A wish for something more di MystOfTheStars (/viewuser.php?uid=42764)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Titolo: A
wish for something more, capitolo I
Prompt:
pacchetto sogni, speranza.
Personaggi:
Luise (fem!Germania), Feliciano (Italia), Julchen (fem!Prussia), Sophia
(fem!Austria), Lavinia (fem!Romano), Antonio (Spagna), Francis
(Francia), Gary (male!Ungheria), vari ed eventuali - in questo
capitolo: Luise, Julchen, Sophia, il sig. Weilschmidt
Pairing:
principalmente GerIta, un po' di Spamano, triangolo
Prussia/Austria/Ungheria
Rating: PG,
direi
Genere:
fluff, romantico
Avvertenze:
Gakuen AU, genderbent di molti personaggi, praticamente solo coppie
eterosessuali
Riassunto:
Luise è un'adolescente decisa, ma un po' insicura del suo
aspetto, timida ed impacciata soprattutto nei confronti dell'altro
sesso. Questo è il suo primo giorno di scuola nel liceo
frequentato anche dalla sorella più grande, che, al
contrario di lei, è l'apoteosi della sicurezza di
sé e dell'estroversione. Al di sotto dell'apparenza
impeccabile della sua divisa inamidata, Luise spera di non fare
figuracce, e, soprattutto, che nessun ragazzo le si avvicini troppo. Ma
poi...
Beta: Yuki
Delleran
Note:
partecipa all'Hetalia prompt-athon 2011 su hetafic_it @
LiveJournal // il titolo viene dall'omonima canzone di Amy MacDonald.
L'ho sempre associata alla GerIta :D
“...e questo cosa significa?”
Luise lanciò un'occhiata alla sorella, che la osservava con
aria incuriosita, appoggiata scompostamente allo stipite della porta,
ma non le rispose. Gli occhi azzurri della ragazza tornarono, critici,
al suo riflesso nello specchio. C'era qualcosa che non andava? La
camicia era perfettamente abbottonata, le bretelle della gonna della
lunghezza giusta, perfettamente pari... Certo, quella divisa avrebbe
potuto essere più lunga, ma questo non era qualcosa a cui
Luise potesse rimediare.
“Intendo quello!” Julchen storse la bocca, puntando
un indice accusatore in direzione della sorella. Luise le rivolse uno
sguardo interrogativo.
“Quei capelli! Perché mai?!”
ribadì la maggiore, con un sospiro esasperato.
“Oh. Questi.” La sua mano dell'altra corse
involontariamente alle ciocche corte che le ricoprivano la nuca. Era un
gesto che aveva ripetuto spesso, dalla sera prima; non si era ancora
abituata al taglio nuovo, e si meravigliava ogni volta che le sue dita
non incontravano le lunghe ciocche bionde che, fino al giorno prima, le
scendevano morbidamente lungo il collo.
Si strinse nelle spalle, tornando ad aggiustarsi la cravatta della
divisa con precisione millimetrica.
“Erano troppo appariscenti. Inoltre, poco pratici. Ho
intenzione di iscrivermi a un club sportivo, e di andare in palestra
per conto mio, quindi ho pensato che un taglio corto sarebbe stato la
soluzione ideale.” commentò semplicemente.
Dalla soglia, Julchen la osservava allibita.
“...troppo appariscenti!? Lieschen*, ma cosa sei, un
maschiaccio?! Ora, mi rendo conto che tu non voglia farti crescere una
magnifica capigliatura come la mia... del resto, non tutti possono
portarla con così tanta disinvoltura come la sottoscritta,
modestamente – anzi, ma che dico, che modestia e
modestia?!” La maggiore ridacchiò, le dita curate
che pettinavano una lunga, lunghissima ciocca di capelli candidi. Lisci
e luminosi, le cadevano morbidamente attorno alla vita, ed erano uno
dei tanti – troppi – vanti della sorella.
“Ma insomma! Avevi quei bei capelli dorati! Ora mi
chiederanno tutti se ho un fratellino, invece che una sorellina,
kesesese!”
Luise arrossì, voltando le spalle a Julchen e andando a
prendere la cartella. Tanto per cominciare, detestava essere chiamata
con quel nomignolo. “Luisella”,
“Lisetta”, “Luisina”...
seriamente?! Non aveva niente di “ino”, Gott!
In più, era consapevole di somigliare ad un ragazzo, con
quel taglio; del resto, lo aveva fatto apposta.
In cuor suo, sperava che quelle ciocche corte, combinate alla sua
altezza e alla sua costituzione robusta, sviassero l'attenzione dal suo
petto prosperoso e dalle sue lunghe gambe che, ai suoi occhi, la gonna
dell'uniforme scolastica lasciava decisamente troppo scoperte. Era
ancora una volta colpa della sua altezza? Forse le ragazze
più basse non avevano questo problema.
Si allacciò i bottoni della giacca, decidendo che non
l'avrebbe tolta, una volta a scuola. Al di sotto, la camicia bianca era
troppo tirata sul petto e sottolineava impietosamente il suo seno
prosperoso. Luise si sentiva già arrossire all'idea degli
sguardi che si sarebbero posati su di lei. Che cosa aveva fatto di
male, perché madre natura la dotasse di tutto
quell'armamentario scomodo?
Julchen la osservò senza parlare. Da sorella più
grande, poteva intuire vagamente cosa passasse nella mente della sua
sorellina – sorellina, poi. Luise era più alta, ed
aveva due taglie di reggiseno e qualche numero di scarpe in
più di lei. Eh, i tempi in cui lei le passava le magliette e
la biancheria smesse erano finiti... da più di qualche anno,
ja.
Eppure, a vederla così preoccupata, la mattina del suo primo
giorno di liceo, a Julchen faceva tenerezza.
“Kesesesese! Lieschen, non è che se anche ti tagli
i capelli gli altri non ti sbaveranno dietro, sai? Del resto, sei la
sorella della qui presente magnificenza! Solo questo porterà
tutti ad adorarti incondizionatamente!”
Luise arrossì vistosamente, uscendo dalla camera senza
degnare la sorella di uno sguardo.
“Ma non ti preoccupare!!! Ci penso io a salvarti dai
molestatori! Se c'è qualcuno che ti infastidisce, lo dici
alla sorellona, e ci pensa lei, capito?” continuò
Julchen, inseguendo la sorella per il corridoio.
Luise annuì impercettibilmente, scendendo al piano di sotto,
dove il padre le stava aspettando. Fuori, l'auto era già
accesa, carica dei loro bagagli per il semestre.
“Siete pronte, ragazze?”
“Ja, Vati!
Magnificamente in forma!” rispose Julchen, saltando gli
ultimi due gradini e uscendo di volata dalla porta.
L'uomo osservò Luise mentre questa seguiva la sorella in
cortile, la schiena diritta ma il passo tranquillo. Un po' gli
dispiaceva che la figlia si fosse tagliata quei bei boccoli dorati, che
somigliavano tanto alla sua lunghissima, biondissima chioma - quando
ancora non era rigata qua e là da strisce di bianco, almeno,
ah. Ma sapeva anche che l'adolescenza era un periodo difficile,
specialmente per due ragazze cresciute senza una madre. Per questo,
quando Luise era tornata a casa dal parrucchiere quasi senza capelli,
il padre si era limitato ad annuire. Pratici e sempre in ordine, eh?
Poco ma sicuro, Luise era l'esatto contrario delle adolescenti frivole
e truccate da circo che ogni tanto si vedevano in giro, e di questo il
signor Weilschmidt non poteva che essere grato.
Certo, questo era un lato di sua figlia che egli apprezzava molto.
Preferiva di gran lunga il suo fare pragmatico e rigoroso, piuttosto
che quello superficiale di certe sue coetanee, ma spesso si chiedeva se
quell'approccio così serio alla vita non fosse stato, in un
certo senso, il risultato della carenza della figura materna a fare da
esempio.
La madre di Luise e Julia era venuta a mancare quando entrambe le
bambine erano ancora molto piccole, e questo aveva certamente influito
sulla loro educazione, anche se il padre aveva sempre tentato il
possibile per non far loro mancare nulla. Eppure, il signor Weilschmidt
si domandava spesso se non aveva imposto loro un'educazione troppo
spartana e rigida, poco femminile.
Julchen era venuta su spavalda e attaccabrighe, ma con un coraggio e
una vitalità che la rendevano l'orgoglio di papà.
Luise, invece, era rimasta più chiusa, quasi ad imitare al
contrario l'evoluzione della sorella. Dove questa amava circondarsi di
amichetti e programmare festicciole, l'altra preferiva rintanarsi nella
sua stanza a leggere un libro; dove la prima si metteva a cantare a
squarciagola su alcune delle più rumorose canzoni offerte
dalla radio, l'altra collezionava CD di Bach o Beethoven per
ascoltarseli in santa pace nei momenti di tranquillità.
Luise aveva sempre preferito giocare a pallone in giardino, piuttosto
che in casa con le bambole, indossare jeans e felpe, piuttosto che
certi abitini tutto pizzo che sembravano essere i preferiti delle sue
coetanee. Poi, durante lo sviluppo, era cresciuta in altezza, ben
più di quanto gli altri si aspettassero. Fisicamente
somigliava al padre, su questo non c'era dubbio. Eppure, a parte la
statura e la struttura ossea robusta, Luise aveva una pelle chiara,
delicata, occhi blu dalle ciglia folte ed un modo di arrossire
impunemente che la rendevano estremamente femminile. Fino al giorno
prima, poi, quei morbidi boccoli che le circondavano il viso erano una
cascata d'oro, una vera gioia per gli occhi.
Del resto, era per quello che li aveva tagliati. Non le servivano certo
ulteriori motivi per attirare l'attenzione su di sé. Era una
ragazza timida, Luise, un dettaglio strano per un carattere deciso e
testardo come il suo. Aveva grande autodisciplina e parecchia
pignoleria, anche con se stessa, eppure niente di questo la aiutava
quando si trattava di relazionarsi al prossimo nella vita di tutti i
giorni. Bastava che un paio di compagni di scuola la fissassero
più del dovuto, che arrossiva impietosamente. Luise, dal
canto suo, la considerava una maledizione: orgogliosa com'era,
detestava sentirsi avvampare tutte le volte che la distanza tra lei e
il prossimo veniva accorciata. Per questo, spesso, finiva per
rispondere male a chi tentava di approcciarla, o a lanciare nei
confronti dei suoi ammiratori qualche occhiata poco incoraggiante - per
non dire spaventosa, a volte.
Luise lo sapeva, comunque: la parte dell'amante della compagnia e
dell'amata dal pubblico era di sua sorella Julchen. Quanto a lei,
preferiva starsene in disparte, rimediare ai pasticci che l'altra
combinava, tenere la testa sulle spalle ed assicurarsi che la vita
procedesse con ordine. E siccome amava le cose ordinate e la routine
prevedibile, sperava che anche la nuova vita al liceo fosse destinata
ad andare avanti nello stesso identico modo.
L'accademia era un enorme complesso di edifici, situato nell'estrema
periferia cittadina. Comprendeva la scuola vera e propria, fornita di
aule, laboratori e mense, una grande palestra, campi di pallavolo e
calcio alternati da cortili verdi di aiuole e alberi, ed i due edifici
gemelli che ospitavano i dormitori maschili e femminili, dove
alloggiavano gli studenti di tutti e tre gli anni di corso.
La scuola era frequentata soprattutto da rampolli di famiglie
benestanti e proveniente dall'estero, i cui genitori desideravano
un'educazione di prima scelta e la possibilità di
interazione con altri ragazzi nella loro stessa condizione: stranieri
in suolo straniero, figli di imprenditori o commercianti che
viaggiavano quasi costantemente. Anche per questo, la retta della
scuola (parecchio elevata) comprendeva anche il vitto e l'alloggio. I
ragazzi potevano essere tranquillamente parcheggiati in quella sede per
tutta la durata dell'anno scolastico, senza che i genitori dovessero
eccessivamente preoccuparsi di loro. Nel frattempo, entravano in
contatto con il resto della giovane crème del mondo degli
affari, rigorosamente internazionale. Quale modo migliore per cementare
fin da subito future e proficue amicizie?
Da casa Weilschmidt, l'accademia distava poco meno di un paio d'ore
d'auto. Erano partiti presto, e l'incontro di benvenuto sarebbe
iniziato alle undici di mattina: le ragazze avrebbero avuto tutto il
tempo di sistemare i bagagli nelle loro stanze e darsi un'occhiata
intorno, una volta arrivate.
Il signor Weilschmidt le aiutò a portare le valigie fino al
grande portone d'ingresso dell'accademia, dove stavano già
sciamando frotte di studenti, con accodati qua e là parenti
e genitori.
Mentre Julchen si sbracciava a salutare tutti, Luise stava zitta zitta,
lievemente rossa in viso, apparentemente molto impegnata nell'arduo
compito di piegare un fazzoletto per farlo entrare in tasca.
“Uhm... ho forse sbagliato qualcosa? Forse non avrei
dovuto...?” fece il signor Weilschimidt, ravviandosi indietro
i capelli, il tono pacato, ma con il malcelato timore di aver messo in
imbarazzo la figlia. C'erano altri genitori, nei paraggi, ma sapeva che
ogni tanto agli adolescenti dava fastidio farsi vedere mentre venivano
accompagnati a scuola.
“Eh? Nein,
Vati! Sei un papà magnifico ad aiutare le tue
magnifiche figlie con le loro magnifiche valigie!” rispose
Julchen, abbracciandolo d'impulso. “Ora dobbiamo andare,
però! Lieschen ha molte cose da vedere ed imparare prima che
inizino le lezioni, kesesesese!” fece, afferrando le maniglie
delle sue borse.
“J-ja, ich
glaube's auch.” borbottò Luise,
lanciando un'occhiataccia alla sorella per via del nomignolo.
Diede al padre un abbraccio veloce e lo salutò. Il signor
Weilschmidt rimase ad osservare le due figlie mischiarsi agli altri
studenti e poi, quando le vide sparire per la scalinata principale
dell'edificio, infilò le mani in tasca e tornò
all'auto.
Si chiese quanto sarebbero cambiate, quando sarebbero tornate a casa
per le vacanze di Natale. Lo aveva già sperimentato con
Julchen, in questi due anni: bastavano pochi mesi, per le
trasformazioni profonde delle adolescenti.
Saperle a scuola insieme, comunque, gli dava un certo senso di
sollievo. Da un lato, si augurava che Luise avrebbe saputo porre un
freno all'irruenza di Julchen (che più di una volta aveva
causato improvvise telefonate a casa e firme su assegni per la
riparazione dei danni più disparati), ma, dall'altro,
sperava che un po' di quell'estroversione contagiasse la sorella minore
che, nonostante la sua altezza e il suo bell'aspetto, sembrava sempre
cercare di far qualsiasi cosa per passare inosservata.
Le due sorelle approdarono presto nell'ala femminile del dormitorio.
“Sono tre piani di camere. Io sto al secondo, tu sei al
terzo. Niente maschietti sporchi e puzzolenti, in questi corridoi,
kesesese~ quindi mi raccomando, i tuoi ragazzi introducili in camera di
nascosto, okay? Se ti serve una mano per pianificare, chiedimi pure
tutto!” spiegava Julchen, un sorriso malandrino sulle labbra.
“...Schwester. Una cosa del genere non accadrà
mai.” si limitò a rispondere Luise, secca, mentre
con lo sguardo scorreva con una certa ansia le targhette che
riportavano i numero delle stanze. La sua camera era a quel piano, o
così diceva il foglio, che però non svelava chi
sarebbe stata la compagna di stanza. Sperava con tutta se stessa che si
trattasse di qualcuno con cui la convivenza sarebbe potuta essere
civile.
“Arrivate! Kesesesese! Chissà chi sarà
la fortunata compagna di stanza della mia magnifica sorellina,
eh?” esclamò, spalancando la porta senza nemmeno
curarsi di bussare prima.
“Guten Tag,
signorina! Questo è il tuo giorno fortuna- urgh!”
Julchen si fermò prima di finire la frase, il sorrisone
trasformato in una smorfia di disgusto.
Preoccupata, Luise guardò nella stanza da sopra le spalle
della sorella: cosa poteva aver visto, di tanto terribile?
“Julia Weilschmidt. Dimmi che hai sbagliato
stanza.” rispose atona la ragazza in piedi accanto ad uno dei
due letti.
La smorfia sul volto di Julchen si contorse.
“Sophia Edelstein, che orrida sorpresa. Per mia fortuna,
abbiamo un piano di scale a separarci.”
“Spero sia abbastanza per non far arrivare alle mie narici il
tuo puzzo di sudiciume, Weilschmidt.” fu la risposta.
Luise sollevò un sopracciglio, osservando lo scambio tra le
due. Sophia Edelstein... aveva sentito Julchen fare quel nome, ogni
tanto, sempre corredato da una vasta gamma di insulti, naturalmente.
“Vedi di non soffocare la mia sorellina con il tuo, di puzzo,
mocciosa.” replicò Julchen, alzando il mento per
osservare l'altra dall'alto in basso. Poi, decidendo che aveva degnato
l'infima creatura di attenzioni sufficienti, tornò a
voltarsi verso la sorella.
“Sei stata proprio sfigata, Lieschen. Ma non temere,
dirò a Vati di mandarti un deodorante per ambiente. E
possiamo chiedere al preside di spostarti di camera.”
Luise annaspò, imbarazzata. “Ma no, Schwester,
credo...”
Prima di lasciarla finire, comunque, Julchen aveva già
girato i tacchi e si era diretta verso le scale in fondo al corridoio.
“Ci vediamo in aula magna tra un'ora.” le
urlò, poco prima di sparire giù per i gradini.
Luise sospirò. Si iniziava alla grande.
“Es tut mir
leid...” disse, finalmente entrando nella stanza
con tutte le sue borse. Non sapeva che cosa mai avesse fatto a Julchen
questa Sophia, per inimicarsela così tanto, ma era anche
consapevole che, spesso, i comportamenti della sorella erano parecchio
irrazionali.
L'aria della camera, comunque, non puzzava, anzi. C'era un piccolo vaso
di fiori violetti, su una delle due scrivanie, che spandevano intorno
un profumo sottile e gradevole.
Sophia, in ogni caso, non sembrava particolarmente interessata alle sue
scuse, impegnata a disfare le valigie e a riporre attentamente i suoi
abiti nel piccolo armadio in fondo al letto. Se non altro,
pensò Luise osservandola, sembrava una persona molto
ordinata, e questo deponeva a suo favore.
“Uhm, io sono... Luise Weilschmidt. Sono del primo anno.
Piacere.” disse, allungando timidamente una mano, incerta su
come comportarsi.
Sophia la squadrò per qualche istante, come chiedendosi se
la “piccola” Weilschmidt avesse lo stesso odio
dell'altra, nei suoi confronti. Per la ragazzona che era,
però, sembrava di indole decisamente più quieta
della sorella, valutò l'altra osservandola.
Alla fine, proprio quando Luise stava iniziando ad arrossire di nuovo,
temendo di essersi messa in imbarazzo, le strinse la mano.
“Sophia Edelstein, terzo anno. Benvenuto a scuola.”
Il tono era serio, formale, ma se non altro non sembrava odiarla.
Luise la osservò ancora un po': aveva lunghi capelli scuri,
pelle chiara, un neo sotto il labbro che le conferiva un'aria
raffinata. Una ragazza graziosa, non troppo appariscente.
Chissà, avrebbe potuto rivelarsi una buona compagna di
stanza, o almeno lo sperava.
Ad un tratto, la vide tirare fuori un'enorme scatola piena di CD. Oh
no, pensò Luise, musica. Che genere era? Dance? Techno?
Hip-hop? Qualcosa di tremendamente fastidioso che l'altra avrebbe
ascoltato tutti i giorni mentre lei tentava di studiare?
“...t-ti piace la musica, eh?” chiese, goffamente,
in un'umile tentativo di conversazione, nonché nella
speranza che quei CD non contenessero un inferno per le sue orecchie.
Sophia la guardò inespressiva.
“Ja.
Classica. Spero che ti vada bene e che tu non preferisca tutte quelle
cose... uh... tunz tunz che si sentono in giro.” disse
l'altra, sollevando un sopracciglio in aria di disapprovazione.
A Luise scappò una risatina di nervoso sollievo.
“No, no, per carità. Amo la classica.”
Sophia, a sua volta, si concesse un minuscolo sorriso. “Bene.
Suoni uno strumento?”
“Oh, no, io non.. non sono portata per queste cose,
credo.” rispose Luise, passandosi le dita tra i capelli per
sistemarsi dei riccioli che non c'erano più.
“Oh, è un peccato.” Sophia
tornò a sistemare i dischi su una mensola sopra la
scrivania, ma poi si voltò di nuovo verso l'altra ragazza.
“C'è un bel club di musica, qui. Sono la
presidentessa. Potresti iscriverti anche solo per provare uno
strumento, se ti va.”
“Ah. Uhm. Magari.” Nel frattempo, Luise stava a sua
volta impilando la sua biancheria nei cassetti dell'armadio. Sophia la
osservava, intenta anch'ella a valutare il grado di ordine della
neo-compagna di stanza. “Tu... cosa suoni?”
“Il pianoforte.”
“Schön.
Ne avevamo uno, a casa.” Luise piegò
meticolosamente una serie di calzini bianchi e di mutande in tinta
unita, guadagnandosi uno sguardo di approvazione da parte dell'altra.
Conversazione, si disse Luise, devo continuare la conversazione!
“E... ehm... quale compositore ami di
più?”
“Chopin.” rispose Sophia, il tono lievemente meno
formale di prima. “La sua musica...”
Mentre parlavano e finivano di svuotare le valigie, Luise
sentì la tensione allentarsi. Stava chiacchierando con la
sua compagna di stanza! E questo, nonostante l'inizio burrascoso e le
male parole della sorella. Decisamente, un inizio migliore di quello
che aveva sperato.
Nel frattempo, al piano di sotto, Julchen stava traslocando alla
rinfusa il contenuto della sua valigia all'interno del suo guardaroba.
Sophia Edelstein...!!! Questo significava che le sarebbero venuti i
conati di vomito tutte le volte fosse dovuta entrare in camera della
sorella. Ma perché, perché?!
Richiuse le borse, e le lanciò con rabbia al di sopra
dell'armadio, chiudendo le ante con una spallata.
...ma no, ehi. Non si sarebbe lasciata rovinare l'inizio del terzo anno
di scuola da questo inconveniente!
Era il suo ultimo anno di liceo, e Julchen sperava che...
macché sperare, kesesesese! Lei sapeva che sarebbe stato un
anno magnifico, memorabile, anche più memorabile di quelli
precedenti!
Si buttò sul letto con un tonfo. Ancora pochi minuti, e
avrebbe potuto presentare la sua sorellina a tutti i suoi amici.
Ridacchiò, pregustando il momento di gloria, e lanciando in
aria il suo inseparabile pulcino di pelouches. Gilbird le
rimpiombò sullo stomaco, e Julchen si rigirò a
pancia in giù, posando l'animale sul cuscino: anche lui non
vedeva l'ora di incontrare di nuovo i loro compagni di avventure.
Oh, Luise li avrebbe adorati.
~*~
*= Lieschen:
diminutivo vezzeggiativo di Luise. Un po' antiquato, Julchen lo usa per
prenderla in giro. Quel “sch” non si legge
né come “lisce” ne come
“lische”, ma non ho idea di come si chiami
foneticamente il suono che ne viene fuori – ho trovato qui
questa spiegazione: "ch sequenza di grafemi che corrisponde ad una
fricativa velare sorda [x] dopo i fonemi /o/,/a/, /u/; il punto di
articolazione diventa palatale [ç] dopo /i/ e /e/ e le
vocali con la dieresi (si pronuncia più avanti nel palato,
come dicono i tedeschi "come un gatto cattivo")"
J-ja, ich glaube's auch:
Sì, lo credo anch'io.
Schwester:
sorella.
Es tut mir leid:
mi dispiace
Schön:
bello
|
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
[[Ed eccoci al secondo capitolo~
Volevo postarlo più in là per non lasciare buchi
tra gli aggiornamenti, ma siccome sono già alle prese con la
scrittura del sesto capitolo e la storia è vicina al suo
finale, direi che non rischio di farvi aspettare troppo tra un
aggiornamento e l'altro :)
Vi ringrazio per i commenti, so che l'accoppiata Italua/fem!Germania
non è una delle più popolari, forse - in
generale, le coppie etero di Hetalia non sono quelle che vanno per la
maggiore, a quanto capisco - ma sono felice di trovare altri fan! :D
Spero abbiate passato un buon Natale :) ci vediamo presto con il terzo
capitolo, e buona lettura~]]
Prompt di questo
capitolo: pacchetto sogni, il Paese delle meraviglie.
Personaggi
in questo capitolo: Luise, Julchen, Sophia, Gary, Francis,
Antonio,
Lavinia, Feliciano, con fugaci apparizioni di Olanda, fem!Inghilterra,
Russia e Bielorussia.
Beta:
sempre la mia piazientissima Yuki Delleran
“Tu... non hai idea di dove siamo, vero?” la voce
di Luise quasi riecheggiò nel corridoio in cui si trovavano,
da tanto questo era vuoto.
Sophia si voltò verso di lei con sguardo vacuo.
“...temo di dover confermare la tua ipotesi.”
La fronte di Luise impattò con il palmo della sua mano. E
dire che se l'era pure stampata, una piantina dell'edificio! Ma
naturalmente, visto che si ritrovava in compagnia di una compagna
più grande ed apparentemente così giudiziosa ed
ordinata, si era detta che non le sarebbe servita a niente... insomma,
dopo due anni lì dentro, avrebbe detto che Sophia conoscesse
la strada a memoria!
Luise si tirò su la manica della giacca, per poter guardare
l'ora. Maledizione, mancavano appena cinque minuti alle undici ed
all'inizio di discorso di inizio anno! Possibile che fossero riuscite a
perdersi in maniera così clamorosa? E poi... era
comprensibile che la maggior parte degli studenti fosse già
andata a prendere posto in aula magna, ma possibile che non ci fosse
nessun altro in tutto l'istituto? Quanto era grande, l'accademia?!
“Beh, non abbiamo scelta... dobbiamo tornare
indietro.”
Il corridoio proseguiva, male illuminato da grigiastre luci al neon,
sia davanti che dietro di loro. Le porte che vi si affacciavano erano
tutte ben chiuse ed un paio di queste recavano l'arida scritta
“archivio”.
Luise non aveva fatto obiezioni, quando aveva visto l'altra scendere
qualche rampa di scale di troppo – che l'aula magna si
trovasse in un piano interrato? O forse, era semplicemente una
scorciatoia per raggiungerla? Da studentessa più giovane e
fiduciosa, aveva diligentemente seguito Sophia, contando sulla sua
esperienza, come un'Alice dai capelli corti ed in divisa scolastica, si
era tuffata dietro al coniglio bianco, curiosa e poco avveduta.
“...ed anche in fretta, possibilmente. Siamo in
ritardo.” fece notare con voce solo vagamente seccata. Poteva
anche aver ricoperto il ruolo di Alice, ma adesso toccava a lei fare il
Bianconiglio e continuare a ripetere “è tardi,
è tardi!”.
In realtà, detestava mettere in discussione
l'autorità di figure a cui, al contrario, avrebbe dovuto
portare solo rispetto, ma quello era il suo primo giorno di scuola, e
detestava molto di più l'idea di arrivare in ritardo
– lei, che era la puntualità fatta persona!
Sophia si sistemò gli occhiali sul naso, imperturbabile ma
silenziosa. Luise si chiese se il fatto di essere ripresa da una
compagna più giovane le desse fastidio, ma riuscire a
decifrare il suo viso impassibile era davvero difficile.
Mentre ritornavano indietro, Luise era tentata di mettersi a correre ma
era frenata dal fatto che, uno, non si corre nei corridoi della scuola,
e, due, scommetteva che quella dannata gonnella a coste si sarebbe
messa a svolazzarle attorno ai fianchi in maniera ben poco consona. E
poi, Sophia la seguiva a passo tranquillo, quasi non si rendesse conto
del loro enorme ritardo.
Solo il fatto che si trattasse di una studentessa più
vecchia preveniva Luise dallo sgridarla – ma, verdammt, l'altra
avrebbe fatto meglio a darsi una mossa o...
Prima che potesse definitivamente perdere la pazienza, comunque,
all'eco dei loro passi se ne aggiunse un'altra. Proveniva dalle scale
che le due ragazze avevano ormai raggiunto e, insieme ai tonfi delle
scarpe di qualcuno che sembrava scendere i gradini a salti, si udivano
anche delle voci concitate.
Qualche istante ancora, e sul pianerottolo emerse Julchen, seguita da
un ragazzo dai capelli castani legati in un codino che gli ricadeva con
noncuranza su una spalla.
"Mein Gott,
per fortuna che ti ho trovato! Dove vi eravate cacciate, eh?! Non dirmi
che quella strega ti ha portato in questi oscuri anfratti per farti
qualcosa di strano!!!" esordì Julchen, con malcelata
cattiveria, mentre squadrava le due ragazze.
"E smettila, Julchen." fece il ragazzo con un moto di stizza verso la
tedesca "Si sono perse, su. Lo sapevo che sarebbe successo. Per questo
sono venuto a cercarti." aggiunse poi il giovane, rivolgendo un caldo
sorriso nei confronti di Sophia.
Questa abbassò lo sguardo e Luise, un po' stupita,
pensò che sembrava quasi essere in imbarazzo.
"La signorina sangue blu può perdersi e riperdersi tutte le
volte che vuole, per quanto mi riguarda... Anzi, sarebbe meglio che si
perdesse una volta per tutte! Ma non vedo perché mai debba
trascinare con sé anche la mia sorellina!" sibilò
Julchen, raggiungendo Luise e prendendola per mano, trascinandosela su
per le scale.
"Beh... abbiamo solo sbagliato strada, immagino. Non è
successo nulla." disse Luise, cercando di placare la sorella. Non
capiva che comportarsi in quel modo davanti alla sua nuova compagna di
stanza la metteva in imbarazzo?
"Tsk! Credi che saresti mai arrivata all'aula magna, seguendo questa?!
Due anni in questa scuola, ed è già tanto se
riesce ad arrivare dal suo letto al bagno senza perdersi! Per fortuna
che, magnifica come sono, lo avevo previsto e sono venuta a cercarti in
tempo!"
Luise si voltò verso Sophia, a cui nel frattempo si era
affiancato il ragazzo e le aveva porto un braccio, che la giovane aveva
preso senza esitazione. Che stessero insieme...? A giudicare dallo
sguardo di Sophia, era difficile capire se quelle attenzioni le dessero
fastidio oppure le facessero piacere.
Il ragazzo, dal canto suo, sembrava piuttosto seccato dal comportamento
di Julchen, ma anche intenzionato a non far degenerare la situazione.
"Oh, e così hai una sorella? Beh, piacere, Gary." fece,
allungando una mano verso Luise. La ragazza gliela strinse dopo un
attimo di tentennamento.
"Uhm, Luise. Piacere."
"Spero vivamente che tu non sia stronza come tua sorella!" fece lui
tutto giulivo, e Luise sollevò un sopracciglio, non
esattamente felice che a Julchen si appioppassero tali epiteti.
"E' una ragazza a modo, lei." rispose quietamente Sophia. "E' la mia
compagna di stanza."
"Oh." Gary guardò le tre ragazze attorno a lui, e comprese
la difficoltà della situazione. "...oh." aggiunse, a
metà tra il perplesso e il divertito.
"Oh beh. Si prospetta un anno difficile, allora. Julchen, vedi di
limare un po' tutte quelle spine che hai sulla lingua, eh?"
Julchen, in tutta risposta, gli fece una smorfia ed un gestaccio con il
dito medio.
"Fottiti. Fottetevi tutti e due. Oh, e ti consiglio di fare le scale
lentamente, o sua signoria potrebbe slogarsi una caviglia. Non ti ci
vedo a portare in braccio il suo dolce peso per tutta la strada."
Detto questo, strinse la presa sul polso di Luise e se la
trascinò di corsa su per le scale.
Troppo impegnata a non inciampare nei gradini per protestare o
liberarsi, si ritrovò a correre per pianerottoli e corridoi.
Davanti a lei, i capelli candidi di Julchen le ondeggiavano attorno
alla vita allo stesso ritmo delle balze della gonna, e Luise si
ritrovò di nuovo nel ruolo di Alice, tirata a forza in un
mondo dove gli eventi si susseguivano senza che lei potesse fermasi un
momento a respirare.
“S-Schwester!
Non sta bene correre così!”
“E' tardi! Non dirmi che vuoi arrivare a discorso
già iniziato?! Kesesesese!”
Le finestre tornarono ad inondare il pavimento di luce naturale, e le
due ragazze si mischiarono ad altri studenti che si stavano affrettando
nella loro direzione.
Luise era rossa come un peperone: il primo giorno di scuola, e tutti
dovevano vederla correre come una dannata per i corridoi? In
un'accademia così prestigiosa, dove...
In un lampo, passarono accanto ad uno spilungone magro magro, i cui
capelli biondo cenere pettinati all'insù contribuivano
soltanto ad innalzarne la statura: stava bellamente poggiato vicino ad
una finestra, fumando un pipa. A vedere passare le due sorelle
così di corsa, inarcò un sopracciglio e
rilasciò una piccola nuvoletta di fumo a forma di ciambella.
Fumo! Nei corridoi della scuola! Ma questo era sicuramente verboten nel
regolamento!!!
Prima che Luise potesse dar voce alle sue proteste, svoltarono di
volata un angolo del corridoio e quasi investirono una ragazza con i
capelli legati in due lunghi codini, che in mano reggeva un bicchiere
di plastica.
“Bloody he-
...state un po' attente! Mi rovesciate il tè addosso! Queste
matricole...” la sentirono borbottare infuriata. Luise
tentò di voltarsi per chiederle scusa, ma svoltarono di
nuovo e la ragazza con i codini era già fuori vista.
“Julchen!!!” protestò Luise, che non
vedeva l'ora di fermarsi. Bene, avevano incontrato anche il Brucaliffo
e la Lepre Marzolina, ja?
Ora ne aveva abbastanza del tour del paese delle meraviglie, grazie,
pensò, ma la sorella non accennava a rallentare.
Almeno era sicura di dove stavano andando... Luise, invece, non lo era
più. Aveva ascoltato i racconti delle prodezze della sorella
per due anni, si era studiata il sito dell'accademia con dedizione,
preso nota degli alti posti che questa aveva nelle classifiche
nazionali. Ma di fatto, non sapeva nulla: non conosceva nessuno dei
suoi compagni, non sapeva che rapporti li legavano alla sorella, e si
era anche dimenticata in stanza la cartina dell'edificio! Sarebbe
sopravvissuta?
Incredibilmente, si fermarono – giusto in tempo per non
spalmarsi contro il grande portone il legno alla fine del corridoio.
Julchen si concesse un paio di secondi per riprendere fiato e lasciare
che un paio di studenti, arrivati in quel momento, lo aprissero per
loro.
“Osserva, sorellina: l'aula magna.” disse, passando
con noncuranza davanti ai due studenti che avevano aperto la porta, che
furono costretti a lasciarla passare, anche se le rivolsero un paio di
occhiate poco amichevoli.
Le ante del portone di legno si erano spalancate su di un'aula
semicircolare, vasta, dal soffitto alto e dalle pareti chiare. Erano
intervallate da dipinti e da ampi finestroni oltre cui si potevano
intravedere gli alberi del giardino, le cui chiome dai caldi colori
autunnali non erano che fulve e dorate macchie di colore semicelate
dalle tende sottili.
Naturalmente, l'aula traboccava di studenti, ma per fortuna sembrava
almeno che sul podio fossero ancora intenti a finire di provare i
microfoni: avevano fatto una corsa ben poco educata e dignitosa, ma
almeno non erano arrivate in ritardo.
"Schwester,
posso sapere cosa diamine è successo tra te e la mia
compagna di stanza?" fece la minore, mentre camminavano alla ricerca di
un posto.
"Niente." fu la secca risposta.
Luise la guardò storto, sicura che la sorella si stesse
semplicemente rifiutando di rispondere.
Julchen si strinse nelle spalle. "Sophia è una con la puzza
sotto il naso, tutta delicatina e imbranata, e quel Gary non fa altro
che farle da scendiletto, come se quella non ne avesse abbastanza, di
maggiordomi e servi, a casa sua!"
Quindi Sophia era di famiglia nobile? Non credeva che questo
giustificasse tanta antipatia da parte di Julchen, comunque... Sempre
dubbiosa, Luise seguì la sorella mentre questa si faceva
largo tra le gambe dei compagni che occupavano una delle file in fondo.
Mentre si scusava, imbarazzatissima, per i piedi calpestati da Julchen,
si ritrovò davanti ad un posto vuoto.
“Sitz, sitz!”
le stava facendo l'altra, dando dei colpetti sulla poltroncina dal
posto che aveva occupato.
Un po' impacciata, Luise si sedette, girandosi indietro per controllare
di non essersi messa davanti a qualcuno di troppo basso e di non
ostacolare la visuale a nessuno: ogni tanto, si chiedeva se per caso da
piccola non avesse finito per ingoiare uno di quei biscotti dalla
scritta “mangiami” che ad Alice avevano fatto
combinare tanti guai.
Fortunatamente, il ragazzo che occupava il posto dietro al suo
– uno coi capelli chiari chiari, un grosso naso e uno
sciarpone attorno al collo – sembrava alto abbastanza per
vederci più che bene. Un momento dopo, Luise si accorse che
la ragazza che gli stava avvinghiata al braccio la stava osservando con
sguardo omicida. Imbarazzata, tornò a voltarsi in tutta
fretta.
“Lieschen!” la sorella la riportò alla
realtà con una gomitata nelle costole “Devo
presentarti della gente fica come tua sorella!”
sghignazzò, indicando i due ragazzi seduti vicino a lei. Il
biondo con i capelli lunghi e la barbetta stava allungato sulla
poltroncina con una fare vagamente lascivo, mentre il moro, nel posto a
fianco, si sporse verso di lei a salutarla con la mano, con un
sorrisone felice.
“Questi sono i miei magnifici amici! Antonio e Francis!
Conosciuti loro non hai bisogno di conoscere più nessuno,
verstanden? Kesesese!”
“Ma è la tua sorellina?! Che carina!!!”
fece il moro, il sorriso che si allargava agli occhioni verdi e
spensierati. Luise si chiese se per caso non stesse per offrirle un
lecca-lecca.
“Enchanté~”
disse il biondo, facendole l'occhiolino.
Luise si irrigidì tutta, rispondendo ai due con un vago
cenno del capo.
“Piacere. Luise.”
Quindi erano loro, i famosi Antonio e Francis. I due studenti i cui
nomi erano spesso menzionati insieme a quello della sorella quando la
scuola chiamava a casa per parlare con loro padre, o mandava il conto
dei danni. Aveva sempre pensato che la sorella avrebbe dovuto smettere
di frequentarli, ma a vederli così sembravano... a posto,
supponeva.
“Kesesesesese, la mia sorellina è un po' timida!
Datele il tempo di ambientarsi, prima di distruggerla con il vostro
fascino, ragazzi!”
Luise si scostò un attimo prima che potesse arrivarle
un'altra pacca sulla spalla e, in tutta risposta, scoccò
un'occhiata severa alla sorella.
“Ora basta. Sta per iniziare il discorso!”
Julchen fece spallucce. Esattamente quello che c'era da aspettarsi da
Luise.
Antonio e Francis si scambiarono un'occhiata significativa. Nessuno
studente né nessuna studentessa avrebbero mai avuto successo
nell'azzittire Julchen così! Vedere l'amica alle prese con
la “sorellina timida” sarebbe stato interessante...
Con un mezzo sorriso, si apprestarono anche loro a seguire il discorso.
Parlarono il preside ed alcuni dei professori, ci furono degli
applausi, qualche chiacchiera e battutina qua e là da parte
degli studenti ma, in generale, Luise si sentì rassicurata.
Fu come se il discorso l'avesse riportata in quella scuola ideale a cui
lei si era scritta.
Sì, tutti gli alunni che iniziavano questo anno scolastico
erano lì per studiare ed impegnarsi. Certo, sapevano che il
semestre sarebbe stato duro, ma ce l'avrebbero messa tutta.
Sì, tutti loro amavano il buon nome della scuola e delle
loro famiglie e si sarebbero impegnati a tenerlo alto.
Impegno, studio, ordine, disciplina. E non si correva per i corridoi.
Luise si sentiva come tornata a casa, ora.
Quando finalmente il discorso finì, ed agli studenti fu
concesso di alzarsi per raggiungere la mensa, tornò il boato
di disordine. I ragazzi si accalcavano nelle file per riuscire ad
uscire prima, con l'unico risultato di rimanere schiacciati nella
calca. Luise sospirò; si ritrovavano nel mezzo della fila, e
da qualsiasi parte fosse andata avrebbe trovato solo una massa di
ragazzi che tentavano di lasciare l'aula in fretta e furia. Rimase
seduta ad aspettare che la situazione si decongestionasse, e nel
frattempo venne scavalcata da Antonio e da una ragazza che lo seguiva
tenendolo per mano, una bruna dall'aria arrabbiata e con una fascia
rossa tra i capelli lunghi e mossi.
“Muoviti, idiota! Sto morendo di fame!”
“Ma Lavinia, non posso, non vedi che c'è troppa
ressa?”
“Kesesesese! Siete indietro, gente!”
annunciò Julchen, montando sulla poltrona e scavalcandone lo
schienale, decisa ad attraversare l'aula in questo modo. Luise la
osservò con disappunto – ma che modi erano? E poi,
con quella minigonna?
Si alzò in piedi di scatto, decisa a richiamare la sorella,
ma nel farlo andò a sbattere contro qualcuno che,
apparentemente, le era caduto addosso. Quando abbassò gli
occhi per scusarsi col malcapitato – si era mossa troppo
d'impulso! - però, non riuscì a vederlo. O
meglio, l'unica cosa che vide fu una folta capigliatura fulvo-castana,
che apparteneva indubbiamente a quella che doveva essere una testa
– una testa incastrata con matematica perfezione tra i suoi
seni.
Luise si sentì avvampare. “S-Scusa,
potresti...?!” fece con voce stridula, tentando di
trattenersi dal dargli del maniaco urlando e dal toglierselo di dosso
in maniera poco gentile.
L'altro si mosse ma, nel malaugurato tentativo di recuperare
l'equilibrio, mise una mano avanti per cercare appoggio. Appoggio che
venne prontamente fornito dal petto di Luise.
Le dita del ragazzo vi affondarono per qualche istante, mentre il
ragazzo si raddrizzava e si guardava intorno con un sorriso ebete.
Sembrava non aver compreso appieno la gravità della
situazione.
“Ve... scusa, sono inciampa-”
Il sorriso e le scuse vennero interrotti bruscamente dallo schiaffo di
Luise, la cui mano impattò sonoramente contro la guancia del
moretto di fronte a lei.
“Maiale!” gracchiò lei, furente e
paonazza.
“Ehi tu! Che cacchio credi di fare al mio
fratellino?!” esclamò la ragazza con la fascia
rossa tra i capelli stava dietro di lei, mani piantate sui fianchi e
sguardo assassino negli occhi ridotti a due fessure. Tuttavia, quando
Luise si voltò verso di lei, arretrò di un passo.
La bionda gesticolò furiosa verso il ragazzo al suo fianco.
“Ma se è stato lui! Mi ha messo le mani addosso
senza...!”
“...senza volerlo! Mi dispiace!!! Mi dispiace, davvero,
è stato uno sbaglio, non picchiarmi
più!!!” l'altro, lì vicino, aveva la
guancia arrossata e le lacrime agli occhi.
Luise si zittì. Improvvisamente, le parve che tutti gli
studenti lì attorno avessero gli occhi puntati sulla scena,
e si sentì avvampare anche di più.
Aveva fatto una cosa terribile, vero? Si era appena resa un mostro agli
occhi di quello studente, di sua sorella, degli amici di Julchen e del
resto della scuola... ma come si poteva pretendere che rimanesse calma
se un ragazzo le toccava le...
“Oh, così questo è il tuo fratellino,
Lavinia? Kesesesese!”
Luise sollevò gli occhi su Julchen, che non sembrava
particolarmente toccata dalla situazione. Attorno, Francis stava
osservando con sorriso divertito, mentre Antonio sembrava
più preoccupato di calmare Lavinia che non del resto.
Quest'ultima rivolse a Julchen uno sguardo accusatore.
“Sì! Ed è appena stato violato dalla
tua, di sorellina!” ringhiò.
Julchen scoppiò in una risata sguaiata.
“Veramente, a me è parso il contrario!”
Sporgendosi sopra lo schienale di una poltroncina, allungò
una mano ad arruffare i capelli del malcapitato brunetto.
“La mia sorellina picchia duro, se la prendi per il verso
sbagliato. Brutto inizio scolastico, kesesese! Come ti chiami,
figliolo?” fece in tono materno, ignorando Luise che
protestava: sicuramente, l'inizio scolastico peggiore era toccato a
lei, non certo a quel pervertito!
Il brunetto guardò Julchen con occhioni luccicanti di
lacrime represse.
“Feliciano.”
“Ah, Feliciano, che carino!” Julchen gli
regalò un'occhiata dolce, e poi gli diede un pizzicotto che
fece squittire il ragazzo di paura. “Ti sconsiglio di toccare
di nuovo la mia sorellina... per il tuo bene, kesesesese!
Però se hai carenze affettive, e non mi sorprenderebbe con
la sorella che ti ritrovi, vieni da me, ja?”
“Ehi! Che cosa cavolo vuoi dire, si può
sapere?!” sbraitò Lavinia, punta sul vivo.
“Kesesesese! Ho fame, andiamo a mangiare!” dato un
altro affettuoso pizzicotto a Feliciano, Julchen volteggiò
sopra le poltroncine, afferrò a braccetto Luise e Lavinia e
le trascinò verso la porta dell'aula magna.
Una volta che la componente femminile del gruppo fu sparita alla vista,
Francis si avvicinò a Feliciano, dandogli una pacca di
incoraggiamento sulla spalla.
“Apprezzo il tuo entusiasmo, mon petit~ Ma certe
ragazze bisogna lavorarsele, sai?”
Feliciano alzò lo sguardo verso di lui. Sul viso, ancora un
po' rosso per i vari maltrattamenti subiti, gli era tornato il sorriso
ebete di poco prima.
“Ve, è stato lo schiaffo meglio guadagnato della
mia vita.” affermò, spensierato.
Francis lo osservò incamminarsi verso la porta
(“Che fame, ve!”), e scambiò un'altra
occhiata significativa con Antonio.
“Pare che qualcuno, qui, abbia trovato la sua regina di
cuori.” disse con un sospiro teatralmente romantico.
“I primini promettono di essere interessanti,
quest'anno!” rispose l'altro, divertito.
Con calma, seguirono gli altri verso la mensa.
Verdammt:
dannazione
Sitz! :
siediti
Verstanden?:
capito?
|
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
[[Aggiornamento in anticipo sulla tabella di marcia dato che domani
è l'ultimo dell'anno e io devo ancora preparare
tutto... Spero il nuovo capitolo vi piaccia~
Ci vediamo nel 2012, tanti auguri di buona fine e buon inizio ;3]]
Prompt di questo
capitolo: pacchetto sogni, incubo
Personaggi in questo
capitolo: Luise, Feliciano, Julchen, Sophia, Gary, mr.
Weilschmidt
Beta: Yuki
Delleran
“Guten Tag,
Vati.”
“Guten Tag,
Luise. So, wie geht's dir in der neuer Schule? Alles in Ordnung?”
Luise sospirò, lontano dal telefono.
“Ganz gut,
Vati, danke.”
Non si poteva dire che le cose andassero male, questo no. I voti dei
suoi test e dei suoi paper erano sempre alti, era diventata capitano
della squadra di pallavolo del primo anno, e nel secondo semestre
avrebbe fatto richiesta per entrare a far parte del consiglio
studentesco. Esternamente, insomma, il suo anno accademico stava
andando a gonfie vele.
E tuttavia, molto spesso le sue giornate erano un incubo.
Tutto era iniziato in quel malaugurato, confusionario primo giorno di
scuola. Il pomeriggio stesso ogni classe si era riunita per le prime
ore di lezione. Nel banco accanto a lei non si era seduto nessuno
– tutti sembravano già conoscere qualcuno, o aver
già scelto il proprio compagno di banco... oppure,
più semplicemente, nessuno voleva sedersi vicino a quella
pazza violenta che aveva appena dato spettacolo in aula magna.
Poi, a lezione appena iniziata, la porta dell'aula si era spalancata ed
era comparso proprio lui, la causa di tutto quel trambusto.
Naturalmente, l'unico posto ancora libero era quello accanto a Luise.
Naturalmente, era ovvio che il ragazzo non avrebbe voluto sedervisi: la
guardava con gli occhi spalancati di chi si aspettava di venire
nuovamente preso a schiaffi da un momento all'altro.
Lei aveva tentato di ignorarlo per tutto il tempo, ma quella disgrazia
semovente aveva dimenticato la penna, e poi non aveva il temperamatite,
e poteva mica prestargli un foglio del suo block-notes? Grazie...
Finita la lezione, Luise si era alzata e se n'era andata in tutta
fretta, ma si era resa subito conto che il ragazzo la stava seguendo
lungo il corridoio – e non c'era stato nulla da fare, per
quanto tentasse di seminarlo, l'altro la pedinava, tenendosi sempre ad
una determinata distanza, come se stesse facendo finta di nulla.
Alla fine, dopo essersi appositamente spinta in un corridoio vuoto (se
doveva dargli una lezione, preferiva non avere testimoni), si
voltò per affrontarlo.
Per svariati minuti non accadde nulla. Dopo un po', però,
Luise si accorse di uno strano ricciolo di capelli castani che si
intravvedeva da oltre il muro, all'angolo del corridoio.
“Ehi, tu! Vieni fuori! Hai paura di affrontare una
ragazza?”
Il viso di Feliciano face capolino piano piano da dietro l'angolo.
“B-beh... t-tu sembri così...”
Gli occhi di Luise si ridussero a due fessure. Mani sui fianchi,
avanzò a grandi passi nella direzione di Feliciano.
“Così cosa?!”
Feliciano fece un salto. “Così arrabbiata con me!”
Luise lo afferrò impietosamente per la cravatta
dell'uniforme. “Per forza! Chi è stato a mettermi
in imbarazzo davanti alla scuola, prima?!”
“M-ma è stato un incidente, non l'ho fatto
apposta!!! E p-poi, non è stato nemmeno male, n-no?
Aaaah!” si coprì la faccia con le mani, notando il
lampo assassino negli occhi azzurri della ragazza.
“Cos'è, mi stavi seguendo per ripetere
l'esperienza?! Con chi credi di avere a che fare, brutto
maniaco?!”
“Noooo!” Feliciano ululò, scalpitando
per liberarsi dalla presa della bionda. “V-volevo solo...
ridarti questa! P-prometto che domani non mi dimentico l'astuccio, lo
promettooo!” implorò, sollevando con mano tremante
una delle penne che Luise gli aveva dato. In tutta la fretta che aveva
avuto, si era dimenticata di richiederla indietro.
La prese, diffidente.
“D'accordo. Comunque, farai meglio a non dimenticartelo,
visto che domani non ti metterai vicino a me, e non so se gli altri ti
sopporteranno abbastanza da prestarti le cose.” disse,
severa, lasciandolo andare.
“Eeeeh? E perché non posso sedermi vicino a te,
scusa?”
“Perché mi innervosisci, ecco il
perché!” Luise lo squadrò dall'alto in
basso, sperando di fargli paura, ma l'altro ancora non se la dava a
gambe.
“Ascoltami bene.” sospirò, una mano a
massaggiarsi le tempie che iniziavano a dolerle. “Se non te
ne fossi reso conto, il tuo comportamento è inappropriato. E
poi, io non posso passare le ore di lezione a prestare quaderni e
matite a qualche distratto che non sa nemmeno dove ha lasciato la
testa. I-inoltre...” arrossì, voltando lo sguardo
“Tutta quella scenata di stamattina è stata
davvero imbarazzante. Non voglio che tu mi stia vicino, va bene?
Finirà che ti prenderò a schiaffi di nuovo e
tutti penseranno che io sia una pazza violenta... insomma, sono
già abbastanza incapace a... relazionarmi agli altri. Non ho
bisogno di altri impicci, verstanden?”
Perché mai doveva confessarlo a quel piccolo matto che si
trovava di fronte, poi, non lo sapeva. Fece un movimento brusco con la
mano, come a voler scacciare le parole che le erano appena uscite dalla
bocca, e superò Feliciano per tornare in stanza in tutta
fretta.
L'indomani, ovviamente, si era ripetuta esattamente la stessa scena del
giorno prima. A quanto pareva, Feliciano e la sua sveglia non andavano
d'accordo. Luise non poteva certo togliergli la sedia da sotto il
sedere, né rifiutarsi di prestargli la penna, o
chissà cosa avrebbe detto il professore.
Tuttavia, quando quel pomeriggio era tornata in camera e aveva
sistemato la borsa, si era accorta di un bigliettino tutto
accartocciato che spuntava dal suo astuccio.
Le ci era voluto un po' di tempo per decifrare la scrittura svolazzante
ma incomprensibile, e alla fine aveva potuto leggervi:
“Cara Luise,
mi dispiace di essere il motivo per cui non puoi farti amici in questa
scuola. Credo che siccome sei tanto bella e brava non avrai problemi,
però d'ora in poi ci penserò io ad essere tuo
amico, così mi farò perdonare. Mi
impegnerò tanto! E grazie per la matita, te la riporto
domani. Ciao, Feli~”
In effetti, mancava una matita.
Luise, tutta rossa – ma davvero?! Bella e brava?! Ma per chi
la prendeva?! - aveva buttato via il biglietto, salvo poi recuperarlo
dal cestino e piazzarlo in un cassetto. Non si poteva mai sapere, era
sempre meglio conservare le prove.
Da quel momento in avanti, comunque, il posto di Feliciano in
quell'aula era rimasto fisso accanto al suo. Del resto, non si poteva
pretendere che gli altri cambiassero banco solo perché a lei
dava fastidio, no?
“Com'è il tempo? Inizia a fare freddo,
vero?”
Suo padre era in viaggio, ora, da qualche parte nell'altro emisfero.
“Ja.
Ha già iniziato a nevicare.” rispose Luise,
osservando con sguardo assente il giardino bianco fuori dalla sua
finestra.
Già, la prima neve era arrivata più di due
settimane prima. A Luise quel bianco soffice non dispiaceva, ma le
davano fastidio tutti gli studenti che, dopo le nevicate, dichiaravano
guerra senza quartiere a tutto e tutti, costruendosi fortini e
munizioni gelate.
Feliciano aveva avuto modo di pentirsi amaramente dell'unica palla di
neve con cui era riuscito a colpire Luise, la settimana prima, quando
lei aveva ricambiato il favore facendogliene scivolare una manciata per
tutta la schiena, giù fino alle mutande. Da quel giorno
andava in giro con la sciarpa così stretta attorno al collo
che sembrava volercisi soffocare.
Inoltre, con il freddo i club avevano smesso gli allenamenti all'aria
aperta. C'erano abbastanza palestre per consentire a tutte le squadre
di organizzarsi con gli orari che volevano, certo, ma Luise preferiva
di gran lunga fare attività fisica all'aperto, anche se era
freddo. Le palestre avevano sempre un odore di chiuso e di plastica che
lei non amava affatto.
Se non altro, non avrebbe dovuto più incrociare i ragazzi
del club di calcio, ecco. Così si sarebbero evitate scene
imbarazzanti come quando Feliciano, magari impegnato sul campo,
inciampava sul pallone tutte le volte che la vedeva passare nella sua
tenuta sportiva (che, peraltro, comprendeva dei pantaloncini
decisamente troppo, troppo corti).
Il ragazzo cominciava ad agitarsi tutto, a gesticolare in maniera
ridicola nella sua direzione, gridando “Veee, Luise!
Cia-” e si ritrovava immancabilmente con il viso affondato
nell'erba del campo.
Una volta, lei aveva dovuto perfino fermarsi ad aiutarlo
perché, scivolando, si era sbucciato un ginocchio.
“C-c'è sangue!!!” si era lamentato,
guardandosi la sbucciatura come se si aspettasse di morire dissanguato
da un momento all'altro.
“Sangue, queste due gocce? Idiozie! Sapessi con cosa ho a che
fare io tutti i mesi!” gli aveva risposto Luise, facendo
apposta a calcare la mano mentre gli disinfettava la gamba con un
batuffolo di cotone. Se n'era pentita un poco, quando l'altro aveva
mugolato miseramente.
“Sii uomo! Non è niente!”
Feliciano la guardava con negli occhi tutto il dolore del mondo.
“Bacino e passa tutto?” aveva fatto
improvvisamente, indicandosi la guancia.
Il pizzicotto doloroso che era arrivato al posto del bacio lo aveva
lasciato a gemere per il resto dell'allenamento.
“La tua compagna di stanza, invece? A Julchen non sembra
stare molto simpatica.” osservò il padre.
“Mmh...” Luise aveva iniziato a farsi le sue
ipotesi, rispetto all'odio che sua sorella serbava per Sophia, ma
doveva ancora averne conferma. Inoltre, non credeva di poterne parlare
al padre: se, come sospettava, si trattava di gelosia nei confronti di
un certo ragazzo, erano confidenze che non era il caso di fare al
proprio genitore, no?
“E' una ragazza molto discreta ed educata. Ama molto la
musica, e... beh... sì, ha una certa passione per il
cucito.”
Soprattutto per il rammendo,
sì, ma quello preferiva non specificarlo. Insomma, suo padre
aveva sempre voluto che le figlie indossassero solo abiti di ottima
fattura e tessuti, e Luise, sebbene non fosse incline agli sprechi, non
si era mai fatta problemi a cambiare vestiti sgualciti o logori con
abiti nuovi, soprattutto quando si trattava di biancheria.
In effetti, Luise si era decisamente sorpresa quando, una sera, aveva
ritrovato le due paia di slip, ormai rovinati e da lei buttati via
quella mattina stessa, ben piegati sul suo letto.
“Oh, uhm, li avevo gettati via, questi.” aveva
spiegato un po' imbarazzata a Sophia. Che li avesse visti nel cestino e
avesse pensato che lo avesse confuso con il cesto della biancheria
sporca...? Questo... in ogni caso, era imbarazzante.
Sophia l'aveva squadrata con un'aria seria, al di là degli
occhiali.
“Warum?”
“Perché erano lise e... insomma!”
rispose Luise, punta sul vivo. Erano affari suoi, se decideva di
buttare un paio di mutande!
Ma, apparentemente, Sophia aveva un'idea ben diversa.
“Uno spreco inutile. Te le ho rammendate io. Puoi continuare
a metterle.”
Così, per la prima volta in vita sua, Luise si era ritrovata
ad indossare qualcosa di rammendato,
il tutto solo per preservare il rapporto civile che aveva instaurato
con la compagna di stanza.
Quando, in seguito, le si era bucato un paio di calzini, aveva avuto il
buon senso di gettarli nel cassonetto fuori dalla palestra: occhio non
vede, cuore non duole, si era detta. Per un paio di giorni, comunque,
aveva avuto il sottile timore di ritrovarseli rammendati sotto il
cuscino.
“E gli altri compagni di scuola? Hai dei buoni
rapporti?”
“...beh, diciamo di sì. Ogni tanto...”
sospirò, di nuovo lontano dal telefono “...ogni
tanto do una mano a quelli che si trovano più in
difficoltà.”
“Oh, sei molto altruista. Brava.”
Luise si massaggiò la fronte, perplessa. Altruista? Non era
sicura che fosse la parola giusta...
Il problema era che Feliciano, l'ultima volta che aveva preso un
votaccio in un test, aveva speso tutto il pomeriggio a lagnarsi e a
piangersi addosso – o meglio, a piangere e lagnarsi addosso a
Luise.
Feliciano non era stupido, lei lo sapeva, era solo terribilmente pigro
e troppo incline ad addormentarsi con la testa sui libri, mentre
studiava. Ecco che Luise si era perfino ritrovata a finirgli gli
esercizi di matematica, o a rileggergli i temi mentre l'altro
sonnecchiava beatamente riverso sulla scrivania.
Non pensava che si trattasse di altruismo, no. Sarebbe stata altruista
a svegliarlo a suon di calci e a fargli ripetere a memoria tutte le
formule algebriche che doveva imparare, se avesse voluto aiutarlo
davvero. Ma dopo pomeriggi interi dedicati senza alcun risultato a
questo metodo “altruistico”, aveva deciso che
l'altra soluzione era, in definitiva, la più comoda ed
indolore – per Feliciano, almeno.
“Ci sentiamo presto, Luise. Manca poco a Natale.”
“Già... saremo presto a casa per le vacanze,
Vati.”
Vacanze dagli studi, sicuro, ed anche dal suo improvvisato ruolo di
babysitter.
~*~
Mancavano due settimane alle vacanze di Natale, la neve cadeva fitta e
Luise era in stanza da sola. Sophia era partita quel pomeriggio, per
partecipare ad un concorso di musica in un'altra città.
Nonostante fosse venuta a prenderla un'auto enorme e lussuosa per
portarla all'aeroporto, Gary aveva insistito per accompagnarla al
cancello con i bagagli – anche se aveva finito con lo
scortarla tendendola a braccetto, per non farla accidentalmente
scivolare nella neve. Certo non si poteva permettere che una pianista
inciampasse e, per disgrazia, si facesse male ad una mano.
Julchen aveva osservato il tutto dalla finestra digrignando i denti,
l'odio che trapelava dalle iridi rosse.
“Hai capito, la nobildonna?! Se ne va per una settimana, in
barba agli esami di fine semestre, solo perché con le sue
ditine d'oro sa schiacciare due tasti su un pianoforte. E guardalo,
quello zerbino! Ma perché i suoi dovrebbero pagargli la
retta della scuola, eh?! Lo avrebbero già bell'e sistemato
al servizio della signorina Edelstein! Che nervi!”
Luise aveva scoccato un'occhiata scettica all'indirizzo della sorella e
poi aveva osservato la grossa auto ripartire nella nevicata. Gary era
rimasto a guardare finché l'auto non era sparita alla vista,
ed era tornato indietro, saltellando faticosamente nelle impronte
lasciate prima.
“E' già tanto se non gliel'ha spalata via con la
lingua, la neve, prima che sua signoria mettesse piede fuori dal
portone.” commentò Julchen, acida.
Luise si astenne dal rispondere: discutere con la sorella a proposito
di Sophia non portava mai da nessuna parte e Julchen finiva sempre con
il rinfacciarle un accusatorio “ma da che parte
stai?!” che a Luise non piaceva sentirsi rivolgere.
Nonostante avesse le sue stramberie (forse anche dovute al suo essere
nobile o al suo essere musicista, o entrambe le cose,
chissà) Sophia era una pianista eccellente, Luise non poteva
non riconoscerlo, non fosse per il fatto che aveva già vinto
diversi premi. Era ovvio che la scuola chiudesse un occhio, anche se si
trattava di saltare gli esami, quando una studentessa del genere non
faceva che portare lustro al nome dell'accademia.
In ogni caso, per Luise si prospettava una settimana in cui avrebbe
avuto la stanza del dormitorio tutta per sé. La cosa la
lasciava, tutto sommato, indifferente: né lei né
Sophia erano grandi chiacchierone, e Luise non disdegnava affatto la
solitudine. Certo, veniva meno il gradevole sottofondo di musica
classica che accompagnava spesso le serate in quella stanza, ma Luise
amava anche il silenzio, soprattutto ora che doveva concentrarsi sugli
esami; anzi, il fatto di essere sola in stanza le avrebbe consentito di
rimanere alzata più a lungo per ripassare, senza disturbare
nessuno.
Così, quella notte era andata a letto tardi, ma senza alcun
pensiero. C'era un silenzio perfetto, tutt'intorno, nessun rumore
esterno (tutto era attutito dalla neve) e i corridoi, a quell'ora,
erano perfettamente silenziosi. Si era addormentata stanca ma
soddisfatta del lavoro compiuto.
Il suo sonno del giusto, tuttavia, non era durato a lungo. A svegliarla
era stato qualcosa di insolito, nel suo letto. Qualcosa di freddo. Un
piede freddo, per la precisione, ma perché mai dovesse
esserci un piede che non le apparteneva, sotto le sue coperte, era un
totale mistero: l'ultima volta che era successo era stato anni prima,
quando lei e Julchen ancora dormivano insieme, occasionalmente.
Nel dormiveglia, Luise si rigirò tra le lenzuola,
chiedendosi che strano sogno stesse facendo. Non riuscì a
sistemarsi bene, tuttavia, perché c'era qualcosa che le
impediva di mettersi nella posizione che voleva... ma che diamine...?!
Si allungò di scatto per accendere la lampada sul comodino,
e così facendo ficcò le dita negli occhi di
qualcuno.
“Ohiohiohiohiohi...” fece una voce, il cui tono
lamentoso Luise conosceva fin troppo bene.
“Feliciano!!!” sibilò “Che
diavolo ci fai qui?!”
Si udì un fruscio di lenzuola, mentre l'altro smetteva di
mugolare per risponderle.
“Beh... la tua compagna di stanza è andata via,
no? Ho pensato che magari avevi paura a dormire da sola, ecco. Magari
potevi fare degli incubi.”
Luise sentì il sangue affluirle furiosamente alla testa.
“...o forse sono io, che ho fatto un brutto
incubo...” continuò Feliciano, la voce tra il
timido ed il divertito.
“Ma che incubo e incubo! Questo dev'essere un incubo,
Feliciano! Come ti salta in mente di entrare nel mio letto?! I ragazzi
non possono entrare in questo dormitorio! RAUS!”
fece lei, la voce che saliva pericolosamente di tono. Ancora un attimo,
e lo avrebbe spinto a forza giù dal letto.
“Eeeeh?! No, no...!”
“Ssssh! Sveglierai tutti!”
Il trambusto tra le coperte andò avanti per qualche momento.
Luise tentava di scalciarlo fuori da sotto il piumino, ma Feliciano
resisteva con le unghie e con i denti. Lei passò alle vie di
fatto usando come arma il cuscino, ma dovette fermarsi quando l'altro
smise di muoversi, la testa affondata sotto il guanciale che lei gli
stava premendo addosso.
Vagamente preoccupata, Luise lo liberò della presa e si
chinò su di lui per vedere se respirava. Gli
toccò il naso con un dito, prudentemente.
“N-non voglio tornare in camere mia, adesso!”
protestò Feliciano debolmente “Fuori
c'è troppo freddo e la neve è troppo
alta!”
Luise sospirò. Erano le due del mattino passate e lei aveva
quasi voglia di piangere. Ripensò ai piedi gelidi di
Feliciano e si disse che era già notevole il fatto che il
ragazzo non fosse morto assiderato nel breve tragitto dal suo
dormitorio a quello femminile, anche perché se l'aveva fatto
indossando solo il pigiama...
“...ehi, aspetta. Dov'è il tuo pigiama?”
ora che ci faceva caso, le spalle di Feliciano erano nude, e
così il suo petto e il suo stomaco e le sue ginocchia, dove
Luise lo aveva preso a calci.
L'altro sporse una mano tremante ad indicare il pavimento, dove era
ammonticchiata una pila di vestiti - fradici, immaginava Luise.
“...Feliciano. Ti sei spogliato e sei entrato nel letto di
una ragazza nel pieno della notte. Potrebbero arrestarti, per questo,
lo sai?” sillabò Luise, conscia del fatto che se
lo avesse soffocato ed ucciso, come si sentiva di fare in quel momento,
avrebbero arrestato lei, invece.
Feliciano la osservò sorpreso.
“Veee? Ma pensi che potrei farti qualcosa di male? Luise! Tu
sei la mia migliore amica! L'incubo era proprio brutto, ma se sto
vicino a te, non ho paura! E poi, tu sei molto più virile di
me, quindi non mi passerebbe mai per la testa di farti qualcosa che non
vuoi, so che rischierei la vita!” affermò lui
candidamente.
Molto più virile, eh? Migliore amica... Luise
sospirò. Non sapeva bene perché, ma
improvvisamente si sentì un po' depressa. Certo, non ci
voleva molto a dimostrarsi più virili di Feliciano, con le
sue continue lamentele e con le sue paure irrazionali. Eppure, in
quello che aveva detto c'era qualcosa che, alle sue orecchie, stonava.
In ogni caso, non aveva davvero il cuore di rimandarlo sotto la neve.
“...va bene, puoi rimanere qui per qualche ora. Ma devi stare
fermo e buono nella tua metà del letto, e ti voglio fuori
dalla mia stanza prima che suoni la sveglia delle altre!”
ringhiò minacciosa.
“Lo sai che le sveglie non sono il mio forte...”
“Ci penserò io, a svegliarti, non
temere.”
Alla velata minaccia, Feliciano sentì un brivido
percorrergli la schiena. Tuttavia, accoccolato com'era sotto le stesse
coperte di Luise, tutti i problemi del mondo gli sembravano distanti.
Entrambi si riaddormentarono nel giro di pochi secondi.
Inutile a dirsi, le visite notturne di Feliciano furono una costante
per tutto il tempo in cui Sophia si assentò da scuola a
causa del concorso. Nonostante Luise non nascondesse mai la sua stizza
per quelle intrusioni fuori luogo (davvero, se li avessero scoperti?!
N-non che stessero facendo nulla di, uh, di male, ecco, ma le regole
erano le regole, ed i ragazzi non potevano venirci, nel dormitorio
femminile!), non poteva nemmeno negare il sollievo che provava quando
Feliciano approdava in camera sua, congelato e fradicio, e si
arrotolava assieme a lei sotto le coperte.
Certo, non poteva neanche fare a meno di dubitare che tutto questo
facesse davvero solo parte dell'essere migliori amici... ma come poteva
saperlo, lei che di amicizia proprio non ne capiva nulla?
Se l'assenza di Sophia non le era pesata, il suo ritorno le fece
sentire la mancanza di quei piedi gelati in fondo al letto e di quei
vestiti umidi di neve sul pavimento. Tuttavia, non ne fece mai menzione
con nessuno, e quelle indesiderate visite notturne rimasero il loro
piccolo segreto.
_____________________
“Guten Tag,
Vati.”: Buongiorno, papà.
“Guten Tag,
Luise. So, wie geht's dir in der neuer Schule? Alles in Ordnung?”:
Buongiorno, Luise. Allora, come va nella nuova scuola? Tutto bene?
“Ganz gut,
Vati, danke.”: piuttosto bene, papà,
grazie.
Verstanden?:
capito?
RAUS!:
Fuori!
|
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Capitolo 4 *** Capitolo IV ***
[[Buon anno a tutti~ Eccomi qui con l'aggiornamento che, spero, stavate
aspettando :)
In questo capitolo cambia il POV da cui è narrata la storia,
mettiamo da parte Luise per un momento, e focalizziamoci su Feliciano
e... Julchen!]]
Prompt di questo capitolo:
pacchetto vario #2, altalena.
Personggi in questo
capitolo: Feliciano, Lavinia, Antonio, Julchen, Gary, mr.
Vargas, menzione di Sophia - e...oh!, un personaggio che sicuramente
c'era anche prima, ma di cui nemmeno l'autrice si era accorta: Matthew!
:D
Beta: Yuki
Delleran
“Papà, papà~ Sì,
sì, va tutto benissimo!”
Feliciano si dondolava allegramente sull'altalena, i piedi che
scalciavano la neve che ricopriva il terreno ogni volta che vi arrivava
vicino.
“Ve, sì, sta bene anche lei! E' qui con
Antonio!”
Si voltò verso Lavinia, seduta sulle ginocchia dell'altro
ragazzo, che si dondolava pigramente sull'altalena a fianco di quella
di Feliciano. Senza ragione, Lavinia fece una linguaccia al fratello:
non le piaceva sentir parlare di lei al telefono, visto che non sapeva
cosa stesse dicendo suo padre, e che non si fidava delle risposte che
poteva dare suo fratello.
“Abbastanza freddo, sì... gli esami benino. No,
letteratura è andato bene... è matematica che
è difficile... ah, ma ho studiato insieme a Luise, sai! Mi
ha aiutato un sacco! Anche se non mi ha fatto copiare, all'esame, poi,
uff...” Feliciano fece il broncio, lanciando un'occhiata
depressa alla sorella che lo guardava con aria di trionfante
cattiveria: gliel'aveva detto, lei, che quella Luise era una stronza.
“Ma sì, Luise, papà... la mia amica...
no, non quella riccia... quella bionda, alta. Sì, quella
dello schiaffo. Ma no, non è cattiva... oi!”
cambiò lato del telefono, mentre con la manica del cappotto
si asciugava il viso dalla palla di neve tiratagli da Lavinia.
“Beh, sì, è molto carina...
è proprio bella, anzi. E' alta ed ha delle gambe
lunghissime, bianche bianche. ...lo so perché gioca a
pallavolo! I pantaloncini dell'uniforme sono corti corti!”
Feliciano gesticolava allegramente, tutto preso a cantare le lodi del
corpo di Luise, le mani che, praticamente, ne riproducevano le forme
nell'aria. “La maglietta che usano è larga,
però Luise ha un seno molto grande e questo la rende ancora
più sexy e... ahiaaaa!!!” una seconda palla di
neve, più grossa, stavolta, lo aveva colpito sul naso.
“Ma perché devo stare qui a congelarmi il culo
mentre tu canti le lodi di quella spilungona frigida, si può
sapere?!”
“A me sembra molto romantico, Lavinia...” disse
Antonio, gli occhi verdi sognanti mentre osservava la sua ragazza
digrignare i denti nei confronti del fratello.
“Che poi, con tutti i complimenti che fai a quella patata
lessa, perché non puoi farne anche a me, eh? Non ti ho mai
sentito una volta, una, dico, dirmi che ho delle belle gambe o che una
maglietta sportiva mi rende sexy!!!”
“M-ma sorellona, tu...” Feliciano
annaspò – non che pensasse che Lavinia non fosse
carina, ma.. ma.. “...hai Antonio, a farteli, i
complimenti!”
La ragazza fulminò con lo sguardo prima il fratello e poi il
fidanzato.
“Crepate tutti e due.” commentò acida,
girando i tacchi e andandosene.
“Eeeeh? Ma Laviniaaa!” Antonio le corse dietro.
Per quanto riguardava il ragazzo, avrebbe passato la vita a riempire
l'italiana di complimenti. Peccato che sarebbe stata una vita
decisamente breve.
“...ah, no, niente, papà, è che Lavinia
se l'è un po' presa. Non so perché, ma Luise non
le sta molto simpatica. Vabbeh che a sentire lei nemmeno Antonio le sta
simpatico, eheh. Oh? No, mi ha detto che tornano in Germania, per
Natale. ...eh, lo so. Avrei voluto farle assaggiare il panettone,
ve~”
Rimase a dondolarsi da solo sull'altalena, disegnando piccoli cuori
nella neve con la punta degli stivali.
“Non lo so, papà, è piuttosto severa,
sai? Fa un po' paura, a volte. Però quando arrossisce
perché si imbarazza o perché è molto
arrabbiata è proprio carina, sì! ...ma no, io
credo che sia timida. L'altro giorno le avevo fatto notare che sarebbe
stata molto bene, se si fosse lasciata crescere i capelli...
sì, li aveva corti corti all'inizio dell'anno, ma poi le
stavano ricrescendo... beh, il giorno dopo se li è tagliati
di nuovo.” Le labbra di Feliciano si piegarono
all'ingiù. Poteva solo immaginarsi quanto bella sarebbe
stata, Luise, con quei capelli dorati ad incorniciarle le guance
bianche e rosse.
“Ma è carina anche così, sai? Proprio
tanto.” tornò a sorridere, Feliciano, cancellando
i piccoli cuori che aveva tracciato per farne uno più grande.
Luise era bella, e lui non poteva dirglielo perché lei si
arrabbiava. Come Lavinia.
~*~
La neve cadeva a falde larghe nel buio ed il silenzio della nevicata
copriva anche gli stentati cigolii dell'altalena, che dondolava su e
giù mestamente, spinta dalle lunghe gambe della ragazza che
vi stava seduta sopra.
La testa, ben coperta da un berretto di lana bianco calato sulle
orecchie, era appoggiata ad una delle catene, i lunghi capelli candidi
sciolti e disordinati che si confondevano con la sciarpa, il cappuccio
del cappotto e la neve che li ricopriva.
Julchen si dondolava lentamente, le punte degli stivali alti fino al
ginocchio che rimestavano nella neve e la mente che rivangava il
passato, i ricordi in bianco e nero, come i fiocchi che si stagliavano
contro il cielo scuro della sera.
L'indomani sarebbero iniziate le vacanze di Natale del suo ultimo anno
di superiori, e poteva quasi sentire i mesi che la separavano dalla
fine della scuola scivolare via dalle dita come se fosse già
arrivata l'estate.
Ricordava bene – e si stupiva al pensiero, oh, sì
– di come fossero diverse le cose due anni prima.
Due anni prima, quando la scuola era iniziata da pochi mesi e quando il
suo migliore amico era proprio quel Gary che adesso si sarebbe quasi
vergognato ad essere visto in sua compagnia.
Gary era una vera e propria peste, all'inizio del primo anno, Julchen
se lo ricordava bene; ne avevano combinate parecchie, assieme.
Aveva questa immagine vivida di lui, il codino riccio spettinato,
l'uniforme sporca di terra e di brandelli di foglie autunnali, che le
sorrideva con fare cospiratore e birichino, mentre insieme preparavano
un dispetto ai danni di qualche altro compagno di scuola.
A Julchen quell'immagine scaldava il cuore. Al tempo, non avrebbe fatto
a cambio con nessun altro: in punizione assieme a Gary, certo non
pensava ai rimproveri di suo padre o alle facce severe dei professori.
E poi... sì, proprio durante una di queste punizioni... si
erano seduti vicini, e nel corridoio era già stato appeso il
vischio natalizio che decorava tutti gli ambienti comuni
dell'accademia. Si erano guardati con aria furba, ridendo di quanto
fosse stupida la storia del vischio, che solo le femminucce inutili
potevano provare gusto a sbaciucchiarsi (bleah!) sotto dei
ramoscelli verdi, e che comunque nessuno aveva davvero bisogno di
innamorarsi, soprattutto non a Natale, quando chiunque ne aveva
abbastanza di pensare ai regali ed ai dolci.
Così, sempre per gioco, proprio per dimostrarsi l'un l'altra
l'inutilità di quel gesto, si erano dati un bacio. Si erano
appena sfiorati le labbra, Julchen lo sapeva, eppure nella sua memoria
quei pochi secondi risultavano dilatati. Sì, lo sapeva che
era durato il tempo di un soffio, che subito si erano staccati ridendo
e dicendo che i baci erano una cosa inutile e che non potevano proprio
capire perché mai tutti i loro compagni più
grandi fossero così presi da quella attività
così stupida.
Eppure, Julchen si ricordava anche che quella sera stessa, dopo essere
andata a letto, non era riuscita a chiudere occhio, il cuore che le
martellava nelle orecchie ed il viso in fiamme. Aveva deciso che il
giorno dopo si sarebbe vendicata di Gary, che sicuramente le doveva
aver passato il raffreddore o l'influenza... baci, che cosa pericolosa!
Ma il giorno dopo, quando aveva visto Gary, era diventata tutta rossa e
non gli aveva quasi rivolto la parola. Una brutta influenza davvero,
aveva pensato.
E poi, c'era stato il concerto di Natale.
Molti degli studenti avevano preparato qualcosa. Julchen si ricordava
appena di Antonio, che si era presentato con un gruppo rock dove
suonava la sua fidata chitarra. Si ricordava a stento perfino della
bella poesia che Francis aveva recitato, tutto elegante ed
appassionato, solo sotto i riflettori del palco.
Si ricordava invece molto bene del brano di chiusura del concerto,
sì, fin troppo bene. Sophia era salita sul palco con un
abito da sera lungo, blu notte, lo sguardo algido dietro gli occhiali
sottili, i lunghissimi capelli trattenuti sulla nuca da un fermaglio
scintillante, ed aveva messo le dita sul pianoforte.
Non ricordava molto di quello che aveva suonato – una delle
sue solite, pallosissime musiche, buone solo a far addormentare la sala
dell'auditorium – ma ricordava con troppa precisione
l'espressione rapita di Gary che, seduto accanto a lei, stava ad
ascoltare e non riusciva a distogliere i suoi occhi smeraldo dalle mani
bianche della pianista.
In seguito, il Gary che Julchen aveva conosciuto era semplicemente
scomparso. Piano piano, aveva lasciato spazio al ragazzo composto ed
educato, sempre pronto a porgere la mano quella smorfiosa di Sophia,
sempre attento a sbrodolarle addosso complimenti, premuroso di spargere
petali di fiori dove passava, ansioso di seguirla fin sulla porta del
bagno ...scodinzolante come un cagnolino idiota!, pensò
Julchen dando un calcio rabbioso alla neve.
Chiuse gli occhi, stanca. Certo, poi erano arrivati Francis ed Antonio.
Erano già molto legati, quei due matti, eppure l'avevano
accolta con generosità ed allegria. Erano i suoi migliori
amici, entrambi alla pari, e Julchen sola sapeva quanto doveva loro.
Nessuno dei due, non Antonio con il suo amore fedele per Lavinia, non
Francis con le sue passioni passeggere anche se brucianti, le aveva mai
voltato le spalle o l'aveva lasciata mai in disparte per rincorrere
qualcuna. Eppure, con nessuno di loro due si era mai scambiata un
bacio, per gioco, sotto il vischio.
Julchen sentì le sue labbra protendersi pericolosamente
all'ingiù, e ricacciò indietro con rabbia un
accenno di lacrime. Odiava il vischio, se avesse potuto avrebbe dato
fuoco a tutti quegli odiosi rametti che anche adesso-
La palla di neve gelata che la colpì sulla nuca le tolse il
fiato e la risvegliò brutalmente dalle spirali tetre dei
suoi pensieri.
“Oh oh oh, ma guarda chi si vede! Colta di sorpresa, eh?
Incredibile!” qualcuno la canzonò, appena fuori
dal cono di luce del lampione.
Julchen si voltò con una luce omicida negli occhi.
“Idiota!” sibilò.
Gary apparve nel cerchio di neve gialla, illuminata, passandosi tra le
mani un'altra palla di neve.
“Buon Natale anche a te, sì.” rispose
lui con fare condiscendente.
Insofferente – non era certo lì per subire gli
sbeffeggiamenti di quel cretino, oh no! - Julchen si alzò di
scatto dall'altalena e si avviò a passi veloci verso il
dormitorio.
Gary, che si aspettava una risposta a tono, venne preso in contropiede
da quella fuga inattesa.
“Ehi, aspetta!” esclamò, poco convinto,
seguendola.
Un attimo, e il tutto si era trasformato in un inseguimento, con
Julchen che tentava di distanziare Gary, contando sulle sue lunghe
gambe atletiche, ma ostacolata dalla neve fresca che le rallentava il
passo. Il ragazzo, da parte sua, tentava disperatamente di
raggiungerla, ma il terreno era scivoloso e, per quanto tentasse di
approfittare delle impronte lasciate da Julchen nella neve, la ragazza
era sempre davanti a lui.
In poco tempo, entrambi si ritrovavano con i polmoni in fiamme, le
nuvolette di fiato che uscivano dalle loro bocche con ritmo convulso.
Julchen si fermò, decisa a mettere fine a quell'inutile e
ridicola maratona.
“Che cosa vuoi da me, si può sapere? Che
c'è, Vostra Signoria puzza-sotto-il-naso Edelstein ti ha
dato una serata di libera uscita e non hai niente di meglio da fare che
venire ad inzupparmi di neve?!” ansimò,
arrabbiata. Aveva il viso e la frangia tutti bagnati, ma sapeva di
avere le guance rosse di rabbia e sforzo.
Gary ci mise un po' a risponderle, mentre prendeva fiato a fatica.
“Beh, nemmeno tu hai nulla di meglio da fare che startene
seduta tutta sola su una panchina in mezzo al parco, o sbaglio? Venivo
a tenerti compagnia!”
Julchen ghignò. La stava prendendo in giro?
“Tesoro, difficilmente posso trovare compagnia migliore di me
stessa, capito?”
Gary si passò un guanto sulla faccia, scuotendosi via dai
riccioli la neve che vi si era depositata.
“Capisco fin troppo bene...” borbottò,
riprendendo lentamente ad avanzare verso di lei.
Per un momento, Julchen fu tentata di voltarsi e tornare a scappare, ma
decise che non valeva la pena di sprecare così le sue
energie. Con una mossa decisa del capo, si scostò dal viso
le ciocche di capelli bagnate.
“Comunque, ero venuto per salutarti e per augurarti buon
Natale.” disse lui, scontroso.
Julchen fu presa in contropiede, ma il tono della sua risposta fu di
nuovo tra l'ironico e l'acido. “E per regalarmi un bel po' di
neve ghiacciata giù per la schiena? Grazie, ma che pensiero
gentile!”
Gary scrollò le spalle, uno sguardo corrucciato ed
accusatore. Sembrava stare prendendo fiato per una nuova rincorsa.
“Avresti reagito meglio se mi fossi avvicinato per
abbracciarti?” la attaccò alla fine "Non pensi che
a te stessa, nelle tue manie di onnipotenza egocentrica! E' sempre...
sempre così, Julchen! Perché non ti curi mai
delle ragioni degli altri?" Gary sembrava arrabbiato. Non la guardava
più in viso, adesso, stava guardando la neve ai suoi piedi,
e stringeva i pugni.
"Non so più come approcciarmi a te, maledizione. Una volta
ti avrei abbracciato e augurato buon Natale, ed adesso...
sì, non so come altro fare se non tirarti delle palle di
neve a sorpresa, bella roba! Mi fai tornare infantile e dispettoso,
ecco! Ma che cosa spero di cambiare, con questa tirata, eh?" Con
rabbia, gettò a terra la palla di neve che aveva ancora in
mano, poi, improvvisamente, girò i tacchi e se ne
andò.
Julchen osservò il tutto basita.
Infantile e dispettoso, eh?
Lanciarle una palla di neve così, all'improvviso...
già. Era qualcosa che il Gary dei primi mesi, forse, avrebbe
fatto. Julchen non si sarebbe arrabbiata, in quel caso, no, sarebbe
scattata in piedi e, ridacchiando come una forsennata, avrebbe solo
pensato a vendicarsi. In breve, si sarebbero ritrovati a rotolarsi come
due stupidi nella coltre gelida, incuranti di sciarpe e pantaloni
bagnati. Sicuramente, nessuno di questi comportamenti si confaceva alla
nuova identità di Gary, lacchè di sua signoria
imperiale la principessina dei pianoforti.
Julchen si mosse e lo rincorse.
Fatti pochi passi, gli era già alle spalle, e gli afferrava
un braccio per costringerlo a voltarsi. I loro visi erano vicini, ora,
le nuvolette del loro fiato che si fondevano assieme, creando una
strana aura nel buio attorno ai loro profili.
"Mi avresti abbracciata e mi avresti augurato buon Natale, hai detto?
Bene, fallo." lo sfidò lei.
Gli occhi verdi di Gary indugiarono un attimo nei suoi, lo sguardo un
po' incredulo.
"Che c'è, Vostra Altezza Quattrocchi vi ha risucchiato ogni
capacità di relazionarsi umanamente alle altre persone?"
Julchen roteò gli occhi, e lo strinse a sé.
Era... strano ritrovarselo fra le braccia, dopo così tanto
tempo. Gary era cresciuto. Aveva delle spalle più larghe, un
accenno di barba sul mento, dei capelli ispidi e arruffati per
l'umidità.
Julchen non perse tempo e gli sigillò le labbra con le
proprie.
Durò più a lungo, questa volta - non era un
semplice bacio sotto il vischio, non era il tipo di bacio che Gary
potesse dimenticare facilmente, non doveva esserlo, non poteva esserlo,
nella mente di Julchen. Doveva essere un bacio di quelli di cui ti
rimane il sapore in bocca per la vita, doveva far sciogliere la neve ai
loro piedi e riportare il calore dalla punta dei loro nasi congelati a
quella delle dita dei piedi, ormai quasi insensibili per il freddo. Un
bacio che Gary avrebbe solo potuto sognare, da quel momento in avanti.
Quando le labbra di Julchen si staccarono da quelle del ragazzo, fu un
dito coperto di lana gelida e umida a prendere il loro posto.
"Ricordatelo per bene, questo, non troverai altrove labbra magnifiche come le
mie." sibilò lei, la voce inaspettatamente calda.
Lo lasciò andare così come l'aveva abbracciato, e
tornò sui suoi passi, sparendo in fretta nel buio del parco.
Così sarebbe dovuta andare, decisamente - o almeno, di
questo era convinta Julchen, mentre pensava e ripensava all'episodio,
tentando di scaldarsi le membra ancora intirizzite sotto il piumino,
nel suo letto.
Un bacio da togliere il fiato era quello che quel cretino di Gary si
sarebbe meritato, altroché. Ma non era andata
così, in realtà.
Julchen si era messo a ricorrerlo, e questa volta, a ruoli invertiti,
era stato Gary a scappare. La ragazza, frustrata, si era fermata, aveva
raccolto un bel po' di neve e gliel'aveva lanciata, prendendolo in
pieno, naturalmente, vista la sua magnifica mira infallibile.
Oh sì, erano tornati ai vecchi tempi, e a modo suo. Sul chi
vive, aveva aspettato la risposta di Gary, un suo attacco, ma questo
non venne.
Gary si voltò lentamente, ripulendosi la neve di dosso con
gesti controllati.
"D'accordo, hai avuto la tua vendetta, siamo pari adesso. Va bene, no?
Ora io posso tornare in camera mia a finire le valige, e tu puoi
tornare nel tuo magnifico mondo dove vivete tu e la tua magnifica te e
pensare a quanto stupidi ed insulsi siano gli altri esseri umani."
La guardò per un lungo istante.
Forse si aspettava che Julchen gli rispondesse a tono, forse che
davvero corresse ad abbracciarlo, ma non successe nulla di tutto
questo, e Gary tornò a voltarsi. Alla fine, sparì
dietro le colonne dell'atrio del dormitorio maschile.
Julchen diede un calcio rabbioso alla neve, sollevando alti spruzzi
bianchi.
"Non me ne frega niente nemmeno di vendicarmi di te, brutto idiota!
Vai, fa' il facchino per Vossignoria dei vasi da notte
finché non ti si spezza la schiena! ...Dummkopf!!!"
pestò i piedi nella neve, infuriata e stanca.
Ormai al colmo della sopportazione, si affrettò anche lei
verso il portone del suo dormitorio. Si sentiva congelare e bolliva di
rabbia allo stesso tempo, in più, poi, gli occhi le stavano
lacrimando per il freddo - per il freddo, sì, maledizione,
per cos'altro, sennò?! Era certo troppo magnifica per
piangere dietro ad un tale cretino.
Nella fretta, finì coll'urtare qualcuno che stava camminando
in silenzio a lato del vialetto.
Julchen non si premurò nemmeno di chiedere scusa - ma
cos'aveva urtato? Un albero, un cestino? Eppure proprio non l'aveva
visto... - salvo poi voltarsi indietro con una vaga sorpresa a sentirsi
chiedere scusa da una voce timida, quasi soffocata dalla nevicata.
In effetti, non aveva urtato un tronco né un cestino, ma una
persona. Nell'oscurità e nella nevicata, non poteva nemmeno
vederlo bene, ed i suoi occhi non si soffermarono su di lui per
più di un paio di istanti.
No, non era così che sarebbe dovuta andare a finire. Ma
Julchen non aveva saputo trovare altro modo. Proprio come Gary, nemmeno
lei sapeva più come avvicinarlo, se non per prendere a male
parole lui o la sua padroncina ditine-di-fata. Forse sarebbe bastato un
passo in più, un abbraccio e dei semplici auguri di buon
Natale, e tutto sarebbe tornato come prima. Ma abbracciarlo sembrava
molto più difficile - troppo, come se si fosse scordata di
come si faceva.
Mentre Julchen si allontanava in lacrime verso il dormitorio femminile,
la figura silenziosa, che, nonostante avesse quasi perso l'equilibrio
dopo lo scontro, era passata del tutto inosservata, era poi rimasta a
guardare il silenzio la ragazza che entrava nell'edificio sbattendosi
il portone alle spalle.
Matthew le aveva chiesto scusa perché, in effetti, non
avrebbe proprio dovuto trovarsi a camminare su quel viale, a quell'ora
della sera, non avrebbe dovuto assistere a quel litigio e, soprattutto,
non avrebbe dovuto intralciare la ritirata della ragazza. Del resto,
era abituato a passare inosservato - lei sicuramente non se lo
ricordava, ma lui aveva bene in mente tutte le volte in cui quella
ragazza dal sorriso smagliante e dai capelli candidi gli era passata
accanto di corsa mancandolo per un soffio.
Silenzioso, riprese la sua via verso il dormitorio maschile, pensando
che se mai fosse stato così fortunato da incontrare una
persona che potesse arrivare a piangere per lui, beh... si sarebbe
premurato in ogni modo per far sì che questo non accadesse
mai.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
[[*aggiorna e scappa*]]
Prompt per questo
capitolo: desiderio
Personaggi in questo
capitolo: Luise, Feliciano, Julchen, Lavinia, Antonio,
Francis, Belgio ed Olanda, menzione di Matthew.
Beta: Yuki
Delleran
I professori dicono sempre che, passate le vacanze di Natale, la fine
dell'anno è dietro l'angolo. Non è proprio
così, perché c'è ancora un bel po' da
faticare, un bel po' da studiare, un bel po' da essere interrogati e
così via, ma è anche vero che, in un certo senso,
con l'arrivo dell'anno nuovo la strada appare improvvisamente in
discesa, e, se anche il tempo non scorre più velocemente,
l'allungarsi delle giornate e lo scaldarsi dell'aria aiutano a farlo
passare in maniera più piacevole.
Così, erano trascorsi i mesi: la neve era andata man mano
sciogliendosi, e la primavera, zitta zitta, in paziente attesa sotto la
coltre bianca, era d'un tratto sbocciata e fiorita con grande potenza,
portando le prime giornate di caldo, gli insetti, i fiori, i pollini e
tutto quel rigoglio di cespugli e uccellini e fronde verdi che
distraeva gli studenti, attirando i loro sguardi verso le finestre e
lontano dalle lavagne.
Era molto piacevole, ora, passare i pomeriggi nel grande giardino della
scuola. Ovunque, i ragazzi si sedevano a gruppi, in piccoli circoli,
circondati da cartelle, maglie, bottiglie e libri – i quali
venivano sì portati appresso con le buone intenzioni di
venire studiati, ma venivano prontamente abbandonati in un angolo non
appena qualcuno tirava fuori un mazzo di carte, un pallone o una
chitarra.
Nel gruppetto che interessa a noi, era proprio una certa chitarra ad
essere l'oggetto della distrazione.
Antonio sedeva con la schiena appoggiata al tronco di una albero, un
fazzoletto rosso annodato al collo, e la giacca dell'uniforme
allegramente buttata di traverso su uno dei rami più bassi.
Cantava a squarciagola e suonava il suo strumento con fare spensierato,
felice della giornata di sole, del fatto che fosse maggio e senza alcun
altro pensiero al mondo.
Il ragazzo era piuttosto popolare, tra le studentesse: di bell'aspetto,
simpatico, divertente, gentile, un po' trasandato - ma in maniera
accattivante, vinceva su tutti gli altri quando cominciava a suonare e
a cantare, soprattutto in pomeriggi oziosi come quello.
Lavinia lo sapeva bene, e non a caso gli stava addosso, seduta a
cavalcioni di uno dei rami dell'albero, indossando un paio di jeans
alla buona al posto della gonna dell'uniforme, ed osservando le
compagne di scuola con felini occhi verdi, sfidandole ad avvicinarsi
troppo all'idiota che considerava suo territorio.
Poteva stare tranquilla, comunque, perché quel pomeriggio
Antonio aveva una degna concorrenza. Da una parte, c'era Francis: il
biondo sedeva felicemente circondato dalle compagne di classe, beato
per tutte quelle camicette sbottonate e per tutte quelle gambe che,
finalmente, potevano essere mostrate al mondo senza le pesanti calze
che le avevano tenute prigioniere d'inverno. Si sentiva un po' come un
sultano in mezzo al suo harem.
E poi, c'era Feliciano. Il ragazzo si era portato la sua chitarra
all'accademia, dopo l'ultimo weekend in cui era tornato a casa, ed
Antonio gli aveva subito chiesto di fare qualche duetto.
Feliciano era ancora un primino e non sapeva suonare altrettanto bene,
ma aveva la stessa, spensierata gioia di vivere del compagno
più anziano, un sorriso altrettanto largo, ed una galanteria
che faceva sorridere le ragazze più grandi. In breve, anche
lui si era creato il suo piccolo giro di fan, da cui amava farsi
coccolare e viziare.
Naturalmente, Lavinia teneva sott'occhio anche lui, ma non era
eccessivamente preoccupata: la sua più acerrima nemica,
quella patata lessa di una tedescona, non era abbastanza vicina al
fratello per costituire un pericolo, al momento, e la ragazza poteva
concentrare i suoi sforzi altrove.
L'unica eccezione alla sua guardia attenta era costituita da Julchen,
che poteva starsene tranquillamente accoccolata a fianco di Antonio a
limarsi le sue magnifiche unghie – non era abbastanza donna,
agli occhi di Lavinia, per costituire un vero pericolo riguardo a
nessuno dei suoi due uomini.
Luise stava seduta in disparte, cercando disperatamente di concentrare
tutta la sua attenzione sul libro che teneva tra le mani. Era uno
sforzo piuttosto vano, in effetti: tra tutto il vociare degli altri
studenti e le pallonate che ogni tanto le passavano vicino, seguire il
filo logico del suo saggio era un'impresa ardua. Tuttavia, la cosa che
la distraeva di più era probabilmente il suono di una certa
voce, che al momento stava duettando con un'altra in una sdolcinata
ballata d'amore.
Luise spostò casualmente gli occhi dal libro alla fonte
della musica: quei due beoti di Antonio e Feliciano se la cantavano
tranquillamente, con tutte le ragazze intorno a ridacchiare e fare il
coretto, dimentiche delle mani leste di Francis che accarezzavano
fianchi e gambe con nonchalance. Lavinia, le gambe penzoloni dal ramo
dell'albero, sembrava pronta a prendere tutte a pedate nei denti
– fine che sarebbe sicuramente toccata anche a Luise, se si
fosse avvicinata a ricordare a Feliciano che il test di matematica si
avvicinava e che lui avrebbe fatto meglio a spendere il suo tempo a
studiare, invece che a fare la cicala in mezzo al prato.
Riportò la sua attenzione sul libro, lisciandosi
nervosamente l'orlo della gonna.
Ora, a Luise piaceva la primavera: le squadre avevano ricominciato ad
allenarsi all'aperto, le giornate erano lunghe abbastanza per rendere
piacevole la sua corsetta serale, e l'abbondante luce naturale rendeva
lo studio meno faticoso. La stagione, tuttavia, portava anche
conseguenza più sgradite: il caldo non consentiva di
indossare nulla al di fuori della camicetta e la gonna della divisa, e
questa sembrava anche più corta ora che la temperatura non
consentiva più di portare le calze.
Luise si tolse gli occhiali da lettura, stropicciandosi gli occhi con
un sospiro sconfortato: stare seduta sull'erba a leggere non era stata
una buona idea. Per impedire che la gonna si sollevasse oltre i limiti
della decenza era costretta a stare tutta storta e con la schiena
rigida, e la cosa alla lunga era stancante. Che poi, a che pro
scegliere una simile collocazione? Naturalmente, il fatto che Feliciano
fosse poco distante e che lei desiderasse stargli vicino non giocava
alcun ruolo in tutto questo, assolutamente no. Un prato assolato, pieno
di ragazzi che giocavano a pallone, che cantavano e che ridevano era
decisamente il luogo migliore per dedicarsi alla lettura di Nietzsche,
senza dubbio.
Anche perché, beh... se sperava che Feliciano si ricordasse
di lei, circondato com'era dalle compagne di scuola che lo riempivano
di moine, stava fresca.
Rimettendosi gli occhiali, tornò ad alzare la testa per
gettare un'occhiata in quella direzione. La canzone che stavano
cantando era finita e le studentesse cinguettavano in maniera
sconclusionata, chiedendo ai due tordi di attaccare con una delle loro
canzoni preferite. Ad ogni titolo, Lavinia replicava dicendo che faceva
schifo, e, sebbene Luise sapesse che di fatto la ragazza aveva gli
stessi gusti musicali delle altre, per una volta si sentiva
perfettamente d'accordo con lei.
Con la coda dell'occhio, però, si accorse che Feliciano la
stava guardando. In fretta, si sistemò gli occhiali e
continuò a leggere: improvvisamente, stare lì sul
prato non era più un'idea tanto buona, e la gonna sembrava
diventata perfino più corta di prima.
Un momento dopo, l'ombra di qualcuno oscurò il sole e, prima
che Luise potesse replicare stizzita che le stavano togliendo la luce,
Feliciano si accucciò accanto a lei. Sulla faccia aveva
sempre lo stesso sorriso idiota che aveva riservato alla sua piccola
schiera di groupie.
“Veee~ Ciao! Che cosa leggi?”
“La nascita
della tragedia di Nietzsche.” rispose lei,
guardandolo da sotto in su attraverso le lenti degli occhiali.
Poté praticamente sentire l'eco delle sue parole riverberare
nel vuoto della testa di Feliciano, all'assoluta mancanza di reazioni
da parte sua. Ovviamente, non aveva idea di che cosa stesse parlando.
“Presto sarà la tua tragedia, se
non smetti di farmi ombra.” aggiunse lei corrugando le
sopracciglia.
Capita l'antifona, Feliciano si spostò.
“Beh, uhm, perché non vieni lì con noi?
Ti suoniamo qualcosa?” chiese lui, tutto propositivo dopo un
attimo di iniziale incertezza.
Luise indicò il gruppo con un cenno del mento.
“Non credo sia una buona idea.”
Lavinia stava storcendo il collo nella loro direzione, mangiandosi le
mani perché non poteva lasciare da solo Antonio per andare a
trascinare indietro il fratello. Perfino un paio delle ragazze del
“pubblico” li stava guardando di soppiatto,
commentando qualcosa sottovoce.
Luise arrossì e distolse lo sguardo. “Che
pettegole.”
Feliciano scrollò le spalle. “Si accontenteranno
di Antonio, ve?” suggerì gentilmente,
accoccolandosi vicino a lei, le gambe che sfioravano le sue.
Imbracciò la chitarra, strimpellando qualche accordo per
accompagnare le sue parole, e subito attaccò a canticchiare
qualcosa di incomprensibile in spagnolo, ed a questo punto la mente di
Luise si scollegò. Non aveva idea di che cosa stesse dicesse
l'altro, ma non importava. A dirla tutta, non era nemmeno perfettamente
intonato, ma non avrebbe potuto interessarle di meno: a contare erano
solo i riflessi color miele nei suoi capelli bruni e quelle labbra
morbide che si muovevano al ritmo della musica.
Era bello, anche se era tutto spettinato, anche se il bordo della
camicia gli sfuggiva da sotto il gilet, tutto spiegazzato, anche se i
lacci delle sue All Stars pendevano inerti ai lati delle scarpe,
così lunghi che pareva incredibile che lui non vi
inciampasse ad ogni passo.
(Nel mentre, Lavinia stava scalpitando per andare a mangiarseli vivi,
trattenuta solo da una sapiente azione di disturbo messa in atto da
Julchen.)
Luise sentì un sospiro uscirle dalle labbra, e subito
tornò a nascondersi dietro Nietzsche. Feliciano non la stava
guardando, cantava ad occhi semichiusi, e lo sguardo di Luise
continuava ad essere calamitato nella sua direzione.
Era sempre così anche quando erano distanti, ma quando
Feliciano le stava seduto proprio a fianco l'attrazione gravitazionale
che quel viso esercitava sui suoi occhi era inutile da combattere,
prevedibile ed ineluttabile come ogni legge fisica.
“FELIIIIII~ Torna qui! Ci avevi promesso un'altra
canzone!” lo strillo di una delle groupie fece cadere
entrambi dalle nuvole. Feliciano si voltò subito, ma la
ragazza che lo aveva chiamato non stava guardando lui, aveva gli occhi
fissi su Luise. Non erano occhi gentili.
“Oh, certo! Arrivo!” fece lui sventolando una mano
nella direzione degli altri, e poi si voltò verso Luise.
“Vieni anche tu, dai!”
Rossa in faccia – mannaggia a questo sole primaverile ed alla
sua pelle chiara così incline alle scottature! - Luise si
alzò in tutta fretta, scuotendo la testa. Il prato era stato
davvero una pessima idea.
“Nein. Non penso di essere la benvenuta.”
“Ma Luise!” la implorò Feliciano
afferrandola per la gonna “Sei la mia migliore amica,
è chiaro che...”
Lei lo fulminò con lo sguardo. “Non. Toccare. La.
Mia. Gonna.” sibilò. Migliore amica, ja? Feliciano aveva
pronunciato le parole sbagliate. La bionda gli puntò contro
un indice accusatore: “Faresti meglio a tornare a studiare
algebra, perché sai benissimo che al tema non ti
farò copiare, verstanden?”
Detto questo, girò i tacchi e si avviò a passo
marziale verso il dormitorio, lasciando Feliciano a struggersi nello
sforzo di capire dove mai avesse sbagliato.
Poco distante, appoggiati al tronco di un altro albero, una coppia di
ragazzi dai capelli biondo cenere osservava in silenzio la situazione.
Lui – lo spilungone che Luise aveva soprannominato il
brucaliffo il primo giorno di scuola – fumava tranquillamente
la sua pipa, e dallo sguardo dei suoi occhi grigi si capiva come non
dovesse avere un'opinione particolarmente alta degli eventi a cui aveva
assistito.
Lei osservava un po' divertita e un po' scettica, piluccando di tanto
in tanto da una confezione di cioccolatini, un albo a fumetti aperto in
grembo.
“Certo che è un'ingiustizia.”
commentò la ragazza ad un tratto. Il fratello le
lanciò uno sguardo interrogativo, senza emettere un suono.
“Voglio dire, non vedi? I ragazzi più carini e
gentili finiscono sempre con delle bisbetiche possessive.”
commentò, gettando un'occhiata significativa verso Lavinia,
che aveva appena allungato uno scappellotto sulla nuca del fratello, e
per l'occasione anche ad Antonio.
“Quell'altra” andò avanti riferendosi a
Luise, che si era già eclissata “sarebbe anche una
tipa a posto, se solo smettesse di comportarsi da kapò nei
confronti di tutta la classe... ma l'italiana sa essere un vero
terrore, eh?”
Lavinia ora sedeva a gambe incrociate tra i due ragazzi, con un ramo
appoggiato alla spalla a mo' di fucile da guerra. Un po' inquietante
come visione, in effetti.
“Gli uomini si innamorano sempre di quelle
sbagliate.” sospirò la ragazza, infilandosi in
bocca un ennesimo cioccolatino.
“...mh.” fu tutto quello che il fratello seppe
produrre in risposta, tornando ad attingere fumo dalla sua pipa. La
cosa non lo disturbava più di tanto, in realtà,
anzi: quell'Antonio non gli era mai piaciuto.
Migliore amica, migliore
amica. Gliela dava lei la migliore amica!
Luise si chiuse la porta della stanza alle spalle e si sedette alla
scrivania sospirando. Appoggiata allo schienale della sedia, si
massaggiò le tempie con fare drammatico. Feliciano le dava
troppo da pensare, decisamente.
Da un lato, era chiaro come lui fosse il suo migliore amico. Luise non
aveva molte amicizie, a scuola, tolte Julchen e Sophia - ma una era sua
sorella e l'altra la sua compagna di stanza, per cui era ovvio che
fosse legata ad entrambe. Feliciano, invece, era un'altra questione.
Certo, non era molto esperta in fatto di amicizia, ma per quanto ne
sapeva questa doveva nascere tra persone affini, che condividevano gli
stessi interessi. Bastava prendere lei e Sophia: ascoltavano la stessa
musica, si erano prestate diversi libri, condividevano opinioni e
giudizi molto simili in merito alla gestione della scuola e alle
pessime abitudini di molti degli studenti.
Ma con Feliciano era differente. Innanzitutto, non avrebbe potuto
esistere persona più diversa da Luise: pigro e svogliato,
quando lei era una macchina da studio, rumoroso e troppo espansivo,
quando lei era silenziosa, riservata e decisamente poco incline al
contatto fisico. Le stava appiccicato quando gli faceva comodo e
contava su di lei per troppe cose, vero, eppure c'erano momenti in cui
tutta quella sua allegria le strappava un sorriso, momenti in cui,
quando lui non c'era o era triste, a lei tutti quei suoi sorrisoni ed
abbracci mancavano: non era brava a consolare le persone, Luise, lo
sapeva bene, ma con Feliciano sembrava riuscirci. Era... bello: il
fatto che lei potesse tornare a farlo sorridere se lui era depresso,
infatti, metteva di buonumore anche lei, la faceva sentire importante,
necessaria, desiderata.
Feliciano cercava la sua compagnia, il suo aiuto, i suoi sorrisi, ed
era la prima volta che questo le capitava. Per quel che ne sapeva,
poteva benissimo trattarsi di amicizia, ma... questo non bastava.
Se Luise sapeva poco dell'amicizia, era chiaro che sapeva anche meno
dell'innamoramento, e, in effetti, era confusa. C'erano una serie di
sintomi, di eventi che non sapeva qualificare. Quando lei e Feliciano
erano seduti vicini a lezione, ad esempio, e le loro mani si
avvicinavano per caso, la sua pelle formicolava per la tensione. Se poi
le dita si sfioravano a tradimento, riceveva una scossa che quasi la
faceva saltare sulla sedia.
Poi, di tanto in tanto, si ritrovava a guardarlo ed a pensare che fosse
carino. Non era atletico, non era alto, e a dirla tutta aveva spesso
un'espressione poco intelligente, soprattutto a lezione. Eppure lo
trovava bello, e non ci poteva fare niente.
Luise continuava a massaggiarsi le tempie, cercando di venire a capo di
quel puzzle, incapace di incastrare i pezzi che per metà si
trovavano nella sua testa e, per l'altra metà, nel suo cuore.
Era naturale che lo amasse perché era il suo amico
più caro, ma non bastava: mancava sempre una tessera, in
quel mosaico, ed era la stessa mancanza che sentiva quando sedevano
vicini, quel vuoto che rimaneva tra le loro mani, quel qualcosa di
più che lei desiderava ardentemente.
~*~
“Allora, Lieschen, mancano due giorni al ballo di fine
anno!”
Julchen atterrò sul divano con poca grazia ed
accavallò le sue magnifiche gambe sopra quelle della sorella.
Luise alzò gli occhi dal libro che la stava impegnando.
“Sì. E' segnato sul calendario
scolastico.” rispose telegrafica, prima di riabbassare lo
sguardo sulla sua lettura.
Julchen fu lesta a chiudere il libro con un'abile mossa del piede, e la
sorella sollevò su di lei uno sguardo esasperato. Sapeva che
avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa di simile, vista la festa che
incombeva, ma non aveva alcuna voglia di affrontare l'argomento.
“Kesesese, voglio sapere in quale modo buffo ed imbarazzante
Feliciano ti ha chiesto di essere la sua dama per il ballo... e voglio
sapere quale magnifico abito indosserai!” spiegò
Julchen con un sorrisone complice.
Luise arrossì. Per fortuna, la sala comune del dormitorio
era praticamente vuota, e le altre ragazze non sembravano fare caso a
loro.
“Non ho nulla da raccontarti.”
“Dai, sono la tua sorellona, a me lo puoi dire!”
“Non c'è niente da dire!”
sibilò Luise, dandole un'occhiataccia “Non sono
stata invitata da nessuno e quindi non indosserò nessun
abito perché al ballo non verrò, va bene? Punto.
Ora, se sei così gentile da togliere questo piede
da...”
“Eeeeeh?” Julchen si rizzò sul divano,
torreggiando sulla sorella minore ed afferrandola per le spalle.
“Ma è assurdo! D'accordo che è un
ritardatario nato, ma pensavo te l'avesse chiesto da tempo!”
Luise fece spallucce, riabbassando lo sguardo nel vano tentativo di
riprendere la lettura.
“Si sarà preso per tempo con una delle
innumerevoli ragazze con cui ci prova quotidianamente. Non mi stupirei
se ne avesse invitata più di una, anzi.”
commentò, con una certa amarezza nella voce.
Julchen si sedette, abbracciandosi le ginocchia e guardando la sorella
con aria pensosa. Gelosia, eh? Un sentimento di cui Julchen conosceva
bene l'odore.
“Kesesesese, credi davvero che Feliciano preferirebbe
qualcun'altra alla sorella della magnifica sottoscritta? Ma per favore,
Lieschen! Probabilmente l'hai spaventato e fatto scappare prima che lui
potesse parlarti.”
Luise roteò gli occhi. In effetti, le ultime settimane erano
state piuttosto pesanti, con tutti i test e gli esami di fine anno a
tenerli impegnati. Lei e Feliciano avevano studiato assieme, come
sempre, ma Luise era stata pronta ad azzittirlo tutte le volte che il
ragazzo deviava appena dal discorso “studio” per
parlare di qualcos'altro. Che questo qualcos'altro potesse davvero
essere l'invito al ballo, però... ah, impossibile.
“Assurdo. Ma l'hai visto? Quel ragazzo è un flirt
continuo. E come sei carina oggi di qua, e che bene che ti sta il nuovo
taglio di capelli di là... Invitare me? Come no. Sono sua amica, e
basta.”
Improvvisamente, Julchen assunse un'espressione seria.
“Ma a te così non sta bene, non è vero,
Lieschen?”
L'altra non alzò lo sguardo, ma il suo rossore
aumentò in maniera evidente.
“E' chiaro che lui ti piace, sono la tua magnifica sorellona,
lo so. Non posso leggere nella testa di Feliciano, ma se fossi in lui
non oserei invitare un'altra al ballo, se potessi chiedere a
te.”
“Beh, comunque non lo ha fatto, quindi non vedo
perché dovremmo discutere di...”
“Ehi.” Julchen le prese il mento tra le dita e la
fece voltare per guardarla negli occhi. “E' un uomo ma non ha
le palle di invitarti, ok? Cosa credi, se stai ad aspettare che siano
quelli a muovere il sedere e a venire a bussare alla porta, puoi stare
fresca. Una deve andare e prenderseli, ed è quello che farai
tu, verstanden?
Va' da lui e digli che ti porterà al ballo.”
Luise non batté ciglio. Tentava di mantenere un'espressione
glaciale, ma aveva le guance in fiamme.
“Non ha senso, Julchen!” Andare ad implorarlo di
portarla al ballo? Ma che discorsi erano? E se poi lui fosse
già stato impegnato...? Luise era troppo orgogliosa per
affrontare una prova simile e l'umiliazione che poteva conseguirne.
“E poi ci sono gli esami, non ho tempo da perdere dietro a
balli e compagnia bella!”
Le pupille di Julchen si assottigliarono.
“Tu non vuoi che qualcun'altra te lo porti via, Lieschen, da'
retta alla tua sorellona. E fidati che il ballo di quest'anno
sarà molto, ma molto più importante per te che
non tutti gli esami messi insieme. Considera questo libro requisito
fino a che non avrai l'invito al ballo, sorellina.” disse lei
gelida, prendendo il libro per sequestrarglielo.
Luise lo afferrò prima che lei potesse tirarglielo via.
“E tu con chi ci andrai al ballo, sorellona?”
Sapeva che Sophia era stata invitata da Gary, naturalmente, e, da
quello che Luise aveva dedotto riguardo al rapporto tra loro e Julchen,
la cosa sicuramente non faceva piacere a sua sorella.
La bocca di Julchen si piegò in un ghigno. “Ho
ancora una decina di inviti da esaminare, kesesese.” disse
annoiata, mentre si metteva a trafficare con il cellulare
“Non credo che ci sarà nessuno di abbastanza
magnifico da essere al mio livello, ma vedrò di
accontentarmi.”
Luise indurì lo sguardo. “Avrò il mio
invito quando tu avrai il tuo.” replicò secca.
Julchen emise un teatrale sospiro di esasperazione. “Ce l'ho,
l'invito, ce l'ho. Di... uh, come si chiama...” si
grattò la testa. “Beh, è di una persona
così poco magnifica che non mi ricordo nemmeno il nome,
kesesese!”
Luise inarcò un sopracciglio, scettica.
“Me l'ha raccomandato Francis, è un suo protetto o
una cosa del genere.” spiegò l'altra, gli occhi
sempre puntanti sul telefonino “Siccome io sono
magnificamente generosa, gli ho promesso di accompagnarlo al
ballo.”
“...va bene.” Luise era ancora dubbiosa, ma non
replicò ulteriormente.
“Ora che hai finito col tuo interrogatorio, Lieschen, voglio
vederti alzare questo tuo bel culetto e andare in biblioteca.”
“Biblioteca? Posso studiare anche qui...”
“Sei dura di comprendonio, eh? Il tuo principe azzurro
è in biblioteca a dormire sui libri.” disse
Julchen, mostrando alla sorella un sms di Antonio, arrivato in quel
momento esatto a rivelare la posizione di Feliciano. “Va' e
torna vincitrice.”
E così, Luise si ritrovò a dirigersi di gran
carriera verso la biblioteca. La fretta, beninteso, non era dovuta al
doversi procurare l'invito per il ballo, bensì al fatto che
Feliciano si concedesse pisolini fuori luogo in tempo di esami.
Gliel'avrebbe fatta passare lei, la voglia di dormire,
altroché.
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
[[E siamo arrivati al penutlimo capitolo! Questa storia è
stata aggiornata velocemente, sono sconvolta da me stessa, ahahah! Non
so che dire, se non che la parte finale verrà sperabilmente
pubblicata prima della fine di questa settimana. Buona lettura!]]
Personaggi in questo
capitolo: Luise, Feliciano, Sophia, Antonio, Francis,
Feliks
Prompt di questo
capitolo: strategia
Beta: Yuki
Delleran
Fuori dalla biblioteca, Luise fissava la pesante porta di legno che ne
costituiva l'ingresso. C'era un'aria di sfida nei suoi occhi azzurri, e
le mani erano strette a pugno. Il fallimento non era contemplato,
decisamente no.
Tuttavia, non sapeva come agire; le serviva una strategia, un piano
d'azione. Rimuginò e rimuginò, sola davanti alla
porta della biblioteca, e alla fine decise per un attacco a sorpresa.
Entro, lo sveglio, lo sgrido e gli impongo di venire al ballo con me:
sarà troppo spaventato per rifiutare!, decise alla fine.
Inutile specificare che Luise non guardava molti film romantici, anzi:
di romantico conosceva solo la definizione del dizionario, e comunque
non l'aveva mai capita fino in fondo.
Dentro la biblioteca, nel frattempo, Feliciano non stava dormendo. Non
si era appisolato nemmeno un momento, a dire il vero: quando Antonio lo
aveva visto con la testa tra le braccia conserte sul tavolo, infatti,
non stava dormendo, ma pensando.
Mancavano due giorni al ballo ed ancora non aveva avuto la risposta
all'invito che aveva mandato alla ragazza che avrebbe voluto lo
accompagnasse. Erano passati una quindicina di giorni da quando le
aveva scritto, pregandola di rispondergli entro la settimana seguente,
ma la risposta non era ancora arrivata. Che cosa doveva fare? Riuscire
a parlare del ballo era stato impossibile, in questi ultimi giorni, tra
studio ed esami. Forse avrebbe dovuto scriverle nuovamente? Ma che cosa?
Feliciano si mordicchiò nuovamente l'unghia del pollice
sinistro, mentre con l'altra mano scribacchiava l'ennesimo foglio di
quaderno.
Chino sui suoi fogli tutti cancellati, Feliciano tornò a
nascondere la testa fra le braccia. Un'idea, gli serviva un'idea!
“Svegliati, ignavo che non sei altro!”
Feliciano tirò su la testa di scatto. “N-non stavo
dormendo, lo giuro! Mi stavo concentrando!”
Luise inarcò un sopracciglio in segno di rimprovero. Che
scusa penosa.
“Davvero. Beh, fa' un po' vedere.” con decisione,
allungò una mano sul tavolo e prese il primo foglio che le
capitò, senza che Feliciano potesse fare nulla per impedirlo.
Tra la scrittura non proprio ordinata del ragazzo e le varie
cancellature e righe tirate sopra le parole, era piuttosto arduo capire
cosa ci fosse scritto, ma dalle due o tre cose leggibili che si
intravvedevano la bionda fu in grado di capire che si trattava di un
invito al ballo.
Mentre posava il foglio sul tavolo scoccò a Feliciano
un'occhiata che lo congelò sulla sedia.
“Hai invitato qualcuna al ballo di fine anno, vero?”
Il ragazzo deglutì a vuoto, guardandola quasi con terrore.
“U-uhm, sì, in effetti sì.”
“Davvero.” gli occhi di Luise erano ridotti a due
fessure “E qual è stata la risposta?”
“N-non c'è stata una risposta... o meglio... non
ancora.” Feliciano annaspò, non sapendo che dire.
“E' un no, quindi, te lo dico io.”
Feliciano la guardò smarrito. Un no? Al suo invito?
“...u-un no, dici? La risposta al mio invito è
no?”
Luise assottigliò gli occhi.
“Un bel no.” rispose severa. Qualsiasi fosse stata
la ragazza a cui Feliciano aveva chiesto di fare da cavaliere, beh, se
non aveva ancora risposto arrivava tardi.
Feliciano levò su di lei due occhi affranti e tristi.
“A-allora non ci voglio più andare, al ballo, se
lei non viene con me.” replicò, deglutendo a
fatica.
Luise fece tanto d'occhi. Non si era aspettata una risposta simile: nel
suo piano, Feliciano era felice di essere libero proprio per venirci
con lei, al ballo. Nella sua strategia, non era decisamente contemplato
che il ragazzo reagisse così.
“Con nessun'altra?” fece eco Luise, presa in
contropiede.
“Con nessun'altra.” ripeté lui
debolmente, distogliendo lo sguardo, ferito.
Luise arretrò di un passo. Avrebbe voluto conoscere il nome
di questa ragazza – chi era, perché Feliciano
dimenticasse tutte le altre, perché dimenticasse perfino
lei?! Era troppo orgogliosa per chiederglielo, però.
“Ho capito.”
Fece un altro passo indietro. L'altro non la stava più
guardando. Silenziosa, si voltò e se ne andò.
Con un sospiro sconsolato, Feliciano tornò a poggiare la
testa tra le braccia.
Luise non si curò di tornare nella sala comune per
raccontare alla sorella l'esito fallimentare della missione. Si
rifugiò in camera sua, invece, dove si sedette alla
scrivania e cominciò a ripetere a memoria date e formule,
indistintamente, per digerire la delusione. Non si curò
nemmeno di scendere a cena, e quando Sophia rientrò in
stanza, piuttosto tardi, era ancora seduta alla scrivania a ripetere a
memoria.
La bruna si spogliò in silenzio per non disturbarla nel
ripasso, spazzolandosi i lunghi capelli scuri con aria pensosa.
Finalmente, Luise terminò l'argomento che stava studiando e
fece una piccola pausa per riordinare i fogli di appunti sulla
scrivania.
“Allora...” Sophia si stava spazzolando una ciocca
di capelli con particolare cura “...tu e Feliciano avete
parlato dell'invito al ballo?”
Luise si voltò verso di lei con un'espressione stralunata.
Come faceva a saperlo, Sophia? Certo non glielo aveva detto Julchen!
Era così evidente che fosse cotta di Feliciano?
“Nessuno di noi due ci andrà.” rispose
secca.
Sophia la guardò con le sopracciglia sollevate, dubbiosa, ma
non disse nulla, limitandosi a togliersi gli occhiali ed a pulirli
attentamente con il fazzoletto apposito. Luise ringraziò
mentalmente la compagna di stanza per la sua riservatezza (se fosse
stata al suo posto, Julchen le sarebbe saltata addosso per estorcerle
delle spiegazioni con la violenza) e considerò
fortunatamente chiusa la questione. Il tutto faceva già
abbastanza male anche senza doverlo spiegare a Sophia.
Luise si alzò per spogliarsi ed infilare la camicia da notte.
“Non nascondo come la cosa mi stupisca,
però.”
Svestita per metà, Luise si voltò indietro con un
malcelato sospiro.
“Io... credo che tutti qui abbiano frainteso.” Oh,
sì. Luise stessa aveva frainteso, evidentemente.
“Per Feliciano sono solo un'amica e lui non mi ha mai
invitata al ballo, capito? Quindi...”
Ma Sophia non la stava ascoltando. Si era alzata e si era messa a
frugare in un cassetto. Siccome gli occhiali erano già stati
ripuliti per bene ed erano quindi stati lasciati intatti sul suo
comodino, ci vedeva poco, alla luce della lampada da tavolo.
“Quel ragazzo è uno sbadato. Prima sembrava fuori
di testa, all'idea che non avessi ancora risposto al suo invito al
ballo, ma scommetto che ha finito col dimenticarsi di fartelo
notare.” stava commentando, mentre strizzava gli occhi nella
difficoltosa ricerca.
“No, non hai capito.” Luise si sedette sul letto
con un sospiro. Non aveva idea di che cosa stesse cercando Sophia, e
francamente, in quel momento, non avrebbe potuto interessarle di meno.
“Ascolta, possiamo andare a letto? Al momento non sono in
vena di spiegazioni... L'invito di Feliciano non era per me.”
Sophia stava ora guardando controluce un foglietto tutto spiegazzato, e
senza dire niente si voltò a porgerglielo.
“Sono piuttosto sicura che sia questo. Quando me lo sono
ritrovata tra i piedi pensavo si trattasse di uno dei soliti scherzi di
cattivo gusto della signorina Vargas.”
Luise prese il pezzo di carta senza dire niente; sopra c'era scritto,
con il tratto grossolano di uno spesso pennarello nero: “diventa
purè, patata lessa che non sei altro”,
firmato L. Vargas. Ben gentile da parte sua, pensò Luise,
troppo depressa per prendersela.
“Io non ci vedo granché, ma se provi a guardarlo
in controluce c'è un'altra scritta sotto. Controlla che non
sia il tuo invito al ballo.” disse semplicemente Sophia,
infilandosi sotto le lenzuola.
“Sì, come no!” sbottò Luise,
ma in effetti c'erano delle parole scritte a penna, sotto la minaccia
di “pureizzazione” che ricopriva la superficie del
foglietto. Non certo curiosa di scoprire che cosa ancora le augurasse
la sorella di Feliciano, Luise tenne comunque la carta tirata fra le
dita davanti all'abat-jour del suo comodino.
Con sua grande sorpresa, quella che comparve controluce era davvero la
calligrafia di Feliciano! L'operazione di disturbo di Lavinia era stata
compiuta ad opera d'arte e il testo risultava in gran parte
illeggibile, ma tra le gambe delle lettere a pennarello si
distinguevano alcune frasi, tra cui: “...onorato di andare al ballo
con te...”, “Staresti benissimo vestita di
blu.” ed un ultimo: “...rispondimi entro una
settimana, grazie. Feli~”.
“Quando l'hai trovato questo?”
“Un paio di settimane fa, mi pare.” fu la risposta
che venne da sotto il cuscino dell'altro letto.
“Non ti sembrava il caso di farmelo avere?”
“Non te l'ho fatto vedere perché mi sembrava
irrilevante, di per sé. Te l'ho detto, credevo fosse uno di
soliti sfoghi infantili della Vargas, ma l'ho tenuto perché
avrebbe potuto essere usato come prova contro di lei, nel caso fosse
passata alle vie di fatto, sai. Poi oggi Feliciano è venuto
da me con aria impensierita, mi ha chiesto se sapessi qualcosa del suo
invito, se per caso non l'avessi ricevuto, ma io gli ho detto che non
ne sapevo nulla. Poi però mi è tornato in mente
questo.”
Luise chiuse la mano a pugno. Un invito di cui Feliciano aspettava
ancora la risposta... e la risposta era no, senza dubbio, gli aveva
detto Luise per fargli capire che se la ragazza lo aveva ignorato non
poteva certo essere interessata.
Ma quella ragazza era lei, e quello che Sophia aveva scambiato per un
foglietto pieno di insulti era proprio l'invito, probabilmente
manomesso da Lavinia nell'intento di sabotare il fratello.
...aveva appena rifiutato l'invito del ragazzo che le piaceva per uno
stupidissimo fraintendimento.
Prese il cellulare e chiamò Feliciano, ma niente: il suo
telefono era spento. Ma come, non lo aveva lasciato acceso nel caso lei
cambiasse idea? Si era addormentato come se nulla fosse? Cretino.
“Esco.” disse allora mettendosi un paio di scarpe
da ginnastica e fiondandosi alla porta.
“Luise Weilschmidt.” la bionda, sulla soglia, si
voltò indietro. Sotto i capelli leggermente arruffati,
Sophia la stava guardando con aria di rimprovero. “Capisco la
tua - peraltro ben riposta - fiducia nelle tue natiche, ma ritengo
sconsiderato andare in giro la notte lasciando i pantaloni sulla sedia
della scrivania, non credi?”
Luise sbuffò. In effetti, lo credeva anche lei. Se li
infilò in tutta fretta e sparì nel corridoio.
Ricomparve solo un paio di minuti più tardi di fronte al
dormitorio maschile. Non poteva entrare, lo sapeva bene, e comunque la
porta d'ingresso era dall'altra parte dell'edificio. Fortunatamente, la
stanza di Feliciano era al primo piano, ed al momento era anche
illuminata, così Luise non rischiava di sbagliare mira.
Presa una manciata di ghiaino da terra, la lanciò senza
esitazioni. La luce proveniente dalla finestra venne oscurata per un
attimo dall'ombra di qualcuno che si muoveva nella stanza, poi questo
qualcuno si sporse dal davanzale. Non si trattava di Feliciano,
però.
“Cioè, ma i vetri così si rompono,
tipo! Chi... Luise?” il biondino comparso nella cornice della
finestra la osservò da sotto un'elaborata acconciatura di
forcine e nastri rosa.
Feliks, il compagno di stanza di Feliciano. Probabilmente uno degli
studenti più strani dell'intera accademia - il che
significava davvero essere strani forti, vista la concorrenza.
“Mi serve Feliciano.” fece lei, senza urlare a voce
abbastanza alta da essere udita.
“Uhm... devo dirgli che è, tipo, un appuntamento
romantico?” fece lui giocherellando pensieroso con una ciocca
di capelli “No perché sai, lui ci tiene a fare
bella figura in queste cose, tipo, e insomma l'ultima volta che l'ho
visto era un po' giù, cioè, quindi...”
“Non è in stanza?” lo interruppe lei.
“Uh, no, tipo...”
“Lo puoi andare a chiamare... bitte?”
chiese lei con quello che era tutto fuorché un tono da
richiesta gentile.
Feliks sobbalzò. “Sì, tipo, okay, okay.
Torno subito. Niente sassi finché non torno,
però, tipo, chiaro?” si raccomandò lui,
prima di sparire di nuovo nella stanza.
“E digli di sbrigarsi!” gli urlò dietro
lei, nervosa.
Nel frattempo, del povero Feliciano si stavano prendendo cura Francis
ed Antonio, ascoltando con pazienza gli sfoghi di dolore del piccolo
italiano dal cuore spezzato, che si era visto rifiutare dalla sua bella.
Spiegava loro come la sua strategia iniziale – un bigliettino
scritto a mano, che lui aveva affidato alla sorella affinché
lei lo facesse scivolare nottetempo sotto la porta della stanza di
Luise – sembrasse essere fallita miseramente: il biglietto
richiedeva risposta entro una settimana, ma ne erano passate
più di due e, nonostante lui avesse visto Luise praticamente
ogni giorno, lei non aveva mai accennato all'argomento. Feliciano aveva
tentato di introdurlo, eccome, ma ogni discorso che non riguardasse il
ripasso sulle materie d'esame era tabù per Luise, negli
ultimi tempi.
“All'inizio... all'inizio pensavo anche che l'invito non le
fosse arrivato, capito? Ma Lavinia mi ha garantito che l'aveva messo
sotto la porta, ve, anche se me l'ha detto con un sorrisetto un po'
malefico... e beh, insomma, ero lì che pensavo a come
scoprire se sarebbe venuta o no, quando ecco che lei entra, mi chiede
se ho invitato qualcuna al ballo, e io le dico di sì, e che
però non ho ricevuto una risposta, e lei mi dice che allora
vuol dire che è un no, e allora le rispondo che io non
voglio andare al ballo con nessun'altra se la ragazza che ho invitato
non accetta di venire con me, e allora lei se ne va, e...”
Feliciano si ficcò in bocca un'altra cucchiaiata di crema al
cioccolato per combattere le lacrime.
“Mon ami,
questa storia è très
triste... ma succede, con le ragazze. Non vuol dire che
non le piaci, però... magari si vergogna solo del ballo in
sé! Non vuole metterti in imbarazzo facendoti andare in giro
con un tronco di legno.” disse Francis, scompigliandogli i
capelli con aria paterna. Conoscendo Luise, poteva scommettere che la
ragazza era tutto fuorché avvezza alle feste o agli eventi
sociali.
“Ci vuole pazienza, amigo.
La prima volta che ho invitato tua sorella al ballo mi ha rovesciato in
testa un catino di acqua gelida, ahah! Fortuna che era estate,
ahahahah! Peccato che però mi abbia rovinato la chitarra con
cui le stavo cantando la serenata. Ma come vedi ora tra noi va tutto a
gonfie vele!” fece Antonio con fare incoraggiante.
Feliciano sollevò su di lui uno sguardo affranto.
“Ma ora che dovrei fare, ve? Se non voleva venire al ballo
poteva dirmelo, avremmo trovato un'alternativa, io vorrei
solo...”
La voce lamentosa del ragazzo venne interrotta da un isterico bussare
alla porta.
“Tipo, c'è Feliciano qui, sì? Deve tipo
sbrigarsi a uscire.” fece Feliks, aprendo la porta senza
aspettare nessun invito. “C'è Luise, qua sotto, e
tipo, vuole che scendi. Cioè, in fretta.”
Feliciano si guardò attorno ansioso, come in cerca di
approvazione. Gli altri due lo guardarono incoraggianti, pollici in su.
Il ragazzo deglutì sonoramente, poi si alzò ed
uscì ad affrontare il suo destino.
Gli altri aspettarono di vederlo sparire in fondo alle scale, e poi si
precipitarono ad una delle finestre del corridoio per spiare gli
avvenimenti.
Feliciano si avvicinò a Luise con una certa cautela. Non era
sicuro delle intenzioni della ragazza e, se da un lato sperava che
questa fosse venuta per comunicargli che aveva cambiato idea,
dall'altra temeva una ramanzina per aver osato troppo con l'invitarla.
Quando si avvicinò, comunque, notò che Luise
sembrava nervosa. Continuava a stropicciare una cosa che aveva tra le
mani e si guardava intorno con fare impaziente.
“...'sera!” fece Feliciano, timido.
“Oh, alla buon'ora. Senti un po'...” il tono brusco
con cui lei gli si rivolse gli fece fare un salto dalla paura, ma
quando lei gli si avvicinò si limitò a tendergli
una mano per mostrargli una cosa. Il ragazzo la prese: era un foglietto.
“Questo sarebbe... il tuo invito per me al ballo di fine
anno, vero?”
Feliciano aprì il foglietto e fissò stupito la
grossa scritta che vi campeggiava sopra al posto della sua calligrafia.
Si affrettò ad avvicinarsi ad un lampione per esaminare il
foglio alla luce.
“Ve... sì, direi che è questo. Era un
po' diverso quando te l'ho mandato, però... Non
capisco...” rispose, corrucciato.
“Feliciano!” Luise lo aveva seguito sotto il
lampione, mani puntate sui fianchi e sguardo severo negli occhi.
“Tu hai fatto recapitare a me un invito simile da tua
sorella. Come ti è venuto in mente?!”
Feliciano si schiarì la gola, nervoso. Aveva commesso un
errore imperdonabile.
“V-ve... io... io non sapevo a chi altri darlo,
non...”
Luise lo azzittì con un ringhio.
“Quell'invito” sibilò puntando un indice
accusatore contro l'oggetto del delitto “Sophia l'ha
interpretato come una minaccia di morte da parte di Lavinia! Io ero
preoccupata!” continuò lei, le guance ora
lievemente rosse – dalla rabbia, presumeva Feliciano.
“T-ti eri spaventata per quello che ci aveva scritto
Lavinia?” chiese lui innocentemente. In effetti non era
carino invitare qualcuno a diventare purè, sua sorella era
sempre così perfida.
“NEIN!”
Luise ruggì, incombendo su di lui. “Mi ero
preoccupata perché il tuo invito non mi era arrivato! Non
l'avevo ricevuto! E quando sono venuta in biblioteca, prima, ho
creduto... ho creduto che avessi invitato qualcun'altra!”
Feliciano la osservò diventare sempre più rossa,
vagamente affascinato dal fenomeno. Rimase a guardarla, incurante del
suo imbarazzo, pensando solo che era carina, vestita in tuta da
ginnastica, con gli occhiali da studio inforcati sul naso e i capelli
leggermente arruffati.
Poi, pian piano, una vaga comprensione cominciò ad
insinuarsi nella sua mente.
“...oh. Per questo non mi avevi risposto, vero? Non avevi
capito che era un invito e non l'avevi letto!” Feliciano
batté il pugno sul palmo dell'altra mano, improvvisamente
illuminato. “Ho provato a chiedertelo, se l'avevi trovato, ma
tutte le volte che tentavo di parlartene ti arrabbiavi
perché non volevi essere distratta dallo studio!”
fece lui raggiante.
Luise si ravviò i capelli all'indietro, imbarazzata.
Dopotutto, Julchen ci aveva visto giusto, sul punto.
“Uhm, j-ja...
beh, con gli esami e tutto il resto...”
“E quindi quando mi hai detto che la risposta era no... ehi!
Perché mi hai detto che era no, se non sapevi
dell'invito?” chiese lui, confuso.
Luise si sentì avvampare. Ma insomma, doveva spiegargli
tutto per filo e per segno, non ci arrivava?
“Avevo capito che l'invito era stato mandato a qualcun'altra.
Se non avevi ricevuto risposta... insomma, volevo convincerti che lei
non sarebbe venuta al ballo con te, capito?”
“Ma io non avevo invitato nessun'altra, al ballo,
Luise!” rispose lui candido.
“ADESSO LO SO!” fece lei con un moto di
esasperazione. “Ma prima non ne avevo idea! Con tutte le
ragazze che ti girano intorno, come facevo a sapere se...”
“Luise!” Feliciano la interruppe con
un'esclamazione di stupore. “Ma sei gelosa?”
chiese, quasi incredulo, e poi scoppiò a ridere. La sua
espressione beatamente felice non poté essere guastata
nemmeno dall'occhiata omicida che lei gli aveva lanciato.
“...va bene. Vediamo di chiudere questa storia una volta per
tutte.” borbottò la ragazza, quasi soffocando per
l'imbarazzo. Con un gesto improvviso, chiuse le mani di lui in una
presa ferrea, così ferrea che a Feliciano si
mozzò la risata in gola.
“Feliciano Vargas!” tuonò lei
“Vuoi venire al ballo con me?”
Lui la guardò con due occhi enormi, troppo sorpreso per
rispondere.
“Ja oder nein?!”
intimò lei.
“JA!” Feliciano si affrettò a
rispondere, quasi spaventato, e poi riprese a ridere. “Luise,
Luise! Te l'ho detto che non ci sarei andato con nessun'altra,
no?”
Lei aveva chinato la testa, rossa per l'imbarazzo.
Divertito ed intenerito allo stesso tempo, Feliciano le strinse le mani
e l'attirò verso di sé.
“Sono felice che tu me l'abbia chiesto.” ammise.
“Beh.. bene. Ma... n-non te lo sto chiedendo da... da
migliore amica, verstanden?”
rispose lei, i suoi occhi azzurri che evitavano quelli castani del
ragazzo come meglio potevano.
“Oh... oh.” lui arrossì fino alle
orecchie, ma il suo sorriso si fece solo più raggiante.
“Verstanden,
sissignora!”
Feliciano era uscito scalzo, e se ne ricordò solo quando
dovette alzarsi in punta di piedi per baciarla sulle labbra.
“Il ragazzino ci sa fare.” commentò
Antonio, con un sorrisone sulle labbra.
“Oui,
oui, anche
se ha ancora molto da imparare~” commentò Francis
con espressione maliziosa.
“Certo che, tipo, Luise ha bisogno di qualche lezione di
femminilità, cioè... O almeno di qualche forcina
per capelli con gli strass.”
“Se hai il coraggio di andare da lei ed offrirle un corso
accelerato ti offro da bere fino alla fine dell'anno scolastico, amigo.”
“...l'anno finisce tra tipo due giorni, Antonio. Non credo
che il gioco valga la candela, tipo.”
Rimasero in silenzio per un po', finché Feliks non
sbadigliò.
“Credo che tipo, andrò a letto. Cioè,
quei due non si staccano più, tipo.”
Gli altri concordarono. C'erano esami, l'indomani!
Così, sgombrarono il corridoio, e finalmente lasciarono in
pace Luise e Feliciano, soli sotto la fioca luce dei lampioni.
–––––––––
Bitte: per
favore
Ja oder nein?!:
Sì o no?!
|
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
[[E siamo alla fine! Il fatto che abbia pubblicato tutti e sette i
capitoli in meno di un mese è senz'altro uno dei segni
dell'apocalisse imminente... non si ripeterà mai
più, mi sa.
Anche se per ora questa storia vi saluta qui, non escludo che ci si
riveda più avanti con gli stessi personaggi,
perché non mi dispiacerebbe scrivere un seguito,
tempo ed ispirazione permettendo - anche se per adesso ho altro da
pubblicare e da scrivere (*coff* la tesi *coff*)
Grazie per aver letto ed avermi seguita fin qui! :D
Myst~]]
Personaggi in questo
capitolo: Luise, Julchen, Feliciano, Francis, Antonio,
Lavinia, Matthew, Gary, Sophia, Feliks, Alice, Alfred, Toris
Beta: Yuki
Delleran la super-donna *_* <33333
Luise spese la mattina seguente a tentare di concentrarsi
disperatamente sul foglio del test che aveva davanti. Il fatto che
qualcuno, nella sua testa, avesse selezionato la scena del bacio tra
lei e Feliciano e l'avesse lasciata su “repeat”,
però, non la aiutava affatto.
Ogni tanto lanciava delle occhiate al ragazzo, per controllare che
stesse facendo attenzione al tema, ma era difficile capire che cosa gli
passasse per la testa: mordicchiava la penna, con la sua solita
espressione che, in un primo momento, Luise aveva interpretato come
ebete, ed adesso... beh, sì. Sembrava perso nei propri
pensieri.
Riportò la sua attenzione al foglio che la aspettava sul
banco, con un sospiro – ma stranamente, non era un sospiro
esasperato. O almeno, non solo.
Da un lato, avrebbe volentieri buttato all'aria il banco, afferrato
Feliciano per mano e sarebbe scappata di corsa in giardino, a godersi
assieme a lui la bellissima giornata di inizio estate... dall'altro
lato, provava l'intenso desiderio di sbattere la testa sul banco e
tornare alla realtà. Era nel bel mezzo di un esame! Non
poteva mettersi a fantasticare di... di certe cose come una
babbea qualsiasi!
Tornò a guardare Feliciano, ma la cosa non le fu d'aiuto,
perché anche il ragazzo la stava guardando. Quando vide
Luise voltarsi verso di lui, le rivolse il sorriso più dolce
del mondo, facendola arrossire fino alla punta dei capelli.
L'esame di quel giorno non andò come Luise aveva previsto,
ma, sempre contro ogni previsione, a lei non importò un
granché.
~*~
E poi, arrivò la festa di fine anno.
Luise fece il suo ingresso nella palestra – per l'occasione
travestita a gran sala da ballo – che era già
rossa fin sulla punta del naso. Accanto a lei, Feliciano camminava come
danzando in punta di piedi: era così contento che sembrava
più alto di almeno una decina di centimetri. Ogni tanto si
voltava verso Luise con un'espressione quasi incredula: davvero era
lì con lei, quella sera?
Nonostante la bionda si liberasse dalla sua presa tutte le volte che
lui tentava di tenerla per mano, il suo essere così
reticente non rovinava la felicità del suo ragazzo, che
continuava ad ammirare quella bellezza vestita di celeste che gli
camminava a fianco, anche se in maniera un po' rigida.
Luise non era a suo agio, in effetti. Un po' era colpa dell'ambiente:
feste e balli? Francis aveva ragione, su questo: erano tutto
fuorché il suo ambiente naturale.
Però Francis non solo ci aveva visto giusto nel giudicare il
rapporto tra la ragazza e la mondanità, ma era anche stato
chiamato a porvi rimedio: Julchen aveva decretato che non c'era persona
più adatta di lui a consigliare Luise al meglio su cosa
indossare per la sera.
Trascinare Luise fino al centro commerciale più vicino si
era rivelato un compito arduo, come previsto, ma la sorella sapeva
esattamente quale carta giocare.
“Dobbiamo andare a fare shopping, Luise.”
“Shopping? E con quali soldi?” le aveva risposto
lei, conscia che il contenuto del suo portafoglio non sarebbe mai
bastato all'acquisto di un abito da sera.
“Hai la carta di credito di Vati, lo
so.”
L'aveva Luise perché Vati
mai si sarebbe fidato a lasciarla alla sorella maggiore, naturalmente.
“Ja.
Serve per le emergenze, lo sai bene.”
“Lieschen.” Julchen le aveva regalato il
più perfido dei sorrisi, mentre apriva uno dei suoi
cassetti. “Ma il tuo guardaroba è
un'emergenza.” le aveva detto gentilmente. E l'altra non
aveva saputo cosa rispondere.
Alla fine, Luise si era trovata incastrata in un camerino con Julchen e
Francis che le passavano montagne di abiti e valanghe di accessori.
(Antonio non era della partita perché, naturalmente, se lui
lo fosse stato, avrebbe dovuto esserlo anche Lavinia, e gli scenari
apocalittici che una cosa del genere poteva comportare avrebbero fatto
inorridire chiunque.)
Prova dopo prova, era il biondo quello che sembrava prenderci
più gusto.
“Ehi” disse ad un certo punto, quando Luise era
appena scomparsa all'interno del camerino dopo essersi mostrata in un
abito rosso che aveva scollature in posti impensabili – che
però si notavano poco perché lei era diventata
dello stesso colore del vestito – dando di gomito a Julchen
“fammi sapere se per caso la sorellina cambia idea da qui a
domani a proposito del suo cavaliere per il ballo... sai, sarei lieto
di fare da rimpiazzo~”
“Francis, io ti conosco bene, e so che sei un bravo
ragazzo... ma so anche che non fai nulla per dimostrarlo. Quindi,
no.” fu la semplice risposta di lei, e Francis se era rimasto
zitto.
Luise aveva combattuto contro strascichi di paillettes e tacchi a
spillo vertiginosi, riuscendo infine a cavarsela con un abito azzurro
senza troppi fronzoli, accollato ma che lasciava generosamente scoperta
la schiena, e delle scarpe in tinta con un tacco minimo: non sembravano
trampoli, ma erano abbastanza per darle quel piccolo tocco di slancio
alle gambe così che Feliciano potesse passare tutta la sera
a sbirciarle con adorazione.
Erano anche abbastanza per farla muovere come un automa, con il timore
di mettere un piede in fallo ad ogni passo: così agghindata,
inciampare e cadere rovinosamente a terra non era esattamente nei suoi
piani.
Alla festa, invece, c'era qualcuno che avrebbe assai gradito vederla
scivolare – anzi, dall'intensità con cui la stava
fissando, si sarebbe detto che Lavinia fosse concentrata nello sforzo
di farle rompere un tacco con la sola forza del pensiero.
Fasciata in un abito color sabbia dal taglio diritto, la gonna che
arrivava poco sotto le ginocchia, si stava strattonando con aria
nervosa il piccolo rubino che portava al collo. Il suo piano era
miseramente fallito ed ora suo fratello si portava appresso
quell'albero di patate dall'accento teteshco.
...lo sapeva, lo sapeva che le patate non crescevano sugli alberi, ma
dannazione!, se fossero cresciute sugli alberi, quelle piante sarebbero
state tutte uguali a Luise, ne era certa.
“Il tuo fratellino sembra molto contento, Lavi!”
commentò Antonio, arrivando raggiante nel suo completo scuro
e portando in mano due cocktail analcolici.
“Come no!” ringhiò lei, strappandogli di
mano il bicchiere “Quell'idiota non capisce che
c'è un cuore perfido, dietro quella quarta di reggiseno. Lo
scoprirà, oh se lo scoprirà!” fece
mostrando i denti “E poi verrà a lamentarsi dalla
sottoscritta, come sempre. Ma io glielo avevo detto, e col cazzo che lo
consolerò, capito!?” sventolò un pugno
nella direzione della coppietta, con l'unico risultato di versarsi
qualche goccia di cocktail nella scollatura.
“Oh, sta' attenta a non sporcarti!”
esclamò Antonio mentre si affrettava a tirare fuori un
fazzoletto.
“Che cavolo credi di fare?! Giù le
mani!” abbaiò lei, strappandogli il fazzoletto
dalle mani con malagrazia e asciugandosi da sola.
Antonio la lasciò fare, limitandosi ad osservarla mentre
asciugava le gocce di liquido colorato.
“Sei così bella, stasera!” disse dopo
qualche istante, con un sorriso sincero e spensierato.
Lavinia sbuffò, incrociando le braccia sul petto.
“E' già la nona o la decima volta che me lo dici,
e la festa è appena iniziata! Vedi di cambiare solfa,
perché ne ho le palle piene.” avvertì,
girandosi per nascondere il rossore che le copriva le guance.
“Sempre magnificamente innamorata e dolce, ja?!”
cinguettò Julchen mentre faceva la sua magnifica apparizione
tra i due. Indossava un abito lungo color viola scuro, in forte
contrasto con la sua carnagione diafana, su cui risaltava appena la
collana di perle che le ornava il collo. Al contrario della sorella, si
muoveva perfettamente a suo agio con i tacchi e con le gonne, e per
dare dimostrazione della sua agilità si sedette con garbo
sul tavolo del rinfresco.
Lavinia le gettò uno sguardo di fuoco, mentre Antonio la
accoglieva con una risata leggera.
“Oh, Lavinia è solo un po' preoccupata per
Feliciano~ Eh, questi fratelli minori...” rise, sorseggiando
il suo cocktail.
Julchen esibì la sua candida dentatura in uno dei suoi
ghigni più smaglianti.
“Tutta questa acidità ti rende sempre meno
magnifica, tesoro. La vuoi una fetta di torta, per addolcirti un po'
quella tua boccaccia?” fece, piazzandole in mano il piatto di
dolce al cioccolato già mezzo mangiato.
Lavinia sbuffò e si allontanò a grandi passi per
cestinarlo.
Antonio assisté alla scena con un sorriso beato, abituato
agli scambi amorevoli tra le due ragazze. In realtà, nessuna
delle due voleva male all'altra, anzi; in un certo senso, si poteva
dire che fossero amiche. All'improvviso, però, si rese conto
che sprecare così una fetta di torta era davvero un peccato
troppo grande, e si affrettò a seguire Lavinia.
“Alors,
come va, mia cara?” Francis indossava una camicia dai colori
pastello, i suoi capelli biondi splendevano più che mai e,
forse, aveva esagerato un poco col profumo.
“Come va a te, Francis. Credevo ti fossi già
imboscato da qualche parte con la tua bella di stasera. Che ci fai da
solo?” rispose Julchen addentando uno stuzzicadenti su cui
erano infilzate delle olive.
“Mh, è andata a incipriarsi il naso.”
rispose lui facendole l'occhiolino.
“Non è abbastanza magnifica da essere degna della
tua compagnia se non si rifà il trucco ogni mezz'ora, eh?
Kesesesese, non troverai mai quella giusta, Francis.”
commentò l'amica, lanciando a casaccio lo stuzzicadenti
dietro di lei.
Francis si limitò a sorridere, portando l'attenzione sulla
folla che gremiva il resto della sala. I suoi occhi celesti finirono
inevitabilmente per cadere su una coppia bionda in un angolo. Lei era
la ragazza che Luise aveva quasi fatto ustionare con il tè
urtandola il primo giorno di scuola, i capelli sempre acconciati in due
lunghe code, lui era ragazzo alto, occhiali, ciuffo leggermente fuori
posto – quel disordine appena accennato che, tutto sommato,
faceva figo. Lei sembrava infastidita per qualcosa, e lui sembrava
trovarlo divertente.
“Non credo che guardarli serva a molto, sai?” fece
notare Antonio, ricomparendo accanto a loro con quel che rimaneva della
torta.
Francis sospirò, sempre sorridendo.
Lui, il ragazzo la cui lista di conquiste femminili (e non solo)
corrispondeva praticamente all'elenco degli studenti iscritti
all'accademia, si era sempre visto respingere dalla biondina di origini
britanniche, che sembrava invece preferire lo statunitense doc con cui
si trovava al ballo quella sera.
“...ha indossato delle scarpe da ginnastica con il completo.
Che mancanza di stile.” fece Francis con un certo disgusto,
incontrando l'assenso dei due amici.
In effetti, quelle scarpe dai colori stile insegna al neon erano facili
da notare.
Certo, non altrettanto facili quanto il vestito di Feliks, quello no.
Poco distante dalla coppia che Francis stava osservando, infatti, si
muoveva una chiazza di colore rosa shocking a forma di vestito con
tanto di orli di pizzo e maniche a sbuffo. Dalla stoffa uscivano gambe
e braccia umane, e su tutto torreggiava una testa biondissima ed
accuratamente truccata. Per contrastare con tanto sfarzo, il suo
accompagnatore era vestito interamente di nero e portava i capelli
castani legati in un codino basso sulla nuca: Toris aveva la
reputazione di essere un sant'uomo.
Inutile dire che le scarpe da ginnastica arancioni e viola
dell'americano passavano decisamente in secondo piano, accanto a
Feliks.
“Ma Matthieu non è così sciatto,
vero?” fece Francis, spostando la sua attenzione su Julchen,
abbagliato dal troppo rosa.
La ragazza sbatté le palpebre. “Chi?”
“Matthieu! Mon
Dieu, non dirmi che gli hai tirato buca!”
“Ah, Matthew. Uh. No. E' qui, da qualche parte,
credo.”
Julchen si guardò intorno, come aspettandosi di trovarlo
dietro di lei. Perché era
stato dietro di lei, fino ad un certo punto, almeno.
Invece di Matthew, però, Julchen trovò qualcun
altro.
“Uh-oh” fece Antonio.
“Coppia sgradita numero due in avvicinamento ore
tre.” gli fece eco Francis.
Sophia avanzava nella sala indossando un abito lungo bianco e lilla, un
trucco essenziale – per l'occasione, non indossava gli
occhiali - ed il suo solito contegno dignitoso. Agli occhi ridotti a
due fessure di Julchen, ogni suo passo parlava agli astanti di quale
onore fosse dato ai comuni mortali lì presenti, visto che
sua altezza reale si era degnata di fare la sua comparsa alla festa.
Accanto a lei procedeva Gary, impeccabile nel completo scuro - che,
senza dubbio, era stato scelto da lei - tutto compreso nel suo compito
di bastone per i non vedenti. Improvvisamente, Julchen si
ritrovò a sperare di possedere poteri psichici, cercando di
far inciampare la nobildonna con il solo potere dello sguardo. Come era
stato per Lavinia, però, il trucco sembrava non funzionare.
“Che tanfo, tutt'ad un tratto, eh?”
commentò asciutta.
“Oh, davvero? Cavolo... è che non sono arrivato a
fermare Lavinia prima che la buttasse nel cestino e... por favor, non
guardatemi così, stavo scherzando!”
assicurò Antonio.
“Preferirei di gran lunga frugare assieme a te nella
spazzatura, piuttosto che dovermi sorbire quei due.”
sibilò Julchen.
Stavano ballando, ora. Ballando.
Sophia era praticamente cieca, senza quei fondi di bottiglia che si
teneva incollati sul naso, perché non poteva semplicemente
cadere? Possibilmente su un tavolo, ecco, dritta in una di quelle belle
torte alla panna. Si sarebbe intonata tanto bene, a quel suo vestitino
da mille e una notte.
“Va bene, sentite, io giro al largo per un po'. La musica
è una noia e le tartine fanno schifo. Bis bald.”
Senza una parola di più, Julchen prese e se ne
andò.
“Potresti andare a parlarle.”
Contrariamente a quanto pensava Julchen, Sophia non era poi
così cieca: aveva indossato delle lenti a contatto, e queste
supplivano alla mancanza degli occhiali; non le era stato difficile,
quindi, notare la ritirata dell'altra ragazza.
“Parlarle?” Gary fece un'espressione stupita.
“E che cosa dovrei dirle?”
Sophia distolse lo sguardo, attenta a guardare dove metteva i piedi
mentre ballavano.
“Non lo so, sei tu ad aver avuto un rapporto umano con lei,
una volta. Io sicuramente non posso esserti d'aiuto.”
Gary si fermò, dubbioso. “Ma io...
veramente...”
L'altra lo guardò con un inaspettato sguardo di rimprovero
negli occhi. “Non vorresti nemmeno salutarla civilmente,
adesso che finisce la scuola? Va'. Io devo sedermi un po', in ogni
caso, queste scarpe mi stanno torturando.”
Il ragazzo la osservò mentre andava a sedersi, ostentando
un'andatura claudicante. Era la prima volta che Sophia si lamentava
apertamente di quanto fosse scomodo qualcosa da lei indossato
– e sinceramente, Gary si chiedeva spesso come facesse a
sopportare certi dei suoi capi di vestiario senza darlo a vedere,
davvero. Sospirò, lasciandosi sfuggire un sorriso, e si
affrettò verso l'uscita della palestra.
Anche se era stata Sophia ad incoraggiarlo, sospettava di non aver a
disposizione molto tempo prima che lei si pentisse del suo atto di buon
cuore nei confronti della rivale.
Non sapeva dove si fosse cacciata Julchen, ma, ricordandosi di dove era
avvenuto il loro ultimo incontro/scontro, sapeva almeno da dove avrebbe
iniziato a cercarla.
Nella sala, vicino a una delle pareti, si erano rifugiati Feliciano e
Luise. Lei sembrava un animale in trappola: spalle al muro, osservava
la maggior parte degli studenti che ormai si stava scatenando
sull'improvvisata pista da ballo. Con orrore anche maggiore, teneva
d'occhio Feliciano che batteva un piede a terra a tempo di musica.
Stava per chiederglielo, lo sapeva, stava per chiederglielo, lo sapeva,
stava per...
“Luise, balliamo?”
Lei gli rivolse un'occhiata offesa.
“Ma come ti viene in mente?!”
“Beh... siamo ad una festa, ve! E' quello... che si fa di
solito!”
“Io... io non...”
Sorridendo, Feliciano la prese per le mani e se la tirò
appresso.
Effettivamente, non brillavano per scioltezza e stile. Luise era
semplicemente troppo imbarazzata e preoccupata di non cadere dai tacchi
per riuscire a muoversi a ritmo, e Feliciano, per quanto tentasse di
farla sentire a suo agio, finiva col renderla solo più
nervosa. Prima che si decidessero a tornare a bordo pista, Luise aveva
lasciato il segno pestando un paio di piedi ed urtando altrettante
ragazze. Tornò ad appoggiarsi alla parete, scura in volto,
con Feliciano che la osservava nel panico, sospettando che fosse tutta
colpa sua.
“M-mi dispiace, Luise, ve... non avrei dovuto costringerti
a...”
Lei lo azzittì con uno sguardo gelido, ma durò
solo qualche istante. In effetti, non era colpa sua: tutti,
lì dentro, erano in grado di sculettare e muoversi a tempo
di musica senza grandi drammi. Era lei a stonare in quel contesto.
“Vuoi che... che ritentiamo?” chiese, un po'
timorosa.
“Oh, no! No no no! Va bene lo stesso!” le
assicurò lui, confortato.
Mentre lei annuiva, le guance arrossate, Feliciano le rivolse uno
sguardo innamorato.
“Non mi importa granché della festa, in
realtà.” disse semplicemente.
Luise distolse lo sguardo, rossa fino alle dita dei piedi, e lui
approfittò del breve momento in cui aveva abbassato la
guardia per circondarle la vita con un braccio.
“Ma che fai?!” protestò lei, tentando di
liberarsi. Erano in mezzo al resto della scuola, non le sembrava
proprio il momento di darsi a quel tipo di effusioni! Questa volta,
però, Feliciano non la lasciò andare, ed anzi le
passò intorno alla vita anche l'altro braccio, stringendola
a sé. Con i tacchi, Luise era leggermente più
alta di lui, ed il ragazzo poteva comodamente poggiare la fronte
nell'incavo del suo collo.
Luise si irrigidì tutta, nemmeno fosse spaventata che
potesse accadere qualcosa di spiacevole, ma, man mano che i secondi
passavano e Feliciano non si muoveva, cominciò a rilassarsi.
Intorno, sembrava essere pieno di altre coppiette in atteggiamenti
più o meno intimi e, comunque, nessuno faceva caso a loro.
Qualche momento dopo, gli posò con qualche esitazione le
mani sulla schiena, ricambiando l'abbraccio in maniera impacciata.
Feliciano, tuttavia, sembrò gradire il gesto e glielo
dimostrò sfregando il naso contro la sua spalla.
Luise si lasciò sfuggire una breve risata nervosa, ma non le
ci volle molto per sentirsi perfettamente a suo agio in
quell'abbraccio. Voltò la testa per affondare il viso nei
capelli di lui; profumava di una colonia da uomo, speziata e
fragrante.
Rimasero così, in silenzio, per un tempo indefinito.
“La prossima settimana inizieranno le vacanze.”
disse lui ad un tratto, la fronte sempre abbandonata sul suo collo.
“Non potremo più vederci tutti i giorni.”
Luise aprì gli occhi, un po' sorpresa, ma lui non la stava
guardando.
“Esistono i telefoni e le email, Feliciano...”
“Sì, ma non è la stessa cosa! Verrai a
trovarmi?” Si staccò da lei per guardarla negli
occhi, un po' accigliato. “O verrò io, se mi
inviterai.”
Luise sorrise, accarezzandogli timidamente i capelli.
“Ma certo. Dovremo... fare i compiti insieme, no?”
suggerì, imbarazzata.
Feliciano sfoderò un sorriso malizioso. “Io non
pensavo ai compiti, in realtà...”
“F-Feliciano...!”
Dal collo di Luise alla sua bocca, il tragitto per le labbra del
ragazzo fu breve.
Compiti... sì, forse si sarebbe trovato il tempo anche per
quelli. Ma erano davvero l'ultimo dei loro pensieri.
~*~
Julchen era dove Gary se l'aspettava, seduta sulla sua altalena, e
giocherellava con le lunghe ciocche di capelli chiari, il vestito scuro
che scintillava appena alla luce del lampione lì vicino. Si
era disfatta la bella acconciatura che le aveva richiesto gran parte
del pomeriggio ed aveva lasciato cadere a terra le forcine.
Ripensava alla magnificenza dell'ultimo anno di scuola.
Beh, Antonio era sempre insieme a Lavinia e Francis non era riuscito a
farsi Alice. Per come la vedeva lei, la prima cosa non era
necessariamente positiva e la seconda non era necessariamente negativa.
Ma Lieschen si era trovata il ragazzo, e questo la rendeva una sorella
maggiore orgogliosa e felice.
E poi, che altro. Ah, già. Il guinzaglio tra cagnolino e
padrona era diventato sempre più corto, quest'anno. Che
nausea...
All'improvviso, sentì un rumore di passi alle sue spalle.
Passi cauti, come di chi volesse prenderla di sorpresa. Ricordandosi
l'episodio dell'inverno prima, si voltò inviperita, pronta
ad affrontare il nemico.
“Maledetto bastardo! Se pianifichi di tirarmi in testa
qualche tartina questa volta io...!”
Si fermò quando si rese conto che i due occhi che la
guardavano stralunati non appartenevano a Gary.
“...oh.” disse semplicemente.
Matthew spostò nervosamente il peso da un piede all'altro.
In mano teneva un piccolo vassoio di tartine.
“...ah, ehm, mi... mi dispiace... non volevo spaventarti...
ma... ti stavo cercando.... non per tirarti queste,
cioè.”
Lo sguardo di Julchen si raddolcì. “Ovviamente
no.”
Nonostante avesse voluto dirlo in maniera gentile, il suo tono sembrava
sottintendere un 'perché sapevi che altrimenti te ne saresti
pentito amaramente'.
“Siediti.” lo invitò lei con un cenno
del capo, e, dopo qualche istante di esitazione, il biondo prese posto
sull'altalena accanto a quella dov'era seduta la ragazza.
Lei lo guardò e ridacchiò: Francis aveva ragione,
niente scarpe da ginnastica.
“Mi dispiace di averti aggredito così,
kesesesesese, ma credevo fossi qualcun altro... una persona che non si
meritava un saluto più civile da parte della magnifica
me.” disse lei con un sospiro di sufficienza.
Matthew arrossì, abbassando lo sguardo.
“Non preoccuparti... mi capita spesso di essere confuso con
qualcun altro...”
Julchen lo guardò, il capo chinato da un lato con
un'espressione curiosa. Non disse nulla, perché lei stessa
si rese conto che lo stava vedendo in quel momento per la prima volta.
“V-voglio dire...” andò avanti lui,
incerto, prendendo il silenzio dell'altra come una richiesta di
spiegazioni “N-non sono, uhm, magnifico... come
te, ecco.” la guardò timidamente da sotto gli
occhiali, quasi fosse timoroso delle sue reazioni.
Lei sbatté le palpebre un paio di volte e poi
scoppiò in una risata sguaiata.
“Ma certo! Nessuno è magnifico come me, che
discorsi!” commentò con un sorriso ambiguo.
Notando lo sguardo mortificato di Matthew, tuttavia, si
raddolcì. “Nascere magnifici è un dono
raro, ma si può imparare, kesesesesese! Soprattutto se hai
un'insegnante di una tale magnificenza come la sottoscritta!”
affermò, indicandosi.
Matthew ridacchiò. “Ci
proverò.”
“Oh, no.” replicò lei, con un sorriso
sornione “Ci riuscirai.”
Sempre sorridendo, si allungò a prendere una delle tartine;
in fondo non erano così cattive.
Diversi metri dietro di loro, seminascosto dalle ombre, stava Gary,
anche lui con in mano un piatto di stuzzichini. Osservò
l'altro ragazzo sedersi accanto a Julchen, e decise di essere arrivato
troppo tardi per qualsiasi cosa avesse intenzione di dire o fare.
Sorrise tra sé e sé, voltandosi per tornare alla
festa. Sperava che Sophia fosse affamata.
________________________
Bis bald: a
presto.
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