A wish for something more

di MystOfTheStars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Titolo: A wish for something more, capitolo I
Prompt: pacchetto sogni, speranza.
Personaggi: Luise (fem!Germania), Feliciano (Italia), Julchen (fem!Prussia), Sophia (fem!Austria), Lavinia (fem!Romano), Antonio (Spagna), Francis (Francia), Gary (male!Ungheria), vari ed eventuali - in questo capitolo: Luise, Julchen, Sophia, il sig. Weilschmidt
Pairing: principalmente GerIta, un po' di Spamano, triangolo Prussia/Austria/Ungheria
Rating: PG, direi
Genere: fluff, romantico
Avvertenze: Gakuen AU, genderbent di molti personaggi, praticamente solo coppie eterosessuali
Riassunto: Luise è un'adolescente decisa, ma un po' insicura del suo aspetto, timida ed impacciata soprattutto nei confronti dell'altro sesso. Questo è il suo primo giorno di scuola nel liceo frequentato anche dalla sorella più grande, che, al contrario di lei, è l'apoteosi della sicurezza di sé e dell'estroversione. Al di sotto dell'apparenza impeccabile della sua divisa inamidata, Luise spera di non fare figuracce, e, soprattutto, che nessun ragazzo le si avvicini troppo. Ma poi...
Beta: Yuki Delleran
Note: partecipa all'Hetalia prompt-athon 2011 su hetafic_it @ LiveJournal // il titolo viene dall'omonima canzone di Amy MacDonald. L'ho sempre associata alla GerIta :D





“...e questo cosa significa?”

Luise lanciò un'occhiata alla sorella, che la osservava con aria incuriosita, appoggiata scompostamente allo stipite della porta, ma non le rispose. Gli occhi azzurri della ragazza tornarono, critici, al suo riflesso nello specchio. C'era qualcosa che non andava? La camicia era perfettamente abbottonata, le bretelle della gonna della lunghezza giusta, perfettamente pari... Certo, quella divisa avrebbe potuto essere più lunga, ma questo non era qualcosa a cui Luise potesse rimediare.
“Intendo quello!” Julchen storse la bocca, puntando un indice accusatore in direzione della sorella. Luise le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Quei capelli! Perché mai?!” ribadì la maggiore, con un sospiro esasperato.
“Oh. Questi.” La sua mano dell'altra corse involontariamente alle ciocche corte che le ricoprivano la nuca. Era un gesto che aveva ripetuto spesso, dalla sera prima; non si era ancora abituata al taglio nuovo, e si meravigliava ogni volta che le sue dita non incontravano le lunghe ciocche bionde che, fino al giorno prima, le scendevano morbidamente lungo il collo.
Si strinse nelle spalle, tornando ad aggiustarsi la cravatta della divisa con precisione millimetrica.
“Erano troppo appariscenti. Inoltre, poco pratici. Ho intenzione di iscrivermi a un club sportivo, e di andare in palestra per conto mio, quindi ho pensato che un taglio corto sarebbe stato la soluzione ideale.” commentò semplicemente.
Dalla soglia, Julchen la osservava allibita.
“...troppo appariscenti!? Lieschen*, ma cosa sei, un maschiaccio?! Ora, mi rendo conto che tu non voglia farti crescere una magnifica capigliatura come la mia... del resto, non tutti possono portarla con così tanta disinvoltura come la sottoscritta, modestamente – anzi, ma che dico, che modestia e modestia?!” La maggiore ridacchiò, le dita curate che pettinavano una lunga, lunghissima ciocca di capelli candidi. Lisci e luminosi, le cadevano morbidamente attorno alla vita, ed erano uno dei tanti – troppi – vanti della sorella. “Ma insomma! Avevi quei bei capelli dorati! Ora mi chiederanno tutti se ho un fratellino, invece che una sorellina, kesesese!”
Luise arrossì, voltando le spalle a Julchen e andando a prendere la cartella. Tanto per cominciare, detestava essere chiamata con quel nomignolo. “Luisella”, “Lisetta”, “Luisina”... seriamente?! Non aveva niente di “ino”, Gott!
In più, era consapevole di somigliare ad un ragazzo, con quel taglio; del resto, lo aveva fatto apposta.
In cuor suo, sperava che quelle ciocche corte, combinate alla sua altezza e alla sua costituzione robusta, sviassero l'attenzione dal suo petto prosperoso e dalle sue lunghe gambe che, ai suoi occhi, la gonna dell'uniforme scolastica lasciava decisamente troppo scoperte. Era ancora una volta colpa della sua altezza? Forse le ragazze più basse non avevano questo problema.
Si allacciò i bottoni della giacca, decidendo che non l'avrebbe tolta, una volta a scuola. Al di sotto, la camicia bianca era troppo tirata sul petto e sottolineava impietosamente il suo seno prosperoso. Luise si sentiva già arrossire all'idea degli sguardi che si sarebbero posati su di lei. Che cosa aveva fatto di male, perché madre natura la dotasse di tutto quell'armamentario scomodo?

Julchen la osservò senza parlare. Da sorella più grande, poteva intuire vagamente cosa passasse nella mente della sua sorellina – sorellina, poi. Luise era più alta, ed aveva due taglie di reggiseno e qualche numero di scarpe in più di lei. Eh, i tempi in cui lei le passava le magliette e la biancheria smesse erano finiti... da più di qualche anno, ja.
Eppure, a vederla così preoccupata, la mattina del suo primo giorno di liceo, a Julchen faceva tenerezza.
“Kesesesese! Lieschen, non è che se anche ti tagli i capelli gli altri non ti sbaveranno dietro, sai? Del resto, sei la sorella della qui presente magnificenza! Solo questo porterà tutti ad adorarti incondizionatamente!”
Luise arrossì vistosamente, uscendo dalla camera senza degnare la sorella di uno sguardo.
“Ma non ti preoccupare!!! Ci penso io a salvarti dai molestatori! Se c'è qualcuno che ti infastidisce, lo dici alla sorellona, e ci pensa lei, capito?” continuò Julchen, inseguendo la sorella per il corridoio.
Luise annuì impercettibilmente, scendendo al piano di sotto, dove il padre le stava aspettando. Fuori, l'auto era già accesa, carica dei loro bagagli per il semestre.
“Siete pronte, ragazze?”
Ja, Vati! Magnificamente in forma!” rispose Julchen, saltando gli ultimi due gradini e uscendo di volata dalla porta.

L'uomo osservò Luise mentre questa seguiva la sorella in cortile, la schiena diritta ma il passo tranquillo. Un po' gli dispiaceva che la figlia si fosse tagliata quei bei boccoli dorati, che somigliavano tanto alla sua lunghissima, biondissima chioma - quando ancora non era rigata qua e là da strisce di bianco, almeno, ah. Ma sapeva anche che l'adolescenza era un periodo difficile, specialmente per due ragazze cresciute senza una madre. Per questo, quando Luise era tornata a casa dal parrucchiere quasi senza capelli, il padre si era limitato ad annuire. Pratici e sempre in ordine, eh? Poco ma sicuro, Luise era l'esatto contrario delle adolescenti frivole e truccate da circo che ogni tanto si vedevano in giro, e di questo il signor Weilschmidt non poteva che essere grato.
Certo, questo era un lato di sua figlia che egli apprezzava molto. Preferiva di gran lunga il suo fare pragmatico e rigoroso, piuttosto che quello superficiale di certe sue coetanee, ma spesso si chiedeva se quell'approccio così serio alla vita non fosse stato, in un certo senso, il risultato della carenza della figura materna a fare da esempio.
La madre di Luise e Julia era venuta a mancare quando entrambe le bambine erano ancora molto piccole, e questo aveva certamente influito sulla loro educazione, anche se il padre aveva sempre tentato il possibile per non far loro mancare nulla. Eppure, il signor Weilschmidt si domandava spesso se non aveva imposto loro un'educazione troppo spartana e rigida, poco femminile.
Julchen era venuta su spavalda e attaccabrighe, ma con un coraggio e una vitalità che la rendevano l'orgoglio di papà. Luise, invece, era rimasta più chiusa, quasi ad imitare al contrario l'evoluzione della sorella. Dove questa amava circondarsi di amichetti e programmare festicciole, l'altra preferiva rintanarsi nella sua stanza a leggere un libro; dove la prima si metteva a cantare a squarciagola su alcune delle più rumorose canzoni offerte dalla radio, l'altra collezionava CD di Bach o Beethoven per ascoltarseli in santa pace nei momenti di tranquillità.
Luise aveva sempre preferito giocare a pallone in giardino, piuttosto che in casa con le bambole, indossare jeans e felpe, piuttosto che certi abitini tutto pizzo che sembravano essere i preferiti delle sue coetanee. Poi, durante lo sviluppo, era cresciuta in altezza, ben più di quanto gli altri si aspettassero. Fisicamente somigliava al padre, su questo non c'era dubbio. Eppure, a parte la statura e la struttura ossea robusta, Luise aveva una pelle chiara, delicata, occhi blu dalle ciglia folte ed un modo di arrossire impunemente che la rendevano estremamente femminile. Fino al giorno prima, poi, quei morbidi boccoli che le circondavano il viso erano una cascata d'oro, una vera gioia per gli occhi.
Del resto, era per quello che li aveva tagliati. Non le servivano certo ulteriori motivi per attirare l'attenzione su di sé. Era una ragazza timida, Luise, un dettaglio strano per un carattere deciso e testardo come il suo. Aveva grande autodisciplina e parecchia pignoleria, anche con se stessa, eppure niente di questo la aiutava quando si trattava di relazionarsi al prossimo nella vita di tutti i giorni. Bastava che un paio di compagni di scuola la fissassero più del dovuto, che arrossiva impietosamente. Luise, dal canto suo, la considerava una maledizione: orgogliosa com'era, detestava sentirsi avvampare tutte le volte che la distanza tra lei e il prossimo veniva accorciata. Per questo, spesso, finiva per rispondere male a chi tentava di approcciarla, o a lanciare nei confronti dei suoi ammiratori qualche occhiata poco incoraggiante - per non dire spaventosa, a volte.
Luise lo sapeva, comunque: la parte dell'amante della compagnia e dell'amata dal pubblico era di sua sorella Julchen. Quanto a lei, preferiva starsene in disparte, rimediare ai pasticci che l'altra combinava, tenere la testa sulle spalle ed assicurarsi che la vita procedesse con ordine. E siccome amava le cose ordinate e la routine prevedibile, sperava che anche la nuova vita al liceo fosse destinata ad andare avanti nello stesso identico modo.


L'accademia era un enorme complesso di edifici, situato nell'estrema periferia cittadina. Comprendeva la scuola vera e propria, fornita di aule, laboratori e mense, una grande palestra, campi di pallavolo e calcio alternati da cortili verdi di aiuole e alberi, ed i due edifici gemelli che ospitavano i dormitori maschili e femminili, dove alloggiavano gli studenti di tutti e tre gli anni di corso.
La scuola era frequentata soprattutto da rampolli di famiglie benestanti e proveniente dall'estero, i cui genitori desideravano un'educazione di prima scelta e la possibilità di interazione con altri ragazzi nella loro stessa condizione: stranieri in suolo straniero, figli di imprenditori o commercianti che viaggiavano quasi costantemente. Anche per questo, la retta della scuola (parecchio elevata) comprendeva anche il vitto e l'alloggio. I ragazzi potevano essere tranquillamente parcheggiati in quella sede per tutta la durata dell'anno scolastico, senza che i genitori dovessero eccessivamente preoccuparsi di loro. Nel frattempo, entravano in contatto con il resto della giovane crème del mondo degli affari, rigorosamente internazionale. Quale modo migliore per cementare fin da subito future e proficue amicizie?
Da casa Weilschmidt, l'accademia distava poco meno di un paio d'ore d'auto. Erano partiti presto, e l'incontro di benvenuto sarebbe iniziato alle undici di mattina: le ragazze avrebbero avuto tutto il tempo di sistemare i bagagli nelle loro stanze e darsi un'occhiata intorno, una volta arrivate.
Il signor Weilschmidt le aiutò a portare le valigie fino al grande portone d'ingresso dell'accademia, dove stavano già sciamando frotte di studenti, con accodati qua e là parenti e genitori.
Mentre Julchen si sbracciava a salutare tutti, Luise stava zitta zitta, lievemente rossa in viso, apparentemente molto impegnata nell'arduo compito di piegare un fazzoletto per farlo entrare in tasca.
“Uhm... ho forse sbagliato qualcosa? Forse non avrei dovuto...?” fece il signor Weilschimidt, ravviandosi indietro i capelli, il tono pacato, ma con il malcelato timore di aver messo in imbarazzo la figlia. C'erano altri genitori, nei paraggi, ma sapeva che ogni tanto agli adolescenti dava fastidio farsi vedere mentre venivano accompagnati a scuola.
“Eh? Nein, Vati! Sei un papà magnifico ad aiutare le tue magnifiche figlie con le loro magnifiche valigie!” rispose Julchen, abbracciandolo d'impulso. “Ora dobbiamo andare, però! Lieschen ha molte cose da vedere ed imparare prima che inizino le lezioni, kesesesese!” fece, afferrando le maniglie delle sue borse.
J-ja, ich glaube's auch.” borbottò Luise, lanciando un'occhiataccia alla sorella per via del nomignolo.
Diede al padre un abbraccio veloce e lo salutò. Il signor Weilschmidt rimase ad osservare le due figlie mischiarsi agli altri studenti e poi, quando le vide sparire per la scalinata principale dell'edificio, infilò le mani in tasca e tornò all'auto.
Si chiese quanto sarebbero cambiate, quando sarebbero tornate a casa per le vacanze di Natale. Lo aveva già sperimentato con Julchen, in questi due anni: bastavano pochi mesi, per le trasformazioni profonde delle adolescenti.
Saperle a scuola insieme, comunque, gli dava un certo senso di sollievo. Da un lato, si augurava che Luise avrebbe saputo porre un freno all'irruenza di Julchen (che più di una volta aveva causato improvvise telefonate a casa e firme su assegni per la riparazione dei danni più disparati), ma, dall'altro, sperava che un po' di quell'estroversione contagiasse la sorella minore che, nonostante la sua altezza e il suo bell'aspetto, sembrava sempre cercare di far qualsiasi cosa per passare inosservata.


Le due sorelle approdarono presto nell'ala femminile del dormitorio.
“Sono tre piani di camere. Io sto al secondo, tu sei al terzo. Niente maschietti sporchi e puzzolenti, in questi corridoi, kesesese~ quindi mi raccomando, i tuoi ragazzi introducili in camera di nascosto, okay? Se ti serve una mano per pianificare, chiedimi pure tutto!” spiegava Julchen, un sorriso malandrino sulle labbra.
“...Schwester. Una cosa del genere non accadrà mai.” si limitò a rispondere Luise, secca, mentre con lo sguardo scorreva con una certa ansia le targhette che riportavano i numero delle stanze. La sua camera era a quel piano, o così diceva il foglio, che però non svelava chi sarebbe stata la compagna di stanza. Sperava con tutta se stessa che si trattasse di qualcuno con cui la convivenza sarebbe potuta essere civile.
“Arrivate! Kesesesese! Chissà chi sarà la fortunata compagna di stanza della mia magnifica sorellina, eh?” esclamò, spalancando la porta senza nemmeno curarsi di bussare prima.
Guten Tag, signorina! Questo è il tuo giorno fortuna- urgh!” Julchen si fermò prima di finire la frase, il sorrisone trasformato in una smorfia di disgusto.
Preoccupata, Luise guardò nella stanza da sopra le spalle della sorella: cosa poteva aver visto, di tanto terribile?
“Julia Weilschmidt. Dimmi che hai sbagliato stanza.” rispose atona la ragazza in piedi accanto ad uno dei due letti.
La smorfia sul volto di Julchen si contorse.
“Sophia Edelstein, che orrida sorpresa. Per mia fortuna, abbiamo un piano di scale a separarci.”
“Spero sia abbastanza per non far arrivare alle mie narici il tuo puzzo di sudiciume, Weilschmidt.” fu la risposta.
Luise sollevò un sopracciglio, osservando lo scambio tra le due. Sophia Edelstein... aveva sentito Julchen fare quel nome, ogni tanto, sempre corredato da una vasta gamma di insulti, naturalmente.
“Vedi di non soffocare la mia sorellina con il tuo, di puzzo, mocciosa.” replicò Julchen, alzando il mento per osservare l'altra dall'alto in basso. Poi, decidendo che aveva degnato l'infima creatura di attenzioni sufficienti, tornò a voltarsi verso la sorella.
“Sei stata proprio sfigata, Lieschen. Ma non temere, dirò a Vati di mandarti un deodorante per ambiente. E possiamo chiedere al preside di spostarti di camera.”
Luise annaspò, imbarazzata. “Ma no, Schwester, credo...”
Prima di lasciarla finire, comunque, Julchen aveva già girato i tacchi e si era diretta verso le scale in fondo al corridoio.
“Ci vediamo in aula magna tra un'ora.” le urlò, poco prima di sparire giù per i gradini.
Luise sospirò. Si iniziava alla grande.
Es tut mir leid...” disse, finalmente entrando nella stanza con tutte le sue borse. Non sapeva che cosa mai avesse fatto a Julchen questa Sophia, per inimicarsela così tanto, ma era anche consapevole che, spesso, i comportamenti della sorella erano parecchio irrazionali.
L'aria della camera, comunque, non puzzava, anzi. C'era un piccolo vaso di fiori violetti, su una delle due scrivanie, che spandevano intorno un profumo sottile e gradevole.
Sophia, in ogni caso, non sembrava particolarmente interessata alle sue scuse, impegnata a disfare le valigie e a riporre attentamente i suoi abiti nel piccolo armadio in fondo al letto. Se non altro, pensò Luise osservandola, sembrava una persona molto ordinata, e questo deponeva a suo favore.
“Uhm, io sono... Luise Weilschmidt. Sono del primo anno. Piacere.” disse, allungando timidamente una mano, incerta su come comportarsi.
Sophia la squadrò per qualche istante, come chiedendosi se la “piccola” Weilschmidt avesse lo stesso odio dell'altra, nei suoi confronti. Per la ragazzona che era, però, sembrava di indole decisamente più quieta della sorella, valutò l'altra osservandola.
Alla fine, proprio quando Luise stava iniziando ad arrossire di nuovo, temendo di essersi messa in imbarazzo, le strinse la mano.
“Sophia Edelstein, terzo anno. Benvenuto a scuola.”
Il tono era serio, formale, ma se non altro non sembrava odiarla.
Luise la osservò ancora un po': aveva lunghi capelli scuri, pelle chiara, un neo sotto il labbro che le conferiva un'aria raffinata. Una ragazza graziosa, non troppo appariscente. Chissà, avrebbe potuto rivelarsi una buona compagna di stanza, o almeno lo sperava.
Ad un tratto, la vide tirare fuori un'enorme scatola piena di CD. Oh no, pensò Luise, musica. Che genere era? Dance? Techno? Hip-hop? Qualcosa di tremendamente fastidioso che l'altra avrebbe ascoltato tutti i giorni mentre lei tentava di studiare?
“...t-ti piace la musica, eh?” chiese, goffamente, in un'umile tentativo di conversazione, nonché nella speranza che quei CD non contenessero un inferno per le sue orecchie.
Sophia la guardò inespressiva.
Ja. Classica. Spero che ti vada bene e che tu non preferisca tutte quelle cose... uh... tunz tunz che si sentono in giro.” disse l'altra, sollevando un sopracciglio in aria di disapprovazione.
A Luise scappò una risatina di nervoso sollievo. “No, no, per carità. Amo la classica.”
Sophia, a sua volta, si concesse un minuscolo sorriso. “Bene. Suoni uno strumento?”
“Oh, no, io non.. non sono portata per queste cose, credo.” rispose Luise, passandosi le dita tra i capelli per sistemarsi dei riccioli che non c'erano più.
“Oh, è un peccato.” Sophia tornò a sistemare i dischi su una mensola sopra la scrivania, ma poi si voltò di nuovo verso l'altra ragazza. “C'è un bel club di musica, qui. Sono la presidentessa. Potresti iscriverti anche solo per provare uno strumento, se ti va.”
“Ah. Uhm. Magari.” Nel frattempo, Luise stava a sua volta impilando la sua biancheria nei cassetti dell'armadio. Sophia la osservava, intenta anch'ella a valutare il grado di ordine della neo-compagna di stanza. “Tu... cosa suoni?”
“Il pianoforte.”
Schön. Ne avevamo uno, a casa.” Luise piegò meticolosamente una serie di calzini bianchi e di mutande in tinta unita, guadagnandosi uno sguardo di approvazione da parte dell'altra. Conversazione, si disse Luise, devo continuare la conversazione! “E... ehm... quale compositore ami di più?”
“Chopin.” rispose Sophia, il tono lievemente meno formale di prima. “La sua musica...”

Mentre parlavano e finivano di svuotare le valigie, Luise sentì la tensione allentarsi. Stava chiacchierando con la sua compagna di stanza! E questo, nonostante l'inizio burrascoso e le male parole della sorella. Decisamente, un inizio migliore di quello che aveva sperato.


Nel frattempo, al piano di sotto, Julchen stava traslocando alla rinfusa il contenuto della sua valigia all'interno del suo guardaroba. Sophia Edelstein...!!! Questo significava che le sarebbero venuti i conati di vomito tutte le volte fosse dovuta entrare in camera della sorella. Ma perché, perché?!
Richiuse le borse, e le lanciò con rabbia al di sopra dell'armadio, chiudendo le ante con una spallata.
...ma no, ehi. Non si sarebbe lasciata rovinare l'inizio del terzo anno di scuola da questo inconveniente!
Era il suo ultimo anno di liceo, e Julchen sperava che... macché sperare, kesesesese! Lei sapeva che sarebbe stato un anno magnifico, memorabile, anche più memorabile di quelli precedenti!
Si buttò sul letto con un tonfo. Ancora pochi minuti, e avrebbe potuto presentare la sua sorellina a tutti i suoi amici. Ridacchiò, pregustando il momento di gloria, e lanciando in aria il suo inseparabile pulcino di pelouches. Gilbird le rimpiombò sullo stomaco, e Julchen si rigirò a pancia in giù, posando l'animale sul cuscino: anche lui non vedeva l'ora di incontrare di nuovo i loro compagni di avventure.
Oh, Luise li avrebbe adorati.


~*~


*= Lieschen: diminutivo vezzeggiativo di Luise. Un po' antiquato, Julchen lo usa per prenderla in giro. Quel “sch” non si legge né come “lisce” ne come “lische”, ma non ho idea di come si chiami foneticamente il suono che ne viene fuori – ho trovato qui questa spiegazione: "ch sequenza di grafemi che corrisponde ad una fricativa velare sorda [x] dopo i fonemi /o/,/a/, /u/; il punto di articolazione diventa palatale [ç] dopo /i/ e /e/ e le vocali con la dieresi (si pronuncia più avanti nel palato, come dicono i tedeschi "come un gatto cattivo")"
J-ja, ich glaube's auch: Sì, lo credo anch'io.
Schwester: sorella.
Es tut mir leid: mi dispiace
Schön: bello

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***



[[Ed eccoci al secondo capitolo~
Volevo postarlo più in là per non lasciare buchi tra gli aggiornamenti, ma siccome sono già alle prese con la scrittura del sesto capitolo e la storia è vicina al suo finale, direi che non rischio di farvi aspettare troppo tra un aggiornamento e l'altro :)

Vi ringrazio per i commenti, so che l'accoppiata Italua/fem!Germania non è una delle più popolari, forse - in generale, le coppie etero di Hetalia non sono quelle che vanno per la maggiore, a quanto capisco - ma sono felice di trovare altri fan! :D

Spero abbiate passato un buon Natale :) ci vediamo presto con il terzo capitolo, e buona lettura~]]


Prompt di questo capitolo: pacchetto sogni, il Paese delle meraviglie.
Personaggi  in questo capitolo: Luise, Julchen, Sophia, Gary, Francis, Antonio, Lavinia, Feliciano, con fugaci apparizioni di Olanda, fem!Inghilterra, Russia e Bielorussia.
Beta: sempre la mia piazientissima Yuki Delleran






“Tu... non hai idea di dove siamo, vero?” la voce di Luise quasi riecheggiò nel corridoio in cui si trovavano, da tanto questo era vuoto.
Sophia si voltò verso di lei con sguardo vacuo. “...temo di dover confermare la tua ipotesi.”
La fronte di Luise impattò con il palmo della sua mano. E dire che se l'era pure stampata, una piantina dell'edificio! Ma naturalmente, visto che si ritrovava in compagnia di una compagna più grande ed apparentemente così giudiziosa ed ordinata, si era detta che non le sarebbe servita a niente... insomma, dopo due anni lì dentro, avrebbe detto che Sophia conoscesse la strada a memoria!
Luise si tirò su la manica della giacca, per poter guardare l'ora. Maledizione, mancavano appena cinque minuti alle undici ed all'inizio di discorso di inizio anno! Possibile che fossero riuscite a perdersi in maniera così clamorosa? E poi... era comprensibile che la maggior parte degli studenti fosse già andata a prendere posto in aula magna, ma possibile che non ci fosse nessun altro in tutto l'istituto? Quanto era grande, l'accademia?!

“Beh, non abbiamo scelta... dobbiamo tornare indietro.”
Il corridoio proseguiva, male illuminato da grigiastre luci al neon, sia davanti che dietro di loro. Le porte che vi si affacciavano erano tutte ben chiuse ed un paio di queste recavano l'arida scritta “archivio”.

Luise non aveva fatto obiezioni, quando aveva visto l'altra scendere qualche rampa di scale di troppo – che l'aula magna si trovasse in un piano interrato? O forse, era semplicemente una scorciatoia per raggiungerla? Da studentessa più giovane e fiduciosa, aveva diligentemente seguito Sophia, contando sulla sua esperienza, come un'Alice dai capelli corti ed in divisa scolastica, si era tuffata dietro al coniglio bianco, curiosa e poco avveduta.

“...ed anche in fretta, possibilmente. Siamo in ritardo.” fece notare con voce solo vagamente seccata. Poteva anche aver ricoperto il ruolo di Alice, ma adesso toccava a lei fare il Bianconiglio e continuare a ripetere “è tardi, è tardi!”.
In realtà, detestava mettere in discussione l'autorità di figure a cui, al contrario, avrebbe dovuto portare solo rispetto, ma quello era il suo primo giorno di scuola, e detestava molto di più l'idea di arrivare in ritardo – lei, che era la puntualità fatta persona!
Sophia si sistemò gli occhiali sul naso, imperturbabile ma silenziosa. Luise si chiese se il fatto di essere ripresa da una compagna più giovane le desse fastidio, ma riuscire a decifrare il suo viso impassibile era davvero difficile.
Mentre ritornavano indietro, Luise era tentata di mettersi a correre ma era frenata dal fatto che, uno, non si corre nei corridoi della scuola, e, due, scommetteva che quella dannata gonnella a coste si sarebbe messa a svolazzarle attorno ai fianchi in maniera ben poco consona. E poi, Sophia la seguiva a passo tranquillo, quasi non si rendesse conto del loro enorme ritardo.
Solo il fatto che si trattasse di una studentessa più vecchia preveniva Luise dallo sgridarla – ma, verdammt, l'altra avrebbe fatto meglio a darsi una mossa o...

Prima che potesse definitivamente perdere la pazienza, comunque, all'eco dei loro passi se ne aggiunse un'altra. Proveniva dalle scale che le due ragazze avevano ormai raggiunto e, insieme ai tonfi delle scarpe di qualcuno che sembrava scendere i gradini a salti, si udivano anche delle voci concitate.
Qualche istante ancora, e sul pianerottolo emerse Julchen, seguita da un ragazzo dai capelli castani legati in un codino che gli ricadeva con noncuranza su una spalla.
"Mein Gott, per fortuna che ti ho trovato! Dove vi eravate cacciate, eh?! Non dirmi che quella strega ti ha portato in questi oscuri anfratti per farti qualcosa di strano!!!" esordì Julchen, con malcelata cattiveria, mentre squadrava le due ragazze.
"E smettila, Julchen." fece il ragazzo con un moto di stizza verso la tedesca "Si sono perse, su. Lo sapevo che sarebbe successo. Per questo sono venuto a cercarti." aggiunse poi il giovane, rivolgendo un caldo sorriso nei confronti di Sophia.
Questa abbassò lo sguardo e Luise, un po' stupita, pensò che sembrava quasi essere in imbarazzo.
"La signorina sangue blu può perdersi e riperdersi tutte le volte che vuole, per quanto mi riguarda... Anzi, sarebbe meglio che si perdesse una volta per tutte! Ma non vedo perché mai debba trascinare con sé anche la mia sorellina!" sibilò Julchen, raggiungendo Luise e prendendola per mano, trascinandosela su per le scale.
"Beh... abbiamo solo sbagliato strada, immagino. Non è successo nulla." disse Luise, cercando di placare la sorella. Non capiva che comportarsi in quel modo davanti alla sua nuova compagna di stanza la metteva in imbarazzo?
"Tsk! Credi che saresti mai arrivata all'aula magna, seguendo questa?! Due anni in questa scuola, ed è già tanto se riesce ad arrivare dal suo letto al bagno senza perdersi! Per fortuna che, magnifica come sono, lo avevo previsto e sono venuta a cercarti in tempo!"
Luise si voltò verso Sophia, a cui nel frattempo si era affiancato il ragazzo e le aveva porto un braccio, che la giovane aveva preso senza esitazione. Che stessero insieme...? A giudicare dallo sguardo di Sophia, era difficile capire se quelle attenzioni le dessero fastidio oppure le facessero piacere.
Il ragazzo, dal canto suo, sembrava piuttosto seccato dal comportamento di Julchen, ma anche intenzionato a non far degenerare la situazione.
"Oh, e così hai una sorella? Beh, piacere, Gary." fece, allungando una mano verso Luise. La ragazza gliela strinse dopo un attimo di tentennamento.
"Uhm, Luise. Piacere."
"Spero vivamente che tu non sia stronza come tua sorella!" fece lui tutto giulivo, e Luise sollevò un sopracciglio, non esattamente felice che a Julchen si appioppassero tali epiteti.
"E' una ragazza a modo, lei." rispose quietamente Sophia. "E' la mia compagna di stanza."
"Oh." Gary guardò le tre ragazze attorno a lui, e comprese la difficoltà della situazione. "...oh." aggiunse, a metà tra il perplesso e il divertito.
"Oh beh. Si prospetta un anno difficile, allora. Julchen, vedi di limare un po' tutte quelle spine che hai sulla lingua, eh?"
Julchen, in tutta risposta, gli fece una smorfia ed un gestaccio con il dito medio.
"Fottiti. Fottetevi tutti e due. Oh, e ti consiglio di fare le scale lentamente, o sua signoria potrebbe slogarsi una caviglia. Non ti ci vedo a portare in braccio il suo dolce peso per tutta la strada."
Detto questo, strinse la presa sul polso di Luise e se la trascinò di corsa su per le scale.

Troppo impegnata a non inciampare nei gradini per protestare o liberarsi, si ritrovò a correre per pianerottoli e corridoi. Davanti a lei, i capelli candidi di Julchen le ondeggiavano attorno alla vita allo stesso ritmo delle balze della gonna, e Luise si ritrovò di nuovo nel ruolo di Alice, tirata a forza in un mondo dove gli eventi si susseguivano senza che lei potesse fermasi un momento a respirare.
S-Schwester! Non sta bene correre così!”
“E' tardi! Non dirmi che vuoi arrivare a discorso già iniziato?! Kesesesese!”
Le finestre tornarono ad inondare il pavimento di luce naturale, e le due ragazze si mischiarono ad altri studenti che si stavano affrettando nella loro direzione.
Luise era rossa come un peperone: il primo giorno di scuola, e tutti dovevano vederla correre come una dannata per i corridoi? In un'accademia così prestigiosa, dove...
In un lampo, passarono accanto ad uno spilungone magro magro, i cui capelli biondo cenere pettinati all'insù contribuivano soltanto ad innalzarne la statura: stava bellamente poggiato vicino ad una finestra, fumando un pipa. A vedere passare le due sorelle così di corsa, inarcò un sopracciglio e rilasciò una piccola nuvoletta di fumo a forma di ciambella.
Fumo! Nei corridoi della scuola! Ma questo era sicuramente verboten nel regolamento!!!
Prima che Luise potesse dar voce alle sue proteste, svoltarono di volata un angolo del corridoio e quasi investirono una ragazza con i capelli legati in due lunghi codini, che in mano reggeva un bicchiere di plastica.
Bloody he- ...state un po' attente! Mi rovesciate il tè addosso! Queste matricole...” la sentirono borbottare infuriata. Luise tentò di voltarsi per chiederle scusa, ma svoltarono di nuovo e la ragazza con i codini era già fuori vista.

“Julchen!!!” protestò Luise, che non vedeva l'ora di fermarsi. Bene, avevano incontrato anche il Brucaliffo e la Lepre Marzolina, ja? Ora ne aveva abbastanza del tour del paese delle meraviglie, grazie, pensò, ma la sorella non accennava a rallentare.
Almeno era sicura di dove stavano andando... Luise, invece, non lo era più. Aveva ascoltato i racconti delle prodezze della sorella per due anni, si era studiata il sito dell'accademia con dedizione, preso nota degli alti posti che questa aveva nelle classifiche nazionali. Ma di fatto, non sapeva nulla: non conosceva nessuno dei suoi compagni, non sapeva che rapporti li legavano alla sorella, e si era anche dimenticata in stanza la cartina dell'edificio! Sarebbe sopravvissuta?

Incredibilmente, si fermarono – giusto in tempo per non spalmarsi contro il grande portone il legno alla fine del corridoio. Julchen si concesse un paio di secondi per riprendere fiato e lasciare che un paio di studenti, arrivati in quel momento, lo aprissero per loro.
“Osserva, sorellina: l'aula magna.” disse, passando con noncuranza davanti ai due studenti che avevano aperto la porta, che furono costretti a lasciarla passare, anche se le rivolsero un paio di occhiate poco amichevoli.

Le ante del portone di legno si erano spalancate su di un'aula semicircolare, vasta, dal soffitto alto e dalle pareti chiare. Erano intervallate da dipinti e da ampi finestroni oltre cui si potevano intravedere gli alberi del giardino, le cui chiome dai caldi colori autunnali non erano che fulve e dorate macchie di colore semicelate dalle tende sottili.
Naturalmente, l'aula traboccava di studenti, ma per fortuna sembrava almeno che sul podio fossero ancora intenti a finire di provare i microfoni: avevano fatto una corsa ben poco educata e dignitosa, ma almeno non erano arrivate in ritardo.

"Schwester, posso sapere cosa diamine è successo tra te e la mia compagna di stanza?" fece la minore, mentre camminavano alla ricerca di un posto.
"Niente." fu la secca risposta.
Luise la guardò storto, sicura che la sorella si stesse semplicemente rifiutando di rispondere.
Julchen si strinse nelle spalle. "Sophia è una con la puzza sotto il naso, tutta delicatina e imbranata, e quel Gary non fa altro che farle da scendiletto, come se quella non ne avesse abbastanza, di maggiordomi e servi, a casa sua!"
Quindi Sophia era di famiglia nobile? Non credeva che questo giustificasse tanta antipatia da parte di Julchen, comunque... Sempre dubbiosa, Luise seguì la sorella mentre questa si faceva largo tra le gambe dei compagni che occupavano una delle file in fondo. Mentre si scusava, imbarazzatissima, per i piedi calpestati da Julchen, si ritrovò davanti ad un posto vuoto.
Sitz, sitz!” le stava facendo l'altra, dando dei colpetti sulla poltroncina dal posto che aveva occupato.
Un po' impacciata, Luise si sedette, girandosi indietro per controllare di non essersi messa davanti a qualcuno di troppo basso e di non ostacolare la visuale a nessuno: ogni tanto, si chiedeva se per caso da piccola non avesse finito per ingoiare uno di quei biscotti dalla scritta “mangiami” che ad Alice avevano fatto combinare tanti guai.
Fortunatamente, il ragazzo che occupava il posto dietro al suo – uno coi capelli chiari chiari, un grosso naso e uno sciarpone attorno al collo – sembrava alto abbastanza per vederci più che bene. Un momento dopo, Luise si accorse che la ragazza che gli stava avvinghiata al braccio la stava osservando con sguardo omicida. Imbarazzata, tornò a voltarsi in tutta fretta.

“Lieschen!” la sorella la riportò alla realtà con una gomitata nelle costole “Devo presentarti della gente fica come tua sorella!” sghignazzò, indicando i due ragazzi seduti vicino a lei. Il biondo con i capelli lunghi e la barbetta stava allungato sulla poltroncina con una fare vagamente lascivo, mentre il moro, nel posto a fianco, si sporse verso di lei a salutarla con la mano, con un sorrisone felice.
“Questi sono i miei magnifici amici! Antonio e Francis! Conosciuti loro non hai bisogno di conoscere più nessuno, verstanden? Kesesese!”
“Ma è la tua sorellina?! Che carina!!!” fece il moro, il sorriso che si allargava agli occhioni verdi e spensierati. Luise si chiese se per caso non stesse per offrirle un lecca-lecca.
Enchanté~” disse il biondo, facendole l'occhiolino.
Luise si irrigidì tutta, rispondendo ai due con un vago cenno del capo.
“Piacere. Luise.”
Quindi erano loro, i famosi Antonio e Francis. I due studenti i cui nomi erano spesso menzionati insieme a quello della sorella quando la scuola chiamava a casa per parlare con loro padre, o mandava il conto dei danni. Aveva sempre pensato che la sorella avrebbe dovuto smettere di frequentarli, ma a vederli così sembravano... a posto, supponeva.
“Kesesesesese, la mia sorellina è un po' timida! Datele il tempo di ambientarsi, prima di distruggerla con il vostro fascino, ragazzi!”
Luise si scostò un attimo prima che potesse arrivarle un'altra pacca sulla spalla e, in tutta risposta, scoccò un'occhiata severa alla sorella.
“Ora basta. Sta per iniziare il discorso!”
Julchen fece spallucce. Esattamente quello che c'era da aspettarsi da Luise.
Antonio e Francis si scambiarono un'occhiata significativa. Nessuno studente né nessuna studentessa avrebbero mai avuto successo nell'azzittire Julchen così! Vedere l'amica alle prese con la “sorellina timida” sarebbe stato interessante...
Con un mezzo sorriso, si apprestarono anche loro a seguire il discorso.


Parlarono il preside ed alcuni dei professori, ci furono degli applausi, qualche chiacchiera e battutina qua e là da parte degli studenti ma, in generale, Luise si sentì rassicurata. Fu come se il discorso l'avesse riportata in quella scuola ideale a cui lei si era scritta.
Sì, tutti gli alunni che iniziavano questo anno scolastico erano lì per studiare ed impegnarsi. Certo, sapevano che il semestre sarebbe stato duro, ma ce l'avrebbero messa tutta. Sì, tutti loro amavano il buon nome della scuola e delle loro famiglie e si sarebbero impegnati a tenerlo alto.
Impegno, studio, ordine, disciplina. E non si correva per i corridoi.
Luise si sentiva come tornata a casa, ora.

Quando finalmente il discorso finì, ed agli studenti fu concesso di alzarsi per raggiungere la mensa, tornò il boato di disordine. I ragazzi si accalcavano nelle file per riuscire ad uscire prima, con l'unico risultato di rimanere schiacciati nella calca. Luise sospirò; si ritrovavano nel mezzo della fila, e da qualsiasi parte fosse andata avrebbe trovato solo una massa di ragazzi che tentavano di lasciare l'aula in fretta e furia. Rimase seduta ad aspettare che la situazione si decongestionasse, e nel frattempo venne scavalcata da Antonio e da una ragazza che lo seguiva tenendolo per mano, una bruna dall'aria arrabbiata e con una fascia rossa tra i capelli lunghi e mossi.
“Muoviti, idiota! Sto morendo di fame!”
“Ma Lavinia, non posso, non vedi che c'è troppa ressa?”
“Kesesesese! Siete indietro, gente!” annunciò Julchen, montando sulla poltrona e scavalcandone lo schienale, decisa ad attraversare l'aula in questo modo. Luise la osservò con disappunto – ma che modi erano? E poi, con quella minigonna?
Si alzò in piedi di scatto, decisa a richiamare la sorella, ma nel farlo andò a sbattere contro qualcuno che, apparentemente, le era caduto addosso. Quando abbassò gli occhi per scusarsi col malcapitato – si era mossa troppo d'impulso! - però, non riuscì a vederlo. O meglio, l'unica cosa che vide fu una folta capigliatura fulvo-castana, che apparteneva indubbiamente a quella che doveva essere una testa – una testa incastrata con matematica perfezione tra i suoi seni.
Luise si sentì avvampare. “S-Scusa, potresti...?!” fece con voce stridula, tentando di trattenersi dal dargli del maniaco urlando e dal toglierselo di dosso in maniera poco gentile.
L'altro si mosse ma, nel malaugurato tentativo di recuperare l'equilibrio, mise una mano avanti per cercare appoggio. Appoggio che venne prontamente fornito dal petto di Luise.
Le dita del ragazzo vi affondarono per qualche istante, mentre il ragazzo si raddrizzava e si guardava intorno con un sorriso ebete. Sembrava non aver compreso appieno la gravità della situazione.
“Ve... scusa, sono inciampa-”
Il sorriso e le scuse vennero interrotti bruscamente dallo schiaffo di Luise, la cui mano impattò sonoramente contro la guancia del moretto di fronte a lei.
“Maiale!” gracchiò lei, furente e paonazza.
“Ehi tu! Che cacchio credi di fare al mio fratellino?!” esclamò la ragazza con la fascia rossa tra i capelli stava dietro di lei, mani piantate sui fianchi e sguardo assassino negli occhi ridotti a due fessure. Tuttavia, quando Luise si voltò verso di lei, arretrò di un passo.
La bionda gesticolò furiosa verso il ragazzo al suo fianco. “Ma se è stato lui! Mi ha messo le mani addosso senza...!”
“...senza volerlo! Mi dispiace!!! Mi dispiace, davvero, è stato uno sbaglio, non picchiarmi più!!!” l'altro, lì vicino, aveva la guancia arrossata e le lacrime agli occhi.
Luise si zittì. Improvvisamente, le parve che tutti gli studenti lì attorno avessero gli occhi puntati sulla scena, e si sentì avvampare anche di più.
Aveva fatto una cosa terribile, vero? Si era appena resa un mostro agli occhi di quello studente, di sua sorella, degli amici di Julchen e del resto della scuola... ma come si poteva pretendere che rimanesse calma se un ragazzo le toccava le...
“Oh, così questo è il tuo fratellino, Lavinia? Kesesesese!”
Luise sollevò gli occhi su Julchen, che non sembrava particolarmente toccata dalla situazione. Attorno, Francis stava osservando con sorriso divertito, mentre Antonio sembrava più preoccupato di calmare Lavinia che non del resto.
Quest'ultima rivolse a Julchen uno sguardo accusatore.
“Sì! Ed è appena stato violato dalla tua, di sorellina!” ringhiò.
Julchen scoppiò in una risata sguaiata. “Veramente, a me è parso il contrario!”
Sporgendosi sopra lo schienale di una poltroncina, allungò una mano ad arruffare i capelli del malcapitato brunetto.
“La mia sorellina picchia duro, se la prendi per il verso sbagliato. Brutto inizio scolastico, kesesese! Come ti chiami, figliolo?” fece in tono materno, ignorando Luise che protestava: sicuramente, l'inizio scolastico peggiore era toccato a lei, non certo a quel pervertito!
Il brunetto guardò Julchen con occhioni luccicanti di lacrime represse.
“Feliciano.”
“Ah, Feliciano, che carino!” Julchen gli regalò un'occhiata dolce, e poi gli diede un pizzicotto che fece squittire il ragazzo di paura. “Ti sconsiglio di toccare di nuovo la mia sorellina... per il tuo bene, kesesesese! Però se hai carenze affettive, e non mi sorprenderebbe con la sorella che ti ritrovi, vieni da me, ja?”
“Ehi! Che cosa cavolo vuoi dire, si può sapere?!” sbraitò Lavinia, punta sul vivo.
“Kesesesese! Ho fame, andiamo a mangiare!” dato un altro affettuoso pizzicotto a Feliciano, Julchen volteggiò sopra le poltroncine, afferrò a braccetto Luise e Lavinia e le trascinò verso la porta dell'aula magna.

Una volta che la componente femminile del gruppo fu sparita alla vista, Francis si avvicinò a Feliciano, dandogli una pacca di incoraggiamento sulla spalla.
“Apprezzo il tuo entusiasmo, mon petit~ Ma certe ragazze bisogna lavorarsele, sai?”
Feliciano alzò lo sguardo verso di lui. Sul viso, ancora un po' rosso per i vari maltrattamenti subiti, gli era tornato il sorriso ebete di poco prima.
“Ve, è stato lo schiaffo meglio guadagnato della mia vita.” affermò, spensierato.
Francis lo osservò incamminarsi verso la porta (“Che fame, ve!”), e scambiò un'altra occhiata significativa con Antonio.
“Pare che qualcuno, qui, abbia trovato la sua regina di cuori.” disse con un sospiro teatralmente romantico.
“I primini promettono di essere interessanti, quest'anno!” rispose l'altro, divertito.
Con calma, seguirono gli altri verso la mensa.





Verdammt: dannazione
Sitz! : siediti
Verstanden?: capito?

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


[[Aggiornamento in anticipo sulla tabella di marcia dato che domani è l'ultimo dell'anno e io devo ancora preparare tutto... Spero il nuovo capitolo vi piaccia~

Ci vediamo nel 2012, tanti auguri di buona fine e buon inizio ;3]]


Prompt di questo capitolo: pacchetto sogni, incubo
Personaggi in questo capitolo: Luise, Feliciano, Julchen, Sophia, Gary, mr. Weilschmidt
Beta: Yuki Delleran








Guten Tag, Vati.”
Guten Tag, Luise. So, wie geht's dir in der neuer Schule? Alles in Ordnung?”
Luise sospirò, lontano dal telefono.
Ganz gut, Vati, danke.”
Non si poteva dire che le cose andassero male, questo no. I voti dei suoi test e dei suoi paper erano sempre alti, era diventata capitano della squadra di pallavolo del primo anno, e nel secondo semestre avrebbe fatto richiesta per entrare a far parte del consiglio studentesco. Esternamente, insomma, il suo anno accademico stava andando a gonfie vele.
E tuttavia, molto spesso le sue giornate erano un incubo.




Tutto era iniziato in quel malaugurato, confusionario primo giorno di scuola. Il pomeriggio stesso ogni classe si era riunita per le prime ore di lezione. Nel banco accanto a lei non si era seduto nessuno – tutti sembravano già conoscere qualcuno, o aver già scelto il proprio compagno di banco... oppure, più semplicemente, nessuno voleva sedersi vicino a quella pazza violenta che aveva appena dato spettacolo in aula magna.
Poi, a lezione appena iniziata, la porta dell'aula si era spalancata ed era comparso proprio lui, la causa di tutto quel trambusto. Naturalmente, l'unico posto ancora libero era quello accanto a Luise.
Naturalmente, era ovvio che il ragazzo non avrebbe voluto sedervisi: la guardava con gli occhi spalancati di chi si aspettava di venire nuovamente preso a schiaffi da un momento all'altro.
Lei aveva tentato di ignorarlo per tutto il tempo, ma quella disgrazia semovente aveva dimenticato la penna, e poi non aveva il temperamatite, e poteva mica prestargli un foglio del suo block-notes? Grazie...
Finita la lezione, Luise si era alzata e se n'era andata in tutta fretta, ma si era resa subito conto che il ragazzo la stava seguendo lungo il corridoio – e non c'era stato nulla da fare, per quanto tentasse di seminarlo, l'altro la pedinava, tenendosi sempre ad una determinata distanza, come se stesse facendo finta di nulla.
Alla fine, dopo essersi appositamente spinta in un corridoio vuoto (se doveva dargli una lezione, preferiva non avere testimoni), si voltò per affrontarlo.
Per svariati minuti non accadde nulla. Dopo un po', però, Luise si accorse di uno strano ricciolo di capelli castani che si intravvedeva da oltre il muro, all'angolo del corridoio.
“Ehi, tu! Vieni fuori! Hai paura di affrontare una ragazza?”
Il viso di Feliciano face capolino piano piano da dietro l'angolo.
“B-beh... t-tu sembri così...”
Gli occhi di Luise si ridussero a due fessure. Mani sui fianchi, avanzò a grandi passi nella direzione di Feliciano.
“Così cosa?!”
Feliciano fece un salto. “Così arrabbiata con me!”
Luise lo afferrò impietosamente per la cravatta dell'uniforme. “Per forza! Chi è stato a mettermi in imbarazzo davanti alla scuola, prima?!”
“M-ma è stato un incidente, non l'ho fatto apposta!!! E p-poi, non è stato nemmeno male, n-no? Aaaah!” si coprì la faccia con le mani, notando il lampo assassino negli occhi azzurri della ragazza.
“Cos'è, mi stavi seguendo per ripetere l'esperienza?! Con chi credi di avere a che fare, brutto maniaco?!”
“Noooo!” Feliciano ululò, scalpitando per liberarsi dalla presa della bionda. “V-volevo solo... ridarti questa! P-prometto che domani non mi dimentico l'astuccio, lo promettooo!” implorò, sollevando con mano tremante una delle penne che Luise gli aveva dato. In tutta la fretta che aveva avuto, si era dimenticata di richiederla indietro.
La prese, diffidente.
“D'accordo. Comunque, farai meglio a non dimenticartelo, visto che domani non ti metterai vicino a me, e non so se gli altri ti sopporteranno abbastanza da prestarti le cose.” disse, severa, lasciandolo andare.
“Eeeeh? E perché non posso sedermi vicino a te, scusa?”
“Perché mi innervosisci, ecco il perché!” Luise lo squadrò dall'alto in basso, sperando di fargli paura, ma l'altro ancora non se la dava a gambe.
“Ascoltami bene.” sospirò, una mano a massaggiarsi le tempie che iniziavano a dolerle. “Se non te ne fossi reso conto, il tuo comportamento è inappropriato. E poi, io non posso passare le ore di lezione a prestare quaderni e matite a qualche distratto che non sa nemmeno dove ha lasciato la testa. I-inoltre...” arrossì, voltando lo sguardo “Tutta quella scenata di stamattina è stata davvero imbarazzante. Non voglio che tu mi stia vicino, va bene? Finirà che ti prenderò a schiaffi di nuovo e tutti penseranno che io sia una pazza violenta... insomma, sono già abbastanza incapace a... relazionarmi agli altri. Non ho bisogno di altri impicci, verstanden?”
Perché mai doveva confessarlo a quel piccolo matto che si trovava di fronte, poi, non lo sapeva. Fece un movimento brusco con la mano, come a voler scacciare le parole che le erano appena uscite dalla bocca, e superò Feliciano per tornare in stanza in tutta fretta.

L'indomani, ovviamente, si era ripetuta esattamente la stessa scena del giorno prima. A quanto pareva, Feliciano e la sua sveglia non andavano d'accordo. Luise non poteva certo togliergli la sedia da sotto il sedere, né rifiutarsi di prestargli la penna, o chissà cosa avrebbe detto il professore.
Tuttavia, quando quel pomeriggio era tornata in camera e aveva sistemato la borsa, si era accorta di un bigliettino tutto accartocciato che spuntava dal suo astuccio.
Le ci era voluto un po' di tempo per decifrare la scrittura svolazzante ma incomprensibile, e alla fine aveva potuto leggervi:
“Cara Luise, mi dispiace di essere il motivo per cui non puoi farti amici in questa scuola. Credo che siccome sei tanto bella e brava non avrai problemi, però d'ora in poi ci penserò io ad essere tuo amico, così mi farò perdonare. Mi impegnerò tanto! E grazie per la matita, te la riporto domani. Ciao, Feli~”
In effetti, mancava una matita.
Luise, tutta rossa – ma davvero?! Bella e brava?! Ma per chi la prendeva?! - aveva buttato via il biglietto, salvo poi recuperarlo dal cestino e piazzarlo in un cassetto. Non si poteva mai sapere, era sempre meglio conservare le prove.
Da quel momento in avanti, comunque, il posto di Feliciano in quell'aula era rimasto fisso accanto al suo. Del resto, non si poteva pretendere che gli altri cambiassero banco solo perché a lei dava fastidio, no?




“Com'è il tempo? Inizia a fare freddo, vero?”
Suo padre era in viaggio, ora, da qualche parte nell'altro emisfero.
Ja. Ha già iniziato a nevicare.” rispose Luise, osservando con sguardo assente il giardino bianco fuori dalla sua finestra.




Già, la prima neve era arrivata più di due settimane prima. A Luise quel bianco soffice non dispiaceva, ma le davano fastidio tutti gli studenti che, dopo le nevicate, dichiaravano guerra senza quartiere a tutto e tutti, costruendosi fortini e munizioni gelate.
Feliciano aveva avuto modo di pentirsi amaramente dell'unica palla di neve con cui era riuscito a colpire Luise, la settimana prima, quando lei aveva ricambiato il favore facendogliene scivolare una manciata per tutta la schiena, giù fino alle mutande. Da quel giorno andava in giro con la sciarpa così stretta attorno al collo che sembrava volercisi soffocare.

Inoltre, con il freddo i club avevano smesso gli allenamenti all'aria aperta. C'erano abbastanza palestre per consentire a tutte le squadre di organizzarsi con gli orari che volevano, certo, ma Luise preferiva di gran lunga fare attività fisica all'aperto, anche se era freddo. Le palestre avevano sempre un odore di chiuso e di plastica che lei non amava affatto.
Se non altro, non avrebbe dovuto più incrociare i ragazzi del club di calcio, ecco. Così si sarebbero evitate scene imbarazzanti come quando Feliciano, magari impegnato sul campo, inciampava sul pallone tutte le volte che la vedeva passare nella sua tenuta sportiva (che, peraltro, comprendeva dei pantaloncini decisamente troppo, troppo corti).
Il ragazzo cominciava ad agitarsi tutto, a gesticolare in maniera ridicola nella sua direzione, gridando “Veee, Luise! Cia-” e si ritrovava immancabilmente con il viso affondato nell'erba del campo.
Una volta, lei aveva dovuto perfino fermarsi ad aiutarlo perché, scivolando, si era sbucciato un ginocchio.
“C-c'è sangue!!!” si era lamentato, guardandosi la sbucciatura come se si aspettasse di morire dissanguato da un momento all'altro.
“Sangue, queste due gocce? Idiozie! Sapessi con cosa ho a che fare io tutti i mesi!” gli aveva risposto Luise, facendo apposta a calcare la mano mentre gli disinfettava la gamba con un batuffolo di cotone. Se n'era pentita un poco, quando l'altro aveva mugolato miseramente.
“Sii uomo! Non è niente!”
Feliciano la guardava con negli occhi tutto il dolore del mondo.
“Bacino e passa tutto?” aveva fatto improvvisamente, indicandosi la guancia.
Il pizzicotto doloroso che era arrivato al posto del bacio lo aveva lasciato a gemere per il resto dell'allenamento.




“La tua compagna di stanza, invece? A Julchen non sembra stare molto simpatica.” osservò il padre.
“Mmh...” Luise aveva iniziato a farsi le sue ipotesi, rispetto all'odio che sua sorella serbava per Sophia, ma doveva ancora averne conferma. Inoltre, non credeva di poterne parlare al padre: se, come sospettava, si trattava di gelosia nei confronti di un certo ragazzo, erano confidenze che non era il caso di fare al proprio genitore, no?
“E' una ragazza molto discreta ed educata. Ama molto la musica, e... beh... sì, ha una certa passione per il cucito.”
Soprattutto per il rammendo, sì, ma quello preferiva non specificarlo. Insomma, suo padre aveva sempre voluto che le figlie indossassero solo abiti di ottima fattura e tessuti, e Luise, sebbene non fosse incline agli sprechi, non si era mai fatta problemi a cambiare vestiti sgualciti o logori con abiti nuovi, soprattutto quando si trattava di biancheria.




In effetti, Luise si era decisamente sorpresa quando, una sera, aveva ritrovato le due paia di slip, ormai rovinati e da lei buttati via quella mattina stessa, ben piegati sul suo letto.
“Oh, uhm, li avevo gettati via, questi.” aveva spiegato un po' imbarazzata a Sophia. Che li avesse visti nel cestino e avesse pensato che lo avesse confuso con il cesto della biancheria sporca...? Questo... in ogni caso, era imbarazzante.
Sophia l'aveva squadrata con un'aria seria, al di là degli occhiali.
“Warum?”
“Perché erano lise e... insomma!” rispose Luise, punta sul vivo. Erano affari suoi, se decideva di buttare un paio di mutande!
Ma, apparentemente, Sophia aveva un'idea ben diversa.
“Uno spreco inutile. Te le ho rammendate io. Puoi continuare a metterle.”
Così, per la prima volta in vita sua, Luise si era ritrovata ad indossare qualcosa di rammendato, il tutto solo per preservare il rapporto civile che aveva instaurato con la compagna di stanza.
Quando, in seguito, le si era bucato un paio di calzini, aveva avuto il buon senso di gettarli nel cassonetto fuori dalla palestra: occhio non vede, cuore non duole, si era detta. Per un paio di giorni, comunque, aveva avuto il sottile timore di ritrovarseli rammendati sotto il cuscino.




“E gli altri compagni di scuola? Hai dei buoni rapporti?”
“...beh, diciamo di sì. Ogni tanto...” sospirò, di nuovo lontano dal telefono “...ogni tanto do una mano a quelli che si trovano più in difficoltà.”
“Oh, sei molto altruista. Brava.”
Luise si massaggiò la fronte, perplessa. Altruista? Non era sicura che fosse la parola giusta...




Il problema era che Feliciano, l'ultima volta che aveva preso un votaccio in un test, aveva speso tutto il pomeriggio a lagnarsi e a piangersi addosso – o meglio, a piangere e lagnarsi addosso a Luise.
Feliciano non era stupido, lei lo sapeva, era solo terribilmente pigro e troppo incline ad addormentarsi con la testa sui libri, mentre studiava. Ecco che Luise si era perfino ritrovata a finirgli gli esercizi di matematica, o a rileggergli i temi mentre l'altro sonnecchiava beatamente riverso sulla scrivania.
Non pensava che si trattasse di altruismo, no. Sarebbe stata altruista a svegliarlo a suon di calci e a fargli ripetere a memoria tutte le formule algebriche che doveva imparare, se avesse voluto aiutarlo davvero. Ma dopo pomeriggi interi dedicati senza alcun risultato a questo metodo “altruistico”, aveva deciso che l'altra soluzione era, in definitiva, la più comoda ed indolore – per Feliciano, almeno.




“Ci sentiamo presto, Luise. Manca poco a Natale.”
“Già... saremo presto a casa per le vacanze, Vati.”
Vacanze dagli studi, sicuro, ed anche dal suo improvvisato ruolo di babysitter.


~*~


Mancavano due settimane alle vacanze di Natale, la neve cadeva fitta e Luise era in stanza da sola. Sophia era partita quel pomeriggio, per partecipare ad un concorso di musica in un'altra città. Nonostante fosse venuta a prenderla un'auto enorme e lussuosa per portarla all'aeroporto, Gary aveva insistito per accompagnarla al cancello con i bagagli – anche se aveva finito con lo scortarla tendendola a braccetto, per non farla accidentalmente scivolare nella neve. Certo non si poteva permettere che una pianista inciampasse e, per disgrazia, si facesse male ad una mano.
Julchen aveva osservato il tutto dalla finestra digrignando i denti, l'odio che trapelava dalle iridi rosse.
“Hai capito, la nobildonna?! Se ne va per una settimana, in barba agli esami di fine semestre, solo perché con le sue ditine d'oro sa schiacciare due tasti su un pianoforte. E guardalo, quello zerbino! Ma perché i suoi dovrebbero pagargli la retta della scuola, eh?! Lo avrebbero già bell'e sistemato al servizio della signorina Edelstein! Che nervi!”
Luise aveva scoccato un'occhiata scettica all'indirizzo della sorella e poi aveva osservato la grossa auto ripartire nella nevicata. Gary era rimasto a guardare finché l'auto non era sparita alla vista, ed era tornato indietro, saltellando faticosamente nelle impronte lasciate prima.
“E' già tanto se non gliel'ha spalata via con la lingua, la neve, prima che sua signoria mettesse piede fuori dal portone.” commentò Julchen, acida.
Luise si astenne dal rispondere: discutere con la sorella a proposito di Sophia non portava mai da nessuna parte e Julchen finiva sempre con il rinfacciarle un accusatorio “ma da che parte stai?!” che a Luise non piaceva sentirsi rivolgere.
Nonostante avesse le sue stramberie (forse anche dovute al suo essere nobile o al suo essere musicista, o entrambe le cose, chissà) Sophia era una pianista eccellente, Luise non poteva non riconoscerlo, non fosse per il fatto che aveva già vinto diversi premi. Era ovvio che la scuola chiudesse un occhio, anche se si trattava di saltare gli esami, quando una studentessa del genere non faceva che portare lustro al nome dell'accademia.
In ogni caso, per Luise si prospettava una settimana in cui avrebbe avuto la stanza del dormitorio tutta per sé. La cosa la lasciava, tutto sommato, indifferente: né lei né Sophia erano grandi chiacchierone, e Luise non disdegnava affatto la solitudine. Certo, veniva meno il gradevole sottofondo di musica classica che accompagnava spesso le serate in quella stanza, ma Luise amava anche il silenzio, soprattutto ora che doveva concentrarsi sugli esami; anzi, il fatto di essere sola in stanza le avrebbe consentito di rimanere alzata più a lungo per ripassare, senza disturbare nessuno.

Così, quella notte era andata a letto tardi, ma senza alcun pensiero. C'era un silenzio perfetto, tutt'intorno, nessun rumore esterno (tutto era attutito dalla neve) e i corridoi, a quell'ora, erano perfettamente silenziosi. Si era addormentata stanca ma soddisfatta del lavoro compiuto.
Il suo sonno del giusto, tuttavia, non era durato a lungo. A svegliarla era stato qualcosa di insolito, nel suo letto. Qualcosa di freddo. Un piede freddo, per la precisione, ma perché mai dovesse esserci un piede che non le apparteneva, sotto le sue coperte, era un totale mistero: l'ultima volta che era successo era stato anni prima, quando lei e Julchen ancora dormivano insieme, occasionalmente.
Nel dormiveglia, Luise si rigirò tra le lenzuola, chiedendosi che strano sogno stesse facendo. Non riuscì a sistemarsi bene, tuttavia, perché c'era qualcosa che le impediva di mettersi nella posizione che voleva... ma che diamine...?!
Si allungò di scatto per accendere la lampada sul comodino, e così facendo ficcò le dita negli occhi di qualcuno.
“Ohiohiohiohiohi...” fece una voce, il cui tono lamentoso Luise conosceva fin troppo bene.
“Feliciano!!!” sibilò “Che diavolo ci fai qui?!”
Si udì un fruscio di lenzuola, mentre l'altro smetteva di mugolare per risponderle.
“Beh... la tua compagna di stanza è andata via, no? Ho pensato che magari avevi paura a dormire da sola, ecco. Magari potevi fare degli incubi.”
Luise sentì il sangue affluirle furiosamente alla testa.
“...o forse sono io, che ho fatto un brutto incubo...” continuò Feliciano, la voce tra il timido ed il divertito.
“Ma che incubo e incubo! Questo dev'essere un incubo, Feliciano! Come ti salta in mente di entrare nel mio letto?! I ragazzi non possono entrare in questo dormitorio! RAUS!” fece lei, la voce che saliva pericolosamente di tono. Ancora un attimo, e lo avrebbe spinto a forza giù dal letto.
“Eeeeh?! No, no...!”
“Ssssh! Sveglierai tutti!”
Il trambusto tra le coperte andò avanti per qualche momento. Luise tentava di scalciarlo fuori da sotto il piumino, ma Feliciano resisteva con le unghie e con i denti. Lei passò alle vie di fatto usando come arma il cuscino, ma dovette fermarsi quando l'altro smise di muoversi, la testa affondata sotto il guanciale che lei gli stava premendo addosso.
Vagamente preoccupata, Luise lo liberò della presa e si chinò su di lui per vedere se respirava. Gli toccò il naso con un dito, prudentemente.
“N-non voglio tornare in camere mia, adesso!” protestò Feliciano debolmente “Fuori c'è troppo freddo e la neve è troppo alta!”
Luise sospirò. Erano le due del mattino passate e lei aveva quasi voglia di piangere. Ripensò ai piedi gelidi di Feliciano e si disse che era già notevole il fatto che il ragazzo non fosse morto assiderato nel breve tragitto dal suo dormitorio a quello femminile, anche perché se l'aveva fatto indossando solo il pigiama...
“...ehi, aspetta. Dov'è il tuo pigiama?” ora che ci faceva caso, le spalle di Feliciano erano nude, e così il suo petto e il suo stomaco e le sue ginocchia, dove Luise lo aveva preso a calci.
L'altro sporse una mano tremante ad indicare il pavimento, dove era ammonticchiata una pila di vestiti - fradici, immaginava Luise.
“...Feliciano. Ti sei spogliato e sei entrato nel letto di una ragazza nel pieno della notte. Potrebbero arrestarti, per questo, lo sai?” sillabò Luise, conscia del fatto che se lo avesse soffocato ed ucciso, come si sentiva di fare in quel momento, avrebbero arrestato lei, invece.
Feliciano la osservò sorpreso.
“Veee? Ma pensi che potrei farti qualcosa di male? Luise! Tu sei la mia migliore amica! L'incubo era proprio brutto, ma se sto vicino a te, non ho paura! E poi, tu sei molto più virile di me, quindi non mi passerebbe mai per la testa di farti qualcosa che non vuoi, so che rischierei la vita!” affermò lui candidamente.
Molto più virile, eh? Migliore amica... Luise sospirò. Non sapeva bene perché, ma improvvisamente si sentì un po' depressa. Certo, non ci voleva molto a dimostrarsi più virili di Feliciano, con le sue continue lamentele e con le sue paure irrazionali. Eppure, in quello che aveva detto c'era qualcosa che, alle sue orecchie, stonava.
In ogni caso, non aveva davvero il cuore di rimandarlo sotto la neve.
“...va bene, puoi rimanere qui per qualche ora. Ma devi stare fermo e buono nella tua metà del letto, e ti voglio fuori dalla mia stanza prima che suoni la sveglia delle altre!” ringhiò minacciosa.
“Lo sai che le sveglie non sono il mio forte...”
“Ci penserò io, a svegliarti, non temere.”
Alla velata minaccia, Feliciano sentì un brivido percorrergli la schiena. Tuttavia, accoccolato com'era sotto le stesse coperte di Luise, tutti i problemi del mondo gli sembravano distanti. Entrambi si riaddormentarono nel giro di pochi secondi.

Inutile a dirsi, le visite notturne di Feliciano furono una costante per tutto il tempo in cui Sophia si assentò da scuola a causa del concorso. Nonostante Luise non nascondesse mai la sua stizza per quelle intrusioni fuori luogo (davvero, se li avessero scoperti?! N-non che stessero facendo nulla di, uh, di male, ecco, ma le regole erano le regole, ed i ragazzi non potevano venirci, nel dormitorio femminile!), non poteva nemmeno negare il sollievo che provava quando Feliciano approdava in camera sua, congelato e fradicio, e si arrotolava assieme a lei sotto le coperte.
Certo, non poteva neanche fare a meno di dubitare che tutto questo facesse davvero solo parte dell'essere migliori amici... ma come poteva saperlo, lei che di amicizia proprio non ne capiva nulla?

Se l'assenza di Sophia non le era pesata, il suo ritorno le fece sentire la mancanza di quei piedi gelati in fondo al letto e di quei vestiti umidi di neve sul pavimento. Tuttavia, non ne fece mai menzione con nessuno, e quelle indesiderate visite notturne rimasero il loro piccolo segreto.







_____________________


Guten Tag, Vati.”: Buongiorno, papà.
Guten Tag, Luise. So, wie geht's dir in der neuer Schule? Alles in Ordnung?”: Buongiorno, Luise. Allora, come va nella nuova scuola? Tutto bene?
Ganz gut, Vati, danke.”: piuttosto bene, papà, grazie.
Verstanden?: capito?
RAUS!: Fuori!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


[[Buon anno a tutti~ Eccomi qui con l'aggiornamento che, spero, stavate aspettando :)

In questo capitolo cambia il POV da cui è narrata la storia, mettiamo da parte Luise per un momento, e focalizziamoci su Feliciano e... Julchen!]]


Prompt di questo capitolo: pacchetto vario #2, altalena.
Personggi in questo capitolo: Feliciano, Lavinia, Antonio, Julchen, Gary, mr. Vargas, menzione di Sophia - e...oh!, un personaggio che sicuramente c'era anche prima, ma di cui nemmeno l'autrice si era accorta: Matthew! :D
Beta: Yuki Delleran





“Papà, papà~ Sì, sì, va tutto benissimo!”
Feliciano si dondolava allegramente sull'altalena, i piedi che scalciavano la neve che ricopriva il terreno ogni volta che vi arrivava vicino.
“Ve, sì, sta bene anche lei! E' qui con Antonio!”
Si voltò verso Lavinia, seduta sulle ginocchia dell'altro ragazzo, che si dondolava pigramente sull'altalena a fianco di quella di Feliciano. Senza ragione, Lavinia fece una linguaccia al fratello: non le piaceva sentir parlare di lei al telefono, visto che non sapeva cosa stesse dicendo suo padre, e che non si fidava delle risposte che poteva dare suo fratello.
“Abbastanza freddo, sì... gli esami benino. No, letteratura è andato bene... è matematica che è difficile... ah, ma ho studiato insieme a Luise, sai! Mi ha aiutato un sacco! Anche se non mi ha fatto copiare, all'esame, poi, uff...” Feliciano fece il broncio, lanciando un'occhiata depressa alla sorella che lo guardava con aria di trionfante cattiveria: gliel'aveva detto, lei, che quella Luise era una stronza.
“Ma sì, Luise, papà... la mia amica... no, non quella riccia... quella bionda, alta. Sì, quella dello schiaffo. Ma no, non è cattiva... oi!” cambiò lato del telefono, mentre con la manica del cappotto si asciugava il viso dalla palla di neve tiratagli da Lavinia.
“Beh, sì, è molto carina... è proprio bella, anzi. E' alta ed ha delle gambe lunghissime, bianche bianche. ...lo so perché gioca a pallavolo! I pantaloncini dell'uniforme sono corti corti!” Feliciano gesticolava allegramente, tutto preso a cantare le lodi del corpo di Luise, le mani che, praticamente, ne riproducevano le forme nell'aria. “La maglietta che usano è larga, però Luise ha un seno molto grande e questo la rende ancora più sexy e... ahiaaaa!!!” una seconda palla di neve, più grossa, stavolta, lo aveva colpito sul naso.
“Ma perché devo stare qui a congelarmi il culo mentre tu canti le lodi di quella spilungona frigida, si può sapere?!”
“A me sembra molto romantico, Lavinia...” disse Antonio, gli occhi verdi sognanti mentre osservava la sua ragazza digrignare i denti nei confronti del fratello.
“Che poi, con tutti i complimenti che fai a quella patata lessa, perché non puoi farne anche a me, eh? Non ti ho mai sentito una volta, una, dico, dirmi che ho delle belle gambe o che una maglietta sportiva mi rende sexy!!!”
“M-ma sorellona, tu...” Feliciano annaspò – non che pensasse che Lavinia non fosse carina, ma.. ma.. “...hai Antonio, a farteli, i complimenti!”
La ragazza fulminò con lo sguardo prima il fratello e poi il fidanzato.
“Crepate tutti e due.” commentò acida, girando i tacchi e andandosene.
“Eeeeh? Ma Laviniaaa!” Antonio le corse dietro.
Per quanto riguardava il ragazzo, avrebbe passato la vita a riempire l'italiana di complimenti. Peccato che sarebbe stata una vita decisamente breve.

“...ah, no, niente, papà, è che Lavinia se l'è un po' presa. Non so perché, ma Luise non le sta molto simpatica. Vabbeh che a sentire lei nemmeno Antonio le sta simpatico, eheh. Oh? No, mi ha detto che tornano in Germania, per Natale. ...eh, lo so. Avrei voluto farle assaggiare il panettone, ve~”
Rimase a dondolarsi da solo sull'altalena, disegnando piccoli cuori nella neve con la punta degli stivali.
“Non lo so, papà, è piuttosto severa, sai? Fa un po' paura, a volte. Però quando arrossisce perché si imbarazza o perché è molto arrabbiata è proprio carina, sì! ...ma no, io credo che sia timida. L'altro giorno le avevo fatto notare che sarebbe stata molto bene, se si fosse lasciata crescere i capelli... sì, li aveva corti corti all'inizio dell'anno, ma poi le stavano ricrescendo... beh, il giorno dopo se li è tagliati di nuovo.” Le labbra di Feliciano si piegarono all'ingiù. Poteva solo immaginarsi quanto bella sarebbe stata, Luise, con quei capelli dorati ad incorniciarle le guance bianche e rosse.
“Ma è carina anche così, sai? Proprio tanto.” tornò a sorridere, Feliciano, cancellando i piccoli cuori che aveva tracciato per farne uno più grande.
Luise era bella, e lui non poteva dirglielo perché lei si arrabbiava. Come Lavinia.

~*~

La neve cadeva a falde larghe nel buio ed il silenzio della nevicata copriva anche gli stentati cigolii dell'altalena, che dondolava su e giù mestamente, spinta dalle lunghe gambe della ragazza che vi stava seduta sopra.
La testa, ben coperta da un berretto di lana bianco calato sulle orecchie, era appoggiata ad una delle catene, i lunghi capelli candidi sciolti e disordinati che si confondevano con la sciarpa, il cappuccio del cappotto e la neve che li ricopriva.
Julchen si dondolava lentamente, le punte degli stivali alti fino al ginocchio che rimestavano nella neve e la mente che rivangava il passato, i ricordi in bianco e nero, come i fiocchi che si stagliavano contro il cielo scuro della sera.

L'indomani sarebbero iniziate le vacanze di Natale del suo ultimo anno di superiori, e poteva quasi sentire i mesi che la separavano dalla fine della scuola scivolare via dalle dita come se fosse già arrivata l'estate.
Ricordava bene – e si stupiva al pensiero, oh, sì – di come fossero diverse le cose due anni prima.
Due anni prima, quando la scuola era iniziata da pochi mesi e quando il suo migliore amico era proprio quel Gary che adesso si sarebbe quasi vergognato ad essere visto in sua compagnia.

Gary era una vera e propria peste, all'inizio del primo anno, Julchen se lo ricordava bene; ne avevano combinate parecchie, assieme.
Aveva questa immagine vivida di lui, il codino riccio spettinato, l'uniforme sporca di terra e di brandelli di foglie autunnali, che le sorrideva con fare cospiratore e birichino, mentre insieme preparavano un dispetto ai danni di qualche altro compagno di scuola.
A Julchen quell'immagine scaldava il cuore. Al tempo, non avrebbe fatto a cambio con nessun altro: in punizione assieme a Gary, certo non pensava ai rimproveri di suo padre o alle facce severe dei professori.
E poi... sì, proprio durante una di queste punizioni... si erano seduti vicini, e nel corridoio era già stato appeso il vischio natalizio che decorava tutti gli ambienti comuni dell'accademia. Si erano guardati con aria furba, ridendo di quanto fosse stupida la storia del vischio, che solo le femminucce inutili potevano provare gusto a sbaciucchiarsi (bleah!) sotto dei ramoscelli verdi, e che comunque nessuno aveva davvero bisogno di innamorarsi, soprattutto non a Natale, quando chiunque ne aveva abbastanza di pensare ai regali ed ai dolci.
Così, sempre per gioco, proprio per dimostrarsi l'un l'altra l'inutilità di quel gesto, si erano dati un bacio. Si erano appena sfiorati le labbra, Julchen lo sapeva, eppure nella sua memoria quei pochi secondi risultavano dilatati. Sì, lo sapeva che era durato il tempo di un soffio, che subito si erano staccati ridendo e dicendo che i baci erano una cosa inutile e che non potevano proprio capire perché mai tutti i loro compagni più grandi fossero così presi da quella attività così stupida.
Eppure, Julchen si ricordava anche che quella sera stessa, dopo essere andata a letto, non era riuscita a chiudere occhio, il cuore che le martellava nelle orecchie ed il viso in fiamme. Aveva deciso che il giorno dopo si sarebbe vendicata di Gary, che sicuramente le doveva aver passato il raffreddore o l'influenza... baci, che cosa pericolosa!
Ma il giorno dopo, quando aveva visto Gary, era diventata tutta rossa e non gli aveva quasi rivolto la parola. Una brutta influenza davvero, aveva pensato.

E poi, c'era stato il concerto di Natale.
Molti degli studenti avevano preparato qualcosa. Julchen si ricordava appena di Antonio, che si era presentato con un gruppo rock dove suonava la sua fidata chitarra. Si ricordava a stento perfino della bella poesia che Francis aveva recitato, tutto elegante ed appassionato, solo sotto i riflettori del palco.
Si ricordava invece molto bene del brano di chiusura del concerto, sì, fin troppo bene. Sophia era salita sul palco con un abito da sera lungo, blu notte, lo sguardo algido dietro gli occhiali sottili, i lunghissimi capelli trattenuti sulla nuca da un fermaglio scintillante, ed aveva messo le dita sul pianoforte.
Non ricordava molto di quello che aveva suonato – una delle sue solite, pallosissime musiche, buone solo a far addormentare la sala dell'auditorium – ma ricordava con troppa precisione l'espressione rapita di Gary che, seduto accanto a lei, stava ad ascoltare e non riusciva a distogliere i suoi occhi smeraldo dalle mani bianche della pianista.

In seguito, il Gary che Julchen aveva conosciuto era semplicemente scomparso. Piano piano, aveva lasciato spazio al ragazzo composto ed educato, sempre pronto a porgere la mano quella smorfiosa di Sophia, sempre attento a sbrodolarle addosso complimenti, premuroso di spargere petali di fiori dove passava, ansioso di seguirla fin sulla porta del bagno ...scodinzolante come un cagnolino idiota!, pensò Julchen dando un calcio rabbioso alla neve.

Chiuse gli occhi, stanca. Certo, poi erano arrivati Francis ed Antonio. Erano già molto legati, quei due matti, eppure l'avevano accolta con generosità ed allegria. Erano i suoi migliori amici, entrambi alla pari, e Julchen sola sapeva quanto doveva loro. Nessuno dei due, non Antonio con il suo amore fedele per Lavinia, non Francis con le sue passioni passeggere anche se brucianti, le aveva mai voltato le spalle o l'aveva lasciata mai in disparte per rincorrere qualcuna. Eppure, con nessuno di loro due si era mai scambiata un bacio, per gioco, sotto il vischio.
Julchen sentì le sue labbra protendersi pericolosamente all'ingiù, e ricacciò indietro con rabbia un accenno di lacrime. Odiava il vischio, se avesse potuto avrebbe dato fuoco a tutti quegli odiosi rametti che anche adesso-

La palla di neve gelata che la colpì sulla nuca le tolse il fiato e la risvegliò brutalmente dalle spirali tetre dei suoi pensieri.
“Oh oh oh, ma guarda chi si vede! Colta di sorpresa, eh? Incredibile!” qualcuno la canzonò, appena fuori dal cono di luce del lampione.
Julchen si voltò con una luce omicida negli occhi.
“Idiota!” sibilò.
Gary apparve nel cerchio di neve gialla, illuminata, passandosi tra le mani un'altra palla di neve.
“Buon Natale anche a te, sì.” rispose lui con fare condiscendente.
Insofferente – non era certo lì per subire gli sbeffeggiamenti di quel cretino, oh no! - Julchen si alzò di scatto dall'altalena e si avviò a passi veloci verso il dormitorio.
Gary, che si aspettava una risposta a tono, venne preso in contropiede da quella fuga inattesa.
“Ehi, aspetta!” esclamò, poco convinto, seguendola.
Un attimo, e il tutto si era trasformato in un inseguimento, con Julchen che tentava di distanziare Gary, contando sulle sue lunghe gambe atletiche, ma ostacolata dalla neve fresca che le rallentava il passo. Il ragazzo, da parte sua, tentava disperatamente di raggiungerla, ma il terreno era scivoloso e, per quanto tentasse di approfittare delle impronte lasciate da Julchen nella neve, la ragazza era sempre davanti a lui.
In poco tempo, entrambi si ritrovavano con i polmoni in fiamme, le nuvolette di fiato che uscivano dalle loro bocche con ritmo convulso.
Julchen si fermò, decisa a mettere fine a quell'inutile e ridicola maratona.
“Che cosa vuoi da me, si può sapere? Che c'è, Vostra Signoria puzza-sotto-il-naso Edelstein ti ha dato una serata di libera uscita e non hai niente di meglio da fare che venire ad inzupparmi di neve?!” ansimò, arrabbiata. Aveva il viso e la frangia tutti bagnati, ma sapeva di avere le guance rosse di rabbia e sforzo.
Gary ci mise un po' a risponderle, mentre prendeva fiato a fatica.
“Beh, nemmeno tu hai nulla di meglio da fare che startene seduta tutta sola su una panchina in mezzo al parco, o sbaglio? Venivo a tenerti compagnia!”
Julchen ghignò. La stava prendendo in giro?
“Tesoro, difficilmente posso trovare compagnia migliore di me stessa, capito?”
Gary si passò un guanto sulla faccia, scuotendosi via dai riccioli la neve che vi si era depositata.
“Capisco fin troppo bene...” borbottò, riprendendo lentamente ad avanzare verso di lei.
Per un momento, Julchen fu tentata di voltarsi e tornare a scappare, ma decise che non valeva la pena di sprecare così le sue energie. Con una mossa decisa del capo, si scostò dal viso le ciocche di capelli bagnate.
“Comunque, ero venuto per salutarti e per augurarti buon Natale.” disse lui, scontroso.
Julchen fu presa in contropiede, ma il tono della sua risposta fu di nuovo tra l'ironico e l'acido. “E per regalarmi un bel po' di neve ghiacciata giù per la schiena? Grazie, ma che pensiero gentile!”
Gary scrollò le spalle, uno sguardo corrucciato ed accusatore. Sembrava stare prendendo fiato per una nuova rincorsa. “Avresti reagito meglio se mi fossi avvicinato per abbracciarti?” la attaccò alla fine "Non pensi che a te stessa, nelle tue manie di onnipotenza egocentrica! E' sempre... sempre così, Julchen! Perché non ti curi mai delle ragioni degli altri?" Gary sembrava arrabbiato. Non la guardava più in viso, adesso, stava guardando la neve ai suoi piedi, e stringeva i pugni.
"Non so più come approcciarmi a te, maledizione. Una volta ti avrei abbracciato e augurato buon Natale, ed adesso... sì, non so come altro fare se non tirarti delle palle di neve a sorpresa, bella roba! Mi fai tornare infantile e dispettoso, ecco! Ma che cosa spero di cambiare, con questa tirata, eh?" Con rabbia, gettò a terra la palla di neve che aveva ancora in mano, poi, improvvisamente, girò i tacchi e se ne andò.
Julchen osservò il tutto basita.
Infantile e dispettoso, eh?
Lanciarle una palla di neve così, all'improvviso... già. Era qualcosa che il Gary dei primi mesi, forse, avrebbe fatto. Julchen non si sarebbe arrabbiata, in quel caso, no, sarebbe scattata in piedi e, ridacchiando come una forsennata, avrebbe solo pensato a vendicarsi. In breve, si sarebbero ritrovati a rotolarsi come due stupidi nella coltre gelida, incuranti di sciarpe e pantaloni bagnati. Sicuramente, nessuno di questi comportamenti si confaceva alla nuova identità di Gary, lacchè di sua signoria imperiale la principessina dei pianoforti.

Julchen si mosse e lo rincorse.

Fatti pochi passi, gli era già alle spalle, e gli afferrava un braccio per costringerlo a voltarsi. I loro visi erano vicini, ora, le nuvolette del loro fiato che si fondevano assieme, creando una strana aura nel buio attorno ai loro profili.
"Mi avresti abbracciata e mi avresti augurato buon Natale, hai detto? Bene, fallo." lo sfidò lei.
Gli occhi verdi di Gary indugiarono un attimo nei suoi, lo sguardo un po' incredulo.
"Che c'è, Vostra Altezza Quattrocchi vi ha risucchiato ogni capacità di relazionarsi umanamente alle altre persone?" Julchen roteò gli occhi, e lo strinse a sé. Era... strano ritrovarselo fra le braccia, dopo così tanto tempo. Gary era cresciuto. Aveva delle spalle più larghe, un accenno di barba sul mento, dei capelli ispidi e arruffati per l'umidità.
Julchen non perse tempo e gli sigillò le labbra con le proprie.
Durò più a lungo, questa volta - non era un semplice bacio sotto il vischio, non era il tipo di bacio che Gary potesse dimenticare facilmente, non doveva esserlo, non poteva esserlo, nella mente di Julchen. Doveva essere un bacio di quelli di cui ti rimane il sapore in bocca per la vita, doveva far sciogliere la neve ai loro piedi e riportare il calore dalla punta dei loro nasi congelati a quella delle dita dei piedi, ormai quasi insensibili per il freddo. Un bacio che Gary avrebbe solo potuto sognare, da quel momento in avanti.
Quando le labbra di Julchen si staccarono da quelle del ragazzo, fu un dito coperto di lana gelida e umida a prendere il loro posto.
"Ricordatelo per bene, questo, non troverai altrove labbra magnifiche come le mie." sibilò lei, la voce inaspettatamente calda.
Lo lasciò andare così come l'aveva abbracciato, e tornò sui suoi passi, sparendo in fretta nel buio del parco.


Così sarebbe dovuta andare, decisamente - o almeno, di questo era convinta Julchen, mentre pensava e ripensava all'episodio, tentando di scaldarsi le membra ancora intirizzite sotto il piumino, nel suo letto.
Un bacio da togliere il fiato era quello che quel cretino di Gary si sarebbe meritato, altroché. Ma non era andata così, in realtà.


Julchen si era messo a ricorrerlo, e questa volta, a ruoli invertiti, era stato Gary a scappare. La ragazza, frustrata, si era fermata, aveva raccolto un bel po' di neve e gliel'aveva lanciata, prendendolo in pieno, naturalmente, vista la sua magnifica mira infallibile.
Oh sì, erano tornati ai vecchi tempi, e a modo suo. Sul chi vive, aveva aspettato la risposta di Gary, un suo attacco, ma questo non venne.
Gary si voltò lentamente, ripulendosi la neve di dosso con gesti controllati.
"D'accordo, hai avuto la tua vendetta, siamo pari adesso. Va bene, no? Ora io posso tornare in camera mia a finire le valige, e tu puoi tornare nel tuo magnifico mondo dove vivete tu e la tua magnifica te e pensare a quanto stupidi ed insulsi siano gli altri esseri umani."
La guardò per un lungo istante.
Forse si aspettava che Julchen gli rispondesse a tono, forse che davvero corresse ad abbracciarlo, ma non successe nulla di tutto questo, e Gary tornò a voltarsi. Alla fine, sparì dietro le colonne dell'atrio del dormitorio maschile.
Julchen diede un calcio rabbioso alla neve, sollevando alti spruzzi bianchi.
"Non me ne frega niente nemmeno di vendicarmi di te, brutto idiota! Vai, fa' il facchino per Vossignoria dei vasi da notte finché non ti si spezza la schiena! ...Dummkopf!!!" pestò i piedi nella neve, infuriata e stanca.
Ormai al colmo della sopportazione, si affrettò anche lei verso il portone del suo dormitorio. Si sentiva congelare e bolliva di rabbia allo stesso tempo, in più, poi, gli occhi le stavano lacrimando per il freddo - per il freddo, sì, maledizione, per cos'altro, sennò?! Era certo troppo magnifica per piangere dietro ad un tale cretino.

Nella fretta, finì coll'urtare qualcuno che stava camminando in silenzio a lato del vialetto.
Julchen non si premurò nemmeno di chiedere scusa - ma cos'aveva urtato? Un albero, un cestino? Eppure proprio non l'aveva visto... - salvo poi voltarsi indietro con una vaga sorpresa a sentirsi chiedere scusa da una voce timida, quasi soffocata dalla nevicata.
In effetti, non aveva urtato un tronco né un cestino, ma una persona. Nell'oscurità e nella nevicata, non poteva nemmeno vederlo bene, ed i suoi occhi non si soffermarono su di lui per più di un paio di istanti.

No, non era così che sarebbe dovuta andare a finire. Ma Julchen non aveva saputo trovare altro modo. Proprio come Gary, nemmeno lei sapeva più come avvicinarlo, se non per prendere a male parole lui o la sua padroncina ditine-di-fata. Forse sarebbe bastato un passo in più, un abbraccio e dei semplici auguri di buon Natale, e tutto sarebbe tornato come prima. Ma abbracciarlo sembrava molto più difficile - troppo, come se si fosse scordata di come si faceva.



Mentre Julchen si allontanava in lacrime verso il dormitorio femminile, la figura silenziosa, che, nonostante avesse quasi perso l'equilibrio dopo lo scontro, era passata del tutto inosservata, era poi rimasta a guardare il silenzio la ragazza che entrava nell'edificio sbattendosi il portone alle spalle.
Matthew le aveva chiesto scusa perché, in effetti, non avrebbe proprio dovuto trovarsi a camminare su quel viale, a quell'ora della sera, non avrebbe dovuto assistere a quel litigio e, soprattutto, non avrebbe dovuto intralciare la ritirata della ragazza. Del resto, era abituato a passare inosservato - lei sicuramente non se lo ricordava, ma lui aveva bene in mente tutte le volte in cui quella ragazza dal sorriso smagliante e dai capelli candidi gli era passata accanto di corsa mancandolo per un soffio.

Silenzioso, riprese la sua via verso il dormitorio maschile, pensando che se mai fosse stato così fortunato da incontrare una persona che potesse arrivare a piangere per lui, beh... si sarebbe premurato in ogni modo per far sì che questo non accadesse mai.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


[[*aggiorna e scappa*]]

Prompt per questo capitolo: desiderio
Personaggi in questo capitolo: Luise, Feliciano, Julchen, Lavinia, Antonio, Francis, Belgio ed Olanda, menzione di Matthew.
Beta: Yuki Delleran





I professori dicono sempre che, passate le vacanze di Natale, la fine dell'anno è dietro l'angolo. Non è proprio così, perché c'è ancora un bel po' da faticare, un bel po' da studiare, un bel po' da essere interrogati e così via, ma è anche vero che, in un certo senso, con l'arrivo dell'anno nuovo la strada appare improvvisamente in discesa, e, se anche il tempo non scorre più velocemente, l'allungarsi delle giornate e lo scaldarsi dell'aria aiutano a farlo passare in maniera più piacevole.
Così, erano trascorsi i mesi: la neve era andata man mano sciogliendosi, e la primavera, zitta zitta, in paziente attesa sotto la coltre bianca, era d'un tratto sbocciata e fiorita con grande potenza, portando le prime giornate di caldo, gli insetti, i fiori, i pollini e tutto quel rigoglio di cespugli e uccellini e fronde verdi che distraeva gli studenti, attirando i loro sguardi verso le finestre e lontano dalle lavagne.

Era molto piacevole, ora, passare i pomeriggi nel grande giardino della scuola. Ovunque, i ragazzi si sedevano a gruppi, in piccoli circoli, circondati da cartelle, maglie, bottiglie e libri – i quali venivano sì portati appresso con le buone intenzioni di venire studiati, ma venivano prontamente abbandonati in un angolo non appena qualcuno tirava fuori un mazzo di carte, un pallone o una chitarra.
Nel gruppetto che interessa a noi, era proprio una certa chitarra ad essere l'oggetto della distrazione.
Antonio sedeva con la schiena appoggiata al tronco di una albero, un fazzoletto rosso annodato al collo, e la giacca dell'uniforme allegramente buttata di traverso su uno dei rami più bassi. Cantava a squarciagola e suonava il suo strumento con fare spensierato, felice della giornata di sole, del fatto che fosse maggio e senza alcun altro pensiero al mondo.
Il ragazzo era piuttosto popolare, tra le studentesse: di bell'aspetto, simpatico, divertente, gentile, un po' trasandato - ma in maniera accattivante, vinceva su tutti gli altri quando cominciava a suonare e a cantare, soprattutto in pomeriggi oziosi come quello.
Lavinia lo sapeva bene, e non a caso gli stava addosso, seduta a cavalcioni di uno dei rami dell'albero, indossando un paio di jeans alla buona al posto della gonna dell'uniforme, ed osservando le compagne di scuola con felini occhi verdi, sfidandole ad avvicinarsi troppo all'idiota che considerava suo territorio.
Poteva stare tranquilla, comunque, perché quel pomeriggio Antonio aveva una degna concorrenza. Da una parte, c'era Francis: il biondo sedeva felicemente circondato dalle compagne di classe, beato per tutte quelle camicette sbottonate e per tutte quelle gambe che, finalmente, potevano essere mostrate al mondo senza le pesanti calze che le avevano tenute prigioniere d'inverno. Si sentiva un po' come un sultano in mezzo al suo harem.
E poi, c'era Feliciano. Il ragazzo si era portato la sua chitarra all'accademia, dopo l'ultimo weekend in cui era tornato a casa, ed Antonio gli aveva subito chiesto di fare qualche duetto.
Feliciano era ancora un primino e non sapeva suonare altrettanto bene, ma aveva la stessa, spensierata gioia di vivere del compagno più anziano, un sorriso altrettanto largo, ed una galanteria che faceva sorridere le ragazze più grandi. In breve, anche lui si era creato il suo piccolo giro di fan, da cui amava farsi coccolare e viziare.
Naturalmente, Lavinia teneva sott'occhio anche lui, ma non era eccessivamente preoccupata: la sua più acerrima nemica, quella patata lessa di una tedescona, non era abbastanza vicina al fratello per costituire un pericolo, al momento, e la ragazza poteva concentrare i suoi sforzi altrove.
L'unica eccezione alla sua guardia attenta era costituita da Julchen, che poteva starsene tranquillamente accoccolata a fianco di Antonio a limarsi le sue magnifiche unghie – non era abbastanza donna, agli occhi di Lavinia, per costituire un vero pericolo riguardo a nessuno dei suoi due uomini.

Luise stava seduta in disparte, cercando disperatamente di concentrare tutta la sua attenzione sul libro che teneva tra le mani. Era uno sforzo piuttosto vano, in effetti: tra tutto il vociare degli altri studenti e le pallonate che ogni tanto le passavano vicino, seguire il filo logico del suo saggio era un'impresa ardua. Tuttavia, la cosa che la distraeva di più era probabilmente il suono di una certa voce, che al momento stava duettando con un'altra in una sdolcinata ballata d'amore.
Luise spostò casualmente gli occhi dal libro alla fonte della musica: quei due beoti di Antonio e Feliciano se la cantavano tranquillamente, con tutte le ragazze intorno a ridacchiare e fare il coretto, dimentiche delle mani leste di Francis che accarezzavano fianchi e gambe con nonchalance. Lavinia, le gambe penzoloni dal ramo dell'albero, sembrava pronta a prendere tutte a pedate nei denti – fine che sarebbe sicuramente toccata anche a Luise, se si fosse avvicinata a ricordare a Feliciano che il test di matematica si avvicinava e che lui avrebbe fatto meglio a spendere il suo tempo a studiare, invece che a fare la cicala in mezzo al prato.
Riportò la sua attenzione sul libro, lisciandosi nervosamente l'orlo della gonna.
Ora, a Luise piaceva la primavera: le squadre avevano ricominciato ad allenarsi all'aperto, le giornate erano lunghe abbastanza per rendere piacevole la sua corsetta serale, e l'abbondante luce naturale rendeva lo studio meno faticoso. La stagione, tuttavia, portava anche conseguenza più sgradite: il caldo non consentiva di indossare nulla al di fuori della camicetta e la gonna della divisa, e questa sembrava anche più corta ora che la temperatura non consentiva più di portare le calze.
Luise si tolse gli occhiali da lettura, stropicciandosi gli occhi con un sospiro sconfortato: stare seduta sull'erba a leggere non era stata una buona idea. Per impedire che la gonna si sollevasse oltre i limiti della decenza era costretta a stare tutta storta e con la schiena rigida, e la cosa alla lunga era stancante. Che poi, a che pro scegliere una simile collocazione? Naturalmente, il fatto che Feliciano fosse poco distante e che lei desiderasse stargli vicino non giocava alcun ruolo in tutto questo, assolutamente no. Un prato assolato, pieno di ragazzi che giocavano a pallone, che cantavano e che ridevano era decisamente il luogo migliore per dedicarsi alla lettura di Nietzsche, senza dubbio.
Anche perché, beh... se sperava che Feliciano si ricordasse di lei, circondato com'era dalle compagne di scuola che lo riempivano di moine, stava fresca.
Rimettendosi gli occhiali, tornò ad alzare la testa per gettare un'occhiata in quella direzione. La canzone che stavano cantando era finita e le studentesse cinguettavano in maniera sconclusionata, chiedendo ai due tordi di attaccare con una delle loro canzoni preferite. Ad ogni titolo, Lavinia replicava dicendo che faceva schifo, e, sebbene Luise sapesse che di fatto la ragazza aveva gli stessi gusti musicali delle altre, per una volta si sentiva perfettamente d'accordo con lei.
Con la coda dell'occhio, però, si accorse che Feliciano la stava guardando. In fretta, si sistemò gli occhiali e continuò a leggere: improvvisamente, stare lì sul prato non era più un'idea tanto buona, e la gonna sembrava diventata perfino più corta di prima.
Un momento dopo, l'ombra di qualcuno oscurò il sole e, prima che Luise potesse replicare stizzita che le stavano togliendo la luce, Feliciano si accucciò accanto a lei. Sulla faccia aveva sempre lo stesso sorriso idiota che aveva riservato alla sua piccola schiera di groupie.
“Veee~ Ciao! Che cosa leggi?”
La nascita della tragedia di Nietzsche.” rispose lei, guardandolo da sotto in su attraverso le lenti degli occhiali. Poté praticamente sentire l'eco delle sue parole riverberare nel vuoto della testa di Feliciano, all'assoluta mancanza di reazioni da parte sua. Ovviamente, non aveva idea di che cosa stesse parlando.
“Presto sarà la tua tragedia, se non smetti di farmi ombra.” aggiunse lei corrugando le sopracciglia.
Capita l'antifona, Feliciano si spostò.
“Beh, uhm, perché non vieni lì con noi? Ti suoniamo qualcosa?” chiese lui, tutto propositivo dopo un attimo di iniziale incertezza.
Luise indicò il gruppo con un cenno del mento. “Non credo sia una buona idea.”
Lavinia stava storcendo il collo nella loro direzione, mangiandosi le mani perché non poteva lasciare da solo Antonio per andare a trascinare indietro il fratello. Perfino un paio delle ragazze del “pubblico” li stava guardando di soppiatto, commentando qualcosa sottovoce.
Luise arrossì e distolse lo sguardo. “Che pettegole.”
Feliciano scrollò le spalle. “Si accontenteranno di Antonio, ve?” suggerì gentilmente, accoccolandosi vicino a lei, le gambe che sfioravano le sue.
Imbracciò la chitarra, strimpellando qualche accordo per accompagnare le sue parole, e subito attaccò a canticchiare qualcosa di incomprensibile in spagnolo, ed a questo punto la mente di Luise si scollegò. Non aveva idea di che cosa stesse dicesse l'altro, ma non importava. A dirla tutta, non era nemmeno perfettamente intonato, ma non avrebbe potuto interessarle di meno: a contare erano solo i riflessi color miele nei suoi capelli bruni e quelle labbra morbide che si muovevano al ritmo della musica.
Era bello, anche se era tutto spettinato, anche se il bordo della camicia gli sfuggiva da sotto il gilet, tutto spiegazzato, anche se i lacci delle sue All Stars pendevano inerti ai lati delle scarpe, così lunghi che pareva incredibile che lui non vi inciampasse ad ogni passo.
(Nel mentre, Lavinia stava scalpitando per andare a mangiarseli vivi, trattenuta solo da una sapiente azione di disturbo messa in atto da Julchen.)
Luise sentì un sospiro uscirle dalle labbra, e subito tornò a nascondersi dietro Nietzsche. Feliciano non la stava guardando, cantava ad occhi semichiusi, e lo sguardo di Luise continuava ad essere calamitato nella sua direzione.
Era sempre così anche quando erano distanti, ma quando Feliciano le stava seduto proprio a fianco l'attrazione gravitazionale che quel viso esercitava sui suoi occhi era inutile da combattere, prevedibile ed ineluttabile come ogni legge fisica.

“FELIIIIII~ Torna qui! Ci avevi promesso un'altra canzone!” lo strillo di una delle groupie fece cadere entrambi dalle nuvole. Feliciano si voltò subito, ma la ragazza che lo aveva chiamato non stava guardando lui, aveva gli occhi fissi su Luise. Non erano occhi gentili.
“Oh, certo! Arrivo!” fece lui sventolando una mano nella direzione degli altri, e poi si voltò verso Luise. “Vieni anche tu, dai!”
Rossa in faccia – mannaggia a questo sole primaverile ed alla sua pelle chiara così incline alle scottature! - Luise si alzò in tutta fretta, scuotendo la testa. Il prato era stato davvero una pessima idea.
“Nein. Non penso di essere la benvenuta.”
“Ma Luise!” la implorò Feliciano afferrandola per la gonna “Sei la mia migliore amica, è chiaro che...”
Lei lo fulminò con lo sguardo. “Non. Toccare. La. Mia. Gonna.” sibilò. Migliore amica, ja? Feliciano aveva pronunciato le parole sbagliate. La bionda gli puntò contro un indice accusatore: “Faresti meglio a tornare a studiare algebra, perché sai benissimo che al tema non ti farò copiare, verstanden?”
Detto questo, girò i tacchi e si avviò a passo marziale verso il dormitorio, lasciando Feliciano a struggersi nello sforzo di capire dove mai avesse sbagliato.

Poco distante, appoggiati al tronco di un altro albero, una coppia di ragazzi dai capelli biondo cenere osservava in silenzio la situazione. Lui – lo spilungone che Luise aveva soprannominato il brucaliffo il primo giorno di scuola – fumava tranquillamente la sua pipa, e dallo sguardo dei suoi occhi grigi si capiva come non dovesse avere un'opinione particolarmente alta degli eventi a cui aveva assistito.
Lei osservava un po' divertita e un po' scettica, piluccando di tanto in tanto da una confezione di cioccolatini, un albo a fumetti aperto in grembo.
“Certo che è un'ingiustizia.” commentò la ragazza ad un tratto. Il fratello le lanciò uno sguardo interrogativo, senza emettere un suono.
“Voglio dire, non vedi? I ragazzi più carini e gentili finiscono sempre con delle bisbetiche possessive.” commentò, gettando un'occhiata significativa verso Lavinia, che aveva appena allungato uno scappellotto sulla nuca del fratello, e per l'occasione anche ad Antonio.
“Quell'altra” andò avanti riferendosi a Luise, che si era già eclissata “sarebbe anche una tipa a posto, se solo smettesse di comportarsi da kapò nei confronti di tutta la classe... ma l'italiana sa essere un vero terrore, eh?”
Lavinia ora sedeva a gambe incrociate tra i due ragazzi, con un ramo appoggiato alla spalla a mo' di fucile da guerra. Un po' inquietante come visione, in effetti.
“Gli uomini si innamorano sempre di quelle sbagliate.” sospirò la ragazza, infilandosi in bocca un ennesimo cioccolatino.
“...mh.” fu tutto quello che il fratello seppe produrre in risposta, tornando ad attingere fumo dalla sua pipa. La cosa non lo disturbava più di tanto, in realtà, anzi: quell'Antonio non gli era mai piaciuto.


Migliore amica, migliore amica. Gliela dava lei la migliore amica!
Luise si chiuse la porta della stanza alle spalle e si sedette alla scrivania sospirando. Appoggiata allo schienale della sedia, si massaggiò le tempie con fare drammatico. Feliciano le dava troppo da pensare, decisamente.
Da un lato, era chiaro come lui fosse il suo migliore amico. Luise non aveva molte amicizie, a scuola, tolte Julchen e Sophia - ma una era sua sorella e l'altra la sua compagna di stanza, per cui era ovvio che fosse legata ad entrambe. Feliciano, invece, era un'altra questione.
Certo, non era molto esperta in fatto di amicizia, ma per quanto ne sapeva questa doveva nascere tra persone affini, che condividevano gli stessi interessi. Bastava prendere lei e Sophia: ascoltavano la stessa musica, si erano prestate diversi libri, condividevano opinioni e giudizi molto simili in merito alla gestione della scuola e alle pessime abitudini di molti degli studenti.
Ma con Feliciano era differente. Innanzitutto, non avrebbe potuto esistere persona più diversa da Luise: pigro e svogliato, quando lei era una macchina da studio, rumoroso e troppo espansivo, quando lei era silenziosa, riservata e decisamente poco incline al contatto fisico. Le stava appiccicato quando gli faceva comodo e contava su di lei per troppe cose, vero, eppure c'erano momenti in cui tutta quella sua allegria le strappava un sorriso, momenti in cui, quando lui non c'era o era triste, a lei tutti quei suoi sorrisoni ed abbracci mancavano: non era brava a consolare le persone, Luise, lo sapeva bene, ma con Feliciano sembrava riuscirci. Era... bello: il fatto che lei potesse tornare a farlo sorridere se lui era depresso, infatti, metteva di buonumore anche lei, la faceva sentire importante, necessaria, desiderata.
Feliciano cercava la sua compagnia, il suo aiuto, i suoi sorrisi, ed era la prima volta che questo le capitava. Per quel che ne sapeva, poteva benissimo trattarsi di amicizia, ma... questo non bastava.
Se Luise sapeva poco dell'amicizia, era chiaro che sapeva anche meno dell'innamoramento, e, in effetti, era confusa. C'erano una serie di sintomi, di eventi che non sapeva qualificare. Quando lei e Feliciano erano seduti vicini a lezione, ad esempio, e le loro mani si avvicinavano per caso, la sua pelle formicolava per la tensione. Se poi le dita si sfioravano a tradimento, riceveva una scossa che quasi la faceva saltare sulla sedia.
Poi, di tanto in tanto, si ritrovava a guardarlo ed a pensare che fosse carino. Non era atletico, non era alto, e a dirla tutta aveva spesso un'espressione poco intelligente, soprattutto a lezione. Eppure lo trovava bello, e non ci poteva fare niente.
Luise continuava a massaggiarsi le tempie, cercando di venire a capo di quel puzzle, incapace di incastrare i pezzi che per metà si trovavano nella sua testa e, per l'altra metà, nel suo cuore.
Era naturale che lo amasse perché era il suo amico più caro, ma non bastava: mancava sempre una tessera, in quel mosaico, ed era la stessa mancanza che sentiva quando sedevano vicini, quel vuoto che rimaneva tra le loro mani, quel qualcosa di più che lei desiderava ardentemente.

~*~

“Allora, Lieschen, mancano due giorni al ballo di fine anno!”
Julchen atterrò sul divano con poca grazia ed accavallò le sue magnifiche gambe sopra quelle della sorella.
Luise alzò gli occhi dal libro che la stava impegnando.
“Sì. E' segnato sul calendario scolastico.” rispose telegrafica, prima di riabbassare lo sguardo sulla sua lettura.
Julchen fu lesta a chiudere il libro con un'abile mossa del piede, e la sorella sollevò su di lei uno sguardo esasperato. Sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa di simile, vista la festa che incombeva, ma non aveva alcuna voglia di affrontare l'argomento.
“Kesesese, voglio sapere in quale modo buffo ed imbarazzante Feliciano ti ha chiesto di essere la sua dama per il ballo... e voglio sapere quale magnifico abito indosserai!” spiegò Julchen con un sorrisone complice.
Luise arrossì. Per fortuna, la sala comune del dormitorio era praticamente vuota, e le altre ragazze non sembravano fare caso a loro.
“Non ho nulla da raccontarti.”
“Dai, sono la tua sorellona, a me lo puoi dire!”
“Non c'è niente da dire!” sibilò Luise, dandole un'occhiataccia “Non sono stata invitata da nessuno e quindi non indosserò nessun abito perché al ballo non verrò, va bene? Punto. Ora, se sei così gentile da togliere questo piede da...”
“Eeeeeh?” Julchen si rizzò sul divano, torreggiando sulla sorella minore ed afferrandola per le spalle. “Ma è assurdo! D'accordo che è un ritardatario nato, ma pensavo te l'avesse chiesto da tempo!”
Luise fece spallucce, riabbassando lo sguardo nel vano tentativo di riprendere la lettura.
“Si sarà preso per tempo con una delle innumerevoli ragazze con cui ci prova quotidianamente. Non mi stupirei se ne avesse invitata più di una, anzi.” commentò, con una certa amarezza nella voce.
Julchen si sedette, abbracciandosi le ginocchia e guardando la sorella con aria pensosa. Gelosia, eh? Un sentimento di cui Julchen conosceva bene l'odore.
“Kesesesese, credi davvero che Feliciano preferirebbe qualcun'altra alla sorella della magnifica sottoscritta? Ma per favore, Lieschen! Probabilmente l'hai spaventato e fatto scappare prima che lui potesse parlarti.”
Luise roteò gli occhi. In effetti, le ultime settimane erano state piuttosto pesanti, con tutti i test e gli esami di fine anno a tenerli impegnati. Lei e Feliciano avevano studiato assieme, come sempre, ma Luise era stata pronta ad azzittirlo tutte le volte che il ragazzo deviava appena dal discorso “studio” per parlare di qualcos'altro. Che questo qualcos'altro potesse davvero essere l'invito al ballo, però... ah, impossibile.
“Assurdo. Ma l'hai visto? Quel ragazzo è un flirt continuo. E come sei carina oggi di qua, e che bene che ti sta il nuovo taglio di capelli di là... Invitare me? Come no. Sono sua amica, e basta.”
Improvvisamente, Julchen assunse un'espressione seria.
“Ma a te così non sta bene, non è vero, Lieschen?”
L'altra non alzò lo sguardo, ma il suo rossore aumentò in maniera evidente.
“E' chiaro che lui ti piace, sono la tua magnifica sorellona, lo so. Non posso leggere nella testa di Feliciano, ma se fossi in lui non oserei invitare un'altra al ballo, se potessi chiedere a te.”
“Beh, comunque non lo ha fatto, quindi non vedo perché dovremmo discutere di...”
“Ehi.” Julchen le prese il mento tra le dita e la fece voltare per guardarla negli occhi. “E' un uomo ma non ha le palle di invitarti, ok? Cosa credi, se stai ad aspettare che siano quelli a muovere il sedere e a venire a bussare alla porta, puoi stare fresca. Una deve andare e prenderseli, ed è quello che farai tu, verstanden? Va' da lui e digli che ti porterà al ballo.”
Luise non batté ciglio. Tentava di mantenere un'espressione glaciale, ma aveva le guance in fiamme.
“Non ha senso, Julchen!” Andare ad implorarlo di portarla al ballo? Ma che discorsi erano? E se poi lui fosse già stato impegnato...? Luise era troppo orgogliosa per affrontare una prova simile e l'umiliazione che poteva conseguirne. “E poi ci sono gli esami, non ho tempo da perdere dietro a balli e compagnia bella!”
Le pupille di Julchen si assottigliarono.
“Tu non vuoi che qualcun'altra te lo porti via, Lieschen, da' retta alla tua sorellona. E fidati che il ballo di quest'anno sarà molto, ma molto più importante per te che non tutti gli esami messi insieme. Considera questo libro requisito fino a che non avrai l'invito al ballo, sorellina.” disse lei gelida, prendendo il libro per sequestrarglielo.
Luise lo afferrò prima che lei potesse tirarglielo via.
“E tu con chi ci andrai al ballo, sorellona?”
Sapeva che Sophia era stata invitata da Gary, naturalmente, e, da quello che Luise aveva dedotto riguardo al rapporto tra loro e Julchen, la cosa sicuramente non faceva piacere a sua sorella.
La bocca di Julchen si piegò in un ghigno. “Ho ancora una decina di inviti da esaminare, kesesese.” disse annoiata, mentre si metteva a trafficare con il cellulare “Non credo che ci sarà nessuno di abbastanza magnifico da essere al mio livello, ma vedrò di accontentarmi.”
Luise indurì lo sguardo. “Avrò il mio invito quando tu avrai il tuo.” replicò secca.
Julchen emise un teatrale sospiro di esasperazione. “Ce l'ho, l'invito, ce l'ho. Di... uh, come si chiama...” si grattò la testa. “Beh, è di una persona così poco magnifica che non mi ricordo nemmeno il nome, kesesese!”
Luise inarcò un sopracciglio, scettica.
“Me l'ha raccomandato Francis, è un suo protetto o una cosa del genere.” spiegò l'altra, gli occhi sempre puntanti sul telefonino “Siccome io sono magnificamente generosa, gli ho promesso di accompagnarlo al ballo.”
“...va bene.” Luise era ancora dubbiosa, ma non replicò ulteriormente.
“Ora che hai finito col tuo interrogatorio, Lieschen, voglio vederti alzare questo tuo bel culetto e andare in biblioteca.”
“Biblioteca? Posso studiare anche qui...”
“Sei dura di comprendonio, eh? Il tuo principe azzurro è in biblioteca a dormire sui libri.” disse Julchen, mostrando alla sorella un sms di Antonio, arrivato in quel momento esatto a rivelare la posizione di Feliciano. “Va' e torna vincitrice.”

E così, Luise si ritrovò a dirigersi di gran carriera verso la biblioteca. La fretta, beninteso, non era dovuta al doversi procurare l'invito per il ballo, bensì al fatto che Feliciano si concedesse pisolini fuori luogo in tempo di esami. Gliel'avrebbe fatta passare lei, la voglia di dormire, altroché.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


[[E siamo arrivati al penutlimo capitolo! Questa storia è stata aggiornata velocemente, sono sconvolta da me stessa, ahahah! Non so che dire, se non che la parte finale verrà sperabilmente pubblicata prima della fine di questa settimana. Buona lettura!]]

Personaggi in questo capitolo: Luise, Feliciano, Sophia, Antonio, Francis, Feliks
Prompt di questo capitolo: strategia
Beta: Yuki Delleran





Fuori dalla biblioteca, Luise fissava la pesante porta di legno che ne costituiva l'ingresso. C'era un'aria di sfida nei suoi occhi azzurri, e le mani erano strette a pugno. Il fallimento non era contemplato, decisamente no.
Tuttavia, non sapeva come agire; le serviva una strategia, un piano d'azione. Rimuginò e rimuginò, sola davanti alla porta della biblioteca, e alla fine decise per un attacco a sorpresa.
Entro, lo sveglio, lo sgrido e gli impongo di venire al ballo con me: sarà troppo spaventato per rifiutare!, decise alla fine.
Inutile specificare che Luise non guardava molti film romantici, anzi: di romantico conosceva solo la definizione del dizionario, e comunque non l'aveva mai capita fino in fondo.

Dentro la biblioteca, nel frattempo, Feliciano non stava dormendo. Non si era appisolato nemmeno un momento, a dire il vero: quando Antonio lo aveva visto con la testa tra le braccia conserte sul tavolo, infatti, non stava dormendo, ma pensando.
Mancavano due giorni al ballo ed ancora non aveva avuto la risposta all'invito che aveva mandato alla ragazza che avrebbe voluto lo accompagnasse. Erano passati una quindicina di giorni da quando le aveva scritto, pregandola di rispondergli entro la settimana seguente, ma la risposta non era ancora arrivata. Che cosa doveva fare? Riuscire a parlare del ballo era stato impossibile, in questi ultimi giorni, tra studio ed esami. Forse avrebbe dovuto scriverle nuovamente? Ma che cosa?
Feliciano si mordicchiò nuovamente l'unghia del pollice sinistro, mentre con l'altra mano scribacchiava l'ennesimo foglio di quaderno.
Chino sui suoi fogli tutti cancellati, Feliciano tornò a nascondere la testa fra le braccia. Un'idea, gli serviva un'idea!

“Svegliati, ignavo che non sei altro!”
Feliciano tirò su la testa di scatto. “N-non stavo dormendo, lo giuro! Mi stavo concentrando!”
Luise inarcò un sopracciglio in segno di rimprovero. Che scusa penosa.
“Davvero. Beh, fa' un po' vedere.” con decisione, allungò una mano sul tavolo e prese il primo foglio che le capitò, senza che Feliciano potesse fare nulla per impedirlo.
Tra la scrittura non proprio ordinata del ragazzo e le varie cancellature e righe tirate sopra le parole, era piuttosto arduo capire cosa ci fosse scritto, ma dalle due o tre cose leggibili che si intravvedevano la bionda fu in grado di capire che si trattava di un invito al ballo.
Mentre posava il foglio sul tavolo scoccò a Feliciano un'occhiata che lo congelò sulla sedia.
“Hai invitato qualcuna al ballo di fine anno, vero?”
Il ragazzo deglutì a vuoto, guardandola quasi con terrore.
“U-uhm, sì, in effetti sì.”
“Davvero.” gli occhi di Luise erano ridotti a due fessure “E qual è stata la risposta?”
“N-non c'è stata una risposta... o meglio... non ancora.” Feliciano annaspò, non sapendo che dire.
“E' un no, quindi, te lo dico io.”
Feliciano la guardò smarrito. Un no? Al suo invito?
“...u-un no, dici? La risposta al mio invito è no?”
Luise assottigliò gli occhi.
“Un bel no.” rispose severa. Qualsiasi fosse stata la ragazza a cui Feliciano aveva chiesto di fare da cavaliere, beh, se non aveva ancora risposto arrivava tardi.
Feliciano levò su di lei due occhi affranti e tristi.
“A-allora non ci voglio più andare, al ballo, se lei non viene con me.” replicò, deglutendo a fatica.
Luise fece tanto d'occhi. Non si era aspettata una risposta simile: nel suo piano, Feliciano era felice di essere libero proprio per venirci con lei, al ballo. Nella sua strategia, non era decisamente contemplato che il ragazzo reagisse così.
“Con nessun'altra?” fece eco Luise, presa in contropiede.
“Con nessun'altra.” ripeté lui debolmente, distogliendo lo sguardo, ferito.
Luise arretrò di un passo. Avrebbe voluto conoscere il nome di questa ragazza – chi era, perché Feliciano dimenticasse tutte le altre, perché dimenticasse perfino lei?! Era troppo orgogliosa per chiederglielo, però.
“Ho capito.”
Fece un altro passo indietro. L'altro non la stava più guardando. Silenziosa, si voltò e se ne andò.
Con un sospiro sconsolato, Feliciano tornò a poggiare la testa tra le braccia.



Luise non si curò di tornare nella sala comune per raccontare alla sorella l'esito fallimentare della missione. Si rifugiò in camera sua, invece, dove si sedette alla scrivania e cominciò a ripetere a memoria date e formule, indistintamente, per digerire la delusione. Non si curò nemmeno di scendere a cena, e quando Sophia rientrò in stanza, piuttosto tardi, era ancora seduta alla scrivania a ripetere a memoria.
La bruna si spogliò in silenzio per non disturbarla nel ripasso, spazzolandosi i lunghi capelli scuri con aria pensosa.
Finalmente, Luise terminò l'argomento che stava studiando e fece una piccola pausa per riordinare i fogli di appunti sulla scrivania.
“Allora...” Sophia si stava spazzolando una ciocca di capelli con particolare cura “...tu e Feliciano avete parlato dell'invito al ballo?”
Luise si voltò verso di lei con un'espressione stralunata. Come faceva a saperlo, Sophia? Certo non glielo aveva detto Julchen! Era così evidente che fosse cotta di Feliciano?
“Nessuno di noi due ci andrà.” rispose secca.
Sophia la guardò con le sopracciglia sollevate, dubbiosa, ma non disse nulla, limitandosi a togliersi gli occhiali ed a pulirli attentamente con il fazzoletto apposito. Luise ringraziò mentalmente la compagna di stanza per la sua riservatezza (se fosse stata al suo posto, Julchen le sarebbe saltata addosso per estorcerle delle spiegazioni con la violenza) e considerò fortunatamente chiusa la questione. Il tutto faceva già abbastanza male anche senza doverlo spiegare a Sophia.
Luise si alzò per spogliarsi ed infilare la camicia da notte.
“Non nascondo come la cosa mi stupisca, però.”
Svestita per metà, Luise si voltò indietro con un malcelato sospiro.
“Io... credo che tutti qui abbiano frainteso.” Oh, sì. Luise stessa aveva frainteso, evidentemente. “Per Feliciano sono solo un'amica e lui non mi ha mai invitata al ballo, capito? Quindi...”
Ma Sophia non la stava ascoltando. Si era alzata e si era messa a frugare in un cassetto. Siccome gli occhiali erano già stati ripuliti per bene ed erano quindi stati lasciati intatti sul suo comodino, ci vedeva poco, alla luce della lampada da tavolo.
“Quel ragazzo è uno sbadato. Prima sembrava fuori di testa, all'idea che non avessi ancora risposto al suo invito al ballo, ma scommetto che ha finito col dimenticarsi di fartelo notare.” stava commentando, mentre strizzava gli occhi nella difficoltosa ricerca.
“No, non hai capito.” Luise si sedette sul letto con un sospiro. Non aveva idea di che cosa stesse cercando Sophia, e francamente, in quel momento, non avrebbe potuto interessarle di meno. “Ascolta, possiamo andare a letto? Al momento non sono in vena di spiegazioni... L'invito di Feliciano non era per me.”
Sophia stava ora guardando controluce un foglietto tutto spiegazzato, e senza dire niente si voltò a porgerglielo.
“Sono piuttosto sicura che sia questo. Quando me lo sono ritrovata tra i piedi pensavo si trattasse di uno dei soliti scherzi di cattivo gusto della signorina Vargas.”
Luise prese il pezzo di carta senza dire niente; sopra c'era scritto, con il tratto grossolano di uno spesso pennarello nero: “diventa purè, patata lessa che non sei altro”, firmato L. Vargas. Ben gentile da parte sua, pensò Luise, troppo depressa per prendersela.
“Io non ci vedo granché, ma se provi a guardarlo in controluce c'è un'altra scritta sotto. Controlla che non sia il tuo invito al ballo.” disse semplicemente Sophia, infilandosi sotto le lenzuola.
“Sì, come no!” sbottò Luise, ma in effetti c'erano delle parole scritte a penna, sotto la minaccia di “pureizzazione” che ricopriva la superficie del foglietto. Non certo curiosa di scoprire che cosa ancora le augurasse la sorella di Feliciano, Luise tenne comunque la carta tirata fra le dita davanti all'abat-jour del suo comodino.
Con sua grande sorpresa, quella che comparve controluce era davvero la calligrafia di Feliciano! L'operazione di disturbo di Lavinia era stata compiuta ad opera d'arte e il testo risultava in gran parte illeggibile, ma tra le gambe delle lettere a pennarello si distinguevano alcune frasi, tra cui: “...onorato di andare al ballo con te...”, “Staresti benissimo vestita di blu.” ed un ultimo: “...rispondimi entro una settimana, grazie. Feli~”.
“Quando l'hai trovato questo?”
“Un paio di settimane fa, mi pare.” fu la risposta che venne da sotto il cuscino dell'altro letto.
“Non ti sembrava il caso di farmelo avere?”
“Non te l'ho fatto vedere perché mi sembrava irrilevante, di per sé. Te l'ho detto, credevo fosse uno di soliti sfoghi infantili della Vargas, ma l'ho tenuto perché avrebbe potuto essere usato come prova contro di lei, nel caso fosse passata alle vie di fatto, sai. Poi oggi Feliciano è venuto da me con aria impensierita, mi ha chiesto se sapessi qualcosa del suo invito, se per caso non l'avessi ricevuto, ma io gli ho detto che non ne sapevo nulla. Poi però mi è tornato in mente questo.”
Luise chiuse la mano a pugno. Un invito di cui Feliciano aspettava ancora la risposta... e la risposta era no, senza dubbio, gli aveva detto Luise per fargli capire che se la ragazza lo aveva ignorato non poteva certo essere interessata.
Ma quella ragazza era lei, e quello che Sophia aveva scambiato per un foglietto pieno di insulti era proprio l'invito, probabilmente manomesso da Lavinia nell'intento di sabotare il fratello.
...aveva appena rifiutato l'invito del ragazzo che le piaceva per uno stupidissimo fraintendimento.

Prese il cellulare e chiamò Feliciano, ma niente: il suo telefono era spento. Ma come, non lo aveva lasciato acceso nel caso lei cambiasse idea? Si era addormentato come se nulla fosse? Cretino.
“Esco.” disse allora mettendosi un paio di scarpe da ginnastica e fiondandosi alla porta.
“Luise Weilschmidt.” la bionda, sulla soglia, si voltò indietro. Sotto i capelli leggermente arruffati, Sophia la stava guardando con aria di rimprovero. “Capisco la tua - peraltro ben riposta - fiducia nelle tue natiche, ma ritengo sconsiderato andare in giro la notte lasciando i pantaloni sulla sedia della scrivania, non credi?”
Luise sbuffò. In effetti, lo credeva anche lei. Se li infilò in tutta fretta e sparì nel corridoio.

Ricomparve solo un paio di minuti più tardi di fronte al dormitorio maschile. Non poteva entrare, lo sapeva bene, e comunque la porta d'ingresso era dall'altra parte dell'edificio. Fortunatamente, la stanza di Feliciano era al primo piano, ed al momento era anche illuminata, così Luise non rischiava di sbagliare mira.
Presa una manciata di ghiaino da terra, la lanciò senza esitazioni. La luce proveniente dalla finestra venne oscurata per un attimo dall'ombra di qualcuno che si muoveva nella stanza, poi questo qualcuno si sporse dal davanzale. Non si trattava di Feliciano, però.
“Cioè, ma i vetri così si rompono, tipo! Chi... Luise?” il biondino comparso nella cornice della finestra la osservò da sotto un'elaborata acconciatura di forcine e nastri rosa.
Feliks, il compagno di stanza di Feliciano. Probabilmente uno degli studenti più strani dell'intera accademia - il che significava davvero essere strani forti, vista la concorrenza.
“Mi serve Feliciano.” fece lei, senza urlare a voce abbastanza alta da essere udita.
“Uhm... devo dirgli che è, tipo, un appuntamento romantico?” fece lui giocherellando pensieroso con una ciocca di capelli “No perché sai, lui ci tiene a fare bella figura in queste cose, tipo, e insomma l'ultima volta che l'ho visto era un po' giù, cioè, quindi...”
“Non è in stanza?” lo interruppe lei.
“Uh, no, tipo...”
“Lo puoi andare a chiamare... bitte?” chiese lei con quello che era tutto fuorché un tono da richiesta gentile.
Feliks sobbalzò. “Sì, tipo, okay, okay. Torno subito. Niente sassi finché non torno, però, tipo, chiaro?” si raccomandò lui, prima di sparire di nuovo nella stanza.
“E digli di sbrigarsi!” gli urlò dietro lei, nervosa.


Nel frattempo, del povero Feliciano si stavano prendendo cura Francis ed Antonio, ascoltando con pazienza gli sfoghi di dolore del piccolo italiano dal cuore spezzato, che si era visto rifiutare dalla sua bella.
Spiegava loro come la sua strategia iniziale – un bigliettino scritto a mano, che lui aveva affidato alla sorella affinché lei lo facesse scivolare nottetempo sotto la porta della stanza di Luise – sembrasse essere fallita miseramente: il biglietto richiedeva risposta entro una settimana, ma ne erano passate più di due e, nonostante lui avesse visto Luise praticamente ogni giorno, lei non aveva mai accennato all'argomento. Feliciano aveva tentato di introdurlo, eccome, ma ogni discorso che non riguardasse il ripasso sulle materie d'esame era tabù per Luise, negli ultimi tempi.
“All'inizio... all'inizio pensavo anche che l'invito non le fosse arrivato, capito? Ma Lavinia mi ha garantito che l'aveva messo sotto la porta, ve, anche se me l'ha detto con un sorrisetto un po' malefico... e beh, insomma, ero lì che pensavo a come scoprire se sarebbe venuta o no, quando ecco che lei entra, mi chiede se ho invitato qualcuna al ballo, e io le dico di sì, e che però non ho ricevuto una risposta, e lei mi dice che allora vuol dire che è un no, e allora le rispondo che io non voglio andare al ballo con nessun'altra se la ragazza che ho invitato non accetta di venire con me, e allora lei se ne va, e...”
Feliciano si ficcò in bocca un'altra cucchiaiata di crema al cioccolato per combattere le lacrime.
Mon ami, questa storia è très triste... ma succede, con le ragazze. Non vuol dire che non le piaci, però... magari si vergogna solo del ballo in sé! Non vuole metterti in imbarazzo facendoti andare in giro con un tronco di legno.” disse Francis, scompigliandogli i capelli con aria paterna. Conoscendo Luise, poteva scommettere che la ragazza era tutto fuorché avvezza alle feste o agli eventi sociali.
“Ci vuole pazienza, amigo. La prima volta che ho invitato tua sorella al ballo mi ha rovesciato in testa un catino di acqua gelida, ahah! Fortuna che era estate, ahahahah! Peccato che però mi abbia rovinato la chitarra con cui le stavo cantando la serenata. Ma come vedi ora tra noi va tutto a gonfie vele!” fece Antonio con fare incoraggiante.
Feliciano sollevò su di lui uno sguardo affranto. “Ma ora che dovrei fare, ve? Se non voleva venire al ballo poteva dirmelo, avremmo trovato un'alternativa, io vorrei solo...”
La voce lamentosa del ragazzo venne interrotta da un isterico bussare alla porta.
“Tipo, c'è Feliciano qui, sì? Deve tipo sbrigarsi a uscire.” fece Feliks, aprendo la porta senza aspettare nessun invito. “C'è Luise, qua sotto, e tipo, vuole che scendi. Cioè, in fretta.”
Feliciano si guardò attorno ansioso, come in cerca di approvazione. Gli altri due lo guardarono incoraggianti, pollici in su. Il ragazzo deglutì sonoramente, poi si alzò ed uscì ad affrontare il suo destino.
Gli altri aspettarono di vederlo sparire in fondo alle scale, e poi si precipitarono ad una delle finestre del corridoio per spiare gli avvenimenti.

Feliciano si avvicinò a Luise con una certa cautela. Non era sicuro delle intenzioni della ragazza e, se da un lato sperava che questa fosse venuta per comunicargli che aveva cambiato idea, dall'altra temeva una ramanzina per aver osato troppo con l'invitarla.
Quando si avvicinò, comunque, notò che Luise sembrava nervosa. Continuava a stropicciare una cosa che aveva tra le mani e si guardava intorno con fare impaziente.
“...'sera!” fece Feliciano, timido.
“Oh, alla buon'ora. Senti un po'...” il tono brusco con cui lei gli si rivolse gli fece fare un salto dalla paura, ma quando lei gli si avvicinò si limitò a tendergli una mano per mostrargli una cosa. Il ragazzo la prese: era un foglietto.
“Questo sarebbe... il tuo invito per me al ballo di fine anno, vero?”
Feliciano aprì il foglietto e fissò stupito la grossa scritta che vi campeggiava sopra al posto della sua calligrafia. Si affrettò ad avvicinarsi ad un lampione per esaminare il foglio alla luce.
“Ve... sì, direi che è questo. Era un po' diverso quando te l'ho mandato, però... Non capisco...” rispose, corrucciato.
“Feliciano!” Luise lo aveva seguito sotto il lampione, mani puntate sui fianchi e sguardo severo negli occhi. “Tu hai fatto recapitare a me un invito simile da tua sorella. Come ti è venuto in mente?!”
Feliciano si schiarì la gola, nervoso. Aveva commesso un errore imperdonabile.
“V-ve... io... io non sapevo a chi altri darlo, non...”
Luise lo azzittì con un ringhio. “Quell'invito” sibilò puntando un indice accusatore contro l'oggetto del delitto “Sophia l'ha interpretato come una minaccia di morte da parte di Lavinia! Io ero preoccupata!” continuò lei, le guance ora lievemente rosse – dalla rabbia, presumeva Feliciano.
“T-ti eri spaventata per quello che ci aveva scritto Lavinia?” chiese lui innocentemente. In effetti non era carino invitare qualcuno a diventare purè, sua sorella era sempre così perfida.
NEIN!” Luise ruggì, incombendo su di lui. “Mi ero preoccupata perché il tuo invito non mi era arrivato! Non l'avevo ricevuto! E quando sono venuta in biblioteca, prima, ho creduto... ho creduto che avessi invitato qualcun'altra!”
Feliciano la osservò diventare sempre più rossa, vagamente affascinato dal fenomeno. Rimase a guardarla, incurante del suo imbarazzo, pensando solo che era carina, vestita in tuta da ginnastica, con gli occhiali da studio inforcati sul naso e i capelli leggermente arruffati.
Poi, pian piano, una vaga comprensione cominciò ad insinuarsi nella sua mente.
“...oh. Per questo non mi avevi risposto, vero? Non avevi capito che era un invito e non l'avevi letto!” Feliciano batté il pugno sul palmo dell'altra mano, improvvisamente illuminato. “Ho provato a chiedertelo, se l'avevi trovato, ma tutte le volte che tentavo di parlartene ti arrabbiavi perché non volevi essere distratta dallo studio!” fece lui raggiante.
Luise si ravviò i capelli all'indietro, imbarazzata. Dopotutto, Julchen ci aveva visto giusto, sul punto.
“Uhm, j-ja... beh, con gli esami e tutto il resto...”
“E quindi quando mi hai detto che la risposta era no... ehi! Perché mi hai detto che era no, se non sapevi dell'invito?” chiese lui, confuso.
Luise si sentì avvampare. Ma insomma, doveva spiegargli tutto per filo e per segno, non ci arrivava?
“Avevo capito che l'invito era stato mandato a qualcun'altra. Se non avevi ricevuto risposta... insomma, volevo convincerti che lei non sarebbe venuta al ballo con te, capito?”
“Ma io non avevo invitato nessun'altra, al ballo, Luise!” rispose lui candido.
“ADESSO LO SO!” fece lei con un moto di esasperazione. “Ma prima non ne avevo idea! Con tutte le ragazze che ti girano intorno, come facevo a sapere se...”
“Luise!” Feliciano la interruppe con un'esclamazione di stupore. “Ma sei gelosa?” chiese, quasi incredulo, e poi scoppiò a ridere. La sua espressione beatamente felice non poté essere guastata nemmeno dall'occhiata omicida che lei gli aveva lanciato.
“...va bene. Vediamo di chiudere questa storia una volta per tutte.” borbottò la ragazza, quasi soffocando per l'imbarazzo. Con un gesto improvviso, chiuse le mani di lui in una presa ferrea, così ferrea che a Feliciano si mozzò la risata in gola.
“Feliciano Vargas!” tuonò lei “Vuoi venire al ballo con me?”
Lui la guardò con due occhi enormi, troppo sorpreso per rispondere.
Ja oder nein?!” intimò lei.
“JA!” Feliciano si affrettò a rispondere, quasi spaventato, e poi riprese a ridere. “Luise, Luise! Te l'ho detto che non ci sarei andato con nessun'altra, no?”
Lei aveva chinato la testa, rossa per l'imbarazzo.
Divertito ed intenerito allo stesso tempo, Feliciano le strinse le mani e l'attirò verso di sé.
“Sono felice che tu me l'abbia chiesto.” ammise.
“Beh.. bene. Ma... n-non te lo sto chiedendo da... da migliore amica, verstanden?” rispose lei, i suoi occhi azzurri che evitavano quelli castani del ragazzo come meglio potevano.
“Oh... oh.” lui arrossì fino alle orecchie, ma il suo sorriso si fece solo più raggiante. “Verstanden, sissignora!”
Feliciano era uscito scalzo, e se ne ricordò solo quando dovette alzarsi in punta di piedi per baciarla sulle labbra.



“Il ragazzino ci sa fare.” commentò Antonio, con un sorrisone sulle labbra.
Oui, oui, anche se ha ancora molto da imparare~” commentò Francis con espressione maliziosa.
“Certo che, tipo, Luise ha bisogno di qualche lezione di femminilità, cioè... O almeno di qualche forcina per capelli con gli strass.”
“Se hai il coraggio di andare da lei ed offrirle un corso accelerato ti offro da bere fino alla fine dell'anno scolastico, amigo.”
“...l'anno finisce tra tipo due giorni, Antonio. Non credo che il gioco valga la candela, tipo.”
Rimasero in silenzio per un po', finché Feliks non sbadigliò.
“Credo che tipo, andrò a letto. Cioè, quei due non si staccano più, tipo.”
Gli altri concordarono. C'erano esami, l'indomani!
Così, sgombrarono il corridoio, e finalmente lasciarono in pace Luise e Feliciano, soli sotto la fioca luce dei lampioni.



–––––––––

Bitte: per favore
Ja oder nein?!: Sì o no?!

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


[[E siamo alla fine! Il fatto che abbia pubblicato tutti e sette i capitoli in meno di un mese è senz'altro uno dei segni dell'apocalisse imminente... non si ripeterà mai più, mi sa.

Anche se per ora questa storia vi saluta qui, non escludo che ci si riveda più avanti con gli stessi personaggi, perché non mi dispiacerebbe scrivere un seguito, tempo ed ispirazione permettendo - anche se per adesso ho altro da pubblicare e da scrivere (*coff* la tesi *coff*)

Grazie per aver letto ed avermi seguita fin qui! :D

Myst~]]


Personaggi in questo capitolo: Luise, Julchen, Feliciano, Francis, Antonio, Lavinia, Matthew, Gary, Sophia, Feliks, Alice, Alfred, Toris
Beta: Yuki Delleran la super-donna *_* <33333





Luise spese la mattina seguente a tentare di concentrarsi disperatamente sul foglio del test che aveva davanti. Il fatto che qualcuno, nella sua testa, avesse selezionato la scena del bacio tra lei e Feliciano e l'avesse lasciata su “repeat”, però, non la aiutava affatto.
Ogni tanto lanciava delle occhiate al ragazzo, per controllare che stesse facendo attenzione al tema, ma era difficile capire che cosa gli passasse per la testa: mordicchiava la penna, con la sua solita espressione che, in un primo momento, Luise aveva interpretato come ebete, ed adesso... beh, sì. Sembrava perso nei propri pensieri.
Riportò la sua attenzione al foglio che la aspettava sul banco, con un sospiro – ma stranamente, non era un sospiro esasperato. O almeno, non solo.
Da un lato, avrebbe volentieri buttato all'aria il banco, afferrato Feliciano per mano e sarebbe scappata di corsa in giardino, a godersi assieme a lui la bellissima giornata di inizio estate... dall'altro lato, provava l'intenso desiderio di sbattere la testa sul banco e tornare alla realtà. Era nel bel mezzo di un esame! Non poteva mettersi a fantasticare di... di certe cose come una babbea qualsiasi!
Tornò a guardare Feliciano, ma la cosa non le fu d'aiuto, perché anche il ragazzo la stava guardando. Quando vide Luise voltarsi verso di lui, le rivolse il sorriso più dolce del mondo, facendola arrossire fino alla punta dei capelli.
L'esame di quel giorno non andò come Luise aveva previsto, ma, sempre contro ogni previsione, a lei non importò un granché.

~*~

E poi, arrivò la festa di fine anno.
Luise fece il suo ingresso nella palestra – per l'occasione travestita a gran sala da ballo – che era già rossa fin sulla punta del naso. Accanto a lei, Feliciano camminava come danzando in punta di piedi: era così contento che sembrava più alto di almeno una decina di centimetri. Ogni tanto si voltava verso Luise con un'espressione quasi incredula: davvero era lì con lei, quella sera?
Nonostante la bionda si liberasse dalla sua presa tutte le volte che lui tentava di tenerla per mano, il suo essere così reticente non rovinava la felicità del suo ragazzo, che continuava ad ammirare quella bellezza vestita di celeste che gli camminava a fianco, anche se in maniera un po' rigida.

Luise non era a suo agio, in effetti. Un po' era colpa dell'ambiente: feste e balli? Francis aveva ragione, su questo: erano tutto fuorché il suo ambiente naturale.
Però Francis non solo ci aveva visto giusto nel giudicare il rapporto tra la ragazza e la mondanità, ma era anche stato chiamato a porvi rimedio: Julchen aveva decretato che non c'era persona più adatta di lui a consigliare Luise al meglio su cosa indossare per la sera.

Trascinare Luise fino al centro commerciale più vicino si era rivelato un compito arduo, come previsto, ma la sorella sapeva esattamente quale carta giocare.
“Dobbiamo andare a fare shopping, Luise.”
“Shopping? E con quali soldi?” le aveva risposto lei, conscia che il contenuto del suo portafoglio non sarebbe mai bastato all'acquisto di un abito da sera.
“Hai la carta di credito di Vati, lo so.”
L'aveva Luise perché Vati mai si sarebbe fidato a lasciarla alla sorella maggiore, naturalmente.
Ja. Serve per le emergenze, lo sai bene.”
“Lieschen.” Julchen le aveva regalato il più perfido dei sorrisi, mentre apriva uno dei suoi cassetti. “Ma il tuo guardaroba è un'emergenza.” le aveva detto gentilmente. E l'altra non aveva saputo cosa rispondere.

Alla fine, Luise si era trovata incastrata in un camerino con Julchen e Francis che le passavano montagne di abiti e valanghe di accessori.
(Antonio non era della partita perché, naturalmente, se lui lo fosse stato, avrebbe dovuto esserlo anche Lavinia, e gli scenari apocalittici che una cosa del genere poteva comportare avrebbero fatto inorridire chiunque.)
Prova dopo prova, era il biondo quello che sembrava prenderci più gusto.
“Ehi” disse ad un certo punto, quando Luise era appena scomparsa all'interno del camerino dopo essersi mostrata in un abito rosso che aveva scollature in posti impensabili – che però si notavano poco perché lei era diventata dello stesso colore del vestito – dando di gomito a Julchen “fammi sapere se per caso la sorellina cambia idea da qui a domani a proposito del suo cavaliere per il ballo... sai, sarei lieto di fare da rimpiazzo~”
“Francis, io ti conosco bene, e so che sei un bravo ragazzo... ma so anche che non fai nulla per dimostrarlo. Quindi, no.” fu la semplice risposta di lei, e Francis se era rimasto zitto.

Luise aveva combattuto contro strascichi di paillettes e tacchi a spillo vertiginosi, riuscendo infine a cavarsela con un abito azzurro senza troppi fronzoli, accollato ma che lasciava generosamente scoperta la schiena, e delle scarpe in tinta con un tacco minimo: non sembravano trampoli, ma erano abbastanza per darle quel piccolo tocco di slancio alle gambe così che Feliciano potesse passare tutta la sera a sbirciarle con adorazione.
Erano anche abbastanza per farla muovere come un automa, con il timore di mettere un piede in fallo ad ogni passo: così agghindata, inciampare e cadere rovinosamente a terra non era esattamente nei suoi piani.


Alla festa, invece, c'era qualcuno che avrebbe assai gradito vederla scivolare – anzi, dall'intensità con cui la stava fissando, si sarebbe detto che Lavinia fosse concentrata nello sforzo di farle rompere un tacco con la sola forza del pensiero.
Fasciata in un abito color sabbia dal taglio diritto, la gonna che arrivava poco sotto le ginocchia, si stava strattonando con aria nervosa il piccolo rubino che portava al collo. Il suo piano era miseramente fallito ed ora suo fratello si portava appresso quell'albero di patate dall'accento teteshco.
...lo sapeva, lo sapeva che le patate non crescevano sugli alberi, ma dannazione!, se fossero cresciute sugli alberi, quelle piante sarebbero state tutte uguali a Luise, ne era certa.
“Il tuo fratellino sembra molto contento, Lavi!” commentò Antonio, arrivando raggiante nel suo completo scuro e portando in mano due cocktail analcolici.
“Come no!” ringhiò lei, strappandogli di mano il bicchiere “Quell'idiota non capisce che c'è un cuore perfido, dietro quella quarta di reggiseno. Lo scoprirà, oh se lo scoprirà!” fece mostrando i denti “E poi verrà a lamentarsi dalla sottoscritta, come sempre. Ma io glielo avevo detto, e col cazzo che lo consolerò, capito!?” sventolò un pugno nella direzione della coppietta, con l'unico risultato di versarsi qualche goccia di cocktail nella scollatura.
“Oh, sta' attenta a non sporcarti!” esclamò Antonio mentre si affrettava a tirare fuori un fazzoletto.
“Che cavolo credi di fare?! Giù le mani!” abbaiò lei, strappandogli il fazzoletto dalle mani con malagrazia e asciugandosi da sola.
Antonio la lasciò fare, limitandosi ad osservarla mentre asciugava le gocce di liquido colorato.
“Sei così bella, stasera!” disse dopo qualche istante, con un sorriso sincero e spensierato.
Lavinia sbuffò, incrociando le braccia sul petto. “E' già la nona o la decima volta che me lo dici, e la festa è appena iniziata! Vedi di cambiare solfa, perché ne ho le palle piene.” avvertì, girandosi per nascondere il rossore che le copriva le guance.
“Sempre magnificamente innamorata e dolce, ja?!” cinguettò Julchen mentre faceva la sua magnifica apparizione tra i due. Indossava un abito lungo color viola scuro, in forte contrasto con la sua carnagione diafana, su cui risaltava appena la collana di perle che le ornava il collo. Al contrario della sorella, si muoveva perfettamente a suo agio con i tacchi e con le gonne, e per dare dimostrazione della sua agilità si sedette con garbo sul tavolo del rinfresco.
Lavinia le gettò uno sguardo di fuoco, mentre Antonio la accoglieva con una risata leggera.
“Oh, Lavinia è solo un po' preoccupata per Feliciano~ Eh, questi fratelli minori...” rise, sorseggiando il suo cocktail.
Julchen esibì la sua candida dentatura in uno dei suoi ghigni più smaglianti.
“Tutta questa acidità ti rende sempre meno magnifica, tesoro. La vuoi una fetta di torta, per addolcirti un po' quella tua boccaccia?” fece, piazzandole in mano il piatto di dolce al cioccolato già mezzo mangiato.
Lavinia sbuffò e si allontanò a grandi passi per cestinarlo.
Antonio assisté alla scena con un sorriso beato, abituato agli scambi amorevoli tra le due ragazze. In realtà, nessuna delle due voleva male all'altra, anzi; in un certo senso, si poteva dire che fossero amiche. All'improvviso, però, si rese conto che sprecare così una fetta di torta era davvero un peccato troppo grande, e si affrettò a seguire Lavinia.
Alors, come va, mia cara?” Francis indossava una camicia dai colori pastello, i suoi capelli biondi splendevano più che mai e, forse, aveva esagerato un poco col profumo.
“Come va a te, Francis. Credevo ti fossi già imboscato da qualche parte con la tua bella di stasera. Che ci fai da solo?” rispose Julchen addentando uno stuzzicadenti su cui erano infilzate delle olive.
“Mh, è andata a incipriarsi il naso.” rispose lui facendole l'occhiolino.
“Non è abbastanza magnifica da essere degna della tua compagnia se non si rifà il trucco ogni mezz'ora, eh? Kesesesese, non troverai mai quella giusta, Francis.” commentò l'amica, lanciando a casaccio lo stuzzicadenti dietro di lei.
Francis si limitò a sorridere, portando l'attenzione sulla folla che gremiva il resto della sala. I suoi occhi celesti finirono inevitabilmente per cadere su una coppia bionda in un angolo. Lei era la ragazza che Luise aveva quasi fatto ustionare con il tè urtandola il primo giorno di scuola, i capelli sempre acconciati in due lunghe code, lui era ragazzo alto, occhiali, ciuffo leggermente fuori posto – quel disordine appena accennato che, tutto sommato, faceva figo. Lei sembrava infastidita per qualcosa, e lui sembrava trovarlo divertente.
“Non credo che guardarli serva a molto, sai?” fece notare Antonio, ricomparendo accanto a loro con quel che rimaneva della torta.
Francis sospirò, sempre sorridendo.
Lui, il ragazzo la cui lista di conquiste femminili (e non solo) corrispondeva praticamente all'elenco degli studenti iscritti all'accademia, si era sempre visto respingere dalla biondina di origini britanniche, che sembrava invece preferire lo statunitense doc con cui si trovava al ballo quella sera.
“...ha indossato delle scarpe da ginnastica con il completo. Che mancanza di stile.” fece Francis con un certo disgusto, incontrando l'assenso dei due amici.
In effetti, quelle scarpe dai colori stile insegna al neon erano facili da notare.
Certo, non altrettanto facili quanto il vestito di Feliks, quello no.
Poco distante dalla coppia che Francis stava osservando, infatti, si muoveva una chiazza di colore rosa shocking a forma di vestito con tanto di orli di pizzo e maniche a sbuffo. Dalla stoffa uscivano gambe e braccia umane, e su tutto torreggiava una testa biondissima ed accuratamente truccata. Per contrastare con tanto sfarzo, il suo accompagnatore era vestito interamente di nero e portava i capelli castani legati in un codino basso sulla nuca: Toris aveva la reputazione di essere un sant'uomo.
Inutile dire che le scarpe da ginnastica arancioni e viola dell'americano passavano decisamente in secondo piano, accanto a Feliks.
“Ma Matthieu non è così sciatto, vero?” fece Francis, spostando la sua attenzione su Julchen, abbagliato dal troppo rosa.
La ragazza sbatté le palpebre. “Chi?”
“Matthieu! Mon Dieu, non dirmi che gli hai tirato buca!”
“Ah, Matthew. Uh. No. E' qui, da qualche parte, credo.”
Julchen si guardò intorno, come aspettandosi di trovarlo dietro di lei. Perché era stato dietro di lei, fino ad un certo punto, almeno.
Invece di Matthew, però, Julchen trovò qualcun altro.
“Uh-oh” fece Antonio.
“Coppia sgradita numero due in avvicinamento ore tre.” gli fece eco Francis.
Sophia avanzava nella sala indossando un abito lungo bianco e lilla, un trucco essenziale – per l'occasione, non indossava gli occhiali - ed il suo solito contegno dignitoso. Agli occhi ridotti a due fessure di Julchen, ogni suo passo parlava agli astanti di quale onore fosse dato ai comuni mortali lì presenti, visto che sua altezza reale si era degnata di fare la sua comparsa alla festa.
Accanto a lei procedeva Gary, impeccabile nel completo scuro - che, senza dubbio, era stato scelto da lei - tutto compreso nel suo compito di bastone per i non vedenti. Improvvisamente, Julchen si ritrovò a sperare di possedere poteri psichici, cercando di far inciampare la nobildonna con il solo potere dello sguardo. Come era stato per Lavinia, però, il trucco sembrava non funzionare.
“Che tanfo, tutt'ad un tratto, eh?” commentò asciutta.
“Oh, davvero? Cavolo... è che non sono arrivato a fermare Lavinia prima che la buttasse nel cestino e... por favor, non guardatemi così, stavo scherzando!” assicurò Antonio.
“Preferirei di gran lunga frugare assieme a te nella spazzatura, piuttosto che dovermi sorbire quei due.” sibilò Julchen.
Stavano ballando, ora. Ballando.
Sophia era praticamente cieca, senza quei fondi di bottiglia che si teneva incollati sul naso, perché non poteva semplicemente cadere? Possibilmente su un tavolo, ecco, dritta in una di quelle belle torte alla panna. Si sarebbe intonata tanto bene, a quel suo vestitino da mille e una notte.
“Va bene, sentite, io giro al largo per un po'. La musica è una noia e le tartine fanno schifo. Bis bald.”
Senza una parola di più, Julchen prese e se ne andò.


“Potresti andare a parlarle.”
Contrariamente a quanto pensava Julchen, Sophia non era poi così cieca: aveva indossato delle lenti a contatto, e queste supplivano alla mancanza degli occhiali; non le era stato difficile, quindi, notare la ritirata dell'altra ragazza.
“Parlarle?” Gary fece un'espressione stupita. “E che cosa dovrei dirle?”
Sophia distolse lo sguardo, attenta a guardare dove metteva i piedi mentre ballavano.
“Non lo so, sei tu ad aver avuto un rapporto umano con lei, una volta. Io sicuramente non posso esserti d'aiuto.”
Gary si fermò, dubbioso. “Ma io... veramente...”
L'altra lo guardò con un inaspettato sguardo di rimprovero negli occhi. “Non vorresti nemmeno salutarla civilmente, adesso che finisce la scuola? Va'. Io devo sedermi un po', in ogni caso, queste scarpe mi stanno torturando.”
Il ragazzo la osservò mentre andava a sedersi, ostentando un'andatura claudicante. Era la prima volta che Sophia si lamentava apertamente di quanto fosse scomodo qualcosa da lei indossato – e sinceramente, Gary si chiedeva spesso come facesse a sopportare certi dei suoi capi di vestiario senza darlo a vedere, davvero. Sospirò, lasciandosi sfuggire un sorriso, e si affrettò verso l'uscita della palestra.
Anche se era stata Sophia ad incoraggiarlo, sospettava di non aver a disposizione molto tempo prima che lei si pentisse del suo atto di buon cuore nei confronti della rivale.
Non sapeva dove si fosse cacciata Julchen, ma, ricordandosi di dove era avvenuto il loro ultimo incontro/scontro, sapeva almeno da dove avrebbe iniziato a cercarla.



Nella sala, vicino a una delle pareti, si erano rifugiati Feliciano e Luise. Lei sembrava un animale in trappola: spalle al muro, osservava la maggior parte degli studenti che ormai si stava scatenando sull'improvvisata pista da ballo. Con orrore anche maggiore, teneva d'occhio Feliciano che batteva un piede a terra a tempo di musica.
Stava per chiederglielo, lo sapeva, stava per chiederglielo, lo sapeva, stava per...
“Luise, balliamo?”
Lei gli rivolse un'occhiata offesa.
“Ma come ti viene in mente?!”
“Beh... siamo ad una festa, ve! E' quello... che si fa di solito!”
“Io... io non...”
Sorridendo, Feliciano la prese per le mani e se la tirò appresso.

Effettivamente, non brillavano per scioltezza e stile. Luise era semplicemente troppo imbarazzata e preoccupata di non cadere dai tacchi per riuscire a muoversi a ritmo, e Feliciano, per quanto tentasse di farla sentire a suo agio, finiva col renderla solo più nervosa. Prima che si decidessero a tornare a bordo pista, Luise aveva lasciato il segno pestando un paio di piedi ed urtando altrettante ragazze. Tornò ad appoggiarsi alla parete, scura in volto, con Feliciano che la osservava nel panico, sospettando che fosse tutta colpa sua.
“M-mi dispiace, Luise, ve... non avrei dovuto costringerti a...”
Lei lo azzittì con uno sguardo gelido, ma durò solo qualche istante. In effetti, non era colpa sua: tutti, lì dentro, erano in grado di sculettare e muoversi a tempo di musica senza grandi drammi. Era lei a stonare in quel contesto.
“Vuoi che... che ritentiamo?” chiese, un po' timorosa.
“Oh, no! No no no! Va bene lo stesso!” le assicurò lui, confortato.
Mentre lei annuiva, le guance arrossate, Feliciano le rivolse uno sguardo innamorato.
“Non mi importa granché della festa, in realtà.” disse semplicemente.
Luise distolse lo sguardo, rossa fino alle dita dei piedi, e lui approfittò del breve momento in cui aveva abbassato la guardia per circondarle la vita con un braccio.
“Ma che fai?!” protestò lei, tentando di liberarsi. Erano in mezzo al resto della scuola, non le sembrava proprio il momento di darsi a quel tipo di effusioni! Questa volta, però, Feliciano non la lasciò andare, ed anzi le passò intorno alla vita anche l'altro braccio, stringendola a sé. Con i tacchi, Luise era leggermente più alta di lui, ed il ragazzo poteva comodamente poggiare la fronte nell'incavo del suo collo.
Luise si irrigidì tutta, nemmeno fosse spaventata che potesse accadere qualcosa di spiacevole, ma, man mano che i secondi passavano e Feliciano non si muoveva, cominciò a rilassarsi. Intorno, sembrava essere pieno di altre coppiette in atteggiamenti più o meno intimi e, comunque, nessuno faceva caso a loro. Qualche momento dopo, gli posò con qualche esitazione le mani sulla schiena, ricambiando l'abbraccio in maniera impacciata. Feliciano, tuttavia, sembrò gradire il gesto e glielo dimostrò sfregando il naso contro la sua spalla.
Luise si lasciò sfuggire una breve risata nervosa, ma non le ci volle molto per sentirsi perfettamente a suo agio in quell'abbraccio. Voltò la testa per affondare il viso nei capelli di lui; profumava  di una colonia da uomo, speziata e fragrante.
Rimasero così, in silenzio, per un tempo indefinito.
“La prossima settimana inizieranno le vacanze.” disse lui ad un tratto, la fronte sempre abbandonata sul suo collo. “Non potremo più vederci tutti i giorni.”
Luise aprì gli occhi, un po' sorpresa, ma lui non la stava guardando.
“Esistono i telefoni e le email, Feliciano...”
“Sì, ma non è la stessa cosa! Verrai a trovarmi?” Si staccò da lei per guardarla negli occhi, un po' accigliato. “O verrò io, se mi inviterai.”
Luise sorrise, accarezzandogli timidamente i capelli.
“Ma certo. Dovremo... fare i compiti insieme, no?” suggerì, imbarazzata.
Feliciano sfoderò un sorriso malizioso. “Io non pensavo ai compiti, in realtà...”
“F-Feliciano...!”
Dal collo di Luise alla sua bocca, il tragitto per le labbra del ragazzo fu breve.
Compiti... sì, forse si sarebbe trovato il tempo anche per quelli. Ma erano davvero l'ultimo dei loro pensieri.

~*~

Julchen era dove Gary se l'aspettava, seduta sulla sua altalena, e giocherellava con le lunghe ciocche di capelli chiari, il vestito scuro che scintillava appena alla luce del lampione lì vicino. Si era disfatta la bella acconciatura che le aveva richiesto gran parte del pomeriggio ed aveva lasciato cadere a terra le forcine.
Ripensava alla magnificenza dell'ultimo anno di scuola.
Beh, Antonio era sempre insieme a Lavinia e Francis non era riuscito a farsi Alice. Per come la vedeva lei, la prima cosa non era necessariamente positiva e la seconda non era necessariamente negativa.
Ma Lieschen si era trovata il ragazzo, e questo la rendeva una sorella maggiore orgogliosa e felice.
E poi, che altro. Ah, già. Il guinzaglio tra cagnolino e padrona era diventato sempre più corto, quest'anno. Che nausea...
All'improvviso, sentì un rumore di passi alle sue spalle. Passi cauti, come di chi volesse prenderla di sorpresa. Ricordandosi l'episodio dell'inverno prima, si voltò inviperita, pronta ad affrontare il nemico.
“Maledetto bastardo! Se pianifichi di tirarmi in testa qualche tartina questa volta io...!”
Si fermò quando si rese conto che i due occhi che la guardavano stralunati non appartenevano a Gary.
“...oh.” disse semplicemente.
Matthew spostò nervosamente il peso da un piede all'altro. In mano teneva un piccolo vassoio di tartine.
“...ah, ehm, mi... mi dispiace... non volevo spaventarti... ma... ti stavo cercando.... non per tirarti queste, cioè.”
Lo sguardo di Julchen si raddolcì. “Ovviamente no.”
Nonostante avesse voluto dirlo in maniera gentile, il suo tono sembrava sottintendere un 'perché sapevi che altrimenti te ne saresti pentito amaramente'.
“Siediti.” lo invitò lei con un cenno del capo, e, dopo qualche istante di esitazione, il biondo prese posto sull'altalena accanto a quella dov'era seduta la ragazza.
Lei lo guardò e ridacchiò: Francis aveva ragione, niente scarpe da ginnastica.
“Mi dispiace di averti aggredito così, kesesesesese, ma credevo fossi qualcun altro... una persona che non si meritava un saluto più civile da parte della magnifica me.” disse lei con un sospiro di sufficienza.
Matthew arrossì, abbassando lo sguardo.
“Non preoccuparti... mi capita spesso di essere confuso con qualcun altro...”
Julchen lo guardò, il capo chinato da un lato con un'espressione curiosa. Non disse nulla, perché lei stessa si rese conto che lo stava vedendo in quel momento per la prima volta.
“V-voglio dire...” andò avanti lui, incerto, prendendo il silenzio dell'altra come una richiesta di spiegazioni “N-non sono, uhm, magnifico... come te, ecco.” la guardò timidamente da sotto gli occhiali, quasi fosse timoroso delle sue reazioni.
Lei sbatté le palpebre un paio di volte e poi scoppiò in una risata sguaiata.
“Ma certo! Nessuno è magnifico come me, che discorsi!” commentò con un sorriso ambiguo. Notando lo sguardo mortificato di Matthew, tuttavia, si raddolcì. “Nascere magnifici è un dono raro, ma si può imparare, kesesesesese! Soprattutto se hai un'insegnante di una tale magnificenza come la sottoscritta!” affermò, indicandosi.
Matthew ridacchiò. “Ci proverò.”
“Oh, no.” replicò lei, con un sorriso sornione “Ci riuscirai.”
Sempre sorridendo, si allungò a prendere una delle tartine; in fondo non erano così cattive.

Diversi metri dietro di loro, seminascosto dalle ombre, stava Gary, anche lui con in mano un piatto di stuzzichini. Osservò l'altro ragazzo sedersi accanto a Julchen, e decise di essere arrivato troppo tardi per qualsiasi cosa avesse intenzione di dire o fare.
Sorrise tra sé e sé, voltandosi per tornare alla festa. Sperava che Sophia fosse affamata.




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Bis bald: a presto.



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