London's rain.

di sheneedsthem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sophie. ***
Capitolo 2: *** Harry. ***
Capitolo 3: *** Sophie. ***
Capitolo 4: *** Harry. ***
Capitolo 5: *** Harry. ***
Capitolo 6: *** Sophie. ***
Capitolo 7: *** Harry. ***
Capitolo 8: *** Sophie. ***
Capitolo 9: *** Harry. ***
Capitolo 10: *** Both. ***
Capitolo 11: *** Sophie. ***
Capitolo 12: *** Sophie. ***
Capitolo 13: *** Both. ***
Capitolo 14: *** Sophie. ***
Capitolo 15: *** Harry. ***
Capitolo 16: *** Sophie. ***
Capitolo 17: *** Sophie. ***
Capitolo 18: *** Sophie. ***
Capitolo 19: *** Harry. ***
Capitolo 20: *** Harry. ***
Capitolo 21: *** Harry. ***



Capitolo 1
*** Sophie. ***


Sophie.

Se c’è una cosa che amo di Londra, è la pioggia.
Quelle piccole gocce d’acqua che cadono imperterrite sull’asfalto, sembrerà strano, ma mi rilassano. Il loro rumore è musica per le mie orecchie. Ed amo l’odore che si cela dietro alla tempesta, della quale nessuno riesce a percepire la bellezza.
E’ fantastico starsene al riparo, magari con una cioccolata calda, e vedere la gente che corre da una parte all’altra cercando di coprirsi sotto i cornicioni dei negozi o dei palazzi.
Sentii la campanella che avvertiva quando entrava qualcuno, suonare. Mi misi subito in una posizione consona, visto che mi ero letteralmente spaparanzata sulla poltrona del padrone che appena era andato non-so-dove, e nascosi la mia adorata cioccolata dietro il bancone, sperando che il suo fumo non destasse sospetto.
Notai che il ragazzo non aveva affatto intenzione di affittare un libro, ne tantomeno che sapesse che quella era una biblioteca. Molto probabilmente era entrato a caso nella prima porta che gli capitò davanti giusto per ripararsi. La cosa mi dava alquanto fastidio, ma cercai di essere il più cordiale possibile, senza ucciderlo a forza di calci nel culo.
Rimase un po’ a fissare la bufera dalla porta e si girò verso di me.
Cazzo, era bellissimo. 
- Là c’è un divanetto e più a destra un termosifone, puoi starci per un po’, ma prendi un libro, così sembrerà che tu sia venuto qui per questo. – con un leggero cenno di testa, mostrai tutti gli infiniti scaffali pieni di libri. – e se mi becca il capo, sono cazzi. – aggiunsi, con la mia solita finezza.
- Grazie mille. – e mi sorrise.
Tutto qui? Cioè, sono stata così gentile – mai successo in vita mia – e tu dici un misero ‘grazie mille’ di merda? Ma sai dove puoi ficcartelo?
- Figurati. – mi limitai a rispondere, con un sorrisetto maligno.
Lo fissai mentre se ne stava là seduto a combattere con la poltrona per mettersi comodo ed asciugare il suo giacchetto a doppio petto vicino al termosifone. Era talmente buffo, che ogni tanto mi scappava una risata ‘silenziosa’, anche mentre stavo servendo qualcuno, e con la coda dell’occhio potevo notare che anche lui mi fissava per un po’ divertito e poi ritornava a fare ciò che stava facendo.
Nell’intervallo tra un cliente e l’altro, mi sporgevo dal bancone per cercare di leggere quale libro avesse preso per far finta di leggerlo e, dopo vari tentativi, notai che era il primo della saga ‘Fallen’.
- E’ il mio libro preferito! – per quale cazzo di motivo l’avevo detto ad alta voce?
- Oh, davvero? Anche la mia sorellina l’ha letto, ecco perché mi sembrava familiare. -
Sorellina? Mi stava dando della mocciosa?
- Beh, sì, è un po’ per tutte le età. – continuai con aria scorbutica.
- Certo, non ti stavo offendendo e se è sembrato così, scusami. -
Sentivo che mi doveva stare antipatico, ma non ci riuscivo.
Il suo maledetto sorriso era fantastico, la sua voce m’incantava ed i suoi occhi, che da lontano sembravano verdi, erano pieni d’amore e dolcezza.
Vidi che si mise davvero a leggere il libro per qualche minuto, poi lo chiuse e, tenendo due dita dentro, si avvicinò alla vetrata per controllare se avesse finito di piovere. Tornò indietro con un sorrisetto sconsolato.
Sarebbe voluto restare lì? Forse per restare con me? Troppi film mentali, Sophie. Cazzo, smettila.
- Beh, sembrerebbe aver smesso. Io vado, mi sono trattenuto abbastanza e ti ho disturbato, scusami ancora. -
- Non ti preoccupare, davvero. -
Sarei rimasta a parlare con lui per ore ed ore – e non solo di libri – ma ormai stava spiovendo e sarebbe dovuto andare via, anche se non volevo. Pur non avendo parlato tantissimo, ci stavo bene. La sua sola presenza, mi faceva star bene, per un qualche oscuro motivo.
Si preparò mettendosi la sciarpa, il giacchetto e, senza pensarci, infilò il libro nella sua borsa. Mi salutò con un cenno di mano e potrei giurare di aver sentito un ‘grazie ancora’, anche se detto troppo a bassa voce.
Il mio primo istinto fu quello di uscire dal bancone e rincorrerlo per farmi ridare il libro, come avrei fatto con chiunque, ma lui non era chiunque. E, inoltre, sarebbe stato un buon pretesto per rivederlo.

- Mamma, papà, sono tornata. – urlai dall’ingresso, facendo capolino con la testa dalle porte di varie stanze.
Non c’era nessuno, come al solito.
Ogni tanto, tornata dal lavoro, andavo a trovare i miei genitori, o meglio, gli portavo la biancheria che non riuscivo a smacchiare da sola, e dicevo quella frase per cercare di sentire cosa si provasse ad avere qualcuno che ti aspettasse a casa, che avesse cucinato per te o che, semplicemente, stava sul divano a vedere la televisione sperando che ti mettessi vicino. Sensazioni mai provate.
I miei genitori sono sempre stati dei famosi avvocati, molto conosciuti un po’ dappertutto e, solo dicendo il mio cognome, potevo ottenere favoritismi in qualsiasi cosa. Fatto che odiavo.
Sin da piccola, lavoravano così tanto al punto da scaricarmi da mia nonna. In pratica avevo vissuto più con lei che con loro, e la ritenevo sia mamma che papà.
Quando cominciai a crescere, decisero di iniziare a lasciarmi a casa, sempre da sola. Li vedevo poco e, quando succedeva, non avevo la minima voglia di parlarci. Per dirgli che, poi? ‘Oggi, a lavoro, è andato tutto bene, è entrato un ragazzo da schianto, ma ci ho parlato poco perché sono una testa di cazzo’?
Il dialogo, tra noi, era sempre mancato e, sinceramente, nemmeno l’avevamo mai cercato. O forse non volevo proprio avercelo. Forse.





my space:
hola, hola, hola!
come avevo già anticipato nella one-shot precedente, ecco a voi l'inizio di una nuova fan fiction :)
ho introdotto un po' la protagonista, ma il ragazzo misterioso lo scoprirete nel prossimo capitolo.
poi metterò il racconto 
in prima persona, alternandoli. (?) vabè, spero vi piaccia e recensite in tanti, per favore. *c*
#muchlove.

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Capitolo 2
*** Harry. ***


Harry.

Uscii dal negozio in cui mi ero intrufolato pur di ripararmi un po’ e mi diressi verso la fermata dell’autobus, mentre la mia 24 ore rimbalzava su e giù sbattendo contro la coscia. E ripensavo a quella ragazza.
Era così buffa ed impacciata, oltre all’essere stupendamente meravigliosa, per me. Avrei voluto fermarmi di più, per ammirarla da lontano, dato che una del genere non si sarebbe mai potuta interessare ad uno come me; sarei voluto tornare da lei, anche con la scusa più banale che esistesse, ma non potevo rendermi ridicolo già il primo giorno.
Mi appoggiai alla panchina affollata della fermata e aspettai, mentre girovagavo in internet col mio blackberry. Odiavo quel telefono, ma, essendo un regalo di mio padre, me lo feci piacere per forza. Inoltre, aveva tante applicazioni ed altre cose fighe, l’unica cosa veramente odiosa erano quei minuscoli tasti che avrei voluto spaccare da un momento all’altro.
Finalmente arrivò l’autobus e mi diressi verso una sedia libera, guardando il tragitto dal finestrino con le cuffie dell’iPod nelle orecchie.
Dopo circa venti minuti di frenate improvvise, tonfi nelle buche della città, qualche signora anziana che mi cadeva addosso – ma chi cazzo gliel’ha data la patente al conducente? – arrivai a casa sano e salvo, fortunatamente.
Salii i sei scalini che precedevano la porta, infilai la chiave e girai.
Mi diressi al piano superiore in camera mia, sfilai la 24 ore facendola girare intorno alla testa e la lanciai sul letto, sentendo un tonfo di poca importanza.
- Lou, sono tornato! – urlai, scendendo nuovamente le scale per dirigermi in salone.
- Sto sotto la doccia, dieci minuti e scendo. – rispose dal piano superiore.
Sorrisi perché, conoscendolo, i suoi ‘dieci minuti’ equivalevano ad un’ora, quindi mi misi sul divano a guardare la televisione facendo zapping col telecomando. Non trovavo nulla che mi piacesse tra reality show, film d’amore sdolcinati, telegiornali con tizi odiosi e programmi di cucina o televendite.
Decisi di tornare in camera mia per sdraiarmi e rilassarmi un po’ dopo quella giornata di lavoro faticosa. Ero stato sei ore su una fottuta sedia d’ufficio a scrivere un articolo per il giornale locale, senza pause, nemmeno per pranzare. Quel lavoro mi uccideva, in tutti i sensi: morale, fisico e mentale. Ero sottoposto a troppo stress nello scrivere, rispettare una scadenza e far uscire qualcosa di bello - che potesse anche colpire il capo e magari riuscire ad ottenere un aumento - , ma era quello che amavo fare e che avevo sognato per tutta la vita, sin da piccolo.
- Mmh, Fallen. Da quand’è che leggi queste cazzate? – una voce interruppe la mia, quasi trovata, ‘pace interiore’ e fui costretto ad alzarmi per vedere cosa stesse blaterando.
- Eh? – chiesi, confuso.
Mi mostrò il libro e mi alzai per prenderlo, ma lo tirò su in alto, togliendomene la possibilità.
- Adesso mi dici da dove l’hai tirato fuori. – rise.
- Devo averlo messo in borsa per sbaglio. – finalmente riuscii a prenderlo e rimasi a fissarlo per un po’.
Louis continuava a guardarmi con aria interrogativa.
– Mi sono intrufolato in una biblioteca perché pioveva tanto e la ragazza… - mi soffermai. – La ragazza che lavorava là mi ha detto di prendere un libro a caso per far finta che fossi andato lì apposta, altrimenti il capo si sarebbe incazzato. -
- Ah, capisco, la ragazza. – disse, sottolineando l’articolo con un tono di voce divertito.
- So cosa stai pensando, e la risposta è ‘no’. -
- Ma cosa dici? Non sto mica pensando che tu muoia dalla voglia di tornare da lei a riportarle quel fottuto libro perché credi sia stupenda. -
- E’ anche il suo preferito… - accennai con una voce implorante, come se lo stessi pregando di accompagnarmi, perché io volevo tornare da lei.
- Oh ma che peccato, e come si potrebbe rimediare a tale sventura?! -
- La smetti di fare il cretino o devo picchiarti? -
- Come siamo aggressivi. Allora che vuoi che ti dica? Vai da lei adesso, subito. -
Mi sedetti sul letto sempre osservando quel maledetto libro e ripensando alla sua risata, i suoi occhi e quella sua stupenda voce acuta ma allo stesso tempo ipnotizzante.
- E non continuare a fissare ‘sto coso come un malato mentale. Agisci, fratello! -
- Ormai è tardi, avrà chiuso. A proposito, che ore sono? Io ho fame, tu hai mangiato? Perché altrimenti potremmo ordinare della pizza, oppure il cinese, o anche l’indiano. -
- Stop, stop! Calmati, - si piegò sulle ginocchia di fronte a me e mi prese le spalle, scuotendomi quanto bastava per farmi riprendere da una specie di stato di trance. - e non cominciare a sparare cazzate senza senso a raffica, tuo solito quando sei nervoso. -
Ad un tratto sentii suonare il campanello, feci per alzarmi, ma Louis mi fermò. – Tu stai buono qua, ed ordina una pizza, una qualsiasi pizza, okay? – disse sottolineando la parola con la voce, come se volesse che stessi zitto, senza fare troppe domande su quale dovessi prendere. - Vado a vedere chi è. -
Rimasi ancora a guardare quel libro - che ormai era il mio pensiero fisso, o quasi, oltre alei - poi decisi di buttarlo a terra con furia. Mi misi le mani tra i capelli, ero nervoso e non sapevo cosa cazzo fare. Avrei dovuto riportarglielo? Si sarebbe ricordata di me? Gliene importava qualcosa? Avevo la mente così incasinata che sarei voluto andare immediatamente da uno psicologo, e mi serviva pure bravo.
Mettendo i miei casini da parte, presi il telefono e cercai il depliant sulla scrivania di una pizzeria vicina per prendere il numero.
- No no, fermo, non chiamare! – esclamò Louis, facendo cenno con la mano di riattaccare. – Abbiamo visite, ed hanno portato rifornimenti. – si spostò e vidi due ragazzi dietro di lui.
- Hey amico, come va? - disse uno di loro.
- Abbiamo portato da mangiare: ali di pollo fritte, panini, e altra roba. - continuò l’altro.
- Mmh, scusate, ci conosciamo? – chiesi perplesso. Ero sicuro da non averli mai visti in vita mia, nonostante mi dessero tutta quella confidenza.
- Ah è vero, non vi ho ancora presentati. Harry, loro sono Liam e Zayn, due amici-colleghi di lavoro. Liam e Zayn, lui è Harry, coinquilino nonché migliore amico dall’era paleolitica. – s’intromise Louis, sempre scherzoso.
- Piacere, Harry. - allungai la mano e gliele strinsi a entrambi.
Scendemmo in salone e ci mettemmo chi sul divano, chi sulla poltrona e chi per terra. Guardammo una partita di calcio, nonostante fossimo tutti di squadre diverse e, per la prima volta dopo tanto tempo, passai finalmente una normale serata tra ragazzi, divertendomi.





my space:
saaalve gente!
prima di tutto, vorrei ringraziare tutte le persone che hanno recensito, ben 23 (e 25 alla one-shot su Justin), e che mi hanno riempito di complimenti. lkzdjfcbxflkzdfjkcg davvero, GRAZIE MILLE. *-*
poi, come molti hanno sospettato, il 'misterioso ragazzo' è Harry e qui ho aggiunto anche gli altri ragazzi, a parte Niall che verrà in seguito. e.e
spero vi sia piaciuto anche questo e 
recensite in tanti, per favore. çç
cercherò di continuare il prima possibile, quindi a presto! :)

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Capitolo 3
*** Sophie. ***


Sophie.
 
- Alzati, ho bisogno del tuo aiuto! – la voce di qualcuno non ancora identificabile a quell’ora del mattino, mi entrò nelle orecchie come un trapano di un operaio conficcato nel muro con tutta la violenza possibile.
Vidi una luce accecarmi gli occhi e quel trapano non smetteva di torturarmi il cervello. 
Mi rigirai dall’altra parte e misi la testa sotto il cuscino. 
- Si può avere un po’ di pace dentro questa casa?! – esclamai silenziosamente, essendo coperta da un ammasso di piume avvolte nella fodera.
- Dai, è una cosa seria ed urgente, sono anche in ritardissimo. Dov’è la mia sciarpa fortunata? Quella con la bandiera inglese. - 
- Che cazzo ne so io, a quest’ora poi. - piagnucolai, mettendomi seduta sul letto. – A proposito, che ore sono? – mi allungai per prendere il cellulare ed illuminare il display. Le 6.38 di venerdì 17. – Ma ti sei bevuta il cervello? Dove devi andare? - 
- Vorrei ricordarti che io, a differenza tua, frequento ancora l’università, mia cara ‘ribelle che vive da sola’. - 
- Sai, non sei mai riuscita a fare sarcasmo, tantomeno la mattina presto. Quindi, evita. - 
- Ho un esame tra poco più di due ore, non mi ricordo niente, non trovo la mia fottutissima sciarpa fortunata ed è anche venerdì 17. Andrà malissimo, lo sento. – si sedette sul letto vicino a me, poggiando i gomiti sulle gambe ed inchinando la testa tra le mani. - Mia madre chiamerà oggi pomeriggio o al massimo stasera per sapere se l’ho fatto e come è andata, non so mentirle. -
- Facile, non rispondere. – dissi noncurante, e mi guardò malissimo. – Scherzavo. Su, vedrai che andrà bene. Adesso ti aiuto a cercare la sciarpa e poi ripassiamo insieme. -
- Grazie mille, non so come farei senza di me. -
- Saresti persa, lo so. Nessuno può fare a meno di me. – dissi dandomi delle arie da diva di Hollywood e poi scoppiai a ridere. 
Andai in bagno, in salone, in cucina e nel ripostiglio per controllare se quella fottuta sciarpa fosse finita da qualche parte, ma niente. 
– Ho già controllato ovunque, è inutile. – disse lei scoraggiata. 
Feci il giro del letto, mi piegai e vidi un ammasso di qualcosa polveroso. Allungai la mano e lo afferrai, per poi tirarlo fuori tossendo. – E questa cos’è? -
- La mia sciarpa… impolverata. Adesso non riuscirò a lavarla in tempo, fantastico! -
- Ma dai, una bottarella qui ed una lì ed è come nuova. – affermai agitandola fuori dalla finestra per non far entrare tutta la puzza all’interno. - Hai preparato la colazione? – chiesi, cambiando totalmente discorso. Si erano fatte le 7.04 e non avevo ancora mangiato nulla, dovevo rimediare immediatamente.
- Hai qualche problema alle mani e alle gambe, per caso? -
- Ho capito, faccio da sola, come al solito. - uscii  e mi diressi in cucina. Presi la mia adorata tazza dello Starbucks, versai il latte con un po’ di caffè e la misi dentro il microonde; essendoci - io e la mia migliore amica Eleonor - trasferite lì da nemmeno un mese, ancora non avevamo pentolini o cose del genere, quindi ci arrangiavamo con ciò che avevamo già di nostro. Vivevamo da sole da circa due anni e ci conoscemmo lavorando insieme in biblioteca, ed in poco tempo, diventammo grandi amiche. Fu la mia prima vera amica dopo tanto tempo, o meglio, la prima vera amica che abbia mai avuto. 
Nei miei vent’anni di vita, sono sempre stata sul cazzo a tutti, sin dall’asilo. Mi hanno sempre detto che all’apparenza potrebbe sembrare che me la tiri, essendo alta, bionda e magra, con gli occhi azzurri; venivo giudicata dall’aspetto esteriore come ‘la modella fallita di turno’ o peggio ancora con appellativi da battona, per non dire altro. Ma la verità è che non mi sono mai sentita superiore agli altri, anzi molto spesso inferiore, e non me la tiro affatto; sono un maschiaccio mancato, vado in giro con tuta e scarpe da ginnastica, giusto per andare a qualche festa ogni tanto mi metto i jeans ed in casi estremi gonne, ma non corte a girofiga come molte mie coetanee. 
Solo Eleonor è riuscita a vedere ‘la vera me’ e a capirmi come nessun’altro; mi fido ciecamente di lei e so di poterci contare, per qualunque cosa; ho ritrovato in lei la sorella che non ho mai avuto, anche se non gliel’ho mai detto e mi vergogno a farlo per paura che lei non pensi la stessa cosa. Non sono una del tipo ‘amore, ti amo, non lasciarmi mai’ tutti i giorni, ma se ti dico un ‘ti voglio bene’ è perché lo sento davvero e lo faccio nel momento che ritengo più opportuno.
- El, dove sono i biscotti? – urlai lamentandomi. 
- Boh, toccava a te fare la spesa questa settimana. – urlò lei, di tutta risposta.
Cazzo, me ne sono dimenticata!, pensai, dandomi una botta in fronte.
- Okay, esco e torno subito. – mi tolsi i pantaloni del pigiama e m’infilai dei pantacollant, ma soprai lasciai la maglietta, tanto sarebbe stata coperta dal giacchetto. Misi le chiavi in tasca, presi il portafoglio ed uscii.
Il discount si trovava, fortunatamente, dietro l’angolo e non ci mettevo nemmeno cinque minuti ad arrivare.
Camminavo a passo deciso, con le mani in tasca, poi ne tirai fuori una per prendere il cellulare e controllare che ore fossero. Svoltai, e sbattei contro qualcosa, o qualcuno.
- Oh scusami. – disse.
- No, scusami tu, non stavo guardando. Ti aiuto con questi. – ci abbassamo entrambi, senza nemmeno guardarci negli occhi, e raccogliemmo i fogli sparsi qua e là per il marciapiede. – Uhm, ‘corso di specializzazione tecnico-scientifica’, - dissi senza capire una parola di ciò che stavo leggendo – sembra complicato, ma figo. – sorrisi, e alzai la testa. I miei occhi incontrarono i suoi, di un color ghiaccio penetrante, e dolci allo stesso tempo.
- Bhè sì, è… come dire?... una merda. -
- Allora perché lo fai? – non lo conoscevo, gli ero andata addosso, faceva freddo, dovevo ancora fare colazione e morivo dalla fame, eppure mi ero fermata a parlare di università schifose in mezzo alla strada. Vai così Sophie, sei un fottuto genio.
- Non è mio, ma di mia sorella gemella che studia ‘sta roba all’università. Si è dimenticata gli appunti a casa e… vabè, non te ne frega niente. Avrai da fare e ti sto trattenendo, sto zitto. -
- Ma figurati, te l’ho chiesto io e sono stata inopportuna. Comunque, io sono Sophie. – gli tesi la mano congelata, lui ricambiò il gesto e gliel’ha strinsi. - Abito qui dietro, quindi se ti ricapita di dover portare gli appunti a tua sorella, potrebbe capitare di incontrarci per strada. – continuai.
- Ci stai provando con me, per caso? – chiese convinto e sorridente.
- Cosa?! No, no… - risposi imbarazzata. – No! – conclusi secca.
- Stavo scherzando, tranquilla, non scaldarti. -
- Bhè in realtà sarebbe meglio, qui si gela. – strofinai un po’ le mani per emare calore e sorrisi alla mia stessa battuta squallida, per poi accorgermi che non aveva capito. 
- Ehm okay, adesso devo proprio andare, è stato un piacere! – non aspettò nemmeno la mia risposta che mi sorpassò spedito e sparì dietro l’angolo. 
- Piacere mio. – dissi delusa con un filo di voce, quasi tra me e me, per poi dirigermi verso il discount e comprare quei fottutissimi biscotti. 
 
- Ce ne hai messo di tempo, eh. Anche questa volta ti sei fermata a flirtare col commesso carino? – 
Non ebbi nemmeno il tempo di girare la chiave ed entrare, che già cominciava a rompere le palle. Sentii la sua voce venire dal bagno, in cui si stava lavando. Posai i biscotti sul tavolo della cucina, poi la raggiunsi e mi appoggiai alla porta con le braccia incrociate.
- Ho avuto un… contrattempo. – ammisi fermamente.
- Certo, troppa fila alla cassa, scommetto. – continuò sospettosa.
- Oh ma che vuoi? Una madre già cel’ho e se volevo essere controllata rimanevo a vivere con lei, non credi? – la zittii, e tornai in cucina per fare  finalmente colazione.
 
- Eccomi, eccomi! Scusa il ritardo, ma l’autobus è passato dopo un’ora, ho litigato col conducente che non aveva il resto per il biglietto ed un cane mi ha fatto la pipì addosso. – dissi col fiatone appena arrivata al lavoro.
- Tranquilla, riprenditi. – disse il mio collega Niall, accennando un sorriso. Lavoravamo insieme da quasi un anno ormai e mi era giunta voce – e chissà quale voce, se non quella di Eleonorboccalarga – che avesse una cotta per me, ma gli avevo sempre chiarito la situazione ‘solo amici’, anche se non si rassegnava a farmi regali, riempirmi di complimenti e messaggini soldicinati, anche se devo ammettere che non mi dispiace affatto.
- Ti ho coperto dicendo che avevi una visita e tardavi un po’, il capo non ha detto nulla. -
- Grazie mille, sei un tesoro. -
Gli s’illuminarono gli occhi e mi resi conto che avrei fatto meglio a starmi zitta. Avrebbe potuto fraintendere qualsiasi cosa, e così fece. 
- Senti, noi ci conosciamo da molto, no? Quindi volevo chiederti se… sì, sai com’è… un giorno di ques… bhè insomma… - continuava a guardare a terra con le mani in tasca, strusciando il piede da destra a sinistra e viceversa. Era snervante, avrei voluto picchiarlo se non fosse stato per il suo faccino così dolce e quasi angelico.
- Vai al punto. – affermai secca, mentre mi toglievo il giacchetto e prendevo la mia postazione al lavoro. 
- Ti andrebbe di uscire con me una sera? – sputò fuori le parole una in fila all’altra senza fare pause, ci misi dieci minuti prima di capire esattamente ciò che avesse detto e decifrarle bene. 
- Io e te? A cena? Insieme? – analizzai la proposta molto scetticamente, - sì, ci sto! – per poi cedere ai suoi magnifici occhi. Sì, sono un tantino ossessionata dagli occhi della gente se non si fosse capito. 
 
 
 
 
my space:
e dopo una settimana, ecco finalmente il terzo capitolo! (fa anche schifo, e lo so, però è un po' più lungo degli altri, quindi cercate di perdonarmi. çwç)
qui ho inserito Niall e c'è un altro ragazzo 'misterioso', che poi non è tanto misterioso. (?) vabè, lo scoprirete solo vivendo nei prossimi capitoli, che cercherò di scrivere il prima possibile, anche se questo periodo è un po' una merda a causa della scuola, di alcuni problemi che ho a casa e di questi cinque froci che tornano ma non potrò vedere.
depressione a parte, vorrei ancora ringraziarvi per tutte le stupende recensioni klzfdgbnfklxd a presto. ♥

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Capitolo 4
*** Harry. ***


Harry.

La luce dell’alba penetrava dal tessuto della tenda, facendosi spazio per illuminare l’intera stanza.
Di solito avevo la sveglia alle 7.00 del mattino per andare al lavoro, ma quella volta avevo il giorno di riposo e fu un messaggio sul cellulare a svegliarmi. Avevo sempre odiato quel ‘hey ti è arrivato un messaggio, ciao!’, anche perché la voce di quella ragazzina era abbastanza inquietante, ma era l’unica suoneria che sentivo e che, evidentemente, riusciva a svegliarmi alle 5.30.
Aprii gli occhi, mi stiracchiai e feci un po’ di mente locale: chi sono, dove sono, che ore sono. Poi allungai il braccio fino al comodino ed illuminai il display per leggere il messaggio. Risaliva alle 22.44 della sera prima ma, per un qualche oscuro motivo, era arrivato la mattina dopo. Lo aprii, senza scritto nessun destinatario.
“Hey Harry, sono Amber. Siedo alla scrivania vicino alla tua, forse non mi hai mai notato, o forse perché non volevo io. Infatti non riesco a dirti questa cosa in faccia, ma ti invio un sms – al numero che ho trovato sul tuo biglietto da visita -. Quindi, ti andrebbe di uscire con me, qualche volta?”
Continuavo a fissare lo schermo del cellulare cercando d’immaginare la faccia di questa Amber. Non me la ricordavo minimamente. O meglio, non l’avevo proprio mai considerata.
Sul mio piano ogni ‘ufficio’ è diviso da pannelli grigi alti circa due metri e le uniche persone con cui parlavo erano due amici, se così si possono definire, nei 20 minuti della pausa pranzo, quindi era sicuramente impossibile che io l’avessi notata. 
Non potevo dire ‘sì’ ad una persona che non conoscevo minimamente, che non avevo mai visto prima e che potrebbe anche essere una serial killer pazza, ma avrebbe potuto aiutarmi a dimenticare ‘la ragazza della biblioteca’.
“Perché no?”
inizia a digitare con quei tastini maledetti, “oggi ho il giorno di riposo e non ci vediamo, quindi poi mandami un messaggio con scritto quando e dove.”
Premetti invio e posai il cellulare sul comodino, lo avrebbe sicuramente visto non appena si sarebbe svegliata. Mi sdraiai, cercando di recuperare il sonno perso.
Dopo nemmeno cinque minuti, risentii la suoneria. Era rimasta sveglia per ricevere la mia risposta? Se non era una serial killer, era sicuramente pazza.
“Già sveglio a quest’ora? Io devo scrivere un articolo importantissimo e non ho mai dormito. Comunque, che ne dici di stasera? Alle 20.30 da Nando’s, scegli tu quale. Non è un granchè, ma va bene per una prima uscita da amici.”
Amici cosa, che nemmeno la conoscevo? Prima uscita, ce ne sarebbero state altre? Mi ero messo nella merda da solo, e se tutto ciò non sarebbe servito a farmi dimenticare quella ragazza, ne avrei ferita un’altra, usandola. Non era da me, ma non capivo cosa mi stesse succedendo.

- Come sto, eh? – già consapevole della risposta benissimo, lo chiesi ugualmente a Louis per averne la conferma, facendo un giro su me stesso. Avevo dei semplicissimi jeans, con una camicia bianca ed una giacca nera, misi anche un po’ di profumo.
- Ma che bel principe azzurro. Pronto a riportare a casa la scarpetta delle tua Cenerentola? -
- Ho sempre avuto un dubbio: ma ci pensi la notte alle cazzate da dire durante il giorno, o ti sorge spontaneo? -
- Sempre spontaneo, baby. -
- Ecco, appunto. – risi e mi girai intorno per cercare le chiavi.
- Cosa cerca il nostro agnellino sperduto? -
- Le chiavi, le hai viste? -
- Ah, ieri mentre andavo da Grace ho preso le tue perché ho perso le mie al lavoro. Prova a vedere nella giacca là. – indicò l’attaccapanni, le andai a prendere, ma non c’erano. Lo guardai male e fece una faccia allibita, tirando su le spalle.
- Oh cazzo. – lo sentii farfugliare. - Credo di aver perso anche quelle. -
- Allora questa sera resterai sveglio finchè non tornerò, semplice. -
- Ma non è colpa mia! Ho sbattuto contro una ragazza e… - guardò a terra, sorridendo. – E niente, saranno cadute. -
- Tu non me la racconti giusta. – risposi ammiccando.
- Io, eh? Sei tu che esci con una tipa che nemmeno conosci solo per non pensare alla famigerata bibliotecaria che legge libri per ragazzine. – disse, abbastanza incazzato.
- Meglio che vada. – presi il giaccone, me lo infilai ed uscii, sbattendo la porta. Sapevo che Louis avesse ragione, ma credo di non volerlo ammettere a me stesso. E la cosa che mi faceva stare ancor di più male, era che essendo il mio migliore amico avrebbe dovuto supportarmi, e non darmi contro sottolineando in continuazione i miei errori. Quasi lo odiavo quando faceva così.
Mentre milioni di pensieri mi passavano per la testa, mi diressi alla fermata dell’autobus e, questa volta, trovai posto sulla panchina, morendo di freddo.
Il pomeriggio stesso avevo inviato un altro messaggio a quella Amber per comunicargli la via del ristorante, ma era troppo lontano per lei, così decise di andare in uno al centro, vicino ad entrambi. E mi chiesi come fece a sapere dove abitassi. Pazza ed anche stalker, perfetta insomma.
Salii sull’autobus e rimasi in piedi vicino all’uscita, reggendomi alla maniglia sopra di me.
Tre fermate dopo ero arrivato e lei ancora non c’era. Passai dieci minuti facendo avanti e indietro davanti al ristorante, poi decisi di entrare ed aspettarla dentro. Ogni volta che entrava una ragazza, mi alzavo per andarle incontro, ma rimanevo sempre deluso, non avendo idea di che faccia avesse. Dopo circa un’ora, due ceste di pane e due birre, vidi entrare una ragazza che agitava il braccio verso la mia direzione. Finalmente.
Mi raggiunse, la baciai due volte sulle guancie e spostai la sedia per farla mettere seduta, come avrebbe fatto un vero gentil’uomo.
- Scusa il ritardo, ma ho avuto un contrattempo, niente di grave. – disse sorridendo imbarazzata, poi posò la borsa.
- Non preoccuparti. – le sorrisi rassicurandola. – Allora, dimmi, come mai hai deciso di uscire con me? Cioè, non ci siamo quasi mai parlati e… mi sembrava strano, ecco. -
- Bhè, ti ho sempre ritenuto molto carino e, appunto perché non ci siamo mai conosciuti davvero, ho pensato ti uscire. Tutto qui. – prese una ciocca di capelli e la mise dietro l’orecchio, guardando sul menu. Mi sporsi leggermente in avanti per decidere cosa prendere con lei, quando la vidi.
Era esattamente tre tavoli avanti al mio, sorrideva ed era bellissima. Non avrei mai pensato di rivederla, tantomeno per una stupida coincidenza.
- Stai bene? – Amber mi passò una mano davanti, agitandola.
La fissavo e credevo di avere addirittura le allucinazioni, per quanto mi sembrasse surreale. Mi strofinai gli occhi e lei era ancora lì, con un ragazzo, che purtroppo non ero io.
- Vado… - mi soffermai un attimo, lasciandole sempre gli occhi addosso, mentre mi alzavo da tavolo - vado a salutare due miei amici, scusami. -
Mi alzai e, a passo spedito, mi diressi verso il loro tavolo, scontrandomi ogni tanto con qualche cameriere. Dopo aver superato l’ultimo, lei mi vide arrivare e sbarrò gli occhi. Non so se si fosse spaventata o altro, ma sicuramente non se lo aspettava, e nemmeno io. Era così bello, cazzo.
- Hey! – dissi.
- Ciao! – rispose lei.
Si susseguirono momenti di un silenzio imbarazzante, benchè il ristorante fosse pieno di gente. Il ragazzo biondo che le stava accanto continuava a guardare me, poi lei, e poi di nuovo me.
- Ehm, lui è il mio collega Niall, lavoriamo in biblioteca insieme. – disse.
- Ma chi sono questi due bei ragazzi gemelli? Piacere, Niall unpo’brillo Horan al suo servizio. – si alzò sbandando e mi strinse la mano.
-  E’ abbastanza ubriaco, non regge nemmeno mezza birra. – disse lei, ridendo.
- Bhè, piacere mio, anche noi ci siamo ‘conosciuti’ – feci il gesto delle virgolette con le mani – in biblioteca. Ma non credo che in questo momento tu riesca a capire di cosa stiamo parlando. -
- Come mai qui? – domandò a bruciapelo.
- Sono uscito con quella ragazza lì – mi girai nella sua direzione per indicarla – Alice, Ambra, Amber! -
- Vedo che vi conoscete molto bene, eh. – scherzò.
- Siamo usciti proprio per questo, o almeno è quello che dice lei. Comunque, appena ho un attimo libero, passo in biblioteca e ti riporto il libro. -
- Non fa niente, non se ne sono accorti. -
- Mi hai detto che è il tuo preferito, quindi insisto. -
- Che figata, i gemelli parlano all’unisono. – disse con voce tremolante. - Oddio, mi scoppia la testa. – la chinò spattendo sul piatto e poi sul tavolo.
- E’ proprio messo male, vuoi che ti riaccompagni a casa? – proposi, sperando in un fottutissimo ‘sì’ di risposta.
- Sei gentilissimo, ma non preoccuparti, dico davvero. E poi hai un appuntamento, non puoi rovinarlo per me. -
- Nemmeno la conosco. Capirà. – mi diressi immediatamente verso di lei e gli dissi che mia sorella minore si era sentita male, così sarei dovuto tornare a casa. E poi non era una vera e propria bugia, perché mia sorella stava realmente male, stava a casa da una settimana con la febbre alta.
Notai nei suoi occhi che era rimasta delusa, ma cercò di farlo notare il meno possibile, anche se mi sentivo in colpa. Però lei l’avrei potuta vedere sei giorni su sette a lavoro, mentre in quella cazzo di biblioteca ci sarei andato ogni morte di papa. Era la cosa giusta, sì.
- Eccomi! Pago il conto, e poi porto a casa lui, ed infine te. – dissi, trattenendolo con un braccio sulle spalle, mentre uscivamo.
- Grazie mille, spero che la tua amica non mi odi. -
- Ma figurati… - mi soffermai, ricordandomi che non mi aveva mai detto il suo nome. – Pensandoci, non ci siamo mai presentati ufficialmente. Quindi… Piacere, Harry. – le posi la mano.
- Sophie. – e la strinse, sorridendo.

Girai un’ora a vuoto facendo finta di sbagliare strada solo per rimanere di più con lei, ma cominciò ad insospettirsi della mia stupidità, così la finii e l’accompagnai definitivamente. Scesi dall’auto e la seguii fino al portone.
- Questa serata è andata diversamente da come me l’aspettavo, ma mi sono divertita tantissimo. -
- Anch’io. Poi mi hai salvato da una stalker pazza. – ridemmo entrambi, anche se ero sicuro che non avesse capito.
- Bhè, allora, buonanotte. – si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia.
Sorrisi e mi diressi verso la macchina per tornare a casa. Non puoi lasciartela scappare così, Harry, non puoi.
Tornai indietro, la presi per il braccio prima che potesse entrare definitivamente e la baciai in bocca in mezzo alla strada, come si deve.
- Questa, è una buonanotte. -



my space:
goodmorning, people! :)
ci ho messo tanto per questo capitolo perché non avevo molte idee e avrei voluto finirlo ieri, ma una mia amica si è auto-invitata e non ho potuto. çwç comunque, spero vi piaccia e che lasciate tante recensioni come sempre. *c* #muchlove.
 

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Capitolo 5
*** Harry. ***


Harry.

Mi alzai ancora frastornato per le birre del giorno precedente,  sembrava che ne avessi bevute venti, invece di due. Ero simile a quel ragazzo biondo più di quanto credessi.
Non ricordavo quasi nulla nel dettaglio, era successo tutto troppo in fretta: l’appuntamento con la stalker pazza Amber, Sophie nello stesso ristorante, io che la riportavo a casa e che me ne andavo lasciandola dopo aver ricevuto un fottutissimo bacio sulla guancia.
L’unico bacio che ci fosse mai stato tra noi due.
L’avrei davvero voluta baciare in bocca, ma se mi avesse respinto? Se non fosse stato il momento giusto? Se pensava che fossi solo un coglione? Bhè non avrebbe avuto tutti i torti, infondo lo sono.
Mi ero immaginato tutto, da quando le sue labbra si posarono sulla mia pelle, fin quando raggiunsi la macchina e mi sedetti, sconvolto. Battei le mani sul volante, premendo involontariamente anche il clacson, e credo anche svegliando qualcuno nei palazzi vicini.
‘Se vuoi una cosa, prenditela’ era sempre stato questo il mio motto fin dall’asilo, quando rubavo le macchinette, i colori e le ragazzine ai miei compagni di classe. L’avevo sempre fatto, in qualunque cosa ne avessi l’occasione, ma quella volta non ci riuscii.
Qualcosa dentro di me mi bloccò. Era come se anche la mia coscienza capisse che stessi sbagliando, cosa che stavo realmente facendo, d’altronde. Non gli avevo ma davo molta importanza, infondo la vita è una sola, non vale la pena sprecarla per delle stupide regole o paranoie, la pensavo così, almeno fino a quel momento.
- Sei ancora incazzato per ieri a causa delle chiavi, o possiamo parlare? – disse Louis con un filo di voce, stando in piedi vicino la porta.
- Vieni qui. – toccai una parte del letto, spostando la coperta, e lui si sedette.
- Allora, ha fatto conquiste ieri sera questo bel bambino? – mi prese la faccia con una mano, premendo sulle guance e spostandomi da destra a sinistra, e viceversa.
- Se la smetti di torturarmi, ti racconto tutto, altrimenti vomito. -
- Come sei suscettibile, ti stavo facendo solo un po’ di coccole, scusa. -
- Coccole? Ci mancava un altro po’ e mi staccavi la faccia. -
- Sì sì, come vuoi tu. Adesso zitto e racconta. -
- Se sto zitto, non posso raccontare nulla, non credi? – sorrisi, ammiccando.
- Devi stare sempre a precisare, è solo un modo di dire, testa di cazzo. -
- Da quando sei così volgare Tomlinson? Alla mamma non farebbe piacere, sai? – gli presi le guance e ripetei l’azione che aveva fatto lui con me prima.
- Okay, stai divagando, quindi non ne vuoi parlare, ho capito. Ciao. – si alzò per andare via, ma lo fermai.
- No, dai, torna qua. -  lo implorai con il mio solito faccino dolce ottieni-tutto, e mi diede ascolto. – Allora, sono uscito con questa qui, poi indovina chi ho incontrato al ristorante? -
- Nonna Jane! Sai, quella con la dentiera sempre sporca e col fiato più pesante di un cotechino? – indicò i denti con una faccia schifata.
- Ma che cazzo dici?! – lo guardai con un’espressione stupita, e allo stesso tempo dispreggiativa. - Mi dispiace deluderti, ma no. Ho visto Sophie, la ragazza della biblioteca… -
- E… ? -
- E stava con un tipo ubriaco, quindi ho scaricato Amber e l’ho riaccompagnata a casa. -
- E… ? – simulò un rullo di tamburi allungandosi verso il comodino con un’aria felice, come se sapesse già cosa stessi per dire. Di solito ero prevedibile, ma quella volta no.
- E… me ne sono andato. -
- Quindi niente scarpetta? Niente bacio per risveglierla dopo qualcosa di avvelenato? Niente disiffettante per essersi bucata con l’ago? -
- Ieri sera hai fatto una maratona Disney, per caso? -
-  Aspetta, fammi capire: Harry il riba cuori Styles, colui che ti fa innamorare e ti tr… fa divertire tantissimo e poi ti scarica, non ha baciato la ragazza dei suoi sogni? C’era un sedativo nella birra, per caso? -
- Non si può fare un discorso serio con te, ma ti voglio bene lo stesso. – mi risdraiai per riposare un po’ gli occhi, senza addormentarmi del tutto, e questo gesto stava a significare ‘discorso chiuso’.
- Stai pensando quello che sto pensando io? – disse Louis, spezzando quel silenzio che si era venuto a creare.
Mi girai e vidi che mi stava fissando con aria maliziosa. – Ovvero? -
- Hai ancora quel… coso? Cos’era? Un libro, giusto? -
- Sì. Dove vuoi arrivare? -
- Bhè, è una ragione in più per rivederla. – sorrise, sapendo di aver ragione.
- Oggi? Adesso? Andare da lei? Da solo? No, no. -
- E chi l’ha detto che devi andare da solo? – fece l’occhiolino.

- Okay, siamo arrivati. – dissi io, facendo un respirone davanti all’entrata di quella biblioteca, dove tutto era iniziato, dove avevo conosciuto la protagonista dei miei ultimi pensieri in quel periodo, dove ero entrato solo per colpa di quella maledetta pioggia che odiavo, ma che dal quel momento avevo solo ringraziato.
- Hey amico, calmati. E’ solo una ragazza. -
- Per te, è solo una ragazza. – mi girai per guardarlo, poi rimisi gli occhi sull’entrata. – Non ce la faccio. -
- Andiamo, caga sotto, sii uomo. L’altra sera l’hai vista e non mi pare che sia andato tanto male, no? -
- Direi di sì, non l’ho nemmeno baciata, e poi questo è il suo territorio. -
- Ma ti senti? E poi sarei io quello che spara cazzate dalla mattina alla sera. -
Presi coraggio ed entrai, facendo suonare quel campanellino come la prima la volta, per dimostrargli che si sbagliava e ce l’avrei fatta. Insomma, che poteva succedere? Assolutamente niente.
“Vede, con questa carta può prendere qualunque libro dalla nostra biblioteca, poi se vuole usufruire anche della sala computer deve pagare una somma al mese.” Era quello che ero riuscito a sentire dal bancone, rimanendo in piedi vicino alla porta, non permettendo a Louis di passare.
- Guarda quant’è bella. -
- Magari se esci dal mondo delle fiabe e ti togli dalle palle per farmi entrare, mi faresti un favore. -
Mi spostai un po’ a destra, finalmente entrò e si pietrificò come avevo fatto io precedentemente.
- Te l’avevo detto che era bella. -
- Quindi la famosa ‘ragazza della biblioteca’ è lei? Sei sicuro? Magari da qui lontano ci vedi male, può darsi che ce n’è un’altra. Andiamo a cercarla. -
Mi prese il braccio e mi tirò per circa mezzo metro, per poi bloccarmi.
- Ma si può sapere che ti prende? Sembri drogato. -
- Mi prende che… - si fermò per guardarla, - che è anche la ragazza delle chiavi. Sai, strada, scontro, chiavi, puf? – continuò.
- Quindi? E’ solo una ragazza, per te. – imitai ciò che mi aveva detto poco tempo prima. – Non ti piace, no? Allora stiamo apposto. -
- No, infatti. Piacermi? A me? Pff, ma per favore. – rispose con un sorriso stampato in faccia, e poi posò lo sguardo a terra. – Allora, vuoi rimanere qui o farti avanti per darle quel cazzo di libro? -
- Sì, vado. – mi avvicinai lentamente, mettendomi in fila dietro una signora ed una ragazzina prima di me che stavano affittando un dvd. Louis, intanto, si era seduto sul divanetto in cui mi ero messo il primo giorno che vi misi piede, ed io ero un misto tra agitato e felice.
Pochi minuti dopo, la signora e la bambina se andarono finalmente e feci due passi avanti per raggiungere definitivamente il bancone.
- Tu… - iniziò Sophie con un’espressione cupa e sorpresa - che ci fai qui? – continuò, stampandosi un sorriso a trentadue denti in faccia.
- Ti ho riportato il tuo amato libro. – dissi, sorridendo a mia volta, tirandolo su in alto per metterlo bene in mostra.
Si appoggiò al bancone, lungo circa un metro, per sporgersi e allungare la mano per prenderlo. – Oh, grazie. – sorrise, di nuovo.
Si susseguirono momenti di silenzio imbarazzante, mentre la gente mi passava avanti ed io mi mettevo sempre più al lato, finchè non finii dentro il bancone con Sophie.
- Ti aiuto con quelli? – indicai una pila di libri alla mia destra, dietro di lei. Non volevo realmente aiutarla, ma non sapevo che dire o fare e avrei fatto di tutto pur di stare anche qualche minuto in più con lei.
Ruotò un po’ la testa per girarsi, tenendo le mani sul timbro che stava usando. - Sarebbero da etichettare, ognuno per un genere diverso, ma è stancante e noioso, quindi lo faccio poco prima di chiudere. Non ti preoccupare. -
Di nuovo il silenzio più totale.
- Sono carini quei due, non credi? - disse, sorridendo.
Amavo i sorrisi della gente, tutti in generale. Nella mia vita, ne avrò visti migliaia, uno più bello dell’altro, per caratteristiche diverse, ma il suo aveva quel non-so-che di ammaliante e attraente. Sarei rimasto a fissarla per ore intere, senza mai stancarmi.
- Qualcosa non va? – chiese, mettendomi una mano davanti al viso.
- No no, ero sovrappensiero. Dicevi? -
- Che la mia amica ed il tuo amico si stanno divertendo. -
Non capivo di cosa stesse parlando, finchè non mi girai verso Louis e notai che una ragazza gli si era seduta vicina, sul bracciolo del divano. Parlavano, ridevano e scherzavano come facevamo noi, sembravano conoscersi da una vita. 



my space:
SAAALVE A TUTTI. uu

mi scuso per averlo postato dopo così tanto tempo e mi rendo anche conto di quanto faccia schifo, ma non potevo farvi aspettare due mesi per una cosa decente, quindi boh, accontentatevi per adesso e cercherò di migliorare, promesso. e.e
fatemi sapere che ne pensate, comunque. ci tengo davvero tanto. çwç
volevo ringraziarvi per le stupende 38 recensioni all’ultimo capitolo, le 23 persone che l’hanno messa nelle preferite, le 3 nelle ricordate e le 45 nelle seguite. I LOVE YOU ALL, REALLY. *O*

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Capitolo 6
*** Sophie. ***


Sophie.

Mi trovavo in una delle situazioni più imbarazzanti che mi fossero mai capitate in tutta la vita. Ero accanto ad un ragazzo esteticamente perfetto, con dei capelli ricci e castani, riuscivo perfino a perdermi nei suoi meravigliosi occhi azzurri che avrei fissato per ore ed ore senza mai stancarmi, un sorriso da mozzare il fiato; e caratterialmente dolcissimo, almeno con me. Ed io? La solita ragazza reputata, all’apparenza, ‘figa’ da una botta e via, ma nessuno si era mai preoccupato di fare un discorso serio o anche solamente scambiare due chiacchere con me, senza saltarmi addosso alla prima uscita. Ma lui, non l’aveva fatto.
- Bene bene, cosa vedo qui? Tomlinson e la sua nuova conquista. – uscì dal bancone per raggiungerli ed io rimasi da sola a servire i clienti.
- Tecnicamente mi ha già “conquistato” – fece il segno delle virgolette, era suo solito accompagnare le parole ai gesti per rafforzare il concetto, - tanti anni fa. Ci conosciamo da quando avevamo due mesi, eravamo compagni di pannolini. – spiegò lei, ridendo.
- Non c’è bisogno di dare questi dettagli. – disse il ragazzo, imbarazzato.
- E vi siete rincontrati adesso? Proprio qua? – continuò Harry, con un’espressione felice e curiosa.
Mi piegai due secondi per mettere tre libri in una busta e finire di servire una ragazza, quando mi rialzai e mi trovai davanti un signore più grande di un armadio, così mi sporsi un po’ per continuare a vedere cosa stessero facendo gli altri.
- Enchanteé. – si piegò appena per riuscire ad afferrarle la mano e baciarla.
- No! – mi venne spontaneo urlare, ma lievemente per cercare di non farmi sentire, anche se con la giusta carica emotiva.
- Cos’è successo? Ti serve una mano? – chiese Eleanor, alzandosi leggermente dal braccio del divano, ma fu fermata dalla mano del ragazzo accanto a lei ed il mio rifiuto.
- No niente, non preoccuparti. Tra… - mi girai a guardare l’orologio sopra lo scaffale dietro di me, - dieci minuti stacco e andiamo a casa. -
Piegai la testa facendo l’indifferente, per poi tornare a lavorare.
- Di già? Se dopo non avete niente da fare, possiamo uscire tutti insieme, giusto per fare qualcosa dai. – piagnucolò l’amico di Harry, che avevo sicuramente già visto, ma non ricordavo dove, né tantomeno il nome.
- Per me va bene, a te? – Eleanor si girò verso di me in cerca di un cenno d’approvazione, ma ero esausta e non ce la facevo affatto.
- Non lo so, non me la sento, sono stanchissima. Magari un altro giorno. - cercai di comunicarle la mia risposta, mentre altri clienti davanti a me lo impedivano, facendo slalom con la testa.
- Non ho sentito. Allora, è un ‘sì’? -
- Sì sì, va benissimo. - 
Avrei voluto ucciderla.

- Quattro biglietti per… ehm, che vediamo? – mi girai verso gli altri per una risposta.
- Quello lì è comico, poi ce ne sono due horror e boh, gli altri non so di cosa parlino. – disse Harry, lasciando gli occhi incollati allo schermo dietro la cassiera.
- Che ne dite di ‘Titanic’, in 3D? Dovrebbe essere ancora più bello. – propose Eleanor entusiasta, divenuta triste a causa delle nostre tre occhiatacce mortali. – Okay, escludiamolo. Ma solo perché ci siete voi due, altrimenti sarei andata da sola e vi avrei lasciati qua. -
- Oh ma che cara questa ragazza. Non ci vuole abbandonare come cani randagi. – esclamò il ragazzo con una faccia da ebete alquanto divertente che non potè impedirmi di ridere, e avvolgendo il braccio intorno a Eleanor, quasi per stritolarla.
- Comunque io sono Sophie, non ci siamo mai presentati. – non gli porsi la mano per rendere la cosa meno formale, mi limitai ad un sorriso accennato.
- Louis Tomlinson al suo servizio. – schioccò con il piede sul pavimento stile tip tap e si portò la mano alla nuca, come fosse un militare.
- Non ci far caso, è sempre così stupido. – mi sussurrò Harry all’orecchio, facendomi un lieve solletico sulla pelle. In genere non lo sopportavo, mi portava a ridere ad alta voce rendendomi ridicola davanti a chi mi stesse vicino, ma il suo era piacevole. Lo avrei subito altre migliaia di volte, cercando di riuscire a sentire il suo magnifico profumo, di nuovo.
Non riuscii a dire una parola, così mi limitai a sorridere, mentre lui si distaccò per tornare come prima. – Allora, che avete deciso? Quale film vediamo? -
- Per me vanno bene tutti, basta che mangiamo i popcorn. – disse Louis imbronciato, molto simile ad un bambino piccolo.
- Lei che ci consiglia? – mi girai verso la cassiera, sorridendole per addolcirla un po’. Il suo nervoso, a causa nostra che sostavamo lì davanti paralizzando l’intera fila senza sapere cosa guardare, si poteva notare da minimo due chilometri.
Dopo la sua ‘illuminazione’ su cosa vedere, pagai e ci dirigemmo verso l’entrata della sala 3, dove c’era una ragazza con poca voglia di lavorare a quanto sembrava.
Le porsi i biglietti e, con la testa piegata e l’aria stanca, li strappò in due e ci diede la parte che sarebbe rimasta a noi.
- Aspetta un attimo. – mi girai, credendo stesse chiamando me, ma vidi che prese il mento di quella ragazza acida e, con uno sguardo felice, un sorriso gli si stampò in faccia. – Ashley? Ashley Miller? – disse con voce titubante.
- Non ci credo, Harry! – lei, magicamente, sorrise insieme a lui e gli si catapultò addosso, abbracciandolo.
Scusa, ma queste confidenze? pensai.
Credevo fosse una sua cugina di un lontanissimo grado e quindi ricordava a malapena il cognome, oppure erano stati in classe insieme al liceo. Magari anche fidanzati in un’altra vita, o forse ero solo io che immaginavo subito il peggio, giungendo a conclusioni affrettate.
- Ragazzi, lei è… - si fermò un attimo continuandola a guardare e sorridere come un imbecille. – Ashley, una mia ex ragazza, ma siamo ancora ottimi amici. -
- Quanto sarà passato? Due anni? E’ incredibile. – esclamò lei.
Continuavano a guardarsi negli occhi e potevo nettamente percepire la loro felicità, senza che dicessero nulla.
Io rimasi pietrificata dietro di lei, fissandoli stupita. Era molto simile a me come fisionomia, ma la trovavo mille volte più stupenda. Perché dopo di lei, o forse altre decine di ragazze meravigliose, si comportava così gentilmente con me e mi faceva capire che sarebbe potuto nascere qualcosa tra di noi? Perché non mi aveva liquidato subito? Perché continuavo a farmi queste cazzo di domande inutili?
- Vi lasciamo un po’ da soli, noi andiamo… - Louis si girò per cercare una scusa, poi accompagnò le parole con un gesto del braccio, esattamente come era solito di Eleanor, - a prendere i posti. -
Loro due entrarono in sala, mentre io rimasi là, ancora impalata come una stupida; poi qualcuno tornò indietro e mi prese di colpo il braccio, non lasciandomi nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo. Mi ritrovai dentro la sala, inciampando tra un ammasso di pop corn e l’altro e bibite appiccicose rimaste a terra.
- E’ presto, devono ancora finire di pulire. Usciamo, per favore. – lanciai un’occhiataccia ad Eleanor, che voleva chiaramente rimanere con Louis, ma non le diedi molta importanza.
- Scusaci un attimo, cose da donna. – gli sorrise, poi mi spinse velocemente verso la porta, senza uscire. - Vorresti dirmi che preferiresti tornare da quei due a guardare come flirtano?! – fu secca, dritta al punto, dritta al mio cuore.
- Sì… cioè, no no. Solo per… vedere. – risposi titubante, aggrappandomi agli specchi. In realtà, avrei solo voluto sapere cosa si sarebbero detti o se fossero stati in imbarazzo davanti a me. Volevo spiarli, insomma.
- Vedere esattamente cosa?! Tu che stai male per un deficiente come lui? – alzò la voce e notai Louis che si girò di scatto, senza capire a cosa ci stessimo riferendo.
- Cosa dovrei fare? Andare lì e portarglielo via senza un motivo? -
- No, potresti baciarlo direttamente. -
- Ti sei completamente impazzita, forse è quel tipo che ti fa un brutto effetto. – lo indicai, senza farmi notare, con un accenno del mento.
- ‘Se vuoi una cosa, prendila’ era scritto sul tuo oroscopo. -
- E sentiamo: da quando leggi l’oroscopo? Il mio, poi. -
- Ti vorrei ricordare che siamo dello stesso segno e due più due fa quattro. -
- Non ti seguo. -
- Non importa. Vai lì e fatti valere, donna. – mi spinse, di nuovo, facendomi uscire definitivamente dalla sala.
Visto che Harry e la-ragazza-di-cui-non-ricordavo-il-nome-e-nemmeno-m’interessava si trovavano proprio sulla porta, smisero di parlare e feci una delle mie solite figuracce.
- Ti serve qualcosa? – chiese lei, con aria scorbutica. Se non fosse stato per lui e le altre trenta persone in quella sala, giuro che le avrei spaccato quella faccia da cazzo che si ritrovava.
La ignorai e mi girai verso di lui. – Volevo solo dirti che… sì, beh, che siamo alla fila 11. Ti aspetto lì. – rimasi lì ancora per qualche secondo, fissando a terra dall’imbarazzo e dalla vergogna. Poi m’incamminai per rientrare in sala.
- Non è un tantino appiccicosa? Siete fidanzati? Perché davvero non capisco cosa ci trovi in lei. – la sentii blaterare alle mie spalle, letteralmente. Ma chi si credeva di essere quella bambolina ossigenata da quattro soldi? La Madonna scesa in terra? Avevo sopportato abbastanza, troppo per i miei gusti.
Tornai indietro e, con molta nonchalance, baciai Harry.



my space:
I'M ALIVE! e.e
ci ho messo tanto anche per questo capitolo e vi chiedo umilmente scusa, anche perché ormai uno fa più schifo dell'altro. çwç vorrei comunque ringraziarvi di cuore per tutti i complimenti e le magnifiche recensioni lkdxgjnfxdklfj. *-*
ah, potreste passare a leggere e magari recensire questa storia? 
You should let me love you (ho incorporato il link, basta cliccare sopra) è della mia migliore amica, sono solo tre capitoli daaai. *occhioni dolci* vi sarò ancora più grata se lo farete. 

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Capitolo 7
*** Harry. ***


Harry.

Mi prese alla sprovvista, e non potevo far altro che assecondarla, assecondando contemporaneamente anche la mia voglia di baciarla.
Le nostre bocche s’incontrarono, così come anche i nostri corpi, ed io m’isolai da tutto ciò che mi circondava. In quel momento esistevamo solo io e lei, eravamo una cosa sola.
Avevo avuto molte ragazze e con alcune di loro, o meglio, la maggior parte, ero andato oltre ad un semplice bacio, ma solo con due o tre avevo provato la stessa cosa che stavo provando in quell’istante con Sophie. Era come se avessimo aspettato quel momento per tanto, troppo tempo e finalmente era arrivato; come se sapessimo già che saremmo stati insieme per sempre; come una favola destinata ad avere un lieto fine.
- Hey, che ti prende? Cosa fai? – l’allontanai controvoglia, ma dovevo farlo.
- Ehm, scusami, io… non volevo, cioè sì, ma… scusami, davvero. – si girò quasi in lacrime ed andò nel bagno femminile, poi vidi Eleanor che la seguì.
- Ahia, strana e lunatica, mi dicono che te le scegli bene le ragazze. – Ashley si staccò dal muretto a cui era appoggiata e dove aveva assistito alla scena senza dire niente per venirmi incontro. – Noi eravamo così belli. – si avvicinò sempre di più, per poi cingermi il collo con le braccia.
- Hai detto bene, eravamo. Adesso togliti. – le presi i polsi e la distaccai.
Mi diressi verso il bagno per aspettare che Sophie uscisse ed assicurarmi che stesse bene, e magari chiarire cos’era appena successo. Mi appoggiai al muro vicino alla porta e potevo udire chiaramente cosa si stessero dicendo, anche se non era mia intenzione.
- Ho rovinato tutto, El. Adesso non mi vorrà più vedere, sono stata una cretina. Mi piaceva davvero e… - disse la prima voce.
- Hey hey, guardami. – fece una pausa. – E’ stata colpa mia che ti ho spinto a farlo, chiariremo tutto, non preoccuparti. – replicò la seconda.
Dopo calò il silenzio, così mi avvicinai ancor di più e fu allora che la porta si aprì sotto le mie orecchie facendomi perdere l’equilibrio.
- Harry? – disse Sophie, asciugandosi le lacrime e guardando a terra.
- Non stavo origliando! – risposi prontamente.
- Ragazzi, il film inizia fra cinque minuti, dovreste entrare e accomodarvi ai vostri posti. – mi girai e vidi un ragazzo con una giacca blu ed il logo del cinema arancione, come quella che indossava Ashley, che ci fece segno di entrare.
Feci passare prima Eleanor e poi Sophie, poggiandole una mano sulla schiena. Le seguii entrambe fino ai nostri posti e mi sedetti vicino a lei.
Durante il film, la guardavo continuamente e mi rigiravo quando mi accorgevo che anche lei stava facendo lo stesso. Era un po’ stupido ed infantile, ma lo trovavo divertente e mi faceva piacere essere cercato.
Alla fine, non mi resi nemmeno conto che erano passate quasi due ore e non avevo capito niente, dato che non avevo seguito nulla. Tutti gli spettatori si catapultarono immediatamente fuori, ma io la presi con calma e aspettai, anche se avrei voluto vedere Sophie e prenderla da parte per parlare.
Quando tutta la massa di gente si era finalmente dissolta un po’ per il cinema ed un po’ all’esterno, la cercai con lo sguardo sopra le teste altrui e vidi che stava vicino l’uscita con Eleanor e Louis. Era così maledettamente bella, dio.
La raggiunsi, le presi il braccio senza dire niente e la portai vicino ad una delle vetrate, dietro una pianta.
- Che c’è, Harry? – chiese lei, spaventata.
- Volevo solo  chiarire il… sì insomma, la cosa di prima, ecco. -
- ‘La cosa di prima’ alias ‘il bacio che ti ho dato’? -
Presi fiato. – Sì. -
- Ti giuro che non volevo, davvero. E’ stata un’idea di Eleanor, mi dispiace, sono stata una stupida… - disse tutto così velocemente che era quasi incompresibile capire ciò che stesse dicendo.
- Cos’hai detto?! – esclamai interrogativo, e furioso.
- Che sono stata una stupida, e mi dispiace. – rispose di nuovo, mortificata.
- No, prima. -
- Che è stata un’idea di Eleanor? -
- Quindi, fammi capire, tu non mi hai baciato perché ti andava o perché t’interesso un minimo, ma su consiglio di una tua amica? -
- No, cioè sì, ma tu mi piaci, mi piaci veramente tanto e non era questo il modo in cui avrei voluto farlo. Quella Ashley mi stava dando fastidio e… -
Sbuffai ed accennai una risata nervosa. – Ah bene, perciò la causa è stata Ashley. – feci una pausa. - Hai detto bene, sei una stupida! Non ti credevo così superficiale, ma mi sbagliavo. Sei davvero una ragazzina. – rimasi qualche secondo a guardarla negli occhi, che mostravano palesemente il suo dolore in quel momento. Ma io non mi sentivo di certo meglio. Mi aveva usato per trenta fottutissimi secondi solo per fare un dispetto a colei che, avevo anche già chiarito, era solo una mia amica.
Mi girai, lei mi afferrò per il braccio destro con una mano e feci un gesto brusco per toglierla. Mi diressi verso Louis ed Eleanor che stavano parlando, ancora vicino alla porta dell’uscita.
- Vai a consolare la tua amichetta, và. – dissi con aria strafottente, senza nemmeno guardarla in faccia.
- Non capisco… - replicò lei, con lo sguardo assente, non capendo a cosa mi stessi riferendo e non mi andava di spiegarglielo.
- Cos’è successo? – chiese Louis.
- Che sono due cretine, ecco cosa mi prende! – risposi alzando sempre di più il tono di voce.
- Esci fuori e calmati un po’, poi ti raggiungo. -
Aprii la porta con violenza ed uscii, lasciandola accostata.
Riuscivo a sentire Louis che parlava con Eleanor. - Scusami, non so cosa gli sia successo. Devono aver litigato. - poi la chiusi.
Si dissero qualcos’altro e circa cinque minuti dopo mi raggiunse.
- Ho bisogno di sfogarmi, altrimenti spacco qualcosa. – e battei la mano sul muro in cemento del palazzo. Mi ero sentito così poche volte e, oltre l’arrabbiatura, avevo qualcos’altro. Credevo fosse l’essere ferito, ma non mi ci ero mai ritrovato e non sapevo cosa significasse.
- Adesso chiamo Liam e Zayn e andiamo da qualche parte, okay? Tu rimani qua e non fare cazzate. – poi si allontanò di qualche metro per effettuare la chiamata.
Io rimasi davanti all’entrata, un po’ spostato a sinistra per permettere alla gente di entrare/uscire, e mi sporsi un po’ di più a destra per cercare di vedere Sophie, ma non c’era più né lei né Eleanor, eppure non le avevo viste uscire.
Louis tornò qualche minuto dopo con il sorriso che gli arrivava da un orecchio all’altro e l’aria felice.
- Noi quattro, un pub, da bere e… tante ragazze! Sono o non sono il migliore? Eh eh eh? Ammettilo. -
- Sì sì, lo sei. Ora, però, andiamo. - gli diedi una pacca sulla spalla e perse l’equilibrio.

Ci incontrammo direttamente davanti al locale. Si trovava al centro di Londra, ma in una stradina interna, così che la gente non si lamentasse per la musica alta e gli ubriaconi per strada. A quanto avevo capito, il proprietario era tipo uno zio di Liam e ci fece entrare gratis, senza pagare né tavolo né alcoolici.
- Hey amico, da quanto tempo! Come stai? – disse Liam, che era già dentro, venendomi incontro e abbracciandomi.
- Ci siamo visti solo la settimana scorsa, comunque diciamo di merda. Ho bisogno di una distrazione. – dissi girando la testa, seguendo il fondoschiena di una cameriera.
Ci sedemmo a un tavolo con delle poltroncine attaccate al muro che si trovava vicino la pista da ballo ed il bar, per cui ci era più facile ordinare.
- Quattro birre! Grazie. – urlò Louis, alzando la mano per farsi notare.
- Arrivano subito. – rispose Ryan, il barista. Parlando con lui, un giorno, scoprii che avevamo frequentato le stesse scuole medie e si trovava nella classe accanto alla mia. (Ed era stato proprio lui a soffiarmi la fidanzata di quel tempo, ma sono dettagli).
- Oh, qui c’è roba che scotta! -  commentò Zayn alla vista di una ragazza sulla pista da ballo che aveva fatto letteralmente piazza pulita e tutti gli occhi erano puntati esclusivamente su di lei, compresi i miei.
- E allora diamogli del legno da bruciare. – mi alzai, mi sistemai il colletto della camicia e mi avvicinai a lei pian piano. Restai a guardarla per un po’ sul bordo della pista, accennando dei movimenti a tempo con la musica. Dopo qualche secondo, la raggiunsi sotto i riflettori e la sfidai ma, non potendo reggere il confronto, mi misi dietro di lei e le afferrai i fianchi per ballare insieme. Tutta la gente nel pub fece un boato e ci raggiunsero sulla pista. Ci mischiammo agli altri, ma sembrava ci fossimo solo noi due. Mi girava la testa, non capivo più nulla, ma continuavo a ballare.
Di quella sera mi ricordo solo la musica ad alto volume, circa dieci birre e lei.




myspace:

SSSALVE, come state? spero abbiate passato una bella Pasqua. (?)
non so più come chiedervi scusa per il tempo che lascio passare tra un capitolo e l'altro, ma è più forte di me, anche se cerco di sbrigarmi. çç spero che, comunque, vi sia piaciuto e che lasciate delle recensioni. mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate, anche con delle critiche. uu
ne approfitto per ringraziarvi davvero di cuore per il 'supporto' che mi date, mi rende felicissima! :')
a presto. ♥ (sono @biebersmike su twitter, casomai vi interessasse lol)

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Capitolo 8
*** Sophie. ***


Sophie.

Come si dice? ‘Anno nuovo, vita nuova’? Bhè, a me bastò un solo giorno per affermarlo.
Mi convinsi ipocritamente che dovevo lasciarmi alle spalle Harry, la mia stupida cotta passeggera e quel bacio insignificante, almeno per lui. Non sarei potuta stare con un ragazzo che non perdeva occasione per aggredirmi e litigare, senza nessun motivo valido.
- Soph, è pronta la colazione. – sentii Eleanor gridare dal piano di sotto e odore di bruciato.
Mi alzai dal letto, infilai le mie adorate pantofole con un panda di peluche sopra e mi diressi in bagno per fare la pipì, lavarmi il viso e pettinarmi i capelli. Appena svegliata sembravo una casalinga disperata che aveva preso la scossa.
Dopo due o tre richiami, o sarebbe meglio dire urli, scesi.                    
- Ce l’hai fatta, finalmente! Ero già pronta a stampare i volantini ‘amica-coinquilina affogata nel cesso di casa’. – disse ridendo e togliendosi della farina dal naso con la sua felpa preferita, quella del Chelsea.
- Ah ah ah, simpatica. – risposi accennando una risata e sbadigliando, ancora assonnata. – Allora, cos’abbiamo qui? – mi sedetti su una sedia e sporsi leggermente la testa in una delle scodelle che si trovavano sul tavolo.
- Queste sono per me, ho fatto delle frittelle da portarmi all’università. – poi si girò e prese un piatto coperto da un altro piatto, e tolse quest’ultimo. – Per te, toast con bacon e uova strapazzate, il tutto accompagnato da una buona e salutare spremuta d’arancia! – sembrava stesse facendo una televendita.
Era così sorridente e semplicemente fantastica in tutto ciò che faceva, la migliore amica che si potesse desiderare.
- Ma è la mia colazione preferita, apparte i toast bruciati… - feci una pausa, rigirandoli. – Perché? – continuai.
- Scusami, sono andata un attimo a buttare la spazzatura e me li sono dimenticati nel tostapane, però sono buoni ugualmente, dai. -
- Intendevo, perché questa colazione? -
- Per farmi perdonare del casino che ho combinato ieri. -
- Ma perdonare cosa? Non è stata affatto colpa tua. Sei tu quella che si è arrabbiata pesantemente per un semplice bacio? -
- Ehm, no. -
- Ecco, no. E’ colpa di quel… quel… - cercai un insulto, ma non riuscii ad insultarlo, fu più forte di me.
 - Stupido, cretino, deficiente? Se vuoi continuo. - ovviamente non poteva mancare il suo commento.
- No, grazie, va bene così. – risposi con la bocca piena di uova e toast.
- Ma invece di pensare ancora a quello, perché non dai un’opportunità a Niall? -
- Ne abbiamo già parlato, siamo solo amici. -
- Per adesso. – continuò preoccupandosi di scandire bene le parole.
- No, per sempre. Non mi piace. – affermai prontamente.
- Sicura? -
- Sì. -
- Sicura sicura? -
- Ti ho detto di sì! – battei la mano sul tavolo, facendo sobbalzare rumorosamente piatti e bicchieri.
- Mamma mia, quanto sei irascibile! – sbuffò lei. – Comunque, secondo me c’è qualcosa sotto. Ho visto i vostri sguardi, come sorridete insieme… -
- Magari i film mentali fatteli con Louis, e non pensare ai miei. – mi scostai dal tavolo aiutandomi con le mani e facendo un rumore assordante con la sedia. Mi alzai di scatto e quest’ultima, di conseguenza, cadde.
Mi diressi al piano superiore, nella mia camera, per prepararmi ed uscire di casa, andando da qualsiasi parte pur di non pensare a niente.

Quel giorno avevo il turno di pomeriggio, insieme a Niall, nemmeno a farlo apposta.
- Hey, Niall! – lo chiamai con un gesto del braccio per farmi notare. – Mi potresti passare i libri lì dentro? – indicai lo scatolone che si trovava vicino il bancone.
Li prese e venì vicino la scala alla quale ero in cima, passandomene un po’ alla volta.
- Ehm, senti, non mi piace essere così spacciato, lo sai, ma… - fece una pausa, - chi era quel ragazzo che mi ha riportato a casa l’altra sera al ristorante? – continuò la frase velocemente, senza lasciarmi il tempo di metabolizzare tutte le parole. - Sembrava molto bello, è il tuo fidanzato? -
- Cosa?! – dissi con aria sbalordita, ma allo stesso tempo compiaciuta. Mi scappò un sorrisino, ma poi mi ripresi. - No, no, assolutamente! Anzi, è uno stronzo che mi ha trattato di merda, anche se ormai è tutto passato. Ho chiuso con lui. – finii.
- Come osa trattare di merda te? Con quale diritto? Cosa ti ha fatto? Se vuoi gli do una lezione io, eh. – disse.
Era così carino.
- Tu? – scoppiai a ridere, ma mi fermai quando notai che mi stava guardando seriamente. Non stava scherzando.
Scesi dalla scala lentamente, mi girai e ci ritrovammo faccia a faccia, a pochi centimetri di distanza. – N-non ti preoccupare, sul serio. – balbettai al cospetto dei suoi meravigliosi occhi.
Gli presi la mano e l’accarezzai.
- Che fai? – la scansò velocemente, facendomi sbattere alla scala dietro di noi.
Mi presi la mano destra e la massaggiai con quella sinistra. – Si può sapere che ti prende?! -
- E’ solo che… - fece una pausa, distaccandosi da me e dirigendosi verso il bancone, guardando in basso. – Mi dispiace, scusa, non volevo. – prese dei libri a caso e s’infilò tra due dei tanti scaffali che ci circondavano, e scomparve per un po’.
Volevo essergli amica, davvero, ma sembrava che avesse paura di me. Eppure era stato lui a dirmi che gli piacevo, ma che andava comunque bene se fossimo restati amici.
Rovinavo sempre tutto. Le poche vere storie d’amore che avevo avuto fino a quel momento, erano finite per colpa mia, le amicizie anche. C’erano dei giorni in cui non pensavo a nient’altro, se non a dove avessi sbagliato e mi davo migliaia di risposte da sola, ma non riuscivo proprio a cambiare.
Sono cresciuta con la convinzione di non cambiare mai per nessuno ed essere sempre me stessa, perché se la gente mi avrebbe voluto davvero bene, non mi avrebbe abbandonato. E su questa ‘filosofia di vita’, se così si può chiamare, mi ero sempre accorta di chi mi amasse davvero, ovvero nessuno oltre a mia nonna. Nemmeno i miei genitori che mi abbandonarono già da piccola.
Niall uscì, finalmente, dagli scaffali e mi venne incontro. - Sophie, quando finisce il tuo turno? -
– Tra…  - mi girai per guardare l’orologio, - esattamente adesso. -
- Allora vieni un attimo con me che ti devo far vedere una cosa. –venne dentro il bancone, a cui ero appoggiata ormai da un’ora, aspettando qualcuno che entrasse per affittare un maledetto libro.
Mi afferrò per il polso e mi trascinò, correndo leggermente, sul retro.
- Tadaaan! – disse, agitando le braccia stile presentatore tv.
Mi ritrovai davanti ad una macchina un po’ sgangherata, senza tettino.
- E’ tua? – chiesi girandomi verso di lui, che annì. - Umh, carina. E’ abbastanza… come dire? Vecchia. – sorrisi.
- Era di mio padre quand’era giovane e l’ha lasciata nel garage per tanto, troppo tempo. – mentre parlava, la guardava come se fosse innamorato di lei, e non di me. Era così tenero. – Hey, ci sei? Va tutto bene? – chiese, agitandomi le mani davanti la faccia.
-  Sì sì, cosa stavi dicendo? – merda, mi ero incantata davanti i suoi meravigliosi occhi, di nuovo.
- Che l’ho trovata nel garage di mio padre e gli ho chiesto di cedermela. -
- Quindi ti ha detto di ‘sì’? – chiesi, ancora assorta nei miei pensieri.
- Bhè, - prolungò l’ultima vocale somigliando vagamente ad una capra, - no, l’ho presa di nascosto. -
Tornai nel mondo reale. - Niall James Horan! Da te non me lo sarei mai aspettato, mi hai deluso nel profondo. – dissi in punta di piedi, allargando le spalle e simulando la voce da uomo adulto. Poi scoppiammo entrambi a ridere.
Notai che in quel momento mi stava guardando con occhi diversi, quasi sorridenti, e non spaventati come quelli di qualche ora prima. - Sei ancora più bella quando ridi, te l’hanno mai detto? – disse, cambiando totalmente discorso.
- Sì, tu adesso. – non sapevo mai come rispondere ai complimenti che ricevevo, sono in assoluto una delle cose che odio. – Allora, facciamo un giro? Tanto stasera non ho nessun impegno. -
- Quindi sarei un ripiego. -
- Assolutamente no, ma cos’hai capito? Era per dire che possiamo stare insieme tutto il tempo che vuoi. – dargli false illusioni, lo stavo facendo bene.
- Comunque, mi dispiace deluderla signorina, ma ancora non ho la patente. Abito dietro l’angolo e per portarla fin qui non mi ci è voluto molto. -
- Che cattivo ragazzo! -
- Smettila. – ridemmo. – Possiamo comunque salirci sopra per… - ci pensò, - non fare niente. -
- Ci sto. -
Mi avvicinai alla macchina e lui, da vero gentiluomo, mi aprì lo sportello.
- Merci. -
- Sai parlare francese? – chiese, cercando di fare il giro della macchina per entrare, ma sbattè sul cofano mentre mi guardava sbalordito.
- Umh, pas très bien, mais un peu oui. – dissi, cercando di utilizzare l’accento migliore che mi ricordassi dal liceo.
- J’aime le français, j’ai été aussi très bonne à l'école. – rispose lui, con molta naturalezza, mentre io mi stavo sforzando al massimo.
- Okay, basta così, non ci capisco più niente. – sorrisi, distogliendo lo sguardo da lui e dirigendolo verso il cielo. - Oddio, guarda che bella quella costellazione! – la indicai.
- Magari se togli il braccio, riesco a vederla anch’io. -
Risi leggermente, senza nemmeno farmi notare. – Non sei simpatico, lo sai? -
- Ah no? Vediamo adesso. -  mi cinse le mani attorno al corpo simulando un abbraccio ed iniziò a farmi il solletico. Lo soffrivo in una maniera incredibile, non credevo nemmeno fosse possibile ridere fino alle lacrime, ma quello era l’unico modo in cui ci riuscivo.
- Dai, basta basta, non ce la faccio più. – cercai di dire a singhiozzi tra una risata e l’altra.
Quando finalmente smise, ci ritrovammo con le facce vicinissime, come era successo in biblioteca vicino la scala. Ma questa volta era diverso. Potevo sentire il suo respiro e avevo un’irrefrenabile voglia di baciarlo, e lui anche. Ci lasciammo andare, ma all’ultimo secondo mi tirai indietro.
Non potevo farlo, non ci riuscivo. 




myspace:

questa volta l'ho postato in meno di una settimana, sono stata brava eh? uu
mi scuso comunque per la schifosaggine (?) del capitolo. çç
spero che a voi piaccia lo stesso, come sempre d'altronde, e che lasciate taaante recensioni, ve ne sarei davvero grata. :')
grazie per tutto l'appoggio che mi date ed i complimenti che mi fate, siete fantastici kxjgdzfxkzl. *-*
a presto. 

ps. 
se non avete capito la parte in francese, la traduzione è rispettivamente alle battute: Grazie. - Non molto bene, ma un po' sì. - Io amo il francese, ero anche molto bravo a scuola. :) 

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Capitolo 9
*** Harry. ***


Harry.

Mi svegliai all’improvviso sentendo un tonfo provenire in lontananza, ma non gli diedi molta importanza e mi girai dall’altro lato, rimanendo a dormire. Dopo qualche secondo, però, una voce femminile acuta contibuì a svegliarmi del tutto.
- Porca troia! -
Mi alzai leggermente per riuscire a sporgermi a sufficienza oltre il muro che si trovava vicino il letto e vedere che cosa stesse succedendo dall’altra parte del monolocale.
Una ragazza, con la mia camicia preferita, che avevo indossato la sera prima, se ne stava dietro il bancone della cucina con uno scatolone di latte in mano e delle uova sul fuoco.
- E tu chi diavolo sei? – chiesi, alzandomi dal letto, assicurandomi di avere ancora il lenzuolo addosso, perché non mi sentivo le mutande.
- Tu, chi sei? – mi guardò come se non sapesse della mia presenza lì. Fece il giro del bancone per venirmi incontro e notai che indossava solo la mia camicia.
- Oh mio dio. – feci una pausa guardandomi attorno. - Non vorrai dire che noi due… -
- A quanto pare. – rispose con aria da menefreghista.
- Grandioso. – esclamai, rassegnato a quello che avevo purtroppo già fatto.
- Solo? E’ stato magnifico, fidati. Te lo dice un’esperta. – affermò, annuendo con la testa.
- Perché tu sei… insomma, fai quel lavoro? – chiesi, cercando di sembrare il meno invadente possibile.
- Se così si può chiamare, sì. -
- Ah, wow. – rimasi a guardarla per un po’, non era niente male. - Uhm, sarà il caso che io… ehm, ecco… vada. – presi i miei jeans a terra, le scarpe con dentro i calzini e andai in giro in cerca del bagno.
- In fondo al corridoio, ultima porta a destra. – disse, indicandomelo.
Mossi la testa in segno di ringraziamento e sorrisi.
Mi chiusi dentro e poggiai i vestiti a terra, ma mi ricordai che lei aveva ancora la mia camicia, così uscii.
- Ehm, dovresti ridarmi quella. – feci un gesto con il mento per indicarla, avendo le mani occupate dal lenzuolo che tenevo per coprirmi.
- Ah sì. – se la tolse davanti a me senza problemi e rimase completamente nuda.
Cercai di non guardarla, ma fu praticamente impossibile. Poi, facendo finta di niente, mi girai e tornai in bagno. Era minuscolo e, ogni volta che mi muovevo un po’ di più del minimo indispensabile, sbattevo braccia o gambe contro qualcosa.
Cercai di sbrigarmi e quando uscii lei si era messa una vestaglia di lino ed era tornata dietro il bancone in cucina per finire di cucinare.
Detti un’occhiata alla stanza per scorgere la mia borsa in un angolo. La presi, raccolsi chiavi e portafoglio che erano caduti e li rimesi dentro.
- Deduco che ti dovrei… ehm, pagare? – chiesi titubante.
- Non ti preoccupare, per questa volta offre la casa. -
- Per questa volta? -
-
Sì, adesso ti scrivo il mio numero. – prese un pennarello e lo scrisse su un tovagliolo, stile ‘la puttana rimorchia l’ubriaco’ dei film. – Se hai ancora bisogno di sfogarti o semplicemente di non pensare a quella famosa Sophie, fammi uno squillo. -
- Aspetta, tu che ne sai di lei? -
- Hai detto il suo nome praticamente per tutto il tempo, e visto che mi chiamo Samantha ed entrambi iniziano con la S, ho pensato che ti fosse stato facile confonderli. -
- Ehm, sì, certo, ho confuso. – guardai a terra. - E lo terrò a mente, grazie. – presi il tovagliolo, lo girai per dargli un’occhiata, lo misi in tasca ed uscii.

Arrivato davanti la porta del mio appartamento, guardai l’orologio. Segnava le 7.37, così decisi di utilizzare le chiavi per entrare e non svegliare Louis. Girai la serratura e vidi la sua nuca al di là della poltrona, poi si girò ed aveva un giornale in mano. Lo abbassò e mi squadrò con i suoi occhiali da lettura da vecchio.
- Da quand’è che leggi il giornale di mattina? E a quest’ora, poi? – gli chiesi ridendo.
- Quello che deve fare le domande qui sono io. Allora, ti sei divertito ieri sera eh? – cercò di mantenere un’aria seria, ma gli era praticamente impossibile.
- Sì. -
- Ho notato. Ma dopo che hai finito di ballare non ti ho visto più, che fine avevi fatto? -
- E’ un interrogatorio, per caso? -
- Mi nascondi qualcosa? -
Guardai a terra e ripensai a cos’avevo fatto. - No. -
- E allora rispondi, senza fare troppe storie. – disse, sospettoso.
- Ero un po’, abbastanza ubriaco  e sono andato a casa di… un’amica. Mi sono addormentato là. – risposi  titubante. Non potevo dirgli la verità, mi avrebbe torturato e sputtanato in ogni occasione che gli sarebbe stata adatta, per tutta la vita.
- Amica? Dimmi che ho sentito male e non hai chiamato Sam ‘amica’. – aspettò una risposta che non arrivò mai. – Ma dì meno stronzate, per favore. – e scoppiò a ridere.
- N-non capisco. – balbettai, visto che stava per scoprirmi, o forse già sapeva tutto. - Spiegati meglio. -
- Sappiamo tutti chi è e, soprattutto, cosa fa. – disse puntualizzando alzando l’indice.
- Tutti chi? -
- Io, Zayn ed una decina di altri miei amici, oggi arriviamo ad undici con te. -
- Anche Liam? Non lo facevo così… ehm, estroverso. – cercai di cambiare discorso.
- Infatti lui rimane fedele alla sua fidanzata Danielle, al contrario di qualcun altro… non faccio nomi… - e si guardò attorno con aria spensierata.
- Cosa vorresti dire? -
- Andiamo amico, un giorno ti svegli e vivi nel mondo colorato e fatato degli unicorni insieme a Sophie; il giorno dopo t’incazzi per un bacio e ti scopi un’altra. Hai vent’anni cazzo, quando ti deciderai a maturare e cambiare? -
- Allora, per prima cosa, non sono innamorato di Sophie… -
- Infatti non l’ho mai detto. – m’interruppe. –Vedi che hai la coscienza sporca? -
- E secondo, - puntualizzai fermamente con la voce, - tu non sei nessuno per farmi la predica. Saranno affari miei, no? -
- Fino a quando sarai il mio migliore amico e vivrai sotto il mio tetto, perché a quando mi risulta questa casa è della mia famiglia, sono anche affari miei! -
- Oh stai tranquillo. – gli dissi con nonchalance, mentre mi diressi in cucina per prendere un bicchiere di cocacola. Bevvi qualche sorso, nel silenzio più totale, per poi riprendere a parlare con lui che continuava a guardarmi fisso, dritto in piedi davanti a me a braccia conserte. - Ogni tanto dovresti scopare anche tu, sai com’è… - feci una pausa per bere un altro sorso, - ti rilassa. – finii, gesticolando con il braccio in cui tenevo il bicchiere.
- Tu sei un pervertito. -
- Oh andiamo, mi vorresti dire che tutti gli uomini non pensano al sesso e a divertirsi? Ce ne sono pochi che amano davvero, ed io non ne faccio parte. Tu? -
- Ma ti senti, almeno? Adesso vai a farti un bel giro e rifletti su quel cazzo che stai dicendo, poi ne riparliamo. – mi venne incontro e mi prese per il braccio. Mi portò vicino la porta, l’aprì e mi buttò letteralmente fuori.
- Lasciami! – urlai, agitando il braccio per staccarmi dal suo.
Rimanemmo a guardarci per qualche secondo, capii che l’avevo deluso. Quello non ero io. Non ero così cattivo e, soprattutto, così menefreghista. Io potevo amare e divertirmi allo stesso tempo, potevo diventare quel tipo di ragazzo che avrebbe reso felice la propria fidanzata, potevo dimostrare molto di più di tutto quello schifo.
Cominciai a camminare a passo spedito e testa bassa. Avevo sempre vissuto in quel quartiere e conoscevo più o meno tutti, non mi andava di essere fermato da vecchietti rincoglioniti che attaccano briga e iniziano a parlare senza un filo logico.
Girai a destra, poi due volte a sinistra e di nuovo a destra. Non capivo nemmeno dove stessi andando, seguivo solo i miei piedi.
Decisi di prendere un autobus a caso, il primo che arrivasse. Volevo andare il più lontano possibile per staccarmi da quella realtà che mi circondava e stare da solo per riflettere. Mi sarei potuto sedere su una panchina e guardare la gente che passava per andare al proprio lavoro, oppure che non aveva una meta precisa come me.
Continuavo a girovagare a testa bassa ed ogni tanto l’alzavo per capire dove stessi andando. Entrai nel Green Park, che si trovava davanti il Buckingham Palace, ed era sempre pieno di scoiattoli. Sembrava volessero giocare e mangiare, ma poi si nascondevano.
Erano quasi le nove di mattina e a quell’ora si potevano vedere solo tre categorie di persone: quelle in smoking o comunque in un abito elegante con la propria 24 ore per andare a lavoro; quelle in abbigliamento sportivo che facevano jogging; e le vecchie che andavano già a fare la spesa. Amavo tutto ciò.
Amavo Londra e, se avessi dovuto scegliere, non l’avrei sostituita con nessun’altra città. Erano tutti (o quasi) gentili fra loro, l’atmosfera era stupenda e la città incantevole.
Decisi di sedermi sulla prima panchina che vidi e c’era una ragazza che stava leggendo un libro. Ma dico io, ti fa schifo leggertelo a casa tua? No, ovviamente devi occupare un posto pubblico, urtando le palle a me.
- Posso sedermi? – le chiesi gentilmente, accennando un sorriso finto.
Abbassò il libro, mi squadrò dal basso verso l’alto. Poi si bloccò.
- E tu che ci fai qui? -





myspace:
scusate, scusate, scusate! ci ho messo tanto, troppo tempo per questo capitolo che, sinceramente, credevo venisse meglio, invece è uno dei più schifosi. scusatemi, davvero. çç
poi, come sempre, vorrei ringraziarvi per le stupende recensioni che mi lasciate ogni volta e spero continuerete a lasciarmi. GRAZIE MILLE. *-*
a presto, vi adoro. 

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Capitolo 10
*** Both. ***


Harry.

- Potrei porti la stessa domanda. – dissi saccente, continuando a fissarla, o meglio, ammirarla. Era bellissima. - Fino a prova contraria è un luogo pubblico e posso starci quando e quanto mi pare. – continuai, con aria arrogante.
- Se vuoi, posso anche andarmene eh. – affermò lei.
Rimasi in silenzio a guardarla negli occhi, potendo chiaramente evincere il suo imbarazzo. Era davvero dispiaciuta per quello che aveva fatto ed io l’avevo trattata di merda, non lasciandole nemmeno il tempo di spiegare. Mi ero fatto prendere dalla rabbia e capii di aver sbagliato solo la stessa mattina, mentre girovagavo per la città e cercavo di sistemare quei pensieri assordanti che mi perseguitavano ogni giorno dall’ultima volta che l’avevo vista.
- Ho capito, me ne vado. – in assenza di risposte, infilò il libro nella borsa e si alzò distrattamente. Poi, senza nemmeno guardarmi in faccia, si diresse verso l’uscita a passo spedito.
- No, aspetta! – urlai, alzandomi di scatto in piedi. Lei si bloccò improvvisamente e rimase di schiena. - Possiamo condividere una panchina senza ucciderci, no? – proposi poi. Lei si girò e mi venne incontro sorridente.
Dimenticai tutto ciò che era successo quella notte con Summer, o Sam, o come cazzo si chiamava, e la mattina stessa con Louis. Avevo cambiato completamente umore, ero semplicemente felice di vederla e mi resi conto che accanto a lei stavo bene.
- Come mai stamattina sei così gentile? Vai a periodi e quello da ‘stronzo’ è passato? – mi domandò arrogantemente.
- E tu, da timida e imbarazzata, come sei passata ad essere così… -
- Bella? – chiese interrupendomi. - Sì, lo so. – continuò poi con un lieve accenno di sarcasmo.
- Volevo dire ‘arrogante’, adesso aggiungo anche molto vanitosa. -
Sorrise, portandosi una ciocca di capelli viaggiante dietro l’orecchio sinistro. Gliel’avevo visto fare altre volte, era una sua abitudine.
- Bhè, che cosa stavi leggendo prima che arrivassi? -
- Vuoi dire prima che tu mi interruppessi? – precisò. - ‘The lucky one’, di Nicholas Sparks. – rispose orgogliosa, ritirandolo fuori dalla borsa e ammirandolo. – E’ troppo da bambini anche questo, o posso leggerlo senza commenti? -
- Fai pure. – risposi, facendo una pausa mentre continuavo a guardarla dalla testa ai piedi. - Io me ne starò qui, in silenzio, senza disturbarti… ammirando le vecchiette bizzarre che passano… ma tu leggi, tranquilla. – dissi poi, con aria da cane bastonato, cercando di dissuaderla a non leggere e parlare con me, di qualsiasi cosa.
- Okay, non leggo. – lo richiuse. - Cosa vuoi? – si girò e mi guardò negli occhi, per poi spostare il suo sguardo altrove.
- Solo… parlare. – risposi, sempre mantenendo quello stupido sorriso che non riuscivo a trattenere.
- Di cosa? E poi con te è praticamente impossibile. – affermò, tornandomi a guardare. – Ti sei dimenticato l’ultima volta che ho cercato di farlo, cos’è successo? -
- Come vuoi. Allora stiamo zitti e ci guardiamo. -
- Ci guardiamo? – scoppiò a ridere. - Tu non stai bene, decisamente. -
- Sei bellissima. – l’avevo davvero detto ad alta voce? Era la mia fine.
Non potevo più nasconderlo, anche se non sapevo come avrei reagito se le fossi sembrato arrogante o non le fossi piaciuto. Non la conoscevo da molto, in effetti da pochissimo, ma provavo qualcosa d’inspiegabile per lei ed ero me stesso, o meglio, riusciva a tirare fuori il lato migliore.
- Puoi ripetere? Non ho sentito bene. – disse sorridente e, allo stesso tempo, incredula. Aveva sentito benissimo, ma voleva rendermi ridicolo.
- Oh guarda, - indicai il negozio che faceva angolo davanti a noi, dietro gli alberi, - Starbucks ha già aperto. Andiamo a prendere qualcosa? – cercai goffamente di cambiare discorso.
- Non se prima non mi ripeti ciò che hai detto prima. -
- Come se non l’avessi capito. – risposi imbarazzato. - Dai, andiamo, alza quel culo! – la presi per il braccio e la tirai su, trascinandola dall’altra parte della strada.
- Non correre che mi cade tutto, aspetta! – urlò tra le risate ed il tentativo invano di chiudere la borsa a tracolla per non far uscire le cose al suo interno.
- Allora, signorina, eccoci qui. – dissi mostrando l’entrata. – Il viaggio è stato di suo gradimento? chiesi con voce da principe azzurro dei cartoni animati, ma anche assistente di volo incompetente.
- Sì, meglio della carrozza di Cenerentola, grazie mille. Per poco non venivamo investiti, ma non si preoccupi. – rispose lei, stando al gioco.
- Buongiorno e benvenuti da Starbucks, cosa desiderate? – disse un ragazzo giovane e sorridente, come se gli andasse davvero di lavorare, con il tipico cappello nero ed il grembiule con il logo.
- Io prendo un caffè e la signorina… -
- Sono ancora in grado di scegliere da sola, grazie. – m’interruppe zittendomi, poi guardò il cartellone-menù appeso alla parete con aria perplessa ed indecisa. - Lei cosa mi consiglia? -
- Oh andiamo, fai sul serio? Non stai mica facendo shopping! – esclamai, o meglio, urlai.
Le serviva un consiglio per un fottuto cappuccino, o granita, o qualsiasi altra cosa avrebbe deciso di ordinare. Ma per favore.
- Calmati! Si può sapere che ti prende? Ho solo chiesto una cosa, dio. – poi si rigirò verso il cassiere, - prendo una cioccolata calda, grazie. – gli sorrise gentilmente.
Il tempo di scrivere i nostri ordini sui bicchieri e prepararli, ed il commesso ci diede rispettivamente il caffè e la cioccolata, facendoci segno di accomodarci a uno dei tre – gli unici – tavoli liberi. Era ancora mattina presto e di solito la gente vi faceva solo un salto per comprare qualcosa al volo, per poi portarselo al lavoro o in giro, senza rimanere nel locale.
- Aspetta. – dissi con voce calma. – Prego. – scostai la sedia per farla sedere. - Oh attenta! – esclamai qualche secondo dopo, facendola atterrare sulle mie braccia.
Era inciampata sulla gamba della sedia e, consecutivamente, macchiato la mia famosa camicia preferita, rovesciandoci tutta la cioccolata calda.
- Oddio, mi dispiace tantissimo. Sono mortificata, davvero. Sono una stupida. – cominciò a blaterare, strofinandomi con tutti i tovaglioli a portata di mano.
- Non ti preoccupare, ma sarà meglio che torni a casa a cambiarmi. E in fretta, questa roba brucia. -

Sophie.

Uscimmo dal negozio e ci dirigemmo verso la metro, così avremmo impiegato meno tempo ad arrivare a casa di Harry e lui avrebbe potuto cambiarsi prima, senza ustionarsi del tutto.
Scendemmo le scale e, non ricordandoci la direzione da prendere, ci avvicinammo alla mappa.
- Dovrebbe essere questa… - disse, seguendo la linea col dito.
- No, è questa. – ribattei, sfiorando la sua mano. – Fidati. -
Rimanemmo qualche secondo a guardarci, per poi essere interrotti da qualcuno.
- Quanto siete belli, mi ricordate i vecchi tempi, quando ancora io e Robert eravamo giovani e felici insieme. – disse una vecchia signora dalla voce sottile e tremolante, con un tocco di nostalgia.
- Bhè, noi non… non siamo… - cercai di arrancare, guardando prima Harry e poi la vecchietta, e viceversa.
- Molto gentile da parte sua. L’uscita è quella. – la liquidò lui.
Si voltò e se ne andò.
- Ma povera! – esclamai, tirandogli una pacca sul braccio.
Rispose solo con un sorriso, poi mi mise la mano dietro la schiena per dirigermi verso il binario.
Impiegammo meno di venti minuti per arrivare a casa sua e, fortunatamente, c’era una fermata poco distante da lì.
- Fai come fossi a casa tua, faccio subito. – aprì la porta e buttò le chiavi su un mobiletto alla sua sinistra. Appoggiai la borsa a terra e rimasi ferma per qualche istante a guardarmi intorno, poi mi avvicinai di nuovo alla borsa e tirai fuori il mio amato libro. Leggevo sempre e comunque e ovunque, non a caso avevo cercato lavoro in tutte le biblioteche e librerie possibili, fin quando non trovai quella che faceva al caso mio: proprietario quasi assente, quindi potevo fare ciò che volevo senza tante rotture di palle; sempre per il motivo precedente, potevo leggere e non ricevere richiami del tipo ‘torna al lavoro!’ o ‘devi aiutare i clienti!’. Amavo tutto ciò e credo di esser stata una delle poche ragazze a cui piaceva lavorare e ci andava col sorriso.
Mi diressi verso il divano in pelle marrone, con qualche buco e scucitura, mi sedetti e misi i piedi sul tavolo, come mio solito, senza porre tanta attenzione al fatto che non fossi a casa mia. Mentre ero assorta dalla lettura su Logan Thibault che gironzola per Hampton alla ricerca di Beth, la ‘famosa’ ragazza della foto perduta da qualcun altro in guerra, vidi Harry uscire dalla doccia.
Aveva i capelli arruffati e ancora un po’ gocciolanti e solo un asciugamano grande, che gli arrivava fino ai piedi, intorno alla vita. Misi una mano davanti agli occhi, per non metterlo in imbarazzo, ma feci uno spazio con due dita per sbirciare. Insomma, non ero mica così stupida.
- Perché ti copri? – sorrise.
- Bhè, sei… insomma… a petto nudo, solo con l’asciugamano… - balbettai di fronte a quel corpo scolpito e perfettamente proporzionato.
- Oh scusa, non credevo ti creasse imbarazzo. – Non me lo crea affatto, anzi. - Aspetta un attimo che cerco dei vestiti. – continuò, girandosi verso l’armadio. Si piegò verso il cassetto più in basso, mettendo in bella mostra il suo di dietro (e che di dietro). Ma allora lo fai apposta, pensai.
- No, qui non c’è. – lo sentii farfugliare a bassa voce, dopo aver aperto tutt’e tre i cassetti.
Io, intanto, indietreggiavo per fargli spazio nella stanza e non ostacolarlo nella sua ricerca, ammirando tutto il suo ben di Dio, per poi sbattere addosso ad una cassettiera dietro di me e far oscillare tutto ciò che vi era sopra: un vaso, delle chiavi, un posacenere con dei bigliettini da visita, e altre cianfrusaglie indecifrabili che facevano rumore. Mi ci appoggiai con entrambe le mani e aspettai che lui si vestisse.
Ad un certo punto, vidi che s’incamminava verso di me. Non sapevo se fosse per dirmi di fare meno silenzio ed essere meno imbranata, o cacciarmi via perché gli davo fastidio, o ancora, nel caso più assurdo e fantasioso, baciarmi come nei film.
Appoggiò il suo corpo al mio, potevo chiaramente sentire il battito del suo cuore, eravamo vicini quasi quanto lo eravamo nel bacio che ci demmo al cinema.
- Scusami, devo prendere una cosa… - fece una pausa guardandomi negli occhi, poi si staccò e si spostò leggermente più a sinistra, - qui. – concluse poi.
Avevo davvero pensato, o meglio, sperato, anche solo per un secondo, che avesse avuto voglia di baciarmi e farmi capire che gli interessassi un po’. Ma, evidentemente, mi sbagliavo.




myspace:
hello, everybody! :)
mi dispiace davvero tantissimo di postare così tardi, ma non ce la faccio prima. çç sono troppo impegnata, sia con la scuola perché è l'ultimo periodo e mi caricano di compiti per verifiche ed interrogazioni, sia per altro. quindi SCUSATEMI, spero possiate capirmi. uu
in questo capitolo ho messo entrambi i pov, sia di harry che di sophie, anche se non l'ho mai fatto, per inserire i diversi punti di vista e emozioni. non credo di esserci riuscita a pieno, ma vabè.
vorrei ringraziare, come sempre, chi legge e recensisce, chi legge semplicemente senza scrivermi nulla o anche chi apre la mia fan fiction per caso, così che possa iniziare a seguirla. GRAZIE DAVVERO DI CUORE. :')
a presto. 

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Capitolo 11
*** Sophie. ***


Sophie.

- Sarà meglio che vada. – dissi sconsolata, mentre mi diriggevo a prendere la mia roba, per poi raggiungere la porta. Non potevo passare un istante di più con lui, a petto nudo, nella stessa stanza, sapendo di non aver nessun motivo per farlo. Non gli piacevo e non eravamo nemmeno amici, figuriamoci essere qualcosa di più dopo così poco tempo dall’esserci conosciuti. Mi ero immaginata tutto, ma dovevo convincermi che non faceva per me, affatto. A Niall piacevo davvero e avrei potuto usarlo per dimenticarlo provare ad avere qualcosa di più con lui, in fondo tentar non nuoce, no?
- Cosa c’è? Ho fatto qualcosa di sbagliato? – chiese lui, mentre sentivo il suo sguardo puntato addosso dietro le spalle.
- Non hai fatto niente, è questo il punto. – mi girai e feci un acuto sull’ultima frase, per precisare.
- Cosa vorresti dire? Non capisco. – Aveva capito benissimo, e non eravamo capaci a fingere l’uno con l’altra.
- Niente, Harry. E’ sempre tutta colpa mia, no? Sono io quella che immagina le cose, sono io quella che credeva di provare qualcosa, sono io anche quella che credeva il sentimento fosse ricambiato. – mi avvicinai a lui pian piano per dirgli tutto quello che mi ero tenuta dentro fino ad allora. Man mano che mi avvicinavo, il mio tono di voce si alzava e lui rimase sorpreso, sbarrando gli occhi, come se fossi una pazza appena uscita dal manicomio. - Ora, scusami, ma devo davvero andare. – dopo essermi resa conto dell’enorme figura di merda, mi voltai di nuovo ed aprii la porta.
- Aspetta. – mi prese il polso e mi ritirò dentro. Poi allungò un braccio verso la cassiettera e prese uno dei tanti bigliettini da visita. – Stasera ci sarà una festa qui, - indicò la via, - tipo di un amico di Louis. Vorresti… ecco, sì, insomma… venirci con me? -
- Sul serio? – chiesi incredula.
- C-certo. – rispose lui, balbettando, come se non fosse nemmeno lontanamente sicuro da quello che aveva appena fatto.
- Non sei costretto a farlo, non sono un’opera caritatevole o di beneficienza. -
- Se non ti va di venire, puoi benissimo non farlo. E mi riprendo questo. – mi tolse il biglietto dalle mani e si girò per riposarlo sulla cassettiera, e notai un sorriso beffardo, come se sapesse che non avrei rifiutato.
- Dà qua! – lo ripresi. - Ci vediamo lì, dimmi solo a che ora. -
- Ti vengo a prendere alle 21, se vuoi porta anche Eleanor. A Louis farà piacere. – rise. – Fatevi trovare pronte, mi raccomando. -
- E tu sii puntuale. -

- El, dove sei? - entrai in casa e posai il giacchetto sull’appendiabiti che si trovava subito alla mia destra, e lasciai la mia borsa lì per terra. – El, El, El! – urlai per tutta casa, facendo capolino nelle varie stanze, per poi arrivare davanti alla porta del bagno. Girai la maniglia, ma era chiusa a chiave. – El, apri, devo parlarti! -
- Mi sto lavando i capelli, non puoi aspettare? -
- No! – esclamai, decisa. – Apri subito. – sentii l’acqua cessare di scorrere e dei passi avvicinarsi sempre di più. Girò la chiave e, senza aspettare, aprii quasi immediatamente, rischiando di darle una portata in faccia.
- Ma ti sei drogata? – chiese, facendosi da parte per farmi entrare.
Cominciai a camminare avanti e indietro, mentre lei chiudeva la tavoletta del water e vi si sedeva sopra, picchiettando con il dito medio sul biglietto da visita.
- Harry, me, festa, stasera.– dissi, facendo una pausa ad ogni parola, assicurandomi di scandire bene il messaggio, ma allo stesso tempo molto velocemente.
- Okay, con calma. Cosa intendi con ‘festa’? Vai a casa sua e… si sa come andrà a finire, o devi andare ad una festa vera e propria? E poi, di chi? -
- Un amico di Louis, a quanto ho capito. -
- Hai detto Louis? Il mio Louis? -
- Sì, il tuo Louis. – sottolineai la presunta ‘possessione’, e poi scoppiai in una risata acuta.
- Non c’è niente da ridere! E’ da tantissimo che non lo vedo. -
- Già, la settimana scorsa è davvero troppo tempo per la mia povera migliore amica innamorata. – unii le mani e le avvicinai al petto, fingendomi triste per quella situazione. – Comunque, sei invitata anche tu. – estrassi il bigliettino dalla tasca dei jeans e glielo mostrai, girandolo dal verso giusto.
Lo prese e cominciò a fissarlo maniacalmente, analizzandolonei più piccoli particolari con aria stupita. Sembrava una bambina piccola a cui si regalava il primo giocattolo di una lunga serie.
- Adesso basta. – glielo presi, o meglio, strappai dalle mani e lo riposi in tasca. – Devi aiutarmi. -
- Allora, per iniziare: che vestito hai intenzione d’indossare? -
- Un vestito? – chiesi, strabuzzando gli occhi, come se la lingua che stesse parlando fosse del tutto aliena per me. Ed in effetti lo era. Non avevo mai indossato un vestito, se non per il matrimonio di una mia zia e la comunione di mio cugino. In entrambi i casi mi aveva obbligato mia madre, ma io ci sarei potuta andare tranquillamente con un paio di jeans ed una felpa.
- E’ una festa, Soph. Non puoi mica andarci in pigiama! -
- Beh, non sarebbe una cattiva idea. – alzai gli occhi al cielo, immaginandomi la scena come quando nei film appare una nuvoletta e mostra l’accaduto.
- Su, alzati. – sbattè le mani davanti alla mia faccia per farmi riprendere e mi trascinò letteralmente in camera sua. – Cerca qualcosa qui, - disse indicando l’armadio, - ma questo è mio. - si catapultò a prendere un vestito, che poi adagiò al corpo, girando una volta su se stessa per farlo svolazzare.
- Mmh, carino. – dissi, squadrandolo dall’alto al basso. Arrivava poco sopra il ginocchio ed era interamente bianco con delle pieghe, rifinite da tratti neri; aveva una cinta cucita all’altezza del busto, precisamente sotto il seno per metterlo in evidenza.
Feci scorrere un vestito per volta dentro l’armadio, cercandone uno che facesse al caso mio: neutro, non troppo scollato, ed il più brutto possibile per non dare nell’occhio.
- Senti, sono tutti molto belli, ma un po’ troppo… appariscenti, per me. Grazie, ma credo che metterò qualcosa di mio. -
- Di tuo? Spero scherzi. Non capisci niente di moda! – esclamò, levando le mani al cielo, come una sorta di imprecazione. - Senza offesa eh. – aggiunse, poi. Si alzò e si diresse nuovamente al suo armadio. – Vediamo cos’ho qui. – ripetè le mie stesse mosse, scorrendo un vestito alla volta, ma si soffermava almeno due minuti su ciascuno, per analizzarlo nei dettagli. Piegava la testa a destra, poi a sinistra, ed infine faceva una smorfia se non la convinceva. – Eccolo! – rimase ad ammirarlo mentre lo porgeva a me, come fosse un pezzo unico di una qualche opera d’arte o un gioiello dal valore inestimabile.
In realtà, era un semplice vestito nero, attillato sul petto e più largo nella parte finale, con delle paillettes anch’esse nere che lo rifinivano.

Dopo aver passato l’intero pomeriggio a prepararci, aspettai Harry davanti la porta di casa, camminando avanti ed indietro e affacciandomi alla finestrella che vi si trovava vicino ogni due secondi. Per quanto ero paranoica, avevo paura che la storia della festa fosse solo uno scherzo ed io ci fossi caduta in pieno.
Eleanor si era seduta su un braccio del divano e mi guardava divertita. - Arriverà tra poco, stai tranquilla. - E subito dopo sentii il clacson. – Inchinatevi al potere di veggente Eleanor, prego. -
Feci un inchino e sorrisi, poi presi il giacchetto e le chiesi se stavo bene. Avrebbe detto di sì anche se fossi stata inguardabile, visto che aveva fatto praticamente tutto lei ed amava elogiarsi da sola.
Aprii la porta e scesi le scale, poi mi diressi verso la macchina, lentamente, per non fare figuracce e cadere ancor prima di essere arrivata alla festa su quei tacchi, o meglio, trampolini che Eleanor mi aveva costretto ad indossare.
- Sei in ritardo, sono le 21.02. – dissi, sorridendo.
Rimase a guardarmi per un po’, dal basso verso l’alto. Credevo mi avrebbe lasciato lì e non mi avrebbe fatto salire, per quanto facevo schifo.
Poi aprì la bocca ed uscì solo un monosillabo. – Wow. -
- Eh sì, lo so, ho fatto un bel lavoro. – disse Eleanor, mentre faceva il giro della macchina e si piegò verso il finestrino per mettergli una mano sulla spalla.
- Comunque, i miei “due minuti di ritardo”, - fece le virgolette con le mani, - sono i due minuti che avete impiegato voi a scendere. -
- Mi dispiace intromettermi, le vostre conversazioni sull’orario sono molto affascinanti, davvero. – disse con aria sarcastica, mentre si sistemava sul sedile posteriore. – Ma ora sarebbe meglio andare. -
- Sissignora! – esclamò Harry, portandosi una mano alla fronte e rimetterla giù, anche se sbattendo al volante, come un vero militare.
Mise in moto la macchina e, ad ogni singolo semaforo, non perdeva l’occasione di guardarmi, mentre io facevo finta di ammirare il paesaggio al di fuori del finestrino ed Eleanor ci deliziava con i suoi stupendi versi da vomito.
Arrivammo in una zona di periferia, abbastanza lontana da dove abitavamo noi, e ci trovammo davanti una villa enorme. Saranno stati almeno quattro piani e, al di fuori, era bianca con decorazioni in oro.
- Ah però. L’amico di Louis dev’essere molto ricco. – dissi, non distogliendone lo sguardo.
Entrammo e venimmo inondati da un calore disumano, accompagnato da una ventata di alcool e la musica era altissima, tantochè si poteva sentire anche dalla strada.
- Io vado a fare gli auguri al festeggiato e a salutare un po’ di gente, voi mettete i giacchetti qui e… beh, divertitevi. – disse Harry, mentre si inoltrava nella folla, lasciandoci lì.
- Io, invece, vado a cercare Louis per… salutarlo. - Sì, certo, salutarlo. Pensai.
Perfetto. Ero rimasta sola in una casa enorme, con gente che non conoscevo e non avevo la minima intenzione di conoscere. Mi misi in disparte, su uno sgabello che si trovava vicino un bancone, al di dietro del quale si trovava un ragazzo che faceva sia da DJ che da barman.
- Devono pagarti bene eh. – dissi io, sorridendo.
- Cosa? Non ti sento, la musica è troppo alta! – urlò, mentre io ci sentivo benissimo.
- Ho detto che devono pagarti bene! -
- Lascia stare, è sordo. – disse una voce sconosciuta dietro di me.
Mi voltai e vidi un ragazzo dalla pelle olivastra, con il ciuffo alla Elvis Presley dei poveri, che scriveva su un foglio. – Vedi? Dobbiamo scrivergli gli ordini. Ha un po’ di problemi, ma è il fratello del festeggiato e gli ha lasciato fare questo, anche se non beviamo mai esattamente ciò che chiediamo. -
Continuai a guardarlo senza sapere cosa dire.
- Comunque, piacere, Zayn. – si passò la mano sui jeans, forse per pulirla di una qualche sostanza ripugnante, e me la porse.
- Sophie. -
- Oh che bel nome, hai origini francesi? – chiese affascinato.
- Ehm, no. – risposi, dispiaciuta di dovergli dare una delusione, ma allo stesso tempo divertita.
- Hey, Zayn, vacci piano. Falla respirare. – vidi una mano posarsi sulla sua spalla ed un ragazzo che gli sbucò da dietro. – Cucù! -
- Louis! – esclamai, scendendo dallo sgabello per abbracciarlo. Ero contenta di aver trovato qualcuno che conoscessi. – Eleanor ti stava cercando. -
- Eleanor? Quella Eleanor? E’ qui? – cominciò a domandarmi a raffica, senza nemmeno lasciarmi il tempo di rispondere. – Come sto? – disse, sistemandosi i capelli e girandosi verso quel Zayn, che alzò il pollice destro.
Dopo di che, Louis si fece spazio tra la folla, urlando ‘permesso, permesso, ho detto permesso!’ e notai un riccio a me famigliare, che ballava, o meglio, flirtava con una bionda ossigenata.
Mentre Elvis continuava a parlare dei suoi incredibili gusti musicali, che tra l’altro non gli avevo nemmeno chiesto, scesi dallo sgabello e mi diressi verso di lui, quasi in trance, per accertarmi che fosse davvero chi pensavo.
Misi la mano a pugno e me l’avvicinai alla faccia, simulando un colpo di tosse, a dir poco silenzioso rispetto alla musica. Mi avvicinai ancor di più e gli picchiettai due dita sulla spalla destra, facendolo girare.
- Oh! – esclamò lui, come se mi avesse trovato dopo un’ardua ricerca. – Lei è... -
- Becky, la ragazza di Harry. – mi prese la mano, ormai priva di sensi, muovendola su e giù. Mi guardò con aria disgustata e l’immancabile faccia da schiaffi che contraddistingueva le ragazze di Harry.
Mi era crollato il mondo addosso. Aveva una fidanzata ed io… io non ero praticamente nessuno. Mi aveva portato a quella fottuta festa per farmelo capire, o meglio, vedere? Non avrebbe potuto semplicemente dirmelo?
La musica mi rimbombava nella testa, i volti delle persone erano sfocati, stavo per vomitare. Mi feci spazio, tra una gomitata e l’altra e, finalmente, raggiunsi la porta. Cominciai a correre il più in fretta possibile, malgrado le mie gambe deboli. Caddi nel bel mezzo del giardino e sentii gli occhi bruciare, sapendo che delle piccole gocce sarebbero uscite di lì a poco. Mi ero isolata dal mondo, non capivo più niente, ma giurai di aver sentito il mio nome in lontananza, senza distinguere che lo stesse dicendo.
- Sophie! Sophie! – vidi Harry avvicinarsi sempre di più, cercai di alzarmi e scappare da lui, ma le mie gambe non reggevano. Si abbassò e mi prese la faccia, costringendomi a guardarlo. – Hey, tutto bene? -
- Non mi devi toccare. -
- No ascolta, Becky non è la mia ragazza, è solo una mia ex. Avrà bevuto troppo e sarà tornata indietro col cervello a qualche mese fa, ma ti giuro, è solo una ex. -
- E allora perché ci ballavi insieme, come se stesse per andare a trombare da un momento all’altro? -
- Ma che dici? Anche tu devi aver bevuto troppo. -
- E tu devi aver avuto molte ragazze eh. – dissi, con una risatina isterica. Effettivamente avevo bevuto decisamente troppo, altrimenti avrei reagito in modo diverso, o forse no.
- Sì, ma quasi mai niente di serio. -
- Certo, non devi darmi nessuna spiegazione. Alla fine, io non sono nessuno, no? Solo un’amica da portare alle feste, wow! – alzai il braccio sinistro, come segno d’esultanza sarcastico.
- Non era una spiegazione, ma una precisazione. E tu non sei solo un’amica, Sophie. -
- Oh e invece sì. Ma sai che ti dico? Che mi sono stancata, di te e di tutto il resto. Mi hai detto che sono bellissima e, anche se non è vero, mi ha fatto piacere perché pensavo di interessarti almeno un po’… - dissi velocemente, senza fare pause, guardandomi intorno pur di evitare d'incontrare di nuovo i suoi occhi perfetti e per farmi riaffiorare alla mente tutte le cose che dicevo ad Eleanor la notte, ma che in realtà volevo dire a lui.
- Okay, calma, respira. – appoggiò le sue mani all’altezza delle spalle e mi bloccò, costringendomi di nuovo a guardarlo. – Anche tu mi piaci e con Becky non è successo nulla, oltre ad un innocente ballo. -
- E a me dà fastidio lo stesso! Non sono nessuno per poterlo dire, ma… - feci un’altra pausa, che sembrò durare un’eternità, mentre pensavo a se dirlo o meno.
- Ma cosa? -
- Vorrei poterti sentire solo mio e non di tutte le tue ex che escono come i funghi a primavera. Vorrei piacerti abbastanza da non dovermi preoccupare delle altre… -
- Non ti devi preoccupare delle altre e, se è questo che vuoi, da adesso sarò tuo. – mi sussurrò dolcemente all’orecchio, per poi baciarmi.
Avrei voluto dirgli altre centinaia di cose, ma quella era l’unica cosa di cui avevo realmente bisogno in quel momento. 





myspace:
salve, gente! :)
allora, inizio col dire che questo capitolo l'ho scritto quasi interamente ieri sera a mezzanotte e non mi piace affatto (che novità!), però non saprei nemmeno come riscriverlo, quindi dovrete accontentarvi come sempre lol
è il più lungo che abbia scritto, finora, e credo si sia notato. ero indecisa se farlo corto e mettere la parte hophie (?) nel dodicesimo, o metterla direttamente qui. alla fine ho optato per la seconda, anche perché mi sembrava un modo carino per farmi perdonare del tempo che impiego per postarli uu
vorrei ringraziarvi come al solito per le 27 recensioni. per non parlare dei 71 preferiti, seguita da 91 e ricordata da 12. *-*
okay, adesso vi lascio andare (a recensire) in pace lol
a presto, spero. 

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Capitolo 12
*** Sophie. ***


Sophie.

Aprii lentamente gli occhi, cercando di ripulire l’offuscamento e, nel contempo, di accertarmi che quello che stavo vedendo era vero e non un sogno. Harry, davanti a me, era appoggiato con il gomito sul cuscino e mi tolse una ciocca di capelli che m’intralciava la vista.
- Buongiorno, piccola. – sussurrò.
- Buongiorno. – dissi, con la voce insonnolita, mettendomi seduta sul letto e stiracchiandomi le braccia.
Piccola? Ripensai a ciò che aveva detto qualche istante prima e mi ci volle poco per capire che, essendo nel letto di Harry, quella sera, dopo la festa, fosse successo qualcosa tra di noi, qualcosa che sognavo da tempo, ma che avrei preferito fare a mente lucida, visto che mi ero ubriacata e non ricordavo assolutamente nulla.
- Quindi noi… insomma, noi abbiamo… - cercai di chiedergli, imbarazzata, guardandomi intorno.
- Oh no, no. – rispose, rassicurandomi. – Ancora no. – aggiunse, con un tono di voce ed un sorriso malizioso.
- Vorresti dirmi che abbiamo solo dormito? – chiesi, incredula.
Ero nel letto di Harry Styles, il ragazzo che poteva farti innamorare solo con uno sguardo o un sorriso, e che aveva avuto molte fidanzate, alcune delle quali avevo avuto il piacere di conoscere, e non riuscivo a capacitarmi che non avesse approfittato della situazione per fare ciò che voleva. Però avevo avuto già occasione di costatare che non era un ragazzo come gli altri, affatto. Poteva anche essere un Casanova, ma quando mi aveva riportato a casa dopo il mio appuntamento, se così si può chiamare, con Niall, non aveva provato a baciarmi ed era il primo ragazzo, se non l’unico, che si limitava a quello, inducendomi a pensare di non interessargli minimamente.
- Sì. Dopo la nostra conversazione in giardino, - iniziai a seguire le sue parole, senza sapere o ricordare di cosa stesse parlando. Ero ubriaca e gli avrei potuto dire di tutto, - hai vomitato ed ho pensato fosse meglio portarti a casa, ma anche Eleanor si è sentita male e Louis è voluto andare con lei. -
- Ah capisco. – risposi, non prestando molta attenzione alle ultime parole che aveva detto, ma ripensando al Dopo la nostra conversazione in giardino. – Ma… cosa ti ho detto, precisamente? – chiesi, titubante di scoprire cosa mi fosse uscito da questa fogna che mi ritrovo come bocca.
- Non ricordi nulla? -
- A parte la musica alta che mi perforava i timpani, quella folla abnorme di gente che mi veniva addosso continuamente e l’alcool che ho ingerito senza accorgemene, no. -
- Vediamo se questo può aiutarti. – poggiò le mani sul letto e ci fece pressione, spostandosi leggermente verso di me. Chiuse gli occhi, allungò la testa e mi baciò.
Un flashback mi affiorò alla mente. C’eravamo io e lui, in giardino. Io ero seduta sull’erba bagnata, rovinando completamente il meraviglioso vestito della mia migliore amica; lui si era quasi inginocchiato di fronte a me, sempre rimanendo staccato da terra, reggendosi solo sui piedi. Mi aveva baciato nello stesso modo, con la stessa delicatezza, con lo stesso amore. E, per la prima volta dopo tanto tempo, ero sicura di provare qualcosa di forte per lui, che fosse anche ricambiato.
- Sì, adesso ho una vaga idea. – sorrisi, leccandomi leggermente le labbra e piegando la testa in basso dall’imbarazzo. - Ma che giorno è oggi? – chiesi, grattandomi la testa, cercando ancora di fare mente locale nella mia testa incasinata.
Guardò il suo orologio da polso, un rolex classico che mostrava anche la data. – Il 17 Dicembre, perché? -
- E che giorno della settimana è? – richiesi, ancora confusa.
- Sabato. – rispose, ridendo, molto probabilmente scambiandomi per una rincoglionita a soli vent’anni.
- Merda! – saltai dal letto, infilandomi solo le scarpe, rendendomi conto di aver dormito vestita.
- Che succede? -
- Ho il turno di mattina, - aprii la mia pochette sul comodino e presi il cellulare, illuminandone lo schermo, che segnava le 9.47 di mattina, - e sono in ritardissimo. -
- Se potessi, ti accompagnarei, ma la mia macchina l’ha presa Louis. Ieri sera siamo tornati con un suo amico. -
- Un certo… Zayn, per caso? – chiesi, cercando di ricordare quel nome alquanto strano, che però mi venì subito in mente.
- Sì, proprio lui. L’hai conosciuto? - chiese con aria stupita e allo stesso tempo divertita, non so da cosa.
- Ci ho parlato un po’. -
- Ah, lui te lo ricordi e la conversazione che ti ha portato ad essere la mia fidanzata, no. - lo guardai, sorridente, non credendo ancora a ciò che stesse succedendo. L’aveva detto. Aveva detto la mia fidanzata. Ero la sua fidanzata.
- Ti… - mi soffermai per qualche secondo, fissandolo negli occhi.
- Tu mi cosa? – chiese, sorridendo.
- Ehm, no niente, ti ringrazio per avermi portato qui non potendo andare a casa. – continuai, inventandomi una scusa sul momento.
Avrei voluto fare qualcosa di più che sorridere come un ebete, avrei voluto potergli dire le due parole magiche, ma sapevo che era troppo presto e avevo paura che non avrebbe ricambiato, almeno non in quel momento, quindi decisi di limitarmi a quello.
- Senti, io vado. – dissi, guardandomi attorno per controllare che avessi preso tutto. – Ho un cambio in negozio, così posso togliermi questo… vestito, che ho reso uno straccio. Poi ti chiamo per farti sapere se sono ancora viva ed Eleanor non mi ha ucciso per averglielo rovinato. – feci il giro del letto e gli lasciai un bacio a stampo, per poi girarmi, uscire dalla stanza ed avviarmi verso l’ingresso.
- Vengo a prenderti quando stacchi! – sentii poco prima di chiudermi la porta alle spalle, e sorrisi.

Arrivata davanti l’entrata della biblioteca, rimasi qualche secondo in mezzo al marciapiede, scatenando l’ira della gente che andava di corsa e alla quale ostruivo il passaggio.
Ci siamo. Sophie, ce la puoi fare, ripetei più volte a me stessa.
Aprii la porta ed una ventata di calore e odore cartaceo m’investì completamente, facendomi sentire a casa. Cercai Niall con gli occhi, partendo da sinistra, per poi vedere che stava dietro al bancone a servire una cliente abitudinaria. Mrs. Smith, voleva la chiamassimo così, voleva che tutti la chiamassero così, anche se quello non era il suo cognome e nessuno ne sapeva il motivo.
- Ecco a lei, a presto. – lui le porse la busta e sorrise.
- Non dimentichi qualcosa, giovanotto? – chiese lei, con l’aria di un rimprovero.
- Scusi, Mrs. Smith. – sottolineò lui, sorridendo di nuovo, facendo sorridere contemporaneamente anche lei. Si voltò e si diresse verso l’uscita, venendomi incontro. Risposi a quello scambio di sorrisi e mi avvicinai a lui, entrando dietro il bancone. Cercò di baciarmi in bocca, ma feci in tempo a spostare la faccia e centrare la guancia.
- Niall, devo… - sospirai, facendo una pausa, - parlarti. – conclusi.
- Lo so, lo so. Dopo quello che è successo sulla macchina, ti senti in imbarazzo… -
- Non esattamente. – cercai di replicare, spezzando la sua parlantina.
- Non vuoi correre, e ti capisco. Ci andremo piano. – continuò lui, non ascoltando ciò che avevo appena detto.
In realtà, aveva ragione: mi sentivo in imbarazzo. L’avevo illuso. Ma alla fin fine non avevo nemmeno fatto questo granché: eravamo usciti una sola volta, che passai più con Harry che con lui; ci eravamo quasi baciati, ma non era successo.
- Sto con Harry. – dissi decisa, secca, dritta al punto, pentendomene un attimo dopo.
Non avevo avuto nemmeno un po’ di tatto e mi ero preparata un discorso perfetto nel percorso per andare a lavoro, che mi ero dimenticata nell’esatto istante in cui lo guardai negli occhi.
Mentre pensavo a come avrebbe reagito e a cosa potessi fare nei minuti seguenti, sentii il campanello che avvisava quando un cliente entrava, suonare. Mi sporsi un po’ oltre Niall che m’intralciava la vista e vidi degli inconfondibili capelli ricci laccati, che stavano sempre al posto loro. Si girò verso di me, con un’espressione cupa, quasi avesse visto la morte in faccia.
- E adesso cosa vuole? – chiese, spostandosi per farmelo vedere. – Volete sbattermi la vostra bella relazione in faccia? -
Lo vidi avvicinarsi sempre di più e scossi la testa per fargli capire di non farlo, ma, evidentemente, non capì i miei segnali. Venì fino a dietro il bancone e mi rubò un bacio a stampo, sotto gli occhi innocenti di Niall.
- Ciao, tesoro. – disse, dopo essersi staccato da me. – Oh, ciao Ni… - si fermò, non ricordandosi l’intero nome.
- Niall. – precisò il diretto interessato.
- Ah sì, giusto. -
- E’ semplicemente venuto a prendermi. – risposi, un po’ a scoppio ritardato.
- Che succede? – chiese Harry, non capendo nulla.
- Hai anche il coraggio di chiederlo? Mi hai soffiato la ragazza, c’ero prima io! – si avvicinò a lui e gli si mise a pochissimi centimetri di distanza dalla faccia. Sembrava un bambino capriccioso dell’asilo al quale si era tolto un giocattolo, ovvero me.
- Sta scherzando, vero? – mi chiese Harry, retoricamente, girandosi verso di me con un sorriso accennato.
- Lo spero. – risposi a bassa voce.
- Ah sì? Allora dimmi se questo ti sembra uno scherzo. – si allontanò leggermente e sospirò, quasi avesse paura. Piegò il collo a destra e poi a sinistra, e diede un cazzotto in pieno volto ad Harry. Quest’ultimo girò la testa per l’impatto, per poi passarci una mano sopra e massaggiando la parte colpita, aprendo un paio di volte la mascella.
Successe tutto così velocemente che non ebbi nemmeno il tempo di pensare a cosa fare o dire. Le persone che avevano assistito a tutta la scena, farfugliavano tra di loro e ci indicavano a bocca aperta. Io ero immobile.
- Ma ti sei impazzito?! – dissi all’improvviso, dopo essermi ripresa da quello stato di trance, accarezzando Harry che era diventato rosso come un pomodoro.
Anche Niall era rimasto immobile e aveva gli occhi sbarrati, forse non credeva nemmeno lui a cosa aveva appena fatto.
- Scusatemi, non volevo. Ho perso la testa. – balbettò a stento, per poi scappare sul retro, come  era suo solito. Non affrontava le situazioni e preferiva scappare, sapeva fare solo quello, sempre. Ma questa volta non gli sarei andata dietro.
Lo seguii con lo sguardo compassionevole, per poi tornare a guardare Harry e avvicinarmi alla sua faccia.
- Vai da lui. – sussurrò.
- No, non dopo quello che ha fatto. -
- Però ci vorresti andare. – insistette.
- No! Voglio restare qui con te, sarò sempre con te. – replicai, di nuovo.
- Ammettilo che almeno un po’ ti piace. Ho visto come vi guardate, i vostri sorrisi, sin dalla prima volta che vi ho incontrato insieme al ristorante ho capito che c’era qualcosa tra di voi.  – disse, guardando in basso sconsolato e continuando a massaggiarsi la mascella.
- Harry, smettila. Non hai capito un bel niente! Se non la cosa più importante… Devo scrivertelo a caratteri cubitali su uno striscione che poi ti metterò sotto casa? O preferisci dei segnali di fumo? – mi distaccai da lui, gesticolando con le braccia e alzando il volume della voce.
Lui rimase calmissimo, quasi non gli importasse ciò che stessi dicendo. - Sentiamo, cosa dovrei aver capito? -
- Che mi sono innamorata di te! – finii.





myspace:
buonsalve lol
spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, anche perché succedono un po' di cose uu
avrei voluto postare prima, ma la settimana scorsa ero praticamente morta a causa della varicella, quindi questo è il massimo che ho potuto fare, scusate çç il prossimo capitolo l'ho già iniziato e cercherò di sbrigarmi, promesso uu
poi, volevo chiedervi come vi siete immaginate/i Sophie. i ragazzi ed Eleanor già si conoscono, ma per lei avevo pensato a qualcosa tipo
 Ashley Benson o Blake Lively
, però la cosa bella della lettura è che ognuno s'immagina i personaggi come vuole e sarei curiosa di sapere come (?) uu
grazie ancora per il supporto (sembro una persona famosa lol), a presto. 

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Capitolo 13
*** Both. ***


Harry.

- Amico mio! – esultò Louis uscendo dal bagno e trovandomi in salone. – Allora, com’è andata ieri notte? A me benissimo. – mi fece l’occhiolino, per poi mettersi seduto sul divano accanto a me ed allungare le gambe sul tavolinetto di fronte a noi, incrociando le mani dietro la nuca e appoggiandosi allo schienale.
- Mi ha detto che mi ama. – risposi, con un tono di voce piatto, quasi automaticamente dato che me lo stavo ripetendo tra me e me da quando ero rientrato, continuando a fissare il bicchiere che avevo tra le mani. Avevo bevuto tre, o quattro, o cinque bicchieri di birra per cercare di dimenticare quanto fossi un’enorme testa di cazzo.
- Oh merda. – dalla posizione rilassata in cui era, si mise seduto dritto, assumendo uno sguardo preoccupato in volto. - E tu? Che le hai detto? La ami? -
- Non lo so, è questo il problema. – deglutii. – Cioè, credo di sì. Provo cose che non ho mai provato per nessun’altra, dopo… - feci una pausa, sapendo che Louis avrebbe capito.
- Lisa. – affermò lui, dispiaciuto.
- Non c’era bisogno di ricordarmelo ripetendo il nome, grazie. -
- Scusa, era solo una precisazione. -
Elizabeth, o meglio, Lisa era la tipica ragazza che tutte vorrebbero essere e che tutti desiderebbero per fidanzata. C’ero stato insieme gli ultimi due anni di liceo, dopo due e mezzo di corteggiamento asfissiante e di finte fidanzate per farla ingelosire. Nessuno è perfetto, ma lei lo era, almeno per me, in qualunque cosa facesse o dicesse.
Il giorno prima della maturità, mi disse che non provava più niente per me e che sarebbe stato meglio chiuderla là, prima dell’estate, pretendendo di non vederci più pur abitando nello stesso quartiere. Qualche giorno dopo sparì dalla circolazione, insieme alla sua famiglia, senza dire a nessuno dei suoi amici, tantomeno a me, dove sarebbe andata. Indagai per circa due mesi dove potesse essere andata, chiesi ai suoi parenti rimasti lì e a qualche ragazzo della scuola. Non potevo perderla così, da un giorno all’altro, senza ricevere alcuna spiegazione. Stavo quasi per perdere le speranze, quando sua cugina Betty, che era sempre stata in classe con me, mi disse che si dovette trasferire in Germania per il lavoro del padre.
Mi aveva semplicemente spezzato il cuore senza dirmi niente perché credeva fosse più facile così. Ma non per me, forse per lei. Che egoista.
- Non la conosco da nemmeno un mese. Non so praticamente niente di lei, anche se mi sembra di conoscerla da una vita. – dissi, sorridendo leggermente, per poi riassumere un’espressione seria. - Lisa la conoscevo da sette anni, eppure non ha avuto problemi a piantarmi in asso, come se nulla fosse. – continuai.
- Su questo hai ragione, ma è anche vero che è stata Sophie a dirti per prima di amarti, avresti dovuto preoccuparti se fosse accaduto il contrario. Goditi questo momento e poi si vedrà. – disse, alzando le spalle e togliendomi il bicchiere tra le mani.
- Non lo so, ho una tale confusione in testa. – mi portai l’indice ed il medio vicino alle tempie, compiendo dei piccoli movimenti rotatori.
 - Non aver paura di amarla per colpa di… abbiamo-capito-chi. Anche lei sta male per un rifiuto, che poi non è stato proprio un rifiuto. In ogni caso, adesso sta piangendo da Eleanor. -
- Ieri sera non mi sembrava tanto sconvolta al riguardo, tu che ne sai? – mi girai verso di lui, con un’espressione interrogativa.
- Oh, le donne hanno una capacità innata di nascondere i loro problemi senza dirti il perché del loro malessere. Secondo loro, dovresti scoprirlo da solo. Che menti contorte. – riflettè più tra se stesso ad alta voce, che con me. - Comunque, mi ha mandato un messaggio dieci minuti fa. – disse, alzando leggermente il sedere dal divano per estrarre il cellulare dalla tasca posteriore sinistra. – ‘Parla con quel coglione del tuo amico, Sophie è a pezzi…’ e questa parte la togliamo. – sorrise, togliendolo prima che potessi finire di leggere e lo rimise a posto. Avranno fatto sesso, pensai.
- E cosa dovrei fare? Andare da lei e dirle che la amo, quando non ne sono nemmeno sicuro? -
- E sentiamo, cosa ti servirebbe per esserne sicuro? -
- Più tempo. -
- Fai quello che ritieni più giusto, ma ricorda: l’amore non ha confini, se non quelli che gli diamo. -
Lo guardaii stupito e al contempo divertito. – E da dove ti sarebbe uscita questa perla di saggezza? -
- Era su uno di quei cosi che, beh, si leggono. – disse, quasi avesse paura di pronunciare il nome.
- Un libro? –
- Sì, quello. – rispose, con la faccia schifata.
- E da quando tu leggi un libro? – gli chiesi e scoppiai a ridere, non credendo a ciò che stesse dicendo.
- Da quando esco con Eleanor. Volevo fare colpo e dire qualcosa di intelligente. – ammise, vergognandosene.
- Tu il colpo l’hai preso in testa e non riusciresti a dire qualcosa d’intelligente nemmeno sotto tortura. – risi.
- Grazie, sei proprio di conforto. -
- Veramente il conforto serviva a me. -
- Beh? Te l’ho dato. – si alzò e mi diede una pacca sulla spalla, sparendo nel corridoio.

Sophie.

- Che significa ‘gli ho detto che sono innamorata di lui’? Ti sei completamente bevuta il cervello? – mi chiese Eleanor, piuttosto alterata, sedendosi con una gamba sul letto e lasciando quell’altra penzoloni.
Le stavo raccontando l’accaduto del giorno precedente, partendo da casa di Harry, per poi arrivare alla biblioteca, ed aveva cominciato a sbraitare nemmeno fosse mia madre.
- Significa che gli ho detto che sono innamorata di lui. – ripetei, affermando ciò che mi aveva appena chiesto.
L’avevo fatto. L’avevo fatto davvero. E lui mi aveva semplicemente sorriso e baciato appassionatamente sotto gli occhi curiosi della gente che si gustava le scene come se stessero al cinema o comodamente seduti sul divano di casa loro a guardare una soap opera. A quel punto mi ero anche pentita di non esser andata da Niall.
Gli avevo esplicitamente dichiarato di amarlo e lui non sprecò un po’ di fiato nemmeno per dire un misero ‘anch’io’. Poi per tutto il giorno non aveva toccato l’argomento ed io avevo preferito non farlo per rendermi meno ridicola. Avevo davvero creduto che potesse ricambiare i miei sentimenti, ma forse lo avevo semplicemente sperato, senza guardare in faccia la realtà.
- E cosa ti ha fatto pensare che potessi farlo eh? – chiese, alzando le mani al cielo.
- E’ quello che provo e credevo… - cercai di rispondere, titubante.
- Cosa credevi? Che ti avrebbe detto che ricambiava e che sei la ragazza della sua vita, senza la quale non avrebbe senso d’esistere? -
- No. -
- E allora dovevi aspettare minimo almeno altri due mesi, cazzo! Adesso crederà di poterti usare a suo piacimento, tanto la povera sfigata qui presente è innamorata del latin lover che continua a fare strage di cuori per aggiungerli alla sua collezione. – disse tutto d’un fiato, accennando ad una voce lagnosa.
- Harry non è così. -
- Tutti gli uomini sono così, mia cara piccola ingenua stupida Sophie. – cambiò totalmente tono di voce, avvicinandosi a me per racchiudere la mia testa tra le sue braccia, accarezzandomi i capelli. – Prendono ciò che vogliono e non si fanno più sentire. Quando ti va bene, vi sposate, avete dei bambini e morite felici. -
- Sei proprio la positività fatta persona. – cercai d’ironizzare.
- Non ti ha detto nemmeno un ‘anch’io’. – disse con voce compassionevole, per poi staccarsi da me e alzarsi dal letto, uscendo dalla stanza.

Era domenica e, fortunatamente, sia io che Eleanor non lavoravamo. Avrei voluto passare tutto il giorno in casa, dentro al letto, col pigiama, mangiando qualsiasi cosa commestibile che mi fosse capitata sotto gli occhi, guardando film strappalacrime in tv.
Ma ovviamente non potevo.
La mia cara migliore amica mi aveva letteralmente tirato giù dal letto e costretto a mettermi qualcosa di decente per andare a fare un salto nel nostro pub abituale. Avevo provato a dirle che a causa di quello che era accaduto con Harry e la sbronza del giorno prima non mi sembrava il caso, ma alla fine riusciva ad ottenere tutto ciò che volesse, compreso Louis.
Mi misi un paio di jeans ed una tee-shirt che Eleanor volle trasformare magicamente in un top per fare colpo, così aveva detto, la cosa che meno mi serviva in quel momento.
Ci avviammo verso il vialetto dietro casa nostra e la musica si poteva udire sin dall’inizio della strada.
Rallentai il passo, per poi fermarmi del tutto. –El, io non me la sento. Sarà per un’altra volta, però oggi non mi va proprio. – dissi, con la faccia da cane bastonato, cercando di convincerla.
- Siamo qui davanti, che senso avrebbe andarsene adesso? – disse, implorandomi giusto un po’. – Dai, tre orette e ce ne andiamo. -
- Okay. – cedetti. – Tre ore e basta, non un minuto di più, non uno di meno. -
- Graaazie. – enfatizzò, dandomi un bacio sulla guancia, per poi afferrarmi la mano e trascinarmi per quei pochi metri restanti.
Entrammo dalla solita porta blu fosforescente, ormai coperta dai graffiti, venendo investite dal calore della gente, quasi familiare, a differenza della festa di due sere prima.
Conoscevamo più o meno tutti ed il divertimento era assicurato, senza dover necessariamente bere o finire al letto con qualcuno.
Passammo in mezzo alla folla, salutando a destra e sinistra, per raggiungere il bancone del bar.
- Oh Jim! – esclamò calorosamente Eleanor. – Come stai? – chiese.
- Bene, sempre il solito. – rispose lui, preparando un drink. – E voi? E’ da un po’ che non ci si vede. -
- Già, siamo state impegnate. – dissi io.
- Tutto normale. – continuò lei. – Senti, potresti farci due… - fece una pausa, riflettendo, -  gin tonic? -
- Per me va bene una birra, grazie. – la corressi, sorridendo verso di lui.
- Certo, solo un attimo. – rispose infine, finendo di servire altri clienti.
Ci rigirammo e ci appoggiammo al bancone con i gomiti, osservando la pista piena di gente, e ballando un po’ sul posto.
Mi alzai leggermente sulle punte dei piedi, nonostante fossi alta, cercando di vedere se c’erano anche le solite tre amiche con cui andavamo a ballare.
- Oddio, no. E’ qui. – mi sbrigai ad abbassarmi, rigirandomi.
- Chi? – chiese Eleanor, dopo aver mandato giù velocemente il suo drink.
- Andiamocene, per favore. – dissi, ignorando la sua domanda precedente e coprendomi il profilo della faccia con la mano.
- Ma siamo appena arrivate! E poi hai dettotre ore, non un minuto di più, non uno di meno, - disse, imitando la mia voce, - ricordi? -
- Certo che me lo ricordo, è stato dieci minuti fa. Il problema è che c’è… -
Non feci in tempo nemmeno a finire la frase, che la persona in questione ci aveva già trovato e raggiunto al bancone, mettendosi vicino a noi.
- Salve ragazze, che ci fate qui? -
- Non lo so, dimmelo tu. Cosa potremmo mai fare in una discoteca? Pettiniamo bambole, ovviamente. -
A quella risposta di Eleanor non potei far altro che ridere, continuando a non guardare in faccia il verme che avevo a cinquanta centimetri di distanza, data la gente nel locale ed il poco spazio.
Adam era la persona più egoista, superficiale e stronza che potesse esistere sulla Terra. E, da cogliona qual’ero, me ne ero innamorata, non ascoltando niente e nessuno. Per lui avevo perso tutti gli amici, quei pochi che avevo all’epoca come tutt’ora, e rischiando di perdere anche la mia famiglia, visto che nessuno approvava la nostra relazione.
Riusciva a farmi fare tutto ciò che voleva, manipolandomi a suo piacimento. Sfortunatamente, me ne ero resa conto troppo tardi, quando, ormai, il mio cuore gli apparteneva.
Quando conobbi Eleanor in biblioteca, riuscii ad aprirmi con lei e confidarle tutto ciò che avevo tenuto dentro, così mi aiutò ad uscire da quell’incubo.
Lui abitava dall’altra parte della città, ma, in un modo o nell’altro, riuscivo sempre ad averlo tra i piedi. Era solo uno stalker con gravi problemi mentali.
- Sophie, come stai? – disse, girandosi dalla mia parte, ammiccando.
- Senza di te? Oh, benissimo. – esclamai, prendendo il mio drink e girandomi dall’altra parte.





myspace:
lo so, lo so, vi avevo detto di sbrigarmi ed in effetti l'ho fatto, infatti (scusate il gioco di parole lol) l'avevo pronto già da un po' di giorni, ma c'erano e ci sono tuttora cose che non mi convincono, ma che non riesco a cambiare, quindi ho deciso di metterlo ugualmente uu e so anche di averlo finito di merda, ma sarebbe venuto troppo lungo e non avrei saputo cosa scrivere nel prossimo lol
qui, come avrete notato, ho rimesso entrambi i pov per vedere cosa succedeva dopo la 'dichiarazione' di Sophie uu
vi ringrazio per seguire la mia storia, per le recensioni che lasciate o anche per leggere semplicemente dkjfhkzj
a presto. 

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Capitolo 14
*** Sophie. ***


Sophie.

Avevo esplicitamente detto ad Eleanor di non farmi bere eccessivamente, potendomi permettere al massimo due birre. Lei annuì, anche se non aveva ascoltato una sola parola, mandando giù l’ennesimo drink, che le fece perdere il controllo, così andò a ballare con tre ragazzi contemporaneamente. Con Adam lì fu ancora più difficile controllarmi, dato che volevo dimenticare la sua presenza o essere talmente ubriaca da non farci caso.
Cominciai a bere qualsiasi cosa, mischiando l’impossibile, rubando anche i drink degli altri.
La testa cominciò a farmi male, sentivo il volume della musica il triplo di ciò che era realmente, ma nonostante tutto mi avvicinai alla pista da ballo e cominciai a dimenarmi, alzando le braccia in cielo e scuotendole, per quanto mi fosse possibile pensare a ciò che stavo facendo. Adam fece un sorriso beffardo e si avvicinò a me, prendendomi i fianchi da dietro. Sentivo il suo respiro sul collo, essendo molto, troppo vicini per essere degli estranei, per quanto mi riguardasse. Ci muovevamo simultaneamente, ondeggiando a ritmo di musica.
Iniziai a comportarmi come se dovessi riconquistarlo, come se avessi un disperato bisogno di sentirmi amata. Ma non da lui. Da Harry, che assunse magicamente il suo volto. Avevo le allucinazioni.
Avevo anche decisamente bevuto troppo e gli occhi erano appannati, impedendomi di vedere chiaramente. Le gambe cedettero, mi accasciai a terra.
- Hey, hey, che succede? – Adam si piegò  e mi accorse, sorreggendomi la testa.
Sentii dei passi veloci e rumorosi provenire in lontananza. - Cosa le hai fatto, brutto stronzo? Stai lontano da lei! – Eleanor si avvicinò e diede una spinta ad Adam, facendolo cadere all’indietro. Molto probabilmente si era allontanata dai tre ragazzi per venire vicino a me e soccorrermi. Prese la mia testa tra le mani ed iniziò ad accarezzarmi, sussurrandomi ‘andrà tutto bene, non ti preoccupare, adesso ti porto a casa’. Avevo gli occhi offuscati e non capivo bene cosa stesse succedendo, ma sentivo di essere al centro dell’attenzione, con tutti gli occhi puntati su di me e bisbigli di compassione. Tutte cose che odiavo.
Ad un tratto, il buio.
Persi i sensi e non avevo la più pallida idea di cosa fosse accaduto.
Quando riaprii gli occhi, sobbalzando, credevo fosse tutto un incubo, ma non era così. La prima cosa che vidi fu un quadro, che avevo già visto in precedenza, ma che all’inizio non riuscii a collegare. Mi guardai intorno e mi era tutto stranamente familiare, pur non essendo a casa mia, decisamente.
Mi alzai con fatica, essendo sdraiata su un divano piccolissimo e avendo dormito su qualcosa, o qualcuno. Mi girai e vidi Harry con la testa poggiata allo schienale del divano, la bocca leggermente socchiusa e le mani sulle cosce, che prima erano poggiate delicatamente sui miei capelli. Mi risedetti accanto a lui e gli presi un braccio, avvolgendolo dietro la mia testa, facendolo ricadere sulla mia spalla. Appoggiai la mia testa al suo petto e mi sentivo al sicuro, pur non sapendo esattamente da cosa.
Non ero mai stata una persona aggrazziata, né tantomeno in quel momento, ed Harry sobbalzò, svegliandosi.
- Cosa… cos’è successo? – chiese a stento, passandosi l’indice ed il pollice rispettivamente sull’occhio sinistro e destro.
- Scusami, non volevo svegliarti. Puoi continuare a dormire. – dissi, guardandolo dal basso e sorridendo.
- Questo divano non è l’ideale per farlo. – rise. – Tu, come stai? -
- Ho la schiena un po’ a pezzi, ma bene. -
- Sicura? -
- Credo… credo di sì. – affermai, un po’ titubante. – Perché sono qui? – chiesi.
- Eleanor era nel panico ed ha chiamato Louis, che era con me. Sei svenuta, siamo venuti il più in fretta possibile, ma già ti eri svegliata, anche se non avevi la mente molto lucida. Ti abbiamo messo in macchina e ti sei addormentata nel tragitto. -
- Mi dispiace, non volevo essere un peso. Faccio sempre delle grandissime cazzate. Non toccherò l’alcool per un bel po’. -
- Tu non sei un peso. – mi strinse ancor di più al suo petto. – E sì, sarebbe meglio. – acconsentì, ridendo.
Rimasi qualche secondo a fissarlo, sorridendo senza rendermene conto, pensando a qualcosa da dire. Era la seconda volta che si preoccupava per me, eppure non sapevo ancora cosa provasse per me. Ero una semplice ragazza con cui divertirsi per qualche settimana? O si stava innamorando anche lui?
Non sapevo più cosa pensare, non avevo la certezza di niente, se non del fatto che quel ragazzo era un grandissimo punto interrogativo.
- Ma Eleanor e Louis? -
- Sono di là in camera di Louis. Ho provato a svegliarti per riportarti a casa, ma non c’è stato verso. Così lei ha detto che avrebbe aspettato e si è addormentata anche lei. – accennò un leggero sorriso.
- Okay, grazie. – ricambiai, guardandolo negli occhi.
- E di che? – rise, di nuovo.
Doveva smetterla.
- Di tutto. - risposi, cercando di mantenere un tono di voce regolare e piatto, senza dar a vedere che i battiti del mio cuore stavano accelerando.
Abbassò la testa, imbarazzato, per poi guardare l’orologio, evitando il mio sguardo. – Sono le tre di notte e domani, cioè tra qualche ora, devo lavorare. Se vuoi, tu puoi andare in camera mia, io rimango qui. -
- Ma non ci pensare nemmeno! Qua ci sto io, tu riposati. -
- Sicura? – chiese, inarcando le sopracciglia.
- Certo, non ti preoccupare! – affermai, autoconvincendo anche me stessa, sapendo che avrei avuto il mal di schiena per un tempo indeterminato.
Mi sorrise, giusto per concludere quella lunga serie, e mi lasciò un bacio a stampo. Finalmente.

Il risveglio, al mattino seguente, non fu tanto tragico, pensavo peggio. Mi tirai su e riconobbi la stanza di Harry. Eppure ero sicura di essermi addormentata sul divano.
Allungai il braccio destro sul comodino, ma il mio cellulare non c’era. Mi alzai ed uscii dalla stanza, sentendo un rumore alla fine del corridoio. Non sapevo che ore erano e non avrei voluto vedere Harry, almeno non in quello stato. Entrai in bagno e detti una leggera sistemata ai capelli, giusto per non sembrare appena uscita dalla giungla. Uscii ed andai in cucina, trovando Louis a petto nudo che preparava la colazione.
- O-oddio, scusa! – riuscii a dire a stento dall’imbarazzo, portandomi una mano agli occhi.
- Non sono mica nudo. – rise.
Era la seconda volta che mi trovavo in quella stessa situazione, nella stessa stanza, ma col ragazzo diverso.
- No, però… -
- Tranquilla, Eleanor è già andata via ed Harry mi ha detto che se solo oso guardarti, mi ammazza. E ci tengo alla mia vita. – puntualizzò, facendomi l’occhiolino.
- Davvero ha detto così? – chiesi, incredula a ciò che avevo appena sentito.
Gli atteggiamenti di Harry erano indecifrabili, o forse ero solo io che non riuscivo a capirlo, il che mi portava a chiedermi il perché della nostra relazione, se così si può chiamare dopo soli tre giorni.
- Tiene a te più di quanto lasci intendere. – disse, agitando la padella in cui stava preparando delle uova strapazzate.
Abbassai lo sguardo e sorrisi, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Vuoi? – chiese poi, indicandole con un cenno del capo.
- No, grazie. C’è semplicemente del latte? -
- Ehm, - borbottò, mentre si dirigeva al frigorifero, - no. Ho un limone, altre tre uova, del formaggio ed una birra. – si girò verso di me che assunsi una faccia schifata alla parola ‘formaggio’. – Harry si è dimenticato di fare la spesa, era troppo impegnato con qualcosa, o qualcuno. – ammiccò.
Si susseguirono dei momenti di silenzio assoluto. Io ero in imbarazzo e lui non sapeva cosa dire o fare per mettermi a mio agio, cosa molto improbabile.
Restai in piedi in mezzo al salotto per qualche minuto, ondeggiandomi avanti ed indietro con le punte dei piedi, guardandomi attorno, mentre lui finiva di cucinare, o meglio, bruciare la sua stessa colazione.
- Ahh! – esclamò, lasciando la presa della padella. – Ho fatto un casino, e mi sono pure bruciato. – disse, mettendo l’indice sotto l’acqua fredda del rubinetto.
- Fammi vedere. – mi avvicinai a lui, lasciando lo sguardo fermo sul braccio e prendendogli la mano. – Non è niente, dai. – lo rassicurai, per poi alzare il viso ed incontrare il suo, che era a pochissimi centimetri da me.
Mi affiorò alla mente il giorno in cui ci eravamo scontrati per strada ed avevo incontrato i suoi occhi per la prima volta, perdendomici dentro.
- Sarà meglio che vada. – dissi, girandomi dall’altra parte.
- Aspetta! – esclamò, facendo una piccola corsetta per venirmi incontro. – Hai qualcosa da fare? -
- Ti ricordo che stai con Eleanor, nonché la mia migliore amica, ed Harry ti ucciderebbe. E tu ci tieni alla tua vita. – risposi, imitando il tono di voce con cui me l’aveva detto lui precedentemente.
- Ma cos’hai capito? Ti volevo chiedere se potevi accompagnarmi a fare la spesa. – replicò, ridendo.
- Ah, scusami. – dissi, mantendendo l’imbarazzo che ormai si era istaurato da venti minuti a quella parte. – Comunque, va bene. – conclusi, sorridendo.
Sparì nel corridoio e tornò qualche minuto dopo, con una maglietta addosso. Prese il portafoglio e le chiavi che si trovavano sul mobile vicino la porta ed uscimmo.
Era Dicembre e la mia amata pioggia non poteva mancare, così mi tirai su il cappuccio della felpa. Fortunatamente, il supermercato si trovava dietro l’angolo e ci mettemmo pochi minuti, anche se passati con un silenzio fragoroso.
Entrammo e lui prese un cestino, facendomi passare avanti.
Iniziò a prendere delle cose a caso, almeno credo, dai vari espositori.
- Non ti sei offesa, vero? – chiese all’improvviso, rompendo il silenzio.
- Perché non hai nulla in frigorifero? – risi.
- Per quello che è successo con Harry. -
Avevo un groppo in gola. – Te l’ha detto? – deglutii.
- Certo! Non solo le femmine hanno migliori amici con cui confidarsi, anche se noi ci prendiamo per il culo a vicenda e non facciamo quelle cose sdolcinate. – rispose, facendo una faccia schifata.
- Quali cose? – chiesi, guardandolo con un’espressione perplessa e divertita allo stesso tempo.
- Piangere con i fazzoletti, abbracci e roba di questo genere. -
- Hai una visione contorta del mondo femminile, secondo me vedi troppi film. – dissi.
- Beh, effettivamente è vero. – rise. – Ma tornando al discorso di prima… -
– Vorrei solo capire cosa prova per me. – lo interruppi. - Forse il nulla più totale e mi prende semplicemente in giro, ma vorrei saperlo una volta per tutte. -
- Come ti ho già detto, tiene a te più di quanto possa sembrare. -
- E allora perché non ha risposto quando gli ho detto che lo amo? -
- Sophie, è troppo presto… - disse, cercando di farmi ragionare. – Forse non sai nemmeno tu se è quello che senti realmente. -
- Basta ripetermelo! Se senti una cosa, è quella e basta. Non c’è bisogno di ‘altro tempo’. – mimai le virgolette. Ormai era ciò che sentivo dire da tutti.
- A lui serve, fidati. -
Presi dell’insalata dal frigorifero alla mia destra e mi girai verso il cestino, lanciandola con forza. – E cosa dovrei fare? Ormai lui sa che provo, per quanto altro tempo dovrei aspettarlo? -
- Perché stai dicendo queste cose a me e non le dici direttamente a lui? -
- Perché… - feci una pausa, sorridendo e abbassando lo sguardo, per poi tornare a guardarlo negli occhi, - perché ogni volta che provo a dirgli qualcosa, soprattutto se si tratta dei miei sentimenti, mi mancano le parole e sono riuscita a farlo sa ubriaca. Forse avete ragione, era troppo presto, ma non ho potuto evitarlo, altrimenti l’avrei fatto. – dissi, continuando a camminare in avanti senza una meta, o meglio, un reparto del supermercato. – Creo solo guai, non ne faccio una giusta, e mi dispiace tantissimo. – conclusi, guardandomi intorno, senza girarmi verso di lui.
- Quel tipo del pub lo reputi un ‘guaio’ o sei stata innamorata anche di lui? – chiese, poggiando il cestino a terra, incrociando le braccia.
- Adesso cosa c’entra? -
- C’entra eccome. – replicò.
- Preferisco non parlarne. – risposi, prendendo il cestino, continuando a camminare.
- Ormai ci siamo, no? – urlò lui da dietro, venendomi incontro.
Guardai il cestino con una faccia perplessa. - Credo di aver preso tutto ciò che vi serve per sopravvivere per un po’ di tempo, puoi andare alla cassa. E grazie per la chiacchierata. – lo posai a terra e mi diressi verso l’uscita.





myspace:
ecco un nuovo schifosissimo capitolo, yay!
speravo di riuscire a fare qualcosa di meglio e di postarlo la settimana scorsa, ma ultimamente sono molto impegnata e il caldo mi brucia gli ultimi neuroni rimasti (?), quindi questo è il massimo lol 
spero vi piaccia ugualmente, almeno un po' çç e fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, anche minuscola o critica, perché ho bisogno di sapere il vostro parere per andare avanti e magari migliorare uu
ci tengo a ringraziare tutte/i, come sempre xkgjdkjl
a presto, spero. 

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Capitolo 15
*** Harry. ***


Harry.

Erano le sette di sera ed il Sole era già tramontato, i lampioni si erano accesi e la gente iniziava a tornare a casa propria, come me.
Speravo di trovare un parcheggio vicino casa, così da non dover camminare tanto dopo l’ennesima straziante giornata di lavoro, ma come al solito mi fu impossibile. Dovetti parcheggiare la macchina dall’altra parte del palazzo, non trovando un posto più vicino all’entrata.
Aprii lo sportello e misi un piede di fuori, mentre mi allungavo sull’altro sedile anteriore per prendere la mia 24 ore. Scesi e mi rigirai per chiudere la macchina, per poi allontanarmi e dirigermi verso casa.
Salii i cinque scalini che precedevano la porta, ed infilai la chiave nella serratura. Rimasi immobile per un po’, perlustrando il salone davanti a me e l’angolo cucina, per poi chiudermi la porta alle spalle e dirigermi verso il corridoio. Mi affacciai in tutte le stanze, trovando Louis steso sul suo letto, con le cuffie nelle orecchie e gli occhi chiusi.
- Dov’è Sophie? – urlai, così che mi potesse sentire. Si tirò su, mettendosi seduto, e si tolse le cuffiette. - Pensavo di trovarla qui. – continuai, una volta avuta la certezza che mi stesse ascoltando.
- Beh, tecnicamente credo che sarebbe rimasta per aspettarti, ma… - si alzò dal letto per venirmi incontro.
- Ma? – ripetei, allarmato.
- Abbiamo avuto una piccola discussione, una cosa da niente. Si è alterata all’improvviso, deve avere il ciclo. – disse appoggiando l’avambraccio sulla mia spalla.
- Che tipo di discussione? -
- Mah, sai come sono le donne, ingigantiscono tutto. Non era niente. -
- Louis! – urlai, per convincerlo. – Sei mai riuscito ad essere serio per più di tre secondi in tutta la tua vita? – lo guardai negli occhi, cercando di essere arrabbiato, per quanto riuscissi ad esserlo con lui, ma mantenendo un’aria divertita.
- No, non mi risulta. – rispose, ridendo. – Comunque, seriamente, - continuò, sottolineando l’ultima parola, - ho tirato in ballo il tipo del pub, si è arrabbiata e mi ha lasciato da solo al supermercato.  -
- E perché stavate al supermercato? -
- Perché qualcuno, non faccio nomi, si è dimenticato di fare la spesa. Genio. -
- Ed ora dov’è? -
- Ti ricordo che è la tua ragazza e non la mia, dovresti saperlo tu. -
Già. Era la mia ragazza ed io facevo di tutto, fuorchè farla sentire tale. Forse aveva ragione Louis, avevo paura d’innamorarmi dopo la delusione con Lisa. O forse era già successo, ma ero troppo orgoglioso e allo stesso tempo spaventato per ammetterlo.
- Oggi dovrebbe avere il turno di pomeriggio. – riflettei ad alta voce. – E se l’aspettassi fuori dalla biblioteca quando stacca? -
- Ottima idea! Vengo anch’io. – esclamò, catapultandosi a prendere il giacchetto sulla poltroncina vicino la porta, beccandosi una mia occhiataccia. – Per Eleanor, ovviamente. – puntualizzò.
- L’avevo capito, idiota. E’ che voglio stare un po’ con lei, da solo. -
- Afferrato. – rispose, con un’aria da cane bastonato, lanciando il giacchetto sul letto. - E se la portassi a Gillingham? – chiese, come se avesse avuto la più grande idea di tutta la sua vita.
Quel nome mi provocò una strana sensazione, mista tra felicità, malinconia e ansia. Avevo passato la maggior parte della mia infanzia lì, andando a casa dei miei nonni quando i miei genitori erano impegnati o passandoci tutte le vacanze, tra Natale, Pasqua e quelle estive, compresi i weekend.
- Da dove ti escono queste idee geniali alle sette di sera? -
- Devo rispondere? Non vorrei rovinare questo momento essendo volgare. -
- Sì, hai ragione. Potevo evitare questa domanda. – gli sorrisi.

Aspettai Sophie per circa venti minuti appoggiato ad una macchina appena fuori la biblioteca, con le cuffie nelle orecchie e la bellissima visuale di Londra che a quell’ora iniziava ad essere meno affollata e rumorosa.
- Hey. - esordì lei, con una voce flebile e inaspettata, chiudendo la porta alle sue spalle. Tolsi le cuffie e mi affrettai a rimetterle in tasca, rischiando di far cadere l’ipod. Sorrisi semplicemente, cercando di distogliere l’attenzione dalla mia goffaggine. – Che ci fai qui? – continuò.
- Non posso andare a prendere la mia ragazza al proprio lavoro per farle una sorpresa? -
- C-certo che puoi! – acconsentì, esterrefatta. Le si illuminarono gli occhi ed un sorriso le irradiò il volto. Era davvero bellissima.
- Andiamo? – chiesi, avvicinandomi a lei e cingendole il fianco col braccio sinistro. Lei annuì ripetutamente e ci avviammo alla macchina che parcheggiai poco distante da lì, anche se in doppia fila.
La sentii tremare e portare le mani alla bocca, cercando di scaldarle. - Tieni, prendi questi. – dissi, togliendomi i guanti neri e grigi che mi aveva regalato mia madre il Natale precedente.
- Oh, grazie. – disse, come se le avessi salvato la vita.
Arrivammo alla macchina e la bloccai prima che potesse aprire lo sportello, tirando fuori una fascia nera dalla tasca, che poi le misi sugli occhi e le legai dietro la nuca.
- Cosa stai facendo? –
- La sorpresa non era solo venirti a prendere al lavoro. – specificai.
- Che significa? Dove andiamo? – chiese di nuovo, non capendo assolutamente niente. Forse era meglio così.
- Che sorpresa sarebbe se te lo dicessi? -
Mi guardò perplessa, per poi girare il volto in avanti, lasciandomi stringerle la fascia sopra i capelli.
Sbuffò. - Adesso aiutami ad entrare. -
- Per lei, questo ed altro, principessa. – affermai, prendendola sotto braccio fino a condurla allo sportello. Mi spostai leggermente di lato per aprirlo e spingerla delicatamente dentro, finchè non prese posto. Feci velocemente il giro della macchina per andare al volante.
- Posso sapere dove stiamo andando? – chiese, mentre mettevo in moto.
- No. -
- Quanto tempo ci vorrà? -
- Un’ora e mezza, al massimo. Puoi sentire un po’ di musica. - dissi, estraendo delle cuffiette aggrovigliate che si portavano l’ipod al seguito, e che le misi in mano, sfiorandole lentamente, cercando di non farlo cadere, visto che non vedeva niente.
- Okay, grazie! – rispose, cercando di sembrare il più entusiasta possibile, anche se non lo era affatto. Speravo davvero che un po’ di tempo insieme a lei mi avrebbe chiarito le idee e mi avrebbe aiutato a capire cosa provavo realmente per lei, avvicinandoci ancor di più. - E per quando torniamo? Domani ho il turno di mattina. – continuò, mentre ero assorto nei miei pensieri, o meglio, paranoie.
- Staremo via due giorni, - aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma la battei sul tempo, - e non ti preoccupare, ne ho già parlato con Eleanor. Ti coprirà lei. -
- Come? -
- La finisci di fare domande o devo metterti una benda anche sulla bocca? -
- Okay, sto zitta. Scusa. – si girò per sorridermi e addolcirmi.
Io cominciai a guidare e lei a sentire la musica, istaurando un silenzio quasi inquietante. Ogni tanto, mi faceva qualche altra domanda, cercando di estorcermi delle informazioni, senza successo fortunatamente.

Arrivammo prima del tempo previsto, e non erano nemmeno le dieci di sera.
L’aiutai a scendere dalla macchina, posizionandola esattamente davanti la casa, così che potesse ammirarla tutta.
Era una casa ottocentesca a due piani poco distante dal molo che portava al lago. L’intonaco bianco si era rovinato con gli anni, nonostante i vari e molteplici lavori svolti, che conferiva un’aria ancor più vecchia e vissuta.
Le sciolsi lentamente la fascia e appoggiai il mio mento alla sua spalla. - Allora, che te ne pare? -
Rimase per un po’ a fissarla. – E’ casa tua? -
- Era dei miei nonni, ma ora che sono morti… - feci una pausa, preso dalla malinconia. – Sì, è mia. – affermai, deciso.
- E’ davvero bella! – esclamò, girandosi per guardarmi negli occhi.
Mi diressi di nuovo alla macchina, prendendo due valigie dal portabagagli, per poi guidarla verso l’entrata. Le posai a terra di fianco alla porta.
- Fai come se fossi a casa tua. – dissi, andando in cucina a preparare due thè, mentre lei faceva il giro turistico del salotto. Si fermava ad ogni passo ed ammirava i quadri, i mobili e le varie cianfrusaglie su di essi, come se stesse in un museo, con aria assorta.
Si bloccò di colpo, spalancando la bocca. – Suoni? – chiese, prendendo la chitarra in mano e girandosi verso di me, che stavo assistendo a tutta la scena da dietro il muretto dell’angolo cottura.
Mi diressi verso di lei col vassoio con le due tazze sopra.
- Suonavo. Al liceo. – risposi, posandola.
Lei prese una tazza e si sedette sulla poltrona vicino la finestra, io su quella di fronte a lei.
- Ed eri bravo? – chiese, soffiando sulla tazza per far raffreddare il thè.
- Sì, abbastanza. Ero il leader del gruppo di cui facevo parte, essendo l’unico in grado anche di cantare. -
- E perché hai smesso? – continuò l’interrogatorio, questa volta posando le labbra sulla tazza.
- Perché l’ingaggio più importante che abbiamo ricevuto è stato al ballo di fine anno a scuola, dopo la festa di una bambina di undici anni. -
Rise. – Fammi sentire qualcosa. – disse, più come un ordine che come una richiesta.
Scossi la testa, piegandola, tornando a guardare la mia tazza. Con la coda dell’occhio, vidi che si era alzata, trovandomela sotto il viso qualche secondo dopo. Si piegò e mi alzò il viso, inarcando l’indice sotto il mento.
- Per favore. – sibilò, sbattendo ripetutamente gli occhi e facendo il labruccio, con l’obiettivo di convincermi. Scossi ulteriormente la testa, quando venii fermato da un suo bacio.
Sentii le sue labbra morbide e formose sulle mie, che si muovevano simultaneamente, da una parte e dall’altra.
Fu lento, ma allo stesso tempo passionale. Forse uno dei più belli, se non il più bello, e veri che ci eravamo dati, dopo quello alla festa con cui ci eravamo praticamente messi insieme.
Già, io e lei stavamo insieme. Troppo surreale per crederci.
Si staccò dolcemente, lasciandomi assaporare quegli ultimi momenti. – E  adesso? Ti ho convinto? – chiese, già a conoscenza della risposta, consapevole di esser riuscita nel suo intento.
- Okay, ma solo un pezzo. Che poi è l’unica canzone che abbiamo scritto. -
Annuì, riposizionandosi sulla poltrona. Io mi alzai e mi diressi a prenderla, per poi riprendere anch’io il mio posto.
- Ehm, okay. – sussurrai, portandomi il plettro alla bocca. – Sono un po’ arrugginito, vedo che posso fare. – continuai, dopo averla accordata.
In realtà, non ero affatto arrugginito. Suonavo quasi tutte le sere a casa, dopo il lavoro, subendo gli scleri di Louis che voleva dormire. Ero spaventato dalle sue aspettative e temevo che non mi avrebbe apprezzato, e che non sarei stato abbastanza bravo da stupirla.
- When he opens his arms and holds you close tonight, it just won’t feel right, ‘cause I can love you more than this, yeah. – feci una pausa, riprendendo fiato, ma continuando a suonare. - When he lays you down, I might just die inside, it just don’t feel right, ‘cause I can love you more than this, can love you more than this. – finii.
- Ma… - iniziò, facendo una pausa per riprendersi dalla sua emotività improvvisa, - ma è bellissima! E tu… tu sei bravissimo. – balbettò a stento.
- Grazie. – risposi, imbarazzato. Non ero nemmeno stato bravo quanto il solito, eppure le era piaciuto. Forse l’aveva detto solo per farmi un piacere, o forse ero io che mi sottovalutavo sempre. – Ma ormai ho chiuso. – precisai, alzandomi per andare a posare la chitarra.
- No, aspetta! – obiettò, alzandosi, afferrandomi il braccio. – Insegnamela. -
- Cosa? -
- La canzone!  A suonarla con la chitarra. – continuò.
- Non mi sembra il caso, è anche tardi. -
- Dai, dobbiamo stare qui per due giorni. Iniziamo ad occupare il tempo. -
- Possiamo fare tantissime altre cose. -
- Tipo? -
- Il bagno al lago… - iniziai, riflettendo. In effetti, non c’erano molte cose da fare, a meno che non si avessero cinque anni e tanti amici con cui giocare. – Beh, potremmo andare a pesca! -
- A pesca?! Ti sembro una che va a pesca? – chiese, alzando le sopracciglia.
- C’è sempre una prima volta. Comunque, ho detto di no. -
Si avvicinò sempre di più, afferrando delicatamente il colletto della mia camicia, allungando il collo per ripetere il bacio precedente. Cercai di liberarmi dalla morsa, ma fu più forte di me resistere.
- Questo è giocare sporco. - osservai.
- Tutto è lecito in guerra e in amore. – puntualizzò lei, sapendo di aver vinto, di nuovo.
Alla sua ultima parola, sobbalzai. Quello era davvero degno di essere chiamato ‘amore’? Ma, soprattutto, me lo meritavo?
- Vieni qui. – la invitai, battendo leggermente le mani sulle mie cosce.
Si sedette delicatamente, non pesando affatto. Allungai il braccio sinistro, per arrivare a prendere la chitarra, senza aver bisogno di alzarmi di nuovo. Le mostrai i primi accordi, per poi passarla a lei e farle ripetere gli stessi movimenti.
- Così va bene? – chiese, impacciata, mentre cercava di ricordarli tutti. Si girò verso di me e fece una boccaccia, capendo di aver sbagliato, ma non importava. Vedevo che era felice, finalmente, e non avrei potuto desiderare di meglio. Dopo tutte le volte in cui avevamo litigato, anche inutilmente, dopo tutto ciò che era successo con le mie ex ragazze e dopo che mi aveva confessato di amarmi.
Forse era arrivato anche il mio momento. - Sophie… - iniziai, sospirando.
- Sì, lo so che faccio schifo, però forse con un po’ di pratica in più… -
La zittii con un bacio. - Ti amo. -





myspace:
saaalve! *w*
scusatemi, come sempre (ormai non faccio altro che dirlo), per il ritardo. avevo scritto il capitolo subito dopo il quattordicesimo con l'intento di postarlo presto, ma non mi piaceva affatto e l'ho riscritto altre due volte. nemmeno questo mi convince, ma non potevo farvi aspettare ulteriormente. uu
spero che a voi piaccia e lasciatemi delle recensioni, perché mi fa sempre piacere leggere cosa ne pensate e mi spronano a continuare e a migliorare. :)
a presto. ♥
ps. non so quante beliebers ci siano e non credo v'interessi, ma volevo condividere con voi il fatto che andrò al concerto di Justin Bieber a Bologna e realizzerò il mio sogno dopo tre anni kxfjxcjsg sono felicissima, ma allo stesso tempo in ansia. çç boh, volevo semplicemente dirlo perché ancora non mi sembra vero. :')

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Capitolo 16
*** Sophie. ***


Sophie.

A quelle parole, nel mio stomaco non c’erano le famigerate farfalle che si sentono quando si è innamorati, ma una tempesta irrefrenabile, come se si stesse per scatenare un uragano. Ero paralizzata di fronte ai suoi occhi così profondi e brillanti, e al suo sorriso così perfetto da farmi rimanere incantata ogni qual volta lo sfoggiasse.
Riuscii a stento a sorridere e le sue labbra si riposarono sulle mie, non lasciandomi scampo. Chiusi gli occhi, cercando di godermi quel momento prima che finisse o che il mio sogno svanisse, non poteva essere vero. Mi aveva detto che mi amava e baciato due volte nel giro di tre minuti. Non era da lui, o almeno, con me non l’aveva mai fatto.
Mi strinse ancora più forte a sè, premendo la sua mano sulla mia schiena. Indietreggiò e lo seguii istintivamente, cadendo sopra di lui sul divano. Mi staccai leggermente, permettendomi di guardarlo negli occhi e scoppiare a ridere, rimanendo a fissarlo per qualche secondo.
Lui m’indicò il corridoio con un cenno della testa e ci alzammo, mi prese la mano e mi diresse in camera da letto. Riprendemmo a baciarci e, questa volta, dopo aver accostato la porta con uno spintone, cademmo sul letto.
Ci mettemmo in ginocchio, uno di fronte all’altra. Io gli afferrai i lembi della maglietta e gliela sfilai, e lui fece lo stesso con me. Non c’era imbarazzo, né paura, solo una grande voglia di stare insieme come non era mai successo.
Il mio respiro divenne affannoso e lui si staccò leggermente per qualche secondo dalle mie labbra, premendo la sua fronte contro la mia, senza però far incontrare i nostri sguardi.
- Sei sicura? – chiese, quasi impaurito, posandomi delicatamente le mani su entrambe le spalle, sfiorandole appena.
Mi allontanai e alzai la testa, per guardarlo negli occhi, e annuii ripetutamente. Sorrise, contento della risposta, e riprese a baciarmi, facendomi stendere sul letto. Sentivo il battito del suo cuore sul mio petto ed il suo respiro diventare sempre più affannoso, come il mio.
In poco tempo, ci ritrovammo ad essere una cosa sola.

Non sapevo che ore fossero con esattezza, ma erano circa venti minuti che mi rigiravo in quel lettone, vuoto e freddo, pur di evitare i primi raggi del Sole che iniziavano ad invadere la stanza attraverso le fessure delle tende.
- Harry? – chiesi, con la voce fiebile, ancora impastata dal sonno. Passai il palmo della mano sinistra sull’altro lato del letto, cercando la sicurezza di cui avevo bisogno in quel momento, sperando che lui ci fosse ancora e che avessi solo sognato di essere rimasta da sola, ma purtroppo era la realtà.
Decisi di alzarmi, tenendo il lungo lenzuolo bianco avvolto intorno al mio corpo nudo, e raccolsi i vestiti che erano rimasti a terra, per poi poggiarli sulla sedia accanto al vistoso armadio stile ‘700.
Presi il cellulare da una tasca del giacchetto che portavo il giorno precedente e illuminai il display per vedere l’orario. Era una delle prime cose che facevo la mattina appena sveglia per decidere se potevo dormire ancora o se dovevo alzarmi. In quel caso, dovetti rimanere sveglia per andare a cercare Harry e capire cosa stesse facendo alle 5.45 di un Martedì mattina.
Andai in bagno e rimasi a guardare il mio riflesso nello specchio per un po’. Com’era possibile che lui avesse scelto me? Che si fosse davvero innamorato della bibliotecaia insicura, gelosa e possessiva? Che mi facesse sentire bellissima con un solo sguardo, una piccola attenzione in più, e la ragazza più fortunata del mondo ad avere accanto un ragazzo così?
Avevo paura fosse tutto un sogno. Un lunghissimo e straordinario sogno, dal quale sarei stata costretta a risvegliarmi, prima o poi.
Scrollai la testa per cercare di scacciare quei pensieri e mi piegai verso il lavandino, aprendo il rubinetto. Unii le mani e presi un po’ d’acqua per lavarmi il viso e cercare di essere il più lucida possibile.
Tornai in camera e mi sbrigai a vestirmi, per poi uscire di casa, accostandomi la porta alle spalle, non avendo le chiavi.
Mi misi a braccia conserte, cercando di riscaldarmi, ed iniziai ad incamminarmi sul molo di fronte la casa. C’erano barche su ogni lato e credevo che una di esse fosse di Harry e che ci fosse salito sopra, così iniziai ad urlare il suo nome.
Essendo quasi le sei di mattina, non potevo sgolarmi più di tanto e rimasi in silenzio, facendo capolino dove possibile.
- Cosa ci fai qui? – chiesi, dopo averlo trovato seduto alla fine del molo, nascosto dietro una barca, con le gambe penzoloni e la schiena incurvata.
- Ti sei già svegliata? – richiese.
- E’ maleducazione rispondere ad una domanda con un’altra domanda, te l’hanno insegnato? – risi, e mi sedetti accanto a lui.
Rise leggermente, guardandomi, per poi tornare a visualizzare la distesa d’acqua davanti a lui. – Da piccolo, quando facevo qualche casino e non volevo essere punito, oppure quando i miei genitori litigavano e non volevo sentire, venivo qui. Lontano da tutto e da tutti. – fece una pausa, continuando a guardare davanti, ed io seguivo ogni singola parola. – Non è bellissimo? – chiese, girandosi verso di me.
- Sì, è davvero incantevole. – concordai, ammirando quella meraviglia.
Il Sole stava sorgendo e l’acqua del lago, non tanto limpida come si potrebbe immaginare, era irradiata da quella luce fioca e delicata. Conferiva al tutto un’atmosfera accogliente e quasi magica.
- Stavo pensando… - iniziò, rompendo quel silenzio e facendo una pausa, - che tra pochi giorni sarà Natale. – disse, continuando a guardare la lunga distesa d’acqua di fronte a noi e torturandosi le mani dentro le tasche. – Cos’avevi in mente di fare? – chiese, infine, guardandomi.
- Sinceramente ancora non lo so. Ma credo che, come al solito, rimarrò da sola a casa a guardare vecchi film in tema che mi fanno ricordare di non aver mai avuto qualcuno con cui festeggiare. – dissi, bloccandomi a quelle parole. Fui assalita da un po’ di nostalgia, mista a rabbia e ad altre sensazioni non decifrabili.
Da piccola, ero sempre stata con mia nonna, sia alla Vigilia, che a Natale. Ed anche in tutte le altre feste, a dirla tutta. Quando iniziai a crescere e lei morì, ero rimasta definitivamente da sola.
Nessuno si era preoccupato per me e di chiedere come stavo. Per loro ero semplicemente cresciuta e, sempre secondo loro, mi andava bene così: essere indipendente e stare sola.
Sentii gli occhi iniziare a pizzicare e pieni di lacrime, che però non volevo far uscire. Non volevo mostrarmi debole davanti ad Harry, per l’ennesima volta, sentendo quell’orribile bisogno di sentirmi costantemente protetta da qualcuno.
- Tutto bene? – chiese, liberando una mano dalla tasca e avvolgendomela intorno alle spalle.
- Sì sì, non ti preoccupare. – risposi, guardando in alto per cercare di reprimere quella sensazione orrenda.
- Eleanor non sarà con te? -
- Molto probabilmente raggiungerà la sua famiglia a Brighton, perché? -
Tornò a guardare davanti a sé e sospirò, quasi avesse paura e dovesse prendere coraggio. - E se ti chiedessi di venire a casa mia, per passarlo con me e la mia famiglia? – sorrise.
- Oh, non so se… -
- No! Non dire “non so se è il caso”, perché non ti lascerò da sola a Natale, avviandoti la strada per diventare una vecchia zitella con ottantatré gatti. – disse, ridendo come se avesse appena detto la battuta più divertente del secolo.
- E’ impossibile. Sono allergica ai gatti e poi, ho te. -
In altre circostanze mi sarei pentita di averlo detto dopo due secondi, ma adesso sapevo che lui c’era e ci sarebbe stato fin quando gliel’avessi permesso, o fin quando avesse voluto. Ma cercavo di pensare positivo con la mia idea, non preoccupandomi del fatto che se ne sarebbe potuto andare da un giorno all’altro.
La sera precedente, mi aveva detto ‘ti amo’ ed era stato il più sincero che abbia mai sentito in vita mia. Non che me l’abbiano detto in tanti, in realtà solo due persone a cui non tenevo allo stesso modo, ma quella volta ricambiavo ed era la sensazione più bella e rincuorante che avessi mai provato.
Si avvicinò lentamente ed io abbassai la testa, sorridendo. Me l’alzò di nuovo e  spostò una ciocca di capelli davanti la faccia, per poi baciarmi. Si staccò lentamente e rimanemmo a guardarci per qualche secondo.
- Voglio passare questo Natale con te. E sarà anche un’occasione per presentarti alla mia famiglia. – specificò, come se dovessi esser felice di ricevere una notizia simile.
- Non lo so. Forse è un po’ troppo presto… non credi? – chiesi.
- No. – rispose, secco. – Ti ho portato qui proprio per cercare di chiarire i miei sentimenti e capire cosa provo realmente per te, e dopo ciò che è successo ieri sera… insomma, mi pare sia chiaro. – rise.
Risi anch’io, impercettibilmente. – Okay, va bene, passerò il Natale con te e la tua famiglia. – confermai. - Adesso andiamo che si gela. – mi alzai e tesi la mano destra verso di lui, per aiutarlo.
L’afferrò e mi tirò a sé, lasciandomi in bilico sulle sue cosce.
- Ti sei impazzito!? Fammi rialzare o cado dentro l’acqua. – urlai, scalciando con i piedi mentre mi teneva con le braccia.
- E se fosse proprio ciò che volessi fare? – chiese, ammiccando.
- E se ti tirassi giù con me? – risposi, imitandolo.
- Ci sto. -
Mi spinse sul fianco ed io mi aggrappai leggermente al colletto della sua camicia, cercando di non strozzarlo. Dentro l’acqua ci allontanammo un po’ l’uno dall’altra, per poi riavvicinarci. Cercò di dirmi qualcosa, ma l’unica cosa che riuscii a vedere erano delle bollicine che uscivano dalla sua bocca. Si avvicinò ancora di più e mi cinse le braccia intorno alla vita, per poi risalire a galla.
- Ti stavo dicendo… - iniziò, riprendendo fiato e scuotendo la testa per togliere l’acqua in eccesso da quei suoi ricci castani.
- Che sei un cretino! – lo interruppi.
- Che sei bellissima anche sott’acqua! – ribattè. - Ma se ogni volta che voglio farti un complimento, tu mi offendi, non te li faccio più e sto zitto. – continuò, assumendo un’espressione imbronciata, come un bambino di quattro anni. Ci mancava solo che mettesse il labruccio ed il quadretto era completo.
Sorrisi anch’io come una bambina innamorata e gli cinsi le braccia intorno al collo. – Tu sei sempre bellissimo. -
- Beh, già lo sapevo, ma grazie comunque. – rispose, sbuffando e cercando di darsi delle arie.
- Però sei anche cretino. – mi staccai dalla sua presa e andai sott’acqua per togliermi un po’ di capelli che mi erano andati davanti alla faccia e, quando riemergetti a galla, mi aggrappai sulla passerella del molo e feci pressione sulle braccia per tirarmi su ed uscire.
- Hey, non mi aiuti? – sentii la sua voce dietro le mie spalle, ma non mi girai.
- Sei grande e vaccinato, puoi farcela da solo. – risposi, scrollando un po’ i capelli e tornando a casa.




myspace:
schifo, schifo, schifo! çç
a parte per il capitolo che, sì, fa schifo, è da più di un mese che non aggiorno. scusatemi, davvero. però è estate anche per me e sono stata due settimane al mare con la mia migliore amica, poi, se non vado al mare, ho sempre qualcosa da fare, esco con i miei amici o devo fare i compiti, e così il tempo per scrivere è praticamente nullo D: poi tra circa 10 giorni parto per una settimana, quindi cercherò di sbrigarmi a scrivere il prossimo capitolo, ma non prometto nulla uu
anche voi non siete più molto presenti, visto che le recensioni calano sempre di più e.e però, se stai leggendo, fammi sapere cosa ne pensi perché ne ho bisogno, per favooore. *occhi dolci* 
vorrei comunque ringraziare chi segue questa storia e chi la recensisce sempre, e anche chi la apre per sbaglio. lol
ah, se volete essere avvisati/e su twitter quando aggiorno, lasciatemi il nick alla fine della recensione e vi aggiungo alla lista :) (io sono @biebersmike)
a presto. 

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Capitolo 17
*** Sophie. ***


Sophie.

Era arrivata la serata cruciale, il giorno del Giudizio: potevo restare la fidanzata di Harry o mi avrebbero fatto deportare in un qualche paese orientale per la decapitazione?
Okay, forse stavo esagerando un po’ e i miei pensieri viaggiavano troppo di fantasia, ma chi non sarebbe stata nervosa nell’affrontare la cena della vigilia di Natale con i propri suoceri?
Scossi la testa per cercare di restare il più lucida possibile e accatastai l’ennesima combinazione d’abito sulla montagna che si era creata sul letto. Eleanorera partita la sera precedente per raggiungere i suoi genitori a Brighton, come avevo previsto, e quella volta non mi avrebbe aiutato a vestirmi come si deve.
Cercai di ragionare col suo cervello ed il suo gusto nel vestire e scelsi una gonna nera a vita alta ed una maglietta color panna di seta che avrei messo dentro. Poi andai in camera sua, sapendo di poter trovare delle scarpe adatte, visto che lei non aveva un armadio, ma un vero e proprio negozio che secondo me avrebbe potuto aprire al pubblico.
Guardai l’orario sulla sveglia sul comodino e mi resi conto di avere pochissimo tempo per pettinarmi e truccarmi. Non potevo rischiare di sembrare un leone appena svegliato, almeno non quella sera.
Mi diressi in bagno con una breve corsa, per quanto mi fosse possibile farla sui tacchi che avevo scelto. Misi un po’ di matita sotto l’occhio, il mascara e il lucidalabbra, il minimo indispensabile per non sembrare un pagliaccio.
Mentre davo un’ultima occhiata al mio riflesso allo specchio, sentii tre colpi di clacson un po’ distaccati tra loro e con una diversa ‘intonazione’, se così si poteva chiamare, che aveva ideato Harry appositamente  per me per farmi capire che dovevo sbrigarmi ad uscire.
Presi velocemente  il cellulare, le chiavi di casa ed il portafoglio e li infilai in una borsetta che dovevo portare in mano, mi pare si chiamasse ‘pochette’. Eleanor ne aveva tantissime e mi consigliava sempre di portare quelle, anche se le odiavo e le trovavo scomode.
Uscii e vidi Harry in smoking, appoggiato al cofano della macchina con una gamba piegata, impegnato ad osservare la gente che passava dall’altra parte della strada. Era una cosa che amava e che lo rilassava, così mi aveva detto.
Diedi un colpo di tosse finto per fargli notare la mia presenza, ma senza riportarlo alla realtà troppo bruscamente.
Si girò di scatto e si staccò dal cofano per venirmi incontro. Mi squadrò dalla testa ai piedi e spalancò la bocca, facendo uscire da essa un lieve e mozzato: - Wow. -
- Mi sembra di averla già vissuta questa scena. – risposi, sorridendo.
- Un deejavu, forse? – chiese.
- Mmh, probabile. – risposi, poggiandogli le mani sul petto e sporgendomi un po’ per baciarlo.
Quando ci staccammo, lui sorrise e mi cinse un braccio intorno alle spalle per dirigermi alla macchina. Mi aprì lo sportello e dovetti far attenzione a non sbattere la testa. Intanto lui fece il giro della macchina, entrò e mise in moto. Cercai di accendere la radio piggiando vari tasti a caso, ma sentii uno scricchiolio e partì un cd.
- No, questo no! – esclamò lui, cercando di bloccarmi, ma non fece in tempo.
Sentii una voce conosciuta, non famosa, ma famigliare, intonare le note di ‘Isn’t she lovely’ di  Stevie Wonder. Mi ci volle poco per capire che era Harry.
- E questa dove la tenevi nascosta? -
- Non è niente, lascia stare. – disse con tono piatto, sbrigandosi a togliere il cd dallo stereo.
- Perché non me ne vuoi parlare? Prima sei il signor ‘ho chiuso con la musica’ e poi trovo un cd con una tua cover, se non di più. -
- Non ne voglio parlare perché ho chiuso con la musica! – ribattè, ripetendo le mie stesse parole.
- Come vuoi. – risposi, girando la testa verso il finestrino.

Arrivammo davanti una specie di castello, ancor più bello e grande della casa al mare o di quella dell’amico misterioso di Louis.
La casa era circondata da siepi ben curate, spezzate solo dall’enorme cancello che poteva far entrare due macchine ed una moto contemporaneamente.
Harry tirò fuori dalla tasca un mini-telecomando che lo fece aprire e ci ritrovammo in un piazzale con una fontana al centro e due piccoli giardini al lato destro e a quello sinistro, muniti entrambi di tavolini e sedie.
Scesi dalla macchina non distogliendo, però, lo sguardo dalla reggia.
- Non la guardare troppo che si rovina. – disse Harry, dopo esser sceso dalla macchina e aver preso una bottiglia di vino dai sedili posteriori, e sorrise.
Risi leggermente. – Io sarei ancora arrabbiata con te. – incrociai le braccia al petto e abbassai lo sguardo, giocherellando col tacco della scarpa.
- Saresti? – chiese, avvicinandosie cingendomi le braccia intorno al collo per baciarmi dolcemente come solo lui sapeva fare. – E adesso? -
- Un po’ meno, ma solo poco. – risposi, ancora assorta da quel sapore dolciastro.
- Dai, andiamo dentro e cerchiamo di goderci la cena, o almeno di sopravvivere. -
Sorrisi e lui si girò per entrare, mentre io rimasi ferma, quasi paralizzata. Le mie gambe non ne volevano sapere di muoversi. Harry tornò indietro. – Andrà tutto bene, tranquilla. – mi rassicurò, per poi cingermi il braccio dietro la schiena e darmi la spinta giusta per avanzare.
Salimmo i cinque gradini di marmo che precedevano l’enorme entrata illuminata e lui suonò il campanello. In quel breve istante, centinaia di pensieri presero il sopravvento nella mia mente: e se non mi sono vestita adeguatamente? E se mi faccio cadere del cibo addosso? E se non sono abbastanza in gamba per loro figlio? E se…
La porta si aprì.
Di fronte a me c’era un uomo, molto probabilmente era il maggiordomo, sulla cinquantina, con i capelli corti e brizzolati. – La stavano aspettando, signorino Harold. – disse, con tono piatto.
Sarei voluta scoppiare a ridere, ma cercai di trattenermi, così uscì solo un suono indecifrabile, che per fortuna non venne notato.
- Gerard, lo sai che odio quando mi chiami così! – ribattè lui. – Sono solo Harry, e dammi del tu. -
- Mi scusi, sign… - si bloccò. – Scusa, Harry. – si riprese.
- Ecco, così va meglio! – esclamò, dandogli una pacca sulla spalla.
Entrammo e mi prese per mano. Facemmo qualche passo e tornò indietro tirandomi per il braccio. – Ah, lei è Sophie. – disse al maggiordomo, Gerard.
Sorrisi. – Buonasera, signorina Sophie. – disse con un po’ più di entusiasmo del tono che aveva usato poco prima con Harry e mi baciò la mano.
- Buonasera, e Buon Natale! – esclamai io.
Andammo avanti e mi ritrovai in un salone enorme, come tutta la casa d’altronde, con tre divani, due poltrone, un televisore al plasma ed una decina di tappeti a terra, che coprivano il parquet immacolato.
Sia io che Harry ci guardavamo attorno nell’attesa che succedesse qualcosa o arrivasse qualcuno. – Le cose sono due: o siamo in anticipo, o siamo in ritardo, e mia madre si arrabbierà in entrambi i casi. – disse, ed io sbarrai gli occhi. - Ma non credo faccia scenate davanti a te, quindi non ti preoccupare. – concluse, vedendomi preoccupata.
Ad un certo punto, udimmo uno cigolio proveniente da una porta alle nostre spalle. Ci girammo e vidi una signora, anch’essa sulla cinquantina, mora con i capelli raccolti in uno cignon e gli occhi azzurri come quelli di Harry. Indossava un abito nero lungo fino alla caviglia, una collana corta e spessa e degli orecchini perlati.
- Ce l’avete fatta ad arrivare! – esclamò allargando le braccia e dirigendosi verso di noi, per poi accoglierci in due calorosi abbracci. – Venite, sono tutti di là. – disse, raggiante. Ci mancava solo che si mettesse a saltellare come una bambina di quattro anni e a battere le mani e avrebbe espresso appieno la sua felicità.
Strano, visto che avevo sempre immaginato i genitori di Harry molto severi e composti.
- Non so perché stia facendo così, non è da lei. – mi sussurrò Harry all’orecchio.
Quindi le mie impressioni erano giuste e stava fingendo. Perfetto.
La seguimmo e giungemmo in un’altra sala enorme, questa volta con una lunga tavola imbastita di ogni specialità natalizia. Intorno ad essa c’erano una dozzina di persone impegnate a parlare tra loro e che non notarono subito la nostra presenza. La madre di Harry, Anne se non ricordo male, fu costretta a richiamarli con più colpi finti di tosse ma, quando vide che nessuno la sentiva, ricorse al picchiettare un coltello sul bicchiere di vetro.
Tuti si girarono di scatto, per poi spostare lo sguardo da lei a noi.
- E’ arrivato Harry con la sua amica… -
- Fidanzata. – la corresse lui, stringendomi ancor di più la mano.
Quel gesto mi fece accuisire la sicurezza che mi era mancata fino a quel momento.
- Con la sua fidanzata. – riprese la madre, cercando di mantenere quell’aria raggiante finta che andava svanendo. – Sophie, giusto? – continuò.
- Sì, signora. – risposi.
- Andiamo, non siamo mica nei marines. – ironizzò lei e tutti risero, ed io li seguii. Iniziamo bene, pensai.
- Harry ci ha parlato tanto di te. – disse una voce profonda, che sovrastò le risate. Mi girai dalla sua parte e vidi il padre di Harry a capo tavola.
- Dai, sedetevi. – disse Anne, indicando due sedie davanti a lei, dall’altra parte del tavolo, non badando al marito e senza darmi il tempo di rispondere.
Mi limitai a sorridere nella sua direzione e poi cercai di fare attenzione a non creare troppo rumore e mi sedetti.
- Gerard! – esclamò il padre. – Ci siamo tutti, - continuò, dando un’ultima occhiata alla tavola, - direi che possiamo iniziare. – finì.
Qualche minuto dopo, tornò Gerard con un vassoio in mano e due cameriere al suo seguito. Più che una cena di Natale in famiglia, sembrava di festeggiarlo in un grand hotel con tutti i lussi che si potessero desiderare. E questo era di gran lunga meglio del passarlo in casa da sola a strafogarsi di gelato sul divano.
Mi ritrovai nel piatto del prosciutto arrosto con delle patate al forno ed iniziai a mangiare lentamente, per non dare l’impressione di essere una che s’ingozza, anche se avrei finito tutto in meno di due minuti, con la fame che avevo.
Seguivo i loro discorsi sorridendo, o semplicemente annuendo, senza però intromettermi.
- Tutto bene? – mi chiese Harry sottovoce.
- Sì. – bisbigliai.
- Se parli, ogni tanto, non ti mangiano eh. – scherzò.
Mi limitai a sorridere, senza saper cosa dire.
Continuai a mangiare a testa bassa, cercando di evitare gli sguardi altrui che mi mettevano ancor di più in imbarazzo.
- Allora, Sophie, tu di cosa ti occupi? – chiese all’improvviso la madre, e non potei far altro che alzare la testa ed essere cordiale.
- Lav… -
- Studia all’università per diventare avvocato, come i suoi genitori. - m’interruppe Harry.
Lavoro in una biblioteca, ripetei nella mia mente.
Iniziai a tossire come se mi stessi strozzando con qualcosa. – Scusate. – dissi, per poi alzarmi dal tavolo. Mi girai e arrivò Gerard con due piatti contenenti la torta al cioccolato che mi si rovesciò completamente addosso.
Di bene in meglio, pensai.
Girai lo sguardo verso gli ospiti che mi guardavano come se fossi un fenomeno da baraccone e scappai via.
Ero arrabbiata. Arrabbiata con me stessa per essere così stupida, arrabbiata con Harry per aver nascosto la verità ai parenti e per essersi vergognato di me, arrabbiata con quell’ambiente da cui ero scappata e in cui mi stavo ritrovando ancora una volta.
Vagai per casa in cerca di un bagno per pulirmi, senza risultato.
Ritornai all’entrata e mi diressi alla macchina. Era chiusa a chiave e tirai più volte la maniglia con forza, fino a farmi male alla mano.
- Forse, ehm, serve una chiave? – osservò ironicamente una voce alla mie spalle.
- Cosa vuoi? – mi girai aggressiva.
Vidi la sagoma di Harry illuminata solo dalla luce che proveniva dalla porta e da qualche lampione sul vialetto. - Cosa voglio?! Sei scappata come una ladra! – esclamò, avvicinandosi.
- Forse meglio una fidanzata ladra che bibliotecaia, no? – gli chiesi retoricamente.
- Scusami. -
- No! Non puoi venire qui e pretendere che non mi offenda. Ti vergogni di me e… cos’hai detto? – m’interruppi, ripensando a ciò che aveva detto e che non avevo sentito.
- Mi dispiace, okay? Diciamo che volevo far colpo sui miei, sono molto esigenti, e ho detto la prima cosa che mi è passata per la mente. -
- Ah, e ‘non ti è passato per la mente’ di dire la verità? Cos’hai concluso adesso? – chiesi, abbassando leggermente il tono della voce. Fece per rispondere ma lo bloccai prima. – Senti, lascia stare. – conclusi, esasperata. – Godetevi il resto della serata, e dammi le chiavi così me ne vado. – dissi, porgendogli la mano.





myspace:
vengo in pace. lol
qualcuno mi vorrà uccidere visto che ormai posto dopo tantissimo tempo, ma anche voi non siete più molto presenti, quindi facciamo che siamo pari ahahahah
questo capitolo è completamente diverso da come lo volevo (e forse anche da come lo volevate voi) e da cosa volevo succedesse. ma purtroppo, per mancanza di idee e tempo, è uscita questa schifezza, come al solito.
comunque credo che la fan fiction finirà tra qualche capitolo, non so dirvi precisamente quanti perché non ho minimamente idea di cosa accadrà, ma non sono molti uu
detto questo, potete lasciarmi una recensioncina-ina-ina? *occhioni dolci*
a presto (spero lol). 

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Capitolo 18
*** Sophie. ***


Sophie.

Era primo pomeriggio, Londra mi stava deliziando del rumore della sua magnifica pioggia, Eleanor mi aveva preparato della cioccolata calda ed ero comodamente seduta sulla poltrona a leggere uno dei tanti libri che prendevo in prestito dalla biblioteca in cui lavoravo. Un giorno perfetto, no?
Beh, lo sarebbe stato del tutto se il mio cellulare non avesse squillato, a vuoto, almeno per quindici volte nell’arco di un’ora, facendomi leggere a malapena venti pagine.
- Le cose sono due: o gli rispondi, o ti butto il cellulare di sotto! – urlò Eleanor, uscendo furiosa dalla sua stanza con i capelli disordinati e gesticolando con le braccia.
Stava studiando per un esame e diventava ancor più nevrotica ed acida di quanto non fosse già.
- Fai pure. – risposi tranquillamente, prendendolo dal bracciolo della poltrona e allungandolo verso di lei. – Tanto ne devo comprare un altro. -
Sbuffò, vedendo che non ribattevo, sbraitavo o opponevo resistenza, e si mise seduta per terra di fronte a me a gambe incrociate. – Sono passati due giorni e ti ha chiamato centinaia di volte, senza ricevere risposta. -
- Forse perché non voglio sentirlo? – chiesi retoricamente. – Pensaci, se Louis avesse trattato te come lui e la sua famiglia hanno trattato me, come ti saresti sentita? Non credo saresti andata da lui a braccia aperte. -
Fece una smorfia e distolse lo sguardo dai miei occhi. Sapeva che avevo ragione, lo sapeva anche Harry, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per tirarmi su di morale. E l’adoravo proprio per questo.
- Ragazze! Codice verde, codice verde! – ripetè una voce dall’ingresso, urlando.
Ci guardammo allibite, credendo che fosse il vicino che per l’ennesima volta si era dimenticato le chiavi di casa e non poteva entrare per vedere il suo programma preferito in tempo, così veniva ad occupare la nostra televisione finchè la moglie non sarebbe rientrata.
Scesi le scale, seguita da Eleanor, e vidi Louis che girava intorno con le mani in tasca.
- Oh eccovi! – esclamò. – Ripeto: codice verde. -
- Calmati. – esordii. – E poi, codice verde?! Forse intendi codice rosso. – esclamai.
- E’ uguale. Mi avete capito? Allora non fa differenza. -
Alzai lo sguardo al cielo e mi stupii del fatto che una come Eleanor, che aspirava sempre a ragazzi altolocati e già immaginava di sposarsi con un avvocato o qualcosa del genere, si fosse messa con un cretino.
- Quale sarebbe questo “codice verde”? – chiese infine Eleanor, mimando le virgolette.
- Harry è andato. -
- Dov’è andato?! – chiesi nel panico più totale.
Aveva lasciato la città per colpa mia? Stava passando qualche giorno nella casa sul lago? Era semplicemente andato in vacanza per rilassarsi? Decine di domande affollarono la mia mente, impedendomi di fare un ragionamento logico e razionale. Che d’altronde era ciò che mi capitava quando ero con lui o solo quando sentivo il suo nome.
- No, nel senso che non capisce più niente, non ragiona, non mangia, non parla. Vorrebbe parlare solo con te, e non può farlo. -
- Stai scherzando? – chiesi, sbarrando gli occhi.
- Senti, lo so che scherzo 25 ore su 24, ma seriamente, adesso ti sembra che scherzi? Non lo farei mai su una cosa simile, e non lo metteresti in dubbio se vedessi come sta. -
- Mi sembra assurdo che si sia annullato completamente per un litigio. – osservai, guardando a terra.
- Sì ma quel litigio era con te! Ed era colpa sua. E’ questo che non riesce a perdonarsi. -
Continuai a fissare un punto per terra, torturandomi le mani e ripensando su ogni singola parola che aveva detto Louis. Ero completamente, totalmente, assolutamente innamorata di lui e fingere di essere arrabbiata con lui in quei giorni era stata una delle cose più difficili che feci in vita mia. Ma ero orgogliosa, fin troppo, e non cedevo mai, figuriamoci quando avevo anche ragione.
Sbattei gli occhi, come se questo potesse far svanire tutti i miei pensieri, e alzai la testa di soprassalto. – Comunque sia, adesso devo andare. – dissi, prendendo la borsa e la giacca dall’attaccapanni. Aprii la porta e mi rigirai. – Ah, e salutami Harry. – conclusi, per poi uscire.

- Ciao. – esordii con tono piatto, lanciando la borsa dall’altra parte del bancone.
- Qualcuno non sarà troppo di buon umore oggi? – chiese sarcasticamente Niall, sorridendo.
Era la prima volta che mi sorrideva, da quando aveva dato un pugno ad Harry. Iniziammo a parlare di meno e, quando lo facevamo, era per cose strettamente riferite al lavoro. Non c’era più il rapporto di una volta e probabilmente non era più innamorato di me, o almeno lo speravo. Era cambiato tutto, ed io odiavo i cambiamenti più di qualsiasi altra cosa.
Per un’abitudinaria come me, era difficile adattarsi al cambiamento di carattere delle persone, dei loro sentimenti ed anche del loro aspetto. Quando ero felice e vedevo che anche la gente intorno a me lo era, avrei voluto avere una macchina per congelare il tempo e per far sì che rimanesse tutto così com’era.
Sorrisi di rimando, feci il giro del bancone e mi sedetti vicino a lui, prendendo il bloc-notes con l’elenco dei libri da sistemare, di quelli che sarebbero dovuti arrivare e di quelli da mandare indietro. La solita routine.
Iniziai a sbattere la penna, incastrata tra l’indice e il medio, su e giù velocemente, il che provocava un fastidioso ticchettio a cui, però, non facevo molto caso.
All’improvviso il ticchettio venne bloccato da una mano, grande e fredda. – Basta, per favore. – disse Niall.
Lo guardai e sorrisi, imbarazzata. – Sì, scusa. -
Ritornai con lo sguardo sul bloc-notes, stupendomi del fatto che ci avevo parlato ben due volte nell’arco di pochi minuti, quando ci avevo parlato sì e no due volte da una settimana a quella parte.
- Senti… - dicemmo contemporaneamente, per poi scoppiare a ridere.
- Prima le signore. – continuò.
- No, non ti preoccupare, dimmi. – risposi.
- Mi dispiace davvero per quel che è successo, non so cosa mi sia preso, non capiterà più. Quindi se vuoi invitare il tuo ragazzo qui, puoi dirgli di stare tranquillo. – affermò convinto, annuendo con la testa.
- Non è più il mio ragazzo, o almeno credo. – dissi, abbassando lo sguardo.
Arrivare ad essere la sua fidanzata dopo tutto quel tempo passato insieme, dopo tutte le cose che ci eravamo detti, dopo le mie figure di merda che mi avevano fatto sembrare una pazza sclerotica, mi aveva reso la persona più felice del mondo, e adesso rendermi conto che l’avevo perso, non ero più ‘sua’, faceva davvero male. Più di quanto immaginassi.
- Ah, mi dispiace. – rispose, facendo la mia stessa mossa.
- Lo so che fingi, ma grazie ugualmente. – alzai lo sguardo e sorrisi, cercando di non fare la depressa della situazione.
- Sì, in effetti un po’ sono contento. – rise. – Ma, se posso sapere, perché? -
- L’ennesimo litigio, “la goccia che ha fatto traboccare il vaso” come direbbe mio padre. – risposi, imitandolo. – Comunque non m’importa più. -
- Sicura? – chiese, assicurandosi che stessi bene.
No, non stavo bene, affatto. Avrei voluto rivedere Harry e specchiarmi nei suoi occhi cristallini e che avevo sempre ritenuto sinceri, puri. Avrei voluto abbracciarlo come non avevo mai fatto prima, per sentire il suo calore e la sicurezza che mi trasmetteva. Avrei voluto amarlo senza troppe complicazioni, senza essere paranoica anche su quello. Avrei voluto troppe cose e non ne potevo realizzare nemmeno una.
Per il momento, mi sarei accontentata di mentire a tutti, anche a Niall, che si limitava ad ascoltarmi e a tirarmi su il morale stando a distanza.
- Sì. – annuii, cercando di essere il più convincente possibile, anche con me stessa.
- Allora non ti dispiace se… - s’interruppe e sì avvicinò velocemente a me, senza lasciarmi il tempo di pensare.
Mi baciò delicatamente, timoroso, quasi avesse paura di farmi del male. Lo assecondai per qualche secondo, finchè la campanella della porta che annunciava l’entrata di un cliente ci bloccò.
Mi passai la mano sulla bocca e mi girai, vedendo Harry in piedi davanti a noi.





myspace:
sono imperdonabile, lo so. se volete uccidermi, siete liberi di farlo. çç
è passato circa un mese e mezzo dall'ultima volta che ho aggiornato e questo capitolo è cortissimo, orrendo e mooolto scontato, non l'ho nemmeno riletto ma okay.
vorrei davvero scusarmi, principalmente per gli stessi motivi: poco tempo, poche idee, e poca ispirazione. adesso che è iniziata scuola ho a malapena il tempo per respirare, figuriamoci per scrivere. cc
comunque ho notato che questa ff non la caga più nessuno come prima ed è colpa mia, quindi diciamo che me lo merito. però se c'è ancora qualche anima pia che è disposta a farmi felice leggendo e recensendo, gliene sarei davvero grata! :')
sto blaterando, quindi posso anche andarmene sjfjdhg.
a presto, vi voglio bene. *lacrimuccia* (?) <3

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Capitolo 19
*** Harry. ***


Harry.

Se ne stavano lì seduti insieme, fianco a fianco, e si erano appena baciati davanti a me, come per dire “sono andata avanti Harry, non ho più bisogno di te”.
Li guardai ancora per qualche secondo, senza sapere se iniziare a parlare o ad incazzarmi io, o se lasciarli spiegare, per poi incazzarmi comunque.
Feci semplicemente un applauso, bloccandomi con una pausa tra un battito e l’altro.
- Harry... – iniziò Sophie.
- Com’è che si dice? Sono capitato al posto giusto al momento giusto. – affermai, avanzando verso di loro.
- Che ci fai qui? – chiese, come se arrivassi da un altro pianeta o fosse illegale per me stare lì.
- Sai com’è, ho litigato con la mia ex ragazza, ho pensato di farle una sorpresa facendomi dire dal mio migliore amico dove fosse per scusarmi, ma a quanto pare potevo benissimo restarmene a casa a poltrire sul divano, fissando il vuoto. – spiegai arrogantemente, con un groppo in gola, come se quelle parole non fossero le mie ma mi fossero state imposte da qualcun’altro. E infatti era così. Non volevo dover dire tutto ciò, non volevo lasciarla andare, ma dovevo.
- No, aspetta un attimo amico. – s’intromise Niall.
- Non sono tuo amico, e mai lo sarò! – precisai.
- Okay, come ti pare. – concordò. - Però lei mi ha detto che era finita e che l’ha superata... non l’avrei mai fatto altrimenti. -
- Ah quindi è finita e l’hai già superata? - ripetei. – Beh, buono a sapersi. -
La vidi sull’orlo di crollare. Sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro e avrebbe voluto rifugiarsi tra le mie braccia che, però, non erano più aperte a lei.
La fissai per un po’, aspettando che dicesse qualcosa, anche la più scontata in momenti come quello, solo per sentire la sua voce un’ultima volta, ma rimase in silenzio a guardare in basso. 
Piegai lo sguardo e mi girai, per poi uscire e andare incontro all’aria gelida di Londra.

- Allora, dov’è Sophie? Avete fatto pace? L’hai portata con te? - chiese Louis, piazzandosi davanti alla porta come una bambino la notte di Natale davanti al caminetto.
- È ancora in biblioteca, molto probabilmente a consolarsi con Niall. Poi, no e no. – risposi, posando la borsa a terra ed il giaccone sull’attaccapanni.
- Ma come? Cosa intendi con “consolarsi con Niall”? – chiese, con un’aria confusa.
- Intendo ciò che hai sentito. Ormai non sono più niente per lei, è finita e lei è andata avanti. - risposi, utilizzando il suo stesso tono.
Mi faceva ancora uno strano effetto ripeterlo ed autoconvincermi di ciò. Com’era potuto accadere? Così velocemente, poi. Non era da lei, ma ormai avevo imparato a non stupirmi più di nulla.
- No, no, no, non è possibile! - esclamò. - Ti starai sicuramente sbagliando. Hai tratto conclusioni affrettate. -
- Non so davvero cosa dirti. – risposi, rassegnato.
- Non è la prima volta che litigate, e non sarà nemmeno l’ultima visto i vostri caratteri, ma vedrai che si sistemerà tutto. Devi solo… -
- Basta! Per favore. - lo bloccai. – Adesso vado a farmi una doccia e poi credo che andrò alla casa al lago, per schiarirmi un po’ le idee e non pensare a quest’ultimo periodo di merda, o almeno ci provo. - gli misi una mano sulla spalla e l’osservai per qualche secondo, capendo quanto tutto ciò avesse ferito anche lui in un qualche modo. 
Abbassai la mano e me ne andai sconsolato in bagno, continuando a rimuginare su ciò che era successo, cercando di rimettere insieme i pezzi e di capire com’era potuto accadere. Ma non c’era una risposta. Era semplicemente Sophie. La bellissima, dolcissima, e lunaticissima Sophie.
Scesi dalla macchina e feci una piccola corsa per arrivare in fretta alla porta, mettendomi al riparo dal freddo e assaporando il caldo della casa.
Posai le chiavi sul tavolo in cucina e andai in salone ad accendere il camino, così mi sarei potuto sdraiare sul divano e rilassarmi, spegnendo i pensieri per un po’. Fortunatamente, il camino era uno di quelli elettrici moderni, che riscaldavano e allo stesso tempo davano l’impressione che all’interno ci fosse il fuoco vero, così dovetti solo spingere un tasto per accenderlo. “Così sarà più veloce accenderlo”, disse mio padre quando fece sostituire il vecchio, solo perché lui non era capace affatto.
Mi sfilai le scarpe e mi distesi sul divano, chiudendo gli occhi.
All’improvviso ogni immagine si ripresentò davanti a me, ogni momento passato lì con lei si rifece vivo ed ogni parola detta riecheggiava nella mia mente.
Aprii gli occhi e mi rinfilai velocemente le scarpe, per poi prendere il giubbotto ed uscire a fare una passeggiata. Non potevo più restare lì, non ce la facevo. Un’ottima idea tornare in quella casa per cercare di non pensare Harry, davvero ottima, sei un fottuto genio, pensai.
Iniziai a camminare sul molo con le mani in tasca e guardando all’Orizzonte, stile film romantico-strappacrime che odiavo. Si conoscono, s’innamorano e vissero tutti felici e contenti. Ma per favore, pensai e sbuffai. Chi ha inventato questa cosa dovrebbe essere preso violentemente a calci nel culo.
- Posso farti compagnia? - chiese una voce alle mie spalle, la sua voce.
- No, non è possibile! Non posso avere anche le allucinazioni adesso! - urlai al cielo, senza voltarmi. Non poteva essere vero, ma sembrava tutto così fottutamente reale.
- Si può sapere cosa stai dicendo?! - chiese di nuovo, ridendo, e mi mise una mano sulla spalla.
Mi girai e la vidi lì, in piedi, a pochi centimetri da me.
Non sembrava reale. Lo era.
- Cosa ci fai qui? Chi te l’ha detto? -
- Ho i miei informatori. – sorrise, abbassando la testa.
- Grazie Louis. – dissi, come se mi potesse sentire. – Mi hai visto, sei contenta? Bene, puoi anche andartene. – esclamai.
- Posso parlare? – chiese.
- No! Sono stanco di te e di tutte le tue scuse. Vattene, per favore. – risposi, alzando il tono di voce.
- Mi odi, lo capisco, mi odierei anch’io sinceramente. – disse a testa bassa.
- Ma io non ti odio! Non ci riesco ad odiarti, è questo il problema. – urlai.
-Ascolta Harry… mi dispiace. Ho sbagliato, okay? Ma mi vorresti dire che tu non l’hai mai fatto? -
- Certo che ho sbagliato, ero anche venuto a scusarmi di persona, ma tu… - mi bloccai, ripensando a lei e Niall che si baciavano. – La verità è che mi hai spezzato il cuore. – conclusi. – L’ho detto seriamente ad alta voce? - riflettei.
- Eh sì. -
Lei continuò a guardare a terra, forse perché moriva di freddo e voleva rintanarsi quanto più possibile nel giubbotto, o forse perché non aveva il coraggio di guardarmi negli occhi.
Le alzai il volto e la guardai. Lei appoggiò la guancia alla mia mano.
- Nonostante tutti i litigi, tutti gli errori, tutte le incomprensioni, siamo ancora qui, insieme. Questo non ti dice niente? -
- No, ti prego, non te ne uscire con una frase tipo “siamo destinati per stare insieme” perché potrei scappare e buttarmi al lago. - dissi, cercando di sdrammatizzare la situazione. In realtà, era proprio quello il concetto del suo discorso, ma non volevo sentirlo dire. Non volevo la sua conferma su una cosa in cui credevo anch’io.
Sorrise e si strinse nelle spalle. - Per te, vale ancora la cosa che mi hai detto qui? In questo posto, nella tua casa intendo. - precisò.
- Che ti... - feci una pausa riprendendo fiato. - Che ti amo? – finii.
Annuì leggermente, non tirando fuori il mento dal suo giacchetto.
- Per te? - chiesi.
- E’ maleducazione rispondere ad una domanda con un’altra domanda, ricordi? - disse, facendo riaffiorare alla mente il momento in cui me lo disse per la prima volta, sempre lì, nello stesso punto.
- Sì. - risposi.
- Sì cosa? - chiese nuovamente.
- Sì che ti amo ancora. – risposi infine.
Sorrise e mi abbracciò, catapultandosi letteralmente intorno al mio collo, senza darmi il tempo di ricambiare delicatamente l’abbraccio.
Finalmente, dopo tanto tempo, risentivo il suo calore addosso ed il suo profumo invadermi le narici. Mi sentivo al sicuro e allo stesso tempo sentivo di doverla proteggere. Non potevo rompere di nuovo con lei dopo che avevamo sofferto entrambi così tanto. Non ce lo meritavamo.
Si staccò e continuò a sorridere, io feci la stessa cosa, osservandola.
- Che c’è? - chiese.
- Niente. – risposi. – Sono semplicemente felice. E mi sei mancata. – conclusi.
- Anche tu mi sei mancato. – disse, per poi avvicinarsi a me e baciarmi.
Fu come se il Sole avesse ricominciato a splendere e il Mondo a girare, il nostro mondo. 





myspace:
masssalve! jsdfjshg.
prima di dire qualcosa sul capitolo, vorrei sclerare con voi un attimo.
allora, il video di little things. E' STUPENDO. le loro voci, i sorrisi, i primi piani kjsdjhg. *muore* poi la canzone è stata scritta da quel genio di ed sheeran e poteva solo che essere un capolavoro.
altro motivo di sclero: i ragazzi ad xfactor. anche qui sono stati stupendi, perfetti come al solito kjsdfjsfhg. a proposito, qualcuno di voi è andato/a a milano e li ha visti? se volete raccontarmelo in una recensione, sono pronta a leggerla uu
ultimo, ma non meno importante: DOMANI ESCONO I BIGLIETTI DELLE TAPPE IN ITALIA. della serie 'che gli hunger games abbiano inizio'. io andrò a verona, voi? kjsdfdjhg.
detto questo, non vorrei deprimere le persone che non ci saranno. sono sicurissima che arriverà il vostro momento, anche perché io nemmeno ci speravo. cc never say never! <3
okay, adesso possiamo passare al capitolo ahahahahah
questa volta sono stata abbastanza veloce, l'ho finito di scrivere qualche giorno fa, ma efp non funzionava e ieri è stata una giornata alquanto di merda, e non mi sembrava il caso.
come al solito, personalmente non ne sono convinta, ma aspetto di leggere i vostri pareri! quindi, una recensione sarebbe gradita. *occhi da cucciolo*
credo che questo sia il myspace più lungo che abbia mai scritto, ma in questi casi ci vuole fjkdhg.
vi lascio con questa gif stupenda (non morite). a presto. <3

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Capitolo 20
*** Harry. ***


Harry.

Strizzai gli occhi prima di aprirli lentamente per cercare di ambientarmi alla luce del giorno che penetrava dalla finestra. Mi dimenticavo sempre di mettere una tenda ed il risveglio era meno piacevole del solito.
Mi girai dall’altro lato, osservando Sophie che dormiva beatamente. Aveva la testa appoggiata al cuscino e la bocca socchiusa, dipingendole in volto un’espressione buffa. I capelli erano arruffati e le coprivano metà faccia, così glieli scostai delicatamente indietro, per poi accarezzarla.
Non mi sembrava vero essere lì con lei, dopo tutto quello che era successo.
Ripercorrendo ogni passo della nostra storia, mi resi conto che aveva dell’incredibile.
Il giorno in cui la conobbi, non avrei mai pensato di rividerla di nuovo, di uscirci insieme, di diventare fidanzati e litigare centinaia di volte, senza però mai smettere di amarci.
Non avrei mai pensato che stare con lei mi avrebbe fatto dimenticare Elizabeth, né che sarei stato così bene con un’altra persona, né tanto meno che saremmo stati ancora insieme dopo tutti i litigi e le incomprensioni.
Accantonai i pensieri e mi alzai, dirigendomi in cucina per preparare la colazione. Non era mai stato il mio forte cucinare, così scaldai solo del latte e preparai qualche fetta biscottata con la marmellata. D’altronde erano le uniche cose commestibili rimaste in casa.
Misi il tutto su un vassoio e lo portai in camera, cercando di non rovesciarlo come mi era successo molteplici volte. Ero una frana e il mio senso dell’equilibrio faceva a dir poco schifo.
Appoggiai il vassoio, arrivato in camera sano e salvo, sul comodino e posai delicatamente una mano sul fianco di Sophie, accarezzandola e cercando di svegliarla il più dolcemente possibile.
Aprì gli occhi e, dopo aver focalizzato bene l’immagine di fronte a lei, sorrise. - Oh. – emise. - Buongiorno. -
- Buongiorno, tesoro. – risposi. – Ti ho preparato, - mi girai verso il comodino, - beh, questa sarebbe la tua colazione. -
- Grazie, non ce n’era bisogno. – disse, stiracchiandosi e strizzando gli occhi, per poi alzarsi e mettersi seduta sul letto.
Era incredibile come io potessi vederla meravigliosa anche alle nove di mattina, appena svegliata, con i capelli arruffati e gli occhi mezzi socchiusi. Era semplicemente… lei.
- Mi sembrava il minimo dopo ciò che è successo. -
- Non riparliamone ancora, ti prego. – sospirò. – Lasciamoci tutto alle spalle e vediamola come una lezione di vita. -
La guardai perplesso.
- Mi sono appena svegliata, cerco di fare discorsi intelligenti ma mi riescono male, capiscimi. -
- Capisco, capisco. – risposi serio, per poi scoppiare a ridere.
- Lo trovi divertente? – chiese. Io annuii. – Allora vediamo se trovi divertente anche questo. – rispose con fare minaccioso.
Mise una mano tra i miei capelli e mi fece cadere all’indietro sul letto, cominciando a prendermi a cuscinate, stile pigiama party di liceali. Poi si mise in ginocchio e cinse le gambe intorno al mio petto.
- Sembra brutto. – dissi. – Se volevi questo, bastava dirlo. - constatai, ridendo.
Scoppiò a ridere e si tirò indietro, allungando il braccio destro verso il comodino per prendere una fetta biscottata.
- Io vado a farmi una doccia. – annunciai, alzandomi dal letto. – E non fare briciole! – la raccomandai.
Lei annuì semplicemente, sorridendo e pulindosi la bocca.


Suonai il campanello più volte, mentre continuavo a cercare invano le chiavi nella borsa. Ancora con la testa bassa, vidi la porta aprirsi con la coda dell’occhio.
- Lo sai che ore sono?! – esclamò Louis, sbadigliando.
- Sì, le cinque del pomeriggio. – risposi, sorridendo.
Alzò il polso facendo finta di controllare l’orologio che non aveva. - E’ comunque l’ora del pisolino, non mi puoi togliere anche questo privilegio. -
- E sentiamo, quali altri ti avrei tolto? – chiesi.
Ci riflettè su un attimo, senza avere la risposta, perché in effetti non l’avevo privato di nulla. – Non vorrei che tu iniziassi ora, ecco. -
- Certo. – assentii, ridendo. – Adesso fammi entrare o congelo. – dissi, facendomi spazio spostandolo con una mano.
- Allora, dove sei stato tutto il giorno? O dovrei dire anche notte? – ammiccò.
- Come se non lo sapessi. -
- Io? Stai dicendo che? Vorresti insinuare che io? – disse, non finendo le frasi. - Non so assolutamente niente. – affermò deciso. - O forse sì. Dai, parla. – continuò.
- Con Sophie. – risposi, sorridendo.
Spalancò la bocca, fingendo di essere sorpreso, come se nel bel mezzo di un film ci fosse stato un colpo di scena. In realtà, nemmeno io credevo di potergli rispondere di nuovo così al ‘dove sei stato?’. Insomma, non mi sarei mai aspettato di fare pace, per l’ennesima volta, con Sophie. Ed ora più che mai ero deciso a far funzionare la nostra storia, almeno per un po’ di tempo.
- Hai intenzione di continuare a sorridere come un ebete o ti decidi a raccontarmi tutto? – mi spronò.
- Non c’è molto da dire. Dopo che le hai detto che ero alla casa al lago, è venuta lì e… niente. Si sa come vanno a finire queste cose. -
- No, io non lo so.  Voglio i dettagli! – protestò, alzando la voce.
Sorrisi, dando un’occhiata veloce all’orologio appeso alla parete del salone. - Sfortunatamente per te, e per me, si è fatto tardi e devo andare a lavoro. Ero passato solo per dirti che oggi stacco prima, credo che il capo si sia drogato, visto che ha dato due ore libere a tutti. – dissi, ripensando alla sua faccia felice e compiaciuta mentre ce lo diceva. Chissà cosa avrebbe fatto quella sera, mi chiesi. - Comunque, per stasera prendi un po’ di pizza, o l’indiano. Non lo so, fai tu. Basta che quando torno trovo la cena pronta. – finii.
- Sissignore! Ogni suo desiderio è un ordine. Sarà fatto. – esclamò.
Mi girai dalla soglia della porta. – Hai finito? – chiesi, sorridendo.
- Scusa, mi ero fatto prendere la mano. Ci vediamo dopo. -
- A dopo! – conclusi, uscendo dalla porta.


- Era fallo! -
Sorrisi, con la faccia perplessa, sentendo urlare quelle parole dal pianerottolo di casa. Infilai la chiave nella serratura e forzai un po’ per riuscire ad aprire la porta.
Non appena entrai, vidi Louis sul divano con le mani nei capelli, Liam a terra che si mangiava le unghie con una faccia tesissima, nemmeno fosse la notte prima dell'esame orale di maturità, e Zayn sbraitare mentre s’ingozzava di pizza.
- Questo era decisamente rigore! Arbitro cornuto! – urlò Louis.
- Già, decisamente scorretto. - assentì Zayn, mentre mangiava l’ennesimo pezzo di pizza.
Sorrisi di fronte a quella scena e mi girai per chiudere la porta, cercando di fare meno rumore possibile: mai interrompere o far casino durante una partita.
- Comunque buonasera. – proferii a bassa voce, mentre posavo il giacchetto sull'attaccapanni.
Mi sedetti per terra a gambe incrociate e presi un pezzo di pizza. - Allora, come va? – chiesi.
- La difesa fa schifo, abbiamo subito tre goal. L’unico che vedi nostro è autogoal. Poi mettiamoci l’arbitro stronzo, fai tu. - sbuffò Louis.
- Partita di merda quindi. - constatai, trovando l'assenso degli altri.
- Abbiamo ancora quaranta minuti da giocare, forse riusciamo a pareggiare. - riflettè Liam ad alta voce, ritrovandosi tre paia di occhiataccie addosso. - Mi sa di no. - continuò.
- Harry, come sta la tua amica col nome francese? Emily, Lophie... - chiese Zayn.
- Sophie? – richiesi, sorridendo.
- Sì, proprio lei. E’ molto carina. - ammiccò, guardando Louis e poi Liam.
- Come la conosci? - chiesi, perplesso.
A meno che non soffrissi di amnesia improvvisa, non mi ricordavo di averli presentati. 
- L’ho incontrata alla festa di Stan, l’amico di Louis. -
- Ah ho capito, comunque non è una mia amica. - dissi. – E’ la mia fidanzata. - finii.
- Oh, scusami amico, non lo sapevo. -
- No adesso te ne vai immediatamente da casa mia! - urlai, cercando di essere il più serio e credibile possibile. 
Zayn sbarrò gli occhi, guardandomi perplesso e in imbarazzo. 
- Lascialo stare, non sa fare le battute. - intervenì Louis.
Zayn lasciò un sospiro di sollievo e gli sorrisi, continuando a mangiare la pizza, quando il citofono suonò. Chi poteva essere a quell’ora? Durante la partita poi?
Sbuffai e mi alzai per andare ad aprire, pensando di trovare Sophie e poi poterle raccontare cos’era appena successo con Zayn, ma vidi l’ultima persona che mai mi sarei aspettato di trovare: Niall.
- Che ci fai qui? E come sapevi dove abitavo? -
- L'ho chiesto a Sophie per poter venire di persona a scusarmi. - diede un’occhiata dentro casa. - Posso entrare? - chiese. 
- Se proprio devi... - affermai, aprendo di più la porta e mettendomi di lato.
- Scusami, davvero. Non avevo il diritto di fare ciò che ho fatto. Lei mi ha fatto letteralmente perdere la testa e non ho capito più niente. Però è tua, e d’ora in poi saremo solo amici. Te lo giuro. - 
- Grazie, lo apprezzo molto. - 
Sorrise e lanciò un’occhiata al salone, dove Louis, Liam e Zayn stavano ancora fremendo davanti alla tv per la partita.
Niall si avvicinò a loro, più preoccupato a guardare la tv che a dove mettesse i piedi, infatti schiacciò una lattina di birra, fortunatamente vuota.
- E’ Chelsea - Manchester? - chiese.
I tre ragazzi annuirono contemporaneamente.
- Vi dispiace se resto a guardarla qui con voi? Il mio coinquilino ha dato una mini-festa e ci hanno rotto il televisore. -
- Per me va bene. - rispose Louis, non staccando gli occhi dalla tv. Ugualmente fecero Zayn e Liam.
Io annuii, per poi chiudere la porta e tornare da loro.





myspace:
I'm aliiiiive.
sto un po' di merda, ma sono viva. (non v'interessa, quindi andiamo avanti.)
in questo capitolo diciamo che si ristabilisce l'equilibrio della storia, facendo tutti i chiarimenti. (?) prima harry e sophie, poi sophie e niall - anche se non c'è esplicitamente -, ed harry e niall.
metà del capitolo l'ho scritta praticamente stanotte alle due perché non riuscivo a dormire a causa dell'influenza, e come al solito non ho dato del mio meglio. cc
spero comunque che qualcuno mi lasci il proprio parere e... niente. questa volta ho poche cose da dire. AHAHAHAHAH
ah, l'altra volta mi sono dimenticata di "pubblicizzare" la mia stessa one shot lol l'ho postata circa un mese fa, ed è principalmente su zayn, ma anche liam e louis: I found you in the darkest hour. :)
sciao beli. <3


vi lascio con questa gif narry ksdjfg (mi diverto a mettere gif alla fine d'ogni capitolo, sì. AHAHAHAHAHAH)


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Capitolo 21
*** Harry. ***


Harry.

Sobbalzai e spalancai pericolosamente le braccia, cercando un appoggio sicuro e facendo mente locale, dopo aver sognato di stare per fare bunjee jumping… senza imbracatura. Sospirai, felice di sapere di trovarmi a casa mia, nel mio letto, anche se con qualcosa sotto la schiena che mi stava per perforare una costola. Feci forza sulle braccia e mi tirai su, vedendo una scarpa fuoriuscire dalle lenzuola. Le scostai velocemente col braccio destro e vidi Zayn sdraiato da piedi, con la testa penzoloni dal lato opposto del letto e le gambe incrociate, una sopra all’altra. Sorrisi davanti a quella scena raccapricciante e feci il giro del letto, andando in bagno.
Dopo aver fatto il bisogno mattutino di ogni essere vivente provvisto di vescica, decisi di affacciarmi alla camera di Louis. Vidi lui sul letto e Liam per terra, con la testa appoggiata al comodino. Forse avevamo bevuto un po’ troppo, visto che non ricordavo nemmeno come fosse finita la nostra serata.
Un rumore proveniente dalla cucina mi fece sobbalzare e riprendere dai miei pensieri, così mi avviai verso l’ingresso.
- Eh vaffanculo! – sentii bisbigliare con tono incazzato.
- Si può sapere che succede? – sbraitai, una volta arrivato in salone.
- Stavo cercando di sistemare un po’ il casino che abbiamo fatto ieri sera, ma ogni volta che mi piego sbatto su qualcosa. Prima il tavolinetto, poi il divano. E’ decisamente troppo piccolo. – rispose Niall.
- O forse sei tu decisamente troppo maldestro? – chiesi retoricamente, sorridendo. – Comunque, perché ti sei messo a pulire? -
- Beh, abbiamo mangiato e bevuto a sbafo tutta la sera, io non ero nemmeno invitato, quindi mi sembrava il minimo non lasciarvi tutto questo casino da ripulire appena svegliati. -
- Ma non fa niente, davvero. Il sabato sera c’è quasi sempre la stessa situazione, visto che Louis si diverte ad organizzare “serate tra uomini” ogni settimana. -
- Ah capisco. – disse sconsolato. – Finisco di raccogliere questa roba e basta. – continuò, guardandosi intorno.
Annuii e mi girai, andando nell’angolo cottura per fare colazione.
- Ommioddio! – sentii esclamare alle mie spalle, facendomi sobbalzare e cadereil cartone di latte delle mani, che finì rovinosamente a terra.
Lo guardai per qualche istante, per poi rigirarmi verso Niall. – Cos’è successo adesso? -
- E’ una chitarra quella? – chiese, indicando sopra l’armadio, con gli occhi lucidi ed un sorriso a trentadue denti. Sembrava un ragazzino di cinque anni al luna park per la prima volta, davanti alla maestosità delle giostre, alle bancarelle di dolciumi e a quell’ambiente variopinto.
- Sì, perché? –
- Posso suonarla? Ti prego. – m’implorò, non staccando gli occhi da essa.
- Sai suonare la chitarra? – chiesi, sbalordito.
- Certo, altrimenti non te l’avrei chiesto, genio. – rispose scorbutico, questa volta guardandomi negli occhi.
- Okay. – mi diressi verso l’armadio, mi allungai sulle punte dei piedi per prenderla e poi gliela porsi, come se un Re stesse passando la sua corona ad un erede o una spada prestigiosa al proprio cavaliere di fiducia.
- Che modello è? – chiese, aprendo la custodia.
- Non lo so… -
- Non sai che modello è la tua chitarra?! -
- Me l’hanno regalata qualche anno fa, e sinceramente non ci ho mai fatto caso. – cercai di difendermi.
- Principiante. – sbuffò.
Risi. – Come scusa? – chiesi.
- Il modello è la prima cosa che si guarda, per capire se è una chitarra buona o una da quattro soldi che si rompe dopo nemmeno un mese. – spiegò, come se fosse il commesso di un negozio di musica, e non un bibliotecaio. - Hai il plettro? -
- Sì, è nella tasca laterale. – mi affrettai a rispondere per tenere il passo con la sua euforia. – Come mai queste domande? -
- Mi piace suonare, più di qualsiasi altra cosa. Sarei voluto diventare un cantautore, sai? Solo che secondo quel dittatore di mio padre era “una perdita di tempo e non avrebbe portato a nulla”, così me lo vietò e mi concentrai sulla scuola. -
- Niall studioso, non l’avrei mai detto. – ironizzai.
- Ah ah ah, simpatico come un chiodo in un occhio. – rispose, ma lo capii a stento con il plettro tra le labbra.
- Anche permaloso. Buono a sapersi. – notai.
Senza darmi più importanza, iniziò a suonare, facendo delle smorfie, quasi stesse soffrendo. – Non è accordata. – sentenziò.
Feci per parlare, ma lui continuò a suonare, sussurrando qualcosa di tanto in tanto, per poi prendere il ritmo ed iniziare a cantare. Non credevo che Niall, il ragazzo che avevo odiato fino ad allora, potesse avere una voce così bella e… angelica, se così si potesse definire.
Mi feci trasportare ed iniziai a cantare con lui, Wonderwall degli Oasis. Ottima scelta, pensai.
Era una delle mie canzoni preferite, di uno dei miei gruppi preferiti, che aveva fatto la storia della musica. La cantai anche ai tempi del liceo, insieme alla mia band, alla festa di quella ragazzina di undici anni che non aveva l’età per apprezzarne la bellezza.

Because maybe you’re gonna be the one who saves me?
And after all, you’re my wonderwall.

Continuammo a cantare, noncuranti del fatto che aldilà di quelle quattro mura stavano dormendo Zayn, Liam e Louis, che prima o poi si sarebbero alzati e molto probabilmente ci avrebbero spaccato la chitarra in testa.
- Conosci Ed Sheeran? – chiesi, aspettandomi un ‘no’ come risposta. Nonostante fosse uno dei cantautori più bravi che avessi mai ascoltato, purtroppo non era ancora molto famoso.
- Scherzi? E’ uno dei miei cantanti preferiti! – rispose entusiasta, con mio piacere. - Autumn Leaves, Kiss me o Give Me Love? – chiese velocemente.
- Give Me Love. – risposi deciso.
Niall annuì ed iniziò a suonare, chiudendo gli occhi e facendosi trasportare dalle note.

Give a little time to me, we’ll burn this out.
We’ll play hide and seek, to turn this around. 
And all I want is the taste that your lips allow,
my my my my give me love.

- Avete finito di fare il vostro concerto mattutino o volete che affitti l’Arena O2 solo per voi? – sbraitò Louis, appoggiato allo stipite della porta, ancora assonnato.
- S-scusami. – balbettò Niall, sentendosi chiaramente in imbarazzo e posando di corsa la chitarra a terra vicino la poltrona. – Quando inizio, potrei non smettere più. – sorrise.
- Tranquillo. Si è svegliato col ciclo stamattina. Continuiamo un’altra volta. – bisbigliai.
- Ti ho sentito, stronzo. – esclamò, dirigendosi verso il frigorifero, sempre con gli occhi puntati verso di noi, quindi non vide il latte rovesciato. – Pulire no, eh? -
- Già che ci sei, fallo tu. Noi abbiamo sistemato il casino di ieri sera. -
- Noi?! – esclamò Niall, guardandomi male.
- Niall ha sistemato il casino di ieri sera, - mi corressi, - cosa che io faccio tutte le Domeniche mattina da due anni a questa parte. -
- Sei un rompipalle, Harry. Ancora mi chiedo perché abbia scelto te come coinquilino. – sbuffò Louis.
- Forse perché sono bellissimo, dolcissimo, simpaticissimo, e tanti altri aggettivi positivi a cui si può aggiungere ‘issimo’? – chiesi, ridendo.
- Modesto il ragazzo. – notò Zayn, uscendo dal bagno e buttandosi a peso morto sul divano.
- Parla lui che sta mezz’ora davanti allo specchio solo per sistemarsi quel ciuffo biondo privo di senso. – sentenziò Liam, forse in mia difesa, forse solo per sputtanare il suo amico, tirandogli un cuscino.
- Non vorrei interrompere questa conversazione entusiasmante, ma volevo farvi notare che è il 29 Dicembre. Voi che piani avete per Capodanno? – chiese Niall.
- Ragazze, tante ragazze. – rispose Louis soddisfatto.
- Biondino, frena. – dissi. - Abbiamo passato dodici ore in una casa senza litigare o ucciderci, ma chi ti dice che tu possa stare con noi anche a Capodanno? Un passo per volta. – dissi, mentre giravo per casa per continuare a vestirmi.
- Mi sembrava che avessimo risolto… - rispose, rimanendoci male.
- L’ho detto che non sapeva fare le battute! – esclamò Louis, ed io riniziai a ridere come la sera prima, poco dopo aver fatto lo scherzo di Sophie a Zayn. Tutto ciò lo trovavo divertente solo io, ma poco importava.
- Scherzi a parte, mi stai simpatico. A parte quando hai cercato di rubarmi la ragazza. Per il resto tutto apposto. – dissi sorridendo, dandogli una pacca sulla spalla e lui mi sorrise di rimando, annuendo.
- Che ne dite se per Capodanno ci imbuchiamo a qualche festa? – propose Zayn entusiasta.
- Seriamente? E’ questo il massimo della trasgressione, Malik? – gli chiese Louis, inarcando le sopracciglia.
- Io ho già qualcosa in mente, ma questo non comprende anche voi, mi dispiace. – annunciai.
- Ho anche detto che sei stronzo! – esclamò Louis.
- Ah, il tuo insulto mi ha afflitto completamente. Come farò a vivere adesso? – dissi, avvicinandomi alla porta e ridendo. Amavo farlo arrabbiare e rispondergli sarcasticamente, cosa che lo infuriava ancor di più.
- Vai a lavorare che è meglio. – concluse.
Mi girai per sorridere e salutare gli altri con un cenno della mano, per poi abbottonarmi il cappotto e chiudermi la porta alle spalle.


Dopo essere stato le solite sei ore massacranti in ufficio, mi diressi in biblioteca per salutare Sophie. Non la vedevo da solo un giorno, e già mi mancava. Non ero mai stato così ‘dipendente’ da una persona in tutta la mia vita. Sì, col passare del tempo mi ero accorto di avere una certa dipendenza da lei: dovevo sentirla, vederla e baciarla tutti i giorni, altrimenti era come se mi mancasse l’aria. Nei giorni in cui litigavamo o non ci vedevamo mi sentivo letteralmente soffocare, ma non lo davo a vedere e odiavo ammetterlo a me stesso perché mi sembra una cosa talmente assurda da non riuscire a capacitarmene.
Chiusi velocemente l’ombrello, permettendomi di ripararmi sotto l’entrata e lo infilai nel vaso appena fuori la porta.
- Hey. – dissi semplicemente, passando dietro il bancone, per poi baciarla. - C’è Niall? – chiesi.
Sophie mi guardò incredula e perplessa. – Sei appena arrivato, mi hai dato un bacio a stampo e mi chiedi di Niall? Ti senti bene? Con questo tempo deve esserti venuta la febbre, fammi sentire. – disse, avvicinando la mano alla mia fronte.
Sorrisi. – Sto benissimo, devo solo parlargli di una cosa. -
- Ah, capisco. Comunque è dietro quello scaffale. – rispose, girandosi e  indicandomelo col braccio destro.
- Grazie. – la baciai di nuovo, questa volta più appassionatamente e per più tempo, assaporando appieno quel momento. – Va meglio? – chiesi.
- Decisamente. – rispose, sorridendo.





myspace:
TRA CINQUE GIORNI MORIREEEEEETE. 
ʘ‿ʘ
...okay, no. AHAHAHAHAHAHAHAH avrei dovuto postare venerdì per farvelo bene con i sette giorni, ma vabè.
non dovrei crederci, ma mi sto cagando addosso ugualmente ahahahah voi ci credete? a) sì, b) a, c) b? lol
parlando del capitolo, oh indovinate, non mi piace. che novità! non l'avrei mai detto. AHAHAHAHAHAH
a parte questo, cosa dovrà fare Harry? uhuh e cosa avrà detto a Niall? uhuh suspaaaaance. 
poi è da tantissimo che penso alla scena del loro "duetto", ma mi è venuta male pure quella. lol ho messo le prime canzoni che mi sono venute in mente (e non potevo non mettere Ed ksdjhg), quindi riferimenti a cose o persone puramente casuali.

stasera sto dando i numeri, non ci fate caso. uu
comunque, per vostra (s)fortuna, la fan fiction finirà ufficialmente tra due/tre capitoli. devo ancora strutturare per bene il finale. cc nel caso non dovessi riuscire ad aggiornare prima di Natale/Capodanno/2013, fate conto che vi abbia già fatto gli auguri. lol

love you all ksdjfg

visto che tra poco dovrebbe uscire il video di Kiss You, vi lascio con questa gif, che prende un po' la scena del capitolo, anche se è Harry a trovare i piedi di Zayn. AHAHAHAHAHAHAHAH 

      

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