Tu Chiamami Draco

di simovscalliope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Tu Chiamami Draco 

Draco, il mio nome è Draco.
Ogni tanto me lo scordo, ma quelli son problemi miei.
Sarà che ho deciso di non parlare con troppa gente, ma qui in giro è soprattutto la gente che ha deciso di non parlare con me. Forse la mia decisione è dipesa proprio da questo fatto. 
Io nella mia testa non sono matto, anzi, alcune volte sento cori di voci nella testa, tutti ad urlare frasi distinte e non troppo stabili. In quei momenti mi sento matto, perché non vorrei che quelle voci parlassero tutte insieme, quelle voci mi stanno simpatiche, e vorrei capire i loro problemi.
Magari risolverli.
Sì, mi chiamo Draco e una volta risolvevo i problemi della gente nei sogni, poi lo psichiatra mi ha costretto a prendere delle nuove pillole e ho smesso anche di sognare.
Se chiedeste ai miei genitori di loro figlio Simone -loro continuano a chiamarmi così- scapperebbero con le mani fra i capelli. Ed io ringrazio il Dio in cui non credo che non mi abbia fatto rimanere figlio unico, così almeno hanno un figlio sano al quale possono voler bene.
Io sono Draco, e mi piace ripeterlo, non so, forse perché è bello.
Non ne ho voglia, ma costringo le mani a ricordare che stringono una matita. Ho gli occhi chiusi ma la posso immaginare: nera, e mozzicata.
Devo proprio riaprire gli occhi?
Non è più bello così? Beh, sì, ho sicuramente i miei privilegi. 
Con gli occhi chiusi è più facile convincermi che non sono seduto, che volo. Con gli occhi chiusi è più facile pensare di essere un uccello che torna volando al nido, come dice la canzone che sto ascoltando.
E se poi cadessi volando?
Ora ho paura, e non mi piace aver paura, quindi senza nemmeno accorgermene apro gli occhi.
Sono seduto al solito posto, dove di solito vado a disegnare quando non voglio più sentire quelle voci che urlano.
Il mio solito posto è tutto di pietra, ed è molto in alto nonostante io soffra di vertigini. 
Oltre a molte altre paranoie e paure ho anche un terrore smodato verso le altezze. 
Ma perché lo preciso? Tanto è una paura come un’altra, e forse per non far offendere le altre di paure dovrei elencarle tutte.
No, ho di meglio da fare, tanto le ho contate anche cinque minuti fa.
Ho di meglio da fare, sì, perché quando vengo qui porto sempre una matita e un solo foglio. Ne porto solamente uno altrimenti li userei tutti senza poi riuscire in nulla di concreto, sarebbero soltanto fogli di prova. Invece con un solo foglio posso provarci una sola volta, e se non ci riesco me ne vado più triste di quando sono arrivato.
Ogni volta racconto al foglio tutto quello che vedo, ma quando sono distratto, come oggi, finisco con il perdere l’unico foglio che ho portato, e probabilmente anche oggi me ne andrò cercando di non piangere.
Un rumore, come se un piede sfregasse sulla terra.
Ma non è possibile, sono solo qui. Saranno sicuramente quelle cose che ha detto il dottore che sento anche se non ci sono.
E se fossi speciale a sentire cose che non posso sentire? Se fossi qualcosa come un supereroe?
No, son troppo grasso per fare il supereroe.
Non ho bisogno di ricordarmelo, ma tocco l’osso dell’anca per vedere se riesco ancora a sentirlo, o se il grasso l’ha già ricoperto, e sì, ho paura anche di diventare grasso.
Merda, voglio buttarmi. Ma mi hanno detto già che poi non avrei il coraggio.
Loro però non possono decidere al posto mio.
Pensa che il mio nome l’ho deciso io.
E il mio nome è Draco: proprio un bel nome.
Ora che il foglio è finito e che l’opportunità se n’è andata me ne andrò.
E chissà se glielo dirò alla psicologa che ho scritto su un foglio.
Sai cosa faccio? Faccio come le persone normali, anche se sono normale anche io, e scrivo il mio nome alla fine del foglio.
Sperando di chiamarmi,
Draco.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

“Ma tu non ti stanchi mai di venire qui?”

Aveva ragione, aveva proprio ragione, non era solo. 
Gli occhi e la mente erano persi negli occhi che stava creando, e che iniziavano a fissarlo dal bianco del suo unico foglio. I suoni captati dal cervello gli fecero intuire che chi gli stava parlando non doveva essere troppo distante, e alzando lo sguardo si accorse di non aver torto.
Un corpo, era ancora soltanto un corpo, e lui iniziava già a chiedersi come dovesse reagire a qualcuno che cercava di compatirlo. Perché sì, alla fine era sempre quello lo scopo delle persone. 
Tutti che pensavano che il povero Draco non fosse capace di portare a termine un ragionamento sensato, ma loro cosa cazzo ne sapevano di lui?
Sono Draco e non sono matto
Fissava arcigno il viso che gli stava di fronte, senza dare minimamente peso all’ espressione curiosa che era padrona di esso.
“Beh? Hai ancora molto da fissarmi?”
Cosa?
Dopo troppo tempo perché i suoi riflessi si potessero considerare pronti, si chiese perché una ragazza gli stesse rivolgendo la parola, per di più con un sorriso stampato in volto. E sempre poco prontamente arrivò a chiedersi se fosse il caso di dare una risposta.
Non fece in tempo a formularne una, e la sua risposta fu anticipata da altre parole della ragazza.
“Sai che sei proprio strano? Come ti chiami?”
Che bella domanda.
Sorrise.
“Draco, mi chiamo Draco”
La ragazza cambiò espressione, probabilmente colpita dalla voce che le parve perfetta da associare a quell’immagine che vedeva. Forse solamente colpita dalla risposta.
“Draco? Ti chiami veramente così?”
Altrimenti perché te l’avrei detto?
Si sarebbe dovuto aspettare quella domanda, ma continuava a scordarsi quanto la gente non lo comprendesse.
“Mi chiamo Draco se mi vuoi bene”
La ragazza sorrise, cercando di dare un senso alla risposta.
“Ma come faccio a volerti bene se non so nemmeno chi sei?”
“Se non mi volessi bene non mi avresti parlato, oppure mi avresti detto cose brutte, e poi io ti voglio bene”
Il vento leggero di quel pomeriggio caldo impedì che il silenzio diventasse padrone della situazione, ma Draco decise di coprire con la sua voce anche quella del vento.
“Ti voglio bene perché il sorriso è la cosa più bella che le persone possano regalare” si fermò un attimo “e tu me ne stai regalando uno senza forse nemmeno volerlo”
Ancora il vento, che per quanto era debole non riusciva neanche ad infiltrarsi tra i capelli della ragazza senza nome.
“Io mi chiamo Ve..” un attimo, e gli occhi di quella ragazza fissarono sorridenti quelli di Draco.
“Se mi vuoi bene chiamami Kuu”
“Kuu? Come mai Kuu? Da quando ti chiami così?”
Draco subito rispose con un tono ed uno sguardo meravigliato, come se si stesse accorgendo di non essere l’unico abitante del pianeta. Forse non era più il suo pianeta, forse poteva essere il loro. Ma così già si stava abbandonando ai suoi di pensieri, e lui voleva ascoltare Kuu.
“Da ora”
“Kuu, è proprio un bel nome!”
La ragazza sorrise, insieme a lui.
“Anche Draco è un bel nome! Anzi, è proprio un bel nome!”
Draco era incredulo, era quasi tentato di darsi un ceffone per riprendersi.
“Il mio dottore ha detto ai miei genitori che vedo cose che non ci sono, ma tu ci sei, vero?”
“Sì che ci sono!”
“E pensi davvero che il mio sia un bel nome?” un attimo di sospensione “sei proprio seria?”
“Si che sono seria, Draco”
Probabilmente avrebbe iniziato a piangere di gioia da un momento all’altro, e nemmeno lui sapeva perché, visto che non era la prima volta che parlava con qualcuno. 
Ricordò la prima volta che iniziò a parlare con un buco nel muro, ed una sua compagna di classe lo aveva preso per matto. 
Si fece tutto serio, all’improvviso, e il sorriso che stava crescendo collassò immediatamente.
“Stai pensando che sono matto, vero?”
Fissò la ragazza negli occhi, trattenendosi dal piangere un’altra volta, ma per il motivo opposto a qualche istante prima. Lei ricambiò con uno sguardo che già da solo iniziò a consolarlo, e con un altro sorriso, che lui sicuramente avrebbe gradito.
“Io tutto quello che penso poi lo dico, e tu?”
Draco fu spiazzato da quella risposta, cosa intendeva dire?
“Io?”
Non sapeva come rispondere, e ripetè la domanda più volte nella testa, mentre lei armeggiava con qualcosa che si trovava all’interno di una borsetta a forma di vinile.
“Questo l’hai scritto tu?”
Lui rivolse lo sguardo alla mano della ragazza, e notò la carnagione bianchissima, e le unghie pulite e disastrate. Poi si accorse che le stava porgendo un foglio, e lui si spinse in avanti per prenderlo. Staccandosi dal muro sentì la schiena completamente bagnata, e chiuse per un attimo gli occhi, cercando di non darci peso sebbene lui odiasse quella sensazione.
Guardò il foglio, e riconobbe la sua scrittura su un foglio che aveva l’aria di essere stato piegato e riletto parecchie volte.
Si ricordò di qualche giorno prima, di quando era scappato per paura della pioggia.
“É tuo?”
Riportò gli occhi su quelli della ragazza, e finalmente si rese conto di quanto fosse particolare e singolare nella sua bellezza. Era così semplice.
Si accorse dei capelli che avevano l’aria di essere asciutti e profumati, nonostante l’aria irrespirabile di agosto che faceva apparire qualsiasi cosa sudaticcia.
Draco annuì guardandola e pensando che fosse bella, e dedicandole il sorriso del momento, sperando che capisse.
“Una persona che scrive così non può essere matta”
E da come pronunciò quelle parole Draco immaginò i puntini di sospensione che si perdevano nel vuoto.
“E cosa può essere?”
Kuu si perse per un attimo a vagare nel vuoto, cercando da sola una risposta plausibile.
“Potevi essere solo tu”

Draco tornò un solo secondo sul suo pianeta, giusto il tempo di mettere con la sua matita l’asterisco sotto i due occhi neri che vivevano sul foglio.
Quello era il gesto che di solito stava a significare che l’opera era terminata, e che poteva tornare a casa, ma quella volta lo mise solo per lasciare una sua firma.
Si fermò un attimo a guardarlo, e poi strinse un’altra volta la matita, la avvicinò al foglio e scrisse vicino all’asterisco l’iniziale del suo bel nome.
Finito di firmare il foglio, mise la matita in bocca e poggiò foglio e cartellina davanti a lui sul muretto. Si spinse poi come al solito sui polsi sofferenti e scese sulla terra un’altra volta ancora, con la differenza che in quel momento era felice di esserci.

Si avvicinò al muretto dove Kuu sedeva penzoloni, continuando a regalarle uno dei suoi migliori sorrisi. 
“Questo te lo regalo io, così non sei costretta a trovarlo abbandonato per terra da uno sbadato come me” 
Kuu lo guardò con la sua faccina curiosa, esattamente come l’aveva guardato prima che parlassero e sorrise a sua volta.
“Grazie”
“No, grazie a te”
“E perché?”
Un attimo di silenzio, che a Draco piaceva da morire quando lo trovava in un film.
“Perché mi vuoi bene”

Draco prese la cartellina dal muretto, sistemò le cuffie sulle orecchie, e tornò alla sua base, così contento da rischiare di scordarsi quale fosse il suo nome.
E già stava iniziando a contare i suoi passi, com’era sua abitudine, quando si fermò, si girò a guardare Kuu che rimaneva sola e le fece il suo invito ufficiale ad entrare nel suo pianeta.
“Domani alla stessa ora eh”


Angolo Scrittore:
Non so voi, ma io sono perdutamente innammorato di Draco!
Spero che il capitolo non abbia deluso le vostre aspettative, e ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra i preferiti, o tra quelle da ricordare, grazie veramente!
E mi scuso se i miei capitoli verranno aggiornati più lentamente, ma la scuola mi impedirà di dedicarmi al povero Draco!

Simo

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Mal di testa, pianto, dita che avrebbero spezzato quanto più vetro fosse stato possibile trovare. Urla che si spandevano nella notte, urla che smuovevano la luce di una luna che poteva vedere solamente lui, insieme ai personaggi che erano di sua creazione. Era nell’unico mondo che era sicuro nessuno avrebbe mai potuto invadere, e che non avrebbe mai sentito il bisogno di condividere con nessuno.
Il respiro regolare, gli occhi chiusi e il corpo nudo: questo per chi poteva spiare era il massimo, ma dentro di lui invece c’era un buio fatto d’inchiostro.
Davanti a se, oltre al suo interlocutore c’era una parete bianca e spoglia, c’era una finestra, ma le persiane erano chiuse e la malinconia padrona della scena come in un film in bianco e nero.
Non sentiva nulla se non un ronzio che probabilmente apparteneva al suo respiro, ma quelle parole, quelle parole per lui esistevano, e avevano un senso che la sua mente decifrava.
La bocca si mosse nascosta nel nero, una bocca che non era la sua, una voce che non gli apparteneva. 
“Perché allora non piangi?”
La risposta che già echeggiava nella sua mente fu involontariamente sussurrata.
“Io piango da solo”
Il nero continuava a sciogliere le immagini con la sua densità imponente e brillante, ma in coda all’apparizione di un sorriso, si spense perdendo la sua magnificenza. Allora a brillare ci furono dei denti disposti con rigore e simmetria, che fecero apparire la tristezza meno importante di quanto invece dovesse essere.
Poi per diluire le sue ansie e le sue paure scese dall’alto una pioggia, e la mente elaborò delle sensazioni che lo riportarono a quando da piccolo dipingeva con i colori a tempera.
Il nero cadde in uno scarico, impregnato nelle gocce della pioggia che già si preparava a svanire. 
Tutto questo era riservato a Draco, e non a nessun altro.

In un altro mondo, definito e lontano solo pochi isolati dal primo - ma comunque interamente opposto - c’era qualcun altro che stagnava tra le sue speranze e tra sentimenti che urlavano alla vita.
Lei sorrideva ignara da sotto le lenzuola leggere che si ostinava a tirare fino al collo nonostante la stagione non lo richiedesse, e anche in quell’altra vita il massimo che era concesso comprendere si fermava lì.
Per il resto aveva anche lei un mondo privato, come daltronde tutto il resto degli umani.
Da lei i battiti del cuore che riconosceva come suo accompagnavano i giri di chitarra, e le sinfonie sprigionate da archi nascosti alla visuale, ma che dettavano un sorriso.
Lo riusciva a scorgere, preciso, e durava esattamente quanto un momento di felicità autentica. Dettate e descritte dalla sua passione per la mitologia, delle fate iniziarono le loro danze, poggiando i piedi nel vuoto, e spostandola in una realtà che non riusciva a ricomporre. Un chiaro particolare apparve solamente perché lei riuscisse a imprimerlo a fuoco: intagliato sulla corteccia di un albero c’era in tutta la sua semplicità un sorriso, il più semplice e reale che lei avesse mai visto.
Non fece in tempo a vedere le fate stufarsi di danzare, non fece in tempo a vederle perdere la loro felicità, per quanto falsa essa fosse.
La luce inghiottì movenze e musiche, gioie e occhi piegati dall’allegria, e poi di quello che ne rimase lei non fu obbligata a ricordare nulla.

Erano caduti in trappola entrambi: schiavi di quel tipo di sogno che non riesci a ricordare finché non lo rivivi ad occhi aperti. Quel tipo di sogno che ritorna in vita con il meccanismo di un deja vù, che ti sorprende e ti fa illudere di aver vissuto un’ altra vita parallela. Un gesto parallelo ma non premeditato fu quello di sorridere, e si ritrovarono quindi entrambi a rendere pubbliche le proprie emozioni già dai primi momenti del nuovo giorno.
Nel tempo che seguì al primo di una serie di sorrisi che si sarebbero poi aggiunti, sia Draco che Kuu si ritrovarono a navigare nella loro vita scandita da colonne sonore differenti.
Draco canticchiava - in realtà tenne un concerto di durata sufficiente a far esasperare i vicini di casa - sotto la doccia e davanti allo specchio, continuando a rendere palese che il cuore gli sarebbe esploso da un momento all’altro. 
Kuu invece, spensierata e leggera come al solito, sorrideva allo specchio, mentre a tratti cercava di pettinare i suoi lunghissimi capelli, e a tratti mimava le parole della canzone che passavano alla radio usando la spazzola come microfono.
Erano entrambi troppo timidi perché ammettessero all’altro di essere stati impazienti di incontrarsi ancora; erano curiosi, impazienti di scoprire ogni segreto e ogni debolezza, e si ritrovarono troppo occupati ad aspettare per poter dar retta al resto del mondo.
 Entrambi immobli finchè dieci minuti prima del tanto atteso incontro non si ridestarono; si accanirono in fretta e furia chi sulla tracolla a forma di vinile, chi su cartellina e cuffie bianche. E poi entrambi volarono via dalle loro camere, gettando passi frettolosi sulle strade della stessa cittadina, silenziosa e deserta come in ogni estate.


Eheheh, chiedo umilmente scusa per aver fatto passare tutto questo tempo.. mi ero tanto affezionato a questo personaggio ma poi sono stato preso da tutte le altre cose che mi girano intorno.
L'altro giorno mentre parlavo con il mio interlocutore nero ho avuto l'ispirazione per scrivere un nuovo capitolo, e dopo aver chiesto il parere a due miei fidati lettori ho deciso di troncare questo capitolo prima che i due si incontrassero.
A presto (si spera), con il quarto capitolo.

Simo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Tu Chiamami Draco - Capitolo 4

Se da una parte della città i marciapiedi erano vittime dei passi di due individui, dall’altra c’erano stradine nascoste che aspettavano di vederli passare, o correre.

Proprio come doveva essere per un rispettabilissimo pomeriggio d’agosto, il caldo afoso lo si percepiva ovunque, vivo e concreto mentre schiavizzava chiunque.
Succube della temperatura, e del troppo lavoro, c’era anche una signora, che nella sua vita non aveva fatto nulla che fosse degno di nota. E se quella signora si trova tra le righe di questa storia è soltanto perché il suo pregio era quello di essere un’acuta osservatrice.
Sai quella del balcone? Ecco, parlavo di lei.
Anche sotto quel sole prepotente lei si ostinava a sbrigare le faccende di casa, rendendosi anche degna di lode, ma come particolare non è troppo importante.

Alla fine del breve corridoio girò a destra ed entrò nella cucina bianca e nera. Buttò uno sguardo sull’orologio poggiato su uno dei ripiani della parete che aveva di fronte: le 16.55.
- Avrò diritto a cinque minuti di riposo? 
Si pose la domanda, e da sola nella sua testa rispose che cinque minuti non le avrebbero di certo cambiato l’esistenza, anche se di faccende da sbrigare ce n’erano.
Si avvicinò alla radio e la mise in funzione, facendo diffondere nell’aria afosa delle note che sembravano rinfrescarla.
Attraversò la stanza e aprì la porta che dava sul balcone, il famoso balcone.
Anche quel pomeriggio, come tutti gli altri d’altronde, si ritrovò poggiata alla ringhiera scrostata a meravigliarsi dello squarcio di città che riusciva a vedere.
Era lo stesso da sempre, eppure lei ad ogni occasione buona continuava a vagare con lo sguardo su ogni tetto, quasi come fosse spaventata che da un giorno all’altro sarebbero poi spariti.
Percorse con lo sguardo la linea discontinua disegnata dai tetti, poi si fermò a guardare le tre piazzole di pietra che aveva praticamente sotto casa. In quella centrale c’erano due panchine disposte l’una di fronte all’altra, e continuava a non capire come mai non ce ne fossero altre se non lì. 
Quello che la fece sorridere fu il pensare che quelle panchine potevano tranquillamente non esserci considerando l’unico frequentatore del posto.
Simone tanto arrivato lì, a costo di sporcarsi, saliva sul muretto della piazzola più bassa. Disegnò nella sua mente l’immagine di quel ragazzo, con la sua faccia indecifrabile, e pensò che lui era stato progettato per poi essere inserito in quel paesaggio.
Senza accorgersene stava fissando il muretto prescelto, quello speciale, e solo dopo un po’ si accorse che in quella scena mancava il personaggio principale.
Rimase un po’ delusa: quella meraviglia non aveva senso senza il suo cuore, senza il fulcro. Sembrava di leggere una storia dove veniva descritto tutto tranne che le avventure del protagonista, o di vedere un’ombra al muro senza vedere il proprietario di questa.
Non sapeva di completo, insomma.

Si tirò sui gomiti, fece forza e cercò di riprendersi e di convincersi che poteva farcela a rimettere in ordine quel disastro che era casa sua. Stava già tornando dentro quando sentì un rumore di passi che venivano da lontano, accompagnato da una musichetta che qualche secondo dopo sentendola con più chiarezza capì si trattava di un fischiettio.
Si sentì stupidamente sollevata, perché era certa che stesse arrivando quel qualcuno che serviva a alla scena per essere completata.
Si fermò e si poggiò nuovamente alla ringhiera, aspettando di vedere prender forma la faccia di Simone. Un volto che sebbene non riuscisse a capire di quale espressione fosse macchiato, riusciva comunque a farla sentire felice.
Vide quella macchiolina fischiettante avvicinarsi, e distinse sempre più accuratamente le note della melodia finché non ebbe chiaro il titolo della canzone.
Quando però la figura fu a distanza tale da permetterle di farsi riconoscere lei rimase nuovamente delusa.
Nessun Draco, o Simone.
Una ragazza molto carina, che lei non aveva mai visto prima, e che catturò la sua attenzione. Fissandola non riuscì a decretarne l’età, non riuscì a decifrare il colore degli occhi, e non riuscì a non spostare gli occhi su altro.
Il paesaggio incompleto sparì di fronte ad un essere umano che traboccava di tale semplicità.
In quel viso così luminoso che la tenne agganciata alla ringhiera distinse i lunghissimi capelli che brillavano del rosso più intenso che avesse mai visto. Decise che non era né troppo alta né troppo bassa, e che era decisamente troppo magra, ma nel complesso sembrava disegnata a matita, e colorata con dei pastelli.
Emanando nell’aria un profumo che non c’era, che sapeva di primavera, continuava innocentemente a guadagnarsi la scena, e avrebbe avuto gli stessi effetti anche su chi sarebbe arrivato qualche istante dopo.

E intanto.
Hai presente uno felice? Ora devo parlare di lui, di Draco, e dei colori con cui dipingeva l’anima delle persone.
In quel momento non si sarebbe accorto del mondo nemmeno se l’avessero chiamato col suo vero nome, tanto era grande il suo sorriso.
Stava praticamente correndo, con la cartellina stretta forte sotto il braccio destro e la tracolla che svolazzava e sbatteva contro il suo fianco.
Si sarebbe dovuto sentire forse un po’ esagerato nel provare emozioni così forti per colpa (o grazie, dipende sempre dai punti di vista) di una persona sconosciuta.
Era sicuro però che perdere quel foglio qualche giorno prima era stata la cosa più giusta che fosse mai accaduta per mano della sua sbadataggine. 
Era troppo ingenuo, e sebbene sapesse che le persone potevano far male, era convinto che lei – Kuu – non avesse le impostazioni di base per poter fare del male a nessuno.
Ecco l’arco, ecco che la stradina iniziava la sua discesa sempre più ripida, ed ecco che gli occhi già vedevano le pietre che componevano il suo posto speciale.
Se fino a quel momento aveva corso non vide il motivo per cui dovesse smettere. Arrivò e frenò davanti alla piazzola centrale, quella con le due panchine che credeva stessero lì per non sentirsi sole.
Piantato lì a gambe aperte e fermo a bocca aperta sembrava un manga vivente, un personaggio di un fumetto catapultato nella realtà.
La bocca aperta era la risposta all’immagine di Kuu, la quale lo guardava con una faccia altrettanto buffa.
Sembrava appena franata dalla nuvola più alta, e l’aria era un po’ da angelo, e un po’ l’aria stralunata di una che si era appena ricordata di esistere.
- Tu non ci sei mai stata giù al Vallone, vero? - chiese Draco con un sorriso che lasciava pensare ad un’overdose di emozioni positive.
Lei rispose con un’espressione palesemente disorientata.
Lui ribatté alzando gli occhi al cielo, e dopo aver esitato per un mezzo istante partì correndo, e percorse quanto rimaneva della stradina.
Lei non capì subito che doveva seguirlo, aspettava ancora che come tutte le persone normali lui la salutasse, ma poi ricordò che lui di normale aveva ben poco. Sbuffò e buttò anche lei gli occhi al cielo, sorridendo, divertita dai suoi pensieri, e lo raggiunse quando lui aveva già ormai oltrepassato un cancello alla fine della stradina.
Arrivò anche lei davanti al cancello ma non le sembrò di vedere Draco.
Possibile che fosse sparito?
Entrò timorosa e iniziò a percorrere la stradina cercando intorno la macchia di colore dei vestiti di Draco – canottiera bianca e rossa abbinata a dei jeans rossi slavati, l’avrebbe visto se ci fosse stato – ma niente, non si vedeva nemmeno più in giù nel parco.

Avanzò di qualche altro passo disorientata: era sicura di averlo visto entrare lì dentro.
- ALLORA COM..
- WOOO!
E Draco era piegato in due per le risate. 
Si era appostato in un angolo ed aspettava che Kuu lo raggiungesse, ma non voleva assolutamente spaventarla. Si sarebbe voluto scusare ma la faccia di lei era stata troppo terrificata per non riderci su.
- SCUSA!
- FOTTITI!
Cercando di trattenersi la fissò negli occhi cercando di capire se veramente si fosse arrabbiata, e in un attimo iniziò a sbiancare per il terrore: lui non voleva assolutamente che lei si arrabbiasse con lui, e che magari decidesse di andar via. 
- Oddio, scusa, scusa, scusa Kuu non volev..
- Ma dai, scialla!
La guardò interrogativo.
- Scialla?
- Non lo conosci come modo di dire?
- No! Sono preoccupante? Sarà che vivo in un mondo a parte, sicuramente, sì, sì, sicuramente! No, dai, seriamente, non lo conosco, no, non lo con..
- OKAY!
Ora era lei a ridere, di lui.
- Perché ridi? - chiese lui disorientato.
- No niente, è che quando inizi a parlare poi non la smetti più!
Lui continuava a non capire se era o meno una cosa bella, perché era sicuro che anche una cosa bruttissima sarebbe suonata dolce se detta da quella voce, ma a lei non l’avrebbe detto.
- Ah – rispose, e aspettò un momento prima di riprendere – ma comunque non mi hai detto cosa significa ‘scialla’
- Ah, sì, significa che devi stare più tranquillo!
- Ma come faccio se ci sei tu? - chiese con quanta più spontaneità potesse usare.
- Cosa intendi dire? Ti metto l’ansia?
- No – era completamente fuori strada – intendo dire che se ho davanti i tuoi occhi è un po’ difficile stare tranquillo, e poi ho paura che magari ti arrabbi con me e te ne vai, come tutti gli altri.
Kuu si fece automaticamente un esame di coscienza per cercare di capire se fosse stata colpa sua, ma anche se non credeva di aver detto nulla si sentì in colpa.
Era così.. indifeso.
- Oddio – disse Kuu, quasi sussurrando – vieni qui che ti abbraccio!
Lo stritolò in un abbraccio cercando goffamente di scusarsi, per motivi ancora poco chiari, ma comunque non voleva che lui fosse triste. Era troppo dolce con lei, ed era così diverso dagli altri.
Lo sentiva anche da un semplice contatto che lui aveva qualcosa di diverso da tutti gli altri ragazzi che aveva abbracciato.
Semplicemente lui non era uno stronzo: era una voce completamente isolata dal coro. Una voce che cantava una canzone d’amore in una lingua straniera e indipendentemente dal coro che gli stava attorno.
Mentre ancora erano abbracciati Draco le spiegò come mai l’aveva portata lì.
- Sai, questo è un posto bellissimo e non c’è nemmeno mai nessuno. Avevo pensato di sorriderti mentre eravamo stesi sull’erba, e quindi.. ti va se mentre decidiamo che forma hanno le nuvole mi parli un po’ di te?
Accetto soltanto se anche tu mi racconti di te!
- Ma io sono noioso e norm..
- Taci, e farò finta che tu abbia detto di sì!
Così dicendo Kuu si animò e prese prontamente Draco per un braccio, portandolo con se verso il centro del parco, per andare a sdraiarsi sull’erba.
- Hai avuto una bellissima idea, io adoro la natura, ed adoro le persone dolci come te.
- Quindi vedi che sono normaliss..
La finisci? 
- Ma se tu hai detto che ci sono persone come me!
- Ah, lo rimangio, sei proprio un caso perso
- Ecco, ecco, così va meglio
Draco si piegò e si buttò con la schiena a terra, sporcando la sua canotta bianca di terra, e attentando alla vita di parecchi insetti. Ma quel pensiero non lo sfiorò minimamente perché l’unica cosa che contava in quel momento aveva un nome, ed era Veronica, o Kuu.
Kuu non si stese nella stessa direzione di Draco: si girò lateralmente e poggiò la testa sulla pancia piattissima di Draco.

In quel momento gli occhi della signora – che dopo aver visto Draco arrivare era tornata in casa tranquillizata – se avessero avuto la possibilità di spiare i due avrebbero visto l’immagine della dolcezza, disegnata con la stessa semplicità che componeva i due.

Nonostante il parco fosse spoglio e non troppo curato, con quei due stesi lì per terra a parlare delle loro vite diventava tutto più ricco di colore, e da un momento all’altro i sogni di entrambi sarebbero tornati a galla.
E infatti..
- Dio, ho appena avuto un deja vu! - disse Draco guardando gli occhi di Kuu che lo fissavano.
Giura! Anche io!
- Io credo di averlo già visto questo momento, anzi no, ne sono certo!
- Sì ma cosa precisamente? Dimmelo, così vediamo se è la stessa mia immagine
- Non lo so di preciso, ma so di averlo già visto il tuo sorriso, e c’era tanto buio, però i tuoi denti splendevano come se non ci fosse nient’altro!
La guardò sperando che avesse capito e che non lo prendesse per pazzo per i sogni che faceva, che già ne aveva di ragioni per sembrare pazzo.
Lei rispose, dando spazio alle fatidiche coincidenze.
- Anch’io ricordo soltanto un sorriso, e mi ricordo di averlo visto disegnato, come se fosse vero solo per un momento. Come se avesse paura di restare lì! Però era bellissimo e sembrava uscito da una fiaba!
Scese il silenzio, un velo leggero che li avvolse morbidamente, arrivando quasi a farli sentire in imbarazzo, ma poi Draco urlò i suoi pensieri dichiarando che in realtà lui al silenzio non aveva prestato la più minima attenzione.
- VEDI? Vedi che siamo speciali? Non è normale che due persone sognino la stessa cosa la stessa notte, vedi? No perché, voglio dire, dai! Se veramente è una coincidenza è figo, no? Voglio dire, quante possibil..
- Finché continuerai ad eccitarti così per ogni piccola cazzata che ti dirò, io continuerò a pensare che sei il personaggio più bello di cui io abbia mai sentito parlare
Draco rimase di sasso. Kuu invece, sfruttando di quella reazione e di quel nuovo silenzio improvviso, sfruttò l’occasione per dire qualcosa che l’avrebbe lasciato ancora più felice di quanto non era già.
- Non mi interessa se era destino o no che dovessimo sognare la stessa cosa durante la stessa notte, per me conta soltanto che tu sia felice come l..
- Sei anche tu il mio personaggio preferito, ma non perché ora tu me l’hai detto e io devo risponderti la stessa cosa per educazione. Tu sei il mio personaggio preferito e c’è un perché. Sei l’unico personaggio della storia, e questo ti rende speciale. Capisci? Non c’è nessun altro oltre te. E dovresti sentirti anche più speciale, perché se proprio dobbiamo dirla tutta io ne ho letti poche di pagine su di te. Il libro l’ho appena iniziato.
Kuu prese un respiro, mentre nella sua testa pensava che se avesse scoperto che stava soltanto ancora sognando avrebbe preso a calci il suo subconscio.
Ma Draco ne aveva ancora di mezzi per farsi voler bene, e non si fece scrupolo ad usarli.

- Se ti faccio un altro regalo sono troppo scontato?
Così disse e premendo con le mani sul terreno si mise a sedere, costringendo anche Kuu a doversi spostare.
Chissà per quanto tempo erano stati seduti così vicini a parlare, senza che se ne accorgessero.
Draco passò la terra dalle sue mani ai suoi jeans, per poi avvicinarle al petto e cercare qualcosa che era nascosto dalla canotta. Quando finalmente ebbe in mano quel che cercava lo estrasse e lo rigirò tra le mani, e poi infine lo sfilò dal collo e glielo porse tenendo le mani unite a mezz’aria.
- Cos’è? - chiese Kuu prendendo la placchetta di metallo dalle mani di Draco.
- É l’unica cosa che attesta che io sia Draco Weinent, nato il 24/09/1996
- Ed è per me?
- Tu hai detto che ti piace il mio personaggio
- Però forse ho sbagliato a dirtelo, perché a me piaci tu, nel senso, tu.. capisci? E tu sei Draco. Sei tu ad essere dolce, e tu e Draco non siete due entità sep..
- Prendilo, voglio che lo prenda tu, anzi, aspetta..
Si avvicinò a lei, prese dalle sue mani la medaglietta e sganciò la chiusura sulla catenina di metallo.
Lei si alzò i capelli per facilitargli i movimenti, e così lui riuscì a chiudergliela dietro al collo.
- Non ti sta per niente bene, ma ora tu chiamami Draco
- É proprio un bel nome, lo sai?
- Lo so – disse lui mettendosi in piedi e scrollandosi via la terra secca di dosso - e tu lo sai che il 99% delle storie che ho letto sono storie d’amore?
- Nah, puoi fare di meglio, l’amore è troppo comune come sentimento – disse lei credendo di spiazzarlo.
- Tu prega per te che lo scrittore abbia deciso di scrivere una fiaba
- Scusa?
- No così vivremo per sempre felici e contenti, però per adesso io devo andare, perché io sono un supereroe e il mondo ha bisogno di me, ma questo lo devo ancora scoprire anch’io
Già stava muovendo i primi passi verso la stradina principale che l’avrebbe portato fuori dal parco, e già le aveva dato le spalle, ma poi si sentì prendere per un polso e sentì che probabilmente pur non essendo una fiaba, lo scrittore aveva deciso che tra i due personaggi sarebbe nato qualcosa.
- Dove credi di andare?
Lo prese per le spalle e lo girò verso di lei, sentendosi quasi in colpa per aver usato tanta aggressività su un esserino indifeso come lui.
Si alzò in punta di piedi per arrivare più facilmente all’altezza del viso di Draco, e si avvicinò, lo guardò misteriosa mentre lui la guardava sognante. E poi un bacino sulla guancia.
Un gesto che poteva significare amicizia, affetto, o qualcosa che doveva ancora svilupparsi meglio.
Lui la fissò negli occhi, e sorridendo le disse qualcosa che se fosse qualcun altro non sarebbe riuscito a dire.
- Anche Kuu è un nome fantastico.
Come te, aggiunse in silenzio, senza sentirsi pronto per dirglielo.
 Si girò e corse via verso il cancello.
- Domani ti aspetto sulla panchina a destra – urlò con quanta meno chiarezza riuscì a cacciare.
Kuu rimase con le braccia conserte ferma a guardarlo andar via, e non potè non pensare di aver conosciuto quello giusto, per quanto fosse fuori di testa.
E sorrise.

Draco stava risalendo di corsa la stradina, passando sotto la casa della signora impiccione.
Sorrise anche lui.

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