Unhearted

di katyjolinar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


A Junior piaceva quel luogo.

L’ultima volta che la mamma lo aveva portato lì era stato due settimane prima.

Avevano passato le giornate a giocare in riva al lago, e insieme al nonno aveva cercato fiori da regalare alla sua mamma.

Al mattino aveva fatto le crepes assieme a nonno Walter, e nel pomeriggio erano venuti a trovarli gli amici della mamma, e aveva fatto la lotta con lo zio Logan.

Ora era seduto nell’erba. La mamma era accanto a lui, seduta sulla copertina a fiori che teneva sempre in macchina per farlo stare al caldo.

Junior stava giocando con il cappellino di sua madre. Lo adorava, non lo mollava mai.

La sua mamma sorrise, poi si alzò in piedi e si avvicinò di più al lago, guardando l’acqua calma.

Junior si alzò per raggiungerla.

“Peter, resta lì, tesoro. La mamma arriva subito.” gli disse, con la sua solita voce tranquillizzante.

Junior adorava quella voce. In realtà adorava tutto della sua mamma. La guardò incantato.

Mentre la stava guardando sentì uno strano rumore provenire dal centro del lago. Lo fissò. Non molto lontano dalla riva si formò un grande vortice. Ma non era un vortice come quelli che vedeva quando osservava l’acqua andare giù dal lavandino. Era scuro, più pauroso.

Junior cercò di attirare l’attenzione di sua madre, ma lei non si mosse.

Qualcosa uscì da quel buco pauroso in mezzo al lago. Junior lo osservò bene. Sembrava un uccello. Era grandissimo, e non era fatto di piume.

Era fatto di fuoco, ma non era lo stesso fuoco che guardava nelle sere d’inverno, quando il nonno lo teneva in braccio vicino al camino e gli leggeva le favole. Era molto più pauroso.

Junior chiamò ancora la mamma. Ora stava urlando, ma la mamma non lo stava ascoltando. L’uccello pauroso si avvicinava in volo. Ora era molto vicino.

Con le sue grandi ali avvolse la sua mamma.

Junior si svegliò di colpo. Urlò e scoppiò a piangere disperato.

Olivia arrivò di corsa, allarmata.

“Peter… che succede, amore mio?” gli chiese, avvicinandosi alla culla.

Junior allungò le braccine verso di lei per farsi prendere in braccio.

“Mamma… cubo…” disse, tirando su col naso.

Olivia lo prese su e lo cullò per consolarlo.

“Un incubo? Cosa hai sognato?” chiese lei, baciandogli affettuosamente la fronte, su cui ricadevano i capelli, biondi come i suoi ma ribelli come quelli del padre.

Junior non sapeva come spiegarlo a parole, quindi optò per il mezzo per lui più semplice per spiegare: poggiò la manina sulla guancia della mamma e le trasferì il ricordo del sogno.

Lei lo strinse per qualche secondo, poi gli sorrise rassicurante.

“Tranquillo, amore mio, la mamma è qui ora. Non ti lascerò mai, lo prometto.”

Junior la strinse forte, non voleva lasciarla più andare via.

“Nonno sta facendo le frittelle. Vuoi andare a cucinare con lui?” gli chiese. Doveva farlo distrarre un po’. Quel sogno lo aveva turbato parecchio.

Ma aveva turbato anche lei. Qualcosa, nelle immagini telepatiche del bambino, l’aveva messa in allarme: l’uccello di fuoco.

Lo aveva già visto. Esattamente due anni prima, la notte in cui era nato suo figlio, aveva sognato Peter… e aveva visto quell’uccello di fuoco.

Ma ora non poteva permettersi il lusso di indagare, avrebbe solo agitato inutilmente il bambino, e oggi doveva solo pensare a divertirsi: era il suo compleanno, e alla scuola stavano organizzando una festa tutta per lui.

Portò Junior in cucina, da Walter, e glielo affidò, poi andò ad aiutare gli altri a preparare il salone d’entrata per la festa che ci sarebbe stata quel pomeriggio.

Quando tutto fu pronto la festa cominciò.

Junior correva in giro per la sala, riuscendo ad avere l’attenzione di tutti. In fondo era la mascotte della scuola, il più giovane, nato tra quelle mura e che aveva già mostrato parte dei poteri da subito dopo la nascita.

Il piccolo si avvicinò a Logan e gli tirò i pantaloni per attirare la sua attenzione.

“Nonno?” lo chiamò.

Logan non lo sentì, e continuò a chiacchierare con Broyles, bevendo la sua birra.

“Nonno?” chiamò ancora Junior.

Broyles lo guardò e sorrise.

“Credo che il bambino ce l’abbia con lei, signor Logan.”

Wolverine sospirò e lo prese su.

“Dimmi un po’, tappetto.” disse il mutante al piccolo “Perché mi devi chiamare nonno se ti ho detto mille volte di chiamarmi zio?”

“Io no tono petto.” protestò il piccolo “Tu tei petto!”

Logan sospirò. Quel bambino era proprio un Bishop.

Lo tenne in braccio per un po’, finché sua madre non venne a riprenderselo.

“E’ ora della torta!” esclamò Olivia, stringendo il figlio, poi si avvicinò a un grande tavolo con una bella torta con panna e crema pasticcera, la preferita di Junior.

Il bambino spense le candeline, con l’aiuto della mamma, poi rivolse la sua attenzione al tavolo dei regali. C’erano tanti pacchetti di tanti colori. A Junior piacevano i colori.

Junior li aprì tutti, e volle provare tutti i giocattoli.

Giocò finché la stanchezza non ebbe la meglio, poi si addormentò in braccio alla madre, che stava parlando con il Professor Xavier e altri X-Men.

Mentre parlavano, il Professore si fece improvvisamente cupo, e si estraniò per qualche minuto dalla conversazione. Tutti lo fissarono in silenzio: quando faceva così il futuro non prospettava nulla di buono.

“Voglio tutti gli X-Men nell’hangar del Blackbird tra mezz’ora.” ordinò “Sta succedendo qualcosa…”

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Capitolo 2
*** 2 ***


Nel frattempo, al Lago Reiden…

Era una bella giornata, tipicamente primaverile. Gli uccelli cinguettavano e amoreggiavano tra loro, gli alberi erano fioriti e il prato era coperto di margherite appena sbocciate, su cui si posavano miriade di farfalle colorate.

All’improvviso un boato squarciò la tranquillità del posto. Sembrava un’esplosione, proveniente dal punto più profondo del lago. Tutto tacque.

In quel silenzio surreale, un uomo emerse dall’acqua, completamente nudo, e si fermò sulla riva.

Si guardò intorno per qualche minuto, poi si avvicinò a una lapide, posta poco lontano da lui.

L’uomo la fissò, glaciale, impassibile.

Peter Bishop

11 giugno 1978 – 11 novembre 2011

Na ine kalitero antropo apo ton patera toy.

L’aria intorno all’uomo si caricò di elettricità. Allungò una mano verso la lapide.

Una scia luminosa, simile a un fulmine, partì dal palmo della sua mano e colpì la pietra.

Si disintegrò all’istante. Di quella lapide non restava che un cumulo di sabbia vetrificata.

L’uomo fisso ancora per qualche secondo il punto dove poco prima c’era la pietra, poi si allontanò.

Nello stesso momento a Westchester, la festa di compleanno di Junior era terminata.

Olivia aveva affidato il bambino a Walter e aveva raggiunto gli altri X-Men nell’hangar.

Stavano per cominciare la riunione, quando Broyles li raggiunse, parlando al telefono.

“Qualcosa non va, agente Broyles?” chiese il Professor Xavier.

Broyles non disse nulla e si rivolse a Olivia.

“Agente Dunham, ho appena avuto notizia di un Evento Fringe.” la informò.

“Dove, signore?” chiese la bionda.

“Al Lago Reiden.”

“Allora dobbiamo andare subito. Forse qualcuno sta cercando di passare il confine…”

“Un momento, agente Dunham.” la fermò “c’è ancora un’altra cosa, ma ho paura che non le piacerà.”

Lei non disse nulla, si limitò a guardarlo in attesa.

“Si tratta della lapide dedicata a Peter Bishop. È stata distrutta.” continuò Broyles.

La donna impallidì di colpo. Tempesta si avvicinò e la sorresse, accompagnandola verso una sedia.

“Grazie, agente Broyles.” lo ringraziò cordialmente il Professore “Ce ne occuperemo noi. Ci terremo in contatto.”

L’uomo annuì e tornò nel salone, mentre il gruppo si raccolse attorno alla donna.

“Forse dovresti raccontarci dell’incubo che ha fatto tuo figlio, Olivia.” le suggerì Xavier.

“Quale incubo?” chiese Logan. Se c’era una cosa che lui conosceva bene, erano gli incubi: li aveva quasi tutte le notti. Ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma non passavano mai.

Olivia respirò a fondo, poi raccontò loro dell’incubo che aveva avuto Junior e di quello che aveva avuto lei, due anni prima, la notte della nascita del bambino.

“Un uccello di fuoco? Sei sicura?” chiese Tempesta. Sembrava allarmata. Olivia annuì.

“Temevo che sarebbe successo…” disse Xavier.

Logan invece imprecò. Aveva capito con cosa stavano per avere a che fare.

“Rotelle, so come la pensi tu, ma questa volta prendo io il comando della squadra!” esclamò l’uomo, con un tono quasi autoritario.

“Va bene, Wolverine. Partirete subito.” Disse infine il Professore.

Detto questo, si prepararono e partirono a tutta velocità verso il lago.

Quando arrivarono, una strana nebbia copriva la visuale.

Tempesta la fece dissipare.

Si guardarono intorno. Sembrava tutto tranquillo.

Olivia si incamminò verso riva, ma venne attratta da qualcosa.

Si avvicinò e lo vide.

Era un cumulo di sabbia vetrificata, sul fondo di una buca.

Era esattamente nel punto in cui c’era stata la lapide del suo Peter.

Si inginocchiò ai bordi della buca e scoppiò a piangere.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Olivia pianse per cinque minuti, poi si calmò improvvisamente. Continuò a stare inginocchiata ai bordi della buca, fissandola in silenzio.

Ororo si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla, preoccupata.

“Olivia, stai bene?” chiese.

La bionda si girò e la guardò. Era arrabbiata.

“Voi mi state nascondendo qualcosa.” affermò, poi si alzò e si avvicinò a Logan “Soprattutto tu, Wolverine.”

Logan non rispose. Sostenne lo sguardo della donna in silenzio.

“Cosa te lo fa pensare, agente Dunham?”

“Per esempio il fatto che hai voluto prendere il comando a tutti i costi.”

“Oh, andiamo, Olivia!” esclamò Ororo “Non è la prima volta che Logan prende il comando della squadra, lo sai anche tu.”

“Questa volta è diverso.” disse lei, avvicinandosi all’uomo e prendendolo per il colletto “Ho visto come hai reagito quando ho raccontato dei sogni. Non me la bevo. Quindi dimmi tutto, oppure rimpiangerai quello che ti stava facendo Peter due anni e mezzo fa.”

La donna era davvero arrabbiata. Logan fissò gli altri, poi decise di raccontarle tutto.

“Fenice.” disse, poi si scrollò di dosso le mani della donna.

“Fenice? Chi sarebbe?”

“Un mutante molto pericoloso, se lasciato libero.” spiegò Tempesta “L’ultima volta ha quasi sterminato la vita sulla Terra.”

“E cosa c’entra con il Lago Reiden?” chiese la bionda, confusa.

“Non lo so, ma ho intenzione di scoprirlo e di fermarla prima che sia troppo tardi.” Affermò Wolverine, stringendo i pugni e fissando l’acqua calma del lago.

Olivia lo fissò. Era ancora arrabbiata, ma almeno aveva ricevuto delle risposte.

In silenzio si allontanò dal gruppo e tornò al Jet.

Intanto, nei pressi di New York.

James Madrox era appena arrivato alla sua agenzia investigativa, la X-Factor Investigation, quando qualcuno lo aggredì alle spalle.

L’uomo lo teneva saldamente per la gola, e lo sollevò di qualche centimetro.

“Ho bisogno di un favore, Multiple Man.” disse una voce ferma e glaciale all’orecchio del mutante “Devi trovarmi la Confraternita.”

James cercò di parlare. Cercò anche di reagire e duplicarsi, ma qualcosa lo stava bloccando. Aveva paura.

“Non mi vuoi aiutare? Va bene farò da solo.” Continuò di nuovo l’uomo e strinse la presa.

Si sentì un rumore di ossa spezzate, poi il corpo di Madrox si accasciò a terra.

L’uomo prese i suoi vestiti e li indossò, poi andò alla scrivania e accese il computer.

Quando ebbe trovato quello che cercava, si infilò il cappotto a doppio petto di Madrox e uscì dall’ufficio, in silenzio come era entrato.

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Capitolo 4
*** 4 ***


L’uomo era uscito dall’agenzia.

Entrò nell’auto di Madrox e accese il motore. Si guardò intorno e partì, senza curarsi di rispettare il codice della strada.

Dopo qualche ora era in autostrada, diretto a nord.

La benzina finì, l’auto si fermò e lui scese, fermandosi nel mezzo della carreggiata.

Guardò le auto. In silenzio, con i pugni chiusi, caricando tutta l’elettricità che poteva.

Peter Parker era partito quella mattina da New York. Doveva essere a Portland, nel Maine, entro sera, per fotografare una manifestazione per conto del Daily Bugle, il quotidiano per cui lavorava.

Quando i fari dell’auto illuminarono una figura nel centro della corsia, a pochi metri da lui, frenò di colpo.

I sensi di ragno di Parker erano come impazziti. Percepiva un forte pericolo. Chiuse le sicure a tutte le portiere e attese.

L’uomo che bloccava la strada si avvicinò. Parker lo guardò attentamente. Alto all’incirca un metro e novanta, indossava un lungo cappotto doppio petto nero, che rendeva le sue spalle ancora più larghe di quello che erano. Per un attimo i fari illuminarono il suo volto; i lineamenti erano duri, e gli occhi erano blu, ma sembravano fatti di ghiaccio puro.

Si avvicinò alla portiera di Parker e poggiò la mano, avvolta in uno scuro guanto in pelle, sulla serratura, che scattò. Parker cercò di spostarsi nell’altro sedile, prima che l’uomo potesse aprire la porta e raggiungerlo.

Non ci riuscì. L’uomo lo afferrò e lo tirò fuori.

I sensi di ragno di Peter Parker erano impazziti. Ora, oltre al pericolo, sentiva anche la paura. No, non era paura, era un estremo terrore.

“Non mi sono mai piaciuti i ragni.” disse l’uomo incappottato, a denti stretti. Poi gli scaricò una grande quantità di energia ad alto voltaggio e lo scaraventò sulle rocce che costeggiavano l’autostrada.

Infine, l’uomo salì sulla macchina di Parker e partì.

Dopo parecchie ore di viaggio e altri cambi di vettura, l’uomo arrivò ai margini di una foresta, ai confini con il Canada.

Era notte fonda. Fermò l’auto davanti a una casa in legno, messa particolarmente male, ed entrò, senza bussare.

Un uomo dormiva su un vecchio materasso buttato per terra. Si trattava di Victor Creed, Sabretooth.

L’uomo gli tirò un forte calcio tra le costole, che fecero un sordo rumore metallico, e Victor si svegliò di colpo.

“Sveglia, bestione! Ho un lavoro per te!” disse l’uomo, fissandolo gelido.

“Ma che c***o…” imprecò Victor, alzandosi in piedi “Chi c***o sei tu? E che c***o vuoi da me?”

“Chi sono non ha importanza.” rispose l’uomo “Cosa voglio è semplice: voglio Magneto.”

“Perché rompi le p***e a me allora?” chiese ancora Sabretooth “Lo sai che potrei spezzarti le ossa usando una mano sola?”

L’uomo sorrise glaciale. Sarebbe riuscito a spezzargli le ossa solo se lui glielo avrebbe permesso. Allungò il braccio e poggiò la mano sullo sterno di Victor, liberando istantaneamente una gran quantità di energia.

Victor urlò e cadde in ginocchio. La carne sul petto era bruciata, e si intravvedevano le ossa al di sotto dell’ustione. Ci volle qualche minuto perché si rigenerasse.

“Ora che abbiamo capito chi comanda, ti propongo un patto.” disse l’uomo, infilandosi fi nuovo il guanto di pelle “Tu mi porterai da Magneto e mi seguirai come mia guardia del corpo e io non ti faccio più quello che ti ho appena fatto… o peggio.”

Victor restò ancora in ginocchio per riprendere fiato e guardò l’altro uomo dal basso verso l’alto. Quell’uomo faceva paura. Victor non aveva mai provato un terrore simile, di solito era lui a portare il terrore nella gente.

“Va bene… come vuoi.” sussurrò. Era davvero meglio non farlo arrabbiare.

Detto questo uscì e accompagnò l’uomo al suo vecchio pick-up, infine accese il motore e partì.

Dopo qualche ora arrivarono al campo base della Confraternita.

L’uomo in doppio petto uscì per primo dal veicolo. Sabretooth gli restò alle spalle, mentre si dirigevano al rifugio di Magneto.

Arrivati all’entrata, l’uomo fece segno a Sabretooth di attendere fuori, quindi entrò.

“Dovresti nascondere meglio le tue tracce, Erik.” disse l’uomo, fermandosi alle spalle del vecchio, con le mani nelle tasche del cappotto.

“Potrei dire la stessa cosa di te…” rispose Magneto, di spalle.

Infine si girò, con un sorriso soddisfatto in volto, e guardò l’uomo negli occhi.

“Ma è un piacere vedere che hai deciso di passare dalla mia parte, Peter Bishop.”

Ed ecco svelato chi è l'uomo misterioso...
Cosa succederà ora?
commentate!

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Capitolo 5
*** 5 ***


Olivia era tornata a Boston. Era ancora alterata perché gli X-Men non le avevano detto subito di Fenice, ma la routine dell’FBI le aveva fatto passare tutto. Ora aveva da pensare al lavoro.

Era al laboratorio. Aveva portato con sé anche Junior, che ora scorrazza per il laboratorio, a volte cercando di arrampicarsi sulla groppa di Gene, a volte cercando di aprire qualcuno dei barattoli di Walter, a portata delle sue manine.

Walter era un nonno paziente e, nonostante le apparenze, particolarmente responsabile. Quando suo nipote era con lui in laboratorio, tutto ciò che poteva essere pericoloso spariva dalla vista del bambino, e non lo perdeva mai d’occhio.

Era un momento di pausa. Walter aveva preso un secchio e stava mungendo Gene, mentre Junior lo fissava con lo sguardo corrucciato, attento a ogni minimo movimento. Olivia li osservava divertita; quando faceva così, Junior le ricordava molto Peter. Aveva lo stesso sguardo attento e concentrato che aveva visto nel padre, e che le mancava da morire.

Astrid entrò, attirando l’attenzione dei presenti. Dietro di lei entrarono anche Ororo e Logan, in visita.

Junior corse subito a salutare le due donne, facendo il pieno di coccole e abbracci, grazie alla sua aria da ribacuori, poi guardò Logan, arricciando il naso.

“Cosa c’è, piccoletto?” gli chiese l’uomo, notando lo sguardo del piccolo.

Junior non rispose, salì due grandini delle scale per trovarsi alla giusta altezza e frugò nelle tasche dei jeans di Logan. Infine prese i due sigari che l’uomo teneva di scorta e corse in bagno.

“Ma che diavolo…” esclamò Wolverine, poi lo seguì, ma era troppo tardi, il bambino aveva già tirato l’acqua.

“Cosa hai fatto, piccola peste?” chiese, in tono arrabbiato.

“Ello pussa. Tivo tivo!” rispose il piccolo, fissandolo dal basso verso l’alto, con le braccine incrociate sul petto e l’espressione severa.

Logan sospirò. Più cresceva, più quel bambino somigliava al padre.

“Erano cubani veri…” si lamentò “Cinquecento dollari finiti nel ce…” si fermò non appena sentì lo sguardo di disapprovazione di Olivia posarsi su di lui, e si affrettò a correggersi “nel gabinetto.”

In quel momento squillò il cellulare della donna. Olivia uscì per rispondere e tornò dopo dieci minuti.

“Abbiamo un caso.” informò, guardando gli altri “Però non posso lasciare da solo Peter…”

“Peter può stare con me. Stavo giusto pensando di preparare la crema pasticcera. Ci divertiremo un mondo!”

Il bambino, appena sentì parlare di crema pasticcera cominciò a saltellare allegro attorno al nonno.

Logan e Ororo si scambiarono uno sguardo d’intesa.

“Noi veniamo con te” disse Logan “Quattro occhi in più possono essere utili.”

Olivia annuì, poi loro uscirono, non prima che la giovane madre avesse salutato come si deve il piccolo.

I Bishop aspettarono qualche minuto, poi Walter sorrise e guardò il nipote con aria di complicità.

“Allora, Peter… ci servono latte e uova dal frigo. E della vanillina… solo che non ricordo dove l’ho messa l’ultima volta…”

Junior andò a prendere tutto l’occorrente in frigo, poi trascinò la sedia vicino a una serie di scaffali e si arrampicò su, guardando tutti i contenitori con attenzione.

“Stai attento, Peter! Potresti cadere!” lo avvertì Astrid, avvicinandosi al bambino.

“Cecco vanina.” la informò “Atta votta nonno messa etto potto.”

“Sei sicuro?” chiese lei.

“Curo curo. Vitto tutto io.” si indicò la tempia.

“Me l’hai letto nella mente?” chiese il vecchio scienziato.

Il bambino annuì, poi prese un barattolo e lo passò al nonno. Era proprio la vanillina.

Astrid li fissò per qualche momento, poi li lasciò pasticciare.

Intanto gli altri erano arrivati a New York. Logan stava guidando, seguendo la strada che indicava il navigatore. Quell’indirizzo non gli era nuovo.

“Possiamo sapere di più?” chiese, dopo qualche minuto.

“Hanno trovato un cadavere morto in circostanze sospette. Un certo James Madrox, titolare della X-Factor Investigation…” cominciò la bionda, ma Logan non la lasciò continuare, accelerò di colpo. “Ehi! Rallenta! Non siamo indistruttibili come te!” si lamentò.

“Scusa…” disse l’altro, rallentando e guardando Tempesta dallo specchietto retrovisore. Anche lei aveva intuito tutto “Noi conosciamo Madrox. È un mutante.”

La bionda stava per chiedere spiegazioni quando arrivarono sul posto.

Wolverine parcheggiò, poi entrarono nell’agenzia.

Il corpo di Madrox era riverso a terra, con la testa posta in una posizione innaturale. Tempesta infilò i guanti e analizzò il corpo.

“Ha il collo spezzato.” Informò.

Logan si guardò intorno e annusò l’aria.

“Credo di sapere chi è stato.” disse, poi guardò l’albina “E se ho ragione Madrox è solo il primo di una lunga serie. Fenice non è in grado di fermarsi da sola.”

“Fenice? Credi che ci sia lei dietro tutto questo?” chiese Olivia, analizzando il resto della stanza.

“Ne sono sicuro. Sento il suo odore, anche se è andata via da un po’, ma è stata qui.”

Contemporaneamente, da qualche parte nel sud del Canada.

Peter camminava tra i rifugi dei mutanti, nel campo della Confraternita.

Una donna uscì da una delle capanne e gli venne incontro. Era completamente nuda, aveva la pelle blu, gli occhi gialli, simili a quelli dei gatti, e i capelli rossi. Peter la riconobbe subito.

“Mystica.” disse, fermandosi di fronte a lei.

“Peter Bishop. Allora sono vere le voci che dicevano che ti sei unito alla nostra causa.”

“E’ così.” rispose lui, accennando un sorriso, poi si avvicinò di qualche passo e la guardò negli occhi “Però ora mi chiamo Checkmate.”

“Checkmate? Davvero un bel nome.” commentò la donna “Ti va una tazza di tè, in privato?” chiese, indicando il suo rifugio con un cenno della testa.

L’uomo sorrise e la seguì, chiudendosi la porta alle spalle. La fissò per qualche secondo, con i suoi occhi glaciali, poi parlò.

“E’ ancora valida la tua offerta?”

Lei si avvicinò, sorridendo seducente e passandogli una mano tra i capelli.

“Certo. Posso essere chiunque tu voglia. Un uomo come te ha sicuramente un suo ideale di donna… e delle esigenze da soddisfare.”

Peter sorrise. Era esattamente ciò che stava pensando.

“Ho sempre amato le bionde…”

La donna capì al volo. Si trasformò, riproducendone anche i vestiti.

L’uomo la fissò per qualche secondo, e senza dire nulla trascinò “Olivia” verso il letto, posto in un angolo buio del rifugio, baciandola e quasi strappandole i vestiti di dosso.

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


Tornati in laboratorio, ricevettero notizia di altre morti sospette, simili a quella di Madrox. Olivia si era fatta mandare tutti i fascicoli in ufficio, ed ora li stavano esaminando insieme, lei , Ororo e Logan.

“Sentite questo…” disse Olivia, leggendo uno dei fascicoli “Un morto sull’autostrada litoranea verso il Nord. Gli hanno rubato la macchina, che è stata ritrovata nei pressi di un altro cadavere, 30 km più a nord. Si chiama Peter Parker.”

“Come hai detto, scusa?” chiese Logan, scattando su “Il nome della vittima?”

“Peter Parker, fotografo del Daily Bugle. Perché?”

Logan e Tempesta si scambiarono uno sguardo allarmato.

“Povera Mary Jane…” sussurrò l’albina.

“Conoscete anche lui?” chiese Olivia.

“Purtroppo sì.” rispose l’uomo “Tu lo conosci con un altro nome: Spiderman.”

Ci fu un momento di silenzio, poi Olivia scorse l’elenco delle vittime.

“Sembrano scelte a caso. Gli unici due mutanti sono Madrox e Parker. E a parte il primo, gli altri sono stati uccisi per rubargli la macchina.”

“Comunque io voglio vederci più chiaro.” disse Logan, poi prese le chiavi della moto e fece per uscire.

“Dove stai andando?” chiese Tempesta, fermandolo sulla soglia.

“A fare delle indagini per conto mio. Tranquilla, so badare a me stesso, io.”

L’uomo uscì e Tempesta sospirò preoccupata.

“Cosa c’è, Ororo?” le chiese la bionda.

“Logan è un testone. Se gli viene in mente qualcosa, mai una volta che si degni di informarci a dovere… deve sempre fare tutto lui.”

“Conosco il tipo. Anche Peter era fatto così.”

“Prima o poi si farà ammazzare…” sospirò Tempesta.

Olivia non rispose, si era improvvisamente fatta scura in volto, e nascondeva il viso cercando di far finta di leggere i rapporti che aveva davanti. Tempesta se ne accorse, le mise una mano sulla spalla, cercando di farla stare meglio.

“Scusa… non volevo che ti tornassero in mente ricordi dolorosi…”

“Non fa nulla.” la rassicurò la bionda, ricacciando indietro le lacrime che stavano per sgorgare “E’ solo che… mi manca da morire…”

“Peter era una persona unica… ed è il padre di tuo figlio. È normale che ti manchi…”

“Sì, ma… tu sei fortunata. Anche Logan è una persona unica, e ogni volta che va via sai che ritornerà, invece Peter… lui non tornerà mai più…”

“Tra voi due era diverso. Tu e Peter stavate insieme, è un legame diverso da quello che c’è tra me e Logan. Noi siamo solo amici…” spiegò Ororo.

“Siete amici, ma si nota come lo guardi. Non è lo sguardo di un’amica…”

Ororo non rispose e tornò a leggere i fascicoli.

Intanto Logan aveva deciso si seguire le “briciole” che si era lasciata dietro Fenice.

C’era qualcosa che non tornava in tutta quella storia, e prima di parlarne con gli altri doveva verificare di persona.

Tanto per cominciare l’odore di fenice. Era il suo ma allo stesso tempo era diverso, era qualcosa che non riusciva a identificare, ma che sapeva di aver già sentito, in passato.

Dopo parecchie ore di viaggio arrivò ai limiti di una foresta. Fermò la moto e si guardò intorno.

Nascosta tra gli alberi c’era una catapecchia in legno; decise di avvicinarsi e entrare.

Appena entrò, sentì un leggero odore di carne umana bruciata, un odore vecchio di qualche giorno. Non era però un odore di bruciato dovuto al fuoco, era diverso. Era come se qualcuno avesse messo le dita nella presa della corrente e fosse stato fulminato dall’elettricità.

C’era anche un altro odore, altrettanto vecchio: paura, mista all’odore di una persona che lui conosceva molto bene: Sabretooth.

Estrasse gli artigli e continuò a guardarsi attorno; se Victor era nei paraggi era meglio essere pronti a qualunque evenienza.

Dopo qualche minuto uscì dalla casupola e montò nuovamente in moto. Stava per accendere il motore quando si accorse di non potersi muovere.

Con parecchia fatica alzò gli occhi. Quello che vide confermò le sue teorie e allo stesso tempo lo allarmò.

Magneto e Sabretooth erano a poca distanza da lui. in mezzo a loro c’era un terzo uomo. Logan lo aveva riconosciuto subito: Peter Bishop.

Lo guardò negli occhi ed ebbe un’ulteriore conferma della sua teoria. Un leggero bagliore dorato comparve per un attimo in quegli occhi glaciali: Fenice.

“Sempre il solito ficcanaso, Wolverine?” disse Peter. La sua voce era strana. Era la sua ma allo stesso tempo non lo era. Sembrava come se si sovrapponessero più voci contemporaneamente.

Logan stava per replicare, ma Magneto lo stava tenendo completamente bloccato. Contemporaneamente stava facendo qualcosa alle parti metalliche della moto su cui era seduto.

Wolverine sapeva di essere in pericolo, avrebbe voluto scappare, ma non riusciva a muoversi.

Peter allungò la mano. Un fascio di elettricità partì e colpì il serbatoio della moto.

Il veicolo esplose. Logan perse i sensi all’istante e venne scagliato parecchie decine di metri più lontano.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Peter, Erik e Victor tornarono al campo, camminando lentamente. Peter guardava fisso davanti a sé, concentrato.

“Ho conosciuto tuo nonno, sai?” disse, ad un certo punto, Magneto.

“Chi?” chiese l’altro, senza togliere gli occhi dal percorso.

“Robert Bicshoff. Nel lontano 1944.”

“Ah… il padre di Walter.”

Il vecchio annuì, prese una vecchia moneta d’argento dalla tasca, poi la passò al giovane uomo, facendola fluttuare nell’aria. Peter la afferrò e la osservò attentamente, poi la fece roteare tra le dita, come faceva spesso.

“5 Reichmarks d’argento del 1938… è una moneta molto rara.” Osservò, poi la restituì al vecchio.

“Me l’ha data tuo nonno, dopo aver ucciso mia madre.”

Peter non si scompose, così Erik cominciò a raccontare.

1944, Campo di concentramento di Aushwitz, laboratori scientifici.

Erik era stato chiamato nell’ufficio del capo della sezione scientifica. Lui odiava quell’uomo, lo obbligava a fare cose che non voleva. Che intenzioni aveva questa volta?

Sul tavolo era posata una tavoletta di cioccolato. Erik era affamato, ma cercò di non darlo a vedere.

Il dottor Bischoff prese un disco dalla sua collezione e lo poggiò delicatamente sul giradischi, accanto alla grande libreria colma di volumi, dietro la scrivania.

Avviò la musica e tornò a sedersi alla scrivania.

“Sai, Erik…” cominciò l’uomo, parlando in perfetto tedesco “i Nazisti hanno ragione: i geni sono la chiave di tutto.”

Prese la tavoletta di cioccolato, la aprì e ne mangiò un pezzo. Erik continuò a fissarla, in silenzio. Era affamato, ma quando l’uomo gliene offrì un pezzo la rifiutò. Il dottore riprese a parlare.

“Ma quello che loro cercano, occhi chiari, capelli biondi, e tutto quanto, sono sciocchezze. Non è questo che rende una specie superiore.” mangiò un altro pezzo di cioccolata e si leccò le dita “Sicuro che non vuoi la cioccolata? È buona.”

Il ragazzo fece un respiro profondo per prendere coraggio e poi, finalmente, parlò.

“Io voglio solo vedere la mia mamma.”

L’uomo lo fissò un momento. Gli occhi azzurri di Robert erano glaciali e imperscrutabili.

“Come dicevo,” continuò il dottore “i geni sono la chiave di tutto. Sono la chiave per aprire le porte del futuro, per iniziare una nuova era dell’umanità. Questa è evoluzione. Mi capisci, vero?” chiese. Ma non attese risposta. Poggiò una moneta sul tavolo, vicino al ragazzo e lo fissò “Questo non è sulla in confronto al cancello accartocciato di qualche settimana fa. Su, spostala. Usa le tue capacità.”

Il ragazzo capì. Si concentrò, ma non successe nulla.

“Forse hai bisogno di un incoraggiamento.” osservò Robert, poi prese la campanella che teneva accanto a lui, sulla scrivania, e la agitò.

Due guardie entrarono, trascinando una donna. Aveva la casacca a righe dei prigionieri, e uno scialle le copriva la testa rasata. Erik la riconobbe: sua madre.

Corse ad abbracciarla. Il dottore lo lasciò fare per qualche secondo, poi fece cenno alle due guardie di separarli. Prese una pistola e fissò negli occhi il ragazzo.

“Ora conto fino a tre.” disse “Se non sposti quella moneta sparo a tua madre.”

Il ragazzo era spaventato e agitato allo stesso tempo. La madre cercava di rassicurarlo, mentre lui provava a spostare la moneta.

“Uno…”

Erik cercò di aiutarsi muovendo le mani.

“Due…”

Nulla, la moneta non si spostava di un millimetro.

“Tre.”

Uno sparo lo fece trasalire. Fissò prima il dottore; aveva ancora la pistola fumante in mano. Poi si voltò verso la madre; era a terra, con un buco nel centro della fronte, morta.

Un uragano di rabbia e disperazione invase la mente del ragazzo.

Erik urlò. La campanella che il dottore aveva usato per chiamare le guardie si accartocciò, come anche gli schedari di lamiera accanto alla grossa libreria.

Robert rise soddisfatto, mentre il ragazzo faceva volare tutto quanto c’era di metallico nella stanza.

Quando la sua furia si fu calmata, Robert si avvicinò al ragazzo.

“Grandioso, Erik.” disse, poggiandogli una mano sulla spalla “Il tuo dono si attiva con la rabbia.” Gli diede una pacca sulla spalla, poi gli mise la moneta d’argento in mano, che rimase attaccata al palmo del ragazzo.

Magneto tornò al presente. Era un ricordo doloroso, ma era anche l’inizio di tutto.

“Io sono diventato quello che sono grazie a tuo nonno, Peter.”

“Checkmate.” lo corresse Peter “Ora mi chiamo Checkmate.”

“Giusto. Ora cosa vuoi fare, ragazzo?”

“Voglio vedere mio figlio.” rispose, poi si rivolse a Sabretooth “Tu, prendi un altro mutante e vai a Boston. Prendi mio figlio e portalo qui. Non fargli del male, altrimenti sai cosa potrà capitarti. E non uccidere la madre, né il nonno.”

“Come vuoi, Checkmate.” rispose Sabretooth.

“Un momento… portami anche un’altra persona.” Aggiunse Peter

“Chi?”

“Tempesta.”

“Cosa hai in testa, ragazzo?” chiese Magneto.

“Sono un Bishop, Erik. E tu sai bene che noi Bishop siamo scienziati.” rispose, glaciale ed enigmatico, poi diede altre disposizioni a Sabretooth e si allontanò.

Intanto Logan stava cominciando a riprendere conoscenza.

Aveva ancora dolori ovunque. Socchiuse gli occhi. La vista era annebbiata, e la luce che vedeva non migliorava la situazione.

Si impose di aprire gli occhi. Vide qualcuno davanti a lui. cercò di mettere a fuoco.

Era una donna, ed era avvolta da una luce bianchissima. I capelli rossi le incorniciavano il volto, valorizzando gli occhi, di un luminoso verde smeraldo. La veste candida si muoveva nella leggera brezza. Logan la fissò per qualche secondo, prima di riconoscerne i lineamenti.

“Jean?” sussurrò, cercando di mettersi seduto.

“Logan…” disse la voce della donna, che sembrava venire da lontano “devi tornare a casa. Sono tutti in pericolo.”

“Dimmi una cosa che non so già, rossa!” si lamentò “Ho visto che Fenice ha traslocato.”

“Lei deve andare via… lo ucciderà.” Spiegò.

“Sempre se non uccide prima noi…”

“Devi tornare a casa, Logan.” ripetè la donna “Sono tutti in pericolo. Soprattutto il piccolo Peter e Tempesta. Devi fare in fretta.”

Nel sentire quei nomi, l’uomo scattò in piedi, ignorando i dolori che ancora sentiva, ma tanto sapeva che sarebbero terminati presto.

Cominciò a correre verso la strada più vicina, poi fece l’autostop.

Dopo parecchie ore arrivò all’ufficio di Olivia.

Lei stava scrivendo un rapporto, quando l’uomo piombò nel suo ufficio.

“Olivia, dov’è Peter?” chiese, allarmato.

“Logan… sei… che ti è successo?” chiese lei, alzando gli occhi dal rapporto.

“Olivia, rispondi! Dov’è Peter? Dove hai lasciato tuo figlio?” insistette.

“E’ a casa con Ororo. Perché?”

L’uomo imprecò, poi tornò a guardare la bionda.

“Dobbiamo tornare subito a casa! Sono in pericolo!” spiegò.

Olivia scattò subito in piedi, allarmata, poi corse insieme a lui a casa.

Quando arrivarono era tutto sotto sopra. La prima cosa che videro fu Ororo, priva di sensi, stesa per terra. Logan la soccorse, mentre Olivia correva in camera di Peter.

Dopo qualche minuto tornò in soggiorno.

“Logan… non c’è… dove l’hanno portato? Dimmi tutto quello che sai!” disse lei. Il suo tono era disperato, ma allo stesso tempo la sua espressione ricordava quella di mamma orsa in difesa della prole in pericolo.

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Capitolo 8
*** 8 ***


Logan non rispose, fissò solo Tempesta in silenzio.

Era ancora a terra, con gli occhi chiusi. Logan le tirò indietro i capelli.

Annusò l’aria. Qualcosa non andava. C’era un odore strano.

“Logan?” lo chiamò di nuovo Olivia.

“Olivia, non sono io quello che può darti le risposte che cerchi.” rispose lui, fissando di nuovo la donna stesa per terra.

“Di chi stai parlando? Non capisco…”

“Di lei.” detto questo afferrò l’albina per la gola e strinse saldamente.

Tempesta aprì di scatto gli occhi e cercò di dimenarsi, ma successe qualcosa: improvvisamente cambiò aspetto, la sua pelle divenne blu e i capelli divennero rossi.

Olivia estrasse la sua pistola, allarmata.

“Pensavi che non ti riconoscessi, Mystica?” disse Logan, minaccioso.

La donna lo fissò, cercando di liberarsi. Logan allentò leggermente la presa.

“Dov’è Peter? Chi ha preso mio figlio? Dove l’hanno portato?” chiese Olivia, continuando a puntare la pistola contro Mystica.

“Non preoccuparti, non gli verrà fatto alcun male.” Rispose la donna, poi guardò Wolverine “Lo stesso non potrei dire di Tempesta, però.”

Logan strinse di nuovo la presa.

“Dove li hanno portati? Parla!” ringhiò. La donna si aggrappò al suo braccio, cercando di respirare.

“Li… li ha presi Checkmate.” sussurrò, senza fiato.

“Chi?” chiese Olivia. Mystica fissò eloquentemente Logan, che capì.

“Li ha presi Fenice. Chiama gli altri, ci servono tutti gli X-Men disponibili se vogliamo riportare Peter e ‘Ro a casa.”

Olivia fissò Logan. Aveva i lineamenti tirati. Era parecchio arrabbiato. Prese il telefono e chiamò la Scuola.

Intanto, nel campo della Confraternita, Sabretooth entrò nel rifugio di Peter, portando sulle spalle Tempesta, priva di sensi, e tenendo malamente sotto il braccio il piccolo Junior, che si agitava e urlava come un forsennato.

“La donna legala e portala nelle celle.” disse il giovane uomo “Il bambino lascialo qui.”

Victor fu felice di lasciare il bambino. Allargò il braccio e lo fece cadere sul pavimento. Il piccolo scoppiò a piangere, ma subito si alzò e cercò di correre verso l’uscita, ma Peter lo raggiunse con un balzo e lo afferrò per le bretelle della salopette, mentre Sabretooth usciva e si chiudeva la porta alle spalle.

Il bambino però non si calmò, cercò di liberarsi, dimenandosi più forte che poteva.

“Calma, piccoletto!” lo ammonì l’uomo.”

“Lacciami!” urlò il piccolo, tra le lacrime, cercando di afferrare la manona che lo teneva per il vestito.

I loro occhi si incrociarono per qualche secondo. Lo sguardo del bambino era arrabbiato e spaventato allo stesso tempo. Peter ci vide qualcosa di famigliare.

Anche Junior  vide qualcosa di famigliare. Smise improvvisamente di piangere e continuò a fissare Peter.

“Vojo la mamma…” disse, con un sussurro. Poi allungò la manina e toccò il viso dell’uomo.

Peter fu colto di sorpresa da quello che successe. Uno tsunami di immagini gli invase la mente in pochissimi secondi. Erano immagini di volti; non di tanti volti, erano immagini dello stesso volto: Olivia.

Lui si ricordava di Olivia. Aveva in mente tantissimi ricordi dei momenti passati con lei, prima che succedesse tutto, prima di tornare in vita. Queste immagini però erano diverse, non erano viste dai suoi occhi, ma da quelli di un bambino. Era il modo in cui quel bambino che ora stava di fronte a lui vedeva sua madre.

All’improvviso sentì come se qualcosa, dentro di lui, si stesse liberando, qualcosa rimasta rinchiusa per tanto tempo avesse trovato finalmente la forza di combattere. Una forte fitta alla testa, un dolore che proveniva dall’interno, gli fece quasi perdere i sensi. Cercò di stare sveglio, con tutte le sue forze.

Junior continuò a trasferirgli i suoi ricordi. L’ultimo gli diede il colpo finale:

Era una bella giornata di primavera. Una leggera brezza le scompigliava i capelli e le smuoveva leggermente la vestaglia color panna con i bordi dorati, mentre Olivia godeva del sole caldo, stesa su una coperta blu, in riva al Lago Reiden.

C’era una pace e una tranquillità quasi surreale, intorno a lei. Il bambino tirava calci e faceva le capriole. Olivia si carezzò la pancia e il piccolo si calmò.

“E’ agitato?” chiese una voce familiare, a poca distanza da lei.

Olivia alzò la testa e vide Peter venire verso di lei, dalla riva del lago. Indossava la sua solita T-shirt nera, e teneva le mani nelle tasche dei jeans.

“Comincia a stare stretto, poverino…” rispose lei, sorridendo e continuando a carezzarsi il pancione.

Peter si abbassò e la baciò dolcemente, carezzandole la pancia.

“Devi proteggerlo, Olive. Proteggi nostro figlio.” disse, allontanandosi leggermente da lei.

“Da chi?” chiese lei. Peter non rispose, si limitò a fissarla. “Peter, ti prego, rispondimi…” lo implorò.

Lui ancora non rispose. Olivia lo guardò negli occhi. Quegli occhi blu le mancavano da morire.

C’era qualcosa che non andava. Gli occhi divennero improvvisamente neri, completamente neri. Olivia non riusciva a staccare lo sguardo, era pietrificata. Improvvisamente un grande uccello di fuoco comparve alle spalle dell’uomo e lo avvolse con grandi fiamme rosse e terrificanti.

Peter spalancò gli occhi, nel tentativo di mantenere ancora il controllo del suo corpo. Junior spostò la mano dal suo volto e lo guardò intensamente.

“Papy…” sussurrò, come se l’avesse riconosciuto.

Peter fissò ancora il figlio per qualche secondo, ma un forte dolore al petto lo fece trasalire.

Si accasciò a terra proprio nel momento in cui qualcuno buttò giù la porta del rifugio.

Quando una donna bionda corse ad abbracciare il bambino che era con lui, il cuore di Peter si era fermato.

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Capitolo 9
*** 9 ***


Erano arrivati in fretta al campo della Confraternita.

Appena l’aereo si posò a terra, gli X-Men si separarono: mentre Logan cercava Tempesta, tutti gli altri andavano a recuperare Junior.

Wolverine camminava nell’ombra, con i sensi all’erta, cercando ogni minimo indizio su dove fosse tenuta Ororo.

Annusò l’aria in cerca del suo inconfondibile odore; quando, finalmente, ne trovò una traccia, la seguì, con i pugni stretti e gli artigli sguainati, pronto a reagire nel caso si fosse trovato nel bel mezzo di una trappola. In fondo Fenice aveva scelto il corpo di un mutante che, oltre ad essere un livello omega, aveva anche un’intelligenza molto superiore a quella dei comuni esseri umani, quindi poteva aspettarsi di tutto.

Arrivò a quella che sembrava una prigione improvvisata e guardò attraverso una fessura tra le assi; Sabretooth stava legando Tempesta a un palo piantato sul pavimento. La donna non sembrava conciata bene, era priva di sensi e aveva il viso pieno di lividi. Logan si innervosì ulteriormente e si avvicinò all’entrata.

Aprì lentamente la porta e fissò le spalle di Victor. Sicuramente si era accorto di lui prima ancora che entrasse, era inutile nascondersi.

“Oh… guarda chi è venuto a trovarci. L’animale da compagnia degli X-Men in persona!” esclamò Sabretooth, senza togliere gli occhi dai nodi che stava stringendo.

“E tu sei il cane da guardia di Bishop, a quanto ho visto.” rispose Wolverine, avvicinandosi di qualche passo.

Sabretooth ringhiò e si alzò in piedi, girandosi finalmente verso Wolverine. Era gigantesco, in confronto a Logan, ma lui non si intimorì. Aveva affrontato e sconfitto così tante volte quella bestia che aveva perso il conto, ormai.

“Sai, Wolverine?” commentò Creed “Mi hanno ordinato di non toccare la signora, ma nulla mi vieta di fare a pezzi te.”

Detto questo, mostrò i denti e fece scrocchiare le dita, mentre le unghie, dure e appuntite come artigli di un felino, si allungarono di qualche centimetro.

Logan non attese oltre; con un agile salto tirò un calcio sotto il mento dell’altro, fece una rotazione completa e atterrò in piedi, poi assestò un pugno nella pancia dell’avversario, affondando gli artigli fino alle nocche.

Victor gli afferrò saldamente il braccio con una mano, bloccandolo nella posizione e affondando le unghie nella carne, mentre con l’altra mano tirava un forte pugno in faccia a Logan.

Nel frattempo Tempesta si stava risvegliando. Aprì lentamente gli occhi e, quando vide il combattimento che si stava svolgendo di fronte a lei, cercò subito di liberarsi dalle corde.

Wolverine riuscì a bloccare il secondo pugno, stringendo il braccio con la mano libera, poi fece leva sulle due braccia di Sabretooth e gli tirò un forte calcio tra le gambe. Victor si accasciò a terra, senza fiato, così Logan poté correre dalla donna e liberarla dalle corde, tagliandole con un colpo secco dei suoi artigli.

“Hanno preso anche Peter…” spiegò, seguendo Logan fuori dalla tenda.

“Lo sappiamo. Olivia e gli altri sono andati a cercarlo.” disse, poi la afferrò per il braccio e corse nella direzione in cui erano andati gli altri X-Men.

Intanto Olivia stringeva protettiva Junior, il quale fissava il corpo di Peter con un’espressione indecifrabile.

Ciclope si avvicinò a Peter e si inginocchiò, poi posò le dita sul collo per sentire il battito.

“E’ morto.” informò, ma poi fece un’espressione stupita e fissò di nuovo il corpo “Ma che diavolo…”

Peter aprì gli occhi di scatto. Scott arretrò con un balzo. Non erano del solito colore blu. Erano del colore del fuoco.

“Tutti fuori!” esclamò “E’ Fenice! Ed è incontrollabile ora!” poi spinse fuori Olivia, proprio nel momento in cui arrivavano Logan e Ororo.

Logan mollò il braccio di Tempesta e fissò Fenice che, usando il corpo di Peter, camminava dietro il gruppo, caricando l’elettricità statica dell’aria, che sfrigolava tra le dita delle mani.

Wolverine fissò l’essere per qualche secondo, poi si rivolse a Ciclope “Mettetevi al riparo! Mi occupo io di Fenice!”

Ciclope annuì e cominciò a radunare gli altri, mentre Logan stava per andare ad affrontare Fenice. Tempesta lo fermò.

“Logan… ti ucciderà.” disse, preoccupata.

“Tranquilla, dolcezza, non lo farà.” rispose lui, facendo il suo solito sorriso strafottente.

“Logan… ti prego…” lo implorò lei.

Lui la fissò per un momento, in silenzio. Guardò in direzione di Fenice, poi fece un respiro profondo, afferrò Tempesta per il fianco, la fece abbassare e la baciò con passione.

“Questo per assicurarti che tornerò, piccola.” disse. Infine la lasciò andare e corse in direzione di Fenice, estraendo gli artigli e urlando per darsi la carica necessaria ad attaccare.

Nello stesso momento, da qualche altra parte, né di qua, né di là…

Peter aprì gli occhi, ma li richiuse subito. La forte luce lo aveva accecato. Inoltre aveva ancora la mente confusa. Si ricordava a malapena chi fosse, figuriamoci se sarebbe riuscito a identificare il luogo dove ora si stava svegliando.

Si obbligò di nuovo ad aprire gli occhi e si guardò intorno. Era un posto strano, un enorme ambiente candido, non riusciva a vedere dove fossero i confini.

In lontananza vide due figure avvicinarsi.

Si avvicinò cauto. Voleva sapere dove si trovasse, prima di affrontare chiunque avesse incontrato in quel luogo.

Si avvicinò ancora alle due figure, finchè non riuscì a distinguere i lineamenti. Erano due donne; una la riconobbe immediatamente: Elizabeth Bishop, sua madre, mentre l’altra, una donna alta con i capelli rossi, non la conosceva. Cominciò a capire dove si trovasse.

Si avvicinò ancora, fino a trovarsi a qualche metro dalla madre e l’altra donna.

Fissò per qualche secondo Elizabeth, poi la abbracciò, d’istinto.

“Sei venuta a prendermi…” sussurrò.

La donna lo strinse forte. L’ultima volta era un ragazzo, ora era diventato un uomo. Gli sorrise, afferrandogli il viso con delicatezza con entrambe le mani.

“No, tesoro. Non è come pensi tu.” Rispose, in tono dolce e materno.

“Sono morto, mamma… anche se non so da quanto tempo. Cosa devo fare? Se non mi sei venuta a prendere, perché siamo qui?”

La rossa osservava la scena con distacco. Sembrava non essere toccata da sentimenti umani. Si limitò a fissare i due e alzare un sopracciglio.

L’uomo si voltò verso di lei.

“Chi sei?” le chiese “Ci siamo già visti prima? Ci conosciamo? Non ti ho mai visto.”

“Sì. In un certo senso…” disse la donna, facendo un sorriso enigmatico “Tu conosci una parte di me.”

“Spiegati meglio.”

La rossa lo guardò intensamente negli occhi, alla ricerca di qualcosa.

“Lei non è più con te.” disse, criptica.

“Di che stai parlando? Di quella…” si bloccò, incerto. Non era sicuro di quello che ricordava di aver vissuto.

La rissa non rispose. Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa. Peter notò il suo sguardo. Era stufo delle mezze parole.

“Che stai cercando?” chiese, glaciale, fissandola direttamente negli occhi.

“Peter!” si intromise Elizabeth “Devi tornare indietro! Subito! Non c’è tempo da perdere. Presto ti sarà tutto chiaro.”

“E’ successo qualcosa che non so?” chiese, allarmato “Olivia? Il piccolo? Come stanno? Stanno bene?”

“Fenice… la devi rimandare da me. La aspetto.” disse la rossa, fissandolo negli occhi.

“Come faccio a rimandarla indietro? Dimmi che devo fare.”

“Quando tornerai nel tuo corpo.” spiegò la donna “Lei sarà lì. Devi riprendere il controllo della tua mente. Puoi farcela. Rimandala da me.”

Peter annuì determinato.

“Sono pronto. Tornerò indietro.” Esclamò. Se si trattava di salvare le persone che amava sapeva di poter dare tutto sé stesso e di farcela.

Elizabeth si avvicinò di nuovo al figlio e lo abbracciò. Gli diede un bacio sulla fronte, poi lo lasciò andare.

Le due donne si allontanarono e tutto, intorno a Peter, divenne confuso.

Nel frattempo, Logan e Fenice stavano lottando freneticamente.

Logan venne colpito da una forte scarica elettrica, che quasi gli fece perdere i sensi.

Era a terra, e Fenice stava per infierire di nuovo su di lui. Si alzò in piedi, pronto a difendersi, quando Fenice urlò e si portò le mani alla testa, cadendo in ginocchio.

Logan restò in attesa, finchè l’altro perse i sensi.

“Scott, ce li hai ancora quei bracciali che bloccano i poteri?” chiese, senza togliere gli occhi da Peter.

“Sì, perché?”

“Mettiglieli addosso e portiamolo alla scuola. Così siamo sicuri che non farà del male a nessun altro.” ordinò. Poi si diresse verso il jet.

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Capitolo 10
*** 10 ***


Quando arrivarono alla scuola, Peter era ancora privo di sensi.

Venne trascinato nei sotterranei e lasciato in una stanza nei pressi della Stanza del Pericolo.

Logan lo sistemò per terra, in un angolo, poi controllò che le manette speciali fossero ben chiuse e si alzò.

Olivia stringeva Junior protettiva, e fissava Peter, stordita e confusa.

“E’ identico a lui…” sussurrò.

“Il corpo è il suo, ma non è lui. Non farti ingannare dall’aspetto.” disse, poi la guardò negli occhi “Ora torna a casa. Hai bisogno di riposare, e sicuramente il dottor Bishop starà dando di matto, se non è già partito per uno dei suoi viaggi psichedelici.”

Lei annuì e strinse di più Junior, che fissava ancora il corpo del padre, in silenzio, poi lo portò via e tornò a Boston.

Logan attese che se ne fosse andata, poi si avvicinò a Peter, che era ancora privo di sensi, lo afferrò per il colletto e lo fissò, irato.

“So che puoi sentirmi, lì dentro, Fenice!” sussurrò “Se solo oserai avvicinarti a Olivia o a Peter, per qualunque motivo, giuro che troverò il modo di farti morire definitivamente, chiaro?”

Aspettò qualche altro secondo, poi lo lasciò andare ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

Tempesta lo aspettava fuori. Logan la guardò in silenzio, poi si avvicinò. Le prese il volto tra le mani e esaminò i lividi.

“Dovresti farti controllare questi… sono parecchio brutti.” disse.

“Ho passato di peggio, lo sai.” lo rassicurò “Guariranno.”

Wolverine le esaminò i lividi per qualche altro minuto, poi sospirò.

“Ho bisogno di una birra.”

“Posso farti compagnia?” chiese l’albina, facendogli uno dei suoi sorrisi solari.

Logan annuì e la prese per i fianchi, conducendola in cucina.

Intanto Olivia era arrivata a casa.

Appena entrati, Junior corse in giro, in cerca del nonno, finchè non lo trovò in cucina, che divorava nervosamente roba dolce, assistito da Astrid, che non lo aveva perso d’occhio un secondo durante l’assenza di Olivia.

“Nonno!” esclamò, saltandogli in braccio.

Walter lo fissò confuso, poi sorrise e lo strinse.

“Peter! Sei tornato!” esclamò, poi lo esaminò attentamente, per essere sicuro che non fosse ferito.

“To bene, nonno!” lo rassicurò.

Walter guardò Olivia.

“Cosa… dove…” balbettò.

La donna sospirò, cercando bene le parole. Junior fu più veloce, poggiò la mano sul volto del nonno e gli trasferì i suoi ricordi.

Walter fissò il piccolo. Era sconvolto, ma cercò di non darlo a vedere, per il bene di Junior. Peter era vivo, e stava per fare del male a quel bambino, il figlio che non aveva mai conosciuto.

Il vecchio scienziato abbracciò il nipote, protettivo, fissando Olivia.

“Walter, ha solo il suo aspetto, ma non è lui.” spiegò “L’hanno portato alla scuola. Ora è sotto controllo, e non ho intenzione di farlo avvicinare di un passo a Peter.”

Walter annuì, si costrinse a sorridere calorosamente e si rivolse al bambino.

“La zia Astro ha fatto i pancake. Facciamo a gara a chi ne mangia di più?”

Il piccolo esultò e corse da Astrid. E tutto sembrò tornare alla normalità.

Intanto Peter si stava svegliando. Sentiva dolori ovunque, e la base dove era steso era fredda e scomoda. Senza contare del fatto che sentiva qualcosa bloccargli i polsi uno contro l’altro.

Aprì gli occhi e cercò di mettere a fuoco.

Si trovava sul pavimento di una specie di cella. Delle grosse manette gli bloccavano i polsi e qualcuno lo guardava, a mezzo metro di distanza. Esaminò l’individuo, dal basso verso l’alto.

Un paio di scarponi, jeans da lavoro e una camicia a quadri da montanaro.

Cercò di mettere a fuoco il volto. Aveva la vista annebbiata, ma comunque lo aveva già riconosciuto dall’altezza. Era inconfondibile, anche guardato dal basso.

“L’ultima cosa che ricordo è di essere morto tra le braccia di Olivia.” sussurrò, cercando di tirarsi su, o almeno di mettersi a sedere “Ora… o Walter ha trovato il modo di riportarmi indietro, oppure non ricordo proprio cosa è successo. E visto che non ti sono mai piaciuto, suppongo che non avrai la cortesia di dirmi cosa è successo, vero?”

Logan lo prese per il colletto della maglia e lo tirò su alla sua altezza.

“E’ inutile che fai questi giochetti con me, Fenice. Sappi che sei prigioniero degli X-Men, e non potrai uscire di qui finchè non saremo noi a deciderlo, chiaro?”

“Fenice? Tu stai uscendo fuori di testa, amico! Il mio nome è Peter, ricordi? Peter Bishop! E l’avevo già capito che ero prigioniero, non c’era bisogno che me lo dicessi. Queste manette parlano da sole. Quello che chiedo… e credo sia una richiesta ragionevole, è di sapere il motivo per cui sono qui.” fece una pausa, in attesa di una risposta che non arrivò “Ok, visto che tu non me lo dirai, vorrà dire che cercherò da solo le mie risposte.”

“Bella mossa, davvero. Io però non ti credo. E se solo ti avvicinerai a Olivia o Peter anche solo di un passo, io ti uccido!”

“Peter?” chiese il giovane, ancora più confuso.

“Il figlio di Olivia, ha due anni, ma dovresti saperlo, visto che hai tentato di rapirlo!” ringhiò, poi lasciò andare il colletto di Peter e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Peter fissò la porta chiusa. Era confuso. Due anni? Il figlio di Olivia? L’ultima cosa che si ricordava era che Olivia gli aveva detto di essere incinta. Possibile che fosse passato così tanto tempo? E poi… perché avrebbe dovuto rapirlo? Era suo figlio, non gli avrebbe mai fatto del male, mai!

Non riusciva a credere a quello che aveva appena sentito. Appoggiò la schiena alla parete e si perse lentamente nei suoi pensieri. Doveva averla fatta davvero grossa, e il bello era che non ne aveva il minimo ricordo. Questa volta non sarebbe stato facile trovare una soluzione, ammesso che ce ne fosse una.

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Capitolo 11
*** 11 ***


Il sole del mattino filtrava dalle tende della stanza. Ororo aprì lentamente gli occhi; aveva i muscoli indolenziti, ma si sentiva bene.

Un braccio muscoloso le circondava i fianchi, e l’uomo a cui apparteneva quel braccio ancora russava sonoramente accanto a lei. Tempesta spostò delicatamente il braccio, per potersi girare e guardare quell’uomo in volto.

Logan dormiva. La sua espressione, nel sonno, non era quella dura e animalesca dell’uomo che aveva conosciuto in quegli anni. In quel momento, più che un lupo in gabbia, sembrava un Alfa al sicuro nel suo branco.

Quella notte non aveva avuto incubi. Se fosse successo se ne sarebbe accorta tutta la scuola, e lei prima di tutti.

Cercò di alzarsi, senza svegliarlo, ma lui aprì gli occhi e la fissò, ancora mezzo addormentato, attraverso i capelli che gli ricadevano sugli occhi.

“Vai già via?” le chiese, con la voce ancora impastata dal sonno.

“E’ mattina. Tra poco i ragazzi si alzano. E poi oggi viene Olivia, con Peter e Walter.” spiegò.

“Ah… è vero… sarà dura tenere il piccoletto lontano dai sotterranei… quel bambino riesce a sgusciare ovunque, peggio di un’anguilla.” disse Logan, tirandosi su e cercando i suoi vestiti, per terra.

“Pensi che Fenice possa fargli del male, anche con i poteri bloccati?”

“Non do mai nulla per scontato, quando si tratta di Fenice.”

“Fino adesso non ha dato problemi, ed è qui da una settimana.” disse Ororo, finendo di vestirsi “Oggi vado io a portargli la colazione.”

“Vuoi che venga con te?” chiese Logan. Il suo tono ricordava un lupo in difesa del suo branco.

“Tranquillo, Logan, so farmi valere, non c’è bisogno che mi accompagni.” lo rassicurò, poi lo baciò ed uscì.

Quando arrivò alla cella dove era tenuto prigioniero Peter, lui stava ancora dormendo, steso sulla branda che era stata posta lungo una delle pareti. Tempesta poggiò il vassoio sul tavolo e si avvicinò all’uomo, toccandogli una spalla per svegliarlo.

Peter aprì gli occhi di scatto. Era ancora confuso e disorientato. Stava sognando. Tempesta riconobbe l’espressione: era la stessa di Logan quando si risvegliava da un incubo.

L’uomo la riconobbe e si tirò su, abbozzando un buongiorno.

“Ti ho portato la colazione.” Lo informò l’albina.

“Mh… grazie…” la ringraziò, passandosi una mano sul viso e sui capelli, cercando di riprendere coscienza di sé.

Lei gli sorrise. Peter la fissò per qualche secondo; non aveva visto molte persone, da quando era prigioniero lì dentro, e lei era l’unica che lo trattava da essere umano, e non da mostro.

“Che giorno è oggi?” chiese, tirandosi su e andando a sedersi al tavolo per fare colazione.

“Oggi è domenica. Sei qui da una settimana.” gli rispose la donna, serena.

Peter sospirò. Una settimana… sembrava molto di più. Lì dentro stava perdendo il senso del tempo.

“Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?” chiese lei, sinceramente preoccupata.

“Mi piacerebbe vedere il sole, ogni tanto, ma so che non è possibile.” rispose Peter, fissando l’omelette che aveva davanti.

“Senti, ne abbiamo già parlato… sei pericoloso, Fen…”

Lui sospirò, alzando gli occhi e stringendo i pugni.

“Mi chiamo Peter Bishop!” esclamò, irato “quante volte lo devo ripetere per convincervi a chiamarmi per nome? Piantatela di chiamarmi Fenice!” si bloccò un momento, vedendo che Tempesta aveva fatto un passo indietro, verso la porta, e si costrinse a calmarsi “Scusami, io non… tutta questa storia sta diventando una vera frustrazione per me…”

“Scusa… Peter. È che finchè non siamo sicuri che… mi dispiace, davvero.”

Peter scosse la testa, frustrato.

“Se solo sapessi… se mi ricordassi…”

Tempesta si avvicinò ancora, prese l’altra sedia e si sedette di fronte a lui, per guardarlo negli occhi.

“Davvero non ricordi nulla?”

La fissò per qualche secondo, sospirò e annuì lentamente.

“L’ultima cosa che ricordo è che stavo morendo tra le braccia di Olivia, e la sua voce che mi diceva che era incinta, mentre la mia mente si annebbiava. Poi più nulla, blackout totale. E quando mi risveglio mi ritrovo rinchiuso in questa cella, con questi ai polsi,” indicò con lo sguardo i bracciali che gli bloccavano i poteri “e la gente che prima stimavo e rispettavo ora mi tratta come se fossi un mostro, come se avessi fatto delle cose atroci…”

“Peter… tu sei morto più di due anni fa… e sei tornato in vita grazie a un’entità di puro istinto, potenzialmente pericolosa… e che ha usato il tuo corpo per fare del male…” rispose. Fece un respiro profondo e continuò “Hai rapito me e Peter, tuo figlio. Non so perché l’hai fatto. Forse Fenice aveva in mente qualcosa…”

A queste parole, Peter chiuse gli occhi e trattenne il respiro. Era shockato e addolorato allo stesso tempo.

“Non… non avrei mai…” sussurrò, poi fece un respiro profondo. Era scosso “Grazie, Tempesta. Finalmente ho avuto le mie risposte, forse potrò dare un senso ai miei incubi.”

“Quali incubi?” chiese Ororo, sinceramente preoccupata.

“Non importa. Non credo che capiresti.” rispose lui, abbassando lo sguardo e fissando i bracciali che aveva ai polsi.

“Peter, forse potrei aiutarti… il mio compagno fino a pochi giorni fa non passava notte che non avesse almeno un incubo. Suppongo che questo basti per capire.”

L’uomo fece un respiro profondo e tornò a guardarla negli occhi.

“Ok, d’accordo… nel sogno è come se fossi diviso in due… cioè… è come se nel mio corpo ci fossero due entità distinte, io e qualcun altro. Questa altra entità controlla tutto, io non ho nessun controllo, posso solo osservare quello che fa. Vorrei impedirle di farlo, di fare del male a delle persone, ma non ci riesco… posso solo urlare, nient’altro. Poi mi sveglio, e inizia un altro incubo. Solo che non credo che possa risvegliarmi da questo.” spiegò, quasi senza prendere fiato.

“Mi dispiace, davvero. Chi sono le persone a cui questa altra entità vuole fare del male?” chiese ancora la donna.

“Non so chi sia questa gente. So che sono stati uccisi solo perché… perché gli serviva la macchina…” si portò le mani alla testa. Il suo volto era il ritratto della disperazione “Buon dio, ‘Ro… mi sembra assurdo solo a dirlo.”

Ororo non disse nulla. Cercò le parole giuste e poi parlò.

“Peter, purtroppo è successo sul serio. Hai ucciso delle persone.”

Peter sembrò risvegliarsi. I suoi occhi erano allarmati e spaventati allo stesso tempo.

“Santo cielo, Ororo… dimmi che non ho fatto del male a te o a mio figlio… ti prego…”

Ororo scosse la testa e sorrise rassicurante.

“Tranquillo, non mi hai toccato. E Peter è un bambino molto furbo e intelligente, è riuscito a difendersi da solo, nonostante l’età.”

Peter sospirò. Era un sospiro liberatorio. Se avesse fatto del male a qualcuno dei suoi cari non se lo sarebbe mai perdonato.

“Peter… si chiama come me…”

“Sì. Lo ha scelto Olivia. Ti somiglia molto, sai?”

“Grazie mille, Ororo.” la ringraziò, sorridendo “Mi piacerebbe molto vederlo, ma dopo quello che hai detto, dubito che Olive mi ci faccia anche solo avvicinare…”

“Mi dispiace, magari se le dai un po’ di tempo… sai oggi lei, Peter e tuo padre verranno alla scuola. Se vuoi provo a parlarle…”

“Lascia stare…” rispose Peter, scuotendo la testa, demoralizzato “non credo che la convinceresti tanto facilmente. Per lo meno sono riuscito ad avere una conversazione civile con qualcuno, e questo mi basta. Spero solo di poter ricambiare il favore, prima o poi.”

Tempesta stava per rispondere, quando la porta si aprì e fece capolino il piccolo Junior, che fissò i due e poi entrò, nascondendosi dietro l’angolo.

“Peter! Che ci fai qui? Se lo zio Logan lo scopre, passerai dei guai seri!” lo rimproverò Ororo.

“Nonno Logan no fa paura.” disse il piccolo, con aria decisa “Ora naccondo pecchè lui e nonno Watter ceccano.”

Peter rise, guardando il piccolo, che si nascondeva e allo stesso tempo guardava fuori che non arrivasse nessuno.

“Avevi ragione, mi somiglia molto.” commentò.

Subito dopo arrivarono finalmente Walter e Logan. Quest’ultimo guardò severo il bambino e poi si avvicinò a Peter, lo prese per il colletto e lo guardò fisso negli occhi.

“Se solo lo hai toccato…” lo minacciò.

“Come se potessi fare qualcosa…” commentò Peter, sostenendo il suo sguardo.

Walter si avvicinò al bambino, lo prese per mano e lo portò fuori, sempre stando tra lui e Peter, evitando di guardarlo.

Peter lo fissò, poi fece un respiro profondo.

“Walter…” lo chiamò.

Il vecchio scienziato si bloccò sulla porta, ma non si voltò, restò di spalle.

“Walter, per favore, dammi la possibilità di spiegare…” lo implorò.

“Non c’è nulla da spiegare, Fenice.” si intromise Logan.

Bishop strinse i denti. Ancora quel nome?

“Io mi chiamo Peter Bishop!” esclamò, alzandosi in piedi.

“Peter è morto due anni e mezzo fa.” disse Walter, girandosi e guardando finalmente il figlio “Tu sei un impostore.”

“Walter… ti prego…” si avvicinò e lo prese per il braccio, sperando di poter usare il suo potere calmante per farsi riconoscere dal padre.

Walter fissò la mano che lo stava toccando e si allontanò di scatto, come fosse stato qualcosa di sporco, poi uscì dalla stanza e si allontanò velocemente.

Peter era confuso. Si fissò le mani. Perché non aveva funzionato?

“Quei bracciali bloccano i poteri dei mutanti che li indossano.” spiegò Tempesta.

“Ro, hai già detto troppo. Andiamo via, ci aspettano di sopra.” la interruppe Wolverine, poi la accompagnò fuori e chiuse la porta, lasciando Peter da solo con i suoi pensieri.

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Capitolo 12
*** 12 ***


Era passata un’altra settimana. Peter non aveva mai dato problemi, soffriva in silenzio nella solitudine della sua cella.

Tempesta andava spesso a trovarlo, a parlare con lui, anche solo per fargli compagnia, per non fargli perdere il senso del tempo.

Peter apprezzava. Parlavano per ore, e lui sembrava quasi risvegliarsi da un torpore, soprattutto quando lei gli parlava di Olivia, Walter o del piccolo Junior.

Spesso, però, venivano interrotti da Logan, che entrava nella cella senza preavviso e faceva allontanare Tempesta con delle scuse. Peter poteva capirlo: Wolverine lo vedeva come una minaccia, quindi cercava di tenerlo lontano dalla sua donna e, in generale, dalle persone a cui era legato.

Il sabato sera, quando Ororo gli portò la cena, portò anche dell’altro.

Peter trovò sul vassoio anche un tablet, acceso sulla pagina principale, con una cartella in evidenza.

Lo afferrò incuriosito ed aprì la cartella.

Vi trovò dentro una grande quantità di foto, tutte con allegate data e una piccola descrizione. Una, in particolare, attirò la sua attenzione. Si intitolava “06-11-2012_wellcomeonworld”.

Peter cliccò sull’icona e visualizzò la foto.

Riconobbe l’ambiente della foto: l’infermeria della scuola. Il centro della foto era un letto, su cui era distesa Olivia. Sembrava stanca, ma sorrideva, e la sua attenzione era tutta per l’esserino che teneva tra le braccia.

Peter zoomò sul quadretto. Il piccolo doveva avere poche ore, quindi la data era quella della sua nascita.

“E’ nato il mio stesso giorno…” sussurrò tra se, quasi sorridendo. Si sorprese a sognare le feste che avrebbero condiviso in futuro, preso improvvisamente da un orgoglio paterno che non aveva mai provato.

La gioia durò poco. Un altro pensiero lo prese: il giorno della sua nascita lui non era presente. Olivia aveva bisogno di lui, ma era morto pochi mesi prima. senza contare che, come stavano messe le cose per lui in quel momento, il futuro non era poi così roseo.

Chiuse il file e ne aprì un altro, a caso.

Questa volta era un video. Era datato circa dieci mesi dopo la foto che aveva appena visto. Avviò la riproduzione.

Di nuovo la scuola, questa volta il salone centrale.

Il bambino si guardava intorno, con il ciuccio in bocca, stretto saldamente al petto di Olivia.

Lei sorrideva. Un sorriso che Peter non le aveva mai visto. Era seduta sul divano e il piccolo si guardava intorno.

Junior venne quasi ipnotizzato dai giochi di prestigio con le carte che stava facendo Gambit, nell’angolo più lontano dell’inquadratura, e cercò di allungarsi verso di lui.

Dopo qualche capriccio andato a vuoto, per convincere Olivia ad alzarsi e avvicinarsi a Gambit, con aria decisa si spostò dalle gambe della madre al divano, per poi scendere giù sul pavimento. Si tenne saldo alla stoffa del divano, mentre cercava di trovare un po’ di stabilità nei piedini poco allenati.

Si fermò per qualche secondo per testare il suo equilibrio, poi spostò un piedino in avanti, con le braccine aperte, spostò anche l’altro, ma cadde a terra, battendo il sederino.

Junior si guardò un momento intorno, disorientato, poi fissò di nuovo le mani di Remy, che continuavano a fare giochi con le carte, infine lo raggiunse gattoni.

Peter guardò tre volte quel filmato. I primi passi del figlio. Sorrise tra sé.

Era un ometto intelligente. Peter si sentì ancora più orgoglioso; l’intelligenza era un fattore costante nei Bishop. Chissà se suo padre gli aveva già fatto il test del QI. Conoscendo Walter era probabile che lo avesse già fatto da tempo…

Sospirò, di nuovo preso dallo sconforto: un altro momento in cui non era stato presente.

Aprì un altro file. Un’altra foto, datata 11 novembre 2013. Questa volta l’ambiente era diverso: il laboratorio di Walter.

Erano entrambi dietro uno dei banconi colmi di vetreria del laboratorio. Walter era seduto su uno degli sgabelli, e Junior era seduto accanto a lui. stavano abbrustolendo dei marshmallows su un becco-bunsen. Sembravano felici.

Peter fissò ancora l’immagine del padre. Era sicuro che Walter era un ottimo nonno per quel bambino.

Riprese a sfogliare le foto. Erano centinaia, ma le esaminò una per una con attenzione, finchè una non attirò la sua attenzione.

La data era 4 giugno 2012. La settimana prima che Junior nascesse. La foto ritraeva Olivia, seduta su una panca di legno che a Peter sembrò famigliare. Guardò lo sfondo della foto: la casa del Lago Reiden.

Olivia guardava verso il lago, carezzandosi il pancione. Il suo sguardo era triste.

Peter la fissò per lungo tempo. Olivia, la sua Olive… quanto avrebbe voluto essere lì ad abbracciarla… invece era morto. L’aveva lasciata sola. Per due anni aveva dovuto crescere da sola il loro bambino.

Continuando a sfogliare le foto, si stese sul letto, e dopo un po’ si addormentò, con quelle immagini ormai impresse nella mente.

Il mattino dopo, a casa Bishop, Junior si svegliò presto. Era mattiniero, in questo aveva preso dalla madre. Alle otto correva già in giro per la casa in cerca dei suoi giocattoli, da mettere nello zainetto, per portarli alla scuola.

“Piano, tesoro!” lo rimproverò Olivia “Non si corre per la casa! Te l’ho detto migliaia di volte!”

“No trovo mio libbo!” si lamentò, arrampicandosi sul divano e togliendo tutti i cuscini per cercare sotto.

“A che ti serve il libro?” chiese Walter, porgendo il libro in questione a Olivia, che lo mise dentro lo zainetto del figlio.

“Legge poi dopo.” Spiegò Junior, prendendo lo zaino e correndo verso la porta, seguito dalla madre e dal nonno.

Olivia sospirò senza commentare: suo figlio era un vero uragano energetico.

Quando arrivarono alla scuola, Junior corse subito dentro, andando a salutare gli altri.

“Tao zia Roro! Tao Nonno Logan!” li salutò, correndo da loro.

“Perché non mi chiami mai zio?” si lamentò Logan, prendendolo su.

“Pecchè tei vecchio.” disse, innocente, poi fece il carino con Ororo, che lo coccolò subito.

Logan si trattenne dal commentare e salutò Olivia e Walter, poi si rivolse di nuovo al bambino.

“Piccoletto, ho una cosa da dirti, e mi devi ascoltare attentamente…”

“Io no tono picchetto!” si lamento Junior.

“Sì, era un modo di dire. Comunque vorrei che oggi non andassi a giocare nel piano di sotto. Mi prometti che non ci andrai?”

Il piccolo lo fisso per qualche secondo, pensieroso.

“Peter, è importante.” insistette l’uomo.

Junior annuì energicamente.

“Ceeetto nonno!” rispose, poi scese dalle sue braccia e corse dentro.

Dopo pranzo, mentre gli adulti si riunirono a chiacchierare nel salone, Junior decise di andare a giocare in giro per la scuola.

Prese il suo zainetto con i giochi e corse verso le scale. Si fermò di fronte alle rampe e le fissò, poi si avvicinò alla rampa che andava di sopra. Stava per salire il primo scalino quando si fermò e fissò l’altra rampa, quella che andava verso i sotterranei.

Incerto, guardò verso l’atrio, dove c’erano tutti gli adulti, poi fissò di nuovo la rampa di scale. La tentazione era forte.

Guardò di nuovo verso l’atrio e infine decise; in silenzio scese verso i sotterranei, uno scalino alla volta.

Arrivato al piano si guardò intorno, poi camminò verso la stanza dove la mamma e i suoi amici facevano gli allenamenti. Si fermò alla porta che stava subito prima di quella stanza e la fissò. Lì dentro c’era quell’uomo che la mamma, il nonno e gli zii non volevano che lui vedesse.

Fissò il pannello con i pulsanti che c’era accanto alla porta, quello che veniva usato per aprirla. Quando non c’era nessuno dei suoi zii dentro, bisognava schiacciare alcuni di quei bottoni, in sequenza.

Una volta aveva visto zia Ororo digitare quella sequenza. Lui se la ricordava bene. Si guardò intorno, poi vide una sedia accostata all’altra parete.

Lasciò andare lo zaino e corse a prendere la sedia, trascinandola verso il pannello.

Quando la sedia fu in posizione, Junior si arrampicò, stando in piedi sulla sedia. Ora era all’altezza giusta. Fissò la pulsantiera e pigiò col ditino la sequenza esatta.

La serratura scattò. Il bambino saltò giù dalla sedia e prese lo zaino, poi aprì la porta e guardò dentro.

L’uomo era seduto sulla branda accostata alla parete, e lo fissava confuso.

“Tao” salutò. Poi posò lo zaino a terra e chiuse la porta.

“Tu non dovresti stare qui…” disse Peter, senza muoversi dal suo posto.

“Io vado dove voio.” rispose il bambino, con aria orgogliosa, poi frugò nello zaino e tirò fuori il suo libro di favole.

Peter sorrise, guardando suo figlio che si avvicinava con quel grosso volume tra le mani. Certo, non avrebbe dovuto sorridere: se trovavano qui il bambino, Peter avrebbe passato guai seri. Ma aveva riconosciuto quel modo di fare, era inconfondibile, era davvero suo figlio.

“Non hai paura di me, vedo.” commentò.

“No tei cattivo, papy. Leggi?” chiese, porgendogli il libro.

Peter lo fissò incerto. D’istinto voleva dirgli di sì, forse non avrebbe avuto altre occasioni di stare con lui, così vicino, serenamente. Ma non si illudeva; presto sarebbe arrivato qualcuno a riprenderselo, e l’incubo sarebbe ricominciato. Non era questo che voleva per suo figlio, e nemmeno per lui.

Junior si avvicinò ancora e gli mise il libro sulle ginocchia, guardandolo con un’espressione a cui era impossibile dire di no.

Peter fissò il libro, ancora incerto, mentre Junior si arrampicava sulla branda, accanto a lui, e lo fissava in attesa. L’uomo guardò la porta chiusa, poi si decise, prese il libro e lo aprì alla prima pagina.

“Leggi, papy?” lo incoraggiò Junior.

Peter annuì e cominciò a leggere la prima pagina. Il bambino lo fissò rapito, poi si spostò in braccio a lui, per guardare meglio le figure.

Bishop si fermò un momento, non si aspettava quella mossa, ma poi si tranquillizzò e riprese la lettura, tenendo anche il bambino con un braccio, per non farlo cadere.

Junior ascoltò finchè riuscì, poi si addormentò.

Quando Peter se ne accorse, lo guardò dormire per qualche minuto, poi sentì dei rumori in direzione della porta.

Alzò gli occhi e vide Olivia, che li osservava con un’espressione indecifrabile, restando però a distanza.

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Capitolo 13
*** 13 ***


Come tutte le domeniche, dopo pranzo si radunavano tutti nel salone della scuola per chiacchierare. Olivia sapeva che era un posto sicuro, per cui non teneva il guinzaglio di Junior troppo corto, e lo lasciava irare liberamente, sapendo che ci sarebbe stato sempre qualcuno che lo teneva d’occhio.

Walter si era messo a raccontare a modo suo un aneddoto del suo passato. Si era improvvisamente alzato in piedi e si stava slacciando i pantaloni, lamentandosi di avere caldo.

“Walter! Piantala!” lo rimproverò la donna “Se ti vedesse tuo nipote…”

“A proposito…” li interruppe Ororo “dove è finito? Non lo sento giocare.”

Logan imprecò e scattò in piedi.

“Quel piccolo delinquente! Sarà andato nei sotterranei!” esclamò.

“Wolverine! Vai piano con le parole! E chiama un’altra volta Peter così e ti do fuoco!” lo rimproverò, poi corse verso le scale.

Arrivata in fondo alla rampa, rallentò e camminò verso la stanza dove avevano rinchiuso l’uomo che somigliava a Peter.

Si fermò ed esaminò tutto intorno. La sedia che di solito era posta vicino alla sala controllo della Stanza del Pericolo, ora era sotto il pannello che comandava l’apertura della cella. Olivia si avvicinò e esaminò la sedia e il pannello; due piccole impronte scure spiccavano sul piano della sedia, e la tastiera era unta di crema pasticcera.

Olivia sospirò e quasi maledisse mentalmente il Gene Bishop, che aveva dato a Junior un quoziente intellettivo di 186, e che già mostrava, nonostante l’età.

Con cautela aprì la porta, senza fare rumore, e ascoltò con attenzione.

La voce di Peter filtrava per la stanza. Era bassa, quasi sussurrata, dolce e ferma allo stesso tempo.

“…Ma quella contentezza durò poco, perché sentì nella stanza qualcuno che fece: Crì - crì - crì! Chi è che mi chiama? disse Pinocchio tutto impaurito.” Peter leggeva attento, usando la voce giusta per ogni personaggio “Sono io! Pinocchio si voltò e vide un grosso Grillo che saliva lentamente su su per il muro…”

Olivia ascoltò per un po’. Pinocchio era la favola preferita di suo figlio; si affacciò e guardò dentro.

Peter era seduto sulla branda, col libro in mano. Junior era sistemato in braccio a lui, e fissava il libro, ascoltando attento.

Avevano la stessa identica espressione assorta e concentrata. A Olivia mancò un battito, quell’uomo che somigliava a Peter era davvero identico lui.

Il dubbio cominciò a insinuarsi nella sua mente.

Junior cominciò a dare segni di stanchezza e chiuse lentamente gli occhi, inclinando la testa di lato e respirando piano. Il sonno prese il sopravvento.

Peter si accorse che il bambino si era addormentato e smise di leggere. Fissò Junior incantato; un leggero sorriso comparve sul suo volto.

Olivia fece un passo avanti, era combattuta.

Peter la sentì e alzò gli occhi. La sua espressione cambiò all’istante.

Ora era allarmato, ma vide anche un lampo di paura nei suoi occhi. Notò un movimento impercettibile e istintivo della mano che teneva Junior.

Il corpo di quell’uomo la stava implorando di non togliergli il bambino, di lasciarglielo tenere ancora un po’.

“Olive…” sussurrò, senza abbassare lo sguardo.

Olivia sussultò. Quel nome, e quel tono di voce… solo lui lo usava.

L’uomo restava in attesa. Quegli occhi blu la fissavano, lasciando trasparire un turbinio di emozioni contrastanti: paura, amore, ansia, speranza, rimorso…

Quegli occhi…

Olivia li fissò a lungo. Erano gli occhi del padre di suo figlio, dell’uomo che era morto oltre due anni prima, salvando la vita a degli innocenti.

“Peter…” sussurrò, quasi impercettibile.

Peter fece un respiro profondo e annuì lentamente.

“Sono… sono io, piccola. Sono davvero io.”

Olivia fece ancora qualche passo avanti e si inginocchiò davanti a lui. Guardò il figlio, che dormiva tranquillo tra le braccia dell’uomo, e gli fece una carezza.

Peter lo guardò di nuovo, poi tornò a fissare lei.

“E’ un bravo ometto. Stai facendo un ottimo lavoro con nostro figlio.” la rassicurò.

La donna lo guardò, ancora incerta. Peter le sorrise; era il sorriso dolce che riservava solo a lei.

Finalmente si convinse. Allungò la mano e gli carezzò la guancia. Peter chiuse gli occhi e aspirò il suo aroma.

“Peter…” ripetè lei “Sei… sei vivo…”

L’uomo annuì.

“Così pare. Però non chiedermi come, perché non lo so nemmeno io.”

Lei ormai era convinta. Si avvicinò ancora, diminuendo la distanza tra il suo volto e quello di Peter, poi si lasciò trascinare dalle emozioni.

Peter annullò la distanza e la baciò dolcemente; tutto, intorno a loro, scomparve. C’erano solo loro due… e il bambino che dormiva in braccio a Peter.

Qualcosa, però, li riportò alla realtà.

Dei rumori in corridoio. Qualcuno stava correndo verso la cella.

Si separarono all’istante e scattarono in piedi.

Olivia si mise tra lui e la porta, mentre Peter prendeva meglio il bambino, per poterlo proteggere più facilmente nel caso fosse successo qualcosa di brutto.

Dopo poco gli X-Men si affacciarono alla porta. Logan era davanti a tutti, e dietro il gruppo, al riparo, c’era il vecchio Walter.

“Che sta succedendo qui?” ringhiò Logan, irato.

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Capitolo 14
*** 14 ***


Peter sentiva il pericolo.

Logan li fissava irato. Aveva estratto gli artigli. I tentativi di Ro per calmarlo non erano serviti a nulla.

“Logan! Stai lontano da lui!” lo minacciò Olivia, restando davanti a Peter, in una posizione tale da poterli proteggere.

“Quello non è Peter! Te l’abbiamo già detto! Quello è Fenice. E Fenice è brava a ingannare la gente.” La avvertì l’uomo.

“Lui non è Fenice! Lui è Peter!” ribadì lei, creando una palla di fuoco nella mano, pronta ad attaccare.

“Ehi! Calma!” esclamò Peter, avanzando e mettendosi tra i due, senza mollare Junior.

Logan gli puntò gli artigli alla gola. Peter mantenne la calma e lo guardò negli occhi.

“Non ti conviene farlo. Non finché tengo Peter in braccio.” disse , indicando con lo sguardo il bambino, che dormiva tranquillo in braccio a lui.

Logan fissò il bambino per qualche secondo, incerto, poi decise di abbassare le armi.

“Se sei veramente Peter, dimostralo.”

Peter sospirò e alzò gli occhi al cielo.

“Vediamo… ah sì, la prima volta che ci siamo incontrati, io e Olive stavamo inseguendo un mutaforma… e Mr. Leggerezza qui presente è comparso dal nulla e mi è piombato addosso con il suo dolce peso.” disse, con il suo solito tono sarcastico.

“Mh… sì, e poi?” chiese ancora Wolverine, poco convinto.

“Certo, però, che oltre che nano sei anche cocciuto come un mulo, troll!” esclamò ancora Peter, spazientito.

Logan finalmente si rilasso.

“E’ lui. Olivia ha ragione.” ammise.

Peter sorrise e guardò Olivia, facendo un sospiro di sollievo.

“Ora potete togliermi questi cosi dai polsi? Sono fastidiosi!”

Tempesta si avvicinò e gli sganciò i bracciali. Peter si sgranchì i polsi, sollevato.

In quel momento Junior si svegliò e si guardò intorno, ancora mezzo addormentato.

Peter lo guardò sorridendo, Junior lo fissò per qualche secondo e poi rispose con un altro sorriso.

“Papy… lui nonno Logan.” lo presentò, indicandolo.

“Nonno? Davvero?” chiese Peter.

“Lui vecchio. No è zio. Lui nonno.” spiegò ancora Junior.

Peter sorrise tra sé e guardò Logan, che alzava gli occhi al cielo.

“Rassegnati, Wolverine. E’ mio figlio.” disse, poi si avvicinò a Walter, seguito da Olivia.

Il vecchio scienziato fece un passo indietro e guardò la donna.

“No… non vorrà venire a vivere a casa nostra?” balbettò.

“Walter… non è una minaccia…” cercò di rassicurarlo Olivia.

Walter non rispose e si avvicinò a Tempesta.

“Posso prendere in prestito quei bracciali?” chiese.

“Walter, non c’è bisogno…” cercò di obiettare Peter.

“Certo, detto dalla persona che ha tentato di rapire mio nipote…” affermò il vecchio scienziato, prendendo i bracciali ed esaminando la chiusura.

Olivia si avvicinò e lo guardò negli occhi.

“Walter, fidati di me, Peter non è una minaccia.”

“Io di te mi fido, Olivia. È di lui che non mi fido.” esclamò, indicandolo “Quindi tu fai pure come vuoi, ma se viene in casa, la mia camera e le mie cose sono off limits, e nel laboratorio deve indossare questi!”

“Walter, non…” cercò di obiettare Olivia, ma Peter la interruppe.

“No, va bene. Se serve a farlo stare più tranquillo farò questo sacrificio. Prima o poi tornerà a fidarsi.”

Olivia sospirò e prese in braccio Junior, poi si rivolse agli altri.

“Noi torniamo a casa. Ci vediamo la prossima settimana.” Salutò, poi fece cenno a Walter e Peter di seguirla.

Logan li guardò allontanarsi, poi si rivolse a Tempesta.

“Dici che abbiamo fatto bene a lasciarli andare?”

“Hai ancora qualche dubbio che Peter possa non essere lui?”

L’uomo scosse la testa.

“Sono solo preoccupato che il vecchio non ne faccia qualcuna delle sue. Sai come è fatto il Dottor Bishop, sicuramente arriverà a casa e prenderà qualcuna delle sue ‘medicine’.”

“Logan, tu ti preoccupi troppo…”

“Hai ragione, piccola.” sospirò Logan “Ho bisogno di una birra… mi fai compagnia?”

“Sì, ma magari io prendo un succo di frutta, questa volta.”

Logan la guardò confuso. Lei sorrise, si avvicinò e gli diede un leggero bacio sulle labbra.

“Ti spiego tutto dopo, in privato.” commentò, poi lo seguì in camera, ignorando gli sguardi curiosi degli altri X-Men.

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Capitolo 15
*** 15 ***


Erano ormai passati due mesi da quando Peter era di nuovo libero.

Libero per modo di dire: a casa, a ogni passo che faceva, Walter lo teneva d’occhio, e al laboratorio era costretto a indossare quei dannati bracciali, che odiava.

Per fortuna c’erano Olivia e Junior che non gli facevano pensare a questa fonte di frustrazione.

Peter passava più tempo che poteva con suo figlio. Voleva cercare di recuperare il tempo perduto; Olivia lo lasciava fare, e spesso gli raccontava cosa era successo nei due anni precedenti.

Junior era un vero uragano, non stava fermo un attimo, e Peter notò che era anche molto intelligente. Olivia gli aveva detto che, secondo il test che gli aveva fatto Walter, il QI di suo figlio era 186. Poco più basso di quello del padre, ma in fondo lui stesso aveva un QI leggermente più basso di quello di Walter.

Ma, anche se ora era libero, i suoi incubi non si erano fermati. Forse era il modo che la sua mente usava per decodificare i ricordi confusi del periodo in cui era posseduto da Fenice.

Uno, in particolare, lo aveva turbato parecchio. Aveva visto Mystica trasformarsi in Olivia, e poi… non voleva pensare a ciò che era successo dopo.

Non sapeva cosa fare. Se quello che aveva sognato era successo sul serio, quando lo avrebbe raccontato a Olivia, come avrebbe reagito? Aveva paura della sua reazione. Forse gli avrebbe di nuovo impedito di avvicinarsi a Junior, e in fondo aveva ragione: era andato a letto con Mystica, la quale aveva preso le sembianze di Olivia, seguendo un ordine diretto di Peter stesso.

Olivia lo avrebbe odiato, e non aveva tutti i torti. Anche Peter si odiava per quello che era successo, anche se non era in lui, anche se era posseduto da un’altra entità, in quel periodo.

Era Ferragosto.

Quel giorno erano stati invitati per un barbecue alla scuola.

Appena scesero dalla macchina, Junior corse subito incontro a Colosso, che stava già preparando la carne da arrostire, mentre Walter si andava a sedere su una panca del cortile, come aveva detto lui “possibilmente nel punto più lontano dal soggetto qui presente.”

Peter sospirò esasperato. Quella situazione andava ormai avanti da due mesi, doveva trovare il modo di reagire.

“Gli passerà, vedrai.” lo rassicurò Olivia.

“Non lo so. È passato parecchio tempo, ormai. Dovrebbe aver capito che sono davvero io.”

“Lascialo andare secondo i suoi tempi, sai come gira la sua mente, è fatto a modo suo.” disse lei, poi andò a salutare Ororo.

Peter la seguì, e accettò la birra che gli offriva Logan, poi tornò a guardare Walter, che mangiava caramelle assieme a Junior, il quale correva attorno alla panca, ridendo allegramente.

“Che faccia, Bishop!” esclamò Wolverine “Sembra che stai per andare a un funerale.”

“Già… il mio funerale…” disse tra sé, a voce bassa.

Logan lo fissò per qualche secondo, poi guardò Walter.

“Il tuo vecchio ancora non ti crede?”

L’uomo scosse la testa, fissando la bottiglia di birra che aveva in mano.

“Non è solo Walter… è che… continuo ad avere quegli incubi.” Confessò.

“Incubi? Che tipo di incubi?”

Peter si guardò intorno, poi si allontanò, facendo cenno di seguirlo, in modo che potesse sentire solo lui.

“In questi sogni c’è sempre una costante: sono diviso in due. Credo che siano ricordi di quando Fenice aveva il controllo del mio corpo. Mi faceva fare cose che io non avrei mai fatto… per esempio, nell’ultimo sogno, avevo a che fare con Mystica.”

“Capisco. Cosa è successo?” lo incoraggiò l’altro.

“Lei era… aveva preso l’aspetto di…” non riuscì a terminare la frase, quindi continuò “Olivia non sa di questi incubi, non glieli ho mai raccontati.”

“Perché hai paura che, appena saprà che ti sei fatto Mystica ti riduca letteralmente in cenere?”

“Olivia non è una che reagisce in maniera… so come è fatta.” sospirò “Apparentemente, dirà che comprende quello che è successo, ma poi… poi troverà il modo di farmela pagare, lo so. E onestamente, anche se non ero io a fare quelle cose, non potrei biasimarla.”

“Senti, amico, so che non ci stiamo simpatici a vicenda, ma una cosa l’ho notata: Olivia ti ama, qualunque cosa succeda ti perdonerà, sa che non eri tu ad agire. E poi se ti ha perdonato l’avventura con la sua copia, quando c’è stato lo scambio, non può non perdonarti anche questa, per lo meno per il bene di vostro figlio.”

“Logan… beh, sì, è vero, noi due non ci stiamo simpatici, però grazie.”

Logan non disse nulla e guardò le due donne, che continuavano a chiacchierare, sedute su una delle panche. Junior si avvicinò e le guardò per un momento, poi andò incontro a Ororo, poggiandole l’orecchio sulla pancia.

Peter sorrise.

“Sembra che mio figlio voglia già fare amicizia con il tuo. A proposito, sei pronto a destreggiarti tra pappe e pannolini?” chiese Peter, sorridendo.

“Senti, Bishop! Guarda che mentre tu eri morto, mi sono occupato di tuo figlio al posto tuo, so come si cambia un pannolino!”

Peter sospirò di nuovo. Quei momenti se li era persi tutti. Erano i piccoli attimi che un padre avrebbe dovuto vivere in prima persona, e lui se li era persi.

Logan notò il suo sguardo, e gli diede una pacca sulla spalla.

“Vedrai che potrai rimediare.” lo rassicurò, poi si allontanò, tornando da Tempesta.

Peter guardò di nuovo Walter. Era seduto da solo, e fissava gli altri con aria annoiata.

Il giovane prese una decisione. Si avvicinò al barbecue, prese due spiedi e infilò sulla punta un marshmallow per uno, poi li posò sul fuoco.

Quando furono pronti, li prese e si avvicinò al padre.

Walter lo fissò, tenendo il muso e Peter gli offrì uno degli spiedi.

“No, grazie.” lo rifiutò.

“Come vuoi. Posso sedermi?” chiese, poi senza attendere la risposta si sedette sulla panca, restando comunque lontano da Walter.

Infine addentò uno dei due spiedi e guardò verso Olivia e Junior.

“E’ un peccato che non lo vuoi… è davvero buono.” commentò.

Walter borbottò qualcosa. Peter sorrise e prese una moneta dalla tasca. La fissò per qualche secondo e poi la fece girare tra le dita.

Walter gli fissò la mano, incantato e dubbioso allo stesso tempo.

Peter posò lo spiedo e cominciò a fare giochi di prestigio con la moneta, usando entrambe le mani.

“Sai, ieri Peter mi ha dato questa moneta. Ha detto che gliel’hai regalata tu. Me la ricordo, sai? Il mezzo dollaro d’argento che avevo quando ero piccolo.”

“Mio figlio faceva la collezione da bambino…” sussurrò il vecchio.

“Questa era il mio portafortuna.”

Walter si voltò verso di lui, continuando a fissargli le mani.

“Te l’ha lasciata tua madre il giorno che ti ho… ti ho…”

“Il giorno che mi hai salvato la vita, portandomi da questa parte.” completò Peter.

Walter finalmente alzò gli occhi, guardandolo. Ora era convinto.

“Figliolo…” sussurrò.

Peter sorrise. Ora era davvero tornato a casa.

Si alzò e porse a Walter lo spiedo. Il vecchio scienziato mangiò il marshmallow con gusto.

C’era ancora una questione in sospeso, però. Si avvicinò a Olivia e la prese per i fianchi.

“Tesoro, devo parlarti.” le sussurrò all’orecchio.

Lei lo guardò e annuì, poi lo seguì. Peter la portò in un angolo riparato, dove potessero parlare senza essere disturbati.

Peter la fece sedere sulla panchina. Olivia lo fissò, sapeva di cosa voleva parlare: dei suoi incubi.

“Peter, so di cosa vuoi parlare. So già tutto.”

Peter la fissò confuso. Come poteva sapere?

“Sono una telepate. In questi due anni ho imparato a controllare molto bene i miei poteri.” spiegò lei.

Peter sospirò, abbassando lo sguardo.

“Da quando lo sai?”

“Degli incubi? Me l’aveva detto Tempesta… e poi ti agiti nel sonno, me ne accorgo quando hai gli incubi. Però volevo aspettare che fossi tu a parlarmene.”

Peter annuì e le prese la mano.

“Sai, nei miei sogni vedo tutto quello che ha fatto Fenice col mio corpo… vedo tutto, ma non posso reagire. Ha pieno controllo del mio corpo…”

Olivia lo fermò prima che potesse continuare.

“Lo so. L’altra notte ho visto tutto.”

L’uomo distolse lo sguardo. Quello era il sogno peggiore, quello che l’avrebbe tormentato maggiormente in futuro. Non avrebbe mai voluto che lo vedesse.

“Io non… te l’ho detto, non potevo reagire…”

“Sei andato a letto con quella mutaforma…” disse lei, con tono calcolato.

“Olivia, io…” cercò di replicare. Non riusciva a trovare le parole giuste da dire, le uniche parole che gli uscirono dalle labbra furono un sussurro “Mi dispiace…”

Olivia lo guardò. Era ferita, Peter lo vedeva. Si sentì in colpa.

“Peter, so benissimo che non eri in te, ma… dovevi parlarmi subito di quegli incubi.”

“Io… non lo so.” cercò di spiegare lui “Forse non… non volevo ferirti.”

“Peter, io sono la madre di tuo figlio! Dovevi dirmelo!”

Peter non rispose. Preso dal senso di colpa cominciò a pensare a come risolvere la situazione. Ma si era complicato tutto. cosa doveva fare?

Olivia intercettò i suoi pensieri.

“Cosa devi fare? Devi promettermi che non mi nasconderai più nulla, ecco cosa devi fare.”

“Va bene…” sospirò “Certo però che è proprio difficile stare con una telepate… non ti si può nascondere nulla…”

La bionda sorrise e si avvicinò, dandogli un leggero bacio sulle labbra.

“Allora quando mi darai quell’anello che hai comprato la settimana scorsa?”

“Mi hai di nuovo letto nel pensiero?” chiese lui, sorridendo e frugando nelle tasche dei jeans.

“No, me l’ha detto Peter. Mi ha raccontato tutto di quando l’hai portato in giro a fare compere.”

“Dovrò fare due chiacchiere con il piccoletto. Mi ha rovinato la sorpresa.” si lamentò, poi si mise in ginocchio davanti alla donna e le porse l’anello.

Olivia lo guardò, sorridendo.

“Devo dirlo ad alta voce o mi basta pensarlo?” chiese lui, guardandola negli occhi.

“Se lo dicessi ad alta voce sarebbe più romantico.”

“Cavolo… vuoi proprio rendermi le cose difficili…” si lamentò, fece un profondo respiro e la guardò di nuovo “Olivia Dunham, vuoi sposarmi?”

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Capitolo 16
*** 16 ***


Le settimane passarono.

Olivia e Peter decisero di sposarsi a Febbraio, il giorno di San Valentino.

Si sposarono alla scuola, e grazie a Tempesta, la giornata fu limpida e calda.

Tutti gli X-Men furono coinvolti nei preparativi. Peter aveva scelto Logan come testimone di nozze, e Olivia aveva chiesto a Walter di accompagnarla all’altare.

Junior non ne volle sapere di indossare il vestito bello, così Peter e Olivia dovettero optare per fargli tenere un completo in jeans, che il piccolo accettò più della camicia bianca con i pantaloni di velluto.

Tempesta era la damigella di Olivia, assieme ad Astrid e Rogue. Laura si era rifiutata: preferiva vestiti e scarpe comode, a quelle “trappole mortali”, come chiamava lei i vestiti da damigella azzurri con ricami verdi e le scarpe con i tacchi scelti da Olivia.

La gravidanza di Ororo era ormai avanti, il termine sarebbe scaduto a metà marzo.

Olivia e Peter si erano trasferiti alla scuola proprio a causa della gravidanza di Tempesta: mancava un X-Man, e c’era bisogno di qualcuno che la sostituisse, così era stato chiamato Peter, che andava in missione con gli altri, quando c’era bisogno, mentre Olivia restava alla scuola insieme a Junior e Ororo.

Era un caldo pomeriggio di inizio marzo. Logan, Peter e gli altri X-Men erano usciti in missione, a seguito di una segnalazione di un avvistamento di Magneto.

Arrivati sul posto, però, non trovarono nulla. Peter tornò sul Blackbird e si mise al posto di guida, e Logan si sistemò sul sedile accanto, in attesa del ritorno di Colosso e Gambit, che erano andati in ricognizione poco lontano.

Proprio nel momento in cui videro tornare Remy e Colosso dalla ricognizione la radio si accese. La voce di Rogue, leggermente agitata, li chiamò dall’altra parte.

“Base X chiama Blackbird… Base X chiama Blackbird… mi ricevete?”

Peter afferrò il microfono e rispose.

“Qui Blackbird. Vi sentiamo forte e chiaro, diteci tutto, Base X.”

Marie stava per rispondere, quando in sottofondo si sentì la vocina di Junior che si lamentava, poi sembrò esserci una specie di litigio tra i due, e la voce di Junior parlò.

“Papy, zia Roro bua… mamma dice devi tornare… dice bimba viene, zia chiesto zio Logan…”

Logan scattò su non appena Colosso e Remy furono saliti. Stava per accendere i motori, quando Peter lo afferrò per la spalla e lo calmò con il suo potere. Aveva bisogno che rimanesse calmo, almeno finchè non fossero arrivati a casa.

“Va bene, campione. Di’ alla mamma che stiamo arrivando. Saremo lì tra poco.” rispose Bishop, poi mise via il microfono e accese il motore.

Il volo durò poco. Appena arrivati nell’hangar, Logan fu il primo a scendere e corse verso l’infermeria, dove erano radunati tutti quanti.

Entrò nella stanza senza guardare nessuno, mentre Peter aspettò fuori, prendendo in braccio il figlio, che nel frattempo gli era corso incontro, preoccupato.

“Zia bua…” disse Junior. Si sentì Tempesta urlare e il bambino fissò la porta, preoccupato e spaventato allo stesso tempo.

“Tranquillo, Peter. Tra un po’ starà bene.” lo rassicurò il padre.

Dopo un po’ Olivia si affacciò alla porta, sorridendo.

“E’ nata, stanno entrambe bene.” informò.

“Mamma, voio vedere bimba…” implorò Junior.

Lei e Peter si scambiarono uno sguardo, poi Olivia annuì.

Peter portò dentro il bambino, che scese dalle sue braccia e corse verso il letto, dove era distesa Ororo, assieme alla bambina appena nata. Logan era accanto a loro e carezzava i capelli della compagna, con ancora l’espressione preoccupata dipinta in volto.

Junior si arrampicò sul letto per guardare meglio la bambina, rimanendone subito incantato.

Aveva la pelle scura della madre, i capelli neri e arruffati del padre e due occhi d’un castano profondo, circondati da ciglia lunghe, che rendevano l’espressione curiosa che ora traspariva da quel piccolo viso ancora più intensa.

“Bella…” disse il bimbo, ancora incantato “Come ti chiami, bimba?”

“Si chiama Olivia.” rispose Ororo, sorridendo.

“Come mamma… mi piace.” approvò Junior.

Peter si fece avanti e prese nuovamente il figlio in braccio, poi porse la mano a Logan.

“Congratulazioni, amico.”

“Grazie.” rispose l’altro, stringendogli la mano.

“Sai una cosa, Wolverine? Credo che i nostri figli diventeranno grandi amici.”

“Non credo proprio. E se solo proverà a toccarla, quando sarà adolescente, se la vedrà con me.”

Peter sorrise e portò fuori Junior.

Sedici anni più tardi.

Era la festa di fine anno, all’Istituto Xavier.

Peter e Olivia erano appena arrivati. Avevano accompagnato Elizabeth, la figlia tredicenne, alla festa, ed erano entrati, per salutare il resto degli X-Men.

Subito, Elizabeth, aveva cominciato a litigare con il quattordicenne Logan, secondo figlio di Wolverine e Tempesta, mentre la sedicenne Olivia era corsa fuori, dicendo che aspettava l’arrivo del suo accompagnatore per il ballo.

Logan, con una scusa, uscì nel cortile, seguendo la figlia a distanza. Peter lo raggiunse.

“Di che hai paura, amico?” gli chiese “Che se la porti via il primo che passa?”

L’uomo lo guardò male e tornò a osservare la figlia, severo e attento.

Si sentì avvicinarsi una moto.

“Questo deve essere Peter.” informò Bishop “Aveva detto che se non aveva troppo da studiare ad Harvard passava a fare un saluto.”

La moto arrivò, si trattava di una Harley d’ultimo modello. Seduto in groppa c’era un ragazzo, vestito completamente di nero. Parcheggiò e si tolse il casco; si trattava di un diciannovenne particolarmente alto, con le spalle larghe, i capelli biondi e scompigliati e gli occhi blu, era quasi la fotocopia di Peter, ma più giovane: Peter Bishop Junior.

La giovane Olivia gli corse incontro e gli saltò al collo. Il giovane la tirò su e la baciò con passione, ignorando gli sguardi delle altre persone.

Logan li fissò e strinse i pugni, ringhiando, mentre Peter pareva più controllato, anche se non toglieva gli occhi dalla coppia.

Olivia prese il ragazzo per mano e lo accompagnò alla porta, fermandosi davanti al padre.

“Papà, è arrivato il mio accompagnatore.” lo informò, indicando Junior.

Logan non rispose, si limitò a ringhiare in direzione del ragazzo, il quale sorrideva, quasi a volerlo prendere in giro, senza scomporsi minimamente.

“Zio Logan, come va?” chiese, poi guardò Peter “Ciao Pa’! L’avevo detto che sarei passato. mamma e Liz sono dentro, vero?”

Peter sospirò e posò una mano sulla spalla di Logan.

“Se solo provi a usare il tuo potere su di me te ne pentirai, Bishop!” ringhiò.

“E chi ha detto che voglio farlo?” obiettò Peter “Voglio solo far entrare tua figlia e il suo accompagnatore.” Il tono era scherzoso, ma lo sguardo, rivolto al figlio, era infuocato e sembrava dire ‘con te facciamo i conti dopo’.

I due giovani entrarono di corsa, mentre i padri li fissavano.

“Maledetto sia il giorno in cui ti sono caduto addosso durante un inseguimento…” si lamentò Wolverine.

Peter sorrise senza rispondere, poi guardò il figlio che ballava insieme alla sua ragazza in mezzo alla pista, ripensando a come era lui alla stessa età: un vagabondo in cerca del suo posto nel mondo.

Un posto che aveva trovato anni più tardi, prima di morire, e che aveva riavuto quando era tornato. Fissò sua moglie, Olivia.

Il suo posto era accanto a lei, fino alla fine dei suoi giorni.

 

FINE

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