Destiny is made by our choices

di Cherry Berry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: The Universe ***
Capitolo 2: *** Chapter 1: Silence&Snow ***
Capitolo 3: *** Chapter 2: Incontri ***
Capitolo 4: *** Chapter 3: Nebbia e ricordi ***
Capitolo 5: *** Chapter 4: Ink to remember ***
Capitolo 6: *** Chapter 5: Fight like there's a future for us ***



Capitolo 1
*** Prologo: The Universe ***


Destiny is made by our choices

 

PROLOGO

La realtà è molto ridotta...

Si riduce a ciò che i tuoi sensi possono percepire... 

Anche se tu non riesci a percepirlo, il mondo non è unico...

 

Si dice che con il Big Bang siano nate undici dimensioni. Di queste solo quattro si sono sviluppate pienamente nel formare la Terra, il sistema solare e ciò che noi conosciamo come l’universo: l’altezza, la lunghezza, la profondità e il tempo. Secondo la M-teoria, teoria del tutto, l’universo che noi conosciamo è solo una piccola parte di ciò che in realtà fu creato dalla gigantesca esplosione che diede origine al mondo. Si ipotizza che il nostro universo sia immerso in un iperspazio a undici dimensioni, nelle quali, con estrema probabilità, troviamo infiniti Universi paralleli al nostro. Poiché viviamo in quattro dimensioni, ci è del tutto impossibile concepire quali siano le forme delle restanti sette. Eppure in queste si sviluppa la vita, così come nelle nostre quattro. E ciò come influisce sulla nostra storia?

 

In uno di questi Universi esiste qualcosa di molto simile alla nostra galassia e in essa un pianeta quasi uguale alla Terra. Su di esso vivono esseri  umani molto simili a noi, che hanno il nostro stesso aspetto, le nostre stesse funzioni vitali e sono in grado, come noi, di pensare e provare sentimenti. Dobbiamo però sapere che in questo mondo non esiste il tempo, così come lo conosciamo. In essa, infatti, il tempo non è una dimensione reale, quindi gli abitanti di questo pianeta restano cristallizzati per l’eternità. Potrebbe sembrare assurdo, terribile, è difficile concepirlo. Eppure dobbiamo ricordare che il tempo è qualcosa che fa parte solo del nostro mondo. Questi uomini quindi, hanno una vita che per noi sarebbe eterna, non invecchiano, non nascono, non muoiono. Non sanno come sono arrivati sul pianeta, ricordano solo gli eventi recenti del loro passato. La loro memoria non è fatta per ricordare una vita eterna e in continuo mutamento. Nessuno sa da dove è stato generato, né in che modo questo è avvenuto. La durata di anni ricordata da un essere umano è intorno a un centinaio di quelli che noi chiamiamo anni, ma ciò può variare, a causa di traumi o dolori che hanno completamente cancellato la memoria recente. Non bisogna però credere che dopo cento anni i ricordi di un individuo si eliminino magicamente. Si tratta di un processo graduale, per cui gli anni più distanti pian piano sbiadiscono, fino a venir cancellati e dimenticati. Essi però possono essere ricordati in seguito ad eventi che li possano rievocare. Ciò ci conduce, finalmente, all’inizio della nostra narrazione.

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Capitolo 2
*** Chapter 1: Silence&Snow ***


 

CHAPTER 1

 

La solitudine è una pace inaccettabile.

Una contenzione dei sentimenti per sembrare normali

mentre si avverte il desiderio di esplodere, di esistere per qualcuno.

E allora si può anche litigare, colpire e colpirsi,

pur di non essere soli. Inutile per tutti. Inutile a se stesso.

 

La neve cadeva leggera, delicata, candida e così pura da ricoprire ogni cosa con il suo bianco bacio. Rukia fissava lo sguardo verso l’orizzonte, scorgendo il salice spoglio nel suo giardino e nulla più. Tutto era ricoperto da una patina chiara e fresca, che celava il disegno delle colline all’orizzonte. La ragazza spostò lo sguardo verso l’alto, fissando i singoli fiocchi di neve che precipitavano verso terra, dandole la sensazione di volare. Una voce chiamò il suo nome, facendola voltare di scatto e rompendo l’incanto in cui era precipitata. Il suo nome risuonò nell’aria una seconda volta, facendola sobbalzare ed alzare da dov’era seduta. Scese le scale, andando verso colui che continuava a chiamarla.

- Eccomi, eccomi.

L’uomo era in piedi, davanti al tavolo, con le braccia incrociate e l’aria arrabbiata.

- Rukia, dov’è quello che ti avevo chiesto?

La ragazza aprì la bocca, senza che una parola riuscisse a uscire dalle sue labbra. Era certa di averlo comprato, ma ora sul ripiano, dov’ella lo aveva lasciato, non c’era nulla.

- M-ma… Lo avevo poggiato…

- Rukia cara, stai diventando smemorata. Su, non fa nulla.

Aizen le poggiò una mano sulla fronte, sorridendo. Le sue dita erano fredde, come solo la neve poteva essere. Mentre le palpebre della donna si chiudevano e mille fiocchi bianchi cominciavano a volteggiare davanti ai suoi occhi, le parole dell’uomo le giunsero ovattate alle orecchie:

- Riposati un po’, non sei ancora totalmente in te.

 

Rukia si risvegliò sotto le coltri calde, mentre la soffice neve continuava a cadere sul paesaggio circostante. Le sue labbra erano secche, la sua lingua e la sua gola ardevano di sete.

- S-Sosuk…

La voce le morì, lasciandola scossa e con una forte tosse. Un bicchiere d’acqua le venne teso. Lo svuotò in un sorso, tendendolo all’uomo e abbozzando un sorriso. Sosuke si sedette sul bordo del letto, facendole una carezza e scompigliandole i capelli.

- G-grazie.

- Figurati piccola Rukia. Ti senti meglio?

La donna annuì. Ora si sentiva davvero in forma, pronta ad andare a correre nella neve.

- Sosuke, perché i miei ricordi sono così nebbiosi?

La domanda le era sorta spontanea, senza che riuscisse a fermarla. C’era qualcosa che non andava nella sua mente, c’era una coltre di neve in essa, la stessa neve che ricopriva ogni cosa fuori.

- È dovuto alla tua malattia. L’influenza ha assopito la tua memoria.

Un bel sorriso incurvava le labbra dell’uomo. Rukia si sporse, verso di lui, allargando le braccia e stringendole intorno a quel torace ampio.

- Grazie per esserti preso cura di me.

Aizen la strinse a sé, parlando direttamente nel suo orecchio.

- È stato un piacere.

 

Nonostante i giorni si susseguissero velocemente, creando vortici ripetitivi di eventi e parole, i ricordi di Rukia non tornavano a galla. La sua testa restava piena di ovatta, come se vi fosse un disturbo, un’interferenza che le rendeva difficile ricordare. Eppure era sicura che ci fosse qualcosa d’importante da tenere a mente.

 

Quella mattina il sole la svegliò, mentre la neve luccicava sui prati fuori dalla sua abitazione. I suoi occhi brillanti si aprirono sul mondo, timidi e pieni di speranze, mentre ancora una volta il fantasma di un sogno le scivolava via dai pensieri, lasciandola leggermente scossa. Ultimamente le capitava spesso di svegliarsi in preda all’angoscia, carica di panico e terrore e con una frase che le ronzava nelle orecchie, ma che non riusciva a visualizzare in nessun modo. Si mise a sedere sul letto, scuotendo i corti capelli neri e stropicciandosi gli occhi. Un timido raggio di luce filtrava dalle pesanti tende appese alle finestre, colpendo il cuscino dove fino a poco prima era poggiato il suo viso pallido e addormentato. Abbandonò le calde coperte per vestirsi e scendere al piano di sotto, dove la colazione la attendeva sul tavolo della cucina, con un biglietto da parte di Sosuke. La ragazza mangiò in fretta, uscendo finalmente in mezzo al manto nevoso che ricopriva ogni cosa, lì intorno. Inspirò una grande boccata d’aria fredda, producendo piccole nuvolette di condensa, mentre le sue guance s’imporporavano per via del brusco sbalzo di temperatura. Mosse qualche passo incerto lungo il vialetto dell’abitazione, dirigendosi verso il bosco, dove le altissime cime degli alberi erano incurvate verso il terreno a causa della grande mole di neve che vi si era depositata sopra. Rukia moveva i piedi ogni secondo con sicurezza maggiore, finché non iniziò a correre, affondando fino alle caviglie. Ben presto cominciò ad avere il fiato corto, il suo cuore batteva così forte da rimbombarle nelle orecchie, sentiva il sangue giungere in ogni parte del suo corpo. Rallentò il passo, respirando con calma e continuando a muoversi in direzione del bosco. Quando incontrò i primi alberi era certa di essere in cammino da circa un’ora.  Il bosco era silenzioso. Come sempre d’altronde, non l’era mai capitato di sentire quegli “strani rumori” di cui aveva sentito parlare tempo prima. Una leggera fitta le colpì le tempie. Non ricordava quando avesse sentito una frase del genere. Sapeva che non era stato Sosuke a dirgliela, ma Rukia associava quelle parole a una voce maschile. Eppure… Ancora dolore alla testa. La donna si massaggiò la fronte, percependo solo in quel momento la freddezza delle sue mani. Si era dimenticata di coprirsi per bene. Il suo passo si fece più veloce, mentre cercava di riscaldarsi le punte delle dita, congelate, soffiandovi sopra. Finalmente cominciò a percepire lo scorrere d’acqua. Era quasi arrivata, quindi. Si rimise a correre nella direzione dalla quale proveniva il suono melodioso, giungendo finalmente dinanzi a un ruscello. Non era molto grande, da una sponda all’altra misurava circa un metro, eppure non era ancora ghiacciato, l’acqua continuava a scorrere placida e serena, con il solito gorgoglio spumeggiante. In alcune parti, dove stagnava, sulla superficie si era formato un leggero strato di ghiaccio, trasparente e pieno di strane composizioni arabescate. Cercò un posto adatto, che fosse sgombro dalla neve, per potersi sedere comodamente.  Vide un piccolo spiazzo di terra gelata, sotto la folta chioma di un abete, che era stato risparmiato dalla bufera, e vi si accovacciò sopra, incrociando le gambe e poggiando la schiena al tronco, robusto e forte. Chiuse dolcemente gli occhi, ascoltando il fiumiciattolo scorrere, riflettendo. Aveva bisogno di schiarirsi le idee, voleva ritrovare quei ricordi che aveva perduto. Quello era il luogo preferiva quando voleva riposarsi o semplicemente desiderava il contatto con la natura. Sedere vicino a quel torrente la faceva sentire in pace con se stessa, cosa che ultimamente non accadeva quasi mai. Nel silenzio che riempiva la radura, riusciva a percepire i deboli rumori che la natura produceva, mentre il buio avvolgeva la sua vista e l’odore fresco e delicato della neve la colpiva, facendola sprofondare sempre più in quel regno di pace che tanto aveva bramato. Si massaggio con dolcezza le tempie, percependo il sollievo che le provocavano i polpastrelli freddi sulla sua pelle bollente. Era ancora malata, dopotutto.  Rimase parecchio tempo in quella posizione, mentre le dita riprendevano calore e la circolazione cominciava a migliorare. Era certa che fosse piuttosto tardi quando decise di alzarsi in piedi, scuotendo i capelli che si erano riempiti di piccoli fiocchi di neve scivolati dai rami. Girò sui propri tacchi, voltandosi nella direzione dalla quale era provenuta, camminando con passo sciolto e veloce. Sicuramente Sosuke era tornato a casa e cominciava a domandarsi dove si trovasse. Rukia scosse la testa, tra sé e sé. Come poteva tornare a casa, o in quel posto che si ostinava a chiamare casa? Per lei nulla era peggiore che vedere gli occhi scuri che l’attendevano, impazienti. Eppure in quello sguardo non vi era una briciola d’amore. La donna sapeva, ne era certa, che Sosuke non provava amore nei suoi confronti. Era dura affermarlo, eppure era proprio così. Nonostante continuasse ad affermare di volerle bene, di provare qualcosa per lei, ella conosceva la verità. Lui non provava alcun sentimento nei suoi confronti e Rukia non riusciva a comprendere perché la tenesse al suo fianco. In fondo se non l’amava, perché continuare a curarla, servirla, tenerla a bada? A queste domande non era in grado di dare risposte, nemmeno un misero accenno di ciò che poteva essere la verità le ronzava nella mente. Uscì finalmente dal boschetto innevato, scorgendo in lontananza la sua abitazione. Accelerò l’andatura, finendo per riempirsi le scarpe di neve fredda, bagnata. Salì il vialetto con espressione pensosa, mentre ancora mille interrogativi torreggiavano nella sua mente, senza che potesse trovare una soluzione. Aprì la porta di casa, stampandosi sulle labbra un sorriso, falso, dolce come il miele e velenoso come una puntura d’ape. Oramai la finzione era l’unica cosa che l’era rimasta, così bastava sorridere ed andare avanti.

-Sono a casa!



***
Salve a tutti! Scusate se nel prologo non ho scritto nulla ma andavo di corsa. Volevo soltanto dare due piccole informazioni riguardanti la storia: l'avevo già pubblicata tempo fa, ma avendola aggiunta tutta insieme era stata praticamente ignorata. Siccome è un racconto a cui sono molto affezionata vorrei poter dire che l'hanno letta molte più persone. Inoltre volevo ringraziare chi ha recensito e messo la storia tra le seguite♥ Poi... Niente, spero che possiate apprezzare anche questo primo capitolo, con cui si entra nel vivo della narrazione. Non so quando aggiornerò di nuovo, ma penso in tempi brevi. Nell'ultimo capitolo aggiungerò la valutazione ricevuta nel contest. :D

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Capitolo 3
*** Chapter 2: Incontri ***


CHAPTER 2

Noi potremo incontrarci, 
potremo osservarci, 
ma io so che c'è una strada lontana 
che ci farà riunire, 
prima o poi. 

 
Annegare, in quel modo, non era proprio cosa da fare. Annaspare, per ritrovare la coerenza dei propri pensieri e sentimenti, mentre un mare di tristezza gli sommergeva il cuore. Si sentiva come se gli fosse stato strappato un pezzo di sé, o qualcosa del genere. Il suo cervello elaborava pensieri incoerenti, mentre l’acqua gelida gli lambiva le gambe. Perché con quel gelo aveva deciso di immergersi in quel ruscello? Nemmeno lui sapeva la risposta a quella domanda, probabilmente era scivolata in fondo alla sua mente in mezzo a quel turbinio di pensieri sconnessi e incoerenti. Il ragazzo trasse le gambe fuori dall’acqua, abbassandosi i pantaloni e infilandosi gli stivali, in modo da non ritrovarsi un dito staccato dal resto. Si alzò in piedi, spolverandosi gli abiti e voltando le spalle al fiumiciattolo, restando in ascolto dei suoni delicati che provenivano dalla radura. Ichigo prese una grande boccata d’aria, fissando il cielo coperto dalle nuvole candide che preannunciavano neve. Si ripulì da quella che gli era rimasta attaccata ai pantaloni, passandosi poi una mano tra i capelli. Il bosco era silenzioso, nessuna presenza strana disturbava la quiete che si era espansa in quel luogo. Quando uno scricchiolio giunse al suo orecchio, si voltò di scatto, per affrontare colui che era arrivato ad interrompere la sua pace. I suoi occhi scuri incontrarono quelli violetti di una donna, una ragazza minuta e dalla pelle di porcellana. Le parole scortesi che avrebbe voluto usare gli morirono in gola, mentre osservava quel visetto dai lineamenti delicati, le labbra sottili e lo sguardo profondo, quasi un pozzo blu nel quale tuffarsi.
- Oh, scusa, non pensavo di incontrare qualcuno qui. Se ti infastidisco posso andarmene.
Un piccolo broncio incurvò quelle labbra screpolate, mentre Ichigo rispondeva:
- No, tranquilla, stavo giusto andandomene.
Le fece un sorrisetto imbarazzato, mentre voltava le spalle e si allontanava con aria colpevole, come se fosse stato lui ad infastidire quella creatura. Scosse la testa, mentre ciuffi arancioni gli ricadevano sulla fronte. Si allontanò con passo svelto, abbassando lo sguardo al terreno. Perché aveva lasciato il suo luogo di pace all’arrivo di quella donna? Lui era già lì, non poteva smammare lei?! E soprattutto, per quale motivo anche lei aveva scelto proprio quel posto, per andare a farvi i fatti propri? Il ragazzo si diresse verso casa, scalciando sassi con aria arrabbiata. Prossimamente non sarebbe andata di nuovo così, se avesse dovuto incontrarla. Non avrebbe si sarebbe comportato nuovamente da gentiluomo.
 
Rukia non capiva. Perché il ragazzo che aveva incontrato nella radura aveva un aspetto familiare? Era sicura di non conoscerlo, non sapeva nemmeno il suo nome. Eppure era come se qualcosa le sfuggisse. Ultimamente le sfuggivano troppe cose, sperava di risolvere in fretta i suoi problemi di memoria. Fissò insistentemente il suo piatto, mentre il cibo non diminuiva affatto da quando Sosuke le aveva servito la cena.
- C’è qualcosa che non va?
La voce profonda dell’uomo le fece alzare lo sguardo verso i suoi occhi, mentre cercava di cancellare le preoccupazioni dal suo volto.
- No, nulla.
Provò a sorridere, ma le sue labbra si piegarono in una smorfia storta, mentre prendeva del cibo e se lo cacciava in bocca in tutta fretta. Non voleva mostrarsi triste agli occhi dell’uomo, aveva già i suoi problemi senza che dovesse curarsi della sua depressione.
-Sei sicura di stare bene?
Abbassò lo sguardo sul tavolo, mentre cercava di sorridere in maniera più convincente, riuscendoci almeno un poco.
- Sì, davvero, stai tranquillo.
Terminato il pranzo, Rukia era andata nella sua stanza, mentre Sosuke era sparito, come faceva sempre. Era quello il momento ideale per andarsene nel suo luogo preferito, nella radura, quei momenti in cui era certa di non essere seguita. Perché, però, non desiderava che egli scoprisse il suo rifugio segreto? Forse perché era un luogo che considerava solo suo e non voleva che nessuno, nemmeno chi amava, vi avesse accesso. I suoi piedi non producevano suoni mentre calpestavano la neve, quella neve che durante la notte era precipitata dal cielo, esattamente come si era aspettata. Ci mise poco a giungere nella radura, dove la quiete imperversava. Il silenzio, dovuto anche alla neve che attutiva i suoni, era delicato, mentre Rukia si avvicinava con passo lento al fiumiciattolo. Infilò un dito nell’acqua gelata, osservando il lento incedere del torrente e ascoltandone il suono gorgogliante. Nella fredda atmosfera del luogo la ragazza percepì dei passi. Qualcuno stava camminando nel bosco. Che fosse il ragazzo di prima…? Magari era solo un passante, ma ella si girò, fissando le chiome bianche e aspettando che dinnanzi a lei apparisse il volto che aveva memorizzato in precedenza. Trattenne il fiato, mentre il rumore di un incedere sicuro e veloce si faceva sempre più vicino. Da in mezzo ai rami apparve dopo poco il viso del giovane. Egli spalancò occhi e bocca nel vederla e fece per girarsi, per tornare da dov’era venuto. Rukia gli fece cenno di avanzare.
- Non devi andartene solo perché ci sono io.
Gli rivolse un sorrisetto, ma parve congelarsi sulle sue labbra, così come un fiore gela nella tormenta invernale. Voleva sorridere, ma dentro di sé era troppo scombussolata. Non sapeva più cosa pensare. Si passò una mano tra i corti capelli neri. Il ragazzo intanto si era avvicinato, appoggiandosi a un albero poco distante da lei. La sua voce profonda risuonò nello spiazzo, dandole la sensazione di averla già sentita.
- Così anche tu vieni qui per riflettere?
La testa di Rukia scattò verso il basso in un cenno d’assenso, mentre dalle sue labbra uscirono parole rivolte al giovane dinanzi a lei:
-  È un luogo davvero particolare. Mi trasmette un senso di tranquillità che nient’altro è in grado di darmi.
Si bloccò, come fulminata. Perché stava dando tutta quella confidenza ad un estraneo? Non parlava così a cuor leggero nemmeno con Sosuke. Cosa le stava accadendo? Mentre il suo cervello era in febbrile ricerca di una spiegazione logica il ragazzo aveva ripreso a parlare.
- Sì, hai ragione. È lo stesso per me. Posso sapere il tuo nome?
Il suo sguardo color iris cercò quello color nocciola dello sconosciuto. Vi lesse una pura curiosità, che la portò a rispondere senza pensare.
- Rukia. Il tuo?
Ma lei lo conosceva. Non sapeva come, mentre il ragazzo dai capelli rossicci pronunciava il suo nome, un attimo prima che lo dicesse ad alta voce, lei lo sapeva già. Fu una sensazione stravagante, che le fece sentire una stretta alla bocca dello stomaco, una scossa di elettricità sulla pelle. Fissò il ragazzo, sussurrando il suo nome nello stesso istante in cui esso uscì da quelle labbra pallide e tese in un sorriso amichevole.
- Ichigo.

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Capitolo 4
*** Chapter 3: Nebbia e ricordi ***


CHAPTER 3

 

Niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione.
Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita,
 una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita
cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. 
 

Nebbia che si era diradata, rivelando un paesaggio umido e poco piacevole. Un paesaggio freddo, grigio, che risentiva dell’atmosfera nebbiosa e rarefatta. Nebbia che era sparita, sì, ma lasciando un profondo segno del suo passaggio. La mente di Rukia era stata piena di quella coltre umida e grigia fino ad allora, ma adesso la situazione era cambiata. Lei ricordava. Ricordava ogni cosa. Certo, la sua mente non era ancora fresca e lucida, ma aveva rimosso quella cortina che non le permetteva di attingere ai ricordi del suo passato.
Entrò in casa, lasciando che la porta sbattesse alle sue spalle. Il suo sguardo si era rivolto intorno, alla ricerca di un segno di vita, qualcosa che le rivelasse la posizione di Sosuke. A quanto pareva, non era in casa. La ragazza si tolse gli abiti pesanti indossati per uscire, dirigendosi in cucina. Si riempì un bicchiere d’acqua, cristallina e fredda, poggiandolo sul tavolo e sedendosi presso esso. Poggiò entrambi i gomiti alla superficie lignea, per poi accomodare il viso nell’incavo formato dalle sue mani. Non capiva, non ci stava capendo più nulla. Fissò piccole sfere d’aria salire dal fondo del bicchiere verso la superficie, febbrilmente, come se la loro corsa fosse la cosa più importante del mondo. Restò immobile in quella posizione, osservando il vetro riflettere la sua immagine, finché non percepì la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi. Trasse un profondo respiro. Era giunto il momento di svelare la verità, di porre fine agli inganni e ai sotterfugi. Non si sarebbe piegata, non avrebbe supplicato che le fosse raccontato tutto. Si sarebbe imposta, pretendendo che le fosse detta ogni cosa.
 
Sosuke aveva abbandonato la solita aria spensierata e dolce. Era seduto di fronte a lei, che lo fissava a braccia incrociate, con espressione seria e dalla rabbia controllata a mala pena.
- Perché dovrei raccontarti tutto?
Il sospiro vibrante che passò attraverso le sue labbra desiderava sfociare come un ringhio rabbioso, ma la donna si trattenne.
- Perché altrimenti me ne andrei. E se sono qui devi avere i tuoi piani per me, no?
I suoi occhi erano gelidi, pieni della stessa freddezza della neve, che scivolava lenta all’esterno, sul terreno, ovunque. Lo stesso clima rigido si rifletteva nel suo animo e nel suo sguardo. Sosuke ridacchiò, togliendosi gli occhiali con un gesto distratto. Aveva deciso dunque di gettare la maschera e rivelarsi per ciò che era veramente?
- Non mi sembra sia una situazione divertente. – affermò Rukia fissando l’uomo che le sedeva davanti.
- Oh, no, ti sbagli. Lo è eccome. È la quinta volta che mi poni la stessa domanda, e ogni volta hai sempre quell’espressione così determinata…
Scoppiò a ridere una seconda volta, mentre la ragazza lo fissava con aria sconvolta. Di cosa andava cianciando? La quinta volta?
- Sì, Rukia, è la quinta volta che mi poni la stessa domanda. Bene, risponderò, come ho fatto fino ad ora.
Le labbra della ragazza si piegarono appena, in una smorfia a metà tra il confuso e l’arrabbiato. Non capiva con precisione cosa stava accadendo, era sicura di non avergli mai chiesto nulla. Attese, con aria impaziente, che iniziasse la sua spiegazione. No, non capiva affatto cosa intendesse con “la quinta volta”.
- Bene, se sei così determinata a sapere, ti racconterò tutto.
L’espressione di Sosuke si fece seria, mentre prendeva fiato per iniziare a parlare. Fissò gli occhi di Rukia e cominciò:
- Tantissimi anni fa, su questo pianeta, non vi erano la pace e la serenità che vi sono ora. Il mondo era pieno di tumulti, guerre e distruzione. Vi era un uomo crudele che voleva tutto per sé, che cercava di avere il predominio su tutti e tutto. Quest’uomo era la malvagità pura, fatta a persona. Per fermare le malsane idee di questo crudele e meschino individuo venne formato un esercito, i migliori combattenti che si erano mai presentati al mondo, erano tutti schierati contro di lui. Giovani, vecchi, donne e uomini. Tutti. Eppure anch’egli aveva i suoi alleati, alleati che gli davano man forte, che cercavano a tutti i costi di distruggere i suoi nemici. Ma nonostante gli scontri si susseguissero, senza sosta, nessuno dei due eserciti riusciva a prevalere. Talvolta era l’uno, talvolta era l’altro, la guerra continuava e nessuno vinceva. Come probabilmente ricorderai, nessuno può sparire da questo posto, siamo tutti destinati a vivere per sempre, dimenticando man mano gli avvenimenti passati. E dunque la guerra durò parecchio tempo, senza che il malvagio venisse sconfitto e senza che i buoni riuscissero ad avere la meglio. Accadde un giorno che uno strano individuo creasse uno strumento che, secondo quanto da lui detto, sarebbe stato in grado di porre fine alla guerra.
Sosuke si interruppe, per volgere uno sguardo alla finestra. Rukia rimase immobile. Forse stava cominciando a comprendere.
- Questo strumento venne chiamato Hougyoku. Ormai avrai capito di cosa si tratta, non è vero?
Le sorrise. Mai sorriso fu più odiato, mai il volto di Rukia aveva espresso più disprezzo in tutta la sua lunga esistenza. I ricordi erano finalmente riaffiorati nella loro totalità.
- Urahara. Kisuke ha costruito il “tesoro sgretolante”. E tu lo hai annientato, non è vero?
Non sapeva come riuscisse ancora a sedere su quella sedia, non capiva come non si fosse ancora alzata e avesse finito con le sue mani quell’uomo. Il malvagio per eccellenza, il cattivo che ogni favola deve avere per forza, il lupo che cerca di divorare i tre porcellini, l’orco che mangia i bambini. L’individuo che raccoglieva in sé tutto ciò che c’era di brutto su quel pianeta sedeva dinanzi a lei con aria divertita. Sì, si stava divertendo, il maledetto.
- Piuttosto, Rukia, non ti sei mai chiesta perché ti lascio uscire? A me non interessa che tu recuperi i tuoi ricordi, per me cancellarli una volta, un’altra e una ancora, non è un problema. Mi chiedo perché sia sempre Ichigo a farti riacquistare la memoria. Sai dirmelo?
La donna lo fissò con astio, tacendo. Lo sapeva. Ichigo era la sua metà, il suo protettore, colui che avrebbe dovuto tenerla lontano da ogni malvagità, da ogni dolore.
 
Quando Kisuke aveva posto in lei l’Hougyoku, tanti anni addietro, lei non si era opposta. Sapeva che se volevano porre fine a quella guerra non vi era altra soluzione. Egli le aveva spiegato in poche parole un concetto piuttosto difficile da comprendere.
- In questo mondo, – aveva esordito, -  ogni singola azione comporta il formarsi di una dimensione. So che può sembrare assurdo e assolutamente incomprensibile, ma è davvero così.
Le aveva sorriso. Quel suo solito sorriso enigmatico che poteva significare tutto e niente.
- Queste dimensioni, come puoi immaginare, sono infinite e incontrollabili. Una qualsiasi di esse può contenerne altre migliaia. Tutto dipende dalle scelte che gli uomini e le donne di questo mondo operano. Potrà apparirti impossibile, ma tutti noi, se volessimo, saremmo in grado di influenzare questi, chiamiamoli, mondi paralleli. Che però, essendo così tanti, potrebbero sopraffare la mente di chi, incautamente, tentasse di vincerli e piegarli al suo volere. Per questo ho creato questo oggetto.
Le mostrò una pallina nera, pulsante. L’oscurità che emanava le fece correre un brivido lungo la schiena. Era come se un’ombra fosse stata solidificata e compattata, ridotta a una piccola sfera. Rukia avrebbe dovuto ingerirla. La osservò, con timore, non sapendo bene come comportarsi.
- Questo “tesoro sgretolante” è in grado di farti viaggiare attraverso le decisioni. Solo chi lo possiede all’interno del suo corpo è in grado di controllare l’immensità dei mondi.
La ragazza prese l’oggetto in mano, rigirandoselo tra le dita. Era caldo, proprio come fosse un corpo a sé stante, come se possedesse vita propria. Lo tenne sul palmo della mano, mentre Urahara continuava il suo discorso.
- Solo tu, mia cara, potrai viaggiare e cambiare le sorti del mondo.
Rukia abbassò lo sguardo al terreno. Sapeva di non essere sola, ma l’incombenza di quella mansione le faceva dolere la testa.
- Lo farò.
Urahara sorrise. Era quello che voleva sentirle dire.
 
Rukia ritornò al presente. Aveva appena rivissuto con intensità disarmante un ricordo che avrebbe dovuto essere dimenticato, per lei, visto che erano passati tantissimi anni dalla grande guerra. Fissò lo sguardo su Aizen, con aria determinata.
- Tu. Io ho cambiato le cose, com’è possibile che tu sia riuscito a… farmi questo?
Lei aveva cambiato le cose. Il mondo era tornato in pace. L’uomo sorrise, un altro sorriso che fece venire voglia alla ragazza di procurargli dolore. Dopotutto lui si era comportato in maniera orribile, il male gli era dovuto.
- Tu hai cambiato le cose, sì. Le scelte però restano. Con la mia decisione di essere crudele, era destino che trovassi il modo di creare scompiglio.
Rukia sospirò. Lo sapeva. Aveva immaginato che non sarebbe stato così semplice cancellarlo dal mondo, cancellare la sua malvagità.
- Hai distrutto Kisuke.
Non era una domanda. Questo se lo ricordava. Poco prima che lei operasse il suo viaggio nelle dimensioni, Aizen aveva scoperto il suo piano e aveva cercato di capire a tutti i costi dove il magico oggetto per viaggiare nelle dimensioni si nascondesse. Urahara aveva fatto in modo di non dirglielo, non voleva mandare all’aria tutti i loro piani, così Sosuke l’aveva costretto a spostarsi nei mondi. Ed egli vi si era perso, non potendo più tornare indietro. Le scelte, a volte, portano gravissime conseguenze.
- Se l’è cercata.
Perché era ancora lì? Perché discuteva con colui che incarnava tutto il dolore e il male che un uomo poteva infliggere agli altri? Si alzò in piedi di scatto, facendo cadere la sedia sul pavimento con un tonfo. Se ne sarebbe andata. Sarebbe tornata da Ichigo, una volta per tutte.
- Te ne vai, di già?
Il sorriso che sfoggiava, con noncuranza, le fece temere per la sua incolumità.
- Sì, me ne vado. Qualcosa in contrario?
- In effetti sì, parecchie cose in contrario.
La vista le si annebbiò. Il tavolo, l’uomo, la stanza… Tutto sparì, lasciandola sola con una fitta nebbia bianca.

***

Chiedo venia per la sparizione, ho avuto trooooppo da fare, tra scuola ed ultime partite di campionato, ma ora sono tornata! Ringrazio chi ha recensito e anche chi ha solo letto. Rendete felice il mio cuore!♥

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Capitolo 5
*** Chapter 4: Ink to remember ***


CHAPTER 4

 

Io non credo nel destino, molto dipende da noi e ad ogni azione corrisponde una reazione,
dopotutto, anche l'evento più insignificante come il battito d'ali di una farfalla può cambiare ogni cosa,
a volte in meglio, anche se all'inizio non sembra.

Ma con tanta parte della vita affidata al caso non puoi fare a meno di chiederti:
"E se fosse andata in un altro modo?" 

 
Ichigo si scosse dal torpore del sonno. Era steso nel suo letto, lo sguardo rivolto al soffitto. Un brivido gli corse lungo la spina dorsale. Non ricordava di essersi messo a dormire la sera prima, ma si alzò comunque, con le palpebre pesanti e passi strascicati. La sua abitazione era, come al solito, silenziosa. Si preparò la colazione, mangiandola con gusto, seduto al tavolino della cucina. Un leggero formicolio alla fronte lo colse, una strana sensazione. Doveva ricordare assolutamente qualcosa. Sì grattò una tempia, con sguardo confuso, osservando la stanza. Mentre spostava la mano verso la tazza di caffè, notò delle scritte sopra di essa. Fissò il suo palmo, con aria stupita. Su quella pelle pallida vi erano dei segni neri, parole scritte da una mano che non era la sua. Fissò la mano, riconoscendo la scrittura minuta e disordinata che vi era impressa sopra. Nonostante tutto, Rukia era riuscita a fare del suo meglio affinché la scena non si ripetesse. Quando aveva riacquistato i ricordi, prima di tornare a casa per confrontarsi con Aizen, aveva deciso di imprimere un ricordo sulla mano di Ichigo, se qualcosa fosse andato storto. Nonostante Aizen fosse riuscito a intrappolare di nuovo la ragazza, Ichigo non aveva dimenticato tutto. Dopotutto, si tratta di scegliere se ricordare o meno, un cambiamento non può eliminare ogni memoria ma semplicemente offuscarla. Lesse e rilesse le poche righe che Rukia gli aveva lasciato, mentre tutti i fatti accaduti riaffioravano nella sua mente. La guerra, il dolore, la disperazione, la scelta di Rukia e il suo compito, affidatogli da Urahara: proteggerla. Sarebbe dovuto essere il suo guardiano, prendersi cura di lei. Era la depositaria di un potere immenso, e lo sapeva bene. Ciò comportava enormi responsabilità. Le sue esili spalle non sarebbero riuscite a portarne il peso da sole, senza che qualcuno l’avesse aiutata. Ciò che lui avrebbe dovuto fare era proprio quello: supportarla. Negli anni che erano seguiti alla guerra, Ichigo aveva svolto il suo compito, proteggendo Rukia, vivendo con lei. E amandola, in qualche modo. Era stato al suo fianco per parecchio tempo, finché Aizen aveva trovato la sua vendetta. L’aveva rapita, drogandola e sfruttando il suo potere per cambiare la realtà, modificare le scelte. I pensieri di Rukia, l’affetto che provava per lui si era tramutato in amore per Sosuke, i ricordi di entrambi erano stati offuscati, soppressi, nascosti nei recessi delle loro menti. Eppure il loro legame era così solido da superare anche la manipolazione subita. Ichigo non poté trattenere un timido sorriso mentre faceva quelle considerazioni, rileggendo ancora una volta le parole trascritte sul suo palmo con l’inchiostro nero. Voleva che l’aiutasse. Voleva che mettesse fine a quel ciclo infinito di menzogne e malignità. Ichigo si alzò in piedi, lasciando la tazza ancora piena di caffè sul tavolino, dirigendosi verso la porta. L’avrebbe salvata, era suo dovere, dopotutto. Proteggerla e fare in modo che non fosse ferita. Anche se non c’era riuscito in passato, non significava che adesso avrebbe dovuto arrendersi. L’avrebbe sottratta alle grinfie di Aizen, a qualunque costo.
 
Mentre attraversava il bosco, camminando con passo deciso, si ricordò di certe storie che aveva raccontato a Rukia, tanto tempo prima, quando amavano passare le loro giornate nella radura, vicino al ruscello. Era il luogo che più preferivano, entrambi. Forse perché lo scorrere dell’acqua era rilassante, forse perché stare a contatto con la natura in quel luogo era qualcosa di meraviglioso. Erano seduti sotto un abete mentre egli narrava storie riguardanti strani rumori che certe persone, passando per quel luogo, avevano percepito. Visto il suo carattere, Rukia non si era spaventata come Ichigo sperava, ma era diventata estremamente curiosa al riguardo. Ripensare a quei momenti lo fece sorridere, mentre con passo sicuro si dirigeva verso l’abitazione di Aizen, dove egli teneva prigioniera la bella principessa. Uscì finalmente dalla boscaglia, avvistando la casa e andando verso essa. Bussò con forza alla porta. Fu Rukia ad aprirla, con stupore negli occhi. Non era abituata a ricevere visite. Guardò per un attimo il ragazzo con espressione strana e indifferente, domandando:
- Sì, cosa desidera?
Ichigo la osservò. Anche i suoi ricordi si erano cancellati, così com’era accaduto alla ragazza che stava in piedi dinanzi a lui con le mani sui fianchi e lo sguardo leggermente annoiato.
- Aizen è in casa?
- No, Sosuke non c’è. Ma tu chi sei e cos…
Non le diede tempo di finire la frase, spingendola dentro e seguendola in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
- Ma cosa diavolo…?!
- Perdona i modi bruschi, ho bisogno di parlarti e avresti fatto storie se te l’avessi chiesto senza usare le maniere forti.
Le sorrise, mentre lei lo fissava con aria adirata.
- Possiamo accomodarci in cucina?
 
Si sedettero al tavolo. Rukia non capiva perché avesse lasciato che uno sconosciuto entrasse in casa sua, facendo il prepotente. Lo fissava al di sopra del bicchiere d’acqua. Nei suoi occhi si poteva scorgere della rabbia, ma la sua posa era immobile. Ciò che più la sconcertava riguardava le scritte presenti sulla mano del ragazzo, che aveva detto di chiamarsi Ichigo. Quella era la sua scrittura, eppure lei non ricordava di averlo mai visto prima. Egli le sorrise, svuotando la tazza di caffè che lei gli aveva gentilmente riempito. Si passò una mano tra i corti capelli neri, scuotendo la testa. Non capiva. Ichigo parlò, con voce calda e profonda, che le ricordava qualcosa. Eppure era certa di non averlo mai visto prima, in vita sua.
- Così non ricordi più nulla.
Gli occhi della donna si fecero seri, mentre osservava quella testa arancione con diffidenza.
- Che cosa vuoi dire?
Il ragazzo si passò una mano sul viso, con aria abbattuta. Rukia non riusciva a capire cosa non andasse in lei. Perché ancora non l’aveva gettato fuori da casa sua?
- Non capisco come fare per farti tornare la memoria. Forse non posso…
- E io invece non capisco quello che stai dicendo.
Il suo sguardo severo indugiò sul volto dai bei lineamenti del giovane. Cosa diavolo stava cercando di dirle?
- Lo so che non capisci. Però devo trovare un modo per farti ricordare.
Lei nascose il viso tra le mani. Cominciava a dolerle la testa. Nonostante pensasse che quel ragazzo fosse completamente pazzo, una parte di lei non voleva affatto cacciarlo via. Una piccola parte di Rukia comprendeva ciò che lui stava affermando, quella stessa parte che era certa di riconoscere Ichigo. Eppure era certa di non averlo mai visto. O forse si stava sbagliando?
- Forse è destino che tutto ciò si ripeta all’infinito.
Il ragazzo pareva leggermente abbattuto, il sorriso speranzoso non piegava più le sue labbra e l’espressione cupa non si addiceva per nulla al suo bel volto.
- Il destino non esiste.- mormorò, rivolta più a se stessa che a lui. Egli annuì, tornando a sorridere.
- Hai ragione. Questo mondo è fatto di scelte. Non dobbiamo far altro che decidere, no?
Quel luccichio nei suoi occhi contagiò anche la ragazza, che si ritrovò a sorridere senza poter farci nulla. Fissò gli occhi color nocciola di Ichigo, affermando con convinzione:
- Se possiamo decidere, però.
- Certo che possiamo farlo. Tu puoi farlo. Tu puoi cambiare ogni cosa soltanto prendendo la decisione giusta.
 
Sì, era difficile decidere. Lei avrebbe voluto ardentemente riuscire a rimuovere il blocco che occludeva i suoi ricordi. Eppure, nonostante gli sforzi suoi e di Ichigo, la cortina di nebbia fitta e fredda che occludeva la sua mente non voleva svanire, in alcun modo. Erano seduti al tavolo della cucina e Rukia si aspettava che da un momento all’altro Sosuke tornasse a casa. D’un tratto la voce bassa del giovane le fece spalancare gli occhi color dei fiordalisi, chiusi per potersi concentrar meglio.
- Forse so dove possiamo andare in modo che tu recuperi in fretta i tuoi ricordi.
Uscirono dalla casa, dirigendosi verso il bosco. L’aria fresca imporporava le gote della ragazza, mentre camminavano una dietro l’altro, in silenzio completo. Giunsero a destinazione quando il sole cominciava a calare. Fortunatamente quel giorno dal cielo non era caduta altra neve, i sentieri erano più puliti e gli alberi imbiancati luccicavano dolcemente sotto la luce solare, che li faceva lucere come piccoli gioielli di smeraldo e diamanti. Gli abiti si incurvavano elegantemente verso di loro, sotto il peso della materia bianca che ne ricopriva i rami. La superficie del torrente si era congelata tutta, oramai, la radura era silenziosa, nessun rumore ne interrompeva la quiete. Rukia fissò i ghirigori fantasiosi creati dal ghiaccio, mentre tentava di ricordare qualcosa. Conosceva bene quel posto, lo amava. C’era qualcosa di magico in quel luogo, qualcosa che la faceva stare bene. Spostò il suo sguardo dal torrente a Ichigo, che stava in piedi poco più indietro di lei. Guardando quegli occhi scuri, le sovvenne qualcosa alla mente. Una storia di strane voci e mostri misteriosi che imperversavano in quel luogo. Era stata lui a raccontargliela, tanto tempo prima.

***

Eccoci qui con il quarto capitolo... La storia è ormai agli sgoccioli, ma ringrazio sentitamente tutti coloro che hanno letto e recensito (vi giuro che a breve risponderò alle recensioni, scusate ma le ultime verifiche mi hanno risucchiato ogni energia!). Spero che anche questo capitolo vi piaccia :3

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Capitolo 6
*** Chapter 5: Fight like there's a future for us ***


CHAPTER 5

Che piacevole sorpresa
 scoprire alla fine che da soli
non siamo poi così soli.
 

 
Era riuscita a recuperare la sua memoria. Si ricordava tutto. Non aveva più intenzione di dimenticare. Sospirò, scuotendo la testa.
- Dobbiamo farla finita.
Lo sguardo di Ichigo passò dal terreno a lei in un attimo. Sul suo viso si poteva leggere la preoccupazione, la paura di perdere ancora una volta Rukia, di scordare. L’espressione sul volto della donna era invece sicura, forte. Voleva porre fino a tutto ciò una volta per tutte.
- Sì, dobbiamo farla finita.
I loro sguardi erano allacciati, mentre mille interrogativi passavano per le loro menti. Come avrebbero potuto sbarazzarsi di Aizen? Non volevano cadere ancora una volta in una stupida trappola, sarebbe stato da sciocchi.
- Dobbiamo costringerlo a spostarsi tra i mondi paralleli.
Lo sguardo di Rukia era sicuro. Sapeva di non aver altre scelte, sapeva di dover essere lei a porre fine a quelle crudeltà ripetitive. Ichigo annuì, mentre osservava la sua espressione determinata. Concordava con lei, dovevano porre fine a tutto quello. Costringere Aizen a muoversi tra gli universi generati dalle scelte era l’unica soluzione possibile, a quel punto. L’avrebbero intrappolato come egli aveva fatto con Urahara, che probabilmente ancora vagava, senza meta e senza potersi fermare né trovare la strada. Sì, non vi erano altre maniere per eliminare il problema. Per sconfiggere il cattivo, spesso bisogna soltanto dargli pan per focaccia, come si usa dire.
 
Rukia tornò a casa. Quando aprì la porta, un forte odore di fritto le colpì le narici. Sosuke stava preparando la cena. Attraversò il corridoio, dirigendosi in cucina.
- Ciao.- esclamò, mentre l’uomo la sentiva giungere e si voltava verso di lei.
- Oh, bentornata. Sto preparando da mangiare.
La ragazza abbozzò un sorrisetto, mentre si sedeva al tavolo e attendeva con pazienza.
- Dove sei stata?
- Oh, nel bosco. Ci sono tante cose interessanti, lì.
Nella sua voce era possibile sentire una nota piuttosto evidente di sarcasmo. Probabilmente anche Aizen la percepì, visto che si voltò, fissando i suoi occhi scuri in quelli color cobalto della donna.
- C’è qualcosa che non va?
- No, nulla.
Un sorriso piegò le sue labbra sottili, ma non proferì parola, mentre Aizen tornava a darle le spalle e cucinare. Doveva solo attendere, entro poco tutto sarebbe finito. Finalmente la pace sarebbe calata su quel posto. Pace. Rukia si incantò nel fissare la parete, mentre mille pensieri le scorrevano per la mente. Perché Aizen la voleva con sé? Quella domanda l’aveva sfiorata facendola rabbrividire. Fino ad allora non aveva fatto nulla di male. L’aveva solo tenuta con sé, trattandola bene, dandole affetto. Il viso della ragazza era una maschera inespressiva, il corpo inerte, lo sguardo perso nel vuoto. Forse non era poi così cattivo come si dimostrava. Forse necessitava di qualcuno da amare. Perché quella domanda non l’aveva mai sfiorata prima? Scosse la testa, riscuotendosi dai suoi pensieri. Sosuke le depositò dinanzi il piatto, mentre si accomodava per la cena. Osservò la sua espressione sconvolta ma non le domandò nulla. Fu Rukia a sussurrare, poco dopo:
- Perché mi trattieni qui con te?
Si era accorto del fatto che avesse di già recuperato i suoi ricordi, l’aveva capito quasi subito, guardandolo in viso. Egli sospirò, passandosi una mano tra i capelli scuri come l’ebano.
- Forse conosci già la risposta.
Non ne era così sicura. Lo sguardo dell’uomo indugiò sul tavolino, finché non si fissò negli occhi della donna. Un sorriso crudele piegò le labbra dell’uomo, mentre cominciava a parlare:
- Io aspetto. Ti tengo con me, drogandoti ed aspettando che tu dimentichi. Attendo che ogni memoria del tuo passato sia scomparsa da quella tua testolina, per sfruttare la tua abilità e diventare, finalmente, il padrone indiscusso di questo pianeta. Dalla tua espressione stupita immagino che tu pensassi a me come un uomo capace di amare. Che disdetta. Arrenditi mia cara, io sono il male.
Rukia prese fiato. Sì, aveva ragione. Lui era il male, il diavolo in persona. Doveva essere eliminato. Si alzò in piedi, con eleganza.
- Speravo di non dover fare tutto questo.- affermò, fissando l’uomo che le sedeva davanti. Era giunto il momento. Chiuse gli occhi, concentrandosi. Doveva semplicemente muoversi, spostarsi ed influenzare la sua scelta. Fare in modo che egli desiderasse finire a viaggiare nelle dimensioni. Prima di utilizzare il suo potere, aprì ancora una volta gli occhi, guardando Sosuke. La sua espressione annunciava tutto il suo dolore, mostrava ciò che non avrebbe voluto mostrare. Non era da lei essere debole, fare trapelare le sue emozioni così apertamente.
- Pensi forse che sarà così facile?
Lo sguardo duro che Aizen le rivolse fece tornare la sua faccia a una maschera di composta indifferenza. Sì, sarebbe stato facile, per lei. Sarebbe stata una passeggiata.
- Sì, lo sarà.
Gli occhi di Rukia ruotarono per la stanza. Desiderava imprimersi nella memoria i giorni passati tra quelle mura, nonostante tutti i piani malvagi e le menzogne che egli le aveva raccontato. Pensò alla casa, al percorso che faceva per andare presso la radura. Forse tutto quello in futuro le sarebbe mancato, almeno un poco. Sentì un tocco gentile sulla spalla. Si voltò, scorgendo il volto preoccupato di Ichigo. Era lì per sostenerla. Lui era sempre stato al suo fianco, l’aveva protetta, l’aveva amata. Era stato il suo guardiano, non per imposizione ma per scelta. Così come lei aveva scelto di diventare la custode dell’ Hougyoku, lui aveva scelto di diventare la sua metà, colui senza il quale sarebbe stato duro sopportare il peso di quella responsabilità. Lei era l’essere più potente su quel pianeta, era in grado di sovvertire le sorti del mondo, in grado di fare quasi qualsiasi cosa, o quasi. Sono sempre le scelte, ciò che di più importante esiste. Finché esisterà la libertà di scegliere il proprio destino, nessuno potrà imporre la propria volontà agli altri. Rukia osservò quell’uomo, mentre Ichigo, con quel tocco delicato, le infondeva coraggio. Senza di lui, non ce l’avrebbe mai fatta a crescere, a compiere il dovere affidatole da Urahara. Egli si era sacrificato affinché giungesse quel momento, affinché il male venisse sconfitto e, finalmente, la pace tornasse su quel mondo. Aizen dedicò giusto un’occhiata ad Ichigo, fissando i suoi occhi in quelli della ragazza che stava in piedi davanti a lui.
- Non sei in grado di farlo.
Per un attimo temette che fosse vero. La paura di fallire la pervase, ma percepì il calore delle mani di Ichigo sulle proprie spalle. Si sbagliava, ne era capace e l’avrebbe fatto senza remore alcuna.
Ciò che accadde di seguito fu confuso e difficile da narrare. Rukia si concentrò, focalizzando la sua energia affinché Aizen si perdesse nelle dimensioni. La sua mente era completamente risucchiata dallo sforzo, così concentrata che nemmeno si accorse del fatto che le mani di Ichigo non poggiavano più sulle sue spalle. Così concentrata da non percepire il pericolo.
 
Quando riaprì gli occhi, la casa era vuota. Era in mezzo a una stanza vuota, priva di mobilia, nessuna traccia umana. Aizen era sparito, probabilmente risucchiato dalla voracità dei mondi, dalla complessità e varietà delle scelte. Un sorriso, venato di leggera tristezza, si dipinse sulle sue labbra. Si voltò, per incontrare gli occhi di Ichigo. Ma egli non era più al suo fianco, di lui non v’era traccia nella stanza. Gli occhi della ragazza si spalancarono in una smorfia di stupore, mentre si guardava intorno con aria spaurita. Che fine aveva fatto? Un terribile presentimento la colse, stringendole la bocca dello stomaco. Non era possibile, non poteva assolutamente crederci. Era stato risucchiato dalle dimensioni assieme ad Aizen? Rukia aprì la bocca, per urlare il suo nome, sperando che fosse nei paraggi. Dalle sue labbra non uscì alcun suono. In cuor suo sapeva che non avrebbe mai potuto sentirla. Era stato portato via, le era stato sottratto, per sempre. Le ginocchia le cedettero, facendola crollare bocconi sul pavimento. Aveva forse fatto la scelta sbagliata? Era stata punita per qualche motivo? Sentì un groppo formarsi in gola, mentre cercava di capire dove aveva potuto sbagliare. Perché Ichigo era svanito? Era ingiusto. Ella si era impegnata così tanto per portare la pace a quel mondo, per vivere felicemente. Ora una delle poche ragioni per cui voleva la serenità su quel pianeta le era stata sottratta. Scosse la testa, mentre leggere lacrime le scivolavano lungo le guance, rigandole, lasciando solchi indelebili e rotolando giù, colpendo il pavimento con estrema dolcezza, svanendo come gocce di pioggia nell’oceano. Si sentiva scossa nel profondo, le doleva il petto. Si terse le lacrime con la mano, osservando il luccichio che emanavano sulla sua pelle diafana. Sospirò, restando carponi sul pavimento. Lei era Rukia. Non poteva piangere a quel modo, arrendersi ai fatti. Lei poteva scegliere, poteva usare il suo potere. E avrebbe scelto, cercando Ichigo, anche a costo di vivere solo per ritrovarlo. Avrebbe attraversato ogni dimensione, si sarebbe persa in esse. Avrebbe combattuto. Perché lei era fatta così.

***

Sono passati SECOLI da quando ho aggiornato questa storia l'ultima volta... Mi dispiaceva lasciarla in sospeso ma purtroppo ho avuto dei problemucci col pc. Ora eccoci, manca solo l'epilogo che pubblicherò in settimana. Grazie a chi ha letto e recensito, siete dei tesori!

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