Ali in gabbia, occhi selvaggi di Natalja_Aljona (/viewuser.php?uid=83321)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno - Sparta ***
Capitolo 2: *** Due - Krasnojarsk ***
Capitolo 3: *** Tre - Sparta ***
Capitolo 4: *** Quattro - Krasnojarsk ***
Capitolo 5: *** Cinque - Sparta ***
Capitolo 6: *** Sei - Krasnojarsk ***
Capitolo 7: *** Sette - Sparta ***
Capitolo 1 *** Uno - Sparta ***
As
you lose all control
To
this slip of a youth
I
see fire in his eyes
I
see ice in his smile
Come
perdi il controllo
Per
l'avvicinarsi del giovane
Vedo
il fuoco nei suoi occhi
Vedo
il ghiaccio nel suo sorriso
(New
Faces, The Rolling Stones)
Sparta, 12 Settembre
2011
Brian
George parcheggiò il motorino fuori da scuola, scese con un
salto e si strinse al petto il libro di filosofia, dal quale spuntava
la foto stropicciata d'una ragazzina bionda e spettinata.
Sorrise
lievemente, si scompigliò un poco i capelli e fece per
togliersi gli occhiali.
Da
vista,
naturalmente.
-Fossi
in te non lo farei, Gee- lo rimbeccò Theodorakis Dounas,
fulminandolo con lo sguardo.
-Poi
vai a sbattere contro le primine, quelle ti chiedono il numero e tu
sei costretto a confessare che il tuo telefonino ce l'ha in ostaggio
Talia. Talia, tua
nonna,
non so se mi spiego-
-Oh,
Theo, se continui con 'sti termini lo capiscono tutti, che siam stati
noi a rapinare...-
-La
Banca Centrale-
Theodorakis,
da sempre poco simpatizzante con i soprannomi, strinse i denti,
guardandosi intorno circospetto.
-Veramente
era un'antica libreria, ed era straordinaria. Io in banca mi
annoio...-
-Ed
è questo,
quello che davvero
non bisogna far sapere-
Poi
indicò la ragazza della foto, sorridendo sarcastico.
-Almeno
il suo nome te lo ricordi?-
-Vuoi
un pugno in un occhio, Theo? Io Natal'ja
la sposerò-
-Hai
quindici anni, Gee-
-Tu
ne hai ventuno e sei nella mia classe, potrei anche avere qualcosa da
ridire sulla tua baldanza, eh-
-Parla
quello che studia solo greco e filosofia e muore per una siberiana.
Una siberiana che ti scrive i messaggi in cirillico e che hai
registrato in rubrica sotto il nome di Stárlet-
George
sbuffò, zittendo l'amico con una gomitata.
Scosse
lentamente la testa, voltandosi, ma intercettò lo sguardo di
una studentessa particolarmente carina e si affrettò a
distogliere gli occhi, confuso.
-Quella
che ha da guardare?-
-Oh,
non me lo chiedere. Non hai nemmeno la metà del mio fascino,
tu!-
-Ma
perlomeno non ho l'età di suo
nonno-
-Lascialo
perdere, Anthea. Non sei siberiana!- gridò il biondo
ventunenne alla ragazza, che arrossì un poco, fingendo di
essere particolarmente interessata ai gradini dell'edificio.
Era
bello, Gee.
Una
sorta di teppistello arcimiope e talvolta un po' perso, il fumatore
più incallito della scuola, ladruncolo di libri e di cuori,
sempre pronto a cercare una manciata di spiccioli nelle tasche del
prossimo e un sorriso spolverato sul volto d'una ragazza che tanto,
era sottinteso, non sarebbe mai stata come la sua zingarella
siberiana.
Un
po' meno sottinteso sia per la fanciulla in questione che per la
biondina slava, ma era pur sempre un dettaglio.
Natal'ja...
Gli voleva bene, lei.
Da
morire.
Ed
era lontana, tanto, ma al suddetto delinquentello greco non importava
niente.
Nemmeno
del suo avergli scarabocchiato l'adorata Iliade
in cirillico, né dell'avergli messo sull'ipod gli adorabili
assoli
di Nikolaj, il chitarrista polacco del secolo, nonché suo
cugino.
Aveva
una fama un po' epica un po' da pericolo pubblico, Gee, sempre in
giro col suo motorino per le vie antiche di Sparta, sigarette spente
nel libro di filosofia, sempre bello un po' più del lecito,
che a volte le giustificazioni per le assenze se le faceva firmare
direttamente dal carceriere.
Lo
sapevano tutti, che tra le panchine dei Giardini e la galera ormai
non faceva più differenza, ma non si scomponeva, questo mai.
S'era
scomposto quando l'avevano pseudo - arrestato per un bacio sulla
guancia dato alla biondissima sorella di Theodorakis, Dimokratìa
Hélèna Dounas, a sua detta "la straordinaria Tìa",
non per altro.
Sospiravano
un poco, le ragazze della sua classe, quando capitava loro di
scorgere, tra le varie scartoffie di Gee, la foto del loro pseudo -
eroe e delle sue due ragazze bionde, Tìa e Al'ja, che Brian
George Gibson lo conoscevan davvero.
Era
di Liverpool, il padre di Gee, ma lui era forse il più fiero
Spartano della città, anche se la loro verde Spárti non
era più quella d'un tempo, anche se la Grecia non era più
il Paese dei grandi eroi.
Geórgos
Zemekis, scriveva lui sui quaderni, firmandosi col cognome di sua
madre e di suo nonno, ma tutti lo chiamavano Gee.
Gee,
il ragazzino un po' sognante un po' sognato, che Theodorakis Dounas
aveva fermato appena in tempo dal distruggere per
l'ennesima volta i
suoi odiati occhiali da vista, stava per ricominciare la scuola.
Note
Stárlet (greco): Stellina.
Ali
in gabbia, occhi selvaggi: Notre Dame de Paris, Riccardo Cocciante.
Dunque...
E'
inquietante, per la verità, la nascita di questa storia.
E'
la trasposizione al duemila di Sic Volvere Parcas, il mio pseudo -
romanzo storico - romantico ambientato nella prima metà
dell'Ottocento, Ali in gabbia, occhi selvaggi.
Ed è
il regalo di compleanno -28 Novembre, giusto per non fare date- per
quella testa matta di Ceci, la mia pseudo - migliore amica bacata,
che se lo merita, anche se è difficile crederci. ;)
La
potete seguire anche senza aver letto Sic, assolutamente.
La
si può definire una storia a sé, una bella avventura,
se non altro, per la sottoscritta che si deve ancora capacitare che
la Rivoluzione Decabrista e la Guerra d'Indipendenza Greca non
ci saranno, ma questo è un
dettaglio.
E'
una storia dei giorni nostri, questa, anche se i protagonisti son pur
sempre i soliti decerebrati, con le loro innumerevoli assurdità
e tenerezze, bande e promesse, ribellioni e batticuori, vizi e
sorrisi.
I
primi capitoli sono pronti, prontissimi, e i prossimi me li faran
scrivere Ceci e questi decerebrati qui, contateci!
Qualsiasi
eventuale riferimento sarà opportunamente spiegato, e vi basti
sapere che qui abbiamo un brigante greco e una fiammiferia siberiana
da “convertire al Duemila”. ;)
Spero
che vi piaccia, comunque!
Son
curiosa di sentir le vostre opinioni, io. ;)
A
presto!
Marty
|
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Capitolo 2 *** Due - Krasnojarsk ***
Close
your eyes and I'll kiss you
Tomorrow
I'll miss you
Chiudi
gli occhi e ti bacerò
Domani
mi mancherai
(All
my loving, The Beatles)
Krasnojarsk, 12
Settembre 2011
All
my loving.
Sorrise,
Natal'ja.
Gliel'aveva
dedicata George, All
my loving.
Aveva
interrogazione di filosofia, Gee, quel giorno, ma il vizio di
chiamarla da sotto il banco poco prima che il professore -lo
presentiva- lo chiamasse a sua volta -e non al telefono,
disgraziatamente- non gli sarebbe passato mai.
Fece
per rispondere al cellulare, e per poco quest'ultimo non le cadde di
mano.
-Cristo,
Al, l'ha steso!-
-Jàn?-
-Feri
è in Presidenza, che Jàn e Jàn!-
-E
ti stupisci? Cioè, ti stupisci ancora?-
-E'
in Presidenza e ha steso il Preside, è questo il punto-
-Ah...-
-Ah,
appunto-
-Beh,
ma gli passerà, no?-
-Cosa?-
gridò
Jànos Desztor, l'Ungherese della porta accanto, esasperato.
-Il
trauma cranico al Preside e l'ira funesta al Capitano-
-Impiccati,
Al. E corri!-
Un
mostro di coerenza come sempre, Jànos Desztor.
-E'
un bravissimo ragazzo, garantisco io! Cerca sempre di non essere in
galera, per il mio compleanno-
-Ma
ha mandato in black-out l'intera scuola, e
poi anche il Preside!-
-Eh,
che ci volete fare, è un elettricista...-
Feri
Desztor, diciassette anni, era un ragazzo decisamente poco pacifico.
Il
temuto batterista - mezzo terrorista dei Forradalmi,
i Rivoluzionari.
Ungherese
fino allo sputo, e a sputi prendeva tutti gli altri, in genere.
A
Natal'ja, non si sapeva con esattezza perché, un po' di bene
lo voleva.
Un
bene un po' burbero e rude, ma gliene voleva.
E
lei lo recuperava sempre, in un modo o nell'altro, dai suoi guai e
dalle sue ribellioni, anche solo per uno di quei sorrisi belli di
rancore e di rivalsa, per quell'implicita, sconfinata ammirazione e
adorazione che le lasciava decifrare solo strizzandole un occhio.
Era
bello, Feri, ma le ragazze ci pensavano due volte, prima
d'avvicinarsi a lui.
Sarà
stato per le relativamente minacciose bacchette della batteria che
teneva costantemente a portata di mano, sarà stato per quella
pistola che pareva non scaricarsi mai da cui forse non si separava
nemmeno nel sonno, che lui di soldi non ne aveva, ma quelli per
pagarsi il porto d'armi -sempre che lo pagasse- li trovava sempre.
Secondo
il personalissimo parere di Natal'ja, per stare al fianco di uno come
lui, o perlomeno per non venirne calpestati, bastavano un po' di
sfacciataggine e un po' di coraggio.
E
per Natal'ja la Sfacciata, Natal'ja la Coraggiosa, la Sfuggente, come
la chiamavano i ragazzi della banda, lo scricciolo biondo, la fatina
delle steppe innevate, Feri Desztor era una sorta d'eroe.
Lo
chiamavano il Capitano, Feri, e non perché fosse il leader
della band: quello era Jànos e non si discuteva.
Feri
era il Capitano perché era lui, perché aveva l'aria di
quello che non si è sempre nelle condizioni di poter
contraddire, anzi.
Molti
lo chiamavano semplicemente "il bullo della scuola", ma non
era mai stato visto a minacciare ragazzini indifesi con l'Einstand
dei Ragazzi della via Pál, lui.
Semplicemente,
Feri lasciava senza parole.
-Al'ja,
la mia chitarra!-
-Al'ja,
lo smalto!-
-Al'ja,
se non ti sposti ti meno-
-Al'ja,
mi sta bene?-
Natal'ja
si fece sempre più pallida, sgranando gli occhi davanti allo
sguardo fiammeggiante di Jànos e alle sue "amiche
smaltate".
-Al'ja,
Khristos,
dì
qualcosa-
-Sono
seduta sulla tua chitarra, Jàn?-
Jànos
strinse i denti, annuendo.
-Oh,
non me n'ero accorta-
Il
tredicenne ungherese sorrise con estrema dolcezza, la tipica
dolcezza di
chi si sta trattenendo a stento dallo spaccare la faccia al suo
interlocutore.
-Adesso
lo sai, quindi spostati-
Natal'ja
parve meditare, o per meglio dire meditò finché Jànos
non l'afferrò per i capelli, liberando finalmente la sua
Fender.
-Jàn,
mi
spettini-
sibilò la ragazzina, facendo sorridere -pur non avendone
alcuna intenzione- con un'occhiataccia l'aitante chitarrista
ungherese.
-Mai
stata pettinata, tu- commentò Helga Björg Dolokova,
inarcando un sopracciglio.
Natal'ja
le fece la linguaccia, ignorandola.
-Taci,
Hell. Hajnal, lo smalto ti sta benissimo, anche se non si vede-
-Come
non si vede?!-
Hajnalka
Desztor pareva essere stata messa davanti alla rivelazione del
secolo.
-Vorrei
ben dire, Al'ja, è trasparente-
precisò Helga, sbattendo le ciglia.
Hajnalka
tirò un sospiro di sollievo, Natal'ja fece un passo indietro,
colpita.
-Ha
un senso?-
Poi
abbassò lo sguardo sulle sue unghie, non smaltate da una vita,
se non addirittura da
tutta la vita.
Sorrise,
scompigliandosi un poco la chioma con le mani, sotto gli occhi severi
di Helga.
-No,
decisamente, è lo smalto in sé a non avere un senso-
Hajnalka
la guardò delusa, rimirandosi le unghie con molto meno
entusiasmo di poco prima.
-Non
farti problemi, Hajnal, è proprio il rapporto Al'ja - smalto
ad essere difettoso. Ricordi? L'ultima volta ch'è venuto
George ha passato la notte ad intrecciarsi i capelli -con le corde
della chitarra di Jàn, ma questo è un dettaglio-, ed
avendo finito la lacca...-
-Pensavo
che fosse la stessa cosa!-
-Già...-
-Ehi,
ehi, Hell, lascia stare la mia Al'ja. Lei sta bene anche senza
contralto,
guarda che arcobaleno di streghetta abbiamo qui! Una via di mezzo tra
She's
a Rainbow
e Ruby
Tuesday,
non so se mi spiego-
La
disordinata biondina sorrise a Jànos, che le unghie se le
consumava sulle corde della chitarra, scrollando le spalle.
-Sentito?-
-Meno
vanterie e più smalto, Al-
Jànos
sospirò, scrutando con curiosità la pseudo -
principessina islandese che si trovava davanti, che arrossì
furiosamente, infuriandosi
nel vero senso della parola.
Infatti
fece cadere la boccetta dello smalto sui plettri di Jàn, che
lanciò un grido altissimo.
Quando
si riebbe respirò profondamente, passandosi una mano tra i
capelli e fulminando nuovamente la Dolokova, dopodiché si
rivolse ad Al'ja.
-Mandala
al diavolo, ogni tanto, pavoncello-
-E
se ricominciassimo da capo?-
Era
il 12 Settembre 2011, ma il primo giorno di scuola era saltato a causa di una bufera di neve.
Per
tutti meno che per Feri, dato che l'Istituto per Elettricisti "se
ne infischiava, della neve", sebbene "il diritto di
arrogarsi tale diritto" non si capiva bene chi gliel'avesse
dato.
Così
eran finiti lì, nella camera dei fratelli Desztor, tra
boccette di smalto, piastre per capelli, nastri, tastiere, batterie e
chitarre elettriche, a sorridersi e a litigare come in fondo avevano
sempre fatto.
Natal'ja
aveva pensato bene di placare gli animi accendendo il computer,
pregando che almeno uno dei loro amici di penna greci -leggasi
il suo amico non solo di penna greco-
fosse in linea.
-Non
abbiamo ancora risparmiato abbastanza per la webcam, vero?- domandò
un po' tristemente.
-No,
e per quel giorno dovrai mettere lo smalto!- gridò Helga,
ricambiando la sua precedente linguaccia.
Geó̱rgos
Zemekis o' Spartiáti̱s 1996 - In linea.
Natal'ja
Zirovskaja Sibirskiĭ 2000 - In linea.
-Cielo!-
Al
grido di Natal'ja le tre pesti accorsero, interrompendo qualsiasi
altra pseudo - produttiva attività.
Poi,
in religioso silenzio, si sistemarono intorno alla scrivania, gli
occhi sullo schermo, le dita incrociate.
Al'ja:
Dó̱bryj Djen'...
Gee:
Kaliméra!
-Come
cavolo scrive?!- protestò Helga, allungando il collo verso il
piccolo computer bianco.
-E'
greco, Hell-
-Che
c'è, Al, i Russi ti facevano schifo?-
-Ma
lui è...-
-Un
porco, ecco cos'è- l'interruppe Hajnalka, che l'aveva capito
dallo sguardo ballerino del ragazzo l'unica volta che l'aveva
incontrato.
-Ma
no, è così... Avete presente Dostoevskij? Avete
presente Raskòlnikov?-
-Cavolo,
bel paragone!-
-Ma
io...-
-Ma
tu, ma lui, ma l'idiozia di entrambi!- cantilenò Helga,
facendo ridere Jànos.
-Mica
male, dai, la principessina di Reykjavík!-
Al'ja:
L'interrogazione?
Gee:
Mi hanno sospeso prima...
Natal'ja
si voltò verso le amiche -e Jànos-, raggiante.
-Visto?
E' spiritoso...-
Gee:
Meletis, ch'era interrogato prima di me, ha definito Omero "quella
vecchia talpa", ed io temo di...non averci visto più.
In
tutti i sensi, dato che son praticamente passato sul cadavere di
Anthea.
Ma
insomma... A me stanno simpatiche, le talpe. Che diamine, le capisco!
E poi non son costrette a portare gli occhiali, loro.
E
Omero... Omero è un grande, non si discute.
-Era-
rifletté Helga, aggrottando la fronte.
-Lui
non lo sa!- gridò Natal'ja, accorgendosi dopo dell'ambiguità
dell'affermazione.
-Voglio
dire che si rifiuta di realizzarlo. Nella sua realtà
immaginaria Omero è arzillo come un petauro dello zucchero. E'
il suo idolo. Semplice, no?-
Al'ja:
Ma Meletis...il padre di Theo?
E'
ripetente anche lui? Ma diamine, ha trentasette anni...
Gee:
Meletis il mio compagno di classe, quello grasso, basso, tarchiato e
con i baffi.
Al'ja:
Accidenti!
Gee:
Le ragazze lo definiscono "uno schianto", per la verità.
Ma
un giorno io lo chiudo nel registro, parola d'onore.
Al'ja:
Oh...
-E'
solo un pochino...originale!-
lo difese Natal'ja, gelando sul nascere qualsiasi adorabile
osservazione di Helga.
-Esaltato?-
-Patologico?-
-Psichiatricamente
perseguibile?-
-Semplicemente
deficiente?-
-Straordinario,
no?-
-Non
sai quanto, Al, non
sai quanto-
Helga
sospirò gravemente, alle parole di Jànos.
-Oh,
non lo sa davvero!-
-E'
così bello, lui...-
-Dio,
Al'ja, no!- gridò Jànos, lanciandosi sulla scrivania.
-No?-
Al'ja:
E' così bello, lui...
-No!-
Gee:
Chi?
-Potevi
limitarti a dirlo, no?-
Al'ja:
Tu...
Gee:
Io sono "lui"?
Al'ja:
"Lui" sei tu, più che altro.
-E'
uguale, Al...-
Gee:
Sicura?
-Io
o Al'ja?- si domandò Helga, confusa.
Al'ja:
Siamo sicure entrambe, Gee!
Gee:
Ah sì?
Jànos
sgranò gli occhi, incredulo.
-Oh,
io mi dissocio!-
Note
o'
Spartiáti̱s (greco): Lo Spartano.
Sibirskiĭ
(russo): La Siberiana.
Einstand
dei Ragazzi della via Pál: Letteralmente “Altolà”,
che nel romanzo ungherese sta ad indicare una sorta di “dichiarazione
di guerra” ad un ragazzo più debole nel caso
quest'ultimo non ceda immediatamente i propri giochi all'altro.
She's
a Rainbow e Ruby Tuesday: Due canzoni dei Rolling Stones.
Khristos
(russo): Cristo, nel contesto usato come imprecazione.
Dó̱bryj
Djen' (russo), Kaliméra (greco): Buongiorno.
Ràskolnikov:
Protagonista di Delitto e Castigo, Fëdor
Dostoevskij.
Forradalmi
(ungherese): Rivoluzionari.
Eccola,
Al'ja.
Natal'ja,
la ragazzina che George ce l'ha ancora negli occhi e nel cuore.
Natal'ja
ch'è un po' persa, lei, ma in fondo si fa voler bene.
Natal'ja
ch'è cresciuta tra le steppe innevate della Russia Siberiana e
quei suoi amici un po' speciali un po' impossibili, abituati a fare
sempre di testa loro, ma che adora oltre ogni limite.
Li
conoscerete bene, loro, e spero davvero che vi ci affezioniate. ;)
Quanto
a Gee e Al'ja insieme... Oh, son complicati, loro.
Complicati
e incredibilmente assurdi, ma si vogliono bene, tanto.
Voi
cosa ne pensate?
A
presto!
Marty
|
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Capitolo 3 *** Tre - Sparta ***
Sparta,
12 Settembre 2011
That's
what she said so softly
I
understood for once in my life
And
feeling good most all of the time
But
she smiled sweetly
She
smiled sweetly
She
smiled sweetly
And
said: "don't worry"
Oh,
no no no
Questo
è quello che lei ha detto a voce così bassa
Ho
capito per la prima volta in tutta la mia vita
E
mi sono sentito bene più di tutti i tempi
Ma
lei sorrideva dolcemente
Lei
sorrideva dolcemente
Lei
sorrideva dolcemente
E
diceva: "non preoccuparti"
Oh,
no no no
(She
Smiled Sweetly, The Rolling Stones)
-E'
quell'ungherese, me lo sento-
-Quale
dei quattro? Hajnalka ha quattro fratelli, mi risulta. Senza contare
il padre...-
George
frenò all'istante, sgranando gli occhi.
-E'
vero...-
-Disgraziato!-
Ruotando
lentamente la testa, il ragazzo si rese conto di non essere stato
l'unico a frenare, per di più in
mezzo alla strada.
-Gee,
dai, andiamo- lo richiamò all'attenzione Theodorakis,
sorridendo con estrema nonchalance
all'automobilista quasi travolto dall'amico.
Gli
rivolse un breve cenno di saluto, al quale quest'ultimo rispose
sbattendo ripetutamente la testa sul volante.
George
si fece dapprima spaventosamente pallido, per poi passare ad una
gradazione di rosso acceso piuttosto inquietante.
-Sai
che dico, Theo? Io quell'ungherese lo
sbriciolo-
-Buona
idea- annuì Theodorakis, riallacciandosi il casco e passando a
Gee il suo, con un sospiro.
-Dovresti
metterlo, sai? Tanto contro gli alberi ci vai lo stesso, non
preoccuparti-
Poi
ripartì, lasciando l'anglo - greco ad imprecare fino al
sopraggiungere delle minacce dell'automobilista.
-Il
carro attrezzi e il riformatorio, ci vogliono!-
George
scosse la testa e, declinando più o meno cordialmente le
proposte, seguì quel dannato biondino ch'era il suo migliore
amico.
Era
a casa, Gee, la casetta bianca e azzurra divisa coi nonni sul
Taigeto, tra le selve, il cielo e il ricordo del mare, le strade
dissestate e le curve allucinanti.
Non
ne passavano mai, di macchine, lì, solo la sua moto e quella
di Theodorakis, la bicicletta di Tìa e lo skateboard di
Akhylleus, il piccolo dei Dounas.
Sorrideva,
Gee, di quel suo sorriso sempre un po' troppo fiducioso, e non aveva
poi tanto l'aria dello scapestrato, in quel momento, con le ginocchia
sbucciate per la sua ultima caduta in moto e il sole negli occhi,
stanco, forse, dopo la sua ennesima sospensione.
Un
ragazzino troppo ribelle, che non sempre li dimostrava, quindici
anni, quei quindici anni che a volte eran tredici e a volte
diciannove, quegli anni di sogni così disperatamente in alto,
che lo facevano stare male.
-Che
hai, Gee? Sembri un barbagianni-
Sorrise,
George, pur senza distogliere lo sguardo da quel graffio cobalto di
terra che immaginava fosse il preludio di quel loro Egeo sempre da
raccontare.
-Vieni
qui, Tìa-
La
bambina assottigliò lo sguardo, cercando d'indagare coi begli
occhi l'aria persa del suo Gee tutto da decifrare.
George
s'inginocchiò ai piedi dell'amica, prendendole la mano.
-Secondo
te ho qualcosa contro gli Ungheresi?-
Dimokratìa
sospirò, guardandolo con quell'infantile tenerezza che lo
confondeva sempre, quel pazzerello di George.
-Figuriamoci.
Tu non l'hai manco mai visto in faccia, un magyar.
Ma credo che quell'ungherese che vuol bene alla tua Al'ja non ti stia
tanto simpatico...-
Sorrise,
George.
-Non
le vuol bene quanto me-
-Tu
sei bellissimo,
secondo me. E anche dolce, tanto, ma...sei
tu.
E non sei sempre dolce, tu, ma bello sì, anche quando cadi
dalla moto. Non è un complimento, sai? Sei terribile, a volte,
e quella piccina ti vuol bene lo stesso-
-Senti
chi parla di piccine...-
-Io
non sono piccola, sorta di filibustiere. Non nel vero senso della
parola. Ero piccola quando mi hai vista nascere, forse, quando mi
tenevi in braccio. E' piccola lei, perché ti vuole bene, e
così tanto, Gee! Io non ce la farei-
-Ma
mi vuoi bene anche tu, vero?-
-Sì,
come se tu fossi la mia sorellina-
La
guardò un po' storto, George, riflettendo sulle sue parole.
-Non
è che hai invertito i ruoli, Tìa?-
Dimokratìa
scosse la testa, angelica.
-Oh,
no, te l'assicuro-
-Gee!
E' arrivata Anthea!-
Dimokratìa
sbarrò gli occhi, stringendo forte la mano di Gee.
-Farnetica,
mio fratello?-
George
scrollò le spalle, guardandola interrogativo.
-C'è
Anthea, tutto qua-
Scosse
la testa, Dimokratìa.
George
non li capì, i suoi occhi tristi, in quel momento.
-Ti
prego, non portarla dove comincia il fiume, dove l'Eurota splende nei
tuoi occhi e ti senti morire. E ti prego, non baciarla in riva al
fiume, non sorriderle col sorriso che hai, che fa tremare e
frantumare e non tornare. Ti prego, non le dire ch'è bella
come lei, non salutarla con la carezza che hai fatto quel giorno a
lei, prima che la nave partisse, non scioglierle i capelli, non farle
credere d'essere come lei! Ti prego, non stringerle la mano, non
farla salire sulla moto, non correre, non portarla a Micene, non
provare a fare come facevi con lei...-
Il
ragazzo la guardò con un mezzo sorriso, ma non era già
più lo stesso di prima, quel sorriso.
-Dillo
all'ungherese, di non baciarla in riva al fiume, la mia Al'ja-
Poi
recuperò il cellulare -quello di scorta, rubato dopo il
sequestro da parte di nonna Talia- che aveva lasciato per terra
accanto al casco, cercò il numero di Natal'ja.
Apó
Gee na Al'ja
Why,
tell me why, did you not treat me right?
Love
has a nasty habit of disappearing overnight
Note
Magyar (ungherese): Ungherese.
Apó
Gee na Al'ja (greco): Da Gee ad Al'ja.
Why,
tell me why [...] overnight: I'm Looking Through You, The Beatles.
Notizie
dal Fronte Spartano, dunque!
Gee
è un caso perso, e Tìa ci prova, a non sputargli in un
occhio, nonostante la tentazione.
Teoricamente
avrei anche potuto risparmiarmi 'sta sorta di cronaca bacata, eh, ma
son più caso perso di Gee, io. ;)
Gee...è
una gran testa calda, ecco.
Io
gli voglio bene, Al'ja e Tìa anche, ma un pugno in un occhio
da una delle tre se lo beccherà, prima o poi.
Sarà
un presentimento, sarà che lo conosco fin troppo bene, quel
matto, che sempre un dannato testardo ed incosciente rimane, sia
nell'Ottocento che nel Duemila, c'è poco da fare. ;)
A
presto,
Marty
|
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Capitolo 4 *** Quattro - Krasnojarsk ***
Krasnojarsk,
13 Settembre 2011
Com'eri
bella quella sera nel mio cuore
L'ultima
sera
Che
finisce il primo amore
Com'eri
bella
Che
nemmeno ti guardai
E
così bella
Che
nemmeno ti parlai
Com'eri
bella
Quella
sera nel mio cuore
Forse
tutta la mia mente
E'
diventata sabbia,
Eravamo
noi, ricordi,
Quelli
della rabbia
(Algeri,
Roberto Vecchioni)
Dimokratìa
Hélèna Dounas - In linea.
Era
tardi, e quel mattino nevicava soltanto, niente bufere in vista.
La
scuola cominciava davvero, c'era poco da fare.
Natal'ja
pensò di salutare comunque l'amica di penna, le ci sarebbe
voluto giusto un attimo.
Al'ja:
Tìa!
Tìa:
Al...
Al'ja:
Tutto bene?
Tìa:
Gee...
La
ragazzina sorrise, finendo d'intrecciarsi i capelli e legandoli con
un nastro azzurro.
Indossava
l'abito bianco, quel giorno, forse il migliore che aveva, quello che
piaceva anche a George.
Lui
aveva cercato di toglierglielo, quell'abito, ma questo era un
dettaglio, probabilmente.
Poi
le aveva cantato All
my loving,
per farsi perdonare.
E
aveva dovuto farsi perdonare anche per questo, perché era
terribilmente stonato, Gee.
Al'ja:
E' stato sospeso, vero?
Tìa:
Sai che novità... Ma Anthea...
Al'ja:
Quella che ha quasi travolto tentando di stendere Meletis?
Tìa:
Beh, pur senza quasi, l'ha travolta. Ma in tutti sensi...
Lo
sguardo di Natal'ja cadde sui suoi stivaletti di pelle blu, quelli
coi lacci color crema, i suoi preferiti.
Non
che ne avesse molte, di scarpe e di vestiti, ma a quelli teneva
tanto, non lo sapeva, perché.
Forse
non era il caso di pensare agli stivali, non in quel momento.
Al'ja:
Non va tutto bene, vero?
Tìa:
Mi dispiace tanto...
Natal'ja
sorrise amaramente.
Pensò
di mandargli un messaggio non in linea, a quel benedetto ragazzo.
Lo
fece, ma sarebbe bastato?
Quanto
male ti farai ancora perdonare, Gee?
Al'ja:
Com'è, questa Anthea, dunque?
Tìa:
Non come te...
A
Natal'ja parve di vederla, la piccola Dimokratìa Dounas, il
bel sorriso triste, gli occhi chiari sgranati, il suo stesso
desiderio di sputargli in un occhio, a Brian George.
Tìa:
Guarda che lui ti vuole bene, eh...
Al'ja:
Anch'io.
Spense
il computer, ultimò la cartella e pensò che sì,
forse era arrivato il momento di andare a scuola.
-Ehi,
Al, oggi cominci la mia scuola!-
Sorrideva,
Jànos, sulla porta di casa, il libro di russo e l'antologia di
letteratura ungherese sottobraccio, le scarpe slacciate e gli
occhiali da sole, gli occhiali da sole con la neve, la neve siberiana
che incendiava la via.
La
scuola secondaria inferiore, dai dieci ai quindici anni.
Sarebbero
stati insieme ancora per due anni, Natal'ja, Jànos ed Helga.
Con
Hajnalka invece avrebbe passato tutti e cinque gli anni, ma Al'ja ci
avrebbe scommesso i suoi stivaletti blu, ch'era già sui
gradini di scuola, Hajnal.
-Già...
La tua scuola-
Per
la verità la frequentava già da un anno, Al'ja, la
scuola di Jàn, ma a dieci anni si è ancora così
piccoli, ad undici forse no.
Non
che cambiasse poi molto, per lei.
-Contenta?
Non sarai più lo scriccioletto della banda, se non altro. E
poi...ci sono io!-
-Ci
sei tu-
Non
sembrava allegra come avrebbe dovuto, Al'ja, ma Jànos pensò
che volesse soltanto prenderlo in giro.
Scrollando
le spalle afferrò la cartella lasciata sui gradini innevati
del condominio e le strinse la mano, avviandosi canticchiando Getting
Better verso
scuola.
Era
implicito, tanto, il sorriso di Hajnalka, quel giorno.
Era
agitata, forse, con le guance arrossate e gli occhi indaco
scintillanti.
Il
suo sguardo oscillava da Natal'ja al fratello, inquieto.
Li
aspettava.
Nel
raggiungerla Al'ja s'imbatté in una ragazzina dal cappotto
lungo e i folti capelli rossi che le sorrideva con ben poca simpatia,
a dir la verità.
-Ecco
il chitarrista e la stracciona...- mormorò, incupendosi.
-Oh,
immagino di essere "la stracciona", ormai-
Era
flebile, la voce di Al'ja.
Non
aveva il fuoco delle stelle nel sorriso, né il cielo negli
occhi come al solito.
-Ci
sarà sempre qualcuno pronto a dirlo, Al. Ma pensa a noi, ai
Forradalmi...
Pensa a George, il tuo "bellissimo straccione"-
Natal'ja
sospirò, e un poco le mancò il fiato, alle parole di
Jàn.
-Ma
via, Al'ja: Io sono "il decerebrato ungherese", per Hélène.
E' in classe con Helga, lei, e non è che vadano tanto
d'accordo...-
-No?-
-Ehi,
la Dolokova sembra tanto angelica, ma quando qualcuno le critica lo
smalto e le amiche...-
-Lo
fa per lo smalto e le amiche o per le amiche e lo smalto?- domandò
Al'ja, inarcando un sopracciglio.
-Oh,
non entrare nei dettagli, Al-
Sorrise,
finalmente, la biondina di Krasnojarsk.
-Meglio
di no, in effetti. Ma quella si chiama Hélène? Come
Hélène Kuragina Bezuchova, che poi non se lo merita
mica, il cognome di Pierre?-
-Hélène
Vasilevna Arkonvskaja- annuì Jànos, guardando male la
Kuragina del ventunesimo secolo.
-Se
il mondo girasse secondo Guerra
e Pace,
immagino di sì-
-Ma
il mondo gira
secondo Guerra
e Pace,
Jàn. Ed io sono Natal'ja Rostova e George Anatol' Kuragin. E'
un dato di fatto-
-Anatol'
Kuragin?!- gridò il giovane ungherese, sgranando gli occhi.
-Uno
peggio dell'altro, i tuoi paragoni-
-Non
è che sia un paragone, Jàn- sospirò la
ragazzina.
Poi
corse da Hajnalka, le diede un bacio sulla guancia e sorrise
mestamente.
Non
la capiva, Jànos, quel giorno, la piccola Natal'ja.
Non
la capì finché quest'ultima non acchiappò il suo
telefonino dalla prima cerniera dello zaino e Jàn la vide
scorrere con il dito sulla tastiera, lo sguardo tra il malinconico e
l'apprensivo.
Finalmente
parve trovare ciò che tanto furiosamente cercava.
Sgranò
gli occhi, indietreggiando.
-Stai
attenta!- brontolò qualcuno, travolto dagli stivaletti della
piccina, ma lei non chiese scusa, forse non se ne accorse nemmeno.
Corse
da lui, gli fece leggere il messaggio.
Janòs
sorrise, riconoscendone il testo.
-I'm
looking through you?-
Non
era una domanda.
Loro
la conoscevano fin troppo bene, quella canzone.
Poi
lo sguardo gli cadde sul mittente.
-Nataljetshka...-
Alzò
gli occhi sulla ragazzina, ma pareva imperturbabile, lei.
Qualche
ciocca bionda e ondulata sugli occhi grigiazzurri e questi ultimi
impassibili.
Feriti,
ma impassibili.
Le
mise una mano sulla spalla, Jànos, cercò lo sguardo di
Hajnal, che scosse la testa.
Poi
si decise.
Rubò
il telefono dalle mani di Natal'ja e cliccò su quel maledetto
mittente.
Avviò
la chiamata.
-Brian
George?- gridò al suo interlocutore, gli occhi ridotti a due
fessure, l'espressione corrucciata.
-Sono
Jànos Desztor, l'Ungherese. No, non quello che sospetti essere
lo pseudo - amante di Al'ja. Suo fratello. No, non il fratello di
Al'ja. Che diamine, ragiona! Te la passo, ok? Perché non ha
chiamato lei? Sai com'è, ha un crampo alla mano. Sì, a
tutte e cinque le dita. Fenomeno del metacarpo dormiente, conosci?
Succede
quando si ha a che fare con ragazzi cretini. Sai, quelli proprio
irrecuperabili. Al'ja, parla con questo gran rubacuori ellenico. Toh,
parla con 'sto pseudo - pirata. Dico troppo spesso la parola
"pseudo"? Son ripetitivo? Pseudo - buttati nell'Egeo,
tesoro-
Natal'ja
afferrò il telefono con le mani tremanti.
Rispose
con un filo di voce.
-Gee?-
Non
disse niente, e Jànos se ne spaventò.
-Ti
voglio bene...-
"Credo",
avrebbe voluto dire, ma ne era sicura, lei.
-...ancora-
Jànos
la guardava immobile, gli occhi spalancati.
-E'
cretina. Cioè, è una decerebrata-
Le
sfilò il telefono un'altra volta, sputacchiando sulla
tastiera:
-George,
sai che stai con una decerebrata? Contento? Oh, fattacci tuoi. Ma la
decerebrata piange, anche se non dagli occhi. George, te li ricordi i
suoi occhi? Sono tanto belli, consumavano le tue foto. E' una
decerebrata fedele, questa qui. Te la ripasso, eh! E tanti auguri!-
Rideva,
adesso, Natal'ja.
Rideva,
e sperava che George, dalla Grecia, si sentisse morire quanto lei,
anche se adesso rideva.
-Gee...sei
così incredibilmente stupido-
-Non
provare a chiudergli il telefono in faccia, che le chiamate Siberia
Centrale - Laconia costano una fortuna, e poi ti tocca richiamarlo.
No, beh, la chiamata a carico del destinatario sarebbe un'idea.
Ma...tu
cosa ti consiglieresti,
al posto mio?-
Era
incredula, Natal'ja.
La
sorprendeva sempre, quel benedetto ungherese.
-E'
straordinario, Jàn-Jàn, no? Anche tu, per quanto
bastardo. Devo entrare a scuola, adesso. L'ha già capito,
Anthea, che sei troppo cretino per lei? Non farlo più, Gee. Fa
troppo male, anche se solo a me-
Stavolta
chiuse la chiamata, Al'ja.
Guardò
Jànos, che le sorrideva tra l'imbarazzato e il soddisfatto.
Dunque
lo vide passarsi una mano tra i capelli nerissimi, scrutandola con i
bruni occhi ridenti.
-Eh,
Al'ja. Sei forte, tu-
-Può
darsi, Jàn. Andiamo?-
-Natal'ja!
Piantala di confabulare con l'Ungherese e muoviti, per grazia
divina!-
Natal'ja
e Jànos sorrisero, alzando gli occhi al cielo.
-Helga...-
Quelli
belli come noi
Che
non cambieranno mai
(Quelli
belli come noi, Roberto Vecchioni)
Ci
ripensava, a volte, Al'ja.
La
vacanza studio a Liverpool, la città di suo padre, e lui
ch'era sulla moto e la guardava, la mangiava coi suoi occhi scuri
scuri, senza parole.
Ricordava
che aveva tirato una gomitata al suo amico biondo, Theodorakis, il
quale era balzato giù di sella e le aveva scattato una foto
con una di quelle macchine fotografiche che stampano istantaneamente,
per poi portargliela da autografare.
-E'
per Gee, l'impedito lì in fondo. In genere si fa avanti lui,
ma guardalo, pare l'Efebo d'Anticitera, solo che tutti quei muscoli
non li ha mica, lui-
-Non
c'è problema, lo giuro-
Poi
non l'aveva più saputo nemmeno lei, cosa dire.
Quelli
belli come noi
Non
dimenticano mai
Quella
prima volta che
E
quell'altra volta se
E
poi finalmente te
(Quelli
belli come noi, Roberto Vecchioni)
Note
Nataljetshka: Vezzeggiativo russo di Natal'ja.
Hélène Kuragina, Anatol' Kuragin, Natal'ja Rostova: Guerra e Pace, Lev Tolstoj.
Siberia Centrale: Zona della Russia Siberiana della quale Krasnojarsk è una delle città principali.
Laconia: Unità periferica greca della quale Sparta è il capoluogo.
Ed ecco il primo giorno
di scuola di Al'ja.
George, quel
grandissimo cretino, Jànos, che ha sempre una marcia in più,
Tìa, che a Gee vuol bene, tanto, ma a poterlo
strangolare...l'ho già detto, vero? ;)
Quanto all'ultima
parte...l'ho immaginato così, il primo incontro di Al'ja e
Gee.
Assurdo, ma
terribilmente nel loro (mio?) stile.
E Quelli belli come
noi sarebbero Theodorakis e Gee, quei due benedetti Spartani. ;)
Bene, spero che vi sia
piaciuto.
A presto!
Marty
|
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Capitolo 5 *** Cinque - Sparta ***
Sparta,
14 Settembre 2011
E
così te ne vai
Cosa
mi è preso adesso?
Forse
mi scriverai
Ma
sì, è lo stesso
Così
vai via
L'ho
capito, sai
Che
vuoi che sia
Se
tu devi vai
Mi
sembra già che non potrò
Più
farne a meno
Mentre
i minuti passano
Forse
domani correrò
Dietro
al tuo treno
Tu
non scordarmi mai
Com'è banale adesso...
(Amore
Bello, Claudio Baglioni)
Natal'ja
mia,
Sei
sempre stata un po' speciale.
Sei
sempre stata quella che ci credeva
Che
scrollava le spalle se arrivava tardi
Si
arricciava i capelli con le dita e una matita dietro l'orecchio
Ti
serviva per scrivere i pensieri sul mio quaderno
E
disegnarmi sulla moto come quando ci siamo conosciuti.
Mi
lasciavi giocare con la spallina del tuo vestito, anche se mi
guardavi male
Mi
facevi cantare Beautiful Girl sulla London Tube e ripetevi ch'ero
stonato
Ma
poi m'hai tenuto stretto, all'ultima fermata
E
un poco piangevi, ma non ti tradivi
Non
me lo dicevi, cosa speravi
Che
ti giurassi per farti felice.
E
Natal'ja, mi sei mancata
Ma
come te lo potevo dire,
Con
la sfacciataggine di quando sembra che non me ne freghi niente, del
carcere
O
il mezzo sorriso di quando ti ho stretto la mano?
E
adesso vorrei dirti ch'eri bella, tu
Con
i capelli sciolti e il batticuore nel guardarmi.
Il
mio dolore nel vederti piangere
Non
l'ho mai voluto ascoltare.
Poi
Theodorakis m'ha detto:
"Fidati,
non ti scorderà.
Per
il male che fai, per i baci che le dai
Quei
baci di sabbia e di burrocacao
Tra
i riflessi del Mersey e le strade di periferia.
E
credimi, lei ti sognerà
Anche
sul treno per Novosibirsk
Ti
dirà chi l'ha vista, chi viaggia con lei:
Prima
c'era Omsk, ma non è scesa
Prossima
fermata Krasnojarsk
Dopo
c'è Irkutsk, ma non la vedrà
Mosca
- Vladivostok, dietro i finestrini appannati
Corre
la steppa che arriva al Kazakistan, treman le mani che sfioran la
nebbia
La
nebbia fitta che c'è là
Corre
e la sente perfino nel cuore
La
Ferrovia Transiberiana
Come
la luce che aveva negli occhi
Che
non la faceva dormire, quando c'eri tu".
E'
poetico, a volte, questo amico mio
Molto
più di me, lo sai
Ma
io ci ho creduto, alle sue parole
Alle
promesse che avevi negli occhi
Alla
Stazione di Liverpool, quando m'hai salutato.
Adesso
tu mi chiederai di Anthea
Ed
io non posso fare come Baglioni
Dire:
"E adesso la pubblicità".
Ma
se potessi vederti, sai
Ti
abbraccerei senza averne il diritto
Ti
porterei in moto sull'Acropoli, nel cuore d'Atene
Dove
l'aria che si respira è quella di secoli fa
E
all'ultimo giro ti direi che ti amo
Anche
se tu non mi crederai
Più
della libertà quando le catene
Credono
di fermare questo sbandato
Ed
io gliela lascio pure, l'illusione
Ma
alla gente che mi guarda dietro le sbarre
Ai
sorrisi di scherno nessuna soddisfazione
Mica
lo sanno, loro, cosa si prova
A
sperare di vedere una ragazza
Che
ti si addormenti in braccio
Quando
il mondo fa paura anche a te
Ma
se mi credi, se sorridi
Se
mi segui anche lassù
Io
te la dico, l'ultima parte del discorso
Quella
che mi tenevo per lo splendore tradito del Partenone
Splendore
tradito che mi ricorda te
Quando
mi volterò per non farti vedere che arrossisco
Quando
la voce mi tremerà davvero
E
chissà se in quel momento
Ti
ricorderai del mio sorriso assurdo
Quando
m'hai detto che quel giorno
Il
cielo assomigliava a me
Anche
se avevo la pelle scura, io, mica celeste come quello lì
E
ch'ero bello come il sole, il sole che non si vedeva mai, da casa tua
Ed
io nemmeno ti ho risposto, la paura di guardarti
Al'ja,
che vigliaccheria!
Sei
più bella della Grecia, tu
E
sei proprio come il vento che ti si rompe negli occhi quando corri in
moto
E
fa volare le foglie sotto i piedi a scricchiolare e far inciampare
quelli miopi come me
Che
non le vedo manco se sono verdi, ma non ci farai caso, tu.
Dikoí
sas, gia pánta, pánta, pánta, pánta dikoí
sas
Gee
-Non
potevi scrivere niente di più vero, Gee. Io sono il poeta, tu
un deficiente-
-Lei...-
-Lei
è Natal'ja-
Sorrideva,
adesso, Theodorakis.
-Ti
adora, lei-
-Io
no?-
-Tu
sei un deficiente,
ricordi?- Sospirò, Gee.
-Come
no?-
Poi
afferrò il cellulare, quel dannato teppistello, lo afferrò
tanto velocemente da farselo quasi scappar dalle mani, ma Theodorakis
l'acchiappò in tempo.
-Toh,
Cyrano! Combina qualcosa di buono, stavolta, eh!-
Apó
Gee na Al'ja
Somewhere
in her smile she knows
That
I don't need no other lover
-Certo
che lo sa. Lo sa ma ha paura-
-Ne
ho anch'io, Theo, credimi-
Sorvolando
forzatamente sul Theo,
Theodorakis Leonidas Dounas stiracchiò un sorriso.
-Dell'Ungherese?-
Gli
tirò una cordiale gomitata, Gee.
-Nah.
Del suo sorriso, piuttosto. Sai quanto fa male, quando non mi brucia
negli occhi come a Liverpool. Mi manca, Al'ja. Mi manca, ma è
sempre mia. Ed io...dici che ce l'ho, adesso, l'aria da decerebrato
fedele?-
-Mica
tanto, Gee-
-Eh,
pazienza. Certo ch'era un Achille slavo, quel Jànos Desztor!
Mi piacerebbe conoscerlo-
Tanto,
a spezzargli la freccia nel tallone, sarebbe sempre stata lei.
Natal'ja.
Note
Dikoí
sas, gia pánta, pánta, pánta, pánta dikoí
sas (greco): Tuo, per sempre, sempre, sempre, sempre tuo.
Cyrano:
Cyrano de Bergerac, Edmond Rostand.
Somewhere
in her smile she knows that I don't need no other lover: Something,
The Beatles.
Beautiful
Girl: George Harrison.
London
Tube: Metropolitana di Londra.
Mersey:
Fiume di Liverpool.
Ci
tengo, a questo capitolo. C'è il George che conosco io,
quello che va oltre al bell'arcicretino spartano, quello che con la
coerenza proprio non ci sa fare, ma è sincero, maledettamente.
Non
so, non c'è tanto altro da dire, forse.
Assomiglia
un po' a me, questo delinquentello, perlomeno nel modo assurdo di
ragionare e per l'Iliade - dipendenza.
E
per la miopia, naturalmente, che anch'io, come lui, gli occhiali li
porto mezza volta su ventisette.
A
presto,
Marty
|
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Capitolo 6 *** Sei - Krasnojarsk ***
Krasnojarsk,
15 Settembre 2011
Anche
tu,
Anche
tu
Appartieni
al mondo intero e non a me
M'ero
illusa che tu fossi mio per sempre, ma
Non
lo sei,
Non
lo sei
(Che
male fa la gelosia, Nada)
Sorrideva,
Natal'ja.
-Che
ti prende?- le aveva chiesto Jànos poco prima, ma gliel'aveva
chiesto con la speranza negli occhi, perché tutt'un tratto
s'era illuminato di nuovo, il visino della sua piccola amica.
-Niente,
è che...-
L'Ungherese
le afferrò entrambe le mani, guardandola severamente negli
occhi.
-Non
lasciargliela vinta neanche un momento-
-Oh,
piantala, con quel tuo Vecchioni!-
-Non
è la stessa cosa che Gee ha detto a Tìa sul marciapiede
di Penny Lane, mentre aspettavamo che qualche martire prendesse su
tutta la comitiva?-
-Svyatoe
Nebo,
Jàn! Sposatelo e lasciami i Beatles, va-
La
guardò un po' storto, Jànos Desztor, prima di tirarla
per la manica, con un mezzo sorriso.
-Va
meglio, vero? Insomma, anche
se gliel'hai lasciata vinta-
Poi
scosse la testa, correggendosi.
-Più
che altro gli hai lasciato
la vita,
tu-
Recuperò
la chitarra che aveva lasciato sul divano, pizzicandone qualche corda
e guardando Al'ja con la coda dell'occhio.
-Everything
little thing she does, she does for Gee, yeah!-
-Jàn...-
-Era
già tutto previsto, anche l'uomo che sceglievi, e il sorriso
che gli fai mentre ti sta portando via...-
-Jànos!-
-George,
nel tuo ricordo pensa che la tua Natal'ja è accanto a te...
Oh, George! Lei che rideva e ora non più, ma la sua vita ce
l'hai tu... Oh, George! Oh, se tu le portassi via qualche altro
neurone ti spaccherei il faccino... Oh, George!-
-Jànos
Desztor!-
-E
nei sogni di Natal'ja Brian George l'aveva sposata, e chi non ci
credeva era un pirata...-
-Oh,
Jàn!-
-Tu
lo seguisti senza una ragione, come un ragazzo segue l'aquilone...-
-Taci,
cavalletta-
-Furono
e baci e furono sorrisi, poi furono soltanto i fiordalisi...-
-Disintegrati!
Che poi fa relativamente paura, la tua conoscenza della musica
italiana-
-E'
musica, no? Io sono Jànos Desztor-
Natal'ja
annuì, seria seria.
-Piacere...-
Il
chitarrista ungherese ridacchiò, scostando la sua mano.
-Pensa
al tuo fidanzato, piuttosto! Quando, nella penombra della sera
liverpooliana, mi si è affiancato dicendo: "Prendi questa
mano, zingara!", davvero non ho saputo cosa rispondergli-
-Oh,
accidenti!-
Jànos
sorrise, approfittando della sorpresa della ragazzina per sussurrarle
all'orecchio la sua ultima "creazione".
-Questa
è la tua canzone, Al'ja mia bella, che hai perso la ragione
assai in fretta...-
-Tu
cosa gli hai risposto?- volle sapere Al'ja, fingendo d'ignorare
l'ennesima pseudo - citazione.
-"Oh,
lo vedo sì, l'oro dei capelli suoi, e se sapessi quanto
ricambia ti spaventeresti, ma per favore, potresti andare a dirlo a
lei?"-
-Mitico-
fu l'unico commento della biondina, che scosse la testa, arrossendo
un poco.
-Ma
dici davvero? E Georgino
voleva
proprio sapere...-
-Morandi
no di certo, con rispetto, Al. But
when I see you darling, it's like we both are falling in love
again...-
-Ma...-
-Woman,
please let me explain, I never mean to cause you sorrow or pain...-
-Lennon
ti viene bene, sai, Jàn?-
Jànos
inarcò un sopracciglio, a metà tra il compiaciuto e il
divertito.
-Mi
devi aiutare a stendere la scaletta del concerto, tu-
-Stendere
la scaletta? Oh, caspita, suonate sul tetto come gli scarafaggi
scousers?-
-No,
Al...- sospirò il ragazzo, seppur ridendo sotto i baffi.
-E
cosa mi dedichi, eh?-
-"George!",
mormora la bambina. "Perché la tua piccolina tradisci
ogni santo giorno? George, come gli opliti a Sparta son le ragazze
per te!" Esile agonizza la bambina; or il brigante non è
più infedele: corre a intrecciar promesse e carezze sui
capelli suoi. "Gee!" mormora la bambina. Vuole sfiorar la
sua mano. Ma il capo già reclina e già socchiude gli
occhi. Piange, il ragazzo, pentito, stringendola al cuor. Ma
benedetto angelo greco, in fondo l'hai uccisa tu...-
Lo
guardò male, Al'ja.
-Sei
tanto tanto scemo, lo sai?-
Jànos
sbuffò, scrollando le spalle.
-Ma
tu gli vuoi davvero troppo bene, a quello lì. Per
sognarlo devi averlo vicino, e vicino non è ancora
abbastanza...-
-Devo
sembrarti proprio una sciocchina, eh? Ma provaci tu, a innamorarti di
uno come lui!-
-Preferirei
di no, davvero-
Natal'ja
si portò una mano alla bocca, sbiancando.
-Oh...già-
-Che
sorta di streghetta, questa piccina! Ma devi aiutarmi con la
scaletta, adesso. Coraggio, Al, ho ancora qualche speranza o te la
sei già bruciata, quella testolina?-
-Sai
con cosa dovreste cominciare, Jàn? Getting
Better
e Le
vie del rock sono infinite,
le tue canzoni. Cioè, solo due delle tante, ma è un
dettaglio. E poi... Poi suonerete qualcosa di straordinario. I'm
looking through you,
sicuramente, Something
e
All
my loving,
non si discute. She's
a Rainbow e
Ruby
Tuesday,
ovviamente, e...-
Jànos
l'interruppe, acchiappandola per un braccio.
-Tesoro,
è un concerto. Uno
solo-
-Lo
so, ma sono sicura che...-
Il
giovane ungherese sorrise, raggiante.
-Anch'io-
-Ma
quanto è straordinario, il mio Jàn-Jàn?-
-Tanto,
temo. Non
sperare di farlo piangere, perché piangere non sa-
-E
irrecuperabile, anche- aggiunse Al'ja, inclinando un poco la testa.
Jànos
annuì, con un mezzo sorriso.
-Uhm,
immagino di sì-
Ricordò
di quando aveva stilato l'elenco dei motivi per cui "il minator
dal volto bruno" non l'avrebbe lasciata mai, Al'ja.
1
- Natal'ja è bella, da morire, anche se non ha seno.
A
lei sta bene così, e se il Greco fa problemi gli spacco la
chitarra sulla testolina, promesso.
2
- E' bionda, tanto, e son belli, i suoi capelli, anche se temo che
non se li sia mai tagliati in vita sua.
E
vabbé, al massimo ci inciamperà, il Greco. Capita.
3
- Il vestito bianco le sta d'incanto, davvero.
Sarà
l'unico buono che ha, ma con quello è favolosa, lo giuro sulla
mia Fender.
4
- Non ci vuole molto per farla sorridere, my backstreet girl.
Certo,
il Greco è un bastardo, me ne rendo conto, ma le cose sono
straordinariamente semplici:
Se
lei smette di ridere lo carbonizzo.
Ma
rideva ancora, Al'ja, adesso.
E
Jànos era felice, tanto.
-Sai,
se vuoi lo facciam davvero sul tetto, il concerto, Al'ja-
Note
Canzoni citate e
modificate da Jànos nel capitolo: Sogna, ragazzo sogna,
Roberto Vecchioni.
Every Little Thing, The
Beatles.
Era già tutto
previsto, Riccardo Cocciante.
Mio Febo, Riccardo
Cocciante.
Sono solo canzonette,
Edoardo Bennato.
La canzone di
Marinella, Fabrizio De André.
Profumi e balocchi, E.
A. Mario.
Buonanotte Fiorellino,
Francesco De Gregori.
(Just Like) Starting
Over, John Lennon
Woman, John Lennon.
Zingara, Gianni
Morandi.
Getting Better, The
Beatles.
Le vie del rock sono
infinte, Edoardo Bennato.
Ruby Tuesday e She's a
Rainbow, The Rolling Stones.
Something, All my
loving e I'm looking through you, The Beatles.
Piano Bar, Francesco De
Gregori.
Miniera, Bruno
Cherubini - C. A. Bixio.
Backstreet Girl, The Rolling Stones.
Scousers:
Liverpooliani, che infatti parlano con l'accento Scouse, tipico della
Contea di Merseyside, della quale Liverpool è il capoluogo.
L'ho letteralmente
adorato, quest'accento, quando ero a Liverpool, ma d'altronde di
Liverpool ho adorato anche i marciapiedi! ;)
Gli scarafaggi
scousers sarebbero i Beatles, soprannomi assurdi di Al a parte.
Svyatoe Nebo (russo):
Santo Cielo.
Questo capitolo...
Oddio, sinceramente ho adorato scriverlo, ma è terribilmente
demente.
Jànos, per
essere ungherese, ha una conoscenza incredibile della musica
italiana, ma del resto lui è un musicista, ed è Jànos
Desztor, non dimentichiamocelo! ;)
Poi, tra parentesi, io
ascolto anche le canzoni in ungherese, ma questa è un'altra
storia!
Quanto alle canzoni...
Dio, l'ho detto, che son dementi.
E' demente Jànos,
anche se l'adoro, e sul suo pentalogo su Al'ja e Gee temo sia meglio
stendere un velo pietoso.
Son irrecuperabili
quanto me, questi ragazzi. ;)
A presto!
Marty
|
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Capitolo 7 *** Sette - Sparta ***
Lei
coi capelli di sole sommersi
Io
in mezzo ai mari che corsi
Lei
sotto i suoi cieli inversi
(Due
Universi, Claudio Baglioni)
Sparta, 16 Settembre
2011
Si
svegliò presto, quel 16 Settembre, George.
Il
suo ultimo giorno di sospensione gli si era bruciato tra le mani, e
c'era ancora da cercare i libri sotto il letto, lasciar l'Iliade
sul comodino, seppur con una fitta al cuore, e togliere quella
benedetta scodella di yogurt greco dal casco del motorino.
Si
svegliò ch'era ancora notte, per la verità.
Sbuffando
si alzò, s'infilò la camicia al contrario sul pigiama e
gli occhiali da sole -effetto della disastrosa miopia notturna, o
follia relativamente
momentanea-,
finì lo yogurt greco, inciampò nell'Iliade,
dopodiché uscì.
Appena
uscito raggiunse, decisamente più pimpante, il motorino,e
prima di salirvi riuscì a farselo cadere su un piede per ben
due volte, poi si accorse d'aver lasciato le chiavi sotto il cuscino
e sospirò, scrollando le spalle.
Dopo
uno sbadiglio e l'essersi, chissà come, infilato il casco in
un occhio, decise d'avviarsi dai Dounas a piedi.
Non
era esattamente uno di quegli orari in cui ci si poteva presentare
sotto casa altrui senza essere ghigliottinato, ma George nutriva
discrete speranze nella famiglia in questione.
Theodorakis
non era stato sospeso -non ancora, perlomeno, e rischiando la settima
bocciatura gli conveniva poco-, ma giusto per non farlo andare da
solo a Micene, magari col rischio di sbriciolarsi in moto contro la
tomba d'Atreo, aveva rinunciato all'interrogazione di filosofia.
A
Micene non c'era mai molto da fare: solo polvere, rovine, storia e
leggenda. S'era conservata meglio di Sparta, la città
d'Agamennone, questo aveva dovuto riconoscerlo a malincuore, Gee.
Di
Sparta, ormai, eran rimaste solo le cicatrici.
A
lui non importava, non per davvero: negli occhi George aveva la città
ch'era stata, anche quando metteva gli occhiali.
A
Brian George, il ragazzino Iliade
- dipendente,
poteva anche non credere nessuno, ma lui credeva in quello che
voleva.
Credeva
in Sparta, credeva in Natal'ja. Credeva nel suo motorino,
maledettamente, anche quando lasciava le chiavi sotto il cuscino e
doveva rubar la bicicletta a Tìa.
Credeva
anche in lei, tanto.
A
Theodorakis, che davvero non poteva lasciarlo in banco da solo,
l'anno seguente.
Anche
a costo di farsi biondo e offrirsi in filosofia al posto suo, o di
tradurgli Tucidide per tutta la notte, Dounas doveva passare l'anno.
-Theo!
Tìa!-
Brian
George sorrise, ravviandosi i capelli.
I
suoi amici non avevano ancora dato segno di vita, ma presto gli
avrebbero risposto.
-Tìa!
Theo!-
-Disgraziato!-
-Delinquente!-
Il
sorriso scomparve.
Il
ragazzo fece tre passi indietro, non si poteva mai sapere.
Era
notte fonda, era Sparta.
Era
il grande Geórgos Zemekis, lui, ma nel buio avrebbero potuto
scambiarlo per un pivello qualsiasi, e i compari di suo nonno non
erano esattamente dei bravi
ragazzi,
specialmente a quell'ora.
-Per
Zeus, chi grida a quest'ora?-
Certo,
George se ne rendeva conto: non era esattamente nelle condizioni di
poter avanzare,
neanche soltanto formulare,
una lamentela del genere, ma del resto era
lui.
Gli
altri, in genere, avevano due opzioni: o si rassegnavano, o gli
tiravano qualcosa in testa.
I
Dounas, altrettanto in
genere,
per quanto bene volessero all'originale
nipote di Leonida, avevano una particolare
predilizione
per la seconda.
-Tìa,
io glieli lancio! Glieli lancio, punto!-
-Papà,
no! Voglio dire, è sia un disgraziato che un delinquente,
Gee... Ma gli stivali di mamma no, che ha appena sostituito i
tacchi!-
George
perse circa due dita di colore e quasi
tutta
la baldanza, alla vista di Meletis Dounas, biondissimo e
trentasettenne padre di famiglia, uno dei più inneggiati e
temuti
eroi della
banda.
-Mel,
mi
serve tua figlia...
Non è che ti disturbo, vero?-
Meletis
Dounas, in quel preciso momento, considerò tre elementi.
-
Mel.
Manco si fosse chiamato Melanie.
Lui!
-
Mi
serve tua figlia.
Mi
serve un aspirapolvere
l'avrebbe detto con la medesima intonazione?
-
Non è che ti disturbo, vero? Disturbo.
Alle tre di notte. Faceva
sul serio?
-Geórgos!-
ringhiò, senza cessar di sventolare gli stivali di Eiréne
in direzione del giovane
idiota.
Poi,
improvvisamente, si calmò.
Parve
riflettere su qualcosa che lo turbava particolarmente, dopodiché
si guardò intorno, circospetto.
Sorrise.
-Geórgos,
senti. Io te la posso anche mandare, mia figlia -Theo no, ti
spennerebbe
più di
quanto non farei io in questo momento-, ma tu... Ce l'hai, una
sigaretta per Mel,
vero?-
George
non aveva mai
amato
gli sbalzi d'umore di Meletis Dounas come in quel momento.
Però...
Però...
-Ehi,
Gee! Dai, ce le hai, le sigarette, no?-
Stavolta
era stata Tìa a parlare, speranzosa.
Brian
George Gibson non usciva mai di casa senza sigarette.
Mai.
Poteva
dimenticarsi pure le scarpe, ma le sigarette no.
E
allora... Allora...
-Uhm...
Beh. Sigarette. Direi. Dovrei. Spererei.
Ma se
le avrei...-
-Gee,
il
congiuntivo!
Al'ja ti sparerebbe, hai presente?-
-Oh,
non sarebbe mica l'unica. Cioè, le
avrei finite,
le sigarette, io-
Dimokratìa
sgranò gli occhi.
Meletis
lasciò cadere gli stivali della moglie dalla finestra.
Come
Eiréne non si fosse ancora svegliata, poi, non era ben chiaro
a nessuno di loro.
Ma
non se lo chiedevano, in quel momento.
George
era il più sconvolto di tutti, forse.
-Mi...
Mi dispiace! Io... Negozi aperti, ora...?-
-Te
lo auguro, Geórgos!-
-Gee,
non lo prendiamo, il motorino?-
-E
no, Tìa, no che non lo prendiamo. Ho lasciato le chiavi sotto
il cuscino, sai com'è...-
Sbarrò
gli occhi, la ragazzina.
-Che,
ti servono le chiavi? A
te?
Veramente?-
-Purtroppo
sì, sciocchina-
Dimokratìa
gli mollò un leggero scappellotto, guardandolo male.
-Sciocchina
lo dirai alla tua cocorita, eh!-
-Eh,
vedremo. Vedremo se avrò mai una cocorita, voglio dire. Tu
come la chiameresti?-
Ma
me lo sta chiedendo davvero?
La
piccola Dounas avrebbe avuto un bell'inquietarsi, quella notte.
-Natal'ja-
affermò, sorridendo.
-Natal'ja-
ripeté lui, sognante.
-E'
un bel nome, però. Voglio dire, anche
se non ci fosse lei.
Anche se noi, io
non l'avessi mai conosciuta-
Gli
tremava la voce, quasi, nel dar vita ad elucubrazioni notturne ancor
più surreali del solito.
-Gee,
se
non ci fosse lei,
se noi, tu
non l'avessi mai conosciuta... Saresti ancora ad Atene, al Nuovo
Museo dell'Acropoli, nella macchina per la restaurazione delle
Cariatidi. Che poi, Dio... Come diamine t'è venuto in mente di
entrarci?
Cioè, già mi chiedo perché nessuno, eccetto la
sottoscritta, abbia avuto il buonsenso di fermarti, però... I
tuoi neuroncini ibernati si dovranno anche riprendere, prima o poi-
-Appunto.
Ma volevo vedere come funzionava...da
vicino-
-Signore,
c'era il video! Ci sei pure andato a sbattere, se ricordi-
-Eh,
ma era bello... Bello tanto. Secondo te, se Al'ja si pettinasse come
una Cariatide...-
-George!-
Rideva,
Dimokratìa.
Che
caso disperato, e che bel
caso
disperato era, quel suo George!
-Ró̱ti̱sa
t’astéria ti tha gínei me mas...-
s'era messo a cantarellare nel frattempo, saltando sulla bicicletta
di Tìa.
-Sakis?-
gli domandò lei, riconoscendo le parole di Emena
Thes,
di Sakis Rouvas.
Lui
inarcò un sopracciglio, annuendo.
-Ovviamente-
-Sai,
a proposito di Rouvas... Mia
zoí mazí,
hai presente? E' la vostra canzone, tua e di Al'ja. Davvero!-
-La
vita insieme-
mormorò lui, pensieroso.
-Che
bello, però...-
-Tanto
tanto, Gee. Diglielo, prima o poi. Diglielo, che la vuoi sposare, che
non te ne frega niente, dei suoi undici anni e dei tuoi quindici
anni, degli scalmanati ungheresi, di...tante cose. Tu vivi per lei!-
-Beh.
Sì, diciamo di sì. Teoricamente sì. Ma io...-
-Tu
taci,
adesso. Non è vero, Gee?-
Il
ragazzo annuì, con un mezzo sorriso.
-Sì.
Meglio così-
E
adesso erano lì, in riva all'Eurota.
Tìa
s'era addormentata, George guardava il fiume e non capiva, ma era
bella, tanto, l'atmosfera che c'era lì.
Sfiorò
con un dito i capelli della bambina, pensieroso.
Poi
la strattonò un poco per una manica, illuminandosi
improvvisamente.
-Tìa?-
Lei
aprì gli occhi, infastidita.
-Cretino?-
-Ci
verresti, in Russia con me?-
Note
Questo
capitolo è per Francesca, punto.
Non
faccio commenti, stavolta.
Li
lascio a voi. ;)
A
presto!
Marty
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