All These Things That I've Done.

di MissNothing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. oils. ***
Capitolo 2: *** 2. vongole, gongole, gondole. ***
Capitolo 3: *** 3. tastes like chicken. ***
Capitolo 4: *** 4. -insert funny title here- ***
Capitolo 5: *** 6. the Gerard's horror picture show. ***
Capitolo 6: *** 5. a bit patriotic. ***
Capitolo 7: *** 7. fuck this shit, i can't speak french. ***
Capitolo 8: *** 8. a spoonful of sugar.. ***
Capitolo 9: *** 9. dirty little secret. ***



Capitolo 1
*** 1. oils. ***


non mi sembra vero Puntuale come promesso. :')
Forse anche un po' in anticipo, ma il diciotto gennaio va bene. Più che altro avrei voluto cominciare a scrivere il venti, ma quando ho scoperto che in quella settimana avrò 4 compiti in classe, ho pensato di morire. Inutile dire che non sarei riuscita a scrivere.. e non so se dopo ne sarei uscita viva, dunque in cinque giorni ho buttato giù tutto quello che mi veniva.

Inutile dire che fra Open Office che si chiude da solo e mi fa perdere tutto il lavoro di due giorni, la maledettissima scuola (sempre sia bruciata, amen <3) e anche un po' di scazzo personale e casini, non è proprio il massimo.
Spero vi siate goduti le vacanze almeno un decimo di quanto me le sono godute io, che abbiate passato un bel capodanno e che passerete un bel 2012, perché quest'anno mi sento speranzosa. HAHAHAHAHAHAH.
..Io sempre molto puntuale con gli auguri.
Per chiunque non abbia letto la prima, fic, bhè.. oddio, forse capireste di più se la leggeste (clicca qui per leggere), ma comunque i collegamenti non sono poi così tanti, se doveste avere domande da fare, chiedete pure in una recensione, tanto rispondo sempre perché sono estremamente sfiggy! ;___;
Ho deciso di cominciare ogni capitolo con le quattro canzoni (Ma solo perché altrimenti Clelia mi brutalizza, emh.) quindi.. 1,2,3,4.
Eeeeeee niente! spero vi piaccia. v.v Alla fine troverete altro sclero dell'autrice perché vorrei chiarire delle cose ma non posso spoilerare, mhmh. D:





1. oils.


Ormai erano mesi che stavamo insieme e lo sapevano tutti. E infondo era bello.. meglio di quello che pensavo, a dirla tutta: prenderlo e baciarlo quando  mi pareva, dirgli quello che volevo (e soprattutto quando volevo) senza che nessuno si stupisse, prenotare sempre una camera in meno.. è strano dirlo, ma dubitavo che si potesse essere più felici di così. Se solo l'avessi saputo, mi sarei evitato anni e anni di problemi inutili.
Erano più o meno sempre questi i pensieri che mi prendevano quando eravamo in camerino alla fine di un concerto. Stanchi morti, sudati da far schifo, contenti. Finivo sempre per ripensare a quella sera e.. bhè, sorridere. I ragazzi giravano frenetici per l'angusta stanza alla ricerca di Dio sa cosa, mentre io me ne stavo seduto sul divanetto di pelle a "godermi" la scena. Sprofondai letteralmente nel nero cuoio, abbracciando uno dei cuscini rossi che c'erano appoggiati sopra. Sembrava quasi il set di un film amatoriale da due soldi, a dirla tutta.. ben diverso dagli altri camerini che di solito ci appioppavano, che più spesso sembravano dei buchi ricavati da un muro a caso in cui erano stati messi uno specchio e una lampadina.
-Gerard, tutto ok? Quando hai finito di fare la diva ce lo dici!- Ray mi mollò una sonora e poco desiderata pacca sulla spalla, gettando una lattina di birra ormai vuota nella pattummiera. Probabilmente mi ero incantato con lo sguardo fisso a terra, come mi succedeva sempre quando mi fermavo a pensare. Alzai di scatto il capo, poggiando il cuscino. Quasi sobbalzai nel sentire la sua voce squillante, quindi gli feci un sorriso per rassicurarlo. Sospirai, stropicciandomi gli occhi per la stanchezza. Strano a dirlo, perché il 99% delle volte ero sempre io quello che organizzava qualcosa da fare dopo gli show, ma questa volta volevo solo dormire, dormire, dormire.. o quanto meno restare nel bus o in albergo.
-Sì, tutto ok!- Scossi il capo per scacciar via tutti i pensieri, poi squadrai i ragazzi uno ad uno. -Ce ne andiamo?- Domandai sbuffando, troppo abbattuto per rimanere anche solo altri cinque minuti lì. Mi alzai, sistemandomi la maglietta che era completamente uscita dai pantaloni.
-Noi siamo pronti. Tu, piuttosto.. non hai nemmeno la giacca!- Punutalizzò come al solito Mikey, manco ci volesse una laurea di astrofisica per mettersi una giacca. -Vi aspettiamo fuori al pullman!- Lanciò un'occhiata complice a Ray, facendoglcenno con la mano di seguirlo. I due si avviarono verso la porta come se volessero togliersi di mezzo e smetterla di fare i cosiddetti "pali", e in un certo senso, ne fui grato. Aspettai di sentire i loro passi allontanarsi prima di parlare, e più il rumore degli stivali che entrambi indossavano si faceva soffuso, più mi avvicinavo all'unico rimasto nella stanza. Fece un respiro profondo e deglutì quando ci trovammo a pochi millimetri di distanza. Mi fece sorridere, perché.. ancora non ci si era abituato. Sembrava la scena di un qualche telefilm adolescenziale in cui la coppietta che sta insieme da due giorni si tiene appena per mano. Abbassò il capo non appena ci guardammo negli occhi.
-Ehi, è tutto ok..- Sussurrai, carezzandogli il volto in modo tale da fargli alzare lo sguardo. Annuì sempicemente, guardandomi ma non guardandomi. -Si può sapere che ti ha preso? di solito quello problematico sono io.- Ridacchiai per alleggerire la situazione, ma forse sembravo ancora più nervoso di lui.
-Voglio andarmene..- Sospirò Frank, quasi agitato. Mi mollò un bacetto sul naso, agitato ed impacciato come sempre. Sentì le sue labbra umide per sì e no un secondo, e poi si trasse subito indietro. Se prima era solo un mio sospetto che sembrassimo quattordicenni al primo bacio, ora ne ero sicuro. Forse era proprio questo il bello.. era sempre la prima volta. Arricciai la punta del naso e le labbra in una piccola smorfia, perché in effetti non me l'aspettavo, e poi gli cinsi i fianchi con le braccia ondeggiando a destra e a sinistra. Interruppi l'abbraccio solo dopo cinque minuti buoni di silenzio, cercando la giacca da qualche parte.
-Andiamo.-  Sospirai non appena la trovai, poggiata proprio sul divano dove prima ero seduto. Forse sto diventando cieco.. o solo stupido. Mentre la infilavo probabilmente sembravo ancora più ritardato di prima: sarà che era talmente stretta che non mi passava il sangue dalle braccia, sarà che non avevo voglia nemmeno di provare ad avere charme in un momento come quello. Mi avviai verso la porta, aprendola, ma rimanendo sempre sulla destra.
-Prima le signore!- Gli sorrisi, indicando l'uscita con un braccio, sarcastico. Non mi andava che rimanesse col broncio, specialmente se non sapevo nemmeno perché.. quindi, facendo due più due, dovevamo essere noi a farglielo passare. O meglio, dovevo essere io. Dovevo sempre essere io, perché qualcuno, puntualmente si aspettava che c'entrassi qualcosa, o che per lo meno sapessi cosa fare. Invece Frank restava, ahimè, un libro chiuso persino per me. In certi casi, ovviamente. Eppure quelli erano precisamente i casi in cui tutti contavano su di me.
-Simpaticone..- Frank scosse il capo facendo un sorriso acido (che per lo meno era un sorriso) e poi uscì dandomi le spalle. Si allontanò, e tutto quello che riuscì a fare fu sospirare, sperando che gli fossero solo venute le sue cose. Chiusi la porta alle mie spalle, tirandola senza farmi troppi scrupolie poi cominciai a percorrere il lunghissimo corridoio anche io.
Era uno dei soliti, di quelli che non finiscono mai. Solo che di solito li percorrevamo tutti e quattro insieme, invece questa volta sembrava che fosse morto qualcuno, tanto che era il silenzio. Di solito scherzavamo, ridevamo, e per quanto mi fosse familiare, mi mancava quel clima. Cominciai a canticchiare "parole" sconnesse di una canzone che avevo sentito quella mattina alla radio italiana. L'unica cosa che mi ricordavo era il ritmo, e quindi cominciai sovrapporci versi a caso.
-Che c'è?- Domandò con tono scocciato, fermandosi di scatto senza nemmeno girarsi a guardarmi.
-Niente.- Mi strinsi nelle spalle con estrema noncuranza. Non ero io che mi stavo comportando come se mi fosse morto il cane. -Tu non parli, io non so che dire, i ragazzi non ci sono.. quindi canto.- Sbuffai. Sembrava quasi che ora non avessi nemmeno il diritto di fare quello che mi andava.
-Bene, allora ciao.- Accellerò il passo per farmi intendere che non sopportava più quella "tortura". Cosa assai poco comprensibile, considerando che gli era andata bene a poterla sentire gratis quando gli pareva mentre c'era gente che doveva pagare.
-Mi fai venire i nervi.- Piantai i piedi a terra convinto a non smuovermi nemmeno di un centimetro, incrociando le braccia all'altezza del petto. Complimenti a me stesso per la maturità, eh.
Si voltò lentamente verso di me, guardandomi da capo a piedi con un espressione completamente illegibile. Non capivo se fosse arrabbiato, pensieroso, nervoso o se, semplicemente, si sentisse in colpa. Poi dicono che quello complicato sono io.
Senza fermarsi nemmeno un secondo di più accellerò il passo, ma questa volta nella direzione inversa, venendomi incontro. Mi abbracciò, premendo il volto proprio contro il leggero cotone della mia maglietta, con il quale non faceva altro che giocherellare.
-Ahia..- sussurrai appena, stringendo i denti nel momento in cui, nell'arricciare un piccolo lembo di stoffa, mi diede un pizzico fortissimo. Non so fino a che punto fosse involontario, ma non avevo voglia di pensarci. In tutta risposta mi prese per mano: intrecciò le sue calde dita con le mie, fredde e più affusolate, facendo appena-appena un po' di pressione. Prima che avessi tempo di aggiungere qualcosa, mi trovai con le spalle al muro e le labbra un po' troppo impegnate per riuscire a parlare.



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-Cazzo, ma ti sei rammollito?!- Urlò Mikey dalla angusta stanzetta che spacciamo per un bagno. La sua voce rimbombò talmente forte che forse si accorse persino lui che, continuare una conversazione in quel modo, era pressocché impossibile. Me ne stavo lì seduto a sopportare l'ennesima scenata da bionda paranoica, quando uscì, raggiungendomi nel corridoio che separava le cuccette dalla "zona giorno", se così si può definire.Notai che aveva un flacone in mano: era lacca. Quella robaccia per me era peggio della kryptonite per Superman, quindi mi avviai sulla destra, sperando che quell'inutile discussione finisse lì, e soprattutto che finisse prima che cominciasse la totale cementificazione dei suoi capelli.  
Come volevasi dimostrare, il nostro "malvagio" Lex Luthor mi seguì, con ancora l'intero tubo in mano (come se non ci fosse un bagno con un apposito specchio per fare queste cose). Tentai di fermarlo prima che spruzzasse, perciò vidi di inventarmi qualcosa per giustificare la mia semplice voglia di non fare le cinque del mattino in un locale qualunque.
-Non mi sono rammollito, solo.. sono stanco. Non ne ho voglia.- Mi sedetti su uno dei due letti in basso, non avendo voglia di destreggiarmi fra i pioli della scaletta del letto a castello dove era adagiato Frank. Gli lanciai un'occhiata languida e lui mi fece un cenno con la mano che probabilmente mio fratello neanche vide, ma meglio così. Era troppo impegnato a specchiarsi nel finestrino, spruzzandosi quella roba sui capelli. Missione fallita, Superman.
-Siamo in Italia e tu preferisci stare qui a dormire?- Si voltò di scatto poggiando il flacone sul comodino. Mi lanciò un'occhiataccia: la sindrome del fratello minore, la chiamavo. Ahimè, se io non facevo qualcosa, non si sentiva di farla nemmeno lui.
-Non è l'ultimo giorno che passiamo qui. E poi, andiamo..- Feci una pausa scenica, ripresi fiato e poi dissi quello che veramente pensavo tutto in una tirata. -Esci per vedere i monumenti?- Gli feci un sorriso acido e sarcastico, mentre aggrottò le sopracciglia. -Mi sembra ovvio che esci per le ragazze, ed io sono fidanzato.- Nuovamente mi voltai a guardare Frank, che gongolava come una donnina. Era tutto rosso in volto e veniva una voglia assurda di stritolarlo.
-Ehi, anche io sono fidanzato!- Mi rivolse una seconda occhiataccia, quasi offeso. Mai toccare un Way sull'orgoglio.
-Bhè, tu hai la fidanzata ed io il fidanzato. E' ben diverso.- Feci non so bene che gesto con le sopracciglia. Le mossi quasi ad indicargli che se Alicia era lontana e forse una sveltina ogni tanto era perdonabile, io con Frank dovevo viverci. E dopotutto non era un peso rinunciare alle storie di una notte, soprattutto perché.. ero innamorato.
-Hai ragione, c'è molto più lubrificante.- Si strinse nelle spalle, restituendomi il sorrisaccio di prima. Sbuffò, stringendosi le braccia al petto. Dopo questo suo gesto calò il silenzio.
Era una battuta infelice, sporca da far schifo, inappropriata, di pessimo gusto e tutti gli aggettivi possibili ed immaginabili. Una delle mie preferite. Proprio per questo non sapevo se ridere o no, ma dopo qualche secondo non riuscì a trattenermi: scoppiai, letteralmente. Quasi in contemporanea Mikey si rese conto di quanto una cosa detta da lui stesso fosse divertente, e sotto gli occhi contrariati e accusatori del povero Iero, cominciò a ridere con me. Si vede che avevamo entrambi un gusto per le battute pessime!
Dopo due minuti ininterrotti di rumoracci raglianti, cominciava addirittura a farmi male lo stomaco. Il fiato mancava, e se prima ero steso, dovetti stendermi. Mikey, che prima era seduto, si fece scivolare lentamente fino a sedersi a terra, proprio di fronte a me. Le gambe incrociate e la testa fra le mani. Respriai profondamente più e più volte, cercando di ristabilire una calma che in realtà non desideravo più di tanto. Una calma che, inutile dirlo, in qualche secondo sfumò.
-Oli.- Replicai con tono fermo e serio non appena ci fu totale silenzio: in quel momento ogni riferimento a quello che facevamo io e Frank a letto, sarebbe stato la cosa più divertente al mondo, e credetemi, non si rideva così tanto da tempo.
-Lubrificanti!-Specificò affannosamente. Mikey non riusciva nemmeno più ad emettere suoni: cominciò a lacrimare, battendo le mani per sfogare la necessità di ridere che i suoi piccoli polmoni da criceto gli negavano. Al contrario di noi due, Frank sembrava offeso. Offeso non come un uomo, ma come una donna alla quale si dice che il suo vestito le fa le chiappe grosse. Magari si sentiva chiamato in causa perché quello che lo prendeva in culo era lui. Si girò sul fianco, sbuffando.
-Ti prego, basta!- Implorò affannato Mikes tra un tentativo di ridere e l'altro. Si asciugò gli occhi che ormai lacrimavano incessantemente da più o meno tre minuti buoni e poi provò ad alzarsi, riuscendoci dopo varie prove. L'eleganza di un rinoceronte con i vestiti della parata. Spesso mi chiedo seriamente da dove mi vengano questi paragoni da depravato, ma poi rinuncio a capirlo. In contemporanea ci raggiunse anche Ray, che probabilmente era appena tornato dal Paese delle Meraviglie.
-Che avete tanto da ridere voi?- Aggrottò le sopracciglia il riccio, come se solo dopo dieci minuti si fosse accorto del fatto che stavamo ridendo.
-Battutacce.- Bofonchiò Frank con la testa completamente affondata nel cuscino, tanto che la sua voce si sentiva appena.
Mikey raggiunse Ray dandogli una pacca sulla spalla che probabilmente lo risvegliò da quel sonno perenne che gli aleggia intorno e poi si piantò accanto a lui, sospirando.
-Ah, roba da Arthur e James!- Ridacchiò, facendo spallucce quasi come se si fosse arreso e avesse rinunciato a capire il motivo di tanta ilarità.
Non sapevo se sarei riuscito a rispondere anch'io con tanta disinvoltura, perché odiavo sentirmi chiamare per secondo nome: sia perché "Arthur" è un nome di merda, sia perché è troppo formale. E sapevo che a Mikey dava fastidio quasi quanto ne dava a me, perciò risposi altrettanto "formalmente".
-Certamente, Raymond.- Cercai di imitare un finto accento inglese che ben poco mi riuscì e poi gli rivolsi un'occhiataccia, tornando a stare seduto con le gambe incrociate.
-Bhè, scherzi a parte.. mi sa che siamo rimasti soli!- Constatò Mikes rivolgendosi all'amico. Ray, in tutta risposta, aggrottò le sopracciglia come se pensasse che gli avesse appena fatto chissà quale proposta.
-Da soli per.. c-cosa?- Domandò, perplesso. Mi lasciai sfuggire un ghigno.
-Oh, che cazzo pensi!- Il biondo trasse subito il braccio che era rimasto posato sulla spalla, quasi come se improvvisamente fosse disgustato. Si allontanò, guardandolo da capo a piedi. -Intendevo andare per locali!- Fece spallucce, specchiandosi maniacalmente nel finestrino per la centesima volta.
-Oh..- Tirò un sospiro di sollievo. -Allora andiamo!- Alzò entrambi i pollici in segno di "ok", tentando di rassicurare più sé stesso che noi. Si voltò, convinto che ci fossimo tutti e quattro a seguirlo, poi all'improvviso si voltò nuovamente: ci fissò stranito.
-Voi non venite?- Storse la bocca, perché di solito ero sempre io quello che ogni sera trova la voglia di uscire. E se io uscivo, usciva anche Frank. Era quasi automatico.
-Nah, lasciamoli ai loro oli!- Ridacchiò fra sé e sé quello splendido bastardo di mio fratello mentre si infilava una giacca di pelle.
-Oli?- Ray era sempre più confuso, io a momenti sarei esploso a furia di trattentere risolini e ghigni, Frank sembrava morto o qualcosa del genere, Mikey rideva con disinvoltura. Che quadretto.
-Un giorno capirai!- Sospirai, squotendo il capo in un sospiro.



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Come ogni volta che ironizzavo sul nostro rapporto, io e Frank litigammo. Non importava: sapevo che gli sarebbe passato tutto non appena sveglio. I ragazzi erano via da un'oretta, e dopo quei dieci minuti di faida, si addormentò e la calma tornò a regnare. Provai anche ad accendere la TV, ma prendeva solo frequenze italiane, e ahimè, tutto sono meno che uno che di lingue ne capisce qualcosa. Mi fermai mezz'oretta a guardare le tette della conduttric.. il notiziario. E rimasi così per un bel po', a dire il vero. Completamente sprofondato nel divano letto, una t-shirt a caso e i pantaloni della tuta, sonnecchiando come se non ci fosse un domani.
Solo in quel momento pensai che potevo finalmente dedicarmi a qualcosa di più costruttivo. Qualcosa che non facevo da tempo: disegnare. Dopo qualche versaccio dovuto alla stanchezza, riuscì ad alzarmi. Ci misi un po' per ritrovare il controllo di ogni parte del corpo, e fra uno sbadiglio e l'altro, cominciai a ricostruire tutto. Il blocco era nel mio borsone, insieme al necessario. Decisi di mettermi a letto, perché sarei stato capace di addormentarmi anche con la matita in mano.
Diedi uno sguardo veloce a Frank che provava a dormire (sul mio letto), così, velocemente, mi "arrampicai" fino a raggiungere il materasso. Avanzava un angolino di spazio, siccome il nostro amico Frodo non solo non era di portentosa altezza, ma dormiva anche raggomitolato. Piegai la testa su un lato così da osservarlo meglio, e mi scappò un sorriso. Come una mamma orgogliosa di suo figlio, bleah. E pensare che gli rimboccai persino il lenzuolo; ai limiti del ridicolo, sul serio.
Appoggiai il blocco con i foglio usati e non sulle gambe e cominciai a far scorrere lentamente la mina della matita sul foglio, tracciando i contorni di un volto. Mi era mancata quella sensazione: da quando ero al liceo e passavo le giornate così, all'essere uno che a malapena trova il tempo di farsi una doccia.
Immerso in un po' nei pensieri, un po' nell'immagine di lui che dormiva accanto a me e un po' in uno di quei mie momenti da "genio" incompreso, non mi accorsi nemmeno che avevo cominciato a disegnare inconsapevolmente Frank. Non ero sicuro di come fosse successo, ma gli occhi erano i suoi e riuscivo bene a riconoscerli, con tutte le volte che mi ci immerso. Era già la terza volta che mi capitava, e dipendere così tanto da una persona dopo un po' diventa.. frustrante. E' assurdo vedere qualcuno anche in un foglio bianco. E' impensabile, specialmente per uno come me, più romantico di un maiale. Feci un respiro profondo e scacciai tutta l'improvvisa paura che un giorno non sarei riuscito a fare a meno di noi, e poggiai alla punta del letto i disegni. Per quella sera ne avevo avuto abbastanza, a quanto pareva.
Mi avviai verso il frigo bar per prendere un bicchiere d'acqua, quando..
-Gee, cos'è questo?- Mi chiese una voce assonnata proveniente dall'altra stanza. Prese in mano il quaderno la cui copertina un tempo era bianca, ma adesso era anch'essa completamente scarabocchiata.
-Oh, no no no!- Gli corsi incontro, quasi affogandomi con l'acqua. Tossicchiai svariate volte, ma fortunatamente aprì solo la prima pagina, e con la mia corsa contro il tempo, riuscì a fermare le sue avide mani che ormai avrebbero sfogliato anche tutte le 300 e rotte pagine.
-Che c'è di male, sono disegni!- Sbadigliò, squotendo il capo. Avevo le mani poggiate sul dorso e sul retro del quaderno, in modo tale da non farglielo aprire. Una delle sue mani si incontrava anche con la mia, e fu un momento piuttosto imbarazzante: mi guardava negli occhi come a chiedermi "che cazzo ci sarà mai qui dentro?" quando invece gli stavo semplicemente nascondendo un ritratto (chi voglio prendere in giro.. due ritratti e mezzo) di lui. Mollai la presa, sospirando e tornando nel mio angolino.
-Fai come vuoi.- Mi strinsi nelle spalle, abbassando il capo per celare il mio volto che già s'era fatto un po' rosso. Di solito era lui quello che avvampava.
-Non capisco cosa ci sia di male, Gee..- Sospirò, sfogliando con aria incantata le varie pagine. Ancora non era arrivato al punto. Quel punto.
-Niente, è solo  un po' imbarazzante per un trentaquattrenne disegnare ancora fumetti e supereroi.- Feci spallucce senza alzare minimamente lo sguardo. E mai l'avrei fatto, a meno che non mi avesse interpellato.
-Gee.. è.. una caffettiera?- Domandò, indicando un disegno con aria titubante e incerta Doveva essere un Dalek. Qui più che di artista incompreso si parla più di soggetto non capace di comprendere.
-Frankie.. dovrebbe essere.. tipo..- Gesticolai un po', indicando di tanto in tanto alcuni tratti principali del disegno. -Dovrebbe essere una specie di robot.- Annuì fra me e me, fingendo di fare l'offeso.
-Oh.. bhè, come robot non è il massimo, ma come caffettiera potrebbe funzionare!- Mi fece un sorriso di incoraggiamento che sembrava più il sorriso che si fa ad un ragazzo che pesa 158 chili e vuole diventare il nuovo Nureyev. Incrociai le braccia all'altezza del petto, guardandolo dal basso verso l'alto.
-Questa me la lego al dito.- Sbuffai, rivolgendo lo sguardo al finestrino.
-Oh, andiamo.- La sua mano annaspò fra le bianche lenzuola alla ricerca della mia. Immediatamente, al contatto delle sue calde dita con le mie gelide, la mia testa si girò nuovamente nella sua direzione. Mi sorrise, questa volta più dolcemente, e poi tornò col capo piegato sui disegni. Sfogliò velocemente varie pagine, e ormai il momento era arrivato..
-G..G..Gee..- Balbettò. Gli mancava il respiro, probabilmente. E per com'era fatto, magari aveva anche le farfalle nello stomaco. Abbassai lo sguardo, ma lui semplicemente strinse la presa della sua mano. -Cavolo, sono.. sono io.- Aveva gli occhi lucidi. Non capivo cosa ci trovasse di tanto bello, emozionante, commovente o qualsiasi cosa vogliate in uno stupido disegno. Annuì semplicemente, facendo attenzione a non incontrare mai i suoi occhi. Chiuse lentamente il blocco, ancora senza fiato e lo poggiò nell'angolo opposto a quello dove stavo io.
-Guardami.- Non suonava né come una domanda, né come un ordine. Forse perché la sua voce era troppo dolce per sembrare quella di qualcuno che costringe qualcun'altro a fare qualcosa, ma l'intenzione era quella. Alzai comuqnue il capo come mi disse.
-Ti amo.- Boom, un colpo al cuore. Il fatto che mi stesse guardando negli occhi non fece altro che rendere tutto ancora più.. speciale. Non ce lo dicevamo spesso, in tutta sincerità: non è bello quando si finisce a dichiararsi amore ogni due minuti, perché poi.. in un certo senso, perde il suo significato. Era una sensazione così bella quando pronunciava quelle due parole e sentivo ogni singola parte del corpo tremare, che non ci avrei rinunciato per niente al mondo.
-Anche io ti amo. Mi dispiace se sono un coglione.- Mi morsi il labbro, arrossendo. Cercai in tutti i modi di combattere l'istinto di abbassare lo sguardo, perché non volevo interrompere il contatto visivo per niente al mondo.
Con la punta del naso mi sfiorò la guancia, lentamente. Schiuse le labbra quanto bastava a farmi sentire il suo fiato caldo sul collo, dove poi poggiò il mento. Precisamente nell'incavo, e rimase così per parecchio, a dirla tutta. Un'attesa che stava diventando insopportabile.
-Ehi..- Sussurrai appena, senza fiato. Volevo incitarlo a fare qualcosa, perché non ne potevo più di quell'atmosfera. Come se qualsiasi cosa avesse intenzione di fare fosse imminente, eppure la stesse lasciando sospesa a mezz'aria senza motivo. O almeno per un motivo a me sconosciuto, il che era forse ancora peggio.
La sua mano lentamente lasciò la mia, ed il suo dito indice fece pressione contro il mio petto, come se volesse indicarmi di stendermi. Anche quella volta non feci nessuna opposizione, e senza perderlo di vista, mi abbassai lentamente.
-Oh.. Dio.- Quelle sue parole furono più un sospiro. Si mise in ginocchio, tendendo tutto il corpo in avanti. Sentivo che era vicino, ma non sentivo il suo peso addosso. Dopo dieci minuti di tortura, le sue labbra sfiorarono lascivamente le mie. E no, questa non gliel'avrei perdonata: ribaltai drasicamente i ruoli, trovando finalmente il contatto fisico che cercavo.
Arricciò le labbra in uno sgurdo quasi offeso, mentre gli feci solo un sorrisone al quale non resistette, e dunque ricambiò. Rimasi a guardarlo per qualche secondo, e improvvisamente poggiai le labbra sulle sue. Affondai le mani nei suoi capelli, mentre lui si "sfogò" sulla mia schiena. Se non avessi ancora avuto quella maglia indosso, avrei aggiunto parecchi altri graffi alla ormai lunga collezione.
Il bacio durò sì e no cinque minuti, ma a me sembrò appena qualche secondo. A interromperlo fu lui: le sue mani cercarono il bordo della mia maglietta, e proprio nel momento in cui stavano per liberarmi da quello strato di tessuto che in quel momento mi sembrava così inutile.. driiin.
Sentì il cellulare squillare. Era poggiato sul materasso, così bruscamente lo afferrai e gli diedi un bacio sul naso senza nemmeno guardare il nome sul display.
-Vado un secondo fuori, qui non c'è campo.- Sorrisi, e lui, troppo timido per dire qualsiasi cosa, ricambiò. Si sedette con le gambe strette al petto nel suo angolino e rimase a guardarmi: riuscivo a sentire uno sguardo addosso.
La pungente aria di Giugno mi pizzicava le guance e mi scompigliava i capelli. Il telefono ormai aveva smesso di squillare, ma avrei richiamato io. Pigiai con il pollice sul tasto delle chiamate ricevute, e quando quel numero mi saltò agli occhi, riconobbi subito le ultime tre cifre. Non persi tempo e richiamai. Squillò sulle due volte, e poi quella voce mi fulminò.
-Gerard.- Con il solito tono docle e femminile anche quando non lo voleva.
-..Lindsey.- Replicai, altrettanto cordialmente.
-Domani mattina a Piazza San Marco. So che sei a Venezia, e ci sono anche io. Devo parlarti.- Suonava come un ordine.. e se la voce di Frank non era capace di darne, la sua ci riusciva anche troppo bene.
-E'.. è una cosa grave?- Risentire quel tono ancora mi faceva star male. Avevo le farfalle che mi vomitavano nello stomaco, e in quel momento avrei solo voluto morire.
-Abbastanza. La fine della vostra storiella, suppongo. Alle sei.-
"La fine della vostra storiella". Mi lasciai lentamente scivolare a terra con la schiena pigiata contro il tour bus. Sentivo che le mie ginocchia non avrebbero resistito a lungo, perciò sentì il bisogno di sedermi.
-Sei del.. pomeriggio?- Domandai, sempre più intimorito.
-Del mattino. Ci si vede.- Attaccò senza nemmeno darmi la possibilità di replicare, e sapevo che quella sarebbe stata una lunga, lunga, lunghissima nottata.



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Olè, ciao a tutti. <3
Avrei da dire che, come avrete capito, la fic è ambientata in Italia, questa volta. Per adesso a Venezia, ma poi il circo si sposterà, lol.
Le date del tour sono inventate.. se avessero fatto tutte le tappe Italiane che la storia prevede, penso che quest'estate sarei stata veramente molto poco a casa mia.. <3
E poi boh °O° diciamo che mi dispiace un pochetto far passare Lindsey come l'ultima delle stronze, un po' perché ascoltavo i Mindless ancora prima dei MCR.. *si sotterra* Ah, e poi.. la scena degli oli è ispirata alla 3x06 di Skins (<3), ehehe.
Vaaaaaabè. Spero vi sia piaciuta. :3 Leggete (checcazzodico, se siete arrivati qui avete letto..), recensite, fato quello che volete, yo. <3
PACE, AMORE E UNICORNI.
Baci, xMN. (MI ERA MANCATEIOFJERIGRE. <3)

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Capitolo 2
*** 2. vongole, gongole, gondole. ***


fg Thehehe, salve a tuuuuuuutti! 
non ho voglia di cominciare in maniera seria, dunque.. YO




AHAHAHAHAHAHHAHAA, LASCIAMO STARE. :'D
Le quattro canzoni blablabla.. 1, 2, 3, 4. 
Bene, non c'ho niente da dire ("Emmenomale").. boh, magari alla fine perché fa più figgy. ADEEIEUEI. <3 




2.
 vongole, gongole, gondole.



Svegliato dalla solita ansia crescente nel petto, aprì gli occhi. Pigramente li stropicciai. La nottata era stata completamente insonne. Mi svegliai dopo solo un quarto d'ora di riposo, troppo agitato e nervoso per chiudere occhio. Inconsciamente, ancora speravo di svegliarmi, guardare alla mia destra e sentire quel solito calore familiare ed i borbottii che faceva sempre dormendo per poi scoprire che era stato tutto un sogno. Anzi, incubo. Avrei voluto alzarmi, sussurrargli qualcosa all'orecchio e perché no, pur di cancellare qualsiasi cosa avessi fatto, mi sarei anche preso la solita cazziata per averlo svegliato. "Mmhh.. nah.. Geeerr.. lasciami dormir.." sbadiglio, sbadiglio, sbadiglio, parolaccia. Girari lo sguardo verso sinistra, borbottando come una nonna con la sciatica; l'orologio a led segnava che erano ancora le 5:31 del mattino e persino quel poco di luce mi fece strizzare gi occhi. Frank dormiva beato nel suo letto. Mi dava le spalle, e, in quel momento, invidiai il finestrino, che se non fosse stato un oggetto inanimato, sarebbe potuto rimanere a guardarlo tutta la notte. Di solito ero io che, da bravo maniaco, rimanevo a guardarlo finché non mi addormentavo. Quando dormiva era uno degli unici momenti in cui non litigavamo: pensavo che sarebbe stato tutto più facile, stando insieme. In un certo senso lo era, ma ci accapigliavamo per ogni stronzata, e forse non era proprio il massimo.. bhè, c'ea un detto che diceva, "l'amore non è bello se non è litigarello". Intuì che forse aveva ancora il broncio perché la sera prima lo avevo, per così dire, "appeso". Ma andiamo, chi avrebbe avuto genio dopo una telefonata del genere?

Mi feci coraggio a scendere dal letto. Per poco non mi ribaltai dalla scaletta (più che altro insieme la scaletta), ma poi finalmente riuscì a raggiungere il bagno. Mi dimenticai completamente del gradino che c'era all'entrata, e perché no, inciampai anche a terra, proprio perché mi mancava solamente un bernoccolo in testa. Arrancai per alzarmi, aiutandomi con qualsiasi spigolo o mobile trovassi. Porbabilmente sembravo totalmente rincoglionito, ma era l'effetto della notte insonne.. speravo. Mi guardai velocemente allo specchio. Avevo pianto un po' qella sera, e avevo gli occhi leggermente arrossati. A rendere ancora di più quell'effetto da "sono appena tornato da un rave di tre giorni", contribuivano anche le occhiaie ed il sonno che mi marchiava chiaramente il volto. Guardai fuori dal minuscolo oblò, unico sbocco di aria e luce, e mi resi conto che a quell'ora per strada c'erano a malapena i piccioni. A nessuno (e dico, nessuno) sarebbe importato del mio aspetto. Il cielo era di un colore davvero poco esitvo: un grigio-azzurro macchiato da qualche nuvola ogni tanto che mi faceva tanto pensare ai tristi inverni. Fortuna che, di lì a poco, quei colori sarebbero drasticamete cambiati. Immaginavo facesse anche un po' freddo, di prima mattina. Frugai nel cesto dei panni lavati e afferrai un paio di jeans (miei o di mio fratello, non importava) e una felpa di Frank. E no, non importava molto nemeno del fatto che mi andasse di almeno una taglia più grande: volevo il suo profumo addosso. Coprì con essa la maglia nera che non mi toglievo dalla sera prima e completai il perfetto completo per un provino di "Lost" con delle scarpe da ginnastica. Fra occhi gonfi, occhiaie e mise da naufrago/barbone, non riuscivo nemmeno  guardarmi. E chi volevo prendere in giro.. anche se razionalmente sapevo che nessuno mi avrebbe visto, ero un complessato del cazzo e non potevo negarlo. Cercai di districare parte dei nodi che avevo fra i capeli scarlatti con le dita, e, passandocele lentamente, feci un respiro profondo e mi preparai psicologicamente a qualsiasi fosse stata la notizia di Lindsey.
Chiusi lentamente la porta del bagno alle mie spalle, e, camminando sulle punte, mi diressi verso la zona giorno dopo un veloce sguardo per assicurarmi che il nano addormentato nel bosco stesse ancora dormendo. Cercherò di sintetizzare lo scenario che mi si presentò davanti senza perdermi in questo triliardo di cose che avrei da dire:
C'erano Mikey e Ray addormentati a terra (o svenuti.. ma li avrei sinceramente presi per morti, e non avessi visto i loro petti fare lentamente su e giù). Il primo, "vestito" come l'indiano dei Village People (e purtroppo no, non è sarcasmo) e il secondo con una parrucca afro (più di quanto non fossero già i suoi capelli) di un anonimo color fuxia neon. Ovviamente non mi esprimo sullo stato in cui era la stanza, perché altrimenti potremmo fare Natale.
Se Ray non avrebbe mai cornificato la moglie, su mio fratello avevo qualche dubbio. Feci un respiro profondo pensando a cosa sarebbe diventata la loro già moralmente discutibile serata se ci fossimo stati anche noi e poi scossi il capo, lascindo stare la mia ossessione per il non far rumore, che tanto sembravano addormentati con dei sedativi per cavalli. Uscì dal bus chiudendo a chiave la porta con la mia copia del mazzo, consapevole che la vera impresa sarebbe iniziata lì: trovare la maledetta piazza di cui mi aveva parlato Lynz ieri. 
A quell'ora per strada c'erano solo dei gondolieri. In pratica erano dei poveretti costretti ad indossare maglie a righe ed uno stupido foulard nei periodi in cui ci sono turisti e accompagnarli per i canali di Venezia su delle.. vongole? gongole? gondole, credo. Poco motivato a nuotare di prima mattina e anche abbastanza sicuro che non fosse troppo legale, chiesi ad uno di loro di portarmi al luogo x. Dopo vari tentativi di farmi capire in altre lingue, nella mia, in quella che (penso) fosse la sua, un piccolo ritorno all'età della pietra attraverso gesti così elementari che li avrebbe capiti anche un feto e altri tenativi che non voglio nemmeno citare, sembrò di aver capito. 
Mi fece salire a bordo e mi portò proprio lì, a Piazza San Marco. 



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Misi tutta la concentrazione possibile nello scendere dalla.. umh, gondola. Non volevo sembrare un totale deficiente e inciampare, siccome sapevo che mi stava già guardando. Feci finta di non vederla subito, ma ahimè, è difficile far finta di non trovare qualcuno in una piazza completamente vuota. Lindsey se ne stava lì, impassibile. Seduta al tavolino di un bar che, per qualche arcano motivo, era aperto già a quell'ora. Due tazzine di caffè, una accanto a lei, mezza vuota, e l'altra ancora piena, dal lato della sedia dove mi sarei dovuto "accomodare" io. Era chinata su un'agendina, segnando chissà cosa. I capelli di un nervo corvino quasi le coprivano il pallido volto, data la posa in cui si trovava. Indossava degli occhiali da sole anche se di sole non ce n'era, e quando alzò di scatto il volto, li tolse lentamente, facendomi un sorriso che era più sull'acido che sul "ciao". Le feci un cenno con la mano e accellerai il passo, che tanto un giorno o l'altro, anche camminando alla velocità di una lumaca col tumore, ci sarei pur arrivato. 
Spostai la sedia, ben attento a non fare quell'odioso rumore di metallo che struscia. Mi sedetti sulla gelida plastica intrecciata, resa ancora più freddo dal fatto che probabilmente, quella notte aveva piovuto. Dopo dieci minuti di silenzio, capì che forse si aspettava che fossi io ad esordire, perciò..
-Umh.. buongiorno.- Borbottai appena. Forse "ciao" era troppo amichevole, no?
-Buongiorno.- Fu glaciale. Mi fulminò letteralmente anche solo con un saluto.
-Bhè.. sono qui.- Mi strinsi nelle spalle, notando solo in quel momento l'abbigliamento poco da lei; indossava un impermeabile beige, ben stretto in vita con un cordino. Probabilmente sotto aveva un pullover nero, proprio come gli strettissimi pantaloni che indossava insieme ad un paio di stivali di cuoio. Dio. Sembrava.. cresciuta. 
-Accomodati, tanto ne avremo per un po'.- Indicò con un cenno del capo la tazzina. Mi sentivo piuttosto ridicolo a bere qualcosa offerto da una donna che per giunta era la mia ex-moglie, ma infondo nessuno gliel'aveva chiesto, perciò.. esitai un po', ma poi feci un breve sorso. Ripose in una borsa la stessa agenda di prima e appoggiò la testa fra le mani. Decisi di incitarla a sbrigarsi piuttosto che continuare il gioco del silenzio, così espressi tutta l'ansia che provavo.
-Così mi uccidi, ti prego. Dimmi.- Tutto d'un fiato e senza risentimenti. O almeno, senza risentimenti nel dirlo.. forse dopo aver ascoltato la notizia, me ne sarei pentito.
-Okay Gerard, se ci tieni così tanto..- Fece un respiro profondo, probabilmente non troppo contenta di quello che avrebbe seguito quella frase. -Sono incinta.- 
In un primo momento non collegai come il suo essere incinta potesse avere qualcosa a che fare con me. Stavo quasi per obbiettare, quando, finalmente, ci arrivai. Tutto ciò che riuscì a fare fu rimanere lì con gli occhi sgranati e tanta, tanta, troppa voglia di urlare. 
-Lindsey..c-c-come?- Aggrottai le sopracciglia, lasciando che il mio sguardo si perdesse a terra, ancora un po' troppo scosso per mettere insieme i pezzi. Fece una risatina acida, come se un suo forte presentimento fosse appena stato confermato.
-Davvero non te lo ricordi?- Mi guardò disgustata, scuotendo il capo. -Tre mesi fa. Era la festa di Jimmy ed eravamo ubriachi fradici. Ovviamente una cosa tira l'altra e..- La interruppi in tempo con un gesto delle mani. Non volevo nemmeno immaginare. Da un lato diventare padre mi sarebbe piaciuto, ma dall'altro.. no. Non per come era la mia vita adesso. Non con chi l'avrei voluta passare (anche perché sarebbe stato piuttosto impossibile). Non in quel momento.
-Ti manderò tutto quello di cui avrai bisogno. Lo vorrei incontrare, ma, ecco.. non vorrei che sapesse che suo padre sono io. Ed io, Lindsey..- Feci una breve pausa. -Non voglio passare il resto della mia vita con te.- Arricciai le labbra, abbassando nuovamente il capo dopo quello sprazzo improvviso di coraggio. Avevo anche solo paura di vedere la sua espressione in quel momento, ma doveva essere piuttosto contrariata.
-Ah, ah, ah.- Risata sarcastica. -E magari lo chiamiamo Frank, maschio o femmina che sia.- Aveva la bocca appena aperta, come faceva di solito quando voleva mantenere un tono sarcastico.
-Ti prego.. non voglio che.. che lo sappia.- Sospirai, tirando su col naso nel tentativo di non fare una sceneggiata da ragazzina.
-Sai, a volte sei simpatico.. perché io spero veramente che tu scherzi!- Il suo tono si alzò sempre più, sempre più, sempre più. Improvvisamente si mise in piedi, slegando il cordino del trench. Scoprì appena un piccolo bozzolo nero, e sinceramente, ancora non riuscivo a pensare che.. che lì dentro ci fosse qualcosa di mio. Mio figlio, mia figlia: maschio o femmina, mi sentivo già in colpa per la vita poco facile che gli si prospettava. E mi sentivo già in colpa perché sapevo che non sarei stato un buon padre. -Lo vedi questo?!- Si trattenne dall'urlare,ma questo la portò a fare qualcosa simile al ringhiare, indicando con un dito la sua pancia. -E' tuo figlio!- Cercò di renderlo ancora più ovvio, schematizzando la situazione come se non ci fossi ancora arrivato. Si allacciò di nuovo il giaccone, tornando a sedersi con un'espressione avvilita in volto. Chiuse gli occhi, poggiando i gomiti sulle gambe e la testa fra le mani. Si lasciò sfuggire un sospiro.
-Hai una settimana per dirlo al tuo fidanzatino.- Cercò di mantenersi sempre acida e distaccata. -E se dovessi scoprire che non lo è ancora venuto a sapere..- Prese il suo cellulare che fino a quel momento era rimasto incustodito sul tavolino. Velocemente compose un numero, e già il suono dei tasti era troppo familiare. Mi mostrò il numero di Frank, bello che composto sullo schermo. -Bhè, lo verrà a sapere da me. E considera che sono già buona, perché così potrai raccontargli la tua versione dei fatti, che di certo sarà ben più censurata della mia.- 
In quel momento mi sentì uno schifo in tutto. Mi sentì uno schifo come padre, come ex-marito, come fidanzato, come persona. Possibile che non ci fosse un solo impegno che sapessi mantenere? un solo legame che sapessi preservare? possibile che non ci fosse niente che mi riuscisse bene?
Annuì senza obbiettare troppo, che tanto aveva ragione. Continuavo a non ricordare praticamente niente di quella maledetta festa, ma come aveva detto lei.. "eravamo ubriachi fradici".
-Bene. E detto questo, me ne vado.- Raccattò le sue cose, gettandole nell'enorme borsa e alzandosi di scatto. La vidi lentamnete allontanarsi senza nemmeno salutare, e forse non aveva tutti i torti.



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Rimasi un po' al bar ad elaborare la situazione, ma poi, quando la piazza cominciò a riempirsi, mi avviai di nuovo verso il canale. Mi accorsi solo in quel momento di quanto fosse un bel posto. I palazzi erano così imponenti che sembrava fossero lì da secoli, e probabilmente, lo erano. Chissà quante storie, quante vite a me ignote hanno conosciuto questi edifici. Forse la mia non è altro che un granello di sabbia in confronto a tutte quelle che, in anni e anni, si sono susseguite. Chissà quante coppie, quanti amori, quanti litigi, quanto di tutto si ammassa fra questi ciottoli di pietra. Chissà da quanto l'acqua scorre in questi canali, chissà da quanto li si naviga. E a dirla tutta, l'Italia è l'Italia. Non tiene il confronto con quasi nessuno dei paesi che, in una vita a girare il mondo, ho visto. E finché eravamo lì, volevo godermi serenamente l'ultimo periodo con lui.
Entrai nell'autobus con un sorrisone. Finto, sì, ma sono un bravo attore. I ragazzi si erano appena svegliati ed erano reduci da una sbornia che, come si preannunciava quella mattina, era colossale. Se ne stavano ancora stesi a terra, stropicciandosi gli occhi fra un "mh" e un "vaffanculo". Provai ad aprire le finestre, ma in quel momento erano come vampiri. 
-Ciao ragazzi.- Dissi frettolosamente, avviandomi verso le cuccette. -A dopo ragazzi.- Continuai con altrettanta velocità quando mi trovai dinanzi al suo letto, dove, ancora dormiva. Cercai di scacciare tutti i pensieri che mi attanagliavano la testa e salì la scaletta. 
Se ne stava con la testa affondata nel cuscino, a pancia in giù. Mi stesi letteralmente su di lui, così cominciai a solleticargli i fianchi. Dopo qualche grugnito dovuto al brusco risveglio, cominciò a ridacchiare.
-T..t..ti prego!- Si affannò fra una risata e l'altra, girandosi di scatto. Gli sorrisi e lo lasciai stare, stendendomi accanto a lui in un angolino di spazio. Riprese lentamente fiato e dopo un po' fu il primo a parlare.
-Che ci facevi già sveglio? sono le otto del mattino.- Sbadigliò, sedendosi con la schiena poggiata contro il finestrino. Cercai di elaborare velocemente una scusa credibile senza andare nel panico, probabilmente riuscendoci ben poco.
-Volevo andare a correre.. ma poi sono rimasto a guardare il paesaggio.- Mi strinsi nelle spalle, osservando Frank che scuoteva il capo sorridendo. Si stropicciò un po' gli occhi, fece un respiro profondo e poi tornò a guardarmi.
-Non hai bisogno di andare a correre, non sei grasso.- Mi diede un colpetto sulla pancia e quasi sobbalzai. -E hai la mia felpa..- Sorrise.. di nuovo. Mi strinse fortissimo a sé, e in quel momento, avrei solo voluto piangere. Probabilmente se ne accorse; c'è una specie di collegamento fra di noi. Stupido a dirsi, manco fossimo gemelli.. eppure..
-Che hai?- Interruppe l'abbraccio per prendermi la mano. Continuò a fissarmi, e credetemi, quando incrociai i suoi occhi, mi sentì di svenire. Gli avrei voluto dire tutto, ma non ero pronto. E niente, continuai a tratteneremi.
-Niente..- Tirai su con il naso. -Dormiamo? ho sonno.- Gli feci il cosìddetto gesto dei pollici, come ad indicargli che stavo bene anche quando era chiaramente visibile che non era così. Mi tolsi i pantaloni, gettandoli direttamente sul mio letto insieme alla felpa. Mi stesi e mi accoccolai fra i cuscini, sotto gli occhi confusi di Frank.
-Oookey..- Sussurrò, stendendosi accanto a me. Lo abbracciai, perché quella sensazione mi era mancata troppo, la sera prima. E sì, avrei voluto essere inghiottito dalle coperte e scomparire.



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Okay. Allora. Cominciamo col dire che 'sto "Jimmy", per chi non lo sapesse, è il cantante dei dei Mindless Self Indulgence, essì, ho messo proprio lui per rimanere in tema, che una festa di un tizio a caso non sarebbe stato credibile, mlmlm. 
Poi. La scena di Piazza San Marco.. io boh. L'ho pensata proprio mentre ero seduta in QUEL bar, in QUELLA piazza, in QUELLA città. Ci tengo mucho, specialmente perché non doveva essere parte di questa storia, ma alla fine, è andata così.. :')
Boh, al prossimo capitolo!
Baci, xMN.

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Capitolo 3
*** 3. tastes like chicken. ***


omg

Umh, seeera. <3 (Ma dipende da quando leggete, alla fine. °w°)
Le quattro canzoni che praticamente mi hanno fatto da colonna sonora mentale e poi continuo lo sclero iniziale (finale) alla fine del capitolo. e.e (1, 2, 3, 4.)





3. tastes like chicken.





Ero più emozionato di un bambino il giorno di Natale. Di solito non ero io quello che faceva sorprese del genere e blablabla, ma mi sentivo come se mi dovessi far perdonare in anticipo per qualcosa di troppo grave. Un affronto del quale lui non era nemmeno ancora a conoscenza. E doveva essere perfetto. Tutto. Dio, sembravo un wedding planner frustrato. Fissai l'esile figura di mio fratello che se ne stava seduto con le gambe accavallate su un paletto (“paletto”, poi: non era nemmeno un doppiosenso.. un coso con quella forma, di senso poteva averne solo uno). Sembrava quasi femminile in quella posa. Tutto contratto e con i muscoli irrigiditi senza un preciso motivo, annuì fra sé e sé dopo aver ascoltato il mio progetto.
-Capisco..- Arricciò le labbra, sguardo assente e perso nel vuoto. -E mentre voi limonate su una gondola, giusto per informazione, noi rimaniamo lì a guardarvi o ce ne andiamo? Altrimenti mi procuro l'insulina, sul serio. - Solo in quel momento tornò a guardarmi. Una certa serietà gli marcava il volto, ma si vedeva che era più che altro per farmi notare quanto lo metteva a disagio star lì a guardare uno dei suoi migliori amici che slinguazzava suo fratello.
-Non fare il bambino.- Non volevo rimproverarlo, sia perché era abbastanza grande per rendersi conto che stava facendo tutto da solo e non c'era nessuno che lo obbligasse a seguirmi ovunque andassi, sia perché sapevo che nei confronti della mia opinione era cento volte più sensibile che nei confronti di quella di chiunque altro. -Non ti voglio obbligare a rimanere lì. Se vuoi resti, altrimenti fai quello che ti pare.- Mi strinsi nelle spalle: sì, effettivamente anche io avrei preferito stare un po' più in disparte. Starcene un giorno senza battutacce, senza risatine, senza Mikey e Ray che scherzano continuamente sul loro inesistente diabete.
-A patto che non restiate tutto il tempo attaccati, vengo.- Cambiò posizione, poggiando i gomiti sulle sue gambe e il volto fra le mani. Ecco, ora non sapevo che dire: non avrei mai voluto sbattergli in faccia la verità e fargli capire che, per una volta, non volevo che venisse. Mi aspettavo, in tutta sincerità, che si rendesse conto da solo che avevo bisogno di evadere per un secondo dalla routine che ci imponeva lo stare in tour e da quel continuo “nasconderci” da loro. Non che dovessimo nasconderci come ebrei con i nazisti in casa, è chiaro, ma era sempre meglio se rimanevamo più in disparte, forse perché eravamo anche troppo riservati. O forse no. Forse lo facevamo principalmente per loro. Forse non ce ne sarebbe dovuto fregare niente, ma purtroppo era così.
-Mikes.. sul serio, è una bella città. Ti divertiresti!- Comincia a gesticolare come facevo quando ero nervoso, e lui certamente se ne accorse. Mikey conosceva ogni singolo gesto del mio corpo: sapeva quando avevo qualcosa da nascondere, sapeva quando ero nervoso, sapeva quando ero felice e sapeva anche quando uscivo da una nottata “così”, perché diceva che mi si illuminava il volto. Ma forse era un modo per prendermi in giro e farmi capire che dovevo tapparmi la bocca. -E poi non ho voglia di mettermi sempre un freno perché tu vuoi seguirmi. Poi è ovvio che se andiamo sia io, sia Frank e sia te in un posto ci viene anche Ray. E lì cominciano le battutine. Lo sai che mi da fastidio.-  Sbuffai. Ecco, non avevo più voglia di tenermi niente dentro. Non avevo più voglia di smanettarmi mentalmente per certe cazzate quando sapevo di avere problemi ben più seri contro i quali lottare. Abbassò il capo, passando da un piede all'altro un sassolino con il quale giocherellava dall'inizio della conversazione. Ed ecco, se lui sa tutto di me, io non sono da meno: c'era rimasto male.
-Mi dispiace se vi disturbo sempre, allora. Potrei anche andare ad affogare in un tombino, così magari la smetterei.- Non mi guardò nemmeno in faccia.
-Sai, dispiace anche a me. Mi dispiace che mio fratello sia così egocentrico da pensare solo a sé stesso e non rendersi conto di quando ci rimanga male a sentirmi chiamare “Gay”, ”Checca”, ”Frocio”, “Culo sfondato”, “Cratere”, “Ciucc..” no, questa è troppo anche solo per essere ripetuta. E sei mio fratello, ripeto. Perché? Solo perché sono innamorato. Sai, mi dispiace che tu forse non sappia nemmeno il significato di quella parola. Purtroppo non ci pensi due volte a tradire quella povera ragazza. Si potrebbe costruire un altarino con le foto di tutte le ragazze con cui sei stato mentre continui a dirle che la ami.- Mi alzai. Velocemente mi passai le mani sulle cosce diverse volte perché odiavo la sensazione di sentirle troppo calde e sudaticce, e l'attrito contro la stoffa era la cosa migliore. Certo, mi sentivo la persona meno adatta a fare un discorso del genere nella situazione in cui mi trovavo, ma volevo proprio che lui se ne rendesse conto finché era in tempo, se veramente ci teneva a quella Alicia. Me ne sarei volentieri andato, ma volevo vedere che aveva da dire in sua difesa. Gli diedi le spalle, e, mentalmente, cominciai a fare un conto alla rovescia partendo da venti. Se non avesse avuto niente da dire entro il tempo concessogli, me ne sarei andato. Uscita di scena ad effetto, yooh-oh.
-A volte non te ne rendi nemmeno conto di quanto, invece, tu riesca a ferire me.- Era la sua voce  che risuonava alle mie spalle. Giusto in tempo al numero undici. Ahimè, il suo solito vittimismo quando era chiaramente nel torto. -Non fa niente, Gerard. Ho afferrato il messaggio, vuoi un po' di privacy. Mi dispiace per gli insulti, davvero. Lo sai che scherzo.- Non si alzò nemmeno mentre io, dopo un semplice cenno con la mano, mi allontanai per raggiungere il posto dove avevo appuntamento con Frank. -Ti voglio bene!- mi urlò da dietro. Riuscì appena a sentirlo, ma ci rimasi un po' male ad averlo trattato così.. infondo era mio fratello. Anzi, era il mio fratellino. E dopo tutto, gli volevo bene anche io. Mi voltai e incurvai appena le labbra in un sorriso.
-Anche io.- Annuì fra me e me, voltandomi nuovamente per andarmene.
Il posto era letteralmente a due passi da lì, proprio dietro l'angolo. Quando lo vidi lì rimasi quasi sorpreso che l'avesse trovata, perché non era una di quelle strade importanti che vengono sengate su una cartina della città e che tutti i veneziani conoscono (anche se sarebbe stato ancora più difficile cercare qualcuno che non fosse un turista); era una viuzza stretta, soliti palazzi altissimi e soliti fottuti ciottoli nei quali non facevo altro che inciampare anche mentre cercavo di fare bella figura con il mio fidanzato (Dio, dopo mesi e mesi era ancora strano anche solo pensarlo) con una camminata sicura. Frank mi vide e ridacchiò, forse perché mi stava un po' contagiando con la sua goffaggine che io, non gliel'avevo mai detto, ma trovavo tenerissima. Si avvicinò per venirmi in contro e mi afferrò la mano.
-Allora, perché proprio qui?- Si guardò intorno, probabilmente constatando che, intorno a lui, non c'era praticamente nulla che valesse la pena di vedere. Sorrisi pensando al programma che avevo in mente.
-Che ore sono?- Domandai per assicurarmi che non fossimo in ritardo per l'appuntamento con il gondoliere. Si guardò distrattamente il polso per poi rendersi conto che non indossava l'orologio.. e che l'unica volta che ne aveva indossato uno era stata più o meno dieci anni prima. Sorrisi distrattamente, osservandolo mentre cercava il cellulare in tasca.
-Umh.. le sette e ventotto.-  Tornò a guardarmi, non meno confuso di prima. -Ma questo non risponde alla mia domanda!- Annuì fra sé e sé, impaziente come al solito.
-Tu non preoccuparti, prometto che non finiremo in mano ai terroristi.- Sbuffai scherzosamente. “Caso” volle che quella stradina conducesse prorpio al Canal Grande, e in pochi passi ci trovammo dinanzi alla stessa piazza dove ero stato quella mattina. Circostanze diverse, compagnia diversa e sentimenti diversi, ma stesso identico posto. Riconobbi il tipo (l'unico) che era stato disposto a sorbirsi due turisti per giunta stranieri per tutta la serata e lo avvicinai.
-Oh, Mr. Gerardo!- Sì, bhè, ci avevo provato in tutti i modi a fargli capire che mi chiamo “Gerard”, senza quella orribile “o” finale, ma dopotutto era sempre meglio di “Geraldo”, “Gaetano” e “Gennaro”. Sorvolai anche il patetico tentativo di parlare inglese e gli feci un semplice sorriso ed un cenno con la mano, guardando Frank. Aveva la sua classica espressione intenerita stampata in volto: guance più rosee del solito, sorriso che non riusciva a controllare e sguardo basso. Ormai abituato a quelle cose, salì sulla sesta fottuta gondola della giornata e gli porsi la mano per aiutarlo a salire con fare scherzoso.
-Signorina.- Gli rivolsi un cenno del capo con finto fare cavalleresco, mentre lui provava a (far finta) di prendersela per quella semplice battuta quando in realtà era ancora troppo contento che gli dedicassi tutte quelle attenzioni. Senza, ovviamente, rendersi conto che lo facevo proprio perché mi andava.
-Sei schifosamente dolce.- Mi sedetti, e lui fece la stessa cosa. Fortunatamente non dovetti perdere tempo a dare indicazioni a Carlo (mi pareva si chiamasse così), siccome gli avevo spiegato tutto qualche ora prima.
-Non fare finta che ti dispiaccia.- Mi persi con lo sguardo nel panorama. Tramontava tardi d'estate, e la sfumatura del cielo era sul rosso-arancione con appena qualche schizzo di celeste qui e lì. Niente a che vedere con il grigio di quella triste mattinata.
-Oh, io non ho mai detto questo..- Poggiò la testa sulla mia spalla. Mi si ribaltò immediatamente lo stomaco, ma nonostante tutto, gli cinsi le spalle col braccio sinistro. Sospirò, ma di nuovo, non riuscì a nascondere un sorriso che ormai era più forte di lui, e, senza in quale, non riuscivo più ad immaginarlo.
-Posso sapere solo..- Fece una breve pausa, probabilmente domandandosi come continuare. -..perché?-
-Perché mi sento come se non ti dimostrassi abbastanza.- La cosa era molto più complessa, in realtà: era come se già mi sentissi in colpa per quello che avevo fatto con Lindsey, pur non ricordandomene nemmeno qualche immagine confusa. E mi sentivo in colpa anche perché avrei voluto dirglielo subito, ma invece continuavo a posticipare e forse lo avrei fatto fino agli sgoccioli del tempo. -Cioè, mi sto comportando in maniera un po' strana, e penso che tu te ne sia accorto.- Avevo fatto una lunga pausa perché avevo finito per farmi prendere da uno di quegli attacchi che mi colpivano quando pensavo a quello che si sarebbe presentato in futuro, ma dato il discorso che stavamo facendo, era anche credibile.
-Non fa niente, sul serio..- Sentì lo scivolare così familiare delle sue labbra sulla mia guancia, ma fu fin troppo veloce. Voltai il capo di scatto, quasi di sorpresa, e le cercai di nuovo. Il panorama continuava gradualmente a scurirsi, e, quando furono le otto e mezza, terminammo il giro. Carlo ci lasciò proprio davanti ad un ristorante. Fissammo di ritornare in davvero poco tempo, siccome l'aereo per Firenze sarebbe partito verso l'una e mezza di notte e lui “parecheggiò” all'entrata, aspettando pazientemente.
Non era un posto con troppa gente, ma di certo erano tutti occupati e non era un caso: una decina di coperti, quattro tavoli fuori all'entrata, dieci su quella specie di giardino pensile che c'era sul tetto. Avevo prenotato solo quel pomeriggio, e già era stato un grande favore che riuscissero a trovare un posto. Non appena entrammo, il posto era un forno. Frank fece per togliersi la felpa, ma con un cenno della mano lo fermai.
-Nah, farà freddo sopra.-
E mi sorrise, perché forse nemmeno aveva capito che di certo non avrei mai voluto passare la serata chiuso in quel posto, che, sinceramente, sembrava una scatola.
-Grazie.- Non sembrava che mi stesse ringraziando per non avergli fatto passare la serata in un forno: il suo tono era di qualche tono più serio.
-Di cosa?- Domandai piuttosto ingenuamente, facendo un cenno con la mano all'uomo delle prenotazioni mentre salivo le scale di pietra.
-Tutto.- Mi seguì, prendendomi la mano come per farsi guidare.


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Le nottate in aereo erano sempre le peggiori. Seduti a due a due per colpa dei sedili, Mikey e Ray dormivano beatamente dietro di noi da almeno venti minuti, mentre Frank era sulla buona strada per cadere anche lui fra le braccia di Morfeo. Mi ricordai della rivista (l'unica in inglese) che avevo distrattamente comprato all'unico negozio ancora aperto dell'aeroporto e presi a sfogliarla, quasi inorridito quando realizzai che era un giornalino per teenagers. Sgranai gli occhi, battendo le palpebre più volte mentre sfogliavo le pagine. Rosa, Fuxia, Arancione e giallo canarino ovunque. E come se non bastasse la mia espressione già abbastanza inorridita, mi tornò in mente di quando Mikey, a cinque anni schiacciò un pulcino con la bicicletta. Arriccia il naso finché non trovai qualcosa con un minimo di senso. Infondo non mi importava molto dei contraccettivi alternativi o di come dire ai miei della mia gravidanza adolescenziale, e se è per questo nemmeno di come aprire lo sguardo grazie ad un tocco di matita bianca o di come arricciare i capelli senza piastra.. e speravo vivamente che le prime due non importassero nemmeno alle quattordicenni alle quali queste riviste erano rivolte. Era un test di coppia. Uno di quelli stupidi.. “Quanto siete affiatati?” bhè, dimmelo tu. Cominciai a dare uno sguardo alle domande: avevano tutte tre opzioni ed erano tutte demenziali.
“1- Tu ed il tuo partner vi baciate..
a. spesso
b. mai
c. a volte”
Rivolsi uno sguardo al mio “partner”, che russava come se non ci fosse un domani mentre dormiva con la bocca completamente aperta. Ridacchiai fra me e me, accompagnandogli la mascella con delicatezza fino a chiuderla. Cerchiai la lettera “a”, perché effettivamente era vero. Seconda domanda:
“2- Vi fate sorprese romantiche?
a. spesso e volentieri
b. quando ci dobbiamo far perdonare
c. non siamo quel genere di coppia”
Questa volta mi trovai costretto a dover cerchiare la “b”, perché non potevo negare che quella di oggi (così come le precedenti), erano molto spesso fatte per questo motivo. Con la minuscola penna che ci forniva la compagnia aerea, disegnai il peggior cerchio che si possa immaginare all'esterno della lettera. E che dire, ormai il giochetto mi aveva preso.
“3- Litigate..
a. per piccole sciocchezze che ci portano ad essere più uniti
b. solo per le cose importanti
c. mai, non c'è troppo interesse per quello che fa l'altro al di fuori della coppia”
“A”, cavolo. Era sempre così, cazzo. Eppure, come diceva il test, ogni volta eravamo sempre più innamorati di prima. Sospirai, pensando al fatto che molto presto quel legame sarebbe sparito e forse non l'avrei trovato mai più, ma decisi di non farmi distrarre.
“4- Fate l'amore..
a. spesso
b. a volte
c. mai”
Umh.. mi sentivo piuttosto stupido a parlare della mia vita sessuale ad un giornaletto, e dando uno sguardo alle domande che seguivano, avrei volentieri lasciato stare tutto. E lo avrei fatto, se improvvisamente non avessi sentito la voce di Frank.
-Che leggevi?- Domandò, ancora preso dal sonno.
-Niente!- Sobbalzai, chiudendo di scatto il giornale che cadde anche a terra, aperto proprio a quella pagina. Aggrotto le sopracciglia, guardandomi. Si abbassò a raccogliere la rivista e scoppiò in una fragorosa risata quando lesse le prime parole. Mi feci inevitabilmente rosso in volto.
-Facciamolo insieme, dai.- Gli sorrisi, dandogli un bacetto sulla fronte per poi prendere nuovamente in penna matita e test.
-Alla quattro che ci metto?- Mi voltai a guardarlo, mordicchiando l'estremità della biro.
-Che dice?-
-Ci chiede quando spesso scopiamo.- Ridacchiai nell'osservare Frank mentre arrossiva. -Però non c'è l'opzione “come conigli”.- La mia risata si spense in un sorrisone, mentre intanto cerchiavo la lettera “a”, di nuovo.
Avrei preferito sotterrarmi piuttosto che leggere la quinta domanda, ma ormai..
-Tieniti forte per questa, eh..
“5- Praticate spesso sesso orale o la cosa vi disgusta?
a. no, è una cosa che facciamo spesso
b. spero sempre di evitare
c. no, mi fa schifo”- Trattenni nuovamente una risata, mentre lui moriva di vergogna.
-Ma chi me l'ha fatto fare..- Sospirò fra sé e sé, prendendosi la testa fra le mani mentre sorrideva. Forse la cosa lo divertiva più di quanto avessi pensato fino a quel momento.
-Nah, mi rifiuto! Cioè, tu che dici?- Mi voltai a guardarlo, cercando di non scoppiare nuovamente a ridere anche solo vedendolo contento.
-Bhè, madre natura non ci ha donato troppa scelta..- Disse lui, piuttosto seriamente. Storse la bocca verso il basso a sinistra e fece il solito gesto con le sopracciglia, come era solito fare quando scherzava su cose ovvie. Sghignazzai, arricciando il naso e strizzando gli occhi in un espressione da deficiente.
-E va bene, mi butto sulla prima!- Mi strinsi nelle spalle, selezionando nuovamente la prima risposta. -La prossima è..
“6- Ti piace il sapore del tuo partner?
a. sì, molto
b. non mi lamento
c. per niente”- Aggrottai le sopracciglia. Sapore? Manco fosse un piatto di pasta.
Frank ebbe più o meno la mia stessa reazione, fra il confuso e il preoccupato per i livelli di demenzialità che cominciavano a raggiungere le domande.
-Sono un cazzo di pollo arrosto?- Ed è più o meno questo che intendo con “anime gemelle”. Avevamo pensato la stessa identica cosa. E non era la prima volta. -Bhè, che sapore ho?- Domandò, rivolgendomi scherzosamente uno sguardo malizioso. Scoppiai a ridere.
-Nah, secondo me sei insipido!- Tornai con la testa sulla rivista e ce lo scrissi seriamente, proprio accanto alla domanda.
-Gee, ma che diavolo..- Finalmente anche lui si lasciò andare ad una risata fragorosa, allungando il capo verso la carta dove stavo scrivendo. -Non sono insipido!- protestò, come se la mia esclamazione avesse anche solo un minimo di senso e lo avesse offeso.
-Fammi cambiare idea.- Lo incitai, poggiandogli una mano sul ginocchio.
-Mh..- Si avvicinò lentamente, ed era in quei momenti che veniva fuori la sua timidezza. Poggiò le labbra sulle mie e lentamente le schiuse. Feci lo stesso, e, bhè.. il resto venne da sé. E Frank non era insipido. Frank sapeva di Frank, e nessuno sarebbe mai stato come lui. 'Dah, ecco che ora volevo solamente piangere. Non avevo fatto che tormentarmi con quei pensieri tutta la giornata.. quanto avrei potuto vivere così? Mi allontanai a tempo debito, lasciandogli qualche bacio sul collo. Chiusi il giornale, rassegnato al fatto che il test aveva perso ogni briciolo di senso (e anche un po' preoccupato dal fatto che una quattordicenne potesse già praticare abitualmente sesso orale) e lo poggiai su quella specie di piano che era saldato al sedile davanti. Ormai mi si chiudevano gli occhi, e forse sarei riuscito a dormire almeno un po'.
-Chicken Little, andiamo a dormire.- Lo incitai, dandogli una pacca sulla spalla. Ridacchiò, abbassando il capo mentre giocherellava con il lembo della sua maglia.
-Non ci riesco.- Sbuffò senza alzare lo sguardo. Pensai un attimo a cosa avrei potuto fare per rendermi almeno un po' più utile di un vegetale e alzai il bracciolo che separava i nostri sedili. Mi sedetti, e gli feci cenno di stendersi (per quanto ci fosse riuscito, ovvio). Mi fece un sorrisone e poggiò la testa sulle mie cosce. Lo baciai per l'ultima volta della giornata e poi continuai a carezzargli i capelli in attesa che il sonno mi prendesse.
-'Notte.- Sussurrai.
-'Notte.- Ricambiò.


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Il concerto era appena finito. Parlavamo di tutto e di più e non la smettevamo un attimo di dire quanto era stato una figata. Bhè, non ci si abitua mai abbastanza alla sensazione di andare dall'altro lato del mondo e vedere gente che canta a memoria i testi delle tue canzoni.
-Sul serio, ragazzi! Non poteva andare meglio!- Ray era tutto sorridente mente apriva il finestrino dell'auto, ancora con l'emozione in circolo.
-Decisamente!- Mikey confermò, cominciando a gesticolare mentre scuoteva il capo con la sua solita espressione di quando è emozionato per qualcosa.
-Sul serio.. una di quelle volte in cui non puoi aspettare per farti la doccia!- Ridacchiò Frank dal sedile davanti, voltandosi definitivamente dietro.
-Vero, ho sudato come non so cosa!- Si annusò mio fratello, in tutta la sua finezza.
Ed io non riuscivo veramente a godermi la serata per via di quel peso che portavo. Tenevo la testa bassa e lo sguardo fisso sul tappetino di plastica della macchina mentre continuavo a girarmi e rigirarmi i pollici. Era troppo. Troppo tutto insieme, ed io non ne potevo più di tenermi tutto dentro nonostante fosse passato solo un giorno. Frank era proprio davanti a me, e con il suo solito sguardo intristito di quando mi vedeva preoccupato per qualcosa di cui non gli avevo parlato, continuava a fissarmi. Mi porse la mano, e non esitai a prenderla con la mia. Intrecciai lei dita con le sue, consapevole che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta.
-Frank, in albergo devo parlarti.- Sussurrai appena, strascicando le parole. Abbassò lo sguardo, e in quel momento riuscì a vedere il preciso secondo in cui gli si aprì il cuore in due: non c'era mai niente di positivo in una frase del genere.
Lo sapevano tutti che preannunciava qualcosa di brutto, e anche Mikey e Ray si voltarono a guardarmi con le sopracciglia aggrottate e chissà quanti pensieri che ronzavano in testa.
Avrei anche potuto risparmiarmi il discorso, esordendo in questo modo: Frank aveva già capito che c'era qualcosa che non andava, in me.


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R.I.P. Momenti felici della storia. LOL. Bene.. non c'è veramente molto da dire. Si ringrazia quella malata della sorella della mia compagna di banco per aver comprato riviste del genere nel suo periodo oscuro ed avermi fatto venire l'idea. :')
E come al solito si ringrazia voi, perché tredici recensioni in due capitoli sono qualcosa che.. wo. °w°
Alla prossima, xMN. <3

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Capitolo 4
*** 4. -insert funny title here- ***


bene Emhh, salve. :3 Innanzittutto questa volta niente canzoni perché non ho sbatta di linkarle, ma dubito che qualcuno le ascoltasse, quindi è ok anche così. <3 Poi.. bhe.. buon San Valentino! (?)
Tornando a noi e.e non ho molto da dire. Avrete capito già da voi.. :c ed io odio le scene tristi, quindi.. boh. *discorsi inconcludenti*
Bhè, vi dico che per scommessa (persa) avrei dovuto mettere una foto di me o in questo o nel prossimo capitolo, ma so che non lo farò perché sono più brutta di un paio di chiappe **
Detto questo.. buona lettura, ci sentiamo alla fine. e.e




4. -insert funny title here-




Chiusi la porta della camera alle mie spalle, sbattendola con noncuranza. Frank era già andato fuori al balcone dopo aver estratto una sigaretta dal pacchetto, successivamente abbandonato sul letto Mi aspettava. Continuai comunque a perdere tempo: minuti, secondi.. non importava, sarebbero stati abbastanza.
Rimasi appoggiato contro la porta, continuando a provare a distrarmi. Guardai l'incisione sulle chiavi della camera..tutto pur di perdere tempo. “Grand Hotel Baglioni”, diceva. Non che mi importasse, a dire il vero.. mi bastava che ci fossero un letto ed una doccia e poi avrei potuto dormire anche in un buco. Le gettai sul letto, stesso trattamento che prima aveva subito il pacchetto di Malboro (tra l'altro mio, ma che importava, ormai condividevamo anche le mutand.. niente) e poi andai incontro al trentenne appoggiato alla ringhiera che, in quel momento, sembrava più indifeso di un bambino.
La vista era da mozzare il fiato. E non mi riferivo solo alla città, a dire il vero. Oltre agli antichissimi edifici e agli enormi palazzi, c'era qualcosa di molto più bello accanto a me. Un po' meno vecchio e maestoso, ma poverino, con il suo metro e sessanta di altezza non lo si poteva paragonare nemmeno all'architrave di uno di quei palazzi che mi si presentavano davanti.
-Ti dispiace se faccio un tiro?- Cercai di rompere il ghiaccio nel più stupido dei modi. Non avevo nemmeno voglia di fumare, ma che altro avrei potuto dirgli? “Ciao, la mia ex moglie è incinta”?
Frank senza nemmeno proferire parola mi passò la sigaretta. La presi fra l'indice ed il medio e poi la portai alle labbra, aspirando un po' per poi sbuffare via il fumo, che lentamente si perse fra il blu del cielo e la fresca brezza. Gliela passai di nuovo, ma la spense. Grazie, davvero d'aiuto.
-Perché mi vuoi lasciare?- Domandò con la voce spezzata, ma suonò quasi come una domanda da niente. Come se in soli venti minuti avesse avuto il tempo di elaborare tutto.
-Non ho detto questo.- Ecco, c'era una sostanziale differenza: io non volevo lasciarlo.. io dovevo lasciarlo. Anzi, ero piuttosto sicuro che mi avrebbe lasciato lui, una volta venuto a conoscenza dei fatti.
-Ah, hai ragione. “Non sei tu, sono io”, “Ho bisogno dei miei spazi”, “Ti sento distante”..- Frank fece una pausa dopo aver elencato tutte le scuse più stereotipate che si usano quando si lascia qualcuno solo perché si ha voglia di darsi alla cosiddetta “pazza gioia” e poi continuò. -Quale di queste?-
-Nessuna.- Mi avvicinai un po' a lui, quel poco che bastava per far sì che almeno le mani si sfiorassero.
-L'ho sempre detto che sei un tipo fantasioso, Way.- Trasse la mano come se fossimo due completi sconosciuti. Sentì una fitta al cuore che non riuscì veramente a spiegare; quel contatto erano secoli che non mi veniva negato. Mi bastava cercare la sua mano per trovarla e tenerla stretta nella mia. Feci un sorrisetto amaro pensando al fatto che il litigio non era nemmeno iniziato e già mi chiamava per cognome.
-”Way”..- Scossi il capo.
-Sì, ti chiami così, no?- Sembrava quasi che mi volesse sputare quelle parole addosso. Era acido, freddo, distaccato. Non era Frank, questo lo sapevo per certo.
-No. Io mi chiamo Gerard.- Sbuffai, voltandomi a guardarlo in modo tale da interrompere quella ridicola situazione in cui nemmeno ci guardavamo in faccia. -E tu mi chiami Gee, a volte “piccolo”.- Abbassò il capo per nascondersi. Ridicolo a dirsi, ma era quasi come uno struzzo: quando aveva paura, si nascondeva. Con il dorso della mano gli alzai lentamente il volto, così da “obbligarlo” a guardarmi. -E tu mi ami. Molto, anche. Lo dici spesso.- Gli arrivai dritto al cuore. Era proprio quello il punto.
-Anche tu lo dici spesso, eppure ora mi stai lasciando..- Singhiozzò un po' e poi si lasciò alle lacrime. Faceva male. Faceva male da pazzi. Insomma, io.. non avrei mai pensato di doverlo fare. Non avrei mai pensato di vederlo di nuovo in lacrime per causa mia. Non avrei mai pensato che mi sarebbe potuto mancare qualcuno ancora prima di perderlo, né tanto meno che mi sarei trovarmi di nuovo a distruggere la cosa più bella che fosse mai stata mia.
-Sarò papà. Lindsey è incinta.- Nonostante fossi suonato abbastanza convincente, scosse il capo.
-Sai, è uno scherzo di pessimo gusto.- Tornò dentro, si tolse le scarpe aiutandosi con i piedi e si sedette a letto.. come se niente fosse successo.
-Peccato che non sia uno scherzo.- Forse si aspettava che scoppiassi a ridere, ma la mia risposta fu come la conferma di quello a cui cercava di non pensare, sperando fosse uno scherzo nonostante sapesse che non lo era. Frank continuò a piangere a testa bassa, forse per non farsi notare.. pur non capendo che ormai lo conoscevo troppo bene. Mi avvicinai e feci la stessa cosa, rimanendo immobile, paralizzato un po' dall'indecisione, un po' dalla paura della sua reazione. Nonostante tutto decisi di abbracciarlo. Mi spinse via, alzandosi. Fece per aprire la porta, ma non volevo che finisse così.
-Ero ubriaco. Non l'ho fatto perché volevo, l'ho fatto perché.. non ero in me.- Mi stupì della tranquillità con cui riuscivo a parlare e lo raggiunsi: non volevo che se ne andasse. Non se ne poteva andare. Non poteva e non doveva, stop.
-Non ti voglio mai, mai, mai più vedere.- Aveva la voce spezzata e tremolante, e senza aggiungere nient'altro, se ne andò.
Wow.


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Quando Frank se ne andò non riuscì a fare nient'altro che chiamare mio fratello. Rimasi lì immobile per almeno qualche minuto prima di riuscire a prendere il telefono e comporre il numero, pur sapendo che era nell'altra stanza e l'avrei potuto raggiungere comodamente in due secondi. Mi raggiunse in ancor meno tempo del previsto e quando entrò dalla porta gli fu chiaro che c'era qualcosa che non andava.. proprio come nei suoi presentimenti.
Sintetizzai al massimo la situazione nella speranza che non mi interrompesse durante il discorso, e, una volta finito, reagì proprio come immaginavo..
-Non ci posso credere, sul serio. E poi tu vieni a fare quel genere di discorsi a me..- Mikey era visibilmente shoccato, sia perché alla festa c'era anche lui, sia perché era qualche secolo che non mi vedeva piangere. Mi passò un fazzoletto, e con esso provai ad asciugarmi almeno un po' gli occhi e le guance. Nonostante fosse arrabbiato, mi abbracciò, ed è da questi momenti che mi rendo conto che è il fratello migliore che si possa desiderare. Profumava di bagnoschiuma da albergo ed era caldo come al solito.
-Andrà tutto bene..- Cercò di rassicurarmi, sfregando una mano sulla mia schiena su e giù. Dall'espressione che fece, forse si rese conto di aver detto una stronzata: cosa sarebbe andato bene, oggettivamente?
-No, Michael, niente andrà bene.- Posi particolare enfasi sul suo nome completo. Non lo usavo mai, se non quando parlavamo di cose importanti.. e non volevo che sottovalutasse quello che stava succedendo come una “semplice crisi”. Volevo solo che qualcuno mi prendesse sul serio e mi dicesse che, anche se avevo fatto schifo, mi voleva bene.
-Bhè, ma è tutta colpa tua.- Puntualmente, mise in evidenza per l'ennesima volta che ero una merda.
-Oh, grazie mille per aver sottolineato l'ovvio.- Sciolsi l'abbraccio, cominciando a sentire seriamente il bisogno di una sigaretta, un po' d'aria fresca e la città tutta per me. -Io me ne vado, non ne posso più di quattro mura.- Sbuffai, alzandomi nonostante sentissi le ginocchia assurdamente deboli.
-Prima che tu faccia la tua uscita di scena da fighetta..- Fece una breve pausa, rendendosi conto che forse non era proprio il caso di continuare a ferirmi. -Sai dov'è finito Frank?- Abbassò la voce di qualche tono, sperando forse che non lo sentissi. Eppure sobbalzai, sentendo anche troppo bene.
-No. Non lo so. Ma tornerà, ovunque sia.- Mi mostrai più sicuro di quanto non fossi veramente e poi aprì la porta. Mi fermai per un secondo sull'uscio, ricordandomi di Ray che non sapeva niente. -Con Ray.. ci.. ci parli tu?- Esitai un po' perché non mi andava di fare scaricabarile, cosa che, purtroppo, in quel momento era inevitabile: non sarei riuscito a raccontare di nuovo la storia.
-Sì, tranquillo.- Annuì, facendomi un cenno con la mano quando vide che ero veramente intenzionato ad andare. -Non fare niente di stupido.- Mi raccomandò, restando in camera mia senza nessun apparente motivo mentre sbattevo la porta alle mie spalle. Solo in quel momento cominciai a considerare l'opzione che forse Frank non sarebbe davvero tornato. Cominciai a pensare che forse, oltre che me, avrebbe lasciato la band e non l'avrei mai più rivisto. Scene di provini per un nuovo secondo chitarrista presero a passarmi per la mente, insieme a spezzoni di un tour senza di lui ed una serata con i ragazzi insieme ad un perfetto sconosciuto. Mi diedi un ceffone in testa, sperando di riuscire a fermare quel momento di puro masochismo, ma purtroppo, non era così facile come sembrava..
L'hotel era deserto. L'unico rumore era quello dei miei passi e, di tanto in tanto, qualcuno che russava o qualche coppia che.. umh. Bhè, sì. Riuscì a malapena a trattenere l'istinto di fumare qualcosa come un'intera tabaccheria ancora prima di uscire dall'albergo, e, non appena fui fuori, mi sentì come uno appena evaso di galera. Presi a fumare come un turco, girando per il piazzale che c'era lì fuori, senza però muovermi più di tanto così da evitare il rischio di perdermi in una città deserta e sconosciuta. Continuavo a ripetermi “Vallo a cercare”, “Tra un po' torna”, “Sei un deficiente” e cose del genere, pur consapevole di quanto fosse controproducente. Non smisi di sperare nemmeno per un secondo di girare l'angolo e trovarlo lì. Continuai a sbuffare via il grigio fumo finché la sigaretta non finì in meno di un minuto (ding-ding, è un nuovo record), e in quel momento mi resi conto di quanto, in realtà, avevo solo voglia di tornare di sopra a dormire. Proprio mentre stavo per esaudire il desiderio di quell'incessante vocina che mi ripeteva di chiudere gli occhi e sprofondare in un letto fino al mattino dopo (o per sempre), suonò quel maledetto telefono. Cominciai seriamente a chiedermi perché mi ostinavo a portarlo con me anche nei momenti in cui avrei voluto parlare solo con una persona che puntualmente era proprio quella che non mi avrebbe mai chiamato, ma risposi ugualmente senza fare troppo caso al numero sul display.
-Oh, buonasera Gerard.- La sua voce femminile trillò dal mio capo del telefono, e mi fulminò come non so cosa.
-Sì, ciao.- Cercai di non sembrare uno che aveva appena pianto per ore e mantenni un tono fermo e deciso del quale, fortunatamente, il fatto che non stessimo parlando dal vivo, riusciva ad essere complice.
-Tuo fratello mi ha detto tutto.- Riuscivo a sentire che sorrideva pur non vedendola. -Bravo ragazzo.- Si complimentò con una voce che era più adatta ad un cane che aveva appena dato la zampa che ad un uomo.
-Sappi che se l'ho fatto, l'ho fatto per essere leale con lui, non per fare un favore a te.- La avvertì con freddezza, così da smontare un po' il suo atteggiamento di superiorità.
-Oh, il tenerissimo Gerard Way che parla di lealtà quando non ci pensa due volte a mettere incinta la sua ex moglie. A rendere ancora più coerente questo quadretto ci mancherebbe solo un bell'unicorno rosa fatto di zucchero caramellato.- Avvertivo “giusto un po'” di sarcasmo nella sua voce e la sua solita alta considerazione di sé che, a quanto pareva, non ero riuscito ad abbassare. -Lo sapevi che domani arrivano Alicia e Christa, vero?- Rimasi un po' spiazzato da quella domanda, perché sì, lo sapevo, ma non capivo fino a che punto potesse importarmi (e importarle).
-Sì, perché?- Domandai, sempre senza sbilanciarmi.
-No, perché, bhè.. ci sono anche io.- Replicò con una tranquillità che non sapevo dire veramente quanto le appartenesse, e poi continuò. -Loro volevano fare un giro per la città, e magari sarebbe il momento di rivederci seriamente.. considera che avremmo un bambino insieme, sai com'è.-
Io l'avevo sempre detto che era strana: passava dall'insultarmi dall'evidente chiedermi di uscire con lei. Certo, non sarebbe stato un tipo di uscita tanto finalizzata al riavvicinarci quanto al cominciare a sopportarci, che, in quel momento, era il minimo.
-E va bene, qualsiasi cosa.- Mi strinsi nelle spalle, sospirando, così da farle notare che era un evidente sacrificio.
-Bene. Perfetto, direi.- La sua voce si alzò di almeno un tono, per quanto volesse mascherarlo. -Bhè, ti diranno loro due i dettagli. A presto.- Attaccò il telefono senza nemmeno salutarmi. Bhè, sì, a presto.. purtroppo.



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Fingevamo di fare i turisti per le strade di Venezia dall'inizio della mattinata. Dopo aver visitato dozzine di monumenti dei quali forse non importava veramente a nessuno dei presenti, esserci “goduti” lo spettacolo di Mikey che si provava costumi da donna, dopo aver patito il caldo per ore e ore, dopo essere scampati ad un incidente d'auto di due italiani che continuavano ad urlarsi parole in quella cazzo di lingua assurda addosso, raggiungemmo quelle che parevano essere le “Bancarelle di San Lorenzo”. Ognuno camminava affiancato dalla dolce metà (che nel mio caso, tanto dolce non era) e sembrava letteralmente di essere tornati al ballo del liceo.

Gli imponenti palazzi ed i rinomati negozi pian piano lasciarono il posto ad uno scenario tutto nuovo: file e file di bancarelle si susseguivano, stracolme di souvenir e gingilli inutili che non di riuscirebbe a convincere nemmeno il più stupido dei turisti a comprare. Mi guardavo a malapena intorno, troppo preso da quello che avevo avanti. Frank era tornato quella mattina, e, in un certo senso, era stato leale alla sua promessa: non mi aveva rivolto la parola per quanto lo avessi salutato più volte, troppo preso dalla mia fervida speranza che, molto più semplicemente, non mi avesse sentito. Non sembrava nemmeno abbattuto, ma sapevo che in realtà voleva solo fare il tipo “tosto”. Era proprio per questo che se ne stava lì a parlare a telefono, dandomi le spalle e camminando tranquillamente come se niente fosse. Idiota.
-Non ti sei goduto nemmeno un minuto della giornata.- Intervenne Newton coi codini accanto a me. Ci mancava solo la folla ad applaudire la sua portentosa scoperta.
-Ma va'.- Sbuffai, e senza nemmeno guardarla le risposi. Nonostante tutto, riuscì a vedere che sembrava irritata.
-Vedi, lui è felice anche senza te.- Non ci fu veramente bisogno che facesse nomi: sapevamo entrambi di chi si trattava. Le avrei volentieri tirato in testa la miniatura che c'era appena alla mia destra del Maschio Angelino (o come diamine si chiamava), ma decisi di evitare solo perché era una donna. Si mise sfacciatamente a braccetto con me, così come le altre due coppie dietro di noi avevano già fatto da un pezzo.
-Bhè, sono contento per lui.- Bhè, no. Non ero suonato convincente. Sbuffai, annuendo fra me e me.
-No, non lo sei.- Si guardò intorno, constatando l'ovvio per la seconda volta in pochi secondi. Aveva una capacità a dir poco sorprendente di metterti davanti a quello che pensi ed in realtà vorresti dimenticare. Che essere umano insopportabile. -Dovresti farlo ingelosire.- Continuò, sempre sullo stesso tono da complotto nazionale. Ma ahimè, sentì troppo forte il richiamo di quella proposta: l'idea di farlo tornare la ragazzetta gelosa che era l'anno prima mi suonava anche troppo allettante.. e avevo tutti i mezzi per poter far diventare quella semplice idea una realtà.
-Ti ascolto.- Sempre monotono, risposi. Come se non avessi già capito la sua idea, poi..
-Bhè, è piuttosto elementare..- Esordì, tono superiore e sguardo fisso su di me. -Ma potremmo fare uno schemino anche per i più piccini.- Mi sorrise acida, indicandosi vagamente.
-Il più piccino ha afferrato.- Sbuffai, dando un veloce sguardo a Frank. Con la sicurezza che mi stesse guardando, mi avvicinai controvoglia a Lindsey. A giudicare da tutto quel profumo sembrava che avesse fatto il bagno nello Chanel, ed era così tanto che quasi stordiva. Mi fermai per un secondo e le cinsi la vita con le braccia, proprio per fare le cose per bene. Sotto gli occhi un po' shoccati di mio fratello, un po' confusi di Ray e non mi esprimo su quelli di Frank, poggiai le labbra sulle sue. E non c'era una sola cosa che andasse a posto, seriamente: aveva le labbra troppo carnose, la faccia troppo liscia, troppo rossetto, troppo tutto. Mi sorrise, ed io cercai almeno un minimo di non essere sul punto di farmi venire una crisi di nervi. Si avvicinò pian piano e poi mi sussurrò all'orecchio..
-Se prima rideva a telefono con una, guardalo adesso..- Sorrise di nuovo, ma questa volta era più malefica che altro.
Ed io continuavo a chiedermi come potevo essere così schifoso da volergli fare del male giusto per un po' di gratificazione personale.




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Bene, here we are. ç_ç Sinceramente mi sono anche un po' divertita a fare la Lindsey sadica, MWHAHAWHAJDHFRE. PERò NO. Ecco.
Recensite, ballate la salsa, fate quello che volete. <3
L'ov infinito, xMN. <33<<3<3<3<3<3

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Capitolo 5
*** 6. the Gerard's horror picture show. ***


ASDFGHJIOIUYTR Bene, allora.. SSALVE! <3
questo è un po' il capitolo che mi sono dovuta un po' tirare così, ma uno di quelli c'è in ogni storia, perciò.. perdonatemelo (?)
Ci sentiamo sotto che non mi va di fare spoiler u.u (1, 2, 3, 4.)



6.
the Gerard's horror picture show.





Dormivo. O meglio, avevo gli occhi chiusi e provavo a dormire, “cullato” dai sobbalzi del tour bus guidato da un incompetente autista italiano che non capiva nemmeno quando un cartello stradale indicava di rallentare quasi quanto non ci capiva quando parlavamo. Occupavo pigramente metà divano, raggomitolato su me stesso così da dare la possibilità almeno a uno dei ragazzi di sedersi e cercavo con tutte le mie forze di trattenere l'istinto di buttarmi fuori dal finestrino e fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

-Umh, ragazzi, giusto per informarvi, ma c'è un problema col motore..- Disse con tono insensatamente pacato Ray, mentre l'autobus si fermava lentamente al lato della strada.
-Oh, fantastico. Almeno siamo in un cazzo posto civilizzato e possiamo chiamare un maledetto meccanico.- Constatò sarcasticamente Frank, guardando la campagna nella quale ci eravamo fermati. I ragazzi ridacchiarono, e sarei scoppiato a ridere forse non tanto per la “battuta” di Frank, ma più per il fatto che mentre loro si spanciavano, il povero autista era lì a guardarli con aria perplessa senza capire una parola.
-Dovremmo dirglielo o lo lasciamo dormire?- Domandò Mikey non appena le risate sfumarono, convinto che non avessi sentito niente. E forse mi piaceva che andasse così.. era come avere il mantello dell'invisibilità di Harry fottuto Potter.
-Nah, se non lo svegliamo dopo comincia con la scenata..- Sbuffò Frank, che si venne a sedere su quel mezzo posto che era rimasto libero.. manco avessi la lebbra. Probabilmente stava studiando la tattica migliore per “svegliarmi” senza scatenare la mia furia. Ovviamente non gli venne in mente niente di meglio di punzecchiarmi i fianchi. -Gerard, il motore è andato a puttane. Siamo bloccati nel bel mezzo di una campagna..- Si avvicinò un po' al mio orecchio, probabilmente convinto che ci fosse bisogno di qualche altra incitazione per farmi finalmente aprire gli occhi. Ovviamente, non essendomi mai addormentato, non ne ebbi bisogno. Finsi uno sbadiglio.
-Perfetto.- Mi stropicciai gli occhi che si erano comunque abituati un po' troppo al buio e mi sedetti mentre Frank indietreggiava pian piano. -Io me ne vado!- Lo dissi come se fosse una cosa normale e mi alzai dal divano, sentendo le gambe completamente intorpidite.
-In che senso?- Argutamente intervenne Mikey, che ovviamente non riusciva a capire il senso di una frase di quattro parole. Si alzò quando vide che raggiunsi l'uscita e mi fermò per il braccio. Mi voltai a guardarlo.
-In che senso potrei andarmene? Vedo di fare qualcosa, di certo non arrivo a Roma a piedi.- Scossi il capo sbuffando e, quando mi trovai fuori, mi venne una strana voglia di fumare.
Presi una sigaretta dal pacchetto di Marlboro che avevo nella tasca della giacca e, nonostante il vento, cercai di accenderla. Non era proprio una bella giornata: il cielo era nuvoloso ma non aveva quel classico presagio di pioggia. C'era un po' di vento, ma comunque si stava bene. Avvicinai alle labbra il filtro e aspirai pigramente. Cominciai a guardandomi intorno fra un tiro e l'altro, e mi resi conto che l'unico alloggio in chilometri era una casetta, probabilmente di un contadino. Faceva tutto così fottutamente “Rocky Horror Picture Show” che non poteva essere vero. Io facevo Brad, Frank faceva Janet. Ray volendo poteva fare Magenta (avremmo risparmiato tanto sul parrucco) e Mikey Riff-Raff. E volendo avrei potuto arrangiare una bella versione di Frank N Furter con tutti quei vestiti in pelle e l'eyeliner che mi trovavo.
Dio, ma eravamo proprio sicuri che quella fosse solo una sigaretta? La guardai mentre la tenevo fra le dita, e, quando mi resi conto che senza farci caso l'avevo già finita, la gettai via.
Ecco, ora era il tipico momento in cui tutti si aspettavano che facessi una cazzata. Forse perché ero oggettivamente un cazzone.. e potevo mai deluderli? Un po' terrorizzato dalle mucche che mi guardavano minacciose dal loro recinto, presi correre fra tutta quell'erba di una strana tonalità di verde. E ridevo come uno che, più che correre nell'erba, l'erba se l'era appena fumata. Quando mi voltai di nuovo verso la direzione da cui provenivo, notai che mi ero avvicinato pericolosamente alla casetta rossa, mi ero allontanato un sacco dal bus e avevano mandato la carissima Janet a cercarmi.
-Gerard!- Urlò da metà del campo, stoppandosi solo un secondo per evitare l'infarto a ventinove anni. -Fermati, per l'amor di Dio, Budda, un Teletubbie, chi stracazzo ti pare!- Ancora affannato dalla corsa che stava facendo per raggiungermi, continuò. “Per l'amor di un Teletubbie”.
-Janet, carissima!- Urlai anche io ancora prima che potesse raggiungermi, continuando a ridacchiare fra me e me per qualcosa che (per fortuna) non avrebbe mai capito.
-Eh?- Mi raggiunse, si fermò accanto a me poggiandomi la mano sulla spalla e prese fiato.
-Non importa.- Non volevo preoccuparlo troppo, e, effettivamente, se l'avessi raccontato a qualcuno sarebbero andati alla ricerca della camicia di forza e mi avrebbero rinchiuso in un manicomio. O nella fattoria degli orrori. -Ti sei divertito, no?- Continuai dopo qualche secondo di silenzio.
-No, cazzo. Che diavolo hai in testa?- I suoi respiri affannati erano pian piano tornati normali, segno che era di nuovo pronto per qualche cazzata. O meglio, io lo ero.
-Assolutamente niente!- Gli sorrisi, stringendomi nelle spalle.
-Oh, bhè, me n'ero accorto.- Mi sorrise di riflesso, non tanto divertito quanto contento di non essere crepato. Guardò il paesaggio quasi desolato in cui ci trovavamo e quando si rese conto che ci trovavamo proprio nel mezzo di esso, tornò a guardarmi con gli occhi un po' vuoti. -Mi ricorda quel film che abbiamo visto con Mikey tempo fa..- Aggrottò le sopracciglia, mentre io scoppiai a ridere anche solo per la remota possibilità che stessimo pensando alla stessa pellicola.
-Che film?- Domandai speranzoso, così almeno avrei potuto cominciare a prenderlo un po' per il culo per il ruolo che la selezione naturale gli aveva assegnato.
-”Non aprite quella porta”. Quello dei ragazzi che fanno un incidente in Texas e poi si trovano ad essere macellati da una famiglia di carnivori.- Lanciò uno sguardo perplesso alla fattoria, mentre io, semplicemente, mi diedi un colpetto frustrato sulla fronte con il palmo della mano, celando comunque un sorriso per il suo lato infantile che tornava a galla.
-Ti caghi ancora sotto.- Mi ricordai immediatamente di quella sera: ci trovammo per caso a guardare il canale delle televendite francesi, e, quando ci rendemmo conto che avevamo toccato il fondo, facemmo partire uno degli unici dvd che fossero in inglese. Frank aveva ragione, in effetti.. era stato un bel po' di tempo fa, ma non importava: rimase così scosso dal fatto che il mese dopo saremmo andati proprio in Texas che quel giorno quasi tremava. E per la gioia di tutti, cominciò la serie di battute. 'Dah, ma era così tenero quando era spaventato. Lo gettai letteralmente a terra senza far troppo caso ai bovini che muggivano lì di lato né alla pietra sulla quale, con tutta probabilità, lo avevo accidentalmente scagliato. Lo guardai dall'altro in quella sua espressione contrariata, ma incurante, mi stesi letteralmente su di lui che invece di incazzarsi ancora di più, mi sorrise. Stava per aprire appena la bocca dopo un minuto interminabile di silenzio in cui eravamo semplicemente rimasti a guardarci, ma non mi andava che cominciasse con lo sproloquio.
-Sssh!- Lo interruppi stringendolo a me con forza. -Se fossi ancora in vena di cazzate, ti scoperei qui.- Ecco, avevo voglia di tornare lo stesso idiota che ero prima che ci mettessimo insieme. Non per sempre, ovvio.. odiavo il vecchio me, ma ogni tanto non faceva male a nessuno. Frank arrossì, ed era proprio quello che intendevo. Mi mancava vedergli le guance completamente rosse e metterlo quel poco che bastava in imbarazzo. Mi mancava farlo ingelosire. Mi mancava, in un certo senso, anche quando diceva di odiarmi e due minuti dopo piangeva fra le mie braccia. E non sapevo come sentirmi riguardo ad una cosa del genere.. insomma, mi mancava vederlo triste?
-Ma se io non vol..- Stava per obbiettare, ma lo interruppi con un bacio anche un po' troppo passionale per la situazione. Pian piano spostai le labbra giù sul suo collo, fermandomi definitivamente per guardare la sua espressione in quel momento.
-Tanto non potrei farlo comunque.- Sorrisi, voltandomi a guardare il recinto alla nostra destra che era già di per sé una sufficiente motivazione.
-Se traumatizzi una mucca fa il latte acido.- Sorrise anche lui, abbassando lo sguardo e scuotendo il capo. Ah, Frank e le sue conoscenze contadine.. il college doveva averlo reso davvero intelligente, davvero.
-Oh, sarebbe una cosa spregevole mandare a monte il guadagno dell'intero villaggio.- Sgranai gli occhi per mantenere un tono ironico, cercando di trattenere le fottute risate per far durare il più a lungo possibile quel momento.
-Ci rincorrerebbero fino in New Jersey con le torce ed i forconi.-
-Ed i picconi, Frank. Non dimenticarti i picconi.- E non riuscì a trattenermi più. Scoppiai a ridere insieme a Frank, e involontariamente rotolai, finendo anche io completamente disteso sul verde, proprio alla sua sinistra. Quando ci calmammo da tutti quei ghigni, prendemmo un respiro profondo e rimanemmo in silenzio per un po'.
-Che brutti stereotipi ci hanno incuccato?- Poggiai la guancia sulla gelida erba, così da riuscire a guardarlo. Fece la stessa cosa.
-Non ne ho la minima idea..- Mi fece un sorrisone, ma più che divertito, era quello di una mamma fiera. E credetemi, celava molto più di quanto riuscisse a comunicare.
-Guardami negli occhi.- Sussurrai e mi morsi il labbro inferiore, ribaltando radicalmente l'atmosfera. Frank obbedì come un cagnolino, e quando fui sicuro di avere la sua attenzione, cominciai col discorso serio. -Ora.. in tutta sincerità, ti sembra davvero che ci siamo lasciati?-
Fece un respiro profondo e subito gli si fecero gli occhi lucidi. -No, Frank, cazzo, non piangere.- Gli presi la mano, ma lui la scostò e si alzò di scatto.
-No, Gerard.. hai.. hai ragione tu. Forse dovrei diventare più maturo anche io.- Annuì fra sé e sé, stringendosi le braccia al petto. Cominciava a tirare vento, sì.. e il cielo cominciava a scurirsi. -Ci vediamo, eh.- Mi fece un sorriso finto e amaro e poi si voltò, andandosene.
Ed io riuscì solo ad osservarlo mentre scappava via da me e da tutto quello che avevo fatto.. forse per l'ultima volta.




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L'aria era fredda e pungeva incessantemente le guance. Forse avrei dovuto cominciare a capire che la sera faceva fottutamente più freddo che a mezzogiorno, ma ora non era proprio il caso di farmi altri problemi. Ray stava lì impalato davanti a me da ormai un quarto d'ora senza nemmeno proferire parola, e sinceramente la situazione si faceva quasi preoccupante. Esordì io con i saluti e, dopo di qesto, passò subito al discorso serio senza farsi troppi problemi di delicatezza o di tatto.
-Quindi.. lo odi sul serio?- Mi domandò Ray, accomodandosi sul muretto dove ero seduto. Non gli risposi, ma imperterrito, continuò. -Guarda che.. è tuo fratello. Cioè, non l'ha fatto con cattiveria..- Sembrava quasi la giornata “Prendiamomi-per-il-culo”. Accavallai le gambe, sbuffando per fargli capire quanto, in effetti, poco mi interessasse delle scuse di uno che non c'entrava niente.
-Sì, lo odio sul serio. E poteva anche venire a scusarsi, insomma.. non c'è bisogno che venga tu a prenderti la sfuriata quando non c'entri.- Scossi il capo, tornando a guardare il monumento di fronte a noi. “Colosseo”, lo chiamavano. Ecco, erano più o meno queste le cose che mi facevano sentire insignificante. Piccolo come un fottuto insetto. Insomma, miliardi di anni fa sapevano già fare costruzioni del genere e noi stavamo ancora qui ad ammirarle. E forse la cosa shoccante non era il fatto che la gente andasse a vederle, ma il fatto che fossero ancora lì.
-Lei è davvero molto, molto, molto innamorata di te.- Cambiò discorso all'improvviso. Ed entrambi sapevamo chi intendeva con “lei”. Toccò un tasto dolente perché io effettivamente me l'aspettavo. Certo, non fino a questi livelli, però.. se mi avesse odiato davvero non si sarebbe comportata come si stava comportando.
-Lo so.- Constatai, lo sguardo ancora perso e danzante fra le varie insenature dell'edificio.
-E non.. non ti interessa?- Spostò anche lui lo sguardo.. ecco, ormai avevamo anche superato il punto in cui ci si riesce a guardare in faccia.
-Mi interessa, ma al momento non mi sembra la vittima. Nel senso.. sta avendo tutto quello che vuole, no? Forse è l'unica che ne esce vincente da tutto questo. Insieme alla rossa.- Mi alzai quando mi resi conto che mi si stavano facendo le chiappe quadrate e mi allontanai di poco mentre lui faceva la stessa cosa.
-Sì, ma..- Scosse il capo, forse elaborando una risposta sensata, forse un po' colpito dal fatto che avessi davvero detto una cosa del genere. -Domani ci raggiunge.. tu.. tu non potrai più comportarti come avete fatto ieri, come avete fatto oggi, insomma.. come fate sempre, capisci?- Abbassai lo sguardo, capendo subito perché ci avevano lanciato quelle occhiatacce quando eravamo rientrati.
-Stai tranquillo, Sherlock, è finito tutto. Sul serio.- Finsi un sorriso e annuì, cercando di rassicurarlo un minimo. Ecco, non che gli importasse qualcosa sul piano personale, ma forse aveva pensato, come me, a quello che la situazione poteva portare.
Se io e Frank avessimo litigato ancora più pesantemente sarebbe stata la fine della band. O per lo meno la fine della band come la conoscevamo noi..
Se avessi litigato con Mikey più o meno sarebbe stata la stessa cosa, ma forse lui se lo sentiva che alla fine sarebbe stato tutto normale con lui. Perché era vero. Era mio fratello e non riuscivo ad odiarlo, per quanto, in certi momenti, se lo sarebbe meritato. Così come, non nego, a volte me lo sarei meritato anche io.
Se Lindsey avesse scoperto che in realtà, senza troppi problemi, continuavamo a trattarci come due fidanzati, forse non avrei mai conosciuto mio figlio.. o mia figlia.
E quindi non c'era un vero modo in cui la situazione potesse risolversi, se non con un sacrificio da parte di quasi tutti. E ora capivo perché ai ragazzi importava così tanto che facessi(mo) la cosa giusta..
Forse fu solo quello il momento in cui mi resi conto che non sarei mai e poi mai potuto tornare quello di prima, come volevo provare a fare oggi.
Quando provi certe cose poi non torni indietro. Nel senso.. io non avrei mai barattato quello strano groppo allo stomaco quando litigavamo per tornare freddo come prima. Perché insomma, parlando chiaro.. persino star male per qualcuno è meglio che guardar qualcuno star male. Specialmente se quel qualcuno non è “qualcuno”, ma l'unica persona che non vorresti mai far soffrire. L'unica persona che non vorresti mai veder triste per colpa tua.
Non avrei mai dato via quelle sue strane fossette e quel sorrisetto curvo che faceva quando gli facevo un complimento o gli dicevo qualcosa di anche solo vagamente tenero. Perché lui era così, ammettiamolo. Era sensibile come una ragazzine nel corpo di un uomo.
E forse, parlando chiaro, non avrei mai abbandonato lui e basta. Per nessuno. Quei sorrisi, quel suo imbarazzarsi per ogni cosa e anche quella sua espressione di quando mi mandava a quel paese e mi diceva che mi odiava. E sì, forse mi mancava tanto. Un po' troppo, considerando che lo avevo visto appena un'ora prima.
-Io torno in albergo, ho freddo. Ci sentiamo sta sera.- Gli feci un sorriso, sperando di essere più convincente di prima. Li arricciò le labbra come ad indicarmi che c'era un problema e la sua voce squillante fermò la mia camminata verso il De Russie.
-Ehi, Gerard..- Si sbracciò, scendendo anche lui dal muretto. -Noi sta sera avevamo pensato di andare al bowling.. o qualcosa del genere, insomma.. cazzeggiare un po' finché domani non arrivano le ragazze, no?- Gesticolò un pochino. Già, come se ci fosse qualcosa di strano nella sua relazione.  Scossi semplicemente il capo perché no, non avrei sopportato una serata a far finta di non volermi letteralmente ammazzare.
-No, non mi sento troppo bene..- Mi strinsi nelle spalle. Oh, complimenti Gerard. E' una scusa ancora più credibile di quella del dentista. -Penso che per sta sera rimarrò in albergo..- Abbassai il capo, sospirando nonostante non mi potesse sentire. Notai subito la sua espressione un po' dispiaciuta e feci una piccola smorfia, così da fargli almeno pensare che mi sarebbe piaciuto.
-Sarà la prossima volta!- Mi fece un cenno di saluto con la mano e si avviò dall'altro lato, probabilmente dove aveva appuntamento con i ragazzi.




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Dopo più o meno un'ora a torturarmi con vecchie foto e video dal telefono, mi pentì della mia decisione. Forse avrei preferito almeno provare a divertirmi, piuttosto che rimanere lì come un depresso del cazzo, steso a letto senza far bene a nessuno. Ormai era un po' che le mie serate passavano così, anche se non sapevo fino a che punto potesse essere una cosa positiva, perché nonostante non scocciassi nessuno con le mie scenate, mi resi conto che non potevo tirare così a lungo. Proprio in quel momento sentì le loro risate avvicinarsi sempre di più, distinta fra tutte quella di Ray, che poverino, aveva un tono di voce che era fra lo “squillante” ed il “checca isterica”.
Bussarono alla porta di camera mia senza una fottuta ragione, ma aprì lo stesso, proprio perché se avessi finto di dormire, dopo un po' mi sarebbe tornato in mente lo stesso discorso che mi ero ripetuto per tutta la serata. Mi alzai lentamente. Le ginocchia mi tremavano un po' come ogni volta che mi alzavo di scatto dopo essere stato steso per troppo tempo. Girai il pomello dell'entrata e cercai di fare una faccia da malato.  Salutarono tutti in contemporanea non appena me li trovai davanti. Sospirai, rendendomi conto che forse ero davvero un po' stanco.
-Sì, ciao ragazzi..- Mi voltai, intendendo con un gesto della mano che avrebbero potuto accomodarsi. Tornai di nuovo a letto e mi stesi a pancia in giù, affondando la testa nel cuscino.
-Wo, Gerard, ti senti meglio?- Domandò Mikey nonostante fosse evidente dalla mia scenata che stavo di merda. Forse non fisicamente come volevo far vedere, ma più mentalmente.
-No.- Sbuffai, quasi sospirandolo al cuscino. Mi sentirono comunque, e proprio in quel momento la sua voce interruppe l'apparente silenzio.  
-Che hai?- Domandò con un certo tono distaccato. Forse non era distaccato, ma era diverso da quello al quale ero abituato io. Si avvicinò un po' e si sedette sul bordo del letto, così come mio fratello di sedette sulla poltrona con le gambe accavallate e Ray si appoggiò al muro, chiudendo la porta alle sue spalle.
-Mi gira la testa.- Tagliai corto: non avevo troppa voglia di parlare e dovevo ancora abituarmi a quella che sarebbe stata la situazione per molto, molto, molto tempo.
-Oh, allora è stato meglio così..- Sospirò Mikey, arricciando le labbra. Mi girai, siccome fra polmoni schiacciati contro il materasso e faccia affondata nella federa non riuscivo nemmeno a respirare.
-Già..- Frank abbassò lo sguardo e lo lasciò perdere sull'”interessantissima” trama della moquette.
-E com'è andata a voi la serata, mh?- Domandai con tono veramente poco interessato. Non perché non mi interessasse, ma perché effettivamente era quella l'impressione che volevo dare. Non volevo far vedere a tutti che mi ero pentito, ecco.
-Frank ci ha stracciati.- Ray constatò, sorridendo e annuendo fra sé e sé mentre i ragazzi ridacchiavano, forse pensando a qualche momento divertente.
-E' un nano malefico.- Andò avanti mio fratello, suscitando anche le risate del povero Umpa-Lumpa chiamato in causa.
-Bhè, dai, il bowling è uno degli unici sport in cui non serve essere alti.. lasciatemi godere un momento di gloria!- Si strinse nelle spalle, sorridendo e alzandosi dal letto. Il mio senso da battuta pessima squillava più forte che mai, e non sapevo per quanto sarei riuscito a trattenerlo.
-Oh, già, Frank è il re delle palle.- Cercai di non ridere, forse per non far notare ai ragazzi che il doppiosenso era intenzionale. Mikey, che aveva il mio stesso gusto in fatto di robaccia, cadde letteralmente a terra dal ridere. Ray lo seguì a ruota, forse un po' più controllato, ma pur sempre divertito.
-Cazzo, io..- Continuò ad affannarsi mio fratello fra una risata e l'altra, strappandomi un sorriso. -Io ti amo, merda!- Non appena sembrava essersi ripreso, ricominciò peggio di prima. Frank sorrise appena.. forse non si era offeso per una volta, e per assicurarmene gli feci cenno di avvicinarmi mentre i ragazzi erano presi dalle loro crisi epilettiche.
-Ehi, spero che non te la sia preso..- Sussurrai.
-No, macché.. sono contento che non sia finita con un litigio, fra noi.- Mi sorrise, ma era evidente che il suo sorriso non era quello che piaceva a me. Era finto. Finto come tutti quelli che quel giorno avevo rivolto.
-Domani mi hanno detto che arriva Emily..- Sospirai, cercando di distogliere il mio sguardo dal suo.
-Già, arriva anche Lindsey.- Cercò di buttarla sullo stesso piano per non sentirsi colpevole. “Domani arriva Emily” per lui era quasi una vergogna, e sentì il bisogno di ricordarmi che, se domani arrivava, era proprio colpa mia. Grazie.
-Bhè, auguri.- Gli diedi una pacca sulla spalla e pian piano i ragazzi cominciarono a zittirsi.
-Auguri anche a te.- Mi sorrise e tornò al suo posto.
E forse avevamo appena affrontato una delle conversazioni più dolorose della nostra vita con un sorriso sul volto. E no, non mi sentivo meglio.





Hello. u.u
Allora, come avrete notato il titolo è ispirato ad un musical bellisifjweigjrwg, The Rocky Horror Picture Show. YEE.
Poi vabbè, lasciando stare il fatto che l'Hotel De Russie è quello dove lavora mia zia e che tipo non ci potrò mai più andare senza scoppiare a ridere come.. HAHAHAHAHAHAAHh, cioè, vabbene.
Dal prossimo capitolo cambiano un po' le cose, mlmlml.
Quindi, stay tuned. (?)
Alla prossima, xMN. :33

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Capitolo 6
*** 5. a bit patriotic. ***


asdfghj (1, 2, 3, 4.)
Salveee :3 bene, ecco il quinto capitolo. C'è un po' di tutto, sotto scommessa, anche un po' di porcate. *se ne va*
E niente (?) sentitevi liberi di prendermi virtualmente a fagianate. <3



5. a bit patriotic.



Il  sonno era ormai un lontano ricordo. Avevo abbandonato l'idea di dormire già da quando mi ero messo sotto il lenzuolo e, pur provando ogni metodo, non riuscì nemmeno a chiudere occhio. Ero in attesa di qualcosa o qualcuno. “Qualcuno”.. quel “qualcuno” che avrebbe fatto di tutto per evitarmi. Mi rannicchiai sul letto matrimoniale, steso in posizione fetale verso la finestra. Osservai l'enorme palazzo appena illuminato da qualche lampione e cercai, in tutti i modi, di prendere sonno. Almeno la notte sarebbe passata più velocemente, no?

Qualche secondo dopo sentì dei passi nel corridoio, e, quando uno spiraglio di luce interruppe i miei pensieri così come lo scricchiolio della porta interruppe il silenzio, sentì lo stomaco contorcersi e girarsi su sé stesso. Frank forse pensava che stessi già dormendo in tutta tranquillità, ma quello che non aveva capito era proprio che ci stavo male quanto lui. Chiuse senza far rumore la porta alle sue spalle, camminando sulle punte fino al letto. Una ventata di aria “gelida” mi colpì braccia e gambe quando alzò il lenzuolo per stendersi lì accanto.
-Umh..- Mormorai, tentando di sembrare uno che si era appena svegliato. -Che ci fai qui?- Non che mi dispiacesse, ma.. stava diventando più strano di me.
-Non ti ricordi?- Sbuffò, affondando il volto nel cuscino quando si stese a pancia sotto. Fece una piccola pausa e poi poggiò appena la guancia sul morbido cuscino, così da guardarmi. -Abbiamo la camera insieme, e sinceramente non mi va di dormire né con Ray e Christa, né con Alicia e Mikey.- Chiuse gli occhi. A dirla così sembrava quasi fosse scherzoso, ma il tono con cui lo disse era così freddo e distaccato da farmi venire i brividi ancor più dell'aria fredda di prima.
-Hai ragione..- Anche solo respirare mi metteva a disagio. Se avessi respirato troppo forte sarei sembrato un caprone, se avessi respirato troppo piano, dopo un po' sarei esploso. L'alternativa migliore era parlare, parlare, parlare.
-Frank, io..- Sussurrai appena: non c'era bisogno di farci sentire. Mi stesi sul fianco, ma questa volta verso la porta, girato verso di lui.
-Non mi va molto di parlarti.- Tagliò corto, tagliando così anche ogni mia speranza di riuscire a fare una conversazione.
-Ti prego. Non riesco a dormire.- Lasciai la mia mano vagare su quel piccolo territorio di letto che ci separava. Le lenzuola era calde e profumate, Frank non era troppo vestito e a dirla tutta non lo ero nemmeno io. Cercai la sua mano, ma non appena sentì il tanto cercato contatto con i suoi polpastrelli, la trasse via. Abbassai lo sguardo, troppo imbarazzato per andare avanti.
-Conta le pecore..- Alzò lo sguardo -..O le volte che mi hai messo le corna.- Si voltò dall'altro lato, segno evidente che non voleva manco più guardarmi in faccia. Partivo davvero, davvero, davvero bene, insomma.
-Sei immaturo.-  Bhè, era una verità relativa. Frank non era immaturo, ma si comportava da tale.
-Per me va bene così.-
-Ti comporti come se..- Cercai le parole adatte per non ferirlo e per esprimere quelle mille cose che avrei voluto dirgli in una sola frase, nonostante ci avessi pensato tutto il pomeriggio. -..come se non te ne importasse niente.-
-Oh, hai ragione Gerard. Hai seriamente ragione.- Partì in quarta con il sarcasmo ed il suo solito tono di quando comincia a parlare e non si ferma più. -Domani infatti organizzavo di andarcene tutti quanti ad un bel bordello e festeggiare con un boccale di birra, così, per rendere l'idea!- Tornò a guardarmi, e anche se stava riuscendo magistralmente a trattenere le lacrime, io lo conoscevo troppo bene. E conoscevo ogni sua singola espressione. -Tu non sai come sto. E se mi conoscessi davvero.. tu.. io..- Cominciò a confondersi, singhiozzando un po' nonostante nemmeno un filo di lacrime gli rigasse il volto. E quasi a smentire quello che stavo pensando, esclamò che non sapevo nulla di lui. -Gerard, baciami.- Continuò. Balbettii confusi e piccoli singhiozzii non contavano più niente, a quanto pareva. Aggrottai le sopracciglia e schiusi leggermente le labbra, nonostante avessi capito benissimo cosa stava dicendo. Per sicurezza, esclamò nuovamente la stessa cosa, questa volta più convinto. E, in tutta sincerità, a me bastava quello. Bastava sapere che non l'aveva detto in un momento di totale confusione e che lo desiderava davvero. Senza ulteriori esitazioni, poggiai la fronte sulla sua e feci come ordinatomi. Frank aveva la bocca un po' impastata e non riusciva a coordinare i movimenti. Era chiaro che era confuso e che forse non si sentiva completamente a suo agio. Gli presi entrambe le mani, e, una volta sicuro di avere un minimo di appoggio, “rotolai” fino a stendermi completamente su di lui. Mi staccai per prendere fiato e lo guardai negli occhi: in quell'istante avevo tutto. Erano dieci, cento, mille le cose che avremmo voluto dire. Eppure ci azzittimmo reciprocamente con un altro bacio, questa volta più convinti. Quanto è vero che due che si desiderano non li puoi separare..
Liberai Frank dal mio peso, appoggiando le mani sul materasso e mantenendomi in bilico così.  Eravamo più o meno nella stessa posizione di prima. Subito le sue dita cominciarono a carezzarmi le braccia, affondando le unghie una volta giunte poco più in basso delle mie spalle. Mi allontanai bruscamente, interrompendo il bacio per emettere un piccolo gemito di dolore. Sì, era vero.. aveva smesso di mangiarle. Per “punizione”, mi lasciai cadere nuovamente su di lui. Quando il mio corpo urtò nuovamente il suo, cominciò a respirare profondamente. Non capivo davvero perché, ma non mi importava. Infilai l'intero palmo della mano sotto la t-shirt tutta slabbrata che usava per dormire e cominciai a carezzarlo, sempre più giù, sempre più giù..
-G..G..G..Gerard.- Riuscì finalmente a chiamare il mio nome quando arrivai all'altezza dell'addome. -Gerard lasciami..- Continuò a respirare, in un tentativo di mantenere l'autocontrollo. Tentativo che, quando sentì un certo “qualcosa” premermi contro la pancia, giudicai fallito. Lo guardai con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse, sorpreso quanto lui. Chiuse gli occhi sbuffando, come ad indicarmi che era finita la pacchia. Bruscamente mi fece tornare dal mio lato del letto, sperando che non mi fossi accorto di nulla. Feci passare qualche secondo di silenzio per poi sdrammatizzare la situazione..
-Ti senti un po' patriottico oggi?- Ridacchiai sotto i baffi, consapevole di quanto una mente “pura” e “casta” come la sua non cogliesse le domande a doppio-senso immediatamente.
-Ma di che diavolo parli?- Sbuffò, quasi ringhiando.
-Ah, non so.. sono dieci minuti che fai l'alzabandiera..- Gli diedi un colpetto sulla pancia, ridendo a crepapelle come se non fosse l'una di notte e come se mezzo hotel non stesse cercando di dormire.
-Gerard, sei un deficiente.- Farfugliò, abbassando lo sguardo e giocherellando con le dita. -E poi è colpa tua.- Scosse il capo, probabilmente perso nei suoi pensieri.
-Posso rimediare, però..- Maliziosamente mi morsi il labbro, cominciando a far vagare nuovamente la mia mano sotto le lenzuola fino ad incontrare quel che cercavo. Gli feci scattare l'elastico degli slip (esatto, slip.. checca) e notai il fremito che si propagò per tutto il suo corpo. Gli sorrisi, guardandolo negli occhi. -Devi solo dirmi che lo vuoi..- continuai sempre sullo stesso tono da troia che sapevo quanto lo faceva impazzire. Continuai lentamente a carezzargli petto e pancia in attesa di una risposta.
-S..s..sì..- Balbettò confusamente, implorandomi con lo sguardo di fare in fretta e rinunciare ai soliti “giochetti”. Forse era più spinto dall'eccitazione di quel momento che da altro, ma non importava. Infilai la mano dentro tutto quel tessuto e, quando sentì quel tanto familiare calore, cominciai a far scivolare la mano. Lentamente, lentamente, un po' più veloce. Ancora più piano, veloce, veloce, piano..
Non ci mise troppo ad arrivare al limite. Era visibilmente scosso e tremava, forse ancora non troppo consapevole di quello che avevamo appena fatto. Sentì le dita piuttosto appiccicose e così, controvoglia, rotolai fino alla mia parte del letto.
-Sei un danno.- Ridacchiai, strusciando la mano sul lenzuolo, rendendomi conto troppo tardi della cattiva idea che si sarebbero fatte le donne delle pulizie. Incurante dell'opinione di due vecchiette italiane, mi stesi. Solito sorrisetto compiaciuto stampato in faccia.



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Fortunatamente dopo riuscì a prendere sonno, e il mattino seguente mi svegliai proprio accanto a lui. Ah, i “vecchi” tempi. Mi fermai a guardarlo per un po', cosa strana, perché di solito ero io quello a svegliarmi tardi. Gli carezzai la guancia osservai la smorfietta che fece: arricciò il naso e, inconsciamente, sorrise, facendo incurvare anche le mie labbra in un piccolo ghigno. Dio, l'avrei voluto riempire di baci.
Mi alzai pigramente e mi andai a guardare allo specchio. Subito mi saltarono agli occhi i graffi sulle braccia, che erano ben più definiti di quanto avessi pensato la sera prima proprio mentre me li faceva. Sorrisi come un coglione ripensando a quel momento e li accarezzai, decidendo comunque di coprirli per non dover dare toppe spiegazioni. Mi feci una doccia veloce, mi infilai un paio di jeans, una t-shirt ed una giacca leggerissima giusto per non farli vedere e poi me ne andai.
Forse non era proprio bello lasciarlo lì nel letto tutto solo, ma sapevo che nemmeno lui avrebbe voluto vedere i ragazzi in versione “Agenti della C.I.A. Del cazzo” per la millesima volta in due giorni, così chiusi la porta alle mie spalle dopo avergli dato un'ultima occhiata: nonostante stesse con la pancia in fuori, indossasse un paio di slip che si addicevano più ad una ragazzetta che a lui e dormisse con la bocca completamente aperta, era ancora la cosa più bella che avessi mai visto.
Non appena mi trovai nel corridoio, vidi Ray tutto sorridente.
-Già sveglio?- Mi domandò, fermandosi bruscamente accanto a me.
-Eh già..- Probabilmente cominciai a sorridere, sorridere, sorridere senza sosta.. e, probabilmente, lui cominciò a chiedersi che cazzo mi passava per la testa.
-Ti sei già ripreso?- Aggrottò le sopracciglia, inclinando leggermente la testa verso sinistra mentre si grattava il capo.
-No.. umh.. io..- Cercai di finirla e sospirai, stringendomi nelle spalle. -Niente, pensavo..- Lo guardai, cercando di sviare il discorso. -E tu?- Ridacchiai, dandogli una piccola gomitata sul braccio in maniera pur sempre amichevole. -Seratone?- Continuai a ridere sotto i baffi, contento che almeno una delle relazioni andasse bene.
Mikey ed Alicia si tradivano continuamente.
Io e Lindsey non ci amavamo minimamente eppure avremmo avuto un bambino insieme.
L'ultima relazione di Frank (senza contare quella con me) era finita con lui che la lasciava in una stazione prima che la poverelle andasse a trovare la madre malata.
Di me e lui non parliamone proprio che è meglio.
Ray mi sorrise, genuinamente contento.
-Eh, già!- Annuì fra sé e sé. -Sai, io e Mikey volevamo proprio parlarti..- Si fece più serio, ma continuavo a non capire cosa c'entrasse col nostro discorso.
-Se è del cosiddetto “seratone” preferirei evitare!- Sogghingnai, cercando nuovamente di buttarla su un piano divertente. Riuscì a strappargli una risata, ma finita l'ilarità, dovetti affrontare il vero problema.
-No, ecco.. di un po' di cose.- Annuì nuovamente come se stesse preparando un discorso.
-Mi dispiace se non sono venuto a parlarti personalmente..- Mi scolpai in anticipo, perché in effetti non mi ero comportato da amico. E non mi stavo comportando da amico da secoli, ormai.. Cominciarono a passarmi per la testa tutti quei momenti in cui ero più insopportabile di un Titanic in culo e cominciai a domandarmi veramente come facessero a sopportarmi.
Incredibile che effetti aveva su di me una sega. E manco l'avessi ricevuta, eh.
-Non importa!- Mi diede una pacca sulla spalla, facendomi comunque intendere che non aveva terminato. -Ora ti vedo più sereno, però.- Confermò la mia tesi e sorrisi fra me e me, pensando che forse non ero l'unico che l'aveva notato.
-Già, forse un po'..- Annuì, continuando a percorrere il corridoio con lui parlando di cazzate come non facevamo da secoli. Proprio in quel momento ci si parò davanti mio fratello, facendomi sobbalzare come non mi succedeva da secoli. Eppure non gli tirai addosso una raffica di maledizioni voodoo, cosa che gli fece subito notare che ero di buon umore.
-Wo, salve ragazzi!- Alzò le mani come se fosse un narcotrafficante con due poliziotti/armadi davanti, forse più per scusarsi del fottuto spavento che aveva fatto prendere ad entrambi.
-Capiti a pennello..- Ray lanciò uno sguardo complice a Mikey, come due genitori che preparano da secoli il cosiddetto “discorsetto” per i figli. Mikey semplicemente annuì, voltandosi a guardarmi in contemporanea con Caparezza.
-Già, sì.. umh..- Il poveretto cominciò a confondersi, probabilmente aveva troppe informazioni concentrate in quella testa da scoiattolo ammaestrato. -Ray, comincia tu.- Passò tutta la responsabilità di cominciare al caro papino, che a sua volta lo guardò come si guarda uno che ha appena ucciso una nonnetta a martellate.
-Che ne dite di parlarne davanti ad un bel caffè?- Ray si strinse nelle spalle, continuando a posticipare. Anche se avrei tirato uno scarpone in testa ad entrambi per l'ansia che mi stavano mettendo, accettai. Già, probabilmente mi serviva un caffè. Ed in fretta. Prima di addormentarmi in piedi, almeno.
-Sì, perché no.- Cercai di sorridere, dando una pacca sulla spalla ad entrambi e cominciai ad avviarmi verso il corridoio a passo spedito così da dargli la possibilità di organizzare il loro discorso senza avermi fra i coglioni.
Attesi qualche minuto fuori l'albergo, picchiando il piede sull'asfalto e sbuffando, proprio accanto al tizio di due metri e qualcosa che apriva la porta ai clienti. Ma che diavolo avevano da dirsi quei due? Ma è proprio vero che quanto parli del diavolo spuntano le corna, perciò in quel momento vidi Mikey e Ray arrivare.
-Umh.. ciao di nuovo?- Mio fratello esordì, continuando a perdere tempo giusto per il puro gusto di tenermi sulle spine.
-Dai Mikes, sbrighiamoci.- Fortunatamente Ray capì la tortura cinese che mi stavano infliggendo, così si diede una mossa. Anche se i due non andavano di fretta quanto me, optammo per un caffè veloce al bar proprio lì fuori. Come i tre moscoglioni, varcammo la soglia di quel posto e fortunatamente riuscimmo a farci capire senza troppi problemi, andandoci poi a sedere in attesa  di ricevere le tre tazzine.
-Allora..- Mikey esordì, guardando Ray mentre gesticolava come un povero bambino rincoglionito.
-Cercherò di essere sintetico..- Ray intervenne, salvando Mikey, il quale guardò verso il basso, Ma ad interrompere quel suo brillante momento di convinzione, arrivò la cameriera. Avrei voluto sbuffare, ma cercai di trattenermi per non mettere a disagio quella poverina, dato che gli unici colpevoli erano quei due ed i loro discorsi del cazzo preparati peggio di non so cosa.
Accavallai le gambe, prendendo la tazzina e facendo un sorso nonostante fosse bollente. Cominciai ad imprecare mentalmente e anche un po' sottovoce per quella fottuta lingua scottata e rimasi ancora in attesa.
-Ti prego, oltre ad essere sintetico.. sii veloce, Cristo.- Sbuffai, scuotendo il capo nell'osservare la loro agitazione.
-Okay, quindi..- Fece una brevissima pausa. -Gerard, noi siamo un po' preoccupati. Perché.. insomma, sai com'è, ieri si sentiva tutto e..- Si strinse nelle spalle. Dio, ecco che stava per arrivare il solito discorso. “Sei irresponsabile”, “Uno schifoso”, “Povera donna”, “Povero il figlio che nascerà!”. -Gerard, sul serio.. tu avrai un bambino. Andiamo, devi..- Cominciò a toccarsi i capelli come faceva quando era nervoso, ed in suo soccorso intervenne Mikey, così da rendersi un po' più utile di un'ameba.
-Sì, ecco, devi crescere un po'.- Annuì, guardandomi in maniera un po' contrariata. -Anche se non la ami, ci avresti dovuto pensare prima.. cioè, non immagini quanto dispiaccia anche a me, però.. è andata così.- Continuò a gesticolare, fermandosi poi per prendere un sorso di caffè strategicamente pensato proprio per avere una scusa per interrompersi in tal caso si fosse accorto dell'inconcludenza del suo discorso.
-Sì, esatto!- Ray confermò, facendo da tappabuchi. -E poi Frank sta risentendo Emily, sai, quindi..- Fece una smorfietta. Mikey, invece, quasi si affogò con il caffè, trafiggendolo con lo sguardo mentre gli sussurrava qualcosa all'orecchio. Probabilmente mamma e papà dopo aver insegnato la buona educazione al primo figlio, si erano arresi sul secondo, ma non importava. Ecco, forse si era appena spinto un po' troppo oltre. Lurido, schifoso, maledetto, bastardo.
-Di che diavolo parlate.- Non era una domanda. Non c'era assolutamente nessun punto interrogativo.. solo una grande, enorme, gigante rabbia.
-Gerard, ti prego, non ti arrabbiare..- Mikey scatto sulla difensiva, mordendosi il labbro. -Ecco, vedi.. Alicia ed Emily sono.. ecco.. amiche del liceo.- Si grattò il mento, probabilmente mettendo insieme i pezzi di un discorso che non aveva pensato di dover preparare. -Quindi l'altra sera Alicia mi ha chiesto un po' di voi due, no? Ed è saltata fuori Emily.. mi ha chiesto il suo cognome e poi è scattata!- Schioccò le dita. -Mi ha fatto una descrizione precisa di lei, e.. ecco.. quando ha saputo che vi siete lasciati l'ha chiamata e l'ha convinta a perdonare Frank. Ed io ho convinto Frank a richiamarla.- Abbassò il capo, insieme a Ray che ormai era a disagio già da un bel po'.
-L'ho detto tante volte, ma non l'ho mai inteso come ora..- Lo guardai con aria disgustata. -io ti odio.- Scandì per bene ogni parola.
Non sapevo se odiare più Frank o mio fratello. L'altra sera mi aveva praticamente detto che mi amava. L'altra sera mi aveva chiesto di baciarlo. L'altra sera, quando già l'aveva sentita. Dio. E poi ero io il bugiardo. Aveva ragione Lindsey: “lui sta bene anche senza di te”.
-Andiamo, l'ho fatto solo perché gli voglio bene..- Farfugliò. Ero stupito di me stesso per non essermene ancora andato, ma se ero ancora lì era perché non avevo fisicamente la forza di alzarmi.
Feci un rumore insopportabile con la sedia e mi alzai. Rimasi lì fermo, pensando ad una frase che lo avrebbe fatto sentire in colpa per un bel po'.
-Sai, a volte anche io vorrei che qualcuno facesse qualcosa per me perché mi vuole bene.- Scossi il capo, voltandomi e cercando di non piangere.
Infondo non volevo piangere. Volevo solo prendere a calci in culo qualcuno, tornare indietro al giorno in cui i genitori di Lindsey si sono conosciuti ed ucciderli entrambi, ammazzare brutalmente a coltellate Emily e poi morire. Ecco.
Cominciai a vagare per dei vicoletti stretti nei quali non vagava nemmeno un'anima: il posto perfetto per dare di matto. Mi passai le mani fra i capelli più e più volte, poi mi feci lentamente scivolare a terra quando sentì la forza nelle ginocchia venire meno.
Trattenni gli urli per non dare troppo nell'occhio, ma non riuscì a trattenere allo stesso modo l'istinto di prendere a pugni il muro. E si sa, quando si è arrabbiati è difficile trattenere certe cose pur rendendosi conto di quanto facciano male anche fisicamente. Le nocche presero a sanguinare ed il dorso rimase graffiato, eppure mi andava bene così. O meglio, doveva andarmi bene così..
Ormai non ci appartenevamo più.
Ormai non dipendeva più da noi: né da me, né da lui.
Ormai viaggiavamo su due binari diversi.
Ormai cominciavo ad accettare il fatto che sarei diventato padre, e lui, comodamente, cominciava ad accettare il fatto che forse stava effettivamente meglio senza di me fra le palle.




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Ancora con un sacco di rabbia repressa, raggiunsi l'albergo. Proprio a pennello incrociai Frank, che se ne stava seduto su una poltrona nella hall a parlare a telefono. “Chissà” con chi. Continuai a dirigermi con uno sguardo visibilmente irritato verso di lui, e, non appena mi vide, mi fece un cenno con la mano e abbassò il capo.
-Attacca immediatamente.- Non suonava come una domanda, ed in effetti non lo era. Era un obbligo, fine. Schiuse un po' le labbra e mi guardò con aria leggermente confusa.
-Ehi, io vado.. ti richiamo dopo..- Sorrise, come se la troia dall'altro lato del telefono l'avesse potuto vedere. Mise il telefono nella tasca dei jeans e il suo sguardo cambiò totalmente. -Si può sapere che ti ha preso?- Scosse il capo, alzandosi infastidito.
-Si può sapere cosa ha preso te?- Lo seguì, continuando sempre sullo stesso tono. -Perché comunque so tutto di Emily. Potresti anche smetterla di raccontarmi cazzate.- Si fermò di scatto non appena pronunciai quel nome.
-Gee.. io..- Si voltò di scatto verso di me per guardarmi, ma non servì a molto, siccome abbassò il capo.
-Chiamami Gerard.- Puntualizzai (“Gee” era troppo confidenziale), restando fermo in mezzo alla hall nonostante il tipo di discorsi che stavamo tenendo, consapevole che nessuno ci avrebbe capiti.
-Mi merito anche io di essere felice. E non.. non voglio rimanere.. solo.- Pronunciò l'ultima parola con un forte accento di malinconia nella voce, e già tutta la rabbia era incredibilmente sparita. Ecco, dopo la furia iniziale, ero arrivato al punto in cui si elabora la situazione.
-E tu sei felice con lei?- Mi avvicinai di più, perché sapevo che quando gli dicevo le cose in maniera così intima, sussurrate all'orecchio o appena in un sospiro, non sapeva mentirmi. Anche se Frank non sapeva mentirmi in generale e non sapeva comunque mentire a nessuno. Nemmeno a sé stesso.
-Non come vorrei..- Sussurrò con la voce spezzata. Non riuscì a trattenere l'istinto di prendergli le mani, dimenticandomi per un attimo dei graffi e delle ferite. In un primo momento neanche lui ci fece caso, troppo occupato ad appoggiare la testa sulla mia spalla e tenere gli occhi chiusi come se, per un attimo, si stesse riposando. Solo quando si allontanò leggermente e li aprì, notò quello che avevo fatto. Rimase con gli occhi sgranati e la bocca aperta.
-Non volevo, giuro.- Mi scusai ancor prima che potesse dirmi qualcosa. Non volevo fargli pensare che fossi tornato ai vecchi scatti di rabbia, anche se in un certo senso, nonostante fosse stato un caso isolato, era stato anche peggiore di quelli di prima.
-Non lo devi fare mai più.- Mi carezzò gentilmente le mani con le sue, incapace di distogliere lo sguardo da esse.
Ormai non ci importava più niente degli occhi estranei che ci spiavano come se fossimo due alieni. Non ci importava più di niente, perché in un certo senso, sapevamo che erano solo gelosi di quello che avevamo e che molti di loro non avrebbero mai avuto. Io avevo lui, e lui aveva me. Io in lui avevo il mio piccolo mondo, e credetemi, era cento volte meglio di quello che loro avevano rovinato ed erano costretti a vivere. Giorno dopo giorno.
-Perché, Frank?- Lo sapevo benissimo il perché, ma volevo solo che me lo dicesse. Ormai non ne potevo più.
-Perché.. io ti amo, e non voglio che ti succeda niente di male.- Era incredibilmente lucido in quel momento, nonostante fosse uno di quelli in cui scoppiava a piangere.
-E perché mi ami, eh?- Feci una breve pausa, sospirando. -Te lo sei mai chiesto?-
-Spesso, ma..- Singhiozzò. Eccole che arrivavano e gli rigavano il volto. Come avevo anche solo potuto pensare tutte quelle cose di prima? Lui stava bene senza di me? Un bastardo? Uno stronzo? E quando mai lo era stato? -Ho capito che non lo so nemmeno io.- Mi abbracciò, affondando il volto nel mio petto mentre semplicemente gli accarezzavo capo e schiena come si fa ad un bambino che ha appena avuto un brutto sogno. Per quanto ci scherzassi su, adoravo il fatto che fosse più basso di me proprio per questo.
-Restiamo così.. per.. per favore..- In quel momento lo strinsi ancora più forte a me, cercando di rassicurarlo e di farlo sentire più al sicuro di quanto, in realtà, non fosse.
-Tutto il tempo che vuoi..- Gli sussurrai all'orecchio, lasciandogli un veloce bacio sul collo.
Gerard Arthur Way, sai ufficialmente l'essere umano più schifoso che si sia mai visto sulla faccia della terra.

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Capitolo 7
*** 7. fuck this shit, i can't speak french. ***


ATTID #7 (1, 2, 3, 4.)
Salve a tutti e.e ho parecchie, parecchie, parecchie, parecchie, parecchie, parecchie [..] parecchie cose da dire, quindi ci sentiamo a fine capitolo perché.. bhè, perché sì. LOL.





7. fuck this shit, i can't speak french.




-Che cerchi?- domandò Mikey mentre cercavo quel maledetto foglio. Rovistai anche in valigia, ma niente, non c'era. Maledizione a me e al bordello che avevo in testa. Mi limitai a non rispondere. -No, sul serio..- poggiò il cellulare sul letto, probabilmente dopo aver mandato un messaggio alla sua fidanzatina dalla bocca larga (larga sotto molti, molti, molti aspetti) e si alzò per raggiungermi. -Se almeno sapessi che ti serve, potrei aiutarti..- Si mise in ginocchio come me e tentò di rendersi utile, incasinando ancora di più quel Vaso di Pandora che era la mia valigia.. senza ovviamente rendersi conto che era pressoché impossibile aiutarmi a cercare qualcosa senza sapere cosa cercassi. Si sedette con la schiena poggiata contro il letto, arrendendosi. Preso da un mezzo attacco di nervi, mi feci scivolare lentamente con la schiena a terra nonostante la moquette mi pizzicasse le chiappe. Sbuffai, sospirai, o forse tutt'e due insieme. L'avevo perso ancora prima di scoprire cosa cazzo fosse.
-Non è niente, Mikey, soltanto un foglio.-  più che cercare di sembrare rilassato, cercai di convincere lui (e me stesso) che quello che c'era scritto sulla pagina non aveva nessun valore. Tornarono all'improvvisamente tutti i miei "cari" e "amati" tic.. le mani tra i capelli, i piedi che si muovono a ritmo o il classico tamburellare sulla pancia.
-No, Gerard, era qualcosa.- continuò a guardarsi intorno come se sperasse che, da un momento all'altro, ciò che cercavo (e che ormai, ci era troppo dentro, cercava anche lui) si sarebbe magicamente materializzato sotto i suoi occhi. -Era.. umh..- si perse un po' con lo sguardo nel vuoto mentre giocava a fare il detective e poi schioccò le dita all'improvviso, facendomi sobbalzare. Si vedeva che era seriamente convinto di aver la soluzione. -Era una canzone!- constatò, così pieno di sé che gli sarei scoppiato a ridere in faccia.
-No.- demolì tutte le sue convinzioni con un sorrisetto stampato sulle labbra. -Mi sa che non lo saprai mai..- "e forse nemmeno io". Mi voltai a guardarlo nuovamente, quasi divertito.
Era bellissimo avere dei finti segreti con Mikey. Rimaneva a scervellarsi per giorni interi, e poi, quando gli dicevi che era una puttanata, ci rimaneva male come un Testimone di Geova quando gli dici che non sei interessato a farti vendere la loro religione porta-a-porta nemmeno se c'è lo conto sui peccati capitali o la vendita delle indulgenze. Mi alzai mantenendo quell'aria misteriosa e poi.. poof. Probabilmente ero davvero esaurito.. perché, insomma.. mi cadde il foglio dalla tasca. E anche Mikey capì subito che era proprio quel foglio. Ci scambiammo due occhiate diffidenti come a predirre il temporale che sarebbe scoppiato dopo e poi, quasi in autmatico, ci fiondammo entrambi su un misero pezzo di carta straccia, manco fossimo due barboni che hanno appena visto lo stesso pezzo di carne. "Ehi, John, quel manzo tocca a me!". E ahimè, si sa, fra due babroni, vince quello più disperato: mio fratello afferrò infatti il fantomatico pezzo di carta prima di me.
Lo aprì, facendo più o meno la stessa faccia che avevo fatto io quella mattina. Lui non si era mai alzato (tant'è che gli bastò piegarsi un po' in avanti per raggiungere il suo obbiettivo), così si alzò con la lentezza di una vecchia con la sciatica senza nemmeno distogliere lo sguardo dalle scritte. Solo in quel momento mi resi conto che io ero ancora a pancia a terra dopo essermi fiondato con uno "scatto felino", così mi misi in piedi con una certa grazia; come se non mi si fosse appena alzata mezza t-shirt e come se il pantalone non se ne fosse vergognosamente sceso. Mi diedi una rattoppata mentre Mikey continuava a cercare di capire il francese in due minuti, quando proprio nel tempo previsto, si arrese.
-'Dah, fanculo, non lo capisco il francese.- Mi porse il foglio dopo un "attento" esame e poi, perso nei suoi pensieri, aggrottò le sopracciglia.
-Che hai adesso, Jessica Fletcher?- domandai, riponendo di nuovo quel coso in tasca.
-Gerard, non lo capiscni neanche tu.- Schiuse appena le labbra senza perdere la sua espressione confusa.. o, se vogliamo nobilitarla un po', pensierosa.
-Grazie di avermelo ricordato!- Sarcasticamente gli risposi, avviandomi verso il bagno non appena notai che mancavano appena dici minuti alla nostra simpaticissima uscita ad otto, come l'aveva definita Ray. Simpaticissima come un frullato di bucce di limone a prima mattina. Mikey mi raggiunse. Forse era colpa mia, eh, ma non ricordavo di una legge che obbligava i fratelli minori a seguire i maggiori anche mentre pisciavano.
-Quindi non l'hai scritto tu..- strizzò gli occhi in un epsressione disgustata, come se qualcuno lo avesse obbligato a godersi le meraviglie che era capace di produrre la mia vescica.
-Facciamo passi da gigante, vedo.- Mi alzai la zip del pantalone, e, non appena udì quel rassicurante rumore raschiante, tornò a guardarmi.
-Smettila di essere sempre sarcastico.- Sbuffò, continuando ad osservarmi mentre mi sciacquavo mani e volto, sempre appoggiato allo stipite della già stretta porta. Ed ora che ci pensavo, non sapevo nemmeno come cazzo ci fosse finito, in camera mia. -Chi te l'ha dato?- domandò ingenuamente. Come se qualcuno che ti lascia qualcosa in una lingua che non capisci senza nemmeno farsi vedere fosse intenzionato a far capire la sua identità.
-No, non ne ho idea. Praticamente l'ho trovato sta mattina sul comodino.- Mi fece spazio quando notò che volevo uscire e poi si diede una veloce controllata allo specchio prima di raggiugermi.
-Mh..- Esclamò, mantendendo la sua espressione pensierosa. -E comunque la tua carissima Fletcher crede che sia una poesia, dal modo in cui va a capo.- Annuì fra sé e sé, alzando il capo per guardarmi solo dopo la sua breve pausa.
Mikey si stava probabilmene sentendo come in una puntata di Scooby-Doo, e mi dispiacque un po' soffiare via tutto il suo entusiasmo come si soffia via un castello di carte con la mia gelida espressione.
-Mikey, sinceramente, fra una ex-moglie incinta ed un ex-fidanzato che gioca a fare l'etero con quella che, a sua volta, è la sua ex-cotta studiata appositamente per farmi ingelosire, ho problemi più grandi di una poesia in francese.- Feci una breve pausa e sì, suonavo convincente. Lo capivo dal modo contrariato in cui mi guardava. -Magari è di qualche fan che l'ha dato ad una cameriera dicendole di lasciarlo qui, che cazzo ne so. Sta di fatto che non mi importa.- Scandì per bene le ultime tre parole in modo che gli rimanessero impresse e mi avviai verso l'appendipanni accanto all'ingresso (che in quel caso era un'uscita..). Mi infilai la solita giacca di pelle, la stessa che ultimamente usavo per i concerti (già, troppo pigro per frugare per la seconda volta in quella bomba a mano di vestiti) e aprì la porta della camera, fermandomi sull'uscio per qualche secondo. -Ora, se vuoi scusarmi, vado a far finta di divertirmi.- Con un finto tono impaziente ed una punta di sarcasmo, socchiusi la porta alle mie spalle e mi avviai al luogo dell'appuntamento: la reception.



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-Quindi tu fai la psicologa?- domandò Alicia con la sua voce squittente a Emily. Fu davvero molto poco interessante assistere a tutto il loro incontro da migliori amichette del college che si ritrovano dopo anni come se fosse la scena di un telefilm. Tutti seduti ad un enorme tavolo, eravamo otto ed eravamo tutti visibilmente imbarazzati. Ma forse più che imbarazzato, almeno io, ero scazzato. E riuscì a malapena a trattenere l'istinto di tagliarmi le vene con la forchetta.
-Sì, già.- Fece un sorrisone che mise in evidenza tutte le sue rughe e zampe di gallina. Frank non aveva gusto in fatto di ragazze.. non quanto ce l'aveva in fatto di ragazzi, ovvio. -Anche se certe volte mi chiedo come faccia ad aiutare qualcuno con tutti i casini che io stessa ho..- Arricciò le labbra, Frank le sorrise e le mise un braccio intorno alla vita. Idiota. Si vedeva lontano un miglio che era gay fino all'osso e stava fingendo. Fingendo, fingendo, fingendo.
Non realizzai bene come e perché, ma tutti scoppiarono a ridere mentre io ero ben troppo occupato a fare la lista dei difetti dell'ochetta dai capelli rossi per seguire il filo del discorso.
-Gerard, dai..- Lindsey non sussurrò, maniaca delle buone maniere com'era.. semplicemente approfittò del momento di confusione generale per parlare in un tono normale che comunque sarebbe sembrato un sussurro, coperto com'era da tutto quel ragliare.
-Dai un cazzo.- Feci la stessa cosa, incrociando le braccia e affondando quasi nella sedia. Non mi voltai nemmeno a guardarla e sbuffai con tutte le mie forze nel vedere quanto era veramente felice con lei. Per quanto potessi fare il geloso e continuare a criticarla per i suoi innumerevoli difetti d'aspetto fisico, si vedeva che era una apposto. Era il tipo di ragazza perfettina che era ideale per Frank. Quella che preferiva un mazzo di rose ad una scopata.
-Per favore..- Mi fece il suo solito sguardo e mi prese la mano sotto il tavolo, intrecciando per bene le sue dita con le mie. Ed io continuavo a chiedermi con che coraggio. Le risate pian piano sfumarono, e immediatamente mio fratello si ritrovò a dover mettere in evidenza ancora di più il fatto che avrei preferito essere in Congo piuttosto che lì.. come se non fosse già abbastanza chiaro.
-Umh..- Mi guardò, aggrottando le sopracciglia. -C'è qualcosa che non va?- Domandò ingenuamente. Bhè, sarebbe stato come chiedere ad una balena nel Sahara se stava morendo.
-Più che altro, Mikey, mi stupirei se ci fosse qualcosa che andasse.- Sussurrai. Con le buone maniere, io, mi ci grattavo le palle. Ma, nonostante il mio tentativo, Frank, che era tanto occupato ad accarezzare i capelli ad Emily che se ne stava poggiata con il capo sulla sua spalla come se niente fosse, si voltò e sentì praticamente tutto. Mi lanciò un'occhiata che era un misto di rimorso, rabbia, "scusami se mi piace giocare a fare l'etero" e "ma la prossima volta ci pensi due volte a metterla incinta".
Ray resuscitò improvvisamente dal suo piccolo paradiso e tornò sulla terra, guardandoci confusamente uno ad uno per poi fissare l'orologio che aveva al polso.
-Umh, ragazzi.. è mezzanotte e dieci. Suggerirei di avviarci in albergo, o finiamo a dormire qui..- Si strinse nelle spalle e pian piano, con questa sua proposta, ci chiamò tutti all'appello. Un coro di "sì, hai ragione" e di "buona idea" prese ad aleggiare nell'aria. Lindsey, mano ancora intrecciata con la mia, mi fece un cenno con il capo di alzarmi. Io, scazzato come non mai, mi alzai. Ray e Christa fecero la stessa cosa mettendosi a braccetto. Mikey ed Alicia seguirono il loro stesso esempio e, per ultimi, c'erano Emily e Frank. Emily, testa poggiata sulla sua spalla con un sorrisetto insopportabile, si mise lentamente in piedi così come a catena fece Frank. Finalmente eravamo pronti ad andarcene.
Sbuffai e presi Lindsey sotto braccio. Infondo dovevo smetterla di comportarmi da pezzo di merda se volevo almeno sperare che ci saremmo riusciti a sopportare per anni. E poi, a dirla tutta.. io ero colpevole quanto lei. Forse di più. Entrambi c'eravamo presi una sbronza ed eravamo finiti a letto insieme. Stop. Ed il fatto che io fossi fidanzato era un problema mio, di certo fatta com'era non se lo sarebbe mai ricordato.. e non sarebbe toccato a lei mettermi in guardia ed impedirmi di tradirlo.
Uscimmo dal locale per ultimi. Non appena l'aria, che a differenza di prima era gelida, mi colpì, mi strinsi un po' nella giacca e continuai a camminare seguendo il gruppo, mantendendo sempre quel poco di distanza.
-Che ti ha preso?- Mi domandò lei con un sorrisone in faccia. Forse si riferiva alle improvvise "buone maniere".
-Nulla.- Ricambiai forzatamente il sorriso. Non che non volessi sorriderle, ma non mi riusciva proprio dopo una serata così pesante. Sciolsi l'intreccio delle nostre braccia e le cinsi i fianchi. Un po' colta di sorpresa, sbandò leggermente verso di me e quando si rese conto che forse mi stavo scioegliendo un po,' mi sorrise di nuovo.
-Sei una brava persona, ricordatelo.- Poggiò la testa sulla mia spalla e, velocemente, mi diede un bacio sulla guancia. Giusto il tempo di sentire che si era avvicinata, che già era nuovamente lontana. Ricambiai il suo sorriso, ma c'era una nota molto più amara nel mio.
-No, non penso..- Scossi il capo, continuando a guardare la scena poco piacevole che mi si presentava davanti. Distrusse completamente l'atmosfera dandomi una gomitata nel fianco.
-Sì invece.- Replicò, quasi offesa. Forse più dal fatto che l'avevo contraddetta che dal fatto che avessi detto di essere una cattiva persona. -Insomma, nonostante mi sia comportata da stronza, mi sopporti..- Abbassò il capo. In quel momento mi sembrò di sentire il coro degli angeli scendere dal cielo: amen, se n'era almeno resa conto. -Non è cosa da tutti..- continuò, forse cercando di smuovermi dal mio silenzio.
-Mh..- Replicai in qualche modo solo perché non avevo voglia che continuasse a parlare e mi ricordasse tutto quello che stava succedendo (come se non lo sapessi già). -Se lo dici tu.- Mi strinsi nelle spalle e, quando vidi l'albergo, accellerai leggermente. Volevo solo dormire, in tutta sincerità.
Prima che potessimo raggiungere l'ingresso o per lo meno avvicinarci almeno un altro po', Ray, che, insieme alla moglie, era il primo della coda, si voltò, fermando così tutti. Lanciò uno sguardo prima a me e Lindsey, e poi non capì precisamente a chi, ma l'intuito mi diceva "qualcosa".
-E.. voi due come fate con le camere?- Domandò, schiudendo appena le labbra. Stavo appena per aprire bocca e dire che mancavano due posti, quando la voce di Frank mi interruppe. Non ebbi nemmeno il tempo di cominciare a gongolare perché avremmo dormito insieme, che già mi fece crollare tutto addosso.
-Ne ho prenotata io un'altra. Ci dormo con Emily, così Gerard può dormire nella nostra con Lindsey.- Si voltò verso di me con uno sguardo indecifrabile.
-Oh, perfetto.- Sorrise Ray, probabimente più conteto di aver evitato un problema in più che della vera e propria situazione.
Perfetto un cazzo. Anzi, perfetto. Perché con me aveva chiuso. Per molto, molto, molto tempo. E forse per sempre. E anche se sapevo che il giorno dopo mi sarei trovato di nuovo a volere che le cose tornassero come prima, senza Emily, senza Lindsey e, ahimè, devo ammetterlo.. senza bambino, ormai dovevo accettarlo. E avevano ragione.. dovevo crescere. Non potevo essere ancora geloso di qualcosa che non mi apparteneva più.



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Quello di Roma fu un gran bel concerto. Certo, se avessi avuto la forza fisica e psicologica di godermelo, sarebbe stato di gran lunga meglio. Dopo aver passato la nottata insonne ero distrutto. E specialmente il fatto che l'avessi passata senza chiudere occhio per i "rumori" che venivano dalla camera accanto, era ancora peggio. Frank aveva prenotato la camera accanto alla mia per un motivo, e ora lo sapevo; non ero l'unico che soffriva di gelosia cronica, fortunatamente. E, per una volta, non ero l'unico che voleva far ingelosire l'altro. E sapete cosa? c'era riuscito perfettamente, perché ero a malapena riuscito a sopprimere la voglia di entrare lì dento con un martello e spaccare il cranio ad entrambi.
Io non dovevo prendere nulla in camerino, perciò rimasi lì ad aspettarli nel backstage. Me ne stavo semplicemente appoggiato al muro mentre dall'altro lato riuscivo ad udire i rumori provenienti dall'auditorium che sfollava senza nemmeno sapere quando ce ne saremmo potuti andare. Preso dall'adrenalina post-concerto, un po' dai miei pensieri e un po' dal solito scazzo che ormai mi alonava perennamente intorno, mi ero quasi dimenticato che le ragazze erano venute ad assistere allo show. Fu proprio quando Emily spuntò da una tenda nera con al seguito Alicia e Christa che questo "insignificante" dettaglio mi tornò alla mente. Si guardò un po' intorno, probabilmente senza nemmeno sapere com'era arrivata lì, e, una volta che mi vide, la sua espressione passò da confusa a sollevata. Forse era rimasta a cercare almeno un essere umano per almeno mezz'ora.
-Gerard, ciao..- Il suo entustiasmo sfumò quando si rese conto che doveva, effettivamente, parlarmi. Io ed Emily non parlavamo molto. Anzi, non parlavamo quasi mai. Diciamo che, molto semplicemente, se potevamo evitarci, lo facevamo. E avevamo tutti i motivi del mondo. Lindsey entrò solo il quel momento e mi fece un saluto con la mano ed un sorriso che ricambiai.
-Emily.- Le feci un cenno col capo, mantenendo lo "charme" del monosillabico.
-Umh..- Rimurginò un po' su chissà cosa e abbassò lo sguardo, forse cercando le parole, forse con le parole fisse in mente ma poca voglia di dirle. -Sai dove sono gli altri?- Alzò il capo di scatto, cercando di farmi un mezzo sorriso. Certo che lo so, troia. Mi sarei volentieri offerto di accompagnarla per poi portarla in una stanza buia, infilarla in un sacco di patate e deportarla fino in Alaska con quei pantalonicini di jeans del cazzo che indossava lasciandola lì a morire di freddo e fame, ma purtroppo mi resi che sarebbe stato un po' anticostituazionale e così mi limitai ad indicare il lungo corridoio che portava al camerino.
-In camerino, ma potrebbero metterci anche venti minuti..- Feci una piccola smorfia. -Raggiungeteli!- Mi sforzai di sorridere mentre continuavo a pensare a tutti i modi in cui avrei voluto ucciderla e mi resi conto che l'unica cosa negativa di una sua ipotetica morte, era il fatto che non avrei potuto ammazzarla di nuovo.
-Bhè, grazie!- Ricambiò il sorriso e si avviò con le ragazze, fancendomi un cenno con la mano. Lindsey, che era un po' più pratica di tre oche giulive in fatto di concerti, aveva preso un'altra strada e, fino alla fine della conversazione, era rimasta appoggiata allo stipite della porta. Braccia incrociate e peso completamente spostato sulla gamba destra. Si avvicinò a me, sorridendomi.
-Sigaretta?- Mi domandò come se fosse normale che una donna incinta offrisse sigarette a destra e a manca. Prese un pacchetto sigillato dalla borsa e me lo porse. -Ne sono piena e ora che non posso fumare non so che cazzo farmene.- Si morse il labbro inferirore ed io presi fra le mani il pacchetto di Camel Blu che mi porse.
-Per un secondo ho pensato che fossi una madre degenere, sappilo.- Ridacchiai, strappando via l'involucro di plastica nonostante le Camel mi avessero sempre fatto schifo. Senza farmelo domandare due volte, portai alle labbra il giallo filtro, rendendomi conto che non avevo nemmeno da accendere. Mi guardai intorno come ad aspettare che il Signore si materializzasse con un accendino in mano quando lei me lo porse. Riuscì così a completare la titanica impresa e, finalmente, accesi la sigaretta.
-No, no..- Abbassò il capo a continuò a sorridere, questa volta mostrando i denti. -Anzi, dovrei proprio parlarti di una cosa.- Sospirò, e nonostante con "devo parlarti" non si intenda mai niente di buono, lei non sembrò turbata. Aggrottai le sopracciglia e sgranai gli occhi, sbuffando via un po' del fumo che avevo precedentemente inspirato.
-Bhè, parlami, sono qui.- Mi strinsi nelle spalle e lei tornò a guardarmi. Frugò nuovamente nella sua borsa di Marry Poppins e cacciò fuori una busta gialla con il suo nome ed alcuni dei suoi dati sopra. La aprì e cacciò fuori un foglio con il logo ed il nome di un ospedale italiano.
-E' femmina.- Girò improvvisamente il foglio verso di me, indicando con il dito il rigo dove lo diceva. Rimasi seriamente a bocca aperta. Ma nel vero senso dell'espressione, proprio: non avevo granché realizzato che sarei diventato davvero padre, di lì a poco. Lei, forse più preparata e consapevole di me, aveva un sorrisetto tutto contento stampato in volto. E sapete cosa? trascinò anche me. Gettai via la sigaretta che ormai era rimasta abbandonata lì, fra l'indice ed il medio, e l'abbracciai.
-E' assurdo.- Mi sarei lasciato scappare una lacrima se non ne avessi già avuto abbastanza di piangere in quei giorni. Feci un respiro profondo e poi, lentamente, sciolsi l'abbraccio.
-Scegli tu il nome.- Fu categorica. Forse voleva darmi un minimo di soddisfazione, no? Ed io volevo un nome che significasse qualcosa. Certo, non per lei, per me. Anzi. Non avrebbe mai e poi mai dovuto sapere il significato del nome, qualunque avessi scelto. E non ne avrei buttato un lì: no, avrei dovuto pensarci.
-Voglio pensarci, davvero, io..- Non riuscì nemmeno a finire la frase che subito i ragazzi tornarono. Ochette al seguito, ovviamente.
Il mio sguardo subito si posò su quello di Frank. E non ci fu nemmeno bisogno di parlare..








Bene. Allora. Cominciamo con una piccola stronzata giusto perché mi diverto troppo e perché le idee di quella troia della mia compagna di banco sono sempre le migliori, ehehe. <3 (?)
E' aperta la caccia alla poesia e.e Scrivetemi in una recensione qual'è secondo voi.. a sentimento, perché è l'unica che conoscete (ma io spero vivamente che non capiti per nessuno, lol), perché avete fatto ricerche (in questo caso vi amerei per sempre) o come volete voi. <3 E' un autore, come avrete notato, francese. Non è una poesia troppo moderna, ma nemmeno troppo antica. E' stata usata ultimamente in una pubblicità ed è una delle sue più famose. e.e
Detto questo, passiamo alle cose serie, brò. (?)
La storia ha nove capitoli preventivati. Non ho voglia di aggiungerne altri perché rovinerei (?) la credibilità, quindi, come avrete notato, siamo quasi alla fine. °O°
Ora, mi pare ovvio che non può proprio finire ai cosiddetti "tarallucci e vino", MA. Attenzione: c'è il terzo ed ultimo *parte il coro degli alleluja perché finalmente si vede una fine infondo al tunnel* seguito. Ora, se voi lo leggereste, basta dirmelo.. tanto ho già tutto in testa da più o meno un mesetto e ho anche fatto lo schema su carta, quindi yo. Lo posterò veramente a manetta perché durante le vacanze estive non ci sarà nessuno (e non ci sarò nemmeno io, eheheh <3) e a settembre mi sembra un'attesa eccessiva, sia per i miei poveri neuroni, sia perché probabilmente vi dimentichereste anche dell'esistenza della storia. (?) Conto di riuscire a finire per i primi di giugno, comunque. :3
Dopo questi sproloqui che SIETE obbligati a leggere perché altrimenti mi troverei in alto mare, alla prossima! u.u
Ccccciao, xMN.

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Capitolo 8
*** 8. a spoonful of sugar.. ***


#ATTID - 8 Eheheeh, salve a tuuuutti! A quanto pare questo è il penultimo capitolo, mavvabbè, ci sarà il seguito, quindi ok. (?)
Non ho in tutta sincerità molto da dire, a parte l'enorme sbalzo temporale che vabè, noterete da voi.. lol
L'ho fatto principalmente per fare contrasto con la prima e la seconda scena, e.. NONCIPENSATE, NON VOGLIO SPOILERARE. <3 Ci sentiamo giù, sisi.






8. a spoonful of sugar..






Erano più o meno le sei del pomeriggio. Frank se ne stava lì seduto e fingeva di non vedermi quando entrambi sapevamo benissimo l'uno della presenza dell'altro. Aveva le gambe accavallate in una posa quasi femminile e con un libro dalla copertina marrone rilegata in belle ben stretto fra le mani. Non lo vedevo leggere un libro da almeno qualche anno, ed era così strano vederlo concentrato in qualcosa che non fosse suonare..
C'era silenzio. Troppo silenzio. E non eravamo solo noi a non parlare.. sembrava quasi che tutti quei volti sconosciuti che sedevano ai vari tavolini disseminati nel cortile si fossero messi d'accordo per rendere ancor più imbarazzante quel silenzio spacca pietre.
-Non rimanevamo soli da giorni.- Esclamai, nel disperato tentativo di cominciare una conversazione decente con Frank. Era da prima del litigio che non riuscivamo a parlare decentemente di qualcosa. Parlare senza insulti, senza incazzarci.. parlare come.. non dico fidanzati, no. Come amici?
-Già. E credimi, è molto meglio così.- Mi fulminò, alzando appena lo sguardo dal libro, il quale titolo era inconsapevolmente coperto dalle sue mani. Sospirai: certo che mi stava davvero aiutando. Ma davvero, eh.
-Che leggi?- Chiesi, non che mi interessasse, a dirla tutta.. era più che altro un tentativo di cambiare argomento e allontanarci dalla zona "critica". Frank chiuse immediatamente il libro, lo poggiò sul tavolo con il retro come faccia visibile e sembrava quasi allarmato. Come se si vergognasse di ciò che stava leggendo.
-Niente.- Tagliò corto e si alzò, portando ovviamente con sé la sua lettura. Fece un rumore insopportabile con i piedi metallici della sedia di metallo, ma poco importò quando tutti si voltarono per via di esso, tanto avremmo anche potuto cominciare ad urlarci insulti addosso e nemmeno ci avrebbero capiti.
-Non scappare, per favore.- Se ne stava già andando, ma mi sentì e si bloccò di colpo, continuando però a darmi le spalle e ad avere i piedi piantati nello stesso punto. Si girò di colpo e mi guardò per secondi che sembrarono più che altro anni. Tornò al suo posto e, in un momento di distrazione, lasciò incustodito quel cazzo di libro che stava stuzzicando un po' troppo la mia curiosità. Se prima non mi importava, ora era una questione quasi personale. Lo presi fra le mani mentre lui osservava chissà cosa, cautamente e senza far rumore per non attirare la sua attenzione.
-Jacques Prevert.- Lessi ad alta voce la scritta dorata che faceva capolinea sula rilegatura in pelle marrone, con tono fermo e senza comunque capire che cosa ci fosse da nascondere in un libro del genere. Frank si allarmò visibilmente: si voltò verso di me in un sobbalzo, con aria quasi terrorizzata.
-No.. n.. non aprirlo!- Balbettò, cercando di togliermelo dalle mani. Purtroppo, per quanto avessi voluto accontentarlo, proprio non ci riuscì: aprì il libro e in un primo momento rimasi piuttosto confuso (ma diciamo intenerito) nel vedere che erano poesie. -L'ho.. l'ho preso in stazione con Emily.. l'altro.. l'altro giorno.- Cercò quasi di giustificarsi, di "chiedere scusa" per una cosa così sdolcinata. Non che ce ne fosse bisogno, ovviamente..
Continuai a sfogliare e pensai di capire che più o meno il libro era sistemato in modo tale che si trovasse  una poesia in lingua originale e la traduzione affianco, a quanto pareva. E finché non arrivai ad una pagina strappata, quasi non collegai i pezzi. Mi fermai per un secondo a guardare l'espressione rassegnata di Frank quando, finalmente, arrivò l'"illuminazione". Tremai un po' ma non lo diedi a vedere, mi si riempirono gli occhi di lacrime ma non le lasciai uscire. Presi il foglio dalla mia tasca e combaciò tutto, persino la dinamica dello strappo.
-Io..- Cominciai, rendendomi conto che non sapevo comunque come avrei continuato.
-Non c'è bisogno che parli.- Fortunatamente mi stoppò, prendendo le sue cose e alzandosi, questa volta definitivamente. Avevamo sentito quella poesia alla radio, esattamente il giorno di San Valentino. C'erano i ragazzi, quindi niente sceneggiate.. ci guardammo e basta, io la segnai su un foglio e la imparai a memoria.
Mi alzai, così da bloccarlo e da non permettergli di andarsene dopo un gesto del genere. Gli poggiai una mano sulla spalla quando lo raggiunsi, e, per la seconda volta si fermò, nel bel mezzo della hall dell'albergo. Piena di uomini di affari e donne che degli affari loro si facevano ben poco.
-Non te ne puoi andare di nuovo, non cos..- Cominciai a farneticare rendendomi conto che non sapevo nemmeno io fino a che punto sarei arrivato, quando..
-I ragazzi che si amano si baciano in piedi..- Mi interruppe senza alcun ritegno, cominciando a recitare il primo verso della poesia. Mi colpì come uno tsunami e in tutta sincerità, nonostante avessi voluto parlargliene, mi lasciai prendere. Si avvicinò un po', quel minimo che bastava per sentirci senza dover parlare troppo ad alta voce.
-Contro le porte della notte.- Merda. Merda, merda, merda. E se non me la fossi ricordata? Dio santo. Mi avvicinai ancora di più e lo strinsi quel che potevo a me.
-E i passanti che passano li segnano a dito.- Sussurrò Frank, poggiando la testa sulla mia spalla e fermandosi un secondo a guardarsi intorno. Tutte quelle persone che ci guardavano come alieni.. Forse Prevert era frocio anche lui. Perché insomma, nessuno ci avrebbe guardato male se fossi stata una ragazz.. voglio dire, se Frank fosse stata una ragazza.
-Ma i ragazzi che si amano non ci sono per nessuno..- Sembrava praticamente che stessi parlando con il suo lobo dell'orecchio, tanto che mi ero inconsapevolmente avvicinato. Strinsi la presa che le mie braccia avevano ormai saldato intorno ai suoi fianchi.
-Ed è soltanto la loro ombra che trema nella notte..- Riuscì a malapena a sentirlo, tanto che aveva il volto affondato fra il mio collo e la mia spalla. Il suo tono di voce era spezzato, quasi impaurito: come se fosse terrorizzato solo a pensare che quel momento perfetto, di lì a poco, sarebbe finito. E che avremmo fatto, dopo? ero in balia del nulla più totale.
-Stimolando la rabbia dei passanti.- Li guardai e per un attimo desiderai di poterli uccidere tutti. Che c'era di così.. strano? Che cosa facevamo di così sbagliato per meritarci di essere guardati come due lebbrosi? forse io ci avevo fatto l'abitudine, forse vedevo la cosa da un punto di vista diverso, ma ora.. seriamente.. cosa c'era di diverso?
-La loro rabbia.- Frank continuò, carezzandondomi di sfuggita il braccio.
-Il loro disprezzo.-
-Le loro risa..-
-E la loro invidia.- Pronunciai la parola "invidia" con particolare enfasi, quasi sperando che qualcuno in quella sala la cogliesse e si rendesse conto di quanto fosse nel torto. Frank si allontanò quel poco che bastava per tornare a guardarci. Poggiai la fronte contro la sua dopo pochi secondi, cominciando già a sentire la mancanza di quella vicinanza così forte.
-I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno.-Fu un lento mormorio della sua voce un po' tremolante e spezzata, ma per me fu abbastanza. Fu abbastanza per captarlo, conservarlo lì nel mio cervello e magari rievocarlo quando più ne avevo bisogno.
-Essi sono altrove.. molto più lontano della notte.- Cominciai a titubare un po', non sicuro di quel verso. Ma che importava? anche se avessi sbagliato, non me l'avrebbe mai fatto notare. Non avrebbe mai rovinato quel momento.. e nemmeno io.
-Molto più in alto del giorno..- Si allontanò un po' e mi guardò fisso negli occhi. Frank aveva degli occhi bellissimi, ma forse non gliel'avevo mai detto. Forse sì, ma forse ci avevo scherzato sopra. Forse no, ma delle volte in cui avrei voluto dirglielo avevo ormai perso il conto. Tremai un po', lasciandomi scappare un respiro forse un po' troppo accellerato. Ci fu una pausa più lunga e fu come se ci fossimo coordinati.
-Nell'abbagliante chiarore del loro primo amore.- Pronunciammo l'ultimo verso insieme: forse non si poteva proprio parlare di "primo amore", siccome almeno per me, era stato anche l'unico..
-Io non ce la faccio più.- Sospirò, lasciandomi appeso su un filo di parole che non avrebbe mai detto per non ferirmi, ma che sapevo benissimo che avrebbe voluto tanto gettarmi addosso.
-A.. a fare cosa?- Domandai ingenuamente nel tentativo di rimandare il più possibile quello che sapevo sarebbe successo. Frugò un po' nella sua tasca e ne cacciò fuori qualcosa che all'apparenza poteva essere un semplice pezzo di stupida plastica gialla dalla forma vagamente triangolare, ma in realtà, era molto più;
-Io non mi fido più di te.- Con un sorrisetto amaro me lo porse, e lo strinsi così forte nel palmo della mano destra che quasi fece male. -Non vedo perché dovrei tenerlo..- Si strinse nelle spalle, probabilmente aspettando che gli consegnassi il suo; erano due plettri. Due di quella sera. Ci avevamo scritto sopra le nostre iniziali e li portavamo sempre in tasca, quasi come due portafortuna: alcune coppie avevano collane e bracciali, noi due plettri. Che forse davano anche meno nell'occhio, no?
-Ci eravamo promessi che ce li saremmo restituiti solo dopo aver deciso di non.. di non voler più..- Presi un respiro profondo prima di finire la frase. -Di non voler più stare insieme.- Guardai fisso a terra, sperando che non confermasse quello che più avevo paura di sentire.
-Non possiamo, è diverso.- Anche il suo sguardò tornò fisso a terra, e non ricevette alcuna risposta da me. Mi guardai intorno per un po', e inevitabilmente, il mio sguardo finì su di lui. Gli carezzai lentamente il braccio, ma lui si scostò. E così capì che forse era davvero il momento di andare.. e lasciarlo andare, anche.



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-31 ottobre 2011-


La musica era martellante e c'era gente dappertutto. Sembrava di essere chiusi in una scatola di sardine e a dire il vero la sensazione mi piaceva.. nonostnante non capissi perché in una città come Parigi ci fossimo chuisi in una discoteca. Il giorno del compleanno di Frank, per giunta. Cioè, tecnicamente non lo era ancora.. erano le undici a quarantatrè del trenta ottobre duemilaundici e continuavo ad andare alla ricerca di quel nano del cazzo, ormai disperso fra la folla. Lindsey non c'era e mi ero comportato davvero da bravo fidanzato in quei mesi. Non un bacio, non una carezza, solo un abbraccio ogni tanto.. che poi era una cosa più che lecita anche fra amici, alla fine. Mi meritavo una ricompensa?
Proprio in quel momento lo scorsi appena. Era lontano. Quasi dall'altro lato. Non era con Emily, per fortuna. La testa rossa non si vedeva nemmeno nei paraggi, così mi fiondai verso di lui. Dovetti arrancare un pochino, ma con qualche gomitata ci arrivai, e riuscii anche a palpare qualche chiappa, quindi.. diciamo due piccioni con una fava. Mi fece un sorrisone a trentadue denti, e, nonostante mi aspettassi che si sarebbe avvicinato, rimase lì impalato con l'espressione di uno che ha appena visto Gesù.
-Ehi.- Ricambiai il suo sorrisone e mi avvicinai finché non rimanemmo a pochi centimetri di distanza. Dovetti praticamente urlare perché mi sentisse nonostante la musica, anche se gli spazi fra di noi erano piuttosto ridotti.
-Ehi.. c'è.. c'è casino qui.- Si guardò un po' intorno e poi continuò. -Aspetta, vieni con me.- Non aspettò nemmeno una mia risposta che subito si avviò verso un posto un po' più appartato. Lo seguì senza farmelo ripetere due volte e non me ne pentì. Lì la musica si sentiva, certo. Continuava a perforare i timpani, ma era più soffusa. Era quasi.. romantico? boh. Forse erano le luci. Forse le coppiette che limonavano. Anche se era triste vedere la gente che si amava e poteva farlo liberamente mentre tu te ne stavi lì, con una voglia assurda di fare la stessa cosa e solo qualche ricordo fra le mani.
Si sedette sul divano bianco che praticamente era lungo quanto tutto il perimetro di quella piccola area quadrata della discoteca e, senza nemmeno aspettare che me lo chiedesse, mi misi accanto a lui. Il più vicino possibile. Frank, forse un po' imbarazzato da quel minimo contatto al quale non eravamo più abituati, abbassò il capo. Continuava a girarsi i pollici e questo non aiutava nemmeno me, che anche se non lo davo a vedere, ero imbarazzato quanto lui. Perché insomma, non ero l'Ultimo dei Mohicani e nemmeno Highlander (o, per citare Ray, "Hamburger"..) e in quel momento l'impresa si presentava all'altezza solo di un immortale.
-Frank..- Mormorai, pregando per un momento tutte le religioni che non mi sentisse. Era solo un pretesto per fargli alzare la maledettissima testa, a dire il vero. Non mi interessava molto di chiacchierare, al momento.
-Sì, sono q..- Non riuscì nemmeno a finire la frase che subito si trovò con le labbra sigillate alle mie. Ah, Dio Santo, era quello che cercavo. Da mesi, ormai.. e sapete cosa? Frank sembrava anche ricambiare. Finalmente, passata l'ansia iniziale, chiusi gli occhi e mi feci prendere. Insomma, andò come andò. Si ritrovò completamente contro il muro, le mie mani che gli scombinavano i capelli e chissà quanti sguardi fissi addosso.
-M- m- merda..- Si scostò a fatica, perché insomma, non gli perimisi molto facilmente di rovinare tutto con le sue seghe mentali del cazzo.
-Che c'è ora?- Sbuffai, sorpreso dal tono di voce fermo che ero riuscito ad assumere anche dopo due minuti senza prendere nemmeno fiato.
-Q- quello cos'era?- Fece un respiro profondo, grattandosi il capo e mordendosi il labbro. Girai gli occhi, perché quel ragazzo doveva essere veramente, veramente stupido.
-Un fagiano, Frank. Che cazzo era secondo te?- Scossi il capo, e anche se dopo una frase come quella sarebbe stato molto più figo allontanarsi e fare un'uscita scenica in tutto stile, rimasi attaccato a lui, troppo debole per fare a meno di quel contatto dopo averlo ritrovato.
-Gerard, sai..- Cominciò con la voce di una ragazzina iscritta al club di castità che chiede al suo fidanzato di prenderle la manina. -Emily non c'è. E' tornata in albergo perché.. ecco, si sentiva male.- Abbassò il capo, forse senza rendersi conto di quanto quella frase fosse sconslusionata.
-L'unica cosa che mi dispiace è il fatto che non si senta male per colpa mia.- Mi strinsi nelle spalle con il mio solito sorrisetto diabolico stampato in volto.
-Intendevo.. oggi è il mio compleanno, no?- Abbassò il capo come se stesse cercando di chiedermi qualcosa ma senza andare dritto al punto. E nonostante avessi capito, ci avrei girato intorno. Se lo meritava, dopo avermi fatto fare il primo passo ed avermi lasciato anche in preda delle sue frasi senza (apparente) senso.
-Tecnicamente non ancora.- Inclinai il capo verso destra, così da sembrare disorientato.
-Gerard, ti prego. Basta. Lo so che hai capito..- Sbuffò, mentre io presi a ridacchiare fra me e me. -Intendevo, posso avere il regalo? anche se siamo un po' in anticipo..- Si morse il labbro, fissandomi negli occhi.
-Mh, dipende da che regalo vuoi..- Mi avvicinai pian piano al suo orecchio, così da poter sussurrare appena. Gli baciai più volte collo e quel poco di spalla che la sua t-shirt un po' slabbrata mostrava, già consapevole della risposta.
-Posso.. posso farti quello che voglio?- Domandò, distogliendo lo sguardo in un momento di imbarazzo cronico. Non ci toglievamo più nemmeno le scarpe, se eravamo nella stessa stanza. Riuscì solo ad annuire. Mandai giù il groppo che avevo in gola e presi fiato. -Mi porti in albergo?-
Gli avrei tirato qualcosa in faccia, sul serio. C'era un muro di tensione sessuale fra noi due grande come la Muraglia Cinese ed io avrei dovuto guidare fino all'albergo, aspettare di prendere le chiavi, salire in camera, fargli prendere i suoi ritmi del cazzo e tutto il resto? no.
-C'è il cesso pubblico, non ci serve un letto..- Lo implorai quasi, voltandomi a guardare la porta del bagno della discoteca.
-Romantico..- Sbuffò, incrociando le braccia come un bambino a cui viene negato lo zucchero filato.
-Non ci serve un letto per essere romantici. Io ti amo e basta, potremmo scopare anche in una catapecchia in Afghanistan e sarebbe romantico lo stesso..- Affondai letteralmente il volto nel suo petto e respirai a pieno il suo odore.
-Ti senti un po' poeta, oggi?- Ridacchiò, scombinandomi un po' i capelli mentre si godeva quel contatto che entrambi avevamo cercato tanto. Alzai un secondo lo sguardo e lo vidi: occhi chiusi e labbra appena appena aperte. Certe volte non mi spiegavo nemmeno come facesse ad essere così.. bello? Dio, ero così gay per lui.
-Potrei scriverci una canzone.- Ironizzai, ma probabilmente, a giudicare dalla sua espressione, mi prese un po' troppo seriamente.
-Titolo?- Sorrise.
-"Quella volta che Frank me l'ha ciucciato nel cesso di una discoteca".- Replicai altrettanto seriamente.
-Di classe.- Fece una piccola smorfia e inarcò entrambe le sopracciglia. Gli davano sempre fastidio battute di quel genere o quando.. ecco.. scherzavo molto apertamente su certe cose. -Scommetto che sarebbe un successo.- Ridacchiò nervosamente, trascinando con sé anche la mia risata.
-Non penso che MTV ce la farebbe suonare.- Scossi il capo, continuando a sorridere. Sinceramente, per quanto fosse bello tornare ad essere così aperti l'uno con l'altro, per quel momento con le battute eravamo apposto. Ripresi a baciarlo, questa volta con più convinzione di prima. Lentamente indietreggiammo fino alla porta del bagno. Frank cerco la maniglia, e, una volta trovata, ci ribaltammo quasi a terra in assenza di un appoggio al quale eravamo abituati.
Fortunatamente le porte delle toilette si chiudevano solo dall'interno, così, anche solo appoggiandocici, riuscimmo ad aprirne una (che per puro caso o, volendo tirare in ballo la fortuna, "benedizione divina era vuota). Era una stanzetta strettissima. Qusi un buco rettangolare, a dire il vero. E se già l'ambientazione non era proprio il massimo, quando guardai il pavimento forse cominciai ad apprezzare l'idea di Frank dell'albergo. Ma ora era troppo tardi, così chiusi gli occhi e cercai di non pensarci. Mi sbottonai frettolosamente i pantaloni e li lasciai semplicemente cadere a terra, convinto che se avessi lasciato fare a lui, ci avrebbe messo (volontariamente) sì e no due anni.
Non so con quale coraggio si mise in ginocchio e cominciò appena-appena a carezzarmi le cosce. Su e giù, sfregando lentamente i polpastrelli contro ogni centimetro della mia pelle. Cominciai quasi a tremare, un po' dal freddo, un po' per l'ansia. Mi sentivo come una verginella alla sua prima volta, dopo tutto il tempo che era passato.
Prese a dipsensare piccoli baci qui e lì, anche lui piuttosto timido rispetto al solito. Aprì un secondo gli occhi per vedere a che punto era e poi, letteralmente, lo implorai.
-Frank, per cortesia..- Fra un respiro profondo e l'altro, cercai di continuare nonostante la voce spezzata.  -Prima dello scoppio della Terza Guerra Mondiale è possibile?- Mi morsi davvero fortissimo il labbro inferiore quando, proprio in quel momento, "arrivò al punto". Mi liberò da quell'inutile restrinzione che in quel momento sembravano i boxer e chiusi nuovamente gli occhi nel tentativo di non venirgli in faccia ancora prima che potesse toccarmi. Non capivo perché, ma adoravo guardarlo. E molto spesso dovevo evitare di farlo proprio per quel motivo..
Cominciò con un ritmo insopportabilmente lento. Dopo tutta quell'attesa, continuava a non voler rinunciare ai suoi giochetti. Così, troppo preso per lasciargli fare, spinsi un po' con i fianchi. Si fermò di scatto e, quando aprì gli occhi, notai che aveva un espressione scocciata. Con le mani bloccò il mio bacino contro le gelide piastrelle del bagno, ma sembrava aver capito il messaggio. Capì che non volevo più tenere gli occhi chiusi, e così gli feci la classica domanda..
-G.. g.. guardami negli occhi.- Gettai fuori le parole per grazia divina, perché veramente, non mi resi conto nemmeno di come riuscì a parlare. Frank, in tutta risposta, alzò lo sguardo verso di me. Gli spostai rozzamente i capelli dal volto e il mio sguardo incrociò nettamente il suo.
Mi resi conto in quel momento che non avrei resistito a lungo; cercai di avvertirlo, eppure proprio niente: le parole sembravano piccoli omini che, pur di non scappare via dalla mia gola, rimanevano attaccati il più saldamente possibile alle mie corde vocali. Gli diedi addirittura uno schiaffetto dietro la testa, ma lui in tutta risposta fece la stessa cosa sulla mia gamba. Pft. Ingrato.
Esplosi con un lungo e rauco gemito, e Frank si allontanò lentamente con la bocca spalancata ed uno sguardo un po' confuso, quasi a chiedermi "ed io che devo farci con questa roba?"
-Butta giù, offre la casa.- Cercai di raccogliere quel po' di lucidità che mi rimaneva, e più o meno tornai a parlare come un normale cristiano. Gli sorrisi, alzando boxer e pantaloni. Frank, invece, era ancora in ginocchio e scosse il capo come in segno di riufiuto. Sbuffai. -Basta un poco di zucchero e la pillola la giù!- Canticchiai con finta convinzione ed enfasi, ma lui alzò gli occhi al cielo e sono convinto che se avesse potuto, avrebbe sbuffato. Andò alla ricerca del distributore di carta igienica, ma lo interruppi subito. -Oh, giuro che se sputi faccio l'offeso.- Aggrottai le sopracciglia e lo osservai mentre, con un espressione da martire, mandava seriamente tutto giù.
-Contento?- Sbuffò, facendomi scappare un risolino soddisfatto.
-Mai stato così contento in vita mia.- Si alzò, abbracciandomi. Forse non era ciò che ci si aspettava dopo un gesto del genere, eppure era così dolce. Frank era così dolce.
-Non lo dicevo per quello..- Cominciò a mormorare. -Anzi, ormai ci sono abituato..- Fece una piccola smorfia e mi strinse ancora più forte. -Più che altro lo dicevo per Emily, che chissà che dovrà pensare quando mi bacierà e sentirà.. ecco..- Si morse il labbro, un po' a disagio per via del fatto che non era abbastanza sfacciato per continuare quella frase.
-Bevi qualcosa.- Lo interruppi, dandogli quello che forse sarebbe stato l'ultimo bacio prima del prossimo compleanno.



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La poesia, come hanno indovinato se non mi sbaglio due di voi, era "I ragazzi che si amano" di Prevert e tipo l'abbiamo studiata a scuola ed io ero tipo.. sdfghjkl, sul serio. E' bellerrima. çwç
Pooooi.. sto seriamente pensando di cambiare il rating della storia, sì. AHHAHAAHHAHAAHAHAAHAH. No, sul serio, perdonatemi tutto ciò, avevo bisogno di scrivere qualcosa di più leggero che non ne potevo più di scene tristi e deprimenti, e penso nemmeno voi, quindi è ok anche così. (?)

Le battute sono tutte frutto delle menti contorte dei miei compagni di classe. Praticamente mi sono trovata ad ascoltare una conversazione "interessantissima" sulle loro prodezze e.. umh.. sì. Ecco. e___e
Al prossimo capitolo, dddai. <3
Baci, xMN.

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Capitolo 9
*** 9. dirty little secret. ***


okdok

 

9. dirty little secret.





Frank tornò prima dalla discoteca perché era una checca, ma insomma, io non ero da meno. Me ne andai appena mezz'ora e sei birre da dodici gradi dopo, probabilmente perché non ne potevo più di quella musica perforante, e, soprattutto quando un reimx di un "grandissimo" successo in francese di Mika mi colpì come un palo in piena faccia, la cosa si fece piuttosto insopportabile. Oppure perché senza di lui mi sentivo abbastanza solo, ma la scusa del mal di testa era comunque buona per mentire a me stesso. Quindi.. Gerard + Frank era uguale a checca. Ma diciamo che alla fine anche Gerard - Frank era uguale a checca, ed era più o meno una checcaggine collettiva. Checca, checca, checca. Checca alla terza. Radice quadrata di checc.. decisi di lasciar perdere la matematica che non era mai stata proprio il mio forte e tornai ai miei soliti stupidi e masochisti pensieri. Non ero ubriaco, ma diversamente allegro. Abbastanza allegro da fare commenti sulle tette della fidanzata di mio fratello, ma in quel momento non mi importava molto, anche perché probabilmente il giorno dopo non me ne sarei nemmeno ricordato, e come diceva mamma.. "occhio non vede, cuore non duole". O, volendo riadattare il vecchio proverbio alla mia situazione.. "se non ti ricordi una grandissima figura di merda perché l'hai fatta da sbronzo, tanto meglio".

Il silenzio della hall mi colpì in pieno, essendo appena uscito prima da una discoteca e poi dal traffico parigino del sabato sera. Non che ci fosse davvero silenzio, ma era appena un brusio che ormai non mi era più tanto familiare, come concetto. Non appena entrai si abbassò ancor di più di qualche tono, tutti troppo presi a fissarmi mentre entravo per continuare a chaicchierare. Non che mi guardassero per qualche motivo, ma dopo due giorni a Parigi e dopo esserci stato tante volte (seppur per poco), una cosa sui francesi l'avevo imparata: ti guardano come se fossi l'ultimo dei coglioni anche se sei il presidente. "Sarcofago", o qualunque fosse il suo nome. Non ci feci quindi troppo caso, e, nonostante fossi conciato davvero male e sbandassi un po', mi avviai verso l'ascensore e non passò troppo tempo prima che riuscissi ad arrivare al nono piano. Per i corridoi non girava nessuno. Non che fosse così tardi, poi: guardai l'orologio che portavo al polso e segnava l'una e tredici. Mi fermai un secondo, schiena appoggiata al muro e sguardo perso. Cercai di valutare le opzioni che mi restavano. Potevo uscire di nuovo, ma mi sarei trovato solo ugualmente. Potevo tornare in camera, sì, ma non ne avevo voglia. Oppure potevo andare a rompere le palle a Frank, perché no? Infondo tutti quei possibili programmi che stavo pensando erano solo una messa in scena con me stesso per non essere così patetico da pensare a Frank come prima opzione fra le tante, quindi che problema c'era?
Cercai la 1141, la camera di lui ed Emi.. cazzo, Emily. Mi trovai dinanzi alla porta e rimasi lì impalato per almeno qualche minuto. Probabilmente sembravo un completo ritardato, ma stavo solo pensando a cosa fare. Se ci fosse stato solo Frank avrei potuto bussare, ma lei.. lei, cazzo. Finalmente, dopo "accurate" riflessioni e varie imprecazoni, mi ricordai delle infinite volte che, i primi tempi, chiudevo le chiavi in camera e riportai alla mente un vecchio sistema. Mi guardai un po' intorno e controllai che non ci fosse nessuno, siccome probabilmente sarei sembrato uno scassinatore, e una volta sicuro, frugai in tasca nella speranza di non aver perso il portafogli. Presi la prima carta di credito che mi trovai a tiro, e.. voilà: la porta era aperta. Mi misi sulle punte e mi sporsi appena a guardare. Lei era a letto, ma lui no. Dormiva profondamente, perciò non mi feci troppi problemi ad entrare e cercare quel grandissimo bastardo. Perché sul serio, se non l'avessi trovato in camera, gliel'avrei fatta pagare.
Questa era una delle classiche situazioni in cui cercavi di non far rumore e poi, puntualmente, ti trovavi l'orchestra sinfonica dell'Operà che decide casualmente di fare un revival di vari pezzi proprio a qualche metro di distanza, perciò cercai veramente di non toccare nulla, nemmeno per errore. Appena vidi la porta del bagno chiusa, capii. Non riuscì a trattenere un sorriso pensando al fatto che no, effettivamente non mi aveva mentito, e incurante della sua privacy o qualsiasi cosa, la aprii. Frank stava facendo il bagno, e.. cazzo, era.. perfetto?
Non mi vide: di questo ne ero sicuro. Aveva gli occhi chiusi e l'espressione di uno che ha appena raggiunto il nirvana. In un certo senso poteva anche sembrare che stesse dormendo. Anzi, forse si era davvero addormentato. Ed il mattino dopo si sarebbe svegliato con le branchie e la pelle squamata. E forse ero ubriaco, ma era così bello che era proprio in momenti come quelli che mi chiedevo che cosa ci facesse ancora appresso a me quando avrebbe potuto chiunque volesse.
-Sembri quasi bello certe volte.- Esordii, senza però avvicinarmi. Frank sobbalzò, quasi terrorizzato. Si voltò a guardarmi di scatto e probabilmente fece traboccare un po' d'acqua dalla vasca già pericolosamente piena. Mi lasciai scappare un sorrisetto, mentre lui, espressione così simile a quella di quando mi aveva visto che sembrava una fotografia, rimase a bocca aperta ed occhi spalancati a guardarmi. Sembrava che stesse per cominciare a blaterare, blaterare, blaterare, ma invece, con mia grande sorpresa, fece solo una domanda: la più ovvia.
-Come.. c.. cazzo sei entrato?- Si stropicciò le palpebre come se, appunto, si fosse appena alzato e sembrava che non sapesse nemmeno da dove uscisse la sua stessa voce. Incurante della sua reazione un po' scossa, mi avvicinai. Rubai momentaneamente lo sgabello che c'era alla mia sinistra (uno sgabello in bagno.. mah, i francesi..) e mi ci sedetti sgraziatamente sopra. Era così basso che per la prima volta Frank riuscì a guardarmi dall'alto. Con un ghigno stampato in faccia gli mostrai la carta di credito. Tirò un sospiro di sollievo e poi tornò immerso fino al collo fra schiuma ed acqua.
-Ti ho spaventato?- Ridacchiai, e lui tutto scocciato si girò a sbuffarmi in faccia. Carino da parte sua. Dopo essermi fatto un culo così ed essere entrato in camera sua nonostante la minaccia della fidanzata malefica ed avergli fatto anche un complimento.. non che me l'avesse chiesto, ovvio.
-Sì.- Tagliò corto, comportandosi con freddezza nessun motivo. -Ma adesso vattene, se si sveglia Emily uccide prima te e poi me.- Il suo tono glaciale calò sempre di più, parola per parola, e finì a guardarmi con un espressione quasi di rimorso per l'avermi cacciato, anche se sapeva benissimo che non me ne sarei andato per niente al mondo.
-Ti prenderei la mano, se non fossi completamente bagnato.- Lasciai cadere lenamente la testa all'indietro, perché cazzo, alla "tenera" età di trentaquattro anni non potevo più permettermi di fare la "vida loca" ed i dolori cominciavano a farsi sentire.
-Che c'entra?- Passò un po' prima della sua risposta, ma quando la ricevetti, scattai di nuovo nella stessa posizione di prima e ne valse completamente la pena. Insomma, vederlo arrossire ormai non capitava più spesso. Forse perché, stando con Emily, si trovava a fare per la prima volta l'"uomo" della coppia, e certo, sarebbe stato un po' ridicolo se avesse continuato ad avvampare o fare il timido. Ma io, a dire il vero, volevo così tanto che ritornasse come prima che mi sarei venduto un polmone. Sempre che qualcuno l'avesse voluto uno dei miei polmoni, rovinati com'erano per il fumo.
-Ti amo e mi sento malissimo.- Sospirai, continuando a dire tutto ciò che mi passava per la testa piuttosto che dare delle vere risposte alle sue domande. Mi presi il volto fra le mani, chiusi gli occhi, e cercai con tutte le mie forze di sopprimere quella vocina nella testa che mi pregava di trapanare l'esatto centro della fronte per bilanciare il dolore.
-Hai bevuto troppo.- Con una voce che mi ricordava tanto quella di quando nel periodo "nero" mi pregava di smetterla di farmi del male, continuò a puntualizzare l'ovvio. Ormai non mi succedeva spesso, ma a volte lo facevo volontariamente perché era proprio bello non pensare a nulla. Sarei diventato alcolista di nuovo se non avessi avuto troppo ragioni per vivere. Avevo i ragazzi, avevo Frank, avevo le promesse che avevo fatto alla nonna, quelle che ho fatto a Mikey e poi avevo Bandit. Bandit. Bandito. Ladro. Un fuorilegge. Perché sì, immaginiamo per un secondo delle regole. Delle regole in amore. Delle regole punibili con un vero processo e delle vere pene da scontare. Ecco, io sarei in galera, ma lei sarebbe il frutto di quello che è nato da qualcosa di sbagliato. Ed in un certo senso.. una fuorilegge anche lei. Certo, potevo anche trovare un nome decente e con un significato migliore, ma Lindsey mi aveva dato campo libero e a me Bandit, in tutta onestà, piaceva. E quindi.. che si fottesse, no?
-Voglio semplicemente vomitare anima e cervello e rimanere a dormire sul pavimento di questo cazzo di bagno.- Poggiai la testa sul bordo della vasca e lui scattò sull'attenti, sospirando con fare di uno che si rassegna completamente.
-Non avrei mai pensato di doverlo fare di nuovo.- Si alzò, emettendo il classico gemito di fatica tipico di mia nonna, e non appena sentì il rumore dell'acqua, tornai a guardarlo. Si voltò a destra e a sinistra nel disperato tentativo di trovare un telo da bagno, ed una piccola parte di me sperava proprio che non ce l'avrebbe fatta. Continuai a fissarlo per tutto il tempo possibile, anche se l'unica visuale che mi permtteva la posa in cui mi trovavo era più o meno dai fianchi in giù. Non che mi dispiacesse, ma avrei voluto alzarmi. E ci averi provato, se solo avessi avuto un minimo di forza nelle ginocchia. Cominciai veramente a non capire come fossi riuscito ad arrivare fino all'albergo e poi addirittura in camera sua, ma scacciai quei pensieri, e, semplicemente, tornai a fissare Frank che adesso si stava asciugando di fretta e furia. Come avevo fatto a non consumarlo ancora, restava un dilemma.
-Alzati, dai.- Mi fece un cenno col capo non appena finì di vestirsi il minimo che bastava per non ghiacciarsi. Ebbi solo la forza di scuotere il capo perché cazzo, mi sarei anche alzato, ma proprio non ci riuscivo. E in più.. non capivo bene perché. Sbuffò e alzò gli occhi al cielo, porgendomi la mano e praticamente tirandomi su non appena l'afferrai. -Devi rimettere?- Domandò, visibilmente deluso e scocciato. Non ebbi il coraggio di rispondergli: quando usava quel tono mi demoliva completmente, così annuii e basta. Mi fece inginocchiare accanto al wc ed appoggiai i gomiti sulla tavoletta mentre anche lui assumeva quella posa. Solo che le sue mani, invece che strette ad uno schifoso cesso, frugavno nei miei capelli così da tenerli lontani dal volto. Avrei voluto ringraziarlo, ma non appena mi trovai in codinzioni di farlo, non riuscii più a trattenere l'istinto di rimettere tutto quello schifo che avevo forzato il mio corpo ad ingerire. Frank parlava, tentando di distrarmi. Diceva cose sconnesse e sembrava quasi un monologo, siccome non avrei mai potuto rispondergli e ne era consapevole. Mi parlava di quella volta che rubò la macchina a suo padre e per una sera mandammo a cagare le prove con i ragazzi e ce ne scappammo al concerto dei Misfits a New York. Poi mi disse qualcosa sulle spiagge, ma a dire il vero non la colsi bene. E poi semplicemente tante frasi dolci che il giorno dopo non mi sarei nemmeno ricordato. Cercai di ricompormi una volta libero. Mi bruciava la gola, mi girava la testa, avevo gli occhi lucidi, sentivo le guance in fiamme e mi sentivo.. sporco. Non capivo come avevo fatto a passare anni in quello stato, perché forse.. non ne valeva davvero la pena. Mi girai a guardarlo ed i miei occhi incrociarono i suoi, quando poi, semplicemente, mi sorrise. Era la notte del suo compleanno, forse voleva stare per cazzi suoi, e nonostante mi fossi intrufolato in camera sua e gli avessi fatto prendere un colpo, anche dopo avermi tenuto la testa mentre vomitavo, Frank sorrideva. Avvicinò le labbra al mio collo, così lentamente che riuscì ad interromperlo.
-Non mi baciare, puzzo.- Le parole mi grattarono la gola come se la stessero scartavetrando. Mi stropicciai gli occhi e poi scaricai, mentre Frank mi dava una mano ad alzarmi. Sospirò.
-Non ti ricordi di tutte le volte che l'ho fatto?- Sapevo benissimo a cosa si riferiva, eppure no. A dire il vero ricordavo ben poco di quegli anni. Più o meno erano tutte immagini confuse e sfocate, messe insieme per lo più grazie all'aiuto dei ricordi dei ragazzi, ai numerosi video e alle interviste, concerti filmati e tutto il resto. Non è facile essere ubriaco quasi per anni interi e ricordarsi cose del genere. Cose che sappiamo solo noi due e che uno dei due è troppo timido per raccontare e l'altro troppo fatto per ricordare. Scossi il capo per non essere costretto a parlare di nuovo, perché cazzo, sarebbe stato meglio fare un pompino ad una motosega accesa piuttosto che subire di nuovo quella tortura. -Ti tenevo la testa anche nei bagni pubblici e ti raccontavo cose.. felici.- Si lasciò scappare un sorriso che aveva una nota così amara che sembrava quasi nato sul suo volto solo per nascondere le lacrime e mi fece alzare. Non ebbi il coraggio di continuare, così rimanemmo in quel modo per un po' finché non trovai un valido argomento con il quale esordire.
-Mi sento sporco..- Dolore. Dolore, dolore, dolore. Frank diede uno sguardo veloce alla vasca ancora piena e più o meno calda e poi prese a svestirmi. La gelida aria colpì pian piano la mia pelle, pezzo per pezzo, con ogni suo movimento. Rimase per qualche secondo imbambolato e poi mi prese per mano e mi condusse fino alla vasca, aiutandomi addirittura ad entrarci come se ci fosse qualche rischio nel farlo. Cero, avrei potuto scivolare e magari spaccarmi la testa, ma forse sarebbe stato meglio per tutti. Mi accoccolai nella vasca, sentendo subito l'effetto rinvigorente dei cari, vecchi acqua e sapone. Mi strinsi le gambe al petto e appoggiai la testa fra le ginocchia, continuando ad osservare quel bellissimo lavoro di Dio che intanto stava prendendo una spugna. Si sedette sullo stesso sgabellino dove prima ero seduto io e, con la stessa espressione di una madre delusa dal figlio, cominciò a strusciarla sulla mia pelle. Un vero salto di qualità, rispetto alle mie solite docce affrettate. Nonostante non stessi lavando i capelli, mi sentivo cento volte più pulito del solito.
Poggiò la spugna di lato e mi porse la mano così da farmi capire che dovevo alzarmi. Mi sentivo già un po' più rinvigorito, così, più o meno, ci riuscì. Sciacquò via il sapone con un po' d'acqua e poi uscì dalla stanza. Sapevo che non mi avrebbe abbandonato lì, questo era ovvio. Eppure, tra un brivido e l'altro, continuavo a chiedermi dove fosse andato. Lo vidi tornare pochi secondi dopo con dei vestiti non meglio identificabili in mano e un nuovo telo. Mi ci avvolse dentro e poi mi fece uscire dalla vasca, asciugandomi con esso. Prima di liberarmi però da quel punzecchiante strato di tessuto, si prese un secondo per abbracciarmi. Un abbraccio saldo. Fermo. Caldo..
-Prendi.- Mi porse gli stessi abiti portati precedentemente e semplicemente li presi, indossandoli. Erano suoi e questo si vedeva bene. Erano soltanto una maglietta ed un paio di boxer, ma bastavano per dormire.
E così mi accompagnò in camera. In silenzio. Prendendomi un'ultima volta fra le sue braccia.



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Ero visibilmente distrutto e mio fratello non tardò a notarlo. La precedente era stata la notte più brutta, difficile, strana che avessi passato in tanto tempo. Per coprire le occhiaie ero costretto ad indossare dei fottuti occhiali da sole tondeggianti che facevano schifo persino a me, ero raffreddato e non capivo perché, portavo una maledetta sciarpa per via del mal di gola ancora pulsante ed ero.. orrendo. Un totale casino. Messo così male che persino Lindsey, quella mattina, mi aveva chiesto che diavolo avevo fatto la sera prima. E se non fosse stato per la presenza di Mikey accanto a me, mi sarei anche addormentato sul tavolo di quel bar. All'istante. Con la faccia affondata nel caffè e senza nemmeno pentirmene.  
-Gerard..- Le palpebre mi si stavano quasi chiudendo, ma al suono della voce di mio fratello, le aprì di colpo ed emisi una specie di rumore che era praticamente un gemito alla "lascimi dormire". -Ieri sera ti sei andato a prostituire o..?- Domandò, aggrottando le sopracciglia. Presi un sorso di caffè prima di rispondere, nel disperato tentativo di rinvenire da quel sonno profondo che mi aleggiava intorno quasi come una maledizione.
-Sì, mi sono andato a prostituire, Mikey.- Sbuffai. -Chiedi ad Alicia, l'altra sera è stata cliente.- Nonostante quella lì non mi fosse mai piaciuta, da quando aveva incitato Emily a perdonare Frank, la odiavo ancora dipiù. E non riuscivo veramente a trattenermi se si trattava di fare battutacce su di lei.
-Nah, non le piacciono le checche.- Replicò con tono quasi offeso. Certo, potevo capirlo.. ma non sopportavo più il modo in cui mi trattava. Come se fosse quasi schifato da me.
-Ti ricordi l'anno scorso?- Lasciai perdere insulti e cazzate varie che ovviamente non ci avrebbero portato da nessuna parte, provando a fare un discorso di un briciolo più serio. Aggrottò le sopracciglia, un po' confuso. -Mi dicesti: "sei mio fratello, ti vorrei bene anche se avessi la lebbra".- Imitai vagamente il suo tono di voce. Feci una breve pausa e, da dietro le scure lenti, lo osservai giocherellare nervosamente con il bordo della tazzina. -Ed io, stupido come sono, ci credetti.- Scossi il capo, nel disperato tentativo di fargli capire quanto mi faceva male. Quanto faceva male vedere che lui, mio fratello, mi trattava come.. come tutti gli altri. Per quanto lo negasse, sapevo che gli dava fastidio. Lo vedevo dal modo in cui storceva il naso anche solo se ci abbracciavamo, dal modo in cui sbuffava quando gli dicevo che avevamo litigato, dal modo in cui mi guardava come se fossi un pazzo quando gli dicevo che stavo male per lui. Come a chiedersi "come si fa a star male per un ragazzo?". Come se, improvvisamente, non mi capisse. Sapeva benissimo che questa volta (e ormai da molto tempo) era nel torto, così non proferì parola, aspettandosi probabilmente uno sfurione un po' più lungo di così. Ma io non avevo voglia di arrabiarmi. Non avevo voglia di urlargli contro perché non sarebbe servito a nulla e gli avrei dato solo l'ennesimo specchio sul quale arrampicarsi. E ormai, ero arrivato ad un punto in cui mi mancava anche la forza per combattere le mie battaglie, e speravo vivamente che si accorgesse da solo di quanto era scorretto nei miei confronti.
-Io te ne voglio, Gerard..- Cercò disperatamente di scrollarsi di dosso i sensi di colpa che probabilmente, conoscendolo bene, lo stavano tormentando in quel momento. Forse non si era mai resto conto di quanto fosse difficile per me sentirmi quasi.. odiato da lui. Se non in quei momenti in cui riguadagnavamo quello che Ray aveva definito "feeling alla Way", che ormai andavano facendosi sempre più rari. Se non dei miracoli,  a dire il vero.
-Potrei venirti a dire che so pisciare a ventotto metri di distanza, ma senza una prova, tu mi crederesti mai?- Cercai di abbozzare un sorriso e speravo veramente che sul suo volto succedesse la stessa cosa. Altrimenti perché avrei scelto quell'espempio così stupido, se non per sdrammatizzare? infondo non ero così stronzo da volerlo mettere in difficoltà.. solo da sbattergli la realtà in faccia, questo sì. Accavallai le gambe e, in un sorso veloce, mi tolsi di mezzo l'ingrombro del caffè in un solo sorso, spostando in avanti la tazzina quasi come riflesso automatico. -Vorrei anche un motivo per crederci, Mikey.. perché sarebbe bello potrelo pensare di nuovo.- Sospirai, abbassando il capo.
-Ti devo delle scuse.- Si strinse nella giacca a vento e prese un respiro profondo, restando con le braccia incrociate più per il freddo che per dimostrare indisponenza, che in quel momento proprio non gli apparteneva. -Sono mancato quando più ne avevi bisogno e mi dispiace, ma.. devi capire che per me.. è.. è difficile. Quasi quanto lo è per te, a dire il vero.- Si morse il labbro, e lo vidi chiaramente a disagio nonostante stessi cercando di evitare il suo sguardo. Era anche piuttosto facile, con quei cosi indosso. -Tu sei mio fratello e Frank è come.. è anche lui come un fratello. E' difficile ed è strano vedervi insieme.- Chiuse gli occhi e se li stropicciò, stanco quasi quanto me. Forse non ero stato l'unico ad aver avuto una nottataccia. -Ma giuro, giuro, giuro, che se da oggi in poi mi dovessi comportare così male, ti darei il permesso di non parlarmi mai più. Davvero. Se non per questioni riguardanti il gruppo, bhè, sì..- Sembrava così convinto all'inizio della frase che, quando titubò verso il finale, mi fece quasi ridere. La sua solita indecisione ed insicurezza. Gli feci un sorrisone e lui lo ricambiò, abbracciandomi per quello che poteva nonostante l'impedimento del tavolino.
-Ti voglio bene.- Gli sussurrai, mentre ancora era troppo impegnato a riempirmi di pacche sulla schiena. Gli scombinai i capelli così da allontanarlo, siccome lo stare mezzo in piedi - mezzo no per raggiungerlo cominciava a pesare sulle mie ginocchia già troppo provate e tornai a sedermi, quasi cadendo all'indietro. Mi fece una smorfia e se li aggiustò paranoicamente, nonostante scoppiammo a ridere subito dopo.
-E adesso mi spieghi che cos'hai?- Domandò, uccidendo letteralmente l'atmosfera. Ma un po' glielo perdonavo, perché cominciava a farsi seriamente pesante. Cercai di raccontargli cos'era successo senza caricargli addosso eccessive preoccupazioni, dunque "censurai" ciò che era accaduto la sera prima e provai semplicemente a fare un breve, breve, breve riassunto di com'ero stato nei precedenti mesi. E mi resi conto che ero davvero riuscito a rendere il tutto "breve" quando le uniche parole che mi passarono per la testa divennero tre.
-Mi manca lui.- Con tono così melenso e sconsolato che apparve disgustoso persino alle mie stesse orecchie, esposi il centro del problema. Perché non mi sarei ubriacato se non mi fosse mancato Frank, e quindi ciò che avevo davvero fatto la sera prima non era altro che una conseguenza di un sovraccrico di quello che aveva continuato ad attanagliarmi per ormai troppo tempo. Perché davvero, la sera prima mi ero reso conto di stare davvero male. Perché quando avevo visto Frank andarsene così, dopo quello che aveva fatto e quello che si era lasciato fare, capì che tutti quei venti minuti di speranza erano stati inutili. Speranza che potesse, di nuovo, nascere qualcosa.
-Cazzo, allora diglielo.- Mikey si strinse nelle spalle e fece una strana mossa, quasi ad indicarmi che era la cosa più ovvia da fare. Ma per Mikey le cose più ovvie erano sempre le più semplici, anche perché non considerava le situazioni che c'erano di fondo. Per Mikey, a dire il vero, era tutto così semplice che certe volte lo invidiavo. -Fai una pazzia. E' il giorno del suo compleanno, potresti avere centomila spunti. Sei troppo chiuso, Gee. Lo so che è strano sentirselo dire da me, ma tu..- Si interruppe nel bel mezzo di un discorso che sembrava così ben pianificato che tutto mi sarei aspettato meno che un balbettio nel mezzo, ma poi continuò senza troppi problemi. -Insomma, ormai è chiaro che siete innamorati. Parliamo spesso di te, e se c'è una cosa che ho capito, è che si farebbe ammazzare per vederti contento. Potreste stare insieme in segreto. Insomma, potremmo saperlo solo noi quattro e sarebbe la cosa migliore, credo. E stai tranquillo che lui non ti rifiuterebbe mai.-
Mikey aveva ragione. Su tutta la linea. A partire dalla pazzia, fino ad arrivare al segreto. L'unica frase sulla quale avevo dei dubbi era l'ultima, ma ormai non avevo niente da perdere. Pensai come non avevo pensato in veramente tanto tempo, e cercai di non far caso alla mia espressione sicuramente ridicola. Mikey intanto mi aspettava. Aspettava che dicessi qualcosa, che partissi con una delle mie idee assurde ed ero sicuro che mi avrebbe seguito ed aiutato in tutto e per tutto. Ne ero sicuro come non ne ero sicuro da tempo.



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Mi ricordai giusto in tempo di una cosa alla quale lavoravo da molto. Cioè, l'avevo lasciata perdere probabilmente perché, non stando più insieme, sarebbe stato ridicolo regalargliela. Era un quaderno. Una vera e propria stronzata, a dire il vero. Ci avevo messo in ordine cronologico le foto che avevamo insieme e tutte le lettere e disegni che gli avevo fatto e mai consegnato. Avevo avuto l'idea già da gennaio, quando avevo visto quel mucchio di lettere lasciate lì a marcire in un cassetto. Ormai non aveva più senso che rimanessero lì.. ormai che sapeva tutto. E confesso, io stesso non avevo avuto il coraggio di andare a rileggerle se non durante il periodo di febbraio, quando avevo cominciato a prendere la situazione in mano. Era da marzo che avevo cominciato a cercare tutte le foto che mi sarebbero servite, e, nonostante ci avessi messo mesi per arrivare fino al duemiladieci, in poco tempo riuscì a mettere insieme tutto quello che avevo accumulato per il duemilauncidi. Non ero completamente soddisfatto, a dirla tutta. Mi sentivo anche un po' stupido a darglielo.. e cazzo, quanto mi sarei sentito stupido a guardarlo mentre leggeva le lettere di un me di appena vent'anni e qualcosa che fantasticava su di lui dopo averlo casualmente beccato sotto la doccia in tour. O di un me suicida e ubriaco che gli confessava in tutti i modi (se non il più esplicito) che lo ama. O di me e basta, perché cazzo, mi ero sempre vergognato di me.
Erano le sei, l'ora del tramonto. Cercai nel profondo il Gerard cazzuto all'apparenza di qualche anno prima e bussai alla porta di camera sua. Quando non aprì, cominciai a contare. Andai quasi in iperventilazione, a dirla tutta. Uno, due, tre, quattro. Insomma, i secondi passavano. Avrei dovuto bussare di nuovo? perché no. Bussai di nuovo, con più forza. Cinque, sei, sette otto. Ma Frank non apriva. Bussai col pugno e questa volta lo chiamai, quasi urlando.
-Frank, apri!- Appoggiai sconsolato la fronte contro il liscio e gelido legno della porta, nonostante fossero passati solo pochi secondi. A dire il vero lo realizzai solo in quel momento. Magari stava pisciando e non poteva aprire ed io non facevo altro che pressarlo, pressarlo, pressarlo. Ero insopportabile e rompipalle. Forse sarei dovuto tornare dopo, quella notte. E mentre ero ancora tutto preso da quei pensieri, sentì i suoi passi appesantiti sulla moquette.
-S.. sì, arrivo.- Replicò, ma a dire il vero la sua voce era così bassa e debole che lo sentì giusto quel poco che bastava per cogliere quel "piccolo" dettaglio che si era appena svegliato. Minchia, Gerard. Più fastidioso di un tumore. Anche se poi, dopo una riflessione più accurata, mi resi conto che dormire alle sei forse non era proprio la cosa più normale e diciamo che mi perdonai quest'inizio un po' fiacco.
Frank aprì la porta e sembrava che sarebbe svenuto da un momento all'altro. Indossava quel pantalone di una vecchia tuta che ormai usava solo per dormire e una maglietta nera così stretta che mi chiedevo come gli passasse il sangue per le braccia. Fatto stava che la sua faccia in quel momento, il modo in cui quasi sbandava e la sua "mise", confermarono la mia teoria. Insieme alle coperte bruscamente abbandonate sulla moquette che si intravedevano.
-Ciao.- Sbadigliò, rimanendo appoggiato allo stipite della porta senza aggiungere né "a", né "i", né "o". Certo, non mi stava aiutando. E in quel momento non sapevo proprio che dire, dunque strinsi semplicemente il quaderno fra le mani. Frank se ne accorse, così cercò di scorgere le due iniziali che c'erano in copertina. Proprio per questo lo portai dietro alla schiena e finalmente trovai un modo in cui esordire.
-Nah, questo lo lasciamo per dopo!- Gli sorrisi, fancedogli l'occhiolino e ondeggiando un po' a destra e a sinistra. -Bhè, non mi fai entrare?- Aggiunsi, cercando con lo sguardo di spiare il disastrato interno della stanza ma contemporaneamente di sembrare.. tenero?
 Farfugliò qualcosa. Un ammasso di versetti non meglio identificati sui quali non mi concentrai troppo. Schioccò poi le dita, come se gli avessi ricordato qualcosa di importante. Mi fece strada in camera e cercò almeno un minimo di apparare la situazione. Alzò la coperta che probabilmente prima aveva trascinato con sé nel tentativo di alzarsi, tutti i vestiti appallottolati a terra rimasero, sì, appallottolati, ma almeno cerco di metterli in valigia e chiuderla, e mentre lui cercava di fare la brava donna di casa, mi sedetti a letto, tenendo sempre stretto fra le mani il regalo.
-Allora?- Mi domandò, mettendosi a sedere accanto a me. Si stropicciò più o meno tutta la faccia, e poi, dopo un respiro profondo, cominciai con il discorso che stavo preparando più o meno da ore. O, volendo, cominciai semplicemente a sputare fuori tutte quelle cose che negli ultimi tempi non avevo proprio avuto il coraggio di dirgli.
-Allora niente!- Mi strinsi nelle spalle e gli porsi il quaderno. Sentì per un attimo il cuore in gola, ma fortunatamente riuscì a mandarlo di nuovo giù. Prese fra le mani la copertina e poi cominciò a sfogliare le pagine. Quando vide la prima foto (e cavolo, era davvero, davvero la prima) sgranò gli occhi e si voltò di scatto a guardarmi. -Buon compleanno..- Mi avvicinai al suo collo e gli sussurrai appena all'orecchio. Frank lasciò il quaderno alla sua destra e mi abbracciò. Bhè, dovevo aver fatto centro.
Avevamo ormai sfogliato tutte le santissime pagine e avevo perso la cognizione del tempo. Avevamo passato un pomeriggio intero a ridere per le mie lettere da ragazzina arrapata, a ricordare i "vecchi tempi" e perché no, anche un po' a piangere, che ormai nessuno dei due se ne vergognava più. Erano queste le cose che ti facevano capire di essere vecchio. E se non vecchio, che comunque non eri più un ragazzino. Fuori si era fatto buio. Alle nove e mezza sarebbe cominciata la festa di Frank e, nonostante da un'occhiata veloce all'orologio fossero le otto e due, eravamo ancora lì. Stesi a pancia sotto, con le gambe all'aria come due teenagers che sfogliano una rivista di gossip. "Bleah" non era abbastanza per definire quell'immagine.
Ormai era arrivato all'ultima pagina. Non l'aveva ancora voltata, ma era la più importante e penso che in qualche modo l'avesse capito. Non solo perché lo si poteva chiaramente capire, ma anche perché ormai mi conosceva troppo bene, ed ero sicuro al cento per cento che avesse notato la mia già abbondante tensione che cresceva pagina dopo pagina. Mi guardò per un secondo negli occhi, come se mi volesse chiedere il permesso di fare il "grande passo". Aggrottò semplicemente le sopracciglia quando vide quell'enorme punto interrogativo nero su sfondo bianco e tornò a fissarmi, quasi alla ricerca di una risposta ad una domanda sott'intesa.
-Stacca la foto e girala.- Gli diedi una mano a staccare lo scotch, siccome sembrava un po' troppo scosso anche solo per muoversi. Gli porsi la "foto" e, a giudicare dalla faccia che fece quando la girò, sembrava aver già capito che cosa intendevo comunicargli con quel regalo.
-L.. leggimela tu.- Balbettò, mettendosi seduto con le gambe incrociate senza scrollarmi lo sguardo di dosso per un secondo. No, cazzo. Questa non ci voleva. Insomma, gli avevo scritto una lettera per evitare di rovinare quello che nella mia mente scorreva così fluido ma che quando provavo a mettere sotto forma di parole diventava nient'altro che un gigante casino, e lui mi chiedeva di leggergliela? e che potevo dirgli? "No, fregati"? Afferrai quel maledetto pezzo di carta e feci un respiro profondo nel tentativo inutile di calmarmi. Non bastò, a quanto pareva. Rimasi a guardarlo con gli occhi completamente persi, finché non mi sorrise e finalmente tutto riprese senso.
-"Ciao Frank..- Cominciai, facendo una piccola pausa e alzando appena gli occhi dalla lettera per osservare la sua reazione.. nonostante non avessi nemmeno cominciato. -..forse avrei dovuto cominciare diversamente, ma non ho voglia di cancellare già il primo rigo. Vorrei tanto potermi risparmiare la tortura di doverti guardare leggere questa lettera o forse di doverla leggere, e proprio per questo.. tu hai capito di che si tratta, vero?- E dal modo in cui mi guardò, sì, l'aveva proprio capito.



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Ci sono grandi amori e grandi amanti.
Grandi amori di quelli che girano tanto su sé stessi, ma alla fine ritornano. Sempre. Di quelli che sei disposto a rivivere cento e cento volte, senza mai stancarsi, senza mai fermarsi; di quelli che rifaresti tutto da capo, senza cambiare una virgola e senza mai mettere punto. Errori compresi.
Grandi amanti di quelli disposti anche a rimanere un segreto. Farlo a bassa voce, spegnere la luce.. una notte o due perché c'è bisogno e poi smetterla di mettersi al primo posto e tornare, almeno fino alla prossima fuga, alla realtà.
E forse, alla fine, è un po' quello che siamo destinati a fare noi. Disposti a nasconderci pur di non separarci. 



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Omg, siamo alla fine. LO SO, non è nemmeno un vero e proprio finale, ma ve lo lascio interpretare come volete voi. E no, non mi prenderò una "luuunga" pausa prima di postare il seguito perché comunque non avrei tempo di scrivere d'estate, e quindi sì. Mi prenderò la solita settimana (o un po' meno, anche). Penso che comunque abbiate capito com'è andata, ma se ci avessi messo l'happy ending che davvero prevedo *MUAHAHAHAHAH*, il seguito sarebbe stato inutile e questo capitolo sarebbe diventanto ancora più lungo di non so cosa (ma veramente, veramente, veramente lunghissimo) e penso proprio che avreste semplicemente alzato il terzo dito della mano e chiuso la pagina, eheh. <3
Mi sento veramente come se non mi meritassi tutti questi complimenti. Ci penso spesso e non capisco veramente cosa ci troviate voi donzelle in una storia stupida e prevedibile. çwç
Quindi boh, per una volta mi sento di dovervi ringraziare -anche se mentalmente lo faccio ogni giorno, lol- perché quando ho messo il primo capitolo della prima storia (che al tempo aveva sì e no due lettori e 40 visite) non mi sarei mai aspettata di arrivare fino a questo punto, che per me, è già davvero tanto.
Alla prossima, bbbbbbbbelle. <3
xMN.

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