Unhearted di katyjolinar (/viewuser.php?uid=3135)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
A Junior piaceva quel luogo.
L’ultima volta che la mamma
lo aveva portato lì era stato
due settimane prima.
Avevano passato le giornate a giocare
in riva al lago, e
insieme al nonno aveva cercato fiori da regalare alla sua mamma.
Al mattino aveva fatto le crepes
assieme a nonno Walter, e
nel pomeriggio erano venuti a trovarli gli amici della mamma, e aveva
fatto la
lotta con lo zio Logan.
Ora era seduto nell’erba.
La mamma era accanto a lui, seduta
sulla copertina a fiori che teneva sempre in macchina per farlo stare
al caldo.
Junior stava giocando con il
cappellino di sua madre. Lo
adorava, non lo mollava mai.
La sua mamma sorrise, poi si
alzò in piedi e si avvicinò di
più al lago, guardando l’acqua calma.
Junior si alzò per
raggiungerla.
“Peter, resta
lì, tesoro. La mamma arriva subito.” gli
disse, con la sua solita voce tranquillizzante.
Junior adorava quella voce. In
realtà adorava tutto della
sua mamma. La guardò incantato.
Mentre la stava guardando
sentì uno strano rumore provenire
dal centro del lago. Lo fissò. Non molto lontano dalla riva
si formò un grande
vortice. Ma non era un vortice come quelli che vedeva quando osservava
l’acqua
andare giù dal lavandino. Era scuro, più pauroso.
Junior cercò di attirare
l’attenzione di sua madre, ma lei
non si mosse.
Qualcosa uscì da quel buco
pauroso in mezzo al lago. Junior
lo osservò bene. Sembrava un uccello. Era grandissimo, e non
era fatto di
piume.
Era fatto di fuoco, ma non era lo
stesso fuoco che guardava
nelle sere d’inverno, quando il nonno lo teneva in braccio
vicino al camino e
gli leggeva le favole. Era molto più pauroso.
Junior chiamò ancora la
mamma. Ora stava urlando, ma la
mamma non lo stava ascoltando. L’uccello pauroso si
avvicinava in volo. Ora era
molto vicino.
Con le sue grandi ali avvolse la sua
mamma.
Junior si svegliò di
colpo. Urlò e scoppiò a piangere
disperato.
Olivia arrivò di corsa,
allarmata.
“Peter… che
succede, amore mio?” gli chiese, avvicinandosi
alla culla.
Junior allungò le braccine
verso di lei per farsi prendere
in braccio.
“Mamma…
cubo…” disse, tirando su col naso.
Olivia lo prese su e lo
cullò per consolarlo.
“Un incubo? Cosa hai
sognato?” chiese lei, baciandogli
affettuosamente la fronte, su cui ricadevano i capelli, biondi come i
suoi ma
ribelli come quelli del padre.
Junior non sapeva come spiegarlo a
parole, quindi optò per
il mezzo per lui più semplice per spiegare:
poggiò la manina sulla guancia
della mamma e le trasferì il ricordo del sogno.
Lei lo strinse per qualche secondo,
poi gli sorrise
rassicurante.
“Tranquillo, amore mio, la
mamma è qui ora. Non ti lascerò
mai, lo prometto.”
Junior la strinse forte, non voleva
lasciarla più andare
via.
“Nonno sta facendo le
frittelle. Vuoi andare a cucinare con
lui?” gli chiese. Doveva farlo distrarre un po’.
Quel sogno lo aveva turbato
parecchio.
Ma aveva turbato anche lei. Qualcosa,
nelle immagini
telepatiche del bambino, l’aveva messa in allarme:
l’uccello di fuoco.
Lo aveva già visto.
Esattamente due anni prima, la notte in
cui era nato suo figlio, aveva sognato Peter… e aveva visto
quell’uccello di
fuoco.
Ma ora non poteva permettersi il
lusso di indagare, avrebbe
solo agitato inutilmente il bambino, e oggi doveva solo pensare a
divertirsi:
era il suo compleanno, e alla scuola stavano organizzando una festa
tutta per
lui.
Portò Junior in cucina, da
Walter, e glielo affidò, poi andò
ad aiutare gli altri a preparare il salone d’entrata per la
festa che ci
sarebbe stata quel pomeriggio.
Quando tutto fu pronto la festa
cominciò.
Junior correva in giro per la sala,
riuscendo ad avere
l’attenzione di tutti. In fondo era la mascotte della scuola,
il più giovane,
nato tra quelle mura e che aveva già mostrato parte dei
poteri da subito dopo
la nascita.
Il piccolo si avvicinò a
Logan e gli tirò i pantaloni per
attirare la sua attenzione.
“Nonno?” lo
chiamò.
Logan non lo sentì, e
continuò a chiacchierare con Broyles,
bevendo la sua birra.
“Nonno?”
chiamò ancora Junior.
Broyles lo guardò e
sorrise.
“Credo che il bambino ce
l’abbia con lei, signor Logan.”
Wolverine sospirò e lo
prese su.
“Dimmi un po’,
tappetto.” disse il mutante al piccolo
“Perché mi devi chiamare nonno se ti ho detto
mille volte di chiamarmi zio?”
“Io no tono
petto.” protestò il piccolo “Tu tei
petto!”
Logan sospirò. Quel
bambino era proprio un Bishop.
Lo tenne in braccio per un
po’, finché sua madre non venne a
riprenderselo.
“E’ ora della
torta!” esclamò Olivia, stringendo il figlio,
poi si avvicinò a un grande tavolo con una bella torta con
panna e crema
pasticcera, la preferita di Junior.
Il bambino spense le candeline, con
l’aiuto della mamma, poi
rivolse la sua attenzione al tavolo dei regali. C’erano tanti
pacchetti di
tanti colori. A Junior piacevano i colori.
Junior li aprì tutti, e
volle provare tutti i giocattoli.
Giocò finché la
stanchezza non ebbe la meglio, poi si
addormentò in braccio alla madre, che stava parlando con il
Professor Xavier e
altri X-Men.
Mentre parlavano, il Professore si
fece improvvisamente
cupo, e si estraniò per qualche minuto dalla conversazione.
Tutti lo fissarono
in silenzio: quando faceva così il futuro non prospettava
nulla di buono.
“Voglio tutti gli X-Men
nell’hangar del Blackbird tra
mezz’ora.” ordinò “Sta
succedendo qualcosa…”
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Capitolo 2 *** 2 ***
Nel frattempo, al Lago
Reiden…
Era una bella giornata, tipicamente
primaverile. Gli uccelli
cinguettavano e amoreggiavano tra loro, gli alberi erano fioriti e il
prato era
coperto di margherite appena sbocciate, su cui si posavano miriade di
farfalle colorate.
All’improvviso un boato
squarciò la tranquillità del posto.
Sembrava un’esplosione, proveniente dal punto più
profondo del lago. Tutto
tacque.
In quel silenzio surreale, un uomo
emerse dall’acqua,
completamente nudo, e si fermò sulla riva.
Si guardò intorno per
qualche minuto, poi si avvicinò a una
lapide, posta poco lontano da lui.
L’uomo la fissò,
glaciale, impassibile.
Peter Bishop
11 giugno
1978 – 11
novembre 2011
Na ine
kalitero
antropo apo ton patera toy.
L’aria intorno
all’uomo si caricò di elettricità.
Allungò
una mano verso la lapide.
Una scia luminosa, simile a un
fulmine, partì dal palmo
della sua mano e colpì la pietra.
Si disintegrò
all’istante. Di quella lapide non restava che
un cumulo di sabbia vetrificata.
L’uomo fisso ancora per
qualche secondo il punto dove poco
prima c’era la pietra, poi si allontanò.
Nello stesso momento a Westchester,
la festa di compleanno
di Junior era terminata.
Olivia aveva affidato il bambino a
Walter e aveva raggiunto
gli altri X-Men nell’hangar.
Stavano per cominciare la riunione,
quando Broyles li
raggiunse, parlando al telefono.
“Qualcosa non va, agente
Broyles?” chiese il Professor
Xavier.
Broyles non disse nulla e si rivolse
a Olivia.
“Agente Dunham, ho appena
avuto notizia di un Evento
Fringe.” la informò.
“Dove, signore?”
chiese la bionda.
“Al Lago Reiden.”
“Allora dobbiamo andare
subito. Forse qualcuno sta cercando
di passare il confine…”
“Un momento, agente
Dunham.” la fermò
“c’è ancora un’altra
cosa, ma ho paura che non le piacerà.”
Lei non disse nulla, si
limitò a guardarlo in attesa.
“Si tratta della lapide
dedicata a Peter Bishop. È stata
distrutta.” continuò Broyles.
La donna impallidì di
colpo. Tempesta si avvicinò e la
sorresse, accompagnandola verso una sedia.
“Grazie, agente
Broyles.” lo ringraziò cordialmente il
Professore “Ce ne occuperemo noi. Ci terremo in
contatto.”
L’uomo annuì e
tornò nel salone, mentre il gruppo si
raccolse attorno alla donna.
“Forse dovresti raccontarci
dell’incubo che ha fatto tuo
figlio, Olivia.” le suggerì Xavier.
“Quale incubo?”
chiese Logan. Se c’era una cosa che lui
conosceva bene, erano gli incubi: li aveva quasi tutte le notti. Ormai
ci aveva
fatto l’abitudine, ma non passavano mai.
Olivia respirò a fondo,
poi raccontò loro dell’incubo che
aveva avuto Junior e di quello che aveva avuto lei, due anni prima, la
notte
della nascita del bambino.
“Un uccello di fuoco? Sei
sicura?” chiese Tempesta. Sembrava
allarmata. Olivia annuì.
“Temevo che sarebbe
successo…” disse Xavier.
Logan invece imprecò.
Aveva capito con cosa stavano per
avere a che fare.
“Rotelle, so come la pensi
tu, ma questa volta prendo io il
comando della squadra!” esclamò l’uomo,
con un tono quasi autoritario.
“Va bene, Wolverine.
Partirete subito.” Disse infine il
Professore.
Detto questo, si prepararono e
partirono a tutta velocità
verso il lago.
Quando arrivarono, una strana nebbia
copriva la visuale.
Tempesta la fece dissipare.
Si guardarono intorno. Sembrava tutto
tranquillo.
Olivia si incamminò verso
riva, ma venne attratta da
qualcosa.
Si avvicinò e lo vide.
Era un cumulo di sabbia vetrificata,
sul fondo di una buca.
Era esattamente nel punto in cui
c’era stata la lapide del
suo Peter.
Si inginocchiò ai bordi
della buca e scoppiò a piangere.
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Capitolo 3 *** 3 ***
Olivia pianse per cinque minuti, poi
si calmò
improvvisamente. Continuò a stare inginocchiata ai bordi
della buca, fissandola
in silenzio.
Ororo si avvicinò e le
poggiò una mano sulla spalla,
preoccupata.
“Olivia, stai
bene?” chiese.
La bionda si girò e la
guardò. Era arrabbiata.
“Voi mi state nascondendo
qualcosa.” affermò, poi si alzò e
si avvicinò a Logan “Soprattutto tu,
Wolverine.”
Logan non rispose. Sostenne lo
sguardo della donna in silenzio.
“Cosa te lo fa pensare,
agente Dunham?”
“Per esempio il fatto che
hai voluto prendere il comando a
tutti i costi.”
“Oh, andiamo,
Olivia!” esclamò Ororo “Non è
la prima volta
che Logan prende il comando della squadra, lo sai anche tu.”
“Questa volta è
diverso.” disse lei, avvicinandosi all’uomo
e prendendolo per il colletto “Ho visto come hai reagito
quando ho raccontato
dei sogni. Non me la bevo. Quindi dimmi tutto, oppure rimpiangerai
quello che
ti stava facendo Peter due anni e mezzo fa.”
La donna era davvero arrabbiata.
Logan fissò gli altri, poi
decise di raccontarle tutto.
“Fenice.” disse,
poi si scrollò di dosso le mani della
donna.
“Fenice? Chi
sarebbe?”
“Un mutante molto
pericoloso, se lasciato libero.” spiegò
Tempesta “L’ultima volta ha quasi sterminato la
vita sulla Terra.”
“E cosa c’entra
con il Lago Reiden?” chiese la bionda,
confusa.
“Non lo so, ma ho
intenzione di scoprirlo e di fermarla
prima che sia troppo tardi.” Affermò Wolverine,
stringendo i pugni e fissando
l’acqua calma del lago.
Olivia lo fissò. Era
ancora arrabbiata, ma almeno aveva
ricevuto delle risposte.
In silenzio si allontanò
dal gruppo e tornò al Jet.
Intanto, nei pressi di New York.
James Madrox era appena arrivato alla
sua agenzia
investigativa, la X-Factor Investigation, quando qualcuno lo
aggredì alle
spalle.
L’uomo lo teneva saldamente
per la gola, e lo sollevò di
qualche centimetro.
“Ho bisogno di un favore,
Multiple Man.” disse una voce
ferma e glaciale all’orecchio del mutante “Devi
trovarmi la Confraternita.”
James cercò di parlare.
Cercò anche di reagire e duplicarsi,
ma qualcosa lo stava bloccando. Aveva paura.
“Non mi vuoi aiutare? Va
bene farò da solo.” Continuò di
nuovo l’uomo e strinse la presa.
Si sentì un rumore di ossa
spezzate, poi il corpo di Madrox
si accasciò a terra.
L’uomo prese i suoi vestiti
e li indossò, poi andò alla
scrivania e accese il computer.
Quando ebbe trovato quello che
cercava, si infilò il
cappotto a doppio petto di Madrox e uscì
dall’ufficio, in silenzio come era
entrato.
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Capitolo 4 *** 4 ***
L’uomo era uscito
dall’agenzia.
Entrò nell’auto
di Madrox e accese il motore. Si guardò
intorno e partì, senza curarsi di rispettare il codice della
strada.
Dopo qualche ora era in autostrada,
diretto a nord.
La benzina finì,
l’auto si fermò e lui scese, fermandosi nel
mezzo della carreggiata.
Guardò le auto. In
silenzio, con i pugni chiusi, caricando
tutta l’elettricità che poteva.
Peter Parker era partito quella
mattina da New York. Doveva
essere a Portland, nel Maine, entro sera, per fotografare una
manifestazione
per conto del Daily Bugle, il quotidiano per cui lavorava.
Quando i fari dell’auto
illuminarono una figura nel centro
della corsia, a pochi metri da lui, frenò di colpo.
I sensi di ragno di Parker erano come
impazziti. Percepiva
un forte pericolo. Chiuse le sicure a tutte le portiere e attese.
L’uomo che bloccava la
strada si avvicinò. Parker lo guardò
attentamente. Alto all’incirca un metro e novanta, indossava
un lungo cappotto
doppio petto nero, che rendeva le sue spalle ancora più
larghe di quello che
erano. Per un attimo i fari illuminarono il suo volto; i lineamenti
erano duri,
e gli occhi erano blu, ma sembravano fatti di ghiaccio puro.
Si avvicinò alla portiera
di Parker e poggiò la mano,
avvolta in uno scuro guanto in pelle, sulla serratura, che
scattò. Parker cercò
di spostarsi nell’altro sedile, prima che l’uomo
potesse aprire la porta e
raggiungerlo.
Non ci riuscì.
L’uomo lo afferrò e lo tirò fuori.
I sensi di ragno di Peter Parker
erano impazziti. Ora, oltre
al pericolo, sentiva anche la paura. No, non era paura, era un estremo
terrore.
“Non mi sono mai piaciuti i
ragni.” disse l’uomo
incappottato, a denti stretti. Poi gli scaricò una grande
quantità di energia
ad alto voltaggio e lo scaraventò sulle rocce che
costeggiavano l’autostrada.
Infine, l’uomo
salì sulla macchina di Parker e partì.
Dopo parecchie ore di viaggio e altri
cambi di vettura,
l’uomo arrivò ai margini di una foresta, ai
confini con il Canada.
Era notte fonda. Fermò
l’auto davanti a una casa in legno,
messa particolarmente male, ed entrò, senza bussare.
Un uomo dormiva su un vecchio
materasso buttato per terra.
Si trattava di Victor Creed, Sabretooth.
L’uomo gli tirò
un forte calcio tra le costole, che fecero
un sordo rumore metallico, e Victor si svegliò di colpo.
“Sveglia, bestione! Ho un
lavoro per te!” disse l’uomo,
fissandolo gelido.
“Ma che
c***o…” imprecò Victor, alzandosi in
piedi “Chi
c***o sei tu? E che c***o vuoi da me?”
“Chi sono non ha
importanza.” rispose l’uomo “Cosa voglio
è
semplice: voglio Magneto.”
“Perché rompi le
p***e a me allora?” chiese ancora
Sabretooth “Lo sai che potrei spezzarti le ossa usando una
mano sola?”
L’uomo sorrise glaciale.
Sarebbe riuscito a spezzargli le
ossa solo se lui glielo avrebbe permesso. Allungò il braccio
e poggiò la mano sullo
sterno di Victor, liberando istantaneamente una gran
quantità di energia.
Victor urlò e cadde in
ginocchio. La carne sul petto era
bruciata, e si intravvedevano le ossa al di sotto
dell’ustione. Ci volle
qualche minuto perché si rigenerasse.
“Ora che abbiamo capito chi
comanda, ti propongo un patto.”
disse l’uomo, infilandosi fi nuovo il guanto di pelle
“Tu mi porterai da
Magneto e mi seguirai come mia guardia del corpo e io non ti faccio
più quello
che ti ho appena fatto… o peggio.”
Victor restò ancora in
ginocchio per riprendere fiato e
guardò l’altro uomo dal basso verso
l’alto. Quell’uomo faceva paura. Victor non
aveva mai provato un terrore simile, di solito era lui a portare il
terrore
nella gente.
“Va bene… come
vuoi.” sussurrò. Era davvero meglio non farlo
arrabbiare.
Detto questo uscì e
accompagnò l’uomo al suo vecchio
pick-up, infine accese il motore e partì.
Dopo qualche ora arrivarono al campo
base della Confraternita.
L’uomo in doppio petto
uscì per primo dal veicolo.
Sabretooth gli restò alle spalle, mentre si dirigevano al
rifugio di Magneto.
Arrivati all’entrata,
l’uomo fece segno a Sabretooth di
attendere fuori, quindi entrò.
“Dovresti nascondere meglio
le tue tracce, Erik.” disse
l’uomo, fermandosi alle spalle del vecchio, con le mani nelle
tasche del
cappotto.
“Potrei dire la stessa cosa
di te…” rispose Magneto, di
spalle.
Infine si girò, con un
sorriso soddisfatto in volto, e
guardò l’uomo negli occhi.
“Ma è un piacere
vedere che hai deciso di passare dalla mia
parte, Peter Bishop.”
Ed ecco svelato chi
è l'uomo misterioso...
Cosa succederà ora?
commentate!
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Capitolo 5 *** 5 ***
Olivia era tornata a Boston. Era
ancora alterata perché gli
X-Men non le avevano detto subito di Fenice, ma la routine
dell’FBI le aveva
fatto passare tutto. Ora aveva da pensare al lavoro.
Era al laboratorio. Aveva portato con
sé anche Junior, che
ora scorrazza per il laboratorio, a volte cercando di arrampicarsi
sulla groppa
di Gene, a volte cercando di aprire qualcuno dei barattoli di Walter, a
portata
delle sue manine.
Walter era un nonno paziente e,
nonostante le apparenze,
particolarmente responsabile. Quando suo nipote era con lui in
laboratorio,
tutto ciò che poteva essere pericoloso spariva dalla vista
del bambino, e non
lo perdeva mai d’occhio.
Era un momento di pausa. Walter aveva
preso un secchio e
stava mungendo Gene, mentre Junior lo fissava con lo sguardo
corrucciato,
attento a ogni minimo movimento. Olivia li osservava divertita; quando
faceva
così, Junior le ricordava molto Peter. Aveva lo stesso
sguardo attento e
concentrato che aveva visto nel padre, e che le mancava da morire.
Astrid entrò, attirando
l’attenzione dei presenti. Dietro di
lei entrarono anche Ororo e Logan, in visita.
Junior corse subito a salutare le due
donne, facendo il
pieno di coccole e abbracci, grazie alla sua aria da ribacuori, poi
guardò
Logan, arricciando il naso.
“Cosa
c’è, piccoletto?” gli chiese
l’uomo, notando lo
sguardo del piccolo.
Junior non rispose, salì
due grandini delle scale per
trovarsi alla giusta altezza e frugò nelle tasche dei jeans
di Logan. Infine
prese i due sigari che l’uomo teneva di scorta e corse in
bagno.
“Ma che
diavolo…” esclamò Wolverine, poi lo
seguì, ma era
troppo tardi, il bambino aveva già tirato l’acqua.
“Cosa hai fatto, piccola
peste?” chiese, in tono arrabbiato.
“Ello pussa. Tivo
tivo!” rispose il piccolo, fissandolo dal
basso verso l’alto, con le braccine incrociate sul petto e
l’espressione
severa.
Logan sospirò.
Più cresceva, più quel bambino somigliava al
padre.
“Erano cubani
veri…” si lamentò
“Cinquecento dollari finiti
nel ce…” si fermò non appena
sentì lo sguardo di disapprovazione di Olivia
posarsi su di lui, e si affrettò a correggersi
“nel gabinetto.”
In quel momento squillò il
cellulare della donna. Olivia
uscì per rispondere e tornò dopo dieci minuti.
“Abbiamo un
caso.” informò, guardando gli altri
“Però non
posso lasciare da solo Peter…”
“Peter può stare
con me. Stavo giusto pensando di preparare
la crema pasticcera. Ci divertiremo un mondo!”
Il bambino, appena sentì
parlare di crema pasticcera
cominciò a saltellare allegro attorno al nonno.
Logan e Ororo si scambiarono uno
sguardo d’intesa.
“Noi veniamo con
te” disse Logan “Quattro occhi in più
possono essere utili.”
Olivia annuì, poi loro
uscirono, non prima che la giovane
madre avesse salutato come si deve il piccolo.
I Bishop aspettarono qualche minuto,
poi Walter sorrise e
guardò il nipote con aria di complicità.
“Allora, Peter…
ci servono latte e uova dal frigo. E della
vanillina… solo che non ricordo dove l’ho messa
l’ultima volta…”
Junior andò a prendere
tutto l’occorrente in frigo, poi
trascinò la sedia vicino a una serie di scaffali e si
arrampicò su, guardando
tutti i contenitori con attenzione.
“Stai attento, Peter!
Potresti cadere!” lo avvertì Astrid,
avvicinandosi al bambino.
“Cecco vanina.”
la informò “Atta votta nonno messa etto
potto.”
“Sei sicuro?”
chiese lei.
“Curo curo. Vitto tutto
io.” si indicò la tempia.
“Me l’hai letto
nella mente?” chiese il vecchio scienziato.
Il bambino annuì, poi
prese un barattolo e lo passò al
nonno. Era proprio la vanillina.
Astrid li fissò per
qualche momento, poi li lasciò
pasticciare.
Intanto gli altri erano arrivati a
New York. Logan stava
guidando, seguendo la strada che indicava il navigatore.
Quell’indirizzo non
gli era nuovo.
“Possiamo sapere di
più?” chiese, dopo qualche minuto.
“Hanno trovato un cadavere
morto in circostanze sospette. Un
certo James Madrox, titolare della X-Factor
Investigation…” cominciò la bionda,
ma Logan non la lasciò continuare, accelerò di
colpo. “Ehi! Rallenta! Non siamo
indistruttibili come te!” si lamentò.
“Scusa…”
disse l’altro, rallentando e guardando Tempesta
dallo specchietto retrovisore. Anche lei aveva intuito tutto
“Noi conosciamo
Madrox. È un mutante.”
La bionda stava per chiedere
spiegazioni quando arrivarono
sul posto.
Wolverine parcheggiò, poi
entrarono nell’agenzia.
Il corpo di Madrox era riverso a
terra, con la testa posta
in una posizione innaturale. Tempesta infilò i guanti e
analizzò il corpo.
“Ha il collo
spezzato.” Informò.
Logan si guardò intorno e
annusò l’aria.
“Credo di sapere chi
è stato.” disse, poi guardò
l’albina “E
se ho ragione Madrox è solo il primo di una lunga serie.
Fenice non è in grado
di fermarsi da sola.”
“Fenice? Credi che ci sia
lei dietro tutto questo?” chiese
Olivia, analizzando il resto della stanza.
“Ne sono sicuro. Sento il
suo odore, anche se è andata via
da un po’, ma è stata qui.”
Contemporaneamente, da qualche parte
nel sud del Canada.
Peter camminava tra i rifugi dei
mutanti, nel campo della
Confraternita.
Una donna uscì da una
delle capanne e gli venne incontro.
Era completamente nuda, aveva la pelle blu, gli occhi gialli, simili a
quelli
dei gatti, e i capelli rossi. Peter la riconobbe subito.
“Mystica.” disse,
fermandosi di fronte a lei.
“Peter Bishop. Allora sono
vere le voci che dicevano che ti
sei unito alla nostra causa.”
“E’
così.” rispose lui, accennando un sorriso, poi si
avvicinò di qualche passo e la guardò negli occhi
“Però ora mi chiamo
Checkmate.”
“Checkmate? Davvero un bel
nome.” commentò la donna “Ti va
una tazza di tè, in privato?” chiese, indicando il
suo rifugio con un cenno
della testa.
L’uomo sorrise e la
seguì, chiudendosi la porta alle spalle.
La fissò per qualche secondo, con i suoi occhi glaciali, poi
parlò.
“E’ ancora valida
la tua offerta?”
Lei si avvicinò,
sorridendo seducente e passandogli una mano
tra i capelli.
“Certo. Posso essere
chiunque tu voglia. Un uomo come te ha
sicuramente un suo ideale di donna… e delle esigenze da
soddisfare.”
Peter sorrise. Era esattamente
ciò che stava pensando.
“Ho sempre amato le
bionde…”
La donna capì al volo. Si
trasformò, riproducendone anche i
vestiti.
L’uomo la fissò
per qualche secondo, e senza dire nulla
trascinò “Olivia” verso il letto, posto
in un angolo buio del rifugio,
baciandola e quasi strappandole i vestiti di dosso.
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Capitolo 6 *** 6 ***
Tornati in laboratorio, ricevettero
notizia di altre morti
sospette, simili a quella di Madrox. Olivia si era fatta mandare tutti
i
fascicoli in ufficio, ed ora li stavano esaminando insieme, lei , Ororo
e
Logan.
“Sentite
questo…” disse Olivia, leggendo uno dei fascicoli
“Un morto sull’autostrada litoranea verso il Nord.
Gli hanno rubato la
macchina, che è stata ritrovata nei pressi di un altro
cadavere, 30 km più a
nord. Si chiama Peter Parker.”
“Come hai detto,
scusa?” chiese Logan, scattando su “Il nome
della vittima?”
“Peter Parker, fotografo
del Daily Bugle. Perché?”
Logan e Tempesta si scambiarono uno
sguardo allarmato.
“Povera Mary
Jane…” sussurrò l’albina.
“Conoscete anche
lui?” chiese Olivia.
“Purtroppo
sì.” rispose l’uomo “Tu lo
conosci con un altro
nome: Spiderman.”
Ci fu un momento di silenzio, poi
Olivia scorse l’elenco
delle vittime.
“Sembrano scelte a caso.
Gli unici due mutanti sono Madrox e
Parker. E a parte il primo, gli altri sono stati uccisi per rubargli la
macchina.”
“Comunque io voglio vederci
più chiaro.” disse Logan, poi
prese le chiavi della moto e fece per uscire.
“Dove stai
andando?” chiese Tempesta, fermandolo sulla
soglia.
“A fare delle indagini per
conto mio. Tranquilla, so badare
a me stesso, io.”
L’uomo uscì e
Tempesta sospirò preoccupata.
“Cosa
c’è, Ororo?” le chiese la bionda.
“Logan è un
testone. Se gli viene in mente qualcosa, mai una
volta che si degni di informarci a dovere… deve sempre fare
tutto lui.”
“Conosco il tipo. Anche
Peter era fatto così.”
“Prima o poi si
farà ammazzare…” sospirò
Tempesta.
Olivia non rispose, si era
improvvisamente fatta scura in
volto, e nascondeva il viso cercando di far finta di leggere i rapporti
che
aveva davanti. Tempesta se ne accorse, le mise una mano sulla spalla,
cercando
di farla stare meglio.
“Scusa… non
volevo che ti tornassero in mente ricordi
dolorosi…”
“Non fa nulla.”
la rassicurò la bionda, ricacciando indietro
le lacrime che stavano per sgorgare “E’ solo
che… mi manca da morire…”
“Peter era una persona
unica… ed è il padre di tuo figlio. È
normale che ti manchi…”
“Sì,
ma… tu sei fortunata. Anche Logan è una persona
unica,
e ogni volta che va via sai che ritornerà, invece
Peter… lui non tornerà mai
più…”
“Tra voi due era diverso.
Tu e Peter stavate insieme, è un
legame diverso da quello che c’è tra me e Logan.
Noi siamo solo amici…” spiegò
Ororo.
“Siete amici, ma si nota
come lo guardi. Non è lo sguardo di
un’amica…”
Ororo non rispose e tornò
a leggere i fascicoli.
Intanto Logan aveva deciso si seguire
le “briciole” che si
era lasciata dietro Fenice.
C’era qualcosa che non
tornava in tutta quella storia, e
prima di parlarne con gli altri doveva verificare di persona.
Tanto per cominciare
l’odore di fenice. Era il suo ma allo
stesso tempo era diverso, era qualcosa che non riusciva a identificare,
ma che
sapeva di aver già sentito, in passato.
Dopo parecchie ore di viaggio
arrivò ai limiti di una
foresta. Fermò la moto e si guardò intorno.
Nascosta tra gli alberi
c’era una catapecchia in legno;
decise di avvicinarsi e entrare.
Appena entrò,
sentì un leggero odore di carne umana
bruciata, un odore vecchio di qualche giorno. Non era però
un odore di bruciato
dovuto al fuoco, era diverso. Era come se qualcuno avesse messo le dita
nella
presa della corrente e fosse stato fulminato
dall’elettricità.
C’era anche un altro odore,
altrettanto vecchio: paura,
mista all’odore di una persona che lui conosceva molto bene:
Sabretooth.
Estrasse gli artigli e
continuò a guardarsi attorno; se
Victor era nei paraggi era meglio essere pronti a qualunque evenienza.
Dopo qualche minuto uscì
dalla casupola e montò nuovamente
in moto. Stava per accendere il motore quando si accorse di non potersi
muovere.
Con parecchia fatica alzò
gli occhi. Quello che vide
confermò le sue teorie e allo stesso tempo lo
allarmò.
Magneto e Sabretooth erano a poca
distanza da lui. in mezzo
a loro c’era un terzo uomo. Logan lo aveva riconosciuto
subito: Peter Bishop.
Lo guardò negli occhi ed
ebbe un’ulteriore conferma della
sua teoria. Un leggero bagliore dorato comparve per un attimo in quegli
occhi
glaciali: Fenice.
“Sempre il solito
ficcanaso, Wolverine?” disse Peter. La sua
voce era strana. Era la sua ma allo stesso tempo non lo era. Sembrava
come se
si sovrapponessero più voci contemporaneamente.
Logan stava per replicare, ma Magneto
lo stava tenendo
completamente bloccato. Contemporaneamente stava facendo qualcosa alle
parti
metalliche della moto su cui era seduto.
Wolverine sapeva di essere in
pericolo, avrebbe voluto
scappare, ma non riusciva a muoversi.
Peter allungò la mano. Un
fascio di elettricità partì e
colpì il serbatoio della moto.
Il veicolo esplose. Logan perse i
sensi all’istante e venne
scagliato parecchie decine di metri più lontano.
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Capitolo 7 *** 7 ***
Peter, Erik e Victor tornarono al
campo, camminando
lentamente. Peter guardava fisso davanti a sé, concentrato.
“Ho conosciuto tuo nonno,
sai?” disse, ad un certo punto,
Magneto.
“Chi?” chiese
l’altro, senza togliere gli occhi dal
percorso.
“Robert Bicshoff. Nel
lontano 1944.”
“Ah… il padre di
Walter.”
Il vecchio annuì, prese
una vecchia moneta d’argento dalla
tasca, poi la passò al giovane uomo, facendola fluttuare
nell’aria. Peter la
afferrò e la osservò attentamente, poi la fece
roteare tra le dita, come faceva
spesso.
“5 Reichmarks
d’argento del 1938… è una moneta molto
rara.”
Osservò, poi la restituì al vecchio.
“Me l’ha data tuo
nonno, dopo aver ucciso mia madre.”
Peter non si scompose,
così Erik cominciò a raccontare.
1944, Campo di concentramento di
Aushwitz, laboratori
scientifici.
Erik era stato chiamato
nell’ufficio del capo della sezione
scientifica. Lui odiava quell’uomo, lo obbligava a fare cose
che non voleva.
Che intenzioni aveva questa volta?
Sul tavolo era posata una tavoletta
di cioccolato. Erik era
affamato, ma cercò di non darlo a vedere.
Il dottor Bischoff prese un disco
dalla sua collezione e lo
poggiò delicatamente sul giradischi, accanto alla grande
libreria colma di
volumi, dietro la scrivania.
Avviò la musica e
tornò a sedersi alla scrivania.
“Sai,
Erik…” cominciò l’uomo,
parlando in perfetto tedesco
“i Nazisti hanno ragione: i geni sono la chiave di
tutto.”
Prese la tavoletta di cioccolato, la
aprì e ne mangiò un
pezzo. Erik continuò a fissarla, in silenzio. Era affamato,
ma quando l’uomo
gliene offrì un pezzo la rifiutò. Il dottore
riprese a parlare.
“Ma quello che loro
cercano, occhi chiari, capelli biondi, e
tutto quanto, sono sciocchezze. Non è questo che rende una
specie superiore.”
mangiò un altro pezzo di cioccolata e si leccò le
dita “Sicuro che non vuoi la
cioccolata? È buona.”
Il ragazzo fece un respiro profondo
per prendere coraggio e
poi, finalmente, parlò.
“Io voglio solo vedere la
mia mamma.”
L’uomo lo fissò
un momento. Gli occhi azzurri di Robert
erano glaciali e imperscrutabili.
“Come dicevo,”
continuò il dottore “i geni sono la chiave di
tutto. Sono la chiave per aprire le porte del futuro, per iniziare una
nuova
era dell’umanità. Questa è evoluzione.
Mi capisci, vero?” chiese. Ma non attese
risposta. Poggiò una moneta sul tavolo, vicino al ragazzo e
lo fissò “Questo
non è sulla in confronto al cancello accartocciato di
qualche settimana fa. Su,
spostala. Usa le tue capacità.”
Il ragazzo capì. Si
concentrò, ma non successe nulla.
“Forse hai bisogno di un
incoraggiamento.” osservò Robert,
poi prese la campanella che teneva accanto a lui, sulla scrivania, e la
agitò.
Due guardie entrarono, trascinando
una donna. Aveva la
casacca a righe dei prigionieri, e uno scialle le copriva la testa
rasata. Erik
la riconobbe: sua madre.
Corse ad abbracciarla. Il dottore lo
lasciò fare per qualche
secondo, poi fece cenno alle due guardie di separarli. Prese una
pistola e
fissò negli occhi il ragazzo.
“Ora conto fino a
tre.” disse “Se non sposti quella moneta
sparo a tua madre.”
Il ragazzo era spaventato e agitato
allo stesso tempo. La
madre cercava di rassicurarlo, mentre lui provava a spostare la moneta.
“Uno…”
Erik cercò di aiutarsi
muovendo le mani.
“Due…”
Nulla, la moneta non si spostava di
un millimetro.
“Tre.”
Uno sparo lo fece trasalire.
Fissò prima il dottore; aveva
ancora la pistola fumante in mano. Poi si voltò verso la
madre; era a terra,
con un buco nel centro della fronte, morta.
Un uragano di rabbia e disperazione
invase la mente del
ragazzo.
Erik urlò. La campanella
che il dottore aveva usato per
chiamare le guardie si accartocciò, come anche gli schedari
di lamiera accanto
alla grossa libreria.
Robert rise soddisfatto, mentre il
ragazzo faceva volare
tutto quanto c’era di metallico nella stanza.
Quando la sua furia si fu calmata,
Robert si avvicinò al
ragazzo.
“Grandioso,
Erik.” disse, poggiandogli una mano sulla spalla
“Il tuo dono si attiva con la rabbia.” Gli diede
una pacca sulla spalla, poi
gli mise la moneta d’argento in mano, che rimase attaccata al
palmo del
ragazzo.
Magneto tornò al presente.
Era un ricordo doloroso, ma era
anche l’inizio di tutto.
“Io sono diventato quello
che sono grazie a tuo nonno,
Peter.”
“Checkmate.” lo
corresse Peter “Ora mi chiamo Checkmate.”
“Giusto. Ora cosa vuoi
fare, ragazzo?”
“Voglio vedere mio
figlio.” rispose, poi si rivolse a
Sabretooth “Tu, prendi un altro mutante e vai a Boston.
Prendi mio figlio e
portalo qui. Non fargli del male, altrimenti sai cosa potrà
capitarti. E non
uccidere la madre, né il nonno.”
“Come vuoi,
Checkmate.” rispose Sabretooth.
“Un momento…
portami anche un’altra persona.” Aggiunse Peter
“Chi?”
“Tempesta.”
“Cosa hai in testa,
ragazzo?” chiese Magneto.
“Sono un Bishop, Erik. E tu
sai bene che noi Bishop siamo
scienziati.” rispose, glaciale ed enigmatico, poi diede altre
disposizioni a
Sabretooth e si allontanò.
Intanto Logan stava cominciando a
riprendere conoscenza.
Aveva ancora dolori ovunque.
Socchiuse gli occhi. La vista
era annebbiata, e la luce che vedeva non migliorava la situazione.
Si impose di aprire gli occhi. Vide
qualcuno davanti a lui.
cercò di mettere a fuoco.
Era una donna, ed era avvolta da una
luce bianchissima. I
capelli rossi le incorniciavano il volto, valorizzando gli occhi, di un
luminoso verde smeraldo. La veste candida si muoveva nella leggera
brezza.
Logan la fissò per qualche secondo, prima di riconoscerne i
lineamenti.
“Jean?”
sussurrò, cercando di mettersi seduto.
“Logan…”
disse la voce della donna, che sembrava venire da
lontano “devi tornare a casa. Sono tutti in
pericolo.”
“Dimmi una cosa che non so
già, rossa!” si lamentò “Ho
visto
che Fenice ha traslocato.”
“Lei deve andare
via… lo ucciderà.” Spiegò.
“Sempre se non uccide prima
noi…”
“Devi tornare a casa,
Logan.” ripetè la donna “Sono tutti in
pericolo. Soprattutto il piccolo Peter e Tempesta. Devi fare in
fretta.”
Nel sentire quei nomi,
l’uomo scattò in piedi, ignorando i
dolori che ancora sentiva, ma tanto sapeva che sarebbero terminati
presto.
Cominciò a correre verso
la strada più vicina, poi fece
l’autostop.
Dopo parecchie ore arrivò
all’ufficio di Olivia.
Lei stava scrivendo un rapporto,
quando l’uomo piombò nel
suo ufficio.
“Olivia,
dov’è Peter?” chiese, allarmato.
“Logan…
sei… che ti è successo?” chiese lei,
alzando gli
occhi dal rapporto.
“Olivia, rispondi!
Dov’è Peter? Dove hai lasciato tuo
figlio?” insistette.
“E’ a casa con
Ororo. Perché?”
L’uomo imprecò,
poi tornò a guardare la bionda.
“Dobbiamo tornare subito a
casa! Sono in pericolo!” spiegò.
Olivia scattò subito in
piedi, allarmata, poi corse insieme
a lui a casa.
Quando arrivarono era tutto sotto
sopra. La prima cosa che
videro fu Ororo, priva di sensi, stesa per terra. Logan la soccorse,
mentre
Olivia correva in camera di Peter.
Dopo qualche minuto tornò
in soggiorno.
“Logan… non
c’è… dove l’hanno portato?
Dimmi tutto quello
che sai!” disse lei. Il suo tono era disperato, ma allo
stesso tempo la sua
espressione ricordava quella di mamma orsa in difesa della prole in
pericolo.
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Capitolo 8 *** 8 ***
Logan non rispose, fissò
solo Tempesta in silenzio.
Era ancora a terra, con gli occhi
chiusi. Logan le tirò
indietro i capelli.
Annusò l’aria.
Qualcosa non andava. C’era un odore strano.
“Logan?” lo
chiamò di nuovo Olivia.
“Olivia, non sono io quello
che può darti le risposte che
cerchi.” rispose lui, fissando di nuovo la donna stesa per
terra.
“Di chi stai parlando? Non
capisco…”
“Di lei.” detto
questo afferrò l’albina per la gola e
strinse saldamente.
Tempesta aprì di scatto
gli occhi e cercò di dimenarsi, ma
successe qualcosa: improvvisamente cambiò aspetto, la sua
pelle divenne blu e i
capelli divennero rossi.
Olivia estrasse la sua pistola,
allarmata.
“Pensavi che non ti
riconoscessi, Mystica?” disse Logan,
minaccioso.
La donna lo fissò,
cercando di liberarsi. Logan allentò
leggermente la presa.
“Dov’è
Peter? Chi ha preso mio figlio? Dove l’hanno
portato?” chiese Olivia, continuando a puntare la pistola
contro Mystica.
“Non preoccuparti, non gli
verrà fatto alcun male.” Rispose
la donna, poi guardò Wolverine “Lo stesso non
potrei dire di Tempesta, però.”
Logan strinse di nuovo la presa.
“Dove li hanno portati?
Parla!” ringhiò. La donna si
aggrappò al suo braccio, cercando di respirare.
“Li… li ha presi
Checkmate.” sussurrò, senza fiato.
“Chi?” chiese
Olivia. Mystica fissò eloquentemente Logan,
che capì.
“Li ha presi Fenice. Chiama
gli altri, ci servono tutti gli
X-Men disponibili se vogliamo riportare Peter e ‘Ro a
casa.”
Olivia fissò Logan. Aveva
i lineamenti tirati. Era parecchio
arrabbiato. Prese il telefono e chiamò la Scuola.
Intanto, nel campo della
Confraternita, Sabretooth entrò nel
rifugio di Peter, portando sulle spalle Tempesta, priva di sensi, e
tenendo
malamente sotto il braccio il piccolo Junior, che si agitava e urlava
come un
forsennato.
“La donna legala e portala
nelle celle.” disse il giovane
uomo “Il bambino lascialo qui.”
Victor fu felice di lasciare il
bambino. Allargò il braccio
e lo fece cadere sul pavimento. Il piccolo scoppiò a
piangere, ma subito si
alzò e cercò di correre verso l’uscita,
ma Peter lo raggiunse con un balzo e lo
afferrò per le bretelle della salopette, mentre Sabretooth
usciva e si chiudeva
la porta alle spalle.
Il bambino però non si
calmò, cercò di liberarsi,
dimenandosi più forte che poteva.
“Calma,
piccoletto!” lo ammonì l’uomo.”
“Lacciami!”
urlò il piccolo, tra le lacrime, cercando di
afferrare la manona che lo teneva per il vestito.
I loro occhi si incrociarono per
qualche secondo. Lo sguardo
del bambino era arrabbiato e spaventato allo stesso tempo. Peter ci
vide
qualcosa di famigliare.
Anche Junior vide
qualcosa di famigliare. Smise improvvisamente di piangere e
continuò a fissare
Peter.
“Vojo la
mamma…” disse, con un sussurro. Poi
allungò la
manina e toccò il viso dell’uomo.
Peter fu colto di sorpresa da quello
che successe. Uno
tsunami di immagini gli invase la mente in pochissimi secondi. Erano
immagini
di volti; non di tanti volti, erano immagini dello stesso volto: Olivia.
Lui si ricordava di Olivia. Aveva in
mente tantissimi
ricordi dei momenti passati con lei, prima che succedesse tutto, prima
di
tornare in vita. Queste immagini però erano diverse, non
erano viste dai suoi
occhi, ma da quelli di un bambino. Era il modo in cui quel bambino che
ora
stava di fronte a lui vedeva sua madre.
All’improvviso
sentì come se qualcosa, dentro di lui, si
stesse liberando, qualcosa rimasta rinchiusa per tanto tempo avesse
trovato
finalmente la forza di combattere. Una forte fitta alla testa, un
dolore che
proveniva dall’interno, gli fece quasi perdere i sensi.
Cercò di stare sveglio,
con tutte le sue forze.
Junior continuò a
trasferirgli i suoi ricordi. L’ultimo gli
diede il colpo finale:
Era una bella giornata di primavera.
Una leggera brezza le
scompigliava i capelli e le smuoveva leggermente la vestaglia color
panna con i
bordi dorati, mentre Olivia godeva del sole caldo, stesa su una coperta
blu, in
riva al Lago Reiden.
C’era una pace e una
tranquillità quasi surreale, intorno a
lei. Il bambino tirava calci e faceva le capriole. Olivia si
carezzò la pancia
e il piccolo si calmò.
“E’
agitato?” chiese una voce familiare, a poca distanza da
lei.
Olivia alzò la testa e
vide Peter venire verso di lei, dalla
riva del lago. Indossava la sua solita T-shirt nera, e teneva le mani
nelle
tasche dei jeans.
“Comincia a stare stretto,
poverino…” rispose lei,
sorridendo e continuando a carezzarsi il pancione.
Peter si abbassò e la
baciò dolcemente, carezzandole la
pancia.
“Devi proteggerlo, Olive.
Proteggi nostro figlio.” disse,
allontanandosi leggermente da lei.
“Da chi?” chiese
lei. Peter non rispose, si limitò a
fissarla. “Peter, ti prego, rispondimi…”
lo implorò.
Lui ancora non rispose. Olivia lo
guardò negli occhi. Quegli
occhi blu le mancavano da morire.
C’era qualcosa che non
andava. Gli occhi divennero
improvvisamente neri, completamente neri. Olivia non riusciva a
staccare lo
sguardo, era pietrificata. Improvvisamente un grande uccello di fuoco
comparve
alle spalle dell’uomo e lo avvolse con grandi fiamme rosse e
terrificanti.
Peter spalancò gli occhi,
nel tentativo di mantenere ancora
il controllo del suo corpo. Junior spostò la mano dal suo
volto e lo guardò
intensamente.
“Papy…”
sussurrò, come se l’avesse riconosciuto.
Peter fissò ancora il
figlio per qualche secondo, ma un
forte dolore al petto lo fece trasalire.
Si accasciò a terra
proprio nel momento in cui qualcuno
buttò giù la porta del rifugio.
Quando una donna bionda corse ad
abbracciare il bambino che
era con lui, il cuore di Peter si era fermato.
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Capitolo 9 *** 9 ***
Erano arrivati in fretta al campo
della Confraternita.
Appena l’aereo si
posò a terra, gli X-Men si separarono:
mentre Logan cercava Tempesta, tutti gli altri andavano a recuperare
Junior.
Wolverine camminava
nell’ombra, con i sensi all’erta,
cercando ogni minimo indizio su dove fosse tenuta Ororo.
Annusò l’aria in
cerca del suo inconfondibile odore; quando,
finalmente, ne trovò una traccia, la seguì, con i
pugni stretti e gli artigli
sguainati, pronto a reagire nel caso si fosse trovato nel bel mezzo di
una
trappola. In fondo Fenice aveva scelto il corpo di un mutante che,
oltre ad
essere un livello omega, aveva anche un’intelligenza molto
superiore a quella
dei comuni esseri umani, quindi poteva aspettarsi di tutto.
Arrivò a quella che
sembrava una prigione improvvisata e
guardò attraverso una fessura tra le assi; Sabretooth stava
legando Tempesta a
un palo piantato sul pavimento. La donna non sembrava conciata bene,
era priva
di sensi e aveva il viso pieno di lividi. Logan si innervosì
ulteriormente e si
avvicinò all’entrata.
Aprì lentamente la porta e
fissò le spalle di Victor.
Sicuramente si era accorto di lui prima ancora che entrasse, era
inutile
nascondersi.
“Oh… guarda chi
è venuto a trovarci. L’animale da compagnia
degli X-Men in persona!” esclamò Sabretooth, senza
togliere gli occhi dai nodi
che stava stringendo.
“E tu sei il cane da
guardia di Bishop, a quanto ho visto.”
rispose Wolverine, avvicinandosi di qualche passo.
Sabretooth ringhiò e si
alzò in piedi, girandosi finalmente
verso Wolverine. Era gigantesco, in confronto a Logan, ma lui non si
intimorì.
Aveva affrontato e sconfitto così tante volte quella bestia
che aveva perso il
conto, ormai.
“Sai, Wolverine?”
commentò Creed “Mi hanno ordinato di non
toccare la signora, ma nulla mi vieta di fare a pezzi te.”
Detto questo, mostrò i
denti e fece scrocchiare le dita,
mentre le unghie, dure e appuntite come artigli di un felino, si
allungarono di
qualche centimetro.
Logan non attese oltre; con un agile
salto tirò un calcio
sotto il mento dell’altro, fece una rotazione completa e
atterrò in piedi, poi
assestò un pugno nella pancia dell’avversario,
affondando gli artigli fino alle
nocche.
Victor gli afferrò
saldamente il braccio con una mano,
bloccandolo nella posizione e affondando le unghie nella carne, mentre
con
l’altra mano tirava un forte pugno in faccia a Logan.
Nel frattempo Tempesta si stava
risvegliando. Aprì
lentamente gli occhi e, quando vide il combattimento che si stava
svolgendo di
fronte a lei, cercò subito di liberarsi dalle corde.
Wolverine riuscì a
bloccare il secondo pugno, stringendo il
braccio con la mano libera, poi fece leva sulle due braccia di
Sabretooth e gli
tirò un forte calcio tra le gambe. Victor si
accasciò a terra, senza fiato,
così Logan poté correre dalla donna e liberarla
dalle corde, tagliandole con un
colpo secco dei suoi artigli.
“Hanno preso anche
Peter…” spiegò, seguendo Logan fuori
dalla tenda.
“Lo sappiamo. Olivia e gli
altri sono andati a cercarlo.”
disse, poi la afferrò per il braccio e corse nella direzione
in cui erano
andati gli altri X-Men.
Intanto Olivia stringeva protettiva
Junior, il quale fissava
il corpo di Peter con un’espressione indecifrabile.
Ciclope si avvicinò a
Peter e si inginocchiò, poi posò le
dita sul collo per sentire il battito.
“E’
morto.” informò, ma poi fece
un’espressione stupita e
fissò di nuovo il corpo “Ma che
diavolo…”
Peter aprì gli occhi di
scatto. Scott arretrò con un balzo.
Non erano del solito colore blu. Erano del colore del fuoco.
“Tutti fuori!”
esclamò “E’ Fenice! Ed è
incontrollabile
ora!” poi spinse fuori Olivia, proprio nel momento in cui
arrivavano Logan e
Ororo.
Logan mollò il braccio di
Tempesta e fissò Fenice che,
usando il corpo di Peter, camminava dietro il gruppo, caricando
l’elettricità
statica dell’aria, che sfrigolava tra le dita delle mani.
Wolverine fissò
l’essere per qualche secondo, poi si rivolse
a Ciclope “Mettetevi al riparo! Mi occupo io di
Fenice!”
Ciclope annuì e
cominciò a radunare gli altri, mentre Logan
stava per andare ad affrontare Fenice. Tempesta lo fermò.
“Logan… ti
ucciderà.” disse, preoccupata.
“Tranquilla, dolcezza, non
lo farà.” rispose lui, facendo il
suo solito sorriso strafottente.
“Logan… ti
prego…” lo implorò lei.
Lui la fissò per un
momento, in silenzio. Guardò in
direzione di Fenice, poi fece un respiro profondo, afferrò
Tempesta per il
fianco, la fece abbassare e la baciò con passione.
“Questo per assicurarti che
tornerò, piccola.” disse. Infine
la lasciò andare e corse in direzione di Fenice, estraendo
gli artigli e
urlando per darsi la carica necessaria ad attaccare.
Nello stesso momento, da qualche
altra parte, né di qua, né
di là…
Peter aprì gli occhi, ma
li richiuse subito. La forte luce
lo aveva accecato. Inoltre aveva ancora la mente confusa. Si ricordava
a
malapena chi fosse, figuriamoci se sarebbe riuscito a identificare il
luogo
dove ora si stava svegliando.
Si obbligò di nuovo ad
aprire gli occhi e si guardò intorno.
Era un posto strano, un enorme ambiente candido, non riusciva a vedere
dove
fossero i confini.
In lontananza vide due figure
avvicinarsi.
Si avvicinò cauto. Voleva
sapere dove si trovasse, prima di
affrontare chiunque avesse incontrato in quel luogo.
Si avvicinò ancora alle
due figure, finchè non riuscì a
distinguere i lineamenti. Erano due donne; una la riconobbe
immediatamente:
Elizabeth Bishop, sua madre, mentre l’altra, una donna alta
con i capelli
rossi, non la conosceva. Cominciò a capire dove si trovasse.
Si avvicinò ancora, fino a
trovarsi a qualche metro dalla
madre e l’altra donna.
Fissò per qualche secondo
Elizabeth, poi la abbracciò,
d’istinto.
“Sei venuta a
prendermi…” sussurrò.
La donna lo strinse forte.
L’ultima volta era un ragazzo,
ora era diventato un uomo. Gli sorrise, afferrandogli il viso con
delicatezza
con entrambe le mani.
“No, tesoro. Non
è come pensi tu.” Rispose, in tono dolce e
materno.
“Sono morto,
mamma… anche se non so da quanto tempo. Cosa
devo fare? Se non mi sei venuta a prendere, perché siamo
qui?”
La rossa osservava la scena con
distacco. Sembrava non
essere toccata da sentimenti umani. Si limitò a fissare i
due e alzare un
sopracciglio.
L’uomo si voltò
verso di lei.
“Chi sei?” le
chiese “Ci siamo già visti prima? Ci
conosciamo? Non ti ho mai visto.”
“Sì. In un certo
senso…” disse la donna, facendo un sorriso
enigmatico “Tu conosci una parte di me.”
“Spiegati meglio.”
La rossa lo guardò
intensamente negli occhi, alla ricerca di
qualcosa.
“Lei non è
più con te.” disse, criptica.
“Di che stai parlando? Di
quella…” si bloccò, incerto. Non
era sicuro di quello che ricordava di aver vissuto.
La rissa non rispose. Si
guardò intorno alla ricerca di
qualcosa. Peter notò il suo sguardo. Era stufo delle mezze
parole.
“Che stai
cercando?” chiese, glaciale, fissandola
direttamente negli occhi.
“Peter!” si
intromise Elizabeth “Devi tornare indietro!
Subito! Non c’è tempo da perdere. Presto ti
sarà tutto chiaro.”
“E’ successo
qualcosa che non so?” chiese, allarmato
“Olivia? Il piccolo? Come stanno? Stanno bene?”
“Fenice… la devi
rimandare da me. La aspetto.” disse la
rossa, fissandolo negli occhi.
“Come faccio a rimandarla
indietro? Dimmi che devo fare.”
“Quando tornerai nel tuo
corpo.” spiegò la donna “Lei
sarà
lì. Devi riprendere il controllo della tua mente. Puoi
farcela. Rimandala da
me.”
Peter annuì determinato.
“Sono pronto.
Tornerò indietro.” Esclamò. Se si
trattava di
salvare le persone che amava sapeva di poter dare tutto sé
stesso e di farcela.
Elizabeth si avvicinò di
nuovo al figlio e lo abbracciò. Gli
diede un bacio sulla fronte, poi lo lasciò andare.
Le due donne si allontanarono e
tutto, intorno a Peter,
divenne confuso.
Nel frattempo, Logan e Fenice stavano
lottando
freneticamente.
Logan venne colpito da una forte
scarica elettrica, che
quasi gli fece perdere i sensi.
Era a terra, e Fenice stava per
infierire di nuovo su di
lui. Si alzò in piedi, pronto a difendersi, quando Fenice
urlò e si portò le
mani alla testa, cadendo in ginocchio.
Logan restò in attesa,
finchè l’altro perse i sensi.
“Scott, ce li hai ancora
quei bracciali che bloccano i
poteri?” chiese, senza togliere gli occhi da Peter.
“Sì,
perché?”
“Mettiglieli addosso e
portiamolo alla scuola. Così siamo
sicuri che non farà del male a nessun altro.”
ordinò. Poi si diresse verso il
jet.
|
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Capitolo 10 *** 10 ***
Quando arrivarono alla scuola, Peter
era ancora privo di
sensi.
Venne trascinato nei sotterranei e
lasciato in una stanza
nei pressi della Stanza del Pericolo.
Logan lo sistemò per
terra, in un angolo, poi controllò che
le manette speciali fossero ben chiuse e si alzò.
Olivia stringeva Junior protettiva, e
fissava Peter,
stordita e confusa.
“E’ identico a
lui…” sussurrò.
“Il corpo è il
suo, ma non è lui. Non farti ingannare
dall’aspetto.” disse, poi la guardò
negli occhi “Ora torna a casa. Hai bisogno
di riposare, e sicuramente il dottor Bishop starà dando di
matto, se non è già
partito per uno dei suoi viaggi psichedelici.”
Lei annuì e strinse di
più Junior, che fissava ancora il
corpo del padre, in silenzio, poi lo portò via e
tornò a Boston.
Logan attese che se ne fosse andata,
poi si avvicinò a
Peter, che era ancora privo di sensi, lo afferrò per il
colletto e lo fissò,
irato.
“So che puoi sentirmi,
lì dentro, Fenice!” sussurrò
“Se solo
oserai avvicinarti a Olivia o a Peter, per qualunque motivo, giuro che
troverò
il modo di farti morire definitivamente, chiaro?”
Aspettò qualche altro
secondo, poi lo lasciò andare ed uscì,
chiudendosi la porta alle spalle.
Tempesta lo aspettava fuori. Logan la
guardò in silenzio,
poi si avvicinò. Le prese il volto tra le mani e
esaminò i lividi.
“Dovresti farti controllare
questi… sono parecchio brutti.”
disse.
“Ho passato di peggio, lo
sai.” lo rassicurò
“Guariranno.”
Wolverine le esaminò i
lividi per qualche altro minuto, poi
sospirò.
“Ho bisogno di una
birra.”
“Posso farti
compagnia?” chiese l’albina, facendogli uno dei
suoi sorrisi solari.
Logan annuì e la prese per
i fianchi, conducendola in
cucina.
Intanto Olivia era arrivata a casa.
Appena entrati, Junior corse in giro,
in cerca del nonno,
finchè non lo trovò in cucina, che divorava
nervosamente roba dolce, assistito
da Astrid, che non lo aveva perso d’occhio un secondo durante
l’assenza di
Olivia.
“Nonno!”
esclamò, saltandogli in braccio.
Walter lo fissò confuso,
poi sorrise e lo strinse.
“Peter! Sei
tornato!” esclamò, poi lo esaminò
attentamente,
per essere sicuro che non fosse ferito.
“To bene, nonno!”
lo rassicurò.
Walter guardò Olivia.
“Cosa…
dove…” balbettò.
La donna sospirò, cercando
bene le parole. Junior fu più
veloce, poggiò la mano sul volto del nonno e gli
trasferì i suoi ricordi.
Walter fissò il piccolo.
Era sconvolto, ma cercò di non
darlo a vedere, per il bene di Junior. Peter era vivo, e stava per fare
del
male a quel bambino, il figlio che non aveva mai conosciuto.
Il vecchio scienziato
abbracciò il nipote, protettivo,
fissando Olivia.
“Walter, ha solo il suo
aspetto, ma non è lui.” spiegò
“L’hanno portato alla scuola. Ora è
sotto controllo, e non ho intenzione di
farlo avvicinare di un passo a Peter.”
Walter annuì, si costrinse
a sorridere calorosamente e si
rivolse al bambino.
“La zia Astro ha fatto i
pancake. Facciamo a gara a chi ne
mangia di più?”
Il piccolo esultò e corse
da Astrid. E tutto sembrò tornare
alla normalità.
Intanto Peter si stava svegliando.
Sentiva dolori ovunque, e
la base dove era steso era fredda e scomoda. Senza contare del fatto
che
sentiva qualcosa bloccargli i polsi uno contro l’altro.
Aprì gli occhi e
cercò di mettere a fuoco.
Si trovava sul pavimento di una
specie di cella. Delle
grosse manette gli bloccavano i polsi e qualcuno lo guardava, a mezzo
metro di
distanza. Esaminò l’individuo, dal basso verso
l’alto.
Un paio di scarponi, jeans da lavoro
e una camicia a quadri
da montanaro.
Cercò di mettere a fuoco
il volto. Aveva la vista
annebbiata, ma comunque lo aveva già riconosciuto
dall’altezza. Era
inconfondibile, anche guardato dal basso.
“L’ultima cosa
che ricordo è di essere morto tra le braccia
di Olivia.” sussurrò, cercando di tirarsi su, o
almeno di mettersi a sedere
“Ora… o Walter ha trovato il modo di riportarmi
indietro, oppure non ricordo
proprio cosa è successo. E visto che non ti sono mai
piaciuto, suppongo che non
avrai la cortesia di dirmi cosa è successo, vero?”
Logan lo prese per il colletto della
maglia e lo tirò su
alla sua altezza.
“E’ inutile che
fai questi giochetti con me, Fenice. Sappi
che sei prigioniero degli X-Men, e non potrai uscire di qui
finchè non saremo
noi a deciderlo, chiaro?”
“Fenice? Tu stai uscendo
fuori di testa, amico! Il mio nome
è Peter, ricordi? Peter Bishop! E l’avevo
già capito che ero prigioniero, non
c’era bisogno che me lo dicessi. Queste manette parlano da
sole. Quello che
chiedo… e credo sia una richiesta ragionevole, è
di sapere il motivo per cui
sono qui.” fece una pausa, in attesa di una risposta che non
arrivò “Ok, visto
che tu non me lo dirai, vorrà dire che cercherò
da solo le mie risposte.”
“Bella mossa, davvero. Io
però non ti credo. E se solo ti
avvicinerai a Olivia o Peter anche solo di un passo, io ti
uccido!”
“Peter?” chiese
il giovane, ancora più confuso.
“Il figlio di Olivia, ha
due anni, ma dovresti saperlo,
visto che hai tentato di rapirlo!” ringhiò, poi
lasciò andare il colletto di
Peter e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Peter fissò la porta
chiusa. Era confuso. Due anni? Il
figlio di Olivia? L’ultima cosa che si ricordava era che
Olivia gli aveva detto
di essere incinta. Possibile che fosse passato così tanto
tempo? E poi… perché
avrebbe dovuto rapirlo? Era suo figlio, non gli avrebbe mai fatto del
male,
mai!
Non riusciva a credere a quello che
aveva appena sentito.
Appoggiò la schiena alla parete e si perse lentamente nei
suoi pensieri. Doveva
averla fatta davvero grossa, e il bello era che non ne aveva il minimo
ricordo.
Questa volta non sarebbe stato facile trovare una soluzione, ammesso
che ce ne
fosse una.
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Capitolo 11 *** 11 ***
Il sole del mattino filtrava dalle
tende della stanza. Ororo
aprì lentamente gli occhi; aveva i muscoli indolenziti, ma
si sentiva bene.
Un braccio muscoloso le circondava i
fianchi, e l’uomo a cui
apparteneva quel braccio ancora russava sonoramente accanto a lei.
Tempesta
spostò delicatamente il braccio, per potersi girare e
guardare quell’uomo in
volto.
Logan dormiva. La sua espressione,
nel sonno, non era quella
dura e animalesca dell’uomo che aveva conosciuto in quegli
anni. In quel
momento, più che un lupo in gabbia, sembrava un Alfa al
sicuro nel suo branco.
Quella notte non aveva avuto incubi.
Se fosse successo se ne
sarebbe accorta tutta la scuola, e lei prima di tutti.
Cercò di alzarsi, senza
svegliarlo, ma lui aprì gli occhi e
la fissò, ancora mezzo addormentato, attraverso i capelli
che gli ricadevano
sugli occhi.
“Vai già
via?” le chiese, con la voce ancora impastata dal
sonno.
“E’ mattina. Tra
poco i ragazzi si alzano. E poi oggi viene
Olivia, con Peter e Walter.” spiegò.
“Ah…
è vero… sarà dura tenere il piccoletto
lontano dai
sotterranei… quel bambino riesce a sgusciare ovunque, peggio
di un’anguilla.”
disse Logan, tirandosi su e cercando i suoi vestiti, per terra.
“Pensi che Fenice possa
fargli del male, anche con i poteri
bloccati?”
“Non do mai nulla per
scontato, quando si tratta di Fenice.”
“Fino adesso non ha dato
problemi, ed è qui da una
settimana.” disse Ororo, finendo di vestirsi “Oggi
vado io a portargli la
colazione.”
“Vuoi che venga con
te?” chiese Logan. Il suo tono ricordava
un lupo in difesa del suo branco.
“Tranquillo, Logan, so
farmi valere, non c’è bisogno che mi
accompagni.” lo rassicurò, poi lo baciò
ed uscì.
Quando arrivò alla cella
dove era tenuto prigioniero Peter,
lui stava ancora dormendo, steso sulla branda che era stata posta lungo
una
delle pareti. Tempesta poggiò il vassoio sul tavolo e si
avvicinò all’uomo,
toccandogli una spalla per svegliarlo.
Peter aprì gli occhi di
scatto. Era ancora confuso e
disorientato. Stava sognando. Tempesta riconobbe
l’espressione: era la stessa
di Logan quando si risvegliava da un incubo.
L’uomo la riconobbe e si
tirò su, abbozzando un buongiorno.
“Ti ho portato la
colazione.” Lo informò l’albina.
“Mh…
grazie…” la ringraziò, passandosi una
mano sul viso e
sui capelli, cercando di riprendere coscienza di sé.
Lei gli sorrise. Peter la
fissò per qualche secondo; non
aveva visto molte persone, da quando era prigioniero lì
dentro, e lei era
l’unica che lo trattava da essere umano, e non da mostro.
“Che giorno è
oggi?” chiese, tirandosi su e andando a
sedersi al tavolo per fare colazione.
“Oggi è
domenica. Sei qui da una settimana.” gli rispose la
donna, serena.
Peter sospirò. Una
settimana… sembrava molto di più. Lì
dentro stava perdendo il senso del tempo.
“Stai bene? Hai bisogno di
qualcosa?” chiese lei,
sinceramente preoccupata.
“Mi piacerebbe vedere il
sole, ogni tanto, ma so che non è
possibile.” rispose Peter, fissando l’omelette che
aveva davanti.
“Senti, ne abbiamo
già parlato… sei pericoloso,
Fen…”
Lui sospirò, alzando gli
occhi e stringendo i pugni.
“Mi chiamo Peter
Bishop!” esclamò, irato “quante volte lo
devo ripetere per convincervi a chiamarmi per nome? Piantatela di
chiamarmi
Fenice!” si bloccò un momento, vedendo che
Tempesta aveva fatto un passo
indietro, verso la porta, e si costrinse a calmarsi “Scusami,
io non… tutta
questa storia sta diventando una vera frustrazione per
me…”
“Scusa… Peter.
È che finchè non siamo sicuri che… mi
dispiace, davvero.”
Peter scosse la testa, frustrato.
“Se solo
sapessi… se mi ricordassi…”
Tempesta si avvicinò
ancora, prese l’altra sedia e si
sedette di fronte a lui, per guardarlo negli occhi.
“Davvero non ricordi
nulla?”
La fissò per qualche
secondo, sospirò e annuì lentamente.
“L’ultima cosa
che ricordo è che stavo morendo tra le
braccia di Olivia, e la sua voce che mi diceva che era incinta, mentre
la mia
mente si annebbiava. Poi più nulla, blackout totale. E
quando mi risveglio mi
ritrovo rinchiuso in questa cella, con questi ai polsi,”
indicò con lo sguardo
i bracciali che gli bloccavano i poteri “e la gente che prima
stimavo e
rispettavo ora mi tratta come se fossi un mostro, come se avessi fatto
delle
cose atroci…”
“Peter… tu sei
morto più di due anni fa… e sei tornato in
vita grazie a un’entità di puro istinto,
potenzialmente pericolosa… e che ha
usato il tuo corpo per fare del male…” rispose.
Fece un respiro profondo e
continuò “Hai rapito me e Peter, tuo figlio. Non
so perché l’hai fatto. Forse
Fenice aveva in mente qualcosa…”
A queste parole, Peter chiuse gli
occhi e trattenne il
respiro. Era shockato e addolorato allo stesso tempo.
“Non… non avrei
mai…” sussurrò, poi fece un respiro
profondo. Era scosso “Grazie, Tempesta. Finalmente ho avuto
le mie risposte,
forse potrò dare un senso ai miei incubi.”
“Quali incubi?”
chiese Ororo, sinceramente preoccupata.
“Non importa. Non credo che
capiresti.” rispose lui,
abbassando lo sguardo e fissando i bracciali che aveva ai polsi.
“Peter, forse potrei
aiutarti… il mio compagno fino a pochi
giorni fa non passava notte che non avesse almeno un incubo. Suppongo
che
questo basti per capire.”
L’uomo fece un respiro
profondo e tornò a guardarla negli
occhi.
“Ok,
d’accordo… nel sogno è come se fossi
diviso in due…
cioè… è come se nel mio corpo ci
fossero due entità distinte, io e qualcun
altro. Questa altra entità controlla tutto, io non ho nessun
controllo, posso
solo osservare quello che fa. Vorrei impedirle di farlo, di fare del
male a
delle persone, ma non ci riesco… posso solo urlare,
nient’altro. Poi mi
sveglio, e inizia un altro incubo. Solo che non credo che possa
risvegliarmi da
questo.” spiegò, quasi senza prendere fiato.
“Mi dispiace, davvero. Chi
sono le persone a cui questa
altra entità vuole fare del male?” chiese ancora
la donna.
“Non so chi sia questa
gente. So che sono stati uccisi solo
perché… perché gli serviva la
macchina…” si portò le mani alla testa.
Il suo
volto era il ritratto della disperazione “Buon dio,
‘Ro… mi sembra assurdo solo
a dirlo.”
Ororo non disse nulla.
Cercò le parole giuste e poi parlò.
“Peter, purtroppo
è successo sul serio. Hai ucciso delle
persone.”
Peter sembrò risvegliarsi.
I suoi occhi erano allarmati e
spaventati allo stesso tempo.
“Santo cielo,
Ororo… dimmi che non ho fatto del male a te o
a mio figlio… ti prego…”
Ororo scosse la testa e sorrise
rassicurante.
“Tranquillo, non mi hai
toccato. E Peter è un bambino molto
furbo e intelligente, è riuscito a difendersi da solo,
nonostante l’età.”
Peter sospirò. Era un
sospiro liberatorio. Se avesse fatto
del male a qualcuno dei suoi cari non se lo sarebbe mai perdonato.
“Peter… si
chiama come me…”
“Sì. Lo ha
scelto Olivia. Ti somiglia molto, sai?”
“Grazie mille,
Ororo.” la ringraziò, sorridendo “Mi
piacerebbe molto vederlo, ma dopo quello che hai detto, dubito che
Olive mi ci
faccia anche solo avvicinare…”
“Mi dispiace, magari se le
dai un po’ di tempo… sai oggi
lei, Peter e tuo padre verranno alla scuola. Se vuoi provo a
parlarle…”
“Lascia
stare…” rispose Peter, scuotendo la testa,
demoralizzato “non credo che la convinceresti tanto
facilmente. Per lo meno
sono riuscito ad avere una conversazione civile con qualcuno, e questo
mi
basta. Spero solo di poter ricambiare il favore, prima o poi.”
Tempesta stava per rispondere, quando
la porta si aprì e
fece capolino il piccolo Junior, che fissò i due e poi
entrò, nascondendosi
dietro l’angolo.
“Peter! Che ci fai qui? Se
lo zio Logan lo scopre, passerai
dei guai seri!” lo rimproverò Ororo.
“Nonno Logan no fa
paura.” disse il piccolo, con aria decisa
“Ora naccondo pecchè lui e nonno Watter
ceccano.”
Peter rise, guardando il piccolo, che
si nascondeva e allo
stesso tempo guardava fuori che non arrivasse nessuno.
“Avevi ragione, mi somiglia
molto.” commentò.
Subito dopo arrivarono finalmente
Walter e Logan.
Quest’ultimo guardò severo il bambino e poi si
avvicinò a Peter, lo prese per
il colletto e lo guardò fisso negli occhi.
“Se solo lo hai
toccato…” lo minacciò.
“Come se potessi fare
qualcosa…” commentò Peter, sostenendo
il suo sguardo.
Walter si avvicinò al
bambino, lo prese per mano e lo portò
fuori, sempre stando tra lui e Peter, evitando di guardarlo.
Peter lo fissò, poi fece
un respiro profondo.
“Walter…”
lo chiamò.
Il vecchio scienziato si
bloccò sulla porta, ma non si
voltò, restò di spalle.
“Walter, per favore, dammi
la possibilità di spiegare…” lo
implorò.
“Non
c’è nulla da spiegare, Fenice.” si
intromise Logan.
Bishop strinse i denti. Ancora quel
nome?
“Io mi chiamo Peter
Bishop!” esclamò, alzandosi in piedi.
“Peter è morto
due anni e mezzo fa.” disse Walter, girandosi
e guardando finalmente il figlio “Tu sei un
impostore.”
“Walter… ti
prego…” si avvicinò e lo prese per il
braccio,
sperando di poter usare il suo potere calmante per farsi riconoscere
dal padre.
Walter fissò la mano che
lo stava toccando e si allontanò di
scatto, come fosse stato qualcosa di sporco, poi uscì dalla
stanza e si
allontanò velocemente.
Peter era confuso. Si
fissò le mani. Perché non aveva
funzionato?
“Quei bracciali bloccano i
poteri dei mutanti che li
indossano.” spiegò Tempesta.
“Ro, hai già
detto troppo. Andiamo via, ci aspettano di
sopra.” la interruppe Wolverine, poi la accompagnò
fuori e chiuse la porta,
lasciando Peter da solo con i suoi pensieri.
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Capitolo 12 *** 12 ***
Era passata un’altra
settimana. Peter non aveva mai dato
problemi, soffriva in silenzio nella solitudine della sua cella.
Tempesta andava spesso a trovarlo, a
parlare con lui, anche
solo per fargli compagnia, per non fargli perdere il senso del tempo.
Peter apprezzava. Parlavano per ore,
e lui sembrava quasi
risvegliarsi da un torpore, soprattutto quando lei gli parlava di
Olivia,
Walter o del piccolo Junior.
Spesso, però, venivano
interrotti da Logan, che entrava
nella cella senza preavviso e faceva allontanare Tempesta con delle
scuse.
Peter poteva capirlo: Wolverine lo vedeva come una minaccia, quindi
cercava di
tenerlo lontano dalla sua donna e, in generale, dalle persone a cui era
legato.
Il sabato sera, quando Ororo gli
portò la cena, portò anche
dell’altro.
Peter trovò sul vassoio
anche un tablet, acceso sulla pagina
principale, con una cartella in evidenza.
Lo afferrò incuriosito ed
aprì la cartella.
Vi trovò dentro una grande
quantità di foto, tutte con
allegate data e una piccola descrizione. Una, in particolare,
attirò la sua
attenzione. Si intitolava
“06-11-2012_wellcomeonworld”.
Peter cliccò
sull’icona e visualizzò la foto.
Riconobbe l’ambiente della
foto: l’infermeria della scuola.
Il centro della foto era un letto, su cui era distesa Olivia. Sembrava
stanca,
ma sorrideva, e la sua attenzione era tutta per l’esserino
che teneva tra le
braccia.
Peter zoomò sul quadretto.
Il piccolo doveva avere poche
ore, quindi la data era quella della sua nascita.
“E’ nato il mio
stesso giorno…” sussurrò tra se, quasi
sorridendo. Si sorprese a sognare le feste che avrebbero condiviso in
futuro,
preso improvvisamente da un orgoglio paterno che non aveva mai provato.
La gioia durò poco. Un
altro pensiero lo prese: il giorno
della sua nascita lui non era presente. Olivia aveva bisogno di lui, ma
era
morto pochi mesi prima. senza contare che, come stavano messe le cose
per lui
in quel momento, il futuro non era poi così roseo.
Chiuse il file e ne aprì
un altro, a caso.
Questa volta era un video. Era datato
circa dieci mesi dopo
la foto che aveva appena visto. Avviò la riproduzione.
Di nuovo la scuola, questa volta il
salone centrale.
Il bambino si guardava intorno, con
il ciuccio in bocca,
stretto saldamente al petto di Olivia.
Lei sorrideva. Un sorriso che Peter
non le aveva mai visto.
Era seduta sul divano e il piccolo si guardava intorno.
Junior venne quasi ipnotizzato dai
giochi di prestigio con
le carte che stava facendo Gambit, nell’angolo più
lontano dell’inquadratura, e
cercò di allungarsi verso di lui.
Dopo qualche capriccio andato a
vuoto, per convincere Olivia
ad alzarsi e avvicinarsi a Gambit, con aria decisa si spostò
dalle gambe della
madre al divano, per poi scendere giù sul pavimento. Si
tenne saldo alla stoffa
del divano, mentre cercava di trovare un po’ di
stabilità nei piedini poco
allenati.
Si fermò per qualche
secondo per testare il suo equilibrio,
poi spostò un piedino in avanti, con le braccine aperte,
spostò anche l’altro,
ma cadde a terra, battendo il sederino.
Junior si guardò un
momento intorno, disorientato, poi fissò
di nuovo le mani di Remy, che continuavano a fare giochi con le carte,
infine
lo raggiunse gattoni.
Peter guardò tre volte
quel filmato. I primi passi del figlio.
Sorrise tra sé.
Era un ometto intelligente. Peter si
sentì ancora più
orgoglioso; l’intelligenza era un fattore costante nei
Bishop. Chissà se suo
padre gli aveva già fatto il test del QI. Conoscendo Walter
era probabile che
lo avesse già fatto da tempo…
Sospirò, di nuovo preso
dallo sconforto: un altro momento in
cui non era stato presente.
Aprì un altro file.
Un’altra foto, datata 11 novembre 2013.
Questa volta l’ambiente era diverso: il laboratorio di Walter.
Erano entrambi dietro uno dei banconi
colmi di vetreria del
laboratorio. Walter era seduto su uno degli sgabelli, e Junior era
seduto
accanto a lui. stavano abbrustolendo dei marshmallows su un
becco-bunsen.
Sembravano felici.
Peter fissò ancora
l’immagine del padre. Era sicuro che
Walter era un ottimo nonno per quel bambino.
Riprese a sfogliare le foto. Erano
centinaia, ma le esaminò
una per una con attenzione, finchè una non attirò
la sua attenzione.
La data era 4 giugno 2012. La
settimana prima che Junior
nascesse. La foto ritraeva Olivia, seduta su una panca di legno che a
Peter
sembrò famigliare. Guardò lo sfondo della foto:
la casa del Lago Reiden.
Olivia guardava verso il lago,
carezzandosi il pancione. Il
suo sguardo era triste.
Peter la fissò per lungo
tempo. Olivia, la sua Olive… quanto
avrebbe voluto essere lì ad abbracciarla… invece
era morto. L’aveva lasciata
sola. Per due anni aveva dovuto crescere da sola il loro bambino.
Continuando a sfogliare le foto, si
stese sul letto, e dopo
un po’ si addormentò, con quelle immagini ormai
impresse nella mente.
Il mattino dopo, a casa Bishop,
Junior si svegliò presto.
Era mattiniero, in questo aveva preso dalla madre. Alle otto correva
già in
giro per la casa in cerca dei suoi giocattoli, da mettere nello
zainetto, per
portarli alla scuola.
“Piano, tesoro!”
lo rimproverò Olivia “Non si corre per la
casa! Te l’ho detto migliaia di volte!”
“No trovo mio
libbo!” si lamentò, arrampicandosi sul divano
e togliendo tutti i cuscini per cercare sotto.
“A che ti serve il
libro?” chiese Walter, porgendo il libro
in questione a Olivia, che lo mise dentro lo zainetto del figlio.
“Legge poi dopo.”
Spiegò Junior, prendendo lo zaino e
correndo verso la porta, seguito dalla madre e dal nonno.
Olivia sospirò senza
commentare: suo figlio era un vero
uragano energetico.
Quando arrivarono alla scuola, Junior
corse subito dentro,
andando a salutare gli altri.
“Tao zia Roro! Tao Nonno
Logan!” li salutò, correndo da
loro.
“Perché non mi
chiami mai zio?” si lamentò Logan,
prendendolo su.
“Pecchè tei
vecchio.” disse, innocente, poi fece il carino
con Ororo, che lo coccolò subito.
Logan si trattenne dal commentare e
salutò Olivia e Walter,
poi si rivolse di nuovo al bambino.
“Piccoletto, ho una cosa da
dirti, e mi devi ascoltare
attentamente…”
“Io no tono
picchetto!” si lamento Junior.
“Sì, era un modo
di dire. Comunque vorrei che oggi non
andassi a giocare nel piano di sotto. Mi prometti che non ci
andrai?”
Il piccolo lo fisso per qualche
secondo, pensieroso.
“Peter, è
importante.” insistette l’uomo.
Junior annuì energicamente.
“Ceeetto nonno!”
rispose, poi scese dalle sue braccia e
corse dentro.
Dopo pranzo, mentre gli adulti si
riunirono a chiacchierare
nel salone, Junior decise di andare a giocare in giro per la scuola.
Prese il suo zainetto con i giochi e
corse verso le scale.
Si fermò di fronte alle rampe e le fissò, poi si
avvicinò alla rampa che andava
di sopra. Stava per salire il primo scalino quando si fermò
e fissò l’altra rampa,
quella che andava verso i sotterranei.
Incerto, guardò verso
l’atrio, dove c’erano tutti gli
adulti, poi fissò di nuovo la rampa di scale. La tentazione
era forte.
Guardò di nuovo verso
l’atrio e infine decise; in silenzio
scese verso i sotterranei, uno scalino alla volta.
Arrivato al piano si
guardò intorno, poi camminò verso la
stanza dove la mamma e i suoi amici facevano gli allenamenti. Si
fermò alla
porta che stava subito prima di quella stanza e la fissò.
Lì dentro c’era
quell’uomo che la mamma, il nonno e gli zii non volevano che
lui vedesse.
Fissò il pannello con i
pulsanti che c’era accanto alla
porta, quello che veniva usato per aprirla. Quando non c’era
nessuno dei suoi
zii dentro, bisognava schiacciare alcuni di quei bottoni, in sequenza.
Una volta aveva visto zia Ororo
digitare quella sequenza.
Lui se la ricordava bene. Si guardò intorno, poi vide una
sedia accostata
all’altra parete.
Lasciò andare lo zaino e
corse a prendere la sedia,
trascinandola verso il pannello.
Quando la sedia fu in posizione,
Junior si arrampicò, stando
in piedi sulla sedia. Ora era all’altezza giusta.
Fissò la pulsantiera e pigiò
col ditino la sequenza esatta.
La serratura scattò. Il
bambino saltò giù dalla sedia e
prese lo zaino, poi aprì la porta e guardò dentro.
L’uomo era seduto sulla
branda accostata alla parete, e lo
fissava confuso.
“Tao”
salutò. Poi posò lo zaino a terra e chiuse la
porta.
“Tu non dovresti stare
qui…” disse Peter, senza muoversi dal
suo posto.
“Io vado dove
voio.” rispose il bambino, con aria
orgogliosa, poi frugò nello zaino e tirò fuori il
suo libro di favole.
Peter sorrise, guardando suo figlio
che si avvicinava con
quel grosso volume tra le mani. Certo, non avrebbe dovuto sorridere: se
trovavano qui il bambino, Peter avrebbe passato guai seri. Ma aveva
riconosciuto quel modo di fare, era inconfondibile, era davvero suo
figlio.
“Non hai paura di me,
vedo.” commentò.
“No tei cattivo, papy.
Leggi?” chiese, porgendogli il libro.
Peter lo fissò incerto.
D’istinto voleva dirgli di sì, forse
non avrebbe avuto altre occasioni di stare con lui, così
vicino, serenamente.
Ma non si illudeva; presto sarebbe arrivato qualcuno a riprenderselo, e
l’incubo sarebbe ricominciato. Non era questo che voleva per
suo figlio, e
nemmeno per lui.
Junior si avvicinò ancora
e gli mise il libro sulle
ginocchia, guardandolo con un’espressione a cui era
impossibile dire di no.
Peter fissò il libro,
ancora incerto, mentre Junior si
arrampicava sulla branda, accanto a lui, e lo fissava in attesa.
L’uomo guardò
la porta chiusa, poi si decise, prese il libro e lo aprì
alla prima pagina.
“Leggi, papy?” lo
incoraggiò Junior.
Peter annuì e
cominciò a leggere la prima pagina. Il bambino
lo fissò rapito, poi si spostò in braccio a lui,
per guardare meglio le figure.
Bishop si fermò un
momento, non si aspettava quella mossa,
ma poi si tranquillizzò e riprese la lettura, tenendo anche
il bambino con un
braccio, per non farlo cadere.
Junior ascoltò
finchè riuscì, poi si addormentò.
Quando Peter se ne accorse, lo
guardò dormire per qualche
minuto, poi sentì dei rumori in direzione della porta.
Alzò gli occhi e vide
Olivia, che li osservava con
un’espressione indecifrabile, restando però a
distanza.
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Capitolo 13 *** 13 ***
Come tutte le domeniche, dopo pranzo
si radunavano tutti nel
salone della scuola per chiacchierare. Olivia sapeva che era un posto
sicuro,
per cui non teneva il guinzaglio di Junior troppo corto, e lo lasciava
irare
liberamente, sapendo che ci sarebbe stato sempre qualcuno che lo teneva
d’occhio.
Walter si era messo a raccontare a
modo suo un aneddoto del
suo passato. Si era improvvisamente alzato in piedi e si stava
slacciando i
pantaloni, lamentandosi di avere caldo.
“Walter!
Piantala!” lo rimproverò la donna “Se ti
vedesse
tuo nipote…”
“A
proposito…” li interruppe Ororo “dove
è finito? Non lo
sento giocare.”
Logan imprecò e
scattò in piedi.
“Quel piccolo delinquente!
Sarà andato nei sotterranei!”
esclamò.
“Wolverine! Vai piano con
le parole! E chiama un’altra volta
Peter così e ti do fuoco!” lo
rimproverò, poi corse verso le scale.
Arrivata in fondo alla rampa,
rallentò e camminò verso la
stanza dove avevano rinchiuso l’uomo che somigliava a Peter.
Si fermò ed
esaminò tutto intorno. La sedia che di solito
era posta vicino alla sala controllo della Stanza del Pericolo, ora era
sotto
il pannello che comandava l’apertura della cella. Olivia si
avvicinò e esaminò
la sedia e il pannello; due piccole impronte scure spiccavano sul piano
della
sedia, e la tastiera era unta di crema pasticcera.
Olivia sospirò e quasi
maledisse mentalmente il Gene Bishop,
che aveva dato a Junior un quoziente intellettivo di 186, e che
già mostrava,
nonostante l’età.
Con cautela aprì la porta,
senza fare rumore, e ascoltò con
attenzione.
La voce di Peter filtrava per la
stanza. Era bassa, quasi
sussurrata, dolce e ferma allo stesso tempo.
“…Ma quella
contentezza durò poco, perché sentì
nella stanza
qualcuno che fece: Crì - crì - crì!
Chi è che mi chiama? disse Pinocchio tutto
impaurito.” Peter leggeva attento, usando la voce giusta per
ogni personaggio
“Sono io! Pinocchio si voltò e vide un grosso
Grillo che saliva lentamente su
su per il muro…”
Olivia ascoltò per un
po’. Pinocchio era la favola preferita
di suo figlio; si affacciò e guardò dentro.
Peter era seduto sulla branda, col
libro in mano. Junior era
sistemato in braccio a lui, e fissava il libro, ascoltando attento.
Avevano la stessa identica
espressione assorta e
concentrata. A Olivia mancò un battito, quell’uomo
che somigliava a Peter era
davvero identico lui.
Il dubbio cominciò a
insinuarsi nella sua mente.
Junior cominciò a dare
segni di stanchezza e chiuse
lentamente gli occhi, inclinando la testa di lato e respirando piano.
Il sonno
prese il sopravvento.
Peter si accorse che il bambino si
era addormentato e smise
di leggere. Fissò Junior incantato; un leggero sorriso
comparve sul suo volto.
Olivia fece un passo avanti, era
combattuta.
Peter la sentì e
alzò gli occhi. La sua espressione cambiò
all’istante.
Ora era allarmato, ma vide anche un
lampo di paura nei suoi
occhi. Notò un movimento impercettibile e istintivo della
mano che teneva
Junior.
Il corpo di quell’uomo la
stava implorando di non togliergli
il bambino, di lasciarglielo tenere ancora un po’.
“Olive…”
sussurrò, senza abbassare lo sguardo.
Olivia sussultò. Quel
nome, e quel tono di voce… solo lui lo
usava.
L’uomo restava in attesa.
Quegli occhi blu la fissavano,
lasciando trasparire un turbinio di emozioni contrastanti: paura,
amore, ansia,
speranza, rimorso…
Quegli occhi…
Olivia li fissò a lungo.
Erano gli occhi del padre di suo
figlio, dell’uomo che era morto oltre due anni prima,
salvando la vita a degli
innocenti.
“Peter…”
sussurrò, quasi impercettibile.
Peter fece un respiro profondo e
annuì lentamente.
“Sono… sono io,
piccola. Sono davvero io.”
Olivia fece ancora qualche passo
avanti e si inginocchiò
davanti a lui. Guardò il figlio, che dormiva tranquillo tra
le braccia
dell’uomo, e gli fece una carezza.
Peter lo guardò di nuovo,
poi tornò a fissare lei.
“E’ un bravo
ometto. Stai facendo un ottimo lavoro con
nostro figlio.” la rassicurò.
La donna lo guardò, ancora
incerta. Peter le sorrise; era il
sorriso dolce che riservava solo a lei.
Finalmente si convinse.
Allungò la mano e gli carezzò la
guancia. Peter chiuse gli occhi e aspirò il suo aroma.
“Peter…”
ripetè lei “Sei… sei
vivo…”
L’uomo annuì.
“Così pare.
Però non chiedermi come, perché non lo so
nemmeno io.”
Lei ormai era convinta.
Si avvicinò ancora, diminuendo la distanza tra il suo volto
e quello di Peter,
poi si lasciò trascinare dalle emozioni.
Peter annullò la distanza
e la baciò dolcemente; tutto, intorno a loro, scomparve.
C’erano solo loro due…
e il bambino che dormiva in braccio a Peter.
Qualcosa, però, li
riportò alla realtà.
Dei rumori in corridoio. Qualcuno
stava correndo verso la
cella.
Si separarono all’istante e
scattarono in piedi.
Olivia si mise tra lui e la porta,
mentre Peter prendeva
meglio il bambino, per poterlo proteggere più facilmente nel
caso fosse
successo qualcosa di brutto.
Dopo poco gli X-Men si affacciarono
alla porta. Logan era
davanti a tutti, e dietro il gruppo, al riparo, c’era il
vecchio Walter.
“Che sta succedendo
qui?” ringhiò Logan, irato.
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Capitolo 14 *** 14 ***
Peter sentiva il pericolo.
Logan li fissava irato. Aveva
estratto gli artigli. I
tentativi di Ro per calmarlo non erano serviti a nulla.
“Logan! Stai lontano da
lui!” lo minacciò Olivia, restando
davanti a Peter, in una posizione tale da poterli proteggere.
“Quello non è
Peter! Te l’abbiamo già detto! Quello è
Fenice. E Fenice è brava a ingannare la gente.” La
avvertì l’uomo.
“Lui non è
Fenice! Lui è Peter!” ribadì lei,
creando una
palla di fuoco nella mano, pronta ad attaccare.
“Ehi! Calma!”
esclamò Peter, avanzando e mettendosi tra i
due, senza mollare Junior.
Logan gli puntò gli
artigli alla gola. Peter mantenne la
calma e lo guardò negli occhi.
“Non ti conviene farlo. Non
finché tengo Peter in braccio.”
disse , indicando con lo sguardo il bambino, che dormiva tranquillo in
braccio
a lui.
Logan fissò il bambino per
qualche secondo, incerto, poi
decise di abbassare le armi.
“Se sei veramente Peter,
dimostralo.”
Peter sospirò e
alzò gli occhi al cielo.
“Vediamo… ah
sì, la prima volta che ci siamo incontrati, io
e Olive stavamo inseguendo un mutaforma… e Mr. Leggerezza
qui presente è
comparso dal nulla e mi è piombato addosso con il suo dolce
peso.” disse, con
il suo solito tono sarcastico.
“Mh…
sì, e poi?” chiese ancora Wolverine, poco convinto.
“Certo, però,
che oltre che nano sei anche cocciuto come un
mulo, troll!” esclamò ancora Peter, spazientito.
Logan finalmente si rilasso.
“E’ lui. Olivia
ha ragione.” ammise.
Peter sorrise e guardò
Olivia, facendo un sospiro di
sollievo.
“Ora potete togliermi
questi cosi dai polsi? Sono fastidiosi!”
Tempesta si avvicinò e gli
sganciò i bracciali. Peter si
sgranchì i polsi, sollevato.
In quel momento Junior si
svegliò e si guardò intorno,
ancora mezzo addormentato.
Peter lo guardò
sorridendo, Junior lo fissò per qualche
secondo e poi rispose con un altro sorriso.
“Papy… lui nonno
Logan.” lo presentò, indicandolo.
“Nonno? Davvero?”
chiese Peter.
“Lui vecchio. No
è zio. Lui nonno.” spiegò ancora Junior.
Peter sorrise tra sé e
guardò Logan, che alzava gli occhi al
cielo.
“Rassegnati, Wolverine.
E’ mio figlio.” disse, poi si
avvicinò a Walter, seguito da Olivia.
Il vecchio scienziato fece un passo
indietro e guardò la
donna.
“No… non
vorrà venire a vivere a casa nostra?”
balbettò.
“Walter… non
è una minaccia…” cercò di
rassicurarlo Olivia.
Walter non rispose e si
avvicinò a Tempesta.
“Posso prendere in prestito
quei bracciali?” chiese.
“Walter, non
c’è bisogno…”
cercò di obiettare Peter.
“Certo, detto dalla persona
che ha tentato di rapire mio
nipote…” affermò il vecchio scienziato,
prendendo i bracciali ed esaminando la
chiusura.
Olivia si avvicinò e lo
guardò negli occhi.
“Walter, fidati di me,
Peter non è una minaccia.”
“Io di te mi fido, Olivia.
È di lui che non mi fido.”
esclamò, indicandolo “Quindi tu fai pure come
vuoi, ma se viene in casa, la mia
camera e le mie cose sono off limits, e nel laboratorio deve indossare
questi!”
“Walter,
non…” cercò di obiettare Olivia, ma
Peter la
interruppe.
“No, va bene. Se serve a
farlo stare più tranquillo farò
questo sacrificio. Prima o poi tornerà a fidarsi.”
Olivia sospirò e prese in
braccio Junior, poi si rivolse
agli altri.
“Noi torniamo a casa. Ci
vediamo la prossima settimana.”
Salutò, poi fece cenno a Walter e Peter di seguirla.
Logan li guardò
allontanarsi, poi si rivolse a Tempesta.
“Dici che abbiamo fatto
bene a lasciarli andare?”
“Hai ancora qualche dubbio
che Peter possa non essere lui?”
L’uomo scosse la testa.
“Sono solo preoccupato che
il vecchio non ne faccia qualcuna
delle sue. Sai come è fatto il Dottor Bishop, sicuramente
arriverà a casa e
prenderà qualcuna delle sue
‘medicine’.”
“Logan, tu ti preoccupi
troppo…”
“Hai ragione,
piccola.” sospirò Logan “Ho bisogno di
una
birra… mi fai compagnia?”
“Sì, ma magari
io prendo un succo di frutta, questa volta.”
Logan la guardò confuso.
Lei sorrise, si avvicinò e gli
diede un leggero bacio sulle labbra.
“Ti spiego tutto dopo, in
privato.” commentò, poi lo seguì
in camera, ignorando gli sguardi curiosi degli altri X-Men.
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Capitolo 15 *** 15 ***
Erano ormai passati due mesi da
quando Peter era di nuovo
libero.
Libero per modo di dire: a casa, a
ogni passo che faceva,
Walter lo teneva d’occhio, e al laboratorio era costretto a
indossare quei
dannati bracciali, che odiava.
Per fortuna c’erano Olivia
e Junior che non gli facevano
pensare a questa fonte di frustrazione.
Peter passava più tempo
che poteva con suo figlio. Voleva
cercare di recuperare il tempo perduto; Olivia lo lasciava fare, e
spesso gli
raccontava cosa era successo nei due anni precedenti.
Junior era un vero uragano, non stava
fermo un attimo, e
Peter notò che era anche molto intelligente. Olivia gli
aveva detto che,
secondo il test che gli aveva fatto Walter, il QI di suo figlio era
186. Poco
più basso di quello del padre, ma in fondo lui stesso aveva
un QI leggermente
più basso di quello di Walter.
Ma, anche se ora era libero, i suoi
incubi non si erano
fermati. Forse era il modo che la sua mente usava per decodificare i
ricordi
confusi del periodo in cui era posseduto da Fenice.
Uno, in particolare, lo aveva turbato
parecchio. Aveva visto
Mystica trasformarsi in Olivia, e poi… non voleva pensare a
ciò che era
successo dopo.
Non sapeva cosa fare. Se quello che
aveva sognato era
successo sul serio, quando lo avrebbe raccontato a Olivia, come avrebbe
reagito? Aveva paura della sua reazione. Forse gli avrebbe di nuovo
impedito di
avvicinarsi a Junior, e in fondo aveva ragione: era andato a letto con
Mystica,
la quale aveva preso le sembianze di Olivia, seguendo un ordine diretto
di Peter
stesso.
Olivia lo avrebbe odiato, e non aveva
tutti i torti. Anche
Peter si odiava per quello che era successo, anche se non era in lui,
anche se
era posseduto da un’altra entità, in quel periodo.
Era Ferragosto.
Quel giorno erano stati invitati per
un barbecue alla
scuola.
Appena scesero dalla macchina, Junior
corse subito incontro
a Colosso, che stava già preparando la carne da arrostire,
mentre Walter si
andava a sedere su una panca del cortile, come aveva detto lui
“possibilmente
nel punto più lontano dal soggetto qui presente.”
Peter sospirò esasperato.
Quella situazione andava ormai
avanti da due mesi, doveva trovare il modo di reagire.
“Gli passerà,
vedrai.” lo rassicurò Olivia.
“Non lo so. È
passato parecchio tempo, ormai. Dovrebbe aver
capito che sono davvero io.”
“Lascialo andare secondo i
suoi tempi, sai come gira la sua
mente, è fatto a modo suo.” disse lei, poi
andò a salutare Ororo.
Peter la seguì, e
accettò la birra che gli offriva Logan,
poi tornò a guardare Walter, che mangiava caramelle assieme
a Junior, il quale
correva attorno alla panca, ridendo allegramente.
“Che faccia,
Bishop!” esclamò Wolverine “Sembra che
stai per
andare a un funerale.”
“Già…
il mio funerale…” disse tra sé, a voce
bassa.
Logan lo fissò per qualche
secondo, poi guardò Walter.
“Il tuo vecchio ancora non
ti crede?”
L’uomo scosse la testa,
fissando la bottiglia di birra che
aveva in mano.
“Non è solo
Walter… è che… continuo ad avere
quegli incubi.”
Confessò.
“Incubi? Che tipo di
incubi?”
Peter si guardò intorno,
poi si allontanò, facendo cenno di
seguirlo, in modo che potesse sentire solo lui.
“In questi sogni
c’è sempre una costante: sono diviso in
due. Credo che siano ricordi di quando Fenice aveva il controllo del
mio corpo.
Mi faceva fare cose che io non avrei mai fatto… per esempio,
nell’ultimo sogno,
avevo a che fare con Mystica.”
“Capisco. Cosa è
successo?” lo incoraggiò l’altro.
“Lei era… aveva
preso l’aspetto di…” non
riuscì a terminare
la frase, quindi continuò “Olivia non sa di questi
incubi, non glieli ho mai
raccontati.”
“Perché hai
paura che, appena saprà che ti sei fatto Mystica
ti riduca letteralmente in cenere?”
“Olivia non è
una che reagisce in maniera… so come è
fatta.”
sospirò “Apparentemente, dirà che
comprende quello che è successo, ma poi… poi
troverà
il modo di farmela pagare, lo so. E onestamente, anche se non ero io a
fare
quelle cose, non potrei biasimarla.”
“Senti, amico, so che non
ci stiamo simpatici a vicenda, ma
una cosa l’ho notata: Olivia ti ama, qualunque cosa succeda
ti perdonerà, sa
che non eri tu ad agire. E poi se ti ha perdonato l’avventura
con la sua copia,
quando c’è stato lo scambio, non può
non perdonarti anche questa, per lo meno
per il bene di vostro figlio.”
“Logan… beh,
sì, è vero, noi due non ci stiamo simpatici,
però grazie.”
Logan non disse nulla e
guardò le due donne, che
continuavano a chiacchierare, sedute su una delle panche. Junior si
avvicinò e
le guardò per un momento, poi andò incontro a
Ororo, poggiandole l’orecchio
sulla pancia.
Peter sorrise.
“Sembra che mio figlio
voglia già fare amicizia con il tuo.
A proposito, sei pronto a destreggiarti tra pappe e
pannolini?” chiese Peter,
sorridendo.
“Senti, Bishop! Guarda che
mentre tu eri morto, mi sono
occupato di tuo figlio al posto tuo, so come si cambia un
pannolino!”
Peter sospirò di nuovo.
Quei momenti se li era persi tutti.
Erano i piccoli attimi che un padre avrebbe dovuto vivere in prima
persona, e
lui se li era persi.
Logan notò il suo sguardo,
e gli diede una pacca sulla
spalla.
“Vedrai che potrai
rimediare.” lo rassicurò, poi si
allontanò, tornando da Tempesta.
Peter guardò di nuovo
Walter. Era seduto da solo, e fissava
gli altri con aria annoiata.
Il giovane prese una decisione. Si
avvicinò al barbecue,
prese due spiedi e infilò sulla punta un marshmallow per
uno, poi li posò sul
fuoco.
Quando furono pronti, li prese e si
avvicinò al padre.
Walter lo fissò, tenendo
il muso e Peter gli offrì uno degli
spiedi.
“No, grazie.” lo
rifiutò.
“Come vuoi. Posso
sedermi?” chiese, poi senza attendere la
risposta si sedette sulla panca, restando comunque lontano da Walter.
Infine addentò uno dei due
spiedi e guardò verso Olivia e
Junior.
“E’ un peccato
che non lo vuoi… è davvero buono.”
commentò.
Walter borbottò qualcosa.
Peter sorrise e prese una moneta
dalla tasca. La fissò per qualche secondo e poi la fece
girare tra le dita.
Walter gli fissò la mano,
incantato e dubbioso allo stesso
tempo.
Peter posò lo spiedo e
cominciò a fare giochi di prestigio
con la moneta, usando entrambe le mani.
“Sai, ieri Peter mi ha dato
questa moneta. Ha detto che
gliel’hai regalata tu. Me la ricordo, sai? Il mezzo dollaro
d’argento che avevo
quando ero piccolo.”
“Mio figlio faceva la
collezione da bambino…” sussurrò il
vecchio.
“Questa era il mio
portafortuna.”
Walter si voltò verso di
lui, continuando a fissargli le
mani.
“Te l’ha lasciata
tua madre il giorno che ti ho… ti ho…”
“Il giorno che mi hai
salvato la vita, portandomi da questa
parte.” completò Peter.
Walter finalmente alzò gli
occhi, guardandolo. Ora era
convinto.
“Figliolo…”
sussurrò.
Peter sorrise. Ora era davvero
tornato a casa.
Si alzò e porse a Walter
lo spiedo. Il vecchio scienziato
mangiò il marshmallow con gusto.
C’era ancora una questione
in sospeso, però. Si avvicinò a
Olivia e la prese per i fianchi.
“Tesoro, devo
parlarti.” le sussurrò all’orecchio.
Lei lo guardò e
annuì, poi lo seguì. Peter la portò in
un
angolo riparato, dove potessero parlare senza essere disturbati.
Peter la fece sedere sulla panchina.
Olivia lo fissò, sapeva
di cosa voleva parlare: dei suoi incubi.
“Peter, so di cosa vuoi
parlare. So già tutto.”
Peter la fissò confuso.
Come poteva sapere?
“Sono una telepate. In
questi due anni ho imparato a
controllare molto bene i miei poteri.” spiegò lei.
Peter sospirò, abbassando
lo sguardo.
“Da quando lo
sai?”
“Degli incubi? Me
l’aveva detto Tempesta… e poi ti agiti nel
sonno, me ne accorgo quando hai gli incubi. Però volevo
aspettare che fossi tu
a parlarmene.”
Peter annuì e le prese la
mano.
“Sai, nei miei sogni vedo
tutto quello che ha fatto Fenice
col mio corpo… vedo tutto, ma non posso reagire. Ha pieno
controllo del mio
corpo…”
Olivia lo fermò prima che
potesse continuare.
“Lo so. L’altra
notte ho visto tutto.”
L’uomo distolse lo sguardo.
Quello era il sogno peggiore,
quello che l’avrebbe tormentato maggiormente in futuro. Non
avrebbe mai voluto
che lo vedesse.
“Io non… te
l’ho detto, non potevo reagire…”
“Sei andato a letto con
quella mutaforma…” disse lei, con
tono calcolato.
“Olivia,
io…” cercò di replicare. Non riusciva a
trovare le
parole giuste da dire, le uniche parole che gli uscirono dalle labbra
furono un
sussurro “Mi dispiace…”
Olivia lo guardò. Era
ferita, Peter lo vedeva. Si sentì in
colpa.
“Peter, so benissimo che
non eri in te, ma… dovevi parlarmi
subito di quegli incubi.”
“Io… non lo
so.” cercò di spiegare lui “Forse
non… non
volevo ferirti.”
“Peter, io sono la madre di
tuo figlio! Dovevi dirmelo!”
Peter non rispose. Preso dal senso di
colpa cominciò a
pensare a come risolvere la situazione. Ma si era complicato tutto.
cosa doveva
fare?
Olivia intercettò i suoi
pensieri.
“Cosa devi fare? Devi
promettermi che non mi nasconderai più
nulla, ecco cosa devi fare.”
“Va
bene…” sospirò “Certo
però che è proprio difficile stare
con una telepate… non ti si può nascondere
nulla…”
La bionda sorrise e si
avvicinò, dandogli un leggero bacio
sulle labbra.
“Allora quando mi darai
quell’anello che hai comprato la
settimana scorsa?”
“Mi hai di nuovo letto nel
pensiero?” chiese lui, sorridendo
e frugando nelle tasche dei jeans.
“No, me l’ha
detto Peter. Mi ha raccontato tutto di quando
l’hai portato in giro a fare compere.”
“Dovrò fare due
chiacchiere con il piccoletto. Mi ha
rovinato la sorpresa.” si lamentò, poi si mise in
ginocchio davanti alla donna
e le porse l’anello.
Olivia lo guardò,
sorridendo.
“Devo dirlo ad alta voce o
mi basta pensarlo?” chiese lui,
guardandola negli occhi.
“Se lo dicessi ad alta voce
sarebbe più romantico.”
“Cavolo… vuoi
proprio rendermi le cose difficili…” si
lamentò, fece un profondo respiro e la guardò di
nuovo “Olivia Dunham, vuoi
sposarmi?”
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Capitolo 16 *** 16 ***
Le settimane passarono.
Olivia e Peter decisero di sposarsi a
Febbraio, il giorno di
San Valentino.
Si sposarono alla scuola, e grazie a
Tempesta, la giornata
fu limpida e calda.
Tutti gli X-Men furono coinvolti nei
preparativi. Peter
aveva scelto Logan come testimone di nozze, e Olivia aveva chiesto a
Walter di
accompagnarla all’altare.
Junior non ne volle sapere di
indossare il vestito bello,
così Peter e Olivia dovettero optare per fargli tenere un
completo in jeans,
che il piccolo accettò più della camicia bianca
con i pantaloni di velluto.
Tempesta era la damigella di Olivia,
assieme ad Astrid e
Rogue. Laura si era rifiutata: preferiva vestiti e scarpe comode, a
quelle
“trappole mortali”, come chiamava lei i vestiti da
damigella azzurri con ricami
verdi e le scarpe con i tacchi scelti da Olivia.
La gravidanza di Ororo era ormai
avanti, il termine sarebbe
scaduto a metà marzo.
Olivia e Peter si erano trasferiti
alla scuola proprio a
causa della gravidanza di Tempesta: mancava un X-Man, e c’era
bisogno di
qualcuno che la sostituisse, così era stato chiamato Peter,
che andava in
missione con gli altri, quando c’era bisogno, mentre Olivia
restava alla scuola
insieme a Junior e Ororo.
Era un caldo pomeriggio di inizio
marzo. Logan, Peter e gli
altri X-Men erano usciti in missione, a seguito di una segnalazione di
un
avvistamento di Magneto.
Arrivati sul posto, però,
non trovarono nulla. Peter tornò
sul Blackbird e si mise al posto di guida, e Logan si
sistemò sul sedile
accanto, in attesa del ritorno di Colosso e Gambit, che erano andati in
ricognizione poco lontano.
Proprio nel momento in cui videro
tornare Remy e Colosso
dalla ricognizione la radio si accese. La voce di Rogue, leggermente
agitata,
li chiamò dall’altra parte.
“Base X chiama
Blackbird… Base X chiama Blackbird… mi
ricevete?”
Peter afferrò il microfono
e rispose.
“Qui Blackbird. Vi sentiamo
forte e chiaro, diteci tutto,
Base X.”
Marie stava per rispondere, quando in
sottofondo si sentì la
vocina di Junior che si lamentava, poi sembrò esserci una
specie di litigio tra
i due, e la voce di Junior parlò.
“Papy, zia Roro
bua… mamma dice devi tornare… dice bimba
viene, zia chiesto zio Logan…”
Logan scattò su non appena
Colosso e Remy furono saliti.
Stava per accendere i motori, quando Peter lo afferrò per la
spalla e lo calmò
con il suo potere. Aveva bisogno che rimanesse calmo, almeno
finchè non fossero
arrivati a casa.
“Va bene, campione.
Di’ alla mamma che stiamo arrivando.
Saremo lì tra poco.” rispose Bishop, poi mise via
il microfono e accese il motore.
Il volo durò poco. Appena
arrivati nell’hangar, Logan fu il
primo a scendere e corse verso l’infermeria, dove erano
radunati tutti quanti.
Entrò nella stanza senza
guardare nessuno, mentre Peter
aspettò fuori, prendendo in braccio il figlio, che nel
frattempo gli era corso
incontro, preoccupato.
“Zia
bua…” disse Junior. Si sentì Tempesta
urlare e il
bambino fissò la porta, preoccupato e spaventato allo stesso
tempo.
“Tranquillo, Peter. Tra un
po’ starà bene.” lo rassicurò
il
padre.
Dopo un po’ Olivia si
affacciò alla porta, sorridendo.
“E’ nata, stanno
entrambe bene.” informò.
“Mamma, voio vedere
bimba…” implorò Junior.
Lei e Peter si scambiarono uno
sguardo, poi Olivia annuì.
Peter portò dentro il
bambino, che scese dalle sue braccia e
corse verso il letto, dove era distesa Ororo, assieme alla bambina
appena nata.
Logan era accanto a loro e carezzava i capelli della compagna, con
ancora
l’espressione preoccupata dipinta in volto.
Junior si arrampicò sul
letto per guardare meglio la
bambina, rimanendone subito incantato.
Aveva la pelle scura della madre, i
capelli neri e arruffati
del padre e due occhi d’un castano profondo, circondati da
ciglia lunghe, che
rendevano l’espressione curiosa che ora traspariva da quel
piccolo viso ancora
più intensa.
“Bella…”
disse il bimbo, ancora incantato “Come ti chiami,
bimba?”
“Si chiama
Olivia.” rispose Ororo, sorridendo.
“Come mamma… mi
piace.” approvò Junior.
Peter si fece avanti e prese
nuovamente il figlio in
braccio, poi porse la mano a Logan.
“Congratulazioni,
amico.”
“Grazie.” rispose
l’altro, stringendogli la mano.
“Sai una cosa, Wolverine?
Credo che i nostri figli
diventeranno grandi amici.”
“Non credo proprio. E se
solo proverà a toccarla, quando
sarà adolescente, se la vedrà con me.”
Peter sorrise e portò
fuori Junior.
Sedici anni più tardi.
Era la festa di fine anno,
all’Istituto Xavier.
Peter e Olivia erano appena arrivati.
Avevano accompagnato
Elizabeth, la figlia tredicenne, alla festa, ed erano entrati, per
salutare il
resto degli X-Men.
Subito, Elizabeth, aveva cominciato a
litigare con il
quattordicenne Logan, secondo figlio di Wolverine e Tempesta, mentre la
sedicenne Olivia era corsa fuori, dicendo che aspettava
l’arrivo del suo
accompagnatore per il ballo.
Logan, con una scusa, uscì
nel cortile, seguendo la figlia a
distanza. Peter lo raggiunse.
“Di che hai paura,
amico?” gli chiese “Che se la porti via
il primo che passa?”
L’uomo lo guardò
male e tornò a osservare la figlia, severo
e attento.
Si sentì avvicinarsi una
moto.
“Questo deve essere
Peter.” informò Bishop “Aveva detto che
se non aveva troppo da studiare ad Harvard passava a fare un
saluto.”
La moto arrivò, si
trattava di una Harley d’ultimo modello.
Seduto in groppa c’era un ragazzo, vestito completamente di
nero. Parcheggiò e
si tolse il casco; si trattava di un diciannovenne particolarmente
alto, con le
spalle larghe, i capelli biondi e scompigliati e gli occhi blu, era
quasi la
fotocopia di Peter, ma più giovane: Peter Bishop Junior.
La giovane Olivia gli corse incontro
e gli saltò al collo.
Il giovane la tirò su e la baciò con passione,
ignorando gli sguardi delle
altre persone.
Logan li fissò e strinse i
pugni, ringhiando, mentre Peter pareva
più controllato, anche se non toglieva gli occhi dalla
coppia.
Olivia prese il ragazzo per mano e lo
accompagnò alla porta,
fermandosi davanti al padre.
“Papà,
è arrivato il mio accompagnatore.” lo
informò,
indicando Junior.
Logan non rispose, si
limitò a ringhiare in direzione del
ragazzo, il quale sorrideva, quasi a volerlo prendere in giro, senza
scomporsi
minimamente.
“Zio Logan, come
va?” chiese, poi guardò Peter “Ciao
Pa’!
L’avevo detto che sarei passato. mamma e Liz sono dentro,
vero?”
Peter sospirò e
posò una mano sulla spalla di Logan.
“Se solo provi a usare il
tuo potere su di me te ne pentirai,
Bishop!” ringhiò.
“E chi ha detto che voglio
farlo?” obiettò Peter “Voglio
solo far entrare tua figlia e il suo accompagnatore.” Il tono
era scherzoso, ma
lo sguardo, rivolto al figlio, era infuocato e sembrava dire
‘con te facciamo i
conti dopo’.
I due giovani entrarono di corsa,
mentre i padri li
fissavano.
“Maledetto sia il giorno in
cui ti sono caduto addosso
durante un inseguimento…” si lamentò
Wolverine.
Peter sorrise senza rispondere, poi
guardò il figlio che
ballava insieme alla sua ragazza in mezzo alla pista, ripensando a come
era lui
alla stessa età: un vagabondo in cerca del suo posto nel
mondo.
Un posto che aveva trovato anni
più tardi, prima di morire,
e che aveva riavuto quando era tornato. Fissò sua moglie,
Olivia.
Il suo posto era accanto a lei, fino
alla fine dei suoi
giorni.
FINE
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