solo su Mattia, infatti ecco che si scoprono altre facciate del passato di Marta e finalmente sta capendo che per Davide lei non è una semplice amica, com'è che si dice? Meglio tardi che mai!
Il prossimo aggiornamento forse sarà più veloce, poiché so già cosa scrivere nei prossimi capitoli e devo dire che, se tutto va come dico io, non vi deluderò, promesso.


 
Spoiler capitolo 15:

- Tanto... sai cosa ha fatto dopo essere uscito dal tuo letto? E' venuto nel mio.-


 
Alla prossima.


PS: vi ricordo che ho iniziato una nuova storia, se volete leggerla, eccola: Stop. Breathe. Love, always.

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Capitolo 16
*** Verità scomode ***





Capitolo 15:
verità scomode



 

Inevitabilmente, mi stavo incasinando la vita.
Non bastava lo sbalzo umorale che s'impadroniva di me ogni qual volta quello stronzo patentato mi sfiorava, no, ora dovevo avere anche un migliore amico che mi riteneva... mi riteneva cosa?
Non innamorarti di lui
Era una sola frase composta da quattro parole, ma celava versioni multiple: non dovevo innamorarmi di lui per non star male, non dovevo innamorarmi di lui perché non andava bene per me o non dovevo innamorarmi di qualcun'altro?
Dio, mi sembrava impossibile tutto ciò: lui per me era come un fratello, lui aveva ascoltato tutti i miei errori senza mai giudicarli, lui mi aveva vista crescere, noi ci stavamo crescendo a vicenda; com'era possibile che potesse provare qualcosa verso di me, ma non avermene parlato mai precedentemente?
Come poteva starmi vicino, nonostante per lui non fossi solo un'amica?
Trovai un'unica risposta: perché lui teneva davvero a me.


Davide’s POV (mini)

Mi sentivo un emerito idiota: essermi innamorato della mia migliore amica era davvero la cazzata del secolo, eppure si sapeva, quasi tutte le amicizie tra sessi opposti finiva così: uno dei due si innamorava dell'altro.
Certo, nelle favole dopo frastagliati episodi i due si amavano e finivano con il vissero tutti felici e contenti, ma questa era -purtroppo- la vile realtà.
Non sapevo neanche io cosa provare verso Marta, certo, ne ero irrimediabilmente innamorato e per quanto avessi provato a nasconderlo perfino a me stesso, quella era la verità, ma la cosa più atroce era che, lei, invece, non lo era.
Non c'era bisogno di sentirmelo dire, lo si capiva dai suoi occhi spaesati quando le avevo detto quella stupida frase:
- Non innamorarti di lui - ripetei ad alta voce, dandomi dello stupido. 
E lei come mi aveva risposto? “Non innamorarti di me”, certo, come se avessi avuto ancora una via di fuga.
Però, dal lato opposto, provavo disgusto nei suoi confronti: era andata a letto con uno di quelli che si divertiva a cambiare e scambiare le ragazze per gioco, senza minimamente preoccuparsi dei loro sentimenti; nemmeno osavo immaginare in che modo sporco e rozzo l'avesse toccata, baciata e avuta, chissà poi quante volte.
Ma l'avevo capito, avevo imparato a conoscere Marta, e nei suoi occhi si leggeva una luce non comune a tutti: ne era innamorata.
Forse innamorata ancora no, ma era già imballo il suo cuore, poiché non era una ragazza in cerca di una botta e via, doveva esserci una ragione più profonda che aveva scaturito tutto ciò, forse un'attrazione fisica eccessiva poi trasformatasi -almeno per lei- in faccende di cuore.
Ma lui?
Lui si che era un caso perso, e le ragazze che gli stavano dietro ancora più perse di lui. 
Figuriamoci se poteva importargli qualcosa di Marta, per lui -sicuramente- esisteva esclusivamente il suo corpo, un bel corpo da portare a letto come aveva fatto con tanti altri.
A lui non importava del passato travagliato che aveva avuto lei, a lui non importava che per lei iniziasse ad entrare in gioco anche il cuore, a lui non importava che lei potesse soffrire, a lui non importava che lei potesse innamorarsi: a lui non importava di lei.
Avrei fatto di tutto per farle aprire gli occhi, e magari, avrei anche tentato di aprirle il mio cuore e farle capire che, io, non avrei giocato con il suo cuore: forse sarei stato respinto, ma avrei giocato fino all'ultima carta, perché proprio quell'ultima carta sarebbe potuta essere quella vincente.
Perché meglio un rimorso anziché un rimpianto.


Marta's POV

Insieme al tè che aspettavo, arrivò un'altra sorpresa non tanto desiderata: il cameriere che mi stava portando il tè, cioè, Nick.
- Ehi, da quanto tempo - mi sorrise, parlando a raffica con quel suo strano accento inglese.
- Eh già - sorrisi -con un sorriso che di sorriso non aveva niente- quando lo vidi accomodarsi al mio fianco, anche senza aver ricevuto nessun mio invito.
- Sei stata occupata? - mi chiese, non mostrando la minima intenzione di lasciarmi sola.
- Eh si, voglio godermi questi altri giorni che mi rimangono da passare qui - 
- Ti va di uscire, questa sera? - mi chiese, cambiando totalmente discorso.
Sgranai gli occhi sopraffatta, e mi passò improvvisamente la voglia di bere, di mangiare, e anche di respirare per quanto possibile fosse: già ero incasinata abbastanza per quanto si trattava di ragazzi, non avevo bisogno di altro.
- Nick...- sospirai cercando un modo gentile per rifiutare - io...- ma non potei finire la frase poiché le mie labbra furono -improvvisamente- bloccate da qualcosa, o meglio, qualcuno.
Fui sopraffatta da uno strano senso di spossatezza e, per i primi secondi non mi mossi, o meglio, lui non mi permise di muovermi in quanto si aggrappò alle mie spalle impedendomi di allontanarmi.
Dovetti imporre tutta la mia resistenza per impedirgli di schiudermi le labbra e, quando finalmente ripresi il controllo sul mio corpo, lo spintonai con brutalità e, successivamente, sentii lo schiocco dello schiaffo che gli avevo appena dato.
Cosa cazzo gli era saltato in mente?
Si toccò la guancia, ma il suo sguardo non era offeso, anzi, era quasi.. orgoglioso di ciò che aveva fatto mentre guardava un punto indistinto alle mie spalle.
Mi voltai e riconobbi chi fosse quella persona che fissava, l'avrei riconosciuto tra mille: il suo modo di camminare come se fosse l'ultima cosa che volesse fare, quel pantalone della tuta che gli fasciava perfettamente le gambe toniche, il colore della sua pelle liscia e morbida quanto dolce, la forma delle sue spalle non eccessivamente larghe e i suoi capelli spettinati. 
Mattia.
Proprio come se un masso si fosse posato sul cuore, lo guardai sparire tra le scale mentre un senso di dovere nei suoi confronti mi avvolgeva: dovevo seguirlo e spiegargli tutto.
Ma perché?
Perché ero una stupida.
- Sei davvero un'illusa se pensi che lui potrà mai accorgersi di te - sbottò quel cameriere da strapazzo che tra poco si sarebbe ritrovato con il segno delle mie cinque dita anche sull'altra guancia.
- Lui vuole solo scoparti - continuò.
La verità disarmante mi colpì come uno schiaffo in pieno volto: aveva ragione e lo sapevo, stavo sbagliando e lo sapevo, ci stavo cadendo dentro interamente e ancora non lo capivo.
- Questi non sono tuoi problemi - sbottai improvvisamente, alzandomi, altrimenti gli avrei davvero gettato qualcosa addosso 
- Preferisco farmi scopare da lui, anziché farmi anche solo baciare da te - fu come vomitargli quelle parole addosso, e vi ritrovai dentro una verità disarmante: ogni volta che mi toccava, era un nuovo brivido, quel suo modo di toccarmi in un certo senso spinto e sicuro di se, lento e veloce, era.. esperto.
Mi riscossi dai miei pensieri poco casti e lo lasciai lì, senza dargli modo di replicare e corsi verso le scale.
Mi sentivo in colpa come se l'avessi tradito.
Povera sciocca.
- Mattia - sussurrai quando distinsi perfettamente la sua sagoma.
Si girò, e il suo sguardo fu molto chiaro, uno sguardo che si regalava a persone neanche degne della propria attenzione e, forse, per lui ero proprio ciò.
- Che cazzo vuoi, Cuneo? - chiese continuando a camminare.
- Fermati, cazzo! - sbottai esaurita.
Faceva anche l'offeso? Non era forse lui quello che si divertiva a spassarsela con tutte le ragazze della scuola, non era lui quello che si divertiva a ridurmi come uno straccio?
Certo che lo era.
Si fermò, sbuffando, e lo raggiunsi fronteggiandolo.
- Non sono stata io a baciarlo - sbottai senza giri di parole.
- E che cazzo dovrebbe importare a me? Scopate pure felici, a me passa per il cazzo, Cuneo - mormorò ghignando, calcando sul mio cognome.
Oh, che non gli importasse niente di me già lo sapevo, ma fu comunque umiliante.
Cos'era lui per me? Ormai non era più solo un piacere fisico.
Mi... mi ci ero affezionata?
Oh.
- A me non importa ciò che tu pensi di me - bugia - voglio solo che tu sappia che non sono come tutte le tue amichette, io quando esco dal tuo letto non vado in quello di un altro - mi sentii improvvisamente avvampare dalla vergogna.
Quando esco dal tuo letto.
Magari non farmi più uscire dal tuo letto, facendomi sentire una delle tante che raccoglie i vestiti e se ne va dopo aver consumato; magari stringimi tra le tue braccia e fingi di tenerci a me, quanto io tengo a te.
Prova a fingere di tenere a me, avrei voluto gridargli, invece no, fu lui a parlare, o meglio, a muoversi: mi ritrovai in un giro di passi con la schiena schiacciata contro il muro e il suo corpo a schiacciarmi contro la parete fredda, con il suo petto a contatto con il mio, con il suo cuore che batteva al ritmo del mio.
Con il suo sguardo incatenato al mio, con i suoi occhi in me, quasi volesse leggermi dentro.
- Se quella specie di sotto sviluppato prova a toccarti di nuovo - soffio sulle mie labbra - stai sicura che lo castro con le mie stesse mani - continuo portando un ginocchio tra le mie gambe, facendo in modo che aprissi quest'ultime.
Non so se quella frase fu detta per possessività o perché volesse l'esclusiva sul mio corpo, non sapevo se per lui fossi il suo giocattolo personale o un giocattolo usa e getta, sapevo solo che in quella frase vi lessi qualcosa... un pizzico di fastidio forse, o gelosia?
Mattia Morici geloso di me.
- Sei mia - continuò, e quella fu la frase che mi fece andare in palla.
Avevo voglia di mettermi a saltellare come una bambina di pochi anni, poi volevo mettermi a cantare una canzoncina stupida e dire alla mamma che Mattia era solo mio.
Oh-oh.
Marta, calma.
Sussurrai a me stessa, lui voleva porre la propria autorità su di me, ma dubitavo che mi avrebbe mai permesso di porne su di lui, inutile era illudermi.
Ma il mio cuore, illuso, non poté far altro che gioire e dimenticarsi di scandire un battito, e si sentì importante, ma importante per chi non lo sapevo, sicuramente non per Mattia.
Appoggiai la mia mano dietro la sua nuca, attirandolo a me, ma si fermò arrivato ormai ad un millimetro dalle mie labbra; voleva forse uccidermi con quell'estrema voglia di sentire di nuovo il suo sapore sulle mie labbra?
- Hai ancora una scommessa da pagare - mormorò, nello stesso momento in cui sbottonò l'unico bottone dei miei jeans e tirò giù la cerniera.
La lucidità iniziava ad abbandonarmi già prima che mettesse in pratica le idee che sfornava quel suo cervello bacato, ma la situazione non mi piaceva: né il luogo, né la posizione.
- Cosa vuoi? - chiesi con la voce che tradì un pizzico di tensione.
Sentii la sua mano risalire la sua schiena, fino a raggiungere i capelli e tirarmeli, in modo da avere il viso completamente alzato verso di lui, non avendo via di scampo per poter nascondere le mie idee poco pure, poiché chi pratica con lo zoppo, impara a zoppicare.
- Tutto - sussurrò mentre, contemporaneamente, mi morse il lobo, per poi iniziar a scendere con le labbra verso il mio collo, mandando all'altro mondo i miei buoni propositi: le sue labbra sul mio collo e le sue dita che giocavano con il bordo dei miei slip, chi poteva biasimarmi?
E stavamo parlando di Mattia Morici, un orgasmo ambulante.
- Non voglio che tu vada a letto con quel cameriere del cazzo - iniziò, scendendo con le dita e risalendo con lo sguardo: fregata, con i suoi occhi a guardarmi in quel modo gli avrei regalato anche l'anima se solo me lo avesse chiesto.
- Non voglio che tu vada a letto con qualcuno che non sia io - continuò, mentre con poca castità iniziava a segnare cerchi egocentrici nel centro della mia femminilità. 
Era decisamente meglio stendere un velo pietoso davanti ai pensieri poco puri che stavo contemplando, eppure, due erano le possibilità: o ci eravamo teletrasportati all'esterno, oppure stavo davvero vedendo le stelle.
Mi morsi a sangue il labbro inferiore pur di non aprir bocca, altrimenti non vi sarebbe uscito altro se non il suo nome a livelli abbastanza alti; e poi, per me, quella richiesta era inutile, era già evidente che non avessi intenzione di andare con altri.
Però, pensai di rigirare quella scommessa anche a mio favore.
- Potrei accettare - parlai nello stesso momento in cui lui, stronzo fino all'ultima punta dei capelli, parve volermi mostrare le sue dita in tutta la loro lunghezza.
Mi vergognai come una ladra dello gemito che fuoriuscì dalle mie labbra ma, che, Mattia, pensò bene di placarlo con le sue labbra: e fu davvero come se l'ultima tessera del puzzle andasse a posto, come se non fosse più la forza gravitazionale a tenermi ferma sulla terra, ma quel bacio, il suo sapore e il suo tocco.
Oh.
- Ma solo se anche tu farai la stessa cosa - sospirai, con gli occhi appannati dalla voglia di lui.
- Nessun'altra al di fuori di me, nessun'altro al di fuori di te - finii la frase.
Percepii l'intensità dei suoi occhi in quel momento, e nei suoi occhi vi lessi -per quanto strano e insensato pareva- la voglia di me, e mentre le sue dita continuavano a muoversi esperte in basso, lui, con quel suo carattere da bambino cresciuto ma ancora capriccioso e con quel suo carattere capace di farmi sentire l'ultima persona che contava sulla faccia della terra, era in momenti come quelli che mi faceva sentire donna. 
Una donna desiderata, e una donna che lo desiderava come acqua nel deserto.
E, proprio mentre stava per darmi una risposta, sentimmo risuonare i passi di qualcuno che stava salendo le scale: la situazione si ripeteva, il suo sguardo spaesato, il mio corrugare le sopracciglia, il mio sentirmi improvvisamente vuota e il modo veloce in cui ci ricomponemmo.
- Continuate pure, non ci sono problemi per me se scopate nel corridoio - una frase accompagnate da una risata isterica, una risata che non mi era affatto nuova: Giorgia.
La guardai sorpresa, non era quello il modo che usava per esprimersi, eppure appena mi fu vicina lessi nei suoi occhi un lampo di pura malinconia.
- Gio... che hai? - chiesi uscendo dall'incastro che formava il corpo di Mattia e il muro, mi avvicinai guardandola negli occhi: era ubriaca.
Le posai una mano sulla fronte, doveva essere successo qualcosa di pensante se era arrivata a ridursi in quello stato.
- Non preoccuparti per me - sibilò fredda, togliendo con violenza la mia mano dalla sua fronte.
- Tu continua a morirgli dietro - sbottò guardando Mattia - tanto... sai cosa ha fatto dopo essere uscito dal tuo letto? E' venuto nel mio -.
E fu proprio come se il mondo franasse e mi cadesse addosso, proprio come se io fossi l'unica persona sulla faccia della terra e ogni singolo masso fosse destinato a lesionare ogni parte di me, ogni singolo nervo, ogni singolo muscolo, ogni singolo sentimento. 
E se c'era una cosa che avevo capito in -quasi- diciassette anni, era che il sole esisteva per tutti, peccato che io non fossi inclusa in quel tutti; la mia migliore amica con il ragazzo di cui mi stavo...
Che patetica che ero, ancora una volta avevo ricevuto la dimostrazione di quante carte false fosse fornita la mia vita, la mia migliore amica che era andata a letto con il ragazzo che mi aveva usata, scopata e poi?
Oh, e poi fatta innamorare.
Ma amare cosa voleva dire?
Ami quando soffri.
E io stavo soffrendo, come un cane bastonato, perché il mio cuore stava sanguinando e nessuno correva in suo soccorso, perché le mie gambe tremavano e tra poco sarei scoppiata in lacrime, perché non avrei dovuto permettere a me stessa di innamorarmi di lui: innamorarmi dei suoi occhi capaci di farmi sentire viva, innamorarmi delle sue labbra che sembravano il posto più perfetto al mondo, innamorarmi del suo modo di mandarmi a fuoco anche con un semplice sfioramento, del suo modo di essere così dannatamente stronzo con il suo cuore impenetrabile.
Oh, oh, sei fottuta.
Perché la vita volesse punirmi ancora, di quello non ne avevo idea, forse colpa di qualche peccato profondo e inimmaginabile, ma non riuscivo a spiegarmi cosa avesse mai potuto fare di male una bambina che veniva picchiata dalla madre e, in seguito, un'adolescente usata e poi gettata come qualcosa di usa e getto dalla sua migliore amica e dal ragazzo di cui si era innamorata.
Che patetica.
Un unico singhiozzo trapelò dalle mie labbra, un singhiozzo che segnava la quiete prima della tempesta, perché i miei occhi bruciavano dall'intensità con la quale guardavo -entrambi- con disgusto, disgusto per il modo in cui entrambi mi avevano usato, anche se in due modi differenti: la mia migliore amica sapeva quanta mancanza di affetto avevo ricevuto sin dalla tenera età, ma non c'aveva pensato due volte a tradirmi anche lei.
Perché sei destinata a restare sola.
- Vedi, ora come si sta dall'altra parte, eh? Ora che sei tu a soffrire? Ci siamo scambiate i ruoli, ed era ora: avevamo undici anni la prima volta che mi presi una cotta per Davide, oh, ma il piccolo Davide ha sempre avuto occhi soltanto per te. Ne avevo quattordici quando mi sono presa un'altra cotta per Marco, eppure quella famosa notte eri talmente ubriaca che neanche ricordi di averlo baciato. Era l'inizio dell'anno, un nuovo ragazzo bello quanto il sole, ed eccolo che te lo scopi alla grande, era ora che qualcuno ti desse una lezione - sibilò barcollando.
Fu come se mi rovesciasse quelle parole addosso come una cascata di acqua gelata, e mi chiesi da quanto tempo le custodisse senza mai aver il coraggio di dirle, e mi sentii la persona peggiore del mondo, ero capace di far del male a chiunque mi stesse intorno; mai mi aveva parlato della cotta per Davide, e mai sarei andata all'idea che avesse potuto avere una cotta per il mio migliore amico, ma ciò non servì a far diminuire il mio disgusto nei suoi confronti.
- Ma che cazzo dici? - sentii sbottare improvvisamente da una voce più dura e sicura, quella voce che -forse- mi aveva fatto più male di tutto.
- Marta - mormorò afferrandomi i polsi - guardami - continuò posandomi una mano sotto al mento e, per quanto opposi resistenza, incontrai i suoi occhi arrabbiati come poche volte li avevo visti prima.
- La tua amica sta male, io non ci sono mai stato a letto - e fu come ricevere uno schiaffo in pieno volte, altre bugie, altre prese per il culo, ma per chi mi avevano presa?
Cercai di divincolarmi dalla sua presa, ma fu inutile, mentre le sue mani continuavano a bruciare sulla mia pelle, il mio amore per lui bruciava la mia anima: l'amore per quel suo essere anche violento nel cercar di proteggermi, forse.
- Basta prendermi in giro - sibilai, cercando di trattenere le lacrime.
- Basta - gridai con più forza, sentendo un'unica lacrima solitaria rigarmi la guancia e sfregiarmi il volto al suo passaggio, segnandomi la guancia, trafiggendola.
- Io non sono un giocattolo, tu - dissi indicando la mia migliore amica - che razza di amica sei? Perché mi sei stata vicina in tutti questi anni? Cosa ti aspettavi da me? Mi sono fidata di te, ti ho voluta bene come una sorella ed è questo il modo in cui mi ricambi? - il cuore mi pulsava, la testa mi faceva male e le mani mi tremavano, ma avevo ancora tanto da dire.
- E tu - ripresi indicando il mio male maggiore - mi hai scopata, mi hai trattata come un giocattolo usa e getta, mi hai fatta sentire una puttana; ora...- non dirlo, ti prego -...sparisci dalla mia vita - grande errore.
Sentii le lacrime sempre più intrattenibili, le gambe che stavano per cedermi e sguardi sempre più insistenti: mi resi conto che metà della nostra classe era appena arrivata ad assistere allo spettacolo; non mi preoccupai più di tanto della mia umiliazione, preferii soccorrere l'umiliazione del mio cuore e dei miei sentimenti, a me ci avrei pensato dopo.
- Meriti tutto questo, sai? Meriti una madre che ti ha picchiata fino a pochi anni fa, meriti un'amica che ti ha pugnalata alle spalle e meriti di essere scopata -di nuovo- da un ragazzo che di te non se ne frega un cazzo - sibilò con sdegno quella che doveva essere la mia migliore amica.
Se tutto ciò stava facendo oscillare il mio castello fatto di carta, quella fu la bufera che fece crollare anche la base della mia vita; un'umiliazione in piena regola.
Nessuno aveva mai saputo dei maltrattamenti subiti da piccola, o meglio, nessuno fin due secondi prima che la mia vita venisse sputtanata davanti a coloro che, nel giro di pochi secondi, avrebbero reso pubblici i miei segreti più orrendi.
Se fosse stato un film, forse sarei corsa via piangendo, ma un film non fu e io mi sentii un po' meglio, almeno dopo averle restituito un po' del male che mi aveva fatto.
Risuonò nel corridoio lo schiaffo che le diedi, ma ciò che -sperai- le fecero più male furono le mie parole.
- Potrei gridare al mondo tutti i tuoi segreti più nascosti, ma niente sarà capace di farti più male di quanto tu non te ne sia già fatta da sola, le persone come te meritano solo indifferenza; sai Giorgia, raccogliamo ciò che seminiamo, e magari la mia vita non è perfetta, ma sono ciò che sono e non me ne pento, mentre tu dovresti vergognarti di ciò che sei diventata - sibilai con sdegno, non so se furono le mie parole o lo schiaffo, seppi solo che -nonostante l'alcool- riapparve nei suoi occhi la mia vecchia migliore amica, colei che aveva ascoltato i miei silenzi e le mie lacrime, colei che, forse, un'amica come me non meritava. 
Le girai le spalle, e sperai di lasciarla davvero indietro, di lasciarla ad un passato di cui lei faceva parte e di andare avanti verso un futuro in cui loro sarebbero stati solo un brutto ricordo.
- Riguardo il patto di prima - sibilai a tono basso, quando fui arrivata di fronte all'altro, in modo che le mie parole fossero udibili solo per me e per lui.
- Dimenticalo, tanto ti sei già scopato tutta la scuola - sibilai disgustata.
- Sei proprio una stronza - sbottò. 
Cercai di mandare a segno il terzo destro del giorno, ma il mio polso fu bloccato dalla sua mano, sospirai al suo tocco: doveva essere l'ultima volta che lo avvertivo.
- Non provarci neanche - sibilò minaccioso.
- Siete proprio una bella coppia, ti auguro di diventar un gran cornuto - 
- Tu, invece, già sei una puttanella - 
- Preferisco essere la puttanella di un altro, e non la tua. Non farti vedere mai più, ora che hai giocato con me e hai sfogato le tue fantasie da maniaco, puoi lasciarmi in pace -
E stupida la quale ero avrei soltanto voluto chiedergli di abbracciarmi, di poter imprimere sul mio corpo il suo calore e tra le mie labbra il suo sapore, perché non sarebbe stato semplice dimenticarlo, non dopo che me ne ero innamorata.
Dio, ancora non riuscivo a crederci, mi ero innamorata di Morici.
- Te ne pentirai - mormorò con uno sguardo freddo e vuoto.
- Non aspetto altro - finii la conversazione, ricambiando il suo sguardo minaccioso.
E me ne andai, sperando di riuscir a lasciare indietro quel pezzo della mia vita che non meritava di continuar a stare al mio fianco, sperai in una felicità futura, perché forse il sole sarebbe sorto anche per me.
Mi gettai nella prima camera che trovai, e fu lì che trovai le uniche braccia che avrei voluto trovare, l'unico cuore che avrebbe cercato di sanare il mio: Davide.
Mi gettai tra le sue braccia, le quali mi strinsero forte al suo petto e ascoltarono tutte le mie lacrime che parvero scoppiare come lava repressa per troppo tempo, la stanza fu riempita da singhiozzi che mi trapelavano l'anima e mi martoriavano il cuore, non desiderai altro che sparire tra le mie lacrime.
- Me ne sono innamorata, Dave - ebbi paura di aver gridato, forse sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbe voluto sentirsi dire, ma ebbi il bisogno di gridarlo e di sentirmi peggio di quanto già non stessi: dovevo far del male anche al mio migliore amico? 
No, lui era l'ultima persona che lo meritava, lui era l'unica cosa che mi era rimasta, l'ultimo rifugio sicuro e le ultime braccia calde e rassicuranti.
- Shh, lo so piccola, lo so. Non preoccuparti, passerà tutto… presto - mormorò con un tono di voce pacato e dolce, quasi stesse spiegando ad una bambina le regole sul come comportarsi.
Lo strinsi più forte a me, poiché stavo cadendo in un abisso senza fondo e non sarei riuscita a risalirne tanto facilmente se lui non mi avesse tenuta in salvo, con se, al sicuro.
Mi sentii una stupida, avevo bisogno di lui, avevo allungato la mano e l'avevo preso, non curante del male che potessi fargli nell'esternargli il mio amore per un ragazzo che mi aveva usato, per un ragazzo che non era lui.
Per quanto inesperta fossi nel settore amore, capii che mi ero innamorata della persona sbagliata, perché i suoi occhi, le sue braccia, il suo sapore e il suo calore non bastavano, non volevo il suo corpo, io volevo il suo cuore; ma lui l'aveva un cuore?
Mattia Morici, sapeva che l'amore era un sentimento?
 
 



* * *
SPAZIO AUTRICE
Ciiiao meraviglie, ho fatto di tutto per finire questo capitolo il più presto possibile, e devo dire che le 10 recensioni del capitolo precedente mi hanno aiutata davvero molto.
10?! Dio, siete meravigliose!
No, sono sincera, se non avessi ricevuto tutte queste recensioni il capitolo sarebbe arrivato tra qualche giorno.
Spero di riuscir ad aggiornare sempre con abbastanza puntualità, poiché ho già stabilito in mente  ogni capitolo e so cosa scrivere nei prossimi.
Ora, veniamo al capitolo:
la piccola bolla di passione di Marta e Mattia segnava una vera e propria quiete prima della tempesta, giustamente sono stata un po' cattiva in quanto credo che nessuno si aspettava che quella frase venisse pronunciata proprio da Giorgia.
Ah, cosa da non trascurare: Marta Cuneo è ufficialmente innamorata di Mattia Morici.
E qui ne vedremo delle belle!
Qualcuno potrebbe fraintendere le parole di Mattia e mi va di chiarirle per chi, magari, non ha chiara la situazione: Mattia NON è innamorato di Marta, geloso? Mmh, questo non lo so!
Ma vi ricordo il capitolo in cui vi era il suo POV, in un certo senso lui voleva marcare il territorio intorno a Marta.
Sono indecisa se scrivere o meno una situazione che potrebbe presentarsi tra un po' di capitoli, infatti credo che chiederò aiuto a voi: ma no, non vi svelerò di che si tratta, tempo al tempo.
Ora io vi lascio e, magari voi, da bravi lettori, mi lascerete una bella recensione su quest'orrore!


 
Spoiler capitolo 16:

- Io... non ti ho detto tutta la verità -

 
Voglio mettere in chiaro che le parole scritte nello spoiler -in quanto ancora non ho scritto il capitolo- possono variare... ma il contesto è sempre lo stesso!



 
Alla prossima.
 

PS: ah si, ho cambiato nick: addio xelvy_shineonme :)

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Capitolo 17
*** Buon compleanno! ***





Capitolo 16:
buon compleanno!



 

I giorni si susseguirono con una lentezza esasperante, ogni ora sembrava composta da troppi minuti, ed ogni minuto sembrava composto da secondi troppo lenti.
Le ore che passarono furono troppe poche per poter alleviare il dolore al centro del petto, i giorni che vennero dopo furono troppo monotoni per permettermi di pensare ad altro, e, inevitabilmente, il mio cuore si struggeva d'amore mentre guardavo Mattia evitarmi, passarmi d'avanti come se non esistessi, come se fossi un fantasma, come se non fossi mai esistita, come se non fosse mai successo niente tra di noi, come se io non mi fossi mai innamorata di lui.
Era straziante guardarlo ridere e scherzare con altre ragazze, tutte di una bellezza tale da farmi sentire un esserino inferiore, neanche degno della loro attenzione, e ancora peggio era vederlo scomparire insieme ad una di quest'ultime, e vederlo ricomparire dopo troppo tempo.
Al quinto giorno arrivò una festività a me non molto amata, avevo sperato così tanto che non arrivasse mai, eppure, eccolo lì...
- Auguri, cucciola - il mio compleanno.
Percepii due braccia calde e forte stringermi al proprio petto, un batticuore a me familiare prese a battere vicino al mio orecchio, e mi sentii al sicuro nel scandire i suoi battiti. 
Quella stretta, oramai, rappresentava la mia famiglia, e per quanto desiderassi che quelle due braccia appartenessero a qualcun'altro, non lo erano; sospirai pesantemente e mi ammonii da sola: gli chiedevo di evitarmi, e quando lo faceva, mi sentivo così maledettamente inutile.
Patetica.
- Grazie, Dave - sospirai pesantemente, mentre il mio migliore amico non accennava a lasciarmi andare; così decisi di godermi quell'abbraccio familiare, senza pensare ai se e ai ma, volendo tornare per poche ore la Marta di qualche anno prima, colei che vedeva l'amore come qualcosa di ultraterreno, colei che era ignara dell'amore del suo migliore amico nei propri confronti, colei che aveva ancora una migliore amica su cui contare, e, soprattutto, ancora con un cuore che non batteva al risuonare del nome Mattia.
Passai metà della giornata a raccogliere gli auguri di persone che neanche sapevo venissero nella mia scuola, ricevetti abbracci da persone di cui neanche ricordavo il nome, e li accettai tutti con il sorriso sulle labbra, finché non arrivarono quelli di Facini, inutile dire chi era in sua compagnia, inutile dire che, la sua compagnia, ancora una volta mi passò davanti come se fossi un fantasma.
E ciò bastò a cancellarmi il sorriso dalle labbra, proprio come se il mio sorriso fosse una piccola linea tracciata con una matita troppo chiara, e la sua indifferenza fosse una gomma troppo prepotente.
Stanca della sua indifferenza, non volli più vedere alcun viso, né ricevere altri auguri di buon compleanno; la poca forza che mi rimase, la usai per chiudermi in camera.
Era da quella famosa sera che mi ero trasferita in camera di Davide, mi aveva quasi costretta a traslocare in camera sua dopo avergli raccontato passo per passo ciò che era successo, certo, avevo saltato qualche particolare su ciò che era successo con Morici, ma la trama era rimasta intatta.
Inutile dire che le avrebbe volute dire di tutti i colori sia a lui, che a lei, ma l'avevo costretto, nel vero senso della parola con tanto di minaccia, a non parlare con nessuno dei due: l'indifferenza era l'arma migliore che avevamo dalla nostra parte.
Però, ancora mi tormentavo con domande senza mai una risposta, troppi perché rimasti privi di una risposta. 
Perché?
Perché ero destinata ad essere sola, a dover perdere sempre le persone a me care, costretta a rivivere scene ormai conosciute a memoria, e a scegliere sempre le persone peggiori?
Perché?
Perché quella che doveva essere la mia migliore amica mi aveva tradito in quel modo così crudo, senza provar a capirmi, senza un minimo d'amore verso i tanti momenti passati insieme?
Perché?
Perché non potevo comandare quella stupida cosa denominata cuore, magari potendo ricambiare i sentimenti del mio migliore amico, e stare bene per una volta?
Perché?
Perché anche l'amore doveva punirmi, presentandosi in questo modo così inaspettato, dichiarandosi per l'ultima persona che meritava quesl sentimento?
Perché?
Perché si diceva che solo se fornito di tanti ostacoli, il sogno inseguito era quello giusto?
La vita era proprio questo: una marea di domande senza mai una risposta, perché se mai avessi trovato una singola risposta, il gioco sarebbe finito; forse non aspettavo altro, trovare le risposte mancanti ad ogni quesito, e porre la parola fine ad ogni questione.
Ma i giochi non finivano a diciassette anni, io ero solo all'inizio dei primi tradimenti, i primi inganni, le prime lacrime, i primi dolori, i primi amori.
Ma la prima felicità, quando sarebbe arrivata?
Fortunatamente, qualcuno bussò alla porta nel momento in cui i miei pensieri stavano rispecchiando quelli di un'adolescente in piena crisi esistenziale, che faceva un dramma anche di un'unghia spezzata.
La porta, svelò la presenza dell'ultima persona sulla faccia della terra che avrei voluto vedere in quel momento, poiché giustamente, Marta Cuneo non poteva mai passare due minuti in pace, senza nessuno che venisse a distruggere la sua quiete psicologica. 
- Che ci fai qui? Mi sembrava chiaro che non volessi più vederti - mormorai alzandomi di scatto, mettendomi a sedere al centro del letto. 
- Voglio darti il mio regalo di compleanno...- sospirò Giorgia, richiudendosi la porta alle spalle ed avvicinandosi al letto.
Era incredibile la faccia tosta che aveva a ripresentarsi con la scusa di un regalo dopo tutto ciò che mi aveva fatto, dopo che aveva buttato all'aria troppi anni d'amicizia e troppa fiducia non meritata; avevo solo voglia di alzarmi e sbatterla fuori, ma non so per quale ragione a me sconosciuta, decisi di starmene lì buona e limitarmi a mandarla via con le parole.
- Non voglio niente da te - sbottai indignata, aveva intenzione di ricomprarmi con un regalo?
Cos'ero io? Un oggetto da poter comprare e vendere, da usare e gettare, da trattare male e poi riparare, da ferire e poi dimenticare? Cosa si aspettavano da me? 
- Non è un regalo materiale, è che io...- sospirò fermandosi a metà frase, contorcendosi le mani tra di loro e solo allora notai che non aveva nessun regalo, e l'apprezzai almeno per quello.
Non sopportavo la sua presenza in quella stanza, era come se stesse portando via tutto l'ossigeno, poiché eravamo così vicine, eppure lontane come mai prima d'ora; inutile negare che avevo un'inspiegabile voglia di abbracciarla, ma inutile rinnegare che avevo una malsana voglia di cancellarla dalla faccia della terra.
- Io... non ti ho detto tutta la verità - parlò così velocemente che mi stupii del fatto che l'avessi capita, e capii che molto probabilmente aveva trattenuto il fiato prima di parlare, visto che respirava in modo irregolare e irrequieto. 
- Cosa vuoi dire? Non ti capisco - sussurrai, non avendo neanche la forza di respirare.
Si riferiva a ciò che era successo con Mattia?
Una minuscola fiamma di speranza si accese in me: dopo l'accaduto, non avevo avuto più il coraggio di guardarlo in faccia, immaginare lui e la mia migliore amica era stata una scena riluttante, immaginare le sue mani sul suo corpo, immaginare il calore delle mani di lui sul corpo di lei... era una cosa subdola.
Non potevo neanche lontanamente pensare che potesse essere stato quasi... dolce, come lo era stato con me, non riuscivo ad ammettere che avesse potuto ripetere le stesse cose che faceva a me, con altre cento ragazze, perché era un'idea che mi bruciava al cuore.
Lui con un'altra, lui in un'altra.
Un'altra che non fossi io, un altro corpo da accarezzare che non fosse il mio, altra passione da consumare con un'altra persona, un altro cuore da illudere come aveva fatto con il mio.
La cosa peggiore, era che lui non aveva mai fatto niente per illudermi, era sempre stato chiaro come il sole che per lui fosse solo sesso, che a lui interessasse solo il mio corpo, che cercava solo divertimento... divertimento senza conseguenze, senza sentimenti.
- Io...- riprese, riportandomi bruscamente alla realtà.
- Quando ho combinato quel macello, non ero in me, ero ubriaca ed ero fuori di senno, avevo finito di parlare da poco con Marco e mi aveva chiaramente detto che non gli interessavo, che al massimo saremmo potuti essere amici di letto. Capisci? Mi sono sentita una nullità, e così mi sono infilata nel primo bar che ho trovato e ho alzato troppo il gomito, ero arrabbiata con me stessa e con il mondo intero, ero arrabbiata anche con te perché hai sempre avuto i ragazzi più carini, quelli che faceva invidia a tutte, sei sempre stata la sola che non si è mai resa conto che aveva Davide ai propri piedi, e poi, Mattia? Dio Marta, quel ragazzo te lo invidiano dalla prima all'ultima ragazza della scuola, e allora quella sera quando vi ho visti così vicini in corridoio ho dato voce ai miei risentimenti senza pensare alle conseguenze. Era vero tutto ciò che ho detto, inutile negare che da ubriachi si dice la verità, ma io ero sia ubriaca che arrabbiata, e di conseguenza ho alterato la realtà dei fatti; una settimana fa, più o meno, sono uscita di nascosto mentre tu dormivi, non mi andava di svegliarti poiché ero sicura che la tua risposta sarebbe stata negativa, e -insieme a Marco, Mattia e la Cabassi- sono andata in discoteca. Inutile negare che io  ci abbia provato con Mattia, e inutile negare che lui mi abbia respinto con poca delicatezza, ha detto che sicuramente ero ubriaca, che comunque non ero il suo tipo, e questo ha ferito il mio orgoglio da donna...- prese fiato, mentre una lacrima le solcava il volto - so che non dovevo farlo, ma volevo punirlo, e l'ho fatto, ma ho fatto del male anche a te, più di quanto tu meritassi, e mi sento una persona orrenda. Io non sono mai stata con Mattia - buttò fuori tutto d'un fiato, come se avesse paura di rimangiare le sue stesse parole.
Cosa mi pervase in quel momento?
Oh, bho.
Un misto tra felicità e gioia, odio e riluttanza, speranza e illusione, fine e inizio.
La tua amica sta male, io non ci sono mai stato a letto.. le parole di Mattia mi risuonarono in testa con una voce troppo acuta, troppo forte, troppo sua; perché non gli avevo dato ascolto? Perché non mi aveva costretta a rimanere lì con lui, ad ascoltarlo, e a lasciarmi andare solo nel momento in cui gli avrei creduto?
Perché non gli avrei mai creduto, mi risposi da sola.
Perché ero troppo testarda, con una testa dura come un muro, perché avevo continuato a sovrastare errori su di errori, sbattendogli in faccia l'unico -forse- errore che non aveva commesso nei miei confronti, chiedendogli di uscire dalla mia vita.
E lui era uscito davvero dalla mia vita.
Ed io mi sentivo vuota, perché aveva lasciato un vuoto in me troppo profondo e troppo largo, che da solo non si sarebbe mai potuto rimarginare, perché la sua assenza mi stava marchiando come un simbolo impresso con il fuoco, poiché non mi mancava solo il suo modo di toccarmi, di fare l'amore, ma mi mancavano i suoi occhi, il calore del suo corpo, la veemenza con la quale mi teneva il corpo, mi mancava tutto di lui, mi mancava lui.
Era come se, da un momento all'altro, non potessi più fare a meno delle sue imperfezione, del suo carattere da perfetto stronzo, della strafottenza che metteva nei suoi gesti, dell'indifferenza con la quale mi stava straziando e della dolcezza che mai aveva usato. 
Perché solo in quel momento capii di amare e odiare, contemporaneamente, ciò che lui era, poiché se fosse stato uno dei tanti ragazzi tutto rose e cioccolatini, non lo avrei mai né amato, né odiato, poiché, con quel suo modo di fare da stronzo patentato, aveva ingannato quel povero organo che mi batteva al centro del petto raggirandolo e facendogli perdere il conto dei battiti che scandiva in un minuto quando era nei paragi.
Le lacrime sul volto di Giorgia mi ricordarono che lei era lì che -probabilmente- aspettava una risposta, e le sue stesse lacrime, mi fecero capire che in lei non c'era più la mia migliore amica, che io potevo riparare ai miei errori, ma non ai suoi.
- E' inutile che mi dici tutto ciò...- sussurrai con la voce incrinata per via delle lacrime che, pulsanti, pretendevano di mostrarsi a occhi altrui.
- Io e Mattia non stiamo insieme, e mai potremo essere una coppia - soffiai, con un tono di voce lieve, ma era sicura che se le lacrime non mi avessero bloccato la voce, quelle parole non le avrei sussurrate, ma gridate; era come se non aspettassi altro che una persona esterna che smentisse ogni mia accusa, che mi rassicurasse mormorandomi che no, avevamo una possibilità di stare insieme, forse una su mille.
Non sapevo se con quella frase volessi convincere me, lei o il mondo intero, sapevo solo che volevo scomparire, volevo dissolvermi da quel totale stato di confusione, volevo tornare ad essere l'adolescente che aveva un unico pensiero: il divertimento.
- Non è vero, e questo posso assicurartelo - mormorò aprendo la porta - lui ci tiene a te, più di quanto dimostra, più di quanto immagini, più di quanto lui stesso immagini - continuò.
Quanto bello sarebbe stato potermi illudere di quelle parole, poterle credere almeno per un istante, ma non sarebbe servito a niente se non a procurarmi altro dolore, ed io, altro dolore, non sarei stata capace di sopportarlo.
- Spero che un giorno mi perdonerai - sospirò prima di richiudersi la porta alle spalle - ti voglio sempre bene - e l'ultimo rumore che accompagnarono le sue parole, fu lo sbattere della porta a cui susseguirono le mie lacrime trattenute.
Da quando ero diventata così debole?
Quando mi ero trasformata in una bambina che piangere ogni giorno, che ammirava il mondo da un oblò senza averne la voglia di viverlo, che aveva paura di voler bene, che aveva paura di viviere, che non voleva più soffrire?
Oh, da quando mi ero innamorata.
 
 
 
Mi resi conto di essermi addormentata solo quando scorsi un corpo che si stava sistemando accanto al mio, un po' troppo vicino; pensai di tornarmene a dormire beatamente, ma la curiosità era donna e così, dopo essermi strofinata gli occhi, li aprii e percepii distintamente ogni singola particolare del corpo di Davide al mio fianco, e i suoi occhi scuri e profondi che mi scrutavano senza minimamente preoccuparsi di nascondere il suo modo di esaminarmi. 
Mi sorrise, quando probabilmente si accorse della mia espressione spaesata dal momento che avevo appena aperto gli occhi.
- Che ore sono? - borbottai con la voce impastata dal sonno.
- E' presto..- sussurrò ad un palmo dal mio volto.
Quella sua dolcezza estrema nei miei confronti mi faceva male, poiché avrei voluto ricambiarla con tutta ma stessa, eppure anche se la mia mente diceva a, il mio cuore voleva b.
Ebbi il malasano istinto di abbracciarlo, e così feci, buttandomi -letteralmente- su di lui, ma quest'ultimo si preoccupò di ribaltare la situazione e finimmo -inevitabilmente- con il peso del suo corpo a schiacciarmi, mentre le mie mani erano saldamente legate al suo collo e, di conseguenza, le sue braccia erano legane in una ferrea presa intorno alla mia vita.
Socchiusi gli occhi nel sentirmi inondare da quel dolce e rassicurante profumo di Davide, quel profumo delicato, che avevo imparato a conoscere, che tal volta avevo anche sentito cambiare e, altre volte ancora, gli avevo imposto di cambiare a gusto mio.
- Posso farti una domanda? - se ne uscì improvvisamente.
- Dimmi...- mormorai.
- Tu lo ami? - soffio nello stesso istante in cui il suo naso sfiorò il mio.
La domanda da un milione di dollari: lo amavo? 
Poteva un amore a senso unico essere un amore vero? Probabilmente si, perché probabilmente non era la stanchezza a farmi tremare le gambe quando lui era nei paragi, probabilmente non era un problema cardiaco se il cuore mi batteva irrefrenabilmente ogni qual volta sentissi il suo tocco sulla mia pelle, probabilmente non era un caso se mi sentissi davvero completa solo quando le sue labbra combaciavano con le mie.
- Io...- iniziai.
Non avrei mai fatto del male a Davide, magari gli avrei fatto più male nascondendogli la verità, ma almeno non avrei potuto rimproverare me stessa: almeno, io, c'avevo provato.
- No - conclusi, sospirando.
- L'altra volta hai detto che lo amavi - continuò, e ricordai bene la mia frase.
- Ma no! - sbottai allarmata - hai capito male - sentenziai, sicura delle mie parole.
- Non mentirmi, ti prego - sussurrò, e nei suoi occhi comparve tutta la speranza presente sulla faccia della terra.
- Non lo amo - e pregai in ogni lingua del mondo, pregai di sembrare sincera, perché l'ultima persona a cui avrei voluto fare del male era proprio lui, l'unica persona che meritava tutta la felicità presente sulla faccia della terra.
- Sicura? - sussurrò strofinando la punta del suo naso contro il mio collo, per poi lasciarvi un leggero bacio.
Rabbrividii a quel contatto, e ciò non mi parve normale: era il mio migliore amico e quello era un innocuo bacio sul collo, ma, tuttavia, lui era sempre un ragazzo e io pur sempre una ragazza.
Avvertii le sue labbra risalire pian piano, lasciando una scia di saliva che mi ricordò inevitabilmente il suo modo di toccarmi: lui non era cauto come Davide, lui non era inesperto come Davide, lui conosceva il mio corpo centimetro dopo centimetro, lui aveva scoperto e fatto suo ogni millimetro di pelle che poteva soccombere. 
Stupidamente, mi ritrovai a fare degli inutili paragoni su un ragazzo che non mi avrebbe mai considerata di striscio, mentre altre labbra dolci e sensibili facevano capolineo ad un filo di distanza dalle mie: ma la mia vita cos'era, una brutta copia di beautiful?
- Vuoi? - sussurrò, e contemporaneamente avvertii il suo labbro superiore strusciare contro il mio labbro inferiore.
Era questo il punto: volevo? 
Volevo altre labbra sulle mie, labbra che non fossero le sue? Volevo altre labbra sulla mia, dopo che le sue labbra erano state le ultime che avevo assaggiato? Volevo che altre labbra mi imponessero il proprio sapore, quando ancora portavo il suo di sapore tra le labbra?
Volevo continuar a struggermi per un amore senza possibilità?
E quella domanda mi fece più male di una pugnalata in pieno petto, e il dolore mi portò ad agire senza riflettere.
Allungai il collo quel tanto che bastava per trovare la bocca di Davide, e la trovai, già schiusa e pronta per unirsi alla mia, e non ci fu l'irruenza con cui baciavo sempre lui, non c'era la voglia di possedersi che arieggiava tra gli schiocchi dei nostri baci, c'era solo una lentezza esasperante.
La dolcezza con la quale la bocca di Davide si unì alla mia, in un incastro di labbra, per poi schiudermi leggermente la bocca, quel tanto che bastava per averne libero accesso; il mio migliore amico non meritava un rifiuto, e di conseguenza, imboccai l'unica strada accessibile: socchiusi gli occhi ed immaginai che ci fosse un altro ragazzo al suo posto, che fossero altre le mani che avevano appena valicato il confine della maglietta e stavano tracciando cerchi egocentrici sulla pelle nuda dello stomaco, immaginai che fosse un altro calore a scaldarmi, immaginai che fosse un'altra lingua quella che stava danzando con la mia... niente di eccezionale, scambiai solo il mio nemico con il mio unico amico.
Annullata la mia sanità mentale, e mi arpionai al suo collo cercando di rendere più profondo il contatto, e quel bacio, tutta via, fu migliore di quanto mai avessi potuto immaginare: erano dolci i gesti con cui le sue mani mi afferrarono il bordo della felpa e me la sfilarono, fu straordinario il calore che mi pervase quando le sue braccia mi circondarono e la sua bocca tornò a divorare la mia, e così andava meglio: il bacio divenne più violento, quasi.
E diventò una sensazione accettabile, o forse, costrinsi me stessa ad accettarla.
Perché io, non volevo.
- Dave - mi scappò dalle labbra, un invito a fermarsi che, ovviamente, lui scambiò per piacere.
Sgranai gli occhi per lo stupore quando avvertii le sue labbra scendere verso il mi collo, e un senso di disgusto mi pervase quando sentii fin troppo vicina la sua bocca al tessuto del mio reggiseno, e vero e proprio panico si impossessò di me quando avvertii le sue dita gicare con il gancetto di quest'ultimo.
Lui non era Mattia.
- No, Davide, no - quasi gridai, mentre percepivo il suo corpo irrigidirsi.
In un immediato senso di pudore, portai bruscamente la coperta a coprirmi il seno, anche se non ero affatto scoperto. 
E provai disgusto verso me stessa: non potevo prendere in giro in un modo così crudo e scarno il mio migliore amico, non lo meritava, e contemporaneamente, non sarei mai riuscita ad imporre delle attenzioni al mio corpo, qualsiasi tipo che attenzione che non fosse direttamente accennate dal ragazzo che mi aveva irrimediabilmente fottuto il cuore.
Non avrei mai potuto confondere i due modi di toccarmi, Mattia era sicuro, Mattia era adrenalina e passione, Davide era dolcezza e sicurezza, il primo era tutto ciò che mi aveva tratto in inganno, il secondo tutto ciò che il mio cuore rifiutava categoricamente.
- Scusa - mormorò Davide, riavvicinandosi.
- Non devo correre, lo so - sussurrò.
- Davide io...- sospirai - non so cosa provo verso di te - oh, si che lo sapevo, provavo solo amicizia.
- Non diamoci alcuna etichetta per il momento, vediamo come vanno le cose e poi vedremo - sussurrò accarezzandomi la guancia destra.
- Scusa - perché sei solo un amico per me. 
- Non hai niente da scusarti - sbottò prendendomi il volto tra le mani - sono stato io troppo avventato a pretendere tutto e subito - sussurrò sincero.
Mi limitai ad annuire.
- Però io lo so Marta, non ti sono indifferente, l'ho capito da come tremavi sotto di me, da come hai risposto al bacio, da come il tuo corpo ha reagito alle mie carezze - mormorò.
Perché pensavo fossi lui.
L'unica risposta sincera, l'unica risposta che non avrei mai potuto dargli.
E capii qualcosa che, magari mi sarebbe servito di lezione in futuro: non avrei mai dovuto prendere in giro né me, né lui, non avrei mai dovuto illudermi di poter dimenticare un sentimento da parte di Mattia mai nato, non avrei mai potuto contraccambiare un sentimento nato inaspettatamente da parte di Davide, perché il mio cuore era uno, amava per uno, batteva per uno, vibrava per uno, e quell'uno aveva un padrone il cui nome era stato troppe volte ripetuto in preda al piacere.
Ma, masochista, annuii, regalandogli una minima possibilità che il mio cuore vedeva sprecata.
Tuttavia, compresi che avevo le ferite del mio migliore amico da curare, e non era compito mio dovergliene procurare altre.
 
 
Che illusa che ero, sperare che lui avesse avuto il coraggio di farmi gli auguri, magari da lontano, magari accennando solo una singola parola, magari senza guardarmi, magari senza pormi attenzioni, magari senza evitarmi. 
Davide era abbondantemente addormentato, e dopo ciò che era successo poche ore prima provavo vergogna nell'immaginarmi dormire accanto a lui, anche se coperta da un pigiama che faceva passare tutte le fantasia -sperai- che erano possibili da complottare; ma fatto restava che non avrei mai potuto evitare la realtà delle cose, e di conseguenza, le cose con lui erano destinate a cambiare.
Non sapevo se fossi pronta a subire ancora altri cambiamenti, ma una cosa la sapevo: non m'importava di niente, tranne della voglia di avere Mattia al mio fianco, di poterlo amare liberamente, di poter avere l'esclusiva su di lui, di poter essere l'unica a specchiarsi nei suoi occhi, ad essere l'unica ad avere il privilegio di scompigliargli i capelli... lo volevo mio e volevo essere sua.
Magari se avessi desiderato il superenalotto, avrei avuto più speranze.  
Lo amavo.
E risi, risi di una risata isterica, di una risata che di gioia non aveva niente, di una risata che era vuota come il mio cuore.
Fui felice dell'unica cosa positiva: domani saremo ritornati finalmente a casa, avrei potuto riprendere in mano la mia vita, avrei potuto dimenticare tutto ciò che Londra mi aveva causato e, magari, dare a questa città tutte le mie colpe.
A Londra l'avevamo fatto per la seconda volta.
A Londra mi ero illusa.
A Londra la mia migliore amica mi aveva tradita.
A Londra il mio migliore amico mi aveva rivelato di amarmi.
A Londra mi ero innamorata.
Il display del mio cellulare segnava oramai le 11.58, tra due minuti sarebbe passato anche il mio ennesimo compleanno. 
Forse fu solo una mia immaginazione, ma fui sicura di sentire dei lievi colpi battere contro la porta della stanza; mi alzai, indecisa sul da farsi, e compresi che non era il momento di fare la fifona ed aprii la porta.
Il corridoio era vuoto, neanche un'anima viva, anche se per un attimo immaginai che potesse davvero esserci qualcuno dall'altra parte della porta, magari quel qualcuno, il mio qualcuno.
Proprio mentre stavo per richiudere la porta, notai un piccolo foglio piegato in due che giaceva inerme sul pavimento.
Lo raccolsi e, aprendolo, scorsi che sul foglio bianco vi era un'unica frasi incisa con una calligrafia non molto ordinata: buon compleanno.
Sorrisi involontariamente, sorrisi come una bambina che per la prima volta vedeva l'arcobaleno in vita sua, sorrisi come una bambina che il giorno di natale trovava il salone pieno dei suoi nuovi giocattoli; ma forse, più probabilmente, sorrisi come una diciassettenne innamorata.
Portai quel piccolo pezzo di carta al naso, e una gioia mi scoppiò nel cuore quando fui perfettamente ingrado di riconoscere quel profumo, quel profumo che avevo respirato troppe volte dal suo collo, quel profumo che avevo ritrovato sul mio stesso corpo, quel profumo che aveva lasciato tra le mie lenzuola, quel profumo che avevo chiaramente impresso nel cuore: il profumo di Mattia.
 
 
 



* * *
SPAZIO AUTRICE
Ed eccomi resuscitata proprio ora che avevate perso le speranze!
Ora avete una marea di motivi per odiarmi: odiarmi per tutto questo tempo che ho impiegato, odiarmi perché in questo capitolo non compare quasi per niente Mattia, o perché vi lascerò uno spoiler ghfrdjeska.
Inizio col dire che non è colpa mia per questo enorme ritardo, il problema è che avevo scrittò metà capitolo sul computer portatile, e poi mi si è rotto!
Allora ho dovuto aspettare che mio padre comprasse un nuovo caricabatteria.
Invece per l'assenza di Mattia, è perché questo è un capitolo ABBASTANZA di passaggio, anche se così non lo definirei in quanto si può vedere uno sviluppo notevole tra i rapporti tra Marta e Davide, e la verità da parte di Giorgia.
Per quanto riguarda Giorgia, mi è sembrata la cosa più giusta da fare in quanto dalla sua rivelazione scaturirà il prossimo capitolo che non vi deluderà.
Marta è inutilmente innamorata di Mattia, e per Davide -mi dispiace per il team Davide- prova solo una profonda amicizia.
Avete presente la parta in cui c'è il bacio tra Marta e Davide? Ecco, l'ho scritto ben due volte, perché? Perché la prima volta era più spinto, vi era un contatto più.. vero, e non sono riuscita a non modificarlo in quanto... devo ammetterlo... sono TEAM MORICI.
Il prossimo capitolo sarà mooolto interessante, ne vedremo delle belle, soprattutto sarà incentrato sul mio bel Mattia, che farà pressione sul suo essere così stronzo.
Sarò parecchio cattiva nel prossimo, oooh si. 
Ora passiamo alle recensioni del capitolo precedente: QUINDICI? Oddio, grazie, grazie, grazie, graaaaaziiiiieeeeeee.
Grazie per ogni parole, per ogni consiglio, per ogni recensione, è grazie a voi se non mi scoraggio mai e se trovo sempre la forza per scrivere, e so che molto spesso non sono ottima nella scrittura -come questo capitolo che non mi piace per niente, soprattutto nel primo pezzo-.
Ora che ho di nuovo il mio bel computer portatile, prometto che farò il possibile per aggiornare appena posso, anche se non faccio promesse poiché non so se sarò capace di mantenerle.
Mi prendo un attimo anche per ringraziare le migliaia di visite, e soprattutto coloro che mi hanno aggiunto nelle preferite, nelle seguite, nelle ricordate e un grazie speciale a coloro che mi hanno aggiunta negli autori preferiti.
Ora vi lascio, e voi, mi lasciate una beeeeeeeella recensione, vero, vero, vero? Vero!
 


 
Spoiler capitolo 17:

- Voglio fare l'amore con te -

Detto da chi per chi? Come e in che modo? Se aspettate che io vi dica qualcosa in più, sbagliate, poiché vi darei troppi indizi e, di conseguenza, vi porterei via tutta la curiosità.



 
Alla prossima.

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Capitolo 18
*** L'ultima notte ***



 

Capitolo 17:
l'ultima notte

 

 

Alla fine, stanca e strutta, sentenziai che la pace era l'unica cosa che non potevo trovare in quella stanza e, non curante del fatto che indossassi ancora il pigiama, uscii in silenzio dalla camera e mi addentrai nel corridoio principale e, pregando tutti i santi del paradiso perché non mi facessero scoprire a spasso per la struttura nel cuore della notte, mi diressi verso la piscina coperta.
Come ogni mia comune scelta, anche quell'ultima scelta non si presentò come la migliore che potessi prendere in quanto non avevo affatto calcolato l'idea che potessero esservi anche altre persone che avevano avuto la mia stessa brillante idea ma, ciò che più mi fece rabbia, fu che proprio lui era seduto indifferente sul bordo piscina.
Due erano le opzioni plausibili: o darmi a gambe levate e scomparire proprio come ero arrivata ed evitare qualsiasi forma di colloquio con il tizio che mi sedeva di fronte e stava palesemente fingendo che io non esistessi, o restare dove ero appena arrivata e non dargli la minima soddisfazione e, meglio ancora, digli due parole che proprio non riuscivo a reprimere.
Feci il giro della piscina avvicinandomi sempre di più a colui che sembrava portare al collo un cartello con scritto pericolo-in-agguato, eppure, a me i pericoli piacevano soprattutto se come lui si potevano prendere a calci fino a fargli dimenticare quale fosse il giorno del suo compleanno.
Certo che neanche il mio passare così velocemente da voglio-scoparlo-ferocemente a voglio-prenderlo-a-calci-ferocemente era tanto normale, ma mi rassicurai ricordandomi che, oltretutto, le cose normali erano alquanto noiose.
- Devo parlarti - borbottai suonando meno gentile di quello che volevo.
- Ho qualche alternativa? - sbuffò senza neanche voltarsi ma, per quanta rabbia mi fece la sua ostilità nel volermi evitare completamente come se avessi una malattia contagiosa, provai una strana sensazione nel parlargli dopo tanto tempo e nell'essergli così vicina dopo che il mio corpo non toccava il suo da settimane.
- Direi di no - sentenziai con un sorrisetto di vittoria sulle labbra, ero lì e doveva ascoltarmi.
Sbuffò senza neanche disturbarsi di girarsi quando gli avevo chiaramente detto che volevo parlargli ma, tuttavia, non mi lasciai scoraggiare da quel suo comportamento da stronzo-più-stronzo-non-si-può.
- So che tra te e Giorgia non c'è mai stato niente - buttai fuori tutto d'un fiato e d'improvviso rimpiansi amaramente di non essermi preparata un discorso da fargli e di non aver pensato prima ad una possibile eventualità di parlare con lui e magari, chissà, scusarmi.
- Allora? - domandò con tono d'insufficienza come se gli avessi appena letto la lista della spesa.
- Allora mi... dispiace per non averti ascoltato e... - forza e coraggio, addio orgoglio - scusa - finii la frase come se avessi appena perso il più importante tra i premi.
- Ok - fu tutta la sua risposta.
- Ok?! - chiesi con un tono infastidito, ironico e ferita; non c'era modo di scrollargli di dosso quella corazza da stronzo patentato, forse perché non era una corazza ma era solo lui nella sua vera essenza ed io mi ero appena umiliata per ricevere un misile ed inutile 'ok'.
- Cosa vuoi che ti dica? - borbottò girandosi appena e solo quando incontrai i suoi occhi verdi potei capire quanto realmente fosse indifferente al mio mettermi a nudo -metaforicamente- davanti a lui chiedendogli scusa e mi sentii patetica, perché ai suoi occhi apparivo sicuramente solo una povera ragazzina patetica.
- Non lo so, non lo so! Ma dimmi qualcosa! Non rispondermi con un 'ok', dimmi per una fottuta volta quello che ti passa per quel bacato cervello che ti ritrovi! - furiosa, offesa e ferita, ancora una volta.
Inutile, era sempre quello l'effetto che subivo: io rimanevo scottata dalla sua indifferenza e lui rimaneva indifferente a qualcunque cosa io facessi, dicessi, non facessi o non dicessi.
E di cosa me ne ero innamorata?
Ma sicura che me ne fossi innamorata?
Bastava che mi tremassero le gambe ogni qual volta lui fosse nelle vicinanze per essere innamorata? Bastava che mi tremasse la voce ogni qual volta riduceva pericolosamente la distanza tra i nostri corpi? Bastava che mi tremasse perfino il cuore quando le sue mani vagavano libere e indiscrete sul mio corpo? Bastava che provassi riluttanza nel farmi toccare, sfiorare o anche semplicemente baciare da qualcuno che non fosse lui?
Mi risposi di si, bastava.
- Cosa devo dirti? Che mi sei mancata? No Cuneo, non mi sei mancata neanche un po'. Cosa vuoi che ti dica che ti ho pensata? No, non hai neanche sfiorato i miei pensieri. Cosa vuoi che ti dica che questi giorni li ho passati a struggermi per te? Oh no, le ho passate molto meglio, ho scopato tante di quelle londinesi che non ti bastano le dita delle mani per contarle - e, d'improvviso, ritrovai la sua altezza a sovrastarmi, neanche mi resi conto di quando si fosse alzato in piedi.
Stupida ed illusa, cosa mi aspettavo di diverso da un ragazzo come lui? Che avesse passato il suo tempo a rimurginare su quel noi che non sarebbe mai esistito? Che come me avesse scoperto che no, non ero più una semplice scopata? Doppiamente stupida ed illusa.
Eppure lui era davanti a me, lui stava sorridendo dopo avermi gettato addosso la verità nuda e cruda, aveva chiaramente lasciato intendere che non fossi niente in più e niente in meno di una semplice scopata.
Sarei voluta scoppiar a piangere seduta stante, ma lui non meritava tale soddisfazione e, soprattutto, non meritava che io sprecassi altre lacrime per lui, per un lui che non avrebbe mai dovuto incrociare il mio cammino e che come due treni avremmo dovuto continuar a camminare paralleli uno distante dall'altro.
Volevo odiarlo,  odiarlo come non avevo mai odiato nessuno in vita mia, volevo odiarlo tanto quanto lo amavo.
- No - sussurrai, cercando di recuperare un po' d'orgoglio e mandare a fanculo i miei sentimenti - mi aspettavo decisamente ciò che mi hai detto, alla fine dei conti credo che abbiamo avuto gli stessi passa tempo, giusto? - e feci leva su tutto il mio buon senso per sfoderare uno dei sorrisi più sinceri e fastidiosi che potessi mettere in scena.
Forse fu solo una mia impressione, ma per un attimo vidi un lampo di.. fastidio attraversargli gli occhi e, contemporaneamente, serrò la mascella in un'espressione che sembrava tradire gelosia, forse l'avevo punto sul debole?
Sorrisi compiaciuta, almeno per una volta ero stata io a zittirlo anche se con una bugia grande quanto Londra.
- Sai che quel cameriere che tanto ti è antipatico sotto le coperte non è niente male? - continuai entrando abbastanza bene nei panni di una Marta sfacciata e che appariva ai suoi occhi una poco di buono, ma tutto sommato, non m'importava, era ciò che lui aveva -sicuramente- pensato di me sin dalla nostra prima volta.
Eppure distinsi chiaramente i nervi del suo volto che si rilassavano di nuovo in un'espressione indifferente ma, contemporaneamente, non mi persi neanche il -quasi- invisibile movimento che compirono le sue mani quando si chiusero a pugno e, dopotutto, forse non gli ero del tutto indifferente.
- Gli hai già detto che impazzisci per i giochi di lingua? - ghignò alquanto soddisfatto.
Stronzo fino ai limiti dell'immaginabile.
- O quella è solo una mia esclusiva? - continuò divertito.
Avrei voluto iniziar a scalciare come una bambina viziata e mandarlo a farsi fottere, volevo saltargli al collo e strangolarlo, volevo prenderlo a calci, volevo pestarlo in una maniera tale che neanche la madre sarebbe più stata in grado di riconoscerlo ma, ne ero sicura, mi avrebbe bloccata ancor prima che ci avessi provato.
- Non ha bisogno di consigli, è già bravo di suo - continuai imperterrita.
Fu un attimo e -sinceramente- neanche mi resi conto come finirono le sue mani sui miei polsi e in quanti pochi secondi si fortificò la presa su di essi, fino a farmi male, fino a trarli in alto tra i nostri volti, fino a farmi assaporare di nuovo il suo calore sulla mia pelle.
- Mi fai male - urlai cercando di divincolarmi dalla sua presa ma inutile dire che fu inutile. 
I suoi occhi erano diversi, arrabbiati, e mi resi conto di quanto giusta fosse la mia tesi quando mi costrinse ad indietreggiare fino a farmi sbattere -per niente delicatamente- con la schiena contro il muro.
Gemetti di dolore, ma non mi ribellai, avrei sofferto qualsiasi pena pur di avere il suo corpo così vicino al mio, tanto vicino da poterne avvertire il calore, così vicino da poterlo quasi toccare.
 
Patetica.
- Si può sapere che cazzo vuoi da me una volta per tutte? - non urlò, semplicemente mi lasciò i polsi e si voltò, di nuovo.
- Ci vediamo, Cuneo - sussurrò e prese a camminare, via da me, lontano da me.
Sarebbe stata la cosa migliore mettere la parola fine a tutto ciò: a tante lacrime, a tanto amore sprecato, a tanti sorrisi mai compiuti, a tanti gesti mai ricevuti e ad un solo e solitario cuore che sanguinava ininterrottamente.
Ma lo volevo?
Conoscevo la risposta e masochista, stupida, illusa e innamorata, non potei far altro.
- Aspetta - credetti di urlare, e la voce mi uscì leggermente inclinata.
Ovviamente non si ferò e ovviamente ancora una volta stupida e innamorata gli corsi dietro finché non mi frapposi tra lui e la porta.
- Aspetta - ripetei, posandogli una mano sul petto a livello del cuore e solo allora percepii quanto mi fosse davvero mancato.
Per tutta risposta mi guardò ancora con quella maschera di indifferenza, con un qualcosa di indecifrabile, ma se proprio dovevo mandarlo fuori a calci dalla mia vita era meglio essermi prima umiliata completamente.
Non pensai, non riflettei, agii soltato: mi alzai quel tanto che bastava -che poco non era- per arrivare alle sue labbra e senza pensarci una seconda volta, perché altrimenti mi sarei presa a calci da sola, distrussi la distanza tra i nostri volti e appoggiai le mie labbra sulle sue già schiuse forse per la sorpresa e non aspettai nessun invito, lasciai semplicemente che la mia lingua penetrasse tra le sue labbra fino a trovare la sua, fino a riappacificarmi con il mondo, fino a riavere di nuovo il suo sapore tra le labbra.
Mi era mancato, mi era mancato davvero.
Misi da parte l'orgoglio, misi da parte la Marta Cuneo di una volta, misi da parte tutto e mi riappropiai di ciò che era mio, o almeno desideravo -ingenuamente- che potesse essere mio.
Inizialmente sembrò preso alla sprovvista per quel mio gesto, ma rispose all'istante aggrappandosi ai miei fianchi, lasciando che quest'ultimi si modellassero tra le sue mani, che prendessero forma tra le sue dita e fece una leggera pressione, tanto quanto bastava per farmi capire cosa desiderasse e non opposi resistenza: allacciai le mie gambe intorno al suo bacino lasciando che le mie braccia, invece, si legassero al suo collo.
I suoi capelli erano bagnati, il suo corpo era bagnato, ma poco m'importava; l'unica cosa a cui ero capace di percepire erano poche: il suo sapore, il suo calore e la voragine che si stava formando nel basso ventre.
Gli schiocchi dei nostri baci erano la melodia più dolce che potessi desiderare in quel momento, e che mi avesse appena posata su un pavimento che chissà quante persone avevano calpestato me ne importava poco e niente.
Mi sei mancato.
Avrei voluto gridargli, ma la paura di essere derisa m'imprigionò quelle parole in fondo al cuore.
Un gemitò alto e acuto servì a farmi vergognare come una ladra non appena oltrepassò il ferretto del regiseno e prendese a giocare con il mio seno, prima stringendolo a coppa per poi sfregare tra le sua dita un capezzolo.
Sorrise contro le mie labbra soddisfatto dell'effetto che le sue attenzioni avevano su di me.
La maglia del pigiama m'abbandono e..
oh porco cazzo, io ero in pigiama.
Sarei voluta sprofondare e l'unica cosa che riuscì a riempire la voragine che stava formando la mia vergogna fu l'unico e semplice gesto con la quale mi liberò anche dei pantaloni.
Forse non era il momento adatto per fare la schizzinosa ma comunque ero quasi nuda su un pavimento che faceva schifo, ma non riuscivo a preoccuparmene quanto avrei voluto perché volevo riempire quell'oceano di voglia che si era formato dentro di me.
- Sei stata con qualcuno dopo di me? - sussurò roco non appena sorpassò il bordo dei miei slip.
- S-si - risposi, ma avevo il vaco presentimento che presto mi avrebbe gentilmente costretta a dire la verità.
- Non ti credo - sussurrò gettando il reggiseno da qualche parte e sperai profondamente che non finisse in piscina.
- E f-fai male - gemetti quando arrivò al concentrare le sue attenzioni esattamente in basso, dove una voglia di tappargli la bocca, e pregarlo di andare avanti, mi stava mandando a vita migliore.
- Bugiarda - continuò.
Non volevo solo uno stupido orgasmo e se avesse continuato su quella via sicuramente mi avrebbe mandata verso il paradiso, ma non era così che volevo che finisse, volevo lui, non un comune piacere.
Mugugniai sotto di  lui e mi convinsi a prendere le redini in mano -non in quel senso- facendolo fermare e rendendo equa la cosa, rendendolo privo di qualsiasi indumento.
- Quel cameriere del cazzo è davvero migliore di me? - domandò come se fosse la cazzata del secolo.
- No - gemetti quando avvertii il suo corpo completamente schiacciato contro il mio.
- Hai fatto sesso con lui? - dio, ma voleva chiudere quella cazzo di bocca si o no?
- No! - affermai esasperata.
Si allontanò dal mio corpo quella manciata di secondi che serviva per prendere qualcosa dai jeans e non so se mi ritenni fortunata perché se non avessimo concluso un cazzo avrei dato di matto o se ritenermi infastidita perché si portava i preservativi dietro anche quando doveva solo andare a fare una fottuta nuotata.
Fatto resta che, quando ritornò su di me, contro di me, non ebbi più la lucidità di dire niente se non una frase che mi sarei volentieri risparmiata.
-Voglio fare l'amore con te - gemetti quando lo sentii pronto contro di me.
Sarei voluta scomparire dalla faccia della terra, oh, assolutamente!
Ero ben consapevole della distinzione che i ragazzi facevano tra sesso e amore ed ebbi la strana sensazione che Mattia, invece, racchiudeva entrambe le parole in una piccola parola: trombare e, infatti,  non rispose, non sorrise, entrò solamente in me uccidendo qualsiasi neurone attivo.
La terra non girava più attorno al sole in quel momento, girava attorno a noi.
Non esisteva gravità a tenermi con i piedi per terra, c'era solo lui che mi rendeva impossibile qualsiasi via d'uscita.
Ma no, non sarei mai scappata.
Perché si, per me quello era fare l'amore.
Perché si, per lui quello era solo del semplice sesso.
Eppure, non m'importava, forse in quel momento si stava solo sfogando, forse mi stava solo usando come giocattolino mentre aspettava che mi rompessi per usare altro, forse.. nessun forse, per lui non ero altro che un corpo da avere.
Eppure lo amavo, lo amavo da aver paura, paura perché ogni suo gesto mi feriva, ogni suo sguardo mancato mi faceva sentire la persona meno importante sulla faccia della terra, la sua indifferenza valeva più di mille parole eppure, ogni qual volta era dentro di me, dimenticavo tutto il male che era capace di infliggermi.
- Mattia - sospirai quando una lacrime fuggì al mio controllo.
Ti amo.
Avrei voluto gridargli.
Lasciami andare.
Avrei voluto avere il coraggio di dire.
Esci dalla mia vita.
Era la frase migliore.
Stringimi e te e non lasciarmi più.
Parve recepire la prima parte dell'ultima frase, ma probabilmente solo perché dopo un arco di tempo che doveva essere durato svariati minuti -anche se sembrava fossero passati solo pochi secondi- entrambi venimmo.
Non so se si accorse della lacrima che avevo asciugato velocemente, non so se fece finta di non vederla, ma di una cosa ero sicura: dovevo smetterla di farmi del male, perché ogni lacrima era una parte di me buttata via, ma buttata via per chi, per cosa? Per uno stupido ragazzino che si divertiva a scoparmi e buttarmi via, proprio come stava facendo.
Lo vidi alzarsi e uscire da me troppo presto, lasciandomi vuota e dotata di una voragine al centro del petto che non si sarebbe riempita tanto facilmente.
Si rivestì indur secondi, cosa ovvia in quanto indossava solo un costume da bagno e, quando ebbe raccolto tutti i vestiti che erano accumulati in un angolo se ne andò e mi lasciò così: senza uno sguardo, senza una carezza, senza una parola.
Mi lasciò proprio così, ancora nuda dopo aver consumato, come se fossi una puttana e mi dissi che, molto probabilmente, mi considerava proprio tale.
Scopata e buttata via.
Lasciai che le mie lacrime, ora che erano prive di qualsiasi sguardo indiscreto, scivolassero sulla pelle ancora calda del mio viso e sulle labbra ancora gonfie dei suoi baci.
Potevo essere più patetica? Probabilmente no.
Strabiliante quanto diventasse patetica una ragazza innamorata e proprio io che ero abituata a non piangere mai, mi ritrovavo a piangere per le questioni più stupide, per uno stupido.
Se solo avessi avuto il coraggio di chiuderlo fuori dalla mia vita una volta per tutte forse, prima o poi, sarei riuscita a dimenticarlo e trovare qualcuno capace di prendersi davvero capace del mio cuore, qualcuno capace di leccare le mie ferite, qualcuno capace di prendersi cura di me, qualcuno capace di amare anche ciò che ero e non solo il mio corpo.
Magari lui avesse avuto il coraggio di dirmi che per lui avevo solo il valore di una semplice scopata, magari sarei stata capace di odiarlo una volta per tutte.
Mi alzai, raccogliendo i resti di ciò che restava di me, della mia persona, dei miei sentimenti.
L'amplesso l'avevamo consumato e ora, come sempre, lui sarebbe tornato ad evitarmi e io, una volta per tutte, l'avrei dovuto buttare fuori dalla mia vita perché non poteva entrare e uscire dalla mia vita, due erano le cose: o dentro o fuori e lui era chiaramente intenzionato a stare fuori quindi, una volta per tutte, fuori.
Fuori dalla mia vita, dal mio cuore, dalla mia vista.
Evitarlo non sarebbe stato difficile, perché se voleva che fossi il suo giocattolo personale allora l'avremmo definita così: mi ero rotta, il suo giocattolino si era rotto ed era ora che se ne trovasse uno nuovo.
Chi aveva inventato l'amore doveva essere un gran coglione che non aveva un cazzo da fare.
Per quanto impossibile sarebbe stato, sarei stata io a prendere a calci in culo l'amore e non il contrario come aveva sempre fatto; non mi sarei più fatta mettere i piedi in testa da nessuno, prima di tutto dovevo salvaguardare me stessa e poi avrei pensato al resto del mondo circostante.
Avrei potuto farcela, sarei potuta cambiare.
L'avrei dimenticato.
 
 
 
 



* * *
SPAZIO AUTRICE
Wow, sono passati 20 giorni dall'ultimo aggiornamento!
Devo dire che avevo in mente questo capitolo sin dall'inizio, volevo scriverlo in modo perfetto eppure.. fa schifo!
Non mi piace per niente, volevo scriverlo in modo più coinvolgente eppure è venuto fuori ciò.
Credo che in qualcosa sono riuscita: far apparire Mattia proprio come volevo.
Ok, mi dispiace per chi aveva sperato in un Mattia tutto fiori e cioccolattini, ma ho sempre detto che vi farò penare fino alla fine, non odiatemi ma è così! ahahaha
Però possiamo vedere un po' di gelosia, mh.. no?!
O come meglio l'ho difinita io è affetto dalla mania di averla come proprietà privata!
Comunque, passando oltre, mettiamola così: nei prossimi capitoli vedremo una Marta diversa, più sicura di sé, pronta a nascondere i propri sentimenti anche a se stessa e... eheh, le cose cambieranno ma ancora non è arrivato il momento di dire altro!
L'altro capitolo Mattia non compariva per niente e invece eccolo qui, perennemente presente!
FORSE nel prossimo capitolo ci sarà un POV secondo Mattia bello lungo... e ci sarà anche qualche inconveniente per lui.
Ah si, molto probabilmente nei prossimi capitoli -non so quanti precisamente- Marta e Mattia saranno abbastanza lontani e quindi, probabilmente, ci saranno più POV secondo Mattia e impareremo a conoscere i suoi hobby (io ho una vaga sensazione di quali siano).
Ora che posso dire più?
Riguardo questo capitolo -pietoso- mi sembra di aver già detto tutto.. Mattia perde punti.
MH, KEEL CALM 'CAUSE 'IL TRIANGOLO' IS COMING!
Ora voi mi lasciate una recensione e io vi lascio uno spoiler, ci state?!
 
 


 
Spoiler capitolo 18:

- Alice? Che succede? -
- M-mattia... ha avuto un incidente -

Tutti insieme: ooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooh. 
Alice? Chi è? L'entrata in scena di un nuovo personaggio ;)
 



 
Alla prossima.

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