Ali in gabbia, occhi selvaggi

di Natalja_Aljona
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno - Sparta ***
Capitolo 2: *** Due - Krasnojarsk ***
Capitolo 3: *** Tre - Sparta ***
Capitolo 4: *** Quattro - Krasnojarsk ***
Capitolo 5: *** Cinque - Sparta ***
Capitolo 6: *** Sei - Krasnojarsk ***
Capitolo 7: *** Sette - Sparta ***



Capitolo 1
*** Uno - Sparta ***



As you lose all control

To this slip of a youth

I see fire in his eyes

I see ice in his smile


Come perdi il controllo

Per l'avvicinarsi del giovane

Vedo il fuoco nei suoi occhi

Vedo il ghiaccio nel suo sorriso

(New Faces, The Rolling Stones)


Sparta, 12 Settembre 2011


Brian George parcheggiò il motorino fuori da scuola, scese con un salto e si strinse al petto il libro di filosofia, dal quale spuntava la foto stropicciata d'una ragazzina bionda e spettinata.

Sorrise lievemente, si scompigliò un poco i capelli e fece per togliersi gli occhiali.

Da vista, naturalmente.

-Fossi in te non lo farei, Gee- lo rimbeccò Theodorakis Dounas, fulminandolo con lo sguardo.

-Poi vai a sbattere contro le primine, quelle ti chiedono il numero e tu sei costretto a confessare che il tuo telefonino ce l'ha in ostaggio Talia. Talia, tua nonna, non so se mi spiego-

-Oh, Theo, se continui con 'sti termini lo capiscono tutti, che siam stati noi a rapinare...-

-La Banca Centrale-

Theodorakis, da sempre poco simpatizzante con i soprannomi, strinse i denti, guardandosi intorno circospetto.

-Veramente era un'antica libreria, ed era straordinaria. Io in banca mi annoio...-

-Ed è questo, quello che davvero non bisogna far sapere-

Poi indicò la ragazza della foto, sorridendo sarcastico.

-Almeno il suo nome te lo ricordi?-

-Vuoi un pugno in un occhio, Theo? Io Natal'ja la sposerò-

-Hai quindici anni, Gee-

-Tu ne hai ventuno e sei nella mia classe, potrei anche avere qualcosa da ridire sulla tua baldanza, eh-

-Parla quello che studia solo greco e filosofia e muore per una siberiana. Una siberiana che ti scrive i messaggi in cirillico e che hai registrato in rubrica sotto il nome di Stárlet-

George sbuffò, zittendo l'amico con una gomitata.

Scosse lentamente la testa, voltandosi, ma intercettò lo sguardo di una studentessa particolarmente carina e si affrettò a distogliere gli occhi, confuso.

-Quella che ha da guardare?-

-Oh, non me lo chiedere. Non hai nemmeno la metà del mio fascino, tu!-

-Ma perlomeno non ho l'età di suo nonno-

-Lascialo perdere, Anthea. Non sei siberiana!- gridò il biondo ventunenne alla ragazza, che arrossì un poco, fingendo di essere particolarmente interessata ai gradini dell'edificio.

Era bello, Gee.

Una sorta di teppistello arcimiope e talvolta un po' perso, il fumatore più incallito della scuola, ladruncolo di libri e di cuori, sempre pronto a cercare una manciata di spiccioli nelle tasche del prossimo e un sorriso spolverato sul volto d'una ragazza che tanto, era sottinteso, non sarebbe mai stata come la sua zingarella siberiana.

Un po' meno sottinteso sia per la fanciulla in questione che per la biondina slava, ma era pur sempre un dettaglio.

Natal'ja... Gli voleva bene, lei.

Da morire.

Ed era lontana, tanto, ma al suddetto delinquentello greco non importava niente.

Nemmeno del suo avergli scarabocchiato l'adorata Iliade in cirillico, né dell'avergli messo sull'ipod gli adorabili assoli di Nikolaj, il chitarrista polacco del secolo, nonché suo cugino.

Aveva una fama un po' epica un po' da pericolo pubblico, Gee, sempre in giro col suo motorino per le vie antiche di Sparta, sigarette spente nel libro di filosofia, sempre bello un po' più del lecito, che a volte le giustificazioni per le assenze se le faceva firmare direttamente dal carceriere.

Lo sapevano tutti, che tra le panchine dei Giardini e la galera ormai non faceva più differenza, ma non si scomponeva, questo mai.

S'era scomposto quando l'avevano pseudo - arrestato per un bacio sulla guancia dato alla biondissima sorella di Theodorakis, Dimokratìa Hélèna Dounas, a sua detta "la straordinaria Tìa", non per altro.

Sospiravano un poco, le ragazze della sua classe, quando capitava loro di scorgere, tra le varie scartoffie di Gee, la foto del loro pseudo - eroe e delle sue due ragazze bionde, Tìa e Al'ja, che Brian George Gibson lo conoscevan davvero.

Era di Liverpool, il padre di Gee, ma lui era forse il più fiero Spartano della città, anche se la loro verde Spárti non era più quella d'un tempo, anche se la Grecia non era più il Paese dei grandi eroi.

Geórgos Zemekis, scriveva lui sui quaderni, firmandosi col cognome di sua madre e di suo nonno, ma tutti lo chiamavano Gee.

Gee, il ragazzino un po' sognante un po' sognato, che Theodorakis Dounas aveva fermato appena in tempo dal distruggere per l'ennesima volta i suoi odiati occhiali da vista, stava per ricominciare la scuola.




Note


Stárlet (greco): Stellina.

Ali in gabbia, occhi selvaggi: Notre Dame de Paris, Riccardo Cocciante.


Dunque...

E' inquietante, per la verità, la nascita di questa storia.

E' la trasposizione al duemila di Sic Volvere Parcas, il mio pseudo - romanzo storico - romantico ambientato nella prima metà dell'Ottocento, Ali in gabbia, occhi selvaggi.

Ed è il regalo di compleanno -28 Novembre, giusto per non fare date- per quella testa matta di Ceci, la mia pseudo - migliore amica bacata, che se lo merita, anche se è difficile crederci. ;)

La potete seguire anche senza aver letto Sic, assolutamente.

La si può definire una storia a sé, una bella avventura, se non altro, per la sottoscritta che si deve ancora capacitare che la Rivoluzione Decabrista e la Guerra d'Indipendenza Greca non ci saranno, ma questo è un dettaglio.

E' una storia dei giorni nostri, questa, anche se i protagonisti son pur sempre i soliti decerebrati, con le loro innumerevoli assurdità e tenerezze, bande e promesse, ribellioni e batticuori, vizi e sorrisi.

I primi capitoli sono pronti, prontissimi, e i prossimi me li faran scrivere Ceci e questi decerebrati qui, contateci!

Qualsiasi eventuale riferimento sarà opportunamente spiegato, e vi basti sapere che qui abbiamo un brigante greco e una fiammiferia siberiana da “convertire al Duemila”. ;)

Spero che vi piaccia, comunque!

Son curiosa di sentir le vostre opinioni, io. ;)


A presto!

Marty

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Capitolo 2
*** Due - Krasnojarsk ***



Close your eyes and I'll kiss you

Tomorrow I'll miss you


Chiudi gli occhi e ti bacerò

Domani mi mancherai

(All my loving, The Beatles)


Krasnojarsk, 12 Settembre 2011


All my loving.

Sorrise, Natal'ja.

Gliel'aveva dedicata George, All my loving.

Aveva interrogazione di filosofia, Gee, quel giorno, ma il vizio di chiamarla da sotto il banco poco prima che il professore -lo presentiva- lo chiamasse a sua volta -e non al telefono, disgraziatamente- non gli sarebbe passato mai.

Fece per rispondere al cellulare, e per poco quest'ultimo non le cadde di mano.

-Cristo, Al, l'ha steso!-

-Jàn?-

-Feri è in Presidenza, che Jàn e Jàn!-

-E ti stupisci? Cioè, ti stupisci ancora?-

-E' in Presidenza e ha steso il Preside, è questo il punto-

-Ah...-

-Ah, appunto-

-Beh, ma gli passerà, no?-

-Cosa?- gridò Jànos Desztor, l'Ungherese della porta accanto, esasperato.

-Il trauma cranico al Preside e l'ira funesta al Capitano-

-Impiccati, Al. E corri!-

Un mostro di coerenza come sempre, Jànos Desztor.


-E' un bravissimo ragazzo, garantisco io! Cerca sempre di non essere in galera, per il mio compleanno-

-Ma ha mandato in black-out l'intera scuola, e poi anche il Preside!-

-Eh, che ci volete fare, è un elettricista...-

Feri Desztor, diciassette anni, era un ragazzo decisamente poco pacifico.

Il temuto batterista - mezzo terrorista dei Forradalmi, i Rivoluzionari.

Ungherese fino allo sputo, e a sputi prendeva tutti gli altri, in genere.

A Natal'ja, non si sapeva con esattezza perché, un po' di bene lo voleva.

Un bene un po' burbero e rude, ma gliene voleva.

E lei lo recuperava sempre, in un modo o nell'altro, dai suoi guai e dalle sue ribellioni, anche solo per uno di quei sorrisi belli di rancore e di rivalsa, per quell'implicita, sconfinata ammirazione e adorazione che le lasciava decifrare solo strizzandole un occhio.

Era bello, Feri, ma le ragazze ci pensavano due volte, prima d'avvicinarsi a lui.

Sarà stato per le relativamente minacciose bacchette della batteria che teneva costantemente a portata di mano, sarà stato per quella pistola che pareva non scaricarsi mai da cui forse non si separava nemmeno nel sonno, che lui di soldi non ne aveva, ma quelli per pagarsi il porto d'armi -sempre che lo pagasse- li trovava sempre.

Secondo il personalissimo parere di Natal'ja, per stare al fianco di uno come lui, o perlomeno per non venirne calpestati, bastavano un po' di sfacciataggine e un po' di coraggio.

E per Natal'ja la Sfacciata, Natal'ja la Coraggiosa, la Sfuggente, come la chiamavano i ragazzi della banda, lo scricciolo biondo, la fatina delle steppe innevate, Feri Desztor era una sorta d'eroe.

Lo chiamavano il Capitano, Feri, e non perché fosse il leader della band: quello era Jànos e non si discuteva.

Feri era il Capitano perché era lui, perché aveva l'aria di quello che non si è sempre nelle condizioni di poter contraddire, anzi.

Molti lo chiamavano semplicemente "il bullo della scuola", ma non era mai stato visto a minacciare ragazzini indifesi con l'Einstand dei Ragazzi della via Pál, lui.

Semplicemente, Feri lasciava senza parole.


-Al'ja, la mia chitarra!-

-Al'ja, lo smalto!-

-Al'ja, se non ti sposti ti meno-

-Al'ja, mi sta bene?-

Natal'ja si fece sempre più pallida, sgranando gli occhi davanti allo sguardo fiammeggiante di Jànos e alle sue "amiche smaltate".

-Al'ja, Khristos, dì qualcosa-

-Sono seduta sulla tua chitarra, Jàn?-

Jànos strinse i denti, annuendo.

-Oh, non me n'ero accorta-

Il tredicenne ungherese sorrise con estrema dolcezza, la tipica dolcezza di chi si sta trattenendo a stento dallo spaccare la faccia al suo interlocutore.

-Adesso lo sai, quindi spostati-

Natal'ja parve meditare, o per meglio dire meditò finché Jànos non l'afferrò per i capelli, liberando finalmente la sua Fender.

-Jàn, mi spettini- sibilò la ragazzina, facendo sorridere -pur non avendone alcuna intenzione- con un'occhiataccia l'aitante chitarrista ungherese.

-Mai stata pettinata, tu- commentò Helga Björg Dolokova, inarcando un sopracciglio.

Natal'ja le fece la linguaccia, ignorandola.

-Taci, Hell. Hajnal, lo smalto ti sta benissimo, anche se non si vede-

-Come non si vede?!-

Hajnalka Desztor pareva essere stata messa davanti alla rivelazione del secolo.

-Vorrei ben dire, Al'ja, è trasparente- precisò Helga, sbattendo le ciglia.

Hajnalka tirò un sospiro di sollievo, Natal'ja fece un passo indietro, colpita.

-Ha un senso?-

Poi abbassò lo sguardo sulle sue unghie, non smaltate da una vita, se non addirittura da tutta la vita.

Sorrise, scompigliandosi un poco la chioma con le mani, sotto gli occhi severi di Helga.

-No, decisamente, è lo smalto in sé a non avere un senso-

Hajnalka la guardò delusa, rimirandosi le unghie con molto meno entusiasmo di poco prima.

-Non farti problemi, Hajnal, è proprio il rapporto Al'ja - smalto ad essere difettoso. Ricordi? L'ultima volta ch'è venuto George ha passato la notte ad intrecciarsi i capelli -con le corde della chitarra di Jàn, ma questo è un dettaglio-, ed avendo finito la lacca...-

-Pensavo che fosse la stessa cosa!-

-Già...-

-Ehi, ehi, Hell, lascia stare la mia Al'ja. Lei sta bene anche senza contralto, guarda che arcobaleno di streghetta abbiamo qui! Una via di mezzo tra She's a Rainbow e Ruby Tuesday, non so se mi spiego-

La disordinata biondina sorrise a Jànos, che le unghie se le consumava sulle corde della chitarra, scrollando le spalle.

-Sentito?-

-Meno vanterie e più smalto, Al-

Jànos sospirò, scrutando con curiosità la pseudo - principessina islandese che si trovava davanti, che arrossì furiosamente, infuriandosi nel vero senso della parola.

Infatti fece cadere la boccetta dello smalto sui plettri di Jàn, che lanciò un grido altissimo.

Quando si riebbe respirò profondamente, passandosi una mano tra i capelli e fulminando nuovamente la Dolokova, dopodiché si rivolse ad Al'ja.

-Mandala al diavolo, ogni tanto, pavoncello-

-E se ricominciassimo da capo?-


Era il 12 Settembre 2011, ma il primo giorno di scuola era saltato a causa di una bufera di neve.

Per tutti meno che per Feri, dato che l'Istituto per Elettricisti "se ne infischiava, della neve", sebbene "il diritto di arrogarsi tale diritto" non si capiva bene chi gliel'avesse dato.

Così eran finiti lì, nella camera dei fratelli Desztor, tra boccette di smalto, piastre per capelli, nastri, tastiere, batterie e chitarre elettriche, a sorridersi e a litigare come in fondo avevano sempre fatto.

Natal'ja aveva pensato bene di placare gli animi accendendo il computer, pregando che almeno uno dei loro amici di penna greci -leggasi il suo amico non solo di penna greco- fosse in linea.

-Non abbiamo ancora risparmiato abbastanza per la webcam, vero?- domandò un po' tristemente.

-No, e per quel giorno dovrai mettere lo smalto!- gridò Helga, ricambiando la sua precedente linguaccia.

Geó̱rgos Zemekis o' Spartiáti̱s 1996 - In linea.

Natal'ja Zirovskaja Sibirskiĭ 2000 - In linea.

-Cielo!-

Al grido di Natal'ja le tre pesti accorsero, interrompendo qualsiasi altra pseudo - produttiva attività.

Poi, in religioso silenzio, si sistemarono intorno alla scrivania, gli occhi sullo schermo, le dita incrociate.

Al'ja: Dó̱bryj Djen'...

Gee: Kaliméra!

-Come cavolo scrive?!- protestò Helga, allungando il collo verso il piccolo computer bianco.

-E' greco, Hell-

-Che c'è, Al, i Russi ti facevano schifo?-

-Ma lui è...-

-Un porco, ecco cos'è- l'interruppe Hajnalka, che l'aveva capito dallo sguardo ballerino del ragazzo l'unica volta che l'aveva incontrato.

-Ma no, è così... Avete presente Dostoevskij? Avete presente Raskòlnikov?-

-Cavolo, bel paragone!-

-Ma io...-

-Ma tu, ma lui, ma l'idiozia di entrambi!- cantilenò Helga, facendo ridere Jànos.

-Mica male, dai, la principessina di Reykjavík!-

Al'ja: L'interrogazione?

Gee: Mi hanno sospeso prima...

Natal'ja si voltò verso le amiche -e Jànos-, raggiante.

-Visto? E' spiritoso...-

Gee: Meletis, ch'era interrogato prima di me, ha definito Omero "quella vecchia talpa", ed io temo di...non averci visto più.

In tutti i sensi, dato che son praticamente passato sul cadavere di Anthea.

Ma insomma... A me stanno simpatiche, le talpe. Che diamine, le capisco! E poi non son costrette a portare gli occhiali, loro.

E Omero... Omero è un grande, non si discute.

-Era- rifletté Helga, aggrottando la fronte.

-Lui non lo sa!- gridò Natal'ja, accorgendosi dopo dell'ambiguità dell'affermazione.

-Voglio dire che si rifiuta di realizzarlo. Nella sua realtà immaginaria Omero è arzillo come un petauro dello zucchero. E' il suo idolo. Semplice, no?-

Al'ja: Ma Meletis...il padre di Theo?

E' ripetente anche lui? Ma diamine, ha trentasette anni...

Gee: Meletis il mio compagno di classe, quello grasso, basso, tarchiato e con i baffi.

Al'ja: Accidenti!

Gee: Le ragazze lo definiscono "uno schianto", per la verità.

Ma un giorno io lo chiudo nel registro, parola d'onore.

Al'ja: Oh...

-E' solo un pochino...originale!- lo difese Natal'ja, gelando sul nascere qualsiasi adorabile osservazione di Helga.

-Esaltato?-

-Patologico?-

-Psichiatricamente perseguibile?-

-Semplicemente deficiente?-

-Straordinario, no?-

-Non sai quanto, Al, non sai quanto-

Helga sospirò gravemente, alle parole di Jànos.

-Oh, non lo sa davvero!-

-E' così bello, lui...-

-Dio, Al'ja, no!- gridò Jànos, lanciandosi sulla scrivania.

-No?-

Al'ja: E' così bello, lui...

-No!-

Gee: Chi?

-Potevi limitarti a dirlo, no?-

Al'ja: Tu...

Gee: Io sono "lui"?

Al'ja: "Lui" sei tu, più che altro.

-E' uguale, Al...-

Gee: Sicura?

-Io o Al'ja?- si domandò Helga, confusa.

Al'ja: Siamo sicure entrambe, Gee!

Gee: Ah sì?

Jànos sgranò gli occhi, incredulo.

-Oh, io mi dissocio!-




Note


o' Spartiáti̱s (greco): Lo Spartano.

Sibirskiĭ (russo): La Siberiana.

Einstand dei Ragazzi della via Pál: Letteralmente “Altolà”, che nel romanzo ungherese sta ad indicare una sorta di “dichiarazione di guerra” ad un ragazzo più debole nel caso quest'ultimo non ceda immediatamente i propri giochi all'altro.

She's a Rainbow e Ruby Tuesday: Due canzoni dei Rolling Stones.

Khristos (russo): Cristo, nel contesto usato come imprecazione.

Dó̱bryj Djen' (russo), Kaliméra (greco): Buongiorno.

Ràskolnikov: Protagonista di Delitto e Castigo, Fëdor Dostoevskij.

Forradalmi (ungherese): Rivoluzionari.


Eccola, Al'ja.

Natal'ja, la ragazzina che George ce l'ha ancora negli occhi e nel cuore.

Natal'ja ch'è un po' persa, lei, ma in fondo si fa voler bene.

Natal'ja ch'è cresciuta tra le steppe innevate della Russia Siberiana e quei suoi amici un po' speciali un po' impossibili, abituati a fare sempre di testa loro, ma che adora oltre ogni limite.

Li conoscerete bene, loro, e spero davvero che vi ci affezioniate. ;)

Quanto a Gee e Al'ja insieme... Oh, son complicati, loro.

Complicati e incredibilmente assurdi, ma si vogliono bene, tanto.

Voi cosa ne pensate?


A presto!

Marty



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Capitolo 3
*** Tre - Sparta ***



Sparta, 12 Settembre 2011


That's what she said so softly

I understood for once in my life

And feeling good most all of the time


But she smiled sweetly

She smiled sweetly

She smiled sweetly

And said: "don't worry"

Oh, no no no


Questo è quello che lei ha detto a voce così bassa

Ho capito per la prima volta in tutta la mia vita

E mi sono sentito bene più di tutti i tempi


Ma lei sorrideva dolcemente

Lei sorrideva dolcemente

Lei sorrideva dolcemente

E diceva: "non preoccuparti"

Oh, no no no


(She Smiled Sweetly, The Rolling Stones)


-E' quell'ungherese, me lo sento-

-Quale dei quattro? Hajnalka ha quattro fratelli, mi risulta. Senza contare il padre...-

George frenò all'istante, sgranando gli occhi.

-E' vero...-

-Disgraziato!-

Ruotando lentamente la testa, il ragazzo si rese conto di non essere stato l'unico a frenare, per di più in mezzo alla strada.

-Gee, dai, andiamo- lo richiamò all'attenzione Theodorakis, sorridendo con estrema nonchalance all'automobilista quasi travolto dall'amico.

Gli rivolse un breve cenno di saluto, al quale quest'ultimo rispose sbattendo ripetutamente la testa sul volante.

George si fece dapprima spaventosamente pallido, per poi passare ad una gradazione di rosso acceso piuttosto inquietante.

-Sai che dico, Theo? Io quell'ungherese lo sbriciolo-

-Buona idea- annuì Theodorakis, riallacciandosi il casco e passando a Gee il suo, con un sospiro.

-Dovresti metterlo, sai? Tanto contro gli alberi ci vai lo stesso, non preoccuparti-

Poi ripartì, lasciando l'anglo - greco ad imprecare fino al sopraggiungere delle minacce dell'automobilista.

-Il carro attrezzi e il riformatorio, ci vogliono!-

George scosse la testa e, declinando più o meno cordialmente le proposte, seguì quel dannato biondino ch'era il suo migliore amico.


Era a casa, Gee, la casetta bianca e azzurra divisa coi nonni sul Taigeto, tra le selve, il cielo e il ricordo del mare, le strade dissestate e le curve allucinanti.

Non ne passavano mai, di macchine, lì, solo la sua moto e quella di Theodorakis, la bicicletta di Tìa e lo skateboard di Akhylleus, il piccolo dei Dounas.

Sorrideva, Gee, di quel suo sorriso sempre un po' troppo fiducioso, e non aveva poi tanto l'aria dello scapestrato, in quel momento, con le ginocchia sbucciate per la sua ultima caduta in moto e il sole negli occhi, stanco, forse, dopo la sua ennesima sospensione.

Un ragazzino troppo ribelle, che non sempre li dimostrava, quindici anni, quei quindici anni che a volte eran tredici e a volte diciannove, quegli anni di sogni così disperatamente in alto, che lo facevano stare male.

-Che hai, Gee? Sembri un barbagianni-

Sorrise, George, pur senza distogliere lo sguardo da quel graffio cobalto di terra che immaginava fosse il preludio di quel loro Egeo sempre da raccontare.

-Vieni qui, Tìa-

La bambina assottigliò lo sguardo, cercando d'indagare coi begli occhi l'aria persa del suo Gee tutto da decifrare.

George s'inginocchiò ai piedi dell'amica, prendendole la mano.

-Secondo te ho qualcosa contro gli Ungheresi?-

Dimokratìa sospirò, guardandolo con quell'infantile tenerezza che lo confondeva sempre, quel pazzerello di George.

-Figuriamoci. Tu non l'hai manco mai visto in faccia, un magyar. Ma credo che quell'ungherese che vuol bene alla tua Al'ja non ti stia tanto simpatico...-

Sorrise, George.

-Non le vuol bene quanto me-

-Tu sei bellissimo, secondo me. E anche dolce, tanto, ma...sei tu. E non sei sempre dolce, tu, ma bello sì, anche quando cadi dalla moto. Non è un complimento, sai? Sei terribile, a volte, e quella piccina ti vuol bene lo stesso-

-Senti chi parla di piccine...-

-Io non sono piccola, sorta di filibustiere. Non nel vero senso della parola. Ero piccola quando mi hai vista nascere, forse, quando mi tenevi in braccio. E' piccola lei, perché ti vuole bene, e così tanto, Gee! Io non ce la farei-

-Ma mi vuoi bene anche tu, vero?-

-Sì, come se tu fossi la mia sorellina-

La guardò un po' storto, George, riflettendo sulle sue parole.

-Non è che hai invertito i ruoli, Tìa?-

Dimokratìa scosse la testa, angelica.

-Oh, no, te l'assicuro-


-Gee! E' arrivata Anthea!-

Dimokratìa sbarrò gli occhi, stringendo forte la mano di Gee.

-Farnetica, mio fratello?-

George scrollò le spalle, guardandola interrogativo.

-C'è Anthea, tutto qua-

Scosse la testa, Dimokratìa.

George non li capì, i suoi occhi tristi, in quel momento.

-Ti prego, non portarla dove comincia il fiume, dove l'Eurota splende nei tuoi occhi e ti senti morire. E ti prego, non baciarla in riva al fiume, non sorriderle col sorriso che hai, che fa tremare e frantumare e non tornare. Ti prego, non le dire ch'è bella come lei, non salutarla con la carezza che hai fatto quel giorno a lei, prima che la nave partisse, non scioglierle i capelli, non farle credere d'essere come lei! Ti prego, non stringerle la mano, non farla salire sulla moto, non correre, non portarla a Micene, non provare a fare come facevi con lei...-

Il ragazzo la guardò con un mezzo sorriso, ma non era già più lo stesso di prima, quel sorriso.

-Dillo all'ungherese, di non baciarla in riva al fiume, la mia Al'ja-

Poi recuperò il cellulare -quello di scorta, rubato dopo il sequestro da parte di nonna Talia- che aveva lasciato per terra accanto al casco, cercò il numero di Natal'ja.


Apó Gee na Al'ja


Why, tell me why, did you not treat me right?

Love has a nasty habit of disappearing overnight




Note



Magyar (ungherese): Ungherese.

Apó Gee na Al'ja (greco): Da Gee ad Al'ja.

Why, tell me why [...] overnight: I'm Looking Through You, The Beatles.


Notizie dal Fronte Spartano, dunque!

Gee è un caso perso, e Tìa ci prova, a non sputargli in un occhio, nonostante la tentazione.

Teoricamente avrei anche potuto risparmiarmi 'sta sorta di cronaca bacata, eh, ma son più caso perso di Gee, io. ;)

Gee...è una gran testa calda, ecco.

Io gli voglio bene, Al'ja e Tìa anche, ma un pugno in un occhio da una delle tre se lo beccherà, prima o poi.

Sarà un presentimento, sarà che lo conosco fin troppo bene, quel matto, che sempre un dannato testardo ed incosciente rimane, sia nell'Ottocento che nel Duemila, c'è poco da fare. ;)


A presto,

Marty



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Capitolo 4
*** Quattro - Krasnojarsk ***



Krasnojarsk, 13 Settembre 2011


Com'eri bella quella sera nel mio cuore

L'ultima sera

Che finisce il primo amore

Com'eri bella

Che nemmeno ti guardai

E così bella

Che nemmeno ti parlai

Com'eri bella

Quella sera nel mio cuore

Forse tutta la mia mente

E' diventata sabbia,

Eravamo noi, ricordi,

Quelli della rabbia

(Algeri, Roberto Vecchioni)


Dimokratìa Hélèna Dounas - In linea.

Era tardi, e quel mattino nevicava soltanto, niente bufere in vista.

La scuola cominciava davvero, c'era poco da fare.

Natal'ja pensò di salutare comunque l'amica di penna, le ci sarebbe voluto giusto un attimo.

Al'ja: Tìa!

Tìa: Al...

Al'ja: Tutto bene?

Tìa: Gee...

La ragazzina sorrise, finendo d'intrecciarsi i capelli e legandoli con un nastro azzurro.

Indossava l'abito bianco, quel giorno, forse il migliore che aveva, quello che piaceva anche a George.

Lui aveva cercato di toglierglielo, quell'abito, ma questo era un dettaglio, probabilmente.

Poi le aveva cantato All my loving, per farsi perdonare.

E aveva dovuto farsi perdonare anche per questo, perché era terribilmente stonato, Gee.

Al'ja: E' stato sospeso, vero?

Tìa: Sai che novità... Ma Anthea...

Al'ja: Quella che ha quasi travolto tentando di stendere Meletis?

Tìa: Beh, pur senza quasi, l'ha travolta. Ma in tutti sensi...

Lo sguardo di Natal'ja cadde sui suoi stivaletti di pelle blu, quelli coi lacci color crema, i suoi preferiti.

Non che ne avesse molte, di scarpe e di vestiti, ma a quelli teneva tanto, non lo sapeva, perché.

Forse non era il caso di pensare agli stivali, non in quel momento.

Al'ja: Non va tutto bene, vero?

Tìa: Mi dispiace tanto...

Natal'ja sorrise amaramente.

Pensò di mandargli un messaggio non in linea, a quel benedetto ragazzo.

Lo fece, ma sarebbe bastato?

Quanto male ti farai ancora perdonare, Gee?

Al'ja: Com'è, questa Anthea, dunque?

Tìa: Non come te...

A Natal'ja parve di vederla, la piccola Dimokratìa Dounas, il bel sorriso triste, gli occhi chiari sgranati, il suo stesso desiderio di sputargli in un occhio, a Brian George.

Tìa: Guarda che lui ti vuole bene, eh...

Al'ja: Anch'io.

Spense il computer, ultimò la cartella e pensò che sì, forse era arrivato il momento di andare a scuola.


-Ehi, Al, oggi cominci la mia scuola!-

Sorrideva, Jànos, sulla porta di casa, il libro di russo e l'antologia di letteratura ungherese sottobraccio, le scarpe slacciate e gli occhiali da sole, gli occhiali da sole con la neve, la neve siberiana che incendiava la via.

La scuola secondaria inferiore, dai dieci ai quindici anni.

Sarebbero stati insieme ancora per due anni, Natal'ja, Jànos ed Helga.

Con Hajnalka invece avrebbe passato tutti e cinque gli anni, ma Al'ja ci avrebbe scommesso i suoi stivaletti blu, ch'era già sui gradini di scuola, Hajnal.

-Già... La tua scuola-

Per la verità la frequentava già da un anno, Al'ja, la scuola di Jàn, ma a dieci anni si è ancora così piccoli, ad undici forse no.

Non che cambiasse poi molto, per lei.

-Contenta? Non sarai più lo scriccioletto della banda, se non altro. E poi...ci sono io!-

-Ci sei tu-

Non sembrava allegra come avrebbe dovuto, Al'ja, ma Jànos pensò che volesse soltanto prenderlo in giro.

Scrollando le spalle afferrò la cartella lasciata sui gradini innevati del condominio e le strinse la mano, avviandosi canticchiando Getting Better verso scuola.


Era implicito, tanto, il sorriso di Hajnalka, quel giorno.

Era agitata, forse, con le guance arrossate e gli occhi indaco scintillanti.

Il suo sguardo oscillava da Natal'ja al fratello, inquieto.

Li aspettava.

Nel raggiungerla Al'ja s'imbatté in una ragazzina dal cappotto lungo e i folti capelli rossi che le sorrideva con ben poca simpatia, a dir la verità.

-Ecco il chitarrista e la stracciona...- mormorò, incupendosi.

-Oh, immagino di essere "la stracciona", ormai-

Era flebile, la voce di Al'ja.

Non aveva il fuoco delle stelle nel sorriso, né il cielo negli occhi come al solito.

-Ci sarà sempre qualcuno pronto a dirlo, Al. Ma pensa a noi, ai Forradalmi... Pensa a George, il tuo "bellissimo straccione"-

Natal'ja sospirò, e un poco le mancò il fiato, alle parole di Jàn.

-Ma via, Al'ja: Io sono "il decerebrato ungherese", per Hélène. E' in classe con Helga, lei, e non è che vadano tanto d'accordo...-

-No?-

-Ehi, la Dolokova sembra tanto angelica, ma quando qualcuno le critica lo smalto e le amiche...-

-Lo fa per lo smalto e le amiche o per le amiche e lo smalto?- domandò Al'ja, inarcando un sopracciglio.

-Oh, non entrare nei dettagli, Al-

Sorrise, finalmente, la biondina di Krasnojarsk.

-Meglio di no, in effetti. Ma quella si chiama Hélène? Come Hélène Kuragina Bezuchova, che poi non se lo merita mica, il cognome di Pierre?-

-Hélène Vasilevna Arkonvskaja- annuì Jànos, guardando male la Kuragina del ventunesimo secolo.

-Se il mondo girasse secondo Guerra e Pace, immagino di sì-

-Ma il mondo gira secondo Guerra e Pace, Jàn. Ed io sono Natal'ja Rostova e George Anatol' Kuragin. E' un dato di fatto-

-Anatol' Kuragin?!- gridò il giovane ungherese, sgranando gli occhi.

-Uno peggio dell'altro, i tuoi paragoni-

-Non è che sia un paragone, Jàn- sospirò la ragazzina.

Poi corse da Hajnalka, le diede un bacio sulla guancia e sorrise mestamente.

Non la capiva, Jànos, quel giorno, la piccola Natal'ja.

Non la capì finché quest'ultima non acchiappò il suo telefonino dalla prima cerniera dello zaino e Jàn la vide scorrere con il dito sulla tastiera, lo sguardo tra il malinconico e l'apprensivo.

Finalmente parve trovare ciò che tanto furiosamente cercava.

Sgranò gli occhi, indietreggiando.

-Stai attenta!- brontolò qualcuno, travolto dagli stivaletti della piccina, ma lei non chiese scusa, forse non se ne accorse nemmeno.

Corse da lui, gli fece leggere il messaggio.

Janòs sorrise, riconoscendone il testo.

-I'm looking through you?-

Non era una domanda.

Loro la conoscevano fin troppo bene, quella canzone.

Poi lo sguardo gli cadde sul mittente.

-Nataljetshka...-

Alzò gli occhi sulla ragazzina, ma pareva imperturbabile, lei.

Qualche ciocca bionda e ondulata sugli occhi grigiazzurri e questi ultimi impassibili.

Feriti, ma impassibili.

Le mise una mano sulla spalla, Jànos, cercò lo sguardo di Hajnal, che scosse la testa.

Poi si decise.

Rubò il telefono dalle mani di Natal'ja e cliccò su quel maledetto mittente.

Avviò la chiamata.

-Brian George?- gridò al suo interlocutore, gli occhi ridotti a due fessure, l'espressione corrucciata.

-Sono Jànos Desztor, l'Ungherese. No, non quello che sospetti essere lo pseudo - amante di Al'ja. Suo fratello. No, non il fratello di Al'ja. Che diamine, ragiona! Te la passo, ok? Perché non ha chiamato lei? Sai com'è, ha un crampo alla mano. Sì, a tutte e cinque le dita. Fenomeno del metacarpo dormiente, conosci?

Succede quando si ha a che fare con ragazzi cretini. Sai, quelli proprio irrecuperabili. Al'ja, parla con questo gran rubacuori ellenico. Toh, parla con 'sto pseudo - pirata. Dico troppo spesso la parola "pseudo"? Son ripetitivo? Pseudo - buttati nell'Egeo, tesoro-

Natal'ja afferrò il telefono con le mani tremanti.

Rispose con un filo di voce.

-Gee?-

Non disse niente, e Jànos se ne spaventò.

-Ti voglio bene...-

"Credo", avrebbe voluto dire, ma ne era sicura, lei.

-...ancora-

Jànos la guardava immobile, gli occhi spalancati.

-E' cretina. Cioè, è una decerebrata-

Le sfilò il telefono un'altra volta, sputacchiando sulla tastiera:

-George, sai che stai con una decerebrata? Contento? Oh, fattacci tuoi. Ma la decerebrata piange, anche se non dagli occhi. George, te li ricordi i suoi occhi? Sono tanto belli, consumavano le tue foto. E' una decerebrata fedele, questa qui. Te la ripasso, eh! E tanti auguri!-

Rideva, adesso, Natal'ja.

Rideva, e sperava che George, dalla Grecia, si sentisse morire quanto lei, anche se adesso rideva.

-Gee...sei così incredibilmente stupido-

-Non provare a chiudergli il telefono in faccia, che le chiamate Siberia Centrale - Laconia costano una fortuna, e poi ti tocca richiamarlo. No, beh, la chiamata a carico del destinatario sarebbe un'idea. Ma...tu cosa ti consiglieresti, al posto mio?-

Era incredula, Natal'ja.

La sorprendeva sempre, quel benedetto ungherese.

-E' straordinario, Jàn-Jàn, no? Anche tu, per quanto bastardo. Devo entrare a scuola, adesso. L'ha già capito, Anthea, che sei troppo cretino per lei? Non farlo più, Gee. Fa troppo male, anche se solo a me-

Stavolta chiuse la chiamata, Al'ja.

Guardò Jànos, che le sorrideva tra l'imbarazzato e il soddisfatto.

Dunque lo vide passarsi una mano tra i capelli nerissimi, scrutandola con i bruni occhi ridenti.

-Eh, Al'ja. Sei forte, tu-

-Può darsi, Jàn. Andiamo?-

-Natal'ja! Piantala di confabulare con l'Ungherese e muoviti, per grazia divina!-

Natal'ja e Jànos sorrisero, alzando gli occhi al cielo.

-Helga...-



Quelli belli come noi

Che non cambieranno mai

(Quelli belli come noi, Roberto Vecchioni)


Ci ripensava, a volte, Al'ja.

La vacanza studio a Liverpool, la città di suo padre, e lui ch'era sulla moto e la guardava, la mangiava coi suoi occhi scuri scuri, senza parole.

Ricordava che aveva tirato una gomitata al suo amico biondo, Theodorakis, il quale era balzato giù di sella e le aveva scattato una foto con una di quelle macchine fotografiche che stampano istantaneamente, per poi portargliela da autografare.

-E' per Gee, l'impedito lì in fondo. In genere si fa avanti lui, ma guardalo, pare l'Efebo d'Anticitera, solo che tutti quei muscoli non li ha mica, lui-

-Non c'è problema, lo giuro-

Poi non l'aveva più saputo nemmeno lei, cosa dire.


Quelli belli come noi

Non dimenticano mai

Quella prima volta che

E quell'altra volta se

E poi finalmente te

(Quelli belli come noi, Roberto Vecchioni)




Note


Nataljetshka: Vezzeggiativo russo di Natal'ja.

Hélène Kuragina, Anatol' Kuragin, Natal'ja Rostova: Guerra e Pace, Lev Tolstoj.

Siberia Centrale: Zona della Russia Siberiana della quale Krasnojarsk è una delle città principali.

Laconia: Unità periferica greca della quale Sparta è il capoluogo.

Ed ecco il primo giorno di scuola di Al'ja.

George, quel grandissimo cretino, Jànos, che ha sempre una marcia in più, Tìa, che a Gee vuol bene, tanto, ma a poterlo strangolare...l'ho già detto, vero? ;)

Quanto all'ultima parte...l'ho immaginato così, il primo incontro di Al'ja e Gee.

Assurdo, ma terribilmente nel loro (mio?) stile.

E Quelli belli come noi sarebbero Theodorakis e Gee, quei due benedetti Spartani. ;)

Bene, spero che vi sia piaciuto.


A presto!

Marty

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Capitolo 5
*** Cinque - Sparta ***



Sparta, 14 Settembre 2011


E così te ne vai

Cosa mi è preso adesso?

Forse mi scriverai

Ma sì, è lo stesso

Così vai via

L'ho capito, sai

Che vuoi che sia

Se tu devi vai

Mi sembra già che non potrò

Più farne a meno

Mentre i minuti passano

Forse domani correrò

Dietro al tuo treno

Tu non scordarmi mai

Com'è banale adesso...

(Amore Bello, Claudio Baglioni)


Natal'ja mia,

Sei sempre stata un po' speciale.

Sei sempre stata quella che ci credeva

Che scrollava le spalle se arrivava tardi

Si arricciava i capelli con le dita e una matita dietro l'orecchio

Ti serviva per scrivere i pensieri sul mio quaderno

E disegnarmi sulla moto come quando ci siamo conosciuti.

Mi lasciavi giocare con la spallina del tuo vestito, anche se mi guardavi male

Mi facevi cantare Beautiful Girl sulla London Tube e ripetevi ch'ero stonato

Ma poi m'hai tenuto stretto, all'ultima fermata

E un poco piangevi, ma non ti tradivi

Non me lo dicevi, cosa speravi

Che ti giurassi per farti felice.

E Natal'ja, mi sei mancata

Ma come te lo potevo dire,

Con la sfacciataggine di quando sembra che non me ne freghi niente, del carcere

O il mezzo sorriso di quando ti ho stretto la mano?

E adesso vorrei dirti ch'eri bella, tu

Con i capelli sciolti e il batticuore nel guardarmi.

Il mio dolore nel vederti piangere

Non l'ho mai voluto ascoltare.

Poi Theodorakis m'ha detto:

"Fidati, non ti scorderà.

Per il male che fai, per i baci che le dai

Quei baci di sabbia e di burrocacao

Tra i riflessi del Mersey e le strade di periferia.

E credimi, lei ti sognerà

Anche sul treno per Novosibirsk

Ti dirà chi l'ha vista, chi viaggia con lei:

Prima c'era Omsk, ma non è scesa

Prossima fermata Krasnojarsk

Dopo c'è Irkutsk, ma non la vedrà

Mosca - Vladivostok, dietro i finestrini appannati

Corre la steppa che arriva al Kazakistan, treman le mani che sfioran la nebbia

La nebbia fitta che c'è là

Corre e la sente perfino nel cuore

La Ferrovia Transiberiana

Come la luce che aveva negli occhi

Che non la faceva dormire, quando c'eri tu".

E' poetico, a volte, questo amico mio

Molto più di me, lo sai

Ma io ci ho creduto, alle sue parole

Alle promesse che avevi negli occhi

Alla Stazione di Liverpool, quando m'hai salutato.

Adesso tu mi chiederai di Anthea

Ed io non posso fare come Baglioni

Dire: "E adesso la pubblicità".

Ma se potessi vederti, sai

Ti abbraccerei senza averne il diritto

Ti porterei in moto sull'Acropoli, nel cuore d'Atene

Dove l'aria che si respira è quella di secoli fa

E all'ultimo giro ti direi che ti amo

Anche se tu non mi crederai

Più della libertà quando le catene

Credono di fermare questo sbandato

Ed io gliela lascio pure, l'illusione

Ma alla gente che mi guarda dietro le sbarre

Ai sorrisi di scherno nessuna soddisfazione

Mica lo sanno, loro, cosa si prova

A sperare di vedere una ragazza

Che ti si addormenti in braccio

Quando il mondo fa paura anche a te

Ma se mi credi, se sorridi

Se mi segui anche lassù

Io te la dico, l'ultima parte del discorso

Quella che mi tenevo per lo splendore tradito del Partenone

Splendore tradito che mi ricorda te

Quando mi volterò per non farti vedere che arrossisco

Quando la voce mi tremerà davvero

E chissà se in quel momento

Ti ricorderai del mio sorriso assurdo

Quando m'hai detto che quel giorno

Il cielo assomigliava a me

Anche se avevo la pelle scura, io, mica celeste come quello lì

E ch'ero bello come il sole, il sole che non si vedeva mai, da casa tua

Ed io nemmeno ti ho risposto, la paura di guardarti

Al'ja, che vigliaccheria!

Sei più bella della Grecia, tu

E sei proprio come il vento che ti si rompe negli occhi quando corri in moto

E fa volare le foglie sotto i piedi a scricchiolare e far inciampare quelli miopi come me

Che non le vedo manco se sono verdi, ma non ci farai caso, tu.


Dikoí sas, gia pánta, pánta, pánta, pánta dikoí sas

Gee


-Non potevi scrivere niente di più vero, Gee. Io sono il poeta, tu un deficiente-

-Lei...-

-Lei è Natal'ja-

Sorrideva, adesso, Theodorakis.

-Ti adora, lei-

-Io no?-

-Tu sei un deficiente, ricordi?-
Sospirò, Gee.

-Come no?-

Poi afferrò il cellulare, quel dannato teppistello, lo afferrò tanto velocemente da farselo quasi scappar dalle mani, ma Theodorakis l'acchiappò in tempo.

-Toh, Cyrano! Combina qualcosa di buono, stavolta, eh!-


Apó Gee na Al'ja


Somewhere in her smile she knows

That I don't need no other lover


-Certo che lo sa. Lo sa ma ha paura-

-Ne ho anch'io, Theo, credimi-

Sorvolando forzatamente sul Theo, Theodorakis Leonidas Dounas stiracchiò un sorriso.

-Dell'Ungherese?-

Gli tirò una cordiale gomitata, Gee.

-Nah. Del suo sorriso, piuttosto. Sai quanto fa male, quando non mi brucia negli occhi come a Liverpool. Mi manca, Al'ja. Mi manca, ma è sempre mia. Ed io...dici che ce l'ho, adesso, l'aria da decerebrato fedele?-

-Mica tanto, Gee-

-Eh, pazienza. Certo ch'era un Achille slavo, quel Jànos Desztor! Mi piacerebbe conoscerlo-

Tanto, a spezzargli la freccia nel tallone, sarebbe sempre stata lei.

Natal'ja.




Note


Dikoí sas, gia pánta, pánta, pánta, pánta dikoí sas (greco): Tuo, per sempre, sempre, sempre, sempre tuo.

Cyrano: Cyrano de Bergerac, Edmond Rostand.

Somewhere in her smile she knows that I don't need no other lover: Something, The Beatles.

Beautiful Girl: George Harrison.

London Tube: Metropolitana di Londra.

Mersey: Fiume di Liverpool.


Ci tengo, a questo capitolo.
C'è il George che conosco io, quello che va oltre al bell'arcicretino spartano, quello che con la coerenza proprio non ci sa fare, ma è sincero, maledettamente.

Non so, non c'è tanto altro da dire, forse.

Assomiglia un po' a me, questo delinquentello, perlomeno nel modo assurdo di ragionare e per l'Iliade - dipendenza.

E per la miopia, naturalmente, che anch'io, come lui, gli occhiali li porto mezza volta su ventisette.


A presto,

Marty


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Capitolo 6
*** Sei - Krasnojarsk ***



Krasnojarsk, 15 Settembre 2011


Anche tu,

Anche tu

Appartieni al mondo intero e non a me

M'ero illusa che tu fossi mio per sempre, ma

Non lo sei,

Non lo sei

(Che male fa la gelosia, Nada)


Sorrideva, Natal'ja.

-Che ti prende?- le aveva chiesto Jànos poco prima, ma gliel'aveva chiesto con la speranza negli occhi, perché tutt'un tratto s'era illuminato di nuovo, il visino della sua piccola amica.

-Niente, è che...-

L'Ungherese le afferrò entrambe le mani, guardandola severamente negli occhi.

-Non lasciargliela vinta neanche un momento-

-Oh, piantala, con quel tuo Vecchioni!-

-Non è la stessa cosa che Gee ha detto a Tìa sul marciapiede di Penny Lane, mentre aspettavamo che qualche martire prendesse su tutta la comitiva?-

-Svyatoe Nebo, Jàn! Sposatelo e lasciami i Beatles, va-

La guardò un po' storto, Jànos Desztor, prima di tirarla per la manica, con un mezzo sorriso.

-Va meglio, vero? Insomma, anche se gliel'hai lasciata vinta-

Poi scosse la testa, correggendosi.

-Più che altro gli hai lasciato la vita, tu-

Recuperò la chitarra che aveva lasciato sul divano, pizzicandone qualche corda e guardando Al'ja con la coda dell'occhio.

-Everything little thing she does, she does for Gee, yeah!-

-Jàn...-

-Era già tutto previsto, anche l'uomo che sceglievi, e il sorriso che gli fai mentre ti sta portando via...-

-Jànos!-

-George, nel tuo ricordo pensa che la tua Natal'ja è accanto a te... Oh, George! Lei che rideva e ora non più, ma la sua vita ce l'hai tu... Oh, George! Oh, se tu le portassi via qualche altro neurone ti spaccherei il faccino... Oh, George!-

-Jànos Desztor!-

-E nei sogni di Natal'ja Brian George l'aveva sposata, e chi non ci credeva era un pirata...-

-Oh, Jàn!-

-Tu lo seguisti senza una ragione, come un ragazzo segue l'aquilone...-

-Taci, cavalletta-

-Furono e baci e furono sorrisi, poi furono soltanto i fiordalisi...-

-Disintegrati! Che poi fa relativamente paura, la tua conoscenza della musica italiana-

-E' musica, no? Io sono Jànos Desztor-

Natal'ja annuì, seria seria.

-Piacere...-

Il chitarrista ungherese ridacchiò, scostando la sua mano.

-Pensa al tuo fidanzato, piuttosto! Quando, nella penombra della sera liverpooliana, mi si è affiancato dicendo: "Prendi questa mano, zingara!", davvero non ho saputo cosa rispondergli-

-Oh, accidenti!-

Jànos sorrise, approfittando della sorpresa della ragazzina per sussurrarle all'orecchio la sua ultima "creazione".

-Questa è la tua canzone, Al'ja mia bella, che hai perso la ragione assai in fretta...-

-Tu cosa gli hai risposto?- volle sapere Al'ja, fingendo d'ignorare l'ennesima pseudo - citazione.

-"Oh, lo vedo sì, l'oro dei capelli suoi, e se sapessi quanto ricambia ti spaventeresti, ma per favore, potresti andare a dirlo a lei?"-

-Mitico- fu l'unico commento della biondina, che scosse la testa, arrossendo un poco.

-Ma dici davvero? E Georgino voleva proprio sapere...-

-Morandi no di certo, con rispetto, Al. But when I see you darling, it's like we both are falling in love again...-

-Ma...-

-Woman, please let me explain, I never mean to cause you sorrow or pain...-

-Lennon ti viene bene, sai, Jàn?-

Jànos inarcò un sopracciglio, a metà tra il compiaciuto e il divertito.

-Mi devi aiutare a stendere la scaletta del concerto, tu-

-Stendere la scaletta? Oh, caspita, suonate sul tetto come gli scarafaggi scousers?-

-No, Al...- sospirò il ragazzo, seppur ridendo sotto i baffi.

-E cosa mi dedichi, eh?-

-"George!", mormora la bambina. "Perché la tua piccolina tradisci ogni santo giorno? George, come gli opliti a Sparta son le ragazze per te!" Esile agonizza la bambina; or il brigante non è più infedele: corre a intrecciar promesse e carezze sui capelli suoi. "Gee!" mormora la bambina. Vuole sfiorar la sua mano. Ma il capo già reclina e già socchiude gli occhi. Piange, il ragazzo, pentito, stringendola al cuor. Ma benedetto angelo greco, in fondo l'hai uccisa tu...-

Lo guardò male, Al'ja.

-Sei tanto tanto scemo, lo sai?-

Jànos sbuffò, scrollando le spalle.

-Ma tu gli vuoi davvero troppo bene, a quello lì. Per sognarlo devi averlo vicino, e vicino non è ancora abbastanza...-

-Devo sembrarti proprio una sciocchina, eh? Ma provaci tu, a innamorarti di uno come lui!-

-Preferirei di no, davvero-

Natal'ja si portò una mano alla bocca, sbiancando.

-Oh...già-

-Che sorta di streghetta, questa piccina! Ma devi aiutarmi con la scaletta, adesso. Coraggio, Al, ho ancora qualche speranza o te la sei già bruciata, quella testolina?-

-Sai con cosa dovreste cominciare, Jàn? Getting Better e Le vie del rock sono infinite, le tue canzoni. Cioè, solo due delle tante, ma è un dettaglio. E poi... Poi suonerete qualcosa di straordinario. I'm looking through you, sicuramente, Something e All my loving, non si discute. She's a Rainbow e Ruby Tuesday, ovviamente, e...-

Jànos l'interruppe, acchiappandola per un braccio.

-Tesoro, è un concerto. Uno solo-

-Lo so, ma sono sicura che...-

Il giovane ungherese sorrise, raggiante.

-Anch'io-

-Ma quanto è straordinario, il mio Jàn-Jàn?-

-Tanto, temo. Non sperare di farlo piangere, perché piangere non sa-

-E irrecuperabile, anche- aggiunse Al'ja, inclinando un poco la testa.

Jànos annuì, con un mezzo sorriso.

-Uhm, immagino di sì-

Ricordò di quando aveva stilato l'elenco dei motivi per cui "il minator dal volto bruno" non l'avrebbe lasciata mai, Al'ja.

1 - Natal'ja è bella, da morire, anche se non ha seno.

A lei sta bene così, e se il Greco fa problemi gli spacco la chitarra sulla testolina, promesso.

2 - E' bionda, tanto, e son belli, i suoi capelli, anche se temo che non se li sia mai tagliati in vita sua.

E vabbé, al massimo ci inciamperà, il Greco. Capita.

3 - Il vestito bianco le sta d'incanto, davvero.

Sarà l'unico buono che ha, ma con quello è favolosa, lo giuro sulla mia Fender.

4 - Non ci vuole molto per farla sorridere, my backstreet girl.

Certo, il Greco è un bastardo, me ne rendo conto, ma le cose sono straordinariamente semplici:

Se lei smette di ridere lo carbonizzo.


Ma rideva ancora, Al'ja, adesso.

E Jànos era felice, tanto.

-Sai, se vuoi lo facciam davvero sul tetto, il concerto, Al'ja-



Note


Canzoni citate e modificate da Jànos nel capitolo:
Sogna, ragazzo sogna, Roberto Vecchioni.

Every Little Thing, The Beatles.

Era già tutto previsto, Riccardo Cocciante.

Mio Febo, Riccardo Cocciante.

Sono solo canzonette, Edoardo Bennato.

La canzone di Marinella, Fabrizio De André.

Profumi e balocchi, E. A. Mario.

Buonanotte Fiorellino, Francesco De Gregori.

(Just Like) Starting Over, John Lennon

Woman, John Lennon.

Zingara, Gianni Morandi.

Getting Better, The Beatles.

Le vie del rock sono infinte, Edoardo Bennato.

Ruby Tuesday e She's a Rainbow, The Rolling Stones.

Something, All my loving e I'm looking through you, The Beatles.

Piano Bar, Francesco De Gregori.

Miniera, Bruno Cherubini - C. A. Bixio.

Backstreet Girl, The Rolling Stones.

Scousers: Liverpooliani, che infatti parlano con l'accento Scouse, tipico della Contea di Merseyside, della quale Liverpool è il capoluogo.

L'ho letteralmente adorato, quest'accento, quando ero a Liverpool, ma d'altronde di Liverpool ho adorato anche i marciapiedi! ;)

Gli scarafaggi scousers sarebbero i Beatles, soprannomi assurdi di Al a parte.

Svyatoe Nebo (russo): Santo Cielo.


Questo capitolo... Oddio, sinceramente ho adorato scriverlo, ma è terribilmente demente.

Jànos, per essere ungherese, ha una conoscenza incredibile della musica italiana, ma del resto lui è un musicista, ed è Jànos Desztor, non dimentichiamocelo! ;)

Poi, tra parentesi, io ascolto anche le canzoni in ungherese, ma questa è un'altra storia!

Quanto alle canzoni... Dio, l'ho detto, che son dementi.

E' demente Jànos, anche se l'adoro, e sul suo pentalogo su Al'ja e Gee temo sia meglio stendere un velo pietoso.

Son irrecuperabili quanto me, questi ragazzi. ;)


A presto!

Marty






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Capitolo 7
*** Sette - Sparta ***



Lei coi capelli di sole sommersi

Io in mezzo ai mari che corsi

Lei sotto i suoi cieli inversi

(Due Universi, Claudio Baglioni)


Sparta, 16 Settembre 2011


Si svegliò presto, quel 16 Settembre, George.

Il suo ultimo giorno di sospensione gli si era bruciato tra le mani, e c'era ancora da cercare i libri sotto il letto, lasciar l'Iliade sul comodino, seppur con una fitta al cuore, e togliere quella benedetta scodella di yogurt greco dal casco del motorino.

Si svegliò ch'era ancora notte, per la verità.

Sbuffando si alzò, s'infilò la camicia al contrario sul pigiama e gli occhiali da sole -effetto della disastrosa miopia notturna, o follia relativamente momentanea-, finì lo yogurt greco, inciampò nell'Iliade, dopodiché uscì.

Appena uscito raggiunse, decisamente più pimpante, il motorino,e prima di salirvi riuscì a farselo cadere su un piede per ben due volte, poi si accorse d'aver lasciato le chiavi sotto il cuscino e sospirò, scrollando le spalle.

Dopo uno sbadiglio e l'essersi, chissà come, infilato il casco in un occhio, decise d'avviarsi dai Dounas a piedi.

Non era esattamente uno di quegli orari in cui ci si poteva presentare sotto casa altrui senza essere ghigliottinato, ma George nutriva discrete speranze nella famiglia in questione.


Theodorakis non era stato sospeso -non ancora, perlomeno, e rischiando la settima bocciatura gli conveniva poco-, ma giusto per non farlo andare da solo a Micene, magari col rischio di sbriciolarsi in moto contro la tomba d'Atreo, aveva rinunciato all'interrogazione di filosofia.

A Micene non c'era mai molto da fare: solo polvere, rovine, storia e leggenda.
S'era conservata meglio di Sparta, la città d'Agamennone, questo aveva dovuto riconoscerlo a malincuore, Gee.

Di Sparta, ormai, eran rimaste solo le cicatrici.

A lui non importava, non per davvero: negli occhi George aveva la città ch'era stata, anche quando metteva gli occhiali.

A Brian George, il ragazzino Iliade - dipendente, poteva anche non credere nessuno, ma lui credeva in quello che voleva.

Credeva in Sparta, credeva in Natal'ja.
Credeva nel suo motorino, maledettamente, anche quando lasciava le chiavi sotto il cuscino e doveva rubar la bicicletta a Tìa.

Credeva anche in lei, tanto.

A Theodorakis, che davvero non poteva lasciarlo in banco da solo, l'anno seguente.

Anche a costo di farsi biondo e offrirsi in filosofia al posto suo, o di tradurgli Tucidide per tutta la notte, Dounas doveva passare l'anno.


-Theo! Tìa!-

Brian George sorrise, ravviandosi i capelli.

I suoi amici non avevano ancora dato segno di vita, ma presto gli avrebbero risposto.

-Tìa! Theo!-

-Disgraziato!-

-Delinquente!-

Il sorriso scomparve.

Il ragazzo fece tre passi indietro, non si poteva mai sapere.

Era notte fonda, era Sparta.

Era il grande Geórgos Zemekis, lui, ma nel buio avrebbero potuto scambiarlo per un pivello qualsiasi, e i compari di suo nonno non erano esattamente dei bravi ragazzi, specialmente a quell'ora.

-Per Zeus, chi grida a quest'ora?-

Certo, George se ne rendeva conto: non era esattamente nelle condizioni di poter avanzare, neanche soltanto formulare, una lamentela del genere, ma del resto era lui.

Gli altri, in genere, avevano due opzioni: o si rassegnavano, o gli tiravano qualcosa in testa.

I Dounas, altrettanto in genere, per quanto bene volessero all'originale nipote di Leonida, avevano una particolare predilizione per la seconda.

-Tìa, io glieli lancio! Glieli lancio, punto!-

-Papà, no! Voglio dire, è sia un disgraziato che un delinquente, Gee... Ma gli stivali di mamma no, che ha appena sostituito i tacchi!-

George perse circa due dita di colore e quasi tutta la baldanza, alla vista di Meletis Dounas, biondissimo e trentasettenne padre di famiglia, uno dei più inneggiati e temuti eroi della banda.

-Mel, mi serve tua figlia... Non è che ti disturbo, vero?-

Meletis Dounas, in quel preciso momento, considerò tre elementi.

- Mel. Manco si fosse chiamato Melanie. Lui!

- Mi serve tua figlia. Mi serve un aspirapolvere l'avrebbe detto con la medesima intonazione?

- Non è che ti disturbo, vero? Disturbo. Alle tre di notte. Faceva sul serio?

-Geórgos!- ringhiò, senza cessar di sventolare gli stivali di Eiréne in direzione del giovane idiota.

Poi, improvvisamente, si calmò.

Parve riflettere su qualcosa che lo turbava particolarmente, dopodiché si guardò intorno, circospetto.

Sorrise.

-Geórgos, senti. Io te la posso anche mandare, mia figlia -Theo no, ti spennerebbe più di quanto non farei io in questo momento-, ma tu... Ce l'hai, una sigaretta per Mel, vero?-

George non aveva mai amato gli sbalzi d'umore di Meletis Dounas come in quel momento.

Però... Però...

-Ehi, Gee! Dai, ce le hai, le sigarette, no?-

Stavolta era stata Tìa a parlare, speranzosa.

Brian George Gibson non usciva mai di casa senza sigarette.

Mai.

Poteva dimenticarsi pure le scarpe, ma le sigarette no.

E allora... Allora...

-Uhm... Beh. Sigarette. Direi. Dovrei. Spererei. Ma se le avrei...-

-Gee, il congiuntivo! Al'ja ti sparerebbe, hai presente?-

-Oh, non sarebbe mica l'unica. Cioè, le avrei finite, le sigarette, io-

Dimokratìa sgranò gli occhi.

Meletis lasciò cadere gli stivali della moglie dalla finestra.

Come Eiréne non si fosse ancora svegliata, poi, non era ben chiaro a nessuno di loro.

Ma non se lo chiedevano, in quel momento.

George era il più sconvolto di tutti, forse.

-Mi... Mi dispiace! Io... Negozi aperti, ora...?-

-Te lo auguro, Geórgos!-


-Gee, non lo prendiamo, il motorino?-

-E no, Tìa, no che non lo prendiamo. Ho lasciato le chiavi sotto il cuscino, sai com'è...-

Sbarrò gli occhi, la ragazzina.

-Che, ti servono le chiavi? A te? Veramente?-

-Purtroppo sì, sciocchina-

Dimokratìa gli mollò un leggero scappellotto, guardandolo male.

-Sciocchina lo dirai alla tua cocorita, eh!-

-Eh, vedremo. Vedremo se avrò mai una cocorita, voglio dire. Tu come la chiameresti?-

Ma me lo sta chiedendo davvero?

La piccola Dounas avrebbe avuto un bell'inquietarsi, quella notte.

-Natal'ja- affermò, sorridendo.

-Natal'ja- ripeté lui, sognante.

-E' un bel nome, però. Voglio dire, anche se non ci fosse lei. Anche se noi, io non l'avessi mai conosciuta-

Gli tremava la voce, quasi, nel dar vita ad elucubrazioni notturne ancor più surreali del solito.

-Gee, se non ci fosse lei, se noi, tu non l'avessi mai conosciuta... Saresti ancora ad Atene, al Nuovo Museo dell'Acropoli, nella macchina per la restaurazione delle Cariatidi. Che poi, Dio... Come diamine t'è venuto in mente di entrarci? Cioè, già mi chiedo perché nessuno, eccetto la sottoscritta, abbia avuto il buonsenso di fermarti, però... I tuoi neuroncini ibernati si dovranno anche riprendere, prima o poi-

-Appunto. Ma volevo vedere come funzionava...da vicino-

-Signore, c'era il video! Ci sei pure andato a sbattere, se ricordi-

-Eh, ma era bello... Bello tanto. Secondo te, se Al'ja si pettinasse come una Cariatide...-

-George!-

Rideva, Dimokratìa.

Che caso disperato, e che bel caso disperato era, quel suo George!

-Ró̱ti̱sa t’astéria ti tha gínei me mas...- s'era messo a cantarellare nel frattempo, saltando sulla bicicletta di Tìa.

-Sakis?- gli domandò lei, riconoscendo le parole di Emena Thes, di Sakis Rouvas.

Lui inarcò un sopracciglio, annuendo.

-Ovviamente-

-Sai, a proposito di Rouvas... Mia zoí mazí, hai presente? E' la vostra canzone, tua e di Al'ja. Davvero!-

-La vita insieme- mormorò lui, pensieroso.

-Che bello, però...-

-Tanto tanto, Gee. Diglielo, prima o poi. Diglielo, che la vuoi sposare, che non te ne frega niente, dei suoi undici anni e dei tuoi quindici anni, degli scalmanati ungheresi, di...tante cose. Tu vivi per lei!-

-Beh. Sì, diciamo di sì. Teoricamente sì. Ma io...-

-Tu taci, adesso. Non è vero, Gee?-

Il ragazzo annuì, con un mezzo sorriso.

-Sì. Meglio così-


E adesso erano lì, in riva all'Eurota.

Tìa s'era addormentata, George guardava il fiume e non capiva, ma era bella, tanto, l'atmosfera che c'era lì.

Sfiorò con un dito i capelli della bambina, pensieroso.

Poi la strattonò un poco per una manica, illuminandosi improvvisamente.

-Tìa?-

Lei aprì gli occhi, infastidita.

-Cretino?-

-Ci verresti, in Russia con me?-




Note


Questo capitolo è per Francesca, punto.

Non faccio commenti, stavolta.

Li lascio a voi. ;)


A presto!

Marty

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